download - Carducci
download - Carducci
download - Carducci
You also want an ePaper? Increase the reach of your titles
YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.
Dialoghi al Liceo Dante<br />
2
B. BIANCHI - F. BRANDMAYR - R. COSIMI<br />
F. CREAZZO - D. STROPPOLO - M. ZOCCHI<br />
DIALOGHI<br />
AL LICEO DANTE<br />
pagine di cultura e didattica<br />
numero 2<br />
Liceo Ginnasio Statale “Dante Alighieri”<br />
Trieste 2011
Prima edizione: novembre 2011<br />
Tutti i diritti sono riservati a norma di legge<br />
© 2011 Liceo Ginnasio Statale “Dante Alighieri”<br />
via Giustiniano 3 - 34133 Trieste<br />
www.liceodantets.it<br />
pubblicazione realizzata da:<br />
LINT Editoriale srl - Trieste<br />
www.linteditoriale.com<br />
ISBN 978-88-8190-234-7
Indice<br />
Nota introduttiva di Federico Creazzo ..............................<br />
Anestetismi musicali. Breve saggio sull’utilizzo ideologi-<br />
» 7<br />
co della musica (Daniele Stroppolo)................................... » 11<br />
Medioevo: un pregiudizio secolare che perdura nel discorso<br />
comune? Esercizi di decostruzione alla luce delle<br />
scienze sociali (Franz Brandmayr) ....................................<br />
Nessuno è come sembra. Breve saggio sulla lettera-<br />
» 37<br />
tura migrante (Brigitta Bianchi) ......................................... »<br />
Dal sapere letterario al “saper essere”: sviluppare una com-<br />
117<br />
petenza interpretativa (Raffaela Cosimi) .......................... »<br />
Diario di una settimana di scuola diversa dal solito<br />
129<br />
(Marco Zocchi) ..................................................................... » 153<br />
5
Nota introduttiva<br />
di Federico Creazzo<br />
Difficile non è sapere, ma saper far uso di<br />
quel che si sa.<br />
Han Fei Tzu (280-233 a.C.)<br />
A circa un anno di distanza dal primo numero, ecco il secondo<br />
volume dei “Dialoghi al Liceo Dante”, frutto anch’esso della collaborazione<br />
tra i docenti della storica istituzione scolastica triestina.<br />
Vincendo la tradizionale ritrosia ad apparire in vesti diverse da<br />
quelle della quotidiana mediazione didattica, gli autori di queste<br />
pagine propongono ai colleghi, ai genitori e a tutti i lettori interessati<br />
e di buona volontà, le proprie riflessioni sui più diversi aspetti<br />
della formazione culturale e didattica, ciascuno secondo un personale<br />
percorso di ricerca e di approfondimento, spesso legato<br />
agli stimoli – ma anche alle difficoltà – dell’azione didattica svolta<br />
in classe. Si tratta, in alcuni casi, di pagine tratte da un immaginario<br />
diario di bordo, in cui i docenti annotano a futura memoria,<br />
propria e dei colleghi, le piccole o grandi scoperte fatte durante la<br />
non facile navigazione didattica, le strategie ma talvolta anche le<br />
trovate “tattiche” e i paradossi di cui si servono per motivare gli<br />
alunni all’ascolto, per rendere efficace una lezione, interessante<br />
un argomento. Il confronto, il dialogo e la condivisione di tali<br />
esperienze è una pratica decisamente virtuosa in una scuola che<br />
cerca di ridefinire la propria immagine (e funzione) e per evitare<br />
di essere semplicemente al traino di conformistiche e a volte<br />
deprecabili tendenze sociali e di costume, in un’epoca che forse<br />
più di ogni altra sembra aver smarrito i necessari riferimenti valoriali<br />
e culturali. È convinzione di chi scrive che la scuola potrà tornare<br />
7
8<br />
Federico Creazzo<br />
a essere per gli alunni (e cittadini!) un fecondo laboratorio di ricerca<br />
e formazione solo se anche i docenti sapranno più spesso<br />
abbandonare la sicura terraferma delle pratiche consolidate e sempre<br />
più “burocratiche” e accettare l’azzardo del mare aperto della<br />
ricerca e del confronto. 1<br />
Con ciò non si intende svalutare il ruolo svolto dall’esperienza,<br />
ma affermare che essa sarà tanto più efficace se saprà evitare<br />
pratiche ripetitive e demotivanti, se saprà sfuggire al pigro<br />
ripiegamento nella routine.<br />
Questo volume, senza eccessive ambizioni, ma con onesta<br />
convinzione, si muove nella stessa direzione che la maggior parte<br />
dei docenti vorrebbe imprimere alla scuola italiana del futuro:<br />
una scuola decisamente colta per non cadere nella soddisfatta<br />
insipienza del “tempo del mercante”, ma che al tempo stesso<br />
non fa del suo sapere mummia o reliquia del passato. Una scuola<br />
che dà voce al pluralismo degli stili didattici, e valorizza le differenze<br />
come una ricchezza da proporre allo studente, come un<br />
antidoto contro la minaccia di un presente senza spessore.<br />
Il cosiddetto comitato di redazione della rivista costituito dai<br />
docenti “pionieri” di questa esperienza ormai giunta al suo secondo<br />
traguardo, ha a lungo discusso intorno all’opportunità di<br />
caratterizzare la forma editoriale della pubblicazione, e cioè se<br />
si dovesse predeterminare la tipologia e la distribuzione dei contributi<br />
secondo un criterio certo, o se piuttosto la rivista dovesse<br />
rimanere un contenitore neutro e aperto. Alla fine si è optato<br />
per la seconda ipotesi. Ciò ha favorito la più ampia partecipazione<br />
da parte dei colleghi della scuola i quali hanno potuto<br />
proporre con la massima libertà i loro contributi. Per involontaria<br />
alchimia questo secondo numero ha assunto una fisionomia<br />
esattamente complementare al primo. Tanto in quello dominavano<br />
i contributi teorici, quanto in questo prevalgono i saggi di<br />
1 DE LUCA E., Opera sull’acqua e altre poesie, Einaudi, Torino 2002, passim.
Nota introduttiva<br />
carattere didattico. È mia speranza che in futuro i “Dialoghi al<br />
Liceo Dante”, pur mantenendo la forma aperta di cui abbiamo<br />
apprezzato i vantaggi, possano ospitare delle rubriche fisse dedicate<br />
a eventi musicali, teatrali e cinematografici, data la grande<br />
importanza che queste forme espressive hanno assunto nella<br />
paide…a dell’uomo contemporaneo e di cui anche la scuola dovrebbe<br />
tener maggiormente conto. Sarebbe bello, infine, se nei<br />
prossimi numeri comparisse in appendice una sorta di tavola<br />
rotonda (non troppo estemporanea) tra gli autori su uno o più<br />
argomenti trattati nel libro, un modo, insomma, per dare ai temi<br />
quel sapore vivo e dialogico che per Socrate era il contrassegno<br />
autentico della ricerca.<br />
Nell’anno della transizione, che doveva preludere alla creazione<br />
dell’ISIS “<strong>Carducci</strong>-Dante”, il dirigente scolastico Franco De<br />
Marchi e il direttore dei servizi generali amministrativi Lucia<br />
Napolitano, pur oberati da una mole non indifferente di lavoro<br />
aggiuntivo, hanno guardato con grande simpatia a questo nuovo<br />
tentativo di mettere in comune, oltre alla stima reciproca, i rispettivi<br />
interessi, le competenze e le conoscenze. Di questo noi docenti<br />
del “Dante Alighieri” siamo loro grati, come siamo riconoscenti<br />
a tutti i colleghi che ci hanno dimostrato il loro interesse e<br />
a quelli che, per vari motivi, non hanno fatto in tempo a produrre<br />
un loro contributo da aggiungere alla presente pubblicazione.<br />
Auspichiamo che ciò possa avvenire in un prossimo volume,<br />
magari unitamente agli apporti che – sicuramente – giungeranno<br />
dai nuovi colleghi acquisiti in seguito alla fusione con il già Liceo<br />
“Giosuè <strong>Carducci</strong>”.<br />
Buona lettura!<br />
9
Anestetismi musicali. Breve saggio<br />
sull’utilizzo ideologico della musica<br />
di Daniele Stroppolo *<br />
1. Due cugini a confronto<br />
Questo scritto è il prodotto di una riflessione che procede, a<br />
strappi e pause, da molti anni, cioè da quando ero occupato<br />
nella redazione della mia tesi di laurea che intendeva comprendere<br />
in che modo le teorie estetiche e musicologiche di Theodor<br />
Wiesengrund Adorno avessero influenzato la produzione<br />
musicale italiana. A margine di quel lungo lavoro di catalogazione<br />
di articoli, interviste e biografie di musicisti e critici italiani, si<br />
è radicata in me l’idea che le riflessioni di quel pensatore intimamente<br />
legato agli strumenti d’indagine del reale tipici del marxismo,<br />
ormai così demodé, fossero tutt’altro che obsolete e che anzi<br />
il suo approccio ai prodotti musicali di consumo fosse terribilmente<br />
attuale; così ho approfittato dell’occasione di questo secondo<br />
numero dei “Dialoghi” per sfogliare nuovamente un paio<br />
di quei saggi e per redigere uno scritto più o meno ordinato<br />
sull’argomento. L’intento è quello di provare a osservare il grande<br />
insieme della produzione musicale odierna e della sua fruizione<br />
con uno sguardo influenzato dall’approccio critico che Adorno<br />
aveva applicato alla sua realtà sin dalla pubblicazione del fonda-<br />
* Docente di italiano e latino.<br />
11
12<br />
Daniele Stroppolo<br />
mentale saggio Il carattere di feticcio in musica e il regresso dell’ascolto 1 ,<br />
pubblicato nel 1938.<br />
Il testo adorniano viene redatto in risposta allo scritto del<br />
suo cugino e collega di studi Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca<br />
della sua riproducibilità tecnica, 2 nel quale il filosofo tedesco<br />
propone una riflessione sul cambio di qualità della fruizione<br />
artistica dovuto al diffondersi di alcune tecnologie industriali<br />
applicabili all’arte stessa. Benjamin delinea un fenomeno estetico<br />
che egli definisce «perdita dell’aura»: l’opera d’arte, grazie<br />
alle possibilità tecnologiche della fedele riproduzione seriale è<br />
destinata a emanciparsi dal proprio elemento sacrale, strettamente<br />
vincolato alla sua unicità:<br />
Le opere d’arte più antiche sono nate, com’è noto, al servizio di<br />
un rituale, dapprima magico, poi religioso. Ora, riveste un significato<br />
decisivo il fatto che questo modo di esistenza, avvolto da<br />
un’aura particolare, non possa mai staccarsi dalla sua funzione<br />
rituale. In altre parole: il valore unico dell’opera d’arte autentica<br />
trova una sua fondazione nel rituale, nell’ambito del quale ha<br />
avuto il suo primo e originario valore d’uso. Questo fondarsi,<br />
per mediato che sia, è riconoscibile, nella forma di un rituale<br />
secolarizzato, anche nelle forme più profane della bellezza. [...]<br />
La riproducibilità tecnica dell’opera d’arte emancipa per la prima<br />
volta nella storia del mondo quest’ultima dalla sua esistenza<br />
parassitaria nell’ambito del rituale. L’opera d’arte riprodotta di-<br />
1 ADORNO TH. W., Über den Fetischcharakter in der Musik und die Regression des<br />
Hörens, in “Zeitschrift für Sozialforschung”, Paris 1938. Tale rivista era emanazione<br />
dell’Institut für Sozialforschung di Francoforte. Il testo del saggio fu poi<br />
ripubblicato nel volume Dissonanzen. Musik in der verwalteten Welt, Göttingen<br />
1956; trad. it. Dissonanze, Feltrinelli, Milano 1959.<br />
2 BENJAMIN W., Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit, in<br />
“Zeitschrift für Sozialforschung”, Paris 1936, poi in Das Kunstwerk im Zeitalter<br />
seiner technischen Reproduzierbarkeit, Frankfurt am Main 1955; trad. it. L’opera<br />
d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi, Torino 1966.
Anestetismi musicali<br />
venta in misura sempre maggiore la riproduzione di un’opera<br />
d’arte predisposta alla sua riproducibilità. 3<br />
Secondo Benjamin, tale fatto implica una trasformazione dei<br />
parametri estetici tout court paragonabile a quella avvenuta in<br />
ambito letterario con l’invenzione della stampa:<br />
Gli enormi mutamenti che la stampa, cioè la riproducibilità tecnica<br />
della scrittura, ha suscitato nella letteratura sono noti. Ma<br />
essi costituiscono soltanto un caso, benché certo particolarmente<br />
importante, del fenomeno che qui viene considerato sulla scala<br />
della storia mondiale. 4<br />
Infatti, a suo modo di vedere, la riproducibilità tecnica consente<br />
di creare un rapporto totalmente diverso tra opera e fruitore:<br />
Mentre l’autentico mantiene la sua piena autorità di fronte alla riproduzione<br />
manuale, che di regola viene da esso bollata come un falso,<br />
ciò non accade nel caso della riproduzione tecnica. Essa può, per<br />
esempio mediante la fotografia, rilevare aspetti dell’originale che sono<br />
accessibili soltanto all’obiettivo, che è spostabile e in grado di scegliere<br />
a piacimento il suo punto di vista, ma non all’occhio umano,<br />
oppure, con l’aiuto di certi procedimenti, come l’ingrandimento o la<br />
ripresa al rallentatore, può cogliere immagini che si sottraggono interamente<br />
all’ottica naturale. È questo il primo punto. Essa può inoltre<br />
introdurre la riproduzione dell’originale in situazioni che all’originale<br />
stesso non sono accessibili. In particolare, gli permette di andare<br />
incontro al fruitore, nella forma della fotografia oppure del<br />
disco. La cattedrale abbandona la sua ubicazione per essere accolta<br />
nello studio di un amatore d’arte; il coro che è stato eseguito in un<br />
auditorio oppure all’aria aperta può venir ascoltato in una camera. 5<br />
3 BENJAMIN W., L’opera d’arte, cit., pp. 24-25.<br />
4 Ivi, p. 20.<br />
5 Ivi, pp. 22-23.<br />
13
14<br />
Daniele Stroppolo<br />
Ecco quindi che si delineano due fondamentali questioni circa<br />
le possibilità di fruizione dell’opera d’arte attraverso le sue riproduzioni:<br />
innanzitutto è da considerare che l’indagine analitica<br />
su un’opera può rendersi più approfondita grazie agli strumenti<br />
tecnologici che permettono non solo di crearne copie<br />
fedeli, ma anche di decifrarne particolari altrimenti difficilmente<br />
percepibili. Secondariamente, l’opera perde parte della sua<br />
unicità “andando incontro” al fruitore attraverso le proprie fedeli<br />
riproduzioni. È la «perdita dell’aura»:<br />
L’autenticità di una cosa è la quintessenza di tutto ciò che, fin<br />
dall’origine di essa, può venir tramandato, dalla sua durata materiale<br />
alla sua virtù di testimonianza storica. Poiché quest’ultima è<br />
fondata sulla prima, nella riproduzione, in cui la prima è sottratta<br />
all’uomo, vacilla anche la seconda, la virtù di testimonianza della<br />
cosa. Certo, non soltanto questa; ma ciò che così prende a vacillare<br />
è l’autorità della cosa. Ciò che vien meno è insomma quanto<br />
può essere riassunto con la nozione di “aura”; e si può dire: ciò<br />
che vien meno nell’epoca della riproducibilità tecnica è l’“aura”<br />
dell’opera d’arte. Il processo è sintomatico; il suo significato rimanda<br />
al di là dell’ambito artistico. La tecnica della riproduzione,<br />
così si potrebbe formulare la cosa, sottrae il riprodotto all’ambito<br />
della tradizione. Moltiplicando la riproduzione, essa pone<br />
al posto di un evento unico una serie quantitativa di eventi. E<br />
permettendo alla riproduzione di venire incontro a colui che ne<br />
fruisce nella sua particolare situazione, attualizza il prodotto. 6<br />
Tale perdita si configura quindi come un’emancipazione dell’arte<br />
dal senso sacrale che ha sempre accompagnato ciascuna<br />
opera proprio in virtù delle sue autenticità e unicità; la sottrae alla<br />
sua «esistenza parassitaria nell’ambito rituale» 7 inducendo il pub-<br />
6 Ivi, p. 23.<br />
7 Ivi, p. 27.
Anestetismi musicali<br />
blico a fruirne attraverso la distrazione, intesa sia come svago o<br />
divertissement, sia come percezione distratta, scarsamente concentrata:<br />
la riproduzione di un’opera non richiede quel rispetto che è<br />
invece indotto dalla veneranda autorità dell’originale.<br />
Benjamin intende leggere tali dinamiche in un’ottica ottimistica:<br />
il grande pubblico, soprattutto attraverso quelle forme d’arte<br />
nate già nell’alveo della riproducibilità e grazie a essa stessa<br />
(la fotografia e ancor più il cinema), tramite una fruizione epidermica<br />
e fors’anche distratta, ma emotivamente partecipata delle<br />
opere, avrà modo di sviluppare un atteggiamento valutativo che<br />
mobiliterà le coscienze delle masse.<br />
Adorno, invece, nel suo saggio ribalta tale assunto e intende<br />
dimostrare che la riproducibilità tecnica, se non altro in ambito<br />
musicale, ha prodotto risultati devastanti sul piano della capacità<br />
critica del pubblico, al punto da rendere del tutto privi di<br />
significato i tradizionali criteri di gusto: l’arte, nell’epoca della<br />
società di massa, non può più sottostare a criteri meramente<br />
estetici, ma deve invece rispondere a esigenze etiche; è necessario<br />
quindi che la categoria del giusto sostituisca quella del piacevole.<br />
Questo in virtù del fatto che il soggetto moderno non è<br />
più in grado di stabilire che cosa gli piaccia e che cosa non gli<br />
piaccia, e il piacere che egli trae dalla musica risiede nel solo<br />
fatto di riconoscere strutture o motivi già noti o equivalenti a<br />
quelli noti. In un mondo in cui l’offerta è standardizzata, il criterio<br />
della preferenza diviene arbitrario. Il senso critico è ottuso<br />
dalla continua stimolazione attraverso composizioni superficialmente<br />
piacevoli, ma incapaci di fornire un’autentica attrattiva<br />
musicale rispettosa di criteri significativi; oppure dalla riproduzione<br />
di brani, di estratti da opere di ampio respiro che vengono<br />
ridotti a orecchiabili e insignificanti frammenti:<br />
Il piacere dell’attimo e quello della facciata variopinta diventano<br />
un pretesto per sgravare l’ascoltatore dal pensiero del tutto,<br />
sempre presente e necessario in un ascolto esatto, e l’ascoltato-<br />
15
16<br />
Daniele Stroppolo<br />
re viene mutato in compratore convinto sulla linea della minima<br />
opposizione. I momenti parziali non hanno più una funzione<br />
critica di fronte a un tutto preordinato, ma sospendono la<br />
critica che la vera totalità estetica esercita nei confronti della<br />
totalità incrinata della società. Viene insomma sacrificata loro<br />
l’unità sintetica, ed essi non ne producono più una che sostituisca<br />
quella reificata, ma si mostrano condiscendenti proprio<br />
verso questa. I momenti isolati di fascino sensoriale si dimostrano<br />
inconciliabili con la costituzione immanente dell’opera<br />
d’arte e sacrificano ciò che innalza l’opera d’arte a conoscenza<br />
vincolante: essi non sono cattivi di per se stessi ma per la loro<br />
funzione smorzatrice. Servi del successo, si spogliano di quel<br />
tratto di insubordinazione loro inerente, e si vincolano alla connivenza<br />
con tutto ciò che l’attimo isolato è in grado di offrire a<br />
un individuo che è a sua volta isolato e da tempo non è nemmeno<br />
più un individuo. Nell’isolamento gli stimoli si ottundono<br />
e producono clichés tratti dal patrimonio corrente. 8<br />
La musica leggera e quella colta, quella definita comunemente<br />
“classica”, finiscono quindi per assumere la stessa alienante funzione<br />
di intrattenimento meramente epidermico. Ciò non solo<br />
per il fatto che tale fruizione è connaturata nella musica leggera e<br />
può facilmente essere applicata anche all’ascolto di arie famose o<br />
estratti celebri da opere più strutturate, ma soprattutto perché<br />
l’ascoltare, opportunamente addestrato dalla radio, anche all’ascolto<br />
di una composizione completa, non è in grado di mettere in<br />
funzione gli strumenti critici necessari per decodificare l’opera<br />
nella sua interezza. L’ampio respiro di ogni sinfonia, di ogni opera<br />
lirica finisce per ridursi ad una serie spezzata di brevi spasmi<br />
più o meno orecchiabili, e quindi più o meno piacevoli.<br />
Rimane estranea a tale meccanismo la musica colta moderna,<br />
quella che oggi noi definiremmo d’avanguardia, la quale ha<br />
scientemente rinunciato a ogni traccia di eufonia, di piacevolez-<br />
8 ADORNO TH. W., Dissonanze, cit., p. 13.
Anestetismi musicali<br />
za, in nome dello smascheramento della realtà, in nome della<br />
riproduzione in suono dell’alienazione dell’io nella società moderna.<br />
Tale fatto, però, non le permette di penetrare con efficacia<br />
nell’orecchio ormai deteriorato dell’ascoltatore:<br />
L’unità delle due sfere della musica è l’unità della contraddizione<br />
insoluta. Il loro rapporto non va inteso nel senso che la musica<br />
inferiore costituisca una sorta di propedeutica popolare per quella<br />
superiore, o che quest’ultima possa riacquistare dalla prima la forza<br />
collettiva ormai perduta; il tutto non può essere ricostituito addizionando<br />
semplicemente le due metà separate con violenza, ma<br />
in ciascuna di esse compaiono, sia pure in prospettiva, le modificazioni<br />
dell’insieme, che si muove esclusivamente entro la contraddizione.<br />
Nel momento in cui la fuga dal banale si fa definitiva e in<br />
cui la smerciabilità della produzione seria, a causa delle sue esigenze<br />
reali, si riduce a nulla, nel campo della musica inferiore la standardizzazione<br />
del successo fa sì che non sia più possibile un successo<br />
alla vecchia maniera, ma solo la totale connivenza. Tra incomprensibilità<br />
ed inevitabilità non esiste un terzo anello: lo stato<br />
delle cose si è polarizzato agli estremi che ormai realmente si toccano.<br />
Tra questi due poli non c’è posto per l’“individuo”, le cui<br />
esigenze, ammettendo che ancora ne abbia, sono solo apparenti,<br />
cioè ricalcate sugli standard stessi: la liquidazione dell’individuo è<br />
il vero suggello del nuovo stadio della musica. 9<br />
La produzione disinteressata, colta, non commerciale produce<br />
quindi l’incomprensibile, l’imponderabile nel quale l’ascoltatore<br />
moderno non è in grado di entrare. D’altra parte non ha<br />
neppure alcun interesse nel tentare di farlo, dal momento che i<br />
suoi gusti sono stati debitamente appianati sullo standard dal<br />
lavorio dell’offerta musicale di consumo. L’ascoltatore non è<br />
più un individuo con i suoi gusti personali, ma un cliente che si<br />
muove tra prodotti preconfezionati e che si illude di avere liber-<br />
9 Ivi, p. 17.<br />
17
18<br />
Daniele Stroppolo<br />
tà di scelta, mentre non può far altro che aderire alle imposizioni<br />
della grande industria scegliendo esclusivamente entro i confini<br />
di ciò che essa offre.<br />
A fronte di questo ascolto sordo si sviluppa nell’ascoltatore<br />
un tipo di fruizione musicale alienato e feticistico che investe<br />
ogni ambito della produzione musicale: l’adorazione delle star,<br />
siano esse cantanti di musica leggera o maestri d’orchestra, il<br />
rispetto imbalsamato e fiacco per le grandi composizioni classiche,<br />
il culto del suono di uno Stradivari, il collezionismo di dischi,<br />
l’adorazione per cantanti d’opera dalla voce particolarmente<br />
brillante (indipendentemente dalla qualità dell’interpretazione)<br />
e così via. Tutto ciò che dovrebbe essere periferico diviene centrale,<br />
in quanto facilmente mercificabile e vendibile. La sostanza<br />
musicale, invece, rimane estranea, neppure sfiorata, oppure<br />
banalizzata attraverso una percezione inefficace.<br />
D’altra parte in una situazione così compromessa, anche l’intenditore,<br />
l’esperto, il musicologo e persino l’esecutore filologico<br />
finiscono per contribuire al compimento di questa enorme<br />
degradazione dell’ascolto:<br />
Il feticismo coinvolge anche l’attività musicale che vorrebbe essere<br />
seria e che mobilita contro la musica leggera elevata il pathos<br />
della distanza. La purezza e la fedeltà con cui essa presenta<br />
le opere si dimostra spesso altrettanto ostile alla causa quanto la<br />
depravazione dell’arrangiamento, 10 e l’ideale ufficiale delle esecuzioni<br />
musicali, diffusosi in tutto il mondo in seguito alla straordinaria<br />
opera di Toscanini, è un nuovo ausilio a sanzionare e<br />
convalidare uno stato di cose che, con le parole di Eduard Steuermann,<br />
può ben essere detto «barbarie della perfezione». È vero<br />
10 Adorno si riferisce qui al fatto, enucleato nei precedenti paragrafi del suo<br />
scritto, che molto spesso i mezzi espressivi della musica colta vengono raccolti<br />
e banalizzati negli arrangiamenti della musica leggera, divenendo così<br />
strumenti volti ad un’enfasi precalcolata e falsa.
Anestetismi musicali<br />
che qui non vengono più trasformati in feticcio i pochi nomi<br />
delle opere più famose, anche se quelle meno famose che trovano<br />
posto nei programmi farebbero desiderare una simile delimitazione;<br />
è vero che qui non vengono più sbandierate ai quattro<br />
venti le «idee musicali», che i grandi crescendi dinamici non hanno<br />
lo scopo di provocare una determinata fascinazione, e che vi<br />
domina una disciplina ferrea: ma è appunto una disciplina ferrea.<br />
Il nuovo feticcio è l’apparato in sé, che funziona con perfezione<br />
e risplende come metallo, nel quale tutte le rotelline combaciano<br />
con tale regolarità che non resta più nemmeno uno spiraglio<br />
per il vero senso dell’insieme. L’esecuzione musicale oggi impostasi,<br />
perfetta e senza macchia, conserva l’opera al prezzo di reificarla<br />
definitivamente. [...] Nel momento stesso in cui un’opera viene<br />
fissata a scopo di conservazione, essa soccombe proprio a questo<br />
processo di fissazione. L’estremo feticismo che afferra la cosa<br />
la soffoca, e l’assoluta fedeltà all’opera smentisce l’opera stessa e la<br />
fa scomparire con indifferenza dietro l’apparato. 11<br />
L’opera, fissata nella propria immagine perfetta, nella dinamica<br />
studiata minuziosamente, risuona come un blocco statico<br />
e già dato, bene culturale privo di vitalità.<br />
Al feticismo del mezzo, di qualsiasi mezzo, corrisponde un<br />
regresso dell’ascolto. Il regresso non si attua a confronto di una<br />
precedente situazione dello stesso individuo, né sarebbe possibile<br />
parlare di una decadenza del livello complessivo, dal momento<br />
che la situazione moderna di massificazione non è paragonabile<br />
alle epoche precedenti. Il regresso dell’ascolto si compie invece<br />
nel senso che il consumatore di musica ha una capacità di fruizione<br />
simile a quella di un individuo regredito, bloccato coercitivamente<br />
allo stadio infantile. L’assimilazione acritica di prodotti privi<br />
di significato e ridotti a slogan atomizzati in brevissime dimensioni<br />
ne è il sintomo più evidente. Si consuma un’adesione al prodotto<br />
al fine di sentirlo proprio nonostante la sua estraneità, men-<br />
11 Ivi, pp. 29-30.<br />
19
20<br />
Daniele Stroppolo<br />
tre il meccanismo di immedesimazione con il divo popolare, irraggiungibile<br />
e al tempo stesso sempre vicino grazie alla sua onnipresente<br />
visibilità, allevia ogni senso di frustrazione nei confronti<br />
della propria impotenza sul mondo.<br />
Il modo di ascolto imposto dal prodotto, al tempo stesso<br />
promosso per una sua maggiore efficacia e necessario per la<br />
sua riuscita, è quello della deconcentrazione. Pochi particolari,<br />
evidenziati a proposito, distinguono brani estremamente<br />
simili gli uni agli altri e sempre uguali a se stessi, al punto che<br />
un ascolto concentrato risulterebbe insopportabile. L’ascolto<br />
atomizzato, che frammenta la musica superiore degradandola<br />
ai suoi singoli elementi, è invece l’unico possibile nella musica<br />
leggera, che è già frammentata in sé. L’aspetto che maggiormente<br />
colpisce l’ascoltatore alienato, incapace di cogliere l’essenza<br />
musicale, è quello del timbro, sintesi perfetta del feticcio<br />
del materiale, in questo caso lo strumento, e della ricezione<br />
facile, assimilabile a quella di un infante che predilige gli<br />
oggetti particolarmente colorati.<br />
Al piacere effimero dell’ascolto atomizzato corrisponde un<br />
immediato senso di nausea, riscontrabile nel fatto che l’ascoltatore<br />
di musica leggera necessita continuamente di nuovi brani<br />
in grado di fornirgli stimoli rinnovati, ma al tempo stesso sempre<br />
uguali a quelli precedenti. Vi è anzi un odio, un’ostilità marcatissima<br />
nei confronti di ogni novità sostanziale, che non può<br />
essere tollerata in alcun modo. Addirittura spesso si ricorre a<br />
citazioni di brani già noti affinché la novità possa risultare tale<br />
senza richiedere alcuno sforzo.<br />
Adorno chiude il proprio saggio con alcune considerazioni<br />
dedicate all’autentica nuova musica, all’avanguardia e in particolare<br />
alla scuola di Vienna che aveva ideato la tecnica di composizione<br />
dodecafonica. La produzione musicale di Schönberg o<br />
Webern risulta insopportabile al pubblico alienato non perché sia<br />
incomprensibile, ma al contrario perché esprime in maniera fin<br />
troppo diretta l’angoscia e lo spavento per una situazione cata-
Anestetismi musicali<br />
strofica alla quale l’individuo integrato si può sottrarre esclusivamente<br />
regredendo. La musica di tali autori, definita dalla critica<br />
conservatrice “individualistica”, è in realtà in rapporto dialettico<br />
con le forze oggettive atte alla distruzione dell’individuo.<br />
2. A complemento: On Popular Music<br />
Gli studi di Theodor Adorno sulla musica di consumo proseguono<br />
in un altro breve saggio, pubblicato per la prima volta<br />
negli Stati Uniti nel 1941: Sulla popular music. 12 In questo nuovo<br />
scritto vengono approfonditi alcuni aspetti specifici, più strettamente<br />
musicologici, che riguardano la struttura stessa della canzone<br />
commerciale. In particolare Adorno si sofferma sulle differenze<br />
che si evidenziano nel rapporto tra il particolare e la<br />
totalità del brano nella musica di consumo rispetto a quella colta,<br />
che egli preferisce chiamare “seria”:<br />
Nella buona musica seria in generale – non siamo interessati qui<br />
alla musica seria cattiva, che può essere rigida e meccanica come<br />
la popular music – il dettaglio contiene virtualmente il tutto e porta<br />
all’esposizione del tutto, mentre, allo stesso tempo, esso è generato<br />
dalla concezione dell’insieme. Nella musica popular la relazione<br />
è invece accidentale. Il dettaglio non ha influenza su una<br />
qualche totalità, che si presenta qui come uno schema generale<br />
ad esso estraneo. Così, il tutto non è mai modificato dall’evento<br />
singolo e perciò rimane, per così dire, lontano, imperturbabile,<br />
inosservato per tutto il pezzo. Al contempo, il dettaglio è mutilato<br />
da un meccanismo che non può mai influenzare e modificare,<br />
cosicché esso resta privo di conseguenze. Un dettaglio musicale<br />
12 On Popular Music, in “Studies in Philosophy and Social Science”, vol. 9,<br />
New York 1941; trad. it. Sulla popular music, a cura di Marco Santoro, Armando,<br />
Roma 2004.<br />
21
22<br />
Daniele Stroppolo<br />
cui non è permesso di svilupparsi diventa una caricatura delle<br />
sue stesse potenzialità. 13<br />
Secondo Adorno, quindi, ciò che nella musica colta è funzionale<br />
e consequenziale, nella musica di consumo diventa aleatorio<br />
e arbitrario. Nei richiami tra macrostruttura e microstruttura<br />
musicale si racchiude, secondo Adorno, lo spessore artistico<br />
di un brano. La sua configurazione complessiva deve dialogare<br />
con le sue melodie, con le sue scelte armoniche, con l’arrangiamento,<br />
con la dinamica. Tutto ciò, a suo modo di vedere,<br />
viene annullato nella musica di consumo, che si struttura secondo<br />
forme standardizzate e rigide, riconoscibili anche nel momento<br />
in cui vi vengano applicate in modo posticcio forme<br />
estrinseche di complessità, con precise ricadute sulla sua percezione<br />
da parte del fruitore e di conseguenza sul significato che<br />
la musica assume:<br />
L’ascolto della musica popular è consapevolmente trasformato, non<br />
solo dai suoi promotori ma per così dire dalla natura intrinseca di<br />
questa musica, in un sistema di meccanismi reattivi totalmente<br />
antagonistici all’ideale di individualità in una società libera e liberale.<br />
Questo non ha nulla a che vedere con la semplicità e la complessità.<br />
Nella musica seria, ogni elemento musicale, anche il più<br />
semplice, è proprio “lui”, e più l’opera è altamente organizzata,<br />
meno possibilità vi sono di sostituzione dei singoli dettagli. Nella<br />
musica di successo commerciale, invece, la struttura sottostante al<br />
pezzo è astratta, esistendo indipendentemente dallo specifico sviluppo<br />
musicale. [...] L’orecchio tratta le difficoltà della musica di<br />
successo facendo sostituzioni minime derivate dalla conoscenza<br />
dei modelli. L’ascoltatore, quando è alle prese con il complicato,<br />
ode in realtà solo il semplice che esso rappresenta e percepisce il<br />
complicato solo come una distorsione parodistica del semplice. 14<br />
13 ADORNO TH. W., Sulla popular music, cit., p. 73.<br />
14 Ivi, p. 75.
Anestetismi musicali<br />
Così la musica di consumo si configura come il frutto di una<br />
tensione duale: da una parte strutture conosciute e rassicuranti<br />
con la loro costante presenza, strutture che il fruitore finisce<br />
per ritenere connaturate alla musica in sé; dall’altra una serie di<br />
variazioni di superficie che creano l’illusione del nuovo e che<br />
danno all’ascoltatore/cliente l’idea di poter scegliere liberamente<br />
tra brani/prodotto diversi tra loro, ma che in realtà sono intimamente<br />
identici.<br />
In condizioni così degradate d’ascolto, il successo di un brano<br />
rispetto a un altro dipende soprattutto dal suo plugging, ovvero<br />
da quanto esso sia “spinto” attraverso i media: il suo riconoscimento<br />
indotto diviene lo strumento principe per decretarne<br />
ascolto, gradimento e vendita. Naturalmente, aggiunge Adorno,<br />
anche nella musica seria il riconoscimento è un passaggio<br />
fondamentale per la fruizione della musica: il riconoscimento di<br />
determinati temi e di certe strutture permette di individuare le<br />
connessioni delle singole parti di una composizione con il tutto,<br />
e della composizione con il suo genere d’appartenenza, con il<br />
suo contesto di produzione e così via. Insomma, il riconoscimento<br />
è presupposto per la comprensione, al fine di far emergere<br />
il nuovo, la novità intrinseca al brano. Nella musica di consumo,<br />
invece, riconoscimento e comprensione coincidono, perché<br />
la profonda novità è bandita, e accolte sono invece esclusivamente<br />
quelle modulazioni che permettono di confermare<br />
strutture già note. In questo modo viene promosso e rafforzato<br />
un tipo di ascolto distratto e disattento, che diviene anche l’unico<br />
possibile per riuscire ad accettare la monotonia della popular<br />
music senza incorrere nel tedio. Tale fatto implica precise ricadute<br />
sociali tutt’altro che innocue:<br />
Nella nostra società attuale le masse sono intrise dello stesso<br />
modo di produzione nascosto dietro il materiale manufatto che<br />
viene loro rifilato. I clienti dell’intrattenimento musicale sono<br />
essi stessi oggetti o, in effetti, prodotti dello stesso meccanismo<br />
23
24<br />
Daniele Stroppolo<br />
che determina la produzione della popular music. Il loro tempo<br />
libero serve solo a riprodurre la loro capacità lavorativa. È un<br />
mezzo invece che un fine. Il potere del processo di produzione si<br />
estende sugli intervalli di tempo che in superficie appaiono essere<br />
“liberi”. Essi vogliono beni standardizzati e pseudo-individualizzazione,<br />
perché il loro riposo è una fuga dal lavoro e allo stesso<br />
tempo è plasmato da quegli atteggiamenti psicologici ai quali<br />
il loro mondo quotidiano del lavoro li abitua in modo esclusivo.<br />
[...] Essi cercano il nuovo, ma la tensione e la noia associate al<br />
lavoro reale induce ad evitare qualunque sforzo in quel tempo<br />
libero che offre l’unica possibilità per esperienze realmente nuove.<br />
Come surrogato, essi chiedono insistentemente qualcosa di<br />
stimolante. La popular music viene ad offrirlo. Le sue stimolazioni<br />
si incontrano con l’incapacità di fare qualche sforzo nel sempreidentico.<br />
Questo significa ancora noia. È un cerchio che rende<br />
impossibile la fuga. L’impossibilità della fuga produce il diffuso<br />
atteggiamento di disattenzione verso la popular music. Il momento<br />
del riconoscimento è quello di una sensazione senza fatica. La<br />
subitanea attenzione associata a questo momento si brucia all’istante<br />
e relega l’ascoltatore in un regno di disattenzione e distrazione.<br />
Da un lato, il dominio della produzione e del plugging<br />
presuppone la distrazione e, dall’altro, la produce. 15<br />
Non si deve però presupporre che l’ascoltatore di musica di<br />
consumo sia totalmente inconsapevole rispetto ai meccanismi<br />
produttivi e psicologici appena delineati; viceversa, il fruitore di<br />
popular music è ben cosciente dell’intrinseca vacuità dei brani radiofonici<br />
e del loro mero scopo commerciale. Ed è proprio grazie<br />
a tale coscienza e al sentimento ambivalente suscitato da<br />
essa che la sottomissione alla musica di consumo si attua al livello<br />
più profondo: accettarne le regole, accettarne la natura<br />
significa vincere una resistenza interna nei confronti della consuetudine<br />
imposta:<br />
15 Ivi, pp. 107-108.
Anestetismi musicali<br />
Quando la popular music viene ripetuta ad un livello tale da non<br />
sembrare più uno stratagemma ma un elemento intrinseco del<br />
mondo naturale, la resistenza assume un diverso aspetto perché<br />
l’unità dell’individuo comincia a frantumarsi. Questo naturalmente<br />
non significa l’eliminazione completa della resistenza.<br />
Ma essa viene sospinta negli strati sempre più profondi della<br />
struttura psicologica. L’energia psicologica deve essere direttamente<br />
investita allo scopo di vincere la resistenza. Perché<br />
questa resistenza non scompare del tutto cedendo a forze esterne,<br />
ma resta viva entro l’individuo e ancora sopravvive anche<br />
nel momento dell’accettazione. Qui fa la sua drastica comparsa<br />
il risentimento. [...] Per essere accettato, il materiale musicale<br />
ha bisogno di questo risentimento. Il suo carattere di merce, la<br />
sua predominante standardizzazione, non è così nascosta da<br />
non essere percepibile. Esso richiede un’azione psicologica da<br />
parte dell’ascoltatore. La passività da sola non basta. L’ascoltatore<br />
deve sforzarsi di accettarlo. 16<br />
Così ascoltare musica commerciale diviene un atteggiamento<br />
parallelo a quello di coloro che sostengono di guardare programmi<br />
televisivi di infimo livello pur riconoscendone perfettamente<br />
la pessima qualità. O meglio, proprio in nome di essa:<br />
una fruizione che permette e anzi invoglia la distrazione, lo sguardo<br />
disattento, l’assopimento graduale e rassicurante. La distrazione<br />
fino all’incoscienza come risposta alla noia delle proprie<br />
attività obbligate.<br />
3. Obsolescenza?<br />
Potrebbe sembrare del tutto inattuale riproporre uno studio sulla<br />
produzione musicale degli anni Trenta del Ventesimo secolo,<br />
con relativo compendio di poco successivo, e sulle capacità<br />
16 Ivi, pp. 118-120.<br />
25
26<br />
Daniele Stroppolo<br />
d’ascolto del pubblico di quell’epoca distante quasi un secolo<br />
dal nostro presente. Eppure nella durissima analisi proposta da<br />
Theodor Adorno si evidenziano problemi che non solo non<br />
sono stati superati, ma si sono infinitamente esacerbati a causa<br />
del progresso tecnologico; il quale, sosteneva Adorno stesso,<br />
comporta non solo costanti miglioramenti in alcuni aspetti oggettivi<br />
dell’esistenza, ma implica anche continue rinunce sul piano<br />
soggettivo e individuale, a causa del suo inevitabile portato di<br />
violenza e di reificazione 17 .<br />
Sotto il profilo della fruizione musicale è indubbio che all’ampliamento<br />
dell’offerta di apparecchi d’ascolto e al moltiplicarsi<br />
degli strumenti di registrazione e riproduzione sia corrisposta<br />
una mutazione, in negativo, sempre più radicale e irreversibile<br />
delle capacità di concentrazione e di penetrazione da<br />
parte dell’ascoltatore nel testo musicale. Affinché queste affermazioni,<br />
però, non sembrino aleatorie, pregiudiziali o addirittura<br />
nostalgiche rispetto a un passato che, peraltro, è ormai estraneo<br />
all’esperienza diretta di ogni pubblico attuale, è opportuno<br />
che l’argomento sia affrontato sul piano concreto.<br />
Esiste un’affermazione, una frase particolarmente fortunata,<br />
tanto da essere diventata una sorta di moderno proverbio e<br />
che spietatamente riassume l’odierno rapporto tra musica e ascolto:<br />
«Music is the soundtrack of your life.» È solitamente attribuita<br />
a un tale Dick Clark, uomo di spettacolo statunitense, speaker<br />
radiofonico e presentatore televisivo. Al di là della paternità di<br />
tale frase, è sicuramente interessante il fatto che essa abbia incontrato<br />
una tale popolarità da divenire una sorta di verità acquisita<br />
per ciascun ascoltatore di musica commerciale. Il termi-<br />
17 Riguardo all’approfondimento di queste tesi è opportuno rimandare alla<br />
lettura di ADORNO TH. W.-HORKHEIMER M., Dialektik der Aufklärung.<br />
Philosophische Fragmente, Amsterdam 1947; trad. it. Dialettica dell’illuminismo,<br />
Einaudi, Torino 1966.
Anestetismi musicali<br />
ne che connette music con life è soundtrack, ovvero colonna sonora.<br />
Accompagnamento. Sottofondo. E in effetti è questo il ruolo<br />
che la musica ha assunto nella società di massa: accompagnare<br />
il soggetto nel corso delle sue attività quotidiane; soprattutto<br />
nel tempo libero, ma in taluni casi anche durante la propria attività<br />
produttiva. Ciò comporta una serie di implicazioni necessarie:<br />
la prima è che la musica trova un numero infinito di collocazioni.<br />
Una radio o una selezione musicale sono presenti nella<br />
maggior parte degli ambienti commerciali, dove esse non siano<br />
sostituite dalla televisione, la quale emette anch’essa una costante<br />
“colonna sonora” composta dall’insieme dei motivi e dei jingle<br />
che scandiscono la programmazione e la commentano. D’altra<br />
parte anche nelle abitazioni private tendenzialmente si fa uso<br />
degli stessi strumenti di compagnia: televisori e, meno diffusamente,<br />
radio o lettori musicali; con le stesse implicazioni. A ciò<br />
si aggiunge il fatto che negli ultimi due decenni si è diffuso l’utilizzo<br />
sempre più frequente di apparecchi d’ascolto portatili (a<br />
partire dagli obsoleti mangiacassette, per giungere ai lettori<br />
multimediali ora in commercio, con l’aggiunta ulteriore degli<br />
smartphone con le loro versatili applicazioni) che garantiscono al<br />
soggetto un adeguato supporto sonoro in tutte le occasioni in<br />
cui le attività non sono socializzate: 18 un viaggio su un mezzo<br />
pubblico, una passeggiata, una sessione di sport individuale. Non<br />
di rado gli utenti più giovani utilizzano tali dispositivi anche come<br />
strumento di socializzazione: una cuffia auricolare a testa e si<br />
possono condividere le emozioni di un ascolto comune senza<br />
arrecare alcun disturbo a chiunque altro si trovi nello stesso<br />
ambiente. Poco importa se la compressione digitale delle tracce<br />
18 E naturalmente anche in tutte le occasioni in cui il soggetto intende diminuire<br />
il proprio grado di socializzazione rispetto all’attività svolta: indossare<br />
le cuffie auricolari significa spesso porre un volontario ed evidente limite<br />
all’interazione altrui.<br />
27
28<br />
Daniele Stroppolo<br />
e l’utilizzo di materiale scadente nella costruzione dei dispositivi<br />
di riproduzione e di amplificazione abbia tendenzialmente<br />
fatto scemare la qualità del segnale d’ascolto: l’importante è la<br />
diffusione sempre più capillare, con lo scopo che la nostra soundtrack<br />
personalizzata lasci sempre meno spazio al silenzio.<br />
La costante presenza di una musica di sottofondo implica<br />
una riduzione dell’attenzione su un doppio piano: quello dell’ascolto<br />
e quello della percezione del reale. Ad auricolari inseriti<br />
ci si muove immersi nella propria selezione musicale, e la realtà<br />
viene colorata, filtrata dalla musica; ogni tappa in bus diviene<br />
la brutta copia di un film on the road, una corsa nel parco è la<br />
riproduzione del massacrante allenamento di un prodigio nascente<br />
grazie all’American dream; e la dimensione del reale si riverbera<br />
di finzioni e citazioni, sbiadendo l’hic et nunc contingente<br />
e individuale in una dimensione standard e condivisa. Al tempo<br />
stesso la musica non può che essere sottofondo: il suo ruolo<br />
è sempre relegato a quello di coro, di commento; la sua fruizione<br />
è puramente epidermica e sempre in relazione con un immaginario<br />
extramusicale che a sua volta colora e profuma la musica<br />
con toni e sfumature che non le appartengono. L’ascolto<br />
concentrato, emancipato, non automatizzato diventa l’eccezione.<br />
E diventando eccezione, finisce per essere in costante dialogo<br />
con la fruizione da colonna sonora: chi decide di dedicare<br />
parte del proprio tempo libero a un ascolto attento e non distratto<br />
deve in ogni caso forzarsi rispetto all’ascolto da sottofondo<br />
al quale è stato sicuramente ammaestrato attraverso la<br />
presenza incessante di soundtrack nei luoghi pubblici e nei mass<br />
media, quand’anche non sia tra i volontari fruitori di musica da<br />
auricolare. E oltre all’influenza individualizzata rispetto al suo<br />
personale modo di ascolto, il soggetto si trova anche in condizione<br />
di dover contrastare un ascolto ormai accettato come<br />
modus principe di approccio alla musica dal punto di vista collettivo.<br />
La cultura odierna della musica è la cultura massificata,<br />
standardizzata e volta alla fruizione di cornice.
4. Le musiche leggere<br />
Anestetismi musicali<br />
Si potrebbe obiettare che l’analisi di Adorno potesse essere valida<br />
alla metà del secolo scorso e non più oggi: la musica leggera<br />
si è diversificata in un numero elevatissimo di generi e sottogeneri;<br />
esistono culture sotterranee e antagoniste che hanno fatto<br />
proprio lo strumento della canzone, o della canzonetta, per esprimere<br />
messaggi di protesta e di denuncia del tutto non allineati<br />
rispetto ai grandi poteri economici. L’industria musicale non è<br />
più in mano a pochi grandi marchi generalisti, i quali addirittura<br />
si trovano a fronteggiare una crisi di mercato che invece non<br />
riguarda i prodotti musicali meno smaccatamente popular; i dischi<br />
si registrano e si stampano in piccoli laboratori; la distribuzione<br />
via Internet non comporta alcuna spesa e raggiunge immediatamente<br />
un mercato pressoché illimitato.<br />
Ora, si tratta di obiezioni ragionevoli e sensate; tuttavia ciò<br />
che non è cambiato è il prodotto musicale nella sua essenza, e di<br />
conseguenza la sua funzione di ammaestramento allo standard.<br />
Innanzitutto è opportuno sviluppare la questione sul piano strettamente<br />
musicale. In base ai propri gusti un ascoltatore è portato<br />
a preferire un brano rispetto a un altro, che può trovare noioso,<br />
indifferente o addirittura disturbante o rumoroso. Tale fatto<br />
è notorio ormai da decenni, a partire dalla promozione di generi<br />
musicali quali il beat e il rock’n’roll, ritenuti poco orecchiabili<br />
dal pubblico più conservatore e invece energici e vitali da quello<br />
giovanile o giovanilistico. Credo che non sia necessario dilungarsi<br />
sul fatto che entrambi i generi citati non abbiano introdotto<br />
nulla di particolarmente innovativo rispetto alla musica commerciale<br />
precedente; fondamentalmente si tratta di un leggero<br />
inasprimento dei timbri utilizzati e una moderata accelerazione<br />
del ritmo di base; dal punto di vista vocale, soprattutto nel<br />
rock’n’roll, vi è una minore presenza del controcanto in favore di<br />
una linea melodica più asciutta, ma sempre perfettamente intelligibile<br />
nel suo andamento diatonico.<br />
29
30<br />
Daniele Stroppolo<br />
Dal solo rock’n’roll si sono sviluppati diversi approcci alla<br />
canzone, talvolta con esiti molto aggressivi sul piano timbrico:<br />
hard rock, progressive rock, heavy metal, punk rock, grunge, hard<br />
core, grind core e così via. Elencare tutti i nomi che sono stati<br />
assegnati a ciascun tipo di variazione diventerebbe quasi impossibile,<br />
oltre che tedioso; analizzarli in modo sistematico<br />
secondo le caratteristiche di ognuno sarebbe compito più di<br />
un’enciclopedia che di un articolo. È quindi necessario sottoporre<br />
la questione a una qualche forma di generalizzazione<br />
che, spero, verrà compresa e giustificata.<br />
Sul piano armonico la musica leggera si muove fondamentalmente<br />
all’interno della diatonia, in una scala maggiore o minore<br />
ben definita e facilmente intelligibile dall’inizio alla fine del pezzo.<br />
Praticamente assenti i cambi di tonalità, tranne per qualche semplicissimo<br />
escamotage quale l’innalzamento di un tono rispetto alla<br />
scala di partenza alla terza o quarta ripresa del ritornello o poco<br />
altro. 19 Se l’armonia presenta accordi particolarmente carichi o<br />
complessi, tale ricchezza si dimostra puramente posticcia, in quanto<br />
l’andamento generale del brano censurerà qualsiasi variazione<br />
significativa rispetto al modello diatonico. A queste rigide norme<br />
si rifanno anche generi considerati particolarmente rumorosi, quali<br />
l’heavy metal o il punk: la loro aggressività è puramente timbrica,<br />
mai strutturale. La dissonanza è bandita.<br />
Quanto all’uso della voce, sul piano melodico sono ammesse<br />
ampie escursioni, a patto che siano evitate tensioni e dissonanze<br />
rispetto alla base musicale e che il cantante gestisca gli<br />
intervalli, per quanto ampi, in modo tecnicamente ineccepibile<br />
(non è tollerata un’imperizia che denoti sforzo o disagio, tranne<br />
19 È ad esempio tollerato il passaggio da una scala minore alla corrispondente<br />
maggiore nel passaggio da strofa a ritornello, ma si tratta di espedienti<br />
tipici di alcune tradizioni (come la canzone melodica napoletana),<br />
che in virtù di questo fatto vengono solitamente confinati nei rispettivi<br />
generi d’appartenenza.
Anestetismi musicali<br />
che in rari casi) 20 . Sul piano timbrico il discorso si fa più articolato:<br />
vi è ampio margine di tolleranza rispetto all’approccio canoro.<br />
Accanto a voci impostate e sicure da crooner si possono<br />
ascoltare agili timbri tenorili, canti dimessi al limite del sussurrato,<br />
andamenti soavi e gole roche e consumate. Vi è un’apparente<br />
libertà in tutto ciò, che presuppone però un fatto che riguarda<br />
nell’insieme ciascuna voce ritenuta vendibile: il timbro dev’essere<br />
pieno, completo nei suoi armonici. Le voci più graffianti<br />
e “sporche”, come quella dell’italiano Vasco Rossi, o del<br />
defunto Kurt Cobain dei Nirvana o ancora di Chester Bennington<br />
dei Linkin Park mantengono intatto il proprio spettro armonico<br />
anche nei momenti in cui esprimono il massimo livello<br />
di rabbia: il loro “grido” dev’essere ben modulato e risultare<br />
sempre perfettamente in focus rispetto alla nota emessa. Non<br />
sono ammesse sbavature che denotino una mancanza di controllo<br />
o la perdita della maschera da cantante consumato: la performance<br />
non deve uscire dallo specchio della rappresentazione,<br />
il grido dev’essere l’immagine melodica di un grido.<br />
Sul piano ritmico l’andamento della canzone è regolare, scandito<br />
da un metronomo che relega eventuali rallentamenti o accelerazioni<br />
nel rango dell’abbellimento di cornice, usato esclusivamente<br />
in un eventuale finale particolarmente a effetto o in<br />
simili funzioni periferiche. Le misure generalmente utilizzate<br />
sono quella di 4/4 e quella di 3/4, sulle quali si possono proporre<br />
accenti diversi a seconda del tenore che si intende fornire al<br />
pezzo. Quasi sempre il ritmo è scandito in modo molto netto e<br />
chiaro da qualche strumento percussivo, acustico o elettronico.<br />
20 Ancora una volta è necessario ribadire che le componenti in stretta minoranza<br />
rispetto a tendenze costituite e consolidate non esistono in quanto tali,<br />
ma solo in rapporto al tutto: così il cantante pop imperfetto o leggermente<br />
stonato è tollerato solo come variazione rispetto alla regola che presuppone<br />
voci sempre piene e cariche di armonici, mai in difficoltà nell’esecuzione.<br />
31
32<br />
Daniele Stroppolo<br />
Quanto ai testi, sarebbe impossibile riassumerne i contenuti<br />
secondo una qualche forma di semplificazione; certo, esiste naturalmente<br />
una quantità incommensurabile di canzonette d’amore,<br />
ma è pur vero che esistono brani che riguardano gli argomenti<br />
più disparati. È interessante, invece, cercare di comprendere<br />
in che modo il testo interagisca con una musica siffatta.<br />
Ribadendo che le strutture della musica leggera sono atte all’ottundimento<br />
dovuto a un ascolto distratto, disattento e paralizzato<br />
nello standard, diventa chiaro che un testo “impegnato”<br />
viene sconfessato nel momento stesso in cui tenta di essere veicolato<br />
dalla forma-canzone. Cantare di utopie, di pacifismo o<br />
di diritti delle minoranze nella forma del jingle musicale o della<br />
hit da classifica significa mercificare e quindi reificare il messaggio<br />
stesso, che proprio in virtù del suo tramite viene svilito e<br />
irriso. La canzone impegnata è la parodia di una canzone impegnata;<br />
l’effetto anestetico dell’apparato musicale esonda dal puro<br />
suono per coprire il valore semantico della parola.<br />
5. Mondi alternativi<br />
Eppure, si potrebbe obiettare, non tutta la musica leggera rientra<br />
in questo quadro; esistono le autoproduzioni e le distribuzioni<br />
gratuite, che rifuggono in ogni modo dall’idea di profitto.<br />
Esistono canzoni in cui il grido è vero grido e in cui la diatonia<br />
o la regolarità dei due ritmi dominanti non è affatto rispettata.<br />
Che succede di tutto quel movimento “alternativo” che tenta<br />
autenticamente di resistere alle tendenze totalizzanti della musica<br />
di consumo? È opportuno affrontare questo punto con la<br />
dovuta attenzione, dal momento che la questione è complessa e<br />
articolata. Innanzitutto sarebbe opportuno fare chiarezza rispetto<br />
al termine “alternativo”. Alternativo a che cosa? Moltissime band,<br />
moltissimi cantanti mainstream vengono definiti alternativi dai<br />
mass media, e scalano le classifiche grazie all’appoggio di qualche
Anestetismi musicali<br />
grande marchio internazionale e a qualche buon contratto di<br />
sponsorizzazione. Non è di questo tipo di musica che può essere<br />
interessante discutere nei termini espressi: in questo caso si<br />
tratta semplicemente di un’etichetta di genere come può esserlo<br />
qualunque altra, e il prodotto musicale rientra perfettamente<br />
negli standard descritti precedentemente. Esiste poi un grande<br />
movimento che si autodefinisce alternativo perché costretto<br />
dall’industria musicale a rimanere ai margini: il confinamento<br />
dovuto a scarsi mezzi economici o a performance non professionalizzate<br />
diviene oggetto di rivendicazione, ma la verità è che<br />
tale movimento esiste solo in quanto retropalco dell’industria<br />
dell’intrattenimento, la quale attinge da esso per trarne i prodotti<br />
più vendibili. Si tratta quindi di un circuito parallelo a<br />
quello principale, con gli stessi intenti e lo stesso approccio,<br />
ma che funziona secondo un sistema di investimenti ridotto;<br />
nella speranza o meglio nella prospettiva che qualche suo ingranaggio<br />
possa essere raccolto e utilizzato entro il meccanismo<br />
di ordine maggiore.<br />
Esistono infine musicisti che non possiedono alcuna velleità<br />
di professionalizzarsi, che scrivono, eseguono e producono i<br />
propri brani senza lo scopo del profitto, e che intendono muoversi<br />
con assoluta libertà rispetto ai canoni della smerciabilità<br />
del proprio prodotto. Alcuni di essi, oltre che nelle intenzioni,<br />
sanno distaccarsi dai parametri standardizzati della canzone commerciale<br />
anche nei fatti. Con quali esiti?<br />
Naturalmente il primo problema è che l’esclusione dal grande<br />
circuito permette di utilizzare mezzi di esecuzione, registrazione<br />
e distribuzione di gran lunga inferiori rispetto a quelli a<br />
disposizione dell’industria dell’intrattenimento. Ciò comporta<br />
un livello di produzione molto spesso amatoriale e di scarsa rilevanza<br />
artistica. Ma tale fatto non costituisce una regola e si può<br />
ammettere che una produzione di alto livello tecnico possa avvenire<br />
anche al di fuori del circuito mainstream. E in effetti in<br />
alcuni dei brani composti ed eseguiti al di fuori del circuito com-<br />
33
34<br />
Daniele Stroppolo<br />
merciale si riscontrano sostanziali differenze rispetto alle rigide<br />
regole che governano la produzione allineata.<br />
Per quel che concerne l’aspetto armonico si può riscontrare<br />
una disinvolta emancipazione dalla diatonia e in molti brani vengono<br />
utilizzate anche dissonanze non risolte, con valore funzionale<br />
e non puramente accessorio. Sotto il profilo ritmico è<br />
lasciato spazio a misure diverse da 4/4 e 3/4; talvolta si<br />
avvicendano variazioni di misura significative durante il brano e<br />
non mancano tempi composti e poliritmie. Riguardo alla vocalità,<br />
si possono evidenziare fondamentalmente due distinti esiti del<br />
canto: un canto melodico e uno gridato. Il canto gridato consiste<br />
in un’emissione vocale che non fa risuonare una nota in particolare,<br />
ma si risolve in una sorta di recitazione ritmica dai toni<br />
esasperati. Esistono vari stili, catalogati con nomi diversi, per<br />
questo tipo di vocalità; essa tenta di esprimere in modo diretto e<br />
immediato uno sfogo di fronte al negativo. L’operazione, però,<br />
sembra scontrarsi con la natura stessa della musica, che in quanto<br />
arte presuppone una mediazione tra quanto viene espresso<br />
nell’opera e l’opera stessa. Il grido in sé non può essere musica<br />
nella stessa misura in cui non può esserlo un qualsiasi suono<br />
spontaneo e non mediato. Questa contraddizione non riguarda<br />
solamente l’aspetto teorico della questione, ma anche le sue caratteristiche<br />
concrete. In particolare il suo andamento ritmico,<br />
la sua cadenza musicale contraddice istantaneamente il suo tentativo<br />
di essere libero e liberatorio. Si tratta anche in questo caso<br />
dell’immagine sonora di un grido e non di un grido in quanto<br />
tale, e il suo tentativo mimetico rispetto a un’emissione spontanea<br />
ne evidenzia in modo inequivocabile il fallimento. Anche<br />
sul piano timbrico la soluzione sembra insoddisfacente: al fine<br />
di conservare la propria integrità fisica, il cantante che intende<br />
eseguire il canto gridato deve sfruttare alcune tecniche di respirazione<br />
e di emissione che ne deformano la sonorità in una direzione<br />
facilmente percepibile come artificiosa e innaturale; di<br />
conseguenza il grido non viene percepito come sfogo sponta-
Anestetismi musicali<br />
neo, ma come l’imitazione parodistica di uno sfogo, un tentativo<br />
di riproduzione che oscilla in modo totalmente scisso tra<br />
l’esternazione spontanea e una sua primitiva figurazione. Quanto<br />
al canto melodico, nella musica leggera non commerciale il<br />
suo andamento non si distacca molto dalla canzonetta; e molto<br />
spesso è proprio la linea melodica vocale a semplificare la comprensione<br />
armonica e strutturale del pezzo dimostrando il suo<br />
diatonismo anche a fronte di qualche soluzione d’arrangiamento<br />
complessa e articolata. Infatti le dissonanze non risolte non<br />
sono contemplate nell’andamento vocale, e dove esse sono presenti<br />
nella base strumentale la voce si fa da parte rimanendo in<br />
silenzio o affidandosi a soluzioni puramente ritmiche (come<br />
quelle del grido) o di commento attraverso una qualche forma<br />
di recitato. Da questo punto di vista, quindi, le soluzioni della<br />
musica underground più che sconfessare quelle della musica da<br />
classifica sembrano confermarle per sottrazione.<br />
Al di là degli esiti estetici in sé, sembra importante tentare di<br />
comprendere se queste forme musicali non allineate promuovano<br />
un tipo di ascolto diverso da quello che viene inculcato<br />
dalla musica commerciale; se, insomma, il loro insieme sonoro<br />
esca effettivamente dagli standard imposti all’orecchio del<br />
fruitore di musica popular inducendolo a un grado di attenzione<br />
e di concentrazione maggiore; o se, invece, sia anch’esso appiattito<br />
nel ruolo di soundtrack dell’esistenza.<br />
Ebbene, se anche alcuni aspetti della musica leggera non<br />
commerciale si allontanano da alcuni logori aspetti di quella da<br />
classifica, ve ne sono altri che invece conducono il fruitore a<br />
schemi d’ascolto stereotipati: passività, distrazione, uso di<br />
sottofondo. Vi sono infatti alcune componenti della musica non<br />
colta che le sono, almeno allo stato degli sviluppi attuali, del<br />
tutto connaturate: la diatonia nelle parti melodiche e l’uso di un<br />
beat, di una regolarità ritmica che schematizza ogni metro in una<br />
uniformità di fondo per cui l’uso di tempi composti, poliritmie<br />
e tempi dispari (anche nei casi non frequenti in cui sono utiliz-<br />
35
36<br />
Daniele Stroppolo<br />
zati) finisce per ridursi a una sorta di variazione attorno alle<br />
pulsazioni sentite come necessarie e immanenti, ovvero il 4/4 o<br />
in alternativa il 3/4. Questi elementi concedono all’ascoltatore<br />
di non concentrarsi sulla musica, perché il suo fluire procede<br />
con andamento rassicurante e all’interno di schemi armonici<br />
riconoscibili, in modo che i suoi esiti non si emancipino mai<br />
dalle aspettative standardizzate del fruitore.<br />
Vi è inoltre un ulteriore aspetto non trascurabile della musica<br />
leggera nel suo insieme, che penetra strutturalmente anche<br />
nelle canzoni underground: il cliché di genere. Si tratta di scelte<br />
timbriche e di costruzione dei brani, o anche di una determinata<br />
prevalenza di certi intervalli musicali nelle armonie e nelle<br />
melodie, o ancora dell’utilizzo di brevi fraseggi chitarristici<br />
che fungono da unità minima del pezzo, i cosiddetti riff; questi<br />
elementi introducono il fruitore in un sistema conosciuto, nel<br />
quale le novità sono sempre puro contorno rispetto all’essenza<br />
del brano stesso. È in questo modo che si creano ascoltatori<br />
specializzati, frequentatori di determinati generi nei quali<br />
essi si muovono a proprio agio riconoscendo stilemi precisi<br />
che corrispondono perfettamente alle aspettative del fruitore:<br />
un meccanismo di autorafforzamento che oscilla tra il rassicurante<br />
territorio conosciuto e l’introduzione periferica di novità<br />
marginali; lo stesso automatismo della musica da classifica,<br />
con analoghi risultati sul piano dell’ammaestramento allo<br />
standard conoscitivo.
Medioevo: un pregiudizio secolare che<br />
perdura nel discorso comune. Esercizi<br />
di decostruzione alla luce delle scienze sociali<br />
di Franz Brandmayr *<br />
1. Introduzione. Un contributo ab extra<br />
La vita del medievalista potrebbe consumarsi<br />
tutta nel raddrizzare torti: perché quasi sempre<br />
i fatti, i testi del tempo, smentiscono le leggende<br />
accumulatesi a partire dal XVI secolo e diffuse<br />
soprattutto con il XIX secolo. 1<br />
Provengo da una formazione storica, anche se già prima degli<br />
studi universitari (si era negli anni Settanta) i miei interessi antropologico-culturali<br />
si erano ben caratterizzati. Indirizzai poi decisamente<br />
le mie ricerche nel campo degli studi sociali, all’interno<br />
dei quali mi sono mosso fino a oggi in maniera quasi esclusiva. In<br />
ogni caso la storia ha continuato a rappresentare un mio interesse<br />
costante, spesso anche ineludibile, tanto nella ricerca sociale, 2<br />
* Docente di I. r. c.<br />
1 PERNOUD R., Medioevo. Un secolare pregiudizio, Bompiani, Milano 1998 5<br />
(1977), p. 146.<br />
2 Per una introduzione dal punto di vista dell’antropologia ai rapporti intercorrenti<br />
fra le scienze etnoantropologiche e la storia rinvio a BELLAGAMBA A.,<br />
s.v. Annales, Scuola delle, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di), Dizionario di<br />
antropologia. Etnologia antropologia culturale antropologia sociale, Zanichelli, Bologna<br />
1997, p. 49; COMBA E., s.v. Storia, ivi, pp. 709-710; CIRESE A.M., Cultura<br />
37
38<br />
Franz Brandmayr<br />
quanto nell’attività di insegnamento della Religione cattolica, 3 nella<br />
quale è noto che essa debba intessere un confronto serrato con<br />
altre discipline diacroniche (soprattutto con la Storia delle Religioni<br />
e con la Storia della Chiesa), oltre che, più in generale, con<br />
tutte le Scienze delle Religioni. 4<br />
Ciò nonostante – come esplicito fin dal titolo – non vorrebbe<br />
essere quello prettamente storiografico l’angolo visuale di<br />
questo contributo. Il mio vorrebbe configurarsi come un approccio<br />
antropologico-culturale alla “narrazione” 5 del Medioevo<br />
nel discorso comune. Data la vastità del campo considerato,<br />
proverei a sperimentare qualche forma di esercizio critico avvalendomi<br />
soprattutto di poche pubblicazioni (qualche manuale<br />
scolastico e una sintesi divulgativa), prese quasi a caso dalla pletora<br />
di produzioni di qualità assai diversificata, che hanno per oggetto<br />
l’epoca medievale o qualche suo aspetto specifico.<br />
egemonica e culture subalterne. Rassegna degli studi sul mondo popolare tradizionale,<br />
Palumbo, Palermo 1973 2 (1971), pp. 24-39; RIVIERE C., Introduzione all’antropologia,<br />
Il Mulino, Bologna 1995, pp. 18-19; TULLIO-ALTAN C., Antropologia.<br />
Storia e problemi, Feltrinelli, Milano 1985 2 (1983), pp. 267-304.<br />
3 Dalle mie matrici culturali non ho ricavato una grande propensione a<br />
soffermarmi sul dato autobiografico; tuttavia nell’ambito antropologico-culturale<br />
è divenuto ormai costume consolidato il farlo, allo scopo di esplicitare<br />
al lettore, almeno indicativamente, le premesse teoriche di partenza e i possibili<br />
condizionamenti che vi sono connessi [cfr. GEERTZ C., Opere e vite. L’antropologo<br />
come autore, Il Mulino, Bologna 1995 (1992), pp. 85-86].<br />
4 Cfr. BUCARO G., Filosofia della religione. La riflessione sul “senso” del fatto religioso<br />
da Spinoza a Nietzsche, da Bloch a Eliade, Città Nuova, Roma 1986, pp. 13-15;<br />
FILORAMO G.-PRANDI C., Scienze delle Religioni, Morcelliana, Brescia 1997 3 (1987),<br />
passim; RAGOZZINO G., Il fatto religioso. Introduzione allo studio della religione, Edizioni<br />
Messaggero, Padova 1990, pp. 50-75; TERRIN A.N., Introduzione allo studio<br />
comparato delle religioni, Morcelliana, Brescia 1991, pp. 13-29.<br />
5 Conferisco al termine tutta la pregnanza storiografica che gli deriva dalla riflessione<br />
dei Post-colonial Studies [cfr. ad es. CHAKRABARTY D., Storia delle minoranze, passati<br />
subalterni, in ID., Provincializzare l’Europa, Meltemi, Roma 2004 (2000), pp. 135-155].
Medioevo: un pregiudizio secolare<br />
In queste pagine cerco anche di configurare alcune linee ipotetiche<br />
di un possibile successivo lavoro di ricerca più esteso,<br />
volto ad accertare con criteri anche quantitativi l’eventuale persistenza<br />
del pregiudizio antimedievale nel discorso comune. Nel<br />
caso la presente riflessione dovesse portare a sviluppi di questo<br />
genere, si renderebbe naturalmente necessario operare concretamente<br />
su un “terreno” accuratamente definito, come da consolidata<br />
tradizione antropologico-culturale. 6<br />
Tuttavia questo elaborato potrebbe risultare forse già apprezzabile<br />
anche sotto due altri profili: in prima istanza in una prospettiva<br />
didattica, in quanto esprimo il punto di vista del docente,<br />
che da più di un quarto di secolo rileva – o ritiene di rilevare –<br />
negli studenti la persistenza di una forte stereotipizzazione delle<br />
conoscenze e delle competenze interpretative intorno al Medioevo<br />
europeo. Queste sembrerebbero – in buona sostanza – riprodurre<br />
pedissequamente i luoghi comuni che numerosi storici denunciano<br />
essere ricorrenti in tanta manualistica e pubblicistica<br />
attuali. Pernoud scriveva già nel 1977 di «opere “storiche”» o addirittura<br />
di collane storiche scritte con «procedimenti giornalistici» 7 .<br />
6 Cfr. ad es. BERNARDI B., Uomo cultura società. Introduzione agli studi etno-antropologici,<br />
Franco Angeli, Milano 1984 8 (s.d. orig.), p. 119; BIANCO C., Dall’evento al<br />
documento. Orientamenti etnografici, C.I.S.U., Roma 1988, passim; «è proprio su questo<br />
punto che può individuarsi la distinzione fra ogni tipo di filosofia e ogni<br />
tipo di antropologia culturale scientificamente valida: la falsificabilità delle proposizioni<br />
antropologiche e il suo carattere sperimentale» [TULLIO-ALTAN C., Manuale<br />
di antropologia culturale. Storia e metodo, Bompiani, Milano 1979 (1971), p. 573].<br />
7 CARMO FELICIANI S., Introduzione, in DAWSON CH., Il cristianesimo e la formazione<br />
della civiltà occidentale, Rizzoli, Milano 1997 2 (1950), p. 6; PERNOUD R., op. cit.,<br />
p. 145; cfr. PIVATO S., Vuoti di memoria. Usi ed abusi della storia nella vita pubblica<br />
italiana, Laterza, Roma-Bari 2007, pp. 22, 26, 34, 74, 87-88, 129, 131 et alibi. Il<br />
pensiero non può non correre ai giorni nostri, in cui – ad esempio – un<br />
«libraccio» (F. Cardini) come Il codice Da Vinci viene accolto anche da un<br />
soggetto laureato come una sorta di rivelazione esoterica (colloquio 1.1.<br />
02.02.2006). Vd. anche infra nt. 291.<br />
39
40<br />
Franz Brandmayr<br />
Peraltro la critica storiografica a queste produzioni di consumo è<br />
destinata a rimanere confinata in riviste erudite 8 e non riesce a scalfire<br />
il complesso stereotipico antimedievale sedimentato nell’immaginario<br />
collettivo, che – invece – di questa pubblicistica sembra<br />
nutrirsi abbondantemente. Inoltre – più in generale – pare che questo<br />
senso comune pervada anche i cosiddetti ambienti colti. 9<br />
In queste rappresentazioni collettive 10 il Medioevo costituirebbe,<br />
pertanto, proprio come asserivano gli umanisti, un periodo<br />
storico «vuoto» e «scadente», 11 un autentico «iato» fra due<br />
epoche che sarebbero invece significative, quella classica e quella<br />
moderna. Per gli storici delle più svariate impostazioni è oramai<br />
acquisito il fatto che sia vero «il contrario», 12 ma le ricerche<br />
scientifiche dell’ultimo secolo e mezzo 13 sembrano non avere<br />
ancora raggiunto il grande pubblico e – talvolta – neanche i<br />
manuali scolastici; 14 e – lo si sa bene – sono questi ultimi a rappresentare<br />
più efficacemente la «verità storica ufficiale» 15 . Al<br />
posto della storiografia più avanzata potrebbe prevalere – è questa<br />
l’ipotesi antropologico-culturale che formulo, in vista di un<br />
8 PERNOUD R., op. cit., p. 145; SANFILIPPO M., La storia in edicola: biografie, romanzi,<br />
gadget, in “Memoria e Ricerca”, gennaio-aprile 2007, passim.<br />
9 LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario medievale, Laterza, Roma-Bari<br />
1998 2 (1985), p. XVIII.<br />
10 DURKHEIM E., Rappresentazioni individuali e rappresentazioni collettive, in ID., Le<br />
regole del metodo sociologico. Sociologia e filosofia, Comunità, Torino 2001 (1898),<br />
pp. 137-164.<br />
11 LE GOFF J., Prefazione, in ID., Tempo della Chiesa e tempo del mercante, Einaudi,<br />
Torino 1977 (1976), pp. VII-VIII.<br />
12 LE GOFF J., ivi, p. IX.<br />
13 DAWSON CH., op. cit., pp. 23-24 scriveva questo già nel 1950; PERNOUD R.,<br />
op. cit., p. 16.<br />
14 Cfr. ibidem.<br />
15<br />
CONTI F., Massoneria e religioni civili. Cultura laica e liturgie politiche fra XVIII e<br />
XX secolo, Il Mulino, Bologna 2008, p. 8.
Medioevo: un pregiudizio secolare<br />
possibile rilevamento empirico sul campo – una sorta di<br />
rielaborazione e di amplificazione mediatica; 16 questa sembra<br />
alimentarsi (anche questo andrebbe dimostrato con uno studio<br />
sistematico) – oltre che di sintesi manualistiche – della<br />
pubblicistica non-specialistica sopra menzionata, di documentari<br />
televisivi, di enciclopedie on line, in cui il controllo della produzione<br />
spesso sfugge a una selezione seria, e di altre opere di<br />
divulgazione più o meno dilettantesche. 17<br />
Non nutro dubbio alcuno sulle gravose difficoltà insite nella<br />
didattica della storia; 18 io stesso le sperimento quando tento di<br />
porgere dei contenuti la cui distanza culturale dal “mondo vitale”<br />
19 degli studenti è particolarmente marcata. È per questo motivo<br />
che invito i colleghi storici e/o insegnanti di storia o di altre<br />
discipline interessate 20 (la filosofia, 21 le letterature italiana e straniere,<br />
la storia dell’arte ecc.) ad avviare un dibattito che prenda sul<br />
serio il difficile compito del docente che si impegna a trasmettere<br />
una certa sensibilità storica 22 agli allievi, con un particolare riferi-<br />
16 Cfr. PERNOUD R., op. cit., p. 149.<br />
17 Ivi, pp. 9, 16, 145, 156 et alibi. Cfr. supra anche nt. 7 e infra nt. 291.<br />
18 PIVATO S., op. cit., p. 37.<br />
19 ABBAGNANO N., s.v. Mondo della vita, in ID., Dizionario di filosofia, U.T.E.T.,<br />
Torino 1971 2 (s.d. orig.), p. 596; PARDI F., s.v. Soggettività, in DEMARCHI F.-<br />
ELLENA A.-CATTARINUSSI B. (a cura di), Nuovo dizionario di sociologia, San Paolo,<br />
Cinisello Balsamo (MI) 1994 3 (1987), p. 1986.<br />
20 Cfr. PERNOUD R., op. cit., pp. 153 e 168. Devo ai colleghi e amici Paolo<br />
Emilio Biagini, Brigitta Bianchi, Federico Creazzo, Lucia D’Agnolo, Silvia<br />
Visintini e Marco Zocchi svariati stimoli e suggerimenti preziosi per la stesura<br />
di queste pagine: colgo qui l’occasione per ringraziarli. Va da sé che ascrivo<br />
a me stesso ogni carenza di questo scritto.<br />
21 Vd. ad es. PORCARELLI A., Insegnare la filosofia medievale. Stereotipi e innovazioni<br />
didattiche, in http://archive.sfi.it/cf/cf4/articoli/porcarelli.htm.<br />
22 Cfr. MARROU H.-I., La conoscenza storica, Il Mulino, Bologna 1988 (1954), p.<br />
36; PERNOUD R., op. cit., p. 168.<br />
41
42<br />
Franz Brandmayr<br />
mento all’epoca in questione. All’inevitabile semplificazione del<br />
discorso storiografico congenito alla manualistica e alla sproporzione<br />
esistente fra la lunghezza dell’arco temporale considerato<br />
nei programmi e le scarse risorse (misurate in unità orarie scolastiche,<br />
in pagine di libri di testo e altro ancora) disponibili per lo<br />
studio del Medioevo, 23 vengono spesso ad aggiungersi ancora tante<br />
difficoltà: tra le altre quelle determinate dalla diffusa svalutazione<br />
della storia, 24 ma anche quelle originate da una cultura dominante<br />
(non solo didattica) ossessionata dal problem solving, 25 oramai incline<br />
a formare l’allievo al “saper fare” senza indurlo a concentrare<br />
l’attenzione sul “perché fare”, cultura inoltre sempre meno propensa<br />
a cogliere le sfumature – di cui la narrazione storica è invece<br />
solitamente ricca. Nel nome di una sorta di pragmatismo cognitivo<br />
– infine – si spaccia talvolta per un attardamento passatistico 26 la<br />
presa in esame di tematiche che si presumono antiquate.<br />
Su queste premesse della questione articolerei il mio discorso<br />
focalizzando l’attenzione su un secondo obiettivo, in qualche modo<br />
conseguente e funzionale al primo: ritengo che, per allentare la<br />
presa del pregiudizio antimedievale, ci possa provenire un supporto<br />
epistemologico importante dalla strumentazione concettuale<br />
più “classica” delle scienze sociali. 27 Gli allievi (ma, perché<br />
23 Ivi, p. 153.<br />
24 PIVATO S., op. cit., pp. 37-46.<br />
25 Vd. ad es. CICATELLI S., Conoscere la scuola. Ordinamento didattica legislazione, La<br />
Scuola, Brescia 2004, p. 117.<br />
26 A questo proposito PERNOUD R., op. cit., p. 177 scriveva negli anni Settanta<br />
che la scuola francese produceva soggetti «amnesiaci», che rischiavano di<br />
diventare inabili all’esercizio della responsabilità e della libertà.<br />
27 Per un’introduzione all’utilizzo delle prospettive concettuali antropologiche<br />
nella storiografia vd. LE GOFF J., Prefazione, cit., p. VIII; LE GOFF J.-NORA<br />
P. (a cura di), Fare storia. Temi e metodi della nuova storiografia, Einaudi, Torino<br />
1981 (1974), passim; BOGLIONI P., Introduzione, in MANSELLI R., Il soprannaturale<br />
e la religione popolare nel Medio Evo, Studium, Roma 1985, p. XVI.
Medioevo: un pregiudizio secolare<br />
no? forse anche qualche adulto…) potrebbero ricavarne qualche<br />
spunto per elaborare una sintesi (perché pur sempre di questo<br />
si tratta) autonoma sull’“Età di Mezzo”, una sintesi forse<br />
meno inficiata da etichette categoriali, 28 che credo non soddisfino<br />
adeguatamente le loro esigenze di comprensione 29 di quest’epoca<br />
storica.<br />
All’interno di questa trattazione riserverei ancora qualche<br />
spunto all’intento di sensibilizzare i colleghi di storia o, chissà,<br />
forse anche qualche storico 30 circa l’opportunità di un ulteriore<br />
approfondimento del dialogo metodologico fra l’antropologia<br />
e la storia. È possibile che, in un futuro lavoro, una sorta di<br />
complemento di queste riflessioni, io tenti di cercare una risposta<br />
a determinate aporie del discorso storiografico medievistico<br />
operando una serie di confronti con i Subaltern Studies, i Postcolonial<br />
Studies e con la corrente dell’antropologia critica. 31 Non è impossibile<br />
che da ciò possa scaturire qualche suggestione valida<br />
per affinare le metodiche scientifiche 32 di approccio allo specifico<br />
medievale. Sotto questo profilo, del resto, non faccio che<br />
28 Le etichette categoriali o etichettazioni sono espressioni che diventano «un<br />
punto di ancoraggio per l’interpretazione di tratti di personalità e descrizioni<br />
comportamentali ad essa associate» [ARCURI L., Percezione e cognizione sociale, in<br />
ID. (a cura di), Manuale di psicologia sociale, Il Mulino, Bologna 1996, pp. 128-<br />
129]; mediante le etichettazioni viene poi attivata la memoria semantica del<br />
soggetto, nella quale viene così innescata una serie di associazioni di tali<br />
espressioni con altre che a esse si collegano. Cfr. infra nt. 65.<br />
29 Cfr. infra paragrafo 3.<br />
30 PERNOUD R., op. cit., p. 165, nt. 3 non sottace la differenza di formazione fra<br />
gli storici, avvezzi al trattamento dei dati documentali, e gli insegnanti di<br />
storia, che non sempre fanno esperienza in tal senso.<br />
31 Per una prima introduzione vd. CHAMBERS I. (a cura di), Esercizi di potere.<br />
Gramsci, Said e il postcoloniale, Meltemi, Roma 2006, passim; PASQUINELLI C. (a<br />
cura di), Occidentalismi, Carocci, Roma 2005, passim; vd. anche infra nt. 171.<br />
32 Cfr. MARROU H.-I., op. cit., p. 5, che scrive di una «filosofia critica della storia».<br />
43
44<br />
Franz Brandmayr<br />
pormi al seguito di parecchi storici, che sottolineano la criticità<br />
dell’utilizzo di categorie rigidamente e, talora, inconsapevolmente<br />
etnocentriche nella ricerca storiografica. 33<br />
1.1. Limiti del saggio<br />
Riuscire a fondare in poche decine di pagine un’ipotesi, che si<br />
colloca sul versante opposto rispetto a quanto una plurisecolare<br />
rielaborazione mediatica (dapprima prodotta dalla letteratura<br />
polemica colta, poi – nell’ultimo secolo e mezzo – “discesa”<br />
al “livello” 34 del senso comune) va alimentando, è senz’altro<br />
impresa improba. Va interpretata in questa prospettiva la<br />
trattazione selettiva che seguirà, dalla quale potrà emergere<br />
una versione consapevolmente migliorativa dell’Età di Mezzo;<br />
si tratterà di un’esposizione che – però – non intende suffragare<br />
alcuna «leggenda fantastica» 35 sul Medioevo stesso. Do<br />
pertanto per valida la ricerca storiografica precedente, anche<br />
quella più scopertamente denigratoria, 36 e propongo al lettore<br />
di sostituire all’aut aut di un certo tipo di approccio, forse talvolta<br />
manicheo, un et et «multivocale» più in sintonia con l’orizzonte<br />
metodologico di certe correnti di pensiero delle scienze<br />
33 Cfr. ad es. BURKE P., Cultura e società nell’Italia del Rinascimento, Einaudi, Torino<br />
1984 (1972), p. 21; CHABOD F., Storia dell’idea di Europa, Laterza, Roma-<br />
Bari 2001 4 (1961), p. 18; GUREVIČ A.J., Contadini e santi. Problemi della cultura<br />
popolare nel Medioevo, Einaudi, Torino 2000 2 (1981), p. 182; LE GOFF J., Prefazione,<br />
in ID., Tempo, cit., p. IX.<br />
34 Rinvio ai concetti di “livelli di cultura”, “prodotto culturale”, “processo di<br />
discesa/salita dei fatti culturali” (CIRESE A.M., op. cit., pp. 15-23 e ID., Dislivelli<br />
di cultura e altri discorsi inattuali, Meltemi, Roma 1997, passim.<br />
35 Cfr. ad es. DEDIEU J.-P., L’Inquisizione, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI)<br />
2003 (1987), p. 6.<br />
36 Ivi, pp. 76 e 77; MERLO G.G., Eretici ed eresie medievali, Il Mulino, Bologna<br />
1989, p. 10.
Medioevo: un pregiudizio secolare<br />
umane, 37 ma compatibile – suppongo – anche con uno studio<br />
storiografico aperto alla logica del Verstehen. 38<br />
All’inizio della ricerca avevo formulato una serie di ipotesi<br />
alla luce del «secolare pregiudizio» colto da diversi angoli<br />
prospettici. In particolare, avevo pensato di occuparmi di<br />
quattro ambiti o aspetti del preconcetto antimedievale: quello<br />
della solidarietà e dei diritti umani 39 , all’interno del quale<br />
avrei considerato soprattutto i nodi problematici delle crociate<br />
40 e dell’Inquisizione, 41 quello della condizione femminile,<br />
42 quello della presunta ignoranza e, infine, quello del-<br />
37 Cfr. CHAKRABARTY D., Storia, cit., p. 146.<br />
38 Vd. infra paragrafo 3.<br />
39 Intorno all’influenza del pensiero cristiano medievale ai fini dell’elaborazione<br />
della nozione di “diritti umani” cfr. FACCHI A., Breve storia dei diritti<br />
umani, Il Mulino, Bologna 2007, pp. 26-27, 37 et alibi. Altre indicazioni sull’incidenza<br />
del cristianesimo medievale sulla solidarietà sociale e sul tramonto<br />
della schiavitù si trovano in BLOCH M., Come e perché finì la schiavitù antica, in<br />
ID., Lavoro e tecnica nel Medioevo, Laterza, Roma-Bari 2001 3 (1947), pp. 221-63;<br />
DOLZA L., Storia della tecnologia, Il Mulino, Bologna 2008, p. 51; FROMM E.,<br />
Psicanalisi della società contemporanea, Mondadori, Milano 1987 (1955), pp. 95-<br />
96; GUGLIELMI N., Il medioevo degli ultimi. Emarginazione e marginalità nei secoli<br />
XI-XIV, Città Nuova, Roma 2001, passim; LE GOFF J., Il Medioevo. Alle origini<br />
dell’identità europea, Laterza, Roma-Bari 2003 7 (1996), pp. 53-54; PERNOUD R.,<br />
Le rane e gli uomini, in EAD., Medioevo, cit., pp. 87-99.<br />
40 FLORI J., La cavalleria medievale, Il Mulino, Bologna 2002 (1998), passim; ID.,<br />
Le crociate, Il Mulino, Bologna 2003 (2001), passim; HÖFFNER J., La dottrina<br />
sociale cristiana, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1986 3 (1983), p. 237.<br />
41 CARDINI F.-MONTESANO M., La lunga storia dell’Inquisizione. Luci e ombre della<br />
“leggenda nera”, Città Nuova, Roma 2005, passim; DEDIEU J.-P., op. cit., passim;<br />
MEREU I., Storia dell’intolleranza in Europa, Bompiani, Milano 1988, passim;<br />
PERNOUD R., L’indice accusatore, in EAD., Medioevo, cit., pp. 119-142.<br />
42 Vd. ad es. CONTE F., Gli slavi. Le civiltà dell’Europa centrale e orientale, Einaudi,<br />
Torino 1991 (1986), pp. 161-201; DUBY G., Il potere delle donne nel Medioevo, Laterza,<br />
Roma-Bari 2001 (1995), passim; LE GOFF J., Il Medioevo, cit., p. 105; cfr. anche<br />
PERNOUD R., La donna priva di anima, in EAD., Medioevo, cit., pp. 101-117.<br />
45
46<br />
Franz Brandmayr<br />
l’anticlericalismo 43 . A un certo punto dell’indagine questo progetto<br />
si è rivelato essere decisamente troppo vasto rispetto<br />
alle caratteristiche della presente pubblicazione, perciò, ho<br />
voluto ridimensionarlo notevolmente, limitandomi a considerare<br />
più in particolare una sola di queste tematiche e operando<br />
– al limite – qualche digressione più o meno ampia con riferimento<br />
alle rimanenti piste di ricerca.<br />
Fra le quattro opportunità ho inteso privilegiare quella offerta<br />
dalla presa in esame della presunta ignoranza 44 del Medioevo. I<br />
topoi della staticità intellettuale e dell’oscurantismo retrivo, dell’incapacità<br />
innovativa in ambito tecnico e del supposto culto della<br />
ripetizione in ossequio alle auctoritates sono fra i più significativi<br />
nella rappresentazione del Medioevo e, se si vuole, sono anche<br />
quelli che influenzano sensibilmente gli altri stereotipi, quasi dei<br />
corollari, della brutalità e della prevaricazione della donna. Anche<br />
il tema dell’anticlericalismo non potrà non emergere – fra l’altro –<br />
anche per la strettissima correlazione che, notoriamente, intercorre<br />
fra la cultura medievale e l’ordo dei clerici. 45<br />
2. Falsificazione o selettività?<br />
Dopo quanto premesso credo che, a fornire qualche spunto su<br />
quanto già da molto tempo conosciamo intorno al Medioevo,<br />
possano contribuire alcuni strumenti concettuali ricavati<br />
43 Vd. un accenno in questo senso in PORCARELLI A., op. cit.<br />
44 PERNOUD R., op. cit., p. 45.<br />
Humanas actiones non ridere, non lugere neque<br />
detestari, sed intelligere. 46<br />
45 FUMAGALLI BEONIO BROCCHIERI M., L’intellettuale, in LE GOFF J. (a cura di),<br />
L’uomo medievale, Laterza, Roma-Bari 1999 13 (1987), p. 205.<br />
46 SPINOZA B., Tractatus teologico-politicus, Einaudi, Torino 1958 (1670), 1, 4.
Medioevo: un pregiudizio secolare<br />
dall’etno-antropologia, dalla psicologia sociale e dalla sociologia,<br />
che consentono di limitare, almeno in parte, l’influenza derivata<br />
da una lettura storica troppo semplicistica come è, qualche volta,<br />
quella riportata dai manuali scolastici e, come abbiamo visto,<br />
da certa divulgazione mediatica. I concetti di cui scriverò potrebbero<br />
– in effetti – consentirci di prendere maggiore consapevolezza<br />
di una serie di “impliciti del discorso”. 47<br />
Alla domanda da cui parto, che non vorrebbe essere retorica,<br />
potrà rispondere l’eventuale lettore integrando nel proprio<br />
bagaglio concettuale gli strumenti che cercherò di fornirgli<br />
lungo il percorso. Credo il quesito non abbisogni di soverchie<br />
spiegazioni: mi pare sia abbastanza chiara la differenza fra<br />
l’azione consapevole della falsificazione e, invece, l’eventuale<br />
inconscia (o parzialmente inconscia) selezione delle notizie<br />
congruenti con la propria concezione del mondo effettuata<br />
ad opera dell’autore che scrive di Medioevo. 48 È appena il caso<br />
di aggiungere che la risposta del lettore potrà riguardare, ovviamente,<br />
solo ed esclusivamente i pochi testi che saranno oggetto<br />
della nostra analisi e, perciò, senza alcuna pretesa di dare<br />
risposte totali a un problema, la cui risoluzione comporterebbe<br />
un rilevamento empirico da effettuarsi all’interno di un campione<br />
di ben più vaste proporzioni.<br />
2.1. Schemi culturali, stigmatizzazione ed epoché<br />
Gli studiosi registrano la tendenza di ogni epoca storica, gruppo<br />
sociale, cultura a giudicare le epoche, i gruppi sociali e le<br />
culture “altri” (out-groups) secondo i parametri peculiari del pro-<br />
47 Vd. SBISÀ M., Detto non detto. Le forme della comunicazione implicita, Laterza,<br />
Roma-Bari 2007, passim.<br />
48 GILI G., Il problema della manipolazione: peccato originale dei media?, Franco Angeli,<br />
Milano 2001, p. 119.<br />
47
48<br />
Franz Brandmayr<br />
prio gruppo di appartenenza 49 (in-group) 50 . È certo che gli scienziati<br />
sociali e – in particolare – gli etnoantropologi hanno fatto<br />
della differenza culturale 51 il loro campo specifico di osservazione<br />
e di riflessione. Almeno teoricamente essi dovrebbero<br />
essere particolarmente consapevoli della pervasiva influenza degli<br />
schemi culturali 52 del ricercatore sugli strumenti concettuali (che<br />
si vorrebbero “oggettivi”), che questi adopera nel suo lavoro.<br />
Tuttavia non manca certo anche fra gli storici chi prende molto<br />
sul serio il rischio di contrabbandare per indagine storiografica<br />
ciò che è frutto, invece, di meri giudizi di valore.<br />
Il problema non è di poco conto; intorno alla questione si<br />
sono scritti fiumi di parole e non mi illudo certamente di poter<br />
dire una parola definitiva in merito. A mio avviso, però, certa<br />
produzione storiografica e – chissà – forse anche un certo tipo di<br />
insegnamento della storia potrebbero essere inclini a esercitarsi<br />
troppo poco – o troppo maldestramente – a fare tabula rasa 53 , in<br />
particolare, degli idola fori e degli idola theatri 54 della propria epoca<br />
storica o del proprio gruppo sociale di appartenenza.<br />
In che misura l’osservatore può considerarsi immune da queste<br />
categorie prevalenti (stereotipi ed etichettazioni), se esse sono<br />
incorporate nella sua cultura? […] nulla garantisce automaticamente<br />
l’immunità del ricercatore dai pregiudizi […] la pretesa<br />
che le scienze umane si siano liberate del linguaggio e delle cate-<br />
49 STRUFFI L.-POLLINI G., s.v. Appartenenza, in DEMARCHI F.-ELLENA A.-<br />
CATTARINUSSI B. (a cura di), op. cit., pp. 155-168.<br />
50 Cfr. MALIGHETTI R., s.v. Etnocentrismo, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di),<br />
op. cit., pp. 273-274.<br />
51 HANNERZ U., La diversità culturale, Il Mulino, Bologna 2001 (1996), passim.<br />
52 Cfr. TENTORI T., Antropologia culturale, Studium, Roma 1960, p. 19.<br />
53 Sui limiti storiografici dell’utilizzo di questo strumento concettuale<br />
«cartesiano» vd. PERNOUD R., op. cit., pp. 170-171.<br />
54 BACONE F., Novum organum, La Scuola, Brescia 1968 (1620), I, pp. 264-266.
Medioevo: un pregiudizio secolare<br />
gorie di senso comune è solo una pia illusione […] L’implicazione<br />
nella cultura retroagisce sull’osservatore […] in un gran numero<br />
di modi, spesso indiretti e scarsamente visibili […] Molto<br />
frequentemente, il solo fatto di formulare un problema relativo a<br />
un oggetto contiene un pregiudizio implicito che qualifica in<br />
modo distorto quell’oggetto, indipendentemente dalla buona<br />
volontà o dalla correttezza procedurale del ricercatore […] Gli<br />
orizzonti di senso comune […] non sono semplici dimensioni<br />
cognitive […] vincolano chi vi si riconosce al mantenimento di<br />
gerarchie, di micropoteri, di inclusioni e di esclusioni […] sostengono<br />
le forme di identità, le appartenenze, quel senso del<br />
“noi” che è essenziale alla vita di ogni comunità. 55<br />
Probabilmente nel prendere in considerazione il Medioevo<br />
questo sforzo, che è di autoanalisi e di autoeducazione, non risulta<br />
essere sempre facile: uno storico contemporaneo si sente «gelare<br />
il sangue» quando legge le pene previste nei penitenziali monastici<br />
irlandesi per infrazioni alla regola che noi, donne e uomini<br />
del Terzo millennio, riterremmo assolutamente irrilevanti. 56<br />
Parimenti, ci rallegriamo di non dover più manifestare la nostra<br />
piena appartenenza al gruppo con assordanti urla corali 57 e dopo<br />
avere attraversato le durissime prove iniziatiche dei berserkr 58 ger-<br />
55 DAL LAGO A., I nostri riti quotidiani. Prospettive nell’analisi della cultura, Costa &<br />
Nolan, Genova 1995, pp. 12-13.<br />
56 LAWRENCE C.H., Il monachesimo medievale. Forme di vita religiosa in Occidente, San<br />
Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1993 (1989), pp. 76-78; cfr. DAWSON CH., op.<br />
cit., p. 77; PENCO G., Il monachesimo, Mondadori, Milano 2000, p. 85.<br />
57 Per la verità certe forme espressive degli ultras negli stadi di calcio mi<br />
dissuadono ancora dal cantare la vittoria definitiva della dea ragione nel nostro<br />
vecchio Occidente [cfr. BROMBERGER C., La partita di calcio. Etnologia di<br />
una passione, Ed. Riuniti, Roma 1999 (1995), passim; DAL LAGO A., Descrizione<br />
di una battaglia. I rituali del calcio, Il Mulino, Bologna 2001 2 (1990), passim].<br />
58 ELIADE M., La nascita mistica. Riti e simboli d’iniziazione, Morcelliana, Brescia<br />
1988 3 (1958), pp. 125-130.<br />
49
50<br />
Franz Brandmayr<br />
manici, anche se i progressi forse più significativi rispetto agli antenati<br />
europei del Nord sembrano riguardare – piuttosto che una<br />
maggiore propensione alla vita pacifica – la nostra maggiore dimestichezza<br />
con l’acqua… 59 Considerare i contadini alla stregua<br />
di «mostri appena umani» 60 , trasformare un mite rabbì ebreo in un<br />
konung, un re sassone in armi, 61 percorrere in massa strade e villaggi<br />
infliggendosi penitenze le più sanguinose, 62 praticare i crudeli<br />
rituali carnevaleschi… 63<br />
Che cosa rimane da fare a chi si accinge a studiare questa<br />
realtà storica così distante? Gli “stigmi” – così li chiamano certi<br />
antropologi – della superstizione, della brutalità (anche<br />
masochista), dell’autoritarismo, della rozzezza dei costumi, dell’ottusità,<br />
dell’aggressività più selvaggia, del disprezzo degli umili<br />
e altri ancora sembrerebbero potersi applicare senza esitazione<br />
alcuna ai pochi esempi richiamati. Potremmo non sentirci indotti<br />
a svolgere neanche un’opportuna verifica documentale,<br />
tanto essi paiono scontati nella loro chiarezza, inoltre continuamente<br />
rievocata e ribadita dai media. 64 Essi – gli stigmi –<br />
indica{no} un attributo (fisico o morale) profondamente dispre-<br />
59 CONTE F., op. cit., pp. 117-118.<br />
60 Cfr. LE GOFF J., I contadini e il mondo rurale nella letteratura dell’alto Medioevo<br />
(secoli V e VI), in ID., Tempo, cit., p. 107.<br />
61 GUREVIČ A.J., op. cit., pp. 78-79.<br />
62 TOSCHI P., s.v. Flagellanti, in AA.VV., Enciclopedia Cattolica, Ente per l’Enciclopedia<br />
Cattolica e per il Libro Cattolico – Sansoni, Città del Vaticano – Firenze<br />
1950, vol. V, cc. 1439-1441.<br />
63 Cfr. ad es. BACHTIN M., L’opera di Rabelais e la cultura popolare. Riso, carnevale<br />
e festa nella tradizione medievale e rinascimentale, Einaudi, Torino 1979<br />
(1965), passim.<br />
64 Vd. il concetto di «manipolazione per inondazione», che risulta funzionale<br />
alla creazione di pseudo-eventi in GILI G., op. cit., pp. 244-250: una “verità”<br />
continuamente proclamata alla fine diventa tale anche se non lo è.
Medioevo: un pregiudizio secolare<br />
giativo e [...] mett{ono} in relazione tale attributo con gli stereotipi<br />
relativi alla “normalità”, espressi dalla cultura dominante 65 ,<br />
cultura dominante che – in questo caso – neanche a dirlo, è<br />
quella occidentale attuale: secolarizzata, urbanizzata, postborghese,<br />
ispirata alla “gabbia di ferro” della razionalizzazione<br />
weberiana, postindustriale, telematica, individualistica 66 (talvolta<br />
fino al narcisismo) 67 , consumistica, 68 tesa a dare attuazione<br />
la più completa al freudiano principio di piacere e via<br />
dicendo.<br />
Da almeno tre secoli nelle “descrizioni” medievalistiche del<br />
discorso comune, dove abbondano delle autentiche “clave<br />
terminologiche” – fortemente peggiorative – come «feudale»,<br />
«gotico», 69 «barbaro/barbarico» 70 ecc. sembrano manifestarsi una<br />
sovrabbondanza di alterità, un divario incolmabile e gli stigmi<br />
rispondono proprio all’esigenza di contenere una diversità<br />
debordante, eccessiva. Nel campo della verbalizzazione, infatti,<br />
essi ottemperano alla funzione di esorcizzare ciò che è “strano”,<br />
“estraneo”, “straniero”, “forestiero”, in quanto viene “da<br />
65 AIME M., s.v. Stigma, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di), op. cit., p. 709; le<br />
parentesi quadre sono mie. Nel corso della trattazione potrò usare come<br />
quasi-sinonimi anche le espressioni etichetta categoriale o etichettazione (vd.<br />
supra nt. 28) adoperate, solitamente, dagli psicologi sociali.<br />
66 Vd. ad es. BAUMAN Z., La società individualizzata. Come cambia la nostra esperienza,<br />
Il Mulino, Bologna 2002 (2001), passim.<br />
67 LASCH CH., La cultura del narcisismo, Bompiani, Milano 2001 4 (1979), passim.<br />
68 Cfr. ad es. il classico BAUDRILLARD J., La società dei consumi, Il Mulino, Bologna<br />
1976, passim.<br />
69 PERNOUD R., op. cit., pp. 80-86.<br />
70 Come è noto si tratta, inoltre, di un’espressione pesantemente connotata in<br />
senso italocentrico e francocentrico [AZZARA C., Le invasioni barbariche, Il<br />
Mulino, Bologna 1999, p. 9; cfr. anche WOLFRAM H., I germani, Il Mulino,<br />
Bologna 2005 (1997), p. 89].<br />
51
52<br />
Franz Brandmayr<br />
fuori” rispetto al gruppo-noi. 71 Sotto questo profilo corrispondono<br />
funzionalmente a quanto mirano a realizzare le liturgie<br />
apotropaiche nell’ambito della ritualità.<br />
Ritengo di semplificare l’esposizione eleggendo a terreno<br />
di fondazione di alcune delle mie ipotesi sugli stigmi o<br />
etichettazioni soprattutto un testo della fine degli anni Novanta.<br />
La Breve storia delle grandi scoperte scientifiche di Giovanni<br />
Caprara dedica soltanto ventidue pagine al Medioevo, 72 ma il<br />
volume mi sembra rappresentare validamente un certo tipo di<br />
approccio divulgativo al nostro tema. Mentre fornisce notizie<br />
sullo stato della scienza nel Terzo secolo, il nostro «giornalista<br />
scientifico del “Corriere della Sera”», autore di diversi volumi<br />
e premiato per la sua attività di divulgazione scientifica, 73 sintetizza<br />
lapidariamente un millennio e più di storia con due<br />
brevi frasi introduttive della storia alla scienza medievale. Secondo<br />
me queste due proposizioni – vergate con accenti<br />
apodittici – potrebbero rappresentare emblematicamente la<br />
diffusa pratica della stigmatizzazione antimedievale per il tramite<br />
dell’etichettazione oscurantistica. Ecco la prima:<br />
I padri della Chiesa rifiutavano la cultura classica perché la ritenevano<br />
troppo compromessa con la religione pagana. 74<br />
Un asserto di questo genere presenta notevoli errori e lacune<br />
anche se lo si voglia riferire al solo alto Medioevo, ma l’Autore<br />
non lo integra né lo ridimensiona nel prosieguo dell’esposi-<br />
71 Vd. infra nt. 289.<br />
72 CAPRARA G., Breve storia delle grandi scoperte scientifiche, Bompiani, Milano 1999 2<br />
(1998), pp. 43-64.<br />
73 Ivi, quarta di copertina.<br />
74 Ivi, p. 42.
Medioevo: un pregiudizio secolare<br />
zione, lasciando – con ciò – intendere che tale situazione perduri<br />
addirittura per tutta l’età medievale.<br />
Un’analisi, ancorché generica, delle letterature patristica e<br />
scolastica nel loro rapporto di dipendenza e innovazione rispetto<br />
alla tradizione classica non si può neanche accennare in<br />
queste pagine. 75 Forse vale la pena di fare qualche richiamo,<br />
piuttosto, alla tradizione monastica occidentale, intorno alla<br />
quale gli storici non nutrono dubbi sul fatto che nel VI secolo<br />
l’intellettuale di origine siriaca (e già ministro di Teodorico)<br />
Cassiodoro creava «il primo esempio di monachesimo dotto e<br />
umanistico, che conciliava l’otium classico e la preghiera» 76 . In<br />
Italia egli agì soprattutto nell’ambiente calabrese e i suoi scritti<br />
si diffusero, pare, fino all’ambiente romano e alla biblioteca<br />
papale del Laterano in particolare, 77 da dove – secondo alcuni<br />
– la sua influenza si sarebbe propagata a tutte le successive<br />
esperienze monastiche occidentali. A lui si devono, fra le altre<br />
cose, la composizione di «una vera e propria ratio studiorum», di<br />
un autentico «programma enciclopedico […] tracciato con<br />
l’esame delle sette arti liberali […] nella linea degli enciclopedisti<br />
del tardo mondo antico [… (che)] prepara l’avvento di quelli<br />
dell’Alto Medioevo, Isidoro, Beda, Rabano Mauro».<br />
75 Una prima introduzione al tema si può ricavare, da un punto di vista teologico,<br />
in RAHNER K.-VORGRIMLER H., s.v. Patristica, in IID., Dizionario di teologia,<br />
Herder-Morcelliana, Roma-Brescia 1968, pp. 475-476; da una prospettiva filosofica<br />
vd. VANNI ROVIGHI S., s.v. Aristotelismo, in AA.VV., Dizionario teologico<br />
interdisciplinare, Marietti, Casale Monferrato (AL) 1977, vol. I, pp. 419-423; EAD.,<br />
s.v. Platonismo, in AA.VV., Dizionario, cit., vol. II, pp. 731-735. Anche in ambito<br />
manualistico una sintesi critica argomentata e in totale disaccordo con il Caprara<br />
viene proposta da CONTE G.B.-PIANEZZOLA E., Corso integrato di letteratura latina,<br />
5, La tarda età imperiale, Le Monnier, Firenze 2004, pp. 146-147.<br />
76 AA.VV., s.v. Cassiodoro, in IID., Enciclopedia Garzanti di filosofia, Garzanti, Milano<br />
1982 2 (1981), p. 130.<br />
77 PENCO G., op. cit., p. 47.<br />
53
54<br />
Franz Brandmayr<br />
Egli getta, inoltre, «le basi di tutta la morfologia della cultura<br />
medievale», nella quale la cultura greca e quella latina, quella sacra<br />
e quella profana vengono impostate nei loro sviluppi futuri. 78<br />
Di lì a poco sarà il monachesimo benedettino a farsi via via<br />
promotore di istanze culturali di portata sempre crescente, operando<br />
una sintesi fra la humanitas ereditata dalla cultura romana<br />
e le esigenze di un evangelismo radicale mutuato dalle esperienze<br />
monastiche copte e siriache. 79 Ne scaturirà uno stile cenobitico<br />
originale, praticato secondo modalità autoctone «latine»<br />
80 ; ciò costituirà la premessa indispensabile alla creazione<br />
di una sorta di identificazione della romanitas e della christianitas,<br />
81 che si realizzerà fin dall’epoca altomedievale. 82 I rigori<br />
ascetici degli anacoreti e dei monaci orientali troveranno nel<br />
movimento benedettino un’interpretazione meno austera, 83<br />
progressivamente sempre più aperta alla dimensione culturale,<br />
84 di cui è opportuno sottolineare la «polivalenza» 85 sotto<br />
vari profili: le interpretazioni – diversificate a seconda delle<br />
78 Ivi, pp. 46-47; parentesi rotonda dello scrivente; cfr. anche ivi, pp. 48 e 176.<br />
79 Ivi, pp. 32-33.<br />
80 LAWRENCE C.H., op. cit., pp. 100-104; TURBESSI G., Il monachesimo in Occidente<br />
fino a S. Benedetto (c. 480-547), in ID., Ascetismo e monachesimo prebenedettino,<br />
Studium, Roma 1961, pp. 134-148.<br />
81 ULLMANN W., Radici del Rinascimento, Laterza, Bari-Roma 1980 (1977), p. 36;<br />
DAWSON CH., op. cit., p. 37 riferisce che «“Romano” e “cristiano” divennero<br />
quasi termini sinonimi» (cfr. anche ivi, pp. 63 e 81). Il terzo e il quarto elemento<br />
dell’amalgama culturale della Civiltà occidentale saranno quello<br />
germanico-pagano (ULLMANN W., op. cit., p. 29) e quello «“tradizionale” delle<br />
vecchie culture indigene» (LE GOFF J., Guerrieri e borghesi rampanti. L’immagine<br />
della città nella letteratura francese del secolo XII, in ID., L’immaginario, cit., p. 32).<br />
82 Ivi, p. 3.<br />
83 LAWRENCE C.H., op. cit., p. 69; PENCO G., op. cit., pp. 60 ss.<br />
84 Cfr. infra le nt. 91 e 95.<br />
85 PENCO G., op. cit., p. 175.
Medioevo: un pregiudizio secolare<br />
situazioni – del contemptus mundi e l’enorme varietà delle attività<br />
culturali (teologia monastica, 86 letteratura, scienze e arti, 87<br />
scriptoria e biblioteche 88 ), della quale non è possibile rendere<br />
ulteriormente conto in queste pagine. 89 Si tratta di un’opera<br />
immensa, efficacemente riassunta nel celebre motto ora et labora,<br />
che in seguito, allargata ad altre componenti ecclesiali e<br />
sociali, fonderà, secondo molti autori senza possibilità di equivoco,<br />
l’edificio della Civiltà occidentale. 90 L’influsso poderoso<br />
dei benedettini diventerà ancor più trainante nei secoli X-XII 91<br />
e riguarderà in maniera eminente, oltre l’avanzamento tecnologico<br />
92 , tanto gli aspetti dell’alfabetizzazione e dell’istruzione<br />
quanto la cultura dotta. 93<br />
È sul fondamento monastico, quindi, che si costruisce la<br />
cultura medievale nel suo rapporto con i classici greci e latini.<br />
Questi sarebbero stati trascurati, oppure selezionati a seconda<br />
delle esigenze di «purificazione» della Chiesa 94 o addirittura cen-<br />
86 Ivi, pp. 181-186.<br />
87 Ivi, pp. 186-192.<br />
88 Ivi, 192-193.<br />
89 Cfr. anche MICCOLI G., Il monaco, in LE GOFF J. (a cura di), L’uomo medievale,<br />
cit., p. 48 et passim.<br />
90 Cfr. ad es. CHABOD F., op. cit., pp. 162-163; CROCE B., “Perché non possiamo non<br />
dirci cristiani”, in “La Critica”, XL (1942), pp. 289 ss; DAWSON CH., op. cit., pp.<br />
26-27 et alibi; NOBLE D.F., La religione della tecnologia. Divinità dell’uomo e spirito<br />
d’invenzione, Comunità, Torino 2000 (1997), pp. 4-5.<br />
91 DOLZA L., op. cit., p. 52; MICCOLI G., op. cit., pp. 56-68 dal punto di vista<br />
dell’importanza storica del fenomeno monastico definisce questo periodo<br />
come gli aurea saecula.<br />
92 Vd. infra paragrafo 2.3.<br />
93 GRAFF H.J., Storia dell’alfabetizzazione occidentale, 1, Dalle origini alla fine del<br />
medioevo, Il Mulino, Bologna 1989 (1987), p. 22; LAWRENCE C.H., op. cit., p. 65.<br />
94 Cfr. MICCOLI G., op. cit., p. 75.<br />
55
56<br />
Franz Brandmayr<br />
surati e messi in ombra. Anche tutto ciò è senz’altro vero (almeno<br />
fino all’epoca carolingia) 95 , ma, al contempo,<br />
ci si è potuti accorgere che, in effetti, nel Medioevo, gli autori<br />
latini, e anche quelli greci, erano già parecchio conosciuti e […]<br />
l’apporto del mondo antico, classico o no che fosse, era a quell’epoca<br />
lontano dall’essere disprezzato o rifiutato. 96<br />
Non va ignorato, inoltre, il fatto che persino nei cosiddetti<br />
«anni bui» 97 (V-VII) non si potesse parlare di ignoranza del latino<br />
neanche tra gli stessi laici, 98 fra i quali si potevano annoverare<br />
delle donne nonché «alcuni barbari» 99 .<br />
Già all’epoca di Carlomagno e, ancor di più, al tempo di Bernardo<br />
da Chiaravalle la conoscenza degli autori greci e latini<br />
viene coltivata al punto che «taluni studiosi […] hanno parlato<br />
allora di una “Rinascita carolingia” […] di “Rinascita del XII<br />
secolo”, o anche di “umanesimo medievale”» 100 anche con un<br />
riferimento preciso alla frequentazione dei classici. Perciò, almeno<br />
per quanto riguarda il latino, l’idioma e i testi sarebbero<br />
sempre stati «fascinosi» per la civiltà medievale presa nel suo<br />
95 Va precisato che LAWRENCE C.H., op. cit., p. 78 osserva una più spiccata<br />
libertà di spirito presso i monaci irlandesi, che – come è noto – operarono in<br />
gran parte dell’area centro-occidentale del continente e diffusero la sensibilità<br />
verso la cultura classica (DAWSON CH., op. cit., pp. 71-77) proprio nel periodo<br />
in cui i benedettini ne fecero talora oggetto di ascetica diffidenza.<br />
96 PERNOUD R., op. cit., pp. 20-21; cfr. anche LE GOFF J., Prefazione, in ID.,<br />
L’immaginario, cit., p. XX.<br />
97 GRAFF H.J., op. cit., p. 69; cfr. LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario, cit., p. XVI.<br />
98 Sull’alfabetizzazione dei chierici e dei monaci, peraltro, non è bene operare<br />
troppe generalizzazioni; lo stesso discorso si pone intorno alla loro conoscenza<br />
del latino; cfr. infra nt. 267.<br />
99 GRAFF H.J., op. cit., p. 72.<br />
100 PERNOUD R., op. cit., p. 21.
Medioevo: un pregiudizio secolare<br />
complesso e non soltanto fra il 1380 e il 1450. 101 Per quanto<br />
concerne il latino liturgico, inoltre, Graff rileva che esso sarebbe<br />
stato conosciuto in misura persino maggiore fra le donne e<br />
per tutto l’arco temporale del Medioevo. 102<br />
In definitiva, secondo Garin il pensiero cristiano medievale,<br />
dopo «secoli di meditazione», di «critica insistente, inesorabile e<br />
sempre più consapevole della concezione classica»,<br />
si impadroniva delle armi dell’avversario, pur col pericolo, scendendo<br />
sul suo terreno ed usando i suoi mezzi, di confondersi con esso;<br />
che è l’impressione che, dalla patristica in poi, dà così spesso il pensiero<br />
medievale, tutto fatto di apparenti ritorni e di strani miscugli:<br />
platonismo, stoicismo, neoplatonismo, aristotelismo, averroismo,<br />
fino a pervenire alla «formulazione cosciente, e cioè filosofica<br />
[…] della propria concezione, e delle proprie ragioni» 103 . Peraltro,<br />
è noto che una delle più profonde operazioni culturali dell’intero<br />
percorso filosofico europeo è consistita nella faticosa adozione<br />
del sistema aristotelico nel XIII secolo, 104 a riprova di un rapporto<br />
con la classicità vissuto intensamente e ricco di sviluppi originali.<br />
La Pernoud ricorda ancora che «i cataloghi delle biblioteche<br />
che ci sono stati conservati […] provano abbondantemente»<br />
che non fu la caduta di Costantinopoli (1453), se non in minima<br />
parte, a determinare «l’introduzione in Europa delle biblioteche<br />
di autori antichi conservate a Bisanzio» 105 .<br />
101 GRAFF H.J., op. cit., p. 162; cfr. ULLMANN W., op. cit., p. 35.<br />
102 GRAFF H.J., op. cit., p. 119.<br />
103 GARIN E., La crisi del pensiero medievale, in ID., Medioevo e Rinascimento. Studi e<br />
ricerche, Laterza, Roma-Bari 1980 3 (1950), p. 18.<br />
104 PERNOUD R., op. cit., p. 162.<br />
105 Ivi, p. 22; cfr. LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario, cit., p. XX, ove<br />
l’Autore menziona il «ritorno all’antico» fin dal secolo XIII e l’«invasione di<br />
Aristotele» nelle forme scultoree dei Pisano.<br />
57
58<br />
Franz Brandmayr<br />
Dai semplici richiami prodotti scaturisce – pertanto – una<br />
notevole ricchezza di sfumature, di situazioni diversificate a seconda<br />
dei vari segmenti sociali, cui andrebbero aggiunte le diversità<br />
rispetto alle aree geografiche. Si tratta di differenze, delle<br />
quali una divulgazione, effettuata sulla scorta di studi specialistici<br />
non si sa quanto fondati e che si esprime con affermazioni<br />
lapidarie, non sembra riuscire a rendere ragione neanche approssimativamente.<br />
Caprara insiste nel proporre l’immagine di un Medioevo oscurantista,<br />
cui continua a soggiacere il tema, che a lui pare fondamentale,<br />
del rapporto antitetico fra la scienza e la religione:<br />
Se nei secoli precedenti, l’ondata di misticismo aveva demolito<br />
l’interesse per la scienza, ora l’insistenza sui temi della salvezza e<br />
della fede predicati come fondamentali e prioritari rafforzava ed<br />
ampliava l’opera di chiusura culturale. E quando non si dimostrava<br />
avversione si esibiva indifferenza. 106<br />
Sulla fragilità documentaria di un’affermazione tanto lontana<br />
dalla realtà abbiamo già scritto qualcosa per quanto riguarda il<br />
rapporto con i classici; per quanto concerne lo spirito di invenzione,<br />
invece, dovremo soffermarci ancora oltre. 107 Già a questo<br />
punto mi piace, però, richiamare un passo di Bertrand Russell,<br />
uno dei tanti del suo Misticismo e logica, che può contribuire a liberare<br />
dai gravami del pregiudizio questo tema, che i più affrontano<br />
in una condizione di coinvolgimento preconcetto:<br />
Anche la cauta e paziente ricerca della verità per mezzo della<br />
scienza, che sembra l’assoluta antitesi dell’incrollabile certezza<br />
106 CAPRARA G., op. cit., p. 42.<br />
107 Vd. infra paragrafo 2.3.
Medioevo: un pregiudizio secolare<br />
del mistico, può essere incoraggiata e nutrita da quell’autentico<br />
spirito di venerazione nel quale il misticismo vive e opera. 108<br />
Punto di vista dell’osservatore, da una parte, e società, cultura,<br />
civiltà osservata, dall’altra: come stabilire un rapporto corretto<br />
con l’oggetto dello studio storiografico? Credo non vi sia<br />
indagine seria, non c’è scienza storica senza una sospensione<br />
del giudizio, 109 cioè senza la messa tra parentesi dei propri schemi<br />
culturali da parte del ricercatore. È umano, umanissimo provare<br />
sentimenti di ripulsa o assumere atteggiamenti irridenti di<br />
fronte a palesi manifestazioni di differenza culturale, ma essi<br />
vanno considerati per quello che sono: mere reazioni emotive,<br />
oltre che difensive. Nella migliore delle ipotesi, se vengono inserite<br />
in un quadro filosofico coerente, potrà trattarsi di riflessioni<br />
etiche, ma quando i piani filosofico-morale e storiografico<br />
vengono sovrapposti fino a confondersi, difficilmente il discorso<br />
eviterà uno slittamento su di un piano puramente moraleggiante<br />
e – con ciò – antiscientifico. 110<br />
108 RUSSELL B., Misticismo e logica, in ID., Misticismo e logica e altri saggi, Longanesi,<br />
Milano 1970 (1914), p. 12; cfr., da un punto di vista antropologico-culturale,<br />
BASTIDE R., Un misticismo senza dei, in ID., Il sacro selvaggio, Jaca Book, Milano<br />
1979 (1931), p. 22. Sul rapporto fra mistica e spirito innovativo possono<br />
risultare interessanti anche le riflessioni riportate nei paragrafi 2.3. e 2.4.<br />
109 Si tratta, come è noto, dell’poc» = epoché; vd. ABBAGNANO N., s.v. Epoché,<br />
in ID., op. cit., pp. 309-310. Nella traduzione tedesca il lemma presenta sfumature<br />
quasi ascetiche: Ausschaltung significherebbe, quindi, «esclusione»<br />
ed «eliminazione» (MACCHI V., s.v., in ID., Dizionario Sansoni. Tedesco-Italiano.<br />
Italiano-Tedesco, Sansoni, Firenze-Roma 1977) del proprio Io, delle proprie<br />
preoccupazioni di studioso (cfr. MARROU H.-I., op. cit., p. 78); la forma verbale<br />
ausschalten, inoltre, si adopera per indicare lo «spegnere» (ad es. di fonti<br />
di energia elettrica).<br />
110 WEBER M., La scienza come professione, in ID., Il lavoro intellettuale come professione,<br />
Einaudi, Torino 1966 (1919), pp. 18 e 26-27.<br />
59
60<br />
Franz Brandmayr<br />
2.2. Avalutatività, anacronismo, luoghi comuni ed etnocentrismo<br />
È quando lo studioso si colloca in una disposizione mentale di<br />
“avalutatività” 111 , dunque, che trova attuazione pratica la metodologia<br />
baconiana della tabula rasa, della almeno provvisoria disattivazione<br />
degli idola tribus e degli idola fori. Gli storici e – nondimeno<br />
– gli antropologi non coltivano più alcun mito della<br />
pura oggettività, 112 tuttavia caldeggiare questo genere di autoanalisi<br />
e autocontrollo nello studioso, ma anche nel docente e<br />
nello studente stessi, può «evitare (a tutti costoro) il vicolo cieco<br />
[…] dell’anacronismo» 113 .<br />
Propriamente, l’anacronismo è un «errore in cui si cade attribuendo<br />
certi fatti ad un’epoca diversa da quella in cui sono avvenuti»<br />
114 . Si tratta, in buona sostanza, di un meccanismo proiettivo,<br />
115 che può agire almeno in due modi, positivo il primo e<br />
negativo il secondo. Nel primo caso il soggetto può assegnare<br />
positivamente a un’epoca o a un personaggio del passato dei<br />
sentimenti o degli atteggiamenti che sono, in realtà, estranei all’epoca<br />
o al personaggio in questione. Come esempio richiamo<br />
quello portato dalla Pernoud, che scrive di come certi studiosi<br />
abbiano ascritto ad Abelardo una miscredenza e uno scetticismo,<br />
che non emergono assolutamente da una attenta e completa<br />
disamina documentaria. In studi parziali e – spesso – ela-<br />
111 ID., Il metodo delle scienze storico-sociali, Einaudi, Torino, 1981 2 (1922), pp.<br />
309-375.<br />
112<br />
MARROU H.-I., op. cit., p. 44.<br />
113 Ivi, p. 78 (parentesi rotonda mia).<br />
114<br />
DEVOTO G.-OLI G.C., s.v. Anacronismo, in IID., Il dizionario della lingua italiana,<br />
Le Monnier, Firenze 1995.<br />
115<br />
TOMAN W., s.v. Proiezione, in ARNOLD W.-EYSENCK H.J.-MEILI R. (a cura di),<br />
Dizionario di psicologia, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 19863 (1980), pp.<br />
894-895.
Medioevo: un pregiudizio secolare<br />
borati sulla scorta di ricerche puramente compilative vengono<br />
fatte risaltare del teologo, invece, delle caratteristiche di presunta<br />
modernità che – perlomeno negli anni Settanta – erano date<br />
per acquisite pur in assenza di un adeguato approfondimento<br />
dei testi originali. 116<br />
La modalità negativa dell’anacronismo, invece, rivela una tendenza<br />
del soggetto a proiettare a ritroso lungo l’asse del tempo<br />
la propria energia psichica 117 nel senso di una colpevolizzazione<br />
dell’epoca o del personaggio considerati. Qui la negatività non<br />
va letta nel suo significato psicologico e morale (di acrimonia<br />
che, invece, può essere sottesa al lemma “colpevolizzazione”),<br />
bensì nel senso etimologico del mancato riscontro, ad opera del<br />
ricercatore, di una sintonia di atteggiamenti e sentimenti fra il<br />
periodo storico esaminato e il ricercatore stesso. In definitiva,<br />
questi attiva un meccanismo di difesa 118 (perché di questo in<br />
definitiva si tratta) mediante il quale egli, lo studioso, tutela – in<br />
qualche modo – la propria concezione del mondo e la propria<br />
gerarchia dei valori, rilevando, talvolta lamentando o, addirittura,<br />
deprecando la loro assenza o il loro misconoscimento nell’epoca,<br />
nel personaggio o nella cultura specifica che è chiamato<br />
a indagare e conoscere. Gli esempi in questo ambito potrebbero<br />
essere numerosi: valga per tutti il richiamo alla mentalità guerriera<br />
119 dell’uomo medievale, che indigna, forse giustamente, il<br />
pacifista europeo contemporaneo. Si potrebbe, forse, dare per<br />
scontata la capacità dello storico di professione – abituato a lavorare<br />
sui documenti – di evitare quell’anacronismo, per cui si<br />
proiettano sul Medioevo le sensibilità e le esperienze dei movi-<br />
116 PERNOUD R., op. cit., pp. 149-150.<br />
117 MULLER P., s.v. Psichica/energia, in ARNOLD W.-EYSENCK H.J.-MEILI R. (a<br />
cura di), op. cit., p. 902.<br />
118 Cfr. TOMAN W., v. cit., p. 894.<br />
119 LE GOFF J., Il Medioevo, cit., pp. 36 e 100-107.<br />
61
62<br />
Franz Brandmayr<br />
menti pacifisti del secolo XX. 120 È possibile, però, che qualche<br />
insegnante e, più ancora, gli studenti risultino particolarmente<br />
esposti a questa ingenuità metodologica.<br />
Va detto che il meccanismo proiettivo di difesa sussiste anche<br />
nel primo tipo di anacronismo, quando – cioè – il soggetto<br />
si addentra a esplorare un’epoca, un personaggio, una cultura<br />
che portano valori dissonanti rispetto ai propri schemi culturali<br />
e tende a plasmare a propria immagine e somiglianza l’oggetto<br />
della propria ricerca per renderlo meno unheimlich 121 e, in qualche<br />
modo, più domestico e utilizzabile. 122 Una dinamica di questo<br />
genere si ripropone anche quando, con rialzismo cronologico<br />
123 patente, si cercano antenati illustri, che solitamente conferiscono<br />
prestigio e avvalorano la posizione culturale propria di<br />
chi effettua l’indagine, come probabilmente è accaduto nel caso<br />
della vulgata costruita intorno ad Abelardo e denunciata dalla<br />
Pernoud. È verosimile, inoltre, che un simile atteggiamento di<br />
riplasmazione della storia a immagine e somiglianza della memoria<br />
storica del proprio gruppo di appartenenza possa produrre<br />
più facilmente esiti configurabili come œpoj (= epos) collettivo<br />
piuttosto che come vera e propria storiografia. 124<br />
120 Per un’introduzione al tema vd. GIACOMINI M.R., Antimilitarismo e pacifismo<br />
nel primo Novecento. Ezio Bartalini e “La Pace”. 1903-1915, Franco Angeli, Milano<br />
1990, passim con le relative indicazioni bibliografiche.<br />
121 Tengo presente il concetto di Unheimlichkeit = «spaesamento» (HEIDEGGER<br />
M., Essere e tempo, Longanesi & C., Milano 1976 (1927), p. 548), cui ricollego<br />
l’aggettivo unheimlich, che significa: «sospetto», «poco rassicurante» (s.v. in<br />
MACCHI V., op. cit.).<br />
122 TULLIO-ALTAN C., Soggetto simbolo valore. Per un’ermeneutica antropologica,<br />
Feltrinelli, Milano 1992, pp. 26-32.<br />
123 CIRESE A.M., Cultura, cit., pp. 110-114.<br />
124 Lo spazio non consente di trattare l’importante argomento [per un primo<br />
approccio vd. ad es. PIVATO S., op. cit., p. 47-49; RICOEUR P., La memoria, la<br />
storia, l’oblio, Cortina, Milano 2003 (2000), passim; TRAVERSO E., Il passato: istru-
Medioevo: un pregiudizio secolare<br />
Il concetto di avalutatività, che vado richiamando in queste<br />
pagine, viene spesso confuso con un’improbabile asetticità (talvolta<br />
scambiata a sua volta con l’oggettività) di tipo veteropositivistico;<br />
essa affonda le proprie radici culturali – come è<br />
noto – nell’approccio sperimentale proprio delle scienze della<br />
natura. 125 L’entusiasmo ottocentesco per l’enorme sviluppo<br />
metodologico di questo ambito della conoscenza umana e la<br />
grande mole di risultati ottenuti sul piano strettamente cognitivo<br />
hanno finito per influenzare profondamente anche le scienze<br />
umane, facendo ritenere che lo storico, 126 il sociologo e<br />
l’antropologo 127 potessero osservare i fenomeni umani alla stregua<br />
dello scienziato nel suo laboratorio, impegnato con le proprie<br />
sperimentazioni in campo fisico o chimico. Tramontato del<br />
tutto – suppongo – fra gli storici questo tipo di sensibilità, esso<br />
non è per niente scomparso dal discorso comune, 128 quell’immenso<br />
terreno di gioco verbale nel quale tutti noi, studenti e<br />
insegnanti (e – nonostante tutto – anche gli storici), siamo immersi.<br />
È ancora Max Weber, però, a ricordarci che l’atteggiamento<br />
avalutativo non comporta affatto il rinnegamento delle<br />
appartenenze né delle personalissime concezioni del mondo del<br />
singolo ricercatore, dell’insegnante e dello studente; 129 il<br />
sociologo tedesco invita – semplicemente – a non confondere i<br />
zioni per l’uso. Storia, memoria, politica, Ombre Corte, Verona 2006, passim], decisivo<br />
anche per individuare le «strategie del discredito» [che sono: la «costruzione<br />
del nemico», la «disconferma» e l’«insinuazione» (GILI G., op. cit.,<br />
pp. 98-102)] dell’Età medievale e gli eventuali imprenditori delle stesse.<br />
125 GRANGER G.-G., La scienza e le scienze, Il Mulino, Bologna 1996, pp. 77-92.<br />
126 MARROU H.-I., op. cit., pp. 44 e 74.<br />
127 TULLIO-ALTAN C., Antropologia, cit., pp. 38-49.<br />
128 GEERTZ C., Antropologia interpretativa, Il Mulino, Bologna 1988 (1983), pp.<br />
91-117.<br />
129<br />
WEBER M., Il metodo, cit., p. 68.<br />
63
64<br />
Franz Brandmayr<br />
due piani: quello valutativo-etico personale e quello espositivo e<br />
analitico della materia considerata. Per di più – come si sa – lo<br />
studioso manifesta la propria onestà intellettuale nella misura in<br />
cui esplicita i presupposti metodologici e, al limite, ideologici<br />
dai quali prende le mosse la propria ricerca, offrendo – in questo<br />
modo – al destinatario del proprio lavoro gli strumenti atti a<br />
confutare, eventualmente, la tesi della quale lo studioso stesso si<br />
facesse portatore. 130<br />
Forse legata a questo atteggiamento positivistico di distanza<br />
e di osservazione dall’esterno, va menzionata anche una specie<br />
di ipercriticismo, che si presumeva dovesse sostanziare, in un<br />
certo immaginario collettivo non estraneo neanche agli storici,<br />
la ricerca storiografica di qualità:<br />
Storico […] era soprattutto il critico […] capace di scorgere<br />
l’interpolazione, smascherare il falsario, respingere un’attribuzione<br />
usurpata. Di qui […], a lungo andare, l’accentuazione di<br />
un atteggiamento odioso, che consisteva nel sottolineare ironicamente<br />
le altrui miserie e debolezze, una disposizione all’arroganza<br />
e al disprezzo; in definitiva, una sorta di incapacità a<br />
comunicare a riconoscere e ad accogliere – laddove esistessero<br />
– gli autentici valori umani. 131<br />
Si tratta dunque di un atteggiamento complessivo, che può inficiare<br />
un approccio storiografico o una esposizione storica corretti e che<br />
tende ad assommare le componenti valutative, stigmatizzanti e<br />
anacronistiche, che ho cercato di evidenziare sopra.<br />
Altre volte ancora chi scrive di Medioevo può fare ricorso a<br />
vari artifici retorici, talora piuttosto manifesti. Riporto qui brevemente<br />
un passaggio di un noto e peraltro validissimo manua-<br />
130 POPPER K., Congetture e confutazioni. Lo sviluppo della conoscenza scientifica, Fabbri,<br />
Milano 1998 2 (1962), vol. I, pp. 66-67 et circa.<br />
131 MARROU H.-I., op. cit., p. 88.
Medioevo: un pregiudizio secolare<br />
le scolastico della fine degli anni Ottanta e cerco di confrontarlo<br />
con un’opera più recente, che ci permette di ipotizzare una<br />
possibile evoluzione nella tematizzazione della didattica<br />
medievalistica. Gli Autori, citando un passo di Le Goff dal registro<br />
quasi confidenziale, invitano a diffidare di una visione troppo<br />
rosea del rivalutato Medioevo:<br />
Se mi si permetterà di dare un consiglio assai grossolano, dirò al<br />
lettore che, di fronte a queste tentazioni di evasione verso un<br />
Medioevo trasfigurato, chieda onestamente a se stesso se gli piacerebbe,<br />
per virtù del mago Merlino […] essere trasportato in<br />
quel tempo e viverci. 132<br />
Questa soluzione scelta dai nostri per equilibrare i presunti<br />
eccessi di un certo revisionismo storico, oltre a prestare il fianco<br />
a una facile ironia (gli Autori del testo avrebbero ambito «onestamente»<br />
– forse – di «evadere» in qualche paradiso di una «trasfigurata»<br />
classicità, modernità o postmodernità? …), non riesce<br />
a nascondere le proprie connotazioni valutativa e retorica.<br />
Valutativa, in quanto gli Autori ritengono sia «importante non<br />
cadere nell’eccesso opposto» alla tabuizzazione del Medioevo,<br />
in quanto esso configurerebbe una «tentazione ancora più grave<br />
della precedente». L’asserto non risulta argomentato in alcun<br />
modo, ma viene da chiedersi se si possa lasciare a uno stadio<br />
tanto “grezzo” la trattazione della Parola chiave Medioevo, quella<br />
che – in fondo – dà, o dovrebbe dare, il “la” all’intero volume<br />
primo dell’opera. Viene pertanto spontaneo porre una serie di<br />
quesiti a Giardina, Sabbatucci e Vidotto, come ad esempio: perché<br />
proporre un’immagine «ottimistica» del Medioevo sarebbe<br />
un errore più grave rispetto alla divulgazione della precedente<br />
132 LE GOFF J., cit. in GIARDINA A.-SABBATUCCI G.-VIDOTTO V., Uomini e storia,<br />
1, Dal Medioevo all’età moderna, Laterza, Roma-Bari 1990 2 (s.d. orig.), pp. 6-7<br />
(citato senza indicazione della fonte).<br />
65
66<br />
Franz Brandmayr<br />
immagine pessimistica dello stesso? Perché non potrebbe essere<br />
semplicemente un errore storico, esattamente come lo è la versione<br />
peggiorativa del periodo in questione? Esiste per caso una<br />
classifica degli errori storici (una “serie A” e una “serie B”, per<br />
intenderci)? Inoltre: a chi era allora funzionale un’immagine negativa<br />
del Medioevo? È sicuro che servisse solo agli interessi<br />
degli «umanisti italiani»? Come mai fra i medievisti si chiamano in<br />
causa anche molti pensatori illuministi, 133 che invece gli Autori<br />
del nostro manuale non menzionano nemmeno? È certo, inoltre,<br />
che non persista ancora adesso un «uso o un abuso della storia» 134<br />
medievale simile – in qualche modo – a quello realizzato dagli<br />
umanisti e da una parte delle correnti illuministiche? In considerazione<br />
del fatto che è «opinione comune» che il Medioevo sia<br />
«sinonimo di età buia e barbara, di epoca segnata da un grave<br />
regresso economico e culturale» 135 , come mai non viene<br />
configurata alcuna ipotesi né – tantomeno – viene esposta alcuna<br />
tesi 136 in merito alla rivalutazione del periodo in questione? Ecco<br />
tutta l’argomentazione proposta dal manuale in questione:<br />
Contro questa valutazione negativa ha reagito una parte degli<br />
storici moderni, che ha cercato di rivalutare, soprattutto sotto il<br />
profilo culturale, la vitalità dell’epoca medievale. Questa reazione<br />
ha fatto compiere notevoli progressi alla nostra conoscenza<br />
del periodo. 137<br />
Il fatto che la “finestra” dedicata dal suddetto manuale alla<br />
Parola chiave Medioevo non riporti alcuna suggestione che possa<br />
133 Cfr. infra nt. 294.<br />
134 Cfr. PIVATO S., op. cit., passim.<br />
135 GIARDINA A.-SABBATUCCI G.-VIDOTTO V., op. cit., p. 6.<br />
136 In merito vd. infra al paragrafo 2.4.<br />
137 GIARDINA A.-SABBATUCCI G.-VIDOTTO V., op. cit., p. 6.
Medioevo: un pregiudizio secolare<br />
aiutare lo studente a riflettere anche nelle direzioni sopra indicate,<br />
ma che denoti – al di là del generico riconoscimento di<br />
una certa validità cognitiva alla reazione di «una parte degli<br />
storici» 138 – una malcelata e più evidente preoccupazione di<br />
inibire un’improbabile concezione ottimistica del Medioevo,<br />
lungi dallo scandalizzare, consente di scorgere con maggiore<br />
chiarezza un certo tipo di approccio manualistico, che sembra<br />
orientato a preservare l’«opinione comune» 139 intorno alla civiltà<br />
medievale.<br />
La posizione valutativa dei nostri Autori pare confermata<br />
anche dall’espediente retorico da loro adoperato; essi fondano,<br />
infatti, il proprio giudizio riassuntivo circa il Medioevo per il tramite<br />
dell’ironia di Jacques Le Goff, senz’altro «un grande medievista<br />
contemporaneo» 140 , ma anche – e questo non viene invece<br />
da loro riportato 141 – un grande estimatore del Medioevo. 142 Osserviamo<br />
– in questo caso – il riferimento a una auctoritas indiscussa,<br />
all’ipse dixit dello storico affermato. Di per sé in certi frangenti<br />
ciò è inevitabile: è naturale (lo sto attuando con una certa<br />
frequenza anch’io nella presente trattazione) fare un consapevole<br />
e abbondante utilizzo di autori che godono di un prestigio scientifico<br />
universalmente riconosciuto; è essenziale – tuttavia – non<br />
farne un esercizio meramente retorico e cercare di esporre le loro<br />
descrizioni e argomentazioni in chiave dialettica, 143 fornendo an-<br />
138 Lo stesso Le Goff sembra invece intendere che la totalità degli storici<br />
abbia rivalorizzato l’epoca medievale (LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario,<br />
cit., p. XVIII; cfr. supra anche nt. 12).<br />
139 GIARDINA A.-SABBATUCCI G.-VIDOTTO V., op. cit., p. 6.<br />
140 Ibidem.<br />
141 Cfr. infra nel paragrafo 2.3. le indicazioni circa la selettività.<br />
142 Cfr. ad es. infra nt. 354 e – più in generale – il volume di LE GOFF J.,<br />
Medioevo, cit., passim; cfr. anche infra nt. 156.<br />
143 Cfr. ad es. PIVATO S., op. cit., pp. 87-88.<br />
67
68<br />
Franz Brandmayr<br />
che indicazioni contrarie 144 e cercando di fornire al lettore gli strumenti<br />
atti a cogliere i punti deboli della propria trattazione. 145<br />
Al contrario, Giardina, Sabbatucci e Vidotto sembrano seguire<br />
una via più facile e ad effetto: a una auctoritas 146 – come<br />
abbiamo visto – viene delegato il compito di liquidare il tema in<br />
oggetto con una battuta ironica; questa è – per sua stessa natura<br />
– agonistica 147 e mirata non a porre le premesse per una<br />
tematizzazione adeguata (per esempio mediante la definizione<br />
più precisa delle diverse posizioni esistenti fra gli storici), bensì<br />
tesa a sottrarre all’avversario la possibilità di argomentare proprio<br />
per l’“evidente” plausibilità 148 del contenuto proposto. In<br />
questo modo viene strumentalizzato il prestigio sociale di un<br />
luminare, attingendo a una sua produzione, di cui non si danno<br />
gli estremi, 149 selezionata fra le numerosissime testimonianze di<br />
ammirazione per l’Età medievale formulate dallo stesso storico,<br />
nella quale questi pronuncia apoditticamente una frase che si<br />
propone come un entimema. 150 In questo «sillogismo ellittico» è<br />
144 GUITTON J., Arte nuova di pensare, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1986 11<br />
(s. d. orig.), pp. 109-110 e 114-117.<br />
145 Vd. supra nt. 130.<br />
146 Cfr. l’«argomento d’autorità» in MORTARA GARAVELLI B., Manuale di retorica,<br />
Bompiani, Milano 1997 (1988), p. 77.<br />
147 Il passaggio al registro confidenziale da parte di Le Goff rinvia alla co-<br />
municazione orale, nella quale è sovente implicito un «tono agonistico» [ONG<br />
G.W., Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola, Il Mulino, Bologna 1986 (1982),<br />
pp. 73-75], che pare confermato dal fatto che «dal punto di vista della retorica<br />
l’ironia acquista la funzione di arma oratoria» (INFANTINO M.G., L’ironia.<br />
L’arte di comunicare con astuzia, Xenia, Milano 2000, p. 8).<br />
148 Mi rifaccio al concetto di «struttura di plausibilità» di BERGER P.L.-LUCKMANN<br />
TH., La realtà come costruzione sociale, Il Mulino, Bologna 1969 (1966), cap. 3.<br />
149 Vd. supra nt. 132; è certo che individuare la fonte consenta al lettore una<br />
sua più agevole messa in discussione critica.<br />
150 MORTARA GARAVELLI B., op. cit., pp. 77-78.
Medioevo: un pregiudizio secolare<br />
dato cioè per presupposto dal senso comune (orizzonte nel quale<br />
pare scontato che non vi sia alcuno che «onestamente» asserirebbe<br />
di ambire a vivere nel Medioevo), ciò che andrebbe invece appena<br />
argomentato 151 con gli strumenti metodologici storiografici e<br />
non con una battuta ad effetto. La tautologia sottesa a questa<br />
pseudo-argomentazione è tipica, come abbiamo già evidenziato,<br />
delle retoriche del senso comune, 152 che solitamente attingono<br />
alla ricca messe dei topoi, dei «luoghi comuni della quantità» 153 ,<br />
cioè approvati dalla massa. Di questo tipo di paralogismo si può<br />
dire, ancora, che – scritto al più tardi nel 1990 – esso pare ricordare,<br />
per la sua levità, un certo modo «giornalistico» di affrontare gli<br />
argomenti 154 e – in particolare – la storia. 155<br />
Può risultare di qualche interesse rilevare che, invece, nell’impostare<br />
il quadro storico-letterario medievale, un recentissimo<br />
manuale di letteratura italiana supera senza alcuna reticenza<br />
il vecchio pregiudizio e, sempre per il tramite di Le Goff, pone<br />
in particolare luce il novum, che sembra emergere soprattutto a<br />
partire dall’anno Mille. 156<br />
Ai nostri fini – comunque – ciò non sposta i termini complessivi<br />
del discorso: il senso comune 157 pare continuare a essere<br />
151 Ciò vale in quanto l’entimema consiste in un sillogismo che non è fondato<br />
su una premessa necessaria (cfr. ABBAGNANO N., s.v. Entimema, in ID., op. cit.,<br />
p. 305).<br />
152 Vd. infra nt. 165.<br />
153 MORTARA GARAVELLI B., op. cit., pp. 78-80.<br />
154 SORRENTINO C., Tutto fa notizia. Leggere il giornale, capire il giornalismo, Carocci,<br />
Roma 2010, p. 134.<br />
155 Cfr. ad es. PIVATO S., op. cit., pp. 87-88.<br />
156 LUPERINI R.-CATALDI P.-MARCHIANI L.-MARCHESE F., Il Nuovo la scrittura e<br />
l’interpretazione. Storia della letteratura italiana nel quadro della civiltà europea secondo<br />
i nuovi programmi, 1, Dalle origini al Medioevo (dalle origini al 1380), Palumbo,<br />
Palermo 2011, p. 4.<br />
157 Cfr. anche ibidem.<br />
69
70<br />
Franz Brandmayr<br />
informato dal consueto pregiudizio, al quale – a livello di<br />
manualistica – vengono portate appena in questi anni le prime<br />
critiche serie e argomentate.<br />
A questo punto, va messo ancora in evidenza un altro aspetto<br />
della questione del pregiudizio antimedievale; finora ho creduto<br />
opportuno rimarcare soprattutto gli aspetti individuali e<br />
psicologici del rapporto che lo storico, il docente e lo studente<br />
potrebbero intessere con la materia medievalistica in cui si dovessero<br />
imbattere; va tuttavia ribadita anche la componente sociale<br />
dei loro eventuali comportamenti valutativi, stigmatizzanti<br />
e anacronistici. Questi comportamenti, che scaturiscono da sentimenti<br />
e valutazioni personali, 158 si inseriscono – infatti – in un<br />
contesto collettivo e condiviso, da questa cornice olistica ricevono<br />
un rinforzo ed essi stessi, a loro volta, la corroborano,<br />
instaurando con essa una prassi reciproca. 159<br />
Ciò accade, va detto, nonostante il soggetto, si tratti di uno<br />
storico, di un docente o di uno studente, non sia sempre avvertito<br />
delle dinamiche psico-sociali, discorsive e interetniche, che<br />
rendono attivi i suoi criteri valutativi e di quanto il proprio ethos<br />
sia condizionato dall’ambiente sociale. 160<br />
In realtà non esiste solo un etnocentrismo legato ai grandi<br />
insiemi sociali, alle grandi civiltà e alle entità nazionali; questo<br />
concetto, se preso nel suo significato tecnico di erezione degli<br />
schemi culturali di una «collettività» a criterio assoluto di valuta-<br />
158 Sentimenti, valutazioni e comportamenti degli informatori costituiscono,<br />
in buona sintesi, l’oggetto della ricerca etnoantropologica [BIANCO C.,<br />
op. cit., pp. 162-163; cfr. TURNER V., Dal rito al teatro, Il Mulino, Bologna<br />
1986 (1982), p. 120].<br />
159 Mi rifaccio al concetto marxiano di umwälzende Praxis (condizionamento<br />
vicendevole).<br />
160 Per un’introduzione a queste dinamiche vd. DUBAR C., La socializzazione.<br />
Come si costruisce l’identità sociale, Il Mulino, Bologna 2004 (2000), passim.
Medioevo: un pregiudizio secolare<br />
zione: a) della realtà; b) degli altri gruppi, 161 può esprimere l’identificazione<br />
del soggetto con gli schemi culturali di una<br />
subcultura, 162 di una classe sociale, 163 di un gruppo religioso, di<br />
un partito politico e via discorrendo. 164<br />
Secondo gli antropologi esiste una versione «spontanea» 165<br />
dell’etnocentrismo. Senza una certa dose di etnocentrismo l’individuo<br />
non avrebbe punti di riferimento, non disporrebbe di<br />
una “mappa” interpretativa della realtà che lo circonda e si troverebbe<br />
esposto al disorientamento culturale e, forse, a<br />
un’“anomia” 166 psicologicamente destrutturante e pericolosa per<br />
l’equilibrio personale.<br />
La collettività in cui il soggetto è inserito, dunque, codifica e<br />
veicola i contenuti e le articolazioni dei propri schemi attraverso<br />
una serie di linguaggi verbali, gestuali e simbolici, che solo in<br />
parte possono venire condivisi anche da altre collettività. All’interno<br />
del gruppo ogni individuo coordina i propri comportamenti<br />
con quelli degli altri membri, in una tensione alla reciproca<br />
conferma della validità dei comuni schemi di valutazione,<br />
emozionali ed etici. È a questo punto che si può parlare di un<br />
“senso comune”:<br />
161 BERNARDI B., op. cit., p. 44.<br />
162 CUCHE D., La nozione di cultura nelle scienze sociali, Il Mulino, Bologna 2003<br />
(1996), p. 58.<br />
163 Si veda il concetto di classicentrismo in LOMBARDI SATRIANI L.M., Antropologia<br />
culturale ed analisi della cultura subalterna, Guaraldi, Firenze 1976, p. 104.<br />
164 Per la nozione di esclusivismo culturale, una specie di etnocentrismo che<br />
non concerne necessariamente un gruppo etnico, cfr. CIRESE A.M., Cultura,<br />
cit., p. 7.<br />
165 TULLIO-ALTAN C., Antropologia, cit., p. 70.<br />
166 Si tratta, in buona sostanza, del disagio che può pervadere singoli o gruppi<br />
a causa della «inadeguatezza delle norme» della convivenza sociale durante le<br />
fasi di mutamento [MILANESI G., s.v. Anomia, in DEMARCHI F.-ELLENA A.-<br />
CATTARINUSSI B. (a cura di), op. cit., p. 140].<br />
71
72<br />
Franz Brandmayr<br />
Il senso comune non è ciò che la mente comprende spontaneamente,<br />
(una volta) liberata dal ciarpame; è quello che la mente<br />
riempita di presupposti [(socio-culturali) …] conclude […] Come<br />
struttura del pensiero e suo esemplare il senso comune è totalizzante<br />
come ogni altro: nessuna religione è più dogmatica, nessuna<br />
scienza più ambiziosa, nessuna filosofia più generale [… (esso)]<br />
pretende di raggiungere la realtà oltre l’illusione, le cose come<br />
sono [… (ciò che è)] “realmente reale”. 167<br />
Il senso comune si esprime e si nutre mediante il discorso<br />
comune, tutto strutturato attorno agli schemi che fondano e<br />
danno consistenza alla cultura del gruppo o di una società. Esso<br />
si sviluppa dalla bottega alla piazza, passa attraverso l’aula scolastica,<br />
ma – come abbiamo già costatato – arriva nondimeno<br />
nei salotti che si presumono “buoni” 168 , informa gran parte dei<br />
media e, conseguentemente, viene rilanciato nuovamente ai<br />
fruitori degli stessi mezzi di comunicazione, in uno scambio<br />
quotidiano continuo. 169 Le sue «semiqualità» sarebbero, secondo<br />
Geertz, la «naturalezza», la «praticità», la «leggerezza», la<br />
«mancanza di metodo», una facile «accessibilità» 170 per chiunque:<br />
in buona sostanza, in questa quasi-filosofia (o filosofia spicciola)<br />
i contenuti sembrerebbero presentare i caratteri di un’ovvietà<br />
priva di ogni senso di meraviglia 171 e di scoperta. All’interno<br />
di questo complesso di narrazioni il Medioevo potrebbe ri-<br />
167<br />
GEERTZ C., Antropologia, cit., pp. 105-106; parentesi rotonde mie.<br />
168 Cfr. supra nt. 9.<br />
169 Vd. ad es. GOFFMAN E., La vita quotidiana come rappresentazione, Il Mulino,<br />
Bologna 1969 (1959), passim.<br />
170<br />
GEERTZ C., Antropologia, cit., p. 107.<br />
171 Geertz (ivi, p. 104) mi induce a richiamare il di¦ g¦r tÕ qaum£zein oƒ<br />
¥nqropoi [...] ½rxanto filosofe‹n [gli uomini hanno incominciato a<br />
filosofare a causa della (capacità di provare) meraviglia (ARISTOTELE, Metafisica,<br />
2, 12-13); trad. di Giovanni Reale; parentesi rotonda mia].
Medioevo: un pregiudizio secolare<br />
sultare configurato (è quanto un’analisi antropologica dovrebbe<br />
accertare) alla stregua dei divertenti luoghi comuni tanto spiritosamente<br />
descritti da Régine Pernoud nella raccolta di saggi<br />
che ho ripetutamente citato.<br />
L’etnocentrismo (quello cosiddetto spontaneo, perlomeno),<br />
dunque, è un atteggiamento insito nella condizione umana, abbiamo<br />
detto e ciò, a scanso di idealismi fuorvianti, non va mai<br />
dimenticato. 172 Esistono, però, due reazioni tipiche a una constatazione<br />
di questo genere: una, la prima, configura una sorta di<br />
nichilismo antiscientifico, 173 che porta a negare al ricercatore ogni<br />
competenza a proferire qualsivoglia contenuto sull’“Altro”, che<br />
non sia una mera proiezione del sé. La seconda reazione, simmetrica<br />
alla prima, parte dalla identica considerazione dell’impossibilità<br />
di evitare l’etnocentrismo, ma ne ricava una conclusione<br />
opposta e propone una “scienza” consapevolmente etnocentrica<br />
(una sorta di ossimoro, direi) e tetragona ad accogliere contributi<br />
dagli out-groups, a meno che non siano consonanti 174 con la propria<br />
concezione della realtà. Questa seconda posizione risulta,<br />
probabilmente, presente sia al livello del discorso comune 175 che a<br />
quello accademico 176 e si caratterizza per la confusione che tende<br />
a operare fra i concetti di storiografia e di memoria storica. 177 Si<br />
172 Cfr. ad es. MALIGHETTI R., s.v. Etnocentrismo critico, in FABIETTI U.-REMOTTI<br />
F. (a cura di), op. cit., p. 274.<br />
173 Cfr., ad es., GEERTZ C., L’io testimoniante. I figli di Malinowsky, in ID., Opere e<br />
vite L’antropologo come autore, Il Mulino, Bologna 1995 (1992), pp. 101-102. Vd.<br />
anche supra nt. 31.<br />
174 Cfr. TRENTIN R., Gli atteggiamenti sociali, in ARCURI L. (a cura di), op. cit., pp.<br />
274-281, soprattutto a p. 276.<br />
175 Vd. ad es. DAWSON CH., op. cit., p. 17.<br />
176 La Pernoud scriveva che «per la Sorbona, tra Plotino e Cartesio non c’è<br />
niente» (EAD., op. cit., pp. 49 e 153).<br />
177 Vd. supra nt. 124.<br />
73
74<br />
Franz Brandmayr<br />
tratta di un salto di qualità che, sempre a detta degli antropologi,<br />
può provocare il passaggio a una versione «ideologica» dell’etnocentrismo;<br />
è quanto si verificherebbe allorché venisse teorizzata<br />
consapevolmente una presunta superiorità della propria cultura<br />
di appartenenza rispetto alle culture “altre” 178 . A un etnocentrismo<br />
spontaneo si sostituirebbe, allora, una costruzione sociale<br />
più dottrinaria, solitamente pianificata e promossa da agenzie e<br />
da gruppi di interesse, 179 che intendono porsi a capo o – comunque<br />
– concorrere all’elaborazione di un processo di autoaffermazione<br />
o addirittura di egemonizzazione 180 rispetto a culture o subculture<br />
altre percepite come antagonistiche. 181<br />
Esiste, però, una terza via, quella dell’“etnocentrismo critico”<br />
prefigurato da Ernesto de Martino 182 e rielaborato da Vittorio<br />
Lanternari 183 . In poche parole, partendo dal dato inevitabile<br />
dell’etnocentrismo, si tratterebbe di operare delle concettualizzazioni<br />
che consentano, tanto allo storico quanto allo studente,<br />
di «defamiliarizzarsi» 184 rispetto ai propri paradigmi valutativi e<br />
di simpatizzare 185 con quelli altrui, dopo averli conosciuti attraverso<br />
lo spoglio documentario e i testi specialistici (lo storico o,<br />
178 TULLIO-ALTAN C., Antropologia, cit., p. 70.<br />
179 Cfr. COLOMBO E., Le società multiculturali, Carocci, Roma 2002, pp. 53-57;<br />
FABIETTI U., L’identità etnica. Storia e critica di un concetto equivoco, Carocci, Roma<br />
1998 2 (1995), pp. 33-34.<br />
180 AIME M., s.v. Egemonia, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di), op. cit., pp. 256-257.<br />
181 Cfr. il concetto di “acculturazione” in CUCHE D., op. cit., pp. 63-83.<br />
182 DE MARTINO E., La fine del mondo. Contributo all’analisi delle apocalissi culturali,<br />
Einaudi, Torino 1977, pp. 396-397.<br />
183 LANTERNARI V., Ernesto De Martino, etnologo meridionalista: vent’anni dopo, in<br />
“L’Uomo”, 1, 1977, pp. 29-56.<br />
184 Cfr. CLEMENTE P., Lontananze vicine: sui modi di pensare e insegnare l’antropologia<br />
nel mondo globale, in PASQUINELLI C., (a cura di), op. cit., p. 167.<br />
185 Vd. infra paragrafo 3.
Medioevo: un pregiudizio secolare<br />
eventualmente, il docente) o, più modestamente, attraverso i<br />
manuali (lo studente).<br />
2.3. Effetto alone, selettività, tautologia ed etnicità<br />
Per le cause già accennate sopra 186 il Medioevo costituisce un<br />
complesso di contenuti didattici che si presta in modo particolare<br />
a subire l’azione dell’effetto alone, cioè la tendenza del soggetto<br />
inquirente a «lasciarsi guidare da un’impressione generale<br />
o da un tratto emergente» 187 invece che da una totalità di fatti<br />
rilevati empiricamente e analizzati nei loro rapporti reciproci.<br />
Nei dialoghi didattici in aula – come ogni insegnante sa bene –<br />
è molto frequente emergano dagli studenti (solo da loro?) “sintesi”<br />
piuttosto stereotipate su tematiche che abbisognerebbero<br />
di trattazioni ben più articolate, più ricche di sfumature e, soprattutto,<br />
con un riferimento più preciso alla documentazione<br />
relativa all’oggetto di studio. 188<br />
Quando si spiega, ad esempio, che le critiche più risolute all’azione<br />
dei tribunali dell’Inquisizione durante la “crociata degli<br />
albigesi” 189 provengono dall’interno della Chiesa, gli studenti perplessi<br />
– almeno all’inizio – scoprono essere la Chiesa un organismo<br />
piuttosto complesso e multivoco, dove – nella fattispecie –<br />
gli inquisitori domenicani incontravano una forte opposizione da<br />
parte dei vescovi nelle diocesi dei quali si trovavano a operare, 190<br />
186 Cfr. supra paragrafo 1.<br />
187 MANDL H., s.v. Alone/effetto, in ARNOLD W.-EYSENCK H.J.-MEILI R. (a cura<br />
di), op. cit., p. 61.<br />
188 PERNOUD R., op. cit., pp. 144 e 173.<br />
189 Metto fra virgolette l’espressione, perché il termine “crociata” è moderno<br />
(ivi, p. 141, nt. 13).<br />
190 CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., pp. 36 e 40; DEDIEU J.-P., op. cit., pp. 14-<br />
16 et alibi.<br />
75
76<br />
Franz Brandmayr<br />
in cui Domenico di Guzmàn stesso «non era favorevole all’uso<br />
della forza» e nel quale «anche la popolazione cattolica (della<br />
Linguadoca) detestava l’istituzione inquisitoria, perché simboleggiava<br />
un’occupazione mal sopportata» 191 . All’interno della Chiesa,<br />
del resto, non si era mai inaridita nei secoli una corrente di<br />
pensiero 192 , spesso perdente, ma mai priva di influenza, che caldeggiava<br />
linee d’azione missionaria non-violente direttamente<br />
improntate al vangelo, piuttosto che alla Realpolitik ritenuta funzionale<br />
al governo della societas christiana.<br />
Francesco d’Assisi e Domenico, personaggi carismatici personalmente<br />
propensi alla predicazione pacifica, 193 la popolazione<br />
cattolica del Mezzogiorno francese insofferente nei confronti<br />
degli eserciti del re e dei grandi feudatari del Nord (a loro volta<br />
cattolici), veri vincitori politico-militari della crociata degli<br />
albigesi, 194 le gerarchie ecclesiastiche e civili locali sovente vicine<br />
ai borghesi catari 195 e ostili ai domenicani forestieri, le indicazioni<br />
– spesso mitigatrici nei toni 196 – provenienti dai papi di<br />
Roma… Si fa presto a dire: “Chiesa”. Dov’è la Chiesa qui? È la<br />
Chiesa gerarchica? Ma, in questo modo, il concetto risulta<br />
pregiudizialmente valutativo, come ora cercherò di chiarire. È la<br />
191 Ivi, p. 18 (parentesi mia).<br />
192 Cfr. ad es. CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., p. 65; DEDIEU J.-P., op. cit., p.<br />
12. FLORI J., Le crociate, cit., pp. 13-16 preferisce, invece, mettere in evidenza<br />
il processo di «sacralizzazione della guerra» interno alla Chiesa, completatosi<br />
dopo l’anno Mille in seguito al processo di acculturazione verificatosi nel<br />
plurisecolare contatto fra la Chiesa stessa e le popolazioni germaniche.<br />
193 DEDIEU J.-P., op. cit., p. 12.<br />
194 CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., p. 32; DEDIEU J.-P., op. cit., p. 17. Al di là<br />
della crociata degli albigesi, sul rapporto potere politico/Inquisizione e<br />
sull’egemonizzazione di questa ad opera degli Stati, vd. CARDINI F.-MONTESANO<br />
M., op. cit., pp. 36, 49, 81-98 e 159; DEDIEU J.-P., op. cit., pp. 12-27.<br />
195 Ivi, p. 19 et alibi.<br />
196 Cfr. CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., p. 32; DEDIEU J.-P., op. cit., p. 18.
Medioevo: un pregiudizio secolare<br />
“Chiesa spirituale” 197 dei santi succitati? Oppure dobbiamo espellerne<br />
Domenico, come fa qualcuno, per le nefandezze ascritte<br />
al suo ordine? Eppure non è infrequente il caso dei domenicani<br />
che, proprio perché giudicano in favore del presunto eretico, si<br />
inimicano l’autorità civile e la popolazione locale propense all’esecuzione.<br />
198 Ciò sembra confermare ulteriormente l’opportunità<br />
che l’evento storico della cosiddetta “crociata” venga letto<br />
con una serie più articolata di chiavi di lettura. Infatti, non<br />
sempre vengono considerate, accanto alle istanze omologatrici 199<br />
della Chiesa, che certo sussistono, anche le dinamiche locali (conflitti<br />
di potere, la concorrenza economica interna a una classe<br />
mercantile in espansione, risentimenti personali, vendette politiche<br />
200 ecc.), oltre alle mire espansionistiche del re di Francia e<br />
dei suoi feudatari settentrionali.<br />
Ma, se identifichiamo la Chiesa con le sue élites dove collochiamo,<br />
in questo caso, la Chiesa della religione popolare, tanto<br />
rivalutata dalla più matura storiografia degli ultimi decenni 201 e<br />
che coinvolge la gran parte delle popolazioni europee di allora?<br />
Che cosa intendono gli autori dei manuali designando l’istituzione<br />
ecclesiale? E il docente? E che cosa coglie, in tutto ciò, lo<br />
studente? Si tratta, direi, di uno dei numerosi casi in cui un’etichetta<br />
categoriale, il vocabolo “Chiesa”, che viene ingiustificatamente<br />
a designare le generiche “gerarchie” (quali poi? quelle<br />
del clero regolare o di quello secolare? tutte e due?), si estende a<br />
197 Mi riferisco al noto concetto della tradizione gioachimita (cfr. POTESTÀ<br />
G.L., s.v. Gioacchino da Fiore, in AA.VV., Enciclopedia Garzanti, cit., p. 357).<br />
198 CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., p. 54.<br />
199 Ivi, p. 160.<br />
200 Ivi, p. 35.<br />
201 Per una bibliografia introduttiva vd., ad es., GUREVIČ A.J., op. cit., passim;<br />
MANSELLI R., op. cit., passim e SCHMITT J.C., Religione folklore e società nell’Occidente<br />
medievale, Laterza, Bari 1988 (anno), passim.<br />
77
78<br />
Franz Brandmayr<br />
coprire semanticamente un’ampia serie di altri sottoinsiemi (dei<br />
quali ho elencato una parte) compresi nella societas ecclesiale.<br />
Non si tratta, tuttavia, di un’estensione semantica dalle conseguenze<br />
meramente teoriche e oziose: se ne può ricavare una<br />
generica impressione di monolitismo ecclesiale che, storicamente,<br />
non si è assolutamente dato. L’effetto alone, in questo<br />
modo, pare assicurato: i «tratti (che si vorrebbero) emergenti»<br />
del potere e della violenza assorbono in un unico lemma omologante<br />
tutta una pluralità di diverse componenti sociali, culturali<br />
e politico-militari (clero/popolo, clero regolare/clero<br />
secolare, clerici/bellatores, borghesi/popolo, alto clero/basso<br />
clero, monarchia francese/papato, re e grandi feudatari del<br />
Nord della Francia/feudatari meridionali, inquisitori/non-inquisitori<br />
ecc.), nessuna delle quali, fatte salve le élites più consapevoli<br />
dei catari, 202 avrebbe mai rinunciato alla propria prerogativa<br />
di appartenere alla cristianità.<br />
Pertanto, applicando il concetto di Chiesa senza una definizione<br />
precisa dei suoi contorni sociologici, non è impossibile<br />
che esso perda di consistenza e si riduca a una mera etichetta<br />
categoriale. In questo modo il ricercatore, il docente o lo studente<br />
sono esposti a una serie di rischi teoretici: a) il riduzionismo<br />
della comunità ecclesiale a una sua parte: la gerarchia, e ciò – di<br />
solito – senza un’adeguata motivazione metodologica; b)<br />
l’anacronismo di un dualismo radicale 203 clero/laicato, 204 la cui<br />
radice socio-culturale è decisamente moderna, viene proiettato<br />
202 Nel catarismo «strutturatosi in modo mimetico rispetto all’organismo ecclesiastico<br />
egemone» (MERLO G.G., op. cit., p. 45) i simpatizzanti tendevano a<br />
riconoscere nei «perfetti» semplicemente dei «buoni cristiani», senza rendersi<br />
sempre conto del fatto che si trattasse di una religione dualistica e diversa<br />
dal cristianesimo.<br />
203 Cioè l’antitesi inconciliabile di due entità concepite come opposte (VIGLINO<br />
U., s.v. Dualismo, in AA.VV., Enciclopedia Cattolica, cit., vol. IV, c. 1942).<br />
204 Cfr. GRAFF H.J., op. cit., pp. 104, 111 e 113.
Medioevo: un pregiudizio secolare<br />
nel XIII secolo, 205 epoca nella quale era – al contrario – nettamente<br />
dominante una concezione ecclesiale sì dialettica, 206 ma<br />
anche fortemente unitaria; 207 c) l’affermazione di una sorta di<br />
univocità del gruppo-Chiesa e la complementare obliterazione<br />
dell’esistenza di un pluralismo di culture e subculture ecclesiali,<br />
di cui la storiografia dà abbondante testimonianza; d) la perdita<br />
di concretezza storica dovuta al misconoscimento della<br />
microstoria e della storia locale, che – della crociata – offrono<br />
molte varianti contraddittorie rispetto alla «leggenda nera». 208<br />
205 TORTAROLO E., Laicismo, Laterza, Roma-Bari 1998, pp. 11-13.<br />
206 Cfr. REINHARD W., Storia dello stato moderno, Il Mulino, Bologna 2010 (2007),<br />
p. 58.<br />
207 Cfr. il concetto di «unipolarità» del «corpo della Chiesa» (ULLMANN W., op.<br />
cit., p. 24).<br />
208<br />
DEDIEU J.-P., op. cit., p. 6. Trattare a fondo la questione dell’Inquisizione e<br />
dei diritti umani (cfr. supra paragrafo 1.1.) non fa parte degli scopi di questo<br />
saggio, pertanto mi limito a una brevissima serie di riferimenti forse indicativi<br />
di un certo uso della storia poi concretizzatosi nella “leggenda nera”.<br />
Può essere interessante rilevare, ad esempio, la comminazione della condanna<br />
a morte al “solo” (non si tratta comunque di una vittoria della civiltà…)<br />
1% degli imputati da parte del tribunale dell’Inquisizione di Tolosa nella<br />
seconda metà del Duecento (DEDIEU J.-P., op. cit., p. 18); questo 1 % va ridotto<br />
ulteriormente, in quanto è certo che la condanna spesso si risolveva in un<br />
pentimento dell’ultima ora davanti al patibolo. La «moderazione» degli inquisitori<br />
si concretizzava, inoltre, anche con la risoluzione pro reo in dubiis<br />
(CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., p. 57), con una pratica della tortura che –<br />
a differenza da quella esercitata dai poteri laici – non doveva portare alla<br />
morte (ivi, p. 61), né alle mutilazioni (ivi, p. 55), che era sottoposta a limitazioni<br />
e controlli (ivi, pp. 63 e 65), a sospensioni e annullamenti (ivi, p. 62). La<br />
tortura – ancora – praticata dagli Stati fino al XVIII secolo, secondo alcuni<br />
autori fu «forse» poco usata, «perché raramente documentata» [PAOLINI L., Il<br />
modello italiano nella manualistica, in AA.VV., L’Inquisizione, Atti del Simposio<br />
internazionale (29-31 ottobre 1998) Città del Vaticano, Roma 2003, p. 101].<br />
Senza misconoscere l’esistenza di una certa letteratura che tende a minimizzare<br />
la portata delle vicende delle Inquisizioni, Cardini ricorda che il confronto<br />
sulla tortura va fatto con i contemporanei [ivi, p. 64; cfr. anche LE<br />
79
80<br />
Franz Brandmayr<br />
Può essere di qualche utilità notare come di tutti questi aspetti<br />
descrittivi, che rendono problematica l’interpretazione della crociata<br />
degli albigesi e dell’Inquisizione, il già citato manuale di<br />
Giardina, Sabbatucci e Vidotto non riporti praticamente nulla. 209<br />
Una consapevolezza più profonda della matrice etnicoidentitaria<br />
del conflitto e della strumentalità dell’alibi religioso<br />
dei «Franchi», portatori della cultura feudale del Nord francese<br />
e lanciati alla conquista della civiltà urbana «romana» della<br />
Linguadoca, traspare – invece – in un testo recente, 210 nel quale<br />
si afferma a chiare lettere che «la crociata contro gli albigesi<br />
appare un momento significativo nel processo di consolidamento<br />
territoriale della monarchia francese» 211 . Per il resto,<br />
però, neanche De Bernardi e Guarracino consentono allo studente<br />
del XXI secolo, a mio avviso, di comprendere come mai,<br />
in una istituzione che si proclamava fondata sul Vangelo, una<br />
consistente parte delle gerarchie e degli intellettuali potesse<br />
non trovare abominevole l’impiego della coercizione violenta<br />
e di massa nella propria pratica pastorale. 212 Non vi si trova<br />
alcun riferimento al Decretum Gratiani, 213 uno dei documenti<br />
fondamentali del Medioevo, nessun richiamo al concetto di<br />
GOFF J., La nascita del Purgatorio, Einaudi, Torino 1996 2 (1981), p. 248; vd.<br />
supra al paragrafo 2.2. le osservazioni sugli anacronismi] e che i dati quantitativi<br />
sull’Inquisizione sono ancora carenti (CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., p.<br />
158) e, pertanto, anche gli storici rischiano di subire l’influenza dell’effetto<br />
alone (cfr. DEDIEU J.-P., op. cit., p. 76).<br />
209 Cfr. GIARDINA A.-SABBATUCCI G.-VIDOTTO V., Uomini, cit., pp. 89-94.<br />
210 DE BERNARDI A.-GUARRACINO S., I saperi della storia. 1. Dalla società feudale alla crisi<br />
del Seicento, Paravia Bruno Mondadori, Milano 2006, p. 72; gli Autori evitano,<br />
peraltro, di menzionare le numerose vittime cattoliche delle stragi perpetrate dai<br />
Franchi (cfr. DE ROSA G., Storia medioevale, Minerva Italica, s.l., 1982 3 , p. 187).<br />
211 DE BERNARDI A.-GUARRACINO S., op. cit., p. 73.<br />
212 Ivi, pp. 70-73.<br />
213 DE ROSA G., op. cit., pp. 188-189.
Medioevo: un pregiudizio secolare<br />
società olistica 214 né al delitto di lesa maestà, 215 nessuna vera<br />
esplorazione della mentalità medievale, nessuno sforzo<br />
ermeneutico: l’“Altro” rimane distante e fissato nella sua riprovevole<br />
estraneità, resa in maniera quasi caricaturale.<br />
Eppure già il De Rosa, ad esempio, nel suo vecchio manuale<br />
aveva proposto un’interpretazione che non sembrava affatto una<br />
giustificazione. 216 Che l’avesse fatto con spirito apologetico, in<br />
quanto studioso di matrice cattolica? La storiografia si ridurrebbe,<br />
allora, a una noiosa sequenza di polemiche da quotidiano sportivo,<br />
con la “curva nord” a disputare con la “curva sud” intorno<br />
al comportamento arbitrale? Comprendere significa forse giustificare?<br />
Un approccio ermeneutico comporta necessariamente il<br />
condividere i valori e le scelte dell’“avversario”? Domande<br />
senz’altro retoriche, ma la cui riproposizione pare essere tutt’altro<br />
che fuori luogo in una temperie culturale nella quale vengono<br />
giustamente denunciati tanto gli usi e abusi della storia quanto il<br />
dilettantismo. Perciò su quest’argomento dovrò ancora insistere<br />
più avanti, ma – nel frattempo – possiamo rilevare anche nei casi<br />
ora richiamati il persistente riprodursi delle dinamiche<br />
etnocentriche e psicosociali che andiamo analizzando.<br />
Certo, le esigenze di sintesi didattica richiedono inevitabilmente<br />
il ricorso a espedienti, che scoprono il fianco a questo<br />
genere di difetto: con gli studenti – si dice – non sempre si può<br />
entrare in un dettaglio troppo analitico. L’effetto alone, in ogni<br />
caso, rivela meglio la sua qualità affabulatoria se esaminato<br />
unitamente a un’altra caratteristica che, non di rado, accompa-<br />
214<br />
MATERA V., s.v. Olismo/individualismo, in FABIETTI U.-REMOTTI F., op. cit., pp.<br />
531-532.<br />
215<br />
CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., p. 9.<br />
216<br />
DE ROSA G., op. cit., pp. 188-189; certo, lo storico siciliano mi dà talvolta<br />
l’impressione di non volere scendere troppo nei particolari di questo nodo<br />
storico scabroso.<br />
81
82<br />
Franz Brandmayr<br />
gna le narrazioni sul Medioevo: si tratta dell’«esposizione<br />
selettiva» 217 . Essa consiste nella<br />
tendenza delle persone a cercare informazioni congruenti con i<br />
loro sentimenti, credenze e comportamenti passati e ad evitare<br />
attivamente quelle incoerenti o dissonanti. 218<br />
Alla reticenza ad ascoltare ciò che non collima con le proprie<br />
idee si associa, in maniera complementare, l’«aspettativa<br />
stereotipica» 219 , che induce il soggetto a rilevare nell’oggetto del<br />
suo studio solo ed esclusivamente i tratti culturali, che sarebbe<br />
stato disposto a reperire fin dal principio.<br />
Vediamo ancora qualche esempio.<br />
Caprara scrive ancora del “triste panorama” offerto dalle<br />
scienze astronomiche di allora. «Ne era responsabile la diffusione<br />
del cristianesimo che […] imponeva la descrizione (sic)<br />
della Bibbia e del capitolo (sic) della Genesi» 220 . A prescindere<br />
dall’incompetenza circa gli aspetti esegetico-biblici e dal grave<br />
errore cronologico dell’attribuzione di un potere impositivo<br />
alla Chiesa del Terzo secolo (notoriamente oppressa dalle au-<br />
217 GILI G., op. cit., pp. 42 ss. ne scrive collegando l’esposizione con gli altri<br />
due meccanismi selettivi della percezione e della memorizzazione.<br />
218 TRENTIN R., Gli atteggiamenti sociali, in ARCURI L. (a cura di), op. cit., p. 276.<br />
219 ID., Percezione e cognizione sociale, in ID. (a cura di), Manuale, cit., p. 127.<br />
220 CAPRARA G., op. cit., p. 42. Non è qui possibile esplicitare nei dettagli<br />
l’erroneità del linguaggio del Caprara: basti ricordare che, in un’opera di divulgazione<br />
scientifica, risulta quantomeno equivoco riferirsi a una narrazione<br />
cosmogonica con il termine di «descrizione» (cfr. ABBAGNANO N., s.v. Descrittivo,<br />
in ID., op. cit., p. 218), che risulta certamente inadeguato per esprimere<br />
il significato [BONORA A., s.v. Cosmo, in ROSSANO P.-RAVASI G.-GIRLANDA<br />
A. (a cura di), Nuovo dizionario di teologia biblica, San Paolo, Cinisello Balsamo<br />
(MI) 2001 7 (1988), pp. 327-328] dei due “racconti della creazione” compresi<br />
nei primi tre capitoli della Bibbia.
Medioevo: un pregiudizio secolare<br />
torità imperiali) 221 , risalta fin dal primo impatto con il testo la<br />
selezione operata dall’Autore, che – fra tutte le dottrine soteriologiche<br />
orientali, coinvolgenti e ricche di cosmogonie e di<br />
riferimenti cosmologico-escatologici i più immaginifici, 222 di<br />
cui la civiltà romana (ormai priva di riferimenti valoriali significativi)<br />
223 è assetata – sceglie il cristianesimo ed esso soltanto<br />
come causa dell’oscurantismo anti-astronomico. A una contestualizzazione<br />
(è la soluzione migliore?) o a una attenuazione<br />
dei toni [es.: la Chiesa (ovviamente quella teodosiana e postteodosiana,<br />
dal 391 in poi) «concorre a promuovere una concezione<br />
creazionistica» (e chi non lo faceva, allora?)] o a una<br />
estensione delle corresponsabilità (se proprio si deve studiare<br />
il passato per cercare dei colpevoli, non è meglio trovarli tutti?),<br />
il Caprara preferisce forse «dare informazioni congruenti<br />
con i propri sentimenti ed evitare quelle incoerenti o dissonanti»<br />
rispetto agli stessi? In un eventuale sviluppo di questa<br />
indagine sarebbe opportuno riprendere questo quesito, per riconnetterlo<br />
agli attuali usi e abusi della storia finalizzati a possibili<br />
strumentalizzazioni nella sfera pubblica. Questa argomentazione<br />
iniziale dell’Autore sembra essere il preludio interpretativo<br />
di più di un millennio di scienza e tecnica e, infatti,<br />
il Medioevo narrato dal nostro si caratterizzerà per una serie<br />
di carenze, o di “oscuramenti”, frutto di operazioni che<br />
noi, fino a prova contraria, non vogliamo pensare come dolosamente<br />
falsificanti bensì come inconsapevolmente selettive.<br />
221 È il secolo delle dure persecuzioni di Simplicio Severo, di Decio e Valeriano<br />
[FRANZEN A., Breve storia della Chiesa, Queriniana, Brescia 1982 5 (1965), pp. 57-61].<br />
222 CUMONT F., Le religioni orientali nel paganesimo romano, Laterza, Bari 1967<br />
(1913), pp. 56-58; vd. anche ELIADE M., Paganesimo, cristianesimo e gnosi all’epoca<br />
imperiale, in ID., Storia delle credenze e delle idee religiose, II, Da Gautama Buddha al<br />
trionfo del Cristianesimo, Sansoni, Firenze 1980 (1978), pp. 363-394.<br />
223 CUMONT F., op. cit., p. 54.<br />
83
84<br />
Franz Brandmayr<br />
Ad esempio, nel suo volume non vi è alcuna menzione del<br />
fatto che il Medioevo riconobbe il valore delle arti meccaniche 224<br />
e che lo fece «investendo le arti pratiche di un significato spirituale»<br />
225 , per il quale «venne loro conferita una nuova dignità» 226 . Né<br />
il Caprara scrive che a compiere questo passo sotto il profilo<br />
teorico è l’abate-filosofo Giovanni Scoto Eriugena, che nel IX<br />
secolo equipara il lavoro manuale a quello intellettuale 227 e opera<br />
– con ciò – una netta rottura epistemologica sia nei confronti<br />
della civiltà classica che rispetto al pensiero di Agostino<br />
d’Ippona. 228 Nella società «ecclesiologica» 229 dell’alto Medioevo,<br />
infatti, il fine di ogni vita, che non può essere altro che vita<br />
cristiana, è: divenire “immagine e somiglianza di Dio”, e ciò si<br />
realizza anche attraverso il lavoro. 230 Già a partire dal VI secolo<br />
224 Associandole per dignità a quelle liberali (LE GOFF J., Il Medioevo, cit., p. 71).<br />
225 NOBLE D.F., op. cit., p. 17.<br />
226 DOLZA L., op. cit., p. 52.<br />
227 NOBLE D.F., op. cit., p. 20; Dolza, invece, sembra situare nel secolo XII,<br />
quello della Rinascenza, questo passaggio assai importante sotto il profilo<br />
teorico-filosofico: secondo la storica sarebbe stato Ugo da San Vittore a<br />
«colloca[re] le arti meccaniche nell’ambito del sapere» nelle sue opere intitolate<br />
Didascalicon ed Epitome Dindimi in philosophiam (DOLZA L., op. cit., p. 57;<br />
parentesi quadrata mia). In Noble (ivi, pp. 24-26) gli scritti di Ugo sembrano<br />
avere piuttosto un valore di rinforzo e di amplificazione, nella mutata temperie<br />
culturale, dei contenuti elaborati da Giovanni Scoto. Cfr. anche LE GOFF J.,<br />
Lavoro, tecniche e artigiani nei sistemi di valore dell’alto Medioevo (V-X secolo), in ID.,<br />
Tempo, cit., (1971), p. 90, che avvalora la posizione di Noble.<br />
228 NOBLE D.F., op. cit., p. 21. Come è noto, Agostino, già manicheo e – comunque<br />
– neoplatonico anche dopo la conversione, manifesta un atteggiamento<br />
non particolarmente positivo verso la materia in generale e il lavoro<br />
manuale in particolare (DOLZA L., op. cit., pp. 47-48; cfr. NOBLE D.F., op. cit.,<br />
14-15 ); in definitiva egli non sembra discostarsi dalla posizione classica, che<br />
fa prevalere le arti liberali su ogni altra forma di attività umana.<br />
229 ULLMANN W., op. cit., p. 12 et passim.<br />
230 DOLZA L., op. cit., p. 51. Cfr. infra le nt. 314 e 321.
Medioevo: un pregiudizio secolare<br />
le comunità benedettine, con il loro celebre motto ora et labora,<br />
si sforzano di tradurre questa concezione del mondo in comportamenti<br />
conseguenti, con la ferma convinzione che l’attività<br />
pratica e la tecnica servano i disegni divini, oltre che la stessa<br />
comunità monastica. 231 In questo modo<br />
l’ideologia del lavoro viene riscattata positivamente dal cristianesimo<br />
e sarà determinante anche per la nascita e la diffusione […]<br />
dei mestieri;<br />
sarà dunque la progressiva evangelizzazione dell’Europa a modificare<br />
l’attitudine dell’uomo medievale verso il lavoro manuale,<br />
232 il quale assumerà – in questo modo – un «significato spirituale»<br />
233 in tutta l’area cristianizzata. Persino gli attrezzi da lavoro,<br />
in particolare quelli prodotti con il ferro o con parti in ferro,<br />
234 vengono assimilati dalla Regola benedettina agli stessi vasi<br />
sacri. 235 Marc Bloch non teme di scrivere che le<br />
acquisizioni e invenzioni (medievali) portano, a ben vedere, la<br />
stessa testimonianza: quella di una notevole agilità delle mani,<br />
dello sguardo e dello spirito. In questa capacità di rinnovamento,<br />
diffusa sin nelle masse degli artigiani, come non riconoscere una<br />
delle fonti di quella grandezza europea che fu vista sorgere, con<br />
231 DOLZA L., op. cit., p. 50.<br />
232 Ivi, p. 51; sull’importanza del lavoro già agli inizi del monachesimo copto<br />
vd. LAWRENCE C.H., op. cit., pp. 35 e 64.<br />
233 NOBLE D.F., op. cit., p. 17; sarà l’umanista Petrarca a manifestare un rinnovato<br />
disprezzo verso il lavoro manuale (FUMAGALLI BEONIO BROCCHIERI M.,<br />
op. cit., p. 230).<br />
234 Nella storia delle religioni sono conosciuti i significati simbolici attribuiti<br />
alla figura del fabbro [ELIADE M., Storia delle credenze e delle idee religiose, I, Dall’età<br />
della pietra ai misteri eleusini, Sansoni, Firenze 1996 (1975), pp. 65-68].<br />
235 LE GOFF J., Lavoro, cit., p. 86.<br />
85
86<br />
Franz Brandmayr<br />
uno slancio così prodigioso, dal seno dei torbidi più gravi? L’homo<br />
europaeus, in altri termini, fu per eccellenza un homo faber. 236<br />
Il «gusto dell’esperimento» 237 , la sete di scoperta e di ricerca<br />
che porterà gli europei alla conquista del mondo, 238 l’ingegno e<br />
l’abilità meccanica tali da raggiungere «risultati tecnici moderni»<br />
239 non sembrano giustificare l’appellativo di “zotico e incolto”<br />
240 attribuito all’uomo medievale. Si può giustamente porre<br />
l’obiezione che i riferimenti dei nostri storici sembrano calcare<br />
l’accento sulla dimensione della tecnica più che su quella della<br />
scienza, tuttavia già nel 1959 Butterfield osservava che<br />
si comincia ora a comprendere che la storia della tecnica ha, nello<br />
sviluppo del movimento scientifico, una parte più importante<br />
di quanto si reputasse un tempo. 241<br />
Ancora, a un uomo medievale esageratamente rappresentato<br />
come alienato e proiettato verso attese ultraterrene, 242 Garin<br />
236 BLOCH M., Le “invenzioni” medievali, in ID., Lavoro, cit., p. 210; parentesi mia.<br />
237 ID., Le “invenzioni”, cit., pp. 204-205.<br />
238 DOLZA L., op. cit., p. 83.<br />
239 BUTTERFIELD H., Le origini della scienza moderna, Il Mulino, Bologna 1998<br />
(1958), p. 110.<br />
240 Cfr. PERNOUD R., op. cit., p. 45.<br />
241 BUTTERFIELD H., op. cit., p. 110.<br />
242 Sul «dualismo tra l’“aldilà” e l’“aldiquà” che la maggior parte degli storici<br />
attuali riduce sbrigativamente a evasione dal mondo» (CARMO FELICIANI<br />
S., Introduzione, cit., p. 8) pare concentrarsi con una certa insistenza forse<br />
anche Le Goff (cfr., ad es., ID., Lavoro, cit., pp. 75 e 85 e ID., Medioevo, cit.,<br />
p. 23), che – in quei casi – sembra tenere in scarso conto il giovanneo<br />
Verbum caro factum est e le conseguenze storiche che ne sono derivate; eppure<br />
sul cattolicesimo inteso come fomite della «religione della tecnologia»<br />
(cfr. NOBLE D.F., op. cit., passim) e «del lavoro» (cfr. infra nt. 354) pare concordare<br />
anche lo storico francese.
Medioevo: un pregiudizio secolare<br />
sembra restituire il suo spirito d’invenzione e la sua attitudine<br />
alla ricerca, a perseguire la conoscenza e ad aderire alla realtà<br />
concreta.<br />
Quando, liberati da una pericolosa eredità illuministica, gli storici<br />
della filosofia avranno imparato a valutare in pieno, nel suo<br />
reale significato, l’enorme produzione medievale medico-magica,<br />
astrologica, alchimistica, ci renderemo, credo, conto di una<br />
esigenza di congiungere la cognizione […] delle cose con la trasformazione<br />
di esse secondo i bisogni umani: di far convergere<br />
continuamente teoria e pratica, tecnica e scienza: di afferrare un<br />
ordine esistente, ma per modificarlo. 243<br />
Prendiamo ora in esame un altro aspetto della cultura diffusa:<br />
l’alfabetizzazione, senza la quale, sottolineano due fra i massimi<br />
studiosi della tradizione orale, non avrebbe potuto sussistere<br />
una logica lineare, 244 quella stessa che ha contribuito al<br />
decollo culturale, sociale ed economico dell’Europa. 245 In relazione<br />
a questo vasto campo voglio qui richiamare la rilevanza,<br />
anche a giudizio di Le Goff, 246 dell’estendersi dell’istruzione<br />
commerciale e giuridica nel periodo che va dall’XI al XIII secolo.<br />
Laici appartenenti alla nascente classe media dei commercianti,<br />
dei notai e degli avvocati fondarono scuole con curricula<br />
propri. 247 L’offerta formativa, come la si chiamerebbe oggi con<br />
243 GARIN E., op. cit., p. 25; cfr. anche PERNOUD R., op. cit., p. 30.<br />
244 GOODY J., Il potere della tradizione scritta, Bollati Boringhieri, Torino 2002<br />
(2000), pp. 88-94; cfr. ONG W.J., op. cit., p. 89.<br />
245 Cfr. CIPOLLA C.M., Vele e cannoni, Il Mulino, Bologna 1999 3 (1965), p. 87;<br />
DAWSON CH., op. cit., p. 20; LE GOFF J., Il Medioevo, cit., p. 69.<br />
246 Vd. infra nt. 253.<br />
247 CIPOLLA C.M., Istruzione e sviluppo. Il declino dell’analfabetismo nel mondo occidentale,<br />
Il Mulino, Bologna 2002 (1969), pp. 51ss; GRAFF H.J., op. cit., pp. 110<br />
e 125-126.<br />
87
88<br />
Franz Brandmayr<br />
espressione mercantile, aumentò la propria diversificazione in<br />
svariate zone geografiche europee toccate dal fenomeno dell’urbanesimo<br />
e ciò al punto di determinare nel XII secolo una<br />
sorta di competizione fra le scuole monastiche e quelle secolari.<br />
248 Graff riporta l’esempio inglese del secolo XIII, quando<br />
esisteva una vasta gamma di istituti: Grammar Schools, scuole cattedrali,<br />
scuole di monastero, scuole di chiese collegiate, 249 Hospital<br />
Schools, scuole di gilda, scuole comunali, cappellanie, scuole parrocchiali<br />
primarie, oltre a varie scuole specialistiche (di canto, di<br />
scrittura, di lettura) e ad altre opportunità informali. 250 Oramai<br />
nell’Inghilterra del XIII secolo<br />
reali, nobili, cavalieri, mercanti ed ecclesiastici erano nella stragrande<br />
maggioranza in grado di leggere e scrivere. Fra gli artigiani<br />
l’alfabetizzazione era divenuta più diffusa, ma restava molto<br />
lontano dall’essere universale. Fra i contadini dovette rimanere<br />
cosa rara, ma non del tutto impossibile. 251<br />
Il fatto può lasciare freddo l’osservatore contemporaneo,<br />
abituato all’attuale velocità del mutamento sociale, ma non è<br />
certo questo sguardo assuefatto quello che permette di cogliere<br />
lo specifico medievale; all’occhio incapace di guardare con partecipazione<br />
252 il fenomeno storico del deciso ampliamento delle<br />
percentuali di alfabetismo rischia di sfuggire la rivoluzione cul-<br />
248 LAWRENCE C.H., op. cit., pp. 193-195.<br />
249 «Dal latino collegium, “associazione”. Chiesa che possiede un capitolo di<br />
canonici, di solito regolari, pur senza essere la sede di un vescovato»<br />
[BARBERO A.-FRUGONI C., Dizionario del Medioevo, Laterza, Roma-Bari 2002 2<br />
(1994), p. 78].<br />
250 GRAFF H.J., op. cit., pp. 136-137.<br />
251 Ivi, p. 133.<br />
252 Vd. infra paragrafo 3.
Medioevo: un pregiudizio secolare<br />
turale, che – secondo Graff – si sarebbe verificata fra il X e il<br />
XIII secolo: «una cosa molto più nuova di quanto non sarebbe<br />
diventata più tardi» 253 . Viene compresa – per la prima volta a un<br />
livello massivo – l’utilità dell’istruzione «per la partecipazione, il<br />
servizio, il potere» 254 . Persino la cultura cavalleresca non è più<br />
ostile 255 alle lettere e all’alfabetizzazione 256 .<br />
A questo proposito Ullmann scrive del riuscito amalgama<br />
degli elementi cristiani, romani e germanici, anche se questi ultimi<br />
«dovettero cedere alla autorità della dottrina e del dogma» 257 .<br />
Parafrasando la celebre battuta di Stalin, secondo il quale lo Stato<br />
del Vaticano disponeva di troppo poche divisioni per impensierirlo,<br />
gli storici solitamente sono propensi a credere che – più<br />
che imporre la dottrina e il dogma – la Chiesa abbia piuttosto<br />
esercitato una costante pressione culturale e sociale sulle aristocrazie<br />
germaniche e che lo abbia fatto soprattutto per mezzo<br />
del “cavallo di Troia” rappresentato dai numerosi membri della<br />
nobiltà, che nel corso di tutto l’alto Medioevo ingrossarono le<br />
file di quelli che furono alfine chiamati gli oratores e, in questo<br />
253<br />
GRAFF H.J., op. cit., p. 107. «La lettura si diffonde ben prima della galassia<br />
Gutenberg e l’alfabetizzazione – è il fenomeno culturale che più conta – non<br />
attende l’invenzione della stampa» (LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario,<br />
cit., p. XX).<br />
254<br />
GRAFF H.J., op. cit., p. 107.<br />
255 Per una serie di indicazioni introduttive circa il lento evolvere delle culture<br />
germaniche da una tradizione orale alla loro «romanizzazione» (cfr. ULLMANN<br />
W., op. cit., p. 29) vd., ad es., BARBERO A., Santi laici e guerrieri. Le trasformazioni<br />
di un modello nell’agiografia altomedievale, in BARONE G.-CAFFIERO M.-SCORZA<br />
BARCELLONA F. (a cura di), Modelli di santità e modelli di comportamento, Rosenberg<br />
& Sellier, Torino 1994, p. 127; CHABOD F., op. cit., p. 38; CIPOLLA C.M., Istruzione,<br />
cit., pp. 47-48; DAWSON CH., op. cit., pp. 89-131; ELIADE M., La nascita<br />
mistica, Morcelliana, Brescia 19883 (1958), pp. 125-130; ID., Storia, cit., pp.<br />
164-166; cfr. anche PERNOUD R., op. cit., p. 55.<br />
256<br />
GRAFF H.J., op. cit., pp. 120, 122 e 128.<br />
257 ULLMANN W., Radici, cit., p. 29.<br />
89
90<br />
Franz Brandmayr<br />
modo, portando i bellatores a un grado di crescente mitigazione<br />
dei loro costumi violenti.<br />
A ciò contribuisce anche l’epoca aurea del monachesimo benedettino<br />
(secoli XI-XII), durante la quale si diffonde fra i cadetti<br />
dell’aristocrazia una modalità culturale, fatta di preghiera e di studio<br />
(e non più soltanto guerresca) di affermazione del proprio<br />
«onore». 258 Questo nuovo atteggiamento della classe dei cavalieri<br />
si manifesta anche nel crescente prestigio che la città e la classe<br />
borghese sembrano assumere ai loro occhi ad esempio in alcune<br />
opere della giovane letteratura volgare in lingua d’oil. 259<br />
Nell’Occidente europeo lettere e alfabetizzazione riacquistano<br />
finalmente, abbiamo visto, un prestigio sociale oramai da lungo<br />
tempo perduto e che rimarrà un’acquisizione definitiva della<br />
cultura occidentale:<br />
La gente incominciò ad attribuire un connotato negativo all’analfabetismo<br />
e in prosieguo di tempo gli analfabeti furono sempre<br />
più considerati inadatti ad un numero sempre crescente di attività<br />
sociali ed economiche. 260<br />
Con l’alfabetizzazione aumentano la coerenza dottrinale cristiana<br />
e, ad un tempo, lo spirito critico, 261 mentre<br />
con il secolo XI la Chiesa perse progressivamente il monopolio<br />
dell’istruzione specie in quelle aree dove […] i benestanti […]<br />
solevano assumere tutori privati per […] i loro figli; 262<br />
in questo modo, conclude Cipolla, il «principio morale» del-<br />
258 Cfr. MICCOLI G., op. cit., p. 71; GRAFF H.J., op. cit., p. 128.<br />
259 Vd. LE GOFF J., Guerrieri, cit., passim.<br />
260 GRAFF H.J., op. cit., p. 49.<br />
261 Ivi, p. 126; vd. anche infra le nt. 269, 307-313 e 321-326.<br />
262 CIPOLLA C.M., Istruzione, cit., p. 51; LAWRENCE C.H., op. cit., p. 308.
Medioevo: un pregiudizio secolare<br />
l’istruzione, fino ad allora «proclamato da uno sparuto gruppo<br />
di clerici illuminati, divenne un’idea corrente» 263 , della quale<br />
le istituzioni religiose continuarono a farsi promotrici investendo<br />
gran parte delle risorse disponibili 264 e con una speciale<br />
attenzione alle classi sociali svantaggiate. 265 Se è vero, dunque,<br />
che nei secoli X-XIII «senza la chiesa l’offerta d’istruzione e<br />
alfabetizzazione in Occidente sarebbe stata incredibilmente limitata»<br />
266 e se è parimenti vero che fosse quello del clero il<br />
gruppo sociale più colto, 267 sembra tuttavia di poter dire con<br />
una certa sicurezza che il basso Medioevo vide in svariate zone<br />
d’Europa 268 un laicato autonomo e critico, 269 capace di produrre<br />
iniziative culturali significative sia all’interno che all’esterno<br />
dell’istituzione ecclesiale.<br />
In effetti, soprattutto dopo l’opera fondamentale di<br />
Grundmann, 270 gli studi eresiologici di quasi tutte le impostazioni<br />
sottolineano gli aspetti di omogeneità fra le esperienze carismatiche<br />
ortodosse (come – ad esempio – il francescanesimo) ed<br />
263 CIPOLLA C.M., Istruzione, cit., p. 50.<br />
264 GRAFF H.J., op. cit., pp. 113-115.<br />
265 CIPOLLA C.M., Istruzione, cit., p. 50; GRAFF H.J., op. cit., p. 117.<br />
266 Ivi, p. 113.<br />
267 Per la situazione dell’Inghilterra dei secoli XIV e XV, che è fra quelle più<br />
accuratamente studiate, vd. ivi, p. 205. È probabile che l’osservazione possa<br />
venire estesa anche ad altre parti dell’Europa. È opportuno, tuttavia, non<br />
omologare il clero in un’unica categoria socio-culturale: vi è, ad es., chi lo<br />
divide in due (per l’alto Medioevo vd. MANSELLI R., op. cit., pp. 12-13) o quattro<br />
gruppi (BURKE P., op. cit., pp. 265-268). Vd. anche supra nt. 98.<br />
268 Probabilmente soprattutto nelle zone più urbanizzate d’Europa, che – nel<br />
periodo dal 1440 al 1492 – erano i Paesi Bassi e l’Italia (BURKE P., op. cit., p. 56).<br />
269 Ad es. MANSELLI R., op. cit., pp. 80-85 scrive di «anticlericalismo» già nei<br />
secoli XI-XIII.<br />
270 GRUNDMANN H., Movimenti religiosi nel medioevo, Il Mulino, Bologna 1980<br />
(1935), passim.<br />
91
92<br />
Franz Brandmayr<br />
eterodosse, colte nel loro insieme come grande e creativa stagione<br />
dei movimenti spirituali medievali. 271<br />
Appare perciò dai contributi di autori di varia impostazione<br />
un’immagine del Medioevo assai più luminosa e, soprattutto,<br />
differenziata e ricca di sfumature rispetto alle stereotipie di certa<br />
manualistica. Di questi (come di altri) importanti passaggi<br />
teorici e descrittivi fondamentali 272 nel volume di Caprara non<br />
si trova invece traccia. La Weltanschauung del nostro narratore<br />
sembra sottendere una concezione aprioristicamente e<br />
irreversibilmente antagonistica fra scienza e fede del tutto lecita,<br />
naturalmente, nella dimensione noetica personale, ma i cui<br />
presupposti non vengono tematizzati e – tantomeno – discussi<br />
neanche sotto forma di abbozzo larvato. 273 Conseguentemente,<br />
in questa prospettiva la religione e la Chiesa sembrano ricoprire<br />
un ruolo esclusivamente oscurantista e retrivo, anche in questo<br />
caso senza che appaia argomentazione di sorta né disamina dialettica<br />
in merito; l’assioma sembra innervare la trama della narrazione<br />
“in punta di piedi”, come un implicito del discorso, che<br />
poggia sulla sua stessa “ovvietà”, “costruita” con etichette ed<br />
espressioni ritenute familiari e scontate per il lettore. 274<br />
La selettività, però, non consiste soltanto nell’eliminare radicalmente<br />
tutto ciò che non risulta congruente con il sentire dello<br />
scrittore. Vi sono, infatti, nomi ed eventi che – per la loro<br />
271 Vd. ad es. MERLO G.G., op. cit., pp. 16-19 et passim; PERETTO E., Movimenti<br />
spirituali laicali del Medioevo. Tra ortodossia ed eresia, Studium, Roma, 1985, p. 18<br />
et passim. Cfr. anche supra nt. 261 e infra nt. 323.<br />
272 Per i quali rimando alla bibliografia delle note precedenti e a quella contenuta<br />
all’interno delle opere indicate stesse.<br />
273 NOBLE D.F., op. cit., p. 5. Per una introduzione filosofica al problema vd.,<br />
ad es., BOGDANOV G.- BOGDANOV I.-GUITTON J., Dio e la scienza. Verso il<br />
metarealismo, Bompiani, Milano 1998 (1991), passim, in cui si propone il dialogo<br />
fra un fisico teorico, un astrofisico e un filosofo; cfr. infra anche nt. 280.<br />
274 Vd. supra paragrafo 2.1.
Medioevo: un pregiudizio secolare<br />
importanza – non si possono cancellare del tutto. In questo caso<br />
la menzione risulta – in qualche modo – come l’esito di una<br />
selezione effettuata per mezzo di una riduzione dell’alterità alle<br />
categorie proprie della visione del mondo del narratore o,<br />
quantomeno, ad attribuzioni apparentemente “neutre”.<br />
Il britannico Ruggero Bacone inventava gli occhiali. 275<br />
Chi non vuole scadere a sua volta nel pregiudizio e nell’errore,<br />
che abbiamo definito effetto alone, non può ricavare certo<br />
da un unico indizio la tendenza a celare l’appartenenza al clero<br />
di Roger Bacon e la sua identità squisitamente francescana. Allora<br />
insistiamo e più sotto troviamo che<br />
Nel XIII secolo [… (il)] filosofo inglese Ruggero Bacone […]<br />
professava la “scienza come esperimento” e rilevava i gravi errori<br />
scientifici contenuti nelle Sacre Scritture, (e) cominciava a porre<br />
la “questione del metodo” che è alla base della ricerca. 276<br />
Ci accorgiamo, del resto, che qui è in gioco un complesso di<br />
fattori di grande rilievo storico. Si tratta nientemeno che della<br />
genesi remota della scienza sperimentale moderna: 277 possibile<br />
che a farsene iniziatore e promotore sia un frate dal cervello<br />
fino? Ciò sembra contravvenire a un certo senso comune, che si<br />
affermerà con decisione molti secoli dopo, secondo il quale i<br />
frati – probabilmente – potrebbero avere altre qualità, ma certamente<br />
non quella del raziocinio innovatore. O forse l’Autore<br />
ritiene che l’Opus maius sia frutto solo del Bacone-filosofo, per<br />
cui non occorre mettere in rilievo la (disdicevole?) appartenen-<br />
275 CAPRARA G., op. cit., p. 54.<br />
276 Ivi, p. 56 (parentesi rotonde mie).<br />
277 DAWSON CH., op. cit., pp. 23 e 285-286.<br />
93
94<br />
Franz Brandmayr<br />
za religiosa del pensatore. A ciò si aggiunge un ulteriore elemento<br />
destabilizzante: pare che a evidenziare «i gravi errori scientifici<br />
contenuti nelle Sacre Scritture» sia proprio un soggetto<br />
ben inserito nella Chiesa; in questo modo la compagine ecclesiale<br />
sembrerebbe essere composta anche da soggetti capaci non<br />
solo di prescindere dalle auctoritates, 278 ma inoltre di innovare, di<br />
pensare criticamente 279 (persino sulla Sacra Scrittura!) e di anticipare<br />
i tempi proprio sotto il profilo della riflessione intorno<br />
all’ambito scientifico-sperimentale, “notoriamente” appannaggio<br />
del “pensiero laico”. 280 Offrire anche questa immagine della società<br />
ecclesiale, pertanto, risulta troppo dissonante rispetto a un<br />
copione che pare venga rispettato fedelmente attraverso la semplice<br />
omissione di qualche termine identificativo (il “teologo”?<br />
il “filosofo francescano”?). Sottacendo qualche particolare, pertanto,<br />
l’Autore ottiene l’effetto di riordinare la trama della propria<br />
narrazione secondo uno schema selettivo e consonante 281<br />
con la propria pregiudiziale di fondo, ancorata all’idea di una<br />
Chiesa retriva e chiusa al novum. 282<br />
278 Cfr. infra nt. 313.<br />
279 Cfr. supra nt. 261.<br />
280 Uso l’espressione fra virgolette, in quanto topos «della quantità», che richiederebbe<br />
un’analisi molto approfondita, per il suo radicamento nel discorso<br />
comune (cfr. supra nt. 151). In mancanza di spazio, invito il lettore alla lettura di<br />
EINSTEIN A., Idee e opinioni. Come io vedo il mondo, Fabbri, Milano 1996 (1957), pp.<br />
187-193. Intorno alle stereotipie connesse al termine “laico” vd. POSSENTI V.,<br />
Le ragioni della laicità, Rubbettino, Soveria Mannelli (CT) 2007, pp. 14-15, che<br />
sottolinea il riduzionismo dell’odierna interpretazione dominante del concetto<br />
a fronte delle sue possibili cinque accezioni. Per rinvenire ancora alcune indicazioni<br />
circa questo specifico anacronismo cfr. supra le nt. 204-207.<br />
281 Cfr. supra nt. 174.<br />
282 Se esco dall’ambito medievistico rilevo la menzione selettiva del fisico<br />
belga Georges-Henri Lemaitre, che negli anni Venti del Novecento elabora<br />
per primo l’ipotesi del Big Bang e del quale il Caprara omette di indicare la<br />
confessione cattolica e lo stato di vita sacerdotale (ID., op. cit., p. 247).
Medioevo: un pregiudizio secolare<br />
Se procediamo nell’analisi, ancora più sotto troviamo che,<br />
con quasi duecento anni di ritardo rispetto ai presbiti, soccorsi<br />
dall’inventività di Bacone,<br />
ai miopi, invece, penserà lo studioso tedesco Niccolò Cusano<br />
nel 1451. 283<br />
In questo caso si tratta del celebre filosofo neoplatonico,<br />
astronomo e matematico illustre, 284 che ha però il grave difetto<br />
di essere addirittura un cardinale, per cui forse sembra più<br />
opportuno celare il suo stigma vergognoso sotto le generiche<br />
e pudiche espressioni di «studioso» e di «tedesco», certamente<br />
più neutre rispetto alla pretesa antinomia scienza/religione.<br />
Perciò possiamo concludere che quando l’inventore è un uomo<br />
di Chiesa e inoltre, come nel caso di Bacone e di Cusano, filosofo<br />
di prima grandezza, la tendenza è quella di lasciare emergere<br />
solo ed esclusivamente gli elementi che possano favorire<br />
l’ipotesi di partenza (cioè: il Medioevo come età oscura, barbara,<br />
di fanatismo religioso e di superstizione, tutte qualità<br />
negative determinate dall’influenza della Chiesa cattolica), occultando<br />
o minimizzando, dall’altro lato, i fatti storici che potrebbero<br />
indebolirla.<br />
A volte il discorso comune ma, come vedremo, nondimeno<br />
anche la pubblicistica divulgativa, ricorrono a delle false spiegazioni,<br />
in cui il pregiudizio lascia intravedere una sclerotizzazione<br />
oltremodo evidente del suo nucleo cognitivo, cioè dello<br />
stereotipo. 285 Ne riporto un esempio ricavato dallo stesso manuale<br />
del Caprara:<br />
283 Ivi, p. 58.<br />
284 Cfr. ad es. VANNINI M., Mistica e filosofia, Piemme, Casale Monferrato 1996,<br />
pp. 62-70 e 79.<br />
285 MAZZARA B.M., Stereotipi e pregiudizi, Il Mulino, Bologna 1997, p. 16.<br />
95
96<br />
Franz Brandmayr<br />
Fibonacci (1170-1240?) […] proponeva miglioramenti alle dimostrazioni<br />
ottenute dai grandi classici come Archimede. E anche<br />
questo era un segno del nuovo spirito innovatore che stava<br />
portando ormai il Medioevo verso il tramonto. 286<br />
Il concetto di Medioevo sembra oramai reificato 287 e lo stigma<br />
dell’ignoranza oscurantista lo penetra e lo pervade fino alla saturazione.<br />
Il fatto di reperirvi qualche prodotto culturale innovativo<br />
non induce l’Autore a porre in dubbio le sue sicurezze o ad attenuarne<br />
e sfumarne i toni: tale progresso, infatti, non può (“per<br />
definizione”…) essere un frutto della civiltà medievale e rappresenta<br />
con ogni certezza, perciò, un anticipo della fervida e feconda<br />
età rinascimentale… Abbiamo qui un esempio di pseudo-eziologia,<br />
una proposizione di chiara natura tautologica, 288 nella quale,<br />
per giustificare il verificarsi di un progresso matematico nel<br />
Medioevo si ribadisce il Leitmotiv dell’opera in questione: evidentemente<br />
non si tratta più di Medioevo…<br />
L’ultimo concetto che mi propongo di richiamare in questo<br />
paragrafo porta il discorso a stretto contatto con uno dei fattori<br />
causali nodali del pregiudizio antimedievale, fattore che, a mio<br />
avviso, potrebbe rivelarsi forse il più importante: si tratta del processo<br />
dell’“etnicità”. Attraverso questo complesso di dinamiche<br />
interculturali trovano espressione la «classificazione, l’organizzazione<br />
e la comunicazione della differenza culturale tra i gruppi»,<br />
che polarizza le relazioni diadiche noi/loro in una dialettica di<br />
contatto-somiglianza e, al contrario, di differenziazione. 289<br />
286 CAPRARA G., op. cit., p. 53.<br />
287 ABBAGNANO N., s.v. Reificazione, in ID., op. cit., p. 738.<br />
288 Cioè un «discorso […] ripetente nella conseguenza, o nel predicato […] il<br />
concetto già contenuto nel primo membro» (ABBAGNANO N., s.v. Tautologia,<br />
in ID., op. cit., p. 857).<br />
289 SACCHI P., s.v. Etnicità, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di), op. cit., p. 271.
Medioevo: un pregiudizio secolare<br />
Faccio di seguito l’esempio, credo assai chiaro, della contrapposizione<br />
fra Medioevo e Rinascimento. È probabile che – alla<br />
stregua dei processi dell’etnicità che pure oggi vediamo instaurarsi<br />
fra culture che si confrontano e si scontrano nel mondo<br />
contemporaneo (ad es. l’Occidente e il mondo islamico) 290 –<br />
parimenti, ai fini della promozione e della celebrazione del Rinascimento,<br />
la denigrazione del Medioevo abbia costituito una<br />
sorta di punto d’appoggio archimedeo sul quale è stato possibile<br />
fare leva per lo meno fino al celebre studio di Burckhardt.<br />
Come si è già evidenziato sopra, inoltre, al di fuori dell’ambito<br />
ristretto degli specialisti, questa ricostruzione storiografica oramai<br />
superata sembrerebbe perdurare e riprodursi, come per inerzia,<br />
nel senso comune, nella produzione “storica” non specialistica<br />
e persino in un certo genere di manualistica. 291<br />
La connotazione negativa dell’immagine del Medioevo, pertanto,<br />
è stata fin dal principio resa funzionale alla costruzione<br />
culturale di un Rinascimento colto e interpretato come una sorta<br />
di riemersione dall’abisso della barbarie. Nel suo corso le arti<br />
290 Svariati studiosi come, ad es., il sociologo ALLIEVI S., Parole dell’islam, parole<br />
sull’islam. Formazione culturale, comunicazione e ruolo dei mass media, in SIGGILLINO<br />
I. (a cura di), I media e l’islam. L’informazione e la sfida del pluralismo religioso,<br />
E.M.I., Bologna 2001, p. 41, attribuiscono al testo di HUNTINGDON S.P., Lo<br />
scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, Garzanti, Milano 1997 (1996), passim<br />
un intento politico strumentale; in esso si fomenterebbe, infatti, una<br />
contrapposizione frontale tra Occidente e Civiltà islamica funzionale a una<br />
riaggregazione degli Stati occidentali intorno agli Stati Uniti d’America, visti<br />
come vessilliferi del mondo “civile”. Questa lettura sembrerebbe sostanzialmente<br />
condivisa anche da CARDINI F., Astrea e i Titani. Le lobbies americane alla<br />
conquista del mondo, Laterza, Roma-Bari 2005 (2003), passim.<br />
291 VASOLI C., Prefazione, in BURDACH K., Riforma Rinascimento Umanesimo. Due<br />
dissertazioni sui fondamenti della cultura e dell’arte della parola moderne, Sansoni,<br />
Firenze 1986 2 (1918), p. VII scrive della «volgarizzazione» del «grande affresco<br />
storiografico del Burckhardt», trasformato troppo spesso in «un facile<br />
cliché» da «mediocri storici, pubblicisti e banali giornalisti».<br />
97
98<br />
Franz Brandmayr<br />
sarebbero rifiorite, avrebbero assunto nuovi valenze e significati<br />
– in certo modo più moderni – e avrebbero espresso «determinate<br />
tendenze prevalenti, cioè il realismo, la secolarizzazione<br />
e l’individualismo» 292 . Ancora, va evidenziato – in prima approssimazione<br />
– il fatto che, di questo genere di ermeneutica della<br />
civiltà medievale europea, si siano fatti imprenditori in modo<br />
particolare la storiografia di matrice riformata 293 e, in seguito,<br />
gran parte degli esponenti della corrente illuministica:<br />
Oggi sappiamo che il mito del Medioevo, come epoca di barbarie,<br />
era, appunto, un mito, costruito dalla cultura degli umanisti e<br />
dai padri fondatori della modernità. 294<br />
2.4. Rinascimento vs. Medioevo: la revisione di un dualismo storiografico<br />
La contrapposizione fra le due epoche, come si sa, si è progressivamente<br />
attenuata nel mondo accademico europeo, fino a determinare<br />
un cambiamento di rotta particolarmente avvertibile<br />
negli ultimi decenni. 295 La concezione di Jakob Burckhardt, che<br />
colse nel Rinascimento un fenomeno culturale moderno creato<br />
da una società moderna, negli anni Ottanta del XX secolo ormai<br />
«non appare più in questa luce» 296 e viene attaccata in vari<br />
modi dagli storici. Secondo una parte di costoro andrebbero<br />
invece messi in maggiore risalto gli elementi di continuità fra le<br />
292 BURKE P., op. cit., p. 29.<br />
293 Cfr. supra nt. 36.<br />
294 ROSSI P., Introduzione, in ID., La nascita della scienza moderna in Europa, Laterza,<br />
Roma-Bari 2007 5 (1997), p. XIV. Cfr. supra nt. 133. Vd. anche BURKE P., op.<br />
cit., pp. 16-17 e 32; DAWSON CH., op. cit., pp. 23 e 31; GARIN E., op. cit., p. 25; LE<br />
GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario, cit., p. XVI.<br />
295 Ivi, p. XVII.<br />
296 BURKE P., op. cit., p. 4.
Medioevo: un pregiudizio secolare<br />
due epoche e ciò va inteso in un duplice senso: nel senso del<br />
reperimento di elementi documentari che impongono di anticipare<br />
al Medioevo fenomeni che si ritenevano essere caratteristici<br />
del Rinascimento e, per converso, nel senso dell’individuazione<br />
di numerose persistenze e prolungamenti di “tratti culturali” 297 ,<br />
che si presumevano essere “medievali”, ben addentro alla cronologia<br />
rinascimentale.<br />
Nel primo gruppo di fenomeni va senz’altro inserita la crescita<br />
dell’alfabetismo; 298 Graff, come abbiamo già visto sopra, 299<br />
scrive di una «discreta alfabetizzazione» 300 già nell’uomo medievale<br />
e osserva anche che<br />
gli studi sul Rinascimento spesso associano i “decolli” intellettuali<br />
e culturali a risultati nel campo dell’istruzione e della stampa<br />
[…] su di essi si è in genere esagerato. Le attività del Rinascimento<br />
erano già ben evolute prima dell’invenzione della tipografia<br />
a caratteri mobili […] La presenza dell’alfabetizzazione è costante<br />
anche se contraddittoria, 301<br />
e – perciò – non si può parlare di salti improvvisi. La percentuale<br />
di alfabetizzazione del 5-10% nel secolo XV, pertanto, sarebbe<br />
– secondo lo storico inglese – una «base per il futuro» e<br />
un «traguardo fondamentale» 302 . Ciò si sarebbe verificato, per di<br />
più, nonostante la stabilità e il benessere fossero stati “spazzati<br />
via” in tante parti d’Europa da una serie di calamità e di eventi<br />
negativi verificatisi fra il 1270 e il 1470 303 e le condizioni stori-<br />
297 MERCIER P., Storia dell’antropologia, Il Mulino, Bologna 1996 2 (1966), pp. 83 ss.<br />
298 GRAFF H.J., op. cit., p. 150 et alibi.<br />
299 Vd. supra paragrafo 2.3.<br />
300 GRAFF H.J., op. cit., p. 71.<br />
301 Ivi, p. 163.<br />
302 Ivi, p. 209.<br />
303 Ivi, p. 147.<br />
99
100<br />
Franz Brandmayr<br />
che favorevoli per una ripresa si fossero presentate appena verso<br />
la fine del XV secolo. 304<br />
Questo discorso sarebbe valido anche qualora si volesse considerare<br />
soltanto la cultura dotta sotto il profilo della sua creatività,<br />
della quale scrive, ad esempio, Le Goff nel suo celebre La<br />
nascita del Purgatorio:<br />
Certo, la cristianità medievale – questo libro spera di dimostrarlo –<br />
non è stata né immobile né sterile, ma anzi estremamente creativa. 305<br />
Infatti, se – come abbiamo visto sopra – nel Medioevo le<br />
arti hanno prodotto molte innovazioni, 306 anche al livello<br />
dell’intelligencija la capacità di innovare non è mancata affatto<br />
e, al contrario di quanto comunemente si crede, 307 proprio in<br />
virtù delle doti inventive di un certo numero di intellettuali<br />
combattivi, di uomini d’azione e di pensiero, 308 di uomini il cui<br />
«prestigio», il cui «fascino» e la cui «autorevolezza» fanno comprendere<br />
come si sia resa possibile l’egemonia culturale 309 da<br />
loro stessi esercitata fra i contemporanei. Questa creatività si<br />
dipana attraverso percorsi di ricerca spesso travagliati (come –<br />
ad esempio – in Wycliff, Hus e Gerson), lungo i quali dissenso<br />
e conservazione convivono con diversa intensità, alternanza e<br />
304 Ivi, p. 148.<br />
305 LE GOFF J., La nascita, cit., p. 256.<br />
306 Cfr. supra le nt. 224-241.<br />
307 La teoria della creatività rinascimentale, esposta con grande ricchezza di<br />
sfumature e con molti distinguo da BURKE P., op. cit., passim (cfr. ad es. infra le<br />
note relative all’Autore in questione), fornisce talvolta l’estro per<br />
generalizzazioni piuttosto grossolane circa la presunta incapacità innovativa<br />
dell’intellettuale medievale (colloquio 2.1.13.12.2009).<br />
308 FUMAGALLI BEONIO BROCCHIERI M., op. cit., p. 213.<br />
309 MICCOLI G., op. cit., pp. 65-67.
Medioevo: un pregiudizio secolare<br />
dosaggio, 310 mentre vengono anticipati sensibilmente luoghi<br />
comuni che si presumono “moderni”, come il «teismo della<br />
religione universale e l’idea di tolleranza» 311 e precoci «tendenze<br />
illuministiche» 312 . Tutto ciò fa concludere alla Fumagalli che<br />
la cosiddetta subordinazione alle auctoritates da parte dell’intellettuale<br />
medievale possa configurarsi come un vero e proprio<br />
pregiudizio. 313<br />
Come è noto, poi, Ullmann si fa portatore di una tesi ancor<br />
meno conforme al discorso comune, secondo la quale la stessa<br />
idea di Rinascimento, inteso in particolare modo come sviluppo<br />
della humanitas dell’individuo come della collettività, non sia<br />
comprensibile se non alla luce del concetto di «rinascita battesimale»,<br />
contenuto teologico che – lungo tutto l’arco temporale<br />
del Medioevo – sta alla base della dottrina della “deificazione”<br />
dell’uomo, di cui ho già fatto menzione. 314<br />
La rinascita battesimale era l’assunto esplicito e implicito su cui<br />
poggiava tutt’intera la concezione del mondo del Medioevo: i<br />
suoi effetti globali toccavano l’uomo dalla culla alla tomba, in<br />
ogni sfera della sua vita privata e pubblica e in tutti gli aspetti<br />
socialmente e costituzionalmente rilevanti. 315<br />
Con queste considerazioni Ullmann riprende e approfondisce<br />
la tesi – già avanzata da Burdach 316 – della matrice squisita-<br />
310 Cfr. FUMAGALLI BEONIO BROCCHIERI M., op. cit., pp. 221-225.<br />
311 STADELMANN R., Il declino del Medioevo. Una crisi di valori, Il Mulino, Bologna,<br />
1978 (1929), pp. 211-254.<br />
312 Ivi, pp. 255-291.<br />
313 FUMAGALLI BEONIO BROCCHIERI M., op. cit., pp. 231-232.<br />
314 Cfr. supra nt. 230 e infra nt. 321.<br />
315 ULLMANN W., Prefazione, cit., p. IX.<br />
316 BURDACH K., Significato ed origine dei termini Rinascimento e Riforma, in ID.,<br />
Riforma, cit., p. 8 et passim.<br />
101
102<br />
Franz Brandmayr<br />
mente religiosa che soggiacerebbe al Rinascimento; ciò lo porta<br />
a concludere che «il rinascimento umanistico fu in sostanza<br />
un’espansione di questo tema ecclesiologico» 317 della rinascita<br />
battesimale. Infine altri ancora – sia pure con minore convinzione<br />
– riconoscono la possibilità di una genesi rinascimentale<br />
in eventuale dipendenza teoretica dalla apocalittica renovatio mundi,<br />
a suo tempo fatta oggetto di riflessione da parte di Gioacchino<br />
da Fiore 318 e riattualizzata 319 da una congerie di autori e correnti<br />
di pensiero basso-medievali fino al Rinascimento e oltre. 320<br />
Fa loro eco Le Goff, che sostiene essere il tema dell’uomoimago<br />
Dei a ispirare, animare «lo sviluppo dell’umanesimo medievale.<br />
Un umanesimo all’opera in tutte le attività della società<br />
medievale, dalle imprese economiche fino alle più alte creazioni<br />
culturali e spirituali» 321 , mentre lo stesso storico francese ricorda<br />
ai sostenitori della teoria della creatività rinascimentale 322 che ci<br />
fu maggiore innovazione religiosa nel periodo della nascita degli<br />
Ordini mendicanti e – possiamo aggiungere noi – degli<br />
eresiarchi medievali, 323 rispetto a quanto realizzò più tardi il<br />
Concilio di Trento. 324 Analogamente, Manselli sostiene esservi<br />
317 ULLMANN W., Radici, cit., pp. 12 e 28.<br />
318 BURKE P., op. cit., pp. 237-238.<br />
319 PANOFF M.-PERRIN M., Dizionario di etnologia, Newton Compton, Roma<br />
1975, pp. 184-185.<br />
320 NOBLE D.F., op. cit., pp. 27-50. Per una penetrante sintesi intorno al prolungamento<br />
in piena Età Moderna e Contemporanea dell’escatologismo medievale<br />
vd., dal punto di vista della Storia delle Religioni, ELIADE M., Paradiso e<br />
utopia: geografia mitica ed escatologia, in ID., La nostalgia delle origini. Storia e significato<br />
nella religione, Morcelliana, Brescia 2000 3 (1969), pp. 103-127.<br />
321 LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario, cit., p. XV. Cfr. supra le nt. 230<br />
e 314.<br />
322 BURKE P., op. cit., passim.<br />
323 Cfr. supra le nt. 261 e 269-271.<br />
324 LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario, cit., p. XX.
Medioevo: un pregiudizio secolare<br />
stata una maggiore lungimiranza e una più profonda comprensione<br />
dei movimenti popolari – ereticali e ortodossi – in<br />
Innocenzo III nel Duecento di quanto si sia in seguito verificato<br />
fra i papi dell’inizio dell’Età moderna. 325<br />
È ancora Manselli a farci presente che l’anticlericalismo non<br />
è un prodotto tardo-medievale o rinascimentale, bensì un sentire<br />
comune a svariati gruppi e aree geografiche fra l’XI e il XIII<br />
secolo. 326 Fra i mecenati pare essere la Chiesa il protettore dei<br />
letterati più tollerante (anche con riferimento alla condotta<br />
morale), mentre dal Quattrocento la libertà per gli intellettuali<br />
di corte sarà sempre più limitata, in quanto essi si vedranno<br />
progressivamente costretti a uno sdoppiamento delle loro funzioni<br />
pubbliche e private, fino a dovere cercare un rifugio più<br />
sicuro nell’intimità della loro coscienza. 327 Ancora a proposito<br />
della cosiddetta “tolleranza”, inoltre, il Medioevo cristiano riesce<br />
a inculcare nell’uomo europeo il messaggio universalistico, 328<br />
per il quale, dal momento che gli attributi naturali<br />
non giocavano alcun ruolo all’interno della realtà ecclesiologica,<br />
i suoi princìpi, i suoi dommi e le sue mete […] erano di fatto<br />
universali. Regionalismo, provincialismo, tribalismo, e tutte le tante<br />
altre varietà di aggregazione sociale naturale, non avevano alcuna<br />
incidenza concreta. Non c’era che una sola società – la società<br />
ecclesiologica universale, che programmaticamente metteva da<br />
parte le peculiarità biologiche, etniche, linguistiche e geografiche<br />
e le riduceva ad un ruolo secondario. 329<br />
325 MANSELLI R., op. cit., p. 129.<br />
326 Cfr. supra nt. 269.<br />
327 FUMAGALLI BEONIO BROCCHIERI M., op. cit., pp. 228-229.<br />
328 LE GOFF J., L’uomo medievale, in ID. (a cura di), L’uomo, cit., p. 9.<br />
329 ULLMANN W., Radici, cit., p. 12; cfr. anche DAWSON CH., op. cit., pp. 150 e 152.<br />
103
104<br />
Franz Brandmayr<br />
Al ridimensionamento storiografico del concetto di discontinuità<br />
e rottura applicato alla diade ideal-tipica 330 Medioevo/Rinascimento<br />
e alla fragilità concettuale che oramai vi viene attribuita<br />
contribuiscono anche i motivi di continuità, che il Rinascimento<br />
sembra mostrare rispetto a certe caratteristiche medievali. Su questa<br />
linea sembra porsi anche il notevole lavoro di Burke, 331 che prende<br />
in esame gli anni fra il 1440 e il 1520 e che – perciò – coglie in<br />
pieno il periodo che ci interessa, quasi una sorta di sutura fra le<br />
due epoche. In queste pagine lo storico inglese sostiene che la<br />
fioritura artistica e le ipotetiche caratteristiche rinascimentali della<br />
modernità, del realismo, della secolarizzazione e dell’individualismo<br />
non costituiscono affatto dei dati storici sicuri: «se pure è<br />
possibile salvarle, lo si potrà fare solo a costo di notevoli riformulazioni»,<br />
in quanto «tutte queste certezze si sono andate dissolvendo»<br />
nel corso della sua ricerca, 332 mentre – in realtà – nell’«umanesimo<br />
rinascimentale […] sono ancora operanti un buon<br />
numero di elementi medievali» 333 . Il fenomeno rinascimentale italiano<br />
è reso infatti possibile da un laicato colto 334 – sulla cui matrice<br />
squisitamente medievale ci siamo già soffermati 335 – e dalla<br />
«vita ecclesiastica», che «in nessun altro paese d’Europa […] aveva<br />
uguale portata» 336 . Anche Lucien Febvre mette in evidenza come<br />
lo spirito religioso del Medioevo sia «ben vivo […] in quel genio<br />
che più d’ogni altro a quel tempo aveva rivendicato la modernità<br />
del suo secolo» 337 , cioè in Rabelais, mentre altri insistono sul fatto<br />
330 WEBER M., Il metodo, cit., pp. 107-120.<br />
331 BURKE P., op. cit., pp. 29, 36-37, 39, 71, 214 e 223.<br />
332 Ivi, p. 29.<br />
333 BURKE P., Prefazione, in ID., Cultura, cit., p. X.<br />
334 Ivi, pp. 36-37.<br />
335 Vd. supra paragrafo 2.3.<br />
336 ULLMANN W., Radici, cit., p. 16.<br />
337 LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario, cit., pp. XX-XXI; l’A. si riferi-
Medioevo: un pregiudizio secolare<br />
che la secolarizzazione del Rinascimento è relativa, 338 che «la maggior<br />
parte dei quadri aveva soggetto religioso» 339 e che «Dio è<br />
ovunque nella letteratura dell’epoca» 340 .<br />
Si è visto sopra che gli intellettuali e gli “artisti” del Medioevo<br />
sono stati capaci anche di creatività, mentre – contro ogni<br />
“aspettativa stereotipica” 341 –<br />
è paradossale che in un’epoca in cui la cultura italiana fu contrassegnata<br />
da quella che potremmo definire “propensione al nuovo”,<br />
l’innovazione fosse considerata in modo negativo. 342<br />
In effetti, l’ideale rinascimentale è quello di considerare «le opere<br />
antiche come altrettanti modelli da imitare» 343 e anche Burke riconosce<br />
che gli italiani del Rinascimento, con Guicciardini in testa,<br />
sono contrari alle novità, 344 che la creatività sia per loro qualche<br />
cosa di strano 345 e che, in ogni caso, anche i cosiddetti “creativi”<br />
attingono sia alla tradizione che all’innovazione. 346<br />
A proposito dell’ultimo elemento innovativo considerato,<br />
infine, quello del presunto individualismo rinascimentale, Burke<br />
osserva che gli artisti del periodo da lui esaminato sono formati<br />
sce al celebre studio di FEBVRE L., Il problema dell’incredulità nel secolo XVI. La<br />
religione di Rabelais, Einaudi, Torino 1978 (1942), passim.<br />
338 BURKE P., Cultura, cit., p. 3.<br />
339 Ivi, p. 214.<br />
340 Ivi, p. 223; ULLMANN W., Radici, cit., p. 6.<br />
341 Vd. supra nt. 219.<br />
342 BURKE P., Cultura, cit., p. 237.<br />
343 PERNOUD R., op. cit., p. 22.<br />
344 BURKE P., Cultura, cit., pp. 236-237.<br />
345 Ivi, p. 377.<br />
346 Ivi, p. 32.<br />
105
106<br />
Franz Brandmayr<br />
a una collaborazione intensa e costante decisamente «contraria<br />
allo sviluppo dell’individualismo» 347 .<br />
È opinione di svariati studiosi, perciò, che vi sia un certo accanimento<br />
nel ricorso alle suddivisioni e una sottolineatura esagerata<br />
delle cesure che separerebbero il Medioevo dal Rinascimento.<br />
Ullmann – ad esempio – non nutre dubbi sul fatto che sia<br />
insostenibile la posizione, comunemente accettata, 348 di chi parla<br />
di una “nuova era” o di una “frattura (del Rinascimento) nei<br />
confronti del passato medievale”. 349<br />
Molti elementi documentari raccolti dagli studiosi sembrerebbero<br />
perciò suffragare la posizione della continuità storica<br />
fra le due epoche, ma Pietro Rossi mette in guardia da<br />
omologazioni eccessive: quando si parla di scienza medievale e<br />
di scienza moderna<br />
il continuismo è solo una mediocre filosofia della storia sovrapposta<br />
alla storia reale. 350<br />
Almeno sotto il profilo scientifico, sostiene l’Autore, va confermata<br />
l’esistenza di una sorta di discontinuità. Anche Butterfield,<br />
pur nutrendo – come abbiamo già visto 351 – una considerevole<br />
opinione sulla capacità d’invenzione medievale, sembra incoraggiare<br />
una posizione di non-omologazione fra le due epoche, quando<br />
argomenta che l’Età di Mezzo pare esprimere una serie di<br />
conati in direzione di una scienza empirica, ma<br />
347 Ivi, p. 71.<br />
348 L’Autore pubblicava l’opera nel 1977.<br />
349 ULLMANN W., Radici, cit., p. 261; parentesi mia. Vd. anche ivi, p. 10 et alibi.<br />
Cfr. infra anche nt. 354.<br />
350 ROSSI P., Introduzione, cit., p. XIX.<br />
351 Vd. supra nt. 239 e 241.
Medioevo: un pregiudizio secolare<br />
l’uso degli esperimenti non venne tuttavia, per così dire, addomesticato<br />
e bardato prima del diciassettesimo secolo, quando gli<br />
si dette un ordine interno, così che esso divenne come una grande<br />
macchina in movimento. 352<br />
Osserviamo, pertanto, che – com’è comprensibile – le differenze<br />
diventano più nette soprattutto mano a mano che ci si<br />
addentra nell’Età moderna e si attraversa la stessa età rinascimentale.<br />
In definitiva, mi sembra che la posizione teorica più<br />
prossima a una visione d’insieme abbastanza equilibrata è forse<br />
quella che proviene dagli studi sull’alfabetizzazione di Graff:<br />
Quando si descrivono circostanze in cui sviluppo e mutamento<br />
tendono ad essere graduali piuttosto che rapidi, come nel caso<br />
dell’alfabetizzazione del Continente, è più efficace ricorrere ai<br />
concetti di “continuità” e “contraddizione”. 353<br />
Non pare trattarsi più di un aut aut, quindi, bensì di un et et,<br />
che può sinteticamente rendere ragione di un polimorfismo di<br />
esperienze e di situazioni particolari assai mutevoli a seconda<br />
delle classi sociali, delle aree geografiche, delle subculture e degli<br />
aspetti o tratti culturali considerati.<br />
Ho voluto dare spazio, per quanto possibile in un contributo<br />
di queste dimensioni, ad angolature prospettiche diversificate per<br />
oggetto di studi e per la sensibilità degli autori rispetto al tema del<br />
rapporto fra il Medioevo e il Rinascimento. Non mi sembra inutile,<br />
però, lasciare concludere questa argomentazione a Le Goff,<br />
che non mostra reticenze di sorta quando afferma che<br />
la maggior parte dei segni caratteristici per mezzo dei quali si è<br />
voluto riconoscerlo [il Rinascimento] sono apparsi ben prima del-<br />
352 BUTTERFIELD H., op. cit., p. 110.<br />
353 GRAFF H.J.., op. cit., pp. 19-20.<br />
107
108<br />
Franz Brandmayr<br />
l’epoca (secoli XV-XVI) in cui il Rinascimento viene collocato. Il<br />
“ritorno all’antico” si manifesta fin dal secolo XIII […] lo stato<br />
“machiavellico” è già presente nella Francia di Filippo il Bello. La<br />
prospettiva entra nell’ottica e nella pittura già alla fine del secolo<br />
XIII. La lettura si diffonde ben prima della galassia Gutenberg e<br />
l’alfabetizzazione – è il fenomeno culturale che più conta – non<br />
attende l’invenzione della stampa. Fra la fine del secolo XII e gli<br />
inizi del XIII l’individuo si afferma con altrettanta forza che nell’Italia<br />
del Quattrocento […] Non sono d’accordo con Max Weber<br />
e Robert Tawney quando collegano la “religione” del lavoro al<br />
protestantesimo. Questa esiste fin dal secolo XIII. 354<br />
3. Verstehen, empatia, osservazione partecipante<br />
Condannare o assolvere il passato non dovrebbe rientrare<br />
fra i compiti dello storico ma, in generale, neppure delle società<br />
contemporanee: il Novecento e gli inizi del nuovo millennio<br />
hanno registrato sufficienti crimini perché nessuno fra<br />
i contemporanei si possa sentire giudice del passato. 355<br />
Quando si tratta di mettere in rilievo gli errori o i limiti altrui il<br />
lavoro del critico risulta sempre facilitato, perché distruggere è<br />
più facile che costruire. Il soggetto sottoposto a valutazione critica<br />
ha lavorato, ha indagato, ha esercitato uno sforzo di analisi<br />
e di scelta e si è – con ciò – caricato di una serie di atti di responsabilità.<br />
Chi lo giudica, invece, dispone del vantaggio di costruire<br />
il proprio edificio teorico sul fondamento del travaglio al-<br />
354<br />
LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario, cit., pp. XIX e XX; parentesi<br />
quadrata mia. Per quanto attiene alla nascita dello stato si veda anche REINHARD<br />
W., op. cit., pp. 34-35. Dal punto di vista della sociologia delle religioni si<br />
evince un considerevole rinforzo a questa visione positiva del Medioevo anche<br />
dai primi cinque capitoli di STARK R., La vittoria della Ragione. Come il<br />
cristianesimo ha prodotto libertà, progresso e ricchezza, Lindau, Torino 2006 (2005).<br />
355<br />
CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., p. 164.
Medioevo: un pregiudizio secolare<br />
trui. È con questa consapevolezza e con questo atteggiamento<br />
di rispetto che cerco di fornire qualche spunto in direzione di<br />
un approccio più efficace alla storia medievale.<br />
È possibile che la carenza principale che denotano certe trattazioni<br />
del tema di cui ci occupiamo possa riguardare la sua problematica<br />
comprensione da parte dei suoi volgarizzatori, (così<br />
potremmo essere considerati noi insegnanti quando non siamo<br />
anche storici), ma talvolta – perché negarlo? – forse anche da<br />
parte di qualche storico. Come si sa, il termine “comprensione”,<br />
reso dal tedesco Verstehen 356 a partire dal dibattito epistemologico<br />
– svoltosi a cavallo fra l’Ottocento e il Novecento 357 – chiamato<br />
Methodenstreit 358 , non ha soltanto un generico significato legato<br />
semplicemente al “capire”. Fin dalla sua radice latina (capere) il<br />
verbo capire dà l’idea di «afferrare» 359 , di «prendere», perciò, un<br />
qualche cosa di estrinseco, di esterno rispetto al soggetto che “coglie”.<br />
Il con-prehendere del latino 360 sembra invece rinviare a un significato<br />
più inclusivo e a un coinvolgimento tale da permettere<br />
una Einfühlung 361 , un sentire dentro 362 e, al contempo,<br />
un’«immedesimazione» 363 . Si tratta, perciò, come si può constatare,<br />
della stessa etimologia, ma – soprattutto – dello stesso atteg-<br />
356 MARROU H.-I., op. cit., p. 73.<br />
357 ABBAGNANO N., s.v. Comprendere, in ID., op. cit., pp. 141-142.<br />
358 TULLIO-ALTAN C., Antropologia, cit., p. 287.<br />
359 LIOTTA G.-ROSSI L.-GAFFIOT F., s.v. Capio, in IID., Dizionario della lingua latina.<br />
Latino-italiano, il capitello, Torino 2010; il complesso greifen – Begriff – begreifen =<br />
«prendere, pigliare» – «concetto» – «capire, comprendere» (MACCHI V., s.vv., in<br />
ID., op. cit.) sembra rinviare a rapporti di significato abbastanza simili.<br />
360 DEVOTO G.-OLI G.C., s.v. Comprendere, in IID., Il dizionario della lingua italiana,<br />
Le Monnier, Firenze 1995.<br />
361 MALIGHETTI R., s.v. Verstehen, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di), op. cit., p. 790.<br />
362 MACCHI V., s.vv. Ein e Fühlen, in ID., op. cit.<br />
363 Ivi, s.v. Einfühlung.<br />
109
110<br />
Franz Brandmayr<br />
giamento 364 di empatia metodologica, che gli antropologi cercano<br />
di porre in atto nella loro ricerca sul campo. 365 Ciò non consiste,<br />
come il lettore capisce, in una mera concessione al sentimentalismo,<br />
bensì in un percorso metodologico che, a partire da svariati<br />
autori che hanno fondato le scienze sociali, 366 ha dato i suoi buoni<br />
frutti fino a pervenire – in tempi a noi più vicini – all’elaborazione<br />
originale del metodo dell’antropologia interpretativa affinato<br />
da Clifford Geertz. 367 In questa sede non è possibile neanche accennare<br />
ai passaggi più significativi che portano a questi esiti teorici;<br />
è sufficiente proporre all’attenzione di chiunque si occupi di<br />
divulgare i contenuti della civiltà medievale l’opportunità di un<br />
approccio dall’interno ai singoli dati, come alle epoche e alle culture<br />
fatte oggetto di studio. Ciò si può realizzare in maniera in<br />
qualche modo analoga a quella attuata dall’antropologo che ricorre<br />
all’«osservazione partecipante» 368 quando si trova a indagare<br />
“sul campo” intorno a una qualche cultura specifica.<br />
364 Sotto il profilo psicologico si tratta del «tentativo di riprodurre in proprio<br />
i sentimenti altrui, al fine di comprendere l’altra persona» [STECK P., s.v.<br />
Empatia, in ARNOLD W.-EYSENCK H.J.-MEILI R. (a cura di), op. cit., p. 354].<br />
365 Cfr. ad es. il riferimento alla «simpatia» dell’antropologo per l’oggetto di<br />
studio (FIRTH R., I simboli e le mode, Laterza, Bari 1977, p. 40); a sua volta TULLIO-<br />
ALTAN C., Soggetto, cit., pp. 210-222 scrive dell’«empatia» richiesta nella ricerca<br />
intorno alle varie tematiche inerenti l’ambito del simbolico. Sono espressioni,<br />
comunque, che non vanno intese in senso «emotivo», né confuse con opzioni<br />
teoriche che rifiutino a priori il tentativo di una «comprensione» oggettiva della<br />
cultura studiata (cfr. TULLIO-ALTAN C., Manuale, cit., p. 543).<br />
366 Si tratta, ad es., di Weber, di Simmel, di Talcott Parsons e di Wright Mills<br />
(MALIGHETTI R., s.v. Verstehen, cit., p. 790).<br />
367 ID., s.v. Antropologia interpretativa, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di), op.<br />
cit., p. 71; va tuttavia notato che – rispetto al Verstehen – la prospettiva geertziana<br />
non contempla la nozione di empatia (MALIGHETTI R., s.v. Verstehen, cit., ib.).<br />
368 BERNARDI B., op. cit., pp. 114 e 249-250; CIRESE A.M., Cultura, cit., pp. 249-<br />
250, dove l’Autore rende il medesimo concetto con l’espressione «integrazione<br />
mentale»; TULLIO-ALTAN C., Manuale, cit., pp. 515-516 e 542-545.
Medioevo: un pregiudizio secolare<br />
Ma non occorre uscire dall’ambito degli studi storici per rinvenire<br />
indicazioni metodologiche – espresse con grande autorevolezza<br />
– sui temi della comprensione e della simpatia metodologica:<br />
Storico è colui che, attraverso l’epokhè, sa uscire da se stesso<br />
per incontrarsi con gli altri. A tale virtù possiamo dare un<br />
nome: “simpatia”. 369<br />
I «vecchi maestri positivisti», continua Marrou, ritenevano<br />
essere lo spirito critico la migliore virtù dello storico: il dubbio<br />
metodologico di ispirazione cartesiana – peraltro imprescindibile<br />
in ogni scienza – veniva da loro esasperato fino a diventare<br />
una «diffidenza programmatica», che – eretta a sistema 370<br />
– «dovrà considerarsi come una delle più gravi deficienze dello<br />
storico» 371 .<br />
In assenza di simpatia metodologica, addirittura di una sorta<br />
di amicizia 372 con l’autore del documento, con il suo mondo fatto<br />
di sentimenti, di passioni da occultare, di interessi materiali e simbolici<br />
da difendere, di tragedie rimosse e di sofferenze forse amplificate,<br />
difficilmente la fonte potrà venire “sfruttata” appieno e<br />
solo con difficoltà essa potrà esprimere ogni sua potenzialità. Se<br />
l’Altro non viene, in qualche modo, guardato con “partecipazione”<br />
(è il termine – forse meno enfatico dell’“amicizia” di Marrou<br />
– che preferisco attingere dalla letteratura antropologica), egli –<br />
l’Altro – rischierà di diventare «una creatura della ragione, un<br />
fantasma che la mia immaginazione si compiace di alimenta-<br />
369 MARROU H.-I., op. cit., p. 85.<br />
370 Per una serie di argomentazioni sulla differenza fra “metodo” e “sistema”<br />
e sulla loro articolazione speculare rispetto alla diade concettuale “apertura”/”chiusura”<br />
si veda ad es. GUITTON J., op. cit., pp. 119-120.<br />
371 MARROU H.-I., op. cit., p. 85. Cfr. supra anche nt. 131.<br />
372 ID., op. cit., p. 86.<br />
111
112<br />
Franz Brandmayr<br />
re» 373 o, se vogliamo adoperare un termine che abbiamo già incontrato,<br />
un concentrato di etichettazioni al quale la ricerca d’archivio<br />
o sul terreno non potrà aggiungere niente di nuovo. Si<br />
configurerà – in questo modo – ciò che gli psicologi sociali definiscono<br />
aspettativa stereotipica, cioè la supposta conferma – ottenuta<br />
dai cosiddetti “fatti documentati” – di ciò che già si era<br />
fissato a priori nella memoria selettiva del ricercatore, l’unica evidenza<br />
che – fin dal principio – egli sarebbe stato disposto a rilevare<br />
sul terreno dell’indagine. In questi casi ogni dissonanza cognitiva<br />
rispetto all’ipotesi di partenza tenderà a venire obliterata, in quanto<br />
non suffragherà l’ipotesi di partenza del ricercatore e si perverrà,<br />
come abbiamo già visto sopra, a una sorta di pseudo-conoscenza<br />
di natura tautologica. Mi piace concludere il paragrafo con<br />
una citazione ricavata da uno studio di un importante sociologo<br />
della comunicazione, mentre tratta il delicato tema della percezione<br />
delle culture islamiche ad opera degli occidentali:<br />
Comprendere i valori degli altri […] non significa […] necessariamente<br />
condividerli, anche se generalmente il risultato del procedimento<br />
è quello di un arricchimento della propria sensibilità etica. 374<br />
3.1. Per una conclusione aperta…<br />
Abbiamo già accennato alla reticenza e finanche alla diffidenza<br />
che certe espressioni (sospensione del giudizio, simpatia, partecipazione)<br />
suscitano in una parte dei ricercatori dei Cultural<br />
Studies, fino a portarli talora a esiti nichilistici375 rispetto alla pos-<br />
373 Ibidem.<br />
374 MARLETTI C., Le immagini dell’islam nella narrazione di eventi e nel dibattito su temi.<br />
Analisi qualitativa dei testi e dei generi, in ID. (a cura di), Televisione e Islam. Immagini e<br />
stereotipi dell’islam nella comunicazione italiana, RAI-Nuova ERI, Roma 1995, p. 157.<br />
375 Vd. supra nt. 173.
Medioevo: un pregiudizio secolare<br />
sibilità di fare ricerca su culture e civiltà altre. Credo – del resto<br />
– che anche certi storici non siano disposti a offrire uno spazio<br />
eccessivo a questi atteggiamenti, che ben si presterebbero a essere<br />
resi funzionali a un irenismo accomodante. Ma non è certamente<br />
a questo che allude Marrou, il quale infatti precisa che<br />
al progresso della nostra scienza (la storia) non nuoce che una<br />
critica esigente, a volte ingiusta, possa scuotere una pigra simpatia<br />
pronta a scivolare nell’indulgenza e nella facilità. 376<br />
La sfida è certamente aperta e i risultati, sempre se arrivano,<br />
non sono affatto scontati. Credo fosse, in ogni caso, importante<br />
tornare a sollevare il problema del pregiudizio antimedievale e<br />
cercare di mettere in ulteriore evidenza quanto esso sia compenetrato<br />
con il senso comune: dalla messa in luce delle modalità<br />
riproduttive 377 del pregiudizio che abbiamo cercato di esaminare,<br />
il docente, lo studente, forse lo storico stesso, potrebbero<br />
attingere spunti per l’autoanalisi e per l’affinamento degli strumenti<br />
concettuali necessari per la comprensione del Medioevo.<br />
Si tratterebbe, inoltre, di un esercizio utile anche per la comprensione<br />
di realtà socio-culturali “altre”, con le quali siamo<br />
chiamati a misurarci nella concretezza dell’oggi. 378<br />
Restano aperte, a mio avviso, ancora due questioni, alle quali<br />
ho accennato nel corso del saggio. In primo luogo, credo sia<br />
opportuno un futuro approfondimento, complementare a queste<br />
riflessioni, della matrice occidentalista del pregiudizio antimedievale:<br />
potrebbe derivarne una visione nuova e, forse,<br />
meno dogmatica di alcuni assiomi della civiltà euroamericana.<br />
376 MARROU H.-I., op. cit., p. 87.<br />
377 MAZZARA B.M., op. cit., p. 16.<br />
378 Cfr., ad es., supra nt. 290.<br />
113
114<br />
Franz Brandmayr<br />
“Sacralizzati” 379 e divenuti un tutt’uno con il discorso comune, i<br />
valori e i paradigmi dell’Occidente (ad es.: «la visione universale<br />
e secolare di ciò che è {autenticamente} umano», i «diritti umani»,<br />
il pensiero marxista e liberale e le «scienze umane» 380 , l’idea<br />
del «soggetto-cittadino», «le concezioni della società civile […],<br />
le diverse distinzioni fra pubblico e privato […], il tempo storico<br />
{lineare}» 381 , l’«individualismo», l’«intellettualismo»,<br />
l’«antitradizionalismo» e l’idea di «nazione» ecc.) hanno rappresentato<br />
un saldo supporto teorico funzionale alla tesi della<br />
missione «civilizzatrice» dell’Occidente nei confronti del resto<br />
del mondo. 382 Essi potrebbero conferire – secondo alcuni –<br />
una connotazione addirittura “religiosa” alla modernizzazione,<br />
383 all’interno della quale dette nozioni rischiano di assumere<br />
significati imperituri e sottratti alla critica storica. 384 Altri<br />
ancora, come – ad esempio – Jürgen Habermas, non esitano a<br />
cogliere nella stessa storia della filosofia occidentale un «tentativo<br />
delle società democratiche di rassicurare se stesse» circa<br />
379 Sul processo di “sacralizzazione dei simboli” cfr. REMOTTI F., Noi primitivi.<br />
Lo specchio dell’antropologia, Boringhieri, Torino 1990, p. 157.<br />
380 CHAKRABARTY D., Provincializzare, cit., pp. 16-17; parentesi mia. Qualche<br />
“impressionista” è portato a credere che il pensiero marxista sia stato abbattuto<br />
con il Muro di Berlino; Chakrabarty opportunamente ci ricorda la sua<br />
persistenza e vitalità. In questo senso credo che il volume di MASSET P., Il<br />
marxismo nella coscienza moderna, Città Nuova, Roma 1977 2 (s.d. orig.), passim,<br />
pur superato dagli eventi, rappresenti ancora un’utile introduzione.<br />
381 CHAKRABARTY D., Provincializzare, cit., p. 38; parentesi graffe mie.<br />
382 Cfr. ad es. BASTIDE R., Noi e gli altri. I luoghi di incontro e di separazione culturali<br />
e razziali, Jaca Book, Milano 1990 2 (1970), pp. 27-28; CHAKRABARTY D.,<br />
Provincializzare, cit., p. 21; TRIULZI A., Lo sguardo coloniale, in PASQUINELLI C. (a<br />
cura di), op. cit., p. 106.<br />
383 Cfr. ad es. KIPPENBERG H.G., La scoperta della storia delle religioni. Scienze delle<br />
religioni e modernità, Brescia, Morcelliana 2002 (1997), pp. 196-197, 253 e 256-257.<br />
384 Cfr. REMOTTI F., op. cit., p. 157.
Medioevo: un pregiudizio secolare<br />
la bontà del proprio progetto modernistico 385 da estendere al<br />
mondo intero.<br />
Rimanderei, pertanto, a un ipotetico lavoro futuro l’analisi di<br />
questa particolare tipologia di precomprensioni, le quali – per<br />
quanto a noi care – fondano, sostengono e rendono eurocentriche<br />
– oltre alla storiografia che si occupa delle aree extraeuropee<br />
– anche le narrazioni moderne del Medioevo europeo. Questa<br />
seconda fase del nostro esercizio decostruttivo potrebbe consentirci<br />
di portare a compimento quel lavoro di defamiliarizzazione<br />
386 rispetto alle prospettive moderne e postmoderne, che avevamo<br />
posto come nostro obiettivo critico.<br />
Da ultimo, si pone la necessità della ricerca delle cause<br />
dell’«ostilità simbolica» 387 contro il Medioevo. Vi è chi la attribuisce<br />
non tanto alla malignità, quanto – piuttosto – all’incompetenza<br />
e alla mancanza di curiosità; 388 vi è anche chi sosteneva già<br />
alla metà del secolo scorso che<br />
fuori del mondo accademico si sono affermate nuove forze sociali<br />
che si servono della storia o d’una versione particolare della<br />
storia per fini sociali, come un mezzo per trasformare la vita e le<br />
azioni degli uomini. 389<br />
È compito degli storici l’ipotizzare e il verificare se nella seconda<br />
metà del Novecento vi sia stata una manipolazione della<br />
narrazione medievalistica ad opera di agenzie culturali, che non<br />
385 Cfr. anche le argomentazioni di CHAKRABARTY D., Provincializzare, cit., pp. 62-63.<br />
386 Vd. supra nt. 184.<br />
387 È un concetto che attingo da DAL LAGO A., Non-persone. L’esclusione dei<br />
migranti in una società globale, Feltrinelli, Milano 2004 2 (1999), p. 50; in COLOM-<br />
BO E., op. cit., p. 37 trovo la nozione affine di «violenza simbolica».<br />
388 PERNOUD R., op. cit., p. 152.<br />
389 DAWSON CH., op. cit., p. 17.<br />
115
390 Cfr. supra nt. 158.<br />
116<br />
Franz Brandmayr<br />
abbiano tenuto che in scarso conto gli sviluppi della ricerca<br />
storiografica meno condizionata da istanze extrascientifiche.<br />
Per quanto mi riguarda sarei più interessato per formazione<br />
a un rilevamento in ambito sincronico, da effettuarsi all’interno<br />
di qualche collettività (alcune classi di studenti? un gruppo di<br />
colleghi?) o su una certa tipologia di prodotti culturali (un semestre<br />
di osservazione e controllo della produzione scritta di<br />
una o più testate giornalistiche? una disamina sistematica dei<br />
manuali in commercio nell’arco di un periodo determinato?): il<br />
lavoro di registrazione e di analisi dei sentimenti, delle valutazioni<br />
e delle scelte 390 degli individui e delle comunità riguardo al<br />
Medioevo potrebbe anche essere molto significativo rispetto sia<br />
alla conoscenza del processo di individuazione 391 dei singoli attori<br />
sociali sia alla costruzione dell’identità negli specifici gruppi<br />
di appartenenza.<br />
391 JUNG C.G., s.v. Individuazione, in ID., Dizionario di psicologia analitica,<br />
Boringhieri, Torino 1977 (1921), pp. 82-85.
Nessuno è ciò che sembra. Breve incursione<br />
nella letteratura migrante<br />
di Brigitta Bianchi *<br />
Fervono i dibattiti sulla vitalità della lingua italiana connessi a quelli<br />
sull’unità del Paese. Segnalo, soltanto per citare gli ultimi contributi,<br />
il recente volumetto di Gian Luigi Beccaria Mia lingua italiana, 1 le<br />
conferenze all’ultimo Salone del libro di Torino, l’articolo La lingua<br />
doc apparso su “Focus” di maggio 2 e la simpatica e spumeggiante<br />
trasmissione radiofonica Salva con nome condotta settimanalmente<br />
da Lucia Cosmetico dagli studi regionali FVG della Rai.<br />
È ancora attuale, per certi versi, il distico conclusivo della<br />
quarta strofa dell’ode manzoniana Marzo 1821 (vv. 31-32) riferito<br />
alla nazione: «una d’arme, di lingua, d’altare, / di memorie, di<br />
sangue, di cor».<br />
Intanto la “letteratura migrante” forse apporta nuova linfa<br />
alla comunque rigogliosa pianta della narrativa italiana. Si tratta<br />
di testi prodotti in lingua italiana da migranti, non di lingua madre<br />
italiana. Convenzionalmente si fa iniziare questa produzione con<br />
il racconto Villa Literno scritto in italiano da Tahar Ben Jelloun a<br />
quattro mani con quello che poi sarebbe diventato il suo traduttore<br />
ufficiale, Egi Volterrani. Nei primi anni Novanta interessa-<br />
* Docente di italiano e latino.<br />
1 Einaudi 2011.<br />
2 N. 223, pp. 78-84, a firma di Sabina Berra.<br />
117
118<br />
Brigitta Bianchi<br />
va alle case editrici rinnovare i propri cataloghi con storie “strane”<br />
e di denuncia. Molta strada si è percorsa da allora nel campo<br />
dell’editoria. 3 Proporrò, a testimonianza della vitalità del filone,<br />
due esempi recenti di romanzi scritti in italiano da autori<br />
non di lingua madre italiana.<br />
A Trieste è ambientato Amiche per la pelle dell’indiana Laila<br />
Wadia. 4 In un fatiscente stabile della centrale via Ungaretti, strada<br />
di fantasia, ma verisimile, abitano quattro famiglie extracomunitarie<br />
(una indiana, una cinese, una bosniaca e una albanese)<br />
e un burbero anziano triestino, il signor Rosso, per il quale<br />
tutti gli stranieri sono “negri”. La voce narrante è quella di Shanti<br />
Kumar, una trentenne indiana, che si definisce «tenera ma tenace»<br />
e osserva: «Sono diventata una specie di ibrido culturale e<br />
linguistico, ma il mio cuore è sempre rimasto in un sari: devi<br />
srotolare le cinque iarde di soffice e luccicante patina occidentale<br />
per sentire il suo vero battito.» 5 Moglie di Ashok e madre di<br />
Kamla, italianizzata in Camilla, di cinque anni, la donna ha instaurato<br />
un rapporto vivace e solidale con la signora Fong, detta<br />
Bocciolo di rosa, con Marinka Zigović, moglie del bosniaco Bobo<br />
e mamma di due gemelli, e con Lule, moglie dell’ingegnere albanese<br />
Besim Dardani. «Lule è sempre elegantissima – con i<br />
corti capelli biondo scuro sempre a posto come se andasse dalla<br />
parrucchiera ogni mattina. È alta e slanciata e cammina con la<br />
sicurezza di un’attrice. Assomiglia vagamente a Virna Lisi.» 6 Con<br />
orgoglio Shanti racconta della comune decisione di prendere<br />
lezioni di italiano dalla signora Laura, ex insegnante di scuola<br />
media. «È una donna alta e magra, e ha lunghi capelli argentati<br />
3 In merito, segnalo il recente e sintetico contributo a firma di Filippo La<br />
Porta, L’italiano come scelta, “Domenicale del Sole 24 Ore”, 21 agosto 2011.<br />
4 Edizioni e/o 2009 (orig. 2007).<br />
5 Ivi, p. 140.<br />
6 Ivi, p. 36.
Nessuno è ciò che sembra<br />
che porta sciolti come una quindicenne. Profonde rughe si irradiano<br />
dai suoi occhi grigioverdi, ma sono rughe di una donna<br />
appagata, che ha vissuto la sua vita come voleva. Assieme ai<br />
verbi irregolari e alla “s” impura, cerca di inculcarci l’importanza<br />
di questa libertà, e spesso ci parla di quello che l’emancipazione<br />
femminile ha significato per la sua città natale» 7 . Laura le<br />
porta una volta a fare lezione al caffè San Marco, un’altra a un<br />
concerto al Ridotto del teatro Verdi, 8 un’altra ancora assegna<br />
loro il compito di andare a visitare il castello di Miramare per<br />
scrivere poi le loro impressioni. Le quattro donne ci vanno in<br />
autobus con le loro famiglie e durante questa piacevole gita hanno<br />
modo di entrare in contatto diretto, soprattutto linguistico, con<br />
una tipica anziana triestina chiacchierona, che ovviamente comunica<br />
in dialetto, pur avendo ben capito di aver di fronte degli<br />
stranieri (chi non conosce questo tipo di donna, qui a Trieste?!).<br />
«Gli anziani – e soprattutto le anziane – di questa città sono<br />
assai eccentrici. Hanno un’energia e una grinta da far invidia ai<br />
ventenni, e sugli autobus spingono e imprecano come gli adolescenti<br />
con i loro enormi zaini sulle spalle. Tanti si sentono molto<br />
soli. Alla fermata ti raccontano tutta la loro vita – figli, malattie,<br />
disgrazie delle loro vicine di casa – quasi foste vecchi amici.<br />
Poi salgono sull’autobus e fanno finta di non averti mai visto<br />
prima, mentre ti strattonano per accaparrarsi un posto.» 9 Anche<br />
il signor Rosso appartiene a questa categoria di energici e scontrosi<br />
triestini, ma la piccola Kamla riesce a far breccia in un<br />
temperamento che la Wadia definisce con gusto «da pentola a<br />
pressione con la valvola difettosa» 10 e gli fa sgorgare dal petto<br />
7 Ivi, p. 54.<br />
8 Ivi, p. 71. Gustosi i fraintendimenti delle quattro amiche su che cosa possa<br />
essere un quartetto d’archi.<br />
9 Ivi, p. 90.<br />
10 Ivi, p. 17.<br />
119
120<br />
Brigitta Bianchi<br />
«una risata che aveva soffocato per decenni. Come il tappo di<br />
una bottiglia di spumante» 11 . Si scopre che il vecchio è una persona<br />
colta, che insegna a memoria alla bambina poesie di Ungaretti<br />
e di Saba tra lo stupore e il compiacimento dei genitori.<br />
Inizialmente scettico è il padre Ashok, che sbotta: «Ungaretti?<br />
È una persona? Pensavo che fosse un posto, come Fernetti» 12 .<br />
La vita quotidiana dei condomini scorre veloce tra routine, animate<br />
discussioni, condivisioni di cibo, che possono anche generare<br />
incomprensioni e amarezze. Percependo la diffidenza delle<br />
amiche nei confronti della sua jota, la bosniaca Marinka esplode:<br />
«”Voi volete essere diversi. Vi crogiolate nel vostro stato di miserevoli<br />
stranieri! Vi ostinate ad aggrapparvi al vostro passato, a<br />
un tempo e un paese che non esistono più al di fuori della vostra<br />
fantasia. Che senso ha prendere lezioni d’italiano? Spaccarvi<br />
la testa per imparare la coniugazione dei verbi? Sforzarvi di<br />
leggere I promessi sposi e andare al cinema a vedere Il postino? Se<br />
rifiutate le basi di una cultura, la sua cucina, cioè, se non riuscite<br />
a mandare giù nemmeno un boccone di jota, come intendete<br />
digerire la vita in questo paese?” E ha sbattuto la porta a mo’ di<br />
punto esclamativo alla sua arringa.» 13 Arriva il giorno in cui gli<br />
inquilini ricevono dal padrone di casa una lettera, che ingiunge<br />
loro di lasciare lo stabile entro sessanta giorni in quanto l’edificio,<br />
risultato pericolante, deve essere sottoposto a manutenzione<br />
straordinaria. Le famiglie sgomente devono innanzitutto cimentarsi<br />
con l’incomprensibile linguaggio burocratico. «Chi diavolo<br />
era S.V. ad esempio? Io sono S.K., Shanti Kumar.» 14 Affrontano<br />
poi l’affannosa ricerca di una sistemazione alternativa<br />
e di un’occupazione per le donne, che consentirebbe loro una<br />
11 Ivi, p. 28.<br />
12 Ivi, p. 31.<br />
13 Ivi, p. 51.<br />
14 Ivi, p. 98.
Nessuno è ciò che sembra<br />
maggiore disponibilità di denaro. Marinka trova lavoro come<br />
donna delle pulizie, Shanti come babysitter. È in questa occasione<br />
che l’eleganza e il benessere di Lule vengono drasticamente<br />
ridimensionati con curiosità e sollievo delle altre. Ma anche<br />
la soluzione che giunge inaspettata da parte della famiglia<br />
Fong, e poi pure dal signor Rosso («Nemmeno in un film indiano<br />
ho sentito una storia così incredibile, penso», commenta<br />
Shanti) 15 , ridimensiona (in positivo) la percezione dell’altro che<br />
si ha in questo condominio.<br />
La lingua di Laila Wadia è piana e scorrevole, lo stile denota<br />
acutezza e capacità di cogliere anche nel particolare le caratteristiche<br />
espressive di vari gruppi linguistici. «Due persone che<br />
vogliono abbattere il muro linguistico tra di loro sono due esseri<br />
ansiosi di costruire un mondo migliore. E noi, armate di mattoni<br />
– libri di grammatica e di esercizi, vocabolari e audiocassette<br />
– e con tanto cemento di buona volontà, stiamo tirando su con<br />
non poco sacrificio l’impalcatura del nostro futuro. […] Lule ha<br />
detto che sarebbe stato più produttivo trovarci un’insegnante<br />
privata. Avremmo avuto più tempo per risolvere i nostri problemi<br />
individuali con la lingua. La “r” di Bocciolo di rosa, kvindi<br />
la “kv” di Marinka, la mia eterna lotta con i generi e gli accenti.<br />
Lule, chiaramente, doveva solo ampliare il suo lessico già notevole.»<br />
16 I mariti non capiscono il bisogno delle loro mogli di<br />
imparare bene l’italiano. «Ai loro occhi spendere tre euro a testa<br />
all’ora e passare settimane intere a declinare verbi è uno spreco,<br />
un delitto, quasi. A Bobo non importa parlare spruzzando l’italiano<br />
con parole nella sua lingua e in triestino, Ashok sbaglia<br />
spesso accento, e Besim e il signor Fong sono così parchi di<br />
parole che i loro sbagli passano quasi inosservati.» 17 Spicca, come<br />
15 Ivi, p. 153.<br />
16 Ivi, p. 53.<br />
17 Ivi, p. 59.<br />
121
122<br />
Brigitta Bianchi<br />
si è già accennato in precedenza, la capacità della Wadia di creare<br />
paragoni icastici. Il vecchio proprietario dello stabile, il signor<br />
Zacchigna, aveva una voce «da sturalavandino» 18 e, se stringeva<br />
la mano, «la stritolava come uno spicchio d’aglio nel mixer» 19 .<br />
Marinka si esprime «con un singhiozzo che la fa tremare come<br />
un budino», «ha il cuore fatto di mozzarella, basta un niente e si<br />
scioglie» 20 ; una domanda le esce dalla bocca «come il fuoco da<br />
una mitragliatrice al rallentatore» 21 ; ancora, con dei tacchi alti<br />
insoliti per lei, muove i passi «un po’ incerti, come se fosse un<br />
pianoforte a coda che qualcuno spingeva da dietro» 22 ; «suda come<br />
una fetta di melanzana sotto sale» 23 . Il signor Rosso «bussa alla<br />
porta come un martello pneumatico» e «aveva il riporto grigio<br />
che gli penzolava dalla parte sbagliata come un topo morto» 24 .<br />
Kamla ha una «vocina dolce come lo zucchero filato» 25 . I mobili,<br />
dice Shanti, «li abbiamo messi insieme come dei trovatelli in<br />
un orfanotrofio» 26 . Bocciolo di rosa «ha la pelle liscia come l’interno<br />
di una conchiglia di madreperla» 27 . Laura sbatte le ciglia<br />
«come un ventaglio a ferragosto» 28 .<br />
18 Ivi, p. 10.<br />
19 Ivi, p. 11.<br />
20 Ivi, p. 14.<br />
21 Ivi, p. 49.<br />
22 Ivi, p. 68.<br />
23 Ivi, p. 131.<br />
24 Ivi, p. 20.<br />
25 Ivi, p. 27.<br />
26 Ivi, p. 38.<br />
27 Ivi, p. 52.<br />
28 Ivi, p. 56.
Nessuno è ciò che sembra<br />
Roma è lo sfondo del romanzo dell’algerino Amara Lakhous<br />
Divorzio all’islamica a viale Marconi. 29 Due voci si rincorrono e si<br />
intrecciano durante tutta la storia: quella del tunisino Issa (il<br />
corrispettivo di Gesù per i musulmani), al secolo Christian Mazzari,<br />
giovane siciliano che parla perfettamente l’arabo, in missione<br />
per il Sismi; e quella di Sofia, l’egiziana Safia, madre di<br />
Aida e moglie dell’architetto Said, che a Roma lavora come pizzaiolo<br />
e si fa chiamare Felice.<br />
È la primavera del 2005 e sembra che i servizi segreti italiani<br />
abbiano ricevuto la notizia che un gruppo di immigrati<br />
musulmani sta preparando un attentato nella zona di viale<br />
Marconi, vicino all’università Roma Tre. Si rende necessario<br />
quindi infiltrare una persona, Christian appunto, nella comunità<br />
araba musulmana a Roma, che gravita intorno al call center<br />
chiamato Little Cairo gestito dall’egiziano Akram. Questi<br />
propone a Issa prima un posto letto con altri undici immigrati<br />
nell’appartamento della sessantenne Teresa, soprannominata<br />
Vacanza, e poi un impiego come lavapiatti proprio nella pizzeria<br />
dove lavora Felice. Christian deve calarsi nel suo personaggio,<br />
sembrare ciò che non è, ma che gli riesce facile essere,<br />
salvo in alcuni frangenti. «Mi accorgo di un problema che avevo<br />
completamente sottovalutato: per sembrare credibile devo<br />
parlare un italiano stentato, e pure un po’ sgrammaticato. A<br />
volte mi capita di dimenticare la parte che sto interpretando.<br />
Mi devo identificare nel personaggio Issa, un immigrato tunisino.<br />
Cerco di ricordare la parlata dei miei conoscenti arabi,<br />
soprattutto di quelli tunisini. Devo imitare anche il loro accento.<br />
L’ideale è parlare un italiano con una doppia cadenza:<br />
araba, perché sono tunisino, e siciliana, perché sono un immigrato<br />
che ha vissuto in Sicilia. Forse meno italiano parlo meglio<br />
sarà. Decido senza esitazione di sospendere momentane-<br />
29 Edizioni e/o 2010.<br />
123
124<br />
Brigitta Bianchi<br />
amente molte regole grammaticali, quindi via il congiuntivo e<br />
il passato remoto.» 30<br />
È il bengalese Omar a iniziare Christian/Issa alla vita dell’appartamento<br />
e anche a fornirgli spiegazioni su che cosa significhi<br />
essere immigrato. Issa si adatta con qualche difficoltà alla<br />
convivenza forzata, ma impara a conoscere i suoi vicini di letto<br />
e riesce pure ad aiutarne qualcuno, mandando in bestia Giuda,<br />
cioè il capitano Tassarotti del Sismi, il suo superiore che lo guida<br />
da un appartamento in via Nazionale, dove Issa può anche<br />
tornare per qualche attimo alla sua vita precedente, facendosi<br />
una doccia o leggendo le e-mail.<br />
Su un binario parallelo scorre la narrazione di Sofia, laureata<br />
in lingue, parrucchiera di nascosto dal marito, che le ha imposto<br />
l’uso del velo. «Mettere il velo? Forse non avevo capito bene.<br />
Ma noi saremmo andati a vivere in Italia o in Iran? Il velo è per<br />
caso obbligatorio a Roma? Felice non scherzava affatto. Un vero<br />
colpo basso. Un pugno sotto la cintura. Se fossimo stati sul ring<br />
l’arbitro l’avrebbe subito ammonito e io avrei guadagnato dei<br />
punti. Forse avrei pure vinto, alla fine. Ci sono delle regole del<br />
gioco da rispettare, o sbaglio? Il vero problema è che viviamo in<br />
una società nella quale il maschio fa contemporaneamente l’avversario<br />
e l’arbitro. Noi donne che dobbiamo fare? Potremmo<br />
mai vincere in questa situazione?» 31<br />
Se il racconto di Issa è fortemente incentrato sulla sua integrazione,<br />
quello di Sofia ci ragguaglia sul suo passato e ci svela i<br />
suoi pensieri e i suoi dubbi di giovane donna immigrata. «Vogliamo<br />
parlare della poligamia nel Corano? Non ho paura. Sono<br />
pronta. Non ho fatto studi all’università religiosa di Al-Azhar,<br />
però ho letto un sacco di libri sull’argomento. Dunque, i versetti<br />
dedicati alla poligamia sono soltanto tre e si trovano nel capito-<br />
30 Ivi, p. 45.<br />
31 Ivi, p. 39.
Nessuno è ciò che sembra<br />
lo intitolato “Le donne”. Ecco cosa dicono esattamente: “Sposate<br />
allora fra le donne che vi piacciono due o tre o quattro, e se<br />
temete di non essere giusti con loro, allora una sola”. Fine della<br />
citazione. Secondo il mio modesto parere, la poligamia è vincolata<br />
a condizioni impossibili da rispettare. Voglio proprio vedere<br />
come farà il signor poligamo a essere giusto con quattro mogli!<br />
Infatti, dovrà dividere in maniera precisa tutto in quattro: il tempo,<br />
i soldi, i baci, i regali eccetera eccetera. È più facile vedere la<br />
luna a mezzogiorno che trattare quattro mogli in modo identico!<br />
È una roba infernale che porta direttamente in manicomio.<br />
Povero poligamo? Povero un corno! Peggio per lui.» 32<br />
Sofia è una donna colta (frequenta la biblioteca) e socievole:<br />
la sua amica del cuore, l’algerina Samira, abita nel suo stesso<br />
palazzo, ma sovente Sofia incontra anche l’italiana Giulia e l’albanese<br />
Dorina al giardino di piazza Meucci. Queste forse non<br />
sono amiche per la pelle, come le donne di Laila Wadia, ma si<br />
confrontano e crescono insieme. Parlano di maternità, di divorzio,<br />
di chirurgia estetica. «La mia teoria è semplice: il velo non è<br />
sempre di stoffa, ci sono altri trucchi, paragonabili al nostro<br />
velo, che nascondono altre parti del corpo. E allora? Allora niente.<br />
Insomma, il seno rifatto nasconde il seno originale, il naso rifatto<br />
nasconde il naso originale, le labbra rifatte nascondono le<br />
labbra originali e così via.» 33 Anche con queste amiche c’è l’anziano<br />
burbero, il signor Giovanni, a cui Dorina fa da badante.<br />
Egli legge La Padania, Libero e Il Giornale, ma, quando è triste,<br />
per sfogarsi prendendosela con i partigiani, legge Il Manifesto!<br />
Per un pianto di Sofia al call center e un provvidenziale fazzoletto<br />
porto da Issa, le due storie si intrecciano e gli stessi episodi<br />
vengono narrati dai due punti di vista. All’inizio lui per lei è solo<br />
un ragazzo con i baffi che le offre un fazzoletto, ma poi diventa<br />
32 Ivi, pp. 60-61.<br />
33 Ivi, p. 101.<br />
125
126<br />
Brigitta Bianchi<br />
“il Marcello arabo” 34 dopo un sogno sulla Dolce vita. Sì, perché ad<br />
entrambe le voci il cinema italiano è molto familiare: se Sofia<br />
dimostra spiccate preferenze per i film con Marcello Mastroianni,<br />
Issa spazia da Nanni Moretti a Federico Fellini, da Anna Magnani<br />
ad Alberto Sordi. I due si rivedono in biblioteca e poi al<br />
mercato dove Issa rischia di far saltare la sua copertura prendendo<br />
le difese di Sofia, che è stata spinta da un arrogante cinquantenne.<br />
Lei commenta: «Da quando vivo in Italia non ho mai sentito<br />
un arabo, un immigrato, uno straniero parlare un italiano così<br />
perfetto.» 35 L’assimilazione di Issa continua e il capitano Giuda gli<br />
chiede di infiltrarsi nella moschea della Pace. Dopo un’iniziale<br />
ritrosia Issa riflette: «Ma perché lamentarmi? Questa è una vera<br />
occasione. Potrebbe essere un’esperienza unica che arricchirebbe<br />
il mio curriculum di orientalista, o meglio di arabista, come si usa<br />
dire in ambito accademico. Ho sempre guardato con diffidenza a<br />
quegli occidentali che vivono nei paesi arabi per anni senza sforzarsi<br />
minimamente di imparare l’arabo, e rimangono sempre dei<br />
turisti odiosi, superficiali e viziati, insopportabili! Credono di conoscere<br />
il paese in cui vivono, e invece non sanno una minchia!» 36<br />
Bisogna specificare che Christian, la sua famiglia e la sua ragazza<br />
Marta vivono in Sicilia, a Mazara del Vallo, e fin dalle prime pagine<br />
del libro la lingua di Issa riflette questo dato sia sul piano lessicale<br />
che su quello sintattico. Sono soprattutto i suoi proverbi a<br />
portarci in Sicilia: «Cu’ parra picca campa cent’anni!» 37 Ma proverbi<br />
ce ne sono anche in arabo e in francese e sono perle di<br />
saggezza come quelle di padron ’Ntoni ne I Malavoglia.<br />
Sofia, dal canto suo, confessa con orgoglio di parlare bene<br />
l’italiano: «Mi è capitato di essere scambiata per un’italiana con-<br />
34 Ivi, p. 100.<br />
35 Ivi, p. 105.<br />
36 Ivi, p. 140.<br />
37 Ivi, p. 46.
Nessuno è ciò che sembra<br />
vertita all’Islam oppure per una nata o arrivata da piccola in Italia.»<br />
38 Sottolinea invece che il marito, come tanti egiziani, non riesce<br />
a pronunciare la “p” e immagina un’esilarante scenetta in cui<br />
Felice e «un altro orfano della lettera p» dialoghino in italiano al<br />
Little Cairo.<br />
A questo punto la vicenda si complica, come in Amiche per la<br />
pelle, e avvengono due colpi di scena, che coinvolgono entrambi<br />
Issa, con i quali il romanzo si conclude.<br />
La narrazione scorrevole, la lingua particolare e gli interessanti<br />
punti di vista di immigrati sull’Italia e anche sui loro Paesi<br />
d’origine mi hanno indotto a proporre i due romanzi a studenti<br />
di una quinta ginnasiale in cui ho avuto la ventura di insegnare<br />
geografia. Gli alunni hanno accolto di buon grado il suggerimento<br />
e quasi tutti hanno letto un romanzo o l’altro e ne hanno<br />
vivacemente discusso in classe.<br />
Del libro di Lakhous hanno messo in evidenza l’attualità della<br />
tematica e il contributo che fornisce all’abbattimento di pregiudizi<br />
sul mondo arabo. Sono rimasti colpiti dal fatto che gli immigrati<br />
arrivano in Italia carichi di aspettative e lì si accorgono<br />
che gli italiani, scontenti, abbandonano il loro Paese. I ragazzi<br />
hanno espresso qualche riserva sullo stile: non hanno gradito<br />
stilemi che caratterizzassero anche linguisticamente un personaggio<br />
e si sono trovati a disagio davanti al siciliano o al<br />
romanesco, che talvolta compaiono nel testo.<br />
Comicità, ironia e triestinità sono stati gli elementi del gradimento<br />
di Amiche per la pelle. Gli alunni sono rimasti colpiti dal<br />
senso del passato, che dimostrano le quattro donne. Hanno imparato<br />
che non bisogna fidarsi delle apparenze. Chiave portante<br />
di tutta la storia è, secondo loro, la condizione della donna.<br />
Entrambi i libri sono calorosamente consigliati dai ragazzi.<br />
38 Ivi, p. 81.<br />
127
Dal “sapere” letterario al “saper essere”:<br />
sviluppare una competenza interpretativa<br />
di Raffaela Cosimi*<br />
L’insegnamento della letteratura in lingua straniera<br />
Se è vero che la letteratura è soltanto uno delle molteplici espressioni<br />
della cultura di un popolo che l’insegnante di lingua straniera<br />
deve prendere in considerazione nella sua pratica quotidiana,<br />
accanto al cinema, al patrimonio artistico, alle tradizioni<br />
e ai fenomeni di costume, alle conquiste tecnologiche e scientifiche,<br />
non dimentichiamo che essa ricopre un ruolo assolutamente<br />
preponderante nell’indirizzo linguistico direttamente<br />
correlato alla prova dell’Esame di Stato.<br />
È bene altresì ricordare che il QCER (Quadro Comune di<br />
Riferimento Europeo), ha reintegrato la letteratura all’interno<br />
dell’approccio “per azioni-compiti” 1 , conferendole un’importan-<br />
* Docente di lingua e civiltà francese.<br />
1 Il termine comunemente usato in francese per il metodo che ha superato<br />
quello comunicativo, integrandolo, negli anni ’90 è “approche actionnelle”<br />
ed è chiaramente definito da Rémi Thibert nel Dossier d’actualité n. 58 (novembre<br />
2010) – Pour des langues plus vivantes à l’école [Per delle lingue più vive a<br />
scuola] in questo modo: «L’approccio comunicativo ha ceduto il posto alla<br />
didattica per azioni-compiti con il QCER, rendendo centrale il concetto di compito:<br />
i compiti sono dei progetti con reali obiettivi sociali in cui l’apprendente<br />
deve cercare, selezionare e analizzare le informazioni in funzione di ciò<br />
129
130<br />
Raffaela Cosimi<br />
za etica e politica (benché limitata all’ambito educativo), che<br />
costituisce un grande passo avanti rispetto ai precedenti documenti<br />
(Français Fondamental e Niveau Seuil) 2 nei quali non<br />
compariva affatto. 3<br />
Partirò dal presupposto che gli obiettivi dell’insegnamento<br />
della letteratura in Lingua Straniera sono gli stessi che riguardano<br />
la Lingua Materna, 4 e solo successivamente prenderò in esame<br />
le differenze e le eventuali difficoltà che l’uso di una lingua<br />
diversa comporta nella lettura e interpretazione dei testi.<br />
Ma già la definizione degli obiettivi didattici ed educativi non<br />
è impresa facile, perché il concetto di letteratura si declina nei<br />
due aspetti fondamentali di storia letteraria e di testo. Ad esempio<br />
secondo C. Bemporad (Università di Losanna), per letteratura<br />
si intende «l’insieme costituito dall’oggetto letterario [il testo,<br />
NdT] e da tutti i discorsi su questo testo, come anche tutti<br />
gli elementi, le pratiche, le attività attorno a questo oggetto: le<br />
critiche letterarie rivolte agli specialisti, le riviste, le trasmissioni<br />
(…) i battage pubblicitari (…) le dissertazioni e naturalmente le<br />
attività scolastiche» 5 .<br />
che vuole realizzare utilizzando la lingua con uno scopo specifico. Tale prospettiva<br />
si adatta all’approccio per competenze, nella misura in cui una competenza<br />
si realizza sempre in un contesto sociale dato, anche se si misura<br />
sempre a livello individuale» (la traduzione è della scrivente).<br />
2 Si tratta dei primi modelli, elaborati negli anni Sessanta e Settanta, per definire<br />
rispettivamente il lessico di base necessario per esprimersi in modo efficace<br />
e il livello di autonomia linguistica dell’apprendente, in pratica i primi<br />
tentativi di classificare le competenze in lingua francese.<br />
3 Cfr. BEMPORAD C., Le cadre et la littérature. Proposition d’une articulation possible,<br />
in 11èmes Rencontres des chercheurs en didactique des littératures, Ginevra, marzo<br />
2010, p. 19, consultabile sul sito: http://www.unige.ch/litteratures2010/<br />
contributions_files/Bemporad%202010.pdf<br />
4 Per semplificare da qui in avanti userò le sigle LM e LS.<br />
5 Ivi, p. 2
Dal “sapere” letterario al “saper essere”<br />
Questa doppia valenza rende già difficile operare una scelta/<br />
integrazione tra storia letteraria e analisi testuale e il rischio che<br />
si corre, sollecitati dalla necessità di sintesi e di semplificazione<br />
imposta dalla tirannia del tempo, è quello di dare maggior spazio<br />
a uno dei due aspetti, a scapito dell’altro.<br />
Valorizzando troppo l’aspetto cognitivo e dei contenuti, si<br />
incorre nell’errore che condannava nel lontano 1894 Gustave<br />
Lanson, il fondatore della storia letteraria come disciplina in LM:<br />
Ultimamente hanno travisato l’insegnamento e lo studio della<br />
letteratura. L’hanno presa per materia di programma, che bisogna<br />
aver scorso, sfiorato, ingoiato, alla bell’e meglio, il più velocemente<br />
possibile, per non essere bocciati: salvo poi, come tutto<br />
il resto, non pensarci più per il resto della vita. 6<br />
Nell’ansia di voler insegnare tutto, la letteratura si riduce a<br />
un’arida collezione di fatti e di formule, che finiscono per allontanare<br />
i giovani dalle opere, le vere depositarie e rivelatrici dell’individualità,<br />
per lasciare il posto a una conoscenza sterile e priva di<br />
valore, un sapere “letterale” senza “virtù letteraria” e senza assimilazione<br />
critica. È invece importante rivalutare le opere:<br />
In letteratura, come in arte, non si può perdere di vista le opere,<br />
infinitamente e indefinitamente ricettive e di cui mai nessuno<br />
può affermare di aver esaurito il contenuto né fissato la formula.<br />
Vale a dire che la letteratura non è l’oggetto di un sapere: è esercizio,<br />
gusto, piacere. Non la si sa, non la si impara: la si pratica, la<br />
si coltiva, la si ama. 7<br />
Oltre ad abbandonare la pretesa di esaustività, è bene anche<br />
6 LANSON G., Histoire de la littérature française. Avant-propos, 1894, rist. Hachette,<br />
Paris 1920, p. VI (traduzione della scrivente).<br />
7 Ivi, p. VIII (traduzione della scrivente).<br />
131
132<br />
Raffaela Cosimi<br />
non dimenticare che la letteratura nella Secondaria Superiore<br />
non è critica letteraria, ma materia di studio da definire in termini<br />
di obiettivi didattici 8 e che pertanto va considerata come una<br />
tappa in un processo di crescita, una fase temporanea in vista di<br />
un ulteriore sviluppo che, si auspica, non venga interrotto al<br />
termine del ciclo, ma continui anche dopo in forma autonoma.<br />
Tuttavia la quantità di obiettivi assegnati all’insegnamento/<br />
apprendimento della letteratura è a dir poco impressionante; ad<br />
esempio, per citare il Reuter:<br />
Sviluppare lo spirito di analisi, sviluppare le competenze linguistiche,<br />
sviluppare le competenze di lettura e scrittura, sviluppare<br />
i saperi letterari, il bagaglio culturale dell’allievo, il suo spirito<br />
critico, permettergli di appropriarsi un patrimonio, sviluppare il<br />
suo senso estetico e la sua sensibilità, procurargli piacere, contribuire<br />
alla formazione della sua personalità… 9<br />
Finalità così vaste e ambiziose difficilmente possono essere<br />
acquisite affrontando la materia soltanto a partire dal quarto,<br />
quinto anno di studio, soprattutto se devono essere sviluppate<br />
attraverso dei contenuti cognitivi che abbracciano alcuni secoli<br />
di storia della letteratura, e compresse in un monte ore annuale<br />
piuttosto esiguo, all’interno del quale non vanno dimenticate<br />
altre competenze, in primo luogo quella di scrittura.<br />
Alla difficoltà di definire e collocare l’apprendimento/insegnamento<br />
della letteratura nel curricolo scolastico ed educativo,<br />
8 Per la distinzione tra letteratura come disciplina e come materia di studio a<br />
scuola vd. WIDDOWSON H.G., Stylistics and the Teaching of Literature, Longman<br />
1975, citato in Insegnare letteratura in lingua straniera, a cura di STAGI SCARPA M.,<br />
collana Scuolafacendo, Carocci Faber, Roma 2005, p. 18.<br />
9 REUTER Y., L’enseignement apprentissage de la littérature en question, Enjeux 43-44,<br />
Namur, p. 197 (traduzione della scrivente). Yves Reuter è professore di didattica<br />
del francese all’Università Charles de Gaulle - Lille 3, fondatore e direttore<br />
dell’équipe di ricerca THEODILE, la più importante nella didattica del francese.
Dal “sapere” letterario al “saper essere”<br />
si aggiunge negli ultimi tempi un’esigenza che diventa sempre<br />
più pressante, in presenza di un pubblico di studenti le cui coordinate<br />
culturali e sociali cambiano in modo assai rapido; quella<br />
di essere motivati, «cioè aiutati a cogliere significato (per la costruzione<br />
di sé e della loro immagine del mondo) in ciò che<br />
stanno studiando». 10<br />
Si pone cioè un problema di attualizzazione degli argomenti<br />
di studio, che appaiono sempre più distanti dall’esperienza di<br />
vita dei nostri giovani soprattutto nel linguaggio, ma spesso<br />
anche nelle tematiche, e lontani dalle loro esigenze e dai loro<br />
bisogni, pericolosamente soppiantati da modelli banalizzati e<br />
culturalmente poveri sia nel messaggio che nello strumento<br />
linguistico.<br />
Se per rivitalizzare il patrimonio letterario è utile ricorrere a<br />
linguaggi diversi (visivi, musicali, teatrali), è altresì importante<br />
conservare il ruolo preponderante del testo scritto, proprio perché<br />
ci aiuta a contrastare i pericoli insiti nell’eccesso di comunicazione<br />
mediatica:<br />
Appare quasi superfluo sottolineare quanto la parola scritta possa<br />
indurre alla riflessione un universo giovanile che vive in una vera e<br />
propria full immersion di comunicazione audiovisiva caratterizzata<br />
da immediatezza ma allo steso tempo da pericolosa labilità. 11<br />
È quindi uno strumento importante che bisogna rinnovare e<br />
valorizzare.<br />
10 Cfr. CAROTTI L.-SCLARANDIS C., La storia letteraria nella didattica del triennio<br />
(Griselda on-line, rivista letteraria), http://www.griseldaonline.it/adi/<br />
carotti_sclarandis_print.htm.<br />
11 Cfr. Insegnare letteratura in lingua straniera, cit., p. 15.<br />
133
134<br />
Raffaela Cosimi<br />
Il testo letterario: una preziosa risorsa di apprendimento<br />
linguistico<br />
Il merito di aver restituito alla letteratura un ruolo primario nell’insegnamento<br />
della lingua straniera, e anche ai livelli elementari,<br />
è di Daniel Coste, Jean Peytard e Henri Besse, che ne hanno sottolineato<br />
i vantaggi, tra i quali ci limitiamo a citare i seguenti: «(Il<br />
testo letterario) è il miglior rivelatore dei fatti linguistici» secondo<br />
la formula di Eliane Papo; esso risponde al desiderio degli insegnanti<br />
di condividere i loro saperi; soddisfa insieme la richiesta di<br />
formazione linguistica (o di strumento di comunicazione) e culturale<br />
(o umanistica, di sviluppo della personalità individuale). 12<br />
Appare quindi ormai superata la visione di stampo struttural-funzionalistico<br />
che, identificando nell’uso “connotativo”<br />
della lingua la specificità del testo letterario, elaborava una “stilistica<br />
dello scarto” rispetto alla “norma linguistica” imponendo<br />
di affrontarlo solo dopo che lo studente avesse raggiunto<br />
la piena padronanza di quest’ultima, cioè della lingua di uso<br />
quotidiano.<br />
Perciò è auspicabile che essa non venga sminuita o addirittura<br />
eliminata, sulla scia dell’attuale orientamento verso una formazione<br />
strettamente professionalizzante, sempre più ancorata<br />
alle necessità del mercato del lavoro, nell’ottica di una tecnicizzazione<br />
dilagante nelle società occidentali, 13 ma anzi valorizzata<br />
nella sua valenza educativa anche in settori non prettamente<br />
umanistici, poiché la scuola ha il dovere di fornire il suo soste-<br />
12 Cfr. SEOUD A., Des soucis pour la langue? Mais quelle langue, et quels soucis?, in<br />
11èmes Rencontres… cit., Ginevra, marzo 2010; inoltre si può consultare PAPO<br />
E.-PEYTARD J.-BOUGAIN D., Littérature et classe de langue, collection “Langue<br />
et Apprentissage des Langues”, sotto la direzione di COSTE D., Crédif, ed<br />
Hatier-Didier 1982.<br />
13 Su questo argomento cfr. l’introduzione di BRANDMAYR F., A mo’ di prefazione.<br />
Il significato di queste pagine, in “Dialoghi al Liceo Dante”, Trieste 2010.
Dal “sapere” letterario al “saper essere”<br />
gno soprattutto a chi non dispone di determinati strumenti culturali<br />
in ambito familiare e perché, infine, la letteratura è anche<br />
veicolo di idee e valori civili ed etici, oltre che estetici.<br />
Anzi, è importante che la letteratura diventi una delle tante<br />
risorse, e non soltanto nei Licei Linguistici, in quanto offre agli<br />
studenti un’occasione di arricchimento attraverso testi che veicolano<br />
messaggi interessanti, ma soprattutto perché fa della lingua<br />
un uso specialissimo, sfruttandone tutte le possibilità espressive,<br />
rinnovandola e arricchendola continuamente. 14<br />
Senza contare che i testi letterari raccontano storie, descrivono<br />
esperienze umane, rivelano mondi diversi, talvolta lontani da<br />
quelli dell’esperienza quotidiana aprendo nuovi orizzonti e fornendo<br />
messaggi interessanti, non effimeri e soggetti all’invecchiamento<br />
come le letture prese dai giornali o dall’attualità. E<br />
ancora hanno un carattere di permanenza collettiva (prova ne<br />
sia che i “grandi testi” vengono letti e studiati anche a distanza<br />
di centinaia d’anni), ma anche individuale (si possono rileggere<br />
più volte a distanza di tempo ritrovando lo stesso piacere o scoprendovi<br />
una sollecitazione diversa, correlata al vissuto individuale<br />
che è in continuo divenire).<br />
Il testo letterario: un obiettivo di livello avanzato?<br />
La lettura del testo letterario comporta tuttavia una serie di difficoltà<br />
quando sia affrontata nell’ambito di un LS.<br />
In primo luogo presuppone un livello di competenza linguistica<br />
elevato, che le nuove generazioni di studenti hanno sempre<br />
più difficoltà a raggiungere anche nella lingua materna; senza<br />
contare che, malgrado gli sforzi degli insegnanti, il testo letterario<br />
è in genere percepito dal discente di difficile accesso e<br />
14 Cfr. Insegnare letteratura in lingua straniera, cit., p. 13.<br />
135
136<br />
Raffaela Cosimi<br />
piuttosto lontano dalla pratica quotidiana. Inoltre, perché esso<br />
possa acquisire quella valenza sociale ed esistenziale che auspichiamo,<br />
deve essere forte e significativo per agganciare in qualche<br />
modo i bisogni impliciti – anche intellettuali, dei giovani. 15<br />
Infine, la lettura del testo deve essere supportata da conoscenze<br />
di tipo culturale abbastanza approfondite, senza le quali è impossibile<br />
comprenderlo, apprezzarlo e interpretarlo.<br />
La complessità del testo letterario richiede dunque un’educazione<br />
alla lettura che dovrebbe iniziare praticamente dai primi<br />
livelli (A1/A2) tramite le letture facilitate che si trovano comunemente<br />
in commercio, per proseguire con testi di autori<br />
contemporanei che presentino situazioni vicine all’esperienza<br />
degli apprendenti e per loro più significative, opportunamente<br />
graduate nella difficoltà linguistica oltre che nella scelta dei temi.<br />
Perché lo scopo dell’educazione letteraria è innanzitutto di renderli<br />
consapevoli dei cambiamenti culturali e sociali che stanno<br />
avvenendo ora attorno a loro, ma anche di aiutarli ad «acquisire<br />
strumenti critici di valutazione personale non offrendo alla loro<br />
passiva accettazione gerarchie preordinate di valori e fama, ma<br />
stimolandoli a prestare occhi, orecchie e intelligenza critica a<br />
tutto ciò che si presenta alla loro attenzione» 16 .<br />
Affrontare i grandi autori del “canone” letterario senza aver<br />
prima costruito una competenza interpretativa individuale, rischia<br />
di inaridire lo studio della letteratura riducendolo a una<br />
lista di contenuti che resteranno estranei al vissuto degli apprendenti;<br />
questi ultimi si avvicineranno ai “sacri testi” con timore<br />
reverenziale e sentimento di inadeguatezza culturale che scoraggeranno<br />
la libera espressione delle loro reazioni emotive.<br />
Infatti tutto il corredo di domande, che in genere accompagnano<br />
la lettura dei testi letterari e che hanno lo scopo di verificar-<br />
15 Cfr. CAROTTI L.-SCLARANDIS C., op. cit.<br />
16 Ivi.
Dal “sapere” letterario al “saper essere”<br />
ne la comprensione ma anche di orientarne l’interpretazione<br />
all’interno di un contesto, tende a instaurare un meccanismo<br />
domanda/risposta e un concetto di giusto/sbagliato che rischia<br />
di inibire le risposte autentiche degli apprendenti.<br />
La centralità del lettore<br />
Per ottenere invece un’educazione stabile bisogna mettere in<br />
moto i meccanismi di acquisizione profonda, non soltanto quelli<br />
di apprendimento temporaneo, e fare in modo che gli studenti<br />
interiorizzino gli elementi nuovi appropriandosene: fondamentale<br />
in questo processo cognitivo è il ruolo dell’emozione. 17<br />
Ora se riflettiamo all’uso che normalmente si fa in classe dei<br />
testi letterari, osserviamo che le letture:<br />
- non sono quasi mai integrali e la frammentazione in<br />
piccoli estratti non permette al lettore di “entrare” nell’intreccio,<br />
né di familiarizzare con lo stile narrativo;<br />
- sono imposte dall’insegnante in quanto devono rispondere<br />
agli obiettivi cognitivi che si è prefissato;<br />
- sono scandite dai tempi e dalle necessità scolastiche;<br />
- necessitano in genere di un intenso lavoro di interpretazione<br />
linguistica con il supporto dell’insegnante, delle<br />
note o di un dizionario, che rallentano la lettura;<br />
- sono appesantite da una quantità talvolta eccessiva di<br />
richieste di tipo tecnico che la interrompono rischiando<br />
di scoraggiare la curiosità naturale a leggere.<br />
17 In Insegnare la letteratura italiana per stranieri, Guerra, Perugia 2006, a p. 9 il<br />
prof. P.E. BALBONI fa riferimento agli studi di SCHUMANN (1997) sul funzionamento<br />
cerebrale, riportando i cinque criteri utilizzati dal cervello per selezionare<br />
ciò che vuole acquisire: novità, attrattiva, funzionalità, realizzabilità,<br />
sicurezza psicologica e sociale.<br />
137
138<br />
Raffaela Cosimi<br />
Privilegiano dunque l’aspetto cognitivo, in quanto scelte perché<br />
veicolano determinati contenuti (relativi al periodo storico, alle tematiche,<br />
al movimento in cui si inseriscono, o al contesto dell’opera<br />
dell’autore) e l’aspetto del testo, di cui si tendono a evidenziare i<br />
tratti stilistici e le implicazioni linguistiche, trascurando invece il terzo<br />
fattore, la ricezione del testo da parte del lettore.<br />
Infatti, solo superando la percezione di un’educazione letteraria<br />
concepita come “dovere”, facendo scoprire agli studenti che<br />
hanno bisogno della letteratura e che da questa possono trarre<br />
piaceri straordinari, 18 riusciremo a incrementare la loro motivazione<br />
che si va facendo sempre più debole; constatiamo tutti infatti<br />
che i giovani leggono sempre meno, anche in lingua materna<br />
e, una volta esaurito il compito imposto dall’insegnante, difficilmente<br />
si accostano in piena autonomia a un’opera letteraria.<br />
Per raggiungere questo obiettivo, potrebbe essere utile recuperare<br />
l’aspetto socio-affettivo e soggettivo della lettura utilizzando<br />
pertanto come modello quella silenziosa in LM, chiamata anche<br />
“empirica” (in quanto legata all’esperienza personale) e “autentica”<br />
(in quanto motivata da bisogni e interessi reali), e che:<br />
- è individuale, solitaria, autonoma;<br />
- è liberamente scelta, e praticata in condizioni e in<br />
momenti anch’essi liberamente scelti;<br />
- è solitamente di un testo narrativo;<br />
- è integrale;<br />
- ha l’obiettivo di trovare piacere.<br />
Questo piacere scaturisce spesso dal fatto che il testo incontra<br />
delle necessità emotive o riflessive del soggetto, sollecita la<br />
sua curiosità di scoprire le azioni e i personaggi con i quali più o<br />
meno si identifica, fornisce delle risposte a certi suoi interroga-<br />
18 Ivi, a p. 10 il prof. P.E. BALBONI definisce in modo dettagliato l’educazione<br />
letteraria come “risposta ad un bisogno” e “chiave per un piacere”.
Dal “sapere” letterario al “saper essere”<br />
tivi o in ogni modo si allinea con il suo sentire. 19 Il ruolo dell’insegnante<br />
è allora quello di creare nuovi lettori, stimolando il<br />
desiderio di capire, partendo da letture che presentino temi vicini<br />
alle esperienze del presente, aumentando il piacere di leggere<br />
e la capacità di ciascuno di attingere alle molteplici ricchezze<br />
del testo in modo sempre più articolato e profondo, rinnovandolo<br />
(perché no) nelle diverse fasi della vita alla luce delle<br />
singole esperienze individuali.<br />
Si tratta quindi di sviluppare una competenza trasversale tra<br />
LM e le diverse LS, spesso sottintesa ma raramente esplicitata,<br />
che chiameremo “di saper apprezzare le opere letterarie”, o più<br />
semplicemente “competenza letteraria”, definita come «una<br />
specie di direttore d’orchestra che attiva ed integra, completandole,<br />
tutte le altre competenze, e che si sviluppa mediante una<br />
pratica quotidiana di condivisione culturale attorno ai libri» 20 .<br />
Essa è da considerare nella sua doppia valenza di strumento,<br />
in quanto permetterebbe all’apprendente di sviluppare delle strategie<br />
sempre più valide per affrontare testi via via più difficili e<br />
complessi; e un obiettivo, perché gli permetterà di mantenere e<br />
perfezionare la sua competenza linguistica e culturale, anche una<br />
volta terminato il ciclo formativo della Secondaria Superiore.<br />
L’autonomia è in effetti lo scopo principale dell’apprendimento,<br />
che «deve realizzarsi nell’arco di tutta la vita e va promosso e<br />
facilitato in tutto il precorso educativo, dalla scuola dell’infanzia<br />
19 Cfr. RIQUOIS E., Exploitation pédagogique du texte littéraire et lecture littéraire en<br />
FLE: un équilibre fragile, ATER, Université de Rouen. In 11ème Rencontres…<br />
cit., p. 250.<br />
20 A proposito di questa competenza, che in Québec viene valorizzata e sviluppata<br />
a partire dal ciclo elementare nella lingua materna, è utile leggere il<br />
progetto “Les oeuvres littéraires: projet du sous-comité de français de la<br />
Montérégie”, giugno 2003, http://clindoeilpedagogique.net/IMG/apprecier-<br />
Nicole_1_.pdf. Il testo riporta anche una suddivisione interessante in<br />
sottocompetenze (comprendere, reagire, interpretare, apprezzare).<br />
139
140<br />
Raffaela Cosimi<br />
fino all’educazione degli adulti» 21 , e la lettura di un testo letterario<br />
(strumento sempre disponibile) è praticabile individualmente in<br />
qualsiasi momento, ed è fonte inesauribile di materiale che ha il<br />
vantaggio, rispetto agli articoli di attualità reperibili sulla stampa e<br />
in Internet, di non “invecchiare”: un libro è immutabile, sarà eventualmente<br />
il lettore, in relazione al momento e alle esperienze<br />
personali, a riempirlo di significati diversi.<br />
È evidente che questo approccio scardina i ruoli tradizionali;<br />
l’insegnante allora, più che depositario di un sapere da trasmettere<br />
o di una chiave interpretativa preordinata, diventa una specie<br />
di “mentore” che legge e rilegge con gli studenti dei libri che<br />
ha scelto (evidentemente) per loro, condividendo con loro il<br />
piacere e la scoperta delle varie pieghe interpretative dell’opera.<br />
Strategie e proposte<br />
Benché il contesto scolastico e le difficoltà linguistiche, oltre<br />
che culturali, modifichino inevitabilmente la ricezione di qualsiasi<br />
documento, lo scopo è di restituire il più possibile la modalità<br />
di lettura “autentica” in LM mediante delle pratiche opportune.<br />
In fondo a questo articolo riporto alcune proposte di lettura<br />
e tre schede a uso dell’insegnante che ho selezionato e sperimentato<br />
in classe in base ai seguenti criteri:<br />
- lunghezza: sono da preferire novelle, romanzi brevi<br />
o racconti lunghi, che, pur consentendo al lettore<br />
di familiarizzare con luoghi, eventi e personaggi,<br />
non ne mettono a dura prova la resistenza;<br />
21 Cfr. punto 2 dei documenti del Simposio intergovernativo di Rüschlikon, novembre<br />
1991, citato in Quadro comune europeo di riferimento per le lingue, La Nuova<br />
Italia, Oxford, p. 6.
Dal “sapere” letterario al “saper essere”<br />
- gradualità: essa riguarda le difficoltà lessicali e grammaticali<br />
costituite soprattutto dall’uso letterario del<br />
“passé simple” (passato remoto) in francese;<br />
- centralità del lettore: le tematiche proposte dovrebbero<br />
essere vicine all’apprendente, in quanto il narratore<br />
o il protagonista è quasi sempre un bambino o<br />
un giovane;<br />
- interesse culturale e sociale: i temi proposti sono utili a<br />
comprendere la realtà sociale e culturale della Francia<br />
e del mondo francofono;<br />
- attualità: sono da preferire gli autori contemporanei<br />
perché presentano situazioni e linguaggi in cui i giovani<br />
meglio possono identificarsi, agganciandosi alla<br />
realtà in cui vivono;<br />
- diversità culturale: è bene proporre autori non strettamente<br />
francesi, ma appartenenti alle diverse realtà<br />
culturali e religiose integrate sempre più alla realtà<br />
sociale occidentale.<br />
Altro elemento importante per sostenere e incrementare la<br />
motivazione, è dare allo studente l’opportunità di confrontarsi<br />
con i suoi pari, favorendo innanzitutto lo scambio di emozioni,<br />
percezioni e giudizi, affinché ciascuno sia stimolato ad ampliare<br />
il suo spirito critico, ad arricchire la sua identità personale e il<br />
suo bagaglio culturale.<br />
Dalla lettura empirica alla competenza letteraria:<br />
definizione, metodi, strumenti didattici<br />
Le nuove tendenze didattiche hanno evidenziato come la lettura<br />
autentica può rivelarsi uno strumento importante nella pratica<br />
della lettura analitica (o metodica) dei testi letterari, più oggettiva<br />
e supportata da elementi linguistici e socio-culturali, per condurre<br />
l’apprendente a una lettura che chiameremo “soggettiva argo-<br />
141
142<br />
Raffaela Cosimi<br />
mentata”, in cui i due precedenti aspetti, cioè i poli rispettivamente<br />
del soggetto cognitivo e del testo (lettura metodica) e del soggetto<br />
lettore (lettura empirica), assumano un ruolo complementare<br />
e si integrino. Tale lettura viene definita nella nuova didattica<br />
della letteratura insieme “partecipativa” e “distanziata” 22 .<br />
Infatti, ogni lettura interpretativa è un processo dialettico che<br />
richiede implicazione e distanziazione da parte dei soggetti lettori<br />
(Dufay 2007), partendo però sempre da un approccio intuitivo<br />
che poggia sulle reazioni spontanee della classe per andare<br />
verso una interpretazione ragionata dei testi letterari.<br />
La sperimentazione messa in atto negli ultimi anni sia nelle<br />
Suole medie (Collège) che nei Licei francesi prevede due strumenti<br />
innovativi: il “carnet de lecture” (quaderno di lettura) e il<br />
“débat en classe” (dibattito in classe).<br />
Il primo è una specie di diario in cui l’alunno annota le sue<br />
reazioni in modo istintivo, disordinato e individuale durante o<br />
immediatamente dopo la lettura, e rientra in un tipo di lettura<br />
detta “implicata” 23 , connotata da un coinvolgimento psico-affettivo<br />
o intellettuale del soggetto lettore.<br />
Nella seconda fase, il dibattito costituisce la messa in comune<br />
delle impressioni soggettive e individuali, e dunque un momento<br />
di confronto e di scambio che permette un certo grado<br />
di oggettivazione, in quanto osservazioni o interpretazioni diverse<br />
spingono a rivedere le proprie posizioni. È bene tener<br />
presente che non si tratta di parlare del testo letto, né di discutere<br />
attorno a un testo, e tanto meno di chiarirne il senso, ma di<br />
22 Il concetto è sviluppato da ANNIE ROUXEL et GERARD LANGLADE in occasione<br />
del convegno intitolato Le sujet lecteur. Lecture subjective et enseignement de la<br />
littérature. Il concetto del triplo lettore è teorizzato da MICHEL PICARD e poi<br />
ripreso da VINCENT JOUVE. Cfr. AHR S., D’une lecture empirique à une lecture subjective<br />
argumentée: quels processus cognitifs et langagiers mobilise?, in 11ème Rencontres… cit.<br />
23 Il termine francese “impliqué” è di difficile traduzione e indica un<br />
coinvolgimento anche emotivo.
Dal “sapere” letterario al “saper essere”<br />
imparare a sviluppare, arricchire e organizzare il proprio pensiero<br />
e la propria lettura interagendo con i propri pari e con<br />
l’insegnante. Inutile evidenziare quanto entrambe le pratiche<br />
(quella scritta del quaderno e quella orale del dibattito), elaborate<br />
in un contesto di lingua materna, implichino in termini di<br />
apprendimento linguistico, favorendo la verbalizzazione del processo<br />
attraverso il quale il lettore reale si appropria del testo<br />
ricorrendo al proprio vissuto e alla sua cultura personale, integrando<br />
obiettivi linguistici, culturali e formativi.<br />
In una terza fase il “carnet” viene ripreso e rielaborato, per<br />
incoraggiare un atteggiamento riflessivo, e permettere al lettore<br />
di incamerare gli elementi scaturiti dal dibattito, farli propri e inglobarli<br />
nella sua interpretazione, passando dalla lettura implicata<br />
a quella distanziata e completando così il processo dialettico.<br />
In tal modo si fa prevalere la ricezione empirica dei testi da parte<br />
del soggetto lettore a scapito dell’oggetto della lettura (il testo) e<br />
dell’effetto programmato di questo sul lettore; ma contemporaneamente<br />
si stimola quest’ultimo alla pratica linguistica e a un’attività<br />
cognitiva che lo porteranno a una lettura soggettiva argomentata.<br />
Insomma, una vera rivoluzione che mette i lettori singoli in contatto<br />
diretto con il testo: il percorso non si fonda più sul meccanismo<br />
domanda/risposta costruito da un discorso comune istituzionalizzato<br />
sull’opera letteraria, quella del lettore esperto rappresentato<br />
dall’insegnante o dal redattore del manuale, ma sono i<br />
singoli lettori/studenti che conducono il gioco e imparano così a<br />
costruire il loro percorso interpretativo del testo. Nulla impedisce<br />
poi all’insegnante di riprendere le nozioni introdotte dal dibattito<br />
che ritiene più valide o interessanti in una lezione di approfondimento<br />
di tipo più “magistrale”. In questo modo «la co-attività interpretativa<br />
non parte dai contenuti di saperi ma vi ci conduce» 24 .<br />
24 «La co-activité interprétative ne part pas des contenus de savoirs mais elle<br />
y conduit (Jorro 2009)» in AHR S., op. cit.<br />
143
144<br />
Raffaela Cosimi<br />
Tuttavia è necessario guidare gli apprendenti nella verbalizzazione<br />
del processo di appropriazione del testo, perché tanta<br />
libertà, alla quale questi ultimi sono poco abituati, genera spesso<br />
risposte laconiche e insoddisfacenti. Si possono ad esempio<br />
sollecitare le immagini mentali che ogni lettore si costruisce<br />
durante la lettura, e nelle quali fa confluire il suo vissuto e la<br />
sua cultura personale per riempire l’incompletezza del testo.<br />
Oppure chiedere di annotare i tempi e i ritmi della lettura per<br />
aiutarli a prendere consapevolezza delle strategie di scrittura<br />
(come le tecniche narrative) e delle loro preferenze estetiche<br />
(parti descrittive che sollecitano l’immaginazione, parti narrative<br />
che risvegliano la curiosità). Infine, spingerli a selezionare<br />
una parte del testo giustificando la loro scelta, il che equivale<br />
già a una forma di interpretazione, poiché ogni selezione si<br />
fonda su una sensibilità individuale che può essere di ordine<br />
intellettuale, ma anche estetico.<br />
Conclusione<br />
Appare necessario sperimentare nuove formule per avvicinare i<br />
giovani alla lettura, ponendoli al centro del processo e aiutandoli<br />
a sviluppare le loro potenzialità interpretative in piena libertà.<br />
La lettura dei testi letterari, dapprima in forma semplificata, poi<br />
integrale, di autori contemporanei, può diventare una palestra<br />
importante per accrescere la competenza letteraria necessaria<br />
ad avvicinare lo studente ai grandi autori del passato, e costituirà<br />
uno strumento sempre disponibile e accessibile in forma autonoma<br />
per migliorare e mantenere la competenza linguistica,<br />
oltre che una risorsa importante sia per l’arricchimento culturale<br />
individuale, che per l’interpretazione critica della complessità<br />
del mondo attuale in continuo mutamento.
Dal “sapere” letterario al “saper essere”<br />
SCHEDE PRATICHE<br />
Nella mia ventennale esperienza didattica ho avuto modo di<br />
selezionare e sperimentare in classe alcuni testi che hanno riscosso<br />
un buon successo e un diffuso interesse. Si tratta in genere<br />
di racconti di formazione i cui protagonisti sono ragazzi o<br />
giovani che si misurano con la realtà, vivono esperienze anche<br />
difficili, o attraversano una fase di crescita. Dei primi tre ho<br />
redatto una scheda per orientare l’insegnante nella sua scelta, le<br />
altre sono semplici indicazioni.<br />
J.M.G. LE CLÉZIO, Mondo, in Mondo et autres histoires, Gallimard 1996, corredato<br />
da un dossier cui ho in parte attinto per la formulazione della scheda<br />
Pertinenza della<br />
scelta e centri di<br />
interesse<br />
Lingua e stile<br />
La forma e il<br />
genere letterario<br />
Destinatari: studenti in possesso di un livello A2<br />
(250 ore di apprendimento circa), orientativamente<br />
3°/4° anno di studio, a partire dai 16 anni.<br />
La lingua, pur essendo letteraria, presenta la singolarità<br />
di un uso assai frequente dell’imperfetto,<br />
che rende il racconto accessibile anche con<br />
un livello intermedio. La presenza di un esiguo<br />
numero di verbi al passato remoto consente una<br />
certa fluidità della lettura, che presenta invece<br />
qualche complessità a livello lessicale, per la quale<br />
si suggerisce un approccio propedeutico all’uso<br />
del dizionario.<br />
Racconto lungo (una settantina di pagine nell’edizione<br />
citata) alla terza persona, la cui voce narrante<br />
si determina solo all’inizio e alla fine come testimone-personaggio<br />
degli avvenimenti entro i limiti temporali<br />
dell’arrivo di Mondo nella imprecisata città e<br />
la sua partenza verso una meta sconosciuta. Verosimile<br />
e realistico nella struttura e nell’intreccio, il<br />
racconto si colora nello stile di un’aurea magica che<br />
lo avvicina al genere della favola.<br />
145
I temi<br />
La storia<br />
146<br />
Raffaela Cosimi<br />
La libertà dai legami affettivi (Mondo è un orfano)<br />
e dagli obblighi sociali (non frequenta la scuola<br />
e dispone di tutto il suo tempo), la solitudine e<br />
il desiderio di essere accudito (Mondo chiede<br />
continuamente alle persone che incontra di essere<br />
adottato), la necessità di fare i conti con le<br />
regole sociali, il viaggio iniziatico e l’incontro che<br />
trasforma il protagonista che ne trae un insegnamento,<br />
il sentimento di una natura affascinante<br />
ed ambivalente che attrae e spaventa allo stesso<br />
tempo, la fusione in una visione sincretica di elementi<br />
di culture diverse (i personaggi che incontra<br />
già nei nomi evocano paesi diversi – Ciapacan,<br />
Thi Chin, il Cosacco, il Gitano), la sofferenza<br />
e la necessità della separazione, il potere magico<br />
delle parole e la capacità dello sguardo infantile<br />
di ingentilire un mondo banale e perfino<br />
brutto e crudele.<br />
In una città della Francia del sud non meglio<br />
determinata un giorno arriva Mondo, un bambino<br />
di cui nessuno sa nulla, nemmeno il narratore,<br />
che segue i suoi movimenti quotidiani, i<br />
suoi giochi infantili, i suoi approcci diretti e talvolta<br />
ingenui con il mondo e le persone che lo<br />
circondano. Qui il ragazzino farà una serie di<br />
incontri e di esperienze che lo matureranno: due<br />
avventurieri che si guadagnano il pane con giochi<br />
di prestigio che si prendono cura di lui, la<br />
piccola vietnamita Thi Chin, silenziosa e accogliente<br />
come la sua casa e il suo giardino, ma<br />
sperimenterà anche la paura di essere catturato<br />
come un cane randagio e infilato nella<br />
camionetta di Ciapacan, e infine la gioia di imparare<br />
a scrivere il proprio nome nell’illusione<br />
di poter cogliere la bellezza del mondo. Ma l’incanto<br />
della bella favola si spezzerà e Mondo sarà<br />
costretto a ripartire per evitare di finire in un<br />
istituto dell’assistenza pubblica e perdere così<br />
la sua libertà.
Dal “sapere” letterario al “saper essere”<br />
ERIC-EMMANUEL SCHMITT, Monsieur Ibrahim et les fleurs du Coran, Albin Michel<br />
2001; collection “Classiques & contemporains”, Magnard 2004 per il dossier<br />
Pertinenza della<br />
scelta e centri di<br />
interesse<br />
Lingua e stile<br />
La forma e il<br />
genere letterario<br />
I temi<br />
La storia<br />
Destinatari: studenti in possesso di un livello A2/<br />
B1 (200 ore di apprendimento circa), vale a dire<br />
3°/4° anno di liceo, a partire dai 15 anni.<br />
Accessibile sia per la sintassi lineare e semplice (il<br />
racconto viene fatto da un bambino), sia per l’uso<br />
molto frequente del dialogo; stile spesso poetico<br />
con l’uso di metafore che potrebbero richiedere<br />
un intervento dell’insegnante. L’uso ridotto del<br />
passato remoto non condiziona la comprensione.<br />
Potrebbe essere consigliabile un’edizione con un<br />
supporto di note (soprattutto per il lessico) come<br />
ad esempio l’Edizione sopra indicata, corredata<br />
da un dossier che l’insegnante può scegliere di<br />
utilizzare anche solo in parte.<br />
Racconto lungo/romanzo breve vagamente fiabesco,<br />
raccontato in forma di “ricordi d’infanzia”<br />
da un narratore adulto che si alterna con il narratore<br />
bambino, scaturito da uno spettacolo che l’autore<br />
ha scritto per Bruno Abraham-Kremer e parzialmente<br />
ispirato alla sua storia. François Dupeyron<br />
ne ha tratto un film presentato a Cannes<br />
nel 2004, che ha valso ad Omar Sharif nel ruolo<br />
di M. Ibrahim il César per il miglior attore.<br />
Gli stereotipi culturali e l’incontro delle culture e<br />
delle religioni, la tolleranza religiosa, la ricerca della<br />
felicità, il rapporto padre/figlio, l’amicizia e il modello<br />
adulto nella crescita e nella formazione della<br />
personalità, l’iniziazione all’età adulta, l’indifferenza,<br />
la solitudine e l’abbandono, la depressione. Fra<br />
i contenuti culturali si può anche proporre un approfondimento<br />
del quartiere di Parigi della rue du<br />
Faubourg Poissonnière.<br />
Siamo negli anni ’60 e Moïse, soprannominato<br />
147
148<br />
Raffaela Cosimi<br />
Momo, è un ragazzino di undici anni trascurato<br />
dal padre, avvocato depresso da quando la moglie<br />
lo ha lasciato. A poco a poco la sua figura di riferimento<br />
diventa M. Ibrahim, un turco che tutti<br />
chiamano “l’arabe du coin” (l’arabo dell’angolo)<br />
perché tiene aperta la sua bottega della rue Bleu<br />
tutti i giorni, che fra piccole trasgressioni e semplici<br />
riflessioni sulla religione, gli indicherà i segreti<br />
della felicità e lo accompagnerà, insieme alle<br />
prostitute del quartiere, nel difficile cammino verso<br />
l’età adulta. Momo, a sua volta, accompagnerà M.<br />
Ibrahim nel suo viaggio di ritorno al paese natale,<br />
per vederlo un’ultima volta….Molti elementi della<br />
storia lo avvicinano al romanzo di Romain Gary<br />
La vie devant soi, pubblicato con lo pseudonimo<br />
Emile Ajar, Gallimard, Paris 1982<br />
FAIZA GUÈNE, Kiffe kiffe demain, Hachette littératures 2004 Paris, collection<br />
“Le Livre de Poche”<br />
Pertinenza della<br />
scelta e centri di<br />
interesse<br />
Lingua e stile<br />
La forma e il<br />
genere letterario<br />
Destinatari: studenti in possesso di un livello A2<br />
(200 ore di apprendimento circa), orientativamente<br />
3° anno di studio, a partire dai 15 anni.<br />
Lo stile è quello della lingua orale sia dal punto di<br />
vista morfo-sintattico, che delle scelte lessicali e<br />
dell’uso dei tempi verbali, il che lo rende accessibile<br />
anche a discenti con nozioni di grammatica<br />
non avanzate (in particolare l’uso del passato prossimo<br />
nella narrazione). Tuttavia bisogna prevedere<br />
qualche lezione propedeutica sulle varie forme<br />
del linguaggio familiare (“argot”, “verlan”, espressioni<br />
idiomatiche) ampiamente utilizzato nel romanzo,<br />
o un glossario elaborato dall’insegnante<br />
per accelerare i tempi di lettura.<br />
Romanzo di formazione al limite del diario intimo,<br />
realistico nell’intreccio ma estremamente
I temi<br />
La storia<br />
Dal “sapere” letterario al “saper essere”<br />
gettivo nella presentazione dei fatti. Si tratta infatti<br />
del racconto in prima persona, in forma di diario<br />
personale, di un’adolescente di origine marocchina<br />
con difficoltà a integrarsi e scarso rendimento scolastico;<br />
lo sguardo estremamente critico che porta<br />
sulla realtà è l’espressione della sua sofferenza interiore,<br />
sofferenza che via via, grazie agli incontri e<br />
agli eventi che si susseguono nella sua vita, riuscirà<br />
a superare per acquisire maggior fiducia nel futuro.<br />
La narrazione si divide in brevi capitoli non numerati<br />
ma separati da semplici spazi tipografici, a loro<br />
volta suddivisi in parti seguendo un criterio tematico<br />
o le esigenze del racconto intimo più che i ritmi<br />
di una progressione narrativa esterna.<br />
La difficoltà di integrazione delle culture<br />
(marocchina e francese), l’analfabetismo, gli<br />
stereotipi sugli immigrati e il razzismo, i rischi legati<br />
allo statuto di immigrato (fallimento scolastico,<br />
uso di sostanze stupefacenti, piccola delinquenza),<br />
la povertà e la vergogna che ne derivano, l’importanza<br />
dell’istruzione per l’emancipazione sociale,<br />
la ribellione e la crisi adolescenziale, il ruolo<br />
svolto dalla televisione nell’analisi della realtà, la<br />
possibilità di trovare nella letteratura un sollievo e<br />
una risposta alla sofferenza umana.<br />
Un mattino il padre di Doria è tornato al paese<br />
natale, il Marocco, per sposare una donna più giovane<br />
e in grado di dargli dei figli (possibilmente<br />
maschi). La quindicenne attraversa allora un periodo<br />
non facile: la madre analfabeta è depressa e<br />
costretta a lavorare come donna delle pulizie per<br />
sbarcare il lunario; lo scarso rendimento scolastico<br />
dà luogo a una sfilata di assistenti sociali mal<br />
sopportate; l’amicizia con un magrebino più grande<br />
di lei, del quale è forse un po’ innamorata, la fa<br />
soffrire di gelosia nei confronti delle donne che<br />
frequenta. Sullo sfondo, la realtà sociale degradata<br />
di una delle tante “cité” dove si muove, soffre e<br />
149
Elementi<br />
di analisi<br />
dell’opera<br />
150<br />
Raffaela Cosimi<br />
si arrabatta per sbarcare il lunario tutta una folla<br />
variopinta di persone, ciascuna con la sua cultura,<br />
i suoi limiti, le sue speranze. E su tutto, lo sguardo<br />
critico e talvolta feroce ma sempre ricco di humour,<br />
di un’adolescente che cerca di decifrare il<br />
mondo con i mezzi che ha (una conoscenza enciclopedica<br />
dei programmi televisivi), sforzandosi<br />
di integrare la sua cultura di origine, con i suoi<br />
rituali e le sue tradizioni, a una realtà dinamica ma<br />
spesso crudele e poco accogliente. Un po’ alla volta<br />
i vari nodi si sciolgono, i rapporti cambiano e nuovi<br />
spiragli si aprono, lasciando sperare in un futuro<br />
migliore.<br />
La forma narrativa alla prima persona (diario); il<br />
linguaggio parlato (scelte lessicali, strutture<br />
sintattiche, forme idiomatiche); la soggettività del<br />
racconto e le informazioni che si ricavano dall’analisi<br />
della voce narrante; i riferimenti socio-culturali<br />
(numerosissimi) a tradizioni marocchine, trasmissioni<br />
televisive e testi letterari.<br />
Altre proposte di lettura<br />
Joseph Joffo, Un sac de billes, Hachette 1998, collection “Le Livre de Poche”<br />
Amélie Nothomb, Robert des noms propres, Albin Michel 2003, collection “Le<br />
Livre de Poche”<br />
Delphine de Vigan, No et moi, Lattès 2007, collection “Le Livre de Poche”<br />
Tahar Ben Jelloun, Les raisins de la Galère, Fayard 1996<br />
M. Pagnol, La gloire de mon père, Flammarion 1974 (esiste anche il film diretto<br />
da Yves Robert, 2002 TF1 VIDEO)<br />
A. de Saint Exupéry, Le petit Prince, Gallimard 1987, collection “Folio Junior”<br />
Per altri suggerimenti si può consultare il sito http://takalirsa.pagespersoorange.fr/index.html,<br />
ricco di idee e sollecitazioni.<br />
Bibliografia e sitografia<br />
Aa. Vv., Littérature et classe de langue. Français langue étrangère, Hatier et CREDIF 1982<br />
DUFAY J.L., Enseigner et apprendre la littérature aujourd’hui, pour quoi faire? Sens,<br />
utilité, évaluation, Presses Universitaires de Louvain 2007.
Dal “sapere” letterario al “saper essere”<br />
PAPO E., Littérature et communication en classe de langue, Hatier-Didier 1990<br />
ROUXEL A., Enseigner la lecture littéraire, Presses Universitaires de Rennes, 1996<br />
THIBERT R., Dossier d’actualité n. 58 (novembre 2010) – Pour des langues plus<br />
vivantes à l’école<br />
DUFAYS J.-L., GEMENNE L., LEDUR D., Pour une lecture littéraire. Histoire, théories,<br />
pistes pour la classe, 2e édition, De Boeck 2005.<br />
Riviste<br />
LIDIL, revue de linguistique, http://lidil.revues.org/index60.html<br />
LE MAGAZINE LITTÉRAIRE, http://www.magazine-litteraire.com/<br />
TDC. La revue des enseignants, http://www.cndp.fr/tdc/tous-les-numeros/<br />
le-roman-francais-contemporain/sequences-pedagogiques/lire-le-romancontemporain-a-lecole.html.<br />
151
Diario di una settimana di scuola<br />
diversa dal solito<br />
di Marco Zocchi*<br />
La settimana verde delle classi 5A e 5B a Piano d’Arta<br />
(10-15 maggio 2010)<br />
Tra le attività educative e didattiche che vengono proposte agli<br />
studenti del secondo anno un posto di un certo rilievo è riservato<br />
al viaggio d’istruzione. Da alcuni anni si è deciso di proporre<br />
alle classi interessate la settimana verde. La località scelta è Piano<br />
d’Arta, punto di partenza per escursioni che portano alla<br />
scoperta degli ambienti naturali, dei tesori d’arte e delle tracce<br />
della storia in tutta la Valle del But. La meta è stata scelta proprio<br />
perché offre la possibilità di svolgere attività molto varie,<br />
ma sempre legate alla programmazione educativa e didattica, in<br />
particolare alla storia, alla geografia, alle scienze naturali, alla<br />
storia dell’arte e all’educazione fisica.<br />
La “ricaduta” è stata sempre positiva, non tanto perché gli<br />
studenti si divertono (naturalmente non è questo l’obiettivo più<br />
importante), ma soprattutto perché hanno l’occasione di vivere<br />
esperienze umane e culturali nuove e stimolanti.<br />
Al termine della settimana verde del 2010, nel ripensare con<br />
gli studenti della classe 5A ai momenti più formativi del viaggio,<br />
è emersa la volontà di far conoscere anche ad altri le esperienze<br />
vissute. Da questa esigenza è nata la decisione di riprendere in<br />
mano e di pubblicare gli “appunti di viaggio” presi di giorno in<br />
153
154<br />
Marco Zocchi<br />
giorno, redigendo una sorta di diario. Quello che segue è l’esito<br />
di questo lavoro.<br />
Lunedì 10 maggio<br />
L’inizio è tranquillo e leggero. Il simpatico Mauro, albergatore e<br />
accompagnatore in tutte le gite, ci porta a visitare lo stabilimento<br />
termale e ci spiega le miracolose proprietà curative delle acque<br />
sulfuree, che erano sfruttate già dagli antichi Romani e che<br />
molti secoli dopo hanno fatto venire da queste parti anche un<br />
certo Giosué <strong>Carducci</strong>. Poi un primo “assaggio” di natura tra<br />
boschi, prati e ruscelli.<br />
Nel pomeriggio Tiziana, l’esperta di botanica, ci porta, ancora<br />
tra boschi e prati, a scoprire le piante della Carnia (le conosce<br />
proprio tutte!). Quelle che a uno sguardo superficiale sembrano<br />
solo erbacce tutte uguali rivelano una straordinaria<br />
biodiversità. Impariamo a distinguere erbe curative, saporiti aromi<br />
per le nostre pietanze e letali veleni, e riflettiamo sull’uso sapiente<br />
che gli antichi facevano delle semplici e preziose risorse<br />
che la natura ci offre.<br />
Martedì 11 maggio<br />
A vederla dal paese, arroccata sulla cima di un’impervia montagna,<br />
la Pieve di San Pietro sembra inaccessibile; eppure è proprio<br />
quella la meta della nostra gita. Dopo la dura salita lungo il<br />
ripido costone boscoso, con sorpresa ci troviamo all’improvviso<br />
tra le case del paesino semi-spopolato di Fielis. Con altrettanta<br />
sorpresa scopriamo che qui un coraggioso gruppo di volontari<br />
ha fondato un’istituzione unica, dal nome curioso, la<br />
“Polse di Cougnes”: centro culturale, luogo di incontro e di dialogo<br />
interreligioso, foresteria, biblioteca, orto botanico, laboratorio<br />
artistico, musicale e scientifico, persino osservatorio astronomico.<br />
Quindi ci dirigiamo all’antica Pieve. Risalente agli albori<br />
del Medioevo e più volte ristrutturata e ampliata nel corso dei<br />
secoli, si erge in posizione dominante su tutta la valle del But;
Una settimana di scuola diversa dal solito<br />
nel Medioevo fu sede episcopale e la sua giurisdizione si estendeva<br />
sulla Carnia e su parte del Cadore. Da lì scendiamo per un<br />
altro ripido sentiero a Zuglio, l’antica Iulium Carnicum. In epoca<br />
romana la città, situata lungo l’importante via che attraverso<br />
il Passo di Monte Croce Carnico collegava Aquileia con<br />
l’area germanica, era il centro più importante della zona. Dopo<br />
una rapida occhiata all’area archeologica, corrispondente all’antico<br />
foro, visitiamo il Museo, che conserva interessanti reperti<br />
dell’epoca celtica (armi e corredi funerari) e del periodo<br />
romano (mosaici, sculture, frammenti architettonici, oggetti<br />
di vita quotidiana).<br />
Mercoledì 12 maggio<br />
Dopo la fatica di ieri, oggi è un giorno di riposo. Al mattino<br />
visitiamo la fattoria didattica di Bosco Museis, presso Cercivento.<br />
Il posto è ameno e bucolico. Il “padrone di casa”, Renato<br />
Garibaldi, un pronipote dell’eroe dei due mondi, ci spiega come<br />
si possa e si debba conciliare lo sviluppo e il progresso con il<br />
rispetto dell’ambiente.<br />
Nel pomeriggio ecco un’esperienza nuova per i più e divertente:<br />
la gara di orienteering. Dotati di carta topografica e di<br />
bussola, dobbiamo trovare nel minor tempo possibile i punti in<br />
cui sono posizionate le cosiddette “lanterne”, ben nascoste nel<br />
bosco e tra le case. Il record stabilito lo scorso anno proprio da<br />
una squadra del Dante resiste, ma i tempi dei primi classificati<br />
sono molto buoni.<br />
Siccome è venuta fame, molti accettano la proposta di recarsi<br />
in cucina per imparare dalla cuoca Benedetta i segreti della<br />
sua arte e, naturalmente, per assaggiare le pietanze.<br />
Giovedì 13 maggio<br />
La camminata di oggi ci porta in un ambiente di alta montagna,<br />
sulle cime che costituiscono il confine naturale tra l’Italia e l’Austria.<br />
La mano ferma di Mauro aiuta chi ha poca dimestichezza<br />
155
156<br />
Marco Zocchi<br />
con la montagna. Ci fa da guida Bruno; una vita, la sua, dedicata<br />
alla scuola e alla montagna. L’interesse dell’escursione non è<br />
solo naturalistico, ma anche storico. In questi luoghi, infatti, si<br />
possono vedere ancora le tracce lasciate dalla Grande Guerra<br />
’15-’18. Le cime che sovrastano il Passo di Monte Croce Carnico<br />
furono teatro di sanguinosi combattimenti; la guerra in alta<br />
montagna era resa ancora più dura dalle difficili condizioni ambientali<br />
e vi persero la vita moltissimi giovani da entrambe le<br />
parti. Sulle cime e lungo le creste, le trincee degli opposti schieramenti<br />
correvano a poche decine di metri di distanza; la guerra<br />
fu un susseguirsi di sanguinosi attacchi e contrattacchi per contendersi<br />
pochi metri di territorio e i punti più strategici passarono<br />
ripetutamente da un contendente all’altro. Salendo lungo i<br />
sassosi sentieri che portano al Pal Piccolo passiamo in mezzo ai<br />
resti delle trincee e delle postazioni, muti testimoni di una grande<br />
tragedia. Ma per noi non mancano le gradite sorprese. La<br />
prima è la neve, che a metà maggio resiste ancora abbondante<br />
in quota; a chi crede di essere arrivato dove inizia la neve perenne,<br />
Mauro fa notare che anche a Trieste la neve inizia “per<br />
enne”… Girato lo spigolo della montagna, ecco un’altra sorpresa:<br />
dopo lunghe ore di preparazione tecnica sulla parete attrezzata<br />
della palestra, finalmente l’ebbrezza di una vera ferrata; la affrontiamo<br />
in sicurezza sotto la guida esperta di Bruno. Tutto è<br />
molto divertente, ma il nostro pensiero va anche ai giovani che<br />
sono saliti lungo questi sentieri con la certezza di andare a morire.<br />
Venerdì 14 maggio<br />
Oggi ci dividiamo in due gruppi: chi è interessato all’arte va da<br />
una parte, chi preferisce camminare in montagna dall’altra.<br />
Il primo gruppo si reca a Illegio. In questo piccolo borgo,<br />
lontano dai flussi turistici e dalle grandi vie di comunicazione,<br />
già da alcuni anni l’intraprendenza del Comitato di San Floriano<br />
permette di allestire importanti mostre d’arte con opere provenienti<br />
dai musei di tutta Europa. La mostra di quest’anno è de-
Una settimana di scuola diversa dal solito<br />
dicata alla raffigurazione degli angeli e attraverso le opere esposte<br />
ci permette di gettare uno sguardo sulle varie correnti artistiche<br />
che si sono susseguite a partire dal Medioevo. Ma a Illegio<br />
non c’è solo la mostra. Si possono vedere il caseificio, che produce<br />
il genuino formaggio di montagna con tecniche tradizionali,<br />
i mulini azionati dall’acqua del torrente, e l’antica Pieve di<br />
S. Floriano, isolata sulla panoramica cima di una collina e raggiungibile<br />
dal paese con una comoda passeggiata.<br />
Per gli “irriducibili” invece la meta è il Lander. Dopo una<br />
lunga salita nel bosco arriviamo al bivacco e, percorsi ancora<br />
pochi metri, ci affacciamo da un lato sul lontano fondovalle,<br />
dall’altro sugli imponenti scoscendimenti franosi, formatisi circa<br />
10.000 anni fa, che costituiscono i versanti meridionali del<br />
Monte di Rivo e del Monte Cucco. Il ritiro del ghiacciaio, che<br />
prima tratteneva i versanti, ha lasciato questi ultimi in condizione<br />
di instabilità, con la conseguente formazione di frane e fenomeni<br />
di erosione, con creste, guglie e pinnacoli. Sulla cima per<br />
un attimo la nostra attenzione è attratta dal volo di un falco, che<br />
volteggia libero sopra di noi tra il bosco e i brulli dirupi e subito<br />
scompare tra le nubi. Un insperato squarcio tra le nuvole permette<br />
un ultimo sguardo al panorama da una radura prativa, poi<br />
bisogna scendere rapidamente. È stata un’escursione impegnativa,<br />
ma ha offerto piccole grandi soddisfazioni: trovare con la<br />
mappa il sentiero giusto nel cuore della foresta di abeti, ripararsi<br />
dalla pioggia in una baracca di legno in mezzo al bosco, sedersi<br />
in compagnia accanto al fuoco, arrampicarsi sui faggi secolari,<br />
correre a perdifiato giù per i prati in pendio, balzare da un sasso<br />
a un altro per attraversare un torrente senza bagnarsi. Siamo in<br />
Carnia, ma potremmo essere anche tra le Montagne Rocciose:<br />
l’avventura è assicurata; e tutto questo in un giorno di scuola!<br />
Dopo una camminata così impegnativa che cosa c’è di meglio<br />
per ritemprare le energie che una corroborante partita di<br />
calcio? E allora, il tempo di cambiarsi e via verso il campo sportivo<br />
di Arta. Non sarà il Bernabeu, ma va bene lo stesso… La<br />
157
158<br />
Marco Zocchi<br />
partita è spettacolare e combattuta, nonostante la pioggia; al<br />
fischio finale abbracci e strette di mano: bell’esempio di fair play.<br />
Alla sera Mauro ci intrattiene cantando e suonando. Darko,<br />
il factotum dell’albergo, ci stupisce con la sua inesauribile allegria.<br />
Sabato 15 maggio<br />
È già arrivato l’ultimo giorno! Visitiamo le chiesette medievali<br />
di Arta, S. Spirito di Chiusini e S. Nicolò degli Alzeri, due piccoli<br />
gioielli d’arte e di storia. Mauro ci racconta affascinanti storie<br />
medievali di dame e di cavalieri; come in tutte le storie medievali,<br />
non manca il mistero: il miracolo della salvia e il cunicolo<br />
segreto sotto la chiesa dei Templari.<br />
Dopo pranzo, in attesa della corriera, Mauro ci intrattiene<br />
con strani e bizzarri giochi di abilità; i giochi con cui nelle miniere<br />
del Belgio i minatori emigrati dalla Carnia passavano il<br />
tempo tra un turno di lavoro e l’altro, quando nemmeno nei<br />
momenti di riposo avevano la possibilità di uscire all’aria aperta.<br />
Ma ora è proprio giunto il momento di partire.<br />
Le montagne sono ormai alle spalle. Si torna alla normalità,<br />
da lunedì si torna a fare lezione in aula anziché all’aria aperta.<br />
Ma questa settimana di scuola diversa dal solito rimarrà a lungo<br />
nel nostro ricordo.
Finito di stampare<br />
nel mese di novembre 2011<br />
presso lo stabilimento tipografico<br />
Globalprint srl di Gorgonzola (MI)<br />
per conto della casa editrice<br />
LINT Editoriale srl di Trieste