Medioevo: un pregiudizio secolare che perdura nel ... - Carducci
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<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong> <strong>che</strong><br />
<strong>perdura</strong> <strong>nel</strong> discorso com<strong>un</strong>e. Esercizi<br />
di decostruzione alla luce delle scienze sociali<br />
di Franz Brandmayr *<br />
1. Introduzione. Un contributo ab extra<br />
Provengo da <strong>un</strong>a formazione storica, an<strong>che</strong> se già prima degli<br />
studi <strong>un</strong>iversitari (si era negli anni Settanta) i miei interessi antropologico-culturali<br />
si erano ben caratterizzati. Indirizzai poi decisamente<br />
le mie ricer<strong>che</strong> <strong>nel</strong> campo degli studi sociali, all’interno<br />
dei quali mi sono mosso fino a oggi in maniera quasi esclusiva. In<br />
ogni caso la storia ha continuato a rappresentare <strong>un</strong> mio interesse<br />
costante, spesso an<strong>che</strong> i<strong>nel</strong>udibile, tanto <strong>nel</strong>la ricerca sociale, 2<br />
* Docente di I. r. c.<br />
La vita del medievalista potrebbe consumarsi<br />
tutta <strong>nel</strong> raddrizzare torti: perché quasi sempre<br />
i fatti, i testi del tempo, smentiscono le leggende<br />
accumulatesi a partire dal XVI secolo e diffuse<br />
soprattutto con il XIX secolo. 1<br />
1 PERNOUD R., <strong>Medioevo</strong>. Un <strong>secolare</strong> <strong>pregiudizio</strong>, Bompiani, Milano 1998 5<br />
(1977), p. 146.<br />
2 Per <strong>un</strong>a introduzione dal p<strong>un</strong>to di vista dell’antropologia ai rapporti intercorrenti<br />
fra le scienze etnoantropologi<strong>che</strong> e la storia rinvio a BELLAGAMBA A.,<br />
s.v. Annales, Scuola delle, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di), Dizionario di<br />
antropologia. Etnologia antropologia culturale antropologia sociale, Zani<strong>che</strong>lli, Bologna<br />
1997, p. 49; COMBA E., s.v. Storia, ivi, pp. 709-710; CIRESE A.M., Cultura<br />
37
38<br />
Franz Brandmayr<br />
quanto <strong>nel</strong>l’attività di insegnamento della Religione cattolica, 3 <strong>nel</strong>la<br />
quale è noto <strong>che</strong> essa debba intessere <strong>un</strong> confronto serrato con<br />
altre discipline diacroni<strong>che</strong> (soprattutto con la Storia delle Religioni<br />
e con la Storia della Chiesa), oltre <strong>che</strong>, più in generale, con<br />
tutte le Scienze delle Religioni. 4<br />
Ciò nonostante – come esplicito fin dal titolo – non vorrebbe<br />
essere quello prettamente storiografico l’angolo visuale di<br />
questo contributo. Il mio vorrebbe configurarsi come <strong>un</strong> approccio<br />
antropologico-culturale alla “narrazione” 5 del <strong>Medioevo</strong><br />
<strong>nel</strong> discorso com<strong>un</strong>e. Data la vastità del campo considerato,<br />
proverei a sperimentare qual<strong>che</strong> forma di esercizio critico avvalendomi<br />
soprattutto di po<strong>che</strong> pubblicazioni (qual<strong>che</strong> manuale<br />
scolastico e <strong>un</strong>a sintesi divulgativa), prese quasi a caso dalla pletora<br />
di produzioni di qualità assai diversificata, <strong>che</strong> hanno per oggetto<br />
l’epoca medievale o qual<strong>che</strong> suo aspetto specifico.<br />
egemonica e culture subalterne. Rassegna degli studi sul mondo popolare tradizionale,<br />
Palumbo, Palermo 1973 2 (1971), pp. 24-39; RIVIERE C., Introduzione all’antropologia,<br />
Il Mulino, Bologna 1995, pp. 18-19; TULLIO-ALTAN C., Antropologia.<br />
Storia e problemi, Feltri<strong>nel</strong>li, Milano 1985 2 (1983), pp. 267-304.<br />
3 Dalle mie matrici culturali non ho ricavato <strong>un</strong>a grande propensione a<br />
soffermarmi sul dato autobiografico; tuttavia <strong>nel</strong>l’ambito antropologico-culturale<br />
è divenuto ormai costume consolidato il farlo, allo scopo di esplicitare<br />
al lettore, almeno indicativamente, le premesse teori<strong>che</strong> di partenza e i possibili<br />
condizionamenti <strong>che</strong> vi sono connessi [cfr. GEERTZ C., Opere e vite. L’antropologo<br />
come autore, Il Mulino, Bologna 1995 (1992), pp. 85-86].<br />
4 Cfr. BUCARO G., Filosofia della religione. La riflessione sul “senso” del fatto religioso<br />
da Spinoza a Nietzs<strong>che</strong>, da Bloch a Eliade, Città Nuova, Roma 1986, pp. 13-15;<br />
FILORAMO G.-PRANDI C., Scienze delle Religioni, Morcelliana, Brescia 1997 3 (1987),<br />
passim; RAGOZZINO G., Il fatto religioso. Introduzione allo studio della religione, Edizioni<br />
Messaggero, Padova 1990, pp. 50-75; TERRIN A.N., Introduzione allo studio<br />
comparato delle religioni, Morcelliana, Brescia 1991, pp. 13-29.<br />
5 Conferisco al termine tutta la pregnanza storiografica <strong>che</strong> gli deriva dalla riflessione<br />
dei Post-colonial Studies [cfr. ad es. CHAKRABARTY D., Storia delle minoranze, passati<br />
subalterni, in ID., Provincializzare l’Europa, Meltemi, Roma 2004 (2000), pp. 135-155].
<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />
In queste pagine cerco an<strong>che</strong> di configurare alc<strong>un</strong>e linee ipoteti<strong>che</strong><br />
di <strong>un</strong> possibile successivo lavoro di ricerca più esteso,<br />
volto ad accertare con criteri an<strong>che</strong> quantitativi l’eventuale persistenza<br />
del <strong>pregiudizio</strong> antimedievale <strong>nel</strong> discorso com<strong>un</strong>e. Nel<br />
caso la presente riflessione dovesse portare a sviluppi di questo<br />
genere, si renderebbe naturalmente necessario operare concretamente<br />
su <strong>un</strong> “terreno” accuratamente definito, come da consolidata<br />
tradizione antropologico-culturale. 6<br />
Tuttavia questo elaborato potrebbe risultare forse già apprezzabile<br />
an<strong>che</strong> sotto due altri profili: in prima istanza in <strong>un</strong>a prospettiva<br />
didattica, in quanto esprimo il p<strong>un</strong>to di vista del docente,<br />
<strong>che</strong> da più di <strong>un</strong> quarto di secolo rileva – o ritiene di rilevare –<br />
negli studenti la persistenza di <strong>un</strong>a forte stereotipizzazione delle<br />
conoscenze e delle competenze interpretative intorno al <strong>Medioevo</strong><br />
europeo. Queste sembrerebbero – in buona sostanza – riprodurre<br />
pedissequamente i luoghi com<strong>un</strong>i <strong>che</strong> numerosi storici den<strong>un</strong>ciano<br />
essere ricorrenti in tanta manualistica e pubblicistica<br />
attuali. Pernoud scriveva già <strong>nel</strong> 1977 di «opere “stori<strong>che</strong>”» o addirittura<br />
di collane stori<strong>che</strong> scritte con «procedimenti giornalistici» 7 .<br />
6 Cfr. ad es. BERNARDI B., Uomo cultura società. Introduzione agli studi etno-antropologici,<br />
Franco Angeli, Milano 1984 8 (s.d. orig.), p. 119; BIANCO C., Dall’evento al<br />
documento. Orientamenti etnografici, C.I.S.U., Roma 1988, passim; «è proprio su questo<br />
p<strong>un</strong>to <strong>che</strong> può individuarsi la distinzione fra ogni tipo di filosofia e ogni<br />
tipo di antropologia culturale scientificamente valida: la falsificabilità delle proposizioni<br />
antropologi<strong>che</strong> e il suo carattere sperimentale» [TULLIO-ALTAN C., Manuale<br />
di antropologia culturale. Storia e metodo, Bompiani, Milano 1979 (1971), p. 573].<br />
7 CARMO FELICIANI S., Introduzione, in DAWSON CH., Il cristianesimo e la formazione<br />
della civiltà occidentale, Rizzoli, Milano 1997 2 (1950), p. 6; PERNOUD R., op. cit.,<br />
p. 145; cfr. PIVATO S., Vuoti di memoria. Usi ed abusi della storia <strong>nel</strong>la vita pubblica<br />
italiana, Laterza, Roma-Bari 2007, pp. 22, 26, 34, 74, 87-88, 129, 131 et alibi. Il<br />
pensiero non può non correre ai giorni nostri, in cui – ad esempio – <strong>un</strong><br />
«libraccio» (F. Cardini) come Il codice Da Vinci viene accolto an<strong>che</strong> da <strong>un</strong><br />
soggetto laureato come <strong>un</strong>a sorta di rivelazione esoterica (colloquio 1.1.<br />
02.02.2006). Vd. an<strong>che</strong> infra nt. 291.<br />
39
40<br />
Franz Brandmayr<br />
Peraltro la critica storiografica a queste produzioni di consumo è<br />
destinata a rimanere confinata in riviste erudite 8 e non riesce a scalfire<br />
il complesso stereotipico antimedievale sedimentato <strong>nel</strong>l’immaginario<br />
collettivo, <strong>che</strong> – invece – di questa pubblicistica sembra<br />
nutrirsi abbondantemente. Inoltre – più in generale – pare <strong>che</strong> questo<br />
senso com<strong>un</strong>e pervada an<strong>che</strong> i cosiddetti ambienti colti. 9<br />
In queste rappresentazioni collettive 10 il <strong>Medioevo</strong> costituirebbe,<br />
pertanto, proprio come asserivano gli umanisti, <strong>un</strong> periodo<br />
storico «vuoto» e «scadente», 11 <strong>un</strong> autentico «iato» fra due<br />
epo<strong>che</strong> <strong>che</strong> sarebbero invece significative, quella classica e quella<br />
moderna. Per gli storici delle più svariate impostazioni è oramai<br />
acquisito il fatto <strong>che</strong> sia vero «il contrario», 12 ma le ricer<strong>che</strong><br />
scientifi<strong>che</strong> dell’ultimo secolo e mezzo 13 sembrano non avere<br />
ancora raggi<strong>un</strong>to il grande pubblico e – talvolta – nean<strong>che</strong> i<br />
manuali scolastici; 14 e – lo si sa bene – sono questi ultimi a rappresentare<br />
più efficacemente la «verità storica ufficiale» 15 . Al<br />
posto della storiografia più avanzata potrebbe prevalere – è questa<br />
l’ipotesi antropologico-culturale <strong>che</strong> formulo, in vista di <strong>un</strong><br />
8 PERNOUD R., op. cit., p. 145; SANFILIPPO M., La storia in edicola: biografie, romanzi,<br />
gadget, in “Memoria e Ricerca”, gennaio-aprile 2007, passim.<br />
9 LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario medievale, Laterza, Roma-Bari<br />
1998 2 (1985), p. XVIII.<br />
10 DURKHEIM E., Rappresentazioni individuali e rappresentazioni collettive, in ID., Le<br />
regole del metodo sociologico. Sociologia e filosofia, Com<strong>un</strong>ità, Torino 2001 (1898),<br />
pp. 137-164.<br />
11 LE GOFF J., Prefazione, in ID., Tempo della Chiesa e tempo del mercante, Einaudi,<br />
Torino 1977 (1976), pp. VII-VIII.<br />
12 LE GOFF J., ivi, p. IX.<br />
13 DAWSON CH., op. cit., pp. 23-24 scriveva questo già <strong>nel</strong> 1950; PERNOUD R.,<br />
op. cit., p. 16.<br />
14 Cfr. ibidem.<br />
15 CONTI F., Massoneria e religioni civili. Cultura laica e liturgie politi<strong>che</strong> fra XVIII e<br />
XX secolo, Il Mulino, Bologna 2008, p. 8.
<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />
possibile rilevamento empirico sul campo – <strong>un</strong>a sorta di<br />
rielaborazione e di amplificazione mediatica; 16 questa sembra<br />
alimentarsi (an<strong>che</strong> questo andrebbe dimostrato con <strong>un</strong>o studio<br />
sistematico) – oltre <strong>che</strong> di sintesi manualisti<strong>che</strong> – della<br />
pubblicistica non-specialistica sopra menzionata, di documentari<br />
televisivi, di enciclopedie on line, in cui il controllo della produzione<br />
spesso sfugge a <strong>un</strong>a selezione seria, e di altre opere di<br />
divulgazione più o meno dilettantes<strong>che</strong>. 17<br />
Non nutro dubbio alc<strong>un</strong>o sulle gravose difficoltà insite <strong>nel</strong>la<br />
didattica della storia; 18 io stesso le sperimento quando tento di<br />
porgere dei contenuti la cui distanza culturale dal “mondo vitale”<br />
19 degli studenti è particolarmente marcata. È per questo motivo<br />
<strong>che</strong> invito i colleghi storici e/o insegnanti di storia o di altre<br />
discipline interessate 20 (la filosofia, 21 le letterature italiana e straniere,<br />
la storia dell’arte ecc.) ad avviare <strong>un</strong> dibattito <strong>che</strong> prenda sul<br />
serio il difficile compito del docente <strong>che</strong> si impegna a trasmettere<br />
<strong>un</strong>a certa sensibilità storica 22 agli allievi, con <strong>un</strong> particolare riferi-<br />
16 Cfr. PERNOUD R., op. cit., p. 149.<br />
17 Ivi, pp. 9, 16, 145, 156 et alibi. Cfr. supra an<strong>che</strong> nt. 7 e infra nt. 291.<br />
18 PIVATO S., op. cit., p. 37.<br />
19 ABBAGNANO N., s.v. Mondo della vita, in ID., Dizionario di filosofia, U.T.E.T.,<br />
Torino 1971 2 (s.d. orig.), p. 596; PARDI F., s.v. Soggettività, in DEMARCHI F.-<br />
ELLENA A.-CATTARINUSSI B. (a cura di), Nuovo dizionario di sociologia, San Paolo,<br />
Cinisello Balsamo (MI) 1994 3 (1987), p. 1986.<br />
20 Cfr. PERNOUD R., op. cit., pp. 153 e 168. Devo ai colleghi e amici Paolo<br />
Emilio Biagini, Brigitta Bianchi, Federico Creazzo, Lucia D’Agnolo, Silvia<br />
Visintini e Marco Zocchi svariati stimoli e suggerimenti preziosi per la stesura<br />
di queste pagine: colgo qui l’occasione per ringraziarli. Va da sé <strong>che</strong> ascrivo<br />
a me stesso ogni carenza di questo scritto.<br />
21 Vd. ad es. PORCARELLI A., Insegnare la filosofia medievale. Stereotipi e innovazioni<br />
didatti<strong>che</strong>, in http://archive.sfi.it/cf/cf4/articoli/porcarelli.htm.<br />
22 Cfr. MARROU H.-I., La conoscenza storica, Il Mulino, Bologna 1988 (1954), p.<br />
36; PERNOUD R., op. cit., p. 168.<br />
41
42<br />
Franz Brandmayr<br />
mento all’epoca in questione. All’inevitabile semplificazione del<br />
discorso storiografico congenito alla manualistica e alla sproporzione<br />
esistente fra la l<strong>un</strong>ghezza dell’arco temporale considerato<br />
nei programmi e le scarse risorse (misurate in <strong>un</strong>ità orarie scolasti<strong>che</strong>,<br />
in pagine di libri di testo e altro ancora) disponibili per lo<br />
studio del <strong>Medioevo</strong>, 23 vengono spesso ad aggi<strong>un</strong>gersi ancora tante<br />
difficoltà: tra le altre quelle determinate dalla diffusa svalutazione<br />
della storia, 24 ma an<strong>che</strong> quelle originate da <strong>un</strong>a cultura dominante<br />
(non solo didattica) ossessionata dal problem solving, 25 oramai incline<br />
a formare l’allievo al “saper fare” senza indurlo a concentrare<br />
l’attenzione sul “perché fare”, cultura inoltre sempre meno propensa<br />
a cogliere le sfumature – di cui la narrazione storica è invece<br />
solitamente ricca. Nel nome di <strong>un</strong>a sorta di pragmatismo cognitivo<br />
– infine – si spaccia talvolta per <strong>un</strong> attardamento passatistico 26 la<br />
presa in esame di temati<strong>che</strong> <strong>che</strong> si presumono antiquate.<br />
Su queste premesse della questione articolerei il mio discorso<br />
focalizzando l’attenzione su <strong>un</strong> secondo obiettivo, in qual<strong>che</strong> modo<br />
conseguente e f<strong>un</strong>zionale al primo: ritengo <strong>che</strong>, per allentare la<br />
presa del <strong>pregiudizio</strong> antimedievale, ci possa provenire <strong>un</strong> supporto<br />
epistemologico importante dalla strumentazione concettuale<br />
più “classica” delle scienze sociali. 27 Gli allievi (ma, perché<br />
23 Ivi, p. 153.<br />
24 PIVATO S., op. cit., pp. 37-46.<br />
25 Vd. ad es. CICATELLI S., Conoscere la scuola. Ordinamento didattica legislazione, La<br />
Scuola, Brescia 2004, p. 117.<br />
26 A questo proposito PERNOUD R., op. cit., p. 177 scriveva negli anni Settanta<br />
<strong>che</strong> la scuola francese produceva soggetti «amnesiaci», <strong>che</strong> rischiavano di<br />
diventare inabili all’esercizio della responsabilità e della libertà.<br />
27 Per <strong>un</strong>’introduzione all’utilizzo delle prospettive concettuali antropologi<strong>che</strong><br />
<strong>nel</strong>la storiografia vd. LE GOFF J., Prefazione, cit., p. VIII; LE GOFF J.-NORA<br />
P. (a cura di), Fare storia. Temi e metodi della nuova storiografia, Einaudi, Torino<br />
1981 (1974), passim; BOGLIONI P., Introduzione, in MANSELLI R., Il soprannaturale<br />
e la religione popolare <strong>nel</strong> Medio Evo, Studium, Roma 1985, p. XVI.
<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />
no? forse an<strong>che</strong> qual<strong>che</strong> adulto…) potrebbero ricavarne qual<strong>che</strong><br />
sp<strong>un</strong>to per elaborare <strong>un</strong>a sintesi (perché pur sempre di questo<br />
si tratta) autonoma sull’“Età di Mezzo”, <strong>un</strong>a sintesi forse<br />
meno inficiata da eti<strong>che</strong>tte categoriali, 28 <strong>che</strong> credo non soddisfino<br />
adeguatamente le loro esigenze di comprensione 29 di quest’epoca<br />
storica.<br />
All’interno di questa trattazione riserverei ancora qual<strong>che</strong><br />
sp<strong>un</strong>to all’intento di sensibilizzare i colleghi di storia o, chissà,<br />
forse an<strong>che</strong> qual<strong>che</strong> storico 30 circa l’opport<strong>un</strong>ità di <strong>un</strong> ulteriore<br />
approfondimento del dialogo metodologico fra l’antropologia<br />
e la storia. È possibile <strong>che</strong>, in <strong>un</strong> futuro lavoro, <strong>un</strong>a sorta di<br />
complemento di queste riflessioni, io tenti di cercare <strong>un</strong>a risposta<br />
a determinate aporie del discorso storiografico medievistico<br />
operando <strong>un</strong>a serie di confronti con i Subaltern Studies, i Postcolonial<br />
Studies e con la corrente dell’antropologia critica. 31 Non è impossibile<br />
<strong>che</strong> da ciò possa scaturire qual<strong>che</strong> suggestione valida<br />
per affinare le metodi<strong>che</strong> scientifi<strong>che</strong> 32 di approccio allo specifico<br />
medievale. Sotto questo profilo, del resto, non faccio <strong>che</strong><br />
28 Le eti<strong>che</strong>tte categoriali o eti<strong>che</strong>ttazioni sono espressioni <strong>che</strong> diventano «<strong>un</strong><br />
p<strong>un</strong>to di ancoraggio per l’interpretazione di tratti di personalità e descrizioni<br />
comportamentali ad essa associate» [ARCURI L., Percezione e cognizione sociale, in<br />
ID. (a cura di), Manuale di psicologia sociale, Il Mulino, Bologna 1996, pp. 128-<br />
129]; mediante le eti<strong>che</strong>ttazioni viene poi attivata la memoria semantica del<br />
soggetto, <strong>nel</strong>la quale viene così innescata <strong>un</strong>a serie di associazioni di tali<br />
espressioni con altre <strong>che</strong> a esse si collegano. Cfr. infra nt. 65.<br />
29 Cfr. infra paragrafo 3.<br />
30 PERNOUD R., op. cit., p. 165, nt. 3 non sottace la differenza di formazione fra<br />
gli storici, avvezzi al trattamento dei dati documentali, e gli insegnanti di<br />
storia, <strong>che</strong> non sempre fanno esperienza in tal senso.<br />
31 Per <strong>un</strong>a prima introduzione vd. CHAMBERS I. (a cura di), Esercizi di potere.<br />
Gramsci, Said e il postcoloniale, Meltemi, Roma 2006, passim; PASQUINELLI C. (a<br />
cura di), Occidentalismi, Carocci, Roma 2005, passim; vd. an<strong>che</strong> infra nt. 171.<br />
32 Cfr. MARROU H.-I., op. cit., p. 5, <strong>che</strong> scrive di <strong>un</strong>a «filosofia critica della storia».<br />
43
44<br />
Franz Brandmayr<br />
pormi al seguito di parecchi storici, <strong>che</strong> sottolineano la criticità<br />
dell’utilizzo di categorie rigidamente e, talora, inconsapevolmente<br />
etnocentri<strong>che</strong> <strong>nel</strong>la ricerca storiografica. 33<br />
1.1. Limiti del saggio<br />
Riuscire a fondare in po<strong>che</strong> decine di pagine <strong>un</strong>’ipotesi, <strong>che</strong> si<br />
colloca sul versante opposto rispetto a quanto <strong>un</strong>a pluri<strong>secolare</strong><br />
rielaborazione mediatica (dapprima prodotta dalla letteratura<br />
polemica colta, poi – <strong>nel</strong>l’ultimo secolo e mezzo – “discesa”<br />
al “livello” 34 del senso com<strong>un</strong>e) va alimentando, è senz’altro<br />
impresa improba. Va interpretata in questa prospettiva la<br />
trattazione selettiva <strong>che</strong> seguirà, dalla quale potrà emergere<br />
<strong>un</strong>a versione consapevolmente migliorativa dell’Età di Mezzo;<br />
si tratterà di <strong>un</strong>’esposizione <strong>che</strong> – però – non intende suffragare<br />
alc<strong>un</strong>a «leggenda fantastica» 35 sul <strong>Medioevo</strong> stesso. Do<br />
pertanto per valida la ricerca storiografica precedente, an<strong>che</strong><br />
quella più scopertamente denigratoria, 36 e propongo al lettore<br />
di sostituire all’aut aut di <strong>un</strong> certo tipo di approccio, forse talvolta<br />
mani<strong>che</strong>o, <strong>un</strong> et et «multivocale» più in sintonia con l’orizzonte<br />
metodologico di certe correnti di pensiero delle scienze<br />
33 Cfr. ad es. BURKE P., Cultura e società <strong>nel</strong>l’Italia del Rinascimento, Einaudi, Torino<br />
1984 (1972), p. 21; CHABOD F., Storia dell’idea di Europa, Laterza, Roma-<br />
Bari 2001 4 (1961), p. 18; GUREVIČ A.J., Contadini e santi. Problemi della cultura<br />
popolare <strong>nel</strong> <strong>Medioevo</strong>, Einaudi, Torino 2000 2 (1981), p. 182; LE GOFF J., Prefazione,<br />
in ID., Tempo, cit., p. IX.<br />
34 Rinvio ai concetti di “livelli di cultura”, “prodotto culturale”, “processo di<br />
discesa/salita dei fatti culturali” (CIRESE A.M., op. cit., pp. 15-23 e ID., Dislivelli<br />
di cultura e altri discorsi inattuali, Meltemi, Roma 1997, passim.<br />
35 Cfr. ad es. DEDIEU J.-P., L’Inquisizione, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI)<br />
2003 (1987), p. 6.<br />
36 Ivi, pp. 76 e 77; MERLO G.G., Eretici ed eresie medievali, Il Mulino, Bologna<br />
1989, p. 10.
<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />
umane, 37 ma compatibile – suppongo – an<strong>che</strong> con <strong>un</strong>o studio<br />
storiografico aperto alla logica del Verstehen. 38<br />
All’inizio della ricerca avevo formulato <strong>un</strong>a serie di ipotesi<br />
alla luce del «<strong>secolare</strong> <strong>pregiudizio</strong>» colto da diversi angoli<br />
prospettici. In particolare, avevo pensato di occuparmi di<br />
quattro ambiti o aspetti del preconcetto antimedievale: quello<br />
della solidarietà e dei diritti umani 39 , all’interno del quale<br />
avrei considerato soprattutto i nodi problematici delle crociate<br />
40 e dell’Inquisizione, 41 quello della condizione femminile,<br />
42 quello della pres<strong>un</strong>ta ignoranza e, infine, quello del-<br />
37 Cfr. CHAKRABARTY D., Storia, cit., p. 146.<br />
38 Vd. infra paragrafo 3.<br />
39 Intorno all’influenza del pensiero cristiano medievale ai fini dell’elaborazione<br />
della nozione di “diritti umani” cfr. FACCHI A., Breve storia dei diritti<br />
umani, Il Mulino, Bologna 2007, pp. 26-27, 37 et alibi. Altre indicazioni sull’incidenza<br />
del cristianesimo medievale sulla solidarietà sociale e sul tramonto<br />
della schiavitù si trovano in BLOCH M., Come e perché finì la schiavitù antica, in<br />
ID., Lavoro e tecnica <strong>nel</strong> <strong>Medioevo</strong>, Laterza, Roma-Bari 2001 3 (1947), pp. 221-63;<br />
DOLZA L., Storia della tecnologia, Il Mulino, Bologna 2008, p. 51; FROMM E.,<br />
Psicanalisi della società contemporanea, Mondadori, Milano 1987 (1955), pp. 95-<br />
96; GUGLIELMI N., Il medioevo degli ultimi. Emarginazione e marginalità nei secoli<br />
XI-XIV, Città Nuova, Roma 2001, passim; LE GOFF J., Il <strong>Medioevo</strong>. Alle origini<br />
dell’identità europea, Laterza, Roma-Bari 2003 7 (1996), pp. 53-54; PERNOUD R.,<br />
Le rane e gli uomini, in EAD., <strong>Medioevo</strong>, cit., pp. 87-99.<br />
40 FLORI J., La cavalleria medievale, Il Mulino, Bologna 2002 (1998), passim; ID.,<br />
Le crociate, Il Mulino, Bologna 2003 (2001), passim; HÖFFNER J., La dottrina<br />
sociale cristiana, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1986 3 (1983), p. 237.<br />
41 CARDINI F.-MONTESANO M., La l<strong>un</strong>ga storia dell’Inquisizione. Luci e ombre della<br />
“leggenda nera”, Città Nuova, Roma 2005, passim; DEDIEU J.-P., op. cit., passim;<br />
MEREU I., Storia dell’intolleranza in Europa, Bompiani, Milano 1988, passim;<br />
PERNOUD R., L’indice accusatore, in EAD., <strong>Medioevo</strong>, cit., pp. 119-142.<br />
42 Vd. ad es. CONTE F., Gli slavi. Le civiltà dell’Europa centrale e orientale, Einaudi,<br />
Torino 1991 (1986), pp. 161-201; DUBY G., Il potere delle donne <strong>nel</strong> <strong>Medioevo</strong>, Laterza,<br />
Roma-Bari 2001 (1995), passim; LE GOFF J., Il <strong>Medioevo</strong>, cit., p. 105; cfr. an<strong>che</strong><br />
PERNOUD R., La donna priva di anima, in EAD., <strong>Medioevo</strong>, cit., pp. 101-117.<br />
45
46<br />
Franz Brandmayr<br />
l’anticlericalismo 43 . A <strong>un</strong> certo p<strong>un</strong>to dell’indagine questo progetto<br />
si è rivelato essere decisamente troppo vasto rispetto<br />
alle caratteristi<strong>che</strong> della presente pubblicazione, perciò, ho<br />
voluto ridimensionarlo notevolmente, limitandomi a considerare<br />
più in particolare <strong>un</strong>a sola di queste temati<strong>che</strong> e operando<br />
– al limite – qual<strong>che</strong> digressione più o meno ampia con riferimento<br />
alle rimanenti piste di ricerca.<br />
Fra le quattro opport<strong>un</strong>ità ho inteso privilegiare quella offerta<br />
dalla presa in esame della pres<strong>un</strong>ta ignoranza 44 del <strong>Medioevo</strong>. I<br />
topoi della staticità intellettuale e dell’oscurantismo retrivo, dell’incapacità<br />
innovativa in ambito tecnico e del supposto culto della<br />
ripetizione in ossequio alle auctoritates sono fra i più significativi<br />
<strong>nel</strong>la rappresentazione del <strong>Medioevo</strong> e, se si vuole, sono an<strong>che</strong><br />
quelli <strong>che</strong> influenzano sensibilmente gli altri stereotipi, quasi dei<br />
corollari, della brutalità e della prevaricazione della donna. An<strong>che</strong><br />
il tema dell’anticlericalismo non potrà non emergere – fra l’altro –<br />
an<strong>che</strong> per la strettissima correlazione <strong>che</strong>, notoriamente, intercorre<br />
fra la cultura medievale e l’ordo dei clerici. 45<br />
2. Falsificazione o selettività?<br />
Dopo quanto premesso credo <strong>che</strong>, a fornire qual<strong>che</strong> sp<strong>un</strong>to su<br />
quanto già da molto tempo conosciamo intorno al <strong>Medioevo</strong>,<br />
possano contribuire alc<strong>un</strong>i strumenti concettuali ricavati<br />
43 Vd. <strong>un</strong> accenno in questo senso in PORCARELLI A., op. cit.<br />
44 PERNOUD R., op. cit., p. 45.<br />
Humanas actiones non ridere, non lugere neque<br />
detestari, sed intelligere. 46<br />
45 FUMAGALLI BEONIO BROCCHIERI M., L’intellettuale, in LE GOFF J. (a cura di),<br />
L’uomo medievale, Laterza, Roma-Bari 1999 13 (1987), p. 205.<br />
46 SPINOZA B., Tractatus teologico-politicus, Einaudi, Torino 1958 (1670), 1, 4.
<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />
dall’etno-antropologia, dalla psicologia sociale e dalla sociologia,<br />
<strong>che</strong> consentono di limitare, almeno in parte, l’influenza derivata<br />
da <strong>un</strong>a lettura storica troppo semplicistica come è, qual<strong>che</strong> volta,<br />
quella riportata dai manuali scolastici e, come abbiamo visto,<br />
da certa divulgazione mediatica. I concetti di cui scriverò potrebbero<br />
– in effetti – consentirci di prendere maggiore consapevolezza<br />
di <strong>un</strong>a serie di “impliciti del discorso”. 47<br />
Alla domanda da cui parto, <strong>che</strong> non vorrebbe essere retorica,<br />
potrà rispondere l’eventuale lettore integrando <strong>nel</strong> proprio<br />
bagaglio concettuale gli strumenti <strong>che</strong> cer<strong>che</strong>rò di fornirgli<br />
l<strong>un</strong>go il percorso. Credo il quesito non abbisogni di soverchie<br />
spiegazioni: mi pare sia abbastanza chiara la differenza fra<br />
l’azione consapevole della falsificazione e, invece, l’eventuale<br />
inconscia (o parzialmente inconscia) selezione delle notizie<br />
congruenti con la propria concezione del mondo effettuata<br />
ad opera dell’autore <strong>che</strong> scrive di <strong>Medioevo</strong>. 48 È appena il caso<br />
di aggi<strong>un</strong>gere <strong>che</strong> la risposta del lettore potrà riguardare, ovviamente,<br />
solo ed esclusivamente i pochi testi <strong>che</strong> saranno oggetto<br />
della nostra analisi e, perciò, senza alc<strong>un</strong>a pretesa di dare<br />
risposte totali a <strong>un</strong> problema, la cui risoluzione comporterebbe<br />
<strong>un</strong> rilevamento empirico da effettuarsi all’interno di <strong>un</strong> campione<br />
di ben più vaste proporzioni.<br />
2.1. S<strong>che</strong>mi culturali, stigmatizzazione ed epoché<br />
Gli studiosi registrano la tendenza di ogni epoca storica, gruppo<br />
sociale, cultura a giudicare le epo<strong>che</strong>, i gruppi sociali e le<br />
culture “altri” (out-groups) secondo i parametri peculiari del pro-<br />
47 Vd. SBISÀ M., Detto non detto. Le forme della com<strong>un</strong>icazione implicita, Laterza,<br />
Roma-Bari 2007, passim.<br />
48 GILI G., Il problema della manipolazione: peccato originale dei media?, Franco Angeli,<br />
Milano 2001, p. 119.<br />
47
48<br />
Franz Brandmayr<br />
prio gruppo di appartenenza 49 (in-group) 50 . È certo <strong>che</strong> gli scienziati<br />
sociali e – in particolare – gli etnoantropologi hanno fatto<br />
della differenza culturale 51 il loro campo specifico di osservazione<br />
e di riflessione. Almeno teoricamente essi dovrebbero<br />
essere particolarmente consapevoli della pervasiva influenza degli<br />
s<strong>che</strong>mi culturali 52 del ricercatore sugli strumenti concettuali (<strong>che</strong><br />
si vorrebbero “oggettivi”), <strong>che</strong> questi adopera <strong>nel</strong> suo lavoro.<br />
Tuttavia non manca certo an<strong>che</strong> fra gli storici chi prende molto<br />
sul serio il rischio di contrabbandare per indagine storiografica<br />
ciò <strong>che</strong> è frutto, invece, di meri giudizi di valore.<br />
Il problema non è di poco conto; intorno alla questione si<br />
sono scritti fiumi di parole e non mi illudo certamente di poter<br />
dire <strong>un</strong>a parola definitiva in merito. A mio avviso, però, certa<br />
produzione storiografica e – chissà – forse an<strong>che</strong> <strong>un</strong> certo tipo di<br />
insegnamento della storia potrebbero essere inclini a esercitarsi<br />
troppo poco – o troppo maldestramente – a fare tabula rasa 53 , in<br />
particolare, degli idola fori e degli idola theatri 54 della propria epoca<br />
storica o del proprio gruppo sociale di appartenenza.<br />
In <strong>che</strong> misura l’osservatore può considerarsi imm<strong>un</strong>e da queste<br />
categorie prevalenti (stereotipi ed eti<strong>che</strong>ttazioni), se esse sono<br />
incorporate <strong>nel</strong>la sua cultura? […] nulla garantisce automaticamente<br />
l’imm<strong>un</strong>ità del ricercatore dai pregiudizi […] la pretesa<br />
<strong>che</strong> le scienze umane si siano liberate del linguaggio e delle cate-<br />
49 STRUFFI L.-POLLINI G., s.v. Appartenenza, in DEMARCHI F.-ELLENA A.-<br />
CATTARINUSSI B. (a cura di), op. cit., pp. 155-168.<br />
50 Cfr. MALIGHETTI R., s.v. Etnocentrismo, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di),<br />
op. cit., pp. 273-274.<br />
51 HANNERZ U., La diversità culturale, Il Mulino, Bologna 2001 (1996), passim.<br />
52 Cfr. TENTORI T., Antropologia culturale, Studium, Roma 1960, p. 19.<br />
53 Sui limiti storiografici dell’utilizzo di questo strumento concettuale<br />
«cartesiano» vd. PERNOUD R., op. cit., pp. 170-171.<br />
54 BACONE F., Novum organum, La Scuola, Brescia 1968 (1620), I, pp. 264-266.
<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />
gorie di senso com<strong>un</strong>e è solo <strong>un</strong>a pia illusione […] L’implicazione<br />
<strong>nel</strong>la cultura retroagisce sull’osservatore […] in <strong>un</strong> gran numero<br />
di modi, spesso indiretti e scarsamente visibili […] Molto<br />
frequentemente, il solo fatto di formulare <strong>un</strong> problema relativo a<br />
<strong>un</strong> oggetto contiene <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> implicito <strong>che</strong> qualifica in<br />
modo distorto quell’oggetto, indipendentemente dalla buona<br />
volontà o dalla correttezza procedurale del ricercatore […] Gli<br />
orizzonti di senso com<strong>un</strong>e […] non sono semplici dimensioni<br />
cognitive […] vincolano chi vi si riconosce al mantenimento di<br />
gerarchie, di micropoteri, di inclusioni e di esclusioni […] sostengono<br />
le forme di identità, le appartenenze, quel senso del<br />
“noi” <strong>che</strong> è essenziale alla vita di ogni com<strong>un</strong>ità. 55<br />
Probabilmente <strong>nel</strong> prendere in considerazione il <strong>Medioevo</strong><br />
questo sforzo, <strong>che</strong> è di autoanalisi e di autoeducazione, non risulta<br />
essere sempre facile: <strong>un</strong>o storico contemporaneo si sente «gelare<br />
il sangue» quando legge le pene previste nei penitenziali monastici<br />
irlandesi per infrazioni alla regola <strong>che</strong> noi, donne e uomini<br />
del Terzo millennio, riterremmo assolutamente irrilevanti. 56<br />
Parimenti, ci rallegriamo di non dover più manifestare la nostra<br />
piena appartenenza al gruppo con assordanti urla corali 57 e dopo<br />
avere attraversato le durissime prove iniziati<strong>che</strong> dei berserkr 58 ger-<br />
55 DAL LAGO A., I nostri riti quotidiani. Prospettive <strong>nel</strong>l’analisi della cultura, Costa &<br />
Nolan, Genova 1995, pp. 12-13.<br />
56 LAWRENCE C.H., Il mona<strong>che</strong>simo medievale. Forme di vita religiosa in Occidente, San<br />
Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1993 (1989), pp. 76-78; cfr. DAWSON CH., op.<br />
cit., p. 77; PENCO G., Il mona<strong>che</strong>simo, Mondadori, Milano 2000, p. 85.<br />
57 Per la verità certe forme espressive degli ultras negli stadi di calcio mi<br />
dissuadono ancora dal cantare la vittoria definitiva della dea ragione <strong>nel</strong> nostro<br />
vecchio Occidente [cfr. BROMBERGER C., La partita di calcio. Etnologia di<br />
<strong>un</strong>a passione, Ed. Ri<strong>un</strong>iti, Roma 1999 (1995), passim; DAL LAGO A., Descrizione<br />
di <strong>un</strong>a battaglia. I rituali del calcio, Il Mulino, Bologna 2001 2 (1990), passim].<br />
58 ELIADE M., La nascita mistica. Riti e simboli d’iniziazione, Morcelliana, Brescia<br />
1988 3 (1958), pp. 125-130.<br />
49
50<br />
Franz Brandmayr<br />
manici, an<strong>che</strong> se i progressi forse più significativi rispetto agli antenati<br />
europei del Nord sembrano riguardare – piuttosto <strong>che</strong> <strong>un</strong>a<br />
maggiore propensione alla vita pacifica – la nostra maggiore dimesti<strong>che</strong>zza<br />
con l’acqua… 59 Considerare i contadini alla stregua<br />
di «mostri appena umani» 60 , trasformare <strong>un</strong> mite rabbì ebreo in <strong>un</strong><br />
kon<strong>un</strong>g, <strong>un</strong> re sassone in armi, 61 percorrere in massa strade e villaggi<br />
infliggendosi penitenze le più sanguinose, 62 praticare i crudeli<br />
rituali carnevaleschi… 63<br />
Che cosa rimane da fare a chi si accinge a studiare questa<br />
realtà storica così distante? Gli “stigmi” – così li chiamano certi<br />
antropologi – della superstizione, della brutalità (an<strong>che</strong><br />
masochista), dell’autoritarismo, della rozzezza dei costumi, dell’ottusità,<br />
dell’aggressività più selvaggia, del disprezzo degli umili<br />
e altri ancora sembrerebbero potersi applicare senza esitazione<br />
alc<strong>un</strong>a ai pochi esempi richiamati. Potremmo non sentirci indotti<br />
a svolgere nean<strong>che</strong> <strong>un</strong>’opport<strong>un</strong>a verifica documentale,<br />
tanto essi paiono scontati <strong>nel</strong>la loro chiarezza, inoltre continuamente<br />
rievocata e ribadita dai media. 64 Essi – gli stigmi –<br />
indica{no} <strong>un</strong> attributo (fisico o morale) profondamente dispre-<br />
59 CONTE F., op. cit., pp. 117-118.<br />
60 Cfr. LE GOFF J., I contadini e il mondo rurale <strong>nel</strong>la letteratura dell’alto <strong>Medioevo</strong><br />
(secoli V e VI), in ID., Tempo, cit., p. 107.<br />
61 GUREVIČ A.J., op. cit., pp. 78-79.<br />
62 TOSCHI P., s.v. Flagellanti, in AA.VV., Enciclopedia Cattolica, Ente per l’Enciclopedia<br />
Cattolica e per il Libro Cattolico – Sansoni, Città del Vaticano – Firenze<br />
1950, vol. V, cc. 1439-1441.<br />
63 Cfr. ad es. BACHTIN M., L’opera di Rabelais e la cultura popolare. Riso, carnevale<br />
e festa <strong>nel</strong>la tradizione medievale e rinascimentale, Einaudi, Torino 1979<br />
(1965), passim.<br />
64 Vd. il concetto di «manipolazione per inondazione», <strong>che</strong> risulta f<strong>un</strong>zionale<br />
alla creazione di pseudo-eventi in GILI G., op. cit., pp. 244-250: <strong>un</strong>a “verità”<br />
continuamente proclamata alla fine diventa tale an<strong>che</strong> se non lo è.
<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />
giativo e [...] mett{ono} in relazione tale attributo con gli stereotipi<br />
relativi alla “normalità”, espressi dalla cultura dominante 65 ,<br />
cultura dominante <strong>che</strong> – in questo caso – nean<strong>che</strong> a dirlo, è<br />
quella occidentale attuale: secolarizzata, urbanizzata, postborghese,<br />
ispirata alla “gabbia di ferro” della razionalizzazione<br />
weberiana, postindustriale, telematica, individualistica 66 (talvolta<br />
fino al narcisismo) 67 , consumistica, 68 tesa a dare attuazione<br />
la più completa al freudiano principio di piacere e via<br />
dicendo.<br />
Da almeno tre secoli <strong>nel</strong>le “descrizioni” medievalisti<strong>che</strong> del<br />
discorso com<strong>un</strong>e, dove abbondano delle autenti<strong>che</strong> “clave<br />
terminologi<strong>che</strong>” – fortemente peggiorative – come «feudale»,<br />
«gotico», 69 «barbaro/barbarico» 70 ecc. sembrano manifestarsi <strong>un</strong>a<br />
sovrabbondanza di alterità, <strong>un</strong> divario incolmabile e gli stigmi<br />
rispondono proprio all’esigenza di contenere <strong>un</strong>a diversità<br />
debordante, eccessiva. Nel campo della verbalizzazione, infatti,<br />
essi ottemperano alla f<strong>un</strong>zione di esorcizzare ciò <strong>che</strong> è “strano”,<br />
“estraneo”, “straniero”, “forestiero”, in quanto viene “da<br />
65 AIME M., s.v. Stigma, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di), op. cit., p. 709; le<br />
parentesi quadre sono mie. Nel corso della trattazione potrò usare come<br />
quasi-sinonimi an<strong>che</strong> le espressioni eti<strong>che</strong>tta categoriale o eti<strong>che</strong>ttazione (vd.<br />
supra nt. 28) adoperate, solitamente, dagli psicologi sociali.<br />
66 Vd. ad es. BAUMAN Z., La società individualizzata. Come cambia la nostra esperienza,<br />
Il Mulino, Bologna 2002 (2001), passim.<br />
67 LASCH CH., La cultura del narcisismo, Bompiani, Milano 2001 4 (1979), passim.<br />
68 Cfr. ad es. il classico BAUDRILLARD J., La società dei consumi, Il Mulino, Bologna<br />
1976, passim.<br />
69 PERNOUD R., op. cit., pp. 80-86.<br />
70 Come è noto si tratta, inoltre, di <strong>un</strong>’espressione pesantemente connotata in<br />
senso italocentrico e francocentrico [AZZARA C., Le invasioni barbari<strong>che</strong>, Il<br />
Mulino, Bologna 1999, p. 9; cfr. an<strong>che</strong> WOLFRAM H., I germani, Il Mulino,<br />
Bologna 2005 (1997), p. 89].<br />
51
52<br />
Franz Brandmayr<br />
fuori” rispetto al gruppo-noi. 71 Sotto questo profilo corrispondono<br />
f<strong>un</strong>zionalmente a quanto mirano a realizzare le liturgie<br />
apotropai<strong>che</strong> <strong>nel</strong>l’ambito della ritualità.<br />
Ritengo di semplificare l’esposizione eleggendo a terreno<br />
di fondazione di alc<strong>un</strong>e delle mie ipotesi sugli stigmi o<br />
eti<strong>che</strong>ttazioni soprattutto <strong>un</strong> testo della fine degli anni Novanta.<br />
La Breve storia delle grandi scoperte scientifi<strong>che</strong> di Giovanni<br />
Caprara dedica soltanto ventidue pagine al <strong>Medioevo</strong>, 72 ma il<br />
volume mi sembra rappresentare validamente <strong>un</strong> certo tipo di<br />
approccio divulgativo al nostro tema. Mentre fornisce notizie<br />
sullo stato della scienza <strong>nel</strong> Terzo secolo, il nostro «giornalista<br />
scientifico del “Corriere della Sera”», autore di diversi volumi<br />
e premiato per la sua attività di divulgazione scientifica, 73 sintetizza<br />
lapidariamente <strong>un</strong> millennio e più di storia con due<br />
brevi frasi introduttive della storia alla scienza medievale. Secondo<br />
me queste due proposizioni – vergate con accenti<br />
apodittici – potrebbero rappresentare emblematicamente la<br />
diffusa pratica della stigmatizzazione antimedievale per il tramite<br />
dell’eti<strong>che</strong>ttazione oscurantistica. Ecco la prima:<br />
I padri della Chiesa rifiutavano la cultura classica perché la ritenevano<br />
troppo compromessa con la religione pagana. 74<br />
Un asserto di questo genere presenta notevoli errori e lac<strong>un</strong>e<br />
an<strong>che</strong> se lo si voglia riferire al solo alto <strong>Medioevo</strong>, ma l’Autore<br />
non lo integra né lo ridimensiona <strong>nel</strong> prosieguo dell’esposi-<br />
71 Vd. infra nt. 289.<br />
72 CAPRARA G., Breve storia delle grandi scoperte scientifi<strong>che</strong>, Bompiani, Milano 1999 2<br />
(1998), pp. 43-64.<br />
73 Ivi, quarta di copertina.<br />
74 Ivi, p. 42.
<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />
zione, lasciando – con ciò – intendere <strong>che</strong> tale situazione perduri<br />
addirittura per tutta l’età medievale.<br />
Un’analisi, ancorché generica, delle letterature patristica e<br />
scolastica <strong>nel</strong> loro rapporto di dipendenza e innovazione rispetto<br />
alla tradizione classica non si può nean<strong>che</strong> accennare in<br />
queste pagine. 75 Forse vale la pena di fare qual<strong>che</strong> richiamo,<br />
piuttosto, alla tradizione monastica occidentale, intorno alla<br />
quale gli storici non nutrono dubbi sul fatto <strong>che</strong> <strong>nel</strong> VI secolo<br />
l’intellettuale di origine siriaca (e già ministro di Teodorico)<br />
Cassiodoro creava «il primo esempio di mona<strong>che</strong>simo dotto e<br />
umanistico, <strong>che</strong> conciliava l’otium classico e la preghiera» 76 . In<br />
Italia egli agì soprattutto <strong>nel</strong>l’ambiente calabrese e i suoi scritti<br />
si diffusero, pare, fino all’ambiente romano e alla biblioteca<br />
papale del Laterano in particolare, 77 da dove – secondo alc<strong>un</strong>i<br />
– la sua influenza si sarebbe propagata a tutte le successive<br />
esperienze monasti<strong>che</strong> occidentali. A lui si devono, fra le altre<br />
cose, la composizione di «<strong>un</strong>a vera e propria ratio studiorum», di<br />
<strong>un</strong> autentico «programma enciclopedico […] tracciato con<br />
l’esame delle sette arti liberali […] <strong>nel</strong>la linea degli enciclopedisti<br />
del tardo mondo antico [… (<strong>che</strong>)] prepara l’avvento di quelli<br />
dell’Alto <strong>Medioevo</strong>, Isidoro, Beda, Rabano Mauro».<br />
75 Una prima introduzione al tema si può ricavare, da <strong>un</strong> p<strong>un</strong>to di vista teologico,<br />
in RAHNER K.-VORGRIMLER H., s.v. Patristica, in IID., Dizionario di teologia,<br />
Herder-Morcelliana, Roma-Brescia 1968, pp. 475-476; da <strong>un</strong>a prospettiva filosofica<br />
vd. VANNI ROVIGHI S., s.v. Aristotelismo, in AA.VV., Dizionario teologico<br />
interdisciplinare, Marietti, Casale Monferrato (AL) 1977, vol. I, pp. 419-423; EAD.,<br />
s.v. Platonismo, in AA.VV., Dizionario, cit., vol. II, pp. 731-735. An<strong>che</strong> in ambito<br />
manualistico <strong>un</strong>a sintesi critica argomentata e in totale disaccordo con il Caprara<br />
viene proposta da CONTE G.B.-PIANEZZOLA E., Corso integrato di letteratura latina,<br />
5, La tarda età imperiale, Le Monnier, Firenze 2004, pp. 146-147.<br />
76 AA.VV., s.v. Cassiodoro, in IID., Enciclopedia Garzanti di filosofia, Garzanti, Milano<br />
1982 2 (1981), p. 130.<br />
77 PENCO G., op. cit., p. 47.<br />
53
54<br />
Franz Brandmayr<br />
Egli getta, inoltre, «le basi di tutta la morfologia della cultura<br />
medievale», <strong>nel</strong>la quale la cultura greca e quella latina, quella sacra<br />
e quella profana vengono impostate nei loro sviluppi futuri. 78<br />
Di lì a poco sarà il mona<strong>che</strong>simo benedettino a farsi via via<br />
promotore di istanze culturali di portata sempre crescente, operando<br />
<strong>un</strong>a sintesi fra la humanitas ereditata dalla cultura romana<br />
e le esigenze di <strong>un</strong> evangelismo radicale mutuato dalle esperienze<br />
monasti<strong>che</strong> copte e siria<strong>che</strong>. 79 Ne scaturirà <strong>un</strong>o stile cenobitico<br />
originale, praticato secondo modalità autoctone «latine»<br />
80 ; ciò costituirà la premessa indispensabile alla creazione<br />
di <strong>un</strong>a sorta di identificazione della romanitas e della christianitas,<br />
81 <strong>che</strong> si realizzerà fin dall’epoca altomedievale. 82 I rigori<br />
ascetici degli anacoreti e dei monaci orientali troveranno <strong>nel</strong><br />
movimento benedettino <strong>un</strong>’interpretazione meno austera, 83<br />
progressivamente sempre più aperta alla dimensione culturale,<br />
84 di cui è opport<strong>un</strong>o sottolineare la «polivalenza» 85 sotto<br />
vari profili: le interpretazioni – diversificate a seconda delle<br />
78 Ivi, pp. 46-47; parentesi rotonda dello scrivente; cfr. an<strong>che</strong> ivi, pp. 48 e 176.<br />
79 Ivi, pp. 32-33.<br />
80 LAWRENCE C.H., op. cit., pp. 100-104; TURBESSI G., Il mona<strong>che</strong>simo in Occidente<br />
fino a S. Benedetto (c. 480-547), in ID., Ascetismo e mona<strong>che</strong>simo prebenedettino,<br />
Studium, Roma 1961, pp. 134-148.<br />
81 ULLMANN W., Radici del Rinascimento, Laterza, Bari-Roma 1980 (1977), p. 36;<br />
DAWSON CH., op. cit., p. 37 riferisce <strong>che</strong> «“Romano” e “cristiano” divennero<br />
quasi termini sinonimi» (cfr. an<strong>che</strong> ivi, pp. 63 e 81). Il terzo e il quarto elemento<br />
dell’amalgama culturale della Civiltà occidentale saranno quello<br />
germanico-pagano (ULLMANN W., op. cit., p. 29) e quello «“tradizionale” delle<br />
vecchie culture indigene» (LE GOFF J., Guerrieri e borghesi rampanti. L’immagine<br />
della città <strong>nel</strong>la letteratura francese del secolo XII, in ID., L’immaginario, cit., p. 32).<br />
82 Ivi, p. 3.<br />
83 LAWRENCE C.H., op. cit., p. 69; PENCO G., op. cit., pp. 60 ss.<br />
84 Cfr. infra le nt. 91 e 95.<br />
85 PENCO G., op. cit., p. 175.
<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />
situazioni – del contemptus m<strong>un</strong>di e l’enorme varietà delle attività<br />
culturali (teologia monastica, 86 letteratura, scienze e arti, 87<br />
scriptoria e bibliote<strong>che</strong> 88 ), della quale non è possibile rendere<br />
ulteriormente conto in queste pagine. 89 Si tratta di <strong>un</strong>’opera<br />
immensa, efficacemente riass<strong>un</strong>ta <strong>nel</strong> celebre motto ora et labora,<br />
<strong>che</strong> in seguito, allargata ad altre componenti ecclesiali e<br />
sociali, fonderà, secondo molti autori senza possibilità di equivoco,<br />
l’edificio della Civiltà occidentale. 90 L’influsso poderoso<br />
dei benedettini diventerà ancor più trainante nei secoli X-XII 91<br />
e riguarderà in maniera eminente, oltre l’avanzamento tecnologico<br />
92 , tanto gli aspetti dell’alfabetizzazione e dell’istruzione<br />
quanto la cultura dotta. 93<br />
È sul fondamento monastico, quindi, <strong>che</strong> si costruisce la<br />
cultura medievale <strong>nel</strong> suo rapporto con i classici greci e latini.<br />
Questi sarebbero stati trascurati, oppure selezionati a seconda<br />
delle esigenze di «purificazione» della Chiesa 94 o addirittura cen-<br />
86 Ivi, pp. 181-186.<br />
87 Ivi, pp. 186-192.<br />
88 Ivi, 192-193.<br />
89 Cfr. an<strong>che</strong> MICCOLI G., Il monaco, in LE GOFF J. (a cura di), L’uomo medievale,<br />
cit., p. 48 et passim.<br />
90 Cfr. ad es. CHABOD F., op. cit., pp. 162-163; CROCE B., “Perché non possiamo non<br />
dirci cristiani”, in “La Critica”, XL (1942), pp. 289 ss; DAWSON CH., op. cit., pp.<br />
26-27 et alibi; NOBLE D.F., La religione della tecnologia. Divinità dell’uomo e spirito<br />
d’invenzione, Com<strong>un</strong>ità, Torino 2000 (1997), pp. 4-5.<br />
91 DOLZA L., op. cit., p. 52; MICCOLI G., op. cit., pp. 56-68 dal p<strong>un</strong>to di vista<br />
dell’importanza storica del fenomeno monastico definisce questo periodo<br />
come gli aurea saecula.<br />
92 Vd. infra paragrafo 2.3.<br />
93 GRAFF H.J., Storia dell’alfabetizzazione occidentale, 1, Dalle origini alla fine del<br />
medioevo, Il Mulino, Bologna 1989 (1987), p. 22; LAWRENCE C.H., op. cit., p. 65.<br />
94 Cfr. MICCOLI G., op. cit., p. 75.<br />
55
56<br />
Franz Brandmayr<br />
surati e messi in ombra. An<strong>che</strong> tutto ciò è senz’altro vero (almeno<br />
fino all’epoca carolingia) 95 , ma, al contempo,<br />
ci si è potuti accorgere <strong>che</strong>, in effetti, <strong>nel</strong> <strong>Medioevo</strong>, gli autori<br />
latini, e an<strong>che</strong> quelli greci, erano già parecchio conosciuti e […]<br />
l’apporto del mondo antico, classico o no <strong>che</strong> fosse, era a quell’epoca<br />
lontano dall’essere disprezzato o rifiutato. 96<br />
Non va ignorato, inoltre, il fatto <strong>che</strong> persino nei cosiddetti<br />
«anni bui» 97 (V-VII) non si potesse parlare di ignoranza del latino<br />
nean<strong>che</strong> tra gli stessi laici, 98 fra i quali si potevano annoverare<br />
delle donne nonché «alc<strong>un</strong>i barbari» 99 .<br />
Già all’epoca di Carlomagno e, ancor di più, al tempo di Bernardo<br />
da Chiaravalle la conoscenza degli autori greci e latini<br />
viene coltivata al p<strong>un</strong>to <strong>che</strong> «tal<strong>un</strong>i studiosi […] hanno parlato<br />
allora di <strong>un</strong>a “Rinascita carolingia” […] di “Rinascita del XII<br />
secolo”, o an<strong>che</strong> di “umanesimo medievale”» 100 an<strong>che</strong> con <strong>un</strong><br />
riferimento preciso alla frequentazione dei classici. Perciò, almeno<br />
per quanto riguarda il latino, l’idioma e i testi sarebbero<br />
sempre stati «fascinosi» per la civiltà medievale presa <strong>nel</strong> suo<br />
95 Va precisato <strong>che</strong> LAWRENCE C.H., op. cit., p. 78 osserva <strong>un</strong>a più spiccata<br />
libertà di spirito presso i monaci irlandesi, <strong>che</strong> – come è noto – operarono in<br />
gran parte dell’area centro-occidentale del continente e diffusero la sensibilità<br />
verso la cultura classica (DAWSON CH., op. cit., pp. 71-77) proprio <strong>nel</strong> periodo<br />
in cui i benedettini ne fecero talora oggetto di ascetica diffidenza.<br />
96 PERNOUD R., op. cit., pp. 20-21; cfr. an<strong>che</strong> LE GOFF J., Prefazione, in ID.,<br />
L’immaginario, cit., p. XX.<br />
97 GRAFF H.J., op. cit., p. 69; cfr. LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario, cit., p. XVI.<br />
98 Sull’alfabetizzazione dei chierici e dei monaci, peraltro, non è bene operare<br />
troppe generalizzazioni; lo stesso discorso si pone intorno alla loro conoscenza<br />
del latino; cfr. infra nt. 267.<br />
99 GRAFF H.J., op. cit., p. 72.<br />
100 PERNOUD R., op. cit., p. 21.
<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />
complesso e non soltanto fra il 1380 e il 1450. 101 Per quanto<br />
concerne il latino liturgico, inoltre, Graff rileva <strong>che</strong> esso sarebbe<br />
stato conosciuto in misura persino maggiore fra le donne e<br />
per tutto l’arco temporale del <strong>Medioevo</strong>. 102<br />
In definitiva, secondo Garin il pensiero cristiano medievale,<br />
dopo «secoli di meditazione», di «critica insistente, inesorabile e<br />
sempre più consapevole della concezione classica»,<br />
si impadroniva delle armi dell’avversario, pur col pericolo, scendendo<br />
sul suo terreno ed usando i suoi mezzi, di confondersi con esso;<br />
<strong>che</strong> è l’impressione <strong>che</strong>, dalla patristica in poi, dà così spesso il pensiero<br />
medievale, tutto fatto di apparenti ritorni e di strani miscugli:<br />
platonismo, stoicismo, neoplatonismo, aristotelismo, averroismo,<br />
fino a pervenire alla «formulazione cosciente, e cioè filosofica<br />
[…] della propria concezione, e delle proprie ragioni» 103 . Peraltro,<br />
è noto <strong>che</strong> <strong>un</strong>a delle più profonde operazioni culturali dell’intero<br />
percorso filosofico europeo è consistita <strong>nel</strong>la faticosa adozione<br />
del sistema aristotelico <strong>nel</strong> XIII secolo, 104 a riprova di <strong>un</strong> rapporto<br />
con la classicità vissuto intensamente e ricco di sviluppi originali.<br />
La Pernoud ricorda ancora <strong>che</strong> «i cataloghi delle bibliote<strong>che</strong><br />
<strong>che</strong> ci sono stati conservati […] provano abbondantemente»<br />
<strong>che</strong> non fu la caduta di Costantinopoli (1453), se non in minima<br />
parte, a determinare «l’introduzione in Europa delle bibliote<strong>che</strong><br />
di autori antichi conservate a Bisanzio» 105 .<br />
101 GRAFF H.J., op. cit., p. 162; cfr. ULLMANN W., op. cit., p. 35.<br />
102 GRAFF H.J., op. cit., p. 119.<br />
103 GARIN E., La crisi del pensiero medievale, in ID., <strong>Medioevo</strong> e Rinascimento. Studi e<br />
ricer<strong>che</strong>, Laterza, Roma-Bari 1980 3 (1950), p. 18.<br />
104 PERNOUD R., op. cit., p. 162.<br />
105 Ivi, p. 22; cfr. LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario, cit., p. XX, ove<br />
l’Autore menziona il «ritorno all’antico» fin dal secolo XIII e l’«invasione di<br />
Aristotele» <strong>nel</strong>le forme scultoree dei Pisano.<br />
57
58<br />
Franz Brandmayr<br />
Dai semplici richiami prodotti scaturisce – pertanto – <strong>un</strong>a<br />
notevole ric<strong>che</strong>zza di sfumature, di situazioni diversificate a seconda<br />
dei vari segmenti sociali, cui andrebbero aggi<strong>un</strong>te le diversità<br />
rispetto alle aree geografi<strong>che</strong>. Si tratta di differenze, delle<br />
quali <strong>un</strong>a divulgazione, effettuata sulla scorta di studi specialistici<br />
non si sa quanto fondati e <strong>che</strong> si esprime con affermazioni<br />
lapidarie, non sembra riuscire a rendere ragione nean<strong>che</strong> approssimativamente.<br />
Caprara insiste <strong>nel</strong> proporre l’immagine di <strong>un</strong> <strong>Medioevo</strong> oscurantista,<br />
cui continua a soggiacere il tema, <strong>che</strong> a lui pare fondamentale,<br />
del rapporto antitetico fra la scienza e la religione:<br />
Se nei secoli precedenti, l’ondata di misticismo aveva demolito<br />
l’interesse per la scienza, ora l’insistenza sui temi della salvezza e<br />
della fede predicati come fondamentali e prioritari rafforzava ed<br />
ampliava l’opera di chiusura culturale. E quando non si dimostrava<br />
avversione si esibiva indifferenza. 106<br />
Sulla fragilità documentaria di <strong>un</strong>’affermazione tanto lontana<br />
dalla realtà abbiamo già scritto qualcosa per quanto riguarda il<br />
rapporto con i classici; per quanto concerne lo spirito di invenzione,<br />
invece, dovremo soffermarci ancora oltre. 107 Già a questo<br />
p<strong>un</strong>to mi piace, però, richiamare <strong>un</strong> passo di Bertrand Russell,<br />
<strong>un</strong>o dei tanti del suo Misticismo e logica, <strong>che</strong> può contribuire a liberare<br />
dai gravami del <strong>pregiudizio</strong> questo tema, <strong>che</strong> i più affrontano<br />
in <strong>un</strong>a condizione di coinvolgimento preconcetto:<br />
An<strong>che</strong> la cauta e paziente ricerca della verità per mezzo della<br />
scienza, <strong>che</strong> sembra l’assoluta antitesi dell’incrollabile certezza<br />
106 CAPRARA G., op. cit., p. 42.<br />
107 Vd. infra paragrafo 2.3.
<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />
del mistico, può essere incoraggiata e nutrita da quell’autentico<br />
spirito di venerazione <strong>nel</strong> quale il misticismo vive e opera. 108<br />
P<strong>un</strong>to di vista dell’osservatore, da <strong>un</strong>a parte, e società, cultura,<br />
civiltà osservata, dall’altra: come stabilire <strong>un</strong> rapporto corretto<br />
con l’oggetto dello studio storiografico? Credo non vi sia<br />
indagine seria, non c’è scienza storica senza <strong>un</strong>a sospensione<br />
del giudizio, 109 cioè senza la messa tra parentesi dei propri s<strong>che</strong>mi<br />
culturali da parte del ricercatore. È umano, umanissimo provare<br />
sentimenti di ripulsa o assumere atteggiamenti irridenti di<br />
fronte a palesi manifestazioni di differenza culturale, ma essi<br />
vanno considerati per quello <strong>che</strong> sono: mere reazioni emotive,<br />
oltre <strong>che</strong> difensive. Nella migliore delle ipotesi, se vengono inserite<br />
in <strong>un</strong> quadro filosofico coerente, potrà trattarsi di riflessioni<br />
eti<strong>che</strong>, ma quando i piani filosofico-morale e storiografico<br />
vengono sovrapposti fino a confondersi, difficilmente il discorso<br />
eviterà <strong>un</strong>o slittamento su di <strong>un</strong> piano puramente moraleggiante<br />
e – con ciò – antiscientifico. 110<br />
108 RUSSELL B., Misticismo e logica, in ID., Misticismo e logica e altri saggi, Longanesi,<br />
Milano 1970 (1914), p. 12; cfr., da <strong>un</strong> p<strong>un</strong>to di vista antropologico-culturale,<br />
BASTIDE R., Un misticismo senza dei, in ID., Il sacro selvaggio, Jaca Book, Milano<br />
1979 (1931), p. 22. Sul rapporto fra mistica e spirito innovativo possono<br />
risultare interessanti an<strong>che</strong> le riflessioni riportate nei paragrafi 2.3. e 2.4.<br />
109 Si tratta, come è noto, dell’poc» = epoché; vd. ABBAGNANO N., s.v. Epoché,<br />
in ID., op. cit., pp. 309-310. Nella traduzione tedesca il lemma presenta sfumature<br />
quasi asceti<strong>che</strong>: Ausschalt<strong>un</strong>g signifi<strong>che</strong>rebbe, quindi, «esclusione»<br />
ed «eliminazione» (MACCHI V., s.v., in ID., Dizionario Sansoni. Tedesco-Italiano.<br />
Italiano-Tedesco, Sansoni, Firenze-Roma 1977) del proprio Io, delle proprie<br />
preoccupazioni di studioso (cfr. MARROU H.-I., op. cit., p. 78); la forma verbale<br />
ausschalten, inoltre, si adopera per indicare lo «spegnere» (ad es. di fonti<br />
di energia elettrica).<br />
110 WEBER M., La scienza come professione, in ID., Il lavoro intellettuale come professione,<br />
Einaudi, Torino 1966 (1919), pp. 18 e 26-27.<br />
59
60<br />
Franz Brandmayr<br />
2.2. Avalutatività, anacronismo, luoghi com<strong>un</strong>i ed etnocentrismo<br />
È quando lo studioso si colloca in <strong>un</strong>a disposizione mentale di<br />
“avalutatività” 111 , d<strong>un</strong>que, <strong>che</strong> trova attuazione pratica la metodologia<br />
baconiana della tabula rasa, della almeno provvisoria disattivazione<br />
degli idola tribus e degli idola fori. Gli storici e – nondimeno<br />
– gli antropologi non coltivano più alc<strong>un</strong> mito della<br />
pura oggettività, 112 tuttavia caldeggiare questo genere di autoanalisi<br />
e autocontrollo <strong>nel</strong>lo studioso, ma an<strong>che</strong> <strong>nel</strong> docente e<br />
<strong>nel</strong>lo studente stessi, può «evitare (a tutti costoro) il vicolo cieco<br />
[…] dell’anacronismo» 113 .<br />
Propriamente, l’anacronismo è <strong>un</strong> «errore in cui si cade attribuendo<br />
certi fatti ad <strong>un</strong>’epoca diversa da quella in cui sono avvenuti»<br />
114 . Si tratta, in buona sostanza, di <strong>un</strong> meccanismo proiettivo,<br />
115 <strong>che</strong> può agire almeno in due modi, positivo il primo e<br />
negativo il secondo. Nel primo caso il soggetto può assegnare<br />
positivamente a <strong>un</strong>’epoca o a <strong>un</strong> personaggio del passato dei<br />
sentimenti o degli atteggiamenti <strong>che</strong> sono, in realtà, estranei all’epoca<br />
o al personaggio in questione. Come esempio richiamo<br />
quello portato dalla Pernoud, <strong>che</strong> scrive di come certi studiosi<br />
abbiano ascritto ad Abelardo <strong>un</strong>a miscredenza e <strong>un</strong>o scetticismo,<br />
<strong>che</strong> non emergono assolutamente da <strong>un</strong>a attenta e completa<br />
disamina documentaria. In studi parziali e – spesso – ela-<br />
111 ID., Il metodo delle scienze storico-sociali, Einaudi, Torino, 1981 2 (1922), pp.<br />
309-375.<br />
112 MARROU H.-I., op. cit., p. 44.<br />
113 Ivi, p. 78 (parentesi rotonda mia).<br />
114 DEVOTO G.-OLI G.C., s.v. Anacronismo, in IID., Il dizionario della lingua italiana,<br />
Le Monnier, Firenze 1995.<br />
115 TOMAN W., s.v. Proiezione, in ARNOLD W.-EYSENCK H.J.-MEILI R. (a cura di),<br />
Dizionario di psicologia, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1986 3 (1980), pp.<br />
894-895.
<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />
borati sulla scorta di ricer<strong>che</strong> puramente compilative vengono<br />
fatte risaltare del teologo, invece, delle caratteristi<strong>che</strong> di pres<strong>un</strong>ta<br />
modernità <strong>che</strong> – perlomeno negli anni Settanta – erano date<br />
per acquisite pur in assenza di <strong>un</strong> adeguato approfondimento<br />
dei testi originali. 116<br />
La modalità negativa dell’anacronismo, invece, rivela <strong>un</strong>a tendenza<br />
del soggetto a proiettare a ritroso l<strong>un</strong>go l’asse del tempo<br />
la propria energia psichica 117 <strong>nel</strong> senso di <strong>un</strong>a colpevolizzazione<br />
dell’epoca o del personaggio considerati. Qui la negatività non<br />
va letta <strong>nel</strong> suo significato psicologico e morale (di acrimonia<br />
<strong>che</strong>, invece, può essere sottesa al lemma “colpevolizzazione”),<br />
bensì <strong>nel</strong> senso etimologico del mancato riscontro, ad opera del<br />
ricercatore, di <strong>un</strong>a sintonia di atteggiamenti e sentimenti fra il<br />
periodo storico esaminato e il ricercatore stesso. In definitiva,<br />
questi attiva <strong>un</strong> meccanismo di difesa 118 (perché di questo in<br />
definitiva si tratta) mediante il quale egli, lo studioso, tutela – in<br />
qual<strong>che</strong> modo – la propria concezione del mondo e la propria<br />
gerarchia dei valori, rilevando, talvolta lamentando o, addirittura,<br />
deprecando la loro assenza o il loro misconoscimento <strong>nel</strong>l’epoca,<br />
<strong>nel</strong> personaggio o <strong>nel</strong>la cultura specifica <strong>che</strong> è chiamato<br />
a indagare e conoscere. Gli esempi in questo ambito potrebbero<br />
essere numerosi: valga per tutti il richiamo alla mentalità guerriera<br />
119 dell’uomo medievale, <strong>che</strong> indigna, forse giustamente, il<br />
pacifista europeo contemporaneo. Si potrebbe, forse, dare per<br />
scontata la capacità dello storico di professione – abituato a lavorare<br />
sui documenti – di evitare quell’anacronismo, per cui si<br />
proiettano sul <strong>Medioevo</strong> le sensibilità e le esperienze dei movi-<br />
116 PERNOUD R., op. cit., pp. 149-150.<br />
117 MULLER P., s.v. Psichica/energia, in ARNOLD W.-EYSENCK H.J.-MEILI R. (a<br />
cura di), op. cit., p. 902.<br />
118 Cfr. TOMAN W., v. cit., p. 894.<br />
119 LE GOFF J., Il <strong>Medioevo</strong>, cit., pp. 36 e 100-107.<br />
61
62<br />
Franz Brandmayr<br />
menti pacifisti del secolo XX. 120 È possibile, però, <strong>che</strong> qual<strong>che</strong><br />
insegnante e, più ancora, gli studenti risultino particolarmente<br />
esposti a questa ingenuità metodologica.<br />
Va detto <strong>che</strong> il meccanismo proiettivo di difesa sussiste an<strong>che</strong><br />
<strong>nel</strong> primo tipo di anacronismo, quando – cioè – il soggetto<br />
si addentra a esplorare <strong>un</strong>’epoca, <strong>un</strong> personaggio, <strong>un</strong>a cultura<br />
<strong>che</strong> portano valori dissonanti rispetto ai propri s<strong>che</strong>mi culturali<br />
e tende a plasmare a propria immagine e somiglianza l’oggetto<br />
della propria ricerca per renderlo meno <strong>un</strong>heimlich 121 e, in qual<strong>che</strong><br />
modo, più domestico e utilizzabile. 122 Una dinamica di questo<br />
genere si ripropone an<strong>che</strong> quando, con rialzismo cronologico<br />
123 patente, si cercano antenati illustri, <strong>che</strong> solitamente conferiscono<br />
prestigio e avvalorano la posizione culturale propria di<br />
chi effettua l’indagine, come probabilmente è accaduto <strong>nel</strong> caso<br />
della vulgata costruita intorno ad Abelardo e den<strong>un</strong>ciata dalla<br />
Pernoud. È verosimile, inoltre, <strong>che</strong> <strong>un</strong> simile atteggiamento di<br />
riplasmazione della storia a immagine e somiglianza della memoria<br />
storica del proprio gruppo di appartenenza possa produrre<br />
più facilmente esiti configurabili come œpoj (= epos) collettivo<br />
piuttosto <strong>che</strong> come vera e propria storiografia. 124<br />
120 Per <strong>un</strong>’introduzione al tema vd. GIACOMINI M.R., Antimilitarismo e pacifismo<br />
<strong>nel</strong> primo Novecento. Ezio Bartalini e “La Pace”. 1903-1915, Franco Angeli, Milano<br />
1990, passim con le relative indicazioni bibliografi<strong>che</strong>.<br />
121 Tengo presente il concetto di Unheimlichkeit = «spaesamento» (HEIDEGGER<br />
M., Essere e tempo, Longanesi & C., Milano 1976 (1927), p. 548), cui ricollego<br />
l’aggettivo <strong>un</strong>heimlich, <strong>che</strong> significa: «sospetto», «poco rassicurante» (s.v. in<br />
MACCHI V., op. cit.).<br />
122 TULLIO-ALTAN C., Soggetto simbolo valore. Per <strong>un</strong>’ermeneutica antropologica,<br />
Feltri<strong>nel</strong>li, Milano 1992, pp. 26-32.<br />
123 CIRESE A.M., Cultura, cit., pp. 110-114.<br />
124 Lo spazio non consente di trattare l’importante argomento [per <strong>un</strong> primo<br />
approccio vd. ad es. PIVATO S., op. cit., p. 47-49; RICOEUR P., La memoria, la<br />
storia, l’oblio, Cortina, Milano 2003 (2000), passim; TRAVERSO E., Il passato: istru-
<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />
Il concetto di avalutatività, <strong>che</strong> vado richiamando in queste<br />
pagine, viene spesso confuso con <strong>un</strong>’improbabile asetticità (talvolta<br />
scambiata a sua volta con l’oggettività) di tipo veteropositivistico;<br />
essa affonda le proprie radici culturali – come è<br />
noto – <strong>nel</strong>l’approccio sperimentale proprio delle scienze della<br />
natura. 125 L’entusiasmo ottocentesco per l’enorme sviluppo<br />
metodologico di questo ambito della conoscenza umana e la<br />
grande mole di risultati ottenuti sul piano strettamente cognitivo<br />
hanno finito per influenzare profondamente an<strong>che</strong> le scienze<br />
umane, facendo ritenere <strong>che</strong> lo storico, 126 il sociologo e<br />
l’antropologo 127 potessero osservare i fenomeni umani alla stregua<br />
dello scienziato <strong>nel</strong> suo laboratorio, impegnato con le proprie<br />
sperimentazioni in campo fisico o chimico. Tramontato del<br />
tutto – suppongo – fra gli storici questo tipo di sensibilità, esso<br />
non è per niente scomparso dal discorso com<strong>un</strong>e, 128 quell’immenso<br />
terreno di gioco verbale <strong>nel</strong> quale tutti noi, studenti e<br />
insegnanti (e – nonostante tutto – an<strong>che</strong> gli storici), siamo immersi.<br />
È ancora Max Weber, però, a ricordarci <strong>che</strong> l’atteggiamento<br />
avalutativo non comporta affatto il rinnegamento delle<br />
appartenenze né delle personalissime concezioni del mondo del<br />
singolo ricercatore, dell’insegnante e dello studente; 129 il<br />
sociologo tedesco invita – semplicemente – a non confondere i<br />
zioni per l’uso. Storia, memoria, politica, Ombre Corte, Verona 2006, passim], decisivo<br />
an<strong>che</strong> per individuare le «strategie del discredito» [<strong>che</strong> sono: la «costruzione<br />
del nemico», la «disconferma» e l’«insinuazione» (GILI G., op. cit.,<br />
pp. 98-102)] dell’Età medievale e gli eventuali imprenditori delle stesse.<br />
125 GRANGER G.-G., La scienza e le scienze, Il Mulino, Bologna 1996, pp. 77-92.<br />
126 MARROU H.-I., op. cit., pp. 44 e 74.<br />
127 TULLIO-ALTAN C., Antropologia, cit., pp. 38-49.<br />
128 GEERTZ C., Antropologia interpretativa, Il Mulino, Bologna 1988 (1983), pp.<br />
91-117.<br />
129 WEBER M., Il metodo, cit., p. 68.<br />
63
64<br />
Franz Brandmayr<br />
due piani: quello valutativo-etico personale e quello espositivo e<br />
analitico della materia considerata. Per di più – come si sa – lo<br />
studioso manifesta la propria onestà intellettuale <strong>nel</strong>la misura in<br />
cui esplicita i presupposti metodologici e, al limite, ideologici<br />
dai quali prende le mosse la propria ricerca, offrendo – in questo<br />
modo – al destinatario del proprio lavoro gli strumenti atti a<br />
confutare, eventualmente, la tesi della quale lo studioso stesso si<br />
facesse portatore. 130<br />
Forse legata a questo atteggiamento positivistico di distanza<br />
e di osservazione dall’esterno, va menzionata an<strong>che</strong> <strong>un</strong>a specie<br />
di ipercriticismo, <strong>che</strong> si presumeva dovesse sostanziare, in <strong>un</strong><br />
certo immaginario collettivo non estraneo nean<strong>che</strong> agli storici,<br />
la ricerca storiografica di qualità:<br />
Storico […] era soprattutto il critico […] capace di scorgere<br />
l’interpolazione, smas<strong>che</strong>rare il falsario, respingere <strong>un</strong>’attribuzione<br />
usurpata. Di qui […], a l<strong>un</strong>go andare, l’accentuazione di<br />
<strong>un</strong> atteggiamento odioso, <strong>che</strong> consisteva <strong>nel</strong> sottolineare ironicamente<br />
le altrui miserie e debolezze, <strong>un</strong>a disposizione all’arroganza<br />
e al disprezzo; in definitiva, <strong>un</strong>a sorta di incapacità a<br />
com<strong>un</strong>icare a riconoscere e ad accogliere – laddove esistessero<br />
– gli autentici valori umani. 131<br />
Si tratta d<strong>un</strong>que di <strong>un</strong> atteggiamento complessivo, <strong>che</strong> può inficiare<br />
<strong>un</strong> approccio storiografico o <strong>un</strong>a esposizione storica corretti e <strong>che</strong><br />
tende ad assommare le componenti valutative, stigmatizzanti e<br />
anacronisti<strong>che</strong>, <strong>che</strong> ho cercato di evidenziare sopra.<br />
Altre volte ancora chi scrive di <strong>Medioevo</strong> può fare ricorso a<br />
vari artifici retorici, talora piuttosto manifesti. Riporto qui brevemente<br />
<strong>un</strong> passaggio di <strong>un</strong> noto e peraltro validissimo manua-<br />
130 POPPER K., Congetture e confutazioni. Lo sviluppo della conoscenza scientifica, Fabbri,<br />
Milano 1998 2 (1962), vol. I, pp. 66-67 et circa.<br />
131 MARROU H.-I., op. cit., p. 88.
<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />
le scolastico della fine degli anni Ottanta e cerco di confrontarlo<br />
con <strong>un</strong>’opera più recente, <strong>che</strong> ci permette di ipotizzare <strong>un</strong>a<br />
possibile evoluzione <strong>nel</strong>la tematizzazione della didattica<br />
medievalistica. Gli Autori, citando <strong>un</strong> passo di Le Goff dal registro<br />
quasi confidenziale, invitano a diffidare di <strong>un</strong>a visione troppo<br />
rosea del rivalutato <strong>Medioevo</strong>:<br />
Se mi si permetterà di dare <strong>un</strong> consiglio assai grossolano, dirò al<br />
lettore <strong>che</strong>, di fronte a queste tentazioni di evasione verso <strong>un</strong><br />
<strong>Medioevo</strong> trasfigurato, chieda onestamente a se stesso se gli piacerebbe,<br />
per virtù del mago Merlino […] essere trasportato in<br />
quel tempo e viverci. 132<br />
Questa soluzione scelta dai nostri per equilibrare i pres<strong>un</strong>ti<br />
eccessi di <strong>un</strong> certo revisionismo storico, oltre a prestare il fianco<br />
a <strong>un</strong>a facile ironia (gli Autori del testo avrebbero ambito «onestamente»<br />
– forse – di «evadere» in qual<strong>che</strong> paradiso di <strong>un</strong>a «trasfigurata»<br />
classicità, modernità o postmodernità? …), non riesce<br />
a nascondere le proprie connotazioni valutativa e retorica.<br />
Valutativa, in quanto gli Autori ritengono sia «importante non<br />
cadere <strong>nel</strong>l’eccesso opposto» alla tabuizzazione del <strong>Medioevo</strong>,<br />
in quanto esso configurerebbe <strong>un</strong>a «tentazione ancora più grave<br />
della precedente». L’asserto non risulta argomentato in alc<strong>un</strong><br />
modo, ma viene da chiedersi se si possa lasciare a <strong>un</strong>o stadio<br />
tanto “grezzo” la trattazione della Parola chiave <strong>Medioevo</strong>, quella<br />
<strong>che</strong> – in fondo – dà, o dovrebbe dare, il “la” all’intero volume<br />
primo dell’opera. Viene pertanto spontaneo porre <strong>un</strong>a serie di<br />
quesiti a Giardina, Sabbatucci e Vidotto, come ad esempio: perché<br />
proporre <strong>un</strong>’immagine «ottimistica» del <strong>Medioevo</strong> sarebbe<br />
<strong>un</strong> errore più grave rispetto alla divulgazione della precedente<br />
132 LE GOFF J., cit. in GIARDINA A.-SABBATUCCI G.-VIDOTTO V., Uomini e storia,<br />
1, Dal <strong>Medioevo</strong> all’età moderna, Laterza, Roma-Bari 1990 2 (s.d. orig.), pp. 6-7<br />
(citato senza indicazione della fonte).<br />
65
66<br />
Franz Brandmayr<br />
immagine pessimistica dello stesso? Perché non potrebbe essere<br />
semplicemente <strong>un</strong> errore storico, esattamente come lo è la versione<br />
peggiorativa del periodo in questione? Esiste per caso <strong>un</strong>a<br />
classifica degli errori storici (<strong>un</strong>a “serie A” e <strong>un</strong>a “serie B”, per<br />
intenderci)? Inoltre: a chi era allora f<strong>un</strong>zionale <strong>un</strong>’immagine negativa<br />
del <strong>Medioevo</strong>? È sicuro <strong>che</strong> servisse solo agli interessi<br />
degli «umanisti italiani»? Come mai fra i medievisti si chiamano in<br />
causa an<strong>che</strong> molti pensatori illuministi, 133 <strong>che</strong> invece gli Autori<br />
del nostro manuale non menzionano nemmeno? È certo, inoltre,<br />
<strong>che</strong> non persista ancora adesso <strong>un</strong> «uso o <strong>un</strong> abuso della storia» 134<br />
medievale simile – in qual<strong>che</strong> modo – a quello realizzato dagli<br />
umanisti e da <strong>un</strong>a parte delle correnti illuministi<strong>che</strong>? In considerazione<br />
del fatto <strong>che</strong> è «opinione com<strong>un</strong>e» <strong>che</strong> il <strong>Medioevo</strong> sia<br />
«sinonimo di età buia e barbara, di epoca segnata da <strong>un</strong> grave<br />
regresso economico e culturale» 135 , come mai non viene<br />
configurata alc<strong>un</strong>a ipotesi né – tantomeno – viene esposta alc<strong>un</strong>a<br />
tesi 136 in merito alla rivalutazione del periodo in questione? Ecco<br />
tutta l’argomentazione proposta dal manuale in questione:<br />
Contro questa valutazione negativa ha reagito <strong>un</strong>a parte degli<br />
storici moderni, <strong>che</strong> ha cercato di rivalutare, soprattutto sotto il<br />
profilo culturale, la vitalità dell’epoca medievale. Questa reazione<br />
ha fatto compiere notevoli progressi alla nostra conoscenza<br />
del periodo. 137<br />
Il fatto <strong>che</strong> la “finestra” dedicata dal suddetto manuale alla<br />
Parola chiave <strong>Medioevo</strong> non riporti alc<strong>un</strong>a suggestione <strong>che</strong> possa<br />
133 Cfr. infra nt. 294.<br />
134 Cfr. PIVATO S., op. cit., passim.<br />
135 GIARDINA A.-SABBATUCCI G.-VIDOTTO V., op. cit., p. 6.<br />
136 In merito vd. infra al paragrafo 2.4.<br />
137 GIARDINA A.-SABBATUCCI G.-VIDOTTO V., op. cit., p. 6.
<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />
aiutare lo studente a riflettere an<strong>che</strong> <strong>nel</strong>le direzioni sopra indicate,<br />
ma <strong>che</strong> denoti – al di là del generico riconoscimento di<br />
<strong>un</strong>a certa validità cognitiva alla reazione di «<strong>un</strong>a parte degli<br />
storici» 138 – <strong>un</strong>a malcelata e più evidente preoccupazione di<br />
inibire <strong>un</strong>’improbabile concezione ottimistica del <strong>Medioevo</strong>,<br />
l<strong>un</strong>gi dallo scandalizzare, consente di scorgere con maggiore<br />
chiarezza <strong>un</strong> certo tipo di approccio manualistico, <strong>che</strong> sembra<br />
orientato a preservare l’«opinione com<strong>un</strong>e» 139 intorno alla civiltà<br />
medievale.<br />
La posizione valutativa dei nostri Autori pare confermata<br />
an<strong>che</strong> dall’espediente retorico da loro adoperato; essi fondano,<br />
infatti, il proprio giudizio riass<strong>un</strong>tivo circa il <strong>Medioevo</strong> per il tramite<br />
dell’ironia di Jacques Le Goff, senz’altro «<strong>un</strong> grande medievista<br />
contemporaneo» 140 , ma an<strong>che</strong> – e questo non viene invece<br />
da loro riportato 141 – <strong>un</strong> grande estimatore del <strong>Medioevo</strong>. 142 Osserviamo<br />
– in questo caso – il riferimento a <strong>un</strong>a auctoritas indiscussa,<br />
all’ipse dixit dello storico affermato. Di per sé in certi frangenti<br />
ciò è inevitabile: è naturale (lo sto attuando con <strong>un</strong>a certa<br />
frequenza anch’io <strong>nel</strong>la presente trattazione) fare <strong>un</strong> consapevole<br />
e abbondante utilizzo di autori <strong>che</strong> godono di <strong>un</strong> prestigio scientifico<br />
<strong>un</strong>iversalmente riconosciuto; è essenziale – tuttavia – non<br />
farne <strong>un</strong> esercizio meramente retorico e cercare di esporre le loro<br />
descrizioni e argomentazioni in chiave dialettica, 143 fornendo an-<br />
138 Lo stesso Le Goff sembra invece intendere <strong>che</strong> la totalità degli storici<br />
abbia rivalorizzato l’epoca medievale (LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario,<br />
cit., p. XVIII; cfr. supra an<strong>che</strong> nt. 12).<br />
139 GIARDINA A.-SABBATUCCI G.-VIDOTTO V., op. cit., p. 6.<br />
140 Ibidem.<br />
141 Cfr. infra <strong>nel</strong> paragrafo 2.3. le indicazioni circa la selettività.<br />
142 Cfr. ad es. infra nt. 354 e – più in generale – il volume di LE GOFF J.,<br />
<strong>Medioevo</strong>, cit., passim; cfr. an<strong>che</strong> infra nt. 156.<br />
143 Cfr. ad es. PIVATO S., op. cit., pp. 87-88.<br />
67
68<br />
Franz Brandmayr<br />
<strong>che</strong> indicazioni contrarie 144 e cercando di fornire al lettore gli strumenti<br />
atti a cogliere i p<strong>un</strong>ti deboli della propria trattazione. 145<br />
Al contrario, Giardina, Sabbatucci e Vidotto sembrano seguire<br />
<strong>un</strong>a via più facile e ad effetto: a <strong>un</strong>a auctoritas 146 – come<br />
abbiamo visto – viene delegato il compito di liquidare il tema in<br />
oggetto con <strong>un</strong>a battuta ironica; questa è – per sua stessa natura<br />
– agonistica 147 e mirata non a porre le premesse per <strong>un</strong>a<br />
tematizzazione adeguata (per esempio mediante la definizione<br />
più precisa delle diverse posizioni esistenti fra gli storici), bensì<br />
tesa a sottrarre all’avversario la possibilità di argomentare proprio<br />
per l’“evidente” plausibilità 148 del contenuto proposto. In<br />
questo modo viene strumentalizzato il prestigio sociale di <strong>un</strong><br />
luminare, attingendo a <strong>un</strong>a sua produzione, di cui non si danno<br />
gli estremi, 149 selezionata fra le numerosissime testimonianze di<br />
ammirazione per l’Età medievale formulate dallo stesso storico,<br />
<strong>nel</strong>la quale questi pron<strong>un</strong>cia apoditticamente <strong>un</strong>a frase <strong>che</strong> si<br />
propone come <strong>un</strong> entimema. 150 In questo «sillogismo ellittico» è<br />
144 GUITTON J., Arte nuova di pensare, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1986 11<br />
(s. d. orig.), pp. 109-110 e 114-117.<br />
145 Vd. supra nt. 130.<br />
146 Cfr. l’«argomento d’autorità» in MORTARA GARAVELLI B., Manuale di retorica,<br />
Bompiani, Milano 1997 (1988), p. 77.<br />
147 Il passaggio al registro confidenziale da parte di Le Goff rinvia alla co-<br />
m<strong>un</strong>icazione orale, <strong>nel</strong>la quale è sovente implicito <strong>un</strong> «tono agonistico» [ONG<br />
G.W., Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola, Il Mulino, Bologna 1986 (1982),<br />
pp. 73-75], <strong>che</strong> pare confermato dal fatto <strong>che</strong> «dal p<strong>un</strong>to di vista della retorica<br />
l’ironia acquista la f<strong>un</strong>zione di arma oratoria» (INFANTINO M.G., L’ironia.<br />
L’arte di com<strong>un</strong>icare con astuzia, Xenia, Milano 2000, p. 8).<br />
148 Mi rifaccio al concetto di «struttura di plausibilità» di BERGER P.L.-LUCKMANN<br />
TH., La realtà come costruzione sociale, Il Mulino, Bologna 1969 (1966), cap. 3.<br />
149 Vd. supra nt. 132; è certo <strong>che</strong> individuare la fonte consenta al lettore <strong>un</strong>a<br />
sua più agevole messa in discussione critica.<br />
150 MORTARA GARAVELLI B., op. cit., pp. 77-78.
<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />
dato cioè per presupposto dal senso com<strong>un</strong>e (orizzonte <strong>nel</strong> quale<br />
pare scontato <strong>che</strong> non vi sia alc<strong>un</strong>o <strong>che</strong> «onestamente» asserirebbe<br />
di ambire a vivere <strong>nel</strong> <strong>Medioevo</strong>), ciò <strong>che</strong> andrebbe invece appena<br />
argomentato 151 con gli strumenti metodologici storiografici e<br />
non con <strong>un</strong>a battuta ad effetto. La tautologia sottesa a questa<br />
pseudo-argomentazione è tipica, come abbiamo già evidenziato,<br />
delle retori<strong>che</strong> del senso com<strong>un</strong>e, 152 <strong>che</strong> solitamente attingono<br />
alla ricca messe dei topoi, dei «luoghi com<strong>un</strong>i della quantità» 153 ,<br />
cioè approvati dalla massa. Di questo tipo di paralogismo si può<br />
dire, ancora, <strong>che</strong> – scritto al più tardi <strong>nel</strong> 1990 – esso pare ricordare,<br />
per la sua levità, <strong>un</strong> certo modo «giornalistico» di affrontare gli<br />
argomenti 154 e – in particolare – la storia. 155<br />
Può risultare di qual<strong>che</strong> interesse rilevare <strong>che</strong>, invece, <strong>nel</strong>l’impostare<br />
il quadro storico-letterario medievale, <strong>un</strong> recentissimo<br />
manuale di letteratura italiana supera senza alc<strong>un</strong>a reticenza<br />
il vecchio <strong>pregiudizio</strong> e, sempre per il tramite di Le Goff, pone<br />
in particolare luce il novum, <strong>che</strong> sembra emergere soprattutto a<br />
partire dall’anno Mille. 156<br />
Ai nostri fini – com<strong>un</strong>que – ciò non sposta i termini complessivi<br />
del discorso: il senso com<strong>un</strong>e 157 pare continuare a essere<br />
151 Ciò vale in quanto l’entimema consiste in <strong>un</strong> sillogismo <strong>che</strong> non è fondato<br />
su <strong>un</strong>a premessa necessaria (cfr. ABBAGNANO N., s.v. Entimema, in ID., op. cit.,<br />
p. 305).<br />
152 Vd. infra nt. 165.<br />
153 MORTARA GARAVELLI B., op. cit., pp. 78-80.<br />
154 SORRENTINO C., Tutto fa notizia. Leggere il giornale, capire il giornalismo, Carocci,<br />
Roma 2010, p. 134.<br />
155 Cfr. ad es. PIVATO S., op. cit., pp. 87-88.<br />
156 LUPERINI R.-CATALDI P.-MARCHIANI L.-MARCHESE F., Il Nuovo la scrittura e<br />
l’interpretazione. Storia della letteratura italiana <strong>nel</strong> quadro della civiltà europea secondo<br />
i nuovi programmi, 1, Dalle origini al <strong>Medioevo</strong> (dalle origini al 1380), Palumbo,<br />
Palermo 2011, p. 4.<br />
157 Cfr. an<strong>che</strong> ibidem.<br />
69
70<br />
Franz Brandmayr<br />
informato dal consueto <strong>pregiudizio</strong>, al quale – a livello di<br />
manualistica – vengono portate appena in questi anni le prime<br />
criti<strong>che</strong> serie e argomentate.<br />
A questo p<strong>un</strong>to, va messo ancora in evidenza <strong>un</strong> altro aspetto<br />
della questione del <strong>pregiudizio</strong> antimedievale; finora ho creduto<br />
opport<strong>un</strong>o rimarcare soprattutto gli aspetti individuali e<br />
psicologici del rapporto <strong>che</strong> lo storico, il docente e lo studente<br />
potrebbero intessere con la materia medievalistica in cui si dovessero<br />
imbattere; va tuttavia ribadita an<strong>che</strong> la componente sociale<br />
dei loro eventuali comportamenti valutativi, stigmatizzanti<br />
e anacronistici. Questi comportamenti, <strong>che</strong> scaturiscono da sentimenti<br />
e valutazioni personali, 158 si inseriscono – infatti – in <strong>un</strong><br />
contesto collettivo e condiviso, da questa cornice olistica ricevono<br />
<strong>un</strong> rinforzo ed essi stessi, a loro volta, la corroborano,<br />
instaurando con essa <strong>un</strong>a prassi reciproca. 159<br />
Ciò accade, va detto, nonostante il soggetto, si tratti di <strong>un</strong>o<br />
storico, di <strong>un</strong> docente o di <strong>un</strong>o studente, non sia sempre avvertito<br />
delle dinami<strong>che</strong> psico-sociali, discorsive e interetni<strong>che</strong>, <strong>che</strong><br />
rendono attivi i suoi criteri valutativi e di quanto il proprio ethos<br />
sia condizionato dall’ambiente sociale. 160<br />
In realtà non esiste solo <strong>un</strong> etnocentrismo legato ai grandi<br />
insiemi sociali, alle grandi civiltà e alle entità nazionali; questo<br />
concetto, se preso <strong>nel</strong> suo significato tecnico di erezione degli<br />
s<strong>che</strong>mi culturali di <strong>un</strong>a «collettività» a criterio assoluto di valuta-<br />
158 Sentimenti, valutazioni e comportamenti degli informatori costituiscono,<br />
in buona sintesi, l’oggetto della ricerca etnoantropologica [BIANCO C.,<br />
op. cit., pp. 162-163; cfr. TURNER V., Dal rito al teatro, Il Mulino, Bologna<br />
1986 (1982), p. 120].<br />
159 Mi rifaccio al concetto marxiano di umwälzende Praxis (condizionamento<br />
vicendevole).<br />
160 Per <strong>un</strong>’introduzione a queste dinami<strong>che</strong> vd. DUBAR C., La socializzazione.<br />
Come si costruisce l’identità sociale, Il Mulino, Bologna 2004 (2000), passim.
<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />
zione: a) della realtà; b) degli altri gruppi, 161 può esprimere l’identificazione<br />
del soggetto con gli s<strong>che</strong>mi culturali di <strong>un</strong>a<br />
subcultura, 162 di <strong>un</strong>a classe sociale, 163 di <strong>un</strong> gruppo religioso, di<br />
<strong>un</strong> partito politico e via discorrendo. 164<br />
Secondo gli antropologi esiste <strong>un</strong>a versione «spontanea» 165<br />
dell’etnocentrismo. Senza <strong>un</strong>a certa dose di etnocentrismo l’individuo<br />
non avrebbe p<strong>un</strong>ti di riferimento, non disporrebbe di<br />
<strong>un</strong>a “mappa” interpretativa della realtà <strong>che</strong> lo circonda e si troverebbe<br />
esposto al disorientamento culturale e, forse, a<br />
<strong>un</strong>’“anomia” 166 psicologicamente destrutturante e pericolosa per<br />
l’equilibrio personale.<br />
La collettività in cui il soggetto è inserito, d<strong>un</strong>que, codifica e<br />
veicola i contenuti e le articolazioni dei propri s<strong>che</strong>mi attraverso<br />
<strong>un</strong>a serie di linguaggi verbali, gestuali e simbolici, <strong>che</strong> solo in<br />
parte possono venire condivisi an<strong>che</strong> da altre collettività. All’interno<br />
del gruppo ogni individuo coordina i propri comportamenti<br />
con quelli degli altri membri, in <strong>un</strong>a tensione alla reciproca<br />
conferma della validità dei com<strong>un</strong>i s<strong>che</strong>mi di valutazione,<br />
emozionali ed etici. È a questo p<strong>un</strong>to <strong>che</strong> si può parlare di <strong>un</strong><br />
“senso com<strong>un</strong>e”:<br />
161 BERNARDI B., op. cit., p. 44.<br />
162 CUCHE D., La nozione di cultura <strong>nel</strong>le scienze sociali, Il Mulino, Bologna 2003<br />
(1996), p. 58.<br />
163 Si veda il concetto di classicentrismo in LOMBARDI SATRIANI L.M., Antropologia<br />
culturale ed analisi della cultura subalterna, Guaraldi, Firenze 1976, p. 104.<br />
164 Per la nozione di esclusivismo culturale, <strong>un</strong>a specie di etnocentrismo <strong>che</strong><br />
non concerne necessariamente <strong>un</strong> gruppo etnico, cfr. CIRESE A.M., Cultura,<br />
cit., p. 7.<br />
165 TULLIO-ALTAN C., Antropologia, cit., p. 70.<br />
166 Si tratta, in buona sostanza, del disagio <strong>che</strong> può pervadere singoli o gruppi<br />
a causa della «inadeguatezza delle norme» della convivenza sociale durante le<br />
fasi di mutamento [MILANESI G., s.v. Anomia, in DEMARCHI F.-ELLENA A.-<br />
CATTARINUSSI B. (a cura di), op. cit., p. 140].<br />
71
72<br />
Franz Brandmayr<br />
Il senso com<strong>un</strong>e non è ciò <strong>che</strong> la mente comprende spontaneamente,<br />
(<strong>un</strong>a volta) liberata dal ciarpame; è quello <strong>che</strong> la mente<br />
riempita di presupposti [(socio-culturali) …] conclude […] Come<br />
struttura del pensiero e suo esemplare il senso com<strong>un</strong>e è totalizzante<br />
come ogni altro: ness<strong>un</strong>a religione è più dogmatica, ness<strong>un</strong>a<br />
scienza più ambiziosa, ness<strong>un</strong>a filosofia più generale [… (esso)]<br />
pretende di raggi<strong>un</strong>gere la realtà oltre l’illusione, le cose come<br />
sono [… (ciò <strong>che</strong> è)] “realmente reale”. 167<br />
Il senso com<strong>un</strong>e si esprime e si nutre mediante il discorso<br />
com<strong>un</strong>e, tutto strutturato attorno agli s<strong>che</strong>mi <strong>che</strong> fondano e<br />
danno consistenza alla cultura del gruppo o di <strong>un</strong>a società. Esso<br />
si sviluppa dalla bottega alla piazza, passa attraverso l’aula scolastica,<br />
ma – come abbiamo già costatato – arriva nondimeno<br />
nei salotti <strong>che</strong> si presumono “buoni” 168 , informa gran parte dei<br />
media e, conseguentemente, viene rilanciato nuovamente ai<br />
fruitori degli stessi mezzi di com<strong>un</strong>icazione, in <strong>un</strong>o scambio<br />
quotidiano continuo. 169 Le sue «semiqualità» sarebbero, secondo<br />
Geertz, la «naturalezza», la «praticità», la «leggerezza», la<br />
«mancanza di metodo», <strong>un</strong>a facile «accessibilità» 170 per chi<strong>un</strong>que:<br />
in buona sostanza, in questa quasi-filosofia (o filosofia spicciola)<br />
i contenuti sembrerebbero presentare i caratteri di <strong>un</strong>’ovvietà<br />
priva di ogni senso di meraviglia 171 e di scoperta. All’interno<br />
di questo complesso di narrazioni il <strong>Medioevo</strong> potrebbe ri-<br />
167 GEERTZ C., Antropologia, cit., pp. 105-106; parentesi rotonde mie.<br />
168 Cfr. supra nt. 9.<br />
169 Vd. ad es. GOFFMAN E., La vita quotidiana come rappresentazione, Il Mulino,<br />
Bologna 1969 (1959), passim.<br />
170 GEERTZ C., Antropologia, cit., p. 107.<br />
171 Geertz (ivi, p. 104) mi induce a richiamare il di¦ g¦r tÕ qaum£zein oƒ<br />
¥nqropoi [...] ½rxanto filosofe‹n [gli uomini hanno incominciato a<br />
filosofare a causa della (capacità di provare) meraviglia (ARISTOTELE, Metafisica,<br />
2, 12-13); trad. di Giovanni Reale; parentesi rotonda mia].
<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />
sultare configurato (è quanto <strong>un</strong>’analisi antropologica dovrebbe<br />
accertare) alla stregua dei divertenti luoghi com<strong>un</strong>i tanto spiritosamente<br />
descritti da Régine Pernoud <strong>nel</strong>la raccolta di saggi<br />
<strong>che</strong> ho ripetutamente citato.<br />
L’etnocentrismo (quello cosiddetto spontaneo, perlomeno),<br />
d<strong>un</strong>que, è <strong>un</strong> atteggiamento insito <strong>nel</strong>la condizione umana, abbiamo<br />
detto e ciò, a scanso di idealismi fuorvianti, non va mai<br />
dimenticato. 172 Esistono, però, due reazioni tipi<strong>che</strong> a <strong>un</strong>a constatazione<br />
di questo genere: <strong>un</strong>a, la prima, configura <strong>un</strong>a sorta di<br />
nichilismo antiscientifico, 173 <strong>che</strong> porta a negare al ricercatore ogni<br />
competenza a proferire qualsivoglia contenuto sull’“Altro”, <strong>che</strong><br />
non sia <strong>un</strong>a mera proiezione del sé. La seconda reazione, simmetrica<br />
alla prima, parte dalla identica considerazione dell’impossibilità<br />
di evitare l’etnocentrismo, ma ne ricava <strong>un</strong>a conclusione<br />
opposta e propone <strong>un</strong>a “scienza” consapevolmente etnocentrica<br />
(<strong>un</strong>a sorta di ossimoro, direi) e tetragona ad accogliere contributi<br />
dagli out-groups, a meno <strong>che</strong> non siano consonanti 174 con la propria<br />
concezione della realtà. Questa seconda posizione risulta,<br />
probabilmente, presente sia al livello del discorso com<strong>un</strong>e 175 <strong>che</strong> a<br />
quello accademico 176 e si caratterizza per la confusione <strong>che</strong> tende<br />
a operare fra i concetti di storiografia e di memoria storica. 177 Si<br />
172 Cfr. ad es. MALIGHETTI R., s.v. Etnocentrismo critico, in FABIETTI U.-REMOTTI<br />
F. (a cura di), op. cit., p. 274.<br />
173 Cfr., ad es., GEERTZ C., L’io testimoniante. I figli di Malinowsky, in ID., Opere e<br />
vite L’antropologo come autore, Il Mulino, Bologna 1995 (1992), pp. 101-102. Vd.<br />
an<strong>che</strong> supra nt. 31.<br />
174 Cfr. TRENTIN R., Gli atteggiamenti sociali, in ARCURI L. (a cura di), op. cit., pp.<br />
274-281, soprattutto a p. 276.<br />
175 Vd. ad es. DAWSON CH., op. cit., p. 17.<br />
176 La Pernoud scriveva <strong>che</strong> «per la Sorbona, tra Plotino e Cartesio non c’è<br />
niente» (EAD., op. cit., pp. 49 e 153).<br />
177 Vd. supra nt. 124.<br />
73
74<br />
Franz Brandmayr<br />
tratta di <strong>un</strong> salto di qualità <strong>che</strong>, sempre a detta degli antropologi,<br />
può provocare il passaggio a <strong>un</strong>a versione «ideologica» dell’etnocentrismo;<br />
è quanto si verifi<strong>che</strong>rebbe allorché venisse teorizzata<br />
consapevolmente <strong>un</strong>a pres<strong>un</strong>ta superiorità della propria cultura<br />
di appartenenza rispetto alle culture “altre” 178 . A <strong>un</strong> etnocentrismo<br />
spontaneo si sostituirebbe, allora, <strong>un</strong>a costruzione sociale<br />
più dottrinaria, solitamente pianificata e promossa da agenzie e<br />
da gruppi di interesse, 179 <strong>che</strong> intendono porsi a capo o – com<strong>un</strong>que<br />
– concorrere all’elaborazione di <strong>un</strong> processo di autoaffermazione<br />
o addirittura di egemonizzazione 180 rispetto a culture o subculture<br />
altre percepite come antagonisti<strong>che</strong>. 181<br />
Esiste, però, <strong>un</strong>a terza via, quella dell’“etnocentrismo critico”<br />
prefigurato da Ernesto de Martino 182 e rielaborato da Vittorio<br />
Lanternari 183 . In po<strong>che</strong> parole, partendo dal dato inevitabile<br />
dell’etnocentrismo, si tratterebbe di operare delle concettualizzazioni<br />
<strong>che</strong> consentano, tanto allo storico quanto allo studente,<br />
di «defamiliarizzarsi» 184 rispetto ai propri paradigmi valutativi e<br />
di simpatizzare 185 con quelli altrui, dopo averli conosciuti attraverso<br />
lo spoglio documentario e i testi specialistici (lo storico o,<br />
178 TULLIO-ALTAN C., Antropologia, cit., p. 70.<br />
179 Cfr. COLOMBO E., Le società multiculturali, Carocci, Roma 2002, pp. 53-57;<br />
FABIETTI U., L’identità etnica. Storia e critica di <strong>un</strong> concetto equivoco, Carocci, Roma<br />
1998 2 (1995), pp. 33-34.<br />
180 AIME M., s.v. Egemonia, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di), op. cit., pp. 256-257.<br />
181 Cfr. il concetto di “acculturazione” in CUCHE D., op. cit., pp. 63-83.<br />
182 DE MARTINO E., La fine del mondo. Contributo all’analisi delle apocalissi culturali,<br />
Einaudi, Torino 1977, pp. 396-397.<br />
183 LANTERNARI V., Ernesto De Martino, etnologo meridionalista: vent’anni dopo, in<br />
“L’Uomo”, 1, 1977, pp. 29-56.<br />
184 Cfr. CLEMENTE P., Lontananze vicine: sui modi di pensare e insegnare l’antropologia<br />
<strong>nel</strong> mondo globale, in PASQUINELLI C., (a cura di), op. cit., p. 167.<br />
185 Vd. infra paragrafo 3.
<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />
eventualmente, il docente) o, più modestamente, attraverso i<br />
manuali (lo studente).<br />
2.3. Effetto alone, selettività, tautologia ed etnicità<br />
Per le cause già accennate sopra 186 il <strong>Medioevo</strong> costituisce <strong>un</strong><br />
complesso di contenuti didattici <strong>che</strong> si presta in modo particolare<br />
a subire l’azione dell’effetto alone, cioè la tendenza del soggetto<br />
inquirente a «lasciarsi guidare da <strong>un</strong>’impressione generale<br />
o da <strong>un</strong> tratto emergente» 187 invece <strong>che</strong> da <strong>un</strong>a totalità di fatti<br />
rilevati empiricamente e analizzati nei loro rapporti reciproci.<br />
Nei dialoghi didattici in aula – come ogni insegnante sa bene –<br />
è molto frequente emergano dagli studenti (solo da loro?) “sintesi”<br />
piuttosto stereotipate su temati<strong>che</strong> <strong>che</strong> abbisognerebbero<br />
di trattazioni ben più articolate, più ric<strong>che</strong> di sfumature e, soprattutto,<br />
con <strong>un</strong> riferimento più preciso alla documentazione<br />
relativa all’oggetto di studio. 188<br />
Quando si spiega, ad esempio, <strong>che</strong> le criti<strong>che</strong> più risolute all’azione<br />
dei trib<strong>un</strong>ali dell’Inquisizione durante la “crociata degli<br />
albigesi” 189 provengono dall’interno della Chiesa, gli studenti perplessi<br />
– almeno all’inizio – scoprono essere la Chiesa <strong>un</strong> organismo<br />
piuttosto complesso e multivoco, dove – <strong>nel</strong>la fattispecie –<br />
gli inquisitori domenicani incontravano <strong>un</strong>a forte opposizione da<br />
parte dei vescovi <strong>nel</strong>le diocesi dei quali si trovavano a operare, 190<br />
186 Cfr. supra paragrafo 1.<br />
187 MANDL H., s.v. Alone/effetto, in ARNOLD W.-EYSENCK H.J.-MEILI R. (a cura<br />
di), op. cit., p. 61.<br />
188 PERNOUD R., op. cit., pp. 144 e 173.<br />
189 Metto fra virgolette l’espressione, perché il termine “crociata” è moderno<br />
(ivi, p. 141, nt. 13).<br />
190 CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., pp. 36 e 40; DEDIEU J.-P., op. cit., pp. 14-<br />
16 et alibi.<br />
75
76<br />
Franz Brandmayr<br />
in cui Domenico di Guzmàn stesso «non era favorevole all’uso<br />
della forza» e <strong>nel</strong> quale «an<strong>che</strong> la popolazione cattolica (della<br />
Linguadoca) detestava l’istituzione inquisitoria, perché simboleggiava<br />
<strong>un</strong>’occupazione mal sopportata» 191 . All’interno della Chiesa,<br />
del resto, non si era mai inaridita nei secoli <strong>un</strong>a corrente di<br />
pensiero 192 , spesso perdente, ma mai priva di influenza, <strong>che</strong> caldeggiava<br />
linee d’azione missionaria non-violente direttamente<br />
improntate al vangelo, piuttosto <strong>che</strong> alla Realpolitik ritenuta f<strong>un</strong>zionale<br />
al governo della societas christiana.<br />
Francesco d’Assisi e Domenico, personaggi carismatici personalmente<br />
propensi alla predicazione pacifica, 193 la popolazione<br />
cattolica del Mezzogiorno francese insofferente nei confronti<br />
degli eserciti del re e dei grandi feudatari del Nord (a loro volta<br />
cattolici), veri vincitori politico-militari della crociata degli<br />
albigesi, 194 le gerarchie ecclesiasti<strong>che</strong> e civili locali sovente vicine<br />
ai borghesi catari 195 e ostili ai domenicani forestieri, le indicazioni<br />
– spesso mitigatrici nei toni 196 – provenienti dai papi di<br />
Roma… Si fa presto a dire: “Chiesa”. Dov’è la Chiesa qui? È la<br />
Chiesa gerarchica? Ma, in questo modo, il concetto risulta<br />
pregiudizialmente valutativo, come ora cer<strong>che</strong>rò di chiarire. È la<br />
191 Ivi, p. 18 (parentesi mia).<br />
192 Cfr. ad es. CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., p. 65; DEDIEU J.-P., op. cit., p.<br />
12. FLORI J., Le crociate, cit., pp. 13-16 preferisce, invece, mettere in evidenza<br />
il processo di «sacralizzazione della guerra» interno alla Chiesa, completatosi<br />
dopo l’anno Mille in seguito al processo di acculturazione verificatosi <strong>nel</strong><br />
pluri<strong>secolare</strong> contatto fra la Chiesa stessa e le popolazioni germani<strong>che</strong>.<br />
193 DEDIEU J.-P., op. cit., p. 12.<br />
194 CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., p. 32; DEDIEU J.-P., op. cit., p. 17. Al di là<br />
della crociata degli albigesi, sul rapporto potere politico/Inquisizione e<br />
sull’egemonizzazione di questa ad opera degli Stati, vd. CARDINI F.-MONTESANO<br />
M., op. cit., pp. 36, 49, 81-98 e 159; DEDIEU J.-P., op. cit., pp. 12-27.<br />
195 Ivi, p. 19 et alibi.<br />
196 Cfr. CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., p. 32; DEDIEU J.-P., op. cit., p. 18.
<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />
“Chiesa spirituale” 197 dei santi succitati? Oppure dobbiamo espellerne<br />
Domenico, come fa qualc<strong>un</strong>o, per le nefandezze ascritte<br />
al suo ordine? Eppure non è infrequente il caso dei domenicani<br />
<strong>che</strong>, proprio perché giudicano in favore del pres<strong>un</strong>to eretico, si<br />
inimicano l’autorità civile e la popolazione locale propense all’esecuzione.<br />
198 Ciò sembra confermare ulteriormente l’opport<strong>un</strong>ità<br />
<strong>che</strong> l’evento storico della cosiddetta “crociata” venga letto<br />
con <strong>un</strong>a serie più articolata di chiavi di lettura. Infatti, non<br />
sempre vengono considerate, accanto alle istanze omologatrici 199<br />
della Chiesa, <strong>che</strong> certo sussistono, an<strong>che</strong> le dinami<strong>che</strong> locali (conflitti<br />
di potere, la concorrenza economica interna a <strong>un</strong>a classe<br />
mercantile in espansione, risentimenti personali, vendette politi<strong>che</strong><br />
200 ecc.), oltre alle mire espansionisti<strong>che</strong> del re di Francia e<br />
dei suoi feudatari settentrionali.<br />
Ma, se identifichiamo la Chiesa con le sue élites dove collochiamo,<br />
in questo caso, la Chiesa della religione popolare, tanto<br />
rivalutata dalla più matura storiografia degli ultimi decenni 201 e<br />
<strong>che</strong> coinvolge la gran parte delle popolazioni europee di allora?<br />
Che cosa intendono gli autori dei manuali designando l’istituzione<br />
ecclesiale? E il docente? E <strong>che</strong> cosa coglie, in tutto ciò, lo<br />
studente? Si tratta, direi, di <strong>un</strong>o dei numerosi casi in cui <strong>un</strong>’eti<strong>che</strong>tta<br />
categoriale, il vocabolo “Chiesa”, <strong>che</strong> viene ingiustificatamente<br />
a designare le generi<strong>che</strong> “gerarchie” (quali poi? quelle<br />
del clero regolare o di quello <strong>secolare</strong>? tutte e due?), si estende a<br />
197 Mi riferisco al noto concetto della tradizione gioachimita (cfr. POTESTÀ<br />
G.L., s.v. Gioacchino da Fiore, in AA.VV., Enciclopedia Garzanti, cit., p. 357).<br />
198 CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., p. 54.<br />
199 Ivi, p. 160.<br />
200 Ivi, p. 35.<br />
201 Per <strong>un</strong>a bibliografia introduttiva vd., ad es., GUREVIČ A.J., op. cit., passim;<br />
MANSELLI R., op. cit., passim e SCHMITT J.C., Religione folklore e società <strong>nel</strong>l’Occidente<br />
medievale, Laterza, Bari 1988 (anno), passim.<br />
77
78<br />
Franz Brandmayr<br />
coprire semanticamente <strong>un</strong>’ampia serie di altri sottoinsiemi (dei<br />
quali ho elencato <strong>un</strong>a parte) compresi <strong>nel</strong>la societas ecclesiale.<br />
Non si tratta, tuttavia, di <strong>un</strong>’estensione semantica dalle conseguenze<br />
meramente teori<strong>che</strong> e oziose: se ne può ricavare <strong>un</strong>a<br />
generica impressione di monolitismo ecclesiale <strong>che</strong>, storicamente,<br />
non si è assolutamente dato. L’effetto alone, in questo<br />
modo, pare assicurato: i «tratti (<strong>che</strong> si vorrebbero) emergenti»<br />
del potere e della violenza assorbono in <strong>un</strong> <strong>un</strong>ico lemma omologante<br />
tutta <strong>un</strong>a pluralità di diverse componenti sociali, culturali<br />
e politico-militari (clero/popolo, clero regolare/clero<br />
<strong>secolare</strong>, clerici/bellatores, borghesi/popolo, alto clero/basso<br />
clero, monarchia francese/papato, re e grandi feudatari del<br />
Nord della Francia/feudatari meridionali, inquisitori/non-inquisitori<br />
ecc.), ness<strong>un</strong>a delle quali, fatte salve le élites più consapevoli<br />
dei catari, 202 avrebbe mai rin<strong>un</strong>ciato alla propria prerogativa<br />
di appartenere alla cristianità.<br />
Pertanto, applicando il concetto di Chiesa senza <strong>un</strong>a definizione<br />
precisa dei suoi contorni sociologici, non è impossibile<br />
<strong>che</strong> esso perda di consistenza e si riduca a <strong>un</strong>a mera eti<strong>che</strong>tta<br />
categoriale. In questo modo il ricercatore, il docente o lo studente<br />
sono esposti a <strong>un</strong>a serie di rischi teoretici: a) il riduzionismo<br />
della com<strong>un</strong>ità ecclesiale a <strong>un</strong>a sua parte: la gerarchia, e ciò – di<br />
solito – senza <strong>un</strong>’adeguata motivazione metodologica; b)<br />
l’anacronismo di <strong>un</strong> dualismo radicale 203 clero/laicato, 204 la cui<br />
radice socio-culturale è decisamente moderna, viene proiettato<br />
202 Nel catarismo «strutturatosi in modo mimetico rispetto all’organismo ecclesiastico<br />
egemone» (MERLO G.G., op. cit., p. 45) i simpatizzanti tendevano a<br />
riconoscere nei «perfetti» semplicemente dei «buoni cristiani», senza rendersi<br />
sempre conto del fatto <strong>che</strong> si trattasse di <strong>un</strong>a religione dualistica e diversa<br />
dal cristianesimo.<br />
203 Cioè l’antitesi inconciliabile di due entità concepite come opposte (VIGLINO<br />
U., s.v. Dualismo, in AA.VV., Enciclopedia Cattolica, cit., vol. IV, c. 1942).<br />
204 Cfr. GRAFF H.J., op. cit., pp. 104, 111 e 113.
<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />
<strong>nel</strong> XIII secolo, 205 epoca <strong>nel</strong>la quale era – al contrario – nettamente<br />
dominante <strong>un</strong>a concezione ecclesiale sì dialettica, 206 ma<br />
an<strong>che</strong> fortemente <strong>un</strong>itaria; 207 c) l’affermazione di <strong>un</strong>a sorta di<br />
<strong>un</strong>ivocità del gruppo-Chiesa e la complementare obliterazione<br />
dell’esistenza di <strong>un</strong> pluralismo di culture e subculture ecclesiali,<br />
di cui la storiografia dà abbondante testimonianza; d) la perdita<br />
di concretezza storica dovuta al misconoscimento della<br />
microstoria e della storia locale, <strong>che</strong> – della crociata – offrono<br />
molte varianti contraddittorie rispetto alla «leggenda nera». 208<br />
205 TORTAROLO E., Laicismo, Laterza, Roma-Bari 1998, pp. 11-13.<br />
206 Cfr. REINHARD W., Storia dello stato moderno, Il Mulino, Bologna 2010 (2007),<br />
p. 58.<br />
207 Cfr. il concetto di «<strong>un</strong>ipolarità» del «corpo della Chiesa» (ULLMANN W., op.<br />
cit., p. 24).<br />
208 DEDIEU J.-P., op. cit., p. 6. Trattare a fondo la questione dell’Inquisizione e<br />
dei diritti umani (cfr. supra paragrafo 1.1.) non fa parte degli scopi di questo<br />
saggio, pertanto mi limito a <strong>un</strong>a brevissima serie di riferimenti forse indicativi<br />
di <strong>un</strong> certo uso della storia poi concretizzatosi <strong>nel</strong>la “leggenda nera”.<br />
Può essere interessante rilevare, ad esempio, la comminazione della condanna<br />
a morte al “solo” (non si tratta com<strong>un</strong>que di <strong>un</strong>a vittoria della civiltà…)<br />
1% degli imputati da parte del trib<strong>un</strong>ale dell’Inquisizione di Tolosa <strong>nel</strong>la<br />
seconda metà del Duecento (DEDIEU J.-P., op. cit., p. 18); questo 1 % va ridotto<br />
ulteriormente, in quanto è certo <strong>che</strong> la condanna spesso si risolveva in <strong>un</strong><br />
pentimento dell’ultima ora davanti al patibolo. La «moderazione» degli inquisitori<br />
si concretizzava, inoltre, an<strong>che</strong> con la risoluzione pro reo in dubiis<br />
(CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., p. 57), con <strong>un</strong>a pratica della tortura <strong>che</strong> –<br />
a differenza da quella esercitata dai poteri laici – non doveva portare alla<br />
morte (ivi, p. 61), né alle mutilazioni (ivi, p. 55), <strong>che</strong> era sottoposta a limitazioni<br />
e controlli (ivi, pp. 63 e 65), a sospensioni e annullamenti (ivi, p. 62). La<br />
tortura – ancora – praticata dagli Stati fino al XVIII secolo, secondo alc<strong>un</strong>i<br />
autori fu «forse» poco usata, «perché raramente documentata» [PAOLINI L., Il<br />
modello italiano <strong>nel</strong>la manualistica, in AA.VV., L’Inquisizione, Atti del Simposio<br />
internazionale (29-31 ottobre 1998) Città del Vaticano, Roma 2003, p. 101].<br />
Senza misconoscere l’esistenza di <strong>un</strong>a certa letteratura <strong>che</strong> tende a minimizzare<br />
la portata delle vicende delle Inquisizioni, Cardini ricorda <strong>che</strong> il confronto<br />
sulla tortura va fatto con i contemporanei [ivi, p. 64; cfr. an<strong>che</strong> LE<br />
79
80<br />
Franz Brandmayr<br />
Può essere di qual<strong>che</strong> utilità notare come di tutti questi aspetti<br />
descrittivi, <strong>che</strong> rendono problematica l’interpretazione della crociata<br />
degli albigesi e dell’Inquisizione, il già citato manuale di<br />
Giardina, Sabbatucci e Vidotto non riporti praticamente nulla. 209<br />
Una consapevolezza più profonda della matrice etnicoidentitaria<br />
del conflitto e della strumentalità dell’alibi religioso<br />
dei «Franchi», portatori della cultura feudale del Nord francese<br />
e lanciati alla conquista della civiltà urbana «romana» della<br />
Linguadoca, traspare – invece – in <strong>un</strong> testo recente, 210 <strong>nel</strong> quale<br />
si afferma a chiare lettere <strong>che</strong> «la crociata contro gli albigesi<br />
appare <strong>un</strong> momento significativo <strong>nel</strong> processo di consolidamento<br />
territoriale della monarchia francese» 211 . Per il resto,<br />
però, nean<strong>che</strong> De Bernardi e Guarracino consentono allo studente<br />
del XXI secolo, a mio avviso, di comprendere come mai,<br />
in <strong>un</strong>a istituzione <strong>che</strong> si proclamava fondata sul Vangelo, <strong>un</strong>a<br />
consistente parte delle gerarchie e degli intellettuali potesse<br />
non trovare abominevole l’impiego della coercizione violenta<br />
e di massa <strong>nel</strong>la propria pratica pastorale. 212 Non vi si trova<br />
alc<strong>un</strong> riferimento al Decretum Gratiani, 213 <strong>un</strong>o dei documenti<br />
fondamentali del <strong>Medioevo</strong>, ness<strong>un</strong> richiamo al concetto di<br />
GOFF J., La nascita del Purgatorio, Einaudi, Torino 1996 2 (1981), p. 248; vd.<br />
supra al paragrafo 2.2. le osservazioni sugli anacronismi] e <strong>che</strong> i dati quantitativi<br />
sull’Inquisizione sono ancora carenti (CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., p.<br />
158) e, pertanto, an<strong>che</strong> gli storici rischiano di subire l’influenza dell’effetto<br />
alone (cfr. DEDIEU J.-P., op. cit., p. 76).<br />
209 Cfr. GIARDINA A.-SABBATUCCI G.-VIDOTTO V., Uomini, cit., pp. 89-94.<br />
210 DE BERNARDI A.-GUARRACINO S., I saperi della storia. 1. Dalla società feudale alla crisi<br />
del Seicento, Paravia Br<strong>un</strong>o Mondadori, Milano 2006, p. 72; gli Autori evitano,<br />
peraltro, di menzionare le numerose vittime cattoli<strong>che</strong> delle stragi perpetrate dai<br />
Franchi (cfr. DE ROSA G., Storia medioevale, Minerva Italica, s.l., 1982 3 , p. 187).<br />
211 DE BERNARDI A.-GUARRACINO S., op. cit., p. 73.<br />
212 Ivi, pp. 70-73.<br />
213 DE ROSA G., op. cit., pp. 188-189.
<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />
società olistica 214 né al delitto di lesa maestà, 215 ness<strong>un</strong>a vera<br />
esplorazione della mentalità medievale, ness<strong>un</strong>o sforzo<br />
ermeneutico: l’“Altro” rimane distante e fissato <strong>nel</strong>la sua riprovevole<br />
estraneità, resa in maniera quasi caricaturale.<br />
Eppure già il De Rosa, ad esempio, <strong>nel</strong> suo vecchio manuale<br />
aveva proposto <strong>un</strong>’interpretazione <strong>che</strong> non sembrava affatto <strong>un</strong>a<br />
giustificazione. 216 Che l’avesse fatto con spirito apologetico, in<br />
quanto studioso di matrice cattolica? La storiografia si ridurrebbe,<br />
allora, a <strong>un</strong>a noiosa sequenza di polemi<strong>che</strong> da quotidiano sportivo,<br />
con la “curva nord” a disputare con la “curva sud” intorno<br />
al comportamento arbitrale? Comprendere significa forse giustificare?<br />
Un approccio ermeneutico comporta necessariamente il<br />
condividere i valori e le scelte dell’“avversario”? Domande<br />
senz’altro retori<strong>che</strong>, ma la cui riproposizione pare essere tutt’altro<br />
<strong>che</strong> fuori luogo in <strong>un</strong>a temperie culturale <strong>nel</strong>la quale vengono<br />
giustamente den<strong>un</strong>ciati tanto gli usi e abusi della storia quanto il<br />
dilettantismo. Perciò su quest’argomento dovrò ancora insistere<br />
più avanti, ma – <strong>nel</strong> frattempo – possiamo rilevare an<strong>che</strong> nei casi<br />
ora richiamati il persistente riprodursi delle dinami<strong>che</strong><br />
etnocentri<strong>che</strong> e psicosociali <strong>che</strong> andiamo analizzando.<br />
Certo, le esigenze di sintesi didattica richiedono inevitabilmente<br />
il ricorso a espedienti, <strong>che</strong> scoprono il fianco a questo<br />
genere di difetto: con gli studenti – si dice – non sempre si può<br />
entrare in <strong>un</strong> dettaglio troppo analitico. L’effetto alone, in ogni<br />
caso, rivela meglio la sua qualità affabulatoria se esaminato<br />
<strong>un</strong>itamente a <strong>un</strong>’altra caratteristica <strong>che</strong>, non di rado, accompa-<br />
214 MATERA V., s.v. Olismo/individualismo, in FABIETTI U.-REMOTTI F., op. cit., pp.<br />
531-532.<br />
215 CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., p. 9.<br />
216 DE ROSA G., op. cit., pp. 188-189; certo, lo storico siciliano mi dà talvolta<br />
l’impressione di non volere scendere troppo nei particolari di questo nodo<br />
storico scabroso.<br />
81
82<br />
Franz Brandmayr<br />
gna le narrazioni sul <strong>Medioevo</strong>: si tratta dell’«esposizione<br />
selettiva» 217 . Essa consiste <strong>nel</strong>la<br />
tendenza delle persone a cercare informazioni congruenti con i<br />
loro sentimenti, credenze e comportamenti passati e ad evitare<br />
attivamente quelle incoerenti o dissonanti. 218<br />
Alla reticenza ad ascoltare ciò <strong>che</strong> non collima con le proprie<br />
idee si associa, in maniera complementare, l’«aspettativa<br />
stereotipica» 219 , <strong>che</strong> induce il soggetto a rilevare <strong>nel</strong>l’oggetto del<br />
suo studio solo ed esclusivamente i tratti culturali, <strong>che</strong> sarebbe<br />
stato disposto a reperire fin dal principio.<br />
Vediamo ancora qual<strong>che</strong> esempio.<br />
Caprara scrive ancora del “triste panorama” offerto dalle<br />
scienze astronomi<strong>che</strong> di allora. «Ne era responsabile la diffusione<br />
del cristianesimo <strong>che</strong> […] imponeva la descrizione (sic)<br />
della Bibbia e del capitolo (sic) della Genesi» 220 . A prescindere<br />
dall’incompetenza circa gli aspetti esegetico-biblici e dal grave<br />
errore cronologico dell’attribuzione di <strong>un</strong> potere impositivo<br />
alla Chiesa del Terzo secolo (notoriamente oppressa dalle au-<br />
217 GILI G., op. cit., pp. 42 ss. ne scrive collegando l’esposizione con gli altri<br />
due meccanismi selettivi della percezione e della memorizzazione.<br />
218 TRENTIN R., Gli atteggiamenti sociali, in ARCURI L. (a cura di), op. cit., p. 276.<br />
219 ID., Percezione e cognizione sociale, in ID. (a cura di), Manuale, cit., p. 127.<br />
220 CAPRARA G., op. cit., p. 42. Non è qui possibile esplicitare nei dettagli<br />
l’erroneità del linguaggio del Caprara: basti ricordare <strong>che</strong>, in <strong>un</strong>’opera di divulgazione<br />
scientifica, risulta quantomeno equivoco riferirsi a <strong>un</strong>a narrazione<br />
cosmogonica con il termine di «descrizione» (cfr. ABBAGNANO N., s.v. Descrittivo,<br />
in ID., op. cit., p. 218), <strong>che</strong> risulta certamente inadeguato per esprimere<br />
il significato [BONORA A., s.v. Cosmo, in ROSSANO P.-RAVASI G.-GIRLANDA<br />
A. (a cura di), Nuovo dizionario di teologia biblica, San Paolo, Cinisello Balsamo<br />
(MI) 2001 7 (1988), pp. 327-328] dei due “racconti della creazione” compresi<br />
nei primi tre capitoli della Bibbia.
<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />
torità imperiali) 221 , risalta fin dal primo impatto con il testo la<br />
selezione operata dall’Autore, <strong>che</strong> – fra tutte le dottrine soteriologi<strong>che</strong><br />
orientali, coinvolgenti e ric<strong>che</strong> di cosmogonie e di<br />
riferimenti cosmologico-escatologici i più immaginifici, 222 di<br />
cui la civiltà romana (ormai priva di riferimenti valoriali significativi)<br />
223 è assetata – sceglie il cristianesimo ed esso soltanto<br />
come causa dell’oscurantismo anti-astronomico. A <strong>un</strong>a contestualizzazione<br />
(è la soluzione migliore?) o a <strong>un</strong>a attenuazione<br />
dei toni [es.: la Chiesa (ovviamente quella teodosiana e postteodosiana,<br />
dal 391 in poi) «concorre a promuovere <strong>un</strong>a concezione<br />
creazionistica» (e chi non lo faceva, allora?)] o a <strong>un</strong>a<br />
estensione delle corresponsabilità (se proprio si deve studiare<br />
il passato per cercare dei colpevoli, non è meglio trovarli tutti?),<br />
il Caprara preferisce forse «dare informazioni congruenti<br />
con i propri sentimenti ed evitare quelle incoerenti o dissonanti»<br />
rispetto agli stessi? In <strong>un</strong> eventuale sviluppo di questa<br />
indagine sarebbe opport<strong>un</strong>o riprendere questo quesito, per riconnetterlo<br />
agli attuali usi e abusi della storia finalizzati a possibili<br />
strumentalizzazioni <strong>nel</strong>la sfera pubblica. Questa argomentazione<br />
iniziale dell’Autore sembra essere il preludio interpretativo<br />
di più di <strong>un</strong> millennio di scienza e tecnica e, infatti,<br />
il <strong>Medioevo</strong> narrato dal nostro si caratterizzerà per <strong>un</strong>a serie<br />
di carenze, o di “oscuramenti”, frutto di operazioni <strong>che</strong><br />
noi, fino a prova contraria, non vogliamo pensare come dolosamente<br />
falsificanti bensì come inconsapevolmente selettive.<br />
221 È il secolo delle dure persecuzioni di Simplicio Severo, di Decio e Valeriano<br />
[FRANZEN A., Breve storia della Chiesa, Queriniana, Brescia 1982 5 (1965), pp. 57-61].<br />
222 CUMONT F., Le religioni orientali <strong>nel</strong> paganesimo romano, Laterza, Bari 1967<br />
(1913), pp. 56-58; vd. an<strong>che</strong> ELIADE M., Paganesimo, cristianesimo e gnosi all’epoca<br />
imperiale, in ID., Storia delle credenze e delle idee religiose, II, Da Gautama Buddha al<br />
trionfo del Cristianesimo, Sansoni, Firenze 1980 (1978), pp. 363-394.<br />
223 CUMONT F., op. cit., p. 54.<br />
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Franz Brandmayr<br />
Ad esempio, <strong>nel</strong> suo volume non vi è alc<strong>un</strong>a menzione del<br />
fatto <strong>che</strong> il <strong>Medioevo</strong> riconobbe il valore delle arti meccani<strong>che</strong> 224<br />
e <strong>che</strong> lo fece «investendo le arti prati<strong>che</strong> di <strong>un</strong> significato spirituale»<br />
225 , per il quale «venne loro conferita <strong>un</strong>a nuova dignità» 226 . Né<br />
il Caprara scrive <strong>che</strong> a compiere questo passo sotto il profilo<br />
teorico è l’abate-filosofo Giovanni Scoto Eriugena, <strong>che</strong> <strong>nel</strong> IX<br />
secolo equipara il lavoro manuale a quello intellettuale 227 e opera<br />
– con ciò – <strong>un</strong>a netta rottura epistemologica sia nei confronti<br />
della civiltà classica <strong>che</strong> rispetto al pensiero di Agostino<br />
d’Ippona. 228 Nella società «ecclesiologica» 229 dell’alto <strong>Medioevo</strong>,<br />
infatti, il fine di ogni vita, <strong>che</strong> non può essere altro <strong>che</strong> vita<br />
cristiana, è: divenire “immagine e somiglianza di Dio”, e ciò si<br />
realizza an<strong>che</strong> attraverso il lavoro. 230 Già a partire dal VI secolo<br />
224 Associandole per dignità a quelle liberali (LE GOFF J., Il <strong>Medioevo</strong>, cit., p. 71).<br />
225 NOBLE D.F., op. cit., p. 17.<br />
226 DOLZA L., op. cit., p. 52.<br />
227 NOBLE D.F., op. cit., p. 20; Dolza, invece, sembra situare <strong>nel</strong> secolo XII,<br />
quello della Rinascenza, questo passaggio assai importante sotto il profilo<br />
teorico-filosofico: secondo la storica sarebbe stato Ugo da San Vittore a<br />
«colloca[re] le arti meccani<strong>che</strong> <strong>nel</strong>l’ambito del sapere» <strong>nel</strong>le sue opere intitolate<br />
Didascalicon ed Epitome Dindimi in philosophiam (DOLZA L., op. cit., p. 57;<br />
parentesi quadrata mia). In Noble (ivi, pp. 24-26) gli scritti di Ugo sembrano<br />
avere piuttosto <strong>un</strong> valore di rinforzo e di amplificazione, <strong>nel</strong>la mutata temperie<br />
culturale, dei contenuti elaborati da Giovanni Scoto. Cfr. an<strong>che</strong> LE GOFF J.,<br />
Lavoro, tecni<strong>che</strong> e artigiani nei sistemi di valore dell’alto <strong>Medioevo</strong> (V-X secolo), in ID.,<br />
Tempo, cit., (1971), p. 90, <strong>che</strong> avvalora la posizione di Noble.<br />
228 NOBLE D.F., op. cit., p. 21. Come è noto, Agostino, già mani<strong>che</strong>o e – com<strong>un</strong>que<br />
– neoplatonico an<strong>che</strong> dopo la conversione, manifesta <strong>un</strong> atteggiamento<br />
non particolarmente positivo verso la materia in generale e il lavoro<br />
manuale in particolare (DOLZA L., op. cit., pp. 47-48; cfr. NOBLE D.F., op. cit.,<br />
14-15 ); in definitiva egli non sembra discostarsi dalla posizione classica, <strong>che</strong><br />
fa prevalere le arti liberali su ogni altra forma di attività umana.<br />
229 ULLMANN W., op. cit., p. 12 et passim.<br />
230 DOLZA L., op. cit., p. 51. Cfr. infra le nt. 314 e 321.
<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />
le com<strong>un</strong>ità benedettine, con il loro celebre motto ora et labora,<br />
si sforzano di tradurre questa concezione del mondo in comportamenti<br />
conseguenti, con la ferma convinzione <strong>che</strong> l’attività<br />
pratica e la tecnica servano i disegni divini, oltre <strong>che</strong> la stessa<br />
com<strong>un</strong>ità monastica. 231 In questo modo<br />
l’ideologia del lavoro viene riscattata positivamente dal cristianesimo<br />
e sarà determinante an<strong>che</strong> per la nascita e la diffusione […]<br />
dei mestieri;<br />
sarà d<strong>un</strong>que la progressiva evangelizzazione dell’Europa a modificare<br />
l’attitudine dell’uomo medievale verso il lavoro manuale,<br />
232 il quale assumerà – in questo modo – <strong>un</strong> «significato spirituale»<br />
233 in tutta l’area cristianizzata. Persino gli attrezzi da lavoro,<br />
in particolare quelli prodotti con il ferro o con parti in ferro,<br />
234 vengono assimilati dalla Regola benedettina agli stessi vasi<br />
sacri. 235 Marc Bloch non teme di scrivere <strong>che</strong> le<br />
acquisizioni e invenzioni (medievali) portano, a ben vedere, la<br />
stessa testimonianza: quella di <strong>un</strong>a notevole agilità delle mani,<br />
dello sguardo e dello spirito. In questa capacità di rinnovamento,<br />
diffusa sin <strong>nel</strong>le masse degli artigiani, come non riconoscere <strong>un</strong>a<br />
delle fonti di quella grandezza europea <strong>che</strong> fu vista sorgere, con<br />
231 DOLZA L., op. cit., p. 50.<br />
232 Ivi, p. 51; sull’importanza del lavoro già agli inizi del mona<strong>che</strong>simo copto<br />
vd. LAWRENCE C.H., op. cit., pp. 35 e 64.<br />
233 NOBLE D.F., op. cit., p. 17; sarà l’umanista Petrarca a manifestare <strong>un</strong> rinnovato<br />
disprezzo verso il lavoro manuale (FUMAGALLI BEONIO BROCCHIERI M.,<br />
op. cit., p. 230).<br />
234 Nella storia delle religioni sono conosciuti i significati simbolici attribuiti<br />
alla figura del fabbro [ELIADE M., Storia delle credenze e delle idee religiose, I, Dall’età<br />
della pietra ai misteri eleusini, Sansoni, Firenze 1996 (1975), pp. 65-68].<br />
235 LE GOFF J., Lavoro, cit., p. 86.<br />
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86<br />
Franz Brandmayr<br />
<strong>un</strong>o slancio così prodigioso, dal seno dei torbidi più gravi? L’homo<br />
europaeus, in altri termini, fu per eccellenza <strong>un</strong> homo faber. 236<br />
Il «gusto dell’esperimento» 237 , la sete di scoperta e di ricerca<br />
<strong>che</strong> porterà gli europei alla conquista del mondo, 238 l’ingegno e<br />
l’abilità meccanica tali da raggi<strong>un</strong>gere «risultati tecnici moderni»<br />
239 non sembrano giustificare l’appellativo di “zotico e incolto”<br />
240 attribuito all’uomo medievale. Si può giustamente porre<br />
l’obiezione <strong>che</strong> i riferimenti dei nostri storici sembrano calcare<br />
l’accento sulla dimensione della tecnica più <strong>che</strong> su quella della<br />
scienza, tuttavia già <strong>nel</strong> 1959 Butterfield osservava <strong>che</strong><br />
si comincia ora a comprendere <strong>che</strong> la storia della tecnica ha, <strong>nel</strong>lo<br />
sviluppo del movimento scientifico, <strong>un</strong>a parte più importante<br />
di quanto si reputasse <strong>un</strong> tempo. 241<br />
Ancora, a <strong>un</strong> uomo medievale esageratamente rappresentato<br />
come alienato e proiettato verso attese ultraterrene, 242 Garin<br />
236 BLOCH M., Le “invenzioni” medievali, in ID., Lavoro, cit., p. 210; parentesi mia.<br />
237 ID., Le “invenzioni”, cit., pp. 204-205.<br />
238 DOLZA L., op. cit., p. 83.<br />
239 BUTTERFIELD H., Le origini della scienza moderna, Il Mulino, Bologna 1998<br />
(1958), p. 110.<br />
240 Cfr. PERNOUD R., op. cit., p. 45.<br />
241 BUTTERFIELD H., op. cit., p. 110.<br />
242 Sul «dualismo tra l’“aldilà” e l’“aldiquà” <strong>che</strong> la maggior parte degli stori-<br />
ci attuali riduce sbrigativamente a evasione dal mondo» (CARMO FELICIANI<br />
S., Introduzione, cit., p. 8) pare concentrarsi con <strong>un</strong>a certa insistenza forse<br />
an<strong>che</strong> Le Goff (cfr., ad es., ID., Lavoro, cit., pp. 75 e 85 e ID., <strong>Medioevo</strong>, cit.,<br />
p. 23), <strong>che</strong> – in quei casi – sembra tenere in scarso conto il giovanneo<br />
Verbum caro factum est e le conseguenze stori<strong>che</strong> <strong>che</strong> ne sono derivate; eppure<br />
sul cattolicesimo inteso come fomite della «religione della tecnologia»<br />
(cfr. NOBLE D.F., op. cit., passim) e «del lavoro» (cfr. infra nt. 354) pare concordare<br />
an<strong>che</strong> lo storico francese.
<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />
sembra restituire il suo spirito d’invenzione e la sua attitudine<br />
alla ricerca, a perseguire la conoscenza e ad aderire alla realtà<br />
concreta.<br />
Quando, liberati da <strong>un</strong>a pericolosa eredità illuministica, gli storici<br />
della filosofia avranno imparato a valutare in pieno, <strong>nel</strong> suo<br />
reale significato, l’enorme produzione medievale medico-magica,<br />
astrologica, alchimistica, ci renderemo, credo, conto di <strong>un</strong>a<br />
esigenza di congi<strong>un</strong>gere la cognizione […] delle cose con la trasformazione<br />
di esse secondo i bisogni umani: di far convergere<br />
continuamente teoria e pratica, tecnica e scienza: di afferrare <strong>un</strong><br />
ordine esistente, ma per modificarlo. 243<br />
Prendiamo ora in esame <strong>un</strong> altro aspetto della cultura diffusa:<br />
l’alfabetizzazione, senza la quale, sottolineano due fra i massimi<br />
studiosi della tradizione orale, non avrebbe potuto sussistere<br />
<strong>un</strong>a logica lineare, 244 quella stessa <strong>che</strong> ha contribuito al<br />
decollo culturale, sociale ed economico dell’Europa. 245 In relazione<br />
a questo vasto campo voglio qui richiamare la rilevanza,<br />
an<strong>che</strong> a giudizio di Le Goff, 246 dell’estendersi dell’istruzione<br />
commerciale e giuridica <strong>nel</strong> periodo <strong>che</strong> va dall’XI al XIII secolo.<br />
Laici appartenenti alla nascente classe media dei commercianti,<br />
dei notai e degli avvocati fondarono scuole con curricula<br />
propri. 247 L’offerta formativa, come la si chiamerebbe oggi con<br />
243 GARIN E., op. cit., p. 25; cfr. an<strong>che</strong> PERNOUD R., op. cit., p. 30.<br />
244 GOODY J., Il potere della tradizione scritta, Bollati Boringhieri, Torino 2002<br />
(2000), pp. 88-94; cfr. ONG W.J., op. cit., p. 89.<br />
245 Cfr. CIPOLLA C.M., Vele e cannoni, Il Mulino, Bologna 1999 3 (1965), p. 87;<br />
DAWSON CH., op. cit., p. 20; LE GOFF J., Il <strong>Medioevo</strong>, cit., p. 69.<br />
246 Vd. infra nt. 253.<br />
247 CIPOLLA C.M., Istruzione e sviluppo. Il declino dell’analfabetismo <strong>nel</strong> mondo occidentale,<br />
Il Mulino, Bologna 2002 (1969), pp. 51ss; GRAFF H.J., op. cit., pp. 110<br />
e 125-126.<br />
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88<br />
Franz Brandmayr<br />
espressione mercantile, aumentò la propria diversificazione in<br />
svariate zone geografi<strong>che</strong> europee toccate dal fenomeno dell’urbanesimo<br />
e ciò al p<strong>un</strong>to di determinare <strong>nel</strong> XII secolo <strong>un</strong>a<br />
sorta di competizione fra le scuole monasti<strong>che</strong> e quelle secolari.<br />
248 Graff riporta l’esempio inglese del secolo XIII, quando<br />
esisteva <strong>un</strong>a vasta gamma di istituti: Grammar Schools, scuole cattedrali,<br />
scuole di monastero, scuole di chiese collegiate, 249 Hospital<br />
Schools, scuole di gilda, scuole com<strong>un</strong>ali, cappellanie, scuole parrocchiali<br />
primarie, oltre a varie scuole specialisti<strong>che</strong> (di canto, di<br />
scrittura, di lettura) e ad altre opport<strong>un</strong>ità informali. 250 Oramai<br />
<strong>nel</strong>l’Inghilterra del XIII secolo<br />
reali, nobili, cavalieri, mercanti ed ecclesiastici erano <strong>nel</strong>la stragrande<br />
maggioranza in grado di leggere e scrivere. Fra gli artigiani<br />
l’alfabetizzazione era divenuta più diffusa, ma restava molto<br />
lontano dall’essere <strong>un</strong>iversale. Fra i contadini dovette rimanere<br />
cosa rara, ma non del tutto impossibile. 251<br />
Il fatto può lasciare freddo l’osservatore contemporaneo,<br />
abituato all’attuale velocità del mutamento sociale, ma non è<br />
certo questo sguardo assuefatto quello <strong>che</strong> permette di cogliere<br />
lo specifico medievale; all’occhio incapace di guardare con partecipazione<br />
252 il fenomeno storico del deciso ampliamento delle<br />
percentuali di alfabetismo rischia di sfuggire la rivoluzione cul-<br />
248 LAWRENCE C.H., op. cit., pp. 193-195.<br />
249 «Dal latino collegium, “associazione”. Chiesa <strong>che</strong> possiede <strong>un</strong> capitolo di<br />
canonici, di solito regolari, pur senza essere la sede di <strong>un</strong> vescovato»<br />
[BARBERO A.-FRUGONI C., Dizionario del <strong>Medioevo</strong>, Laterza, Roma-Bari 2002 2<br />
(1994), p. 78].<br />
250 GRAFF H.J., op. cit., pp. 136-137.<br />
251 Ivi, p. 133.<br />
252 Vd. infra paragrafo 3.
<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />
turale, <strong>che</strong> – secondo Graff – si sarebbe verificata fra il X e il<br />
XIII secolo: «<strong>un</strong>a cosa molto più nuova di quanto non sarebbe<br />
diventata più tardi» 253 . Viene compresa – per la prima volta a <strong>un</strong><br />
livello massivo – l’utilità dell’istruzione «per la partecipazione, il<br />
servizio, il potere» 254 . Persino la cultura cavalleresca non è più<br />
ostile 255 alle lettere e all’alfabetizzazione 256 .<br />
A questo proposito Ullmann scrive del riuscito amalgama<br />
degli elementi cristiani, romani e germanici, an<strong>che</strong> se questi ultimi<br />
«dovettero cedere alla autorità della dottrina e del dogma» 257 .<br />
Parafrasando la celebre battuta di Stalin, secondo il quale lo Stato<br />
del Vaticano disponeva di troppo po<strong>che</strong> divisioni per impensierirlo,<br />
gli storici solitamente sono propensi a credere <strong>che</strong> – più<br />
<strong>che</strong> imporre la dottrina e il dogma – la Chiesa abbia piuttosto<br />
esercitato <strong>un</strong>a costante pressione culturale e sociale sulle aristocrazie<br />
germani<strong>che</strong> e <strong>che</strong> lo abbia fatto soprattutto per mezzo<br />
del “cavallo di Troia” rappresentato dai numerosi membri della<br />
nobiltà, <strong>che</strong> <strong>nel</strong> corso di tutto l’alto <strong>Medioevo</strong> ingrossarono le<br />
file di quelli <strong>che</strong> furono alfine chiamati gli oratores e, in questo<br />
253 GRAFF H.J., op. cit., p. 107. «La lettura si diffonde ben prima della galassia<br />
Gutenberg e l’alfabetizzazione – è il fenomeno culturale <strong>che</strong> più conta – non<br />
attende l’invenzione della stampa» (LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario,<br />
cit., p. XX).<br />
254 GRAFF H.J., op. cit., p. 107.<br />
255 Per <strong>un</strong>a serie di indicazioni introduttive circa il lento evolvere delle culture<br />
germani<strong>che</strong> da <strong>un</strong>a tradizione orale alla loro «romanizzazione» (cfr. ULLMANN<br />
W., op. cit., p. 29) vd., ad es., BARBERO A., Santi laici e guerrieri. Le trasformazioni<br />
di <strong>un</strong> modello <strong>nel</strong>l’agiografia altomedievale, in BARONE G.-CAFFIERO M.-SCORZA<br />
BARCELLONA F. (a cura di), Modelli di santità e modelli di comportamento, Rosenberg<br />
& Sellier, Torino 1994, p. 127; CHABOD F., op. cit., p. 38; CIPOLLA C.M., Istruzione,<br />
cit., pp. 47-48; DAWSON CH., op. cit., pp. 89-131; ELIADE M., La nascita<br />
mistica, Morcelliana, Brescia 1988 3 (1958), pp. 125-130; ID., Storia, cit., pp.<br />
164-166; cfr. an<strong>che</strong> PERNOUD R., op. cit., p. 55.<br />
256 GRAFF H.J., op. cit., pp. 120, 122 e 128.<br />
257 ULLMANN W., Radici, cit., p. 29.<br />
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Franz Brandmayr<br />
modo, portando i bellatores a <strong>un</strong> grado di crescente mitigazione<br />
dei loro costumi violenti.<br />
A ciò contribuisce an<strong>che</strong> l’epoca aurea del mona<strong>che</strong>simo benedettino<br />
(secoli XI-XII), durante la quale si diffonde fra i cadetti<br />
dell’aristocrazia <strong>un</strong>a modalità culturale, fatta di preghiera e di studio<br />
(e non più soltanto guerresca) di affermazione del proprio<br />
«onore». 258 Questo nuovo atteggiamento della classe dei cavalieri<br />
si manifesta an<strong>che</strong> <strong>nel</strong> crescente prestigio <strong>che</strong> la città e la classe<br />
borghese sembrano assumere ai loro occhi ad esempio in alc<strong>un</strong>e<br />
opere della giovane letteratura volgare in lingua d’oil. 259<br />
Nell’Occidente europeo lettere e alfabetizzazione riacquistano<br />
finalmente, abbiamo visto, <strong>un</strong> prestigio sociale oramai da l<strong>un</strong>go<br />
tempo perduto e <strong>che</strong> rimarrà <strong>un</strong>’acquisizione definitiva della<br />
cultura occidentale:<br />
La gente incominciò ad attribuire <strong>un</strong> connotato negativo all’analfabetismo<br />
e in prosieguo di tempo gli analfabeti furono sempre<br />
più considerati inadatti ad <strong>un</strong> numero sempre crescente di attività<br />
sociali ed economi<strong>che</strong>. 260<br />
Con l’alfabetizzazione aumentano la coerenza dottrinale cristiana<br />
e, ad <strong>un</strong> tempo, lo spirito critico, 261 mentre<br />
con il secolo XI la Chiesa perse progressivamente il monopolio<br />
dell’istruzione specie in quelle aree dove […] i benestanti […]<br />
solevano assumere tutori privati per […] i loro figli; 262<br />
in questo modo, conclude Cipolla, il «principio morale» del-<br />
258 Cfr. MICCOLI G., op. cit., p. 71; GRAFF H.J., op. cit., p. 128.<br />
259 Vd. LE GOFF J., Guerrieri, cit., passim.<br />
260 GRAFF H.J., op. cit., p. 49.<br />
261 Ivi, p. 126; vd. an<strong>che</strong> infra le nt. 269, 307-313 e 321-326.<br />
262 CIPOLLA C.M., Istruzione, cit., p. 51; LAWRENCE C.H., op. cit., p. 308.
<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />
l’istruzione, fino ad allora «proclamato da <strong>un</strong>o sparuto gruppo<br />
di clerici illuminati, divenne <strong>un</strong>’idea corrente» 263 , della quale<br />
le istituzioni religiose continuarono a farsi promotrici investendo<br />
gran parte delle risorse disponibili 264 e con <strong>un</strong>a speciale<br />
attenzione alle classi sociali svantaggiate. 265 Se è vero, d<strong>un</strong>que,<br />
<strong>che</strong> nei secoli X-XIII «senza la chiesa l’offerta d’istruzione e<br />
alfabetizzazione in Occidente sarebbe stata incredibilmente limitata»<br />
266 e se è parimenti vero <strong>che</strong> fosse quello del clero il<br />
gruppo sociale più colto, 267 sembra tuttavia di poter dire con<br />
<strong>un</strong>a certa sicurezza <strong>che</strong> il basso <strong>Medioevo</strong> vide in svariate zone<br />
d’Europa 268 <strong>un</strong> laicato autonomo e critico, 269 capace di produrre<br />
iniziative culturali significative sia all’interno <strong>che</strong> all’esterno<br />
dell’istituzione ecclesiale.<br />
In effetti, soprattutto dopo l’opera fondamentale di<br />
Gr<strong>un</strong>dmann, 270 gli studi eresiologici di quasi tutte le impostazioni<br />
sottolineano gli aspetti di omogeneità fra le esperienze carismati<strong>che</strong><br />
ortodosse (come – ad esempio – il francescanesimo) ed<br />
263 CIPOLLA C.M., Istruzione, cit., p. 50.<br />
264 GRAFF H.J., op. cit., pp. 113-115.<br />
265 CIPOLLA C.M., Istruzione, cit., p. 50; GRAFF H.J., op. cit., p. 117.<br />
266 Ivi, p. 113.<br />
267 Per la situazione dell’Inghilterra dei secoli XIV e XV, <strong>che</strong> è fra quelle più<br />
accuratamente studiate, vd. ivi, p. 205. È probabile <strong>che</strong> l’osservazione possa<br />
venire estesa an<strong>che</strong> ad altre parti dell’Europa. È opport<strong>un</strong>o, tuttavia, non<br />
omologare il clero in <strong>un</strong>’<strong>un</strong>ica categoria socio-culturale: vi è, ad es., chi lo<br />
divide in due (per l’alto <strong>Medioevo</strong> vd. MANSELLI R., op. cit., pp. 12-13) o quattro<br />
gruppi (BURKE P., op. cit., pp. 265-268). Vd. an<strong>che</strong> supra nt. 98.<br />
268 Probabilmente soprattutto <strong>nel</strong>le zone più urbanizzate d’Europa, <strong>che</strong> – <strong>nel</strong><br />
periodo dal 1440 al 1492 – erano i Paesi Bassi e l’Italia (BURKE P., op. cit., p. 56).<br />
269 Ad es. MANSELLI R., op. cit., pp. 80-85 scrive di «anticlericalismo» già nei<br />
secoli XI-XIII.<br />
270 GRUNDMANN H., Movimenti religiosi <strong>nel</strong> medioevo, Il Mulino, Bologna 1980<br />
(1935), passim.<br />
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92<br />
Franz Brandmayr<br />
eterodosse, colte <strong>nel</strong> loro insieme come grande e creativa stagione<br />
dei movimenti spirituali medievali. 271<br />
Appare perciò dai contributi di autori di varia impostazione<br />
<strong>un</strong>’immagine del <strong>Medioevo</strong> assai più luminosa e, soprattutto,<br />
differenziata e ricca di sfumature rispetto alle stereotipie di certa<br />
manualistica. Di questi (come di altri) importanti passaggi<br />
teorici e descrittivi fondamentali 272 <strong>nel</strong> volume di Caprara non<br />
si trova invece traccia. La Weltanschau<strong>un</strong>g del nostro narratore<br />
sembra sottendere <strong>un</strong>a concezione aprioristicamente e<br />
irreversibilmente antagonistica fra scienza e fede del tutto lecita,<br />
naturalmente, <strong>nel</strong>la dimensione noetica personale, ma i cui<br />
presupposti non vengono tematizzati e – tantomeno – discussi<br />
nean<strong>che</strong> sotto forma di abbozzo larvato. 273 Conseguentemente,<br />
in questa prospettiva la religione e la Chiesa sembrano ricoprire<br />
<strong>un</strong> ruolo esclusivamente oscurantista e retrivo, an<strong>che</strong> in questo<br />
caso senza <strong>che</strong> appaia argomentazione di sorta né disamina dialettica<br />
in merito; l’assioma sembra innervare la trama della narrazione<br />
“in p<strong>un</strong>ta di piedi”, come <strong>un</strong> implicito del discorso, <strong>che</strong><br />
poggia sulla sua stessa “ovvietà”, “costruita” con eti<strong>che</strong>tte ed<br />
espressioni ritenute familiari e scontate per il lettore. 274<br />
La selettività, però, non consiste soltanto <strong>nel</strong>l’eliminare radicalmente<br />
tutto ciò <strong>che</strong> non risulta congruente con il sentire dello<br />
scrittore. Vi sono, infatti, nomi ed eventi <strong>che</strong> – per la loro<br />
271 Vd. ad es. MERLO G.G., op. cit., pp. 16-19 et passim; PERETTO E., Movimenti<br />
spirituali laicali del <strong>Medioevo</strong>. Tra ortodossia ed eresia, Studium, Roma, 1985, p. 18<br />
et passim. Cfr. an<strong>che</strong> supra nt. 261 e infra nt. 323.<br />
272 Per i quali rimando alla bibliografia delle note precedenti e a quella contenuta<br />
all’interno delle opere indicate stesse.<br />
273 NOBLE D.F., op. cit., p. 5. Per <strong>un</strong>a introduzione filosofica al problema vd.,<br />
ad es., BOGDANOV G.- BOGDANOV I.-GUITTON J., Dio e la scienza. Verso il<br />
metarealismo, Bompiani, Milano 1998 (1991), passim, in cui si propone il dialogo<br />
fra <strong>un</strong> fisico teorico, <strong>un</strong> astrofisico e <strong>un</strong> filosofo; cfr. infra an<strong>che</strong> nt. 280.<br />
274 Vd. supra paragrafo 2.1.
<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />
importanza – non si possono cancellare del tutto. In questo caso<br />
la menzione risulta – in qual<strong>che</strong> modo – come l’esito di <strong>un</strong>a<br />
selezione effettuata per mezzo di <strong>un</strong>a riduzione dell’alterità alle<br />
categorie proprie della visione del mondo del narratore o,<br />
quantomeno, ad attribuzioni apparentemente “neutre”.<br />
Il britannico Ruggero Bacone inventava gli occhiali. 275<br />
Chi non vuole scadere a sua volta <strong>nel</strong> <strong>pregiudizio</strong> e <strong>nel</strong>l’errore,<br />
<strong>che</strong> abbiamo definito effetto alone, non può ricavare certo<br />
da <strong>un</strong> <strong>un</strong>ico indizio la tendenza a celare l’appartenenza al clero<br />
di Roger Bacon e la sua identità squisitamente francescana. Allora<br />
insistiamo e più sotto troviamo <strong>che</strong><br />
Nel XIII secolo [… (il)] filosofo inglese Ruggero Bacone […]<br />
professava la “scienza come esperimento” e rilevava i gravi errori<br />
scientifici contenuti <strong>nel</strong>le Sacre Scritture, (e) cominciava a porre<br />
la “questione del metodo” <strong>che</strong> è alla base della ricerca. 276<br />
Ci accorgiamo, del resto, <strong>che</strong> qui è in gioco <strong>un</strong> complesso di<br />
fattori di grande rilievo storico. Si tratta nientemeno <strong>che</strong> della<br />
genesi remota della scienza sperimentale moderna: 277 possibile<br />
<strong>che</strong> a farsene iniziatore e promotore sia <strong>un</strong> frate dal cervello<br />
fino? Ciò sembra contravvenire a <strong>un</strong> certo senso com<strong>un</strong>e, <strong>che</strong> si<br />
affermerà con decisione molti secoli dopo, secondo il quale i<br />
frati – probabilmente – potrebbero avere altre qualità, ma certamente<br />
non quella del raziocinio innovatore. O forse l’Autore<br />
ritiene <strong>che</strong> l’Opus maius sia frutto solo del Bacone-filosofo, per<br />
cui non occorre mettere in rilievo la (disdicevole?) appartenen-<br />
275 CAPRARA G., op. cit., p. 54.<br />
276 Ivi, p. 56 (parentesi rotonde mie).<br />
277 DAWSON CH., op. cit., pp. 23 e 285-286.<br />
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Franz Brandmayr<br />
za religiosa del pensatore. A ciò si aggi<strong>un</strong>ge <strong>un</strong> ulteriore elemento<br />
destabilizzante: pare <strong>che</strong> a evidenziare «i gravi errori scientifici<br />
contenuti <strong>nel</strong>le Sacre Scritture» sia proprio <strong>un</strong> soggetto<br />
ben inserito <strong>nel</strong>la Chiesa; in questo modo la compagine ecclesiale<br />
sembrerebbe essere composta an<strong>che</strong> da soggetti capaci non<br />
solo di prescindere dalle auctoritates, 278 ma inoltre di innovare, di<br />
pensare criticamente 279 (persino sulla Sacra Scrittura!) e di anticipare<br />
i tempi proprio sotto il profilo della riflessione intorno<br />
all’ambito scientifico-sperimentale, “notoriamente” appannaggio<br />
del “pensiero laico”. 280 Offrire an<strong>che</strong> questa immagine della società<br />
ecclesiale, pertanto, risulta troppo dissonante rispetto a <strong>un</strong><br />
copione <strong>che</strong> pare venga rispettato fedelmente attraverso la semplice<br />
omissione di qual<strong>che</strong> termine identificativo (il “teologo”?<br />
il “filosofo francescano”?). Sottacendo qual<strong>che</strong> particolare, pertanto,<br />
l’Autore ottiene l’effetto di riordinare la trama della propria<br />
narrazione secondo <strong>un</strong>o s<strong>che</strong>ma selettivo e consonante 281<br />
con la propria pregiudiziale di fondo, ancorata all’idea di <strong>un</strong>a<br />
Chiesa retriva e chiusa al novum. 282<br />
278 Cfr. infra nt. 313.<br />
279 Cfr. supra nt. 261.<br />
280 Uso l’espressione fra virgolette, in quanto topos «della quantità», <strong>che</strong> richiederebbe<br />
<strong>un</strong>’analisi molto approfondita, per il suo radicamento <strong>nel</strong> discorso<br />
com<strong>un</strong>e (cfr. supra nt. 151). In mancanza di spazio, invito il lettore alla lettura di<br />
EINSTEIN A., Idee e opinioni. Come io vedo il mondo, Fabbri, Milano 1996 (1957), pp.<br />
187-193. Intorno alle stereotipie connesse al termine “laico” vd. POSSENTI V.,<br />
Le ragioni della laicità, Rubbettino, Soveria Man<strong>nel</strong>li (CT) 2007, pp. 14-15, <strong>che</strong><br />
sottolinea il riduzionismo dell’odierna interpretazione dominante del concetto<br />
a fronte delle sue possibili cinque accezioni. Per rinvenire ancora alc<strong>un</strong>e indicazioni<br />
circa questo specifico anacronismo cfr. supra le nt. 204-207.<br />
281 Cfr. supra nt. 174.<br />
282 Se esco dall’ambito medievistico rilevo la menzione selettiva del fisico<br />
belga Georges-Henri Lemaitre, <strong>che</strong> negli anni Venti del Novecento elabora<br />
per primo l’ipotesi del Big Bang e del quale il Caprara omette di indicare la<br />
confessione cattolica e lo stato di vita sacerdotale (ID., op. cit., p. 247).
<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />
Se procediamo <strong>nel</strong>l’analisi, ancora più sotto troviamo <strong>che</strong>,<br />
con quasi duecento anni di ritardo rispetto ai presbiti, soccorsi<br />
dall’inventività di Bacone,<br />
ai miopi, invece, penserà lo studioso tedesco Niccolò Cusano<br />
<strong>nel</strong> 1451. 283<br />
In questo caso si tratta del celebre filosofo neoplatonico,<br />
astronomo e matematico illustre, 284 <strong>che</strong> ha però il grave difetto<br />
di essere addirittura <strong>un</strong> cardinale, per cui forse sembra più<br />
opport<strong>un</strong>o celare il suo stigma vergognoso sotto le generi<strong>che</strong><br />
e pudi<strong>che</strong> espressioni di «studioso» e di «tedesco», certamente<br />
più neutre rispetto alla pretesa antinomia scienza/religione.<br />
Perciò possiamo concludere <strong>che</strong> quando l’inventore è <strong>un</strong> uomo<br />
di Chiesa e inoltre, come <strong>nel</strong> caso di Bacone e di Cusano, filosofo<br />
di prima grandezza, la tendenza è quella di lasciare emergere<br />
solo ed esclusivamente gli elementi <strong>che</strong> possano favorire<br />
l’ipotesi di partenza (cioè: il <strong>Medioevo</strong> come età oscura, barbara,<br />
di fanatismo religioso e di superstizione, tutte qualità<br />
negative determinate dall’influenza della Chiesa cattolica), occultando<br />
o minimizzando, dall’altro lato, i fatti storici <strong>che</strong> potrebbero<br />
indebolirla.<br />
A volte il discorso com<strong>un</strong>e ma, come vedremo, nondimeno<br />
an<strong>che</strong> la pubblicistica divulgativa, ricorrono a delle false spiegazioni,<br />
in cui il <strong>pregiudizio</strong> lascia intravedere <strong>un</strong>a sclerotizzazione<br />
oltremodo evidente del suo nucleo cognitivo, cioè dello<br />
stereotipo. 285 Ne riporto <strong>un</strong> esempio ricavato dallo stesso manuale<br />
del Caprara:<br />
283 Ivi, p. 58.<br />
284 Cfr. ad es. VANNINI M., Mistica e filosofia, Piemme, Casale Monferrato 1996,<br />
pp. 62-70 e 79.<br />
285 MAZZARA B.M., Stereotipi e pregiudizi, Il Mulino, Bologna 1997, p. 16.<br />
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Franz Brandmayr<br />
Fibonacci (1170-1240?) […] proponeva miglioramenti alle dimostrazioni<br />
ottenute dai grandi classici come Archimede. E an<strong>che</strong><br />
questo era <strong>un</strong> segno del nuovo spirito innovatore <strong>che</strong> stava<br />
portando ormai il <strong>Medioevo</strong> verso il tramonto. 286<br />
Il concetto di <strong>Medioevo</strong> sembra oramai reificato 287 e lo stigma<br />
dell’ignoranza oscurantista lo penetra e lo pervade fino alla saturazione.<br />
Il fatto di reperirvi qual<strong>che</strong> prodotto culturale innovativo<br />
non induce l’Autore a porre in dubbio le sue sicurezze o ad attenuarne<br />
e sfumarne i toni: tale progresso, infatti, non può (“per<br />
definizione”…) essere <strong>un</strong> frutto della civiltà medievale e rappresenta<br />
con ogni certezza, perciò, <strong>un</strong> anticipo della fervida e feconda<br />
età rinascimentale… Abbiamo qui <strong>un</strong> esempio di pseudo-eziologia,<br />
<strong>un</strong>a proposizione di chiara natura tautologica, 288 <strong>nel</strong>la quale,<br />
per giustificare il verificarsi di <strong>un</strong> progresso matematico <strong>nel</strong><br />
<strong>Medioevo</strong> si ribadisce il Leitmotiv dell’opera in questione: evidentemente<br />
non si tratta più di <strong>Medioevo</strong>…<br />
L’ultimo concetto <strong>che</strong> mi propongo di richiamare in questo<br />
paragrafo porta il discorso a stretto contatto con <strong>un</strong>o dei fattori<br />
causali nodali del <strong>pregiudizio</strong> antimedievale, fattore <strong>che</strong>, a mio<br />
avviso, potrebbe rivelarsi forse il più importante: si tratta del processo<br />
dell’“etnicità”. Attraverso questo complesso di dinami<strong>che</strong><br />
interculturali trovano espressione la «classificazione, l’organizzazione<br />
e la com<strong>un</strong>icazione della differenza culturale tra i gruppi»,<br />
<strong>che</strong> polarizza le relazioni diadi<strong>che</strong> noi/loro in <strong>un</strong>a dialettica di<br />
contatto-somiglianza e, al contrario, di differenziazione. 289<br />
286 CAPRARA G., op. cit., p. 53.<br />
287 ABBAGNANO N., s.v. Reificazione, in ID., op. cit., p. 738.<br />
288 Cioè <strong>un</strong> «discorso […] ripetente <strong>nel</strong>la conseguenza, o <strong>nel</strong> predicato […] il<br />
concetto già contenuto <strong>nel</strong> primo membro» (ABBAGNANO N., s.v. Tautologia,<br />
in ID., op. cit., p. 857).<br />
289 SACCHI P., s.v. Etnicità, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di), op. cit., p. 271.
<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />
Faccio di seguito l’esempio, credo assai chiaro, della contrapposizione<br />
fra <strong>Medioevo</strong> e Rinascimento. È probabile <strong>che</strong> – alla<br />
stregua dei processi dell’etnicità <strong>che</strong> pure oggi vediamo instaurarsi<br />
fra culture <strong>che</strong> si confrontano e si scontrano <strong>nel</strong> mondo<br />
contemporaneo (ad es. l’Occidente e il mondo islamico) 290 –<br />
parimenti, ai fini della promozione e della celebrazione del Rinascimento,<br />
la denigrazione del <strong>Medioevo</strong> abbia costituito <strong>un</strong>a<br />
sorta di p<strong>un</strong>to d’appoggio archimedeo sul quale è stato possibile<br />
fare leva per lo meno fino al celebre studio di Burckhardt.<br />
Come si è già evidenziato sopra, inoltre, al di fuori dell’ambito<br />
ristretto degli specialisti, questa ricostruzione storiografica oramai<br />
superata sembrerebbe <strong>perdura</strong>re e riprodursi, come per inerzia,<br />
<strong>nel</strong> senso com<strong>un</strong>e, <strong>nel</strong>la produzione “storica” non specialistica<br />
e persino in <strong>un</strong> certo genere di manualistica. 291<br />
La connotazione negativa dell’immagine del <strong>Medioevo</strong>, pertanto,<br />
è stata fin dal principio resa f<strong>un</strong>zionale alla costruzione<br />
culturale di <strong>un</strong> Rinascimento colto e interpretato come <strong>un</strong>a sorta<br />
di riemersione dall’abisso della barbarie. Nel suo corso le arti<br />
290 Svariati studiosi come, ad es., il sociologo ALLIEVI S., Parole dell’islam, parole<br />
sull’islam. Formazione culturale, com<strong>un</strong>icazione e ruolo dei mass media, in SIGGILLINO<br />
I. (a cura di), I media e l’islam. L’informazione e la sfida del pluralismo religioso,<br />
E.M.I., Bologna 2001, p. 41, attribuiscono al testo di HUNTINGDON S.P., Lo<br />
scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, Garzanti, Milano 1997 (1996), passim<br />
<strong>un</strong> intento politico strumentale; in esso si fomenterebbe, infatti, <strong>un</strong>a<br />
contrapposizione frontale tra Occidente e Civiltà islamica f<strong>un</strong>zionale a <strong>un</strong>a<br />
riaggregazione degli Stati occidentali intorno agli Stati Uniti d’America, visti<br />
come vessilliferi del mondo “civile”. Questa lettura sembrerebbe sostanzialmente<br />
condivisa an<strong>che</strong> da CARDINI F., Astrea e i Titani. Le lobbies americane alla<br />
conquista del mondo, Laterza, Roma-Bari 2005 (2003), passim.<br />
291 VASOLI C., Prefazione, in BURDACH K., Riforma Rinascimento Umanesimo. Due<br />
dissertazioni sui fondamenti della cultura e dell’arte della parola moderne, Sansoni,<br />
Firenze 1986 2 (1918), p. VII scrive della «volgarizzazione» del «grande affresco<br />
storiografico del Burckhardt», trasformato troppo spesso in «<strong>un</strong> facile<br />
cliché» da «mediocri storici, pubblicisti e banali giornalisti».<br />
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98<br />
Franz Brandmayr<br />
sarebbero rifiorite, avrebbero ass<strong>un</strong>to nuovi valenze e significati<br />
– in certo modo più moderni – e avrebbero espresso «determinate<br />
tendenze prevalenti, cioè il realismo, la secolarizzazione<br />
e l’individualismo» 292 . Ancora, va evidenziato – in prima approssimazione<br />
– il fatto <strong>che</strong>, di questo genere di ermeneutica della<br />
civiltà medievale europea, si siano fatti imprenditori in modo<br />
particolare la storiografia di matrice riformata 293 e, in seguito,<br />
gran parte degli esponenti della corrente illuministica:<br />
Oggi sappiamo <strong>che</strong> il mito del <strong>Medioevo</strong>, come epoca di barbarie,<br />
era, app<strong>un</strong>to, <strong>un</strong> mito, costruito dalla cultura degli umanisti e<br />
dai padri fondatori della modernità. 294<br />
2.4. Rinascimento vs. <strong>Medioevo</strong>: la revisione di <strong>un</strong> dualismo storiografico<br />
La contrapposizione fra le due epo<strong>che</strong>, come si sa, si è progressivamente<br />
attenuata <strong>nel</strong> mondo accademico europeo, fino a determinare<br />
<strong>un</strong> cambiamento di rotta particolarmente avvertibile<br />
negli ultimi decenni. 295 La concezione di Jakob Burckhardt, <strong>che</strong><br />
colse <strong>nel</strong> Rinascimento <strong>un</strong> fenomeno culturale moderno creato<br />
da <strong>un</strong>a società moderna, negli anni Ottanta del XX secolo ormai<br />
«non appare più in questa luce» 296 e viene attaccata in vari<br />
modi dagli storici. Secondo <strong>un</strong>a parte di costoro andrebbero<br />
invece messi in maggiore risalto gli elementi di continuità fra le<br />
292 BURKE P., op. cit., p. 29.<br />
293 Cfr. supra nt. 36.<br />
294 ROSSI P., Introduzione, in ID., La nascita della scienza moderna in Europa, Laterza,<br />
Roma-Bari 2007 5 (1997), p. XIV. Cfr. supra nt. 133. Vd. an<strong>che</strong> BURKE P., op.<br />
cit., pp. 16-17 e 32; DAWSON CH., op. cit., pp. 23 e 31; GARIN E., op. cit., p. 25; LE<br />
GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario, cit., p. XVI.<br />
295 Ivi, p. XVII.<br />
296 BURKE P., op. cit., p. 4.
<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />
due epo<strong>che</strong> e ciò va inteso in <strong>un</strong> duplice senso: <strong>nel</strong> senso del<br />
reperimento di elementi documentari <strong>che</strong> impongono di anticipare<br />
al <strong>Medioevo</strong> fenomeni <strong>che</strong> si ritenevano essere caratteristici<br />
del Rinascimento e, per converso, <strong>nel</strong> senso dell’individuazione<br />
di numerose persistenze e prol<strong>un</strong>gamenti di “tratti culturali” 297 ,<br />
<strong>che</strong> si presumevano essere “medievali”, ben addentro alla cronologia<br />
rinascimentale.<br />
Nel primo gruppo di fenomeni va senz’altro inserita la crescita<br />
dell’alfabetismo; 298 Graff, come abbiamo già visto sopra, 299<br />
scrive di <strong>un</strong>a «discreta alfabetizzazione» 300 già <strong>nel</strong>l’uomo medievale<br />
e osserva an<strong>che</strong> <strong>che</strong><br />
gli studi sul Rinascimento spesso associano i “decolli” intellettuali<br />
e culturali a risultati <strong>nel</strong> campo dell’istruzione e della stampa<br />
[…] su di essi si è in genere esagerato. Le attività del Rinascimento<br />
erano già ben evolute prima dell’invenzione della tipografia<br />
a caratteri mobili […] La presenza dell’alfabetizzazione è costante<br />
an<strong>che</strong> se contraddittoria, 301<br />
e – perciò – non si può parlare di salti improvvisi. La percentuale<br />
di alfabetizzazione del 5-10% <strong>nel</strong> secolo XV, pertanto, sarebbe<br />
– secondo lo storico inglese – <strong>un</strong>a «base per il futuro» e<br />
<strong>un</strong> «traguardo fondamentale» 302 . Ciò si sarebbe verificato, per di<br />
più, nonostante la stabilità e il benessere fossero stati “spazzati<br />
via” in tante parti d’Europa da <strong>un</strong>a serie di calamità e di eventi<br />
negativi verificatisi fra il 1270 e il 1470 303 e le condizioni stori-<br />
297 MERCIER P., Storia dell’antropologia, Il Mulino, Bologna 1996 2 (1966), pp. 83 ss.<br />
298 GRAFF H.J., op. cit., p. 150 et alibi.<br />
299 Vd. supra paragrafo 2.3.<br />
300 GRAFF H.J., op. cit., p. 71.<br />
301 Ivi, p. 163.<br />
302 Ivi, p. 209.<br />
303 Ivi, p. 147.<br />
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Franz Brandmayr<br />
<strong>che</strong> favorevoli per <strong>un</strong>a ripresa si fossero presentate appena verso<br />
la fine del XV secolo. 304<br />
Questo discorso sarebbe valido an<strong>che</strong> qualora si volesse considerare<br />
soltanto la cultura dotta sotto il profilo della sua creatività,<br />
della quale scrive, ad esempio, Le Goff <strong>nel</strong> suo celebre La<br />
nascita del Purgatorio:<br />
Certo, la cristianità medievale – questo libro spera di dimostrarlo –<br />
non è stata né immobile né sterile, ma anzi estremamente creativa. 305<br />
Infatti, se – come abbiamo visto sopra – <strong>nel</strong> <strong>Medioevo</strong> le<br />
arti hanno prodotto molte innovazioni, 306 an<strong>che</strong> al livello<br />
dell’intelligencija la capacità di innovare non è mancata affatto<br />
e, al contrario di quanto com<strong>un</strong>emente si crede, 307 proprio in<br />
virtù delle doti inventive di <strong>un</strong> certo numero di intellettuali<br />
combattivi, di uomini d’azione e di pensiero, 308 di uomini il cui<br />
«prestigio», il cui «fascino» e la cui «autorevolezza» fanno comprendere<br />
come si sia resa possibile l’egemonia culturale 309 da<br />
loro stessi esercitata fra i contemporanei. Questa creatività si<br />
dipana attraverso percorsi di ricerca spesso travagliati (come –<br />
ad esempio – in Wycliff, Hus e Gerson), l<strong>un</strong>go i quali dissenso<br />
e conservazione convivono con diversa intensità, alternanza e<br />
304 Ivi, p. 148.<br />
305 LE GOFF J., La nascita, cit., p. 256.<br />
306 Cfr. supra le nt. 224-241.<br />
307 La teoria della creatività rinascimentale, esposta con grande ric<strong>che</strong>zza di<br />
sfumature e con molti distinguo da BURKE P., op. cit., passim (cfr. ad es. infra le<br />
note relative all’Autore in questione), fornisce talvolta l’estro per<br />
generalizzazioni piuttosto grossolane circa la pres<strong>un</strong>ta incapacità innovativa<br />
dell’intellettuale medievale (colloquio 2.1.13.12.2009).<br />
308 FUMAGALLI BEONIO BROCCHIERI M., op. cit., p. 213.<br />
309 MICCOLI G., op. cit., pp. 65-67.
<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />
dosaggio, 310 mentre vengono anticipati sensibilmente luoghi<br />
com<strong>un</strong>i <strong>che</strong> si presumono “moderni”, come il «teismo della<br />
religione <strong>un</strong>iversale e l’idea di tolleranza» 311 e precoci «tendenze<br />
illuministi<strong>che</strong>» 312 . Tutto ciò fa concludere alla Fumagalli <strong>che</strong><br />
la cosiddetta subordinazione alle auctoritates da parte dell’intellettuale<br />
medievale possa configurarsi come <strong>un</strong> vero e proprio<br />
<strong>pregiudizio</strong>. 313<br />
Come è noto, poi, Ullmann si fa portatore di <strong>un</strong>a tesi ancor<br />
meno conforme al discorso com<strong>un</strong>e, secondo la quale la stessa<br />
idea di Rinascimento, inteso in particolare modo come sviluppo<br />
della humanitas dell’individuo come della collettività, non sia<br />
comprensibile se non alla luce del concetto di «rinascita battesimale»,<br />
contenuto teologico <strong>che</strong> – l<strong>un</strong>go tutto l’arco temporale<br />
del <strong>Medioevo</strong> – sta alla base della dottrina della “deificazione”<br />
dell’uomo, di cui ho già fatto menzione. 314<br />
La rinascita battesimale era l’ass<strong>un</strong>to esplicito e implicito su cui<br />
poggiava tutt’intera la concezione del mondo del <strong>Medioevo</strong>: i<br />
suoi effetti globali toccavano l’uomo dalla culla alla tomba, in<br />
ogni sfera della sua vita privata e pubblica e in tutti gli aspetti<br />
socialmente e costituzionalmente rilevanti. 315<br />
Con queste considerazioni Ullmann riprende e approfondisce<br />
la tesi – già avanzata da Burdach 316 – della matrice squisita-<br />
310 Cfr. FUMAGALLI BEONIO BROCCHIERI M., op. cit., pp. 221-225.<br />
311 STADELMANN R., Il declino del <strong>Medioevo</strong>. Una crisi di valori, Il Mulino, Bologna,<br />
1978 (1929), pp. 211-254.<br />
312 Ivi, pp. 255-291.<br />
313 FUMAGALLI BEONIO BROCCHIERI M., op. cit., pp. 231-232.<br />
314 Cfr. supra nt. 230 e infra nt. 321.<br />
315 ULLMANN W., Prefazione, cit., p. IX.<br />
316 BURDACH K., Significato ed origine dei termini Rinascimento e Riforma, in ID.,<br />
Riforma, cit., p. 8 et passim.<br />
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Franz Brandmayr<br />
mente religiosa <strong>che</strong> soggiacerebbe al Rinascimento; ciò lo porta<br />
a concludere <strong>che</strong> «il rinascimento umanistico fu in sostanza<br />
<strong>un</strong>’espansione di questo tema ecclesiologico» 317 della rinascita<br />
battesimale. Infine altri ancora – sia pure con minore convinzione<br />
– riconoscono la possibilità di <strong>un</strong>a genesi rinascimentale<br />
in eventuale dipendenza teoretica dalla apocalittica renovatio m<strong>un</strong>di,<br />
a suo tempo fatta oggetto di riflessione da parte di Gioacchino<br />
da Fiore 318 e riattualizzata 319 da <strong>un</strong>a congerie di autori e correnti<br />
di pensiero basso-medievali fino al Rinascimento e oltre. 320<br />
Fa loro eco Le Goff, <strong>che</strong> sostiene essere il tema dell’uomoimago<br />
Dei a ispirare, animare «lo sviluppo dell’umanesimo medievale.<br />
Un umanesimo all’opera in tutte le attività della società<br />
medievale, dalle imprese economi<strong>che</strong> fino alle più alte creazioni<br />
culturali e spirituali» 321 , mentre lo stesso storico francese ricorda<br />
ai sostenitori della teoria della creatività rinascimentale 322 <strong>che</strong> ci<br />
fu maggiore innovazione religiosa <strong>nel</strong> periodo della nascita degli<br />
Ordini mendicanti e – possiamo aggi<strong>un</strong>gere noi – degli<br />
eresiarchi medievali, 323 rispetto a quanto realizzò più tardi il<br />
Concilio di Trento. 324 Analogamente, Manselli sostiene esservi<br />
317 ULLMANN W., Radici, cit., pp. 12 e 28.<br />
318 BURKE P., op. cit., pp. 237-238.<br />
319 PANOFF M.-PERRIN M., Dizionario di etnologia, Newton Compton, Roma<br />
1975, pp. 184-185.<br />
320 NOBLE D.F., op. cit., pp. 27-50. Per <strong>un</strong>a penetrante sintesi intorno al prol<strong>un</strong>gamento<br />
in piena Età Moderna e Contemporanea dell’escatologismo medievale<br />
vd., dal p<strong>un</strong>to di vista della Storia delle Religioni, ELIADE M., Paradiso e<br />
utopia: geografia mitica ed escatologia, in ID., La nostalgia delle origini. Storia e significato<br />
<strong>nel</strong>la religione, Morcelliana, Brescia 2000 3 (1969), pp. 103-127.<br />
321 LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario, cit., p. XV. Cfr. supra le nt. 230<br />
e 314.<br />
322 BURKE P., op. cit., passim.<br />
323 Cfr. supra le nt. 261 e 269-271.<br />
324 LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario, cit., p. XX.
<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />
stata <strong>un</strong>a maggiore l<strong>un</strong>gimiranza e <strong>un</strong>a più profonda comprensione<br />
dei movimenti popolari – ereticali e ortodossi – in<br />
Innocenzo III <strong>nel</strong> Duecento di quanto si sia in seguito verificato<br />
fra i papi dell’inizio dell’Età moderna. 325<br />
È ancora Manselli a farci presente <strong>che</strong> l’anticlericalismo non<br />
è <strong>un</strong> prodotto tardo-medievale o rinascimentale, bensì <strong>un</strong> sentire<br />
com<strong>un</strong>e a svariati gruppi e aree geografi<strong>che</strong> fra l’XI e il XIII<br />
secolo. 326 Fra i mecenati pare essere la Chiesa il protettore dei<br />
letterati più tollerante (an<strong>che</strong> con riferimento alla condotta<br />
morale), mentre dal Quattrocento la libertà per gli intellettuali<br />
di corte sarà sempre più limitata, in quanto essi si vedranno<br />
progressivamente costretti a <strong>un</strong>o sdoppiamento delle loro f<strong>un</strong>zioni<br />
pubbli<strong>che</strong> e private, fino a dovere cercare <strong>un</strong> rifugio più<br />
sicuro <strong>nel</strong>l’intimità della loro coscienza. 327 Ancora a proposito<br />
della cosiddetta “tolleranza”, inoltre, il <strong>Medioevo</strong> cristiano riesce<br />
a inculcare <strong>nel</strong>l’uomo europeo il messaggio <strong>un</strong>iversalistico, 328<br />
per il quale, dal momento <strong>che</strong> gli attributi naturali<br />
non giocavano alc<strong>un</strong> ruolo all’interno della realtà ecclesiologica,<br />
i suoi princìpi, i suoi dommi e le sue mete […] erano di fatto<br />
<strong>un</strong>iversali. Regionalismo, provincialismo, tribalismo, e tutte le tante<br />
altre varietà di aggregazione sociale naturale, non avevano alc<strong>un</strong>a<br />
incidenza concreta. Non c’era <strong>che</strong> <strong>un</strong>a sola società – la società<br />
ecclesiologica <strong>un</strong>iversale, <strong>che</strong> programmaticamente metteva da<br />
parte le peculiarità biologi<strong>che</strong>, etni<strong>che</strong>, linguisti<strong>che</strong> e geografi<strong>che</strong><br />
e le riduceva ad <strong>un</strong> ruolo secondario. 329<br />
325 MANSELLI R., op. cit., p. 129.<br />
326 Cfr. supra nt. 269.<br />
327 FUMAGALLI BEONIO BROCCHIERI M., op. cit., pp. 228-229.<br />
328 LE GOFF J., L’uomo medievale, in ID. (a cura di), L’uomo, cit., p. 9.<br />
329 ULLMANN W., Radici, cit., p. 12; cfr. an<strong>che</strong> DAWSON CH., op. cit., pp. 150 e 152.<br />
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Franz Brandmayr<br />
Al ridimensionamento storiografico del concetto di discontinuità<br />
e rottura applicato alla diade ideal-tipica 330 <strong>Medioevo</strong>/Rinascimento<br />
e alla fragilità concettuale <strong>che</strong> oramai vi viene attribuita<br />
contribuiscono an<strong>che</strong> i motivi di continuità, <strong>che</strong> il Rinascimento<br />
sembra mostrare rispetto a certe caratteristi<strong>che</strong> medievali. Su questa<br />
linea sembra porsi an<strong>che</strong> il notevole lavoro di Burke, 331 <strong>che</strong> prende<br />
in esame gli anni fra il 1440 e il 1520 e <strong>che</strong> – perciò – coglie in<br />
pieno il periodo <strong>che</strong> ci interessa, quasi <strong>un</strong>a sorta di sutura fra le<br />
due epo<strong>che</strong>. In queste pagine lo storico inglese sostiene <strong>che</strong> la<br />
fioritura artistica e le ipoteti<strong>che</strong> caratteristi<strong>che</strong> rinascimentali della<br />
modernità, del realismo, della secolarizzazione e dell’individualismo<br />
non costituiscono affatto dei dati storici sicuri: «se pure è<br />
possibile salvarle, lo si potrà fare solo a costo di notevoli riformulazioni»,<br />
in quanto «tutte queste certezze si sono andate dissolvendo»<br />
<strong>nel</strong> corso della sua ricerca, 332 mentre – in realtà – <strong>nel</strong>l’«umanesimo<br />
rinascimentale […] sono ancora operanti <strong>un</strong> buon<br />
numero di elementi medievali» 333 . Il fenomeno rinascimentale italiano<br />
è reso infatti possibile da <strong>un</strong> laicato colto 334 – sulla cui matrice<br />
squisitamente medievale ci siamo già soffermati 335 – e dalla<br />
«vita ecclesiastica», <strong>che</strong> «in ness<strong>un</strong> altro paese d’Europa […] aveva<br />
uguale portata» 336 . An<strong>che</strong> Lucien Febvre mette in evidenza come<br />
lo spirito religioso del <strong>Medioevo</strong> sia «ben vivo […] in quel genio<br />
<strong>che</strong> più d’ogni altro a quel tempo aveva rivendicato la modernità<br />
del suo secolo» 337 , cioè in Rabelais, mentre altri insistono sul fatto<br />
330 WEBER M., Il metodo, cit., pp. 107-120.<br />
331 BURKE P., op. cit., pp. 29, 36-37, 39, 71, 214 e 223.<br />
332 Ivi, p. 29.<br />
333 BURKE P., Prefazione, in ID., Cultura, cit., p. X.<br />
334 Ivi, pp. 36-37.<br />
335 Vd. supra paragrafo 2.3.<br />
336 ULLMANN W., Radici, cit., p. 16.<br />
337 LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario, cit., pp. XX-XXI; l’A. si riferi-
<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />
<strong>che</strong> la secolarizzazione del Rinascimento è relativa, 338 <strong>che</strong> «la maggior<br />
parte dei quadri aveva soggetto religioso» 339 e <strong>che</strong> «Dio è<br />
ov<strong>un</strong>que <strong>nel</strong>la letteratura dell’epoca» 340 .<br />
Si è visto sopra <strong>che</strong> gli intellettuali e gli “artisti” del <strong>Medioevo</strong><br />
sono stati capaci an<strong>che</strong> di creatività, mentre – contro ogni<br />
“aspettativa stereotipica” 341 –<br />
è paradossale <strong>che</strong> in <strong>un</strong>’epoca in cui la cultura italiana fu contrassegnata<br />
da quella <strong>che</strong> potremmo definire “propensione al nuovo”,<br />
l’innovazione fosse considerata in modo negativo. 342<br />
In effetti, l’ideale rinascimentale è quello di considerare «le opere<br />
anti<strong>che</strong> come altrettanti modelli da imitare» 343 e an<strong>che</strong> Burke riconosce<br />
<strong>che</strong> gli italiani del Rinascimento, con Guicciardini in testa,<br />
sono contrari alle novità, 344 <strong>che</strong> la creatività sia per loro qual<strong>che</strong><br />
cosa di strano 345 e <strong>che</strong>, in ogni caso, an<strong>che</strong> i cosiddetti “creativi”<br />
attingono sia alla tradizione <strong>che</strong> all’innovazione. 346<br />
A proposito dell’ultimo elemento innovativo considerato,<br />
infine, quello del pres<strong>un</strong>to individualismo rinascimentale, Burke<br />
osserva <strong>che</strong> gli artisti del periodo da lui esaminato sono formati<br />
sce al celebre studio di FEBVRE L., Il problema dell’incredulità <strong>nel</strong> secolo XVI. La<br />
religione di Rabelais, Einaudi, Torino 1978 (1942), passim.<br />
338 BURKE P., Cultura, cit., p. 3.<br />
339 Ivi, p. 214.<br />
340 Ivi, p. 223; ULLMANN W., Radici, cit., p. 6.<br />
341 Vd. supra nt. 219.<br />
342 BURKE P., Cultura, cit., p. 237.<br />
343 PERNOUD R., op. cit., p. 22.<br />
344 BURKE P., Cultura, cit., pp. 236-237.<br />
345 Ivi, p. 377.<br />
346 Ivi, p. 32.<br />
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106<br />
Franz Brandmayr<br />
a <strong>un</strong>a collaborazione intensa e costante decisamente «contraria<br />
allo sviluppo dell’individualismo» 347 .<br />
È opinione di svariati studiosi, perciò, <strong>che</strong> vi sia <strong>un</strong> certo accanimento<br />
<strong>nel</strong> ricorso alle suddivisioni e <strong>un</strong>a sottolineatura esagerata<br />
delle cesure <strong>che</strong> separerebbero il <strong>Medioevo</strong> dal Rinascimento.<br />
Ullmann – ad esempio – non nutre dubbi sul fatto <strong>che</strong> sia<br />
insostenibile la posizione, com<strong>un</strong>emente accettata, 348 di chi parla<br />
di <strong>un</strong>a “nuova era” o di <strong>un</strong>a “frattura (del Rinascimento) nei<br />
confronti del passato medievale”. 349<br />
Molti elementi documentari raccolti dagli studiosi sembrerebbero<br />
perciò suffragare la posizione della continuità storica<br />
fra le due epo<strong>che</strong>, ma Pietro Rossi mette in guardia da<br />
omologazioni eccessive: quando si parla di scienza medievale e<br />
di scienza moderna<br />
il continuismo è solo <strong>un</strong>a mediocre filosofia della storia sovrapposta<br />
alla storia reale. 350<br />
Almeno sotto il profilo scientifico, sostiene l’Autore, va confermata<br />
l’esistenza di <strong>un</strong>a sorta di discontinuità. An<strong>che</strong> Butterfield,<br />
pur nutrendo – come abbiamo già visto 351 – <strong>un</strong>a considerevole<br />
opinione sulla capacità d’invenzione medievale, sembra incoraggiare<br />
<strong>un</strong>a posizione di non-omologazione fra le due epo<strong>che</strong>, quando<br />
argomenta <strong>che</strong> l’Età di Mezzo pare esprimere <strong>un</strong>a serie di<br />
conati in direzione di <strong>un</strong>a scienza empirica, ma<br />
347 Ivi, p. 71.<br />
348 L’Autore pubblicava l’opera <strong>nel</strong> 1977.<br />
349 ULLMANN W., Radici, cit., p. 261; parentesi mia. Vd. an<strong>che</strong> ivi, p. 10 et alibi.<br />
Cfr. infra an<strong>che</strong> nt. 354.<br />
350 ROSSI P., Introduzione, cit., p. XIX.<br />
351 Vd. supra nt. 239 e 241.
<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />
l’uso degli esperimenti non venne tuttavia, per così dire, addomesticato<br />
e bardato prima del diciassettesimo secolo, quando gli<br />
si dette <strong>un</strong> ordine interno, così <strong>che</strong> esso divenne come <strong>un</strong>a grande<br />
macchina in movimento. 352<br />
Osserviamo, pertanto, <strong>che</strong> – com’è comprensibile – le differenze<br />
diventano più nette soprattutto mano a mano <strong>che</strong> ci si<br />
addentra <strong>nel</strong>l’Età moderna e si attraversa la stessa età rinascimentale.<br />
In definitiva, mi sembra <strong>che</strong> la posizione teorica più<br />
prossima a <strong>un</strong>a visione d’insieme abbastanza equilibrata è forse<br />
quella <strong>che</strong> proviene dagli studi sull’alfabetizzazione di Graff:<br />
Quando si descrivono circostanze in cui sviluppo e mutamento<br />
tendono ad essere graduali piuttosto <strong>che</strong> rapidi, come <strong>nel</strong> caso<br />
dell’alfabetizzazione del Continente, è più efficace ricorrere ai<br />
concetti di “continuità” e “contraddizione”. 353<br />
Non pare trattarsi più di <strong>un</strong> aut aut, quindi, bensì di <strong>un</strong> et et,<br />
<strong>che</strong> può sinteticamente rendere ragione di <strong>un</strong> polimorfismo di<br />
esperienze e di situazioni particolari assai mutevoli a seconda<br />
delle classi sociali, delle aree geografi<strong>che</strong>, delle subculture e degli<br />
aspetti o tratti culturali considerati.<br />
Ho voluto dare spazio, per quanto possibile in <strong>un</strong> contributo<br />
di queste dimensioni, ad angolature prospetti<strong>che</strong> diversificate per<br />
oggetto di studi e per la sensibilità degli autori rispetto al tema del<br />
rapporto fra il <strong>Medioevo</strong> e il Rinascimento. Non mi sembra inutile,<br />
però, lasciare concludere questa argomentazione a Le Goff,<br />
<strong>che</strong> non mostra reticenze di sorta quando afferma <strong>che</strong><br />
la maggior parte dei segni caratteristici per mezzo dei quali si è<br />
voluto riconoscerlo [il Rinascimento] sono apparsi ben prima del-<br />
352 BUTTERFIELD H., op. cit., p. 110.<br />
353 GRAFF H.J.., op. cit., pp. 19-20.<br />
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108<br />
Franz Brandmayr<br />
l’epoca (secoli XV-XVI) in cui il Rinascimento viene collocato. Il<br />
“ritorno all’antico” si manifesta fin dal secolo XIII […] lo stato<br />
“machiavellico” è già presente <strong>nel</strong>la Francia di Filippo il Bello. La<br />
prospettiva entra <strong>nel</strong>l’ottica e <strong>nel</strong>la pittura già alla fine del secolo<br />
XIII. La lettura si diffonde ben prima della galassia Gutenberg e<br />
l’alfabetizzazione – è il fenomeno culturale <strong>che</strong> più conta – non<br />
attende l’invenzione della stampa. Fra la fine del secolo XII e gli<br />
inizi del XIII l’individuo si afferma con altrettanta forza <strong>che</strong> <strong>nel</strong>l’Italia<br />
del Quattrocento […] Non sono d’accordo con Max Weber<br />
e Robert Tawney quando collegano la “religione” del lavoro al<br />
protestantesimo. Questa esiste fin dal secolo XIII. 354<br />
3. Verstehen, empatia, osservazione partecipante<br />
Condannare o assolvere il passato non dovrebbe rientrare<br />
fra i compiti dello storico ma, in generale, neppure delle società<br />
contemporanee: il Novecento e gli inizi del nuovo millennio<br />
hanno registrato sufficienti crimini perché ness<strong>un</strong>o fra<br />
i contemporanei si possa sentire giudice del passato. 355<br />
Quando si tratta di mettere in rilievo gli errori o i limiti altrui il<br />
lavoro del critico risulta sempre facilitato, perché distruggere è<br />
più facile <strong>che</strong> costruire. Il soggetto sottoposto a valutazione critica<br />
ha lavorato, ha indagato, ha esercitato <strong>un</strong>o sforzo di analisi<br />
e di scelta e si è – con ciò – caricato di <strong>un</strong>a serie di atti di responsabilità.<br />
Chi lo giudica, invece, dispone del vantaggio di costruire<br />
il proprio edificio teorico sul fondamento del travaglio al-<br />
354 LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario, cit., pp. XIX e XX; parentesi<br />
quadrata mia. Per quanto attiene alla nascita dello stato si veda an<strong>che</strong> REINHARD<br />
W., op. cit., pp. 34-35. Dal p<strong>un</strong>to di vista della sociologia delle religioni si<br />
evince <strong>un</strong> considerevole rinforzo a questa visione positiva del <strong>Medioevo</strong> an<strong>che</strong><br />
dai primi cinque capitoli di STARK R., La vittoria della Ragione. Come il<br />
cristianesimo ha prodotto libertà, progresso e ric<strong>che</strong>zza, Lindau, Torino 2006 (2005).<br />
355 CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., p. 164.
<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />
trui. È con questa consapevolezza e con questo atteggiamento<br />
di rispetto <strong>che</strong> cerco di fornire qual<strong>che</strong> sp<strong>un</strong>to in direzione di<br />
<strong>un</strong> approccio più efficace alla storia medievale.<br />
È possibile <strong>che</strong> la carenza principale <strong>che</strong> denotano certe trattazioni<br />
del tema di cui ci occupiamo possa riguardare la sua problematica<br />
comprensione da parte dei suoi volgarizzatori, (così<br />
potremmo essere considerati noi insegnanti quando non siamo<br />
an<strong>che</strong> storici), ma talvolta – perché negarlo? – forse an<strong>che</strong> da<br />
parte di qual<strong>che</strong> storico. Come si sa, il termine “comprensione”,<br />
reso dal tedesco Verstehen 356 a partire dal dibattito epistemologico<br />
– svoltosi a cavallo fra l’Ottocento e il Novecento 357 – chiamato<br />
Methodenstreit 358 , non ha soltanto <strong>un</strong> generico significato legato<br />
semplicemente al “capire”. Fin dalla sua radice latina (capere) il<br />
verbo capire dà l’idea di «afferrare» 359 , di «prendere», perciò, <strong>un</strong><br />
qual<strong>che</strong> cosa di estrinseco, di esterno rispetto al soggetto <strong>che</strong> “coglie”.<br />
Il con-prehendere del latino 360 sembra invece rinviare a <strong>un</strong> significato<br />
più inclusivo e a <strong>un</strong> coinvolgimento tale da permettere<br />
<strong>un</strong>a Einfühl<strong>un</strong>g 361 , <strong>un</strong> sentire dentro 362 e, al contempo,<br />
<strong>un</strong>’«immedesimazione» 363 . Si tratta, perciò, come si può constatare,<br />
della stessa etimologia, ma – soprattutto – dello stesso atteg-<br />
356 MARROU H.-I., op. cit., p. 73.<br />
357 ABBAGNANO N., s.v. Comprendere, in ID., op. cit., pp. 141-142.<br />
358 TULLIO-ALTAN C., Antropologia, cit., p. 287.<br />
359 LIOTTA G.-ROSSI L.-GAFFIOT F., s.v. Capio, in IID., Dizionario della lingua latina.<br />
Latino-italiano, il capitello, Torino 2010; il complesso greifen – Begriff – begreifen =<br />
«prendere, pigliare» – «concetto» – «capire, comprendere» (MACCHI V., s.vv., in<br />
ID., op. cit.) sembra rinviare a rapporti di significato abbastanza simili.<br />
360 DEVOTO G.-OLI G.C., s.v. Comprendere, in IID., Il dizionario della lingua italiana,<br />
Le Monnier, Firenze 1995.<br />
361 MALIGHETTI R., s.v. Verstehen, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di), op. cit., p. 790.<br />
362 MACCHI V., s.vv. Ein e Fühlen, in ID., op. cit.<br />
363 Ivi, s.v. Einfühl<strong>un</strong>g.<br />
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110<br />
Franz Brandmayr<br />
giamento 364 di empatia metodologica, <strong>che</strong> gli antropologi cercano<br />
di porre in atto <strong>nel</strong>la loro ricerca sul campo. 365 Ciò non consiste,<br />
come il lettore capisce, in <strong>un</strong>a mera concessione al sentimentalismo,<br />
bensì in <strong>un</strong> percorso metodologico <strong>che</strong>, a partire da svariati<br />
autori <strong>che</strong> hanno fondato le scienze sociali, 366 ha dato i suoi buoni<br />
frutti fino a pervenire – in tempi a noi più vicini – all’elaborazione<br />
originale del metodo dell’antropologia interpretativa affinato<br />
da Clifford Geertz. 367 In questa sede non è possibile nean<strong>che</strong> accennare<br />
ai passaggi più significativi <strong>che</strong> portano a questi esiti teorici;<br />
è sufficiente proporre all’attenzione di chi<strong>un</strong>que si occupi di<br />
divulgare i contenuti della civiltà medievale l’opport<strong>un</strong>ità di <strong>un</strong><br />
approccio dall’interno ai singoli dati, come alle epo<strong>che</strong> e alle culture<br />
fatte oggetto di studio. Ciò si può realizzare in maniera in<br />
qual<strong>che</strong> modo analoga a quella attuata dall’antropologo <strong>che</strong> ricorre<br />
all’«osservazione partecipante» 368 quando si trova a indagare<br />
“sul campo” intorno a <strong>un</strong>a qual<strong>che</strong> cultura specifica.<br />
364 Sotto il profilo psicologico si tratta del «tentativo di riprodurre in proprio<br />
i sentimenti altrui, al fine di comprendere l’altra persona» [STECK P., s.v.<br />
Empatia, in ARNOLD W.-EYSENCK H.J.-MEILI R. (a cura di), op. cit., p. 354].<br />
365 Cfr. ad es. il riferimento alla «simpatia» dell’antropologo per l’oggetto di<br />
studio (FIRTH R., I simboli e le mode, Laterza, Bari 1977, p. 40); a sua volta TULLIO-<br />
ALTAN C., Soggetto, cit., pp. 210-222 scrive dell’«empatia» richiesta <strong>nel</strong>la ricerca<br />
intorno alle varie temati<strong>che</strong> inerenti l’ambito del simbolico. Sono espressioni,<br />
com<strong>un</strong>que, <strong>che</strong> non vanno intese in senso «emotivo», né confuse con opzioni<br />
teori<strong>che</strong> <strong>che</strong> rifiutino a priori il tentativo di <strong>un</strong>a «comprensione» oggettiva della<br />
cultura studiata (cfr. TULLIO-ALTAN C., Manuale, cit., p. 543).<br />
366 Si tratta, ad es., di Weber, di Simmel, di Talcott Parsons e di Wright Mills<br />
(MALIGHETTI R., s.v. Verstehen, cit., p. 790).<br />
367 ID., s.v. Antropologia interpretativa, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di), op.<br />
cit., p. 71; va tuttavia notato <strong>che</strong> – rispetto al Verstehen – la prospettiva geertziana<br />
non contempla la nozione di empatia (MALIGHETTI R., s.v. Verstehen, cit., ib.).<br />
368 BERNARDI B., op. cit., pp. 114 e 249-250; CIRESE A.M., Cultura, cit., pp. 249-<br />
250, dove l’Autore rende il medesimo concetto con l’espressione «integrazione<br />
mentale»; TULLIO-ALTAN C., Manuale, cit., pp. 515-516 e 542-545.
<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />
Ma non occorre uscire dall’ambito degli studi storici per rinvenire<br />
indicazioni metodologi<strong>che</strong> – espresse con grande autorevolezza<br />
– sui temi della comprensione e della simpatia metodologica:<br />
Storico è colui <strong>che</strong>, attraverso l’epokhè, sa uscire da se stesso<br />
per incontrarsi con gli altri. A tale virtù possiamo dare <strong>un</strong><br />
nome: “simpatia”. 369<br />
I «vecchi maestri positivisti», continua Marrou, ritenevano<br />
essere lo spirito critico la migliore virtù dello storico: il dubbio<br />
metodologico di ispirazione cartesiana – peraltro imprescindibile<br />
in ogni scienza – veniva da loro esasperato fino a diventare<br />
<strong>un</strong>a «diffidenza programmatica», <strong>che</strong> – eretta a sistema 370<br />
– «dovrà considerarsi come <strong>un</strong>a delle più gravi deficienze dello<br />
storico» 371 .<br />
In assenza di simpatia metodologica, addirittura di <strong>un</strong>a sorta<br />
di amicizia 372 con l’autore del documento, con il suo mondo fatto<br />
di sentimenti, di passioni da occultare, di interessi materiali e simbolici<br />
da difendere, di tragedie rimosse e di sofferenze forse amplificate,<br />
difficilmente la fonte potrà venire “sfruttata” appieno e<br />
solo con difficoltà essa potrà esprimere ogni sua potenzialità. Se<br />
l’Altro non viene, in qual<strong>che</strong> modo, guardato con “partecipazione”<br />
(è il termine – forse meno enfatico dell’“amicizia” di Marrou<br />
– <strong>che</strong> preferisco attingere dalla letteratura antropologica), egli –<br />
l’Altro – rischierà di diventare «<strong>un</strong>a creatura della ragione, <strong>un</strong><br />
fantasma <strong>che</strong> la mia immaginazione si compiace di alimenta-<br />
369 MARROU H.-I., op. cit., p. 85.<br />
370 Per <strong>un</strong>a serie di argomentazioni sulla differenza fra “metodo” e “sistema”<br />
e sulla loro articolazione speculare rispetto alla diade concettuale “apertura”/”chiusura”<br />
si veda ad es. GUITTON J., op. cit., pp. 119-120.<br />
371 MARROU H.-I., op. cit., p. 85. Cfr. supra an<strong>che</strong> nt. 131.<br />
372 ID., op. cit., p. 86.<br />
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112<br />
Franz Brandmayr<br />
re» 373 o, se vogliamo adoperare <strong>un</strong> termine <strong>che</strong> abbiamo già incontrato,<br />
<strong>un</strong> concentrato di eti<strong>che</strong>ttazioni al quale la ricerca d’archivio<br />
o sul terreno non potrà aggi<strong>un</strong>gere niente di nuovo. Si<br />
configurerà – in questo modo – ciò <strong>che</strong> gli psicologi sociali definiscono<br />
aspettativa stereotipica, cioè la supposta conferma – ottenuta<br />
dai cosiddetti “fatti documentati” – di ciò <strong>che</strong> già si era<br />
fissato a priori <strong>nel</strong>la memoria selettiva del ricercatore, l’<strong>un</strong>ica evidenza<br />
<strong>che</strong> – fin dal principio – egli sarebbe stato disposto a rilevare<br />
sul terreno dell’indagine. In questi casi ogni dissonanza cognitiva<br />
rispetto all’ipotesi di partenza tenderà a venire obliterata, in quanto<br />
non suffragherà l’ipotesi di partenza del ricercatore e si perverrà,<br />
come abbiamo già visto sopra, a <strong>un</strong>a sorta di pseudo-conoscenza<br />
di natura tautologica. Mi piace concludere il paragrafo con<br />
<strong>un</strong>a citazione ricavata da <strong>un</strong>o studio di <strong>un</strong> importante sociologo<br />
della com<strong>un</strong>icazione, mentre tratta il delicato tema della percezione<br />
delle culture islami<strong>che</strong> ad opera degli occidentali:<br />
Comprendere i valori degli altri […] non significa […] necessariamente<br />
condividerli, an<strong>che</strong> se generalmente il risultato del procedimento<br />
è quello di <strong>un</strong> arricchimento della propria sensibilità etica. 374<br />
3.1. Per <strong>un</strong>a conclusione aperta…<br />
Abbiamo già accennato alla reticenza e finan<strong>che</strong> alla diffidenza<br />
<strong>che</strong> certe espressioni (sospensione del giudizio, simpatia, partecipazione)<br />
suscitano in <strong>un</strong>a parte dei ricercatori dei Cultural<br />
Studies, fino a portarli talora a esiti nichilistici 375 rispetto alla pos-<br />
373 Ibidem.<br />
374 MARLETTI C., Le immagini dell’islam <strong>nel</strong>la narrazione di eventi e <strong>nel</strong> dibattito su temi.<br />
Analisi qualitativa dei testi e dei generi, in ID. (a cura di), Televisione e Islam. Immagini e<br />
stereotipi dell’islam <strong>nel</strong>la com<strong>un</strong>icazione italiana, RAI-Nuova ERI, Roma 1995, p. 157.<br />
375 Vd. supra nt. 173.
<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />
sibilità di fare ricerca su culture e civiltà altre. Credo – del resto<br />
– <strong>che</strong> an<strong>che</strong> certi storici non siano disposti a offrire <strong>un</strong>o spazio<br />
eccessivo a questi atteggiamenti, <strong>che</strong> ben si presterebbero a essere<br />
resi f<strong>un</strong>zionali a <strong>un</strong> irenismo accomodante. Ma non è certamente<br />
a questo <strong>che</strong> allude Marrou, il quale infatti precisa <strong>che</strong><br />
al progresso della nostra scienza (la storia) non nuoce <strong>che</strong> <strong>un</strong>a<br />
critica esigente, a volte ingiusta, possa scuotere <strong>un</strong>a pigra simpatia<br />
pronta a scivolare <strong>nel</strong>l’indulgenza e <strong>nel</strong>la facilità. 376<br />
La sfida è certamente aperta e i risultati, sempre se arrivano,<br />
non sono affatto scontati. Credo fosse, in ogni caso, importante<br />
tornare a sollevare il problema del <strong>pregiudizio</strong> antimedievale e<br />
cercare di mettere in ulteriore evidenza quanto esso sia compenetrato<br />
con il senso com<strong>un</strong>e: dalla messa in luce delle modalità<br />
riproduttive 377 del <strong>pregiudizio</strong> <strong>che</strong> abbiamo cercato di esaminare,<br />
il docente, lo studente, forse lo storico stesso, potrebbero<br />
attingere sp<strong>un</strong>ti per l’autoanalisi e per l’affinamento degli strumenti<br />
concettuali necessari per la comprensione del <strong>Medioevo</strong>.<br />
Si tratterebbe, inoltre, di <strong>un</strong> esercizio utile an<strong>che</strong> per la comprensione<br />
di realtà socio-culturali “altre”, con le quali siamo<br />
chiamati a misurarci <strong>nel</strong>la concretezza dell’oggi. 378<br />
Restano aperte, a mio avviso, ancora due questioni, alle quali<br />
ho accennato <strong>nel</strong> corso del saggio. In primo luogo, credo sia<br />
opport<strong>un</strong>o <strong>un</strong> futuro approfondimento, complementare a queste<br />
riflessioni, della matrice occidentalista del <strong>pregiudizio</strong> antimedievale:<br />
potrebbe derivarne <strong>un</strong>a visione nuova e, forse,<br />
meno dogmatica di alc<strong>un</strong>i assiomi della civiltà euroamericana.<br />
376 MARROU H.-I., op. cit., p. 87.<br />
377 MAZZARA B.M., op. cit., p. 16.<br />
378 Cfr., ad es., supra nt. 290.<br />
113
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Franz Brandmayr<br />
“Sacralizzati” 379 e divenuti <strong>un</strong> tutt’<strong>un</strong>o con il discorso com<strong>un</strong>e, i<br />
valori e i paradigmi dell’Occidente (ad es.: «la visione <strong>un</strong>iversale<br />
e <strong>secolare</strong> di ciò <strong>che</strong> è {autenticamente} umano», i «diritti umani»,<br />
il pensiero marxista e liberale e le «scienze umane» 380 , l’idea<br />
del «soggetto-cittadino», «le concezioni della società civile […],<br />
le diverse distinzioni fra pubblico e privato […], il tempo storico<br />
{lineare}» 381 , l’«individualismo», l’«intellettualismo»,<br />
l’«antitradizionalismo» e l’idea di «nazione» ecc.) hanno rappresentato<br />
<strong>un</strong> saldo supporto teorico f<strong>un</strong>zionale alla tesi della<br />
missione «civilizzatrice» dell’Occidente nei confronti del resto<br />
del mondo. 382 Essi potrebbero conferire – secondo alc<strong>un</strong>i –<br />
<strong>un</strong>a connotazione addirittura “religiosa” alla modernizzazione,<br />
383 all’interno della quale dette nozioni rischiano di assumere<br />
significati imperituri e sottratti alla critica storica. 384 Altri<br />
ancora, come – ad esempio – Jürgen Habermas, non esitano a<br />
cogliere <strong>nel</strong>la stessa storia della filosofia occidentale <strong>un</strong> «tentativo<br />
delle società democrati<strong>che</strong> di rassicurare se stesse» circa<br />
379 Sul processo di “sacralizzazione dei simboli” cfr. REMOTTI F., Noi primitivi.<br />
Lo specchio dell’antropologia, Boringhieri, Torino 1990, p. 157.<br />
380 CHAKRABARTY D., Provincializzare, cit., pp. 16-17; parentesi mia. Qual<strong>che</strong><br />
“impressionista” è portato a credere <strong>che</strong> il pensiero marxista sia stato abbattuto<br />
con il Muro di Berlino; Chakrabarty opport<strong>un</strong>amente ci ricorda la sua<br />
persistenza e vitalità. In questo senso credo <strong>che</strong> il volume di MASSET P., Il<br />
marxismo <strong>nel</strong>la coscienza moderna, Città Nuova, Roma 1977 2 (s.d. orig.), passim,<br />
pur superato dagli eventi, rappresenti ancora <strong>un</strong>’utile introduzione.<br />
381 CHAKRABARTY D., Provincializzare, cit., p. 38; parentesi graffe mie.<br />
382 Cfr. ad es. BASTIDE R., Noi e gli altri. I luoghi di incontro e di separazione culturali<br />
e razziali, Jaca Book, Milano 1990 2 (1970), pp. 27-28; CHAKRABARTY D.,<br />
Provincializzare, cit., p. 21; TRIULZI A., Lo sguardo coloniale, in PASQUINELLI C. (a<br />
cura di), op. cit., p. 106.<br />
383 Cfr. ad es. KIPPENBERG H.G., La scoperta della storia delle religioni. Scienze delle<br />
religioni e modernità, Brescia, Morcelliana 2002 (1997), pp. 196-197, 253 e 256-257.<br />
384 Cfr. REMOTTI F., op. cit., p. 157.
<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />
la bontà del proprio progetto modernistico 385 da estendere al<br />
mondo intero.<br />
Rimanderei, pertanto, a <strong>un</strong> ipotetico lavoro futuro l’analisi di<br />
questa particolare tipologia di precomprensioni, le quali – per<br />
quanto a noi care – fondano, sostengono e rendono eurocentri<strong>che</strong><br />
– oltre alla storiografia <strong>che</strong> si occupa delle aree extraeuropee<br />
– an<strong>che</strong> le narrazioni moderne del <strong>Medioevo</strong> europeo. Questa<br />
seconda fase del nostro esercizio decostruttivo potrebbe consentirci<br />
di portare a compimento quel lavoro di defamiliarizzazione<br />
386 rispetto alle prospettive moderne e postmoderne, <strong>che</strong> avevamo<br />
posto come nostro obiettivo critico.<br />
Da ultimo, si pone la necessità della ricerca delle cause<br />
dell’«ostilità simbolica» 387 contro il <strong>Medioevo</strong>. Vi è chi la attribuisce<br />
non tanto alla malignità, quanto – piuttosto – all’incompetenza<br />
e alla mancanza di curiosità; 388 vi è an<strong>che</strong> chi sosteneva già<br />
alla metà del secolo scorso <strong>che</strong><br />
fuori del mondo accademico si sono affermate nuove forze sociali<br />
<strong>che</strong> si servono della storia o d’<strong>un</strong>a versione particolare della<br />
storia per fini sociali, come <strong>un</strong> mezzo per trasformare la vita e le<br />
azioni degli uomini. 389<br />
È compito degli storici l’ipotizzare e il verificare se <strong>nel</strong>la seconda<br />
metà del Novecento vi sia stata <strong>un</strong>a manipolazione della<br />
narrazione medievalistica ad opera di agenzie culturali, <strong>che</strong> non<br />
385 Cfr. an<strong>che</strong> le argomentazioni di CHAKRABARTY D., Provincializzare, cit., pp. 62-63.<br />
386 Vd. supra nt. 184.<br />
387 È <strong>un</strong> concetto <strong>che</strong> attingo da DAL LAGO A., Non-persone. L’esclusione dei<br />
migranti in <strong>un</strong>a società globale, Feltri<strong>nel</strong>li, Milano 2004 2 (1999), p. 50; in COLOM-<br />
BO E., op. cit., p. 37 trovo la nozione affine di «violenza simbolica».<br />
388 PERNOUD R., op. cit., p. 152.<br />
389 DAWSON CH., op. cit., p. 17.<br />
115
390 Cfr. supra nt. 158.<br />
116<br />
Franz Brandmayr<br />
abbiano tenuto <strong>che</strong> in scarso conto gli sviluppi della ricerca<br />
storiografica meno condizionata da istanze extrascientifi<strong>che</strong>.<br />
Per quanto mi riguarda sarei più interessato per formazione<br />
a <strong>un</strong> rilevamento in ambito sincronico, da effettuarsi all’interno<br />
di qual<strong>che</strong> collettività (alc<strong>un</strong>e classi di studenti? <strong>un</strong> gruppo di<br />
colleghi?) o su <strong>un</strong>a certa tipologia di prodotti culturali (<strong>un</strong> semestre<br />
di osservazione e controllo della produzione scritta di<br />
<strong>un</strong>a o più testate giornalisti<strong>che</strong>? <strong>un</strong>a disamina sistematica dei<br />
manuali in commercio <strong>nel</strong>l’arco di <strong>un</strong> periodo determinato?): il<br />
lavoro di registrazione e di analisi dei sentimenti, delle valutazioni<br />
e delle scelte 390 degli individui e delle com<strong>un</strong>ità riguardo al<br />
<strong>Medioevo</strong> potrebbe an<strong>che</strong> essere molto significativo rispetto sia<br />
alla conoscenza del processo di individuazione 391 dei singoli attori<br />
sociali sia alla costruzione dell’identità negli specifici gruppi<br />
di appartenenza.<br />
391 JUNG C.G., s.v. Individuazione, in ID., Dizionario di psicologia analitica,<br />
Boringhieri, Torino 1977 (1921), pp. 82-85.