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Medioevo: un pregiudizio secolare che perdura nel ... - Carducci

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<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong> <strong>che</strong><br />

<strong>perdura</strong> <strong>nel</strong> discorso com<strong>un</strong>e. Esercizi<br />

di decostruzione alla luce delle scienze sociali<br />

di Franz Brandmayr *<br />

1. Introduzione. Un contributo ab extra<br />

Provengo da <strong>un</strong>a formazione storica, an<strong>che</strong> se già prima degli<br />

studi <strong>un</strong>iversitari (si era negli anni Settanta) i miei interessi antropologico-culturali<br />

si erano ben caratterizzati. Indirizzai poi decisamente<br />

le mie ricer<strong>che</strong> <strong>nel</strong> campo degli studi sociali, all’interno<br />

dei quali mi sono mosso fino a oggi in maniera quasi esclusiva. In<br />

ogni caso la storia ha continuato a rappresentare <strong>un</strong> mio interesse<br />

costante, spesso an<strong>che</strong> i<strong>nel</strong>udibile, tanto <strong>nel</strong>la ricerca sociale, 2<br />

* Docente di I. r. c.<br />

La vita del medievalista potrebbe consumarsi<br />

tutta <strong>nel</strong> raddrizzare torti: perché quasi sempre<br />

i fatti, i testi del tempo, smentiscono le leggende<br />

accumulatesi a partire dal XVI secolo e diffuse<br />

soprattutto con il XIX secolo. 1<br />

1 PERNOUD R., <strong>Medioevo</strong>. Un <strong>secolare</strong> <strong>pregiudizio</strong>, Bompiani, Milano 1998 5<br />

(1977), p. 146.<br />

2 Per <strong>un</strong>a introduzione dal p<strong>un</strong>to di vista dell’antropologia ai rapporti intercorrenti<br />

fra le scienze etnoantropologi<strong>che</strong> e la storia rinvio a BELLAGAMBA A.,<br />

s.v. Annales, Scuola delle, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di), Dizionario di<br />

antropologia. Etnologia antropologia culturale antropologia sociale, Zani<strong>che</strong>lli, Bologna<br />

1997, p. 49; COMBA E., s.v. Storia, ivi, pp. 709-710; CIRESE A.M., Cultura<br />

37


38<br />

Franz Brandmayr<br />

quanto <strong>nel</strong>l’attività di insegnamento della Religione cattolica, 3 <strong>nel</strong>la<br />

quale è noto <strong>che</strong> essa debba intessere <strong>un</strong> confronto serrato con<br />

altre discipline diacroni<strong>che</strong> (soprattutto con la Storia delle Religioni<br />

e con la Storia della Chiesa), oltre <strong>che</strong>, più in generale, con<br />

tutte le Scienze delle Religioni. 4<br />

Ciò nonostante – come esplicito fin dal titolo – non vorrebbe<br />

essere quello prettamente storiografico l’angolo visuale di<br />

questo contributo. Il mio vorrebbe configurarsi come <strong>un</strong> approccio<br />

antropologico-culturale alla “narrazione” 5 del <strong>Medioevo</strong><br />

<strong>nel</strong> discorso com<strong>un</strong>e. Data la vastità del campo considerato,<br />

proverei a sperimentare qual<strong>che</strong> forma di esercizio critico avvalendomi<br />

soprattutto di po<strong>che</strong> pubblicazioni (qual<strong>che</strong> manuale<br />

scolastico e <strong>un</strong>a sintesi divulgativa), prese quasi a caso dalla pletora<br />

di produzioni di qualità assai diversificata, <strong>che</strong> hanno per oggetto<br />

l’epoca medievale o qual<strong>che</strong> suo aspetto specifico.<br />

egemonica e culture subalterne. Rassegna degli studi sul mondo popolare tradizionale,<br />

Palumbo, Palermo 1973 2 (1971), pp. 24-39; RIVIERE C., Introduzione all’antropologia,<br />

Il Mulino, Bologna 1995, pp. 18-19; TULLIO-ALTAN C., Antropologia.<br />

Storia e problemi, Feltri<strong>nel</strong>li, Milano 1985 2 (1983), pp. 267-304.<br />

3 Dalle mie matrici culturali non ho ricavato <strong>un</strong>a grande propensione a<br />

soffermarmi sul dato autobiografico; tuttavia <strong>nel</strong>l’ambito antropologico-culturale<br />

è divenuto ormai costume consolidato il farlo, allo scopo di esplicitare<br />

al lettore, almeno indicativamente, le premesse teori<strong>che</strong> di partenza e i possibili<br />

condizionamenti <strong>che</strong> vi sono connessi [cfr. GEERTZ C., Opere e vite. L’antropologo<br />

come autore, Il Mulino, Bologna 1995 (1992), pp. 85-86].<br />

4 Cfr. BUCARO G., Filosofia della religione. La riflessione sul “senso” del fatto religioso<br />

da Spinoza a Nietzs<strong>che</strong>, da Bloch a Eliade, Città Nuova, Roma 1986, pp. 13-15;<br />

FILORAMO G.-PRANDI C., Scienze delle Religioni, Morcelliana, Brescia 1997 3 (1987),<br />

passim; RAGOZZINO G., Il fatto religioso. Introduzione allo studio della religione, Edizioni<br />

Messaggero, Padova 1990, pp. 50-75; TERRIN A.N., Introduzione allo studio<br />

comparato delle religioni, Morcelliana, Brescia 1991, pp. 13-29.<br />

5 Conferisco al termine tutta la pregnanza storiografica <strong>che</strong> gli deriva dalla riflessione<br />

dei Post-colonial Studies [cfr. ad es. CHAKRABARTY D., Storia delle minoranze, passati<br />

subalterni, in ID., Provincializzare l’Europa, Meltemi, Roma 2004 (2000), pp. 135-155].


<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />

In queste pagine cerco an<strong>che</strong> di configurare alc<strong>un</strong>e linee ipoteti<strong>che</strong><br />

di <strong>un</strong> possibile successivo lavoro di ricerca più esteso,<br />

volto ad accertare con criteri an<strong>che</strong> quantitativi l’eventuale persistenza<br />

del <strong>pregiudizio</strong> antimedievale <strong>nel</strong> discorso com<strong>un</strong>e. Nel<br />

caso la presente riflessione dovesse portare a sviluppi di questo<br />

genere, si renderebbe naturalmente necessario operare concretamente<br />

su <strong>un</strong> “terreno” accuratamente definito, come da consolidata<br />

tradizione antropologico-culturale. 6<br />

Tuttavia questo elaborato potrebbe risultare forse già apprezzabile<br />

an<strong>che</strong> sotto due altri profili: in prima istanza in <strong>un</strong>a prospettiva<br />

didattica, in quanto esprimo il p<strong>un</strong>to di vista del docente,<br />

<strong>che</strong> da più di <strong>un</strong> quarto di secolo rileva – o ritiene di rilevare –<br />

negli studenti la persistenza di <strong>un</strong>a forte stereotipizzazione delle<br />

conoscenze e delle competenze interpretative intorno al <strong>Medioevo</strong><br />

europeo. Queste sembrerebbero – in buona sostanza – riprodurre<br />

pedissequamente i luoghi com<strong>un</strong>i <strong>che</strong> numerosi storici den<strong>un</strong>ciano<br />

essere ricorrenti in tanta manualistica e pubblicistica<br />

attuali. Pernoud scriveva già <strong>nel</strong> 1977 di «opere “stori<strong>che</strong>”» o addirittura<br />

di collane stori<strong>che</strong> scritte con «procedimenti giornalistici» 7 .<br />

6 Cfr. ad es. BERNARDI B., Uomo cultura società. Introduzione agli studi etno-antropologici,<br />

Franco Angeli, Milano 1984 8 (s.d. orig.), p. 119; BIANCO C., Dall’evento al<br />

documento. Orientamenti etnografici, C.I.S.U., Roma 1988, passim; «è proprio su questo<br />

p<strong>un</strong>to <strong>che</strong> può individuarsi la distinzione fra ogni tipo di filosofia e ogni<br />

tipo di antropologia culturale scientificamente valida: la falsificabilità delle proposizioni<br />

antropologi<strong>che</strong> e il suo carattere sperimentale» [TULLIO-ALTAN C., Manuale<br />

di antropologia culturale. Storia e metodo, Bompiani, Milano 1979 (1971), p. 573].<br />

7 CARMO FELICIANI S., Introduzione, in DAWSON CH., Il cristianesimo e la formazione<br />

della civiltà occidentale, Rizzoli, Milano 1997 2 (1950), p. 6; PERNOUD R., op. cit.,<br />

p. 145; cfr. PIVATO S., Vuoti di memoria. Usi ed abusi della storia <strong>nel</strong>la vita pubblica<br />

italiana, Laterza, Roma-Bari 2007, pp. 22, 26, 34, 74, 87-88, 129, 131 et alibi. Il<br />

pensiero non può non correre ai giorni nostri, in cui – ad esempio – <strong>un</strong><br />

«libraccio» (F. Cardini) come Il codice Da Vinci viene accolto an<strong>che</strong> da <strong>un</strong><br />

soggetto laureato come <strong>un</strong>a sorta di rivelazione esoterica (colloquio 1.1.<br />

02.02.2006). Vd. an<strong>che</strong> infra nt. 291.<br />

39


40<br />

Franz Brandmayr<br />

Peraltro la critica storiografica a queste produzioni di consumo è<br />

destinata a rimanere confinata in riviste erudite 8 e non riesce a scalfire<br />

il complesso stereotipico antimedievale sedimentato <strong>nel</strong>l’immaginario<br />

collettivo, <strong>che</strong> – invece – di questa pubblicistica sembra<br />

nutrirsi abbondantemente. Inoltre – più in generale – pare <strong>che</strong> questo<br />

senso com<strong>un</strong>e pervada an<strong>che</strong> i cosiddetti ambienti colti. 9<br />

In queste rappresentazioni collettive 10 il <strong>Medioevo</strong> costituirebbe,<br />

pertanto, proprio come asserivano gli umanisti, <strong>un</strong> periodo<br />

storico «vuoto» e «scadente», 11 <strong>un</strong> autentico «iato» fra due<br />

epo<strong>che</strong> <strong>che</strong> sarebbero invece significative, quella classica e quella<br />

moderna. Per gli storici delle più svariate impostazioni è oramai<br />

acquisito il fatto <strong>che</strong> sia vero «il contrario», 12 ma le ricer<strong>che</strong><br />

scientifi<strong>che</strong> dell’ultimo secolo e mezzo 13 sembrano non avere<br />

ancora raggi<strong>un</strong>to il grande pubblico e – talvolta – nean<strong>che</strong> i<br />

manuali scolastici; 14 e – lo si sa bene – sono questi ultimi a rappresentare<br />

più efficacemente la «verità storica ufficiale» 15 . Al<br />

posto della storiografia più avanzata potrebbe prevalere – è questa<br />

l’ipotesi antropologico-culturale <strong>che</strong> formulo, in vista di <strong>un</strong><br />

8 PERNOUD R., op. cit., p. 145; SANFILIPPO M., La storia in edicola: biografie, romanzi,<br />

gadget, in “Memoria e Ricerca”, gennaio-aprile 2007, passim.<br />

9 LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario medievale, Laterza, Roma-Bari<br />

1998 2 (1985), p. XVIII.<br />

10 DURKHEIM E., Rappresentazioni individuali e rappresentazioni collettive, in ID., Le<br />

regole del metodo sociologico. Sociologia e filosofia, Com<strong>un</strong>ità, Torino 2001 (1898),<br />

pp. 137-164.<br />

11 LE GOFF J., Prefazione, in ID., Tempo della Chiesa e tempo del mercante, Einaudi,<br />

Torino 1977 (1976), pp. VII-VIII.<br />

12 LE GOFF J., ivi, p. IX.<br />

13 DAWSON CH., op. cit., pp. 23-24 scriveva questo già <strong>nel</strong> 1950; PERNOUD R.,<br />

op. cit., p. 16.<br />

14 Cfr. ibidem.<br />

15 CONTI F., Massoneria e religioni civili. Cultura laica e liturgie politi<strong>che</strong> fra XVIII e<br />

XX secolo, Il Mulino, Bologna 2008, p. 8.


<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />

possibile rilevamento empirico sul campo – <strong>un</strong>a sorta di<br />

rielaborazione e di amplificazione mediatica; 16 questa sembra<br />

alimentarsi (an<strong>che</strong> questo andrebbe dimostrato con <strong>un</strong>o studio<br />

sistematico) – oltre <strong>che</strong> di sintesi manualisti<strong>che</strong> – della<br />

pubblicistica non-specialistica sopra menzionata, di documentari<br />

televisivi, di enciclopedie on line, in cui il controllo della produzione<br />

spesso sfugge a <strong>un</strong>a selezione seria, e di altre opere di<br />

divulgazione più o meno dilettantes<strong>che</strong>. 17<br />

Non nutro dubbio alc<strong>un</strong>o sulle gravose difficoltà insite <strong>nel</strong>la<br />

didattica della storia; 18 io stesso le sperimento quando tento di<br />

porgere dei contenuti la cui distanza culturale dal “mondo vitale”<br />

19 degli studenti è particolarmente marcata. È per questo motivo<br />

<strong>che</strong> invito i colleghi storici e/o insegnanti di storia o di altre<br />

discipline interessate 20 (la filosofia, 21 le letterature italiana e straniere,<br />

la storia dell’arte ecc.) ad avviare <strong>un</strong> dibattito <strong>che</strong> prenda sul<br />

serio il difficile compito del docente <strong>che</strong> si impegna a trasmettere<br />

<strong>un</strong>a certa sensibilità storica 22 agli allievi, con <strong>un</strong> particolare riferi-<br />

16 Cfr. PERNOUD R., op. cit., p. 149.<br />

17 Ivi, pp. 9, 16, 145, 156 et alibi. Cfr. supra an<strong>che</strong> nt. 7 e infra nt. 291.<br />

18 PIVATO S., op. cit., p. 37.<br />

19 ABBAGNANO N., s.v. Mondo della vita, in ID., Dizionario di filosofia, U.T.E.T.,<br />

Torino 1971 2 (s.d. orig.), p. 596; PARDI F., s.v. Soggettività, in DEMARCHI F.-<br />

ELLENA A.-CATTARINUSSI B. (a cura di), Nuovo dizionario di sociologia, San Paolo,<br />

Cinisello Balsamo (MI) 1994 3 (1987), p. 1986.<br />

20 Cfr. PERNOUD R., op. cit., pp. 153 e 168. Devo ai colleghi e amici Paolo<br />

Emilio Biagini, Brigitta Bianchi, Federico Creazzo, Lucia D’Agnolo, Silvia<br />

Visintini e Marco Zocchi svariati stimoli e suggerimenti preziosi per la stesura<br />

di queste pagine: colgo qui l’occasione per ringraziarli. Va da sé <strong>che</strong> ascrivo<br />

a me stesso ogni carenza di questo scritto.<br />

21 Vd. ad es. PORCARELLI A., Insegnare la filosofia medievale. Stereotipi e innovazioni<br />

didatti<strong>che</strong>, in http://archive.sfi.it/cf/cf4/articoli/porcarelli.htm.<br />

22 Cfr. MARROU H.-I., La conoscenza storica, Il Mulino, Bologna 1988 (1954), p.<br />

36; PERNOUD R., op. cit., p. 168.<br />

41


42<br />

Franz Brandmayr<br />

mento all’epoca in questione. All’inevitabile semplificazione del<br />

discorso storiografico congenito alla manualistica e alla sproporzione<br />

esistente fra la l<strong>un</strong>ghezza dell’arco temporale considerato<br />

nei programmi e le scarse risorse (misurate in <strong>un</strong>ità orarie scolasti<strong>che</strong>,<br />

in pagine di libri di testo e altro ancora) disponibili per lo<br />

studio del <strong>Medioevo</strong>, 23 vengono spesso ad aggi<strong>un</strong>gersi ancora tante<br />

difficoltà: tra le altre quelle determinate dalla diffusa svalutazione<br />

della storia, 24 ma an<strong>che</strong> quelle originate da <strong>un</strong>a cultura dominante<br />

(non solo didattica) ossessionata dal problem solving, 25 oramai incline<br />

a formare l’allievo al “saper fare” senza indurlo a concentrare<br />

l’attenzione sul “perché fare”, cultura inoltre sempre meno propensa<br />

a cogliere le sfumature – di cui la narrazione storica è invece<br />

solitamente ricca. Nel nome di <strong>un</strong>a sorta di pragmatismo cognitivo<br />

– infine – si spaccia talvolta per <strong>un</strong> attardamento passatistico 26 la<br />

presa in esame di temati<strong>che</strong> <strong>che</strong> si presumono antiquate.<br />

Su queste premesse della questione articolerei il mio discorso<br />

focalizzando l’attenzione su <strong>un</strong> secondo obiettivo, in qual<strong>che</strong> modo<br />

conseguente e f<strong>un</strong>zionale al primo: ritengo <strong>che</strong>, per allentare la<br />

presa del <strong>pregiudizio</strong> antimedievale, ci possa provenire <strong>un</strong> supporto<br />

epistemologico importante dalla strumentazione concettuale<br />

più “classica” delle scienze sociali. 27 Gli allievi (ma, perché<br />

23 Ivi, p. 153.<br />

24 PIVATO S., op. cit., pp. 37-46.<br />

25 Vd. ad es. CICATELLI S., Conoscere la scuola. Ordinamento didattica legislazione, La<br />

Scuola, Brescia 2004, p. 117.<br />

26 A questo proposito PERNOUD R., op. cit., p. 177 scriveva negli anni Settanta<br />

<strong>che</strong> la scuola francese produceva soggetti «amnesiaci», <strong>che</strong> rischiavano di<br />

diventare inabili all’esercizio della responsabilità e della libertà.<br />

27 Per <strong>un</strong>’introduzione all’utilizzo delle prospettive concettuali antropologi<strong>che</strong><br />

<strong>nel</strong>la storiografia vd. LE GOFF J., Prefazione, cit., p. VIII; LE GOFF J.-NORA<br />

P. (a cura di), Fare storia. Temi e metodi della nuova storiografia, Einaudi, Torino<br />

1981 (1974), passim; BOGLIONI P., Introduzione, in MANSELLI R., Il soprannaturale<br />

e la religione popolare <strong>nel</strong> Medio Evo, Studium, Roma 1985, p. XVI.


<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />

no? forse an<strong>che</strong> qual<strong>che</strong> adulto…) potrebbero ricavarne qual<strong>che</strong><br />

sp<strong>un</strong>to per elaborare <strong>un</strong>a sintesi (perché pur sempre di questo<br />

si tratta) autonoma sull’“Età di Mezzo”, <strong>un</strong>a sintesi forse<br />

meno inficiata da eti<strong>che</strong>tte categoriali, 28 <strong>che</strong> credo non soddisfino<br />

adeguatamente le loro esigenze di comprensione 29 di quest’epoca<br />

storica.<br />

All’interno di questa trattazione riserverei ancora qual<strong>che</strong><br />

sp<strong>un</strong>to all’intento di sensibilizzare i colleghi di storia o, chissà,<br />

forse an<strong>che</strong> qual<strong>che</strong> storico 30 circa l’opport<strong>un</strong>ità di <strong>un</strong> ulteriore<br />

approfondimento del dialogo metodologico fra l’antropologia<br />

e la storia. È possibile <strong>che</strong>, in <strong>un</strong> futuro lavoro, <strong>un</strong>a sorta di<br />

complemento di queste riflessioni, io tenti di cercare <strong>un</strong>a risposta<br />

a determinate aporie del discorso storiografico medievistico<br />

operando <strong>un</strong>a serie di confronti con i Subaltern Studies, i Postcolonial<br />

Studies e con la corrente dell’antropologia critica. 31 Non è impossibile<br />

<strong>che</strong> da ciò possa scaturire qual<strong>che</strong> suggestione valida<br />

per affinare le metodi<strong>che</strong> scientifi<strong>che</strong> 32 di approccio allo specifico<br />

medievale. Sotto questo profilo, del resto, non faccio <strong>che</strong><br />

28 Le eti<strong>che</strong>tte categoriali o eti<strong>che</strong>ttazioni sono espressioni <strong>che</strong> diventano «<strong>un</strong><br />

p<strong>un</strong>to di ancoraggio per l’interpretazione di tratti di personalità e descrizioni<br />

comportamentali ad essa associate» [ARCURI L., Percezione e cognizione sociale, in<br />

ID. (a cura di), Manuale di psicologia sociale, Il Mulino, Bologna 1996, pp. 128-<br />

129]; mediante le eti<strong>che</strong>ttazioni viene poi attivata la memoria semantica del<br />

soggetto, <strong>nel</strong>la quale viene così innescata <strong>un</strong>a serie di associazioni di tali<br />

espressioni con altre <strong>che</strong> a esse si collegano. Cfr. infra nt. 65.<br />

29 Cfr. infra paragrafo 3.<br />

30 PERNOUD R., op. cit., p. 165, nt. 3 non sottace la differenza di formazione fra<br />

gli storici, avvezzi al trattamento dei dati documentali, e gli insegnanti di<br />

storia, <strong>che</strong> non sempre fanno esperienza in tal senso.<br />

31 Per <strong>un</strong>a prima introduzione vd. CHAMBERS I. (a cura di), Esercizi di potere.<br />

Gramsci, Said e il postcoloniale, Meltemi, Roma 2006, passim; PASQUINELLI C. (a<br />

cura di), Occidentalismi, Carocci, Roma 2005, passim; vd. an<strong>che</strong> infra nt. 171.<br />

32 Cfr. MARROU H.-I., op. cit., p. 5, <strong>che</strong> scrive di <strong>un</strong>a «filosofia critica della storia».<br />

43


44<br />

Franz Brandmayr<br />

pormi al seguito di parecchi storici, <strong>che</strong> sottolineano la criticità<br />

dell’utilizzo di categorie rigidamente e, talora, inconsapevolmente<br />

etnocentri<strong>che</strong> <strong>nel</strong>la ricerca storiografica. 33<br />

1.1. Limiti del saggio<br />

Riuscire a fondare in po<strong>che</strong> decine di pagine <strong>un</strong>’ipotesi, <strong>che</strong> si<br />

colloca sul versante opposto rispetto a quanto <strong>un</strong>a pluri<strong>secolare</strong><br />

rielaborazione mediatica (dapprima prodotta dalla letteratura<br />

polemica colta, poi – <strong>nel</strong>l’ultimo secolo e mezzo – “discesa”<br />

al “livello” 34 del senso com<strong>un</strong>e) va alimentando, è senz’altro<br />

impresa improba. Va interpretata in questa prospettiva la<br />

trattazione selettiva <strong>che</strong> seguirà, dalla quale potrà emergere<br />

<strong>un</strong>a versione consapevolmente migliorativa dell’Età di Mezzo;<br />

si tratterà di <strong>un</strong>’esposizione <strong>che</strong> – però – non intende suffragare<br />

alc<strong>un</strong>a «leggenda fantastica» 35 sul <strong>Medioevo</strong> stesso. Do<br />

pertanto per valida la ricerca storiografica precedente, an<strong>che</strong><br />

quella più scopertamente denigratoria, 36 e propongo al lettore<br />

di sostituire all’aut aut di <strong>un</strong> certo tipo di approccio, forse talvolta<br />

mani<strong>che</strong>o, <strong>un</strong> et et «multivocale» più in sintonia con l’orizzonte<br />

metodologico di certe correnti di pensiero delle scienze<br />

33 Cfr. ad es. BURKE P., Cultura e società <strong>nel</strong>l’Italia del Rinascimento, Einaudi, Torino<br />

1984 (1972), p. 21; CHABOD F., Storia dell’idea di Europa, Laterza, Roma-<br />

Bari 2001 4 (1961), p. 18; GUREVIČ A.J., Contadini e santi. Problemi della cultura<br />

popolare <strong>nel</strong> <strong>Medioevo</strong>, Einaudi, Torino 2000 2 (1981), p. 182; LE GOFF J., Prefazione,<br />

in ID., Tempo, cit., p. IX.<br />

34 Rinvio ai concetti di “livelli di cultura”, “prodotto culturale”, “processo di<br />

discesa/salita dei fatti culturali” (CIRESE A.M., op. cit., pp. 15-23 e ID., Dislivelli<br />

di cultura e altri discorsi inattuali, Meltemi, Roma 1997, passim.<br />

35 Cfr. ad es. DEDIEU J.-P., L’Inquisizione, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI)<br />

2003 (1987), p. 6.<br />

36 Ivi, pp. 76 e 77; MERLO G.G., Eretici ed eresie medievali, Il Mulino, Bologna<br />

1989, p. 10.


<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />

umane, 37 ma compatibile – suppongo – an<strong>che</strong> con <strong>un</strong>o studio<br />

storiografico aperto alla logica del Verstehen. 38<br />

All’inizio della ricerca avevo formulato <strong>un</strong>a serie di ipotesi<br />

alla luce del «<strong>secolare</strong> <strong>pregiudizio</strong>» colto da diversi angoli<br />

prospettici. In particolare, avevo pensato di occuparmi di<br />

quattro ambiti o aspetti del preconcetto antimedievale: quello<br />

della solidarietà e dei diritti umani 39 , all’interno del quale<br />

avrei considerato soprattutto i nodi problematici delle crociate<br />

40 e dell’Inquisizione, 41 quello della condizione femminile,<br />

42 quello della pres<strong>un</strong>ta ignoranza e, infine, quello del-<br />

37 Cfr. CHAKRABARTY D., Storia, cit., p. 146.<br />

38 Vd. infra paragrafo 3.<br />

39 Intorno all’influenza del pensiero cristiano medievale ai fini dell’elaborazione<br />

della nozione di “diritti umani” cfr. FACCHI A., Breve storia dei diritti<br />

umani, Il Mulino, Bologna 2007, pp. 26-27, 37 et alibi. Altre indicazioni sull’incidenza<br />

del cristianesimo medievale sulla solidarietà sociale e sul tramonto<br />

della schiavitù si trovano in BLOCH M., Come e perché finì la schiavitù antica, in<br />

ID., Lavoro e tecnica <strong>nel</strong> <strong>Medioevo</strong>, Laterza, Roma-Bari 2001 3 (1947), pp. 221-63;<br />

DOLZA L., Storia della tecnologia, Il Mulino, Bologna 2008, p. 51; FROMM E.,<br />

Psicanalisi della società contemporanea, Mondadori, Milano 1987 (1955), pp. 95-<br />

96; GUGLIELMI N., Il medioevo degli ultimi. Emarginazione e marginalità nei secoli<br />

XI-XIV, Città Nuova, Roma 2001, passim; LE GOFF J., Il <strong>Medioevo</strong>. Alle origini<br />

dell’identità europea, Laterza, Roma-Bari 2003 7 (1996), pp. 53-54; PERNOUD R.,<br />

Le rane e gli uomini, in EAD., <strong>Medioevo</strong>, cit., pp. 87-99.<br />

40 FLORI J., La cavalleria medievale, Il Mulino, Bologna 2002 (1998), passim; ID.,<br />

Le crociate, Il Mulino, Bologna 2003 (2001), passim; HÖFFNER J., La dottrina<br />

sociale cristiana, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1986 3 (1983), p. 237.<br />

41 CARDINI F.-MONTESANO M., La l<strong>un</strong>ga storia dell’Inquisizione. Luci e ombre della<br />

“leggenda nera”, Città Nuova, Roma 2005, passim; DEDIEU J.-P., op. cit., passim;<br />

MEREU I., Storia dell’intolleranza in Europa, Bompiani, Milano 1988, passim;<br />

PERNOUD R., L’indice accusatore, in EAD., <strong>Medioevo</strong>, cit., pp. 119-142.<br />

42 Vd. ad es. CONTE F., Gli slavi. Le civiltà dell’Europa centrale e orientale, Einaudi,<br />

Torino 1991 (1986), pp. 161-201; DUBY G., Il potere delle donne <strong>nel</strong> <strong>Medioevo</strong>, Laterza,<br />

Roma-Bari 2001 (1995), passim; LE GOFF J., Il <strong>Medioevo</strong>, cit., p. 105; cfr. an<strong>che</strong><br />

PERNOUD R., La donna priva di anima, in EAD., <strong>Medioevo</strong>, cit., pp. 101-117.<br />

45


46<br />

Franz Brandmayr<br />

l’anticlericalismo 43 . A <strong>un</strong> certo p<strong>un</strong>to dell’indagine questo progetto<br />

si è rivelato essere decisamente troppo vasto rispetto<br />

alle caratteristi<strong>che</strong> della presente pubblicazione, perciò, ho<br />

voluto ridimensionarlo notevolmente, limitandomi a considerare<br />

più in particolare <strong>un</strong>a sola di queste temati<strong>che</strong> e operando<br />

– al limite – qual<strong>che</strong> digressione più o meno ampia con riferimento<br />

alle rimanenti piste di ricerca.<br />

Fra le quattro opport<strong>un</strong>ità ho inteso privilegiare quella offerta<br />

dalla presa in esame della pres<strong>un</strong>ta ignoranza 44 del <strong>Medioevo</strong>. I<br />

topoi della staticità intellettuale e dell’oscurantismo retrivo, dell’incapacità<br />

innovativa in ambito tecnico e del supposto culto della<br />

ripetizione in ossequio alle auctoritates sono fra i più significativi<br />

<strong>nel</strong>la rappresentazione del <strong>Medioevo</strong> e, se si vuole, sono an<strong>che</strong><br />

quelli <strong>che</strong> influenzano sensibilmente gli altri stereotipi, quasi dei<br />

corollari, della brutalità e della prevaricazione della donna. An<strong>che</strong><br />

il tema dell’anticlericalismo non potrà non emergere – fra l’altro –<br />

an<strong>che</strong> per la strettissima correlazione <strong>che</strong>, notoriamente, intercorre<br />

fra la cultura medievale e l’ordo dei clerici. 45<br />

2. Falsificazione o selettività?<br />

Dopo quanto premesso credo <strong>che</strong>, a fornire qual<strong>che</strong> sp<strong>un</strong>to su<br />

quanto già da molto tempo conosciamo intorno al <strong>Medioevo</strong>,<br />

possano contribuire alc<strong>un</strong>i strumenti concettuali ricavati<br />

43 Vd. <strong>un</strong> accenno in questo senso in PORCARELLI A., op. cit.<br />

44 PERNOUD R., op. cit., p. 45.<br />

Humanas actiones non ridere, non lugere neque<br />

detestari, sed intelligere. 46<br />

45 FUMAGALLI BEONIO BROCCHIERI M., L’intellettuale, in LE GOFF J. (a cura di),<br />

L’uomo medievale, Laterza, Roma-Bari 1999 13 (1987), p. 205.<br />

46 SPINOZA B., Tractatus teologico-politicus, Einaudi, Torino 1958 (1670), 1, 4.


<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />

dall’etno-antropologia, dalla psicologia sociale e dalla sociologia,<br />

<strong>che</strong> consentono di limitare, almeno in parte, l’influenza derivata<br />

da <strong>un</strong>a lettura storica troppo semplicistica come è, qual<strong>che</strong> volta,<br />

quella riportata dai manuali scolastici e, come abbiamo visto,<br />

da certa divulgazione mediatica. I concetti di cui scriverò potrebbero<br />

– in effetti – consentirci di prendere maggiore consapevolezza<br />

di <strong>un</strong>a serie di “impliciti del discorso”. 47<br />

Alla domanda da cui parto, <strong>che</strong> non vorrebbe essere retorica,<br />

potrà rispondere l’eventuale lettore integrando <strong>nel</strong> proprio<br />

bagaglio concettuale gli strumenti <strong>che</strong> cer<strong>che</strong>rò di fornirgli<br />

l<strong>un</strong>go il percorso. Credo il quesito non abbisogni di soverchie<br />

spiegazioni: mi pare sia abbastanza chiara la differenza fra<br />

l’azione consapevole della falsificazione e, invece, l’eventuale<br />

inconscia (o parzialmente inconscia) selezione delle notizie<br />

congruenti con la propria concezione del mondo effettuata<br />

ad opera dell’autore <strong>che</strong> scrive di <strong>Medioevo</strong>. 48 È appena il caso<br />

di aggi<strong>un</strong>gere <strong>che</strong> la risposta del lettore potrà riguardare, ovviamente,<br />

solo ed esclusivamente i pochi testi <strong>che</strong> saranno oggetto<br />

della nostra analisi e, perciò, senza alc<strong>un</strong>a pretesa di dare<br />

risposte totali a <strong>un</strong> problema, la cui risoluzione comporterebbe<br />

<strong>un</strong> rilevamento empirico da effettuarsi all’interno di <strong>un</strong> campione<br />

di ben più vaste proporzioni.<br />

2.1. S<strong>che</strong>mi culturali, stigmatizzazione ed epoché<br />

Gli studiosi registrano la tendenza di ogni epoca storica, gruppo<br />

sociale, cultura a giudicare le epo<strong>che</strong>, i gruppi sociali e le<br />

culture “altri” (out-groups) secondo i parametri peculiari del pro-<br />

47 Vd. SBISÀ M., Detto non detto. Le forme della com<strong>un</strong>icazione implicita, Laterza,<br />

Roma-Bari 2007, passim.<br />

48 GILI G., Il problema della manipolazione: peccato originale dei media?, Franco Angeli,<br />

Milano 2001, p. 119.<br />

47


48<br />

Franz Brandmayr<br />

prio gruppo di appartenenza 49 (in-group) 50 . È certo <strong>che</strong> gli scienziati<br />

sociali e – in particolare – gli etnoantropologi hanno fatto<br />

della differenza culturale 51 il loro campo specifico di osservazione<br />

e di riflessione. Almeno teoricamente essi dovrebbero<br />

essere particolarmente consapevoli della pervasiva influenza degli<br />

s<strong>che</strong>mi culturali 52 del ricercatore sugli strumenti concettuali (<strong>che</strong><br />

si vorrebbero “oggettivi”), <strong>che</strong> questi adopera <strong>nel</strong> suo lavoro.<br />

Tuttavia non manca certo an<strong>che</strong> fra gli storici chi prende molto<br />

sul serio il rischio di contrabbandare per indagine storiografica<br />

ciò <strong>che</strong> è frutto, invece, di meri giudizi di valore.<br />

Il problema non è di poco conto; intorno alla questione si<br />

sono scritti fiumi di parole e non mi illudo certamente di poter<br />

dire <strong>un</strong>a parola definitiva in merito. A mio avviso, però, certa<br />

produzione storiografica e – chissà – forse an<strong>che</strong> <strong>un</strong> certo tipo di<br />

insegnamento della storia potrebbero essere inclini a esercitarsi<br />

troppo poco – o troppo maldestramente – a fare tabula rasa 53 , in<br />

particolare, degli idola fori e degli idola theatri 54 della propria epoca<br />

storica o del proprio gruppo sociale di appartenenza.<br />

In <strong>che</strong> misura l’osservatore può considerarsi imm<strong>un</strong>e da queste<br />

categorie prevalenti (stereotipi ed eti<strong>che</strong>ttazioni), se esse sono<br />

incorporate <strong>nel</strong>la sua cultura? […] nulla garantisce automaticamente<br />

l’imm<strong>un</strong>ità del ricercatore dai pregiudizi […] la pretesa<br />

<strong>che</strong> le scienze umane si siano liberate del linguaggio e delle cate-<br />

49 STRUFFI L.-POLLINI G., s.v. Appartenenza, in DEMARCHI F.-ELLENA A.-<br />

CATTARINUSSI B. (a cura di), op. cit., pp. 155-168.<br />

50 Cfr. MALIGHETTI R., s.v. Etnocentrismo, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di),<br />

op. cit., pp. 273-274.<br />

51 HANNERZ U., La diversità culturale, Il Mulino, Bologna 2001 (1996), passim.<br />

52 Cfr. TENTORI T., Antropologia culturale, Studium, Roma 1960, p. 19.<br />

53 Sui limiti storiografici dell’utilizzo di questo strumento concettuale<br />

«cartesiano» vd. PERNOUD R., op. cit., pp. 170-171.<br />

54 BACONE F., Novum organum, La Scuola, Brescia 1968 (1620), I, pp. 264-266.


<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />

gorie di senso com<strong>un</strong>e è solo <strong>un</strong>a pia illusione […] L’implicazione<br />

<strong>nel</strong>la cultura retroagisce sull’osservatore […] in <strong>un</strong> gran numero<br />

di modi, spesso indiretti e scarsamente visibili […] Molto<br />

frequentemente, il solo fatto di formulare <strong>un</strong> problema relativo a<br />

<strong>un</strong> oggetto contiene <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> implicito <strong>che</strong> qualifica in<br />

modo distorto quell’oggetto, indipendentemente dalla buona<br />

volontà o dalla correttezza procedurale del ricercatore […] Gli<br />

orizzonti di senso com<strong>un</strong>e […] non sono semplici dimensioni<br />

cognitive […] vincolano chi vi si riconosce al mantenimento di<br />

gerarchie, di micropoteri, di inclusioni e di esclusioni […] sostengono<br />

le forme di identità, le appartenenze, quel senso del<br />

“noi” <strong>che</strong> è essenziale alla vita di ogni com<strong>un</strong>ità. 55<br />

Probabilmente <strong>nel</strong> prendere in considerazione il <strong>Medioevo</strong><br />

questo sforzo, <strong>che</strong> è di autoanalisi e di autoeducazione, non risulta<br />

essere sempre facile: <strong>un</strong>o storico contemporaneo si sente «gelare<br />

il sangue» quando legge le pene previste nei penitenziali monastici<br />

irlandesi per infrazioni alla regola <strong>che</strong> noi, donne e uomini<br />

del Terzo millennio, riterremmo assolutamente irrilevanti. 56<br />

Parimenti, ci rallegriamo di non dover più manifestare la nostra<br />

piena appartenenza al gruppo con assordanti urla corali 57 e dopo<br />

avere attraversato le durissime prove iniziati<strong>che</strong> dei berserkr 58 ger-<br />

55 DAL LAGO A., I nostri riti quotidiani. Prospettive <strong>nel</strong>l’analisi della cultura, Costa &<br />

Nolan, Genova 1995, pp. 12-13.<br />

56 LAWRENCE C.H., Il mona<strong>che</strong>simo medievale. Forme di vita religiosa in Occidente, San<br />

Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1993 (1989), pp. 76-78; cfr. DAWSON CH., op.<br />

cit., p. 77; PENCO G., Il mona<strong>che</strong>simo, Mondadori, Milano 2000, p. 85.<br />

57 Per la verità certe forme espressive degli ultras negli stadi di calcio mi<br />

dissuadono ancora dal cantare la vittoria definitiva della dea ragione <strong>nel</strong> nostro<br />

vecchio Occidente [cfr. BROMBERGER C., La partita di calcio. Etnologia di<br />

<strong>un</strong>a passione, Ed. Ri<strong>un</strong>iti, Roma 1999 (1995), passim; DAL LAGO A., Descrizione<br />

di <strong>un</strong>a battaglia. I rituali del calcio, Il Mulino, Bologna 2001 2 (1990), passim].<br />

58 ELIADE M., La nascita mistica. Riti e simboli d’iniziazione, Morcelliana, Brescia<br />

1988 3 (1958), pp. 125-130.<br />

49


50<br />

Franz Brandmayr<br />

manici, an<strong>che</strong> se i progressi forse più significativi rispetto agli antenati<br />

europei del Nord sembrano riguardare – piuttosto <strong>che</strong> <strong>un</strong>a<br />

maggiore propensione alla vita pacifica – la nostra maggiore dimesti<strong>che</strong>zza<br />

con l’acqua… 59 Considerare i contadini alla stregua<br />

di «mostri appena umani» 60 , trasformare <strong>un</strong> mite rabbì ebreo in <strong>un</strong><br />

kon<strong>un</strong>g, <strong>un</strong> re sassone in armi, 61 percorrere in massa strade e villaggi<br />

infliggendosi penitenze le più sanguinose, 62 praticare i crudeli<br />

rituali carnevaleschi… 63<br />

Che cosa rimane da fare a chi si accinge a studiare questa<br />

realtà storica così distante? Gli “stigmi” – così li chiamano certi<br />

antropologi – della superstizione, della brutalità (an<strong>che</strong><br />

masochista), dell’autoritarismo, della rozzezza dei costumi, dell’ottusità,<br />

dell’aggressività più selvaggia, del disprezzo degli umili<br />

e altri ancora sembrerebbero potersi applicare senza esitazione<br />

alc<strong>un</strong>a ai pochi esempi richiamati. Potremmo non sentirci indotti<br />

a svolgere nean<strong>che</strong> <strong>un</strong>’opport<strong>un</strong>a verifica documentale,<br />

tanto essi paiono scontati <strong>nel</strong>la loro chiarezza, inoltre continuamente<br />

rievocata e ribadita dai media. 64 Essi – gli stigmi –<br />

indica{no} <strong>un</strong> attributo (fisico o morale) profondamente dispre-<br />

59 CONTE F., op. cit., pp. 117-118.<br />

60 Cfr. LE GOFF J., I contadini e il mondo rurale <strong>nel</strong>la letteratura dell’alto <strong>Medioevo</strong><br />

(secoli V e VI), in ID., Tempo, cit., p. 107.<br />

61 GUREVIČ A.J., op. cit., pp. 78-79.<br />

62 TOSCHI P., s.v. Flagellanti, in AA.VV., Enciclopedia Cattolica, Ente per l’Enciclopedia<br />

Cattolica e per il Libro Cattolico – Sansoni, Città del Vaticano – Firenze<br />

1950, vol. V, cc. 1439-1441.<br />

63 Cfr. ad es. BACHTIN M., L’opera di Rabelais e la cultura popolare. Riso, carnevale<br />

e festa <strong>nel</strong>la tradizione medievale e rinascimentale, Einaudi, Torino 1979<br />

(1965), passim.<br />

64 Vd. il concetto di «manipolazione per inondazione», <strong>che</strong> risulta f<strong>un</strong>zionale<br />

alla creazione di pseudo-eventi in GILI G., op. cit., pp. 244-250: <strong>un</strong>a “verità”<br />

continuamente proclamata alla fine diventa tale an<strong>che</strong> se non lo è.


<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />

giativo e [...] mett{ono} in relazione tale attributo con gli stereotipi<br />

relativi alla “normalità”, espressi dalla cultura dominante 65 ,<br />

cultura dominante <strong>che</strong> – in questo caso – nean<strong>che</strong> a dirlo, è<br />

quella occidentale attuale: secolarizzata, urbanizzata, postborghese,<br />

ispirata alla “gabbia di ferro” della razionalizzazione<br />

weberiana, postindustriale, telematica, individualistica 66 (talvolta<br />

fino al narcisismo) 67 , consumistica, 68 tesa a dare attuazione<br />

la più completa al freudiano principio di piacere e via<br />

dicendo.<br />

Da almeno tre secoli <strong>nel</strong>le “descrizioni” medievalisti<strong>che</strong> del<br />

discorso com<strong>un</strong>e, dove abbondano delle autenti<strong>che</strong> “clave<br />

terminologi<strong>che</strong>” – fortemente peggiorative – come «feudale»,<br />

«gotico», 69 «barbaro/barbarico» 70 ecc. sembrano manifestarsi <strong>un</strong>a<br />

sovrabbondanza di alterità, <strong>un</strong> divario incolmabile e gli stigmi<br />

rispondono proprio all’esigenza di contenere <strong>un</strong>a diversità<br />

debordante, eccessiva. Nel campo della verbalizzazione, infatti,<br />

essi ottemperano alla f<strong>un</strong>zione di esorcizzare ciò <strong>che</strong> è “strano”,<br />

“estraneo”, “straniero”, “forestiero”, in quanto viene “da<br />

65 AIME M., s.v. Stigma, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di), op. cit., p. 709; le<br />

parentesi quadre sono mie. Nel corso della trattazione potrò usare come<br />

quasi-sinonimi an<strong>che</strong> le espressioni eti<strong>che</strong>tta categoriale o eti<strong>che</strong>ttazione (vd.<br />

supra nt. 28) adoperate, solitamente, dagli psicologi sociali.<br />

66 Vd. ad es. BAUMAN Z., La società individualizzata. Come cambia la nostra esperienza,<br />

Il Mulino, Bologna 2002 (2001), passim.<br />

67 LASCH CH., La cultura del narcisismo, Bompiani, Milano 2001 4 (1979), passim.<br />

68 Cfr. ad es. il classico BAUDRILLARD J., La società dei consumi, Il Mulino, Bologna<br />

1976, passim.<br />

69 PERNOUD R., op. cit., pp. 80-86.<br />

70 Come è noto si tratta, inoltre, di <strong>un</strong>’espressione pesantemente connotata in<br />

senso italocentrico e francocentrico [AZZARA C., Le invasioni barbari<strong>che</strong>, Il<br />

Mulino, Bologna 1999, p. 9; cfr. an<strong>che</strong> WOLFRAM H., I germani, Il Mulino,<br />

Bologna 2005 (1997), p. 89].<br />

51


52<br />

Franz Brandmayr<br />

fuori” rispetto al gruppo-noi. 71 Sotto questo profilo corrispondono<br />

f<strong>un</strong>zionalmente a quanto mirano a realizzare le liturgie<br />

apotropai<strong>che</strong> <strong>nel</strong>l’ambito della ritualità.<br />

Ritengo di semplificare l’esposizione eleggendo a terreno<br />

di fondazione di alc<strong>un</strong>e delle mie ipotesi sugli stigmi o<br />

eti<strong>che</strong>ttazioni soprattutto <strong>un</strong> testo della fine degli anni Novanta.<br />

La Breve storia delle grandi scoperte scientifi<strong>che</strong> di Giovanni<br />

Caprara dedica soltanto ventidue pagine al <strong>Medioevo</strong>, 72 ma il<br />

volume mi sembra rappresentare validamente <strong>un</strong> certo tipo di<br />

approccio divulgativo al nostro tema. Mentre fornisce notizie<br />

sullo stato della scienza <strong>nel</strong> Terzo secolo, il nostro «giornalista<br />

scientifico del “Corriere della Sera”», autore di diversi volumi<br />

e premiato per la sua attività di divulgazione scientifica, 73 sintetizza<br />

lapidariamente <strong>un</strong> millennio e più di storia con due<br />

brevi frasi introduttive della storia alla scienza medievale. Secondo<br />

me queste due proposizioni – vergate con accenti<br />

apodittici – potrebbero rappresentare emblematicamente la<br />

diffusa pratica della stigmatizzazione antimedievale per il tramite<br />

dell’eti<strong>che</strong>ttazione oscurantistica. Ecco la prima:<br />

I padri della Chiesa rifiutavano la cultura classica perché la ritenevano<br />

troppo compromessa con la religione pagana. 74<br />

Un asserto di questo genere presenta notevoli errori e lac<strong>un</strong>e<br />

an<strong>che</strong> se lo si voglia riferire al solo alto <strong>Medioevo</strong>, ma l’Autore<br />

non lo integra né lo ridimensiona <strong>nel</strong> prosieguo dell’esposi-<br />

71 Vd. infra nt. 289.<br />

72 CAPRARA G., Breve storia delle grandi scoperte scientifi<strong>che</strong>, Bompiani, Milano 1999 2<br />

(1998), pp. 43-64.<br />

73 Ivi, quarta di copertina.<br />

74 Ivi, p. 42.


<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />

zione, lasciando – con ciò – intendere <strong>che</strong> tale situazione perduri<br />

addirittura per tutta l’età medievale.<br />

Un’analisi, ancorché generica, delle letterature patristica e<br />

scolastica <strong>nel</strong> loro rapporto di dipendenza e innovazione rispetto<br />

alla tradizione classica non si può nean<strong>che</strong> accennare in<br />

queste pagine. 75 Forse vale la pena di fare qual<strong>che</strong> richiamo,<br />

piuttosto, alla tradizione monastica occidentale, intorno alla<br />

quale gli storici non nutrono dubbi sul fatto <strong>che</strong> <strong>nel</strong> VI secolo<br />

l’intellettuale di origine siriaca (e già ministro di Teodorico)<br />

Cassiodoro creava «il primo esempio di mona<strong>che</strong>simo dotto e<br />

umanistico, <strong>che</strong> conciliava l’otium classico e la preghiera» 76 . In<br />

Italia egli agì soprattutto <strong>nel</strong>l’ambiente calabrese e i suoi scritti<br />

si diffusero, pare, fino all’ambiente romano e alla biblioteca<br />

papale del Laterano in particolare, 77 da dove – secondo alc<strong>un</strong>i<br />

– la sua influenza si sarebbe propagata a tutte le successive<br />

esperienze monasti<strong>che</strong> occidentali. A lui si devono, fra le altre<br />

cose, la composizione di «<strong>un</strong>a vera e propria ratio studiorum», di<br />

<strong>un</strong> autentico «programma enciclopedico […] tracciato con<br />

l’esame delle sette arti liberali […] <strong>nel</strong>la linea degli enciclopedisti<br />

del tardo mondo antico [… (<strong>che</strong>)] prepara l’avvento di quelli<br />

dell’Alto <strong>Medioevo</strong>, Isidoro, Beda, Rabano Mauro».<br />

75 Una prima introduzione al tema si può ricavare, da <strong>un</strong> p<strong>un</strong>to di vista teologico,<br />

in RAHNER K.-VORGRIMLER H., s.v. Patristica, in IID., Dizionario di teologia,<br />

Herder-Morcelliana, Roma-Brescia 1968, pp. 475-476; da <strong>un</strong>a prospettiva filosofica<br />

vd. VANNI ROVIGHI S., s.v. Aristotelismo, in AA.VV., Dizionario teologico<br />

interdisciplinare, Marietti, Casale Monferrato (AL) 1977, vol. I, pp. 419-423; EAD.,<br />

s.v. Platonismo, in AA.VV., Dizionario, cit., vol. II, pp. 731-735. An<strong>che</strong> in ambito<br />

manualistico <strong>un</strong>a sintesi critica argomentata e in totale disaccordo con il Caprara<br />

viene proposta da CONTE G.B.-PIANEZZOLA E., Corso integrato di letteratura latina,<br />

5, La tarda età imperiale, Le Monnier, Firenze 2004, pp. 146-147.<br />

76 AA.VV., s.v. Cassiodoro, in IID., Enciclopedia Garzanti di filosofia, Garzanti, Milano<br />

1982 2 (1981), p. 130.<br />

77 PENCO G., op. cit., p. 47.<br />

53


54<br />

Franz Brandmayr<br />

Egli getta, inoltre, «le basi di tutta la morfologia della cultura<br />

medievale», <strong>nel</strong>la quale la cultura greca e quella latina, quella sacra<br />

e quella profana vengono impostate nei loro sviluppi futuri. 78<br />

Di lì a poco sarà il mona<strong>che</strong>simo benedettino a farsi via via<br />

promotore di istanze culturali di portata sempre crescente, operando<br />

<strong>un</strong>a sintesi fra la humanitas ereditata dalla cultura romana<br />

e le esigenze di <strong>un</strong> evangelismo radicale mutuato dalle esperienze<br />

monasti<strong>che</strong> copte e siria<strong>che</strong>. 79 Ne scaturirà <strong>un</strong>o stile cenobitico<br />

originale, praticato secondo modalità autoctone «latine»<br />

80 ; ciò costituirà la premessa indispensabile alla creazione<br />

di <strong>un</strong>a sorta di identificazione della romanitas e della christianitas,<br />

81 <strong>che</strong> si realizzerà fin dall’epoca altomedievale. 82 I rigori<br />

ascetici degli anacoreti e dei monaci orientali troveranno <strong>nel</strong><br />

movimento benedettino <strong>un</strong>’interpretazione meno austera, 83<br />

progressivamente sempre più aperta alla dimensione culturale,<br />

84 di cui è opport<strong>un</strong>o sottolineare la «polivalenza» 85 sotto<br />

vari profili: le interpretazioni – diversificate a seconda delle<br />

78 Ivi, pp. 46-47; parentesi rotonda dello scrivente; cfr. an<strong>che</strong> ivi, pp. 48 e 176.<br />

79 Ivi, pp. 32-33.<br />

80 LAWRENCE C.H., op. cit., pp. 100-104; TURBESSI G., Il mona<strong>che</strong>simo in Occidente<br />

fino a S. Benedetto (c. 480-547), in ID., Ascetismo e mona<strong>che</strong>simo prebenedettino,<br />

Studium, Roma 1961, pp. 134-148.<br />

81 ULLMANN W., Radici del Rinascimento, Laterza, Bari-Roma 1980 (1977), p. 36;<br />

DAWSON CH., op. cit., p. 37 riferisce <strong>che</strong> «“Romano” e “cristiano” divennero<br />

quasi termini sinonimi» (cfr. an<strong>che</strong> ivi, pp. 63 e 81). Il terzo e il quarto elemento<br />

dell’amalgama culturale della Civiltà occidentale saranno quello<br />

germanico-pagano (ULLMANN W., op. cit., p. 29) e quello «“tradizionale” delle<br />

vecchie culture indigene» (LE GOFF J., Guerrieri e borghesi rampanti. L’immagine<br />

della città <strong>nel</strong>la letteratura francese del secolo XII, in ID., L’immaginario, cit., p. 32).<br />

82 Ivi, p. 3.<br />

83 LAWRENCE C.H., op. cit., p. 69; PENCO G., op. cit., pp. 60 ss.<br />

84 Cfr. infra le nt. 91 e 95.<br />

85 PENCO G., op. cit., p. 175.


<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />

situazioni – del contemptus m<strong>un</strong>di e l’enorme varietà delle attività<br />

culturali (teologia monastica, 86 letteratura, scienze e arti, 87<br />

scriptoria e bibliote<strong>che</strong> 88 ), della quale non è possibile rendere<br />

ulteriormente conto in queste pagine. 89 Si tratta di <strong>un</strong>’opera<br />

immensa, efficacemente riass<strong>un</strong>ta <strong>nel</strong> celebre motto ora et labora,<br />

<strong>che</strong> in seguito, allargata ad altre componenti ecclesiali e<br />

sociali, fonderà, secondo molti autori senza possibilità di equivoco,<br />

l’edificio della Civiltà occidentale. 90 L’influsso poderoso<br />

dei benedettini diventerà ancor più trainante nei secoli X-XII 91<br />

e riguarderà in maniera eminente, oltre l’avanzamento tecnologico<br />

92 , tanto gli aspetti dell’alfabetizzazione e dell’istruzione<br />

quanto la cultura dotta. 93<br />

È sul fondamento monastico, quindi, <strong>che</strong> si costruisce la<br />

cultura medievale <strong>nel</strong> suo rapporto con i classici greci e latini.<br />

Questi sarebbero stati trascurati, oppure selezionati a seconda<br />

delle esigenze di «purificazione» della Chiesa 94 o addirittura cen-<br />

86 Ivi, pp. 181-186.<br />

87 Ivi, pp. 186-192.<br />

88 Ivi, 192-193.<br />

89 Cfr. an<strong>che</strong> MICCOLI G., Il monaco, in LE GOFF J. (a cura di), L’uomo medievale,<br />

cit., p. 48 et passim.<br />

90 Cfr. ad es. CHABOD F., op. cit., pp. 162-163; CROCE B., “Perché non possiamo non<br />

dirci cristiani”, in “La Critica”, XL (1942), pp. 289 ss; DAWSON CH., op. cit., pp.<br />

26-27 et alibi; NOBLE D.F., La religione della tecnologia. Divinità dell’uomo e spirito<br />

d’invenzione, Com<strong>un</strong>ità, Torino 2000 (1997), pp. 4-5.<br />

91 DOLZA L., op. cit., p. 52; MICCOLI G., op. cit., pp. 56-68 dal p<strong>un</strong>to di vista<br />

dell’importanza storica del fenomeno monastico definisce questo periodo<br />

come gli aurea saecula.<br />

92 Vd. infra paragrafo 2.3.<br />

93 GRAFF H.J., Storia dell’alfabetizzazione occidentale, 1, Dalle origini alla fine del<br />

medioevo, Il Mulino, Bologna 1989 (1987), p. 22; LAWRENCE C.H., op. cit., p. 65.<br />

94 Cfr. MICCOLI G., op. cit., p. 75.<br />

55


56<br />

Franz Brandmayr<br />

surati e messi in ombra. An<strong>che</strong> tutto ciò è senz’altro vero (almeno<br />

fino all’epoca carolingia) 95 , ma, al contempo,<br />

ci si è potuti accorgere <strong>che</strong>, in effetti, <strong>nel</strong> <strong>Medioevo</strong>, gli autori<br />

latini, e an<strong>che</strong> quelli greci, erano già parecchio conosciuti e […]<br />

l’apporto del mondo antico, classico o no <strong>che</strong> fosse, era a quell’epoca<br />

lontano dall’essere disprezzato o rifiutato. 96<br />

Non va ignorato, inoltre, il fatto <strong>che</strong> persino nei cosiddetti<br />

«anni bui» 97 (V-VII) non si potesse parlare di ignoranza del latino<br />

nean<strong>che</strong> tra gli stessi laici, 98 fra i quali si potevano annoverare<br />

delle donne nonché «alc<strong>un</strong>i barbari» 99 .<br />

Già all’epoca di Carlomagno e, ancor di più, al tempo di Bernardo<br />

da Chiaravalle la conoscenza degli autori greci e latini<br />

viene coltivata al p<strong>un</strong>to <strong>che</strong> «tal<strong>un</strong>i studiosi […] hanno parlato<br />

allora di <strong>un</strong>a “Rinascita carolingia” […] di “Rinascita del XII<br />

secolo”, o an<strong>che</strong> di “umanesimo medievale”» 100 an<strong>che</strong> con <strong>un</strong><br />

riferimento preciso alla frequentazione dei classici. Perciò, almeno<br />

per quanto riguarda il latino, l’idioma e i testi sarebbero<br />

sempre stati «fascinosi» per la civiltà medievale presa <strong>nel</strong> suo<br />

95 Va precisato <strong>che</strong> LAWRENCE C.H., op. cit., p. 78 osserva <strong>un</strong>a più spiccata<br />

libertà di spirito presso i monaci irlandesi, <strong>che</strong> – come è noto – operarono in<br />

gran parte dell’area centro-occidentale del continente e diffusero la sensibilità<br />

verso la cultura classica (DAWSON CH., op. cit., pp. 71-77) proprio <strong>nel</strong> periodo<br />

in cui i benedettini ne fecero talora oggetto di ascetica diffidenza.<br />

96 PERNOUD R., op. cit., pp. 20-21; cfr. an<strong>che</strong> LE GOFF J., Prefazione, in ID.,<br />

L’immaginario, cit., p. XX.<br />

97 GRAFF H.J., op. cit., p. 69; cfr. LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario, cit., p. XVI.<br />

98 Sull’alfabetizzazione dei chierici e dei monaci, peraltro, non è bene operare<br />

troppe generalizzazioni; lo stesso discorso si pone intorno alla loro conoscenza<br />

del latino; cfr. infra nt. 267.<br />

99 GRAFF H.J., op. cit., p. 72.<br />

100 PERNOUD R., op. cit., p. 21.


<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />

complesso e non soltanto fra il 1380 e il 1450. 101 Per quanto<br />

concerne il latino liturgico, inoltre, Graff rileva <strong>che</strong> esso sarebbe<br />

stato conosciuto in misura persino maggiore fra le donne e<br />

per tutto l’arco temporale del <strong>Medioevo</strong>. 102<br />

In definitiva, secondo Garin il pensiero cristiano medievale,<br />

dopo «secoli di meditazione», di «critica insistente, inesorabile e<br />

sempre più consapevole della concezione classica»,<br />

si impadroniva delle armi dell’avversario, pur col pericolo, scendendo<br />

sul suo terreno ed usando i suoi mezzi, di confondersi con esso;<br />

<strong>che</strong> è l’impressione <strong>che</strong>, dalla patristica in poi, dà così spesso il pensiero<br />

medievale, tutto fatto di apparenti ritorni e di strani miscugli:<br />

platonismo, stoicismo, neoplatonismo, aristotelismo, averroismo,<br />

fino a pervenire alla «formulazione cosciente, e cioè filosofica<br />

[…] della propria concezione, e delle proprie ragioni» 103 . Peraltro,<br />

è noto <strong>che</strong> <strong>un</strong>a delle più profonde operazioni culturali dell’intero<br />

percorso filosofico europeo è consistita <strong>nel</strong>la faticosa adozione<br />

del sistema aristotelico <strong>nel</strong> XIII secolo, 104 a riprova di <strong>un</strong> rapporto<br />

con la classicità vissuto intensamente e ricco di sviluppi originali.<br />

La Pernoud ricorda ancora <strong>che</strong> «i cataloghi delle bibliote<strong>che</strong><br />

<strong>che</strong> ci sono stati conservati […] provano abbondantemente»<br />

<strong>che</strong> non fu la caduta di Costantinopoli (1453), se non in minima<br />

parte, a determinare «l’introduzione in Europa delle bibliote<strong>che</strong><br />

di autori antichi conservate a Bisanzio» 105 .<br />

101 GRAFF H.J., op. cit., p. 162; cfr. ULLMANN W., op. cit., p. 35.<br />

102 GRAFF H.J., op. cit., p. 119.<br />

103 GARIN E., La crisi del pensiero medievale, in ID., <strong>Medioevo</strong> e Rinascimento. Studi e<br />

ricer<strong>che</strong>, Laterza, Roma-Bari 1980 3 (1950), p. 18.<br />

104 PERNOUD R., op. cit., p. 162.<br />

105 Ivi, p. 22; cfr. LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario, cit., p. XX, ove<br />

l’Autore menziona il «ritorno all’antico» fin dal secolo XIII e l’«invasione di<br />

Aristotele» <strong>nel</strong>le forme scultoree dei Pisano.<br />

57


58<br />

Franz Brandmayr<br />

Dai semplici richiami prodotti scaturisce – pertanto – <strong>un</strong>a<br />

notevole ric<strong>che</strong>zza di sfumature, di situazioni diversificate a seconda<br />

dei vari segmenti sociali, cui andrebbero aggi<strong>un</strong>te le diversità<br />

rispetto alle aree geografi<strong>che</strong>. Si tratta di differenze, delle<br />

quali <strong>un</strong>a divulgazione, effettuata sulla scorta di studi specialistici<br />

non si sa quanto fondati e <strong>che</strong> si esprime con affermazioni<br />

lapidarie, non sembra riuscire a rendere ragione nean<strong>che</strong> approssimativamente.<br />

Caprara insiste <strong>nel</strong> proporre l’immagine di <strong>un</strong> <strong>Medioevo</strong> oscurantista,<br />

cui continua a soggiacere il tema, <strong>che</strong> a lui pare fondamentale,<br />

del rapporto antitetico fra la scienza e la religione:<br />

Se nei secoli precedenti, l’ondata di misticismo aveva demolito<br />

l’interesse per la scienza, ora l’insistenza sui temi della salvezza e<br />

della fede predicati come fondamentali e prioritari rafforzava ed<br />

ampliava l’opera di chiusura culturale. E quando non si dimostrava<br />

avversione si esibiva indifferenza. 106<br />

Sulla fragilità documentaria di <strong>un</strong>’affermazione tanto lontana<br />

dalla realtà abbiamo già scritto qualcosa per quanto riguarda il<br />

rapporto con i classici; per quanto concerne lo spirito di invenzione,<br />

invece, dovremo soffermarci ancora oltre. 107 Già a questo<br />

p<strong>un</strong>to mi piace, però, richiamare <strong>un</strong> passo di Bertrand Russell,<br />

<strong>un</strong>o dei tanti del suo Misticismo e logica, <strong>che</strong> può contribuire a liberare<br />

dai gravami del <strong>pregiudizio</strong> questo tema, <strong>che</strong> i più affrontano<br />

in <strong>un</strong>a condizione di coinvolgimento preconcetto:<br />

An<strong>che</strong> la cauta e paziente ricerca della verità per mezzo della<br />

scienza, <strong>che</strong> sembra l’assoluta antitesi dell’incrollabile certezza<br />

106 CAPRARA G., op. cit., p. 42.<br />

107 Vd. infra paragrafo 2.3.


<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />

del mistico, può essere incoraggiata e nutrita da quell’autentico<br />

spirito di venerazione <strong>nel</strong> quale il misticismo vive e opera. 108<br />

P<strong>un</strong>to di vista dell’osservatore, da <strong>un</strong>a parte, e società, cultura,<br />

civiltà osservata, dall’altra: come stabilire <strong>un</strong> rapporto corretto<br />

con l’oggetto dello studio storiografico? Credo non vi sia<br />

indagine seria, non c’è scienza storica senza <strong>un</strong>a sospensione<br />

del giudizio, 109 cioè senza la messa tra parentesi dei propri s<strong>che</strong>mi<br />

culturali da parte del ricercatore. È umano, umanissimo provare<br />

sentimenti di ripulsa o assumere atteggiamenti irridenti di<br />

fronte a palesi manifestazioni di differenza culturale, ma essi<br />

vanno considerati per quello <strong>che</strong> sono: mere reazioni emotive,<br />

oltre <strong>che</strong> difensive. Nella migliore delle ipotesi, se vengono inserite<br />

in <strong>un</strong> quadro filosofico coerente, potrà trattarsi di riflessioni<br />

eti<strong>che</strong>, ma quando i piani filosofico-morale e storiografico<br />

vengono sovrapposti fino a confondersi, difficilmente il discorso<br />

eviterà <strong>un</strong>o slittamento su di <strong>un</strong> piano puramente moraleggiante<br />

e – con ciò – antiscientifico. 110<br />

108 RUSSELL B., Misticismo e logica, in ID., Misticismo e logica e altri saggi, Longanesi,<br />

Milano 1970 (1914), p. 12; cfr., da <strong>un</strong> p<strong>un</strong>to di vista antropologico-culturale,<br />

BASTIDE R., Un misticismo senza dei, in ID., Il sacro selvaggio, Jaca Book, Milano<br />

1979 (1931), p. 22. Sul rapporto fra mistica e spirito innovativo possono<br />

risultare interessanti an<strong>che</strong> le riflessioni riportate nei paragrafi 2.3. e 2.4.<br />

109 Si tratta, come è noto, dell’poc» = epoché; vd. ABBAGNANO N., s.v. Epoché,<br />

in ID., op. cit., pp. 309-310. Nella traduzione tedesca il lemma presenta sfumature<br />

quasi asceti<strong>che</strong>: Ausschalt<strong>un</strong>g signifi<strong>che</strong>rebbe, quindi, «esclusione»<br />

ed «eliminazione» (MACCHI V., s.v., in ID., Dizionario Sansoni. Tedesco-Italiano.<br />

Italiano-Tedesco, Sansoni, Firenze-Roma 1977) del proprio Io, delle proprie<br />

preoccupazioni di studioso (cfr. MARROU H.-I., op. cit., p. 78); la forma verbale<br />

ausschalten, inoltre, si adopera per indicare lo «spegnere» (ad es. di fonti<br />

di energia elettrica).<br />

110 WEBER M., La scienza come professione, in ID., Il lavoro intellettuale come professione,<br />

Einaudi, Torino 1966 (1919), pp. 18 e 26-27.<br />

59


60<br />

Franz Brandmayr<br />

2.2. Avalutatività, anacronismo, luoghi com<strong>un</strong>i ed etnocentrismo<br />

È quando lo studioso si colloca in <strong>un</strong>a disposizione mentale di<br />

“avalutatività” 111 , d<strong>un</strong>que, <strong>che</strong> trova attuazione pratica la metodologia<br />

baconiana della tabula rasa, della almeno provvisoria disattivazione<br />

degli idola tribus e degli idola fori. Gli storici e – nondimeno<br />

– gli antropologi non coltivano più alc<strong>un</strong> mito della<br />

pura oggettività, 112 tuttavia caldeggiare questo genere di autoanalisi<br />

e autocontrollo <strong>nel</strong>lo studioso, ma an<strong>che</strong> <strong>nel</strong> docente e<br />

<strong>nel</strong>lo studente stessi, può «evitare (a tutti costoro) il vicolo cieco<br />

[…] dell’anacronismo» 113 .<br />

Propriamente, l’anacronismo è <strong>un</strong> «errore in cui si cade attribuendo<br />

certi fatti ad <strong>un</strong>’epoca diversa da quella in cui sono avvenuti»<br />

114 . Si tratta, in buona sostanza, di <strong>un</strong> meccanismo proiettivo,<br />

115 <strong>che</strong> può agire almeno in due modi, positivo il primo e<br />

negativo il secondo. Nel primo caso il soggetto può assegnare<br />

positivamente a <strong>un</strong>’epoca o a <strong>un</strong> personaggio del passato dei<br />

sentimenti o degli atteggiamenti <strong>che</strong> sono, in realtà, estranei all’epoca<br />

o al personaggio in questione. Come esempio richiamo<br />

quello portato dalla Pernoud, <strong>che</strong> scrive di come certi studiosi<br />

abbiano ascritto ad Abelardo <strong>un</strong>a miscredenza e <strong>un</strong>o scetticismo,<br />

<strong>che</strong> non emergono assolutamente da <strong>un</strong>a attenta e completa<br />

disamina documentaria. In studi parziali e – spesso – ela-<br />

111 ID., Il metodo delle scienze storico-sociali, Einaudi, Torino, 1981 2 (1922), pp.<br />

309-375.<br />

112 MARROU H.-I., op. cit., p. 44.<br />

113 Ivi, p. 78 (parentesi rotonda mia).<br />

114 DEVOTO G.-OLI G.C., s.v. Anacronismo, in IID., Il dizionario della lingua italiana,<br />

Le Monnier, Firenze 1995.<br />

115 TOMAN W., s.v. Proiezione, in ARNOLD W.-EYSENCK H.J.-MEILI R. (a cura di),<br />

Dizionario di psicologia, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1986 3 (1980), pp.<br />

894-895.


<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />

borati sulla scorta di ricer<strong>che</strong> puramente compilative vengono<br />

fatte risaltare del teologo, invece, delle caratteristi<strong>che</strong> di pres<strong>un</strong>ta<br />

modernità <strong>che</strong> – perlomeno negli anni Settanta – erano date<br />

per acquisite pur in assenza di <strong>un</strong> adeguato approfondimento<br />

dei testi originali. 116<br />

La modalità negativa dell’anacronismo, invece, rivela <strong>un</strong>a tendenza<br />

del soggetto a proiettare a ritroso l<strong>un</strong>go l’asse del tempo<br />

la propria energia psichica 117 <strong>nel</strong> senso di <strong>un</strong>a colpevolizzazione<br />

dell’epoca o del personaggio considerati. Qui la negatività non<br />

va letta <strong>nel</strong> suo significato psicologico e morale (di acrimonia<br />

<strong>che</strong>, invece, può essere sottesa al lemma “colpevolizzazione”),<br />

bensì <strong>nel</strong> senso etimologico del mancato riscontro, ad opera del<br />

ricercatore, di <strong>un</strong>a sintonia di atteggiamenti e sentimenti fra il<br />

periodo storico esaminato e il ricercatore stesso. In definitiva,<br />

questi attiva <strong>un</strong> meccanismo di difesa 118 (perché di questo in<br />

definitiva si tratta) mediante il quale egli, lo studioso, tutela – in<br />

qual<strong>che</strong> modo – la propria concezione del mondo e la propria<br />

gerarchia dei valori, rilevando, talvolta lamentando o, addirittura,<br />

deprecando la loro assenza o il loro misconoscimento <strong>nel</strong>l’epoca,<br />

<strong>nel</strong> personaggio o <strong>nel</strong>la cultura specifica <strong>che</strong> è chiamato<br />

a indagare e conoscere. Gli esempi in questo ambito potrebbero<br />

essere numerosi: valga per tutti il richiamo alla mentalità guerriera<br />

119 dell’uomo medievale, <strong>che</strong> indigna, forse giustamente, il<br />

pacifista europeo contemporaneo. Si potrebbe, forse, dare per<br />

scontata la capacità dello storico di professione – abituato a lavorare<br />

sui documenti – di evitare quell’anacronismo, per cui si<br />

proiettano sul <strong>Medioevo</strong> le sensibilità e le esperienze dei movi-<br />

116 PERNOUD R., op. cit., pp. 149-150.<br />

117 MULLER P., s.v. Psichica/energia, in ARNOLD W.-EYSENCK H.J.-MEILI R. (a<br />

cura di), op. cit., p. 902.<br />

118 Cfr. TOMAN W., v. cit., p. 894.<br />

119 LE GOFF J., Il <strong>Medioevo</strong>, cit., pp. 36 e 100-107.<br />

61


62<br />

Franz Brandmayr<br />

menti pacifisti del secolo XX. 120 È possibile, però, <strong>che</strong> qual<strong>che</strong><br />

insegnante e, più ancora, gli studenti risultino particolarmente<br />

esposti a questa ingenuità metodologica.<br />

Va detto <strong>che</strong> il meccanismo proiettivo di difesa sussiste an<strong>che</strong><br />

<strong>nel</strong> primo tipo di anacronismo, quando – cioè – il soggetto<br />

si addentra a esplorare <strong>un</strong>’epoca, <strong>un</strong> personaggio, <strong>un</strong>a cultura<br />

<strong>che</strong> portano valori dissonanti rispetto ai propri s<strong>che</strong>mi culturali<br />

e tende a plasmare a propria immagine e somiglianza l’oggetto<br />

della propria ricerca per renderlo meno <strong>un</strong>heimlich 121 e, in qual<strong>che</strong><br />

modo, più domestico e utilizzabile. 122 Una dinamica di questo<br />

genere si ripropone an<strong>che</strong> quando, con rialzismo cronologico<br />

123 patente, si cercano antenati illustri, <strong>che</strong> solitamente conferiscono<br />

prestigio e avvalorano la posizione culturale propria di<br />

chi effettua l’indagine, come probabilmente è accaduto <strong>nel</strong> caso<br />

della vulgata costruita intorno ad Abelardo e den<strong>un</strong>ciata dalla<br />

Pernoud. È verosimile, inoltre, <strong>che</strong> <strong>un</strong> simile atteggiamento di<br />

riplasmazione della storia a immagine e somiglianza della memoria<br />

storica del proprio gruppo di appartenenza possa produrre<br />

più facilmente esiti configurabili come œpoj (= epos) collettivo<br />

piuttosto <strong>che</strong> come vera e propria storiografia. 124<br />

120 Per <strong>un</strong>’introduzione al tema vd. GIACOMINI M.R., Antimilitarismo e pacifismo<br />

<strong>nel</strong> primo Novecento. Ezio Bartalini e “La Pace”. 1903-1915, Franco Angeli, Milano<br />

1990, passim con le relative indicazioni bibliografi<strong>che</strong>.<br />

121 Tengo presente il concetto di Unheimlichkeit = «spaesamento» (HEIDEGGER<br />

M., Essere e tempo, Longanesi & C., Milano 1976 (1927), p. 548), cui ricollego<br />

l’aggettivo <strong>un</strong>heimlich, <strong>che</strong> significa: «sospetto», «poco rassicurante» (s.v. in<br />

MACCHI V., op. cit.).<br />

122 TULLIO-ALTAN C., Soggetto simbolo valore. Per <strong>un</strong>’ermeneutica antropologica,<br />

Feltri<strong>nel</strong>li, Milano 1992, pp. 26-32.<br />

123 CIRESE A.M., Cultura, cit., pp. 110-114.<br />

124 Lo spazio non consente di trattare l’importante argomento [per <strong>un</strong> primo<br />

approccio vd. ad es. PIVATO S., op. cit., p. 47-49; RICOEUR P., La memoria, la<br />

storia, l’oblio, Cortina, Milano 2003 (2000), passim; TRAVERSO E., Il passato: istru-


<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />

Il concetto di avalutatività, <strong>che</strong> vado richiamando in queste<br />

pagine, viene spesso confuso con <strong>un</strong>’improbabile asetticità (talvolta<br />

scambiata a sua volta con l’oggettività) di tipo veteropositivistico;<br />

essa affonda le proprie radici culturali – come è<br />

noto – <strong>nel</strong>l’approccio sperimentale proprio delle scienze della<br />

natura. 125 L’entusiasmo ottocentesco per l’enorme sviluppo<br />

metodologico di questo ambito della conoscenza umana e la<br />

grande mole di risultati ottenuti sul piano strettamente cognitivo<br />

hanno finito per influenzare profondamente an<strong>che</strong> le scienze<br />

umane, facendo ritenere <strong>che</strong> lo storico, 126 il sociologo e<br />

l’antropologo 127 potessero osservare i fenomeni umani alla stregua<br />

dello scienziato <strong>nel</strong> suo laboratorio, impegnato con le proprie<br />

sperimentazioni in campo fisico o chimico. Tramontato del<br />

tutto – suppongo – fra gli storici questo tipo di sensibilità, esso<br />

non è per niente scomparso dal discorso com<strong>un</strong>e, 128 quell’immenso<br />

terreno di gioco verbale <strong>nel</strong> quale tutti noi, studenti e<br />

insegnanti (e – nonostante tutto – an<strong>che</strong> gli storici), siamo immersi.<br />

È ancora Max Weber, però, a ricordarci <strong>che</strong> l’atteggiamento<br />

avalutativo non comporta affatto il rinnegamento delle<br />

appartenenze né delle personalissime concezioni del mondo del<br />

singolo ricercatore, dell’insegnante e dello studente; 129 il<br />

sociologo tedesco invita – semplicemente – a non confondere i<br />

zioni per l’uso. Storia, memoria, politica, Ombre Corte, Verona 2006, passim], decisivo<br />

an<strong>che</strong> per individuare le «strategie del discredito» [<strong>che</strong> sono: la «costruzione<br />

del nemico», la «disconferma» e l’«insinuazione» (GILI G., op. cit.,<br />

pp. 98-102)] dell’Età medievale e gli eventuali imprenditori delle stesse.<br />

125 GRANGER G.-G., La scienza e le scienze, Il Mulino, Bologna 1996, pp. 77-92.<br />

126 MARROU H.-I., op. cit., pp. 44 e 74.<br />

127 TULLIO-ALTAN C., Antropologia, cit., pp. 38-49.<br />

128 GEERTZ C., Antropologia interpretativa, Il Mulino, Bologna 1988 (1983), pp.<br />

91-117.<br />

129 WEBER M., Il metodo, cit., p. 68.<br />

63


64<br />

Franz Brandmayr<br />

due piani: quello valutativo-etico personale e quello espositivo e<br />

analitico della materia considerata. Per di più – come si sa – lo<br />

studioso manifesta la propria onestà intellettuale <strong>nel</strong>la misura in<br />

cui esplicita i presupposti metodologici e, al limite, ideologici<br />

dai quali prende le mosse la propria ricerca, offrendo – in questo<br />

modo – al destinatario del proprio lavoro gli strumenti atti a<br />

confutare, eventualmente, la tesi della quale lo studioso stesso si<br />

facesse portatore. 130<br />

Forse legata a questo atteggiamento positivistico di distanza<br />

e di osservazione dall’esterno, va menzionata an<strong>che</strong> <strong>un</strong>a specie<br />

di ipercriticismo, <strong>che</strong> si presumeva dovesse sostanziare, in <strong>un</strong><br />

certo immaginario collettivo non estraneo nean<strong>che</strong> agli storici,<br />

la ricerca storiografica di qualità:<br />

Storico […] era soprattutto il critico […] capace di scorgere<br />

l’interpolazione, smas<strong>che</strong>rare il falsario, respingere <strong>un</strong>’attribuzione<br />

usurpata. Di qui […], a l<strong>un</strong>go andare, l’accentuazione di<br />

<strong>un</strong> atteggiamento odioso, <strong>che</strong> consisteva <strong>nel</strong> sottolineare ironicamente<br />

le altrui miserie e debolezze, <strong>un</strong>a disposizione all’arroganza<br />

e al disprezzo; in definitiva, <strong>un</strong>a sorta di incapacità a<br />

com<strong>un</strong>icare a riconoscere e ad accogliere – laddove esistessero<br />

– gli autentici valori umani. 131<br />

Si tratta d<strong>un</strong>que di <strong>un</strong> atteggiamento complessivo, <strong>che</strong> può inficiare<br />

<strong>un</strong> approccio storiografico o <strong>un</strong>a esposizione storica corretti e <strong>che</strong><br />

tende ad assommare le componenti valutative, stigmatizzanti e<br />

anacronisti<strong>che</strong>, <strong>che</strong> ho cercato di evidenziare sopra.<br />

Altre volte ancora chi scrive di <strong>Medioevo</strong> può fare ricorso a<br />

vari artifici retorici, talora piuttosto manifesti. Riporto qui brevemente<br />

<strong>un</strong> passaggio di <strong>un</strong> noto e peraltro validissimo manua-<br />

130 POPPER K., Congetture e confutazioni. Lo sviluppo della conoscenza scientifica, Fabbri,<br />

Milano 1998 2 (1962), vol. I, pp. 66-67 et circa.<br />

131 MARROU H.-I., op. cit., p. 88.


<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />

le scolastico della fine degli anni Ottanta e cerco di confrontarlo<br />

con <strong>un</strong>’opera più recente, <strong>che</strong> ci permette di ipotizzare <strong>un</strong>a<br />

possibile evoluzione <strong>nel</strong>la tematizzazione della didattica<br />

medievalistica. Gli Autori, citando <strong>un</strong> passo di Le Goff dal registro<br />

quasi confidenziale, invitano a diffidare di <strong>un</strong>a visione troppo<br />

rosea del rivalutato <strong>Medioevo</strong>:<br />

Se mi si permetterà di dare <strong>un</strong> consiglio assai grossolano, dirò al<br />

lettore <strong>che</strong>, di fronte a queste tentazioni di evasione verso <strong>un</strong><br />

<strong>Medioevo</strong> trasfigurato, chieda onestamente a se stesso se gli piacerebbe,<br />

per virtù del mago Merlino […] essere trasportato in<br />

quel tempo e viverci. 132<br />

Questa soluzione scelta dai nostri per equilibrare i pres<strong>un</strong>ti<br />

eccessi di <strong>un</strong> certo revisionismo storico, oltre a prestare il fianco<br />

a <strong>un</strong>a facile ironia (gli Autori del testo avrebbero ambito «onestamente»<br />

– forse – di «evadere» in qual<strong>che</strong> paradiso di <strong>un</strong>a «trasfigurata»<br />

classicità, modernità o postmodernità? …), non riesce<br />

a nascondere le proprie connotazioni valutativa e retorica.<br />

Valutativa, in quanto gli Autori ritengono sia «importante non<br />

cadere <strong>nel</strong>l’eccesso opposto» alla tabuizzazione del <strong>Medioevo</strong>,<br />

in quanto esso configurerebbe <strong>un</strong>a «tentazione ancora più grave<br />

della precedente». L’asserto non risulta argomentato in alc<strong>un</strong><br />

modo, ma viene da chiedersi se si possa lasciare a <strong>un</strong>o stadio<br />

tanto “grezzo” la trattazione della Parola chiave <strong>Medioevo</strong>, quella<br />

<strong>che</strong> – in fondo – dà, o dovrebbe dare, il “la” all’intero volume<br />

primo dell’opera. Viene pertanto spontaneo porre <strong>un</strong>a serie di<br />

quesiti a Giardina, Sabbatucci e Vidotto, come ad esempio: perché<br />

proporre <strong>un</strong>’immagine «ottimistica» del <strong>Medioevo</strong> sarebbe<br />

<strong>un</strong> errore più grave rispetto alla divulgazione della precedente<br />

132 LE GOFF J., cit. in GIARDINA A.-SABBATUCCI G.-VIDOTTO V., Uomini e storia,<br />

1, Dal <strong>Medioevo</strong> all’età moderna, Laterza, Roma-Bari 1990 2 (s.d. orig.), pp. 6-7<br />

(citato senza indicazione della fonte).<br />

65


66<br />

Franz Brandmayr<br />

immagine pessimistica dello stesso? Perché non potrebbe essere<br />

semplicemente <strong>un</strong> errore storico, esattamente come lo è la versione<br />

peggiorativa del periodo in questione? Esiste per caso <strong>un</strong>a<br />

classifica degli errori storici (<strong>un</strong>a “serie A” e <strong>un</strong>a “serie B”, per<br />

intenderci)? Inoltre: a chi era allora f<strong>un</strong>zionale <strong>un</strong>’immagine negativa<br />

del <strong>Medioevo</strong>? È sicuro <strong>che</strong> servisse solo agli interessi<br />

degli «umanisti italiani»? Come mai fra i medievisti si chiamano in<br />

causa an<strong>che</strong> molti pensatori illuministi, 133 <strong>che</strong> invece gli Autori<br />

del nostro manuale non menzionano nemmeno? È certo, inoltre,<br />

<strong>che</strong> non persista ancora adesso <strong>un</strong> «uso o <strong>un</strong> abuso della storia» 134<br />

medievale simile – in qual<strong>che</strong> modo – a quello realizzato dagli<br />

umanisti e da <strong>un</strong>a parte delle correnti illuministi<strong>che</strong>? In considerazione<br />

del fatto <strong>che</strong> è «opinione com<strong>un</strong>e» <strong>che</strong> il <strong>Medioevo</strong> sia<br />

«sinonimo di età buia e barbara, di epoca segnata da <strong>un</strong> grave<br />

regresso economico e culturale» 135 , come mai non viene<br />

configurata alc<strong>un</strong>a ipotesi né – tantomeno – viene esposta alc<strong>un</strong>a<br />

tesi 136 in merito alla rivalutazione del periodo in questione? Ecco<br />

tutta l’argomentazione proposta dal manuale in questione:<br />

Contro questa valutazione negativa ha reagito <strong>un</strong>a parte degli<br />

storici moderni, <strong>che</strong> ha cercato di rivalutare, soprattutto sotto il<br />

profilo culturale, la vitalità dell’epoca medievale. Questa reazione<br />

ha fatto compiere notevoli progressi alla nostra conoscenza<br />

del periodo. 137<br />

Il fatto <strong>che</strong> la “finestra” dedicata dal suddetto manuale alla<br />

Parola chiave <strong>Medioevo</strong> non riporti alc<strong>un</strong>a suggestione <strong>che</strong> possa<br />

133 Cfr. infra nt. 294.<br />

134 Cfr. PIVATO S., op. cit., passim.<br />

135 GIARDINA A.-SABBATUCCI G.-VIDOTTO V., op. cit., p. 6.<br />

136 In merito vd. infra al paragrafo 2.4.<br />

137 GIARDINA A.-SABBATUCCI G.-VIDOTTO V., op. cit., p. 6.


<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />

aiutare lo studente a riflettere an<strong>che</strong> <strong>nel</strong>le direzioni sopra indicate,<br />

ma <strong>che</strong> denoti – al di là del generico riconoscimento di<br />

<strong>un</strong>a certa validità cognitiva alla reazione di «<strong>un</strong>a parte degli<br />

storici» 138 – <strong>un</strong>a malcelata e più evidente preoccupazione di<br />

inibire <strong>un</strong>’improbabile concezione ottimistica del <strong>Medioevo</strong>,<br />

l<strong>un</strong>gi dallo scandalizzare, consente di scorgere con maggiore<br />

chiarezza <strong>un</strong> certo tipo di approccio manualistico, <strong>che</strong> sembra<br />

orientato a preservare l’«opinione com<strong>un</strong>e» 139 intorno alla civiltà<br />

medievale.<br />

La posizione valutativa dei nostri Autori pare confermata<br />

an<strong>che</strong> dall’espediente retorico da loro adoperato; essi fondano,<br />

infatti, il proprio giudizio riass<strong>un</strong>tivo circa il <strong>Medioevo</strong> per il tramite<br />

dell’ironia di Jacques Le Goff, senz’altro «<strong>un</strong> grande medievista<br />

contemporaneo» 140 , ma an<strong>che</strong> – e questo non viene invece<br />

da loro riportato 141 – <strong>un</strong> grande estimatore del <strong>Medioevo</strong>. 142 Osserviamo<br />

– in questo caso – il riferimento a <strong>un</strong>a auctoritas indiscussa,<br />

all’ipse dixit dello storico affermato. Di per sé in certi frangenti<br />

ciò è inevitabile: è naturale (lo sto attuando con <strong>un</strong>a certa<br />

frequenza anch’io <strong>nel</strong>la presente trattazione) fare <strong>un</strong> consapevole<br />

e abbondante utilizzo di autori <strong>che</strong> godono di <strong>un</strong> prestigio scientifico<br />

<strong>un</strong>iversalmente riconosciuto; è essenziale – tuttavia – non<br />

farne <strong>un</strong> esercizio meramente retorico e cercare di esporre le loro<br />

descrizioni e argomentazioni in chiave dialettica, 143 fornendo an-<br />

138 Lo stesso Le Goff sembra invece intendere <strong>che</strong> la totalità degli storici<br />

abbia rivalorizzato l’epoca medievale (LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario,<br />

cit., p. XVIII; cfr. supra an<strong>che</strong> nt. 12).<br />

139 GIARDINA A.-SABBATUCCI G.-VIDOTTO V., op. cit., p. 6.<br />

140 Ibidem.<br />

141 Cfr. infra <strong>nel</strong> paragrafo 2.3. le indicazioni circa la selettività.<br />

142 Cfr. ad es. infra nt. 354 e – più in generale – il volume di LE GOFF J.,<br />

<strong>Medioevo</strong>, cit., passim; cfr. an<strong>che</strong> infra nt. 156.<br />

143 Cfr. ad es. PIVATO S., op. cit., pp. 87-88.<br />

67


68<br />

Franz Brandmayr<br />

<strong>che</strong> indicazioni contrarie 144 e cercando di fornire al lettore gli strumenti<br />

atti a cogliere i p<strong>un</strong>ti deboli della propria trattazione. 145<br />

Al contrario, Giardina, Sabbatucci e Vidotto sembrano seguire<br />

<strong>un</strong>a via più facile e ad effetto: a <strong>un</strong>a auctoritas 146 – come<br />

abbiamo visto – viene delegato il compito di liquidare il tema in<br />

oggetto con <strong>un</strong>a battuta ironica; questa è – per sua stessa natura<br />

– agonistica 147 e mirata non a porre le premesse per <strong>un</strong>a<br />

tematizzazione adeguata (per esempio mediante la definizione<br />

più precisa delle diverse posizioni esistenti fra gli storici), bensì<br />

tesa a sottrarre all’avversario la possibilità di argomentare proprio<br />

per l’“evidente” plausibilità 148 del contenuto proposto. In<br />

questo modo viene strumentalizzato il prestigio sociale di <strong>un</strong><br />

luminare, attingendo a <strong>un</strong>a sua produzione, di cui non si danno<br />

gli estremi, 149 selezionata fra le numerosissime testimonianze di<br />

ammirazione per l’Età medievale formulate dallo stesso storico,<br />

<strong>nel</strong>la quale questi pron<strong>un</strong>cia apoditticamente <strong>un</strong>a frase <strong>che</strong> si<br />

propone come <strong>un</strong> entimema. 150 In questo «sillogismo ellittico» è<br />

144 GUITTON J., Arte nuova di pensare, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1986 11<br />

(s. d. orig.), pp. 109-110 e 114-117.<br />

145 Vd. supra nt. 130.<br />

146 Cfr. l’«argomento d’autorità» in MORTARA GARAVELLI B., Manuale di retorica,<br />

Bompiani, Milano 1997 (1988), p. 77.<br />

147 Il passaggio al registro confidenziale da parte di Le Goff rinvia alla co-<br />

m<strong>un</strong>icazione orale, <strong>nel</strong>la quale è sovente implicito <strong>un</strong> «tono agonistico» [ONG<br />

G.W., Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola, Il Mulino, Bologna 1986 (1982),<br />

pp. 73-75], <strong>che</strong> pare confermato dal fatto <strong>che</strong> «dal p<strong>un</strong>to di vista della retorica<br />

l’ironia acquista la f<strong>un</strong>zione di arma oratoria» (INFANTINO M.G., L’ironia.<br />

L’arte di com<strong>un</strong>icare con astuzia, Xenia, Milano 2000, p. 8).<br />

148 Mi rifaccio al concetto di «struttura di plausibilità» di BERGER P.L.-LUCKMANN<br />

TH., La realtà come costruzione sociale, Il Mulino, Bologna 1969 (1966), cap. 3.<br />

149 Vd. supra nt. 132; è certo <strong>che</strong> individuare la fonte consenta al lettore <strong>un</strong>a<br />

sua più agevole messa in discussione critica.<br />

150 MORTARA GARAVELLI B., op. cit., pp. 77-78.


<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />

dato cioè per presupposto dal senso com<strong>un</strong>e (orizzonte <strong>nel</strong> quale<br />

pare scontato <strong>che</strong> non vi sia alc<strong>un</strong>o <strong>che</strong> «onestamente» asserirebbe<br />

di ambire a vivere <strong>nel</strong> <strong>Medioevo</strong>), ciò <strong>che</strong> andrebbe invece appena<br />

argomentato 151 con gli strumenti metodologici storiografici e<br />

non con <strong>un</strong>a battuta ad effetto. La tautologia sottesa a questa<br />

pseudo-argomentazione è tipica, come abbiamo già evidenziato,<br />

delle retori<strong>che</strong> del senso com<strong>un</strong>e, 152 <strong>che</strong> solitamente attingono<br />

alla ricca messe dei topoi, dei «luoghi com<strong>un</strong>i della quantità» 153 ,<br />

cioè approvati dalla massa. Di questo tipo di paralogismo si può<br />

dire, ancora, <strong>che</strong> – scritto al più tardi <strong>nel</strong> 1990 – esso pare ricordare,<br />

per la sua levità, <strong>un</strong> certo modo «giornalistico» di affrontare gli<br />

argomenti 154 e – in particolare – la storia. 155<br />

Può risultare di qual<strong>che</strong> interesse rilevare <strong>che</strong>, invece, <strong>nel</strong>l’impostare<br />

il quadro storico-letterario medievale, <strong>un</strong> recentissimo<br />

manuale di letteratura italiana supera senza alc<strong>un</strong>a reticenza<br />

il vecchio <strong>pregiudizio</strong> e, sempre per il tramite di Le Goff, pone<br />

in particolare luce il novum, <strong>che</strong> sembra emergere soprattutto a<br />

partire dall’anno Mille. 156<br />

Ai nostri fini – com<strong>un</strong>que – ciò non sposta i termini complessivi<br />

del discorso: il senso com<strong>un</strong>e 157 pare continuare a essere<br />

151 Ciò vale in quanto l’entimema consiste in <strong>un</strong> sillogismo <strong>che</strong> non è fondato<br />

su <strong>un</strong>a premessa necessaria (cfr. ABBAGNANO N., s.v. Entimema, in ID., op. cit.,<br />

p. 305).<br />

152 Vd. infra nt. 165.<br />

153 MORTARA GARAVELLI B., op. cit., pp. 78-80.<br />

154 SORRENTINO C., Tutto fa notizia. Leggere il giornale, capire il giornalismo, Carocci,<br />

Roma 2010, p. 134.<br />

155 Cfr. ad es. PIVATO S., op. cit., pp. 87-88.<br />

156 LUPERINI R.-CATALDI P.-MARCHIANI L.-MARCHESE F., Il Nuovo la scrittura e<br />

l’interpretazione. Storia della letteratura italiana <strong>nel</strong> quadro della civiltà europea secondo<br />

i nuovi programmi, 1, Dalle origini al <strong>Medioevo</strong> (dalle origini al 1380), Palumbo,<br />

Palermo 2011, p. 4.<br />

157 Cfr. an<strong>che</strong> ibidem.<br />

69


70<br />

Franz Brandmayr<br />

informato dal consueto <strong>pregiudizio</strong>, al quale – a livello di<br />

manualistica – vengono portate appena in questi anni le prime<br />

criti<strong>che</strong> serie e argomentate.<br />

A questo p<strong>un</strong>to, va messo ancora in evidenza <strong>un</strong> altro aspetto<br />

della questione del <strong>pregiudizio</strong> antimedievale; finora ho creduto<br />

opport<strong>un</strong>o rimarcare soprattutto gli aspetti individuali e<br />

psicologici del rapporto <strong>che</strong> lo storico, il docente e lo studente<br />

potrebbero intessere con la materia medievalistica in cui si dovessero<br />

imbattere; va tuttavia ribadita an<strong>che</strong> la componente sociale<br />

dei loro eventuali comportamenti valutativi, stigmatizzanti<br />

e anacronistici. Questi comportamenti, <strong>che</strong> scaturiscono da sentimenti<br />

e valutazioni personali, 158 si inseriscono – infatti – in <strong>un</strong><br />

contesto collettivo e condiviso, da questa cornice olistica ricevono<br />

<strong>un</strong> rinforzo ed essi stessi, a loro volta, la corroborano,<br />

instaurando con essa <strong>un</strong>a prassi reciproca. 159<br />

Ciò accade, va detto, nonostante il soggetto, si tratti di <strong>un</strong>o<br />

storico, di <strong>un</strong> docente o di <strong>un</strong>o studente, non sia sempre avvertito<br />

delle dinami<strong>che</strong> psico-sociali, discorsive e interetni<strong>che</strong>, <strong>che</strong><br />

rendono attivi i suoi criteri valutativi e di quanto il proprio ethos<br />

sia condizionato dall’ambiente sociale. 160<br />

In realtà non esiste solo <strong>un</strong> etnocentrismo legato ai grandi<br />

insiemi sociali, alle grandi civiltà e alle entità nazionali; questo<br />

concetto, se preso <strong>nel</strong> suo significato tecnico di erezione degli<br />

s<strong>che</strong>mi culturali di <strong>un</strong>a «collettività» a criterio assoluto di valuta-<br />

158 Sentimenti, valutazioni e comportamenti degli informatori costituiscono,<br />

in buona sintesi, l’oggetto della ricerca etnoantropologica [BIANCO C.,<br />

op. cit., pp. 162-163; cfr. TURNER V., Dal rito al teatro, Il Mulino, Bologna<br />

1986 (1982), p. 120].<br />

159 Mi rifaccio al concetto marxiano di umwälzende Praxis (condizionamento<br />

vicendevole).<br />

160 Per <strong>un</strong>’introduzione a queste dinami<strong>che</strong> vd. DUBAR C., La socializzazione.<br />

Come si costruisce l’identità sociale, Il Mulino, Bologna 2004 (2000), passim.


<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />

zione: a) della realtà; b) degli altri gruppi, 161 può esprimere l’identificazione<br />

del soggetto con gli s<strong>che</strong>mi culturali di <strong>un</strong>a<br />

subcultura, 162 di <strong>un</strong>a classe sociale, 163 di <strong>un</strong> gruppo religioso, di<br />

<strong>un</strong> partito politico e via discorrendo. 164<br />

Secondo gli antropologi esiste <strong>un</strong>a versione «spontanea» 165<br />

dell’etnocentrismo. Senza <strong>un</strong>a certa dose di etnocentrismo l’individuo<br />

non avrebbe p<strong>un</strong>ti di riferimento, non disporrebbe di<br />

<strong>un</strong>a “mappa” interpretativa della realtà <strong>che</strong> lo circonda e si troverebbe<br />

esposto al disorientamento culturale e, forse, a<br />

<strong>un</strong>’“anomia” 166 psicologicamente destrutturante e pericolosa per<br />

l’equilibrio personale.<br />

La collettività in cui il soggetto è inserito, d<strong>un</strong>que, codifica e<br />

veicola i contenuti e le articolazioni dei propri s<strong>che</strong>mi attraverso<br />

<strong>un</strong>a serie di linguaggi verbali, gestuali e simbolici, <strong>che</strong> solo in<br />

parte possono venire condivisi an<strong>che</strong> da altre collettività. All’interno<br />

del gruppo ogni individuo coordina i propri comportamenti<br />

con quelli degli altri membri, in <strong>un</strong>a tensione alla reciproca<br />

conferma della validità dei com<strong>un</strong>i s<strong>che</strong>mi di valutazione,<br />

emozionali ed etici. È a questo p<strong>un</strong>to <strong>che</strong> si può parlare di <strong>un</strong><br />

“senso com<strong>un</strong>e”:<br />

161 BERNARDI B., op. cit., p. 44.<br />

162 CUCHE D., La nozione di cultura <strong>nel</strong>le scienze sociali, Il Mulino, Bologna 2003<br />

(1996), p. 58.<br />

163 Si veda il concetto di classicentrismo in LOMBARDI SATRIANI L.M., Antropologia<br />

culturale ed analisi della cultura subalterna, Guaraldi, Firenze 1976, p. 104.<br />

164 Per la nozione di esclusivismo culturale, <strong>un</strong>a specie di etnocentrismo <strong>che</strong><br />

non concerne necessariamente <strong>un</strong> gruppo etnico, cfr. CIRESE A.M., Cultura,<br />

cit., p. 7.<br />

165 TULLIO-ALTAN C., Antropologia, cit., p. 70.<br />

166 Si tratta, in buona sostanza, del disagio <strong>che</strong> può pervadere singoli o gruppi<br />

a causa della «inadeguatezza delle norme» della convivenza sociale durante le<br />

fasi di mutamento [MILANESI G., s.v. Anomia, in DEMARCHI F.-ELLENA A.-<br />

CATTARINUSSI B. (a cura di), op. cit., p. 140].<br />

71


72<br />

Franz Brandmayr<br />

Il senso com<strong>un</strong>e non è ciò <strong>che</strong> la mente comprende spontaneamente,<br />

(<strong>un</strong>a volta) liberata dal ciarpame; è quello <strong>che</strong> la mente<br />

riempita di presupposti [(socio-culturali) …] conclude […] Come<br />

struttura del pensiero e suo esemplare il senso com<strong>un</strong>e è totalizzante<br />

come ogni altro: ness<strong>un</strong>a religione è più dogmatica, ness<strong>un</strong>a<br />

scienza più ambiziosa, ness<strong>un</strong>a filosofia più generale [… (esso)]<br />

pretende di raggi<strong>un</strong>gere la realtà oltre l’illusione, le cose come<br />

sono [… (ciò <strong>che</strong> è)] “realmente reale”. 167<br />

Il senso com<strong>un</strong>e si esprime e si nutre mediante il discorso<br />

com<strong>un</strong>e, tutto strutturato attorno agli s<strong>che</strong>mi <strong>che</strong> fondano e<br />

danno consistenza alla cultura del gruppo o di <strong>un</strong>a società. Esso<br />

si sviluppa dalla bottega alla piazza, passa attraverso l’aula scolastica,<br />

ma – come abbiamo già costatato – arriva nondimeno<br />

nei salotti <strong>che</strong> si presumono “buoni” 168 , informa gran parte dei<br />

media e, conseguentemente, viene rilanciato nuovamente ai<br />

fruitori degli stessi mezzi di com<strong>un</strong>icazione, in <strong>un</strong>o scambio<br />

quotidiano continuo. 169 Le sue «semiqualità» sarebbero, secondo<br />

Geertz, la «naturalezza», la «praticità», la «leggerezza», la<br />

«mancanza di metodo», <strong>un</strong>a facile «accessibilità» 170 per chi<strong>un</strong>que:<br />

in buona sostanza, in questa quasi-filosofia (o filosofia spicciola)<br />

i contenuti sembrerebbero presentare i caratteri di <strong>un</strong>’ovvietà<br />

priva di ogni senso di meraviglia 171 e di scoperta. All’interno<br />

di questo complesso di narrazioni il <strong>Medioevo</strong> potrebbe ri-<br />

167 GEERTZ C., Antropologia, cit., pp. 105-106; parentesi rotonde mie.<br />

168 Cfr. supra nt. 9.<br />

169 Vd. ad es. GOFFMAN E., La vita quotidiana come rappresentazione, Il Mulino,<br />

Bologna 1969 (1959), passim.<br />

170 GEERTZ C., Antropologia, cit., p. 107.<br />

171 Geertz (ivi, p. 104) mi induce a richiamare il di¦ g¦r tÕ qaum£zein oƒ<br />

¥nqropoi [...] ½rxanto filosofe‹n [gli uomini hanno incominciato a<br />

filosofare a causa della (capacità di provare) meraviglia (ARISTOTELE, Metafisica,<br />

2, 12-13); trad. di Giovanni Reale; parentesi rotonda mia].


<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />

sultare configurato (è quanto <strong>un</strong>’analisi antropologica dovrebbe<br />

accertare) alla stregua dei divertenti luoghi com<strong>un</strong>i tanto spiritosamente<br />

descritti da Régine Pernoud <strong>nel</strong>la raccolta di saggi<br />

<strong>che</strong> ho ripetutamente citato.<br />

L’etnocentrismo (quello cosiddetto spontaneo, perlomeno),<br />

d<strong>un</strong>que, è <strong>un</strong> atteggiamento insito <strong>nel</strong>la condizione umana, abbiamo<br />

detto e ciò, a scanso di idealismi fuorvianti, non va mai<br />

dimenticato. 172 Esistono, però, due reazioni tipi<strong>che</strong> a <strong>un</strong>a constatazione<br />

di questo genere: <strong>un</strong>a, la prima, configura <strong>un</strong>a sorta di<br />

nichilismo antiscientifico, 173 <strong>che</strong> porta a negare al ricercatore ogni<br />

competenza a proferire qualsivoglia contenuto sull’“Altro”, <strong>che</strong><br />

non sia <strong>un</strong>a mera proiezione del sé. La seconda reazione, simmetrica<br />

alla prima, parte dalla identica considerazione dell’impossibilità<br />

di evitare l’etnocentrismo, ma ne ricava <strong>un</strong>a conclusione<br />

opposta e propone <strong>un</strong>a “scienza” consapevolmente etnocentrica<br />

(<strong>un</strong>a sorta di ossimoro, direi) e tetragona ad accogliere contributi<br />

dagli out-groups, a meno <strong>che</strong> non siano consonanti 174 con la propria<br />

concezione della realtà. Questa seconda posizione risulta,<br />

probabilmente, presente sia al livello del discorso com<strong>un</strong>e 175 <strong>che</strong> a<br />

quello accademico 176 e si caratterizza per la confusione <strong>che</strong> tende<br />

a operare fra i concetti di storiografia e di memoria storica. 177 Si<br />

172 Cfr. ad es. MALIGHETTI R., s.v. Etnocentrismo critico, in FABIETTI U.-REMOTTI<br />

F. (a cura di), op. cit., p. 274.<br />

173 Cfr., ad es., GEERTZ C., L’io testimoniante. I figli di Malinowsky, in ID., Opere e<br />

vite L’antropologo come autore, Il Mulino, Bologna 1995 (1992), pp. 101-102. Vd.<br />

an<strong>che</strong> supra nt. 31.<br />

174 Cfr. TRENTIN R., Gli atteggiamenti sociali, in ARCURI L. (a cura di), op. cit., pp.<br />

274-281, soprattutto a p. 276.<br />

175 Vd. ad es. DAWSON CH., op. cit., p. 17.<br />

176 La Pernoud scriveva <strong>che</strong> «per la Sorbona, tra Plotino e Cartesio non c’è<br />

niente» (EAD., op. cit., pp. 49 e 153).<br />

177 Vd. supra nt. 124.<br />

73


74<br />

Franz Brandmayr<br />

tratta di <strong>un</strong> salto di qualità <strong>che</strong>, sempre a detta degli antropologi,<br />

può provocare il passaggio a <strong>un</strong>a versione «ideologica» dell’etnocentrismo;<br />

è quanto si verifi<strong>che</strong>rebbe allorché venisse teorizzata<br />

consapevolmente <strong>un</strong>a pres<strong>un</strong>ta superiorità della propria cultura<br />

di appartenenza rispetto alle culture “altre” 178 . A <strong>un</strong> etnocentrismo<br />

spontaneo si sostituirebbe, allora, <strong>un</strong>a costruzione sociale<br />

più dottrinaria, solitamente pianificata e promossa da agenzie e<br />

da gruppi di interesse, 179 <strong>che</strong> intendono porsi a capo o – com<strong>un</strong>que<br />

– concorrere all’elaborazione di <strong>un</strong> processo di autoaffermazione<br />

o addirittura di egemonizzazione 180 rispetto a culture o subculture<br />

altre percepite come antagonisti<strong>che</strong>. 181<br />

Esiste, però, <strong>un</strong>a terza via, quella dell’“etnocentrismo critico”<br />

prefigurato da Ernesto de Martino 182 e rielaborato da Vittorio<br />

Lanternari 183 . In po<strong>che</strong> parole, partendo dal dato inevitabile<br />

dell’etnocentrismo, si tratterebbe di operare delle concettualizzazioni<br />

<strong>che</strong> consentano, tanto allo storico quanto allo studente,<br />

di «defamiliarizzarsi» 184 rispetto ai propri paradigmi valutativi e<br />

di simpatizzare 185 con quelli altrui, dopo averli conosciuti attraverso<br />

lo spoglio documentario e i testi specialistici (lo storico o,<br />

178 TULLIO-ALTAN C., Antropologia, cit., p. 70.<br />

179 Cfr. COLOMBO E., Le società multiculturali, Carocci, Roma 2002, pp. 53-57;<br />

FABIETTI U., L’identità etnica. Storia e critica di <strong>un</strong> concetto equivoco, Carocci, Roma<br />

1998 2 (1995), pp. 33-34.<br />

180 AIME M., s.v. Egemonia, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di), op. cit., pp. 256-257.<br />

181 Cfr. il concetto di “acculturazione” in CUCHE D., op. cit., pp. 63-83.<br />

182 DE MARTINO E., La fine del mondo. Contributo all’analisi delle apocalissi culturali,<br />

Einaudi, Torino 1977, pp. 396-397.<br />

183 LANTERNARI V., Ernesto De Martino, etnologo meridionalista: vent’anni dopo, in<br />

“L’Uomo”, 1, 1977, pp. 29-56.<br />

184 Cfr. CLEMENTE P., Lontananze vicine: sui modi di pensare e insegnare l’antropologia<br />

<strong>nel</strong> mondo globale, in PASQUINELLI C., (a cura di), op. cit., p. 167.<br />

185 Vd. infra paragrafo 3.


<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />

eventualmente, il docente) o, più modestamente, attraverso i<br />

manuali (lo studente).<br />

2.3. Effetto alone, selettività, tautologia ed etnicità<br />

Per le cause già accennate sopra 186 il <strong>Medioevo</strong> costituisce <strong>un</strong><br />

complesso di contenuti didattici <strong>che</strong> si presta in modo particolare<br />

a subire l’azione dell’effetto alone, cioè la tendenza del soggetto<br />

inquirente a «lasciarsi guidare da <strong>un</strong>’impressione generale<br />

o da <strong>un</strong> tratto emergente» 187 invece <strong>che</strong> da <strong>un</strong>a totalità di fatti<br />

rilevati empiricamente e analizzati nei loro rapporti reciproci.<br />

Nei dialoghi didattici in aula – come ogni insegnante sa bene –<br />

è molto frequente emergano dagli studenti (solo da loro?) “sintesi”<br />

piuttosto stereotipate su temati<strong>che</strong> <strong>che</strong> abbisognerebbero<br />

di trattazioni ben più articolate, più ric<strong>che</strong> di sfumature e, soprattutto,<br />

con <strong>un</strong> riferimento più preciso alla documentazione<br />

relativa all’oggetto di studio. 188<br />

Quando si spiega, ad esempio, <strong>che</strong> le criti<strong>che</strong> più risolute all’azione<br />

dei trib<strong>un</strong>ali dell’Inquisizione durante la “crociata degli<br />

albigesi” 189 provengono dall’interno della Chiesa, gli studenti perplessi<br />

– almeno all’inizio – scoprono essere la Chiesa <strong>un</strong> organismo<br />

piuttosto complesso e multivoco, dove – <strong>nel</strong>la fattispecie –<br />

gli inquisitori domenicani incontravano <strong>un</strong>a forte opposizione da<br />

parte dei vescovi <strong>nel</strong>le diocesi dei quali si trovavano a operare, 190<br />

186 Cfr. supra paragrafo 1.<br />

187 MANDL H., s.v. Alone/effetto, in ARNOLD W.-EYSENCK H.J.-MEILI R. (a cura<br />

di), op. cit., p. 61.<br />

188 PERNOUD R., op. cit., pp. 144 e 173.<br />

189 Metto fra virgolette l’espressione, perché il termine “crociata” è moderno<br />

(ivi, p. 141, nt. 13).<br />

190 CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., pp. 36 e 40; DEDIEU J.-P., op. cit., pp. 14-<br />

16 et alibi.<br />

75


76<br />

Franz Brandmayr<br />

in cui Domenico di Guzmàn stesso «non era favorevole all’uso<br />

della forza» e <strong>nel</strong> quale «an<strong>che</strong> la popolazione cattolica (della<br />

Linguadoca) detestava l’istituzione inquisitoria, perché simboleggiava<br />

<strong>un</strong>’occupazione mal sopportata» 191 . All’interno della Chiesa,<br />

del resto, non si era mai inaridita nei secoli <strong>un</strong>a corrente di<br />

pensiero 192 , spesso perdente, ma mai priva di influenza, <strong>che</strong> caldeggiava<br />

linee d’azione missionaria non-violente direttamente<br />

improntate al vangelo, piuttosto <strong>che</strong> alla Realpolitik ritenuta f<strong>un</strong>zionale<br />

al governo della societas christiana.<br />

Francesco d’Assisi e Domenico, personaggi carismatici personalmente<br />

propensi alla predicazione pacifica, 193 la popolazione<br />

cattolica del Mezzogiorno francese insofferente nei confronti<br />

degli eserciti del re e dei grandi feudatari del Nord (a loro volta<br />

cattolici), veri vincitori politico-militari della crociata degli<br />

albigesi, 194 le gerarchie ecclesiasti<strong>che</strong> e civili locali sovente vicine<br />

ai borghesi catari 195 e ostili ai domenicani forestieri, le indicazioni<br />

– spesso mitigatrici nei toni 196 – provenienti dai papi di<br />

Roma… Si fa presto a dire: “Chiesa”. Dov’è la Chiesa qui? È la<br />

Chiesa gerarchica? Ma, in questo modo, il concetto risulta<br />

pregiudizialmente valutativo, come ora cer<strong>che</strong>rò di chiarire. È la<br />

191 Ivi, p. 18 (parentesi mia).<br />

192 Cfr. ad es. CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., p. 65; DEDIEU J.-P., op. cit., p.<br />

12. FLORI J., Le crociate, cit., pp. 13-16 preferisce, invece, mettere in evidenza<br />

il processo di «sacralizzazione della guerra» interno alla Chiesa, completatosi<br />

dopo l’anno Mille in seguito al processo di acculturazione verificatosi <strong>nel</strong><br />

pluri<strong>secolare</strong> contatto fra la Chiesa stessa e le popolazioni germani<strong>che</strong>.<br />

193 DEDIEU J.-P., op. cit., p. 12.<br />

194 CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., p. 32; DEDIEU J.-P., op. cit., p. 17. Al di là<br />

della crociata degli albigesi, sul rapporto potere politico/Inquisizione e<br />

sull’egemonizzazione di questa ad opera degli Stati, vd. CARDINI F.-MONTESANO<br />

M., op. cit., pp. 36, 49, 81-98 e 159; DEDIEU J.-P., op. cit., pp. 12-27.<br />

195 Ivi, p. 19 et alibi.<br />

196 Cfr. CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., p. 32; DEDIEU J.-P., op. cit., p. 18.


<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />

“Chiesa spirituale” 197 dei santi succitati? Oppure dobbiamo espellerne<br />

Domenico, come fa qualc<strong>un</strong>o, per le nefandezze ascritte<br />

al suo ordine? Eppure non è infrequente il caso dei domenicani<br />

<strong>che</strong>, proprio perché giudicano in favore del pres<strong>un</strong>to eretico, si<br />

inimicano l’autorità civile e la popolazione locale propense all’esecuzione.<br />

198 Ciò sembra confermare ulteriormente l’opport<strong>un</strong>ità<br />

<strong>che</strong> l’evento storico della cosiddetta “crociata” venga letto<br />

con <strong>un</strong>a serie più articolata di chiavi di lettura. Infatti, non<br />

sempre vengono considerate, accanto alle istanze omologatrici 199<br />

della Chiesa, <strong>che</strong> certo sussistono, an<strong>che</strong> le dinami<strong>che</strong> locali (conflitti<br />

di potere, la concorrenza economica interna a <strong>un</strong>a classe<br />

mercantile in espansione, risentimenti personali, vendette politi<strong>che</strong><br />

200 ecc.), oltre alle mire espansionisti<strong>che</strong> del re di Francia e<br />

dei suoi feudatari settentrionali.<br />

Ma, se identifichiamo la Chiesa con le sue élites dove collochiamo,<br />

in questo caso, la Chiesa della religione popolare, tanto<br />

rivalutata dalla più matura storiografia degli ultimi decenni 201 e<br />

<strong>che</strong> coinvolge la gran parte delle popolazioni europee di allora?<br />

Che cosa intendono gli autori dei manuali designando l’istituzione<br />

ecclesiale? E il docente? E <strong>che</strong> cosa coglie, in tutto ciò, lo<br />

studente? Si tratta, direi, di <strong>un</strong>o dei numerosi casi in cui <strong>un</strong>’eti<strong>che</strong>tta<br />

categoriale, il vocabolo “Chiesa”, <strong>che</strong> viene ingiustificatamente<br />

a designare le generi<strong>che</strong> “gerarchie” (quali poi? quelle<br />

del clero regolare o di quello <strong>secolare</strong>? tutte e due?), si estende a<br />

197 Mi riferisco al noto concetto della tradizione gioachimita (cfr. POTESTÀ<br />

G.L., s.v. Gioacchino da Fiore, in AA.VV., Enciclopedia Garzanti, cit., p. 357).<br />

198 CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., p. 54.<br />

199 Ivi, p. 160.<br />

200 Ivi, p. 35.<br />

201 Per <strong>un</strong>a bibliografia introduttiva vd., ad es., GUREVIČ A.J., op. cit., passim;<br />

MANSELLI R., op. cit., passim e SCHMITT J.C., Religione folklore e società <strong>nel</strong>l’Occidente<br />

medievale, Laterza, Bari 1988 (anno), passim.<br />

77


78<br />

Franz Brandmayr<br />

coprire semanticamente <strong>un</strong>’ampia serie di altri sottoinsiemi (dei<br />

quali ho elencato <strong>un</strong>a parte) compresi <strong>nel</strong>la societas ecclesiale.<br />

Non si tratta, tuttavia, di <strong>un</strong>’estensione semantica dalle conseguenze<br />

meramente teori<strong>che</strong> e oziose: se ne può ricavare <strong>un</strong>a<br />

generica impressione di monolitismo ecclesiale <strong>che</strong>, storicamente,<br />

non si è assolutamente dato. L’effetto alone, in questo<br />

modo, pare assicurato: i «tratti (<strong>che</strong> si vorrebbero) emergenti»<br />

del potere e della violenza assorbono in <strong>un</strong> <strong>un</strong>ico lemma omologante<br />

tutta <strong>un</strong>a pluralità di diverse componenti sociali, culturali<br />

e politico-militari (clero/popolo, clero regolare/clero<br />

<strong>secolare</strong>, clerici/bellatores, borghesi/popolo, alto clero/basso<br />

clero, monarchia francese/papato, re e grandi feudatari del<br />

Nord della Francia/feudatari meridionali, inquisitori/non-inquisitori<br />

ecc.), ness<strong>un</strong>a delle quali, fatte salve le élites più consapevoli<br />

dei catari, 202 avrebbe mai rin<strong>un</strong>ciato alla propria prerogativa<br />

di appartenere alla cristianità.<br />

Pertanto, applicando il concetto di Chiesa senza <strong>un</strong>a definizione<br />

precisa dei suoi contorni sociologici, non è impossibile<br />

<strong>che</strong> esso perda di consistenza e si riduca a <strong>un</strong>a mera eti<strong>che</strong>tta<br />

categoriale. In questo modo il ricercatore, il docente o lo studente<br />

sono esposti a <strong>un</strong>a serie di rischi teoretici: a) il riduzionismo<br />

della com<strong>un</strong>ità ecclesiale a <strong>un</strong>a sua parte: la gerarchia, e ciò – di<br />

solito – senza <strong>un</strong>’adeguata motivazione metodologica; b)<br />

l’anacronismo di <strong>un</strong> dualismo radicale 203 clero/laicato, 204 la cui<br />

radice socio-culturale è decisamente moderna, viene proiettato<br />

202 Nel catarismo «strutturatosi in modo mimetico rispetto all’organismo ecclesiastico<br />

egemone» (MERLO G.G., op. cit., p. 45) i simpatizzanti tendevano a<br />

riconoscere nei «perfetti» semplicemente dei «buoni cristiani», senza rendersi<br />

sempre conto del fatto <strong>che</strong> si trattasse di <strong>un</strong>a religione dualistica e diversa<br />

dal cristianesimo.<br />

203 Cioè l’antitesi inconciliabile di due entità concepite come opposte (VIGLINO<br />

U., s.v. Dualismo, in AA.VV., Enciclopedia Cattolica, cit., vol. IV, c. 1942).<br />

204 Cfr. GRAFF H.J., op. cit., pp. 104, 111 e 113.


<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />

<strong>nel</strong> XIII secolo, 205 epoca <strong>nel</strong>la quale era – al contrario – nettamente<br />

dominante <strong>un</strong>a concezione ecclesiale sì dialettica, 206 ma<br />

an<strong>che</strong> fortemente <strong>un</strong>itaria; 207 c) l’affermazione di <strong>un</strong>a sorta di<br />

<strong>un</strong>ivocità del gruppo-Chiesa e la complementare obliterazione<br />

dell’esistenza di <strong>un</strong> pluralismo di culture e subculture ecclesiali,<br />

di cui la storiografia dà abbondante testimonianza; d) la perdita<br />

di concretezza storica dovuta al misconoscimento della<br />

microstoria e della storia locale, <strong>che</strong> – della crociata – offrono<br />

molte varianti contraddittorie rispetto alla «leggenda nera». 208<br />

205 TORTAROLO E., Laicismo, Laterza, Roma-Bari 1998, pp. 11-13.<br />

206 Cfr. REINHARD W., Storia dello stato moderno, Il Mulino, Bologna 2010 (2007),<br />

p. 58.<br />

207 Cfr. il concetto di «<strong>un</strong>ipolarità» del «corpo della Chiesa» (ULLMANN W., op.<br />

cit., p. 24).<br />

208 DEDIEU J.-P., op. cit., p. 6. Trattare a fondo la questione dell’Inquisizione e<br />

dei diritti umani (cfr. supra paragrafo 1.1.) non fa parte degli scopi di questo<br />

saggio, pertanto mi limito a <strong>un</strong>a brevissima serie di riferimenti forse indicativi<br />

di <strong>un</strong> certo uso della storia poi concretizzatosi <strong>nel</strong>la “leggenda nera”.<br />

Può essere interessante rilevare, ad esempio, la comminazione della condanna<br />

a morte al “solo” (non si tratta com<strong>un</strong>que di <strong>un</strong>a vittoria della civiltà…)<br />

1% degli imputati da parte del trib<strong>un</strong>ale dell’Inquisizione di Tolosa <strong>nel</strong>la<br />

seconda metà del Duecento (DEDIEU J.-P., op. cit., p. 18); questo 1 % va ridotto<br />

ulteriormente, in quanto è certo <strong>che</strong> la condanna spesso si risolveva in <strong>un</strong><br />

pentimento dell’ultima ora davanti al patibolo. La «moderazione» degli inquisitori<br />

si concretizzava, inoltre, an<strong>che</strong> con la risoluzione pro reo in dubiis<br />

(CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., p. 57), con <strong>un</strong>a pratica della tortura <strong>che</strong> –<br />

a differenza da quella esercitata dai poteri laici – non doveva portare alla<br />

morte (ivi, p. 61), né alle mutilazioni (ivi, p. 55), <strong>che</strong> era sottoposta a limitazioni<br />

e controlli (ivi, pp. 63 e 65), a sospensioni e annullamenti (ivi, p. 62). La<br />

tortura – ancora – praticata dagli Stati fino al XVIII secolo, secondo alc<strong>un</strong>i<br />

autori fu «forse» poco usata, «perché raramente documentata» [PAOLINI L., Il<br />

modello italiano <strong>nel</strong>la manualistica, in AA.VV., L’Inquisizione, Atti del Simposio<br />

internazionale (29-31 ottobre 1998) Città del Vaticano, Roma 2003, p. 101].<br />

Senza misconoscere l’esistenza di <strong>un</strong>a certa letteratura <strong>che</strong> tende a minimizzare<br />

la portata delle vicende delle Inquisizioni, Cardini ricorda <strong>che</strong> il confronto<br />

sulla tortura va fatto con i contemporanei [ivi, p. 64; cfr. an<strong>che</strong> LE<br />

79


80<br />

Franz Brandmayr<br />

Può essere di qual<strong>che</strong> utilità notare come di tutti questi aspetti<br />

descrittivi, <strong>che</strong> rendono problematica l’interpretazione della crociata<br />

degli albigesi e dell’Inquisizione, il già citato manuale di<br />

Giardina, Sabbatucci e Vidotto non riporti praticamente nulla. 209<br />

Una consapevolezza più profonda della matrice etnicoidentitaria<br />

del conflitto e della strumentalità dell’alibi religioso<br />

dei «Franchi», portatori della cultura feudale del Nord francese<br />

e lanciati alla conquista della civiltà urbana «romana» della<br />

Linguadoca, traspare – invece – in <strong>un</strong> testo recente, 210 <strong>nel</strong> quale<br />

si afferma a chiare lettere <strong>che</strong> «la crociata contro gli albigesi<br />

appare <strong>un</strong> momento significativo <strong>nel</strong> processo di consolidamento<br />

territoriale della monarchia francese» 211 . Per il resto,<br />

però, nean<strong>che</strong> De Bernardi e Guarracino consentono allo studente<br />

del XXI secolo, a mio avviso, di comprendere come mai,<br />

in <strong>un</strong>a istituzione <strong>che</strong> si proclamava fondata sul Vangelo, <strong>un</strong>a<br />

consistente parte delle gerarchie e degli intellettuali potesse<br />

non trovare abominevole l’impiego della coercizione violenta<br />

e di massa <strong>nel</strong>la propria pratica pastorale. 212 Non vi si trova<br />

alc<strong>un</strong> riferimento al Decretum Gratiani, 213 <strong>un</strong>o dei documenti<br />

fondamentali del <strong>Medioevo</strong>, ness<strong>un</strong> richiamo al concetto di<br />

GOFF J., La nascita del Purgatorio, Einaudi, Torino 1996 2 (1981), p. 248; vd.<br />

supra al paragrafo 2.2. le osservazioni sugli anacronismi] e <strong>che</strong> i dati quantitativi<br />

sull’Inquisizione sono ancora carenti (CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., p.<br />

158) e, pertanto, an<strong>che</strong> gli storici rischiano di subire l’influenza dell’effetto<br />

alone (cfr. DEDIEU J.-P., op. cit., p. 76).<br />

209 Cfr. GIARDINA A.-SABBATUCCI G.-VIDOTTO V., Uomini, cit., pp. 89-94.<br />

210 DE BERNARDI A.-GUARRACINO S., I saperi della storia. 1. Dalla società feudale alla crisi<br />

del Seicento, Paravia Br<strong>un</strong>o Mondadori, Milano 2006, p. 72; gli Autori evitano,<br />

peraltro, di menzionare le numerose vittime cattoli<strong>che</strong> delle stragi perpetrate dai<br />

Franchi (cfr. DE ROSA G., Storia medioevale, Minerva Italica, s.l., 1982 3 , p. 187).<br />

211 DE BERNARDI A.-GUARRACINO S., op. cit., p. 73.<br />

212 Ivi, pp. 70-73.<br />

213 DE ROSA G., op. cit., pp. 188-189.


<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />

società olistica 214 né al delitto di lesa maestà, 215 ness<strong>un</strong>a vera<br />

esplorazione della mentalità medievale, ness<strong>un</strong>o sforzo<br />

ermeneutico: l’“Altro” rimane distante e fissato <strong>nel</strong>la sua riprovevole<br />

estraneità, resa in maniera quasi caricaturale.<br />

Eppure già il De Rosa, ad esempio, <strong>nel</strong> suo vecchio manuale<br />

aveva proposto <strong>un</strong>’interpretazione <strong>che</strong> non sembrava affatto <strong>un</strong>a<br />

giustificazione. 216 Che l’avesse fatto con spirito apologetico, in<br />

quanto studioso di matrice cattolica? La storiografia si ridurrebbe,<br />

allora, a <strong>un</strong>a noiosa sequenza di polemi<strong>che</strong> da quotidiano sportivo,<br />

con la “curva nord” a disputare con la “curva sud” intorno<br />

al comportamento arbitrale? Comprendere significa forse giustificare?<br />

Un approccio ermeneutico comporta necessariamente il<br />

condividere i valori e le scelte dell’“avversario”? Domande<br />

senz’altro retori<strong>che</strong>, ma la cui riproposizione pare essere tutt’altro<br />

<strong>che</strong> fuori luogo in <strong>un</strong>a temperie culturale <strong>nel</strong>la quale vengono<br />

giustamente den<strong>un</strong>ciati tanto gli usi e abusi della storia quanto il<br />

dilettantismo. Perciò su quest’argomento dovrò ancora insistere<br />

più avanti, ma – <strong>nel</strong> frattempo – possiamo rilevare an<strong>che</strong> nei casi<br />

ora richiamati il persistente riprodursi delle dinami<strong>che</strong><br />

etnocentri<strong>che</strong> e psicosociali <strong>che</strong> andiamo analizzando.<br />

Certo, le esigenze di sintesi didattica richiedono inevitabilmente<br />

il ricorso a espedienti, <strong>che</strong> scoprono il fianco a questo<br />

genere di difetto: con gli studenti – si dice – non sempre si può<br />

entrare in <strong>un</strong> dettaglio troppo analitico. L’effetto alone, in ogni<br />

caso, rivela meglio la sua qualità affabulatoria se esaminato<br />

<strong>un</strong>itamente a <strong>un</strong>’altra caratteristica <strong>che</strong>, non di rado, accompa-<br />

214 MATERA V., s.v. Olismo/individualismo, in FABIETTI U.-REMOTTI F., op. cit., pp.<br />

531-532.<br />

215 CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., p. 9.<br />

216 DE ROSA G., op. cit., pp. 188-189; certo, lo storico siciliano mi dà talvolta<br />

l’impressione di non volere scendere troppo nei particolari di questo nodo<br />

storico scabroso.<br />

81


82<br />

Franz Brandmayr<br />

gna le narrazioni sul <strong>Medioevo</strong>: si tratta dell’«esposizione<br />

selettiva» 217 . Essa consiste <strong>nel</strong>la<br />

tendenza delle persone a cercare informazioni congruenti con i<br />

loro sentimenti, credenze e comportamenti passati e ad evitare<br />

attivamente quelle incoerenti o dissonanti. 218<br />

Alla reticenza ad ascoltare ciò <strong>che</strong> non collima con le proprie<br />

idee si associa, in maniera complementare, l’«aspettativa<br />

stereotipica» 219 , <strong>che</strong> induce il soggetto a rilevare <strong>nel</strong>l’oggetto del<br />

suo studio solo ed esclusivamente i tratti culturali, <strong>che</strong> sarebbe<br />

stato disposto a reperire fin dal principio.<br />

Vediamo ancora qual<strong>che</strong> esempio.<br />

Caprara scrive ancora del “triste panorama” offerto dalle<br />

scienze astronomi<strong>che</strong> di allora. «Ne era responsabile la diffusione<br />

del cristianesimo <strong>che</strong> […] imponeva la descrizione (sic)<br />

della Bibbia e del capitolo (sic) della Genesi» 220 . A prescindere<br />

dall’incompetenza circa gli aspetti esegetico-biblici e dal grave<br />

errore cronologico dell’attribuzione di <strong>un</strong> potere impositivo<br />

alla Chiesa del Terzo secolo (notoriamente oppressa dalle au-<br />

217 GILI G., op. cit., pp. 42 ss. ne scrive collegando l’esposizione con gli altri<br />

due meccanismi selettivi della percezione e della memorizzazione.<br />

218 TRENTIN R., Gli atteggiamenti sociali, in ARCURI L. (a cura di), op. cit., p. 276.<br />

219 ID., Percezione e cognizione sociale, in ID. (a cura di), Manuale, cit., p. 127.<br />

220 CAPRARA G., op. cit., p. 42. Non è qui possibile esplicitare nei dettagli<br />

l’erroneità del linguaggio del Caprara: basti ricordare <strong>che</strong>, in <strong>un</strong>’opera di divulgazione<br />

scientifica, risulta quantomeno equivoco riferirsi a <strong>un</strong>a narrazione<br />

cosmogonica con il termine di «descrizione» (cfr. ABBAGNANO N., s.v. Descrittivo,<br />

in ID., op. cit., p. 218), <strong>che</strong> risulta certamente inadeguato per esprimere<br />

il significato [BONORA A., s.v. Cosmo, in ROSSANO P.-RAVASI G.-GIRLANDA<br />

A. (a cura di), Nuovo dizionario di teologia biblica, San Paolo, Cinisello Balsamo<br />

(MI) 2001 7 (1988), pp. 327-328] dei due “racconti della creazione” compresi<br />

nei primi tre capitoli della Bibbia.


<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />

torità imperiali) 221 , risalta fin dal primo impatto con il testo la<br />

selezione operata dall’Autore, <strong>che</strong> – fra tutte le dottrine soteriologi<strong>che</strong><br />

orientali, coinvolgenti e ric<strong>che</strong> di cosmogonie e di<br />

riferimenti cosmologico-escatologici i più immaginifici, 222 di<br />

cui la civiltà romana (ormai priva di riferimenti valoriali significativi)<br />

223 è assetata – sceglie il cristianesimo ed esso soltanto<br />

come causa dell’oscurantismo anti-astronomico. A <strong>un</strong>a contestualizzazione<br />

(è la soluzione migliore?) o a <strong>un</strong>a attenuazione<br />

dei toni [es.: la Chiesa (ovviamente quella teodosiana e postteodosiana,<br />

dal 391 in poi) «concorre a promuovere <strong>un</strong>a concezione<br />

creazionistica» (e chi non lo faceva, allora?)] o a <strong>un</strong>a<br />

estensione delle corresponsabilità (se proprio si deve studiare<br />

il passato per cercare dei colpevoli, non è meglio trovarli tutti?),<br />

il Caprara preferisce forse «dare informazioni congruenti<br />

con i propri sentimenti ed evitare quelle incoerenti o dissonanti»<br />

rispetto agli stessi? In <strong>un</strong> eventuale sviluppo di questa<br />

indagine sarebbe opport<strong>un</strong>o riprendere questo quesito, per riconnetterlo<br />

agli attuali usi e abusi della storia finalizzati a possibili<br />

strumentalizzazioni <strong>nel</strong>la sfera pubblica. Questa argomentazione<br />

iniziale dell’Autore sembra essere il preludio interpretativo<br />

di più di <strong>un</strong> millennio di scienza e tecnica e, infatti,<br />

il <strong>Medioevo</strong> narrato dal nostro si caratterizzerà per <strong>un</strong>a serie<br />

di carenze, o di “oscuramenti”, frutto di operazioni <strong>che</strong><br />

noi, fino a prova contraria, non vogliamo pensare come dolosamente<br />

falsificanti bensì come inconsapevolmente selettive.<br />

221 È il secolo delle dure persecuzioni di Simplicio Severo, di Decio e Valeriano<br />

[FRANZEN A., Breve storia della Chiesa, Queriniana, Brescia 1982 5 (1965), pp. 57-61].<br />

222 CUMONT F., Le religioni orientali <strong>nel</strong> paganesimo romano, Laterza, Bari 1967<br />

(1913), pp. 56-58; vd. an<strong>che</strong> ELIADE M., Paganesimo, cristianesimo e gnosi all’epoca<br />

imperiale, in ID., Storia delle credenze e delle idee religiose, II, Da Gautama Buddha al<br />

trionfo del Cristianesimo, Sansoni, Firenze 1980 (1978), pp. 363-394.<br />

223 CUMONT F., op. cit., p. 54.<br />

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84<br />

Franz Brandmayr<br />

Ad esempio, <strong>nel</strong> suo volume non vi è alc<strong>un</strong>a menzione del<br />

fatto <strong>che</strong> il <strong>Medioevo</strong> riconobbe il valore delle arti meccani<strong>che</strong> 224<br />

e <strong>che</strong> lo fece «investendo le arti prati<strong>che</strong> di <strong>un</strong> significato spirituale»<br />

225 , per il quale «venne loro conferita <strong>un</strong>a nuova dignità» 226 . Né<br />

il Caprara scrive <strong>che</strong> a compiere questo passo sotto il profilo<br />

teorico è l’abate-filosofo Giovanni Scoto Eriugena, <strong>che</strong> <strong>nel</strong> IX<br />

secolo equipara il lavoro manuale a quello intellettuale 227 e opera<br />

– con ciò – <strong>un</strong>a netta rottura epistemologica sia nei confronti<br />

della civiltà classica <strong>che</strong> rispetto al pensiero di Agostino<br />

d’Ippona. 228 Nella società «ecclesiologica» 229 dell’alto <strong>Medioevo</strong>,<br />

infatti, il fine di ogni vita, <strong>che</strong> non può essere altro <strong>che</strong> vita<br />

cristiana, è: divenire “immagine e somiglianza di Dio”, e ciò si<br />

realizza an<strong>che</strong> attraverso il lavoro. 230 Già a partire dal VI secolo<br />

224 Associandole per dignità a quelle liberali (LE GOFF J., Il <strong>Medioevo</strong>, cit., p. 71).<br />

225 NOBLE D.F., op. cit., p. 17.<br />

226 DOLZA L., op. cit., p. 52.<br />

227 NOBLE D.F., op. cit., p. 20; Dolza, invece, sembra situare <strong>nel</strong> secolo XII,<br />

quello della Rinascenza, questo passaggio assai importante sotto il profilo<br />

teorico-filosofico: secondo la storica sarebbe stato Ugo da San Vittore a<br />

«colloca[re] le arti meccani<strong>che</strong> <strong>nel</strong>l’ambito del sapere» <strong>nel</strong>le sue opere intitolate<br />

Didascalicon ed Epitome Dindimi in philosophiam (DOLZA L., op. cit., p. 57;<br />

parentesi quadrata mia). In Noble (ivi, pp. 24-26) gli scritti di Ugo sembrano<br />

avere piuttosto <strong>un</strong> valore di rinforzo e di amplificazione, <strong>nel</strong>la mutata temperie<br />

culturale, dei contenuti elaborati da Giovanni Scoto. Cfr. an<strong>che</strong> LE GOFF J.,<br />

Lavoro, tecni<strong>che</strong> e artigiani nei sistemi di valore dell’alto <strong>Medioevo</strong> (V-X secolo), in ID.,<br />

Tempo, cit., (1971), p. 90, <strong>che</strong> avvalora la posizione di Noble.<br />

228 NOBLE D.F., op. cit., p. 21. Come è noto, Agostino, già mani<strong>che</strong>o e – com<strong>un</strong>que<br />

– neoplatonico an<strong>che</strong> dopo la conversione, manifesta <strong>un</strong> atteggiamento<br />

non particolarmente positivo verso la materia in generale e il lavoro<br />

manuale in particolare (DOLZA L., op. cit., pp. 47-48; cfr. NOBLE D.F., op. cit.,<br />

14-15 ); in definitiva egli non sembra discostarsi dalla posizione classica, <strong>che</strong><br />

fa prevalere le arti liberali su ogni altra forma di attività umana.<br />

229 ULLMANN W., op. cit., p. 12 et passim.<br />

230 DOLZA L., op. cit., p. 51. Cfr. infra le nt. 314 e 321.


<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />

le com<strong>un</strong>ità benedettine, con il loro celebre motto ora et labora,<br />

si sforzano di tradurre questa concezione del mondo in comportamenti<br />

conseguenti, con la ferma convinzione <strong>che</strong> l’attività<br />

pratica e la tecnica servano i disegni divini, oltre <strong>che</strong> la stessa<br />

com<strong>un</strong>ità monastica. 231 In questo modo<br />

l’ideologia del lavoro viene riscattata positivamente dal cristianesimo<br />

e sarà determinante an<strong>che</strong> per la nascita e la diffusione […]<br />

dei mestieri;<br />

sarà d<strong>un</strong>que la progressiva evangelizzazione dell’Europa a modificare<br />

l’attitudine dell’uomo medievale verso il lavoro manuale,<br />

232 il quale assumerà – in questo modo – <strong>un</strong> «significato spirituale»<br />

233 in tutta l’area cristianizzata. Persino gli attrezzi da lavoro,<br />

in particolare quelli prodotti con il ferro o con parti in ferro,<br />

234 vengono assimilati dalla Regola benedettina agli stessi vasi<br />

sacri. 235 Marc Bloch non teme di scrivere <strong>che</strong> le<br />

acquisizioni e invenzioni (medievali) portano, a ben vedere, la<br />

stessa testimonianza: quella di <strong>un</strong>a notevole agilità delle mani,<br />

dello sguardo e dello spirito. In questa capacità di rinnovamento,<br />

diffusa sin <strong>nel</strong>le masse degli artigiani, come non riconoscere <strong>un</strong>a<br />

delle fonti di quella grandezza europea <strong>che</strong> fu vista sorgere, con<br />

231 DOLZA L., op. cit., p. 50.<br />

232 Ivi, p. 51; sull’importanza del lavoro già agli inizi del mona<strong>che</strong>simo copto<br />

vd. LAWRENCE C.H., op. cit., pp. 35 e 64.<br />

233 NOBLE D.F., op. cit., p. 17; sarà l’umanista Petrarca a manifestare <strong>un</strong> rinnovato<br />

disprezzo verso il lavoro manuale (FUMAGALLI BEONIO BROCCHIERI M.,<br />

op. cit., p. 230).<br />

234 Nella storia delle religioni sono conosciuti i significati simbolici attribuiti<br />

alla figura del fabbro [ELIADE M., Storia delle credenze e delle idee religiose, I, Dall’età<br />

della pietra ai misteri eleusini, Sansoni, Firenze 1996 (1975), pp. 65-68].<br />

235 LE GOFF J., Lavoro, cit., p. 86.<br />

85


86<br />

Franz Brandmayr<br />

<strong>un</strong>o slancio così prodigioso, dal seno dei torbidi più gravi? L’homo<br />

europaeus, in altri termini, fu per eccellenza <strong>un</strong> homo faber. 236<br />

Il «gusto dell’esperimento» 237 , la sete di scoperta e di ricerca<br />

<strong>che</strong> porterà gli europei alla conquista del mondo, 238 l’ingegno e<br />

l’abilità meccanica tali da raggi<strong>un</strong>gere «risultati tecnici moderni»<br />

239 non sembrano giustificare l’appellativo di “zotico e incolto”<br />

240 attribuito all’uomo medievale. Si può giustamente porre<br />

l’obiezione <strong>che</strong> i riferimenti dei nostri storici sembrano calcare<br />

l’accento sulla dimensione della tecnica più <strong>che</strong> su quella della<br />

scienza, tuttavia già <strong>nel</strong> 1959 Butterfield osservava <strong>che</strong><br />

si comincia ora a comprendere <strong>che</strong> la storia della tecnica ha, <strong>nel</strong>lo<br />

sviluppo del movimento scientifico, <strong>un</strong>a parte più importante<br />

di quanto si reputasse <strong>un</strong> tempo. 241<br />

Ancora, a <strong>un</strong> uomo medievale esageratamente rappresentato<br />

come alienato e proiettato verso attese ultraterrene, 242 Garin<br />

236 BLOCH M., Le “invenzioni” medievali, in ID., Lavoro, cit., p. 210; parentesi mia.<br />

237 ID., Le “invenzioni”, cit., pp. 204-205.<br />

238 DOLZA L., op. cit., p. 83.<br />

239 BUTTERFIELD H., Le origini della scienza moderna, Il Mulino, Bologna 1998<br />

(1958), p. 110.<br />

240 Cfr. PERNOUD R., op. cit., p. 45.<br />

241 BUTTERFIELD H., op. cit., p. 110.<br />

242 Sul «dualismo tra l’“aldilà” e l’“aldiquà” <strong>che</strong> la maggior parte degli stori-<br />

ci attuali riduce sbrigativamente a evasione dal mondo» (CARMO FELICIANI<br />

S., Introduzione, cit., p. 8) pare concentrarsi con <strong>un</strong>a certa insistenza forse<br />

an<strong>che</strong> Le Goff (cfr., ad es., ID., Lavoro, cit., pp. 75 e 85 e ID., <strong>Medioevo</strong>, cit.,<br />

p. 23), <strong>che</strong> – in quei casi – sembra tenere in scarso conto il giovanneo<br />

Verbum caro factum est e le conseguenze stori<strong>che</strong> <strong>che</strong> ne sono derivate; eppure<br />

sul cattolicesimo inteso come fomite della «religione della tecnologia»<br />

(cfr. NOBLE D.F., op. cit., passim) e «del lavoro» (cfr. infra nt. 354) pare concordare<br />

an<strong>che</strong> lo storico francese.


<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />

sembra restituire il suo spirito d’invenzione e la sua attitudine<br />

alla ricerca, a perseguire la conoscenza e ad aderire alla realtà<br />

concreta.<br />

Quando, liberati da <strong>un</strong>a pericolosa eredità illuministica, gli storici<br />

della filosofia avranno imparato a valutare in pieno, <strong>nel</strong> suo<br />

reale significato, l’enorme produzione medievale medico-magica,<br />

astrologica, alchimistica, ci renderemo, credo, conto di <strong>un</strong>a<br />

esigenza di congi<strong>un</strong>gere la cognizione […] delle cose con la trasformazione<br />

di esse secondo i bisogni umani: di far convergere<br />

continuamente teoria e pratica, tecnica e scienza: di afferrare <strong>un</strong><br />

ordine esistente, ma per modificarlo. 243<br />

Prendiamo ora in esame <strong>un</strong> altro aspetto della cultura diffusa:<br />

l’alfabetizzazione, senza la quale, sottolineano due fra i massimi<br />

studiosi della tradizione orale, non avrebbe potuto sussistere<br />

<strong>un</strong>a logica lineare, 244 quella stessa <strong>che</strong> ha contribuito al<br />

decollo culturale, sociale ed economico dell’Europa. 245 In relazione<br />

a questo vasto campo voglio qui richiamare la rilevanza,<br />

an<strong>che</strong> a giudizio di Le Goff, 246 dell’estendersi dell’istruzione<br />

commerciale e giuridica <strong>nel</strong> periodo <strong>che</strong> va dall’XI al XIII secolo.<br />

Laici appartenenti alla nascente classe media dei commercianti,<br />

dei notai e degli avvocati fondarono scuole con curricula<br />

propri. 247 L’offerta formativa, come la si chiamerebbe oggi con<br />

243 GARIN E., op. cit., p. 25; cfr. an<strong>che</strong> PERNOUD R., op. cit., p. 30.<br />

244 GOODY J., Il potere della tradizione scritta, Bollati Boringhieri, Torino 2002<br />

(2000), pp. 88-94; cfr. ONG W.J., op. cit., p. 89.<br />

245 Cfr. CIPOLLA C.M., Vele e cannoni, Il Mulino, Bologna 1999 3 (1965), p. 87;<br />

DAWSON CH., op. cit., p. 20; LE GOFF J., Il <strong>Medioevo</strong>, cit., p. 69.<br />

246 Vd. infra nt. 253.<br />

247 CIPOLLA C.M., Istruzione e sviluppo. Il declino dell’analfabetismo <strong>nel</strong> mondo occidentale,<br />

Il Mulino, Bologna 2002 (1969), pp. 51ss; GRAFF H.J., op. cit., pp. 110<br />

e 125-126.<br />

87


88<br />

Franz Brandmayr<br />

espressione mercantile, aumentò la propria diversificazione in<br />

svariate zone geografi<strong>che</strong> europee toccate dal fenomeno dell’urbanesimo<br />

e ciò al p<strong>un</strong>to di determinare <strong>nel</strong> XII secolo <strong>un</strong>a<br />

sorta di competizione fra le scuole monasti<strong>che</strong> e quelle secolari.<br />

248 Graff riporta l’esempio inglese del secolo XIII, quando<br />

esisteva <strong>un</strong>a vasta gamma di istituti: Grammar Schools, scuole cattedrali,<br />

scuole di monastero, scuole di chiese collegiate, 249 Hospital<br />

Schools, scuole di gilda, scuole com<strong>un</strong>ali, cappellanie, scuole parrocchiali<br />

primarie, oltre a varie scuole specialisti<strong>che</strong> (di canto, di<br />

scrittura, di lettura) e ad altre opport<strong>un</strong>ità informali. 250 Oramai<br />

<strong>nel</strong>l’Inghilterra del XIII secolo<br />

reali, nobili, cavalieri, mercanti ed ecclesiastici erano <strong>nel</strong>la stragrande<br />

maggioranza in grado di leggere e scrivere. Fra gli artigiani<br />

l’alfabetizzazione era divenuta più diffusa, ma restava molto<br />

lontano dall’essere <strong>un</strong>iversale. Fra i contadini dovette rimanere<br />

cosa rara, ma non del tutto impossibile. 251<br />

Il fatto può lasciare freddo l’osservatore contemporaneo,<br />

abituato all’attuale velocità del mutamento sociale, ma non è<br />

certo questo sguardo assuefatto quello <strong>che</strong> permette di cogliere<br />

lo specifico medievale; all’occhio incapace di guardare con partecipazione<br />

252 il fenomeno storico del deciso ampliamento delle<br />

percentuali di alfabetismo rischia di sfuggire la rivoluzione cul-<br />

248 LAWRENCE C.H., op. cit., pp. 193-195.<br />

249 «Dal latino collegium, “associazione”. Chiesa <strong>che</strong> possiede <strong>un</strong> capitolo di<br />

canonici, di solito regolari, pur senza essere la sede di <strong>un</strong> vescovato»<br />

[BARBERO A.-FRUGONI C., Dizionario del <strong>Medioevo</strong>, Laterza, Roma-Bari 2002 2<br />

(1994), p. 78].<br />

250 GRAFF H.J., op. cit., pp. 136-137.<br />

251 Ivi, p. 133.<br />

252 Vd. infra paragrafo 3.


<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />

turale, <strong>che</strong> – secondo Graff – si sarebbe verificata fra il X e il<br />

XIII secolo: «<strong>un</strong>a cosa molto più nuova di quanto non sarebbe<br />

diventata più tardi» 253 . Viene compresa – per la prima volta a <strong>un</strong><br />

livello massivo – l’utilità dell’istruzione «per la partecipazione, il<br />

servizio, il potere» 254 . Persino la cultura cavalleresca non è più<br />

ostile 255 alle lettere e all’alfabetizzazione 256 .<br />

A questo proposito Ullmann scrive del riuscito amalgama<br />

degli elementi cristiani, romani e germanici, an<strong>che</strong> se questi ultimi<br />

«dovettero cedere alla autorità della dottrina e del dogma» 257 .<br />

Parafrasando la celebre battuta di Stalin, secondo il quale lo Stato<br />

del Vaticano disponeva di troppo po<strong>che</strong> divisioni per impensierirlo,<br />

gli storici solitamente sono propensi a credere <strong>che</strong> – più<br />

<strong>che</strong> imporre la dottrina e il dogma – la Chiesa abbia piuttosto<br />

esercitato <strong>un</strong>a costante pressione culturale e sociale sulle aristocrazie<br />

germani<strong>che</strong> e <strong>che</strong> lo abbia fatto soprattutto per mezzo<br />

del “cavallo di Troia” rappresentato dai numerosi membri della<br />

nobiltà, <strong>che</strong> <strong>nel</strong> corso di tutto l’alto <strong>Medioevo</strong> ingrossarono le<br />

file di quelli <strong>che</strong> furono alfine chiamati gli oratores e, in questo<br />

253 GRAFF H.J., op. cit., p. 107. «La lettura si diffonde ben prima della galassia<br />

Gutenberg e l’alfabetizzazione – è il fenomeno culturale <strong>che</strong> più conta – non<br />

attende l’invenzione della stampa» (LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario,<br />

cit., p. XX).<br />

254 GRAFF H.J., op. cit., p. 107.<br />

255 Per <strong>un</strong>a serie di indicazioni introduttive circa il lento evolvere delle culture<br />

germani<strong>che</strong> da <strong>un</strong>a tradizione orale alla loro «romanizzazione» (cfr. ULLMANN<br />

W., op. cit., p. 29) vd., ad es., BARBERO A., Santi laici e guerrieri. Le trasformazioni<br />

di <strong>un</strong> modello <strong>nel</strong>l’agiografia altomedievale, in BARONE G.-CAFFIERO M.-SCORZA<br />

BARCELLONA F. (a cura di), Modelli di santità e modelli di comportamento, Rosenberg<br />

& Sellier, Torino 1994, p. 127; CHABOD F., op. cit., p. 38; CIPOLLA C.M., Istruzione,<br />

cit., pp. 47-48; DAWSON CH., op. cit., pp. 89-131; ELIADE M., La nascita<br />

mistica, Morcelliana, Brescia 1988 3 (1958), pp. 125-130; ID., Storia, cit., pp.<br />

164-166; cfr. an<strong>che</strong> PERNOUD R., op. cit., p. 55.<br />

256 GRAFF H.J., op. cit., pp. 120, 122 e 128.<br />

257 ULLMANN W., Radici, cit., p. 29.<br />

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Franz Brandmayr<br />

modo, portando i bellatores a <strong>un</strong> grado di crescente mitigazione<br />

dei loro costumi violenti.<br />

A ciò contribuisce an<strong>che</strong> l’epoca aurea del mona<strong>che</strong>simo benedettino<br />

(secoli XI-XII), durante la quale si diffonde fra i cadetti<br />

dell’aristocrazia <strong>un</strong>a modalità culturale, fatta di preghiera e di studio<br />

(e non più soltanto guerresca) di affermazione del proprio<br />

«onore». 258 Questo nuovo atteggiamento della classe dei cavalieri<br />

si manifesta an<strong>che</strong> <strong>nel</strong> crescente prestigio <strong>che</strong> la città e la classe<br />

borghese sembrano assumere ai loro occhi ad esempio in alc<strong>un</strong>e<br />

opere della giovane letteratura volgare in lingua d’oil. 259<br />

Nell’Occidente europeo lettere e alfabetizzazione riacquistano<br />

finalmente, abbiamo visto, <strong>un</strong> prestigio sociale oramai da l<strong>un</strong>go<br />

tempo perduto e <strong>che</strong> rimarrà <strong>un</strong>’acquisizione definitiva della<br />

cultura occidentale:<br />

La gente incominciò ad attribuire <strong>un</strong> connotato negativo all’analfabetismo<br />

e in prosieguo di tempo gli analfabeti furono sempre<br />

più considerati inadatti ad <strong>un</strong> numero sempre crescente di attività<br />

sociali ed economi<strong>che</strong>. 260<br />

Con l’alfabetizzazione aumentano la coerenza dottrinale cristiana<br />

e, ad <strong>un</strong> tempo, lo spirito critico, 261 mentre<br />

con il secolo XI la Chiesa perse progressivamente il monopolio<br />

dell’istruzione specie in quelle aree dove […] i benestanti […]<br />

solevano assumere tutori privati per […] i loro figli; 262<br />

in questo modo, conclude Cipolla, il «principio morale» del-<br />

258 Cfr. MICCOLI G., op. cit., p. 71; GRAFF H.J., op. cit., p. 128.<br />

259 Vd. LE GOFF J., Guerrieri, cit., passim.<br />

260 GRAFF H.J., op. cit., p. 49.<br />

261 Ivi, p. 126; vd. an<strong>che</strong> infra le nt. 269, 307-313 e 321-326.<br />

262 CIPOLLA C.M., Istruzione, cit., p. 51; LAWRENCE C.H., op. cit., p. 308.


<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />

l’istruzione, fino ad allora «proclamato da <strong>un</strong>o sparuto gruppo<br />

di clerici illuminati, divenne <strong>un</strong>’idea corrente» 263 , della quale<br />

le istituzioni religiose continuarono a farsi promotrici investendo<br />

gran parte delle risorse disponibili 264 e con <strong>un</strong>a speciale<br />

attenzione alle classi sociali svantaggiate. 265 Se è vero, d<strong>un</strong>que,<br />

<strong>che</strong> nei secoli X-XIII «senza la chiesa l’offerta d’istruzione e<br />

alfabetizzazione in Occidente sarebbe stata incredibilmente limitata»<br />

266 e se è parimenti vero <strong>che</strong> fosse quello del clero il<br />

gruppo sociale più colto, 267 sembra tuttavia di poter dire con<br />

<strong>un</strong>a certa sicurezza <strong>che</strong> il basso <strong>Medioevo</strong> vide in svariate zone<br />

d’Europa 268 <strong>un</strong> laicato autonomo e critico, 269 capace di produrre<br />

iniziative culturali significative sia all’interno <strong>che</strong> all’esterno<br />

dell’istituzione ecclesiale.<br />

In effetti, soprattutto dopo l’opera fondamentale di<br />

Gr<strong>un</strong>dmann, 270 gli studi eresiologici di quasi tutte le impostazioni<br />

sottolineano gli aspetti di omogeneità fra le esperienze carismati<strong>che</strong><br />

ortodosse (come – ad esempio – il francescanesimo) ed<br />

263 CIPOLLA C.M., Istruzione, cit., p. 50.<br />

264 GRAFF H.J., op. cit., pp. 113-115.<br />

265 CIPOLLA C.M., Istruzione, cit., p. 50; GRAFF H.J., op. cit., p. 117.<br />

266 Ivi, p. 113.<br />

267 Per la situazione dell’Inghilterra dei secoli XIV e XV, <strong>che</strong> è fra quelle più<br />

accuratamente studiate, vd. ivi, p. 205. È probabile <strong>che</strong> l’osservazione possa<br />

venire estesa an<strong>che</strong> ad altre parti dell’Europa. È opport<strong>un</strong>o, tuttavia, non<br />

omologare il clero in <strong>un</strong>’<strong>un</strong>ica categoria socio-culturale: vi è, ad es., chi lo<br />

divide in due (per l’alto <strong>Medioevo</strong> vd. MANSELLI R., op. cit., pp. 12-13) o quattro<br />

gruppi (BURKE P., op. cit., pp. 265-268). Vd. an<strong>che</strong> supra nt. 98.<br />

268 Probabilmente soprattutto <strong>nel</strong>le zone più urbanizzate d’Europa, <strong>che</strong> – <strong>nel</strong><br />

periodo dal 1440 al 1492 – erano i Paesi Bassi e l’Italia (BURKE P., op. cit., p. 56).<br />

269 Ad es. MANSELLI R., op. cit., pp. 80-85 scrive di «anticlericalismo» già nei<br />

secoli XI-XIII.<br />

270 GRUNDMANN H., Movimenti religiosi <strong>nel</strong> medioevo, Il Mulino, Bologna 1980<br />

(1935), passim.<br />

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92<br />

Franz Brandmayr<br />

eterodosse, colte <strong>nel</strong> loro insieme come grande e creativa stagione<br />

dei movimenti spirituali medievali. 271<br />

Appare perciò dai contributi di autori di varia impostazione<br />

<strong>un</strong>’immagine del <strong>Medioevo</strong> assai più luminosa e, soprattutto,<br />

differenziata e ricca di sfumature rispetto alle stereotipie di certa<br />

manualistica. Di questi (come di altri) importanti passaggi<br />

teorici e descrittivi fondamentali 272 <strong>nel</strong> volume di Caprara non<br />

si trova invece traccia. La Weltanschau<strong>un</strong>g del nostro narratore<br />

sembra sottendere <strong>un</strong>a concezione aprioristicamente e<br />

irreversibilmente antagonistica fra scienza e fede del tutto lecita,<br />

naturalmente, <strong>nel</strong>la dimensione noetica personale, ma i cui<br />

presupposti non vengono tematizzati e – tantomeno – discussi<br />

nean<strong>che</strong> sotto forma di abbozzo larvato. 273 Conseguentemente,<br />

in questa prospettiva la religione e la Chiesa sembrano ricoprire<br />

<strong>un</strong> ruolo esclusivamente oscurantista e retrivo, an<strong>che</strong> in questo<br />

caso senza <strong>che</strong> appaia argomentazione di sorta né disamina dialettica<br />

in merito; l’assioma sembra innervare la trama della narrazione<br />

“in p<strong>un</strong>ta di piedi”, come <strong>un</strong> implicito del discorso, <strong>che</strong><br />

poggia sulla sua stessa “ovvietà”, “costruita” con eti<strong>che</strong>tte ed<br />

espressioni ritenute familiari e scontate per il lettore. 274<br />

La selettività, però, non consiste soltanto <strong>nel</strong>l’eliminare radicalmente<br />

tutto ciò <strong>che</strong> non risulta congruente con il sentire dello<br />

scrittore. Vi sono, infatti, nomi ed eventi <strong>che</strong> – per la loro<br />

271 Vd. ad es. MERLO G.G., op. cit., pp. 16-19 et passim; PERETTO E., Movimenti<br />

spirituali laicali del <strong>Medioevo</strong>. Tra ortodossia ed eresia, Studium, Roma, 1985, p. 18<br />

et passim. Cfr. an<strong>che</strong> supra nt. 261 e infra nt. 323.<br />

272 Per i quali rimando alla bibliografia delle note precedenti e a quella contenuta<br />

all’interno delle opere indicate stesse.<br />

273 NOBLE D.F., op. cit., p. 5. Per <strong>un</strong>a introduzione filosofica al problema vd.,<br />

ad es., BOGDANOV G.- BOGDANOV I.-GUITTON J., Dio e la scienza. Verso il<br />

metarealismo, Bompiani, Milano 1998 (1991), passim, in cui si propone il dialogo<br />

fra <strong>un</strong> fisico teorico, <strong>un</strong> astrofisico e <strong>un</strong> filosofo; cfr. infra an<strong>che</strong> nt. 280.<br />

274 Vd. supra paragrafo 2.1.


<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />

importanza – non si possono cancellare del tutto. In questo caso<br />

la menzione risulta – in qual<strong>che</strong> modo – come l’esito di <strong>un</strong>a<br />

selezione effettuata per mezzo di <strong>un</strong>a riduzione dell’alterità alle<br />

categorie proprie della visione del mondo del narratore o,<br />

quantomeno, ad attribuzioni apparentemente “neutre”.<br />

Il britannico Ruggero Bacone inventava gli occhiali. 275<br />

Chi non vuole scadere a sua volta <strong>nel</strong> <strong>pregiudizio</strong> e <strong>nel</strong>l’errore,<br />

<strong>che</strong> abbiamo definito effetto alone, non può ricavare certo<br />

da <strong>un</strong> <strong>un</strong>ico indizio la tendenza a celare l’appartenenza al clero<br />

di Roger Bacon e la sua identità squisitamente francescana. Allora<br />

insistiamo e più sotto troviamo <strong>che</strong><br />

Nel XIII secolo [… (il)] filosofo inglese Ruggero Bacone […]<br />

professava la “scienza come esperimento” e rilevava i gravi errori<br />

scientifici contenuti <strong>nel</strong>le Sacre Scritture, (e) cominciava a porre<br />

la “questione del metodo” <strong>che</strong> è alla base della ricerca. 276<br />

Ci accorgiamo, del resto, <strong>che</strong> qui è in gioco <strong>un</strong> complesso di<br />

fattori di grande rilievo storico. Si tratta nientemeno <strong>che</strong> della<br />

genesi remota della scienza sperimentale moderna: 277 possibile<br />

<strong>che</strong> a farsene iniziatore e promotore sia <strong>un</strong> frate dal cervello<br />

fino? Ciò sembra contravvenire a <strong>un</strong> certo senso com<strong>un</strong>e, <strong>che</strong> si<br />

affermerà con decisione molti secoli dopo, secondo il quale i<br />

frati – probabilmente – potrebbero avere altre qualità, ma certamente<br />

non quella del raziocinio innovatore. O forse l’Autore<br />

ritiene <strong>che</strong> l’Opus maius sia frutto solo del Bacone-filosofo, per<br />

cui non occorre mettere in rilievo la (disdicevole?) appartenen-<br />

275 CAPRARA G., op. cit., p. 54.<br />

276 Ivi, p. 56 (parentesi rotonde mie).<br />

277 DAWSON CH., op. cit., pp. 23 e 285-286.<br />

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Franz Brandmayr<br />

za religiosa del pensatore. A ciò si aggi<strong>un</strong>ge <strong>un</strong> ulteriore elemento<br />

destabilizzante: pare <strong>che</strong> a evidenziare «i gravi errori scientifici<br />

contenuti <strong>nel</strong>le Sacre Scritture» sia proprio <strong>un</strong> soggetto<br />

ben inserito <strong>nel</strong>la Chiesa; in questo modo la compagine ecclesiale<br />

sembrerebbe essere composta an<strong>che</strong> da soggetti capaci non<br />

solo di prescindere dalle auctoritates, 278 ma inoltre di innovare, di<br />

pensare criticamente 279 (persino sulla Sacra Scrittura!) e di anticipare<br />

i tempi proprio sotto il profilo della riflessione intorno<br />

all’ambito scientifico-sperimentale, “notoriamente” appannaggio<br />

del “pensiero laico”. 280 Offrire an<strong>che</strong> questa immagine della società<br />

ecclesiale, pertanto, risulta troppo dissonante rispetto a <strong>un</strong><br />

copione <strong>che</strong> pare venga rispettato fedelmente attraverso la semplice<br />

omissione di qual<strong>che</strong> termine identificativo (il “teologo”?<br />

il “filosofo francescano”?). Sottacendo qual<strong>che</strong> particolare, pertanto,<br />

l’Autore ottiene l’effetto di riordinare la trama della propria<br />

narrazione secondo <strong>un</strong>o s<strong>che</strong>ma selettivo e consonante 281<br />

con la propria pregiudiziale di fondo, ancorata all’idea di <strong>un</strong>a<br />

Chiesa retriva e chiusa al novum. 282<br />

278 Cfr. infra nt. 313.<br />

279 Cfr. supra nt. 261.<br />

280 Uso l’espressione fra virgolette, in quanto topos «della quantità», <strong>che</strong> richiederebbe<br />

<strong>un</strong>’analisi molto approfondita, per il suo radicamento <strong>nel</strong> discorso<br />

com<strong>un</strong>e (cfr. supra nt. 151). In mancanza di spazio, invito il lettore alla lettura di<br />

EINSTEIN A., Idee e opinioni. Come io vedo il mondo, Fabbri, Milano 1996 (1957), pp.<br />

187-193. Intorno alle stereotipie connesse al termine “laico” vd. POSSENTI V.,<br />

Le ragioni della laicità, Rubbettino, Soveria Man<strong>nel</strong>li (CT) 2007, pp. 14-15, <strong>che</strong><br />

sottolinea il riduzionismo dell’odierna interpretazione dominante del concetto<br />

a fronte delle sue possibili cinque accezioni. Per rinvenire ancora alc<strong>un</strong>e indicazioni<br />

circa questo specifico anacronismo cfr. supra le nt. 204-207.<br />

281 Cfr. supra nt. 174.<br />

282 Se esco dall’ambito medievistico rilevo la menzione selettiva del fisico<br />

belga Georges-Henri Lemaitre, <strong>che</strong> negli anni Venti del Novecento elabora<br />

per primo l’ipotesi del Big Bang e del quale il Caprara omette di indicare la<br />

confessione cattolica e lo stato di vita sacerdotale (ID., op. cit., p. 247).


<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />

Se procediamo <strong>nel</strong>l’analisi, ancora più sotto troviamo <strong>che</strong>,<br />

con quasi duecento anni di ritardo rispetto ai presbiti, soccorsi<br />

dall’inventività di Bacone,<br />

ai miopi, invece, penserà lo studioso tedesco Niccolò Cusano<br />

<strong>nel</strong> 1451. 283<br />

In questo caso si tratta del celebre filosofo neoplatonico,<br />

astronomo e matematico illustre, 284 <strong>che</strong> ha però il grave difetto<br />

di essere addirittura <strong>un</strong> cardinale, per cui forse sembra più<br />

opport<strong>un</strong>o celare il suo stigma vergognoso sotto le generi<strong>che</strong><br />

e pudi<strong>che</strong> espressioni di «studioso» e di «tedesco», certamente<br />

più neutre rispetto alla pretesa antinomia scienza/religione.<br />

Perciò possiamo concludere <strong>che</strong> quando l’inventore è <strong>un</strong> uomo<br />

di Chiesa e inoltre, come <strong>nel</strong> caso di Bacone e di Cusano, filosofo<br />

di prima grandezza, la tendenza è quella di lasciare emergere<br />

solo ed esclusivamente gli elementi <strong>che</strong> possano favorire<br />

l’ipotesi di partenza (cioè: il <strong>Medioevo</strong> come età oscura, barbara,<br />

di fanatismo religioso e di superstizione, tutte qualità<br />

negative determinate dall’influenza della Chiesa cattolica), occultando<br />

o minimizzando, dall’altro lato, i fatti storici <strong>che</strong> potrebbero<br />

indebolirla.<br />

A volte il discorso com<strong>un</strong>e ma, come vedremo, nondimeno<br />

an<strong>che</strong> la pubblicistica divulgativa, ricorrono a delle false spiegazioni,<br />

in cui il <strong>pregiudizio</strong> lascia intravedere <strong>un</strong>a sclerotizzazione<br />

oltremodo evidente del suo nucleo cognitivo, cioè dello<br />

stereotipo. 285 Ne riporto <strong>un</strong> esempio ricavato dallo stesso manuale<br />

del Caprara:<br />

283 Ivi, p. 58.<br />

284 Cfr. ad es. VANNINI M., Mistica e filosofia, Piemme, Casale Monferrato 1996,<br />

pp. 62-70 e 79.<br />

285 MAZZARA B.M., Stereotipi e pregiudizi, Il Mulino, Bologna 1997, p. 16.<br />

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96<br />

Franz Brandmayr<br />

Fibonacci (1170-1240?) […] proponeva miglioramenti alle dimostrazioni<br />

ottenute dai grandi classici come Archimede. E an<strong>che</strong><br />

questo era <strong>un</strong> segno del nuovo spirito innovatore <strong>che</strong> stava<br />

portando ormai il <strong>Medioevo</strong> verso il tramonto. 286<br />

Il concetto di <strong>Medioevo</strong> sembra oramai reificato 287 e lo stigma<br />

dell’ignoranza oscurantista lo penetra e lo pervade fino alla saturazione.<br />

Il fatto di reperirvi qual<strong>che</strong> prodotto culturale innovativo<br />

non induce l’Autore a porre in dubbio le sue sicurezze o ad attenuarne<br />

e sfumarne i toni: tale progresso, infatti, non può (“per<br />

definizione”…) essere <strong>un</strong> frutto della civiltà medievale e rappresenta<br />

con ogni certezza, perciò, <strong>un</strong> anticipo della fervida e feconda<br />

età rinascimentale… Abbiamo qui <strong>un</strong> esempio di pseudo-eziologia,<br />

<strong>un</strong>a proposizione di chiara natura tautologica, 288 <strong>nel</strong>la quale,<br />

per giustificare il verificarsi di <strong>un</strong> progresso matematico <strong>nel</strong><br />

<strong>Medioevo</strong> si ribadisce il Leitmotiv dell’opera in questione: evidentemente<br />

non si tratta più di <strong>Medioevo</strong>…<br />

L’ultimo concetto <strong>che</strong> mi propongo di richiamare in questo<br />

paragrafo porta il discorso a stretto contatto con <strong>un</strong>o dei fattori<br />

causali nodali del <strong>pregiudizio</strong> antimedievale, fattore <strong>che</strong>, a mio<br />

avviso, potrebbe rivelarsi forse il più importante: si tratta del processo<br />

dell’“etnicità”. Attraverso questo complesso di dinami<strong>che</strong><br />

interculturali trovano espressione la «classificazione, l’organizzazione<br />

e la com<strong>un</strong>icazione della differenza culturale tra i gruppi»,<br />

<strong>che</strong> polarizza le relazioni diadi<strong>che</strong> noi/loro in <strong>un</strong>a dialettica di<br />

contatto-somiglianza e, al contrario, di differenziazione. 289<br />

286 CAPRARA G., op. cit., p. 53.<br />

287 ABBAGNANO N., s.v. Reificazione, in ID., op. cit., p. 738.<br />

288 Cioè <strong>un</strong> «discorso […] ripetente <strong>nel</strong>la conseguenza, o <strong>nel</strong> predicato […] il<br />

concetto già contenuto <strong>nel</strong> primo membro» (ABBAGNANO N., s.v. Tautologia,<br />

in ID., op. cit., p. 857).<br />

289 SACCHI P., s.v. Etnicità, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di), op. cit., p. 271.


<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />

Faccio di seguito l’esempio, credo assai chiaro, della contrapposizione<br />

fra <strong>Medioevo</strong> e Rinascimento. È probabile <strong>che</strong> – alla<br />

stregua dei processi dell’etnicità <strong>che</strong> pure oggi vediamo instaurarsi<br />

fra culture <strong>che</strong> si confrontano e si scontrano <strong>nel</strong> mondo<br />

contemporaneo (ad es. l’Occidente e il mondo islamico) 290 –<br />

parimenti, ai fini della promozione e della celebrazione del Rinascimento,<br />

la denigrazione del <strong>Medioevo</strong> abbia costituito <strong>un</strong>a<br />

sorta di p<strong>un</strong>to d’appoggio archimedeo sul quale è stato possibile<br />

fare leva per lo meno fino al celebre studio di Burckhardt.<br />

Come si è già evidenziato sopra, inoltre, al di fuori dell’ambito<br />

ristretto degli specialisti, questa ricostruzione storiografica oramai<br />

superata sembrerebbe <strong>perdura</strong>re e riprodursi, come per inerzia,<br />

<strong>nel</strong> senso com<strong>un</strong>e, <strong>nel</strong>la produzione “storica” non specialistica<br />

e persino in <strong>un</strong> certo genere di manualistica. 291<br />

La connotazione negativa dell’immagine del <strong>Medioevo</strong>, pertanto,<br />

è stata fin dal principio resa f<strong>un</strong>zionale alla costruzione<br />

culturale di <strong>un</strong> Rinascimento colto e interpretato come <strong>un</strong>a sorta<br />

di riemersione dall’abisso della barbarie. Nel suo corso le arti<br />

290 Svariati studiosi come, ad es., il sociologo ALLIEVI S., Parole dell’islam, parole<br />

sull’islam. Formazione culturale, com<strong>un</strong>icazione e ruolo dei mass media, in SIGGILLINO<br />

I. (a cura di), I media e l’islam. L’informazione e la sfida del pluralismo religioso,<br />

E.M.I., Bologna 2001, p. 41, attribuiscono al testo di HUNTINGDON S.P., Lo<br />

scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, Garzanti, Milano 1997 (1996), passim<br />

<strong>un</strong> intento politico strumentale; in esso si fomenterebbe, infatti, <strong>un</strong>a<br />

contrapposizione frontale tra Occidente e Civiltà islamica f<strong>un</strong>zionale a <strong>un</strong>a<br />

riaggregazione degli Stati occidentali intorno agli Stati Uniti d’America, visti<br />

come vessilliferi del mondo “civile”. Questa lettura sembrerebbe sostanzialmente<br />

condivisa an<strong>che</strong> da CARDINI F., Astrea e i Titani. Le lobbies americane alla<br />

conquista del mondo, Laterza, Roma-Bari 2005 (2003), passim.<br />

291 VASOLI C., Prefazione, in BURDACH K., Riforma Rinascimento Umanesimo. Due<br />

dissertazioni sui fondamenti della cultura e dell’arte della parola moderne, Sansoni,<br />

Firenze 1986 2 (1918), p. VII scrive della «volgarizzazione» del «grande affresco<br />

storiografico del Burckhardt», trasformato troppo spesso in «<strong>un</strong> facile<br />

cliché» da «mediocri storici, pubblicisti e banali giornalisti».<br />

97


98<br />

Franz Brandmayr<br />

sarebbero rifiorite, avrebbero ass<strong>un</strong>to nuovi valenze e significati<br />

– in certo modo più moderni – e avrebbero espresso «determinate<br />

tendenze prevalenti, cioè il realismo, la secolarizzazione<br />

e l’individualismo» 292 . Ancora, va evidenziato – in prima approssimazione<br />

– il fatto <strong>che</strong>, di questo genere di ermeneutica della<br />

civiltà medievale europea, si siano fatti imprenditori in modo<br />

particolare la storiografia di matrice riformata 293 e, in seguito,<br />

gran parte degli esponenti della corrente illuministica:<br />

Oggi sappiamo <strong>che</strong> il mito del <strong>Medioevo</strong>, come epoca di barbarie,<br />

era, app<strong>un</strong>to, <strong>un</strong> mito, costruito dalla cultura degli umanisti e<br />

dai padri fondatori della modernità. 294<br />

2.4. Rinascimento vs. <strong>Medioevo</strong>: la revisione di <strong>un</strong> dualismo storiografico<br />

La contrapposizione fra le due epo<strong>che</strong>, come si sa, si è progressivamente<br />

attenuata <strong>nel</strong> mondo accademico europeo, fino a determinare<br />

<strong>un</strong> cambiamento di rotta particolarmente avvertibile<br />

negli ultimi decenni. 295 La concezione di Jakob Burckhardt, <strong>che</strong><br />

colse <strong>nel</strong> Rinascimento <strong>un</strong> fenomeno culturale moderno creato<br />

da <strong>un</strong>a società moderna, negli anni Ottanta del XX secolo ormai<br />

«non appare più in questa luce» 296 e viene attaccata in vari<br />

modi dagli storici. Secondo <strong>un</strong>a parte di costoro andrebbero<br />

invece messi in maggiore risalto gli elementi di continuità fra le<br />

292 BURKE P., op. cit., p. 29.<br />

293 Cfr. supra nt. 36.<br />

294 ROSSI P., Introduzione, in ID., La nascita della scienza moderna in Europa, Laterza,<br />

Roma-Bari 2007 5 (1997), p. XIV. Cfr. supra nt. 133. Vd. an<strong>che</strong> BURKE P., op.<br />

cit., pp. 16-17 e 32; DAWSON CH., op. cit., pp. 23 e 31; GARIN E., op. cit., p. 25; LE<br />

GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario, cit., p. XVI.<br />

295 Ivi, p. XVII.<br />

296 BURKE P., op. cit., p. 4.


<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />

due epo<strong>che</strong> e ciò va inteso in <strong>un</strong> duplice senso: <strong>nel</strong> senso del<br />

reperimento di elementi documentari <strong>che</strong> impongono di anticipare<br />

al <strong>Medioevo</strong> fenomeni <strong>che</strong> si ritenevano essere caratteristici<br />

del Rinascimento e, per converso, <strong>nel</strong> senso dell’individuazione<br />

di numerose persistenze e prol<strong>un</strong>gamenti di “tratti culturali” 297 ,<br />

<strong>che</strong> si presumevano essere “medievali”, ben addentro alla cronologia<br />

rinascimentale.<br />

Nel primo gruppo di fenomeni va senz’altro inserita la crescita<br />

dell’alfabetismo; 298 Graff, come abbiamo già visto sopra, 299<br />

scrive di <strong>un</strong>a «discreta alfabetizzazione» 300 già <strong>nel</strong>l’uomo medievale<br />

e osserva an<strong>che</strong> <strong>che</strong><br />

gli studi sul Rinascimento spesso associano i “decolli” intellettuali<br />

e culturali a risultati <strong>nel</strong> campo dell’istruzione e della stampa<br />

[…] su di essi si è in genere esagerato. Le attività del Rinascimento<br />

erano già ben evolute prima dell’invenzione della tipografia<br />

a caratteri mobili […] La presenza dell’alfabetizzazione è costante<br />

an<strong>che</strong> se contraddittoria, 301<br />

e – perciò – non si può parlare di salti improvvisi. La percentuale<br />

di alfabetizzazione del 5-10% <strong>nel</strong> secolo XV, pertanto, sarebbe<br />

– secondo lo storico inglese – <strong>un</strong>a «base per il futuro» e<br />

<strong>un</strong> «traguardo fondamentale» 302 . Ciò si sarebbe verificato, per di<br />

più, nonostante la stabilità e il benessere fossero stati “spazzati<br />

via” in tante parti d’Europa da <strong>un</strong>a serie di calamità e di eventi<br />

negativi verificatisi fra il 1270 e il 1470 303 e le condizioni stori-<br />

297 MERCIER P., Storia dell’antropologia, Il Mulino, Bologna 1996 2 (1966), pp. 83 ss.<br />

298 GRAFF H.J., op. cit., p. 150 et alibi.<br />

299 Vd. supra paragrafo 2.3.<br />

300 GRAFF H.J., op. cit., p. 71.<br />

301 Ivi, p. 163.<br />

302 Ivi, p. 209.<br />

303 Ivi, p. 147.<br />

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100<br />

Franz Brandmayr<br />

<strong>che</strong> favorevoli per <strong>un</strong>a ripresa si fossero presentate appena verso<br />

la fine del XV secolo. 304<br />

Questo discorso sarebbe valido an<strong>che</strong> qualora si volesse considerare<br />

soltanto la cultura dotta sotto il profilo della sua creatività,<br />

della quale scrive, ad esempio, Le Goff <strong>nel</strong> suo celebre La<br />

nascita del Purgatorio:<br />

Certo, la cristianità medievale – questo libro spera di dimostrarlo –<br />

non è stata né immobile né sterile, ma anzi estremamente creativa. 305<br />

Infatti, se – come abbiamo visto sopra – <strong>nel</strong> <strong>Medioevo</strong> le<br />

arti hanno prodotto molte innovazioni, 306 an<strong>che</strong> al livello<br />

dell’intelligencija la capacità di innovare non è mancata affatto<br />

e, al contrario di quanto com<strong>un</strong>emente si crede, 307 proprio in<br />

virtù delle doti inventive di <strong>un</strong> certo numero di intellettuali<br />

combattivi, di uomini d’azione e di pensiero, 308 di uomini il cui<br />

«prestigio», il cui «fascino» e la cui «autorevolezza» fanno comprendere<br />

come si sia resa possibile l’egemonia culturale 309 da<br />

loro stessi esercitata fra i contemporanei. Questa creatività si<br />

dipana attraverso percorsi di ricerca spesso travagliati (come –<br />

ad esempio – in Wycliff, Hus e Gerson), l<strong>un</strong>go i quali dissenso<br />

e conservazione convivono con diversa intensità, alternanza e<br />

304 Ivi, p. 148.<br />

305 LE GOFF J., La nascita, cit., p. 256.<br />

306 Cfr. supra le nt. 224-241.<br />

307 La teoria della creatività rinascimentale, esposta con grande ric<strong>che</strong>zza di<br />

sfumature e con molti distinguo da BURKE P., op. cit., passim (cfr. ad es. infra le<br />

note relative all’Autore in questione), fornisce talvolta l’estro per<br />

generalizzazioni piuttosto grossolane circa la pres<strong>un</strong>ta incapacità innovativa<br />

dell’intellettuale medievale (colloquio 2.1.13.12.2009).<br />

308 FUMAGALLI BEONIO BROCCHIERI M., op. cit., p. 213.<br />

309 MICCOLI G., op. cit., pp. 65-67.


<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />

dosaggio, 310 mentre vengono anticipati sensibilmente luoghi<br />

com<strong>un</strong>i <strong>che</strong> si presumono “moderni”, come il «teismo della<br />

religione <strong>un</strong>iversale e l’idea di tolleranza» 311 e precoci «tendenze<br />

illuministi<strong>che</strong>» 312 . Tutto ciò fa concludere alla Fumagalli <strong>che</strong><br />

la cosiddetta subordinazione alle auctoritates da parte dell’intellettuale<br />

medievale possa configurarsi come <strong>un</strong> vero e proprio<br />

<strong>pregiudizio</strong>. 313<br />

Come è noto, poi, Ullmann si fa portatore di <strong>un</strong>a tesi ancor<br />

meno conforme al discorso com<strong>un</strong>e, secondo la quale la stessa<br />

idea di Rinascimento, inteso in particolare modo come sviluppo<br />

della humanitas dell’individuo come della collettività, non sia<br />

comprensibile se non alla luce del concetto di «rinascita battesimale»,<br />

contenuto teologico <strong>che</strong> – l<strong>un</strong>go tutto l’arco temporale<br />

del <strong>Medioevo</strong> – sta alla base della dottrina della “deificazione”<br />

dell’uomo, di cui ho già fatto menzione. 314<br />

La rinascita battesimale era l’ass<strong>un</strong>to esplicito e implicito su cui<br />

poggiava tutt’intera la concezione del mondo del <strong>Medioevo</strong>: i<br />

suoi effetti globali toccavano l’uomo dalla culla alla tomba, in<br />

ogni sfera della sua vita privata e pubblica e in tutti gli aspetti<br />

socialmente e costituzionalmente rilevanti. 315<br />

Con queste considerazioni Ullmann riprende e approfondisce<br />

la tesi – già avanzata da Burdach 316 – della matrice squisita-<br />

310 Cfr. FUMAGALLI BEONIO BROCCHIERI M., op. cit., pp. 221-225.<br />

311 STADELMANN R., Il declino del <strong>Medioevo</strong>. Una crisi di valori, Il Mulino, Bologna,<br />

1978 (1929), pp. 211-254.<br />

312 Ivi, pp. 255-291.<br />

313 FUMAGALLI BEONIO BROCCHIERI M., op. cit., pp. 231-232.<br />

314 Cfr. supra nt. 230 e infra nt. 321.<br />

315 ULLMANN W., Prefazione, cit., p. IX.<br />

316 BURDACH K., Significato ed origine dei termini Rinascimento e Riforma, in ID.,<br />

Riforma, cit., p. 8 et passim.<br />

101


102<br />

Franz Brandmayr<br />

mente religiosa <strong>che</strong> soggiacerebbe al Rinascimento; ciò lo porta<br />

a concludere <strong>che</strong> «il rinascimento umanistico fu in sostanza<br />

<strong>un</strong>’espansione di questo tema ecclesiologico» 317 della rinascita<br />

battesimale. Infine altri ancora – sia pure con minore convinzione<br />

– riconoscono la possibilità di <strong>un</strong>a genesi rinascimentale<br />

in eventuale dipendenza teoretica dalla apocalittica renovatio m<strong>un</strong>di,<br />

a suo tempo fatta oggetto di riflessione da parte di Gioacchino<br />

da Fiore 318 e riattualizzata 319 da <strong>un</strong>a congerie di autori e correnti<br />

di pensiero basso-medievali fino al Rinascimento e oltre. 320<br />

Fa loro eco Le Goff, <strong>che</strong> sostiene essere il tema dell’uomoimago<br />

Dei a ispirare, animare «lo sviluppo dell’umanesimo medievale.<br />

Un umanesimo all’opera in tutte le attività della società<br />

medievale, dalle imprese economi<strong>che</strong> fino alle più alte creazioni<br />

culturali e spirituali» 321 , mentre lo stesso storico francese ricorda<br />

ai sostenitori della teoria della creatività rinascimentale 322 <strong>che</strong> ci<br />

fu maggiore innovazione religiosa <strong>nel</strong> periodo della nascita degli<br />

Ordini mendicanti e – possiamo aggi<strong>un</strong>gere noi – degli<br />

eresiarchi medievali, 323 rispetto a quanto realizzò più tardi il<br />

Concilio di Trento. 324 Analogamente, Manselli sostiene esservi<br />

317 ULLMANN W., Radici, cit., pp. 12 e 28.<br />

318 BURKE P., op. cit., pp. 237-238.<br />

319 PANOFF M.-PERRIN M., Dizionario di etnologia, Newton Compton, Roma<br />

1975, pp. 184-185.<br />

320 NOBLE D.F., op. cit., pp. 27-50. Per <strong>un</strong>a penetrante sintesi intorno al prol<strong>un</strong>gamento<br />

in piena Età Moderna e Contemporanea dell’escatologismo medievale<br />

vd., dal p<strong>un</strong>to di vista della Storia delle Religioni, ELIADE M., Paradiso e<br />

utopia: geografia mitica ed escatologia, in ID., La nostalgia delle origini. Storia e significato<br />

<strong>nel</strong>la religione, Morcelliana, Brescia 2000 3 (1969), pp. 103-127.<br />

321 LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario, cit., p. XV. Cfr. supra le nt. 230<br />

e 314.<br />

322 BURKE P., op. cit., passim.<br />

323 Cfr. supra le nt. 261 e 269-271.<br />

324 LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario, cit., p. XX.


<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />

stata <strong>un</strong>a maggiore l<strong>un</strong>gimiranza e <strong>un</strong>a più profonda comprensione<br />

dei movimenti popolari – ereticali e ortodossi – in<br />

Innocenzo III <strong>nel</strong> Duecento di quanto si sia in seguito verificato<br />

fra i papi dell’inizio dell’Età moderna. 325<br />

È ancora Manselli a farci presente <strong>che</strong> l’anticlericalismo non<br />

è <strong>un</strong> prodotto tardo-medievale o rinascimentale, bensì <strong>un</strong> sentire<br />

com<strong>un</strong>e a svariati gruppi e aree geografi<strong>che</strong> fra l’XI e il XIII<br />

secolo. 326 Fra i mecenati pare essere la Chiesa il protettore dei<br />

letterati più tollerante (an<strong>che</strong> con riferimento alla condotta<br />

morale), mentre dal Quattrocento la libertà per gli intellettuali<br />

di corte sarà sempre più limitata, in quanto essi si vedranno<br />

progressivamente costretti a <strong>un</strong>o sdoppiamento delle loro f<strong>un</strong>zioni<br />

pubbli<strong>che</strong> e private, fino a dovere cercare <strong>un</strong> rifugio più<br />

sicuro <strong>nel</strong>l’intimità della loro coscienza. 327 Ancora a proposito<br />

della cosiddetta “tolleranza”, inoltre, il <strong>Medioevo</strong> cristiano riesce<br />

a inculcare <strong>nel</strong>l’uomo europeo il messaggio <strong>un</strong>iversalistico, 328<br />

per il quale, dal momento <strong>che</strong> gli attributi naturali<br />

non giocavano alc<strong>un</strong> ruolo all’interno della realtà ecclesiologica,<br />

i suoi princìpi, i suoi dommi e le sue mete […] erano di fatto<br />

<strong>un</strong>iversali. Regionalismo, provincialismo, tribalismo, e tutte le tante<br />

altre varietà di aggregazione sociale naturale, non avevano alc<strong>un</strong>a<br />

incidenza concreta. Non c’era <strong>che</strong> <strong>un</strong>a sola società – la società<br />

ecclesiologica <strong>un</strong>iversale, <strong>che</strong> programmaticamente metteva da<br />

parte le peculiarità biologi<strong>che</strong>, etni<strong>che</strong>, linguisti<strong>che</strong> e geografi<strong>che</strong><br />

e le riduceva ad <strong>un</strong> ruolo secondario. 329<br />

325 MANSELLI R., op. cit., p. 129.<br />

326 Cfr. supra nt. 269.<br />

327 FUMAGALLI BEONIO BROCCHIERI M., op. cit., pp. 228-229.<br />

328 LE GOFF J., L’uomo medievale, in ID. (a cura di), L’uomo, cit., p. 9.<br />

329 ULLMANN W., Radici, cit., p. 12; cfr. an<strong>che</strong> DAWSON CH., op. cit., pp. 150 e 152.<br />

103


104<br />

Franz Brandmayr<br />

Al ridimensionamento storiografico del concetto di discontinuità<br />

e rottura applicato alla diade ideal-tipica 330 <strong>Medioevo</strong>/Rinascimento<br />

e alla fragilità concettuale <strong>che</strong> oramai vi viene attribuita<br />

contribuiscono an<strong>che</strong> i motivi di continuità, <strong>che</strong> il Rinascimento<br />

sembra mostrare rispetto a certe caratteristi<strong>che</strong> medievali. Su questa<br />

linea sembra porsi an<strong>che</strong> il notevole lavoro di Burke, 331 <strong>che</strong> prende<br />

in esame gli anni fra il 1440 e il 1520 e <strong>che</strong> – perciò – coglie in<br />

pieno il periodo <strong>che</strong> ci interessa, quasi <strong>un</strong>a sorta di sutura fra le<br />

due epo<strong>che</strong>. In queste pagine lo storico inglese sostiene <strong>che</strong> la<br />

fioritura artistica e le ipoteti<strong>che</strong> caratteristi<strong>che</strong> rinascimentali della<br />

modernità, del realismo, della secolarizzazione e dell’individualismo<br />

non costituiscono affatto dei dati storici sicuri: «se pure è<br />

possibile salvarle, lo si potrà fare solo a costo di notevoli riformulazioni»,<br />

in quanto «tutte queste certezze si sono andate dissolvendo»<br />

<strong>nel</strong> corso della sua ricerca, 332 mentre – in realtà – <strong>nel</strong>l’«umanesimo<br />

rinascimentale […] sono ancora operanti <strong>un</strong> buon<br />

numero di elementi medievali» 333 . Il fenomeno rinascimentale italiano<br />

è reso infatti possibile da <strong>un</strong> laicato colto 334 – sulla cui matrice<br />

squisitamente medievale ci siamo già soffermati 335 – e dalla<br />

«vita ecclesiastica», <strong>che</strong> «in ness<strong>un</strong> altro paese d’Europa […] aveva<br />

uguale portata» 336 . An<strong>che</strong> Lucien Febvre mette in evidenza come<br />

lo spirito religioso del <strong>Medioevo</strong> sia «ben vivo […] in quel genio<br />

<strong>che</strong> più d’ogni altro a quel tempo aveva rivendicato la modernità<br />

del suo secolo» 337 , cioè in Rabelais, mentre altri insistono sul fatto<br />

330 WEBER M., Il metodo, cit., pp. 107-120.<br />

331 BURKE P., op. cit., pp. 29, 36-37, 39, 71, 214 e 223.<br />

332 Ivi, p. 29.<br />

333 BURKE P., Prefazione, in ID., Cultura, cit., p. X.<br />

334 Ivi, pp. 36-37.<br />

335 Vd. supra paragrafo 2.3.<br />

336 ULLMANN W., Radici, cit., p. 16.<br />

337 LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario, cit., pp. XX-XXI; l’A. si riferi-


<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />

<strong>che</strong> la secolarizzazione del Rinascimento è relativa, 338 <strong>che</strong> «la maggior<br />

parte dei quadri aveva soggetto religioso» 339 e <strong>che</strong> «Dio è<br />

ov<strong>un</strong>que <strong>nel</strong>la letteratura dell’epoca» 340 .<br />

Si è visto sopra <strong>che</strong> gli intellettuali e gli “artisti” del <strong>Medioevo</strong><br />

sono stati capaci an<strong>che</strong> di creatività, mentre – contro ogni<br />

“aspettativa stereotipica” 341 –<br />

è paradossale <strong>che</strong> in <strong>un</strong>’epoca in cui la cultura italiana fu contrassegnata<br />

da quella <strong>che</strong> potremmo definire “propensione al nuovo”,<br />

l’innovazione fosse considerata in modo negativo. 342<br />

In effetti, l’ideale rinascimentale è quello di considerare «le opere<br />

anti<strong>che</strong> come altrettanti modelli da imitare» 343 e an<strong>che</strong> Burke riconosce<br />

<strong>che</strong> gli italiani del Rinascimento, con Guicciardini in testa,<br />

sono contrari alle novità, 344 <strong>che</strong> la creatività sia per loro qual<strong>che</strong><br />

cosa di strano 345 e <strong>che</strong>, in ogni caso, an<strong>che</strong> i cosiddetti “creativi”<br />

attingono sia alla tradizione <strong>che</strong> all’innovazione. 346<br />

A proposito dell’ultimo elemento innovativo considerato,<br />

infine, quello del pres<strong>un</strong>to individualismo rinascimentale, Burke<br />

osserva <strong>che</strong> gli artisti del periodo da lui esaminato sono formati<br />

sce al celebre studio di FEBVRE L., Il problema dell’incredulità <strong>nel</strong> secolo XVI. La<br />

religione di Rabelais, Einaudi, Torino 1978 (1942), passim.<br />

338 BURKE P., Cultura, cit., p. 3.<br />

339 Ivi, p. 214.<br />

340 Ivi, p. 223; ULLMANN W., Radici, cit., p. 6.<br />

341 Vd. supra nt. 219.<br />

342 BURKE P., Cultura, cit., p. 237.<br />

343 PERNOUD R., op. cit., p. 22.<br />

344 BURKE P., Cultura, cit., pp. 236-237.<br />

345 Ivi, p. 377.<br />

346 Ivi, p. 32.<br />

105


106<br />

Franz Brandmayr<br />

a <strong>un</strong>a collaborazione intensa e costante decisamente «contraria<br />

allo sviluppo dell’individualismo» 347 .<br />

È opinione di svariati studiosi, perciò, <strong>che</strong> vi sia <strong>un</strong> certo accanimento<br />

<strong>nel</strong> ricorso alle suddivisioni e <strong>un</strong>a sottolineatura esagerata<br />

delle cesure <strong>che</strong> separerebbero il <strong>Medioevo</strong> dal Rinascimento.<br />

Ullmann – ad esempio – non nutre dubbi sul fatto <strong>che</strong> sia<br />

insostenibile la posizione, com<strong>un</strong>emente accettata, 348 di chi parla<br />

di <strong>un</strong>a “nuova era” o di <strong>un</strong>a “frattura (del Rinascimento) nei<br />

confronti del passato medievale”. 349<br />

Molti elementi documentari raccolti dagli studiosi sembrerebbero<br />

perciò suffragare la posizione della continuità storica<br />

fra le due epo<strong>che</strong>, ma Pietro Rossi mette in guardia da<br />

omologazioni eccessive: quando si parla di scienza medievale e<br />

di scienza moderna<br />

il continuismo è solo <strong>un</strong>a mediocre filosofia della storia sovrapposta<br />

alla storia reale. 350<br />

Almeno sotto il profilo scientifico, sostiene l’Autore, va confermata<br />

l’esistenza di <strong>un</strong>a sorta di discontinuità. An<strong>che</strong> Butterfield,<br />

pur nutrendo – come abbiamo già visto 351 – <strong>un</strong>a considerevole<br />

opinione sulla capacità d’invenzione medievale, sembra incoraggiare<br />

<strong>un</strong>a posizione di non-omologazione fra le due epo<strong>che</strong>, quando<br />

argomenta <strong>che</strong> l’Età di Mezzo pare esprimere <strong>un</strong>a serie di<br />

conati in direzione di <strong>un</strong>a scienza empirica, ma<br />

347 Ivi, p. 71.<br />

348 L’Autore pubblicava l’opera <strong>nel</strong> 1977.<br />

349 ULLMANN W., Radici, cit., p. 261; parentesi mia. Vd. an<strong>che</strong> ivi, p. 10 et alibi.<br />

Cfr. infra an<strong>che</strong> nt. 354.<br />

350 ROSSI P., Introduzione, cit., p. XIX.<br />

351 Vd. supra nt. 239 e 241.


<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />

l’uso degli esperimenti non venne tuttavia, per così dire, addomesticato<br />

e bardato prima del diciassettesimo secolo, quando gli<br />

si dette <strong>un</strong> ordine interno, così <strong>che</strong> esso divenne come <strong>un</strong>a grande<br />

macchina in movimento. 352<br />

Osserviamo, pertanto, <strong>che</strong> – com’è comprensibile – le differenze<br />

diventano più nette soprattutto mano a mano <strong>che</strong> ci si<br />

addentra <strong>nel</strong>l’Età moderna e si attraversa la stessa età rinascimentale.<br />

In definitiva, mi sembra <strong>che</strong> la posizione teorica più<br />

prossima a <strong>un</strong>a visione d’insieme abbastanza equilibrata è forse<br />

quella <strong>che</strong> proviene dagli studi sull’alfabetizzazione di Graff:<br />

Quando si descrivono circostanze in cui sviluppo e mutamento<br />

tendono ad essere graduali piuttosto <strong>che</strong> rapidi, come <strong>nel</strong> caso<br />

dell’alfabetizzazione del Continente, è più efficace ricorrere ai<br />

concetti di “continuità” e “contraddizione”. 353<br />

Non pare trattarsi più di <strong>un</strong> aut aut, quindi, bensì di <strong>un</strong> et et,<br />

<strong>che</strong> può sinteticamente rendere ragione di <strong>un</strong> polimorfismo di<br />

esperienze e di situazioni particolari assai mutevoli a seconda<br />

delle classi sociali, delle aree geografi<strong>che</strong>, delle subculture e degli<br />

aspetti o tratti culturali considerati.<br />

Ho voluto dare spazio, per quanto possibile in <strong>un</strong> contributo<br />

di queste dimensioni, ad angolature prospetti<strong>che</strong> diversificate per<br />

oggetto di studi e per la sensibilità degli autori rispetto al tema del<br />

rapporto fra il <strong>Medioevo</strong> e il Rinascimento. Non mi sembra inutile,<br />

però, lasciare concludere questa argomentazione a Le Goff,<br />

<strong>che</strong> non mostra reticenze di sorta quando afferma <strong>che</strong><br />

la maggior parte dei segni caratteristici per mezzo dei quali si è<br />

voluto riconoscerlo [il Rinascimento] sono apparsi ben prima del-<br />

352 BUTTERFIELD H., op. cit., p. 110.<br />

353 GRAFF H.J.., op. cit., pp. 19-20.<br />

107


108<br />

Franz Brandmayr<br />

l’epoca (secoli XV-XVI) in cui il Rinascimento viene collocato. Il<br />

“ritorno all’antico” si manifesta fin dal secolo XIII […] lo stato<br />

“machiavellico” è già presente <strong>nel</strong>la Francia di Filippo il Bello. La<br />

prospettiva entra <strong>nel</strong>l’ottica e <strong>nel</strong>la pittura già alla fine del secolo<br />

XIII. La lettura si diffonde ben prima della galassia Gutenberg e<br />

l’alfabetizzazione – è il fenomeno culturale <strong>che</strong> più conta – non<br />

attende l’invenzione della stampa. Fra la fine del secolo XII e gli<br />

inizi del XIII l’individuo si afferma con altrettanta forza <strong>che</strong> <strong>nel</strong>l’Italia<br />

del Quattrocento […] Non sono d’accordo con Max Weber<br />

e Robert Tawney quando collegano la “religione” del lavoro al<br />

protestantesimo. Questa esiste fin dal secolo XIII. 354<br />

3. Verstehen, empatia, osservazione partecipante<br />

Condannare o assolvere il passato non dovrebbe rientrare<br />

fra i compiti dello storico ma, in generale, neppure delle società<br />

contemporanee: il Novecento e gli inizi del nuovo millennio<br />

hanno registrato sufficienti crimini perché ness<strong>un</strong>o fra<br />

i contemporanei si possa sentire giudice del passato. 355<br />

Quando si tratta di mettere in rilievo gli errori o i limiti altrui il<br />

lavoro del critico risulta sempre facilitato, perché distruggere è<br />

più facile <strong>che</strong> costruire. Il soggetto sottoposto a valutazione critica<br />

ha lavorato, ha indagato, ha esercitato <strong>un</strong>o sforzo di analisi<br />

e di scelta e si è – con ciò – caricato di <strong>un</strong>a serie di atti di responsabilità.<br />

Chi lo giudica, invece, dispone del vantaggio di costruire<br />

il proprio edificio teorico sul fondamento del travaglio al-<br />

354 LE GOFF J., Prefazione, in ID., L’immaginario, cit., pp. XIX e XX; parentesi<br />

quadrata mia. Per quanto attiene alla nascita dello stato si veda an<strong>che</strong> REINHARD<br />

W., op. cit., pp. 34-35. Dal p<strong>un</strong>to di vista della sociologia delle religioni si<br />

evince <strong>un</strong> considerevole rinforzo a questa visione positiva del <strong>Medioevo</strong> an<strong>che</strong><br />

dai primi cinque capitoli di STARK R., La vittoria della Ragione. Come il<br />

cristianesimo ha prodotto libertà, progresso e ric<strong>che</strong>zza, Lindau, Torino 2006 (2005).<br />

355 CARDINI F.-MONTESANO M., op. cit., p. 164.


<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />

trui. È con questa consapevolezza e con questo atteggiamento<br />

di rispetto <strong>che</strong> cerco di fornire qual<strong>che</strong> sp<strong>un</strong>to in direzione di<br />

<strong>un</strong> approccio più efficace alla storia medievale.<br />

È possibile <strong>che</strong> la carenza principale <strong>che</strong> denotano certe trattazioni<br />

del tema di cui ci occupiamo possa riguardare la sua problematica<br />

comprensione da parte dei suoi volgarizzatori, (così<br />

potremmo essere considerati noi insegnanti quando non siamo<br />

an<strong>che</strong> storici), ma talvolta – perché negarlo? – forse an<strong>che</strong> da<br />

parte di qual<strong>che</strong> storico. Come si sa, il termine “comprensione”,<br />

reso dal tedesco Verstehen 356 a partire dal dibattito epistemologico<br />

– svoltosi a cavallo fra l’Ottocento e il Novecento 357 – chiamato<br />

Methodenstreit 358 , non ha soltanto <strong>un</strong> generico significato legato<br />

semplicemente al “capire”. Fin dalla sua radice latina (capere) il<br />

verbo capire dà l’idea di «afferrare» 359 , di «prendere», perciò, <strong>un</strong><br />

qual<strong>che</strong> cosa di estrinseco, di esterno rispetto al soggetto <strong>che</strong> “coglie”.<br />

Il con-prehendere del latino 360 sembra invece rinviare a <strong>un</strong> significato<br />

più inclusivo e a <strong>un</strong> coinvolgimento tale da permettere<br />

<strong>un</strong>a Einfühl<strong>un</strong>g 361 , <strong>un</strong> sentire dentro 362 e, al contempo,<br />

<strong>un</strong>’«immedesimazione» 363 . Si tratta, perciò, come si può constatare,<br />

della stessa etimologia, ma – soprattutto – dello stesso atteg-<br />

356 MARROU H.-I., op. cit., p. 73.<br />

357 ABBAGNANO N., s.v. Comprendere, in ID., op. cit., pp. 141-142.<br />

358 TULLIO-ALTAN C., Antropologia, cit., p. 287.<br />

359 LIOTTA G.-ROSSI L.-GAFFIOT F., s.v. Capio, in IID., Dizionario della lingua latina.<br />

Latino-italiano, il capitello, Torino 2010; il complesso greifen – Begriff – begreifen =<br />

«prendere, pigliare» – «concetto» – «capire, comprendere» (MACCHI V., s.vv., in<br />

ID., op. cit.) sembra rinviare a rapporti di significato abbastanza simili.<br />

360 DEVOTO G.-OLI G.C., s.v. Comprendere, in IID., Il dizionario della lingua italiana,<br />

Le Monnier, Firenze 1995.<br />

361 MALIGHETTI R., s.v. Verstehen, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di), op. cit., p. 790.<br />

362 MACCHI V., s.vv. Ein e Fühlen, in ID., op. cit.<br />

363 Ivi, s.v. Einfühl<strong>un</strong>g.<br />

109


110<br />

Franz Brandmayr<br />

giamento 364 di empatia metodologica, <strong>che</strong> gli antropologi cercano<br />

di porre in atto <strong>nel</strong>la loro ricerca sul campo. 365 Ciò non consiste,<br />

come il lettore capisce, in <strong>un</strong>a mera concessione al sentimentalismo,<br />

bensì in <strong>un</strong> percorso metodologico <strong>che</strong>, a partire da svariati<br />

autori <strong>che</strong> hanno fondato le scienze sociali, 366 ha dato i suoi buoni<br />

frutti fino a pervenire – in tempi a noi più vicini – all’elaborazione<br />

originale del metodo dell’antropologia interpretativa affinato<br />

da Clifford Geertz. 367 In questa sede non è possibile nean<strong>che</strong> accennare<br />

ai passaggi più significativi <strong>che</strong> portano a questi esiti teorici;<br />

è sufficiente proporre all’attenzione di chi<strong>un</strong>que si occupi di<br />

divulgare i contenuti della civiltà medievale l’opport<strong>un</strong>ità di <strong>un</strong><br />

approccio dall’interno ai singoli dati, come alle epo<strong>che</strong> e alle culture<br />

fatte oggetto di studio. Ciò si può realizzare in maniera in<br />

qual<strong>che</strong> modo analoga a quella attuata dall’antropologo <strong>che</strong> ricorre<br />

all’«osservazione partecipante» 368 quando si trova a indagare<br />

“sul campo” intorno a <strong>un</strong>a qual<strong>che</strong> cultura specifica.<br />

364 Sotto il profilo psicologico si tratta del «tentativo di riprodurre in proprio<br />

i sentimenti altrui, al fine di comprendere l’altra persona» [STECK P., s.v.<br />

Empatia, in ARNOLD W.-EYSENCK H.J.-MEILI R. (a cura di), op. cit., p. 354].<br />

365 Cfr. ad es. il riferimento alla «simpatia» dell’antropologo per l’oggetto di<br />

studio (FIRTH R., I simboli e le mode, Laterza, Bari 1977, p. 40); a sua volta TULLIO-<br />

ALTAN C., Soggetto, cit., pp. 210-222 scrive dell’«empatia» richiesta <strong>nel</strong>la ricerca<br />

intorno alle varie temati<strong>che</strong> inerenti l’ambito del simbolico. Sono espressioni,<br />

com<strong>un</strong>que, <strong>che</strong> non vanno intese in senso «emotivo», né confuse con opzioni<br />

teori<strong>che</strong> <strong>che</strong> rifiutino a priori il tentativo di <strong>un</strong>a «comprensione» oggettiva della<br />

cultura studiata (cfr. TULLIO-ALTAN C., Manuale, cit., p. 543).<br />

366 Si tratta, ad es., di Weber, di Simmel, di Talcott Parsons e di Wright Mills<br />

(MALIGHETTI R., s.v. Verstehen, cit., p. 790).<br />

367 ID., s.v. Antropologia interpretativa, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di), op.<br />

cit., p. 71; va tuttavia notato <strong>che</strong> – rispetto al Verstehen – la prospettiva geertziana<br />

non contempla la nozione di empatia (MALIGHETTI R., s.v. Verstehen, cit., ib.).<br />

368 BERNARDI B., op. cit., pp. 114 e 249-250; CIRESE A.M., Cultura, cit., pp. 249-<br />

250, dove l’Autore rende il medesimo concetto con l’espressione «integrazione<br />

mentale»; TULLIO-ALTAN C., Manuale, cit., pp. 515-516 e 542-545.


<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />

Ma non occorre uscire dall’ambito degli studi storici per rinvenire<br />

indicazioni metodologi<strong>che</strong> – espresse con grande autorevolezza<br />

– sui temi della comprensione e della simpatia metodologica:<br />

Storico è colui <strong>che</strong>, attraverso l’epokhè, sa uscire da se stesso<br />

per incontrarsi con gli altri. A tale virtù possiamo dare <strong>un</strong><br />

nome: “simpatia”. 369<br />

I «vecchi maestri positivisti», continua Marrou, ritenevano<br />

essere lo spirito critico la migliore virtù dello storico: il dubbio<br />

metodologico di ispirazione cartesiana – peraltro imprescindibile<br />

in ogni scienza – veniva da loro esasperato fino a diventare<br />

<strong>un</strong>a «diffidenza programmatica», <strong>che</strong> – eretta a sistema 370<br />

– «dovrà considerarsi come <strong>un</strong>a delle più gravi deficienze dello<br />

storico» 371 .<br />

In assenza di simpatia metodologica, addirittura di <strong>un</strong>a sorta<br />

di amicizia 372 con l’autore del documento, con il suo mondo fatto<br />

di sentimenti, di passioni da occultare, di interessi materiali e simbolici<br />

da difendere, di tragedie rimosse e di sofferenze forse amplificate,<br />

difficilmente la fonte potrà venire “sfruttata” appieno e<br />

solo con difficoltà essa potrà esprimere ogni sua potenzialità. Se<br />

l’Altro non viene, in qual<strong>che</strong> modo, guardato con “partecipazione”<br />

(è il termine – forse meno enfatico dell’“amicizia” di Marrou<br />

– <strong>che</strong> preferisco attingere dalla letteratura antropologica), egli –<br />

l’Altro – rischierà di diventare «<strong>un</strong>a creatura della ragione, <strong>un</strong><br />

fantasma <strong>che</strong> la mia immaginazione si compiace di alimenta-<br />

369 MARROU H.-I., op. cit., p. 85.<br />

370 Per <strong>un</strong>a serie di argomentazioni sulla differenza fra “metodo” e “sistema”<br />

e sulla loro articolazione speculare rispetto alla diade concettuale “apertura”/”chiusura”<br />

si veda ad es. GUITTON J., op. cit., pp. 119-120.<br />

371 MARROU H.-I., op. cit., p. 85. Cfr. supra an<strong>che</strong> nt. 131.<br />

372 ID., op. cit., p. 86.<br />

111


112<br />

Franz Brandmayr<br />

re» 373 o, se vogliamo adoperare <strong>un</strong> termine <strong>che</strong> abbiamo già incontrato,<br />

<strong>un</strong> concentrato di eti<strong>che</strong>ttazioni al quale la ricerca d’archivio<br />

o sul terreno non potrà aggi<strong>un</strong>gere niente di nuovo. Si<br />

configurerà – in questo modo – ciò <strong>che</strong> gli psicologi sociali definiscono<br />

aspettativa stereotipica, cioè la supposta conferma – ottenuta<br />

dai cosiddetti “fatti documentati” – di ciò <strong>che</strong> già si era<br />

fissato a priori <strong>nel</strong>la memoria selettiva del ricercatore, l’<strong>un</strong>ica evidenza<br />

<strong>che</strong> – fin dal principio – egli sarebbe stato disposto a rilevare<br />

sul terreno dell’indagine. In questi casi ogni dissonanza cognitiva<br />

rispetto all’ipotesi di partenza tenderà a venire obliterata, in quanto<br />

non suffragherà l’ipotesi di partenza del ricercatore e si perverrà,<br />

come abbiamo già visto sopra, a <strong>un</strong>a sorta di pseudo-conoscenza<br />

di natura tautologica. Mi piace concludere il paragrafo con<br />

<strong>un</strong>a citazione ricavata da <strong>un</strong>o studio di <strong>un</strong> importante sociologo<br />

della com<strong>un</strong>icazione, mentre tratta il delicato tema della percezione<br />

delle culture islami<strong>che</strong> ad opera degli occidentali:<br />

Comprendere i valori degli altri […] non significa […] necessariamente<br />

condividerli, an<strong>che</strong> se generalmente il risultato del procedimento<br />

è quello di <strong>un</strong> arricchimento della propria sensibilità etica. 374<br />

3.1. Per <strong>un</strong>a conclusione aperta…<br />

Abbiamo già accennato alla reticenza e finan<strong>che</strong> alla diffidenza<br />

<strong>che</strong> certe espressioni (sospensione del giudizio, simpatia, partecipazione)<br />

suscitano in <strong>un</strong>a parte dei ricercatori dei Cultural<br />

Studies, fino a portarli talora a esiti nichilistici 375 rispetto alla pos-<br />

373 Ibidem.<br />

374 MARLETTI C., Le immagini dell’islam <strong>nel</strong>la narrazione di eventi e <strong>nel</strong> dibattito su temi.<br />

Analisi qualitativa dei testi e dei generi, in ID. (a cura di), Televisione e Islam. Immagini e<br />

stereotipi dell’islam <strong>nel</strong>la com<strong>un</strong>icazione italiana, RAI-Nuova ERI, Roma 1995, p. 157.<br />

375 Vd. supra nt. 173.


<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />

sibilità di fare ricerca su culture e civiltà altre. Credo – del resto<br />

– <strong>che</strong> an<strong>che</strong> certi storici non siano disposti a offrire <strong>un</strong>o spazio<br />

eccessivo a questi atteggiamenti, <strong>che</strong> ben si presterebbero a essere<br />

resi f<strong>un</strong>zionali a <strong>un</strong> irenismo accomodante. Ma non è certamente<br />

a questo <strong>che</strong> allude Marrou, il quale infatti precisa <strong>che</strong><br />

al progresso della nostra scienza (la storia) non nuoce <strong>che</strong> <strong>un</strong>a<br />

critica esigente, a volte ingiusta, possa scuotere <strong>un</strong>a pigra simpatia<br />

pronta a scivolare <strong>nel</strong>l’indulgenza e <strong>nel</strong>la facilità. 376<br />

La sfida è certamente aperta e i risultati, sempre se arrivano,<br />

non sono affatto scontati. Credo fosse, in ogni caso, importante<br />

tornare a sollevare il problema del <strong>pregiudizio</strong> antimedievale e<br />

cercare di mettere in ulteriore evidenza quanto esso sia compenetrato<br />

con il senso com<strong>un</strong>e: dalla messa in luce delle modalità<br />

riproduttive 377 del <strong>pregiudizio</strong> <strong>che</strong> abbiamo cercato di esaminare,<br />

il docente, lo studente, forse lo storico stesso, potrebbero<br />

attingere sp<strong>un</strong>ti per l’autoanalisi e per l’affinamento degli strumenti<br />

concettuali necessari per la comprensione del <strong>Medioevo</strong>.<br />

Si tratterebbe, inoltre, di <strong>un</strong> esercizio utile an<strong>che</strong> per la comprensione<br />

di realtà socio-culturali “altre”, con le quali siamo<br />

chiamati a misurarci <strong>nel</strong>la concretezza dell’oggi. 378<br />

Restano aperte, a mio avviso, ancora due questioni, alle quali<br />

ho accennato <strong>nel</strong> corso del saggio. In primo luogo, credo sia<br />

opport<strong>un</strong>o <strong>un</strong> futuro approfondimento, complementare a queste<br />

riflessioni, della matrice occidentalista del <strong>pregiudizio</strong> antimedievale:<br />

potrebbe derivarne <strong>un</strong>a visione nuova e, forse,<br />

meno dogmatica di alc<strong>un</strong>i assiomi della civiltà euroamericana.<br />

376 MARROU H.-I., op. cit., p. 87.<br />

377 MAZZARA B.M., op. cit., p. 16.<br />

378 Cfr., ad es., supra nt. 290.<br />

113


114<br />

Franz Brandmayr<br />

“Sacralizzati” 379 e divenuti <strong>un</strong> tutt’<strong>un</strong>o con il discorso com<strong>un</strong>e, i<br />

valori e i paradigmi dell’Occidente (ad es.: «la visione <strong>un</strong>iversale<br />

e <strong>secolare</strong> di ciò <strong>che</strong> è {autenticamente} umano», i «diritti umani»,<br />

il pensiero marxista e liberale e le «scienze umane» 380 , l’idea<br />

del «soggetto-cittadino», «le concezioni della società civile […],<br />

le diverse distinzioni fra pubblico e privato […], il tempo storico<br />

{lineare}» 381 , l’«individualismo», l’«intellettualismo»,<br />

l’«antitradizionalismo» e l’idea di «nazione» ecc.) hanno rappresentato<br />

<strong>un</strong> saldo supporto teorico f<strong>un</strong>zionale alla tesi della<br />

missione «civilizzatrice» dell’Occidente nei confronti del resto<br />

del mondo. 382 Essi potrebbero conferire – secondo alc<strong>un</strong>i –<br />

<strong>un</strong>a connotazione addirittura “religiosa” alla modernizzazione,<br />

383 all’interno della quale dette nozioni rischiano di assumere<br />

significati imperituri e sottratti alla critica storica. 384 Altri<br />

ancora, come – ad esempio – Jürgen Habermas, non esitano a<br />

cogliere <strong>nel</strong>la stessa storia della filosofia occidentale <strong>un</strong> «tentativo<br />

delle società democrati<strong>che</strong> di rassicurare se stesse» circa<br />

379 Sul processo di “sacralizzazione dei simboli” cfr. REMOTTI F., Noi primitivi.<br />

Lo specchio dell’antropologia, Boringhieri, Torino 1990, p. 157.<br />

380 CHAKRABARTY D., Provincializzare, cit., pp. 16-17; parentesi mia. Qual<strong>che</strong><br />

“impressionista” è portato a credere <strong>che</strong> il pensiero marxista sia stato abbattuto<br />

con il Muro di Berlino; Chakrabarty opport<strong>un</strong>amente ci ricorda la sua<br />

persistenza e vitalità. In questo senso credo <strong>che</strong> il volume di MASSET P., Il<br />

marxismo <strong>nel</strong>la coscienza moderna, Città Nuova, Roma 1977 2 (s.d. orig.), passim,<br />

pur superato dagli eventi, rappresenti ancora <strong>un</strong>’utile introduzione.<br />

381 CHAKRABARTY D., Provincializzare, cit., p. 38; parentesi graffe mie.<br />

382 Cfr. ad es. BASTIDE R., Noi e gli altri. I luoghi di incontro e di separazione culturali<br />

e razziali, Jaca Book, Milano 1990 2 (1970), pp. 27-28; CHAKRABARTY D.,<br />

Provincializzare, cit., p. 21; TRIULZI A., Lo sguardo coloniale, in PASQUINELLI C. (a<br />

cura di), op. cit., p. 106.<br />

383 Cfr. ad es. KIPPENBERG H.G., La scoperta della storia delle religioni. Scienze delle<br />

religioni e modernità, Brescia, Morcelliana 2002 (1997), pp. 196-197, 253 e 256-257.<br />

384 Cfr. REMOTTI F., op. cit., p. 157.


<strong>Medioevo</strong>: <strong>un</strong> <strong>pregiudizio</strong> <strong>secolare</strong><br />

la bontà del proprio progetto modernistico 385 da estendere al<br />

mondo intero.<br />

Rimanderei, pertanto, a <strong>un</strong> ipotetico lavoro futuro l’analisi di<br />

questa particolare tipologia di precomprensioni, le quali – per<br />

quanto a noi care – fondano, sostengono e rendono eurocentri<strong>che</strong><br />

– oltre alla storiografia <strong>che</strong> si occupa delle aree extraeuropee<br />

– an<strong>che</strong> le narrazioni moderne del <strong>Medioevo</strong> europeo. Questa<br />

seconda fase del nostro esercizio decostruttivo potrebbe consentirci<br />

di portare a compimento quel lavoro di defamiliarizzazione<br />

386 rispetto alle prospettive moderne e postmoderne, <strong>che</strong> avevamo<br />

posto come nostro obiettivo critico.<br />

Da ultimo, si pone la necessità della ricerca delle cause<br />

dell’«ostilità simbolica» 387 contro il <strong>Medioevo</strong>. Vi è chi la attribuisce<br />

non tanto alla malignità, quanto – piuttosto – all’incompetenza<br />

e alla mancanza di curiosità; 388 vi è an<strong>che</strong> chi sosteneva già<br />

alla metà del secolo scorso <strong>che</strong><br />

fuori del mondo accademico si sono affermate nuove forze sociali<br />

<strong>che</strong> si servono della storia o d’<strong>un</strong>a versione particolare della<br />

storia per fini sociali, come <strong>un</strong> mezzo per trasformare la vita e le<br />

azioni degli uomini. 389<br />

È compito degli storici l’ipotizzare e il verificare se <strong>nel</strong>la seconda<br />

metà del Novecento vi sia stata <strong>un</strong>a manipolazione della<br />

narrazione medievalistica ad opera di agenzie culturali, <strong>che</strong> non<br />

385 Cfr. an<strong>che</strong> le argomentazioni di CHAKRABARTY D., Provincializzare, cit., pp. 62-63.<br />

386 Vd. supra nt. 184.<br />

387 È <strong>un</strong> concetto <strong>che</strong> attingo da DAL LAGO A., Non-persone. L’esclusione dei<br />

migranti in <strong>un</strong>a società globale, Feltri<strong>nel</strong>li, Milano 2004 2 (1999), p. 50; in COLOM-<br />

BO E., op. cit., p. 37 trovo la nozione affine di «violenza simbolica».<br />

388 PERNOUD R., op. cit., p. 152.<br />

389 DAWSON CH., op. cit., p. 17.<br />

115


390 Cfr. supra nt. 158.<br />

116<br />

Franz Brandmayr<br />

abbiano tenuto <strong>che</strong> in scarso conto gli sviluppi della ricerca<br />

storiografica meno condizionata da istanze extrascientifi<strong>che</strong>.<br />

Per quanto mi riguarda sarei più interessato per formazione<br />

a <strong>un</strong> rilevamento in ambito sincronico, da effettuarsi all’interno<br />

di qual<strong>che</strong> collettività (alc<strong>un</strong>e classi di studenti? <strong>un</strong> gruppo di<br />

colleghi?) o su <strong>un</strong>a certa tipologia di prodotti culturali (<strong>un</strong> semestre<br />

di osservazione e controllo della produzione scritta di<br />

<strong>un</strong>a o più testate giornalisti<strong>che</strong>? <strong>un</strong>a disamina sistematica dei<br />

manuali in commercio <strong>nel</strong>l’arco di <strong>un</strong> periodo determinato?): il<br />

lavoro di registrazione e di analisi dei sentimenti, delle valutazioni<br />

e delle scelte 390 degli individui e delle com<strong>un</strong>ità riguardo al<br />

<strong>Medioevo</strong> potrebbe an<strong>che</strong> essere molto significativo rispetto sia<br />

alla conoscenza del processo di individuazione 391 dei singoli attori<br />

sociali sia alla costruzione dell’identità negli specifici gruppi<br />

di appartenenza.<br />

391 JUNG C.G., s.v. Individuazione, in ID., Dizionario di psicologia analitica,<br />

Boringhieri, Torino 1977 (1921), pp. 82-85.

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