28.05.2013 Views

Documento in Research-Desk - tesi vers def PADIS - Padis - Sapienza

Documento in Research-Desk - tesi vers def PADIS - Padis - Sapienza

Documento in Research-Desk - tesi vers def PADIS - Padis - Sapienza

SHOW MORE
SHOW LESS

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

TEMI MODERNISTI FRA PAVESE E LAWRENCE: UNO STUDIO COMPARATO<br />

RIASSUNTO<br />

AUTORE: MANLIO MASUCCI<br />

SCUOLA DI DOTTORATO: ITALIANISTICA<br />

DIPARTIMENTO: ITALIANISTICA<br />

DIRETTORE SCUOLA: GIULIO FERRONI<br />

TUTOR: NINO BORSELLINO<br />

COMMISSIONE: MARIA LUISA DOGLIO, FRANCO SUITNER,<br />

ANTONIO SACCONE<br />

L’obiettivo di questo lavoro è allargare il campo d’<strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e degli studi tematici pavesiani<br />

proponendo il confronto con l’uni<strong>vers</strong>o letterario del modernismo <strong>in</strong>glese e considerando la<br />

posizione dello scrittore nel contesto culturale della prima metà del novecento italiano.<br />

Nella sua attività di divulgatore di cultura per la E<strong>in</strong>audi, Pavese si trovò a stretto contatto con<br />

gli scrittori orbitanti <strong>in</strong> area modernista, affidò traduzioni e tradusse egli stesso alcune opere,<br />

compilò saggi e scrisse note importanti nel suo diario. Le relazioni di Pavese con la letteratura<br />

d’oltremanica, così ampiamente documentate, rappresentano l’occasione di un impresc<strong>in</strong>dibile<br />

confronto per <strong>def</strong><strong>in</strong>ire la sua posizione all’<strong>in</strong>terno del panorama culturale europeo. Egli stesso<br />

documenta ogni passaggio della sua formazione <strong>in</strong>tellettuale manifestando una predilezione<br />

per gli scrittori modernisti <strong>in</strong>glesi (soprattutto D.H.Lawrence e Conrad) con cui condivise, <strong>in</strong><br />

molti casi, le fonti (si analizzeranno i casi di Frazer, Nietzsche e Melville).<br />

L’approfondimento dei legami fra Pavese e certa letteratura <strong>in</strong>glese fornisce dunque la base di<br />

un’analisi comparativa che rappresenta una nuova proposta nell’ambito degli studi sull’autore.<br />

La configurazione dello spazio e del tempo, la concezione mitologica e il pensiero tragico, i<br />

temi del viaggio, dell’<strong>in</strong>contro con l’altro, del nudismo e dei sacrifici umani assumono nuove<br />

connotazioni se studiati <strong>in</strong> relazione ai fermenti culturali cui Pavese fece costante riferimento.<br />

1


Indice<br />

Introduzione e Metodologia p. 3<br />

1 Il Modernismo: la storia e la critica p. 13<br />

2 L’età del “Neomitologismo”<br />

2.1 Un’era mitologica p. 31<br />

2.2 Tempi della modernità p. 56<br />

2.3 Spazi della modernità p. 72<br />

3 Temi modernisti <strong>in</strong> Pavese e Lawrence: il viaggio e l’<strong>in</strong>contro con l’altro<br />

3.1 Il viaggio come momento topico della letteratura modernista p. 83<br />

3.2 L’<strong>in</strong>contro con l’altro: il primitivismo modernista p. 112<br />

3.3 Nudismo e sacrifici umani p. 128<br />

3.4 It<strong>in</strong>erari critici tra America e Europa:<br />

Pavese e Lawrence leggono Melville p. 153<br />

3.5 Pavese: la modernità e la possibilità del tragico p. 166<br />

Bibliografia p. 182<br />

2


Introduzione e Metodologia<br />

L’obiettivo di questo lavoro è, primariamente, quello di allargare il campo d’<strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e degli<br />

studi tematici pavesiani proponendo il confronto con l’uni<strong>vers</strong>o letterario del modernismo<br />

<strong>in</strong>glese. Un approfondimento della poetica dell’autore porta, <strong>in</strong> primo luogo, a riconoscerne<br />

l’assoluta orig<strong>in</strong>alità; nondimeno si vuole mettere <strong>in</strong> evidenza come tale poetica si sia costruita<br />

nel tempo attra<strong>vers</strong>o una sovrapposizione di materiali di di<strong>vers</strong>a orig<strong>in</strong>e. Se la costruzione è<br />

del tutto orig<strong>in</strong>ale, sarà uno sforzo proficuo quello di riconoscere la provenienza di alcuni dei<br />

materiali utilizzati da Pavese. Lo scopo di questo studio non è quello di cercare di <strong>in</strong>serire<br />

Pavese all’<strong>in</strong>terno di un “ismo” letterario, ma è quello di voler considerare la posizione dello<br />

scrittore all’<strong>in</strong>terno del panorama culturale della prima metà del novecento italiano, alla luce di<br />

quelli che furono i suoi rapporti con il modernismo <strong>in</strong>glese. In questo senso lo studio assume<br />

un carattere storico volendo tracciare delle l<strong>in</strong>ee, stabilire delle connessioni, <strong>in</strong>dividuare delle<br />

parentele anche attra<strong>vers</strong>o l’esposizione dei contrasti.<br />

Il modernismo <strong>in</strong>glese è un fenomeno complesso, difficilmente collocabile. Si parlerà,<br />

<strong>in</strong>somma, più volentieri di scrittori modernisti, come gruppo di <strong>in</strong>tellettuali che condivisero<br />

sensibilità e idee, che di modernismo, come movimento letterario conforme a generi e statuti.<br />

L’approccio tematico-comparatistico sarà utile, <strong>in</strong> questo caso, a verificare l’attendibilità delle<br />

categorie di modernità e di modernismo.<br />

Nella sua attività di divulgatore di cultura per la E<strong>in</strong>audi, Pavese si trovò a stretto contatto con<br />

gli scrittori orbitanti <strong>in</strong> area modernista, affidò traduzioni e tradusse egli stesso alcune opere,<br />

compilò saggi e scrisse note importanti sul suo diario. Le relazioni di Pavese con la letteratura<br />

d’oltremanica, così ampiamente documentate, rappresentano l’occasione di un impresc<strong>in</strong>dibile<br />

confronto. La posizione di Pavese, nell’ambito della cultura europea, sarà sicuramente resa più<br />

chiara nel momento <strong>in</strong> cui sarà rilevata l’entità del suo rapporto con la letteratura modernista<br />

<strong>in</strong>glese. Tale rapporto implicherà <strong>in</strong>fluenze e posizioni contrastanti, accettazioni e rifiuti,<br />

comunanza di visioni e disaccordi. Ciò che mi è sembrato andasse tutelato è l’<strong>in</strong>dipendenza di<br />

uno scrittore come Pavese che mal si concilia con qualsiasi movimento codificato e<br />

aprioristicamente regolato. Piuttosto un <strong>in</strong>tellettuale libero e curioso che, proprio per questa<br />

sua libertà e curiosità, seppe allacciare contatti col mondo della cultura europea ufficialmente<br />

esclusa dall’Italia fascista. La posizione di Pavese cont<strong>in</strong>ua ad apparire, anche alla f<strong>in</strong>e delle<br />

ricerche, contraddist<strong>in</strong>ta più dall’autonomia che dall’affiliazione. Quello che è importante<br />

sottol<strong>in</strong>eare è, <strong>in</strong> tutti i casi, la pregnanza dell’accostamento, il riconoscimento dell’effettiva<br />

possibilità di “portare Pavese fuori dalle Langhe” ed <strong>in</strong>serirlo <strong>in</strong> un più vasto contesto europeo.<br />

L’approfondimento dei legami fra Pavese e certa letteratura <strong>in</strong>glese fornisce la base di<br />

un’analisi comparativa che rappresenta una nuova proposta nell’ambito degli studi sull’autore:<br />

studiare Pavese <strong>in</strong> relazione ai fermenti culturali europei dell’epoca può gettare nuova luce su<br />

alcuni dei temi che costituirono il materiale della sua scrittura.<br />

La prima necessità, a cui si è voluto far fronte, è stata quella di disegnare le corrette coord<strong>in</strong>ate<br />

storiche che permettessero, e giustificassero, la possibilità di una comparazione letteraria. Il<br />

modernismo è stato un movimento vario e complesso che si è sviluppato lungo direttrici<br />

storiche ben <strong>def</strong><strong>in</strong>ibili. Scrivere sul modernismo non è stato dunque solo un problema di critica<br />

letteraria. Essendo un fenomeno molto legato alle evoluzioni della società e della politica, si è<br />

resa subito necessaria la <strong>def</strong><strong>in</strong>izione di una base storica da cui far partire le <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>i<br />

successive. Allo stesso modo si è dovuto sottol<strong>in</strong>eare come la storia dell’Italia sia stata<br />

sostanzialmente differente da quella del resto d’Europa. Non si vorrà postulare la<br />

contemporaneità di Pavese agli scrittori del modernismo trattatati, o la sua affiliazione presso<br />

movimenti artistici a lui relativamente coevi. La prospettiva storica mi è sembrata comunque<br />

rilevante nel momento <strong>in</strong> cui si sono voluti <strong>in</strong>dividuare temi che si sono riproposti, con lo<br />

scarto di alcune decadi, sia <strong>in</strong> Inghilterra sia <strong>in</strong> Italia. Anche <strong>in</strong> questo caso si metteranno <strong>in</strong><br />

rilievo non solo le comunanze ma anche le differenze proprio perché non si vuole perdere di<br />

3


vista il contesto storico-sociale <strong>in</strong> cui i lavori di Pavese furono prodotti. La constatazione che<br />

l’evoluzione dei paesi europei di f<strong>in</strong>e Ottocento-prima metà del Novecento si sia mossa nella<br />

medesima direzione, ma con tempistiche e modalità differenti, è basilare. Secondo Mart<strong>in</strong><br />

Tra<strong>vers</strong> 1 il modernismo letterario si sarebbe configurato <strong>in</strong> primo luogo come risposta ad un<br />

disagio sociale e culturale derivato da d<strong>in</strong>amiche storiche che trovarono la loro prima<br />

espressione <strong>in</strong> Inghilterra per poi propagarsi a tutto il resto dell’Europa. Il riferimento al<br />

fascismo, come movimento nazionalista, si <strong>in</strong>quadra <strong>in</strong> questa ottica e spiega <strong>in</strong> parte la<br />

chiusura del nostro paese a livello economico, sociale, culturale. Il fascismo viene dunque<br />

osservato nelle sue componenti conservatrici più che rivoluzionarie e nel suo tentativo di voler<br />

<strong>def</strong><strong>in</strong>ire un modello nazionale, sociale e culturale, che preservasse la propria autonomia nei<br />

confronti dell’evoluzione europea. Come vedremo, la barriera eretta dal regime non fu<br />

impermeabile ma ebbe solo l’effetto di ritardare il propagarsi della modernità nel nostro paese.<br />

E’ dunque ipotizzabile che l’evoluzione sociale, che caratterizzò l’Inghilterra di f<strong>in</strong>e Ottocento<br />

ed <strong>in</strong>izio Novecento, si ripropose, con differenti modalità, nell’Italia della formazione<br />

pavesiana. La critica anglosassone ha stabilito che la poetica degli scrittori modernisti nacque<br />

da un senso di sradicamento nei confronti di un mondo mutato dalla modernità e sentito<br />

improvvisamente lontano. L’imporsi del sistema <strong>in</strong>dustriale, l’urbanizzazione, la<br />

massificazione sono fenomeni che avvengono <strong>in</strong> Inghilterra una generazione prima, forse due,<br />

rispetto all’Italia. Gli <strong>in</strong>tellettuali italiani, con alcune decadi di ritardo, risentirono delle stesse<br />

crisi di cui si fecero portatori i loro colleghi europei che divennero, di conseguenza, i loro<br />

precursori e, <strong>in</strong> molti casi, i loro ispiratori. Quanto di orig<strong>in</strong>ale ci fu <strong>in</strong> un ipotetico<br />

modernismo italiano e quanto di “ispirato” è da rimandare a successivi approfondimenti ma è<br />

<strong>in</strong>dubbio che questi fattori ebbero una certa rilevanza. Gli scrittori italiani recepirono la crisi<br />

della modernità con alcuni anni di ritardo rispetto agli <strong>in</strong>glesi ma i processi che si <strong>in</strong>nescarono<br />

furono di simile portata.<br />

Questa <strong>in</strong>terpretazione storica fornisce una chiave di lettura che nello studio è approfondita ma<br />

che non può, proprio per il suo carattere ipotetico, esaurire il discorso. Ciò che appare più<br />

verificabile, ed è la direzione <strong>in</strong> cui questo studio si muove prevalentemente, è la presenza di<br />

alcuni temi che gli scrittori italiani ebbero <strong>in</strong> comune con gli scrittori <strong>in</strong>glesi. In questo caso lo<br />

studio di Cesare Pavese è molto facilitato da di<strong>vers</strong>i fattori. Pavese scrisse una mole<br />

impressionante di appunti riguardanti personali riflessioni su questioni di poetica propria ed<br />

altrui, impressioni ricavate dalla lettura di scrittori stranieri, esplicite dichiarazioni relative a<br />

veri e propri <strong>in</strong>flussi che dichiarò di aver ricevuto da scrittori come Lawrence. Il lavoro di<br />

traduttore e saggista, che Pavese svolgeva presso la E<strong>in</strong>audi offre ulteriori possibilità di<br />

approfondimento. Come ha sottol<strong>in</strong>eato Maria Stella 2 , il lavoro che lo scrittore espletava<br />

presso la E<strong>in</strong>audi aveva la funzione primaria di porlo <strong>in</strong> contatto con nuove opere che potevano<br />

così essere studiate nei loro meccanismi narrativi più reconditi. Attra<strong>vers</strong>o le traduzioni e i<br />

saggi <strong>in</strong>troduttivi alle opere, Pavese approfondì gli studi di letteratura perfezionando la sua<br />

poetica.<br />

Questo lavoro non fu comunque agevole. E proprio questo suo non essere agevole rappresenta<br />

un altro punto di enorme <strong>in</strong>teresse per la formazione <strong>in</strong>tellettuale di Pavese, che <strong>in</strong> questo<br />

studio trova un circoscritto approfondimento. Cercare di stabilire un contatto con l’estero nel<br />

momento <strong>in</strong> cui il regime fascista imponeva il suo programma di nazionalizzazione della<br />

letteratura espose Pavese a costanti pericoli. La politica fascista dell’”asservire e reprimere”<br />

lasciava giusto lo spazio di trattare quei pochi autori che non avevano un immediato impatto<br />

politico. Tradurre un romanzo straniero significava dover attra<strong>vers</strong>are <strong>in</strong>denni le fitte maglie<br />

della censura. Per questo motivo l’opposizione di Pavese fu soprattutto “estetica”. Il regime<br />

fascista aveva <strong>in</strong>fatti nel progetto di nazionalizzazione della cultura l’asservimento delle<br />

1<br />

Mart<strong>in</strong> Tra<strong>vers</strong>, An <strong>in</strong>troduction to modern European Literature-from Romanticism to Postmodernism,<br />

Macmillan Press LTD, London, 1998.<br />

2<br />

Maria Stella, Cesare Pavese traduttore, Bulzoni Editore, Roma, 1977.<br />

4


categorie estetiche ai propri f<strong>in</strong>i e benefici. L’operato di Pavese si strutturò come il pr<strong>in</strong>cipio di<br />

un sovvertimento culturale che non sarebbe passato <strong>in</strong>osservato al regime.<br />

Ma non furono solamente i problemi politici a rendere difficile la fruizione della letteratura<br />

straniera <strong>in</strong> Italia. La critica di stampo crociano fu <strong>in</strong>fatti un altro <strong>in</strong>tralcio, così come ha<br />

osservato Mario Praz, al diffondersi di questo tipo di tematiche. Il tipo di estetica prodotta dal<br />

modernismo, così legata all’extratesto (composto di tutti gli elementi della cultura letteraria<br />

scientifica filosofica storica etc. e di tutti quelli relativi al sociale e al politico), doveva essere<br />

necessariamente av<strong>vers</strong>ata da Croce che applicava modelli di giudizio differenti considerandoli<br />

esclusivi e non affiancabili ad analisi di altro genere.<br />

Il caso di Pavese mi è sembrato particolarmente adatto ad un tipo di analisi di questo tipo <strong>in</strong><br />

quanto egli stesso documenta ogni s<strong>in</strong>golo passaggio della sua formazione <strong>in</strong>tellettuale. Sarà<br />

così utile mettere <strong>in</strong> risalto come non solo Pavese manifesti una predilezione per gli scrittori<br />

modernisti <strong>in</strong>glesi ma ne condivida addirittura le fonti.<br />

Nel primo capitolo si vuole fornire lo studio di un’<strong>in</strong>troduzione storica. L’Europa, tra la<br />

seconda metà dell’Ottocento e la prima del Novecento, subì una serie di trasformazioni<br />

capitali. Gli anni <strong>in</strong> questione sono senz’altro da considerarsi <strong>in</strong>dicativi. Non sarebbe possibile<br />

stabilire date precise per cambiamenti strutturali che <strong>in</strong>vestirono non una sola regione o paese<br />

ma l’<strong>in</strong>tera Europa. Ciò nonostante, come vedremo, sia gli studiosi sia gli stessi scrittori<br />

cercarono di essere abbastanza circostanziati nelle loro analisi quasi che l’evoluzione moderna<br />

avvenisse tanto velocemente da poter essere riconosciuta ad occhio nudo nelle sue<br />

manifestazioni pr<strong>in</strong>cipali. La perentoria affermazione di Lawrence nell’<strong>in</strong>troduzione a<br />

Kangaroo del 1923 è esemplificativa della percezione che gli <strong>in</strong>tellettuali potevano avere dei<br />

cambiamenti <strong>in</strong> atto <strong>in</strong>dipendentemente dalle cont<strong>in</strong>genze belliche: “It was <strong>in</strong> 1915 the old<br />

world ended”. Modelli economici e di produzione, modelli politici e sociali trovarono, <strong>in</strong><br />

questa epoca, improvvise quanto visibili evoluzioni che provocarono non pochi disagi nelle<br />

persone appartenenti alle classi meno abbienti (la maggior parte della popolazione) e fra gli<br />

<strong>in</strong>tellettuali borghesi. La crisi, relativa a questa emergenza sociale e politica, trovò nella<br />

speculazione <strong>in</strong>tellettuale una voce autorevole. Questo modello sociale, basato<br />

sull’appiattimento dell’<strong>in</strong>dividualità <strong>in</strong> un’entità lavoratrice e giustificato dalla propaganda di<br />

una morale borghese di ispirazione cristiana, è contam<strong>in</strong>ato, per Nietzsche, dal germe del<br />

nichilismo che ne segna il dest<strong>in</strong>o di progressiva decadenza. Nietzsche scaglierà i suoi dardi<br />

contro la religione, colpevole di <strong>in</strong>culcare il concetto di ubbidienza e di sottomissione, contro<br />

la morale, pianificata dal calcolo della borghesia materialistica ed ipocrita, contro l’etica, rea di<br />

giustificare un’esistenza basata sullo sfruttamento del lavoro umano, contro la politica, <strong>in</strong><br />

grado di donare unità ad elementi eterogenei attra<strong>vers</strong>o il concetto artificiale di Stato. Altri<br />

filosofi e scienziati si cimentarono, <strong>in</strong> questo periodo, nella critica della civiltà contemporanea.<br />

Per Karl Marx, come è noto, la crisi era dovuta ad un sistema economico dom<strong>in</strong>ato dalle classi<br />

borghesi e, proprio attra<strong>vers</strong>o la rivoluzione del sistema di produzione, l’uomo sarebbe potuto<br />

tornare ad un esistenza pacifica e serena. Il ruolo di Freud fu <strong>in</strong>vece quello di rilevare lo stato<br />

di crisi all’<strong>in</strong>terno dell’<strong>in</strong>dividuo. In tutti e tre i casi le soluzioni proposte alla crisi non<br />

trovarono alcuno sbocco pratico.<br />

Def<strong>in</strong>ire il concetto di modernità non è certo operazione agevole. Nell’ambito di questo studio<br />

ci si è voluti soffermare sul cambiamento nella concezione del tempo e dello spazio che tale<br />

modernità portò. Insomma si cerca, <strong>in</strong> questo caso, di <strong>def</strong><strong>in</strong>ire la modernità attra<strong>vers</strong>o gli effetti<br />

che essa ebbe sulla produzione letteraria. Nel suo saggio sulla categoria dello spazio, che<br />

andava riconfigurandosi all’<strong>in</strong>izio del XX° secolo, Eugenio Turri parla di “natura rifatta” 3<br />

mentre Vittoria Borsò, <strong>in</strong> un <strong>in</strong>tervento sulla riformulazione della categoria di tempo <strong>in</strong> epoca<br />

3 Eugenio Turri, Lo spazio europeo: alla ricerca di una geografia mitica, contenuto <strong>in</strong> Carlo Ossola, Europa:<br />

miti di identità, Saggi Marsilio, Venezia, 2001, p. 28.<br />

5


moderna, parla di “rottura totale con la natura” 4 . La modernità sembra configurarsi come<br />

rigetto del vecchio e promozione del nuovo sostenuto dal concetto capitalista di progresso.<br />

L’immag<strong>in</strong>e di questo mondo “costruito” si rende immediatamente distante nello spazio e nel<br />

tempo. Si crea un divario fra quella che era sentita come la vera natura dell’uomo e che si<br />

esprimeva nelle culture rurali (vedremo come uno degli sviluppi più <strong>in</strong>teressanti del Ramo<br />

d’oro di Frazer sarà proprio quello di stabilire una connessione fra le culture rurali europee e<br />

quelle primitive) e il mondo artificiale moderno. La percezione di questa distanza, che si<br />

<strong>in</strong>terpone fra l’uomo moderno e la natura, si esprime a livello spaziale tramite le scritture di<br />

viaggio, a livello temporale con il ricorso a poetiche della memoria e del ricordo. E’ una<br />

distanza disegnata narrativamente attra<strong>vers</strong>o la descrizione di spazi lontani, semanticamente<br />

non correlabili agli spazi artificiali della modernità. A differenza dei molti resoconti di viaggio,<br />

che andavano di moda all’epoca e che cercavano di rendere immediatamente fruibile e<br />

comprensibile il lontano e l’esotico agli uom<strong>in</strong>i occidentali, questo tipo di letteratura tende a<br />

fare della distanza una categoria portante di tutta la narrazione. La distanza non va ridotta ma<br />

approfondita. La crisi dell’uomo moderno, la visione del suo peccato orig<strong>in</strong>ale ha, nella<br />

letteratura modernista, una rappresentazione spaziale e crea, attra<strong>vers</strong>o l’<strong>in</strong>contro con l’altro,<br />

un ulteriore scarto temporale. La distanza dell’uomo primitivo dall’uomo moderno implica una<br />

difficoltà di questo ultimo a rapportarsi alla sua orig<strong>in</strong>e remota e barbarica ora che la sua<br />

essenza è considerata culturale.<br />

La percezione moderna del tempo e dello spazio empirici sancisce la drammatica<br />

<strong>in</strong>adeguatezza del soggetto di fronte allo spazio e al tempo assoluti. Il modernismo, reazione<br />

<strong>in</strong>tellettuale alla decadenza della modernità, fa del mito, spazio assoluto e tempo assoluto, una<br />

delle pr<strong>in</strong>cipali categorie esplicative del reale. La riflessione sulle categorie mitiche fu, fra gli<br />

<strong>in</strong>tellettuali modernisti, <strong>in</strong>tensa e rimise <strong>in</strong> gioco le stesse teorie della conoscenza; il fenomeno<br />

fu talmente vasto e complesso che Jurij Lotman ha <strong>def</strong><strong>in</strong>ito l’età moderna come l’età del<br />

neomitologismo.<br />

Le riflessioni <strong>in</strong>torno al mito furono di fondamentale importanza per gli scrittori modernisti e<br />

rappresentarono, al contempo, oggetto di speculazione assidua per Pavese. Per quanto riguarda<br />

il modernismo, si tenderà a stabilire delle l<strong>in</strong>ee guida su cui l’<strong>in</strong>terpretazione del mito, del rito<br />

e del simbolo si mossero. All’<strong>in</strong>terno del quadro generale così tracciato, si isoleranno le<br />

s<strong>in</strong>gole posizioni di quegli scrittori modernisti, <strong>in</strong> particolar modo Lawrence, che furono più<br />

vic<strong>in</strong>i a Pavese. L’analisi sui testi permetterà successivamente di constatare come la scrittura si<br />

ponga <strong>in</strong> relazione alle dialettiche fra spazio empirico e spazio mitico e fra tempo empirico e<br />

tempo mitico. Il r<strong>in</strong>venimento di uno spazio mitico personale e dei luoghi dell’<strong>in</strong>fanzia, come<br />

nel caso delle Langhe di Pavese o le Midlands di Lawrence, è dunque parte di un più grande<br />

disegno che riguarda il r<strong>in</strong>venimento di uno spazio mitico europeo. In questo senso gli spazi,<br />

contemplati dai di<strong>vers</strong>i autori europei, apparterrebbero ad una comune mitologia che proprio<br />

nella coscienza europea avrebbe le sue basi. Anche i luoghi mitici esterni all’Europa, i luoghi<br />

esotici descritti dal Conrad di Almayer’s folly o Heart of Darkness o dal Lawrence di The<br />

Plumed Serpent o ancora dal primo Pavese de I mari del sud, rientrerebbero di diritto <strong>in</strong><br />

questa categoria dello spazio mitologico occidentale europeo nel momento <strong>in</strong> cui ogni luogo<br />

esotico è descritto attra<strong>vers</strong>o gli occhi di un personaggio occidentale. E non è un caso che le<br />

descrizioni di questi luoghi esotici possano apparire a volte misteriosi ma vagamente familiari<br />

oppure che i personaggi, il Kurtz di Conrad o il cug<strong>in</strong>o di Pavese, li trov<strong>in</strong>o talmente distanti<br />

ed <strong>in</strong>commensurabili da non poter trovare le parole adatte alla descrizione, parole che il nostro<br />

vocabolario occidentale non contiene perché riguardanti lo sconosciuto, l’immemoriale, il<br />

soppresso, il cancellato appunto.<br />

L’ipo<strong>tesi</strong> di questo tipo di studio è quella di approfondire la modernità di Pavese attra<strong>vers</strong>o un<br />

implicito comparativismo. L’approfondimento è improntato a mettere <strong>in</strong> evidenza come<br />

4 Vittoria Borsò, Temporalità e alterità. Il nuovo rapporto tra uomo e natura nella poesia moderna, contenuto <strong>in</strong><br />

D. Conte, E. Mazzarella, Il concetto di tipo tra ottocento e Novecento. Letteratura, filosofia, scienze umane,<br />

Napoli, Liguori, 2001, p. 10.<br />

6


Pavese non solo abbia condiviso questi tratti “modernisti” ma vi si sia rapportato, attra<strong>vers</strong>o la<br />

comunanza delle fonti, e se ne sia avvalso f<strong>in</strong>o ad arrivare a conclusioni funzionali alla sua<br />

scrittura, <strong>in</strong> molti casi simili a quelle dei suoi predecessori. Attra<strong>vers</strong>o questo procedimento si<br />

vorrebbe, <strong>in</strong> primo luogo, dimostrare la “modernità” di Pavese e, <strong>in</strong> secondo luogo, come<br />

questa modernità sia rapportabile, sotto molti aspetti, al fenomeno letterario del modernismo<br />

europeo, ed <strong>in</strong> particolar modo <strong>in</strong>glese, <strong>in</strong>teso come espressione letteraria della modernità. Fra<br />

i cosiddetti “modernisti <strong>in</strong>glesi”, Lawrence e Conrad sembrano quelli che con più facilità<br />

possono essere accostati a Pavese. L’accostamento non è arbitrario ma nasce dalle <strong>in</strong>dicazioni<br />

dello stesso Pavese che cita più volte i due scrittori anglosassoni dichiarandosi, <strong>in</strong> alcuni<br />

momenti, <strong>in</strong>fluenzato dai loro scritti. L’opera di Conrad sarà utilizzata, all’<strong>in</strong>terno di questo<br />

studio, come riferimento costante mentre l’opera di Lawrence sarà oggetto di una<br />

comparazione diretta con il lavoro di Pavese. Questa impostazione deriva da una serie di<br />

considerazioni che prospettano un fruttuoso accostamento tra Lawrence e Pavese. Pavese era<br />

<strong>in</strong>fatti lettore di Lawrence e si impegnò presso l’E<strong>in</strong>audi al f<strong>in</strong>e di promuovere traduzioni delle<br />

sue opere. Alcuni degli scritti di Lawrence furono recepiti attivamente da Pavese così come<br />

egli stesso ci comunica nelle note del suo diario. I motivi pavesiani del nudismo e dei sacrifici<br />

umani trovano, nello scrittore <strong>in</strong>glese, un an<strong>tesi</strong>gnano e un modello. Lawrence fu anche un<br />

uomo di paese, proveniente dalla campagna delle Midlands <strong>in</strong>glesi; egli si impegnò, al pari di<br />

Pavese, <strong>in</strong> un <strong>in</strong>cessante confronto <strong>in</strong>tellettuale tra la dimensione “civile” cittad<strong>in</strong>a e quella<br />

rurale “bestiale”. Anche <strong>in</strong> questo contesto le similarità fra i due, imprigionati <strong>in</strong> una<br />

dimensione “di mezzo”, appaiono evidenti: il “classicismo rustico”, teorizzato da Pavese, non<br />

sembra molto distante dalla mitologia campagnola di Lawrence.<br />

E’ dunque importante sottol<strong>in</strong>eare come questi accostamenti, che mirano ad arricchire gli studi<br />

sulla poetica di Pavese, non siano arbitrari ma giustificati, se non esplicitamente suggeriti,<br />

dallo stesso autore. La possibilità di accostare l’opera di Pavese a quella di grandi scrittori del<br />

modernismo <strong>in</strong>glese rappresenta senza dubbio un tratto caratteristico della modernità dello<br />

scrittore. Modernità che lo scrittore sempre rivendicò per sé <strong>in</strong> virtù della grande attenzione<br />

che sempre dimostrò nei confronti della letteratura europea e mondiale. Pavese, traduttore di<br />

professione, fu estremamente consapevole dei fenomeni culturali a lui contemporanei e non<br />

les<strong>in</strong>ò appunti e considerazioni sull’argomento, specialmente nel suo diario Il Mestiere di<br />

Vivere. La capacità di Pavese di far scorrere parallela alla sua produzione poetica un’attenta<br />

riflessione su quelli che erano i compiti e gli impegni di un <strong>in</strong>tellettuale moderno a diretto<br />

contatto con le istanze culturali dell’epoca, rappresenta un elemento di impresc<strong>in</strong>dibile<br />

importanza per comprendere al meglio il suo “mestiere di scrittore”. Denis Ferraris 5 <strong>in</strong>dividua<br />

nella caratteristica di portare avanti contemporaneamente la scrittura e la riflessione sulla<br />

scrittura il primo dei c<strong>in</strong>que criteri che <strong>def</strong><strong>in</strong>iscono la modernità dello scrittore. E’ una<br />

modernità che si può riscontrare dunque a più livelli. A fianco di una modernità storica, che si<br />

confronta con i fenomeni del fascismo, della rivoluzione <strong>in</strong>dustriale e dell’urbanizzazione, si<br />

dovrà riscontrare e <strong>def</strong><strong>in</strong>ire la presenza di una modernità culturale, al f<strong>in</strong>e di studiare le<br />

relazioni tra Pavese e tale modernità. Il saggio di Ferraris si pone come obiettivo quello di<br />

stabilire dei criteri per la <strong>def</strong><strong>in</strong>izione di una modernità pavesiana. Pavese rivendicò, nell’<strong>in</strong>tero<br />

svolgersi della sua carriera di <strong>in</strong>tellettuale, la sua appartenenza ad una modernità europea.<br />

Soprattutto attra<strong>vers</strong>o gli appunti sul diario e i saggi letterari, Pavese tentò da un lato di<br />

<strong>def</strong><strong>in</strong>ire il significato di modernità, dall’altro di rivendicare la propria appartenenza a tale<br />

modernità. La sua formazione classica fu scientemente messa al servizio delle esigenze del<br />

moderno. Trovare un equilibrio fra il classico e il moderno, sottol<strong>in</strong>ea Ferraris, rappresentò<br />

quasi un’ossessione per lo scrittore e ne direzionò tutta la produzione: “L’esigenza di<br />

modernità lo costr<strong>in</strong>se, nel breve giro della sua carriera artistica, a tentare di non abbandonare<br />

mai recisamente i materiali teorici o tecnici acquisiti con pazienza e rigore e, nello stesso<br />

5 Denis Ferraris, Lo “sguardo alla f<strong>in</strong>estra” e il “laborioso caos”: sulla modernità narrativa di Cesare Pavese,<br />

<strong>in</strong> Centre de recherches italiennes, Narrativa, a cura di Marie-Helene Caspar, Uni<strong>vers</strong>itè Paris X – Nanterre, n°<br />

22, Janvier 2002.<br />

7


tempo, a ri<strong>def</strong><strong>in</strong>irli <strong>in</strong> stretta dipendenza delle nuove condizioni imposte dai tempi, a ricercare<br />

cioè con costanza un equilibrio tra l’uni<strong>vers</strong>ale imperituro e il s<strong>in</strong>golare transeunte” 6 . La<br />

costruzione di personaggi assoluti che agiscono all’<strong>in</strong>terno di vicende esemplari, ovvero la<br />

trasposizione dell’uni<strong>vers</strong>ale all’<strong>in</strong>terno del s<strong>in</strong>golare, rappresenta un tratto prioritario della<br />

modernità di Pavese che lo accosta a molti narratori modernisti. E’ personaggio, Pavese<br />

escluderà volontariamente ogni implicazione psicologica, costruito come essenza statica che<br />

pone il suo essere di fronte alle sollecitazioni del mondo moderno. Le risposte a queste<br />

sollecitazioni non si del<strong>in</strong>eano come successivi stadi di un percorso di crescita del personaggio<br />

ma rappresentano le tappe di un progressivo r<strong>in</strong>venimento all’essere obliato. L’operazione<br />

svolta da Pavese si connette al recupero di una dimensione mitica <strong>in</strong> cui il personaggio svolge<br />

una funzione simbolica: “L’arte del XIX sec. s’<strong>in</strong>centra sullo sviluppo delle situazioni<br />

(Bildungsroman, cicli storici, carriere ecc.); l’arte del XX sulle essenza statiche. L’eroe al<br />

pr<strong>in</strong>cipio era di<strong>vers</strong>o che alla f<strong>in</strong>e della storia; ora è sempre uguale” 7 .<br />

La creazione di personaggi assoluti si configura dunque come il primo passo <strong>vers</strong>o<br />

l’edificazione di una concezione mitica che regola i significati di un uni<strong>vers</strong>o simbolico. E’ <strong>in</strong><br />

questo uni<strong>vers</strong>o mitico-simbolico che prende forma la poetica dell’immag<strong>in</strong>e. Pavese fu più<br />

volte portato a rivedere la sua <strong>in</strong>iziale <strong>def</strong><strong>in</strong>izione di “immag<strong>in</strong>e-racconto” ma, anche se<br />

gradualmente vorrà dim<strong>in</strong>uire la centralità di questo concetto nell’ambito dei suoi progetti<br />

narrativi, non abbandonerà mai completamente i suoi assunti di base. Istanza tipicamente<br />

moderna è quella di dare importanza ad altri elementi della narrazione che non siano il punto<br />

di vista del personaggio che osserva e getta il suo occhio critico sul reale. Le poetiche<br />

moderniste dell’immag<strong>in</strong>e assegnano una nuova importanza al mondo che circonda il soggetto<br />

narrante. Le immag<strong>in</strong>i, di cui il mondo si compone, vengono dotate di una voce che si affianca,<br />

a volte sovrapponendosi, a quella del personaggio razioc<strong>in</strong>ante. Se l’ironia e l’autoironia<br />

divengono una caratteristica del personaggio novecentesco, che vede la sua autorità e la sua<br />

credibilità messe <strong>in</strong> discussione, così non potrà accadere con le immag<strong>in</strong>i che godono <strong>in</strong>vece di<br />

un’autonomia e di un’autorevolezza che le sottraggono alle mutevoli logiche culturali: “Le<br />

sole realtà che godano di un discreto privilegio espressivo parzialmente privo di ironia sono<br />

quelle immemoriali legate all’immag<strong>in</strong>ario elementare e alla mitologia personale dell’autore:<br />

aria, acqua, sole, terra, coll<strong>in</strong>a, corpo della donna e sangue” 8 . Vedremo <strong>in</strong> seguito come queste<br />

immag<strong>in</strong>i, a cui viene data nuova e autorevole voce, si <strong>in</strong>quadr<strong>in</strong>o nell’uni<strong>vers</strong>o miticosimbolico<br />

di Pavese rappresentando un nuovo punto di contatto con il modernismo <strong>in</strong>glese e,<br />

<strong>in</strong> particolar modo, con Lawrence. Il libero gioco delle immag<strong>in</strong>i sembra <strong>in</strong>serirsi<br />

perfettamente all’<strong>in</strong>terno di quella che Ferraris <strong>def</strong><strong>in</strong>isce “una rete simbolica” <strong>in</strong> grado di<br />

gettare “elementi di verità sull’uni<strong>vers</strong>ale umano” 9 . Le immag<strong>in</strong>i si caricano di significati<br />

simbolici e si <strong>in</strong>quadrano all’<strong>in</strong>terno di un grande disegno mitico. Analizzando il tema del<br />

nudismo, presente sia <strong>in</strong> Lawrence che <strong>in</strong> Pavese, si potrà notare quanto queste immag<strong>in</strong>i siano<br />

legate le une alle altre <strong>in</strong> una fitta rete simbolica. I quattro elementi (acqua, terra, aria, fuoco),<br />

si <strong>in</strong>nestano all’<strong>in</strong>terno di una geografia mitica (le coll<strong>in</strong>e, i corsi d’acqua, il mare) <strong>in</strong> cui<br />

alternano la loro presenza i totem primordiali (alberi, animali) e <strong>in</strong> cui gli astri svolgono una<br />

funzione attiva (sole, luna, stelle), così come lo scorrere delle stagioni e l’alternarsi delle albe e<br />

dei crepuscoli 10 . Il corpo nudo dei personaggi si <strong>in</strong>serisce <strong>in</strong> questo contesto subendo delle<br />

6<br />

Ivi, p. 121.<br />

7<br />

Cesare Pavese, Il Mestiere di Vivere, Diario 1935-1950, 21 Dicembre 1948, E<strong>in</strong>audi, Tor<strong>in</strong>o, 2000, p. 359.<br />

8<br />

D. Ferraris, Lo “sguardo alla f<strong>in</strong>estra” e il “laborioso caos”: sulla modernità narrativa di Cesare Pavese, cit.<br />

p. 124.<br />

9<br />

Ivi, p. 127.<br />

10<br />

Il “naturalismo estetico” qui espresso è senz’altro derivato da Nietzsche. Zarathustra è un viaggiatore che<br />

ritorna <strong>vers</strong>o zone <strong>in</strong>contam<strong>in</strong>ate dell’esistente dove si consuma l’ultimo scontro fra la coscienza civile<br />

dell’uomo moderno e i suoi ist<strong>in</strong>ti che trovano nella figura del selvaggio dionisiaco una perfetta <strong>in</strong>carnazione.<br />

Lo svolgersi delle stagioni rimanda, metaforicamente, alla concezione del tempo mitico e alla legge dell’eterno<br />

ritorno. Il ritorno ad una dimensione naturalistica simboleggia, al contempo, il ritorno ad una di<strong>vers</strong>a<br />

comprensione del tempo. Le stagioni si ripetono e così come i miti ripropongono le loro leggi eternamente.<br />

8


trasformazioni che sembrano atte a favorirne l’<strong>in</strong>corporazione da parte dell’elemento naturale.<br />

Dopo queste considerazioni si dovrà constatare come una delle pr<strong>in</strong>cipali implicazioni della<br />

scrittura di Pavese sia quella ontologica, implicazione che si configura, così come sottol<strong>in</strong>ea<br />

ancora Ferraris, come un ulteriore criterio di modernità. La <strong>def</strong><strong>in</strong>izione di un’ “essenza<br />

dell’essere umano afferrato nella sua uni<strong>vers</strong>alità” 11 appare come uno dei compiti che si<br />

prefigge Pavese nel momento della composizione delle sue narrazioni. E’ un punto ricco di<br />

implicazioni. La modernità di Pavese è difatti ribadita nel momento <strong>in</strong> cui si r<strong>in</strong>traccia la<br />

prossimità dei suoi scritti alla filosofia, soprattutto di matrice tedesca, che si occupò di<br />

ri<strong>def</strong><strong>in</strong>ire una dimensione esatta dell’uomo dopo l’artificializzazione della conoscenza operata<br />

da Kant a ridosso dell’Illum<strong>in</strong>ismo. In questo contesto l’opera di Pavese si <strong>in</strong>serisce <strong>in</strong> un<br />

nuovo filone che comprende quegli scrittori che si possono rapportare alla filosofia di<br />

Nietzsche, citato spesso da Pavese nei suoi saggi teorici, e di Heidegger, citato nel saggio di<br />

Ferraris e contemporaneo a Pavese. Per John Burt Foster Jr. 12 , l'analisi comparativa è la<br />

migliore via per comprendere il fermento culturale della prima metà del Novecento, proprio<br />

perchè Nietzsche rappresenta quasi sempre un'<strong>in</strong>fluenza più che uno studio sistematico<br />

<strong>in</strong>trapreso dagli scrittori di questo periodo. Gli studi culturali <strong>in</strong>crociati permettono notevoli<br />

progressi da questo punto di vista <strong>in</strong> quanto la letteratura si <strong>in</strong>serisce appieno tra la storia delle<br />

idee, la storia della filosofia e la storia <strong>in</strong>tellettuale. Se Lawrence punterà risoluto alla<br />

riscoperta di forze primordiali ed ist<strong>in</strong>tuali <strong>in</strong>dicate da Nietzsche, i personaggi pavesiani<br />

vacilleranno sempre sul conf<strong>in</strong>e che separa Apollo da Dioniso. Anche se Lawrence <strong>in</strong>dica nel<br />

ritorno ad un primitivismo dionisiaco la via per il superamento del nichilismo, è da sottol<strong>in</strong>eare<br />

come la vena del modernismo fu più tragica che utopica ed è questo l'aspetto che prevale<br />

nell’opera Pavese. La riscoperta di una dimensione tragica dell’esistente avviene attra<strong>vers</strong>o il<br />

recupero dell’irrazionale che rappresentò un’altra caratteristica della modernità pavesiana,<br />

come sottol<strong>in</strong>ea Gioanola:<br />

E’ vero che Pavese appare dom<strong>in</strong>ato dalle esigenze di razionalizzazione, e questo è certo un debito nei confronti<br />

del suo ambiente di formazione, ma si tratta pur sempre di un razionalizzare all’<strong>in</strong>terno dell’irrazionale, un portare<br />

alla consapevolezza che non esaurisce le risorse <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ite dell’Altro (è il problema del classicismo di Pavese, che<br />

trova un modello eccellente <strong>in</strong> Thomas Mann, un decadente classicista per <strong>def</strong><strong>in</strong>izione). Che lo si voglia o meno<br />

Pavese s’<strong>in</strong>serisce a pieno diritto su quella l<strong>in</strong>ea irrazionalistica che troppa cultura nostrana, per troppo tempo, ha<br />

Nietzsche celebra la teoria dell’eterno ritorno come affermazione di vita. Il mito dell’eterno ritorno è, qu<strong>in</strong>di, il<br />

mito dei miti, <strong>in</strong> quando comprende nella sua legge, le condizioni di esistenza di qualsiasi mitologia. Il tema dei<br />

ritorni, del dest<strong>in</strong>o e delle stagioni umane e terrestri trovarono nel selvaggio dionisiaco il miglior araldo.<br />

All’<strong>in</strong>terno di questo naturalismo estetico è da sottol<strong>in</strong>eare un fenomeno, <strong>in</strong> questo studio appena accennato, che<br />

si potrà riscontrare <strong>in</strong> molta produzione modernista. Insieme a Frazer, Nietzsche fornì gli scrittori modernisti di<br />

una serie di immag<strong>in</strong>i simboliche che trovarono puntualmente spazio nelle pag<strong>in</strong>e delle loro composizioni. John<br />

Burt Foster Jr. discute del potere simbolico delle immag<strong>in</strong>i utilizzate da Nietzsche e della valenza delle<br />

metafore. Alcuni elementi furono ampliamente riutilizzati dagli scrittori modernisti. Le ambientazioni naturali<br />

sono tipiche della scrittura niciana. In questi paesaggi ogni elemento naturale si carica di una forte carica<br />

simbolica. Zarathustra deve scalare i monti, allontanandosi dalla civiltà, per acquisire sapienza. Il suo tornare al<br />

mondo degli uom<strong>in</strong>i implica un movimento di discesa dopo che il percorso di ascesa era stato ultimato. Anche le<br />

stagioni con i loro corsi sono spesso presenti nelle pag<strong>in</strong>e del filosofo così come la simbologia legata all’alba e<br />

ai tramonti. Luna, sole e stelle sono altresì importanti nell’ambito della <strong>def</strong><strong>in</strong>izione di una simbologia<br />

cosmologica. Tra gli elementi naturali particolare importanza riveste l’albero con le sue radici che affondano nel<br />

terreno. Per Foster è questo un simbolo dell’impossibilità, per qualsiasi essere vivente, di negare la propria<br />

appartenenza alla terra: “a picture that suggests the naturalistic imperative of rema<strong>in</strong><strong>in</strong>g true to the earth” (John<br />

Burt Foster Jr., Heir to Dionysus, a Nietzschian <strong>in</strong> Literary Modernism, Pr<strong>in</strong>ceton Uni<strong>vers</strong>ity Press, 1988, p.<br />

133). Allo stesso modo la fontana si pone come uno dei simboli prediletti da Nietzsche per il suo flusso di<br />

energia, la sua orig<strong>in</strong>e misteriosa sotterranea e il suo ri<strong>vers</strong>arsi <strong>in</strong> un tutto naturale. I personaggi di molti<br />

romanzi modernisti si troveranno spesso ad agire <strong>in</strong> un uni<strong>vers</strong>o simbolico che aveva avuto <strong>in</strong> Nietzsche un<br />

primo osservatore e teorizzatore.<br />

11 Ivi, p. 129.<br />

12 John Burt Foster Jr., Heir to Dionysus, a Nietzschian <strong>in</strong> Literary Modernism, Pr<strong>in</strong>ceton Uni<strong>vers</strong>ity Press, 1988.<br />

9


considerato come la causa di tutti i mali, isolandola come una malattia romantica da superare al più presto: ma<br />

Pavese era troppo dentro al problema per non sapere che proprio sull’irrazionale si giocava la sua modernità di<br />

scrittore 13 .<br />

Nella narrativa di Pavese questa riscoperta avviene tramite una forma oppositiva b<strong>in</strong>aria che<br />

trae le sue orig<strong>in</strong>i dalle teorie espresse nella Nascita della Tragedia e che ci pone di fronte allo<br />

scontro fra Dioniso e Apollo nel momento <strong>in</strong> cui un personaggio razionale e lucente sprofonda<br />

nelle tenebre delle sue orig<strong>in</strong>i abissali. La costruzione di tale dimensione tragica avviene<br />

sempre attra<strong>vers</strong>o un viaggio. E’ un viaggio a ritroso, nel buio della memoria e delle orig<strong>in</strong>i,<br />

che si <strong>in</strong>traprende non per scoprire qualcosa di nuovo ma per r<strong>in</strong>venire qualcosa di perduto. Il<br />

luogo dell’orig<strong>in</strong>e ancestrale si identifica spesso con il luogo dell’<strong>in</strong>fanzia: si tratta di un<br />

percorso mitico che vede un personaggio logocentrico scontrarsi con l'<strong>in</strong>congetturabile<br />

patetico. Il fatto che la Nascita della Tragedia sia una delle opere che più <strong>in</strong>fluenzò gli scrittori<br />

modernisti assume una certa importanza nell'ambito della ricerca su Pavese, che trasse da<br />

questo libro più di un’ispirazione: l’elaborazione di una struttura agonista-antagonista, l’uso di<br />

immag<strong>in</strong>i metaforiche o simboliche, la rottura dei rapporti con il recente passato per riscoprire<br />

l’importanza del mito, appaiono tutti elementi di derivazione niciana 14 . Pavese stesso cercherà<br />

di rivendicare per sé questa appartenenza alla grande arte moderna del novecento; è un’arte<br />

che batte sull’irrazionale e che riscopre il selvaggio che si annida nell’animo umano: “Perché<br />

l’irrazionale solleva al tutti, all’uni<strong>vers</strong>ale? […] Le tue creazioni le trai dall’<strong>in</strong>forme,<br />

dall’irrazionale, e il problema è come portarle a consapevolezza.[…] La tua modernità sta tutta<br />

nel senso dell’irrazionale” 15 .<br />

Il richiamo alla filosofia si unisce a quello all’antropologia nella <strong>def</strong><strong>in</strong>izione di un ulteriore<br />

criterio di modernità <strong>in</strong> Pavese. Pavese assegna un ruolo importante al personaggio-<strong>in</strong>dividuo<br />

che porta <strong>in</strong> sé tutte le implicazioni culturali e ontologiche proprie dell’uomo moderno. Il<br />

soggetto pavesiano sarà questo crogiolo di elementi esterni, la cultura del passato che vive un<br />

suo <strong>in</strong>timo dibattito con la cultura moderna, ed elementi <strong>in</strong>terni, primitivi ed ist<strong>in</strong>tuali che<br />

riaffiorano improvvisamente da sotto le macerie del moderno. E’ dal rapporto fra queste due<br />

dimensioni che si costruisce un l<strong>in</strong>guaggio che ricerca il proprio ritmo, l’equilibrio fra<br />

l’esterno e l’<strong>in</strong>terno. E’ una tensione che per Ferraris è riferibile alla metafora del sangue che<br />

pulsa nel corpo, metafora di lawrenciana memoria, come <strong>in</strong>tima sapienza che viene<br />

naturalmente a contatto con stimoli esterni. Il ritmo si costruirebbe accordando il tempo<br />

naturale della terra a quello artificiale del mondo ed assicurerebbe unità e coerenza all’opera.<br />

Lo scopo pr<strong>in</strong>cipale di Pavese sembra quello di poter raggiungere, attra<strong>vers</strong>o la scrittura, una<br />

dimensione esistenziale più vera e genu<strong>in</strong>a che dimostri allo scrittore stesso il valore del<br />

condurre un’esistenza umana nell’ambito della decadenza: “da un lato, la conv<strong>in</strong>zione che<br />

l’unico oggetto di ricerca per il creatore sta nella ricerca della verità recondita, <strong>in</strong>quietante e<br />

labile del soggetto umano come essenza dell’uni<strong>vers</strong>o e, dall’altro, la tacita esaltazione nel<br />

lavoro <strong>in</strong>cessante di decantazione della l<strong>in</strong>gua che contiene tutti i segreti e i misteri del<br />

13 Elio Gioanola, Cesare Pavese, La realtà, l’altrove, il silenzio, Jaca Book, Milano, 2003, p. 102.<br />

14 Dal 1890 al 1930, Nietzsche esercitò un notevole <strong>in</strong>flusso a <strong>in</strong> tutta Europa. Alla base dell’<strong>in</strong>fluenza del<br />

filosofo tedesco sui modernisti europei vi è il concetto di una “radicale ri<strong>def</strong><strong>in</strong>izione della verità” (“Radical<br />

re<strong>def</strong><strong>in</strong>ition of truth”) così come scrive Ra<strong>in</strong>er Emig che <strong>def</strong><strong>in</strong>isce l’apporto del filosofo tedesco alla formazione<br />

della cultura moderna secondo solo a quello dell’Illum<strong>in</strong>ismo. La filosofia di Nietzsche si legò f<strong>in</strong> dal pr<strong>in</strong>cipio<br />

alla letteratura. Soprattutto La Nascita della Tragedia rappresentò un libro molto importante per i modernisti<br />

europei così come conferma F. Kuna <strong>in</strong> The Janus Faced Novel: Conrad, Musil, Kafka, Mann, contenuto <strong>in</strong> The<br />

English Modernist Reader 1910-1930, edited by Peter Faulkner, Uni<strong>vers</strong>ity of Ioawa Press, Ioawa City, 1986, p.<br />

443: “Thus, as a systematic aesthetic theory, Nietzsche’s book had only limited <strong>in</strong>fluence; but as philosophy of<br />

life, a notion of myth and ritual, as a radical counter doctr<strong>in</strong>e […] it exercised the profoundest <strong>in</strong>fluence<br />

possible. Its ideas spread through the turn of the century m<strong>in</strong>d; its <strong>in</strong>sights seem essential to the ideas of modern<br />

poets and novelists; and the dialectical scheme that Nietzsche offered seemed to become a bluepr<strong>in</strong>t, an<br />

aesthetic prototype, for nearly every major twentieth century novel”.<br />

15 C. Pavese, Il Mestiere di Vivere, 8 Febbraio 1944, cit. p. 274.<br />

10


mondo” 16 . I Dialoghi con Leucò rappresentano il punto di approdo delle speculazioni<br />

<strong>in</strong>tellettuali di Pavese, <strong>in</strong> cui le implicazioni ontologiche, antropologiche e l<strong>in</strong>guistiche trovano<br />

una loro <strong>def</strong><strong>in</strong>itiva unità.<br />

La dimensione moderna di Pavese non è d’altra parte un argomento nuovissimo. L’<strong>in</strong>tento di<br />

questo studio è quello di configurarsi come tentativo di accostare la modernità pavesiana alla<br />

modernità europea che trovò un’espressione privilegiata nel modernismo letterario.<br />

Nell’ambito di un raffronto che implicherebbe <strong>in</strong>numerevoli prospettive di studio, si è voluto,<br />

<strong>in</strong> questa ricerca, privilegiare alcuni sviluppi tematici che furono tipici del modernismo<br />

letterario, soprattutto <strong>in</strong>glese, e che trovarono, nelle composizioni di Pavese un’eco profonda e<br />

un’attenta rielaborazione. Privilegiare un approccio tematico, e implicitamente comparatistico,<br />

non ha potuto non sollevare questioni di carattere metodologico 17 .<br />

Prefiggendosi di <strong>in</strong>dividuare la presenza di temi comuni tra i modernisti <strong>in</strong>glesi e Cesare<br />

Pavese questo lavoro si è basato sulla selezione e sul confronto. I temi sono analizzati<br />

parallelamente <strong>in</strong> modo da trattare <strong>in</strong> maniera implicita le differenze e le convergenze. In<br />

questo modo non si <strong>in</strong>tende tanto approfondire i temi <strong>in</strong>dividuati quanto segnalarne la presenza<br />

e constatare come una comune sensibilità fra gli autori portò allo sviluppo di scritture aff<strong>in</strong>i.<br />

Lo stesso autore ci aiuta <strong>in</strong> questo compito grazie alle note dedicate ai modernisti <strong>in</strong>glesi. Lo<br />

studio sui temi del nudismo e dei sacrifici umani sono suggeriti dallo stesso Pavese che <strong>in</strong> una<br />

nota del Mestiere di Vivere datata 1 Dicembre 1949 riporta: “Scoperto l’altra sera quanto mi<br />

abbia plasmato la lettura di Sun e The woman who rode away di Lawrence (’36 –’37?)”.<br />

La ricerca tematica-comparatistica su Pavese si avvale di alcuni precedenti. Gli studi di<br />

Gregory Lucente 18 e quelli di Bruno Basile 19 rappresentano un primo importante tentativo di<br />

approccio tematico-comparatistico all’opera di Pavese. Soprattutto lo studio di Basile sembra<br />

<strong>in</strong>dicativo, nel momento <strong>in</strong> cui non solo <strong>in</strong>dividua la presenza di un tema comune a più autori<br />

ma ipotizza come il tema abbia l’effettiva possibilità di evol<strong>vers</strong>i per mezzo delle di<strong>vers</strong>e<br />

<strong>in</strong>terpretazioni che gli autori ne offrono attra<strong>vers</strong>o un processo produttivo di riscrittura. Il tema<br />

acquisisce, <strong>in</strong> questa <strong>in</strong>terpretazione, quasi una vita autonoma che si sviluppa attra<strong>vers</strong>o<br />

l’opera degli scrittori che decidono di farsene carico.<br />

Una delle r<strong>in</strong>unce di questo studio, per la quale ho dovuto optare al f<strong>in</strong>e di circoscrivere<br />

l’analisi, è stata il riferimento sistematico all’opera di Melville. Trattando di viaggi, di<br />

selvaggi, di luoghi lontani e <strong>in</strong>civili, il riferimento a Melville sarebbe quasi scontato. La<br />

decisione di circoscrivere la ricerca all’Europa, e <strong>in</strong> particolar modo alla Gran Bretagna, mi<br />

hanno portato a tenere l’opera di Melville ai marg<strong>in</strong>i, pur considerandola un punto di<br />

riferimento basilare a cui più volte si farà riferimento. L’<strong>in</strong>teresse di Pavese per la cultura e la<br />

letteratura americana è stato, d’altra parte, argomento ampiamente dibattuto mentre meno<br />

<strong>in</strong>teresse hanno f<strong>in</strong>o ad ora suscitato i suoi legami con la letteratura <strong>in</strong>glese moderna.<br />

Concentrarsi sul modernismo <strong>in</strong>glese ha dunque significato dover r<strong>in</strong>unciare ad un<br />

approfondimento su Melville; questa r<strong>in</strong>uncia appare ancor più significativa nel momento <strong>in</strong><br />

cui si dedica molto spazio a Lawrence che fu un altro appassionato lettore dello scrittore<br />

americano. Tuttavia, proprio per questa ennesima comunanza di fonti tra Pavese e Lawrence,<br />

Melville rientrerà <strong>in</strong> gioco nell’ultimo capitolo quando si analizzeranno i saggi dei due scrittori<br />

europei relativi al loro maestro americano. La ricerca, pur mirando all’approfondimento del<br />

modernismo <strong>in</strong>glese, non potrà presc<strong>in</strong>dere da brevi rimandi, f<strong>in</strong>anche nella forma di citazione,<br />

16<br />

D. Ferraris, Lo “sguardo alla f<strong>in</strong>estra” e il “laborioso caos”: sulla modernità narrativa di Cesare Pavese, cit.<br />

p. 134.<br />

17<br />

In questo caso i testi di riferimento sono stati Werner Sollors, The return of thematic criticism, Harvard<br />

Uni<strong>vers</strong>ity Press, Cambridge, Massachussets, London, England, 1993, e il saggio di P<strong>in</strong>o Fasano, Il ritorno della<br />

critica tematica, contenuto <strong>in</strong> L’umana compagnia, Studi <strong>in</strong> onore di Gennaro Bavarese, a cura di Rosanna<br />

Alhoique Pett<strong>in</strong>elli, Bulzoni editore, Roma, 1999, che proprio da Sollors prende le mosse.<br />

18<br />

Gregory Lucente, The narrative of realism and Myth. Verga, Lawrence, Faulkner, Pavese. The John Hopk<strong>in</strong>s<br />

Uni<strong>vers</strong>ity Press, Baltimore and London, 1981.<br />

19<br />

Bruno Basile, La f<strong>in</strong>estra socchiusa. Ricerche tematiche su Dostoevskij, Kafka, Moravia e Pavese, Patron<br />

Editore, Bologna, 1982.<br />

11


a <strong>in</strong>tellettuali europei, soprattutto francesi e tedeschi il cui apporto fu <strong>in</strong>estimabile per la<br />

formulazione di un concetto di modernismo europeo. Autori come Musil, Mann e Kafka, <strong>in</strong><br />

area germanica, o Bergson e Proust, <strong>in</strong> area francese, furono patrimonio comune sia degli<br />

<strong>in</strong>tellettuali modernisti <strong>in</strong>glesi sia di Pavese. Un discorso a parte meriterà <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e la filosofia di<br />

Vico 20 . Anche se questo studio non si potrà addentrare <strong>in</strong> questa direzione, mi sembra<br />

comunque necessario sottol<strong>in</strong>eare la presenza forte di questi <strong>in</strong>tellettuali nel panorama della<br />

cultura europea.<br />

Il modernismo si configura dunque come una ragnatela che si svolge sull’Europa <strong>in</strong>tera. E’ una<br />

ragnatela che si costruì come l’ammontare di s<strong>in</strong>gole scritture che contribuirono a creare una<br />

fitta trama di idee e di sensibilità. Cercare il centro di questo tessuto appare operazione<br />

difficile. Ciò che appare più plausibile è l’osservazione degli <strong>in</strong>trecci, lo scioglimento delle<br />

trame, la ricerca dei punti nodali dove i fili amano sovrapporsi ed aggrovigliarsi. La forma<br />

geometrica regolare della ragnatela è solo apparente. In realtà il caos regna sovrano all’<strong>in</strong>terno<br />

di un sistema dove è possibile, al massimo, riconoscere i s<strong>in</strong>goli percorsi nel loro procedere <strong>in</strong><br />

equilibrio su fili tortuosi sospesi sul baratro. L’impressione che ho ricavato dallo studio di<br />

questo fenomeno culturale è che esso si formò e sopravvisse veramente come una ragnatela<br />

che si <strong>in</strong>erpica <strong>in</strong> un angolo di soffitto dimenticato. In questa ragnatela confluì tutto lo sporco,<br />

tutto il rimosso, tutto ciò che si voleva dimenticare e nascondere di un sistema <strong>in</strong> decadenza,<br />

di un sistema del nichilismo; ma questa ragnatela, costruendosi come negativo di un modello<br />

putrescente, approntò forme geometriche nuove, f<strong>in</strong>anche astratte ed <strong>in</strong>comprensibili per la<br />

borghesia benpensante e positivista moderna, forme capaci di rappresentare lo spettro di<br />

un’antica, perduta, unità. Percorrere un tratto di queste geometrie, studiarne forme, evoluzioni<br />

e nodi, mi sembra che possa essere <strong>def</strong><strong>in</strong>ito il proposito di questo studio.<br />

20 Lo studio delle antiche pratiche rituali e le riflessioni riguardo la collocazione storica del mito, che implicava<br />

direttamente il discorso della riattivazione di una coscienza mitopoietica <strong>in</strong> epoca moderna, non poterono fare a<br />

meno dell’apporto della Scienza Nuova. Il ruolo che Giambattista Vico ebbe <strong>in</strong> Europa con le sue teorie espresse<br />

nella Scienza Nuova (1725), è importante per la diffusione del pensiero mitico <strong>in</strong> Europa tra l’Ottocento e il<br />

Novecento. L’<strong>in</strong>flusso che il filosofo napoletano ebbe su Cesare Pavese fu di notevole portata e rappresenta uno<br />

dei capisaldi nell’approccio critico allo scrittore. La lettura della Scienza Nuova colpì ed <strong>in</strong>fluenzò<br />

profondamente Pavese che sviluppò la sua concezione mitologica e le riflessioni sul personaggio mitico del<br />

selvaggio proprio a partire dagli assunti vichiani. Che ci sia una connessione tra le teorie storiche, e quelle<br />

<strong>in</strong>corporate del mito e del selvaggio, di Vico e quelle di molti scrittori romantici e modernisti è fatto appurato.<br />

12


1 IL MODERNISMO: LA STORIA E LA CRITICA<br />

La modernità è il transitorio, il fuggitivo, il<br />

cont<strong>in</strong>gente, la metà dell’arte, di cui l’altra metà è<br />

l’eterno e l’immutabile. (Charles Baudelaire, La<br />

pe<strong>in</strong>tre de la vie moderne, 1863)<br />

La parola modernismo risulta, per uno studioso di letteratura italiana, un term<strong>in</strong>e di difficile<br />

collocazione. Se si parla di letteratura mondiale si potrà far riferimento al modernismo<br />

<strong>in</strong>glese, a quello americano, a quello spagnolo e sudamericano, solo per citare quelli più<br />

importanti. Se si parla di letteratura italiana, un qualsiasi riferimento ad un modernismo di<br />

tipo letterario sembra del tutto fuori luogo e <strong>in</strong>giustificato. Di più ci sarà chi, e giustamente,<br />

farà riferimento al modernismo religioso che fu una corrente di pensiero, all’<strong>in</strong>izio del secolo<br />

XX nell'ambito della chiesa cattolica, che propose un r<strong>in</strong>novamento dell’approccio<br />

ecclesiastico per armonizzare progresso scientifico e fede religiosa 21 . Il modernismo <strong>in</strong> Italia<br />

non si è avuto. O perlomeno si potrebbe dire che una somma di eventi storici e culturali, che<br />

hanno avuto luogo nel nostro paese tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima metà del<br />

Novecento, non sono stati ufficialmente collocati all’<strong>in</strong>terno di questo fenomeno culturale. La<br />

domanda che sorge spontanea, a cui cercheremo di rispondere, è come un paese quale<br />

l’Italia, <strong>in</strong> un momento storico <strong>in</strong> cui il modernismo letterario si diffondeva <strong>in</strong> Europa e nel<br />

resto del mondo, possa essere rimasto impermeabile ad un fenomeno di tale portata, o se<br />

piuttosto non si è creata una situazione per cui il modernismo è stato recepito e rielaborato<br />

<strong>in</strong>dividualmente dagli scrittori del nostro paese. L’ipo<strong>tesi</strong> che il problema del modernismo <strong>in</strong><br />

Italia sia pr<strong>in</strong>cipalmente nom<strong>in</strong>ativo è avvalorata da Franco Moretti che ipotizza come la<br />

nostra critica sia portata a confondere il term<strong>in</strong>e con quello di avanguardia: “Il term<strong>in</strong>e<br />

modernismo, <strong>in</strong> Italia, ha corso solo nella storia del pensiero religioso; ma sarebbe il caso di<br />

usarlo anche nella critica letteraria (come già avviene nel mondo anglosassone), lasciando al<br />

term<strong>in</strong>e Avanguardia il suo significato più proprio, e più ristretto” 22 . E' importante<br />

sottol<strong>in</strong>eare, prima di <strong>in</strong>com<strong>in</strong>ciare questo tipo di analisi, come il modernismo non<br />

rappresentò una semplice moda letteraria. Il modernismo fu piuttosto un'esigenza culturale,<br />

una posizione <strong>in</strong>tellettuale forte che, <strong>in</strong> Europa, nacque all'<strong>in</strong>domani della grande rivoluzione<br />

<strong>in</strong>dustriale. L'analisi storica ci porta a comprendere come questa tendenza si sia diffusa <strong>in</strong><br />

Europa parallelamente all'avanzare del progresso <strong>in</strong>dustriale. Il paese <strong>in</strong> cui tale fenomeno<br />

nacque, e velocemente si sviluppò, è, per l'appunto, il paese della grande rivoluzione<br />

<strong>in</strong>dustriale ottocentesca: l'Inghilterra.<br />

Quello che gli studiosi <strong>in</strong>glesi usano <strong>def</strong><strong>in</strong>ire modernismo è, prima di tutto, un fenomeno<br />

storico. E' ipotizzabile che le condizioni storiche che si verificarono <strong>in</strong> Inghilterra fra la<br />

seconda metà dell'Ottocento e la prima del Novecento si siano riproposte nel resto del<br />

cont<strong>in</strong>ente con uno scarto temporale di una o più decadi. E’ questa un’ipo<strong>tesi</strong> suffragata da<br />

Tra<strong>vers</strong> che così si esprime sulla questione:<br />

21 Il movimento “modernista”, che si sviluppò <strong>in</strong>torno alla rivista “R<strong>in</strong>novamento”, non ebbe grande seguito<br />

anche per l’opposizione della Chiesa. Il suo esponente maggiore fu Antonio Fogazzaro. Il romanzo Il Santo<br />

(1905), <strong>in</strong> cui le istanze “moderniste” erano espresse con maggior risoluzione, venne messo all’<strong>in</strong>dice. L’<strong>in</strong>tero<br />

movimento rappresentò poco più che un esperimento e non ebbe maggior seguito.<br />

22 Franco Moretti, Segni e stili del Moderno, Giulio E<strong>in</strong>audi Editore, 1987, Tor<strong>in</strong>o, p. 235.<br />

13


From the very beg<strong>in</strong>n<strong>in</strong>g of the century, it had become <strong>in</strong>creas<strong>in</strong>gly evident that traditional agrarian Europe was<br />

be<strong>in</strong>g rapidly replaced by a new type of society founded on urban, pluraristic, and materialist values, at a pace<br />

driven by technological change. Between 1870 and 1914, that process, start<strong>in</strong>g <strong>in</strong> England, spread first to France<br />

and Belgium and then to Germany and Italy, gather<strong>in</strong>g a startl<strong>in</strong>g momentum 23 .<br />

E' uno schema semplice e generalizzante che ammette <strong>in</strong>numerevoli varianti. Ma procediamo<br />

con ord<strong>in</strong>e partendo, per l’appunto, dall’Inghilterra.<br />

Nel 1851 si tenne a Londra The Great Exhibition, una grande esibizione che doveva<br />

testimoniare di fronte al mondo l'evoluzione e i successivi orizzonti della moderna<br />

tecnologia. Charles K<strong>in</strong>gsley, popolare scrittore e uomo di chiesa di quel periodo, si sentì <strong>in</strong><br />

grado di dichiarare di aver assistito alla prova materiale che il voler realizzare il regno di Dio<br />

<strong>in</strong> terra non era più da considerarsi un'utopia. L’immag<strong>in</strong>e dei risultati ottenuti dal genio<br />

umano e la prospettiva <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ita degli sviluppi ulteriori di questa evoluzione lasciarono<br />

ammirato lo scrittore che, con il suo <strong>in</strong>tervento, diede una voce, poetica e mistica, al pensiero<br />

corrente dell’élite culturale europea. L’idea che l’uomo potesse essere <strong>in</strong> grado di estendere il<br />

suo potere a dismisura sul creato, rendendo il mondo un posto migliore nel quale vivere, fece<br />

realmente breccia fra la popolazione europea. L'<strong>in</strong>tuizione che lo scopo dell'uomo <strong>in</strong> questa<br />

terra non fosse semplicemente quello di sopravvivere, ma fosse quello di progredire<br />

raggiungendo tramite la tecnica la realizzazione di un'idea del mondo basato su pr<strong>in</strong>cipi<br />

morali-evangelici, sembrò assurgere, per una frazione di secolo, al rango di una nuova<br />

fondamentale rivelazione. Sentimenti di stupore, meraviglia, euforia per la costruzione di<br />

questo futuro, potremmo così dire “ideale”, com<strong>in</strong>ciarono a serpeggiare, e non senza<br />

giustificazioni, tra la popolazione europea. La belle époque, a cavallo dei due secoli,<br />

rifletteva l’ottimismo della classe borghese che vedeva un effettivo progresso materiale alla<br />

portata di tutti. Ma la bellezza di quest’epoca fu soprattutto di facciata: “La belle époque fu <strong>in</strong><br />

realtà un periodo di crescita complessiva della società europea, ma anche di forti contrasti<br />

politici e di grandi conflitti sociali” 24 . La disillusione doveva, qu<strong>in</strong>di, seguire l'illusione. I<br />

cambiamenti troppo repent<strong>in</strong>i non poterono che lasciare degli strascichi importanti o,<br />

potremmo dire, provocare delle crisi di rigetto. In una parola l'impatto della tecnica mutò<br />

l'equilibrio del mondo che <strong>in</strong>iziò a traballare pericolosamente. I cambiamenti a livello sociale,<br />

politico, economico e culturale segnarono l'<strong>in</strong>izio di quello che gli studiosi <strong>in</strong>glesi hanno<br />

appunto <strong>in</strong>dicato come il periodo della modernità (modernity). Tale periodo, <strong>in</strong> cui si assiste a<br />

un vero e proprio cambiamento strutturale, fu caratterizzato da un crescente pessimismo fra<br />

gli <strong>in</strong>tellettuali attenti alle questioni sociali. Sull’altro <strong>vers</strong>ante, l’evoluzione delle tecniche e<br />

dei profitti sviluppò un eccessivo ottimismo fra le classi egemoni. Ma l’impatto <strong>in</strong>dustriale e<br />

tecnologico fu troppo forte per non <strong>in</strong>cidere negativamente sulla maggioranza della<br />

popolazione europea. Non pochi studiosi hanno parlato, per questo periodo, di una vera<br />

rivoluzione antropologica. Il senso di disagio di fronte al nuovo sistema economico e sociale<br />

si manifestò immediatamente e divenne subito oggetto d’<strong>in</strong>teresse da parte degli <strong>in</strong>tellettuali.<br />

Il potere <strong>in</strong>dustriale trovò il suo migliore alleato nella classe politica che a sua volta str<strong>in</strong>se<br />

accordi con i proprietari terrieri, con la vecchia aristocrazia e con la Chiesa. Si venne dunque<br />

a creare una situazione per cui il potere si accumulò nelle mani di pochi i quali, professando<br />

ideali di libertà e giustizia, non fecero altro che cercare di aumentare la loro forza politica ed<br />

economica a danno del resto della popolazione. Insomma una nuova classe politica,<br />

“economically open, but politically closed” 25 , pronta a far fronte a qualsiasi m<strong>in</strong>accia che<br />

avesse provato a privarla dell'autorità appena conseguita. I veri scopi di questa élite liberale<br />

non tardarono a manifestarsi e a rendersi evidenti agli occhi di tutti. Il massacro di 30.000<br />

lavoratori che avevano dato vita alla Comune di Parigi nel 1871, le leggi antisocialiste<br />

23 M. Tra<strong>vers</strong>, An <strong>in</strong>troduction to modern European Literature-from Romanticism to Postmodernism, cit. p. 97.<br />

24 A. Giard<strong>in</strong>a, G, Sabbatucci, V. Vidotto, L’età contemporanea, Editori Laterza, Bari, 1990, p. 388.<br />

25 M.Tra<strong>vers</strong>, An <strong>in</strong>troduction to modern European Literature-from Romanticism to Postmodernism, cit. p. 94.<br />

14


promulgate da Bismarck <strong>in</strong> Germania tra il 1878 e il 1890, il caso di corruzione e <strong>in</strong>granaggio<br />

politico svelato dal caso Dreyfus nel 1894, rappresentano alcuni esempi che furono recepiti,<br />

da una buona parte della popolazione, come segnali di una strategia pianificata dalle élite<br />

politiche europee tutte dedite a considerare i loro affari e molto poco <strong>in</strong>cl<strong>in</strong>i a lavorare per il<br />

bene del popolo che, al contrario, era sfruttato e privato dei diritti fondamentali. La retorica<br />

dell'uguaglianza, della libertà e della fratellanza, aveva ispirato la nascita degli stati laici<br />

borghesi che propugnavano il liberismo come la strategia di economia politica ispirata a tali<br />

ideali. Ma tale modello si scontrò presto contro la realtà della conquista e della sopraffazione<br />

a f<strong>in</strong>i di lucro e di espansioni territoriali.<br />

Il passaggio dal secolo XIX al secolo XX si rivelò, dunque, come un passaggio<br />

particolarmente critico. Il cambiamento fu troppo veloce e il sistema, che subì una vera e<br />

propria rivoluzione, non riuscì ad assorbire l'impatto del “nuovo”. Lo scenario sociale<br />

europeo cambiò profondamente nel giro di poche decadi. Il sistema agrario tradizionale<br />

venne soppiantato dal nuovo modello <strong>in</strong>dustriale e il fenomeno dell'urbanizzazione si diffuse<br />

<strong>in</strong> tutta Europa. Il passaggio dalla campagna alla città, che avvenne come una vera ondata,<br />

comportò una serie di conseguenze che, avvertite dapprima <strong>in</strong> Inghilterra, non tardarono a<br />

manifestarsi, con molte similitud<strong>in</strong>i e poche varianti, <strong>in</strong> tutto il resto d'Europa. Si può<br />

ragionevolmente asserire che tra il 1870 e il 1914 tale fenomeno trovò, <strong>in</strong> Inghilterra, la sua<br />

<strong>def</strong><strong>in</strong>itiva collocazione. Il passaggio fu segnato, come si può facilmente <strong>in</strong>tuire, da una serie<br />

di ripercussioni sugli <strong>in</strong>dividui che andarono al di là del semplice disagio ambientale.<br />

Questo particolare sviluppo della società <strong>in</strong>dustriale fu attentamente seguito dagli <strong>in</strong>tellettuali<br />

e ampiamente elaborato dagli scrittori. Il momento del passaggio da un tipo di vita rurale ad<br />

un tipo di vita urbana poteva lasciare l'impressione non solo di trovarsi <strong>in</strong> un luogo “non<br />

proprio” ma anche quella di aver “tradito” la propria stessa orig<strong>in</strong>e, aver r<strong>in</strong>negato un sistema<br />

di vita che, attra<strong>vers</strong>o le generazioni, poteva considerarsi centenario. La vita rurale, con i suoi<br />

luoghi usitati e conosciuti profondamente, con le sue cose piene di un senso accumulato negli<br />

anni, con le persone conosciute, con il tempo scandito sui ritmi delle stagioni, con il lavoro<br />

umile ma <strong>in</strong> qualche modo appagante, venne scalzata da un nuovo modello fatto di luoghi<br />

sconosciuti e <strong>in</strong>ospitali, di immag<strong>in</strong>i straniere prive di un qualsiasi senso, di orde di volti<br />

anonimi, di un tempo scandito macch<strong>in</strong>almente dagli orologi, di un lavoro alienante e<br />

umiliante. Le ripercussioni furono dunque di carattere ambientale e temporale. Moretti,<br />

citando il saggio di Rimmel, La metropoli e la vita spirituale, nota come la velocità, che<br />

caratterizzava il flusso con cui le immag<strong>in</strong>i del mondo moderno scorrevano di fronte<br />

all’<strong>in</strong>dividuo, rappresentò un vero shock psicologico: “Il problema psicologico fondamentale<br />

del cittad<strong>in</strong>o moderno deriva dal mutare rapido e <strong>in</strong>cessante degli stimoli esterni […]<br />

dall’<strong>in</strong>treccio velocissimo e <strong>in</strong> districabile di immag<strong>in</strong>i mutevoli […] da stimoli che sono<br />

<strong>in</strong>sieme violenti e <strong>in</strong>at<strong>tesi</strong>” 26 . Se l'uomo comune trovò nello sradicamento e nell’alienazione<br />

le sue pr<strong>in</strong>cipali caratteristiche, gli <strong>in</strong>tellettuali arriveranno ad ipotizzare un effettivo<br />

tradimento nei confronti della reale condizione umana. L'uomo diviene una sorta di automa.<br />

Il lavoro e la fabbrica lo plasmano a loro piacimento spersonalizzandolo e offrendogli il ruolo<br />

di <strong>in</strong>granaggio all'<strong>in</strong>terno del grande, <strong>in</strong>arrivabile, meccanismo.<br />

La riflessione teorica modernista nacque, dunque, da un disagio sociale reale che derivava, <strong>in</strong><br />

buona parte, dai processi di <strong>in</strong>dustrializzazione e urbanizzazione. E’ di questo disagio, che la<br />

gente comune provava di fronte all’improvvisa nuova organizzazione del mondo, che i<br />

modernisti si fecero portavoce prendendo posizione nei confronti della modernità <strong>in</strong>calzante<br />

che, attra<strong>vers</strong>o le superiori leggi dell’economia, sembrò acquisire un potere coercitivo senza<br />

limiti. Sulla dimensione di quello che ho <strong>def</strong><strong>in</strong>ito disagio non mancano documentazioni<br />

precise. Anche se è spesso sconsigliabile fare riferimento a date quando si parla di <strong>in</strong>teri<br />

fenomeni culturali, nel caso del modernismo si può forse fare un'eccezione. Furono gli stessi<br />

scrittori a rendersi pienamente conto del momento di passaggio che l'<strong>in</strong>tera società stava<br />

26 F. Moretti, Segni e stili del moderno, cit. p. 237.<br />

15


vivendo e di come questo passaggio potesse essere segnato da date, se non precise,<br />

perlomeno <strong>in</strong>dicative. Si può asserire con una certa sicurezza che qualcosa <strong>in</strong> Europa,<br />

all'<strong>in</strong>izio del Novecento, effettivamente cambiò <strong>in</strong> maniera radicale e nel giro di pochi anni.<br />

Quello che tale cambiamento rappresentò può essere studiato attra<strong>vers</strong>o i documenti storici<br />

per comprendere l'evoluzione della società e attra<strong>vers</strong>o gli scrittori che, partecipi di questa<br />

svolta epocale, furono testimoni di un ulteriore passo nell'evoluzione dell'uomo. E di<br />

evoluzione si deve parlare nel momento <strong>in</strong> cui Virg<strong>in</strong>ia Woolf dichiarava: “In or around 1910<br />

human nature changed”. La sensazione di vivere una svolta epocale sembrava essere ben<br />

radicata negli <strong>in</strong>tellettuali europei che potevano essere divisi fra il gusto del nuovo e la<br />

nostalgia del vecchio, ma che comunque riconoscevano <strong>in</strong> questo passaggio l'oggetto della<br />

loro speculazione. Per Lawrence il passaggio è ancora più netto quando, <strong>in</strong> Kangaroo (1923)<br />

dichiara: “It was <strong>in</strong> 1915 the old world ended”. La modernità, così detta, fu dunque un<br />

fenomeno ampiamente visibile, di cui gli <strong>in</strong>tellettuali furono pienamente coscienti e che<br />

chiamò <strong>in</strong> causa, direttamente, analisi di tipo antropologico ed etnologico.<br />

Il fenomeno culturale del modernismo si diffuse <strong>in</strong> Europa come reazione a una modernità<br />

dilagante. Si può ragionevolmente asserire che l'elaborazione letteraria dell'impatto di questo<br />

cambiamento epocale rappresentò il motore del modernismo. Le analisi portate avanti da<br />

storici, filosofi, sociologi, psicologi, etnologi sembrarono convenire tutte nel medesimo<br />

punto: constatare il disagio dell'uomo moderno di fronte a un mondo che progressivamente si<br />

faceva più lontano e ostile 27 . L'approfondimento di questi temi a livello letterario fu <strong>in</strong>gente.<br />

Un tema <strong>in</strong>teressante di questo periodo, sul quale questo studio si soffermerà <strong>in</strong> seguito, è<br />

quello del viaggio <strong>vers</strong>o terre sconosciute. L'imperialismo, espressione territoriale di un<br />

sistema basato sullo sfruttamento economico, diede nuovo vigore alla produzione della<br />

letteratura di viaggio. La pratica coloniale, con lo scopo dichiarato di portare il progresso<br />

presso i selvaggi, fece del ricorso sistematico a violenze e delitti la sua pr<strong>in</strong>cipale<br />

caratteristica. In questo contesto è il carattere essenzialmente barbarico dell'uomo a venire<br />

alla luce, così come ci riportano i testi di Kipl<strong>in</strong>g e Conrad. Nell'ambito della letteratura di<br />

viaggio non si può non gettare un'occhiata fuori dai conf<strong>in</strong>i europei per riconoscere alla<br />

letteratura americana un esito particolarmente felice <strong>in</strong> questo campo come testimonia, su<br />

tutti, il capolavoro di Melville, Moby Dick. In questo caso è il rapporto conflittuale dell'uomo<br />

con la natura ad essere il motore del romanzo <strong>in</strong> un momento <strong>in</strong> cui si scopre tale lotta essere<br />

eterna, mitica. In entrambi i casi l'uomo, il protagonista, verrà posto di fronte al buio delle<br />

proprie orig<strong>in</strong>i, di fronte alla consistenza di quella forma barbarica che lo contraddist<strong>in</strong>gue e<br />

che viene costantemente r<strong>in</strong>negata dal mondo borghese. La riscoperta di questi mondi esotici,<br />

paradisi terrestri per antonomasia, avvenne <strong>in</strong> primo luogo tramite la lettura dei resoconti di<br />

viaggio e degli studi antropologici. Ma il fenomeno del primitivismo, la riscoperta del<br />

selvaggio come depositario degli ist<strong>in</strong>ti umani non repressi, avvenne, anche e soprattutto, <strong>in</strong><br />

ambito teorico. Il concetto di selvaggio ebbe una lunga gestazione ma, <strong>in</strong> questo periodo,<br />

l'<strong>in</strong>teresse per questo personaggio non si legò esclusivamente ai viaggi di esplorazione e<br />

d'avventura. Il selvaggio divenne un personaggio complesso che si pose al centro<br />

dell'attenzione di molti scrittori i quali si prefissero di compiere un percorso a ritroso <strong>vers</strong>o<br />

l’orig<strong>in</strong>e dell’umanità. Non solo aborigeni o cannibali dunque. I personaggi di Lawrence<br />

sono spesso persone normali che scoprono il selvaggio che è <strong>in</strong> loro stessi tramite<br />

un'operazione di anamnesi. Lo scontro dei personaggi con la dimensione civile è una naturale<br />

implicazione di questo modello di scrittura e porta <strong>in</strong> una dimensione della scrittura che<br />

27 La presenza di un disagio diffuso di fronte le novità della tecnica è documentato anche da alcune grandi<br />

produzioni c<strong>in</strong>ematografiche dell’epoca. Alcuni esempi emblematici possono essere Metropolis (1926) di Fritz<br />

Lang <strong>in</strong> cui il dramma dell’uomo si svolge al cospetto di una struttura sociale disumana e coercitiva, The<br />

General (1926) di Buster Keaton <strong>in</strong> cui la civiltà delle macch<strong>in</strong>e è ridicolizzata, Modern Times (1936) di Charlie<br />

Chapl<strong>in</strong> <strong>in</strong> cui il rapporto uomo-<strong>in</strong>dustria si ammanta di una tragica comicità. Anche <strong>in</strong> quesi casi è l’alienazione<br />

dell’uomo moderno ad essere al centro di ogni trattazione. Il suo soccombere di fronte le prepotenze della<br />

tecnica sembra sfociare necessariamente <strong>in</strong> una drammatica svolta antropologica.<br />

16


Tra<strong>vers</strong> <strong>def</strong><strong>in</strong>isce “a gentle melancholia, [...] a nostalgia for a land of lost content that ho<strong>vers</strong><br />

just beyond the consciousness, <strong>in</strong> a dimly remembered past” 28 .<br />

Il modernismo non può essere, però, <strong>def</strong><strong>in</strong>ito come un vero e proprio movimento letterario<br />

conforme a regole e a statuti. Quella di modernismo è <strong>in</strong> effetti una <strong>def</strong><strong>in</strong>izione a posteriori<br />

che vuole dare un’identità ad un periodo storico caratterizzato da un grande sommovimento<br />

culturale, sociale, politico. Gli scrittori modernisti trassero il materiale per le loro<br />

composizioni dal periodo storico della modernità. Tra<strong>vers</strong> offre questa <strong>def</strong><strong>in</strong>izione di<br />

modernismo:<br />

Although the notion of “the modern” found its way <strong>in</strong>to a number of cultural studies <strong>in</strong> the late n<strong>in</strong>eteenth<br />

century, for example Georg Brandes Men of the modern Breaktrought (1883) and Samuel Lubliski's Assess<strong>in</strong>g<br />

the Moderns (1904), modernism as a recognisable literary mode did not ga<strong>in</strong> currency until the 1920s, when it<br />

found favour amongst writers and scholars try<strong>in</strong>g to make sense of a new type of literature that represented not<br />

only aesthetic novelty and <strong>in</strong>novation, but also (for many) obscurity and the divorce of advanced contemporary<br />

poetry from the common-sense standards of ord<strong>in</strong>ary <strong>in</strong>telligence 29 .<br />

Nell’ambito delle <strong>def</strong><strong>in</strong>izioni e delle dist<strong>in</strong>zioni che si possono proporre del modernismo<br />

letterario prevale quella di High Modernism e Low Modernism. Questa dist<strong>in</strong>zione sembra<br />

tuttavia legata pr<strong>in</strong>cipalmente al valore delle opere <strong>in</strong>serite nell’una o nell’altra delle<br />

categorie; l’idea che l’High Modernism rappresenti un gruppo di scrittori che, anche se<br />

formalmente non aff<strong>in</strong>i, si confrontarono con le medesime tematiche può, per il momento,<br />

essere accettata. Tra gli scrittori appartenenti all’High Modernism spiccano Eliot, Pound,<br />

Conrad, Joyce, Lawrence e altri che, nell'ambito di quest'analisi possono, per il momento,<br />

rimanere ai marg<strong>in</strong>i. Sono senz’altro questi gli scrittori che esercitarono il maggior <strong>in</strong>flusso <strong>in</strong><br />

Europa e sono questi gli scrittori che, nell’ambito di questo studio, sarà utile approfondire.<br />

Tali scrittori, confrontandosi con le stesse problematiche, dotarono il modernismo letterario<br />

di un pur ufficioso statuto. Le riflessioni sul tempo, sullo spazio, sull'uomo e sulle sue forme<br />

di comunicazione rappresentarono oggetto di riflessione <strong>in</strong> un momento <strong>in</strong> cui la modernità<br />

sembrava rimettere tutto <strong>in</strong> gioco: l’<strong>in</strong>tero mondo moderno sembrò, improvvisamente,<br />

divenire artificiale, costruito <strong>in</strong> maniera arbitraria. I dati salienti della modernità potrebbero<br />

essere così schematizzati: un nuovo concetto di tempo <strong>def</strong><strong>in</strong>ibile solamente <strong>in</strong> base ai<br />

meccanismi che lo scandiscono; una nuova idea di spazio non più percepito come distesa<br />

libera e possibilità aperta, alla Cervantes diciamo, ma come chiusura, come urbe pre<strong>def</strong><strong>in</strong>ita e<br />

<strong>in</strong>violabile; un nuovo modello di uomo che, totalmente <strong>in</strong>corporato nel meccanismo sociale,<br />

deve a questo meccanismo adeguarsi anche a condizione di forzare la propria natura; un<br />

nuova difficoltà nella comunicazione tra uomo ed uomo nel momento <strong>in</strong> cui l’uso del<br />

l<strong>in</strong>guaggio diviene standardizzato e superficiale. Le ricerche sul tempo mitico, sugli spazi<br />

esterni alla città, e <strong>in</strong> un certo senso mitici anch'essi, sull'<strong>in</strong>tima essenza dell'uomo e sulla sua<br />

ontologia, sulle primarie forme di comunicazione, che suggeriscono agli scrittori di tornare a<br />

pensare metaforicamente tramite l'utilizzo di immag<strong>in</strong>i e simboli, rappresentarono la risposta<br />

<strong>in</strong>tellettuale dei modernisti alle novità del secolo. Le risposte che i vari scrittori diedero a<br />

queste problematiche furono, <strong>in</strong>evitabilmente, di<strong>vers</strong>e e orig<strong>in</strong>ali, alcune contrastanti fra loro<br />

ma la base di partenza della loro speculazione appare comune ed è ciò che ci fa identificare<br />

questi scrittori come modernisti.<br />

Una debita importanza va attribuita senz’altro alle avanguardie storiche che, del modernismo,<br />

rappresentano uno sviluppo caratteristico. Sono questi gli unici casi <strong>in</strong> cui si sono volute<br />

tirare le fila di un movimento culturale altrimenti dispersivo e caotico al pari della materia<br />

28 M.Tra<strong>vers</strong>, An <strong>in</strong>troduction to modern European Literature-from Romanticism to Postmodernism, cit. p. 99.<br />

29 Ivi, p. 101.<br />

17


trattata 30 . Per Tra<strong>vers</strong> la differenza tra gli avanguardisti e quelli che <strong>def</strong><strong>in</strong>isce “ma<strong>in</strong>-stream<br />

Modernists” (Woolf, Lawrence, Yeats, Proust, Gide, Mann, Musil, Kafka, Svevo) 31 , consiste<br />

nell'approccio differente ad una identica materia. Percependo lo stesso disagio esistenziale e<br />

ponendosi <strong>in</strong> maniera critica nei confronti della modernità, entrambi gli schieramenti<br />

proposero soluzioni alternative. Gli avanguardisti si basarono sull'energia iconoclasta e<br />

dissacratoria del loro approccio, ponendosi <strong>in</strong> maniera risoluta <strong>vers</strong>o ogni forma di<br />

“passatismo”. I “ma<strong>in</strong>-stream Modernists” cercarono la loro via partendo dal sapere classico,<br />

da una base erudita, rielaborandone forme e contenuti. La <strong>def</strong><strong>in</strong>izione proposta da Tra<strong>vers</strong><br />

tiene conto di quelle che potevano rappresentare commistioni ed <strong>in</strong>fluenze tra i due filoni. A<br />

titolo di esempio si può citare il tema del primitivismo caro ai modernisti maggiori e comune<br />

a molte delle avanguardie storiche, dai Dada agli espressionisti. Per Tra<strong>vers</strong> lo sforzo artistico<br />

delle avanguardie è comunque funzionale allo sviluppo del modernismo maggiore di cui<br />

questo studio si occupa: “The goal of the ma<strong>in</strong>stream Modernists was, <strong>in</strong> short, the absorpion<br />

of novelty <strong>in</strong>to custom; they sought not the destruction of the latter, but the retention of its<br />

vital elements to enrich the traditions of their perspective literary cultures” 32 . Altrettanto<br />

importante per comprendere la genesi del modernismo è il riferimento all’esperienza del<br />

decadentismo di f<strong>in</strong> de siècle 33 .<br />

Il modernismo letterario nacque, dunque, <strong>in</strong> stretta relazione ad una situazione storica e come<br />

espressione di un disagio primariamente sociale. Se si volesse <strong>in</strong>dicare un comune<br />

denom<strong>in</strong>atore, una cifra che accomunò sotto un sentire diffuso tutti gli <strong>in</strong>tellettuali che<br />

<strong>def</strong><strong>in</strong>iamo modernisti, si potrebbe forse <strong>in</strong>dicare nell’osservazione quanto mai critica del<br />

reale, di ciò che la morale borghese pretendeva fosse il reale. Gli atteggiamenti e le strategie<br />

d’azione furono variegate e, spesso, difficilmente rapportabili ma si potrebbe identificare<br />

come un atteggiamento diffuso fra gli <strong>in</strong>tellettuali modernisti proprio quello di un di<strong>vers</strong>o<br />

metodo di approccio alla realtà convenzionale, una messa <strong>in</strong> discussione di tale realtà. Come<br />

vedremo, le poetiche dell’irrazionalità nacquero proprio dal rifiuto di un reale che si fondava<br />

su un modello logico deduttivo. Il modernismo fu, primariamente, disagio di fronte al<br />

modello di reale che la società moderna cercava di imporre all’<strong>in</strong>tera umanità. Questo disagio<br />

si diffuse presto <strong>in</strong> tutt’Europa accompagnato dalle voci degli scrittori anglosassoni.<br />

Il ruolo che le letterature straniere giocarono <strong>in</strong> questo periodo nella formazione di alcuni dei<br />

nostri autori maggiori è primario e lascia spazio a riflessioni ed approfondimenti di vario<br />

genere. Nell’ambito di una cultura italiana tendenzialmente chiusa nei confronti di <strong>in</strong>flussi<br />

esterni, la posizione di Cesare Pavese è del tutto particolare. E’ una posizione che<br />

meriterebbe di essere approfondita a livello di <strong>in</strong>fluenze e di rielaborazione dei materiali. La<br />

voce “fuori del coro” di Pavese rappresenterebbe, da questo punto di vista, un aspetto del<br />

30<br />

I movimenti dell'Immag<strong>in</strong>ismo e del Vorticismo <strong>in</strong> Inghilterra, l'Espressionismo <strong>in</strong> Germania,<br />

l'Impressionismo <strong>in</strong> Francia, il Futurismo <strong>in</strong> Italia, il Surrealismo <strong>in</strong> Francia, il Dadaismo <strong>in</strong> Svizzera, il<br />

Costruttivismo <strong>in</strong> Russia, rappresentano derivazioni e deviazioni della matrice pr<strong>in</strong>cipale del modernismo<br />

letterario di cui costituirono una sorta di contro altare.<br />

31<br />

M.Tra<strong>vers</strong>, An <strong>in</strong>troduction to modern European Literature-from Romanticism to Postmodernism, cit. p. 106.<br />

32<br />

Ivi, p. 107.<br />

33<br />

Le esperienze dei poeti simbolisti francesi costituiscono un patrimonio per lo sviluppo del modernismo.<br />

Baudelaire appare <strong>in</strong> questo caso un precursore. Nella sua poetica il contrasto tra vita naturale e vita artificiale<br />

viene costantemente sottol<strong>in</strong>eato nel momento <strong>in</strong> cui l'uomo moderno può ritrovare se stesso solo nell'evasione<br />

da una realtà divenuta opprimente tramite l'approfondimento della parte oscura che cela <strong>in</strong> se stesso, dei suoi più<br />

remoti desideri, del l<strong>in</strong>guaggio simbolico. La figura del Dandy si pone risolutamente <strong>in</strong> contrasto con la figura<br />

del borghese che, con la sua morale utilitaristica, sembra adeguarsi perfettamente alla modernità. Tale morale,<br />

perbenista e ipocrita, è al centro degli attacchi di Rimbaud che, fornendo un modello poetico alle teorie di<br />

Nietzsche, situa il poeta e il suo operato “al di là del bene e del male” nel momento <strong>in</strong> cui riconosce che il suo<br />

ruolo è proprio quello di scard<strong>in</strong>are le false certezze e le illusorie verità della società borghese. Per Mallarmè il<br />

disadattamento dell'uomo nel mondo contemporaneo nasce dall'<strong>in</strong>capacità di un l<strong>in</strong>guaggio, soprattutto<br />

denotativo, di espletare il reale. La sua poesia, tramite l'utilizzo di un l<strong>in</strong>guaggio connotativo e musicale, cercò di<br />

scard<strong>in</strong>are i limiti della comunicazione moderna per scoprire quel mondo orig<strong>in</strong>ario che il l<strong>in</strong>guaggio moderno<br />

nega <strong>in</strong> cont<strong>in</strong>uazione e che solo tramite le corrispondenze musicali può essere riscoperto. Il simbolismo<br />

francese <strong>in</strong>fluenzò le letterature di tutta Europa e si pose come pr<strong>in</strong>cipale referente del primo modernismo.<br />

18


tutto orig<strong>in</strong>ale nella storia della letteratura italiana. La ricezione di <strong>in</strong>flussi stranieri da parte<br />

di un autore che operava <strong>in</strong> un contesto culturale “classicista”, ha portato allo sviluppo di una<br />

poetica complessa e ricca di riferimenti. Se vogliamo poi analizzare il periodo che<br />

maggiormente ci <strong>in</strong>teressa nell'ambito di questo studio, cioè il periodo fra le due guerre che<br />

rappresentò il momento della formazione e della prima produzione di Pavese, dovremo<br />

riconoscere che il rivolgere la propria attenzione all’estero fu un passo importante <strong>in</strong> un<br />

momento politico <strong>in</strong> cui le classi <strong>in</strong>tellettuali si sentivano rivestite del compito di riscoprire,<br />

r<strong>in</strong>verdire, esaltare, la letteratura e la cultura nazionali. Rivolgere il proprio <strong>in</strong>teresse<br />

all'estero rappresentava, dunque, non solo una scelta artistica ma, anche e soprattutto, una<br />

scelta politica. Ciò non significa che Pavese rivolse il suo sguardo all'estero per una forma di<br />

protesta o per anticonformismo <strong>in</strong>tellettuale; il riconoscere l'<strong>in</strong>adeguatezza della letteratura<br />

italiana di fronte ai grandi movimenti letterari europei e americani rappresentò, <strong>in</strong> quel<br />

periodo, una scelta forte e coraggiosa che Pavese non ebbe paura di fare pubblicamente.<br />

Le scelte di Pavese apparvero d’altra parte sempre motivate. L’<strong>in</strong>teresse per l’etnologia, che<br />

lo accompagnò per tutta la sua esistenza, trovò, per esempio, sbocco nella collaborazione con<br />

De Mart<strong>in</strong>o nell’ambito del progetto della Collana Viola. Questo punto è particolarmente<br />

importante considerando il rilievo che gli studi etnologici ebbero nell’ambito del modernismo<br />

europeo. Pavese si dimostrò un precursore non solo per lo studio di tematiche estranee alla<br />

tradizione letteraria italiana ma anche per l’approccio <strong>in</strong>terdiscipl<strong>in</strong>are che seppe<br />

promuovere. La letteratura non vive <strong>in</strong> se stessa ma <strong>in</strong> un mondo strutturato e complesso ed è<br />

per questo, sembra suggerire Pavese, che lo scrittore deve assorbire tutti gli stimoli più<br />

significativi della propria epoca. Molto si è discusso di Pavese etnologo. I suoi <strong>in</strong>teressi per la<br />

discipl<strong>in</strong>a sono documentati ampliamente dagli scritti e dalla collaborazione con De Mart<strong>in</strong>o<br />

nell'ambito del progetto-E<strong>in</strong>audi <strong>in</strong>titolato la Collana Viola. Molto si è discusso anche dei<br />

risvolti poetici che gli studi etnologici ebbero sulla sua opera. Un <strong>in</strong>teresse per le forme<br />

arcaiche di pensiero, per i comportamenti dell'uomo che sembrano avere matrici antiche, è<br />

documentabile <strong>in</strong> tutti i lavori di Pavese e sfocerà, nel 1947, nei Dialoghi con Leucò che<br />

rappresenta un punto di arrivo, una maturazione <strong>def</strong><strong>in</strong>itiva del pensiero mito-etnologico dello<br />

scrittore.<br />

L’etnologia rappresentò un campo di studio privilegiato per gli <strong>in</strong>tellettuali modernisti che<br />

trassero, dai materiali di Darw<strong>in</strong> e Frazer, più di uno spunto per i loro lavori. L'<strong>in</strong>gresso<br />

dell'etnologia nel campo dello scibile come scienza accreditata rivestì un significato ben<br />

preciso nell'ambito dell'evoluzione del pensiero occidentale. L’importanza che tale materia<br />

ebbe per lo sviluppo del modernismo letterario fu grandissima ed è equiparabile solamente<br />

all’apporto della filosofia. Molte tematiche erano, d’altra parte, strettamente connesse: il<br />

pensiero mitico, l’eterno ritorno, il ruolo dell’ist<strong>in</strong>to, il primitivismo. Le cronache di viaggi,<br />

le descrizioni di uom<strong>in</strong>i che vivevano allo stato selvaggio, la composizione di opere che<br />

avevano per oggetto i mondi esotici e <strong>in</strong>contam<strong>in</strong>ati, avevano sempre riscosso un certo<br />

<strong>in</strong>teresse ma mai avevano preteso di nutrire, con il loro operato, una scienza. La letteratura di<br />

viaggio, i resoconti, le descrizioni dettagliate, avevano sempre rappresentato un vero e<br />

proprio filone letterario. A partire dall'Ottocento, però, assistiamo ad un connubio molto<br />

stretto tra la scienza dell’etnologia e il movimento letterario del modernismo. Il selvaggio<br />

cessa di essere un personaggio pittoresco per divenire un personaggio filosofico, i mondi<br />

esotici cessano di essere visti come terre lontane, curiose, eventualmente oggetto di<br />

conquista, di assimilazione, per divenire oggetto di contemplazione, di osservazione e<br />

meditazione, profonda, filosofica, quasi nostalgica. F<strong>in</strong>o a qualche anno prima ipotetici<br />

naviganti avrebbero sorriso di fronte al fare goffo dei selvaggi e avrebbero pensato a<br />

conquistare la loro terra per edificare la loro civiltà. In questo momento storico, l'uomo<br />

occidentale si ferma <strong>in</strong>vece a riflettere su quanto sta avvenendo. Quegli uom<strong>in</strong>i, che erano<br />

stati f<strong>in</strong>o ad allora esseri da disprezzare, e quei luoghi, visti come terre da conquistare,<br />

divengono ora oggetti di confronto e da questo confronto nascono molte delle tematiche<br />

moderniste. Il nuovo <strong>in</strong>teresse per l'etnologia rappresentò uno dei tratti salienti della<br />

19


modernità e l'analisi di questo rapporto tra scienza e scrittura serve ad approfondire<br />

ulteriormente l'oggetto del nostro studio.<br />

Nel suo lavoro editoriale all'E<strong>in</strong>audi, Pavese cercò di far circolare <strong>in</strong> Italia le opere straniere<br />

più significative, ben conscio dei limiti e dei pericoli che il sistema politico del fascismo<br />

comportava. Accanto all’opera dell’editore e del traduttore si colloca quella del lettore e dello<br />

studioso di letteratura. Pavese fu un poeta che cercò nelle opere straniere nuove forme, nuovi<br />

contenuti, nuove risposte e nuove domande. Il suo <strong>in</strong>teresse editoriale sembrò associarsi<br />

naturalmente a quello <strong>in</strong>tellettuale sempre stimolato da nuove letture. Nel suo studio su<br />

Pavese traduttore, Maria Stella mette <strong>in</strong> evidenza questo aspetto, notando come lo scrittore<br />

avesse un duplice <strong>in</strong>teresse nel tradurre un testo. L’<strong>in</strong>teresse primario fu <strong>in</strong>fatti quello poetico<br />

quasi che i lavori, attra<strong>vers</strong>o la traduzione, venissero <strong>in</strong> qualche maniera <strong>in</strong>corporati da<br />

Pavese. A questo proposito l’importanza degli autori <strong>in</strong>glesi fu basilare. Dal 1933 al 1939<br />

l’attenzione dello scrittore sembrò spostarsi molto sul <strong>vers</strong>ante della letteratura britannica.<br />

Parte di questo <strong>in</strong>teresse è rapportabile alle traduzioni eseguite personalmente. Nel 1934<br />

traduce il Portrait dell’irlandese Joyce cambiando il titolo <strong>in</strong> Dedalus e pubblicandolo presso<br />

la casa editrice Frass<strong>in</strong>elli di Tor<strong>in</strong>o. Per molti critici, tra cui Gorlier e Stella, il cambiamento<br />

del titolo del romanzo di Joyce è proprio relativo all’<strong>in</strong>tenzione di Pavese di andare al di là<br />

del ruolo canonico di traduttore per immedesimarsi <strong>in</strong> quello del creatore dell’opera. Dedalus<br />

conferma il crescente <strong>in</strong>teresse dell’autore per il mito che si proietta, <strong>in</strong> questo caso,<br />

sull’opera di Joyce. Per Stella le traduzioni erano selezionate da Pavese <strong>in</strong> relazione ad un<br />

tipo di <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e personale. Il rifiuto che Pavese espresse nei confronti della traduzione<br />

dell’Ulisse di Joyce, a seguito del Dedalus, rappresenterebbe, per Stella, la necessità di<br />

proseguire la sua ricerca <strong>in</strong>dirizzandosi <strong>vers</strong>o altri autori. La ricerca di Pavese proseguirà<br />

<strong>in</strong>fatti attra<strong>vers</strong>o nuove traduzioni che comprenderanno, fra i narratori (ci sono <strong>in</strong>fatti anche<br />

storici britannici tra le traduzioni pavesiane), Daniel Defoe, con Fortune e sfortune della<br />

famosa Moll Flanders edito da E<strong>in</strong>audi nel 1938, Charles Dickens con La storia e le<br />

personali esperienze di David Copperfield uscito presso la medesima casa editrice nel 1939 e<br />

Percy Shelley con il Prometeo Slegato pubblicato recentemente da E<strong>in</strong>audi (1997). Per Stella,<br />

l’<strong>in</strong>teresse che Pavese dimostrò nei confronti della letteratura <strong>in</strong>glese fu enorme e andrebbe<br />

considerato come vero e proprio momento formativo dello scrittore:<br />

Per quanto non si possa parlare di una precisa messa a fuoco critica di Pavese sul romanzo <strong>in</strong>glese, possediamo<br />

tutta una serie di elementi, nel diario, nelle lettere, nei suoi scritti critici, che attestano come quasi<br />

spontaneamente, sul filo di una meditazione personale, lo scrittore ripercorresse le tappe fondamentali della<br />

narrativa anglosassone di ogni tempo, e come questa problematica fosse <strong>in</strong> relazione diretta con il suo travaglio<br />

narrativo e con il suo rapporto con la tradizione americana. Anche per la letteratura <strong>in</strong>glese, come già per quella<br />

americana, Pavese si mantiene <strong>in</strong> equilibrio costante tra classici e contemporanei, e <strong>in</strong>daga criticamente su<br />

entrambi, mosso dalla conv<strong>in</strong>zione che, anche <strong>in</strong> campo letterario, avere una tradizione è meno che nulla è solo<br />

cercandola che si può viverla 34 .<br />

L’<strong>in</strong>teresse di Pavese per le letterature d’oltralpe e d’oltreoceano venne a rappresentare un<br />

punto card<strong>in</strong>ale della sua formazione artistica. Conscio della peculiarità della sua posizione,<br />

egli non esitò a rivendicarla come parte fondante della sua poetica e a prenderla come spunto<br />

di critica nei confronti della cultura italiana reputata spesso troppo prov<strong>in</strong>ciale e asservita. La<br />

rivendicazione di questa posizione assume, spesso, i toni di una vera e propria protesta <strong>vers</strong>o<br />

la cultura di regime. Nell'articolo Ritorno all’uomo, pubblicato il 20 Maggio 1945 sull’Unità,<br />

tale posizione si rende evidente ed <strong>in</strong>equivocabile ponendosi come voce ideale di un’<strong>in</strong>tera<br />

generazione di <strong>in</strong>tellettuali:<br />

34 M. Stella, Cesare Pavese traduttore, cit. pp. 75-76.<br />

20


Nei nostri sforzi per comprendere e per vivere ci sorressero voci straniere: ciascuno di noi frequentò e amò<br />

d'amore la letteratura di un popolo, di una società lontana, e ne parlò, ne tradusse, se ne fece una patria ideale.<br />

Tutto ciò <strong>in</strong> l<strong>in</strong>guaggio ufficiale si chiamava esterofilia. I più miti ci accusavano di vanità esibizionistica e di<br />

fatuo esotismo i più austeri dicevano che noi cercavamo nei gusti e nei modelli d'oltreoceano e d'oltralpe uno<br />

sfogo alla nostra <strong>in</strong>discipl<strong>in</strong>a sessuale e sociale. Naturalmente non potevano ammettere che noi cercassimo <strong>in</strong><br />

America, <strong>in</strong> Russia, <strong>in</strong> C<strong>in</strong>a e chi sa dove, un calore umano che l'Italia ufficiale non ci dava. Meno ancora, che<br />

cercassimo semplicemente noi stessi. Invece fu proprio così. Laggiù noi cercammo e trovammo noi stessi 35 .<br />

In questo esemplificativo passo si r<strong>in</strong>tracciano una serie di motivi che giustificano l'<strong>in</strong>teresse<br />

dello scrittore per la letteratura straniera. Il poter guardare all'estero come punto di<br />

riferimento, come term<strong>in</strong>e di confronto, come fonte di ispirazione, assume, nel pensiero<br />

dell’autore, prima di tutto una connotazione morale. Pavese aveva per anni coltivato i suoi<br />

studi letterari fornendo gli scaffali della sua biblioteca di libri provenienti da tutto il mondo.<br />

La formazione <strong>in</strong>tellettuale <strong>in</strong>dividuale passava attra<strong>vers</strong>o un necessario confronto con le<br />

altre culture. Alle problematiche morali ed etiche si affiancarono quelle esistenziali nel<br />

momento <strong>in</strong> cui divenne chiaro che una cultura come quella italiana, chiusa <strong>in</strong> se stessa e<br />

<strong>in</strong>capace di progredire, non potesse fornire agli <strong>in</strong>tellettuali mezzi adeguati di ricerca. Il<br />

superamento dei conf<strong>in</strong>i nazionali ebbe prima di tutto questo significato: superare il blocco<br />

imposto dal regime sulla cultura italiana. La retorica di un’arte nazionale italiana non era,<br />

d’altra parte, una novità <strong>in</strong>trodotta dal regime fascista. Le radici di una concezione dell’arte<br />

nazionalista vanno r<strong>in</strong>tracciate all’<strong>in</strong>izio del secolo quando i movimenti nazionalisti mossero<br />

i primi decisi passi legandosi alla propaganda colonialistica dell’epoca 36 . E’ <strong>in</strong>teressante<br />

notare lo scarto tra lo scritto sopraccitato di Pavese e quelli di Prezzol<strong>in</strong>i <strong>in</strong> riferimento ai<br />

contatti con la cultura straniera. Il disprezzo che Prezzol<strong>in</strong>i esprime nei confronti di una<br />

qualsiasi comunione fra culture straniere è totalmente ribaltato nello scritto di Pavese che, al<br />

contrario, cerca all’estero una possibilità di fuga dalle strettoie della cultura italiana.<br />

L’affermazione dell’idea di letteratura nazionale fu, nella prima parte del secolo, perentorio e<br />

si accompagnò al disprezzo per forme di cultura straniere. Le formulazioni <strong>in</strong>tellettuali di<br />

Pap<strong>in</strong>i e Prezzol<strong>in</strong>i fornirono un primo importante modello alle successive speculazioni<br />

sull’argomento che trovarono <strong>in</strong> epoca fascista un <strong>def</strong><strong>in</strong>itivo assestamento.<br />

Dopo la conquista del potere, Mussol<strong>in</strong>i adottò una serie di accorgimenti che avrebbero<br />

dovuto condizionare l’<strong>in</strong>tera sfera culturale italiana. Il rafforzamento e il radicamento del<br />

regime <strong>in</strong> Italia fu uno degli obiettivi primari del Duce che delegò a questo compito gli uffici<br />

della propaganda. Tutti i settori della società furono <strong>in</strong>vestiti dalla pressione della propaganda<br />

fascista ma fu il ruolo degli <strong>in</strong>tellettuali a destare, nei gerarchi fascisti, le più serie<br />

preoccupazioni. Guadagnare il sostegno degli <strong>in</strong>tellettuali non era operazione agevole ma, al<br />

35<br />

Cesare Pavese, Ritorno all’uomo, contenuto <strong>in</strong> La letteratura americana e altri saggi, Giulio E<strong>in</strong>audi Editore,<br />

Tor<strong>in</strong>o, 1951, p. 217.<br />

36<br />

Nel suo Programma Nazionalista, un discorso tenuto nel 1904, Giovanni Pap<strong>in</strong>i richiamava le coscienze degli<br />

italiani a cercare un significato più profondo nella vita e ad accordare questo nuovo significato allo spirito della<br />

nazione. Adrian Lyttelton, nei suoi studi storici sul fascismo, ha messo <strong>in</strong> evidenza come la retorica dell’arte<br />

italiana, che attra<strong>vers</strong>o la letteratura doveva edificare un modello di nazione, affonda le sue radici a <strong>in</strong>izio<br />

secolo. Lyttelton, riportando stralci del Programma nazionalista, <strong>in</strong>dividua <strong>in</strong> Pap<strong>in</strong>i un precursore di tale<br />

atteggiamento: “[…] we shall see great art and literature flourish, as we so ardently desire, as the supreme<br />

culm<strong>in</strong>ation of Italian art. Then eroic deeds and superhuman passions, nature <strong>in</strong> all its light and all its mistery,<br />

proud thoughts that wreathe the world with iron bonds, will once more reappear <strong>in</strong> the music and drama, the<br />

poetry and the metaphysics of the ris<strong>in</strong>g generation”. Lo stesso sentire e la stessa ideologia furono condivisi dal<br />

collega di Pap<strong>in</strong>i, Giuseppe Prezzol<strong>in</strong>i, che postulava “operazioni <strong>in</strong>tellettuali” <strong>in</strong> grado di mostrare agli italiani<br />

la vera natura del loro modo di pensare. Ancora Lyttelton riporta stralci degli <strong>in</strong>terventi di Prezzol<strong>in</strong>i per<br />

dimostrare come il processo della nazionalizzazione della letteratura fosse da considerarsi un processo di lunga<br />

durata e non esclusivamente di matrice fascista: “It would <strong>in</strong>deed be strange and, let us add, ridicoulus if our<br />

nationalism were a borrowed one, based on a foreign tradition and on ideas not stemm<strong>in</strong>g from our own race;<br />

[…] we must prefer ideas that have sprung from Italian m<strong>in</strong>ds and are nourished on observations based on<br />

th<strong>in</strong>gs Lat<strong>in</strong>. We have no need to hire our ideas from the French or the English […]”. Tratto da Italian<br />

Fascisms, ed. Adrian Lyttelton, Cape, London, 1973, p. 119-20.<br />

21


contempo, si reputò necessario agire nei loro confronti con attenzione e con decisione. Il<br />

fascismo dovette riconsiderare più volte la sua politica nei confronti degli <strong>in</strong>tellettuali non<br />

all<strong>in</strong>eati e, <strong>in</strong> molti casi, dovette r<strong>in</strong>unciare all’uso della forza che <strong>in</strong> altri settori si lasciava<br />

preferire ad ogni altro metodo di coercizione. Anche <strong>in</strong> questo caso la strategia<br />

“dell’<strong>in</strong>globare e reprimere” fu applicata ma con più circospezione rispetto ad altri campi;<br />

spesso e volentieri il fascismo si limitò a controllare gli <strong>in</strong>tellettuali preferendo agire nei loro<br />

confronti <strong>in</strong> modo dimostrativo piuttosto che <strong>in</strong> modo punitivo. La strategia fascista<br />

prevedeva uno stretto controllo sui mezzi d’<strong>in</strong>formazione ma lasciava una relativa libertà di<br />

pensiero agli <strong>in</strong>tellettuali <strong>in</strong>dipendenti. Il controllo sui mezzi di <strong>in</strong>formazione era, d’altra<br />

parte, molto più agevole che la censura preventiva. Fu reputato, <strong>in</strong>somma, più vantaggioso<br />

controllare i mezzi di comunicazione piuttosto che cercare il consenso o la repressione di<br />

ogni s<strong>in</strong>golo <strong>in</strong>tellettuale. Cesare Pavese, all’<strong>in</strong>domani della caduta del regime, così<br />

rievocava quei giorni <strong>in</strong> cui i contatti fra <strong>in</strong>tellettuali e popolo erano impediti: “In fondo<br />

l’<strong>in</strong>telligenza umanistica - le belle arti e le lettere - non patì sotto il fascismo; poté<br />

sbizzarrirsi, accettare c<strong>in</strong>icamente il gioco. Dove il fascismo vigilò fu nel passaggio tra<br />

<strong>in</strong>tellighenzia e popolo; tenne il popolo all’oscuro” 37 . La strategia fascista, d’altra parte,<br />

faceva notevole affidamento sulla produzione artistica e sull’appoggio degli <strong>in</strong>tellettuali. La<br />

fascistizzazione dell’arte era considerata un passo fondamentale per lo sviluppo di una<br />

coscienza fascista nella popolazione. Si può notare come, ad un certo punto della storia<br />

italiana, il dibattito artistico andò di pari passo a quello politico tanto che un <strong>in</strong>tellettuale del<br />

calibro di Walter Benjam<strong>in</strong> fu portato a parlare di “esteticizzazione della politica” 38 coniando<br />

una formula che ebbe immediato riscontro fra gli <strong>in</strong>tellettuali di opposizione. Il progetto<br />

“culturale” fascista culm<strong>in</strong>ò nel 1925 con l’organizzazione di un Congresso della Cultura<br />

Fascista <strong>in</strong> cui 250 <strong>in</strong>tellettuali italiani, fra cui Pirandello, Mar<strong>in</strong>etti e Soffici, firmarono un<br />

manifesto redatto dal filosofo Giovanni Gentile. In questo modo il progetto totalitario fascista<br />

svelò i suoi veri propositi. Tutti gli elementi della società e della cultura italiana dovevano<br />

essere fusi <strong>in</strong> una superiore unità: un’unità fascista. Gli artisti italiani ebbero il compito di<br />

dare un’immag<strong>in</strong>e “artistica” a questa predetta unità. Jeffrey T. Shapp offre una s<strong>in</strong><strong>tesi</strong> di<br />

questo processo tipico dei regimi dittatoriali:<br />

Confus<strong>in</strong>g superstructure with structure, private with public, the state with civil society, Fascism may thus be<br />

said to have ushered <strong>in</strong> a new dispensation <strong>in</strong> which all the oppositions between aesthetics and politics are swept<br />

up <strong>in</strong>to a new image politics. Neither monolithic nor homogeneous, fascism’s aesthetic overproduction relied on<br />

the ability of images to susta<strong>in</strong> contradiction and to make of paradox a productive pr<strong>in</strong>ciple 39 .<br />

La reazione degli <strong>in</strong>tellettuali che si opponevano a questo manifesto si concretizzò nella<br />

pubblicazione di un contro-manifesto redatto da Croce. Il regime non poté impedire la<br />

pubblicazione del manifesto ma da allora <strong>in</strong> poi la vita degli <strong>in</strong>tellettuali che lo firmarono fu<br />

resa particolarmente difficile e lo stesso Croce fu relegato ai marg<strong>in</strong>i dei dibattiti culturali.<br />

Mussol<strong>in</strong>i, parlando del filosofo napoletano, amava ripetere di non aver mai letto nessuno dei<br />

suoi lavori suggerendo <strong>in</strong> questo modo che Croce fosse un <strong>in</strong>tellettuale di seconda categoria.<br />

Ufficialmente Croce era dunque una voce poco importante nel panorama politico italiano e<br />

non si può, a questo punto, non ripensare alle affermazioni di Pavese riguardo le strategie di<br />

emarg<strong>in</strong>azione fasciste. Come Pavese aveva notato, la preoccupazione del regime non era<br />

tanto nei confronti del pensiero degli <strong>in</strong>tellettuali dissidenti, quanto nell’impedire loro di<br />

37 C. Pavese, Il Mestiere di Vivere, cit. p. 348.<br />

38 Walter Benjam<strong>in</strong>, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, E<strong>in</strong>audi, Tor<strong>in</strong>o, 1991.<br />

39 Jeffrey T. Shapp, Epic demonstrations: Fascist Modernity and the 1931 Exhibition of the Fascist Revolution,<br />

<strong>in</strong> Fascism, Aesthetics and culture, <strong>in</strong> Richard Golsan, Fascism, Aesthetics and Culture, New England Press,<br />

Hanover, NH 1992, p.3.<br />

22


aggiungere la massa. Questo impedimento avveniva tramite i mezzi della censura e, come<br />

abbiamo visto, del discredito degli <strong>in</strong>tellettuali. Relegare gli <strong>in</strong>tellettuali ai marg<strong>in</strong>i,<br />

preferendo l’azione diretta solo nei casi più pericolosi e gravi, e lavorare per la radicazione di<br />

una cultura fascista, rappresentò la strategia del regime. Iniziative come quella della<br />

creazione dell’Istituto Nazionale di Cultura nel 1925, la creazione dell’Accademia Reale e<br />

dell’Opera Nazionale Balilla nel 1926, il progetto, capeggiato da Gentile, di scrivere una<br />

nuova Enciclopedia Italiana, hanno permesso a storici come Shapp di parlare della creazione<br />

di un’armatura istituzionale per lo sviluppo della cultura fascista (“istituzional framework for<br />

the propagation of the fascist culture” 40 ). Agire al di là di questa architettura poteva<br />

significare, per molti <strong>in</strong>tellettuali, essere totalmente esclusi da ogni tipo di comunicazione<br />

con il popolo. Molti di questi <strong>in</strong>tellettuali, come Pavese suggerisce, dovettero “accettare<br />

c<strong>in</strong>icamente il gioco”, per non essere ridotti al silenzio. Il loro consenso fu, ovviamente, solo<br />

di facciata al f<strong>in</strong>e di rimanere <strong>in</strong> contatto con un mondo dell’editoria severamente vigilato<br />

dagli uom<strong>in</strong>i del regime.<br />

Il regime fascista si dimostrò immediatamente ostile a qualsiasi tipo di contatto con le<br />

letterature straniere. Soprattutto le traduzioni erano viste con particolare diffidenza. Eppure fu<br />

proprio tramite le traduzioni che molti <strong>in</strong>tellettuali poterono esprimere il loro dissenso nei<br />

confronti del partito. Il caso di Pavese fu emblematico. Le sue traduzioni di letteratura <strong>in</strong>glese<br />

e, soprattutto, americana, si posero, s<strong>in</strong> dall’<strong>in</strong>izio, <strong>in</strong> aperta opposizione alle politiche del<br />

regime che com<strong>in</strong>ciò a sorvegliare lo scrittore attentamente 41 . V.C. Ferme ha studiato le<br />

traduzioni di Pavese proprio <strong>in</strong> relazione alla politica di nazionalizzazione della letteratura di<br />

Mussol<strong>in</strong>i <strong>in</strong>dividuando nella pratica delle traduzioni una vera e propria strategia politica:<br />

“[…] the practice of translat<strong>in</strong>g from American literature became a sub<strong>vers</strong>ive act that<br />

destabilized the dom<strong>in</strong>ant political and aesthetic discourse of the fascist era <strong>in</strong> Italy” 42 . Da<br />

questo punto di vista è da notare come Cesare Pavese fu uno dei primi <strong>in</strong>tellettuali italiani ad<br />

impegnarsi nella traduzione di testi anglo-americani e questo suo impegno può essere letto<br />

come testimonianza storica, come esperienza <strong>in</strong>dividuale e collettiva, come sfida <strong>in</strong>tellettuale<br />

e politica. Così lo stesso Pavese, a regime fascista caduto, guardava <strong>in</strong>dietro a quegli anni:<br />

Nel giro di un decennio, dal 1930 al 1940, l’Italia non solo ha fatto conoscenza di almeno mezza dozz<strong>in</strong>a di<br />

scrittori nordamericani contemporanei i cui nomi resteranno, ma ha riesumato qualcuno dei classici<br />

ottocenteschi di quella letteratura […]. Alla scoperta non mancò nemmeno quel brivido di liberazione e di<br />

scandalo, ch’è <strong>in</strong>separabile da ogni <strong>in</strong>contro con una nuova realtà e che il clima politico italiano ed europeo<br />

faceva del suo meglio per <strong>in</strong>cutere 43 .<br />

Aver a che fare con la letteratura anglo-americana rappresentava un atto sov<strong>vers</strong>ivo <strong>in</strong> se<br />

stesso, foriero di molti pericoli ma, nelle parole di Pavese, troviamo quel senso di sfida che lo<br />

portò a superare i timori:<br />

40 J. T. Shapp, Epic Demonstrations, cit. p.2.<br />

41 Procurarsi i libri, tradurli, e diffonderli non doveva rappresentare la più facile delle operazioni <strong>in</strong> quel periodo.<br />

Un programma editoriale basato sulla traduzione e sulla divulgazione di testi potenzialmente sov<strong>vers</strong>ivi doveva<br />

risultare necessariamente sospetto per il regime. Il sistema impiantato dal regime prevedeva, <strong>in</strong>fatti, una prima<br />

cernita di libri da parte del M<strong>in</strong>istero della Cultura che erano poi affidati a traduttori “fidati” (il maggior<br />

traduttore degli anni Venti era Gian Dauli), mentre il giornale Critica Fascista aveva il compito di offrire agli<br />

italiani l’esatta <strong>in</strong>terpretazione dei testi tradotti.<br />

42 Valerio Cristiano Ferme, Cesare Pavese's and Elio Vittor<strong>in</strong>i's translations from American literature: The<br />

Americanization of aesthetics and the sub<strong>vers</strong>ion of culture under the Fascist regime (Italy), Uni<strong>vers</strong>ity of<br />

California, Berkeley, 1998, p.3.<br />

43 Cesare Pavese, Richard Wright, sono f<strong>in</strong>iti i tempi <strong>in</strong> cui scoprivamo l’America, <strong>in</strong> La letteratura americana e<br />

altri saggi, cit. p. 189.<br />

23


Verso il 1930, quando il fascismo com<strong>in</strong>ciava a essere la speranza del mondo, accadde ad alcuni giovani italiani<br />

di scoprire nei suoi libri l’America, una America pensosa e barbarica, felice e rissosa, dissoluta, feconda, greve<br />

di tutto il passato del mondo, e <strong>in</strong>sieme giovane, <strong>in</strong>nocente. Per qualche anno questi giovani lessero tradussero e<br />

scrissero con una gioia di scoperta e di rivolta che <strong>in</strong>dignò la cultura ufficiale, ma il successo fu tanto che<br />

costr<strong>in</strong>se il regime a tollerare, per salvare la faccia. Si scherza? Eravamo il paese della risorta romanità dove<br />

perf<strong>in</strong>o i geometri studiavano il lat<strong>in</strong>o, il paese dei guerrieri e dei santi, il paese del Genio per grazia di Dio, e<br />

questi nuovi scalzacani, questi mercanti coloniali, questi villani miliardari osavano darci una lezione di gusto<br />

facendosi leggere discutere ammirare? Il regime tollerò a denti stretti, e stava <strong>in</strong>tanto sulla breccia, sempre<br />

pronto a profittare di un passo falso, di una pag<strong>in</strong>a più cruda, d’una bestemmia più diretta, per pigliarci sul fatto<br />

e menare la botta. Il sapore di scandalo e di facile eresia che avvolgeva i nuovi libri e i loro argomenti, il furore<br />

di rivolta e di s<strong>in</strong>cerità che anche i più sventati sentivano pulsare <strong>in</strong> quelle pag<strong>in</strong>e tradotte, riuscirono irresistibili<br />

a un pubblico non ancora del tutto <strong>in</strong>tontito dal conformismo e dall’accademia. Si può dir francamente, che<br />

almeno nel campo della moda e del gusto la nuova mania giovò non poco a perpetuare e alimentare<br />

l’opposizione politica, sia pure generica e futile, del pubblico italiano che leggeva. Per molta gente l’<strong>in</strong>contro<br />

con Caldwell, Ste<strong>in</strong>beck, Saroyan, e perf<strong>in</strong>o col vecchio Lewis, aperse il primo spiraglio di libertà, il primo<br />

sospetto che non tutto nella cultura del mondo f<strong>in</strong>isse coi fasci 44 .<br />

In questo passo si possono identificare le motivazioni di Pavese, f<strong>in</strong>anche le speranze, che<br />

animavano il suo lavoro di divulgatore di cultura. La letteratura estera, nella fattispecie del<br />

discorso quella americana, poteva ricollegarsi direttamente ad un sentimento di opposizione<br />

politica che, solo <strong>in</strong>direttamente, poteva essere manifestato. Contrastare il fascismo su un<br />

campo culturale rappresentava una possibilità effettiva di opposizione <strong>in</strong> un momento storico<br />

<strong>in</strong> cui ogni esplicito dissenso era proibito. In più combattere il regime su questo <strong>vers</strong>ante<br />

rappresentava una sfida importante nel momento <strong>in</strong> cui grossa parte della propaganda si<br />

svolgeva proprio negli ambiti culturali. Il riferimento all’America rappresentò, d’altra parte,<br />

non solo una violazione all’<strong>in</strong>terdetto fascista nei confronti della letteratura straniera ma fu<br />

anche funzionale alla proiezione della situazione italiana nella storia di un popolo che, a quei<br />

tempi, era idealmente visto come garante delle libertà:<br />

Ci si accorse, durante quegli anni di studio, che l’America non era un altro paese, un nuovo <strong>in</strong>izio della storia,<br />

ma soltanto il gigantesco teatro dove con maggiore franchezza che altrove veniva recitato il dramma di tutti. E<br />

se per un momento c’era apparso che valesse la pena di r<strong>in</strong>negare noi stessi e il nostro passato per affidarci<br />

corpo e anima a quel libero mondo, ciò era stato per l’assurda e tragicomica situazione di morte civile <strong>in</strong> cui la<br />

storia ci aveva per il momento cacciati. La cultura americana ci permise <strong>in</strong> quegli anni di vedere svolgersi come<br />

su uno schermo gigante il nostro stesso dramma. Ci mostrò una lotta accanita, consapevole, <strong>in</strong>cessante, per dare<br />

un senso un nome un ord<strong>in</strong>e alle nuove realtà e ai nuovi ist<strong>in</strong>ti della vita <strong>in</strong>dividuale e associata, per adeguare ad<br />

un mondo vertig<strong>in</strong>osamente trasformato gli antichi sensi e le antiche parole dell’uomo. Com’era naturale <strong>in</strong><br />

tempi di ristagno politico, noi tutti ci limitammo allora a studiare come quegli <strong>in</strong>tellettuali d’oltremare avessero<br />

espresso questo dramma, come fossero giunti a parlare questo l<strong>in</strong>guaggio, a narrare, a cantare questa favola.<br />

Parteggiare nel dramma, nella favola, nel problema non potevamo apertamente, e così studiammo la cultura<br />

americana un po’ come si studiano i secoli del passato, i drammi elisabettiani o la poesia dello stil nuovo 45 .<br />

L’opposizione di Pavese si costruiva dunque attra<strong>vers</strong>o i riferimenti, i rimandi, le <strong>in</strong>dirette e<br />

velate connessioni. Il regime, nella sua vigilanza, era perfettamente al corrente di tutto ciò.<br />

“Menare la botta”, così come scrive Pavese, poteva significare censura, prigione, conf<strong>in</strong>o.<br />

Pavese fu conf<strong>in</strong>ato <strong>in</strong> Calabria nel 1935 per circa 7 mesi. Ma il regime non sembrò sempre<br />

sicuro delle strategie da adottare e <strong>in</strong> più di un’occasione svelò la sua <strong>in</strong>tr<strong>in</strong>seca debolezza 46 .<br />

44<br />

Cesare Pavese, Ieri e oggi, <strong>in</strong> La letteratura americana e altri saggi, cit. pp. 193-94.<br />

45<br />

Ivi, pp. 194-95.<br />

46<br />

Il tentativo di abbracciare all’<strong>in</strong>terno dell’orbita fascista la cultura americana non portò a buoni risultati. Il<br />

primo sfortunato tentativo risale al 1920 quando l’<strong>in</strong>dustria del c<strong>in</strong>ema italiano, <strong>in</strong> grave difficoltà, lasciò spazio<br />

alle produzioni americane che, <strong>in</strong> qualche maniera, dovevano rispecchiare i valori eroici e populisti centrali nella<br />

mentalità fascista. Ferme così s<strong>in</strong>tetizza il primo affacciarsi dell’arte americana nella nostra società <strong>in</strong> quel<br />

momento storico: “(American movies) portrayed the heroic and populist values that were central to Fascist<br />

political agenda, they became immensely popular and displaced the bourgeois vision represented <strong>in</strong> most Italian<br />

24


La ricerca esistenziale di Pavese proseguì negli anni scontrandosi più volte con le direttive<br />

del regime. Per Ferme, l’opposizione politica di Pavese avvenne solo ed esclusivamente per<br />

mezzo di un’opposizione estetica. La <strong>def</strong><strong>in</strong>izione di una propria estetica, ispirata da modelli<br />

anglo-americani, si sviluppò quasi naturalmente nella direzione dell’opposizione politica:<br />

[…] (translation work) reflects a desire to experiment with a literary language that juxtaposes tradition and<br />

modernity while subvert<strong>in</strong>g the aesthetic models offered by ma<strong>in</strong>stream fascist <strong>in</strong>tellectuals.[…] Pavese used<br />

this aesthetic sub<strong>vers</strong>ion to counter not only the literary but also the political standards of his time and, for this<br />

reason, was eventually imprisoned and sent to political conf<strong>in</strong>ement 47 .<br />

Pavese elaborò dunque “un’estetica sov<strong>vers</strong>iva” che costituì uno dei mezzi di opposizione<br />

politica. Questo sovvertimento estetico, di cui Pavese non fu l’unico propugnatore, causò non<br />

pochi problemi al regime. Un gran numero di letterati e studenti si <strong>in</strong>teressarono alla<br />

letteratura anglo-americana sperimentando, direttamente, le angherie del fascismo 48 . Il<br />

regime fascista si rese immediatamente conto del pericolo di un approccio “non<br />

convenzionale” alla letteratura straniera, soprattutto americana. Lo studio della letteratura<br />

straniera si poneva come implicita espressione di un dissenso politico che altrimenti non si<br />

sarebbe potuto esprimere. Insomma si correva il pericolo di una rivoluzione culturale che<br />

avrebbe potuto, nel medio lungo term<strong>in</strong>e, sfociare, o semplicemente alimentare, un<br />

rivoluzione politica. Aver a che fare con le letterature straniere rappresentava, riprendendo gli<br />

assunti di Shapp, un nuovo modo di porsi di fronte alle sovrastrutture imposte dallo stato<br />

totalitario e di svelare il paradosso alla base dell’estetica e della politica fascista. Edw<strong>in</strong><br />

Fussel ipotizza come Pavese non si tirò <strong>in</strong>dietro dalla tentazione di utilizzare le traduzioni<br />

come vere e proprie “armi politiche” contro la fascistizzazione della cultura: “(Pavese) had,<br />

<strong>in</strong> the first <strong>in</strong>stance, the purpose of us<strong>in</strong>g American literature to subvert Italian literature,<br />

thought, sensibility, and culture” 49 .<br />

Il saggio su Melville è esemplificativo di tale atteggiamento. Pavese si espresse molto<br />

productions. The popularity of American c<strong>in</strong>ema spurred parallel <strong>in</strong>terests <strong>in</strong> other American art forms, such as<br />

jazz and blues <strong>in</strong> music and adventure novel <strong>in</strong> literature”. V.C. Ferme, Cesare Pavese's and Elio Vittor<strong>in</strong>i's<br />

translations from American literature: The Americanization of aesthetics and the sub<strong>vers</strong>ion of culture under the<br />

Fascist regime (Italy), cit. p.11.<br />

47 Ivi, p.13.<br />

48 La testimonianza di Fernanda Pivano (riportata <strong>in</strong> Fernanda Pivano, La balena bianca ed altri miti, Il<br />

Saggiatore, Milano, 1995), allieva di Pavese, mi sembra <strong>in</strong>teressante al f<strong>in</strong>e di mettere a fuoco le difficoltà<br />

pratica che la diffusione della letteratura straniera poteva <strong>in</strong>contrare <strong>in</strong> Italia. Consigliata da Pavese di lavorare<br />

sulla letteratura americana per la sua <strong>tesi</strong> la Pivano fu, da pr<strong>in</strong>cipio, ostacolata dai professori che sostenevano che<br />

“una signor<strong>in</strong>a perbene non deve <strong>in</strong>teressarsi ad argomenti così scabrosi”. Solo <strong>in</strong> seguito la Pivano poté<br />

ottenere un permesso di comporre una dissertazione su Moby Dick di Melville ma anche <strong>in</strong> questo caso le<br />

difficoltà rimasero <strong>in</strong>genti: “[…] ma mi accorsi subito che studiare gli autori americani <strong>in</strong> quegli anni era un<br />

gesto fanatico più che accademico: nelle biblioteche non c’erano testi […]. Quando dovetti compilare una<br />

bibliografia mi accorsi che non ero <strong>in</strong> grado di farlo […]. La dissertazione fu completata nel 1941 ed attirò<br />

l’attenzione dei giornali fascisti: “Un giornale fascista mi fece il complimento della sua attenzione deplorando<br />

che certa gioventù italiana trascurasse i nostri classici per dedicarsi a siffatta letteratura plutodemocratica,<br />

giudaicomassonica e così via”. Da questo episodio si ev<strong>in</strong>ce come gli <strong>in</strong>tellettuali italiani che si <strong>in</strong>teressavano di<br />

letteratura americana erano automaticamente proiettati <strong>in</strong> un contesto politico. Il clima che si respirava <strong>in</strong> quel<br />

periodo <strong>in</strong> Italia è ben riprodotto da un altro aneddoto della Pivano sul lavoro di traduttrice che svolgeva <strong>in</strong>sieme<br />

a Pavese riguardante, nella fattispecie, le peripezie affrontate per pubblicare l’Antologia di Spoon River: “Con<br />

molta fatica l’editore (E<strong>in</strong>audi) ottenne il permesso dal m<strong>in</strong>istero della Cultura Popolare: Pavese mi disse che<br />

l’autorizzazione era stata richiesta per una Antologia di S. River, confidando di conv<strong>in</strong>cere qualche funzionario<br />

che si trattasse di un’antologia di uno sconosciuto Santo River. […] Spoon River uscì <strong>in</strong> piena guerra e Pavese<br />

mi portò la prima copia <strong>in</strong> un caffè dove c’<strong>in</strong>contrammo imbacuccati f<strong>in</strong>o al naso per farci riconoscere il meno<br />

possibile”.<br />

49 Edw<strong>in</strong> Fussel, Forward to: Cesare Pavese, American Literature Essays and op<strong>in</strong>ions, Uni<strong>vers</strong>ity of California<br />

Press, Los Angeles-London, 1970, p.VI.<br />

25


criticamente <strong>in</strong> relazione all’appropriazione <strong>in</strong>debita del fascismo della sfera mitica e rigettò<br />

le teorie del primitivo di Maccari. Il motivo del primitivismo, come vedremo, fu caro non<br />

solo a Pavese ma anche ad altri <strong>in</strong>tellettuali antifascisti come Lawrence:<br />

Ora, che da qualche tempo noi si provi un gran bisogno di imbarbarimento, è pacifico. Stanno a dimostrarlo il<br />

gusto r<strong>in</strong>novato dei viaggi e dello sport, il c<strong>in</strong>ema, il jazz, l’<strong>in</strong>teresse per i negri e tutto il resto che è pers<strong>in</strong><br />

banale ricordare e che con una parola s<strong>in</strong>tetica chiamiamo antiletteratura. Ed è senza dubbio molto bello tutto<br />

ciò. Ma è il modo che offende. Poiché mi pare che, nel fervore antiletterario, si tenda a un tal primitivismo che è<br />

quasi imbecillità. Debolezza, voglio dire: è vile fuggire le complicazioni <strong>in</strong> un paradiso semplicistico che dopo<br />

tutto, come è <strong>in</strong>teso, non è che uno dei tanti raff<strong>in</strong>amenti della civiltà 50 .<br />

Sull’altro <strong>vers</strong>ante Melville e gli americani erano depositari di un reale primitivismo che si<br />

ricollegava direttamente al concetto di una primaria e <strong>in</strong>corrotta conoscenza del mondo:<br />

Loro sì, hanno saputo r<strong>in</strong>novarsi, passando la cultura attra<strong>vers</strong>o l’esperienza primitiva, reale, ma non, com’è<br />

l’andazzo da noi, r<strong>in</strong>negando un term<strong>in</strong>e per l’altro, bensì, attra<strong>vers</strong>o ciò che si chiama la vita, arricchendo,<br />

temprando e potenziando la letteratura. Un pensiero non significa nulla di nulla se non è pensato con tutto il<br />

corpo, questa è bene una sentenza americana e a quest’ideale tutta la tradizione degli Stati, da Thoreau a<br />

Sherwood Anderson, consciamente o <strong>in</strong>consciamente mira, riuscendo alla creazione di poderosi <strong>in</strong>dividui che<br />

passano un buon numero d’anni barbaramente, vivendo e assorbendo, e poi si danno alla cultura, rielaborando la<br />

realtà sperimentata <strong>in</strong> pensieri ed immag<strong>in</strong>i che per la loro dignità e per la schiettezza serena e virile, han<br />

qualcosa di quell’equilibrio che usiamo chiamar greco. Siamo ben lontani dai paradisi artificiali che accolgono<br />

<strong>in</strong> capo al mondo i nostri rimbarbariti schizz<strong>in</strong>osi 51 .<br />

Un primitivo che Pavese pose immediatamente a confronto con quello <strong>in</strong>tellettualoide e<br />

autocompiacente tanto di moda <strong>in</strong> Italia:<br />

Poiché questo è curioso <strong>in</strong> Moby Dick e Melville: benché si tratti di un’opera ispirata da esperienze di vita quasi<br />

barbarica, ai conf<strong>in</strong>i della terra, Melville non è mai un pagliaccio che si metta a f<strong>in</strong>gere anche lui il barbaro e il<br />

primitivo, ma, dignitoso, coraggioso, non si spaventa di rielaborare quella vita verg<strong>in</strong>e attra<strong>vers</strong>o tutto lo scibile<br />

della terra. Poiché credo ci voglia meno coraggio ad affrontare un capodoglio o un tifone che a rischiare di<br />

passar per un pedante o un letterato 52 .<br />

I riferimenti al mito e alle sue figure simboliche, tra cui il selvaggio, erano utilizzati dagli<br />

<strong>in</strong>tellettuali fascisti per l’edificazione di una vera arte nazionale. Il mito dell’antica Roma e<br />

della razza italica rappresentarono, per Pavese, degenerazioni <strong>in</strong>tellettuali dettate da un<br />

preciso progetto politico e da malcelati <strong>in</strong>teressi pratici: “Fessi gli etnologi che credono basti<br />

accostare le masse alle varie culture del passato -e del presente- per avvezzarle a capire e<br />

tollerare e uscire dal razzismo, dal nazionalismo, dall’<strong>in</strong>tolleranza. Le passioni collettive sono<br />

mosse da esigenze d’<strong>in</strong>teressi che si travestono di miti razziali e nazionali. E gli <strong>in</strong>teressi non<br />

si cancellano” 53 . Il mito dell’antichità è dunque funzionale, nella speculazione fascista, alla<br />

giustificazione della propaganda nazionalistica. Il riferimento a Melville è, sotto questo<br />

aspetto, sottilmente centrato. La stessa ciurma del Pequod è, <strong>in</strong>fatti, un progetto<br />

<strong>in</strong>ternazionalista <strong>in</strong> se stesso. Individui da ogni parte del mondo, <strong>in</strong> rappresentazione<br />

dell’umanità <strong>in</strong>tera, partecipano alla caccia. Buona parte del libro è dedicata alla descrizione<br />

50<br />

Cesare Pavese, Herman Melville, Il baleniere letterato, <strong>in</strong> Letteratura americana e altri saggi, cit. p. 77.<br />

51<br />

Ivi, p. 78.<br />

52<br />

Ivi, pp. 94-95.<br />

53<br />

C. Pavese, Il Mestiere di Vivere, 1 Marzo 1946, cit. p. 311.<br />

26


di questa multi-etnicità e alle relazioni fra le persone. Umanità e natura sono dunque i<br />

personaggi pr<strong>in</strong>cipali del capolavoro di Melville. La caccia a Moby Dick assume i toni di una<br />

caccia mitica <strong>in</strong> cui tutta l’umanità è co<strong>in</strong>volta. La decadenza della cultura europea fa sì che<br />

gli <strong>in</strong>tellettuali si rivolgano a scrittori come Melville per esprimere la loro ansia di<br />

riconciliazione e d’amore per la vita: “Noi, figli dell’Ottocento, abbiamo nelle ossa il gusto<br />

delle avventure, del primitivo, della vita reale, che seguono e succedono alla cultura e ci<br />

liberano dalle complicazioni facendo da cataplasma all’animuccia decadente, malata di<br />

civiltà: i nostri eroi si chiamano ancora Rimbaud, Gaugu<strong>in</strong> e Stevenson” 54 .<br />

Quella di Pavese è dunque una fuga, l’ennesimo viaggio, da una cultura, quella fascista che si<br />

riteneva depositaria della verità e che imponeva la propria s<strong>in</strong>gola idea al di sopra della<br />

complessità dell’esistente. Moby Dick divenne un “poema del dest<strong>in</strong>o” <strong>in</strong> cui i protagonisti<br />

non erano eroi sovraumani ed ideali. L’unico protagonista di questo romanzo, romanzo della<br />

vita, “è il rottame umano” 55 che, con una “fiera sete di libertà <strong>in</strong>teriore” 56 , va <strong>in</strong>contro al suo<br />

dest<strong>in</strong>o. Anche <strong>in</strong> questo caso si può riscontrare il parallelo fra <strong>in</strong>teressi <strong>in</strong>dividuali e<br />

collettivi nel momento <strong>in</strong> cui il romanzo di Moby Dick viene colto nella sua possibilità di<br />

sondare il lato oscuro, la metà del mondo che “deve restare un mistero” 57 . L’enigma<br />

dell’essere umano e la tragedia della vita contemporanea sono contemplati <strong>in</strong> piena libertà;<br />

approfondire la crisi <strong>in</strong>teriore dell’<strong>in</strong>dividuo può apparire una pratica del tutto decadente per<br />

l’uomo fascista costruito su artificiali certezze.<br />

L’arte di regime e il prov<strong>in</strong>cialismo della cultura italiana rappresentarono i più grandi ostacoli<br />

alla formazione di Pavese e alla diffusione della sua opera. Nonostante gli <strong>in</strong>numerevoli<br />

impedimenti, lo scrittore assunse un ruolo che potremmo dire di mediazione. Pavese<br />

rappresentò la s<strong>in</strong><strong>tesi</strong> dell’<strong>in</strong>tellettuale italiano del periodo che, chiuso nel prov<strong>in</strong>cialismo e<br />

nel classicismo del suo paese, espresse delle esigenze che trovarono risposte nella letteratura<br />

straniera. La sua poetica composita è <strong>in</strong>quadrata da Sal<strong>in</strong>ari nell’ambito del più grande<br />

scenario europeo:<br />

Pavese è il punto di approdo del decadentismo italiano, la conclusione del processo di revisione della nostra<br />

cultura letteraria che ebbe <strong>in</strong>izio negli ultimi decenni del secolo scorso. Alludiamo a quel processo cosi detto di<br />

sprov<strong>in</strong>cializzazione, di assorbimento cioè delle esperienze decadenti della letteratura europea (francese, russa,<br />

<strong>in</strong>glese e americana) [...] che bruciò f<strong>in</strong>o <strong>in</strong> fondo le esperienze e i miti decadenti soltanto con Pavese 58 .<br />

Pavese perse presto <strong>in</strong>teresse nei confronti della letteratura americana. America e fascismo si<br />

svelarono essere entità strettamente legate rappresentando, abbastanza ironicamente, la stessa<br />

coppia di <strong>in</strong>separabili che erano Ahab e la balena bianca nel romanzo di Melville. La morte di<br />

uno dei due poli poteva costituire una seria m<strong>in</strong>accia alla sopravvivenza dell’altro. Pavese,<br />

all’<strong>in</strong>terno di uno di quegli schemi mitici che amava disegnare, espresse così questa idea:<br />

A esser s<strong>in</strong>ceri <strong>in</strong>somma ci pare che la cultura americana abbia perduto il magistero, quel suo <strong>in</strong>genuo e sagace<br />

furore che la metteva all’avanguardia del nostro mondo <strong>in</strong>tellettuale. Né si può non notare che ciò co<strong>in</strong>cide con<br />

la f<strong>in</strong>e, o sospensione, della sua lotta antifascista. […] Ma senza un fascismo a cui opporsi, senza cioè un<br />

pensiero storicamente progressivo da <strong>in</strong>carnare, anche l’America, per quanti grattacieli e automobili e soldati<br />

produca, non sarà più all’avanguardia di nessuna cultura. Senza un pensiero e senza lotta progressiva, rischierà<br />

anzi di darsi essa stessa a un fascismo, e sia pure nel nome delle sue tradizioni migliori 59 .<br />

54<br />

C. Pavese, Herman Melville, Il baleniere letterato, <strong>in</strong> Letteratura americana e altri saggi, cit. p. 77.<br />

55<br />

Ivi p. 78.<br />

56<br />

Ivi, p. 80.<br />

57<br />

Ivi, p. 83.<br />

58<br />

Mauro Ponzi, La critica e Pavese, Cappelli Editore, Bologna, 1977.<br />

59<br />

Cesare Pavese, Ieri e ogg , cit. pp. 195-96.<br />

27


L’operazione culturale di Pavese, il suo rivolgersi <strong>vers</strong>o una letteratura <strong>in</strong>ternazionale, <strong>in</strong><br />

primo luogo americana e <strong>in</strong>glese, ebbe dunque importanti implicazioni politiche. Il suo<br />

impegno mirò a scard<strong>in</strong>are il regime dalle fondamenta attra<strong>vers</strong>o una strategia di<br />

sovvertimento culturale. Un’operazione culturale che non cercò lo scontro frontale ma che,<br />

tramite il riferimento ad “un altro mondo”, <strong>in</strong>tendeva far <strong>in</strong>travedere agli italiani un “primo<br />

spiraglio di libertà” e <strong>in</strong>culcar loro “il primo sospetto che non tutto nella cultura del mondo<br />

f<strong>in</strong>isse coi fasci”.<br />

Il ruolo dell’Italia, nell'ambito dell’evoluzione di un’ipotetica scuola modernista, fu, dunque,<br />

del tutto orig<strong>in</strong>ale e legato alla sua particolare evoluzione storica. Se si volesse <strong>def</strong><strong>in</strong>ire il<br />

“modernismo” come movimento <strong>in</strong>tellettuale legato al disagio provocato a livello sociale e<br />

culturale dal fenomeno della “modernità” non si potrebbe negare l’esistenza di un “filone<br />

italiano”. Il ruolo troppo spesso marg<strong>in</strong>ale, anche <strong>in</strong> relazione all’isolamento politico e al<br />

progetto fascista di nazionalizzazione della letteratura, tenuto dall’Italia <strong>in</strong> quegli anni,<br />

giustifica una fondamentale estraneità ai grandi movimenti culturali europei. Eppure, anche<br />

se a questo stadio della nostra analisi non si può parlare di un vero e proprio movimento<br />

modernista <strong>in</strong> Italia, si ha l'impressione che il nostro paese e i suoi <strong>in</strong>tellettuali non furono del<br />

tutto tagliati fuori dalla kermesse europea. In questo senso sono più i modi della critica<br />

tradizionale italiana di stampo idealistico a isolare la nostra letteratura dal contesto europeo.<br />

L’ipo<strong>tesi</strong> è che gli scrittori italiani ebbero un ruolo comunque importante nell'ambito del<br />

movimento modernista. Ci si riferisce, <strong>in</strong> questo caso, a scrittori quali Pirandello, Svevo,<br />

Moravia, Primo Levi, che furono considerati veri e propri “modernisti” da una parte della<br />

critica estera. Nel caso di Cesare Pavese ci si troverà a fare i conti con un autore che, dopo<br />

aver recepito e rielaborato gli <strong>in</strong>flussi del modernismo europeo (soprattutto quello<br />

anglosassone), non vide riconosciuto il suo sforzo a livello europeo. La sua opera rimarrà<br />

conf<strong>in</strong>ata <strong>in</strong> Italia ma non per questo i suoi legami con il modernismo appaiono più<br />

superficiali.<br />

Un ulteriore tratto da sottol<strong>in</strong>eare riguardo “l'isolamento italiano” è senz’altro quello relativo<br />

ai modi della critica. La critica ebbe il ruolo fondamentale di <strong>in</strong>fluenzare la ricezione delle<br />

opere letterarie ponendosi il compito di educare il lettore alla fruizione 60 . L’anomalia italiana<br />

sembra essere costituita dal fatto che i lettori, abituati ad un determ<strong>in</strong>ato tipo di lettura delle<br />

opere, non abbiano condiviso lo stesso orizzonte d’attesa europeo. La concezione di un<br />

romanzo come espressione dell’uomo di fronte al suo mondo, come ricerca esistenziale,<br />

sociale e morale, non sembrò prendere piede <strong>in</strong> Italia dove vigeva una critica idealista di<br />

stampo crociano. La “poetica modernista” nacque e si sviluppò <strong>in</strong> relazione ai disagi<br />

dell’<strong>in</strong>dividuo di fronte al dilagare della modernità; i testi letterari modernisti rimandavano,<br />

di conseguenza, <strong>in</strong> cont<strong>in</strong>uazione all’extraletterario e da questo non potevano presc<strong>in</strong>dere. La<br />

presenza di temi ricorrenti all’<strong>in</strong>terno della letteratura europea rende possibile uno studio<br />

comparato delle opere, ma l’impressione è che la critica ufficiale italiana abbia rappresentato<br />

una sorta di ostacolo allo sviluppo di “tematiche europee” 61 . La poetica di un autore si<br />

60<br />

La produzione letteraria si basa anche su quello che H.R. Jauss ha <strong>def</strong><strong>in</strong>ito l’“orizzonte d'attesa”. H.R. Jauss,<br />

Estetica della ricezione, Napoli, Guida, 1988.<br />

61<br />

Sulla necessità di una, pur arbitraria periodizzazione, sul rifiuto dello studio dell'opera <strong>in</strong> se stessa per uno<br />

sguardo più ampio, generico ed uni<strong>vers</strong>ale sulla storia dell'uomo e delle sue manifestazioni, mi sembra<br />

assolutamente significativa la polemica di Mario Praz nei confronti della critica ufficiale italiana all'epoca<br />

dell'uscita del suo La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica (1930). L'idea che la critica<br />

italiana <strong>in</strong>fluenzasse la ricezione e la produzione letteraria italiana <strong>in</strong> modo univoco, limitando quella che poteva<br />

rappresentare una fondamentale apertura <strong>vers</strong>o altre culture, era ben presente all'epoca dell'uscita del fortunato<br />

volume di Praz. Il paradosso nasce, <strong>in</strong> questo caso, dal fatto che il testo di critica di Praz rappresenti il “primo<br />

modello degli studi tematici <strong>in</strong>tertestuali” che riscosse, a livello europeo, una fama e un successo del tutto<br />

<strong>in</strong>aspettati. Il ruolo svolto da questo libro nell'Italia degli anni Trenta fu particolarmente importante al f<strong>in</strong>e delle<br />

nostre riflessioni <strong>in</strong> quanto si schierò apertamente contro la critica estetico-idealista di stampo crociano mettendo<br />

<strong>in</strong> discussione un modello che f<strong>in</strong>o a quel momento non aveva temuto attacchi. Nel saggio <strong>in</strong>titolato Costanti<br />

tematiche, varianti estetiche e precedenti storici (1996) contenuto <strong>in</strong> Mario Praz, La carne, la morte e il diavolo,<br />

28


doveva analizzare nel contesto della sua sensibilità personale e alla luce del suo talento.<br />

Contro questo tipo di <strong>in</strong>terpretazione si mossero critici quali Mario Praz sottol<strong>in</strong>eando che il<br />

vero limite della critica idealistica era quello di voler escludere altri tipi di <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e, come<br />

quella tematica 62 . Scrittori e critici non potevano non correlarsi, positivamente e<br />

negativamente, a quelle che erano le posizioni di Croce. E’ possibile che l’<strong>in</strong>fluenza di questo<br />

tipo di critica sia stato uno degli elementi che ostacolò il diffondersi del modernismo <strong>in</strong> Italia<br />

e che di conseguenza limitò il campo d’azione degli scrittori italiani che a tale movimento si<br />

potevano, <strong>in</strong> qualche modo, relazionare. Ma quanto si possono collegare i maggiori scrittori<br />

italiani della prima metà del Novecento al movimento europeo del modernismo? E' questa<br />

una domanda a cui si cercherà parzialmente di rispondere tramite l’approfondimento del caso<br />

di Cesare Pavese. La frequentazione degli scrittori modernisti da parte degli italiani risultava<br />

<strong>in</strong>visa al regime mentre la critica ufficiale sposava altri modelli estetici.<br />

Nonostante le difficoltà descritte f<strong>in</strong>ora, le connessioni tra il modernismo europeo ed alcuni<br />

dei nostri maggiori scrittori sono spesso evidenti. Spesso queste connessioni vengono<br />

sottol<strong>in</strong>eate ma non sempre approfondite nella direzione della comparazione dei temi. Troppo<br />

spesso, <strong>in</strong>somma, gli scrittori italiani vengono descritti come isole di ispirazione: senza voler<br />

<strong>in</strong>dagare l’extratesto che circonda i loro testi tali scrittori cont<strong>in</strong>ueranno a rimanere delle<br />

Sansoni, Milano, 1996, Francesco Orlando sottol<strong>in</strong>ea il ruolo di “rottura” svolto da un testo di critica letteraria<br />

che si occupasse, <strong>in</strong> maniera programmatica, di un extratesto, <strong>in</strong> un paese <strong>in</strong> cui il crocianesimo aveva<br />

rappresentato il fondamentale modello di giudizio estetico:[...] qualsiasi letteratura -non ci dissuada dal<br />

riconoscerlo nessuno dei due opposti pregiudizi- deriva nello stesso tempo da precedente letteratura e da<br />

precedente realtà extraletteraria. Studi formali hanno a che fare soltanto col primo tipo di derivazione, studi<br />

tematici anche col secondo. Gli uni hanno il gioco meno difficile degli altri <strong>in</strong> quanto il rapporto fra letteratura e<br />

letteratura è omogeneo, mentre il rapporto fra letteratura e realtà non lo è. Gli uni si connotano facilmente come<br />

rigorosi e gli altri come sospetti, <strong>in</strong> Italia dove è documentabile con nomi di maestri una cont<strong>in</strong>uità per<br />

trasfusione fra il mezzo secolo d'idealismo crociano e la prevalenza di vari formalismi i questa f<strong>in</strong>e di secolo”.<br />

La consapevolezza dell'esistenza di tematiche “uni<strong>vers</strong>ali”, costituenti oggetto privilegiato di <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e<br />

<strong>in</strong>tellettuale ed elaborazione artistica, si contrappose, <strong>in</strong> maniera risoluta e provocatoria, al cospetto della critica<br />

ufficiale italiana: “All'estremo di quel rigore idealistico per cui non contava nessuna costante se non il giudizio<br />

di valore, una m<strong>in</strong>accia di afasia viene denunciata dopo una pag<strong>in</strong>a: “Che questa poi [l'opera], ai f<strong>in</strong>i del<br />

godimento estetico, costituisca un mondo unico <strong>in</strong> se conchiuso, esaurito e perfetto, un <strong>in</strong>dividum <strong>in</strong>effabile, è<br />

una verità che non lascerebbe al critico altra alternativa di un mistico silenzio ammirativo”. La necessità di<br />

riconsegnare l'opera letteraria al suo contesto storico, e di studiarla <strong>in</strong> relazione al mondo dal quale scaturisce e<br />

sul quale getta il suo sguardo critico, rappresentava un nuovo attacco all'estetica idealista: “Un altro postulato<br />

crociano di cui Praz è costretto a scuotere la paralisi, nella frase stessa che gli rende omaggio formale, è<br />

l'uni<strong>vers</strong>alità o “eterna contemporaneità” dell'opera d'arte. Quel postulato rischia di secondare “<strong>in</strong>terpretazioni<br />

arbitrarie e fantastiche” [...]. La difficoltà era di ammettere che la grande poesia non si spalanchi sull'uni<strong>vers</strong>ale<br />

senza nutrirsi di tutto ciò che segna la sua data e la sua congiuntura, e svelarlo, e farlo durare”. Il punto di un<br />

critico letterario “europeo” come Praz nei confronti della critica “ufficiale italiana” della prima metà del<br />

Novecento mi sembra particolarmente <strong>in</strong>teressante al f<strong>in</strong>e di comprendere quanto l'estetica idealistica fosse<br />

radicata <strong>in</strong> Italia e quanto esercitasse un ruolo direi quasi coercitivo nei confronti del gusto e della produzione<br />

letteraria. Un <strong>in</strong>tellettuale <strong>in</strong>teressato ai movimenti letterari europei, <strong>in</strong>teressato alle tematiche che queste culture<br />

producevano al f<strong>in</strong>e di poter r<strong>in</strong>tracciare delle costanti, non può non trovarsi <strong>in</strong> enorme disagio nei confronti di<br />

tale critica. Ancora nell' Avvertenza alla seconda edizione (1942) di La carne la morte e il diavolo nella<br />

letteratura romantica Praz si trova a polemizzare <strong>in</strong> questo modo: “Occorrerà avvertire f<strong>in</strong> dall'<strong>in</strong>izio, che la<br />

presente opera non può <strong>in</strong>teressare che <strong>in</strong>direttamente la critica estetica, almeno nella forma <strong>in</strong> cui questa critica<br />

s'è venuta precisando <strong>in</strong> Italia nel nostro tempo” mentre <strong>in</strong> una Nota alla qu<strong>in</strong>ta edizione (1976) si legge: “La<br />

presente opera ha avuto molta fortuna all'estero, specialmente nei paesi anglosassoni [...]. Va tenuto presente che<br />

quest'opera è stata scritta prima del 1930, quando di tipologie ed archetipi poco o punto si parlava; ha perciò,<br />

sotto quest'aspetto, un carattere pioneristico. [...]. In Italia la penetrazione è stata assai più lenta, ostacolata <strong>in</strong> un<br />

primo tempo dalla critica d'<strong>in</strong>dirizzo idealistico”.<br />

62 Lo studio estetico di un'opera letteraria è senz'altro da affiancare agli studi tematici ed extratestuali così come<br />

Praz sottol<strong>in</strong>ea nell' Avvertenza del 1942: “[...] bisogna pure riconoscere che lo studio di uno di codesti aspetti<br />

non vuole negare la presenza di altri; quel che mi pare discutibile è il modo <strong>in</strong> cui il Croce vorrebbe fissarne<br />

l'<strong>in</strong>dipendenza”.<br />

Tramite lo studio di questa documentazione che riporta la polemica, sul <strong>vers</strong>ante critico-letterario, di due grosse<br />

personalità del panorama <strong>in</strong>tellettuale italiano, si è voluto mettere <strong>in</strong> luce quanto il pensiero crociano fosse<br />

importante ed impresc<strong>in</strong>dibile.<br />

29


immag<strong>in</strong>i ideali, <strong>in</strong> perenne attesa di collocazione. L’idea che l’esclusione degli scrittori<br />

italiani dal movimento letterario del modernismo europeo sia dovuto più ai modi della critica<br />

ufficiale coeva ed a una serie di cont<strong>in</strong>genze politico-sociali che ad un effettivo loro<br />

dis<strong>in</strong>teresse nei confronti della grande kermesse culturale europea, sembra trovare più di una<br />

giustificazione. Insomma la domanda che sorge spontanea è questa: <strong>in</strong> che misura si può<br />

parlare di una modernità <strong>in</strong> Italia? Si può parlare di scrittori italiani che si rapportarono al<br />

fenomeno del modernismo europeo rielaborandone forme e contenuti? La critica<br />

contemporanea sta rivalutando e riscoprendo molti degli scrittori che segnarono, <strong>in</strong> Italia, le<br />

tappe di un nuovo sentire che si potrebbe, per l'appunto, <strong>def</strong><strong>in</strong>ire moderno.<br />

30


2 L’ETA’ DEL “NEOMITOLOGISMO”<br />

2.1 Un’era mitologica<br />

L’elaborazione delle concezioni mitiche fu di enorme importanza per molti scrittori<br />

modernisti. Tutta la riflessione sul mito si pone alla base dell’ipo<strong>tesi</strong> di voler <strong>def</strong><strong>in</strong>ire le<br />

direttrici pr<strong>in</strong>cipali di un movimento così difficilmente <strong>in</strong>quadrabile. La centralità di questo<br />

argomento si riassume nella <strong>def</strong><strong>in</strong>izione di Lotman che ha parlato dell’età moderna come<br />

dell’età del neomitologismo.<br />

Per Lotman gli <strong>in</strong>flussi che la speculazione mitologica ebbe sugli <strong>in</strong>tellettuali dell’epoca<br />

furono importantissimi e riguardano non solo coloro i quali <strong>in</strong>trapresero studi specifici sul<br />

mito ma anche coloro i quali subirono <strong>in</strong>direttamente l’<strong>in</strong>fluenza di questa kermesse<br />

<strong>in</strong>tellettuale ritrovandosi a “mitologizzare” il loro materiale quasi <strong>in</strong>consapevolmente.<br />

Insomma si potrebbe parlare di una vera coscienza mitopoietica che molti <strong>in</strong>tellettuali<br />

modernisti ebbero <strong>in</strong> comune. Questo appunto “generalizzante” di Lotman fa comprendere<br />

quanto il dibattito <strong>in</strong>torno alle categorie del mito fosse forte al passaggio dei secoli XIX e XX<br />

<strong>in</strong> un momento <strong>in</strong> cui la coscienza mitopoietica si basò <strong>in</strong> parte su una reazione al modello<br />

positivista e <strong>in</strong> parte sull’evoluzione del modello romantico:<br />

Un nuovo sviluppo dell’<strong>in</strong>teresse culturale per il mito si ha nella seconda metà del secolo XIX, soprattutto negli<br />

ultimi anni dell’800 e all’<strong>in</strong>izio del 900. La crisi del Positivismo, la delusione prodotta dalla metafisica e dalle<br />

vie di conoscenza analitiche, la critica che partiva già dal Romanticismo contro il mondo borghese considerato<br />

antieroico e antiestetico per eccellenza, hanno prodotto il tentativo di resuscitare una percezione del mondo<br />

<strong>in</strong>tegrale, arcaica, immersa nel mito 63 .<br />

Soprattutto l’aggettivo <strong>in</strong>tegrale, sottol<strong>in</strong>eato col corsivo dallo stesso Lotman, appare<br />

importante al proseguo dello studio. Negli scritti dei modernisti <strong>in</strong>glesi, così come <strong>in</strong> quelli di<br />

Pavese, si r<strong>in</strong>traccia una tendenza <strong>vers</strong>o questa <strong>in</strong>tegralità che verrebbe <strong>in</strong>tesa come un<br />

pr<strong>in</strong>cipio unitario posto alle basi dello scibile umano. In questo modo qualsiasi impressione ed<br />

espressione dell’essere umano, verrebbe a trovare un senso ultimo, basilare, <strong>in</strong> regole<br />

preesistenti al mondo moderno che, al contrario, stabilisce regole arbitrarie. L’<strong>in</strong>tegrazione,<br />

per gli <strong>in</strong>tellettuali modernisti, sarebbe dunque rappresentata dalla riscoperta delle leggi della<br />

natura e dalla loro <strong>in</strong>terpretazione tramite il ricorso al mito. La ricerca di una nuova unità<br />

esistenziale si espleta, come vedremo nei casi di Lawrence e Pavese, nel tentativo di <strong>def</strong><strong>in</strong>ire<br />

una nuova concezione spazio-temporale e una nuova “filosofia della vita” 64 che avrebbero<br />

dovuto confluire nell’unico grande disegno artistico dell’opera d’arte mitologica. Queste<br />

nuove posizioni <strong>in</strong>tellettuali, che “generano il tentativo di organizzare tutte le forme della<br />

coscienza come mitopoietiche” 65 , trovarono uno sbocco privilegiato proprio nella<br />

composizione artistica. Gli <strong>in</strong>tellettuali modernisti, forti delle ricerche <strong>in</strong>tegralizzanti condotte<br />

nei vari campi del sapere, si avviarono a stabilire un pr<strong>in</strong>cipio di panestetismo che entra <strong>in</strong><br />

diretto rapporto con il neomitologismo. E’ un rapporto che Lotman così <strong>def</strong><strong>in</strong>isce: “l’idea cioè<br />

della natura estetica dell’esistenza e del mito estetizzato come mezzo per penetrare più<br />

63 Jurij M. Lotman – Z. M<strong>in</strong>c, Letteratura e Mitologia, <strong>in</strong> Jurij Lotman, La semiosfera, Marsilio editori,<br />

Venezia, 1985, p. 218.<br />

64 Ivi, p. 219.<br />

65 Ibidem.<br />

31


profondamente nel suo segreto” 66 . Il neomitologismo impegna l’epoca della modernità e<br />

estende la sua <strong>in</strong>fluenza nella prima metà del XX secolo:<br />

[…] la specificità del modo contemporaneo di rivolgersi alla mitologia si è rivelata alla f<strong>in</strong>e del secolo XIX –<br />

<strong>in</strong>izio del secolo XX – <strong>in</strong> particolare negli anni trenta e dopo – nella creazione di opere come i romanzi miti, i<br />

drammi miti, i poemi miti. In queste opere propriamente neomitologiche il mito non appare <strong>in</strong> l<strong>in</strong>ea di pr<strong>in</strong>cipio<br />

l’unica l<strong>in</strong>ea della narrazione, né l’unico punto di vista del testo. Esso si <strong>in</strong>contra ed entra <strong>in</strong> rapporti complessi<br />

sia con altri miti, che danno altro colorito alla narrazione, sia con temi della storia o della contemporaneità. […]<br />

Il nucleo delle opere neomitologiche è tuttavia composto da quelle <strong>in</strong> cui il mito ha la funzione di l<strong>in</strong>guaggio<br />

<strong>in</strong>terpretante della storia e della contemporaneità, e questi ultimi svolgono il ruolo di quel materiale caotico ed<br />

eterogeneo, che è oggetto di un’<strong>in</strong>terpretazione sistematizzante 67 .<br />

L’analisi di Lotman presenta di<strong>vers</strong>i punti di <strong>in</strong>teresse. Andando oltre l’analisi specifica delle<br />

s<strong>in</strong>gole opere e dei s<strong>in</strong>goli autori, Lotman parla di neomitologismo come di un fenomeno<br />

generico che, <strong>in</strong> di<strong>vers</strong>e forme e con di<strong>vers</strong>i modelli, fu attivo lungo i b<strong>in</strong>ari dell’<strong>in</strong>tera cultura<br />

occidentale. Questa considerazione, <strong>in</strong>sieme alla precedente per cui ci furono scrittori che<br />

adottarono sistemi mitici quasi <strong>in</strong>consapevolmente, ci pone di fronte alla considerazione che il<br />

fenomeno culturale del neomitologismo abbia avuto una portata <strong>in</strong>gente. L’altra<br />

considerazione che nasce dalla lettura di questo passaggio è proprio <strong>in</strong>torno alla parola<br />

neomitologismo. Lotman non parla di semplice ritorno alla mitologia ma implica, nella sua<br />

<strong>def</strong><strong>in</strong>izione, un forte elemento di novità. La peculiarità del fenomeno risiede dunque nel<br />

miscelare sapientemente, artisticamente, le strutture della mitologia classica con le nuove<br />

esigenze conoscitive della realtà contemporanea. E’ un rapporto, quello tra classico e<br />

moderno, a cui fu particolarmente attento Pavese così come si potrà vedere nel proseguo dello<br />

studio e <strong>in</strong> particolar modo nel capitolo dedicato alla composizione dei Dialoghi con Leucò.<br />

L’<strong>in</strong>contro tra le strutture classiche del mito e quelle della modernità condurrà gli autori a<br />

differenti risultati. A livello tematico la vena apocalittica-utopica, che tale <strong>in</strong>contro alimenta<br />

<strong>in</strong> Lawrence, non si riscontrerà, per esempio, <strong>in</strong> Pavese che lascerà poco spazio alle utopie per<br />

approfondire f<strong>in</strong>o <strong>in</strong> fondo (anche <strong>in</strong> questo caso però si potrebbe parlare di tendenza<br />

apocalittica) il lato tragico dell’esistenza. La differenza che si può riscontrare negli approcci<br />

degli autori ad un comune materiale mitico non fa che rafforzare l’idea espressa da Lotman di<br />

un <strong>in</strong>teresse <strong>in</strong>tellettuale diffuso per il recupero e la rielaborazione di un pensiero mitologico<br />

nell’epoca moderna:<br />

Nell’arte del XX secolo il neomitologismo ha elaborato anche la sua poetica <strong>in</strong>novatrice, che è il risultato<br />

dell’<strong>in</strong>fluenza delle strutture dei riti e del mito e <strong>in</strong>oltre delle teorie etnologiche e folkloriche contemporanee.<br />

Alla sua base c’è la concezione ciclica del mondo, l’eterno ritorno (Nietzsche). Nel mondo degli eterni ritorni <strong>in</strong><br />

ogni fenomeno del presente traspaiono le sue <strong>in</strong>carnazioni passate e future. Il mondo è pieno di corrispondenze<br />

(Blok): bisogna solo essere capaci di vedere negli <strong>in</strong>numerevoli guizzi delle maschere (la storia, la<br />

contemporaneità) l’Immag<strong>in</strong>e che <strong>in</strong> essi si <strong>in</strong>travede dell’unità uni<strong>vers</strong>ale (<strong>in</strong>carnata nel mito). Proprio per<br />

questo ogni s<strong>in</strong>golo fenomeno segnala l’<strong>in</strong>numerevole quantità di altri fenomeni, appare la loro immag<strong>in</strong>e, il loro<br />

simbolo 68 .<br />

Lo stesso ruolo del mito potrà variare a seconda dell’<strong>in</strong>terpretazione personale dell’autore: “il<br />

mito è portatore della coscienza naturale, non alterata della civiltà, e dell’uomo primigenio, il<br />

mito è l’immag<strong>in</strong>e del mondo dei Primi eroi e dei Primi avvenimenti, che variano nelle<br />

<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ite collisioni della storia; la mitologia è la materializzazione dell’<strong>in</strong>conscio collettivo<br />

66 Ibidem.<br />

67 Ivi, p. 222.<br />

68 Ivi, p. 223.<br />

32


secondo Jung e un’eterogenea enciclopedia di archetipi ecc.” 69 . All’<strong>in</strong>terno di questo sistema,<br />

<strong>def</strong><strong>in</strong>ito per grandi l<strong>in</strong>ee, si può avere una prima idea della consistenza di una nuova coscienza<br />

mitopoietica che si diffuse <strong>in</strong> Europa tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima metà del<br />

Novecento. Considerati tutti i contributi che <strong>in</strong>tervennero alla formazione di questa nuova<br />

coscienza (etnologia, filosofia, psicologia etc.), si può facilmente comprendere quanto vari<br />

potessero essere i risultati artistici prodotti dall’approccio <strong>in</strong>dividuale dei di<strong>vers</strong>i autori.<br />

La genesi della concezione modernista di mito è di lungo corso ma l’evoluzione più<br />

significativa, nell’ambito di questo studio, è quella che prende le mosse dall’Ottocento. Per<br />

molti aspetti il modernismo si configurò come una cont<strong>in</strong>uazione ed una complicazione del<br />

fenomeno del romanticismo; la sua <strong>in</strong>terpretazione del mito fu <strong>in</strong> contrasto con<br />

l’<strong>in</strong>terpretazione romantica ma ne segnò, al contempo, un’evoluzione di cui sarà utile cogliere<br />

alcuni aspetti significativi. Se il periodo vittoriano rappresentò una seconda fase<br />

dell’illum<strong>in</strong>ismo, con il suo bagaglio di scetticismo e razionalismo, è pur vero che fu uno dei<br />

suoi prodotti letterari-scientifici più importanti, Il ramo d’oro, a risvegliare l’<strong>in</strong>teresse per il<br />

mito. Il capolavoro di ricerca etnologica di Frazer che tanto ispirò lo stesso Cesare Pavese, è,<br />

fondamentalmente, un’opera che risente delle teorie evoluzioniste di Darw<strong>in</strong>. Il libro, che<br />

avrebbe dovuto fare dei miti primitivi dei fenomeni lontani e pittoreschi, contribuì, <strong>in</strong> maniera<br />

capitale, al recupero della mitologia come categoria produttiva <strong>in</strong> epoca moderna. La<br />

produttività della categoria mitologica è, al contempo, la pr<strong>in</strong>cipale differenza che si può<br />

tracciare tra l’<strong>in</strong>terpretazione romantica e quella modernista. L’<strong>in</strong>terpretazione romantica del<br />

mito, e la sua rivalutazione, avvenne ad un livello ideale e fu concepita come reazione<br />

all’illum<strong>in</strong>ismo. Tra le reazioni romantiche agli assunti dell’illum<strong>in</strong>ismo si possono elencare il<br />

ritorno all’apprezzamento dei sentimenti, il fasc<strong>in</strong>o per il gotico ed il sublime, l’idealizzazione<br />

dell’uomo primitivo, ovvero il buon selvaggio, e la rivalutazione delle culture autoctone.<br />

Pavese seguì questo percorso molto da vic<strong>in</strong>o. Il movimento romantico, pur rappresentando la<br />

radice della sua ispirazione, si caricava di un idealismo che fu rigettato <strong>in</strong> epoca moderna:<br />

E’ curioso come il Romanticismo, che passa per la scoperta e la protesta dell’<strong>in</strong>dividuo, dell’orig<strong>in</strong>alità, del<br />

genio, sia tutto pervaso di un’ansia di unità, di totalità cosmica; e abbia <strong>in</strong>ventato i miti della caduta dalla<br />

primitiva Unità e ricercato i mezzi (poesia, amore, progresso storico, contemplazione della natura, magia, ecc.)<br />

per ricomporla. Prova di questa tendenza è la creazione di tanti concetti collettivi (la nazione, il popolo, il<br />

cristianesimo, il germanesimo, il gotico, la lat<strong>in</strong>ità, ecc.) 70 .<br />

Il passaggio ad una visione pragmatica della mitologia <strong>in</strong>tesa come categoria estetica<br />

produttiva avvenne ad opera di molti modernisti che rifiutarono l’idealismo romantico<br />

re<strong>in</strong>terpretando, o sviluppando, i loro materiali:<br />

Il modo <strong>in</strong> cui ci si è rivolti alla mitologia alla f<strong>in</strong>e del secolo XIX – <strong>in</strong>izio secolo XX era sostanzialmente<br />

di<strong>vers</strong>o da quello romantico, anche se <strong>in</strong>izialmente poteva essere <strong>in</strong>terpretato come Neoromanticismo. Esso<br />

nasceva nell’ambito della tradizione realistica e della concezione del mondo positivista, ed era sempre <strong>in</strong><br />

rapporto con questa tradizione, anche se spesso <strong>in</strong> modo polemico 71 .<br />

Per Bell il romanticismo raggiunge il suo punto culm<strong>in</strong>e con una concezione del classicoprimitivo<br />

e del primitivo-classico <strong>in</strong> un momento <strong>in</strong> cui il caos orig<strong>in</strong>ario è visto come una<br />

forza generatrice ben lontana da quella forza primordiale selvaggia e distruttrice che, per<br />

69 Ivi, p. 222.<br />

70 C. Pavese, Il Mestiere di Vivere, 24 Maggio 1941, cit. p. 225.<br />

71 J.M. Lotman – Z. M<strong>in</strong>c, Letteratura e Mitologia, cit. p. 218.<br />

33


Nietzsche, si <strong>in</strong>carnava nella figura tragica di Dioniso 72 . Elim<strong>in</strong>ando dalla loro visione ogni<br />

implicazione metafisica, i modernisti ritennero che la fondazione e le possibilità ricreatrici<br />

legate al mito riposassero sul mito stesso, ovvero sulla cultura che l’aveva prodotto. I<br />

modernisti riscoprirono la possibilità di <strong>in</strong>terrogare i miti come prodotti dell’<strong>in</strong>gegno umano,<br />

come espressioni privilegiate di un’<strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e a ritroso di stampo ontologico. Bell sottol<strong>in</strong>ea<br />

come il rifiuto dell’idealismo romantico e il rigetto della metafisica avvennero sullo sfondo di<br />

uno dei periodi storici più burrascosi della nostra storia moderna; gli sviluppi drammatici e<br />

sangu<strong>in</strong>ari della Rivoluzione Francese disillusero un’<strong>in</strong>tera generazione di <strong>in</strong>tellettuali che si<br />

posero <strong>in</strong>terrogativi che andavano al di là del s<strong>in</strong>golo evento. La critica serrata che Nietzsche<br />

<strong>in</strong>traprese nei confronti di tutta la tradizione e la civiltà occidentale sembrava stesse trovando<br />

le sue puntuali e tragiche conferme. Era una critica che implicava tutta la civiltà europea:<br />

“[…] by the turn of the twentieth century, the whole enterprise of European civilization was<br />

under a newly radical scrut<strong>in</strong>y” 73 . Fu lo stesso Nietzsche ad accostare gli studi di storia a<br />

quelli di mitologia legandoli <strong>in</strong> una riflessione serrata che avrebbe costituito la parte fondante<br />

delle Considerazioni <strong>in</strong>attuali. La storia era stata, f<strong>in</strong>o all’immediata vigilia della modernità,<br />

il referente privilegiato per la comprensione del mondo e delle sue leggi. La discussione<br />

<strong>in</strong>trapresa da Nietzsche nelle Inattuali prendeva di mira proprio la tendenza a considerare la<br />

storia una scienza e l’analisi storica un metodo di ricerca e di comprensione quasi <strong>in</strong>fallibile.<br />

Criticando questo sistema di pensiero, e <strong>def</strong><strong>in</strong>endolo come un altro aspetto nefasto della<br />

civiltà occidentale, Nietzsche poneva, direttamente e <strong>in</strong>direttamente, le basi per la promozione<br />

di una nuova metodologia atta a svelare, o semplicemente ad <strong>in</strong>dagare, i misteri dell’uomo e<br />

della sua storia che si condensavano nel sapere mitologico. Il mito divenne, nelle riflessioni<br />

moderniste ispirate dal filosofo tedesco, il background su cui si sviluppava la storia stessa. I<br />

miti non erano <strong>in</strong>venzioni fantasiose di poeti ma rappresentarono una consistente parte della<br />

realtà umana, forse la più importante ed antica. Solo tramite il discernimento di questo<br />

background mitico, solo tramite la riproposizione dei miti nell’ambito della modernità, anche<br />

la storia poteva guadagnare un senso. La mitologia r<strong>in</strong>uncia ad essere un’opzione e diviene la<br />

tappa obbligata per la comprensione del mondo 74 .<br />

72 Lo stesso sviluppo romantico del concetto di mito è un’evoluzione delle teorie espresse nel circolo di Jena da<br />

Schlegel e Schell<strong>in</strong>g. Il Dialogo sulla poesia (1800) di Schlegel è <strong>in</strong>dicato da Bell come uno dei testi<br />

fondamentali per lo sviluppo del concetto romantico di mito, ma è anche il testo da cui prenderanno le mosse i<br />

modernisti, rielaborandone i contenuti, per forgiarne una nuova concezione. Per il pensatore tedesco alla base del<br />

concetto di mito vi è un qualcosa di orig<strong>in</strong>ale, di <strong>in</strong>imitabile e di irriducibile, luogo dell’assurdo, della follia e di<br />

ogni semplicità. La poesia si struttura dunque come risalita <strong>vers</strong>o questo orig<strong>in</strong>ario ideale. Si tratta di ripercorrere<br />

a ritroso le tappe della civiltà che la ragione dell’uomo ha costruito per poter ricongiungersi, idealmente, al caos<br />

orig<strong>in</strong>ario della natura umana rappresentato simbolicamente dagli antichi dei. L’idealismo di questa posizione è<br />

rappresentato dall’<strong>in</strong>dicazione di un obiettivo, stabilito a priori, piuttosto che di un metodo di r<strong>in</strong>venimento. La<br />

poesia mitologica diviene, nelle pag<strong>in</strong>e di Schlegel, un ponte per il raggiungimento di uno stato ideale, quello<br />

primitivo-classico. Mentre per i modernisti il mito rappresentava una condizione <strong>in</strong>terpretativa dell’essere si può<br />

notare, dall’espressione di questa filosofia, come per i romantici fosse una dimensione perduta, da r<strong>in</strong>venire<br />

tramite la pratica estetica. Nel Sistema dell’idealismo trascendentale, Schell<strong>in</strong>g auspica l’avvento di una “nuova<br />

mitologia” <strong>in</strong> cui tutta una generazione di poeti “mitologizzasse” come se fosse una sola <strong>in</strong>dividualità poetica.<br />

Bell ipotizza come la differenza pr<strong>in</strong>cipale fra i romantici e i modernisti si possa cogliere nel concetto di<br />

“ground<strong>in</strong>g”. Seguendo questa ipo<strong>tesi</strong> il modernismo si differenzierebbe dal romanticismo pr<strong>in</strong>cipalmente per<br />

l’esclusione della componente idealistica. Il mito, per i romantici, aveva il suo “ground” nell’assoluto, nel fuori<br />

da sé e nel mondo ideale. A tale assoluto tendeva ed era legato. Per i modernisti il mito si struttura piuttosto sul<br />

“self ground<strong>in</strong>g”.<br />

73 M. Bell, Literature modernism and myth, cit. p.19.<br />

74 Fra i vari apporti che le teorie <strong>in</strong>torno al mito ebbero, quello di C. G. Jung fu di fondamentale importanza. Le<br />

sue <strong>def</strong><strong>in</strong>izioni di archetipo e di <strong>in</strong>conscio collettivo si legarono direttamente alle riflessioni degli <strong>in</strong>tellettuali<br />

modernisti: “There are types of situations and types of figures that repeat themselves frequentely and have a<br />

correspond<strong>in</strong>g mean<strong>in</strong>g. I therefore employ the term motif to designate these repetitions. Thus there are not only<br />

typical dreams but typical motifs <strong>in</strong> the dreams. These may, as we have said, be situations or figures. Among the<br />

latter there are human figures that can be arranged under a series of archetypes, the chief of them be<strong>in</strong>g […] the<br />

shadow, the wise old man, the child (<strong>in</strong>clud<strong>in</strong>g the child hero), the mother (Primordial Mother and Earth Mother)<br />

as a supraord<strong>in</strong>ate personality (daemonic because supraord<strong>in</strong>ate) and her counterpart the maiden, and lastly the<br />

34


Stabilita una serie di posizioni che contribuirono alla creazione di una vera e propria<br />

coscienza mitopoietica modernista, sarà <strong>in</strong>teressante constatare come tale dibattito si legò alle<br />

speculazioni di alcuni scrittori dell’epoca. Cesare Pavese e D.H. Lawrence furono due<br />

<strong>in</strong>tellettuali particolarmente <strong>in</strong>teressati alle teorie sul mito tanto che si potrebbe parlare della<br />

condivisione di una vera coscienza mitopoietica. Pavese, oltre ad aver dato un impianto<br />

mitologico a molte delle sue opere, ci ha lasciato una mole impressionante di scritti teorici che<br />

si dividono fra i suoi saggi e le sue note sul diario. In questo contesto sarà <strong>in</strong>teressante notare<br />

come le sue riflessioni, cui prevalentemente questo capitolo è fondato, riechegg<strong>in</strong>o, con<br />

importanti e personali sviluppi, le teorie mitologiche europee.<br />

Lawrence amò esprimere la sua filosofia, come lui stesso ammette, prevalentemente<br />

attra<strong>vers</strong>o i romanzi che vengono privilegiati, all’<strong>in</strong>terno di questo capitolo, rispetto alle<br />

riflessioni presenti nelle opere teoriche. Nell’ambito dell’<strong>in</strong>teresse che il modernismo<br />

letterario dedicò alla categoria del mito, l’<strong>in</strong>terpretazione di Lawrence fu particolarmente<br />

orig<strong>in</strong>ale e approfondita. Nella sua poetica, il riferimento al mito è costante ed elementi<br />

mitologici classici e biblici sono cont<strong>in</strong>uamente riscontrabili così come sono frequenti le<br />

connessioni alle div<strong>in</strong>ità ctonie dei luoghi campestri. Per Michael Bell la concezione mitica di<br />

Lawrence è <strong>in</strong>separabile non solo dalla sua poetica ma anche dall’<strong>in</strong>tera sua vita: “D. H.<br />

Lawrence had an <strong>in</strong>ward understand<strong>in</strong>g of mythopoeia <strong>in</strong>separabile from his whole view of<br />

life” 75 . L’esplorazione dell’esistente da parte di Lawrence, il legare strettamente<br />

quest’esplorazione alle esperienze dei s<strong>in</strong>goli personaggi e al contempo il saper estrarre dagli<br />

episodi di vita ciò che risulta essere più grande, una legge dell’essere appunto, fa di Lawrence<br />

uno scrittore essenzialmente mitopoietico. L’esperienza di Lawrence si configurò dunque <strong>in</strong><br />

una costante ricerca delle categorie del mitico non solo nella sua produzione poetica ma anche<br />

nell’esperienza di tutti i giorni. La sua opera più biografica, Sons and Lo<strong>vers</strong>, testimonia<br />

questo gioco di rimandi fra arte e vita. Le leggi della vita, che possono essere ricavate<br />

anima <strong>in</strong> man and the animus <strong>in</strong> woman. The prymordial image, or archetype, is a figure […] that constantly<br />

recurs <strong>in</strong> the course of history and appears whenever creative fantasy is freely expressed. Essentially, therefore, it<br />

is a mythological figure”. Per Jung l’arte non ha la sua fonte nell’<strong>in</strong>conscio personale dell’artista ma <strong>in</strong> quello<br />

collettivo <strong>in</strong> quanto sfera di mitologia <strong>in</strong>conscia <strong>in</strong> cui le immag<strong>in</strong>i primordiali sono retaggio del genere umano.<br />

Jung parla di una forza irrazionale che non può essere né canalizzata né soppressa dalla razionalità o<br />

dall’educazione. La forza dell’arte è quella del r<strong>in</strong>venimento delle fonti della vita, il risalire all’orig<strong>in</strong>e attra<strong>vers</strong>o<br />

la riattivazione dell’immag<strong>in</strong>e archetipica: “The creative process, so far as we are able to follow it at all, consists<br />

<strong>in</strong> the uncounscious activation of an archetypical image, and <strong>in</strong> elaborat<strong>in</strong>e and shap<strong>in</strong>g this image <strong>in</strong>to the<br />

f<strong>in</strong>ished work. By giv<strong>in</strong>g it shape, the artist translates it <strong>in</strong>to the language of the present, and so makes it possible<br />

for us to f<strong>in</strong>d our way back to the deepest spr<strong>in</strong>gs of life. There lies the social significance of art: it is constantly<br />

at work educat<strong>in</strong>g the spirit of the age, conjur<strong>in</strong>g up the forms <strong>in</strong> which the age is most lack<strong>in</strong>g. The unsatisfied<br />

yearn<strong>in</strong>g of the artist reaches back to the primordial image <strong>in</strong> the uncounscious which is best fitted to<br />

compensate the <strong>in</strong>adequacy and one-sideness of the present. The artist seizes on this image, and <strong>in</strong> rais<strong>in</strong>g it from<br />

deepest uncounsciousness he br<strong>in</strong>gs it <strong>in</strong>to relation with counscious values, thereby transform<strong>in</strong>g it until it can be<br />

accepted by the m<strong>in</strong>ds of his contemporaries accord<strong>in</strong>g to their powers”. C.G. Jung, The psychological aspects of<br />

the Kore (1941), contenuto <strong>in</strong> Gregory Lucente, The narrative of realism and Myth. Verga, Lawrence, Faulkner,<br />

Pavese. The John Hopk<strong>in</strong>s Uni<strong>vers</strong>ity Press, Baltimore and London, 1981, pp.34-37. Pavese, che era al corrente<br />

degli studi di Jung, si <strong>in</strong>teresserà a lui <strong>in</strong> maniera specifica nel primo dopoguerra <strong>in</strong> occasione della fondazione<br />

della Collana Viola, la Collezione di studi psicologici, etnologici e religiosi tenuta <strong>in</strong>sieme ad Ernesto Di<br />

Mart<strong>in</strong>o. L’importanza di Jung nella <strong>def</strong><strong>in</strong>izione del concetto di mito <strong>in</strong> epoca modernista è basilare e si collega,<br />

appunto, al dibattito sulla produttività della mitologia moderna. Per Jung la mitologia può essere altrettanto<br />

produttiva <strong>in</strong> epoca moderna così come lo era stata <strong>in</strong> epoca classica. Questa posizione era la risposta agli<br />

studiosi che concepivano la mitologia come una categoria fondamentale per poter comprendere il nostro passato<br />

ma che, <strong>in</strong> questo passato, rimaneva arg<strong>in</strong>ata. In questo senso Jung risponde allo scetticismo di studiosi quali<br />

Mircea Eliade che postulavano come la crisi della div<strong>in</strong>ità <strong>in</strong> epoca moderna alienasse la produttività<br />

dell’approccio mitologico alla realtà contemporanea. Robert A. Segal <strong>in</strong> Myth and the mak<strong>in</strong>g of modernity. The<br />

problem of ground<strong>in</strong>g <strong>in</strong> Early Twentieth Century Literature, Edited by M.Bell and P.Poellner, Rodopi,<br />

Amsterdam-Atlanta, GA, 1998, pp. 123-24, offre una s<strong>in</strong><strong>tesi</strong> chiara di questa diatriba: “Because he (Jung)<br />

psychologizes the mean<strong>in</strong>g of all myths, he circumvents Eliade’s dilemma that myths acceptable to moderns lack<br />

the element necessary for their efficacy: gods. For Jung gods are merely the symbols that ancient myths used to<br />

represent archetypes. Modern myths, us<strong>in</strong>g other symbols, are equally efficacious”.<br />

75 M. Bell, Literature, Modernism and Myth – belief and responsability <strong>in</strong> the twentieth century, cit. p. 93.<br />

35


dall’esperienza f<strong>in</strong>zionale e da quella reale, vanno ricercate al di là dello psicologico e del<br />

sociale:<br />

The story is typical of Lawrence <strong>in</strong> that its full force eludes a purely naturalistic explanation at the level of the<br />

social, ethical and personal psychology although, moment by moment, the action seems to be conducted <strong>in</strong> these<br />

terms. Some sort of transformation of the abitual and the everyday, a transformation for which miracle is a good<br />

popular term, is of the essence. […] Lawrence’s mythopoeic consciousness is most crucially to be found not <strong>in</strong><br />

his overt allusions to myth, but <strong>in</strong> this way of relat<strong>in</strong>g the personal and the impersonal, the conscious and the<br />

uncounscious, <strong>in</strong> a holistic, flexible exploration of human be<strong>in</strong>g-<strong>in</strong>-the-world 76 .<br />

La caratteristica che differenzia Lawrence dai suoi contemporanei, che si rifacevano al mito<br />

come pr<strong>in</strong>cipale fonte di ispirazione e scrivevano basandosi su schemi mitici, è che Lawrence<br />

aveva, è op<strong>in</strong>ione di Bell, una vera “coscienza mitopoietica” 77 . Lo stesso Lawrence rivendica<br />

questa posizione <strong>in</strong> Fantasia dell'Inconscio subito dopo aver espresso le sue posizioni rispetto<br />

al mito e la storia:<br />

Questa mia pseudofilosofia […] è dedotta dalle novelle e dalle poesie, non l’<strong>in</strong><strong>vers</strong>o. Le novelle e le poesie<br />

nascono spontaneamente dalla penna. E solo allora l’assoluta necessità <strong>vers</strong>o se stessi e le cose <strong>in</strong> generale ci fa<br />

tentare di trarre qualche conclusione dalle proprie esperienze come scrittore e come uomo. Le novelle e le poesie<br />

sono esperienza pura ed appassionata 78 .<br />

Pavese, attento lettore di Lawrence, si pone dunque <strong>in</strong> un ideale parallelo con lo scrittore<br />

<strong>in</strong>glese da cui, come lui stesso ammette, ricavò più di un’ispirazione.<br />

La riflessione di Cesare Pavese sul mito è forse la più importante per la <strong>def</strong><strong>in</strong>izione della sua<br />

poetica o, perlomeno, è senz’altro il punto di partenza. La riflessione sul mito si protrasse per<br />

tutto il periodo della sua attività di scrittore e <strong>in</strong>fluenzò le sue attitud<strong>in</strong>i <strong>in</strong>tellettuali <strong>in</strong> maniera<br />

<strong>in</strong>equivocabile. La sua attività di studioso fu <strong>in</strong>centrata sulla lettura dei testi classici per<br />

att<strong>in</strong>gere il mito alle sue fonti e sulla lettura dei critici e degli studiosi contemporanei al f<strong>in</strong>e<br />

di <strong>in</strong>nestare più propriamente la teoria mitica nel contesto dell’attualità. F<strong>in</strong> dal 1936 Pavese<br />

si fece attento lettore di Lèvy-Bruhl, con il testo Mythologie primitive, mentre di pochi anni<br />

successivi fu l’approfondimento dell’opera del Vico. Anche la sua attività di traduttore fu <strong>in</strong><br />

parte <strong>in</strong>fluenzata da questo <strong>in</strong>teresse mentre, per quanto riguarda il suo ruolo di diffusore di<br />

cultura nell’Italia del primo dopoguerra, è da registrare l’avventura della Collana Viola, una<br />

serie di studi a carattere etnologico ideata e realizzata con Ernesto De Mart<strong>in</strong>o, che lo<br />

avvic<strong>in</strong>arono agli studi di Kerenyi già mediati, precedentemente, dalla lettura dei lavori di<br />

Mario Unterste<strong>in</strong>er. Per Marziano Guglielm<strong>in</strong>etti gli studi che portarono Pavese<br />

all’elaborazione di una propria teoria mitologica, sono di particolare importanza <strong>in</strong><br />

considerazione del fatto che non si possono <strong>in</strong>dicare predecessori, <strong>in</strong> Italia, che pens<strong>in</strong>o e<br />

utilizz<strong>in</strong>o il mito nel modo dello scrittore: “Dunque, non predecessori significativi, ma, se<br />

mai, sperimentatori coetanei ed esperti di scienze umane […] sembrano chiamati da Pavese ad<br />

esercitare un’azione di conforto e, soprattutto, d’illum<strong>in</strong>azione all’<strong>in</strong>terno di un processo<br />

creativo, che si <strong>def</strong><strong>in</strong>isce estraneo al naturalismo […] 79 . In questo contesto l’<strong>in</strong>tento di Pavese<br />

sembrò proprio quello di uscire dalle ristrettezze della cultura classicistica italiana, che non<br />

vedeva nel mito una possibile applicazione nell’arte contemporanea se non come rimando<br />

colto e prezioso, e dalle similari ristrettezze dell’estetismo di stampo dannunziano che faceva<br />

76 Ivi, p. 110.<br />

77 Ivi, p. 116.<br />

78 D. H. Lawrence, Fantasia dell’<strong>in</strong>conscio, Newton Compton Editori, Roma, 1995, p. 24.<br />

79 Marziano Guglielm<strong>in</strong>etti, Cesare Pavese romanziere, contenuto <strong>in</strong> Cesare Pavese, Tutti i romanzi, E<strong>in</strong>audi,<br />

Tor<strong>in</strong>o, 2000, p. XI.<br />

36


del mito un utilizzo del tutto personale. Procurarsi <strong>in</strong>terlocutori all’estero, soprattutto <strong>in</strong> un<br />

momento <strong>in</strong> cui la riflessione sul mito, nell’ambito del movimento culturale del modernismo,<br />

trovava <strong>in</strong> Europa l’apporto di molti <strong>in</strong>tellettuali, rappresenta un carattere del tutto particolare<br />

da attribuire a Pavese. La concezione di Pavese del mito si compone di una lunga serie di<br />

<strong>in</strong>flussi che vanno al di là dei pure basilari Vico, Nietzsche, Frazer. Il fondamento della<br />

concezione mitica dello scrittore riposa, per Guido Guglielmi, sull'opera di Nietzsche, e <strong>in</strong><br />

particolar modo sulla Nascita della Tragedia, ma anche sul folclore acquisito soprattutto dalla<br />

letteratura americana.<br />

I legami di Pavese alla cultura modernista si svelano anche attra<strong>vers</strong>o i riferimenti a Proust e<br />

Baudelaire che entrambi contribuirono alla formulazione della sua concezione mitica. Ma<br />

l’approccio di Pavese alle teorie del mito ha un’orig<strong>in</strong>alità che lo mette direttamente <strong>in</strong><br />

confronto con un altro mitologo della tradizione letteraria italiana, D’Annunzio: “Lo sforzo di<br />

Pavese è dunque quello di sottrarre i materiali mitici alla loro aurea di preziosità e di<br />

esclusività culturale per <strong>in</strong>serirli <strong>in</strong> un più ampio contesto, <strong>in</strong> “una dimensione etica o<br />

comunicativa” 80 . Insomma Pavese “mira a riconvertire l'uso estetico dei miti -quale gli<br />

giungeva direttamente già da D'Annunzio- <strong>in</strong> uso etico. E cioè a fare dei miti la base di un<br />

r<strong>in</strong>novato e ritrovato senso comune: di una classicità rustica, fondata sulla città-<strong>in</strong>-campagna.<br />

Un'espressione <strong>in</strong> cui campagna equivale a <strong>in</strong>fanzia e preistoria, e città a mondo<br />

contemporaneo. E tutto questo secondo una direzione propria dei ritornanti primitivismi della<br />

modernità” 81 . La mitologia di Pavese va dunque ad <strong>in</strong>contrarsi con i temi dell'etnologia, <strong>in</strong><br />

quello che lui stesso <strong>def</strong><strong>in</strong>iva un “classicismo rustico” 82 . Questo sforzo <strong>vers</strong>o la <strong>def</strong><strong>in</strong>izione di<br />

un nuovo modello di classicismo è dettata, per Guglielmi, dal progetto di accordare cultura<br />

moderna e mito: l’<strong>in</strong>tenzione primaria di Pavese era quella di “rivitalizzare i miti, ma <strong>in</strong> un<br />

contesto contemporaneo” 83 . Nell’<strong>in</strong>contro della mitologia classica con quelli che erano i<br />

dettami, o meglio gli <strong>in</strong>teressi, della “nuova” scienza etnologica, si situa buona parte<br />

dell’orig<strong>in</strong>alità del pensiero di Pavese. Lo stesso scrittore, sempre prodigo di riflessionidelucidazioni<br />

sulla sua poetica, rivendica un ruolo di primo piano nell’evoluzione, considerata<br />

ancora <strong>in</strong> corso, del pensiero mitico:<br />

Formazione rustica, cioè non contad<strong>in</strong>a, proletaria, ma ragazze col parasole. Piacciono i ruderi di Roma perché<br />

gerbidi, perché papaveri e siepi secche sui colli ne fanno cosa dell’<strong>in</strong>fanzia –e anche la storia (Roma antica) e la<br />

preistoria (Vico, | il sangue sparso sulla siepe o sul solco) s’adattano a questa rusticità, ne fanno un mondo <strong>in</strong>tero<br />

e coerente dalla nascita alla morte. La tua classicità: le Georgiche, D’Annunzio, la coll<strong>in</strong>a del P<strong>in</strong>o. Qui si è<br />

<strong>in</strong>nestata l’America come l<strong>in</strong>guaggio rustico§uni<strong>vers</strong>ale (Anderson, An Ohio pagan), e la barriera (il Campo di<br />

grano) che è riscontro di città e campagna. Il tuo sogno alla stazione di Alba (i giovani albesi che creano le<br />

forme moderne) è la fusione del classicismo con la città§<strong>in</strong>§campagna. Recentemente hai aggiunto la scoperta<br />

dell’<strong>in</strong>fanzia (campagna = forma mentale), valorizzando gli studi di etnografia (il Dio caprone, la teoria<br />

dell’immag<strong>in</strong>e racconto). Il tuo è un classicismo rustico che facilmente diventa etnografia preistorica 84 .<br />

Il classicismo rustico così elaborato da Pavese si <strong>in</strong>nesta, al contempo, <strong>in</strong> un territorio<br />

<strong>in</strong>tellettuale vasto che risente sia della sapienza <strong>in</strong>dividuale dei luoghi rurali, <strong>in</strong> cui Pavese<br />

crebbe ed ebbe la prima educazione, sia della cultura moderna di cui lo scrittore si nutrì ad<br />

ampie dosi. L’attenzione per la natura è, <strong>in</strong>somma, precedente a quella per la cultura e lo<br />

studio del mito e delle sue implicazioni <strong>in</strong>tellettuali sembra atto a svelare i misteri di<br />

entrambe:<br />

80<br />

Guido Guglielmi, La prosa Italiana del Novecento, tra romanzo e racconto, Piccola Biblioteca E<strong>in</strong>audi,<br />

Tor<strong>in</strong>o, 1998, p. 116.<br />

81<br />

Ivi, p. 117.<br />

82<br />

Ivi, p. 116.<br />

83<br />

Ivi, p. 115.<br />

84<br />

C. Pavese, Il Mestiere di Vivere, 3 Giugno 1943, cit. pp. 244-45.<br />

37


Notare che più dei poemi (Iliade, Commedia, Leopardi, ecc.) ti compiacevi di geologia e astronomia, cioè il<br />

materiale <strong>in</strong>differenziato da cui doveva nascere il gusto mitico§rustico, saziato poi dagli sparsi accenni dei poemi<br />

[…]. Alla letteratura, al gusto della parola§mezzo sei giunto più tardi, attra<strong>vers</strong>o tediosa ricerca culturale (letture<br />

obbligate) e poi scoppio baudelairiano 85 .<br />

Questo <strong>in</strong>teresse per il rustico, il folklorico, è caratteristico di molti scrittori modernisti. Sons<br />

and Lo<strong>vers</strong> (1913) è un vero romanzo “classico-rustico” 86 . In questo romanzo autobiografico<br />

scritto nella fase <strong>in</strong>iziale della sua carriera di scrittore, Lawrence svolge l’azione nella<br />

campagna <strong>in</strong>glese delle Midlands dove, <strong>in</strong> una comunità di m<strong>in</strong>atori, una famiglia conduce<br />

una vita difficile e colma di tensioni reciproche e con il mondo esterno. Le vicende della<br />

famiglia Morel sono calate <strong>in</strong> un’ambientazione rurale che implica tutte le d<strong>in</strong>amiche<br />

“classiche” di un luogo di conf<strong>in</strong>e <strong>in</strong> cui l’elemento civile si scontra con i modi di vivere e le<br />

mentalità arcaiche. Le dimensioni della scrittura e del pensiero di Lawrence potrebbero<br />

<strong>def</strong><strong>in</strong>ire <strong>in</strong> questo contesto, prendendo <strong>in</strong> prestito le parole di Pavese, le coord<strong>in</strong>ate di una<br />

nuova mitologia rustica. Le caratteristiche della narrazione sono l’ambientazione rurale, che<br />

si confronta cont<strong>in</strong>uamente con quella cittad<strong>in</strong>a, l’<strong>in</strong>contro-scontro di personaggi spontanei ed<br />

ist<strong>in</strong>tivi, che potremmo <strong>def</strong><strong>in</strong>ire di terra, con quelli razionali ed idealisti, che potremmo<br />

<strong>def</strong><strong>in</strong>ire di mondo. La storia del protagonista, l’artista Paul, si svolge soprattutto nella<br />

campagna che è descritta come un crogiolo di simboli e di significati. Il paesaggio diviene<br />

effettivo protagonista del libro ma è un paesaggio immobile che parla attra<strong>vers</strong>o la sua<br />

simbologia, le sue leggi eterne. Il romanzo si struttura come un’<strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e socio-psicologica<br />

all’<strong>in</strong>terno di una comunità che spende la sua vita <strong>in</strong> una terra di conf<strong>in</strong>e, combattuta tra i<br />

valori centenari della vecchia società agricola e quelli ammalianti del nuovo <strong>in</strong>sediamento<br />

<strong>in</strong>dustriale. L’uso prem<strong>in</strong>ente del dialogo conta numerose immissioni gergali e dialettali.<br />

Come lo stesso Lawrence confermerà nel suo saggio Nott<strong>in</strong>gham and the Mean<strong>in</strong>g<br />

Countryside, il punto nodale del romanzo è l’irruzione della nuova mentalità <strong>in</strong>dustriale <strong>in</strong> un<br />

mondo agricolo, il cui significato più profondo si può trarre dalle opere dei più grandi scrittori<br />

<strong>in</strong>glesi che avevano saputo così bene dare un senso al mistero di quella natura. La rivoluzione<br />

<strong>in</strong>dustriale sembra lasciare l’uomo moderno orfano dell’<strong>in</strong>segnamento dei maestri. Il recupero<br />

dei significati mitici del luogo potrebbe agire <strong>in</strong> primo luogo proprio <strong>in</strong> questa direzione:<br />

come recupero dei vecchi valori che il mondo moderno disprezza, <strong>in</strong> quanto non produttivi, e<br />

promette di elim<strong>in</strong>are. In questo contesto Lawrence rifiutò e contestò le prime recensioni al<br />

libro che vi vollero leggere l’espressione artistica delle moderne teorie freudiane. Per<br />

Lawrence il significato della sua opera raggiungeva ben altri territori che non quelli<br />

dell’<strong>in</strong>conscio dell’<strong>in</strong>dividuo e del complesso di Edipo che si poteva r<strong>in</strong>tracciare nel rapporto<br />

tra Walter Morel, la moglie e il figlio Paul. Per Lawrence il significato più profondo era da<br />

ricercarsi nella forza del sangue che unisce le generazioni e gli uom<strong>in</strong>i tutti <strong>in</strong> una comune<br />

unità <strong>in</strong>divisibile e di come la bieca ragione e il calcolo razionale port<strong>in</strong>o <strong>in</strong>vece alla divisione<br />

e all’isolamento. Il recupero di un paesaggio rustico e mitico sembra esser funzionale al<br />

recupero di una tematica ritenuta a sua volta mitica. Questa vicenda, come conferma l’autore,<br />

ha ben poco di documentario. Gli stessi riferimenti biografici, che vengono costantemente<br />

sottol<strong>in</strong>eati nella lettura di quest’opera, servono a dimostrare come anche una vicenda così<br />

personale, come la vita di un <strong>in</strong>dividuo, si possa calare perfettamente <strong>in</strong> uno schema mitico.<br />

Lotman <strong>def</strong><strong>in</strong>isce quella del folklore una sfera <strong>in</strong>termedia, depositaria dell’antica sapienza che<br />

si rivela attra<strong>vers</strong>o il mito e si esprime attra<strong>vers</strong>o forme artistiche (quello che noi <strong>def</strong><strong>in</strong>iremmo<br />

85 Ivi, 4 Luglio 1943, p. 256.<br />

86 Pavese cita il romanzo di Lawrence <strong>in</strong> una lettera a Bona Alterocca datata Tor<strong>in</strong>o, Dicembre1948. Nella<br />

lettera Pavese sollecita la collaboratrice a tradurre il romanzo dello scrittore <strong>in</strong>glese: “È stata così scandalizzata<br />

da Figli e amanti che lo ha buttato nel fiume? Si muova”.<br />

38


artistico <strong>in</strong> quanto <strong>in</strong> queste società rurali il tempo del rito, lo svolgimento del mito, è<br />

soprattutto fatto religioso):<br />

Un’azione reciproca fra la letteratura come fatto artistico e il mito, per il quale la funzione estetica è <strong>in</strong>vece<br />

soltanto un aspetto, si compie <strong>in</strong> modo particolarmente attivo nella sfera <strong>in</strong>termedia del folklore. La poesia<br />

popolare ha un tipo di coscienza che tende <strong>vers</strong>o il mondo della mitologia; tuttavia come fenomeno artistico è<br />

contiguo alla letteratura. La doppia natura del folklore lo rende sotto questo aspetto un <strong>in</strong>termediario culturale 87 .<br />

Il mito diviene una forma di conoscenza che travalica l’esperienza e si proietta nell’assoluto.<br />

Per Pavese è attra<strong>vers</strong>o l'esplorazione del mondo mitico che si può superare quel primo stadio<br />

di ricordi, quelli consci, per raggiungere l'immemoriale, il preculturale, il vero e sfuggente<br />

nulla che cela il mistero delle orig<strong>in</strong>i. Il ricordo, la memoria, il risalire <strong>vers</strong>o l’orig<strong>in</strong>ario,<br />

vengono discusse da Pavese nel saggio L’Adolescenza, contenuto <strong>in</strong> Feria d’Agosto. L’analisi<br />

è condotta tenendo a mente i raggiungimenti delle riflessioni moderniste che, per quanto<br />

riguardo le teorie relative ai ricordi e alla memoria, fanno riferimento a Proust:<br />

Occorre per ciò non tanto risalire il fiume della memoria, quanto rimettersi con abnegazione nello stato ist<strong>in</strong>tivo,<br />

o <strong>in</strong> ciò che ne resta. Con che si viene a dire che il modo proustiano di affidarsi alla sensazione impensata, non<br />

basta. Non basta perché la sensazione, sia pur bruta, <strong>in</strong> quanto ricordo è tutt’altro che immune da compiaciute<br />

coloriture di gusto; non basta perché il difficile non è risalire il passato bensì soffermarcisi; non basta <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e<br />

perché noi <strong>in</strong>tendiamo per stato ist<strong>in</strong>tivo quello stampo schietto che <strong>in</strong>fluisce sull’<strong>in</strong>tera nostra realtà <strong>in</strong>tima. E’<br />

per ritrovare questo stato, più che sforzo mnemonico si richiede scavo della realtà attuale, denudamento della<br />

propria essenza.[…] A questo punto della nostra <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e il tempo dilegua. La nostra fanciullezza, la molla di<br />

ogni nostro stupore, è non ciò che fummo ma ciò che siamo da sempre. […] Qui ricordare non è muo<strong>vers</strong>i nel<br />

tempo, ma uscirne e sapere che siamo. L’<strong>in</strong>fanzia a ripensarla suggerisce nostalgia non tristezze. Di essa ci<br />

manca unicamente quella maggior facilità – la purezza <strong>in</strong>iziale – di vivere nell’essere genu<strong>in</strong>o. Invece la<br />

mal<strong>in</strong>conia del passato si svolge sul piano evidente dei giorni, si attacca alle parvenze; per essa il ricordo è tutto<br />

fatto di durate e con crescenze, di scoperte di gusto che come viticci c’impigliano agli altri, alle cose, alla<br />

storia 88 .<br />

Il ricorso al mito è dunque <strong>in</strong>dispensabile nel momento <strong>in</strong> cui l’<strong>in</strong>dividuo non è più <strong>in</strong> grado<br />

di fruire direttamente della realtà che lo circonda. Per Pavese l’osservazione diretta della<br />

realtà viene meno nel momento <strong>in</strong> cui l’<strong>in</strong>dividuo accetta la mediazione culturale. Il ritorno al<br />

mito è relativo alla necessità di tornare <strong>in</strong> contatto con tutto ciò che la cultura moderna cerca<br />

di cancellare delle nostre orig<strong>in</strong>i. Il mito accade una volta per sempre e cela una rivelazione<br />

vitale prima che poetica. Il mito non è altro che forma di conoscenza. L’espressione del<br />

concetto “della seconda volta” così come avviene <strong>in</strong> Stato di Grazia, un altro saggio compreso<br />

<strong>in</strong> Feria d’Agosto, esclude l’uomo da una conoscenza diretta della realtà: “I simboli che<br />

ciascuno di noi porta <strong>in</strong> sé, e ritrova improvvisamente nel mondo e li riconosce e il suo cuore<br />

ha un sussulto, sono i suoi autentici ricordi. Sono anche vere e proprie scoperte. Bisogna<br />

sapere che noi non vediamo mai le cose una prima volta, ma sempre la seconda. Allora le<br />

scopriamo e <strong>in</strong>sieme le ricordiamo” 89 . L’ambiguità del ricordo-simbolo, il suo darsi e<br />

sottrarsi, questo rivelarsi improvvisamente, quasi come fugace illum<strong>in</strong>azione, nelle vesti di<br />

“una realtà enigmatica e tuttavia familiare, tanto più prepotente <strong>in</strong> quanto sempre sul punto di<br />

rivelarsi e mai scoperta” 90 , riflette la tensione esistenzialista dello scrittore che riecheggia <strong>in</strong><br />

questo passo la Lichtung, la mezza luce, forma della conoscenza per Heidegger che si dà <strong>in</strong><br />

87<br />

J.M. Lotman – Z. M<strong>in</strong>c, Letteratura e Mitologia, cit. p. 201.<br />

88<br />

Cesare Pavese, L’Adolescenza, contenuto <strong>in</strong> Cesare Pavese, Feria d’Agosto (1945), E<strong>in</strong>audi, Roma, pp. 152-<br />

153.<br />

89<br />

Cesare Pavese, Stato di Grazia, contenuto <strong>in</strong> C. Pavese, Feria d’Agosto, cit. p. 145.<br />

90 Ibidem.<br />

39


foggia di abbaglio ed oscuramento 91 . In questo caso Pavese deve att<strong>in</strong>gere, per ottenere la<br />

conoscenza, alla sfera dell’ist<strong>in</strong>tivo-irrazionale, sfera che travalica i moderni canoni culturali<br />

e att<strong>in</strong>ge nell’immemoriale:<br />

Che i nostri ricordi nascondano il capo, vuol dire appunto che att<strong>in</strong>gono alla sfera dell’ist<strong>in</strong>tivo-irrazionale. In<br />

questa sfera – la sfera dell’essere e dell’estasi – non esiste il prima e il dopo, la seconda volta e la prima, perché<br />

non esiste il tempo, Ciò che <strong>in</strong> essa è, è: qui l’attimo equivale all’eterno, all’assoluto. […] Qui ogni volta è una<br />

seconda volta, o diciamo un ritrovamento, soltanto perché profondandoci <strong>in</strong> essa ritroviamo noi stessi. E’<br />

evidente che non può avere <strong>in</strong>izio il simbolo di una realtà – noi stessi – la quale per il nostro ist<strong>in</strong>to non ha avuto<br />

mai <strong>in</strong>izio, ma è. Essa è, secondo modi che non sempre o quasi mai siamo <strong>in</strong> grado di risalire e comprendere. Ne<br />

tocchiamo <strong>in</strong> istanti <strong>in</strong>aspettati la piena sostanza come al buio si tocca un corpo o come un barbaglio guizza alla<br />

luce. […] Sappiamo che <strong>in</strong> noi l’immag<strong>in</strong>e <strong>in</strong>aspettata non ha avuto <strong>in</strong>izio: dunque la scelta è avvenuta di là dalla<br />

nostra coscienza, di là dai nostri giorni e concetti; essa si ripete ogni volta, sul piano dell’essere, per grazia, per<br />

ispirazione, per estasi <strong>in</strong>somma 92 .<br />

In questa analisi delle forme e delle modalità della conoscenza <strong>in</strong> epoca moderna, il rigetto<br />

dell’idealismo, come nel caso di Lawrence, è netto. Il mito non è un ideale: “Questi simboli<br />

del nostro essere sono altro dall’ ideale di vita, che qualcuno potrebbe scorgervi” 93 . La<br />

differenza tra l’idealismo e la mitologia è proprio lo “sforzo conoscitivo” che implica<br />

un’analisi serrata sui simboli condotta attra<strong>vers</strong>o “la tensione delusa e sempre vivace di tutto<br />

il nostro essere per afferrarli, <strong>in</strong>capsularli, <strong>in</strong>corporarceli nel sangue e conoscerli<br />

f<strong>in</strong>almente” 94 . Le verità costruite idealmente non appartengono <strong>in</strong>somma al dom<strong>in</strong>io della<br />

mitologia. A partire dall’evento unico lo sforzo dell’<strong>in</strong>dividuo deve essere quello di scavarne<br />

il significato profondo alla luce della propria esistenza. Il mito si configura come punto di<br />

contatto tra la memoria personale e quella collettiva, tra il passato dell’uomo e quello<br />

dell’umanità. E’ il momento della libertà metafisica, il momento <strong>in</strong> cui l’uomo si emancipa<br />

dal mondo, dal suo tempo empirico, dalla sua cultura: “E per ciò diremo che i simboli, le<br />

scoperte-ricordo della nostra sostanza, […] sono la risposta del nostro ist<strong>in</strong>to alle<br />

sollecitazioni della cultura” 95 . La separazione tra l’uomo e il suo mondo è sancita dal ricorso<br />

al mito che comporta una nuova visione del tempo, dell’uomo e di tutto l’esistente: “Si tratta<br />

di cogliere nella sua estasi, nel suo eterno, un altro spirito” 96 . Si tratta di un ritorno <strong>vers</strong>o<br />

l’orig<strong>in</strong>e <strong>in</strong> cui il rapporto tra l’uomo e il mondo era concepito <strong>in</strong> maniera del tutto differente<br />

da come è concepito nell’epoca della modernità: “Sarà un discendere nella tenebra feconda<br />

delle orig<strong>in</strong>i dove ci accoglie l’uni<strong>vers</strong>ale umano […]” 97 . L’uni<strong>vers</strong>ale umano sembra essere<br />

uno degli <strong>in</strong>teressi primari della ricerca di Pavese che conclude il saggio riferendosi alla<br />

percezione comune che tutta l’umanità detiene: “Si tratta di respirarne un istante l’atmosfera<br />

rarefatta e vitale, e confortarci alla magnifica certezza che nulla la differenzia da quella che<br />

stagna nell’anima nostra o del contad<strong>in</strong>o più umile” 98 . Guglielm<strong>in</strong>etti <strong>in</strong>dividua, <strong>in</strong> questo<br />

atteggiamento di fronte alla percezione collettiva, un tratto moderno di Pavese che,<br />

riallacciandosi a Faulkner, O’Neill, Proust, si accosta alle meditazioni moderniste sul<br />

91 Il pensiero di Heidegger <strong>in</strong>fluenzò notevolmente gli <strong>in</strong>tellettuali europei soprattutto attra<strong>vers</strong>o la sua opera<br />

maggiore Se<strong>in</strong> und Zeit (Essere e Tempo) del 1927. La sua ferma posizione contro la modernità, i modelli<br />

positivistici e idealistici del sapere possono essere ricollegate direttamente alle posizioni della maggior parte<br />

degli <strong>in</strong>tellettuali modernisti.<br />

92 C. Pavese, Stato di Grazia, cit. p. 146.<br />

93 Ibidem.<br />

94 Ibidem.<br />

95 Ivi, p. 148.<br />

96 Ivi, p. 149.<br />

97 Ivi, p. 149.<br />

98 Ivi, p. 149.<br />

40


personaggio-tipo 99 :<br />

L’arte moderna che sembra sfuggire alla trama, semplicemente sostituisce a quella <strong>in</strong>genua dei fatti di cronaca,<br />

una sottilissima miriade di avvenimenti <strong>in</strong>teriori <strong>in</strong> cui ai personaggi si sostituisce un solo personaggio (average<br />

man) che chiunque di noi può essere – anzi, è, sotto le antiche grossolane schematizzazioni psicologiche 100 .<br />

Nelle future riflessioni, il personaggio-tipo si arricchirà di nuove caratteristiche ispirate da<br />

Vico e dai suoi “eroi contad<strong>in</strong>i” 101 . All’<strong>in</strong>terno del tempo mitico si assiste dunque al<br />

tentativo di creare personaggi mitici che nel tempo possano trovare pieno <strong>in</strong>serimento. La<br />

creazione di un personaggio medio e simbolico, rientra nell’<strong>in</strong>teresse di Pavese per il<br />

r<strong>in</strong>venimento delle categorie mitiche essenziali, eterne e uni<strong>vers</strong>almente valide. Il personaggio<br />

così creato diviene portatore di un tempo assoluto, dunque mitico. Così come avviene per<br />

l’attimo, anche il personaggio viene posto fuori dal tempo e diviene estatico 102 . La necessità<br />

di dedurre una legge uni<strong>vers</strong>ale al f<strong>in</strong>e di farvi appartenere tutti gli elementi della sua<br />

scrittura, questo sforzo di mediazione che consiste nel tirare le fila fra tutti i componenti per<br />

legarli <strong>in</strong> un’unità <strong>in</strong>dissolubile di frammenti, rappresentò una priorità per lo scrittore. Nei<br />

saggi di Feria d’Agosto, si può scorgere uno dei problemi alla base della poetica di Pavese:<br />

“come mediare tempo estatico e tempo profano, citazione mitica e vita contemporanea” 103 .<br />

Nel saggio Il Tempo la quotidianità trova un proprio spazio nell’orizzonte mitico di Pavese:<br />

“Questa vita era fatta di visi e di cose, di schianti di voci, era un <strong>in</strong>cessante <strong>in</strong>contro, un<br />

movimento che non aveva passato” 104 . Guglielmi <strong>in</strong>dividua <strong>in</strong> questo passo un’ulteriore<br />

espressione della concezione mitologica di Pavese:<br />

E' qui <strong>def</strong><strong>in</strong>ito il tempo della festa. E bere, suonare, ballare, compiere <strong>in</strong>contri sono altrettanti tòpoi della<br />

narrativa di Pavese. Ci si ritrova nelle fiere e nelle osterie. E lì la vita è <strong>in</strong>tensa e unanime. Lì il calendario non<br />

vige più. E cadono le barriere tra l'io e l'altro. Festa è celebrazione di un rito, sospensione del tempo, ritorno allo<br />

stesso giorno. Ora Pavese aveva <strong>in</strong> mente un romanzo di cose, povero di trama, e tutto fondato sulla magia del<br />

ritmo, sul ritorno di voci e personaggi. Qu<strong>in</strong>di riduzione dell'elemento descrittivo-naturalistico <strong>in</strong> favore del<br />

movimento del racconto 105 .<br />

La modernità dell’<strong>in</strong>terpretazione del mito di Cesare Pavese risiede tutta <strong>in</strong> questo motivo: la<br />

ricerca costante di accordare sapienza classica a sapienza moderna, di portare il mito dalle<br />

aule uni<strong>vers</strong>itarie di studi di lat<strong>in</strong>o e greco al livello della gente comune. Il mito diviene nuova<br />

forma di conoscenza e, al contempo, nuova forma di comunicazione.<br />

Le motivazioni che sp<strong>in</strong>sero Pavese all’approfondimento degli studi di mitologia furono,<br />

qu<strong>in</strong>di, di di<strong>vers</strong>a natura: da quelle puramente <strong>in</strong>tellettuali, che riconoscevano nel mito una<br />

possibilità <strong>in</strong>terpretativa del reale, a quelle esistenziali, che utilizzavano il mito come ancora<br />

di salvezza, come concreta possibilità di fuga da un presente rifiutato, f<strong>in</strong>o ad arrivare<br />

all’importanza della mitologia per la composizione delle sue opere narrative. Buona parte<br />

della critica <strong>in</strong>dica nel desiderio di Pavese di considerarsi un classico a tutti gli effetti un buon<br />

99 M. Guglielm<strong>in</strong>etti, Cesare Pavese romanziere, cit. p. XI.<br />

100 C. Pavese, Il Mestiere di Vivere, 28 Luglio 1938, cit. p. 114.<br />

101 Ivi, 5 Novembre, 1943, p. 269.<br />

102 Questo sforzo di legare tutte le tematiche della composizione fra loro sotto l’egida di un’unica legge, quella<br />

della poesia mitica o classicismo rustico, e qu<strong>in</strong>di legare il personaggio alle tematiche temporali, risente degli<br />

<strong>in</strong>flussi delle letture degli <strong>in</strong>tellettuali moderni tra cui Lukàcs. In riferimento al critico ungherese, Pavese scrive<br />

il seguente appunto: “L’arte del XIX sec. s’<strong>in</strong>centra sullo sviluppo delle situazioni […]; l’arte del XX sulle<br />

essenze statiche. L’eroe al pr<strong>in</strong>cipio era di<strong>vers</strong>o che alla f<strong>in</strong>e della storia; ora è sempre uguale”. C. Pavese, Il<br />

Mestiere di Vivere, 21 Dicembre 1948, cit. p. 359.<br />

103 G. Guglielmi, La prosa Italiana del Novecento, tra romanzo e racconto, cit. p. 130.<br />

104 Cesare Pavese, Il tempo, contenuto <strong>in</strong> C. Pavese, Feria d’Agosto, cit. p. 95.<br />

105 G. Guglielmi, La prosa Italiana del Novecento, tra romanzo e racconto, cit. pp. 130-31.<br />

41


motore di questa attività di riscoperta mitologica mentre ancora altri studiosi sottol<strong>in</strong>eano<br />

nell’<strong>in</strong>teresse per il mito un vero segno di appartenenza dello scrittore alla cultura del suo<br />

tempo, soprattutto a quella europea. La concezione del tempo, sentita come basilare per la<br />

<strong>def</strong><strong>in</strong>izione di una propria poetica, impegna la ricerca di Pavese che si condensa <strong>vers</strong>o una<br />

concezione ciclica della storia. Tale concezione non arriverà mai ad una <strong>def</strong><strong>in</strong>izione f<strong>in</strong>ale,<br />

sarà al contrario sofferta e cont<strong>in</strong>uamente ripensata. Guglielmi parla del tentativo, operato<br />

dallo scrittore nei suoi scritti teorici, di approfondire e sottol<strong>in</strong>eare il nesso cultura-letteratura<br />

all’<strong>in</strong>terno del dibattito contemporaneo del modernismo europeo:<br />

Le sue opere sono costruite, pensate, volute, sempre sostenute da una tensione ragionativa. La sua ambizione era<br />

quella di riuscire ad essere uno scrittore del proprio tempo. E proprio nella cultura del proprio tempo trovò<br />

quell'<strong>in</strong>teresse per il mito, rivalutato come forma di conoscenza, che Vico e i romantici avevano <strong>in</strong>augurato [...] a<br />

un'organizzazione del racconto non naturalistica, il racconto mitico-simbolico doveva <strong>in</strong>vero offrirsi come<br />

modello. E Pavese elaborò una poetica del mito 106 .<br />

Giambattista Vico viene comunemente considerato la prima fonte d’ispirazione di Pavese per<br />

l’elaborazione della teoria del mito. Il riferimento a Vico rappresentava per lo scrittore un<br />

elemento di grossa novità ed importanza nell’ambito del suo lavoro. In Vico, Pavese<br />

riconosceva una forte modernità che lo emancipava, <strong>in</strong> qualche maniera, dalla cultura<br />

classicistica italiana: “Vico è il solo scrittore italiano che senta la vita rustica fuori<br />

d’Arcadia” 107 . L’idea che La Scienza Nuova contenesse al suo <strong>in</strong>terno un forte elemento di<br />

novità e che fosse più rapportabile al pensiero romantico e post-romantico europeo che a<br />

quello classicista e idealista italiano, era ben radicata <strong>in</strong> Pavese che non tarda a trovare<br />

conferme storiche da parte di autori e critici. Fra le idee che Pavese att<strong>in</strong>se dalla Scienza<br />

Nuova, e che sono funzionali all’analisi <strong>in</strong> corso, si possono annoverare proprio quelle relative<br />

al tempo cosmico, alla concezione della storia e qu<strong>in</strong>di alla teoria del mito. La concezione del<br />

mito come forma di conoscenza ha notevole spazio nel pensiero di Pavese e deve all’<strong>in</strong>flusso<br />

del Vico la prima formulazione 108 . La connessione fra mito e conoscenza storica si fa evidente<br />

106 Ivi, p. 114.<br />

107 C. Pavese, Il Mestiere di Vivere, 5 Novembre 1943, cit. p. 267.<br />

108 La Teoria della cognizione elaborata da Vico si basava sul pr<strong>in</strong>cipio della separazione tra il campo della<br />

metafisica e quello della fisica, <strong>in</strong> cui gli uom<strong>in</strong>i stabilivano, e di conseguenza potevano <strong>in</strong>terpretare al meglio, le<br />

proprie leggi. Il mondo della natura, creato da Dio e a lui esclusivamente comprensibile, si contrapponeva al<br />

mondo della nazioni che era <strong>in</strong>vece di matrice umana. In questo senso le scienze storiche hanno veramente la<br />

possibilità di produrre conoscenza <strong>in</strong> quanto l’uomo, <strong>in</strong>terrogando la sua storia, può risalire f<strong>in</strong>o alle proprie<br />

orig<strong>in</strong>i. L’uomo medesimo si fa carico di tutta la storia della sua specie. Interrogando se stesso l’uomo ha la<br />

possibilità di comprendere anche la propria storia: “[…] we are capable of re-vok<strong>in</strong>g human history from the<br />

dept of our consciousness” (E. Auerbach, Vico and Aesthetic Historism, cit. p.190). L’analisi storica scientifica<br />

era dunque affiancata da una nuova forza che si potrebbe <strong>def</strong><strong>in</strong>ire poetica con pieno statuto di svolgere un suo<br />

ruolo affianco ai procedimenti documentari e scientifici: “He comb<strong>in</strong>ed an almost mystical faith <strong>in</strong> the eternal<br />

order of human history with a tremendous power of productive imag<strong>in</strong>ation <strong>in</strong> the <strong>in</strong>terpretation of myth, ancient<br />

poetry, and law” 108 . In questa nuova visione della storia e dei suoi metodi d’<strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e, l’uomo primario venne ad<br />

essere descritto sotto tutt’altra luce rispetto alle idilliache visioni, di lì a venire, del buon selvaggio di Rosseau. Il<br />

concetto di società primitiva venne a spogliarsi, nelle analisi del Vico, di ogni pregiudiziale ideologica così che<br />

anche l’idea che l’uomo, ai suoi primordi, fosse una sorta di terribile bestia sangu<strong>in</strong>aria fu rigettata. Per Vico<br />

l’età primitiva fu un’età <strong>in</strong> cui l’uomo, orig<strong>in</strong>ariamente appartenente a comunità nomadi, era governato<br />

dall’immag<strong>in</strong>azione e dalle sensazioni piuttosto che dalla ragione. In questo mondo caotico <strong>in</strong> cui gli ist<strong>in</strong>ti<br />

primari non erano soppressi da alcuna legge, l’uomo viveva <strong>in</strong> promiscuità con i suoi simili ed <strong>in</strong> comunione con<br />

la natura. Era comunque una comunione che non significava idillio. Era anzi una relazione tragica quella che si<br />

<strong>in</strong>staurava fra l’uomo e la natura. Ma era comunque una relazione vitale ed impresc<strong>in</strong>dibile che legava<br />

<strong>in</strong>dissolubilmente la natura, l’uomo e la sua storia. Proprio per porre un arg<strong>in</strong>e alla forza dirompente della natura<br />

i primi uom<strong>in</strong>i crearono le prime forme di religione che differivano sostanzialmente dalle attuali. Le div<strong>in</strong>ità<br />

create, <strong>in</strong> seno a quelle che vengono comunemente <strong>def</strong><strong>in</strong>ite religioni animistiche, rappresentavano le volontà e le<br />

potenzialità dell’essere umano. I riti e miti scaturivano dalla visione che l’uomo aveva del suo mondo e del suo<br />

essere. La società che si venne a formare, strettamente patriarcale, rimase legata <strong>in</strong>dissolubilmente a questo<br />

42


s<strong>in</strong> dai primi appunti di Pavese che riguardano Vico sul Mestiere di Vivere così come appare<br />

evidente l’importanza che la riflessione del mito ha a livello di vita privata dell’autore e<br />

potremmo anche aggiungere, a livello esistenziale, e sulla teoria della composizione narrativa<br />

e poetica:<br />

Ciò che si trova grande <strong>in</strong> Vico –oltre il noto- è quel carnale senso che la poesia nasce da tutta la vita storica;<br />

<strong>in</strong>separabile da religione, politica, economica; > vissuta da tutto un popolo prima di<br />

diventare mito stilizzato, forma | mentale di tutta una cultura. In particolare, il senso che ci vuole una particolare<br />

disposizione (>) per farne. Ed è ancora <strong>in</strong> fondo la teoria che meglio rivive e spiega le epoche<br />

creatrici di poesia, il mistero per cui tutte le forze vive di una nazione sgorgano ad un dato momento <strong>in</strong> miti e<br />

visioni. […] Le mie storie non sono che st. d’amore o st. di solitud<strong>in</strong>e. Per me pare che non esista altro modo<br />

d’uscire dalla solitud<strong>in</strong>e che una ragazza. Possibile che non m’<strong>in</strong>teressi d’altro? O è perché il<br />

rapporto erotico riesce più facilmente mitologizzabile senza particolareggiare? 109<br />

L’<strong>in</strong>flusso del Vico fu tra i più importanti per la formazione di un pensiero storico <strong>in</strong> Pavese.<br />

Pavese, nei suoi appunti, tendeva a accomunare pensatori ed artisti di epoche e culture di<strong>vers</strong>e<br />

traendo da ognuno un <strong>in</strong>segnamento che arricchisse la sua ricerca e che la protendesse <strong>vers</strong>o<br />

un’orig<strong>in</strong>ale s<strong>in</strong><strong>tesi</strong> tra classico e moderno. Nel Settembre del 1943 è <strong>in</strong>teressante notare<br />

come, nella formulazione della legge del ritorno, gli appunti su Thomas Mann <strong>in</strong>tegr<strong>in</strong>o quelli<br />

presi dalla Scienza Nuova: “Prima ancora di rileggere Th. Mann Giacobbe. Hai concluso con<br />

la scoperta del mito-unicità, che fonde | così tutti i tuoi antichi rovelli psicologici e i tuoi più<br />

vivi <strong>in</strong>teressi mitico§creativi. E’ assodato che il bisogno di costruzione nasce per te su questa<br />

legge del ritorno.[…] Tutto è ripetizione, ripercorso, ritorno” 110 . La riflessione sulla categoria<br />

del mito implica <strong>in</strong> Pavese una rivisitazione di buona parte della letteratura contemporanea<br />

così che nelle formulazioni che appaiono più <strong>def</strong><strong>in</strong>itive si possono cogliere elementi di di<strong>vers</strong>a<br />

provenienza. Ovviamente il tentativo di Pavese fu sempre quello di equilibrare una s<strong>in</strong><strong>tesi</strong><br />

sensata che potesse portare a nuove implicazioni atte ad arricchire la sua teoria mitologica:<br />

Il ritorno degli eventi <strong>in</strong> Th. Mann […] è <strong>in</strong> sostanza una concezione evoluzionista. Gli eventi si provano ad<br />

accadere, e ogni volta accadono più soddisfacenti, più perfetti. Gli stampi mitici sono come le forme della specie.<br />

Ciò che pare staccare questa concezione dal determ<strong>in</strong>ismo naturalistico è il fatto che i suoi fattori non sono la<br />

scelta sessuale o la lotta per l’esistenza, ma una volontà costante di Dio che un certo progetto si realizzi. Del<br />

resto, il modo di enunciare di Mann pare sottendere che ciò che determ<strong>in</strong>a via via gli eventi è lo spirito umano<br />

che, secondo le sue leggi, li percepisce e fa accadere ogni volta sostanzialmente uguali ma più ricchi. Un<br />

formalismo kantiano, calato nella materia mitologica, a <strong>in</strong>terpretarla <strong>in</strong> modo unitario. C’è, qui dietro, Vico 111 .<br />

corpo mitologico tanto da farne una vera e propria legge. I giganti, così chiama Vico i primi uom<strong>in</strong>i, si<br />

esprimevano con immag<strong>in</strong>i e attra<strong>vers</strong>o un l<strong>in</strong>guaggio metaforico. L’ord<strong>in</strong>e da loro creato era magico, poetico<br />

come lo stesso filosofo lo <strong>def</strong><strong>in</strong>iva, ma mai razionale. Questa, che fu la prima età dell’uomo, fu battezzata da<br />

Vico l’età degli dei. L’età che successe a questa prima fu quella dal Vico <strong>def</strong><strong>in</strong>ita eroica. In quest’età gli uom<strong>in</strong>i<br />

formarono le prime comunità sedentarie a regime oligarchico <strong>in</strong> cui i fondatori, gli eroi appunto, detenevano il<br />

potere economico, politico e religioso di fronte al resto degli uom<strong>in</strong>i che vennero soggiogati a quest’ord<strong>in</strong>e.<br />

Questa è propriamente, nel pensiero di Vico, un’età di passaggio <strong>in</strong> cui gli uom<strong>in</strong>i, ancora mentalmente legati ai<br />

vecchi schemi, facevano i primi passi <strong>vers</strong>o concezioni più prettamente razionalistiche. Gli eroi applicarono i<br />

vecchi schemi dell’età precedente alla nuova società. Questo procedimento creò una società di <strong>in</strong>eguali <strong>in</strong> cui<br />

discipl<strong>in</strong>e crudeli e sangu<strong>in</strong>arie avevano luogo. Ma gli eroi, legati ancora strettamente ad un pensiero mitico,<br />

sostituirono se stessi agli dei, <strong>in</strong>staurando un dom<strong>in</strong>io sul resto della specie. La pratica di un pensiero poetico,<br />

anche se nella degenerazione del sistema sociale corrente, era però ancora predom<strong>in</strong>ante. La terza età vide la<br />

rivalsa di coloro che erano stati soggiogati e si impose come età democratica basata sui pr<strong>in</strong>cipi della razionalità.<br />

In quest’età la poesia perse <strong>def</strong><strong>in</strong>itivamente il suo ruolo per diventare poco più di un passatempo e di una<br />

decorazione. Nella ricostruzione storica del Vico vi è una differenza fondamentale che lo dissocia dall’idealismo<br />

romantico e lo associa, al contrario, alle speculazioni degli <strong>in</strong>tellettuali modernisti.<br />

109 C. Pavese, Il Mestiere di Vivere, 30 Agosto 1938, cit. pp. 115-116.<br />

110 Ivi, 6 Novembre 1943, p. 269.<br />

111 Ivi, 18 Febbraio 1945, p. 298.<br />

43


Le teorie della ciclicità storica e del ripetersi degli eventi furono funzionali alla teoria della<br />

composizione di Pavese. La riflessione dello scrittore non proseguì, <strong>in</strong>somma, <strong>in</strong> maniera<br />

esaustiva sul significato ultimo della storia anche se, accettando l’impostazione mitica, ci si<br />

trova di fronte ad un rifiuto delle teorie della storia l<strong>in</strong>eare, dell’idealismo e del progresso. Il<br />

rifiuto dell’idea di progresso è correlata all’idea del mito che privilegia una struttura circolare<br />

della storia. L’idealismo di matrice hegeliana estese la sua <strong>in</strong>fluenza <strong>in</strong> molti campi, alcuni dei<br />

quali importanti per questo studio 112 . La riflessione <strong>in</strong>torno alla storia e al concetto di<br />

progresso fu centrale <strong>in</strong> quest’epoca e rappresenta il fulcro di un revival del pensiero<br />

mitico 113 . Tempo l<strong>in</strong>eare e tempo ciclico si misero <strong>in</strong>somma <strong>in</strong> competizione e i risultati della<br />

tensione si posero come capisaldi della teoria compositiva di molti scrittori modernisti 114 . La<br />

112 L’idealismo di Hegel aveva portato, nell’ottocento, a costruire un modello di storia l<strong>in</strong>eare e progressiva. Il<br />

tempo poteva essere dispiegato su una l<strong>in</strong>ea retta che procedeva all’<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito. La direzione di questa l<strong>in</strong>ea era<br />

segnata dallo spirito della storia stessa che si componeva di elementi umani ed elementi div<strong>in</strong>i. Questa<br />

concezione del tempo l<strong>in</strong>eare diede adito a svariate critiche tra cui quella di voler supportare il modello di civiltà<br />

europea e il concetto di progresso che portava ad una <strong>in</strong>evitabile espansione imperialista del mondo occidentale.<br />

Questa concezione di tempo l<strong>in</strong>eare ebbe notevole riscontro anche <strong>in</strong> Italia. La storia della letteratura italiana del<br />

De Sanctis si basò su questo concetto: la storia d’Italia e quella della sua letteratura fu segnata da un divenire<br />

razionale e direzionato governato da quello che fu <strong>def</strong><strong>in</strong>ito il genio italiano. Questo metodo d’<strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e consentì<br />

di disegnare una storia razionale, priva di <strong>in</strong>toppi, che permise di far tornare tutti calcoli <strong>in</strong> relazione alla realtà<br />

politica del momento. E’ una storia che tende a marg<strong>in</strong>alizzare le differenze, le m<strong>in</strong>oranze, gli strappi e le<br />

contraddizioni per poter assecondare un modello ideale. La rottura con tale schema partì da basi filosofiche,<br />

quelle stabilite da Nietzsche, ma trovò la sua attuazione soprattutto a livello estetico. Furono <strong>in</strong>somma gli artisti<br />

a contestare, diffusamente nelle loro opere, un modello che sembrava fare perfettamente il gioco delle classi<br />

politiche egemoni ma che, proprio nel campo della politica, aveva trovato f<strong>in</strong>o a quel momento pochi<br />

antagonisti. La concezione del tempo mitico non fu dunque opposta programmaticamente o addirittura<br />

politicamente a quella l<strong>in</strong>eare storicistica ma espletò la sua funzione <strong>in</strong> ambito estetico <strong>in</strong>carnando una realtà<br />

alternativa. Era una realtà che scorreva parallela ma che comunque, nelle opere di f<strong>in</strong>zione, amò scontrarsi con la<br />

realtà “reale”. Lo scontro, nelle opere di f<strong>in</strong>zione moderniste, tra tempo mitico e tempo storico è un topos<br />

ricorrente che sfocia spesso <strong>in</strong> tragedia.<br />

113 Solo <strong>vers</strong>o la metà dell’ottocento l’Europa com<strong>in</strong>ciò a scoprire Vico. Nell’area anglo-americana gli scrittori<br />

modernisti, come Joyce e Pound, ne trassero un importante <strong>in</strong>segnamento. Per Auerbach, l’eredità filosofica che<br />

Vico lascia all’epoca della modernità, si può riassumere <strong>in</strong> tre punti. Il primo punto riguarda un certo formalismo<br />

magico che il filosofo napoletano attribuiva alle società primitive. Tale formalismo permetteva loro di creare e<br />

mantenere le proprie istituzioni attra<strong>vers</strong>o la creazione e il ricorso al mito. Questa <strong>def</strong><strong>in</strong>izione implica un’unità<br />

<strong>in</strong>tr<strong>in</strong>seca alla mitologia che è <strong>in</strong> grado di relazionarsi alla struttura politica, sociale ed economica. L’unità che la<br />

realtà umana trovava nel mito era espressa da un l<strong>in</strong>guaggio concreto, vitale e poetico, immag<strong>in</strong>ifico e<br />

metaforico che, per Auerbach, trovò immediato riscontro nell’epoca moderna: “[…] the concept of concrete<br />

realism <strong>in</strong> primitive language and myth are extremely suggestive of certa<strong>in</strong> modern tendencies”. Il secondo<br />

punto è quello della teoria della cognizione. L’uomo è creatore della propria vicenda storica ed <strong>in</strong> virtù di ciò<br />

egli ha la possibilità di comprendere il proprio essere risalendo alle orig<strong>in</strong>i della storia della propria civiltà: “The<br />

entire development of human history, as made by men, is potentially conta<strong>in</strong>ed <strong>in</strong> the human m<strong>in</strong>d, and may<br />

therefore, by a process of research and re-evocation, be understood by men” pp.195-6. Il terzo punto è per<br />

Auerbach quello della prospettiva storica. La natura e la storia non sono, per Vico, <strong>in</strong> contrapposizione ma<br />

rappresentano una la funzione dell’altra. La natura storica dell’uomo viene ad essere affermata. L’uomo diviene<br />

un tutt’uno con la sua storia. Michael Bell così s<strong>in</strong>tetizza il ruolo di Vico <strong>in</strong> relazione ai fermenti europei<br />

romantici e modernisti:Mythopoeia, without loos<strong>in</strong>g its archaic overtones, became the paradigmatic capacity of<br />

the human m<strong>in</strong>d. On this view, <strong>in</strong>stead of myth be<strong>in</strong>g the early stage out of which the sophisticated <strong>in</strong>tellectual<br />

discipl<strong>in</strong>es of modern culture developed, it is rather the permanent ground on which they rest, or even the soil <strong>in</strong><br />

which their roots are <strong>in</strong>visibly nourished. And idea long propounded by Giambattista Vico <strong>in</strong> his The new<br />

science, and rehearsed <strong>in</strong> much romantic thought, came fully <strong>in</strong>to its own with the new science of the twentieth<br />

century. […] The <strong>in</strong>ternal criteria of scientific discipl<strong>in</strong>es are themselves conta<strong>in</strong>ed with<strong>in</strong> a larger language and<br />

culture whose nature is seen to be ultimately mythopoeic (M.Bell, Literature, modernism and myth, cit. pp. 16-<br />

17).<br />

114 La concezione di tempo mitico, <strong>in</strong> opposizione al tempo storico fondante della nostra civiltà occidentale,<br />

venne analizzata all’epoca da Oswald Spengler nel suo Decl<strong>in</strong>e of the West (1918). Spengler studiò la storia del<br />

mondo come una serie <strong>in</strong><strong>in</strong>terrotta di alternarsi di civiltà nel loro percorso canonico di nascita, vita e morte. Il<br />

processo, che attualmente era <strong>in</strong> atto nella civiltà occidentale, era riflesso, nell’op<strong>in</strong>ione di Spengler, nelle<br />

proiezioni di tempo mitico che gli scrittori modernisti disegnavano nelle loro opere.<br />

44


dist<strong>in</strong>zione fra le dimensioni del tempo empirico, dove regnava un tempo razionale e dove<br />

poteva essere concepita un’idea di progresso, e la dimensione di un mondo metafisico del<br />

tempo assoluto, <strong>in</strong> cui vigeva una concezione mitologica dell’esistente, si affacciò già nel<br />

1939 nella mente di Pavese. Partendo da un <strong>in</strong>terrogativo che, per G. Isotti Rosowsky, viene<br />

tratto direttamente dal diario di Baudelaire, Mon coeur mis a nu, Pavese si pone il problema<br />

del progresso storico proiettando la conclusione della riflessione, come di consueto, dal piano<br />

collettivo a quello <strong>in</strong>dividuale:<br />

C’è o non c’è progresso nella storia? Insolubile, perché mentre tu <strong>in</strong>tendi per progresso l’<strong>in</strong>gresso<br />

nell’assolutezza dei valori morali, e tutto il resto la chiami tecnica (astuzia), altri s’accontentano appunto di<br />

quest’arricchimento TECNICO delle condizioni del benessere e lo chiamano progresso. Non si può giungere<br />

all’assoluto per gradi. Qu<strong>in</strong>di non si può trovare l’assoluto <strong>in</strong> fondo a un’evoluzione storica. Qu<strong>in</strong>di il progresso<br />

(<strong>in</strong>negabile) non | è <strong>vers</strong>o l’assoluto, ma è quantitativo. Lo stesso <strong>in</strong> un <strong>in</strong>dividuo. C’è progresso tecnico, di<br />

astuzia, d’esperienza, ma la portata del ponte è quella dei sette anni. Tal era allora, <strong>in</strong> assoluto, tale è a<br />

trentac<strong>in</strong>que 115 .<br />

Il tempo della narrazione si dissocia dunque dal tempo empirico. Il primo è tempo mitico,<br />

che non sa di progresso. A livello narrativo il rapporto si condensa nella nota dell’Aprile del<br />

1941 quando Pavese r<strong>in</strong>traccia nel sistema della scansione razionale del tempo del racconto,<br />

che si svolge a partire da un <strong>in</strong>izio ben identificabile per poi esaurirsi <strong>in</strong> un f<strong>in</strong>ale che doti di<br />

senso compiuto l’<strong>in</strong>tera narrazione, un s<strong>in</strong>tomo della corrispondenza che <strong>in</strong>tercorre tra il<br />

tempo empirico e quello della f<strong>in</strong>zione:<br />

Uno dei meno osservati gusti umani è quello di prepararsi degli eventi a scadenza, di organizzarsi un gruppo di<br />

accadimenti che abbiano una costruzione, una logica, un pr<strong>in</strong>cipio e una f<strong>in</strong>e. La f<strong>in</strong>e è avvistata sempre come<br />

un’acme sentimentale, una lieta e lus<strong>in</strong>gante crisi di consapevolezza di sé. Ciò si stende dalla costruzione di una<br />

botta e risposta a quella di una vita. E che cos’è ciò se non la premessa del narrare? L’arte narrativa appaga<br />

appunto questo gusto profondo. Il piacere del narrare e dell’ascoltare è vedere disporsi dei fatti secondo questo<br />

grafico. A metà di un racconto si risale alle premesse e si gode di ritrovare delle ragioni, delle chiavi, delle mosse<br />

causali. Che altro si fa ripensando al proprio passato e compiacendosi di riconoscerci i segni del presente o del<br />

successivo? Questa costruzione dà <strong>in</strong> sostanza un significato al tempo. E il narrare è <strong>in</strong>somma soltanto un<br />

mitologizzarlo, uno sfuggirgli 116 .<br />

Il dibattito che si svolgeva <strong>in</strong> Europa all’<strong>in</strong>izio del secolo circa la decadenza della civiltà<br />

occidentale, che si esprimeva filosoficamente nelle teorie niciane <strong>in</strong>torno al nichilismo,<br />

produsse un nuovo montante <strong>in</strong>teresse nei confronti delle teorie della ciclicità. Per Fjagesund,<br />

la concezione temporale modernista è <strong>in</strong> diretta correlazione con il dibattito filosofico<br />

dell’epoca e trova con Lawrence una brillante s<strong>in</strong><strong>tesi</strong> nell’elaborazione di un tempo<br />

<strong>in</strong>dividuale <strong>in</strong> relazione a un tempo uni<strong>vers</strong>ale. Fjagesund ripercorre la storia degli studi di<br />

Lawrence a proposito e mostra come la visione del tempo ciclico fu promossa nello scrittore<br />

dalle letture <strong>in</strong>crociate dei classici dell’antichità e dei moderni filosofi che riecheggiavano<br />

quelle teorie. Primo fra questi ultimi quel Nietzsche che, f<strong>in</strong> dal 1914, seppe impressionare<br />

Lawrence soprattutto con la teoria dell’Eterno Ritorno. Le teorie della ciclicità storica sono<br />

spesso espresse nelle opere di Lawrence: “[…] the Plumed Serpent also shows that ideas of<br />

cyclical movement were a constant presence <strong>in</strong> Lawrence’s m<strong>in</strong>d when writ<strong>in</strong>g the book. As<br />

Kate says to her <strong>in</strong>dian servant Juana: “Ah, the dark races! … The dark races belong to a<br />

bygone cycle of humanity” 117 . In Sons and Lo<strong>vers</strong> le concezioni temporali cicliche di<br />

115 C. Pavese, Il Mestiere di Vivere, 30 Luglio 1939, cit. p. 156.<br />

116 Ivi, 12 Aprile 1941, p.222.<br />

117 Ibidem.<br />

45


Lawrence trovano un corrispettivo nello svolgersi dei tempi naturali dei giorni e delle<br />

stagioni. Consapevolmente o no i personaggi si trovano a legare i loro atti e i loro amori a<br />

quelli della terra e Lawrence non si stanca di sottol<strong>in</strong>eare questa corrispondenza come, per<br />

esempio, nel momento <strong>in</strong> cui la passione di Paul per Miriam si rivivifica con l’avvento della<br />

primavera: “With the spr<strong>in</strong>g came aga<strong>in</strong> the old madness and battle. Now he knew he would<br />

have go to Miriam” 118 . La visione ciclica di Lawrence trova espressione <strong>in</strong> questo<br />

procedimento letterario e rappresenta una caratteristica riconosciuta della sua poetica: “The<br />

cyclical element is particularly evident <strong>in</strong> the use of analogy. Historical and <strong>in</strong>dividual<br />

processes are systematically expressed <strong>in</strong> imagery relat<strong>in</strong>g to the life of plants, the seasons of<br />

the year, the movements of the planets and so forth” 119 .<br />

La concezione storica di Lawrence, che così spesso trapela dai suoi romanzi, può trovare una<br />

piena formulazione teorica nel tardo Fantasia dell’<strong>in</strong>conscio. La storia dell’uomo è vista <strong>in</strong><br />

un’ampia prospettiva che consente all’osservatore di derivarne leggi cosmiche desunte dai<br />

miti classici e “dalle reliquie che i nostri scienziati (tra i quali viene citato Frazer con il suo<br />

Ramo d’oro) hanno così meravigliosamente raccolto dal passato dimenticato” 120 :<br />

Mi piace il grande mondo dei secoli e delle vaste epoche, il tempo preistorico prima dei nostri giorni, l’umanità<br />

così meravigliosa osservata <strong>in</strong> lontananza, la sua storia senza <strong>in</strong>izi, eppure la pompa e la magnificenza dello<br />

splendore umano si dispiega sempre nei periodi di mutazione della terra. Diluvi, fuoco, cambiamenti della terra<br />

ed arresti glaciali <strong>in</strong>terferiscono con la grande ed affasc<strong>in</strong>ante civilizzazione dell’umanità. Ma mai nulla impedirà<br />

all’umanità e alla potenzialità umana di sviluppare qualcosa di magnifico da un caos r<strong>in</strong>novato. Io non credo<br />

nell’evoluzione, ma nella stranezza e nel cambiamento iridato di una civilizzazione creativa e sempre<br />

r<strong>in</strong>novata 121 .<br />

Il tratto più caratteristico di Lawrence, <strong>in</strong> riferimento alle teorie della ciclicità e del tempo<br />

mitico, sembra quello di voler sempre e comunque trasporre la vicenda cosmica <strong>in</strong> vicenda<br />

<strong>in</strong>dividuale. I personaggi divengono veri e propri correlativi dell’uni<strong>vers</strong>o. Le leggi che<br />

regolano il loro <strong>in</strong>teragire trovano un cont<strong>in</strong>uo corrispettivo nelle leggi della natura e un<br />

adeguato impedimento <strong>in</strong> quelle sociali. I romanzi di Lawrence giocano su questa costante e<br />

sempre <strong>in</strong>stabile relazione fra piano <strong>in</strong>dividuale, sociale e cosmico: “This seems the only way<br />

to grasp Lawrence’s constant preoccupation with death and rebirth on the <strong>in</strong>dividual level, and,<br />

on the cosmic level, with doom and destruction alongside a vision of a resurrected<br />

humanity” 122 . Le leggi dell’uni<strong>vers</strong>o sono poste <strong>in</strong> costante relazione con quelle della vita,<br />

entrambe stagliate sul pr<strong>in</strong>cipio attivo del mito che si struttura come vera forma di conoscenza.<br />

A fianco a questa <strong>in</strong>terpretazione personale si riscontrano <strong>in</strong> Lawrence una serie di posizioni<br />

che permettono di parlare di un’ansia d’attesa, che lo scrittore esprime attra<strong>vers</strong>o i suoi studi<br />

teorici e attra<strong>vers</strong>o le sue produzioni letterarie, nei confronti dell’avvento di un’imm<strong>in</strong>ente età<br />

dell’oro. Questa posizione, che Kermode aveva appunto <strong>def</strong><strong>in</strong>ito escatologica, si correla<br />

appieno ai fermenti culturali del periodo e alla <strong>in</strong>gente mole di letteratura prodotta <strong>in</strong>torno ai<br />

temi dell’ist<strong>in</strong>to, degli impulsi umani, dell’<strong>in</strong>conscio, dell’irrazionalismo, dell’<strong>in</strong>fanzia, del<br />

primitivismo e del sangue. E’ un guardare al futuro come riscoperta del passato collettivo,<br />

<strong>in</strong>dividuale e, f<strong>in</strong>almente, mitico. Il mito, come ricorda Lotman nel suo saggio Letteratura e<br />

Mitologia, non prevede un <strong>in</strong>izio o una f<strong>in</strong>e. La struttura circolare del mito permette di <strong>in</strong>iziare<br />

ovunque e f<strong>in</strong>ire ovunque anzi, ancor meglio, f<strong>in</strong>ire nello stesso punto da cui si era partiti:<br />

118<br />

D. H. Lawrence, Sons and Lo<strong>vers</strong> (1913), Pengu<strong>in</strong> Books, 1966, p. 339.<br />

119<br />

P.Fjagesund, The Apocaliptic World of D. H. Lawrence, cit. p. 14.<br />

120<br />

D. H. Lawrence, Fantasia dell’<strong>in</strong>conscio, cit. p. 23.<br />

121<br />

Ibidem.<br />

122<br />

P. Fjagesund, The Apocaliptic World of D. H. Lawrence, cit. p. 26.<br />

46


Una proprietà del mito uni<strong>vers</strong>almente riconosciuta è la sua subord<strong>in</strong>azione al tempo ciclico. Gli avvenimenti non<br />

hanno uno svolgimento l<strong>in</strong>eare, ma si ripetono eternamente <strong>in</strong> un ord<strong>in</strong>e dato. Perciò <strong>in</strong> l<strong>in</strong>ea di pr<strong>in</strong>cipio <strong>in</strong><br />

questo caso non sono applicabili i concetti di <strong>in</strong>izio e di f<strong>in</strong>e.[…] La narrazione mitologica non è basata sul<br />

pr<strong>in</strong>cipio della catena, come è tipico del testo letterario, ma si sfoglia come un cespo di cavolo, dove ogni foglia<br />

ripete con note varianti tutte le altre e un’eterna ripetizione dello stesso nucleo profondo di <strong>in</strong>treccio si sviluppa <strong>in</strong><br />

un <strong>in</strong>tero aperto all’accrescimento 123 .<br />

La narrativa mitologica è dunque uno sfuggire ai dettami del tempo empirico per affermare la<br />

validità del modello mitico. Il concetto di progresso, che pure ha molto spazio nelle opere di<br />

f<strong>in</strong>zione ricollegandosi direttamente alla concezione idealista della storia, viene dunque<br />

rifiutato su tutti i livelli. Sarà impossibile ritrovare negli scritti di Pavese la classica situazione<br />

romanzesca che prevede lo sviluppo di una situazione e la crescita di un personaggio. Tutto<br />

rimarrà, al contrario, fermo su stesso, vorticando su stesso, nient’altro che approfondendo e<br />

portando a chiarezza, ovvero al livello della ragione, la legge di vita da cui si era partiti. C’è<br />

ancora un grosso sforzo di approfondire i riferimenti culturali, atti a motivare questa teoria,<br />

nell’appunto di Pavese datato Novembre 1948:<br />

Che chi non tende a un f<strong>in</strong>e non capisca la realtà, cioè non ci veda un ord<strong>in</strong>e razionale, pare significhi molte cose.<br />

Significa che la razionalità è soltanto uno strumento per l’azione (Bergson) o che la nostra natura è razionale e<br />

l’azione tende alla verità (S. Tommaso e Marx)? Non conta il prima e il poi. Noi esistiamo <strong>in</strong> una sfera razionale.<br />

A ciò non si sfugge. Logica dell’irre<strong>vers</strong>ibilità della cultura, del progresso, della conoscenza. Lamento<br />

leopardiano che non si sfugge all’amaro vero 124 .<br />

L’artificialità del mondo, della cultura e delle sue nozioni ideali, soprattutto quella del<br />

progresso, viene oramai considerata una realtà tangibile con cui fare i conti. Lo sforzo<br />

primario di Pavese non sembra allora tanto quello di dover <strong>def</strong><strong>in</strong>ire ulteriormente i caratteri di<br />

questo mondo artificiale o approfondire la teoria del mito f<strong>in</strong>o a creare un’alternativa<br />

plausibile. Una soluzione utopica alla Lawrence. Lo sforzo di Pavese sembra piuttosto quello<br />

di voler mettere <strong>in</strong> comunicazione questi due mondi, creare un l<strong>in</strong>guaggio, una narrativa, un<br />

piglio poetico, <strong>in</strong> grado di <strong>in</strong>serirsi fra queste due sfere, quella che potremmo <strong>def</strong><strong>in</strong>ire della<br />

terra e quella del mondo, ed agire <strong>in</strong> questo spazio alla ricerca di un equilibrio sempre e<br />

comunque da riprist<strong>in</strong>are. Nessuno dei due ord<strong>in</strong>i, seguiti pedissequamente, porterebbe a dei<br />

risultati conv<strong>in</strong>centi. Ciò non toglie che la resistenza alle categorie artificiali del mondo si<br />

deve attuare, attra<strong>vers</strong>o il ricorso alle categorie del mito, al f<strong>in</strong>e di scongiurare ulteriori<br />

evoluzioni negative. In un momento storico <strong>in</strong> cui naturalismo e positivismo impegnavano<br />

gran parte della scena, l’esigenza di ripensare i modi della scienza si fece spazio fra gli<br />

<strong>in</strong>tellettuali 125 . La confutazione dei paradigmi di onnipotenza che la scienza, al pari della<br />

religione, propugnava, avvenne, <strong>in</strong> ambito filosofico, ancora per mezzo di Nietzsche. La<br />

scienza e la religione divennero due facce della stessa medaglia, costruzioni umane e non<br />

verità assolute. Il concetto di progresso e l’idea della modernità venivano improvvisamente<br />

ad <strong>in</strong>ciampare su questo punto. Il mito non rappresentava più uno stadio primitivo della storia<br />

dell’umanità ma una vera e propria categoria esplicativa della stessa. La scienza e la religione<br />

erano ulteriori eventi che cadevano all’<strong>in</strong>terno della storia umana, all’<strong>in</strong>terno della sua<br />

mitologia 126 . Il contrasto tra scienza e religione facilitò l’affermarsi di una tendenza estetica<br />

123 J. M. Lotman – Z. M<strong>in</strong>c, Letteratura e Mitologia, cit. p.204.<br />

124 C. Pavese, Il Mestiere di Vivere, 19 Novembre 1948, cit. p. 356.<br />

125 Karl Pearson, <strong>in</strong> The grammar of Science (1892), sostenne come la scienza non fosse effettivamente <strong>in</strong> grado<br />

di spiegare il funzionamento della natura ma si limitasse a registrare ciò che accadeva sotto determ<strong>in</strong>ate<br />

condizioni. La scienza moderna era da considerarsi, <strong>in</strong>somma, una descrizione e non certo una spiegazione.<br />

126 In un’analisi storica del pensiero mitico, che si radicò <strong>in</strong> Europa nell’ottocento per poi proiettarsi risoluto nel<br />

novecento, va registrato l’apporto di Sigmund Freud, <strong>def</strong><strong>in</strong>ito da Bell come uno tra i “mythopoetic de-<br />

47


mitopoietica: le due discipl<strong>in</strong>e subirono le conseguenze dell’affermarsi di un pensiero mitico<br />

trovandosi risucchiate nel vortice della mitologia nel momento <strong>in</strong> cui furono riconosciute<br />

come ulteriori prodotti della cultura umana. Cultura umana che poteva esprimersi <strong>in</strong>teramente<br />

solo esteticamente, tramite il ricorso al mito, tramite il suo disvelamento e il suo<br />

scioglimento 127 . Se la religione doveva essere <strong>in</strong>terpretata <strong>in</strong> maniera differente, non un<br />

dest<strong>in</strong>o dissimile doveva scontare la sua rivale storica. La scienza, al pari della religione, fu<br />

analizzata e posta sotto osservazione, fu storicizzata e venne a far parte dell’uni<strong>vers</strong>o umano,<br />

rientrò, potremmo dire, nella mitologia piuttosto che costituirne un fattore esterno e super<br />

partes. Bell offre una <strong>def</strong><strong>in</strong>izione esemplare di questo processo:<br />

Both religion and science had now to be understood as active creations of human culture rather than as direct<br />

accounts of external reality. This is the sense <strong>in</strong> which they each took a step towards myth. Mythopoeia, without<br />

los<strong>in</strong>g its archaic overtones, became the paradigmatic capacity of the human m<strong>in</strong>d. On this view, <strong>in</strong>stead of myth<br />

be<strong>in</strong>g the early stage out of which the sophisticated <strong>in</strong>tellectual discipl<strong>in</strong>es of modern culture developed, it is<br />

rather the permanent ground on which they rest, or even the soil <strong>in</strong> which their roots are <strong>in</strong>visibly nourished 128 .<br />

L’appunto del Marzo del 1940, contenuto nel Mestiere di Vivere, ricorda, nel suo pessimismo,<br />

molti scrittori modernisti che amavano costruire i loro romanzi sull’immag<strong>in</strong>e di futuri<br />

alienanti come Orwell, 1984, o Huxley, Brave New World. In Italia, Svevo costruì un romanzo,<br />

La Coscienza di Zeno, basato su un personaggio che non ne voleva sapere di evolvere,<br />

<strong>in</strong>capace di progredire o di regredire. Immobile nella sua posizione Zeno poté scorgere,<br />

nell’immag<strong>in</strong>e dello stadio f<strong>in</strong>ale del progresso moderno, un’apocalittica previsione. Quella<br />

che esprime Svevo è, <strong>in</strong>somma, un’ansia diffusa che co<strong>in</strong>volge tutti gli scrittori della<br />

modernità e che accomuna, nuovamente le posizioni di Pavese e Lawrence:<br />

Devi riconoscere che le magnifiche promesse della scienza avvenire ti atterriscono e le vedresti volentieri<br />

abortire. Non per la ragione che la scienza crea micidiali armamenti […], ma perché la scienza potrà fornire un<br />

giorno mezzi tali di controllo sulla vita <strong>in</strong>teriore e sulla vita fisica dell’<strong>in</strong>dividuo (s<strong>in</strong>cerity test, sterilizzazione), o<br />

surrogati dell’<strong>in</strong>dividuo stesso (robots) o <strong>in</strong>tervento nell’attività <strong>in</strong>teriore e fisica <strong>in</strong>dividuale (<strong>in</strong>oculazione di<br />

sperma artificiale, classificazione delle attitud<strong>in</strong>i, controllo statistico dei gesti alla Taylor, ecc.), che la vita non<br />

varrà più la pena di essere vissuta. La conclusione tipica dei romanzi avveniristici è, <strong>in</strong>fatti, dopo una descrizione<br />

del meccanismo controllatissimo di quella vita, un climax di rottura di coglioni per cui le masse si scatenano<br />

uccidendosi e impazzendo, pur di uscire dall’<strong>in</strong>cubo. Insomma, morire (sia di spada, sia di raggio mortale) non è<br />

nulla; vivere scientificamente appare spaventoso 129 .<br />

mythologisers” , ed <strong>in</strong>serito di diritto nella storia del pensiero mitico dell’ottocento. Pur operando <strong>in</strong> campi<br />

differenti, Freud e i modernisti condividevano uno stesso pr<strong>in</strong>cipio: “conscious and apparent mean<strong>in</strong>gs are often<br />

an unwitt<strong>in</strong>g mask for a true state of affaire which has to be raised to counsciousness”. Freud, nella formulazione<br />

delle sue teorie e nell’organizzazione dei suoi esperimenti, fece costante riferimento alla mitologia. Il substrato<br />

del reale veniva ad essere <strong>in</strong>terpretato attra<strong>vers</strong>o il riferimento al substrato mitico sott<strong>in</strong>teso alle coscienze<br />

occidentali: “In this respect, his read<strong>in</strong>ess to claim the poets as his predecessors, and his use of a mythic<br />

nomenclature for psychological complexes, rightly suggest that his <strong>in</strong>fluential mapp<strong>in</strong>g of the human psyche as<br />

conscious, unconscious and superego was essentially mythic”. M. Bell, Literature modernism and myth, cit. pp.<br />

17-18.<br />

127 Per Bell si assiste, a cavallo dei due secoli, all’entrata <strong>in</strong> scena di un’altro ord<strong>in</strong>e significante, quello<br />

dell’estetica. In un momento storico <strong>in</strong> cui religione e scienza si battevano per l’egemonia nel campo dello<br />

scibile, si assistette alla nascita di una terza categoria, quella dell’estetica, che si pose come alternativa<br />

<strong>in</strong>tellettuale al potere esercitato dalle prime due. La concezione del tempo mitico, esulando dal contesto politico<br />

sociale, pose le sue basi nel campo dell’estetica dove, comunque, un discorso politico e sociale si teneva <strong>in</strong> un<br />

<strong>in</strong>cessante gioco di riflessi tra il mondo della realtà e quello della f<strong>in</strong>zione. L’<strong>in</strong>terpretazione del mito risentì di<br />

queste speculazioni e si formò come prodotto congenito <strong>in</strong> cui si assommavano le esperienze degli scettici<br />

positivisti e dei sostenitori romantici.<br />

128 M. Bell, Literature modernism and myth, cit. p. 16.<br />

129 Ivi, 29 Marzo 1940, p. 182.<br />

48


Lawrence, <strong>in</strong> Fantasia dell’Inconscio, accusa la scienza di aspirare al monopolio dello scibile<br />

umano. Lo scrittore <strong>in</strong>glese <strong>in</strong>serisce la categoria del mito <strong>in</strong> una visone globale che si<br />

potrebbe <strong>def</strong><strong>in</strong>ire un’abbozzata teoria della conoscenza. Proprio dalla polemica condotta nei<br />

confronti della scienza moderna parte il rifiuto di Lawrence per la modernità e la sua riscoperta<br />

delle categorie mitiche:<br />

Non ho nulla contro la nostra scienza. E’ perfetta entro i suoi limiti. Ma considerarla meta esaustiva della nostra<br />

capacità umana di sapere mi sembra affatto puerile. La nostra è una scienza del mondo morto. Neanche la<br />

biologia considera la vita, ma solo le funzioni meccaniche e l’apparato della vita. Onestamente credo che il<br />

grandioso mondo pagano che un tempo precedette la nostra era, aveva una sua vasta e probabilmente scienza<br />

propria, una scienza <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i di vita.[…] Sono conv<strong>in</strong>to che quella grandiosa scienza precedente alla nostra e<br />

così di<strong>vers</strong>a nella sua natura e nella sua costituzione dalla nostra, una volta era uni<strong>vers</strong>ale, valida per tutto l’allora<br />

globo esistente. Credo che era esoterica, <strong>in</strong>vestita di un ampio sacerdozio.[…] Poi si sciolsero i ghiacciai e la terra<br />

fu sommersa. Gli uom<strong>in</strong>i che fuggivano dai cont<strong>in</strong>enti <strong>in</strong>ondati si rifugiarono sulle vette d’America, Europa, Asia,<br />

e delle isole del Pacifico. Alcuni degenerarono naturalmente […] altri conservarono la loro meravigliosa ed <strong>in</strong>nata<br />

bellezza e perfezione della vita,[…] si rifiutarono di dimenticare e cont<strong>in</strong>uarono ad <strong>in</strong>segnare la loro vecchia<br />

sapienza solo nelle sue forme per metà dimenticate e simboliche. Come sapere era più o meno dimenticato,<br />

tuttavia veniva ricordato come rituale, nei gesti e nella mitologia. Così almeno l’<strong>in</strong>tensa potenza dei simboli fa<br />

parte della memoria. E’ per questo che tutti i grandi miti e simboli, che dom<strong>in</strong>avano la terra quando ebbe <strong>in</strong>izio la<br />

nostra storia, si somigliano tanto <strong>in</strong> ogni regione e per ogni popolazione, I grandi miti si ricollegano l’un l’altro.<br />

Ed è per questo che adesso questi miti com<strong>in</strong>ciano di nuovo ad ipnotizzarci, dal momento che il nostro impulso<br />

<strong>vers</strong>o il nostro modo di fare scienza sta languendo 130 .<br />

La concezione del tempo mitico di Lawrence viene teoricamente espressa <strong>in</strong> un articolo<br />

<strong>in</strong>titolato Surgery of the Novel - or a bomb? pubblicato sul Reader's Digest dell'Aprile 1923.<br />

Per Lawrence il tempo del mito è il tempo <strong>in</strong> cui letteratura e filosofia si esprimevano<br />

attra<strong>vers</strong>o le antiche tragedie greche. In questo articolo lo scrittore auspica un ritorno alle<br />

modalità di scrittura antiche. La filosofia e la letteratura trovavano, nella forma mitologica, la<br />

loro espressione più profonda. La ricerca delle leggi della vita attra<strong>vers</strong>o la letteratura<br />

potrebbe recuperare, nell’idea di Lawrence, un’effettiva valenza <strong>in</strong> epoca moderna:<br />

If you wish to look <strong>in</strong>to the past for what next book, you can go back to the Greek Philosophers. Plato’s<br />

Dialogues are queer little novels. It seems to me it was the greatest pity <strong>in</strong> the world when philosophy and fiction<br />

got split. They used to be one, right from the days of myth. Then they went and parted, like a nagg<strong>in</strong>g married<br />

couple, with Aristotle and Thomas Aqu<strong>in</strong>os and that beastly Kant. So the novel went sloppy, and philosophy<br />

went abstract-dry. The two should come together aga<strong>in</strong> <strong>in</strong> the novel 131 .<br />

Nella sua visione storica e nell’ansia di recuperare un passato mitico attra<strong>vers</strong>o un<br />

r<strong>in</strong>novamento dell’umanità, Lawrence utilizza il mito come un modello ma riconosce nelle<br />

attuali espressioni vitali il vero motore della sua ricerca: “La sc<strong>in</strong>tilla deriva dalla sapienza<br />

antica, ma il fuoco è la vita” 132 . L’<strong>in</strong>sistenza sull’attualità delle problematiche espresse tramite<br />

l’utilizzo di categorie mitiche è da considerarsi un tratto comune a molti scrittori modernisti.<br />

Il passo precedente risente ancora della formazione culturale romantica, tesa ad idealizzare il<br />

passato mitico, ma le soluzioni sono del tutto orig<strong>in</strong>ali: “Quello che <strong>in</strong>tendiamo fare è<br />

130 D. H. Lawrence, Fantasia dell’<strong>in</strong>conscio, cit. pp. 22-23.<br />

131 D. H. Lawrence, Surgery of the novel – or a bomb? (1923), pubblicato <strong>in</strong> The Reader’s Digest International<br />

Book Review April 1923, contenuto <strong>in</strong> The English Modernist Reader 1910-1930 , edited by Peter Faulkner,<br />

Uni<strong>vers</strong>ity of Ioawa Press, Ioawa City, 1986.<br />

132 Ibidem.<br />

49


ipercorrere il motivo creativo o religioso dalla sua fonte nell’essere umano, tenendo sempre a<br />

mente la stretta relazione tra il motivo religioso e quello sessuale” 133 . Il r<strong>in</strong>novamento<br />

auspicato da Lawrence non è semplicemente un r<strong>in</strong>novamento sessuale ma implica una totale<br />

rigenerazione culturale. La religione diviene creativa nel momento <strong>in</strong> cui diviene religione<br />

terrestre ed <strong>in</strong>segna all’uomo la fede nella sua terra: “La terra promessa, se esiste da qualche<br />

parte, giace sotto i nostri piedi. Mai più saltare <strong>vers</strong>o l’alto. Mai più elevarsi” 134 .<br />

Nei suoi studi relativi all’<strong>in</strong>flusso della mitologia biblica sul pensiero occidentale, Frank<br />

Kermode, per il quale tutta la storia dell’occidente avrebbe potuto prendere una piega di<strong>vers</strong>a<br />

se solamente il f<strong>in</strong>ale della Bibbia, l’Apocalisse, fosse stato differente, <strong>in</strong>dividua <strong>in</strong> Lawrence<br />

un esempio particolarmente significativo. Per Kermode la mitologia biblica ebbe un deciso<br />

<strong>in</strong>flusso sulla poetica di Lawrence soprattutto nel momento della commistione con la<br />

mitologia classica e gli <strong>in</strong>teressi antropologici dell’epoca: “[…] he f<strong>in</strong>ds evidence of a<br />

deepen<strong>in</strong>g despair, a sense of doom qualified by the old desperate hope that decadence, that<br />

br<strong>in</strong>gs an end, might give way to renovation, that the new age would provide its utopia” 135 . Il<br />

senso di decadenza, la sensazione dell’<strong>in</strong>evitabilità della sconfitta, di cui risentono i romanzi<br />

di Lawrence, sono dunque <strong>in</strong> stretta correlazione con la mitologia biblica così come la fede<br />

per il r<strong>in</strong>novamento che si esaurisce, spesso, <strong>in</strong> utopie. Per Kermode la sensazione che si<br />

ricava leggendo le pag<strong>in</strong>e di Lawrence è quella di essere arrivati alla f<strong>in</strong>e di una fase della<br />

civilizzazione che aspetta solo di perire <strong>def</strong><strong>in</strong>itivamente per poter poi rigenerarsi. Il viatico di<br />

questo percorso “dest<strong>in</strong>ato” nasce dalla presa di coscienza della “morte di Dio”, così come<br />

aveva preconizzato Nietzsche, e può venir portato a piena consapevolezza solo tramite il<br />

riferimento alla mitologia biblica. In questo senso la visione storica di Lawrence,<br />

fondamentalmente ciclica, non entra <strong>in</strong> contrasto con quella l<strong>in</strong>eare della storiografia<br />

ottocentesca di ispirazione cristiana anzi se ne associa nel momento <strong>in</strong> cui la morte di una<br />

civiltà conduce necessariamente alla nascita di una nuova. Apocalypse, l’ultimo scritto di<br />

Lawrence risalente al 1930, è s<strong>in</strong>tomatico di questa visione e rappresenta per Harold Bloom<br />

un passo estremamente significativo che non solo costituisce il punto f<strong>in</strong>ale del percorso<br />

teorico <strong>in</strong>trapreso dallo scrittore ma addirittura supera, <strong>in</strong> profondità ed espressività, molti dei<br />

capolavori narrativi precedenti. In questo passo Lawrence esprime la piena consapevolezza di<br />

vivere <strong>in</strong> un’età di transizione: egli preconizza la rov<strong>in</strong>a della presente civiltà e l’accesso ad<br />

una nuova epoca <strong>in</strong> cui l’uomo tornerà a ristabilire una “connessione organica” con il<br />

cosmo 136 . In Fantasia dell’Inconscio, <strong>in</strong> cui si tenta di offrire una teoria globale della storia<br />

dell’umanità, lo scrittore così <strong>in</strong>terpreta il ruolo e la posizione degli uom<strong>in</strong>i nel mondo:<br />

Gli uom<strong>in</strong>i vivono e vedono secondo una visione che si sviluppa gradualmente e gradualmente decade. Questa<br />

visione esiste anche come idea d<strong>in</strong>amica o metafisica, anzi esiste anzitutto così. Poi si spiega nella vita e<br />

nell’arte. La nostra visione, la nostra fede, la nostra metafisica si sta assottigliando e l’arte sta appassendo e<br />

diventa assolutamente spoglia. Non abbiamo futuro; nè per le nostre speranze nè per le nostre mete, nè per la<br />

nostra arte. Tutto è diventato grigio e opaco. Dobbiamo strappare il vecchio velo della visione e scoprire quello<br />

che il cuore crede realmente, dopo tutto: e quello che il cuore vuole realmente per il prossimo futuro. E noi<br />

dobbiamo ricondurre la cosa <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i di fede e sapere. Poi riprendere ad avanzare nel compimento della vita e<br />

dell’arte 137 .<br />

133<br />

D. H. Lawrence, Fantasia dell’<strong>in</strong>conscio, cit. p. 26.<br />

134<br />

Ivi, p. 27<br />

135<br />

Frank Kermode, Foreword to P. Fjagesund, The Apocaliptic World of D. H. Lawrence, cit. p. IX.<br />

136<br />

Harold Bloom, Introduction to D. H. Lawrence, Modern Critical Views, Chelsea House Publishers, New<br />

York – Philadelphia, 1986, pp. 1-17.<br />

137<br />

D. H. Lawrence, Fantasia dell’<strong>in</strong>conscio, cit. p. 24.<br />

138<br />

Frank Kermode, Apocalyptic Types, contenuto <strong>in</strong> D. H. Lawrence, Modern Critical Views, Chelsea House<br />

Publishers, New York – Philadelphia, 1986, pp. 59-71.<br />

50


Per Frank Kermode la posizione di Lawrence contiene dei netti tratti escatologici. L’attesa di<br />

una nuova era, al limitare dell’era dell’uomo bianco occidentale, si preannuncia nei tratti di<br />

una vera r<strong>in</strong>ascita sessuale così come avviene <strong>in</strong> L’amante di lady Chatterley 138 . La visione<br />

ciclica della storia viene dunque riconsiderata, nelle teorie dello scrittore, alla luce della<br />

mitologia biblica. In Apocalypse Lawrence esprime così il concetto: “Time still moves <strong>in</strong><br />

cycles, not <strong>in</strong> a straight l<strong>in</strong>e. And we are at the end of the Christian cycle. And the Logos, the<br />

good dragon of the beg<strong>in</strong>n<strong>in</strong>g of the cycle is now the evil dragon of today” 139 . Nel romanzo<br />

The Ra<strong>in</strong>bow si vede una vera e propria dichiarazione di come il mito sia l’ultima categoria di<br />

comprensione del reale a cui l’uomo possa far riferimento. Il mito è visto come un’effettiva<br />

possibilità da parte dei personaggi di comprendere la loro esistenza. La caratteristica di<br />

Lawrence appare dunque quella di fornire gli stessi personaggi di una coscienza problematica<br />

che li porta a ripercorrere, tramite il loro agire, l’esperienza mitica: “The mythic is present for<br />

them not as an idea, or even as a story, but at a pre-reflective level <strong>in</strong> their way of be<strong>in</strong>g” 140 . Il<br />

ricorso al mito si fa dunque, nella poetica di Lawrence, una vera esperienza storica,<br />

un’effettiva possibilità esistenziale e non un mero gioco <strong>in</strong>tellettuale. Il riferimento ai di<strong>vers</strong>i<br />

miti che formarono l’educazione di Lawrence sono costanti e compongono l’orig<strong>in</strong>alità<br />

dell’approccio dello scrittore <strong>in</strong>glese: “Lawrence double myth of orig<strong>in</strong>s comb<strong>in</strong>es the<br />

ascend<strong>in</strong>g Darw<strong>in</strong>ian evolution from the Marsh with a fall from Eden. The struggle between<br />

these two pr<strong>in</strong>ciples, and the struggle to prevent them fall<strong>in</strong>g apart, is the liv<strong>in</strong>g myth of The<br />

Ra<strong>in</strong>bow” 141 . La concezione mitica di Lawrence si forma nell’espressione di questo contrasto:<br />

il mito delle orig<strong>in</strong>i della Genesi di fronte a quello che la moderna antropologia stava creando<br />

partendo dalle teorie evoluzioniste di Darw<strong>in</strong> per arrivare a quelle relativiste di Lucien Lèvy-<br />

Bruhl. La mitologia biblica si correla a quella classica e a quella rustica-pagana <strong>in</strong> una s<strong>in</strong><strong>tesi</strong><br />

che certifica l’orig<strong>in</strong>alità dell’apporto di Lawrence nell’ambito del modernismo letterario.<br />

La mitologia biblica ebbe nella poetica di Lawrence una grande importanza. I riferimenti al<br />

mito biblico della creazione dell’uomo sono costanti all’<strong>in</strong>terno di Sons and Lo<strong>vers</strong> mentre la<br />

campagna ivi descritta appare come l’immag<strong>in</strong>e trasfigurata del giard<strong>in</strong>o dell’Eden. Il senso di<br />

colpa, che ogni personaggio porta nei confronti dell’altro e che ne limita costantemente<br />

l’azione, viene messo <strong>in</strong> diretta associazione con il mito del peccato orig<strong>in</strong>ale. L’agire umano<br />

trova, nelle pag<strong>in</strong>e di Lawrence, la propria orig<strong>in</strong>e e la propria spiegazione proprio nel<br />

substrato mitico. La relazione fra Paul e Clara viene trasposta da Lawrence <strong>in</strong> vicenda mitica:<br />

“You don’t feel crim<strong>in</strong>al, do you? ”<br />

She looked at him with startled grey eyes.<br />

“ Crim<strong>in</strong>al! “ she said. “No”.<br />

“But you seem to feel you have done a wrong? “<br />

“No” she said. “I only th<strong>in</strong>k, if they knew! “<br />

“ If they knew, they’d cease to understand. As it is, they do understand, and they like it. What do they matter?<br />

Here, with only the trees and me, you don’t feel not the least bit wrong, do you? “<br />

He took her by the arm, held her fac<strong>in</strong>g him, hold<strong>in</strong>g her eyes with his. Someth<strong>in</strong>g fretted him.<br />

“ Not s<strong>in</strong>ners, are we? “he said, with an uneasy little frown.<br />

“No” she replied.<br />

He kissed her laugh<strong>in</strong>g.<br />

“You like your little bit of guilt<strong>in</strong>ess, I believe”, he said. “I believe Eve enjoied it, when she went cower<strong>in</strong>g out of<br />

Paradise” 142 .<br />

139<br />

P. Fjagesund, The Apocaliptic World of D. H. Lawrence, cit. p. 18.<br />

140<br />

M. Bell, Literature, Modernism and Myth – belief and respnsability <strong>in</strong> the twentieth century, cit. p. 116.<br />

141<br />

Ibidem.<br />

142<br />

D.H. Lawrence, Sons and Lo<strong>vers</strong>, cit. pp. 381–82.<br />

51


La risoluzione di tutta la vicenda di Paul <strong>in</strong> vicenda mitica assume contorni <strong>def</strong><strong>in</strong>itivi<br />

nell’ultima parte del libro. In queste ultime pag<strong>in</strong>e Lawrence svela come il romanzo non sia<br />

semplicemente la storia di una famiglia delle Midlands <strong>in</strong>glesi. Sons and Lo<strong>vers</strong> aspira <strong>in</strong>vece<br />

alla mitologia, aspira al ritrovamento di quelle leggi che l’uomo moderno stava dimenticando:<br />

When they stood up they saw other lo<strong>vers</strong> steal<strong>in</strong>g down the opposite edge. It seemed natural they were there; the<br />

night conta<strong>in</strong>ed them. And after such an even<strong>in</strong>g they both were very still, hav<strong>in</strong>g known th eimmensity of<br />

passion. They felt small, half afraid, childish, and wonder<strong>in</strong>g, like Adam and Eve when they lost their <strong>in</strong>nocence<br />

and realised the magnificence of the power which drove them out of the Paradise and across the grat night and the<br />

great day of humanity. It was for each of them an <strong>in</strong>itiation and a satisfaction. To know their own noth<strong>in</strong>gness, to<br />

know the tremendous liv<strong>in</strong>g flood which carried them always, gave them rest with<strong>in</strong> themselves. If so great<br />

magnificent power could overwhelm them, identify them altogheter with itself, so that they knew they were only<br />

gra<strong>in</strong>s <strong>in</strong> the tremendous heave that lifted every glass-blade its little height, and every tree, and liv<strong>in</strong>g th<strong>in</strong>g, then<br />

why fret about themselves? They could let themselves be carried by life, and they felt a sort of peace each <strong>in</strong><br />

other. There was a verification which they had togheter. Noth<strong>in</strong>g could nullify it, noth<strong>in</strong>g could take it away; it<br />

was almost their believe <strong>in</strong> life 143 .<br />

Per Fiona Becket, Lawrence miscela sapientemente gli elementi della mitologia biblica con<br />

quelli della mitologia pagana 144 . Miriam rappresenta, a seconda delle circostanze, una dea<br />

pagana, una strega gotica, a volte una sacerdotessa dei boschi. Il substrato mitico presente<br />

nella cultura occidentale affiora costantemente confermando e contraddicendo le esperienze<br />

dei personaggi.<br />

Nella concezione modernista del tempo mitico le implicazioni religiose rimasero forti e<br />

sostanziali. L’importanza della Bibbia nella teoria compositiva degli scrittori mitopoietici<br />

appare estremamente evidente non solo nel caso di Lawrence ma anche <strong>in</strong> quello di Pavese.<br />

Lo scrittore piemontese studiò attentamente la Bibbia e i riferimenti a questa mitologia sono<br />

presenti lungo tutta la sua opera così come nei suoi appunti. E’ <strong>in</strong>teressante notare come<br />

l’autore tentò di cimentarsi direttamente, al pari di Lawrence, con il tema della cacciata dal<br />

Paradiso terrestre. Il racconto breve Si parva licet, composto nel 1938, documenta l’<strong>in</strong>teresse<br />

di Pavese per questo tema biblico. Il racconto si svolge nella cornice dell’Eden. Adamo ed<br />

Eva appaiono imprigionati nel giard<strong>in</strong>o del Signore. Anche <strong>in</strong> questo caso, e vedremo <strong>in</strong><br />

seguito come questo sarà il tema portante dei Dialoghi con Leucò, è l’aspirazione dell’uomo<br />

alla deità a decretarne la rov<strong>in</strong>a. La volontà dell’uomo di porsi al centro dell’uni<strong>vers</strong>o, <strong>in</strong><br />

competizione con Dio e con la natura, ne decreta la cacciata dal Paradiso terrestre e un dest<strong>in</strong>o<br />

di sofferenza.<br />

L’<strong>in</strong>teresse per la Bibbia ha un significato specifico <strong>in</strong> epoca moderna; la valenza simbolica<br />

degli episodi biblici non sfuggì a molti scrittori modernisti. E’ un significato di cui Pavese<br />

apparve ben conscio così come dimostrano i suoi appunti a riguardo dai quali traspare un<br />

<strong>in</strong>teresse storico e filosofico sull’argomento. Egli fu ben consapevole del ruolo culturale del<br />

cristianesimo e questa consapevolezza <strong>in</strong>fluenzò non poco la sua opera. Nondimeno questo<br />

tratto non è una caratteristica specifica di Pavese. L’<strong>in</strong>teresse per la mitologia biblica è<br />

caratteristico del periodo che si vuole <strong>def</strong><strong>in</strong>ire modernista. L’evoluzione di questa nuova<br />

sensibilità si può far scaturire dal secolo dei lumi. L’epoca dell’illum<strong>in</strong>ismo europeo, con i<br />

suoi credo razionalisti, aveva ridotto la religione ad un sistema di superstizioni e false<br />

credenze 145 . Alla visione estremamente razionalista, propugnata dall’illum<strong>in</strong>ismo europeo, si<br />

143 Ivi, pp. 430-31.<br />

144 Fiona Becket, The complete guide to D. H. Lawrence, Routledge, London and New York, 2002, pp. 46-47.<br />

145 Lotman registra questo dato per certi <strong>vers</strong>i paradossale: “[…] la coscienza europea dell’epoca del<br />

razionalismo aveva assolutizzato se stessa <strong>in</strong> modo tale che il mito era paragonato all’ignoranza e veniva di<br />

solito escluso dagli oggetti di osservazione. Questo modo di pensare è degno di nota perché proprio il XVIII<br />

secolo si presenta <strong>in</strong> Europa come un’epoca mitologica”. J. M. Lotman – Z. M<strong>in</strong>c, Letteratura e Mitologia, cit. p.<br />

203.<br />

52


affiancò presto una nuova <strong>in</strong>terpretazione, quella romantica, che si accompagnava ad un nuovo<br />

<strong>in</strong>teresse per lo studio dell’uomo e della sua evoluzione storica. Il nuovo credo romantico,<br />

alimentato <strong>in</strong> buona parte dagli studi di antropologia, rivalutò la religione nei suoi aspetti<br />

essenziali esulando da un discorso prettamente metafisico. La religione, si potrebbe dire, venne<br />

riportata tra gli uom<strong>in</strong>i e com<strong>in</strong>ciò ad essere studiata come un prodotto culturale. Credenze e<br />

superstizioni vennero analizzate come espressioni culturali della razza umana e com<strong>in</strong>ciarono<br />

ad essere considerate come un vero strumento d’<strong>in</strong>terpretazione dell’uomo e del suo mondo.<br />

La cristianità com<strong>in</strong>ciò ad essere compresa, già dalla f<strong>in</strong>e dell’Ottocento, come un presupposto<br />

fondamentale alla cultura moderna. L’<strong>in</strong>tera cultura occidentale si reggeva sui presupposti<br />

della dottr<strong>in</strong>a cristiana per cui r<strong>in</strong>negarne l’importanza apparve, a breve, una presa di posizione<br />

arbitraria e preconcetta. Apparve <strong>in</strong>somma chiaro, dopo gli eccessi della rivoluzione francese,<br />

come la cultura cristiana non fosse altro, ma una parte <strong>in</strong>tegrante e fondante del mondo<br />

occidentale tanto da non poter evitare di tornare a considerare la sua funzione nell’ambito di<br />

qualsiasi queque <strong>in</strong>tellettuale. Cesare Pavese rifletté a lungo sul ruolo centrale della cristianità<br />

nell’ambito della storia della cultura occidentale 146 . Il 24 Gennaio del 1938 appunta sul<br />

Mestiere di Vivere:<br />

Hanno ragione gli idioti, i pazzi, i testardi, i violenti, tutti – meno le persone ragionevoli. Che cosa altro si fa<br />

nella storia, se non <strong>in</strong>ventare spiegazioni ragionevoli per le proprie pazzie? Che è come evocare dei nuovi pazzi<br />

che metteranno tutto a soqquadro. […] Il Cristianesimo non può morire perché contiene la possibilità di tutte le<br />

discipl<strong>in</strong>e 147 .<br />

Cristianesimo come parte fondante della nostra essenza di uom<strong>in</strong>i occidentali, come<br />

condizione irr<strong>in</strong>unciabile a qualsiasi ricerca <strong>in</strong>tellettuale. Fu per primo William Blake, nel<br />

momento della storicizzazione e letterarizzazione del cristianesimo, ad associare l’idea del<br />

mito a quella della religione di Cristo. Il cristianesimo, nella sua fase di trapasso da dogma a<br />

religione storica, si ammantò di un’ambivalenza che seppe tormentare gli <strong>in</strong>tellettuali.<br />

Michael Bell s<strong>in</strong>tetizza così un momento di profonde riflessioni <strong>in</strong>tellettuali su un argomento<br />

che, per la sua presa sulla coscienza della gente, non si poteva ancora dichiarare un vero e<br />

proprio oggetto di studio scientifico:<br />

Hence, for many educated persons, an essential ambivalence surrounded Christian belief through much of the<br />

n<strong>in</strong>eteenth century. While it was be<strong>in</strong>g exploded at the level of its literal historical claims, and its associated<br />

<strong>in</strong>stitutional authority, it reta<strong>in</strong>ed its power as a source of ethical understand<strong>in</strong>g and as social cultural form. On<br />

this view, the discard<strong>in</strong>g of its literal claims was precisely what might have given Christianity its proper truth<br />

value, although that was hardly a recognition that Christians could be expected to embrace 148 .<br />

L’<strong>in</strong>teresse che suscitò il cristianesimo nell’Ottocento portò molti storici a confrontarsi con le<br />

problematiche espresse dalla Bibbia e dalla figura del Cristo. Questo confronto animò le<br />

discussioni degli <strong>in</strong>tellettuali, motivò le ricerche degli storici e <strong>in</strong>fluenzò non poco gli scrittori<br />

modernisti 149 . Per Bell la storia dell’<strong>in</strong>terpretazione della Bibbia e del cristianesimo prese, a<br />

146<br />

E’ da notare come il saggio di Benedetto Croce, Perché non possiamo non dirci cristiani, <strong>in</strong> cui si espongono<br />

posizioni molto simili, risalga al 1945.<br />

147<br />

C. Pavese, Il Mestiere di Vivere, 24 Gennaio 1938, cit. p. 84.<br />

148<br />

M. Bell, Myth <strong>in</strong> the age of the world view, cit. p. 13.<br />

149<br />

George Eliot tradusse personalmente The life of Jesus (1835) di David Strauss che si impegnava a <strong>def</strong><strong>in</strong>ire la<br />

dimensione storica del cristianesimo mentre Matthew Arnold, con il suo Literature and dogma (1873), fu il<br />

53


questo punto, due direzioni di<strong>vers</strong>e. Interpretare la Bibbia come pura e semplice letteratura,<br />

così come suggeriva Matthew Arnold, poteva sembrare alquanto riduttivo e non teneva conto<br />

delle enormi implicazioni legate a questo testo letterario. Implicazioni che potevano essere<br />

<strong>def</strong><strong>in</strong>ite culturali nella più ampia accezione del term<strong>in</strong>e così come ci spiegano gli studi di<br />

Frank Kermode che analizza il nostro immag<strong>in</strong>ario, le categorie con le quali <strong>in</strong>terpretiamo il<br />

reale, proprio a partire dal testo scritto della Bibbia. La posizione espressa da Arnold sulla<br />

Bibbia non soddisfece gli <strong>in</strong>tellettuali modernisti che vedevano nella Bibbia qualcosa di più<br />

che un testo letterario. La Bibbia poteva <strong>in</strong>vece rappresentare, oltre un’opera letteraria, una<br />

vera e propria dimensione della mitologia moderna? Poteva essere quest’opera, così come<br />

suggerisce Kermode, la vera base dell’<strong>in</strong>terpretazione del reale? Si poteva parlare di un mito<br />

biblico dalla cui <strong>in</strong>terpretazione prendere le mosse per le ricerche <strong>in</strong>tellettuali moderniste? Il<br />

concetto di mito veniva ad assumere, <strong>in</strong> questo contesto, un nuovo ruolo. Non più una forma<br />

di pensiero e d’espressione arcaica ma una vera e nuova possibilità conoscitiva del reale:<br />

Myth, <strong>in</strong> so far as it represents an <strong>in</strong>terpretation of life, reflects the enigmatic visage of life itsel and <strong>in</strong>creas<strong>in</strong>gly<br />

the true mean<strong>in</strong>g of myth seemed to lie at a more uncounscious level, and even perhaps to be the opposit of its<br />

apparent significance. This leads to the second factor: a shift <strong>in</strong> evaluation. Nietzsche attacked Christianity, not<br />

just as a means of priestly or establishment power, but as monumental uncounscious fraud perpetrated by the<br />

psyche on itself; a diagnosis which was to be echoed by many <strong>in</strong> the modernist generation. Christianity was now<br />

not merely a life enhanc<strong>in</strong>g fiction, someth<strong>in</strong>g to enrich the Arnoldian cultural shock, but a damag<strong>in</strong>g collective<br />

illusion throw<strong>in</strong>g the very basis of the culture <strong>in</strong>to question. As the value sign changed, so the question of truth<br />

status became newly urgent and myth became an active, rather than <strong>in</strong>ert, category 150 .<br />

La visione mitica di Cesare Pavese, come quella di molti altri scrittori modernisti, fu<br />

<strong>in</strong>fluenzata dagli studi biblici e del cristianesimo che fiorirono <strong>in</strong> Europa tra l’Ottocento e il<br />

primo Novecento. La figura del Cristo, la sua dottr<strong>in</strong>a, il messaggio biblico rappresentarono<br />

motivi di profonda riflessione per Pavese ed <strong>in</strong>fluenzarono non poco la sua produzione.<br />

Cristo, al di là della realtà storica, venne <strong>in</strong>terpretato come un personaggio mitico, un vero<br />

archetipo per l’uomo moderno. Nel Giugno del 1938, il figlio di Dio, venne <strong>def</strong><strong>in</strong>ito come “il<br />

nostro div<strong>in</strong>o modello” 151 . La forza del modello cristiano, la sua portata mitica, venne<br />

associata alla mitologia per eccellenza, quella greca, e sembra, negli scritti di Pavese,<br />

condividere lo stesso dest<strong>in</strong>o. Il dest<strong>in</strong>o di forgiare le categorie <strong>in</strong>terpretative moderne:<br />

Prima del Cristo e del Logos greco, la vita era un cont<strong>in</strong>uo contatto e ricambio magico con la natura: di qui<br />

uscivano forze, determ<strong>in</strong>azioni, dest<strong>in</strong>i; a lei si tornava, ci si rigenerava. Dopo Cr. e dopo il Logos, la natura si fa<br />

staccata dalla sorgente mistica della forza e della vita (che viene ora dallo Spirito). E’ pronto il campo per la<br />

scienza moderna che constata e codifica la materialità l’<strong>in</strong>differenza della natura 152 .<br />

La mitologia diviene per Pavese una possibilità di <strong>in</strong>terpretare il reale attra<strong>vers</strong>o lo<br />

scioglimento di quei miti che ne nascondono l’essenza. Un risalire <strong>vers</strong>o le fondamenta della<br />

primo a studiare la Bibbia come una vera e propria opera letteraria. Michael Bell così descrive questo momento<br />

storico: “For Arnold, the Bible expressed a profound, collective moral experience aris<strong>in</strong>g from a specific history.<br />

The Bible, read as literature, gives access to this; as does all great literature. Literature becomes a fundamental<br />

mode of cultural understand<strong>in</strong>g and authority”. Ivi, p. 13.<br />

150 Ivi, p. 14.<br />

151 C. Pavese, Il Mestiere di Vivere, 11 Giugno 1938, cit. p. 106.<br />

152 Ivi, 3 Aprile 1949, cit. pp. 366-7.<br />

54


nostra cultura che nasconde, ma al contempo rivendica, una volontà precisa di oltrepassare le<br />

stesse barriere che la cultura pone per impedire il disvelamento. Il mito diviene la chiave del<br />

regno del possibile, ciò che ne consente l’<strong>in</strong>terpretazione 153 . Nel saggio Il Mito, contenuto <strong>in</strong><br />

Letteratura americana ed altri saggi Pavese svela questo carattere ambiguo del mito. Da un<br />

lato è ciò che ci divide dalla nostra orig<strong>in</strong>e, l’<strong>in</strong>carnazione poetica di tutta la nostra cultura,<br />

dall’altra un nodo da sciogliere, un arcano da portare a chiarezza. Nel mito è <strong>in</strong>carnato il<br />

segreto dell’uomo e del suo essere:<br />

Far poesia significa portare a evidenza e a compiutezza fantastica un germe mitico. Ma significa anche, dando una<br />

corposa figura a questo germe, ridurlo a materia contemplativa, staccarlo dalla materna penombra della memoria,<br />

ed <strong>in</strong> <strong>def</strong><strong>in</strong>itiva abituarsi a non crederci più, come a un mistero che non è più tale 154 .<br />

153 Così come constata Giovanni Cillo, La distruzione dei miti, Nuovedizioni E.Vallecchi, Firenze,1972.<br />

154 C. Pavese, Letteratura Americana e altri saggi, cit., pp. 350-51.<br />

55


2.2 Tempi della modernità<br />

Nell’ambito della riflessione modernista sul mito sono da <strong>in</strong>dicare due momenti dist<strong>in</strong>ti ma<br />

<strong>in</strong>dubbiamente legati: la ricerca della comprensione e della <strong>def</strong><strong>in</strong>izione di un tempo cosmico,<br />

relativa alle leggi uni<strong>vers</strong>ali applicabili a tutto il genere umano, e la ricerca di un tempo più<br />

<strong>in</strong>dividuale, storico appunto, relativa esclusivamente all’<strong>in</strong>dividuo e al suo rapporto di<br />

immediata fruizione con la realtà circostante. Le ricerche di tempo cosmico e storico non sono<br />

semplicemente legate ma sembrano configurarsi una come la proiezione dell’altra. Le leggi<br />

cosiddette “uni<strong>vers</strong>ali” attribuite al tempo cosmico, che si manifestano nell’elaborazione e nel<br />

dispiegamento del mito, sono <strong>in</strong> qualche maniera collegabili al tempo cosiddetto “<strong>in</strong>teriore”.<br />

La concezione del tempo <strong>in</strong>teriore viene dunque a configurarsi, nel pensiero modernista, come<br />

una vera e propria mitologia personale. Se la ricerca di un tempo mitico uni<strong>vers</strong>ale era dettata<br />

per i romantici da un desiderio di ricongiungimento alla natura e alle sue leggi, per i<br />

modernisti nasce da un desiderio di prendere coscienza della distanza che li divide dalle<br />

orig<strong>in</strong>i. La ricerca di quello che potremmo <strong>def</strong><strong>in</strong>ire un tempo mitico <strong>in</strong>teriore derivava dalla<br />

necessità di riscoprire l’immag<strong>in</strong>e di un se stesso ritenuto irrimediabilmente perduto. La<br />

percezione di una lontananza temporale appare come una delle caratteristiche fondamentali<br />

del modernismo. Tale percezione si espleta <strong>in</strong> una poetica della distanza configurata<br />

letterariamente con la designazione di spazi stranieri da percorrere. L’io anela al<br />

ricongiungimento con la terra attra<strong>vers</strong>o il r<strong>in</strong>venimento di un tempo mitico. E’ un tempo ben<br />

lontano da quello della modernità scandito macch<strong>in</strong>almente e a cui l’uomo si deve adeguare.<br />

La scansione del tempo sociale, che avviene attra<strong>vers</strong>o nuovi sistemi, come la sirena della<br />

fabbrica o come gli orologi, appare come un tratto di enorme importanza nella concezione del<br />

tempo moderno 155 . Se l’architettura della società è qualcosa di ovviamente costruito, l’uomo<br />

moderno non potrà non sentirsi figlio di questa costruzione. Essendo il tempo uni<strong>vers</strong>ale la<br />

categoria fondamentale per la giustificazione storica di un ord<strong>in</strong>e morale e sociale ed essendo<br />

il tempo <strong>in</strong>dividuale la corrispettiva categoria fondamentale per una giustificazione politica di<br />

un ord<strong>in</strong>e sociale, risulta naturale come quest’ultimo fu il primo imputato del processo che gli<br />

<strong>in</strong>tellettuali modernisti stavano conducendo nei confronti del mondo. Lo strappo che si creò<br />

<strong>in</strong> questo periodo tra la concezione <strong>in</strong>dividuale e quella sociale del tempo portò alla creazione<br />

di un rapporto conflittuale fra l’uomo e il suo mondo. Vittoria Borsò mette <strong>in</strong> luce l’evidenza<br />

di questa frattura. Riferendosi alle teorie di R. Koselleck, la Borsò constata che “alla f<strong>in</strong>e del<br />

‘700, l’avvenimento della coscienza storicistica porta a una frattura nell’ambito della<br />

cont<strong>in</strong>uità temporale che comporta la scoperta dell’alterità storica da parte del soggetto” 156 .<br />

Per Peter Nicholls “la problematica del tempo occupa uno spazio centrale” 157 nella riflessione<br />

modernista; per molti modernisti, soprattutto quelli appartenenti all’area anglo-americana, “il<br />

tempo veniva percepito creativamente attra<strong>vers</strong>o l’esperienza traumatica dell’esilio e del<br />

contrasto culturale” 158 . Rivendicazione di una “memoria culturale discont<strong>in</strong>ua” 159 dunque, per<br />

cui lo scrittore rifiuta l’unità artificiale del mondo moderno per ricercare una nuova unità<br />

recuperando i materiali culturali nella storia dell’umanità. L’uomo moderno si dissocia dal<br />

mondo circostante a cui non sente più di appartenere. Si genera una frattura che nell’uso<br />

modernista del l<strong>in</strong>guaggio trova piena espressione. Il l<strong>in</strong>guaggio dello scrittore modernista<br />

non è più modellato sulla necessità di comunicare <strong>in</strong> un mondo a lui estraneo. Il dialogo tra<br />

155 Per N. Luhmann, Liebe als passion. Zur codierung von <strong>in</strong>timitat, Frankfurt am Ma<strong>in</strong>, 1994, una caratteristica<br />

basilare del mondo moderno, e al contempo un dato paradossale, è come tutta la vita dell’<strong>in</strong>dividuo si caratterizzi<br />

sugli schemi e sui meccanismi della società, al contrario dell’uomo premoderno che si relazionava maggiormente<br />

alle leggi di natura.<br />

156 V. Borsò, Temporalità e alterità. Il nuovo rapporto tra uomo e natura nella poesia moderna, cit. p. 1.<br />

157 Peter Nicholls, La forma e le scritture, Una lettura critica del modernismo, Armando Editore, Roma, 2000, p.<br />

235.<br />

158 Ibidem<br />

159 Ibidem.<br />

56


uomo e uomo e tra uomo e mondo si <strong>in</strong>terrompe. Come nota Richard Sheppard 160 , gli scrittori<br />

modernisti rifiutano la mimesis <strong>in</strong> quanto riproduzione della superficie del mondo attra<strong>vers</strong>o<br />

un l<strong>in</strong>guaggio che, al pari del mondo, porta i segni della decadenza 161 . Le parole vengono<br />

associate <strong>in</strong> modi nuovi per scoprire potenzialità secondarie, proprietà connotative e ritmiche,<br />

similitud<strong>in</strong>i con altre parole: i significati dimenticati divengono primari. Anche il ruolo<br />

tradizionale dell’aggettivo diviene sospetto. Il poeta modernista mira a liberare le energie<br />

espressive represse del l<strong>in</strong>guaggio, cessa di celebrare l’ord<strong>in</strong>e umano e diviene lo<br />

sperimentatore di immag<strong>in</strong>i redente e redimenti. Il l<strong>in</strong>guaggio, con cui si costruisce la poesia,<br />

diviene un mezzo di risalita, constatazione della perdita e r<strong>in</strong>verdimento del ricordo. I<br />

modernisti <strong>in</strong>seriscono il problema l<strong>in</strong>guistico nel pieno della riflessione sulla modernità, sulle<br />

nuove possibilità di comprensione e sulle nuove forme di espressione così come spiega<br />

Nicholls:<br />

In questa doppia immag<strong>in</strong>e della realtà, <strong>in</strong> bilico fra transitorietà e fuggevolezza da una parte, e immutabilità ed<br />

eternità dall’altra, anche l’artista si sente <strong>in</strong>vestito della necessità di do<strong>vers</strong>i impregnare nella creazione di<br />

prodotti culturali nei quali egli ha distillato, dal caos della realtà, fissandole, le qualità essenziali ed immutabili<br />

della vita. Lo strumento che consentiva agli scrittori questo tipo di selezione fu la creazione di nuovi codici<br />

espressivi che <strong>in</strong>cidevano sulle modalità del l<strong>in</strong>guaggio. E’ così che <strong>in</strong> quegli anni gli scrittori si orientarono<br />

<strong>vers</strong>o l’<strong>in</strong>novazione l<strong>in</strong>guistica e la sperimentazione nelle modalità di rappresentazione, spesso allontanandosi da<br />

ogni possibile mimesis della realtà a favore di un ripiegamento dell’opera su se stessa 162 .<br />

I modernisti si misero dunque alla ricerca di forme d’espressione alternative che potessero<br />

acuire la “percezione della distanza”, misurarabile tra il mutevole mondo della frenesia<br />

moderna e l’immutabilità delle eterne leggi della natura. I l<strong>in</strong>guaggi che presentavano ancora<br />

forti connotazioni arcaiche, come i dialetti, furono spesso ri-considerati. Tali l<strong>in</strong>guaggi non<br />

ispirarono ai modernisti un semplice recupero antiquario, ma dovevano arricchire il<br />

160 Richard Sheppard, The Crisis of language, contenuto <strong>in</strong> Modernism, a guide to European Literature 1890-<br />

1930, edited by M.Broadbury and J. McFarlane, Pengu<strong>in</strong> Books, 1991.<br />

161 Postulando l’artificialità del reale, realtà come creazione umana, Nietzsche rivoluzionò ogni canonico<br />

approccio alle categorie conoscitive. Lo stesso concetto di conoscenza venne ad essere ripensato. Questo nuovo<br />

approccio alla materia filosofica, soprattutto <strong>in</strong> riferimento alle teorie della conoscenza, <strong>in</strong>vestì direttamente le<br />

teorie dell’espressione di tale “r<strong>in</strong>novata conoscenza”. Il l<strong>in</strong>guaggio, con cui gli scrittori esprimono se stessi e il<br />

mondo che li circonda, è <strong>in</strong>vestito di un nuovo potere. L’approccio mimetico, che presuppone l’esistenza di una<br />

realtà oggettiva da riportare su pag<strong>in</strong>a, viene scalzato da un approccio simbolico che sposta l’<strong>in</strong>dividuo dal ruolo<br />

di osservatore di una realtà data a priori a quello di attore <strong>in</strong>serito <strong>in</strong> una dimensione che egli stesso contribuisce<br />

attivamente a creare. Se il collasso del reale, <strong>in</strong>teso adesso come categoria <strong>in</strong>stabile ed artificiale, è il punto di<br />

partenza della modernità, la crisi del l<strong>in</strong>guaggio mimetico, teso a “rispecchiare” il reale, potrebbe essere<br />

considerato il punto di partenza del modernismo letterario. L’importanza che viene data <strong>in</strong> questo periodo alla<br />

poetica dell’immag<strong>in</strong>e è s<strong>in</strong>tomo di questo processo. L’idea dell’uomo che si impone sul reale è la causa<br />

dell’artificilizzazione dell’uomo e del suo mondo. Gli scrittori modernisti si misero alla ricerca dell’immag<strong>in</strong>e<br />

pura, la parvenza del mito e l’archetipo, che si trova dietro l’architettura del reale. La ricerca di un immag<strong>in</strong>e<br />

pura, non contam<strong>in</strong>ata dalla ragione dell’uomo, si legò ai modi di utilizzazione delle nuove categorie<br />

conoscitive da parte degli <strong>in</strong>tellettuali modernisti. Ridare la voce alla terra, alla natura e all’essere dell’uomo, da<br />

troppo tempo obliati, da troppo tempo sepolti sotto una ricca edificazione di sovrastrutture, appare uno degli<br />

obiettivi di questi nuovi scrittori. L’immag<strong>in</strong>e non scaturisce dunque da un costrutto mentale, da una deduzione<br />

logica; l’immag<strong>in</strong>e scaturisce, al contrario, dall’osservazione estatica della natura, dall’ascolto immediato delle<br />

tracce dell’essere. L’elaborazione di una poetica che elevasse l'immag<strong>in</strong>e oltre l'idea venne a configurarsi presto<br />

come una caratteristica primaria del modernismo letterario. La metafora divenne, gradualmente, sostitutiva del<br />

concetto e la conoscenza del poeta prima di tutto visiva: è il ritorno del l<strong>in</strong>guaggio alla sua natura orig<strong>in</strong>aria.<br />

Anche <strong>in</strong> questo caso ciò che si volle mettere <strong>in</strong> evidenza fu l'<strong>in</strong>adeguatezza delle categorie conoscitive della<br />

modernità. Solo tramite un l<strong>in</strong>guaggio “altro”, distante da quello semplificato e standardizzato della società<br />

consumistica moderna, un l<strong>in</strong>guaggio che potesse richiamare l’orig<strong>in</strong>arietà dell'espressione e l'<strong>in</strong>canto di fronte<br />

al mondo, solo tramite questo tipo di l<strong>in</strong>guaggio puro, simbolico, il vero significato dell'esistenza poteva essere<br />

svelato.<br />

162 P. Nicholls, La forma e le scritture, Una lettura critica del modernismo, cit. p.13.<br />

57


l<strong>in</strong>guaggio convenzionale e standardizzato della modernità di nuove possibilità espressive. In<br />

molte opere moderniste le espressioni arcaiche, o dialettali, fanno “capol<strong>in</strong>o” nel tessuto della<br />

narrazione proprio a far sentire questa presenza dal “sottofondo”. La narrazione piana e<br />

convenzionale ama spesso ospitare queste irruzioni che rimandano ad un altro tipo di<br />

l<strong>in</strong>guaggio, forme dimenticate di espressione e di visione della vita. Considerando gli autori di<br />

cui questo studio si occupa maggiormente è da sottol<strong>in</strong>eare l’<strong>in</strong>cessante ricerca l<strong>in</strong>guistica di<br />

Pavese il quale partì dal dialetto per arrivare alla forma matura del l<strong>in</strong>guaggio come appare<br />

nei Dialoghi con Leucò, mentre per Lawrence il riferimento ai l<strong>in</strong>guaggi locali fu sempre<br />

prem<strong>in</strong>ente così come dimostra, primo fra tutti, il romanzo Sons and Lo<strong>vers</strong> <strong>in</strong> cui il<br />

personaggio “di terra”, il primitivo Walter Morel, assume una propria connotazione attra<strong>vers</strong>o<br />

l’uso del gergo. A questo riguardo la riflessione di Vico sul l<strong>in</strong>guaggio risulta importante. I<br />

l<strong>in</strong>guaggi primitivi, così come sono descritti da Vico, rappresentano una nuova possibilità per<br />

l’io <strong>in</strong>dividuale modernista. Heidegger, <strong>in</strong> L’orig<strong>in</strong>e dell’opera d’arte (1936), <strong>in</strong>dica <strong>in</strong> Vico<br />

un precursore delle teorie moderne su come il l<strong>in</strong>guaggio racchiuda i segreti dell’essere<br />

proprio nella sua caratteristica di orig<strong>in</strong>arietà. L’arte, essendo un risalire <strong>vers</strong>o l’essere<br />

piuttosto che una conquista o un’edificazione dell’essere medesimo, trova nel l<strong>in</strong>guaggio un<br />

mezzo proprio di ricerca. La teoria di Vico voleva che i primi l<strong>in</strong>guaggi fossero sostenuti da<br />

una stretta connessione tra parola e cosa. I l<strong>in</strong>guaggi primitivi si basavano su una conoscenza<br />

diretta del fenomeno naturale. Tali l<strong>in</strong>guaggi, fondamentalmente metaforici, costituivano<br />

l’espressione di un’umanità con una coscienza poetica differente rispetto ai moderni. Tale<br />

differenza si basava appunto sulla comunione parola-cosa che equivaleva alla comunione<br />

dell’uomo con la sua natura. Per David Lodge l’utilizzo di metafore e metonimie è una<br />

costante <strong>in</strong> tutti gli scrittori modernisti, tanto da dover considerare questo tratto come uno tra i<br />

più specifici dell’<strong>in</strong>tero fenomeno culturale 163 .<br />

Sarebbe difficile sostenere che la predilezione degli scrittori modernisti per l’immag<strong>in</strong>e e per<br />

l’uso di un l<strong>in</strong>guaggio metaforico miri ad un ideale ricongiungimento con lo spirito poetico<br />

delle orig<strong>in</strong>i. Questo atteggiamento sembra più esser proprio degli scrittori romantici che<br />

elaborarono le stesse teorie mitiche <strong>in</strong>serendole <strong>in</strong> altri contesti e dando loro differenti<br />

collocazioni <strong>in</strong>tellettuali. L’utilizzo da parte dei modernisti di un l<strong>in</strong>guaggio che potremmo<br />

<strong>def</strong><strong>in</strong>ire mitico, tende <strong>in</strong>vece a sondare la distanza, a scavare ancor di più il baratro per portare<br />

a consapevolezza la tragedia dell’umanità. E’ una poesia nostalgica che preferisce disperare<br />

piuttosto che stabilire soluzioni ideali (che non siano quelle utopiche di Lawrence).<br />

L’idealismo romantico fu d’altra parte uno dei punti più criticati dai modernisti. Specialmente<br />

Lawrence <strong>in</strong>dicò nell’idealismo un apogeo della razionalità, un <strong>def</strong><strong>in</strong>itivo s<strong>in</strong>tomo della<br />

decadenza dell’epoca moderna:<br />

La prima cosa <strong>in</strong> assoluto da riconoscere è il pericolo dell’idealismo. E’ il peccato ricorrente della razza umana.<br />

Significa cadere nell’automatismo, nel meccanismo e nella nullità.[…] Adesso non accetto più nessuna<br />

plausibilità ideale.[…] Alla lunga, per conto mio, so che la vita, solo la vita, è la chiave dell’uni<strong>vers</strong>o. E che<br />

l’<strong>in</strong>dividuo vivente è la chiave della vita. Che è sempre così, e che sarà sempre così.[…] Dobbiamo vivere di<br />

vita, non di macch<strong>in</strong>e e di ideali 164 .<br />

Idealismo come ultimo stadio della razionalità. Irrazionalità come rivendicazione propria di<br />

un pensiero considerato decadente proprio per un gusto del rifiuto e della ricerca di modelli<br />

alternativi. I modernisti si pongono <strong>in</strong> un’altra dimensione rispetto al mondo cosiddetto reale.<br />

La loro arte agisce <strong>in</strong> una dimensione nuova, parallela a quella dell’arte ufficiale, l’arte<br />

vittoriana <strong>in</strong> Inghilterra o l’arte fascista <strong>in</strong> Italia. La ricerca di un tempo <strong>in</strong>dividuale, <strong>in</strong>teriore,<br />

che non sia assoggettato alle regole ideali della modernità, è parte <strong>in</strong>tegrante di questa ricerca.<br />

163 David Lodge, The language of modernist fiction: Metaphor and Metonimy, contenuto <strong>in</strong> Modernism, a guide<br />

to European Literature 1890-1930, Edited by M.Broadbury and J. McFarlane, Pengu<strong>in</strong> Books, 1991.<br />

164 D. H. Lawrence, Fantasia dell’<strong>in</strong>conscio, cit. pp. 108, 124-25.<br />

58


Per la Borsò, questo processo, che porterà alla rivendicazione di un tempo personale<br />

autonomo, affonda le sue radici nelle espressioni artistiche della premodernità: “L’arte<br />

diventa una natura secondaria che porta <strong>in</strong> sé, accanto alla analogia, anche la cicatrice<br />

dell’alterità e della differenza. Non potrà più ignorare – come faceva l’arte premoderna – il<br />

momento fenomenologico della mediazione temporale” 165 . Il primo scrittore, che cercò nella<br />

mediazione tra il tempo classico dell’imitazione del mondo esterno e quello moderno<br />

dell’<strong>in</strong>dividualità che esprime se stessa, fu Goethe. La ricerca dell’oggettivizzazione di questa<br />

mediazione doveva lasciar libero corso al concepimento di una determ<strong>in</strong>ata ed adeguata<br />

simbologia al pr<strong>in</strong>cipio della modernità. Citando le Romische Elegien, la Borsò nota come,<br />

per Goethe “l’idillio dell’istante sensibile è marcato dalla distanza dell’osservatore e dal<br />

sentimento della perdita” 166 . Il divorzio fra il tempo oggettivo della classicità e quello<br />

personale della modernità registra, <strong>in</strong> questa fase storica, il suo atto di nascita. Si tratterà per i<br />

successori di Goethe di approfondire questa distanza, di ripensare il proprio essere <strong>in</strong><br />

relazione ad una natura che si è fatta improvvisamente lontana:<br />

La velocità del cambio porta ad una rottura totale con la natura. Per l’occhio irritabile di Baudelaire, la distanza<br />

dalla natura fa vedere i segni dell’alienazione e dell’alterità, marcata nell’arrangiamento artificiale che, nella<br />

città, tiene assieme i residui del mondo naturale. L’alterità del soggetto entra a far parte del l<strong>in</strong>guaggio.[…] Il<br />

dramma della temporalità nella solitud<strong>in</strong>e esistenziale del soggetto del primo Novecento diventa un gioco<br />

pericoloso […] 167 .<br />

Il motivo del tempo <strong>in</strong>dividuale diviene un importante elemento di riflessione. La concezione<br />

del tempo, che si arricchisce nel corso dell’Ottocento delle riflessioni del filosofo francese<br />

Bergson, si legò direttamente all’estetica del romanzo. La frattura nella catena spaziale è<br />

evidente nei romanzi modernisti tanto da <strong>in</strong>fluenzarne la struttura. Marziano Guglielm<strong>in</strong>etti<br />

<strong>in</strong>dividua nel 1889 (anno dell’uscita degli Essai sur les donnés immediates de la coscience di<br />

Bergson) un anno di grande importanza per le sorti del romanzo europeo. La nuova<br />

concezione del tempo modernista entrò, con questo testo, ufficialmente nell’estetica del<br />

romanzo. Il filosofo francese proclama come la stagione del romanzo naturalista sia morta:<br />

La struttura del romanzo postnaturalistico, al pari della sua s<strong>in</strong>tassi, dovrà portare ben visibili i segni di questa<br />

comprensione <strong>in</strong>completa della realtà, <strong>in</strong> modo da non <strong>in</strong>gannare mai il lettore sul valore assoluto dell’oggetto che<br />

deve riprodurre e comunicare. Bergson ritiene possibile che il romanzo futuro abbia una funzione demistificatrice<br />

radicale <strong>in</strong> grado di fare <strong>in</strong>tuire al lettore il velo <strong>in</strong>terposto dalle parole fra lui e la sua coscienza 168 .<br />

Le nuove teorie relative al tempo acuiscono la frattura fra l’uomo e il suo mondo e fra l’uomo<br />

e la sua coscienza. La nuova visione del tempo <strong>in</strong>dividuale e dell’istante, così come appare<br />

nella filosofia di Bergson e nei testi degli scrittori modernisti, fu un altro tassello nella<br />

barriera che divise l’io moderno dal mondo circostante. Ma se il tempo si costituisce di attimi<br />

separati, il cui senso viene riconosciuto e designato nel tempo empirico, il lavoro dello<br />

scrittore diviene proprio quello di fornire la successione degli attimi di un nuovo senso, un<br />

senso alternativo, che solo nel tempo mitico può trovare riscontro. Un appunto di Cesare<br />

Pavese relativo alla lettura di Bergson è illum<strong>in</strong>ante a questo proposito:<br />

165<br />

V. Borsò, Temporalità e alterità. Il nuovo rapporto tra uomo e natura nella poesia moderna,cit. p. 10.<br />

166<br />

Ibidem.<br />

167<br />

Ivi, p. 10 – 11.<br />

168<br />

Marziano Guglielm<strong>in</strong>etti, Struttura e s<strong>in</strong>tassi, Silva Editore, Parma, 1964, p. 13.<br />

59


Se la società non può realizzare l’assoluto, <strong>in</strong> quanto un suo <strong>in</strong>dividuo può sempre recalcitrare, nemmeno<br />

l’<strong>in</strong>dividuo lo può nel tempo, poiché, raggiunto l’assoluto <strong>in</strong> un suo momento, un istante dopo può decadere.[…]<br />

e <strong>in</strong>somma nega che una vita, colta nella successione meccanica dei suoi istanti, anche più coscienti, possa<br />

configurarsi a costruzione metafisica. Infatti, la successione meccanica dei pensieri cade nello schema –<br />

riconosciuto empirico – del tempo. Perché un’esperienza abbia un valore metafisico deve sfuggire al tempo:<br />

Nella vita pratica ciò pare che accada soltanto nell’attimo isolato – evasione dal tempo -. La – sostituzione del tempo assoluto al tempo empirico – riesce più affasc<strong>in</strong>ante del ,<br />

perché questo si realizza solo <strong>in</strong> attimi e quella <strong>in</strong> costruzioni che, benché valgano come un solo attimo assoluto,<br />

si distendono però gradevolmente e abbracciano a volte lunghi lassi empirici. L’unità dell’opera consisterà<br />

dunque nell’appartenenza di tutti i suoi momenti a uno stesso periodo assoluto o metafisico che si dica 169 .<br />

Questa riflessione di Pavese, se da una parte testimonia l’attenzione che lo scrittore pose nei<br />

confronti delle tematiche temporali e la sua visione personale della questione, dall’altra è<br />

<strong>in</strong>dice di quello che fu l’atteggiamento complessivo degli <strong>in</strong>tellettuali modernisti nei confronti<br />

di quest’argomento. In questo senso sia Nietzsche che Bergson, i due filosofi <strong>in</strong>dicati come i<br />

maggiori teorici del campo, si rifacevano a categorie classiche per esprimere un rifiuto, o<br />

perlomeno <strong>in</strong>dicare la decadenza, dei modelli della civiltà contemporanea. In questo recupero<br />

del sepolto, Nietzsche e Bergson potevano trovare una similarità di vedute: “What Nietzsche,<br />

for <strong>in</strong>stance admired <strong>in</strong> the pre-socratic Greek culture was the very fusion of the Dionysian<br />

and Apoll<strong>in</strong>ian elements, that is, a bilance between free-flow<strong>in</strong>g energy and rational restra<strong>in</strong>t.<br />

And Bergson’s <strong>in</strong>tuition was similarly the product of a collaboration between <strong>in</strong>tellect and<br />

<strong>in</strong>st<strong>in</strong>ct” 170 . La necessità di <strong>def</strong><strong>in</strong>ire l’attimo, per poi metterlo <strong>in</strong> relazione al tempo esteriore,<br />

assoluto ed empirico, e l’esigenza di applicare immediatamente le riflessioni filosofiche alla<br />

teoria della composizione, sono da considerarsi le due priorità degli <strong>in</strong>tellettuali modernisti <strong>in</strong><br />

questo contesto.<br />

Con il modernismo letterario la rappresentazione artistica supera la fase mimetica. L’arte si<br />

dissocia dalla realtà sensibile e si mette <strong>in</strong> competizione con essa stabilendo un modello<br />

alternativo, nuovo ed antico allo stesso momento. L’unità di un’opera letteraria consiste<br />

nell’appartenenza di ogni sua parte ad un senso complessivo che non va ricercato tanto nella<br />

realtà esterna all’opera quanto <strong>in</strong> quella che l’autore decide arbitrariamente di creare. La realtà<br />

che l’autore ri-crea è, per i modernisti, quella del mito che si pone a confronto con il tempo<br />

storico esterno all’opera. Nell’ambito di una produzione letteraria spesso frammentaria, i<br />

modernisti riconoscono il valore dei frammenti, come espressione somma del tempo<br />

<strong>in</strong>dividuale, ma, al contempo, cercano di amalgamare questi frammenti all’<strong>in</strong>terno di una<br />

r<strong>in</strong>venuta unità mitica. Ogni parte dell’opera deve necessariamente appartenere al tutto, ogni<br />

frammento è parte di una costruzione perfettamente dotata di senso. All’<strong>in</strong>terno di questa<br />

riflessione i modernisti sottol<strong>in</strong>eano come l’espressione del tempo <strong>in</strong>dividuale, l’espressione<br />

letteraria del riconoscimento e dell’isolamento dell’attimo, che si configura nella<br />

composizione del frammento, sia una rappresentazione del tempo assoluto e ne conservi il<br />

medesimo senso. Ogni frammento, di cui si costituisce l’opera, rappresenta dunque un tassello<br />

del grande mosaico ma, al contempo, è dotato di senso autonomo. L’identità dell’opera deve<br />

poter essere riscontrata <strong>in</strong> ogni passaggio. In questa maniera i modernisti potevano dotare di<br />

senso sia il tempo assoluto <strong>in</strong>dividuale sia il tempo assoluto mitico <strong>in</strong> un gioco di proiezioni<br />

<strong>in</strong>cessanti <strong>in</strong> cui il particolare era simbolo ed immag<strong>in</strong>e dell’uni<strong>vers</strong>ale e vice<strong>vers</strong>a. Il già<br />

citato passo del Mestiere di Vivere mette <strong>in</strong> evidenza quest’aspetto della poetica modernista:<br />

“L’unità dell’opera consisterà dunque nell’appartenenza di tutti i suoi momenti a uno stesso<br />

periodo assoluto o metafisico che si dica”. L’<strong>in</strong>teresse sull’unità dell’opera si fa<br />

particolarmente importante nel momento <strong>in</strong> cui l’opera letteraria, non rispettando più le regole<br />

della mimesi e non rispettando più l’unità di senso che il mondo esterno può offrire, deve<br />

poter elaborare un senso <strong>in</strong>terno, artificiale (Pavese non a caso parla della “falsità della<br />

169 C. Pavese, Il Mestiere di Vivere, 24 Febbraio 1940, cit. p. 177.<br />

170 P. Fjagesund, The Apocaliptic World of D. H. Lawrence, cit. p. 73.<br />

60


poesia” che si <strong>in</strong>carica di disegnare un tempo assoluto per l’opera), che si metta <strong>in</strong><br />

competizione con il senso che il mondo stabilisce. Quello dell’unità fra tempo <strong>in</strong>dividuale e<br />

tempo assoluto si configura come problema card<strong>in</strong>e della riflessione modernista. L’abilità<br />

dell’artista sembra dunque essere quella di saper ricreare quest’unità che il mondo non<br />

concede più, di poterla rendere evidente per mezzo di una poesia frammentaria.<br />

Nella descrizione dei tratti peculiari di cui il modernismo anglo-americano si faceva portatore,<br />

Nicholls riconosce nella centralità delle problematiche relative alla temporalità un argomento<br />

centrale di tutto il movimento. Le tematiche relative al tempo <strong>in</strong>dividuale e uni<strong>vers</strong>ale e a<br />

quell’eterno presente, di cui anche Pavese era alla ricerca, divengono caratteristiche proprie di<br />

un modernismo anglosassone che si <strong>def</strong><strong>in</strong>isce anche attra<strong>vers</strong>o il contrasto con quelle che<br />

erano le posizioni “moderniste” di opposta matrice, come, nel caso dell’Italia, il futurismo<br />

mar<strong>in</strong>ettiano:<br />

In contrasto con il Futurismo e i suoi derivati, questo modernismo si propose di correggere l’apparente amnesia<br />

delle tendenze della modernità, ricollegando quest’ultima a una stimata tradizione culturale. Per il modernismo<br />

angloamericano, la concezione avanguardistica di rottura tra passato e presente fu soppiantata da un’attenzione<br />

per le figure dell’anacronia e dello scarto temporale che riportarono all’ord<strong>in</strong>e del giorno le questioni della<br />

narrazione. Questa <strong>vers</strong>ione del modernismo ascrisse le fantasie di un presente assoluto alla tradizione<br />

romantico-decadente, abbagliata dalle idee di orig<strong>in</strong>alità e spontaneità 171 .<br />

Le tematiche della temporalità affondano dunque le loro radici <strong>in</strong> epoca romantica per essere<br />

poi riprese e sviluppate dagli scrittori modernisti. Pavese, <strong>in</strong> questo contesto, sembrò essere<br />

affasc<strong>in</strong>ato soprattutto da Conrad. Joseph Conrad constatò come l’abilità dell’artista moderno<br />

sia proprio quella di poter tenere assieme la sua opera, di legare i frammenti <strong>in</strong> un’unità<br />

<strong>in</strong>dissolubile: “A work of art that aspires, however humbly, to the condition of art should<br />

carry it’s justification <strong>in</strong> every l<strong>in</strong>e” 172 . E’ un’unità che si ottiene al di fuori della logica del<br />

mondo. L’appello di Conrad è alle facoltà irrazionali dell’uomo viste, ancora una volta, come<br />

facoltà generative. Generative di un nuovo ord<strong>in</strong>e che sembra ancora co<strong>in</strong>cidere con quello<br />

del mito e che non sembra poter trovare altra espressione che nella tragedia di cui vengono<br />

riportate, nella prefazione a The Nigger of the Narcissus, le fondamentali categorie tragiche di<br />

“wonder and pity”: “[…] the artist appeals to that part of our be<strong>in</strong>g which is not dependent on<br />

wisdom; to that <strong>in</strong> us which is a gift and not an acquisition – and, therefore, more permanently<br />

endur<strong>in</strong>g. He speaks to our capacity for delight and wonder, to the sense of mistery<br />

surround<strong>in</strong>g our lives […] to the latent feel<strong>in</strong>g of fellowship with all creation” 173 . Nella stessa<br />

prefazione Conrad discute il problema del tempo parlando dell’unità m<strong>in</strong>ima dell’opera<br />

letteraria come di un “rescued moment” 174 , un momento salvato dalla valanga del tempo e<br />

posto come nucleo vitale dell’opera: “to snatch <strong>in</strong> a moment of courage, from the remorsless<br />

rush of time, a pass<strong>in</strong>g phase of life, is only the beg<strong>in</strong>n<strong>in</strong>g of the task” 175 . Il momento salvato<br />

detiene, nella sua assolutezza, l’<strong>in</strong>tera rappresentazione del mistero che si vuole esprimere.<br />

L’isolamento e l’apertura di questo momento sono alla base della scrittura: “(the rescued<br />

moment) discloses its <strong>in</strong>spir<strong>in</strong>g secret: the stress and passion with<strong>in</strong> the core of each<br />

conv<strong>in</strong>c<strong>in</strong>g moment” 176 . Se l’opera d’arte nasce dal salvataggio di questo momento, l’<strong>in</strong>tera<br />

composizione dipenderà dall’estensione di questo tempo <strong>in</strong>dividuale a un tempo assoluto che,<br />

nelle pag<strong>in</strong>e di Conrad sembra configurarsi come tempo mitico: “[…] the presented vision of<br />

regret or pity, of terror or mirth, shall awaken <strong>in</strong> the hearts of the beholders that feel<strong>in</strong>g of<br />

171 P. Nicholls, La forma e le scritture, una lettura critica del modernismo, cit. p. 237-38.<br />

172 Joseph Conrad, Preface to The Nigger of Narcissus (1897), contenuto <strong>in</strong> Modernism, an anthology of sources<br />

and documents, edited by V. Kolocotrami, J.Goldman, O. Toxidov, Edimburgh, Uni<strong>vers</strong>ity Press, 1998, p. 131.<br />

173 Ivi, p. 132.<br />

174 Ivi, p. 133.<br />

175 Ibidem.<br />

176 Ibidem.<br />

61


unavoidable solidarity; of the solidarity <strong>in</strong> misterious orig<strong>in</strong>, <strong>in</strong> toil, <strong>in</strong> joy, <strong>in</strong> hope, <strong>in</strong><br />

uncerta<strong>in</strong> fate, which b<strong>in</strong>ds men to each other and all mank<strong>in</strong>d to the visibile world” 177 .<br />

L’<strong>in</strong>tento di Conrad sembra quello di poter mettere <strong>in</strong> relazione il momento salvato con il<br />

tempo assoluto tramite il ricorso al mito. In questa nuova corrispondenza tra tempo <strong>in</strong>teriore e<br />

tempo esteriore, non più quello artificiale del mondo ma quello orig<strong>in</strong>ario della natura, si cela<br />

il segreto della composizione artistica. Il ricorso al mito offre la possibilità di scandagliare un<br />

tempo orig<strong>in</strong>ario, naturale, offre la possibilità di ripensare le misteriosi orig<strong>in</strong>i dell’uomo. E’<br />

la via che porta alla composizione della tragedia, vero modello estetico per la composizione<br />

narrativa modernista. Conrad si pone al centro del flusso temporale, nel mezzo della corsa<br />

impazzita del tempo moderno, per isolarne un frammento, per salvarne una particella. Tale<br />

salvataggio può avvenire solo contrastando il flusso, solo fermandosi nella contemplazione<br />

del vortice che attanaglia l’uomo allo scopo di estrarne una s<strong>in</strong>gola m<strong>in</strong>ima unità. In quel<br />

frammento, m<strong>in</strong>uscolo, sottratto al flusso del tempo moderno, si nasconde tutta la verità della<br />

vita che appare essere eterna ed obliata:<br />

To arrest, for the space of a breath, the hands busy about the work of the heart, and compel men entranced by the<br />

sight of distant goals to glance for a moment at the surround<strong>in</strong>g vision of form and color, of sunsh<strong>in</strong>e and<br />

shadows; to make them pause for a look, for a sight, for a smile – such is the aim, difficult and evanescent, and<br />

reserved only for a few to achieve. But sometimes, by the deserv<strong>in</strong>g and the fortunate, even the task is<br />

accomplished. And when it is accomplished – behold- all the truth of life is there: a moment of vision, a sigh, a<br />

smile – and the return to an eternal past 178 .<br />

La riflessione modernista sul tempo <strong>in</strong>dividuale prosegue per tutta la durata del movimento.<br />

Nella prefazione a New Poems, del 1920, Lawrence vi dedica ancora gran parte della sua<br />

riflessione. La ricerca dell’attimo e la conquista di un puro presente sono i traguardi che lo<br />

scrittore si prefigge. La pr<strong>in</strong>cipale fonte di Lawrence è, per questa riflessione Whitman che,<br />

tramite il ricorso al <strong>vers</strong>o libero, riesce ad emancipare l’istante dal flusso <strong>in</strong><strong>in</strong>terrotto del<br />

tempo:<br />

Such is the rare new poetry. One realm we have never conquered: the pure present. One great mistery of time is<br />

< terra <strong>in</strong>cognita > to us: the istant. The most superb mistery we have hardly recognised: the immediate, istant<br />

self. The quick of all time is the istant.. The quick of all the uni<strong>vers</strong>e, of all creation, is the <strong>in</strong>carnate, carnal self.<br />

Poetry gave us the clue: free <strong>vers</strong>e: Whitman. Now we know 179 .<br />

Come si può constatare, la <strong>def</strong><strong>in</strong>izione del tempo <strong>in</strong>dividuale, costituito di attimi, è centrale<br />

nella riflessione degli scrittori modernisti così come centrale è la necessità di associare il<br />

tempo <strong>in</strong>dividuale a quello uni<strong>vers</strong>ale, costituito di secoli e di epoche.<br />

In Letteratura Americana e altri saggi, Cesare Pavese sottol<strong>in</strong>ea l’ambiguità temporale della<br />

scrittura di Conrad, apprezzandone la composizione e utilizzando per il suo saggio critico una<br />

term<strong>in</strong>ologia familiare alla sua stessa teoria compositiva. Pavese riconosce a Conrad la<br />

capacità di andare oltre la “materialità” della “cosa vista”, per <strong>in</strong>serire le sue immag<strong>in</strong>i <strong>in</strong> “una<br />

monotona ma sempre magica atmosfera presente”: “la presenza di questo altrove, di questa<br />

memoria, che ci pare <strong>in</strong> sostanza muo<strong>vers</strong>i nella cerchia <strong>in</strong>cantata di un simbolo, di un<br />

mito” 180 . La riflessione di Cesare Pavese riguardo il tempo impegna tutta la sua attività di<br />

scrittore trovando spazio sia negli scritti teorici sia nella produzione narrativa. La riflessione<br />

177 Ibidem.<br />

178 Ivi, p. 134.<br />

179 D. H. Lawrence, New Poems (1920), contenuto <strong>in</strong> The English modernist reader 1910 – 1930, edited by Peter<br />

Faulkner, Ioawa City, Uni<strong>vers</strong>ity of Ioawa Press, 1986, p. 133.<br />

180 C. Pavese, Letteratura Americana e altri saggi, cit. p. 208.<br />

62


elativa al tempo <strong>in</strong>dividuale si struttura sul concetto di attimo estatico. La <strong>def</strong><strong>in</strong>izione più<br />

propria dell’attimo estatico viene cercata con assiduità da Pavese. Anche <strong>in</strong> questo caso, come<br />

nel caso dei modernisti <strong>in</strong>glesi, una precisa <strong>def</strong><strong>in</strong>izione del segmento m<strong>in</strong>imo della<br />

temporalità, l’attimo, è strettamente correlato alla <strong>def</strong><strong>in</strong>izione dei macrosegmenti temporali, la<br />

storia e il mito. Come gli scrittori modernisti <strong>in</strong>glesi, Pavese lesse Bergson e Nietzsche ma un<br />

particolare <strong>in</strong>flusso su di lui ebbe la scuola di Heidegger e Jaspers che trovò espressione e<br />

riformulazione <strong>in</strong> Italia negli scritti di Cesare Lupor<strong>in</strong>i. L’attenzione che Cesare Pavese<br />

dedicò alla categoria del tempo è testimoniata attra<strong>vers</strong>o tutta la sua produzione. Riflessioni<br />

esplicite sul tempo sono frequentissime nel Mestiere di Vivere, attra<strong>vers</strong>o il quale si può<br />

ricavare una cronologia dell’evoluzione del pensiero di Pavese, mentre nei saggi contenuti <strong>in</strong><br />

Feria d’Agosto le considerazioni si fanno più elaborate e precise. Il tempo diviene dunque un<br />

elemento fondamentale dell’<strong>in</strong>tero percorso epistemologico di Pavese così come una<br />

consistente parte della critica ha rilevato. Tra le considerazioni più pregnanti al tipo di<br />

<strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e <strong>in</strong> corso quella di Gian Luigi Beccaria che analizza la questione mettendo <strong>in</strong><br />

relazione la concezione del tempo con i problemi relativi alla composizione e allo stile:<br />

La narrazione non è <strong>in</strong>treccio, ma segmenti come autonomi di narrazione. Pavese […] ci viene anzi <strong>in</strong>contro oggi<br />

con una dimensione del classico che ha trasceso l’immediato, il realismo narrativo, la verità storica del coevo.<br />

L’astoricità, del resto, è quanto <strong>in</strong> genere si imputa allo scrittore classico […] il classico […] è l’<strong>in</strong>capace di<br />

vivere l’attimo, la storia: sente il presente più distante del passato, come lacerazione apocalittica, pal<strong>in</strong>genesi, o<br />

come stasi, non come una fase di sviluppo […] su questo punto Pavese ha speso molto <strong>in</strong>chiostro nel Diario:<br />

sull’<strong>in</strong>capacità non solo di vivere il presente, ma di non volerlo vivere, per eseguire l’opera classica […]. Tra se<br />

e il passato vuol restaurare l’unità e l’immobilità della storia e delle lettere […] la convenzione classica […] ha<br />

costituito una sorta di pedale profondo, stabilendo il fondamento e lo stacco di distanza dal coevo, dall’effimero,<br />

dall’immediato.[…] vuole conservare il distacco contemplativo e formale, il gusto delle strutture<br />

<strong>in</strong>tellettualistiche, il mondo stilisticamente chiuso e <strong>in</strong> <strong>def</strong><strong>in</strong>itiva simbolico. Come a dire che soltanto ciò che è<br />

fondato (<strong>in</strong> una fissazione lapidaria delle strutture, <strong>in</strong> forme astratte, immobili e tendenti all’<strong>in</strong>corruttibile e si<br />

sostanzia di passato mitico, di lontana stabilità del simbolo) può avere un futuro. Il passato non è sepolto ma<br />

fondazione sotterranea 181 .<br />

L’importanza della riflessione <strong>in</strong>torno al tempo si svela essere basilare dell’<strong>in</strong>tera concezione<br />

poetica di Pavese ed un passo epistemologico fondamentale nella composizione dell’unità<br />

dell’opera d’arte. La <strong>def</strong><strong>in</strong>izione del tempo <strong>in</strong>dividuale diviene importante nel momento <strong>in</strong> cui<br />

<strong>in</strong>veste direttamente il campo della teoria della composizione di Pavese. Tutta la riflessione<br />

sul tempo <strong>in</strong>dividuale dello scrittore risentirà di questo <strong>in</strong>tento: svelare la relazione tra il<br />

tempo <strong>in</strong>teriore e quello dell’opera narrativa. Il punto di partenza della riflessione è proprio<br />

l’unità m<strong>in</strong>ima del tempo: l’attimo. Questo elemento m<strong>in</strong>imale viene subito posto <strong>in</strong> relazione<br />

all’elemento m<strong>in</strong>imo della narrazione: il frammento. La ricerca f<strong>in</strong>zionale e quella esistenziale<br />

sul tempo sembrano legarsi f<strong>in</strong> da pr<strong>in</strong>cipio della riflessione teorica di Pavese. Già dalle prime<br />

pag<strong>in</strong>e del Mestiere di Vivere si avverte l’attenzione dello scrittore per quest’argomento<br />

ritenuto fondamentale per la sua scrittura. Quello dell’unità dell’opera è un problema che<br />

Pavese affronta f<strong>in</strong> dall’<strong>in</strong>izio della sua carriera di scrittore così come testimonia un appunto<br />

datato 16 Novembre 1935: “Il problema estetico, mio e dei miei tempi, più urgente è<br />

senz’altro quello dell’unità di un’opera di poesia” 182 . La risoluzione di questo problema passa<br />

necessariamente attra<strong>vers</strong>o la soluzione preventiva della <strong>def</strong><strong>in</strong>izione del m<strong>in</strong>imo segmento<br />

temporale di cui è composta la narrazione. La stessa opera di f<strong>in</strong>zione si compone di questi<br />

attimi sottratti al flusso del tempo empirico. Sono gli attimi che verranno poi a ricomporre il<br />

tempo assoluto del mito. L’attimo estatico, il simbolo, diviene “quel momento velato <strong>in</strong><br />

favolosa <strong>in</strong> temporalità, quando ricevemmo l’impronta che doveva dom<strong>in</strong>are il nostro<br />

181 Gian Luigi Beccaria, Le forme della lontananza, Garzanti, Milano, 1989, p. 93.<br />

182 C. Pavese, Il Mestiere di Vivere, 16 Novembre 1935, cit. p. 18.<br />

63


avvenire secondo i modi appunto del mito” 183 . Lo sforzo dell’artista è dunque quello di creare<br />

un’opera che rappresenti l’unità di tutti gli attimi sottratti al flusso del tempo tramite l’estasi<br />

della contemplazione: “La poesia nasce non dall’our life’s work, dalla normalità delle nostre<br />

occupazioni, ma dagli istanti <strong>in</strong> cui leviamo il capo e scopriamo con stupore la vita. (Anche la<br />

normalità diventa poesia quando si fa contemplazione, cioè cessa di essere normalità e diventa<br />

prodigio)” 184 . Dall’unione dei vari attimi, secondo uno schema adeguato e sensato, si ottiene,<br />

dunque, l’unità dell’opera:<br />

[…] l’unità del poema non consiste nelle scene-madri, ma nella sottile corrispondenza di tutti gli attimi creativi.<br />

Vale a dire, l’unità non deve tanto alla costruzione grandiosa, all’ossatura identificabile della trama quanto<br />

all’abilità scherzosa dei piccoli contatti, delle riprese m<strong>in</strong>ute e quasi illusorie, alla trama dei ritorni <strong>in</strong>sistenti<br />

sotto ogni di<strong>vers</strong>ità 185 .<br />

Come si può constatare, la connessione tra concezione del tempo cosmico e concezione del<br />

tempo storico è un punto fermo della poetica di Pavese. La ricerca di questa connessione<br />

occupa, negli anni a venir, buona parte della sua riflessione:<br />

E’ un sofisma ricordare che i secoli letterari sono <strong>in</strong>esistenti nella storiografia concreta: un secolo è un ente<br />

empirico, astratto, ma un <strong>in</strong>dividuo/una vita è qualcosa di più. Certamente, qualcosa di più <strong>in</strong> quanto <strong>in</strong>tende<br />

esserlo e costruirsi; ma di per sé, <strong>in</strong> successione meccanica di giorni, <strong>in</strong> quanto s’<strong>in</strong>daga après coup, ha dunque<br />

un’unità§costruzione implicita? Quella che tu chiami unità metafisica? In<strong>vers</strong>amente. Un’opera s<strong>in</strong>gola,<br />

costruita, vien forse fatta <strong>in</strong> altro modo che saldando après coup – magari prima della stesura, ben<strong>in</strong>teso – i<br />

di<strong>vers</strong>i pezzi? 186<br />

La risoluzione della dicotomia fra tempo assoluto e tempo empirico avviene dopo pochi<br />

giorni, il 24 Febbraio 1940, e nega la possibilità al tempo empirico di configurarsi, al<br />

contempo, come tempo assoluto. Lo scarto fra il tempo <strong>in</strong>dividuale e il tempo empirico è<br />

<strong>in</strong>colmabile. La composizione dell’opera d’arte, che si basa su categorie spazio-temporali,<br />

rifiuta ciò che il mondo mette, empiricamente, a disposizione dello scrittore. La frattura tra il<br />

poeta e il mondo è di nuovo alla ribalta nel momento <strong>in</strong> cui si vede consumata la frattura tra<br />

mondo e natura. La categoria del tempo empirico viene riconosciuta come falsa ed arbitraria.<br />

La categoria del tempo <strong>in</strong>dividuale rappresenta la liberazione dalla tirannia del tempo<br />

empirico. La riflessione <strong>in</strong>torno alla categoria del tempo abbraccia, nelle pag<strong>in</strong>e di Pavese,<br />

anche il campo morale e dimostra come l’autore sentisse le regole di composizione che stava<br />

discutendo come vere e proprie regole di vita. La ricerca delle leggi della vita <strong>in</strong>veste ogni<br />

campo della speculazione dello scrittore che tenterà di dare un senso unitario e compiuto a<br />

tutta la sua produzione:<br />

Ideale morale è una nozione collettiva. L’<strong>in</strong>dividuo non ha ideale morale, perché nella sua assolutezza (eterno<br />

presente) non si adegua a una norma ma è. (Bergson, Les deux sources ecc.). Se la società non può realizzare<br />

l’assoluto, <strong>in</strong> quanto un <strong>in</strong>dividuo può sempre recalcitrare, nemmeno l’<strong>in</strong>dividuo lo può nel tempo, perché,<br />

raggiunto l’assoluto <strong>in</strong> un suo momento, un istante dopo può decadere. Ciò riprende il pr. del 22 febb. ’40, e<br />

<strong>in</strong>somma nega che una vita, colta nella successione meccanica dei suoi istanti, anche i più coscienti, possa<br />

configurarsi a costruzione metafisica. Infatti, la successione meccanica dei pensieri cade nello schema –<br />

riconosciuto empirico – del tempo. Perché un’esperienza abbia valore metafisico deve sfuggire al tempo. Nella<br />

vita pratica ciò appare che accada soltanto nell’attimo isolato – evasione dal tempo -. La “falsità della poesia” -<br />

183 C. Pavese, Stato di Grazia, cit. p. 147.<br />

184 C. Pavese, Il Mestiere di Vivere, 16 Aprile 1940, cit. p. 184.<br />

185 Ivi, 28 Febbraio 1936, p. 29<br />

186 Ivi, 22 Febbraio 1940, pp. 175-176.<br />

64


sostituzione del tempo assoluto al tempo empirico – riesce più affasc<strong>in</strong>ante del “regno dei cieli” perché questo si<br />

realizza solo <strong>in</strong> attimi e quella <strong>in</strong> costruzioni che, benché valgano come un solo attimo assoluto, si distendono<br />

però gradevolmente e abbracciano a volte lunghi lassi empirici. || L’unità di un’opera consisterà dunque<br />

nell’appartenenza di tutti i suoi momenti a uno stesso periodo assoluto o metafisico che si dica. Di qui la<br />

difficoltà di determ<strong>in</strong>arla fuori dello sviluppo determ<strong>in</strong>istico dei suoi casi e fenomeni, per noi che siamo avvezzi<br />

a sperimentare la vita sempre secondo lo schema del tempo empirico e a conoscere – praticamente – quello<br />

assolutoselo come negazione del tempo empirico, negli atti morali. (Di qui <strong>in</strong>tanto il carattere <strong>in</strong>dividuale<br />

dell’opera d’arte, come dell’atto morale: esperienze per loro natura non§collettive perché assolute). E’ facile<br />

creare un’opera d’arte “istantanea” ( il “frammento”), come è relativamente facile vivere | un attimo di moralità,<br />

ma creare un’opera che superi l’attimo è difficile […] 187 .<br />

In una successiva nota, Pavese ammetterà come esista l’effettiva possibilità che un’opera si<br />

saldi <strong>in</strong> un senso f<strong>in</strong>ale riprendendo il concetto platonico dell’anima del mondo. Ciò che<br />

rimane è che Pavese <strong>in</strong> queste pag<strong>in</strong>e cerchi di comporre una propria poetica attra<strong>vers</strong>o il<br />

ripensamento della categoria temporale mettendo <strong>in</strong> opposizione il suo metodo di fare poesia<br />

assoluta con il metodo, comunque plausibile, della poesia empirica. Il dubbio sorto <strong>in</strong>torno a<br />

questa meditazione si risolverà il 25 Marzo successivo quando l’ord<strong>in</strong>e empirico dei fatti è<br />

messo <strong>in</strong> contrasto-equilibrio con l’ord<strong>in</strong>e <strong>in</strong>teriore assoluto che è descritto nei term<strong>in</strong>i di una<br />

memoria:<br />

L’equilibrio vivente di un’opera nasce dal contrasto fra la logica naturalistica dei fatti che si svolgono sotto la<br />

penna, e la nozione presupposta, e ricordata, di una logica <strong>in</strong>teriore che dom<strong>in</strong>a come una meta. La prima si<br />

dibatte nelle strettoie della seconda, e vi si carica di sensi simbolici, o stilistici che si dica. Quanto più lontani i<br />

due modi d’essere, tanto più appassionante e vivace la stesura dell’opera 188 .<br />

L’<strong>in</strong>teresse di questa tormentata riflessione sull’unità dell’opera <strong>in</strong> relazione al mito<br />

testimonia la profonda attenzione che Pavese dedicò ad un argomento che, come dimostra il<br />

passaggio riportato, chiamava direttamente <strong>in</strong> causa i modi d’essere dello scrittore. In questo<br />

modo il fulcro dell’opera si basa su un assoluto che riguarda direttamente l’essere. La<br />

cosiddetta azione della narrazione, <strong>in</strong>somma, non si basa più sull’agire dei personaggi ma sul<br />

loro essere. Nel solito parallelo fra arte e vita, Pavese così spiega questo concetto: “Forse si<br />

deve piuttosto dire: nell’ambito complessivo della vita il primato <strong>def</strong><strong>in</strong>. deve averlo non<br />

l’agire, ma l’essere.[…] Non nel tempo, ma nell’eternità, nell’eterno presente stanno le radici<br />

e si trova il compimento di ogni cosa” 189 . Il ruolo della narrazione è quello appunto di creare<br />

questo assoluto che si metta <strong>in</strong> contrapposizione al tempo empirico, che ne sveli <strong>in</strong>somma la<br />

falsità. La costruzione dell’opera d’arte ha questo senso: l’uomo non può creare un assoluto<br />

nella propria vita ma può creare un corrispettivo f<strong>in</strong>zionale della tensione <strong>vers</strong>o un’unità<br />

costantemente contraddetta:<br />

Uno dei meno osservati gusti umani è quello di prepararsi degli eventi a scadenza, di organizzarsi un gruppo di<br />

accadimenti che abbiano una costruzione, una logica, un pr<strong>in</strong>cipio e una f<strong>in</strong>e. La f<strong>in</strong>e è avvistata sempre come<br />

un’acme sentimentale, una lieta e lus<strong>in</strong>gante crisi di consapevolezza di sé. Ciò si stende dalla costruzione di una<br />

botta e risposta a quella di una vita. E che cos’è ciò se non la premessa del narrare? L’arte narrativa appaga<br />

appunto questo gusto profondo. Il piacere del narrare e dell’ascoltare è vedere disporsi dei fatti secondo questo<br />

grafico. A metà di un racconto si risale alle premesse e si gode di ritrovare delle ragioni, delle chiavi, delle mosse<br />

causali. Che altro si fa ripensando al proprio passato e compiacendosi di riconoscerci i segni del presente o del<br />

successivo? Questa costruzione dà <strong>in</strong> sostanza un significato al tempo. E il narrare è <strong>in</strong>somma soltanto un<br />

mitologizzarlo, uno sfuggirgli 190 .<br />

187 Ivi, 24 Febbraio 1940, p. 178.<br />

188 Ivi, 25 Marzo 1940, p. 181.<br />

189 Ivi, 30 Marzo 1944, p. 277.<br />

190 Ivi, 12 Aprile 1941, p. 222.<br />

65


L’idea di creare un modello di tempo artistico differente dal tempo empirico, un modello che<br />

sia al contempo artificiale solo nella costruzione ma non nell’essenza, al f<strong>in</strong>e di liberare<br />

l’uomo dalle catene temporali del mondo, troverà la sua <strong>def</strong><strong>in</strong>izione f<strong>in</strong>ale <strong>in</strong> seguito alla<br />

lettura di Cesare Lupor<strong>in</strong>i 191 . La priorità di Pavese sembra dunque quella di voler <strong>def</strong><strong>in</strong>ire<br />

l’attimo del tempo <strong>in</strong>dividuale <strong>in</strong> relazione al tempo empirico. L’importanza di questa<br />

<strong>def</strong><strong>in</strong>izione permette allo scrittore di poter mettere <strong>in</strong> relazione il tempo <strong>in</strong>dividuale e quello<br />

mitico attra<strong>vers</strong>o il riferimento al simbolo. Proprio nel riferimento al simbolo si trova la<br />

possibilità di legare tempo mitico e tempo <strong>in</strong>dividuale. Al contempo, tale connessione<br />

permette all’autore di <strong>in</strong>dividuare nella sospensione dell’attimo, al di fuori del flusso del<br />

tempo empirico, la libertà dalle catene del mondo e dall’artificialità del tempo empirico: “La<br />

novità di quest’oggi è che l’attimo estatico corrisponda al simbolo, che sarebbe dunque la<br />

pura libertà” 192 . Essere <strong>in</strong> grado di isolare e <strong>def</strong><strong>in</strong>ire l’attimo diviene dunque il momento<br />

fondamentale della ricerca <strong>in</strong>tellettuale dello scrittore nel momento <strong>in</strong> cui tale operazione<br />

promette l’emancipazione dal mondo dell’artificiale tempo empirico che str<strong>in</strong>ge il suo cappio<br />

sulla libertà dell’uomo. La questione del tempo è dunque analizzata nella sua <strong>in</strong>terezza e il<br />

tempo <strong>in</strong>dividuale dell’attimo estatico si ricollega alla riflessione sul mito. Givone spiega così<br />

il nesso: “[…] ora <strong>in</strong> questione è l’attimo estatico <strong>in</strong> cui è dato a ciascuno di raccogliere la<br />

molteplicità dispersiva degli eventi <strong>in</strong> un simbolo. Tutto, dice Pavese, accade nel tempo: cose,<br />

fatti, gesti. Ma l’accadere non ha senso per noi se non a partire dalla sospensione del tempo<br />

stesso” 193 . Il blocco del flusso temporale, il r<strong>in</strong>venimento dell’attimo estatico, rappresenta la<br />

liberazione dell’<strong>in</strong>dividuo dalle catene temporali che il mondo moderno str<strong>in</strong>ge ai polsi<br />

dell’uomo. L’<strong>in</strong>dividuo può f<strong>in</strong>almente godere una nuova libertà nell’isolamento dell’attimo<br />

di tempo assoluto nel flusso implacabile del tempo relativo:<br />

Viviamo nel mondo delle cose, dei fatti, dei gesti, che è il mondo del tempo. Il nostro sforzo <strong>in</strong>cessante e<br />

<strong>in</strong>consapevole è un tendere fuori dal tempo, all’attimo estatico che realizza la nostra libertà. Accade che le cose i<br />

fatti i gesti – il passare del tempo – ci promettono questi attimi, li rivestono , li <strong>in</strong>carnano. Essi divengono<br />

simboli della nostra libertà. Ognuno di noi ha una ricchezza di cose fatti e gesti che sono i simboli della sua<br />

felicità – essi non valgono per sé, per la loro naturalità, ma c’<strong>in</strong>vitano, ci chiamano, sono simboli. Il tempo<br />

arricchisce meravigliosamente questo mondo di segni, <strong>in</strong> quanto crea un gioco di prospettive che moltiplica il<br />

significato supertemporale di questi simboli. Che è quanto dire che non esistono | simboli negativi, pessimistici,o<br />

semplicemente banali: il simbolo è sempre attimo estatico, affermazione, centro 194 .<br />

La liberazione dal mondo avviene tramite la delegittimizzazione delle sue categorie spaziotemporali.<br />

L’<strong>in</strong>dividuo si trova ad essere <strong>in</strong>gaggiato <strong>in</strong> una vera e propria battaglia contro il<br />

tempo empirico al f<strong>in</strong>e di poter disporre di quell’attimo di tempo <strong>in</strong>dividuale che lo metta <strong>in</strong><br />

contatto con il tempo assoluto.<br />

La <strong>def</strong><strong>in</strong>izione dell’attimo estatico, nelle conclusioni di Pavese, sembra connettersi <strong>in</strong> qualche<br />

maniera a quella del mito soprattutto nella sua vocazione a sottrarsi al flusso del tempo<br />

empirico. In Feria d’Agosto Pavese <strong>def</strong><strong>in</strong>isce come mitico “un evento che come fuori del<br />

tempo così si compie fuori dello spazio” 195 . L’attimo estatico, potrebbe addirittura<br />

configurarsi come la fase del tempo <strong>in</strong>dividuale all’<strong>in</strong>terno dell’<strong>in</strong>tera riflessione di Pavese<br />

191<br />

Cesare Lupor<strong>in</strong>i, che nel dopoguerra assunse l’<strong>in</strong>carico di direttore della rivista Società, pubblicò il suo libro<br />

più importante nel 1941, Situazione e libertà dell’esistenza umana. Questo testo è forse il testo filosofico che più<br />

<strong>in</strong>fluenzò Cesare Pavese nella costruzione delle sue teorie relative al tempo <strong>in</strong>dividuale e all’attimo estatico: “Il<br />

capitolo Responsabilità e persona <strong>in</strong> Ces. Lupor<strong>in</strong>i (Situazione e libertà dell’esistenza) sistema i tuoi pensieri<br />

sull’attimo estatico e sull’unità cont<strong>in</strong>uata […]”. C. Pavese, Il Mestiere di Vivere, 17 Settembre 1942, cit. p. 244.<br />

192<br />

C. Pavese, Il Mestiere di Vivere, 7 Settembre 1942, cit. p. 244.<br />

193<br />

Sergio Givone, Introduzione ai Dialoghi con Leucò, contenuto <strong>in</strong> Cesare Pavese, Dialoghi con Leucò (1947),<br />

E<strong>in</strong>audi, Tor<strong>in</strong>o, 1999, p. VII.<br />

194<br />

C. Pavese, Il Mestiere di Vivere, 17 Settembre 1942, cit. p. 244.<br />

195<br />

Cesare Pavese, Feria d’Agosto, E<strong>in</strong>audi, Roma, 1946 (quarta edizione), p. 140.<br />

66


sulla categoria del mito. Pavese auspica dunque una vera emancipazione dal tempo empirico<br />

del mondo moderno per ritrovare il contatto diretto con le cose, per trovare il significato che<br />

appare <strong>in</strong>att<strong>in</strong>gibile dal mondo empirico. Ancora nel Mestiere appunta: “L’<strong>in</strong>dividuo liberato<br />

scopre la realtà cosmica – una corrispondenza tra le cose e lo spirito, un gioco di simboli che<br />

trasfigurano le cose quotidiane e danno loro un valore e un significato, altrimenti il mondo<br />

sarebbe ischeletrito” 196 . In questo contesto si chiarisce ulteriormente il carattere della<br />

contemplazione, atteggiamento estatico atto ad isolare l’attimo dal flusso temporale per<br />

renderlo unità m<strong>in</strong>ima da cui scaturirà e su cui si <strong>in</strong>centrerà tutta l’opera: “Quello che tu<br />

chiami contemplazione (il tuo carattere poetico) è il passaggio dal piano empirico a quello<br />

poetico” 197 . In Feria d’Agosto il carattere della contemplazione viene successivamente meglio<br />

<strong>def</strong><strong>in</strong>ito. L’estasi della contemplazione porta al riconoscimento dell’eternità e dell’assoluto.<br />

Pavese sollecita il lettore all’osservazione dell’essere dell’evento piuttosto che<br />

dell’accadimento dell’evento. Con questo nuovo atteggiamento si verifica un fatto <strong>def</strong><strong>in</strong>itivo:<br />

“la scomparsa del tempo” 198 .<br />

La netta contrapposizione tra tempo <strong>in</strong>dividuale assoluto e tempo empirico relativo, su cui<br />

Pavese scrive negli appunti del Mestiere di Vivere, nelle opere di narrativa e nei saggi,<br />

rimanda direttamente alle teorie sul tempo espresse dai teorici modernisti europei<br />

arricchendosi, <strong>in</strong> questo caso, di spunti e riflessioni del tutto orig<strong>in</strong>ali. Se il modello di tempo<br />

empirico è messo <strong>in</strong> discussione <strong>in</strong>sieme ai concetti di evoluzione e progresso, nuovo spazio<br />

verrà concesso ai concetti di dest<strong>in</strong>o e libertà. Guglielmi, citando questo passo tratto da La<br />

poetica del Dest<strong>in</strong>o, pubblicato postumo nel 1950, nota come i problemi del dest<strong>in</strong>o e della<br />

libertà siano <strong>in</strong> netta connessione con la ricerca che Pavese <strong>in</strong>traprese sul mito:<br />

[...] dest<strong>in</strong>o è la direzione presa orig<strong>in</strong>ariamente da una vita, il suo tratto esistenziale. E <strong>in</strong> questo senso sta ad<br />

<strong>in</strong>dicare una libertà, il progetto che ognuno di noi è. Un progetto che si articola secondo forme di significato che<br />

si ripetono: Un dest<strong>in</strong>o non è altro che un ritmo, una cadenza di ritorni previsti nel gioco di una libertà tutta tesa.<br />

Dest<strong>in</strong>o è lo schema trascendentale di una biografia, la figura che le azioni del personaggio riempiranno. Esso<br />

ricorda la sentenza di un oracolo... ma dest<strong>in</strong>o è anche demonico schema. E' libertà <strong>in</strong>catenata alla necessità. Ed<br />

ecco costituirsi allora un classico b<strong>in</strong>omio esistenziale. Dest<strong>in</strong>o è libertà e scacco della libertà 199 .<br />

Il concetto di scacco della libertà, di evidente ispirazione esistenzialista, è un motivo<br />

ricorrente all’<strong>in</strong>terno della poetica di Pavese. Lotman <strong>in</strong>dividua, nel problema del dest<strong>in</strong>o e<br />

della libertà, un tratto caratteristico della coscienza mitopoietica moderna che si traspose nelle<br />

opere di letteratura f<strong>in</strong> dall’illum<strong>in</strong>ismo. Gli stessi illum<strong>in</strong>isti, nonostante la fede nella<br />

razionalità che dist<strong>in</strong>se la loro produzione, si appellarono al mito per spiegare certi passaggi<br />

dell’evoluzione umana: “L’affermazione di Rousseau, secondo la quale nel dest<strong>in</strong>o di ogni<br />

s<strong>in</strong>golo <strong>in</strong>dividuo si riproduce sempre il sistema del contratto sociale e dell’eterna rob<strong>in</strong>sonata<br />

dell’Uomo e dell’Altro Uomo, ha prodotto ad esempio una grande quantità di opere letterarie<br />

con le evidenti caratteristiche del mito” 200 . Il mito a cui fa riferimento Lotman, e che <strong>in</strong><br />

qualche maniera è collegato agli <strong>in</strong>teressi dei modernisti, è quello dell’<strong>in</strong>iziazione, ovvero il<br />

passaggio dell’uomo dalla sua condizione naturale a quella civile. Tale passaggio, ritenuto<br />

necessario da Rousseau, implica, per l’appunto, la perdita della libertà. Così Lotman descrive il<br />

dispiegarsi di questo schema mitico nella letteratura del XVIII sec.:<br />

All’<strong>in</strong>izio davanti a lui c’erano due <strong>in</strong>dividui, il cui comportamento era dettato dalle leggi del diritto naturale,<br />

cioè dalla Libertà e dalla Felicità (le leggi del mondo esterno erano imposto loro <strong>in</strong> modo forzato e i protagonisti<br />

potevano appellarsi ai diritti naturali dell’uomo <strong>in</strong> conflitto rispetto alle leggi). Tuttavia alla f<strong>in</strong>e del romanzo i<br />

196 C. Pavese, Il Mestiere di Vivere, 8 Gennaio 1949, cit. p. 361.<br />

197 Ivi, 26 Febbraio 1940, p. 178.<br />

198 C. Pavese, Feria d’Agosto, cit. p. 155.<br />

199 G. Guglielmi, La prosa Italiana del Novecento, tra romanzo e racconto, cit. pp. 131-32.<br />

200 J. M. Lotman-Z.M<strong>in</strong>c, Letteratura e Mitologia, cit. p. 212.<br />

67


due eroi formano una microsocietà, le cui leggi vengono considerate volentieri necessarie. Secondo Rosseau, <strong>in</strong><br />

queste condizioni essi abbandonano lo stato di Uomo e acquistano i diritti e i doveri del cittad<strong>in</strong>o. A regolare le<br />

loro azioni non è più la Libertà, ma la Volontà comune.[…] Questo riduce molti testi ad un’unica <strong>in</strong>variante,<br />

mettendoli <strong>in</strong> rapporto reciproco e sottol<strong>in</strong>eando nello stesso tempo il loro isomorfismo rispetto al mito del secolo<br />

XVIII sull’Uomo e il Cittad<strong>in</strong>o. Epoche storiche e tipi di cultura di<strong>vers</strong>i producono orientamenti, personalità e<br />

testi di<strong>vers</strong>i come generatori di miti 201 .<br />

Lo schema mitico dell’<strong>in</strong>iziazione è dunque stato ampiamente utilizzato nel periodo<br />

dell’illum<strong>in</strong>ismo per giustificare la bontà delle teorie riguardanti la nuova socialità nei term<strong>in</strong>i<br />

<strong>in</strong> cui veniva descritta nel “contratto sociale”. Il mito della libertà perduta a scapito della<br />

volontà cont<strong>in</strong>uerà ad essere attivo per tutto il romanticismo che, criticando l’elemento<br />

razionale presente nel concetto illum<strong>in</strong>istico di volontà, prefigurava un ritorno ad uno stato<br />

ideale naturale. Non fu prima di Nietzsche che il concetto stesso di volontà fu rimesso <strong>in</strong> gioco<br />

e a partire da questo il concetto di libertà. La riflessione sulla libertà preculturale e la perdita<br />

della medesima avvenuta per mezzo della dittatura della ragione si affacciò tra le teorie dei<br />

modernisti. Il dest<strong>in</strong>o dell’uomo, il mistero relativo alla sua libertà, apparve per molti<br />

modernisti sempre più legato allo svolgimento dei miti. La riflessione sulla libertà a cui l’uomo<br />

può aspirare <strong>in</strong> un mondo determ<strong>in</strong>ato, appare, nelle riflessioni di Pavese un problema su cui<br />

riflettere già dal 1937 quando appuntava sul diario: “Se fosse vero che l’uomo possiede il<br />

libero arbitrio, se ne parlerebbe tanto?” 202 . La riflessione sulla libertà dell’uomo si configura<br />

come ideale proseguimento del dibattito filosofico che partì da Sp<strong>in</strong>oza e che, proseguendo per<br />

tutto l’illum<strong>in</strong>ismo, si chiedeva se si potesse parlare di effettiva libertà <strong>in</strong> un mondo<br />

strettamente regolato dalle leggi del determ<strong>in</strong>ismo naturale. Le leggi naturali, che il mito<br />

tendeva a rappresentare e a portare a livello cognitivo, si contrappongono, nelle riflessioni di<br />

Pavese, a quelle della società contemporanea. Per Pavese, seguendo una chiara ispirazione<br />

niciana, la libertà dell’<strong>in</strong>dividuo consiste proprio nel riconoscere come proprie le leggi di<br />

natura, così come il mito ce le svela. La libertà consisterebbe nel tornare a seguire le leggi<br />

della natura, <strong>in</strong>terpretabili attra<strong>vers</strong>o l’azione conoscitiva del mito, riconoscendosi <strong>in</strong> un<br />

dest<strong>in</strong>o proprio dell’essere umano. Anche <strong>in</strong> questo caso il rifiuto delle categorie artificiali è il<br />

primo passo <strong>vers</strong>o questa sorta di ricongiungimento. L’elemento razionale è difatti il primo<br />

imputato che si frappone al riconoscimento della natura dell’uomo: “Il dest<strong>in</strong>o è abbandonarsi<br />

e vivere la pienezza, che poi si chiarisce coerente e costruttiva. E’ dest<strong>in</strong>o ciò che si fa senza<br />

saperlo, abbandonandosi. In un dato senso tutto è dest<strong>in</strong>o: non si sa mai quel che si fa. C’è una<br />

piccola e razionale consapevolezza che morde <strong>in</strong> superficie | e noi abbiamo il dovere di<br />

profondire al possibile. Ciò che resta <strong>in</strong>conoscibile […] è il dest<strong>in</strong>o” 203 .<br />

Il rapporto dest<strong>in</strong>o - mito - libertà è per Pavese un nodo da sciogliere. Lo scrittore sembra<br />

dest<strong>in</strong>ato ad <strong>in</strong>dagare e chiarire questo rapporto con la malcelata speranza di poter riconoscere<br />

la propria libertà nello schema mitico di un dest<strong>in</strong>o. Il romanzo Il Carcere, del 1948, è forse il<br />

momento della narrativa di Pavese che meglio illustra questo rapporto “pericoloso”. Il<br />

carcere, il luogo fisico <strong>in</strong> cui viene conf<strong>in</strong>ato Stefano, è proprio la mediazione tra la libertà<br />

fisica, preclusa nel mondo del tempo empirico, e la libertà metafisica perseguibile attra<strong>vers</strong>o<br />

la ricerca del tempo assoluto dell’attimo che diviene, appunto, simbolo di libertà. Il tempo<br />

empirico diviene quasi un ostacolo, un av<strong>vers</strong>ario da sconfiggere per il r<strong>in</strong>venimento di una<br />

vera libertà metafisica.<br />

La vicenda de Il Carcere è emblematica rappresentazione del rapporto tragico tra dest<strong>in</strong>o e<br />

libertà. Nel romanzo appare evidente come la libertà non sia una categoria a sé stante; la<br />

libertà di cui l’uomo può disporre appare legata ad un sottile gioco di differenze all’<strong>in</strong>terno<br />

della grande gabbia del mondo. Ci sono, <strong>in</strong> altre parole, all’<strong>in</strong>terno della gabbia zone di<br />

201 Ivi, p. 213.<br />

202 C. Pavese, Il Mestiere di Vivere, 7 Dicembre 1937, cit. p. 64.<br />

203 Ivi, 2 Gennaio, 1950, p. 384.<br />

68


massima esposizione che si contrappongono ai settori più bui. Il conf<strong>in</strong>o a cui è condannato<br />

Stefano appare, all’<strong>in</strong>izio, una salvezza dall’orrore della prigione: “Per lui che usciva dal<br />

carcere era la libertà” 204 . Nel paese <strong>in</strong> cui è conf<strong>in</strong>ato, sospeso fuori dal tempo, la giornata del<br />

protagonista è scandita nei m<strong>in</strong>imi particolari. Nella realtà alienante del conf<strong>in</strong>o il<br />

protagonista deve ricorrere ad espedienti che possano r<strong>in</strong>verdire il sentimento di una libertà<br />

più grande, una libertà perduta di cui però si sente ancora il ricordo. Alla f<strong>in</strong>e della giornata,<br />

l’osteria rappresenta un riparo “dove Stefano entrava a sedersi e sentire la sua libertà” 205 . La<br />

parete “mutevole “ del mare, una volta simbolo di libertà, è vista con sospetto da Stefano che<br />

sembra ribellarsi alla situazione di prigionia <strong>in</strong> una maniera del tutto <strong>in</strong>timistica, riconoscendo<br />

nella libertà una potenzialità propria dell’essere umano legata molto più all’<strong>in</strong>dividualità che<br />

al mondo esterno. L’utilizzo cont<strong>in</strong>uato dell’aggettivo possessivo, di fronte alla parola libertà,<br />

nell’ambito di una situazione di detenzione, testimonia quasi una spaccatura tra il mondo<br />

<strong>in</strong>tellettuale del protagonista e quello oggettivante della realtà. Così, nonostante la detenzione,<br />

Stefano “ascoltava la sua libertà, parendogli di uscire ogni matt<strong>in</strong>a dal carcere” 206 . La<br />

percezione della libertà perduta, il ricordo di questa perdita, che si configura come scacco<br />

esistenziale, rende Stefano particolarmente nervoso, soprattutto durante la notte quando “la<br />

stranezza del giorno lo assaliva agitandolo, come un formicolio nel sangue” 207 .<br />

Non è la prima volta che il sangue assurge ad elemento topico nella letteratura di Pavese. E’<br />

un elemento tipico di molta produzione modernista e che particolarmente <strong>in</strong> Lawrence trova<br />

un suo corso. Anche il sangue è un simbolo all’<strong>in</strong>terno del cosmo disegnato dai modernisti. E’<br />

il simbolo della forza vitale e della conoscenza non razionale ed <strong>in</strong>nata che l’uomo possiede.<br />

In quest’occasione è il sangue, prima che il cervello, che accusa una sensazione di disagio. Il<br />

sangue com<strong>in</strong>cia a formicolare nelle vene, a muo<strong>vers</strong>i <strong>in</strong>somma, al contrario di ciò che fa il<br />

protagonista che è essenzialmente fermo, sembra voler uscire dal corpo o perlomeno<br />

sollecitarlo alla ribellione. Anche la notte fa parte dell’uni<strong>vers</strong>o simbolico modernista e,<br />

associandosi all’immag<strong>in</strong>e del sangue, svolge <strong>in</strong> questo episodio un ruolo ben preciso. E’ la<br />

percezione di una conoscenza perduta che, al calar della luce del giorno, riaffiora. La notte,<br />

dionisiaca ed irrazionale, diviene il luogo del r<strong>in</strong>venimento, del ricordo, il ruolo <strong>in</strong> cui si può<br />

ricordare, più nel sangue che nella mente, il mistero dell’orig<strong>in</strong>e: “La tenebra chiudendo<br />

l’orizzonte ampliava la sua libertà e ridava campo ai suoi pensieri” 208 .<br />

L’esperienza di privazione della libertà che Pavese ci racconta per mezzo della vicenda di<br />

Stefano, raramente si esplicita direttamente <strong>in</strong> riflessioni politiche. L’attitud<strong>in</strong>e dello scrittore<br />

è piuttosto quella di voler fare del carcere materiale una rappresentazione del carcere<br />

esistenziale <strong>in</strong> cui è imprigionato lo spirito del protagonista. I sentimenti che Pavese descrive<br />

sono sentimenti tipici della letteratura esistenzialistica come l’“angoscia” 209 che spesso viene<br />

associata a Stefano. Le sensazioni di Stefano raramente si proiettano all’esterno ma sono, al<br />

contrario, accompagnate da riflessioni <strong>in</strong>trospettive. Le barriere del carcere materiale<br />

divengono presto barriere metafisiche e c<strong>in</strong>gono il protagonista di “pareti <strong>in</strong>visibili” 210 . La<br />

forma del mondo viene riconosciuta come apparente. Il protagonista si rende conto ben presto<br />

dell’<strong>in</strong>consistenza del mondo della realtà: “Ma Stefano ben presto si accorse che il gioco di<br />

quella vita poteva svanire, come un’illusione che era” 211 . Il problema esistenziale consiste<br />

allora nella trasposizione tra il mondo fenomenologico e quello metafisico ovvero la<br />

consapevolezza che l’uomo moderno altro non è che creazione del mondo moderno,<br />

scimmiottatura paradossale di un essere umano. Se la forma dell’uomo è modellata sulla<br />

forma del mondo, allora l’uomo stesso diviene carcere: “Ogni dolcezza, ogni contatto, ogni<br />

204<br />

C. Pavese, Il Carcere, cit. p. 285.<br />

205<br />

Ivi, p. 286.<br />

206<br />

Ibidem.<br />

207<br />

Ibidem<br />

208<br />

Ivi, p. 289.<br />

209<br />

Ivi, p. 296.<br />

210<br />

Ivi, p. 292.<br />

211<br />

Ivi, p. 305.<br />

69


abbandono, andava serrato nel cuore come <strong>in</strong> un carcere e discipl<strong>in</strong>ato come un vizio, e più<br />

nulla doveva apparire all’esterno, alla coscienza. Più nulla doveva dipendere dall’esterno: né<br />

le cose né gli altri dovevano potere più nulla. […] (Stefano) non doveva credere a nessuna<br />

speranza, ma prevenire ogni dolore accettandolo e divorandolo nell’isolamento. Considerarsi<br />

sempre <strong>in</strong> carcere” 212 . E’ evidente <strong>in</strong> questo passo come la condizione di conf<strong>in</strong>ato del<br />

protagonista si rapporti direttamente ad una condizione esistenziale. Il sentimento di<br />

esclusione si rapporta a quello di reclusione creando una situazione emotiva peculiare nel<br />

personaggio di Stefano. Il mondo è <strong>in</strong> questo caso il primo imputato e la prigione del<br />

protagonista, la sua solitud<strong>in</strong>e, è <strong>in</strong> stretta connessione con il mondo: “La cella era fatta di<br />

questo: il silenzio del mondo” 213 . La libertà è, allora, altrove forse nella terra: “Girò gli occhi<br />

sui campi, sugli alberi brulli lontano, per sentire la sua libertà” 214 . Ma è uno sguardo<br />

nostalgico privo di qualsiasi speranza. E’ lo sguardo diretto <strong>vers</strong>o qualcosa di perduto. E’<br />

<strong>in</strong>teressante notare come, a differenza dei personaggi di Lawrence, i personaggi di Pavese<br />

tendano molto più alla disperazione, all’autocompiangimento. L’atteggiamento di Stefano è di<br />

chiusura, di mancanza di fiducia nel prossimo, nel mondo, un progressivo raggomitolarsi <strong>in</strong> se<br />

stesso. Il mondo diviene a sua volta simbolo di una condizione esistenziale: “Fantasticava il<br />

mondo <strong>in</strong>tero come un carcere dove si è chiusi per le ragioni più di<strong>vers</strong>e ma tutte vere, e <strong>in</strong> ciò<br />

trovava un conforto” 215 . E’ una condizione <strong>in</strong> cui il protagonista trova un sadico piacere, una<br />

sorta di rivalsa nei confronti del mondo che lo tiene a distanza: “Le nuvole, i tetti, le f<strong>in</strong>estre<br />

chiuse, tutto <strong>in</strong> quell’attimo era dolce e prezioso, tutto era come uscire dal carcere. Ma poi?<br />

Meglio restarci per sognare di uscirne, che non uscirne davvero” 216 . E’ una soluzione che<br />

consuma la tragedia nella sua <strong>in</strong>terezza senza assecondare alcuna fantasia utopica. Il carcere è<br />

la condizione <strong>in</strong>iziale e la condizione f<strong>in</strong>ale, nulla cambia <strong>in</strong> quanto condizione esistenziale.<br />

E’ la situazione della tragedia classica ove il dest<strong>in</strong>o è accettato come legge dell’essere. La<br />

riflessione di Pavese sul dest<strong>in</strong>o riaffiora nel romanzo: “Pensavo che di tutta l’estate i<br />

momenti più belli li ho passati qua dentro, solo come <strong>in</strong> un carcere. La sorte più brutta diventa<br />

un piacere: basta sceglierla noi. […] Non mi direte che l’avete scelto voi, di venire quaggiù.<br />

Non si sceglie il dest<strong>in</strong>o […]. Basta volerlo, prima ancora che ci venga imposto […] non c’è<br />

dest<strong>in</strong>o, ma soltanto dei limiti. La sorte peggiore è subirli. Bisogna <strong>in</strong>vece r<strong>in</strong>unciare” 217 . I<br />

pensieri di Stefano <strong>in</strong>terrompono cont<strong>in</strong>uamente la narrazione. Sono pensieri che dal<br />

particolare conducono all’uni<strong>vers</strong>ale cercando di riflettere sulle leggi della vita: “Lo prese di<br />

sprovvista il pensiero che ogni giorno entra qualcuno nel carcere, come ogni giorno qualcuno<br />

muore” 218 . Le meditazioni di Stefano sembrano maturare <strong>in</strong> relazione alla consapevolezza<br />

f<strong>in</strong>ale di aver vissuto una situazione esemplare capace di approfondire i temi dell’esistenza. Il<br />

romanzo, che f<strong>in</strong>o a quel momento si era basato sulla percezione dello spazio, descritto <strong>in</strong><br />

term<strong>in</strong>i di chiusura o limitatezza, si svela, alla f<strong>in</strong>e, vicenda esemplare, mitica, <strong>in</strong> cui anche il<br />

tempo trova la sua collocazione assoluta: “Forse la prigione non è altro che questo:<br />

l’impossibilità di ubriacarsi, di distruggere il tempo, di vivere un’<strong>in</strong>solita sera” 219 .<br />

Nel proseguo della sua meditazione sul tempo Pavese svela presto di condurre un’analisi<br />

omnicomprensiva. I rimandi tra tempo <strong>in</strong>dividuale e tempo empirico e fra orizzonte poetico e<br />

orizzonte morale sono stati f<strong>in</strong>o ad ora netti e precisi. La ricerca di una teoria completa della<br />

composizione che contemplasse i rapporti con il mondo empirico e le sue categorie ha portato<br />

l’autore, già prima della lettura del testo di Cesare Lupor<strong>in</strong>i, a consistenti risultati. La<br />

riflessione è pronta ad abbracciare ora l’altra grande categoria che, all’<strong>in</strong>terno di un’opera<br />

d’arte, costituisce un altro grosso nodo da sciogliere per ogni artista: la categoria dello spazio.<br />

212 Ivi, p. 324.<br />

213 Ivi, p. 341.<br />

214 Ivi, p. 344.<br />

215 Ivi, p. 356.<br />

216 Ivi, p. 349.<br />

217 Ivi, p. 330.<br />

218 Ivi, p. 345.<br />

219 Ivi, p. 357.<br />

70


Anche <strong>in</strong> questo caso le regole uni<strong>vers</strong>ali, stabilite da Pavese per il tempo, sembrano adattarsi<br />

alla concezione dello spazio. Anche <strong>in</strong> questo caso lo spazio empirico si trova <strong>in</strong> contrasto con<br />

lo spazio assoluto ma, come nel caso della riflessione sulla categoria del tempo, gli assunti di<br />

Pavese sono accurati: “Come del tempo, così dello spazio. Poesia e Pittura. Non deve esistere,<br />

<strong>in</strong> una poesia, tempo empirico così come <strong>in</strong> un quadro non deve esistere spazio empirico” 220 .<br />

Risolvendo il problema dello spazio tramite questo rimando alla riflessione precedentemente<br />

condotta sul tempo, Pavese costituisce una solida base teorica per le sue composizioni. La<br />

composizione dell’opera aspira ad un’unità composta da frammenti. Il senso unitario<br />

dell’opera si ottiene dalla composizione di questi frammenti <strong>in</strong> una costruzione <strong>in</strong>dividuale,<br />

propria dell’artista, che ne decreta l’assolutezza ovvero la non empiricità: “Creare un’opera è<br />

dunque trasformare <strong>in</strong> assoluti il suo tempo e il suo spazio” 221 . Creare un’opera è dunque<br />

rendere assoluti il tempo e lo spazio portandoli fuori dal flusso spazio-temporale del mondo<br />

moderno, facendoli significare <strong>in</strong> quanto simboli.<br />

220 C. Pavese, Il Mestiere di Vivere, 26 Febbraio 1940, cit. p. 178.<br />

221 Ibidem.<br />

71


2.3 Spazi della modernità<br />

Così come avvenuto nel caso del tempo anche lo spazio viene posto sotto una serrata<br />

osservazione <strong>in</strong> epoca moderna. La categoria dello spazio viene analizzata e ripensata e,<br />

seguendo la stessa sorte della categoria del tempo, viene <strong>in</strong> qualche maniera resa assoluta,<br />

mitica. Gli scrittori del modernismo sottraggono lo spazio alla misurazione, così come il<br />

tempo era stato sottratto alla scansione, assecondando il desiderio <strong>in</strong>tellettuale di voler trovare<br />

una nuova unità a forme che lentamente ma <strong>in</strong>esorabilmente si avviavano alla decadenza<br />

nell’ambito di un dest<strong>in</strong>o del nichilismo che Nietzsche aveva predetto.<br />

Lo spazio, nella composizione narrativa, ha sempre rappresentato un vero e proprio ord<strong>in</strong>e<br />

significante. Nel romanzo moderno lo spazio rafforza questa sua funzione. Dalla geografia<br />

sconf<strong>in</strong>ata dei romanzi storici o d’esplorazione o al chiuso dei salotti <strong>in</strong> cui si consuma il<br />

dramma borghese contemporaneo, il ruolo dello spazio circostante sembra passare, <strong>in</strong> molti<br />

casi, dal ruolo di cornice più o meno significante a vero e proprio personaggio attivo della<br />

narrazione. Per Franco Moretti “ogni spazio determ<strong>in</strong>a, o quanto meno <strong>in</strong>coraggia, un di<strong>vers</strong>o<br />

tipo di storia […]: nel romanzo moderno quello che accade dipende strettamente dal dove<br />

esso accade” 222 . Questa particolarità per cui il romanzo moderno dota lo spazio di un nuovo<br />

ruolo e, conseguentemente, di nuove possibilità significanti, è dovuta proprio all’enorme<br />

scarto, nel modo di pensare lo spazio, che separa l’epoca moderna da quella premoderna.<br />

Di<strong>vers</strong>i fattori contribuirono a creare una nuova concezione di spazio nelle coscienze moderne<br />

occidentali. La scoperta di nuovi mondi e le conseguenti imprese imperialiste sono da<br />

annoverare fra i primi fattori per quanto riguarda la concezione di uno spazio extraeuropeo.<br />

La modificazione del paesaggio, dovuto all’impatto della rivoluzione <strong>in</strong>dustriale e<br />

all’accorciarsi delle distanze, dovuto ai nuovi mezzi di trasporto, <strong>in</strong>fluenzò il modo di<br />

rapportarsi allo spazio europeo. Il paesaggio europeo ha subito nei millenni dei cont<strong>in</strong>ui<br />

cambiamenti. Nella fase della modernità questi cambiamenti hanno però avuto una velocità<br />

superiore a quella delle epoche precedenti così come sottol<strong>in</strong>ea Eugenio Turri <strong>in</strong> un recente<br />

studio:<br />

Altra caratteristica che <strong>def</strong><strong>in</strong>isce lo spazio europeo per chi viene da fuori è l’estrema densità delle aree coltivate<br />

ed urbanizzate, la presenza cont<strong>in</strong>ua di manufatti umani, come se l’antropizzazione con i suoi segni e le sue<br />

opere fosse un manto avvolgente il suolo, o una “seconda natura” <strong>in</strong> senso leopardiano, una natura rifatta.<br />

Ovviamente la costruzione dell’ord<strong>in</strong>e antropico è il risultato di un’opera millenaria, di un’azione protratta nel<br />

tempo. In Europa essa ha ricevuto impulsi eccezionali nella fase culm<strong>in</strong>ante della modernità, con l’imporsi cioè<br />

del sistema <strong>in</strong>dustriale […]. Paradossalmente, nonostante i rapporti comunicativi dell’Europa vengano favoriti<br />

ora dai nuovi mezzi tecnici (dalle ferrovie alle telecomunicazioni), non si sviluppano processi unificanti, ma si<br />

accendono al contrario feroci conflitti tra gli stati <strong>in</strong>dustrializzati per il dom<strong>in</strong>io, <strong>in</strong>sieme politico ed economico,<br />

dello spazio europeo. Essi porteranno alle lacerazioni su cui un’<strong>in</strong>tera cultura piangerà e rifletterà, con O.<br />

Spengler, P. Valey (“Sentiamo che una civiltà possiede la stessa fragilità di una vita…”) e altri uom<strong>in</strong>i che<br />

avvertono il senso della f<strong>in</strong>e 223 .<br />

Anche nel senso dello spazio, non solo del tempo, la modernità sarebbe stata dunque percepita<br />

come strappo, come collasso di un sistema significante a vantaggio di un nuovo ord<strong>in</strong>e<br />

reputato artificiale e lontano dalla vera natura dell’uomo. L’esperienza dell’esclusione sembra<br />

<strong>in</strong> questo caso prendere il sopravvento. I mezzi di comunicazione veloci non fanno altro che<br />

escludere lo spazio fra il punto di partenza e il punto di arrivo. La distanza spaziale è<br />

percepita <strong>in</strong> maniera differente e viene quasi esclusa dall’orizzonte del viaggiatore oramai<br />

abituato a “saltarla”. La velocità, come pure avviene nel caso del tempo, non è avvertita da<br />

222 Franco Moretti, Atlante del Romanzo Europeo, E<strong>in</strong>audi, Tor<strong>in</strong>o, 1997, p. 75.<br />

223 Eugenio Turri, Lo spazio europeo: alla ricerca di una geografia mitica, contenuto <strong>in</strong> Carlo Ossola, Europa:<br />

miti di identità, Saggi Marsilio, p. 28-29.<br />

72


molti <strong>in</strong>tellettuali come un cambiamento marg<strong>in</strong>ale. Essa è al contrario la rappresentazione<br />

della volontà dell’uomo di sottomettere il tempo e lo spazio naturale alle esigenze della<br />

società moderna giustificando questo procedimento attra<strong>vers</strong>o i meccanismi culturali:<br />

La costruzione dello spazio antropico, detto <strong>in</strong> altro modo, corrisponde all’annessione della natura alla cultura, è<br />

il risultato di una serie di imprese di cui sono protagonisti non solo i costruttori di strade, di città, di fabbriche e<br />

di paesaggi agrari, ma anche tutti gli studiosi, gli artisti, i filosofi ecc. che danno contributi alla cultura nel suo<br />

rapportarsi alla natura, nel creare l’ambiente di vita più adatto alle esigenze della società che essa rappresenta 224 .<br />

La modificazione delle categorie naturali di spazio e tempo sembra assurgere a tratto<br />

caratteristico dell’uomo occidentale ed implica un discorso culturale che va alle radici della<br />

nostra civiltà. Il rapporto dell’uomo occidentale con l’ambiente circostante sembra essere<br />

viziato da una mentalità “di conquista” che trova una giustificazione identificabile per Turri a<br />

livello spaziale, così come era stato per Kermode a livello temporale, nella Bibbia, il testo<br />

mitologico che è alla base della cultura occidentale:<br />

[…] atteggiamento propriamente europeo che ha fondato la sua ideologia della natura partendo dal pr<strong>in</strong>cipio<br />

biblico, antico, subicite terram, re<strong>in</strong>terpretato nel R<strong>in</strong>ascimento come idealizzazione dell’ord<strong>in</strong>e umano (specchio<br />

di quello div<strong>in</strong>o) al cospetto dell’ord<strong>in</strong>e naturale, poi <strong>in</strong> senso hegeliano come <strong>in</strong>veramento dello Spirito del<br />

Mondo, come grande fattore di Storia (“Quando lo Spirito dom<strong>in</strong>a, tace ed ubbidisce la natura”), f<strong>in</strong>o<br />

all’ideologizzazione borghese dell’Herrshaftwissen, il sapere per dom<strong>in</strong>are la natura e assecondare al meglio le<br />

richieste <strong>in</strong>saziabili del capitalismo 225 .<br />

Ma è proprio <strong>in</strong> questa caratteristica di discorso culturale che gli <strong>in</strong>tellettuali modernisti<br />

cercano e trovano la possibilità, se non dell’emancipazione, almeno della risalita <strong>vers</strong>o una<br />

nuova possibilità conoscitiva data da un nuovo rapporto con l’essere. Se la cultura ha fatto sì<br />

che l’essere venisse obliato, è proprio tramite un’operazione culturale, quella dello<br />

svolgimento del mito, che l’uomo può riconsiderare la propria esistenza sotto una nuova luce.<br />

La cultura occidentale si scopre essere come un unicum che ha avuto un’evoluzione che ha<br />

espresso, attra<strong>vers</strong>o i secoli, una costante sete di dom<strong>in</strong>io non solo nei confronti delle altre<br />

culture o civiltà ma anche nei confronti delle categorie naturali dello spazio e del tempo.<br />

Quello della modernità è stato un periodo <strong>in</strong> cui questa evoluzione avrebbe subito una brusca<br />

accelerazione favorendo la reazione degli <strong>in</strong>tellettuali che scorgevano, nel dest<strong>in</strong>o di questo<br />

processo, un futuro di morte, necessaria conseguenza all’epoca del nichilismo preconizzata da<br />

Nietzsche 226 . La storia dell’Occidente si manifesta dunque come progetto culturale direzionato<br />

che ha allontanato l’uomo dal suo essere. La possibilità di venire a conoscenza di questo<br />

dramma della separazione è <strong>in</strong>sita nell’approccio cognitivo: “la filosofia espressa<br />

dall’Occidente non sarà il soggetto da seguire, ma l’oggetto da <strong>in</strong>dagare per scoprire il senso<br />

224 Ivi, p. 40.<br />

225 Ivi, p. 30.<br />

226 Umberto Galimberti assegna a questa progressiva separazione tra la natura e la cultura il segno più marcato<br />

della decadenza dei tempi moderni. La scienza e la religione fanno parte di un progetto culturale che porta<br />

l’uomo a creare e a giustificare un proprio mondo artificiale, <strong>in</strong> quanto oramai <strong>in</strong>capace di poter rientrare <strong>in</strong><br />

comunicazione con il suo mondo naturale, il suo essere: “(lo) smarrirsi della filosofia nella scienza e nella<br />

religione non è casuale, ma denuncia un carattere di fondo dell’uomo occidentale che, <strong>in</strong>capace di soggiornare<br />

nella sospensione e nell’<strong>in</strong>certezza che caratterizzano l’attesa affretta i tempi della sicurezza <strong>in</strong> cui poter<br />

esercitare tranquillamente il proprio dom<strong>in</strong>io. […] Il senso del tempo moderno è qu<strong>in</strong>di antico; solo la modalità<br />

del dom<strong>in</strong>io è mutata, non la direzione della via che, dall’<strong>in</strong>sicurezza <strong>in</strong>teriore, ha condotto l’uomo al<br />

rassicurante dom<strong>in</strong>io delle cose”. Umberto Galimberti, Heidegger, Jaspers e il Tramonto dell’Occidente, Il<br />

Saggiatore, Milano, 1996, p. 14.<br />

73


del suo evento, contenuto nei tratti fondamentali della nostra cultura” 227 . Il concetto espresso<br />

da Turri riguardo l’antropizzazione del paesaggio si scopre essere una tendenza riguardante<br />

non solo lo spazio ma l’<strong>in</strong>tero uni<strong>vers</strong>o culturale dell’uomo: “l’uomo, <strong>in</strong>vece di ascoltare<br />

l’essere, ha ideato l’essere, ovvero l’ha pensato a sua misura […]” 228 . Se la concezione<br />

moderna dello spazio è qu<strong>in</strong>di solo un aspetto del progetto culturale occidentale, è facile<br />

comprendere come la proposizione del concetto di spazio assoluto mitico, e l’eventuale<br />

confronto con lo spazio relativo moderno, da parte degli scrittori modernisti, assuma una<br />

valenza simbolica tesa a contestare l’<strong>in</strong>tero sistema culturale. Ed è qu<strong>in</strong>di proprio dal sistema<br />

culturale che gli <strong>in</strong>tellettuali della modernità <strong>in</strong>iziano la loro ricerca, così come Vico aveva<br />

<strong>in</strong>segnato attra<strong>vers</strong>o la sua teoria della cognizione parlando della storia. Se la cultura<br />

occidentale si basa sul testo mitologico della Bibbia, anche la riflessione su Dio appartiene<br />

all’analisi culturale:<br />

In Occidente l’uomo ha curato solo se stesso e anche il Dio che ha pensato, l’ha pensato al proprio servizio. […]<br />

L’onnipotenza che l’uomo aveva attribuito a Dio nei tempi della sua radicale impotenza, oggi la rivendica per sé,<br />

decidendo di gestire <strong>in</strong> proprio il processo creativo che la sua impotenza aveva affidato a Dio. […] L’umanità<br />

occidentale oggi possiede quelle prerogative che un tempo erano pensate come proprie di Dio. L’apparato tecnico<br />

di cui dispone le consente di determ<strong>in</strong>are la f<strong>in</strong>e del mondo 229 .<br />

L’aff<strong>in</strong>amento della tecnica, l’antropizzazione del paesaggio che trova la sua massima<br />

espressione nel fenomeno dell’urbanesimo dotano l’uomo occidentale di uno spirito di<br />

onnipotenza tragica che lo pone a sostituirsi a Dio così come l’ambiente circostante è<br />

modellato sull’iconografia classica del paradiso terrestre. Lo spazio cambia radicalmente<br />

forma seguendo i dettami che la cultura occidentale gli impone:<br />

L’immag<strong>in</strong>e è ormai quella di un’Europa totalmente artificializzata. Dagli spazi compressi, costruita per<br />

agevolare al massimo grado l’uomo, per elim<strong>in</strong>are ogni ostacolo fisico, costruire l’utopia del paradiso <strong>in</strong> terra, <strong>in</strong><br />

realtà accentuando al massimo, attra<strong>vers</strong>o il consumo (consumo di spazio e risorse), lo stordimento<br />

dell’<strong>in</strong>dividuo, nell’illusione di v<strong>in</strong>cere la solitud<strong>in</strong>e <strong>in</strong>dotta dalla totale laicizzazione della natura 230 .<br />

Vi è dunque una connessione tra la volontà dell’uomo occidentale di modellare il paesaggio<br />

idealmente e la sua provenienza culturale. Il mito biblico e la figura di Adamo rappresentano,<br />

per Galimberti, la spiegazione tangibile di un atteggiamento: “Alla base di tutte le <strong>in</strong>iziative<br />

dell’uomo occidentale c’è dunque il tentativo palese o nascosto di dom<strong>in</strong>are l’essere, di<br />

signoreggiarlo. Il tentativo è sostenuto dalla passione adamitica che sp<strong>in</strong>ge l’uomo ad essere<br />

come Dio” 231 . A questo punto è chiara la rilevanza che la formulazione del concetto di spazio<br />

ha nella tradizione culturale occidentale. La concezione moderna di spazio è parte <strong>in</strong>tegrante,<br />

nonché fondante, di tutta la concezione di modernità nel momento <strong>in</strong> cui l’aff<strong>in</strong>amento delle<br />

tecniche ha portato negli ultimi due secoli a cambiamenti molto repent<strong>in</strong>i della geografia<br />

europea. La crisi del soggetto moderno, espressa nell’ideazione del personaggio romanzesco,<br />

è studiata da Nietzsche <strong>in</strong> riferimento al fenomeno del nichilismo, <strong>def</strong><strong>in</strong>ito da Galimberti<br />

come tragica sorte della civiltà occidentale: “L’Occidente è la terra che ha ospitato l’oblio<br />

dell’essere, ovvero lo smarrimento del suo senso; il nichilismo ne è qu<strong>in</strong>di la sorte, il<br />

tramonto il suo dest<strong>in</strong>o” 232 . In questo orizzonte di crisi, <strong>in</strong> cui lo spazio naturale diviene la<br />

227 Ivi, p. 15.<br />

228 Ivi, p. 16.<br />

229 Ivi, p. 18.<br />

230 E. Turri, Lo spazio europeo: alla ricerca di una geografia mitica, cit. p. 31.<br />

231 U. Galimberti, Heidegger, Jaspers e il Tramonto dell’Occidente, cit. p. 18.<br />

232 Ivi p. 12.<br />

74


appresentazione ultima e tangibile del nichilismo, si crea una necessaria relazione tra l’uomo<br />

e lo spazio. Lo spazio assume dunque, nell’ambito delle opere artistiche e delle speculazioni<br />

filosofiche, una notevole importanza nel momento <strong>in</strong> cui si riconosce la sua relazione<br />

culturale con l’uomo:<br />

Di ciò è rivelatrice l’importanza assunta, nella cultura europea, dal paesaggio, soprattutto se lo <strong>in</strong>tendiamo come<br />

scoperta da parte dell’uomo di sé e del mondo, come specchio del proprio essere e agire nella natura, dei modi <strong>in</strong><br />

cui questa è annessa dalla cultura: come riferimento, <strong>in</strong> altre parole, di quell’autocomprendersi che si è posto<br />

come fattore fondamentale della cultura europea 233 .<br />

Si potrebbe ipotizzare, <strong>in</strong> questo senso, un legame particolare fra le poetiche dei secoli XIX e<br />

XX e la descrizione dei paesaggi nella loro connotazione di spazio mitico. Già illum<strong>in</strong>ismo e<br />

romanticismo ridisegnarono un ruolo per il paesaggio nell’orizzonte conoscitivo dell’uomo.<br />

Per la sensibilità moderna, e per l’impatto che la rivoluzione <strong>in</strong>dustriale ebbe <strong>in</strong> quel periodo,<br />

è senz’altro da notare come i romantici e i modernisti ebbero una concezione dello spazio<br />

aff<strong>in</strong>e che si sublimò nella riscoperta dei paesaggi naturali anche se poi l’utilizzo fu differente.<br />

La connessione tra cultura e natura, ipotizzata da Galimberti e Turri <strong>in</strong> riferimento alle<br />

tematiche dello spazio, sembra trovare riscontro anche <strong>in</strong> un appunto di Pavese le cui<br />

implicazioni ontologiche sono state postulate a più riprese soprattutto da Gioanola. L’appunto<br />

del 1948 sembra s<strong>in</strong>tetizzare molte delle tematiche f<strong>in</strong> qui esposte. Pavese scrive:<br />

“L’Occidente ha sempre preferito l’uomo alla natura. Poesia narrativa con eroi. Scoprì il<br />

paesaggio col romanticismo, cioè l’identificazione (magica) con la natura (Schell<strong>in</strong>g ecc.)” 234 .<br />

Per Pavese il tempo del romanticismo sembra aver riproposto all’uomo la possibilità di<br />

riscoprire la valenza simbolica del paesaggio. Nelle righe di Pavese la riscoperta del<br />

paesaggio si pone come alternativa-reazione alla preferenza che l’uomo occidentale ha sempre<br />

accordato a se stesso e alla sua edificazione piuttosto che alla natura. Questa concezione<br />

troverà spazio nella mitologizzazione dei luoghi unici che avverrà <strong>in</strong> Feria d’Agosto. La<br />

mitizzazione del luogo unico, così come viene teorizzata da Pavese nel libro, solleva il<br />

problema della qualità di questo luogo unico e se esso possa considerarsi significante per<br />

culture non locali trattandosi, nella fattispecie, di aspetti paesaggistici delle Langhe<br />

piemon<strong>tesi</strong>. Nell’op<strong>in</strong>ione di Turri questa disposizione di fronte al luogo mitico locale è<br />

caratteristico della cultura europea e non sottoscrive di certo un aspetto prov<strong>in</strong>ciale dello<br />

scrittore <strong>in</strong> questione:<br />

Certo il paesaggio rimanda al locale, non all’Europa. Ma la “lettura” del locale, la sua celebrazione mitica e la<br />

sua conoscenza si ispirano <strong>in</strong> Europa a valori non strettamente locali: ossia il Genius loci è, <strong>in</strong> Europa, un Genius<br />

Europae, perché i processi culturali risentono dei movimenti che percorrono il cont<strong>in</strong>ente grazie all’<strong>in</strong>tensa<br />

comunicazione.[…] è caratteristico della cultura europea di annettere il particolare al generale, di fare dei miti<br />

locali dei miti globali.[…] Celebrare, dip<strong>in</strong>gere o cercare comunque i valori <strong>in</strong>siti <strong>in</strong> un paesaggio fa parte di un<br />

atteggiamento che è proprio di chi sospende l’azione, di chi si sofferma a guardare e descrivere lo scenario <strong>in</strong> cui<br />

poco prima era semplice attore. Da ciò la metafora del paesaggio come teatro, come specchio di una società,<br />

della sua cultura, del suo modo di rapportarsi alla natura. Si comprende perciò come ogni esercizio di studio,<br />

rappresentazione o contemplazione che leghi gli uom<strong>in</strong>i al teatro della propria esistenza generi riflessività,<br />

consapevolezza, caricando di significati simbolici quel paesaggio o quel luogo 235 .<br />

D’altra parte fu proprio Frazer a supportare una visione globale europea, <strong>in</strong> riferimento alle<br />

tradizioni popolari, grazie al suo approccio comparatistico. Discutendo dei rituali della<br />

233 E. Turri, Lo spazio europeo: alla ricerca di una geografia mitica, p. 32.<br />

234 C. Pavese, Il Mestiere di Vivere, 1 Maggio 1948, cit. p. 350.<br />

235 E. Turri, Lo spazio europeo: alla ricerca di una geografia mitica, cit. p. 33-34.<br />

75


primavera e della mietitura nelle campagne europee, Frazer, attra<strong>vers</strong>o la comparazione dei<br />

comportamenti di vari popoli europei, fu <strong>in</strong> grado di scrivere una lista di regole generiche che<br />

furono riscontrate come vere e proprie costanti. L’immedesimazione fra la persona e i covoni<br />

di grano è considerata una costante di molte popolazioni arcaiche europee così come il ricorso<br />

a riti magici e propiziatori scanditi dalle stagioni naturali. Frazer poté concludere che il<br />

substrato culturale delle popolazioni europee era senz’altro da considerarsi come primitivo:<br />

“Visti sotto quest’ottica, i riti tradizionali della primavera e della mietitura nelle nostre<br />

campagne europee meritano di essere classificati come primitivi” 236 .<br />

Lo spazio mitico trova dunque una propria precisa collocazione nel momento <strong>in</strong> cui si collega<br />

direttamente al tempo mitico. Lo spazio <strong>def</strong><strong>in</strong>ito dunque “come rete o <strong>in</strong>sieme dei luoghi della<br />

memoria, di luoghi e paesaggi simbolici del tempo e dello spazio” 237 è parte della mitologia<br />

occidentale. Al suo <strong>in</strong>terno ogni elemento diviene simbolico e funzionale alla<br />

rappresentazione artistica. Tale rappresentazione sarà senz’altro metaforica proprio per quella<br />

difficoltà di <strong>def</strong><strong>in</strong>ire precisamente, attra<strong>vers</strong>o il vocabolario della modernità, una dimensione<br />

atemporale. Il disegno di uno spazio mitico rappresentò un punto fondamentale nel pensiero<br />

di Pavese che si cimentò spesso col problema associandolo, il più delle volte, a quello del<br />

tempo mitico. Spazio e tempo devono sfuggire alla convulsa relatività dei tempi moderni per<br />

cercare una propria assolutezza, un proprio significato simbolico: “Come del tempo, così<br />

dello spazio. Poesia e Pittura. Non deve esistere, <strong>in</strong> una poesia, tempo empirico così come <strong>in</strong><br />

un quadro non deve esistere spazio empirico” 238 . Lo spazio trova il suo significato solo <strong>in</strong><br />

quanto simbolo rifiutando di esistere <strong>in</strong> una dimensione esclusivamente empirica. La distanza<br />

dalla realtà delle cose, che prevede uno spazio antropizzato, è però notevole. Ma <strong>in</strong> questo<br />

frangente si scopre la possibilità della scrittura artistica che deve lavorare per la costruzione, o<br />

il r<strong>in</strong>venimento, di uno spazio assoluto, mitico, altro rispetto allo spazio empirico del mondo<br />

moderno: “Creare un’opera è dunque trasformare <strong>in</strong> assoluti il suo tempo e il suo spazio” 239 .<br />

Lo spazio diviene dunque il luogo fuori dal tempo empirico, un luogo <strong>in</strong> cui si può svolgere<br />

una vicenda romanzesca che si situi <strong>in</strong> una dimensione temporale di mezzo, tra quella del<br />

tempo empirico e quella del tempo assoluto. Il romanzo modernista si situa su questo conf<strong>in</strong>e<br />

tra spazio assoluto e spazio mitico, tra tempo assoluto e tempo mitico. L’empiria del mondo<br />

moderno piuttosto che essere rifiutata è messa a confronto con la dimensione del tempo e<br />

dello spazio assoluto creando un conflitto che si combatte sul terreno del mito. Moretti<br />

<strong>in</strong>dividua nella capacità del romanzo di porsi al conf<strong>in</strong>e fra le due dimensioni spaziotemporali<br />

un tratto caratteristico del romanzo moderno:<br />

Il nostro mondo dis<strong>in</strong>cantato non contiene dei ben dist<strong>in</strong>ti reami morali, ma solo una geografia, e nulla più. E<br />

proprio qui, sul cr<strong>in</strong>ale fra le due culture, il romanzo ha giocato e v<strong>in</strong>to la sua partita più ambiziosa: fare da ponte<br />

tra il vecchio e il nuovo, str<strong>in</strong>gendo un compromesso geniale tra il mondo un po’ troppo freddo della conoscenza<br />

moderna e la topografia <strong>in</strong>cantata della favola di magia 240 .<br />

Lontano dall’essere un compromesso armonico, l’<strong>in</strong>contro fra le due dimensioni, quella<br />

empirica e quella mitica, sfocia il più delle volte, <strong>in</strong> tragedia. Ma la presenza di luoghi<br />

geografici “fuori dal tempo” è classico di certa produzione modernista ed è estremamente<br />

funzionale allo sviluppo della sua poetica. L’ambientazione di molti romanzi modernisti <strong>in</strong><br />

questi spazi, <strong>def</strong><strong>in</strong>iti da Braudel come luoghi “la cui storia sta nel non avere una storia, nel<br />

restare ai marg<strong>in</strong>i delle grandi correnti civilizzatrici”, permette allo scrittore di muo<strong>vers</strong>i <strong>in</strong><br />

una dimensione alternativa a quella del reale che diviene, <strong>in</strong>direttamente, oggetto di<br />

236<br />

James G. Frazer, Il Ramo d’oro, Newton Compton Editori, Roma, 1992, pp. 466-67.<br />

237<br />

E. Turri, Lo spazio europeo: alla ricerca di una geografia mitica, cit. p. 35.<br />

238<br />

C. Pavese, Il Mestiere di Vivere, 26 Febbraio 1940, cit. p. 178.<br />

239<br />

Ibidem.<br />

240<br />

F. Moretti, Atlante del Romanzo Europeo, cit. p. 76.<br />

76


osservazione critica 241 . La presenza, nei romanzi modernisti, di luoghi marg<strong>in</strong>ali, <strong>in</strong>scritti <strong>in</strong><br />

una dimensione spazio-temporale autonoma, stabilisce la possibilità, per l’autore, di portare<br />

avanti un confronto, una vera ricerca basata, il più delle volte, su un personaggio “civile” che<br />

si trova a proiettare se stesso, e qu<strong>in</strong>di il suo mondo, <strong>in</strong> uno spazio lontano e di<strong>vers</strong>o. E’ un<br />

luogo mitico che proprio <strong>in</strong> quanto fuori dalla civiltà e dalla sua storia empirica è depositario<br />

di una sapienza antica e feconda che si contrappone a quella razionale della società moderna.<br />

Per Jurij Lotman i luoghi ai marg<strong>in</strong>i della storia, i luoghi che vivono la storia come riflesso di<br />

ciò che accade nei centri pr<strong>in</strong>cipali, sopperiscono a questa carenza semiotica tramite il<br />

potenziamento delle componenti mitologiche. Il vuoto semiotico, a cui le civiltà rurali erano<br />

state condannate dal progresso civile, che aveva privilegiato lo sviluppo delle città, sarebbe<br />

stato dunque colmato dalla antica sapienza del luogo tanto che si può assistere al fenomeno<br />

per il quale “l’assenza di storia ha portato ad una crescita impetuosa della mitologia” 242 . La<br />

presenza nel romanzo modernista di spazi, <strong>in</strong> cui le categorie spazio-temporali sono poste<br />

nuovamente <strong>in</strong> gioco, dà vita ad un bipolarismo che <strong>in</strong>veste gli stessi personaggi.<br />

Il sistema bipolare sembra assurgere a schema privilegiato nella narrativa modernista. Lo<br />

spazio assoluto mitico si oppone a quello relativo empirico così come avvenuto per il tempo e<br />

così come avverrà per i personaggi. Questa struttura bi-polare, che riveste una fondamentale<br />

importanza nella teoria della composizione dei modernisti, è spiegata da Moretti <strong>in</strong> relazione<br />

alla risonanza europea della Morfologia della Fiaba di Vladimir Propp <strong>def</strong><strong>in</strong>ita dal critico<br />

come “l’opera chiave della narrativa moderna”. Moretti <strong>in</strong>siste “sull’esistenza di due campi<br />

av<strong>vers</strong>i (il mondo <strong>in</strong>iziale e l’altro reame), dalla cui opposizione scaturiscono tutti gli eventi<br />

fondamentali del racconto. Ora, nel corso del Novecento, lo schema di Propp è stato criticato<br />

e modificato più d’una volta: la sua natura bipolare, però, non è stata mai messa <strong>in</strong><br />

discussione” 243 . Cesare Pavese, che era lettore di Propp, sembra rientrare <strong>in</strong> questa categoria.<br />

La conoscenza di uno spazio straniero sembra attra<strong>vers</strong>are, <strong>in</strong> molti romanzi modernisti,<br />

l’<strong>in</strong>tera evoluzione culturale degli ultimi secoli riguardante il rapporto dell’uomo con la<br />

natura 244 . La conoscenza <strong>in</strong>iziale si <strong>in</strong>augura con la curiosità per il pittoresco e lo spirito di<br />

esplorazione. L’esempio del Serpente Piumato è emblematico. Lawrence ambienta la<br />

narrazione <strong>in</strong> uno spazio ibrido. Lo spazio della corrida, i peones vestiti all’occidentale, sono<br />

elementi di uno spazio di conf<strong>in</strong>e pittoresco. Tutto è una scimmiottatura del mondo<br />

occidentale ma, proprio attra<strong>vers</strong>o il grottesco, si rivela l’esistenza di un mistero. Kate, dopo<br />

aver disdegnato la barbara rappresentazione, rimarrà affasc<strong>in</strong>ata dal mistero di quei luoghi che<br />

si esprime attra<strong>vers</strong>o la descrizione di paesaggi <strong>in</strong>quietanti ma, al contempo, affasc<strong>in</strong>anti.<br />

Insomma il paesaggio da grottesco si trasforma presto <strong>in</strong> immag<strong>in</strong>e misteriosa o addirittura<br />

orrorifica, che rievoca <strong>in</strong> parte il sublime romantico. La terza fase è quella propria del<br />

riconoscimento. Quel mondo, reputato così di<strong>vers</strong>o e così lontano, si scopre <strong>in</strong>vece prossimo<br />

ed affasc<strong>in</strong>ante. Pavese e Lawrence, assecondando spesso questo schema tripartito, si<br />

differenziano molto per l’esito delle loro narrazioni, spesso tragiche per il primo, spesso<br />

utopiche per il secondo. Il punto comune sembra però questo: ciò che <strong>in</strong> un primo momento<br />

appare strutturarsi come conoscenza di un mondo, si rivela essere un riconoscimento, che si<br />

attua gradualmente, di quello stesso mondo. E’ un riconoscimento che avviene proprio <strong>in</strong> base<br />

alle leggi della cultura e che trova nella teoria della cognizione di Vico un’ottima<br />

formulazione. Per Turri i legami dell’uomo con il territorio sono <strong>in</strong>controvertibili:<br />

241 Ivi, p. 37.<br />

242 Jurij Lotman, La Semiosfera, Marsilio Editore, 1985, p. 232.<br />

243 F.Moretti, Atlante del Romanzo Europeo, cit. p.113.<br />

244 Nel Settecento all’epoca dell’esplorazione il luogo sconosciuto era uno spazio da colonizzare, da annettere<br />

alla sfera della cultura occidentale, ma era anche l’immag<strong>in</strong>e dell’idea che l’uomo aveva di stesso nel suo stadio<br />

di perfezione morale e sociale: uno spazio <strong>in</strong>contam<strong>in</strong>ato, puro, <strong>in</strong>nocente, <strong>in</strong> cui le persone vivevano <strong>in</strong> armonia<br />

fra loro e con la natura. Il Romanticismo ricom<strong>in</strong>ciò a guardare gli spazi naturali con gusto del sublime, una sorta<br />

di suggestione mistica che doveva lasciare presto il posto alle problematiche moderniste che, elaborando le<br />

ricerche effettuate nel campo dell’antropologia, postularono il legame essenzialmente tragico che lega l’uomo<br />

alla natura.<br />

77


Ogni cultura elegge i propri topos, privilegia e celebra dei paesaggi che le sono congeniali, espressivi del<br />

momento storico che essa rappresenta. Ma ogni cultura ha legami genetici che attra<strong>vers</strong>ano la storia e qu<strong>in</strong>di è<br />

<strong>in</strong>dotta a non dimenticare i simboli e i miti delle epoche passate, tanto più quando sono impiantati sul suolo, cioè<br />

nel territorio 245 .<br />

La terra ha dunque una sapienza mitica che il personaggio dei romanzi modernisti sembra<br />

condannato a dover riconoscere. La riflessione di Lawrence sul mito rivestì una decisiva<br />

importanza nell’ambito della poetica dell’autore. Nella sua produzione non ci sono esempi di<br />

lavori che richiamano direttamente l’uni<strong>vers</strong>o mitico greco, come nell’esempio dei Dialoghi<br />

con Leucò di Cesare Pavese, o biblico, come nell’esempio di The Waste Land di Eliot. Eppure<br />

tutta l’opera di Lawrence risente di una preventiva riflessione sulle categorie mitiche. L’opera<br />

che più di tutte le altre viene associata al mito è senz’altro Il Serpente Piumato. Il romanzo,<br />

ambientato nel Messico di <strong>in</strong>izio secolo, fa riferimento esplicito alla mitologia locale che si<br />

basa sul mito del dio Quetzalcoatl. La protagonista del romanzo, l’irlandese Kate, è colei la<br />

quale si trova a confrontarsi con le potenze oscure della terra e con l’<strong>in</strong>esplicabile mistero del<br />

mito di Quetzalcoatl. Lo schema base del romanzo è quello che si può oramai riconoscere<br />

classico <strong>in</strong> una certa produzione modernista. Un personaggio proveniente dalla cosiddetta<br />

“civiltà” parte alla ricerca di avventure esotiche e f<strong>in</strong>isce con il porsi alla ricerca di se stesso.<br />

Il contatto con l’altro, il di<strong>vers</strong>o, il lontano, si sviluppa nella consueta maniera. Si passa da<br />

un’<strong>in</strong>iziale scontro di culture, <strong>in</strong> cui la superiorità della cultura civile occidentale è rivendicata<br />

come superiore ad un f<strong>in</strong>ale ripensamento di tutte le categorie che avevano portato a questi<br />

aprioristici assunti. Gli autoctoni vengono guardati dall’alto al basso, scherniti, sono oggetto<br />

di disprezzo <strong>in</strong> quanto <strong>in</strong>capaci di assimilare completamente il dono della civiltà che<br />

l’occidente porta loro. Nella scena della corrida, <strong>in</strong> cui la vista del sangue risveglia gli ist<strong>in</strong>ti<br />

repressi degli autoctoni, gli occhi di Kate si riempiono di disprezzo per uno spettacolo<br />

grottesco, <strong>in</strong> cui la natura contam<strong>in</strong>ata, meticcia, di quella popolazione viene a galla <strong>in</strong> modo<br />

quasi ridicolo:<br />

In gran parte, erano uom<strong>in</strong>i di aspetto rozzo vestiti con abiti di città, meticci di una terra meticcia. Due di loro<br />

or<strong>in</strong>avano contro il muro, riprendendosi per un momento dall’eccitazione che li prendeva. […] Almeno per quei<br />

bamb<strong>in</strong>i le corride non sembravano spettacoli naturali; ma a poco a poco ne avrebbero recuperato il piacere.<br />

C’erano altri bamb<strong>in</strong>i tuttavia e grasse madri <strong>in</strong> raso nero, divenuto unto e grigio alla scollatura per la troppa<br />

cipria. Avevano uno sguardo esaltato e compiaciuto, quasi sessuale, spregevolmente <strong>in</strong> contrasto con i loro molli<br />

corpi passivi. […] Kate era spaventata da questa sordidezza. Aveva visto tante cose al mondo, ma lì, a Città del<br />

Messico, persisteva una <strong>def</strong>ormità sotterranea, una sorta di squallida malvagità tutta particolare. Era <strong>in</strong>timidita da<br />

qualcosa che potesse toccarla <strong>in</strong> una città del genere, e potesse contagiarla con la sua crudeltà da rettile. E sapeva<br />

anche che cera ben poco da fare, se non conservare il proprio sangue freddo 246 .<br />

Di lì a poco, nel processo di maturazione della protagonista, si avvertirà un deciso<br />

cambiamento nel metodo di giudizio. La repulsione che <strong>in</strong>izialmente i peones suscitavano <strong>in</strong><br />

Kate viene gradualmente sostituita dalla curiosità, dall’<strong>in</strong>teresse, dal riconoscimento<br />

dell’esistenza di un vero segreto nascosto nell’anima degli autoctoni. La contemplazione di<br />

questo mistero è anche la contemplazione di un abisso (abisso niciano): “Tutto mi str<strong>in</strong>ge il<br />

cuore. Gli occhi degli uom<strong>in</strong>i dai grandi capelli, - i peones voglio dire. Occhi senza centro,<br />

senza un vero io. C’è come un tempestoso abisso nero, al centro, il vortice di un<br />

maelstrom” 247 .<br />

245 E.Turri, Lo spazio europeo: alla ricerca di una geografia mitica, cit. p. 41.<br />

246 D. H. Lawrence, Il serpente piumato, Roma, Newton Compton Editore, 1995, pp. 30-31.<br />

247 Ivi, p. 46.<br />

78


Nelle parole di Kate si notano tutti gli elementi basilari della strategia del romanzo modernista.<br />

La percezione della distanza fra il mondo civilizzato e quello degli autoctoni, il senso di<br />

disprezzo e di orrore <strong>vers</strong>o un mondo che viene giudicato dall’alto <strong>in</strong> basso ma che suscita<br />

un’<strong>in</strong>discutibile attrazione nel personaggio, la sensazione, già al primo capitolo del romanzo,<br />

di essere entrati nel campo d’attrazione che risucchierà il personaggio. La tragedia si compirà e<br />

non ci sarà alcuna possibilità, o volontà, di evitarla. Il personaggio viene attirato nel gioco<br />

mitico e non ne può uscire che sconfitto. La tragedia per Kate è quella di trovarsi di fronte alla<br />

percezione del proprio essere smarrito, di poterlo riconoscere, ist<strong>in</strong>tivamente, ma di non<br />

poterlo accettare razionalmente. Ma il male oramai è presente nell’animo di Kate. E’ un male<br />

che non si può dire sia stato contratto, lì nel Messico, quanto risvegliato. Il germe, presente<br />

nell’animo del personaggio, viene riportato a vita e il suo scavare l’organismo è oramai un<br />

processo <strong>in</strong>evitabile. Un processo il cui risultato sembra scontato, la condanna già scritta: “[…]<br />

sentiva entrare il Messico dentro di sé come una condanna. Qualcosa di opprimente come le<br />

spire di un enorme serpente <strong>in</strong>capace di sollevarsi.[…] Non riusciva a cancellare dalla mente la<br />

visione dell’arena, le sembrava di avere una ferita, dentro” 248 . Kate associa ist<strong>in</strong>tivamente gli<br />

eventi che accadono <strong>in</strong> quel luogo lontano, nello spazio e nel tempo, a quello che sta<br />

accadendo nel suo animo. La lontananza si colma improvvisamente ma la prossimità è ora<br />

tragica. Kate torna ad avere un rapporto diretto con il mondo che la circonda ma è un rapporto<br />

malsano viziato da anni, forse secoli, di menzogne. La forza dell’immag<strong>in</strong>e di un mondo<br />

straniero, così lontano e al contempo così vic<strong>in</strong>o, entra nella coscienza della protagonista e<br />

riapre un’antica ferita, rimuove una cicatrice di cui si era dimenticata l’esistenza. Nella<br />

costruzione dell’immag<strong>in</strong>e che deve provocare il turbamento, Lawrence ricorre a parametri<br />

classici della composizione modernista, parametri che ricordano quelli utilizzati da Conrad <strong>in</strong><br />

Cuore di tenebra quando Kurtz, di fronte allo spettacolo agghiacciante delle proprie orig<strong>in</strong>i,<br />

non riesce ad esprimere le sue sensazioni se non attra<strong>vers</strong>o la ripetizione di una sola parola:<br />

l’orrore:<br />

Non riuscì a chiudere occhio per tutta la notte. Rimase ad ascoltare i rumori di Città del Messico, e ancora i<br />

silenzi orrendi, e quell’<strong>in</strong>s<strong>in</strong>uante paura che striscia al fondo oscuro delle notti messicane. Dentro di sé avvertiva<br />

un sordo rancore per Città del Messico. E timore. Di giorno, la città aveva un suo fasc<strong>in</strong>o – ma di notte tutto<br />

emergeva <strong>in</strong> superficie, quanto possedeva di sotterraneo, di sordido, di malevolo 249 .<br />

Il paesaggio, così come accade nella foresta <strong>in</strong>esplorata di Conrad, sembra assurgere a parte<br />

<strong>in</strong>tegrante della rappresentazione modernista. Il paesaggio è l’espressione della natura che si<br />

riflette nell’animo dei peones. Anche il paesaggio naturale, ben lontano dall’essere l’idillica<br />

campagna arcadica <strong>in</strong> cui i romantici immag<strong>in</strong>avano agire un uomo <strong>in</strong>corrotto e puro, diviene<br />

espressione di questo orrore che si scava spazio nell’animo dell’uomo civile. L’orrore che<br />

nasce dal ricordo delle proprie sangu<strong>in</strong>arie orig<strong>in</strong>i: “In lontananza, pesanti, le due montagne<br />

<strong>in</strong>nevate sembrava emettessero un profondo suono, troppo profondo, nel suo mormorio,<br />

perché orecchio umano lo udisse, eppure tale da venir ascoltato dal sangue: un suono di<br />

terrore” 250 . Il paesaggio diviene parte <strong>in</strong>tegrante della rappresentazione modernista. La natura<br />

si proietta m<strong>in</strong>acciosa sull’animo degli esseri umani, li soggioga, ne diviene essa stessa parte.<br />

Il mistero che i paesaggi naturali suggeriscono alla protagonista è la proiezione dell’orrore che<br />

oramai alberga nella sua anima. L’uomo r<strong>in</strong>viene le tracce, che sembravano svanite nel<br />

tempo, di un legame ancestrale, ma il nuovo rapporto, la possibilità di un nuovo rapporto, è<br />

presago di morte: “Inutilmente Kate si chiedeva perché era venuta lì. Dall’Inghilterra,<br />

dall’Irlanda, dalla sua Europa, aveva avvertito il consummatum est del suo spirito consumato<br />

248 Ivi ,pp. 33-35.<br />

249 Ivi, p. 37.<br />

250 Ivi, p. 53.<br />

79


<strong>in</strong> una letale agonia. Tuttavia questo pesante luogo dell’anima presaga di morte era per lei<br />

molto più di quanto fosse <strong>in</strong> grado di sopportare” 251 . Nell’ambito della descrizione di questo<br />

paesaggio che si carica, come tutta la narrazione del romanzo, di simboli, anche la notte<br />

assume una valenza differente. Quasi a voler richiamare l’antica mitologia greca che<br />

assegnava ad Apollo il giorno, come regno della ragione, e a Dioniso la notte, come regno<br />

dell’irrazionale. Nell’ambito della descrizione di un paesaggio <strong>in</strong>quietante, orrorifico,<br />

portatore del ricordo e della m<strong>in</strong>accia di morte, giorno e notte assumono proprie connotazioni<br />

simboliche e si vestono di nuovi profondi significati. Il regno della ragione, <strong>in</strong> un luogo così<br />

lontano dalla civilizzata Europa, sembra m<strong>in</strong>acciato di cont<strong>in</strong>uo dagli umori sotterranei della<br />

terra. L’immag<strong>in</strong>e di un sole velato descritto da Lawrence sembra esprimere al meglio questa<br />

sensazione portatrice di un presentimento di morte: “La splendente luce del sole era come<br />

velata da un’oscura coltre di sangue rabbioso di impotenza e gli stessi fiori sembrava che<br />

fossero nutriti di sangue alle radici. Uno spirito crudele era lì a reprimere, distruggere, quel<br />

luogo” 252 . Ma è la notte il momento <strong>in</strong> cui, <strong>in</strong>sieme alle tenebre, i misteri di quella terra<br />

lontana si rendono manifesti. E’ una notte profonda che rivela la presenza di una m<strong>in</strong>accia<br />

<strong>in</strong>combente:<br />

Si mossero <strong>vers</strong>o il lontano sobborgo, <strong>in</strong> tram, che passò veloce nel mezzo della notte tra un luccichio<br />

m<strong>in</strong>accioso delle grandi stelle chiare, remote al fondo del cielo. Tlalpam promanava un pesante profumo di fiori<br />

notturni. Tutt’<strong>in</strong>torno, un senso di pesante oscurità, sc<strong>in</strong>tillio di lucciole <strong>in</strong>termittente. E ancora, il greve<br />

richiamo d’odore dei fiori notturni. Kate percepiva come un soffio di sangue nel profumo dei fiori tropicali; e<br />

anche di sudore. La notte era calda 253 .<br />

Il valore simbolico del paesaggio si lega all’immag<strong>in</strong>e che la protagonista ne ha nei vari<br />

momenti della giornata. Anche la scansione temporale della giornata, tempo naturale, viene a<br />

far parte, nel suo simbolismo, del grande affresco mitologico disegnato da Lawrence. La<br />

stessa rappresentazione simbolica del paesaggio si aveva nelle opere di Nietzsche e rimane un<br />

corollario per molti dei romanzi modernisti. L’ora del crepuscolo, il passaggio sfumato tra il<br />

giorno e la notte, si ammanta di un particolare significato. E’ il momento <strong>in</strong> cui il giorno<br />

matura, è il momento del trapasso. In un dialogo tra Cipriano e Kate la forza misterica del<br />

paesaggio messicano assume proporzioni più precise:<br />

“Che strana oscurità c’è nel Messico!”, esclamò lei.<br />

“Vi piace?, egli chiese.<br />

“Molto. Ma ancora di più mi piace l’ora <strong>in</strong> cui il giorno tramonta e la notte si fa strada come qualcuno che<br />

camm<strong>in</strong>a. Ci si sente più liberi <strong>in</strong> quel momento, non vi pare? Proprio come quei fiori che esalano il loro<br />

profumo di notte, mentre nel giorno contemplano il sole senza odore”.<br />

“Forse ho paura della notte qui”, affermò Kate ridendo.<br />

“Si? Perché no? Anche l’odore dei fiori, la notte, dà un po’ di paura, eppure è una paura buona, gradevole, non vi<br />

sembra?” 254 .<br />

Il tempo, nella scrittura di Lawrence, si lega dunque al paesaggio e al suo mito. Kate,<br />

provenendo dalla città, scopre una differente modalità di correlarsi al passare del tempo <strong>in</strong><br />

quella terra. E’ quasi una riappropriazione mistica di una categoria, quella del tempo, che<br />

nella civiltà moderna viene ad essere sepolta per essere poi assoggettata alla necessità degli<br />

uom<strong>in</strong>i che la sezionano e la riorganizzano a secondo delle esigenze della macch<strong>in</strong>a produttiva.<br />

251 Ivi, p. 54.<br />

252 Ivi, p. 53.<br />

253 Ivi, p. 62.<br />

254 Ivi, p. 68.<br />

80


Kate trova, <strong>in</strong> questo uni<strong>vers</strong>o mitico, una nuova unità. Un’unità con tutti gli elementi della<br />

terra che nella società civile le era stata preclusa: “Terra, acqua aria convivevano sotto il<br />

silenzio della luce nuova del giorno […] 255 . E’ una nuova unità <strong>in</strong> cui il tempo perde il suo<br />

valore, il suo ruolo <strong>in</strong>dipendente di metronomo dell’esistenza umana, per ritirarsi nel seno del<br />

tutto. Ma è unità ritrovata che promette vendetta : “Persisteva una condanna sotto quel cielo<br />

tanto limpido: condanna e orrore” 256 . Il ritrovare l’unità all’<strong>in</strong>terno dell’uni<strong>vers</strong>o mitico <strong>in</strong> cui<br />

Lawrence ambienta il suo romanzo non può che costituire un preludio alla tragedia imm<strong>in</strong>ente.<br />

Tragedia a cui Kate è dest<strong>in</strong>ata. L’ambientazione del romanzo, l’utilizzo che Lawrence ha dei<br />

paesaggi e del tempo, lo stesso ruolo ad ognuno dei personaggi assegnato, possono far parlare<br />

di una storia calata <strong>in</strong> un tempo mitico fuori dalla portata dei costrutti occidentali a cui è <strong>in</strong>vece<br />

assegnato il ruolo di antagonisti. Per Walter Mauro, nella prefazione all’edizione italiana del<br />

libro, il paesaggio svolge una funzione essenziale nel romanzo 257 così come essenziale è la<br />

scelta della terra di conf<strong>in</strong>e del Messico “[…] primordiale e sprovveduto, una terra verg<strong>in</strong>e <strong>in</strong><br />

cui l’ondata dell’<strong>in</strong>telligenza, delle umane sorti e progressive, non ha com<strong>in</strong>ciato ad operare<br />

sulla verg<strong>in</strong>e <strong>in</strong>nocenza di comunità umane ancora fortemente ancorate alle tradizioni, ai riti ai<br />

miti degli avi lontani” 258 . La descrizione del paesaggio è dunque solo apparentemente una<br />

derivazione della vecchia scuola vittoriana che con tali descrizioni impegnava buona parte<br />

della narrazione nei romanzi di prov<strong>in</strong>cia. Il paesaggio diviene vivo e torna a far parte della<br />

narrazione al pari di un personaggio. Il paesaggio naturale e il tempo ciclico delle stagioni<br />

divengono, nella narrazione di Sons and Lo<strong>vers</strong>, parte <strong>in</strong>tegrante del romanzo e ne scandiscono<br />

ambientazione e ritmo. Le pulsioni di Paul sembrano guidate da una forza esterna, quella del<br />

sangue, e sembrano conciliarsi con le leggi della natura. Le motivazioni ragionevoli, che Paul<br />

cerca e trova di volta <strong>in</strong> volta per legittimare le proprie azioni e i propri sentimenti, appaiono<br />

come giustificazioni razionali a pulsioni ist<strong>in</strong>tive. La vita di Paul, come quella degli altri<br />

protagonisti, sembra regolata da forze ben più grandi che non quelle razionali. Una di queste<br />

forze è senz’altro la natura. Queste forze, che Paul all’<strong>in</strong>izio percepisce ma non riesce ad<br />

identificare, si configurano più precisamente nella parte f<strong>in</strong>ale del libro dove, razionalizzate,<br />

assumono la forma del mito. L’esperienza mitica che i due giovani vivono si staglia sullo<br />

sfondo di una natura onnipresente che espleta, a sua volta, un ruolo mitico. Le vicende dei<br />

protagonisti si svolgono, <strong>in</strong> predom<strong>in</strong>anza, di fronte al paesaggio naturale che ha un ruolo<br />

attivo nello svolgersi della vicenda. La costante presenza dell’elemento naturale sembra aver la<br />

funzione di testimoniare, di fronte ai personaggi, l’esistenza di una legge superiore e<br />

<strong>in</strong>eluttabile. Le leggi della natura sono differenti da quelle dell’uomo moderno e questo scarto<br />

sembra approfondito da Lawrence attra<strong>vers</strong>o la sua tecnica narrativa. Se per descrivere le<br />

azioni dei personaggi lo scrittore adotterà una tecnica espressionista tutta dedita a mettere <strong>in</strong><br />

luce i sentimenti più profondi, nella descrizione dei paesaggi adotterà una tecnica<br />

impressionista tesa a svelare l’impassibilità, ma al contempo l’implacabilità, della natura. Il<br />

rapporto che stabilisce Lawrence fra la natura e i suoi personaggi è <strong>in</strong>tenso. La natura,<br />

<strong>in</strong>izialmente <strong>in</strong>tesa come luogo idillico e ideale, rivela spesso, attra<strong>vers</strong>o segnali quasi<br />

impercettibili, il suo vero volto tragico. I simboli naturali, che si svolgono di fronte agli occhi<br />

dei due amanti, subiscono, di volta <strong>in</strong> volta, repent<strong>in</strong>e trasformazioni <strong>in</strong> simboli di morte. Il<br />

passaggio dalla concezione romantica della natura a quella modernista è <strong>in</strong> questo contesto<br />

pienamente visibile:<br />

He looked across at every tree-foot. At last he found what he wanted. Two beech trees side by side on the hill held<br />

a little level on the upper face between their roots. It was littered with damp leaves, but it would do. The<br />

fisherman were perhaps sufficiently out of sight. He threw down his ra<strong>in</strong>proof and waved to her to come. She<br />

255 Ivi, p. 86.<br />

256 Ivi, p. 95.<br />

257 W. Mauro sottol<strong>in</strong>ea “[…] la concentrazione sul mito del paesaggio, sulla fasc<strong>in</strong>azione di una natura densa di<br />

segnali carichi di religiosità laica, oltre che di culto […]”. Ivi, p. 10.<br />

258 Ivi, p. 11.<br />

81


toiled to his side. Arriv<strong>in</strong>g there, she looked at him heavily, dumbly, and laid her head on his shoulder. He held<br />

her fast as he looked round. They were safe enough from all but the small, lonely cows over the river. He sunk his<br />

mouth on her throat, where he felt her heavy pulse beat under his lips. Everyth<strong>in</strong>g was perfectly still. There was<br />

noth<strong>in</strong> g <strong>in</strong> the afternoon but themselves. When she arose, he, look<strong>in</strong>g on the ground all the time, saw suddenly<br />

spr<strong>in</strong>kled on the back wet beech-roots many scarlet carnation petals, like splashed drops of blood; and red, small<br />

splashes fell from her bosom, stream<strong>in</strong>g down her dress to her feet 259 .<br />

L’importanza dello spazio geografico nella composizione dei romanzi moderni ha portato<br />

Lotman ad associarlo alle sue teorie relative ai campi semiotici. In epoca moderna si assiste<br />

alla vera e propria rappresentazione geografica degli spazi culturali. Il concetto di semiosfera,<br />

espresso da Lotman, si riferisce alla capacità e alla possibilità di uno spazio circoscritto di<br />

essere portatore di significati di<strong>vers</strong>i, a volte opposti, allo spazio che è a esso limitrofo. Di<br />

particolare <strong>in</strong>teresse al f<strong>in</strong>e della nostra ricerca sono i punti di contatto, quelli che, utilizzando<br />

ancora una metafora geografica, Lotman chiama “conf<strong>in</strong>i” <strong>def</strong><strong>in</strong>iti come “l’<strong>in</strong>sieme dei punti<br />

che appartengono nello stesso tempo allo spazio <strong>in</strong>terno e a quello esterno” 260 . Vi è allora un<br />

luogo del significato ibrido dove i discorsi culturali si <strong>in</strong>trecciano. Il concetto di spazio,<br />

espresso <strong>in</strong> questa prima fase della riflessione, è ampio. Ingloba anche gli spazi culturali e si<br />

serve della geografia come serbatoio di metafore atte a spiegare i concetti espressi. Lotman,<br />

tuttavia, analizza di seguito espressamente il caso <strong>in</strong> cui gli stessi scrittori, per esprimere<br />

questo scontro-<strong>in</strong>contro di culture, si rifanno a metafore spaziali <strong>in</strong>trecciandole al tessuto della<br />

narrazione. In questo caso l’ord<strong>in</strong>e spaziale diviene fondante dell’opera narrativa e al<br />

contempo estremamente simbolico:<br />

Nei casi <strong>in</strong> cui lo spazio culturale acquista carattere territoriale, il conf<strong>in</strong>e assume un senso spaziale nel<br />

significato elementare. Così, ad esempio, quando la semiosfera si identifica con uno spazio culturale e il mondo<br />

esterno col dom<strong>in</strong>io di elementi caotici e disord<strong>in</strong>ati, la distribuzione spaziale delle formazioni semiotiche<br />

assume <strong>in</strong> molti casi questa forma. Persone che, grazie a doti particolari (come lo stregone) e al tipo di lavoro<br />

che svolgono (come il fabbro, il mugnaio, il boia) appartengono a due mondi e appaiono come traduttori, si<br />

stabiliscono nella periferia territoriale, al conf<strong>in</strong>e fra il mondo culturale e quello mitologico. Il tempio delle<br />

div<strong>in</strong>ità culturali che organizzano il mondo si dispone <strong>in</strong>vece al centro. Si può vedere ad esempio nella cultura<br />

del XIX secolo l’opposizione fra il centro della città, che rappresenta la struttura sociale dom<strong>in</strong>ante, e l’elemento<br />

distruttivo della zona periferica 261 .<br />

L’analisi della semiosfera da parte di Lotman mette <strong>in</strong> risalto come lo spazio abbia un significato e rappresenti<br />

una parte importante di tutto il progetto narrativo. Nell’epoca moderna questo significato diviene ancora più<br />

evidente nel momento <strong>in</strong> cui si disegna una netta divisione tra le aree urbanizzate, detentrici delle regole della<br />

civiltà, e le aree rurali per quanto riguarda l’Europa, selvagge per quanto riguarda il resto del mondo, che si<br />

pongono agli antipodi delle prime aiutandole a potersi <strong>def</strong><strong>in</strong>ire <strong>in</strong> base alle differenze. I conf<strong>in</strong>i, come constata<br />

Lotman, non sono però marcati. Sono, al contrario, entità mobili, <strong>in</strong>stabili, e abbastanza ampie. Molti scrittori<br />

modernisti ambienteranno i loro romanzi <strong>in</strong> queste aree di conf<strong>in</strong>e altri, come Conrad, varcheranno il conf<strong>in</strong>e per<br />

proiettarsi direttamente <strong>in</strong> territori sconosciuti e <strong>in</strong>traducibili, non significanti <strong>in</strong> quanto non conf<strong>in</strong>anti con la<br />

semiosfera europea.<br />

259 D. H. Lawrence, Sons and Lo<strong>vers</strong>,cit. pp. 378-379.<br />

260 J. M. Lotman, La Semiosfera, cit. p. 58.<br />

261 Ivi, p. 61.<br />

82


3 TEMI MODERNISTI IN PAVESE: IL VIAGGIO E L’INCONTRO CON L’ALTRO<br />

3.1 Il viaggio come momento topico della letteratura modernista<br />

E se vai per le strade, sai che la terra è tutta<br />

piena di div<strong>in</strong>o e di terribile. Se ti parlo è<br />

perché, come viandanti e sconosciuti,<br />

anche noi siamo un poco div<strong>in</strong>i. (Cesare<br />

Pavese, Dialoghi con Leucò).<br />

Non si tratta <strong>in</strong>fatti di affrontare una nuova<br />

strada, ma di liberare l’antica, custodendo<br />

con la massima cura le orme che ancora vi<br />

si trovassero impresse. (Umberto<br />

Galimberti, Heidegger, Jaspers e il<br />

Tramonto dell’Occidente).<br />

All’<strong>in</strong>terno del grande spazio significante i personaggi dei romanzi modernisti si muovono<br />

passando da una semiosfera all’altra, ancor più spesso, esplorando le terre di conf<strong>in</strong>e. E’ un<br />

movimento che implica possibilità conoscitive ulteriori e che rende il personaggio una sonda<br />

mobile studiata per l’esplorazione. Lo stesso romanzo moderno, <strong>def</strong><strong>in</strong>ito da Kundera come<br />

un’esplorazione dell’esistenza, si struttura nella forma narrativa del viaggio. Vi è un rapporto<br />

<strong>in</strong>somma fra il camm<strong>in</strong>are e lo scrivere 262 . Nell’ambito dello spazio assoluto, <strong>in</strong> cui si<br />

riconosce un nuovo ord<strong>in</strong>e significante, la scrittura dei modernisti si imbatte spesso <strong>in</strong> due<br />

topoi letterari che, come lo spazio, tendono a divenire degli assoluti, dei simboli. Il topos del<br />

viaggio è alla base del concetto stesso di narrazione e si collega direttamente al concetto di<br />

mito.<br />

Per A. Reim Natale non solo “la metafora del viaggio è all’orig<strong>in</strong>e di tutto il narrare” 263 , ma<br />

anche le storie che non parlano esplicitamente di viaggi hanno la possibilità di essere<br />

strutturate su questo modello. Il viaggio, come la scrittura, non si <strong>in</strong>traprende per scoprire<br />

qualcosa di nuovo ma si <strong>in</strong>traprende per r<strong>in</strong>venire le tracce di qualcosa che l’uomo ha perduto.<br />

E’ questa la caratterizzazione orig<strong>in</strong>ale, mitica, dei racconti di viaggio nell’op<strong>in</strong>ione di Leed<br />

che ipotizza come il viaggiatore non <strong>in</strong>traprenda la sua avventura alla ricerca di elementi<br />

nuovi ma per il r<strong>in</strong>venimento di tracce sepolte nel passato della sua stessa cultura, componenti<br />

dispersi di un’unità dimenticata che siano comunque reperibili nel fondo dell’<strong>in</strong>dividualità<br />

dello stesso soggetto che li <strong>in</strong>tenderebbe come fattori obliati ma profondamente radicati del<br />

sé. La metafora del viaggio diviene una metafora altamente produttiva per molti scrittori<br />

modernisti 264 . Se si accetta il punto di vista avallato da buona parte dei critici che si sono<br />

262<br />

Antonella Reim Natale, La gabbia <strong>in</strong>naturale l’opera di Bruce Chatw<strong>in</strong>, Campanotto, Ud<strong>in</strong>e, 1993, p. 26.<br />

263<br />

Ivi, p. 29.<br />

266<br />

Il nesso tra la narrazione e il viaggio è stato messo <strong>in</strong> rilievo da P<strong>in</strong>o Fasano, <strong>in</strong> Letteratura e Viaggio, che<br />

riprende i Racconti di Canterbury di Chaucer per fornire un esempio di come viaggiare e raccontare sia<br />

un’esperienza antica che fa parte della nostra cultura, per arrivare ai temi del viaggio del “cittad<strong>in</strong>o” Baudelaire,<br />

che associa, nella poesia Le voyage il tema del viaggio a quello dello svolgersi della vita umana la cui meta è la<br />

morte. Il tema del viaggio è stato dunque altamente produttivo <strong>in</strong> ogni fase della nostra cultura ma è nel periodo<br />

del modernismo che sembra assurgere a topos eletto dalla maggior parte degli scrittori. Anche <strong>in</strong> questo caso è la<br />

valenza metaforica ad essere prediletta e ad essere ampiamente sfruttata dagli artisti. Si potrebbe anzi ipotizzare<br />

che siano gli stessi schemi mitici dei racconti di viaggio antichi ad esser riproposti e riconsiderati attuali. Il<br />

83


occupati del modernismo letterario e filosofico, il distacco dell’uomo moderno dalla natura, e<br />

qu<strong>in</strong>di dal proprio essere, apparirà come uno dei punti sostanziali della crisi della modernità.<br />

Il mito adamitico, sviluppato teoricamente e narrativamente da molti scrittori dell’epoca (tra<br />

cui gli stessi Lawrence e Pavese), diviene una parte <strong>in</strong>tegrante, simbolica all’<strong>in</strong>terno<br />

dell’uni<strong>vers</strong>o mitico modernista. Il peccato orig<strong>in</strong>ale, la cacciata dell’uomo dal paradiso<br />

terrestre, segna un dest<strong>in</strong>o che si espleta nella dialettica fuga-ritorno. La conoscenza diviene<br />

r<strong>in</strong>venimento di ciò che è stato perduto: “Il tentativo di riprist<strong>in</strong>are una coesione perduta tra<br />

l’uomo e la natura non è <strong>in</strong>nocente, è ripetizione del peccato orig<strong>in</strong>ale.[…] Il rientro<br />

dell’uomo nel paradiso corrisponde alla distruzione di quel paradiso […] la coscienza affonda<br />

le sue radici nella perdita che crea le condizioni di una conoscenza di ciò che è perduto” 265 .<br />

L’ipo<strong>tesi</strong> che il movimento privilegiato, nei romanzi modernisti, sia un’operazione di<br />

conoscenza attra<strong>vers</strong>o il r<strong>in</strong>venimento delle tracce perdute, trova nell’analisi di Leed una<br />

s<strong>in</strong>tetica <strong>def</strong><strong>in</strong>izione. Il viaggio cosiddetto “filosofico” non è certo un’<strong>in</strong>venzione della<br />

modernità, ma è il modernismo che sembra, più di altri movimenti, riscoprirne la valenza<br />

simbolica. Leed, nella sua analisi della semiotica del viaggio, spiega come, a livello<br />

figurativo, i movimenti di partenza- transito- arrivo, nascondano una simbologia ben <strong>def</strong><strong>in</strong>ita.<br />

Il movimento a ritroso descritto da Conrad rientra appieno <strong>in</strong> questo contesto esaurendosi<br />

nell’eterna dialettica della fuga e del ritorno. Fuga da una civiltà moderna corrotta e<br />

corrompente, ritorno all’orig<strong>in</strong>e del mondo e dell’uomo. I simboli della natura <strong>in</strong>corrotta e<br />

dell’<strong>in</strong>fanzia rientrano di diritto <strong>in</strong> questo uni<strong>vers</strong>o. La partenza, <strong>in</strong>trapresa alla scoperta del<br />

nuovo, si espleta come r<strong>in</strong>venimento del vecchio, dell’immemoriale e del sepolto. E’ un<br />

ritorno che non può però essere direzionato, ovvero idealizzato. Il fiume di Conrad si svolge<br />

come un serpente nel cuore nero del mondo. E’ un flusso che agisce <strong>in</strong>dipendentemente dalla<br />

volontà umana, <strong>in</strong>dipendentemente dalla volontà del personaggio “<strong>in</strong> crisi” della letteratura<br />

modernista, ma “secondo una logica <strong>in</strong>terna che non sembra esigere un <strong>in</strong>tervento cosciente<br />

del soggetto” 266 . Ma questo tipo di viaggio rimane pur sempre un movimento a ritroso nel<br />

tempo, alla ricerca delle radici dell’essere che si annidano nel cuore della natura selvaggia e<br />

che non possono che dirigere l’osservatore occidentale <strong>vers</strong>o un profondo senso di<br />

straniamento. Per Umberto Galimberti il viaggio rappresenta un vero topos della speculazione<br />

<strong>in</strong>tellettuale dell’epoca moderna. Non solo le opere narrative dunque ma anche le opere<br />

filosofiche ne riconoscono l’alta valenza metaforica e strutturano le proprie teorie <strong>in</strong>torno ai<br />

temi del movimento. A partire dal pensiero esistenzialista espresso da Heidegger, Galimberti<br />

nota come l’<strong>in</strong>oltrarsi all’<strong>in</strong>terno di territori sconosciuti fitti di vegetazione rappresenti una<br />

metafora riconosciuta dell’epoca moderna. E’ un percorso di allontanamento dalla civiltà<br />

<strong>vers</strong>o un luogo più naturale dove il senso dell’esistenza umana è stato smarrito molto tempo<br />

fa. L’<strong>in</strong>oltrarsi attra<strong>vers</strong>o questi percorsi sconosciuti non può essere direzionato dalla logica<br />

dell’uomo che non ha alcun riscontro <strong>in</strong> luoghi dom<strong>in</strong>ati da leggi non umane. Il r<strong>in</strong>venimento,<br />

all’<strong>in</strong>terno di questo di-vagare, avviene dunque per illum<strong>in</strong>azioni ottenute lasciandosi<br />

trasc<strong>in</strong>are dal flusso che <strong>in</strong> nessuna maniera appare direzionato. La stessa conoscenza non si<br />

pone degli obiettivi ideali ma detiene, nel suo smarrirsi, il proprio senso ultimo. Spesso il<br />

viaggio non conduce neanche <strong>vers</strong>o una meta ben <strong>def</strong><strong>in</strong>ita ma si perde, utilizzando la stessa<br />

immag<strong>in</strong>e di Heidegger, <strong>in</strong> un labir<strong>in</strong>to di sentieri <strong>in</strong>terrotti all’<strong>in</strong>terno del bosco della<br />

conoscenza:<br />

viaggio di Conrad nel cuore di tenebra è un esempio di quante implicazioni questo tema possa sopportare: “E<br />

<strong>in</strong>fatti risalire quel fiume era come viaggiare all’<strong>in</strong>dietro <strong>vers</strong>o i lontani primordi del mondo. Ma la ricerca di<br />

questo viaggio regressivo non è la redenzione. Non c’è redenzione possibile da quello che Baudelaire chiamava<br />

l’eterno peccato dell’uomo”. P<strong>in</strong>o Fasano, Letteratura e Viaggio, Editori Laterza, Bari, 1999, p. 61.<br />

265 Eric J. Leed, La mente del viaggiatore, Il Mul<strong>in</strong>o, Bologna, 1991, p. 247.<br />

266 Ivi, p.104.<br />

84


Il loro errare nel bosco (Holzwege), che accoglie e custodisce il senso di quei sentieri, non conosce direzione,<br />

conosce però i passi compiuti che hanno condotto a quel punto <strong>in</strong> cui si trova o si è arrestato il loro avanzare. Da<br />

loro non si devono attendere risposte, ma <strong>in</strong>dicazioni lungo la via (Wegmarken) del pensiero che, se non vuole<br />

smarrire se stesso, deve ritrovare la dimora da cui è partito. Accompagnarli lungo il sentiero significa<br />

ripercorrere la storia del pensiero occidentale […] 267 .<br />

Il riferimento che Galimberti fa al tema del viaggio filosofico, come una delle metafore<br />

favorite da uno dei movimenti filosofici che più ispirò il modernismo letterario, appare<br />

significativo. E’ probabilmente proprio lo strappo che l’uomo moderno avverte nei confronti<br />

di un mondo che non sente più suo, a far sviluppare un serbatoio di metafore che postulano,<br />

come condizione per l’acquisizione della conoscenza, l’allontanamento nelle zone periferiche<br />

della civiltà dove il senso non sia più dato ma debba essere r<strong>in</strong>venuto attra<strong>vers</strong>o<br />

l’osservazione. Il perdersi <strong>in</strong> questo spazio mitico ha proprio, nelle pag<strong>in</strong>e che Galimberti<br />

dedica all’esistenzialismo di Heidegger, il senso di r<strong>in</strong>venire l’essere nella sua <strong>in</strong>terezza senza<br />

imporgli l’idea dell’uomo. L’essere <strong>in</strong> balia del flusso significa, per l’uomo moderno, passare<br />

“da dom<strong>in</strong>atore <strong>in</strong> ascoltatore dell’essere” 268 . E’ un percorso a ritroso lungo i b<strong>in</strong>ari della<br />

cultura occidentale che mette a confronto l’uomo con l’oscurità delle proprie orig<strong>in</strong>i: “Il<br />

sentiero aperto muove così dall’essenza dell’alienazione occidentale per scoprire la terra<br />

perduta” 269 . Il tema del viaggio sembra dunque svilupparsi, <strong>in</strong> epoca moderna, come vera e<br />

propria metafora di conoscenza. E’ una conoscenza che prevede allontanamento,<br />

smarrimento, straniamento e <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e r<strong>in</strong>venimento attra<strong>vers</strong>o un procedimento di acquisizione<br />

di consapevolezza che esula dalle metodologie razionalistiche tipiche della civiltà moderna.<br />

Che la filosofia e la scrittura creativa si siano appropriate simultaneamente del tema del<br />

viaggio <strong>in</strong> epoca moderna non deve stupire più di tanto se si considera il viatico culturale che<br />

ha portato alla maturazione di un tale atteggiamento. Il parallelo tra conoscenza filosofica e<br />

scrittura narrativa è realmente un classico della cultura occidentale e si può ipotizzare,<br />

evidentemente, un <strong>in</strong>vigorimento del tema tra l’Ottocento e il Novecento 270 . Nel tentativo di<br />

affermare la ragione e la cultura occidentale come misura di tutte le cose si può r<strong>in</strong>venire la<br />

pr<strong>in</strong>cipale differenza con lo sviluppo del tema del viaggio <strong>in</strong> epoca modernista dove la<br />

ragione civilizzatrice è la prima imputata.<br />

L’apporto dell’antropologia, per quanto riguarda lo sviluppo del tema tra gli scrittori<br />

modernisti, è stato di basilare importanza. I primi studi scientifici-antropologici furono d’altra<br />

parte di matrice evoluzionista. La stessa opera di Frazer, il Ramo d’oro, si situa <strong>in</strong> questa<br />

categoria e fu solamente attra<strong>vers</strong>o una ricollocazione dei materiali da lui proposti che gli<br />

<strong>in</strong>tellettuali modernisti poterono elaborare le loro teorie. Il viaggio di Frazer è ancora<br />

<strong>in</strong>trapreso per <strong>def</strong><strong>in</strong>ire non tanto le culture primitive r<strong>in</strong>venute <strong>in</strong> luoghi lontani, quanto per<br />

<strong>def</strong><strong>in</strong>ire la civiltà occidentale come positività a confronto della negatività dei selvaggi. Lo<br />

stato “<strong>in</strong>civile” di quei paesi lontani viene descritto con spregio e utilizzato come suggestiva<br />

rappresentazione delle orig<strong>in</strong>i della civiltà occidentale; questo tipo di approccio alla materia si<br />

può leggere anche come monito nei confronti di ogni eventuale fallimento del progetto<br />

capitalista e borghese della modernità. Frazer si limitò a considerare queste culture antiche<br />

attra<strong>vers</strong>o gli aspetti più aspri ma al contempo fornì un materiale di <strong>in</strong>estimabile valore per gli<br />

<strong>in</strong>tellettuali che scorsero, <strong>in</strong> quelle descrizioni, altri motivi piuttosto che l’esaltazione della<br />

civiltà occidentale. La direzione che prese la letteratura di viaggio fu, <strong>in</strong> una fase <strong>in</strong>iziale,<br />

decisamente assoggettata alle esigenze di una politica imperialista che giustificava se stessa<br />

267<br />

U. Galimberti, Heidegger, Jaspers e il tramonto dell’Occidente, cit. p. 12.<br />

268<br />

Ivi, p. 21.<br />

269<br />

Ivi, p. 17.<br />

270<br />

A questo proposito basti pensare al mito dell’Odissea per il quale Ulisse diviene una figura ampiamente<br />

riutilizzata dagli <strong>in</strong>tellettuali modernisti. Il viaggio raccontato da Omero possiede molte delle caratteristiche f<strong>in</strong><br />

qui elencate per gli scrittori del modernismo. Prima fra tutte la dialettica, già più volte sottol<strong>in</strong>eata, tra fuga e<br />

ritorno.<br />

85


attra<strong>vers</strong>o lo smercio di una letteratura che celebrava il gusto per l’esotico e per la missione<br />

civilizzatrice occidentale. Levi-Strauss si proclamava terribilmente annoiato dalla letteratura<br />

di viaggio proprio per la mancanza di una dimensione filosofica. La piatta descrizione di<br />

immag<strong>in</strong>i esotiche, di cui la cultura di massa com<strong>in</strong>ciava ampiamente a cibarsi, non poteva<br />

avere quel potere evocativo e simbolico su cui lo scrittore modernista basava le sue opere. Il<br />

viaggiare a ritroso di Conrad mal si associava ai tentativi della cultura dom<strong>in</strong>ante di <strong>def</strong><strong>in</strong>ire<br />

se stessa attra<strong>vers</strong>o il confronto con mondi “<strong>in</strong>civili”. Il gusto per l’esotico e per il pittoresco,<br />

la cui matrice <strong>in</strong>tellettuale rimandava alla decadenza della cultura di massa ma non<br />

prospettava nuovi orizzonti conoscitivi per l’uomo moderno, fu criticata anche da Pavese che,<br />

<strong>in</strong> un appunto del 1942, sembra ricalcare le medesime posizioni di Levi-Strauss:<br />

La noia <strong>in</strong>dicibile che ti danno nei diari le pag<strong>in</strong>e di viaggio. Gli ambienti nuovi, esotici, che hanno sorpreso<br />

l’autore. Nasce senza dubbio dalla mancanza di radici che queste impressioni avevano, dal loro esser sorte come<br />

dal nulla, dal mondo esterno, e non essere cariche di un passato. All’autore piacquero come stupore, ma lo<br />

stupore vero è fatto di memoria, non di novità 271 .<br />

Nel caso della narrazione di viaggio modernista è la qualità del movimento ad essere<br />

significante piuttosto che la quantità dei paesaggi collezionati e successivamente descritti per<br />

soddisfare gli appetiti e la curiosità dei lettori europei. La qualità del movimento implica una<br />

relativizzazione del concetto stesso di viaggio 272 . Se si volesse fare un discorso generale sul<br />

tema del viaggio fra gli scrittori modernisti sarebbe di conseguenza <strong>in</strong>utile stilare delle<br />

categorie basate sui luoghi visitati (europei o extraeuropei) o sull’entità della distanza<br />

percorsa. Romanzi modernisti che descrivono viaggi avvenuti su lunghe distanze sono più<br />

rapportabili a romanzi che descrivono viaggi avvenuti sulle brevi o brevissime distanze<br />

piuttosto che ai resoconti che narrano di luoghi esotici al f<strong>in</strong>e di ammaliare il lettore. Insomma<br />

all’<strong>in</strong>terno dello spazio assoluto le distanze chilometriche sono del tutto relative e le vere<br />

connessioni sono quelle che si possono stabilire fra se stessi e l’altro, fra lo spazio mitico e<br />

quello empirico.<br />

L’<strong>in</strong>teresse di Pavese per la letteratura di viaggio è ampio e documentato. Ma se si volessero<br />

<strong>in</strong>dicare dei possibili paralleli o anche derivazioni, difficilmente si potrebbe far riferimento<br />

alla tradizione letteraria italiana. Pavese fu <strong>in</strong>vece lettore di Conrad e Lawrence ed è forse alla<br />

letteratura di viaggio anglosassone che bisognerebbe far riferimento volendo parlare del tema<br />

del viaggio nello scrittore tor<strong>in</strong>ese. Volendo stabilire dei paralleli fra la letteratura di viaggio<br />

anglosassone e quella italiana si dovrà per prima cosa notare come le modalità siano, al<br />

pr<strong>in</strong>cipio, del tutto differenti. In realtà è pers<strong>in</strong>o difficile parlare di una letteratura di viaggio<br />

italiana. Musumeci constata come tale tema sia addirittura visto con ansia dalla tradizione<br />

letteraria italiana. Ansia che trova voce <strong>in</strong> romanzi quali i Promessi Sposi, P<strong>in</strong>occhio, I<br />

Malavoglia, <strong>in</strong> cui i viaggi, forieri di <strong>in</strong>quietud<strong>in</strong>e e <strong>in</strong>certezza, assumono delle caratteristiche<br />

negative:<br />

271 C. Pavese, Il Mestiere di Vivere, 2 Agosto 1942, cit. p. 241.<br />

272 Xavier De Maistre compone, nel 1795, il suo Viaggio <strong>in</strong>torno alla mia camera, <strong>in</strong> cui il concetto di spazio<br />

convenzionale subisce uno sconvolgimento radicale. In uno spazio estremamente ridotto, paradossalmente lo<br />

scrittore compose il libro nella cella <strong>in</strong> cui era prigioniero, le dimensioni degli oggetti vengono <strong>in</strong>gigantite f<strong>in</strong>o<br />

alla creazione di una vera e propria geografia mitica dove molte delle implicazioni, che lo schema della<br />

narrazione del viaggio comporta, vengono soddisfatte con una modernità che ha del sorprendente soprattutto<br />

nell’episodio dell’<strong>in</strong>contro con l’altro. Il concetto di viaggio filosofico, che <strong>in</strong> questo studio si tenta di accostare<br />

ai viaggi narrati dagli scrittori modernisti, può essere, paradossalmente, un viaggio immobile. Ma l’esempio di<br />

De Maistre è significativo di come, <strong>in</strong> epoca moderna, il tema del viaggio sia stato detentore di una notevole<br />

connotazione metaforica. I viaggi di Heidegger all’<strong>in</strong>terno di boschi selvosi immag<strong>in</strong>ari, quelli di Conrad <strong>vers</strong>o<br />

l’Africa lontana e misteriosa, quelli di De Maistre lungo le pareti della propria stanza, sembrano possedere un<br />

comune denom<strong>in</strong>atore: il viaggio si <strong>in</strong>traprende per r<strong>in</strong>venire le tracce di tutto ciò che la civiltà moderna ha<br />

sepolto allontanando l’uomo dal proprio essere.<br />

86


[…] nella letteratura italiana del secolo diciannovesimo, per varie ragioni di ord<strong>in</strong>e culturale e sociologico, la<br />

mobilità sia costantemente deprecata come categoria che comporta una valutazione morale negativa […]. Il<br />

concetto di mobilità come fattore di piacere, di arricchimento culturale, di soddisfacente avventura è<br />

significativamente assente; <strong>in</strong>vece, non ha mai un ruolo salvifico e spesso è connesso, <strong>in</strong> funzione direttamente<br />

causativa, a modalità di violenza 273 .<br />

Di conseguenza, nel Novecento, l’”ansia modernista” si sviluppò, <strong>in</strong> Italia, nel chiuso dei<br />

salotti borghesi o nei palcoscenici delle città. Una delle ragioni per cui la letteratura di viaggio<br />

si è sviluppata maggiormente nei paesi anglosassoni è probabilmente legata alla storia<br />

differente che la Gran Bretagna e l’Italia hanno vissuto. Peter L. Thorslev 274 mette <strong>in</strong> risalto<br />

come tutta la letteratura di viaggio anglosassone sia strettamente legata alla politica<br />

imperialista promossa dal paese. Una politica che, nel caso della Gran Bretagna, entrò<br />

stabilmente nella mentalità dei cittad<strong>in</strong>i e ne <strong>in</strong>fluenzò le attitud<strong>in</strong>i. Le narrazioni di viaggio di<br />

autori come Conrad e Lawrence furono supportate dai loro cont<strong>in</strong>ui spostamenti. Ma la<br />

costruzione letteraria-filosofica sembra comunque mantenere la prem<strong>in</strong>enza su quella<br />

documentaristica come ci svela l’atteggiamento dello stesso Lawrence nei confronti degli<br />

<strong>in</strong>digeni messicani: “Anthropological evidence shows that the primitives described by<br />

Lawrence <strong>in</strong> Morn<strong>in</strong>gs <strong>in</strong> Mexico and other travel writ<strong>in</strong>gs did not exist” 275 .<br />

Cesare Pavese non fu, al contrario di molti scrittori britannici, un viaggiatore. Egli non varcò<br />

mai i conf<strong>in</strong>i italiani anche se tutta la sua esistenza fu accompagnata da un’<strong>in</strong>cessante “ansia<br />

di partire”. L’<strong>in</strong>iziale passione per l’America, alimentata dalle letture e dalla musica, si<br />

tramuta presto <strong>in</strong> rifiuto totale per una nazione <strong>def</strong><strong>in</strong>ita dapprima come il Paese di Dio (God’s<br />

country) e di seguito come un ricettacolo di politiche neofasciste. Nelle lettere viene anche<br />

auspicato un viaggio attra<strong>vers</strong>o il “mitico” mediterraneo al f<strong>in</strong>e di raggiungere la misteriosa<br />

Africa ma anche questo progetto sarà dest<strong>in</strong>ato a naufragare così come il più modesto<br />

programma di recarsi a Parigi. Gli it<strong>in</strong>erari di Pavese saranno, lungo l’arco della sua esistenza,<br />

sempre gli stessi. Dalle Langhe a Tor<strong>in</strong>o e vice<strong>vers</strong>a con la variante, ricorrente, di Roma e la<br />

Toscana. E’ lo schema città-campagna che fungerà più volte da struttura per i suoi romanzi.<br />

Per la Muniz l’<strong>in</strong>tera formazione culturale di Pavese è da considerare <strong>in</strong> relazione alle correnti<br />

di pensiero più attive durante il modernismo europeo, come l’esistenzialismo e l’antropologia.<br />

In questo contesto l’approccio di Pavese alla materia fu del tutto personale tanto che la Muniz<br />

parla della riduzione ad un medesimo schema della letteratura scientifica e fiabesca 276 . La<br />

letteratura di viaggio, quella scientifica e quella di f<strong>in</strong>zione, rappresentarono un vero serbatoio<br />

di immag<strong>in</strong>i e pensieri e dunque di materiali per lo scrittore. Le letture della formazione di<br />

Pavese furono <strong>in</strong> buona parte orientate <strong>vers</strong>o questo tipo di letteratura 277 . Muniz sottol<strong>in</strong>ea<br />

ancora come Pavese ripercorra arbitrariamente i grandi miti della storia rievocando i temi del<br />

viaggio e del ritorno desunti dai grandi classici. Nella geografia di uno spazio mitico così<br />

disegnata, la ricerca del luogo orig<strong>in</strong>ario si <strong>in</strong>staura come motivo fondante della ricerca dello<br />

273<br />

Anton<strong>in</strong>o Musumeci, L’impossibile ritorno La fisiologia del mito <strong>in</strong> Cesare Pavese, Il Portico Longo editore,<br />

Ravenna, 1980, p. 14.<br />

274<br />

Peter L. Thorslev Jr. The wild man revenge, <strong>in</strong> Dudley, Edward og Maximillian E. Novak: The Wild Man<br />

With<strong>in</strong> - An Image <strong>in</strong> Western Thought From Renaissance to Romanticism. Uni<strong>vers</strong>ity of Pittsburgh Press,<br />

Pittsburgh, 1972, p. 281.<br />

275<br />

John Mc Govern, Like water <strong>in</strong> water, primitivism and modernity, contenuto <strong>in</strong> Michael Bell, D.H. Lawrence:<br />

language and be<strong>in</strong>g, Cambridge Uni<strong>vers</strong>ity Press, 1992, p. 171.<br />

276<br />

M. de las Nieves Muniz Muniz, Introduzione a Pavese, cit. p. 8.<br />

277<br />

Muniz ipotizza la notevole <strong>in</strong>fluenza esercitata su Pavese dal libro di Camille Flammarion, Le monde avant<br />

l’apparition de l’homme, <strong>in</strong>centrato sulla storia del nostro pianeta prima dell’apparizione dell’uomo <strong>in</strong>sieme ai<br />

numerosi libri di avventura che leggeva da ragazzo. Altri momenti importanti che certificano l’<strong>in</strong>teresse di<br />

Pavese per queste tematiche sono la lettura del Ramo d’oro di Frazer, riletto a più volte tra il 1933 e il 1946, e la<br />

Mitologia Primitiva di Levy-Buhl presente sugli scaffali dello scrittore già dal 1936.<br />

87


scrittore e si espleta nella dialettica città-campagna (coll<strong>in</strong>e). Anche se i romanzi di Pavese si<br />

baseranno, per buona parte, sullo sviluppo proprio della dialettica città-campagna, è<br />

<strong>in</strong>teressante notare come, attra<strong>vers</strong>o lo studio delle opere che gli provenivano d’oltralpi e<br />

d’oltreoceano, egli acquisì una certa sensibilità comune con i romanzieri ardimentosi e<br />

avventurieri dell’Otto-Novecento <strong>in</strong>glese. In una lettera a Fernanda Pivano, datata 25/6/1942,<br />

la matrice del proprio immag<strong>in</strong>ario viene fatta risalire all’identificazione fra l’ignoto e il<br />

viaggio per mare. Il mare diviene simbolo di lontananze mitiche <strong>in</strong> una corrispondenza<br />

<strong>in</strong>cessante fra paesaggi esotici e paesaggi dell’anima: “[…] presentivo al di là del salto, a<br />

grande distanza dopo la valle che si espande come un mare, una barriera remota (picc<strong>in</strong>a,<br />

tanto è remota) di coll<strong>in</strong>e assolate e fiorite, esotiche. Quello era il mio Paradiso, i miei Mari<br />

del Sud, la Prateria, i coralli, Ophir, l’Elefante bianco ecc” 278 . Gioanola <strong>in</strong>dividua nel tema<br />

uno sviluppo proprio della poetica pavesiana anche se sottol<strong>in</strong>ea immediatamente la<br />

differenza fra una concezione realistica del mare, estranea all’autore, e la concezione mitica<br />

attra<strong>vers</strong>o la quale Pavese poté effettivamente trovare una dimensione più consona per le sue<br />

ricerche e per le sue <strong>in</strong>quietitud<strong>in</strong>i:<br />

E’ un tema frequentissimo <strong>in</strong> Pavese quello del mare, ma poco giova alla fantasia allorché viene assunto come<br />

luogo d’ambientazione delle storie, quando è realtà visibile, concreta dimensione naturale (come ne il Carcere e<br />

la Spiaggia). Il mare diventa autentico vivaio di immag<strong>in</strong>i quando è soltanto una realtà sognata e <strong>in</strong>visibile, e<br />

perciò racchiude il fasc<strong>in</strong>o del mondo sconosciuto, è voce dell’<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ito al di là della siepe, dolce sirena che<br />

chiama all’evasione della vita avventurosa 279 .<br />

Non a caso la poesia <strong>in</strong>augurale di Cesare Pavese si <strong>in</strong>titola I mari del sud (1931) e si basa sul<br />

vagheggiamento di distanze remote, paesaggi affasc<strong>in</strong>anti e misteriosi. Questa poesia rimarrà<br />

negli anni a venire un punto di riferimento per lo scrittore (“Dal giorno della composizione<br />

dei Mari del Sud, <strong>in</strong> cui per la prima volta espressi me stesso <strong>in</strong> forma recisa e assoluta,<br />

com<strong>in</strong>ciai a costruire una persona spirituale che non potrò mai più sostituire […] 280 ) anche se<br />

lo stile con cui si compone sarà presto superato:<br />

Mari del sud è la prima poesia di Lavorare stanca. Non si tratta unicamente di un accidente editoriale, di una<br />

scelta fortuita della composizione strutturale della prima produzione artistica di Pavese. Si tratta <strong>in</strong>vece di<br />

quell’evento orig<strong>in</strong>ario, unico, che nel sistema pavesiano acquista una veste mitica e <strong>def</strong><strong>in</strong>isce per lo scrittore, <strong>in</strong><br />

modo analogo all’esperienza fondamentale dell’<strong>in</strong>fanzia nell’ambito dell’evol<strong>vers</strong>i del fatto esistenziale,<br />

l’<strong>in</strong>evitabilità del proprio dest<strong>in</strong>o artistico. In tal senso, questa prima poesia della raccolta verrà <strong>in</strong>sistentemente<br />

considerata da Pavese come una composizione di un’importanza controllante per tutto il suo lavoro successivo,<br />

l’<strong>in</strong>discusso punto di partenza per la sua creazione artistica, il concreto term<strong>in</strong>e di paragone valutativo per ogni<br />

susseguente sviluppo, la norma con cui assicurare fedeltà al proprio nucleo orig<strong>in</strong>ale 281 .<br />

278 Cesare Pavese, Lettere 1926-1950, a cura di Lorenzo Mondo e Italo Calv<strong>in</strong>o, E<strong>in</strong>audi, Tor<strong>in</strong>o, 1982.<br />

279 Elio Gioanola, Cesare Pavese, La realtà, l’altrove, il silenzio, Jaca Book, Milano, 2003, p. 18.<br />

280 C. Pavese, Il Mestiere di Vivere, 6 Ottobre 1935, cit. p. 8.<br />

281 A. Musumeci, L’impossibile ritorno La fisiologia del mito <strong>in</strong> Cesare Pavese, cit.p. 21. Musumeci stabilisce<br />

uno schema per questa poesia che, vista l’importanza del componimento, mi sembra opportuno riportare:<br />

1 Una necessità impellente, non razionalizzabile e non compresa da chi non accetti le proprie premesse<br />

assiomatiche mitiche, sp<strong>in</strong>ge alla fuga ed al conseguente <strong>in</strong>evitabile ritorno.<br />

2 La fuga, come atto apparentemente immotivato, gratuito, rivela la necessità di una dimensione mitica, e perciò<br />

postula un eventuale ritorno. La fuga, come chiamata all’avventuroso, all’altro, ribadisce la ricchezza e<br />

l’<strong>in</strong>sostuibilità dello stato orig<strong>in</strong>ario: come se solo nell’abbandono di tale stato, nell’altro da noi, si possa<br />

scoprire il significato profondo della propria esistenza, nell’apparente vistosità dell’esotico traspaia l’unicità del<br />

luogo d’orig<strong>in</strong>e – lasciare le Langhe per capire che non si possono perdere.<br />

3 Il ritorno, <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e, rivela l’impossibilità del recupero del passato, e con questo anche l’<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ita distanza del<br />

mondo mitico – perché anche se le Langhe non si perdono, è pur vero che al ritorno è tutto nuovo. Il mito, come<br />

El Dorado, come l’Età dell’oro, esiste solo, sfortunatamente, <strong>in</strong> frammenti oscuri del proprio <strong>in</strong>conscio, come<br />

necessità di un’<strong>in</strong>nocenza e d’una felicità perdute per sempre.<br />

88


Il materiale utilizzato da Pavese nella composizione di questa poesia sembra provenire <strong>in</strong><br />

buona parte proprio da quella letteratura di viaggio che tanto lo aveva affasc<strong>in</strong>ato. Se si<br />

confronta la prefazione a L<strong>in</strong>ea d’Ombra, composta il 28 Agosto del 1946, si possono<br />

senz’altro trovare echi del giovanile <strong>in</strong>teresse di Pavese per questo tipo di letteratura: “Il Mare<br />

del Sud è veramente per Conrad il luogo dell’anima […] il perenne <strong>in</strong>quieto viavai della<br />

costa, del mare e della costa, l’esitazione che può fare di ogni approdo, di ogni saputo, banale,<br />

previsto approdo, l’<strong>in</strong>izio di una stupenda e assurda avventura di giov<strong>in</strong>ezza di passione e di<br />

dest<strong>in</strong>o” 282 . Motivi che <strong>in</strong> qualche maniera rimandano alle composizioni di Conrad sono<br />

anche ravvisabili all’<strong>in</strong>terno della stessa poesia: la solitud<strong>in</strong>e, le atmosfere trasognate e quasi<br />

irreali (“Sentii poi parlarne da donne, come <strong>in</strong> una favola, talvolta ma gli uom<strong>in</strong>i, più gravi, lo<br />

scordarono” 283 ), i misteri di un silenzio perpetuato da quello che Gioanola chiama<br />

“<strong>in</strong>carnazione della co<strong>in</strong>cidenza di lontananza e radicatezza, spirito d’avventura e fedeltà<br />

all’orig<strong>in</strong>i” 284 , l’“orig<strong>in</strong>ario” cug<strong>in</strong>o che, calandosi nelle vesti di un redivivo Kurtz (“Tacere è<br />

la nostra virtù” 285 ), tace, <strong>in</strong>ducendo Pavese a chiedersi: “Mio cug<strong>in</strong>o non parla dei viaggi<br />

compiuti” 286 . Per Muniz l’avventura nei mari del sud rappresenta una forma ideale e<br />

vagheggiata da Pavese che si riallaccia alle stesse tematiche espresse da molti scrittori<br />

modernisti riguardanti la riemersione, da sotto una veste esotica, della realtà ancestrale della<br />

terra. Eppure anche <strong>in</strong> questo caso, i temi che Pavese svilupperà nel seguito della sua<br />

produzione, sembrano affiorare decisi <strong>in</strong> questa composizione. La dialettica fuga-ritorno è<br />

perfettamente espletata nella poesia (“La vita va vissuta lontana dal paese: si profitta e si gode<br />

e poi, quando si torna, come me, a quarant’anni, si trova tutto nuovo. Le Langhe non si<br />

perdono” 287 ) nella quale si può anche scorgere la presenza di di<strong>vers</strong>i temi tipici come quello<br />

dell’<strong>in</strong>fanzia e della paura che <strong>in</strong>cute la città tentacolare moderna (“La città mi ha <strong>in</strong>segnato<br />

<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ite paure” 288 ). Pavese riconosce, <strong>in</strong> questa dialettica di fuga e di ritorno, e dunque <strong>in</strong> una<br />

struttura “<strong>in</strong> movimento” della sua narrazione, un tratto caratteristico della sua poetica.<br />

Questo concetto è espresso proprio <strong>in</strong> relazione alla poesia de I mari del sud:<br />

Se figura c’è nelle mie poesia, è la figura dello scappato di casa che ritorna con gioia al paesello, dopo averne<br />

passate d’ogni colore e tutte pittoresche, pochissima voglia di lavorare, molto godendo di semplicissime cose,<br />

sempre largo e bonario e reciso nei suoi giudizi, <strong>in</strong>capace di soffrire a fondo, contento di seguir la natura e<br />

godere una donna, ma anche contento di sentirsi solo e disimpegnato, pronto ogni matt<strong>in</strong>o a ricom<strong>in</strong>ciare: i Mari<br />

del Sud <strong>in</strong>somma 289 .<br />

Il mare rimane, per Pavese, un elemento misterioso, portatore di conoscenza ma al contempo<br />

di oblio. Raggiungerlo per sondarne i misteri, per sviscerarne i segreti, svelarne il mito, è uno<br />

sforzo dest<strong>in</strong>ato ad essere frustrato. Roberto Gigliucci 290 sottol<strong>in</strong>ea come l’impossibilità di ricongiungersi<br />

idealmente a questo elemento dalla immensa valenza mitica rappresentò un<br />

4 Il viaggio esperienzale del ritorno, la quest mitica, consiste <strong>in</strong> questa acquisita maturità: che nella scoperta<br />

stessa del proprio sostrato mitico sta pure la sua dissoluzione.<br />

Mari del sud è la poesia di uno che è ritornato, visto da uno che probabilmente se ne andrà ed eventualmente<br />

ritornerà. (pp. 27-28)<br />

282<br />

Cesare Pavese, Joseph Conrad, contenuto <strong>in</strong> C. Pavese, Letteratura americana e altri saggi, cit. p. 208.<br />

283<br />

Cesare Pavese, I Mari del Sud, contenuto <strong>in</strong> Cesare Pavese, I Racconti, E<strong>in</strong>audi, Tor<strong>in</strong>o, 1994, p. 27.<br />

284<br />

E. Gioanola, Cesare Pavese, La realtà, l’altrove, il silenzio, cit. p. 134.<br />

285<br />

C. Pavese, I Mari del Sud, cit. p. 27.<br />

286<br />

Ivi, p. 29.<br />

287<br />

Ivi, p. 27.<br />

288<br />

Ivi, p. 28.<br />

289<br />

C. Pavese, Il Mestiere di Vivere, 10 Novembre 1935, cit. p. 17.<br />

290<br />

Roberto Gigliucci, Cesare Pavese, Bruno Mondatori, Milano, 2001.<br />

89


motivo di profonda frustrazione per lo scrittore. Gli elementi dell’antica mitologia greca che<br />

si associavano al mare furono mediati a Pavese dall’<strong>in</strong>segnamento di Unterste<strong>in</strong>er che, nel<br />

considerare l’acqua il simbolo della femm<strong>in</strong>ilità e della fertilità, sosteneva implicitamente le<br />

teorie di Jung a riguardo. A questa formulazione classica va aggiunto senz’altro il ruolo che il<br />

mare ricopriva nei romanzi d’avventura anglosassoni che Pavese leggeva. Nel racconto<br />

<strong>in</strong>titolato Il Mare (1932), contenuto <strong>in</strong> Ciau Mas<strong>in</strong>o, la necessità di partire e varcare i mari è<br />

direttamente ispirata dall’autore di Cuore di Tenebra: “I romanzi di Conrad hanno messo di<br />

moda la Sonda… sì le isole olandesi sotto la C<strong>in</strong>a” 291 . Il mare è promettente, ispira il<br />

protagonista del racconto che chiede un <strong>in</strong>carico di corrispondente al direttore del suo giornale<br />

per poter ricalcare le orme dei personaggi di Conrad ma l’ansia del viaggio lungo è<br />

<strong>in</strong>sopprimibile: “Cercò di sonnecchiare per sopire il noioso fervore <strong>in</strong>timo e l’ansia. Non più<br />

parlare italiano. Ma era bello il Piemonte. Maiale! Bello è andare altrove. Così si fa,<br />

Mas<strong>in</strong>o” 292 . Ma la ferma volontà del protagonista di <strong>in</strong>traprendere il viaggio per mare si<br />

scontra contro un senso di ansia, una paura atavica <strong>vers</strong>o un elemento sconosciuto che proprio<br />

per il mistero che cela sembra <strong>in</strong>cutere il più profondo orrore. Mas<strong>in</strong>o ripercorre un processo<br />

che si potrebbe <strong>def</strong><strong>in</strong>ire sveviano e che prevede la somatizzazione di un male psicologico:<br />

“Chi sa se patisco il mal di mare? Voglio vedere. Dico di no, che non lo patisco -no- e poi<br />

basta mangiare” 293 . Il racconto di Mas<strong>in</strong>o diviene una vera metafora dell’impossibilità di<br />

<strong>in</strong>traprendere un viaggio per mare, l’<strong>in</strong>capacità di affrontare il mito di fronte alla modernità<br />

<strong>in</strong>calzante: “Un negozio che <strong>in</strong> vetr<strong>in</strong>a aveva ramponi. Bello. Ma è f<strong>in</strong>ito il tempo dei<br />

ramponi. Le balene ora le ammazzano a cannonate. Che freddo faceva! Chissà il mare com’è<br />

freddo” 294 . Il mare rimane oggetto di un’attrazione-repulsione. L’impossibilità di affrontare il<br />

suo mito pesa come un macigno sulle spalle dello scrittore. Una impossibilità che diviene<br />

quasi una metafora di impotenza. La voglia di partire, di solcare i flutti <strong>vers</strong>o i paesi esotici,<br />

esplorare il mistero del mondo si sublima, per Mas<strong>in</strong>o, nel whisky ord<strong>in</strong>ato al Sailor’s Inn,<br />

luogo di ritrovo dei mar<strong>in</strong>ai. Mas<strong>in</strong>o cerca, <strong>in</strong> questo ritrovo, di att<strong>in</strong>gere alle storie che lui<br />

non potrà mai vivere <strong>in</strong> prima persona. La figura del mar<strong>in</strong>aio di colore si staglia nella bettola<br />

come quella di un moderno Quiqueg, un selvaggio scaturito dalle profondità degli abissi che<br />

biascica un <strong>in</strong>glese con “pronuncia barbarica” 295 . Ma l’<strong>in</strong>terrogazione di Mas<strong>in</strong>o rimarrà senza<br />

risposta, lasciando il mistero <strong>in</strong>tatto, mentre la figura del “gigantesco” mar<strong>in</strong>aio si ritira<br />

nell’oscurità, risprofondando nello stesso abisso di mistero dal quale era miracolosamente<br />

scaturito, concludendo così il racconto:<br />

-Where are you from?<br />

Il negro non staccò il bicchiere dalle labbra.<br />

-Goody,- disse poi. E tese la mano a Mas<strong>in</strong>o.<br />

-Good-bye,- disse Mas<strong>in</strong>o.<br />

Una mano nuda, da scimmia.<br />

- S’ long,- rispose l’altro e se ne andò 296 .<br />

Quello del mito mar<strong>in</strong>o è dunque una dimensione sostanzialmente irraggiungibile come si<br />

ev<strong>in</strong>ce dal racconto Il Mare (1942) contenuto <strong>in</strong> Feria d’Agosto. In questo racconto, che porta<br />

lo stesso titolo del precedente contenuto <strong>in</strong> Ciau Mas<strong>in</strong>o, il mare è visto come possibilità<br />

291 Cesare Pavese, Il Mare, contenuto <strong>in</strong> C. Pavese, I Racconti, cit. p. 129.<br />

292 Ivi, p. 131.<br />

293 Ivi, p. 130.<br />

294 Ivi, p. 132.<br />

295 Ibidem.<br />

296 Ivi, p. 133.<br />

90


aperta, come ultima speranza. Nello stesso tempo il protagonista, pur vagheggiandolo e pur<br />

agognando l’azzurra distesa, non riuscirà nell’impresa di raggiungerla:<br />

Ancora adesso non vuol credere che lo stradone non ha f<strong>in</strong>e, come non han f<strong>in</strong>e le strade ferrate, e di paese <strong>in</strong><br />

paese gira f<strong>in</strong> che c’è terra senza mai <strong>in</strong>terrompersi. Dice che, se fosse così, la gente non smetterebbe di<br />

camm<strong>in</strong>are e tutti girerebbero il mondo. E sul nostro stradone sarebbe un viavai di stranieri d’ogni paese. –Tutte<br />

le strade f<strong>in</strong>iscono al mare, -gli dicevo- dove ci sono i porti. Di là ci si imbarca e si va nelle isole, dove gli<br />

stradoni riprendono. Non era conv<strong>in</strong>to che per andare <strong>vers</strong>o il mare bastasse <strong>in</strong>camm<strong>in</strong>arsi 297 .<br />

Anche <strong>in</strong> questo caso si può notare come il mare assuma le caratteristiche di un vero e proprio<br />

spazio mitico. Ma Pavese rimarrà sempre sui marg<strong>in</strong>i di questo spazio mitico, costantemente<br />

sulla riva meditando l’impossibile tra<strong>vers</strong>ata. Nel racconto Storia Segreta (1942), ancora<br />

contenuto <strong>in</strong> Feria d’Agosto, sono ancora i motivi della lontananza e dell’irraggiungibilità ad<br />

essere associati al mare. Del mare si parla come cosa lontana, fantasticata, poetica. È una<br />

dimensione mitica che il poeta non sembra essere <strong>in</strong> grado di raggiungere:<br />

Così parlavamo del mare; conoscevo di<strong>vers</strong>i che d’estate ci andavano, lei stava a sentire e mi chiedeva se da<br />

uomo ci avrei condotti i miei bamb<strong>in</strong>i. Ma io non pensavo ai bamb<strong>in</strong>i, pensavo a me stesso su coste lontane e<br />

lunghi viaggi; passavamo davanti ai portoni e così i fiori più ricchi e nascosti si confondevano col mare nel mio<br />

cuore. Pensavo allora alla f<strong>in</strong>estra dei gerani come a uno sfondo di luoghi mar<strong>in</strong>i 298 .<br />

La parabola di Pavese “mar<strong>in</strong>aio” sulle orme dei miti di Melville e Conrad si esaurisce<br />

idealmente, come Gigliucci nota, con il racconto Il Signor Pietro (1942). Il vecchio amico di<br />

famiglia, il Signor Pietro appunto, è un viaggiatore che torna <strong>in</strong> Italia dopo molti anni. La<br />

figura del vecchio uomo di mare è descritta come fasc<strong>in</strong>osa e carismatica. E’ un fasc<strong>in</strong>o<br />

maturato <strong>in</strong> anni di viaggi e avventure: “Notai che gli occhi scuri e vivaci erano pieni<br />

d’energia, e alto stempiato vigoroso com’era tutt’ora, più che <strong>in</strong>vecchiato il signor Pietro<br />

appariva uno di quegli uom<strong>in</strong>i che hanno raggiunto un equilibrio così solido da durarci<br />

<strong>in</strong>alterati.[…] capivo che un uomo che è sempre vissuto all’albergo, nelle stazioni e <strong>in</strong><br />

viaggio, doveva avere quella faccia e quell’energia.[…] Era davvero vecchio, ma i capelli<br />

biondicci e gli occhi pronti ne facevano un uomo vivo” 299 . Il Signor Pietro diviene il prototipo<br />

del viaggiatore, il simbolo dell’uni<strong>vers</strong>o sconosciuto del viaggio marittimo la cui esperienza si<br />

può acquisire solo direttamente. Così come, ricordando il Kurtz di Conrad, era accaduto per il<br />

cug<strong>in</strong>o de I mari del sud e per il barbarico mar<strong>in</strong>aio di colore de Il Mare, la conoscenza non si<br />

può acquisire attra<strong>vers</strong>o la parola, che è negata, ma solo attra<strong>vers</strong>o l’immag<strong>in</strong>e: “Del Signor<br />

Pietro non vidi neanche una valigia perché lo <strong>in</strong>contrai sempre nell’atrio, né lui amava<br />

raccontare dei suoi viaggi tranne il poco <strong>in</strong>dispensabile” 300 . Il fasc<strong>in</strong>o del mare agisce di<br />

conseguenza sul giovane protagonista del racconto che sente di essere dest<strong>in</strong>ato ad una vita di<br />

avventure:<br />

In casa nostra si era sempre detto che il babbo, se fosse vissuto, voleva fare di me un mar<strong>in</strong>aio, un comandante,<br />

perché girassi e vedessi il mondo. Dentro di me gli ero riconoscente per avermi dest<strong>in</strong>ato a una vita bella, e se<br />

anche la sorte aveva voluto altrimenti non lasciavo per questo di fantasticare matt<strong>in</strong>o e sera, da solo, quando<br />

uscivo di casa, che f<strong>in</strong>almente com<strong>in</strong>ciava il mio gran viaggio, che mi bastava camm<strong>in</strong>are camm<strong>in</strong>are f<strong>in</strong>o <strong>in</strong><br />

297 C.Pavese, Feria d’Agosto, cit. p. 64.<br />

298 Ivi, pp. 184-85.<br />

299 Cesare Pavese, Il Signor Pietro, contenuto <strong>in</strong> C. Pavese, Racconti, cit. pp. 429-33.<br />

300 Ivi, pp. 431-32.<br />

91


fondo alla città, f<strong>in</strong>o agli <strong>in</strong>colti dei sobborghi, e qualcosa sarebbe accaduto: voltato l’angolo dell’ultima casa,<br />

nel cielo fresco o nei rossori della sera, mi sarebbe apparso il mare, un mare mai visto, immenso e fumante di<br />

porti, di spiagge, di fragori 301 .<br />

L’ansia del giovane di partire per mare lo porta a domandare al Signor Pietro un imbarco:<br />

Gli dissi che io chiedevo soltanto di lasciare la riva, di respirare con un altro fiato e raccontai del vecchio sogno<br />

di mio padre, raccontai dei miei sogni […]. Quando sentì che il mare non l’avevo mai veduto, cambiò faccia di<br />

botto, fu costernato. Mi str<strong>in</strong>se la spalla e mi chiese perché l’<strong>in</strong>domani non partivo con lui.[…] Quella notte non<br />

tornai a casa. Entrai <strong>in</strong>vece nel caffè della stazione, per godermi, da solo, il mio avvenire e gustare la mia nuova<br />

<strong>in</strong>dipendenza. Ero ubriaco ma non di v<strong>in</strong>o, sentivo anzi <strong>in</strong> me una chiarezza e un ardire che poi non ho provato<br />

mai più 302 .<br />

In questo racconto il protagonista riesce dunque, f<strong>in</strong>almente, a procurarsi un imbarco per<br />

lasciare la riva ed avventurarsi nell’ignoto del mare. La visione trasognata che il giovane ha<br />

del mare, che non ha mai visto, è <strong>in</strong>coraggiata dal Signor Pietro che gli promette di aiutarlo. Il<br />

protagonista sente una nuova libertà da questa risoluzione e com<strong>in</strong>cia a fantasticare sul suo<br />

prossimo <strong>in</strong>contro con il mare che purtroppo, anche questa volta, non avverrà. Il racconto<br />

rimane <strong>in</strong>compiuto lasciando il protagonista immerso nel sogno del viaggio.<br />

Cesare Pavese rimase dunque legato, per tutta la sua attività di scrittore, alla possibilità di<br />

svolgere il mito del mare. Questa possibilità non si concretizzò mai. Ma proprio <strong>in</strong> questo suo<br />

essere irraggiungibile, <strong>in</strong> questo suo essere altrove, il mare può considerarsi un topos della<br />

letteratura pavesiana. Citando la nota riportata sul Mestiere di Vivere del 5/4/1945 (“Vivere <strong>in</strong><br />

un ambiente è bello quando l’anima è altrove. In città quando si sogna la campagna, <strong>in</strong><br />

campagna quando si sogna la città. Dappertutto quando si sogna il mare”.), Gioanola scrive:<br />

“Il mare diventa addirittura, <strong>in</strong> tale prospettiva, la figura per eccellenza dell’altrove, trovando<br />

la funzione di lievito immag<strong>in</strong>ativo proprio <strong>in</strong> virtù del suo non essere qui” 303 .<br />

Ciò che appare evidente, nella considerazione di questi viaggi letterari basati sui grandi<br />

spostamenti, è la relativizzazione del concetto di distanza. Il viaggio letterario sembra aver<br />

come primo scopo quello di voler porre una distanza prima di tutto esistenziale che svolga la<br />

funzione di mettere il personaggio di fronte al di<strong>vers</strong>o, allo sconosciuto e all’<strong>in</strong>comprensibile.<br />

Questo procedimento non è tanto <strong>in</strong>teso per studiare i comportamenti o le caratteristiche del<br />

di<strong>vers</strong>o - qui la grande differenza con i romanzi d’esplorazione che tanto annoiavano Levi-<br />

Strauss e Pavese - ma quanto per svelare i misteri di quell’osservatore occidentale che<br />

improvvisamente si trova a fare i conti con l’<strong>in</strong>consistenza del progetto culturale di cui è<br />

portatore. Le distanze dei mari possono essere equivalenti a quelle che separano le pareti di<br />

una stanza o a quelle che <strong>in</strong>tercorrono fra l’ambiente metropolitano e quello rurale.<br />

Il tema del viaggio nella narrativa di Cesare Pavese, come già accennato, è stato riconosciuto<br />

come basilare da buona parte della critica. I personaggi pavesiani attra<strong>vers</strong>ano conf<strong>in</strong>i<br />

semiotici, stabilendosi spesso ai marg<strong>in</strong>i, per constatare come l’ultimo barlume di senso sia da<br />

r<strong>in</strong>tracciarsi proprio all’<strong>in</strong>terno di spazi ibridi e per <strong>in</strong>terrogare con ansia lo spazio mitico che<br />

li <strong>in</strong>corpora e i personaggi simbolici che <strong>in</strong>contrano. Impossibilitato a svolgere movimenti<br />

sulle grandi distanze, come quelle del mare, Pavese preferirà volgere la sua attenzione al<br />

viaggio breve, al simbolico movimento città-campagna. E’ un percorso m<strong>in</strong>imo, se<br />

paragonato alle leghe percorse dal cug<strong>in</strong>o de I mari del sud o alle lunghe distanze percorse dai<br />

mar<strong>in</strong>ai di Conrad, ma le implicazioni sono altrettanto suggestive rimandando, <strong>in</strong> molti casi, a<br />

tematiche moderniste. Per Musumeci il viaggiare “diventerà la metafora card<strong>in</strong>ale e il codice<br />

301 Ivi, p. 430.<br />

302 Ivi, p. 434.<br />

303 E. Gioanola, Cesare Pavese, La realtà, l’altrove, il silenzio, cit. p. 138.<br />

92


genetico dello scrivere pavesiano” 304 proprio a seguito dell’esperienza de I mari del sud. Il<br />

viaggio diviene una vera forma di conoscenza e la stessa struttura narrativa appare legata al<br />

suo tema <strong>in</strong> maniera <strong>in</strong>dissolubile. Riferendosi ai romanzi della maturità, considerati quelli<br />

scritti dal 1947 <strong>in</strong> poi, Muniz scrive: “[…] Pavese tendeva <strong>in</strong>somma a confondere il piano<br />

della narrazione e quello del viaggio, anzi a ridurre l’esperienza umana a un b<strong>in</strong>omio<br />

perfettamente re<strong>vers</strong>ibile: la narrazione di un viaggio/il viaggio della narrazione, sicché<br />

scoprire, dibattere e camm<strong>in</strong>are saranno d’ora <strong>in</strong> poi perfettamente s<strong>in</strong>onimi nei romanzi<br />

pavesiani” 305 .<br />

E’ un viaggio che, per quanto riguarda Pavese, si struttura come ritorno nella sua ultima<br />

istanza: ”[…] ritorno che rappresenta la figura fondamentale dei libri pavesiani della maturità;<br />

i protagonisti de La casa <strong>in</strong> coll<strong>in</strong>a, de Il diavolo sulle coll<strong>in</strong>e, de La luna e i falò ritornano<br />

tutti compiendo un viaggio dalla città alla campagna, dalla cultura alla natura, dalla prassi<br />

all’estasi, dalla storia al mito, dall’<strong>in</strong>autentico all’autenticità” 306 . Lo schema applicato da<br />

Musumeci alla poesia I mari del sud sembra, con qualche variante, applicabile a la maggior<br />

parte dei componimenti pavesiani. Il viaggio si <strong>in</strong>traprende per una crisi esistenziale, una<br />

necessità di maturazione che, <strong>in</strong> qualche maniera, riprende i viaggi mitici dell’<strong>in</strong>iziazione. E’<br />

per questo che il più delle volte si struttura come fuga da un luogo che per certo si vuole<br />

lasciare, spesso questo luogo è la città, per un luogo <strong>in</strong> cui non si sa precisamente cosa cercare<br />

e, soprattutto, se alla f<strong>in</strong>e si potrà trovare qualcosa. Spesso questo luogo è la campagna con le<br />

sue coll<strong>in</strong>e misteriose e materne e con la sua essenza mitica da svelare attra<strong>vers</strong>o<br />

l’<strong>in</strong>terpretazione del simbolo. Nel momento dell’arrivo a dest<strong>in</strong>azione avviene il<br />

riconoscimento del luogo mitico che è il luogo del ritorno. Ritorno alla natura, ritorno<br />

all’orig<strong>in</strong>e, ritorno all’essere. “Impossibile ritorno”, come suggerisce il titolo del libro di<br />

Musumeci, nel momento <strong>in</strong> cui il viaggiatore si scopre straniero alla terra e malato di civiltà.<br />

La scoperta del mito diviene presto consapevolezza di perdita. Il viaggiatore torna al punto dal<br />

quale era partito. Solo, alienato, <strong>in</strong> un ambiente che non riesce a decifrare e <strong>in</strong> cui non riesce<br />

ad <strong>in</strong>serirsi. L’epilogo tragico, che caratterizza gli <strong>in</strong>contri dei personaggi di Pavese con i<br />

luoghi del mito e con i personaggi “ibridi”, portatori di una cultura arcaica, segna la sconfitta<br />

della ricerca che non porta all’<strong>in</strong>staurarsi di un ord<strong>in</strong>e razionale che possa sopraffare e<br />

controllare quello mitico, ma che conduce senz’altro ad una visione più profonda e<br />

consapevole del reale. Il riconoscimento delle leggi della natura, che sovrastano quelle<br />

dell’uomo e che il mito tenta di portare a chiarezza, rappresenta la vera crescita dei<br />

personaggi pavesiani. Il viaggio di Pavese è, dunque, un movimento ciclico che riporta<br />

costantemente il personaggio al punto da cui era partito, da ciò che era prima dell’<strong>in</strong>izio della<br />

ricerca. L’arricchimento del personaggio, il guadagno che il viaggio comporta, è il<br />

raggiungimento di una tragica consapevolezza impossibile da ottenere nella città, regno delle<br />

sovrastrutture mistificanti. Questa nuova tragica consapevolezza è la vera e unica crescita del<br />

personaggio pavesiano <strong>in</strong> relazione al movimento <strong>in</strong>staurato tra città e campagna. Non si parla<br />

dunque di un viaggio l<strong>in</strong>eare ma ciclico che implica un movimento vorticoso che Musumeci<br />

così spiega:<br />

Il suo movimento non è orizzontale, ma verticale (scavo è il term<strong>in</strong>e pavesiano preferito per tale operazione), con<br />

un processo che non è l<strong>in</strong>eare ma ripetitivo, sulla struttura di cerchi concentrici. Una nozione che non viene<br />

acquisita per mezzo di sforzi mentali, ma è data; è raggiunta <strong>in</strong>tuitivamente, epifanicamente. La sua presenza è di<br />

sempre; non è conquistata come un premio, né è ottenuta meritoriamente alla f<strong>in</strong>e di un lungo percorso<br />

<strong>in</strong>tellettivo; <strong>in</strong>vece, è parte di quel bagaglio mitologico che dallo scrittore con il suo stesso dest<strong>in</strong>o <strong>in</strong> pr<strong>in</strong>cipium.<br />

[…] Scopo ultimo non è tanto la scoperta di un sostrato di mitologia, personale o collettiva, quanto la riduzione<br />

di questo a chiarezza, a logos. Il monolito di Pavese scrittore, sia rispetto alla sua ossessiva presenza che alla sua<br />

funzione di privilegio nella totalità della produzione artistica pavesiana, è il mito del ritorno: lo sforzo<br />

<strong>in</strong>tenzionale del protagonista di staccarsi dalla condizione esistenziale presente e , attra<strong>vers</strong>o un ritorno fisico ad<br />

304 A.Musumeci, L’impossibile ritorno La fisiologia del mito <strong>in</strong> Cesare Pavese, cit. p. 20.<br />

305 M. de las Nieves Muniz Muniz, Introduzione a Pavese, cit. p. 134.<br />

306 E. Gioanola, Cesare Pavese, La realtà, l’altrove, il silenzio, cit. pp. 89-90.<br />

93


una geografia mitica, ricuperare una qualità mitica di vita identificata con l’<strong>in</strong>fanzia. […] Da allora <strong>in</strong> poi, (mari<br />

del sud), la struttura del ritorno sarà stabilita per sempre, e verrà sottoposta ad un persistente e monotono<br />

scavo 307 .<br />

I teatri di questo vorticoso viaggiare saranno, nella maggior parte dei casi, e soprattutto nei<br />

romanzi “della maturità”, la città e la campagna. Il movimento fra questi due poli è segnato da<br />

tutte le implicazioni che caratterizzano i conf<strong>in</strong>i semiotici, così come sono stati descritti da<br />

Lotman. E’ il vero passaggio da un ord<strong>in</strong>e significante ad un altro che caratterizza i viaggi dei<br />

personaggi di Pavese così come constata Gioanola: “[…] passare da una località all’altra è<br />

come passare da un uni<strong>vers</strong>o rustico ad uno civile e fare esperienza della distanza che esiste<br />

tra campagna e città” 308 . Il concetto di distanza qui proposto mi sembra si possa legare<br />

senz’altro a quello della “tragica consapevolezza” poc’anzi esposto nel momento <strong>in</strong> cui la<br />

tragedia si <strong>in</strong>nesca, come kafkiano processo, proprio nel momento <strong>in</strong> cui si prende atto della<br />

distanza che <strong>in</strong>tercorre fra l’uomo moderno e l’orig<strong>in</strong>ario, fra il mondo metropolitano civile e<br />

quello rurale primitivo. Si parla dunque, come lo stesso Gioanola sostiene, di distanza<br />

ontologica che proprio nella metafora del viaggio-narrazione si svela come categoria di<br />

<strong>in</strong>vestigazione impresc<strong>in</strong>dibile per l’<strong>in</strong>tellettuale moderno. Il tema del viaggio dalla città <strong>in</strong><br />

campagna è dunque funzionale a rivelare e a sondare la distanza; esso si svelerà ricco di<br />

implicazioni e fornirà a Pavese la possibilità di svolgerne il mito e sviscerarne il simbolismo<br />

<strong>in</strong> connessione con le istanze artistiche più moderne: “[…] fare dei miti la base di un<br />

r<strong>in</strong>novato e ritrovato senso comune: di una classicità rustica, fondata sulla città-<strong>in</strong>-campagna.<br />

Un'espressione <strong>in</strong> cui campagna equivale a <strong>in</strong>fanzia e preistoria, e città a mondo<br />

contemporaneo. E tutto questo secondo una direzione propria dei ritornanti primitivismi della<br />

modernità” 309 .<br />

Pavese sviluppò la sua scrittura proprio tentando di risolvere la dialettica della città e della<br />

campagna. I suoi viaggi letterari, così come quelli reali, furono concepiti su questo schema. E’<br />

una relazione che si stabilisce all’<strong>in</strong>terno di molti romanzi modernisti e che si basa, anche se<br />

non esclusivamente, sul riconoscimento della città come simbolo della decadenza della civiltà<br />

moderna. E’ comunque nel rapporto fra i due poli opposti, <strong>in</strong>teso come sequenza di<br />

contrapposizioni, che la distanza ha la possibilità di essere rilevata. La struttura b<strong>in</strong>aria della<br />

narrativa pavesiana trova <strong>in</strong> questa nuova coppia di opposti un’ulteriore applicazione. Muniz<br />

così spiega questa struttura <strong>in</strong> rapporto al tema del viaggio:<br />

In questo modo si era andato configurando un modello assai preciso di racconto, metà naturalistico, metà<br />

simbolico, al cui centro appariva un personaggio misto (attore-spettatore) capace di raggiungere l’<strong>in</strong>dispensabile<br />

equilibrio, tra chi sa e chi ignora, mentre la storia complessiva tendeva a costruirsi come un’<strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e (una vita<br />

ri-pensata) la cui scoperta f<strong>in</strong>ale combacia con la nozione presupposta (il dest<strong>in</strong>o oscuramente <strong>in</strong>tuito), venendo<br />

così a descrivere una sorta di dantesco camm<strong>in</strong>o dell’anima. Ma, nella misura <strong>in</strong> cui questo camm<strong>in</strong>o implica<br />

uno sforzo conoscitivo che si compie nell’attrito fra il presente e il passato o, se vogliamo, fra l’<strong>in</strong>cosciente e la<br />

realtà, l’equilibrio risultante implicherà il superamento di una fortissima tensione <strong>in</strong>terna […]: La tua poetica è<br />

forzatamente drammatica perché il suo messaggio è l’<strong>in</strong>contro di due persone – il mistero e il fasc<strong>in</strong>o e<br />

l’avventura di questi <strong>in</strong>contri – non la confessione della tua anima (Mestiere di Vivere, 21 Giugno 1940). […]<br />

Ci vuole la ricchezza d’esperienze del realismo e la profondità di sensi del simbolismo […] tutta l’arte è un<br />

problema di equilibrio fra due opposti ( Mestiere di Vivere, 14 Dicembre 1939). […] lo sviluppo della tecnica<br />

pavesiana segna un’evoluzione che si avvic<strong>in</strong>a gradatamente al modello ideale riducendo man mano gli<br />

scompensi <strong>in</strong>iziali fra voce dei personaggi e voce del narratore o fra tempo materiale e tempo immag<strong>in</strong>ario, cioè,<br />

<strong>in</strong> ultima istanza, fra trama realista e trama simbolica 310 .<br />

307<br />

A.Musumeci, L’impossibile ritorno La fisiologia del mito <strong>in</strong> Cesare Pavese, cit. pp. 11-13.<br />

308<br />

E. Gioanola, Cesare Pavese, La realtà, l’altrove, il silenzio, cit. p. 145.<br />

309<br />

Guido Guglielmi La prosa italiana del Novecento, Tra romanzo e racconto, Piccola Biblioteca E<strong>in</strong>audi, 1998,<br />

p. 117.<br />

310<br />

M. de las Nieves Muniz Muniz, Introduzione a Pavese, cit. pp. 55-56.<br />

94


Per Guglielmi il problema alla base della poetica di Pavese è proprio quello dello stabilire un<br />

rapporto fra gli opposti, trovare nuove possibilità di movimento nell’ambito della distanza:<br />

“[...] come mediare tempo estatico e tempo profano, citazione mitica e vita<br />

contemporanea?” 311 . La scrittura di Pavese si risolve, <strong>in</strong> buona parte, nella “conciliazione” o<br />

nella “guerra” degli opposti che trovano, nella città e nella campagna, i due simboli orig<strong>in</strong>ari<br />

da cui tutto scaturisce e prende forma:<br />

Pavese spiega questo concetto nel saggio <strong>in</strong>titolato La Selva (1946):<br />

La selva sconfigge l'ord<strong>in</strong>e magico del mito. Essa è l'imprevisto che sta nel cuore dei nostri compagni uom<strong>in</strong>i.<br />

Ed è un mistero, l'unico veramente <strong>in</strong>tollerabile, il mistero del contrasto delle volontà. Se la campagna re<strong>in</strong>tegra<br />

l'uomo nell'ord<strong>in</strong>e naturale, scandito dall'avvicendamento delle stagioni, la città è la selva, il luogo della guerra<br />

dell'uomo contro l'uomo [...] il dest<strong>in</strong>o è dunque massima conciliazione (armonia degli uom<strong>in</strong>i e degli dei) e<br />

contemporaneamente demonico schema 312 .<br />

La difficoltà, forse l’impossibilità, di risolvere questo rapporto <strong>in</strong> direzione non tragica, è<br />

dunque evidente dalla considerazione di aver a che fare con elementi ibridi. La<br />

“conciliazione” è impossibile e il dest<strong>in</strong>o assume la forma di un “demonico schema”. La<br />

campagna non è più luogo dell’orig<strong>in</strong>ario ma ne conserva al massimo le tracce; la città non è<br />

semplicemente il luogo dell’artificiale <strong>in</strong> quanto gli uom<strong>in</strong>i che la abitano conservano la<br />

memoria dell’orig<strong>in</strong>e:<br />

Dal punto di vista figurativo il contrasto di partecipazione-distacco trova immag<strong>in</strong>i efficaci nell’antico rapporto<br />

città-campagna, che qui come non mai compongono due semi mondi perfettamente <strong>in</strong>tegratisi e proprio mentre<br />

<strong>in</strong>trecciano strettissimi legami d’<strong>in</strong>terferenza e sono appena divisi da un’esigua soglia, sono anche lontanissimi<br />

tra loro e permettono due modi d’esistenza completamente di<strong>vers</strong>i.[…] La città come spazio umano e la coll<strong>in</strong>a<br />

come spazio naturale (le cose che accadono e le cose che sono) si scoprono a vicenda contrapponendosi 313 .<br />

Il ruolo che viene affidato alla città, <strong>in</strong>dipendentemente dalle successive complicazioni, è<br />

<strong>in</strong>izialmente quello ereditato dalla tradizione modernista. Baudelaire, poeta studiato e<br />

apprezzato dallo stesso Pavese, <strong>in</strong>dividuava nella città il ricettacolo di tutti i mali della<br />

contemporaneità. Per Paolo Proietti la città diviene simbolo di un nuovo ord<strong>in</strong>e significante<br />

che sta guadagnando progressivamente spazio. Il riconoscimento di questa nuova “dimensione<br />

metropolitana” dell’esistenza “consente osservare da una nuova prospettiva estetica le<br />

premesse ed i primi sviluppi di una società protocapitalistica che si lascia tradurre <strong>in</strong> un nuovo<br />

sistema di corrispondenze semiotiche fondate sui valori della produttività e del commercio,<br />

sul conv<strong>in</strong>cimento ideologico nelle possibilità del miglioramento sociale e politico attra<strong>vers</strong>o<br />

l’impegno materiale del s<strong>in</strong>golo per il miglioramento della collettività e del sistema” 314 .<br />

L’analisi di Proietti ha il merito di s<strong>in</strong>tetizzare alcune delle pr<strong>in</strong>cipali tensioni che<br />

attra<strong>vers</strong>arono l’Europa nel periodo <strong>in</strong> cui si avviava risoluta <strong>vers</strong>o un sistema capitalistico.<br />

La crisi di rigetto, dovuta alla velocità e alla spregiudicatezza delle trasformazioni, può<br />

trovare una sua rappresentazione nell’uni<strong>vers</strong>o caotico metropolitano <strong>in</strong> cui le nuove forze <strong>in</strong><br />

gioco si combattono, si r<strong>in</strong>corrono, si ostacolano, lasciando l’uomo <strong>in</strong> una situazione di ansia<br />

permanente dovuta all’<strong>in</strong>stabilità del mondo e dei suoi rapporti con esso. L’uomo moderno è<br />

disperso <strong>in</strong> un contesto non più significante e vaga alla ricerca di un nuovo senso o, come nel<br />

311 G.Guglielmi La prosa italiana del Novecento, Tra romanzo e racconto, cit. p. 130.<br />

312 Cesare Pavese, La selva, <strong>in</strong> C. Pavese, Letteratura americana e altri saggi, cit. p. 132.<br />

313 E.Gioanola, Cesare Pavese, La realtà, l’altrove, il silenzio, cit. p. 32.<br />

314 Paolo Proietti, Introduzione a P. Nicholls, La forma e le scritture, cit. p.7.<br />

95


caso di Pavese, fugge alla ricerca della dimensione rurale:<br />

Queste caratteristiche della modernità, implicano una rottura – un’ulteriore frammentazione! – con le condizioni<br />

storiche precedenti, per cui l’architettura sociale ereditata dal passato, nella quale il soggetto ha costruito la<br />

propria identità ed il proprio senso di appartenenza, non può più fornire un adeguato supporto morale ed<br />

emotivo. E’ così che un assetto sociale <strong>in</strong>tero, sotto la sp<strong>in</strong>ta della prima <strong>in</strong>dustrializzazione e dei risvolti da essa<br />

implicati, vive un periodo di profonda e radicale trasformazione, ed il disagio <strong>in</strong>tellettuale di quella nuova,<br />

moderna realtà può essere trovato soprattutto nella realtà urbana 315 .<br />

Già nella prima raccolta di Pavese, Lavorare Stanca, si può r<strong>in</strong>tracciare questo tema così<br />

come nota Musumeci: “In Fumatori di Carta le coll<strong>in</strong>e e la città sono polarizzate <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i<br />

di movimento. La città è il locus dell’<strong>in</strong>giustizia; ma un ritorno alle coll<strong>in</strong>e, benché desiderato,<br />

non può essere realizzato a causa dell’<strong>in</strong>abilità del protagonista a rompere i propri legami<br />

sociali ed umani […]” 316 .<br />

Le reazioni degli scrittori modernisti di fronte alle nuove sfide della modernità furono<br />

ovviamente di di<strong>vers</strong>o genere. A scrittori che decisero di esplorare l’uni<strong>vers</strong>o urbano per<br />

sviscerarne i motivi di decadenza, basti pensare a Thomas Hardy o Thomas Mann, se ne<br />

affiancarono altri che decisero di partire <strong>vers</strong>o terre ignote, come Conrad, mentre altri ancora<br />

decisero di esplorare la dimensione rurale, quella dimensione che si può situare ai conf<strong>in</strong>e<br />

della città <strong>in</strong> una situazione di prossimità spaziale ma di lontananza temporale. Nel caso di<br />

Pavese, lo svolgimento della dialettica città-campagna non implica necessariamente, anche se<br />

questo sviluppo fu privilegiato, un giudizio negativo sulla città. Le due dimensioni sono<br />

messe a confronto come due spazi mitici differenti. La ricerca del senso si espleta <strong>in</strong>somma su<br />

entrambi i fronti. Gigliucci mette <strong>in</strong> risalto come l’attitud<strong>in</strong>e di Pavese <strong>vers</strong>o la città fu<br />

complessa 317 . Luogo di decadenza ma al contempo spazio culturale dove avvengono gli<br />

<strong>in</strong>contri con i personaggi più <strong>in</strong>teressanti, la città non sembra assumere, nelle pag<strong>in</strong>e degli<br />

appunti dello scrittore, una connotazione <strong>def</strong><strong>in</strong>itiva, sia essa positiva e negativa. La città<br />

rimane dunque per Pavese una dimensione <strong>in</strong>stabile, oggetto di cont<strong>in</strong>ua <strong>in</strong>terpretazione e<br />

re<strong>in</strong>terpretazione. La città, nell’ambito della sua poetica, può trovare una collocazione<br />

esauriente esclusivamente nell’ambito del rapporto con le coll<strong>in</strong>e e la campagna, spazi esterni<br />

<strong>in</strong> cui si sviluppano differenti modalità di approccio al reale. La città è dunque simbolica e<br />

non allegorica. Il tema del movimento città-campagna è una costante di tutta la produzione di<br />

Cesare Pavese e trova, nell’op<strong>in</strong>ione di Muniz, una sua chiara formulazione nel rapporto cittàcampagna<br />

<strong>in</strong> La casa <strong>in</strong> coll<strong>in</strong>a che rappresenta “il suo primo scontro con le contraddizioni<br />

della società moderna <strong>in</strong>naturalmente divisa fra città e campagna” 318 . Il rapporto cittàcampagna<br />

è dunque visto <strong>in</strong> maniera problematica, quasi che dalla sua risoluzione possa<br />

affiorare il barlume di una impresc<strong>in</strong>dibile verità. Se nei romanzi della modernità il rapporto è<br />

evidente e articolato, è da notare come la riflessione <strong>in</strong>torno a questa problematica risalga già<br />

ai tempi di Lavorare Stanca. F<strong>in</strong> da allora il carattere simbolico dei due opposti poteva<br />

apparire ben chiaro. L’approccio di Pavese non appare quello di uno scrittore dedito a creare<br />

una propria allegoria, dove la città e la campagna possano assumere dei significati ben precisi.<br />

Al contrario il movimento città-campagna è vissuto come movimento esistenziale, dunque<br />

sempre tutto da scoprire e ri<strong>def</strong><strong>in</strong>ire. L’ansia di portare alla luce i simboli, le implicazioni<br />

esistenziali più nascoste che tale rapporto cela, lo conducono a sviluppare il tema <strong>in</strong> maniera<br />

varia e imprevedibile. Muniz constata l’importanza del tema <strong>in</strong> Pavese e al contempo la sua<br />

ambivalenza:<br />

315 Ivi, p.8.<br />

316 A. Musumeci, L’impossibile ritorno La fisiologia del mito <strong>in</strong> Cesare Pavese, cit. p. 32.<br />

317 R. Gigliucci, Cesare Pavese, cit. pp. 50-52.<br />

318 M. de las Nieves Muniz Muniz, Introduzione a Pavese, cit. p. 145.<br />

96


In esso (il primo libro di poesie Lavorare Stanca) appare raffigurata una parabola ulisseica di cui sono<br />

protagonisti il ragazzo contad<strong>in</strong>o che attratto dalla città sogna il distacco dal paese (Città <strong>in</strong> campagna), e il<br />

giovane lavoratore <strong>in</strong>urbato che, sentendo improvvisamente il richiamo della terra, si prepara a fuggire dalla<br />

prigione urbana (Atlantic Oil, Gente che non capisce). Ma v’è un altro modo <strong>in</strong> cui questo tema prende forma, ed<br />

è quello che potremmo chiamare della città-foresta. Dove la natura ricompare come un residuo ancestrale che la<br />

civiltà urbana non riesce ad assorbire pienamente.[…] Ma la città <strong>in</strong> campagna assume anche l’aspetto di uno<br />

spazio lim<strong>in</strong>are (la barriera, la stazione, il fiume, il r<strong>in</strong>g, l’ambigua casa senza tetto, i viali aperti) dove i<br />

personaggi patiscono uno stato di sdoppiamento alienante.[…] Questa sovrapposizione di città e campagna ha,<br />

<strong>in</strong>somma, quale implicito trait d’union, l’oscura attrazione che l’uomo civile prova per la natura selvaggia, i cui<br />

tratti ricorrenti sono il sangue e il sesso 319 .<br />

Il rapporto fra città e campagna è dunque talmente complesso che non sarà difficile scorgere<br />

tutta una serie di proiezioni che daranno l’impressione costante di trovarsi di fronte a mondi<br />

ibridi, mondi che i due poli si contendono a vicenda. Lo sforzo dei personaggi sarà quello di<br />

dover dist<strong>in</strong>guere fra la massa dei dati che caoticamente si assommano nella ricerca di un<br />

assoluto che è cont<strong>in</strong>uamente promesso ma giammai concesso. Come Muniz nota, a riguardo<br />

del viaggio che i protagonisti de Il Diavolo sulle coll<strong>in</strong>e <strong>in</strong>traprendono, la possibilità di<br />

ritrovare una dimensione mitica sarà cont<strong>in</strong>uamente <strong>in</strong>terdetta e il percorso ascensionale <strong>vers</strong>o<br />

la coll<strong>in</strong>a cont<strong>in</strong>uamente vanificato: “Arrivati <strong>in</strong> alto, troveranno un mondo ibrido – né città<br />

né campagna -, ancor più <strong>in</strong>quietante della conca del fiume” 320 . E’ la dimostrazione di come<br />

lo spazio mitico, designato da Pavese, preveda <strong>in</strong>tromissioni di spazio storico e vice<strong>vers</strong>a. Lo<br />

stesso accadrà con i personaggi antagonisti del cittad<strong>in</strong>o e del selvaggio. Insomma la città <strong>in</strong><br />

campagna e la campagna <strong>in</strong> città; il cittad<strong>in</strong>o nel selvaggio e il selvaggio nel cittad<strong>in</strong>o. Il<br />

Diavolo sulle coll<strong>in</strong>e è dunque il luogo dell’ibrido, della “scoperta del selvaggio cittad<strong>in</strong>o” 321<br />

la dimostrazione di “come il selvaggio – la donna – covi dentro ogni uomo, <strong>in</strong> città come <strong>in</strong><br />

campagna, nella vetta più alta o <strong>in</strong> mezzo a una sala da ballo, e anzi, trovi la sua espressione<br />

più ributtante nel mondo civilizzato” 322 .<br />

La geografia mitica di Pavese è ben disegnata ed è funzionale allo sviluppo dei temi del mito.<br />

Il rapporto città-campagna diviene produttivo solo all’<strong>in</strong>terno dello spazio mitico e della<br />

geografia simbolica: “La qualificazione della geografia, come Pavese scoprirà più tardi nelle<br />

sue letture etnologiche, e l’<strong>in</strong>tenzionalità dell’atto, sono <strong>in</strong>gredienti essenziali del significato<br />

del ritorno: solo il ritorno ad un luogo mitico può costituire un evento mitico” 323 . Lo spazio<br />

mitico e la sua proiezione geografica divengono un elemento basilare nella costruzione del<br />

romanzo “d’esplorazione”: “[…] sarà con la mitizzazione della geografia che le sue categorie<br />

mitiche si organizzeranno <strong>in</strong> un sistema operante e coerente” 324 . Città e campagna divengono<br />

due opposti “esistenziali” e si configurano come ibridi. Il loro rientrare <strong>in</strong> una geografia<br />

mitica è estremamente funzionale al tema del viaggio e al motivo del ritorno: “[…] città e<br />

coll<strong>in</strong>a come simboli esistenziali, <strong>in</strong> costante stato di tensione irrisolta, e postulano perciò,<br />

nella loro stessa <strong>in</strong>capacità a superarsi, a stabilirsi <strong>in</strong> cont<strong>in</strong>uità, l’eventuale necessità di un<br />

ritorno” 325 . Sarà una mitizzazione estremamente complessa, ricca di simbologie, sulla quale<br />

dom<strong>in</strong>a dall’alto la coll<strong>in</strong>a. Il viaggio di Corrado, <strong>in</strong> La casa <strong>in</strong> coll<strong>in</strong>a, si struttura come<br />

viaggio dalla dimensione storica a quella mitica. La differenza con le scritture romantiche, che<br />

postulavano un movimento molto simile a questo, risiede tutto nell’estrema<br />

problematizzazione delle argomentazioni tramite le quali si potrà constatare la sconfitta<br />

dell’uomo nel suo mitico periplo di ritorno:<br />

319 Ivi, pp. 32-33.<br />

320 Ivi, p. 147.<br />

321 Ivi, p. 149.<br />

322 Ivi, p. 147.<br />

323 A. Musumeci, L’impossibile ritorno La fisiologia del mito <strong>in</strong> Cesare Pavese, cit. p. 34.<br />

324 Ivi, p. 73.<br />

325 Ivi, p. 33.<br />

97


Se l’odissea di Ulisse va dall’impresa mitica alla domesticità del quotidiano, quella di Corrado è <strong>in</strong>vece il ritorno<br />

da una quotidianità m<strong>in</strong>acciata e perciò m<strong>in</strong>acciante <strong>vers</strong>o il mito considerato aprioristicamente come spazio<br />

salvifico. […] Corrado <strong>in</strong>vece ritorna a casa, alle coll<strong>in</strong>e, a cercare la salvezza lontano dagli uom<strong>in</strong>i. Il suo<br />

ritorno è un exit dalla storia <strong>vers</strong>o il mito. L’odissea di Corrado è predicata sulla dicotomia fondamentale tra città<br />

e coll<strong>in</strong>a 326 .<br />

La coll<strong>in</strong>a, che si struttura nei romanzi pavesiani come “autentica metafora dell’essere” 327 ,<br />

diviene uno dei simboli pr<strong>in</strong>cipali della sua mitologia. Simbolo dell’essere, del tempo<br />

naturale, del selvaggio, la coll<strong>in</strong>a si pone fuori dalla storia per assurgere ad elemento mitico<br />

privilegiato all’<strong>in</strong>terno dello spazio mitico di Pavese: “[…] coll<strong>in</strong>a come equivalente di<br />

essenza, di durata sapienzale, di autenticità, contro i traumi e i rivolgimenti storici, la<br />

precarietà delle ideologie, l’effimera consistenza degli atti e dei fatti umani” 328 . Proprio <strong>in</strong><br />

quanto metafora dell’essere, la coll<strong>in</strong>a svolge il suo simbolo testimoniandone la<br />

di<strong>vers</strong>ificazione e l’impossibilità della cristallizzazione allegorica <strong>in</strong> significati unici.<br />

All’<strong>in</strong>terno dello spazio mitico della campagna, la coll<strong>in</strong>a rappresenta una presenza costante<br />

ed <strong>in</strong>att<strong>in</strong>gibile, misteriosa ed attraente. Diventa stessa parte del mito ed <strong>in</strong> questo si<br />

contrappone alla modernità <strong>in</strong>calzante rappresentata dagli ambienti urbani: “Viene subito<br />

postulato un necessario rapporto dicotomico tra città e coll<strong>in</strong>a, ed un moto direzionale<br />

determ<strong>in</strong>ato <strong>in</strong> modo univoco. Il ritorno alla coll<strong>in</strong>a è visto come transito da cont<strong>in</strong>genza –<br />

predicata a riguardo della città <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i di luce, a permanenza – predicata a riguardo della<br />

coll<strong>in</strong>a <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i di atemporalità e di uni<strong>vers</strong>alità: dalla storia al mito” 329 .<br />

Oggetto d’amore e odio la coll<strong>in</strong>a, attra<strong>vers</strong>o gli scritti di Pavese, potrà assumere le sembianze<br />

delle mammelle di una donna pronte all’allattamento ma esprimerà anche l’erotismo di un<br />

seno rigoglioso; assumerà qu<strong>in</strong>di le vesti della madre e quelle dell’amante. Queste due<br />

antropizzazioni, diffuse e basilari della scrittura pavesiana, saranno però complicate da<br />

<strong>in</strong>f<strong>in</strong>ite implicazioni. La donna, oggetto di attrazione e repulsione, la madre terra affasc<strong>in</strong>ante<br />

impenetrabile ed orrenda, trova, nella coll<strong>in</strong>a, un suo corrispettivo come segno della terra e<br />

qu<strong>in</strong>di del selvaggio. Maria Luisa Premuda r<strong>in</strong>traccia questo rapporto tra donna e selvaggio<br />

nel momento <strong>in</strong> cui la coll<strong>in</strong>a diviene simbolo della terra e qu<strong>in</strong>di dell’essere: “Nella fantasia<br />

di Pavese la figura femm<strong>in</strong>ile si colora di tutta la complessità della donna-madre etnologica: è<br />

l’<strong>in</strong>carnazione stessa del mondo titanico, un tumulto di sangue che vive l’attimo con<br />

semplicità primordiale […]” 330 . Ma proprio nel simboleggiare una donna madre-amante,<br />

feconda e con seni gonfi di latte, la coll<strong>in</strong>a associa sempre più la sua funzione a quella<br />

dell’essere. La guerra, che si svolge fra le sue pendici <strong>in</strong> La casa <strong>in</strong> Coll<strong>in</strong>a, è vista come una<br />

vera violenza carnale nei suoi confronti, una profanazione dell’essere, l’ennesimo tentativo<br />

dell’uomo di appropriarsi del sacro che quel luogo rappresenta. Eppure è proprio l’esplosione<br />

di questa violenza, metà selvaggia e metà umana, che conduce il protagonista a riflettere sulla<br />

propria esistenza: “L’approfondimento del rapporto città-campagna avviene come<br />

trasposizione della violenza e del sangue dalla natura alla storia. La guerra offre il motivo<br />

dell’ultima decantazione della campagna come primitivo e selvaggio, riconducendola alla<br />

dimensione di luogo delle memorie <strong>in</strong>fantili, luogo delle essenze e dell’orig<strong>in</strong>alità” 331 .<br />

Dalla vicenda di Corrado si potrà ricavare nient’altro che una ancora più approfondita<br />

consapevolezza esistenziale:<br />

326<br />

Ivi, p. 98.<br />

327<br />

E. Gioanola, Cesare Pavese, La realtà, l’altrove, il silenzio, cit. p. 8.<br />

328<br />

Ivi, p. 29.<br />

329<br />

A. Musumeci, L’impossibile ritorno La fisiologia del mito <strong>in</strong> Cesare Pavese, cit. p. 97.<br />

330<br />

Maria Luisa Premuda, Annali della scuola superiore di Pisa, vol. XXVI, 1957, pp. 238-242.<br />

331<br />

E. Gioanola, Cesare Pavese, La realtà, l’altrove, il silenzio, cit. p. 33.<br />

98


[…] il suo essere fuori dal tempo nell’<strong>in</strong>calzare degli eventi storici, la certezza che esistono realtà di valore<br />

assoluto, la coll<strong>in</strong>a appunto, la grande immag<strong>in</strong>e al di là di tutte le esperienze, germ<strong>in</strong>ata da un passato di<br />

memoria ma <strong>in</strong>caricata nella sua favolosa <strong>in</strong> temporalità, di simboleggiare tutto il futuro.[…] E la vera<br />

partecipazione del protagonista non sta forse nel non essere direttamente co<strong>in</strong>volto nei fatti, ma nel doloroso<br />

tormento dell’assistervi impotente e nella coscienza che <strong>in</strong> quella vicenda di orrore e di sangue si riflette una<br />

condizione eterna dell’esistere? 332 .<br />

Il luogo dell’essere, la coll<strong>in</strong>a, diviene a sua volta un luogo di “impossibile ritorno”; i<br />

personaggi rimangono sempre <strong>in</strong>vischiati nell’<strong>in</strong>terpretazione della sua simbologia, alla<br />

ricerca di un significato che sembra dest<strong>in</strong>ato a non esser rilasciato. Lo schema del viaggio<br />

sembra esser funzionale a quello del ritorno nel momento <strong>in</strong> cui la campagna diviene<br />

depositaria dei simboli dell’essere. E’ lo stesso ritorno <strong>in</strong> cui più volte ci si è imbattuti <strong>in</strong><br />

questo studio. Ritorno, pur dest<strong>in</strong>ato ad esser frustrato, alla natura, all’orig<strong>in</strong>ario, all’essere,<br />

all’<strong>in</strong>fanzia. Quella dell’<strong>in</strong>fanzia è un’ulteriore implicazione a cui si deve associare la coll<strong>in</strong>a,<br />

la campagna e, soprattutto, il selvaggio. In riferimento a La casa <strong>in</strong> Coll<strong>in</strong>a, Gioanola scrive:<br />

La coll<strong>in</strong>a è la metafora efficace dell’essere, <strong>in</strong> rapporto alla labilità angosciosa del fare e del divenire; scoperta<br />

della coll<strong>in</strong>a, cioè della campagna-<strong>in</strong>fanzia, significa l’approdo all’autentica coesistenza esistenziale, a ciò che si<br />

è orig<strong>in</strong>ariamente, nella nativa ricchezza precedente tutte le esperienze storiche. […] Sotto gli aspetti della realtà<br />

e della storia, c’è una consistenza misteriosa e autentica […] La coll<strong>in</strong>a è appunto figurata struttura di ciò che<br />

vale prima di tutte le cose e dà senso a tutte le cose 333 .<br />

Il viaggio di ritorno <strong>vers</strong>o la campagna è, dunque, anche viaggio nel tempo quando l’essere<br />

umano ancora non aveva formato la sua coscienza e viveva a stretto contatto con la natura<br />

stabilendo con lei un rapporto privilegiato troncato sul nascere: “C’è sempre nei libri migliori<br />

di Pavese un ritorno, ed è il ritorno ai luoghi dell’<strong>in</strong>fanzia, un ritorno attra<strong>vers</strong>o lo spazio che<br />

corrisponde a un ritorno attra<strong>vers</strong>o il tempo al punto <strong>in</strong> cui il tempo non esiste più, dove i<br />

ricordi lasciano trapelare l’abisso di essere e nulla che li ha generati e fatti tanto pregnanti di<br />

senso” 334 .<br />

E’ proprio nel romanzo La casa <strong>in</strong> coll<strong>in</strong>a che questo rapporto trova probabilmente la sua<br />

applicazione più evidente. La caratterizzazione geografica del luogo è particolarmente<br />

marcata, attra<strong>vers</strong>o le descrizioni delle valli, delle coll<strong>in</strong>e, della città di Tor<strong>in</strong>o, ma è subito<br />

l’implicazione mitica che si rende evidente, e il motivo del ricordo-ritorno trasposto <strong>in</strong> una<br />

dimensione vagamente onirica porta la Muniz ad associare le atmosfere create da Pavese a<br />

quelle di Conrad: “il racconto - improntato a un tono rammemorante t<strong>in</strong>to di rimorso simile a<br />

quello che Pavese aveva attribuito a Conrad <strong>in</strong> un saggio del 1946 - <strong>in</strong>izia <strong>in</strong> medias res sotto<br />

il segno del ritorno” 335 . Sono le stesse atmosfere conradiane, che la stessa Muniz evocherà per<br />

<strong>in</strong>trodurre Il Diavolo sulle coll<strong>in</strong>e, parlando di “un viaggio di scoperta”, di “viaggio nel cuore<br />

del mistero” e di “viaggio nell’ignoto” 336 . I motivi legati al tema del viaggio, analizzati<br />

f<strong>in</strong>ora, si ripropongono puntualmente <strong>in</strong> La casa <strong>in</strong> coll<strong>in</strong>a: “Sarà dunque la storia di Corrado<br />

un viaggio attra<strong>vers</strong>o la guerra che è nel contempo una ricerca a ritroso nei ricordi più oscuri<br />

della sua psiche alla scoperta delle orig<strong>in</strong>i della propria viltà. Così, di ricordo <strong>in</strong> ricordo, egli<br />

approderà allo stampo che foggiò <strong>in</strong> passato la sua fantasia: il mito della natura come mistero<br />

selvaggio” 337 . Sotto questa luce, dopo aver constatato come il desiderio di riscoperta<br />

332 Ivi, p. 31.<br />

333 Ivi, p. 30.<br />

334 E. Gioanola, Cesare Pavese, La realtà, l’altrove, il silenzio, cit. pp. 35-36.<br />

335 M. de las Nieves Muniz Muniz, Introduzione a Pavese, cit. p. 140.<br />

336 Ivi, pp. 145-46.<br />

337 Ivi, p. 141.<br />

99


ontologica sia ben diffuso fra gli <strong>in</strong>tellettuali modernisti, non sarà difficile scorgere la<br />

connessione con il tema del viaggio e, di conseguenza, comprendere il motivo della sua estesa<br />

diffusione fra gli scrittori della modernità 338 . Il viaggio diviene metafora preferita, con il suo<br />

bagaglio di simboli, per una messa <strong>in</strong> discussione del progetto della civiltà occidentale<br />

nell’epoca del nichilismo. Le implicazioni ontologiche relative al motivo del ritorno, uno<br />

degli aspetti senz’altro fondamentali all’<strong>in</strong>terno del tema del viaggio, sono state<br />

abbondantemente discusse da Gioanola che <strong>in</strong>dica <strong>in</strong> Heidegger la fonte europea di questa<br />

tendenza. La geografia mitica disegnata da Pavese, colma di simboli da <strong>in</strong>terpretare,<br />

rimanderebbe, dunque, a <strong>in</strong>quietitud<strong>in</strong>i esistenziali. Gli stessi simboli si caricano di<br />

implicazioni ontologiche f<strong>in</strong>o a diventare metafore dell’essere. All’<strong>in</strong>terno della geografia<br />

mitica la campagna sembra dunque avere un ruolo ben preciso, un ruolo metaforico e<br />

fondante per tutta la poetica di Pavese:<br />

La nuova stagione poetica di Pavese nasce quando la campagna diventa un valore assoluto […]. La poetica del<br />

mito attribuisce alla campagna il valore di essenza, <strong>in</strong>dividuandola come il luogo <strong>in</strong> cui sono nate e hanno preso<br />

forma le strutture costitutive dell’io, come il vivaio immag<strong>in</strong>ativo capace di simboleggiare la sostanza autentica<br />

della persona, quella dest<strong>in</strong>ata natura che stabilisce una direzione e una qualità a tutta l’esistenza 339 .<br />

La campagna diviene dunque luogo privilegiato all’<strong>in</strong>terno dello spazio mitico di Pavese. E’<br />

un luogo mitico depositario dell’essere dove il selvaggio “accade” e si struttura come<br />

possibilità propria di quell’essere. La sua implicazione nell’ambito della dialettica cittàcampagna<br />

è svelata dallo stesso Pavese:<br />

Il selvatico che ci <strong>in</strong>teressa non è la natura il mare la selva ma l’imprevisto nel cuore dei nostri compagni uom<strong>in</strong>i.<br />

E’ il selvatico che con un semplice sforzo d’attenzione può diventare volontà deliberata. La città e la donna ci<br />

usano una ferocia della quale ogni campagna <strong>in</strong>colta è soltanto un simbolo […]. La solitud<strong>in</strong>e di un bosco, <strong>in</strong> un<br />

campo di grano , può essere paurosa, può uccidere, ma non ci spaventa né uccide come uom<strong>in</strong>i, come volontà<br />

appassionate. Solamente gli altri sanno farci questo – gli altri, il prossimo, le donne , i compagni, i nostri figli. Di<br />

fronte a costoro, di fronte alla città, soffriamo sempre, soffriamo a fondo.[…] Tanto vale accettare il mistero e<br />

popolare la città di simboli, e la campagna di presenze. E amare tutto questo – con cautela disperata 340 .<br />

E’ un essere che non è immediatamente fruibile ma va colto solo grazie all’<strong>in</strong>terpretazione del<br />

simbolo. La campagna di Pavese diviene il luogo del “proibito” nel momento <strong>in</strong> cui tale<br />

proibito si identifica con il rimosso, con ciò che la civiltà moderna si è abituata a nascondere.<br />

Essendo luogo di conf<strong>in</strong>e, questa campagna ospita dunque il tragico r<strong>in</strong>venimento del<br />

proibito: il selvaggio appunto.<br />

338 Che proprio a livello ontologico, e qu<strong>in</strong>di attra<strong>vers</strong>o l’uso speculativo dell’irrazionale, si possa r<strong>in</strong>tracciare<br />

grossa parte della modernità di Pavese, è sostenuto con vigore da Gioanola che, nel capitolo “Pavese tra<br />

esistenzialità ed ontologia, rileva: “E’ vero che Pavese appare dom<strong>in</strong>ato dalle esigenze di razionalizzazione, e<br />

questo è certo un debito nei confronti del suo ambiente di formazione, ma si tratta pur sempre di un<br />

razionalizzare all’<strong>in</strong>terno dell’irrazionale, un portare alla consapevolezza che non esaurisce le risorse <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ite<br />

dell’Altro (è il problema del classicismo di Pavese, che trova un modello eccellente <strong>in</strong> Thomas Mann, un<br />

decadente classicista per <strong>def</strong><strong>in</strong>izione). Che lo si voglia o meno Pavese s’<strong>in</strong>serisce a pieno diritto su quella l<strong>in</strong>ea<br />

irrazionalistica che troppa cultura nostrana, per troppo tempo, ha considerato come la causa di tutti i mali,<br />

isolandola come una malattia romantica da superare al più presto: ma Pavese era troppo dentro al problema per<br />

non sapere che proprio sull’irrazionale si giocava la sua modernità di scrittore”. Contenuto <strong>in</strong> E. Gioanola,<br />

Cesare Pavese, La realtà, l’altrove, il silenzio, cit. p. 102.<br />

324 E.Gioanola, Cesare Pavese, La realtà, l’altrove, il silenzio, cit. p. 15.<br />

340 C. Pavese, La selva, cit. pp- 321-323.<br />

100


Il tema del viaggio, come visto, diviene funzionale all’esposizione di motivi tipici della<br />

modernità. L’<strong>in</strong>sanabilità dei contrasti che gli elementi opponenti svolgono sul campo<br />

rimanda a quel male di vivere che fu una caratteristica impresc<strong>in</strong>dibile delle poetiche del<br />

modernismo. “Inconciliabilità” e “demonico schema” divengono i fattori impresc<strong>in</strong>dibili di<br />

cui si compone la consapevolezza che i personaggi pavesiani raggiungono attra<strong>vers</strong>o lo<br />

svolgimento della loro tragedia. Il selvaggio e il cittad<strong>in</strong>o, la campagna e la città, il tempo<br />

mitico e quello storico, divengono gli attori della tragedia dell’umanità. Non ci sarà mai un<br />

lieto f<strong>in</strong>e ai romanzi di Pavese così come Muniz nota <strong>in</strong> riferimento a La casa <strong>in</strong> Coll<strong>in</strong>a:<br />

“Merito di Pavese fu anche la r<strong>in</strong>uncia a trovare un lieto f<strong>in</strong>e dichiarando conclusa la guerra e<br />

superato lo stato di angoscia del protagonista. Invece la scoperta ultima di Corrado è che la<br />

guerra non f<strong>in</strong>isce mai proprio perché ha fatto affiorare il selvaggio alla coscienza […]” 341 . Il<br />

viaggio dei personaggi pavesiani sembra dunque configurarsi, <strong>in</strong> ultima istanza, come viaggio<br />

esistenziale. Il r<strong>in</strong>venimento delle tracce di un tempo assoluto e di un’essenza orig<strong>in</strong>aria non<br />

<strong>in</strong>dicano tanto l’anelito di un passato mitico e di un utopico ricongiungimento, quanto la<br />

sconfitta del presente, la presa di coscienza, nuova consapevolezza storica, che la distanza è<br />

oramai troppo marcata e dunque impercorribile. Ma è proprio su questo chiaroscuro, sulla<br />

serie di contrasti <strong>in</strong>sanabili da cui scaturisce una visone della modernità come <strong>in</strong>conciliabile<br />

contraddizione, sulla costruzione di una poetica della distanza <strong>in</strong>somma, che si situa la<br />

modernità dello scrittore:<br />

In questo mondo della perenne durata, l’azione violenta degli uom<strong>in</strong>i acquista un senso strano e quasi<br />

<strong>in</strong>comprensibile e il distacco tra i piani della realtà e del mito raggiunge <strong>in</strong> queste pag<strong>in</strong>e il massimo sviluppo. La<br />

narrazione degli <strong>in</strong>contri coi partigiani, della strage dei fascisti, della fuga per le casc<strong>in</strong>e, è sempre<br />

contrappuntata, a segnare questa distanza, dalla notazione del tempo e dell’ora del giorno: il sole, la luna che<br />

nasce, le stelle, il colore del cielo sono collegamenti cont<strong>in</strong>ui al senso dell’eterno durare della natura di fronte ai<br />

traumi sconvolgenti del presente. Ed è <strong>in</strong> virtù di questo distacco che si scopre il nucleo autentico del<br />

drammatico rapporto tra mito e storia: la realtà att<strong>in</strong>ta della coll<strong>in</strong>a fa balenare l’abisso nascosto dietro di essa; la<br />

coll<strong>in</strong>a è il simbolo estremo che nasconde-rivela la consistenza dell’essere prima di ogni determ<strong>in</strong>azione<br />

storica 342 .<br />

Questa è la tragedia della modernità dove i r<strong>in</strong>venimenti di brandelli di tempo e delle tracce<br />

del selvaggio si configurano come espressione più propria del fallimento esistenziale<br />

dell’uomo moderno: “Così il ritorno alle coll<strong>in</strong>e native, teatro delle atrocità tremende della<br />

guerra civile, anziché proporre una qualsiasi soluzione, o la decisiva assunzione di<br />

responsabilità, o lo smembramento nell’atemporalità della natura, ribadisce per l’ultima volta<br />

la dicotomia <strong>in</strong>sanabile, risolvendo nell’elogio dell’eterno dolore umano la storica urgenza<br />

delle decisioni e delle scelte” 343 .<br />

La dimensione mitica della campagna trova la sua ultima <strong>def</strong><strong>in</strong>izione <strong>in</strong> La luna e i falò. Il<br />

viaggio di ritorno di Anguilla si svela immediatamente essere un percorso di conoscenza, una<br />

volontà di risalire <strong>vers</strong>o le orig<strong>in</strong>i. Il suo stesso partire, come dichiara il personaggio, altro non<br />

è che una premessa del ritorno. La conoscenza si fa memoria che si riacquista attra<strong>vers</strong>o il<br />

ritorno ad una dimensione mitica. La campagna diviene il luogo privilegiato del ritorno, il<br />

luogo della consapevolezza e della maturità dell’uomo che ritrova la sua orig<strong>in</strong>e: “Così questo<br />

paese, dove non sono nato, ho creduto per molto tempo che fosse tutto il mondo. Adesso che<br />

il mondo l’ho visto davvero e so che è fatto di tanti piccoli paesi, non so da ragazzo mi<br />

sbagliavo poi di molto” 344 .<br />

Lo spazio mitico costituito dai poli contrapposti e s-conf<strong>in</strong>anti di città e campagna diviene<br />

un’arena prediletta per lo svolgimento di molti romanzi che potremmo <strong>def</strong><strong>in</strong>ire modernisti.<br />

342<br />

E. Gioanola, Cesare Pavese, La realtà, l’altrove, il silenzio, cit. p. 36.<br />

343<br />

Ivi, p. 27.<br />

344<br />

Cesare Pavese, La luna e i falò (1950), E<strong>in</strong>audi, Tor<strong>in</strong>o, 1999, p. 9.<br />

101


Lawrence seppe utilizzare magistralmente questo schema per dar vita alle sue vicende<br />

mitiche-contemporanee. Il romanzo Sons and Lo<strong>vers</strong> è costruito proprio sulla<br />

contrapposizione della città e della campagna. Ambientato nelle Midlands <strong>in</strong>glesi, presso un<br />

paese di m<strong>in</strong>atori, il romanzo di Lawrence verte prevalentemente su questo contrasto. I<br />

personaggi che si confrontano all’<strong>in</strong>terno del romanzo sembrano corsi da un’ansia di tipo<br />

esistenziale. Essi si configurano, al pari di molti personaggi pavesiani, come portatori del<br />

civile e del selvaggio nello stesso momento. Il loro vacillare sul conf<strong>in</strong>e fra queste due<br />

dimensioni li rende personaggi tragici per eccellenza. Soprattutto il personaggio pr<strong>in</strong>cipale,<br />

Paul, è deputato al r<strong>in</strong>venimento di una dimensione tragica dell’esistente. E’ una tragedia che<br />

prende corpo nell’ambito di un processo di conoscenza a ritroso che sembra impegnare molti<br />

dei personaggi degli scrittori modernisti; la consapevolezza si acquisisce, così come avvenuto<br />

per Corrado <strong>in</strong> La casa <strong>in</strong> coll<strong>in</strong>a o per Anguilla <strong>in</strong> La luna e i falò, attra<strong>vers</strong>o il graduale<br />

reperimento di tracce. Sono tracce che usualmente vengono rimosse dall’io cosciente<br />

moderno ma che si possono riscoprire <strong>in</strong> una dimensione ibrida, come quella campagnola, e al<br />

contatto di personaggi “terrestri”. Il viaggio di Paul, e <strong>in</strong> questo troviamo una netta<br />

similitud<strong>in</strong>e con i personaggi di Pavese, si trasforma dunque <strong>in</strong> ricerca ontologica. I poli<br />

contrapposti di questa ricerca sono, per l’appunto, la città e la campagna che si costituiscono<br />

come elementi opponenti ed ibridi. Anche <strong>in</strong> questo caso si può parlare di spazio mitico nel<br />

momento <strong>in</strong> cui città e campagna assumono delle caratteristiche ben del<strong>in</strong>eate. All’<strong>in</strong>terno<br />

della geografia designata da Lawrence la simbologia di questi due poli opposti è<br />

cont<strong>in</strong>uamente <strong>in</strong>terpretabile e cont<strong>in</strong>uamente si offre ai personaggi a questo scopo.<br />

Paul, durante l’adolescenza, fa esperienza della decadenza che la modernità sta immettendo<br />

nell’uni<strong>vers</strong>o rurale. La madre di Paul, Miss Morel, auspica che il figlio possa uscire dalla<br />

comunità di m<strong>in</strong>atori ed accetti le regole delle “middle classes”. Ma il significato che la<br />

borghesia attribuisce alla vita è svilente per il giovane che, soprattutto, detesta le costruzioni<br />

ideali che governano la vita delle classi medie. Quella della felicità è una di queste costruzioni<br />

ideali che non trova riscontro nella sensibilità “naturale” di Paul. Seguire la propria natura e il<br />

proprio dest<strong>in</strong>o è una operazione che si situa <strong>in</strong> un’altra dimensione, <strong>in</strong> cui le leggi della classe<br />

borghese non si applicano. La pienezza di vita, a cui Paul aspira, non ha niente a che vedere<br />

con i raggiungimenti che gli uom<strong>in</strong>i moderni si prefiggono. La felicità appare una categoria ad<br />

uso e consumo della classe borghese che niente ha a che vedere con le leggi della natura. Nel<br />

seguente colloquio, tra madre e figlio, la distanza delle posizioni appare impercorribile:<br />

“My boy”, said his mother to him, “all your cleverness, your break<strong>in</strong>g away from old th<strong>in</strong>gs, and tak<strong>in</strong>g life <strong>in</strong><br />

your own hands, doesn’t seem to br<strong>in</strong>g you much happ<strong>in</strong>ess”.<br />

“What is happ<strong>in</strong>ess!” he cried. “It’s noth<strong>in</strong>g to me! How am I to be happy?” […]<br />

“You meaneasy , mother”, he cried. “That’s a woman’s whole doctr<strong>in</strong>e of life – ease of soul and physical comfort.<br />

And I do despise it”.<br />

“Oh, do you! Replied his mother. “And do you call yours a div<strong>in</strong>e discontent?”<br />

“Yes. I don’t care about its div<strong>in</strong>ity. But damn your happ<strong>in</strong>ess! So long as life’s full, It doesn’t matter whether it’s<br />

happy or not. I’m afraid your happ<strong>in</strong>ess would bore me”.<br />

“You never give it a chance”, she said. Then suddenly all her passion of grief over him broke out. “But it does<br />

matter!” she cried. “And you ought to be happy, you ought to try to be happy, to live to be happy. How could I<br />

bear to th<strong>in</strong>k your life wouldn’t be a happy one!” […]<br />

“[…] Battle – battle – and suffer. It’s about all you do, as far as I can see”.<br />

“But why not, my dear? I tell you it’s the best - - “<br />

“It isn’t. And one ought to be happy, one ought”. […]<br />

“But I want you to be happy”, she said pathetically.<br />

“Eh, my dear – say rather you want me to live” 345 .<br />

345 D.H. Lawrence, Sons and lo<strong>vers</strong>, cit. pp. 314-315.<br />

102


Il paese di campagna, dove la famiglia Morel vive, è il luogo rurale dove la civiltà fa il suo<br />

<strong>in</strong>gresso attra<strong>vers</strong>o la fabbrica, gli orari disumani di lavoro, l’alcol, la malattia. Paul, passata<br />

l’adolescenza, tenterà l’esperienza di lavorare proprio nella città per sottrarsi alla decadenza e<br />

all’abbandono che la campagna nativa gli ispirava. Ma non è ovviamente la città la<br />

risoluzione dei mali di Paul che svolge una vita da pendolare. La famiglia Morel si trova<br />

dunque a vivere <strong>in</strong> un uni<strong>vers</strong>o ibrido dove città e campagna formano, <strong>in</strong>sieme, un <strong>in</strong>dist<strong>in</strong>to e<br />

caotico amalgama da cui è difficile discernere un senso. In un mondo, quello rurale, colmo<br />

ancora di simboli e di significati mitici, la civiltà avanza con la sua <strong>in</strong>dustria modificando i<br />

paesaggi e gli uom<strong>in</strong>i:<br />

Then he looked wistfully out of the w<strong>in</strong>dow. Already he was a prisoner of <strong>in</strong>dustrialism. Large sunflowers stared<br />

over the old red wall of the garden opposite, look<strong>in</strong>g <strong>in</strong> their jolly way down on the women who were hurry<strong>in</strong>g<br />

with someth<strong>in</strong>g for d<strong>in</strong>ner. The valley was full of corn, brighten<strong>in</strong>g <strong>in</strong> the sun. Two collieries, among the fields,<br />

waved their small white plumes of steam. Far off on the hills were the woods of Annesley, dark and fasc<strong>in</strong>at<strong>in</strong>g.<br />

Already his heart went down. He was be<strong>in</strong>g taken <strong>in</strong>to bondage. His freedom <strong>in</strong> the beloved home valley was<br />

go<strong>in</strong>g now 346 .<br />

E’ la stessa sensazione che si esprime nel saggio Nott<strong>in</strong>gham and the mean<strong>in</strong>g countryside<br />

dove l’esperienza moderna si struttura <strong>def</strong><strong>in</strong>itivamente come dislocamento. Il processo di<br />

deterioramento non è però ancora completo e l’autore spiega la sua strana impressione di<br />

vivere <strong>in</strong> un mondo di conf<strong>in</strong>e dai significati <strong>in</strong>certi, <strong>in</strong> cui qualcosa sta cambiando molto<br />

rapidamente, ma che cont<strong>in</strong>ua a serbare tracce di un senso più antico e genu<strong>in</strong>o che aveva<br />

trovato espressione nelle pag<strong>in</strong>e dei grandi autori classici <strong>in</strong>glesi: “[…] the life was a curious<br />

cross between <strong>in</strong>dustrialism and the old agricultural England of Shakespeare and Milton and<br />

Field<strong>in</strong>g and George Eliot” 347 . Verso metà della vicenda, quando Paul <strong>in</strong>tende portare la<br />

madre nella grande città, il gioco dei contrasti si rende particolarmente evidente. Nel giro di<br />

una pag<strong>in</strong>a Lawrence passa dalla descrizione di un paesaggio campestre, fitto di misteri<br />

selvaggi, alla descrizione della città poliforme e sconosciuta. La descrizione del paesaggio<br />

naturale è condotta attra<strong>vers</strong>o una serie di contrasti. I colori dei fiori si stagliano sull’oscurità<br />

della foresta:<br />

At the edge of the wood the bluebells had flowed over <strong>in</strong>to the field and stood there like flood-water. But they<br />

were fad<strong>in</strong>g now. Clara strayed up to them. He wandered after her. The bluebells pleased him. "Look how<br />

they've come out of the wood!" he said 348 .<br />

Il loro aspetto gentile e raff<strong>in</strong>ato è associato dal protagonista a visioni di popolazioni arcaiche<br />

che fuoriescono dal magma caotico della vegetazione:<br />

His blood beat up.<br />

"It makes me th<strong>in</strong>k of the wild men of the woods, how terrified they would be when they got breast to breast<br />

with the open space."<br />

346 D. H. Lawrence, Sons and Lo<strong>vers</strong>, cit. pp. 113-14.<br />

347 D. H. Lawrence, Nott<strong>in</strong>gham and the mean<strong>in</strong>g countryside, contenuto <strong>in</strong> Fiona Beckett, The complete guide to<br />

D. H. Lawrence, Routledge, London and New York, 2002, p.43.<br />

348 D. H. Lawrence, Sons and Lo<strong>vers</strong>, cit. pp. 292-95.<br />

103


"Do you th<strong>in</strong>k they were?" she asked.<br />

"I wonder which was more frightened among old tribes -- those burst<strong>in</strong>g out of their darkness of woods upon all<br />

the space of light, or those from the open tiptoe<strong>in</strong>g <strong>in</strong>to the forests" 349 .<br />

Così come Clara era stata associata poche righe prima ai fiori del campo, descritta quasi come<br />

fosse parte di quella natura floreale (“The chill flowers fell on her neck. She looked up at him,<br />

with almost pitiful, scared grey eyes, wonder<strong>in</strong>g what he was do<strong>in</strong>g. Flowers fell on her face,<br />

and she shut her eyes”), allo stesso modo viene ora messa <strong>in</strong> relazione all’immag<strong>in</strong>e di<br />

primitiva bellezza evocata da Paul:<br />

"I should th<strong>in</strong>k the second," she answered.<br />

"Yes, you do feel like one of the open space sort, try<strong>in</strong>g to force yourself <strong>in</strong>to the dark, don't you?" 350<br />

E’ il carattere assoluto della natura, la categoria tragica del selvaggio che comprende <strong>in</strong> sé,<br />

<strong>in</strong>differentemente, tutto ciò che la cultura moderna <strong>def</strong><strong>in</strong>isce <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i di bellezza o di<br />

bruttezza, di bontà di cattiveria. La violenza delle orig<strong>in</strong>i, il nesso sangue-sesso, è<br />

approfondita <strong>in</strong> seguito da Lawrence che trova nei simboli naturali il miglior tramite per<br />

esprimere questo rapporto. I petali rossi cadono a terra dal seno di Clara come gocce di<br />

sangue:<br />

Everyth<strong>in</strong>g was perfectly still. There was noth<strong>in</strong>g <strong>in</strong> the afternoon but themselves. When she arose, he, look<strong>in</strong>g<br />

on the ground all the time, saw suddenly spr<strong>in</strong>kled on the black wet beech-roots many scarlet carnation petals,<br />

like splashed drops of blood; and red, small splashes fell from her bosom, stream<strong>in</strong>g down her dress to her<br />

feet 351 .<br />

La rete di rapporti che Lawrence crea tra donna, natura e selvaggio avviene sullo sfondo di<br />

misteriose coll<strong>in</strong>e che trattengono <strong>in</strong> loro profondi <strong>in</strong>decifrabili significati:<br />

The even<strong>in</strong>g was deepen<strong>in</strong>g over the earth. Already the valley was full of shadow. One t<strong>in</strong>y square of light stood<br />

opposite at Crossleigh Bank Farm. Brightness was swimm<strong>in</strong>g on the tops of the hills. Miriam came up slowly,<br />

her face <strong>in</strong> her big, loose bunch of flowers, walk<strong>in</strong>g ankle-deep through the scattered froth of the cowslips.<br />

Beyond her the trees were com<strong>in</strong>g <strong>in</strong>to shape, all shadow. […] They were all silent. Go<strong>in</strong>g down the path they<br />

could see the light of home right across, and on the ridge of the hill a th<strong>in</strong> dark outl<strong>in</strong>e with little lights, where<br />

the colliery village touched the sky 352 .<br />

Nel giro di poche righe Paul si ritrova però nella città di L<strong>in</strong>coln dove la simbologia appare<br />

di<strong>vers</strong>a ma non meno profonda:<br />

349 Ibidem.<br />

350 Ibidem.<br />

351 Ivi, p. 379.<br />

352 Ibidem.<br />

104


They drew near to the city. Both were at the w<strong>in</strong>dow look<strong>in</strong>g for the cathedral.<br />

"There she is, mother!" he cried.<br />

They saw the great cathedral ly<strong>in</strong>g couchant above the pla<strong>in</strong>.<br />

"Ah!" she exclaimed. "So she is!"<br />

He looked at his mother. Her blue eyes were watch<strong>in</strong>g the cathedral quietly. She seemed aga<strong>in</strong> to be beyond him.<br />

Someth<strong>in</strong>g <strong>in</strong> the eternal repose of the uplifted cathedral, blue and noble aga<strong>in</strong>st the sky, was reflected <strong>in</strong> her,<br />

someth<strong>in</strong>g of the fatality. What was, was. With all his young will he could not alter it. He saw her face, the sk<strong>in</strong><br />

still fresh and p<strong>in</strong>k and downy, but crow's- feet near her eyes, her eyelids steady, s<strong>in</strong>k<strong>in</strong>g a little, her mouth<br />

always closed with disillusion; and there was on her the same eternal look, as if she knew fate at last. He beat<br />

aga<strong>in</strong>st it with all the strength of his soul 353 .<br />

La cattedrale che sovrasta la città è questa volta associata alla figura immobile ed altera della<br />

madre di Paul. La simbologia è ancora <strong>in</strong> questo caso complessa e impossibile da risolvere,<br />

f<strong>in</strong>anche nello spazio di una vita così come avviene appunto per la signora Morel:<br />

"Look, mother, how big she is above the town! Th<strong>in</strong>k, there are streets and streets below her! She looks bigger<br />

than the city altogether." "So she does!" exclaimed his mother, break<strong>in</strong>g bright <strong>in</strong>to life aga<strong>in</strong>. But he had seen<br />

her sitt<strong>in</strong>g, look<strong>in</strong>g steady out of the w<strong>in</strong>dow at the cathedral, her face and eyes fixed, reflect<strong>in</strong>g the<br />

relentlessness of life. And the crow's-feet near her eyes, and her mouth shut so hard, made him feel he would go<br />

mad 354 .<br />

Città e campagna vengono dunque caratterizzate da Lawrence come due luoghi significanti, la<br />

cui simbologia è da <strong>in</strong>terpretare di volta <strong>in</strong> volta. I due poli si scontrano senza che lo scrittore<br />

offra chiavi <strong>in</strong>terpretative, senza che venga espresso alcun giudizio di gusto che svii il lettore<br />

dall’<strong>in</strong>terpretazione dei simboli. Il simbolismo, funzionale allo svolgimento di una poetica del<br />

mito, è dunque preferito all’allegoria: “You must look through the surface […] and see the<br />

<strong>in</strong>ner diabolism of the symbolic mean<strong>in</strong>g” 355 . Mondo e terra si contrappongono attra<strong>vers</strong>o gli<br />

uni<strong>vers</strong>i simbolici della città e della campagna e trovano, nell’<strong>in</strong>teragire dei personaggi<br />

un’ulteriore possibilità significante. Vickery constata come questi fasci di relazioni non si<br />

esauriscono a vicenda ma vivono e si riproducono attra<strong>vers</strong>o una serie di commistioni tese a<br />

creare un uni<strong>vers</strong>o ibrido. In questo <strong>in</strong>contro-scontro fra mondi si situa lo sguardo ironico di<br />

Lawrence:<br />

For him, myth functions as a satiric device by offer<strong>in</strong>g contrast between the mythico-realistic life of ancient man<br />

and that of contemporary man, which is profane because commonplace and ord<strong>in</strong>ary. It also affords an ironic<br />

sense of the cont<strong>in</strong>uity between the two worlds that shows how the one may be both a degeneration and an<br />

adaptation of the other 356 .<br />

353<br />

Ibidem.<br />

354<br />

Ibidem.<br />

355<br />

D. H. Lawrence, Studies <strong>in</strong> Classic American Literature, contenuto <strong>in</strong> F.Beckett, The complete guide to D. H.<br />

Lawrence, cit. p.85.<br />

339<br />

J. B. Vickery, The literary Impact of The Golden Bough, cit. p. 322.<br />

105


La città si lega dunque alla campagna nello stessa maniera <strong>in</strong> cui vi si oppone e, attra<strong>vers</strong>o<br />

l’agire dei personaggi, questo gioco di proiezioni svela tutta la sua importanza: “[…] <strong>in</strong> the<br />

tension of opposites all th<strong>in</strong>gs have their be<strong>in</strong>g” 357 . Così come l’amante Clara, sotto i paesaggi<br />

coll<strong>in</strong>ari, era stata descritta come una n<strong>in</strong>fa tempestata di fiori, salvo poi specificare che<br />

quegli stessi fiori erano simbolo del selvaggio, alla stessa maniera la madre viene adornata di<br />

fiori comprati ad un chiosco cittad<strong>in</strong>o. Il gioco delle corrispondenze e dei simboli si fa a<br />

questo punto sempre più denso:<br />

And he bought her some blue violets.<br />

"Stop it at once, sir!" she commanded. "How can I do it?"<br />

"You've got noth<strong>in</strong>g to do. Stand still!"<br />

And <strong>in</strong> the middle of High Street he stuck the flowers <strong>in</strong> her coat 358 .<br />

Che il rapporto tra città e coll<strong>in</strong>a qui del<strong>in</strong>eato abbia delle profonde implicazioni ontologiche,<br />

è lo stesso Lawrence a confermarlo. La ricerca dell’essere, dell’orig<strong>in</strong>e, avviene attra<strong>vers</strong>o lo<br />

svolgimento della simbologia su cui la vicenda è costruita, attra<strong>vers</strong>o la vicenda mitica dei<br />

personaggi che agiscono su spazi mitizzati. Così come per Conrad il cuore di tenebra<br />

rappresentava quel centro <strong>vers</strong>o il quale l’uomo viaggiava a ritroso per riscoprire le sue<br />

orribili orig<strong>in</strong>i, così per Lawrence l’essere orig<strong>in</strong>ario è un’ombra che sa di morte:<br />

To him now, life seemed a shadow, day a white shadow; night, and death, and stillness, and <strong>in</strong>action, this seemed<br />

like be<strong>in</strong>g. To be alive, to be urgent and <strong>in</strong>sistent -- that was not-to-be. The highest of all was to melt out <strong>in</strong>to the<br />

darkness and sway there, identified with the great Be<strong>in</strong>g.<br />

"The ra<strong>in</strong> is com<strong>in</strong>g <strong>in</strong> on us," said Miriam.<br />

He rose, and assisted her.<br />

"It is a pity," he said.<br />

"What?"<br />

"To have to go. I feel so still."<br />

"Still!" she repeated.<br />

"Stiller than I have ever been <strong>in</strong> my life."<br />

He was walk<strong>in</strong>g with his hand <strong>in</strong> hers. She pressed his f<strong>in</strong>gers, feel<strong>in</strong>g a slight fear. Now he seemed beyond her;<br />

she had a fear lest she should lose him.<br />

"The fir-trees are like presences on the darkness: each one only a presence."<br />

She was afraid, and said noth<strong>in</strong>g.<br />

357<br />

D. H. Lawrence, Birds, beast and Flowers (1923), contenuto <strong>in</strong> F. Beckett, The complete guide to D. H.<br />

Lawrence, cit. p. 45.<br />

358<br />

D. H. Lawrence, Sons and Lo<strong>vers</strong>, cit. p. 379.<br />

106


"A sort of hush: the whole night wonder<strong>in</strong>g and asleep: I suppose that's what we do <strong>in</strong> death-sleep <strong>in</strong><br />

wonder" 359 .<br />

In questo passaggio è evidente non solo l’implicazione ontologica presente nel romanzo di<br />

Lawrence ma soprattutto la relazione simbolica che si stabilisce tra gli elementi della<br />

geografia mitica, i paesaggi campestri, le stagioni, la luce, e l’essere stesso 360 . Così come<br />

avvenuto con Conrad, l’essere è descritto come mistero (darkness), come mezza luce<br />

heideggeriana (white shadow), come possibilità aperta ma terrorizzante. La natura parla<br />

all’uomo, lo <strong>in</strong>serisce nel suo stesso discorso che avviene tramite lo scorrere del giorno e delle<br />

stagioni, lo scorrere della pioggia e il brillare del sole. I personaggi di Lawrence si sperdono<br />

<strong>in</strong> questo uni<strong>vers</strong>o significante riuscendo a percepire il senso che gli si offre esclusivamente a<br />

frammenti, <strong>in</strong> una successione di bagliori che emergono dall’oscurità. Entrare <strong>in</strong> contatto con<br />

l’eternità della natura, lasciarsi fluire nelle sue vene, r<strong>in</strong>unciare alla pretesa di <strong>in</strong>dividualità<br />

moderna, per ritrovare una comunione con il tutto che vive, è l’utopia espressa da Lawrence:<br />

There was a sound of ra<strong>in</strong> everywhere, smother<strong>in</strong>g everyth<strong>in</strong>g.<br />

"I feel so strange and still," he said; "along with everyth<strong>in</strong>g."<br />

"Ay," she answered patiently.<br />

He seemed aga<strong>in</strong> unaware of her, though he held her band close.<br />

"To be rid of our <strong>in</strong>dividuality, which is our will, which is our effort -- to live effortless, a k<strong>in</strong>d of curious sleep -<br />

- that is very beautiful, I th<strong>in</strong>k; that is our after-life -- our immortality."<br />

"Yes?"<br />

"Yes -- and very beautiful to have" 361 .<br />

In questo spazio mitico altamente significante, l’<strong>in</strong>flusso di Frazer è evidente così come nota<br />

Vickery: “[…] the <strong>in</strong>calculable nature of human m<strong>in</strong>d, and the mistery of the natural but<br />

liv<strong>in</strong>g world further demonstrate the extent to which he was imbued with the material of The<br />

Golden Bough” 362 . Per Vickery il sistema letterario di Lawrence si basa su un impresc<strong>in</strong>dibile<br />

contrasto fra la coscienza e i modi della razionalità e l’<strong>in</strong>conscio e i modi dell’ist<strong>in</strong>tualità:<br />

“[…] the novels, many of which may be viewed, at least <strong>in</strong> part, as patterns of tension<br />

between the ord<strong>in</strong>ary, common-sense mode of consciousness and the blood-counsciouusness<br />

which, as we have already seen, Lawrence l<strong>in</strong>ked so closely to the contents of Frazer’s<br />

359 D. H. Lawrence, Sons and Lo<strong>vers</strong>, cit. pp. 350-51.<br />

360 Per Michael Bell quello dell’ontologia è un riferimento costante <strong>in</strong> tutta la produzione di Lawrence:<br />

“Lawrence was possessed by an ontological vision; a responsiveness to Be<strong>in</strong>g. He expressed this repeatedly <strong>in</strong><br />

fiction, criticism, essays, plays, poems and travel writ<strong>in</strong>g. His successful works across these genres would make<br />

up a substantial oevre. Of its nature such an ontological vision lay essentially <strong>in</strong> the proto-ethical sphere, and part<br />

of Lawrence’s restlessness lay <strong>in</strong> his seek<strong>in</strong>g always to relate it to the more ord<strong>in</strong>ary processes of everyday life,<br />

both <strong>in</strong>dividually and socially. This is where many of his creative problems arose, as well as his achievements.<br />

He was <strong>in</strong>creas<strong>in</strong>gly at odds with his culture, and his rhetoric became at times empty or private while his novels,<br />

as I have shown elsewhere, are <strong>in</strong>creas<strong>in</strong>gly struggles with the realist novel form itself”. M.Bell, Literature,<br />

modernism and myth, belief and responsibility <strong>in</strong> the twentieth century, cit. p. 97.<br />

361 D. H. Lawrence, Sons and Lo<strong>vers</strong>, cit. pp. 350-51.<br />

362 J. B. Vickery, The literary Impact of The Golden Bough, cit. p. 308.<br />

107


work” 363 . Molti degli elementi simbolici presenti nel Ramo d’oro sono riproposti qui da<br />

Lawrence. Essi costituiscono lo sfondo <strong>in</strong> cui si svolge la narrazione ma la loro importanza<br />

non è m<strong>in</strong>ore di quella dei personaggi che <strong>in</strong> tale sfondo si muovono. La luna piena, il campo<br />

di grano, la coll<strong>in</strong>a, divengono parte <strong>in</strong>tegrante, fondamentale, di tutta la narrazione. Vickery<br />

associa soprattutto i cont<strong>in</strong>ui riferimenti ai campi di grano operati da Lawrence allo “Spirito<br />

del Grano” di cui parla Frazer. Il grano si pone dunque come immag<strong>in</strong>e di fertilità e di<br />

rigogliosità e come tramite privilegiato tra la natura e l’uomo: “Their associations<br />

(charachters) with the fertility deities of the ancient world are accentuated by the images of<br />

vegetative fertility which run through many of the tales and novels. […] The majority of these<br />

<strong>in</strong>stances reveal the natural flourish<strong>in</strong>g of lives that ma<strong>in</strong>ta<strong>in</strong> contact with the underly<strong>in</strong>g<br />

rhythms of the physical world” 364 . Gli uom<strong>in</strong>i divengono parte di quest’uni<strong>vers</strong>o significante<br />

ma non possono estendere il loro dom<strong>in</strong>io su di esso. Al contrario non potranno far altro che<br />

rimanere estasiati <strong>in</strong> contemplazione consapevoli che qualsiasi <strong>in</strong>terrogazione - qualsiasi<br />

volontà di farsi io pensante e superiore di fronte alla natura - è dest<strong>in</strong>ata ad essere frustrata:<br />

The beauty of the night made him want to shout. A half-moon, dusky gold, was s<strong>in</strong>k<strong>in</strong>g beh<strong>in</strong>d the black<br />

sycamore at the end of the garden, mak<strong>in</strong>g the sky dull purple with its glow. Nearer, a dim white fence of lilies<br />

went across the garden, and the air all round seemed to stir with scent, as if it were alive. He went across the bed<br />

of p<strong>in</strong>ks, whose keen perfume came sharply across the rock<strong>in</strong>g, heavy scent of the lilies, and stood alongside the<br />

white barrier of flowers. They flagged all loose, as if they were pant<strong>in</strong>g. The scent made him drunk. He went<br />

down to the field to watch the moon s<strong>in</strong>k under. A corncrake <strong>in</strong> the hay-close called <strong>in</strong>sistently. The moon slid<br />

quite quickly downwards, grow<strong>in</strong>g more flushed. Beh<strong>in</strong>d him the great flowers leaned as if they were call<strong>in</strong>g.<br />

And then, like a shock, he caught another perfume, someth<strong>in</strong>g raw and coarse. Hunt<strong>in</strong>g round, he found the<br />

purple iris, touched their fleshy throats and their dark, grasp<strong>in</strong>g hands. At any rate, he had found someth<strong>in</strong>g.<br />

They stood stiff <strong>in</strong> the darkness. Their scent was brutal. The moon was melt<strong>in</strong>g down upon the crest of the hill. It<br />

was gone; all was dark. The corncrake called still 365 .<br />

La natura è una presenza forte nel romanzo di Lawrence. Essa è del tutto <strong>in</strong>differente ai<br />

personaggi quasi che agisca <strong>in</strong> una dimensione di<strong>vers</strong>a rispetto a quella dell’umano agire. La<br />

sua presenza è rimarchevole e autoritaria e cont<strong>in</strong>uamente ricorda ai protagonisti della<br />

vicenda che esiste qualcosa di superiore, qualcosa di <strong>in</strong>eluttabile che travalica la ragione<br />

umana. Le azioni umane non agiscono attivamente sulle eterne leggi della natura. L’uomo si<br />

scopre parte <strong>in</strong>tegrante di quella realtà e concepisce la sua sofferenza come volontario<br />

coscienzioso allontanamento dal suo essere. La vicenda di Paul e Clara assume presto i<br />

contorni del mito. La loro storia è significante <strong>in</strong> quanto parte della storia assoluta<br />

dell’umanità, non parte della storia relativa dell’<strong>in</strong>dividualità. La natura si svela dunque<br />

essere, <strong>in</strong> tutte le sue reali ed orrende implicazioni, un paradiso terrestre dove Paul e Clara<br />

ripropongono il mito adamitico:<br />

Clara was rather quiet and uncomfortable. As they walked along, he said:<br />

"You don't feel crim<strong>in</strong>al, do you?"<br />

She looked at him with startled grey eyes.<br />

363 Ivi, p. 307.<br />

364 Ivi, p. 318.<br />

365 D. H. Lawrence, Sons and Lo<strong>vers</strong>, cit. pp. 358-59.<br />

108


"Crim<strong>in</strong>al!" she said. "No."<br />

"But you seem to feel you have done a wrong?"<br />

"No," she said. "I only th<strong>in</strong>k, 'If they knew!'"<br />

"If they knew, they'd cease to understand. As it is, they do understand, and they like it. What do they matter?<br />

Here, with only the trees and me, you don't feel not the least bit wrong, do you?"<br />

He took her by the arm, held her fac<strong>in</strong>g him, hold<strong>in</strong>g her eyes with his. Someth<strong>in</strong>g fretted him.<br />

"Not s<strong>in</strong>ners, are we?" he said, with an uneasy little frown.<br />

"No," she replied.<br />

He kissed her, laugh<strong>in</strong>g.<br />

"You like your little bit of guilt<strong>in</strong>ess, I believe," he said. "I believe Eve enjoyed it, when she went cower<strong>in</strong>g<br />

out of Paradise" 366 .<br />

E’ <strong>in</strong> questa sua potenza che la natura si svela essere dest<strong>in</strong>o per i protagonisti della vicenda<br />

obbligandoli a vivere la propria esistenza come fosse una favola mitica. Ma i protagonisti si<br />

rendono presto conto di essere <strong>in</strong> balia di forze più grandi di loro e che l’unica loro saggezza è<br />

quella di r<strong>in</strong>unciare alla loro <strong>in</strong>dividualità per divenire parte di un tutto che li sovrasta. Gli<br />

stessi personaggi divengono mitici: “She could not help herself; she was <strong>in</strong> the grip of<br />

someth<strong>in</strong>g bigger than herself. A k<strong>in</strong>d of eternal look about her, as if she were a wistful<br />

sph<strong>in</strong>x […]” 367 . Nella conclusione della vicenda i protagonisti sembrano aver raggiunto una<br />

nuova consapevolezza. La natura ha preso possesso della loro esistenza che si è sviluppata,<br />

nell’arco della vicenda narrata da Lawrence, come fosse una parabola mitica. Alla f<strong>in</strong>e del<br />

romanzo i protagonisti si sentono contenuti nel mistero (the night) che all’<strong>in</strong>izio della storia<br />

<strong>in</strong>cuteva <strong>in</strong> loro timore. I miti della genesi e della successiva <strong>in</strong>iziazione si sono perpetrati per<br />

l’ennesima volta attra<strong>vers</strong>o di loro e nonostante la loro <strong>in</strong>consapevolezza:<br />

And after such an even<strong>in</strong>g they both were very still, hav<strong>in</strong>g known the immensity of passion. They felt small,<br />

half-afraid, childish and wonder<strong>in</strong>g, like Adam and Eve when they lost their <strong>in</strong>nocence and realised the<br />

magnificence of the power which drove them out of Paradise and across the great night and the great day of<br />

humanity. It was for each of them an <strong>in</strong>itiation and a satisfaction. To know their own noth<strong>in</strong>gness, to know the<br />

tremendous liv<strong>in</strong>g flood which carried them always, gave them rest with<strong>in</strong> themselves. If so great a magnificent<br />

power could overwhelm them, identify them altogether with itself, so that they knew they were only gra<strong>in</strong>s <strong>in</strong> the<br />

tremendous heave that lifted every grass blade its little height, and every tree, and liv<strong>in</strong>g th<strong>in</strong>g, then why fret<br />

about themselves? They could let themselves be carried by life, and they felt a sort of peace each <strong>in</strong> the other.<br />

There was a verification which they had had together. Noth<strong>in</strong>g could nullify it, noth<strong>in</strong>g could take it away; it was<br />

almost their belief <strong>in</strong> life. […] In the morn<strong>in</strong>g he had considerable peace, and was happy <strong>in</strong> himself. It seemed<br />

almost as if he had known the baptism of fire <strong>in</strong> passion, and it left him at rest. But it was not Clara. It was<br />

someth<strong>in</strong>g that happened because of her, but it was not her. They were scarcely any nearer each other. It was as<br />

if they had been bl<strong>in</strong>d agents of a great force 368 .<br />

Che i temi legati al dest<strong>in</strong>o fossero caratteristici di un certo tipo di modernismo ci è<br />

366 Ivi, pp. 381-82.<br />

367 Ivi, p. 403.<br />

368 Ivi, pp. 430-31.<br />

109


confermato da Lawrence. Dest<strong>in</strong>o, determ<strong>in</strong>ismo e libero arbitrio divengono temi fondanti di<br />

Sons and Lo<strong>vers</strong>. Lawrence riflette sul significato di tutta la vicenda amorosa del suo<br />

protagonista chiamando <strong>in</strong> gioco forze esterne alla volontà degli stessi protagonisti. L’uomo si<br />

scopre governato non esclusivamente dalle leggi morali e sociali che il mondo gli impone ma<br />

anche da quelle, forse più potenti e v<strong>in</strong>colanti, della natura. Al contempo trova nella<br />

comprensione delle forze a lui esterne un nuovo modo di correlarsi ad esse e qu<strong>in</strong>di anche a se<br />

stesso:<br />

In the morn<strong>in</strong>g he had considerable peace, and was happy <strong>in</strong> himself. It seemed almost as if he had known the<br />

baptism of fire <strong>in</strong> passion, and it left him at rest. But it was not Clara. It was someth<strong>in</strong>g that happened because of<br />

her, but it was not her. They were scarcely any nearer each other. It was as if they had been bl<strong>in</strong>d agents of a great<br />

force 369 .<br />

In questa nuova correlazione del se stesso alle forze della natura, <strong>in</strong> questo consapevole<br />

legame che è dopotutto accettazione del proprio dest<strong>in</strong>o di essere umano, Paul trova un nuovo<br />

senso alla propria vita, un senso dettato da un ist<strong>in</strong>to e da una conoscenza delle leggi arcaiche.<br />

E’ una scelta che presuppone l’accettazione della dimensione tragica dell’esistenza e che pone<br />

il protagonista <strong>in</strong> un territorio di conf<strong>in</strong>e.<br />

Le tematiche dell’ontologia, la filosofia dell’essere, si <strong>in</strong>crociano qui con quelle<br />

dell’etnologia. Per Vickery, Lawrence fa agire i suoi personaggi come attori all’<strong>in</strong>terno dello<br />

svolgimento di un mito. La loro <strong>in</strong>dividualità è messa <strong>in</strong> discussione. Il loro agire diviene un<br />

modo di agire primitivo ed <strong>in</strong> loro riaffiora quel selvaggio dionisiaco, tratto caratteristico del<br />

modernismo letterario. La stessa vicenda mitica diviene l’esposizione di un rituale nel<br />

momento <strong>in</strong> cui Lawrence accetta il dettame frazeriano per cui il rito altro non è che la<br />

drammatizzazione del mito: “[…] Lawrence adapts Frazer’s notion that ritual is dramatized<br />

myth, for <strong>in</strong> these actions there resides the qu<strong>in</strong>tessenzial story of the character’s nature and<br />

life” 370 :<br />

Beyond their physical and mental qualities Lawrence’s characters share other th<strong>in</strong>gs with Frazer’s primitive<br />

peoples. Like Frazer, Lawrence possessed a deep and persistent <strong>in</strong>terest <strong>in</strong> those human actions whose<br />

importance derives as much from their be<strong>in</strong>g performed by the majority of people as from their be<strong>in</strong>g essential to<br />

human existence. He focused on death, marriage, fornification, <strong>in</strong>itiation, danc<strong>in</strong>g, sacrifice, departure and<br />

arrival, and many other actions not merely because the conventions of fiction demand a k<strong>in</strong>d of loose realism but<br />

because they are performed, counsciously or not, <strong>in</strong> ritualistic fashion. The very manner of their performance<br />

testifies to their connection with the sacred existence, that is, the order <strong>in</strong> which the mysterious potency of life<br />

itself resides 371 .<br />

369 D.H. Lawrence, Sons and Lo<strong>vers</strong>, cit. p. 431.<br />

370 J. B. Vickery, The literary Impact of The Golden Bough, p. 316.<br />

371 Ivi, p. 309.<br />

110


L’<strong>in</strong>tenzione di Lawrence, dopo aver constatato l’esistenza di una dimensione storica e di una<br />

dimensione mitica, sembra quello di voler conciliare questi due poli che si contrappongono<br />

ma che risentono ognuno dell’<strong>in</strong>fluenza dell’altro. Partire dal racconto della vita di personaggi<br />

“normali”, che gradualmente riscoprono una dimensione mitica, appare funzionale a questo<br />

tentativo di rientrare nel flusso vitale della natura e dell’essere così come ipotizza Bell:<br />

“Lawrence’s creative difficulty was to f<strong>in</strong>d the proper relation between the div<strong>in</strong>e and the<br />

everyday” 372 . I personaggi di Lawrence si scontrano dunque con i problemi della quotidianità,<br />

arrancano alla ricerca di un senso attra<strong>vers</strong>o l’esperienza della vita di tutti i giorni. Ma la<br />

sensazione che ci sia qualcosa di più grande di loro che li sovrasta e che decide delle loro<br />

esistenze <strong>in</strong>dipendentemente dalla loro volontà è sempre presente e scorre parallela agli<br />

eventi narrati dall’autore:<br />

The story is typical of Lawrence <strong>in</strong> that its full force eludes a purely naturalistic explanation at the level of the<br />

social, ethical and personal psycology although, moment by moment, the action seems to be conducted <strong>in</strong> these<br />

terms. Some sort of transformation of the habitual and the everyday, a transformation for which miracle is a<br />

good popular term, is the essence 373 .<br />

E’ dunque il rapporto tra mito e storia ad essere centrale nelle opere dello scrittore. I<br />

personaggi si fanno <strong>in</strong>volontari portatori di questo messaggio. Il loro svolgere un’azione<br />

nell’<strong>in</strong>stabile e fugace mondo della quotidianità rimanda costantemente al suo corrispettivo:<br />

l’eternità del mito che governa le loro esistenze: “Lawrence’s mythopoetic consciousness is<br />

most crucially to be found not <strong>in</strong> his overt allusions to myth, but <strong>in</strong> this way of relat<strong>in</strong>g the<br />

personal and the impersonal, the conscious and the unconscious, <strong>in</strong> a holistic, flexible<br />

exploration of human be<strong>in</strong>g <strong>in</strong> the world” 374 .<br />

372 M. Bell, Literature, modernism and myth, belief and responsibility <strong>in</strong> the twentieth century, cit. p. 109.<br />

373 Ivi, p. 110.<br />

374 Ibidem.<br />

111


3.2 L’<strong>in</strong>contro con l’altro: il primitivismo modernista<br />

Così come il viaggio si <strong>in</strong>traprende alla ricerca di un “altrove” allo stesso modo, e allo stesso<br />

tempo, si <strong>in</strong>traprende alla ricerca dell’”altro”. Il motivo del selvaggio diviene estremamente<br />

funzionale nell’ambito del tema del viaggio e all’<strong>in</strong>terno dello spazio mitico. All’<strong>in</strong>terno di<br />

questo motivo sarà <strong>in</strong>teressante considerare come <strong>in</strong> epoca moderna, dall’illum<strong>in</strong>ismo f<strong>in</strong>o al<br />

tardo modernismo, l’<strong>in</strong>contro con l’altro si svilupperà come <strong>in</strong>contro con il di<strong>vers</strong>o. E’ un<br />

di<strong>vers</strong>o che, come vedremo assumerà di<strong>vers</strong>e forme soprattutto per quanto riguarda il<br />

modernismo poiché, come ricorda Michael Bell, il modernismo non fu una scuola di pensiero<br />

quanto una comune sensibilità. Bell parla di “primitivismo modernista” e di selvaggio come<br />

punto di approdo della speculazione modernista sul mito e sulle orig<strong>in</strong>i immemoriali<br />

dell’essere umano. Il selvaggio è difatti, nelle narrazioni moderniste, colui il quale è distante<br />

nel tempo e nello spazio, personaggio simbolico che richiama immediatamente una realtà<br />

mitica.<br />

Pavese utilizzò ampiamente questo motivo all’<strong>in</strong>terno dello spazio mitico designato, anzi ne<br />

divenne aspetto fondamentale: “Questa sovrapposizione di città e campagna ha, <strong>in</strong>somma,<br />

quale implicito trait d’union, l’oscura attrazione che l’uomo civile prova per la natura<br />

selvaggia, i cui tratti ricorrenti sono il sangue e il sesso. Di qui un’altra, decisiva scoperta del<br />

1933, il nesso uomo-belva, che prenderà corpo nella poesia <strong>in</strong>titolata Il dio-caprone […]” 375 .<br />

L’identificazione fra il fer<strong>in</strong>o e l’umano <strong>in</strong> ambito rustico si può dunque far risalire alla prima<br />

raccolta di Lavorare Stanca: “La vita sanguigna e segreta, lo sprigionarsi di energie primitive,<br />

la presenza quasi costante, anche se spesso sott<strong>in</strong>tesa, di tradizioni e rituali quasi barbarici,<br />

quella rusticità <strong>in</strong>somma, che caratterizzerà la campagna nelle realizzazioni più mature di<br />

Pavese, compare per la prima volta con evidenza nella poesia Il Dio-Caprone” 376 . Premuda<br />

constata la pregnanza del motivo riconducendolo alle letture frazeriane di Pavese. Il Dio-<br />

Caprone viene composto appunto nell’anno della prima lettura di Frazer, il 1933:<br />

(Il dio caprone) <strong>in</strong> cui motivi irrazionalistici nel violento primitivismo del sangue e del sesso sono mescolati a<br />

spunti di più immediata e limpida poesia campestre, dom<strong>in</strong>ati però sempre dall'immag<strong>in</strong>e del Dioniso pregreco,<br />

dio sfrenato della vegetazione: nè tale vena resta isolata <strong>in</strong> Lavorare Stanca: basta ricordare Gente che c'è stata,<br />

Donne appassionate e specialmente Luna d'Agosto che sono rappresentative di quello che poi il Pavese chiamerà<br />

il suo gusto mitico-rustico 377 .<br />

La campagna diviene dunque luogo privilegiato all’<strong>in</strong>terno dello spazio mitico di Pavese. E’<br />

un luogo mitico depositario dell’essere dove il selvaggio “accade” e si struttura come<br />

possibilità propria di quell’essere. La sua implicazione nell’ambito della dialettica cittàcampagna<br />

è svelata dallo stesso Pavese:<br />

Il selvatico che ci <strong>in</strong>teressa non è la natura il mare la selva ma l’imprevisto nel cuore dei nostri compagni uom<strong>in</strong>i.<br />

E’ il selvatico che con un semplice sforzo d’attenzione può diventare volontà deliberata. La città e la donna ci<br />

375<br />

M. de las Nieves Muniz Muniz, Introduzione a Pavese, cit. pp. 32-33.<br />

376<br />

Ivi.<br />

377<br />

M. L. Premuda, Annali della scuola superiore di Pisa, cit. pp. 238-242.<br />

112


usano una ferocia della quale ogni campagna <strong>in</strong>colta è soltanto un simbolo […]. La solitud<strong>in</strong>e di un bosco, <strong>in</strong> un<br />

campo di grano , può essere paurosa, può uccidere, ma non ci spaventa né uccide come uom<strong>in</strong>i, come volontà<br />

appassionate. Solamente gli altri sanno farci questo – gli altri, il prossimo, le donne , i compagni, i nostri figli. Di<br />

fronte a costoro, di fronte alla città, soffriamo sempre, soffriamo a fondo. […] Tanto vale accettare il mistero e<br />

popolare la città di simboli, e la campagna di presenze. E amare tutto questo – con cautela disperata 378 .<br />

E’ un essere che non è immediatamente fruibile ma va colto solo grazie all’<strong>in</strong>terpretazione<br />

del simbolo. La campagna di Pavese diviene il luogo del “proibito” nel momento <strong>in</strong> cui tale<br />

proibito si identifica con il rimosso, con ciò che la civiltà moderna si è abituata a nascondere.<br />

Essendo luogo di conf<strong>in</strong>e questa campagna ospita dunque il tragico r<strong>in</strong>venimento del<br />

proibito: il selvaggio appunto.<br />

Il motivo del selvaggio ha avuto una lunga gestazione nell’ambito della cultura occidentale.<br />

L’analisi storica del motivo viene a porsi <strong>in</strong> parallelo con le riflessioni di Pavese. E’ un<br />

percorso che condurrà <strong>vers</strong>o l’elaborazione letteraria del selvaggio che, nel caso di Pavese e<br />

Lawrence, si legherà ai motivi del nudismo e dei sacrifici umani. La funzione dell’”altro” ha<br />

assunto, nel tempo, forme e d<strong>in</strong>amiche differenti. Volendo <strong>def</strong><strong>in</strong>ire questo motivo<br />

nell’ambito del modernismo letterario si dovrà <strong>in</strong>trodurre il concetto di “primitivismo”. In<br />

questo contesto non si potrà, ovviamente e come del resto accaduto per tutte le tendenze del<br />

movimento, <strong>in</strong>dicare un approccio nei confronti della materia che riguardi tutti gli<br />

<strong>in</strong>tellettuali e gli scrittori dell’epoca. L’atteggiamento primitivista di molti scrittori<br />

modernisti fu più che altro dettato da una comune sensibilità di cui cercheremo, per prima<br />

cosa, di tracciare un’evoluzione storica. Il motivo dell’<strong>in</strong>contro con l’altro è, d’altra parte,<br />

presente <strong>in</strong> ogni cultura. E’ un altro che viene costruito dalla stessa cultura per poter <strong>def</strong><strong>in</strong>ire<br />

se stessa <strong>in</strong> base alle differenze r<strong>in</strong>tracciabili fra sé stessa e l’altro da sé:<br />

Poiché la cultura è un concetto chiuso, essa presuppone necessariamente una non cultura ai suoi antipodi, che si<br />

colloca all’esterno del suo conf<strong>in</strong>e […] Ogni cultura si crea il suo tipo di barbaro. […] Il fatto che questo ruolo<br />

presupponga il trovarsi fuori favorisce spesso un’<strong>in</strong>terpretazione spaziale. Di solito, secondo le idee della cultura<br />

data, le forze extraculturali si trovano fuori dai suoi conf<strong>in</strong>i territoriali. L’appartenenza ad un’altra cultura è così<br />

<strong>in</strong>terpretata spesso come assenza di cultura 379 .<br />

In epoca moderna l’<strong>in</strong>contro con l’altro avviene, spesso, nelle periferie e nelle zone di<br />

conf<strong>in</strong>e. Il protagonista dei romanzi modernisti si muove usualmente da un luogo all’altro<br />

<strong>in</strong>ducendo la narrazione a “spaziare” <strong>in</strong>sieme all’<strong>in</strong>terno di una geografia mitica.<br />

L’evoluzione del selvaggio modernista assume forme particolari <strong>in</strong>globando <strong>in</strong> se<br />

implicazioni non solo letterarie ma storiche, filosofiche, antropologiche, psicologiche. La<br />

genesi del motivo del selvaggio “moderno” si può facilmente r<strong>in</strong>tracciare con l’<strong>in</strong>izio della<br />

politica imperialista europea. Le prime formulazioni precise del motivo risalgono a prima<br />

dell’illum<strong>in</strong>ismo quando la ragione “illum<strong>in</strong>ata” com<strong>in</strong>ciò a <strong>def</strong><strong>in</strong>ire se stessa attra<strong>vers</strong>o il<br />

confronto con altre realtà culturali reputate <strong>in</strong>feriori e barbariche. La descrizione di un<br />

personaggio distante e di<strong>vers</strong>o, da educare e da salvare dagli orrori dell’ignoranza, aiutò la<br />

cultura illum<strong>in</strong>istica a stabilire i propri valori e a disegnare una propria morale. La figura del<br />

selvaggio subì nei secoli profonde trasformazioni f<strong>in</strong>o al ribaltamento totale delle posizioni.<br />

Per i modernisti, <strong>in</strong> molti casi, sarà l’uomo civile ad essere reputato <strong>in</strong>feriore. Lotman spiega<br />

così le possibilità evolutive del motivo del selvaggio:<br />

La costruzione semiotica del barbaro si realizza di solito secondo una di queste due possibilità. La prima è<br />

quella di un raddoppiamento riflesso, che fa sì che l’anticultura si costruisca come immag<strong>in</strong>e rovesciata, che ha,<br />

rispetto alla cultura, segni opposti. Passano così all’anticultura i segni arcaici del mondo rovesciato delle forze<br />

378 Cesare Pavese, La selva, <strong>in</strong> C. Pavese, Letteratura americana e altri saggi, cit. pp. 321-323.<br />

379 J. M. Lotman, La Semiosfera, cit. pp. 138-145.<br />

113


mitologiche impure e malvagie. Tuttavia, a seconda della posizione del creatore del testo, questa immag<strong>in</strong>e del<br />

mondo extraculturale, può essere valutata non solo negativamente, ma anche positivamente (ad esempio nel caso<br />

<strong>in</strong> cui la cultura stessa a cui il testo appartiene diventi oggetto di critica).[…] Così, al di fuori della l<strong>in</strong>ea esterna<br />

della civiltà, esiste un collettivo particolare, che senza questa vic<strong>in</strong>anza non può sorgere. Esso è destrutturato e<br />

non può esistere <strong>in</strong> modo <strong>in</strong>dipendente. Il modo di essere, che gli era proprio e che aveva f<strong>in</strong>o all’<strong>in</strong>contro con la<br />

civiltà, è distrutto […] il barbaro viene sottoposto a semiotizzazione, gli viene attribuito un determ<strong>in</strong>ato ruolo 380 .<br />

Il selvaggio è dunque dest<strong>in</strong>ato a mutare forma. Il suo statuto dipende unicamente dal creatore<br />

del testo che a sua volta si <strong>in</strong>serisce all’<strong>in</strong>terno di una cultura. Il selvaggio, pur essendo realtà<br />

storica, assume, a livello letterario, una estrema forza simbolica. Diviene, prima di ogni altra<br />

cosa, personaggio rappresentante dell’altro qu<strong>in</strong>di, sia nel bene che nel male, legato<br />

geneticamente e semanticamente alla cultura che lo elabora. Daniel Defoe vedeva nell’”altro”<br />

un essere <strong>in</strong>feriore, rappresentazione dello stato <strong>in</strong>civile da cui l’uomo moderno proveniva 381 .<br />

Il passaggio all’età del romanticismo fu segnata da un’ulteriore evoluzione del concetto di<br />

primitivo 382 . L’<strong>in</strong>flusso degli studi antropologici fu, <strong>in</strong> questo caso, determ<strong>in</strong>ante. La natura è<br />

ora vista come una massa caotica da cui è sempre più difficile, per l’uomo moderno, trarre<br />

regole attendibili. Le leggi della natura, che il “buon selvaggio” seguiva, com<strong>in</strong>ciano ad<br />

essere osservate obiettivamente e perdono quell’aura di benignità con cui gli illum<strong>in</strong>isti le<br />

avevano ammantate. L’uomo moderno si trova ora ad osservare lo spettacolo di una natura<br />

misteriosa di cui si sente figlio perduto:<br />

When nature is conceived as be<strong>in</strong>g not geometrically ordered, but <strong>in</strong>f<strong>in</strong>itely fecund and varied, not subject to<br />

f<strong>in</strong>ite reason, but sublimely disruptive of it, then the wild Man becomes Nature’s Child. […] The Child of Nature<br />

does not reason, he feels; he does not preach, as does the Noble Savage, but he breaks spontaneously <strong>in</strong>to poetry<br />

and song especially when confronted by his mother nature <strong>in</strong> her wilder and sublimer moods. It is <strong>in</strong> this guise<br />

that the Wild Man became for a time dom<strong>in</strong>ant <strong>in</strong> the Romantic Movement, and he surely survives, even if <strong>in</strong> a<br />

debased form, <strong>in</strong>to the twentieth century 383 .<br />

380 Ibidem<br />

381 Il selvaggio <strong>in</strong>contrato da Rob<strong>in</strong>son viene “nom<strong>in</strong>ato”, ovvero battezzato col nome di Venerdì, ed <strong>in</strong>iziato alla<br />

vita civile. E’ un’<strong>in</strong>iziazione che prevede soprattutto la soggiogazione dell’<strong>in</strong>digeno. Il selvaggio Venerdì può<br />

essere <strong>in</strong>terpretato, <strong>in</strong> alcuni suoi tratti, anche come un fanciullo. Ma la rappresentazione dell’età <strong>in</strong>fantile non<br />

rappresentava <strong>in</strong> quell’epoca storica, al contrario di quanto doveva accadere di lì a poco, positività o comunque<br />

produttività. Al contrario era s<strong>in</strong>tomo di giov<strong>in</strong>ezza, <strong>in</strong>esperienza, immaturità. Questo stato di selvaggiobamb<strong>in</strong>o<br />

andava <strong>in</strong> qualche modo superato attra<strong>vers</strong>o l’educazione. Tale educazione si basava sugli<br />

<strong>in</strong>segnamenti morali espressi nella Bibbia, l’unico libro che il mar<strong>in</strong>aio Rob<strong>in</strong>son aveva salvato dopo il<br />

naufragio. La vicenda di Rob<strong>in</strong>son può dunque essere letta come una metafora della Genesi della nostra stessa<br />

civiltà occidentale che, attra<strong>vers</strong>o un libro come quello di Defoe, non puntava alla descrizione dell’altro, quanto<br />

alla <strong>def</strong><strong>in</strong>izione di sé stessa attra<strong>vers</strong>o le differenze con un mondo ritenuto aprioristicamente <strong>in</strong>feriore.<br />

382 Peter L. Thorslev per <strong>def</strong><strong>in</strong>ire al meglio il fenomeno del primitivismo <strong>in</strong> epoca moderna parte proprio<br />

dall’illum<strong>in</strong>ismo. Nel suo saggio The Wild Man’s Revenge, l’ipo<strong>tesi</strong> è quella di un’evoluzione del motivo che<br />

parte proprio dall’ideazione del “buon selvaggio” da parte degli illum<strong>in</strong>isti francesi ed <strong>in</strong> particolar modo da<br />

Rosseau. Questa evoluzione è riassunta nel titolo del primo paragrafo: From Noble Savage to Dionysian Man. La<br />

civiltà moderna, nelle pag<strong>in</strong>e del pensatore francese, ha più un ruolo di corruttrice che di educatrice. Nell’opera<br />

L’Emile, un bamb<strong>in</strong>o viene risparmiato dall’educazione civile per esser cresciuto solo tramite le regole di natura.<br />

Per opera di Rosseau il concetto di <strong>in</strong>fanzia come stato privilegiato dell’esistenza umana si fece presto spazio e<br />

viene associato al concetto di selvaggio Il parallelo bamb<strong>in</strong>o-selvaggio si svelerà ricco di implicazioni.Thorslev<br />

<strong>in</strong>dividua dunque una l<strong>in</strong>ea di cont<strong>in</strong>uità nell’evoluzione che ha portato dal “primitivo illum<strong>in</strong>ista” al “primitivo<br />

modernista”. Il primo è caratterizzato da sensibilità, <strong>in</strong>nocenza, coraggio, e ogni tipo di virtù che spesso lo<br />

portano alla facile moralizzazione delle argomentazioni. Questo modello di “buon selvaggio” è costruito<br />

idealmente come controparte del cittad<strong>in</strong>o civile che sconta con la satira la sua <strong>in</strong>capacità di adeguarsi alle<br />

artificialità della società moderna. La civiltà moderna, nelle pag<strong>in</strong>e del pensatore francese, ha più un ruolo di<br />

corruttrice che di educatrice. Nell’opera L’Emile, un bamb<strong>in</strong>o viene risparmiato dall’educazione civile per esser<br />

cresciuto solo tramite le regole di natura. Il parallelo bamb<strong>in</strong>o-selvaggio si svelerà ricco di implicazioni.<br />

383 P. L. Thorslev Jr., The Wild Man’s Revenge, cit. p. 283.<br />

114


Questa evoluzione del concetto è abbastanza importante per la nostra analisi. Passando da<br />

“buon selvaggio” a “figlio della natura”, il primitivo si sottrae alle generalizzazioni dell’età<br />

romantica ed esce dal giard<strong>in</strong>o fiorito del paradiso terrestre <strong>in</strong> cui era stato conf<strong>in</strong>ato. Il<br />

ricongiungimento del primitivo con una natura “neutra”, una natura dalle caratteristiche<br />

<strong>in</strong>tr<strong>in</strong>seche che mal si associano a quelle “culturali” di bene e male, permette al motivo di<br />

svilupparsi e di complicarsi ulteriormente. Se il “buon selvaggio” era r<strong>in</strong>tracciabile <strong>in</strong> territori<br />

idealizzati, presumibilmente ubicati agli antipodi del mondo occidentale fra atolli cristall<strong>in</strong>i ed<br />

isole verg<strong>in</strong>i, il “figlio della natura” si posiziona molto più vic<strong>in</strong>o all’uomo moderno: “Quello<br />

del barbaro non è soltanto un ruolo semiotico, ma anche una realtà storica. La realtà è<br />

<strong>in</strong>evitabilmente co<strong>in</strong>volta nei processi <strong>in</strong>terni della cultura: il barbaro di ieri, che si trovava<br />

fuori dei suoi conf<strong>in</strong>i, appare oggi alla periferia della cultura e sarà domani al centro<br />

dell’attività culturale, che ha subito cambiamenti. Il barbaro è una creazione della civiltà non<br />

solo <strong>in</strong> senso semiotico, ma anche reale” 384 . E’ l’<strong>in</strong>izio della riscoperta dell’Europa rurale. I<br />

tratti primitivi che <strong>in</strong>teressano i poeti romantici possono essere r<strong>in</strong>tracciati nei montanari delle<br />

Highlands scozzesi, fra i m<strong>in</strong>atori delle Midlands <strong>in</strong>glesi, f<strong>in</strong>anche nei contad<strong>in</strong>i delle Langhe<br />

piemon<strong>tesi</strong>. Questo figlio della natura che “prorompe <strong>in</strong> poesie e canti soprattutto quando si<br />

confronta con madre natura nei suoi più selvaggi e sublimi umori” ricorda molto da vic<strong>in</strong>o il<br />

primitivo descritto da Vico che esercitava lo stesso tipo di sensibilità tramite la quale riusciva<br />

ad <strong>in</strong>tessere una relazione privilegiata con la natura di cui poteva conoscere le leggi 385 . Anche<br />

<strong>in</strong> questo caso si potrà far riferimento ai contad<strong>in</strong>i europei descritti dal filosofo napoletano<br />

come portatori di questi tratti primitivi. Sono gli stessi contad<strong>in</strong>i che ispireranno la concezione<br />

di “classicismo rustico” <strong>in</strong> Pavese. L’<strong>in</strong>troduzione del concetto di “figlio della natura”<br />

rafforza, al contempo, quello della “maternità” della natura 386 . La “madre terra” diviene una<br />

384 J. M. Lotman, La Semiosfera, cit. pp. 138-145.<br />

385 Per i romantici la visione dell’uomo primitivo era da contrapporre, nel bene, alla visione di decadenza della<br />

società ottocentesca europea. Tutti gli ideali romantici si esprimevano e si <strong>in</strong>carnavano nella visione ideale di un<br />

<strong>in</strong>corrotto mondo ancestrale. L’età dell’oro per Vico aveva caratteristiche del tutto differenti e trovava i suoi<br />

riscontri positivi <strong>in</strong> ben altri campi. La crudeltà delle pratiche arcaiche, l’orrore (horror nelle pag<strong>in</strong>e di Auerbach<br />

ma anche <strong>in</strong> quelle di Conrad) che l’uomo civile non può che provare di fronte il dispiegamento di tutti i<br />

meccanismi sociali arcaici, erano punti importanti nella concezione del Vico ma erano anche le premesse allo<br />

sviluppo di un grande l<strong>in</strong>guaggio creativo e di una sconf<strong>in</strong>ata percezione poetica. Gli ideali di libertà, fratellanza<br />

ed uguaglianza poco avevano a che fare con le società arcaiche: “But that is the Vico’s idea; it is the very<br />

essence of his system. The aim of primitive imag<strong>in</strong>ation, <strong>in</strong> his view, is not liberty, but, on the contrary,<br />

establishment of fixed limits, as a psycological and material protection aga<strong>in</strong>st the chaos of the surrond<strong>in</strong>g world.<br />

And later on, mythical imag<strong>in</strong>ation serves as base of a political system and as a weapon <strong>in</strong> the struggle for<br />

political and economic power. The age of the gods and the heroes, with their all pervad<strong>in</strong>g “poetry”, are not at all<br />

poetical <strong>in</strong> the romantic sense, although, <strong>in</strong> both cases, poetry means imag<strong>in</strong>ation opposed to reason. […] In<br />

Vico’s system the old contrast of natural aga<strong>in</strong>st positive law, of physis aga<strong>in</strong>st thesis, of orig<strong>in</strong>al nature aga<strong>in</strong>st<br />

human <strong>in</strong>stitutions, becomes mean<strong>in</strong>gless; Vico’s poetical age, the golden age, is not an age of natural freedom,<br />

but an age of <strong>in</strong>stitutions”. (Erich Auerbach, Vico and Aesthetic Historism, tratto da Scenes from the drama of<br />

European literature , cit. p.195)<br />

386 Le teorie evoluzionistiche, che vedevano nel mondo primitivo uno stadio ancora non sviluppato dell’essere<br />

umano, <strong>in</strong>carnata premessa di un imm<strong>in</strong>ente progresso, subirono gli attacchi di una nuova concezione relativista<br />

che riconosceva uno specifico valore ad ogni periodo della nostra storia: “La scienza positivista del secolo XIX<br />

riteneva che si dovesse cercare la mitologia soltanto fra le popolazioni arcaiche o <strong>in</strong> un lontano passato. Non la<br />

ritrovava nelle culture moderne contemporanee […]” (J. M. Lotman – Z. M<strong>in</strong>c, Letteratura e Mitologia, cit. p.<br />

203). Il ruolo della Scienza Nuova, ruolo che acquisì <strong>def</strong><strong>in</strong>itivamente dopo quasi duecento anni dalla sua prima<br />

pubblicazione, fu dunque quello di assegnare una vera ed attuale funzione conoscitiva alla scienza mitologica<br />

che, f<strong>in</strong>o a quel momento, era stata considerata poco più che una pittoresca curiosità storica. Erich Auerbach ha<br />

parlato a riguardo di “revival of the ancient concept of absolute human nature” 386 : The worthlessness of such<br />

<strong>in</strong>stitutions seemed to be proved sufficiently by their variety; and the task of mank<strong>in</strong>d seemed to be to replace<br />

them all by absolute standards accord<strong>in</strong>g to the law of nature. There were <strong>in</strong>deed very different op<strong>in</strong>ion about the<br />

nature of this nature; between those who identified human nature with enlightened reason, there were all k<strong>in</strong>ds of<br />

shades and gradations. But the static and absolute character of this human nature, as opposed to the changes of<br />

history, is common to all these theories of human nature and natural law (Erich Auerbach, Vico and Aesthetic<br />

Historism, tratto da Scenes from the drama of European literature, cit. pp.184-85).<br />

115


presenza quasi costante nei romanzi modernisti. La concezione modernista del primitivo deve<br />

dunque molto alle speculazioni romantiche. Tra modernismo e romanticismo si possono<br />

<strong>in</strong>dividuare molte cont<strong>in</strong>uità come nel caso appena discusso. La visione del selvaggio<br />

modernista, prima ancora di arricchirsi delle componenti dionisiache attribuitegli da<br />

Nietzsche, è una derivazione e una complicazione del selvaggio romantico. Michael Bell<br />

ritiene che il comune denom<strong>in</strong>atore fra i differenti approcci al tema è quello del richiamo<br />

all’irrazionalismo, che affondava le radici nel periodo romantico, come forma di conoscenza<br />

propria dell’epoca moderna. La nuova enfasi che si accordò <strong>in</strong> questo periodo ai temi del subcosciente<br />

e agli aspetti ist<strong>in</strong>tivi ed <strong>in</strong>tuitivi della personalità, fu una base comune da cui molti<br />

scrittori modernisti svilupparono le loro scritture. Cesare Pavese, studioso attento di storia<br />

letteraria e filosofia, s<strong>in</strong>tetizzò, <strong>in</strong> un appunto del Mestiere di Vivere, questi processi: “Perché<br />

l’irrazionale solleva al tutto, all’uni<strong>vers</strong>ale? Idea romantica. Ma è forse da dare ai cani per<br />

questo? Senza dubbio l’irrazionale è l’enorme reservoir dello spirito, come i miti lo sono delle<br />

nazioni” 387 . L’eredità che i romantici lasciarono fu dunque riconosciuta e riutilizzata,<br />

attra<strong>vers</strong>o complicazioni e nuove elaborazioni, dagli scrittori moderni. Nell’ambito di questa<br />

evoluzione vi sono, però, anche delle discont<strong>in</strong>uità che si espletarono soprattutto nella<br />

<strong>def</strong><strong>in</strong>izione del rapporto tra l’uomo moderno e l’uomo primitivo. Nella sua analisi delle<br />

orig<strong>in</strong>i del primitivismo modernista Michael Bell, riprendendo le teorie che Edith A. Ruge<br />

espresse <strong>in</strong> Primitivism and Related Ideas <strong>in</strong> Sturm und Drang Literature (1946), parla di un<br />

importante “salto” nella concezione del primitivo avvenuto <strong>in</strong> epoca romantica. La<br />

concezione illum<strong>in</strong>istica vedeva <strong>in</strong>fatti nel primitivismo, di cui il “buon selvaggio” era<br />

l’<strong>in</strong>carnazione, una relazione esterna all’uomo civile. Un fenomeno dalla cui osservazione si<br />

poteva discernere il viatico della formazione di un uomo attra<strong>vers</strong>o l’educazione occidentale.<br />

Questo stato di “osservazione” fu sostituito, all’epoca del romanticismo, da una vera e propria<br />

“implicazione”. Quello del primitivismo non era più un fenomeno esterno, rappresentazione<br />

dell’evoluzione culturale dell’uomo moderno, ma una vera e propria condizione esistenziale.<br />

Lo stato del primitivo diveniva <strong>in</strong>somma qualcosa che l’uomo cont<strong>in</strong>uava a portare dentro sé<br />

e fu <strong>in</strong> questa relazione che gli <strong>in</strong>tellettuali romantici trovarono un proprio <strong>in</strong>teresse. Il tema<br />

del primitivismo passava dunque dall’essere uno stato “esterno” all’umanità ad essere uno<br />

stato “<strong>in</strong>terno” all’<strong>in</strong>dividuo stesso. La cultura primitiva poteva rappresentare nuove<br />

possibilità di conoscenza, una nuova luce su misteri che il razionalismo moderno non era <strong>in</strong><br />

grado di risolvere. E’ un discorso che implica direttamente i modi del l<strong>in</strong>guaggio e che si<br />

ricollega direttamente alla riscoperta della conoscenza mitica, del simbolismo e di tutte le<br />

forme d’espressione primitive considerate f<strong>in</strong>o a pochi anni prima, alla luce del canone<br />

occidentale, di cattivo gusto. I primitivismi dell’età del modernismo devono dunque molto<br />

all’eredità romantica anche se lo sviluppo delle idee relative ai suoi motivi furono del tutto<br />

orig<strong>in</strong>ali. Così come tra l’età dell’illum<strong>in</strong>ismo e quella del romanticismo si poteva r<strong>in</strong>tracciare<br />

un vero e proprio “salto” che permetteva di stabilire delle coord<strong>in</strong>ate precise <strong>in</strong> cui si<br />

sarebbero mossi gli <strong>in</strong>tellettuali, anche per il passaggio dalla concezione romantica alla<br />

concezione modernista del primitivismo si può ipotizzare un’analoga evoluzione s<strong>in</strong>tetizzata<br />

magistralmente da Bell:<br />

The romantic movement provided the precedent for the literary recreation of psychological states whose<br />

qualities, putatively at least, were commonly lack<strong>in</strong>g <strong>in</strong> the civilized personality. Later primitivism is the heir to<br />

this tradition except that were the romantics generally sought a unification of sensibility primitivist works have<br />

tended to dramatize the dis<strong>in</strong>tegration. Even when attempt<strong>in</strong>g to assimilate or come to sympathetic terms with th<br />

<strong>in</strong>st<strong>in</strong>ctual self primitivist literature generally presents it under an alien, frequently horrifyng, aspect 388 .<br />

387 C. Pavese, Il Mestiere di Vivere, 8 Febbraio 1944, cit. p. 274.<br />

388 Michael Bell, Primitivism, Cox & Wyman Ltd, Fakenham, Norfolk, 1972, p. 61.<br />

116


Questo motivo della “dis<strong>in</strong>tegrazione” fu affrontato <strong>in</strong> molti modi fra gli scrittori modernisti.<br />

L’orrore, di cui parla Kurtz <strong>in</strong> Cuore di Tenebra, è solo una delle rappresentazioni di questa<br />

improvvisa consapevolezza della crisi che si sviluppa nell’opera letteraria modernista. La<br />

connotazione simbolica del “selvaggio” venne dunque a caricarsi di nuovi significativi aspetti.<br />

Il “selvaggio modernista” si strutturò <strong>in</strong> parte come evoluzione del “selvaggio romantico” <strong>in</strong><br />

parte come reazione allo stesso f<strong>in</strong>o a raggiungere una conformazione ben del<strong>in</strong>eata. La nuova<br />

evoluzione doveva alle nuove connotazioni dionisiache, di cui il selvaggio modernista si<br />

arricchì, la sua peculiarità:<br />

Nature may be conceived not as rational, uniform, and ordered, nor as cruel and slothful, to be ref<strong>in</strong>ed and<br />

overcome. As fecund, spontaneous, sublime, yes, but as more than that: as “mother mysterious”, a dark and<br />

amoral force from under earth, thrust<strong>in</strong>g up <strong>in</strong>differently foul weeds or fragile flowers; a “blood-consciuousness”<br />

ranged forever aga<strong>in</strong>st sterile rational order and efficiency, and creative of all that is lustful, much that is<br />

destructive, and all that is beautiful.[…] The rational Noble Savage is Apollonian, for all his sensibilities; this<br />

naked savage is Dionysan.[…] He is a product of an earthward mysticism, a radical denial not only of a rational<br />

order, but of all otherworldl<strong>in</strong>ess and trascendentalism 389 .<br />

La concezione del dionisiaco <strong>in</strong> epoca moderna contribuì notevolmente alla <strong>def</strong><strong>in</strong>izione del<br />

carattere letterario del “selvaggio”. La parabola di Dioniso era stata divulgata da Nietzsche<br />

che lo mise al centro dello sviluppo di tutta la sua filosofia. Sia Pavese che Lawrence, lettori<br />

di Nietzsche, risentirono delle lezioni del filosofo tedesco. Nella analisi delle caratteristiche<br />

del “suo primitivo”, Nietzsche fu ben consapevole di entrare all’<strong>in</strong>terno di un percorso storico<br />

segnato dall’evoluzione di una figura centenaria. Lo stesso filosofo giustifica la presenza<br />

storica di Dioniso che raccoglie e supera l’eredità romantica. Attra<strong>vers</strong>o la disam<strong>in</strong>a del<br />

pensiero di Schiller e dell’opera romantica, Nietzsche descrive la natura e il primitivo nei<br />

term<strong>in</strong>i che furono successivamente cari a molti scrittori modernisti:<br />

Secondo questo sentire ci fu un’età primitiva dell’uomo <strong>in</strong> cui egli viveva nel cuore della natura e <strong>in</strong> questo stato<br />

naturale aveva <strong>in</strong>sieme raggiunto l’ideale dell’umanità, <strong>in</strong> una bontà e artisticità paradisiache: da questo perfetto<br />

uomo primitivo noi tutti discendemmo, e anzi ne saremmo ancora il fedele ritratto. […] L’uomo colto del<br />

r<strong>in</strong>ascimento si lasciò ricondurre nella sua imitazione operistica della tragedia greca ad una siffatta armonia tra<br />

natura e ideale, ad una realtà idillica […] passando da un’imitazione della suprema forma d’arte greca ad un<br />

“ristabilimento di tutte le cose”, ad una riproduzione del mondo artistico orig<strong>in</strong>ario dell’uomo. […] questo è<br />

solamente il frutto di quell’ottimismo che dalle profondità della concezione socratica del mondo sale <strong>in</strong> alto<br />

come una colonna di profumo dolciastro ed allettante. Nei l<strong>in</strong>eamenti dell’opera non è dunque possibile scorgere<br />

affatto il dolore elegiaco di una perdita eterna, bensì la serenità di un eterno ritrovamento, il comodo piacere per<br />

una realtà idillica, che perlomeno si può <strong>in</strong> ogni istante immag<strong>in</strong>are come reale: sebbene a tal proposito si abbia<br />

forse il sospetto che questa presunta realtà non sia altro che un fantastico e puerile trastullarsi, di fronte a cui<br />

chiunque volesse fare un confronto con la tremenda serietà della vera natura e paragonare tutto ciò con le vere<br />

scene primitive degli <strong>in</strong>izi dell’umanità, dovrebbe gridare con disgusto: via i fantasmi! 390<br />

Fu soprattutto attra<strong>vers</strong>o la Nascita della Tragedia, uno dei testi filosofici che più <strong>in</strong>fluenzò<br />

gli <strong>in</strong>tellettuali modernisti e <strong>in</strong> particolar modo Cesare Pavese, che il filosofo tedesco<br />

promosse la simbologia legata a Dioniso <strong>in</strong>augurando una forma di “naturalismo estetico” 391<br />

dest<strong>in</strong>ato a esercitare una profonda <strong>in</strong>fluenza sugli scrittori del periodo. Il confronto che<br />

avviene tra l’uomo moderno e il primitivo si lega al rapporto di attrazione-repulsione espresso<br />

389 P. L. Thorslev Jr., The Wild Man’s Revenge, cit. p. 285-86.<br />

390 Friedrich W. Nietzsche, La Nascita della Tragedia (19), Newton Compton Editori, Roma, 1991, p. 182-83.<br />

391 Il concetto di “naturalismo estetico” è espresso da John Burt Foster Jr., Heir to Dionysus, a Nietzschian <strong>in</strong><br />

Literary Modernism, Pr<strong>in</strong>ceton Uni<strong>vers</strong>ity Press, 1988.<br />

117


dalla coppia Apollo-Dioniso 392 . Il romanzo modernista sembra vivere sulla riproposizione di<br />

questo schema mitico: l’eterno confronto tra le forze razionali e irrazionali della natura che si<br />

<strong>in</strong>carnano nella figura tragica di Dioniso: “[…] the dialectical scheme that Nietzsche offered<br />

seemed to become a bluepr<strong>in</strong>t, an aesthetic prototipe, for nearly every major twentieth-century<br />

novel” 393 .<br />

Nella Nascita della Tragedia, Nietzsche offre un quadro ben circostanziato di Dioniso<br />

legandolo, attra<strong>vers</strong>o le sue <strong>def</strong><strong>in</strong>izioni, alle maggiori istanze del modernismo letterario.<br />

Dioniso è il primitivo, colui che vive <strong>in</strong> simbiosi con la natura; la sua personalità si situa al di<br />

là della coscienza <strong>in</strong>dividualista dell’uomo moderno: “O per l’<strong>in</strong>flusso delle bevande<br />

narcotiche, cantate da tutti gli uom<strong>in</strong>i e da tutti i popoli primitivi, o per il portentoso<br />

avvic<strong>in</strong>arsi della primavera, che gioiosamente pervade l’<strong>in</strong>tera natura, si risvegliano quegli<br />

impulsi dionisiaci nella cui accentuazione svanisce la soggettività, <strong>in</strong> un totale oblio di sé” 394 .<br />

La riscoperta di questo primitivo div<strong>in</strong>o è legata alla possibilità dell’uomo di riscoprire il<br />

senso della sua esistenza. E’ un r<strong>in</strong>venimento, un procedimento a ritroso, un lasciarsi rapire<br />

dal flusso di irrazionalità sprigionato da Dioniso che, come il fiume che conduceva Marlow<br />

392 La polarità espressa da Dioniso e da Apollo fu ripresa da molti scrittori modernisti che la posero a modello<br />

per la struttura delle loro opere. La struttura dualistica di molti romanzi modernisti trovò, nell’<strong>in</strong>contro-scontro di<br />

Dioniso con Apollo descritto da Nietzsche nella Nascita della Tragedia, il pr<strong>in</strong>cipale modello. Lo scontro tra<br />

razionale ed irrazionale, tra civile e primitivo, tra ragionevole e fer<strong>in</strong>o, simboleggiato dalle due figure<br />

mitologiche, è r<strong>in</strong>tracciabile <strong>in</strong> buona parte della narrativa modernista. Il nuovo <strong>in</strong>teresse che si esprime nella<br />

Nascita nei confronti delle forze obliate che presuppongono l'uomo, il ritorno allo stato fer<strong>in</strong>o naturale la<br />

riscoperta degli ist<strong>in</strong>ti come forze positive sottese all'<strong>in</strong>dividuo sono, d’altra parte, i punti basilari di quest'opera<br />

niciana. Per Kuna nel libro The Janus faced novel lo schema dialettico offerto da Nietzsche nella Nascita della<br />

tragedia divenne un prototipo estetico per tutti i maggiori romanzi della prima metà del novecento. Giano, con il<br />

suo volto bifronte, rappresenta Dioniso ed Apollo: il romanzo moderno tende a sondare la sua maschera. Il volto<br />

di Giano è quello dell'uomo moderno che scopre la tragicità del suo esistere superando così le cosmologie<br />

razionali e la fossilizzata struttura della civiltà. Il primo <strong>in</strong>tento di quest'arte è quello di scavare la superficie del<br />

mondo moderno, dom<strong>in</strong>ato dalla conoscenza scientifica, al f<strong>in</strong>e di risalire le energie vitali che si scoprono essere,<br />

ed è questo un motivo tragico dom<strong>in</strong>ante, selvagge, primitive, prive di ogni pietà. Il personaggio del selvaggio si<br />

ammanta di aspetti tragici rappresentando l’uomo primitivo ( Kuna parla di primary man), il vero simbolo degli<br />

aspetti dionisiaci dell’esistente. L’ist<strong>in</strong>to viene riscoperto come materia fondamentale della natura umana. Il<br />

selvaggio dionisiaco, che conserva questi ist<strong>in</strong>ti, viene posto <strong>in</strong> competizione con i personaggi civili proprio per<br />

svelare la distanza che <strong>in</strong>tercorre fra loro. L’<strong>in</strong>contro fra l’umano Apollo e il bestiale Dioniso avvenne, a livello<br />

letterario, a due livelli. L’<strong>in</strong>contro con l’altro, <strong>in</strong> cui un personaggio civile e uno selvaggio si scoprono a<br />

vicenda, e l’<strong>in</strong>contro con l’altro se stesso, <strong>in</strong> cui l’uomo moderno scopre l’<strong>in</strong>conscio <strong>in</strong> cui sopravvivono i suoi<br />

tratti fer<strong>in</strong>i. L’<strong>in</strong>flusso di Nietzsche sugli <strong>in</strong>tellettuali modernisti potrebbe essere dunque relativo alla<br />

teorizzazione di una dimensione del confronto che si stabilisce attra<strong>vers</strong>o il recupero delle energie primordiali<br />

dell’uomo e della natura. La riscoperta di una dimensione dell’orig<strong>in</strong>ario da contrapporre ad una dimensione del<br />

moderno apparve come un tratto caratteristico della filosofia di Nietzsche che troverà applicazione <strong>in</strong> molte<br />

opere moderniste. La figura del selvaggio dionisiaco si struttura come il distruttore della dimensione moderna,<br />

come dispensatore di sapienza antica ed orig<strong>in</strong>aria: “Nietzsche fed the sense of confrontation with anarchistic<br />

forces; beneath the surface of modern life, dom<strong>in</strong>ated by knowledge and science, he discerned vital energies<br />

which were wild, primitive and completely merciless. At the appropriate hour, man , he proposed, would raise<br />

himself to titanic proportions and conquer his own civilization; the vital forces will be released <strong>in</strong> revenge, and<br />

produce a new barbarism” (F. Kuna, The Janus Faced Novel: Conrad, Musil, Kafka, Mann, cit. p. 446). Il<br />

barbarismo è materia fondamentale dell’uomo moderno che non ne può presc<strong>in</strong>dere. Per Nietzsche, attra<strong>vers</strong>o il<br />

confronto con le orig<strong>in</strong>i, l'epoca moderna potrebbe realmente segnare la r<strong>in</strong>ascita del pensiero tragico attra<strong>vers</strong>o<br />

“il graduale risveglio dello spirito dionisiaco nel mondo presente” così come postula nel paragrafo 19 della<br />

Nascita della Tragedia. La retorica del progresso e della civiltà non <strong>in</strong>ganna Nietzsche che vede <strong>in</strong>vece nei<br />

dogmi della modernità i segni della decadenza. L’uomo moderno porta dentro di se i segni della propria orig<strong>in</strong>e<br />

che tanto più verranno repressi tanto più saranno dest<strong>in</strong>ati ad esplodere con forza. Il confronto dell’uomo<br />

moderno con il selvaggio che racchiude è, spesso, espresso narrativamente attra<strong>vers</strong>o il viaggio <strong>in</strong> luoghi lontani<br />

e l’<strong>in</strong>contro con l’altro che si impone come specchio <strong>def</strong>ormante del protagonista civile all’<strong>in</strong>terno della<br />

narrazione. La filosofia di Nietzsche parte dunque dall'osservazione del mondo moderno per riscoprire le tracce<br />

di Dioniso.<br />

393 Franz Kuna, The Janus Faced Novel: Conrad, Musil, Kafka, Mann, contenuto <strong>in</strong> Modernism a guide to<br />

european literature 1890-1930, edito da M. Bradbury and J. Mc Farlane, Pengu<strong>in</strong> Books, London, 1991, p. 444.<br />

394 F. W. Nietzsche, La Nascita della Tragedia (1), cit. p. 122.<br />

118


nel cuore delle tenebre, propone all’uomo moderno di ripercorrere i suoi passi, r<strong>in</strong>venire le<br />

orme che lo hanno portato al buio della civiltà moderna. E’ un metodo di risalita,<br />

riacquisizione dell’immemoriale, un “processo <strong>in</strong><strong>vers</strong>o” 395 a quello del progresso: “il graduale<br />

risveglio dello spirito dionisiaco nel mondo presente!” 396 . Le questioni moderne<br />

dell’<strong>in</strong>comunicabilità, dell’alienazione dell’uomo dal suo mondo e dalla sua natura<br />

verrebbero, <strong>in</strong> altre parole, superate dal riferimento a Dioniso: “Con l’<strong>in</strong>canto del dionisiaco<br />

non solo si r<strong>in</strong>salda il legame fra uomo e uomo: anche la natura estraniata, nemica o<br />

soggiogata, celebra nuovamente la sua festa di conciliazione con il proprio figlio perduto,<br />

l’uomo” 397 . L’uomo moderno viene messo a confronto con il simbolo delle sue orig<strong>in</strong>i; egli<br />

stesso si trova ad essere <strong>def</strong><strong>in</strong>ito come <strong>in</strong>consapevole <strong>in</strong>carnazione dello sviluppo della<br />

tragedia classica. E’ la tragedia espressa dalla risoluzione del mito di Apollo e Dioniso che<br />

convivono nel medesimo corpo. Kuna esprime questa condizione esistenziale attra<strong>vers</strong>o la<br />

metafora del volto bipartito di Giano:<br />

It is the modern novel which has embodied most eagerly Nietzsche’s formula of the “Janus face” of modern<br />

man, who is doomed to exist tragically. The attempt to absorb and distil such a view of human existence has<br />

tended to make the modern novel itself Janus-faced and paradoxical, and to make many modern writers employ<br />

tragic, or tragic-comic, myths as the underly<strong>in</strong>g patterns or plots <strong>in</strong> their works 398 .<br />

La riproposizione del mito di Dioniso fu dunque particolarmente importante per lo sviluppo<br />

delle scritture moderniste. L’implicazione della simbologia e il contrasto degli opposti fanno<br />

si possa ipotizzare che l’<strong>in</strong>tero romanzo modernista ruoti <strong>in</strong>torno alle contrapposizioni<br />

b<strong>in</strong>arie. La forma del romanzo modernista diverrebbe a questo punto essa stessa bipartita,<br />

“Janus faced novel” per l’appunto. Il romanzo si costruirebbe dunque su una serie di<br />

<strong>in</strong>solubili e tragici contrasti: un personaggio apoll<strong>in</strong>eo si <strong>in</strong>contra-scontra con un personaggio<br />

dionisiaco, ma lo stesso personaggio apoll<strong>in</strong>eo vive, dentro sé, il medesimo <strong>in</strong>contro-scontro<br />

fra il suo io cosciente e il suo subcosciente. Anche il luogo <strong>in</strong> cui è ambientata l’azione entra<br />

<strong>in</strong> questa dialettica nell’ambito della contrapposizione tra la terra e il mondo. Questo<br />

generico schema potrebbe essere applicato a molte delle narrazioni moderniste.<br />

La struttura della contrapposizione è basilare nell’opera di Pavese. Elementi messi spesso a<br />

contrasto nella narrativa dello scrittore sono campagna-città, <strong>in</strong>fanzia-età adulta, italianodialetto,<br />

ord<strong>in</strong>e-caos. Il motivo del contrasto e dell’opposizione dialettica rivestono una<br />

fondamentale importanza all’<strong>in</strong>terno della concezione mitica di Pavese: “Anche nelle opere<br />

non mitiche la struttura dualistica non viene mai meno e si precisa sempre più chiaramente<br />

come struttura mitica nella misura <strong>in</strong> cui progressivamente si rivela struttura simbolica” 399 .<br />

L'opposizione b<strong>in</strong>aria dialogica, dove ognuno dei personaggi ha una forte carica simbolica e<br />

tende a sviscerare il suo simbolo tramite il confronto con l'opponente, si ripete <strong>in</strong> molti dei<br />

romanzi di Pavese e trova nei Dialoghi con Leucò la sua massima espressione 400 . Nel<br />

rapporto tra Berto, il cittad<strong>in</strong>o, e Tal<strong>in</strong>o, il contad<strong>in</strong>o, protagonista e antagonista <strong>in</strong> Paesi<br />

Tuoi, si possono rilevare gli elementi costitutivi di questo <strong>in</strong>stabile rapporto sempre da<br />

riequilibrare e sempre sull’orlo del tragico fallimento. L’opposizione b<strong>in</strong>aria dialogica qui<br />

proposta, si ripete <strong>in</strong> tutti i romanzi di Pavese per cui sarebbe giusto dire che ognuno dei<br />

395<br />

F. W. Nietzsche, La Nascita della Tragedia (19), cit.p. 183.<br />

396<br />

Ibidem.<br />

397<br />

F. Nietzsche, La Nascita della Tragedia (1), cit. p. 122.<br />

398<br />

F. Kuna, The Janus Faced Novel: Conrad, Musil, Kafka, Mann, cit. p. 444.<br />

399<br />

G.Cillo, La distruzione dei miti, cit. p.17.<br />

400<br />

Nel contesto delle teorie freudiane è anche importante il valore che Pavese attribuisce all'<strong>in</strong>fanzia, un mondo<br />

idealmente a contatto con le cose reali. Guglielmi nota, a riguardo, che la coppia speculare ragazzo-adulto si<br />

trova <strong>in</strong> molti romanzi: La spiaggia (studente-professore), La casa <strong>in</strong> coll<strong>in</strong>a (D<strong>in</strong>o-Corrado), La luna e i falò<br />

(C<strong>in</strong>to-Anguilla). Per Pavese il riferimento all’<strong>in</strong>fanzia è necessario ai f<strong>in</strong>i della conoscenza. E’ il momento di<br />

passaggio privilegiato, il momento <strong>in</strong> cui la cultura fa il suo <strong>in</strong>gresso nell’esistenza dell’essere umano.<br />

119


personaggi ha una forte carica simbolica che tende a sviscerare tramite il confronto con<br />

l'opponente. Il selvaggio Tal<strong>in</strong>o espleta la sua funzione non tanto nella rappresentazione del<br />

selvaggio quanto nella funzione di medium nel riconoscimento dell’elemento selvatico di cui<br />

è senz’altro portatore il suo opponente. Per Guglielmi il gioco degli opposti architettato da<br />

Pavese è basato appunto su questa complessità della relazione; questo meccanismo è<br />

evidente <strong>in</strong> Paesi Tuoi dove “il protagonista (Berto) proietta l'elemento demonico - il<br />

selvaggio- nell’altro personaggio (Tal<strong>in</strong>o)” 401 . Nello spazio mitico di mondi ibridi gli stessi<br />

personaggi si fanno ibridi assecondando un modello storico che Pavese direttamente recepiva<br />

dalle teorie del Vico: “Quel che t’<strong>in</strong>canta <strong>in</strong> Vico è l’aggirarsi perpetuo tra il selvaggio e il<br />

contad<strong>in</strong>esco, e i loro sconf<strong>in</strong>amenti reciproci, e la riduzione di tutta la storia a questo<br />

germe” 402 . Il mondo dell’assoluto mitico si scontra con l’empiria del tempo storico dando<br />

vita ad un tragico conflitto che trasc<strong>in</strong>a con se i personaggi. Il rapporto fra gli opposti si svela<br />

ricco di implicazioni che sveleranno di volta <strong>in</strong> volta la loro portata simbolica.<br />

La figura del selvaggio diviene dunque basilare per l’<strong>in</strong>tera teoria compositiva degli scrittori<br />

modernisti. Egli è il simbolo del lontano e del vic<strong>in</strong>o, del perduto e del r<strong>in</strong>tracciabile, della<br />

coscienza e del rimosso. Il selvaggio dionisiaco esprime un contrasto atavico <strong>in</strong>terno all’uomo<br />

che elabora, attra<strong>vers</strong>o la tragedia che il mito esprime, una comprensione del sé stesso e del<br />

proprio mondo che si <strong>def</strong><strong>in</strong>isce come distanza. Distanza dall’orig<strong>in</strong>e ma anche, dopo<br />

l’<strong>in</strong>tervento di Dioniso, dal mondo moderno e dal sé stesso che tale mondo ha forgiato.<br />

L’uomo si trova <strong>in</strong> un nuovo, tragico, territorio di conf<strong>in</strong>e, alla ricerca di un senso che sembra<br />

sfuggire <strong>in</strong> cont<strong>in</strong>uazione. Il selvaggio di Nietzsche ha avuto la capacità di riconsiderare tutta<br />

la teoria della conoscenza di fronte al crollo delle “fossilizzate strutture della<br />

civilizzazione” 403 . Dioniso diviene allora la controparte dell’uomo moderno, il simbolo del<br />

primitivismo di fronte alla civiltà. Egli diviene al contempo sfida mortale e speranza vitale:<br />

Nietzsche fed the sense of confrontation with anarchistic forces; beneath the surface of modern life, dom<strong>in</strong>ated<br />

by knowledge and science, he discerned vital energies which were wild, primitive and completely merciless. At<br />

the appropriate hour, man, he proposed, would raise himself to titanic proportions and conquer his own<br />

civilization; the vital forces will be released <strong>in</strong> revenge, and produce a new barbarism 404 .<br />

La conclusione di Nietzsche, che preannuncia l’avvento di un nuovo barbarismo, si presta a<br />

svariate <strong>in</strong>terpretazioni che, nell’ambito della scrittura modernista, possono essere r<strong>in</strong>tracciate<br />

<strong>in</strong> due filoni: quello utopico e quello apocalittico. Lawrence si mosse su entrambi i <strong>vers</strong>anti<br />

mentre Pavese, lontano da visioni utopiche, sviluppò maggiormente gli aspetti apocalittici.<br />

Entrambe le <strong>in</strong>terpretazioni, e qu<strong>in</strong>di il ruolo stesso del primitivismo dionisiaco niciano, si<br />

muovono sullo sfondo del fenomeno del nichilismo <strong>def</strong><strong>in</strong>ito dal filosofo tedesco come dest<strong>in</strong>o<br />

proprio della civiltà occidentale: “Tutto ciò che ora chiamiamo cultura, educazione, civiltà,<br />

dovrà comparire un giorno di fronte all’<strong>in</strong>fallibile giudice Dioniso” 405 . La carica e<strong>vers</strong>iva di<br />

Dioniso, la sua volontà distruttrice, è forse uno degli aspetti che più risultarono congeniali alle<br />

poetiche decadenti moderne. La sua controparte non è esclusivamente l’<strong>in</strong>dividuo moderno,<br />

magari colto nei suoi difetti e nelle sue degenerazioni, ma tutta la sua civiltà, tutta la sua<br />

cultura. Per Lotman l’aspetto dionisiaco è l’evoluzione f<strong>in</strong>ale del selvaggio la cui carica<br />

e<strong>vers</strong>iva sembra direttamente proporzionale alla decadenza della civiltà moderna. Il selvaggio<br />

dionisiaco è, di fatto, l’ultima creatura del nichilismo occidentale:<br />

401<br />

G. Guglielmi La prosa italiana del Novecento, Tra romanzo e racconto, cit. p. 129.<br />

402<br />

C. Pavese, Il Mestiere di Vivere, 19 Agosto 1944, cit. p. 288.<br />

403<br />

F. Kuna, The Janus Faced Novel: Conrad, Musil, Kafka, Mann, cit. p. 445: “[…] the fossillized structure of<br />

civilization itself”.<br />

404<br />

Ivi, p. 446.<br />

405<br />

F. La Nascita della Tragedia (19), cit. p. 184.<br />

120


Quanto più il sistema delle regole socio-culturali di un determ<strong>in</strong>ato collettivo è complicato, tanto più pericoloso,<br />

distruttore o al contrario utile e lungamente atteso appare chi, non avendo alcuna norma, distrugge queste regole.<br />

A lui vengono attribuiti i segni delle forze diaboliche o escatologiche, la funzione di flagello di Dio, di chi<br />

compie la missione di vendicatore dei peccati di una civiltà. La civiltà, f<strong>in</strong>o alla sua effettiva disgregazione, si<br />

basa, soprattutto per bocca dei suoi ideologi, sull’idea di <strong>in</strong>evitabilità e <strong>in</strong> particolare sulla giustificazione di chi<br />

aspetta il suo castigo 406 .<br />

Lo sviluppo delle tematiche relative al selvaggio nella direzione del primitivismo dionisiaco<br />

può essere imputato a di<strong>vers</strong>i fattori, storici e culturali. Dal punto di vista culturale l’apporto<br />

delle scienze antropologiche e psicanalitiche ebbero, senz’altro, un prem<strong>in</strong>ente <strong>in</strong>flusso. Il<br />

loro ruolo fu reso ancora più <strong>in</strong>cisivo dalla possibilità di legare i risultati delle ricerche nei due<br />

campi. Uno dei primi risultati fu quello di concepire la psicologia del primitivo come<br />

differente rispetto a quella dell’uomo moderno. La percezione e il disegno di questa distanza,<br />

fra lo stato di natura del selvaggio e quello civile dell’uomo moderno, rimise <strong>in</strong> gioco gli<br />

ideali di unità che i romantici pensavano di poter ricostituire: “[…] the primitive is a<br />

psycological potentiality the realization of which would imply the destruction of the civilized<br />

psyche. The romantic wholeness seems less and less possible” 407 .<br />

Come detto lo studio dell’antropologia fu essenziale all’elaborazione di questa nuova<br />

concezione del selvaggio. Ma l’antropologia non fornì una visione organica e completa della<br />

materia trattata tanto da offrire una giustificazione teorica e scientifica alle opere degli<br />

scrittori. Al contrario il materiale che gli studi antropologici misero a disposizione fu<br />

ampiamente re<strong>in</strong>terpretato dagli artisti che poterono valorizzarne gli aspetti simbolici. Lo<br />

stesso Frazer faceva parte della scuola dell’evoluzionismo e la sua figura di selvaggio è quella<br />

di un essere <strong>in</strong>feriore che praticava delle pratiche e dei rituali orrendi 408 . Pur riconoscendo la<br />

comune discendenza da questo essere Frazer era pur sempre <strong>in</strong> grado di proclamare la<br />

superiorità della civiltà occidentale. Nonostante ciò la consapevolezza che ci sia una<br />

406 J. M. Lotman, La Semiosfera, cit. pp. 138-145.<br />

407 M. Bell, Primitivism, cit. p.64.<br />

408 La moderna etnologia prende le mosse dagli studi di Darw<strong>in</strong>. Pur essendo il caposcuola di una corrente<br />

evoluzionista del pensiero, Darw<strong>in</strong> portò alla luce elementi che sarebbero stati, di lì a poco, al centro<br />

dell'attenzione dei dibattiti modernisti. Affianco la filosofia della storia, che prevedeva appunto<br />

un'<strong>in</strong>terpretazione evoluzionista delle scoperte di Darw<strong>in</strong>, emergevano elementi che lo stesso studioso non<br />

poteva non considerare. Nello studio del 1871 <strong>in</strong>titolato The descent of Man si r<strong>in</strong>tracciano queste importanti<br />

riflessioni: The ma<strong>in</strong> conclusion arrived at <strong>in</strong> this work, namely, that man is descended from some lowly<br />

organised form, will be highly distasteful to many. But there can hardly be a doubt that we are descended from<br />

barbarians. The astonishment which I felt on forst see<strong>in</strong>g a party of Feugians on a wild and broken shore will<br />

never be forgotten by me, for the reflection at once rushed <strong>in</strong>to my m<strong>in</strong>d -such were our ancestors. These men<br />

were absolutely naked and bedaubed with pa<strong>in</strong>t, their long hair was tangled, their mouths frothed with<br />

excitement, and their expression was wild, startled, and distrustful. They possessed hardly any arts, and like<br />

wild animals lived on what they could catch; they had no goverment, and were merciless to every one not of<br />

their own small tribe. He who as seen a savage <strong>in</strong> his native land will not feel much shame, if forced to<br />

ackknowledge that the blood of some humble creature flows <strong>in</strong> his ve<strong>in</strong>s. For my own part I would as soon be<br />

descended from that eroic little monkey, who braved his dreaded enemy <strong>in</strong> order to save the life of his keeper, or<br />

from that old baboon, who descend<strong>in</strong>g from the mounta<strong>in</strong>s, carried away <strong>in</strong> triumph his young comrade from a<br />

crowd of astonished dogs -as from a savage who delights to torture his enemies, offers up bloody sacrifices,<br />

practises <strong>in</strong>fanticide without remorse, treats his wives like slaves, knows no decency, and is haunted by the<br />

grossest superstitions. Man may be excused for feel<strong>in</strong>g some pride at hav<strong>in</strong>g risen, though not trough his own<br />

exertions, to the very summit of the organic scale; and the fact of hav<strong>in</strong>g thus risen, <strong>in</strong>stead of hav<strong>in</strong>g been<br />

aborig<strong>in</strong>ally placed there, may give him hope for a still higher dest<strong>in</strong>y <strong>in</strong> the distant future. But we are not here<br />

concerned with hopes or fears, only wwith the truth as far as our reason permits us to discover it; and I have<br />

given the evidence to the best of my ability. We must, however, acknoledge, as it seems to me, with man with<br />

all his noble qualities, with simpaty which feels for the most debased, with benevolence which extends not only<br />

to other men but to the humblest liv<strong>in</strong>g creature, with his god-like <strong>in</strong>tellect which has penetrated <strong>in</strong>to the<br />

movementss and costitutions of the solar system -with all these exalted powers -. Man still bears <strong>in</strong> his bodily<br />

frame the <strong>in</strong>delible stamp of his lowly orig<strong>in</strong>” (Charles Darw<strong>in</strong>, The descent of the man, contenuto <strong>in</strong> The<br />

modern tradition, backgrounds of modern literature, edito da Richard Ellmann and Charles Feidelson jr.,<br />

Oxford Uni<strong>vers</strong>ity Press, 1965, pp. 528-29).<br />

121


cont<strong>in</strong>uità e un legame fra l’uomo civile e quello primitivo, trapela dalle pag<strong>in</strong>e del Ramo<br />

d’Oro ed è riconosciuta dallo stesso autore che a più riprese nota come le somiglianze che tra<br />

l’uomo moderno e il selvaggio siano superiori alle di<strong>vers</strong>ità. L’<strong>in</strong>tera cultura civile moderna è<br />

derivata ed è legata a quella primitiva: “Parallelamente all’immag<strong>in</strong>e di un mondo pervaso da<br />

forze spirituali, il selvaggio ha una concezione di<strong>vers</strong>a, e forse anche più antica, nella quale<br />

possiamo <strong>in</strong>dividuare il germe della concezione moderna delle leggi naturali” 409 . Anche se i<br />

“punti di contatto” erano studiati da Frazer come un passaggio dell’evoluzione occidentale<br />

<strong>vers</strong>o la civiltà, il loro r<strong>in</strong>venimento fu importante per molti degli scrittori modernisti che si<br />

fecero rapire dalle conseguenti suggestioni che tali argomentazioni possono far scaturire.<br />

Conrad, uno degli autori che probabilmente fu maggiormente <strong>in</strong>fluenzato dagli studi di<br />

Frazer, <strong>in</strong>serisce nella prefazione de La follia di Almayer, un’ulteriore complicazione del<br />

concetto di “legame” fra uomo moderno e primitivo entrando <strong>in</strong> polemica con quanti<br />

vedevano nell’evoluzione modernista del concetto di selvaggio un vero affronto alla morale<br />

civile e al buon gusto borghese:<br />

Ed esiste un legame tra noi e quella umanità così lontana. Parlo di uom<strong>in</strong>i e di donne – non dei graziosi<br />

<strong>in</strong>cantevoli fantasmi che si aggirano nel nostro fango e nel fumo e, pallidi, riflettono lo splendore delle nostre<br />

virtù; che sono dotati di ogni raff<strong>in</strong>atezza, ogni sensibilità, ogni saggezza – ma, non essendo che dei fantasmi,<br />

non hanno un cuore. […] Io mi accontento di simpatizzare con i comuni mortali, dovunque essi vivano; <strong>in</strong> case o<br />

<strong>in</strong> capanne, nelle vie sommerse nella nebbia, o <strong>in</strong> foreste oltre la l<strong>in</strong>ea nera di s<strong>in</strong>istre mangrovie che orlano la<br />

vasta solitud<strong>in</strong>e del mare. […] I loro cuori – come i nostri – devono sostenere il fardello dei doni celesti: la<br />

maledizione degli eventi e la felicità delle illusioni, l’amaro della saggezza e l’<strong>in</strong>gannevole consolazione della<br />

nostra follia 410 .<br />

Questo senso di cont<strong>in</strong>uità, questo legame, come lo <strong>def</strong><strong>in</strong>isce Conrad, tra l’uomo civile e<br />

l’uomo primitivo si svela ricco di implicazioni: per Conrad il selvaggio rappresenta uno<br />

spunto di ricerca nella speranza di acquisire una conoscenza che travalichi le categorie,<br />

ritenute non più adeguate, imposte dalla civiltà moderna; per un evoluzionista come Frazer il<br />

selvaggio è motivo di perenne tensione nella consapevolezza di non poter tenere a bada una<br />

natura umana che prepotentemente ribolle dal profondo. Le ricerche comparate che Frazer<br />

sviluppa nel suo testo portano alla luce come le pratiche primitive siano ancora presenti <strong>in</strong><br />

buona parte della popolazione rurale europea:<br />

Non è nostro compito considerare qui quale impatto la permanente esistenza di un tale sordido strato di barbarie<br />

sotto la superficie sociale, immune dai mutamenti epidermici di religioni e culture, potrà avere sul futuro<br />

dell’umanità. L’osservatore distaccato, i cui studi lo hanno condotto a sondarne le profondità, non può vedere <strong>in</strong><br />

essa se non una m<strong>in</strong>accia permanente per la civiltà. E’ come se ci muovessimo su una crosta sottile che, da un<br />

momento all’altro, può frantumarsi a causa delle forze sotterranee sopite sotto di essa. Di quando <strong>in</strong> quando, un<br />

cupo brontolio dal sottosuolo, o una fiamma che divampa improvvisa nell’aria, rivelano quanto sta accadendo<br />

sotto i nostri piedi 411 .<br />

Nelle pag<strong>in</strong>e di Frazer il legame tra l’uomo civile e l’uomo primitivo è dunque considerato<br />

tragicamente. La natura selvaggia dell’uomo è ancora lì, sotto il primo strato della coscienza<br />

civile ed è lontano dal poter essere rimosso <strong>def</strong><strong>in</strong>itivamente. L’uomo moderno convive<br />

dunque con questo “altro da sé” così come l’<strong>in</strong>tera sua società civile vive <strong>in</strong> simbiosi con lo<br />

spettro delle sue orig<strong>in</strong>i arcaiche. Questo substrato è, <strong>in</strong> tutti i casi presente e vivo,<br />

probabilmente anche più reale delle costruzioni artificiali moderne. Robert Hampson<br />

409 James Frazer, Il Ramo d’oro, cit. p. 30.<br />

410 Joseph Conrad, La follia di Almayer, Bompiani, Milano 1994, p. 6.<br />

411 J. Frazer, Il Ramo d’oro, cit. p. 80.<br />

122


considera l’opera di Conrad <strong>in</strong>teramente condotta su questo conf<strong>in</strong>e dove, il lato “nascosto”<br />

viene considerato come più fruttuoso e ricco di implicazioni di quello civile:<br />

Indeed, the "heart of darkness" can be read as precisely that "solid layer of savagery beneath the surface of<br />

society" to which Frazer refers. Conrad's novella is more than just a piece of anti-colonial reportage: work<strong>in</strong>g<br />

across that aspect of the text is an <strong>in</strong>terrogation of the cont<strong>in</strong>uity between the "primitive" and the "civilised".<br />

This is true not only for Kurtz, who goes <strong>in</strong>to Africa believ<strong>in</strong>g <strong>in</strong> the white man's civilis<strong>in</strong>g mission, only to<br />

experience "the awaken<strong>in</strong>g of forgotten and brutal <strong>in</strong>st<strong>in</strong>cts". It is also true for Marlow, who frankly<br />

acknowledges his "remote" k<strong>in</strong>ship" with "the night of first ages" and is prepared to recognise that the African<br />

drums have "as a profound a mean<strong>in</strong>g as the sound of bells <strong>in</strong> a Christian country" . Indeed, Marlow asserts that<br />

this "layer of savagery" represents the "truth" concealed or denied by European society [...]. The narrative<br />

structure also embodies this view: what seems, at the outset, an opposition between the Thames and the Congo<br />

ends as an equation 412 .<br />

Il romanzo Cuore di Tenebra sarebbe dunque giocato sullo sviluppo delle coppie contrastive.<br />

Tale sviluppo sarebbe a sua volta basato sulla dialettica primitivo-civile. Questo schema<br />

compositivo è una delle applicazioni più proprie ed <strong>in</strong>teressanti legate al tema del<br />

primitivismo <strong>in</strong> epoca moderna. E’ uno schema che si ripropone <strong>in</strong> molti romanzi modernisti<br />

e che verrà rielaborato, come abbiamo potuto constatare, anche da Pavese.<br />

Conrad è probabilmente l’autore di area <strong>in</strong>glese che più si avvic<strong>in</strong>a ai materiali antropologici<br />

proposti da Frazer ma il Ramo d’oro <strong>in</strong>fluenzò profondamente un’<strong>in</strong>tera generazione di<br />

scrittori così come constata Giuseppe Cocchiara per il quale il mito del primitivismo ha avuto<br />

un notevole rilievo nell'ambito della recente storia letteraria. Per Cocchiara è di fondamentale<br />

importanza, proprio per l'<strong>in</strong>fluenza che esercitò sugli scrittori, proprio il libro di Frazer capace<br />

di agire non solo a livello contenutistico ma anche a livello formale per la ricchezza di<br />

suggestive e misteriose immag<strong>in</strong>i che seppe collezionare nel suo libro: “Il Golden Bough e, <strong>in</strong><br />

genere, gli studi di etnologia hanno dato <strong>in</strong>dubbiamente una nuova vita alla poetica<br />

dell'immag<strong>in</strong>e-poesia-racconto” 413 . Nell’ambito degli studi di antropologia Frazer è dunque lo<br />

studioso che decretò la nuova posizione del selvaggio nella storia: “Non il barbaro da una<br />

parte ed il civile dall'altra, ma l'uno <strong>in</strong> funzione dell'altro; il barbaro e l’uomo civile come<br />

appartenenti alla stessa umanità <strong>in</strong> camm<strong>in</strong>o” 414 . Per Frazer, studioso da tavol<strong>in</strong>o, il selvaggio<br />

andava rivalutato alla luce delle rassomiglianze con l’uomo moderno. In questo senso Frazer<br />

si <strong>in</strong>teressò di etnologia, folklore e civiltà classiche. Frazer si avvic<strong>in</strong>a nella sua ricerca al<br />

Vico per il quale “la storia non è e non resta morta notizia di un morto passato, ma si<br />

trasforma <strong>in</strong> vivente esperienza del nostro presente” 415 . Per Bell la vera importanza<br />

dell’apporto dell’antropologia fu quella di fornire gli scrittori modernisti del metodo della<br />

comparazione culturale che sfociava a sua volta <strong>in</strong> un relativismo assoluto che rimetteva <strong>in</strong><br />

gioco tutte le categorie di pensiero del mondo occidentale. Lo sviluppo dell’antropologia e del<br />

modernismo letterario furono dunque due processi paralleli:<br />

The effect of such scientific material is not that the primitivist work of literature becomes an anthropological,<br />

scientific thesis but that it acquires a new and sub<strong>vers</strong>ive freedom of perspective. The range of attitudes and<br />

imag<strong>in</strong>ative modes exemplified by the writers considered <strong>in</strong> this study may be associated with the fact that they<br />

almost all make use of anthropological knowledge without the <strong>in</strong>termediary of a recognised primitivist<br />

convention. The common factor <strong>in</strong> so many of these works is their anguished exploration of a dilemma rather<br />

than the conventionalized exposition of an established position and this consciously heuristic emphasis <strong>in</strong> the use<br />

of the primitivist motif is an attitude that parallels the rise of anthropology 416 .<br />

412 Robert Hampson, Frazer and Conrad, contenuto <strong>in</strong> Robert Fraser, Sir James Frazer and the literary<br />

imag<strong>in</strong>ation, essays <strong>in</strong> aff<strong>in</strong>ity and <strong>in</strong>fluence, Macmillian, London, 1990, pp. 71-177.<br />

413 Giuseppe Cocchiara, L’eterno selvaggio, S.F. Flaccovio Editore, Palermo, 1972, p. 283.<br />

414 Ivi, p. 135.<br />

415 Ivi, p. 138.<br />

416 M.Bell, Primitivism, cit. p. 69.<br />

123


Il primitivismo nell’epoca del modernismo rappresenta dunque una tendenza, una nuova<br />

sensibilità derivata dal romanticismo e dagli studi antropologici e psicanalitici. Non si<br />

potrebbe mai <strong>def</strong><strong>in</strong>ire una scuola e questo, nelle pag<strong>in</strong>e di Bell, sembra essere veramente un<br />

fattore positivo nel momento <strong>in</strong> cui si riconosce la circolazione di un determ<strong>in</strong>ato tipo di<br />

materiale da cui più scrittori att<strong>in</strong>sero a piene mani per proporre soluzioni estremamente<br />

personali. Il primitivismo sembra potersi <strong>def</strong><strong>in</strong>ire come una tendenza diffusa presso gli<br />

<strong>in</strong>tellettuali tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima del Novecento. Quella del selvaggio<br />

diviene una figura ricorrente nell’arte moderna e proprio nel suo aspetto vago, non codificato,<br />

<strong>in</strong> grado di far capol<strong>in</strong>o ovunque, f<strong>in</strong> anche nelle pag<strong>in</strong>e di un Nietzsche preso a disegnare i<br />

caratteri del suo Dioniso.<br />

L’evoluzione del motivo del selvaggio si avvalse di un ulteriore apporto rappresentato dagli<br />

studi di psicologia. Il concetto di “altro” si era già da tempo sviluppato <strong>in</strong> ulteriori direzioni<br />

che potremmo <strong>def</strong><strong>in</strong>ire più <strong>in</strong>timistiche. Il riconoscimento dell’altro come una proiezione del<br />

sé stesso è un difatti altro topos letterario 417 . L’idea di un’identità “frammentata”, come<br />

caratteristica propria dell’uomo moderno, trovò particolare vigore presso i simbolisti francesi,<br />

<strong>in</strong> particolar modo Laforgue e Rimbaud il quale riassunse la questione nel celebre motto: “Io è<br />

un altro”. L’eredità dei simbolisti fu raccolta da quelli scrittori del modernismo che<br />

rappresentarono artisticamente questo “altro” attra<strong>vers</strong>o l’<strong>in</strong>contro con un personaggio che<br />

agiva al di fuori del conf<strong>in</strong>e semiotico del loro spazio di provenienza. D. H. Lawrence già nel<br />

1914 spiegava nelle sue lettere come non fosse più attuale la concezione di un “io” stabile e<br />

unitario. Il vero “io” agisce piuttosto <strong>in</strong> un'altra dimensione rispetto a quella del reale ed<br />

affiora dalle profondità dell’<strong>in</strong>conscio. E’ una dimensione dell’essere che va r<strong>in</strong>venuta<br />

attra<strong>vers</strong>o il superamento delle categorie imposte dalla civiltà moderna. Il modello del<br />

Dioniso elaborato da Nietzsche fornì una rappresentazione poetica a queste istanze nella sua<br />

rivalutazione dell’ist<strong>in</strong>to e degli aspetti irrazionalistici e vitali dell’esistenza. Le teorie di<br />

Nietzsche trovarono un parallelo <strong>in</strong> quelle di Freud che avallò l’equazione fra l’<strong>in</strong>conscio<br />

dell’essere umano e il selvaggio. Questa equazione rappresenta un motivo ricorrente <strong>in</strong> molta<br />

letteratura modernista. Lotman riconosce nell’<strong>in</strong>teriorizzazione del selvaggio una<br />

caratteristica specifica della cultura moderna: “La cultura del XX secolo nel suo <strong>in</strong>sieme ha<br />

creato il suo barbaro sottoforma d’<strong>in</strong>conscio, ponendo il conf<strong>in</strong>e fra cultura e non cultura<br />

all’<strong>in</strong>terno dell’<strong>in</strong>dividuo” 418 . Il selvaggio diviene la rappresentazione del subcosciente ancora<br />

non corrotto dall’educazione civile occidentale. L’uomo primitivo disegnato da Freud<br />

risponde, come quello di Nietzsche, alle sollecitazioni dell’ist<strong>in</strong>to e si sente essenzialmente<br />

libero dalle costrizioni e dalle regole artificiali della civiltà moderna al f<strong>in</strong>e di privilegiare ed<br />

assecondare il “pr<strong>in</strong>cipio di piacere”. Nel saggio, di gusto etnologico, Totem e Taboo, Freud<br />

isolò dei tratti caratteristici dell’essere primitivo riscontrabili ancora nell’uomo moderno.<br />

Come F. J. Hoffman ha sottol<strong>in</strong>eato nel suo Freudianism and the literary m<strong>in</strong>d (1957), i<br />

risultati degli studi di Freud seguirono la stessa sorte degli studi di antropologia e vennero<br />

utilizzati dagli scrittori come riserva di materiali da costruzione per le loro opere. Le<br />

caratteristiche primitive che l’uomo moderno possiede ancora, <strong>in</strong>vestigate da Freud, non<br />

furono <strong>in</strong>terpretate come s<strong>in</strong>tomi delle nevrosi contemporanee ma come veri e propri<br />

salvacondotti <strong>vers</strong>o le parti più remote e obliate della personalità umana:<br />

417 L’esempio di De Maistre è essenziale. Il protagonista del racconto che <strong>in</strong>traprende il viaggio all’<strong>in</strong>terno di una<br />

cella <strong>in</strong> cui è isolato, <strong>in</strong>contra l’”altro” all’<strong>in</strong>terno di sé stesso. Questo personaggio r<strong>in</strong>venuto quasi casualmente<br />

nell’ambito di un viaggio mentale è descritto come un vero e proprio selvaggio, dalle caratteristiche animalesche.<br />

Il protagonista è <strong>in</strong>capace di dare una spiegazione di questo mostro r<strong>in</strong>venuto così come non sarà più <strong>in</strong> grado,<br />

dalla scoperta del buio della sua orig<strong>in</strong>e <strong>in</strong> poi, di dare un significato all’<strong>in</strong>tera propria esistenza.<br />

418 J. M. Lotman, La Semiosfera, cit. pp. 138-145.<br />

124


Primitive beliefs and practices rather than be<strong>in</strong>g regarded as neuronic manifestations take on the positive<br />

importance of giv<strong>in</strong>g access to the most ancient and hidden parts of the personalità. Psychology <strong>in</strong> general then<br />

endorses that <strong>in</strong>ternazionalization of the primitive state that we have seen to be characteristic of modern or postromantic<br />

primitivism 419 .<br />

Gli scrittori modernisti att<strong>in</strong>sero a piene mani dal serbatoio della psicanalisi per i loro lavori.<br />

Pavese fu particolarmente attratto dalle teorie psicoanalitiche e <strong>in</strong> special modo su come<br />

queste potessero mediare tra il livello dell’<strong>in</strong>fanzia e quello del selvaggio. La lettura del libro<br />

di A Begu<strong>in</strong>, L’ame romantique et le reve, sull’equivalenza fra l’<strong>in</strong>fanzia, l’<strong>in</strong>conscio e la<br />

verità è di particolare importanza per la formazione dello scrittore. Nel Maggio del 1941<br />

Pavese scrive una serie di note a riguardo riportando il motivo dell’<strong>in</strong>fanzia all’<strong>in</strong>terno del suo<br />

uni<strong>vers</strong>o mitico:<br />

Il gusto di K. P. Moritz (scrittore discusso da Begu<strong>in</strong>) per i RICORDI DELL’INFANZIA è un modo di ritrovare<br />

testimonianze di uno stato anteriore alla vita che nell’<strong>in</strong>fanzia è ancora fresco e lascia tracce. Rappresenta cioè la<br />

fuga non soltanto dal reale contemporaneo, ma dal reale <strong>in</strong> blocco.[…] Così si cercano i SOGNI non soltanto<br />

come fuga dalla realtà diurna, ma come appiglio a una prenatale esperienza. Così si anela a immedesimarsi NEL<br />

TUTTO che appare come realtà prenatale 420 .<br />

L’<strong>in</strong>fanzia entra nello stesso gioco di rapporti tra l’orig<strong>in</strong>ario, il selvaggio, la campagna.<br />

Anche <strong>in</strong> questo caso, l’<strong>in</strong>fanzia è <strong>in</strong>terpretata come un’età mitica, fuori dal tempo, la mitica<br />

genesi dell’essere umano: “L’<strong>in</strong>fanzia non conta naturalisticamente, ma come occasione al<br />

bat<strong>tesi</strong>mo delle cose, bat<strong>tesi</strong>mo che ci <strong>in</strong>segna a commuo<strong>vers</strong>i davanti a ciò che abbiamo<br />

battezzato” 421 . La formulazione delle teorie psicanalitiche riguardo le caratteristiche del<br />

selvaggio e i suoi rapporti con la civiltà occidentale furono da subito accostate agli studi<br />

sull’<strong>in</strong>fanzia, argomento privilegiato dalla psicanalisi e soprattutto da Freud. Per Guglielmi c'è<br />

anche un parallelo da porre tra il mondo delle orig<strong>in</strong>i e il mondo onirico: “il mondo del sogno<br />

è il mondo del caos, <strong>in</strong>fernale-div<strong>in</strong>o, immobile e turb<strong>in</strong>oso [...] al contrario il mondo della<br />

veglia è il mondo dell'apparenza e dell'<strong>in</strong>certezza” 422 . La connessione tra selvaggio e<br />

bamb<strong>in</strong>o, <strong>in</strong> quanto uomo ancora non educato, si rende sempre più manifesta. Tale<br />

connessione si esplicita <strong>in</strong> un appunto di Pavese che come prima aveva legato lo sviluppo<br />

dell’arte moderna al motivo del selvaggio, allo stesso modo la lega ora alle tematiche relative<br />

all’<strong>in</strong>fanzia, visto come stato pre-civile dell’uomo, primitivo appunto:<br />

L’arte moderna è – <strong>in</strong> quanto vale – un ritorno all’<strong>in</strong>fanzia. Suo motivo perenne è la scoperta delle cose, scoperta<br />

che può avvenire, nella sua forma più pura, soltanto nel ricordo dell’<strong>in</strong>fanzia.[…] E <strong>in</strong> arte si esprime bene<br />

soltanto ciò che fu assorbito <strong>in</strong>genuamente. Non resta, agli artisti, che rivolgersi e ispirarsi all’epoca <strong>in</strong> cui non<br />

erano ancora artisti, e questa è l’<strong>in</strong>fanzia 423 .<br />

Ma è <strong>in</strong> questa ulteriore capacità di simboleggiare l’immemoriale, il pre-conscio (“selvaggio<br />

è il superato dalla coscienza” 424 ), che la campagna trova un ulteriore importante sviluppo.<br />

Discutendo di Feria d’Agosto, raccolta di saggi che rappresentano la vera e propria stesura<br />

della poetica dell’autore, Gioanola <strong>in</strong>troduce il concetto di <strong>in</strong>fanzia <strong>in</strong>serendolo nel<br />

419 M.Bell, Primitivism, cit. p. 70.<br />

420 C. Pavese, Il Mestiere di Vivere, 22 Maggio 1941, cit. p. 224.<br />

421 Ivi, 15 Giugno 1943, cit. p. 255.<br />

422 G.Guglielmi La prosa italiana del Novecento, Tra romanzo e racconto, cit. p. 124.<br />

423 C. Pavese, Il Mestiere di Vivere, 12 Febbraio 1942, cit. p.233.<br />

424 Ivi, 23 Agosto 44, p. 289.<br />

125


complesso di relazioni che sott<strong>in</strong>tendono l’<strong>in</strong>tero uni<strong>vers</strong>o mitico pavesiano: “Siamo già<br />

nella dimensione del mito, e mitica è la sostanza dei ricordi dell’<strong>in</strong>fanzia e della campagna<br />

perché si presenta come immobile, sottratta al tempo, eternamente fissata come valore<br />

costitutivo della coscienza” 425 . L’idea di Pavese sembra quella di voler legare <strong>in</strong> una rete,<br />

geometricamente irregolare, i vari elementi del suo uni<strong>vers</strong>o mitico, stabilendo una serie di<br />

corrispondenze e di rimandi <strong>tesi</strong> alla costruzione di un centro nevralgico da cui far scaturire<br />

la poesia. E’ un rapporto che Musumeci, all’<strong>in</strong>terno dello spazio mitico, <strong>in</strong>dica <strong>in</strong>staurarsi<br />

proprio tra l’età <strong>in</strong>fantile dell’uomo e quella dell’umanità: “Il locus unicus è il luogo<br />

dell’<strong>in</strong>fanzia come risulta modellato nella memoria e dagli eventi che vi ebbero luogo <strong>in</strong><br />

pr<strong>in</strong>cipio.[…] L’unicità del luogo dell’<strong>in</strong>fanzia deriva dal fatto che esso è il depositario del<br />

selvaggio” 426 . Cocchiara, discutendo del concetto di unità della personalità, mette <strong>in</strong> risalto<br />

come il selvaggio sia simbolo di una personalità dissociata. Sul discorso dell'<strong>in</strong>dividualità<br />

primitiva Cocchiara estrae un passaggio da Ame primitive 427 :<br />

Un <strong>in</strong>dividuo per complesso che sia ha per carattere primordiale ed essenziale l'unità. Se non possedesse<br />

quest'unità non sarebbe più un <strong>in</strong>dividuo, ma un complesso di <strong>in</strong>dividui. Tuttavia, presso il primitivo, il<br />

sentimento <strong>in</strong>teriore e vivace della propria persona, non si accompagna del pari con il concetto rigoroso<br />

dell'unità <strong>in</strong>dividuale. Non soltanto le frontiere dell'<strong>in</strong>dividualità permangono vaghe e imprecise, dato che le<br />

appartenenze all'<strong>in</strong>dividuo, il suo duplicato, la sua immag<strong>in</strong>e, il suo riflesso si identificano <strong>in</strong> lui; [...] L'<strong>in</strong>dividuo<br />

non è se stesso che a condizione di essere un altro da se stesso. Sotto questo aspetto, lungi dall'essere uno, come<br />

noi lo concepiamo, è ancor uno e più <strong>in</strong>sieme 428 .<br />

Il motivo dell’<strong>in</strong>contro con le forze oscure della natura e dell’uomo per mezzo del contatto<br />

con il “primitivo” è basilare alla composizione di Cuore di Tenebra (1902). Kurtz è colui che,<br />

ritiratosi dalla vita civile, si trova <strong>in</strong>trappolato nella reviviscenza degli ist<strong>in</strong>ti più brutali e<br />

delle passioni più selvagge. L’orrore di questa scoperta è per Conrad <strong>in</strong>descrivibile attra<strong>vers</strong>o<br />

il l<strong>in</strong>guaggio codificato della società moderna. La conoscenza di questo processo di<br />

“r<strong>in</strong>venimento” può esclusivamente essere visuale. La riscoperta del se stesso attra<strong>vers</strong>o il<br />

confronto con l’elemento primitivo avviene sullo sfondo del buio delle orig<strong>in</strong>i e del mistero<br />

della natura umana così come spiega Tra<strong>vers</strong>:<br />

The darkness that is the self-as-other cannot be described, but only <strong>in</strong>voked <strong>in</strong> metaphors, which will perhaps<br />

speak to the <strong>in</strong>itiated, but will rema<strong>in</strong> to others (such as Kurtz’s fiancèe) forever <strong>in</strong>accessible. In Conrad’s story,<br />

the conventional self, sociable, practical and rational, confronts its opposite <strong>in</strong> <strong>in</strong>credulity and <strong>in</strong>comprehension.<br />

But the two realms of reason and unreason are <strong>in</strong>timately, if obscurely connected, Conrad leaves us little doubt,<br />

evok<strong>in</strong>g <strong>in</strong> the f<strong>in</strong>al words of his tale that “tranquil waterway” which allows light and darkness to flow, quite<br />

literally, <strong>in</strong>to one another 429 .<br />

L’<strong>in</strong>contro con l’ “altro” diviene dunque anche e soprattutto un nuovo modo di rapportarsi a<br />

se stesso, un nuovo modo per comprendere la natura dell’uomo moderno occidentale così<br />

come aveva notato George Eliot r<strong>in</strong>tracciando l’Africa nera di Conrad nel cuore<br />

dell’Inghilterra. E’ un <strong>in</strong>contro che può avvenire con il selvaggio che è “altro”, il contad<strong>in</strong>o<br />

delle Langhe ne rappresenta un prototipo, ma anche con il selvaggio che è il “sé stesso”.<br />

425 E. Gioanola, Cesare Pavese, La realtà, l’altrove, il silenzio, cit. pp. 14-15.<br />

426 A. Musumeci, L’impossibile ritorno La fisiologia del mito <strong>in</strong> Cesare Pavese, cit. p. 75.<br />

427 Le teorie che successivamente espresse C. G. Jung riguardo l’uomo arcaico e sui residui che l’uomo civile<br />

<strong>in</strong>delebilmente possiede di questo suo antico antenato resero ancora più importante il ruolo che la psicoanalisi<br />

svolse nei confronti degli <strong>in</strong>tellettuali modernisti mentre il ruolo di mediatore tra istanze della psicanalisi e<br />

istanze dell’antropologia fu giocato da Levy-Bruhl.<br />

428 Levy-Bruhl, Ame Primitive, contenuto <strong>in</strong> G. Cocchiara, L’eterno selvaggio, cit. p. 181.<br />

429 M.Tra<strong>vers</strong>, An <strong>in</strong>troduction to modern European Literature-from Romanticism to Postmodernism, cit. p. 118.<br />

126


L’<strong>in</strong>contro con il selvaggio avviene, <strong>in</strong> quanto <strong>in</strong>contro con il proibito e il rimosso, a questo<br />

duplice livello. Pavese sembra poter r<strong>in</strong>venire tracce di selvaticità <strong>in</strong> ognuno dei personaggi<br />

ivi compreso il protagonista che <strong>in</strong>augura la sua esperienza conoscitiva proprio <strong>in</strong> virtù di<br />

questo tragico riconoscimento. Il selvaggio è dunque “tragico” e non “pittoresco” come<br />

Pavese ebbe a dire nel Mestiere di Vivere. Per lo scrittore la figura del selvaggio si svela,<br />

prima di tutto, promettente di implicazioni filosofiche ed artistiche. La sua aspirazione è<br />

quella di poter sfruttare artisticamente la sua potenzialità simbolica: “Il selvaggio ti <strong>in</strong>teressa<br />

come mistero, non come brutalità storica. Non ti piacciono le storie partigiane o terroristiche,<br />

sono troppo spiegabili. Selvaggio vuol dire mistero, possibilità aperta” 430 . Non è un<br />

atteggiamento casuale. Pavese traccia un’evoluzione ideale dell’arte moderna <strong>in</strong>torno a questo<br />

motivo e tenta di elaborare una posizione <strong>in</strong>dividuale che lo rapporti alla grande corrente<br />

artistica del Novecento:<br />

L’arte del Novecento batte tutta sul selvaggio. Prima come argomenti (Kipl<strong>in</strong>g, D’Annunzio ecc.), poi come<br />

forma (Joyce, Ricasso ecc.). Leopardi con le illusioni poetiche giovanili ha vagheggiato questo selvaggio, come<br />

forma psicologica. Anderson, a modo suo, ha toccato questo selvaggio, nella naturalità della vita del Centroovest.<br />

Tutto ciò che ti ha colpito <strong>in</strong> modo creativo nelle letture, sapeva di questo (Nietzsche col suo Dioniso…).<br />

Con la scoperta dell’etnologia sei giunto a storicizzare questo selvaggio. […] Il selvaggio t’<strong>in</strong>teressa come<br />

mistero, non come brutalità storica. Non ti piacciono le storie partigiane o terroristiche, sono troppo spiegabili.<br />

Selvaggio vuol dire mistero, possibilità aperta 431 .<br />

430 C. Pavese, Il Mestiere di Vivere, 10 Luglio 1947, p. 335.<br />

431 Ivi, 10 Luglio 1947, p. 334.<br />

127


3.3 Nudismo e sacrifici umani<br />

Nel cielo chiaro, sulle canne, la falce bianca<br />

della luna dava un’aria magica, emblematica<br />

al giorno. Perché c’è un rapporto tra i corpi<br />

nudi, la luna e la terra? (Cesare Pavese, Il<br />

Diavolo sulle coll<strong>in</strong>e)<br />

Il selvaggio diviene dunque il mezzo della risalita, il mezzo del ritorno, “possibilità aperta”.<br />

Attra<strong>vers</strong>o l’<strong>in</strong>contro con l’altro si stabiliscono, all’<strong>in</strong>terno della narrazione modernista, una<br />

serie di rimandi <strong>tesi</strong> a mettere il protagonista della vicenda di fronte all’enigma del proprio<br />

essere. L’altro diviene se stesso nel momento <strong>in</strong> cui il protagonista, proveniente dal mondo<br />

civile, dalla città, si mette a confronto con un antagonista proveniente dal mondo barbaro<br />

della campagna. E’ <strong>in</strong> questo specifico confronto che l’uomo civilizzato discerne le tracce del<br />

proprio essere all’<strong>in</strong>terno di se stesso. I personaggi di Pavese si trovano spesso di fronte a<br />

questo altro-se stesso che <strong>in</strong>nesca un processo di risalita <strong>vers</strong>o l’orig<strong>in</strong>ario. Eppure questo<br />

processo non si <strong>in</strong>nesca esclusivamente con l’<strong>in</strong>contro con un altro essere umano. Proprio per<br />

la sua postulata orig<strong>in</strong>aria appartenenza all’elemento naturale, il personaggio pavesiano si<br />

trova spesso a confronto con il selvaggio che egli stesso è. Ad <strong>in</strong>nescare questo ritorno basta<br />

un viaggio nella campagna <strong>in</strong>contam<strong>in</strong>ata, un corso d’acqua, il sole. Il personaggio,<br />

riconoscendosi parte di quella natura, avvia un percorso che lo porta direttamente nell’orbita<br />

del selvaggio dionisiaco. E’ questo uno degli sviluppi più orig<strong>in</strong>ali del selvaggio pavesiano<br />

che trova corrispondenze <strong>in</strong> certo modernismo letterario.<br />

Il motivo del nudismo appare estremamente funzionale all’espressione delle tematiche del<br />

ritorno e del selvaggio dionisiaco. E’ un motivo sovente utilizzato da Pavese che non ebbe<br />

difficoltà, <strong>in</strong> un appunto datato 1 Dicembre 1949, ad ammetterne la derivazione lawrenciana:<br />

“Scoperto l’altra sera quanto mi abbia plasmato la lettura di Sun e The woman who rode away<br />

di Lawrence (’36 – 37?)”. Sun, l’epoea lawrenciana del nudismo, ebbe dunque un <strong>in</strong>flusso<br />

prem<strong>in</strong>ente sullo sviluppo di questo motivo <strong>in</strong> Pavese che seppe comunque sviluppare aspetti<br />

personali ed orig<strong>in</strong>ali nei suoi scritti.<br />

Alla base del tema del nudismo, così presente nell’opera di Pavese, c’è senz’altro la riscoperta<br />

del corpo. E’ una riscoperta che r<strong>in</strong>traccia nel ritorno alla dimensione corporale tutta una serie<br />

di possibilità conoscitive che la ragione non sembra più poter offrire nell’epoca della<br />

modernità. Il corpo diviene un mezzo di conoscenza del reale <strong>in</strong> un momento <strong>in</strong> cui la ragione<br />

non sembra più essere <strong>in</strong> grado di fornire risposte adeguate alle domande degli <strong>in</strong>tellettuali<br />

modernisti. Il ritorno ad una conoscenza corporale è, <strong>in</strong> prima istanza, una necessità di<br />

stabilire nuove forme di apprendimento e nuove forme di comunicazione. La riscoperta del<br />

corpo implica un ritorno <strong>vers</strong>o forme di conoscenza obliate, soppresse ad un certo punto della<br />

storia della civiltà occidentale. Il ritrovamento del corpo obliato è un’ulteriore operazione di<br />

anamnesi, un recupero di categorie conoscitive <strong>in</strong>debitamente sottratte all’uomo. Anche <strong>in</strong><br />

questo caso si potrebbe postulare un ritorno <strong>vers</strong>o una dimensione obliata della nostra<br />

esistenza. Il corpo nudo diviene dunque un simbolo. E’ il simbolo del ritorno alla terra e del<br />

recupero di remote forme di conoscenza. Il personaggio spogliato dei suoi vestiti troverà, o si<br />

limerà a cercare, una nuova forma di comunicazione con la natura che, <strong>in</strong> molti casi, evolverà<br />

<strong>in</strong> simbiosi. Saranno <strong>in</strong> tutti i casi, procedimenti di r<strong>in</strong>venimento tragico. A differenza<br />

dell’immediata comunione che il personaggio lawrenciano di Juliet trova con gli elementi<br />

naturali, i personaggi di Pavese vivono spesso la possibilità di simbiosi <strong>in</strong> maniera tragica<br />

demarcando l’elemento di crisi dell’uomo moderno di fronte alla possibilità di un ritorno alla<br />

terra. Nel suo essere simbolo, il corpo nudo trova un riferimento privilegiato nel selvaggio.<br />

Proprio il selvaggio è colui che, non conoscendo l’utilizzo dei vestiti, rappresenta una<br />

128


possibilità vivente del contatto dell’uomo con la natura. Lo sviluppo del tema prevede, <strong>in</strong><br />

prima istanza, la riscoperta di una dimensione corporale e, <strong>in</strong> seconda istanza, la ricerca di una<br />

comunicazione con l’elemento naturale.<br />

Il motivo della corporalità, alla base del tema del nudismo, aveva avuto numerose<br />

teorizzazioni nell’ambito del dibattito modernista. Nietzsche fu tra i primi ad <strong>in</strong>sistere su<br />

questo motivo percependone la plausibilità e le forti implicazioni simboliche. Il corpo si pone,<br />

da subito, nella riflessione di Nietzsche come antagonista della coscienza. L’io moderno,<br />

<strong>in</strong>trappolato nella sua coscienza, trova, nella sapienza corporale, un degno simbolico<br />

av<strong>vers</strong>ario. Il corpo diviene simbolo della conoscenza preculturale dell’uomo, degli ist<strong>in</strong>ti<br />

oppressi, della vita naturale perduta. Il corpo, conf<strong>in</strong>ato ed imprigionato “<strong>in</strong> una orgogliosa e<br />

illusoria coscienza, lontano dal viluppo delle <strong>in</strong>teriora, dal rapido flusso del sangue, dai<br />

nascosti brividi delle fibre” 432 , diviene il simbolo di tutto ciò che l’uomo ha perduto. Il corpo,<br />

nel suo essere terra, simboleggia anche l’essere stesso, essere obliato e rimosso dalle<br />

coscienze moderne. In questa lontananza ontologica il selvaggio dionisiaco rappresenta una<br />

nuova possibilità. Il superamento dell’<strong>in</strong>dividualità moderna per un ricongiungimento ad una<br />

primordiale unità è simboleggiato dall’azione di Dioniso e dalla sua comunione con gli<br />

elementi della natura. Si stabilisce dunque un parallelo tra la crisi dell’uomo moderno e la<br />

speranza di cui si fa portatore il selvaggio dionisiaco. Il dionisiaco rappresenta la riscoperta<br />

degli impulsi vitali serbati <strong>in</strong>delebilmente nel profondo della coscienza dell’uomo: “L’uomo,<br />

nelle sue forze più alte e nobili, è tutto natura […]” 433 . La funzione propria di Dioniso è<br />

dunque quella di rimettere <strong>in</strong> contatto l’uomo con la natura così come si spiega nella Nascita<br />

della Tragedia:<br />

Con l’<strong>in</strong>canto del dionisiaco non solo si r<strong>in</strong>salda il legame fra uomo e uomo: anche la natura estraniata, nemica o<br />

soggiogata, celebra nuovamente la sua festa di conciliazione con il proprio figlio perduto, l’uomo. Liberamente<br />

offre la terra i suoi doni e pacificamente si avvic<strong>in</strong>ano i feroci animali delle rocce e dei deserti. Con fiori e<br />

ghirlande è coperto il carro di Dioniso: sotto il suo giogo avanzano la pantera e la tigre 434 .<br />

E’ questo il percorso, <strong>in</strong>dicato da Nietzsche attra<strong>vers</strong>o il quale anche l’uomo moderno, per<br />

quanto contam<strong>in</strong>ato e sotto molti aspetti perduto, può riguadagnare un contatto con la<br />

“misteriosa unità orig<strong>in</strong>aria” 435 . Il processo alla civiltà e alla cultura moderna è serrato da<br />

parte del filosofo tedesco. La crisi della modernità è tutta <strong>in</strong> quel fenomeno del nichilismo<br />

ripetutamente prospettato da Nietzsche che altro non è che la percezione della decadenza e la<br />

previsione del collasso di tutta la cultura della modernità. Gli stessi modi della conoscenza<br />

moderna sono av<strong>vers</strong>ati dal filosofo e sono propriamente gli elementi da cui l’uomo deve<br />

fuggire per ritrovare se stresso e la sua natura: “La punta della sapienza si rivolta contro il<br />

sapiente: la sapienza è un delitto contro la natura” 436 . La riscoperta del corpo può condurre<br />

l’uomo al ricongiungimento con la sua terra. Questo processo implica un ritorno e un<br />

r<strong>in</strong>venimento. La riscoperta del corpo, per molti <strong>in</strong>tellettuali modernisti e per lo stesso cesare<br />

Pavese, si configurò come un crogiolo di significati che si esprimevano con la potenza del<br />

simbolo. Il ritorno alla natura attra<strong>vers</strong>o il r<strong>in</strong>venimento delle tracce dell’essere per mezzo<br />

della nudità del corpo umano, metteva implicitamente <strong>in</strong> discussione molti tratti della cultura<br />

moderna e ne prendeva le distanze. La ragione non poteva più porsi come strumento di<br />

conoscenza e comunicazione mentre nuova fiducia veniva data all’ist<strong>in</strong>to e alla componente<br />

irrazionale dell’uomo. E’ qui <strong>in</strong> gioco buona parte della crisi dell’<strong>in</strong>dividualità nel mondo<br />

moderno. L’<strong>in</strong>dividualità, <strong>def</strong><strong>in</strong>ita nei term<strong>in</strong>i di razionalità e coscienza, subisce un attacco<br />

432<br />

Friedrich Nietzsche, Verità e menzogna <strong>in</strong> senso extramorale, Newton Compton Editori, Roma, 1991, p. 94.<br />

433<br />

Ivi, p. 86.<br />

434<br />

F. Nietzsche, La nascita della tragedia, cit. p. 122.<br />

435 Ivi, p. 123.<br />

436 Ivi, p. 146.<br />

129


deciso da coloro i quali, a seguito di Nietzsche, ne postulavano l’<strong>in</strong>adeguatezza e la<br />

decadenza. L’uomo si trova ora di fronte a un altro grande <strong>in</strong>terlocutore che non sia la<br />

ragione: si trova di fronte al proprio corpo. Nel Così parlò Zarathustra, Nietzsche offre una<br />

esemplare s<strong>in</strong><strong>tesi</strong> di questo processo e di come il motivo della riscoperta del corpo si leghi alla<br />

crisi dell’<strong>in</strong>dividualità moderna:<br />

Il corpo è una grande ragione, una pluralità con un solo senso, una guerra ed una pace, un gregge e un pastore.<br />

Strumento del tuo corpo è anche la tua piccola ragione, fratello, che tu chiami spirito, un piccolo strumento e<br />

zimbello della tua grande ragione. Io dici e sei orgoglioso di questa parola. Ma la cosa più grande – cui non vuoi<br />

credere – è il tuo corpo e la sua grande ragione; questa non dice io ma fa da io.[…] Dietro i tuoi pensieri e<br />

sentimenti, fratello, sta un potente sovrano, un saggio sconosciuto – si chiama Se stesso. Abita nel tuo corpo, è il<br />

tuo corpo. C’è più ragione nel tuo corpo che nella tua migliore saggezza. E chissà mai perché il tuo corpo ha<br />

bisogno proprio della tua miglior saggezza? 437<br />

Le implicazioni filosofiche delle teorie di Nietzsche riguardo la “conoscenza corporale”<br />

furono recepite appieno da molti scrittori modernisti. Pavese ne da una sua personale<br />

<strong>in</strong>terpretazione f<strong>in</strong> dall’esordio poetico così come nota Gioanola <strong>in</strong> relazione a Lavorare<br />

Stanca. Gioanola nota come Pavese acquisisca la conoscenza del mondo, <strong>in</strong> questa prima<br />

raccolta poetica, attra<strong>vers</strong>o i sensi. Il mondo si percepisce e si conosce attra<strong>vers</strong>o il gusto,<br />

l’olfatto, i sapori. Il corpo, f<strong>in</strong> dall’esordio poetico dello scrittore, ha un ruolo di primo piano<br />

tra le sue composizioni:<br />

Corpo come soggetto, grammaticale o logico, significa sensorialità della conoscenza, con il filtraggio di tutti gli<br />

aspetti della realtà attra<strong>vers</strong>o la griglia dei sensi.[…] Siamo <strong>in</strong> pieno clima di oralità e il tramite privilegiato del<br />

contatto tra il soggetto e la realtà è costituito proprio da questi term<strong>in</strong>i nell’identificazione orale, per cui il<br />

mondo conosciuto <strong>in</strong> quanto è mangiato, appartiene al soggetto <strong>in</strong> quanto <strong>in</strong>corporato e contiene il soggetto <strong>in</strong> un<br />

contatto pelle a pelle che annulla ogni <strong>in</strong>dividuabilità.[…] E tutto implica, come <strong>in</strong> tutti i miti, sospensione del<br />

tempo, così che il matt<strong>in</strong>o, questo spazio senza conf<strong>in</strong>i di lavorare stanca, diventa luogo dell’abolizione di ogni<br />

prassi (tutto si ferma e matura), secondo l’andamento tipico di questo realismo, pieno di cose ma privo di<br />

avvenimenti 438 .<br />

Gioanola <strong>in</strong>serisce la riscoperta della dimensione corporale e i temi del nudismo all’<strong>in</strong>terno<br />

del fenomeno del nichilismo di cui parla Nietzsche. Il corpo diviene il simbolo del sapere<br />

orig<strong>in</strong>ario, della comunicazione <strong>in</strong>corrotta, della comunione con la natura e, nell’ambito di<br />

questa simbologia, si oppone alla decadente cultura della modernità. Così come postulava<br />

Nietzsche, al corpo si ritorna e <strong>in</strong> questo ritorno si r<strong>in</strong>viene l’orig<strong>in</strong>ario perduto. Per Gioanola,<br />

l’aggettivo nudo è uno dei term<strong>in</strong>i chiave della prima raccolta di Pavese:<br />

Il corpo è strumento privilegiato delle identificazioni <strong>in</strong> quanto, dentro la cultura, parla ancora il l<strong>in</strong>guaggio della<br />

natura, non conosce i limiti conoscitivi della razionalità per causas, partecipa alla circolazione degli umori, delle<br />

l<strong>in</strong>fe, delle voglie proprie della vita animale e vegetale.[…] il contrasto natura-cultura è spesso <strong>in</strong>dicato <strong>in</strong><br />

Lavorare stanca e <strong>in</strong> tutta l’opera, dalle metafore del contrasto tra essere nudi/essere vestiti.[…] L’abito, <strong>in</strong> certo<br />

senso, abolisce il corpo perché serve all’identificazione sociale, ai ruoli della vita adulta, alla costituzione dell’io<br />

<strong>in</strong> quanto <strong>in</strong>dividuo 439 .<br />

437 Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Newton Compton Editori, Roma, 1980, pp. 24-25.<br />

438 E. Gioanola, Cesare Pavese, la realtà, l’altrove, il silenzio, cit. pp. 80-82.<br />

439 Ivi, pp. 82-83.<br />

130


Proprio la crisi dell’io, espressa a più riprese nell’ambito delle produzioni artistiche della<br />

modernità, assurge a sbocco privilegiato del simbolismo legato al nudo e al corpo.<br />

L’<strong>in</strong>dividuo, nella ricerca della comunione con la natura, r<strong>in</strong>uncia alla sua personale<br />

<strong>in</strong>dividualità per entrare <strong>in</strong> contatto con il tutto che lo circonda. E’ questo uno sviluppo di<br />

Lavorare Stanca di cui Gioanola elenca i motivi ricorrenti: “[…] ritualistica della nudità, del<br />

corpo annerito dal sole, della solitud<strong>in</strong>e e della comunione con la terra.[…] Il corpo annerito,<br />

appunto, è tramite all’annullamento dei soggetti e ai conseguenti rispettivi rapporti” 440 . La<br />

centralità del motivo <strong>in</strong> Pavese è testimoniata dal protrarsi delle riflessioni per tutta l’attività<br />

dello scrittore. Gioanola può r<strong>in</strong>tracciare un percorso di formazione riguardo l’approccio a<br />

queste tematiche:<br />

[…]il corpo e la corporeità, che si connotano ambivalentemente tra Lavorare Stanca e Paesi Tuoi nel gioco di<br />

attrazione e repulsione per la campagna, sentita prevalentemente come il selvaggio, il pre-umano (mentre la città<br />

è punto d’arrivo, luogo della maturità e della coscienza), assumono a partire da Feria d’Agosto valore nettamente<br />

positivo e configurano i term<strong>in</strong>i di una ricerca dell’autenticità, nel sovrapporsi di campagna e <strong>in</strong>fanzia e nel<br />

configurarsi di questa, <strong>in</strong> prospettiva memoriale, come ambito della verità orig<strong>in</strong>aria, dell’essere autentico, della<br />

felicità. Per questo il rito ambiguo della blackness tende a perdere le connotazioni negative, di concessione al<br />

selvaggio e al proibito, e si fa ritrovamento della compiutezza esistenziale e ontologica 441 .<br />

Il tema del nudismo è r<strong>in</strong>tracciabile <strong>in</strong> un altro importante racconto del 1941, <strong>in</strong>titolato La<br />

Famiglia, che costituirà lo spunto per la composizione de La casa <strong>in</strong> coll<strong>in</strong>a. Corrad<strong>in</strong>o, il<br />

protagonista, occupa le sue giornate estive recandosi <strong>in</strong> campagna dove, nascosto da una fitta<br />

vegetazione, prende il sole sul greto di un fiume <strong>in</strong> una parte dove si formava un ristagno.<br />

L’ambientazione naturale è messa al confronto con il corpo nudo del protagonista che si<br />

annerisce ed irrobustisce sotto i raggi del sole: “Ben presto il suo corpo com<strong>in</strong>ciò ad<br />

abbronzare, e ciò gli pareva desse un senso a quelle giornate, come la muda di certe bestie dà<br />

un senso alle loro stagioni” 442 . Il paragone fra l’uomo e l’animale, nella fattispecie il rimando<br />

più immediato è al rettile che cambia la pelle, non è casuale. Così come l’animale trova un<br />

senso nel cambiare la pelle mano a mano che le stagioni si alternano, così anche il<br />

protagonista spera di r<strong>in</strong>venire nell’abbronzatura, il suo cambio di pelle, un senso alla sua<br />

esistenza turbata. La ricerca di un senso nell’ambito della riscoperta della dimensione del<br />

corpo e della natura, è decisamente legata al tema del nudismo. Il riferimento alla situazione<br />

esistenziale del protagonista, attra<strong>vers</strong>o la descrizione del corpo abbronzato, è immediato. Il<br />

rapporto si chiarisce nelle righe immediatamente seguenti quando Pavese stabilisce le<br />

coord<strong>in</strong>ate esistenziali <strong>in</strong> cui l’esperienza di Corrad<strong>in</strong>o va posta: “Ma la muda di quell’anno –<br />

mi disse sovente – gli pareva qualcosa di più che un’igiene: era un ritorno, un ripiegamento su<br />

se stesso, condizione attiva di qualche avvenimento che lui sentiva imm<strong>in</strong>ente” 443 . Il motivo<br />

del ritorno, che Gioanola <strong>in</strong>dividua come “la figura fondamentale dei libri pavesiani della<br />

maturità” 444 , trova dunque uno sviluppo privilegiato all’<strong>in</strong>terno del tema del nudismo. Il<br />

motivo del ritorno, che <strong>in</strong> molti romanzi modernisti avviene sullo sfondo di una natura<br />

simbolica che vede spesso fiumi scorrere a ritroso e animali totemici accostarsi all’uomo, si<br />

associa, anche <strong>in</strong> questo caso, ai flussi di memoria. Il nudismo può dunque simboleggiare<br />

440<br />

Ivi, p. 84.<br />

441<br />

Ivi, p. 89.<br />

442<br />

Cesare Pavese, La Famiglia, contenuto <strong>in</strong> C. Pavese, Racconti, cit. p. 370.<br />

443<br />

Ibidem.<br />

444<br />

E. Gioanola, Cesare Pavese, la realtà, l’altrove, il silenzio, cit. p. 89.<br />

131


anche il ritorno al preculturale, all’<strong>in</strong>fanzia, “a un desiderio di solitud<strong>in</strong>e antico” 445 : ”La<br />

solitud<strong>in</strong>e dei salici gli dava una specie d’orgoglio, un bisogno di fare il vuoto <strong>in</strong>torno a sé,<br />

che non aveva più provato dagli anni dell’adolescenza. – Invece di <strong>in</strong>vecchiare, ridivento<br />

ragazzo, - mi disse” 446 .<br />

Anche questo racconto è colmo di riferimenti etnologici di frazeriana memoria. Il protagonista<br />

si rapporta ai salici attra<strong>vers</strong>o la comune solitud<strong>in</strong>e, ma il salice è anche un albero<br />

estremamente importante fra le culture primitive ed è al centro di discreta attenzione da parte<br />

di Frazer. Conducendo studi fra le popolazioni della Transilvania e del Giappone, Frazer nota<br />

come il salice sia sempre associato alla fertilità delle donne. Le donne <strong>in</strong>c<strong>in</strong>te caucasiche lo<br />

implorano per avere un buon parto mentre presso gli A<strong>in</strong>u giapponesi si chiedeva il dono della<br />

gravidanza: “Sembra anche che le donne sterili mangiassero del vischio per riuscire ad avere<br />

figli: il più efficace era il vischio che cresceva sul salice, ritenuto dagli A<strong>in</strong>u un albero<br />

particolarmente sacro” 447 . Corrad<strong>in</strong>o prende il sole sotto il salice, vi si sdraia <strong>in</strong> prossimità ed<br />

acquisisce il colore della terra, diventa tutt’uno con la natura. Potrebbe <strong>in</strong> questo senso<br />

diventare lui stesso il vischio che rende feconde le donne. L’ipo<strong>tesi</strong> è sostenuta dal proseguo<br />

della storia che vede Corrad<strong>in</strong>o scoprire di aver messo <strong>in</strong>c<strong>in</strong>ta una donna.<br />

Nel romanzo La Spiaggia, i temi del nudismo e della nerezza si sviluppano <strong>in</strong>torno al<br />

personaggio di Clelia. Il lettore è al cospetto di un paesaggio mediterraneo, arido, colmo di<br />

sole e mare <strong>in</strong> cui la pianta dell'olivo primeggia fra le altre. La dimensione della spiaggia è<br />

lontana rispetto a quella della coll<strong>in</strong>a da cui il narratore proviene. Clelia, nella sua comunione<br />

con il paesaggio, detiene i segreti del mito mar<strong>in</strong>o da sempre agognato da Pavese. La sua<br />

abbronzatura, messa <strong>in</strong> risalto dall’autore è il simbolo di questa comunione. Il tema del<br />

nudismo è, <strong>in</strong> questo romanzo, appena accennato ma è comunque <strong>in</strong>teressante registrare<br />

questo passaggio evolutivo della scrittura di Pavese che si svelerà, di lì a poco, ricco di<br />

implicazioni e sviluppi:<br />

Di giorno sulla spiaggia era un’altra cosa. Si parla con una strana cautela quando si è sem<strong>in</strong>udi: le parole non<br />

suonano più nello stesso modo, a volte si tace e sembra che il silenzio schiuda da se parole ambigue. Clelia<br />

aveva un modo estatico di godersi il sole stesa sulla roccia, di fondersi con la roccia e appiattirsi al cielo,<br />

rispondendo appena con un sussurro, con un sospiro, con un sussulto del g<strong>in</strong>occhio o del gomito, alle brevi<br />

parole di chi le fosse accanto. Mi accorsi ben presto che, stesa così, Clelia non ascoltava veramente nulla.[...] Ma<br />

non si era mai soli. Tutta la spiaggia brulicava e vociava- per questo Clelia alla sabbia di tutti preferiva gli scogli,<br />

la pietra dura e sdrucciolevole. Nei momenti che si rialzava, scuotendo i capelli <strong>in</strong>tontita e ridente, ci chiedeva di<br />

che cosa avevamo parlato, guardava che c'era 448 .<br />

Da questa descrizione si ricava subito l’idea di aver varcato una dimensione. Siamo già <strong>in</strong> un<br />

altro campo semantico dove le stesse parole, come sottol<strong>in</strong>ea l’autore, hanno un significato<br />

differente da quello consueto. Allo stesso modo, Clelia non recepisce le parole che gli altri<br />

dicono. La comunione estatica che si stabilisce con il luogo è dunque profonda ed è attivata<br />

dal corpo sem<strong>in</strong>udo che diviene un tutt’uno con le rocce su cui è steso. La caratteristica<br />

pr<strong>in</strong>cipale di Clelia sembra essere quella di sapersi <strong>in</strong>serire nell’ambiente naturale fatto di<br />

scogli, di sole e di mare. Clelia, che preferisce appartarsi su uno scoglio, sembra <strong>in</strong> grado di<br />

compenetrare e farsi compenetrare dall’elemento naturale che con gentilezza, e al contempo<br />

decisione, si re-impadronisce del suo corpo. La comunione estatica che si stabilisce con la<br />

natura ribadisce il valore del corpo sem<strong>in</strong>udo di Clelia che si configura come vero strumento<br />

di ritorno. Il racconto <strong>in</strong>titolato Nudismo, <strong>in</strong>serito <strong>in</strong> Feria d’Agosto, è forse quello <strong>in</strong> cui il<br />

445<br />

C. Pavese, La Famiglia, cit. p. 372.<br />

446<br />

Ivi, p. 371.<br />

447<br />

J. Frazer, Il ramo d’oro, cit. p. 727.<br />

448<br />

Cesare Pavese, La spiaggia, contenuto <strong>in</strong> C. Pavese, Tutti i romanzi, cit. p. 111.<br />

132


tema è più sviluppato e che si avvic<strong>in</strong>a all’ispirazione di Sole di Lawrence. L’<strong>in</strong>cipit di questo<br />

racconto è altamente significativo e racchiude <strong>in</strong> sè molte delle successive implicazioni del<br />

tema:<br />

Son tornato al torrente dove venivo quest’<strong>in</strong>verno, e come succede <strong>in</strong> quest’ore calde mi è venuta l’idea di<br />

mettermi nudo. Non mi vedevano che gli alberi e gli uccelli. Il torrente è <strong>in</strong>cassato <strong>in</strong> uno spacco della<br />

campagna. Se si ha un corpo, tanto vale esporlo al cielo. Le radici che sporgono dalla parete, sono nude 449 .<br />

Gli elementi f<strong>in</strong>o ad ora sottol<strong>in</strong>eati, come tipici dello sviluppo di questo tema, sono presenti<br />

già dalle primissime righe. Pavese <strong>in</strong>troduce per prima cosa l’idea del “ritorno”. Per denudarsi<br />

bisogna andare <strong>in</strong> un luogo appartato, selvatico, lontano dagli occhi <strong>in</strong>discreti. Ma questo<br />

andare non è mai un semplice andare. Al contrario l’accento è posto sul ritorno. E’ un andare<br />

che significa prima di tutto tornare. Ci troviamo <strong>in</strong>somma, già dalla seconda parola del<br />

racconto, proiettati nella dimensione mitica del “viaggio a ritroso”.<br />

L’ambientazione selvatica, fuori dal mondo civile e proiettata <strong>vers</strong>o lo spazio mitico di un<br />

giard<strong>in</strong>o dell’Eden, è <strong>in</strong>trodotta attra<strong>vers</strong>o l’immediato riferimento agli uccelli e agli alberi<br />

che sono gli unici testimoni dello svestimento. Pavese <strong>def</strong><strong>in</strong>isce da subito lo spazio mitico<br />

della sua contemplazione e stabilisce un parallelo tra il corpo e le radici che sporgono dalle<br />

pareti. Corpo e radici sono nudi. Il corpo è nudo come una radice. Il corpo è una radice. Lo<br />

scrittore riscopre, attra<strong>vers</strong>o una serie di analogie, il suo stesso appartenere alla terra e come<br />

l’antico contatto sia, anche se per brevi momenti, riprist<strong>in</strong>abile: “Mi bagnai nella pozza, dove<br />

disteso toccavo fondo. E’ un’acqua tiepida, che sa di terra. Di tanto <strong>in</strong> tanto ci tornavo; cocevo<br />

al sole tutto il tempo, buttato sull’erba, scorrendomi addosso le stille come sudore. Non<br />

sapevo più di carne ma d’acqua e terra” 450 . Il ritorno <strong>in</strong> una dimensione di unità orig<strong>in</strong>aria è<br />

un percorso mitico che si <strong>in</strong>traprende a ritroso, lungo il fiume della memoria dell’uomo, per<br />

riscoprire la possibilità di riprist<strong>in</strong>are un contatto con la natura e r<strong>in</strong>venire tracce dell’essere<br />

obliato. Lo scrittore cerca un’immedesimazione nel contatto con la natura. L’essere nudo<br />

offre la possibilità di ritornare ad una unità orig<strong>in</strong>aria. Anche nel seguente passaggio il<br />

simbolo del serpente è presente. Nell’ambito dell’unità orig<strong>in</strong>aria, lo scrittore è <strong>in</strong> grado di<br />

identificarsi anche con il rettile che la tradizione biblica ha demonizzato: “Ogni volta che<br />

stendo sull’erba le mie lunghe gambe e rovescio la nuca, so che il sole mi vede e mi fruga<br />

quale sono dalla testa ai piedi e non c’è nulla di di<strong>vers</strong>o da me a un sasso, a un tronco, a una<br />

biscia screziata, se non appunto il turbamento che provo a mostrarmi” 451 . Gioanola così<br />

<strong>def</strong><strong>in</strong>isce questo processo di anamnesi e le sue implicazioni:<br />

Attra<strong>vers</strong>o il corpo si accede alla terra e si riprist<strong>in</strong>a la comunione con l’antica madre: non per nulla la sequenza<br />

corpo-nudità richiama immediatamente le immag<strong>in</strong>i dell’acqua, del sole, della terra, della coll<strong>in</strong>a. La nudità<br />

procura al corpo la nerezza che è necessaria per il ricongiungimento con la madre, come se la bianchezza della<br />

pelle, che testimonia l’uso dei vestiti, fosse di ostacolo al contatto pelle a pelle 452 .<br />

Eppure l’elemento umano è sempre presente e l’anamnesi dest<strong>in</strong>ata a rimanere <strong>in</strong>completa. In<br />

questo caso l’unica cosa che differenzia lo scrittore dalla natura che lo circonda è proprio quel<br />

“turbamento” dovuto alla bianchezza della sua pelle, marchio di <strong>in</strong>famia di fronte la terra. La<br />

terra, come dice lo scrittore, non sopporta il corpo dell’uomo bianco e lo riveste di sole per riappropriarsene:<br />

“Ormai l’acqua e il sole mi han tornito e velato, e anche <strong>in</strong> questo mi par di<br />

449<br />

Cesare Pavese, Nudismo, contenuto <strong>in</strong> C. Pavese, Feria d’Agosto, cit. p. 159.<br />

450<br />

Ibidem.<br />

451<br />

C. Pavese, Nudismo, cit. p. 160.<br />

452<br />

E. Gioanola, Cesare Pavese, la realtà, l’altrove, il silenzio, cit. pp. 83-84.<br />

133


capire che la natura non sopporta il nudo umano e con tutti i suoi mezzi si sforza, come fa coi<br />

cadaveri, di appropriarselo” 453 . Il divenire abbronzati, significa assumere i colori della terra,<br />

significa tornare a far parte della terra. In questo senso, dopo la riscoperta del corpo nella sua<br />

nuda bellezza, quella dell’abbronzatura diviene un’altra figura molto importante <strong>in</strong> relazione<br />

al tema trattato così come sottol<strong>in</strong>ea Gioanola: “Ma la figura della corporeità dest<strong>in</strong>ata a<br />

maggiore sviluppo nell’opera pavesiana è quella della blackness, della nerezza del corpo che<br />

<strong>in</strong>troduce alla comunione con la terra” 454 . E’ una comunione che si esprime, così come<br />

abbiamo già constatato, attra<strong>vers</strong>o una serie di analogie con gli elementi della natura. Lo<br />

scrittore, divenendo un elemento re<strong>in</strong>tegrato nello spazio e nel tempo mitici naturali, descrive<br />

il suo corpo “nudo come un tronco” e le sue parole “erba e radici”. Ma, <strong>in</strong> questa dimensione<br />

mitica, le parole non servono più. La conoscenza non è razionale, non si ottiene cerebralmente<br />

e non si esprime verbalmente. Al contrario tutto si riduce a sensazioni che si ottengono di<br />

fronte a una materia ricca, caotica e senza nome che, proprio <strong>in</strong> virtù del non essere<br />

battezzata, rivendica la propria orig<strong>in</strong>arietà: “Questa conca è una materia senza nome; bisogna<br />

muo<strong>vers</strong>i, sentirla, toccarla” 455 . E’ un passo importante della critica al mondo che tira <strong>in</strong> ballo<br />

molte delle categorie conoscitive esaltate al tempo della modernità. La conoscenza non si<br />

ottiene razionalmente. La vera conoscenza è quella che si ottiene attra<strong>vers</strong>o tutti i sensi del<br />

corpo umano: “Il corpo è <strong>in</strong>fatti una modalità conoscitiva che condiziona l’approccio di<br />

Pavese alla realtà e qu<strong>in</strong>di è alla base delle scelte l<strong>in</strong>guistiche, tematiche e stilistiche: e<br />

conoscere la realtà attra<strong>vers</strong>o il corpo significa, da un punto di vista psicologico, regredire alle<br />

forme di conoscenza dei primi livelli orali, nell’esaltazione dei sensi primitivi dell’odorato,<br />

dell’udito, del tatto” 456 . Nel momento del ritrovamento dell’unità orig<strong>in</strong>aria si perde, dunque,<br />

il marchio d’<strong>in</strong>famia che la civiltà impone agli <strong>in</strong>dividui. Il primo elemento ad entrare <strong>in</strong><br />

competizione con la natura, nel momento dell’unità con tutti i suoi elementi, è proprio l’io. E’<br />

lo stesso io presente come protagonista pr<strong>in</strong>cipale <strong>in</strong> molti dei romanzi modernisti <strong>in</strong>centrati<br />

sulla crisi dell’<strong>in</strong>dividuo. Nello spazio e nel tempo mitico descritti da Pavese (“Chiudo gli<br />

occhi, e tutta quanta la campagna, le frutte, i viottoli, le coste, i viandanti, riprendono di là<br />

dagli alberi esistenza e spazio, ogni cosa un sentore, un sapore, la sua realtà” 457 ), non c’è<br />

posto per l’io moderno. La riscoperta del corpo porta ad una frattura fra questo e l’io visto<br />

come entità governata dalla ragione. Lo scrittore è ancora ancorato alla sua <strong>in</strong>dividualità ma<br />

ne sente l’<strong>in</strong>sufficienza e la crisi di fronte alla forza delle orig<strong>in</strong>i: “Gli strilli e le voci di<br />

uccelli sul mio capo mi dicono che non conto gran che. Qui tutto cont<strong>in</strong>ua come se io non ci<br />

fossi, e dal fondo di questo burrone levando lo sguardo vedo passare qualche nuvola e<br />

stormire le punte degli alberi, quasi tra noi fosse un abisso” 458 . La distanza, fra l’io dello<br />

scrittore e la dimensione mitica <strong>in</strong> cui egli si trova è descritta attra<strong>vers</strong>o la metafora<br />

dell’abisso che è, ancora una volta, di derivazione niciana. Gli elementi simbolici presenti nel<br />

racconto sono numerosi. Quelli riferiti a Dioniso - <strong>in</strong> questo caso bisogna far riferimento sia a<br />

Frazer sia a Nietzsche - primeggiano fra gli altri: “Lo stesso sole che matura le campagne e fa<br />

frutto, e che qui devono nel v<strong>in</strong>o. L’uva annerisce anche coperta dalle foglie. L’importante è<br />

che sotto sia il corpo” 459 . Il v<strong>in</strong>o diviene il simbolo dell’unione con la terra. E’ terra da bere,<br />

liquida come il sangue. La conoscenza della campagna si acquisisce, oltre che attra<strong>vers</strong>o i<br />

sensi, anche attra<strong>vers</strong>o l’<strong>in</strong>corporamento dei suoi frutti. Così come la natura si appropria del<br />

corpo dell’uomo annerendolo, così l’uomo si appropria della natura mangiandola e bevendola.<br />

E’ questo il momento <strong>in</strong> cui la comunione con l’antica madre è <strong>def</strong><strong>in</strong>itivamente consumata e<br />

453 C. Pavese, Nudismo, cit. p. 160.<br />

454 E. Gioanola, Cesare Pavese, la realtà, l’altrove, il silenzio, cit. p. 87.<br />

455 C. Pavese, Nudismo, cit. p. 160.<br />

456 E. Gioanola, Cesare Pavese, la realtà, l’altrove, il silenzio, cit. pp. 79-80.<br />

457 C. Pavese, Nudismo, cit. p. 161.<br />

458 Ivi, p. 160.<br />

459 Ivi, p. 163.<br />

134


si può guardare al tempo storico e allo spazio civile da un’altra dimensione, come se non vi si<br />

appartenesse più. Gioanola nota a riguardo:<br />

Dunque la vera saggezza è quella del corpo, se la conoscenza è ritrovare ciò che si è oralmente <strong>in</strong>corporato; <strong>in</strong><br />

questo senso nulla è significativo di ciò che non è stato assimilato col cibo <strong>in</strong> un tempo mitico, e tutte le<br />

conoscenze successive, la vita <strong>in</strong>tera e la storia e la cultura possono offrire soltanto altezze prospettiche dalle<br />

quali affacciarsi a una ricchezza a cui nulla può essere aggiunto 460 .<br />

La dimensione che occupa lo scrittore non è, però, quella del mito. La contemplazione lo<br />

sp<strong>in</strong>ge a <strong>in</strong>travedere nella campagna e nella pratica del nudismo un’effettiva possibilità di<br />

ritorno alla terra. Ma il racconto si costruisce su una serie di contrasti che rendono evidente<br />

come per l’uomo moderno il ritorno sia precluso; egli può r<strong>in</strong>venire le tracce di un passato<br />

mitico a cui giammai gli sarà concesso di ricongiungersi. La campagna diviene un luogo di<br />

conf<strong>in</strong>e dove l’uomo moderno si scontra con il selvaggio. Il vero essere è, per Pavese,<br />

<strong>in</strong>att<strong>in</strong>gibile nella sua totalità ma è percepibile a momenti, per successive illum<strong>in</strong>azioni, nella<br />

mezza luce della vegetazione. La situazione dello scrittore è essenzialmente tragica. Egli<br />

scopre di non appartenere al mondo della civiltà moderna ma al contempo ogni ritorno è<br />

precluso. Lo spazio lim<strong>in</strong>are della campagna diviene una prigione da cui è impossibile<br />

evadere. Queste sono le righe f<strong>in</strong>ali del racconto:<br />

La campagna è tutt’altro che semplice. Basta pensare quanta gente c’è passata. Ogni riva, ogni macchia ha<br />

veduto qualcosa.[…] Ogni luogo ha un suo nome. E’ qui, <strong>in</strong> questi luoghi selvatici – sovente un cespuglio, una<br />

pietra – che terra e campo sono nudi e si rivelano.[…] Mi chiedo se c’è un fosso, una costa, un pezzo solo di<br />

terra che mani non abbiano scavato o rifatto. Dappertutto è segnato di sguardi e parole umane.[…] Io ogni giorno<br />

ci trovo la vita, ma poi mi stendo, corpo nero, come un morto 461 .<br />

La campagna è dunque imbarbarita dalla civiltà. Ha perso la sua verg<strong>in</strong>ità così come lo<br />

scrittore che, nel suo animo, non trova elementi che non siano stati toccati dalla malattia<br />

dell’umanità. Nella campagna si può dunque trovare la vita e la morte, il puro e l’impuro. Lo<br />

stesso accade per lo scrittore che, all’<strong>in</strong>terno di questa tragica zona lim<strong>in</strong>are, si scopre vivo o<br />

morto a seconda delle tracce che r<strong>in</strong>viene. Questo accentuato contrasto tra ciò che è vivo, e<br />

conduce alla vita, e ciò che è morto, e promette morte, <strong>in</strong>seriscono il racconto di Pavese <strong>in</strong><br />

una dimensione fondamentalmente tragica. La realtà tragica di quella dimensione si svela<br />

nelle ultime righe del romanzo, dopo la descrizione dell’idillio, così come capita <strong>in</strong> Sole di<br />

Lawrence. E’ forse questa una delle caratteristiche che più accomuna le narrazioni del<br />

modernismo letterario. In questo caso si può isolare il fenomeno <strong>in</strong> riferimento al tema del<br />

nudismo ma, descrizioni e situazioni che spesso possono rivelare una matrice romantica,<br />

mancano, <strong>in</strong> ultima analisi, di concludersi nell’espressione di una idealità. Al contrario, per<br />

molte delle narrazioni moderniste, la dimensione tragica dell’esistenza è <strong>in</strong>controvertibile. Il<br />

conflitto, che si esprime nelle composizioni moderniste, è dest<strong>in</strong>ato a rimanere irrisolto. Il<br />

disvelamento della dimensione tragica dell’esistenza appare essere una priorità di molti<br />

scrittori modernisti che preferiscono <strong>in</strong>terrogare il reale f<strong>in</strong>o al suo collasso piuttosto che<br />

r<strong>in</strong>correre <strong>in</strong>soddisfacenti idealità.<br />

Rispetto al racconto di Lawrence, Nudismo di Pavese presenta un’altra similarità tematica e<br />

strutturale. L’<strong>in</strong>contro con l’altro, il selvaggio, il contad<strong>in</strong>o, essere di terra e di sesso opposto<br />

(una contad<strong>in</strong>a per Pavese, un contad<strong>in</strong>o per Juliet), distante nello spazio e nel tempo. I<br />

460 E. Gioanola, Cesare Pavese, la realtà, l’altrove, il silenzio, cit. p. 94.<br />

461 C. Pavese, Nudismo, cit. p. 165.<br />

135


contad<strong>in</strong>i, che si aggirano nella zona, sono descritti come esseri quasi soprannaturali, esseri di<br />

terra, spiriti dei boschi che ben poco hanno di umano. La descrizione che Pavese da di loro è<br />

molto precisa e significativa:<br />

Ciò che mostrano del corpo è color del tabacco, e perf<strong>in</strong>o la camicia e i calzoni hanno aspetto di terra come<br />

scorza di tronchi. Questa è gente che può tralasciare di mettersi nuda; è già nuda da sé. Quando passo tra loro, mi<br />

pesa il vestito che <strong>in</strong>dosso, mi sento festivo come un bue <strong>in</strong>fiocchettato. Vorrei che sapessero che sotto son nero.<br />

Che, <strong>in</strong>somma, sono nudo 462 .<br />

La contad<strong>in</strong>a che lo scrittore descrive sgorga da una campagna deserta e, allo stesso modo, si<br />

dilegua nella vegetazione. La contad<strong>in</strong>a si aggira nella campagna senza nessuna meta<br />

apparente e viene descritta come div<strong>in</strong>ità silvana: “Era grande, una sposa, con un fascio di<br />

frasche sul fianco” 463 . La contad<strong>in</strong>a non dimostra alcun <strong>in</strong>teresse nei confronti dello scrittore<br />

che sottol<strong>in</strong>ea come, probabilmente, ella abbia <strong>in</strong>terpretato la nudità del suo corpo come<br />

“come una cosa naturale”. La contad<strong>in</strong>a, pure essendo vestita, è un’immag<strong>in</strong>e di nudità ancor<br />

più potente di quella dello scrittore che nota subito questo particolare importante: “Era<br />

scalza” 464 .<br />

Il tema del nudismo cont<strong>in</strong>ua ad essere sviluppato da Pavese nel Diavolo sulle coll<strong>in</strong>e. Anche<br />

<strong>in</strong> questo caso, ulteriore elemento di cont<strong>in</strong>uità, con i racconti precedenti e quello di Lawrence<br />

riguardanti il nudismo, la presenza dell’acqua. Gioanola spiega: “Arrivati alle coll<strong>in</strong>e natie, i<br />

giovani del Diavolo vanno a bagnarsi e ad annerirsi <strong>in</strong> una pozza d’acqua dentro a uno spacco<br />

della terra (è un topos frequentissimo: l’acqua è l’umore profondo, è dentro il grembo della<br />

terra, come la l<strong>in</strong>fa o il sangue che circola sotto la superficie)” 465 . Come abbiamo già avuto<br />

modo di constatare più di una volta i viaggi dei personaggi pavesiani si <strong>in</strong>traprendono per<br />

raggiungere luoghi mitici dove altri ord<strong>in</strong>i di significati sono presenti e riscontrabili.<br />

Nell’ambito della descrizione del viaggio, tutti gli elementi e tutte le azioni si caricano di un<br />

significato simbolico, come riscontrato da Gioanola che osserva: “Attra<strong>vers</strong>o il corpo è dato<br />

entrare nella dimensione mitica, cogliendo rapporti <strong>in</strong>editi tra le cose e impadronendosi di un<br />

analogismo che comb<strong>in</strong>a colori, odori, sapori, sensazioni tattili nell’orig<strong>in</strong>arietà della<br />

condizione <strong>in</strong>fantile […]” 466 . In questo uni<strong>vers</strong>o di simboli ritornanti è dato scorgere svariate<br />

figure topiche. Il simbolo del serpente è ancora presente <strong>in</strong> questo romanzo e si associa,<br />

ancora una volta, al mito biblico della Genesi. Il serpente, <strong>in</strong> forma di biscia, fa la sua<br />

apparizione già nel primo capitolo del libro dove è descritto come essere sotterraneo, che si<br />

nasconde all’avanzare del civile: “[…] le bisce sono ridotte sottoterra e hanno paura di chi<br />

passa. L’odore che regna è la benz<strong>in</strong>a. Dov’è più la campagna che piacerebbe a voialtri?” 467 .<br />

L’idea della perdita di un paradiso terrestre è associata a quella dell’avanzamento della civiltà.<br />

Il nudismo, che i protagonisti praticano, ridesta l’immag<strong>in</strong>e biblica del peccato orig<strong>in</strong>ale: “-<br />

Ma nudo, -disse Oreste,- nel pantano ci stai? Confessai che ci stavo, ma col fiato <strong>in</strong> gola. -Mi<br />

sembra di fare un peccato, -ammisi,- forse è bello per questo” 468 .<br />

Una delle direttrici pr<strong>in</strong>cipali nella struttura narrativa de Il Diavolo sulle coll<strong>in</strong>e appare essere<br />

la condizione della vita moderna di cui si riconosce, come proprio sviluppo, l’<strong>in</strong>sanabile<br />

dicotomia tra peccato orig<strong>in</strong>ale e <strong>in</strong>nocenza umana. Se Poli sarà il personaggio che più<br />

462<br />

Ivi, p. 162.<br />

463<br />

Ivi, p. 163.<br />

464<br />

Ibidem.<br />

465<br />

E. Gioanola, Cesare Pavese, la realtà, l’altrove, il silenzio, cit. p. 90.<br />

466<br />

Ivi, p. 91.<br />

467<br />

Cesare Pavese, Il Diavolo sulle coll<strong>in</strong>e, contenuto <strong>in</strong> Cesare Pavese, La bella estate, E<strong>in</strong>audi, Tor<strong>in</strong>o, 1949, p.<br />

96.<br />

468 Ivi, p. 146.<br />

136


appresenterà la dimensione nichilistica della vita moderna (“La vita è debolezza e<br />

peccato” 469 ), ai tre giovani, riguardo i quali la critica è d’accordo nell’<strong>in</strong>dividuare tre aspetti e<br />

caratterizzazioni differenti di una medesima <strong>in</strong>dividualità, è lasciata la possibilità di risolvere<br />

la dicotomia peccato-<strong>in</strong>nocenza (“Disse Pieretto: - Discorsi importanti. L’<strong>in</strong>nocenza e la<br />

libera scelta” 470 ) e la speranza di un possibile ritorno. Il segno dell’<strong>in</strong>famia, l’abbronzatura del<br />

busto e l’esclusione delle parti <strong>in</strong>time, è ancora <strong>in</strong>dice di questa situazione peccam<strong>in</strong>osa:<br />

- Facci vedere l’ombelico, - disse Oreste. Scostai per gioco la c<strong>in</strong>ghia dei calzoni, mostrando una striscia di<br />

ventre pallido. Quelli sghignazzarono e urlarono: - L’<strong>in</strong>fame! Anche lui! Si capisce! – Sei ancora segnato, -<br />

ghignò Pieretto <strong>in</strong> quel suo modo sputacchiante. Verrai nel pantano anche tu. Qui non si hanno riguardi. Al sole<br />

non si deve nascondere niente 471 .<br />

La pratica del nudismo si configura qu<strong>in</strong>di come un rituale capace di riportare i giovani<br />

all’<strong>in</strong>izio dei tempi, <strong>in</strong> una dimensione mitica, e cancellare il peccato orig<strong>in</strong>ario che pesa sulla<br />

loro esistenza. Si assiste quasi all’<strong>in</strong>nescarsi di un processo irre<strong>vers</strong>ibile per cui il protagonista<br />

è trasc<strong>in</strong>ato dai suoi compagni <strong>vers</strong>o un ritorno alle orig<strong>in</strong>i dell’esistenza umana. Così<br />

Musumeci mette <strong>in</strong> relazione gli elementi f<strong>in</strong>o ad ora osservati denotando come il tema del<br />

nudismo e i motivi della corporeità e della blackness siano parte del processo di ritorno:<br />

Il bianco della pelle significa appartenenza alla città, a ciò che deve essere lasciato; è un segno d’<strong>in</strong>famia.<br />

L’oscuro <strong>in</strong>vece è il colore della campagna, la prova dell’<strong>in</strong>iziazione nella vita di essa. Dato che l’<strong>in</strong>nocenza<br />

pastorale è stata persa per sempre, ed il rapporto tra natura ed uomo s’è fatto cacofonico, la nudità ha acquistato<br />

una connotazione peccam<strong>in</strong>osa, di tabù, di violazione del limite, di vizio. Il ritorno alla coll<strong>in</strong>a, al mito, implica,<br />

f<strong>in</strong>o ad un certo punto, un processo di disumanizzazione, di assorbimento dell’<strong>in</strong>dividualità nell’anonimo<br />

archetipo ed ancestrale, che è evidente nel rito del nero. La nudità postula disponibilità <strong>vers</strong>o la natura,<br />

assimilazione nella natura, la perdita della propria identità per diventar parte del mondo mitico 472 .<br />

I protagonisti <strong>in</strong>dividuano nella ritualità del nudismo il mezzo del ritorno alla dimensione<br />

orig<strong>in</strong>aria. Il sole è un altro simbolo potente dell’uni<strong>vers</strong>o narrativo pavesiano. In questo, e<br />

molti altri casi, è <strong>in</strong>teressante notare come il sole si spogli della simbologia classica che lo<br />

vedeva associato ad Apollo e alla ragione illum<strong>in</strong>ante. Il sole è <strong>in</strong>vece un grande occhio<br />

naturale, elemento purificatore (“Al sole non si deve nascondere niente” 473 ), che guarda e<br />

battezza i personaggi attra<strong>vers</strong>o la nerezza. I protagonisti si recano nella conca dove ristagna<br />

l’acqua. Acqua e sole svolgono una funzione simbolica similare e si associano ai temi della<br />

coll<strong>in</strong>a e del ritorno:<br />

La coll<strong>in</strong>a sovrastante era bella al ritorno […] capii che il piacere dell’acqua e della terra cont<strong>in</strong>ua al di là<br />

dell’<strong>in</strong>fanzia, di là da un orto e da un frutteto. Tutta la vita, pensavo <strong>in</strong> quei matt<strong>in</strong>i, è come un gioco sotto il sole.<br />

[…] Le volte che sudavo sull’acqua, mi restava poi per tutto il giorno il sangue fresco, r<strong>in</strong>vigorito dall’urto col<br />

469 Ivi, p. 206.<br />

470 Ivi, p. 113.<br />

471 Ivi, p. 133.<br />

472 A. Musumeci, L’impossibile ritorno, cit. p. 121.<br />

473 C. Pavese, Il Diavolo sulle coll<strong>in</strong>e, cit. p. 133.<br />

137


fiume. Era come se il sole e il peso vivo della corrente mi avessero <strong>in</strong>triso di una loro virtù, una forza cieca,<br />

gioiosa e sorniona, come quella di un tronco o di una bestia dei boschi 474 .<br />

Il posto dove svolgere il rito del nudismo è scelto con attenzione. E’ un posto isolato, lontano<br />

da sguardi umani, che esprime parimenti una simbologia precisa e che rimanda all’immag<strong>in</strong>e<br />

dello scendere nelle viscere della terra, nel suo cuore e tra i suoi vasi l<strong>in</strong>fatici: “- Che paese, -<br />

diceva Pieretto, - per mettersi nudi bisogna entrare sottoterra” 475 . Il sole svolge la sua azione<br />

annerente dall’alto della conca: “Nelle ore bruciate ci batteva il sole a perpendicolo.[…]<br />

passavano laggiù un’ora o due, nudi come le bisce, a bagnarsi e voltolarsi nel sole dentro la<br />

terra screpolata. Lo scopo era arrostirsi anche l’<strong>in</strong>gu<strong>in</strong>e e le natiche, cancellare l’<strong>in</strong>famia,<br />

annerir tutto” 476 . La dimensione mitica del selvaggio si r<strong>in</strong>traccia attra<strong>vers</strong>o il gioco di<br />

analogie fra corpo umano ed elementi naturali. Anche <strong>in</strong> questo caso i protagonisti vengono<br />

assimilati dalla natura circostante e, nelle ore di sole, divengono parte di quella realtà antica:<br />

“Quel brivido di starcene nudi e saperlo, di nasconderci a tutti gli sguardi, e bagnarci,<br />

annerirci come tronchi, era qualcosa di s<strong>in</strong>istro: più bestiale che umano. Scorgevo nell’alta<br />

parete dello spacco affiorare radici e filamenti come tentacoli neri: la vita <strong>in</strong>terna, segreta<br />

della terra” 477 . La comunione, seppur momentanea, fra i protagonisti e la terra non fa altro che<br />

acuire la percezione della distanza fra loro e il mondo civile che viene percepito come lontano<br />

e di<strong>vers</strong>o: “Era strano pensare di laggiù al mondo <strong>in</strong> alto, alla gente, alla vita” 478 . I giochi<br />

prospettici <strong>tesi</strong> a dare l’impressione della distanza tra il civile e il campagnolo è, d’altra parte,<br />

un leit motiv di questo romanzo. La coll<strong>in</strong>a, altro simbolo già discusso, ne offre una visione<br />

privilegiata: “Tra<strong>vers</strong>ai la stoppia riarsa e li raggiunsi sul cocuzzolo. Sembrava di essere nel<br />

cielo. Ai nostri piedi, impicciolita, era la piazza del paese e una giungla di tetti, di scalette di<br />

pagliai” 479 . Il Diavolo sulle coll<strong>in</strong>e è effettivamente strutturato per mettere <strong>in</strong><br />

contrapposizione differenti gradi dell’evoluzione umana nella campagna 480 . Il luogo dove i<br />

giovani praticano il nudismo è quello più lontano dal civile e segna effettivamente il momento<br />

del ritorno. Mombello (monte bello), come nota Musumeci, è un calco <strong>in</strong> italiano per locus<br />

amoenus, e il rituale del nudismo, qui praticato, non fa che confermarne la connotazione di<br />

luogo mitico, paradiso terrestre: “(Mombello) […] rappresenta uno stato di grazia, la<br />

condizione orig<strong>in</strong>ale antecedente il peccato. Nella visone pastorale c’è un’elim<strong>in</strong>azione<br />

<strong>in</strong>tenzionale di ogni senso di rimorso, ed un’affermazione di <strong>in</strong>nocenza nella felicità” 481 .<br />

Pavese ritorna nuovamente al procedimento dell’assolutizzazione di spazio e tempo per<br />

esprimere la valenza simbolica che tale ritorno implica. Appena arrivato al Greppo, il<br />

protagonista cerca di riprist<strong>in</strong>are la comunione con la natura svolgendo il rito della nudità. Il<br />

protagonista trova un luogo isolato dove riprist<strong>in</strong>are l’armonia con la terra:<br />

Era un ricordo d’altri tempi, forse lassù c’era stata una vigna. Sulla bocca della grotta mi misi nudo e presi il<br />

sole. Dai giorni del pantano non l’avevo più fatto. Mi stupì di trovarmi così nero, quasi nero come gli steli del<br />

capelvenere. Pensai molte cose vagando con gli occhi qua e là. Dalla macchia che chiudeva e riparava la natura<br />

poteva sbucare qualcuno, ma chi? Non le cuoche, non Poli. Gli spiriti delle rupi e dei boschi, forse, o una<br />

bestiola del Greppo – esseri nudi e selvaggi come me. Nel cielo chiaro, sulle canne, la falce bianca della luna<br />

dava un’aria magica, emblematica al giorno. Perché c’è un rapporto tra i corpi nudi, la luna e la terra? 482<br />

474<br />

Ivi, pp. 120-21.<br />

475<br />

Ivi, p. 134.<br />

476<br />

Ibidem.<br />

477<br />

Ivi, p. 137.<br />

478<br />

Ivi, p. 138.<br />

479<br />

Ivi, p. 141.<br />

480<br />

A. Musumeci, L’impossibile ritorno, cit. p. 113.<br />

481<br />

Ivi, p. 119.<br />

482<br />

C. Pavese, Il Diavolo sulle coll<strong>in</strong>e, cit. p. 185.<br />

138


Il paesaggio che c<strong>in</strong>ge la nudità del protagonista diviene vivo, sensibile: “Stamatt<strong>in</strong>a prendevo<br />

il sole alla grotta, e mi pareva che la coll<strong>in</strong>a avesse un sangue una voce, vivesse…” 483 . La<br />

tragedia non tarda però a manifestarsi nel momento <strong>in</strong> cui il ritorno non conduce alla<br />

riconciliabilità dell’uomo con la sua terra e non alimenta la speranza di una mitica età<br />

dell’oro. Questa ricerca a ritroso serve piuttosto a mettere <strong>in</strong> risalto come ogni ritorno sia<br />

tragico e ad approfondire la distanza fra il mondo naturale e quello civile. Musumeci<br />

<strong>in</strong>dividua uno dei temi portanti del libro proprio nella tragicità di questo “impossibile<br />

ritorno”: “La rivelazione ottenuta è che la coll<strong>in</strong>a non è per se salvifica […]. Mombello<br />

rappresenta la visione pastorale. La sezione dedicatagli è molto breve, perché il pastoralismo<br />

come modus vivendi non è più fattibile – l’Età dell’oro non può più essere ricostituita. Esiste<br />

solo come un sogno irrealizzabile, come term<strong>in</strong>e di paragone, come <strong>in</strong>dicazione di una<br />

perdita” 484 . In questo senso il tema del nudismo e del ritorno alla terra non sono postulati<br />

come elementi di una moderna utopia. Essi servono, al contrario, ad isolare, sottol<strong>in</strong>eare ed<br />

alimentare i motivi della crisi esistenzialistica dell’uomo moderno. Il viaggio di ritorno dei<br />

protagonisti, il rituale del nudismo e la comunione riprist<strong>in</strong>ata con la terra non sarebbero altro<br />

che elementi da leggersi <strong>in</strong> relazione al mondo civile. Lo stesso viaggio dei protagonisti<br />

sarebbe basato su questa coscienza della perdita e della distanza così come testimonia<br />

Pieretto: “- Un uomo <strong>in</strong> crisi zappa sempre la terra, - disse Pieretto. – E’ la madre comune,<br />

che non <strong>in</strong>ganna i suoi figli” 485 .<br />

Il Greppo è dunque il luogo della campagna contam<strong>in</strong>ato dalla civiltà e rappresenta, attra<strong>vers</strong>o<br />

le feste tediose che vi hanno luogo, “la celebrazione <strong>in</strong>naturale sulla coll<strong>in</strong>a dei riti della<br />

città” 486 . Il rituale del nudismo non può aver luogo. Pavese esprime il contrasto fra le di<strong>vers</strong>e<br />

dimensioni attra<strong>vers</strong>o la voce di Pieretto:<br />

- Mi piace poco questa p<strong>in</strong>eta, - disse una sera Pieretto avvic<strong>in</strong>andosi con Poli fra i tronchi. – E’ un paese<br />

troppo poco selvatico. Rospi e bisce non se ne trovano. […]<br />

- Era meglio il pantano. Qui nemmeno ci si può mettere nudi. Troppa civiltà. […]<br />

- Ma Poli disse: - Se vuoi metterti nudo, puoi farlo.<br />

- Impossibile - disse Pieretto. – Qui ci si sente troppo civili. [..]<br />

- Il fatto è, - disse <strong>in</strong>caponito Pieretto, - che star nudo come stanno le bestie, non ci riesce nessuno. Mi<br />

domando perché… […]<br />

- Intendiamoci. Vivere nudi, - disse Pieretto. – Non spogliarsi per gioco. […]<br />

- Per me, - disse Poli, -siamo tutti nudi senza saperlo. La vita è debolezza e peccato. La nudità è<br />

debolezza, è come avere una ferita aperta … 487<br />

Si esprime <strong>in</strong> questo passaggio gran parte del significato che Pavese attribuisce al tema del<br />

nudismo. Il rito del nudismo è svolto dai protagonisti per r<strong>in</strong>venire le tracce delle orig<strong>in</strong>i ma il<br />

ricongiungimento con la terra appare impossibile dopo la contam<strong>in</strong>azione del civile. Il rito del<br />

nudismo non esprime una possibilità salvifica ma assume caratteristiche del tutto tragiche.<br />

Nessuno dei protagonisti potrebbe viver nudo come le bestie, ritornare alle proprie orig<strong>in</strong>i e<br />

vivere secondo le leggi della natura. Non di meno quella della nudità, come dice Poli, è una<br />

483 Ivi, p. 187.<br />

484 A. Musumeci, L’impossibile ritorno, cit. pp. 121-22.<br />

485 C. Pavese, Il Diavolo sulle coll<strong>in</strong>e, cit. p. 172.<br />

486 A. Musumeci, L’impossibile ritorno, cit. p. 121.<br />

487 C. Pavese, Il Diavolo sulle coll<strong>in</strong>e, cit. p. 205.<br />

139


ferita aperta. La consapevolezza, anche <strong>in</strong>conscia, di ogni uomo riguardo la propria nudità, lo<br />

porterà alla crisi esistenziale tipica dell’umanità moderna.<br />

Gli sviluppi pavesiani <strong>in</strong>torno al motivo del nudismo presentano similarità agli sviluppi<br />

lawrenciani. Questo motivo rappresenta un importante trait d’union fra i due scrittori.<br />

Similarità tematiche e strutturali sono presenti negli scritti dei due autori. I personaggi<br />

<strong>in</strong>traprendono un viaggio <strong>vers</strong>o luoghi campestri ed appartati dove la loro “civiltà” viene<br />

posta <strong>in</strong> questione. In questi luoghi avviene un processo di anamnesi che porta i protagonisti a<br />

desiderare il riprist<strong>in</strong>o di una comunione con gli elementi naturali. Il gesto dello svestimento<br />

si configura come una precisa volontà di r<strong>in</strong>uncia nei confronti delle sovrastrutture<br />

mistificanti della civiltà moderna. I vestiti offrono quasi l’idea di un velo che viene strappato<br />

dagli occhi dell’osservatore che può f<strong>in</strong>almente riacquistare la visione della madre terra<br />

perduta. E’ <strong>in</strong> questo caso <strong>in</strong>teressante notare come l’atteggiamento di Lawrence sia più<br />

spregiudicato a confronto di quello di Pavese. La nudità dei personaggi di Lawrence esprime<br />

una decisa sensualità e fa del riferimento al sesso un motivo prioritario. I personaggi di<br />

Pavese si spogliano con cautela ed ansia quasi stessero commettendo un nuovo peccato<br />

orig<strong>in</strong>ale nel giard<strong>in</strong>o dell’Eden. Ma questi ritorni rappresentano veramente un rovesciamento<br />

del mito biblico <strong>in</strong> cui lo stesso peccato orig<strong>in</strong>ale viene re<strong>in</strong>terpretato dagli autori. I<br />

personaggi si spogliano del loro abito civile per rientrare nelle grazie della div<strong>in</strong>ità che<br />

avevano abbandonato all’alba dei tempi. Il “sensuale” Lawrence e il “casto” Pavese sembrano<br />

essere consapevoli che è sul campo del mito biblico che si gioca il valore dei rispettivi<br />

racconti riguardanti il nudismo.<br />

Il racconto di Lawrence, Sole, è uno dei racconti che più risentì degli <strong>in</strong>flussi di Frazer e che<br />

più sviluppò gli <strong>in</strong>teressi per il mito e per i simboli da parte dell’autore. Lo stesso sole, il vero<br />

protagonista del racconto, si carica di significati simbolici tratti dallo studio dell’etnologia<br />

<strong>in</strong>trapreso dallo scrittore. Il sole, che gioca un ruolo importante <strong>in</strong> molti dei lavori di<br />

Lawrence, tra cui anche La donna che andò via a cavallo, si lega alla visione mitica<br />

dell’esistenza e alle speranze di r<strong>in</strong>novamento che lo scrittore espresse più volte. Il sole è,<br />

prima di tutto, un simbolo di r<strong>in</strong>novamento capace di riportare sulla terra “un’armonia<br />

cosmica”. E’ un r<strong>in</strong>novamento che agisce a livello <strong>in</strong>dividuale e collettivo, ed implica <strong>in</strong><br />

ultima istanza tutto il creato così come nota Fjagesund: “Here it is not only a personal renewal<br />

of the <strong>in</strong>dividual, but also a renovation of the earth” 488 . Ed è proprio nel r<strong>in</strong>novato rapporto<br />

con la terra, di cui il sole si fa mediatore, che l’uomo può riscoprire il tempo ciclico e<br />

ritrovare se stesso come parte della grande natura. In Fantasia dell’<strong>in</strong>conscio il rapporto tra<br />

<strong>in</strong>dividuo e sole è rappresentato dall’immag<strong>in</strong>e del plesso solare. Vedremo <strong>in</strong> seguito come il<br />

sole abbia la capacità non di far conoscere all’uomo cose nuove ma di risvegliare <strong>in</strong> lui<br />

conoscenze ataviche. Al cospetto del sole l’uomo riacquista la sua antica sapienza, la<br />

consapevolezza dell’orig<strong>in</strong>e che è comunque <strong>in</strong>sita <strong>in</strong> lui, <strong>in</strong>sopprimibile, nella forma di un<br />

plesso solare:<br />

Per primo ed <strong>in</strong>nanzitutto, tu possiedi un plesso solare, caro lettore; ed il plesso solare è un grande centro<br />

nervoso che è situato dietro il tuo stomaco. […] Ora, il tuo plesso solare, gentilissimo tra i lettori, sta dove sei tu.<br />

E’ il primo, il più grande ed il più profondo centro dell’io cosciente. […] Al tuo plesso solare sei conscio <strong>in</strong><br />

modo primario: là, dietro il tuo stomaco. Là possiedi la profonda ed orig<strong>in</strong>aria consapevolezza conscia che sei tu.<br />

[…] Dal plesso solare sai che tutto il mondo è tuo, e che tutto è div<strong>in</strong>o 489 .<br />

Nell’ambito della cosmologia simbolica disegnata da Lawrence <strong>in</strong> questo libro si può dedurre<br />

l’importanza che lo scrittore riservava al sole: “[…] penso che sia giusto dire che noi tutti<br />

488 P. Fjagesund, The apocalyptic world of D. H. Lawrence, cit. p. 76.<br />

489 D. H. Lawrence, Fantasia dell’<strong>in</strong>conscio, cit. p. 33.<br />

140


abbiamo la nostra identità <strong>in</strong>f<strong>in</strong>ita nel sole” 490 . L’esperienza di Juliet, protagonista del<br />

racconto Sole, si configura, dunque, come la narrazione di un’esperienza esistenziale.<br />

L’<strong>in</strong>izio del racconto è <strong>in</strong> città dove Juliet, la protagonista, vive l’oramai classica situazione di<br />

crisi procurata dalla vita nella società moderna. Per Fjagesund la protagonista ricalca uno<br />

stereotipo tipico di Lawrence che è appunto quello del personaggio <strong>in</strong> crisi che abbandona la<br />

società civile per luoghi ai conf<strong>in</strong>i del mondo conosciuto: “Juliet, a typically Lawrentian<br />

ero<strong>in</strong>e suffer<strong>in</strong>g from the deadly burden of civilization, receives a new life from the sun” 491 .<br />

Il racconto di Lawrence <strong>in</strong>izia con la descrizione di una distanza: “-La porti lontano al sole-,<br />

disse il dottore” 492 . Il sole è dunque lontano, fuori dalla città, al riparo dagli sguardi degli<br />

uom<strong>in</strong>i civili. Il sole è lontano come una memoria che da troppo tempo non si richiama alla<br />

mente. La distanza di questo sole è sottol<strong>in</strong>eata da Fjagesund che nota come la sua lontananza<br />

sia equiparata da Lawrence a quella dell’età dell’oro: “The symbol of the sun is like a<br />

memory of that Golden Age […]” 493 . Siamo ancora una volta nel dom<strong>in</strong>io del mito. Il “sole<br />

lontano” non <strong>in</strong>dica esclusivamente un luogo geografico ma anche una dimensione temporale.<br />

Il viaggio che la protagonista <strong>in</strong>traprende è dunque ancora una volta viaggio mitico. E’ un<br />

viaggio, che dopo il simbolico <strong>in</strong>cipit, lo scarno responso del dottore, <strong>in</strong>izia su un fiume, così<br />

come era <strong>in</strong>iziato il viaggio di Marlow <strong>in</strong> Cuore di tenebra. Il fiume Hudson, come un<br />

serpente, sembra <strong>in</strong>filtrarsi negli accessi più remoti della memoria umana:<br />

La nave salpò a mezzanotte […]. Era una notte scura, l’Hudson era gonfio di una pesante oscurità e scosso da<br />

spruzzi di luce che si rovesciavano. Si sporse dal parapetto, e guardando <strong>vers</strong>o il basso, pensò: questo è il mare, è<br />

più profondo di quanto lo immag<strong>in</strong>iamo e ancor più pieno di ricordi. In quel momento il mare parve gonfiarsi<br />

come il serpente del caos che vive per sempre 494 .<br />

Il racconto <strong>in</strong>izia dunque con un notturno. I riflessi di luce sull’acqua rendono visivamente le<br />

squame del serpente a cui è associato il fiume. La luce sembra dunque provenire, a sprazzi,<br />

dal fiume della memoria che la protagonista decide di ripercorrere. L’oscurità <strong>in</strong> cui è calato<br />

l’<strong>in</strong>izio del racconto è ovviamente simbolica. Il camm<strong>in</strong>o di Juliet procederà dall’oscurità<br />

della notte newyorchese alla luce della costa mediterranea: “E per quanto l’Atlantico fosse<br />

grigio come lava, alla f<strong>in</strong>e lei arrivò al sole” 495 . Il percorso disegnato da Lawrence per la sua<br />

ero<strong>in</strong>a la conduce direttamente sulle sponde del Mediterraneo, luogo descritto <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i<br />

mitici come il posto “dove i siculi avevano già bevuto prima dell’arrivo dei greci” 496 . In<br />

questo luogo baciato dal sole, Juliet prova, all’<strong>in</strong>izio della sua permanenza, una sorta di<br />

disagio. E’ <strong>in</strong> questo momento che si <strong>in</strong>troduce il motivo del nudismo: “Fu così che spuntò<br />

segretamente <strong>in</strong> lei il desiderio di andarsene nuda nel sole; ed ella nutrì questo suo desiderio<br />

come un segreto” 497 . La vita di Juliet si struttura <strong>in</strong> funzione del sole. I suoi ritmi vitali si<br />

accordano a quelli della natura: “Dentro di sé pensava al sole <strong>in</strong> tutto il suo splendore, e a<br />

stare con lui. La sua vita ora era tutto un rituale. Si svegliava prima dell’alba per osservare il<br />

grigio che mutava colore e si trasformava <strong>in</strong> pallido oro, per sapere se c’erano nuvole<br />

sull’orizzonte. E si riempiva di felicità quando il sole sorgeva fuso nella sua nudità […]” 498 .<br />

La scoperta di un tempo naturale, scandito dal movimento del sole, e di una condizione fisica<br />

r<strong>in</strong>vigorita, rimandano direttamente alla situazione dell’anima di Juliet:<br />

490<br />

Ivi, p. 132.<br />

491<br />

P. Fjagesund, The apocalyptic world of D. H. Lawrence, cit. p. 76.<br />

492<br />

D. H. Lawrence, Sole, contenuto <strong>in</strong> D.H. Lawrence, Tutti i racconti e i romanzi brevi, Newton Compton<br />

Editori, Roma, 1995, p. 832.<br />

493<br />

P. Fjagesund, The apocalyptic world of D. H. Lawrence, cit. p. 77.<br />

494<br />

D. H. Lawrence, Sole, cit. p. 832.<br />

495 Ibidem.<br />

496 Ivi, p. 833.<br />

497 Ibidem.<br />

498 Ivi, p. 834.<br />

141


Riusciva a sentire il sole che le penetrava f<strong>in</strong> nelle ossa; no, ancora più <strong>in</strong> fondo, f<strong>in</strong>o alle emozioni e ai pensieri.<br />

L’oscura tensione delle sue emozioni com<strong>in</strong>ciò ad allentarsi, i nodi freddi e scuri dei suoi pensieri <strong>in</strong>iziarono a<br />

dissol<strong>vers</strong>i. Iniziava a riscaldarsi sempre di più.[…] Oramai ogni fibra del suo corpo conosceva il sole, non era<br />

rimasta nemmeno un’ombra fredda. Ed era scomparso ormai anche il suo cuore, quel cuore ansioso, oppresso,<br />

come un fiore che cade al sole, e lascia dietro di sé soltanto semi maturi 499 .<br />

E’ una condizione vitale che la allontana dal mondo degli uom<strong>in</strong>i; questi sono visti vivere <strong>in</strong><br />

una condizione disperata di prepotenza e debolezza e paragonati a vermi. La conoscenza della<br />

natura, rappresentata dall’armonia raggiunta con il sole, crea uno scarto, una distanza, oramai<br />

<strong>in</strong>colmabile tra la sua condizione e quella degli uom<strong>in</strong>i civili: “La sua conoscenza del sole e la<br />

conv<strong>in</strong>zione che il sole la conoscesse, nel senso cosmico, carnale della parola, le fece provare<br />

una sensazione di distacco dalla gente, e anche un certo disprezzo per gli esseri umani.<br />

Mancavano di elementarità, di solarità. Erano come i vermi dei cimiteri” 500 . L’esperienza del<br />

nudismo diviene un viatico esistenziale <strong>in</strong> cui la malattia della civiltà moderna è messa a<br />

confronto con la naturalità di una vita “solare”:<br />

Non era come fare dei semplici bagni di sole. Era molto di più. Qualcosa nel profondo di lei si dispiegava e si<br />

rilassava, e lei si scioglieva. Attra<strong>vers</strong>o qualche misteriosa forza dentro lei, più profonda della volontà e della<br />

consapevolezza che si conosceva, venne messa <strong>in</strong> comunicazione con il sole, e la corrente fluiva da sola, dal suo<br />

grembo. E lei, il suo io stesso, erano di secondo piano, una persona di secondo piano, quasi uno spettatore. La<br />

vera Juliet era questo flusso oscuro che sgorgava dalla profondità del corpo f<strong>in</strong>o al sole. Era sempre stata<br />

padrona di sé, consapevole di quello che faceva, e tesa nella volontà. Adesso sentiva dentro di lei tutto un altro<br />

tipo di volontà, qualcosa più grande di lei, che fluiva spontaneamente 501 .<br />

Ci si trova dunque di fronte a un processo di anamnesi nel momento <strong>in</strong> cui Juliet, per mezzo<br />

del sole, riesce a recuperare la percezione di una forza <strong>in</strong>terna sempre posseduta ma obliata<br />

per lungo tempo. Lo stesso concetto di <strong>in</strong>dividualità, di personalità e di volontà subiscono<br />

trasformazioni profonde. Anche <strong>in</strong> questo caso l’episodio descritto da Lawrence è da leggersi<br />

come term<strong>in</strong>e di confronto con l’attitud<strong>in</strong>e moderna alla vita. Il ritorno ad una vita semplice e<br />

naturale comporta un miglioramento delle condizioni psico-fisiche della protagonista che<br />

sviluppa una nuova <strong>in</strong>terpretazione del suo rapporto con il mondo. Il modello di vita moderna<br />

costruito dalla civiltà occidentale è implicitamente, ma <strong>in</strong>equivocabilmente, al centro della<br />

critica di Lawrence. Juliet segue oramai un percorso scandito dal ritmo della natura e<br />

organizzato come un rito magico. Il confronto fra questo nuovo mondo e quello della civiltà<br />

moderna si rende sempre più manifesto:<br />

Juliet aveva smesso di preoccuparsi di qualsiasi cosa. Adesso, per la maggior parte della giornata, se ne stava<br />

nuda al sole, e questo era tutto quello che desiderava.[…] Madre e figlio erano ora entrambi abbronzati con<br />

un’abbronzatura d’oro rosato dappertutto. - Sono un’altra persona! - diceva Juliet a sé stessa, guardandosi i seni<br />

e le cosce d’oro rosso.[…] Com<strong>in</strong>ciava ad avvertire la consapevolezza che stava sorgendo <strong>in</strong> lei un’attività<br />

<strong>in</strong>teriore che l’avrebbe condotta a un nuovo modo di vivere. Tuttavia non voleva avere questa consapevolezza.<br />

Conosceva a sufficienza il grande, freddo apparato della civiltà, dal quale era tanto difficile evadere 502 .<br />

499 Ibidem.<br />

500 Ivi, p. 835<br />

501 Ivi, p. 837.<br />

502 Ibidem.<br />

142


Con l’arrivo del marito di Juliet, Maurice, il racconto di Lawrence assume la sua forma f<strong>in</strong>ale.<br />

Juliet era andata lontano, al sole, ma ora la distanza era troppa e non sarebbe mai potuta<br />

tornare <strong>in</strong>dietro. L’immag<strong>in</strong>e del cittad<strong>in</strong>o, Maurice, si contrappone a quella della donna. La<br />

sua immag<strong>in</strong>e “vestita” si contrappone a quella della moglie completamente nuda. Ma ad<br />

essere a disagio è il marito che, con i suoi abiti americani da bus<strong>in</strong>ess man, appare<br />

estremamente goffo <strong>in</strong> quell’ambiente, tanto che il figlio lo <strong>in</strong>viterà a spogliarsi. La figura<br />

dell’uomo vestito e goffo si contrappone a quella di Juliet che è <strong>in</strong>vece assolutamente a suo<br />

agio, quasi <strong>in</strong>dossasse degli <strong>in</strong>visibili vestiti: “In qualche modo lei non sembrava così<br />

terribilmente nuda. L’abbronzatura d’oro rosato del sole la vestiva” 503 . Il contrasto è evidente<br />

e marcato dallo scrittore che è impietoso nei confronti dell’“uomo civile”: “Ma aveva l’odore<br />

del mondo, di tutti i ceppi e delle bastarde umiliazioni del mondo. Era marchiato con il<br />

marchio che non dichiarava una buona orig<strong>in</strong>e” 504 . Nel racconto di Lawrence c'è questa<br />

<strong>in</strong>sanabile scissione tra persone solari e persone oscure. Juliet, ritirata sul suo eremo <strong>in</strong>sieme<br />

al figlioletto, <strong>def</strong><strong>in</strong>isce il marito “come un verme che non ha mai visto il sole” 505 mentre usa<br />

per se l'appellativo di “gatta selvatica” 506 e per il figlio “un giovane animale assorto” 507 . La<br />

distanza fra il mondo civile e quello primitivo appare il vero tema del racconto. Il viaggio si<br />

compie come fuga dalla città. Il mondo rurale e ancestrale che viene r<strong>in</strong>venuto sembra voler<br />

comunicare a Juliet i suoi segreti, i suoi ricordi. Il punto di contatto, il ritorno, è segnato dal<br />

motivo del nudismo che mette <strong>in</strong> evidenza, ancora una volta, la vera problematica di tutta la<br />

composizione: la crisi esistenziale dell’uomo moderno.<br />

Il rapporto di Juliet con il paesaggio naturale è un altro motivo degno di nota nel racconto. Il<br />

luogo prescelto per denudarsi è uno scoglio, luogo impervio, quasi <strong>in</strong>accessibile agli altri<br />

uom<strong>in</strong>i. Juliet non solo si <strong>in</strong>serisce nell’ambiente che la circonda, ma si lascia compenetrare<br />

dall’elemento naturale che, con gentilezza e decisione, si re-impadronisce del suo corpo. Juliet<br />

sceglie la solitud<strong>in</strong>e di un luogo appartato, uno scoglio sul mare, per entrare <strong>in</strong> comunione la<br />

natura. La donna matura come un frutto sotto il sole, raggiungendo uno stato d’estasi che la<br />

isola dal mondo reale:<br />

Si fece scivolare di dosso tutti i vestiti e si stese nuda al sole, e così sdraiata guardò su attra<strong>vers</strong>o le dita al sole,<br />

alla sua pulsante azzurra rotondità, i cui bordi esterni emanavano brillantezza.[...] Si rivolse giù, <strong>vers</strong>o di lei con<br />

il suo sguardo di fuoco azzurro e avvolse i suoi seni, il suo volto, la sua gola, il suo grembo stanco, le g<strong>in</strong>occhia,<br />

le cosce e i piedi.[...] Riusciva a sentire il sole che le penetrava f<strong>in</strong> nelle ossa; no, ancora più a fondo, f<strong>in</strong>o alle<br />

emozioni e ai pensieri.[...] quasi stordita tornò a casa vedendo solo a metà accecata e stordita dal sole. E la sua<br />

cecità era per lei una ricchezza come la calda, oscura, pesante semi-<strong>in</strong>coscienza che la avvolgeva 508 .<br />

A protezione di questo scoglio, un cipresso <strong>def</strong><strong>in</strong>ito da Lawrence come un “guardiano”. Per<br />

Vickery il riferimento al cipresso è di chiara derivazione frazeriana. I popoli primitivi<br />

reputavano gli alberi esseri viventi possessori di un’anima. Il selvaggio, nel bene o nel male,<br />

non poteva non dare un ruolo all’albero che rientrava nel suo uni<strong>vers</strong>o unitario e unificante.<br />

L’albero è anche relazionato direttamente alle condizioni metereologiche tanto che lo<br />

spogliarsi di Juliet e il suo sdraiarsi alle pendici dell’albero sono gesti che potrebbero essere<br />

<strong>in</strong>terpretati come una sorta di venerazione e di supplica al “guardiano” aff<strong>in</strong>ché le conceda il<br />

sole 509 . Lawrence descrive un paesaggio mediterraneo, colmo di sole e mare, <strong>in</strong> cui le piante<br />

503 Ivi, p. 839.<br />

504 Ivi, p. 843.<br />

505 Ivi, p. 834.<br />

506 Ivi, p. 836.<br />

507 Ivi, p. 837.<br />

508 Ivi, pp. 834-36.<br />

509 J. Frazer, Il ramo d’oro, cit. pp.139-150.<br />

143


dell’olivo e del limone primeggiano fra le altre. Juliet è descritta come essere <strong>in</strong> totale<br />

simbiosi con la natura a differenza del marito che si muove con impaccio nel groviglio della<br />

vegetazione. Il luogo così descritto assume le caratteristiche del luogo eterno, mitico,<br />

rapportandosi ad un’antica civiltà ideale. E’ il riferimento, spesso presente nei testi di<br />

Lawrence, alla mitica età dell’oro: “I sentieri erano coperti di erba, fiori e nepitella, tanto da<br />

sembrare tracce di uccelli <strong>in</strong> un luogo eternamente selvatico. Che strana, la vivida<br />

selvatichezza dei luoghi antichi della civiltà, una selvatichezza che non è desolazione” 510 .<br />

All’<strong>in</strong>terno di questa lussureggiante vegetazione Juliet si <strong>in</strong>serisce come una n<strong>in</strong>fa dei boschi<br />

ed è descritta da Lawrence come fosse parte <strong>in</strong>tegrante di quella natura. Come una n<strong>in</strong>fa la<br />

protagonista si adorna di vegetali, richiamando le antiche div<strong>in</strong>ità pagane della fertilità<br />

descritte da Frazer, e lo stesso scrittore utilizza metafore vegetali per cogliere aspetti del suo<br />

agire: “Si allungò per prendere delle foglie e se le mise sugli occhi. Poi si distese di nuovo,<br />

come una lunga zucca al sole, che deve maturarsi e diventare dorata.[…] e si strof<strong>in</strong>ava la<br />

pelle con un po’ d’olio d’oliva, e vagava un momento nell’oscuro sottobosco dei limoni,<br />

tenendo <strong>in</strong> equilibrio all’ombellico un fiore di limone” 511 . Il luogo naturale, diventato per<br />

Juliet il luogo della rigenerazione, assume presto i tratti mitici del giard<strong>in</strong>o dell’Eden dove, la<br />

figura simbolica del serpente, già preannunciata nelle prime righe del racconto, fa la sua<br />

apparizione per riappacificarsi con l’uomo, per sancirne il bentornato nel paradiso terrestre.<br />

Lawrence svolge il mito della cacciata dall’Eden a ritroso, attra<strong>vers</strong>o la memoria di quel<br />

peccato che, come un immenso fiume squamoso, si svolge all’<strong>in</strong>dietro nel tempo. E’ un<br />

viaggio <strong>vers</strong>o le orig<strong>in</strong>i, al pr<strong>in</strong>cipio del tempo, alle fonti del mito, alla Genesi. Il ritorno<br />

mitico di Juliet avviene attra<strong>vers</strong>o i rituali della nudità. Il ritorno alla terra da parte della<br />

protagonista non sancirà un’effettiva riunione, un <strong>def</strong><strong>in</strong>itivo riprist<strong>in</strong>o dell’unità smarrita.<br />

Questo ritorno tende <strong>in</strong>vece a sancire, per l’ennesima volta, il dest<strong>in</strong>o tragico dell’essere<br />

umano. La parte f<strong>in</strong>ale del racconto è costruita da Lawrence proprio <strong>in</strong> questa forma. Le<br />

forme <strong>in</strong>vitanti della natura, che f<strong>in</strong>o a quel momento avevano circondato la protagonista,<br />

assumono un aspetto umano. E’ l’<strong>in</strong>contro con l’altro, il contad<strong>in</strong>o. Questo contad<strong>in</strong>o è<br />

l’umanizzazione di tutti gli attributi che f<strong>in</strong>o a quel momento erano state attribuiti alla natura.<br />

Egli è il selvaggio che esce dalla terra per tentare Juliet. Questo personaggio terrestre è<br />

descritto come un perfetto messaggero, colui che potrebbe riprist<strong>in</strong>are <strong>def</strong><strong>in</strong>itivamente la<br />

comunicazione fra Juliet e la terra: “Juliet cont<strong>in</strong>uò a camm<strong>in</strong>are svelta; ma aveva<br />

riconosciuto subito la generosità violenta del suo sangue, e l’altrettanto violenta selvaggia<br />

timidezza” 512 . I due personaggi si configurano come i rappresentanti delle rispettive<br />

dimensioni. La lontananza che divide le due realtà è ampia ma, se anche senza l’<strong>in</strong>staurarsi di<br />

una comunicazione, era evidente che ognuno dei due non poteva ignorare l’esistenza<br />

dell’altro: “A poco a poco tra Juliet e lui era sorta una certa <strong>in</strong>timità, attra<strong>vers</strong>o la distanza.<br />

Sapevano l’uno dell’altra” 513 . Questo sapere l’uno dell’altra rimanda alle tematiche della<br />

memoria, all’impossibilità di cancellare o r<strong>in</strong>venire completamente le tracce dell’essere<br />

perduto. Il contad<strong>in</strong>o è simbolo della terrestrità che riaffiora dal sottosuolo come una<br />

fiammata improvvisa, <strong>in</strong>cendiando l’animo della protagonista. Il rapporto fra i due è sempre<br />

descritto da Lawrence sullo sfondo di uno spazio profondo e impercorribile. I due cont<strong>in</strong>uano<br />

ad osservarsi da lontano, a studiarsi con curiosità e paura. Ma la distanza sembra dest<strong>in</strong>ata a<br />

rimanere tale:<br />

Egli la vide, sollevando il viso accaldato, mentre lei si allontanava. Una fiamma attra<strong>vers</strong>ò gli occhi dell’uomo, e<br />

una fiamma <strong>in</strong>vase il corpo di lei, fondendole le ossa. Ma ella si ritrasse silenziosamente dietro i cespugli, e tornò<br />

da dove era venuta. Un po’ risentita si chiese perché egli dovesse lavorare <strong>in</strong> silenzio, nascosto tra i cespugli.<br />

Egli aveva questa selvaggia capacità animalesca. Da allora i loro corpi avevano percepito una reciproca dolorosa<br />

510<br />

D. H. Lawrence, Sole, cit. p. 839.<br />

511<br />

Ivi, p. 834.<br />

512<br />

Ivi, p. 842.<br />

513<br />

Ibidem.<br />

144


consapevolezza, anche se nessuno di loro voleva ammetterla, e non ne davano segno 514 .<br />

La dimensione tragica dell’<strong>in</strong>tero racconto com<strong>in</strong>cia a chiarirsi <strong>in</strong> questo passaggio. La<br />

“dolorosa consapevolezza” che i personaggi, così distanti, acquisiscono, segnerà la condanna<br />

a rimanere chiusi nelle rispettive dimensioni. L’esperienza di Juliet non si risolverà <strong>in</strong> un<br />

ritorno ma nella tragica consapevolezza di non poter sfuggire al proprio dest<strong>in</strong>o:<br />

Lei, adesso che era matura, e scura di sole, e che il suo cuore era sfogliato come una rosa, lei era voluta andare<br />

con il timido, focoso contad<strong>in</strong>o, ed essere <strong>in</strong>c<strong>in</strong>ta di lui. I suoi sentimenti erano caduti come petali. Aveva visto<br />

affluire il sangue <strong>in</strong> quella faccia bruciata, e la fiamma negli occhi azzurri del Sud, e la risposta, da parte di lei,<br />

era stato un getto di fuoco. Egli per lei avrebbe potuto essere un bagno di sole procreativo, e lei lo voleva.<br />

Nonostante ciò, il suo prossimo figlio sarebbe stato di Maurice. La fatale catena della cont<strong>in</strong>uità lo avrebbe<br />

determ<strong>in</strong>ato 515 .<br />

La ricerca degli <strong>in</strong>tellettuali modernisti <strong>in</strong>torno al rapporto tra sapienza antica e sapienza<br />

moderna, tra ragioni del corpo e dell’io cosciente moderno, procede serrata alla ricerca di<br />

nuovi motivi che sond<strong>in</strong>o la distanza tra la natura umana e la condizione dell’uomo moderno.<br />

Il motivo dei sacrifici umani si <strong>in</strong>serisce appieno <strong>in</strong> questo filone di ricerca. Pavese si<br />

<strong>in</strong>teressò al motivo desumendolo direttamente da Lawrence.<br />

Il motivo del sacrificio umano è ampiamente presente nella letteratura modernista.<br />

Nell’ambito della ricerca di una nuova comunione con la terra, il sacrificio umano diviene<br />

un’immag<strong>in</strong>e privilegiata rimandando, al contempo, alle antiche usanze primitive delle<br />

popolazioni rurali. L’<strong>in</strong>flusso di Frazer fu, sugli scrittori modernisti, talmente profondo che<br />

non pochi decisero di cimentarsi con questo scomodo motivo. Sia Pavese che Lawrence<br />

svilupparono il motivo proprio partendo dall’etnologo scozzese. Lawrence fece un elevato uso<br />

di riferimenti al Ramo d’oro e alle pratiche sangu<strong>in</strong>arie dei riti primitivi. In Sons and lo<strong>vers</strong> il<br />

motivo del sacrificio scorre parallelo a quello della narrazione, proiettando la sua <strong>in</strong>quietante<br />

ombra sullo svolgimento della vita dei protagonisti. L’ambientazione naturale ricorda i<br />

paesaggi descritti da Frazer. Sono gli stessi paesaggi dove avvenivano i sacrifici umani nei<br />

tempi arcaici. L’<strong>in</strong>contro fra Miriam, <strong>def</strong><strong>in</strong>ita da Fiona Becket come una “sacerdotessa<br />

pagana” 516 , e Paul avviene nei campi di grano al cospetto della mezza luna:<br />

The beauty of the night made him want to shout. A half-moon, dusky gold, was s<strong>in</strong>k<strong>in</strong>g beh<strong>in</strong>d the black<br />

sycamore at the end of the garden, mak<strong>in</strong>g the sky dull purple with its glow. Nearer, a dim white fence of lilies<br />

went across the garden, and the air all round seemed to stir with scent, as if it were alive. He went across the bed<br />

of p<strong>in</strong>ks, whose keen perfume came sharply across the rock<strong>in</strong>g, heavy scent of the lilies, and stood alongside the<br />

white barrier of flowers. They flagged all loose, as if they were pant<strong>in</strong>g. The scent made him drunk. He went<br />

down to the field to watch the moon s<strong>in</strong>k under. A corncrake <strong>in</strong> the hay-close called <strong>in</strong>sistently. The moon slid<br />

quite quickly downwards, grow<strong>in</strong>g more flushed. Beh<strong>in</strong>d him the great flowers leaned as if they were call<strong>in</strong>g.<br />

And then, like a shock, he caught another perfume, someth<strong>in</strong>g raw and coarse. Hunt<strong>in</strong>g round, he found the<br />

purple iris, touched their fleshy throats and their dark, grasp<strong>in</strong>g hands. At any rate, he had found someth<strong>in</strong>g.<br />

They stood stiff <strong>in</strong> the darkness. Their scent was brutal. The moon was melt<strong>in</strong>g down upon the crest of the hill. It<br />

was gone; all was dark. The corncrake called still 517 .<br />

514<br />

Ibidem.<br />

515<br />

Ivi, p. 843.<br />

516<br />

“A priestess, subtly pagan, Miriam might draw his soul out of him” da F. Beckett, The complete guide to D.<br />

H. Lawrence, cit. p. 46.<br />

517<br />

D. H. Lawrence, Sons and Lo<strong>vers</strong> , cit. 358-59.<br />

145


Il profumo “brutale” dei fiori, la forma “a falce” della luna, l’oscurità <strong>in</strong>combente e il<br />

richiamo <strong>in</strong>sistente del campo di grano, sono tutti elementi che rimandano ai luoghi dei<br />

sacrifici descritti da Frazer. Paul sembra seguire la prassi del rito conducendo la giovane<br />

ragazza, adornata di fiori, nei campi. Miriam, di fronte alla luce della luna, perde ogni<br />

caratteristica umana divenendo personaggio assoluto, simbolico, una trasfigurazione:<br />

Here they wandered, pick<strong>in</strong>g still a few marsh-marigolds and many big blue forget-me-nots. Then she sat on the<br />

bank with her hands full of flowers, mostly golden water- blobs. As she put her face down <strong>in</strong>to the marigolds, it<br />

was all overcast with a yellow sh<strong>in</strong>e.<br />

"Your face is bright," he said, "like a transfiguration" 518 .<br />

Il corpo di Miriam, denudato, svela tutta la sua bellezza mentre Paul è pronto a svolgere il rito<br />

dell’<strong>in</strong>iziazione che verrà <strong>in</strong>evitabilmente legato, alla f<strong>in</strong>e dell’amplesso, a sentimenti di<br />

morte e ricongiungimento:<br />

She had the most beautiful body he had ever imag<strong>in</strong>ed. He stood unable to move or speak, look<strong>in</strong>g at her, his<br />

face half-smil<strong>in</strong>g with wonder. And then he wanted her, but as he went forward to her, her hands lifted <strong>in</strong> a little<br />

plead<strong>in</strong>g movement, and he looked at her face, and stopped. Her big brown eyes were watch<strong>in</strong>g him, still and<br />

resigned and lov<strong>in</strong>g; she lay as if she had given herself up to sacrifice: there was her body for him; but the look<br />

at the back of her eyes, like a creature await<strong>in</strong>g immolation, arrested him, and all his blood fell back.[…] She lay<br />

to be sacrificed for him because she loved him so much. And he had to sacrifice her. For a second, he wished he<br />

were sexless or dead. Then he shut his eyes aga<strong>in</strong> to her, and his blood beat back aga<strong>in</strong>.[…] As he rode home he<br />

felt that he was f<strong>in</strong>ally <strong>in</strong>itiated. He was a youth no longer. But why had he the dull pa<strong>in</strong> <strong>in</strong> his soul? Why did the<br />

thought of death, the after-life, seem so sweet and consol<strong>in</strong>g? 519<br />

Anche <strong>in</strong> questo caso, il riferimento al motivo del sacrificio umano è da <strong>in</strong>tendersi <strong>in</strong><br />

riferimento e <strong>in</strong> contrapposizione all’impellente modernità. Attra<strong>vers</strong>o una <strong>vers</strong>ione ironica di<br />

un antico rito di fertilità, Lawrence svolge l’<strong>in</strong>iziazione del suo personaggio <strong>in</strong> un contesto <strong>in</strong><br />

cui queste pratiche hanno perso il loro senso. E’ come se i protagonisti agissero <strong>in</strong> una<br />

determ<strong>in</strong>ata maniera nel ricordo di un’antica sapienza che il mondo moderno ha sottratto loro.<br />

Da qui il sentimento di <strong>in</strong>completezza che alberga <strong>in</strong> Paul, l’<strong>in</strong>iziato, e la speranza, dest<strong>in</strong>ata<br />

ad essere delusa, di Miriam, la sacerdotessa, che spera, attra<strong>vers</strong>o quel rito, di sancire il<br />

proprio possesso sull’amante. Ci troviamo, per l’ennesima volta, <strong>in</strong> una narrazione modernista<br />

a due flussi temporali, quello storico l<strong>in</strong>eare e quello mitico circolare, che si contrastano e si<br />

<strong>in</strong>tersecano confermando la loro <strong>in</strong>conciliabilità. Vickery spiega la sovrapposizione dei piani<br />

che Lawrence disegna per questo romanzo 520 :<br />

518 Ivi, pp. 352-53.<br />

519 Ivi, pp. 353-54.<br />

520 Vickery <strong>in</strong>serisce <strong>in</strong> questa categoria non solo Sons and Lo<strong>vers</strong> ma altri romanzi che ne condividono la<br />

struttura b<strong>in</strong>aria.<br />

146


In effect, Lawrence here uses what he has learned from The Golden Bough about the religious role, the sacrifical<br />

character, and the fertility associations of virg<strong>in</strong>s to a twofold end. On the one hand, he endeavors to picture<br />

contemporary virg<strong>in</strong>s who possess just these qualities so that the sense of regard<strong>in</strong>g life with reverence, awe, and<br />

delight, as he thought Frazer’s early civilizations did, will be borne <strong>in</strong> upon his readers. On the other hand, he<br />

also sketches pitilessly the virg<strong>in</strong>s of the modern world who lack the div<strong>in</strong>e potency of their predecessors and<br />

whose lives are therefore compounded of hesitant timidity and self-centered arrogange 521 .<br />

L’utilizzo degli elementi di etnologia derivati direttamente da Frazer è dunque funzionale allo<br />

stabilirsi di quella distanza, tra il mondo e la terra, tra l’umanità moderna e il suo essere, che<br />

dovrebbe dimostrare all’uomo quanto egli si stia allontanando dalle sue orig<strong>in</strong>i. I romanzi di<br />

Lawrence si costruiscono prevalentemente sulla rappresentazione di questi <strong>in</strong>sanabili contrasti<br />

che traggono, dal materiale frazeriano che parla di lontananze remote e di vic<strong>in</strong>anze<br />

impercettibili, un’ottima possibilità di resa narrativa. Vickery <strong>in</strong>dividua <strong>in</strong> una irrisolta<br />

tensione fra gli opposti uno schema consistente della scrittura di Lawrence: “[…] the novels,<br />

many of which may be viewed, at least <strong>in</strong> part, as patterns of tension between the ord<strong>in</strong>ary,<br />

common-sense mode of counsciousness and the blood-counsciousness which, as we have<br />

already seen, Lawrence l<strong>in</strong>ked so closely to the contents of Frazer’s work” 522 . Ma così come<br />

avviene <strong>in</strong> molti dei romanzi modernisti, questa tensione non si può risolvere semplicemente<br />

nel rapporto degli opposti assoluti nel momento <strong>in</strong> cui i personaggi agiscono <strong>in</strong> terre di<br />

conf<strong>in</strong>e e sono essi stessi ibridi portatori <strong>in</strong> loro stessi dell’irrisolvibile conflitto: “Like Frazer,<br />

Lawrence sees that some manners of th<strong>in</strong>k<strong>in</strong>g go back to the dimmest reaches of man’s<br />

existence and that they persist dimly and confusedly <strong>in</strong>to the present” 523 .<br />

Cesare Pavese elaborò ampiamente il motivo dei sacrifici umani traendo spunto dalla lettura<br />

di Frazer. E’ <strong>in</strong>teressante constatare come il motivo del sacrificio umano si possa r<strong>in</strong>tracciare<br />

sia nel primo romanzo, Paesi tuoi, sia nell’ultimo, La luna e i falò. Questa co<strong>in</strong>cidenza è<br />

senz’altro <strong>in</strong>dice di un’attenzione particolare nei confronti del motivo, attenzione che da<br />

subito si tramutò <strong>in</strong> suggestione tanto da affiorare sovente nelle pag<strong>in</strong>e dello scrittore lungo<br />

tutto l’arco della sua produzione. Gli appunti de Il Mestiere di Vivere confermano l’attenzione<br />

dello scrittore <strong>vers</strong>o questo motivo: “La natura ritorna selvaggia quando vi accade il proibito:<br />

sangue o sesso. Parrebbe un’illusione suggerita dall’idea che ti fai delle culture primitive – riti<br />

sessuali o sangu<strong>in</strong>ari” 524 . Il proibito diviene dunque ciò che sfugge al civile e rappresenta, di<br />

conseguenza, una sottile forma di distruzione di tutta la morale moderna. Per sottol<strong>in</strong>eare la<br />

pregnanza del motivo dei sacrifici umani nell’ambito della poetica di Pavese, fa bene<br />

Gioanola a citare Calv<strong>in</strong>o che si era <strong>in</strong>teressato a questo aspetto della poetica dell’amico<br />

scrittore: “Tutto quel che (Pavese) dice converge <strong>in</strong> una direzione sola, immag<strong>in</strong>i e analogie<br />

gravitano su una preoccupazione ossessiva: i sacrifici umani” 525 . In Paesi Tuoi il sacrificio di<br />

Gisella avviene <strong>in</strong> occasione della trebbiatura del grano. E’ la riproposizione del rito della<br />

fecondazione della terra così come descritto da Frazer <strong>in</strong> riferimento alle popolazioni<br />

primitive. Berto, il cittad<strong>in</strong>o, diviene <strong>in</strong>consapevolmente parte di questo rito. Il suo orrore è<br />

scarsamente condiviso dal resto dei contad<strong>in</strong>i che anzi cont<strong>in</strong>uarono la trebbiatura come se<br />

poco o nulla fosse accaduto. La morte della giovane per mano di Tal<strong>in</strong>o assume solo<br />

apparentemente le sembianze di un <strong>in</strong>cidente all’<strong>in</strong>terno della struttura narrativa architettata<br />

da Pavese. Per Muniz il motivo del sacrificio umano “costituirà <strong>in</strong>fatti il terzo (per Muniz gli<br />

altri due motivi sono l’azione <strong>in</strong> senso stretto e le riflessioni di Berto sul mistero che avvolge<br />

Tal<strong>in</strong>o) e più sotterraneo filo conduttore del romanzo, <strong>vers</strong>o il quale anzi tenderanno<br />

521<br />

J. B. Vickery, The literary Impact of The Golden Bough, cit. pp. 304-05.<br />

522<br />

Ivi, p. 307.<br />

523<br />

Ibidem.<br />

524<br />

C. Pavese, Il Mestiere di Vivere, 13 Luglio 1944, cit. p. 284.<br />

502<br />

E. Gioanola, Cesare Pavese, La realtà, l’altrove, il silenzio, cit. p. 54.<br />

503<br />

M. de las Nieves Muniz Muniz, Introduzione a Pavese, cit. pp. 68-69.<br />

147


fatalmente gli altri due man mano che si avvic<strong>in</strong>a l’<strong>in</strong>izio della trebbiatura” 526 . Il motivo del<br />

sacrificio umano sembra dunque essere estremamente legato allo svolgimento dell’opera.<br />

Anche <strong>in</strong> questo caso assistiamo alla composizione di una struttura b<strong>in</strong>aria. Il cittad<strong>in</strong>o cerca<br />

di scoprire i misteri relativi alla campagna e ai contad<strong>in</strong>i facendo affidamento su una logica<br />

deduttiva. L’analisi di Berto, essendo il protagonista narratore, si svolge <strong>in</strong> modo logico<br />

l<strong>in</strong>eare; la sua storia tende a ricercare un senso f<strong>in</strong>ale e liberatorio ma nel momento<br />

dell’uccisione di Gisella ci si rende improvvisamente conto che un’altra storia si stava<br />

svolgendo parallela a quella l<strong>in</strong>eare e razionale raccontata da Berto. E’ la storia della terra <strong>in</strong><br />

attesa del suo sacrificio di sangue che, puntuale, arriva nel momento della trebbiatura del<br />

grano. E’ il tempo del mito che attra<strong>vers</strong>o lo svolgimento dei suoi riti diverge sensibilmente<br />

da quello storico. Per Muniz la discrepanza fra i due piani temporali della storia è evidente:<br />

Pavese creava così una struttura <strong>in</strong> cui azione e <strong>in</strong>terpretazione co<strong>in</strong>cidevano senza uscire dal piano prettamente<br />

naturalistico di un mondo reale per quanto primitivo. Tale co<strong>in</strong>cidenza però avveniva sulla base dell’equivalenza<br />

fra il moto progressivo dell’<strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e che tende a far chiarezza del mistero e quello regressivo del segreto svelato,<br />

che riporta l’<strong>in</strong>dagatore (e con esso la civiltà urbana da lui rappresentata) alle sue radici più selvagge 527 .<br />

Ancora una volta ci troviamo di fronte alla contrapposizione di tempo storico e tempo mitico<br />

che trovano un’espressione narrativa nei contrasti fra civiltà moderna e civiltà rurale; la<br />

dimensione tragica si disegna tramite lo speculare confronto tra cittad<strong>in</strong>o e selvaggio.<br />

Gioanola si occupa <strong>in</strong> particolar modo di questo aspetto della poetica pavesiana r<strong>in</strong>tracciando<br />

proprio nell’etnologo scozzese la fonte primaria dell’ispirazione dello scrittore. La luna e i<br />

falò sarebbe da questo punto di vista un libro decisamente frazeriano: “[…] La luna e i falò<br />

segnerebbe un it<strong>in</strong>erario simile a quello tracciato dal celebre libro di Frazer, tanto caro allo<br />

scrittore, che è una specie di giro del mondo alla ricerca delle orig<strong>in</strong>i dei sacrifici umani e<br />

delle feste del fuoco” 528 . Il riferimento è alla morte di Santa che, dopo essere stata uccisa<br />

durante la guerra, viene bruciata nei campi. Così come accaduto con la Clara di Lawrence,<br />

Santa viene spesso descritta tramite riferimenti floreali. Il suo essere è <strong>in</strong> qualche maniera<br />

legato ai cicli della natura come sottol<strong>in</strong>ea Gioanola: “Come accade per le stagioni, la vicenda<br />

di queste ragazze è ciclica e ritornante, ripete uno schema fisso” 529 . In questo senso la morte<br />

di Santa assume un duplice significato. L’entrata della storia dell’uomo all’<strong>in</strong>terno<br />

dell’uni<strong>vers</strong>o mitico segna l’<strong>in</strong>izio di un processo di morte <strong>in</strong>esorabile che si condensa<br />

nell’assass<strong>in</strong>io, da parte dei soldati, della contad<strong>in</strong>a. Ma è anche la riscoperta di un l<strong>in</strong>guaggio<br />

arcaico, da molti dimenticato, e che solo <strong>in</strong> un occasione tragica come la morte di Santa, viene<br />

riadoperato. La giovane contad<strong>in</strong>a viene sottratta agli uom<strong>in</strong>i che, come Pavese suggerisce,<br />

avrebbero potuto cont<strong>in</strong>uare a fare scempio del suo corpo anche dopo la morte, per restituirla<br />

alla madre terra: “i sacrifici umani non rappresentano che l’atto attra<strong>vers</strong>o cui si attua la<br />

comunione tra la creatura e l’antica madre, e la terra ne riceve una nuova fecondità e tutto<br />

custodisce trasformando” 530 . E’ <strong>in</strong> fondo un ritorno quello operato da Santa che dona le sue<br />

ceneri alla terra rientrando nel ciclo della natura: “Il morire è diventare terra, cioè durata,<br />

ripetizione, immobilità: il morire, paradossalmente, non è morire ma assimilarsi all’eterno<br />

durare, è l’estrema forma del ritorno, il vero senso del paese, luogo dove si nasce e si viene a<br />

morire” 531 .<br />

Sono però forse i Dialoghi con Leucò il libro dove il selvaggio e la connessa pratica dei<br />

sacrifici umani segnano la loro presenza con maggior forza. Givone nella sua <strong>in</strong>troduzione<br />

527 Ivi, p. 69.<br />

528 E. Gioanola, Cesare Pavese, La realtà, l’altrove, il silenzio, cit. p. 54.<br />

529 Ibidem.<br />

530 Ivi, p. 55.<br />

531 Ivi, p. 55.<br />

148


all’ultima edizione del libro sottol<strong>in</strong>ea come Pavese riconobbe il vero carattere della natura<br />

che è per se stessa selvaggia. Il processo di r<strong>in</strong>venimento delle tracce, di “anamnesi” come<br />

suggerisce lo stesso Givone, che Pavese adotta <strong>in</strong> molte delle sue composizioni e soprattutto<br />

nei Dialoghi, non può che ricondurre a ciò che la civiltà moderna ha voluto obliare: “la<br />

violenza delle orig<strong>in</strong>i”, “ossia la violenza che str<strong>in</strong>ge <strong>in</strong> un nodo il sesso e il sangue, lo<br />

spargimento del seme e lo spargimento del sangue” 532 . Nel dialogo <strong>in</strong>titolato La Belva, la<br />

figura di Artemide appare di notte ad Endimione. E’ la rappresentazione della dea madre, e<br />

dunque della fertilità che, nell’iconografia classica, è raffigurata come giovane ricoperta di<br />

steli di grano. La sua selvaggia bellezza <strong>in</strong>cute terrore e fasc<strong>in</strong>o nell’osservatore: “Capisci<br />

questo? Un fiore che è come una belva? Compagno, hai mai guardato con spavento e con<br />

voglia la natura di una lupa, di una da<strong>in</strong>a, di una serpe?” 533 . Il dialogo della Belva si svolge<br />

nella contemplazione di questa belva ammaliante che diviene madre creatrice e distruttrice:<br />

“La sua voce ch’è rauca e materna è tutto quanto la selvaggia ti può dare” 534 . La<br />

consapevolezza della morte, forse prossima a venire, non impedisce ad Endimione di<br />

esprimere tutta la sua ammirazione per Artemide. Le sue ore trascorrono ora nell’attesa del<br />

ritorno della dea-belva: “So il sangue sparso, la carne dilaniata, la terra vorace, la<br />

solitud<strong>in</strong>e” 535 . La dimensione contemplativa dei personaggi non prevede necessariamente una<br />

dimensione psicologica. Le caratteristiche di Artemide sono contemplate <strong>in</strong>dipendentemente<br />

da qualsiasi metro di giudizio morale o razionale. La dea dei sacrifici umani è parte <strong>in</strong>tegrante<br />

della cultura dell’umanità che non può debellare il suo ricordo dalla memoria. Il dialogo<br />

L’Ospite è direttamente e direttamente desunto da Frazer che parla dell’antico rito frigio di<br />

Litierse che aveva l’usanza di costr<strong>in</strong>gere gli stranieri, che passavano per caso vic<strong>in</strong>o al suo<br />

campo, a mietere con lui per poi ucciderli e nutrire con il loro sangue la terra. Questa usanza<br />

durò f<strong>in</strong>o a che Litierse non s’imbattè <strong>in</strong> Ercole che lo decapitò con la falce e ne gettò il corpo<br />

nel fiume. Frazer constata come questo rito sia ancora presente nell’Europa moderna sia pure<br />

<strong>in</strong> forme meno cruente: “Qu<strong>in</strong>di, come il leggendario Litierse, anche nell’Europa moderna i<br />

mietitori si impossessano dello straniero di passaggio e lo legano nel covone. Naturalmente<br />

non arrivano al punto, come nell’antica leggenda, di mozzargli il capo; ma, pur astenendosi da<br />

misure così drastiche, il loro l<strong>in</strong>guaggio e i loro gesti sembrano <strong>in</strong>dicarne il desiderio” 536 .<br />

Pavese ripropone, nel suo dialogo, l’<strong>in</strong>contro fra Litierse ed Ercole che è dest<strong>in</strong>ato a portare il<br />

messaggio della vittoria degli dei dell’Olimpo sulla dea madre: “Sono una stirpe d’immortali.<br />

Hanno v<strong>in</strong>to la selva, la terra e i suoi mostri. Hanno cacciato nella grotta tutti quelli come te<br />

che spargevano il sangue per nutrire la terra” 537 . Con la sconfitta della terra e dei suoi riti si<br />

perde, al contempo, la conoscenza di quella terra, dei suoi misteri e delle sue orig<strong>in</strong>i. Litierse<br />

così rimprovera a Ercole la sua ignoranza nei confronti delle leggi della terra: “Tu non sei un<br />

contad<strong>in</strong>o. Lo vedo. Non sai nemmeno che la terra ricom<strong>in</strong>cia ad ogni solstizio e che il giro<br />

dell’anno esaurisce ogni cosa” 538 . L’allontanamento dalla terra, suggerisce Pavese, non fa<br />

altro che portare all’oblio delle orig<strong>in</strong>i e dell’essere mentre il funzionamento olimpico dei<br />

nuovi dei, più umani e razionali, non fa altro che perpetrare nuovi e forse più disumani<br />

sacrifici <strong>in</strong> nome di precisi <strong>in</strong>teressi e di falsi ideali. La differenza fra moderno ed arcaico<br />

sembra, nello spazio di questo dialogo, esser tutta qui. Una volta, nell’epoche arcaiche, si<br />

sapeva perfettamente il motivo per il quale si uccideva.<br />

Anche nel caso dei sacrifici umani, come nel caso del motivo del nudismo, la lettura di<br />

Lawrence fu <strong>in</strong>dispensabile a Pavese. Nel già citato appunto del 1 Dicembre 1949 [Scoperto<br />

l’altra sera quanto mi abbia plasmato la lettura di Sun e The woman who rode away di<br />

532<br />

S. Givone, Introduzione ai Dialoghi con Leucò, cit. p. IX.<br />

533<br />

C. Pavese, Dialoghi con Leucò, cit. p. 40.<br />

534<br />

Ivi, p. 42.<br />

535<br />

Ibidem.<br />

536<br />

J. Frazer, Il ramo d’oro, cit. p. 487.<br />

537<br />

C. Pavese, Dialoghi con Leucò, cit. p. 90.<br />

538 Ivi, p. 91.<br />

149


Lawrence (’36 –’37?)], Pavese <strong>in</strong>dica nel racconto La donna che andò via a cavallo un<br />

modello per la sua scrittura. E’ facile immag<strong>in</strong>are come il motivo dei sacrifici umani, presente<br />

nel racconto di Lawrence, abbia potuto <strong>in</strong>fluenzare Pavese. Il racconto di Lawrence asseconda<br />

molte delle caratteristiche di un certo tipo di scrittura modernista analizzata f<strong>in</strong>ora: rifiuto<br />

della modernità, fuga che si configura come un ritorno, ricongiungimento tragico all’elemento<br />

naturale primigenio. La protagonista del racconto vive, perennemente <strong>in</strong>soddisfatta, nella<br />

società moderna. Il marito è descritto come vero prototipo dell’uomo moderno: “Era uno<br />

schizz<strong>in</strong>oso rottame di un idealista, e odiava davvero il lato materiale della vita. Amava il<br />

lavoro, e poi il lavoro, e ancora il lavoro, e fare cose. Il suo matrimonio, i suoi figli, erano<br />

cose che lui faceva, una parte dei suoi affari, ma, <strong>in</strong> questo caso, con una rendita di tipo<br />

affettivo” 539 . Si ripropone <strong>in</strong> questo passaggio tutta la tensione che la società moderna è<br />

capace di produrre <strong>in</strong>vischiando l’<strong>in</strong>dividuo <strong>in</strong> una serie di categorie artificiali che lo tengono<br />

costretto all’etica del lavoro, alla morale benpensante borghese, ai sistemi di valori ideali.<br />

L’accento posto sulla categoria del “fare” rimanda ad un altro leit motiv modernista: quello<br />

dello scarto con il suo antagonista, ovvero “l’essere”, il cui significato e valore sembra oramai<br />

perduto. La donna, al colmo dello stress, è attratta dai paesaggi coll<strong>in</strong>ari nel cuore del<br />

cont<strong>in</strong>ente americano. Paesaggi misteriosi, “eterni” nella cui contemplazione la protagonista<br />

si perde scorgendo una dimensione alternativa a quella del reale: “Le eterne, immobili coll<strong>in</strong>e<br />

erano tutte verdi: era settembre, dopo le piogge.[…] -Sì ma cosa c’è di vivo su quelle coll<strong>in</strong>e e<br />

quelle montagne? Qualcosa di meraviglioso, non c’è dubbio! Hanno l’aria di non appartenere<br />

alla terra: come se fossero sulla luna-” 540 . Sono coll<strong>in</strong>e eterne e simboliche che contengono la<br />

promessa di un ritorno e di una libertà attualmente perduta: “Tuttavia lei aveva il suo cavallo<br />

e sognava di essere libera come lo era stata da ragazza, tra le coll<strong>in</strong>e della California” 541 .<br />

Dietro le coll<strong>in</strong>e si <strong>in</strong>travede, nei racconti del marito della protagonista, il primo riferimento al<br />

mistero del selvaggio. Gli <strong>in</strong>diani sono descritti come grotteschi selvaggi che nel loro apparire<br />

appaiono addirittura buffi all’osservatore civile. Il racconto è pregno di disprezzo per una<br />

civiltà reputata <strong>in</strong>feriore e irrecuperabile. La con<strong>vers</strong>azione tra il marito e un giovane collega<br />

sulle loro usanze si riproduce ancora quella percezione della distanza che spesso abbiamo<br />

riscontrato f<strong>in</strong>o ad ora. Il mondo arcaico degli <strong>in</strong>diani è messo addirittura a confronto con le<br />

grandi metropoli della modernità: “-Ma hanno di certo antiche religioni e misteri. Deve essere<br />

meraviglioso, ne sono sicuro.- -Non so nulla di questi misteri… Lamentazioni e pratiche<br />

pagane, più o meno <strong>in</strong>decenti. Non ci vedo nulla di meraviglioso <strong>in</strong> questa roba. E mi<br />

meraviglio che lei, che ha vissuto a Londra o a Parigi, o a New York, ce lo veda-“ 542 . La<br />

protagonista del racconto subisce il fasc<strong>in</strong>o di questi racconti e cova dentro di se il desiderio<br />

di partire alla scoperta dei misteri degli <strong>in</strong>diani: “Sentì che il suo vero dest<strong>in</strong>o era vagare tra i<br />

rifugi segreti di quegli <strong>in</strong>diani delle montagne, misteriosi e meravigliosi. […] i vecchi<br />

sacerdoti mantenevano ancora <strong>in</strong> vita l’antica religione, e offrivano sacrifici umani […]” 543 . Il<br />

viaggio <strong>in</strong>izia dopo non molto tempo ed è una fuga dal mondo moderno e dalla sua civiltà. Il<br />

viaggio si struttura come un’ascensione dalla valle alle coll<strong>in</strong>e; c’è un parallelo tra il percorso<br />

del cavallo e quello dell’anima della protagonista. E’ un percorso <strong>in</strong>iziatico che si <strong>in</strong>augura<br />

con la morte figurale della protagonista che può ora r<strong>in</strong>ascere a nuova vita: “Prima dell’alba<br />

fece molto freddo. Lei giaceva avvolta nella coperta, guardando le stelle e ascoltando i fremiti<br />

del cavallo, e si sentiva come una donna ormai morta e svanita. Non era certa di aver udito<br />

durante la notte un grande schianto al centro di se stessa, come lo schianto della sua morte. O<br />

forse era uno schianto che veniva dal centro della Terra, e significava qualcosa di grande e<br />

539 D. H. Lawrence, La donna che andò via a cavallo, contenuto <strong>in</strong> D.H. Lawrence, Tutti i racconti e i romanzi<br />

brevi, Newton Compton Editori, Roma, 1995, p. 809.<br />

540 Ivi, p. 810.<br />

541 Ivi, p. 811.<br />

542 Ivi, p. 810.<br />

543 Ibidem.<br />

150


misterioso” 544 . Lo stesso ruolo del cavallo non è marg<strong>in</strong>ale. Vickery r<strong>in</strong>traccia nel cavallo una<br />

simbologia di derivazione frazeriana:<br />

On the animal level, the mythic dimension of Lawrence’s fiction is conveyed through the weight of significance<br />

given to such creatures as the horse […] figures <strong>in</strong> the myths, rites, and superstitions explored by Frazer.[…]<br />

They are closely l<strong>in</strong>ked to the behaviour of the characters, who see <strong>in</strong> them not so much objects as omens,<br />

talismans, ritual modes, and mythical be<strong>in</strong>gs that lead them to a further and deeper participation <strong>in</strong> the drama of<br />

existence 545 .<br />

L’<strong>in</strong>contro con gli <strong>in</strong>diani rappresenta, per la protagonista del racconto, l’<strong>in</strong>contro con un’altra<br />

dimensione a lei sconosciuta. La donna verrà accolta nel villaggio e trattenuta. L’<strong>in</strong>diano<br />

<strong>in</strong>caricato di prendersi cura di lei esprime per la donna un fasc<strong>in</strong>o <strong>in</strong>comprensibile: “Lui non<br />

la guardava come un essere umano ne guarda un altro. Non sentiva affatto la resistenza e la<br />

sfida di lei; guardava al di là, <strong>vers</strong>o qualcosa che lei non conosceva. Capì che era <strong>in</strong>utile<br />

attendersi una qualche comunicazione umana con quella vecchia creatura” 546 . Ma il fasc<strong>in</strong>o<br />

del mistero sembra agire su di lei più attivamente che la volontà di tentare <strong>in</strong> qualche maniera<br />

la fuga. Il paesaggio rievocato <strong>in</strong>torno alla donna da Lawrence ricorda le descrizioni<br />

frazeriane dei luoghi del culto al tempo dei sacrifici umani: “L’amaca di lana fu poggiata a<br />

terra, lei ci si sedette e i due uom<strong>in</strong>i si issarono il palo sulle spalle.[…] Erano sbucati<br />

all’imboccatura della vallata. Proprio davanti c’erano i campi di granturco con le spighe<br />

mature” 547 . Non è difficile <strong>in</strong>contrare metafore di vegetazione nei romanzi e nei racconti di<br />

Lawrence. Spesso sono associati all’idea di fertilità <strong>in</strong> riferimento alle antiche div<strong>in</strong>ità della<br />

vegetazione descritte da Frazer. La funzione della vegetazione, che molto spesso è un campo<br />

di grano, svolge la funzione di ricordare l’esistenza di una vita naturale e ciclica che scorre<br />

parallela alla vita storica: “The majority of these <strong>in</strong>stances reveal the natural flourish<strong>in</strong>g of<br />

lives that manta<strong>in</strong> contact with the underly<strong>in</strong>g rhythms of the physical world” 548 .<br />

Il parallelismo tra gli elementi umani e quelli naturali è anche marcata nel racconto. Uom<strong>in</strong>i<br />

che vestono con pelli di leopardi si muovono sullo sfondo di paesaggi antropizzati che<br />

richiamano all’antica unità dell’uomo con la natura. La stessa voce dell’uomo diviene quella<br />

della natura:<br />

Poi un tamburo com<strong>in</strong>ciò a battere con sonorità, e giunse lo scoppio violento e fragoroso delle voci degli uom<strong>in</strong>i<br />

che cantavano una musica selvaggia e profonda, come un vento che urlasse <strong>in</strong> una foresta secolare.[…]<br />

L’<strong>in</strong>sistenza del tamburo, il suono di quel canto maschile, cavernoso e ruggente come una bufera, e il cont<strong>in</strong>uo<br />

dondolio delle pellicce di volpe dietro le gambe forti degli uom<strong>in</strong>i color bronzo dorato durarono tutto il giorno,<br />

mentre il sole autunnale si ri<strong>vers</strong>ava da un cielo di un azzurro purissimo sulla massa dei capelli neri degli uom<strong>in</strong>i<br />

e delle donne […] e <strong>in</strong> quel canto primitivo che echeggiava profondo, nel ritmo senza f<strong>in</strong>e della danza degli<br />

uom<strong>in</strong>i con la coda di volpe e nei passi delle donne con le tuniche nere e pesanti, dritte come uccelli, le parve di<br />

sentire la sua morte: il suo annientamento 549 .<br />

E’ un’unità che si ritrova nel tempo della festa rituale e delle danze magiche. Vickery<br />

r<strong>in</strong>traccia <strong>in</strong> questo aspetto un chiaro riferimento a Frazer: “The most susta<strong>in</strong>ed form of ritual<br />

partecipation <strong>in</strong> Lawrence, however, is found <strong>in</strong> the variety of dances whose significance is so<br />

heavely stressed throughout his work.[…] The result is <strong>in</strong>variably a trascendence of each<br />

544<br />

Ivi, p. 812.<br />

545<br />

J. B. Vickery, The literary Impact of The Golden Bough, cit. p. 321.<br />

546<br />

D. H. Lawrence, La donna che andò via a cavallo, cit. p. 817.<br />

547<br />

Ivi, pp. 817-18.<br />

548<br />

J. B. Vickery, The literary Impact of The Golden Bough, cit. p. 318.<br />

549<br />

D. H. Lawrence, La donna che andò via a cavallo, cit. p. 822-23<br />

151


one’s normal range of perception and a merg<strong>in</strong>g of personal feel<strong>in</strong>gs with someth<strong>in</strong>g<br />

larger” 550 .<br />

Il tempo del sacrificio è oramai maturo. La donna, oramai <strong>in</strong> balia delle forze primitive che la<br />

sovrastano, attende, senza alcuna sensazione particolare, il compiersi del suo dest<strong>in</strong>o: “Ma ciò<br />

che lei sentiva era quella lama di ghiaccio a forma di zanna, sospesa sull’orlo del buio<br />

precipizio. E dietro quel grande cordone di ghiaccio vedeva le figure dei sacerdoti, che come<br />

leopardi si arrampicavano sulla rupe <strong>in</strong>cavata […]” 551 . Il dest<strong>in</strong>o si compirà quando il sole<br />

rosso calerà dietro le coll<strong>in</strong>e: “Allora il vecchio avrebbe colpito, e avrebbe colpito al cuore,<br />

compiendo il sacrificio, per ottenere il potere” 552 . La consumazione del rito chiuderà la<br />

vicenda della protagonista che ha riattivato uno schema mitico molto caro allo scrittore. I<br />

personaggi di Lawrence <strong>in</strong> seguito ad una crisi esistenziale abbandonano spesso il mondo<br />

civile. Essi devono dunque morire nel tempo storico per r<strong>in</strong>ascere <strong>in</strong> quello del mito. Nella<br />

Donna che andò via a cavallo, gli <strong>in</strong>diani e lo stesso cavallo sono niente altro che gli agenti<br />

che accompagnano la protagonista <strong>in</strong> questo percorso di morte e r<strong>in</strong>ascita. Lawrence opera<br />

<strong>in</strong>somma lo svolgimento del mito del “Dy<strong>in</strong>g and reviv<strong>in</strong>g god” 553 descritto da Frazer nel suo<br />

Ramo d’oro <strong>in</strong> cui la donna rivive la parabola del dio morto e risorto.<br />

550<br />

J. B. Vickery, The literary Impact of The Golden Bough, cit. p. 317.<br />

551<br />

D. H. Lawrence, La donna che andò via a cavallo, cit. p. 829.<br />

552<br />

Ivi, p. 831.<br />

553<br />

J. B. Vickery, The literary Impact of The Golden Bough, cit. p. 325.<br />

152


3.4 It<strong>in</strong>erari critici tra America e Europa: Pavese e Lawrence leggono Melville<br />

Lawrence cercò di far seguire alle riflessioni sulla decadenza della civiltà moderna una sorta di<br />

pragmatismo che mai, però, si discostò dall’utopia. La vena apocalittica caratteristica di<br />

Lawrence scorre parallela a questa ansia di cambiamento, a questa speranza di salvezza. Per<br />

Pavese, al contrario, il nichilismo rappresentava un dest<strong>in</strong>o da cui ogni tentativo di evasione<br />

era dest<strong>in</strong>ato a fallire. Pavese espresse, nei suoi scritti e nella sua filosofia, un certo<br />

pessimismo che sfociò <strong>in</strong> una vena apocalittica <strong>in</strong> molte delle sue produzioni. Eppure, se si<br />

volesse <strong>in</strong>dicare una speranza nella filosofia dello scrittore piemontese, non si potrebbe non far<br />

riferimento a Melville. La vena utopica di Pavese fu, dunque, meno nutrita rispetto a quella di<br />

Lawrence. I due scrittori condivisero però una medesima speranza: l’America.<br />

L’America rappresentò, se pure per un breve periodo di tempo, qualcosa di più che un anelito<br />

per Pavese. Questa America, disegnata nelle opere di Melville, rappresentava un luogo dove la<br />

speranza di un r<strong>in</strong>novamento poteva dirsi concreta. Pavese fu affasc<strong>in</strong>ato dalla “vita barbara”<br />

americana così lontana dalla vita artificiale europea: “Loro sì, hanno saputo r<strong>in</strong>novarsi,<br />

passando la cultura attra<strong>vers</strong>o l’esperienza primitiva, reale, ma non, com’è l’andazzo da noi,<br />

r<strong>in</strong>negando un term<strong>in</strong>e per l’altro, bensì, attra<strong>vers</strong>o ciò che si chiama la vita, arricchendo,<br />

temprando e potenziando la letteratura”. Con la scoperta della letteratura americana il<br />

selvaggio diviene reale, concreto, raggiungibile, la vita mitica una possibilità aperta. Forse,<br />

sembra pensare Pavese per un attimo, la mitica età dell’oro è veramente r<strong>in</strong>tracciabile<br />

oltreoceano. Anche se le illusioni di Pavese erano det<strong>in</strong>ate ad essere <strong>in</strong>frante è <strong>in</strong>teressante<br />

notare come l’America e Melville potessero rappresentare l’<strong>in</strong>carnazione vivente di molte delle<br />

sue aspettative e delle sue teorie. Il confronto con Lawrence, che guardò all’America con<br />

<strong>in</strong>teresse e passione, è proficuo per sottol<strong>in</strong>eare quanto i due scrittori condividessero simili<br />

speranze e la medesima ansia di cambiamento. L’America assurge, nella mente dei due<br />

scrittori, a luogo mitico depositario di quella vita barbara e libera che agognavano nelle loro<br />

opere.<br />

Gli anni fra le due guerre mondiali rappresentano il periodo <strong>in</strong> cui la letteratura americana fece<br />

la sua prima decisa apparizione <strong>in</strong> Europa. La diffusione della letteratura americana ebbe una<br />

tempistica differente a seconda dello stato <strong>in</strong> cui veniva <strong>in</strong>trodotta. I pr<strong>in</strong>cipali fattori che<br />

determ<strong>in</strong>arono la sua diffusione furono prevalentemente l<strong>in</strong>guistici e politici. L’<strong>in</strong>troduzione e<br />

la diffusione della letteratura americana furono operazioni più agevoli <strong>in</strong> paesi come<br />

l’Inghilterra dove i libri potevano essere letti <strong>in</strong> l<strong>in</strong>gua orig<strong>in</strong>ale e dove non vi erano<br />

impedimenti di ord<strong>in</strong>e politico a limitarne la diffusione. In paesi come l’Italia, <strong>in</strong> cui il regime<br />

fascista perseguiva un programma di nazionalizzazione della letteratura, la diffusione della<br />

letteratura americana fu necessariamente più lenta e problematica. I problemi pr<strong>in</strong>cipali furono<br />

rappresentati dalla raccolta dei testi, dalla loro traduzione e dalla loro diffusione. Nell’ambito<br />

della politica di censura che il regime fascista aveva deciso di seguire nei confronti delle<br />

letterature reputate sov<strong>vers</strong>ive, questi problemi erano ovviamente da considerarsi grossi<br />

ostacoli. Nello studio dedicato a questo argomento, Ferme ha messo <strong>in</strong> risalto come la pratica<br />

di studiare la letteratura americana divenne un atto sov<strong>vers</strong>ivo <strong>in</strong> se stesso andando a<br />

contrastare con il progetto culturale fascista, parte <strong>in</strong>tegrante del progetto politico<br />

complessivo 554 . Pavese fu tra i primi a impegnarsi per <strong>in</strong>trodurre la letteratura americana <strong>in</strong><br />

Italia suscitando, <strong>in</strong> tal maniera, un senso di “scandalo” <strong>in</strong>torno ad un progetto che si poneva<br />

554 V. Valerio Cristiano Ferme, Cesare Pavese's and Elio Vittor<strong>in</strong>i's translations from American literature: The<br />

Americanization of aesthetics and the sub<strong>vers</strong>ion of culture under the Fascist regime (Italy), Uni<strong>vers</strong>ity of<br />

California, Berkeley, 1998, p. 3: “[…] the practice of translat<strong>in</strong>g from American literature became a sub<strong>vers</strong>ive<br />

act that destabilized the dom<strong>in</strong>ant political and aesthetic discourse of the fascist era <strong>in</strong> Italy”.<br />

153


deliberatamente <strong>in</strong> contrasto con le direttive del fascismo 555 . Gli anni ’30 rappresentarono un<br />

momento <strong>in</strong> cui i giovani italiani ebbero la possibilità di <strong>in</strong>contrare una nuova realtà che si<br />

poneva naturalmente <strong>in</strong> contrasto con quella teorizzata e imposta dal fascismo. L’impegno di<br />

traduzione e divulgazione delle opere americane si accompagnò ad “una gioia di scoperta e di<br />

rivolta che <strong>in</strong>dignò la cultura ufficiale” 556 , tanto che il fascismo fu costretto a scendere a<br />

compromessi con la nuova tendenza. L’<strong>in</strong>troduzione della letteratura americana <strong>in</strong> Italia<br />

rappresentò <strong>in</strong>somma una vera sfida al regime e servì a “perpetuare e alimentare l’opposizione<br />

politica, sia pure generica e futile, del pubblico italiano che leggeva” 557 . Lo studio della<br />

letteratura americana da parte di Pavese si configurò dunque come un sovvertimento estetico<br />

che non poteva non sconf<strong>in</strong>are nel campo della politica. Lo studio di Melville, <strong>in</strong> special modo,<br />

non era ben visto dalle gerarchie fasciste. E’ importante, nell’ottica di una analisi degli scritti<br />

critici che Pavese produsse su Melville, mettere <strong>in</strong> risalto questo aspetto al f<strong>in</strong>e di poterne<br />

cogliere tutte le implicazioni: aver a che fare con la letteratura americana rappresentava, <strong>in</strong><br />

epoca fascista, una sfida politica. Gli <strong>in</strong>teressi esistenziali ed estetici avevano dunque,<br />

nell’ambito dell’analisi che Pavese proponeva della letteratura americana, un immediato<br />

riscontro <strong>in</strong> ambito politico. La libertà di espressione, che gli scrittori americani detenevano, e<br />

la libertà <strong>in</strong>dividuale, che i personaggi delle loro narrazioni perseguivano, andava a scontrarsi<br />

spontaneamente con le rigide regolamentazioni imposte dal regime <strong>in</strong> ogni campo dello scibile.<br />

Questa precisazione è anche necessaria nel momento <strong>in</strong> cui si vogliono porre gli studi<br />

pavesiani su Melville accanto a quelli che svolse Lawrence sui medesimi argomenti.<br />

Anche per Lawrence il discorso sulla libertà è primario nell’ambito di uno studio su Melville<br />

ma, nel caso dello scrittore <strong>in</strong>glese, le implicazioni politiche non furono così immediate come<br />

nel caso di Pavese. L’<strong>in</strong>teresse di Lawrence per una dimensione della libertà, altamente<br />

riscontrabile fra i lavori degli scrittori americani, non ha a che vedere con uno specifico regime<br />

o sistema politico quanto con l’<strong>in</strong>tero sistema moderno delle relazioni umane. Si potrebbe<br />

ipotizzare che la ricerca di Lawrence fu <strong>in</strong>dirizzata pr<strong>in</strong>cipalmente a sondare i limiti della<br />

libertà dell’uomo <strong>in</strong>teso come <strong>in</strong>dividualità di fronte al mondo moderno; ogni tentativo di<br />

<strong>in</strong>quadrare politicamente il discorso dello scrittore <strong>in</strong>glese si scontra necessariamente con la<br />

constazione di tutte le istanze utopiche che furono caratteristiche del suo pensiero. La necessità<br />

di astrazione di regole uni<strong>vers</strong>ali rese spesso l’analisi politica di Lawrence superficiale. Le<br />

guerre e i conflitti politico-sociali furono costantemente messi <strong>in</strong> relazione al materialismo del<br />

mondo moderno, reo di impedire all’uomo una realizzazione personale <strong>in</strong> nome del falso<br />

traguardo della realizzazione economica. La cont<strong>in</strong>genza della I° Guerra Mondiale fu<br />

<strong>in</strong>terpretata, per esempio, come logico sviluppo della degenerazione dell’<strong>in</strong>tera società<br />

moderna. Sono questi i term<strong>in</strong>i <strong>in</strong> cui Cavitch spiega l’atteggiamento di Lawrence: (modern<br />

society) “diverts a man from his proper self-realization and b<strong>in</strong>ds him to the deathly purpose of<br />

economic ga<strong>in</strong>” 558 . Le catene dell’uomo andavano dunque spezzate, prima di tutto, a livello<br />

personale essendo l’uomo la prima cellula malata di una civiltà <strong>in</strong> decadenza. Recuperare tutti<br />

gli elementi orig<strong>in</strong>ari dell’essere umano, sepolti sotto le sovrastrutture della società moderna,<br />

si configurava dunque come primo e fondamentale passo della ricerca <strong>in</strong>tellettuale dello<br />

scrittore <strong>in</strong>glese. Lawrence apparve contrastato circa la possibilità di estendere un progetto per<br />

una nuova moralità <strong>vers</strong>o i settori della politica: la libertà dell’uomo poteva essere<br />

difficilmente raggiungibile da un punto di vista <strong>in</strong>dividuale; c’era un’effettiva possibilità di<br />

raggiungerla a livello politico? Lawrence provò a formulare ipo<strong>tesi</strong> <strong>in</strong> questo senso ma le sue<br />

proposte furono considerate utopiche e i suoi messaggi relegati sotto la categoria delle fantasie<br />

di un grande scrittore. L’appello generico a una ricostruzione sociale dell’Inghilterra e la vaga<br />

speranza di una rivoluzione basata su confusi ideali socialisti furono <strong>in</strong><strong>tesi</strong> come stravaganze di<br />

555<br />

Cesare Pavese, Richard Wright, sono f<strong>in</strong>iti i tempi <strong>in</strong> cui scoprivamo l’America, <strong>in</strong> La letteratura americana e<br />

altri saggi, cit. p. 189.<br />

556<br />

Cesare Pavese, Ieri e oggi, <strong>in</strong> La letteratura americana e altri saggi, cit. pp. 193-94.<br />

557<br />

Ibidem.<br />

558<br />

David Cavitch, D.H.Lawrence and the new World, New York Uni<strong>vers</strong>ity Press, New York, 1969, p. 33.<br />

154


un artista. Tutti gli sforzi per elaborare una condotta che agisse nel senso di un r<strong>in</strong>novamento<br />

sociale si condensarono nella proposta di costituire una comunità <strong>in</strong> un’isola deserta, idea tra<br />

l’altro sfruttata anche per la composizione di alcuni racconti. Questa proposta fu adornata con<br />

molti ideali ed argomentazioni suggestive ma non fu mai corredata di progetti pratici. Il suo<br />

sforzo primario apparve quello di liberare l’uomo da ogni tipo di costrizione, siano queste<br />

mentali, sociali, o politiche, ma il suo discorso si mantenne sempre nella sfera dell’idealità e<br />

della provocazione <strong>in</strong>tellettuale. Per Cavitch è addirittura improbabile che Lawrence avesse<br />

una visione globale e precisa di tutti le tensioni politiche durante la sua attività di scrittore:<br />

“It’s unlikely that Lawrence had any understand<strong>in</strong>g of the actual complexities of these<br />

measures or that he was <strong>in</strong> the programs of socialists or the labourists beyond the co<strong>in</strong>cidence<br />

of a few general pr<strong>in</strong>ciples on his part” 559 . Nonostante ciò l’attività di Lawrence fu tenuta<br />

costantemente sotto controllo da Scotland Yard e, anche nel suo caso, fu utilizzato dalle<br />

autorità lo strumento della censura come nel caso di The Ra<strong>in</strong>bow nel 1915. Così anche se<br />

Lawrence aveva postulato la difficoltà di raggiungere una libertà sociale attra<strong>vers</strong>o la libertà<br />

<strong>in</strong>dividuale, dovette riconoscere come le regole sociali potevano <strong>in</strong>cidere sulla sua libertà<br />

<strong>in</strong>dividuale. L’idea dell’America si fece spazio, nella mente di Lawrence <strong>in</strong> questo contesto.<br />

L’America si configurò, <strong>in</strong>izialmente, come luogo di opposizione, abbastanza distante dalla<br />

vecchia Europa da poter proporre nuove possibilità esistenziali e sociali. L’idea di un luogo<br />

dove la libertà di espressione si potesse associare alla libertà <strong>in</strong>dividuale e alla libertà sociale<br />

rappresentò, <strong>in</strong> certo momento della vita dello scrittore, la nuova speranza, la materializzazione<br />

delle sue utopie che, <strong>in</strong> Europa, non potevano trovare terreno fertile. America come speranza<br />

dunque. Luogo di vita barbarica che si contrapponeva all’esistenza artificiosa e decadente della<br />

vecchia Europa:<br />

I must see America. I th<strong>in</strong>k one can feel hope there. I th<strong>in</strong>k that there the life comes up from the roots, crude but<br />

vital. Here the whole tree of life is dy<strong>in</strong>g. It’s like to be dead: the underworld. I must see America. I believe it is<br />

beg<strong>in</strong>n<strong>in</strong>g not end<strong>in</strong>g 560 .<br />

La ricerca di se stessi e della pienezza dell’esistente, topoi della produzione di Lawrence,<br />

apparivano altamente ostacolati da una civiltà, quella moderna occidentale, che prevaricava<br />

ogni tentativo di raggiungere una dimensione <strong>in</strong>dividuale libera e <strong>in</strong>dipendente. La<br />

connessione fra libertà <strong>in</strong>dividuale e libertà sociale apparivano al contempo troppo<br />

strettamente legate per poter essere scisse e trattate separatamente. L’idea dell’America nacque<br />

<strong>in</strong> questo contesto e privilegiò questa prospettiva: la ricerca di un luogo verg<strong>in</strong>e dove l’uomo<br />

potesse avere l’effettiva possibilità di tornare ad essere se stesso, di tornare ad essere libero.<br />

L’America rappresentò dunque una speranza, un ideale, un luogo di ritrovo per lo spirito<br />

umano che poteva ambire alla ricostruzione della sua civiltà, della sua razza, della sua<br />

<strong>in</strong>dividualità. Un nuovo <strong>in</strong>izio nella storia dell’umanità:<br />

They [Americans] are not younger than we, but older: a second childhood. But be<strong>in</strong>g so old, <strong>in</strong> senile decay and<br />

second childishness, perhaps they are nearer to the end, and the new beg<strong>in</strong>n<strong>in</strong>g. Don’t have any illusion about the<br />

people, the life. The people and the life are monstrous.[…] But I also th<strong>in</strong>k that America, be<strong>in</strong>g so much worse,<br />

falser, further gone than England, is nearer to freedom 561 .<br />

559 Ivi, p.37.<br />

560 D. H. Lawrence, The Letters of D.H.Lawrence, edite da Harry T. Moore, Vik<strong>in</strong>g press, New York, 1932, pp.<br />

266-267.<br />

561 Ivi, pp. 481-482.<br />

155


La concezione ideale dell’America espressa qui da Lawrence fu <strong>in</strong> seguito supportata da studi,<br />

storici, etnografici ed estetici, atti ad <strong>in</strong>vestigare il nuovo mondo come fosse una grande e<br />

promettente unità. La storia americana e quella della sua letteratura furono studiate <strong>in</strong><br />

necessaria connessione con la storia europea. Ma, da una <strong>in</strong>iziale contrapposizione fra le due<br />

sponde dell’Atlantico, Lawrence passa presto ad una concezione evolutiva che vede l’Europa<br />

come il vecchio e il marcio, rappresentazione della condizione del nichilismo della civiltà<br />

contemporanea, e l’America come il nuovo e il promettente, luogo effettivo e non ideale dove<br />

una nuova civiltà poteva essere stabilita. L’America sembrò vivere, nella mente dello scrittore,<br />

come un opposto vivente alla decadenza europea; anche se il nuovo mondo non era<br />

necessariamente un paradiso terrestre, esso era pur sempre un luogo migliore rispetto<br />

all’Europa, un luogo dove la speranza della libertà era ancora <strong>in</strong>tatta. Nel primo saggio del<br />

libro Studies <strong>in</strong> Classic American Literature, pubblicato nel 1923, Lawrence vede il cont<strong>in</strong>ente<br />

americano come un luogo verg<strong>in</strong>e e <strong>in</strong>contam<strong>in</strong>ato dove la speranza di un r<strong>in</strong>novamento non<br />

era da considerarsi utopia. Un luogo dove nuove forme e idee potevano essere sviluppate<br />

lontano dalla “malattia” europea:<br />

It is natural that we should regard American literature as a small branch or prov<strong>in</strong>ce of English literature. None<br />

the less there is another view to be taken. The American art speech conta<strong>in</strong>s a quality that we have not calculated.<br />

It has a suggestive force which is not relative to us, not <strong>in</strong>herent <strong>in</strong> the English race. This alien quality belongs to<br />

the American cont<strong>in</strong>ent itself 562 .<br />

L’America, contrapponendosi all’Europa, stadio superato e decadente dell’evoluzione<br />

dell’uomo, diviene il luogo di una successiva evoluzione del genere umano e di una seconda<br />

fanciullezza. Lawrence fu senz’altro <strong>in</strong>teressato al ruolo della letteratura americana nell’ambito<br />

della storia letteraria occidentale ma il suo <strong>in</strong>teresse pr<strong>in</strong>cipale fu senz’altro quello di isolare<br />

dal contesto un’America simbolica, “a symbolic America” 563 , <strong>in</strong> grado di rappresentare un<br />

punto di snodo nella storia evolutiva del genere umano, “its crucial role <strong>in</strong> the history of man’s<br />

counsciousness” 564 . La letteratura americana diviene un campo d’<strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e privilegiato nel suo<br />

divenire simbolo dell’unione primordiale fra <strong>in</strong>conscio, natura e civilizzazione: “he f<strong>in</strong>ds that<br />

American literature and history substantiate his correlations between unconscious character,<br />

nature, and civilization” 565 . L’America e le sue forme d’espressione, <strong>in</strong> particolar modo quella<br />

letteraria, divengono strumentali alle ricerche <strong>in</strong>tellettuali di Lawrence; il mestiere di critico si<br />

trasforma immediatamente <strong>in</strong> quello del filosofo nichilista ed utopico, del moralista<br />

rivoluzionario, del sovvertitore estetico. Il ruolo del critico è ben <strong>def</strong><strong>in</strong>ito da Lawrence che<br />

postula come uno scrittore possa essere il miglior <strong>in</strong>terprete del lavoro di un altro scrittore.<br />

Nello stesso tempo l’approccio critico alla letteratura sembra essere relegato <strong>in</strong> una sfera<br />

<strong>in</strong>tellettuale <strong>in</strong> cui sensibilità, esistenza umana e moralità sono poste prima di ogni impegno<br />

politico. In un saggio su John Galsworthy del 1928, Lawrence dichiara:<br />

Literary criticism can be no more than a reasoned account of the feel<strong>in</strong>g produced upon the critic by the book he<br />

is criticiz<strong>in</strong>g. Criticism can never be a science: it is, <strong>in</strong> the first place, much too personal, and <strong>in</strong> the second, it is<br />

concerned with values that science ignores. The touchstone is emotion, not reason. We judge a work of art by its<br />

effect on our s<strong>in</strong>cere and vital emotion, and noth<strong>in</strong>g else. All the critical twiddle-twaddle about style and form, all<br />

this pseudo scientific classify<strong>in</strong>g and analyz<strong>in</strong>g of books <strong>in</strong> an imitation-botanical fashion, is mere impert<strong>in</strong>ence<br />

562 D.H.Lawrence, The symbolic Mean<strong>in</strong>g, the uncollected <strong>vers</strong>ions of studies <strong>in</strong> Classic American Literature,<br />

edited by Arm<strong>in</strong> Arnold, Centaur Press Limited, London, 1962, p.16.<br />

563 Cavitch, D.H.Lawrence and the new World, cit. p.80.<br />

564 Ibidem.<br />

565 Ibidem.<br />

156


and mostly dull jargon. A critic must be able to feel the impact of a work of art <strong>in</strong> all its complexity himself,<br />

which few critics are. A man with a paltry, impudent nature will never write anyth<strong>in</strong>g but paltry, impudent<br />

criticism. And a man who is emotionally educated is rare as a phoenix. The more scholastically educated man is<br />

generally, the more he is an emotional boor. [The critic] He must have the courage to admit what he feels, as well<br />

as the flexibility to know what he feels ….]. A critic must be emotionally alive <strong>in</strong> every fiber, <strong>in</strong>tellectually<br />

capable and skillful <strong>in</strong> essential logic, and then morally honest 566 .<br />

Appare evidente come l’argomentazione morale <strong>in</strong> Lawrence sia più forte di quella politica;<br />

l’<strong>in</strong>teresse per l’<strong>in</strong>dividuo diviene il primo grad<strong>in</strong>o di una rigenerazione morale vista come<br />

<strong>in</strong>dispensabile viatico <strong>vers</strong>o ogni ulteriore rivendicazione politica. Lo stesso sistema politico<br />

americano viene snobbato: l’America non è, <strong>in</strong> prima istanza, il luogo della libertà politica ma<br />

il luogo della libertà <strong>in</strong>dividuale. Il modello democratico americano è visto, al contrario, come<br />

un pericolo per la verg<strong>in</strong>ità del “nuovo mondo” e come un subdolo strumento per dom<strong>in</strong>are le<br />

masse. Nonostante il degrado politico, l’America è ancora il luogo dove la battaglia fra l’uomo<br />

e le forze oscure del mondo può essere v<strong>in</strong>ta <strong>in</strong> nome dell’uomo e della sua orig<strong>in</strong>aria natura.<br />

La letteratura americana rende visibile questa battaglia. L’America è il luogo dove l’uomo si<br />

può riappropriare del proprio essere senza scontrarsi con le barriere che la civiltà occidentale<br />

europea costantemente <strong>in</strong>terpone; la ricerca del significato orig<strong>in</strong>ario della vita, ovvero la<br />

“fullness of life”, altro topos della poetica di Lawrence, è, di fatto, impedita nel vecchio<br />

mondo. Nel caso americano, la libertà <strong>in</strong>dividuale non si associa direttamente a discorsi<br />

politici: libertà dell’<strong>in</strong>dividuo e discorso politico si estendono <strong>in</strong> due differenti dimensioni e<br />

raramente <strong>in</strong>trecciano i loro percorsi a differenza dell’Europa dove la società civile si è<br />

impossessata della libertà <strong>in</strong>dividuale trasformando l’uomo un cittad<strong>in</strong>o. La possibilità di<br />

conciliare le due dimensioni viene costantemente contraddetta nella speculazione <strong>in</strong>tellettuale<br />

di Lawrence; <strong>in</strong> questo stadio della sua ricerca, l’America è il luogo dove la libertà <strong>in</strong>dividuale,<br />

la libertà dell’essere, può essere ancora perseguita. In The Plumed Serpent, Ramon discute<br />

questo concetto dimostrando come gli uom<strong>in</strong>i dovrebbero battersi primariamente per la vita.<br />

L’uso della violenza contro le m<strong>in</strong>acce della politica è permessa nel momento <strong>in</strong> cui il bene più<br />

prezioso da salvaguardare è proprio la vita dell’<strong>in</strong>dividuo di cui lo stato si vorrebbe<br />

<strong>in</strong>debitamente appropriare. In una lettera ai socialisti Ramon scrive:<br />

What do you want? Would you make all men as you are? And when every peon <strong>in</strong> Mexico wears an American<br />

suit of clothes and sh<strong>in</strong>y black shoes, and looks for life <strong>in</strong> the newspaper and for his manhood to the government,<br />

will you be satisfied.[…] When men seek life first, they will not seek land nor gold.[…] And if the old communal<br />

system comes back, and the village and the land are one, it will be very good. For truly no man can possess<br />

lands 567 .<br />

Il disprezzo degli ideali borghesi postrivoluzionari, il rifiuto della proprietà privata e<br />

dell’organizzazione statale democratica, il biasimo del materialismo capitalista, posero<br />

Lawrence <strong>in</strong> una dimensione d’opposizione permanente <strong>vers</strong>o la maggior parte delle teorie<br />

politiche moderne. L’utopica prospettiva di un ritorno ad una dimensione comunale rese la sua<br />

posizione <strong>in</strong>dividualista ed anarchica. La battaglia di Ramon, che è il corrispettivo per molti<br />

<strong>vers</strong>i di quella di Lawrence, è per la libertà umana e non per un’ideologia politica. Quello che<br />

di politico traspare dagli scritti di Lawrence si configura come negazione e acquisisce una<br />

forma f<strong>in</strong>ale di rifiuto <strong>vers</strong>o le fitte trame della vita moderna. L’idea di una società comunale<br />

potrebbe essere difficilmente <strong>in</strong>terpretabile come una metafora del comunismo. Lawrence non<br />

prospetta alcun tipo di analisi economica e non parla di lotte di classe. Egli disquisisce <strong>in</strong>vece<br />

566<br />

D.H.Lawrence, Phoenix: The posthumous papers of D.H. Lawrence, edite da Edward D. Mc Donald, New<br />

York, 1936, pp. 539-540.<br />

567<br />

D.H.Lawrence, The plumed Serpent (1926), Cambridge Uni<strong>vers</strong>ity Press, Cambidge, 1987, pp. 362-63.<br />

157


di una libertà connessa alle antiche regole dell’umanità e ai suoi antichi dei che vennero prima<br />

di ogni moderna ideologia. Nell’ambito del pensiero dello scrittore appare dunque impensabile<br />

r<strong>in</strong>tracciare uno schema logico che rimandi deciso a qualsiasi ideologia politica. I suoi <strong>in</strong>teressi<br />

per le teorie espresse del fascismo vanno <strong>in</strong>quadrati <strong>in</strong> un largo contesto <strong>in</strong> cui i più disparati<br />

elementi potevano servire da materiale atto all’edificazione della sua utopia terrestre. Cavitch<br />

constata a riguardo: “His political viewpo<strong>in</strong>ts are ma<strong>in</strong>ly metaphors for the direction of his<br />

unconscious aspiration toward self-recognition or toward self-denial” 568 . Si potrebbe <strong>in</strong>somma<br />

concludere che la ricerca della libertà esistenziale, da parte di Lawrence, sia prioritaria rispetto<br />

ad ogni disegno politico e che egli, pur mancando di un’ideologia precostituita, non esiti a<br />

scontrarsi con le barriere culturali e sociali ogni qualvolta se ne presenti la necessità. La sua<br />

analisi procedette <strong>in</strong>dipendentemente prendendo le distanze dalla civiltà moderna. La<br />

letteratura americana si <strong>in</strong>serì <strong>in</strong> una dimensione ideale e simbolica. Così il primo passo per il<br />

reale apprezzamento dell’opera di Melville fu quello di cercare di limitare il più possibile il<br />

“punto di vista europeo” nel momento della lettura critica. In questo senso si sarebbe corso il<br />

rischio di privilegiare gli elementi consolidati e già presenti nella cultura europea piuttosto che<br />

discernere i fattori di novità per cui era <strong>in</strong>vece utile leggere la narrativa straniera. La mentalità<br />

europea doveva essere temporaneamente obliata nel momento della lettura di un’opera<br />

americana. Questo concetto che potremmo <strong>def</strong><strong>in</strong>ire di spersonalizzazione e che conduce, nelle<br />

<strong>in</strong>tenzioni dell’autore, ad una lettura esistenziale della letteratura americana, è espressa <strong>in</strong> un<br />

passo di Lawrence riportato da Cavitch:<br />

Now we must learn to th<strong>in</strong>k <strong>in</strong> terms of difference and otherness. There is a stranger on the face of the heart […]<br />

there is an unth<strong>in</strong>kable gulf between us and America, and across the space we see, not our own folk signal<strong>in</strong>g to<br />

us, but strangers, <strong>in</strong>comprehensible be<strong>in</strong>gs, simulacra perhaps of ourselves, but other, creatures of another<br />

world 569 .<br />

Pensare <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i di alterità e differenza appare un’ottima s<strong>in</strong><strong>tesi</strong> dell’approccio di Lawrence<br />

alla materia. La distanza fra Europa e America è profonda e lo studio della letteratura<br />

americana andava <strong>in</strong>teso proprio come valorizzazione della differenza. L’America divenne<br />

luogo di “esseri <strong>in</strong>comprensibili”, immag<strong>in</strong>i translate dei moderni europei che avevano,<br />

attra<strong>vers</strong>o quella letteratura “barbarica”, la possibilità di rientrare <strong>in</strong> contatto con una<br />

dimensione dell’essere <strong>in</strong>corrotta e vitale. La distanza è ampliata proprio per rendere più<br />

manifesta la crisi dell’Europa. Il tentativo di tradurre il l<strong>in</strong>guaggio e le idee provenienti<br />

dall’America fu criticato da Lawrence che vedeva nel nuovo mondo un luogo da raggiungere e<br />

non da importare. Così Cavitch riporta il pensiero dello scrittore a riguardo: “We read the<br />

English utterance without gett<strong>in</strong>g the alien American implication. We listen to our own speech<br />

<strong>in</strong> American mouths […]” 570 . Le preoccupazioni di Lawrence furono soprattutto di ord<strong>in</strong>e<br />

esistenziale e si riferirono prevalentemente al fenomeno del nichilismo che attanagliava<br />

l’<strong>in</strong>tera società europea <strong>in</strong>dipendentemente dalle di<strong>vers</strong>e situazioni politiche. La distanza fra<br />

Europa e America è evidente soprattutto ad un livello metodologico: la conoscenza si ottiene<br />

tramite l’esperienza di vita e non tramite l’elaborazione ideologica.<br />

La differenza pr<strong>in</strong>cipale che mi sembra si possa constatare fra Pavese e Lawrence è quella del<br />

di<strong>vers</strong>o approccio che i due autori condussero nei confronti della stessa materia. Pavese fu<br />

conscio delle implicazioni politiche che la traduzione della letteratura americana comportava<br />

ed anzi reputò tali implicazioni funzionali ai suoi propositi. La connessione tra America ed<br />

Europa è stabilita aprioristicamente e la distanza è ridotta al f<strong>in</strong>e di rendere la situazione<br />

culturale americana immediatamente traducibile e rapportabile alla situazione culturale<br />

568 D. Cavitch, D.H.Lawrence and the new World, cit. p. 141.<br />

569 Ivi, p. 17.<br />

570 Ivi p.16.<br />

158


italiana. Per Pavese, così come per Lawrence, l’ammirazione per gli americani, e soprattutto<br />

per Melville, era dovuta ad un m<strong>in</strong>or tasso di ideologismo che questi dimostravano di<br />

possedere. Come si spiega nel saggio su Melville, Pavese ammirò il fatto che lo scrittore<br />

americano avesse vissuto una vita “barbara” sperimentando il primitivismo, la sete di<br />

avventura e di nuove conoscenze che trasparivano dalla sua narrativa:<br />

Loro sì, hanno saputo r<strong>in</strong>novarsi, passando la cultura attra<strong>vers</strong>o l’esperienza primitiva, reale, ma non, com’è<br />

l’andazzo da noi, r<strong>in</strong>negando un term<strong>in</strong>e per l’altro, bensì, attra<strong>vers</strong>o ciò che si chiama la vita, arricchendo,<br />

temprando e potenziando la letteratura. Un pensiero non significa nulla di nulla se non è pensato con tutto il<br />

corpo, questa è bene una sentenza americana e a quest’ideale tutta la tradizione degli Stati, da Thoreau a<br />

Sherwood Anderson, consciamente o <strong>in</strong>consciamente mira, riuscendo alla creazione di poderosi <strong>in</strong>dividui che<br />

passano un buon numero d’anni barbaramente, vivendo e assorbendo, e poi si danno alla cultura, rielaborando la<br />

realtà sperimentata <strong>in</strong> pensieri ed immag<strong>in</strong>i che per la loro dignità e per la schiettezza serena e virile, han qualcosa<br />

di quell’equilibrio che usiamo chiamar greco. Siamo ben lontani dai paradisi artificiali che accolgono <strong>in</strong> capo al<br />

mondo i nostri rimbarbariti schizz<strong>in</strong>osi 571 .<br />

In questo senso Pavese <strong>in</strong>dica l’esempio negativo delle concezioni primitiviste-barbariche<br />

italiane, costrutti ideologici che cercavano di rispondere alle sollecitazioni delle mode<br />

letterarie europee con tentativi di emulazione e di rielaborazione particolarmente goffi:<br />

Ora, che da qualche tempo noi si provi un gran bisogno di imbarbarimento, è pacifico. Stanno a dimostrarlo il<br />

gusto r<strong>in</strong>novato dei viaggi e dello sport, il c<strong>in</strong>ema, il jazz, l’<strong>in</strong>teresse per i negri e tutto il resto che è pers<strong>in</strong><br />

banale ricordare e che con una parola s<strong>in</strong>tetica chiamiamo antiletteratura. Ed è senza dubbio molto bello tutto<br />

ciò. Ma è il modo che offende. Poiché mi pare che, nel fervore antiletterario, si tenda a un tal primitivismo che è<br />

quasi imbecillità. Debolezza, voglio dire: è vile fuggire le complicazioni <strong>in</strong> un paradiso semplicistico che dopo<br />

tutto, come è <strong>in</strong>teso, non è che uno dei tanti raff<strong>in</strong>amenti della civiltà 572 .<br />

La ricerca artistica, come ricerca esistenziale, appare ben altra cosa che un costrutto ideale.<br />

Questo rifiuto dell’ideologismo moderno per la riscoperta di una vera dimensione vitale,<br />

appare accomunare entrambi gli scrittori. Così Lawrence si esprime a proposito:<br />

But art-speech, art-utterance, is, and always will be, the greatest uni<strong>vers</strong>al language of mank<strong>in</strong>d […]. Art speech<br />

is also a language of pure symbols. But whereas the authorized symbol stands always for a though or an idea,<br />

some mental concept, the art-symbol or art term stands for a pure experience, emotional and passional, spiritual<br />

and perceptual, all at once. The <strong>in</strong>tellectual idea rema<strong>in</strong>s implicit, latent and nascent.[…] Therefore, when we<br />

reduce and dim<strong>in</strong>ish any work of art to its didactic capacity […] then we f<strong>in</strong>d that that work of art is a subtle and<br />

complex idea expressed <strong>in</strong> symbols.[…] for certa<strong>in</strong> purposes, it is necessary to degrade a work of art <strong>in</strong>to a th<strong>in</strong>g<br />

of mean<strong>in</strong>gs and reasoned exposition. This process of reduction is part of the science of criticism 573 .<br />

La riduzione dell’arte ad un sistema di idee è giustificato da Lawrence solo nel caso dello<br />

studio critico dell’opera che, come abbiamo visto, è appannaggio della comunità degli scrittori.<br />

Al di là di questa eccezione l’opera dovrebbe essere lasciata libera di vivere la sua vita e di<br />

espletare le sue <strong>in</strong>numerevoli funzioni significanti. Eppure Lawrence si trovò costretto ad<br />

ammettere che, allo stato attuale delle cose, non si poteva tracciare una storia della letteratura<br />

americana senza al contempo tracciare una storia delle idee che viaggiarono, <strong>in</strong> entrambi i<br />

sensi, tra il nuovo e il vecchio cont<strong>in</strong>ente. La rilevanza di uno studio delle idee fu riconosciuto<br />

571 C. Pavese, Herman Melville, Il baleniere letterato, cit. p. 78.<br />

572 C. Pavese, Herman Melville, Il baleniere letterato, cit. p. 77.<br />

573 D. Cavitch, D.H.Lawrence and the new World, cit. pp. 18-19.<br />

159


da Lawrence ma, dai suoi scritti, si ricava l’impressione di come questo studio rivestisse<br />

un’importanza m<strong>in</strong>ore rispetto a quello dei significati simbolici ed espletasse una funzione<br />

prettamente propedeutica: “But before we can undertake to criticize American books, to<br />

discover their symbolic mean<strong>in</strong>g, we must first trace the development of the orthodox<br />

European idea on American soil” 574 . L’<strong>in</strong>troduzione di Lawrence ai suoi Studies sembra<br />

f<strong>in</strong>alizzata a stabilire i parametri di raffronto fra America e Europa. Lawrence dimostrò<br />

un’<strong>in</strong>teresse storico-antropologico per la nascita di una nuova cultura che miscelava la<br />

“sapienza <strong>in</strong>tellettuale” della vecchia Europa con la “conoscenza terrestre” degli autoctoni.<br />

Una sorta di Genesi dunque o quello che Pavese <strong>def</strong><strong>in</strong>ì “un nuovo <strong>in</strong>izio della storia” 575 .<br />

La componente europea fu vista, da entrambi gli autori, come segno di decadenza, come germe<br />

pericoloso che m<strong>in</strong>acciava di contagio un’America che appariva ancora <strong>in</strong> buona salute. Il<br />

primitivismo degli americani ebbe una matrice culturale autoctona. I messicani sono descritti<br />

da Lawrence, nello scritto Not I but the w<strong>in</strong>d, attra<strong>vers</strong>o una serie di contrasti; la loro cultura<br />

tragica si oppone alle piatte e razionali idee europee: “(<strong>in</strong> Mexicans) someth<strong>in</strong>g wild and<br />

untamed, cruel and proud, beautiful and sometimes evil that is really America but not the<br />

America of the whites” 576 . Il contrasto si creava spontaneamente tra le culture rurali e/o<br />

primitive e gli avamposti della civiltà europea rei di aver importato il culto del denaro e il<br />

concetto di proprietà privata. La tragica situazione dell’America bianca, (that) “smashes your<br />

soul” (through the) “cult of dollar” 577 , riproponeva la genesi della civiltà europea. L’America,<br />

profondamente malata di europeismo, cercava di aver ragione dell’America autoctona. Nella<br />

rappresentazione attuale dell’eterno conflitto che si <strong>in</strong>staura tra natura e civiltà, Lawrence<br />

r<strong>in</strong>tracciava la valenza simbolica dell’America. Questo era il luogo dove ancora si combatteva<br />

e dove vi era ancora una speranza, al contrario dell’Europa dove la malattia della modernità<br />

aveva <strong>def</strong><strong>in</strong>itivamente preso piede. Si può <strong>in</strong> questo momento chiarire come la valenza<br />

simbolica di un’America, così <strong>def</strong><strong>in</strong>ita, sia estremamente funzionale all’architettura narrativa<br />

di Lawrence. Ma, anche <strong>in</strong> questo caso, dovremmo notare una differenza di posizioni con<br />

Cesare Pavese. Lawrence, tratteggiando una l<strong>in</strong>ea dal vecchio cont<strong>in</strong>ente all’America, esprime<br />

la tragicità del contrasto fra la vecchia e la nuova cultura e disegna una mitologia atta ad<br />

esprimere la crisi dell’uomo moderno. Sull’altro <strong>vers</strong>ante Pavese getta un’identica l<strong>in</strong>ea fra le<br />

due sponde atlantiche ma il vettore è differente. In questo caso il movimento procede<br />

dall’America all’Europa. Quanto di nuovo e vitale veniva attribuito alla cultura americana<br />

viene trasportato nel vecchio cont<strong>in</strong>ente per essere messo a confronto con la decadente cultura<br />

europea. Pavese cercò una voce straniera, vitale e foriera di speranze, che potesse travolgere, o<br />

perlomeno scuotere, la malata società europea:<br />

E se per un momento c’era apparso che valesse la pena di r<strong>in</strong>negare noi stessi e il nostro passato per affidarci<br />

corpo e anima a quel libero mondo, ciò era stato per l’assurda e tragicomica situazione di morte civile <strong>in</strong> cui la<br />

storia ci aveva per il momento cacciati 578 .<br />

Nell’operazione condotta da Pavese dovremmo qu<strong>in</strong>di riconoscere una duplicità di propositi: la<br />

letteratura americana fu parte di una ricerca personale che implicò un’urgenza esistenziale ma,<br />

nello stesso tempo, fu un’<strong>in</strong>vocazione ad un risollevamento <strong>in</strong>tellettuale collettivo. Libertà<br />

dell’<strong>in</strong>dividuo e libertà del cittad<strong>in</strong>o sono connesse così come connesse appaiono libertà<br />

<strong>in</strong>tellettuale e libertà politica. Quello del sovvertimento politico non fu il primo degli obiettivi<br />

che Pavese si prefisse; tuttavia l’<strong>in</strong>teresse per la letteratura americana contrastava con le<br />

574 Ivi, p. 19.<br />

575 C. Pavese, Ieri e oggi, cit. pp. 194-95.<br />

576 Frieda Lawrence, Not I but the w<strong>in</strong>d, The Vik<strong>in</strong>g press, New York, 1934, p.168.<br />

577 D.H.Lawrence,The Plumed Serpent, Mart<strong>in</strong> Secker, London, 1926, pp.46-47.<br />

578 C. Pavese, Ieri e oggi, cit. pp. 194-95.<br />

160


direttive del regime fascista 579 . Pavese, attra<strong>vers</strong>o l’approfondimento di argomenti prettamente<br />

letterari, svelò quello che Shapp ha <strong>def</strong><strong>in</strong>ito “il paradosso produttivo della cultura fascista” 580 .<br />

Solo attra<strong>vers</strong>o lo scioglimento della trama dei fili <strong>in</strong>tessuti, e la sovrapposizione dell’arte alla<br />

politica, la posizione di Pavese è identificabile e comprensibile.<br />

Così Pavese scriveva riguardo Melville nel primo saggio apparso sulla rivista La cultura nel<br />

Gennaio-Marzo del 1932: “Non a caso Melville è un nordamericano. Questi ultimi arrivati<br />

della cultura che, dai suoi difensori, sono tenuti responsabili del imbarbarimento dei nostri<br />

ideali e, biasimo escluso, con ragione, han molto da <strong>in</strong>segnarci a questo proposito” 581 . Il<br />

conf<strong>in</strong>e tra libertà <strong>in</strong>dividuale e libertà sociale, è facilmente attra<strong>vers</strong>ato da Pavese così come il<br />

conf<strong>in</strong>e tra America ed Europa. La caccia di Moby Dick assume i toni della caccia mitica,<br />

correlata alla ricerca europea di un r<strong>in</strong>novamento all’<strong>in</strong>terno della decadente cultura europea:<br />

“Noi, figli dell’Ottocento, abbiamo nelle ossa il gusto delle avventure, del primitivo, della vita<br />

reale, che seguono e succedono alla cultura e ci liberano dalle complicazioni facendo da<br />

cataplasma all’animuccia decadente, malata di civiltà” 582 . E’ la fuga da una cultura che vuole<br />

promuovere la verità oltre la realtà; la propria s<strong>in</strong>gola idea sopra la complessità della vita. Il<br />

mito di Moby Dick riguarda l’uomo di fronte alla sua natura misteriosa e terribile e riguardo il<br />

fasc<strong>in</strong>o <strong>vers</strong>o l’ignoto e l’impulso impresc<strong>in</strong>dibile per combatterlo e superarlo. Il ruolo<br />

dell’uomo è quello di porsi di fronte a questa alternativa esistenziale riconoscendo nessun altro<br />

eroe che “il rottame umano” 583 . L’accettazione e la condivisione di questo dest<strong>in</strong>o, “fiera sete<br />

di libertà <strong>in</strong>teriore” 584 , è ciò che guida al riconoscimento della condizione umana. La<br />

possibilità di <strong>in</strong>vestigare “il lato oscuro”, il mistero dell’uomo e la tragedia della vita moderna<br />

rappresentavano i gradi della libertà ricercata da Pavese. Erano questi i temi <strong>in</strong>visi al regime<br />

che esaltava le virtù dell’uomo nuovo fascista e postulava la positività dell’esistenza,<br />

<strong>in</strong>quadrata soprattutto <strong>in</strong> una dimensione ideale e civile. Moby Dick rappresentò per Pavese<br />

l’opera <strong>in</strong> grado di gettare uno sguardo profondo <strong>in</strong> “questa metà del mondo” 585 lasciando<br />

l’altra metà avvolta di un contagioso mistero. Tutte le referenze presenti nel libro, le<br />

etimologie, la fiera delle conoscenze umane e l’approccio scientifico a tutte le attività che si<br />

svolgevano nel Pequod, si svelano vane di fronte alla forza dirompente della natura. La<br />

battaglia mitica dell’uomo contro la natura si riflette all’<strong>in</strong>terno dell’umanità veicolata dal<br />

Pequod. La centralità di questa battaglia mitica è sottol<strong>in</strong>eata da Pavese che vede<br />

nell’antagonismo il vero motivo tra<strong>in</strong>ante del libro: “La ricchezza di una favola sta nella<br />

capacità ch’essa possiede di simboleggiare il maggior numero di esperienze. Moby Dick<br />

rappresenta un antagonismo puro, e perciò Achab e il suo Nemico formano una paradossale<br />

coppia d’<strong>in</strong>separabili” 586 .<br />

La stessa dimensione mitologica è riconosciuta da Lawrence nel suo saggio su Melville. Il<br />

libro è un agglomerato di significati simbolici che si condensano nella battaglia dell’uomo e<br />

dei suoi ideali contro la natura a lui esterna, il mistero delle orig<strong>in</strong>i, e quella a lui <strong>in</strong>terna,<br />

l’<strong>in</strong>conscio. Moby Dick è il simbolo della natura e dell’<strong>in</strong>conscio dell’uomo che devono essere<br />

soggiogati. E’ una battaglia tragica: “He (Moby Dick) is the last warm-blooded tenant of the<br />

waters, the greatest and last. He is the deep, free sacral consciousness <strong>in</strong> man. He must be<br />

579<br />

Edw<strong>in</strong> Fussel, Forward to: Cesare Pavese, American Literature Essays and op<strong>in</strong>ions, Uni<strong>vers</strong>ity of<br />

California Press, Los Angeles-London, 1970, p.VI: Pavese, “which had, <strong>in</strong> the first <strong>in</strong>stance, the purpose of us<strong>in</strong>g<br />

American literature to subvert Italian literature, thought, sensibility, and culture”<br />

580<br />

J. T. Shapp, Epic demonstrations: Fascist Modernity and the 1931 Exhibition of the Fascist Revolution, <strong>in</strong><br />

Fascism, Aesthetics and culture, cit. p.3.<br />

581<br />

C. Pavese, Herman Melville, Il baleniere letterato, cit. p. 78.<br />

582 Ivi, p. 77.<br />

583 Ibidem.<br />

584 Ivi, p. 80.<br />

585 Ivi, p. 83.<br />

586 Ivi, pp. 96-97.<br />

161


subdued” 587 . E’ quasi un paradosso per Lawrence che l’uomo si trovi a combattere una<br />

battaglia contro la sua stessa natura, contro la sua stessa libertà <strong>in</strong> nome di vuoti ideali che f<strong>in</strong>o<br />

ad ora non hanno fatto altro che rov<strong>in</strong>argli l’esistenza. Melville rappresenta l’esempio vivente<br />

di questa paradossale e tragica battaglia:<br />

[…] life must be an idea, essentially an idea. It must be a progression towards an ideal: a life dedicated to some<br />

process or goal of consciousness.[…] Man must be an ideal consciousness: this was a fixed pr<strong>in</strong>ciple <strong>in</strong> him.[…]<br />

Rarest of all th<strong>in</strong>gs to f<strong>in</strong>d is a man who can really accept life, without impos<strong>in</strong>g some theory or some arbitrary<br />

goal or some mechanistic vision 588 .<br />

Per Lawrence il conflitto fra il mondo costruito delle idee e quello della libertà naturale, è<br />

presente nell’attitud<strong>in</strong>e di Melville nel momento della composizione di Moby Dick. Il valore di<br />

Moby Dick, uno dei libri più strani e meravigliosi del mondo (“one of the strangest and most<br />

wonderful books <strong>in</strong> the world” 589 ), è, dunque, anche quello di una testimonianza personale di<br />

un uomo educato al puritanesimo e all’idealismo che cercò di guardare oltre i limiti che la sua<br />

cultura gli aveva imposto. La sconfitta degli uom<strong>in</strong>i del Pequod si configura dunque come la<br />

simbolica sconfitta di una cultura idealista (Pavese sosterrà a riguardo come Ismaele, il<br />

narratore lettore di Platone, sia il simbolo maggiore dell’idealismo notando come “l’ideale di<br />

Melville culm<strong>in</strong>a <strong>in</strong> Ismaele” 590 ). Melville si muove costantemente, nella sua narrazione, fra<br />

questi due poli, quello dell’idea e quello della natura, sottol<strong>in</strong>eando la tragica posizione di<br />

colui che è sul conf<strong>in</strong>e tra il conosciuto e l’abisso. Non sorprende vedere Lawrence discernere<br />

con lucidità la portata delle due dimensioni ed <strong>in</strong>dicare il suo punto di vista a riguardo:<br />

The author is never quite himself. He is always at the mercy of the rank, self-consciousness idealism which still<br />

rules white America, he always has to handle artificial values.[…] When however he forgets all audience, and<br />

renders us his sheer apprehension of the world, he is wonderful, his book commands a stillness <strong>in</strong> the soul, and<br />

awe 591 .<br />

Pavese e Lawrence ebbero <strong>in</strong> comune, riflettendo e scrivendo sulla letteratura americana,<br />

molte argomentazioni. Scelsero entrambi la letteratura americana come campo dove la<br />

battaglia mitica dell’uomo all’<strong>in</strong>terno del proprio mondo, e all’<strong>in</strong>terno del proprio stesso ego,<br />

poteva essere rappresentata <strong>in</strong> maniera più evidente. Le <strong>in</strong>numerevoli implicazioni di un libro<br />

come Moby Dick permisero ad entrambi gli autori di disquisire dello stesso argomento<br />

privilegiando di volta <strong>in</strong> volta punti di vista di<strong>vers</strong>i. Eppure gli obiettivi, f<strong>in</strong>anche i risultati<br />

della loro ricerca, sembrano, <strong>in</strong> molti casi, convergere. La ricerca degli spazi residui di libertà<br />

umana all’<strong>in</strong>terno del mondo moderno sembrò essere condivisa dai due scrittori. Il mondo<br />

moderno sviluppa i suoi mostri riconosciuti dagli autori nella vicenda mitica di Moby Dick.<br />

Questi mostri erano perpetrati dal fascismo, dall’assetto della società moderna basata<br />

sull’<strong>in</strong>dustrializzazione e sul capitalismo, dal processo di trasformazione dell’uomo <strong>in</strong> un altro<br />

prodotto, un prodotto produttivo di passioni e sentimenti derivati. Entrambi gli autori<br />

guardarono <strong>vers</strong>o gli antichi schemi di un sapere mitico al f<strong>in</strong>e di riguadagnare una visione<br />

propria dell’umanità.<br />

Lo studio di una letteratura capace di dar libero corso alle tematiche del mito e del<br />

primitivismo sembrò prestarsi <strong>in</strong> particolar modo agli <strong>in</strong>teressi artistici di Lawrence e Pavese. I<br />

587<br />

D.H.Lawrence, The symbolic mean<strong>in</strong>g. The uncollected <strong>vers</strong>ions of Studies <strong>in</strong> Classic American Literature<br />

(1923) , edito Arm<strong>in</strong> Arnold, Centaur Press Limited, London, 1962, p. 235.<br />

588<br />

Ivi, pp. 225-28.<br />

589<br />

Ivi, p. 250.<br />

590<br />

C. Pavese, Herman Melville, Il baleniere letterato, cit. p. 78.<br />

591<br />

D.H.Lawrence, The symbolic mean<strong>in</strong>g. The uncollected <strong>vers</strong>ions of Studies <strong>in</strong> Classic American Literature,<br />

cit. p. 237<br />

162


due scrittori affrontarono, <strong>in</strong> molte delle loro narrazioni, le medesime problematiche affrontate<br />

da Melville. Indipendentemente dai risultati poetici a cui Lawrence e Pavese giunsero, si può<br />

r<strong>in</strong>tracciare <strong>in</strong> loro un comune <strong>in</strong>teresse per i temi del primitivismo, di cui l’implicazione<br />

privilegiata fu quella di stampo ontologico, e per i temi <strong>in</strong>erenti al viaggio, <strong>in</strong>teso come<br />

viaggio filosofico di scoperta e di r<strong>in</strong>venimento. Il personaggio del primitivo è, <strong>in</strong> questo caso,<br />

un depositario di simboli che rimandano costantemente al discernimento delle tracce sepolte;<br />

la critica serrata del mondo moderno, attra<strong>vers</strong>o il confronto con l’<strong>in</strong>corrotto mondo<br />

dell’orig<strong>in</strong>e, si situa lontano dagli spazi codificati e immediatamente traducili della modernità.<br />

Entrambi gli autori portano avanti una sostanziale critica della civiltà moderna attra<strong>vers</strong>o la<br />

negazione delle mode letterarie dell’epoca come certo tipo di letteratura di viaggio, non <strong>in</strong><br />

grado di problematizzare la distanza, e certo tipo di letteratura primitivista, che si configurava<br />

come una delle tante frivolezze dell’epoca. Il primitivismo, a cui fanno riferimento Lawrence e<br />

Pavese, è a sfondo filosofico e r<strong>in</strong>traccia nel selvaggio un personaggio tragico. Per Pavese,<br />

l’Europa era il luogo dove questo primitivismo assumeva le forme più abiette dimostrando,<br />

ancora una volta, la decadenza della cultura occidentale. Questa situazione viene posta a<br />

confronto con l’esempio di Melville ancora fautore di un reale primitivismo:<br />

Poiché questo è curioso <strong>in</strong> Moby Dick e Melville: benché si tratti di un’opera ispirata da esperienze di vita quasi<br />

barbarica, ai conf<strong>in</strong>i della terra, Melville non è mai un pagliaccio che si metta a f<strong>in</strong>gere anche lui il barbaro e il<br />

primitivo, ma, dignitoso, coraggioso, non si spaventa di rielaborare quella vita verg<strong>in</strong>e attra<strong>vers</strong>o tutto lo scibile<br />

della terra. Poiché credo ci voglia meno coraggio ad affrontare un capodoglio o un tifone che a rischiare di passar<br />

per un pedante o un letterato 592 .<br />

L’<strong>in</strong>teresse per l’etnografia che Pavese espresse lungo tutto l’arco della sua carriera di<br />

scrittore, si configurò come lucido tentativo di sottrarre le tematiche del primitivismo alle<br />

strumentalizzazioni del pensiero idealista europeo. Per Pavese il primitivo è personaggio<br />

tragico <strong>in</strong> quanto simbolo di “quell’altra parte di mondo” che si oppone al mondo civilizzato.<br />

E’ lo stesso punto che Lawrence mette <strong>in</strong> risalto nel suo saggio su Melville:<br />

It is absurd to speak of savages as children, young, rudimentary people.[…] Of all childish th<strong>in</strong>gs, science is one<br />

of the most childish and amus<strong>in</strong>g. The savages, we may say all savages, are remnants of the once civilized worldpeople,<br />

who had their splendor and their be<strong>in</strong>g for countless centuries <strong>in</strong> the way of sensual knowledge, that<br />

conservative way which Egypt shows us at its conclusion, mysterious and long-endur<strong>in</strong>g.[…] The savages have<br />

grown older and older 593 .<br />

Gli studi di Pavese e Lawrence sulla letteratura americana sembrano <strong>in</strong>trecciarsi <strong>in</strong>torno a<br />

<strong>in</strong>teressi poetici e a <strong>in</strong>teressi critici comuni. Entrambi gli autori vedevano <strong>in</strong> Melville uno<br />

scrittore da studiare e da portare alla ribalta del grande pubblico non solo a f<strong>in</strong>i accademici ma<br />

anche politici. Pavese e Lawrence riconobbero nel maestro americano una fonte di ispirazione<br />

e un modello da seguire. Melville, <strong>in</strong>tellettuale di frontiera, rappresentava uno scrittore<br />

genu<strong>in</strong>o <strong>in</strong> lotta con una civiltà che tentava di soggiogarne lo spirito. Il gigantesco cetaceo<br />

Moby Dick è la rappresentazione di una natura mostruosa, da <strong>in</strong>seguire e da sconfiggere.<br />

Quello che Lawrence chiamava lo “spirito del luogo”, the spirit of the place, era m<strong>in</strong>acciato<br />

dalla cultura americana di matrice europea. La caccia mitica di Melville si configura come<br />

espressione di questa tragedia, espressione della lotta di una civiltà idealista che tenta di<br />

soggiogare la propria natura.<br />

592 Ivi, pp. 94-95.<br />

593 D.H.Lawrence, The symbolic mean<strong>in</strong>g. The uncollected <strong>vers</strong>ions of Studies <strong>in</strong> Classic American Literature,<br />

cit. p. 223.<br />

163


Entrambi gli autori maturarono una visione ferocemente critica nei confronti della cultura<br />

egemone americana che pretendeva di soppiantare le culture autoctone. Soprattutto la critica<br />

<strong>vers</strong>o il nuovo idealismo americano e l’ipocrisia dei gerarchi statunitensi fu al centro delle<br />

critiche di Pavese e Lawrence. Lawrence sviluppò un’acuta av<strong>vers</strong>ione contro la retorica<br />

americana che circondava il concetto di democrazia, riconoscendo <strong>in</strong> questo progetto politico<br />

una nuova m<strong>in</strong>accia contro la libertà dell’uomo. L’uomo moderno era condotto, attra<strong>vers</strong>o la<br />

demagogia e le “false speculazioni democratiche”, a divenire uno schiavo assenziente nel<br />

moderno sistema capitalista. La battaglia per la libertà sembrava <strong>in</strong> questo senso dest<strong>in</strong>ata a<br />

fallire: “Especially our fellow-men. We love to round them up <strong>in</strong>side the barbed-wire<br />

enclosure of FREEDOM, and make ‘em work. Work, you free jewel, WORK! Shouts the<br />

liberator, crack<strong>in</strong>g his whip. Benjam<strong>in</strong>, I will not work. I do not choose to be a free democrat. I<br />

am absolutely a servant of my own Holy Ghost” 594 . Ma la battaglia <strong>in</strong>teriore di Lawrence, per<br />

dare all’America una stabile dimensione, durò per tutta la sua esistenza accompagnata da<br />

dialettiche di negazione e speranza a cui l’idea di America non riusciva a sottrarsi: “dialects of<br />

negation and hope he had <strong>in</strong>vested <strong>in</strong> the image of America” 595 . L’America era il luogo dove<br />

l’<strong>in</strong>dividuo poteva ancora lottare per la sua libertà o un luogo dove si stava svolgendo<br />

l’ennesima tragedia della libertà?<br />

Si può costatare come problemi simili trovarono spazio nelle riflessioni di Pavese. Dopo la<br />

caduta del fascismo, Pavese perse molta della sua attenzione nei confronti della letteratura<br />

americana. L’americanismo, rivendicato f<strong>in</strong>o a pochi anni prima, si era sviluppato come<br />

negazione sistematica del fascismo. Questa relazione era talmente stretta che dobbiamo notare<br />

come la morte di uno dei due poli m<strong>in</strong>acciò seriamente la sopravvivenza dell’opponente.<br />

Pavese prese atto di questa evoluzione disegnando l’ennesimo schema mitico atto a<br />

<strong>in</strong>corporare lo sviluppo di questo processo:<br />

Sono f<strong>in</strong>iti i tempi <strong>in</strong> cui scoprivamo l’America.[…] Ci pare <strong>in</strong>somma che oggi dopo la guerra e l’occupazione,<br />

dopo avere passeggiato e chiacchierato a lungo tra noi, i giovani americani abbiano subito un <strong>in</strong>teriore processo<br />

di europeizzazione e perduto gran parte di quell’esotica e tragica schiettezza ch’era il loro dest<strong>in</strong>o. Ma anche<br />

questo può darsi che, nel gioco della storia, faccia parte del loro dest<strong>in</strong>o. 596<br />

A esser s<strong>in</strong>ceri <strong>in</strong>somma ci pare che la cultura americana abbia perduto il magistero, quel suo <strong>in</strong>genuo e sagace<br />

furore che la metteva all’avanguardia del nostro mondo <strong>in</strong>tellettuale. Né si può non notare che ciò co<strong>in</strong>cide con<br />

la f<strong>in</strong>e, o sospensione, della sua lotta antifascista.[…] Ma senza un fascismo a cui opporsi, senza cioè un<br />

pensiero storicamente progressivo da <strong>in</strong>carnare, anche l’America, per quanti grattacieli e automobili e soldati<br />

produca, non sarà più all’avanguardia di nessuna cultura. Senza un pensiero e senza lotta progressiva, rischierà<br />

anzi di darsi essa stessa a un fascismo, e sia pure nel nome delle sue tradizioni migliori 597 .<br />

L’America poteva rappresentare l’ideale di una forte opposizione, dunque, ma la a sua forza<br />

simbolica era molto più debole senza un opponente. Il discorso americano svelava la sua forte<br />

valenza oppositiva ma denunciava, al contempo, una carenza di qualità affermative. Le<br />

speranze di Pavese e Lawrence si scontrarono contro il muro della realtà americana ma questo<br />

non riduce l’importanza delle analisi da loro condotte. La questione importante da sollevare<br />

non appare molto relativa all’America come realtà ma all’America come idealità. Pavese e<br />

Lawrence ebbero, ad un certo punto del loro percorso <strong>in</strong>tellettuale, la necessità di appellarsi ad<br />

un opponente, un luogo lontano abitato da persone differenti che si potevano porre come<br />

immag<strong>in</strong>e alternativa dell’Europa. La retorica della libertà americana agì fondamentalmente <strong>in</strong><br />

questa direzione: mettere <strong>in</strong> risalto la “non libertà” dell’Europa. Pavese e Lawrence si<br />

<strong>in</strong>teressarono relativamente poco della storia americana deducendo un’immag<strong>in</strong>e ideale di quel<br />

594<br />

D. Cavitch, D.H.Lawrence anf the New World, cit. p. 143.<br />

595<br />

Ivi, p. 103.<br />

596<br />

C. Pavese, Richard Wright, sono f<strong>in</strong>iti i tempi <strong>in</strong> cui scoprivamo l’America, cit. pp. 189-190.<br />

597<br />

C. Pavese, Ieri e oggi , cit. pp. 195-96.<br />

164


paese attra<strong>vers</strong>o le letture di scrittori come Melville. La libertà di espressione di cui tali<br />

scrittori usufruivano <strong>in</strong> America era l’aspetto più significativo di quel mondo e, anche se le<br />

prospettive sociali non erano affatto <strong>in</strong>coraggianti, i due autori si persuasero che la situazione<br />

fosse ampiamente migliore di quella europea. La libertà di espressione si associò alla libertà<br />

<strong>in</strong>dividuale che sembrò essere l’<strong>in</strong>teresse pr<strong>in</strong>cipale dei due autori. La contraddizione fra la<br />

realtà politica dell’America e l’ideale dell’America si sarebbe presto resa evidente ma, <strong>in</strong> quel<br />

momento storico, poteva essere parzialmente accantonata. Nel caso di Lawrence il punto di<br />

maggior <strong>in</strong>teresse fu quello morale. L’<strong>in</strong>teresse per una libertà <strong>in</strong>dividuale fu propedeutico<br />

all’<strong>in</strong>teresse per la libertà politica. I due campi erano dest<strong>in</strong>ati ad entrare <strong>in</strong> collisione ma ciò<br />

non toglie che Lawrence postulò la rigenerazione morale come primo <strong>in</strong>eluttabile passo <strong>vers</strong>o<br />

la libertà sociale. Come si può notare nel Serpente piumato, la storia sembra muo<strong>vers</strong>i su b<strong>in</strong>ari<br />

propri divorando e digerendo le vite dei s<strong>in</strong>goli <strong>in</strong>dividui. La battaglia per la libertà è <strong>in</strong> primo<br />

luogo una battaglia <strong>in</strong>dividuale e si configura come lotta difensiva.<br />

Nel caso di Pavese possiamo notare come egli <strong>in</strong>contrò l’<strong>in</strong>carnazione vivente della decadenza<br />

dell’uomo moderno. Questa decadenza acquisì la forma politica del fascismo. La sua ricerca<br />

per una libertà <strong>in</strong>dividuale si trasformò quasi spontaneamente <strong>in</strong> una rivendicazione politica.<br />

L’America poteva rappresentare un simbolo, un mito, una voce dall’<strong>in</strong>terno. L’<strong>in</strong>terpretazione<br />

di Pavese fu senz’altro idealista ma, nel contesto politico del fascismo, divenne reale,<br />

consistente, sov<strong>vers</strong>iva:<br />

Ci si accorse, durante quegli anni di studio, che l’America non era un altro paese, un nuovo <strong>in</strong>izio della storia, ma<br />

soltanto il gigantesco teatro dove con maggiore franchezza che altrove veniva recitato il dramma di tutti. E se per<br />

un momento c’era apparso che valesse la pena di r<strong>in</strong>negare noi stessi e il nostro passato per affidarci corpo e<br />

anima a quel libero mondo, ciò era stato per l’assurda e tragicomica situazione di morte civile <strong>in</strong> cui la storia ci<br />

aveva per il momento cacciati. La cultura americana ci permise <strong>in</strong> quegli anni di vedere svolgersi come su uno<br />

schermo gigante il nostro stesso dramma. Ci mostrò una lotta accanita, consapevole, <strong>in</strong>cessante, per dare un senso<br />

un nome un ord<strong>in</strong>e alle nuove realtà e ai nuovi ist<strong>in</strong>ti della vita <strong>in</strong>dividuale e associata, per adeguare ad un mondo<br />

vertig<strong>in</strong>osamente trasformato gli antichi sensi e le antiche parole dell’uomo. Com’era naturale <strong>in</strong> tempi di ristagno<br />

politico, noi tutti ci limitammo allora a studiare come quegli <strong>in</strong>tellettuali d’oltremare avessero espresso questo<br />

dramma, come fossero giunti a parlare questo l<strong>in</strong>guaggio, a narrare, a cantare questa favola. Parteggiare nel<br />

dramma, nella favola, nel problema non potevamo apertamente, e così studiammo la cultura americana un po’<br />

come si studiano i secoli del passato, i drammi elisabettiani o la poesia dello stil nuovo 598 .<br />

La battaglia di Pavese e Lawrence per la libertà dell’uomo sembra cadere, paradossalmente,<br />

dentro un ulteriore schema mitico. E’ il mito dell’uomo che si <strong>in</strong>terroga circa la sua libertà<br />

sociale e <strong>in</strong>dividuale. La ricerca di una dimensione della libertà, considerata come status<br />

orig<strong>in</strong>ario dell’uomo, è il motivo per cui l’uomo <strong>in</strong>traprende il suo viaggio. E’ un viaggio che<br />

si compie nella distanza <strong>vers</strong>o luoghi lontani dallo spazio artificiale moderno e che porta<br />

l’uomo <strong>vers</strong>o una dimensione dell’esistere, anch’essa lontana, non più dom<strong>in</strong>ata dalla tirannia<br />

della coscienza. Questa ricerca fu condotta a livello esistenziale e si configurò come<br />

<strong>in</strong>iziazione mitica; le accuse di essere sov<strong>vers</strong>ivi o utopici furono una logica conseguenza per<br />

coloro i quali rivendicavano la loro libertà.<br />

598 C. Pavese, Ieri e oggi, <strong>in</strong> La letteratura americana e altri saggi, cit. pp. 194-95.<br />

165


3.5 Pavese: la modernità e la possibilità del tragico<br />

Il nostro tempo è essenzialmente tragico, qu<strong>in</strong>di<br />

ci rifiutiamo di prenderlo tragicamente. Il<br />

cataclisma s’è abbattuto, siamo tra le rov<strong>in</strong>e;<br />

com<strong>in</strong>ciamo a ricostruire nuovi piccoli centri di<br />

vita, a nutrire nuove piccole speranze. (D. H.<br />

Lawrence, L’amante di Lady Chatterley, 1928)<br />

Le riflessioni pavesiane sul mito e sul selvaggio confluirono nel tardo Dialoghi con<br />

Leucò. La novità di questo libro rispetto al resto della produzione pavesiana è evidente e<br />

sottol<strong>in</strong>eata dallo stesso autore che predilisse quest’opera su tutte le altre. La modernità<br />

dei Dialoghi è stata spesso al centro dei dibattiti. L’opera è stata spesso <strong>in</strong>tesa come un<br />

esercizio di classicismo. È nei Dialoghi con Leucò che, <strong>in</strong>vece, le teorizzazioni<br />

“moderniste” del mito e del selvaggio trovano la loro ultima formulazione e<br />

giustificazione. I Dialoghi rappresenterebbero, <strong>in</strong> questo senso la s<strong>in</strong><strong>tesi</strong> della<br />

speculazione di Pavese sul mito e sul selvaggio. E’ questa s<strong>in</strong><strong>tesi</strong> a veicolare l’artista<br />

<strong>vers</strong>o una piena sensibilità moderna.<br />

Guglielmi ascrive i Dialoghi nella loro dimensione più propria quando li associa ai<br />

“ritornanti primitivismi della modernità”. E’ un selvaggio che, proprio <strong>in</strong> quanto<br />

derivante dal filone modernista del primitivismo letterario, non vuole essere pittoresco<br />

ma tragico, problematico, portatore di un senso profondo e recondito. E’ un selvaggio che<br />

si pone con violenza di fronte all’orig<strong>in</strong>ario procurando straniamento e compassione. La<br />

tragedia, espressa dal selvaggio, assume la forma “classica” dei Dialoghi atti a rivelare le<br />

più profonde implicazioni <strong>in</strong> un f<strong>in</strong>zionale processo di risalita <strong>vers</strong>o le orig<strong>in</strong>i. Il<br />

selvaggio è il veicolo di tale risalire così come la tragedia è la forma adatta<br />

all’espressione dei suoi motivi. “La violenza è orig<strong>in</strong>aria e la tragedia si pone, con i suoi<br />

modi, di fronte a tale orig<strong>in</strong>e”, dirà Sergio Givone <strong>in</strong> riferimento ai Dialoghi. In questo<br />

senso l’opera di Pavese si pone come un tentativo di s<strong>in</strong><strong>tesi</strong> di tutte quelle d<strong>in</strong>amiche<br />

moderne su cui f<strong>in</strong>o ad ora lo abbiamo visto riflettere e discutere.<br />

I Dialoghi con Leucò, che Pavese <strong>in</strong>iziò a scrivere nel 1945 e pubblicò nel 1947,<br />

rappresentano il punto di arrivo della ricerca mito-etnologica dello scrittore o, come nella<br />

s<strong>in</strong>tetica e calzante <strong>def</strong><strong>in</strong>izione di Givone, “Episodio culm<strong>in</strong>ante della sua esplorazione del<br />

mondo delle orig<strong>in</strong>i, ossia di ciò che egli chiama il primitivo e il selvaggio e di quanto sul<br />

piano culturale gli appare <strong>in</strong> term<strong>in</strong>i di simbolo, rito e mito […] 599 . La forma che tale<br />

esplorazione assume è quella dei Dialoghi, <strong>def</strong><strong>in</strong>ita come “nuova” dallo stesso Pavese, e che<br />

rimette <strong>in</strong> gioco le categorie del tragico trasponendole e riattivandole nell’epoca della<br />

modernità. La tragedia, “forma di re<strong>in</strong>cantamento e nello stesso tempo di razionalizzazione, di<br />

demitizzazione” 600 , si pone come mezzo atto allo scioglimento del mito, <strong>in</strong>teso come veicolo<br />

di conoscenza e di esplicazione del reale. La riflessione di Pavese, <strong>in</strong>torno alla forma classica<br />

della tragedia e sulla possibilità di riproporne forme e tematiche <strong>in</strong> epoca moderna, <strong>in</strong>veste<br />

gran parte della sua formazione e della sua attività di scrittore. Il tentativo di portare ad<br />

esempio i Dialoghi con Leucò, l’opera che più esplicitamente si ricollega a tale ricerca, può<br />

essere senz’altro fecondo, ma sarebbe riduttivo limitarsi alla sola analisi di questo testo poiché<br />

la maggior parte degli scritti pavesiani risente, <strong>in</strong> un modo o nell'altro, dello studio che<br />

l’autore condusse nei confronti del fenomeno tragico. Lo svolgimento e l’approfondimento<br />

599 S. Givone, Introduzione ai Dialoghi con Leucò, cit. p. V.<br />

600 Ivi, pp. V-VI.<br />

166


del “caso-Pavese” serviranno a mettere <strong>in</strong> luce come la tragedia classica sia stata <strong>in</strong>terpretata<br />

nella modernità da uno dei nostri autori maggiori. Questa impostazione del problema riveste<br />

un particolare <strong>in</strong>teresse se si pensa alla “morte della tragedia” preconizzata da Ste<strong>in</strong>er per il<br />

quale i tempi moderni sono <strong>in</strong>capaci di produrre vere e proprie tragedie. Eppure l’età moderna<br />

appare essere, fuori di ogni dubbio, una delle età più tragiche che l’umanità abbia mai vissuto.<br />

Nelle pag<strong>in</strong>e di Pavese, l’esercizio di un pensiero tragico diviene funzionale alla<br />

comprensione della “modernità” così come la forma classica della tragedia sembra poter<br />

esprimere al meglio le ansie e i timori dell’uomo moderno.<br />

L’analisi del pensiero tragico pavesiano si sviluppa attra<strong>vers</strong>o uno studio dei temi e delle<br />

forme classiche che trovarono, negli scritti dell’autore, la possibilità d’essere<br />

ricontestualizzate. Pavese, oltre essere uno scrittore, fu anche e soprattutto uno studioso e un<br />

divulgatore di cultura; lo studio e la riflessione sulla tragedia classica impegnarono buona<br />

parte del suo lavoro di ricerca. Si potrebbe avanzare l’ipo<strong>tesi</strong> che l’<strong>in</strong>tera poetica di Pavese fu<br />

<strong>in</strong>fluenzata da un cont<strong>in</strong>uo e costante ripensamento delle categorie del tragico desunte dai testi<br />

orig<strong>in</strong>ali (Pavese leggeva sia <strong>in</strong> greco che <strong>in</strong> lat<strong>in</strong>o), mediate dalle letture dei suoi<br />

tragediografi preferiti (come Shakespeare) e dei teorici del genere. I testi che Pavese studiò a<br />

tale riguardo e che maggiormente esercitarono <strong>in</strong>fluenza su di lui sono La Nascita della<br />

tragedia di Friederich Nietzsche e Le orig<strong>in</strong>i della tragedia di Mario Unterste<strong>in</strong>er. Si trovano<br />

riferimenti a questi libri nelle pag<strong>in</strong>e del Mestiere di Vivere così come riflessioni di poetica<br />

che testimoniano come Pavese non avesse un <strong>in</strong>teresse esclusivamente storico nel leggere<br />

questi libri. Il punto di partenza di quest’analisi, f<strong>in</strong>alizzata alla comprensione<br />

dell’<strong>in</strong>terpretazione del tragico di Pavese, è il profondo <strong>in</strong>teresse dell'autore per l'etnologia 601 .<br />

L’apporto dell’etnologia nell’<strong>in</strong>terpretazione del mito e della tragedia classica è, <strong>in</strong>fatti, uno<br />

dei tratti più moderni del suo approccio. Alcuni dei Dialoghi si possono direttamente<br />

ricollegare ad episodi descritti da Frazer nel Ramo d'oro mentre l’<strong>in</strong>teresse per il mito si<br />

relaziona immediatamente all’<strong>in</strong>teresse etnologico per la forma della festa che è, per Kerenyi,<br />

il momento <strong>in</strong> cui l’uomo dimostra di sapersi dare alla contemplazione <strong>in</strong> periodi<br />

ritmicamente ricorrenti. Unterste<strong>in</strong>er vede nel fenomeno religioso della festa il veicolo<br />

attra<strong>vers</strong>o cui il mito ha la possibilità di divenire tragedia attica. E’ il momento del rito, della<br />

partecipazione e della compartecipazione ed è, allo stesso modo, il momento della<br />

contemplazione e del discernimento così come Kerenyi riporta: “Per la festa è essenziale che<br />

essa causi un arresto nel corso del mondo rendendo possibile il manifestarsi di forme eterne,<br />

le quali, mostrandosi, allargano il momento quasi ad un’eternità immobile” 602 . Leggendo il<br />

testo di Unterste<strong>in</strong>er si può denotare l’<strong>in</strong>teresse dello studioso nell’<strong>in</strong>dividuare la base della<br />

tragedia greca nella grande div<strong>in</strong>ità femm<strong>in</strong>ile mediterranea. A testimonianza di tale<br />

asserzione la presenza della capra o caprone, altro elemento mediterraneo. Orig<strong>in</strong>ariamente lo<br />

stesso Dioniso, poliforme e polisimbolico, pare fosse figlio della grande dea e solamente <strong>in</strong><br />

seguito all’<strong>in</strong>vasione degli <strong>in</strong>doeuropei, con la loro civiltà patriarcale, si sarebbe fatto<br />

discendere direttamente da Zeus, <strong>in</strong> maniera da annullare il predom<strong>in</strong>io delle dee madri<br />

cre<strong>tesi</strong>. L’<strong>in</strong>fluenza di questo libro sulla poetica di Pavese è testimoniata dalla presenza<br />

d’elementi strutturali ben <strong>def</strong><strong>in</strong>iti lungo tutto l’arco della sua produzione: il momento della<br />

festa, la descrizione di una natura che assume le parvenze di una donna fertile, il riferimento a<br />

personaggi femm<strong>in</strong>ili che assumono l’aspetto e le prerogative di capre con la doppia identità<br />

di madri e di belve feroci così come avveniva nel seguito bacchico, la presenza del v<strong>in</strong>o<br />

portatore d’ebbrezza e dunque di gioia e tormento. Nell’appunto dell’11 Dicembre del 1947 si<br />

trova conferma dell’avvenuta assimilazione delle teorie di Unterste<strong>in</strong>er: “<br />

dicono i lat<strong>in</strong>i, parlando delle baccanti. Non è strano? No, se si pensa che l’orgiasmo bacchico<br />

601 Nel 1945 i primi contatti con Ernesto De Mart<strong>in</strong>o per avviare una "Collezione etnografica" presso l'E<strong>in</strong>audi.<br />

602 Mario Unterste<strong>in</strong>er, Le orig<strong>in</strong>i della tragedia, Milano, Fratelli Bocca Editore, 1942, p. 52.<br />

555 C. Pavese, Il Mestiere di Vivere, 11 Dicembre 1947, cit. p. 340.<br />

556 Ivi, 20 Febbraio 1946, p. 309.<br />

167


è un rito d’<strong>in</strong>iziazione dei tempi matriarcali” 603 .<br />

Dioniso, l’orig<strong>in</strong>e della tragedia per Unterste<strong>in</strong>er e Nietzsche, viene dunque <strong>in</strong>terpretato<br />

come div<strong>in</strong>ità rurale, nella sua forma orig<strong>in</strong>aria che è quella mediterranea. Dioniso come dio<br />

della vegetazione capace di riassumere <strong>in</strong> sé l’idea della vita e della morte, il perenne<br />

contrasto degli opposti, colui che detiene il segreto dell’essere e del non essere. Il<br />

r<strong>in</strong>venimento delle gesta del dio avviene dunque tramite lo svolgimento del suo mito. Ma è<br />

uno svolgimento che non chiama <strong>in</strong> causa le capacità logiche e razionali dell’<strong>in</strong>dividuo <strong>in</strong><br />

quanto la poesia è “non un capire ma un essere” 604 . E’ un’immedesimazione, un essere un<br />

tutt’uno con l’oggetto della contemplazione, un raggiungere l’estasi nel momento rituale<br />

della festa che si basava sullo svolgimento del mito. Per Nietzsche il logos socratico non è <strong>in</strong><br />

grado di esplorare il mistero dell’esistenza. L’estasi tragica si ottiene attra<strong>vers</strong>o il pathos che<br />

si pone come anti<strong>tesi</strong> del fallace e fuorviante logos. Il pathos sembra veramente essere la<br />

base della tragedia, sia nelle pag<strong>in</strong>e di Nietzsche sia <strong>in</strong> quelle di Ste<strong>in</strong>er. La tragedia viene a<br />

morire nel momento <strong>in</strong> cui alle forze sovrumane che osteggiano l’<strong>in</strong>dividuo si sostituiscono<br />

quelle umane. A questo punto il logos entra <strong>in</strong> gioco svelando un <strong>in</strong>treccio che nella tragedia<br />

classica non è dato. Questo è ancora importante poichè il personaggio tragico, per esser tale,<br />

deve essere av<strong>vers</strong>ato da forze che sfuggono all’umana comprensione. Così come Ste<strong>in</strong>er<br />

suggerisce, non c’è una via razionale per sfuggire all’esistenza tragica e il vero personaggio<br />

tragico è colui che esprime la tragedia tramite il suo patire:<br />

Where the causes of disaster are temporal, where the conflict can be resolved through technical or social<br />

means, we may have serious drama, but not tragedy [...] social psychiatry is not an answer to Oedipus [...]<br />

tragedy is irreparabile [...] there is no use ask<strong>in</strong>g for rational explanation or mercy. Th<strong>in</strong>gs are as they are,<br />

unrelent<strong>in</strong>g and absurd. We are punished far <strong>in</strong> excess of our guilt 605 .<br />

Il dramma borghese, <strong>in</strong>somma, rimuove il concetto di colpa orig<strong>in</strong>aria per <strong>in</strong>trodurre<br />

quello di responsabilità morale e <strong>in</strong>dividuale; ciò è <strong>in</strong> netto contrasto con i dettami della<br />

tragedia classica che postulavano la responsabilità metafisica uni<strong>vers</strong>ale. La vera<br />

tendenza moderna è, dunque, quella di evadere dalla tragedia abolendo l’orig<strong>in</strong>e<br />

metafisica del male. E’ questo cambio di prospettiva che segna per Ste<strong>in</strong>er il decl<strong>in</strong>o della<br />

tragedia. Lo sviluppo dell’azione attra<strong>vers</strong>o l’<strong>in</strong>treccio, l’irruzione del logos e<br />

l’<strong>in</strong>dividualità prepotente dei personaggi, lo stesso uso del dialogo, rappresentano<br />

problemi su cui riflettere. Il 27 Settembre 1942 Pavese scrive:<br />

Tendenzialmente, nella trag. gr. le persone non si parlano mai, parlano a confidenti, al coro, a estranei. E'<br />

rappresentazione <strong>in</strong> quanto ognuno espone il suo caso al pubblico. La persona non scende mai a dialoghi<br />

con altre, ma è come è, statuaria, immutabile. Le uccisioni avvengono fuori scena, e se ne sentono gli urli,<br />

le esortazioni, le parole. Giunge il messaggero e racconta i fatti. L'avvenimento si risolve <strong>in</strong> parola, <strong>in</strong><br />

esposizione. Non dialogo: la trag. non è dialogo ma esposizione a un pubblico ideale, il coro. Con esso si<br />

attua il vero dialogo 606 .<br />

E ancora l’11 Marzo 1949:<br />

605 George Ste<strong>in</strong>er, The death of tragedy, The Faber Library London, Great Brita<strong>in</strong> 1961, pp.8-9.<br />

606 C. Pavese, Il Mestiere di Vivere, 27 Settembre 1942 , cit. p.245.<br />

168


Non analizzare ma rappresentare. Ma <strong>in</strong> un modo tutto vivo secondo un'implicita analisi. Dare un'altra<br />

realtà, su cui potrebbe nascere una nuova analisi, nuove norme, nuova ideologia. E' facile enunciare nuove<br />

analisi, nuove norme ecc. Difficile è farle nascere da un ritmo, un piglio di realtà coerente e complesso 607 .<br />

L’utilizzo della componente mitologica da parte di Pavese si può ricondurre ad un altro<br />

passaggio della Nascita della tragedia. Nietzsche esprime la teoria per cui aff<strong>in</strong>ché il<br />

patire sia puro esso non debba essere <strong>in</strong>fluenzato dalla ragione. Lo sviluppo di un<br />

<strong>in</strong>treccio immetterebbe una componente razionale creando così una distanza<br />

impercorribile tra soggetto e oggetto. Tale distanza creerebbe una situazione tale per cui<br />

il soggetto sarebbe portato a giudicare l’oggetto da un punto di vista razionale. In tal<br />

modo non si otterrebbe un’immedesimazione e lo spirito della tragedia, la compassione<br />

fra soggetto e oggetto e l’abolizione dei conf<strong>in</strong>i che li separa, verrebbe a mancare.<br />

L’<strong>in</strong>tervento razionale e il giudizio morale rappresentano il tracollo d’ogni possibilità<br />

tragica.<br />

Il 26 Giugno 1944 si cita, nel Mestiere di vivere, Pierre Corneille, autore del Discorso<br />

sulla tragedia e sui modi di trattarla secondo il verosimile e il necessario (1660). La<br />

riflessione sulla tragedia moderna entra <strong>in</strong> questa fase nel vivo e, com’è facile ipotizzare,<br />

si tratta di una stroncatura, <strong>in</strong> quanto se ne <strong>in</strong>dividua, come caratteristica fondamentale, la<br />

punizione dei cattivi. E’ un segno <strong>in</strong>dubbio, per Pavese, di un processo di moralizzazione<br />

della tragedia <strong>in</strong>nescato da quella che è <strong>def</strong><strong>in</strong>ita dispregiativamente “psicologia<br />

cristiana” 608 . Nella tragedia classica i malvagi non erano visti <strong>in</strong> contrasto con i buoni ma<br />

rappresentavano la loro essenza di fronte al coro. Il 26 Giugno 1944 così scrive: “Per gli<br />

antichi hai già scritto una volta che conta l’eroe isolato, che fa un discorso-monologo, che<br />

è davanti al coro. Questi contrasti non esistono. I malvagi, non essendo visti <strong>in</strong> contrasto,<br />

non sono malvagi ma sono, semplicemente, come i buoni” 609 . E ancora il 12 Gennaio<br />

1946: “Nella trag. greca non ci sono i malvagi. Non vi si chiarisce una responsabilità, vi<br />

si constata un fatto-un dest<strong>in</strong>o” 610 . Queste riflessioni trovano applicazione nei Dialoghi<br />

dove Pavese, oltre che utilizzare figure mitico-simboliche att<strong>in</strong>te da un repertorio<br />

classico, pone all’<strong>in</strong>izio di ogni s<strong>in</strong>gola vicenda narrata un breve sunto, come se egli<br />

volesse <strong>in</strong>formare lo spettatore sul senso della storia <strong>in</strong> anticipo. Il dialogo non cerca,<br />

<strong>in</strong>fatti, il r<strong>in</strong>venimento razionale ma la partecipazione, la compenetrazione,<br />

l’immedesimazione. In ultimo la com-passione. Tale vicenda è d’altra parte mito, evento<br />

archetipico, impenetrabile ad ogni giudizio. Il patire è la risposta dell’uomo al dest<strong>in</strong>o su<br />

cui non ha potere. I personaggi si pongono di fronte a tale dest<strong>in</strong>o scavando, tramite il<br />

dialogo, l’ultima essenza della loro tragedia, compiangendosi e compatendosi, ma mai<br />

approntando soluzioni razionali o scappatoie illusorie. Nella riflessione del 26 Settembre<br />

1942 si legge:<br />

La situazione tragica greca è: ciò che deve essere sia. Di qui il meraviglioso dei numi che fanno accadere<br />

ciò che vogliono; di qui le forme magiche, i tabù o i dest<strong>in</strong>i, che devono essere osservati; di qui la catarsi<br />

f<strong>in</strong>ale che è l'accettazione del dover essere [...]. Il poetico dei Greci è che questo dest<strong>in</strong>o, questi tabù, queste<br />

norme, appaiono arbitrari, <strong>in</strong>ventati, magici. Forse simbolici 611 .<br />

L’<strong>in</strong>teresse che l’autore espresse <strong>in</strong>torno al significato del mito agisce proprio <strong>in</strong> questo<br />

senso. Il mito è il veicolo attra<strong>vers</strong>o il quale si può raggiungere l’atemporale, l’eterno, il<br />

607 Ivi, p.365.<br />

608 Ivi, p.283.<br />

609 Ibid.<br />

610 Ivi, p.306.<br />

611 Ivi, p. 245.<br />

169


significato unico ma sempre nuovamente <strong>in</strong>terpretabile della tragedia umana. Nel brano<br />

Del mito, del simbolo e d'altro, Pavese esprime al meglio la sua concezione del mito e<br />

quello che è l’oggetto della sua ricerca:<br />

Ora, carattere, non dico della poesia, ma della fiaba mitica è la consacrazione dei luoghi unici, legati a un<br />

fatto a una gesta a un evento. A un luogo, tra tutti, si dà un significato assoluto, isolandolo dal mondo [...]<br />

l'impresa dell'eroe mitico non è tale perché dissem<strong>in</strong>ata di casi soprannaturali o fratture della normalità [...]<br />

bensì perché essa att<strong>in</strong>ge a un valore assoluto di norma immobile che, proprio perché immobile, si rivela<br />

perennemente <strong>in</strong>terpretabile ex novo, polivalente, simbolica <strong>in</strong>somma [...]. Il mito è <strong>in</strong>somma una norma, lo<br />

schema di un fatto avvenuto una volta per tutte, e trae il suo valore da questa unicità assoluta che lo solleva<br />

fuori dal tempo e lo consacra rivelazione. Per questo esso avviene sempre all'orig<strong>in</strong>i, come nell'<strong>in</strong>fanzia: è<br />

fuori dal tempo [...]. Genu<strong>in</strong>amente mitico è un evento che come fuori dal tempo così si compie fuori dello<br />

spazio [...]. Un mito è sempre simbolico; per questo non ha mai un significato univoco, allegorico, ma vive<br />

di una vita <strong>in</strong>capsulata che, a seconda del terreno e dell'umore che l'avvolge, può esplodere nelle più<br />

di<strong>vers</strong>e e molteplici fioriture. Esso è un evento unico, assoluto; un concentrato di potenza vitale da altre<br />

sfere che non la nostra quotidiana, e come tale <strong>vers</strong>a <strong>in</strong> un’aura di miracolo <strong>in</strong> tutto ciò che lo presuppone e<br />

gli somiglia 612 .<br />

I miti portano l’irrazionale alla consapevolezza, ci parlano dell’assoluto che c’è dietro<br />

l’esperienza quotidiana. Il mito è l’uni<strong>vers</strong>ale irrazionale, tradotto <strong>in</strong> forma comunicabile.<br />

Svolgere il mito significa gettare un barlume di luce sull’irrazionale, l’<strong>in</strong>governabile, lo<br />

sfuggente, che si celano dietro l’uomo e la sua cultura. Il compito del poeta tragico è<br />

dunque di ricontestualizzare il mito, di svolgere tutti i suoi significati reconditi al f<strong>in</strong>e di<br />

portarne a chiarezza l’<strong>in</strong>tima essenza. L’arte tragica si configura come un rito che vede<br />

protagonista l’umanità che, <strong>in</strong> ogni fase della sua storia, si trova di fronte all’enigma<br />

dell’esistenza. Il mito ha la capacità di porsi come “rivelazione <strong>in</strong>audita come per il<br />

credente una festa rituale” 613 .<br />

L’importanza che la riflessione sul mito classico ebbe per Pavese si può costatare<br />

attra<strong>vers</strong>o il percorso disegnato lungo il Mestiere di Vivere. Il 9 Febbraio 1950, poche<br />

settimane prima della scomparsa dell’autore, si può trovare conferma di come tale<br />

<strong>in</strong>fluenza agisse nei confronti della ricerca poetica personale: “Corollario. Tema di<br />

un’opera d’arte non può essere una verità, un concetto, un documento ecc., ma sempre e<br />

soltanto un mito. Dal mito direttamente alla poesia, senza passare attra<strong>vers</strong>o la teoria o<br />

l'azione” 614 . Gli stessi personaggi dei Dialoghi sono personaggi mitici, unici, simbolici.<br />

Anche <strong>in</strong> questo caso la scelta di Pavese non è casuale ma si ricollega alle teorie espresse<br />

nella Nascita della tragedia. L’agonia della tragedia avviene, per Nietzsche, quando lo<br />

spettatore balza sulla scena, <strong>in</strong> altre parole quando i personaggi mitologici sono sostituiti<br />

dagli uom<strong>in</strong>i comuni e le vicende mitiche sono sostituite da quelle della quotidianità. In<br />

questo caso la tragedia è fornita di un <strong>in</strong>treccio divenendo, <strong>in</strong> molti casi, una partita a<br />

scacchi, apogeo della razionalità, dell’astuzia, del calcolo. E’ un’evoluzione che trova il<br />

suo culm<strong>in</strong>e nel periodo romantico così come spiega Ste<strong>in</strong>er: i romantici ebbero la<br />

responsabilità di porre l’io al centro del dramma promettendo al contempo un compenso<br />

e una giustizia alle sofferenze patite, una risposta ragionevole che nella tragedia non è<br />

data. Si potrebbe pensare ad un imborghesimento della tragedia per cui l’<strong>in</strong>dividuo medio<br />

viene messo al centro dell’agone al f<strong>in</strong>e di esercitare le sue capacità. La forza morale, la<br />

fede, l’<strong>in</strong>telligenza lo conducono risoluto a risolvere le problematiche poste. I romantici<br />

ereditarono da Rosseau la fede nell’orig<strong>in</strong>aria bontà dell’uomo e l’attenzione per l’orig<strong>in</strong>e<br />

sociale dei mali. Insomma si potrebbe affermare che il dramma romantico è un dramma<br />

personale, lontano da quella dimensione collettiva orig<strong>in</strong>aria e da quella ricerca di<br />

612<br />

C. Pavese, Feria d'Agosto (1942), cit. p. 139.<br />

613<br />

Ivi, p. 143.<br />

614<br />

C. Pavese, Il Mestiere di Vivere, 9 Febbraio 1950, cit., p. 389.<br />

170


un’esposizione uni<strong>vers</strong>ale che ne costituisce la caratteristica fondamentale. L’irruzione di<br />

un personaggio medio, razioc<strong>in</strong>ante e v<strong>in</strong>cente rappresenta per Ste<strong>in</strong>er l’ultimo stadio<br />

dell’agonia della tragedia. Nietzsche scrive a riguardo: “L’effetto della tragedia antica<br />

non poggiava mai sulla tensione, sull’<strong>in</strong>quietante <strong>in</strong>certezza di ciò che sta per avvenire,<br />

ma piuttosto su quelle scene di pathos grandiosamente strutturate” 615 . Il dramma moderno<br />

è <strong>in</strong> questo senso contam<strong>in</strong>ato dall’ideologia borghese <strong>in</strong> quanto “l'eroe che deve<br />

difendere il suo operare con ragioni e controragioni, rischia di perdere la nostra<br />

compassione: giacché l’<strong>in</strong>felicità che poi, nonostante tutto, lo travolge, prova appunto<br />

soltanto che da qualche parte egli ha sbagliato i calcoli” 616 . Pavese s’impegna, dunque,<br />

nel recupero dei temi tragici ben comprendendo la necessità di ricontestualizzarli,<br />

adattarli a nuove forme che non ne deturp<strong>in</strong>o il significato. Il primato della coscienza, la<br />

superiorità dell’agire sul patire, il predom<strong>in</strong>io del logos, sono elementi da re<strong>in</strong>terpretare<br />

tramite l’esercizio di un pensiero prettamente tragico. Lo stesso atto del narrare la<br />

tragedia attra<strong>vers</strong>o dei dialoghi assume un significato tragico:<br />

La tragedia implica ciò che la nega e la dissolve. Nella tragedia l'agone tragico, cioè l'espressione del<br />

contrasto e del dissidio che s'annidano nel cuore della realtà e ne rappresentano l'essenza, è il dialogo,<br />

appunto, è la contraddizione che il logos scatena e <strong>in</strong>scena sottraendosi come <strong>in</strong>visibile cornice scenica,<br />

come <strong>in</strong>att<strong>in</strong>gibile orizzonte. Ora, se il non-essere presente nel logos giustifica la gioia profonda che è nel<br />

fondo della tragedia, nel momento che l'eroe, soccombendo, lascia apparire il profilo div<strong>in</strong>o della physis,<br />

(cioè della natura tuttogenerante attra<strong>vers</strong>o la morte, o dell'essere che appare come logos e qu<strong>in</strong>di come più<br />

profonda ragione), tuttavia questo apparire cade <strong>in</strong>evitabilmente preda del concetto non appena il concetto<br />

lo fissa, ne fa una presenza <strong>in</strong>controvertibile, <strong>in</strong>dividua <strong>in</strong> esso l'immutabile struttura della legge morale 617 .<br />

Il dialogo, forma prettamente socratica 618 , sembra adattarsi ad uno sviluppo logico delle<br />

vicende e sembra <strong>in</strong>trodurre l’azione. Nietzsche scrive: “L’azione fece il suo <strong>in</strong>gresso<br />

solo quando apparve il dialogo” 619 . Ma l’operazione di Pavese non è operazione<br />

archeologica. Egli è ben cosciente delle forme orig<strong>in</strong>arie della tragedia e non esita a<br />

rimetterle <strong>in</strong> gioco. L’<strong>in</strong>treccio della vicenda è svelato prima dell’azione sviluppata, <strong>in</strong><br />

seguito, da personaggi mitici che svolgono dei dialoghi che non cercano il progresso ma<br />

la rivelazione. La natura “ottimistica” 620 della dialettica viene a <strong>in</strong>ciampare<br />

sull’impossibilità di concettualizzare questi dialoghi, sull’impossibilità di ricavarne una<br />

morale o dei precetti, <strong>in</strong> ultimo una soluzione razionale. Lo sforzo della dialettica di<br />

Pavese, ma anche il suo ultimo orizzonte, è quello di portare a chiarezza i miti, svelarne<br />

l’arcano ricontestualizzando l’evento archetipico. I Dialoghi si svolgono, dunque,<br />

tragicamente, <strong>in</strong> una perenne tensione fra la nascita della tragedia e la sua morte, nel<br />

segno dello scontro/<strong>in</strong>contro di Dioniso con Apollo. Il ruolo della dialettica è, <strong>in</strong> questo<br />

caso, non quello di confutare il mito quanto quello di compenetrarlo. E’ un ruolo che<br />

potremmo <strong>def</strong><strong>in</strong>ire tragico <strong>in</strong> quanto teso a superare le sue stesse misure. I Dialoghi sono<br />

fermi nel tempo, non progrediscono, non evolvono ma scavano le profondità del mito.<br />

Non è possibile sviluppare un’azione da questa dialettica. Domanda e risposta<br />

costituiscono un unico oggetto, non entrano <strong>in</strong> competizione ma contribuiscono al<br />

completamento del quadro. E’ un logos che logicizza la sua <strong>in</strong>adeguata logicità<br />

rimanendo immobile come personaggio tragico. Il ruolo del personaggio antagonista<br />

riflette quello del coro: non vi è sviluppo dialettico nei Dialoghi: “Ciò che deve essere<br />

615<br />

F. Nietzsche, La Nascita della tragedia , cit. p.45.<br />

616<br />

Ivi, p.51.<br />

617<br />

Sergio Givone, Dis<strong>in</strong>canto del mondo e pensiero tragico, Milano, Il Saggiatore, 1988, p.94.<br />

618<br />

Il modello cui s’ispira Pavese è quello platonico così come scrive il 4 Giugno 1942 sul Mestiere di Vivere.<br />

619<br />

F. Nietzsche, La Nascita della tragedia, cit. p.38.<br />

620 Ivi, p. 51.<br />

171


sia. Il coro constata questo. (Ecco perché è il perenne <strong>in</strong>terlocutore degli agonisti)” 621 .<br />

Nell’Immag<strong>in</strong>e arguta, Mutterle argomenta quest’uso paradossale del dialogo per cui si<br />

ottiene “non dialettica ma tragica <strong>in</strong>sanabilità” che si manifesta <strong>in</strong> un “trionfo della<br />

circolarità”:<br />

Le battute [...] sono ciascuna sviluppate secondo anti<strong>tesi</strong> e negazioni [...] considerate complessivamente<br />

non generano contraddizione, ma piuttosto un allargamento concentrico e graduale, dato che<br />

sostanzialmente svolgono e raccontano un medesimo concetto [...] il filo unitario del dialogo risiede <strong>in</strong><br />

quello che sta accadendo a un'idea stereotipata (accettare o meno il dest<strong>in</strong>o) che via via arricchisce il<br />

proprio spessore di nuovi strati 622 .<br />

Il discutere dell'’gonista è dunque un cont<strong>in</strong>uo discernimento ed approfondimento di ciò<br />

che è già dato da sempre. E’ una forma, questa del dialogo pavesiano, che si sviluppa<br />

anche attra<strong>vers</strong>o la riflessione sul wit. Il wit è un elemento tipico della tragediografia<br />

<strong>in</strong>glese che Pavese studiò e apprezzò <strong>in</strong> particolar modo soprattutto per mezzo delle opere<br />

di Shakespeare. La riflessione sull'argomento si sviluppa attra<strong>vers</strong>o gli appunti del diario<br />

ed è tesa a conciliare la forma del wit con i dettami della tragedia classica. Il 31 Ottobre<br />

1942 scrive:<br />

Tutte queste burle, questi tricks, queste witty <strong>in</strong>ventions, che nel tragico sono agguati, vendette, imprese,<br />

sono la forma entro cui si agita la verità psicologica delle persone ma la superano, la <strong>in</strong>corniciano e la<br />

sorreggono, <strong>in</strong> stilizzazione tra sociale e mitologica. Il wit <strong>in</strong>somma non è psicologia, è stile 623 .<br />

Pavese riconosce <strong>in</strong> tale tecnica il miglior metodo di fusione tra rappresentazione scenica<br />

e racconto. Il 7 Ottobre 1943 appunta <strong>in</strong> relazione all'Enrico VI: “Qui il wit si configura<br />

specialmente come immag<strong>in</strong>e illum<strong>in</strong>atrice della narrazione [...]. Qui al dialogo si<br />

sostituisce il wit descrittivo e narrativo. Le commedie contemporanee sono già teatro,<br />

mentre questa cronica è tutta racconto” 624 . Il riferimento a Shakespeare appare sempre<br />

più impresc<strong>in</strong>dibile dal momento che il concetto di “immag<strong>in</strong>e dialogata” che esprime il<br />

9 Ottobre, e che Pavese <strong>in</strong>dividua nello scrittura shakespeariana della maturità, sembra<br />

<strong>in</strong>fluenzare non poco la composizione dei Dialoghi con Leucò. In questo caso il<br />

riferimento va alla teoria compositiva pavesiana che ruota <strong>in</strong>torno alla riflessione <strong>in</strong>torno<br />

alla cosiddetta “immag<strong>in</strong>e racconto”. Considerando che “essenza della poesia è<br />

l'immag<strong>in</strong>e” 625 , Pavese sembra essere particolarmente <strong>in</strong>teressato a come Shakespeare<br />

costruisca queste immag<strong>in</strong>i attra<strong>vers</strong>o una forma di dialogo che travalica le barriere che il<br />

dialogo stesso, nella sua forma socratica, erge di fronte al disvelamento della tragedia<br />

umana. Per Mutterle i Dialoghi rappresentano “il testo dell’acquisizione <strong>def</strong><strong>in</strong>itiva del wit<br />

tragico, impegnato a sondare la profondità dell'esistenza umana non esponendo<br />

avvenimenti, ma emettendo giudizi che suonano assoluti e <strong>def</strong><strong>in</strong>itivi” 626 . Come si può<br />

constatare l’elaborazione pavesiana di questa tecnica narrativa è strettamente correlata ai<br />

temi fondanti del tragico. Il wit narrativo permette la fusione degli opposti nell’ambito di<br />

un gioco macabro teso al raggiungimento di una gioia atroce di stampo niciano:<br />

“Co<strong>in</strong>cidenza dei contrari e possibilità di sostituirli l’uno all’altro è dunque l’essenza del<br />

621<br />

C. Pavese, Il Mestiere di Vivere, 18 Ottobre 1942, cit. p.246.<br />

622<br />

Anco Marzio Mutterle, L'immag<strong>in</strong>e arguta. L<strong>in</strong>gua stile retorica di Pavese, Tor<strong>in</strong>o, E<strong>in</strong>audi,<br />

1977, p.37.<br />

575<br />

C. Pavese, Il Mestiere di Vivere, 31 Ottobre 1942, cit. p.246.<br />

624 Ivi, 7 Ottobre 1943, p.261.<br />

625 Ivi, 5 Aprile 1945, p.299.<br />

626 A.M. Mutterle, L’Immag<strong>in</strong>e arguta, cit. p.76.<br />

172


wit tragico, che del contraddittorio fa una ragion d’essere e di stile” 627 . La contraddizione<br />

è tema e caratteristica portante della tragedia così che il wit shakespeariano appare la<br />

tecnica narrativa adeguata al suo svolgimento:<br />

Univoco è il sapere filosofico, doppio il sapere tragico: perciò sono <strong>in</strong>compatibili. Se da una parte si tratta<br />

d'un alethes logos, d'un discorso di verità che presuppone la perfetta trasparenza dell'ord<strong>in</strong>e div<strong>in</strong>o entro cui<br />

tutto si lascia disporre secondo giustizia, dall'altra <strong>in</strong>vece si ha a che fare con i dissoi logoi, discorsi che<br />

legittimano quelle ambiguità contraddittorie per cui lo stesso <strong>in</strong>dividuo appare giusto e <strong>in</strong>giusto, <strong>in</strong>nocente<br />

e colpevole, vittima e carnefice 628 .<br />

Passo fondamentale al f<strong>in</strong>e dell’acquisizione di tale tecnica narrativa è quello<br />

dell’elaborazione di un l<strong>in</strong>guaggio pert<strong>in</strong>ente. Quello del l<strong>in</strong>guaggio è un problema che<br />

Pavese si pose lungo tutto l’arco della sua ricerca <strong>in</strong>tellettuale e qu<strong>in</strong>di, <strong>in</strong> particolar<br />

modo, <strong>in</strong> relazione ai Dialoghi con Leucò che rappresentano un unicum nella sua<br />

produzione. Ste<strong>in</strong>er discute della differenza tra una tragedia scritta <strong>in</strong> <strong>vers</strong>i e una scritta <strong>in</strong><br />

prosa. La tragedia non è democratica: si occupa di personaggi alti, di forti passioni e usa<br />

un l<strong>in</strong>guaggio adeguato come il <strong>vers</strong>o. In una tragedia classica non vedremo mai il<br />

protagonista soffrire di mal di stomaco. Per Ste<strong>in</strong>er il <strong>vers</strong>o si libera dall’<strong>in</strong>flusso del caso<br />

e del tempo mentre la prosa rimane aderente alla vita di tutti i giorni. In questo senso si<br />

r<strong>in</strong>traccia un altro spunto <strong>in</strong>teressante per la discussione sull’<strong>in</strong>terpretazione tragica<br />

pavesiana. Pavese ricerca, s<strong>in</strong> dalla prima esperienza di Lavorare stanca, un l<strong>in</strong>guaggio<br />

aderente al reale, come può essere quello della prosa, ma al contempo capace di suggerire<br />

al lettore un it<strong>in</strong>erario metafisico, così com’è caratteristica del <strong>vers</strong>o. Pavese sperimenta il<br />

genere della poesia racconto per poi cont<strong>in</strong>uare il suo percorso con un tipo di<br />

composizione che si potrebbe <strong>def</strong><strong>in</strong>ire racconto-poesia. In questo tipo di composizione si<br />

adottano elementi della prosa per poterli addizionare a quelli del <strong>vers</strong>o al f<strong>in</strong>e di ottenere<br />

un l<strong>in</strong>guaggio ritmicoessenziale, fruibile. Nel particolare caso dei Dialoghi con Leucò la<br />

ricerca l<strong>in</strong>guistica sembra ancora una volta tesa ad <strong>in</strong>contrare le tematiche espresse. Non<br />

r<strong>in</strong>unciando alle ricerche precedenti, Pavese elabora un tipo di l<strong>in</strong>guaggio <strong>in</strong> grado di<br />

fondere “il tono alto dell’enunciazione con l’esigenza del parlato colloquiale” 629 . Ma<br />

questo, che sembra il punto di partenza della sperimentazione pavesiana, s’<strong>in</strong>contra<br />

presto con quelle che sono le esigenze stilistiche e ideologiche del pensiero tragico: “la<br />

l<strong>in</strong>gua disdegna sempre più l’<strong>in</strong>treccio e la registrazione narrativa e aspira a raccontare<br />

tramite la recitazione, a costruire trapassi <strong>in</strong>avvertiti e nascosti” 630 . Pavese sembra<br />

dunque concentrarsi sulla riscoperta della dimensione simbolica del l<strong>in</strong>guaggio e sul<br />

superamento di un livello prettamente mimetico. I Dialoghi con Leucò rappresentano una<br />

tappa fondamentale della sperimentazione formale pavesiana. Il 1 Gennaio 1946 così<br />

scrive riferendosi ai Dialoghi: “scoperta una nuova forma che s<strong>in</strong>tetizza molti filoni” 631 .<br />

L’<strong>in</strong>teresse per la mitologia e quello per l’etnologia convergono <strong>in</strong> questa “nuova forma”.<br />

L’8 Maggio 1946 scrive: “Maturato tutto il mondo mito-etnologico, ecco che torno a<br />

Roma, e <strong>in</strong>vento il nuovo stile dei dialoghi e li scrivo” 632 .<br />

Il nuovo stile nasce dunque da una profonda meditazione sulle forme ma anche sui<br />

contenuti della tragedia classica. I Dialoghi con Leucò sono calati <strong>in</strong> un’ambientazione<br />

classica dove gli dei dell’Olimpo rappresentano la legge della ragione che viene ad<br />

627<br />

Ivi, p. 86.<br />

628<br />

S. Givone, Dis<strong>in</strong>canto del mondo e pensiero tragico, cit., p.113.<br />

629<br />

A.M. Mutterle, L’Immag<strong>in</strong>e arguta, cit. p.84.<br />

630<br />

Ivi, p.76.<br />

631<br />

C. Pavese, Il Mestiere di vivere, 1 Gennaio 1946, cit. p.306.<br />

632<br />

Ivi, 8 Maggio 1946, p.315.<br />

173


<strong>in</strong>staurarsi prepotentemente <strong>in</strong> un mondo dom<strong>in</strong>ato dalle leggi di natura 633 . Per Pavese il<br />

lavorare su questa contrapposizione significa ripercorrere le età culturali dell’uomo f<strong>in</strong>o<br />

al r<strong>in</strong>venimento dell’orig<strong>in</strong>ario. Il 24 Febbraio 1947 così scrive a riguardo della sua<br />

concezione mitologica fondamentale: “L’età titanica (mostruosa e aurea) è quella di<br />

uom<strong>in</strong>i-mostri-dèi <strong>in</strong>differenziati. Tu consideri la realtà come sempre titanica, cioè come<br />

caos umano-div<strong>in</strong>o (= mostruoso), ch’è la forma perenne della vita. Presenti gli dèi<br />

olimpici, superiori, felici, staccati, come i guastafeste di questa umanità [...]” 634 . Questa<br />

contrapposizione assume spesso la forma di un vero e proprio conflitto <strong>in</strong> cui si sferra un<br />

attacco deciso agli dèi olimpici, troppo umani, rei di aver <strong>in</strong>trodotto una legge che<br />

allontana l’uomo dalla sua natura. Il 4 agosto del 1947 la posizione di Pavese si rende<br />

evidente:<br />

Gli olimpici si occupano altrettanto poco del Prima che del Poi; non sono né la sorgente di vita né il suo<br />

f<strong>in</strong>e. Inoltre, altra caratteristica è che, con le più rigide limitazioni, sono umani. Non sono una cosa sola con<br />

la vita che è nelle bestie, nelle correnti, nei boschi come nell'uomo [...].


Ciò significa, ed è questo il tema tragico del libro, che il caos è <strong>in</strong>sopprimibile e che la<br />

figura del primitivo, che di tale caos si fa esponente, è ben lontana dal modello del buon<br />

selvaggio descritto da Rosseau:<br />

La natura ritorna selvaggia, e questo significa che la natura orig<strong>in</strong>ariamente non è quello che noi crediamo<br />

che sia: <strong>in</strong>nocente, comunque <strong>in</strong>differente. Questa è un’illusione, un’<strong>in</strong>venzione rousseiana. Più orig<strong>in</strong>aria<br />

dell’<strong>in</strong>nocenza è la colpa, e <strong>in</strong>fatti risalendo <strong>vers</strong>o le orig<strong>in</strong>i si ricade nella violenza <strong>in</strong>condizionata,<br />

perseguita senza remore, e soprattutto <strong>in</strong> modo assolutamente gratuito. La poesia che non ha altro oggetto,<br />

altra radice, altra fonte, che il mito (sia il mito personale sia il mito collettivo), ne rivela la cifra misteriosa e<br />

crudele 639 .<br />

La legge dell’uomo <strong>in</strong>terviene per dimenticare, nascondere, sconfessare ma non può<br />

rimuovere né cambiare la natura umana. Il r<strong>in</strong>venimento di tale natura avviene dunque<br />

tramite lo scontro fra la volontà umana (che aspira al div<strong>in</strong>o) e l’implacabile dest<strong>in</strong>o che<br />

riporta l’uomo, tragicamente, al suo stato fer<strong>in</strong>o.<br />

[…] la violenza è orig<strong>in</strong>aria e la tragedia si pone, con i suoi modi, di fronte a tale orig<strong>in</strong>e [...] perché non c'è<br />

rimozione che non la alimenti e non la riproduca. Ma <strong>in</strong> cosa consiste l'ambiguità del tragico se non nel fatto che<br />

la tragedia re<strong>in</strong>tegra, risacralizza, restituisce alla festa la violenza, ma allo stesso tempo la demistifica e la<br />

schiude a un <strong>in</strong>contenibile esplosione? 640 .<br />

La categoria del tragico <strong>in</strong> Pavese si espleta tramite il discernimento e l’approfondimento di<br />

tale scontro. Dall’<strong>in</strong>sanabilità della contraddizione e dall’<strong>in</strong>conciliabilità degli opposti, nasce<br />

quella visione tragica dell’esistenza che pervade i Dialoghi con Leucò. Gli opposti si pongono<br />

cont<strong>in</strong>uamente a confronto tramite un dialogo che non vuole pianificare razionali soluzioni<br />

quanto costatare la dimensione tragica dell’esistenza umana. All’<strong>in</strong>terno di questo cont<strong>in</strong>uo<br />

contrasto, l’operazione di Pavese è di scavare e approfondire la distanza che ci separa dalla<br />

verità delle orig<strong>in</strong>i. Il significato della tragedia si espleta nell’approfondimento patetico di un<br />

<strong>in</strong>sanabile conflitto, da sempre dato, che si riduce alla perenne lotta fra la componente<br />

ist<strong>in</strong>tiva e quella razionale, fra il subconscio e l’ego, fra la natura e la cultura. L’equilibrio,<br />

che si crea fra gli opposti, vacilla <strong>in</strong> cont<strong>in</strong>uazione ed è questo vacillare che genera la poesia.<br />

Dal cont<strong>in</strong>uo <strong>in</strong>teragire degli opposti e dalla perpetua opposizione di facoltà razionali e<br />

irrazionali, scaturisce una parte consistente della tragedia dell’uomo moderno. Premuda<br />

<strong>in</strong>dividua l’espressione maggiore di questo motivo tragico nel dialogo La belva:<br />

Ma è soprattutto la strana dea di La belva a esprimere <strong>in</strong> momenti di vera poesia la ferocia tranquilla di un<br />

mondo che non conosce valori perché non conosce dist<strong>in</strong>zioni, dove un fiore, una bacca è il selvaggio<br />

nell’elementarità di un contatto emozionale. E l’uomo che vuol possederlo deve r<strong>in</strong>unciare alla parte più cara di<br />

sé, la sua razionalità; ma questa non si dissolve senza lasciargli l’<strong>in</strong>quietitud<strong>in</strong>e di un implicito term<strong>in</strong>e di<br />

639 S. Givone, Introduzione ai Dialoghi con Leucò, cit., pp. IX-X.<br />

640 S. Givone, Dis<strong>in</strong>canto del mondo e pensiero tragico, cit., p.102.<br />

593 M. L. Premuda, Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa, vol.XXVI, 1957, contenuto <strong>in</strong> C. Pavese,<br />

Dialoghi con Leucò, cit., pp. 202-203.<br />

175


confronto. Torna qui, espresso <strong>in</strong> parole piene di echi, il fondamentale dissidio tra le lus<strong>in</strong>ghe di un’esperienza<br />

irrazionalistica e lo sforzo di un conoscere razionale […] 641 .<br />

Pavese pone <strong>in</strong> gioco i temi esistenziali di quest’umanità <strong>in</strong>trecciandoli <strong>in</strong> un sapiente gioco<br />

mitico. Nei Dialoghi con Leucò la libera volontà si scontra contro il muro del dest<strong>in</strong>o mentre<br />

il tentativo d’emancipazione dal caos atavico trova nell’<strong>in</strong>sufficienza della ragione il suo<br />

limite.<br />

L’idea di Pavese appare, dunque, quella di riprist<strong>in</strong>are il significato della tragedia attra<strong>vers</strong>o<br />

una rielaborazione delle sue forme. Quale può essere il senso di tale operazione nel panorama<br />

della modernità è un altro argomento che impegnò la riflessione dello stesso autore. Per capire<br />

al meglio quali fossero le reali aspettative dell’autore, <strong>in</strong> relazione a un recupero dei temi<br />

della tragedia classica, occorrerà partire nuovamente dal Mestiere di vivere. Nel Febbraio del<br />

1944 Pavese scrive una serie di note che sono particolarmente <strong>in</strong>teressanti <strong>in</strong> vista del<br />

chiarimento del rapporto mito-modernità. Non è una riflessione esauriente, certo, ma<br />

attra<strong>vers</strong>o una serie di schizzi si può avere un’idea del rapporto fra i vari elementi che<br />

compongono la concezione mitica pavesiana:<br />

L'etnologia dissem<strong>in</strong>a di sangue <strong>vers</strong>ato irrazionalmente e miticamente questi luoghi familiari […]. Il<br />

sangue è sempre <strong>vers</strong>ato irrazionalmente. Ogni cosa è un miracolo, ma nel caso del sangue lo si sente più<br />

acutamente, perché di là c'è il mistero. Piangere è irrazionale. Soffrire è irrazionale [...]. Il tuo problema è<br />

dunque valorizzare l'irrazionale. Il tuo problema poetico è valorizzarlo senza smitizzarlo. Quando si<br />

sangu<strong>in</strong>a o si piange, lo stupore è che proprio noi si faccia questo che solleva all'uni<strong>vers</strong>ale, al tutti, al mito<br />

[…]. Le tue creazioni le trai dall'<strong>in</strong>forme, dall'irrazionale, e il problema è come portarle a consapevolezza<br />

[...]. La tua modernità sta tutta nel senso dell'irrazionale 642 .<br />

I miti portano l’irrazionale alla consapevolezza parlandoci dell’assoluto che c’è dietro<br />

l’esperienza quotidiana. Lo svolgimento del mito è lo sforzo di gettare un barlume di luce<br />

sull’irrazionale, l’<strong>in</strong>governabile, lo sfuggente. La legittimazione dell’approccio tragico è<br />

dovuta alla conv<strong>in</strong>zione che il mito, espressione privilegiata dell’uomo e della sua<br />

cultura, rappresenti una cont<strong>in</strong>uità che si rivela attra<strong>vers</strong>o le di<strong>vers</strong>e <strong>in</strong>terpretazioni che i<br />

secoli ne danno.<br />

In epoca moderna assistiamo all’entrata <strong>in</strong> scena dell’etnologia di cui Pavese fu cultore. Il<br />

rapporto impresc<strong>in</strong>dibile che lo scrittore constata fra mitologia ed etnologia segna gran<br />

parte della sua ricerca poetica. In questo contesto l’<strong>in</strong>fluenza del Vico, che Pavese studiò,<br />

appare la fonte pr<strong>in</strong>cipale dell’“<strong>in</strong>terpretazione della storia e della letteratura <strong>in</strong> chiave<br />

etnologica” 643 . La mediazione tra antico e moderno e l’<strong>in</strong>teresse per la poesia tragica<br />

classica e l’etnologia sembrano condividere una stessa direzione: risalire <strong>vers</strong>o<br />

l’orig<strong>in</strong>ario. E’ questo che Pavese <strong>in</strong>tende quando parla di “selvaggio” come figura<br />

tragica per eccellenza ma possono essere ancora una volta le pag<strong>in</strong>e dello stesso autore a<br />

spiegare al meglio tale rapporto. Tra l’Agosto e il Settembre 1944 Pavese scrive:<br />

642 C. Pavese, Il Mestiere di Vivere, Febbraio 1944, cit. pp. 273-274.<br />

643 Eugenio Cors<strong>in</strong>i, Orfeo senza Euridice: i Dialoghi con Leucò e il classicismo di Pavese, <strong>in</strong> Sigma, 3-4, 1964,<br />

pp. 121-46.<br />

176


Cadere dal fico e giacere nel sangue [...] non è selvaggio <strong>in</strong> quanto evento, ma diviene tale se veduto come<br />

legge della vita. Che il sangue sgorghi, <strong>in</strong> un modo o nell'altro, a torrenti sulla terra, che naturalmente le<br />

bestie si divor<strong>in</strong>o, e che il caduto non abbia diritti da <strong>in</strong>vocare, questo è il selvaggio perché il nostro<br />

sentimento lo vorrebbe proibito, mero evento e non legge […]. La natura impassibile celebra un rito;<br />

l'uomo impassibile o commosso celebra i suoi riti più spaventosi; tutto ciò è superstizione soltanto se ci<br />

giunge come <strong>in</strong>giusto, proibito dalla coscienza, selvaggio. Qu<strong>in</strong>di selvaggio è il superato dalla coscienza<br />

[…]. Il selvaggio non è pittoresco ma tragico […]. Poesia è, ora, lo sforzo di afferrare la superstizione -il<br />

nefando- e dargli un nome, cioè conoscerlo, farlo <strong>in</strong>nocuo. Ecco perché l'arte vera è tragica -è uno sforzo.<br />

La poesia partecipa di ogni cosa proibita dalla coscienza-ebbrezza, amore&passione, peccato- ma tutto<br />

riscatta con la sua esigenza contemplativa cioè conoscitiva 644 .<br />

L’idea alla base dei Dialoghi, e quella su cui Pavese lavora con maggior <strong>in</strong>teresse<br />

nell’ambito della sua ricerca poetica, è qu<strong>in</strong>di l’approfondimento del rapporto che lega<br />

etnologia e mitologia attra<strong>vers</strong>o l’elaborazione di un personaggio tragico che è il<br />

selvaggio. Questo sembra essere uno degli sviluppi più <strong>in</strong>teressanti ed orig<strong>in</strong>ali della<br />

poetica pavesiana <strong>in</strong> quanto capace di legare due scienze, quella del mito e quella<br />

dell’etnologia, una relativamente antica, l’altra relativamente recente. Se si pongono<br />

questi Dialoghi con Leucò all’<strong>in</strong>terno del panorama culturale coevo si potrà notare come<br />

l’operazione di Pavese non appaia arbitraria e f<strong>in</strong>e a sé stessa ma ben correlata a certa arte<br />

europea che, con non venate sfumature decadentiste, condivideva i suoi stessi <strong>in</strong>teressi.<br />

Guglielmi sottol<strong>in</strong>ea come l’<strong>in</strong>tera opera di Pavese sia da ricondurre alla cultura del suo<br />

tempo:<br />

E proprio nella cultura del proprio tempo trovò quell’<strong>in</strong>teresse per il mito, rivalutato come forma di<br />

conoscenza, che Vico e i romantici avevano <strong>in</strong>augurato […]. A un’organizzazione del racconto non<br />

naturalistica, il racconto mitico-simbolico doveva <strong>in</strong>vero offrirsi come modello […]. La poetica di Pavese<br />

punta a una comunicazione simbolica, capace di riprist<strong>in</strong>are strutture profonde e arcaiche della cultura, a<br />

livello dell’uomo moderno 645 .<br />

Per Guglielmi, lo sforzo di Pavese è quello di sottrarre i materiali mitici dalla loro aura di<br />

preziosità e di esclusività culturale per <strong>in</strong>serirli <strong>in</strong> un più ampio contesto, <strong>in</strong> “una<br />

dimensione etica e comunicativa”. Insomma Pavese “mira a riconvertire l’uso estetico dei<br />

miti – quale gli giungeva direttamente da D’Annunzio – <strong>in</strong> uso etico […] e tutto questo<br />

secondo una direzione propria dei ritornanti primitivismi della modernità”. In un seguente<br />

passaggio, Guglielmi arriverà ad ipotizzare come tutta la poetica dell’autore si basasse sul<br />

problema di consegnare i materiali della tragedia classica ai tempi moderni e qu<strong>in</strong>di<br />

“mediare tempo estatico e tempo profano, citazione mitica e vita contemporanea” 646 . Il<br />

10 luglio del 1947 Pavese scrive:<br />

Notato che Paesi tuoi e Dialoghi con Leucò nascono dal vagheggiamento del selvaggio- la campagna e il<br />

titanismo [...]. L'arte del novecento batte tutta sul selvaggio. Prima come argomenti (Kipl<strong>in</strong>g, D'Annunzio<br />

ecc.), poi come forma (Joyce, Picasso ecc.) [...]. Tutto ciò che ti ha colpito <strong>in</strong> modo creativo nelle letture,<br />

sapeva di questo. (Nietzsche col suo Dioniso...). Con la scoperta dell'etnologia sei giunto a storicizzare<br />

questo selvaggio. La città-campagna dei primi libri è diventata il titanismo-olimpico dell'ultimo [...]. Il<br />

selvaggio ti <strong>in</strong>teressa come mistero non come brutalità storica. Non ti piacciono le storie partigiane o<br />

terroristiche, sono troppo spiegabili. Selvaggio vuol dire mistero, possibilità aperta 647 .<br />

644<br />

C. Pavese, Il Mestiere di Vivere, cit. pp. 288-291.<br />

645<br />

G. Guglielmi, La prosa italiana del Novecento tra romanzo e racconto, cit. pp. 114-16.<br />

646<br />

Ivi, pp. 114-117.<br />

647<br />

C. Pavese, Il Mestiere di Vivere, 10 Luglio del 1947, cit. pp. 334-335.<br />

177


Il lavoro di Pavese sembra trarre ispirazione e, al contempo, contribuire alla ricerca<br />

artistica contemporanea. La ricerca è diretta al discernimento-svelamento di quelle “leggi<br />

della vita” che non sono esclusivamente quelle create dall’uomo ma soggiacciono<br />

nell’irrazionale, <strong>in</strong> quel terreno che i greci usavano sondare tramite lo svolgimento del<br />

mito. La riproposizione del tragico avviene senz’altro <strong>in</strong> questo senso dal momento che si<br />

può constatare come il rendere fruibile il materiale dei Dialoghi con Leucò, di<br />

modernizzare, <strong>in</strong>somma, il materiale classico, sia uno dei primi obiettivi dello scrittore.<br />

Il 28 Luglio 1947, Pavese scrive un’importante nota a riguardo: “I Dialoghetti<br />

conservano gli elementi, i gesti, gli attributi, i nodi del mito, ma ne aboliscono la realtà<br />

culturale radicata <strong>in</strong> una storia d’<strong>in</strong>nesti, calchi, derivazioni, ecc. (che ce li rende<br />

comprensibili) [...]. Quello che resta è il problema, che la tua fantasia risolve” 648 . Cercare<br />

di <strong>in</strong>terpretare i Dialoghi con Leucò partendo dal classico sarebbe, dunque, un errore che<br />

si corre il rischio di commettere ogni qualvolta ci si avvic<strong>in</strong>a ad un’opera come questa.<br />

Lo stesso autore scrive a riguardo <strong>in</strong> una nota del 18 Febbraio 1950: “La cultura deve<br />

com<strong>in</strong>ciare dal contemporaneo e documentario, dal reale, per salire -se è il caso- ai<br />

classici. Errore umanistico: com<strong>in</strong>ciare dai classici. Ciò abitua all’irreale alla retorica, e<br />

<strong>in</strong> <strong>def</strong><strong>in</strong>itiva al disprezzo c<strong>in</strong>ico della cult. classica [...]” 649 . I Dialoghi con Leucò non<br />

rappresentano un’opera erudita o uno sfoggio di cultura classica ma sono una risposta<br />

concreta alle istanze culturali di quel periodo.<br />

L’orig<strong>in</strong>alità dello scritto pavesiano lasciò <strong>in</strong>terdetto più di un critico nel momento della<br />

pubblicazione e si dovettero aspettare parecchie settimane prima di poter leggere le prime<br />

recensioni. Lo stesso autore lamentava il fatto che nessuno comprendesse a pieno il<br />

valore di quest’opera che rimaneva, tra l’altro, una delle sue preferite. Il problema<br />

pr<strong>in</strong>cipale sembrava essere quello di poter <strong>def</strong><strong>in</strong>ire i Dialoghi con Leucò. Se non erano<br />

un’opera erudita totalmente volta al recupero dei temi classici come poteva essere<br />

ricollegata e collocata nel panorama artistico contemporaneo? Una delle prime critiche,<br />

che lo stesso autore salutò con entusiasmo, fu proprio quella di Unterste<strong>in</strong>er che<br />

riconobbe nei Dialoghi con Leucò il felice tentativo di modernizzare le tematiche<br />

classiche. Nell’articolo apparso su “Educazione Politica”, Unterste<strong>in</strong>er così si esprime:<br />

Questi dialoghi sono sempre a due e hanno per centro un momento o il momento significativo,<br />

paradigmatico di ogni mito. Ognuno è preceduto da una <strong>in</strong>cisiva didascalia <strong>in</strong>formativa e, spesso, esegetica,<br />

<strong>in</strong> quanto l'A., con una frase e talora anche con una sola parola va alla radice perenne del mito, quella che<br />

pur oggi è vitale e che viene scoperta <strong>in</strong> qualche caso, col nuovo spirito moderno [...]. Il tormento<br />

speculativo moderno s'<strong>in</strong>gigantisce risalendo nei secoli f<strong>in</strong>o alle età primève del mito, che prende un<br />

aspetto orig<strong>in</strong>ale <strong>in</strong> questo, che non è travestimento moderno, ma sguardo di un moderno, consapevole che<br />

il mito dell'Ellade non si può violare 650 .<br />

Il tentativo di Pavese appare, dunque, quello di s<strong>in</strong>tetizzare istanze prettamente moderne<br />

tramite il ricorso al mito. Probabilmente è proprio dalla distanza modernità-classicità che<br />

si ottiene una prima possibilità conoscitiva. Lo sguardo che Pavese getta sulla storia del<br />

mondo è omnicomprensivo ed è teso al disvelamento delle leggi che lo governano.<br />

L’approccio tragico consiste nel prendere coscienza di quello che Sergio Givone 651<br />

648 Ivi, 28 Luglio 1947, p. 336.<br />

649 Ivi, 18 Febbraio 1950, p. 390.<br />

650 In Educazione Politica n° I (nov.-dic. 1947) p. 344, contenuto <strong>in</strong> C. Pavese, Dialoghi con Leucò, cit. p. 197.<br />

651 Givone scrive l'<strong>in</strong>troduzione sia alla Nascita della tragedia di Nietzsche nell'edizione Newton 1995 sia ai<br />

Dialoghi con Leucò nell'edizione E<strong>in</strong>audi 1999.<br />

178


chiama “il dis<strong>in</strong>canto del mondo” e che si lega alle nozioni di secolarizzazione 652 ,<br />

demitizzazione, razionalizzazione:<br />

Il mondo moderno ha dato a se stesso la propria legge di formazione, autoleggittimandosi, al punto che<br />

l’<strong>in</strong>negabile processo di secolarizzazione e di demitizzazione non farebbe che mettergli a disposizione<br />

materiali per il proprio mito […]. Il dis<strong>in</strong>canto del mondo, <strong>in</strong> ogni caso, è caratterizzato da <strong>def</strong><strong>in</strong>itività e<br />

irre<strong>vers</strong>ibilità, perché rappresenta la memoria storica del non più, del tratto che separa per sempre,<br />

addirittura dell'immemoriale. Come ricordare, <strong>in</strong>fatti, il tempo <strong>in</strong> cui il div<strong>in</strong>o abitava la terra e str<strong>in</strong>geva <strong>in</strong><br />

comunione uom<strong>in</strong>i e natura [...] e come dimenticare, vice<strong>vers</strong>a, quel tempo, se il costituirsi del tempo, nella<br />

terra abbandonata da Dio, implica precisamente che quella comunione è tramontata [...] 653 .<br />

Se la storia del mondo è un progressivo allontanarsi dalle orig<strong>in</strong>i, il pensiero tragico<br />

riproposto nella modernità potrebbe rappresentare un tentativo di recupero di tematiche<br />

esistenziali considerate basilari nella concezione pavesiana. Il 3 Aprile 1949, Pavese<br />

scrive:<br />

Prima di Cristo e del Logos greco, la vita era un cont<strong>in</strong>uo contatto e ricambio magico con la natura; di qui<br />

uscivano forze, determ<strong>in</strong>azioni, dest<strong>in</strong>i; a lei si tornava, ci si rigenerava. Dopo Cr. e dopo il Logos, la<br />

natura si fa staccata dalla sorgente mistica della forza e della vita (che viene ora dallo Spirito). E' pronto il<br />

campo per la scienza moderna che constata e codifica la materialità l'<strong>in</strong>differenza della natura 654 .<br />

Il pr<strong>in</strong>cipale obiettivo polemico di Pavese sembra dunque, <strong>in</strong> questo caso, l’eccesso di<br />

razionalità che impedisce all’uomo la strada della verità. Givone così <strong>def</strong><strong>in</strong>isce la verità che<br />

l’approccio tragico persegue: “Tragicamente, la verità non è che memoria di una orig<strong>in</strong>aria<br />

contraddizione [...]. Verità come contraddizione [...] <strong>in</strong>somma, se la poesia prende congedo<br />

dall’idea religiosa e metafisica della verità è per ritrovarla a un livello più orig<strong>in</strong>ario, dove la<br />

verità esibisce la sua natura orig<strong>in</strong>ariamente conflittuale e non è se non questa esibizione,<br />

questo teatro” 655 . Se lo studio sul tragico rappresenta il recupero di questa componente<br />

irrazionale dell’uomo, vista come componente conoscitiva, si potrà comprendere come e<br />

perché questi dialoghi siano estremamente moderni, nel momento <strong>in</strong> cui si pensa alla stessa<br />

<strong>def</strong><strong>in</strong>izione d’arte contemporanea che l’autore ci offre. Tratto moderno è il riconoscere<br />

all’uomo la colpa di avere spodestato l’essere al f<strong>in</strong>e di porsi al centro d’ogni discorso. Nella<br />

concezione tragica pavesiana quest’uomo si trova di fronte alla sua colpa: l’aspirare alla deità.<br />

E’ il momento <strong>in</strong> cui la legge della terra, la legge dell’essere, torna a far sentire la sua voce,<br />

violentemente, selvaggiamente, tragicamente così come aveva preconizzato Luckacs nella<br />

Metafisica della tragedia: “Mai come oggi la natura e il dest<strong>in</strong>o furono così terribilmente<br />

senz’anima, mai come oggi le anime umane percorsero <strong>in</strong> tanta solitud<strong>in</strong>e le loro strade<br />

abbandonate […]” e proprio per questo “[…] è possibile sperare <strong>in</strong> un ritorno della tragedia<br />

[…]” <strong>in</strong>fatti “[…] si sono dileguati del tutto gli <strong>in</strong>certi fantasmi di un ord<strong>in</strong>e di comodo, che la<br />

viltà dei nostri sogni ha proiettato sulla natura per crearsi un’illusione di sicurezza” 656 .<br />

Il recupero di un pensiero tragico <strong>in</strong> epoca moderna non è, d’altra parte, un fenomeno<br />

isolato e riveste una notevole importanza nell’ambito della letteratura del Novecento.<br />

Considerando la ricerca e l’<strong>in</strong>teresse di Pavese, si potrebbe mettere <strong>in</strong> correlazione tale<br />

recupero con il dibattito sul nichilismo che fu d’attualità <strong>in</strong> Europa tra la f<strong>in</strong>e<br />

dell’Ottocento e la prima metà del Novecento. La relazione che s’<strong>in</strong>staura tra questo<br />

652 S. Givone, Dis<strong>in</strong>canto del mondo e pensiero tragico, cit., p.126: “secolarizzazione significa anzitutto<br />

rimozione […] delle cose nascoste dalla fondazione del mondo.”<br />

653 Ivi, p. 4.<br />

654 C. Pavese, Il Mestiere di Vivere, 3 Aprile 1949, cit. p. 367.<br />

655 S. Givone, Dis<strong>in</strong>canto del mondo e pensiero tragico, cit. p. 17.<br />

656 Ivi, p. 7.<br />

179


fenomeno e la tragedia è ben analizzata da Givone che argomenta come il pensiero<br />

tragico restituisca al mondo quel senso che il nichilismo gli sottrae. Questo avviene<br />

attra<strong>vers</strong>o l’esposizione al nulla che circonda, nonostante si tenti di rimuoverlo, la nostra<br />

esistenza. Il senso del tragico scaturisce dalle scoperte effettuate ponendo l’essere al<br />

cospetto del non essere, il tutto a cospetto del nulla. Si potrebbe addirittura arrivare ad<br />

ipotizzare, a tal riguardo, che gli stessi greci abbiano espresso la tragedia ma non un vero<br />

e proprio pensiero tragico 657 . In questo senso è senz’altro da sottol<strong>in</strong>eare l’orig<strong>in</strong>alità di<br />

quegli scrittori contemporanei, come Pavese, che hanno saputo ricontestualizzare e<br />

rielaborare nella modernità i dettami dell’arte classica della tragedia ponendosi<br />

problematicamente di fronte all’opposizione mithos-logos che genera la poesia tragica:<br />

[...] nella tragedia il mito fa del logos la sua controfigura concettuale: vero e proprio sosia resosi<br />

<strong>in</strong>dipendente, il logos si volge contro il mito, lo mette alla prova, lo usa strumentalmente, predispone così<br />

quel processo di razionalizzazione che è antimitico, antitragico, e che dal mondo della tragedia greca si<br />

proietta sulla modernità. Ma ciò non toglie che questo processo, al suo culm<strong>in</strong>e, appaia dest<strong>in</strong>ato a<br />

<strong>in</strong>vertirsi. Infatti quando il mito è stato assorbito dal logos senza residuo -il che accade nel mondo<br />

moderno- al logos non resta che svelare la sua provenienza, anzi, la sua essenza mitica. E' appunto<br />

razionalizzandosi all'estremo, è codificandosi <strong>in</strong> una s<strong>in</strong>tassi perfettamente omologa all'ord<strong>in</strong>e "metafisico"<br />

e "teoretico", benché "<strong>in</strong>gannevole" dei significati, è imponendosi come la struttura stessa del reale, nella<br />

sua perfetta artificiosità, che il logos, cioè il l<strong>in</strong>guaggio, si affaccia <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e sul suo vuoto e si mostra come<br />

una ragnatela non fondata su nulla o non fondata che sulla f<strong>in</strong>zione della corrispondenza di nomi e cose 658 .<br />

Se Dioniso è il dio che danza tra l’essere e il non essere, il poeta tragico è colui che<br />

<strong>in</strong>daga questa sovrapposizione cont<strong>in</strong>ua di dimensioni, colui il quale si pone <strong>in</strong><br />

cont<strong>in</strong>uazione l’enigma del nulla lasciandolo irrompere fra le sue pag<strong>in</strong>e. In questo senso<br />

l’operazione tragica moderna diviene <strong>in</strong>teressante poiché risposta all’<strong>in</strong>terdetto<br />

occidentale di pensare il nulla, di considerarlo come problema (da Parmenide <strong>in</strong> poi), e di<br />

rimuoverlo o sostituirlo con idee alternative (Dio per esempio). Pavese riscopre il mondo<br />

del paganesimo e dei riti ancestrali e barbarici per amore di quelle civiltà che, come<br />

attesta Nietzsche, erano <strong>in</strong> grado di rimanere fedeli al f<strong>in</strong>ito e sapevano riconoscere il loro<br />

limite più proprio nella morte. Pavese riscopre il mito di Dioniso come mito di sofferenza<br />

che solo un’arte tragica è <strong>in</strong> grado di esprimere. E’ la sperimentazione della<br />

contraddizione che la logica socratica, attaccata <strong>in</strong> questo senso da Nietzsche, tentava di<br />

superare. La contraddizione è altresì <strong>in</strong>sanabile e l’agone tragico è il luogo deputato a tale<br />

discernimento.<br />

Il tragico trae le sue orig<strong>in</strong>i dal culto <strong>in</strong> onore di Dioniso ma solo apparentemente rimane<br />

<strong>in</strong>dissolubilmente legato a schemi classici, così come ipotizza Ste<strong>in</strong>er nella Morte della<br />

Tragedia. Se proprio non si può parlare di r<strong>in</strong>ascita delle forme classiche della tragedia si<br />

può senz’altro ipotizzare l’evoluzione di un pensiero tragico che trova piena applicazione<br />

nella modernità nel momento <strong>in</strong> cui il suo svolgimento provoca, nel mondo della fissità e<br />

dell’<strong>in</strong>dividualità, uno “stupore” che così si manifesta nella <strong>def</strong><strong>in</strong>izione niciana: “il<br />

terreno vacilla, così come la fede nell’<strong>in</strong>dissolubilità e nella fissità dell’<strong>in</strong>dividuo” 659 . E’<br />

un pr<strong>in</strong>cipio, quanto mai attuale, per cui l’<strong>in</strong>dividuo mette <strong>in</strong> gioco se stesso ponendosi di<br />

fronte alle possibilità dell’essere e del non essere. La riproposizione dei motivi tragici<br />

avviene <strong>in</strong> Pavese <strong>in</strong> maniera del tutto orig<strong>in</strong>ale e s<strong>in</strong>tetizza molte delle istanze culturali<br />

di quel periodo tanto che Eugenio Cors<strong>in</strong>i può, a giusta ragione, parlare di un<br />

657 Così Givone <strong>def</strong><strong>in</strong>isce il pensiero tragico: “Pensiero che non eluda la contraddizione, ma, <strong>in</strong> qualche modo la<br />

faccia sua e rifluisca <strong>in</strong> essa, pensiero dell'ambiguità e dell'ambivalenza, pensiero <strong>in</strong>sieme dialettico e antidialettico.<br />

Pensiero distruttivo del mito e solidale con esso, pensiero doppio, pensiero tragico”. Ibidem.<br />

658 Ivi, p. 95.<br />

659 S. Givone, Introduzione alla Nascita della tragedia, cit. p.22.<br />

180


“classicismo <strong>in</strong>quieto e torbido [...] erede delle varie esperienze classicistiche del<br />

decadentismo” 660 .<br />

660 E. Cors<strong>in</strong>i, Orfeo senza Euridice: i Dialoghi con Leucò e il classicismo di Pavese, cit. pp- 206-14.<br />

181


Bibliografia critica<br />

Studi di carattere generale<br />

Vittoria Borsò, Temporalità e alterità. Il nuovo rapporto tra uomo e natura nella poesia<br />

moderna, contenuto <strong>in</strong> D. Conte, E. Mazzarella, Il concetto di tipo tra ottocento e Novecento.<br />

Letteratura, filosofia, scienze umane, Napoli, Liguori, 2001.<br />

Eugenio Turri, Lo spazio europeo: alla ricerca di una geografia mitica, contenuto <strong>in</strong> Carlo<br />

Ossola, Europa: miti di identità, Saggi Marsilio, Venezia, 2001.<br />

P<strong>in</strong>o Fasano, Il ritorno della critica tematica, contenuto <strong>in</strong> L’umana compagnia, Studi <strong>in</strong><br />

onore di Gennaro Bavarese, a cura di Rosanna Alhoique Pett<strong>in</strong>elli, Bulzoni editore, Roma,<br />

1999.<br />

P<strong>in</strong>o Fasano, Letteratura e Viaggio, Editori Laterza, Bari, 1999.<br />

Gnisci, S<strong>in</strong>opoli, Trocchi, Pant<strong>in</strong>i, Nucera, Guglielmi, Moll, Neri, Galeri, Introduzione alla<br />

letteratura comparata, a cura di Armando Gnisci, Edizioni Bruno Mondatori, Milano, 1999.<br />

Mart<strong>in</strong> Tra<strong>vers</strong>, An <strong>in</strong>troduction to modern European Literature-from Romanticism to<br />

Postmodernism, Macmillan Press LTD, London, 1998.<br />

Guido Guglielmi, La prosa Italiana del Novecento, tra romanzo e racconto, Piccola<br />

Biblioteca E<strong>in</strong>audi, Tor<strong>in</strong>o, 1998.<br />

Franco Moretti, Atlante del Romanzo Europeo, E<strong>in</strong>audi, Tor<strong>in</strong>o, 1997.<br />

Umberto Galimberti, Heidegger, Jaspers e il tramonto dell’Occidente, Il Saggiatore, Milano,<br />

1996.<br />

Francesco Orlando, Costanti tematiche, varianti estetiche e precedenti storici, contenuto <strong>in</strong><br />

Mario Praz, La carne, la morte e il diavolo, Sansoni, Milano, 1996.<br />

Fernanda Pivano, La balena bianca ed altri miti, Il Saggiatore, Milano, 1995.<br />

B.Magnus, S.Stewart, J.P. Mileur, Nietzsche’s Case, Philosophy as/and Literature,<br />

Routledge, New York-London, 1993.<br />

Werner Sollors, The return of thematic criticism, Harvard Uni<strong>vers</strong>ity Press, Cambridge,<br />

Massachussets, London, England, 1993.<br />

Antonella Riem Natale, La gabbia <strong>in</strong>naturale: l’opera di Bruce Chatw<strong>in</strong>, Campanotto, Ud<strong>in</strong>e,<br />

1993.<br />

Jeffrey T. Shapp, Epic demonstrations: Fascist Modernity and the 1931 Exhibition of the<br />

Fascist Revolution, <strong>in</strong> Richard Golsan, Fascism, Aesthetics and Culture, New England Press,<br />

Hanover, NH 1992.<br />

Richard Golsan, Fascism, Aesthetics and Culture, New England Press, Hanover, NH 1992.<br />

Eric J. Leed, La mente del viaggiatore, Il Mul<strong>in</strong>o, Bologna, 1991.<br />

A.Giard<strong>in</strong>a, G. Sabbatucci, V. Vidotto, L’età contemporanea, Editori Laterza, Bari, 1990.<br />

Robert Hampson, Frazer and Conrad, contenuto <strong>in</strong> Robert Fraser, Sir James Frazer and the<br />

literary imag<strong>in</strong>ation, essays <strong>in</strong> aff<strong>in</strong>ity and <strong>in</strong>fluence, Macmillian, London, 1990.<br />

Ulrich Simon, Pity and terror: christianity and tragedy, MacMillan, Uk, 1989.<br />

Gian Luigi Beccaria, Le forme della lontananza, Garzanti, Milano, 1989.<br />

Sergio Givone, Dis<strong>in</strong>canto del mondo e pensiero tragico, Il saggiatore, Milano, 1988.<br />

H.R.Jauss, Estetica della ricezione, Guida, Napoli, 1988.<br />

Harvey Birenbaum, Tragedy and <strong>in</strong>nocence, Uni<strong>vers</strong>ity press of America, Wash<strong>in</strong>gton<br />

D.C.,1983.<br />

Franco Moretti, Segni e stili del Moderno, Giulio E<strong>in</strong>audi Editore, Tor<strong>in</strong>o,1987.<br />

Jurij Lotman, La Semiosfera, Marsilio Editore, Venezia, 1985.<br />

Gregory Lucente, The narrative of realism and Myth. Verga, Lawrence, Faulkner, Pavese.<br />

The John Hopk<strong>in</strong>s Uni<strong>vers</strong>ity Press, Baltimore and London, 1981.<br />

182


Giorgio Barberi Squarotti, Le sorti del tragico. Il novecento italiano: romanzo e teatro, Longo<br />

Editore, Ravenna,1978.<br />

Adrian Lyttelton, Italian Fascisms, Cape, London, 1973.<br />

John B. Vickery, The literary Impact of The Golden Bough, Pr<strong>in</strong>ceton Uni<strong>vers</strong>ity Press, 1973.<br />

Peter L. Thorslev Jr. The wild man revenge, <strong>in</strong> Dudley, Edward og Maximillian E. Novak:<br />

The Wild Man With<strong>in</strong> - An Image <strong>in</strong> Western Thought From Renaissance to Romanticism.<br />

Uni<strong>vers</strong>ity of Pittsburgh Press, Pittsburgh, 1972.<br />

Sergio Landucci, I filosofi e i selvaggi, 1580-1780, Laterza, Bari, 1972.<br />

Giorgio Barberi Squarotti, Il tragico nel mondo borghese, Giappichelli Editore,Tor<strong>in</strong>o, 1974.<br />

Michael Bell, Primitivism, Cox & Wyman Ltd, Fakenham, Norfolk, 1972.<br />

Giovanni Cillo, La distruzione dei miti, Nuovedizioni E.Vallecchi, Firenze,1972.<br />

Giuseppe Cocchiara, L’eterno selvaggio, S.F. Flaccovio Editore- Palermo, 1972.<br />

Frank Kermode, Il senso della f<strong>in</strong>e, studi sulla teoria del romanzo, Rizzoli, Milano, 1972.<br />

Furio Jesi, Letteratura e mito, E<strong>in</strong>audi, Tor<strong>in</strong>o, 1968.<br />

Paul Tillich, The mean<strong>in</strong>g of mean<strong>in</strong>glessness, contenuto <strong>in</strong> The modern Tradition<br />

backgrounds of modern literature, edito da Richard Ellmann and Charles Feidelson jr.,<br />

Oxford Uni<strong>vers</strong>ity Press, 1965.<br />

Marziano Guglielm<strong>in</strong>etti, Struttura e s<strong>in</strong>tassi, Silva Editore, Parma, 1964.<br />

George Ste<strong>in</strong>er, The death of tragedy, The Faber Library London, Great Brita<strong>in</strong>, 1961.<br />

Erich Auerbach, Vico and Aesthetic Historism, tratto da Scenes from the drama of European<br />

literature (1959), Meridian Books, USA, 1973.<br />

Benedetto Croce, Perchè non possiamo non dirci cristiani (1945), <strong>in</strong> Discorsi di filosofia, vol<br />

I, Laterza, Bari, 1959.<br />

Mario Unterste<strong>in</strong>er, Le orig<strong>in</strong>i della tragedia, Fratelli Bocca Editore, Milano, 1942.<br />

Walter Benjam<strong>in</strong>, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (1936), E<strong>in</strong>audi,<br />

Tor<strong>in</strong>o, 1991.<br />

Mario Praz, La carne, la morte e il diavolo (1930), Sansoni, Milano, 1996.<br />

Studi sul modernismo<br />

D. Ellison, Ethics and Aesthetics <strong>in</strong> European Modernist Literature, Cambridge Uni<strong>vers</strong>ity<br />

Press, 2001.<br />

Peter Nicholls, La forma e le scritture, Una lettura critica del modernismo, Armando Editore,<br />

Roma, 2000.<br />

M.Bell and P.Poellner, Myth and the mak<strong>in</strong>g of modernity. The problem of ground<strong>in</strong>g <strong>in</strong> Early<br />

Twentieth Century Literature, Rodopi, Amsterdam-Atlanta, GA, 1998.<br />

V.Kolocotroni, J.Goldman, O. Toxidov, Modernism, an anthology of sources and documents,<br />

Edimburgh Uni<strong>vers</strong>ity Press, 1998.<br />

Michael Bell, Literature, modernism and myth, belief and responsibility <strong>in</strong> the twentieth<br />

century, Cambridge Uni<strong>vers</strong>ity Press, Cambridge, 1997.<br />

Ra<strong>in</strong>er Emig, Modernism <strong>in</strong> Poetry, Motivations, Structures and Limits, Longman, London<br />

and New York, 1995.<br />

John Mc Govern, Like water <strong>in</strong> water, primitivism and modernity, contenuto <strong>in</strong> Michael Bell,<br />

D.H. Lawrence: language and be<strong>in</strong>g, Cambridge Uni<strong>vers</strong>ity Press, 1992.<br />

Franz Kuna, The Janus Faced Novel: Conrad, Musil, Kafka, Mann, contenuto <strong>in</strong> Modernism a<br />

guide to european literature 1890-1930, edito da M. Bradbury and J. Mc Farlane, Pengu<strong>in</strong><br />

Books, London, 1991.<br />

183


David Lodge, The language of modernist fiction: Metaphor and Metonimy, contenuto <strong>in</strong><br />

Modernism, a guide to European Literature 1890-1930, edito da M.Broadbury and J.<br />

McFarlane, Pengu<strong>in</strong> Books, 1991.<br />

Richard Sheppard, The Crisis of language, contenuto <strong>in</strong> Modernism, a guide to European<br />

Literature 1890-1930, edited by M.Broadbury and J. McFarlane, Pengu<strong>in</strong> Books, 1991.<br />

John Burt Foster Jr., Heir to Dionysus, a Nietzschian <strong>in</strong> Literary Modernism, Pr<strong>in</strong>ceton<br />

Uni<strong>vers</strong>ity Press, 1988.<br />

The English Modernist Reader 1910-1930, edito da Peter Faulkner, Uni<strong>vers</strong>ity of Ioawa<br />

Press, Ioawa City, 1986.<br />

Studi su Pavese<br />

Elio Gioanola, Cesare Pavese, la realtà, l’altrove, il silenzio, Jaca Book, Milano, 2003.<br />

Denis Ferraris, Lo “sguardo alla f<strong>in</strong>estra” e il “laborioso caos”: sulla modernità narrativa di<br />

Cesare Pavese, <strong>in</strong> Centre de recherches italiennes, Narrativa, a cura di Marie-Helene Caspar,<br />

Uni<strong>vers</strong>itè Paris X – Nanterre, n° 22, Janvier 2002.<br />

Centre de recherches italiennes, Narrativa, a cura di Marie-Helene Caspar, Uni<strong>vers</strong>itè Paris X<br />

– Nanterre, n° 22, Janvier 2002.<br />

Roberto Gigliucci, Cesare Pavese, Bruno Mondatori, Milano, 2001.<br />

B. Van Den Bossche, Nulla è veramente accaduto strategie discorsive del mito e dell'opera di<br />

Cesare Pavese, Leuven Uni<strong>vers</strong>ity Press e Franco Cesati Editore, 2001.<br />

Sergio Pautasso, Cesare Pavese oltre il mito, Marietti 1820, Genova, 2000.<br />

Marziano Guglielm<strong>in</strong>etti, Cesare Pavese romanziere, contenuto <strong>in</strong> Cesare Pavese, Tutti i<br />

romanzi, E<strong>in</strong>audi, Tor<strong>in</strong>o, 2000.<br />

Sergio Givone, Introduzione ai Dialoghi con Leucò, contenuto <strong>in</strong> Cesare Pavese, Dialoghi<br />

con Leucò (1947), E<strong>in</strong>audi, Tor<strong>in</strong>o, 1999.<br />

Valerio Cristiano Ferme, Cesare Pavese's and Elio Vittor<strong>in</strong>i's translations from American<br />

literature: The Americanization of aesthetics and the sub<strong>vers</strong>ion of culture under the Fascist<br />

regime (Italy), Uni<strong>vers</strong>ity of California, Berkeley, 1998.<br />

Gilberto F<strong>in</strong>zi, Come leggere la Luna e i Falò di Cesare Pavese, Mursia, Milano, 1996.<br />

Fabio Pierangeli, Pavese e i suoi miti toccati dal dest<strong>in</strong>o, Tirrenia Stampatori, Tor<strong>in</strong>o, 1995.<br />

Centro studi di letteratura italiana <strong>in</strong> Piemonte “Guido Gozzano”, Uni<strong>vers</strong>ità di Tor<strong>in</strong>o,<br />

Giornate Pavesiane, Tor<strong>in</strong>o 14 Febbraio 15 Marzo 1987, vol.11 a cura di Mariarosa Masoero,<br />

Leo S. Olschki-Firenze, 1992.<br />

Maria de las Nives Muniz Muniz, Introduzione a Pavese, Editori Laterza, Bari, 1992.<br />

Maria de las Nives Muniz Muniz, Poetiche della temporalità(Manzoni, Leopardi, Verga,<br />

Pavese), Palumbo, Palermo, 1990.<br />

Michela Rusi, Il tempo-dolore, per una fenomenologia della percezione temporale <strong>in</strong> Cesare<br />

Pavese, Francisci editore, 1985.<br />

Bruno Basile, La f<strong>in</strong>estra socchiusa. Ricerche tematiche su Dostoevskij, Kafka, Moravia e<br />

Pavese, Patron Editore, Bologna, 1982.<br />

Anton<strong>in</strong>o Musumeci, L’impossibile ritorno, La fisiologia del mito <strong>in</strong> Cesare Pavese, Il<br />

Portico Longo editore, Ravenna, 1980.<br />

Mauro Ponzi, La critica e Pavese, Cappelli Editore, Bologna, 1977.<br />

Maria Stella, Cesare Pavese traduttore, Bulzoni Editore, Roma, 1977.<br />

Anco Marzio Mutterle, L'immag<strong>in</strong>e arguta. L<strong>in</strong>gua stile retorica di Pavese, E<strong>in</strong>audi, Tor<strong>in</strong>o,<br />

1977.<br />

Edw<strong>in</strong> Fussel, Forward to: Cesare Pavese, American Literature Essays and op<strong>in</strong>ions,<br />

Uni<strong>vers</strong>ity of California Press, Los Angeles-London, 1970.<br />

184


Vittorio Stella, L’elegia tragica di Cesare Pavese, Edizioni Longo, Ravenna, 1969.<br />

Gian Paolo Bias<strong>in</strong>, The smile of the gods, a thematic study of Cesare Pavese works, Cornell<br />

Uni<strong>vers</strong>ity Press, Ithaca, New York, 1968.<br />

Eugenio Cors<strong>in</strong>i, Orfeo senza Euridice: i Dialoghi con Leucò e il classicismo di Pavese, <strong>in</strong><br />

Sigma, 3-4, 1964, pp.121-46.<br />

Studi su Lawrence<br />

Fiona Becket, The complete guide to D. H. Lawrence, Routledge, London and New York,<br />

2002.<br />

Walter Mauro, prefazione a D. H. Lawrence, Il serpente piumato, Roma, Newton Compton<br />

Editore, 1995.<br />

Michael Bell, D.H. Lawrence: language and be<strong>in</strong>g, Cambridge Uni<strong>vers</strong>ity Press, 1992.<br />

Carol Sklenicka, D. H. Lawrence and the child, Uni<strong>vers</strong>ity of Missouri press, Columbia and<br />

London, 1991.<br />

Frank Kermode, Foreword to Peter Fjagesund, The Apocaliptic World of D. H. Lawrence,<br />

Norvegian Uni<strong>vers</strong>ity Press, 1991.<br />

Peter Fjagesund, The Apocaliptic World of D. H. Lawrence, Norvegian Uni<strong>vers</strong>ity Press,<br />

1991.<br />

Col<strong>in</strong> Milton, Lawrence and Nietzsche a study <strong>in</strong> <strong>in</strong>fluence, Aberdeen Uni<strong>vers</strong>ity Press,<br />

Aberdeen, 1987.<br />

Harold Bloom, Modern Critical Views, D. H. Lawrence, Chelsea House Publishers, New<br />

York – Philadelphia, 1986.<br />

Frank Kermode, Apocalyptic Types, contenuto <strong>in</strong> D. H. Lawrence, Modern Critical Views,<br />

Chelsea House Publishers, New York – Philadelphia, 1986.<br />

Ross C. Murf<strong>in</strong>, The poetry of D.H. Lawrence, Uni<strong>vers</strong>ity of Nebraska Press, L<strong>in</strong>coln and<br />

London, 1983.<br />

Fernando Ferrara, Romanzo e profezia. L’amante di Lady Chatterley di D.H. Lawrence come<br />

mito e come predicazione, Roma, Offic<strong>in</strong>a, 1982.<br />

Frank Kermode, Lawrence, Bungag, Suffolk, 1973.<br />

Julian Moynahan, Sons and lo<strong>vers</strong>… criticism, New York, 1972.<br />

David Cavitch, D.H.Lawrence and the new World, New York Uni<strong>vers</strong>ity Press, New York,<br />

1969.<br />

Eugene Goodhearth, The utopian vision of D.H. Lawrence, Chicago, 1963.<br />

Lawrence Frieda, Not I, But the W<strong>in</strong>d, Santa Fè, New Mexico, 1934.<br />

Cather<strong>in</strong>e Carnswell, The savage pilgrimage, London, 1932.<br />

Testi<br />

Narratori<br />

Cesare Pavese, Tutti i romanzi, a cura di Marziano Guglielm<strong>in</strong>etti, E<strong>in</strong>audi, Tor<strong>in</strong>o, 2000.<br />

185


Cesare Pavese, Racconti, E<strong>in</strong>audi, Tor<strong>in</strong>o, 1994.<br />

Cesare Pavese, Lettere 1926-1950, a cura di Lorenzo Mondo e Italo Calv<strong>in</strong>o, E<strong>in</strong>audi, Tor<strong>in</strong>o,<br />

1982.<br />

Cesare Pavese, La letteratura americana e altri saggi, Giulio E<strong>in</strong>audi Editore, Tor<strong>in</strong>o, 1951.<br />

Cesare Pavese, Il Mestiere di Vivere. Diario 1935-1950, E<strong>in</strong>audi, Tor<strong>in</strong>o, 2000.<br />

Cesare Pavese, La luna e i falò (1950), E<strong>in</strong>audi, Tor<strong>in</strong>o, 1999.<br />

Cesare Pavese, La bella estate: La bella estate (1940), Il diavolo sulle coll<strong>in</strong>e (1948), Tra<br />

donne sole (1949), E<strong>in</strong>audi, Tor<strong>in</strong>o, 1949.<br />

Cesare Pavese, La casa <strong>in</strong> coll<strong>in</strong>a (1948), E<strong>in</strong>audi, Tor<strong>in</strong>o, 1990.<br />

Cesare Pavese, Feria d’Agosto (1945), E<strong>in</strong>audi, Roma, 1946.<br />

Cesare Pavese, Lavorare stanca (1943), E<strong>in</strong>audi, Roma, 1982.<br />

Cesare Pavese, Paesi Tuoi (1941), E<strong>in</strong>audi, Tor<strong>in</strong>o, 1992.<br />

D.H. Lawrence, Tutti i racconti e i romanzi brevi, Newton Compton Editore, Roma, 1995.<br />

D.H. Lawrence, Selected literary criticism, edito da Anthony Beal, He<strong>in</strong>emann, London,<br />

1978.<br />

D.H. Lawrence, D.H.Lawrence, The symbolic Mean<strong>in</strong>g, the uncollected <strong>vers</strong>ions of studies <strong>in</strong><br />

Classic American Literature, edite da Arm<strong>in</strong> Arnold, Centaur Press Limited, London, 1962.<br />

D.H. Lawrence, Studies <strong>in</strong> Classic American Literature, contenuto <strong>in</strong> Fiona Beckett, The<br />

complete guide to D. H. Lawrence, Routledge, London and New York, 2002.<br />

D.H. Lawrence, The Collected Letters of D.H. Lawrence, edite da Harry T. Moore, Vik<strong>in</strong>g<br />

Press, New York, 1962.<br />

D.H.Lawrence, Phoenix: The posthumous papers of D.H. Lawrence, ed. Edward D. Mc<br />

Donald, New York, 1936.<br />

D.H. Lawrence, L’amante di Lady Chatterley (1928), Istituto Geografico De Agost<strong>in</strong>i,<br />

Milano, 1985.<br />

D.H. Lawrence, Pan <strong>in</strong> America (1926), contenuto <strong>in</strong> The modern Tradition backgrounds of<br />

modern literature, edito da Richard Ellmann and Charles Feidelson jr., Oxford Uni<strong>vers</strong>ity<br />

Press, 1965.<br />

D.H. Lawrence, The plumed Serpent (1926), Cambridge Uni<strong>vers</strong>ity Press, Cambidge, 1987,<br />

D.H. Lawrence, Il serpente piumato (1926), Newton Compton Editore, Roma, 1995.<br />

D.H. Lawrence, Surgery of the novel – or a bomb? (1923), pubblicato <strong>in</strong> The Reader’s Digest<br />

International Book Review April 1923, contenuto <strong>in</strong> The English Modernist Reader 1910-<br />

1930, edito da Peter Faulkner, Uni<strong>vers</strong>ity of Ioawa Press, Ioawa City, 1986.<br />

D.H. Lawrence, Birds, beast and Flowers (1923), contenuto <strong>in</strong> Fiona Beckett, The complete<br />

guide to D. H. Lawrence, Routledge, London and New York, 2002.<br />

D.H. Lawrence, Fantasia dell’<strong>in</strong>conscio (1922) e Psicoanalisi dell’<strong>in</strong>conscio (1921), Newton<br />

Compton Editori, Roma, 1995.<br />

D.H. Lawrence, New Poems (1920), contenuto <strong>in</strong> The English modernist reader 1910 – 1930,<br />

edited by Peter Faulkner, Ioawa City, Uni<strong>vers</strong>ity of Ioawa Press, 1986.<br />

D.H. Lawrence, Sons and Lo<strong>vers</strong> (1913), Pengu<strong>in</strong> Books, London, 1966.<br />

Joseph Conrad, La l<strong>in</strong>ea d’ombra (1917), Newton Compton Editori, Roma, 1997.<br />

Joseph Conrad, Cuore di tenebra (1899), Edisco editrice, Tor<strong>in</strong>o, 1994.<br />

Joseph Conrad, Preface to The Nigger of Narcissus (1897), contenuto <strong>in</strong> Modernism, an<br />

anthology of sources and documents, edito da V. Kolocotrami, J.Goldman, O. Toxidov,<br />

Edimburgh, Uni<strong>vers</strong>ity Press, 1998.<br />

Joseph Conrad, La follia di Almayer (1895), Bompiani, Milano 1994.<br />

Filosofia-etnologia<br />

186


James G. Frazer, The scope and Method of Mental Anthropology (1921), contenuto <strong>in</strong> The<br />

modern Tradition backgrounds of modern literature, edito da Richard Ellmann and Charles<br />

Feidelson jr., Oxford Uni<strong>vers</strong>ity Press, 1965.<br />

James G. Frazer, Il ramo d’oro (1890-1915), Newton Compton Editori, Roma, 1992.<br />

Friederich Nietzsche, Opere di Friedrich Nietzsche, edizione critica a cura di G. Colli e M.<br />

Mont<strong>in</strong>ari, Adelphi, Milano, 1964.<br />

Friederich Nietzsche, Così parlò Zarathustra (1885), Newton Compton Editori, Roma, 1980.<br />

Friederich Nietzsche, Considerazioni <strong>in</strong>attuali (1876), Newton Compton Editori, Roma, 1993.<br />

Friederich Nietzsche, La nascita della tragedia (1872), Newton Compton Editori, Roma,<br />

1991.<br />

Charles Darw<strong>in</strong>, The descent of the man (1871), contenuto <strong>in</strong> The modern tradition<br />

backgrounds of modern literature, edito da Richard Ellmann and Charles Feidelson jr.,<br />

Oxford Uni<strong>vers</strong>ity Press, 1965.<br />

Friederich Nietzsche, Verità e menzogna (1870), Newton Compton Editori, Roma, 1991.<br />

187

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!