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anno 2011-2012-MATERIALI DIDATTICI - Omero

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Giuliano Campioni<br />

Cronologia di F. Nietzsche<br />

1844 Il 5 ottobre Friedrich Nietzsche Wilhelm Nietzsche nasce a Röcken presso Lützen nella<br />

Sassonia prussiana. Suo padre Karl Ludwig (1813-1849), pastore protestante di quel piccolo<br />

villaggio, aveva sposato Franziska Oehler (1826-1897) nel 1843.<br />

1846 Nel luglio nasce la sorella Elisabeth.<br />

1848 Nascita di un fratello: Joseph.<br />

1849 Morte del padre.<br />

1850 Morte del piccolo Joseph. Franziska Nietzsche si trasferisce a Naumburg coi figli.<br />

1858 Nietzsche è ammesso alla scuola di Pforta.<br />

1860 Coi suoi amici di Naumburg, Gustav Krug e Wilhelm Pinder, fonda l'associazione “musicale<br />

e letteraria” Germania.<br />

1864 Con Paul Deussen, suo amico di Pforta a Bonn per frequentare l'università.<br />

1865 Prima lettura di Schopenhauer.<br />

Nietzsche ha lasciato l'Università di Bonn ed è in ottobre a Lipsia: seguirà le lezioni di Friedrich<br />

Ritschl anche lui trasferito.<br />

1867 Amicizia con Erwin Rohde. Dal 9 ottobre servizio militare a Naumburg, interrotto nel marzo<br />

dell'<strong>anno</strong> seguente per una caduta da cavallo. Sul Rheinisches Museum appare il suo primo lavoro<br />

filologico su Teognide.<br />

1868 Il suo lavoro sulle “fonti di Diogene Laerzio” è premiato all'Università di Lipsia. In<br />

novembre conosce personalmente Richard Wagner.<br />

1869 Il 13 febbraio è chiamato alla cattedra di filologia classica dell'Università di Basilea. Il 19<br />

aprile giunge a Basilea. Il 17 maggio prima visita a Richard Wagner e Cosima von Bülow a<br />

Tribschen presso Lucerna.<br />

Il 28 maggio tiene all'università la sua prolusione su <strong>Omero</strong> e la filologia classica.<br />

1870 18 gennaio conferenza all'Università sul Dramma musicale greco; il primo febbraio su<br />

Socrate e la tragedia. In agosto partecipa come infermiere alla guerra franco-prussiana. Il 7<br />

settembre si ammala di dissenteria e difterite, ricoverato a Erlangen. Alla fine di ottobre torna a<br />

Basilea. Segue le lezioni di Burckhardt sullo “studio della storia” (poi note sotto il titolo di<br />

Meditazioni sulla storia universale); rapporti personali con Burckhardt. Amicizia con Franz<br />

Overbeck, col quale abiterà per cinque anni.<br />

1872 Esce la Nascita della tragedia dallo spirito della musica. In maggio, attacco di Ulrich von<br />

Wilamowitz-Moellendorff. Wagner e Rohde replicano a Wilamowitz. Conferenze di Nietzsche<br />

Sull'avvenire delle nostre scuole alla “Società accademica” (gennaio-marzo).<br />

Dal 25 al 27 aprile a Tribschen: Richard e Cosima Wagner lasciano la Svizzera. Il 22 maggio posa<br />

della prima pietra del teatro wagneriano a Bayreuth, dove Nietzsche fa la conoscenza di Malwida<br />

von Meysenbug. Per Natale dedica a Cosima il manoscritto Cinque prefazioni per cinque libri non<br />

scritti.<br />

1873 Pubblica la prima “Considerazione inattuale”: David Strauss l'uomo di fede e lo scrittore.<br />

Nell'autunno a Bayreuth, un suo “Appello ai Tedeschi” per la causa wagneriana non viene<br />

approvato dai delegati delle associazioni wagneriane. Conoscenza con Paul Rée. Karl Hillebrand<br />

(1829-1884) recensisce, lodandola, la prima Inattuale.<br />

1874 Pubblica altre due Inattuali: Sull'utilità e lo svantaggio della storia per la vita e<br />

Schopenhauer come educatore. Amicizia con Marie Baumgartner e suo figlio Adolf. Seconda<br />

edizione della Nascita della tragedia.<br />

1875 Appunti per la Inattuale Noi filologi (non pubblicata). Lettura di Dühring, programmi di<br />

studi scientifici. Alla fine dell'<strong>anno</strong> grave peggioramento della salute. Legge con grande interesse le<br />

Osservazioni psicologiche di Pau Rée.<br />

1


1876 In occasione del festival bayreuthiano esce la quarta Inattuale, Richard Wagner a Bayreuth.<br />

Prima collaborazione di Heinrich Köselitz (da Nietzsche chiamano in seguito Peter Gast). In agosto<br />

a Bayreuth per assistere alla prima esecuzione dell'Anello del Nibelungo. Primi appunti del “libro<br />

per spiriti liberi”. Dalla metà di ottobre congedo dall'università per ragioni di salute. Dal 24 ottobre<br />

a Sorrento con Paul Rée e il suo scolaro Albert Brenner presso Malwida von Meysenbug. Ultimo<br />

incontro con Cosima e Richard Wagner.<br />

1877 Ai primi di maggio lascia Sorrento per la Svizzera. Soggiorno a Ragaz e Rosenlauibad fino<br />

al settembre, poi di nuovo a Basilea dove riprende le lezioni all'università. Preparazione del<br />

manoscritto definitivo della sua nuova opera con la collaborazione di Peter Gast.<br />

1878 Wagner gli invia il testo del Parsifal in gennaio. Maggio: Umano, troppo umano. Un libro<br />

per spiriti liberi. Rottura con Wagner.<br />

1879 Pubblica come appendice a Umano, troppo umano: Opinioni e sentenze diverse.<br />

In primavera, grave peggioramento delle condizioni di salute. Dimissioni dall'università. Durante<br />

l'estate, a St. Moritz. In autunno, a Naumburg.<br />

1880 Ai primi dell'<strong>anno</strong> esce Il viandante e la sua ombra, come “seconda e ultima appendice” di<br />

Umano, troppo umano. In gennaio vista di Paul Rée a Naumburg. Dal 12 marzo alla fine di giugno<br />

a Venezia con Peter Gast. In estate a Marienbad. In settembre di nuovo a Naumburg, poi – passando<br />

da Francoforte a Basilea (visita agli Overbeck) – a Stresa dall'8 ottobre. In novembre a Genova.<br />

1881 Pubblica Aurora. pensieri sui pregiudizi morali. In primavera a Recoaro con Gast per la<br />

correzione delle bozze. Dal 4 luglio al primo ottobre, primo soggiorno a Sils-Maria. Quindi di<br />

nuovo a Genova.<br />

1882 In febbraio visita di paul Rée a Genova. Il 13 marzo, a Roma, Rée conosce Lou von Salomé<br />

presso Malwida von Meysenbug. Lettere di Malwida a Rée a Nietzsche sulla “giovane russa”.<br />

Nietzsche a Messina dai primi di aprile. Il 20 aprile a Roma. Conoscenza con Lou. Piani di studio in<br />

comune (Lou, Rée, Nietzsche). Prima domanda di matrimonio a Lou respinta. Con la madre di Lou<br />

e con Rèe a Orta, in viaggio verso la Svizzera. Dal 13 al 16 maggio con Rèe e Lou a Lucerna,<br />

nuova domanda di matrimonio respinta. Dal 23 maggio al 24 giugno a Naumburg, poi a Tautenburg<br />

fino al 27 agosto. Dai primi di agosto anche Lou a Tautenburg, accompagnata dalla sorella di<br />

Nietzsche. Rottura con la madre e la sorella a causa di Lou. In ottobre a Lipsia ultimo incontro con<br />

Lou a Rée: i piani di studio comune vengono formalmente mantenuti. Intanto Nietzsche ha<br />

pubblicato La gaia scienza e, sulla rivista del suo editore Schmeitzner, gli Idilli di Messina. Il 15<br />

novembre, Nietzsche a Basilea dagli Overbeck. Dal 23 novembre a Rapallo.<br />

1883 Raffreddamento e rottura con Rée e Lou. Grave depressione di Nietzsche, idee di suicidio,<br />

abuso di sonniferi. Il 13 febbraio a Venezia muore R. Wagner. Dal 23 febbraio al 3 maggio, a<br />

Genova. A Roma, conciliazione con la sorella. Esce la prima parte di Così parlò Zarathustra. Un<br />

libro per tutti e per nessuno.<br />

A partire da quest'<strong>anno</strong> Nietzsche soggiornerà d'estate a Sils-Maria e d'autunno-inverno a Nizza,<br />

fino alla primavera del 1888. (Tra i soggiorni a Sils e a Nizza viaggi vari). Nuova crisi con la<br />

sorella, che si fidanza con Bernhard Förster, noto agitatore antisemita e wagneriano. Esce la<br />

seconda parte di Così parlò Zarathustra.<br />

1884 Terza parte di Così parlò Zarathustra. 26-28 agosto: visita di Heinrich von Stein a Sils-<br />

Maria.<br />

1885 Quarta e ultima parte di Così parlò Zarathustra. Matrimonio della sorella, il 22 maggio, con<br />

Bernhard Förster.<br />

1886 Al di là del bene e del male. Preludio di una filosofia dell'avvenire. Nietzsche pubblica<br />

anche le prefazioni per La nascita della tragedia (Ovvero: grecità e pessimismo. Nuova edizione<br />

con un tentativo di autocritica). La sorella di Nietzsche in Paraguay col marito. Carteggio con<br />

Hippolyte Taine.<br />

1887 Prefazioni per Aurora e Gaia Scienza. Nell'estate: Per la genealogia della morale. Uno<br />

scritto polemico. Il 26 novembre prima lettera di Georg Brandes. Rottura dell'amicizia con Erwin<br />

Rohde.<br />

2


1888 Georg Brandes tiene all'università di Copenaghen lezioni su Nietzsche. Dal 5 aprile al 5<br />

giugno a Torino. Poi di nuovo a Sils-Maria. Pubblicazione di Il caso Wagner. Il problema di un<br />

musicante. Scrive e fa stampare il Crepuscolo degli idoli (di cui vuol riservare l'uscita per il 1889).<br />

Anche l'Anticristo è pronto per la stampa. Dal 21 settembre di nuovo a Torino. Scrive Ecce homo e<br />

Nietzsche contra Wagner.<br />

1889 Nei primi giorni di gennaio termina i Ditirambi di Dioniso. Tra il 3 gennaio, giorno<br />

probabile del crollo psichico, e il 7 gennaio: biglietti della pazzia, ad amici, case regnanti, a Cosima,<br />

a uomini di Stato, “ai Polacchi”, a Umberto I. Una lettera del 6 gennaio a Burckhardt induce<br />

quest'ultimo ad avvisare Overbeck. Overbeck a Torino, l’8 gennaio. Il 9, a Basilea con Nietzsche,<br />

che viene ricoverato nella clinica per malati mentali. Il 13 gennaio la madre di Nietzsche a Basilea.<br />

Il 18 gennaio, Nietzsche è ricoverato a Jena nella clinica universitaria di Otto Binswanger. Suicidio<br />

di Bernhard Forster per il fallimento della sua impresa coloniale nel Paraguay.<br />

1890 A partire dal 13 maggio Nietzsche a Naumburg con la madre.<br />

1897 20 aprile, morte della madre di Nietzsche. La sorella si assume la cura di Nietzsche e lo<br />

porta a Weimar, dove dal 1896 si era trasferita con l'“archivio Nietzsche” (da lei già fondato nel<br />

1894 a Naumburg, dopo il ritorno definitivo dal Paraguay).<br />

1900 25 agosto: morte di Friedrich Nietzsche.<br />

3


1.<br />

da Epistolario vol. V [Adelphi <strong>2011</strong>]<br />

Gottfried Benn<br />

Torino<br />

« Cammino con le scarpe rotte»,<br />

scrisse questo genio universale<br />

nella sua ultima lettera - poi<br />

lo portano a Jena - psichiatria.<br />

Non posso comprarmi i libri,<br />

li leggo nelle librerie:<br />

appunti - poi a prender l'affettato: -<br />

questi sono i giorni di Torino.<br />

Mentre la nobile muffa d'Europa<br />

di Pau, Bayreuth ed Epsom si nutriva,<br />

lui abbracciava due ronzini,<br />

finché il padrone non lo trasse a casa.<br />

1256. A Jakob Burckhardt<br />

6 gennaio 1889<br />

Caro signor professore,<br />

in fin dei conti sarei stato molto più volentieri professore a Basilea piuttosto che Dio; ma non ho<br />

osato spingere il mio egoismo privato al punto di tralasciare per colpa sua la creazione del mondo.<br />

Vede, comunque e dovunque si viva, è necessario fare dei sacrifici. – E tuttavia mi sono riservato<br />

una stanzetta da studente situata di fronte al Palazzo Carignano (– nel quale sono nato come<br />

Vittorio Emanuele), che inoltre mi consente di udire dal tavolo di lavoro la splendida musica della<br />

Galleria Subalpina, sotto di me. Pago 25 fr. servizio compreso, mi procuro il mio tè e faccio tutte le<br />

spese da solo, soffro per gli stivali rotti e ringrazio il cielo ad ogni istante per il vecchio mondo, per<br />

il quale gli uomini non sono stati abbastanza semplici e silenziosi. – Poiché sono condannato a<br />

intrattenere la prossima eternità con cattive spiritosaggini, qui mi dedico a un lavoro di scrittura che<br />

davvero non lascia nulla da desiderare, molto piacevole e nient’affatto faticoso. L’ufficio postale è a<br />

5 passi da qui, imbuco io stesso le lettere per comunicare con i grandi elzeviristi del grande monde.<br />

Naturalmente sono in stretti rapporti col «Figaro», e per farLe avere un’idea di quanto io possa<br />

essere innocuo, ascolti le mie prime due cattive spiritosaggini:<br />

Non prenda troppo sul serio il caso Prado.* Io sono Prado, sono anche il padre di Prado, oserei dire<br />

che sono anche Lesseps...* Vorrei offrire ai miei parigini, che amo, una nuova nozione – quella di<br />

un criminale per bene. Io sono anche Chambige* – pure lui un criminale per bene.<br />

Seconda spiritosaggine. Saluto gli immortali Monsieur Daudet* è uno dei quarante<br />

Astu.*<br />

Quello che è spiacevole e che mette a prova la mia modestia è che in fondo io sono tutti i nomi della<br />

storia; è così anche per i figli che ho messo al mondo, per cui mi sto chiedendo con una certa<br />

diffidenza se tutti quelli che vengono nel «regno di Dio» non provengano anche da Dio.<br />

Quest’autunno sono stato presente due volte al mio funerale, vestito il meno possibile, prima come<br />

conte Robilant* (– no, è mio figlio, in quanto io sono Carlo Alberto,* la mia natura sotto) ma<br />

4


Antonelli* ero proprio io. Caro signor professore, dovrebbe vedere questo edificio; dato che sono<br />

del tutto inesperto riguardo alle cose che creo, è a Lei che spetta ogni critica, io Le sarò grato, senza<br />

poterLe promettere però di trarne profitto. Noi artisti siamo incorreggibili. – Oggi mi sono visto la<br />

mia operetta* – genialmente moresca –, e in questa occasione ho anche constatato con piacere che<br />

attualmente tanto Mosca quanto Roma sono qualcosa di grandioso. Vede, neppure riguardo al<br />

paesaggio mi si contesta il mio talento. – Ci rifletta, facciamo una bella bella chiacchierata, Torino<br />

non è lontana, non abbiamo pressanti impegni professionali, bisognerebbe procurarsi un bicchiere<br />

di Veltliner.* È di rigore un négligé.<br />

Con affetto cordiale il Suo<br />

Nietzsche<br />

Domani arriva mio figlio Umberto con la graziosa Margherita,* ma anche qui li riceverò solo in<br />

maniche di camicia. Il resto per la signora Cosima... Arianna... Di tanto in tanto si f<strong>anno</strong> degli<br />

incantesimi...<br />

Vado ovunque col mio vestito da studente, ogni tanto do una pacca sulla spalla a qualcuno e dico:<br />

siamo contenti? son dio, ho fatto questa caricatura*...<br />

Ho fatto mettere Caifa* in catene; e l’<strong>anno</strong> scorso sono stato crocefisso a lungo dai medici tedeschi.<br />

Wilhelm Bismarck e tutti gli antisemiti eliminati.<br />

Di questa lettera potrà farne qualsiasi uso, purché non mi screditi nella considerazione dei basileesi.<br />

–<br />

NOTE:<br />

1256. Indirizzata a Basilea. Vittorio Emanuele] Vittorio Emanuele II di Savoia (1820-1878). il<br />

caso Prado] si veda nota alla lettera 1176. Lesseps] il famoso costruttore del Canale di Suez,<br />

implicato in uno scandalo, era oggetto di grande attenzione da parte della stampa. In particolare il<br />

caso era seguito dal «Journal des Débats» (cfr. ad esempio M. de Lesseps et le Panama, 17<br />

dicembre). Nietzsche doveva rimanere attratto da Lesseps per la descrizione che se ne faceva, quale<br />

espressione di ferma volontà tutta concentrata su uno scopo («esprit de la même famille que<br />

Christophe Colombe»: cfr. Paul Desjardin, Notes contemporaines, in «Journal des Débats», 18<br />

agosto 1888). Chambige] studente parigino di diritto con forti interessi filosofici, conosciuto<br />

personalmente da Paul Bourget, aveva ucciso a Costantine l’amante e cercato di suicidarsi. Fu<br />

arrestato in Algeria. Cfr. P. Bourget, Introduzione a A. Bataille, Causes criminelles et mondaines de<br />

1888, cit., p. 22. Sul caso Chambige scrivono anche Anatole France (Un affaire littéraire e Le<br />

meurtrier analyste, in «Temps», 11 e 12 novembre 1888) e Maurice Barrès (La sensibilité d’Henri<br />

Chambige, in «Le Figaro», 11 novembre 1888). All’interno del resoconto a puntate Le drame de<br />

Sidi-Mabrouk, il «Journal des Débats» pubblica parte del Mémoire autobiografico di Chambige, in<br />

cui si legge tra l’altro, alla data del 7 novembre 1888: «Plus j’ai pensé, plus je me suis déséquilibré.<br />

Je m’affermis peu à peu dans l’éternel provisoire. Le scepticisme fut l’outil de démolition qui<br />

frappa sans relâche la maison de mon âme, jusqu’au jour où je fus devenu, comme Montaigne,<br />

Sainte-Beuve et Renan, un homme absolument impartial, ce que le public appelle, avec une<br />

antipathie parquée, un homme sans conviction». Si veda anche «Le Figaro» del 2-4 novembre<br />

1888). Monsieur Daudet] Alphonse Daudet aveva pubblicato, nel 1888, L’Immortel, moeurs<br />

parisiennes, una satira verso l’Académie Française e i suoi membri («i quaranta»). Meta von Salis<br />

ricorda: «L’Immortel di Daudet ha da un lato deliziato Nietzsche, dall’altro l’ha disgustato.<br />

Deliziato, nella misura in cui le ruote motrici della venerabile accademia francese sono state messe<br />

in luce senza pietà e tuttavia Daudet non riesce a nascondere del tutto l’acceso desiderio per una<br />

delle 40 poltrone; disgustato per la fredda, ingrata parodia della Corsica e dei Corsi. Egli lesse con<br />

soddisfazione la risposta fornita dagli isolani, scherniti per il loro amore della povertà, all’uomo che<br />

aveva goduto della loro calorosa ospitalità e mangiato le loro disprezzate castagne. Povero quale<br />

sinonimo di disprezzabile: questa valutazione era estranea a Nietzsche e degna della ricca plebe».<br />

(Philosoph und Edelmensch, cit., p. 54).. Johann Drumbl ha notato che il nome del protagonista è<br />

Aster-Rehu il cui anagramma può essere Astu Astu] per questa enigmatica firma non si è data<br />

finora una spiegazione soddisfacente. Si veda, per alcune interpretazioni: P. D. Volz, Nietzsche im<br />

5


Labyrinth seiner Krankheit, cit., pp. 266-67 conte Robilant] si veda nota alla lettera 1143. Carlo<br />

Alberto] Carlo Alberto Amedeo di Savoia (1798-1849). Antonelli] si veda nota alla lettera<br />

1227. Caro signor professore … questo edificio] Nietzsche si riferisce alla Mole Antonelliana e<br />

chiama in causa Burckhardt in qualità di esperto di pittura e architettura italiana. operetta]<br />

probabilmente si riferisce a La gran via: si veda nota alla lettera 1192. Veltliner] vino bianco<br />

secco della Valle Isarco. la graziosa Margherita] Margherita Maria Teresa Giovanna di Savoia<br />

(1851-1926), consorte del secondo sovrano del Regno d'Italia, Umberto, fu regina dal 1878 al<br />

1900. son dio, ho fatto questa caricatura] tutto in italiano nel testo. Caifa] sopr<strong>anno</strong>me di<br />

Giuseppe, sommo sacerdote ebreo dal 18 al 36 d.C.<br />

LETTERE contro l’antisemitismo:<br />

819. A Theodor Fritsch<br />

Stimatissimo Signore,<br />

Nizza, 23 marzo 1887<br />

Con la lettera che mi è appena arrivata* Lei mi rende un tale onore che non posso fare a<br />

meno di rivelarLe un altro passo tratto dalla mia opera che si occupa di ebrei: sia pure<br />

soltanto per darLe doppiamente il diritto di parlare dei miei «giudizi distorti». Legga, La<br />

prego, Aurora a p. 194.*<br />

Oggettivamente parlando, gli ebrei sono per me più interessanti dei tedeschi: la loro storia<br />

presenta problemi ben più sostanziali. Non sono avvezzo a mettere in campo la simpatia o<br />

l’antipatia in questioni così serie: come si conviene alla disciplina e alla moralità dello<br />

spirito scientifico e – in fin dei conti – anche al suo gusto.<br />

Devo inoltre ammettere che mi sento troppo estraneo all’attuale «spirito tedesco» di<br />

adesso per poter guardare alle sue particolari idiosincrasie senza perdere la pazienza. Tra<br />

queste <strong>anno</strong>vero in particolare l’antisemitismo. Ai «testi classici» di questo movimento,<br />

che vengono decantati a p. 6 del suo pregevole giornale,* devo persino qualche sollazzo:<br />

oh se Lei sapesse quanto ho riso, la primavera scorsa, per i libri di quella testa balzana,<br />

tanto boriosa quanto sentimentale, che ha nome Paul de Lagarde!* Evidentemente mi<br />

manca quell’«altissima prospettiva etica» di cui si parla in quella pagina.<br />

Mi resta solo da ringraziarLa per il benevolo presupposto che «non sono state<br />

considerazioni di carattere sociale a fuorviarmi e a spingermi a giudizi distorti»; e forse<br />

può servire a tranquillizzarLa se aggiungo, da ultimo, che non ho nessun ebreo tra i miei<br />

amici. Ad ogni modo anche nessun antisemita.<br />

Potrebbe intravedersi nella mia vita una qualche probabilità che mi vengano «tarpate le<br />

ali» per mano di chicchessia? – –<br />

Con questo interrogativo mi raccomando a una Sua futura benevolenza – e riflessione...<br />

Suo devotissimo<br />

Professor Dr. F. Nietzsche<br />

6


Poscritto:<br />

Un desiderio: pubblichi una lista di eruditi, artisti, poeti, scrittori, attori e virtuosi tedeschi,<br />

ebrei per nascita o di origini ebraiche! (Sarebbe un prezioso contributo alla storia della<br />

cultura tedesca (e anche alla sua CRITICA!).<br />

note<br />

819. Risponde a una lettera non conservata di Theodor Fritsch. Il giornalista e scrittore Theodor<br />

Fritsch (Fritsche), 1852-1933, sostenitore della causa antisemita, godeva in Germania di grande<br />

popolarità. Nel 1885 aveva creato la «Antisemitischen Correspondenz» quale organo di propaganda<br />

antigiudaica. Del 1893 il suo scritto più famoso, Antisemiten-Katechismus. Si vedano i frammenti<br />

5[45] e 7[67] estate 1886-autunno 1887: «Frattanto mi ha scritto lettere da Lipsia un signore assai<br />

singolare di nome Theodor Fritsch: non potei fare a meno, poiché era insistente, di affibbiargli un<br />

paio di amichevoli calci. Questi “Tedeschi” attuali mi disgustano sempre di più» (Opere, VIII/1,<br />

189). «Recentemente mi ha scritto un certo signor Theodor Fritsch di Lipsia. in Germania non c’è<br />

nessuna banda di persone più impudenti e stupide di questi antisemiti. Per ringraziamento gli ho<br />

inviato per lettera un bel calcio. E questa canaglia osa pronunciare il nome di Zarathustra! Schifo,<br />

schifo, schifo!» (Opere, VIII/1, 305). Si veda anche la lettera 823. Aurora a p. 194] aforisma 205<br />

(Opere V/1, 150). Ai «testi classici» … pregevole giornale] nel suo lungo articolo «Unsere Arbeit,<br />

unsere Ziele!» [Nostro lavoro, nostri fini!] apparso sull’«Antisemitischen Correspondenz» del<br />

gennaio 1887, n. 9, pp. 5-7 (riprodotto in KGB III/7,3,2, 888-92), Bernard Förster citava Richard<br />

Wagner, Paul de Lagarde, Eugen Düring e Adolf Wahrmund quali «tedeschi che h<strong>anno</strong> trattato la<br />

questione dal più alto punto di vista etico». Si vedano anche note alla lettera 823. Paul de<br />

Lagarde] di Paul Anton de Lagarde (1827-1891), teologo, filosofo, linguista e orientalista, acceso<br />

antisemita, nella biblioteca di Nietzsche si conserva Juden und Indogermanen. Eine Studie nach<br />

dem Leben. Aus dem zweiten Bande der «Mittheilungen» besonders abgedruckt Göttingen 1887.<br />

Registrato dal catalogo di Rudolph Steiner (1896) viene poi espunto con un frego a penna, in quanto<br />

appartenente a Förster, come si evince dalla firma e dalla dedica dell’autore sul frontespizio.<br />

Nietzsche possiede invece, fin dal 1876, Ueber die gegenwärtige lage des deutschen reichs,<br />

Göttingen 1876 (si vedano i frammenti 23[13] del 1876 e 26[4] del 1884).<br />

823. A Theodor Fritsch<br />

Egregio Signore,<br />

Nizza, 29 marzo 1887<br />

(prima della partenza)<br />

Con la presente Le restituisco i tre numeri della sua Corrispondenza, ringraziandoLa per<br />

la fiducia che mi ha accordato permettendomi di gettare uno sguardo nel guazzabuglio di<br />

princìpi che sta alla base di questo bizzarro movimento. Però La prego, per il futuro, di<br />

non prendermi più in considerazione per questa spedizione; temo di finire col perdere la<br />

pazienza. Mi creda: questa smania disgustosa di noiosi dilettanti di voler dire la loro sul<br />

valore di uomini e razze, questa sottomissione nei confronti di «autorità» che qualsiasi<br />

spirito più avveduto non può non respingere con freddo disprezzo (ad es. E. Dühring, R.<br />

7


Wagner, Ebrard,* Wahrmund,* P. de Lagarde – chi di loro è il meno autorizzato, il più<br />

ingiusto nelle questioni della morale e della storia?), queste continue e assurde<br />

falsificazioni e manipolazioni di concetti vaghi come «germanico», «semitico», «ariano»,<br />

«cristiano», «tedesco» – tutto questo potrebbe alla fine farmi arrabbiare sul serio,<br />

facendomi perdere quell’ironica benevolenza con la quale ho assistito finora alle virtuose<br />

velleità e ai fariseismi dei tedeschi d’oggigiorno.<br />

– E per finire, cosa crede che io provi quando sento il nome di Zarathustra in bocca a degli<br />

antisemiti?...<br />

Suo devotissimo<br />

Dr. Fr. Nietzsche<br />

NOTE: 823. Indirizzata a Lipsia. Si veda lettera 819 e noteE. Dühring, … P. de Lagarde] questi<br />

rappresentanti dell’antisemitismo sono citati nel violento articolo di Bernard Förster «Unsere<br />

Arbeit, unsere Ziele!» come riconosciuti «portavoce» i cui scritti sarebbero da considerare da ogni<br />

antisemita come il Talmud da un rabbino. Si veda lettera 819 e nota. Johann Heinrich August<br />

Ebrard (1818-1888), filosofo, teologo, professore all’Università di Zurigo, dal 1847 a Erlangen e<br />

Adolf Wahrmund (1827-1913), orientalista, acceso antisemita, era autore, tra gli altri, di Das Gesetz<br />

des Nomadenthums und die heutige Judenherrschaft (1887?), nel quale sosteneva la derivazione<br />

degli ebrei dagli arabi, nomadi e violenti, e l’opportunità di allontanarli dall’Europa “ariana”. Poco<br />

dopo questo scambio di lettere Fritzsch, con lo pseudonimo di Thomas Frey, attaccò Nietzsche<br />

nella recensione ad Al di là del bene e del male (Der Antisemitismus im Spiegel eines “Zukunft-<br />

Philosophen”, «Antisemitische Correspondenz», n. 19). Si veda quanto ne scrive Mazzino<br />

Montinari: «Egli vi trovava, e con buona ragione, una “esaltazione degli ebrei” e un’“aspra<br />

condanna dell'antisemitismo”. E allora liquidava Nietzsche come “filosofo superficiale”, che non<br />

nutriva “alcuna comprensione per l'essenza della nazione” e che, in Al di là del bene e del male, non<br />

faceva altro che coltivare “chiacchiere filosofiche da vecchie comari”. Le affermazioni di Nietzsche<br />

a proposito degli ebrei non erano per Fritsch altro che “le spiritosaggini superficiali di un povero<br />

studioso da strapazzo, corrotto dagli ebrei”. “Per fortuna” – egli concludeva – “i libri di Nietzsche<br />

vengono letti appena da un paio di dozzine di persone”» (M. Montinari, Interpretazioni naziste, in<br />

Su Nietzsche, Roma 1981, p. 75).<br />

854. A Elisabeth Förster<br />

<br />

1) Mio caro Lama, trovi Tuo fratello assolutamente riluttante a sborsare del denaro*: la sua<br />

situazione è troppo incerta, e la Vostra non offre sufficienti garanzie per permettere di<br />

agire pensando solo al presente.<br />

2) Oltretutto la cosa peggiore è che i nostri interessi e desideri proprio in questo momento<br />

v<strong>anno</strong> in direzioni totalmente divergenti. In quanto la vostra impresa è un’impresa<br />

antis – cosa che nel frattempo mi è stata dimostrata ad oculos* –<br />

3) in fondo al cuore non nutro alcuna fiducia nei suoi confronti, né la guardo neppure di<br />

buon occhio, augurandomi che abbia un esito felice. Se l’opera del Dr. F avrà<br />

8


successo, voglio ritenermi soddisfatto per amor Tuo, e cercare per quanto possibile di<br />

dimenticare che rappresenta il trionfo di un movimento che disprezzo; se dovesse fallire,<br />

mi rallegrerò per il tracollo di un’impresa antis, compiangendoTi tanto di più per il<br />

fatto che per dovere e per amore Ti sei legata a una tale causa.<br />

4) Lo dico una volta per tutte: con profondo dispiacere per il fatto che dovevo<br />

assolutamente dirlo.<br />

5) È infine mio desiderio che siano i tedeschi a venirVi in qualche modo in aiuto,<br />

costringendo gli antisemiti ad abbandonare la Germania: e non ci sono dubbi che loro, in tal<br />

caso, ad altri paesi preferirebbero il P, la Vostra terra «promessa». D’altra parte<br />

auguro sempre di più agli ebrei di giungere al potere in Europa, in modo da perdere<br />

quelle proprietà (ovvero non averne più bisogno) per le quali finora si sono imposti come<br />

oppressi*. Del resto ne sono sinceramente convinto: un tedesco che solo per il fatto di<br />

essere t pretenda di essere più di un ebreo è un personaggio da commedia:<br />

ammesso che non sia da manicomio<br />

note. 854. Abbozzo della lettera successiva, da indirizzare a Asuncion. sborsare del denaro] si<br />

vedano lettere 769, 773, 774, 850 e 851 e note. la vostra impresa … ad oculos] attraverso la lettura<br />

dei proclami di Förster: si veda lettera 847 e nota. Ma anche i numeri della «Antisemitische<br />

Correspondenz» inviatigli da Fritsch in cui era pubblicato l’articolo di Förster «Unsere Arbeit,<br />

unsere Ziele!». Si vedano lettere 819, 820 823 e note. auguro … come oppressi] Cfr. in particolare<br />

Al di là del bene e del male 251 (Opere VI/2, 163-165).<br />

967. A Franziska Nietzsche<br />

Nizza, 29 dicembre 1887<br />

– – – ora che ho letto la «antisem Correspondenz»,* non conosco più alcun<br />

riguardo. Questo partito mi ha rovinato, nell’ordine, il mio editore,* la mia reputazione,<br />

mia sorella, i miei amici – non c’è niente che ostacoli la mia ricezione quanto il fatto che il<br />

nome di Nietzsche sia stato accostato a un antisemita come Dühring:* spero che nessuno<br />

se la prenda con me se ricorro alla legittima difesa. Butterò fuori della porta chiunque faccia<br />

sorgere in me dei sospetti su questo punto. (Tu comprendi in fino a che punto è per me un<br />

autentico sollievo se questo partito comincia a dichiararmi la guerra: purtroppo con 10 anni<br />

di ritardo –)*<br />

NOTE 967. Frammento di lettera, da indirizzare a Naumburg. Franziska Nietzsche risponde il 17<br />

gennaio 1888 (KGB III/6, 147). Sul margine sinistro Elisabeth Förster Nietzsche ha scritto: «La<br />

nostra buona mamma, per motivi insondabili, ha distrutto la prima metà della lettera. Mi ricordo<br />

molto bene del contenuto inoffensivo». Ma si veda il tono dell’abbozzo successivo. ora che …<br />

Correspondenz»] si veda nota alla lettera 820. il mio editore] Schmeitzner, col quale Nietzsche<br />

9


aveva rotto, anche a causa del suo antisemitismo. il fatto che … Dühring] si vedano lettere 613,<br />

614, 616, 823 e note. con 10 anni di ritardo] dalla presa di distanza radicale, da parte di Nietzsche,<br />

dall’ideologia germanica e antisemita di Wagner.<br />

968. A Elisabeth Förster<br />

<br />

Nel frattempo mi è stato dimostrato nero su bianco che il Signor Dr. Förster non si è<br />

ancora svincolato dai suoi legami col movimento antis. Si è assunto questo<br />

compito un tanghero piccolo borghese di Lipsia (Fritsch, se ben mi ricordo), – che,<br />

nonostante le mie energiche proteste, continua a inviarmi regolarmente la<br />

«Antis Corresp»* (finora non ho letto niente di più spregevole di<br />

questa Correspondenz). Da allora mi resta difficile opporre in tuo favore un po’ di<br />

quell’antica tenerezza e indulgenza che per tanto tempo ho avuto per te; in questo modo<br />

la separazione tra noi si è a poco a poco compiuta nella maniera più assurda. Non hai<br />

dunque affatto compreso lo scopo per cui sono al mondo?<br />

Vuoi avere un catalogo dei modi di pensare che sento come antipodi? Li troverai accostati<br />

in bell’ordine nelle Nachklängen zu P del tuo consorte; quando le ho lette ho<br />

avuto la sensazione raccapricciante che tu non abbia capito niente, niente della mia<br />

malattia, come pure della mia conoscenza più dolorosa e inaspettata – mi riferisco al fatto<br />

che l’uomo che avevo venerato più d’ogni altro, era finito a poco a poco in una disgustosa<br />

degenerazione, nella trappola degli ideali morali e cristiani che ho sempre disprezzato più<br />

di ogni altra cosa. – Ora si è arrivati al punto che debbo difendermi con le mani e coi piedi<br />

per non essere scambiato con la canaille antis; dopo che la mia stessa sorella, la<br />

mia sor di una volta, come pure di recente anche Widemann,* h<strong>anno</strong> dato l’avvio al<br />

più sciagurato di tutti gli equivoci. La mia pazienza ha raggiunto il limite quando ho letto<br />

nella «Antis Correspondenz» persino il nome di Z* – adesso mi<br />

trovo a dover agire per legittima difesa contro il partito del tuo consorte. Questi maledetti<br />

sporchi ceffi antisemiti non devono mettere le mani sul mio ideale!!<br />

Quanto ho sofferto per il fatto che col tuo matrimonio il nostro nome si è mescolato a<br />

questo movimento! Negli ultimi 6 anni hai perso la ragione e ogni riguardo.<br />

Cielo, come si sta facendo pesante per me questa situazione!<br />

Non ho mai preteso da Te, com’è giusto, che tu qualcosa della posizione che, in<br />

quanto filosofo, ho assunto di fronte al mio tempo; tuttavia, se tu avessi avuto un grano<br />

d’affetto istintivo, avresti potuto evitarmi di andarti a collocare ai miei esatti antipodi.<br />

Adesso penso delle sorelle quasi la stessa cosa che pensava Sch, – sono<br />

superflue e seminano scompiglio.<br />

10


Come risultato degli ultimi 10 anni, sto godendomi il fatto di aver perduto la piacevole<br />

illusione che qualcuno sapesse chi io fossi. Per anni sono stato a un passo dalle morte:<br />

nessuno che avesse anche solo un sentore del perché. E quando di nuovo riuscii lentamente<br />

a riprendermi, quasi tutte le p che conosco h<strong>anno</strong> fatto letteralmente a gara per<br />

far vacillare la mia salute con gli oltraggi più offensivi:<br />

oramai mi guardo bene dall’intrattenere rapporti con le persone con cui vengo a contatto;<br />

dato che mi ricordo di essere stato trattato ignobilmente, nei periodi più duri della mia<br />

vita, da quasi tutte le persone che ho conosciuto sino ad ora […]<br />

NOTE: 968. Abbozzo di lettera, da indirizzare a Asuncion. un tanghero …Corresp»] si<br />

vedano, ad esempio, le lettere 819, 823 e note. Nachklängen zu Parsifal] Parsifal-Nachklänge<br />

(1883, 1886 2 ), cit. Si veda nota alla lettera 577. Widemann] che aveva accostato Zarathustra e<br />

Dühring nella parte finale del suo libro Erkennen und Sein. Si veda la nota alla lettera 613. il<br />

nome di Z] si vedano le lettere 819, 820 e note non avevo perdonato … d’incontrare]<br />

il riferimento è a Lou von Salomé. Probabilmente le presunte critiche di Ida Overbeck erano state<br />

riportate, all’epoca, da Elisabeth. Ma così descrive, ad esempio, Ida Overbeck un incontro con<br />

Elisabeth Nietzsche a Bayreuth, all’epoca di Tautenburg: «Parlai per un attimo con la signorina<br />

Nietzsche a Bayreuth nell’estate del 1882, e rimasi inorridita per il suo modo di esprimersi. Essa<br />

mostrava una violenta avversione verso la signorina Salomé, che si interessava, così diceva, ai<br />

nemici di suo fratello. Nello stesso tempo le rimproverava di essere incapace di entusiasmo,<br />

adducendo sempre se stessa a paragone. Aveva scarsa opinione del talento della signorina Salomé, e<br />

per via della sua maggiore giovinezza voleva sovrastarla in tutti i campi possibili, e comunque<br />

allontanarla da suo fratello. Ebbi l’impressione che non avesse nulla da contrapporre a quel talento.<br />

Accusava aspramente suo fratello, come già in passato, per il suo comportamento, la sua mancanza<br />

di riguardi verso di lei» (in Carl Albrecht Bernoulli, Franz Overbeck und Friedrich Nietzsche. Eine<br />

Freundschaft, 2 voll., Jena, 1908, I, p. 340). Si veda anche nota alla lettera 233, in Epistolario IV,<br />

681-82.<br />

1249. A Franz Overbeck<br />

<br />

All’amico Overbeck e signora<br />

Sebbene finora abbiate dimostrato scarsa fiducia nella mia solvibilità, spero tuttavia di riuscire a<br />

dimostrare che sono uno che paga i suoi debiti – ad esempio quello nei vostri confronti... Sto facendo<br />

fucilare tutti gli antisemiti...<br />

Dioniso<br />

11


2.<br />

Scienza e vita nella filosofia del giovane Nietzsche<br />

Nella decisa autocritica di Nietzsche (1886) nei confronti del suo scritto giovanile, La nascita della<br />

tragedia, “impossibile” libro romantico, “arrogante ed esaltato”, compromesso col wagnerismo e la<br />

modernità, tra i punti centrali da salvare e valorizzare viene in primo piano l’avere messo<br />

temerariamente in questione la scienza in rapporto alla vita: «lo stesso problema della scienza – la<br />

scienza concepita per la prima volta come problematica, da mettere in questione» ed avere posto il<br />

compito di «vedere la scienza con l’ottica dell’artista e l’arte invece con quella della vita…» (GT,<br />

Versuch einer Selbstkritik 2). E in Ecce homo, anche a proposito dell’Inattuale sulla storia,<br />

Nietzsche scrive: «La seconda Inattuale (1874) mette in luce quanto c’è di pericoloso, di corrosivo<br />

e venefico per la vita nel nostro modo di praticare la scienza: la vita malata, a causa di questo<br />

ingranaggio e meccanismo disumanizzato, a causa della “impersonalità” del lavoratore, di questa<br />

falsa economia della “divisione del lavoro”. Si perde lo scopo, ossia la civiltà – e il mezzo, cioè la<br />

pratica scientifica moderna, viene barbarizzato...» (EH, p. 325). Nietzsche nell’ultimo periodo<br />

scrive questo mentre, d’altro lato, rivendica fino in fondo il valore del coraggio della conoscenza e<br />

della probità scientifica, l’importanza del metodo e della pazienza riaffermando un tema presente<br />

fin da Umano, troppo umano: «ognuno dovrebbe aver imparato dalle fondamenta almeno una<br />

scienza: allora sì che saprebbe che cosa significhi metodo e come sia necessaria un’estrema<br />

circospezione» (MA 635). Proprio il Nietzsche che ritorna su un tema centrale dei suoi scritti<br />

giovanili affida ora lo sperimentare estremo ai «nuovi filosofi», agli spiriti liberi che nelle epoche<br />

dominate dal costume furono considerati «nemici di Dio», spregiatori della verità, «ossessi»: «Tutti<br />

i metodi, tutti i presupposti del nostro attuale costume scientifico h<strong>anno</strong> avuto contro di sé, per<br />

millenni, il più profondo disprezzo: in conseguenza di essi si era esclusi dai rapporti con gli uomini<br />

“ben costumati” […] In quanto mentalità scientifiche, si era dei Ciandala... Abbiamo avuto contro<br />

di noi l’intero pathos dell’umanità»(AC 13).<br />

È certo che Nietzsche, ai suoi inizi, riflette sulla “scienza” a partire dalla propria pratica della<br />

filologia. Nel giovane la serietà dello specialismo si contrappone al pericolo di dispersione e<br />

dilettantismo che può diventare disgregazione: il «vagabondare senza meta in tutti i campi dello<br />

scibile» («Mi ero talmente immedesimato nell’idea di acquistare scienza e capacità universali, che<br />

correvo il rischio di diventare un vero stravagante e visionario»). La scelta per la filologia non è,<br />

nell’autoriflessione del filosofo, espressione di un ‘istinto’ o vocazione, ma nasce dalla<br />

«educazione, riflessione, forse addirittura dalla rassegnazione». «Quando mi volgo a considerare»,<br />

si legge in un appunto autobiografico dell’inizio del 1869, «come sono passato dall’arte alla<br />

filosofia, dalla filosofia alla scienza, e in quest’ambito a interessi sempre più ristretti: la cosa ha<br />

quasi l’aria di una consapevole rinuncia» (NA 69 [10] Frühjahr 1868). Era anche, in un comune<br />

sentire schopenhaueriano, la consapevole scelta dell’amico della giovinezza, il filologo Erwin<br />

Rohde esplicitata in una lettera a Nietzsche del 4 novembre 1868. Per chi non ha la libertà del genio<br />

si pone la necessità di «conquistare un terreno solido, un campo che possa essere coltivato con<br />

risorse minori; giacché, a noi piccoli uomini, l’agio necessario per l’esistenza non può darcelo se<br />

non un lavorìo coscienzioso, in una sfera liberamente scelta del filisteismo» (KGB, I, iii, 299-300).<br />

E certamente la figura del “filisteo”, dominante la critica delle Inattuali, rimanda più che al senso<br />

comune e diffuso del termine (di origine studentesca) dell’ ἄµουσος, dell’uomo negato per le arti in<br />

contrasto con chi è “figlio delle Muse”, alla definizione metafisica di Schopenhauer: «Sarei ora<br />

tentato di determinare la definizione di filisteo da un punto di vista superiore, indicando con tale<br />

termine gli individui continuamente affaccendati nel modo più serio attorno a una realtà che non è<br />

tale» (Parerga e paralipomena, Sämmtliche Werke, vol. V, p. 362: cfr. NF 27[56]).<br />

Nelle figurazioni molteplici dell’ ultimo uomo, nel corso dello Zarathustra, vi è una indubbia<br />

ripresa delle caratterizzazioni che furono del filisteo dalla piccola virtù: «vi sono altri che sono<br />

come orologi da caricare tutti i giorni; essi mandano un ticchettio e vogliono che il loro ticchettio si<br />

chiami virtù» (Za II: Dei virtuosi). E così pure, per i dotti, gli uomini di scienza: «Ottimi orologi:<br />

12


purché non si dimentichi di caricarli giusto! E allora ti dicon l’ora senza fallo, mentre emettono un<br />

rumorio discreto» (Dei Dotti: Za ). Questa immagine rimanda direttamente alla fonte principale di<br />

Nietzsche per la caratterizzazione del filisteo: Schopenhauer in cui la realtà storica è interamente<br />

ridotta a forme di automatismo a cui, per chi sa penetrare gli interni meccanismi, si riduce tutta la<br />

ricchezza della vita umana:<br />

gli uomini somigliano ad orologi, che vengono caricati e camminano, senza sapere il perché; e ogni<br />

volta, che un uomo viene generato e partorito, è l’orologio della vita umana di nuovo caricato, per<br />

ancora una volta ripetere, frase per frase, battuta per battuta, con variazioni insignificanti, la stessa<br />

musica già infinite volte suonata (Il mondo, p. 400).<br />

Fin dall’inizio l’attenzione di Nietzsche è rivolta allo scienziato, allo specialista, al Fach-Mensch<br />

vedendovi – contro la sua pretesa di oggettività e di conoscenza libera da interessi – un “metallo<br />

impuro” che, per avidità, vive all’ombra rassicurante della torre della scienza, oppure si spinge in<br />

un furore distruttivo verso la vivisezione di ogni fissità o ideale superiore. Nelle pagine della III<br />

Inattuale dedicata alla “vivisezione dei vivisettori” Nietzsche mostra che «lo scienziato è fatto di un<br />

complicato intreccio di istinti e di stimoli diversi, è un metallo assolutamente impuro» (SE, 6). È<br />

totalmente estranea a Nietzsche quella idea di un istinto cognitivo originario separato dalle forme<br />

comuni di vita che legittima ad esempio in Comte e Renan – da Nietzsche spesso avvicinati –<br />

l’equazione scienza-sacerdozio. La scienza è implicata nel meccanismo degli interessi vitali e non<br />

esiste una scienza ma un insieme di upratiche di cui Nietzsche sottolinea sempre l’origine<br />

strumentale, dove i tratti di questa origine si conservano e si tramandano nell’atteggiamento dello<br />

scienziato:<br />

L’origine della scienza: si faccia attenzione. Essa nasce non presso i preti e i filosofi, suoi avversari<br />

naturali. Nasce presso i figli di artigiani e di uomini d’affari di ogni sorta, presso gli avvocati, ecc.:<br />

gente per la quale l’abilità di un mestiere e i suoi presupposti si sono trasferiti a quei problemi e alla<br />

loro soluzione (FP 1888, p. 36).<br />

All’uomo di scienza Nietzsche avrebbe voluto dedicare un’intera inattuale: nello scritto su<br />

Schopenhauer mostra come l’egoismo della scienza, accanto a quello degli affaristi e dello Stato,<br />

sia una forza ostile alla vera cultura che ha un senso solo nel servizio del genio. Analizza i vari<br />

motivi, impulsi, caratteri etc. che spingono alla conoscenza scientifica: che vengono così riassunti<br />

in un appunto preparatorio:<br />

«Analisi dell'uomo di scienza rispetto al suo senso della verità.<br />

1) Abitudine 2) Fuga davanti alla noia 3) Guadagnarsi il pane 4) Considerazione presso gli altri<br />

eruditi, timore del loro disprezzo 5) Senso di dover acquistare qualcosa di proprio (qualcosa che<br />

dev'essere «vero», altrimenti gli altri lo possono a loro volta rubare) 6) Fare e disfare piccoli nodi. –<br />

Misura del senso della verità: quando è abbattuta una vecchia teoria, quando il loro ceto e la loro<br />

cultura sono attaccati, quando alza la voce chi non appartiene al mestiere; essi odiano la filosofia,<br />

perché non sa che cosa farsene degli eruditi. La non verità, se gode della considerazione generale,<br />

viene trattata dagli eruditi come verità. Essi temono le religioni e i governi – 7) Una certa ottusità;<br />

essi non vedono le conseguenze e non provano alcuna compassione 8) Non si accorgono dei<br />

problemi principali della vita e per questo si occupano di quelli minimi, cioè in ciò che è essenziale<br />

non h<strong>anno</strong> la minima esigenza di verità. Per questi motivi non esiste in alcun luogo una repubblica<br />

degli eruditi, ma sempre e soltanto un'oclocrazia di eruditi. E la rara mente geniale, l'amico della<br />

verità, come pure l'artista, sono odiati e cacciati con l'ostracismo» (29 [10] cfr. 29 [13]). Si va<br />

quindi dal movente del “guadagnarsi il pane” , i famosi “borborigmi di uno stomaco che langue”,<br />

Ingenii largitor venter, (riprendendo non a caso le immagini del Nipote di Rameau a caratterizzare<br />

il lenocinio della “verità” a vantaggio di qualche casta) all’«istinto dialettico per l’indagine e il<br />

13


gioco, il piacere del cacciatore [ …] non è propriamente la verità che si cerca, bensì il ricercare<br />

stesso». Quest’ultimo tema – come altri (la durezza dello sperimentare con la metafora della<br />

vivisezione) – sarà positivamente recuperato e valorizzato da Nietzsche con la figura del<br />

Dongiovanni della conoscenza.<br />

Nietzsche, comunque, contro la chiusura dello specialismo e i pericoli del filisteismo (che aveva<br />

sentito avvicinare con la cattedra di Basilea), porta entro la cornice della scienza più accademica e<br />

rigorosa della Germania dell’epoca le forti tensioni e gli impulsi che avevano caratterizzato il suo<br />

percorso giovanile. Egli cerca, volta a volta, nuovi punti di equilibrio e di convivenza tra metafisica<br />

dell’arte e filologia, fino alla definitiva conquista di una ‘propria’ filosofia. Solo lo spirito diventato<br />

libero potrà sciogliere definitivamente il rapporto di subordinazione del filologo/educatore nei<br />

confronti del ‘genio’, e continuare a valorizzare «l’arte di leggere bene» propria della filologia.<br />

L’atteggiamento filologico rimarrà sempre lo strumento necessario di pulizia e di probità<br />

intellettuale contro ogni tentativo di ‘corruzione’ del testo attraverso il suo ‘approfondimento’ con<br />

interpretazioni morali e teologiche: è il caso delle letture pneumatiche della natura o della lettura in<br />

termini di colpa e castigo di sofferenze fisiche 1 .<br />

Scienza è quindi, agli inizi della riflessione di Nietzsche, la filologia e una serie di metafore mostra<br />

che la nozione di scienza è attraversata dalla preoccupazione di fornire un modello di società che<br />

superi in una dimensione organica la dispersione “analitica” e gli effetti disgreganti della divisione<br />

del lavoro. Al centro di questa preoccupazione c’è il rapporto scienza-genio. Il primo movimento<br />

critico di Nietzsche verso la sua pratica filologica ha in Schopenhauer il catalizzatore. La figura del<br />

genio schopenhaueriano, libero dalla pressione egoistica della volontà e capace della prospettiva<br />

universale, della comprensione della totalità, si oppone a quella dello “scienziato” specializzato che<br />

«somiglia all’operaio di fabbrica, il quale, durante tutta la vita, non fa altro che fabbricare una certa<br />

vite o un certo gancio, o un noto manico di un certo arnese o di una certa macchina, e in questo<br />

ramo raggiunge, certo, un incredibile virtuosismo...» (Parerga, p. 1187).<br />

Nietzsche riprende letteralmente la metafora dell’operaio di fabbrica più volte applicandola al<br />

lavoro del filologo sia nelle lettere precedenti la venuta a Basilea sia nelle conferenze Sull’avvenire<br />

delle nostre scuole. In una lettera a Deussen del ’68, il filologo è legato a un ruolo produttivo<br />

limitato, e anche per i «nostri massimi talenti filologici» vale la loro assimilazione a «operai»<br />

subordinati al genio filosofico che si identifica con il «datore di lavoro», colui che indica lo scopo e<br />

conosce la destinazione della cooperazione di fabbrica (Epistolario I, pp. 622-623). La divisione del<br />

lavoro, legata al trionfo degli specialismi e allo sviluppo unilaterale delle facoltà umane è l’apice<br />

della moderna «barbarie» civilizzatoria, a cui Nietzsche contrappone la schilleriana cultura come<br />

«unità di stile nella vita di un popolo».<br />

La vita non può essere sottoposta all’osservazione scientifica senza smembrare ed uccidere l’aspetto<br />

di immediata produttività e totalità, che si esprime nell’opera d’arte. La polemica schopenhaueriana<br />

contro la pratica della vivisezione diventa in Wagner la metafora di una hybris contro la natura,<br />

contro l’immediatezza organica che – romanticamente – non può essere smembrata, propria della<br />

cospirazione tra atteggiamento scientifico-analitico e atomismo disgregato e macchinale della<br />

Zivilisation.<br />

La connessione wagneriana tra scienza e Zivilisation è quindi certamente presente nella<br />

connotazione di Nietzsche sugli «effetti barbarizzanti della scienza» dove quest’ultima è<br />

significativamente riferita, nella sua dispersione alessandrina, al modello del laissez faire<br />

economico:<br />

«Alla filosofia sfuggono gradualmente di mano le redini della scienza. […]Il bene comune richiede<br />

che si giunga nuovamente a domare quell'impulso, e che in tal modo si ottenga al tempo stesso<br />

1 Cfr. KGW, IV, III: Der Wanderer und sein Schatten, (17), 189; Opere, 144 e KGW, VI, II: Jenseits von Gut und Böse,<br />

(22), 31; Opere, 27.<br />

14


un'elevazione ed una concentrazione. Il laisser aller della nostra scienza è analogo a certi dogmi<br />

dell'economia politica: si ha fede in un esito assolutamente favorevole.<br />

[…] Oggi noi comprendiamo come sia notevole la figura di Schopenhauer: egli raccoglie tutti gli<br />

elementi che h<strong>anno</strong> ancora un valore per dominare la scienza. Egli si rivolge ai più profondi e<br />

originari problemi dell'etica e dell'arte, e imposta il problema del valore dell'esistenza.<br />

Mirabile unità di Wagner e Schopenhauer! Essi sorgono dal medesimo impulso. Le qualità più<br />

profonde dello spirito germanico si apprestano qui alla lotta: come era avvenuto presso i Greci» (19<br />

[28]1872-1873).<br />

Il legame tra scienza e trionfo del mondo servile, indicato nella Nascita della tragedia con la figura<br />

di Socrate, viene ampliato nella considerazione inattuale Sull’utilità e il d<strong>anno</strong> della storia per la<br />

vita dove la polemica contro la torsione pratica della scienza sfocia in una analogia tra lavoro<br />

scientifico e lavoro di fabbrica:<br />

Credete a me: quando gli uomini devono lavorare e diventare utili nella fabbrica della scienza prima<br />

di essere maturi, la scienza è in breve tanto rovinata quanto lo sono gli schiavi impiegati per troppo<br />

tempo in questa fabbrica. Io deploro che sia ormai necessario servirsi del gergo dei padroni di<br />

schiavi e dei datori di lavoro per designare quei rapporti che di per sé dovrebbero essere pensati<br />

liberi da utilità, sottratti alle miserie della vita; ma involontariamente vengono in bocca le parole<br />

«fabbrica», «mercato del lavoro», «offerta», «utilizzazione» – o comunque suonino i verbi ausiliari<br />

dell’egoismo – quando si vuol descrivere la generazione di dotti più recente (HL, 7).<br />

Tuttavia non c’è piena coincidenza con la soluzione wagneriana: Nietzsche non cancella il valore<br />

della scienza con un gesto che riabiliti miticamente la totalità della vita. L’attacco è<br />

prevalentemente rivolto alla degradazione civilizzatoria, priva di centro, della figura dello<br />

scienziato:<br />

Queste pagine dell’inattuale sembrano risentire della lettura di Über die Natur der Cometen di<br />

Zöllner (Leipzig, 1872), cioè della preoccupazione di correggere la preminenza dell’atteggiamento<br />

induttivo, puramente sperimentale, nel campo scientifico (tipico della cultura scientifica inglese)<br />

che conduce a una proliferazione di specialismi senza unità, senza altro scopo che non sia la<br />

subordinazione («avvilimento servile») alla pratica e all’industria: «Per i popoli forniti di superiore<br />

aspirazione scientifica si tratta di respingere energicamente tali pretese dell’intelletto pratico. Non è<br />

il metodo o la quantità di acume applicata nelle operazioni dell’intelletto a determinare il loro<br />

carattere scientifico o non scientifico, ma solo e unicamente lo scopo per cui tali operazioni<br />

vengono intraprese» (F. Zöllner, Über die Natur, cit., p. 228). Rivendicando il ruolo<br />

dell’atteggiamento deduttivo nella scienza, Zöllner pensa di liberarla dal riferimento ai motivi<br />

pratico-egoistici, di renderla espressione e strumento dell’ideale, di impulsi antiegoistici e<br />

universalizzanti.<br />

Incrollabile – scriveva dopo aver citato «le profetiche opere di Schiller» – vive in me la fede in<br />

un’epoca ventura dominata dalla conoscenza deduttiva del mondo... Solo la Germania è chiamata a<br />

diventare la portatrice e lo scenario di una tale epoca, perché solo lo spirito germanico racchiude<br />

nella sua profondità quella pienezza di esigenze e capacità deduttive indispensabili per<br />

padroneggiare fino in fondo con successo il materiale induttivo accumulato dalle scienze esatte 2 .<br />

L’opera di Zöllner traduceva in termini di riforma della comunità scientifica il tema schilleriano<br />

(allora ampiamente diffuso nella cultura tedesca) di un consapevole sforzo per un’armonica unità<br />

della Kultur contro la tendenza «manchesteriana» della società moderna, dominata dalla dispersione<br />

del laissez faire e della divisione del lavoro, dal gioco antagonistico degli egoismi non regolati<br />

2 F. Zöllner, Über die Natur, cit., p. LXX.<br />

15


dall’ideale. «Ciò che Zöllner lamenta, lo sperimentare senza fine e la mancanza di forza logicodeduttiva,<br />

è presente anche nelle discipline storiche» – scrive Nietzsche e poco più avanti,<br />

applicando ancora la polemica di Zöllner alla storia, parla di «insensato sperimentare» (NF, 1873,<br />

29[24]e [92]).<br />

Lo sperimentare è ancora legato alla debolezza dell’uomo moderno, schopenhaueriana e<br />

wagneriana concrezione di bisogni artificiali, maschera variopinta che nasconde il vuoto. La<br />

richiesta dell’uomo moderno alla scienza è di soddisfare, in una degradazione faustiana, i bisogni<br />

molteplici e indotti che comunque lo confermino nella realtà data (dunque una ricerca che sfocia nel<br />

filisteismo e nel museo): di qui il movimento insensato dello sperimentare. La situazione è analoga<br />

nel campo della storia (che Nietzsche identifica con la scienza), in cui l’uomo moderno va alla<br />

ricerca di una forma e di un costume di vita e per interiore debolezza subisce l’eccesso di stimoli<br />

che preme dal passato, ma che in realtà riflette il caos disgregato dell’attuale situazione. Ma le<br />

pagine conclusive dell’Inattuale sulla storia sono attraversate da una caratteristica tensione da un<br />

lato tra il pathos distruttivo della verità che emerge come risultato della scienza, espressiva della<br />

forza dinamica della Zivilisation – il terremoto che sconvolge la saldezza dei riferimenti, « il<br />

fondamento di tutta la sua sicurezza e la sua pace, la fede in ciò che perdura ed è eterno» (HL 10,<br />

pp. 351-352) – e di cui Nietzsche subisce il fascino e dall’altra la ribadita volontà di rimanere fedeli<br />

al progetto wagneriano di fondare l’organicità della Kultur sulla base delle forze antistoriche e<br />

sovrastoriche, l’oblio che comporta la limitazione dell’orizzonte e «le potenze che distolgono lo<br />

sguardo dal divenire, volgendolo a ciò che dà all’esistenza il carattere dell’eterno e dell’immutabile,<br />

l’arte e la religione». La scienza invece «odia l’oblio, la morte del sapere, come pure cerca di<br />

eliminare tutte le delimitazioni dell’orizzonte e getta l’uomo in quel mare infinito e illimitato di<br />

onde luminose, nel mare del divenire conosciuto» (HL, 10 p. 351).<br />

E Nietzsche si chiede: « Ma la vita deve dominare sulla conoscenza, sulla scienza, oppure la<br />

conoscenza sulla vita?» ed avverte il pericolo:<br />

«Se invece le dottrine del divenire sovrano, della fluidità di tutte le idee, i tipi e le specie, della<br />

mancanza di ogni diversità cardinale fra l’uomo e l’animale – dottrine che io ritengo vere ma<br />

micidiali – sar<strong>anno</strong> scagliate nel popolo ancora per una generazione nel furore di istruzione oggi<br />

abituale, nessuno si dovrà poi meravigliare se il popolo andrà in rovina a causa di ciò che è<br />

egoisticamente piccolo e miserabile, della ossificazione e dell’amore di sé, se cioè andrà in pezzi e<br />

cesserà di essere popolo: al suo posto poi comparir<strong>anno</strong> forse sulla scena dell’avvenire sistemi di<br />

egoismi particolari, affratellamenti a scopo di rapace sfruttamento dei non fratelli e consimili<br />

creazioni di utilitaristica bassezza» (HL 9, pp. 339-340).<br />

La teoria di Darwin è «vera» («Tremende conseguenze del darwinismo, che considero d'altronde<br />

come vero. Ogni nostra venerazione si riferisce a delle qualità, che noi riteniamo eterne: qualità<br />

morali, artistiche, religiose, ecc.» 19[132 1872-1873): essa assume nel periodo delle Inattuali<br />

addirittura il ruolo di simbolo della scienza, intesa come forza dagli effetti devastatori e nichilistici<br />

verso le consistenze mitiche e l’immediatezza dell’ideale, dunque come verità d<strong>anno</strong>sa per la<br />

necessaria illusione. Una volta abbandonata la tematica dell’illusione e dell’ideale come terapeutica<br />

della vita, resterà fermo ed anzi si potenzierà questo carattere della scienza: Darwin comparirà<br />

allora, accanto ad Hegel, come affermatore di una integrale scienza del divenire, senza ricorsi<br />

mitologici all’essere.<br />

Il tentativo di Strauss in Vecchia e nuova fede di ricomporre gli aspetti conflittuali dello sviluppo<br />

storico nella giustificazione di una «cosmodicea» progressiva (dove la lotta per l’esistenza, secondo<br />

moduli naturalistici tipici del darwinismo sociale è il meccanismo che sanziona il progresso e<br />

produce risultati utili al potenziarsi dell’elemento generico della specie uomo) è attaccato da<br />

Nietzsche come deformazione apologetica del vero darwinismo. Perché in Strauss il carattere<br />

distruttivo delle certezze e dei valori proprio della scienza integralmente storica, viene stravolto a<br />

ideologia della sicurezza, del successo e del progresso garantito proprio del filisteo tedesco dopo<br />

Sedan (l’accostamento straussiano tra Bismarck e il «Darwin benefattore»). Di fronte alla<br />

santificazione della vittoria militare, Nietzsche esprime la necessità di mantenersi freddi e critici in<br />

16


mezzo all’«ubriacatura generale». Per ora la critica di Nietzsche è rivolta soprattutto all’esito più<br />

esteriore dell’apologia: la «nuova fede» di Strauss, che unendo hegelismo e scienza si fa portavoce<br />

del filisteismo tedesco più piatto e materialistico. Questa polemica è ancora in consonanza con la<br />

lotta di Wagner per Bayreuth contro la Zivilisation. Ma i primi motivi di distacco da Wagner (e di<br />

una sua progressiva smitizzazione rispetto alla completa idealizzazione del genio del primo <strong>anno</strong> di<br />

Tribschen) sono già implicite nel diverso atteggiamento verso la vittoria. Il nazionalismo è un<br />

pericolo, una forma di ripiegamento che rischia di santificare e sublimare un elemento dell’attualità<br />

in contrapposizione al carattere in divenire della comunità estetica. Burckhardt agisce su Nietzsche<br />

come contrappeso critico all’ideologia germanica di Wagner: i due professori di Basilea vedono<br />

nella guerra ‘zoologica’ tra nazioni, un minaccioso pericolo per la cultura. «Il più delle volte, il<br />

vincitore diventa stupido, il vinto diventa malvagio. La guerra semplifica [...]. È un letargo<br />

invernale della civiltà»(32[62] 1874).<br />

Quella delle Inattuali è ‘la metafisica della cultura’ che è anche una metafisica della gioventù<br />

capace di un nuovo eroismo (il modello è Sigfrido): la situazione della cultura viene giudicata in<br />

base ai solitari, grandi eroi di un’epoca ed al loro rapporto con il popolo 3 . Tutta l’azione di<br />

Nietzsche (e le Inattuali pretendono di essere azione contro le viltà e le pigrizie dell’epoca) si<br />

presenta come sacrificio e dedizione per la realizzazione del genio. La lotta è contro le varie<br />

maschere del filisteismo e la pavidità che fa uso della passata grandezza per opporsi alla costruzione<br />

di una nuova cultura e alla possibilità di nuovi genii. I filistei, nascosti dietro il rassicurante ‘noi’ e a<br />

maschere irrigidite nei ruoli sociali, «preoccupati della commedia comune e niente affatto di sé»,<br />

h<strong>anno</strong> come parola d’ordine: «non dobbiamo più cercare» 4 . Anche in questo caso il riferimento di<br />

Nietzsche è, puntuale, a Wagner che parla del dono fatto, a chi nasce, dalla più giovane delle Norne<br />

perché tutti, un giorno, possano diventare dei genii: «Lo spirito mai soddisfatto e che cerca sempre<br />

qualcosa di nuovo» 5 .<br />

Ancora è lo spirito tedesco quello che cerca «con seria perseveranza ciò che il filisteo colto<br />

vaneggia di possedere, ossia la genuina, originaria cultura tedesca» (DS 2).<br />

Rispetto alla lettura rassicurante e non conseguente del darwinismo propria del filisteo Strauss per<br />

cui attraverso la lotta e la selezione si fissano necessariamente i caratteri utili allo sviluppo<br />

progressivo della specie, Nietzsche ricorre a Schopenhauer accostato alla intrepida serietà di<br />

Hobbes e di Darwin. È lo Schopenhauer che il giovane Nietzsche aveva valorizzato nei suoi studi<br />

sulla teleologia contro ogni finalismo per il «folle sperpero» e la «terribile lotta degli individui (...) e<br />

delle specie» che il filosofo pessimista vede nella natura.<br />

Ma contro il pericolo legato all’insensato cambiamento di prospettive, al trionfo del divenire che<br />

dissolve ogni fissità e che ha come conseguenza inevitabile la disgregazione del corpo sociale,<br />

ancora Nietzsche ricerca la forza idealizzante dell’arte e della religione, pone il limite dell’orizzonte<br />

come sicurezza vitale. Contemporaneamente ed in sotterraneo contrasto con la direzione della<br />

comunità, la sua lotta va a favore dell’individuo che, con il suo «eroismo» affronta il flusso e<br />

sperimenta nuove maniere di vita, cerca di coniugare la verità della scienza ad un tipo di esistenza<br />

superiore alternativa a quella del «gregge». Questa la prospettiva in cui si interpretano le figure dei<br />

presocratici.<br />

Ciò che viene messo in luce nei filosofi presocratici, nelle lezioni e nei frammenti postumi, non è<br />

più il momento metafisico come nella Filosofia nell’epoca tragica dei Greci (basti ricordare la<br />

lettura strettamente schopenhaueriana di Anassimandro) bensì la lotta contro il mito, la posizione<br />

favorevole alla scienza ed alla conoscenza contro le religioni del tempo. Questo atteggiamento è già<br />

3 KGW, III, II: Über die Zukunft unserer Bildungsanstalten, 190; Opere, 145.<br />

4 KGW, III, I: David Strauss der Bekenner und der Schriftsteller, 164; Opere, 177.<br />

5 R. WAGNER, Una comunicazione ai miei amici, Pordenone, ediz. Studio Tesi, 1985, p. 26 (nell’ed. ted., Eine<br />

Mitteilung an meine Freunde, in Dichtungen und Schriften, 10 voll., a cura di D. Borchmeyer, Frankfurt a. Main, 1983,<br />

vol. VI, p. 221).<br />

17


presente in Talete; nella sua proposizione che pone l’acqua come origine di tutte le cose, è possibile<br />

vedere la «vittoria dell’uomo scientifico» sull’uomo «mitico»: l’abbandono della religione e della<br />

superstizione come fonti di spiegazione della natura.<br />

Il confronto tra la figura di Socrate e quella di Democrito ci può far capire meglio quali intenti<br />

guidassero Nietzsche nella sua critica al modo di praticare la scienza, come questa investisse lo<br />

scienziato, il dotto attuali piuttosto che una pratica coraggiosa del conoscere.<br />

Nietzsche, nei suoi primi lavori filologici, nei suoi non molti riferimenti, non vede affatto in Socrate<br />

quella figura centrale di “mistagogo della scienza” e razionalista che emergerà con La nascita della<br />

tragedia. Piuttosto, su questi temi, la sua attenzione, simpatetica, si rivolge (fin dall'estate 1867) a<br />

Democrito la cui fisionomia provò a ricostruire partendo dall'esame critico dell'immagine che ne<br />

aveva dato Diogene Laerzio. Democrito è “un razionalista fiducioso”, il “padre di tutte le tendenze<br />

illuministiche e razionalistiche”, colui che “raggiunge, primo fra i Greci, il carattere scientifico ,<br />

che consiste nel tentativo di spiegare in modo unitario una quantità di fenomeni senza chiamare in<br />

aiuto, nei momenti più critici, un deus ex machina”<br />

Democrito vuole liberare dalle paure e dalle superstizioni, dal “timore degli déi”, dalla “fosca<br />

mitologia”, attraverso la conoscenza scientifica: per questo condanna “ogni intromissione di un<br />

mondo mitico”. L'attività scientifica ha in Democrito un senso etico: nella scienza egli vede “lo<br />

scopo di ogni eudaimonia” (ibidem). Nietzsche sottolinea però come Democrito non trovi affatto<br />

nella scienza la felicità che cercava essendo figura assolutamente anomala, in lotta solitaria contro il<br />

suo tempo e contro i filosofi precedenti ancora legati a concezioni mitiche. “Una vita scientifica era<br />

a quel tempo un paradosso”, la sua dedizione assoluta al sapere “contraddiceva alla formazione<br />

armonica e alla misura” proprie del mondo greco. Tale scelta lo condannò ad una vita “nomade e<br />

inquieta, piena di disagi” (Opere, vol. I, t. II, p. 215) 6 . Democrito pagò con l'infelicità il grande<br />

merito di avere per primo creduto alla scienza come “principio di vita”. Nietzsche sottolinea il<br />

carattere “fanatico”, passionale del democriteo “impulso al sapere (Wissenstrieb)” che comporta<br />

uno “slancio poetico”: “Democrito una bella natura greca, come una statua all’apparenza freddo<br />

eppure pieno di ardore nascosto” (ivi, p. 216).<br />

Ancora nell’inverno 1872-1873 Nietzsche può definire Democrito “il più libero” (Demokrit der<br />

freieste Mensch). E’ quindi evidente che, al di là dell’apparente vicinanza e comuni aspetti<br />

(razionalismo e scienza), tra la figura di Democrito e quella di Socrate – già delineata, in questi<br />

anni, ne La nascita della tragedia – vi è una profonda differenza e forti elementi di opposizione.<br />

Soprattutto: in Democrito “il mondo [è] senza significato morale o estetico, pessimismo del caso”<br />

(23[35], inverno 1872-73), la sua ipotesi scientifica di spiegazione della realtà allontana come<br />

superfluo il Nous di Anassagora. In Democrito Nietzsche valorizza, fin dall’inizio, la lotta contro la<br />

teleologia (gli appunti filologici sul filosofo greco si mescolano con le riflessioni personali su<br />

questo tema).<br />

Com’è noto, è La Storia del materialismo di Lange, ad offrire a Nietzsche una simpatetica<br />

ricostruzione delle moderne teorie scientifiche, in particolare fisiologiche e biologiche; solo il<br />

criticismo è, secondo Lange, all'altezza dei problemi che queste teorie pongono alla filosofia.<br />

Nietzsche è molto impressionato dal radicalismo naturalistico di un Darwin che egli conosce<br />

attraverso Lange: come questi egli vede nella descrizione darwiniana del processo di selezione,<br />

governata dal «caso più cieco» e in cui «l'insuccesso di ciò che è cominciato è la regola» 7 , una<br />

rinascita del punto di vista empedocleo «per cui ciò che è conforme ad un fine appare solo come un<br />

caso tra le molte cose che non lo sono» (NA 57[26], Obras I, p. 248 Cfr.. F.A.Lange, Geschichte<br />

des Materialismus, p. 404). Nietzsche avvicina Empedocle alle teorie darwiniane anche nelle<br />

lezioni sui filosofi preplatonici (KGW II, 4, p. 324)<br />

6 Cfr. anche: Demokrit der wissenschaftliche Reisende (colui che viaggia per la scienza) (19[318] 1872-1873)<br />

7 Cfr. F.A.Lange, Geschichte des Materialismus, Iserlohn 1866, p. 402 e p. 403<br />

18


La coordinazione di una spiegazione meccanicistica con la constatazione del dominio incontrastato<br />

del caso (Cfr. [P I 8, 34]: NA 62[45] «La tempesta che agita le cose è il caso. Questo è conoscibile»<br />

Obras I p. 315), sembra rendere possibile la confutazione della concezione finalistica che bucherella<br />

l'esistenza di miracoli. Nietzsche polemizza contro l'ottimismo implicito nella visione teleologica<br />

del mondo sottolineando la pluralità delle prospettive, legate a forme di vita infinitamente diverse,<br />

da cui è possibile osservare ciò che avviene. Ciò che è conforme al fine «visto da un altro lato<br />

spesso non è affatto conforme.» ( [P I 8, 76]).<br />

Nell'opera di Lange Nietzsche trovava una forte valorizzazione di Democrito oltre che un ampio<br />

resoconto della ricezione di Democrito in Bacone e Gassendi, in la Mettrie e Feuerbach. Il<br />

riferimento ai grandi protagonisti della storia del materialismo torna di frequente negli appunti<br />

nietzscheani su Democrito. In essi all'intento di una corretta ricostruzione delle tesi democritee si<br />

sovrappone a tratti l'interesse a individuare nel padre dell'atomismo l'anticipazione di motivi e<br />

concetti della filosofia moderna.<br />

La posizione di Democrito è ostile ad ogni ottimistica teleologia.<br />

Con Socrate comincia invece l’ottimismo: egli “ha una teleologia e crede in un dio buono”, con<br />

lui,“comincia la fede nell’uomo buono che sa”(23[35], inverno 1872-73). Un frammento<br />

dell’autunno 1867-primavera 1868, chiarisce questa differenza sostanziale: “Che cosa ha portato<br />

alla scarsa considerazione di Democrito? La sua decisa opposizione alla teleologia. Per la vita di<br />

Socrate fu un fatto epocale la lettura di Anassagora, che per primo abbozzò una forma di teleologia.<br />

Socrate riconobbe questo punto, ne trovò scadente l’attuazione e non sapeva che fare. Poi venne il<br />

deuvtero" plou`"” 8 . Nietzsche, con questa espressione metaforica (“deuvtero" plou`"”: la seconda<br />

navigazione, quella che si fa con i remi in mancanza di vento) ricorda la scelta che Socrate dice di<br />

aver fatto dopo l’insoddisfazione provata nei confronti delle teorie cosmologiche e fisiche<br />

precedenti, tra cui quella di Anassagora, incapace anch’essa di conoscere “la vera causa” (Fedone,<br />

99cd). La teleologia del Nous di Anassagora per Democrito è superflua e antiscientifica, per Socrate<br />

insufficiente e fuorviante. Se l’impulso etico di Democrito si identificava con una ricerca scientifica<br />

senza presupposti, in Socrate la ricerca è invece sorretta e spinta da presupposti etici che ne<br />

inficiano, a priori, la radicalità. Nelle lezioni sui filosofi preplatonici questo emerge con estrema<br />

chiarezza: “la filosofia socratica è assolutamente pratica: essa è avversa ad ogni conoscenza non<br />

congiunta a conseguenze etiche” “conoscenza e moralità coincidono” “da Socrate prorompe un<br />

flusso morale e per questo egli appare profetico e sacerdotale. Egli è convinto di dover compiere<br />

una missione” 9<br />

Da qui anche la differenza di stile. Nietzsche fa propria la valorizzazione, da parte della tradizione,<br />

degli scritti filosofici di Democrito come “modelli di esposizione filosofica” 10 . Ancora nelle Lezioni<br />

sulla storia della letteratura greca, Democrito è definito “il primo classico” (der erste Klassiker): il<br />

suo stile scientifico viene contrapposto a quello retorico e argomentativo di Socrate. Dai due stili<br />

contrapposti risulta la differenza epocale: il “filologoß” Socrate sviluppa, in modo straordinario,<br />

l’arte del “parlar bene” contro il rigore scientifico che caratterizza il “piccolo numero” di filosofi<br />

precedenti. Le loro ricerche, in più campi, sono ritenute da Socrate lontane dall’interesse dell’uomo.<br />

“Tra Democrito e Socrate un baratro, nessun ponte: Socrate inventa una nuova forma del “eu<br />

8 Opere, vol. I, t. II, p. 209. Su questo tema Nietzsche utilizza nache il saggio di Carsten Redlef Volquardsen,<br />

genesis des Socrates in “Rheinisches Museum”, XIX [1864], pp. 505-520, cfr. Scritti giovanili, cit. p. 211.<br />

9 KGW II, 4, p. 355; trad. it.´I filosofi preplatonici , a cura di Piero Di Giovanni, p. 138. Cfr. anche sull’ „attività<br />

missionaria“ di Socrate: ST, p. 36. Nell’aforisma 72, WS, Missionari divini, l’arroganza di colui che si sente<br />

„missionario divino“ è mitigata in Socrate dall’ironia e dal gusto di scherzare: il compito „di mettere il Dio alla<br />

prova“ è intesa come una espressione, non compiuta, sulla via della „libertà dello spirito“.<br />

10 KGW I, 4, 57[36]; Opere, I, II, p. 211, Cfr. la lezione di Nietzsche sui filosofi preplatonici, par. 15, KGW II, 4,<br />

p. 331: "È un grande scrittore: Dionigi di Alicarnasso (De comp. verb., c. 24) lo cita assieme a Platone e Aristotele<br />

come scrittore modello. Cicerone, De orat., I, 11, lo avvicina a Platone a causa del suo slancio e dell'ornatum genus<br />

dicendi; in De divinat., II, 64, si loda la sua chiarezza, Plut., Sympos., V, 7, 6, ammira il suo slancio". Cfr. Diels-<br />

Kranz, 68 A 34, 68 A 77.<br />

19


scolazein” con la passione del dialogo, ma rende ai suoi scolari oggetto di ripulsa la ricerca<br />

scientifica e la vita solitaria del dotto” 11<br />

“Socrate è nell’etica ciò che Democrito è nella fisica” (1[106] autunno 1869).<br />

Nel cammino verso la filosofia dello spirito libero, soprattutto nei frammenti postumi degli anni<br />

1875-1876, Nietzsche incontra di nuovo la figura di Socrate in contrasto con i filosofi che lo h<strong>anno</strong><br />

preceduto caratterizzati nella loro volontà di “trovare la via dal ‘mito’ alle leggi della natura,<br />

dall’immagine al concetto, dalla religione alla scienza” 12 . Anche Socrate – a differenza di Platone,<br />

“il primo grandioso carattere misto” – appartiene comunque, per la sua forza caratteriale, a “quegli<br />

uomini tutti d’un pezzo, scolpiti da da una sola pietra. Tra il loro pensiero e il loro carattere<br />

intercorre una rigorosa necessità” (PHG, p. 273).<br />

I filosofi preplatonici mostrano nuove concrete possibilità di vita, al di là della fede nei miti e nella<br />

religione. Scelsero un modo di vita al di fuori delle illusioni “in cui le difficoltà sono enormemente<br />

accresciute. Chi vuole la conoscenza dovrà sempre nuovamente abbandonare la terra su cui vive<br />

l’uomo, avventurandosi nell’incertezza; e l’impulso che vuole la vita, dovrà sempre nuovamente<br />

cercare a tastoni un luogo abbastanza sicuro, per potersi fissare su di esso»13.”. Si spogliarono del<br />

mito che faceva risplendere la vita dei Greci, eppure riuscirono a vivere in modo superiore.<br />

L’individuo «vuole poggiare su se stesso»(6[7] estate 1875), l’istinto tirannico è proprio di questi<br />

grandi filosofi.<br />

La scelta dell’abbandono delle illusioni è vista come difficile, specialmente in Grecia dove il mito è<br />

espressione di valori di vita ascendente, ed è originato da quella stessa tracotanza che spinge i<br />

preplatonici alla solitudine della conoscenza: “Repressione dell’elemento mitico. – Rafforzamento<br />

del senso della verità di fronte alla libera poesia. Vis veritatis, ossia rafforzamento del puro<br />

conoscere (Talete, Democrito, Parmenide” (23[14] 1872-1873]). Il mito ha però una forza isolante e<br />

disgregatrice, limitato com’è alla comunità della polis. I limiti della polis stavano nella sua forza<br />

tirannica, nell’irrigidimento del mito. Il dominio politico di Atene che soffocò grandi forze<br />

spirituali, impedì l’avvento di quella riforma panellenica preannunciata dai filosofi presocratici, e<br />

che avrebbe, secondo Nietzsche, favorito il sorgere di grandi e belle individualità. La lotta contro il<br />

mito da parte dei filosofi presocratici si accompagna quindi a progetti politici alternativi a quelli<br />

della comunità naturale della polis, illuminata, ma anche circoscritta, dal mito.<br />

I presocratici con la loro vita realizzarono le premesse delle nuove individualità: vissero «in modo<br />

libero» senza diventare «dei pazzi o dei virtuosi». «I greci erano sul punto di trovare un tipo di<br />

uomo ancora superiore a quelli precedenti, ma intervenne allora un colpo di forbici» (6[18] estate<br />

1875). Questo fu dovuto, nel campo della filosofia, a Socrate: il filosofo «rovesciò tutto quanto, nel<br />

momento in cui ci si era massimamente avvicinati alla verità; ciò è particolarmente ironico» (6[7]<br />

estate 1875). Attraverso Socrate (”bastò un cervello strambo…”) si compì «l’autodistruzione dei<br />

Greci» » (6[23] estate 1875): tra le conseguenze perniciose l’annientamento dello spirito scientifico<br />

che aveva trovato l’espressione più compiuta e pura in Democrito 14 . Il radicalismo scientifico di<br />

Democrito appare la causa più forte del “socratismo”: “Democrito: il mondo è del tutto privo di<br />

ragione e di istinto, è prodotto da uno scotimento che mescola ogni cosa. Tutti gli dèi e i miti sono<br />

inutili. Socrate: allora non mi rimane null’altro che me stesso; la preoccupazione per noi stessi<br />

11 KGW II, 5, p. 308 e 312. Tra le definizioni storiche del filologo che troviamo nelle prime pagine delle lezioni<br />

introduttive allo studio della filologia, Nietzsche pone quella di Platone che definiva filologo Socrate in quanto<br />

‘amico della conversazione orale’ e dei logoi filosofici, rispetto ad Aristotele per il quale filologo è il filosofo in<br />

quanto ha bisogno di una grande mole di materiali empirici. (Encyclopädie der klassischen Philologie und Einleitung in<br />

das Studium derselben in KGW, II, III, p. 342-343):<br />

12 KGW II/4, p. 214; trad. it., I filosofi preplatonici, p. 5<br />

13 FP, IV, 1, p. 175.<br />

14 Si veda anche l’aforisma 261 (I tiranni dello spirito) di Umano, troppo umano, I, che rielabora e riassume i contenuti<br />

dei frammenti dell’estate 1875 dedicati ai filosofi preplatonici. Socrate appare qui la pietra nell’ingranaggio capace<br />

di far saltare la macchina fortemente accelerata della cultura greca: “in una notte lo sviluppo della scienza<br />

filosofica, fino allora così meravigliosamente regolare, anche se troppo celere, fu distrutto”.<br />

20


diventa l’anima della filosofia” (6 [21] estate 1875). La filosofia diventa “individualistica e<br />

eudemonologica” : da Socrate in poi si manifesta “la sciocca pretesa alla felicità” 15 come prima<br />

motivazione speculativa. La filosofia, “si separò dalla scienza quando pose la questione: qual’ è<br />

quella conoscenza del mondo e della vita nella quale l’uomo vive più felice? Ciò avvenne nelle<br />

scuole socratiche: col punto di vista della felicità si legarono le vene alla ricerca scientifica e lo si fa<br />

ancor oggi” (MA I, 7). Questo tema, con diverse accentuazioni, sarà presente fino alle ultime<br />

riflessioni di Nietzsche: “filosofia: è, da Socrate in poi, quella suprema forma di accortezza che non<br />

cade in errore quando c’è di mezzo la felicità personale” (25[17] primavera 1884).<br />

Il giudizio sembra addirittura opposto a quello della Nascita della tragedia in cui Socrate viene<br />

presentato quale “araldo” e “mistagogo della scienza”, padre del razionalismo scientifico e<br />

dell’alessandrinismo. La teleologia dominante che comporta la conciliazione tra verità e morale è,<br />

nel suo aspetto più profondo, ostile e inconciliabile con una radicale ricerca scientifica senza<br />

presupposti etici.<br />

L’Uno originario, artistico e provvidenziale della Nascita della tragedia, assegna a Socrate morente<br />

un ruolo decisivo nella “cosmodicea”: “La scienza, spronata dalla sua robusta illusione, corre senza<br />

sosta fino ai suoi limiti, dove l’ottimismo insito nell’essenza della logica naufraga. Infatti la<br />

circonferenza che chiude il cerchio della scienza ha infiniti punti, e mentre non si può ancora<br />

prevedere come sarà possibile misurare interamente il cerchio, l’uomo nobile e dotato giunge a<br />

toccare inevitabilmente, ancor prima di giungere a metà della sua esistenza, tali punti di confine<br />

della circonferenza, dove guarda fissamente l’inesplicabile” (GT, 15, p. 103). Faust rappresenta lo<br />

Streben dell’uomo moderno senza posa legato a quella “brama di sapere” che deriva da Socrate: il<br />

lui anche il senso di insoddisfazione e l’aspirare all’azione . “Dal vasto e mare del sapere” si anela<br />

di nuovo ad una costa (GT, 18, p. 119-120). Simbolo è il ricorrente sogno di Socrate: «La cosa più<br />

profonda, peraltro, che poteva essere detta contro Socrate, l'ha detta a lui un sogno. Molto spesso gli<br />

veniva in sogno, come racconta in carcere ai suoi amici, una stessa apparizione, che diceva sempre<br />

la stessa cosa: “Socrate, datti alla musica !”» La percezione del limite della conoscenza, esplorata<br />

fino agli estremi limiti, apre la via inevitabilmente all’arte tragica, alla musica. La scienza stessa in<br />

definitiva serve il mito: l’uomo socratico appartiene interamente alla teleologia dell’inconscio che<br />

prepara una nuova e superiore arte: “Lo scopo della scienza, inaugurata da Socrate, è la conoscenza<br />

tragica come preparazione del genio. Il nuovo stadio dell’arte non fu raggiunto dai Greci: esso<br />

rientra nella missione germanica. L’arte suscitata da quella conoscenza tragica è la musica” 16 .<br />

Certamente uno dei limiti della GT era per Nietzsche l’aver ceduto ad una prospettiva teleologica<br />

sorretta dalla metafisica dell’arte, probabilmente sotto l’influenza di Eduard von Hartmann («ha un<br />

ripugnante odore hegeliano» - scrive in Ecce homo). Ne La nascita della tragedia è presente una<br />

sorta di filosofia della storia giocata sui due principi (apollineo e dionisiaco) che cercano l’unità. La<br />

struttura metafisica di fondo rende l’arte necessaria non solo per l’individuo ma per la stessa natura.<br />

L’eterno soggetto creatore trova nell’arte la sua consolazione e la sua necessità, l’artista (il genio) è<br />

a sua volta “opera d’arte” per la natura, la realizzazione più alta, la sua giustificazione. La creazione<br />

artistica nasce dall’inconscia identità con l’Uno originario che, come unico creatore e spettatore<br />

della commedia artistica, trae da essa, per sé, un eterno godimento.<br />

Il postulato dell’impossibilità pratica della negazione della vita, della noluntas,(in netta opposizione<br />

alla filosofia della storia di Hartmann) comporta l'accettazione di meccanismi di illusione (Wahn)<br />

funzionalizzati alla costruzione di una civiltà superiore. Nell'istinto si esprime direttamente una<br />

volontà che sottomette con l'ing<strong>anno</strong> l'individuo. L'istinto è illusione che perpetua la volontà di<br />

vivere, è l'ing<strong>anno</strong> da parte del «genio della specie» a spese dell'individuo. L'arte e il mito sono<br />

15 Cfr. i frammenti 6[14] e 6[15] (estate 1875). La citazione di Nietzsche (una frase di Merck, amico di Goethe), è<br />

tratta da Arthur Schopenhauer Parerga e paralipomena, ediz. ital. tomo primo a cura di G. Colli, Adelphi, Milano<br />

1981, pp. I, p. 551-552.<br />

16 F: Nietzsche. 7[174] (fine 1870-aprile 1871). Cfr. anche 7[166]: “Euripide e Socrate d<strong>anno</strong> una nuova<br />

impostazione allo sviluppo dell’arte: partendo dalla conoscenza tragica. Questo è il compito dell’avvenire […] la<br />

tragedia greca si può vedere solo come preparazione: serenità inappagata”.<br />

21


l'immagine illusoria più alta di seduzione alla vita: «correggere il mondo — ecco la religione o<br />

l'arte. » 17 . Ma accanto a queste illusioni anche l’illusione teoretica appartiene alle seduzioni alla vita<br />

più nobili contro le illusioni quotidiane, avviluppate nell’apparenza, del filisteo.<br />

In Hartmann, che pure si richiamava alla testimonianza delle scienze induttive, come già in Strauß<br />

Nietzsche legge, nell’inattuale sulla storia, il tradimento di ogni probità scientifica per far giungere,<br />

in un processo del mondo guidato dalla sicurezza dell’Inconscio (“una teologia camuffata” come<br />

quella di Hegel), alla ripugnante e gaudente vecchiaia dell’umanità, all’ultimo uomo:<br />

«Dove conduce il considerare la storia come un processo, ce lo mostra E. von Hartmann a p. 618 (e<br />

da ciò comprendo il suo incredibile successo). Qui la visione storica si accomuna al pessimismo:<br />

ora se ne osservino le conseguenze! Le età della vita del singolo individuo offrono l'analogia, la<br />

poco lusinghiera descrizione del presente muove soltanto verso la conclusione che andrà ancora<br />

peggio e che questo è il processo necessario al quale bisogna abbandonarsi. Per l'analogia serve<br />

una specie di uomo alquanto volgare, che l'età virile conduce ad una «solida mediocrità», ad un'arte<br />

che per lui rappresenta più o meno «ciò che di sera è la farsa per l'agente di borsa berlinese». […]<br />

Ma se l'umanità deve vivere la propria vecchiaia quasi in maniera leopardiana, dovrebbe essere più<br />

nobile di quanto è in realtà, e soprattutto avere un'età virile diversa da quella assegnatale da<br />

Hartmann. Il vecchio che corrispondesse a una tale età virile sarebbe assai nauseabondo e sarebbe<br />

attaccato alla vita con una ripugnante avidità, avviluppato più che mai nelle illusioni più basse»<br />

29[51]. L’ipostatizzazione della storia concepita come una totalità orientata teleologicamente è<br />

contraria alla vita: rende impossibile ogni «dar senso» concreto e individuale: di qui l’indignazione<br />

di Nietzsche: «ammesso che vi sia uno scopo universale, sarebbe impossibile conoscerlo, perché noi<br />

siamo pulci di terra e non governiamo il mondo. Ogni divinizzazione dei consunti concetti generali,<br />

come Stato, popolo, umanità, processo del mondo, ha lo svantaggio di alleggerire il fardello<br />

dell'individuo e di sminuire la sua responsabilità. Se tutto dipende dallo Stato, poca importanza ha<br />

l'individuo: come dimostra ogni guerra. Trasposto in senso morale: chi toglie all'uomo la<br />

convinzione che egli sia qualcosa di più fondamentale ed importante di tutti i mezzi per la sua<br />

esistenza, lo rende peggiore. Le astrazioni sono i suoi prodotti, i suoi mezzi per l'esistenza – ma<br />

nulla di più, non lo devono dominare. Gli deve essere permesso in ogni momento, in quanto essere<br />

morale, di perire lottando contro mezzi che diventano strapotenti, reinterpretati come scopi…» 29<br />

[74]<br />

«L'uomo e il «processo del mondo»! La pulce di terra e lo spirito universale! (29 [53]) «… processo<br />

cosmico! Ma si tratta soltanto della meschinità delle pulci di terra che sono gli uomini!» (FP<br />

29[52]).<br />

E certamente l’ultimo uomo predicato sul mercato da Zarathustra ha tutti i caratteri del vecchio di<br />

Hartmann ed è anch’esso “pulce di terra” ma non destinato alla fine assoluta per forza del “processo<br />

universale”: «La terra allora sarà diventata piccola e su di essa saltellerà l'ultimo uomo, quegli che<br />

tutto rimpicciolisce. La sua genia è indistruttibile, come la pulce di terra; l'ultimo uomo campa più a<br />

lungo di tutti».<br />

Nietzsche combatterà fino in fondo teorie come quella di Hartmann che ponevano come necessaria<br />

– per il “processo del mondo” o per cosmologie pseudoscientifiche inficiate da presupposti<br />

metafisici o teologici – una fine assoluta. Vi vedrà la permanenza pericolosa delle “ombre di Dio”,<br />

gli “effetti postumi” della più antica religiosità (nella teleologia negativa come nella postulazione di<br />

un inizio assoluto), una esigenza della debolezza (FW 109, 127).<br />

In modo significativo Nietzsche ricerca la liberazione da ogni prevaricazione antropologica<br />

ricorrendo, già nei frammenti critici di Hartmann a Democrito e Darwin: «Da questo «processo del<br />

mondo» hartmanniano si rifugge volentieri verso il caos degli atomi di Democrito e la dottrina<br />

darwiniana della sopravvivenza del più idoneo alla vita fra le innumerevoli combinazioni. Almeno<br />

qui c'è ancora posto per i grandi individui, se pure è stato un caso a scagliarli fuori».<br />

17 F. Nietzsche, Nachgelassene Fragmente, in KGW, III, III, p.105; Opere, III, III/1, p. 99.<br />

22


Non il servire il feticcio della scienza (proprio del dotto-strumento) ma l’asservire la scienza<br />

attraverso una superiore assimilazione dei contenuti è la via per la liberazione (una sorta di nuovo<br />

eroismo della conoscenza). È necessario valutare a fondo l’importanza che Nietzsche dà al motivo<br />

dell’assimilazione del vero di contro all’accumulazione ed incorporazione di errori e di illusioni<br />

pietrificati in “costume” e al servizio della violenza comunitaria. Questi temi solo nelle opere<br />

successive trover<strong>anno</strong> più maturi sviluppi con la lotta aperta alla comunità ed ai suoi residui nella<br />

moderna civiltà.<br />

Si teorizza allora un progresso realistico: una luce che tenga conto dell’ombra «che tutte le cose<br />

mostrano quando il sole della conoscenza cade su di esse». Abbandonata ogni prevaricazione<br />

antropocentrica sulla realtà naturale (la metafisica dell’artista e la sua teleologia) c’è ora la volontà<br />

modesta di fare della commedia umana solo un episodio trascurabile sullo sfondo di vicissitudini<br />

cosmiche:<br />

la goccia di vita che è nel mondo è senza importanza per il carattere totale del mostruoso oceano di divenire<br />

e trapassare... Forse la formica nel bosco immagina altrettanto fortemente di essere meta e scopo della<br />

esistenza nel bosco, come facciamo noi quando alla fine dell’umanità, nella nostra fantasia, ricolleghiamo<br />

quasi involontariamente la fine della terra: anzi siamo ancora modesti quando ci fermiamo a ciò e non<br />

organizziamo, per i funerali dell’ultimo uomo, un crepuscolo universale del mondo e degli dèi. Anche<br />

l’astronomo più spregiudicato quasi non può immaginare la terra senza vita altro che come lo splendente e<br />

fluttuante tumulo dell’umanità (WS, af. 14)<br />

23


3.<br />

“Spirito libero” e nichilismo: su un componimento poetico di Nietzsche *<br />

[pubblicato in In: Critca della ragione e forme dell'esperienza. Studi in onore di Massimo Barale.<br />

(ETS <strong>2011</strong>)]<br />

Nella lettera del 22 luglio 1888 al vecchio amico Deussen, dopo aver affermato di allontanarsi<br />

sempre più dal proprio tempo «per principio e non senza successo» e avere manifestato le sue<br />

preoccupazioni per la «recrudescenza delle antiche sofferenze» con la sensazione «di essere in<br />

qualche modo incurabile», nel commiato affettuoso Nietzsche definisce se stesso con espressioni<br />

goethiane: «Serbami il tuo affetto e credi nell’amore di un vecchio “essere disumano” [Unmensch]<br />

e “senza dimora” [Unbehaust], per dirla con Goethe». Il riferimento è ai versi dell’ Urfaust: «Non<br />

sono io il reietto, il senza dimora,/ l’essere disumano senza meta né pace, /che come una cascata<br />

balza di roccia in roccia, /furiosamente attratta dall’abisso?» (vv. 3348-3351).<br />

Nietzsche, fin dai suoi anni giovanili, si è confrontato costantemente e in più modi con Goethe:<br />

ricordiamo come abbia ripreso il tema del ribelle prometeico dell’inno goethiano del 1773 nel breve<br />

dramma in un atto dedicato al titano (1859); come abbia visto poi in Goethe l’erede più degno, con<br />

Leopardi, dei poeti-filologi dell’Umanesimo italiano, e alla fine, per la capacità di dominare il caos<br />

e di affermare la totalità («l’uomo più vasto possibile, ma non perciò caotico»), ne abbia fatto<br />

l’espressione piena dello spirito dionisiaco, capace di superare la parzialità di ogni prospettiva<br />

vitale, non negandola ma incorporandola in una forma piena e mobile. All’eroismo della lotta, che<br />

caratterizza il frammento di uomo nella direzione del superuomo, Nietzsche contrappone la nuova<br />

ultima libertà che Goethe ha saputo realizzare: «un tale spirito divenuto libero sta al centro del tutto<br />

con un fatalismo gioioso e fiducioso, nella fede che soltanto sia biasimevole quel che se ne sta<br />

separato, che ogni cosa si redima e si affermi nel tutto — egli non nega più. Ma una fede siffatta è<br />

la più alta di tutte le fedi possibili: l’ho battezzata col nome di Dioniso» (GD Scorribande, 49)<br />

Nella lettera a Deussen, Nietzsche assume come proprio lo Streben faustiano già presente in<br />

Schopenhauer come educatore. Nella Considerazione inattuale, però, l’immagine esemplare<br />

dell’“uomo di Goethe” depotenziava la figura di Faust, inizialmente «ribelle e liberatore del<br />

mondo», a «uno che viaggia per il mondo», all’«uomo contemplativo in grande stile», «forza<br />

conservatrice e tollerante» che può degenerare nel filisteo. «Tutti i campi della vita e della natura,<br />

tutte le epoche passate, le arti, le mitologie, tutte le scienze vedono volare davanti a sé l’insaziabile<br />

contemplatore» (SE 4). Come ha messo bene in luce Sandro Barbera, qui indubbiamente Nietzsche<br />

prefigura (avvicinandosi al «Goethe idillico ed epico, piuttosto che tragico») «la caratteristica di<br />

“viaggiatore” e “viandante” propria più tardi dello “spirito libero” e del suo stile di vita» 18 . Questo è<br />

* Per gli scritti di Nietzsche il riferimento si intende sempre all'edizione: Friedrich Nietzsche, Werke,<br />

Kritische Gesamtausgabe, herausgegeben von G. Colli und M. Montinari, de Gruyter, Berlin 1967 sgg.<br />

[KGW]. La traduzione italiana utilizzata è quella dell’edizione italiana Colli-Montinari delle Opere di<br />

Friedrich Nietzsche, Adelphi, Milano 1964 sgg. Salvo diversa indicazione, la numerazione dei frammenti e<br />

dei voll. delle Opere corrisponde a quella dell’edizione tedesca. Per le lettere di Nietzsche e dei suoi<br />

corrispondenti il riferimento si intende sempre all'edizione: Friedrich Nietzsche, Briefwechsel, Kritische<br />

Gesamtausgabe, de Gruyter, herausgegeben von G. Colli und M. Montinari, de Gruyter, Berlin 1975-2004<br />

[KGB]. La traduzione italiana utilizzata (quando disponibile), è quella dell’edizione italiana Colli-Montinari<br />

dell’Epistolario di Friedrich Nietzsche, Adelphi, Milano 1976 e sgg. I riferimenti sono dati utilizzando, per<br />

gli scritti di Nietzsche, le sigle dell’edizione critica seguite dal numero dell’aforisma o del frammento [NF] e<br />

identificando le lettere dalla data e dal nome dei corrispondenti.<br />

18 Cfr. Sandro Barbera, Friedrich Nietzsche dal mito alla tradizione (“Belfagor”, LVIII, 2003) ora in<br />

Guarigioni, rinascite, metamorfosi. Studi su Goethe, Schopenhauer e Nietzsche, a cura di Stefano Busellato,<br />

Le Lettere, Firenze 2010, pp. 141-42.<br />

24


confermato anche dal confronto con Wagner presente nella quarta Inattuale: la violenta<br />

incorporazione, da parte del drammaturgo ditirambico, dei saperi più vari si realizza con l’azione, la<br />

creazione artistica unica a cui tutto è sottomesso. Di contro, Goethe «appare, come discente e<br />

sapiente, simile a una ramificatissima rete fluviale, che però non porta tutta la sua forza al mare, e<br />

ne perde e sparge invece nelle sue vie e nelle sue incurvature almeno tanta, quanta ne porta con sé<br />

alla foce. È vero, una natura come quella di Goethe ha e fa più piacere, intorno a lui aleggia<br />

qualcosa di nobilmente prodigo, mentre la violenza del corso e della corrente di Wagner può forse<br />

spaventare e respingere» (WB 3).<br />

L’atteggiamento contemplativo, puramente conoscitivo, proprio dell’“uomo di Goethe”, caratterizza<br />

il processo dello “spirito libero” solo in un primo tempo, quando il disincanto del procedere del<br />

viandante, che raccoglie e fa esperienza, si lega a un “nomadismo intellettuale” ancora lontano dalla<br />

consapevolezza nichilistica che emerge successivamente come compagna del cammino nel gelo e<br />

nel deserto. Nell’aforisma 211 di Opinioni e sentenze diverse l’atteggiamento del viandante, proprio<br />

degli “spiriti di libero domicilio”, legato ad un impulso alla libertà contro “gli intelletti legati e<br />

radicati”, viene definito un “nomadismo intellettuale” (das geistige Nomadenthum). L’espressione,<br />

come conferma un appunto di Nietzsche, è di Emerson ed è tratta dal saggio sulla Storia: «Il<br />

nomadismo intellettuale è il dono dell’oggettività, oppure il dono di trovare dappertutto uno<br />

spettacolo dilettevole. Ogni uomo, ogni cosa è una mia scoperta, è mia proprietà: l’amore che lo<br />

anima per tutto gli appiana la fronte» 19 .<br />

Il riferimento ai versi del Faust nella lettera a Deussen (l’Unbehaust, «il senza dimora»,<br />

l’Unmensch, «l’essere disumano senza meta né pace») rimanda, piuttosto che al contemplativo<br />

viandante goethiano di Schopenhauer come educatore, alla figura caratterizzata nel singolare<br />

componimento del 1884 che porta il titolo Der Freigeist e che, più di altri testi, unisce il tema dello<br />

spirito libero a quello del nichilismo, del gelo. Vorrei accompagnare la lettura di questo testo a<br />

qualche rapsodica considerazione.<br />

Lo spirito libero<br />

Commiato<br />

«Gracchiano le cornacchie<br />

e si volgono con volo fremente sulla città:<br />

tosto nevicherà –<br />

buon per colui che ancor oggi – ha patria.<br />

Ora te ne stai irrigidito,<br />

già da un bel pezzo, ahimé!, guardi all'indietro,<br />

perché dinanzi all’inverno, tu pazzo,<br />

sei scappato – nel mondo?<br />

Il mondo – una grande porta<br />

su mille deserti, muta e fredda!<br />

Chi ha perduto<br />

19 Cfr. NF 17[13] 1882 e R.W. Emerson, Versuche, H<strong>anno</strong>ver 1858, p. 16 [BN]. Nietzsche riprende la<br />

citazione quasi alla lettera: pone però alla prima persona il verbo. Su questi temi si veda G. Campioni,<br />

"Wohin man reisen muss". Über Nietzsches Aphorismus 223 aus Vermischte Meinungen und Sprüche, in<br />

"Nietzsche-Studien", Bd. 16, 1987, Berlin, pp. 209-226.<br />

25


quel che tu hai perduto, mai fa sosta.<br />

Ora te ne stai pallido,<br />

con la maledizione di peregrinare in inverno,<br />

simile al fumo,<br />

che sempre cerca cieli più freddi.<br />

Vola uccello, fa’ stridere la tua canzone<br />

con l'accento di un uccello del deserto! –<br />

nascondi, o pazzo,<br />

il tuo cuore sanguinante nel ghiaccio e nello scherno!<br />

Gracchiano le cornacchie<br />

e si volgono con volo fremente sulla città:<br />

tosto nevicherà, guai a colui che non ha patria!».<br />

Risposta<br />

Misericordia!<br />

Lui crede che io bramassi di ritornare<br />

nel caldo tedesco,<br />

nella felicità intanfita delle stanze tedesche!<br />

Amico mio, ciò che qui<br />

m’impedisce e trattiene è il tuo intelletto,<br />

la compassione di te!<br />

la compassione dello storto intelletto tedesco!<br />

[trad. italiana di Giorgio Colli]<br />

Der Freigeist.<br />

Abschied<br />

„Die Krähen schrei’n<br />

Und ziehen schwirren Flugs zur Stadt:<br />

Bald wird es schnei’n —<br />

Wohl dem‚ der jetzt noch — Heimat hat!<br />

Nun stehst du starr‚<br />

Schaust rückwärts ach! wie lange schon!<br />

Was bist du Narr<br />

Vor Winters in die Welt — entflohn?<br />

Die Welt — ein Thor<br />

Zu tausend Wüsten stumm und kalt!<br />

Wer Das verlor‚<br />

Was du verlorst‚ macht nirgends Halt.<br />

Nun stehst du bleich‚<br />

Zur Winter-Wanderschaft verflucht‚<br />

Dem Rauche gleich‚<br />

Der stets nach kältern Himmeln sucht.<br />

26


Flieg’‚ Vogel‚ schnarr’<br />

Dein Lied im Wüsten-Vogel-Ton! —<br />

Versteck’‚ du Narr‚<br />

Dein blutend Herz in Eis und Hohn!<br />

Die Krähen schrei’n<br />

Und ziehen schwirren Flugs zur Stadt:<br />

Bald wird es schnei’n‚<br />

Weh dem‚ der keine Heimat hat!“<br />

Antwort.<br />

Daß Gott erbarm’!<br />

Der meint‚ ich sehnte mich zurück<br />

In’s deutsche Warm‚<br />

In’s dumpfe deutsche Stuben-Glück!<br />

Mein Freund‚ was hier<br />

Mich hemmt und hält ist dein Verstand‚<br />

Mitleid mit dir!<br />

Mitleid mit deutschem Quer-Verstand! 20<br />

In primo luogo, emerge la forte differenza con la caratterizzazione del viandante presente<br />

nell’aforisma finale di Umano troppo umano, in cui l’Aufklärung che deriva dalla “libertà della<br />

ragione” scioglie dai vincoli: il Wanderer «non potrà legare il suo cuore troppo saldamente ad<br />

alcuna cosa particolare: deve esserci in lui stesso qualcosa di errante, che trovi la sua gioia nel<br />

mutamento e nella transitorietà». Se vi sar<strong>anno</strong> cattive nottate e stanchezza, pure prevarrà lo spirito<br />

della “filosofia del mattino”, la serenità legata all’«equilibrio dell’anima mattinale», la felicità della<br />

conoscenza. Il viandante non è il viaggiatore diretto ad una meta finale, che non esiste, ma colui che<br />

sa gioire del “divino imprevisto”, della provvisorietà e fugacità, delle molteplici esperienze offerte<br />

dal cammino (MA 638).<br />

Nel componimento poetico del 1884, la via è invece solo quella del gelo e della solitudine, il<br />

viandante non crede più nei «doni di tutti gli spiriti liberi che abitano sul monte, nel bosco e nella<br />

solitudine», dispera che vi siano altri “spiriti liberi”. La poesia si presenta in forma di dialogo: un<br />

commiato da una parte, la risposta del viandante dall’altra. Nella prima parte: la durezza del<br />

cammino intrapreso («Il mondo – una grande porta /su mille deserti, muta e fredda!», l’essere senza<br />

patria, la solitudine, il deserto…). Lo sguardo di compassione – che è un commiato definitivo –<br />

proviene dallo spirito radicato nella comunità, nella Heimat: «buon per colui che ancor oggi – ha<br />

patria»; «guai a colui che non ha patria!». Ma la risposta dello spirito libero alle parole di congedo è<br />

il deciso rifiuto motivato dalla compassione verso chi se ne rimane «nel caldo tedesco,/ nella felicità<br />

intanfita delle stanze tedesche!». Keine Stubenkultur – si legge in un frammento giovanile (32[73],<br />

1874): lo Stuben-Glück, lo Ofen-Gluck (come si legge in una variante) appartengono del tutto allo<br />

20 NF 28[64] autunno 1884, pp. 329-330. La traduzione italiana, col testo tedesco a fronte, in Ditirambi di<br />

Dioniso e Poesie postume (1882-1888) in F. Nietzsche, Opere VI/4, pp. 140-143. Il componimento poetico si<br />

trova in un quaderno di materiali e abbozzi poetici elaborati per la pubblicazione in una progettata raccolta di<br />

cui restano più piani e titoli. Molti di questi materiali sar<strong>anno</strong> utilizzati da Nietzsche per le successive opere.<br />

I titoli provvisori del componimento poetico nel manoscritto: «Ai solitari», «Dal deserto invernale», «Nel<br />

tardo autunno tedesco», «Compassione a destra e a manca». Le varianti del testo in KGW VII/4/2, pp. 244-<br />

248.<br />

27


Stubengelehrte verso cui Nietzsche ha manifestato, fin dalle Considerazioni inattuali, la sua decisa<br />

ostilità.<br />

Nessuna durezza o solitudine gelata può fare tornare indietro lo spirito libero nella comodità sicura,<br />

nel calore mefitico delle “stanze tedesche”. Uno dei primi titoli per questo componimento<br />

sottolineava proprio questo aspetto: Mitleid hin und her [Compassione a destra e a manca].<br />

Certamente, in primo piano, appare il “vivere risolutamente” 21 , il “vivere pericolosamente” contro<br />

ogni comodità e sicurezza propria dell’istinto gregario.<br />

Le cornacchie gracidano nel gelo: il gelo, simbolo mitico-psicologico di un rifiuto di investimento<br />

affettivo sul mondo, caratterizza nei Lieder romantici il cammino del viandante nella sua solitudine<br />

e nell’abbandono. Basti pensare al ciclo Winterreise di Müller /Schubert – che Nietzsche ha<br />

certamente presente in questo caso – dove torna più volte il tema delle cornacchie:<br />

Ho inciampato su ogni pietra,/ tanto m’affrettavo a scappare dalla città;/le cornacchie mi tiravano<br />

neve e grandine/ sul cappello da ogni casa<br />

[Hab' mich an jeden Stein gestoßen,/ So eilt' ich zu der Stadt hinaus;/ Die Krähen warfen Bäll' und<br />

Schloßen/ Auf meinen Hut von jedem Haus]<br />

(VIII, Rückblick- Sguardo indietro).<br />

Nel quindicesimo Lied (La cornacchia) si trova il tema, ricorrente nel ciclo, della morte come<br />

rifugio: la cornacchia segue il viandante svolazzando sopra il suo capo, attendendo di nutrirsi della<br />

sua spoglia:<br />

«Certo, non durerà ancora a lungo il cammino/ mio e del mio bastone./ Cornacchia, lasciami infine<br />

vedere/ fedeltà fino alla tomba!»<br />

[Nun, es wird nicht weit mehr geh'n / An dem Wanderstabe. /Krähe, laß mich endlich seh'n, / Treue<br />

bis zum Grabe!]<br />

Ma certo, nel ciclo di Müller/Schubert non manca, in più punti, una sorta di deciso eroismo, la<br />

volontà del Resolut zu leben fino alle affermazioni del penultimo Lied [Mut] che trovano echi in<br />

Zarathustra:<br />

Mi vola la neve sul viso,/ la scuoto via./ Se il cuore mi parla nel petto,/ canto chiaro e allegro.// Non<br />

ascolto ciò che mi dice,/ non ho orecchie;/ non voglio sentire i suoi lamenti,/ lamentarsi è da stolti.//<br />

Lieto nel mondo, sempre avanti,/ contro vento e tempesta!/ Se non c'è nessun dio in terra,/ siamo<br />

noi stessi dèi!<br />

[Fliegt der Schnee mir ins Gesicht,/ Schüttl' ich ihn herunter./ Wenn mein Herz im Busen spricht,/<br />

Sing' ich hell und munter.// Höre nicht, was es mir sagt,/ Habe keine Ohren;/ Fühle nicht, was es<br />

mir klagt,/ Klagen ist für Toren.// Lustig in die Welt hinein/Gegen Wind und Wetter!/ Will kein<br />

Gott auf Erden sein,/ Sind wir selber Götter!<br />

Il binomio gelo-nichilismo ritorna – con le cornacchie – nella Genealogia della morale: «qui è<br />

neve, la vita qui è ammutolita; le ultime cornacchie che f<strong>anno</strong> udire qui il loro verso, dicono: “a che<br />

scopo?” “Invano!” “Nada!” – qui non cresce e non fruttifica più niente, al massimo metapolitica<br />

pietroburghese o “compassione” tolstoiana» (GM III, 26).<br />

Nietzsche riecheggia da vicino la caratterizzazione che Bourget fa del nichilismo di Flaubert:<br />

«come lo scheletro del dipinto di Goya solleva la pietra della sua tomba, e con il suo dito bianco<br />

scrive “Nada...– non c’è niente...” 22 : i morti delle civiltà antiche si drizzano davanti agli occhi<br />

21 Nietzsche riprende più volte questa espressione dai versi di Goethe, che aveva sentito recitare da Giuseppe<br />

Mazzini sul Gottardo nel febbraio del 1871. Cfr. la lettera a Franziska ed Elisabeth Nietzsche, del 13<br />

novembre 1871: «Alla fine [Gersdorff] ha ritrovato il verso di Mazzini “e vivere risoluto nell’interezza,<br />

pienezza e bellezza”: era nei canti conviviali di Goethe» (Goethe, Generalbeiche).<br />

22 Francisco José de Goya, Ello dirá Titulo: Nada (1810-14), Museo del Grabado de Goya.<br />

28


evocatori del poeta e gli giurano che uno stesso nulla era al fondo della felicità di allora, che uno<br />

stesso sgomento e una stessa angoscia erano alla fine di ogni sforzo e che, barbaro o civilizzato,<br />

l’uomo non ha mai saputo né ridurre il mondo a misura del suo cuore, né adattare il cuore a misura<br />

dei suoi desideri!» 23 .<br />

Il tema del gelo torna con frequenza nei testi di Nietzsche legato al senso nichilistico: «Tutto è<br />

liscio e pericoloso sul nostro cammino, e intanto il ghiaccio che ancora ci sostiene è diventato così<br />

sottile: noi tutti sentiamo il caldo, sinistro respiro del vento australe — dove noi ancora<br />

camminiamo, ben presto non potrà più camminare alcuno» (NF 25[9]1884). E fino all’ultimo<br />

Nietzsche parla della «verschneite Seele», dell’«anima coperta di neve», «cui fa coraggio il vento<br />

del disgelo» (NF 20[3] autunno 1888]); e in un abbozzo di lettera da Torino (29 novembre 1888) si<br />

legge: «vengo da mille abissi, su cui non ha mai osato affacciarsi nessuno sguardo, conosco altezze<br />

dove nessun uccello ha mai volato, ho vissuto sul ghiaccio – sono stato bruciato da mille nevi: mi<br />

sembra che caldo e freddo nella mia bocca siano un’altra cosa». Nel frammento 16[32] della<br />

primavera-estate 1888, Nietzsche giustifica come necessaria la lunga esperienza del «pellegrinare<br />

per ghiacci e deserti», in quanto «ogni conquista della conoscenza consegue dal coraggio, dalla<br />

durezza verso se stessi». La “filosofia sperimentale” ha in sé «le possibilità del nichilismo<br />

sistematico», anche se tale aspro cammino vuole giungere all’affermazione dionisiaca. La realizzata<br />

Umwertung, con la pubblicazione de L’anticristo, comporta l’essere giunti come Iperborei «al di là<br />

del Nord, dei ghiacci, della morte», aver trovato «la nostra vita, la nostra felicità» «l’uscita da interi<br />

millenni di labirinto» 24 .<br />

La metafora del ghiaccio ricorre nell’Ottocento ad indicare l’incrinatura che si apre anche nei<br />

momenti di massima efficacia ed espansione delle filosofie del progresso. Per la cultura francese a<br />

cui Nietzsche fa riferimento si può menzionare una traccia continua che va dalla futura «âge<br />

glacée» di Le Peuple di Michelet, alla notte eterna popolata dalla «procession funèbre» dei pianeti<br />

spenti, «cadavres sideraux» di L’éternité par les astres di Blanqui, al ghiaccio come manifestazione<br />

fisica della morte delle civiltà in Renan, fino a quel curioso opuscolo di Gabriel Tarde (Fragments<br />

d’histoire future, 1896) dove il progressivo raffreddarsi della crosta terrestre per una “anemia<br />

solare”, costringe i pochi sopravvissuti guidati da un salvatore – un Milziade che non ha disperato<br />

dell’Umanità – a ricercare nelle viscere del pianeta il calore necessario alla sopravvivenza.<br />

Gelo e nichilismo: Nietzsche è dolorosamente colpito dall’accusa da parte wagneriana (il<br />

musicologo Schuré) di «nihilisme ecœurante» per le sue nuove posizioni filosofiche dopo la<br />

pubblicazione di Umano, troppo umano. Nichilismo e malattia sono i termini usati da Wagner e<br />

dalla sua cerchia per esorcizzare il senso della scelta operata dal filosofo di pulizia razionale, nella<br />

direzione dello spirito libero. Emancipatosi dalla soffocante tirannia del wagnerismo, Nietzsche per<br />

la prima volta fa suo il termine “nichilismo”, quasi in risposta alle dolorose critiche: «In che misura<br />

ogni orizzonte intellettuale più limpido appare come nichilismo» (NF 12[57] autunno 1881). Il<br />

nichilismo si lega alla ricerca di orizzonti intellettuali aperti, allo sperimentare del viandante, alla<br />

durezza del suo cammino solitario 25 .<br />

Nella prefazione del 1886 ad Umano, troppo umano, la durezza iniziale si lega all’«evento decisivo<br />

di una grande separazione», che interviene improvviso, come uno scoppio di energia per lo spirito<br />

saldamente legato (e tanto più è legato quanto più è di «specie alta ed eletta») dai nobili doveri. Il<br />

23 Paul Bourget, Décadence. Saggi di psicologia contemporanea, ediz. italiana a cura di Francesca M<strong>anno</strong>, p.<br />

87.<br />

24 AC, 1. L’immagine degli Iperborei, con riferimento a Pindaro (Pitiche, X, 29-30), si trova già nel<br />

frammento 5[46] del 1886, e nei frammenti 15[118] e 20[71] (in versi) del 1888.<br />

25 Significativa, a tal proposito, la riflessione presente nel frammento 9[123] dell’autunno 1887: «Per la<br />

genesi del nichilista. Solo tardi si ha il coraggio di ciò che propriamente si sa. Che io sia stato finora un<br />

nichilista radicale, me lo son detto solo da poco: l'energia, la nonchalance con cui da nichilista andavo<br />

avanti, mi ingannava su questo fatto fondamentale. Quando si va incontro a uno scopo, sembra impossibile<br />

che “la mancanza di scopo in sé” sia il nostro principale articolo di fede».<br />

29


sentirsi a casa nel calore della comunità rafforzata dal costume e dalla buona coscienza: tutto quello<br />

che la “giovane anima” aveva per sé, viene lasciato con sofferenza.<br />

“Piuttosto morire che vivere qui”, così parla la voce imperiosa della seduzione: e questo “qui”,<br />

questo “a casa” è tutto ciò che fino ad allora la giovane anima aveva amato! Un subitaneo orrore e<br />

sospetto verso ciò che amava, un lampo di disprezzo verso ciò che per essa significava “dovere”,<br />

una smania ribelle, capricciosa, vulcanicamente impetuosa, di peregrinare, espatriare, estraniarsi,<br />

raffreddarsi, disincantarsi, gelarsi, un odio per l’amore, forse uno sguardo e un gesto sacrileghi<br />

all'indietro, là dove aveva finora pregato e amato, forse un rossore di vergogna per ciò che ha<br />

appena fatto, e nello stesso tempo un'esultanza per averlo fatto, un ebbro, profondo, esultante<br />

brivido, in cui si rivela una vittoria – una vittoria? su che? su chi? una vittoria enigmatica, piena di<br />

interrogativi, problematica, ma comunque la prima vittoria: – simili cose tristi e dolorose<br />

appartengono alla storia della grande separazione (MA, Prefazione 3).<br />

«Peregrinare, espatriare, estraniarsi, raffreddarsi, disincantarsi, gelarsi». La “libertà dello spirito”<br />

non si presenta come facile e gaia leggerezza e caduta improvvisa di pesi: presuppone per lungo<br />

tempo un “morboso isolamento” di chi si distacca dalle certezze incorporate, diventate istinti,<br />

diventate morale: l’«essere sempre in cammino, inquieto e senza meta come in un deserto», con<br />

pensieri ed esperimenti inquietanti, pericolosi, che «lo seducono e lo conducono sempre più<br />

lontano, sempre più lontano. La solitudine lo circonda e lo stringe, sempre più minacciosa,<br />

soffocante, attanagliante quella terribile dea, e mater saeva cupidinum - ma chi sa oggi che cosa sia<br />

la solitudine?» (MA, Prefazione 3).<br />

Nietzsche cita qui Orazio (Carmina liber I 19): significativamente, e in modo ambiguo, la solitudine<br />

si identifica per il filosofo con «Venere, terribile, cruda madre degli amori».<br />

La figura del Wanderer, l’“ombra di Zarathustra”, il “buon Europeo” della quarta parte dello<br />

Zarathustra fa parte degli “uomini superiori”, che non si rassegnano, disperano, esprimono<br />

sofferenza e disagio e si oppongono al processo di Verkleinerung: «in verità, io vi amo, uomini<br />

superiori, perché oggi non sapete vivere! Così, infatti, voi, vivete – nel modo migliore!» (Za IV,<br />

Dell’uomo superiore 3). Sono figure della decadenza che sperimentano con pericolo nuove forme di<br />

vita, gli estremi prodotti di un'epoca di transizione, ancora incapaci di signoreggiare e ordinare i<br />

molti istinti contraddittori di cui sono costituiti come figli della modernità. La figura dell' ombra,<br />

«viandante sempre in cammino ma senza una meta», la cui irrequietezza infrange ogni cosa<br />

venerata («nulla è vero, tutto è permesso») 26 e rovescia «le pietre di confine», per stanchezza, al<br />

termine di un faticoso percorso sperimentale, può cercare alla sera il primo punto di riposo<br />

rimanendo prigioniero di «una fede ristretta, di una severa e dura illusione» (Za IV, L’ombra). Sono<br />

anche figure delle stazioni di Nietzsche: nel percorso dello spirito libero tracciato mirabilmente<br />

nella Prefazione a Umano, troppo umano, prima di arrivare alla pienezza di energia della grande<br />

salute, rimane «il pericolo che lo spirito si perda e per così dire si innamori delle sue stesse vie e<br />

resti fisso, inebriato, in un punto qualsiasi» (MA Prefazione 4). Oppure sogna la Heimat, il suo<br />

calore, la impossibile regressione. Nietzsche comprende come la debolezza del romanticismo non<br />

sia capace di fare a meno del dio cristiano, comunque trasfigurato e trasmutato, e vede presenti e<br />

forti “les nostalgies de la croix” (GM II, 7). Necessarie la terapia antiromantica e il gelo: le chiare<br />

affermazioni di Ecce homo esprimono la coerenza di un atteggiamento teorizzato a partire da<br />

Umano, troppo umano dove, accanto al «genio» e al «santo», congela «l'eroe».<br />

È la guerra, ma una guerra senza polvere da sparo e senza fumo, senza pose guerresche, senza<br />

pathos né membra contorte; tutto questo sarebbe ancora “idealismo”. Un errore dopo l’altro viene<br />

tranquillamente messo sul ghiaccio, l’ideale non viene confutato, congela (EH, MA 1).<br />

26 Za IV, L’ombra. Il motto dell'ordine degli Assassini («quell’ordine di spiriti liberi par excellence»,<br />

GM III, 24) compare accanto agli appunti per la figura dell'uomo superiore (primavera 1884). Cfr. almeno:<br />

NF 25 [304],[322] 1884.<br />

30


La solitudine di Zarathustra, la sua distanza dalla grande città, è una scelta per il «gelo della<br />

conoscenza» contro il calore del piccolo uomo e delle sue menzogne, un volontario esercizio di<br />

autodisciplina che segna il «cammino del creatore». A partire da Umano troppo umano la solitudine<br />

diviene per Nietzsche necessaria per l’esercizio della critica, contro l’attività macchinale della<br />

professione e del ruolo sociale e la bugiarderia dell’idealismo che questi producono come narcotico.<br />

La «fortezza» di Nietzsche è presupposto di un «contromovimento» rispetto al moderno e il suo<br />

atteggiamento si definisce e si precisa nel confrontarsi a fondo con le antitetiche espressioni della<br />

città, della décadence. E se il percorso di Nietzsche può precisare il suo senso solo nello sfondo<br />

storico, la dissezione dei fenomeni del moderno serve a illuminarne il significato.<br />

Il tema del “gelo” è mirabilmente recuperato, in senso diverso, da Musil e da Mann. In Musil il gelo<br />

intellettualistico, che smonta analiticamente le macchine che sostengono l’immediatezza<br />

dell’effetto, appartiene al «tipo cerebrale dell’avvenire», alla crudeltà dell’esperimento<br />

(caratterizzato col termine nietzscheano di «vivisezione»), alla morale matematica. Ed anche Mann,<br />

nel Doctor Faustus – il romanzo di Nietzsche, il “suo Parsifal” come “romanzo della fine” ed<br />

estrema “radicale confessione” – nel suo sofferto fare i conti col romanticismo wagneriano,<br />

sottolinea il gelo che circonda Leverkuhn; il suo duro ascetismo è pur lontano dalla barbara, cattiva<br />

socialità che lo circonda e che marcia, corre verso la catastrofe.<br />

La salvezza per Mann sta nell’ascetico operare quotidiano, nella metodica costruzione in cui<br />

l’artista/artigiano perde la vita, si inaridisce (il gelo dell’artista sta nella costruzione dell’arte come<br />

sostituto della vita fino al pericolo della “gelida misantropia”)— ostile comunque, fin dall’inizio<br />

alla “teatralità”, alla messa in scena, all’estetismo facile legato al culto dell’immediatezza,<br />

«l’estetismo della scelleratezza e del Rinascimento, quel culto isterico della forza, della bellezza e<br />

della vita di cui si compiacque per un certo tempo una certa poesia» 27 . Oppure basti ricordare il<br />

sarcasmo, nel Lesedrama Fiorenza, con cui Mann investe l’«egregia masnada di artisti, quella beata<br />

compagnia di parassiti e attaccabrighe, di spacconi e di buffoni, geniali, sensuali e arcibalordi, la cui<br />

morale irresponsabilità allegramente incespica fra le sale e le aiuole di Careggi» 28 . E, a proposito di<br />

Nietzsche, la storia del suo «evolversi spirituale» è quella di chi – anche attraverso la malattia – «è<br />

proiettato, per così dire, in alto, fuor di una sfera di splendida normalità, nelle sfere gelide e<br />

grottesche di una conoscenza che uccide, di una moralità che isola...» 29 .<br />

Gelo e nichilismo: il componimento del 1884 ha attirato più volte l’attenzione di Gottfried Benn,<br />

colpito in particolare dai versi «Chi ha perduto/ quel che tu hai perduto, mai fa sosta». Benn sfiora il<br />

tema in un saggio del 1930, vedendovi il distacco dai “presupposti sociali”, in quanto Nietzsche,<br />

come il suo Eraclito, era “fra gli uomini, come uomo, impossibile” nella volontà di “chiamare dal<br />

profondo, da una profondità antica e primitiva” un’esperienza primordiale e originaria, «un’oscura<br />

forma e incrollabile. Le cornacchie sono il suo grande animale: “Gracchiano e si volgono con volo<br />

fremente sulla città: tosto nevicherà, guai a colui che non ha patria!”» 30 .<br />

Nella lettera a Oelze del 16 settembre 1935, Benn torna sul componimento chiedendosi: «che cosa<br />

intendeva veramente N. con i versi: “Chi ha perduto quel che io ho perduto/, più non posa in alcun<br />

luogo”. Che cosa aveva perduto? Che mai può essere ciò di cui risentì a tal segno la perdita? Me lo<br />

sono spesso chiesto. Ho soltanto una risposta: forse, il riconoscere che ogni comunità è impossibile.<br />

E magari, in aggiunta: il riconoscere specialmente che i popoli non h<strong>anno</strong> alcun bisogno dei loro<br />

27 Thomas Mann, Considerazioni di un impolitico, a cura di Mariano Marianelli e Marlis Ingenmey, Adelphi,<br />

Milano 1997, p. 46. L’ammirazione della forza e della “bella brutalità” della vita, del Rinascimento italiano<br />

come epoca “fumigante di sangue e bellezza”, caratterizza, per Mann, i circoli culturali pre-nazisti e viene<br />

messa in caricatura nel Doctor Faustus.<br />

28 Ivi, pp. 110-11.<br />

29 Thomas Mann, Dostoevskij – con misura, in Nobiltà dello spirito e altri saggi, a cura di Andrea Landolfi,<br />

Mondadori, Milano 1997, p. 868.<br />

30 Gottfried Benn, Problematica della poesia, in Lo smalto sul nulla, a cura di Luciano Zagari, Milano,<br />

Adelphi 1992, p. 44.<br />

31


grandi uomini. E dunque neppure di lui. Assai più h<strong>anno</strong> bisogno dei loro uomini mediocri. I grandi<br />

sono soltanto ridicoli. Appendice della vita?» 31 . Benn sembra qui proiettare in Nietzsche, suo<br />

modello mitico, le sue scelte legate alle delusioni politiche: significativamente assolutizza la prima<br />

parte del componimento e mette in prima persona («quel che io ho perduto») le affermazioni che<br />

appartengono al commiato dello spirito vincolato («quel che tu hai perduto»). Nel saggio<br />

Pessimismo, scritto nel 1943, ripropone questa interpretazione: «la supposizione della perdita di<br />

ogni fede nella collettività» legata, secondo l’interpretazione “germanica” di Benn, alla biologia,<br />

alla razza, alla “bestia bionda”. Tale perdita di fede è talmente traumatica da essere forse la causa,<br />

per Benn, del “crollo” della «caduta nel decennale nirvana della degenza in un letto» 32 . Ma è<br />

soprattutto nel saggio del 1950, Nietzsche cinquant’anni dopo, che Benn giungerà all’affermazione<br />

radicale del pieno nichilismo presente nei versi del filosofo che ha inaugurato “il quarto uomo”<br />

«senza contenuto morale e filosofico che vive per i principi della forma e dell’espressione. È un<br />

errore ritenere che l'uomo abbia ancora un contenuto o debba averne uno. […] Non esiste anzi più<br />

affatto l'uomo, esistono ancora solo i suoi sintomi. Il verso di Nietzsche: “Chi ha perduto ciò che tu<br />

hai perduto non si arresta in nessun luogo” non può essere interpretato se non in questo senso, egli<br />

ha perduto il contenuto – solo così possiamo giungere a una spiegazione adeguata per questo verso<br />

enigmatico» 33 .<br />

Benn assolutizza dunque la prima parte del componimento, il commiato, non facendo mai<br />

riferimento alla risposta dello spirito libero. La sofferenza e la durezza del cammino non<br />

significano affatto il voler ritornare al calore intanfito della Germania, della vecchia, rassicurante<br />

Europa con la sua morale consolidata. Il viandante-ombra di Zarathustra è anzi definito anche il<br />

“buon Europeo” contro il cattivo Europeo della vecchia Europa; il buon francese della “Francia del<br />

gusto” (contro il riconoscimento e rispecchiamento nazionale e popolare in un vate come Victor<br />

Hugo) ha dalla sua l’essere ibrido e mediatore, raffinato psicologo e prossimo alla decadenza,<br />

mediatore tra il nord e il sud (JGB 254); il buon tedesco è colui che supera (über), che va al di là del<br />

germanesimo, si “sgermanizza”. Goethe è buon tedesco e buon Europeo: non solo supera<br />

l’elemento nazionale ma sperimenta e alla fine acquista uno sguardo sovraeuropeo, orientale,<br />

sovraorientale del tutto nuovo. L’uomo di Goethe come espressione compiuta del dionisiaco è tutto<br />

questo.<br />

Ma ancor più, se il dialogo del componimento poetico del 1884 mette in scena lo spirito libero<br />

contro lo spirito vincolato, chiuso nello Stuben, tipicamente tedesco, questo è il senso del duro<br />

confronto con Rohde, una distanza del tutto consumata e venuta alla luce a proposito del significato<br />

del tutto provenzale della Gaia scienza, espressione di un civiltà superiore, capace di coniugare la<br />

raffinatezza arabo-moresca con la cultura neoromanza 34 . Cercando le origini culturali dell’Europa,<br />

Nietzsche ha incontrato una civiltà complessa, ibrida, sovranazionale, cortese e felice, affermatrice,<br />

brutalmente soffocata in germe: una possibilità superiore distrutta dalla violenza. Occorre di nuovo<br />

allontanarsi dalla vecchia Europa uniforme (al di là delle piccole politiche nazionali che pretendono<br />

di essere “grande politica”) e dalla sua morale pretesa egemone, si deve divenire viandanti e spiriti<br />

liberi:<br />

31 Gottfried Benn, Lettere a Oelze. 1932-1945; ediz. ital. a cura di Amelia Valtolina, Milano, Adelphi 2006,<br />

p. 49.<br />

32 Gottfried Benn, Pessimismo in Lo smalto sul nulla, cit., p. 243.<br />

33 Gottfried Benn, Nietzsche cinquant’anni dopo in Lo smalto sul nulla, cit., pp. 264-65. Benn conferma<br />

questo senso nichilistico dei versi in un saggio del 1952: si veda su questo il bel volume di Marco Meli,<br />

Olimpo dell’apparenza. La ricezione del pensiero di Nietzsche nell’opera di Gottfried Benn, Ets, Pisa 2006,<br />

pp. 262-63.<br />

34 Sul significato del confronto di Nietzsche con Erwin Rohde e sul tema della gaya scienza provenzale si<br />

veda: G. Campioni, "Gaya scienza" und "gai saber" in Nietzsches Philosophie in: Letture della "Gaia<br />

scienza" – Lectures du "Gai savoir" (a cura di G. Campioni. Ch. Piazzesi, P. Wotling), Pisa, ETS 2010, pp.<br />

15-37.<br />

32


Perché la nostra moralità europea possa essere osservata da lontano, per commisurarla ad altre<br />

moralità anteriori o di là da venire, si deve fare come il viandante che vuol sapere quanto sono alte<br />

le torri di una città: egli abbandona la città per questo. […] Si tratta, per lo spirito libero, di praticare<br />

“una libertà da tutta l'“Europa”, la vecchia Europa, intesa questa come una somma di imperanti<br />

giudizi di valore, trapassati in noi fino a divenire carne e sangue” (FW 380).<br />

Della Gaia scienza Rohde non ha capito neppure il titolo né, tantomeno, la proposta di nuova<br />

civiltà e nuovi valori che vi è contenuta: nella sua lettera si compiace per lo stato di migliorata<br />

salute dell’amico solitario e sofferente mentre afferma: «questa gaia scienza non vuole ancora<br />

apparirmi una scienza, ma ora diventa davvero più libera e più gaia».<br />

Da una parte, la compassione del dotto tedesco – vecchio amico allontanatosi e ormai chiuso<br />

nell’intanfito calore della sua stanza di studio – verso il nomade sofferente senza patria, che ricerca<br />

e sperimenta nel gelo e nel deserto e, di contro, la “compassione” dello spirito libero per il dotto<br />

tedesco, per il suo “storto intelletto tedesco”, per la sua miseria.<br />

Scrive Nietzsche in un appunto per la prefazione alla nuova edizione della Gaia scienza: «A<br />

prescindere da alcuni dotti, la cui vanità venne urtata dalla parola “scienza” (mi fecero intendere<br />

che si trattava forse di qualcosa di “gaio”, ma certo non di “scienza”), tutti presero questo libro<br />

come un ritorno a “tutti”, e in grazia sua si mostrarono concilianti e affettuosi nei miei confronti»<br />

(NF 2[156] autunno 1885-autunno 1886).<br />

Quello che Nietzsche non intende e non vuole è un ritornare indietro, “a tutti”, e ritrovarsi nel calore<br />

malato delle stanze tedesche. E il tema della sofferenza e della solitudine, del loro significato, la<br />

forza di liberazione del “grande dolore” che porta a porre domande «più profonde, più rigorose, più<br />

dure, più cattive, più silenziose», ad una crisi di fiducia nella vita che significa anche un diverso<br />

modo di amare ed anche “una nuova felicità”, percorre l’intera Prefazione della Gaia scienza.<br />

«Grande liberatore», per il filosofo, è il pensiero che «la vita potrebbe essere un esperimento di chi<br />

è volto alla conoscenza», afferma. E nelle lettere, nei frammenti e negli aforismi di questo periodo<br />

torna più volte l’esclamazione «che importa di me!», a sanzionare un destino legato a un compito<br />

imperioso, dettato dall’inesorabile «tir<strong>anno</strong> che è in noi».<br />

Giuliano Campioni<br />

33


4. VERSO IL SUD<br />

Nello Zarathustra si legge :<br />

«mi sono spuntate le ali per volare via verso remoti tempi futuri. In termpi futuri ancor più lontani,<br />

in meridioni ancora più meridionali,[ in Sud più a Sud – In südlichere Süden] di quanto non abbia<br />

mai potuto sognare un artista: là dove gli dei si vergognano delle vesti»<br />

Il Sud – cifra simbolica complessa. Visione del futuro, legata alla possibilità dell’altro uomo,<br />

dell’altra superiore forma di vita, legata al simbolo del superuomo.<br />

La perfezione animale, legata alla solarità e al mito del Sud, è solo la inziale premessa. Nietzsche<br />

insiste più volte sulla ‘divinizzazione del corpo’ segnata dal nome di Dioniso, l’estensione della<br />

felicità che è la cifra distintiva del Sud: “Riscoprire in sé il Sud e tendere sopra di sé un chiaro,<br />

splendido, misterioso cielo del Sud; riconquistare la salute meridionale e la riposta potenza<br />

dell’anima”. Non è casuale che nello stesso frammento, il filosofo leghi l’equilibrio fisiologico e la<br />

felicità animale alla possibilità di diventare gradualmente “più vasti, più sovranazionali, più<br />

europei, più sovraeuropei, più orientali, infine più greci” (41[6] e [7] agosto settembre 1885). Il<br />

greco come l’uomo del Rinascimento è una cifra ideale di una umanità più chiara e affermatrice, di<br />

un’anima più vasta.<br />

agosto settembre 1885<br />

41 [6] Alle gioie umane più alte e insigni, in cui l'esistenza celebra la propria trasfigurazione,<br />

pervengono, come è giusto, solo gli esseri più rari e meglio riusciti; e anche questi solo dopo aver<br />

vissuto, essi stessi e i loro predecessori, una lunga vita preparatoria indirizzata a tal fine, e senza<br />

neanche la coscienza di codesto fine. In tal caso una strabocchevole ricchezza delle forze più<br />

disparate e insieme la più agile potenza di un «volere libero» e di un disporre sovrano abitano in un<br />

uomo amorevolmente l'una accanto all'altra; lo spirito è allora altrettanto a suo agio e familiare con i<br />

sensi, quanto i sensi io sono con lo spirito; e qualunque cosa accada in quest'ultimo, non può non<br />

suscitare anche in quelli una ricreazione e una felicità sottili e straordinarie. E lo stesso<br />

inversamente! Si rifletta su questa inversione a proposito di Hafis; anche Goethe, per quanto già con<br />

un’immagine indebolita, dà un presentimento di questo fatto. È probabile che in tali uomini perfetti<br />

e felici le funzioni più sensibili finiscano con l'essere trasfigurate da un'ebbrezza allegorizzante<br />

della più alta spiritualità. Essi avvertono in sé una specie di divinizzazione del corpo e sono<br />

remotissimi dalla filosofia da asceti della frase: «Dio è uno spirito», dalla quale risulta chiaramente<br />

che l'asceta è «l'uomo mairiuscito», che approva di sé - e chiama «Dio» - solo una parte, e<br />

precisamente la parte giudicante e condannante. Da quell'altezza di gioia in cui l'uomo sente se<br />

stesso, e se stesso in tutto e per tutto come una forma divinizzata e un'autogiustificazione della<br />

natura, giù giù fino alla gioia dei contadini sani e dei sani animali quasi umani: tutta questa lunga,<br />

prodigiosa scala di luci e di colori della felicità, il Greco la chiamò, non senza il brivido<br />

riconoscente di colui che è iniziato a un mistero, non senza molta cautela e religiosa riservatezza,<br />

con il nome di un dio: Dioniso. – Cosa s<strong>anno</strong> mai tutti i moderni, figli di madri fragili, molteplici,<br />

malate e stravaganti, dell'estensione della felicità greca, cosa potrebbero saperne! Da dove<br />

attingerebbero mai gli schiavi delle «idee moderne» il diritto di celebrare feste dionisiache?<br />

41 [7] Quando «fiorivano» il corpo greco e l'anima greca, e senza gli stati di morbosa esaltazione e<br />

follia, sorse quel misterioso simbolo della più alta affermazione del mondo e trasfigurazione<br />

34


dell'esistenza che si siano mai raggiunte sulla terra. E dato qui un metro, commisurato al quale tutto<br />

ciò che da allora è cresciuto risulta troppo corto, troppo povero, troppo stretto; basta pronunciare la<br />

parola «Dioniso» di fronte alle migliori cose e ai migliori nomi moderni, di fronte a Goethe,<br />

diciamo, o Beethoven, o Shakespeare, o Raffaello: e di colpo sentiamo giudicati le nostre cose e i<br />

nostri momenti migliori. Dioniso è un giudice! Mi si è compreso? Non c'è dubbio che i Greci<br />

abbiano cercato di interpretare per sé, in base alle loro esperienze dionisiache, i misteri ultimi «del<br />

destino dell'anima» e tutto ciò che sapevano sull'educazione e il raffinamento, e soprattutto<br />

sull'immutabile gerarchia e disuguaglianza di valore tra uomo e uomo: ecco la grande profondità, il<br />

grande silenzio riguardo a tutto ciò che è greco - non si conoscer<strong>anno</strong> i Greci finché quel nascosto<br />

accesso sotterraneo rimarrà sepolto. Gli indiscreti occhi eruditi non vedr<strong>anno</strong> mai nulla in queste<br />

cose, per quanta dottrina s'impieghi al servizio di quegli scavi; perfino il nobile zelo di appassionati<br />

del- l'antichità come Goethe e Winckelmann ha proprio qui qualcosa di illecito, di quasi immodesto.<br />

Aspettare e prepararsi; aspettare lo zampillare di nuove sorgenti, prepararsi nella solitudine a voci e<br />

volti estranei; lavare la propria anima e renderla sempre più pura dalla polvere e dal chiasso da fiera<br />

di quest'epoca; superare ogni cosa cristiana con qualcosa di sovracristiano, e non solo liberarsene -<br />

perché la dottrina cristiana fu la controdottrina che negava quella dionisiaca; riscoprire in sé il Sud e<br />

tendere sopra di sé un chiaro, splendido, misterioso cielo del Sud; riconquistare la salute<br />

meridionale e la riposta potenza dell'anima; diventare gradualmente più vasti, più sovranazionali,<br />

più europei, più sovreuropei, più orientali, infine più greci - giacché la grecità fu la prima grande<br />

unificazione e sintesi di tutto il mondo orientale e appunto perciò l'inizio dell'anima europea, la<br />

scoperta del nostro «mondo nuovo»: - per chi vive sotto tali imperativi, chissàcosa potrà mai<br />

capitargli un giorno? Forse appunto un nuovo giorno!<br />

35


5.<br />

CRITICA DELL’IDEALISMO WAGNERIANO: il caso Malwida<br />

La radicalità e il sarcasmo impietoso della critica de Il caso Wagner colpisce – come Nietzsche<br />

avverte – coloro che, di aperta fede wagneriana, avevano conservato un rapporto amichevole o una<br />

costretta vicinanza con lui:<br />

Ho causato un terribile spavento anche tra i conoscenti e le persone a me più vicine. Come ad<br />

esempio il mio vecchio amico Barone von Seydlitz a Monaco, che sfortunatamente in questo<br />

momento è presidente della Società wagneriana di quella città; il mio ancor più vecchio amico<br />

consigliere di giustizia Krug a Colonia, presidente della locale Società wagneriana; mio cognato Dr.<br />

Bernard Förster in Sudamerica, non sconosciuto antisemita, uno dei più zelanti collaboratori dei<br />

«Bayreuther Blätter»; la mia venerabile amica Malwida von Meysenbug, autrice di Memorie di una<br />

idealista, che continua a scambiare Wagner per Michelangelo…( Lettera a Georg Brandes del 20<br />

ottobre 1888 (Epist. V, p. 771)<br />

Malwida von Meysenbug (1816-1903), una delle più costanti interlocutrici di Nietzsche, conosciuto<br />

nel maggio 1872 in occasione della prima posa del testro wagneriano. Baronessa, figlia di C.L.<br />

Rivalier, funzionario governativo dell’Assia elettorale, di origine ugonotta. A partire dal 1843<br />

Malwida si staccò dalla famiglia, proponendosi di contribuire alla lotta per l’emancipazione della<br />

donna e battendosi per il diritto delle donne all’educazione. Fu attiva nei movimenti democratici del<br />

1848 in Germania. Nel 1850 entrò nell’accademia femminile di Karl Fröbel ad Amburgo, dove si<br />

impegnò nel lavoro sociale e nell’assistenza ai poveri. Quando quell’istituzione venne chiusa in<br />

seguito a un’ondata di repressione, per sfuggire alla polizia emigrò a Londra, dove si guadagnò da<br />

vivere con lezioni e traduzioni. Qui conobbe anche il pubblicista rivoluzionario russo Aleksandr<br />

Herzen (di cui tradusse le Memorie in tedesco), e si prese cura dei suoi tre figli rimasti orfani di<br />

madre, Aleksandr, Natalie e Olga. Intima dei Wagner, fu testimone di nozze al loro matrimonio e<br />

seguì sempre fedelmente la causa wagneriana. Dal 1877 risiedette stabilmente a Roma. Autrice di<br />

una vasta pubblicistica e di numerose traduzioni, è nota soprattutto per la sua autobiografia:<br />

Memorie di una idealista (1869 e 1876).<br />

Con la Nascita della tragedia e con le Inattuali Nietzsche era apparso a Malwida il portavoce più<br />

nobile e geniale di quell’eroismo idealistico che doveva trovare il suo esito migliore nel compito di<br />

“educatore” all’ombra della metafisica dell’arte e del genio wagneriano. Comune, inoltre,<br />

l’apprensione per le incerte sorti del teatro nazionale di Bayreuth, fortemente circonfuso, da parte di<br />

entrambi, di idealità:<br />

Estati future di Bayreuth. Riunione di tutti gli uomini realmente vivi: gli artisti presentano la loro<br />

arte, gli scrittori leggono le loro opere, i riformatori espongono le loro idee nuove. Dovrà trattarsi di<br />

un bagno generale delle anime: laggiù si risveglierà il nuovo genio, si schiuderà un regno dei veri<br />

valori (Frammento 12[4], estate-fine settembre 1875).<br />

Così scrive Nietzsche in un appunto per la Considerazione inattuale dedicata a Wagner.<br />

Già negli appunti del 1874 Nietzsche è approdato alla consapevolezza su Wagner, sui pericoli della<br />

“teatrocrazia” tirannica e delle visioni mitiche, sul proprio oscuramento romantico: e il Festival<br />

inaugurale del 1876, che il filosofo abbandona a metà, diventa per lui il momento simbolico di un<br />

distacco irreversibile. Al contrario, la fedele Malwida ne esce edificata ed estasiata: in Der<br />

Lebensabend einer Idealistin ella ricorda come, alla fine delle rappresentazioni di Bayreuth, nel<br />

banchetto di commiato, dopo il discorso di Wagner (che terminava con l’affermazione: “Avremo<br />

un’arte tedesca”) prendesse la parola Liszt: “Egli dichiara che, nello stesso modo in cui si inchinava<br />

36


davanti a Dante e a Michelangelo, ora si inchinava davanti al genio la cui opera si era a noi<br />

manifestata” 35 . Questa enfasi, che Malwida farà propria nel contrasto finale con Nietzsche,<br />

corrispondeva alle affermazioni di Wagner sul proprio ruolo “rigeneratore”. Wagner, che dalla sua<br />

avversione nei confronti delle figure del Rinascimento neolatino salvava solo Michelangelo –<br />

soprattutto dopo la lettura de La Renaissance di Gobineau fatta nel novembre del 1880– era<br />

commosso dalla figura di Michelangelo, che trovava simile a sé per l’“eccessiva violenza nel suo<br />

temperamento, unita a una grande energia”. Come l’artista rinascimentale, egli sente di lottare con<br />

la forza ideale dell’arte contro una società corrotta: “Sono il plenipotenziario della decadenza” –<br />

afferma, e anche le figure di Michelangelo portano “il doloroso peso della décadence” 36 . Wagner<br />

condivide la stessa sorte di Michelangelo, la grande figura che sovrasta l’epoca, a cui si oppone con<br />

tutta la sua energia senza poterne arrestare la decadenza.<br />

Le Memorie testimoniano come l’idealismo morale trascinasse, in un primo periodo, Malwida per<br />

l’Europa in un forte impegno pratico e sociale, nella diretta partecipazione alla lotta nei movimenti<br />

democratici del 1848 in Germania e in una decisa azione per l’emancipazione femminile, nella<br />

vicinanza e amicizia di personaggi quali Giuseppe Mazzini e di rivoluzionari quali Aleksandr<br />

Herzen: con le dure conseguenze dell’esilio e della rottura con la famiglia di provenienza. Con<br />

questo spirito Malwida si era rivolta al Wagner “rivoluzionario” nel loro primo incontro, dopo che<br />

aveva indirizzato al musicista “lettere entusiastiche” su L’opera d’arte dell’avvenire.<br />

Ma già al secondo incontro Malwida si mostrava conquistata al nuovo corso wagneriano, dando un<br />

nuovo sostrato – aristocratico, pessimistico e misticheggiante – al suo “idealismo”. “Avevo trovato<br />

l’artista i cui sforzi realizzavano per me un nuovo ideale e mi confermavano nella convinzione che<br />

il regno dell’ideale esiste solo nell’arte”, si legge nelle ultime pagine delle Memorie di una Malwida<br />

fiduciosa ormai solo in una Germania ideale a cui “un genio tedesco” indicava la via. Aveva<br />

termine la parte “pubblica” della sua vita: la storia personale sembrava ora annullarsi, perdere la<br />

propria individualità e il proprio senso, nel momento in cui il genio aveva porto “la chiave del<br />

mistero della vita” 37 . L’idealismo diventava essenzialmente, più che spinta al mutamento,<br />

trasfigurazione superiore della vita. Perciò, ancora nei suoi tardi appunti, Malwida potrà scrivere:<br />

“Il più grande dolore, è l’assenza dell’ideale” 38 .<br />

Il Nietzsche della lotta contro l’attualità si trovò edificato, nella primavera del 1876, dalla lettura<br />

delle Memorie di una idealista, aderendo a quell’idealismo eroico originario dai risvolti concreti<br />

che impronta tutti e tre i volumi. Nelle sue lettere da Ginevra, egli si pronuncia decisamente contro<br />

lo scetticismo e la debolezza. L’“idealista” Malwida, col suo libro da poco uscito, secondo le<br />

dichiarazioni dello stesso Nietzsche, ha una parte decisiva nel recupero temporaneo e particolare del<br />

filosofo agli ideali di Bayreuth, che comunque devono essere profondamente riformati. Il libro<br />

viene letto e consigliato agli amici: agisce profondamente da stimolo verso l’autodeterminazione e<br />

la conseguente “guarigione” (“ero malato e dubitavo delle mie forze e delle mie mete”) 39 . Il tema<br />

centrale del rimanere fedeli a se stessi si rafforza: è l’inizio del tirocinio dello “spirito libero”, nella<br />

consapevolezza della durezza di un proprio cammino da conquistare.<br />

A Giuseppe Mazzini, figura centrale delle Memorie di Malwida, Nietzsche deve l’espressione<br />

“vivere risolutamente” contro ogni comodità e sicurezza propria dell’istinto gregario, dello “spirito<br />

vincolato”, di colui che sta nel calore di patria e casa. Nietzsche riprende più volte questo motto dai<br />

versi di Goethe, che aveva sentito recitare da Mazzini sul Gottardo nel febbraio del 1871: “Alla fine<br />

[Gersdorff] ha ritrovato il verso di Mazzini ‘e vivere risoluto nell’interezza, pienezza e bellezza’:<br />

era nei canti conviviali di Goethe” 40 .<br />

35<br />

Meysenbug, Lebensabend einer Idealistin 1898, p. 44.<br />

36<br />

Wagner 1976-1977, vol. III, pp. 623-624 (21 novembre 1880) e 682 (4 febbraio 1881).<br />

37<br />

Meysenbug 1876, vol. III, pp. 301-302.<br />

38<br />

Meysenbug 1898, p. 359.<br />

39<br />

Lettera a Malwida von Meysenbug del 14 aprile 1876 (E III, p. 136). Cfr. anche E III, pp. 137 e 139.<br />

40<br />

Cfr. la lettera a Franziska ed Elisabeth Nietzsche del 13 novembre 1871 (E II, p. 228). La citazione è da<br />

Goethe, Generalbeichte.<br />

37


ROTTURA DEFINITIVA<br />

Amica venerata,<br />

mi perdoni se prendo la parola un’altra volta: potrebbe essere l’ultima. Ho reciso via via quasi tutti i<br />

miei rapporti con gli uomini, disgustato dal fatto che mi si prende sempre per qualcosa di diverso da<br />

quello che sono. Ora tocca a Lei. Le invio da anni i miei scritti, col risultato che Lei candidamente<br />

mi dichiara: “Aborro ogni parola”. E ne avrebbe anche qualche diritto. Lei è infatti una “idealista” –<br />

e io tratto l’idealismo come una falsità diventata istinto, come un non voler vedere la realtà a<br />

qualsiasi costo: ogni frase dei miei scritti contiene il disprezzo dell’idealismo. Finora non c’è stata<br />

sciagura peggiore per l’umanità di questa disonestà intellettuale; si è svilita ogni realtà concreta per<br />

inventarsi di sana pianta un “mondo ideale”… Non comprende niente del mio compito? Di che cosa<br />

voglia dire “Trasvalutazione di tutti i valori”? Del perché Zarathustra consideri i virtuosi il genere<br />

più nefasto tra gli uomini? Del perché egli debba essere il distruttore della morale? – Si è<br />

dimenticata che egli dice “spezzate, spezzate ve ne prego, i buoni e i giusti”? –<br />

– Dal mio concetto di “superuomo” Lei si è ricavata – cosa che non Le perdonerò mai – “una<br />

sovrumana impostura”, qualcosa che stava in compagnia di sibille e profeti: mentre qualsiasi lettore<br />

serio dei miei scritti deve sapere che un tipo d’uomo che non provoca il mio disgusto è proprio il<br />

tipo opposto agli idoli ideali di prima, e somiglia cento volte di più a un Cesare Borgia che a un<br />

Cristo. E quando Lei addirittura osa pronunciare in mia presenza il venerando nome di<br />

Michelangelo insieme a quello di una creatura profondamente disonesta e falsa come Wagner, io<br />

risparmio a Lei e a me la parola per definire il sentimento che provo. – In tutta la Sua vita Lei si è<br />

ingannata quasi su tutti: non poche disgrazie, anche nella mia esistenza, sono da ricondursi al fatto<br />

che Le si elargisce fiducia, mentre il Suo giudizio non ne è assolutamente degno. E da ultimo arriva<br />

a confondere Wagner con Nietzsche! – E mentre scrivo questo provo vergogna per aver posto il mio<br />

nome accanto al suo. – Dunque Lei non ha capito nulla della nausea che provavo, insieme a tutte le<br />

nature probe, allorché 10 anni fa voltai le spalle a Wagner, quando con la comparsa dei «Bayreuther<br />

Blätter» l’impostura divenne palese? Le è sconosciuta la profonda amarezza con cui, insieme a tutti<br />

i musicisti onesti, vedo dilagare sempre più questa peste della musica wagneriana e questa<br />

corruzione dei musicisti che essa comporta? Non si è proprio accorta che da dieci anni sono una<br />

sorta di consigliere per la coscienza dei musicisti tedeschi e che, dovunque fosse possibile, ho<br />

cercato di fare nuovamente attecchire la rettitudine artistica, il gusto aristocratico, il più profondo<br />

odio per la disgustosa sessualità della musica wagneriana? Che l’ultimo musicista classico, il mio<br />

amico Köselitz, proviene dalla mia filosofia e dalla mia educazione? – Lei non ha mai capito una<br />

sola delle mie parole, uno solo dei miei passi: non c’è niente da fare; su questo occorre fare<br />

chiarezza tra noi – anche in questo senso il Caso Wagner è per me un caso fortunato – – 41 .<br />

Qui Nietzsche mette definitivamente ad acta l’idealismo morale di Malwida, che in buona fede è<br />

incapace di vedere, di distinguere, di conoscere. Da tempo il filosofo ritiene che le migliori<br />

intenzioni che caratterizzano Malwida siano legate a una presunzione priva di conoscenza adeguata:<br />

“La buona Malwida, grazie alla suddetta presunzione, per tutta la vita non ha combinato altro che<br />

41 E V, pp. 772-774.<br />

38


guai” 42 . E qui Nietzsche allude anche al ruolo di “consigliera” e pacificatrice nella vicenda di Lou<br />

Salomé, che certo ha lasciato nel filosofo profonde ferite.<br />

Ormai, perduta l’aura di chi ha duramente lottato nella vita, Malwida ha acquisito – all’ombra di<br />

Schopenhauer e Wagner – quella dell’“anima bella” a cui “non è dato di vedere la realtà. Viziata<br />

per tutta la vita, alla fine se ne sta assisa sul suo sofà come una piccola e comica Pizia sentenziando:<br />

‘Lei si sbaglia sul conto di Wagner! Ne so più io! Proprio come Michelangelo’” – scrive con<br />

sarcasmo Nietzsche a Meta von Salis 43 .<br />

Malwida è assolutamente incapace di cogliere il senso e la direzione della filosofia di Nietzsche. La<br />

critica della “venerata amica” si accompagna all’idea che il filosofo possa e debba tornare alla vera<br />

natura da lui caparbiamente tradita: all’idealismo metafisico dell’arte.<br />

La brava Malwida, che con la sua rosea superficialità si è sempre mantenuta “a galla” in una vita<br />

difficile, mi ha scritto una volta, procurandomi un amaro divertimento, che le sembrava già di veder<br />

“spuntare” dalle pagine del mio Zarathustra “il tempio sereno” che costruirò su queste fondamenta.<br />

C’è semplicemente da morire dal ridere; e con l’andar del tempo mi accontento che non si riesca a<br />

scorgere che tipo di “tempio” io stia costruendo 44 .<br />

L“idealismo” di Malwida può giudicare “geniale” il libro Sur la diversité des races humaine di<br />

Gobineau, al cui pessimismo nichilistico certamente ella obietta – in ortodossia wagneriana –<br />

l’elemento creatore e rigeneratore del sangue del Cristo 45 . Un “idealismo” che la porterebbe a<br />

seguire “il bravo Förster in Paraguay”, nella sciagurata impresa della colonia Judenfrei “nueva<br />

Germania”, se solo la salute e l’età glielo permettessero (lettera a Heinrich von Stein dell’8 giugno<br />

1883); mentre, da parte sua, Nietzsche fin dall’inizio non nutre alcuna illusione sul carattere nefasto<br />

dell’impresa, vedendone in anticipo, per gli sconsiderati azzardi, anche i rischi di fallimento<br />

economico (l’unico merito, azzarda Nietzsche, potrebbe essere quello di liberare la Germania dai<br />

“maledetti sporchi ceffi antisemiti” 46 ).<br />

Del resto, è l’idealismo wagneriano che spinge e incoraggia all’impresa Förster che, nel suo<br />

intervento sui «Bayreuther Blätter» della fine del 1888, scrive:<br />

Quale occasione offriamo noi per i lavoratori tedeschi che in molte parti della nostra vecchia patria<br />

si consumano nella miseria, la disperazione e la malattia! Noi diamo loro il pane, mentre la<br />

socialdemocrazia liberale dà loro solo pietre. […] Qui noi sogniamo il rinnovamento della nostra<br />

razza che sta diventando vecchia e stanca. Io dirigo nel mio duro, finora molto duro lavoro,<br />

abbastanza sovente lo sguardo verso Bayreuth, e l’immagine originaria del lavoratore, artista e<br />

pensatore tedesco […] si presenta davanti all’occhio del mio spirito. Per una parte essenziale del<br />

mio agire egli è il genio ispiratore. Quando l’ascia risuona nella foresta vergine, quando puliamo il<br />

sottobosco col sudore della fronte per preparare la fertile terra alla coltivazione, quando scaviamo<br />

fossi per far defluire l’acqua che ristagna, – quanto appare lontana questa attività dalla sacra collina<br />

di Bayreuth! Ma nel profondo del cuore sentiamo che è proprio questo nostro duro lavoro che fa di<br />

noi gli eredi spirituali di Richard Wagner 47 .<br />

42 Lettera a Elisabeth Nietzsche della metà marzo 1885 (E V, p. 26). Si veda anche la lettera di Nietzsche alla<br />

sorella dei primi di marzo 1885, conservata solo nella trascrizione di Elisabeth, in Appendice, n. 1 (E V, p.<br />

896).<br />

43 E V, p. 786.<br />

44 Lettera a Franz Overbeck del 25 marzo 1886 (E V, p. 165).<br />

45 Meysenbug 1898, p. 197-198.<br />

46 A Elisabeth Förster, poco prima del 5 giugno 1887: “È infine mio desiderio che siano i tedeschi a venirVi<br />

in qualche modo in aiuto, costringendo gli antisemiti ad abbandonare la Germania: e non ci sono dubbi che<br />

loro, in tal caso, ad altri paesi preferirebbero il P, la Vostra terra ‘promessa’”. (E V, p. 383). Per<br />

l’espressione usata per gli antisemiti si veda E V, p. 526.<br />

47 Cit. in Podach, Bernhard und Eli Förster, in Gestalten um Nietzsche. Mit unveröffentlichten Dokumenten<br />

39


Nietzsche non sopporta l’accostamento tra “il venerando nome di Michelangelo” e “quello di una<br />

creatura profondamente disonesta e falsa come Wagner”. Abbiamo visto come la matrice di questo<br />

giudizio stia nella stessa autostima del musicista-vate. Nelle sue tarde memorie, Malwida risponde<br />

alle critiche di Nietzsche a proposito del confronto Wagner-Michelangelo, riprendendo<br />

probabilmente le argomentazioni presenti nella lettera non conservata:<br />

Wagner fu la conclusione possente di una delle grandi epoche produttive della musica, come<br />

Michelangelo nell’arte plastica. Dopo di lui viene Bernini, come ora vengono gli epigoni di<br />

Wagner. La loro somiglianza è molto grande; è una sorta di lotta la vita di questi due artisti<br />

colossali. La linea pura della bellezza si era esaurita con Raffaello, Mozart, Bach, Beethoven.<br />

Questi due grandi uomini vivono qualcosa di ancora superiore e cercarono, con i mezzi di cui<br />

disponevano sulla terra, di esprimerlo e di attingerlo. Il giudizio universale, i Profeti, le Sibille della<br />

Cappella Sistina, gli dèi del Walhalla e Parsifal dicono la stessa cosa; cercano l’“uomo ideale” (non<br />

il superuomo nell’accezione di Nietzsche) 48 .<br />

Questa l’esaltazione idealistica di fronte a Wagner, posto letteralmente sugli altari. Nietzsche, di<br />

fronte alle ulteriori, dure rimostranze (non conservate) di Malwida, prende la decisione di finirla<br />

con ogni ambiguità e scrive nell’abbozzo di lettera dell’8 dicembre 1888:<br />

Da ogni parola del mio scritto su Wagner c’è da imparare qualcosa: e Lei ha il diritto, in quanto [– –<br />

–] di Wagner, a pronunciarsi contro di esso. Preferisco di gran lunga una simile lettera alla Sua<br />

bontà. Sarebbe indegno di me tenere in piedi più a lungo un rapporto ambiguo – ho anche esaurito<br />

la mia pazienza: se qualcuno vuole restare attaccato a me e contemporaneamente a Wagner, è giusto<br />

che venga da me respinto. Sino ad ora Lei si è interessata solo di décadents. Lei è una di loro: – mi<br />

permetta di non essere interessante per Lei...<br />

Lei è tra gli incontri [–] della mia vita, ha superato tutte le esperienze negative che ho fatto con<br />

W. Eppure non c’è nessuno con cui io abbia avuto più pazienza! Sbagliarsi sul conto del<br />

primo uomo di tutti i millenni, nel suo momento decisivo – e Le avevo detto che questo momento<br />

era giunto.<br />

6.<br />

I tre secoli<br />

Nietzsche valorizza lo ‘spirito’ di Descartes ribadendo, fino all’ultimo, in Ecce homo, la probità del<br />

filosofo francese contro la mancanza di pulizia mentale dei Tedeschi e mantenendo il contrasto tra<br />

la sua ragione signorile e il plebeo e caotico Rousseau. Gli appunti dell’autunno del 1887<br />

ribadiscono con forza questo concetto. In quel periodo Nietzsche accumula materiali vari per la<br />

definizione dell’‘anima moderna’ in tutti i suoi aspetti volendo avere “uno sguardo complessivo sul<br />

nostro secolo, sull’intera modernità, sulla ‘civiltà’ raggiunta” (9[177]). Per questo, in particolare,<br />

mette a confronto ‘i tre secoli’ la cui diversa sensibilità Nietzsche caratterizza e riassume<br />

emblematicamente con i nomi di Descartes (‘aristocratismo’), Rousseau (‘femminismo’) e<br />

zur Geschichte seines Lebens und seines Werkes, Lichtenstein, Weimar, 1932, pp. 152-153.<br />

48 Meysenbug 1898, p. 392.<br />

40


Schopenhauer (animalismo) 49 . Il XVII secolo, segnato dal nome di Descartes, si caratterizza per il<br />

“dominio della ragione, testimonianza della sovranità della volontà”, il XVIII secolo per il<br />

“dominio del sentimento, testimonianza della sovranità dei sensi (bugiardo)”. Il XIX secolo infine<br />

per il “dominio della brama, testimonianza della sovranità dell’animalità (più onesto, ma tetro)”. È<br />

evidente, per Nietzsche, la superiorità del secolo caratterizzato dalla ‘ragione’ di Descartes:<br />

“aristocratico, ordinatore, superbo verso ciò che è animale, severo con il cuore, ‘non cordiale’, anzi<br />

senza cuore, ‘non tedesco’, avverso al burlesco e al naturale, generalizzante e sovrano verso il<br />

passato: perché crede in sé. Molta predacità in fondo, molta abitudine ascetica per rimanere<br />

padrone. Il secolo della volontà forte; anche quello della forte passione” (9[178]). Questo brano<br />

propone il Seicento come ‘il secolo della volontà’ che si caratterizza come capacità di ordinare il<br />

caos e la contraddizione senza tagliare via, semplificando la molteplicità. Una civiltà si caratterizza<br />

per la grandezza ed anche la ‘terribilità’ delle passioni che può permettersi senza andare in rovina,<br />

per la sua capacità di ‘usarle’ 9[138]: “il dominio sulle passioni, non il loro indebolimento o<br />

sradicamento! Quanto maggiore è la forza dominatrice della volontà, tanto maggiore è la libertà che<br />

si può concedere alle passioni” (9[139]). La concezione della ‘volontà’ che qui Nietzsche propone<br />

si allontana fino all’opposizione da quella di Schopenhauer: “L’equivoco fondamentale di<br />

Schopenhauer sulla volontà (come se nella volontà l’essenziale fossero desiderio, istinto, impulso) è<br />

tipico: sminuimento del valore della volontà fino all’intristimento.[...] Grande sintomo di<br />

stanchezza o di debolezza della volontà: giacché quest’ultima è propriamente ciò che tratta i<br />

desideri da padrona, che assegna loro una direzione e una misura...” (9[169]). La posizione di<br />

Schopenhauer è certo l’espressione di un secolo ‘più animale’, ‘più realistico’, ‘più naturale’<br />

rispetto alla superficialità del secolo precedente ma “debole di volontà, ma triste e oscuramente<br />

smanioso, ma fatalistico. senza soggestione né stima né per la ‘ragione’ né per il ‘cuore’;<br />

profondamente convinto del dominio dei desideri” (9[178]). L’anima moderna così dubitosa di sé e<br />

della propria ‘volontà, appartiene interamente alla décadence che non ha più fiducia nel futuro:<br />

l’épuisement dell’energia vitale sostituisce la ‘velleità’ alla forza plasmatrice, il désir alla ‘volontà’.<br />

In tal modo si opera la “riduzione della volontà a movimento riflesso, la negazione della volontà<br />

come “causa efficiente”; infine — un vero ribattezzamento: si vede tanta poca volontà, che la parola<br />

diventa libera di significare qualcosa d’altro”. E’ appunto il caso di Schopenhauer.<br />

Anche in queste riflessioni di Nietzsche sulla ‘volontà’, nell’ultimo periodo del suo filosofare, si<br />

sente l’eco delle teorie della nuova psicologia e fisiologia francesi attente a cogliere non solo il<br />

carattere dinamico della realtà ma anche la sua complessità. E’ anche attraverso la mediazione di<br />

queste letture, dirette e indirette, che il filosofo tedesco è approdato alla struttura plurale dell’io, alla<br />

costruzione genealogica del soggetto, alla ricerca di “un nuovo centro”. La realtà psicologica è<br />

molteplicità: il suo forte dinamismo non tende ad una spontanea armonia tra le parti che è invece il<br />

risultato di un esercizio egemonico di una parte sulle altre. Nietzsche ha così potuto concludere che<br />

la fonte della volontà sta nelle azioni biologiche che si compiono nell’intimità più profonda dei<br />

nostri tessuti: in tal misura è vero dire ch’essa è noi stessi. La sua critica alla volontà come facoltà è<br />

radicale (“Wille” — eine falsche Verdinglichung: una falsa concretizzazione 50 ) giacché la volontà<br />

come “activité raisonnable” gli appare, come aveva scritto Ribot, “il coronamento, l’ultimo termine<br />

di una evoluzione, il risultato di un gran numero di tendenze disciplinate seguendo un ordine<br />

gerarchico” 51 .. Ed è nel fisiologo Charles Richet (Essai de psychologie générale)collaboratore della<br />

rivista di Ribot, i cui libri sono presenti nella sua biblioteca, Nietzsche trova la definizione della<br />

volontà come la puissance de direction che non può né deve essere confusa con la coscienza che se<br />

49 Il confronto tra i tre secoli era un tema diffuso - in particolare nella critica letteraria del tempo: cfr. ad es. il<br />

già citato Paul Albert: “Toute époque a sa philosphie dominante. Au XIX e siècle, c’est l’éclecticisme qui<br />

finit et le positivisme qui gagne; au XVIII e siècle c’était le sensualisme, au XVIIe le cartesianisme” ( La<br />

littérature française au dix-neuvième siècle. Tome deuxième, Paris: Hachette et C.ie, 1cit. p. 4-5).<br />

50 FP, VIII, 1, p. 19.<br />

51 TH. RIBOT, Les maladies de la volonté, Paris 1922 33 , p.74.<br />

41


ne ha e neppure con la liberté de direction 52 : “Cet énorme enchevêtrement d’images, de souvenirs,<br />

d’émotions, de désirs, de perceptions, nous est inconnu: le resultat seulement nous apparaît, qui<br />

nous commande telle ou telle attention, qui impose tel ou tel acte” 53 . La volontà - affermano gli<br />

psicologi francesi - non è un prodotto naturale, ma è il risultato dell’arte, dell’educazione,<br />

dell’esperienza, fruit d’une conquête. Essa esprime — come forza di coordinazione — lo stato di<br />

salute e di energia di un corpo. Così la forza ordinatrice della volontà e della ‘raison’ dominante nel<br />

secolo XVII esprime la vitalità superiore di quell’epoca. Nietzsche è consapevole che la luminosa<br />

ed equilibrata classicità di quel secolo, il progetto della ‘ragione’ signorile, ha dovuto imporsi su<br />

istanze più oscure e forti: “Il XVII secolo soffre dell’uomo come di una somma di contraddizioni, ‘<br />

l’amas de contradictions’ che noi siamo; cerca di scoprire, ordinare, portare in luce l’uomo; mentre<br />

il XVIII secolo cerca di dimenticare ciò che sa della natura dell’uomo, per adattarlo alla sua utopia”<br />

(9[183]). Di qui, ancora una volta, la ricerca del momento iniziale del carattere di una cultura in<br />

figure paradigmatiche: il confronto tra Rousseau e Voltaire è sulla stessa linea di quello tra<br />

Rousseau e Descartes. Proprio perché legato con lo spirito aristocratico del XVII secolo e<br />

rappresentante di un illuminismo ‘classicistico’, Voltaire ha i tratti dello ‘spirito libero’e continua la<br />

tradizione che inizia con l’umanesimo di Petrarca ed Erasmo (MA, 26). Come artista egli appare<br />

spirito leggero e ordinatore di contro alla barbarie dello scatenamento romantico del sentimento e<br />

della passione. In questo è vicino ai Greci, al loro gusto (MA, 221). A tale ‘illuminismo’<br />

caratterizzato con la figura di Voltaire, Nietzsche. oppone, con forza, fin da Umano, troppo umano,<br />

la figura di Rousseau che rappresenta la corruzione dello spirito dell’illuminismo in una direzione<br />

‘fanatica’ e morale: il primo è tanto aristocratico e serenamente ‘libero’, campione di tolleranza,<br />

quanto il secondo è ‘plebeo’ e viziato da sentimentalismo, intollerante, espressione di debolezza<br />

romantica (“Romantik à la Rousseau”). Laddove Voltaire “rappresentava ancora l’umanità nel<br />

senso del Rinascimento, come anche la virtù, (come ‘alta cultura’) ... ” (9[184], 1887), Rousseau si<br />

mostra come l’antitesi della tradizione umanistico-rinascimentale e del mondo classico e ordinato<br />

che Descartes esprime (“la follia considerata grandezza” “il diritto sovrano della passione” “la<br />

mostruosa dilatazione dell’io”). Il suo fanatismo morale (die ‘Moral-Tarantel’) lo avvicina piuttosto<br />

a Lutero: Robespierre è suo discepolo (M. Introduz. 3) e la follia della Rivoluzione discende da<br />

Rousseau, o perlomeno — afferma talvolta Nietzsche — dalla sua immagine mitica, dall’interpretazione<br />

mitica dei suoi scritti ( WS 216).<br />

E’ ormai documentato come questi frammenti dell’autunno 1887, in cui c’è il confronto tra secoli<br />

l’un contro l’altro armati e tra le figure che li rappresentano emblematicamente (in particolare<br />

Rousseau-Voltaire) risentono fortemente della lettura di due saggi di Ferdinand Brunetière<br />

(Descartes et la litterature e Classiques et romantiques) 54 che Nietzsche possedeva nella troisième<br />

série degli Etudes critiques, del 1887. Da Brunetière — allora agli inizi della sua potente carriera e<br />

che Nietzsche mai ha nominato nei suoi scritti né nell’epistolario, — derivano excerpta letterali,<br />

riuniti e intramezzati da personali riflessioni 55 . Proprio l’opposizione classico/romantico, e dunque<br />

quella tra i secoli XVII e XVIII, è al centro di questo rappresentante di una critica ‘tradizionalista’<br />

di cui Nietzsche terrà presente anche il primo libro, Le roman naturaliste, per la critica al<br />

naturalismo. Per Brunetière il Seicento, che rappresenta il compiuto classicismo, ha come ideale<br />

“un développement harmonieux de toutes les facultés. Ni l’imagination ne doit avoir le pas sur la<br />

52<br />

Richet, Charles, Essai de psychologie générale par Charles Richet , Paris: F. Alcan, 1887, p. 169.<br />

53<br />

ivi, p. 171.<br />

54<br />

F. BRUNETIÈRE, Classiques et romantiques, “Revue des Duex Mondes”, 15 gennaio 1883, pp. 412-432; in<br />

Etudes critiques sur l’histoire de la littérature française, troisième série, Paris, Hachette, 1887, p. 291 sgg.<br />

55<br />

Da sottolineare, ancora una volta come questi testi, appunti di lettura intrecciati a considerazioni proprie,<br />

siano finite — feticisticamente dati — nell’Hauptwerk Volontà di potenza. Per la testimonianza puntuale<br />

delle corrispondenze letterali tra Brunetière Cfr. E. KUHN, Cultur, Civilisation, die Zweideutigkeit des<br />

“Modernen”, “Nietzsche-Studien”, 18 (1989), pp. 600-626. Meraviglia come anche i primi lettori di<br />

Nietzsche, per i quali Brunetière era una vera e propria autorità nel campo della critica, non abbiano<br />

avvertito, negli ‘pseudoaforismi della Volontà di potenza, fossero fedeli - a volte letterali - appunti di lettura.<br />

42


aison, ni la raison ne doit étouffer l’imagination […]. Toutes nos facultés nous ont été données<br />

pour nous en servir. Il faut trouver entre elles un ‘temperament’, une ‘juste médiocrité’” 56 .<br />

L’equilibrio della classicità, per lui come poi per Nietzsche, si conquista — stoicamente — con una<br />

vittoria della volontà sugli istinti e i desideri. In questo studio, Brunetière pone l’ armonia come un<br />

vero e proprio criterio, ne fa una norma positiva, una definizione sia del classico che, per contrasto,<br />

del romantico. Per Brunetière — che pure deriva molto da Taine — nello stile ‘classico’<br />

“l’équilibre en lui de toutes les facultés qui concourent à la perfection de l’oeuvre d’art” esclude la<br />

presenza di una faculté maîtresse intorno a cui si organizza la forma: “Il y a des artistes chez qui<br />

une faculté prédomine très nettement sur les autres: d’autres possèdent, ou conquièrent, cet<br />

équilibre, cette ‘pondération de toutes les facultés’ qui seule peut faire de l’oeuvre une oeuvre<br />

parfaite 57 . Nietzsche, nel frammento 9[166] dell’autunno 1887, riprende e rielabora personalmente<br />

la definizione di Brunetière: “Aesthetica. Per essere un classico si deve: avere tutte le doti e i<br />

desideri forti, apparentemente contraddittori; ma in fondo che si intreccino sotto un solo giogo”. Il<br />

filosofo mantiene — più vicino a Taine — la necessità del primato di un tratto dominante (“sotto un<br />

solo giogo” ) che organizza: a volte Nietzsche lo definisce faculté maitresse, altre volte ‘istinto<br />

dominante’ 58 . Il permanere di un tratto ordinatore che tenta di imporsi ad una molteplicità in<br />

movimento e in lotta, lascia aperta la via ad una realtà più mossa che rompe l’equilibrio classico -<br />

così come proposto dal critico francese - sorretto e protetto dalla tradizione morale, un equilibrio<br />

che significa ordine e mediocritas: “I monstra morali non debbono essere necessariamente dei<br />

romantici, nel dire e nel fare? … Una tale preponderanza di un elemento sugli altri (come nel<br />

monstrum morale) si contrappone appunto ostilmente alla potenza classica dell’equilibrio; ammesso<br />

che si possedesse questa altezza e si fosse ciò nonostante un classico, sarebbe allora possibile<br />

l’ardita conclusione che si starebbe anche sullo stesso livello supremo di immoralità:... (9[166],<br />

autunno 1887) .<br />

56 F. BRUNETIÈRE, Le mal du siècle…, p. 460.<br />

57 E. CARAMASCHI, Critiques scientistes et critiques impressionistes: Taine, Brunetière, Gourmont…, p. 50.<br />

58 Nietzsche utilizza più volte il termine "dominierender Instinkt" (“istinto dominante”) con cui traduce ed<br />

interpreta il concetto di "faculté maîtresse", categoria centrale in Taine fin dalla prefazione all’ Essai sur<br />

Tite Live (1856) Essa designa i tratti dominanti caratteristici di una persona o di un gruppo, capaci di dare<br />

ordine alla complessità di un campo di forze. Si veda anche il brano di Taine su Napoleone, citato da<br />

Nietzsche, (5[91], 1887) in cui compare il termine "faculté maîtresse”. Su questo ed altri analoghi concetti<br />

quali "conception maîtresse", posa l’intera produzione critica di Taine con cui Nietzsche si confronta. Sulla<br />

"faculté maîtresse" si veda Jean-Thomas Nordmann, Taine et la critique scientifique, Paris, Puf 1992, pp.<br />

155 sgg., e Regina Pozzi: Hippolyte Taine. Scienze umane e politica nell'Ottocento, Venezia, Marsilio 1993,<br />

p. 56 sgg.. Anche Bourget utilizza più volte questa categoria (in parte con riferimento esplicito a Taine: cfr.<br />

Paul Bourget: Essais de psychologie contemporaine, Paris, Lemerre 1883, S. 196).<br />

43


7.<br />

FISIOLOGIA DELL’ARTE E DELLA DECADENZA<br />

(Da: Sulla strada di Nietzsche, ETS)<br />

1. Il museo della strada.<br />

Nei confronti della folla anonima e inquietante della grande città nasce, nei primi decenni<br />

dell’Ottocento, sviluppandosi impetuosamente nell’incontro col positivismo, la «fisiologia» come<br />

genere letterario volto a rassicurare più che a conoscere, che permette di suddividere e classificare<br />

quell’indistinto mondo nei suoi strati, nei suoi mestieri, nei suo costumi. Il modo di camminare, di<br />

vestire, l’ora della giornata, le abitudini iscritte nel corpo, diventano i segni che permettono<br />

all’osservatore attento ed esercitato, allo «psicologo» capace di ozio, di sciogliere quel mondo<br />

caotico in individui e ceti cercando di trasformarlo nel «magnifico museo della strada». È questo<br />

atteggiamento che fa naturalmente dei Goncourt, secondo il giudizio di Bourget, gli storiografi «di<br />

quello che gli storici dimenticano comunemente: le abitudini della vita» 59 .<br />

Balzac per tutti, con un atteggiamento di inquieta fascinazione, da amatore, trae da Parigi,<br />

«mostro completo», oscuri diletti per chi ne conosce<br />

perfettamente la fisionomia [tanto] da sapervi scorgere ogni ruga, ogni foruncolo, ogni macchiolina. Parigi è triste o<br />

gaia, brutta o bella, viva o morta: è una creatura; ogni uomo, ogni frazione di casa è una cellula di questa grande<br />

cortigiana di cui essi conoscono bene la testa, il cuore e le usanze fantastiche. (Ferragus).<br />

Già in Balzac questi individui sono accomunati, pur nella forte diversità dei tipi e dei ceti, di cui<br />

si fornisce la «fisiologia», da una tensione febbrile verso «il danaro e i piaceri», dall’«impronta<br />

incancellabile di un’avidità ansimante»; «uno degli spettacoli più spaventosi di questo mondo è<br />

quello offerto dall’aspetto della popolazione parigina: gente orrenda a vedersi, smunta, gialla, tirata».<br />

Parigi è come un enorme campo, sempre agitato da un turbine di interessi; sotto l’impeto della tempesta si agita<br />

una mèsse di uomini, falciati dalla morte con frequenza maggiore che altrove e che rinascono sempre più fitti: volti<br />

scavati e contorti, che sprizzano da ogni poro lo spirito, i desideri e i veleni che ingrossano i loro cervelli; più maschere<br />

che volti: maschere di debolezza, di forza, di miseria, di gioia o d’ipocrisia; tutte sfinite, tutte con l’impronta<br />

incancellabile di un’avidità ansimante (La fille aux yeux d'or).<br />

Questa immagine diventa presto un luogo comune nella letteratura e, in genere, nelle analisi della<br />

crescente «degenerazione» della grande città. Nel suo magistrale saggio su Balzac, Taine fa dello<br />

stesso scrittore una espressione di quella lotta quotidiana nell’«arena»: «egli fu parigino di costumi,<br />

di spirito, di inclinazione». La «febbre cerebrale» ed i sensi allucinati, l'essere in balia di ambizioni e<br />

preda del milieu, caratterizzano anche lo scrittore che più di ogni altro ha saputo descrivere, di<br />

questa «serra surriscaldata» che si chiama Parigi, le passioni, le monomanie, l’eccesso come costume<br />

ordinario. «Balzac diceva di morire di cinquantamila tazze di caffé; avrebbe dovuto aggiungere che di<br />

queste cinquantamila tazze era vissuto» 60 . E il suo stile ripete il «caos gigantesco» 61 : Balzac è<br />

lontano dal dominio di sé e della forma proprio dello spirito classico. Balzac «fisiologista», abituato<br />

59<br />

P. BOURGET, Nouveaux essais de psychologie contemporaine, Paris 1886, p. 158 (la sottolineatura<br />

è di Nietzsche); BN.<br />

60<br />

H. TAINE, Notes sur Paris. Vie et opinions de M. Frédéric-Thomas Graindorge, Paris 1867, p.<br />

141.<br />

61<br />

H. TAINE, Nouveaux essais de critique et d’histoire, Paris 1865, p. 111.<br />

44


alle sale di dissezione, sa comunque dipingere come nessun altro le nuove «bestie da preda, piccole o<br />

grandi 62 . «Considerava l’uomo come una forza; ha preso per ideale la forza» 63 .<br />

Lo stesso Taine si farà emulo di Balzac con le sue Notes sur Paris. Vie et opinions de M.<br />

Frédéric-Thomas Graindorge in cui l’ozio dello psicologo («Per me vado tra la gente come se<br />

andassi a teatro, anzi più volentieri che a teatro») 64 , può esercitarsi nell’analisi pessimista delle<br />

forme di vita della grande città e delle diverse maschere della società moderna.<br />

La lotta per l’esistenza comporta l’analogia con la foresta e con le bestie da preda. La battaglia<br />

ha prodotto i suoi vinti, i suoi scarti e comunque segna il corpo e il volto di tutti; i balli pubblici 65<br />

sono l’occasione per osservare la degenerazione della «razza» lavoratrice:<br />

La cosa più notevole è che tutti, tranne uno o due, sono piccoli e macilenti. Molti sembrano bambini: ci sono<br />

donne alte quattro piedi. Gente rachitica, cresciuta a stento, nana, debole, deforme. Di padre in figlio h<strong>anno</strong> bevuto<br />

vinaccio, mangiato carne di cane, respirato l'aria infetta del Bobino, lavorato troppo allo scopo di divertirsi troppo.<br />

Corpi storti, rattratti, sguardi febbrili. La vita parigina dei bassifondi ha distillato l'uomo, l'ha concentrato, bruciato,<br />

rovinato. Col vino ha fatto un liquore 66 .<br />

L’operaio di Parigi si caratterizza in Taine che riprende un diffuso stereotipo, per la sua esibita<br />

vanità e «viziosa sensualità»: «può diventare un eroe a Sebastopoli o un diavolo sulle barricate».<br />

La battaglia per la vita ha perso la libertà degli spazi in cui la forza si manifestava apertamente.<br />

Ogni giorno le formiche lasciano le loro tane per ricominciare una lotta più aspra:<br />

Il più triste pensiero è che la battaglia si scatenerà a corpo a corpo, secondo leggi fisse, su un terreno misurato,<br />

diviso e chiuso; ogni uomo, già di per sè piegato dal peso della tradizione e del tirocinio, è nel suo scompartimento,<br />

meccanico e artificiale come la sua mostruosa prigione di mattoni [...]. L'individuo si piega sotto il peso della massa e<br />

si trova imprigionato in un ordine stabilito 67 .<br />

I sentimenti di «angoscia, ripugnanza, spavento» che Benjamin ha individuato nello sguardo<br />

«veggente» gettato sulla metropoli e sulla folla metropolitana da Balzac ed ancor più da Baudelaire,<br />

sono l’esperienza di orrore ed incantesimo suscitati insieme dalla grande città che torna<br />

continuamente nei versi del poeta:<br />

Brulicante città, città piena di sogni...<br />

Nelle pieghe tortuose delle vecchie capitali<br />

dove tutto ti incanta, anche l’orrore...<br />

Richard Wagner ha valorizzato in Balzac il «genio» capace di svelare, con fedeltà «realista», il<br />

rovescio della compiuta teatralizzazione e convenzione della vita di Parigi che nascondeva sotto veli<br />

attraenti il desolante orrore della violenta civilizzazione. Più volte, nei Diari di Cosima, torna<br />

l'appassionato interesse per Balzac.<br />

Wagner, con la stessa allucinata «veggenza» intravede il deserto della vita cittadina da cui, nei<br />

suoi momenti di sincerità, non vede speranza di uscita («nessuno di noi toccherà la Terra promessa;<br />

62 Ivi, p. 119.<br />

63 Ivi, p. 135.<br />

64 TAINE, Notes sur Paris, cit., p. 21.<br />

65 Si veda anche la descrizione, fatta dai Goncourt in Idées et sensations (Paris 1866), del «ballo<br />

pubblico» la cui tristezza viene definita da Bourget «epilettica e lussuriosa» (BOURGET, Nouveaux<br />

essais de psychologie contemporaine., cit., p. 188).<br />

66 TAINE, Notes sur Paris, cit., pp.44-45.<br />

67 Ivi, p. 287.<br />

45


morremo tutti nel deserto»). La Lettera a Stein del 1883 si apre con la descrizione di un’esperienza<br />

visionaria nell’ultimo giorno dell’Esposizione universale di Parigi del 1867. La fantasmagoria delle<br />

merci che segna il trionfo della civiltà moderna è interrotta dalla vista di file interminabili di scolari<br />

parigini in visita all’Esposizione. Nell’esercito di giovani che stava a rappresentare tutto un futuro,<br />

Wagner, avvicinandosi alla sensibilità di Balzac, vede il destino di vuoto delle metropoli:<br />

Tutto m’aveva riempito di orrore ed angoscia: vedevo in anticipo tutti i vizi della popolazione della grande città,<br />

debolezza e morbosità, ottusità e desiderio malvagio, stupidità e repressione della vitalità naturale, terrore e paura,<br />

accanto a sfrontatezza e perfidia 68 .<br />

Qui Wagner ripete Balzac: maschere, non volti che affermano il destino di degradazione legato<br />

alla grande città.<br />

Alcune osservazioni sull'anima di Parigi possono spiegare le cause del suo aspetto cadaverico che ha solo due età:<br />

l'infanzia e la vecchiaia: infanzia scialba e scolorita, vecchiaia imbellettata che vuol apparire giovane (La fille aux yeux<br />

d'or).<br />

L'atteggiamento di Wagner non è soltanto l’esasperata prosecuzione di quel «cruento odio per<br />

l’intera nostra civilizzazione, disprezzo per tutto ciò che ne deriva e nostalgia per la natura» che ha<br />

costituito a lungo il centro della sua ideologia anticapitalistica.<br />

L’analisi più matura di Nietzsche su Wagner considera il germanesimo e l’idealismo di Bayreuth<br />

come un pesante involucro di deformazioni e falsificazione.<br />

Il falso germanesimo in Richard Wagner, questa mescolanza estremamente «moderna» di brutalità e di<br />

rammollimento dei sensi, mi ripugna quanto la falsa romanità di David o il falso Medioevo inglese di Walter Scott 69 .<br />

In questi anni Nietzsche matura la comprensione del caso Wagner legando il musicista al<br />

«naturalismo», al tardo romanticismo francese, alla tirannia dell'effetto e dei colori.<br />

Di qui la vicinanza con gli aspetti «plebei» che caratterizzano il movimento naturalista.<br />

L'abbondanza di istinti plebei nel giudizio estetico attuale dei romanzieri francesi. E infine: vi sono molte cose<br />

nascoste che essi non vogliono enunciare, proprio come in Richard Wagner; 1) il loro metodo è più facile, più<br />

comodo, la maniera scientifica della massa di materiale e il colportage: bisogna menare gran rumore con i princìpi, per<br />

nascondere questi fatti; ma gli scolari li rivelano, i talenti inferiori; 2) la mancanza di disciplina e di bella armonia<br />

dentro di sé fa sì che per loro sia interessante ciò che è simile a loro, sono curiosi con l'aiuto dei loro istinti inferiori,<br />

non h<strong>anno</strong> la nausea e l'egida; 3) la loro pretesa di impersonalità è un sentire che la loro persona è meschina, per<br />

esempio Flaubert, sazio di se stesso come «bourgeois»; 4) vogliono guadagnare molto e far scandalo, come mezzo per<br />

il grande successo momentaneo 70 .<br />

Impotenza, debolezza, disprezzo di sé, volontà di fuga, dominio del milieu (l'ego plasmato),<br />

romanticismo di nature deluse, caratterizzano la natura di Wagner come quella dei nuovi romanzieri<br />

parigini.<br />

La pittura invece della logica, l'osservazione isolata, il piano, il prevalere del proscenio, dei mille particolari: tutto<br />

è improntato ai bisogni di uomini nevrotici, in Richard Wagner come nei Goncourt. Richard Wagner appartiene al<br />

movimento francese: eroi e mostri, passione estrema e insistenza sui particolari, brivido momentaneo 71 .<br />

68 R. WAGNER, Brief an H. v. Stein, in Dichtungen und Schriften, cit., vol. X, p. 165.<br />

69 FP, VII, 2, p. 222.<br />

70 Ivi, pp. 53-54.<br />

71 Ivi, p. 54.<br />

46


Nei framme nti dell'inverno-primavera 1883-84, a partire dalla lettura degli Essais di Bourget,<br />

con un rapporto intenso con la letteratura e la critica francese contemporanea, Nietzsche definisce le<br />

categorie della sua interpretazione fisiologica di Wagner e dell’arte della decadenza che trovano la sua<br />

sistemazione nel Caso Wagner.<br />

Domina una sorta di «legge dei ritardatari»: «la Germania segue la Francia»: anche la maschera<br />

del germanesimo e dell'idealismo («questo Wagner “veramente tedesco” non esiste affatto») trova la<br />

spiegazione, in profondo, nella genuina natura di Wagner in quanto artista della decadenza e della<br />

grande città.<br />

«E infine, per quanto riguarda Richard Wagner si tocca con mano, se non forse con i pugni, che<br />

Parigi è il terreno appropriato per Wagner» 72 : si legge in Nietzsche contra Wagner; e ne Il caso<br />

Wagner l’analogia e la stretta vicinanza tra le eroine wagneriane e madame Bovary continua<br />

assegnando a Wagner la natura compiuta di artista metropolitano:<br />

sembra che Wagner non si sia interessato di alcun altro problema salvo quelli che interessano oggi i piccoli décadents<br />

parigini. Sempre a quattro passi dall’ospedale! Niente altro che problemi modernissimi, problemi assolutamente da<br />

grande città 73 .<br />

Qui Nietzsche riprende le espressioni che il saggio di Louis Desprez, L’évolution naturaliste<br />

aveva dedicato a Flaubert: Madame Bovary visto come lo studio di un «caso patologico molto<br />

frequente nelle nostre società avanzate». Desprez riprendeva il giudizio di Sainte-Beuve:<br />

«Anatomisti, fisiologisti, vi ritrovo dovunque!» Il libro di Flaubert aveva la dura impassibilità di un<br />

trattato di medicina, la fisiologia e la psicologia si costeggiavano continuamente, si usava il bisturi,<br />

l’atmosfera era quella dell’ospedale: «l’umanità sanguinante di Madame Bovary vi prenderà allo<br />

stomaco, vi ossessionerà come una visione d’ospedale» — scriveva Desprez 74 . Tale immagine torna<br />

a caratterizzare anche il lavoro dei Goncourt: «L’ospedale è il rendez-vous di tutti i dolori, come<br />

l’opera dei Goncourt è il museo della sofferenza umana» 75 . Anche Brunetière parla a proposito di<br />

Madame Bovary e di Germinie Lacerteux di «uno studio disinteressato di un caso patologico», del<br />

tentativo di rivaleggiare nel romanzo con la «clinique médicale» 76 . Bourget, lo psicologo a cui<br />

Nietzsche si sentì sopra tutti vicino, riprende l’immagine: «La Madame Bovary di Gustave Flaubert<br />

ha come un odore d’ospedale» 77 .<br />

Queste letture d<strong>anno</strong> a Nietzsche strumenti per una rilettura del «caso» Wagner. La sua<br />

posizione è ostile alla pretesa obiettività di Flaubert e dei naturalisti come «equivoco moderno» .<br />

Nei moderni, vi è il disprezzo di se stessi [...]. Quel che raggiungono è scientificità o fotografia, cioè descrizione<br />

senza prospettive, una specie di pittura cinese, tutta primo piano e sovraffollata. In verità, nella moderna furia storica e<br />

naturalistica, vi è molto disgusto — si rifugge da se stessi e anche dal creare un ideale, dal far meglio, cercando in che<br />

72<br />

NW, VI, 3, p. 401.<br />

73<br />

WA, VI, 3, p. 30. Si confronti almeno il framm. 15 [99]: «Wagner non ha fatto altro che mettere in<br />

musica delle storie cliniche, dei casi interessanti, dei tipi modernissimi di degenerazione, che<br />

proprio per questo ci riescono comprensibili. Non vi è altra cosa che i medici e i fisiologi moderni<br />

abbiano studiato meglio del tipo isterico-ipnotico dell’eroina wagneriana: Wagner, in questo campo,<br />

è conoscitore, anzi è fedele alla natura fino a destare la nausea: la sua musica soprattutto è<br />

un’analisi psicologico-patologica di stati morbosi, e come tale dovrebbe conservare il proprio valore<br />

[...] con la musica di Wagner ci troviamo all’ospedale» (FP, VIII, 3, p. 252; cfr. anche framm. 14<br />

[63] e 15 [15], ivi, pp. 39 e 204).<br />

74<br />

L. DESPREZ, L’évolution naturaliste, Paris 1884, p. 42, BN.<br />

75<br />

Ivi, p. 106.<br />

76<br />

F. BRUNETIÈRE, Le roman naturaliste. Nouvelle édition, Paris 1884, p. 8, BN.<br />

77<br />

BOURGET, Nouveaux essais de psychologie contemporaine., cit., p. 141.<br />

47


modo tutto è venuto: il fatalismo dà una certa tranquillità di fronte a questo disprezzo di se stessi. I romanzieri francesi<br />

descrivono, in parte dalle sfere più alte della società, in parte da quelle più basse — e il centro, il bourgeois, lo odiano<br />

tutti, ugualmente. Infine non riescono a liberarsi di Parigi 78 .<br />

Le nozioni di décadence e la fisiologia dell’arte trovano una loro definizione attraverso il<br />

confronto attivo con la «psicologia» francese. Ostile all’ideologia del germanesimo, Nietzsche vedeva<br />

vivere nella Parigi-Cosmopolis la tradizione e l’energia degli «spiriti liberi» nei seguaci di Stendhal (i<br />

«rougistes» 79 ) che si opponevano alla diffusa e fatale «malattia della volontà». Nietzsche individua<br />

una linea forte che partendo dagli idéologues trova il suo punto centrale in Stendhal, psicologo e<br />

analista, quale venive letto in quegli anni. Erede di questa tradizioneTaine, «colui che spezza in<br />

modo audace gli idoli della metafisica ufficiale» secondo il giudizio di Bourget, e l'immagine è<br />

significativa per Nietzsche.<br />

Per alcuni tratti del suo nichilismo scientifico, Taine appare capace di far fronte alla malattia<br />

europea della volontà incarnata dal dilettantismo voluttuoso di Renan.<br />

Indubbiamente l'immagine che Nietzsche ha di Taine deve molto al ritratto tracciato da Bourget:<br />

solida energia del carattere, invincibile rigore nella interna disciplina, ascetismo della scienza ed, in<br />

ultimo, nichilismo radicale e coraggioso. Da ricordare i riferimenti a Taine nella terza parte della<br />

Genealogia della morale ed anche il confronto duro con Rohde a proposito del giudizio espresso dal<br />

filologo sullo storico. Nietzsche vede in Taine un «coraggioso pessimista», «un ben riuscito ed<br />

onorevole esemplare delle qualità più nobili» dell'anima moderna:<br />

coraggio radicale, assoluta chiarezza di coscienza intellettuale, stoicismo commovente e modesto in mezzo a grandi<br />

privazioni e alla solitudine 80 .<br />

Nietzsche sa esprimere anche la sua distanza da Taine, dal suo improbabile atteggiarsi a «uomo<br />

di mondo e conoscitore di donne» nel Graindorge 81 , all'eccesso di colore nello stile 82 . La critica di<br />

Nietzsche è rivolta soprattutto alla teoria tirannica del milieu e alla presunta «oggettività» di Taine<br />

che nasconde la preferenza per i «tipi forti ed espressivi», per «coloro che godono, più che per i<br />

puritani» 83 . Potrebbero essere evidenziati analiticamente anche gli apporti positivi e a Nietzsche<br />

simpatetici: il modello dell'equilibrio della perfetta salute (in Byron e Goethe), la valorizzazione<br />

della cultura greca («la Grecia ha così ben fatto del bell'animale umano il suo modello, ch'essa ne ha<br />

fatto il suo idolo e lo glorifica sulla terra divinizzandolo nel cielo»), l'ammirazione per i «mostri di<br />

forza» dai «condottieri» del Rinascimento a Napoleone, ecc.<br />

78 FP, VII, 2, pp.48-49.<br />

79 Si veda su questo la lettera dell’11 marzo 1885, indirizzata a Parigi, di Nietzsche a Resa von<br />

Schirnhofer, in cui Nietzsche invita la signorina a mettersi in caccia dei «Rougistes», gli entusiasti<br />

di Stendhal, tra cui il più vivo è Bourget, collaboratore della Revue nouvelle (KGB, III, 3, pp. 18-<br />

19).<br />

80 KGB, III, 5, p. 76. Trad. in Lettere a Erwin Rohde, cit., p. 117-18 (la datazione della lettera è stata<br />

corretta nell’edizione critica da 21 maggio in 19 maggio 1887).<br />

81 FP, VII, 2, p. 249.<br />

82 Ivi, p. 246. Qui Nietzsche fa proprio il giudizio di Doudan nella lettera a Piscatory del 19 maggio<br />

del 1866: «mais que cela est rouge, bleu, vert, orange, noir, nacré, opale, iris et pourpre! [...] c’est<br />

une boutique de marchand de couleurs».<br />

83 Ivi, p. 219<br />

48


2. La malattia della volontà.<br />

Parigi, il grande laboratorio sperimentale dei valori, produce necessariamente materiale di scarto<br />

di grande interesse per lo «psicologo»: i decadenti, gli estremi prodotti di un’epoca di transizione,<br />

incapaci di signoreggiare e ordinare la contraddizione dei molti istinti di cui sono costituiti come figli<br />

della modernità. Nietzsche analizza e combatte le multiformi espressioni di una décadence<br />

storicamente definita ed espressione comunque di un disagio e rifiuto dell’uomo «medio»: esotismo,<br />

cosmopolitismo, culto del primitivo e dell’innocente, religione della sofferenza, tolstoismo,<br />

wagnerismo come oppiaceo, buddismo, ecc. Molte di queste maschere della decadenza si trovano<br />

rappresentate nelle «figure» dell’uomo superiore nella quarta parte dello Zarathustra.<br />

Nietzsche porta negli ultimi anni alle estreme conseguenze la sua ricerca antimetafisica,<br />

trovando nella nuova psicologia francese (che con la fisiologia coglieva non solo il carattere dinamico<br />

della realtà ma anche la sua complessità) elementi di liberazione dalla rigidezza dei miti legati al<br />

linguaggio che pietrifica, immmobilizza in una metafisica spontanea. Di contro l’approdo alla<br />

struttura plurale dell’io, alla costruzione genealogica del soggetto, alla ricerca di «un nuovo centro».<br />

L’uomo, al contrario dell’animale, ha allevato dentro di sé una massa di istinti ed impulsi antagonistici:<br />

mediante questa sintesi è signore della terra. Le morali sono l’espressione di gerarchie, localmente delimitate, in questo<br />

molteplice mondo degli istinti: sicché l’uomo non va in rovina per le loro contraddizioni. Dunque, un istinto come<br />

padrone, il suo contrario indebolito, raffinato, come impulso che fornisce lo stimolo per l’attività L'uomo superiore<br />

avrebbe la massima plurlità degli istinti, e li avrebbe anche nell'intensità relativamente maggiore che può essere<br />

sopportata 84 .<br />

Gli studi sull’ipnotismo e sulla doppia coscienza (e sulle coscienze plurime) venivano definiti<br />

una sorta di vivisezione morale: l’uso del termine rimanda ancora una volta al primato del metodo di<br />

Claude Bernard, che gioca un ruolo essenziale in quegli anni.<br />

La costruzione e il mantenimento della persona: il presupposto è un edificio complicato e<br />

fragile che poteva ogni volta, in parte, essere mandato in rovine. Le pietre distaccate sono il punto di<br />

partenza per la nuova costruzione che si eleva rapidamente al lato dell’antica.<br />

Non si deve in genere presupporre che molti uomini siano «persone». E poi alcuni sono anche più persone, i più<br />

non sono nessuna persona 85 .<br />

L’ipnotismo consente il recupero di un lato della vita psichica ignoto alla coscienza, le<br />

restituisce la ricchezza posta in ombra dall’affermazione della coscienza personale; fornisce allo<br />

psicologo lo strumento per strappare l’inconscio ai fisiologi senza farne un’entità misticamente<br />

oscura. L’indagine psicologica diviene un processo d’analisi che consente di affrontare il soggetto nel<br />

suo complesso, senza rinunciare all’osservazione né del suo lato organico né di quello psichico, e che<br />

permette di ricostruire o addirittura di seguire la storia dell’evoluzione della malattia e della<br />

guarigioni.<br />

Si tratta di una sorta di genealogia di una storia plurale: di qui anche la vicinanza e spesso<br />

l’interscambiabilità in Nietzsche dei termini genealogista, psicologo, fisiologo.<br />

La «vivisezione morale» cambia i tradizionali parametri di lettura con la dissoluzione del<br />

concetto stesso di individuo psicologico col superamento della monodimensionalità della vita<br />

psichica: ci troviamo di fronte a più storie, più organizzazioni, al conseguente carattere<br />

convenzionale/sociale delle valutazioni di salute e malattia.<br />

La realtà psicologica è molteplicità: il suo forte dinamismo non tende spontaneamente<br />

84 Ivi, pp. 267-68.<br />

85 FP, VIII, 2, p. 139.<br />

49


all’armonia tra le parti ma questa è frutto dell'esercizio egemonico di una sulle altre. Anche il tema<br />

della volontà, in Nietzsche, trova in connessione alle discussioni del tempo, una migliore definizione<br />

(pensiamo all’importanza di uno scritto come Les maladies de la volonté di Th.Ribot, 1883).<br />

La fonte della volontà sta nelle azioni biologiche che si compiono nell’intimità più profonda dei<br />

nostri tessuti: in tal misura è vero dire ch’essa è noi stessi.<br />

C’è quindi una critica radicale alla volontà come facoltà («Wille» — eine falsche Verdinglichung:<br />

una falsa concretizzazione 86 ).<br />

La volontà come «activité raisonnable» appare «il coronamento, l’ultimo termine di una<br />

evoluzione, il risultato di un gran numero di tendenze disciplinate seguendo un ordine gerarchico» 87 .<br />

Essoterico-esoterico. Tutto è volontà contro volontà/non c’è affatto una volontà 88 .<br />

L’equivoco fondamentale di SCHOPENHAUER sulla volontà (come se nella volontà l’essenziale fossero desiderio,<br />

istinto, impulso) è tipico: sminuimento del valore della volontà fino all’intristimento.[...] Grande sintomo di<br />

stanchezza o di debolezza della volontà: giacché quest’ultima è propriamente ciò che tratta i desideri da padrona, che<br />

assegna loro una direzione e una misura 89 .<br />

La nostra personalità cosciente — o meglio: la coscienza che ciascuno di noi ha del suo stato<br />

attuale connesso a stati anteriori — non può mai essere che una debole porzione della nostra<br />

personalità rispetto a quella che resta affondata in noi:<br />

siamo oscuri a noi medesimi; la nostra vera persona si agita, si ingegna, si accresce, deperisce a nostra insaputa 90 .<br />

E Nietzsche, più volte, e con particolare forza all’inizio della Genealogia:<br />

Siamo ignoti a noi medesimi, noi uomini della conoscenza, noi stessi a noi stessi. 91 .<br />

Allo stato normale; la connessione tra le due parti della «persona» è sufficiente e coerente. Noi<br />

siamo per noi stessi e per gli altri una storia vivente, senza grandi lacune. Ma se, in questo<br />

subtratum inconscio (fisiologico) da dove tutto emerge, dei gruppi enormi restano inattivi, l’io non<br />

può più apparire a se stesso conformemente alla sua storia vera. Dallo stato patologico allo stato<br />

normale, non vi è differenza che dal più al meno. La coscienza non ci rivela a ogni istante il nostro io<br />

che sotto un solo aspetto, tra quelli possibili.<br />

La falsa personalità è riducibile ad una idée fixe, a una idée maitresse verso la quale converge<br />

tutto il gruppo delle idee concordanti, le altre essendo eliminate e come annientate.<br />

L’unità dell’io è quella di un complexus ed è solo attraverso una illusione metafisica che gli si<br />

accorda l’unità ideale e fittizia del punto matematico. Essa consiste non nell’atto di una «essenza»<br />

pretesa semplice, ma in una ccordinazione di centri nervosi che rappresentano loro stessi una<br />

86 FP, VIII, 1, p. 19.<br />

87<br />

TH. RIBOT, Les maladies de la volonté, Paris 192233 , p.74.<br />

88<br />

Ivi, p. 176.<br />

89<br />

FP, VIII, 2, pp. 87-88.<br />

90<br />

BOURGET, Nouveaux Essais de psychologie contemporaine., cit., p.142.<br />

91<br />

GM, VI, 2, p. 213. Si veda anche la posizione di Taine in cui comunque l’elemento chimicocombinatorio<br />

prevale sul genetico-dinamico: «L’idea dell'io è un prodotto; alla sua formazione<br />

concorrono molti materiali diversemente elaborati [....] per quanto vicini si possa essere a noi<br />

medesimi, noi possiamo ingannrci in più modi a proposito del nostro io».(TAINE, De l’intelligence,<br />

II, Paris 1870, p. 191).<br />

50


coordinazione delle funzioni dell’organismo.<br />

La coordinazione di innumerevoli azioni nervose della vita organica è la base della personalità fisica e psichica,<br />

perché tutte le altre coordinazioni si appoggiano su essa, si aggiungono ad essa; perché essa è l’uomo interiore, la forma<br />

materiale della sua soggettività, la ragione ultima del suo modo di sentire e di agire, la fonte dei suoi istinti,<br />

sentimenti, passioni e, per parlare come nel medioevo, il suo principio d’individuazione 92 .<br />

Noi constatiamo che gli stati di coscienza sempre instabili si suscitano e si soppiantano. È<br />

l’effetto d’una trasmissione di forza e di un conflitto di forze che, per noi, ha luogo non tra gli stati<br />

di coscienza ma tra gli elementi nervosi che li supportano e li ingenerano.<br />

La personalità cosciente debole è solo una parte della intera personalità. L’unità non va dall’alto<br />

al basso ma dal basso in alto; non è un punto iniziale ma un punto terminale.<br />

L'io è una coordinazione. Oscilla tra questi due punti estremi dove cessa di essere: l’unità pura, l’incoordinazione<br />

assoluta. Tutti i gradi intermedi si incontrano infatti, senza demarcazione, tra il sano e il morboso: l’uno prevale<br />

sull'altro 93 .<br />

E Nietzsche:<br />

Illusione prospettivistica dell’io. Unità apparente in cui, come una linea d’orizzonte, tutto si racchiude. Seguendo<br />

il filo conduttore del corpo si scopre un’enorme molteplicità. 94<br />

3. Stili della «décadence».<br />

Questi temi qui accennati, al centro della riflessione dell’ultimo Nietzsche, vengono<br />

generalizzati dalla letteratura naturalista e decadente, che esibisce in romanzi alla moda, nei fortunati<br />

Essais di Bourget, casi clinici da grande città.<br />

In Bourget: la perdita di un centro, la mancanza di un istinto dominante capace di ordinare, la<br />

«malattia della volontà» come le mal du siècle, vengono letti negli intellettuali-guida della Francia,<br />

come il bilancio di una intera generazione.<br />

C'è il sentimento generale di vivere in un periodo di radicale crisi dei valori, in una società<br />

condannata a morte. La mancanza di un credo collettivo, la fine delle vecchie religioni, il nichilismo<br />

della scienza, il dominio della massa che schiaccia le possibilità dell'individuo, il dilettantismo, il<br />

cosmopolitismo, la diffusione del buddismo, ecc., sono fenomeni legati all'usura fisiologica, ad una<br />

generale impotenza alla vita.<br />

In questa sede ci limitiamo ad accennare a qualche suggestione, in una direzione in buona parte<br />

ancora da approfondire dalla Nietzsche-Forschung, dell’incrociarsi di questi temi nel confronto<br />

Nietzsche-Wagner.<br />

Nietzsche, ne Il caso Wagner, applica al musicista la nozione di decadenza che aveva <strong>anno</strong>tato<br />

nei suoi appunti, fin dall’inverno 1883-84 desumendola esplicitamente dal saggio di Bourget su<br />

Baudelaire. L’«incapacità di plasmare organicamente, la sua incapacità di giungere allo stile» che si<br />

accompagna alla ammirevole invenzione del dettaglio, fa di Wagner «il nostro più grande miniaturista<br />

musicale che rinserra in uno spazio estremamente esiguo un’infinità di sensi e di dolcezza». Il<br />

complesso di questa argomentazione de Il caso Wagner è però organicamente formulato nella lettera<br />

92 TH. RIBOT, Les maladies de la personnalité, Paris 1908 14 , p. 162<br />

93 Ivi, p.171.<br />

94 FP, VIII, 1, p. 94.<br />

51


a Carl Fuchs di metà aprile 1886.<br />

La formula wagneriana «melodia infinita» esprime nel modo più amabile il pericolo, la corruzione dell’istinto, e<br />

anche la tranquillità della coscienza in mezzo a tale corruzione. L’ambiguità ritmica, per cui non si sa più, non si deve<br />

più sapere, se una cosa è capo o coda, è senza dubbio un trucco artistico mediante il quale si ottengono effetti<br />

meravigliosi — il Tristano ne è ricco —; ma come sintomo di un’arte è e rimane il segno del dissolvimento. La parte<br />

impera sul tutto, la frase sulla melodia, l’attimo sul tempo (anche sul tempo musicale), il pathos sull’ethos (carattere o<br />

stile come lo si voglia chiamare), e finalmente l’esprit sul pensiero. Scusi! Ma quello che io credo di scorgere è un<br />

capovolgimento della prospettiva: si vede molto, troppo minutamente il particolare; molto, troppo confuso l’insieme.<br />

In musica la volontà è tesa verso quest’ottica sovvertitrice, e più della volontà l’ingegno. E questo è décadence: una<br />

parola che tra gente come noi, s’intende, non giudica ma definisce 95 .<br />

La decadenza è un fenomeno di decomposizione di qualunque tipo di organismo (animale,<br />

sociale) che libera dalla gerarchia e dalla subordinazione al lavoro coordinato della totalità — che<br />

definisce invece il grande stile ed esprime salute — l’autonomia della cellula, e genera così<br />

«anarchia». E Bourget concludeva:<br />

Uno stile di decadenza è quello in cui l’unità del libro si decompone per lasciare il posto all’indipendenza della<br />

pagina, in cui la pagina si decompone per lasciare il posto all’indipendenza della frase, la frase a sua volta<br />

all’indipendenza della parola 96 .<br />

Nietzsche, con il suo stile aforistico, si pone consapevolmente agli antipodi nella volontà di<br />

definire e di esprimere, con la sentenza, «una forma dell’eternità»: «La mia ambizione è quella di dire<br />

in dieci proposizioni quel che ogni altro dice in un libro — quel che ogni altro non dice in un libro» 97 .<br />

Nietzsche si trova più vicino comunque all’ambizione classica del moralista francese espressa da<br />

Joubert:<br />

Se vi è un uomo tormentato dalla maledetta ambizione di mettere tutto un libro in un pagina, tutta una pagina in<br />

una frase, e questa frase in una parola, sono io 98 .<br />

Agli antipodi dello stile della decadenza Bourget pone la scrittura di Taine: vero e proprio<br />

processo «di anatomia psicologica di un cercatore che vede nella letteratura un segno».<br />

La filosofia è la «passion dominatrice» capace di dare ordine dimostrativo alla forza delle<br />

immagini, inserendole in una struttura argomentativa.<br />

Non esiste affatto, nella letteratura attuale, stile più sistematico e di cui ogni procedimento traduca meglio il<br />

partito preso di un pensiero sicuro di se stesso.Ogni periodo d'una di queste forti pagine è un argomento, ogni membro<br />

di questi periodi una prova, in appoggio di una tesi che il paragrafo intero sostiene, e questo paragrafo stesso si lega<br />

strettamente al capitolo, il quale si lega all'insieme così bene che, al pari di una piramide, tutta l'opera converge dalle<br />

più minute molecole delle pietre delle fondamenta fino al blocco di roccia della cima, verso una punta suprema e che<br />

attira a sé l'intera massa 99 .<br />

La rigorosa costruzione che domina e sottomette a sé anche le «metafore visionarie» si oppone<br />

allo stile della decadenza come caratterizzato da Bourget per Baudelaire (ma vale anche per<br />

l'impressionismo dei Goncourt) e ripreso da Nietzsche per Wagner.<br />

In molti frammenti di Nietzsche si trova esplicita la contrapposizione tra lo stile turgido e<br />

95<br />

KGB, III, 3, pp. 176-77.<br />

96<br />

BOURGET, Essais de psychologie contemporaine, cit., p. 25.<br />

97<br />

GD, VI, 3, pp.152-53.<br />

98<br />

J. JOUBERT Pensées, Paris 1874, VI ediz., p. 8 (BN; sottolineato da Nietzsche).<br />

99<br />

BOURGET, Essais de psychologie contemporaine., cit. p. 188.<br />

52


metaforico di Balzac («plebeo» che ha bisogno di forti sensazioni, preda della grande città) e lo stile<br />

secco, chiaro, matematico di Stendhal. Questa opposizione rimanda al saggio di Taine: di contro ai<br />

forti colori di Balzac, Beyle rimane classico: «semplice allievo degli ideologi e del senso comune». Lo<br />

stile metaforico è lo stile inesatto, afferma Taine:<br />

Quando la vostra idea, in mancanza di riflessione, è ancora imperfetta e oscura, non potendo mostrarla così, voi<br />

indicate gli oggetti a cui essa assomiglia; voi uscite dall’espressione corta e diretta, per gettarvi a destra e a sinistra nei<br />

paragoni. È dunque per impotenza che voi accumulate le immagini 100 .<br />

La potenza e la ricchezza della definizione vuole appartenere all'aforisma e alla scrittura di<br />

Nietzsche che è consapevolmente lontana (dopo il periodo romantico) da ogni valorizzazione dello<br />

stile metaforico.<br />

Ciò che è immagine, o simbolo, tutto si offre come l'espressione più vicina, più giusta, più semplice 101 .<br />

La scelta della metafora, se lontana dalla volontà di definire, significa vaghezza, suggestione,<br />

debolezza. Oppure è un effetto del moltiplicare indifferentemente i punti di vista, le interpretazioni,<br />

nella moderna età critica. Questo comporta lo scetticismo alla Renan, la vacillation de la volonté,<br />

l'impotenza.<br />

La décadence di Bourget deve il suo carattere alla nozione positivistica di malattia, in<br />

particolare nei termini che aveva fissato Taine: la malattia è processo di disgregazione di una forma,<br />

dove però l’elemento particolare, acquistando autonomia «morbosa» e sottraendosi alla<br />

subordinazione funzionale al tutto, produce un incremento di visibilità. Essa è perciò, secondo le<br />

iniziali indicazioni di Claude Bernard, un esperimento non costruito, ma offerto spontaneamente<br />

dalla natura che fornisce la stessa procedura di isolamento del fenomeno propria dell’esperimento<br />

scientifico.<br />

L’acutezza di sguardo, la precisione del dettaglio e nella definizione del particolare in<br />

Baudelaire, nasce da questa necessaria vicinanza malattia-visibilità. Nell’analizzare l’analogia tra il<br />

Wagner di Nietzsche e il Baudelaire di Bourget, (ma anche altri sono i contesti di riferimento) si deve<br />

mettere in luce l’attenzione di Nietzsche al momento allucinatorio dell’arte wagneriana. Lo stile<br />

allucinato dell’esperienza è visto da Bourget come caratteristico dei poeti e scrittori di quella<br />

metropoli che tende fino allo spasimo la «macchina nervosa» ed è capace di frammentare la<br />

sensibilità.<br />

Bourget, a proposito dei Goncourt, parla di<br />

fini impressioni nervose, una prodigiosa mobilità di sguardo, una novità incomparabile del pittoresco, e di un fremito<br />

della parola che rivela una vibrazione quasi inquietante di tutto l’essere 102 .<br />

La «forte febbre allucinatoria» (la frase è sottolineata da Nietzsche nella sua copia) caratterizza<br />

la malattia ricercata e voluta dai due romanzieri ostili all’equilibrio della salute: moltiplicando<br />

all’infinito le emozioni artistiche, frammentandole nell’ottica del bibelot, i Goncourt spingono agli<br />

estremi la delicatezza del proprio sistema nervoso e finiscono per trasportare l’eccitabilità di una<br />

natura estetica nella quotidianità.<br />

Il bibelot diventa simbolo del dilettantismo e dell'esotismo: è la caratteristica peculiare dei<br />

Goncourt «uomini da museo, ed in questo moderni». Il museo risponde ai bisogni più diversi di<br />

100<br />

TAINE, Nouveaux essais de critique et d’histoire, cit., p. 57.<br />

101<br />

EH, VI, 3, p. 349.<br />

102<br />

P. BOURGET, Nouveaux Essais de psychologie contemporaine, cit., p.154.<br />

53


stimolo estetico: è il corrspettivo del grande magazzino che offre una risposta anticipata a tutti i<br />

desideri. Anche nel grande magazzino, che sfrutta questa generale passione si trova il bibelot :<br />

se ne andrà come tutte le mode, ma chi analizza la nostra società contemporanea non può trascurarlo più che lo storico<br />

del grand siècle non può passare sotto silenzio il paesaggio tagliato del parco di Versailles 103 .<br />

I nuovi romancière, sono come Baudelaire, figli della «vita di Parigi» e della analisi scientifica:<br />

città e scienza h<strong>anno</strong> assolto allo stesso compito di disgregazione degli organismi totalizzanti basati<br />

sulle grandi illusioni:<br />

scrittori d’eccezione che come Edgar Poe, h<strong>anno</strong> teso la loro macchina nervosa fino a diventare allucinati, sorta di retori<br />

della vita torbida e già «venata dall’asprezza della decomposizione» (Gautier). Dovunque balena ciò che egli stesso,<br />

con espressione strana ma necessaria, chiama la «fosforescenza della putrefazione»; egli si sente attirato da un<br />

magnetismo invincibile 104 .<br />

Il modello di Bourget era, anche qui, la psicologia che Taine aveva formulato in egual misura<br />

nell’opera filosofica De l’intelligence e nella descrizione della follia rivoluzionaria nelle Origines de<br />

la France contemporaine. In particolare la dottrina tainiana della sensazione come «allucinazione<br />

vera» ritaglia il campo della percezione corretta della realtà come un caso particolare, eccezionale e<br />

precario, del processo morboso dell’allucinazione. La costituzione della personalità come centro<br />

saldo di percezione realistica dipende dall’obbedienza a regole e criteri socialmente costruiti. I grandi<br />

fenomeni di disgregazione delle civiltà (di cui le «convulsioni di Parigi» sono l’esempio terrificante<br />

che la Comune ha messo sotto gli occhi di tutti indicando i confini labili di ragione e follia) spazzano<br />

via regole e criteri dissolvendo l’unità di stile percettivo e di comportamento che costituisce la<br />

persona umana. Il soggetto si perde così in una successione di sensazioni e di atti senza centro e<br />

prive di criteri correttivi, che le Origines interpretano in chiave politica. Qui le forme di rettifica<br />

dell’allucinazione, della propensione spontanea all’irrealismo della follia, si incorporano<br />

nell’esistenza di una élite sociale adeguata, cioè capace di controllare, frenare e reprimere l’espandersi<br />

dell’immaginazione sociale, e il conseguente comportamento collettivo di tipo allucinatorio.<br />

Negli Essais Bourget assegnava a Parigi una forza disgregante rispetto alla personalità:<br />

Questa città è il microcosmo della nostra civilizzazione [...]. Dite ora se è possibile conservare un’unità di<br />

sentimenti in questa atmosfera sovraccarica di correnti elettriche, in cui le informazioni multiple e circostanziate<br />

volteggiano come una popolazione di atomi invisibili. Respirare a Parigi è bere questi atomi 105 .<br />

Nietzsche ha descritto come caratteristica dell’esperienza decadente il richiamarsi reciproco<br />

della disgregazione sotto lo choc della grande città e la fuga verso appagamenti allucinatori. Il tardo<br />

romanticismo francese nasce come «esperienza per una “realtà” mancata, disdegno contro i<br />

boulevards». La sottomissione agli stimoli forti del milieu da parte della personalità debole<br />

(épuisement fisiologico, della razza) suscita un «mondo di hashish, di vapori esotici, pesanti,<br />

avvolgenti, di ogni specie di esotismo e simbolismo dell’ideale, solo per liberarsi una buona volta<br />

della propria realtà». Anche il nazionalismo e l’ideologia di Bayreuth, col suo pesante e grigio<br />

simbolismo, sono «palude» che, lungi dall’essere l’antitesi genuina e pura dell’innaturale<br />

metropolitano, nascono proprio dalla «palude» della città.<br />

Un certo cattolicesimo dell’ideale soprattutto in un artista, quasi la dimostrazione che egli disprezza se stesso, che<br />

103 Ivi, p.150.<br />

104 Ivi, pp. 30-31.<br />

105 BOURGET, Essais de psychologie contemporaine, cit., p. 73-74.<br />

54


sta nella «palude» : il caso di Baudelaire in Francia, il caso di Edgar Allan Poe in America, il caso di Wagner in<br />

Germania 106 .<br />

Ancora una volta Bourget indica la fuga romantica verso l’ideale, verso il misticismo come<br />

espressione di una impotenza verso la grande città:<br />

Uno scrittore passeggia sul boulevard e il tumulto della folla lo inebria. Eccolo sposare, con la sua intelligenza<br />

tutte le forme di questa vita cangiante e variegata... se al contrario lo scrittore è tra coloro la cui natura troppo fragile<br />

ripugna alle violenze dello sforzo animale, lo spettacolo di questa via lo brutalizza; i visi apparsi un minuto gli rivelano<br />

le piaghe interiori e l’ossessionano. Chiude gli occhi per non vedere il quadro di questa dolorosa realtà, ed elabora in se<br />

stesso il sogno di un altro universo 107 .<br />

Bourget vede in questo un aspetto della solitudine dell’artista moderno:<br />

racchiuso dai suoi sogni estetici nella prigione in una sorta di contrada dell’haschisch, non si preoccupa più della<br />

portata immediata della sua opera 108 .<br />

In quest’ultimo periodo Nietzsche insiste anche su una lettura fisiologica della décadence<br />

approfondendo il tema positivistico della degenerazione.<br />

Il «caso» Wagner è inteso appunto nella sua caratterizzazione medico-fisiologica. L’esperienza<br />

della grande città è al centro dei processi di disgregazione del soggetto. Utilizzando le immagini del<br />

nutrimento e della digestione, Nietzsche contrappone ad un atteggiamento attivo, che accumula le<br />

energie attraverso una selezione e una digestione prolungata (Einverleibung, incorporazione) di<br />

stimoli, la sottomissione al «prestissimo» delle impressioni accelerate, contraddittorie e puntuali<br />

della modernità:<br />

ne risulta un indebolimento della capacità di digestione. Subentra una specie di adattamento a questo eccesssivo<br />

accumularsi delle impressioni: l’uomo disimpara ad agire; si limita ormai a reagire agli eccitamenti dall’esterno.<br />

Spende la sua energia in parte nell’assimilare, in parte nel difendersi e in parte nel replicare. Profondo indebolimento<br />

della spontaneità 109 .<br />

È lo stesso motivo che guida la critica di Nietzsche alle ideologie darwinistiche. Il darwinismo è<br />

da lui inteso come un’ideologia della lotta in cui il soggetto, completamente subordinato alla struttura<br />

polemica, è incapace di signoreggiare autonomamente il milieu attraverso una forza plastica di<br />

assimilazione. La teoria del mileu è perciò «una teoria della decadenza, ma penetrata e divenuta<br />

dominante in fisiologia» 110 .<br />

La teoria del milieu, oggi la teoria parigina per eccellenza, è essa stessa la prova di una rovinosa disgregazione<br />

della personalità. Quando il milieu comincia a formare e la situazione è tale che è lecito intendere i talenti di primo<br />

piano come mere concrescenze del loro ambiente, allora è finito il tempo in cui si poteva ancora radunare, ammucchiare,<br />

raccogliere — è finito l’avvenire. [...]. L’attimo divora ciò che produce — e guai! ciò nonostante rimane affamato 111 .<br />

Nel continuo confronto che Nietzsche instaura con i décadents parigini, questi f<strong>anno</strong> comunque<br />

parte di un impetuoso movimento di crescita del reale. La percezione della crisi rilevata dalla<br />

décadence è in Nietzsche nettamente diversa dalla dominante prospettiva positivistica, nella quale i<br />

106<br />

FP,VIII, 3, p. 367.<br />

107<br />

BOURGET, Nouveaux essais de psychologie contemporaine, cit., pp. 91-92.<br />

108<br />

Ivi, p. 197.<br />

109<br />

FP, VIII, 2, pp. 114-15.<br />

110<br />

FP, VIII, 2, framm. 15[105], p. 255.<br />

111 Ivi, p. 255.<br />

55


processi degenerativi di una forma di civiltà sono ridotti e padroneggiati nei termini di una<br />

regressione a livelli atavici.<br />

Ciò che prima non si sapeva, ciò che oggi si sa o si potrebbe sapere, sta nel fatto che una trasformazione<br />

regressiva, un ritorno, in qualsiasi senso e grado non è affatto possibile... Nessuno ha la libertà di essere gambero. Non<br />

giova a nulla: si deve andare avanti, voglio dire un passo dopo l’altro più oltre nella décadence (questa la mia<br />

definizione del moderno «progresso»...). Si può intralciare questo sviluppo e, intralciandolo, arginare, concentrare,<br />

rendere più veemente e più improvvisa la degenerazione stessa: di più non si può 112 .<br />

Al fondo la décadence rivela una duplice caratteristica: da un lato l’incapacità di signoreggiare il<br />

processo di crisi della forma, la subordinazione al milieu, dall’altro la visibilità sul reale implicita<br />

nella malattia.<br />

Per quanto riguarda il secondo lato Nietzsche rielabora qui, per certi versi, e ripensando la sua<br />

giovanile teoria del sogno e dell’estasi, la coppia positivistica regressione-modernità. La<br />

disgregazione della forma e dello stile fa comparire alla superficie della vita stati psichici di<br />

rammemorazione di epoche remote dell’umanità, che sembravano del tutto cancellate e che trovano<br />

capacità espressive nel linguaggio musicale e nell’estasi dell’ebbrezza. «Talvolta la musica suona<br />

come il linguaggio di un’età scomparsa in un mondo stupito e nuovo» scriveva già in Opinioni e<br />

sentenze diverse 113 , là dove vincolava l’espressione musicale ad un sentimento del passato; e<br />

ricordando le «feste delle memorie» degli Elleni morenti, incalzati dai barbari e prossimi alla<br />

distruzione della loro civiltà affermava:<br />

il meglio di noi è stato forse ereditato da sentimenti di epoche anteriori, a cui per via diretta quasi non possiamo più<br />

giungere; il sole è già tramontato, ma il cielo della nostra vita arde e risplende ancora di esso, sebbene non lo vediamo<br />

più 114 .<br />

Ma nei frammenti del 1888 il tema è ripreso con maggiore radicalismo, giacché l’arte wagneriana<br />

non appare più come il medium che trasmette all’estenuazione moderna le immagini e le energie delle<br />

epoche anteriori. La gratitudine per questa funzione dell’arte è ora totalmente convertita in<br />

vivisezione di quei processi della modernità che permettono il ritorno del rimosso. Ne Il caso<br />

Wagner la sua arte è in quanto malattia, visibilità accresciuta di tali processi.<br />

La prima cosa che la sua arte ci offre è una lente di ingrandimento: si guarda dentro 115 .<br />

La stessa espressione nello stesso senso viene usata da Bourget per Amiel che lascia andare agli<br />

estremi, fino alla malattia, «lo spirito germanico, lo spirito analitico, il gusto del sogno» che in lui<br />

convivono come espressioni della modernità 116 .<br />

Nel frammento La religione nella musica l’impianto mitico religioso del Parsifal, riproduce<br />

l’essenziale funzione rammemorativa, ma la isola dalla modernità, e dunque rende invisibili i processi<br />

che l’h<strong>anno</strong> generata rinchiudendosi in uno spazio sacro.<br />

Che la musica possa prescindere dalla parola, dal concetto — oh come ne trae vantaggio, questa astuta santarella,<br />

che riconduce, anzi seduce a tornare a tutto quanto fu una volta creduto! [...]. La nostra coscienza intellettuale non ha<br />

bisogno di vergognarsi, — perché ne resta fuori, — quando un qualche antico istinto beve, con labbra tremanti, da<br />

112 GD, VI, 3, p. 143.<br />

113 VM, IV, 3, p. 65.<br />

114 MA, IV, 2, p. 159.<br />

115 WA, VI, 3, p. 10.<br />

116 BOURGET, Nouveaux essais de psychologie contemporaine, cit., p. 256.<br />

56


calici proibiti 117 .<br />

Ma il frammento immediatamente successivo accosta musica ed ebbrezza insistendo<br />

sull’elemento della visibilità:<br />

Con l’alcool e la musica ci si riporta a gradi di cultura e incultura che i nostri progenitori avevano già superato; in<br />

questo senso niente è più istruttivo, niente «più scientifico» dell’inebriarsi 118 .<br />

Al primo lato della decadenza è connesso il tema dell’épuisement e della sostituzione della<br />

velleità alla forza plasmatrice, del désir alla volontà.<br />

La visione può sorgere, oltre che per sovrabbondanza di energia nell’artista dionisiaco (ed è il<br />

caso di Zarathustra che Nietzsche ribadisce in Ecce homo) anche come espediente reattivo contro il<br />

sentimento del vuoto, come fuga per debolezza dal caos delle sensazioni forti e disgreganti: «Dietro<br />

la contrapposizione tra classico e romantico non si nasconde la contrapposizione tra attivo e<br />

reattivo?» 119 .<br />

Anche l’atteggiamento reattivo, teorizzato e praticato da Huysmans, che caratterizza per molti<br />

aspetti l’uomo superiore (homme supérieur) dello Zarathustra nei confronti del milieu, è<br />

espressione di impotenza e debolezza, incapacità di andare oltre.<br />

La teoria del milieu, adattata da Taine all’arte è giusta — ma giusta al contrario (à rebours) quando si tratta di<br />

grandi artisti perché su questi il milieu agisce con la rivolta, con l’odio che provoca in loro; invece di modellare, di<br />

plasmare l’anima a sua immagine, esso crea, nelle immense Boston, dei solitari Edgar Poe; esso agisce alla rovescia,<br />

crea nelle vergognose France dei Baudelaire, dei Flaubert, dei Goncourt, dei Villiers de l’Isle-Adam, dei Gustave<br />

Moreau, dei Redon e dei Rops, degli esseri d’eccezione che rivolgono indietro il passo, ripercorrono il cammino dei<br />

secoli e si gettano, per il disgusto delle promiscuità che esso fa loro subire, nei baratri delle età passate, nei tumultuosi<br />

spazi degli incubi e dei sogni 120 .<br />

Lo stesso atteggiamento anarchico, distruttore, è visto da Nietzsche come risposta immediata e<br />

subalterna allo stimolo esterno di chi gli è sottomesso ed è incapace di signoreggiarlo: impotenza<br />

quindi che produce il sogno di una natura originariamente buona, che sta, disponibile, al di là delle<br />

macchine complicate della civilizzazione. Anche l’aspetto «istrionico» di Wagner, commediante e<br />

Cagliostro che si adegua all’epoca dominandola con una sublimazione teatrale della disgregazione, è<br />

agli occhi di Nietzsche politica decadente della crisi in cui l’ideale (il mito) non è presente come leva<br />

di cambiamento, ma come conferma dell’esistente, poiché la sua autentica natura ribadisce e rafforza<br />

l’elemento estatico e di «ebbrezza» della sensibilità decadente.<br />

Sono i limiti dell’uomo superiore che non può essere inteso pienamente nel suo significato, se<br />

non si tengono presenti sullo sfondo le contemporanee formulazioni di Taine, Renan, Bourget,<br />

Brunetière, dei Goncourt, ecc., ed anche la criticità esercitata da Nietzsche verso gli esiti decadenti e<br />

nichilistici dei contemporanei. La quarta parte di Zarathustra può essere letta allora come gli Essais<br />

di psicologia contemporanea di Nietzsche, diagnosi della cultura dell’epoca, con l’urgenza, di fronte<br />

ai «tipi» della decadenza di dare una risposta, di avviare un contromovimento sotto il segno<br />

dell’affermazione dionisiaca.<br />

117 FP, VIII, 3, p. 30.<br />

118 Ivi, p. 31.<br />

119 FP, VIII, 2, p. 56.<br />

120 J. K. HUYSMANS, L’art moderne-Certains, Paris 1975, p. 258-59.<br />

57


8.<br />

Il Rinascimento e la “plante humaine”: Stendhal, Taine e Nietzsche<br />

Il ‘Rinascimento’ ha fornito a Nietzsche gli argomenti contro la presunta superiorità della cultura<br />

germanica in quanto sedicente espressione privilegiata dell’elemento umano-universale, capace di<br />

resuscitare l’antichità classica: “Il Rinascimento italiano incluse in sé tutte le forze positive a cui si<br />

deve la cultura moderna: ossia liberazione del pensiero, disprezzo dell’autorità, vittoria<br />

dell’istruzione contro l’alterigia della schiatta, entusiasmo per la scienza e per il passato scientifico<br />

degli uomini, affrancamento dell’individuo, amore ardente per la veracità e ostilità verso<br />

l’apparenza e il mero effetto [ … ]; sì, il Rinascimento ebbe in sé quelle forze positive che finora,<br />

nella nostra cultura moderna, non sono ancora ridiventate così potenti. Esso fu l’età aurea di questo<br />

millennio, nonostante tutte le sue pecche e i suoi vizi” (MA, af. 237).<br />

A partire da Umano, troppo umano, Nietzsche identifica in Lutero il nemico dell’Aufklärung che<br />

interrompe il cammino sulla via dei lumi iniziato con l’umanesimo neolatino. Nel ‘rozzo’ monaco<br />

tedesco la fede e la convinzione significano fanatismo e chiusura, e quindi violenza, contro la<br />

‘libertà dello spirito’ e la mitezza. “La Riforma luterana fu, in tutta la sua estensione,<br />

l’esasperazione della semplicità contro qualcosa di ‘molteplice’; per esprimerci in termini cauti, un<br />

grossolano, candido fraintendimento cui molto deve essere perdonato – non si comprese<br />

l’espressione di una Chiesa vittoriosa e si vide soltanto corruzione, si fraintese il nobile scetticismo,<br />

quel lusso di scetticismo e tolleranza che ogni potenza vittoriosa, sicura di sé, si concede… ” (FW,<br />

af. 358). Il fanatismo di Lutero, nemico dell’onestà intellettuale, si congiunge a quello di Rousseau<br />

in un elenco di “spiriti malati,… epilettici dell’idea” che conduce alla distruzione dell’Auflärung e<br />

dello spirito ‘libero’: “Convinzioni sono carceri.[...] La libertà da ogni specie di convinzioni, il<br />

saper guardare liberamente è parte integrante della forza... [..] Il credente non è libero in genere<br />

una coscienza per la questione del “vero” e del “non vero”: essere onesti su questo punto sarebbe la<br />

sua immediata rovina. Il condizionamento patologico della sua ottica fa dell’uomo convinto un<br />

fanatico — Savonarola, Lutero, Rousseau, Robespierre, Saint-Simon —, il tipo antitetico allo<br />

spirito forte, divenuto libero” (AC, 54). L’uomo del Rinascimento viene caratterizzato e contraris,<br />

come sintesi di una pluralità di forze mobili e come apertura nelle forme sociali e culturali: non si<br />

subordina a valori trascendenti e rigidi ma vede nei valori strumenti pragmatici della costruzione di<br />

sé e dello Stato ‘opera d’arte’. Il Rinascimento è esplosione della complessità nella conoscenza e<br />

nella morale. E’ la vitalità e l’energia del Sud contrapposte al freddo e uniforme Nord: “Il<br />

protestantesimo, questa forma di decadenza spiritualmente impura e noiosa, in cui il cristianesimo si<br />

è saputo finora conservare nel mediocre Nord: come qualcosa di dimezzato e di complesso, è<br />

pregevole per la conoscenza, in quanto ha fatto confluire nelle stesse menti esperienze di diverso<br />

ordine e diversa origine. Valore delle forme complesse, del mosaico psichico e perfino della<br />

disordinata e trascurata economia dell’intelligenza” (1887-1888, 10[54]).<br />

Con Stendhal, mediato da Hippolyte Taine, Nietzsche attraversa il mito letterario del Sud che trova<br />

nel Rinascimento la sua età d’oro. Tale mito è parte di una geografia sentimentale ed ideologica,<br />

che ha una lunga tradizione, da Helvetius a Montesquieu, da Rousseau a Mme de Staël, a Sismondi:<br />

la riflessione sulla psicologia dei popoli, il contrasto tra il Nord e il Sud, ed infine la presenza forte<br />

del mito italiano: “La Pianta uomo nasce più robusta qui che altrove”. Questa espressione di<br />

Stendhal torna più volte in Nietzsche e in Taine 121 .<br />

121 L’espressione di Vittorio Alfieri si trova in Stendhal, Rome, Naples et Florence, Paris 1854 [BN], p. 383<br />

(il passo è sottolineato da Nietzsche) e a p. 345 dove è citata per esteso, in italiano: “La pianta uomo nasce<br />

più robusta in Italia che in qualunque altra terra, gli stessi atroci delitti che vi si commettono ne sono una<br />

prova” e ricorre anche nell’Histoire de la peinture en Italie, Paris: Michel Lévy Frères, 1868, [BN].p. 285:<br />

“La végétation humaine y est plus forte. Là se trouve le ressort qui fait les grands hommes”. Nietzsche fa più<br />

volte riferimento a questa espressione: cfr. JGB 44, Frammenti 27[40.59], estate-autunno 1884; fr.<br />

34[74.146.176] aprile-giugno 1885; 37[8].<br />

58


La valorizzazione della ‘Renaissance’ da parte di autori quali Barbey d’Aurevilly e Arthur de<br />

Gobineau ha alla sua radice l’esaltazione dell’energia extramorale, all’interno del ‘beylisme’<br />

nascente. Bourget, che come Nietzsche è approdato a Stendhal attraverso Taine, pone al centro<br />

degli Essais de psychologie contemporaine l’epitafio Arrigo Beyle, Milanese, voluto dallo stesso<br />

scrittore: Stendhal “savoura, comme un barbare, cette voluptuose impression animale du soleil, si<br />

caressante à ceux dont la jeunesse a grandi sous le nuages du Nord” 122 .<br />

Al di là della ricostruzione autobiografica che parla di un incontro del tutto fortuito, senza<br />

suggestioni esterne, con lo scrittore francese (“Stendhal, uno dei casi più belli della mia vita” 123 ), si<br />

deve osservare che Nietzsche, solo nel 1879, dopo aver letto Taine nell’estate del 1878, legge con<br />

passione Stendhal al quale rimarrà fedele fino all’ultimo come a colui che “forse ha avuto — fra<br />

tutti i Francesi di questo secolo — gli occhi e gli orecchi più ricchi d’intelligenza” (FW, 95).<br />

Felicità, passione, forza, energia, analisi vivisettrice, insouciance, “dolce far niente”, amore, vanità,<br />

‘bellezza come promessa di felicità’[“La beauté n’est que la promesse de bonheur”], il Midi e la sua<br />

musica, il contrasto tra la "gaiezza" e il tedio e la pruderie, la caratterizzazione dei vari popoli<br />

europei etc. sono temi e categorie che troviamo, con appunti dalla lettura di Stendhal, in particolare<br />

nei frammenti postumi del 1880, a costituire la trama della "filosofia del mattino".<br />

Lo stesso ateismo di Stendhal, per Nietzsche, è un aspetto della sua salute, si lega senza sforzo alla<br />

sua vitalità affermatrice — non è espressione di risentimento, rifugge dalle ombre di Dio. E<br />

Nietzsche gli invidia "la più bella battuta da ateo": “Dio ha la sola scusa di non esistere” 124 (EH,<br />

Perché sono così accorto, 3).<br />

Alla linea romantica, della debolezza che deriva da Rousseau e che vede in Sainte Beuve e Renan<br />

due esponenti principali, Nietzsche contrappone la linea dell'energia e della forza che procede dagli<br />

ideologues e che in ha nello ‘psicologo’ Stendhal il suo punto centrale di riferimento. Nietzsche,<br />

nella caratterizzazione di Stendhal come "uomo superiore", si richiama a Taine e Bourget.<br />

Nietzsche unisce la lezione di Stendhal a quella di Taine quando valorizza il tema dell’energia<br />

individuale che trova nel Rinascimento italiano e nell’arte di quel tempo, il suo punto più alto.<br />

Scrive Stendhal: “C’est en vain qu’on demanderait à la froide expérience de nos jours l’image des<br />

tempêtes qui agitasient ces âmes italiennes. Le lion rugissant a été enlevé à ses forêts et réduit au vil<br />

état domestique [...] Partout des passions ardentes dans toute leur sauvage fierté: voilà le quinzième<br />

siècle” 125 . Stendhal definisce Alessandro VI “ce grand homme qui savait tout et pouvait tout”<br />

(Chroniques italiennes) e Cesare Borgia “le représentant de son siècle” 126 .<br />

122 Paul Bourget, Essais de psychologie contemporaine, cit. p. 266. Per il valore dell’epitafio di Stendhal:<br />

cfr. la lettera di Nietzsche a Gast del 22 marzo 1884.<br />

123 EH, Perché sono così accorto, 3; Cfr. la lettera a F. Overbeck del 23 febbraio 1887, in cui Nietzsche<br />

confronta come casi fortunati della sua vita, l’incontro con Dostoewskij di poche settimane prima con<br />

quello di Schopenhauer (a 21 anni) e con Stendhal a 35 anni.<br />

124 La battuta ("il est athée jusqu'au délice") è riportata da P. Bourget, Essais , cit, p. 260 come espressione<br />

del suo essere erede di Condillac, d'Helvetius e de Tracy, "implacable pout toutes les inventions de<br />

l'Idéalisme allemand". Ma tale forma di ateismo viene messo in luce anche da Paul Albert, La litérature<br />

française au XIX eme siècle, Paris, 1885, p. 236, (BN):La religion, il s’en préoccupe peu: il est athée avec<br />

rage, ne croit pas que les autres croient, a des plaisanteries légerès, comme celle ci: “Ce qui excuse Dieu,<br />

c’est ce qu’il n’existe pas.”. Di contro, significativamente, tradizionalisti come E. Melchior de Vogüe,<br />

nell’Avant-propos (1886) de Le roman russe, Paris, Plon,1912 11 , vede in questo aspetto di Stendhal (“nous<br />

le prenons san cesse en flagrant délit d’intervention railleuse, de persiflage voltarien”, p. XXIX) un aspetto<br />

del suo nichilismo, disastroso per la Francia:”Beyle n’a rien de l’impassibilité, il a seulement une<br />

abominable sécheresse” La sua è la stessa anima di Julien Sorel “c’est une âme méchante, très-inférieure à la<br />

moyenne” “Rouge et noir , livre haineux et triste”. La speranza di una resurrezione dell’arte francese<br />

‘epuisé’ sta nell’influenza salutare della grande anima russa.<br />

125 Stendhal, Histoire de la peinture en Italie, cit., p. 11.<br />

126 Stendhal, Histoire de la peinture en Italie, cit., p. 14.<br />

59


Letture di autori francesi marcano senza alcuna ombra di dubbio l’opposizione di Nietzsche<br />

filoromanico al germanico Wagner; e se Burckhardt resta un punto di riferimento essenziale nel<br />

percorso del filosofo, è certo che il Rinascimento (e Cesare Borgia come sua figura simbolo) è un<br />

diffuso mito-forza della cultura francese. Le pagine dello storico di Basilea, riprese dai Francesi 127 e<br />

da loro riproposte a Nietzsche con maggiore luminosità, assumono ora la valenza di<br />

un’affermazione di valori che ha le ‘brume’ del Nord come momento polemico. E’, anche,<br />

resistenza, soprattutto dopo la guerra franco-prussiana, al sentimento diffuso della ‘décadence’<br />

latina.<br />

Nietzsche riassumerà contro i Tedeschi: Cesare Borgia contra Parsifal. “Se insinuavo nell’orecchio<br />

di qualcuno di andare in cerca di un Borgia piuttosto che di un Parsifal, quello non credeva alle sue<br />

orecchie” (EH, Perché scrivo libri così buoni, 1). E’ la costruzione di un mito consapevole: all’eroe<br />

religioso, cristiano, casto, schopenhaueriano di Wagner — che si congiunge al Gesù di Renan — il<br />

filosofo contrappone non la figura storica, ma il centro immaginario dell’energia immoralistica,<br />

della sana animalità della ‘bestia da preda’ (Raubthier), controeroe della decadenza. “Equivoco<br />

sulla bestia da preda: molto sana come Cesare Borgia! Le qualità dei cani da caccia” (25[38],<br />

1884). A Parsifal, creatura dell’arte decadente, si oppone Cesare Borgia, una figura che ha perso,<br />

nella diffusa valorizzazione letteraria ed estetica, le caratteristiche storiche puntuali per divenire un<br />

forte simbolo. La sana animalità del principe-condottiero, è l’espressione più elementare<br />

dell’energia vitale che il filosofo contrappone alla malata fisiologia di Parsifal (“un Borgia piuttosto<br />

che un Parsifal”- sottolineatura mia) e, come vedremo, non è certo l’espressione più alta dell’‘uomo<br />

del Rinascimento’, in nessun modo riducibile al ‘tir<strong>anno</strong>’ e al Gewaltmensch. In Cesare Borgia non<br />

va dunque ricercato un “carattere morboso”. Egli rappresenta, al contrario, un sano esemplare “tra<br />

tutte le belve e creature tropicali”. Questo si traduce nel rimprovero che Nietzsche rivolge ai<br />

moralisti: di avere “un odio per le foreste vergini e per i tropici! E che l’uomo tropicale debba<br />

essere screditato a tutti i costi, sia come malattia e degenerazione umana, sia come un proprio<br />

inferno e una tortura di se stesso? Perché mai? A favore forse delle “zone temperate”? A pro degli<br />

uomini moderati? Dei “morali”? Dei mediocri? Questo per il capitolo “morale come pusillanimità””<br />

(JGB, 197). Questo caos incandescente è solo la premessa per l’anima vasta e complessa, che<br />

conosce un ordine estetico: l’uomo del Rinascimento.<br />

Questa ‘alchimia degli estremi’ deriva a Nietzsche principalmente da Taine, del quale trascrive, dal<br />

Voyage aux Pyrénées (Paris 1858) sotto la rubrica ‘Fisiologia dell’arte’, brani significativi che ben<br />

definiscono il Rinascimento: “Agir, oser, jouir, dépenser sa force et sa peine en prodigue,<br />

s'abandonner à la sensation présente, être toujours pressé de passions toujours vivantes, supporter et<br />

rechercher les excès de tous les contrastes, voilà la vie du seizième siècle” “cet âge de force et<br />

d'effort, d'audace inventive, de plaisirs effrénés et de labeur terrible, de sensualité et d'héroïsme” 128 .<br />

In questo diario di viaggio che diventa - alla Stendhal - raccolta di riflessioni ed analisi su tutte le<br />

realtà incontrate, la forza viene approvata ed esaltata, nelle sue varie espressioni: dall'imponenza<br />

delle masse rocciose nei cui confronti l'esperienza umana appare “excroissance passegère” (“la<br />

substance minérale et ses forces sont les vrais possesseurs et les seuls maîtres du monde...”(p.338)<br />

alle sane “bestie da preda” rinascimentali che contrastano con la decadenza dei moderni (p.76).Già<br />

la Histoire de la Littérature anglaise conteneva una forte valorizzazione de “la Renaissance<br />

païenne” intesa come piena affermazione dell’energia umana contro il senso d’‘impuissance’ e di<br />

127 Scriverà Taine a Nietzsche il 17 ottobre 1886: “Vous me faites un grand honneur dans votre lettre en me<br />

mettant à coté de M. Burckhardt de Bâle que j’admire infiniment; je crois avoir été le premier en France à<br />

signaler dans la presse son grand ouvrage sur la Culture de la Renaissance en Italie”.<br />

128 Sotto il titolo "Physiologie der Kunst", Nietzsche raccoglie nel frammento postumo 7[7] (Fine 1886-<br />

Primavera 1887), degli excerpta da Hippolyte Taine, Voyage aux Pyrénées, Paris 1858. Le concordanze con<br />

la fonte sono date in Appendice a G. Campioni, Wagner als Histrio Von der Philosophie der Illusion zur<br />

Physiologie der décadence in Centauren-Geburten. Wissenschaft, Kunst und Philosophie beim jungem<br />

Nietzsche, hrsg v. T.Borsche, F. Gerratana u. A. Venturelli, de Gruyter 1994, pp. 484-488. Cfr. Taine, op.<br />

cit. pp. 65.<br />

60


‘décadence’ del cristianesimo medioevale. “Surabondance et déréglement”, “puissance”, “un si<br />

franc appell aux sens, un si complet retour à la nature”, “l’homme fort et heureux, muni de toutes<br />

les puissances qui peuvent accomplir ses désirs, et disposé à s’en servir pour la recherche de son<br />

bonheur” - queste alcune espressioni usate da Taine. Il Rinascimento, in quanto ritorno ai valori<br />

della Grecità, è glorificazione della realtà del corpo contro i fantasmi malati e le contraddizioni<br />

dello spirito del Medioevo. Taine mette in rilievo — plasticamente, come farà Nietzsche — il<br />

contrasto tra “le paganisme effronté de la Renaissance italienne” e la fede ristretta e fanatica di<br />

Lutero, tedesco, uomo del Nord incapace di comprendere l’affermazione della leggerezza, dello<br />

scetticismo, “la grâce de la vie raffiné et sensuelle”, “toujours affranchie des préoccupations<br />

morales, livrée à la passion, égayée par l’ironie, bornée au présent, vide du sentiment de l’infini”.<br />

Cesare Borgia e Alessandro VI, sono il simbolo più appropriato di questa affermazione<br />

immoralistica della forza: “ont présenté à l’Europe les deux images les mieux réussies du diable”.<br />

Una civiltà complessa e forte ha saputo “former et déchaîner un animal admirable et redoutable,<br />

bien affamé et bien armé”. Questi animali “se déchirent entre eux, comme de beaux lions et de<br />

superbes panthères” 129 : è impossibile, per lo storico francese, fondare una società “sur le culte du<br />

plaisir et de la force”.<br />

Napoleone:‘Il fratello postumo di Dante e Michelangelo’<br />

Zola, nel suo articolo M.H. Taine, artiste (1866), coglie con grande e simpatetica comprensione, la<br />

posizione di Taine sospeso, come spirito malato e inquieto, tra la febbre della modernità (“il<br />

appartient à notre siècle de nerfs”) e l’“amour de la puissance, de l’éclat” che lo fa vivere nei valori<br />

del Rinascimento: “M. Taine n’est pas l’homme de son temps ni de son corps. Si je ne le<br />

connaissais, j’aimerais à me le représenter carré des épaules, vêtu d’étoffes larges et splendides,<br />

traînant quelque peu l’épée, vivant en pleine Renaissance”. Il suo volere essere “compagnon de<br />

Rubens et de Michel-Ange” non è che l’espressione d’un “regret”: Taine, “faible et nu”, come gli<br />

uomini del suo secolo, ha “des aspirations passionnées vers la force et la vie libre” 130 . Accanto a<br />

quest’uomo rinascimentale, vive il “mathématicien de la pensée” ( “il expose, il dissèque”) che<br />

costruisce il suo libro come un perfetto ingranaggio, alla cui “sécheresse” Zola preferisce la<br />

prodigalità e ricchezza del poeta. La sua volontà ordinatrice è capace di confrontarsi col caos delle<br />

“forces déréglées”: in questo mostra la sua potenza. “L’amour de l’ordre, de la précision, n’est<br />

jamais aussi fort chez M. Taine que lorsqu’il est en plein chaos” 131 . Nel giudizio conclusivo, Zola<br />

applica a Taine il metodo storico di Taine volto a determinarne i tratti dominanti in relazione alla<br />

fisiologia e al milieu: vi è in lui la “protestation de l’homme faible, écrasé par l’avenir de fer qu’il<br />

se prépare; il aspire à la force; il regarde en arrière; il regrette presque ces temps où l’homme seul<br />

était fort, où la puissance du corps décidait de la royauté. S’il regardait en avant, il verrait l’homme<br />

de plus en plus diminué, l’individu s’effaçant et se perdant dans la masse, la société arrivant à la<br />

paix et au bonheur, en faisant travailler la matière pour elle. Toute sa organisation d’artiste répugne<br />

à cette vue de communauté et de fraternité”.Taine è infine sospeso tra un passato che ama e un<br />

futuro che non osa guardare: obbedisce comunque alla follia dell’epoca “de tout savoir, de tout<br />

réduire en équations, de tout soumettre aux puissants agents mécaniques qui transformeront le<br />

monde” 132 .<br />

Il Rinascimento (“l’anarchique réveil de la chair”) è quindi, anche per Taine, un luogo ideale di<br />

valori perduti: centro di forza che si contrappone alla crescente Verkleinerung dell’individuo. E, con<br />

Zola, Nietzsche coglie come espressione di una tendenza dell’epoca — propria anche all’arte — la<br />

forza di “tiranneggiare” semplificando il caos multiforme e incandescente: “la formula tiranneggia”<br />

129 Hippolyte Taine, Histoire de la Littérature Anglaise,t. II, pp. 199-200.<br />

130 Émile Zola, Écrits sur l’art, Paris, Gallimard, 1991, p. 64-65.<br />

131 Ivi, p. 74.<br />

132 ivi, pp. 82-83.<br />

61


attraverso una logica di lineamenti che semplifica. All’interno delle linee, vive però una indomata,<br />

selvaggia molteplicità, “una massa che soggioga, di fronte alla quale i sensi si confondono; la<br />

brutalità dei colori, della materia, delle brame”. Questo vale, nel campo dello spirito, anche per<br />

Taine (10[37] autunno 1887). Zola stesso, per Nietzsche, vuole emulare Taine “rubare i suoi mezzi<br />

per giungere, in un milieu scettico, ad una specie di dittatura. Di ciò fa parte l’intenzionale<br />

grossolanità data ai princìpi, perché essi operino come un comando” (11[56], Nov. 1887-Marzo<br />

1888). Questa volontà di dominio, che passa attraverso la semplificazione, esprime la debolezza<br />

dell’epoca — in questo così lontana dal Rinascimento — incapace di una forma ricca e plurale, che<br />

mantenga in sé, senza dissolversi, la forza delle contraddizioni e il fuoco degli istinti.<br />

Il Voyage en Italie e la Philosophie de l'art sviluppano l’esaltazione del Rinascimento come<br />

espressione di una “force héroique ou effrénée” che trova l’espressione più alta nei “colosses de<br />

Michel-Ange et de Rubens”. Il tema si ripete ossessivamente con un effluvio di immagini e colori 133<br />

che esaltano il ‘corpo nudo’ che trionfa nel Sud e nell’arte rinascimentale. Recuperare la nudità<br />

significa ritornare pagani: “Cette pensée est toute païenne, il [Raffaello] sent le corps animal<br />

comme faisaient les anciens; ce n’est pas seulement une anatomie qu’il a apprise [...] Il aime la<br />

nudité elle-même...” 134 . La piena solarità del Sud permette la ‘rinascita’ del mondo greco sotto “le<br />

perçant regard, la force virile, la serenité du magnifique soleil, du grand dieu e l’air” . Sembra che il<br />

medioevo non sia stato che un “mauvais rêve”: “L’ancienne religion de la joie et de la beauté<br />

renaissait au fond du coeur au contact du paysage et du climat qui l’ont nourrie...” (p. 8). “La séve<br />

était abondante, et la culture avait été parfaite; l’esprit enfantait naturellement, et la main exécutait<br />

sans peine...” (p. 180). In questa esaltazione di colossi e mostri di forza presenti nell’arte figurativa<br />

e attivi protagonisti dell’epoca rinascimentale, Taine adopera di frequente l’espressione “creatures<br />

surhumaines”: quella forza primigenia ha per sé “l’étrange grandeur demianimale et demi-divine”<br />

(p. 123). E’ l’espressione adoperata da Nietzsche per designare Napoleone: “questa sintesi di<br />

disumano e di superumano…[diese Synthesis von Unmensch und Übermensch]” (GM I 16) e che<br />

vale per l’uomo superiore: “L’uomo è l’animale mostro e il superanimale [das Unthier und<br />

Überthier]; l’uomo superiore è l’uomo mostro e il superuomo [Unmensch und Übermensch]: tale è<br />

il rapporto. Ogni volta che cresce in grandezza e in altezza, l’uomo cresce anche in profondità e<br />

terribilità ” (9[154] autunno 1887). In particolare, Nietzsche vede in Napoleone “uno dei più grandi<br />

prosecutori del Rinascimento: egli ha nuovamente riportato in luce un intero frammento dell’antica<br />

sostanza, quello decisivo forse, il frammento di granito” (FW 362). Tale caratterizzazione<br />

‘rinascimentale’ di Napoleone, italiano e còrso selvaggio, è sviluppata nelle pagine di Taine su<br />

Napoleone pubblicate nella “Revue des Deux Mondes” e rifuse poi ne Le Origines de la France<br />

contemporaine. Le parole di Taine vengono riprese e in parte tradotte da Nietzsche, dopo la lettura<br />

di questo articolo, in un frammento postumo del 1887: “(Revue des deux mondes, 15. Febr. 1887.<br />

Taine.). ”Improvvisamente si dispiega la faculté maîtresse: l’artista, che era chiuso nell’uomo<br />

politico, viene fuori de sa gaine; crea dans l'idéal et l'impossible. Lo si riconosce per ciò che è: il<br />

fratello postumo di Dante e Michelangelo: e in verità, per i fermi contorni della sua visione, per<br />

133 Su questo aspetto dello stile di Taine, Nietzsche sembra accogliere il giudizio limitativo di Ximenès<br />

Doudan, che trascrive nel frammento 26[447] (estate-autunno 1884): “Su Taine ”mais que cela est rouge,<br />

bleu, vert, orange, noir, nacré, opale, iris et pourpre!… c'est une boutique de marchand de couleurs”. Con<br />

Mirabeau le père dire: quel tapage de couleurs!.. Il brano è tratto dalla lettera a M. Piscatory del 19 mai<br />

1866 (X. Doudan, Lettres, vol. IV,Paris, Levy, 1879, p.25) che fa riferimento alle “deux ou trois jolies<br />

pages sur Leonardo da Vinci” pubblicate da Taine sulla “Revue des Deux Mondes” del 15 maggio 1866. Si<br />

tratta di H. Taine, L’Italie e la vie italienne, souvenir de voyage, XI, La Lombardie, Vérone, Milan et les<br />

lacs. Per le pagine su Leonardo, rifuse come tutto l’articolo in Voyage en Italie, cfr. op. cit., vol. II, pp. 406<br />

-410..<br />

134 H. Taine, Voyage en Italie, Paris, Hachette, 1884, tome I, p. 183. Nietzsche recepisce il tema della nudità<br />

del corpo umano e quella del dio (contro il deus absconditus): cfr. ad esempio: fr. 13[1] estate 1883: “Eresse<br />

l’immagine nuda di un dio: così anche il più meridionale anela a un altro (secondo) meridione” , 13[7]<br />

Estate 1883; 11[94, 95] 1881-1882; 5[30] 1882-1883;<br />

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l’intensità, la coerenza e intima logica del suo sogno, per la profondità della sua meditazione, per la<br />

sovrumana grandezza della sua concezione, egli è uguale a loro et leur égal: son génie a la même<br />

taille et la même structure; il est un de trois esprits souverains de la renaissance italienne.“ Nota<br />

bene - - - Dante, Michel Angelo, Napoleon — —” 135 .(5[91] 1887).<br />

Come controprova del legame tra Napoleone e il Rinascimento Nietzsche sottolinea l’ostilità dei<br />

romantici nei confronti dei due fenomeni e la loro incapacità di comprenderli . “La viltà di fronte<br />

alla coerenza – il vizio moderno. Romanticismo: ostilità verso il Rinascimento (Chateaubriand,<br />

Wagner), l’ideale antico dei valori, il dominio dell’intellettualità, il gusto classico, lo stile semplice,<br />

severo, grande, i “felici”, i “bellicosi”(14 [7] 1888). Per Nietzsche il fraintendimento di<br />

Schopenhauer nei confronti della volontà è “un segno dei tempi”, una reazione contro l’età<br />

napoleonica, non si crede più alla “forza della volontà” e poi, continuando, a proposito del romanzo<br />

di de Vigny: “In Stello si trova la confessione:“”Non vi sono né eroi né mostri” - antinapoleonica”<br />

(25[184] primavera 1884).<br />

Nel delineare la figura di Napoleone, Taine non solo ripete la definizione di Alfieri sulla “pianta<br />

uomo” italiana caratterizzata dalla perfetta “integrité de son instrument mental” (p. 735) della quale<br />

sono frutti Michel-Ange, Césare Borgia, Jules II et Machiavel, ma si richiama a Stendhal che aveva<br />

legato, con ammirazione ed entusiasmo, Napoleone aux “petits tyrans italiens du XIVe et du XVe<br />

siècle”. Tali giudizi sono oggetto di uno scambio epistolare tra Nietzsche e Taine. Quest’ultimo, nel<br />

suo articolo, aveva messo in luce la perfezione della macchina fisica e mentale, la “force enorme”<br />

di questo “monstre”, la volontà di potenza di un “moi colossal qui incessamment allonge en cercle<br />

ses prises rapaces et tenaces”, il suo “egoïsme actif et envahissant” capace di assoggettare e<br />

incorporare ogni forza che lo circondi. Il filosofo, in una lettera del 4 luglio 1887, approva con<br />

entusiasmo la spiegazione e la soluzione — attraverso la figura di Napoleone — “dell’enorme<br />

problema del disumano e superumano” [Unmensch und Übermensch]. Questa è una risposta – egli<br />

sottolinea - alla esigenza (il ‘lungo grido di desiderio’) che aveva colto nel saggio in cui Barbey<br />

d’Aurevilly, in nome di un’aristocratica energia, criticava la storiografia liberale e positivistica su<br />

Napoleone, a cominciare da Michelet e Jung, incapaci, per le loro pregiudiziali democratiche e<br />

repubblicane, anche solo di avvicinarsi alla grandezza dell’“aristocrate et despote” Napoleone, la<br />

cui maggior gloria è stata quella di aver tentato “de rapprendre aux hommes l’autorité qu’ils ne<br />

connaisaient plus” 136 . Ma anche Stendhal, che pure Barbey d’Aurevilly ammira in quanto ‘esprit<br />

robuste et qui aimait la force dans les choses humaines’, è stato incapace nel suo scritto (Vie de<br />

Napoléon. Fragments) di dipingere realmente Napoleone, non ne ha avuto il sufficiente coraggio.<br />

Dalla sua posizione tradizionalista e fortemente antiegualitaria, Barbey d’Aurevilly mostra<br />

disprezzo verso il “jacobinisme historique” che mira a distruggere, distruggendo la grandezza di<br />

Napoleone, l’idea stessa di superiorità individuale. Sotto accusa è anche la storiografia positivistica<br />

che tenta di “décapiter toutes les supériorités individuelles” riducendo tutto al fatalismo della razza<br />

135 Anche il frammento precedente, che valorizza in Napoleone, l’artista creatore, è derivato letteralmente da<br />

Taine (ivi, p. 752): “Un detto di Napoleone (2 febbraio 1809 a Röderer): “J’aime le pouvoir, moi; mais c’est<br />

en artiste que je l’aime... Je l’aime comme un musicien aime son violon; je l’aime pour en tirer des sons, des<br />

accords, des harmonies”. Si veda anche, di Jules Lemaître, autore apprezzato da Nietzsche, M. Taine et<br />

Napoléon Bonaparte, in Les contemporains, IV série, Paris, Lecene et Oudin, 1889, pp169-183. Lemaître<br />

vede nel Napoleone di Taine, in fondo, ‘l’effrayant condottiere échappé de l’Italie du quinzième siècle”<br />

anche se il ritratto di Taine - da filosofo non da storico - non tiene conto dello sviluppo della personalità del<br />

Bonaparte: è ‘un géant immobile”. E’ anche “ presque surnaturel. Il lui prête des facultés qui dépassent par<br />

trop la mesure humaine” La stessa estrema ‘inumanità’ è insostenibile: “Je suis sûr quez l’égoisme de<br />

Napoléon avait des defaillances. Néron même a eu des amis” (p. 176, 178)”<br />

136 Barbey d’Aurevilly, Les Œuvres et les hommes Histoire du XIX e siècle. Bonaparte, In questo saggio il<br />

critico francese discute: Stendhal, Vie de Napoléon. Fragments, Michelet, Histoire du XIX e siècle, Jung,<br />

Bonaparte et son temps. Si veda Nietzsche: “Le idee moderne come false [...] “il genio” - equivoco<br />

democratico (come conseguenza del milieu, dello spirito del tempo” (16[82] Primavera-estate 1888.<br />

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e poi, ancor più, al determinismo del ‘milieu’ (p. 427). Ma Nietzsche trova, in questo caso, in Taine<br />

stesso — al di là delle pregiudiziali metodologiche che rassicurano lo storico più di quanto lo<br />

guidino — una conferma e un completamento delle teorie di Barbey d’Aurevilly: a suo giudizio<br />

Napoleone divenne signore in quanto essenzialmente diverso, più antico e più forte della civiltà in<br />

cui era apparso — la civiltà della Francia rivoluzionaria e prerivoluzionaria — (GD, Scorribande...<br />

44): è da considerare infatti l’“antagonista di Rousseau” e delle sue idee in quanto il suo “ritorno<br />

alla natura” è un innalzarsi alla concezione rinascimentale della natura (9[116] autunno 1887). La<br />

‘tirannia del milieu’, è, per Nietzsche, una “teoria della décadence” 137 che esprime pienamente la<br />

debolezza dell’epoca moderna (das milieu als ”Fatum“), sul quale il filosofo tornerà altre volte per<br />

segnare la sua distanza dai ‘parigini’ e anche da Taine. Nel volume di Barbey d’Aurevilly,<br />

Nietzsche trovava molte altre conferme alla sua visione del Rinascimento. Il critico francese<br />

difende la grandezza e la forza di Giulio II - ed in generale i papi del Rinascimento, tra cui<br />

Alessandro VI - da chi vuol limitare l’azione del papa a protettore degli artisti. “Dans cette<br />

décrépitude des temps [...] l’homme du bibelot moderne” è assolutamente incapace di comprendere<br />

“le magnifique spectacle immortel” “le sainte fureur de Jules II, luttant contre toutes les barbaries<br />

de son temps [...] Si grands que fussent en effet les arts et les artistes sous le pontificat de Jules II,<br />

ils ne furent, après tout (qu’on juge par cela du reste), que le bagatelles de cette vie immense” 138 . Di<br />

contro troviamo una condanna netta del protestantesimo (“le Génie de la Négation”) (p. 39) e di<br />

Savonarola ribelle, seduttore, tribuno (“est bien taillé pour la démocratie de nos tristes jours”) 139 . E,<br />

in questi termini, dopo la lettura di d’Aurevilly, Nietzsche inserirà Savonarola - come abbiamo visto<br />

- nella lista dei ‘fanatici’ della morale (AC 54): il giudizio del frate su Firenze è analogo a quello di<br />

Lutero su Roma, di Rousseau sulla società di Voltaire (10[176], autunno 1887).<br />

Dipanare la rete intricata delle letture e delle rielaborazioni intorno al tema della “Renaissance”<br />

significa evidenziare i percorsi delle idee tra Francia e Germania alla fine dell’Ottocento, ma<br />

comporta, anche, comprendere meglio la specificità di Nietzsche.<br />

137 Cfr. 15[105], primavera 1888: “NB.NB. La teoria del milieu è una teoria della décadence, ma penetrata e<br />

divenuta dominante in fisiologia”<br />

138 Barbey d’Aurevilly, Les Œuvres et les hommes Histoire du XIX e siècle, cit., Jules II (recensione al vol.<br />

Histoire de Jules II, par M.A. Dumesnil), p. 176. Ma per la sua forza di provocazione vale la pena di citare<br />

un altro brano in cui questo ‘ultimo dandy’, polemista inquieto, afferma: “l’Eglise Catholique, dont je suis à<br />

l’heure actuelle le seul représentant, c’est l’Eglise de la Renaissance, des grands papes humanistes et<br />

jouisseurs, voire forniqueurs à l’occasion, des XVe et XVIe siècles à qui, selon le mot immortel, rien<br />

d’humain, entendez-vous, n’était étranger, et qui accueillaient à bras ouvertes tous les instincts, toutes les<br />

impulsions, toutes les traditions de l’humanité, reflets à leur manière de la toute-puissance et de l’ubiquité de<br />

Dieu! Loin des petites vertus et des vices lâches de notre époque décadente et anémiée! Qui nous redonnera<br />

un César Borgia, fils de pape, assassin de son frère, trafiquant de sa soeur, le plus bel exemple d’énergie<br />

virile que les siècles chrétiens nous aient légué, un Jules II menant ses armées au combat, l’epée au poing et<br />

la tiare en tête, un Leon X, épris de la beauté d’un Raphaël au moins autant que celle de la Madone?” (citato<br />

in Jean Canu, Barbey d’Aurevilly. Essai, Paris, Laffont, 1965, p.398).<br />

139 Ivi, Savonarola, (recensione alla traduzione francese di P. Villari, Jérome Savonarole et son temps), p.<br />

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