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Dialoghi al <strong>Carducci</strong>-Dante<br />
3
B. BIANCHI - C. BORDIGNON - F. BRANDMAYR - V. DORDOLO<br />
M. INDRIGO - G. OLIVO - G. PELLIS - D. STROPPOLO<br />
Istituto Statale di Istruzione Superiore<br />
“Giosuè <strong>Carducci</strong> – Dante Alighieri”<br />
Trieste 2012
B. BIANCHI - C. BORDIGNON - F. BRANDMAYR - V. DORDOLO<br />
M. INDRIGO - G. OLIVO - G. PELLIS - D. STROPPOLO<br />
DIALOGHI AL<br />
CARDUCCI-DANTE<br />
pagine di cultura e didattica<br />
numero 3<br />
Istituto Statale di Istruzione Superiore<br />
“Giosuè <strong>Carducci</strong> – Dante Alighieri”<br />
Trieste 2012
Avvertenza<br />
Giunti al terzo numero, i “Dialoghi al Liceo Dante” cambiano nome<br />
in “Dialoghi al <strong>Carducci</strong>-Dante”. Dall’anno scolastico 2011-2012,<br />
infatti, il Liceo “Dante Alighieri” di Trieste ha cessato di esistere quale<br />
organismo autonomo, per fondersi con il Liceo “Giosuè <strong>Carducci</strong>”.<br />
Il presente volume, oltre che nel nome, rispecchia anche nei contenuti<br />
questa nuova realtà, essendo il frutto della collaborazione dei docenti<br />
di entrambi gli istituti scolastici, oggi denominati unitamente I.S.I.S.<br />
“Giosuè <strong>Carducci</strong>-Dante Alighieri”.<br />
Prima edizione: dicembre 2012<br />
Tutti i diritti sono riservati a norma di legge<br />
© 2012 Istituto Statale di Istruzione Superiore<br />
“Giosuè <strong>Carducci</strong> – Dante Alighieri”<br />
via Madonna del Mare 11 - 34124 Trieste<br />
www.carducci-ts.it<br />
pubblicazione realizzata da:<br />
LINT Editoriale srl - Trieste<br />
www.linteditoriale.com<br />
ISBN 978-88-8190-286-6
Indice<br />
Nota introduttiva di Daniele Stroppolo ............................. » 7<br />
Ringraziamenti..................................................................<br />
Atque in perpetuum. Omaggio a Giorgio Caproni a cent’an-<br />
» 11<br />
ni dalla nascita (Brigitta Bianchi) ....................................... » 13<br />
Esperienze di apprendimento cooperativo nella didattica<br />
dell’italiano, tra formazione professionale e attività<br />
in classe (Cristina Bordignon) .............................................<br />
Perché perivi (o tenerella)? Analisi dei tempi verbali nel<br />
» 21<br />
“grande canto” A Silvia (Marco Indrigo).......................... » 33<br />
Media e costruzione della realtà (I). Una riflessione sulla<br />
didattica e sulla ricerca nella prospettiva delle scienze<br />
sociali (Franz Brandmayr)...................................................<br />
L’arte dell’icona: ascesi e contemplazione (Valentina<br />
» 41<br />
Dordolo)............................................................................... » 73<br />
Indirizzo all’attività sportiva (G. Pellis-G. Olivo) ........... » 97<br />
5
Nota introduttiva<br />
di Daniele Stroppolo *<br />
Questo terzo volume dei “Dialoghi” è figlio di una serie cospicua<br />
di cambiamenti: la scuola italiana sta subendo un processo<br />
di riforma piuttosto radicale; gli istituti scolastici proseguono le<br />
proprie esistenze secondo un percorso di evoluzione con lente<br />
eppure evidenti dinamiche; il corpo docenti di ciascun istituto<br />
si allarga, si impoverisce o se non altro cambia in qualche volto<br />
da un anno scolastico a quello successivo.<br />
Il nostro piccolo progetto editoriale segue fisiologicamente<br />
quanto avviene alla scuola e alle scuole, ne trae sostanza e tenta di<br />
restituire, attraverso una serie di monografie, un’immagine di quello<br />
che può essere colto e percepito tramite lo sguardo dei docenti –<br />
naturalmente senza alcuna pretesa di giudicare o condurre: lo scopo<br />
di queste pagine è, piuttosto, quello di testimoniare.<br />
Testimoniare che cosa? Innanzitutto la volontà per nulla sopita<br />
di proseguire nel confronto dialettico e dialogico tra colleghi<br />
sempre appassionati della propria professione: condividere conoscenze,<br />
chiedere e fornire pareri; cercare di raggiungere qualche<br />
brano di verità – ammesso che sia possibile – non per fruirne<br />
* Docente di italiano e latino.<br />
7
8<br />
Daniele Stroppolo<br />
in solitario, ma per godere della comunanza. E se verità non<br />
fosse, certamente sarà esperienza, percorso, passo in una qualche<br />
direzione per non soccombere alla stasi. Ecco dunque che<br />
in questi “Dialoghi” non si registra tanto che cosa pensino i<br />
docenti, ma piuttosto a che cosa essi pensino: alla didattica, alle<br />
proprie discipline d’insegnamento mai troppo esplorate, alle<br />
proprie attività di ricerca indipendenti dall’ambito strettamente<br />
scolastico, ai propri percorsi culturali oltre che professionali.<br />
Se in tutto ciò il terzo volume non si discosta da quanto proposto<br />
in quelli precedenti, esso diventa invece del tutto nuovo<br />
rispetto a una serie di processi apparentemente esterni alla sua<br />
redazione, ma che invece hanno influito profondamente sulla<br />
produzione e sulla raccolta dei materiali qui pubblicati: il “Liceo<br />
Dante Alighieri” di Trieste non esiste più come organismo autonomo;<br />
è avvenuta una fusione tra due istituti scolastici, ciascuno<br />
con una propria storia, una precipua identità, un’utenza<br />
piuttosto definita – per quanto certamente intercambiabile, come<br />
dimostrano i molti passaggi di studenti dall’una all’altra scuola<br />
anno dopo anno. Così, due poeti tanto distanti si sono ritrovati<br />
vicini, a condividere una stessa denominazione: “Istituto Statale<br />
di Istruzione Superiore Giosuè <strong>Carducci</strong> – Dante Alighieri”.<br />
Si potrebbe pensare che tale fatto abbia implicazioni meramente<br />
burocratiche, o del tutto periferiche rispetto all’attività professionale<br />
dei docenti: le sedi di ciascuna delle scuole sono rimaste le<br />
stesse; c’è forse qualche impegno burocratico più complesso da<br />
gestire, perché va affrontato con i colleghi di tutto il neo-istituto,<br />
ma nulla che possa scoraggiare o creare disagi che non siano del<br />
tutto trascurabili. Eppure, volendo davvero interrogarsi circa la<br />
natura della propria attività, circa il percorso che ciascun docente<br />
si ritrova a seguire nella propria professione, allora l’accorpamento<br />
tra le due entità non deve essere ignorato.<br />
Vi sono tendenze, intimamente legate al ruolo professionale<br />
del quale siamo investiti (si perdonerà l’espressione forse troppo<br />
sacrale), a causa delle quali l’insegnante si ritrova molto spes-
Nota introduttiva<br />
so a intraprendere un viaggio piuttosto solitario: in cattedra di<br />
fronte allo schieramento delle classi; nella preparazione domestica<br />
delle lezioni; nel momento critico – in ogni senso possibile<br />
– della valutazione. Il rischio è quello di abbandonarsi, per comodità,<br />
per abitudine se non per sopraffazione del concreto<br />
lavorare sulla volontà astratta, al solipsismo, o addirittura a una<br />
sorta di autismo professionale. L’autoreferenzialità, anche nell’immagine<br />
che dei docenti hanno molto spesso gli alunni, è una<br />
cifra dalla quale con difficoltà ci si distacca in una professione<br />
così decisamente improntata su un’autonomia che, d’altra parte, è<br />
del tutto indispensabile nell’attività didattica e va custodita anche<br />
con una certa gelosia. Eppure è proprio nel margine comune tra<br />
l’agire individuale e la collaborazione che andrebbe forse ricercato<br />
l’opportuno equilibrio per una sana attività di docenza.<br />
In questi termini, la nascita del “<strong>Carducci</strong> – Dante” non può<br />
essere ignorata né semplicemente sopportata: dovrebbe invece<br />
essere coltivata, al fine di costituire un corpo docenti in grado di<br />
trarre un qualche profitto dalla nuova situazione istituzionale.<br />
Le conversazioni che hanno portato alla nascita dei “Dialoghi”<br />
si sono svolte soprattutto in un’aula insegnanti accogliente, intima,<br />
in cui un numero piuttosto limitato di docenti transitava<br />
familiarmente. È stato allora naturale ritrovarsi a produrre qualche<br />
chiacchiera, cominciando forse dalle più convenzionali considerazioni<br />
atte al semplice socializzare fino a giungere a scambi<br />
estremamente proficui circa le rispettive indagini – di carattere<br />
didattico, scientifico o filosofico che fossero. Il nuovo istituto<br />
possiede un’articolazione, anche semplicemente logistica, così<br />
ricca e complessa che non può essere previsto uno spazio unico<br />
paragonabile a quell’aula: le classi, e di conseguenza i docenti, si<br />
distribuiscono su tre sedi diverse; i momenti di raccolta unitaria<br />
sono rari e perlopiù così densi di motivi professionali da non<br />
lasciare molto tempo alla parola spontanea ed estemporanea.<br />
È allora plausibile, se non necessario, cercare strumenti e<br />
opportunità per uno scambio che certamente, qualora riesca a<br />
9
10<br />
Daniele Stroppolo<br />
concretarsi, non può che determinare un arricchimento professionale<br />
e umano in grado di ripercuotersi positivamente sull’attività<br />
didattica: il confronto è mezzo irrinunciabile di<br />
automiglioramento. In questa direzione tenta di porsi il presente<br />
volume, frutto dei volontari contributi di docenti che, in alcuni<br />
casi, neppure hanno avuto ancora l’occasione di presentarsi<br />
l’un l’altro. Molto si è costruito attraverso intermediazioni, scambi<br />
di indirizzi e-mail, parole di terzi e fiducia nel prossimo; la speranza<br />
è che questo processo di mutuo accoglimento sia uno dei tanti<br />
mezzi per tentare di rendere sempre più viva e intensa la collaborazione<br />
interna a questa nuova e variegata realtà scolastica. Del<br />
resto, nel titolo della pubblicazione è stato sin dall’inizio riposto<br />
un doppio significato: esito di dialogo, invito al dialogo.<br />
Non si ritenga, però, che il senso di questo volume si esaurisca<br />
nel puro slancio cooperativo, né nel suo emblematico invito<br />
alla reciproca conoscenza; permangono i motivi per i quali i<br />
“Dialoghi” sono nati e stanno ormai trovando una certa continuità<br />
di produzione e pubblicazione: resta ferma e costante la<br />
fiducia nel fatto che la ricerca sia parte irrinunciabile nella professionalità<br />
dei docenti. Altrettanta sicurezza è riposta nel pensiero<br />
che la dedizione, la serietà e la precisione con cui le indagini<br />
qui pubblicate sono state eseguite conferiscano loro dignità e<br />
significato, al di là degli eventuali riconoscimenti istituzionali o<br />
delle attenzioni accademiche di cui possono essere stati – o meno<br />
– oggetto. C’è molta qualità nella scuola italiana; troppe voci, estranee<br />
più spesso che interne, hanno cercato e tuttora cercano di far<br />
credere il contrario. Che questa pubblicazione fornisca un piccolo<br />
argomento a sostegno del nostro impegno professionale.
Ringraziamenti<br />
Nel volume di Dialoghi del 2012 la maggior parte degli articoli è<br />
stata redatta da insegnanti che non appartenevano al precedente<br />
corpo docente del Liceo “Dante Alighieri”: crediamo questa<br />
sia una piccola – ma forse significativa – testimonianza della<br />
volontà di costruire insieme qualche cosa di valido nella nuova<br />
e unitaria realtà scolastica dell’I.S.I.S. “<strong>Carducci</strong>-Dante”.<br />
La nostra gratitudine va, in primo luogo, al dirigente scolastico<br />
Maria Cristina Rocco e al direttore dei servizi generali<br />
amministrativi Fulvia Bezzoni, che – nel corso di un anno scolastico<br />
estremamente impegnativo sotto tanti aspetti – hanno<br />
trovato l’energia per incoraggiare e sostenere economicamente<br />
l’iniziativa.<br />
Molti colleghi, anche di altri Istituti, hanno mostrato il loro<br />
interesse e la loro simpatia e, in qualche caso, ci hanno gratificato<br />
con il loro apprezzamento: senza questi incitamenti il nostro<br />
lavoro sarebbe stato più gravoso. Siamo loro riconoscenti e speriamo<br />
di poter contraccambiare, magari ospitando qualche loro<br />
contributo scritto.<br />
Un ringraziamento particolare va, infine, al professor<br />
Paoloemilio Biagini che, anche nella sua nuova sede, ha voluto<br />
continuare a farsi parte attiva nella costruzione dell’“avventura”<br />
di Dialoghi.<br />
11
Atque in perpetuum<br />
Omaggio a Giorgio Caproni a cent’anni dalla nascita<br />
di Brigitta Bianchi *<br />
«Sergio farà una tesi su Giorgio Caproni», mi disse mio fratello<br />
nel 1990 parlando di un caro amico comune che si sarebbe<br />
laureato in lettere. «E chi sarebbe costui?», mi venne spontaneo<br />
chiedere. Qualche tempo dopo, a un corso di aggiornamento,<br />
venne letto il “Congedo del viaggiatore cerimonioso”.<br />
«Carina e profonda questa poesia, – pensai – leggera, ma non<br />
certo banale.» L’apprezzai a tal punto nella sua ironica ingenuità<br />
che la “usai” alla fine dell’anno scolastico come congedo<br />
da una quinta ginnasiale e gli alunni l’apprezzarono (e se la<br />
ricordarono) a tal punto che, alla fine della terza liceo, mi fecero<br />
omaggio di una borsa di stoffa con stampata su proprio<br />
questa poesia.<br />
Non conosco Caproni “da sempre” e, forse proprio per questo<br />
motivo, ho cercato di accostarmici con maggiore attenzione.<br />
Ho scoperto un poeta vario e versatile, chiaro e immediato,<br />
ma a volte volutamente criptico e allusivo. Nel corso della sua<br />
lunga vita (Livorno 1912-Roma 1990) egli si è cimentato in varie<br />
modalità poetiche, riproponendo tematiche tradizionali o sperimentando<br />
nuovi percorsi. Nella sua vasta produzione ho individuato<br />
alcuni filoni che mi sembra si prestino a illustrare quella<br />
* Docente di italiano e latino.<br />
13
14<br />
Brigitta Bianchi<br />
che Pasolini definì “linea anti-novecentesca” e che ha in Umberto<br />
Saba il proprio capofila.<br />
Segnalo schematicamente tre piste d’indagine didattica premettendo<br />
che in esse non si esaurisce la poesia caproniana e<br />
che le linee da me indicate si intersecano e s’intrecciano continuamente.<br />
1<br />
1. Il rapporto con la tradizione<br />
Caproni rivisita la poesia del passato, dialoga con gli antichi poeti,<br />
li cita, strizza loro l’occhio nei suoi versi chiari, freschi e dolci.<br />
Due esempi per tutti.<br />
Per inciso, si tratta di due esempi che potrebbero benissimo<br />
figurare nella tematica degli affetti familiari: lo dico per sottolineare<br />
subito quell’intersecarsi di linee cui accennavo poc’anzi.<br />
- Senza soffermarmi sugli echi danteschi di due titoli di raccolte<br />
di versi (Il seme del piangere del 1959, che riprende Purgatorio<br />
XXXI 46, e Il muro della terra del 1975, che rimanda alla città di<br />
Dite), cito “Preghiera” e “Ultima preghiera” dai Versi livornesi,<br />
poi confluiti proprio ne Il seme del piangere, in cui Caproni,<br />
riecheggiando Cavalcanti e la sua ballatetta, celebra sua madre,<br />
Anna Picchi, invitando la propria anima a cercare, nella natia Livorno,<br />
la madre ancora ragazza, apprezzata e timida ricamatrice.<br />
- Nella raccolta del 1982 Il franco cacciatore (titolo che rappresenta<br />
un omaggio all’omonima opera del musicista Carl Maria<br />
1 GROSSER H., Il canone letterario. La letteratura italiana nella tradizione europea,<br />
Principato, Milano 2009, vol. 6, p. 625, osserva, riprendendo Raboni, che<br />
nella poesia di Caproni compaiono tre temi fondamentali, «quello della città,<br />
quello della madre e quello del viaggio».
Atque in perpetuum. Omaggio a Giorgio Caproni<br />
von Weber), il poeta dialoga affettuosamente con suo fratello<br />
defunto sulla falsariga del celeberrimo Carmen 101 di Catullo, il<br />
cui ultimo verso Caproni utilizza in parte come titolo della poesia<br />
Atque in perpetuum, frater… Le molte genti e i molti mari del<br />
famoso incipit catulliano diventano freddamente in Caproni inverno<br />
e neve; tale variazione, se toglie la peripezia e la drammaticità<br />
del viaggio, propone al loro posto il gelo e l’immobilità<br />
della morte. «Quanto inverno, quanta / neve ho attraversato,<br />
Piero, / per venirti a trovare» (vv.1-3). Ciò non impedisce però<br />
al poeta di instaurare un caldo colloquio con il fratello Pier Francesco,<br />
chiamato «solo e vero / amico» nella chiusa del componimento<br />
(vv. 13-14).<br />
2. La città d’elezione<br />
Pur essendo vissuto a Livorno dalla nascita ai dodici anni e,<br />
successivamente, a Roma da poco prima della seconda guerra<br />
mondiale fino alla morte, Giorgio Caproni individua in Genova<br />
la sua città. Egli amava dire che abitava a Roma, ma viveva a Genova.<br />
«Genova si configura come il simbolo assoluto e concreto<br />
di una civiltà urbana carica di umanità, dove le cose e gli<br />
oggetti industriali hanno ancora funzioni umane, dove il paesaggio<br />
cittadino “in salita” mantiene una sua severa dolcezza». 2<br />
Al capoluogo ligure il poeta dedica due testi indimenticabili e<br />
assai diversi tra loro per tipologia poetica, ma non certo per<br />
contenuto: “Stornello” e “Litania”, entrambi contenuti nella<br />
raccolta Il passaggio di Enea del 1956. Merita riportare per esteso<br />
il primo per la sua brevitas efficace:<br />
2<br />
FERRONI G., Profilo storico della letteratura italiana, Einaudi scuola, Milano 1992,<br />
p. 1100.<br />
15
16<br />
Brigitta Bianchi<br />
Mia Genova difesa e proprietaria.<br />
Ardesia mia. Arenaria.<br />
Le case così salde nei colori<br />
a fresco in piena aria,<br />
è dalle case tue che invano impara,<br />
sospese nella brezza<br />
salina, una fermezza<br />
la mia vita precaria.<br />
Genova mia di sasso. Iride. Aria. 3<br />
Ma, paradossalmente, anche un testo “liturgico” esteso (contiene<br />
ben novanta invocazioni alla città ligure) come “Litania” è<br />
asciutto, quasi «scabro ed essenziale» come avrebbe voluto sentirsi<br />
il Montale di Ossi di seppia. Tornerò a Montale nel terzo punto,<br />
qui basti ricordare che un distico di “Litania” recita: «Genova<br />
nome barbaro. / Campana. Montale. Sbarbaro» (vv. 57-58), in<br />
omaggio alla “triade” dei poeti liguri (Campana d’acquisizione).<br />
Sia la ritualità di questa poesia sia l’attaccamento viscerale<br />
alla città ci fanno pensare a un possibile legame con Umberto<br />
Saba, in particolare alle liriche dedicate dal poeta triestino alla<br />
moglie Lina e alla propria città natale. Genova e Trieste sono<br />
entrambe porti di mare e entrambi i poeti sembrano prediligerne<br />
il lato mercantile, anche nel suo aspetto deteriore. Dice Saba<br />
in versi celeberrimi in “Città vecchia” (da Trieste e una donna,<br />
1910-1912, vv. 5-10):<br />
Qui tra la gente che viene che va<br />
dall’osteria alla casa o al lupanare,<br />
dove son merci ed uomini il detrito<br />
di un gran porto di mare,<br />
3 CAPRONI G., L’opera in versi, Mondadori, Milano 1998, p. 171. Anche nella<br />
lirica “A Tullio”, ivi contenuta a p. 163, il poeta esprime le stesse immagini ai<br />
vv. 5-6: «Genova mia città fina; / ardesia e ghiaia marina».
Atque in perpetuum. Omaggio a Giorgio Caproni<br />
io ritrovo, passando, l’infinito<br />
nell’umiltà. 4<br />
Dal canto suo, Caproni, in un intervento su “Tuttolibri” nel<br />
1985, 5 ha affermato: «Il mio non è il mare estatico dei contemplativi,<br />
ma semplicemente un mare mercantile, popolato più che da<br />
Sirene o Tritoni da bastimenti in rotta o alla fonda: un mare trafficato<br />
o addirittura commerciale, ecco, anche se questa mia idea<br />
di mare può riuscire per molti riduttiva, e quindi deludente.»<br />
Il titolo della raccolta a cui “Litania” appartiene, che potrebbe<br />
sembrare un’allusione puramente mitologica, ha un legame concreto<br />
con la città di Genova. In piazza Bandiera, infatti, dopo<br />
varie peregrinazioni, ha trovato spazio un gruppo marmoreo raffigurante<br />
Enea con Anchise sulle spalle e Ascanio per mano, scolpito<br />
agli inizi del Settecento dal carrarese Francesco Baratta. 6<br />
Genova significa anche l’entroterra ligure, in particolare la<br />
val Trebbia dove Caproni insegnò come maestro elementare,<br />
dove conobbe sua moglie Rosa Rettagliata detta Rina, dove partecipò<br />
alla lotta partigiana, come si può vedere in Statale 45. Io,<br />
Giorgio Caproni, una docu-fiction del 2006 firmata da Fabrizio<br />
Lo Presti, che interpreta anche il poeta da giovane. La permanenza<br />
in val Trebbia ispirò a Caproni la raccolta poetica Ballo a<br />
4 Ricordo comunque, per precisione, quanto su Caproni puntualizza Giulio<br />
Ferroni, op. cit., p. 1099: «A differenza di Saba, a cui però può essere avvicinato,<br />
egli fa arretrare in lontananza l’urgenza della materia psicologica e preferisce<br />
coprire la propria persona e il proprio stesso scrivere sotto una sottile ironia:<br />
prende molto sul serio la poesia, ma sorride continuamente di quel prenderla<br />
sul serio, allontanandosi così da ogni atteggiamento di tipo romantico.»<br />
5 Riportato in TRAVERSO P. e SURDICH L., Genova ch’è tutto dire. Immagini per<br />
“Litania” di Giorgio Caproni, Il Canneto, Genova 2011, p. 53.<br />
6 BETTINI M., Con l’Eneide in tasca nella seconda guerra mondiale, in “la Repubblica”,<br />
8 novembre 2005, p. 50; cfr. anche Traverso e Surdich, op. cit., p. 181.<br />
17
18<br />
Brigitta Bianchi<br />
Fontanigorda (1938). Osserva Albano Marcarini su “Bell’Italia”<br />
proponendo un percorso sulle montagne di Caproni: «Alcune<br />
delle sue più toccanti poesie sembrano scaturire dalle pieghe e<br />
dalle ombre di questa magnifica vallata», dopo aver sottolineato<br />
che «non si possono apprezzare del tutto le sue opere se non si<br />
è stati almeno una volta nei luoghi della sua ispirazione, fra i<br />
boschi e i villaggi, fra le genti dell’alta val Trebbia.» 7<br />
3. Colloqui con altri poeti del Novecento<br />
Citazioni e adeguamento, quasi parodico, allo stile di altri autori<br />
del Novecento troviamo nella produzione di Caproni secondo<br />
un procedimento da lui già utilizzato in rapporto alla tradizione<br />
poetica del passato. Di solito agli studenti piace questo dialogo<br />
a distanza tra autori da loro studiati, li aiuta a sentirli più vivi,<br />
più umani. Ho individuato tre “colloqui”: con Sereni, con Penna,<br />
con Montale.<br />
Nella poesia “Paura terza”, raccolta ne Il conte di Kevenhüller<br />
(1986), Caproni allude a due testi intitolati con lo stesso sostantivo<br />
e i due ordinali precedenti da Vittorio Sereni, ricordato da<br />
Caproni nella lirica proprio con le parole del poeta di Luino.<br />
Più articolato è il confronto con Sandro Penna in una poesia<br />
inedita: 8 Caproni osserva (con una punta di benevola invidia?)<br />
che Penna si esprime «senza il vento della morte / che invece<br />
scuote certune mie rime» (vv. 3-4) attribuendo questa differenza<br />
al fatto che il collega è giovane, e greco. E, pochi versi dopo,<br />
sottolineando il carattere vivo dello stile dell’altro, continua: «Le<br />
7<br />
MARCARINI A., La val Trebbia che ispirò il poeta dei silenzi, in “Bell’Italia”, luglio<br />
2011, p. 121.<br />
8 Ora in CAPRONI G., op. cit., p. 990.
Atque in perpetuum. Omaggio a Giorgio Caproni<br />
vocali di Penna sono quiete / e aperte» (vv. 10-11). Sembra notarlo<br />
con rimpianto, forse non ricordando (o proprio perché se<br />
ne ricorda bene) che la stessa freschezza leggera e semplice era<br />
stata anche sua nei componimenti dedicati alla madre, soprattutto<br />
in “Per lei” (da Il seme del piangere, vv. 1-6): «Per lei voglio<br />
rime chiare, / usuali: in –are. / Rime magari vietate, / ma aperte:<br />
ventilate. / Rime coi suoni fini / (di mare) dei suoi orecchini». 9<br />
Nella sezione dedicata alle poesie disperse nel Meridiano<br />
Mondadori ce ne sono tre 10 dedicate a Eugenio Montale, la prima<br />
delle quali composta in occasione del conferimento del Nobel<br />
al poeta genovese nel 1975. Qui Caproni dipinge Montale come<br />
un «dio / divertito e lontano / dai suoi leviti» (vv. 6-8) e gli<br />
riconosce il merito di essere riuscito «a dissertare / la morsa<br />
dell’Equazione / – ultima – fra il Tutto e il Niente» (vv. 12-14).<br />
Nella terza poesia, intitolata “Dopo Satura”, Caproni commenta<br />
soltanto, divertito e lapidario, «Montale, ogni scherzo vale».<br />
Necessariamente, la trattazione di questo terzo punto ha già<br />
portato con sé delle considerazioni sullo stile e sulla forma scel-<br />
9 Utile risulta qui il confronto con le «trite parole» della sabiana “Amai” e con<br />
la montaliana poesia “Le rime” contenuta in Satura. Cfr. anche quanto detto<br />
in un’intervista su “Specchio” del maggio 2009, p. 22, dalla poetessa polacca<br />
W. Szymborska: «Per funzionare, una rima deve sempre suonare fresca, “di<br />
giornata”. Ma purtroppo non esistono o quasi rime che non siano già state<br />
usate, riusate e consunte. Quindi l’allontanamento dalla rima è un fenomeno<br />
inevitabile, poiché non è possibile ripetersi all’infinito. Ecco perché la rima si<br />
recupera quasi solo nel momento in cui si desidera trasmettere al lettore un<br />
messaggio come “divertiamoci”, o “si tratta di un gioco”. Allora si rispolverano<br />
senza pudore rime anche logore, ma utilissime per dare un effetto collaterale,<br />
secondario, un timbro ironico e scherzoso.» Di questo timbro ironico, anche se<br />
non propriamente scherzoso, si trova traccia in due componimenti di Caproni<br />
contenuti nella raccolta Res amissa, pubblicata postuma nel 1991 dal filosofo<br />
Giorgio Agamben: “Alla patria” scritta nell’aprile 1978 e “Fatalità della rima”.<br />
10 CAPRONI G., op. cit., p. 958 e ss.<br />
19
20<br />
Brigitta Bianchi<br />
ta da Caproni per i suoi componimenti. Si è già detto della sua<br />
attenzione alla rima. Giova ancora ricordare, a questo proposito,<br />
quanto ha osservato Pier Vincenzo Mengaldo:<br />
Conforme a una poetica anti-novecentesca della grazia e della<br />
sorgività, per Caproni in principio è la rima (o l’assonanza e<br />
consonanza) in cui sono volutamente privilegiati gli accostamenti<br />
più “facili” sì («la rima in cuore e amore» [sic]), ma anche<br />
tali da produrre corti circuiti epigrammatici (tipo fiele:miele e simili).<br />
[…] È l’accordo fonico a creare, quasi per gemmazione<br />
spontanea, il gioco delle immagini e dei significati. 11<br />
*<br />
Caproni, pur essendo morto da ventidue anni, continua a parlarci.<br />
Lo fa con parole risalenti agli anni Sessanta in un frammento<br />
inedito di diario apparso di recente sulla rivista “Nuova<br />
corrente”:<br />
Io non conosco che la fedeltà del sentimento, degli affetti, del<br />
cuore. Gli affetti non hanno, per fortuna, verità, non sono<br />
giudizi né propositi, per questo non ammettono perplessità.<br />
Ma per tutto ciò che dipende dal giudizio, per tutto ciò che<br />
dipende dalla volontà vivo in perpetuo labirinto. Sono, e rimarrò,<br />
nella “selva oscura”. 12<br />
Se dovessi allora ripensare questo mio contributo alla luce di<br />
queste “nuove” parole di Caproni, saprei già, almeno, come intitolarlo,<br />
rendendo omaggio e chiedendo ispirazione al “solito”<br />
Umberto Saba e all’apprezzato Italo Calvino: Caproni poeta degli<br />
affetti o poeta del labirinto?<br />
11 MENGALDO P.V., Poeti italiani del Novecento, Mondadori, Milano 1978, p. 701.<br />
12 Cfr. “Domenica” del “Sole 24 ore”, 3 giugno 2012.
Esperienze di apprendimento cooperativo<br />
nella didattica dell’italiano, tra formazione<br />
professionale e attività in classe<br />
di Cristina Bordignon *<br />
La didattica del cooperative learning<br />
Occorre precisare che, quando si parla di cooperative learning, ci si<br />
riferisce, prima ancora che a uno specifico metodo di insegnamento/apprendimento,<br />
a un vasto movimento educativo che, pur<br />
partendo da prospettive teoriche diverse, applica particolari tecniche<br />
di cooperazione nell’apprendimento in classe. Esse permettono<br />
di far lavorare gli studenti in gruppo facilitando, nel contempo,<br />
l’acquisizione di abilità sociali. In altri termini, si tratta di un sistema<br />
che permette di apprendere sia contenuti disciplinari che comportamenti<br />
sociali di collaborazione e cooperazione. L’apprendimento<br />
è sicuramente un processo attivo individuale, ma, perché<br />
* Docente di italiano e latino. Edito come BORDIGNON C., Esperienze di apprendimento<br />
cooperativo nella didattica dell’italiano, tra formazione professionale e<br />
attività in classe, in AA.VV. Formazione iniziale degli insegnanti di scuola secondaria<br />
a Udine. Primi contributi, SSIS-Università degli Studi di Udine, Forum, Udine<br />
2004. Il presente lavoro intende sviluppare una riflessione critica sul cooperative<br />
learning, iniziata con l’acquisizione di tale metodologia didattica nelle<br />
attività di laboratorio dei corsi SSIS e di tirocinio disciplinare presso le<br />
scuole accoglienti, e approfondita, successivamente, come docente di lettere<br />
in un liceo classico europeo.<br />
21
22<br />
Gestione<br />
della classe:<br />
Funzione<br />
dell’insegnante:<br />
Specificità del<br />
cooperative learning:<br />
<br />
Muta:<br />
Cristina Bordignon<br />
Fig. 1 – La didattica del “cooperative learning”<br />
strategie con “mediazione dell’insegnante”<br />
gruppo cooperativo a “mediazione sociale” 1<br />
<br />
Obiettivi: fare insieme<br />
perseguire fini comuni<br />
operare in gruppo<br />
promuovere le potenzialità<br />
di ciascuno<br />
organizza un clima sociale positivo<br />
alimenta una calda relazione educativa<br />
svolge funzioni di regia<br />
differenzia la natura del Contratto formativo<br />
interdipendenza positiva<br />
interazione faccia a faccia<br />
uso di competenze sociali<br />
controllo del comportamento di gruppo<br />
le caratteristiche della relazione educativa<br />
la funzione del docente<br />
l’immagine dell’alunno<br />
la natura del Contratto formativo<br />
Fonte: CAPALDO N.-NERI S.-RONDANINI L., Il manuale<br />
della scuola secondaria, Fabbri, Milano 2000, p. 137<br />
1 Le differenze tra le due modalità di gestione della classe non sono di poco<br />
conto, in quanto, nel primo modello, il docente rappresenta la fonte esclusiva<br />
di conoscenza e spesso le strategie didattiche tendono ad essere trasmissive<br />
e direttive; nel secondo caso, si tende, invece, a valorizzare le risorse, le
Esperienze di apprendimento cooperativo<br />
esso si verifichi, è importante che il processo sia condiviso e vissuto<br />
socialmente. Alcune tra le molte ragioni che motivano l’introduzione<br />
del cooperative learning nella scuola sono efficacemente<br />
riassunte nello schema in fig. 1.<br />
Mentre, dunque, la classica lezione frontale si fonda sulle capacità<br />
didattiche e relazionali del docente, l’apprendimento cooperativo<br />
punta sullo sviluppo del senso di responsabilità. Ogni<br />
allievo è responsabile del proprio apprendimento; il gruppo stesso<br />
diviene responsabile dei progressi dei suoi membri, facendo<br />
ricorso alle risorse umane interne, quando vi sia bisogno di sostegno<br />
o di particolari strategie per superare difficoltà individuali. 2<br />
Non bisogna confondere, tuttavia, il cooperative learning con il<br />
semplice lavoro di gruppo. Occorre, pertanto, sottolineare come<br />
non sia sufficiente suddividere la classe in gruppi di apprendimento,<br />
discussione o ricerca perché si possa parlare di apprendimento<br />
cooperativo. Esso si attua, infatti, in base a una precisa<br />
metodologia, che mira alla massima valorizzazione e integrazione<br />
degli allievi, in particolare di chi presenta difficoltà di apprendimento<br />
e/o di integrazione sociale. 3<br />
potenzialità cognitive e relazionali dei ragazzi e l’insegnante svolge soprattutto<br />
una funzione di regia, di facilitazione delle attività che gli allievi realizzano.<br />
Cfr. JOHNSON D.W.-JOHNSON R.T.-HOLUBEC E.J., Apprendimento cooperativo<br />
in classe, Erickson, Trento 1994.<br />
2 Cfr. VIVIAN G., L’apprendimento cooperativo, in Il pensiero nei territori del testo.<br />
Percorsi di didattica modulare di lingua italiana, a cura di Lerida Cisotto, Cleup,<br />
Padova 2002, p. 75.<br />
3 Cfr. in proposito ANOÈ R., Ecologia in classe: aspetti organizzativi ed educativi, pp.<br />
47-50, testo di una conferenza svoltasi il 6.2.1995, e distribuito dal docente<br />
stesso quale parte della bibliografia del corso di “Didattica generale”, tenuto<br />
presso la SSIS dell’Università degli Studi di Udine (a.a. 2001-2002): «Una<br />
classe di alunni non è di per sé un gruppo di apprendimento. Perché ciò<br />
accada sono necessari tempi, condizioni e consuetudini di lavoro che rendano<br />
possibili lo scambio, l’integrazione, la reciprocità tra allievi, l’instaurarsi di<br />
23
24<br />
Cristina Bordignon<br />
Creare e sostenere uno spirito di collaborazione in classe è<br />
compito dell’insegnante, cui si richiede la creazione di un clima<br />
cooperativo e l’uso di un modello di comunicazione efficace, la<br />
progettazione di compiti appropriati a piccoli gruppi, l’organizzazione<br />
della classe con la pianificazione del compito, definendo<br />
i ruoli e le competenze degli allievi, l’osservazione e la<br />
stimolazione dell’interazione del gruppo, l’intervento, quando<br />
esso sia richiesto, e infine l’aiuto dato agli allievi per monitorare<br />
l’apprendimento che acquisiscono. 4<br />
Il ruolo dell’insegnante è, dunque, centrale nella creazione di<br />
un buon clima di classe, e questo, a sua volta, è condizione essenziale<br />
per realizzare attività di reale cooperazione. Questo<br />
perché non si può dare per scontato che gli allievi siano in grado<br />
di stabilire spontaneamente buone relazioni interpersonali,<br />
di attribuire valore all’apporto di ognuno, di ascoltare l’altro e di<br />
gestire le situazioni conflittuali che inevitabilmente si presentano.<br />
5 Il primo compito dell’insegnante è, dunque, quello di educare<br />
le competenze relazionali proprie e quelle degli allievi, stimolando<br />
l’assunzione, da parte di questi ultimi, di comportamenti<br />
che contribuiscano, all’interno dei gruppi, all’accettazione<br />
reciproca (fig. 2).<br />
uno spazio di lavoro comune con obiettivi consapevoli e trasparenti in cui<br />
siano possibili relazioni orizzontali, collaborative. Una classe come gruppo di<br />
apprendimento presuppone larghe opportunità di apprendimento tra pari, le<br />
cui potenzialità non paiono sufficientemente esplorate; anzi, recenti osservazioni<br />
fatte nella scuola elementare mostrano che il lavoro di gruppo è ancora<br />
fortemente diretto dal docente e quando le classi si suddividono in piccoli<br />
gruppi per attività specifiche, il “modello classe” si riproduce con analoga struttura<br />
verticale, solo con meno alunni, ad indicare che il rapporto “uno-molti”<br />
non è solo un dato funzionale, ma un dato culturale profondamente radicato.»<br />
4 Cfr. LANEVE C., Elementi di didattica generale, Editrice La Scuola, Brescia 1998,<br />
pp. 62-64.<br />
5 Cfr. VIVIAN G., L’apprendimento cooperativo, cit., pp. 75-76.
Esperienze di apprendimento cooperativo<br />
Fig. 2 – Atteggiamenti che contribuiscono<br />
all’accettazione reciproca nei gruppi di alunni<br />
Proporre in maniera discreta il proprio aiuto<br />
Non giudicare gli errori altrui (ognuno deve essere libero<br />
di sbagliare!)<br />
Non spazientirsi di fronte alle domande dei compagni<br />
Non pretendere che gli altri ragionino o lavorino in modo<br />
identico al proprio<br />
Incoraggiare le soluzioni degli altri<br />
Sapere che non sempre basta una sola spiegazione<br />
Rendersi conto che spiegare un concetto ad altri è un modo<br />
efficace per migliorare la propria preparazione<br />
Fonte: MAINI P.-COMOGLIO M., L’apprendimento cooperativo a scuola,<br />
in “Orientamenti Pedagogici”, n. 3, 1995, p. 466<br />
L’esperienza scolastica<br />
La conoscenza della metodologia didattica del cooperative learning,<br />
acquisita nelle attività di laboratorio di molti corsi della SSIS, sia<br />
di area trasversale e psicopedagogica che disciplinare, ha successivamente<br />
trovato occasione di applicazione concreta, in sede<br />
di tirocinio, in una classe terminale di triennio, a indirizzo sperimentale<br />
“Brocca”, di liceo classico. Tale esperienza si è espressa<br />
nella conduzione di un laboratorio di lettura, organizzato per<br />
gruppi di allievi, ed è stata successivamente ripresa e approfondita<br />
in una classe di biennio di liceo classico europeo. Il gruppo<br />
classe, composto da oltre venti allievi, dotati di una discreta curiosità<br />
intellettuale e interesse per la lettura, mancava, tuttavia,<br />
come spesso accade, di omogeneità. Ad alcuni allievi, attivi e<br />
partecipi dell’attività didattica, si affiancava, infatti, una parte<br />
della classe, caratterizzata da un atteggiamento di sostanziale<br />
25
26<br />
Cristina Bordignon<br />
passività, unita al comportamento “vivace” manifestato da alcuni<br />
componenti.<br />
Al fine di promuovere e favorire lo spirito di collaborazione<br />
tra gli studenti e tra questi e l’insegnante, di educarne le capacità<br />
di ascolto e di dialogo, nel rispetto delle diverse posizioni, nel<br />
tentativo, cioè, di creare un ambiente educativo e di studio positivo<br />
e stimolante, si è ritenuto opportuno inserire, nella programmazione<br />
didattica annuale di italiano, il modulo Tendenze<br />
del romanzo contemporaneo, dedicato alla lettura di opere della più<br />
recente narrativa italiana e straniera.<br />
La metodologia didattica, alla quale si è inteso fare riferimento,<br />
è stata, appunto, quella del cooperative learning, per un duplice<br />
ordine di motivazioni. Innanzitutto per lo sviluppo di abilità<br />
relazionali e l’uso di competenze sociali da parte degli allievi,<br />
che essa persegue, particolarmente funzionali alla formazione<br />
di un reale gruppo di apprendimento, caratterizzato da tempi,<br />
condizioni e consuetudini di lavoro comuni, in cui sia resa possibile<br />
la creazione di relazioni orizzontali e collaborative. In secondo<br />
luogo, la scelta del cooperative learning è sembrata particolarmente<br />
idonea allo spazio di “laboratorio”, al quale era stata<br />
destinata: nel liceo classico europeo, infatti, l’insegnamento dell’italiano<br />
si articola nelle due fasi della “lezione”, di tipo tradizionale,<br />
e del “laboratorio culturale”, che rappresenta, invece, il<br />
momento di applicazione e di affinamento delle abilità cognitive<br />
e delle competenze operative previste in sede di programmazione.<br />
Durante le ore settimanali di laboratorio, la classe può<br />
essere riorganizzata secondo diverse modalità di lavoro, in rapporto<br />
alle necessità ed in relazione, appunto, alla metodica dell’”apprendere<br />
insieme facendo”. Intento dell’insegnante è stato,<br />
soprattutto, quello di far sì che i ragazzi avvertissero tale<br />
spazio di lavoro come proprio, cioè come un ambito privilegiato,<br />
in cui poter esprimere e approfondire liberamente i propri<br />
interessi culturali, attraverso la lettura di opere, nella scelta delle<br />
quali essi sono stati assolutamente liberi. Ciò, coerentemente
Esperienze di apprendimento cooperativo<br />
con l’obiettivo, esplicitato nella programmazione didattica, di<br />
sviluppare il gusto e il piacere della lettura, in vista della formazione<br />
del “lettore consapevole”. 6<br />
È stato così che, all’interno del modulo, pure incentrato sulle<br />
tendenze più recenti del romanzo contemporaneo (sono state<br />
scelte le opere di E. Brizzi, Jack Frusciante è uscito dal gruppo; D.<br />
Cugia, No; S. Tamaro, Va’ dove ti porta il cuore; A. Camilleri, Il<br />
ladro di merendine; M.E. Loricchio, La terrazza dei ricordi; E.<br />
Springer, Il silenzio dei vivi), sono stati accolti elementi “spuri”,<br />
quale l’opera di E. Rostand, Cyrano de Bergerac. Quest’ultima è<br />
stata letta e drammatizzata, in alcune scene, da un gruppo di<br />
allievi che, all’interesse per la lettura, univa la passione per il<br />
teatro, coltivata attivamente, fra l’altro, nel gruppo teatrale d’istituto.<br />
Anche la presentazione in classe de Il ladro di merendine di<br />
Camilleri ha visto gli allievi impegnati nella recitazione di alcuni<br />
dialoghi del romanzo.<br />
La formazione dei gruppi e l’assegnazione dei ruoli<br />
Nella formazione dei gruppi si è proceduto seguendo un criterio<br />
di eterogeneità. Da un lato, si è tenuto conto del diverso<br />
livello di profitto degli studenti e delle relazioni di sinergia e/o<br />
conflitto emerse nella vita di classe; dall’altro, la composizione è<br />
stata parzialmente casuale, in modo da abituare gli studenti a<br />
situazioni, che si verificano nella vita sociale e nel mondo del<br />
lavoro, in cui non vi è la possibilità di scegliere i partners con cui<br />
condividere esperienze e con cui lavorare.<br />
6 Riguardo alla “formazione del buon lettore”, quale finalità dell’insegnamento<br />
letterario, si veda COLOMBO A., A che punto è l’insegnamento di letteratura,<br />
in La letteratura per unità didattiche. Proposte e metodi per l’educazione letteraria, a<br />
cura di Adriano Colombo, La Nuova Italia, Firenze 2000, pp. 8-9.<br />
27
28<br />
Cristina Bordignon<br />
Per quanto attiene ai ruoli individuali all’interno dei gruppi,<br />
essi sono stati ricoperti a rotazione dai diversi membri del gruppo<br />
stesso, ai quali è stata, inoltre, somministrata la seguente scheda<br />
di autovalutazione del lavoro svolto (figg. 3a e 3b).<br />
Fig. 3a – Assegnazione dei ruoli<br />
e scheda di autovalutazione<br />
ASSEGNAZIONE DEI RUOLI<br />
Ruolo di gestione del gruppo:<br />
controllare i toni di voce (assicurarsi che tutti i membri<br />
del gruppo usino un tono di voce moderato)<br />
controllare i turni (assicurarsi che i compagni svolgano il<br />
compito assegnato secondo i turni prestabiliti)<br />
controllare i tempi (assicurarsi che il gruppo svolga le<br />
consegne entro i tempi stabiliti)<br />
Ruoli di funzionamento del gruppo:<br />
incoraggiare la partecipazione (assicurarsi che tutti i<br />
componenti del gruppo diano il loro contributo)<br />
fornire sostegno (sollecitare i membri del gruppo a esprimere<br />
le loro idee)<br />
leggere e rispondere alle richieste di chiarimento dei compagni<br />
Ruolo per l’apprendimento:<br />
comunicare in modo efficace con gli insegnanti (rivolgere<br />
domande di chiarimento, spiegazione)<br />
approfondire la discussione e l’argomento trattato<br />
supervisionare il lavoro<br />
Ruolo di stimolo al gruppo:<br />
sollecitare i compagni a rispettare tutti gli interventi, senza<br />
criticare le persone<br />
collaborare con i compagni per quanto riguarda la valutazione<br />
del lavoro di gruppo
Esperienze di apprendimento cooperativo<br />
Fig. 3b – Assegnazione dei ruoli<br />
e scheda di autovalutazione<br />
SCHEDA DI AUTOVALUTAZIONE DEL LAVORO SVOLTO DAL GRUPPO<br />
Gruppo n.: ___________ Data: ___________<br />
1) Ruolo di gestione del gruppo:<br />
Ho controllato i toni di voce<br />
sempre qualche volta<br />
spesso mai<br />
Ho controllato i turni<br />
sempre qualche volta<br />
spesso mai<br />
Ho controllato i tempi<br />
sempre qualche volta<br />
spesso mai<br />
2) Ruoli di funzionamento del gruppo:<br />
Ho incoraggiato la partecipazione<br />
sempre qualche volta<br />
spesso mai<br />
Ho fornito sostegno<br />
sempre qualche volta<br />
spesso mai<br />
Ho letto e ho risposto alle richieste di chiarimento<br />
dei compagni<br />
sempre qualche volta<br />
spesso mai<br />
3) Ruolo per l’apprendimento:<br />
Ho comunicato in modo efficace con l’insegnante<br />
sempre qualche volta<br />
spesso mai<br />
29
30<br />
Cristina Bordignon<br />
Ho approfondito la discussione e l’argomento trattato<br />
sempre qualche volta<br />
spesso mai<br />
Ho supervisionato il lavoro<br />
sempre qualche volta<br />
spesso mai<br />
3) Ruolo di stimolo al gruppo:<br />
Ho sollecitato i compagni a rispettare tutti gli interventi,<br />
senza criticare le persone<br />
sempre qualche volta<br />
spesso mai<br />
Ho collaborato con i compagni per quanto riguarda la<br />
valutazione del lavoro di gruppo<br />
sempre qualche volta<br />
spesso mai<br />
Registrazione e revisione del lavoro di gruppo<br />
Uno degli elementi essenziali del cooperative learning è la valutazione<br />
periodica, che gli studenti fanno, del buon funzionamento del<br />
loro gruppo, identificando i problemi e suggerendo soluzioni.<br />
Benché parte del lavoro di gruppo possa essere suddivisa e svolta<br />
individualmente, è necessario, infatti, che i componenti il gruppo<br />
lavorino in modo interattivo, verificando gli uni con gli altri la<br />
catena del ragionamento e registrando, di volta in volta, le tappe/<br />
punti del lavoro svolto, gli obiettivi, le conclusioni, le difficoltà,<br />
fornendosi il feedback.<br />
In proposito, si è ritenuto utile fornire agli studenti la seguente<br />
traccia, perché potessero monitorare le diverse fasi del<br />
loro lavoro e apprendimento (fig. 4).
Esperienze di apprendimento cooperativo<br />
Fig. 4 – Registro di gruppo<br />
Gruppo n.: ___________ Data: ___________<br />
Nome e cognome dei<br />
componenti del gruppo<br />
Tipo di attività:<br />
Argomento specifico:<br />
Svolgimento del lavoro:<br />
Tappe/punti<br />
del lavoro<br />
Giudizio di gruppo:<br />
a) sul lavoro<br />
b) sulla produzione<br />
Ruoli:<br />
a) per le abilità sociali<br />
b) per le consegne<br />
Esecutore Tempi<br />
Giudizio individuale:<br />
Produzione (orale o scritta):<br />
Obiettivi e compiti per il lavoro successivo:<br />
31
32<br />
Cristina Bordignon<br />
La valutazione<br />
Nella valutazione del lavoro di gruppo, elemento decisivo ed<br />
esplicitato dall’insegnante fin dall’inizio dell’attività è stata<br />
l’interdipendenza tra i diversi componenti, in virtù della quale<br />
ognuno è stato ritenuto responsabile non solo del proprio lavoro,<br />
ma anche di quello degli altri. La valutazione finale è risultata,<br />
quindi, dalla media delle singole valutazioni attribuite ai membri<br />
del gruppo stesso.<br />
Considerazioni conclusive<br />
L’esperienza di cooperative learning effettuata in classe si è rivelata,<br />
sia per l’insegnante, che per gli allievi, assai proficua e ricca di<br />
stimoli. La maggior parte degli studenti ha ravvisato un miglioramento<br />
nel proprio apprendimento, anche se, inizialmente, alcuni<br />
manifestavano qualche riserva o sfiducia verso questo tipo<br />
di approccio, in quanto non abituati a lavorare insieme.<br />
Durante lo svolgimento del lavoro, si sono raccolte le difficoltà<br />
incontrate dagli allievi, che, laddove richiesto, sono stati<br />
aiutati a risolverle. Non è stato, invece, necessario giungere a<br />
ricomposizioni dei gruppi stessi, né si sono verificati casi in cui<br />
uno o più allievi siano stati costretti a svolgere gran parte del<br />
lavoro, senza ottenere la collaborazione degli altri membri.<br />
Si è potuta così constatare la creazione di un’interdipendenza<br />
positiva all’interno dei gruppi, in cui si sono spesso originate<br />
dinamiche relazionali nuove e più profonde tra i diversi componenti.
Perché perivi (o tenerella)?<br />
Analisi dei tempi verbali nel “grande canto” A Silvia<br />
di Marco Indrigo *<br />
Dal punto di vista dei tempi verbali, le strofe 1, 2 e 3 costituiscono<br />
un unico blocco. L’unico tempo impiegato è l’imperfetto,<br />
con le sole, significative eccezioni dell’incipit (rimembri ancora),<br />
e del v. 26 (Lingua mortal non dice).<br />
Nel verbo dell’incipit, insieme alla persona (tu, allocuzione) 1<br />
e all’aspetto semantico (poetica delle ricordanze), il tempo presente<br />
concorre a suggerire già in nuce tutto il dramma che deve<br />
svolgersi nel canto (speranze della giovinezza frustrate, dalla<br />
morte per Silvia, dal “vero” e dal dolore per l’io lirico; dolcezza<br />
delle ricordanze frustrata dalla disillusione). Lo stilema<br />
leopardiano dell’interrogativa, inoltre, non prevede risposta.<br />
Il presente del v. 26 ha valore assoluto (“nessuna lingua mortale<br />
ha mai potuto, può o potrà dire”), ma forse già sottilmente<br />
insinua il tarlo della scissione passato-presente. Non va nemmeno<br />
sottovalutata la recusatio per cui questi versi rappresentano, di<br />
fatto, la dichiarazione di un’impossibilità.<br />
* Docente di italiano e latino.<br />
1 Sull’importanza dell’allocuzione nello stile poetico leopardiano, cfr.<br />
MENGALDO P.V., Sonavan le quiete stanze, Il Mulino, Bologna 2006, cap. II, “Come<br />
iniziano i Canti”, pp. 41 e ss.<br />
33
34<br />
Marco Indrigo<br />
Così tutto il blocco delle prime tre strofe, apparentemente<br />
dedicato alla rievocazione di rimembranze “vaghe e indefinite”,<br />
è già costretto dentro la gabbia atroce dello scacco.<br />
*<br />
Nella strofe 4 l’imperfetto quasi sparisce, e subentra il presente.<br />
Solo una volta, al v. 30 (ci apparia), abbiamo un imperfetto, unico<br />
verbo del primo quarto della strofe (vv. 28-31), dove le due<br />
interiezioni sembrano continuare in climax la dolcezza della rievocazione<br />
delle strofe precedenti, ma in realtà contengono almeno<br />
altri due “tarli”: l’avverbio allor che, inavvertito nel suo<br />
peso in quanto parzialmente nascosto tra gli accenti metrici,<br />
pure funge, in modo quasi subliminale, da prologo al prossimo<br />
disvelamento della cesura passato-presente, speranze-vero; e il<br />
sostantivo fato, scelta lessicale che connota negativamente il concetto<br />
di destino umano, ormai a ridosso del collasso tematico<br />
ed emotivo del canto.<br />
Si noti, en passant, che siamo esattamente a metà canto: i versi<br />
totali sono 63, la chiave di volta si trova precisamente tra il v. 31<br />
(ultimo della parte “dolce” – seppure, come abbiamo visto, di<br />
una dolcezza già “viziata”) e il v. 32 (primo della parte “amara”).<br />
Ed ecco infatti, disseminata lungo gli altri tre quarti della<br />
strofe 4 (vv. 32-39), l’inesorabile sequela di sei tempi presenti.<br />
Nel secondo e nel terzo quarto della strofe (vv. 32-35) l’io lirico<br />
riflette “sconsolatamente”, in un presente “sventurato”, sul<br />
dolore non tanto per la perdita in sé delle speranze, quanto per<br />
la ripetuta (tornami a doler) constatazione del contrasto tra la cotanta<br />
speme del passato e la disillusione e desolazione del presente.<br />
Nell’ultimo quarto della strofe (vv. 36-39) il presente ha di nuovo<br />
valore assoluto (in qualche modo come al v. 26), o meglio<br />
“cosmico”: è il momento della “protesta di Leopardi” in questo<br />
canto, l’io lirico apostrofa la Natura “all’islandese”. A conferma<br />
del valore assoluto del presente (e della protesta), abbiamo prometti<br />
(v. 38), che slega l’apostrofe dal contesto del canto (non
Perché perivi (o tenerella)?<br />
“quel che hai promesso allora, a me e a Silvia”, ma “quel che<br />
prometti sempre a tutti i giovani”). In tal modo, tra l’altro, l’avverbio<br />
allor ricorrendo qui esplica ormai tutta la sua valenza di<br />
disillusione che abbiamo intravista al v. 30.<br />
*<br />
La strofe 5 si svolge di nuovo all’insegna dell’imperfetto, senza<br />
nemmeno le eccezioni della prima strofe, anzi il monopolio<br />
dell’imperfetto è rafforzato dal congiuntivo (v. 40 inaridisse). Troviamo<br />
persino una forzatura dell’aspetto del tempo verbale al v.<br />
42 (perivi) che soppianta marcatamente l’aspetto puntuale di un<br />
passato remoto (“peristi”). Perché tale marcatura?<br />
Diciamo qualcosa che vale per ogni grande poeta della tradizione<br />
letteraria, ricordando che nel testo leopardiano non vi<br />
è assolutamente nulla di casuale. Ma ciò vale tanto più nel caso<br />
di Leopardi, in quanto egli è consapevole della responsabilità<br />
della sua posizione, al valico tra la poesia classica (e classicista),<br />
e la poesia moderna. Padre della poesia moderna, Leopardi<br />
infonde in essa tutta intera, ma scevra di gravami e alleggerita<br />
di ogni orpello, la grandissima lezione formale dei padri suoi,<br />
classici e classicisti. Lezione di equilibrio, controllo, lima, di<br />
perfetto disegno architettonico che spazia dalle più ampie corrispondenze<br />
tra strutture e temi, fino ai minimi dettagli<br />
dell’interpunzione.<br />
Questa dottrina formale, appresa e auto-inoculata nel sangue<br />
con immane travaglio, viene vivificata con sentimento moderno,<br />
e tonificata con l’affinamento di uno stile apparentemente<br />
più libero ed essenziale, fino a dispiegarsi nel canto disteso del<br />
“filosofar poetando”. Libertà apparente, in quanto le regole (o<br />
meglio le regolarità) formali sono in buona parte dislocate da<br />
un piano di maggiore esteriorità, a un piano di profonda (“arcana”)<br />
corrispondenza tra l’enunciato e il dettato interiore. Ogni<br />
minima scelta stilistica diviene dunque tanto più accorta, meditata,<br />
essenziale. Ed ecco il mirabile strumento della “canzone<br />
35
36<br />
Marco Indrigo<br />
leopardiana”, inaugurato in tutta la sua rigorosa duttilità proprio<br />
con A Silvia.<br />
Ritornando ora al testo, sarà chiaro che non possiamo evitare di<br />
chiederci perché qui Leopardi abbia scelto l’imperfetto perivi piuttosto<br />
che il passato remoto “peristi”, più “corretto” dal punto di<br />
vista della consecutio e analogo per quanto riguarda l’aspetto metrico.<br />
Il problema è che, se approfondiamo la questione, tutti gli<br />
imperfetti di questa strofe ci appaiono strani. È qui l’uso in generale<br />
dell’imperfetto a risultare marcato, dove si evocano i diletti<br />
(v. 56) cui Silvia, a rigor di termini, “non poté” prendere parte,<br />
perché “perì”. Tanto più che tutti sono facilmente sostituibili,<br />
dal punto di vista metrico, col corrispettivo passato remoto (a<br />
parte molceva v. 44, ma non sarà stato certo un singolo problema<br />
metrico a indurre Giacomo Leopardi a incatenare tutta la consecutio<br />
della strofe a una scelta lessicale!).<br />
La risposta risiede nell’estensione stessa del problema a tutta<br />
la strofe, che è quella in cui forse il dramma della giovane morta<br />
anzitempo scopre il suo fianco più umano. Se, come regola generale<br />
di questo canto, gli imperfetti «sottolineano la continuità<br />
domestica ed intima del passato» 2 (il che, del resto, non è che<br />
l’applicazione specifica della principale funzione dell’imperfetto),<br />
non possiamo non considerare che qui essi, di quella continuità,<br />
sottolineano la negazione. Non dimentichiamo che siamo<br />
oltre la “chiave di volta” del canto (vv. 31-32): da lì in poi<br />
non c’è più speranza, il canto è ineluttabilmente sconsolato, ed<br />
evocare la continuità dei diletti giovanili, ma in negativo per Silvia,<br />
non fa che rimarcare il dramma della morte anzitempo in<br />
questa strofe “troppo umana.” In altre parole, nell’ambito della<br />
seconda parte del canto è qui che veramente muoiono la “fan-<br />
2 BINNI W., La protesta di Leopardi, Sansoni, Firenze 1988, cap. XII, “I grandi<br />
canti pisano-recanatesi del ’28-’30", p. 122.
Perché perivi (o tenerella)?<br />
ciulla popolana” 3 e le sue aspettative, mentre nella strofe precedente<br />
e in quella successiva il poeta piange sostanzialmente sull’infranto<br />
simulacro della cotanta e lacrimata speme (vv. 32 e 55) 4 .<br />
Così, questi tre imperfetti negativi sembrano quasi delicate cicatrici<br />
pronte a riaprirsi, come quando nei sogni ci visitano persone<br />
e sensazioni che nel sogno stesso una parte di noi sa essere<br />
passate “remote”, ma che pure suscitano un affetto disperatamente<br />
vivo. La poetica delle ricordanze appunto.<br />
E il verbo che ha innescato l’analisi di tutta la strofe? Alla fine<br />
di tutta questa riflessione, ci accorgiamo che per perivi non può<br />
valere la funzione di sottolineare la continuità dei diletti perduti,<br />
neppure in negativo. Niente è più “puntuale” della morte, niente<br />
come la morte fa piazza pulita di illusioni, aspettative, speranze.<br />
Perché, allora, perivi?<br />
Possiamo facilmente individuare una ragione di carattere fonico<br />
e stilistico, una sorta di “attrazione temporale” per cui, dato ciò<br />
che abbiamo osservato per i tre imperfetti successivi, un passato<br />
remoto qui avrebbe fortemente alterato la tonalità generale della<br />
strofe, di una malinconia così delicata e struggente.<br />
Ma la scelta dell’imperfetto perivi vuole forse qui suggerire anche<br />
un aspetto negativo della continuità, un aspetto di pena legato<br />
alla lotta col chiuso morbo evocata nel verso precedente (41).<br />
Avvertiamo in questo imperfetto, per la prima volta nel canto,<br />
che non solo i diletti e la letizia per il vago avvenir (futuri o<br />
rimembrati) si estendono nel tempo, ma anche la sofferenza<br />
fisica ha un carattere penoso di durata. Se ci lasciamo coinvolgere<br />
dall’intensità umana di questa strofe, e quindi anche dalla<br />
concretezza della sofferenza della giovane tenerella, ci sarà più<br />
3 Ivi, p. 122.<br />
4 Con tutta l’ambiguità polisemica, naturalmente: sappiamo che Silvia incarna<br />
anche la Speme.<br />
37
38<br />
Marco Indrigo<br />
facile percepire la durata della lotta, nel corso della quale lei sarà<br />
stata combattuta e vinta dal chiuso morbo, la tisi.<br />
Perivi: quasi che della morte qui si voglia connotare la corrosione<br />
di quel che resta della vita, e non tanto il punto in cui il<br />
sipario calò. Non tanto l’estremo spirare, quanto piuttosto l’ultimo<br />
atto nel suo complesso, l’estrema consunzione (“de-perire”) 5 .<br />
*<br />
Non manca peraltro – e siamo alla strofe 6 – il verbo puntuale<br />
della morte. Lo incontriamo, irrevocabile abisso orrido, immenso, 6<br />
poco più avanti sulla strada della nostra lettura: cadesti (v. 61).<br />
Tanto più marcato, se la nostra memoria di lettori è riuscita a<br />
mantenere una visione d’insieme, permettendoci di abbracciare<br />
la coesione degli elementi architettonici. Ed ecco che, con un<br />
superbo effetto di chiaroscuro ottenuto mediante le curvature<br />
dei tempi verbali e del lessico, ci si manifesta la compiuta<br />
giustapposizione strutturale tra il verbo “in levare” della prima<br />
strofe, e questo verbo “in battere”: salivi... cadesti.<br />
Non c’è, in quest’ultima strofe, un tempo dominante, quanto<br />
piuttosto una ricca modulazione.<br />
Il primo verbo è peria, che istituisce una corrispondenza con<br />
perivi del v. 42, segnalata peraltro dalla congiunzione anche: “come<br />
tu, Silvia, (de)perivi e morivi prima che l’inverno inaridisse la<br />
vegetazione, ovvero prima che l’età matura giungesse a infrangere<br />
le tue illusioni e speranze giovanili, anche le mie dolci speranze<br />
sarebbero morte di lì a poco”. Ancora un altro uso del-<br />
5 Per questo significato del verbo “perire” in Leopardi, cfr. Canto notturno di<br />
un pastore errante dell’Asia, v. 67: e perir della terra.<br />
6 È il terribile v. 35 del Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, nel quale il<br />
pastore rappresenta icasticamente il nulla, il precipizio di oblio che si trova<br />
alla fine della travagliata vita umana.
Perché perivi (o tenerella)?<br />
l’imperfetto dunque, che viene piegato qui a sostituire un condizionale<br />
con funzione di futuro nel passato, con l’ausilio dell’indicazione<br />
temporale: fra poco.<br />
Anche peria fra poco<br />
Non solo la delicata corrispondenza col v. 42, non solo la<br />
concisa, lapidaria, superba soluzione metrico-ritmica del<br />
settenario con enjambement, ma anche l’effetto straniante dell’impiego<br />
dell’imperfetto per il futuro nel passato, sottolineato<br />
dall’indicazione della prossimità di quel futuro. E non solo<br />
questo.<br />
Leggiamo tutto il periodo dei primi quattro versi della strofe<br />
(49-52): il verbo e il verso di cui ci siamo occupati finora funzionano<br />
anche come elementi di una perfetta perla architettonica,<br />
un’altra, più piccola, chiave di volta: anche peria... anche negaro. Con<br />
l’anafora sono qui posti in corrispondenza simmetrica due momenti<br />
che si collocano alle due parti opposte rispetto alla cesura<br />
della disillusione: con peria fra poco siamo in un tempo che precede<br />
la cesura (seppure con tutta la condensazione drammatica<br />
del “senno di poi”), mentre negaro è il verbo della sentenza definitiva,<br />
della sconsolata presa di coscienza dell’arido vero. Al<br />
passato remoto, non a caso: di nuovo “in levare” e “in battere”<br />
dunque, come abbiamo visto per perivi e cadesti, ma nel più stretto<br />
cerchio strutturale dell’anafora.<br />
Il passato remoto negaro intensifica inoltre la valenza perentoria<br />
del significato stesso del verbo: il quale raccoglie quasi il<br />
frutto della disseminazione di avverbi negativi che abbiamo visto<br />
nella strofe precedente.<br />
Veniamo ora all’unico passato prossimo del canto, passata sei<br />
(v. 53). È la costruzione ad anastrofe, a indicarci il valore soprattutto<br />
metrico-fonico della scelta di questo tempo. Il sei spostato<br />
alla fine del verso, con la sibilante “s” (peraltro in allitterazione<br />
con passata) che si scioglie per un attimo nella “e” accentata del<br />
dittongo, il quale poi si chiude nella “i” come per un rinnovato<br />
39
40<br />
Marco Indrigo<br />
dolore, non fa che prolungare il lamento aperto dall’interiezione<br />
ahi e sostenuto con l’anadiplosi di come:<br />
... Ahi come,<br />
come passata sei...<br />
Questa è peraltro la strofe in cui più fitte ricorrono le figure<br />
della ripetizione: Anche... anche (vv. 49 e 51); come, come (vv. 52-<br />
53); mia... mia (vv. 54-55); Questo... questi... Questa (vv. 56 e 59).<br />
Viene accentuato così l’effetto di climax della perorazione. L’acme<br />
sta proprio nell’interiezione dei vv. 52-55. Segue l’amara sequenza<br />
delle tre domande retoriche dei vv. 56-59 (resa quasi grottesca<br />
dall’aperta parodia dell’incipit ariostesco al v. 57), dove si<br />
contrappuntano i due tempi verbali, lo sconsolatamente presente<br />
è (v. 56), e il definitivo passato remoto ragionammo (v. 58).<br />
Ed eccoci agli ultimi versi, in cui si concentra una suprema<br />
modulazione di tempi e modi verbali, così da creare quasi un<br />
rapido movimento d’onda che sommerge inesorabile ogni residuo<br />
di “vago e indefinito”: All’apparir... cadesti: e... mostravi.<br />
Quattro versi essenziali, lapidari, apparentemente “ignudi”,<br />
ma accuratamente intessuti nei suoni, nei ritmi, nelle figure. Per<br />
non allontanarci troppo dal proposito di quest’analisi, ci limitiamo<br />
a notare l’agghiacciante chiasmo del v. 62, nel cui fatale abbraccio<br />
sono unite per sempre la fredda morte, nella sua universalità<br />
accennata dall’articolo determinativo la, ed una tomba ignuda,<br />
dove una esprime insieme l’indeterminatezza che fa di una tomba<br />
un simbolo, ma anche l’unicità di “quella” tomba.<br />
Abbraccio definitivo, tra lo scacco universale e una sofferenza<br />
individuale. Così, il tempo verbale dell’ultimo verso è di nuovo<br />
quello della continuità, ma una continuità privata ormai del<br />
residuo dolce-amaro della “ricordanza” che abbiamo visto nelle<br />
strofe precedenti. È la continuità di un disvelamento avvenuto<br />
nel passato individuale che sconfina nella legge dell’eterno, disumano<br />
ordine delle cose: mostravi.
Media e costruzione della realtà (I)<br />
Una riflessione sulla didattica e sulla ricerca<br />
nella prospettiva delle scienze sociali<br />
di Franz Brandmayr *<br />
La prima regola era di non accettare mai nulla per<br />
vero, senza conoscerlo evidentemente come tale: cioè di<br />
evitare scrupolosamente la precipitazione e la prevenzione;<br />
e di non comprendere nei miei giudizi niente più<br />
di quanto si fosse presentato alla mia ragione tanto<br />
chiaramente e distintamente da non lasciarmi nessuna<br />
occasione di dubitarne. 1<br />
Chi ha un bastone più grosso ha una maggiore probabilità<br />
di riuscire a imporre la sua definizione della realtà. 2<br />
1.0 Epistemologia minima (I): i media sono fonti affidabili?<br />
Mi accingo a condurre questa riflessione con l’atteggiamento<br />
dell’insegnante, quindi del lavoratore intellettuale, 3 che si interroga<br />
sulla propria attività di ricerca (didattica e non), sul proprio<br />
* Docente di I.R.c.<br />
1 3<br />
CARTESIO R., Discorso sul metodo, Editori Riuniti, Roma 1996 (1637), p. 72.<br />
2<br />
BERGER P.L.-LUCKMANN TH., La realtà come costruzione sociale, Il Mulino, Bologna<br />
1969 (1966), p. 153.<br />
3 Sottraggo all’espressione qualsiasi sussiego o contenuto snobistico e – per<br />
motivi di spazio – rinvio, per un primo approccio tematico alla figura e all’attività<br />
dell’intellettuale, solo ai seguenti testi scelti, peraltro, in maniera quasi<br />
casuale: GUITTON J., Arte nuova di pensare, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI)<br />
198611 (s.d. orig.), passim; ID., Il lavoro intellettuale. Consigli a coloro che studiano e<br />
lavorano, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 198711 (s.d. orig.), passim;<br />
41
42<br />
Franz Brandmayr<br />
rapporto con le fonti in generale, ma soprattutto con quelle risorse<br />
conoscitive rappresentate dai mezzi di comunicazione di<br />
massa. A spingermi ad affrontare questa disamina, che svolgo<br />
nella prospettiva delle scienze sociali, 4 pesano in buona misura i<br />
frequenti correttivi che, nel processo dell’insegnamento-apprendimento,<br />
il lavoro di docenza impone di apportare ai media più<br />
comunemente adoperati nell’attività in aula. Enciclopedie in rete,<br />
articoli di quotidiani o di periodici, talvolta persino i manuali<br />
scolastici 5 sono cosparsi di approssimazioni, di stereotipie, 6 di<br />
stigmi, 7 di tautologie, 8 di effetti alone, 9 di varie forme di etno-<br />
SERTILLANGES A.D., La vita intellettuale, Studium, Roma 1998 6 (1920), passim;<br />
WALZER M., L’intellettuale militante. Critica sociale e impegno politico nel Novecento, Il<br />
Mulino, Bologna 2004 2 (1988), passim.<br />
4 Come il lettore potrà constatare, attingo primariamente a opere di Sociologia<br />
generale e di Sociologia della Comunicazione inserite in un quadro complessivo<br />
di carattere antropologico-culturale. I contributi forniti dai giornalisti<br />
(in qualche caso anche quelli di accademici-giornalisti) occupano, solitamente,<br />
il carattere di testimonianze più che di contributi teorici.<br />
5 A titolo di esempio, rinvio a BRANDMAYR F., Medioevo: un pregiudizio secolare che<br />
perdura nel discorso comune. Esercizi di decostruzione alla luce delle scienze sociali, in<br />
BIANCHI B.-ID.-COSIMI R.-CREAZZO F.-STROPPOLO D.-ZOCCHI M., Dialoghi al<br />
Liceo Dante. Pagine di cultura e didattica, n. 2, Liceo Ginnasio Statale “Dante<br />
Alighieri”-LINT, Trieste 2011, soprattutto alle pp. 64-69 e 80-81.<br />
6 ARCURI L., Percezione e cognizione sociale, in ID. (a cura di), Manuale di psicologia<br />
sociale, Il Mulino, Bologna 1995, p. 126; MAZZARA B.M., Stereotipi e pregiudizi, Il<br />
Mulino, Bologna 1997, p. 16.<br />
7 AIME M., s.v. Stigma, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di), Dizionario di<br />
antropologia. Etnologia antropologia culturale antropologia sociale, Zanichelli, Bologna<br />
1997, p. 709.<br />
8 ABBAGNANO N., s.v. Tautologia, in ID., Dizionario di filosofia, U.T.E.T., Torino<br />
1971 2 (s.d. orig.), p. 857.<br />
9 MANDL H., s.v. Alone/effetto, in ARNOLD W.-EYSENCK H.J.-MEILI R. (a cura<br />
di), Dizionario di psicologia, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1986 3 (1975),<br />
p. 61.
Media e costruzione della realtà<br />
centrismo, 10 di esclusivismo culturale, 11 di selettività, 12 di anacronismo<br />
13 e – non di rado – di errori veri e propri.<br />
È vero che – sovente – questi difetti espositivi risultano difficilmente<br />
evitabili: lo si deve riconoscere, la “narrativizzazione” 14<br />
giornalistica consente spesso formati 15 e tempi 16 solo molto ristretti,<br />
con tutte le deficienze che possono derivarne 17 . Ne consegue<br />
che – come sostengono gli studiosi – «ogni tipo di comunicazione<br />
(giornalistica) non può che essere selettiva, sintetica,<br />
forgiata sull’esclusione di elementi che si ritengono meno<br />
interessanti» 18 .<br />
Il mio scopo, quindi, non è certo quello di stigmatizzare una<br />
certa tipologia di mezzi, magari per promuoverne altri, quali<br />
potrebbero essere – ad esempio – i libri. Oltre a essere una battaglia<br />
perduta in partenza, 19 si tratterebbe chiaramente di un<br />
anacronismo esiziale per la stessa ricerca, che di una differen-<br />
10 Vd. ad es. BERNARDI B., Uomo cultura società. Introduzione agli studi etno-antropologici,<br />
Franco Angeli, Milano 1984 8 (s.d. orig.), p. 44.<br />
11 CIRESE A.M., Cultura egemonica e culture subalterne. Rassegna degli studi sul mondo<br />
popolare tradizionale, Palumbo, Palermo 1973, p. 7.<br />
12 SCHENCK J., s.v. Sociale/percezione, in ARNOLD W.-EYSENCK H.J.-MEILI R. (a<br />
cura di), op. cit., pp. 1078-1080; vd. anche infra, nt. 18 e 95.<br />
13 Vd. ad es. BRANDMAYR F., op. cit., pp. 60-62.<br />
14 Vd. infra, nt. 126.<br />
15 Cfr. ad es. AGOSTINI A., “la Repubblica”. Un’idea dell’Italia, Il Mulino, Bologna<br />
2005, pp. 59-70; SORRENTINO C., Tutto fa notizia. Leggere il giornale, capire il<br />
giornalismo, Carocci, Roma 2010, pp. 95-96.<br />
16 Cfr. infra, nt. 120.<br />
17 Cfr. infra, nt. 126 e 127.<br />
18<br />
SORRENTINO C., op. cit., p. 28 (parentesi tonda mia).<br />
19 Cfr. SARTORI G., Prefazione, in ID., Homo videns. Televisione e post-pensiero, Laterza,<br />
Roma-Bari 201012 (1997), p. XVI.<br />
43
44<br />
Franz Brandmayr<br />
ziazione degli strumenti e delle tecniche non può che avvalersi<br />
fruttuosamente. 20<br />
Mi pare – tuttavia – che la vera posta in gioco sia la stessa<br />
affidabilità 21 dei mezzi di informazione, i quali vedono impegnata<br />
– pur nelle sue notevoli differenziazioni interne 22 – un’unica<br />
classe di lavoratori intellettuali: quella dei giornalisti. Nell’ambito<br />
accademico non sono poche le testimonianze di una certa<br />
disistima della qualità professionale dei giornalisti, 23 ma in que-<br />
20 Cfr. ad es. il chiaro nesso positivo fra istruzione e un certo utilizzo di<br />
Internet rilevato dai sociologi (SARTORI L., Il divario digitale. Internet e le nuove<br />
disuguaglianze sociali, Il Mulino, Bologna 2006, pp. 87 e 94). Per un approfondimento<br />
dei significati simbolici sottesi all’uso dei media rinvio al suggestivo<br />
MOORES SH., La televisione satellitare come segno culturale, in ID., Il consumo dei<br />
media, Il Mulino, Bologna 1998 (1993), pp. 187-202 e all’opera tutta.<br />
21 Cfr. FROIO F., L’informazione spettacolo. Giornali e giornalisti oggi, Editori Riuniti,<br />
Roma 2000, p. 206; MARLETTI C., Media e politica. Saggi sull’uso simbolico della politica<br />
e della violenza nelle comunicazioni, Franco Angeli – Istituto di Scienze politiche “G.<br />
Solari” Università di Torino, Milano 1984, p. 72; cfr. anche infra, nt. 129.<br />
22 Per una sintesi efficace sulla differenziazione interna alla pratica giornalistica<br />
attuale cfr. ad es. AGOSTINI A., Orizzonti digitali, in ID., Giornalismi. Media<br />
e giornalisti in Italia, Il Mulino, Bologna 2004, pp. 141-187.<br />
23 Cfr., solo a titolo di esempio, CARMO FELICIANI S., Introduzione, in DAWSON<br />
CH., Il cristianesimo e la formazione della civiltà occidentale, Rizzoli, Milano 1997 2<br />
(1950), p. 6; FERRAROTTI F., Prefazione, in BARBANO A., L’Italia dei giornali<br />
fotocopia. Viaggio nella crisi di una professione, Franco Angeli, Milano 2003, p.<br />
12; LO IACONO P., La concezione islamica dell’occidente, in ALLIEVI S. (a cura di),<br />
L’occidente di fronte all’islam, Franco Angeli, Milano 1996, pp. 146 e 151;<br />
PERNOUD R., Medio Evo. Un secolare pregiudizio, Bompiani, Milano 1998 5 (1977),<br />
p. 145; PIVATO S., Vuoti di memoria. Usi ed abusi della storia nella vita pubblica<br />
italiana, Laterza, Roma-Bari 2007, pp. 22, 26, 34, 74, 87-88, 129, 131 et alibi;<br />
POPPER K.R., Una patente per fare tv, in ID.-CONDRY J.-WOJTYÙA K., Cattiva<br />
maestra televisione, Donzelli, Milano 1996, p. 34; VASOLI C., Prefazione, in<br />
BURDACH K., Riforma Rinascimento Umanesimo. Due dissertazioni sui fondamenti<br />
della cultura e dell’arte della parola moderne, Sansoni, Firenze 1986 2 (1918), p.<br />
VII. Vd. anche infra, nt. 109.
Media e costruzione della realtà<br />
sta sede si vuole pensare a quello del giornalista come a un lavoro<br />
intellettuale nel senso pieno del termine, 24 professione – per<br />
di più – gravata da pesi e responsabilità non indifferenti. 25<br />
Queste poche pagine non hanno certo il fine di dare conto<br />
del dibattito interno al mondo mediatico circa le finalità del giornalismo<br />
stesso o intorno al problema dell’obiettività, se essa esista<br />
e in quali termini, 26 se venga considerata, e da chi, un proposito<br />
ancora perseguibile, 27 se configuri – al contrario – un ideale<br />
donchisciottesco e anacronistico, oppure illusorio 28 e – in definitiva<br />
– mistificante; 29 se il mercato 30 rappresentato dai media<br />
destituisca di significato ogni riferimento forte alla verità e via<br />
dicendo. Analogamente, sono costretto a lasciare da parte, o a<br />
sfiorare appena, tematiche ancora più impegnative, come la<br />
nozione di “dato concreto”, di “fatto” 31 e di “verità”, che attraversano<br />
il dibattito epistemologico da svariati decenni. Mi richiamo<br />
– invece – a una concezione più limitata e, nella nostra<br />
24 Cfr. MARLETTI C., op. cit., p. 88.<br />
25 Cfr. infra, nt. 176 e 180.<br />
26 Vd. infra, nt. 78-79 e 177.<br />
27 Cfr. ad es. infra, nt. 70.<br />
28<br />
AGOSTINI A., “la Repubblica”, cit., p. 7.<br />
29<br />
ECO U., Obiettività dell’informazione: il dibattito teorico e le trasformazioni della<br />
società italiana, in ID.-LIVOLSI M.-PANOZZO G., Informazione. Consenso e dissenso,<br />
Il Saggiatore, Milano 1979, pp. 15 et passim.<br />
30 Cfr. infra, nt. 173-175.<br />
31<br />
ABBAGNANO N., s.v. Fatto, in ID., op. cit., pp. 379-381. Con riferimento al<br />
nostro oggetto di studio scrive LASCH CH., La ribellione delle élite. Il tradimento<br />
della democrazia, Feltrinelli, Milano 1995 (1994), p. 70 (parentesi tonda mia):<br />
«In certi ambienti, l’idea stessa di realtà è stata messa in discussione, forse<br />
perché le “classi parlanti” (quelle che hanno maggiore accesso ai media) vivono<br />
in un mondo artificiale, in cui la simulazione della realtà ha preso il posto<br />
delle cose in sé».<br />
45
46<br />
Franz Brandmayr<br />
prospettiva delle scienze sociali, più operativa di «tecnica della<br />
verità» 32 , intendendola come «ipotetica» e «plausibile» 33 presa in<br />
esame dei fatti e delle interpretazioni, che a questi fatti conferiscono<br />
un significato. 34<br />
1.1 Epistemologia minima (II): finalità del contributo<br />
A questo scopo attingo qualche spunto sommario, visti i limiti<br />
di questo studio, anche da ambiti – lo ammetto – estranei a<br />
quello giornalistico: mi riferisco in particolare a quello delle scienze<br />
sociali e, in parte, a quello storiografico. È certo che mi si<br />
potrà opporre facilmente l’obiezione circa la specificità della<br />
professione di giornalista, che scienziato sociale o storico – so-<br />
32 MARLETTI C., op. cit., p. 76; cfr. anche infra, nt. 76.<br />
33 Vd. anche infra, nt. 68.<br />
34 A questa scelta metodologica non è sotteso alcun misconoscimento della<br />
dignità filosofica del tema della ricerca della verità e della sua conoscibilità,<br />
come dell’opportunità di un approfondimento euristico costante anche in<br />
queste direzioni. A questo proposito vd. ad es. COTTIER G., Le vie della ragione:<br />
temi di epistemologia teologica e filosofica, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2002;<br />
GIORDANI A., Il problema della verità: Heidegger vs Aristotele, V&P università,<br />
Milano 2001; IACCARINO A., Verità e giustizia: per un’ontologia del pluralismo, Città<br />
nuova, Roma 2008; POSSENTI V. (a cura di), La questione della verità: filosofia,<br />
scienze, teologia, Armando, Roma 2003; POSSENTI V.-MASSARENTI A. (a cura di),<br />
Nichilismo, relativismo, verità: un dibattito, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ)<br />
2001; STAGLIANÒ A., Su due ali: l’impegno per la ragione, responsabilità della fede,<br />
Lateran University Press, Roma 2005. In una prospettiva filosofica diversa si<br />
colloca ad es. VATTIMO G., Verità, comunicazione, espressione, in AA.VV., Il problema<br />
della comunicazione, Gregoriana, Padova 1964, pp. 260-266; ID., Arte e verità<br />
nel pensiero di M. Heidegger, corso di Estetica dell’a.a. 1965-66, Giappichelli,<br />
Torino 1966, passim; ID., Verità e pace, in AA.VV., Identità culturale dell’Europa. Le<br />
vie della pace, Atti del colloquio internazionale (Torino, 19-22 giugno 1984),<br />
Aic, Torino 1984, pp. 69-75.
Media e costruzione della realtà<br />
litamente – non è, ma perseguo egualmente il mio intento per<br />
una serie di motivi.<br />
In primo luogo non ambisco ad avere tutte le ragioni in questa<br />
riflessione: voler impartire lezioni metodologiche dall’esterno<br />
a una categoria di lavoratori, cui non si appartiene e delle cui<br />
difficoltà non si ha viva esperienza, sarebbe soprattutto ridicolo,<br />
più che biasimevole. Inoltre, accingendomi a esplorare qualche<br />
aspetto del «mondo sociale» 35 del giornalismo, non mi pare<br />
opportuno “far parlare i fatti” 36 , dando – surrettiziamente – uno<br />
spazio retorico al diffuso sentimento di sfiducia 37 nei confronti<br />
degli organi di informazione: non è con la demagogia che si<br />
può tentare di avviare un leale confronto con una categoria professionale<br />
“altra”. 38 In terza istanza – al seguito di una tradizione<br />
scientifica consolidata 39 – intendo esplicitare chiaramente,<br />
senza mimetismi di sorta, i presupposti epistemologici dai quali<br />
prendo le mosse per questa riflessione.<br />
L’intento di queste pagine è – soprattutto – quello di fornire<br />
delle testimonianze raccolte nel mondo dei giornalisti e del<br />
materiale descrittivo ricavato dalle analisi degli studiosi, il tutto<br />
in vista di uno sviluppo euristico ulteriore. Sarebbe mia intenzione,<br />
infatti, riservare a una pubblicazione futura la presa in<br />
considerazione della problematica affidabilità dei media, particolarmente<br />
quando si occupano dello specifico ambito delle<br />
35 BERTAUX D., Racconti di vita. La prospettiva etnosociologica, Franco Angeli, Milano<br />
2003 (1998), pp. 37-38.<br />
36 Cfr. FORCELLA E., Millecinquecento lettori. Confessioni di un giornalista politico, in<br />
“Tempo Presente”, n. 6, p. 454.<br />
37 Cfr. infra, nt. 181 e 183-188.<br />
38 Cfr. infra, nt. 49.<br />
39 Cfr., ad es., GEERTZ C., L’io testimoniante. I figli di Malinowsky, in ID., Opere e<br />
vite. L’antropologo come autore, Il Mulino, Bologna 1995 (1992), pp. 85-86.<br />
47
48<br />
Franz Brandmayr<br />
religioni; 40 il mondo dei mezzi di comunicazione di massa potrebbe<br />
«coprire» 41 questi temi con effetti di palese resa stereotipica,<br />
42 di oscuramento 43 e di discredito. 44 D’altra parte, secondo<br />
studi sociologici autorevoli, queste caratteristiche (ma soprattutto<br />
quella della resa stereotipica) costituirebbero addirittura<br />
delle «regole precise», che «la società di massa impone alle religioni<br />
e a chi vuole parlarne in TV e sulla carta stampata» 45 .<br />
40 Ho già svolto un lavoro di questo genere per quanto concerne, in modo<br />
particolare, l’islâm, per il quale rinvio a BRANDMAYR F., L’islàm nelle rappresentazioni<br />
collettive degli italiani. Le etichettazioni “orientalistiche”, in “A.N.I.R.”, XXI<br />
(2006), nn. 2-3, pp. 20-22; ID., L’ islàm nei media italiani. La comunicazione<br />
funzionale al processo dell’etnicità, in “A.N.I.R.”, XXII (2007), n. 1, gennaio-aprile,<br />
pp. 11-15; ID., L’ islàm nei media italiani. La deriva islamofobica, in “A.N.I.R.”,<br />
XXIII (2008), nn. 2-3, pp. 8-10; ID., L’ islàm nei media italiani. La deriva<br />
islamofobica (II parte), in “A.N.I.R.”, XXIV (2009), n. 1, pp. 12-14. Sono<br />
consultabili anche ID., Jihad, contributi per un’ermeneutica, in “Cristiani nel Mondo”,<br />
XXV (2010), n. 2, aprile/maggio, pp. 8-10; ID., Parlare di islàm. Per una<br />
comprensione del concetto di “sottomissione”. Dalle stereotipie ad un approccio ermeneutico,<br />
in BIAGINI P.E.-BIANCHI B.-ID.-CREAZZO F.-SERGI M.-STROPPOLO D., Dialoghi<br />
al Liceo Dante. Pagine di cultura e didattica, Liceo-Ginnasio Statale Dante Alighieri-<br />
LINT, Trieste 2010, pp. 85-131.<br />
41 Significa «assumere il compito di informazione attraverso uno o più servizi<br />
giornalistici o radiotelevisivi, relativamente a eventi di particolare rilievo»<br />
(cfr. DEVOTO G.-OLI G.C., s.v. Coprire, in IID., Il dizionario della lingua italiana,<br />
Le Monnier, Firenze 1995). A volte viene usato l’anglismo coverage.<br />
42 Cfr. supra, nt. 6.<br />
43 GILI G., Il problema della manipolazione: peccato originale dei media?, Franco Angeli,<br />
Milano 2001, pp. 116-117; cfr. anche CASILLO S., Fattoidi, bufale e falsi<br />
giornalistici, in ID.-DI TROCCHIO F.-SICA S., Falsi giornalistici. Finti scoop e bufale<br />
quotidiane, Guida, Napoli 1997, pp. 25-27.<br />
44 Cfr. GILI G., op. cit., pp. 98-102 e, solo per quanto concerne la strategia<br />
della «costruzione del nemico», DAL LAGO A., Non-persone. L’esclusione dei migranti<br />
in una società globale, Feltrinelli, Milano 2004 2 (1999), p. 50.<br />
45 PACE E., in ACQUAVIVA S.-ID., Sociologia delle religioni. Problemi e prospettive,<br />
Carocci, Roma 1996 2 (1992), p. 174.
Media e costruzione della realtà<br />
Nonostante questo proposito mirato al futuro, mi pare che<br />
lo «sguardo» 46 , che – ab extra – mi propongo di rivolgere al mondo<br />
dei media, possa avere un suo significato anche a prescindere<br />
dagli eventuali sviluppi della ricerca. Ritengo, ad esempio, che<br />
queste pagine possano dare voce a una esigenza di fondo – quella<br />
dell’obiettività – non del tutto sopita nel mondo della stampa e<br />
che – in ogni caso – interpella qualsiasi lavoratore intellettuale e,<br />
in fondo, ogni soggetto che ritenga importante la propria<br />
maturazione personale e civica.<br />
Per porre le premesse alla formulazione delle suddette ipotesi<br />
plausibili ho tentato di entrare in relazione, diretta o attraverso i<br />
testi, con diversi addetti ai lavori, celebri o meno che fossero. 47 Al<br />
«gruppo» 48 dei giornalisti, che ho avvicinato come fosse una sorta<br />
di «cultura professionale» 49 specifica, mi illudo di avere guardato<br />
– inoltre – con una certa «simpatia metodologica» 50 , che – indi-<br />
46 Mi rifaccio al concetto di «sguardo antropologico» così come emerge dalle<br />
suggestioni che mi provengono da APOLITO P., Sguardi e modelli. Saggi di antropologia,<br />
Franco Angeli, Milano 1994, passim.<br />
47 Nella fase esplorativa che precede il lavoro sul campo vero e proprio si<br />
rivelano utili anche i colloqui informali (BIANCO C., Dall’evento al documento.<br />
Orientamenti etnografici, C.I.S.U., Roma 1988, p. 112). Vd. anche CIRESE A.M.,<br />
op. cit., p. 244: alcune conversazioni con giornalisti si sono rivelate per me<br />
significative ai fini dell’elaborazione di questa riflessione.<br />
48 Quando si occupano di professioni i sociologi si riferiscono a «gruppi<br />
secondari […] regolati da norme formali, razionali», cfr. GABASSI P., s.v. Gruppo,<br />
in DEMARCHI F.-ELLENA A.-CATTARINUSSI B. (a cura di), Nuovo dizionario di<br />
sociologia, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1994 3 (1987), p. 941.<br />
49 DUBAR C., La socializzazione. Come si costruisce l’identità sociale, Il Mulino, Bologna<br />
2004 (2000), p. 153. Vd. le riserve di CUCHE D., La nozione di cultura nelle<br />
scienze sociali, Il Mulino, Bologna 2003 (2001), pp. 123-125 su questo utilizzo<br />
del concetto di cultura.<br />
50 Cfr. ad es. il riferimento alla «simpatia» dell’antropologo per la cultura<br />
studiata (FIRTH R., I simboli e le mode, Laterza, Bari 1977, p. 40). È un’espres-<br />
49
50<br />
Franz Brandmayr<br />
spensabile in ogni approccio antropologico-culturale all’oggetto<br />
di studio – abbiamo visto che non sempre impronta le critiche<br />
portate da altri mondi sociali 51 al gruppo costituito dagli operatori<br />
dei media. Si tratta di una simpatia che – voglio sottolinearlo – trae<br />
origine anche da una considerazione di ordine politico, se per<br />
«politica» intendiamo quella intesa nel «senso forte» 52 del termine,<br />
cioè l’arte di ricercare il bene comune: 53 lo “sguardo giornalistico”<br />
sulla realtà è carico di un potere che «può innalzare e può<br />
abbattere» e che può influire sui destini di molti. Non a caso,<br />
infatti, Weber accosta il ruolo del giornalista a quello del politico<br />
(per cui «i nomi di “scrittore mercenario” e di “oratore mercenario”<br />
risuoneranno […] alle orecchie dell’uno e dell’altro») 54 : ad<br />
ambedue sono riservate «gioie intime» quali il «sentimento del<br />
potere […] e di elevarsi al di sopra della realtà quotidiana» 55 .<br />
Nella sua pratica lavorativa il giornalista può, quindi, proporre<br />
un’azione altamente costruttiva nella direzione della preservazione<br />
e dell’incremento della prassi democratica 56 all’interno della com-<br />
sione, tuttavia, che non va intesa in senso «emotivo», né va confusa con<br />
opzioni teoriche che rifiutino a priori il tentativo di una «comprensione»<br />
oggettiva della cultura studiata; cfr. TULLIO-ALTAN C., Manuale di antropologia<br />
culturale. Storia e metodo, Bompiani, Milano 1979 (1971), p. 543. Vd. anche la<br />
nozione di «osservazione partecipante» in SCHULTZ E.A.-LAVENDA R.H., Antropologia<br />
culturale, Zanichelli, Bologna 1999 (1998), pp. 34-35.<br />
51 Vd. supra, nt. 23.<br />
52 Vd., da un punto di vista prettamente antropologico-culturale, TULLIO-ALTAN<br />
C., Antropologia. Storia e problemi, Feltrinelli, Milano 1985 2 (1983), pp. 227-233.<br />
53 Vd. ad es. HÕFFNER J., La dottrina sociale cristiana, San Paolo, Cinisello Balsamo<br />
(MI) 1986 3 (1983), pp. 33-39.<br />
54 WEBER M., La politica come professione, in ID., Il lavoro intellettuale come professione,<br />
Einaudi, Torino 1966 (1919), p. 100.<br />
55 Ib.; cfr. infra, nt. 148.<br />
56 Vd. infra, nt. 173.
Media e costruzione della realtà<br />
pagine statuale oppure, al contrario, può contribuirne al degrado.<br />
È, questa del lavoro giornalistico, un’opportunità che – se valorizzata<br />
– può impreziosire considerevolmente la funzione sociale<br />
e politica dell’operatore dell’informazione. La sua azione<br />
sociale andrebbe, pertanto, più che demonizzata, orientata e finalizzata<br />
a scopi compatibili con le battaglie più significative<br />
dell’attuale emergenza democratica. Il venire meno dello Statonazione,<br />
57 infatti, sembra imporre un faticoso, ma irrinunciabile<br />
58 lavoro di ricerca delle forme più adatte di convivenza fra<br />
sensibilità culturali diversificate 59 e della diffusione di un «orientamento<br />
di valore» 60 meno succube del mercato 61 e dei modelli<br />
57 Cfr., ad es., da un punto di vista sociologico COLOMBO E., Le società<br />
multiculturali, Carocci, Roma 2002, pp. 22-25; in una prospettiva storica<br />
REINHARD W., Storia dello stato moderno, Il Mulino, Bologna 2010 (2007), pp.<br />
118-119.<br />
58 La «vita comune» e la «disponibilità» a «riconoscersi reciprocamente» fra<br />
diverse culture sembrano venire pensati da POSSENTI V., Le ragioni della laicità,<br />
Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ), p. 38, come una premessa di fondo ed<br />
una condizione di sopravvivenza della società postsecolare.<br />
59 Con sensibilità differenziate rispetto a questi problemi si possono leggere<br />
BERNARDI U., La nuova insalatiera etnica. Società multiculturale e relazioni interetniche<br />
nell’era della globalizzazione, Franco Angeli, Milano 2000, passim e COLOMBO E.,<br />
op. cit., passim.<br />
60 Con questa nozione intendo l’applicazione di «complessi di valori organizzati<br />
[…] ad ampi segmenti della vita», valori funzionali «all’integrazione<br />
culturale» (cfr. SEYMOUR-SMITH CH., s.v. Valori, in EAD., Dizionario di antropologia,<br />
Sansoni, Firenze 1991 [1986], pp. 420-421) del soggetto, ma anche<br />
all’«espressione» (cfr. TURNER V., Dal rito al teatro, Il Mulino, Bologna 1986<br />
[1982], p. 36) di giudizi, di comportamenti etici e di sentimenti (ivi, pp.<br />
120-121), che possono essere cognitivamente dissonanti (TRENTIN R., Gli<br />
atteggiamenti sociali, in ARCURI L. [a cura di], op. cit., pp. 274-281) rispetto al<br />
contesto sociale.<br />
61 Cfr. ARDIGÒ A., Introduzione, in PARSONS T., Comunità societaria e pluralismo. Le<br />
differenze etniche e religiose nel complesso della cittadinanza, Franco Angeli, Milano<br />
51
52<br />
Franz Brandmayr<br />
egemonici 62 elitari 63 concomitanti al fenomeno della globalizzazione.<br />
In definitiva, alle procedure critiche proprie delle scienze<br />
sociali, che improntano le riflessioni che seguono, soggiace<br />
un’opzione dichiaratamente etico-sociale, 64 mirata – nei suoi limiti<br />
– a rinforzare il rapporto di fiducia 65 fra chi le notizie le<br />
produce e noi fruitori dei mezzi di comunicazione di massa.<br />
1994, pp. 13-14. Per un primo approccio interdisciplinare al tema socioeconomico<br />
del mercato vd., ad es., AA.VV., Fuori dal mercato non c’è salvezza?, in<br />
“Concilium”, XXXIII (1997), 2, passim.<br />
62 SEYMOUR-SMITH CH., s.v. Egemonia, in EAD., op. cit., p. 151.<br />
63 Su questo aspetto della ricerca sociale non ho trovato opere che abbiano<br />
una lucidità pari a quella di LASCH CH., op. cit., pp. 29-46 et passim.<br />
64 Come tale valutativa e a sua volta passibile di essere fatta oggetto del giudizio<br />
di valore del lettore, vd. WEBER M., Il metodo delle scienze storico-sociali,<br />
Einaudi, Torino 1981 2 (1922), pp. 60-61, 335-337 et alibi. Del resto – come è<br />
noto – adesione al valore (in questo caso: la democrazia) e scientificità non<br />
sono inconciliabili: l’essenziale è distinguere accuratamente i diversi piani del<br />
discorso (cfr. ad es. ivi, pp. 68 e 97).<br />
65 Sul tema della fiducia nel contesto della modernità, vd. ad es. i contributi di<br />
Sztompka P., Jedlowski P., Tarozzi A. e Cotesta V. nella II parte di CRESPI F.-<br />
SEGATORI R. (a cura di), Multiculturalismo e democrazia, Donzelli, Roma 1996,<br />
pp. 49-96; GIDDENS A., Le conseguenze della modernità. Fiducia e rischio, sicurezza e<br />
pericolo, Il Mulino, Bologna 1994 (1990), soprattutto i capp. III e IV. Come si<br />
sa, anche il sociologo anglo-polacco Zygmunt Bauman ha dato spazio a<br />
tematiche come le «paure postmoderne» (BAUMAN Z., La società dell’incertezza,<br />
Il Mulino, Bologna 1999 [1999], pp. 99-126) o l’«insicurezza» (ID., La solitudine<br />
del cittadino globale, Feltrinelli, Milano 2008 [1999], pp. 17-63), che presentano<br />
una certa complementarità con l’argomento.
Media e costruzione della realtà<br />
1.2 Epistemologia minima (III): fatti e interpretazioni<br />
Il fatto che il giornalista abbia fra i suoi fini quello di tradurre, 66<br />
in qualche modo, i «mondi della vita» 67 e la realtà sociale (sia<br />
quando si occupa di cronaca nera, che quando scrive di arte o di<br />
moda o altro ancora) nel linguaggio e nei formati propri della<br />
sua professione, credo possa avvicinarlo – perlomeno sotto certi<br />
aspetti – allo studioso di scienze sociali. Anche questi non<br />
presume tanto di spiegare esaustivamente il significato dei «“meccanismi<br />
sociali”», quanto – piuttosto – di<br />
elaborare progressivamente un corpo di ipotesi plausibili […]<br />
fondato sulle osservazioni, ricco di descrizioni […] e di proposte<br />
interpretative […] dei fenomeni osservati. 68<br />
Emerge, come si può agevolmente constatare, la componente<br />
empirica, «fattuale», 69 che senza dubbio informa anche<br />
il lavoro giornalistico; 70 inoltre, mi pare ciò possa valere – mutatis<br />
mutandis – anche quando la notizia viene elaborata con l’attività<br />
di desk 71 e il giornalista, pur non muovendosi dalla sua postazione<br />
al computer, è costretto a rapportarsi con le fonti rappresentate<br />
dalle diverse notizie d’agenzia, spesso contraddit-<br />
66 CHAKRABARTY D., Provincializzare l’Europa, Meltemi, Roma 2004 (2000), pp.<br />
105 e ss.<br />
67 ABBAGNANO N., s.v. Mondo della vita, in ID., op. cit., p. 596; PARDI F., s.v.<br />
Soggettività, in DEMARCHI F.-ELLENA A.-CATTARINUSSI B. (a cura di), op. cit.,<br />
p. 1986.<br />
68 BERTAUX D., op. cit., p. 41.<br />
69 Ivi, p. 43.<br />
70 Piero Ottone, già direttore del “Corriere della Sera”, richiamava alla concretezza<br />
i suoi colleghi con queste semplici parole: «Dire le cose come stanno:<br />
questo è l’imperativo del buon giornalista» (ID. cit. in FROIO F., op. cit., p. 30).<br />
53
54<br />
Franz Brandmayr<br />
torie, variamente interpretabili e la cui notiziabilità va valutata<br />
di volta in volta. 72<br />
I dati [...] mostrano come “funziona” un mondo sociale o<br />
una situazione sociale. Questa funzione […] permette […]<br />
una descrizione in profondità dell’oggetto sociale, […] prende<br />
in carico le configurazioni dei rapporti sociali interne all’oggetto,<br />
i suoi rapporti di potere, le sue tensioni, i suoi processi<br />
di riproduzione permanente, le sue dinamiche di trasformazione.<br />
73<br />
Credo si tratti – quindi – di non eccedere nel «relativismo» 74<br />
tipicamente postmoderno, che «mette in dubbio la distinzione tra<br />
fatto e finzione, realtà oggettiva e discorso concettuale» 75 e di attenersi<br />
a «una concezione pragmatica delle “verità fattibili”<br />
(workable), fondate su nozioni condivise e razionali del fatto e della<br />
prova» 76 . Per quanto nella storiografia una oggettività «totale» 77<br />
71 È il «lavoro di scrivania» (SORRENTINO C., op. cit., p. 102), cioè effettuato a<br />
tavolino.<br />
72 Per notiziabilità (cfr. ivi, pp. 73 e ss.) l’Autore sembra intendere quel complesso<br />
di criteri, di opzioni e di pratiche professionali mediante il quale un<br />
fatto, un fenomeno o un processo sociale può diventare notizia.<br />
73 BERTAUX D., op. cit., p. 41.<br />
74 Cfr. HOBSBAWM E.J., On History, Weikenfeld and Nicholson, London 1997,<br />
p. 311; per un approfondimento del tema nell’ambito delle scienze sociali<br />
vd., ad es.: BOUDON R., Il relativismo, Il Mulino, Bologna 2009 (2008), passim e<br />
GEERTZ C., Contro l’anti-relativismo, in ID., Antropologia e filosofia, Il Mulino,<br />
Bologna 2001 (1984), pp. 57-83.<br />
75 Cfr. HOBSBAWM E.J., op. cit., p. 311.<br />
76 CHAKRABARTY D., op. cit., p. 138. Direttamente pertinente con la pratica<br />
giornalistica è l’attualissima riflessione in materia prodotta da MARLETTI C.,<br />
Informazione, falsi giornalistici e costruzioni di realtà, in ID., Media, cit., pp. 50-82.<br />
77 SCHULTZ E.A.-LAVENDA R.H., op. cit., p. 38.
Media e costruzione della realtà<br />
sia irraggiungibile 78 e lo storico possa «aspirare al massimo alla<br />
plausibilità […] la plausibilità, naturalmente, non si fonda sull’invenzione<br />
arbitraria di una descrizione storica; essa implica invece<br />
strategie razionali per determinare ciò che è plausibile in realtà» 79 .<br />
A questo richiamo alla concretezza dei fatti non è sottesa –<br />
d’altra parte – una superata fattualità positivistica, 80 quasi un<br />
feticismo del cosiddetto “dato concreto”. È – in effetti – un’opinione<br />
che viene discussa ormai da lungo tempo, e persino nell’ambito<br />
delle scienze della natura, quella che ritiene ancora che<br />
la ricerca si configuri come una «passiva registrazione di nudi<br />
fatti» 81 . Nel caso delle «discipline sociali», poi, proprio in quanto<br />
il ricercatore deve confrontarsi con attori sociali che sono portatori<br />
di schemi culturali 82 peculiari, la «comprensione» 83 dei fatti<br />
esige «una grandissima intimità con le fonti: gli informatori.<br />
Di conseguenza i dati […] sono […] intersoggettivi, prodotto di<br />
lunghi dialoghi tra ricercatore e informatore» 84 .<br />
Ora, non occorre dilungarsi sul fatto che – solitamente – il<br />
giornalista non può soffermarsi «sul terreno» 85 (sempre nel caso<br />
78<br />
IGGERS G.G., Historiography in the Twentieth Century: From Scientific Objectivity to<br />
Postmodern Challenge, Wesleyan University Press, Hannover-London 1997, p.<br />
145; cfr. anche WEBER M., Il metodo, cit., p. 84 e WALZER M., op. cit., p. 288.<br />
79<br />
IGGERS G.G., op. cit., p. 145.<br />
80 Vd. ad es. SCHULTZ E.A.-LAVENDA R.H., op. cit., pp. 36-37.<br />
81<br />
DEI F.-CLEMENTE P., I fabbricanti di alieni. Sul problema della descrizione in antropologia,<br />
in FABIETTI U. (a cura di), Il sapere dell’antropologia. Pensare, comprendere,<br />
descrivere l’Altro, Mursia, Milano 1993, p. 84. Secondo BOURDIEU P., Ragioni<br />
pratiche, Il Mulino, Bologna 20092 (1994), pp. 85-86, la «costruzione scientifica»<br />
è «anche una costruzione sociale».<br />
82<br />
TENTORI T., Antropologia culturale, Studium, Roma, 1960, p. 19.<br />
83<br />
MALIGHETTI R., s.v. Verstehen, in FABIETTI U.-REMOTTI F. (a cura di), op. cit., p. 790.<br />
84 SCHULTZ E.A.-LAVENDA R.H., op. cit., p. 39.<br />
85 Cfr. infra, nt. 104.<br />
55
56<br />
Franz Brandmayr<br />
ci vada personalmente) 86 se non per pochi giorni, quando non<br />
per poche ore soltanto, né si può sempre chiedere all’inviato di<br />
avere competenze linguistiche e di ricerca sul campo di livello<br />
antropologico, né – tanto meno – delle relazioni avviate e consolidate<br />
come è auspicabile intessa l’antropologo nei suoi prolungati<br />
soggiorni. Attraverso questa suggestione ricavata dalle<br />
scienze sociali ho inteso, però, porre egualmente l’accento sull’importanza,<br />
ritengo, per il giornalista, di svolgere «due compiti<br />
distinti e strettamente intrecciati: da un lato, ricostruire i fatti;<br />
dall’altro metterli in relazione attraverso interpretazioni» 87 , in un<br />
intreccio dialettico 88 che dovrebbe rendere conto delle diverse<br />
«posizioni» 89 occupate dai differenti attori coinvolti nell’evento<br />
o nella «situazione sociale» 90 narrata. Questo composto di cronaca<br />
e di interpretazione, peraltro opportunamente dosate a<br />
seconda dei contesti e delle circostanze, potrebbe – inoltre –<br />
offrire l’estro per un fecondo connubio fra diverse tradizioni<br />
giornalistiche: quella italiana, di solito più versata nel commento<br />
dei fatti, e quella anglosassone, particolarmente focalizzata<br />
sulla cronaca. 91<br />
In queste pagine – tuttavia – più che sull’operatore mediatico<br />
soffermerei la mia attenzione soprattutto sul destinatario dei<br />
media: ciò per fare esercizio di sensibilizzazione, da un lato, di<br />
noi lettori adulti di quotidiani, noi telespettatori, noi utenti della<br />
86 Cfr. infra, nt. 100-106.<br />
87 BERTAUX D., op. cit., p. 84.<br />
88 Sulla dialettica intesa come ragionamento filosoficamente rigoroso vd. ad<br />
es. GUITTON J., Arte, cit., pp. 114-120. Da un punto di vista storiografico vd.<br />
ad es. PIVATO S., op. cit., pp. 87-88.<br />
89 BERTAUX D., op. cit., p. 44.<br />
90 Ivi, p. 38.<br />
91 Cfr. infra, nt. 145.
Media e costruzione della realtà<br />
rete onde affinare gli strumenti critici dei quali disponiamo e,<br />
dall’altra parte, degli studenti, al fine di trasmettere loro queste<br />
stesse chiavi di lettura e contribuire a fare instaurare loro un<br />
rapporto più consapevole e meditato con i media stessi.<br />
2.0 «Questa insostenibile leggerezza del pensare…»<br />
Nel 2001 Stefano Allievi, uno dei massimi esperti di sociologia<br />
dell’islâm in Europa, da ex giornalista definiva in questo modo<br />
caustico 92 la produzione di «fattoidi» 93 e di «esagerazioni», la superficialità<br />
94 e la selettività 95 messi in campo dal mondo della comunicazione<br />
italiano impegnato a rendere conto della realtà<br />
islamica internazionale e italiana. Secondo il nostro, infatti, sembrava<br />
che il ruolo dei media non fosse «più solo quello di informare,<br />
ma propriamente di costruire 96 i nostri mondi conoscitivi» 97 .<br />
92 ALLIEVI S., Parole dell’islam, parole sull’islam. Formazione culturale, comunicazione<br />
e ruolo dei mass media, in SIGGILLINO I. (a cura di), I media e l’islam. L’informazione<br />
e la sfida del pluralismo religioso, E.M.I., Bologna 2001, p. 41.<br />
93 ALLIEVI S., Parole, cit., p. 36. «I fattoidi sono eventi mai avvenuti, dotati di<br />
peculiarità e caratteristiche anomale e curiose, ma plausibili e verosimili,<br />
sul cui conto, nel tessuto sociale o in alcuni ambienti di esso, circolano<br />
indizi, liberamente disponibili per tutti i mass media, che possono far supporre<br />
– con maggiori o minori forzature – una loro reale esistenza» (CASILLO<br />
S., Fattoidi, bufale e falsi giornalistici, in ID.-DI TROCCHIO F.-SICA S., Falsi giornalistici.<br />
Finti scoop e bufale quotidiane, Guida, Napoli 1997, p. 30). Vd. anche<br />
GILI G., op. cit., pp. 250-254.<br />
94 Cfr. ALLIEVI S., Parole, cit., p. 42.<br />
95 Ivi, p. 35. Sul concetto di selettività vd. supra, nt. 12, 18 e infra, nt. 167-171.<br />
96 Cfr. BERGER P.L.-LUCKMANN TH., op. cit., soprattutto il cap. III; sulla costruzione<br />
giornalistica come «inevitabile» vd. SORRENTINO C., op. cit., p. 18.<br />
97 ALLIEVI S., Parole, cit., p. 44.<br />
57
58<br />
Franz Brandmayr<br />
Le critiche mosse dal sociologo – peraltro – venivano<br />
suffragate qualche anno più tardi – con un riferimento più ampio<br />
della copertura del solo islâm e con un’attribuzione allargata<br />
a tutto il mondo dei media italiani – dalla valutazione di Paese<br />
«parzialmente libero» data all’Italia, collocata dal “Freedom of<br />
the press 2004 – Table of Global Press Freedom Ranking” al<br />
74° posto nel mondo 98 a New York nel maggio del 2004, mentre<br />
nello stesso anno i Reporters sans frontières assegnavano al nostro<br />
Paese – sempre relativamente alla libertà di stampa – il 53°<br />
posto su settanta Stati considerati 99 . Questa situazione sarebbe<br />
derivata da un insieme di fattori, fra i quali potremmo indicare –<br />
senza alcuna pretesa di esaustività – i seguenti: a) il fatto che la<br />
carenza di inchieste in loco 100 (causata dai costi) 101 determini una<br />
dipendenza sempre maggiore dei giornali dalle agenzie (soprattutto:<br />
Ansa 102 e Reuter 103 ); b) pertanto l’informazione risulterebbe<br />
sempre più povera di rilevamenti «sul campo» 104 e c) ap-<br />
98 MASTELLARINI G., Assalto alla stampa. Controllare i media per governare l’opinione<br />
pubblica, Dedalo, Bari 2004, p. 147.<br />
99 TRANFAGLIA N., Prefazione, in MASTELLARINI G., op. cit., p. 11. Una posizione<br />
contraria rispetto a queste evidenze emerge da E. Mauro, in ivi, p. 110.<br />
100 CASILLO S., op. cit., pp. 19-21; cfr. AGOSTINI A., Giornalismi, cit., p. 132.<br />
101 CASILLO S., op. cit., p. 19; MARTIN H.-J., Storia e potere della scrittura, Laterza,<br />
Roma-Bari 2009 (1988), p. 527.<br />
102 BARBANO A., op. cit., p. 36.<br />
103 Vd. ad es. CASILLO S., op. cit., pp. 18 e, per il passaggio dal newsmaking<br />
(l’elaborare la notizia) al gatekeeping (la «selezione e la presentazione di notizie<br />
prodotte da altri»), 21; MARTIN H.-J., op. cit., pp. 449 e 527.<br />
104 CIRESE A.M., op. cit., p. 238. Per un primo approccio al tema vd. ivi, pp.<br />
244-257 e SEYMOUR-SMITH CH., s.v. Ricerca sul campo, in EAD., op. cit., pp. 340-<br />
343. Equivale all’espressione «sul terreno» (SOLINAS P.G., Itinerari di letture per<br />
l’antropologia. Guida bibliografica ragionata, C.I.S.U., Roma 1991, p. 26; una ricca<br />
messe di indicazioni bibliografiche intorno all’argomento è reperibile ivi, pp.
Media e costruzione della realtà<br />
piattita e omologata nei contenuti e nelle chiavi interpretative<br />
forniti – in buona sostanza – in una prospettiva rispettivamente<br />
statunitense e britannica; d) ciò determinerebbe una perdita di<br />
rapporto con il reale 105 e anche e) un «crescente provincialismo»<br />
106 . Un’altra delle riprove più significative di questa perdita<br />
di qualità professionale sarebbe rappresentata dalla f) consuetudine<br />
delle redazioni di «fotocopiare» 107 pedissequamente<br />
l’«agenda» 108 delle testate televisive e giornalistiche più quotate.<br />
Ancora, c’è chi lamenta a chiare lettere g) «l’inadeguatezza delle<br />
competenze professionali» 109 e chi pare nemmeno interrogarsi<br />
sul fatto se sia opportuno che h) «il giornalismo raccont[…(i)]<br />
la realtà attraverso la sottolineatura dell’eclatante, dell’iperbolico,<br />
del significativo» 110 . Nondimeno, la difficile situazione dei media<br />
26-30). Vd. anche le riserve circa l’analogia fra inchiesta giornalistica e lavoro<br />
antropologico sul campo espresse supra, nel paragrafo 1.1.<br />
105 RIGHETTO R., La situazione odierna: segnali di ottimismo, in SIGGILLINO I. (a<br />
cura di), op. cit., p. 26; cfr. MARLETTI C., Media, cit., pp. 64-65; cfr. supra, nt. 31.<br />
106 CLEMENTE P., Lontananze vicine: sui modi di pensare e insegnare l’antropologia nel<br />
mondo globale, in PASQUINELLI C. (a cura di), Occidentalismi, Carocci, Roma 2005,<br />
pp. 161-162; TAGLIAFERRI F., Islam e comunicazione, in SIGGILLINO I. (a cura di),<br />
op. cit., pp. 101 e 109; cfr. SORRENTINO C., op. cit., p. 67. E. Scalfari cit. in FROIO<br />
F., op. cit., p. 15 sembra dissentire in merito.<br />
107 BARBANO A., op. cit., passim; G. Bocca, cit. in FROIO F., op. cit., p. 9; U. Eco,<br />
cit. ivi, p. 22.<br />
108 Sull’importanza della gerarchizzazione delle notizie cfr. SORRENTINO C.,<br />
op. cit., p. 76 e le osservazioni critiche di CHELI E., La realtà mediata. L’influenza<br />
dei mass media tra persuasione e costruzione sociale della realtà, Franco Angeli, Milano<br />
2002 6 (1992), pp. 106-110.<br />
109 BARBANO A., op. cit., pp. 42-43.<br />
110 SORRENTINO C., op. cit., p. 73; BARBANO A., op. cit., pp. 45-46 – meno entusiasticamente<br />
di Sorrentino – mette invece in luce l’effetto di «proiezione<br />
amplificata di alcuni punti di crisi» e porta l’esempio specifico della resa<br />
caricaturale dell’immagine mediatica della famiglia italiana.<br />
59
60<br />
Franz Brandmayr<br />
italiani verrebbe a complicarsi ulteriormente alla luce della i)<br />
«teledipendenza» della stampa italiana, 111 stampa gravemente condizionata<br />
dall’informazione televisiva non solo nello stabilire la<br />
rilevanza 112 degli eventi, ma anche dal crescente affermarsi dell’informazione<br />
«urlata», 113 dello «sfottò», 114 della «battuta ad effetto»,<br />
115 del «culto dell’immagine», 116 della «personalizzazione», 117 del<br />
sensazionalismo 118 più spinto, della predilezione per le «tinte forti»,<br />
119 tutti atteggiamenti che sembrano impoverire e finanche sostituire<br />
la narrazione giornalistica e l’analisi.<br />
Questi aspetti sembrano intrecciarsi anche con una sorta di<br />
l) tendenza a elementarizzare la narrazione, per cui<br />
la contrapposizione, la rappresentazione del conflitto diventa<br />
l’artificio […] più frequentemente adoperato. Anziché rap-<br />
111 Ad es. U. Eco, cit. in FROIO F., op. cit., pp. 12-13 e 16. Per una valutazione<br />
dissonante vd. AGOSTINI A., Giornalismi, cit., p. 70, mentre SORRENTINO C.,<br />
op. cit., p. 91, sembra evidenziare piuttosto la complementarità fra i diversi<br />
media.<br />
112 CHELI E., op. cit., p. 107; SORRENTINO C., op. cit., pp. 28-29 e 76.<br />
113 W. Veltroni, cit. in FROIO F., op. cit., p. 17.<br />
114 U. Eco, cit. ivi, p. 22.<br />
115 SORRENTINO C., op. cit., pp. 86 e 134.<br />
116 W. Veltroni, cit. in FROIO F., op. cit., p. 17.<br />
117 Per personalizzazione si intende «porre l’enfasi sul protagonista di un<br />
evento […] attraverso il racconto dell’esperienza individuale», cosa che «facilita<br />
l’attribuzione di significatività […] la riconoscibilità e la memorizzazione<br />
[… (il)] concentrarsi sul protagonista come simbolo caratterizzante l’oggetto<br />
di trattazione» (SORRENTINO C., op. cit., p. 85; parentesi tonda mia). Cfr.<br />
anche ivi, p. 87.<br />
118 Ivi, pp. 85-87; da un punto di vista filosofico vd. POPPER K.R., op. cit., pp. 34 e<br />
37. Sulla nascita del giornalismo sensazionalista vd. MARTIN H.-J., op. cit., p. 451.<br />
119 SORRENTINO C., op. cit., p. 86.
Media e costruzione della realtà<br />
presentare la realtà […] come un prisma a più facce, ci si<br />
limita a vederla come una medaglia con solo [sic] due rovesci:<br />
il bianco e il nero, il bello e il brutto, il giusto e l’ingiusto.<br />
Questa semplificazione ben si adatta ai tempi sempre più<br />
rapidi della notiziabilità ed è facilmente adeguabile ai formati<br />
giornalistici. 120<br />
In questo caso – però – all’insito rischio, opportunamente<br />
segnalato da Sorrentino, di «rappresentare una realtà più opaca»<br />
e frammentata 121 e – perciò – tutt’altro che oggettiva, si assomma<br />
– a mio avviso – l’azzardo forse più rilevante della possibile<br />
riproduzione e dell’amplificazione mediatica del conflitto eretta<br />
a duplice schema: interpretativo della realtà e risolutivo delle<br />
questioni (individuali, sociali, interetniche, politiche etc.), con<br />
tutte le complicazioni che possono derivarne per quanto attiene<br />
la pace sociale e internazionale. 122 Alla fine di un elenco così<br />
preoccupante può forse fare addirittura sorridere la menzione<br />
della pur grave prassi della m) mancata verifica 123 dei continui<br />
“si dice” e dei n) discorsi messi fra virgolette, ma del tutto inventati<br />
dal giornalista. 124<br />
120 Ivi, p. 134; cfr. anche AGOSTINI A., Giornalismi, cit., p. 140 e LASCH CH., op.<br />
cit., p. 95.<br />
121 SORRENTINO C., op. cit., p. 134.<br />
122 In questo senso resta a mio parere esemplare – sotto il profilo giornalistico<br />
– la serie di indagini e le riflessioni svolte da RUMIZ P., Maschere per un<br />
massacro, Editori Riuniti, Roma 1996, passim, dalle quali emerge come la sistematica<br />
costruzione mediatica della diversità etnica sia stata decisiva nel far<br />
deflagrare il conflitto nelle repubbliche e nelle regioni autonome della ex<br />
Repubblica federale jugoslava.<br />
123 MARLETTI C., Media, cit., p. 61; da un punto di vista giuridico cfr. anche<br />
SICA S., Profili giuridici del falso giornalistico, in CASILLO S.-DI TROCCHIO F.-ID., op.<br />
cit., pp. 181-182, 186-187 e 200-202.<br />
124 Cfr. FROIO F., op. cit., pp. 7, 246 et alibi.<br />
61
62<br />
Franz Brandmayr<br />
Come si può agevolmente costatare, fra le manchevolezze<br />
riportate si può riconoscere una buona parte degli elementi<br />
costitutivi dell’informazione televisiva, dove «oggi – scriveva la<br />
Farinotti già nel 1997 – è diventato pressoché impossibile individuare<br />
una zona incontaminata, uno spazio “puro” dell’informazione<br />
in cui non entrino elementi di spettacolo o di fiction» 125 .<br />
A equilibrare la valutazione circa il sistema mediatico italiano<br />
può giovare, tuttavia, il richiamo alla reale difficoltà imposta<br />
dalle esigenze della «narrativizzazione». Essa consiste nel lavoro<br />
di ineludibile «semplificazione della realtà» svolto dagli operatori<br />
dei media, che comporta un «processo di decontestualizzazione<br />
degli eventi dal flusso di cui fanno parte e<br />
ri-contestualizzazione nei formati giornalistici» 126 : è possibile,<br />
sostiene Sorrentino, che il giornalista-narratore ritenga «meno<br />
significative le parti omesse», senza che – con ciò – egli abbia<br />
avuto necessariamente l’intenzione di mentire od occultare parte<br />
dell’evento raccontato 127 .<br />
Questa semplice osservazione ci permette di prendere una<br />
certa distanza critica dal paradigma tradizionale della teoria della<br />
manipolazione, che dagli anni Cinquanta e Sessanta sostiene<br />
la tesi della «“cospirazione” delle élite». Secondo questa interpretazione<br />
la manipolazione sarebbe sempre e soltanto il frutto<br />
di una intenzione deliberata dell’emittente. 128 Pare opportuno<br />
riconoscere, invece, che – se il medium vuole conservare una<br />
125 FARINOTTI L., L’informazione, in COLOMBO F. (a cura di), Televisione e industria<br />
culturale in Italia, Cooperativa Libraria I.U.L.M., Milano 1997, p. 71; DI<br />
TROCCHIO F., Falsi scoop e scienza spettacolo nei quotidiani, in CASILLO S.-ID.-SICA<br />
S., op. cit., p. 128; MASTELLARINI G., op. cit., p. 169.<br />
126 SORRENTINO C., op. cit., p. 73; cfr. anche ivi, p. 74 e CASILLO S., op. cit., pp. 21-23.<br />
127 SORRENTINO C., op. cit., p. 74.<br />
128 GILI G., op. cit., p. 72; cfr. SORRENTINO C., op. cit., p. 160.
Media e costruzione della realtà<br />
propria «credibilità» 129 – deve in realtà negoziare la propria «posizione,<br />
in risposta a pressioni interne ed esterne»; esso deve<br />
tener conto – infatti – della pluralità dell’offerta informativa,<br />
dei meccanismi strutturali che condizionano la logica dei media<br />
130 (si pensi, ad es., alla sola «sfida contro il tempo» 131 ), delle<br />
politiche editoriali dei singoli organi d’informazione 132 e<br />
dell’interazione di questi e di altri fattori ancora.<br />
2.1 Media e gruppi di interesse<br />
In aggiunta alle carenze e alle problematiche di ordine strettamente<br />
tecnico-professionale, però, va senz’altro ribadito il fatto<br />
che la situazione appena descritta sarebbe funzionale – secondo<br />
Allievi almeno per la copertura dell’islâm – agli interessi dei poteri<br />
forti. Questi sarebbero rappresentati da «illustri storici e politologi,<br />
e meno illustri commentatori e giornalisti» 133 , ma, secondo altri<br />
Autori e a un livello più generale, anche da «importanti case editrici»<br />
e prestigiose firme del giornalismo italiano. 134 Non mancano,<br />
peraltro, soggetti denominati «fonti stabili centrali» 135 , «che si<br />
129 GILI G., op. cit., pp. 39-40, dove l’Autore scrive di «attendibilità» e «sinceri-<br />
tà», e 75-98.<br />
130 Ivi, p. 72. Vd. anche AGOSTINI A., Giornalismi, cit., pp. 13-14 e SORRENTINO<br />
C., op. cit., pp. 93-149, dove l’Autore descrive Una giornata in redazione e Gli<br />
ambiti giornalistici.<br />
131 Ivi, p. 82. In merito alla velocizzazione dei tempi di produzione delle notizie<br />
cfr. anche ALLIEVI S., Parole, cit., pp. 44-45.<br />
132 GILI G., op. cit., p. 72.<br />
133 ALLIEVI S., Parole, cit., p. 41.<br />
134 Cfr. CASILLO S., op. cit., p. 85.<br />
135 Ivi, p. 22.<br />
63
64<br />
Franz Brandmayr<br />
collocano a livelli molto alti nella struttura del potere politico,<br />
militare, statuale, giuridico, scientifico, economico» 136 .<br />
Del resto, pur nelle sue diverse fasi storiche, 137 il giornalismo<br />
italiano è sempre stato dipendente dalla politica, 138 politica strettamente<br />
connessa a «un sistema economico tendenzialmente<br />
oligopolistico, basato sulla centralità di poche grandi famiglie» 139 ,<br />
che si configurano come «gruppi di interesse» 140 politico-economico.<br />
141 Peraltro non bisogna pensare che questa situazione<br />
storica contraddistingua il giornalismo italiano in maniera peculiare<br />
ed esclusiva. 142<br />
136 CESAREO G., Fa notizia. Fonti, processi, tecnologie e soggetti nella macchina dell’informazione,<br />
Editori Riuniti, Roma 1981, pp. 87-88; cfr. anche CASILLO S., op.<br />
cit., pp. 91-103; G. Ferrara, in BARBANO A., op. cit., p. 77; FROIO F., op. cit., pp.<br />
24, 30 e 90; SORRENTINO C., op. cit., pp. 35 e 47 e infra, nt. 98.<br />
137 SORRENTINO C., op. cit., pp. 31-32. Per lo studio della storia del giornalismo<br />
italiano rinvio a: CASTRONOVO V.-TRANFAGLIA N. (a cura di), La stampa italiana,<br />
Laterza, Roma-Bari 1976-1994, 7 voll., passim; FARINELLI G.-PACCAGNINI E.-<br />
SANTAMBROGIO G.-VILLA A.I., Storia del giornalismo italiano, U.T.E.T., Milano 1997,<br />
passim; GOZZINI G., Storia del giornalismo, Bruno Mondadori, Milano 2000, passim;<br />
MURIALDI P., Storia del giornalismo italiano, Gutenberg 2000, Torino 1986, passim.<br />
138 SORRENTINO C., op. cit., pp. 131-132.<br />
139 Ivi, p. 32.<br />
140 Per la nozione di gruppo d’interesse vd. TELLIA B., s.v. Gruppo di pressione,<br />
in DEMARCHI F.-ELLENA A.-CATTARINUSSI B. (a cura di), op. cit., p. 946; scriveva<br />
MARLETTI C., Media, cit., p. 103 già nel 1984: «Vi è da pensare che anche da<br />
noi come negli Stati Uniti accanto ed oltre ai partiti acquisteranno sempre<br />
maggior peso i gruppi di pressione, le lobbies più o meno occulte [… (che)]<br />
hanno origini e natura extrapolitica, in rapporto a gruppi d’interesse» (parentesi<br />
tonda mia).<br />
141 Per una descrizione giornalistica dei maggiori gruppi di pressione italiani<br />
vd. MASTELLARINI G., Stampa e potere, in ID., Assalto, cit., pp. 19-50. Una posizione<br />
critica rispetto alla logica del mercato emerge palesemente in WOJTYÙA<br />
K., La potenza dei media, in POPPER K.R.-CONDRY J.-ID., op. cit., p. 48.<br />
142 Ad es. anche la Francia presenta una storia significativa sotto il profilo
Media e costruzione della realtà<br />
In un contesto di questo genere «i quotidiani si trasformano<br />
in canali attraverso cui i vari attori politici spediscono messaggi»,<br />
comprensibili appieno «soltanto a coloro che sono interni a<br />
questo campo», messaggi che vanno a costituire «l’arena di scontro<br />
fra i diversi rappresentanti (politici), piuttosto che sottolineare<br />
l’interesse per la funzione della politica di mediare fra i conflitti<br />
e i differenti interessi posti in gioco dai soggetti sociali» 143 .<br />
Va letta, ad esempio, in questo modo la consuetudine tutta italiana<br />
con il cosiddetto «pastone», «lungo articolo nel quale il<br />
giornalista assembla gli eventi politici della giornata, inserendovi<br />
anche le proprie opinioni» 144 . Ciò fa concludere a un noto<br />
studioso di Teoria e Tecniche delle Comunicazioni di massa che<br />
in Italia «la cronaca non costituisce l’essenza della professione<br />
(giornalistica), le si preferisce il commento, l’opinione» 145 .<br />
Va segnalato, però, che negli «ultimi quindici anni […] si è notevolmente<br />
modificato il rapporto fra politica e informazione» 146 ;<br />
dell’influenza esercitata sulle masse dai capitali privati per il tramite della<br />
stampa quotidiana (MARTIN H.-J., op. cit., p. 457), con punte storiche massime,<br />
che gli specialisti collocano nella fase della Terza Repubblica (ivi, p. 452).<br />
143 SORRENTINO C., op. cit., p. 33 (parentesi tonda mia). Cfr. anche BARBANO A.,<br />
op. cit., p. 37; LASCH CH., op. cit., pp. 12, 17 e 93; MARLETTI C.A., La Repubblica<br />
dei media. L’Italia dal politichese alla politica iperreale, Il Mulino, Bologna 2010,<br />
pp. 42 et passim. Vd. anche supra, nt. 36 e FORCELLA E., op. cit., p. 451.<br />
144 SORRENTINO C., op. cit., p. 33; cfr. MARLETTI C., Media, cit., p. 48, che scrive –<br />
attingendo ad un contributo del giornalista Pansa – del «“giornalismo dimezzato”»<br />
di quanti «“partecipano” agli eventi che dovrebbero commentare». A<br />
questo proposito SICA S., op. cit., pp. 206-207 scrive – da un punto di vista<br />
prettamente giuridico – del «falso da commistione fra cronaca e critica».<br />
145 SORRENTINO C., op. cit., pp. 33 e 35 (parentesi tonda mia); cfr. anche ivi, p.<br />
78, dove si sottolinea che la tradizione giornalistica anglosassone predilige,<br />
invece, la cronaca rispetto al commento sui fatti.<br />
146 Ivi, p. 131. Vd., a proposito dei prodromi storici di questo processo,<br />
MARLETTI C., Media, cit., pp. 31-49.<br />
65
66<br />
Franz Brandmayr<br />
i climi d’opinione [… (sono)] meno tributari alla centralità<br />
della classe politica, mentre [… (risentono)] della varietà dei<br />
punti di vista propri di una società caratterizzata da identità<br />
plurime, in cui i consumi materiali e culturali dei singoli definiscono<br />
appartenenze sociali articolate e complesse. 147<br />
È questo spostamento negli assetti di potere che fa scrivere<br />
ad Agostini che<br />
a metà degli anni Novanta, le agenzie di socializzazione politica,<br />
gli attori che definiscono la scena, il gioco e le mete della<br />
politica non sono più soltanto i partiti […]. Questi altri attori<br />
sono i giornali. 148<br />
Queste osservazioni, ricavate da alcuni sociologi e da altri<br />
studiosi delle comunicazioni, sembrano avallare – certo, in modo<br />
nuovo – la concezione del sistema dell’informazione (non più<br />
solo della stampa, come nel Settecento di Burke) visto come<br />
«quarto potere» 149 e rinforzano, inoltre, gli effetti di «iperrealtà» 150<br />
e di «autoreferenzialità» diagnosticati da Marletti «in rapporto ai<br />
media e alla comunicazione politica» 151 .<br />
147 SORRENTINO C., op. cit., p. 132 (parentesi tonde mie); cfr. anche ivi, pp. 135-<br />
136.<br />
148 AGOSTINI A., “la Repubblica”, cit., p. 8; LASCH CH., op. cit., p. 39; MARLETTI<br />
C.A., La Repubblica, cit., p. 83. Cfr. supra, nt. 55.<br />
149 MARTIN H.-J., op. cit., p. 438.<br />
150 MARLETTI C.A., La Repubblica, cit., pp. 113-122; in estrema sintesi, con<br />
questo termine l’Autore designa la tendenza dei politici a sviluppare indefinitamente<br />
le attese sociali senza dover temere un riscontro puntuale con la<br />
realtà, che sembra perdere il confronto con la più fascinosa realtà mediale<br />
(cfr. soprattutto ivi, pp. 115-116).<br />
151 Ivi, p. 41; cfr. supra, nt. 143.
Media e costruzione della realtà<br />
Le logiche del potere – come è noto – non sono sempre compatibili<br />
con un’oggettività almeno germinale. Indicazioni in questo<br />
senso sembrano emergere, peraltro, anche dall’interno del giornalismo<br />
italiano, in parte propenso a credere che la stampa e la<br />
TV abdichino al dovere della cronaca e della ricerca della verità 152 .<br />
Già nel 1991 Mazzanti 153 aveva sostenuto che la ricerca dell’obiettività<br />
da parte dei mezzi di comunicazione fosse un ideale in crisi<br />
patente, tuttavia l’accusa di tale mancanza non sembra scuotere<br />
più di tanto una parte del mondo giornalistico. 154<br />
Pare – anzi – che, ad esempio, la seconda (per numero di<br />
lettori) 155 testata italiana faccia professione esplicita del proprio<br />
indirizzo ideologico, con il quale intenderebbe porsi, non senza<br />
enfasi, 156 quale «strumento di costruzione di identità per i lettori»<br />
157 . In questo caso il giornalismo nel suo insieme viene interpretato<br />
da alcuni studiosi quale vera e propria «bussola della<br />
modernità» 158 , mentre il singolo giornalista sembra assumersi il<br />
compito di orientare il lettore, diventando una sorta di «definitore<br />
ufficialmente accreditato della realtà» 159 . Può – dunque – affer-<br />
152 Cfr. ad es. NASO P., L’informazione religiosa: costruire il pluralismo, in SIGGILLINO<br />
I. (a cura di), op. cit., p. 14.<br />
153<br />
MAZZANTI A., L’obiettività giornalistica. Un ideale maltrattato, Liguori, Napoli<br />
1991, passim.<br />
154<br />
MARLETTI C., Media, cit., pp. 62-63 e 80-82.<br />
155 È “la Repubblica” (cfr. SORRENTINO C., op. cit., p. 60).<br />
156 Cfr. ad es. gli accenti encomiastici e celebrativi di AGOSTINI A., “la Repubblica”,<br />
cit., pp. 16, 47-58, 70 et alibi.<br />
157 Ivi, pp. 29 et alibi; SORRENTINO C., op. cit., p. 132.<br />
158 Ivi, pp. 23-26.<br />
159 Cfr. BERGER P.L.-LUCKMANN TH., op. cit., p. 138; per quanto riguarda certi<br />
grandi eventi trasmessi in diretta televisiva DAYAN D.-KATZ E., Le grandi cerimonie<br />
dei media. La storia in diretta, Baskerville, Bologna 1993 (1992), p. 10<br />
scrivono del «ruolo quasi sacerdotale giocato dai giornalisti».<br />
67
68<br />
Franz Brandmayr<br />
marsi «un modello giornalistico forgiato da un’ottica educativa,<br />
pedagogica, attento a formare più che a informare» 160 , che si<br />
colloca così significativamente in una consolidata tradizione giornalistica<br />
italiana. 161 «L’appartenenza politica […] è determinante<br />
nella formazione delle identità individuali, e i media<br />
assecondano tali processi» 162 , fino a poter diventare – scriveva<br />
uno dei più noti sociologi della comunicazione italiani già negli<br />
anni Ottanta – dei «quasi-partiti» 163 o, come aggiunge qualcun<br />
altro, delle «“testate-stili di vita”» 164 .<br />
È evidente che, se alcuni media possono proporsi come «officine<br />
dell’identità» 165 , ciò accade in quanto emerge dalla base<br />
sociale dei lettori una «ricerca di senso» 166 generalizzata. Questa<br />
esigenza diffusa induce poi senz’altro una quantità di attori<br />
sociali all’esposizione omofila, 167 cioè alla tendenza a leggere e<br />
160 SORRENTINO C., op. cit., p. 132.<br />
161 Cfr. la «strategia pedagogizzante» considerata da COLOMBO F., La cultura<br />
sottile. Media e industria culturale in Italia dall’Ottocento agli anni novanta, Bompiani,<br />
Milano 2009 4 (1991), pp. 16-18, 26, 33-35 et alibi.<br />
162 SORRENTINO C., op. cit., p. 35 (cfr. anche ivi, p. 85). Sul «giornalismo “partigiano”<br />
o “moschettiere” [… (e)] animoso», che avrebbe segnato la storia<br />
italiana e che arriverebbe fino agli Scalfari e ai Montanelli dei nostri giorni,<br />
vd. MARLETTI C., Media, cit., pp. 74-75 (parentesi tonda mia).<br />
163 Ivi, pp. 46 e 102; cfr. anche le pp. 83-94. In AGOSTINI A., Giornalismi, cit.,<br />
pp. 77-92 e ID., “la Repubblica”, cit., pp. 15-16 si può trovare un’appassionata<br />
apologia della linea editoriale de “la Repubblica” intesa come «officina dell’identità»<br />
(vd. supra, nt. 157 e infra, nt. 165).<br />
164 SORRENTINO C., op. cit., p. 41; vd. anche AGOSTINI A., Giornalismi, cit., pp.<br />
127-140.<br />
165 ID., “la Repubblica”, cit., p. 11. Cfr. supra, nt. 144, 145 e 163.<br />
166 Ricavo l’espressione da una prospettiva filosofica (NANNI C., L’educazione<br />
tra crisi e ricerca di senso. Un approccio filosofico, LAS, Roma 1986, pp. 29-49 et<br />
passim).<br />
167 GILI G., op. cit., pp. 87-88. È appena il caso di ricordare che il concetto di
Media e costruzione della realtà<br />
ad ascoltare soltanto le fonti e i contenuti consonanti 168 con il<br />
proprio sentire-pensare-agire. 169 Di questo atteggiamento<br />
selettivo, ben noto agli addetti ai lavori 170 , sembra pervenire<br />
tuttavia a piena consapevolezza solo una minoranza di lettori,<br />
i quali – in un’indagine del 2005 – ammettono una conformità<br />
di opinioni rispetto alla testata preferita appena nel 12% dei<br />
casi rilevati. 171<br />
Le istanze identitarie, comunque, per quanto importanti, non<br />
fanno certo dimenticare che quello dei quotidiani rimane, in<br />
tutti i casi, un mercato. Anche se un importante fine sotteso alla<br />
gestione del medium può essere quello del «maggiore coinvolgimento<br />
e identificazione del lettore» 172 , ciò non toglie che la<br />
dimensione di impresa del giornale non possa esimere la dire-<br />
«omofilia» fatto proprio dalla Sociologia della Comunicazione non ha nulla a<br />
che vedere con il lemma omofono, dall’etimologia peraltro approssimativa,<br />
in uso presso gli psicologi [cfr. ad es. ARNOLD W.-EYSENCK H.J.-MEILI R. (a<br />
cura di), op. cit., p. 764].<br />
168 Cfr. anche CARTOCCI R., Mappe del tesoro. Atlante del capitale sociale in Italia,<br />
Il Mulino, Bologna 2007, p. 72, nt. 2; GILI G., op. cit., pp. 42-43; MARLETTI<br />
C.A., La Repubblica, cit., p. 103; TRENTIN R., op. cit., pp. 274-281 e soprattutto<br />
p. 276.<br />
169 Secondo TURNER V., op. cit., p. 120, sono le tre «strutture dell’esperienza»<br />
del soggetto; cfr., sotto il profilo della ricerca antropologica sul campo, BIANCO<br />
C., op. cit., pp. 162-163.<br />
170 Sulla fedeltà alle «lealtà sociali» e alle «appartenenze» che prevalgono sul<br />
«giudizio personale» cfr. GILI G., op. cit., p. 140. Del resto, negli studi di psicologia<br />
sociale sono noti gli effetti della «familiarità» fra la fonte emittente e il<br />
destinatario (vd. ad es. GUÉGUEN N., Psicologia del consumatore, Il Mulino, Bologna<br />
2010 [2009], pp. 170-173), che non risparmiano neanche il «consumatore<br />
di informazioni» (SUNSTEIN C.R., repubblic.com. Cittadini informati o consumatori<br />
di informazioni?, Il Mulino, Bologna 2003 [2002], passim).<br />
171<br />
SORRENTINO C., op. cit., p. 61.<br />
172 Ivi, pp. 40-41.<br />
69
70<br />
Franz Brandmayr<br />
zione dal prestare la dovuta attenzione alla voce relativa ai<br />
profitti. 173<br />
La compatta saldatura fra l’informazione e la logica commerciale,<br />
infine, sembra portare inevitabilmente ad almeno due<br />
tipologie di conflitti d’interessi: da un lato, può accadere che –<br />
come abbiamo già visto – un medium rischi di diventare meno<br />
affidabile per i lettori, 174 in quanto succube di gruppi di pressione,<br />
ai quali deve rendere conto del proprio operato. Da un’altra<br />
parte, può venire a prodursi la situazione per la quale l’esigenza<br />
del cittadino di venire informato con competenza e obiettività<br />
incontra la risposta di testate che pongono «la maggiore attenzione<br />
alle esigenze del mercato» e che sono propense «a compiacere<br />
il lettore più che ad informarlo» 175 , mancando, così, al<br />
compito di fornire un quadro attendibile della realtà.<br />
Nel rimandare a un’altra sede le riflessioni propriamente attinenti<br />
alla copertura delle religioni concludo la prima parte di<br />
questo mio contributo con il fermo richiamo di uno dei decani<br />
della Sociologia della Comunicazione:<br />
Obiettività e credibilità dell’informazione rappresentano risorse<br />
fondamentali per la qualità di una democrazia. 176<br />
173 Vd. ad es. E. Scalfari, cit. in FROIO F., op. cit., p. 15; G. Anselmi cit. ivi, p. 16;<br />
AGOSTINI A., Giornalismi, cit., pp. 119-127; POPPER K.R., op. cit., pp. 36-37;<br />
SORRENTINO C., op. cit., pp. 85 e 88. È in questo ambito che si colloca anche il<br />
nodo problematico relativo al marketing: per un primo approccio rinvio a<br />
GOFFREDO D.-VANTAGGIO L., Dietro la pubblicità. Guida alla formazione critica dei<br />
recettori, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1987, passim, che – pur superato –<br />
presenta apprezzabili caratteristiche di sintesi e di equilibrio nelle conclusioni.<br />
174 Cfr. BARBANO A., op. cit., p. 46.<br />
175 SORRENTINO C., op. cit., p. 88; cfr. anche AGOSTINI A., Giornalismi, cit., pp.<br />
48-56, 74 e 119-127 e COLOMBO F., op. cit., pp. 261 e ss.<br />
176 MARLETTI C.A., La Repubblica, cit., p. 64. Cfr. anche FERRAROTTI F., op. cit.,<br />
p. 13 e POPPER K.R., op. cit., p. 45.
Media e costruzione della realtà<br />
A tal fine non si rendono necessarie prestazioni che siano al<br />
di là delle possibilità umane, perché, come abbiamo già osservato<br />
sopra, ogni testata e ogni singolo giornalista sono portatori<br />
di una propria concezione del mondo e di propri interessi e si<br />
avvalgono di una mappa concettuale dotata di filtri e di griglie<br />
interpretative, dei quali sono più o meno consapevoli.<br />
Ciononostante<br />
l’obiettività […] va considerata una meta, un orientamento a<br />
cui tendere proprio per capire meglio come si costrui(scono)<br />
questi filtri e chi li costrui(sce), dando per scontato che la loro<br />
costruzione [… (sia)] inevitabile. 177<br />
Come invita a fare il linguista Tullio De Mauro, pertanto, si<br />
tratterebbe soltanto di chiedere ai giornalisti di elaborare<br />
una buona informazione [(, che) …] deve essere sempre smontabile<br />
nelle sue componenti per poter essere verificabile. 178<br />
A tal fine è fondamentale, a mio parere, promuovere nei rispettivi<br />
«microcosmi sociali» 179 uno spirito di riscoperta del lavoro<br />
critico, che niente impedisce possa venire fatto proprio in<br />
misura maggiore anche dagli operatori mediatici.<br />
In ogni caso resta il fatto che chi impronta la propria azione<br />
sociale all’autoeducazione 180 e alla partecipazione civica è co-<br />
177<br />
SORRENTINO C., op. cit., p. 18 (parentesi tonde mie).<br />
178<br />
FROIO F., op. cit., p. 28 (parentesi tonda mia).<br />
179 Cfr. BERTAUX D., op. cit., pp. 37-38.<br />
180 Dal punto di vista psicologico cfr., ad es., SOVERNIGO G., Divenire liberi.<br />
Educazione alla libertà, LDC, Leumann (TO) 1981, pp. 102-115 soprattutto.<br />
Nel proporre anche una prospettiva pedagogica mi rifaccio a POPPER K.R.,<br />
op. cit., pp. 42-43, dove il filosofo liberale austriaco non esita a definire il<br />
giornalista come un «educatore».<br />
71
72<br />
Franz Brandmayr<br />
stretto a misurarsi – in maniera palese – con una forte pressione<br />
culturale di segno contrario rispetto alle istanze dell’onestà intellettuale.<br />
Le reazioni più immediate a uno stato di avanzato<br />
degrado professionale (che non concerne certamente i soli giornalisti)<br />
e di crisi di fiducia, 181 come quello in cui versa l’Italia di<br />
oggi, configurano un complesso di atteggiamenti, che potrebbero<br />
oramai innervare un certo tipo di senso comune. 182 Potrebbe<br />
incombere – in effetti – una sorta di acedia inibita e «apatica»<br />
183 spesso pronta a colorarsi (forse nell’intento di nobilitarsi)<br />
di un’aura di «disincanto» 184 e di «distacco dai propri concittadini»<br />
185 , e che – nelle «rappresentazioni collettive» 186 proprie di<br />
una certa tipologia di “colti” – caratterizzerebbe il modello dell’intellettuale<br />
cinico 187 e consapevole … Però, probabilmente<br />
pessimismo e scetticismo non creano gli anticorpi della critica<br />
e della consapevolezza, ma soltanto quelli del disinteresse<br />
e della disillusione, in cui possono pescare demagoghi e populisti.<br />
188<br />
181 Cfr. supra, nt. 65.<br />
(Prima parte – continua)<br />
182 GEERTZ C., Antropologia interpretativa, Il Mulino, Bologna 1988 (1983), pp.<br />
91-117.<br />
183 Cfr. LASCH CH., op. cit., p. 79.<br />
184 È il noto concetto weberiano (cfr. PACE E., s.v. Secolarizzazione, in ID. [a cura<br />
di], Dizionario di sociologia e di antropologia culturale, Cittadella, Assisi 1984, p. 505).<br />
185 WALZER M., op. cit., p. 304.<br />
186 DURKHEIM É., Rappresentazioni individuali e rappresentazioni collettive, in ID., Le<br />
Regole del metodo sociologico. Sociologia e filosofia, Comunità, Torino 2001 (1895),<br />
pp. 137-164.<br />
187 LASCH CH., op. cit., p. 79.<br />
188 SORRENTINO C., op. cit., p. 20.
L’arte dell’icona: ascesi e contemplazione<br />
di Valentina Dordolo *<br />
«Padre, io ti chiedo lo Spirito Santo che illumini la mia mente,<br />
purifichi i miei sensi,<br />
penetri con l’amore il mio cuore.<br />
Prego lo Spirito Santo che apra tutto il mio essere<br />
e mi renda capace di cogliere,<br />
attraverso il visibile,<br />
l’invisibile dell’Icona del Tuo Figlio.<br />
Donami poi, o Signore,<br />
la forza di diventare io stesso icona di Lui.<br />
Amen».<br />
Preghiera dell’iconografo<br />
L’arte dell’icona: bello estetico e bello teologico<br />
Per comprendere meglio le connotazioni specifiche dell’icona,<br />
che la distinguono radicalmente da qualsiasi altro dipinto, anche<br />
da quello legato all’ambito religioso, è forse opportuno richiamare<br />
alcune considerazioni formulate da L.A. Uspenskij riguardo<br />
al concetto di bellezza presente nell’arte occidentale e in quella<br />
iconografica. Nella rappresentazione pittorica, sia che si consideri<br />
l’autore dell’opera o il fruitore di questa, risulta evidente<br />
che ad affermarsi, in modo cosciente oppure irriflesso, è «la<br />
personalità umana» 1 . In questo caso la capacità espressiva dell’artista<br />
e la sua abilità nel servirsi di colori e di tecniche partico-<br />
* Docente di I.R.c.<br />
1 USPENSKIJ L.A., in BERNARDI P. G., L’icona, Città Nuova, Roma 1998, p. 178.<br />
73
74<br />
Valentina Dordolo<br />
lari assumono la massima importanza, mentre il contenuto della<br />
realizzazione pittorica viene ritenuto secondario.<br />
L’iconografia si presenta come un’arte decisamente contrapposta<br />
all’esaltazione della libera creazione del pittore. Secondo<br />
L.A. Uspenskij, «la bellezza di un’icona [...] è espressa dall’artista<br />
soggettivamente, secondo il rifiuto cosciente del suo io, che<br />
si annulla di fronte alla Verità rivelata» 2 . Se nella pittura occidentale,<br />
sia profana sia religiosa, prevale il «culto del personale, dell’esclusivo<br />
e dell’originale» 3 , l’iconografia può essere definita un<br />
linguaggio espressivo allusivo e simbolico del divino, la cui intenzione<br />
«non è di provocare né di esaltare in noi un sentimento<br />
umano naturale. [...] Il suo fine è di orientare verso la<br />
Trasfigurazione tutti i nostri sentimenti, così come la nostra intelligenza<br />
e tutti gli altri aspetti della nostra natura, spogliandoli di<br />
ogni esaltazione che non potrebbe che risultare negativa e nociva»<br />
4 . La venerazione dell’icona, ampiamente diffusa soprattutto<br />
presso il popolo russo, non va perciò considerata quale semplice<br />
devozione ad un’immagine votiva. 5 Attraverso la contemplazione<br />
2 Ivi, p. 180. Il corsivo è dell’autore.<br />
3 Ivi, p. 178.<br />
4 Ivi, p. 180.<br />
5 A testimonianza del profondo legame tra il contadino russo e la venerazione<br />
dell’icona si può ricordare che in ogni casa non manca mai il cosiddetto<br />
“krasnij ugol” (= l’angolo bello), riservato esclusivamente a questo manufatto.<br />
Si tratta di un piccolo santuario domestico, ornato di fiori e lampade, dove<br />
vengono esposte le icone protettrici della famiglia. Di notevole interesse è<br />
anche il rito russo dell’ospitalità agli stranieri, pellegrini o uomini smarritisi<br />
nella steppa, nel quale è compreso il saluto alle sacre immagini, che dev’essere<br />
rivolto non appena si entra in casa. Ulteriore prova del legame inscindibile<br />
tra uomo e icona è quanto ricorda Paola Cortesi, docente della Scuola di<br />
Iconografia di Seriate, riguardo alla diffusione di queste opere dopo la lotta<br />
iconoclasta (843): «Ovunque erano viste come presenze benefiche e autorevoli,<br />
partecipi della vita umana in tutti i suoi aspetti: c’era quindi l’icona che
L’arte dell’icona: ascesi e contemplazione<br />
dei colori e dei soggetti rappresentati il fedele può cogliere una<br />
realtà diversa da quella umana, ossia la presenza di Dio:<br />
Non venero la materia, ma venero il Creatore della materia, che<br />
per me si è fatto materia, che ha assunto la vita nella materia e<br />
per mezzo della materia ha realizzato la mia salvezza. 6<br />
L’icona non ha un valore puramente didascalico o estetico,<br />
bensì intende essere un tramite reale della Rivelazione. Secondo<br />
la Chiesa ortodossa russa, l’immagine sacra non può essere<br />
disgiunta dall’essenza stessa del Cristianesimo, anzi ne costituisce<br />
«un attributo indispensabile» 7 in quanto conseguenza dell’Incarnazione:<br />
In memoria perenne della vita nella carne del nostro Signore<br />
Gesù Cristo [...] noi abbiamo ricevuto la tradizione di rappresentarlo<br />
nella sua forma umana, cioè nella sua Teofania visibile,<br />
ben sapendo che in questo modo esaltiamo l’umiliazione<br />
del Verbo di Dio. 8<br />
La dimensione estetica si perde quasi totalmente a favore di<br />
quella teologica e l’icona viene a essere immagine anticipatrice<br />
dell’eschaton, della piena realizzazione del progetto di Dio sul-<br />
proteggeva le partorienti, che accompagnava i pellegrini, che confortava gli<br />
ammalati o vegliava i moribondi, fino a quella che seguiva il defunto nella<br />
tomba, stretta fra le sue mani per precederlo come “avvocato” davanti al<br />
trono di Cristo nel giorno del Giudizio.» CORTESI P., in POPOVA O.-SMIRNOVA<br />
E.-CORTESI P., Icone. Guida completa al riconoscimento delle icone dal VI secolo a oggi,<br />
Mondadori, Milano 1997, p. 10.<br />
6 San Giovanni Damasceno, citato ibidem.<br />
7 USPENSKIJ L.A., La teologia dell’icona, La Casa di Matrjona, Milano 1995, p. 6.<br />
8 San Germano, patriarca di Costantinopoli, citato in POPOVA O.-SMIRNOVA<br />
E.-CORTESI P., op. cit., p. 10.<br />
75
76<br />
Valentina Dordolo<br />
l’uomo. A sua volta, l’iconografia diventa «arte ecumenica» 9 ,<br />
capace di generare un’unità fondata sulla fede e sulla santità.<br />
Se l’icona custodisce un carattere rivelativo e teologico, si<br />
può ben comprendere come la figura dell’iconografo non possa<br />
essere assimilata a quella del pittore occidentale. Il carattere liturgico-sacrale<br />
del manufatto richiama un concetto di bellezza<br />
molto particolare, quello della «bellezza-somiglianza divina» 10 .<br />
Non si tratta di raffigurare la rigogliosità e l’armonia della natura,<br />
considerata quale opera di Dio, dal momento che il Creato è<br />
stato disgregato dal peccato dell’uomo, com’è ricordato dal libro<br />
della Genesi. 11 A causa della caduta dell’essere umano non è<br />
più possibile «riflettere fedelmente la bellezza divina, in quanto<br />
l’immagine divina (l’uomo) iscritta al centro di questo universo<br />
si è offuscata» 12 . Ciò che l’artista deve perseguire è l’esatta rappresentazione<br />
della deificazione dell’uomo e del mondo, tenendo<br />
sempre ben presente che Dio stesso si è fatto uomo, secondo<br />
le parole dell’evangelista Giovanni:<br />
In principio era il Verbo,<br />
e il Verbo era presso Dio<br />
e il Verbo era Dio.<br />
Egli era in principio presso Dio:<br />
tutto è stato fatto per mezzo di lui,<br />
9 AA.VV., Presenza dell’invisibile. Bellezza e preghiera nelle icone russe, Ed. Scritti<br />
Monastici, Abbazia di Praglia 1989, p. 15.<br />
10 BERNARDI P.G., op. cit., p. 176.<br />
11 Cfr. Genesi 3, 23-24: «Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché<br />
lavorasse il suolo da dove era stato tratto. Scacciò l’uomo e pose ad<br />
oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada folgorante,<br />
per custodire la via all’albero della vita.»<br />
12 USPENSKIJ L.A., in BERNARDI P.G., op. cit., p. 176.
L’arte dell’icona: ascesi e contemplazione<br />
e senza di lui niente è stato fatto di tutto<br />
ciò che esiste. 13<br />
L’icona non è la portavoce dell’equilibrata armonia del mondo,<br />
bensì richiama una forza capace di trascenderlo e di trasformarlo<br />
radicalmente. Quella forza che Dostoevskij ha definito<br />
come la bellezza «che salverà il mondo» 14 .<br />
Il Deus absconditus dell’Antico Testamento si rivela nel volto<br />
del Verbo, nella presenza del Cristo. Il mistero dell’Incarnazione<br />
consente all’iconografo di richiamare l’Altissimo nella raffigurazione<br />
del Messia, non dimenticando mai che il cristiano deve<br />
andare oltre l’«uomo Gesù» 15 , per riconoscere in Lui il Salvatore<br />
del mondo. L’artista non può limitarsi a ricordare singoli episodi<br />
evangelici o a ritrarre il Messia nella sua ordinaria esistenza. È<br />
indispensabile che l’icona illumini sia la mente di chi la esegue<br />
sia lo sguardo di chi la contempla sulla gloria del Signore e sull’infinito<br />
amore di Dio.<br />
In questa prospettiva l’esperienza del monte Tabor, narrata<br />
nei Vangeli, 16 assume un rilievo fondamentale. Pietro, Giacomo<br />
e Giovanni, i discepoli che hanno potuto vedere Gesù trasfigurato<br />
sul monte Tabor, sono anche i testimoni della Sua<br />
agonia nel Getsemani. 17 Essi partecipano dei momenti fondamentali<br />
della vita del Maestro e diventano i custodi prescelti di<br />
questa rivelazione:<br />
13 Giovanni 1, 1-3.<br />
14 DOSTOEVSKIJ F.M., in BERNARDI P.G., op. cit., p. 176.<br />
15 USPENSKIJ L.A., ivi, p. 32.<br />
16 Cfr. Matteo 17, 1-9.<br />
17 Cfr. Marco 14, 33: «Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a<br />
sentire paura e angoscia.»<br />
77
78<br />
Valentina Dordolo<br />
E mentre discendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non<br />
parlate a nessuno di questa visione, finché il Figlio dell’uomo<br />
non sia risorto dai morti.» 18<br />
La visione taborica del volto di Dio diventa il modello principale,<br />
il prototipo dell’icona e ne sancisce il carattere rivelativo<br />
e santificante:<br />
Come Cristo sul monte Tabor mostrò ai discepoli la verità<br />
del secolo a venire e li fece partecipare al mistero della Sua<br />
Trasfigurazione, così l’arte liturgica, mettendosi di fronte questa<br />
stessa verità [...], santifica tutto il nostro essere. 19<br />
L’iconografo non dimostra il suo genio creativo o la sua abilità<br />
pittorica, bensì si pone al servizio dell’intera comunità cristiana.<br />
Le mani e il talento dell’artista, guidati dalla consapevolezza<br />
di aver ricevuto un preciso compito, si devono rivolgere<br />
alla missione di redimere il mondo. L’autore di icone ha ricevuto<br />
un dono da Dio, ossia quello di portare la luce e la Parola di<br />
Cristo con la propria opera tra gli uomini. Non si tratta di un<br />
mestiere o di una piacevole attività da svolgere di quando in<br />
quando, ma di una vera e propria vocazione. Per questo è necessario<br />
che egli obbedisca a canoni ben definiti, sanciti dalla Chiesa<br />
quale depositaria e custode attenta dell’eredità apostolica e<br />
segua un preciso stile di vita, consono alla missione ricevuta:<br />
Il pittore di icone si rivolga al padre spirituale di frequente,<br />
informandolo di tutto, e viva secondo le prescrizioni e gli<br />
insegnamenti di lui, in digiuno, penitenza ed astinenza, con<br />
mente umile e senza nessuno scandalo né mancanza di deco-<br />
18 Matteo 17, 9.<br />
19 USPENSKIJ L.A., in BERNARDI P.G., op. cit., p. 34.
L’arte dell’icona: ascesi e contemplazione<br />
ro e con somma cura dipinga l’immagine di Nostro Signore<br />
Gesù e della Sua Madre purissima e dei santi profeti, apostoli<br />
e martiri e delle donne venerabili, delle guide della Chiesa e<br />
dei beati Padri, secondo l’immagine e somiglianza e secondo<br />
sostanza. 20<br />
Allo studio artistico devono unirsi la penitenza e l’ascesi spirituale.<br />
L’iconografo deve osservare un rigoroso digiuno e dedicarsi<br />
esclusivamente alla preghiera e alla meditazione per un mese.<br />
Solo dopo aver effettuato questa preparazione, atta a purificare<br />
il corpo e l’anima, egli può accostarsi alla tavola di legno da<br />
dipingere. Anche l’esecuzione dell’opera e il soggetto di questa<br />
devono seguire un ordine preciso e immutabile. Il primo tocco<br />
di pennello viene dato in ginocchio, all’alba del trentunesimo<br />
giorno, quando appare il primo raggio di sole, e la prima icona a<br />
dover essere realizzata è quella della Trasfigurazione, «cioè la<br />
manifestazione della presenza di Dio in tutte le cose» 21 .<br />
L’ascesi, la mortificazione del proprio orgoglio e la rinuncia<br />
alle vanità del mondo sono requisiti fondamentali per chi vuole<br />
dedicarsi all’arte iconografica, diventando così autentico e degno<br />
testimone della Parola del Signore:<br />
Il pittore di icone deve essere pieno di umiltà, di dolcezza, di<br />
pietà, fuggire i propositi futili, le sciocchezze. Il suo carattere<br />
sarà pacifico, ignorerà l’invidia. Non dovrà essere ubriaco, non<br />
sarà predatore, non ruberà e soprattutto dovrà osservare con<br />
scrupolosa cura la povertà spirituale e corporale. 22<br />
20 Concilio dei Cento Capitoli, in AA.VV., Presenza dell’invisibile, cit., p. 17.<br />
21 Ivi, p. 16.<br />
22 Concilio di Mosca (1666-1667), citato ibidem.<br />
79
80<br />
Valentina Dordolo<br />
L’iconografo ricerca la luce della Verità e, nello stesso tempo,<br />
si fa portavoce di questa nella più completa umiltà, rammentando<br />
le parole che Gesù ha rivolto ai discepoli:<br />
I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno il potere<br />
su di esse si fanno chiamare benefattori. Per voi però non sia<br />
così; ma chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo<br />
e chi governa come colui che serve. Infatti chi è più grande,<br />
chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola?<br />
Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve. 23<br />
La tavola di legno e le sue dimensioni: fondamenti biblici<br />
Le norme riguardanti l’iconografia, stabilite e ribadite con fermezza<br />
dalla Chiesa ortodossa, non si limitano ai soggetti da rappresentare<br />
e all’autore di questi, ma investono anche gli aspetti<br />
più strettamente tecnici inerenti alla realizzazione della sacra<br />
immagine. Per creare un’autentica icona ci si deve servire esclusivamente<br />
di una tavola di legno stagionato ed è necessario rispettare<br />
delle misure ben precise, riguardanti le dimensioni del<br />
manufatto. Il rigore perseguito nel determinare le operazioni<br />
più pratiche relative all’esecuzione dell’immagine trova giustificazione<br />
nel fatto che anch’esse si rifanno a precisi richiami biblici.<br />
Il legno, oltre a essere un materiale ampiamente diffuso in<br />
Russia, richiama la semplicità e l’essenzialità della vita del contadino<br />
e dell’asceta, nonché il lavoro faticoso dell’uomo. La<br />
materia lignea è fonte di sopravvivenza per l’essere umano, poiché<br />
gli fornisce il fuoco con cui riscaldarsi e cucinare i cibi, gli<br />
23 Luca 22, 25-27.
L’arte dell’icona: ascesi e contemplazione<br />
dà modo di creare oggetti con le proprie mani tramite l’intaglio<br />
e la scultura e gli ricorda il forte legame con il Creato.<br />
Tuttavia esiste una simbologia ancora più profonda, inerente<br />
alla sfera religiosa, che richiama la figura del Messia e la Sua<br />
opera redentrice. 24 Agli occhi dell’uomo l’albero è legato al ritmo<br />
delle stagioni, germoglia e produce frutto. Diventa perciò<br />
una manifestazione di vita e il «segno tangibile della forza vitale<br />
che il Creatore ha effuso nella natura» 25 . Nell’Antico Testamento<br />
l’albero verdeggiante diventa sovente emblema dell’uomo<br />
retto, benedetto da Dio, e del popolo prediletto:<br />
Beato l’uomo che non segue il consiglio<br />
degli empi,<br />
non indugia nella via dei peccatori<br />
e non siede in compagnia degli stolti;<br />
ma si compiace della legge del Signore,<br />
la sua legge medita giorno e notte.<br />
Sarà come albero piantato lungo corsi<br />
d’acqua,<br />
che darà frutto a suo tempo<br />
e le sue foglie non cadranno mai;<br />
riusciranno tutte le sue opere. 26<br />
All’ombra delle fronde la pianta offre rifugio e ristoro e l’altezza<br />
del tronco, profondamente radicato nella terra, è tale da<br />
raggiungere il cielo, sovrastando così gli altri esseri viventi. Una<br />
24 Per la simbologia biblica riguardante l’icona e i suoi elementi, cfr. AA.VV.,<br />
Dizionario di teologia biblica, Marietti, Genova 1995; LURKER M., Dizionario delle<br />
immagini e dei simboli biblici, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1994; ELIADE<br />
M., Immagini e simboli, Jaca Book, Milano 1998.<br />
25 BONNARD P.-É.-GRELOT P., in AA.VV., Dizionario di teologia biblica, cit., p. 25.<br />
26 Salmo 1, 1-3.<br />
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Valentina Dordolo<br />
simile visione suggerisce all’uomo l’idea dell’unione tra materia<br />
(la terra) e spirito (il cielo), tra conoscenza umana e onnipotenza<br />
divina. 27 Nella Bibbia gli imperi umani sono spesso paragonati a<br />
un albero straordinario, che sale fino al cielo e costituisce riparo<br />
per tutti gli uccelli, simbolo dei popoli della terra:<br />
Ecco, l’Assiria era un cedro del Libano,<br />
bello di rami e folto di fronde, alto di tronco;<br />
fra le nubi era la sua cima. 28<br />
In questo caso, però, la pianta assume un valore negativo, in<br />
quanto figura di una grandezza fittizia, fondata sull’orgoglio<br />
dell’uomo e destinata a crollare sotto il giudizio di Dio:<br />
Per ogni valle caddero i suoi rami e su ogni pendice della terra<br />
furono spezzate le sue fronde. Tutti i popoli del paese si allontanarono<br />
dalla sua ombra e lo abbandonarono. 29<br />
Al tronco colpito dall’ira divina si contrappone il Regno dell’Altissimo,<br />
nato da un umile seme e destinato a diventare un<br />
grande albero, dove tutti gli uccelli verranno a nidificare:<br />
Il regno dei cieli si può paragonare a un granellino di senapa,<br />
27 Anche in altre religioni, quali, ad esempio, l’egiziana e la greca, l’albero<br />
assume un’importanza fondamentale. Esso è considerato simile al tempio,<br />
luogo sacro e inviolabile, fino a diventare simbolo vero e proprio della divinità.<br />
In Egitto si venerava Hathor, dea del cielo, rappresentata nelle tombe<br />
sotto forma di albero, mentre fornisce cibo e bevanda al defunto o al suo<br />
uccello-anima. Nella mitologia greca si può ricordare il giardino delle Esperidi<br />
e l’albero delle mele d’oro, capaci di donare l’immortalità. Per ulteriori approfondimenti<br />
riguardo alla simbologia delle piante nei culti precristiani o in<br />
altre religioni, cfr. ELIADE M., op. cit., pp. 143-154.<br />
28 Ezechiele 31, 3.<br />
29 Ezechiele 31, 12.
L’arte dell’icona: ascesi e contemplazione<br />
che un uomo prende e semina nel suo campo. Esso è il più<br />
piccolo di tutti i semi, ma, una volta cresciuto, è più grande<br />
degli altri legumi e diventa un albero, tanto che vengono gli<br />
uccelli del cielo e si annidano fra i suoi rami. 30<br />
Nell’escatologia profetica la Terra Santa è descritta come un<br />
Paradiso ritrovato, le cui piante lussureggianti forniranno all’uomo<br />
cibo e rimedio:<br />
In mezzo alla piazza della città e da una parte e dall’altra del<br />
fiume si trova un albero di vita che dà dodici raccolti e produce<br />
frutti ogni mese; le foglie dell’albero servono a guarire le<br />
nazioni. 31<br />
Nella Sacra Scrittura si possono ritrovare inoltre numerosi<br />
riferimenti alla sapienza quale albero i cui frutti ricolmeranno di<br />
gioia l’essere umano:<br />
È un albero di vita per chi ad essa s’attiene<br />
e chi ad essa si stringe è beato. 32<br />
Nel secondo capitolo della Genesi vengono ricordati l’«albero<br />
della vita» e quello «della conoscenza del bene e del male» 33 .<br />
Tale distinzione potrebbe far pensare a una netta separazione<br />
tra esistenza e sapienza. Tuttavia bisogna tener presente che<br />
entrambi «da un punto di vista simbolico possono essere visti<br />
anche come un albero solo, perché non esiste vita (spirituale)<br />
senza conoscenza, né conoscenza senza vita» 34 .<br />
30 Matteo 13, 31-32.<br />
31 Apocalisse 22, 2.<br />
32 Proverbi 3, 18.<br />
33 Genesi 2, 9.<br />
34 LURKER M., op. cit., p. 8.<br />
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Nel Nuovo Testamento l’immagine dell’albero della vita viene<br />
ripresa da Cristo stesso, quale fonte di ristoro e di nutrimento<br />
per chi sarà stato fedele alla Sua Parola:<br />
Al vincitore darò da mangiare dell’albero della vita, che sta<br />
nel Paradiso di Dio. 35<br />
Nella lettera di Giuda si può cogliere il paragone tra la pianta<br />
incapace di dare frutto e l’uomo malvagio. Come il tronco<br />
rinsecchito alimenta e, nello stesso tempo, è avvolto e consumato<br />
dal fuoco, tali sono gli empi che si nutrono di false dottrine:<br />
Come nuvole senza pioggia portate via dai venti, o alberi di<br />
fine stagione senza frutto, due volte morti, sradicati. 36<br />
L’immagine della pianta assume, invece, una connotazione<br />
del tutto positiva in Giovanni Damasceno, il quale vede in Maria<br />
la terra del Paradiso, che ha generato l’autentico albero della<br />
vita, ossia Cristo. 37 La Madonna diviene il riferimento anche di<br />
un’altra interpretazione simbolica, nella quale è la Madre del<br />
Salvatore a essere identificata con l’albero della vita. Come ha<br />
modo di rilevare M. Lurker a questo riguardo, è probabilmente<br />
da attribuire a ciò se «le tavolette d’avorio d’epoca protocristiana<br />
che raffigurano l’annunciazione presentano solitamente, accanto<br />
a Maria, un albero della vita» 38 .<br />
Ma il richiamo più importante del legno per il cristiano è<br />
senza dubbio quello costituito dalla Croce. Gesù stesso sulla<br />
35 Apocalisse 2, 7.<br />
36 Lettera di Giuda 12.<br />
37 Cfr. LURKER M., op. cit., p. 9.<br />
38 Ibidem.
L’arte dell’icona: ascesi e contemplazione<br />
Via Dolorosa si definisce il legno verde contrapposto a quello<br />
secco dei peccatori:<br />
Perché se trattano così il legno verde, che avverrà del legno<br />
secco? 39<br />
L’albero, divenuto segno di maledizione, in quanto patibolo<br />
per i condannati a morte, si trasforma nel legno della salvezza.<br />
La Croce diventa titolo di gloria per il cristiano, poiché qui si<br />
può contemplare il modello del Cristo, che «sul legno ha portato<br />
le nostre colpe nel Suo corpo, affinché, morti alle nostre colpe,<br />
viviamo per la giustizia» 40 . Solo così il vero testimone della<br />
Parola del Signore può essere trasformato dalla sapienza del<br />
Maestro, liberandosi pienamente dal peccato. 41<br />
I Padri della Chiesa esortano più volte il fedele ad avere sempre<br />
nel cuore e nella mente la Croce del Cristo, come legge e<br />
norma suprema di vita. Nella Lettera di Barnaba (130 d.C. circa)<br />
emerge in maniera inequivocabile il rilievo fondamentale del<br />
legno, che viene ad essere punto di riferimento imprescindibile<br />
per il cristiano:<br />
La sovranità di Gesù proviene dal legno e quanti confidano<br />
nel legno vivranno per l’eternità. 42<br />
Secondo la simbologia patristica, la missione redentrice della<br />
Croce ricorda un altro strumento di salvezza, presente nell’An-<br />
39 Luca 23, 31.<br />
40 Prima Lettera di Pietro 2, 21-24.<br />
41 Cfr. Lettera ai Romani 6, 6: «Sappiamo bene che il nostro uomo vecchio è<br />
stato crocifisso con Lui, perché fosse distrutto il corpo del peccato, e noi<br />
non fossimo più schiavi del peccato.»<br />
42 Lettera di Barnaba, in LURKER M., op. cit., p. 108.<br />
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Valentina Dordolo<br />
tico Testamento e anch’esso di legno, ossia l’arca di Noè. Quest’ultimo<br />
non solo salva se stesso e la sua discendenza dal diluvio,<br />
ma, grazie alla rettitudine e alla fede, ottiene la riconciliazione<br />
tra Dio e la terra. Nel Nuovo Testamento Noè emerge quale<br />
araldo della giustizia divina e come «tipo dell’uomo salvato in<br />
Cristo» 43 . Egli è il testimone della fede, l’uomo che si affida completamente<br />
alla Parola di Dio:<br />
Per fede Noè, avvertito divinamente di cose che ancora non<br />
si vedevano, costruì con pio timore un’arca a salvezza della<br />
sua famiglia; e per questa fede condannò il mondo e divenne<br />
erede della giustizia secondo la fede. 44<br />
Per quanto concerne le dimensioni e il formato dell’icona<br />
esistono dei canoni precisi e rigorosi, ai quali l’artista deve assolutamente<br />
attenersi. Se si traccia idealmente una diagonale nella<br />
tavola di legno rettangolare, si ottengono due triangoli rettangoli<br />
uguali. La forma di riferimento per l’iconografo viene perciò<br />
a essere il triangolo rettangolo, che ricorda il cosiddetto “triangolo<br />
sacro” o “triangolo d’oro”. Tali definizioni risalgono alla<br />
più remota antichità, addirittura al popolo egizio, che identificava<br />
in questa figura geometrica la triade delle maggiori divinità<br />
Osiride, Iside e Horo. Un’altra denominazione è quella di “triangolo<br />
di Pitagora” legata al teorema formulato da questo filosofo<br />
e matematico. 45<br />
Caratteristica fondamentale del triangolo sacro è quella di<br />
essere il primo della serie di triangoli rettangoli le cui misure<br />
sono numeri interi in progressione aritmetica crescente, ossia 3,<br />
43 SZABÓ L., in AA.VV., Dizionario di teologia biblica, cit., p. 763.<br />
44 Lettera agli Ebrei 11, 7.<br />
45 Cfr. PALAMIDESSI T., L’icona, i colori e l’ascesi artistica, Arkeios, Roma 1997,<br />
p. 145.
L’arte dell’icona: ascesi e contemplazione<br />
4, 5 e 6 (3 e 4 per i cateti, 5 per l’ipotenusa e 6 per l’area). 46 Tali<br />
cifre non sono casuali, dal momento che si ricollegano a una<br />
precisa simbologia numerica. 47<br />
Nella Bibbia il 3 è il numero perfetto, in quanto indica la<br />
Trinità, l’Unità divina che si manifesta in un processo triadico: 48<br />
Poiché sono tre che rendono testimonianza in cielo: il Padre,<br />
il Verbo e lo Spirito Santo; e questi tre sono una cosa sola. 49<br />
Trova così massima espressione il dogma trinitario, secondo<br />
il quale Dio è Uno in Tre Persone (o Ipostasi, se si preferisce la<br />
terminologia dei Padri Cappadoci) 50 .<br />
Un’altra simbologia legata a questo numero è quella delle<br />
virtù teologali (Fede, Speranza e Carità):<br />
Ringraziamo sempre Dio per tutti voi, ricordandovi nelle<br />
46 Naturalmente non è possibile realizzare un’icona che abbia 3 centimetri di<br />
base, 4 di altezza e 5 di diagonale. Di conseguenza, nell’esecuzione pratica è<br />
fondamentale mantenere la proporzione del 3, 4 e 5 fra le varie parti del<br />
manufatto: «A seconda della grandezza che si vuole ottenere si stabilisce<br />
perciò una misura unitaria che si moltiplica per 3 e per 4: automaticamente la<br />
diagonale varrà cinque volte la misura unitaria stabilita.» Ibidem.<br />
47 Il significato simbolico di questo triangolo e delle misure dei suoi lati era<br />
già stato rilevato da Plutarco: «Il 3 è il primo numero dispari (non considerando<br />
l’unità come numero ma come principio di tutto); il 4 è il quadrato del<br />
primo numero pari; il 5 è la somma di 3 e 2; il quadrato di 5 dà il numero<br />
delle lettere dell’alfabeto egizio e quello degli anni di vita del bue sacro Api.»<br />
Plutarco, ivi, p. 146. È chiaro che nell’ambito di questa trattazione sulle icone<br />
si preferisce esporre esclusivamente l’interpretazione simbolica in chiave<br />
cristica, tralasciando quella derivante da altri culti religiosi.<br />
48 Per la simbologia numerica nella Sacra Scrittura, cfr. AA.Vv., Dizionario di<br />
teologia biblica, cit., pp. 776-781.<br />
49 Prima Lettera di Giovanni 5, 7-8.<br />
50 Cfr. MALNATI E., Dio nel Suo Mistero, MGS Press, Trieste 1998, pp. 242-243.<br />
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Valentina Dordolo<br />
nostre preghiere, continuamente memori davanti a Dio e Padre<br />
nostro del vostro impegno nella Fede, della vostra operosità<br />
nella Carità e della vostra costante Speranza nel Signore<br />
nostro Gesù Cristo. 51<br />
Il 4 designa la totalità cosmica, l’idea dell’universalità e, di<br />
conseguenza, tutto ciò che ha carattere di pienezza. A tale riguardo<br />
si possono ricordare i quattro flagelli del libro di Ezechiele<br />
e le quattro beatitudini del Vangelo di Luca:<br />
Dice infatti il Signore Dio: Quando manderò contro Gerusalemme<br />
i miei quattro tremendi castighi: la spada, la fame, le<br />
bestie feroci e la peste, per estirpare da essa uomini e bestie,<br />
ecco, vi sarà in mezzo un residuo che si metterà in salvo con<br />
i figli e le figlie. 52<br />
Beati voi poveri,<br />
perché vostro è il Regno di Dio.<br />
Beati voi che ora avete fame,<br />
perché sarete saziati.<br />
Beati voi che ora piangete,<br />
perché riderete.<br />
Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno<br />
al bando e v’insulteranno e respingeranno il vostro<br />
nome come scellerato, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi<br />
in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa<br />
è grande nei cieli. 53<br />
Altri richiami a questo numero presenti nella Bibbia e, in<br />
particolare, nell’Antico Testamento sono quelli costituiti dai<br />
51 Prima Lettera ai Tessalonicesi 1, 2-3.<br />
52 Ezechiele 14, 21-22.<br />
53 Luca 6, 20-23.
L’arte dell’icona: ascesi e contemplazione<br />
quattro fiumi del Paradiso nel libro della Genesi e dai quattro<br />
punti cardinali in Isaia:<br />
Un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, poi di lì si<br />
divideva e formava quattro corsi. 54<br />
Egli alzerà un vessillo per le nazioni e raccoglierà gli espulsi<br />
di Israele; radunerà i dispersi di Giuda dai quattro angoli<br />
della terra. 55<br />
La cifra assume un significato simbolico ancora più profondo<br />
se si considera che quattro sono le lettere del nome di Dio in<br />
ebraico (il cosiddetto Tetragramma YHWH) e quattro le braccia<br />
della Croce.<br />
Il 5 può essere interpretato quale risultato sia della somma di<br />
2+3 sia di 4+1. In entrambi i casi il simbolo a cui ci si richiama<br />
rimane lo stesso, ossia quello dell’unione del principio terrestre<br />
con quello celeste. Il 2 può essere visto come il segno del<br />
dualismo maschile e femminile, che, unendosi al 3, ossia alla<br />
Trinità, raggiunge la sintesi perfetta. Per quanto concerne la<br />
somma di 4+1 si può osservare che in questa operazione «il<br />
numero 4, perfetto ma ancora legato alla materia, si santifica<br />
nello sposalizio con l’1, l’Unità assoluta e trascendente, inizio e<br />
fine di tutte le cose» 56 .<br />
Altri riferimenti simbolici legati al numero 5 possono essere<br />
individuati nel Pentagramma, stella a cinque punte ed emblema<br />
dell’uomo rigenerato, 57 nonché nel Pentateuco, comprendente i<br />
cinque libri della Legge.<br />
54 Genesi 2, 10.<br />
55 Isaia 11, 12.<br />
56<br />
PALAMIDESSI T., op. cit., p. 147.<br />
57 Cfr. ivi, p. 148.<br />
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Valentina Dordolo<br />
Per quanto riguarda il 6, l’interpretazione può essere diversa<br />
a seconda della composizione aritmetica considerata. In senso<br />
positivo, questa cifra può essere vista quale multiplo di 3, il numero<br />
della Trinità; in senso negativo, invece, la si può ritenere<br />
quale simbolo della perfezione non raggiunta e della malvagità:<br />
Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia: essa rappresenta<br />
un nome d’uomo. E tal cifra è seicentosessantasei. 58<br />
Nel triangolo sacro la simbologia numerica non riguarda solamente<br />
le singole misure dei cateti e dell’ipotenusa, bensì essa<br />
viene ricavata anche sommando in maniera diversa i lati della<br />
figura geometrica e dal perimetro.<br />
Il numero 7, ricavato dalla somma dei due cateti, ha moltissimi<br />
richiami biblici. Nell’Antico Testamento esso designa tradizionalmente<br />
una serie completa ed è legato a oggetti o a figure<br />
degne di venerazione, quali i sette angeli nel libro di Tobia:<br />
Io sono Raffaele, uno dei sette angeli che sono sempre pronti<br />
ad entrare alla presenza della maestà del Signore. 59<br />
Ma è soprattutto la cifra che indica i giorni della settimana e,<br />
in particolare, caratterizza il sabato, giorno santo per eccellenza:<br />
Allora Dio nel settimo giorno portò a termine il lavoro che<br />
aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro. 60<br />
Il 7 viene utilizzato nelle immagini riguardanti le visioni<br />
profetiche e apocalittiche, come quella della corte celeste di San<br />
Giovanni apostolo:<br />
58 Apocalisse 13, 18.<br />
59 Tobia 12, 15.<br />
60 Genesi 2, 2.
L’arte dell’icona: ascesi e contemplazione<br />
Dal trono uscivano lampi, voci e tuoni; sette lampade accese<br />
ardevano davanti al trono, simbolo dei sette spiriti di Dio. 61<br />
Per Sant’Agostino tale cifra indica la totalità biblica, in quanto<br />
risultato dell’unione del Pentateuco e dei due Testamenti della<br />
Sacra Scrittura.<br />
Volendo ricavare un ulteriore significato simbolico, si può<br />
considerare con particolare attenzione la somma di 4+3 che dà<br />
origine al 7. In questa si può cogliere l’immagine dell’uomo perfettamente<br />
realizzato, il quale è riuscito a raggiungere nella vita<br />
la sintesi delle tre virtù teologali e delle quattro cardinali (Prudenza,<br />
Temperanza, Giustizia, Fortezza).<br />
Il numero 8, ottenuto dalla somma di un cateto con<br />
l’ipotenusa (3+5), visto quale multiplo del quattro richiama «la<br />
perfezione materiale vivente, la giustizia equilibrante, la realizzazione»<br />
62 .<br />
Dalla somma dell’altro cateto con l’ipotenusa (4+5) si ha il<br />
numero 9, di grande rilievo simbolico dal punto di vista biblico.<br />
Tale cifra, se considerata multiplo di tre, diventa la perfezione<br />
nella perfezione e rappresenta «la vittoria dell’Iniziato sulle prove<br />
umane e sulla sua terrestrità tramite la purezza morale acquisita<br />
con la trasmutazione di coscienza» 63 .<br />
Un riferimento molto particolare al numero 9 è costituito<br />
dalle gerarchie angeliche, che si suddividono in Serafini, Cherubini,<br />
Troni, Dominazioni, Virtù, Potestà, Principati, Arcangeli,<br />
Angeli. 64<br />
61 Apocalisse 4, 5.<br />
62 PALAMIDESSI T., op. cit., p. 149.<br />
63 Ibidem.<br />
64 Ivi, pp. 141-144.<br />
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Valentina Dordolo<br />
Dal perimetro del triangolo sacro si ottiene la cifra di 12,<br />
considerata perfetta nella Bibbia e presente sia nell’Antico sia<br />
nel Nuovo Testamento. Dodici sono le tribù di Israele, che nel<br />
mondo nuovo verranno governate dai dodici apostoli di Gesù:<br />
In verità vi dico: voi che mi avete seguito, nella nuova creazione,<br />
quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua<br />
gloria, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici<br />
tribù di Israele. 65<br />
La Gerusalemme Celeste dell’Apocalisse presenta dodici<br />
porte, dove sono ricordate le tribù di Israele, e dodici basamenti,<br />
che portano i nomi dei dodici discepoli:<br />
La città è cinta da un grande e alto muro con dodici porte:<br />
sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi<br />
delle dodici tribù dei figli d’Israele. A oriente tre porte, a settentrione<br />
tre porte, a mezzogiorno tre porte e ad occidente tre<br />
porte. Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra<br />
i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello. 66<br />
L’iconografo testimone di Cristo<br />
L’iconografo si incammina spontaneamente e consapevolmente<br />
sul sentiero tracciato da Gesù. Come ogni uomo egli ricerca<br />
un dialogo continuo e proficuo con Dio, mettendo al servizio<br />
del Signore la propria vita e la propria opera. È una risposta al<br />
dono divino che gli è stato fatto, un modo per ringraziare l’Altissimo<br />
del talento ricevuto in Grazia:<br />
65 Matteo 19, 28.<br />
66 Apocalisse 21, 12-14.
L’arte dell’icona: ascesi e contemplazione<br />
La Rivelazione non è un’azione unilaterale di Dio sull’uomo;<br />
essa suppone necessariamente la cooperazione dell’uomo,<br />
lo chiama non alla passività, ma ad uno sforzo attivo di<br />
conoscenza e di penetrazione. 67<br />
Il pittore, seguendo Gesù e memore del Suo sacrificio, non<br />
può concepire la propria realizzazione come uomo e come testimone<br />
di Cristo in una creatività solitaria e individuale. Egli<br />
trova invece necessario porsi al servizio dell’intera comunità,<br />
per rendersi strumento della volontà divina. In questa prospettiva<br />
il canone iconografico non viene percepito come un fardello<br />
o un’imposizione, poiché, obbedendo fedelmente alle regole<br />
della Chiesa ortodossa, l’artista dà modo alla propria esistenza e<br />
al proprio talento di inserirsi all’interno della vita ecclesiale:<br />
Nei vari ambiti della vita e della creatività ecclesiali, il canone<br />
è la forma che la Chiesa imprime al cammino dell’uomo verso<br />
la sua salvezza. È nel canone che la tradizione iconografica<br />
realizza la propria funzione come linguaggio artistico della<br />
Chiesa. 68<br />
Il canone diventa una regola esistenziale, una norma interiore,<br />
che nasce dal bisogno di essere autentici testimoni del Messia<br />
e della Sua Verità. La partecipazione attiva e consapevole alla<br />
missione cristiana si realizza nella vita eucaristica della Chiesa,<br />
depositaria e custode dell’eredità apostolica:<br />
L’unità della verità rivelata è strettamente connessa alla molteplicità<br />
delle esperienze personali che si possono avere di<br />
questa verità. [...] Perciò l’icona canonica testimonia l’ortodossia,<br />
indipendentemente dai cedimenti dei portatori della<br />
67 USPENSKIJ L.A., op .cit., p. 357.<br />
68 Ivi, p. 358.<br />
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Valentina Dordolo<br />
verità [...]. Qualunque sia il livello spirituale e artistico del pittore,<br />
anche se si tratta di un artigiano di poco conto, l’icona<br />
canonica, sia antica che nuova, testimonia un’identica verità. 69<br />
Nel grigiore della banalità e nelle tenebre delle prove della<br />
vita l’iconografo è colui che ricerca senza posa la fiamma capace<br />
di illuminare e riscaldare il cuore dell’uomo, trasformandolo<br />
in fiaccola ardente. Un fuoco sempre acceso, che offre ristoro e<br />
infinita serenità, vincendo il freddo della solitudine e dell’angoscia,<br />
come viene ribadito dall’evangelista Giovanni, memore delle<br />
parole pronunciate da Cristo stesso:<br />
Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà<br />
nelle tenebre, ma avrà la luce della vita. 70<br />
Bibliografia<br />
OPERE CONSULTATE<br />
AA.VV., Dizionario di teologia biblica, Marietti, Genova 1995.<br />
AA.VV., Guida alla Bibbia, Paoline, Roma 1980.<br />
AA.VV., In un’altra forma. Percorsi di iniziazione all’icona, Servitium Editrice–<br />
Interlogos, Sotto il Monte (BG)-Schio (VI) 1996.<br />
AA.VV., Presenza dell’invisibile. Bellezza e preghiera nelle icone russe, Ed. Scritti Monastici,<br />
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ARTIOLI M.B.-LOVATO M. F., La Filocalia, Gribaudi, Milano 2001 (4 voll.).<br />
69 Ivi, pp. 358-359.<br />
70 Giovanni 8, 12.
L’arte dell’icona: ascesi e contemplazione<br />
ASNAGHI A. (a cura di), Preghiere russe, La Locusta, Vicenza 1990.<br />
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ELIADE M., Immagini e simboli, Jaca Book, Milano 1998.<br />
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MALNATI E., Dio nel Suo Mistero, MGS Press, Trieste 1998.<br />
MANZONI G., La spiritualità della Chiesa ortodossa russa, Qiqajon, Bose 1993.<br />
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P. BERETTA (a cura di), Nuovo Testamento Interlineare (Greco Latino Italiano), San<br />
Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1999.<br />
95
Indirizzo all’attività sportiva<br />
di Giancarlo Pellis * e Giampaolo Olivo **<br />
1. Introduzione<br />
Gli avvenimenti sportivi, soprattutto in questi ultimi anni, ci<br />
fanno credere che non esista record in alcuna disciplina sportiva<br />
che non possa essere migliorato. Eppure la macchina umana,<br />
per sua stessa natura, è limitata, e ciò fa ragionevolmente pensare<br />
che esista un limite oltre il quale un atleta, sebbene dotato e<br />
preparato, non possa spingere la sua prestazione. Se l’uomo non<br />
può superare se stesso, si tende tuttavia a saggiare, se non addirittura<br />
a raggiungere, questo limite e i fatti dimostrano che questo<br />
fine può essere perseguito solamente curando nei minimi<br />
dettagli la preparazione di un’élite di atleti già naturalmente dotati,<br />
facendo uso di tutti i mezzi tecnici e delle conoscenze scientifiche<br />
che si hanno a disposizione.<br />
* Docente di educazione fisica. Il contributo, già edito come PELLIS G.-OLIVO<br />
G., Indirizzo all’attività sportiva. Ipotesi di valutazione fisico-attitudinale per l’indirizzo a<br />
discipline sportive con prevalente impegno anaerobico alattacido, Grafad, Trieste 1985, ha<br />
ottenuto il I Premio internazionale di Educazione fisica e Sport “Jose Maria<br />
Cagigal”, Bilbao, Spagna. La presente versione consiste in un aggiornamento e<br />
in una rivisitazione con verifica sperimentale di tale lavoro.<br />
** Ingegnere elettronico.<br />
97
98<br />
Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />
Il tecnicismo, che svolge oggi un ruolo rilevante nel raggiungimento<br />
delle estreme performance espresse dai grandi atleti,<br />
tende a essere trasportato a tutti i livelli dello sport. Ciò si<br />
deve soprattutto a una ormai diffusa consapevolezza che gli<br />
obiettivi più elevati, prerogativa di pochi uomini al vertice della<br />
piramide sportiva, debbano essere perseguiti già alla base adottando<br />
gli stessi mezzi che questi ultimi hanno a disposizione.<br />
Il crescente impegno di mezzi tecnici e scientifici implica,<br />
nello sport come altrove, una razionalizzazione di tutto il lavoro<br />
svolto dagli operatori del settore. Con ciò la soluzione di tutti i<br />
problemi, che questi sono tenuti quotidianamente a risolvere,<br />
non viene lasciata più al caso, ma viene affrontata in base a precise<br />
metodologie fondate sulle conoscenze teoriche.<br />
A riprova di quanto detto, possiamo centrare l’attenzione<br />
in particolare su un problema molto importante in quanto<br />
profondamente sentito da chiunque operi entro l’organizzazione<br />
sportiva. Si fa riferimento all’individuazione, nella popolazione<br />
giovanile in particolare, di quei soggetti i quali, per<br />
loro natura, siano particolarmente adatti a una certa attività<br />
sportiva e che abbiano quindi le qualità necessarie per aspirare<br />
a elevati traguardi. Questo problema rientra in quello più vasto<br />
di una programmazione sportiva su larga scala la quale<br />
stenta a prendere piede nel nostro Paese sia per carenza di<br />
organizzazione e di mezzi sia per la mancanza di metodi di<br />
indagine concreti, applicabili a vaste popolazioni e in particolare<br />
a quella scolastica.<br />
Da sondaggi condotti in questo campo sappiamo che circa<br />
la metà dei ragazzi non pratica alcuna attività sportiva<br />
extrascolastica. Se la pratica, la scelta di quest’ultima è stata fatta<br />
spesso durante il passaggio nella scuola media di primo grado e<br />
il più delle volte è dovuta al caso. In tal modo si riducono le<br />
possibilità che un soggetto dalle particolari caratteristiche<br />
biofisiche incontri la struttura sportiva a lui più congeniale dove<br />
potrebbe iniziare con soddisfazione la scalata di quella vertigi-
Indirizzo all’attività sportiva<br />
nosa piramide alla base della quale lo sport deve essere gioco,<br />
divertimento, educazione. È proprio nella scuola che dovrebbe<br />
essere indicata a ognuno l’attività sportiva adatta usando<br />
metodologie relativamente semplici ma valide anche perché proprio<br />
la scuola stessa offre i mezzi necessari a tale scopo, ha una<br />
organizzazione alle spalle che può favorire e coordinare tali attività<br />
e può basarsi sulla competente collaborazione di personale<br />
qualificato quali gli insegnanti di educazione fisica.<br />
A questo punto si capisce che un sistema del genere presenterebbe<br />
vantaggi dal lato sociale, con un migliore indirizzo all’utilizzo<br />
del tempo libero, da quello sportivo, in quanto permetterebbe<br />
di elevare il livello di prestazione, e da quello scientifico<br />
perché offrirebbe un’ampia fonte di dati utili ad aggiornare<br />
continuamente i metodi di selezione e quelli di pianificazione<br />
dell’attività futura.<br />
L’insegnante di educazione fisica diventerebbe l’educatore<br />
che l’attuale impostazione scolastica si propone di evidenziare e<br />
di elevare a un ruolo che fino a ieri era considerato più ricreativo<br />
che educativo, al fine di contribuire, oltre che alla migliore<br />
maturazione fisica degli alunni, anche a una rilevante formazione<br />
del carattere, facendo ricorso concretamente proprio a quei<br />
«metodi di individualizzazione e a una continua valutazione dello<br />
sviluppo e della differenziazione delle tendenze personali» 1 .<br />
In questo contesto l’educazione fisica si trasformerebbe inevitabilmente,<br />
e nella giusta proporzione, in attività sportiva specifica<br />
contemporaneamente alla maturazione fisica e psicologica<br />
del ragazzo.<br />
1 DPR n. 908 dell’1.10.1982.<br />
99
2. Scopo dell’indagine<br />
100<br />
Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />
Il lavoro che presentiamo è una continuazione di quello da noi<br />
già svolto negli anni precedenti, 2 i risultati del quale hanno fornito<br />
delle preziose informazioni a livello metodologico per l’avvio<br />
di questa nuova fase della ricerca su più di 10.000 soggetti di<br />
ambo i sessi, facenti parte della popolazione scolastica della media<br />
di primo grado della provincia di Trieste, popolazione compresa<br />
tra gli 11 e i 14 anni di età. Ciò con l’intento di evidenziare<br />
tutti quei soggetti che per natura posseggono delle caratteristiche<br />
di base superiori ad altri e quindi più predisposti a un tipo di<br />
disciplina sportiva.<br />
Caratteristica innovativa rispetto ai lavori già svolti da altri<br />
risulta essere il fatto che gli esaminati non sono solo gli appartenenti<br />
a qualche società sportiva e quindi già selezionati, ma anche<br />
coloro che per varie ragioni non si sono mai avvicinati a tale<br />
pratica pur avendone le capacità fisico-atletiche.<br />
L’individuazione proprio di questi soggetti risulta essere importante,<br />
preziosa e ormai indispensabile e può avvenire soltanto<br />
in un ambiente nel quale il loro passaggio è reso obbligatorio:<br />
la scuola.<br />
Il lavoro è stato basato sulla valutazione del meccanismo<br />
anaerobico alattacido, fattore biologico che, come meglio specificheremo<br />
nei capitoli seguenti, regola la riuscita in quelle discipline<br />
sportive in genere più praticate a livello scolastico ed<br />
extrascolastico, nelle quali l’esplosività del gesto atletico risulta<br />
essere una dote indispensabile (tav. 1).<br />
2 Applicazione di una batteria di test quale selezione per l’indirizzo a discipline<br />
sportive con prevalente impegno anaerobico alattacido.
Indirizzo all’attività sportiva<br />
Tav. 1<br />
Il riscontro di tale caratteristica nelle sue forme di potenza e<br />
di capacità potrebbe consentire, in via del tutto sperimentale, di<br />
avviare ogni soggetto a una precisa disciplina sportiva selezionata<br />
tra i principali giochi e alcune specialità dell’atletica, introducendo<br />
una nuova e concreta metodologia nella ricerca dell’attività<br />
più consona.<br />
Abbiamo incentrato il nostro studio sulla valutazione del<br />
meccanismo alattacido in base a considerazioni di ordine sia<br />
biofisiologico che pratico, la prima delle quali risulta essere il<br />
fatto che la quantità dei fosfati, che regolano il fenomeno sopra<br />
descritto, è un qualcosa di congenito nel soggetto stesso e quindi<br />
ritenuto non considerevolmente influenzabile dal fattore allenamento<br />
in soggetti di questa età.<br />
Altro fattore che ha determinato la nostra scelta consiste nel<br />
fatto che lo studio di altre fonti energetiche basate sulla scissione<br />
dei glucidi e dei lipidi, processi notevolmente influenzati dal<br />
grado di intensità dell’allenamento eventualmente praticato, richiede<br />
test con tempi di esecuzione prolungati e quindi maggiore<br />
possibilità di errore da parte degli esaminati e con le conseguenze<br />
menzionate in seguito, cosa che può procurare gravi<br />
ritardi a un lavoro che deve essere svolto in un tempo determinato<br />
(un anno scolastico).<br />
Ciò comunque non esclude la possibilità di estendere tale<br />
tipo di ricerca, in tempi successivi, anche per quelle discipline<br />
101
102<br />
Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />
sportive che prevedono come meccanismo energetico l’aerobico<br />
e l’anaerobico lattacido.<br />
3. Descrizione dell’indagine<br />
La ricerca si è svolta durante l’intero anno scolastico 1983-’84<br />
con la collaborazione della Provincia di Trieste, del CONI Provinciale,<br />
del Provveditorato agli Studi e dell’Università degli Studi<br />
di Trieste.<br />
In quest’arco di tempo (24 ottobre 1983-9 giugno 1984, per<br />
un totale di più di 2500 ore di lavoro) un’équipe composta da<br />
tre persone (per un totale di nove rilevatori) si è recata sistematicamente<br />
in tutte le scuole medie di primo grado della provincia<br />
e ha sottoposto ogni studente ad una serie di test.<br />
Sono state visitate complessivamente 34 scuole: 24 statali, 3<br />
parificate di lingua italiana e 7 di lingua slovena. Tali rilevazioni<br />
avvenivano per classi durante l’ora di educazione fisica per non<br />
procurare intralci al regolare svolgimento delle lezioni. Ogni<br />
scuola è stata visitata 2 volte al fine di permettere il recupero del<br />
maggior numero di assenti.<br />
Oltre ai dati inerenti le prestazioni raggiunte nei singoli test,<br />
sono state raccolte per ogni singolo individuo altre informazioni<br />
riguardanti le sue caratteristiche antropometriche, le abitudini<br />
alimentari, l’attività sportiva eventualmente praticata, le ore<br />
settimanali a essa dedicate, una indicazione sulla statura dei genitori<br />
e l’eventuale attività sportiva da essi svolta. Queste si sarebbero<br />
dimostrate utili per un’indagine statistica parallela al lavoro<br />
principale.<br />
Sono stati esaminati esattamente 10.486 soggetti di cui solo<br />
9639 hanno fornito risultati completi.<br />
L’elaborazione dei risultati, che consiste nella manipolazione<br />
di circa 800.000 dati, è stata affidata al Centro di Calcolo<br />
dell’Università degli Studi di Trieste. Pertanto tutti i valori rac-
Indirizzo all’attività sportiva<br />
colti sono stati replicati su scheda perforata per permettere la<br />
lettura da parte del calcolatore e l’archiviazione in una sua memoria<br />
prima dell’elaborazione finale. Questa operazione, seppure<br />
di importanza secondaria, ha presentato un peso rilevante sia<br />
dal punto di vista economico, sia perché la ricopiatura dei dati,<br />
unitamente alla lettura e registrazione manuale dei risultati dei<br />
test, è un’inevitabile fonte di errori che generalmente intralciano<br />
la speditezza della successiva elaborazione.<br />
I giovani selezionati sono stati successivamente segnalati agli<br />
organi competenti, in particolare ai rispettivi insegnanti di educazione<br />
fisica, al CONI e alle società sportive locali, specificando<br />
per ogni selezionato a quale disciplina sportiva, alla luce dei risultati<br />
ottenuti, si era dimostrato più adatto.<br />
È d’obbligo, a questo punto, fare delle precisazioni in merito<br />
ai limiti del metodo stesso. Essendo, infatti, strutturato su modelli<br />
matematico-statistici, non può prevedere le infinite variabili<br />
che determinano la prestazione, e offre, pertanto, indicazioni<br />
non assolute. Ciò significa che risulta limitato principalmente<br />
in due sensi: primo perché studia una sola fonte energetica con<br />
il risultato di non indirizzare tutti coloro che possiedono altre<br />
caratteristiche magari in maggior misura. Secondo perché fattori<br />
di ordine neuro-fisiologico e psicologico possono interferire<br />
sul risultato del test come ad esempio la modalità del comando<br />
motorio centrale e le riafferenze di aggiustamento del programma<br />
stesso e, non trascurabile assolutamente, la motivazione del<br />
soggetto che effettua la prestazione, forse non del tutto consapevole<br />
dell’importanza che essa assume.<br />
4. Fattori bio-energetici di indirizzo<br />
Un atleta, nell’esercizio del suo impegno agonistico, si sottopone<br />
regolarmente a un’attività fisica che presenta caratteristiche<br />
diverse a seconda del tipo di disciplina praticata ma che, nel suo<br />
103
104<br />
Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />
genere, è sempre intensa. In ogni caso, la prestazione che egli è<br />
in grado di raggiungere, dipende dalla sua capacità di far fronte<br />
a quel particolare tipo di lavoro. Tale capacità si può far derivare,<br />
in ultima analisi, da alcuni attributi che hanno origine dalla<br />
sua struttura bio-fisiologica e che, nel loro complesso, qualificano<br />
un individuo riguardo alla sua attitudine generica allo sport.<br />
L’interesse che vi è nel mondo dello sport per questo genere di<br />
attributi personali si fonda sul fatto che essi determinano la<br />
predisposizione di un individuo verso una certa categoria di discipline<br />
sportive, in quanto da essi dipende la sua capacità di<br />
affrontare il tipo di attività fisica richiesta.<br />
Ad esempio in tutte quelle discipline che prevedono<br />
l’esplosività di un gesto atletico, attributi quali forza ed elasticità<br />
assumono un ruolo determinante per il raggiungimento della<br />
massima prestazione. Prendiamo ad esempio una categoria di<br />
specialità quale l’atletica veloce. L’atleta deve compiere un lavoro<br />
breve ma molto intenso al fine di percorrere una determinata<br />
distanza nel tempo minore possibile.<br />
La forza esplosiva è una dote essenziale: essa permette di<br />
generare una successione di spinte capaci di imprimere alla sua<br />
massa corporea un’accelerazione elevata e di mantenere la massima<br />
velocità raggiunta per tutta la durata della gara. L’elasticità<br />
può contribuire in modo rilevante alla produzione di una spinta<br />
efficace. Se il movimento assume ritmicità e frequenza, è possibile<br />
un recupero parziale dell’energia globalmente sviluppata dall’atleta<br />
che, invece di essere trasformata in calore, viene espressa<br />
sotto forma di forza propulsiva. L’elasticità quindi permette,<br />
dal punto di vista energetico, un migliore rendimento del gesto<br />
atletico. Considerazioni analoghe valgono anche per molte altre<br />
specialità quali quelle di salto in tutte le sue varianti e anche in<br />
molti sport di squadra in cui lo “scatto” improvviso è una componente<br />
essenziale del gioco.<br />
Di tutt’altre caratteristiche è l’impegno energetico richiesto<br />
in specialità nelle quali interviene la forza resistente in quanto
Indirizzo all’attività sportiva<br />
l’atleta deve produrre un lavoro rilevante per periodi prolungati<br />
(alcune decine di secondi), per cui incorre inevitabilmente in<br />
affaticamento estremo. La capacità di produrre questo tipo di<br />
lavoro in tali condizioni di disagio fisico determina, alla fine,<br />
l’esito della gara.<br />
Esiste, inoltre, una categoria di specialità atletiche quali ad<br />
esempio la maratona, la marcia, il ciclismo su strada, in cui l’atleta<br />
deve essere in grado di protrarre per un tempo molto lungo<br />
(anche più ore) la propria attività senza sensibili variazioni delle<br />
sue caratteristiche fisiologiche. L’affaticamento, inteso come<br />
bisogno immediato di recupero di energie, non deve mai sopraggiungere<br />
durante tutta la gara, pena l’inevitabile calo di prestazione.<br />
In questo tipo di discipline spetta ovviamente all’atleta<br />
amministrare le proprie disponibilità energetiche in modo da<br />
non trovarsi mai nelle condizioni suddette.<br />
Con questi semplici esempi abbiamo voluto mettere in risalto<br />
le caratteristiche dei tre meccanismi energetici: anaerobico<br />
alattacido, anaerobico lattacido e aerobico.<br />
Sono state prima citate la forza e l’elasticità dal lato dell’influenza<br />
sul risultato sportivo; ora accenneremo a tali argomenti<br />
a livello bio-istologico, basandoci su dati riscontrati nella letteratura<br />
e riguardanti sia l’analisi della struttura dei muscoli scheletrici<br />
dell’uomo sia i sistemi bio-energetici, cercando di chiarire<br />
alcuni aspetti fisiologici dai quali ha preso spunto l’ideazione<br />
del nostro lavoro.<br />
A tale proposito sappiamo che i processi di produzione dell’energia,<br />
l’attività degli enzimi che la trasformano da chimica in<br />
meccanica, nonché l’ultrastruttura e la composizione della<br />
miofibrilla muscolare hanno un ruolo determinante nella prestazione<br />
sportiva.<br />
La forza, nelle sue varie forme (Harre), viene determinata da<br />
un fattore chimico-biologico e, in base all’intensità e al tempo<br />
di applicazione della stessa, viene attivato il processo energetico<br />
appropriato. Quando abbiamo l’espressione di gesti di intensità<br />
105
106<br />
Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />
massimale e di durata non eccedente la decina di secondi viene<br />
impiegata l’energia proveniente dal meccanismo alattacido e<br />
quindi derivante dalla scissione del fosfageno (tav. 2).<br />
È proprio la limitata concentrazione dei fosfati che riduce la<br />
capacità di energia chimica; a sua volta la capacità condiziona la<br />
potenza media intesa come quota di energia utilizzabile nell’unità<br />
di tempo (sempre entro i limiti dell’alattacido) basata anche sull’attività<br />
degli enzimi ATPasi e CPasi e sulla qualità e quantità<br />
delle fibre muscolari.<br />
Stimare quindi l’entità di tali caratteristiche risulta essere un<br />
fattore molto utile per prevedere alcuni fenomeni sportivi.<br />
Alla forza determinata dalla contrazione muscolare si può<br />
sommare, se sfruttata a dovere, un’altra componente: l’energia<br />
elastica. Tale energia risulta essere una componente molto importante<br />
nelle prestazioni di potenza specie per quanto riguarda<br />
gli arti inferiori; parte di essa viene incamerata nei componenti<br />
Tav. 2
Indirizzo all’attività sportiva<br />
elastici dei tendini e nelle lamine connettivali che racchiudono<br />
le fibre muscolari, e parte sembra prodotta dalla stessa meccanica<br />
di contrazione. Tale fenomeno, comunque, ha luogo esclusivamente<br />
quando tra la fase di lavoro negativo (nel quale si<br />
incamera appunto l’energia elastica) e quella di lavoro positivo<br />
non vi è soluzione di continuità; nel caso contrario, infatti, l’energia<br />
elastica accumulata non può essere utilizzata ma viene trasformata<br />
in calore.<br />
Il riscontro di particolari doti di forza ed elasticità assume<br />
rilevanza maggiore se si tiene conto che le stesse vengono in<br />
gran parte determinate geneticamente. Anche se per la seconda<br />
si fanno soltanto delle supposizioni, non esistendo dati concreti,<br />
è ormai provato che la quantità dei fosfati di un individuo è<br />
una caratteristica del proprio corredo genetico. L’eventuale carenza<br />
di tale fattore limita in maniera considerevole il<br />
raggiungimento di elevate performance in certe attività sportive<br />
determinando, così, una selezione naturale anche nel mondo<br />
dello sport. Se poi si pensa che con l’allenamento è possibile,<br />
seppure in minima parte, mutare le caratteristiche funzionali di<br />
un determinato tipo di muscolatura, anch’essa ritenuta ormai<br />
corredo genetico (Komi-Karlosson 1979), con apprezzabili variazioni<br />
dell’attività enzimatica in rapporto alla specificità della<br />
stessa, si può dedurre quanto sia indispensabile avviare la persona<br />
allo sport più congeniale.<br />
Quanto riportato è stato chiarito da D. Costill e J. Counsilman<br />
i quali, oltre a evidenziare le possibili trasformazioni tra i tipi<br />
diversi di miofibrille, misero in risalto gli effetti sfavorevoli provocati<br />
da stimoli diversi da quelli ai quali la miofibrilla stessa era<br />
predisposta determinando, così, sfavorevoli variazioni dell’attività<br />
enzimatica in senso opposto alla natura della fibra. Tali affermazioni<br />
sono state anche dimostrate da esperimenti condotti<br />
negli ultimi anni e l’unanimità dei risultati non smentisce che,<br />
a parità di allenamento, l’adattamento migliore lo produce indubbiamente<br />
colui le cui caratteristiche biofisiche, assieme a<br />
107
108<br />
Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />
quelle antropometriche e motorie, sono presenti in maggior<br />
misura e, allo stesso tempo, riscontrabili già in giovane età. Ciò<br />
non discosta molto dalla definizione data da Laszlo Nadori:<br />
«Talento è colui che è dotato di un complesso di capacità tali da<br />
favorire prestazioni mentali e fisiche nettamente superiori alle<br />
media, o prestazioni speciali come sono quelle sportive.»<br />
Quanto brevemente riportato permette di rendersi facilmente<br />
conto come la disponibilità di metodi di valutazione di parametri<br />
biologici, presenti un interesse che va oltre una semplice classificazione<br />
delle capacità del singolo individuo. Essa determina<br />
infatti l’introduzione nel mondo dello sport di nuovi metodi di<br />
lavoro, razionali ed estremamente efficaci, che, se impiegati su<br />
larga scala, sono capaci di elevare la qualità della classe sportiva,<br />
consentendo di giungere a livelli agonistici sempre più elevati.<br />
5. Metodi di valutazione<br />
Se al termine di misura si attribuisce quel significato che esso<br />
comunemente assume nella scienza e nella tecnica, allora è facile<br />
rendersi conto che non tutte le risorse bio-energetiche di un<br />
individuo sono grandezze misurabili.<br />
Misurare una grandezza fisica implica necessariamente disporre<br />
di un campione e di una scala di misura assoluti che, nella<br />
fattispecie, non esistono, né si sa come potrebbero essere rigorosamente<br />
definiti. Per tale motivo, invece che di misura, si è preferito<br />
sempre parlare, in modo più generico, di una loro valutazione.<br />
Con ciò si intende dire che ogni tentativo di quantizzare una<br />
di esse lascia adito a un’interpretazione dei risultati ottenuti mai<br />
oggettiva ma sempre dipendente sia dal metodo con cui essi sono<br />
stati ottenuti che dal soggetto stesso che viene esaminato e facente<br />
riferimento a una scala di valori genericamente empirica.<br />
Il metodo generale usato per fornire una valutazione delle<br />
qualità energetiche di un soggetto che verrà qui preso in consi-
Indirizzo all’attività sportiva<br />
derazione si basa direttamente sul significato pratico che esse<br />
hanno. Precedentemente si è visto come esse si identificano con<br />
quei fattori che, nel loro complesso, determinano la capacità del<br />
soggetto di affrontare un particolare tipo di attività fisica. Ebbene,<br />
un modo immediato per rendersi conto della loro consistenza<br />
è quello di imporre al soggetto in questione un certo<br />
lavoro fisico e osservarne il comportamento. In termini più concreti,<br />
si tratta di sottoporre il soggetto a uno o più esercizi fisici<br />
e di ricavare le corrispondenti prestazioni che, a seconda del<br />
caso, si identificano con delle misure dirette di tempi, lunghezze<br />
o altro, oppure derivano da tali misurazioni attraverso la loro<br />
breve elaborazione mediante semplici formule matematiche. Se<br />
l’esecuzione di uno di questi esercizi richiede il pieno sfruttamento<br />
di una certa qualità, allora la prestazione corrispondente<br />
è un indice della sua entità.<br />
La scala di valori con cui vengono generalmente rapportati<br />
quei numeri che sintetizzano la prestazione ottenuta è costruita<br />
o in base alla profonda conoscenza del soggetto in esame,<br />
o più semplicemente all’esperienza. Per quanto riguarda l’esame<br />
di soggetti dei quali non si conosce generalmente nulla, è<br />
l’esperienza di chi opera da tempo con questi metodi e che ha<br />
avuto quindi l’occasione di avvalorare a posteriori la validità di<br />
certi giudizi fatti in precedenza, che suggerisce una classificazione<br />
delle capacità del soggetto a seconda dei risultati da esso<br />
ottenuti in uno di questi test, come meglio esposto nel corso<br />
della trattazione.<br />
Affinché un esercizio fisico possa costituire la prova di base<br />
di un vero e proprio test su un parametro ben specifico, esso<br />
deve soddisfare evidentemente alcuni requisiti.<br />
Il primo, il più ovvio, è la validità. Un test è tanto più valido<br />
quanto più i risultati che esso fornisce sono correlati con l’entità<br />
della grandezza che esso si prefigge di valutare. Per questa<br />
più che naturale necessità l’esercizio fisico che fa capo a uno di<br />
questi test, seppure banale nella forma, è sempre studiato sia<br />
109
110<br />
Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />
nel gesto atletico che prevede, sia per le condizioni di lavoro<br />
fisiologico che esso impone.<br />
Solo se eseguito secondo modalità ben precise, esso è in grado<br />
di mettere in risalto quanto prestabilito, la cui entità sia legata<br />
alla prestazione secondo una relazione ben definita. In particolare<br />
si è sempre cercato, entro i limiti del possibile, di ideare<br />
degli esercizi fisici per i quali la prestazione sia determinata dall’impegno<br />
di un’unica fonte energetica con la conseguenza pratica<br />
che la quantificazione sia immediatamente deducibile dalla<br />
prestazione riscontrata. Nei casi in cui ciò si è dimostrato impossibile,<br />
si è fatto comunque ricorso a più test. Questi sono<br />
generalmente formulati in modo tale che, da un’analisi globale<br />
delle prestazioni in esse riscontrate, sia sempre possibile ricavare<br />
la valutazione che interessa.<br />
Un requisito importante che in genere questi test possiedono<br />
è la semplicità. Dalla parte di chi è destinato a servirsene,<br />
essa va intesa come facilità di rilevazione delle misure e della<br />
loro eventuale elaborazione.<br />
Queste due caratteristiche assumono particolare importanza<br />
se si tiene conto che una larga diffusione di simili metodi di lavoro<br />
è destinata necessariamente a coinvolgere personale non specializzato,<br />
poco abituato a operare su strumenti troppo complessi<br />
e che non guarda generalmente di buon occhio procedure di calcolo<br />
troppo elaborate. Riguardo invece a chi a tali test è destinato<br />
solamente a sottoporsi, assume particolare importanza la facilità<br />
di esecuzione dell’esercizio fisico che essi prevedono.<br />
L’esperienza personale di chi scrive ne è stata una conferma.<br />
Ci si riferisce in particolare a ricerche già svolte su un vasto<br />
campione della popolazione studentesca. In tal caso è significativo<br />
il tempo richiesto per l’effettuazione di un singolo test in<br />
quanto da esso e dalle dimensioni del campione da esaminare<br />
dipende ovviamente la durata dell’intero lavoro che, per ragioni<br />
organizzative, deve solitamente esaurirsi entro un tempo<br />
prefissato. Ebbene, si è notato come le minime difficoltà
Indirizzo all’attività sportiva<br />
riscontrabili negli esercizi fisici proposti, possono intralciare in<br />
modo determinante e imprevedibile la speditezza dell’intero lavoro.<br />
Infatti, con il diminuire dell’età dei soggetti esaminati, si è<br />
assistito a delle crescenti reali difficoltà di apprendimento di<br />
quelle già elementari nozioni motorie richieste per l’effettuazione<br />
corretta della prova. La necessità da parte degli operatori di<br />
rispiegare molte volte le stesse istruzioni, o di ripetere spesso e<br />
per più soggetti i test, determina inevitabilmente l’aumento del<br />
tempo medio d’esame per singolo soggetto. A ragion veduta si<br />
può quindi dire che per questo tipo di applicazione la semplicità<br />
dei test diventa un requisito indispensabile senza il quale essi<br />
non avrebbero neppure ragione d’esistere. Se, nel loro complesso,<br />
non fossero elementari sia per chi li segue, sia per chi ad essi<br />
si sottopone, le difficoltà di vario genere che sopraggiungerebbero<br />
li renderebbero praticamente inutilizzabili.<br />
Sono stati sviluppati molti test che soddisfano i requisiti richiesti<br />
e particolarmente quelli che fanno riferimento agli arti<br />
inferiori. Si tratta delle cosiddette “prove di salto verticale”<br />
(vertical jump) in tutte le loro varianti, le quali costituiscono un<br />
insieme esaustivo di test. L’esercizio fisico cui fanno capo consiste,<br />
come il loro stesso nome fa ben capire, in uno o più balzi<br />
eseguiti secondo modalità diverse ma sempre in modo tale da<br />
ricadere nello stesso punto ove gli stessi sono stati spiccati.<br />
D’ora in poi si farà sempre riferimento a questo tipo di test e<br />
quindi implicitamente sempre agli arti inferiori. Tale limitazione<br />
è in realtà meno restrittiva di quello che può apparire. Infatti<br />
bisogna tener presente che l’interesse nel valutare un individuo<br />
ha sempre il secondo fine di poter analizzare le sue capacità in<br />
qualche disciplina sportiva e che quasi tutti gli sport si basano<br />
sulla mobilità dell’atleta che si realizza proprio con il suo apparato<br />
locomotore il quale tra l’altro comprende gran parte (circa<br />
il 40%) delle masse muscolari corporee.<br />
Vari sperimentatori, poi, basandosi sul parallelismo di una<br />
batteria di test motori con il prelievo istologico di tessuto mu-<br />
111
112<br />
Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />
scolare (vasto laterale) hanno messo in evidenza anche come la<br />
performance espressa sia correlata con la composizione muscolare<br />
(Bosco-Komi 1979).<br />
Si comprende perciò come sia possibile ed importante saggiare<br />
queste caratteristiche senza ricorrere a metodi cruenti che<br />
possono andar bene per una cerchia molto ristretta di persone<br />
ma non sicuramente essere applicati a un vasto campione magari<br />
in giovane età.<br />
Gran parte di questi lavori sperimentali si sono avvalsi di<br />
uno dei metodi più semplici ed efficaci per la stima della massima<br />
potenza anaerobica alattacida: il salto verticale.<br />
6. Gli strumenti di misura<br />
Il salto verticale, conosciuto meglio come test di Abalakov, dal<br />
nome di chi l’ha introdotto come mezzo d’indagine, consiste<br />
nel misurare il massimo spostamento verticale del baricentro<br />
che un soggetto è in grado di raggiungere con una singola prova<br />
di salto. Il test è volto a fornire una valutazione della forza<br />
esplosiva espressa dagli arti inferiori e rientra proprio in uno di<br />
quei casi in cui il risultato fornito dal test viene assunto come<br />
misura di riferimento per il parametro in questione<br />
Anche altri sperimentatori, tra i quali ricordiamo D.J. Glencross<br />
e L.W. Sargent, hanno sviluppato il salto verticale con modalità<br />
diverse, le quali non hanno l’affidabilità del sistema introdotto da<br />
Abalakov che riporta con rara immediatezza la misura dell’altezza<br />
raggiunta. In tale metodologia di svolgimento viene fatto uso<br />
di un metro avvolgibile ancorabile in qualche modo al pavimento.<br />
Il capo libero di questo metro viene fissato alla cintola del soggetto.<br />
A salto avvenuto, la lunghezza per la quale esso si è svolto<br />
fornisce direttamente la misura richiesta.<br />
In questi tempi qualcuno ha pensato di innovare questo semplice<br />
metodo di misura sostituendo a questa rudimentale, seppure
Indirizzo all’attività sportiva<br />
efficiente, attrezzatura qualcosa di più completo. L’idea che ha<br />
dato vita a questi cambiamenti consiste nel fatto che questa<br />
misura di altezza è sostanzialmente riconducibile a una misura<br />
del tempo. Per l’esattezza è sufficiente misurare la durata del<br />
tempo di volo del salto, cioè il tempo che intercorre tra l’istante<br />
in cui l’atleta, mosso dalla spinta da lui stesso prodotta, stacca i<br />
piedi dal pavimento e l’istante in cui vi ricade. Questo tempo<br />
viene detto “tempo di volo”.<br />
In realtà le innovazioni apportate dalla misura di tempo hanno<br />
un significato che va ben oltre il semplice desiderio di stare<br />
al passo con i tempi, soprattutto se si considera che esse coinvolgono<br />
un ambiente generalmente restio alle novità, in quanto<br />
ancorato a metodi di lavoro che, seppur sorpassati, sono ormai<br />
ampiamente collaudati. Esse hanno ragione d’essere per il fatto<br />
che il metodo di misura tradizionale, quello cioè che utilizza il<br />
metro svolgibile, presenta fastidiose limitazioni. Esso soffre infatti<br />
del grosso difetto di non essere più applicabile nel caso che<br />
la modalità di esecuzione della prova di salto venga leggermente<br />
cambiata rispetto alla forma originale prevista dal test di<br />
Abalakov. Alcune varianti del test sono in realtà molto interessanti.<br />
Ne sono proprio un esempio la cosiddetta “prova di salto<br />
verticale con caduta” e i “salti multipli”, test principali su cui si<br />
è basato il nostro lavoro di selezione.<br />
Il primo caso consiste nel far cadere il soggetto da un’altezza<br />
prestabilita e fargli poi compiere un balzo non appena esso tocca<br />
terra. Anche in questo caso si tratta di effettuare la misura<br />
dello spostamento verticale del baricentro durante la fase di volo<br />
del balzo; tuttavia essa si arricchisce di nuovi significati in quanto<br />
ci permette di studiare l’influenza di varie ipotesi di<br />
prestiramento sul salto stesso. Con il piegamento degli arti inferiori<br />
dovuto alla fase di ammortizzamento della caduta, viene<br />
incamerata nella muscolatura interessata una certa quantità di<br />
energia elastica che viene poi restituita nel balzo successivo sotto<br />
forma di spinta. Quindi l’altezza massima raggiunta non è<br />
113
114<br />
Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />
determinata soltanto dalla forza espressa dalla muscolatura<br />
estensoria degli arti inferiori, ma anche dall’opportuno sfruttamento<br />
dell’elasticità della muscolatura stessa.<br />
Il secondo caso ci permette di studiare la potenza aerobica<br />
oppure anaerobica variando le modalità di esecuzione della prova<br />
strutturata in una o più serie di salti verticali prodotti, in tempi<br />
prefissati.<br />
La misura dell’elevazione del baricentro di un individuo in<br />
un singolo balzo verticale, tramite il rilevamento del tempo di<br />
volo, oltre a presentare molti vantaggi già in linea di principio,<br />
risulta, anche in pratica, estremamente facile da realizzare. Tradizionalmente<br />
viene fatto uso di una strumentazione che nel<br />
complesso è nota nel mondo dello sport con il nome di “Ergo<br />
Jump” (Bosco).<br />
Uno strumento che ne svolge le funzioni essenziali è stato<br />
costruito dagli autori e denominato “Ergometric jump program”.<br />
Esso consiste essenzialmente in un cronometro, avente una<br />
precisione pari, almeno, al centesimo di secondo, il quale permette<br />
l’avanzamento del tempo soltanto quando un interruttore<br />
elettrico esterno a esso collegato mantiene aperto il suo contatto.<br />
I due poli dell’interruttore esterno di cui si fa uso consistono<br />
in una pedana, la cui superficie presenta una buona<br />
conducibilità elettrica, e di una fascetta, anch’essa di materiale<br />
conduttore, che viene disposta su un piede del soggetto in posizione<br />
plantare. Così, quando costui si trova in piedi sulla pedana,<br />
il contatto elettrico risulta chiuso e il cronometro è fermo.<br />
Non appena il soggetto spicca il balzo, il conteggio del tempo<br />
ha inizio e si ferma soltanto quando egli ricade a terra. Il tempo<br />
così rilevato è quello di volo relativo a quel balzo.<br />
L’arresto automatico delle misurazioni dopo un numero<br />
prestabilito di balzi compiuti dal soggetto in esame risulta molto<br />
comodo per quei test che si fondano sull’esecuzione di un<br />
numero prefissato di salti in quanto l’operatore non deve far<br />
altro che programmare opportunamente lo strumento, avviare
Indirizzo all’attività sportiva<br />
le operazioni di conteggio e attenderne l’arresto automatico<br />
controllando soltanto l’esecuzione del test.<br />
In tale eventualità lo strumento misura il tempo totale (Tt)<br />
impiegato per svolgere la prova. Da questo (Tt) e dal tempo di<br />
volo complessivo (Tv), cioè la somma dei tempi di volo relativi<br />
a tutti i balzi che compongono la prova, è possibile ricavare il<br />
cosiddetto “tempo di contatto complessivo” (Tc), cioè quel tempo<br />
durante il quale il soggetto tocca terra. Infatti tra i tre tempi<br />
intercorre l’ovvia relazione Tt = Tv + Tc.<br />
L’interesse che vi è per quest’ultimo tempo deriva dal fatto<br />
che esso permette, in alcuni test, di definire la prestazione in<br />
modo più significativo. È ad esempio il caso del test di salto<br />
verticale con caduta per il quale, dal tempo di volo relativo a<br />
quest’ultimo, è possibile stimare la forza media sviluppata dal<br />
soggetto nella spinta. Allo stesso modo nei test di resistenza<br />
menzionati in precedenza, potendo determinare tempo di volo<br />
e tempo di contatto, si ricava l’energia sviluppata dal soggetto<br />
durante la prova.<br />
Facendo riferimento a un test quale il salto verticale con caduta,<br />
la rilevazione del tempo di contatto richiede che la misura<br />
abbia inizio quando il soggetto tocca terra per la prima volta.<br />
Pertanto si è dovuto esigere che l’avvio automatico di tutte le<br />
operazioni di conteggio potesse avvenire non solo all’atto dell’apertura<br />
del contatto esterno ma anche alla sua chiusura.<br />
Oltre a ciò è possibile segmentare la prova in più parti per<br />
ognuna delle quali vengono fornite delle misurazioni indipendenti<br />
per studiare l’adattamento del soggetto in esame alle condizioni<br />
di lavoro nel protrarsi del tempo. Per ogni funzione programmata<br />
è possibile visualizzare i rispettivi risultati:<br />
- per il salto verticale con caduta, il tempo di contatto ed il<br />
tempo di volo;<br />
- per la prova con i salti multipli, impostato il tempo del test<br />
(tempo totale) vengono esposti il tempo di volo totale ed il numero<br />
di salti effettuati.<br />
115
7. Metodo di indagine<br />
116<br />
Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />
La batteria di test è stata modificata rispetto a quella del lavoro<br />
precedente 3 in quanto certe prove avevano presentato degli inconvenienti.<br />
Ci riferiamo in particolare al calcolo dell’elasticità<br />
della muscolatura degli arti inferiori. Tale valore veniva ricavato<br />
dalla differenza percentuale tra due varianti di salto verticale<br />
ossia tra il salto con contro movimento (SCCM) e il salto senza<br />
contro movimento (SSCM) (figg. 1a e 1b).<br />
Nell’esecuzione del SCCM durante il quale il soggetto prima<br />
di effettuare il salto verticale, partendo dalla posizione di ritto e<br />
mani ai fianchi, doveva fare un dinamico piegamento e successivo<br />
raddrizzamento degli arti inferiori, non veniva incontrata<br />
nessuna difficoltà. Si sono posti, invece dei problemi, nell’esecuzione<br />
del SSCM nel quale il soggetto doveva, partendo dalla<br />
posizione di assoluta immobilità, con gli arti inferiori semipiegati<br />
(angolo tra gamba e coscia di 90°) e mani ai fianchi, effettuare<br />
un salto verticale sfruttando la sola spinta degli arti in modo da<br />
3 Vedi supra, nt. 2.<br />
Figg. 1a (a sinistra) e 1b (a destra).
Indirizzo all’attività sportiva<br />
Tav. 3<br />
utilizzare la sola energia espressa dalla contrazione della<br />
muscolatura estensoria.<br />
Per ragazzi di 11, 12, 13 anni restare immobili, seppur per<br />
una piccola frazione di tempo in tale posizione di partenza, era<br />
di estrema difficoltà e spesso essi facevano precedere al salto un<br />
leggero prestiramento. Ciò comportava una continua ripetizione<br />
del test con conseguente affaticamento del soggetto il quale,<br />
dopo un paio di tentativi, non solo non era più in grado di esprimere<br />
il meglio delle proprie capacità ma in alcuni casi era anche<br />
incapace di svolgere l’esercizio correttamente producendo, pertanto,<br />
dei risultati non attendibili (tav. 3).<br />
Dal grafico si nota come la dispersione sia abbondantemente<br />
sotto il valore zero. Ciò deriva senz’altro dagli inconvenienti<br />
117
118<br />
Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />
succitati in quanto l’energia elastica, se sfruttata nella maniera<br />
corretta, si deve sommare e non certo sottrarre alla forza e pertanto<br />
tutti i valori, e non soltanto quelli medi, dovrebbero trovarsi<br />
nel campo positivo del grafico. La stessa risulta, inoltre,<br />
troppo accentuata rispetto alle piccole variazioni dei rispettivi<br />
valori medi, rendendo quindi il tutto privo di significato.<br />
Il metodo precedente, comunque, può essere ritenuto valido<br />
per atleti evoluti che già posseggono un determinato controllo<br />
motorio che permette di non creare difficoltà nelle rilevazioni.<br />
Si è rinunciato così alla valutazione della pura elasticità sostituendo<br />
a essa la valutazione della potenza reattiva quale espressione<br />
contemporanea di forza ed elasticità.<br />
La batteria di test è stata quindi così modificata: alle due prove<br />
di salto suddette è stata sostituita una prova consistente in un<br />
salto verticale conseguente a una caduta da altezza determinata<br />
(T.S.V.C). Ciò ci permette di calcolare la potenza reattiva quale<br />
espressione della forza sviluppata con una certa velocità, dopo<br />
aver fissato il carico di lavoro ossia l’altezza di caduta.<br />
Tale test prevede che il soggetto si lasci cadere da uno scalino<br />
di 30 cm e, mantenendo sempre le mani ai fianchi, toccata la<br />
piastra, compia un salto verticale al massimo dell’elevazione ricadendo,<br />
poi, sulla piastra (fig. 2).<br />
Fig. 2
Indirizzo all’attività sportiva<br />
L’altezza di 30 cm è stata determinata dopo uno studio<br />
sperimentale (dati non pubblicati) condotto dagli stessi autori<br />
sull’altezza ottimale di caduta per soggetti dagli 11 ai 13<br />
anni di età.<br />
Con la strumentazione descritta è possibile registrare il tempo<br />
totale (intercorrente tra primo ed il secondo contatto in piastra)<br />
Tv e, dalla differenza dei due, determinare il tempo di contatto<br />
Tc nel quale il soggetto ammortizza la caduta incamerando<br />
energia elastica (tempo negativo) che verrà riutilizzata nella<br />
fase di spinta (tempo positivo). Usando le formule di Asmussen<br />
e Bonde-Petersen che presuppongono che il soggetto in esame<br />
svolga le fasi eccentrica e concentrica con moto uniformemente<br />
accelerato, siamo in grado anche di quantificare la forza media<br />
espressa per ammortizzare la caduta (forza negativa), quella<br />
estrinsecata per compiere il nuovo salto, l’impulso, quale prodotto<br />
della forza media per il tempo nel quale viene espressa, e,<br />
infine, il rapporto a noi parso significativo, tra la forza media e il<br />
tempo (F+/t+) cui può essere attribuito il significato di rapidità<br />
di espressione della forza di spinta.<br />
Con procedura simile sono state calcolate anche la potenza<br />
anaerobica alattacida media e la potenza totale, determinate dalla<br />
prova dei salti multipli sul tempo di otto secondi. Anche in questo<br />
caso è stato possibile calcolare i valori medi del tempo di<br />
contatto, dell’altezza dei salti, della forza positiva, dell’impulso<br />
e della velocità di salita. Per controllare poi come avveniva l’adattamento<br />
del soggetto a tale tipo di sforzo la prova è stata suddivisa<br />
in due parti onde ricavare la differenza percentuale tra l’una<br />
e l’altra, stabilendo in quale e di quanto il soggetto era riuscito a<br />
esprimere maggior potenza.<br />
Di tipo tradizionale sono invece il test di Margaria e quello<br />
dell’elevazione massima. Dal primo è stata ricavata la massima<br />
potenza anaerobica alattacida (PAA1) come rapporto tra la velocità<br />
verticale di ascesa di una scalinata di circa 12 scalini, misurata<br />
cronometrando elettronicamente il passaggio dal quarto<br />
119
120<br />
Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />
Fig. 3<br />
all’ottavo, e il rendimento meccanico del gesto motorio specifico<br />
(fig. 3).<br />
Con semplice procedimento matematico è stata ricavata anche<br />
la massima potenza meccanica sviluppata (PAA2).<br />
Dal test dell’elevazione massima (fig. 4), infine, è stato dedotto<br />
lo spostamento massimo raggiunto dal centro di gravità<br />
del soggetto in conseguenza a un salto sfruttando sia il<br />
prestiramento della muscolatura degli arti inferiori sia lo slancio<br />
degli arti superiori. Anche in questo caso è stata calcolata la<br />
velocità di ascesa.<br />
Gli autori si riservano di analizzare più in dettaglio il reale<br />
pratico significato di tale parametro.<br />
Fig. 4
8. Criteri di selezione<br />
Indirizzo all’attività sportiva<br />
La selezione costituisce probabilmente la parte concettualmente<br />
più interessante dell’intero lavoro, ma anche quella più ricca di<br />
problematiche. Se tutta l’opera svolta è da considerarsi sperimentale,<br />
essa impone indubbiamente quelle scelte a cui meglio<br />
si addice questo aggettivo.<br />
I risultati registrati dalla batteria di test applicata permettono<br />
di ricavare alcuni dati individuali ognuno dei quali si identifica<br />
con la valutazione quantitativa di uno dei principali parametri<br />
biologici inerenti al meccanismo anaerobico alattacido.<br />
L’insieme di questi dati numerici sintetizza la predisposizione<br />
di un soggetto nella riuscita in una delle discipline sportive considerate<br />
ed è pertanto naturale basare su di esso qualsiasi criterio<br />
razionale e automatico di selezione. In questi termini il problema<br />
della selezione si traduce immediatamente nel riportare<br />
correttamente sulla scala dei valori numerici dei singoli parametri<br />
di selezione, quei limiti entro i quali le rispettive valutazioni<br />
del singolo individuo devono trovarsi affinché esso possa essere<br />
ritenuto “interessante”.<br />
Non è difficile rendersi conto come la scelta più opportuna<br />
di tali limiti debba essere affidata all’esperienza. In mancanza di<br />
questa, si è cercato di adottare un metodo ragionevole e flessibile,<br />
destinato a subire eventuali modificazione nel tempo. Dopo<br />
continue verifiche sulla sua reale validità e conseguenti aggiustamenti<br />
è possibile giungere in ogni caso ad una soluzione definitiva<br />
e soddisfacente.<br />
Il metodo così adottato è quello riportato qui di seguito. Innanzi<br />
tutto l’intera popolazione esaminata è stata ripartita in<br />
classi a seconda del sesso e dell’età. Per ognuna di tali classi e<br />
per ogni parametro di selezione, è stato fissato un valore di soglia<br />
che identifica quel valore del parametro, superato il quale<br />
un soggetto incomincia ad essere “interessante”. La selezione<br />
mira ovviamente a segnalare tutti quei soggetti i quali si distin-<br />
121
122<br />
Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />
guono per qualche aspetto dalla massa. Per questo motivo il<br />
valore di soglia è stato ricavato da un’analisi globale dei valori<br />
registrati per una classe. In particolare ci si è serviti di riassunti<br />
campionari quali il valore medio e lo scarto quadratico medio,<br />
sfruttando il loro significato immediato. Il significato del primo<br />
è noto a tutti; il secondo fornisce invece un’indicazione di “quanto<br />
sia larga la fascia di valori, centrata attorno alla media, entro<br />
la quale è concentrata la massa delle rilevazioni sul campione”.<br />
Partendo da queste elementari considerazioni si è così utilizzata<br />
la formula<br />
S = m + k sqm<br />
1<br />
ove S 1 è il valore di soglia, per un parametro e per una data<br />
classe, entro la quale il parametro ha media m e scarto quadratico<br />
medio sqm, mentre k è una costante, il cui valore è unico per<br />
tutti i parametri da fissare secondo criteri di cui in seguito si farà<br />
menzione. k, come si vedrà, determina il numero di soggetti che<br />
si vuole selezionare, cioè la “selettività” del metodo qui esposto.<br />
Le specialità sportive considerate non richiedono in egual<br />
misura la presenza in un soggetto di tutte quelle caratteristiche<br />
prese come parametri di selezione.<br />
La tabella seguente, elaborata dal prof. Dal Monte e altri e da<br />
noi adottata per renderla più attinente alle nostre necessità e<br />
integrata per quanto riguarda la massima potenza meccanica<br />
sviluppata (PAA2) e l’elevazione massima, inserita sulla base di<br />
esperienze condotte in merito, dà una chiara spiegazione di quanto<br />
affermato.<br />
Essa fornisce un’analisi delle caratteristiche di un soggetto<br />
particolarmente adatto a una delle discipline elencate,<br />
schematizzando appunto l’influenza che ogni caratteristica riportata<br />
ha nella produzione della massima prestazione in ogni<br />
singola attività.<br />
Un qualsiasi metodo di selezione efficiente deve tenere conto<br />
di tali differenziazioni. In relazione al criterio seguito fin dal-
Indirizzo all’attività sportiva<br />
l’inizio, si sono dovuti pertanto tradurre in termini di valori numerici<br />
i concetti di buono, ottimo, eccellente (analogamente di<br />
alta, media, pesante ecc.). Si è così proceduto: per ogni classe e<br />
per ogni parametro è stato fissato un valore massimo S 4 al di<br />
sotto del quale è concentrato il 99.5% della popolazione. L’intervento<br />
compreso tra tale valore e il valore di soglia S 1 precedentemente<br />
discusso, è stato ripartito in 3 parti a ognuna delle<br />
quali sono stati associati ordinatamente i giudizi buono, ottimo,<br />
eccellente (alta, media, bassa etc.), mentre alla parte eccedente<br />
l’S 4 è stato associato il giudizio di massimo.<br />
Statura: A = alta; M = media; B = bassa<br />
Peso: P = pesante; M = medio; L = leggero<br />
E= eccellente; O= ottimo; B= buono; I= indifferente<br />
La situazione è quella dello schema sotto riportato:<br />
Indifferente Buono Ottimo Eccellente Massimo<br />
————+—————+—————————+————————+————————+———————<br />
valore medio S 1 S 2 S 3 S 4<br />
In tal modo un qualsiasi soggetto, relativamente alla sua età e<br />
al sesso, può essere classificato a seconda dei valori che egli ha<br />
fatto registrare, conformemente alla tabella sopra esposta, la<br />
123
124<br />
Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />
quale lo scarta o lo colloca in una o più delle discipline sportive<br />
considerate.<br />
Il valore di S 4 non è stato scelto pari al massimo assoluto<br />
osservato su una classe, come sembrerebbe naturale, perché<br />
sporadici errori di rilevazione o di ricopiatura dei dati ricavati in<br />
fase di applicazione dei test possono aver fatto registrare qualche<br />
valore errato e spropositatamente elevato, tale da innalzare<br />
troppo, rispetto alla realtà, le soglie S 2 , S 3 , S 4 .<br />
Il suddetto valore S 4 , quindi, è stato ricavato dallo studio delle<br />
curve di distribuzione per ogni relativo parametro e classe.<br />
Al di sopra di S 4 il valore registrato poteva essere considerato<br />
“massimo” ma, in certi casi, anche “sospetto”. Per far sì che<br />
proprio un risultato “sospetto” non pregiudicasse l’esito di tutta<br />
la barriera di test, tale valore era messo in “attesa” con riserva<br />
di controllare anche l’esito degli altri risultati.<br />
Quale esempio riportiamo, nella tav. 4, lo studio della curva,<br />
relativa all’intera popolazione maschile di 4917 soggetti, della<br />
massima potenza anaerobica alattacida PAA1. Considerando che<br />
lo 0.5% eccedente S 4 corrisponde a circa 24 soggetti si può stabilire,<br />
sommando sulla colonna delle frequenze (terza colonna<br />
della tav. 4), il numero pari allo 0.5% relativo, prendendo poi in<br />
considerazione il valore X 2 corrispondente.<br />
Quando al solo variare di k la selezione risulta essere ancora<br />
troppo “rigida”, è possibile anche variare l’ampiezza relativa al<br />
parametro stesso della determinata attività sportiva, passando<br />
ad esempio da valori di eccellente a quelli compresi tra ottimo<br />
ed eccellente e così via. Tale sistema si è reso anche utile perché<br />
il criterio impostato risulta essere molto selettivo, in quanto prende<br />
in considerazione ben sette parametri, e ciò specialmente in<br />
quelle discipline nelle quali la statura risulta essere indispensabile,<br />
per cui solo pochi soggetti verrebbero a corrispondere a tutte<br />
quelle caratteristiche previste dalla specialità stessa.<br />
Il criterio di selezione esposto, certamente non immune da<br />
critiche, ha comunque il pregio di essere razionale, sistematico
Indirizzo all’attività sportiva<br />
(quindi facilmente implementabile sul calcolatore) e soprattutto<br />
flessibile. Le variabili su cui si può agire sono la costante k e, in<br />
generale, il modo con cui possono essere scelte le soglie S 1 , S 2 e<br />
S 3 . Questa flessibilità è particolarmente utile qualora si presentino<br />
situazioni simili a quella che è stata a noi proposta. Nel nostro<br />
caso la selezione non ha interessato esclusivamente l’intera<br />
popolazione esaminata ma anche popolazioni più ridotte quali<br />
quelle individuate dai singoli Istituti scolastici. Dovendo garantire<br />
a ognuno di essi un numero minimo di elementi selezionati,<br />
si è stati costretti a diminuire la selettività, soprattutto tenendo<br />
conto delle scuole meno numerose. I soggetti segnalati in questo<br />
modo, pur non costituendo l’élite in assoluto, sono pur sempre<br />
il meglio che vi è in quell’ambiente scolastico e come tale<br />
interessano ovviamente i docenti di educazione fisica che lì operano.<br />
Così si è ripetutamente agito sul valore della costante k,<br />
abbassandolo all’occorrenza, cercando di ottenere nell’ambito<br />
di ogni Istituto un giusto compromesso tra qualità dei soggetti<br />
selezionati e loro numero.<br />
Concludendo appare doveroso puntualizzare due cose: la<br />
prima riguarda la scelta per “tentativi” della costante. Ciò può<br />
sorprendere ma, se si considera che le curve di normalità ricavate<br />
dall’intera popolazione esaminata (tav. 4) per ogni parametro<br />
hanno lo stesso andamento anche per campioni più piccoli<br />
individuati in singole scuole, fa pensare che ci siano dei valori<br />
proporzionali tra popolazione e campione.<br />
È su questa proporzionalità che è basata la validità sperimentale<br />
della costante e quindi di tutto lo studio proposto. È<br />
ovvio che i dati riportati danno maggior affidamento per la popolazione<br />
studiata, ma, vista la distribuzione manifestamente<br />
casuale, possono rappresentare un ottimo mezzo di confronto<br />
anche per popolazioni diverse.<br />
Il secondo punto da considerare è che il sistema descritto,<br />
strutturato su modelli matematico-statistici, non può prevedere<br />
le infinite variabili che determinano la prestazione in quanto<br />
125
126<br />
Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />
Tav. 4<br />
non può tener conto di fattori di ordine neuro-fisiologico, psicologico<br />
e motivazionale.<br />
Questo studio, pertanto, può essere considerato un ottimo<br />
mezzo di aiuto per indirizzare un soggetto alla disciplina sportiva<br />
a lui più consona: il pregio del sistema esposto è quello di<br />
indicare dei valori a cui far riferimento, per ogni specialità in<br />
base all’impegno più o meno rilevante che ogni caratteristica<br />
acquista nell’estrinsecazione della massima prestazione.
Indirizzo all’attività sportiva<br />
9. Indirizzi all’attività sportiva e criteri prognostici<br />
Il confronto di tutti i risultati da ogni singolo soggetto con i<br />
valori teorici relativi alla specifica attività sportiva dà modo di<br />
collocare e quindi di indirizzare il singolo a una o più attività, in<br />
base alle particolari esigenze delle stesse. Per comodità di interpretazione<br />
e di individuazione, tutti i selezionati sono stati suddivisi<br />
per Istituto di appartenenza ed elencati in tavole, relative<br />
alle singole scuole, sulle quali è indicato, oltre al codice di<br />
individuazione del soggetto, ogni parametro ad esso relativo,<br />
con il giudizio letterale corrispondente.<br />
A fianco dell’attività già eventualmente praticata è presente<br />
l’indicazione della o delle specialità alle quali il soggetto, in base ai<br />
giudizi ottenuti, viene indirizzato: pallacanestro PC, pallavolo PV,<br />
pallamano PM, velocità VE, salto in alto SA e salto in lungo SL.<br />
Nelle tavv. 5a e 5b vengono riportati due esempi di selezione<br />
relativi allo stesso Istituto, al fine di dimostrare anche come<br />
sia possibile considerare diversi valori di k (vedi § 8), per rendere<br />
flessibile il sistema in modo da adattarlo a varie esigenze.<br />
Una considerazione che appare evidente dalle tavole citate è<br />
quella che più k risulta maggiore, più risulta maggiore la selettività<br />
e più evidenti appaiono le differenze tra le varie discipline. La<br />
proporzionalità quindi tra i risultati forniti dai test e l’indirizzo<br />
all’attività specifica risulta essere affidato proprio a tale valore.<br />
Nel caso che il campo di selezione risulti sempre più ampio,<br />
a k vengono attributi valori sempre minori con conseguenze<br />
che la precisione del sistema viene man mano diminuita.<br />
Riferendosi a quanto riportato negli ultimi paragrafi del capitolo<br />
precedente e analizzando le tavv. 5a e 5b, possiamo notare<br />
quanto detto proprio in quelle specialità nelle quali la statura viene<br />
a essere un parametro determinante. Non a caso quindi nella<br />
tav. 5a non risulta alcun selezionato per l’attività pallacanestro<br />
PC. Ciò si deve al fatto che, con un valore di k elevato, valori di<br />
statura uguali o superiori a quelli considerati “ottimi” non sono<br />
127
128<br />
Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />
stati registrati. Nella tav. 5b, invece, possiamo notare che, sempre<br />
per la pallacanestro, i valori stabiliti vengono raggiunti in<br />
quanto, con un k minore, i valori di soglia risultano essere anch’essi<br />
minori.<br />
Un’altra precisazione da fare riguardo le tavv. 5a e 5b, cosa<br />
del resto già chiarita nel § 8, è che per i motivi di “rigidità della<br />
selezione” può anche essere variata “l’ampiezza relativa al parametro<br />
stesso della determinata attività sportiva”. Ciò può far<br />
sorgere alcune mancate corrispondenze tra quanto riportato nelle<br />
tavole sopra citate e quello indicato nella tavola del capitolo precedente,<br />
costruita, molto probabilmente, solo su valori teorici<br />
in quanto non risulta specificato su che tipo di campione tali<br />
indicazioni sono state ricavate.<br />
Dopo la trasmissione dei relativi dati alle scuole ed alle società<br />
sportive interessate, il lavoro entra nella sua fase di verifica<br />
che dovrà convalidare il metodo esposto.<br />
Tale convalida si basa sul confronto dei dati registrati nei test<br />
con i risultati delle singole prestazioni ottenute nella specifica<br />
disciplina, i quali, in teoria, dovrebbero essere accompagnati da<br />
un miglior adattamento di tutte quelle caratteristiche bio-fisiologiche<br />
influenzanti l’attività stessa, convalidando quelle leggi<br />
teoriche sulle quali si basa lo studio del talento.<br />
Oltre ai successivi controlli sui selezionati, sia nelle scuole<br />
di appartenenza, nelle quali i ragazzi dovrebbero venir invogliati<br />
a seguire le ore di attività extrascolastiche, sia nelle rispettive<br />
società sportive, saranno di grande utilità delle indicazioni<br />
obiettive dei rispettivi insegnanti al fine di poter anche<br />
valutare l’impegno che ogni selezionato dimostra. Tale impegno<br />
risulta essere indispensabile per la riuscita; se mancasse,<br />
verrebbe ovviamente a cadere il punto cardinale della resa in<br />
qualsiasi attività sportiva.<br />
I risultati esigono perciò la convalida nel tempo e pertanto<br />
risulta necessario che tutto il lavoro venga riproposto a cicli successivi,<br />
sia come verifica sia come nuova fase di selezione.
Indirizzo all’attività sportiva<br />
A tale proposito gli autori propongono una stretta collaborazione<br />
tra gli Enti già partecipanti a questa prima fase dello<br />
studio e le Società sportive eventualmente interessate in modo<br />
da far sì che questo lavoro diventi un primo ciclo di un qualcosa<br />
di indispensabile per il futuro dello sport.<br />
10. Risultati statistici ottenuti<br />
a) Studio dei valori medi<br />
Per ogni parametro preso in considerazione è stato calcolato il<br />
valore medio (MEDIA), lo scarto quadratico medio (SQM), il<br />
valore massimo riscontrato (MAX) e quello minimo (MIN).<br />
Come esempio riportiamo la tav. 6 nella quale sono trascritti i<br />
valori generali per il campione maschile.<br />
Per semplificare la lettura delle tabelle si puntualizza che la<br />
sigla TSVC fa riferimento al test di salto verticale con caduta dal<br />
quale sono stati ricavati anche i valori del “rapporto F+/t+”,<br />
mentre con la dicitura TCA ci si riferisce ai parametri ricavati<br />
dalla prova dei salti multipli per la determinazione della potenza<br />
anaerobica alattacida media e totale.<br />
Per quanto riguarda i valori di “TCA Diff.Perc.”, si fa riferimento<br />
alla differenza registrata tra le due fasi della prova dei<br />
salti multipli; il segno (-) indica come i risultati della prima fase<br />
del test prevalgono su quelli della seconda, indicandoci probabilmente<br />
come la quota di energia proveniente dalla scissione<br />
dell’ATP, sia appena più elevata, in soggetti di questa età, rispetto<br />
a quella proveniente dalla risintesi ad opera del CP.<br />
Per semplicità di interpretazione, per ogni parametro elencato<br />
viene riportato il corrispondente significato con la relativa<br />
unità di misura. Ciò risulterà utile anche per l’analisi di tutti gli<br />
altri risultati.<br />
Nella parte bassa di ogni relativa tabella, viene riportata la<br />
“frequenza delle risposte nei test”.<br />
129
130<br />
Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo
Indirizzo all’attività sportiva<br />
Tavv. 5a (in alto) e 5b (in basso)<br />
131
132<br />
Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />
Tav. 6<br />
Per quanto riguarda le risposte registrate, la dicitura “alta” e<br />
“bassa”, si riferisce alla statura dei genitori; “tanto”, “medio” e<br />
“poco”, alle abitudini alimentari di ogni singolo soggetto e “praticata”<br />
“non praticata” all’eventuale attività sportiva praticata<br />
dal singolo genitore.
Indirizzo all’attività sportiva<br />
b) Studio sulla pratica delle varie discipline sportive<br />
Nelle tavv. 7a e 7b rispettivamente per le femmine e per i maschi,<br />
sono riportate le attività sportive scolastiche ed<br />
extrascolastiche praticate dai singoli soggetti.<br />
I valori si riferiscono alla frequenza nelle risposte e sono stati<br />
suddivisi in base all’età, con il riporto dei valori medi totali<br />
nell’ultima colonna a destra.<br />
L’interpretazione dei risultati riportati nelle tabelle citate dà<br />
adito ad alcune considerazioni di carattere generale.<br />
In primo luogo si può constatare come i maschi pratichino<br />
in maggior numero l’attività sportiva (circa un 15% in più rispetto<br />
alle femmine). Le discipline più praticate dalle femmine,<br />
da quanto appare nell’ultima colonna delle rispettive tabelle, sono<br />
la pallavolo, il basket, la ginnastica ritmica, il nuoto, la danza,<br />
l’atletica leggera e il pattinaggio mentre i maschi praticano nell’ordine<br />
il calcio, il basket, il nuoto, l’atletica pesante, la pallavolo,<br />
l’atletica leggera, il tennis e la pallamano.<br />
Considerando la frequenza anno per anno, si deve constatare<br />
un fenomeno estremamente sconsolante che investe tutti e<br />
due i sessi: dagli 11 ai 14 anni infatti circa il 25% dei soggetti<br />
abbandona l’attività sportiva.<br />
Due esempi meritano di essere evidenziati e riguardano il basket<br />
e il nuoto, che nell’arco di 4 anni perdono rispettivamente quasi il<br />
70% e il 50% dei praticanti. Tale cifra sembra estremamente elevata<br />
anche in considerazione del fatto che nella pallacanestro, più<br />
che in ogni altra disciplina sportiva, intervengono prevalentemente<br />
fattori coordinativi e antropometrici, che determinano una precoce<br />
specializzazione del ruolo la quale a sua volta porta a una<br />
rigida selezione naturale. Nel nuoto invece la selezione è determinata<br />
principalmente da fattori condizionali e psicologici; esso inoltre<br />
viene intrapreso non necessariamente con scopi agonistici,<br />
ma con fini puramente educativi. Una volta quindi imparate le<br />
tecniche di base, una gran parte dei praticanti se ne allontana.<br />
133
134<br />
Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />
Tavv. 7a (in alto) e 7b (in basso)
Indirizzo all’attività sportiva<br />
Un andamento simile, ma meno pronunciato, lo si avverte<br />
nel tennis, nella ginnastica artistica, nella danza e nel calcio.<br />
Per quanto riguarda invece le attività in genere più praticate<br />
a livello scolastico quali pallavolo, pallamano e l’atletica leggera,<br />
si può notare come tra gli 11 ed i 14 anni ci sia un netto aumento<br />
della partecipazione sia maschile che femminile. Ciò può essere<br />
attribuito al fatto che coloro che si avvicinano all’attività<br />
sportiva, in questa età, ne traggono forse maggiore soddisfazione<br />
in considerazione di una maggiore maturità con la quale può<br />
venir affrontato un simile impegno sia fisico che psicologico.<br />
Ciò fa dedurre che l’età d’inizio dell’attività deve essere tenuta<br />
in seria considerazione: cercare di anticipare i tempi porta<br />
inevitabilmente a scompensi negativi tra i quali il più frequente<br />
è l’abbandono dell’attività intrapresa, se non addirittura l’allontanamento<br />
dallo sport in generale.<br />
In un discorso contestuale quindi tali considerazioni devono<br />
far nascere una certa preoccupazione in quanto risulta chiaro<br />
che attualmente la tappa fondamentale del curriculum sportivo,<br />
perlomeno nella popolazione esaminata, è l’ambiente antecedente<br />
la scuola media di primo grado. Tale fase (scuola elementare)<br />
non prevede un organo coordinativo sufficientemente valido<br />
per affrontare e risolvere un problema così importante e<br />
vasto, problema che è lasciato a operatori non specializzati in<br />
questo campo, o a iniziative private che però operano prevalentemente<br />
con indirizzo specifico e unilaterale e il più delle volte<br />
non sono portati a considerare certi aspetti fondamentali dello<br />
sviluppo e dell’evoluzione organica, fisica, motoria e maturativa<br />
del soggetto stesso.<br />
c) Studio statistico per ore di pratica e per attività sportiva<br />
Nella parte “a” della tav. 8 “statistiche per ore di attività” vengono<br />
riportati, in base al numero di ore di attività indicate nella<br />
prima colonna a sinistra sull’ordinata, i valori medi con il relati-<br />
135
136<br />
Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />
Tav. 8a
Tav. 8a<br />
Indirizzo all’attività sportiva<br />
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Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />
Tav. 8b
Tav. 8b<br />
Indirizzo all’attività sportiva<br />
139
140<br />
Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />
vo scarto quadratico medio, indipendentemente dall’attività sportiva<br />
praticata. Il numero dei soggetti è indicata nella seconda<br />
colonna dell’ordinata. I parametri numerati in ascissa corrispondono<br />
a: 1-peso, 2-statura, 3-rapporto statura/peso, 5-massima<br />
potenza anaerobica alattacida (PAA1), 6-massima potenza meccanica<br />
sviluppata (PAA2), 7-TSVC potenza reattiva, 8-TSVC<br />
altezza del salto, 12-TSVC forza positiva, 14-TSVC impulso, 16elevazione<br />
massima, 18- potenza alattacida media, 26-rapporto<br />
F+/t+.<br />
Tale suddivisione è stata fatta per poter controllare l’eventuale<br />
influenza del numero di ore di allenamento praticate su<br />
alcune caratteristiche studiate.<br />
Nella parte “b” delle rispettive tavole “statistiche per sport<br />
praticato”, vengono riportati in ascissa i valori medi dei parametri<br />
e in ordinata l’attività sportiva praticata, al fine di studiare<br />
l’influenza dell’attività sportiva specifica su una determinata caratteristica<br />
antro- fisiologica e/o biomeccanica.<br />
11. Verifica dei presupposti adottati<br />
Tutto lo studio presentato si basa sulla valutazione del meccanismo<br />
alattacido e in particolare sul fatto che esso viene considerato<br />
un qualcosa di congenito nel soggetto stesso e quindi<br />
ritenuto non considerevolmente influenzabile dal fattore allenamento.<br />
L’inalterabilità quindi dei risultati ricavati dai test applicati ha<br />
permesso di non incorrere nell’imprecisione di evidenziare anche<br />
coloro che, se pur non in possesso delle caratteristiche richieste,<br />
beneficino in maniera rilevante di un allenamento specifico.<br />
Ci pare quindi opportuna una verifica in questo senso, con<br />
una particolareggiata analisi statistica dei risultati riportati nel §<br />
10 punto c, per poter inequivocabilmente affermare che le pre-
Indirizzo all’attività sportiva<br />
stazioni ottenute da ogni singolo non sono condizionate da alcun<br />
agente esterno.<br />
Si è agito considerando i risultati riportati nelle tavole “a”<br />
(statistiche per ore di attività) e “b” (statistiche per sport praticato)<br />
con la suddivisione per classe e in sottogruppi “non praticanti”<br />
e “praticanti”.<br />
Così operando sono state prese in considerazione le seguenti<br />
grandezze: peso (1), statura (2), potenza anaerobica<br />
alattacida (5), massima potenza meccanica (6), TSVC forza<br />
pos. (12), TSVC impulso (14), elevazione massima (16) e potenza<br />
alattacida media (18).<br />
L’eventuale riscontro di differenze significative, riscontrate<br />
tra classi di età e relativi sottogruppi, può condurre ad affermare<br />
che le caratteristiche studiate risultano influenzate dall’allenamento;<br />
contrariamente, se eventuali differenze non dovessero<br />
esistere, potremmo concludere che l’eventuale attività sportiva<br />
non condiziona alcunché, convalidando così i presupposti<br />
sui quali è stato intrapreso il lavoro.<br />
I parametri atti a rilevare tali diversità nel miglior modo sono<br />
le medie delle differenze tra i soggetti “non praticanti” e quelli<br />
“praticanti” di età inferiore con quelli di età superiore, confrontando<br />
tra loro ogni grandezza.<br />
L’indagine statistica mira proprio a fornire una stima di tali<br />
valori medi evidenziando anche “il margine di errore” con cui<br />
essa viene determinata.<br />
Nelle tavv. 8a (femmine) e 8b (maschi) vengono riportati i<br />
risultati più significativi ricavati dai sottogruppi più numerosi.<br />
Esse sono state costruite con un confronto sistematico tra<br />
gruppi di età diversa calcolando i valori medi (m) e lo scarto<br />
quadratico medio s (sqm) di ogni parametro:<br />
m (p.) = X (p.12 anni) - X<br />
m (n.p) = Xn. (p.12 anni) - X (p.11 anni)<br />
dove:<br />
141
142<br />
Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />
X = è il valore medio del parametro studiato<br />
2 2 sqm = [s /n(p12 + s /n(p11 ] (p) (p.12 anni) anni) (p11anni) anni) 0.5<br />
2 2 sqm =[s /n(np.12anni) + s /n(np11anni) ] (np) (np12anni)<br />
(np11anni)<br />
0.5<br />
dove:<br />
s = è lo scarto quadratico medio del parametro studiato<br />
n = è il numero di soggetti<br />
M = m (p.) -m (np.)<br />
SQM = sqm (p) -sqm (np)<br />
IC (-) = M - (SQM * ks)<br />
IC (+) = M + (SQM * ks)<br />
dove:<br />
ks = costante (1,96), che indica la probabilità pari al 95% di<br />
avere il valore medio reale contenuto nell’intervallo.<br />
Una rapida analisi degli intervalli di confidenza, tenuto conto<br />
del loro significato statistico, riportati nelle tavv. 8a e 8b fa<br />
pensare che, sebbene esistano delle differenze tra i valori medi<br />
“stimati”, possono esistere differenze tra i valori medi reali.<br />
Se non dovesse esistere differenza tra le due popolazioni,<br />
quella tra i valori medi dovrebbe essere idealmente nulla.<br />
Per cercare di risolvere questa indeterminazione che inevitabilmente<br />
accompagna una stima campionaria quale la media e<br />
quindi per cercare di dare una risposta precisa, scopo di questa<br />
verifica, è stato condotto un test statistico (test dei campioni<br />
indipendenti) che, sulla base dei valori medi (M e SQM) calcolati,<br />
permette di appurare se gli scostamenti ricavati dalle differenze<br />
dei rispettivi sottogruppi per ogni gruppo di età hanno<br />
un riscontro reale o nullo.<br />
È stato perciò determinato il rapporto<br />
(M) e (SQM)<br />
e successivamente confrontato con la costante 1.96 (per “p”
Indirizzo all’attività sportiva<br />
= 95%) o 2.58 (per “p” = 99%) relativa alla probabilità “p” che<br />
il valore medio sia contenuto nell’intervallo. Nel caso che il valore<br />
ricavato dal rapporto sia maggiore della costante i risultati<br />
dei due gruppi di età sono da considerarsi diversi, nel caso contrario,<br />
uguali.<br />
Il risultato fornito dal test (tav. 9a e 9b) in generale non<br />
evidenzia delle reali differenze tra i valori medi; esse, se esistono,<br />
sono molto piccole e perciò non palesemente rese esplicite<br />
dai test statistici applicati.<br />
A tal punto, riscontrata però l’entità di queste differenze, bisogna<br />
tener presente che possono essere dovute a fattori di altro<br />
genere quali piccole variazioni che rientrano in quel margine di<br />
errore non più statistico, ma dovuto probabilmente ai benefici<br />
concreti dell’allenamento definibili come una migliore capacità<br />
coordinativa nelle seppur banali azioni motorie riprodotte o da<br />
un miglior utilizzo di quelle immediate riserve energetiche che<br />
determinano una estrinsecazione di potenza. Ambedue tali caratteristiche<br />
determinano un innalzamento del rendimento biochimico<br />
con conseguente miglioramento della prestazione motoria.<br />
Una conferma di quanto fin qui esposto lo si riscontra in<br />
uno studio longitudinale, nel quale sono stati presi in considerazione<br />
100 soggetti a circa 18 mesi di distanza, e applicati gli<br />
stessi test motori e la medesima elaborazione statistica.<br />
A questo punto possiamo affermare che le prestazioni determinate<br />
dall’utilizzo della massima potenza alattacida sono strettamente<br />
appartenenti al singolo, con personali leggi di sviluppo.<br />
Giustamente quindi è possibile basare su tale riscontro un<br />
criterio di indagine al fine di indirizzare appropriatamente soggetti<br />
di giovane età a una disciplina sportiva che prevede lo sfruttamento<br />
di tale processo energetico come predominante. Riteniamo<br />
pertanto indispensabile far porre l’attenzione sull’importanza<br />
di un’applicazione di massa di tali test in quanto chi, e<br />
solamente chi, già in giovane età risulta avere un’elevata potenza<br />
anaerobica alattacida potrà poi emergere in attività sportive<br />
143
144<br />
Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />
Tav. 9a
Indirizzo all’attività sportiva<br />
Tav. 9b<br />
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Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />
che richiedono l’impegno esclusivo o prevalente di tale processo<br />
energetico, traendone quindi la massima soddisfazione.<br />
12. Verifica dei risultati<br />
Come già accennato, il confronto diretto tra i dati ricavati dai test<br />
con quelli registrati nella specifica disciplina sportiva può convalidare<br />
le ipotesi sulle quali si basa tutto il lavoro presentato.<br />
Senza dubbio questa parte dello studio appare come quella<br />
più interessante, perché può fornire un esplicito assenso al metodo<br />
che finora è apparso puramente teorico.<br />
In quest’ultima fase, quindi, si sono paragonati questi due tipi<br />
di risultati; ciò è stato possibile per le specialità dell’atletica leggera<br />
quali la corsa veloce, il salto in lungo e il salto in alto, dove il<br />
risultato è quantificato in un’unità di tempo o di spazio, mentre<br />
non si è trovata una soluzione per i giochi sportivi in quanto manca<br />
la possibilità di avere un preciso indice di riferimento.<br />
A tal fine sono stati raccolti tutti i risultati dei Giochi della<br />
Gioventù, della fase provinciale di Trieste, relativi all’atletica leggera,<br />
degli anni 1983, ’84 e ’85 dai quali sono stati estratti tutti<br />
coloro che avevano effettuato i test preposti e partecipato ai<br />
giochi scolastici. Per ogni soggetto così individuato, sono stati<br />
riportati i due tipi di prestazioni ottenute.<br />
Per il confronto tra queste ultime, quella di gara è stata trasformata<br />
in punteggio in base alle vigenti tabelle di trasformazione<br />
della Fidal (1983), affinché ogni soggetto di qualsiasi età<br />
e/o categoria possa essere paragonato a un altro anche se di<br />
diversa età e/o disciplina.<br />
Per i risultati dei test, invece, si è proceduto a una ricodifica<br />
dei “concetti” indifferente, buono, ottimo, eccellente e massimo,<br />
sostituendoli con valori numerici. Tale trasformazione ha<br />
permesso di sommare e quindi di determinare, per ogni singolo,<br />
dei valori riassuntivi.
Indirizzo all’attività sportiva<br />
Per la precisione si è tenuto conto della somma di PAA1 (x3),<br />
PAA2 (x4), Pot. Reat. (x5), Elev. Max. (x6) e Cap. Alatt. Tot. (x7),<br />
denominata SOM mentre SOX corrisponde alla somma di tutti i<br />
parametri elencati compresi la statura (x1) e il peso (x2).<br />
Sono stati così estratti 776 soggetti in considerazione di cinque<br />
specialità e precisamente: corsa veloce, corsa a ostacoli, salto<br />
in alto, salto in lungo e 2000 m di corsa piana. Quest’ultima disciplina,<br />
rappresentata da un campione piccolissimo di appena 23<br />
unità, è stata considerata unicamente per la controprova del sistema<br />
in quanto come impegno energetico richiesto è indipendente<br />
da quello trattato. La corsa a ostacoli, invece, è stata presa in considerazione<br />
per fornire utili indicazioni al fine di poter inserire<br />
quest’ultima in un eventuale campo più vasto di selezione.<br />
Lo studio di verifica è stato così congegnato in due tempi: uno<br />
considerando tutto il campione di 753 soggetti indipendentemente<br />
dall’indirizzo e dalla specialità alla quale avevano partecipato e il<br />
secondo analizzando solo coloro che, indirizzati con il sistema<br />
esposto nel corso della trattazione a una delle discipline considerate,<br />
quali corsa veloce, salto in lungo e salto in alto, avevano<br />
partecipato alla stessa disciplina nei giochi scolastici.<br />
Il punteggio della gara è stato così correlato sia con i valori<br />
SOM e SOX, sia con ogni singolo parametro (x1, x2, ... x7), al<br />
fine di riscontrare tutte le analogie tra i due tipi di prestazione.<br />
Nelle tavv. 10a (per l’intero campione), 10b (per quello femminile)<br />
e 10c (per quello maschile), vengono riportati i valori<br />
delle correlazioni (COEFFICIENT), il numero di casi sui quali<br />
sono stati calcolati (CASES) e la significatività “p”<br />
(SIGNIFICANCE), relativo a ogni parametro (x1, x2, ecc.), le<br />
somme SOX e SOM.<br />
Ogni campione è stato poi suddiviso in gruppi in base alla<br />
specialità: corsa a ostacoli (SUBFILE S1), corsa piana (SUBFILE<br />
S2), salto in alto (SUBFILE S3), salto in lungo (SUBFILE S4).<br />
Controllando le correlazioni ricavate da ogni singolo parametro,<br />
si può notare come ci sia una particolare corrispondenza<br />
147
148<br />
Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />
tra tutte le specialità e il salto verticale con caduta, il cui valore<br />
ricavato della potenza reattiva (x5) è altamente correlato con<br />
tutte le discipline.<br />
Il Margaria test, invece (x3 e x4), non è correlato con la corsa<br />
a ostacoli e poco per il salto in alto, molto probabilmente in<br />
virtù del fatto che non può tener conto della mobilità articolare<br />
coxo-femorale, della coordinazione e del ritmo richiesti che influenzano<br />
la prestazione unitamente alle caratteristiche considerate.<br />
Riguardo il test sull’elevazione massima (x6), si nota come ci<br />
sia un’ottima corrispondenza con le specialità di salto, meno<br />
marcate, ovviamente, con quelle di corsa.<br />
Sorprende però che proprio nel salto in alto femminile sia<br />
stata registrata la significatività più bassa.<br />
Ciò molto probabilmente è dovuto al fatto che in ambiente<br />
scolastico la selezione delle saltatrici è stata fatta considerando<br />
come caratteristica più importante la statura (x1) delle atlete (p<br />
= 0.004) invece dell’elevazione (x6) (p = 0.145); questo è esattamente<br />
l’opposto di quanto accade ai maschi che per questa specialità<br />
vengono considerati i “saltatori” (x6) (p = 0.001) anche<br />
se non con caratteristiche antropometriche richieste (x1 - p =<br />
0.126, x2 - p = 0.321).<br />
Infine possiamo notare come il test sulla capacità alattacida<br />
(x7) risulti ben correlato a tutte le specialità (tavv. 10a, b, c).<br />
Per il campione femminile (tav. 10b), invece, le cose sono un<br />
po’ differenti in quanto risulta condizionato dal peso (x2); si<br />
può notare infatti come quest’ultimo, intervenendo nel calcolo,<br />
ha un comportamento parallelo a tale parametro.<br />
Per quanto riguarda invece la corrispondenza con l’intera<br />
batteria di test, i valori SOM e SOX si sono dimostrati perfettamente<br />
attinenti alle specialità considerate e solo in pochi casi c’è<br />
una significatività diversa da p = 0.001. Questo fa dedurre molto<br />
chiaramente che esiste una netta concordanza tra le due prestazioni;<br />
si può perciò affermare che tutti coloro che hanno avuto
Indirizzo all’attività sportiva<br />
Tavv. 10a (in alto) e 10b (in basso)<br />
149
150<br />
Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />
Tav. 10c<br />
nei test buoni risultati li hanno poi riconfermati nelle gare alle<br />
quali hanno partecipato.<br />
A tale proposito possiamo fare ancora un’ultima considerazione:<br />
dalle informazioni ricavate da tutti i soggetti esaminati,<br />
sappiamo che il 43% non svolge alcuna disciplina sportiva<br />
extrascolastica, il 43% è suddiviso in ben 23 discipline diverse e<br />
solo il 14% ha dichiarato di praticare una disciplina dell’atletica<br />
tra quelle considerate.<br />
Ciò valorizza ancor più i risultati ottenuti in quanto ci porta<br />
a dedurre che, se in un individuo esistono delle caratteristiche di<br />
base, biologiche e antropometriche, i risultati che si possono<br />
raggiungere, anche in tempi brevi, sono da considerarsi validi e<br />
significativi. Per la seconda parte della verifica, quella riguardante<br />
solo quei soggetti che hanno gareggiato in una di quelle
Indirizzo all’attività sportiva<br />
Tav. 11<br />
specialità la quale gli era stata indicata dal sistema di indirizzo, i<br />
risultati sono riportati nella tav. 11.<br />
Gli 81 soggetti considerati (25 corsa piana, 36 salto in alto,<br />
20 salto in lungo) hanno fornito risultati che si possono considerare<br />
estremamente positivi ed incoraggianti in quanto la validità<br />
statistica registrata risultata elevata in tutti i parametri considerati<br />
(eccetto x7).<br />
Analizzando poi tutte le informazioni ricavate da questo gruppo<br />
di soggetti, risulta che solo 10 di essi come attività<br />
extrascolastica hanno dichiarato di praticare una delle specialità<br />
considerate, 11 non ne svolgono alcuna e gli altri 60 sono “distribuiti”<br />
tra ben 13 specialità diverse.<br />
Questo può far ritenere che la maggior parte di coloro che<br />
hanno partecipato alle gare scolastiche lo hanno fatto, molto<br />
151
152<br />
Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />
Tav. 12<br />
probabilmente, con un limitato bagaglio tecnico specifico, cosa<br />
che può aver creato uno scostamento tra i due risultati, facendo<br />
sì che il rendimento meccanico del gesto atletico da riprodurre<br />
sia molto basso.<br />
Ciò è una conferma ulteriore dei risultati in quanto indica che<br />
tali soggetti posseggono ampi margini di miglioramento che se<br />
sfruttati possono innalzare notevolmente le prestazioni di gara.<br />
Indicativo risulta anche quanto riportato nella tav. 12 dove<br />
appaiono i valori di “p” ricavati su un piccolo gruppo di soggetti<br />
che hanno partecipato ai giochi nei 2000 m di corsa piana.<br />
Anche se con pochi casi, i valori della probabilità sono estremamente<br />
elevati, facendo ritenere che non esiste corrispondenza<br />
tra i risultati, proprio in funzione del fatto che i processi energetici<br />
che regolano la prestazione nei test e la riuscita in tale specialità<br />
sono totalmente indipendenti.<br />
13. Conclusioni e prospettive future<br />
L’interpretazione di un fenomeno studiato secondo una o più<br />
variabili pone certamente dei problemi all’operatore che deve da<br />
un lato programmare e sintetizzare rispettivamente il metodo e la<br />
sua verifica e dall’altro analizzare i risultati in relazione alla concordanza<br />
con le ipotesi formulate in precedenza. Quando tale<br />
analisi viene condotta sull’uomo subentrano delle enormi difficoltà<br />
nell’elaborare e applicare oggettivamente un metodo in con-
Indirizzo all’attività sportiva<br />
siderazione delle molteplici variabili presenti in esso, alcune delle<br />
quali, come già accennato precedentemente, sono di difficilissimo<br />
rilievo obiettivo (ad esempio quelle psicologiche).<br />
Prendendo in esame quest’ultimo concetto, vediamo come il<br />
senso più stretto di valutare significa misurare, ridurre l’esaminato<br />
a una molteplicità di dati, che possono permettere un confronto.<br />
Per l’educatore fisico, quindi, la valutazione rappresenta<br />
un elemento fondamentale, quasi uno strumento per migliorare<br />
il suo programma didattico.<br />
Per quanto riguarda il metodo impostato, appare doveroso<br />
puntualizzare ancora due cose: la prima è indirizzata alla scelta<br />
per “tentativi” della costante. Ciò può sorprendere ma, se si considera<br />
che le curve di normalità ricavate dall’intera popolazione<br />
esaminata per ogni parametro hanno lo stesso andamento anche<br />
per campioni più piccoli individuati in singole scuole, fa pensare<br />
che ci siano dei valori proporzionali tra popolazione e campione.<br />
È su questa proporzionalità che è basata la validità sperimentale<br />
della costante e quindi di tutto lo studio proposto. È<br />
ovvio che i dati riportati danno maggior affidamento per la popolazione<br />
studiata, ma, vista la distribuzione manifestamente<br />
casuale, possono rappresentare un ottimo mezzo di confronto<br />
anche per popolazioni diverse.<br />
Il secondo punto da considerare è che il sistema descritto,<br />
strutturato su modelli matematico-statistici, non può prevedere<br />
le infinite variabili che determinano la prestazione in quanto<br />
non può tener conto di fattori di ordine neuro-fisiologico, psicologico<br />
e motivazionale.<br />
Questo studio, pertanto, può essere considerato un ottimo<br />
mezzo di aiuto per indirizzare un soggetto alla disciplina sportiva<br />
a lui più consona: il pregio del sistema esposto è quello di<br />
indicare dei valori a cui far riferimento, per ogni specialità in<br />
base all’impegno più o meno rilevante che ogni caratteristica<br />
acquista nell’estrinsecazione della massima prestazione.<br />
Alla luce di quanto fin qui descritto, ricollegandoci a quanto<br />
153
154<br />
Giancarlo Pellis-Giampaolo Olivo<br />
verificato nei due capitoli precedenti, dove si è puntualizzato che<br />
in un individuo l’allenamento non modifica in maniera apprezzabile<br />
le prestazioni determinate dall’utilizzo del sistema alattacido,<br />
in quanto quest’ultimo è un qualcosa di strettamente appartenente<br />
al singolo, siamo portati a esprimere un parere favorevole sia<br />
alla formulazione di batteria di test, per lo studio e/o l’indirizzo a<br />
specifiche discipline o a gruppi di attività sportive, sia all’applicazione<br />
di tali metodi di ricerca su vaste popolazioni simili a quella<br />
presentata, che a nostro avviso dovranno trovare una giusta collocazione<br />
nel mondo dello sport a qualsiasi livello.<br />
Un lavoro di tale tipo, protratto nel tempo, potrà in sintesi<br />
raggiungere nuove conoscenze che verranno poi sintetizzate dando<br />
soddisfacenti spiegazioni sui perché di ben precise scelte.<br />
L’importante è che dietro tali scelte, cioè dietro il lavoro di un<br />
educatore, vi sia un lavoro di ricerca, di studio, di sperimen-tazione,<br />
garanzia indispensabile per un risultato altamente specializzato.<br />
A tale scopo ci si può orientare su metodi di più facile realizzazione<br />
di quello presentato, essendo il sistema applicabile da<br />
chiunque operi nel settore, potendo ugualmente ricavare indicazioni<br />
utili e indispensabili allo scopo, anche con materiali e<br />
mezzi molto meno sofisticati. È proprio la volontà di fare che<br />
fa nascere l’ingegno di operare in un certo modo.<br />
A tale proposito possiamo ancora spendere qualche parola<br />
su questioni tecniche che si sono già manifestate in quest’esperienza<br />
e per le quali è stata già abbozzata una soluzione ottimale.<br />
Infatti il peso della parte tecnica è talmente rilevante da influenzare<br />
notevolmente sia l’organizzazione del lavoro sia la teoria<br />
su cui esso si basa. I problemi nascono proprio dal numero elevato<br />
di dati ricavati e dalla loro successiva manipolazione antecedente<br />
l’elaborazione al calcolatore, fonti inevitabili di errori.<br />
Tali errori, la maggior parte di difficilissima individuazione<br />
e che possono creare degli sfalsamenti nella selezione, sono<br />
prodotto dell’uomo e dovuti principalmente alla lettura dei<br />
dati dallo strumento, alle registrazioni su supporti cartacei e al
Indirizzo all’attività sportiva<br />
successivo riporto su scheda perforata per l’introduzione dei<br />
dati nel calcolatore.<br />
Per ridurre, quindi, l’intervento dell’uomo, che a sua volta<br />
richiede anche un notevole impegno finanziario, è stato creato<br />
un sistema automatico di collegamento tra strumento di<br />
rilevazione ed un personal computer.<br />
È stato quindi predisposto un interfacciamento hardware<br />
tra strumento di misura (esempio cellule fotoelettriche) e personal<br />
computer. L’impiego del pc ha aperto in realtà delle prospettive<br />
inizialmente inimmaginabili; per quanto modesto esso<br />
sia, non deve infatti essere trascurata la potenzialità di calcolo<br />
che esso offre.<br />
In una tappa successiva è prevista la trasmissione di quanto<br />
registrato al maxi-calcolatore per elaborazioni finali.<br />
Questa prima concreta innovazione può risolvere in realtà gran<br />
parte dei problemi; definiti, infatti, i livelli di soglia e introdotti nel<br />
personal, la selezione può avvenire direttamente sul luogo della<br />
rilevazione e in tempo reale, saltando l’utilizzo del macro-calcolatore,<br />
necessario, ormai, solo per fornire quei dati statistici di controllo<br />
al fine di aggiornare e riconvalidare il sistema.<br />
Tale soluzione tecnico-tecnologica apre in realtà anche un<br />
nuovo capitolo nel campo dell’attività motoria e in particolare<br />
offre la possibilità di abbinare in tempo reale “valutazione, pianificazione<br />
e controllo”, elementi fondamentali per una corretta<br />
pianificazione dell’allenamento.<br />
Ringraziamenti<br />
Gli Autori ringraziano tutti coloro che hanno contribuito alla riuscita<br />
dell’opera: Cristina De Grassi, Laura De Grassi, Giuliana Quasimodo, Mario<br />
Peresson, Marina Senni, Antonella Viola, Dionisio Visintin e Giorgio Visintin.<br />
Un ringraziamento particolare al prof. Aristide Scano, docente di Fisiologia<br />
umana applicata all’Educazione fisica all’I.S.E.F. Roma per la preziosa<br />
collaborazione e i consigli forniti.<br />
155
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nel mese di dicembre 2012<br />
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Globalprint srl di Gorgonzola (MI)<br />
per conto della casa editrice<br />
LINT Editoriale srl di Trieste