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L'Iddio ridente - Zona Editrice

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“Resta solo quello che avevo spellato” (al posto di un più prevedibile,<br />

ma paradossale “sperato”) rinforza con grande originalità in continuo<br />

corpo a corpo, fino allo stremo, alla scorticazione, di Di Ruscio con i<br />

suoi temi e i suoi modi. E a riprova cito una delle più singolari epifanie<br />

antifrastiche di questo Dio, così imprescindibilmente connesso con la<br />

propria scrittura:<br />

e si era introfulato perfino<br />

nel cassetto dove tengo le carte<br />

sconvolge i legni<br />

ritorna nell’ignoto più sacro<br />

Il sacro è un’istanza ricorrente, che spesso si cattura nella quotidiana<br />

meraviglia della natura, nella sua ostinata e caparbia capacità di<br />

vita e molto spesso divaricata o lontana dall’assedio della morte che<br />

riguarda l’uomo. Proprio la sfasatura tra l’orditura umana verso la<br />

“sporca morte” e dall’altra parte “l’aria piena di semi volanti” costituisce<br />

un nucleo profondo di questo libro, evidente fin dal primo testo,<br />

con quell’adombramento di suicidio che si trasforma in catabasi nella<br />

natura e nella sua stupefacente fioritura “improvvisamente senza un<br />

segnale”:<br />

1.<br />

vengono alla superficie pensieri neri tenebrosi<br />

volare dalla finestra<br />

inabissarmi in quell’albero di ciliege<br />

che nasce sotto casa<br />

splendente<br />

luminoso nelle primavere<br />

improvvisamente senza un segnale fiorisce

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