L'Iddio ridente - Zona Editrice
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grappoli di vita felice<br />
inizia così la stagione<br />
dove nessuno immagina di dover morire<br />
Da un lato quindi il grande codice, la sua fragranza di un sacro,<br />
dall’altro un’umanità alle prese con la controversia del suo discorso.<br />
Le “iscrizioni” volutamente non vogliono offrirsi come un discorso<br />
logico e conseguente, ma come improvvisi e quindi sono aperte ad<br />
esiti diversi, addirittura tra loro opposti, se in modo confortante si può<br />
leggere in 2: “è perfino possibile/ che sia l’umanità ad essere Iddio/ ed<br />
ognuno di noi sia santo e sacro”. Ma questa valenza positiva è più<br />
spesso contraddetta dal suo opposto, dalla consacrazione umana alla<br />
morte, al fetore, alla putrescenza.<br />
Al riguardo non poche “iscrizioni” paiono scritture oniriche, di incubi,<br />
più che sogni, di configurazione ossessiva e persecutoria, con un<br />
che di kafkiano e sofferente, in cui risaltano la ferocia e l’esibizione<br />
sessuale, insomma un coacervo di immagini infrante certo assai diverse<br />
da quel codice naturale, che si avverte di altra, imprendibile,<br />
pasta.<br />
Motivo ricorrente non a caso è quello della caduta, con una varia<br />
gamma, dal volo suicida, che abbiamo visto nella poesia citata, a vari<br />
processi degradativi, fino alla “spappo finale”; è anche possibile una<br />
caduta gioiosa, ma questa riguarda non l’uomo, quanto le lettere, la<br />
cui precipitazione viene animata dall’istanza di ricerca emblematica<br />
(“tutti quei pomeriggi sulle lettere/ che precipitavano in ingorghi gioiosi/<br />
alla ricerca dell’emblema dello spirito nostro”). Per l’uomo la caduta,<br />
holderlianamente, è il segno di una distanza inesorabile con quel<br />
sacro pure così tanto avvertito: “la nostra identità degradata/ facilita<br />
la caduta di tutto”.<br />
Quest’ultima citazione tocca un altro punto essenziale, quello dell’identità<br />
umana, che viene intesa come una sorta di rigida prigione<br />
che aggrava il destino di separazione da quel ciclo del vivente così<br />
mobile. Su tale tema Di Ruscio lavora soprattutto sulla propria pelle,