la sicurezza e la salute dei lavoratori - AUSL12 di Viareggio

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PERCORSO Sanità anno PER ChI AMA LA MOnTAGnA Gli ombrosi sentieri d’estate e le piste da sci d’inverno sono sempre stati una irresistibile attrattiva per quelli che amano la montagna. In anni più recenti il turismo di massa ha portato verso la montagna un numero sempre maggiore di persone, molte delle quali sono, anche per ragione di età, portatori di patologie cardiache o respiratorie di vario grado. Gli impianti di risalita costruiti per far fronte all’aumento e alla diversificata richiesta consentono di raggiungere, in breve tempo e con (relativamente) poca fatica, altitudini superiori ai 2000 metri. Cosa accade al nostro organismo quando ci si sposta a queste altitudini? Il primo e principale attore dei vari cambiamenti che si osservano nell’organismo è la riduzione dell’ossigeno nel sangue poiché la pressione parziale di ossigeno nell’aria che respiriamo diminuisce. A 2500 metri la pressione parziale di ossigeno nell’aria si riduce del 20% e cala progressivamente fino a ridursi del 60% a 8000 metri. È questa riduzione della pressione dell’ossigeno nel sangue (ipossia) che oltre a ridurre la quantità di ossigeno che arriva ai tessuti innesca meccanismi che interferiscono con la funzione dell’apparato cardiocircolatorio, respiratorio (polmone e circolazione polmonare) e del sistema nervoso simpatico. Queste ripercussioni su organi e apparati si verificano in fase acuta,cioè nei primi giorni di permanenza ad alta quota. Prolungandosi la permanenza ad alta quota si verificano degli aggiustamenti che portano ad un aumento del contenuto di ossigeno nel sangue. Questi aggiustamenti sono essenzialmente rappresentati da un aumento della ventilazione polmonare e da un aumento del numero dei globuli rossi. Questo processo di acclimatazione richiede molti giorni o settimane di permanenza ad alta quota. Se guardiamo a quanto accade a carico del cuore nei primissimi giorni a causa dell’ipossia vediamo che si ha un aumento della frequenza cardiaca, un aumento della forza con cui il muscolo cardiaco si contrae e un aumento della quantità di sangue pompata nella circolazione generale. Questi cambiamenti di fatto provocano un aumento del lavoro del cuore, quindi un aumentato fabbisogno di ossigeno e dunque di sangue da parte del muscolo cardiaco, sangue che deve essere fornito dai vasi coronarici (i vasi che portano il sangue al cuore). È intuitivo che perché non si abbia sofferenza cardiaca non solo i vasi coronarici devono essere normali e capaci di rispondere prontamente all’aumento della richiesta di sangue ma che il muscolo cardiaco non abbia subito danni. È dimostrato che questo aumento del lavoro cardiaco è privo di conseguenze per un soggetto giovane e sano anche quando sottoposto ad un esercizio fisico intenso ad altitudini variabili tra 2350 a 7625 metri. Con l’acclimatazione si riduce la portata cardiaca e il lavoro del ventricolo sinistro, ma contemporaneamente, per i cambiamenti che avvengono nella circolazione polmonare, si verifica un aumento del lavoro del ventricolo destro. In realtà nel paziente cardiopatico che si sposta ad altitudini maggiori di 2000 metri giocano, negativamente, altri fattori tra cui in particolare il freddo. Per il cardiopatico la capacità di tollerare tutti questi fattori che sollecitano l’apparato cardiovascolare è legata non solo alla gravità della malattia cardiaca ma anche all’altitudine e al- l’intensità dell’eventuale attività fisica. Per quanto si è detto prima il rischio di eventi avversi è maggiore nei primi giorni di permanenza e si riduce con il passare del tempo per effetto dei processi di acclimatazione. La possibilità che si verifichino complicanze cardiovascolari emerge da pochi studi effettuati su pazienti con malattia coronarica (angina, infarto) non ancora acclimatati e valutati ad altitudini variabili tra 2500 e 3500 metri. Questi studi evidenziano un rischio di aggravamento dell’ischemia miocardia con la comparsa di angina pectoris, soprattutto durante attività fisica, nonché il rischio di aritmie cardiache. Nei soggetti con ipertensione arteriosa si può osservare un aumento dei valori della pressione anche ad altitudini tra 1200 e 3000 metri. Sono possibili generiche raccomandazioni ai cardiopatici che desiderano recarsi in montagna? Penso che sia necessario personalizzare i consigli attraverso una consulenza con il medico di famiglia o con il cardiologo. Sono loro che caso per caso valuteranno sulla base del quadro clinico (stabilità o instabilità dei sintomi), della coesistenza di patologie (in particolare respiratorie) e del tipo di vita che il paziente intende condurre a quella prevista altitudine e consiglieranno in merito. Un paziente con storia personale di angina o infarto che sia asintomatico e abbia eseguito un test da sforzo recente senza segni di schemia può salire a 3000-3500 metri con minimi rischi. È sempre comunque opportuno che l’ascesa sia graduale, eventualmente con una tappa intermedia di pochi giorni a 2000 metri. Naturalmente questo paziente, che proseguirà la terapia medica in modo responsabile, deve limitare la propria attività fisica nei primi 3-4 giorni dopo l’arrivo. Se compaiono sintomi (angina) è necessario sospendere ogni attività e prudenzialmente ritornare a casa. Sono controindicate le escursioni ai pazienti con quadro clinico non controllato dalla terapia o che hanno avuto di recente un infarto o una angina severa. I pazienti con scompenso cardiaco devono evitare escursioni in montagna rinviando eventualmente la vacanza al momento in cui sarà stata raggiunta una situazione di compenso. I pazienti con ipertensione arteriosa non ben controllata devono intensificare la terapia medica e portare i valori della pressione entro i limiti della norma prima di optare per una vacanza in montagna. Come si vede una serena vacanza in montagna può essere programmata dai pazienti cardiopatici. È importante per tutti ricordare che il processo di acclimatazione è fondamentale per ottenere l’adattamento dell’organismo alle nuove condizioni ambientali. Infine è necessario tener presente che un’attività fisica intensa e il freddo a quote di 3000-3500 metri possono smascherare una malattia coronaria o una disfunzione cardiaca latente che non ha ancora dato alcun segno di sé . Dott. Antonio Pesola 8 numero 12 Dicembre 2007 MARE, COSTA E DINTORNI Anche quest’anno la Regione Toscana ha organizzato, nell’ambito del progetto “Mare, Costa e Dintorni”, soggiorni in barca a vela nell’Arcipelago Toscano, soggiorni nel Parco delle Alpi Apuane presso un Albergo nel paese di Minucciano (località della Garfagnana) e presso due Foresterie (Tavernelle che si trova in Lunigiana e quella del Gabbro, a pochi chilometri da Livorno). L’Unità Funzionale Disabilità, aderisce a tale iniziative da 5 anni. Abbiamo partecipato al soggiorno che si è svolto nel Parco delle Alpi Apuane dal 25 al 28 Giugno 2007, dove vi hanno partecipato tre ragazzi in carico al G.O.M., accompagnati da un istruttore sportivo facente parte del gruppo sportivo Disabili Toscana. Inoltre, tre ragazze, anche loro in carico al G.O.M. e frequentanti le attività di socializzazione dell’U.F. Inclusione Sociale, accompagnate da un’operatrice di tale U. F., hanno soggiornato nella Foresteria del Gabbro dal 18 al 22 Agosto 2007. Entrambe le esperienze sono state interessanti e positive, sia per i ragazzi che per gli accompagnatori, in quanto le bellezze del paesaggio toscano, attraverso le escursioni nei parchi e nelle aree verdi, hanno rappresentato un’opportunità per sperimentare un sano stile di vita e lo stato di benessere che proviene dal contatto con la natura. Vorremmo parlare dei giorni passati alla Foresteria “Gabbro”, in quanto si tratta di una esperienza inedita e particolare. Infatti quest’anno la Regione Toscana, ha voluto organizzare anche per i ragazzi disabili un tipo di soggiorno autogestito, con l’obiettivo di far sperimentare nuove forme di autonomia fuori dall’ambiente quotidiano e di promuovere una cultura orientata ai valori dell’incontro, del confronto e dello scambio nel rispetto di ogni diversità. L’operatrice che ha accompagnato le nostre ragazze racconta: “Siamo stati ospitati in un ex convento della Diocesi di Livorno, in uno splendido paesino sulle colline livornesi “Gabbro”, posto in un incantevole scenario immerso nelle colline toscane, in un susseguirsi di forme dalle rotondità armoniche, dove l’occhio spazia tra una distesa di zolle di terra appena arate, dai toni chiari e scuri. Così in questo scenario abbiamo trascorso quattro giorni ricchi di esperienze significative, sia sul piano dell’amicizia e del divertimento e sia sul piano dell’impegno e della responsabilità il tutto condiviso insieme ad un altro gruppo di ragazzi delle Aziende Sanitarie di Pisa e Pistoia. La struttura che ci ha ospitato era gestita da associazioni di volontariato “Velasentite” e “Mediterraneo”, che hanno collaborato con noi in ogni momento della giornata. La casa era situata in paese ed era articolata su tre piani e comprendeva comode camere, un salone, un’ampia cucina, un salone per le riunioni e il giardino. Il programma quotidiano, basato su esperienze di auto promozione e co-gestione della vacanza si basava sul supporto di utenti/operatori, dove la mutualità della relazione si è sostituita al rapporto di assistenza o sorveglianza. Abbiamo fatto uscite, sia a piedi (escursioni sulle colline), sia in barca a vela; questa ha rappresentato per le partecipanti un’esperienza nuova creando spirito di avventura ed entusiasmo. Le ragazze si sono integrate positivamente con gli ospiti e hanno così sperimentato l’autogestione nel preparare i pasti, nel fare la spesa e nel riordinare gli ambienti in cui soggiornavano. La vacanza è finita presto, e siamo ritornati a casa entusiasti esprimendo il desiderio di poter partecipare anche il prossimo anno”. Beatrice Martinelli Operatore Sociosanitario
anno 8 numero 12 Dicembre 2007 PERCORSO LIBERE DALLA VIOLEnZA LIBERE DI SCEGLIERE Il Centro Anti Violenza “L’una per l’altra”- numero verde 800.614822 - della Casa delle Donne di Viareggio, in occasione della giornata intemazionale contro la violenza alle donne del 25 novembre 2007, ha realizzato vari interventi sul territorio anche in collaborazione con la Ausl12 di Viareggio ed altri enti e associazioni: la provincia di Lucca, il Comune di Viareggio, la Regione Toscana con il progetto Porto Franco, Amnesty Intemational, il Gruppo Uomini di Viareggio. Si sono susseguiti in ordine temporale le seguenti iniziative. Lo spettacolo teatrale “Sogni d’amore” rappresentato al teatro Jenco il 17 novembre. La consegna ai panifìci cittadini e la loro successiva distribuzione all’utenza di sacchetti con la scritta: “Per troppe donne la violenza è ancora un pane quotidiano”. La partecipazione alla manifestazione nazionale del 24 novembre a Roma contro la violenza maschile sulle donne, che ha visto la presenza di più di 150 mila donne. La proiezione di una puntata della trasmissione televisiva “Amore criminale” di Camila Raznovich il 25 novembre. Abbiamo inoltre aderito alla campagna del fiocco bianco particolarmente significativa in questo territorio che vede la presenza di un gruppo di uomini disponibili, a partire da una riflessione su di sé, a rompere i vincoli con la pseudo cultura patriarcale e conseguenti stereotipi, condannando ogni forma di violenza contro le donne. Il Centro ha iniziato la sua attività nel 2001 e da subito si è adoperato per stabilire strategie di rete. Oltre 100 sono i centri anti violenza presenti in tutta Italia e quello di Viareggio è la prima concreta ed organica esperienza, non solo in Versilia, ma nell’intera provincia di Lucca. L’esperienza dei centri anti violenza come il nostro, attivi da circa vent’anni sul territorio nazionale, ha esplorato il fenomeno della violenza in famiglia e da estranei e ha posto all’attenzione pubblica la complessità e la vastità di questo fenomeno, rispondendo alle situazioni di violenza con la pratica della relazione fra donne, la valorizzazione ed il sostegno delle donne in disagio, la costruzione di progetti di contrasto alla violenza a livello nazionale. Le donne che lavorano nel centro, oltre ad aver fatto propria la pratica della politica delle donne, hanno anche una preparazione specifica, acquisita attraverso una particolare scuola di formazione, che permette loro di accogliere le donne con una strategia che ritiene fondamentale la relazione, favorendo quindi un percorso di fuoriuscita dalla violenza e la riacquisizione di un proprio progetto di vita da parte della donna stessa. La violenza contro le donne si configura in ogni abuso di potere e di controllo che si manifesta attraverso il sopruso fisico, sessuale, psicologico ed economico. La violenza psicologica è comunque sempre presente in ogni tipo di abuso di potere e ri-conoscerla e già il primo passo per imparare a contrastarla. Sia al convegno di apertura che in successivi interventi sono state partecipi rappresentanze dell’Ausl12. Con la dirigenza dell’Unità di Psicologia è stata concordata la presenza, per quattro ore mensili, di una psicologa. La collaborazione si è ulteriormente rafforzata con la stesura di un Protocollo di intesa con il Pronto Soccorso dell’ospedale “Versilia”. L’ iniziativa sì è rivelata particolarmente positiva perché ha favorito la conoscenza e una maggiore affluenza al servizio di donne che hanno subito violenza. Infatti, come confermano i dati ISTAT del 2006, primi dati nazionali raccolti sulla violenza intra familiare di genere, molte sono le donne che nascondono lo stato reale delle violenze subite. Il dato allarmante infatti è che ancora il 94% del fenomeno è sommerso. Incontrare quindi nel primo impatto con l’ospedale un’equipe di persone, medici-che ed infermieri/e, sensibili ad accogliere e capire i segnali della sofferenza delle donne e dar loro un rimando rispetto ad un’ ulteriore possibilità di aiuto, ci sembra molto importante e già in linea con quanto la legge regionale toscana, recentemente approvata, definisce. Lavoreremo affinchè questa esperienza si qualifichi sempre di più nello spirito di rimuovere per quanto possibile l’agghiacciante situazione descritta dall’ ONU: la violenza intra familiare è la prima causa di morte e di invalidità permanente per le donne. Altro sono i punti di rete con i quali teniamo rapporto. La polizia, le assistenti sociali, le scuole, le parrocchie etc. Sia dal passa parola che dal rimando che proviene da queste realtà, il Centr Anti Violenza è passato da 44 donne che vi si sono rivolte nel 2003, ad un centinaio nel 2007. Ci sembra necessario ed urgente valorizzare sempre di più, insieme, questa esperienza e considerare la possibilità di istituire una accoglienza anche materiale, una casa di accoglienza per i casi più gravi. Per la Casa delle Donne e il Centro Anti Violenza questo è il successivo passo necessario e doveroso rispetto a ciò che la realtà di tutti i giorni ci mostra. Nel contempo sta a ciascuna/o, ma soprattutto alle agenzie educative, sanitarie e politiche cogliere ogni occasione per stimolare una campagna culturale che metta al centro la relazione uomo – donna, le modificazioni storiche avvenute, la presa di coscienza da parte maschile del valore della libertà femminile. Per quanto ci riguarda continueremo a lavorare, soprattutto con le scuole, con i progetti antibullismo e con la partecipazione a tutte le iniziative a cui saremo invitate, com’è accaduto recentemente anche fuori dal nostro territorio. Sanità Ersilia Raffaelli SOCIETÀ ITALIAnA DI PSIChIATRIA Riteniamo opportuno, alla luce dei recenti fatti di cronaca, e della sentenza della Cassazione che condanna definitivamente un nostro collega, precisare alcuni importanti aspetti per evitare che nell’opinione pubblica si creino informazioni distorte su un tema così delicato quale quello dell’assistenza psichiatrica e della cura della sofferenza psichica. Fermo restando che la Società Italiana di Psichiatria condanna qualsiasi forma di cattiva pratica, messa in atto da medici psichiatri e determinata da negligenza, imprudenza, imperizia o inosservanza di leggi, è necessario ribadire con forza il rifiuto, da parte della nostra Società, di qualsiasi tipo di messaggio diretto o indiretto in cui il controllo di comportamenti devianti mediante il trattamento farmacologico ed il controllo sodale si sostituiscano alla primarietà della Cura ed alla costruzione di un’alleanza terapeutica con la persona sofferente di disturbo psichico. Alle complessità delle patologie psichiche corrisponde una complessità della Cura che ha come ineludibile premessa il rispetto e la salvaguardia della libertà della persona. Con la sentenza della Cassazione è stato affermato un pericoloso principio: non si chiede allo psichiatra di occuparsi della salute mentale dei propri pazienti e di curarne i disturbi in base a scienza e coscienza, ma di utilizzare gli psicofarmaci per controllarne i comportamenti, limitarne, la libertà, evitare che la persona affetta da disturbo mentale, entri in contatto con il mondo reale e con le sue difficoltà. La “posizione di garanzia” che lo psichiatra dovrebbe mantenere nei confronti del paziente che si sottopone alle sue cure è espressione di un mandato sociale non chiaro, in quanto se da una parte viene richiesta la promozione della salute e dei diritti del malato, attraverso un processo terapeutico che ne favorisca la progressiva autonomia, l’acquisizione di individualità e l’inclusione sociale, dall’altra si ritiene la persona che soffre di un disturbo mentale “diversa e pericolosa” per la sicurezza della collettività e se ne richiede il controllo e la custodia. Il comportamento deviante di una persona affetta da disturbo mentale è uno dei tanti elementi da valutare: è ingenuo ritenere che i pensieri, le motivazioni profonde e i conseguenti comportamenti di ogni essere umano possano essere “condizionati” da un intervento farmacologico, a meno che quell’intervento farmacologico, anziché essere curativo, debba diventare esclusivamente contenitivo, dunque di fatto abbia il compito di ridurre la libertà della persona. Se dovesse prevalere una simile impostazione, si riporterebbe indietro l’orologio del progresso scientifico medico, reintroducendosurrettiziamente il concetto di pericolosità, faticosamente cancellato dalla Legge 180 e altrettanto faticosamente allontanato da trenta anni di buone pratiche da parte dei servizi psichiatrici pubblici italiani. Imprevedibilità, violenza, pericolosità torneranno allora ad essere, nella pratica clinica quotidiana, i veri motivi ispiratori delle scelte “terapeu- tiche” dello psichiatra, rendendo inutili anni di sforzi e di azioni comuni per ridurre lo stigma e la discriminazione che hanno sempre accompagnato le persone affètte da disturbi mentali e le loro famiglie. Inoltre il prevalere di questi motivi renderebbe di fatto impossibile realizzare interventi terapeutici appropriati, secondo le raccomandazioni delle moderne linee guida di trattamento, utilizzate in modo diffusa a livello internazionale, il cui scopo è quello di rispondere in toto ai bisogni della persona, siano essi psicologici, medici, sociali e non certo di intervenire esclusivamente sulle caratteristiche più stigmatizzanti dei disturbi mentali. I presidenti della Società Italiana di Psichiatria Dott. Mariano Bassi (Bologna) Prof. Alberto Siracusano (Roma) • PAVIMENTI • RIVESTIMENTI • ARREDOBAGNO • IDROTERMOSANITARI • STUFE E CAMINETTI Via S. Andrea 8 ang. Via Italica - (Ponte Autostrada) - LIDO DI CAMAIORE Tel. 0584.61.13.31 - Fax 0584.61.16.61 - www.ceramicarreda.it - ceramicarreda@libero.it
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