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1980 (2) - giampaolo barosso

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1981 (1)<br />

fumavi, ti accomiati cordialmente dai tuoi pensieri<br />

(non passerà un minuto e già te li sarai scordati), e la<br />

vita quotidiana riprende; ma tu hai goduto di dieci<br />

minuti di alta spiritualità. Seduto, invece... Il pensiero<br />

non scorre fluente, ignaro di sé. Gravano su di esso,<br />

lo ostacolano, altri pensieri. L'ideazione della frase<br />

formata. La scelta delle parole. Il periodo. L'equilibrio,<br />

l'economia del discorso... Già tutto questo,<br />

sovente, è una noia. E poi, pensare in parole sonanti<br />

– più che sonanti: tangibili, scritte – non è atto<br />

solitario (per solo che tu sia). E' atto intrinsecamente<br />

sociale. E poiché tu sai che nei tuoi atti di penna<br />

non sussiste invero socialità di sorta; che la socialità<br />

del tuo scrivere è del tutto fittizia – la contraddizion,<br />

che pur s'autoconsente, ti molesta. Le finzioni<br />

– letterarie e morali – cui l'atto di scrivere ti costringe,<br />

ti pesano sulla coscienza come cosa indegna. La<br />

scelta del tono: quale che sia, non è mai il tono vero<br />

dei tuoi veri pensieri (i pensieri pensati); né il tono<br />

delle parole che pronunceresti nel comunicare i tuoi<br />

pensieri conversando con un amico (i pensieri parlati).<br />

L'uditorio cui ti rivolgi scrivendo è insieme<br />

immaginario e sconosciuto; immaginario e impersonale;<br />

dotato solo di vaghe qualità sociali e culturali,<br />

ma non di qualità umane, spirituali; tu stesso, nel<br />

porti di fronte al tuo immaginario uditorio collettivo,<br />

ti senti diventare immaginario, ti senti spogliato<br />

di ogni tua viva, vera qualità personale; cessi di<br />

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