29.05.2013 Views

Caietele Institutului.indb - Caietele Institutului Catolic

Caietele Institutului.indb - Caietele Institutului Catolic

Caietele Institutului.indb - Caietele Institutului Catolic

SHOW MORE
SHOW LESS

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

Abstract<br />

Il sistema punitivo e penitenziario<br />

in epoca romana – II.<br />

Ettore TOMASSI 1<br />

It is reported throughout the literature on crime prevention in ancient<br />

Rome. The offenses in the historical evolution of ancient Rome. The prosecution<br />

and the formation of a practice procedural criminal. The penitentiary<br />

system between jail and custody.<br />

Keywords: Ancient Rome, punishment, crime, prison, jail,<br />

process, custody, jurisprudence.<br />

1. I reati nell’evoluzione storica della Roma antica<br />

1.1. Premessa<br />

Ricorda Edoardo Volterra 2 che, per indicare il termine reato, i<br />

Romani adoperavano altri vocaboli quali, scelus, fraus, peccatum,<br />

probrum, malefi cium, delictum, crimen e fl agitium. I primi quattro non<br />

hanno mai avuto un preciso signifi cato tecnico-giuridico (scelus,<br />

fraus, peccatum, probrum); i termini delictum e malefi cium indicano<br />

invece presso i giuristi classici, l’atto illecito punito dallo ius civile<br />

con pena privata; crimen l’atto illecito punito con pena pubblica;<br />

fl agitium indica, altresì, e in senso generale, una cosa turpe e vergognosa<br />

e in senso più ristretto il reato militare o quello contro<br />

il buon costume.<br />

1 Ettore Tomassi dottore in Scienze dei Servizi Giuridici per Operatore<br />

Giudiziario. Il presente studio prosegue quello comparso in questa rivista [2<br />

(14) / 2009, pp. 209-255].<br />

2 Alla voce Reato- diritto romano, in EI, XXVIII, 1935, pp. 941-943 ed ivi in<br />

particolare p. 942.<br />

<strong>Caietele</strong> <strong>Institutului</strong> <strong>Catolic</strong> IX (2010, 1) 131-168


132 ETTORE TOMASSI<br />

D’altra parte, aggiungeva il Volterra, fra i giuristi romani,<br />

abbiamo un concetto ben chiaro del reato: essi consideravano<br />

l’infrazione di una norma giuridica (D XXXXVIII, 4, 7, 3). Da<br />

qui discendeva il principio della retroattività della norma penale<br />

(Cicerone, In Verrem, 2, 1; Novella 7, 13 e 72, 2, 2).<br />

Il reato doveva consistere in un positivus voluntatis actus contrario<br />

alla norma o un’omissione (D 25, 3,4) riferita ad una norma giuridica<br />

generale che impone ad operare e che quindi non si ammette<br />

che per casi singoli determinati (così D 50, 16, 131, pr.).<br />

La pena quindi che segue all’atto positivo contrario, non va confusa<br />

con un atto–provvedimento di polizia. Questa volontà antigiuridica<br />

del soggetto agente diretta a ledere la norma e quindi il<br />

diritto altrui, deve essere chiara e precisa, deve cioè avvenire intenzionalmente,<br />

ad obtinendum effectum patrato: in altre parole, con<br />

dolo. Ma se ciò è vero, nel diritto delle origini a partire da Adriano<br />

intervengono ad attutire la presenza del dolo, i concetti di impetus,<br />

rixa ed ebrietas fi no a considerare l’omicidio colposo da punire<br />

extra ordinem.<br />

Soggetto del reato è solo la persona fi sica, per cui per l’operato<br />

delle persone giuridiche ne rispondono le sole persone fi siche<br />

che le costituiscono e le rappresentano.<br />

Alcune delle condizioni fi siche o giuridiche della persona possono<br />

costituire attenuanti in determinati reati, ma non l’ignorantia<br />

legis che viene presa in considerazione solo nel diritto postclassico<br />

come scusante per alcune categorie di persone. Esclude poi il reato,<br />

il consenso del danneggiato. Viene preso in considerazione anche<br />

il caso del concorso di più reati e il Volterra 3 ritiene che nei reati<br />

pubblici si riunissero di solito insieme i vari reati in una sola<br />

pronunzia.<br />

3 Cfr. ibidem.<br />

<strong>Caietele</strong> <strong>Institutului</strong> <strong>Catolic</strong> IX (2010, 1) 131-168


Il sistema punitivo e penitenziario in epoca romana (II)<br />

133<br />

E’ discusso nella dottrina se ci fossero i gradi del reato. Il Costa 4<br />

ritiene invece che la dottrina classica ravvivasse suffi ciente per<br />

applicare la pena, la volontà criminosa con atti concludenti di<br />

preordinazione ed esecuzione; mentre nel diritto giustinianeo<br />

occorresse il raggiungimento dell’esito criminoso voluto dall’agente<br />

o comunque la violazione del diritto tutelato dalla legge penale.<br />

1.2. I reati di diritto privato (delicta)<br />

I reati di diritto privato (delicta) sono, come si è già rilevato<br />

nella parte introduttiva, quattro: furto, rapina, iniuria, damnum iniuria<br />

datum.<br />

Per quanto riguarda la rapina va ricordato con Ugo Brasiello<br />

che questo istituto “non ha un nome specifi co in diritto romano,<br />

ma è indicata con la perifrasi bona vi rapta, onde l’actio vi bonorum<br />

raptorum. Essa è, in diritto romano, uno dei quattro delitti privati<br />

(furto, bona vi rapta, iniuria, damnum iniuria datum), perseguiti cioè<br />

con azione privata, e diretti ad una pena pecuniaria, che tiene<br />

forse luogo della vendetta primitiva.<br />

Mentre nel diritto greco la rapina era tenuta distinta dal furto,<br />

vedendosi in questo un reato contro la proprietà, in quella contro<br />

la persona, nel diritto romano più antico, essa è, viceversa, un<br />

caso di furto: furto commesso con violenza, il cui autore era<br />

particolarmente improbus (Gai., 3, 209). Diviene autonomo nel I<br />

secolo a. Cr per opera del pretore.<br />

Consta, infatti, che nel 66 a.C. il pretore Lucullo istituì una<br />

pena del quadruplo valore delle cose nelle ipotesi (secondo il<br />

riferimento del fr. 2, pr., D, de vi bon. rapt. et de turba, 47, 8) «si cui<br />

dolo malo hominibus coactis danni quid factum esse dicetur, sive cuius bona<br />

rapta esse dicentur...». Si è per altro dubitato se l’editto sulla rapina<br />

sia proprio quello di Lucullo, ritenendosi da alcuni che Lucullo<br />

4 In Crimini e pene da Romolo a Giustiniano, Bologna 1921 e in Il criminoso in<br />

diritto romano, in BIDR, 1921 ed ivi infra.<br />

<strong>Caietele</strong> <strong>Institutului</strong> <strong>Catolic</strong> IX (2010, 1) 131-168


134 ETTORE TOMASSI<br />

abbia voluto reprimere solo il danneggiamento fatto da bande<br />

armate, e più tardi, non potendosi distinguere danneggiamento<br />

da appropriazione, l’editto si sia dovuto estendere anche a queste:<br />

onde il riferimento ai bona vi rapta sarebbe un’aggiunta posteriore<br />

e non appartenente al testo edittale. Altri ha sostenuto che l’editto<br />

di Lucullo si riferisse anche alle rapine, ma solo a quelle che rappresentassero<br />

usurpazioni, fatte a scopo di sopraffazione rivoluzionaria,<br />

mentre la rapina vera e propria, individuale, sarebbe stata<br />

considerata da un editto posteriore (vi bonorum raptorum).<br />

Il Ferrini difende l’opinione che l’editto sia unico, adducendo<br />

a sostegno, tra l’altro, che già la lex Plautia, contemporanea<br />

all’editto di Lucullo, distingue, agli effetti dell’usucapione, le res vi<br />

possessae dalle furtivae, il che mostra che già vi era il concetto autonomo<br />

dei bona vi rapta. Certo è che in ogni caso dovette esservi<br />

una estensione, operata dalla giurisprudenza, e molto larga se<br />

l’editto fu uno solo, dato che questo, parlando di bona al plurale,<br />

conteneva in sé l’idea della usurpazione di un complesso di cose,<br />

mentre lo si applicò anche all’ablazione di una singola cosa.<br />

L’origine della rapina come autonoma è quindi in ogni caso<br />

praetoria. Essa venne però considerata fra le obligationes quae ex<br />

delicto nascuntur, e quindi fra i delitti del ius civile, perché si guardò<br />

la sua derivazione dal furto. L’azione è diretta al quadruplo valore<br />

delle cose estorte e, come tutte le azioni praetorie, è annuale; viene<br />

però sostituita dopo l’anno da un’azione in factum diretta al simplum.<br />

Per i principi generali delle azioni penali pare fosse cumulabile<br />

con l’actio furti, e che oltre di essa si potesse intentare l’azione<br />

rei persecutoria per il valore delle res. Ben presto però tali principi si<br />

attenuarono. Quanto all’azione di furto, la giurisprudenza, essendo<br />

la rapina, in fondo, compresa nel vasto concetto di furto, apportò<br />

delle limitazioni, vietando che il magistrato potesse concedere<br />

l’actio furti dopo di quella di rapina; è dubbio, viceversa se, intentata<br />

prima l’actio furti, fosse concessa l’actio vi bonorum raptorum<br />

<strong>Caietele</strong> <strong>Institutului</strong> <strong>Catolic</strong> IX (2010, 1) 131-168


Il sistema punitivo e penitenziario in epoca romana (II)<br />

135<br />

nella misura solita del quadruplo, o per il doppio. E’ stato detto<br />

che le due azioni sono concentriche nel senso che, intentata<br />

quella di rapina essa assorbe l’actio furti; intentata quella di furto,<br />

si possa sperimentare l’altra per il di più. Questo per la tendenza<br />

già dei giureconsulti classici, e di cui forse fu esponente Paolo, a<br />

limitare l’eccessivo arricchimento della parte lesa. Quanto<br />

all’azione rei persecutoria, già al tempo di Gaio si dubitava pure se<br />

essa non dovesse già ritenersi compresa nel quadruplo della vi<br />

bonorum raptorum.<br />

Giustiniano conserva il quadruplum, ma considera l’azione<br />

come mixta: diretta cioè al risarcimento per il simplum (che si<br />

perpetua oltre l’anno), e alla pena per il triplum (che si estingue<br />

nell’anno). Molti casi di rapina avevano una persecuzione pubblica,<br />

rientrando nel crimen vis. Altri l’assunsero più tardi, venendo<br />

repressi extra ordinem. Il pretore concesse un’azione in quadruplum<br />

(e in simplum se esperita oltre l’anno) contro chi commette delle<br />

rapine - e dei danneggiamenti - in occasione di incendi, terremoti,<br />

naufragi, assalti di pirati” 5 .<br />

Per quanto attiene al damnum iniuria datum, sottolinea l’Albanese,<br />

“con questa espressione si designa (i Romani in genere adoperano<br />

più brevemente: damnum iniuria; tuttavia, damnum iniuria datum si<br />

ritrova in D, 9, 2, 49, 1) la più importante fi gura di danneggiamento<br />

prevista dall’ordinamento giuridico romano, la quale concreta<br />

un illecito produttivo di obligatio, o, che è lo stesso, un delitto<br />

privato del ius civile. In età molto risalente, decemvirale e postdecemvirale,<br />

erari previsti e puniti numerosi comportamenti dannosi<br />

tipici.<br />

Una prescrizione più generale sul danneggiamento si ebbe<br />

solo con la lex Aquilia, un plebiscito di età incerta cui appunto fa<br />

capo la nozione di damnum iniuria. Questa legge non abrogò le<br />

5 Cfr. s.v. rapina, in Nov. Dig. It., XIV, 1967, rist. 1982, pp. 767-768.<br />

<strong>Caietele</strong> <strong>Institutului</strong> <strong>Catolic</strong> IX (2010, 1) 131-168


136 ETTORE TOMASSI<br />

precedenti disposizioni cui si accennava, ma le rese in pratica di<br />

scarsa importanza in età avanzata.<br />

Le ipotesi previste dalla lex Aquilia erano: a) occisio di un servo<br />

o di un quadrupede che fosse pecudum numero, cioè appartenente<br />

al comune bestiame domestico e agricolo. Il signifi cato tecnico<br />

di occisio fu quello di uccisione realizzata mediante contatto materiale<br />

tra danneggiante e vittima (corpore corpori), probabilmente<br />

per stabilire un criterio facile ed universale di imputabilità. La<br />

pena era costituita dall’obbligo di pagare il maggior prezzo della<br />

vittima nell’anno precedente all’uccisione: questa valutazione, in<br />

pratica, poteva essere assai rilevante anche tenuto conto di alcune<br />

circostanze caratteristiche (ad es.: servo istituito erede, cavallo<br />

facente parte d’una quadriga ..., cfr. Gai., 3, 212 e 214, D, 9, 2,<br />

21-23); b) urere, frangere, rumpere: cioè ogni distruzione di oggetti<br />

che non fossero servi o animali del tipo già visto e ogni materiale<br />

danneggiamento di cose (compresi i servi e gli animali indicati)<br />

che, pur senza distruggerle, ne annullasse o diminuisse il prezzo.<br />

Anche per questa ipotesi era richiesta l’azione corpore corpori. La<br />

pena era l’obbligo di pagare il maggior prezzo della cosa nei 30<br />

giorni precedenti al danneggiamento.<br />

Le due ipotesi riportate erano rispettivamente previste al capitolo<br />

I e al capitolo III della legge; esisteva un capitolo II che<br />

presto andò in desuetudine.<br />

Alcuni caratteri comuni ad entrambe le fattispecie riportate<br />

erano previsti dalla legge: a) l’azione deve essere compiuta iniuria,<br />

cioè contra ius; b) l’azione per il risarcimento spetta solo al dominus<br />

della cosa danneggiata.; c) la condanna è nel duplum dei valori<br />

indicati per il risarcimento se il convenuto nega, nel simplum si<br />

confessa; d) contro il danneggiante è data un’azione esecutiva, la<br />

manus iniectio. Carattere comune a tutte le azioni penali, alla cui<br />

categoria appartiene anche l’azione in questione, era quello della<br />

nossalità: l’azione era esperibile contro il padre o il padrone del<br />

<strong>Caietele</strong> <strong>Institutului</strong> <strong>Catolic</strong> IX (2010, 1) 131-168


Il sistema punitivo e penitenziario in epoca romana (II)<br />

137<br />

danneggiante se questi era fi liusfamilias o servo; in questo caso il<br />

convenuto aveva la scelta tra il subire la condanna o il consegnare<br />

l’autore del danno al danneggiato. L’azione si designa: actio damni<br />

iniuria, o actio damni iniuriae, o, meglio, actio legis Aquiliae o ex lege<br />

Aquilia: ex I vel ex III capite.<br />

Attorno alle regole brevemente richiamate si svolge per secoli<br />

un’intensissima e geniale interpretazione da parte della giurisprudenza<br />

repubblicana e imperiale che induce modifi cazioni<br />

pratiche di grande rilievo ad opera del pretore. Tale elaborazione<br />

- che è uno dei capolavori del senso giuridico romano - si può<br />

raccogliere fondamentalmente nei seguenti indirizzi: a) analisi del<br />

nesso di causalità: in particolare si contemplò la possibilità di una<br />

causalità omissiva e si previde una actio in factum ad exemplum legis<br />

Aquiliae per talune ipotesi di danno causato con omissione; b)<br />

superamento della nozione meramente obiettiva di «iniuria», mediante<br />

fi nissima analisi concreta della colpa; c) superamento del requisito<br />

della materialità dell’azione dannosa: si concesse una actio utilis ex lege<br />

Aquilia per ipotesi di danno non corpore (cfr. Gai., 3, 219); d) superamento<br />

del requisito della materialità del danno: si estese la tutela aquiliana<br />

a ipotesi di danno non corpori (o rebus integris), mediante la<br />

concessione di una actio in factum ad exemplum legis Aquiliae; e) estensione<br />

della legittimazione attiva, mediante actio utilis ex lege Aquilia,<br />

all’usufruttuario, al possessore di buona fede e al comodatario<br />

della cosa danneggiata, nonché al padre per le lesioni subite dal<br />

fi glio.<br />

Risultato di questa grandiosa opera di interpretazione è la<br />

formazione di una nozione di damnum iniuria ben più generale e<br />

vicina a quella moderna che non quella originariamente prevista<br />

dal plebiscito aquiliano. Tale elaborazione, nelle linee evolutive<br />

brevemente accennate, si compì tutta in età classica. Dal punto<br />

di vista dogmatico essa fu estremamente importante anche per il<br />

contributo che fornì alla sempre più netta precisazione di altre<br />

<strong>Caietele</strong> <strong>Institutului</strong> <strong>Catolic</strong> IX (2010, 1) 131-168


138 ETTORE TOMASSI<br />

fi gure di illecito assai vaghe (furtum e dolus, soprattutto), le quali<br />

videro sempre meglio determinarsi il rispettivo ambito in seguito<br />

al graduale estendersi della tutela aquiliana ad ipotesi già considerate<br />

furtum e dolus.<br />

Ben poco, sostanzialmente; aggiunse a questi risultati l’elaborazione<br />

post-classica e giustinianea: di origine non classica sono<br />

certamente le estensioni della legittimazione attiva aquiliana al<br />

creditore pignoratizio e al locatario (cfr. D, 9, 2, 11, 10; D, 9, 2,<br />

17; D, 9, 2, 30, 1; D, 9, 2, 27, 14, tutti gravemente interpolati). Più<br />

importante, sul piano formale, è la riforma giustinianea che; in<br />

conformità a mutate esigenze processuali, eliminò ogni distinzione<br />

tra actio legis Aquiliae, actio utilis ex lege Aquilia e actio in factum<br />

ad exemplum legis Aquiliae: infatti, l’indifferenziazione che ne<br />

risultò spianò la strada alla formazione - esplicitamente, peraltro,<br />

neppure tentata da Giustiniano - d’una generalissima fi gura di<br />

danno corrispondente, ad es., a quella dell’art. 2043 Codice Civile<br />

italiano. Importantissimi, comunque, a questo fi ne sono due testi<br />

di integrale fattura giustinianea, che mostrano come, implicitamente,<br />

una vastissima nozione di danno balenasse già in età<br />

giustinianea. Le basi essenziali di tale intuizione, tuttavia, si trovano<br />

interamente nell’elaborazione mirabile della giurisprudenza<br />

classica” 6 .<br />

Per quanto riguarda il furto, e sempre rifacendoci al Brasiello<br />

va innanzi tutto detto che esso è uno dei quattro delitti privati<br />

del ius civile: degli illeciti cioè repressi con pena patrimoniale, e<br />

perseguiti con le forme del processo cosiddetto privato. Ciò non<br />

esclude che, in epoca classica, affermatasi la cognitio extra ordinem<br />

alcune ipotesi più gravi formassero oggetto di repressione pubblica,<br />

straordinaria. “Nell’epoca decemvirale il furto veniva distinto<br />

in vari modi, collegantisi, a volte, con antichi riti ed antiche<br />

6 Cfr. s.v. Damnum iniuria datum, in Nov. Dig. It., V, 1960, rist. 1981, pp. 110<br />

– 111.<br />

<strong>Caietele</strong> <strong>Institutului</strong> <strong>Catolic</strong> IX (2010, 1) 131-168


Il sistema punitivo e penitenziario in epoca romana (II)<br />

139<br />

costumanze. Le classifi cazioni riguardavano soprattutto la posizione<br />

del colpevole nel momento in cui era scoperto. Si distingueva<br />

così il fur manifestus (cioè colto in fl agrante) dal nec manifestus;<br />

il furtum conceptum, quando vi era stata una solenne perquisizione<br />

lance licioque (cioè, in rispondenza forse di antichi riti magici, con<br />

un piatto in mano e in camicia); prohibitum, quando il ladro si rifi<br />

utava ad essere perquisito; oblatum, quando la cosa fosse stata<br />

trovata presso un terzo, il quale esercitasse la vendetta contro il<br />

vero ladro.<br />

Vi è notevole differenza tra la sanzione del furto fl agrante e<br />

quella del furto non fl agrante, in quanto nel primo caso il ladro<br />

poteva, in epoca più antica, essere messo a morte o consegnato<br />

al derubato, ed in epoca più recente era condannato al, quadruplo<br />

valore della cosa. Tale singolarità ha dato luogo a discussioni, e a<br />

molti tentativi di soluzione. È stato senz’altro escluso che nel<br />

furtum manifestum si vedesse un crimine pubblico, in quanto per la<br />

repressione del crimine pubblico occorre l’intervento degli organi<br />

dello Stato, mentre nella specie la persecuzione è sempre privata.<br />

Infatti anche pel furto notturno, che forse costituì sempre una<br />

ipotesi a parte, le XII Tavole affermano (Tab. 8, 12): «si nox furtum<br />

faxit, si im (= eum) occisit, iure caesus esto», riferendosi così sempre<br />

alla vittima che si vendica. Si è invece ritenuto che tale caratteristica<br />

differenza si connettesse alle più antiche forme processuali:<br />

nel caso del furtum manifestum, attraverso una procedura analoga<br />

alla manus iniectio (che è la apprensione materiale del debitore da<br />

parte del creditore, il quale ha diritto di tenerlo legato a casa sua<br />

per un certo tempo, e poi, se non sia soddisfatto da altri, di metterlo<br />

a morte), si faceva luogo alla immediata addictio, cioè assegnazione<br />

del colpevole al derubato, il quale può poi anche ucciderlo.<br />

Tale assegnazione si ebbe più tardi, anche in ipotesi di furto non<br />

fl agrante.<br />

<strong>Caietele</strong> <strong>Institutului</strong> <strong>Catolic</strong> IX (2010, 1) 131-168


140 ETTORE TOMASSI<br />

La pena del quadruplo si è ritenuto venisse raggiunta qualora<br />

il ladro colto in fl agrante, il quale, in quanto ladro, per una norma<br />

delle XII Tavole doveva essere già condannato al duplum del valore<br />

della cosa, invece di riconoscere il delitto commesso, si opponesse<br />

all’azione del danneggiato. In tale ipotesi, pel principio<br />

generale del raddoppiamento del valore della lite adversus infi tiantem,<br />

cioè adversus eum qui negat, la pena si raddoppiava ancora, raggiungendo<br />

il quadruplo.<br />

Nelle ipotesi di furto conceptum, o oblatum, o prohibitum, la pena<br />

raggiungeva il triplo.<br />

Il furto in epoca storica ha una comprensione piuttosto elastica,<br />

in quanto i testi lo confi gurano variamente. Certo è che<br />

esso non comprese soltanto l’amotio di cosa mobile altrui, ma il<br />

tangere, l’adtrectare, ed ogni contrectatío, cioè ogni illecita ingerenza<br />

sulla cosa. Da Gellio (N. A., XI, 18, 13) si ricaverebbe la notizia<br />

di furtum anche fundi o aedium. Si discute se Sabino ammettesse la<br />

possibilità di un furtum sine contrectatione, sola mente ac animo (Gell.,<br />

IX, 18, 23-24). Certo per alcuni veteres era furto anche il semplice<br />

animus infi tiandi depositum (D, 41, 2, 3, § 18); era furto la perdita<br />

delle mule prodotta chiamando in ius dolosamente il mulio (D, 47,<br />

2, 47, § 2); il nascondere il servus fugitivus; il fugare armentum panno<br />

rubro; il comando di rubare dato al servo dal padrone; la consegna<br />

del servo altrui al praefectus vigilum sotto falsa accusa (Proc. D,<br />

12, 4, 15).<br />

Vi può essere anche furto della cosa propria (furtum possessionis),<br />

qualora il debitore la sottragga al credi-tore pignoratizio. Per<br />

Celso sembra essere furto anche l’interversio possessionis (D, 47, 2,<br />

68, pr.).<br />

Se un concetto generico, vastissimo e obiettivo di furto rimase,<br />

devesi per altro ritenere che, per la creazione di nuove forme di<br />

illecito più precise e meno indeterminate, per l’introduzione del<br />

iudicium del dolo, per l’estensione della tutela aquiliana, per la<br />

<strong>Caietele</strong> <strong>Institutului</strong> <strong>Catolic</strong> IX (2010, 1) 131-168


Il sistema punitivo e penitenziario in epoca romana (II)<br />

141<br />

perfezionata tutela contrattuale di rapporti come il deposito, il<br />

pegno, il mandato, la compravendita (alcune ipotesi di inesecuzione<br />

dei quali erano prima perseguite con l’actio furti), pel processo<br />

evolutivo dell’actio servi corrupti, ecc., il concetto specifi co<br />

del furto si venne restringendo e precisando. Su tale fenomeno<br />

dovette infl uire anche l’affi narsi in genere della coscienza giuridica,<br />

e l’affermarsi dell’elemento subiettivo dell’animus furandi.<br />

Il furto viene commesso non solo ope, ma anche consilio, onde<br />

è reo di furto, oltre il favoreggiatore, anche l’istigatore. È considerato<br />

perseguibile con l’actio furti anche chi aiuta il ladro dopo il<br />

furto, per dare ricetto alle cose rubate, o per trasportarle (D, 47,<br />

2, 35, pr.; 48, § 1; C, 6, 2, 14).<br />

Occorre, da parte dell’agente, l’elemento intenzionale del dolus<br />

malus. Si richiede anche la scientia, e non si ammette reato putativo.<br />

A proposito della contrectatio, si dice che deve essere fraudulosa;<br />

occorre che sia realizzata invito domino.<br />

I testi richiedono poi il requisito dell’animus furandi e talora<br />

dell’aninius lucri faciendi. La critica interpolazionistica più radicale<br />

(specialmente Huvelin, Albertario) ha ritenuto non classici questi<br />

due requisiti, sostenendo che i Romani non guardassero lo scopo<br />

per il quale alcuno si ingeriva della cosa altrui contro la volontà<br />

del proprietario, se cioè fosse quello di lucro, e non guardassero<br />

nemmeno se la intenzione fosse quella di appropriarsi della cosa:<br />

ma che fosse suffi ciente che alcuno si comportasse, volontariamente,<br />

in modo non conforme al desiderio del dominus. Quindi<br />

nella defi nizione del furto di cui al fr. 1, § 3, D, de furtis, 47, 2<br />

(furtum est contrectatio rei fraudulosa lucri faciendi gratia vel ipsius rei vel<br />

etiam usus eius possessionísve. Quod lege naturali prohibitur est admittere)<br />

si ritennero come appartenenti sicuramente al giureconsulto<br />

Paolo solo le prime parole (furtum est contrectatio rei fraudulosa).<br />

Contro tale tesi - che si inquadra nella lotta, per dir così, condotta<br />

contro l’animus in tutti i suoi aspetti, e contro la quale vi è<br />

<strong>Caietele</strong> <strong>Institutului</strong> <strong>Catolic</strong> IX (2010, 1) 131-168


142 ETTORE TOMASSI<br />

stata la vigorosa reazione del Riccobono e di altri - si è levata una<br />

critica più recente, che ha riesaminato dettagliatamente i testi.<br />

Tenendo conto delle sue risultanze devesi dire con suffi ciente<br />

sicurezza che, se il concetto obiettivo - che si collega alla comprensione<br />

vastissima di furtum sopra accennata - dovette esservi<br />

certamente in epoca più antica, e se, dall’altro lato, i postclassici<br />

ed i compilatori hanno ancor più accentuato l’elemento subiettivo,<br />

certo è che questo fu preso (qui come altrove) in considerazione<br />

dai giureconsulti, e già da quelli della prima epoca classica. La<br />

dimostrazione non può darsi qui. La defi nizione sopra citata<br />

quindi, anche se ritoccata dai compilatori, rende per altro il pensiero<br />

di Paolo.<br />

L’actio furti, come ogni azione ex delicto, tende ad una pena<br />

pecuniaria, che costituisce una punizione pel colpevole, ed una<br />

riparazione per l’offeso. Essa è quindi diretta ad un multiplo del<br />

valore della cosa, conservandosi l’antico duplum, o triplum, o quadruplum.<br />

Essendo penale, è nossale: se il fatto è commesso da un sottoposto,<br />

il dominus può liberarsi dandolo a noxa, ammenocchè<br />

non sia sciens.<br />

L’azione è anche infamante, ed appunto per questo carattere<br />

in diritto giustinianeo fu sostituita, in omaggio al principio della<br />

reverentia tra coniugi, da una condictio ex iusta causa, fi nché durava<br />

il matrimonio, e da un’actio rerum amotarum, dopo lo scioglimento,<br />

qualora l’azione si dovesse intentare da uno di essi per cose sottratte<br />

dall’altro. Pel diritto classico, è dubbio se l’actio rerum amotarum<br />

non avesse essa pure carattere penale, e si adoperasse invece<br />

dell’actio furti non perché di diversa natura, ma per un derivato<br />

dal matrimonio cum manu. Perciò forse trovava applicazione solo<br />

nei riguardi della moglie.<br />

L’azione concorre poi con l’azione rei persecutoria diretta al risarcimento,<br />

detta condictio furtiva, lasciandosi salvo al derubato<br />

<strong>Caietele</strong> <strong>Institutului</strong> <strong>Catolic</strong> IX (2010, 1) 131-168


Il sistema punitivo e penitenziario in epoca romana (II)<br />

143<br />

anche, se possibile, l’esperimento della rei vindicatio. L’actio furti<br />

compete non solo al proprietario, ma a chiunque interest rem salvam<br />

esse. Quindi anche al comodatario, all’assuntore di opera, forse<br />

anche al creditore pignoratizio, al conduttore di cosa, e ad altri, i<br />

quali, essendo responsabili per custodia - il che faceva sì che non<br />

fossero esonerati pei casi fortuiti, tra cui è il furto - vigendo cioè<br />

per essi, secondo si ritiene, il principio della responsabilità obiettiva,<br />

hanno interesse a poter perseguire essi stessi il ladro.<br />

Nell’epoca antichissima dovette essere represso con pena<br />

pubblica oltre il furto commesso dallo schiavo, punito col lancio<br />

dalla rupe Tarpea, forse il solo furto notturno delle messi: ipotesi<br />

dubbia, e che in ogni caso, andò presto in desuetudine. Invece<br />

sotto l’Impero vennero puniti extra ordinem con sanzioni pubbliche<br />

molte ipotesi più gravi, come l’abigeato, il furto con effrazione o<br />

scalata, il furto balneario; ed il crimine speciale della expilatio hereditatis.<br />

Le pene sono varie, e vanno dalla relegazione e dalla remotio ab<br />

ordine per gli honestiores all’opus publicum per gli humiliores. Nelle<br />

ipotesi di repressione straordinaria già nell’epoca classica avanzata<br />

si dovè parlare di criminaliter agere: onde l’esperimento dell’azione<br />

privata si incominciò ad indicare come civiliter agere, vedendosi<br />

in essa la sola funzione di risarcimento” 7 .<br />

Ed infi ne, per quanto riguarda l’iniuria, l’Albanese così si<br />

esprime: “l’iniuria, nel senso vastissimo attribuito a questa parola,<br />

designa ogni atto contrario al diritto, ogni violazione dell’ordinamento<br />

giuridico, in contrapposto a ius. Questo signifi cato si conserva<br />

anche presso i giuristi dell’epoca più tarda nelle note defi nizioni<br />

del concetto di iniuria (I. 1 pr. D. 47, 10; Coll. 2, 5, 1: «Omne<br />

quod non iure fi t iniuria fi eri dicitur; generaliter dicitur iniuria quod non<br />

iure fi t»). In un senso più ristretto il termine iniuria designa il<br />

delitto o meglio molteplici e svariati delitti che si comprendono<br />

sotto questa denominazione e che riguardano in genere la lesione<br />

7 Cfr. s.v. Furto, in Nov. Dig. It, VII, 1961, rist. 1981, pp. 691-693.<br />

<strong>Caietele</strong> <strong>Institutului</strong> <strong>Catolic</strong> IX (2010, 1) 131-168


144 ETTORE TOMASSI<br />

personale con vie di fatto, e, più tardi, l’offesa all’onore di un<br />

individuo o alla sua condizione giuridica. Le controversie che<br />

attengono alla natura del delitto di iniuria sono diffi cili a risolversi.<br />

Questo delitto e uno dei più antichi ed oscuri del diritto romano<br />

e d’altro canto non è inteso nello stesso modo in ogni epoca.<br />

Occorre pertanto distinguere la nozione dell’iniuria secondo le<br />

XII Tavole da quella più lata ottenuta con l’Editto del pretore,<br />

con la lex Cornelia de iniuriis e, infi ne, con la giurisprudenza. Avvertiamo<br />

che il linguaggio tecnico adopera la parola iniuria nel<br />

senso ristretto.<br />

Quanto alla storia dell’iniuria in senso stretto:<br />

a) XII Tavole. - La legge decemvirale contempla tre fi gure delittuose<br />

che rientrano nell’iniuria: 1° La membri ruptio: «si membrum<br />

rupsit, ni cum eo pacit talio esto» (Tav. VIII-2). Essa riguarda la mutilazione<br />

di un membro del corpo punita col taglione. L’autore<br />

deve subire la stessa mutilazione cui egli ha dato causa. La determinazione<br />

dell’ammontare del danno era lasciata alla discrezione<br />

dell’offeso non esistendo alcuna norma in proposito; 2° l’os fractum<br />

(«si manu fustive libero os fregit CCC, si servo CL») dava luogo<br />

(Tavola VIII-3) ad una composizione legale nella misura di 300<br />

assi, se l’offeso era libero, e di 150, se l’offeso era uno schiavo; 3°<br />

l’iniura pura e semplice, certo di origine più recente, cioè lesioni<br />

minori che includono altre offese corporali. Per queste è fi ssata<br />

la pena di 25 assi. Non sembra dovesse rientrare nel concetto di<br />

iniuria, di cui sopra, il malum carmen incantare (inteso da Cicerone<br />

e anche da Orazio nel senso di un componimento poetico avente<br />

carattere diffamatorio) che molto probabilmente si riferiva a formule<br />

magiche per scongiurare potenze malefi che. L’azione d’iniuria è<br />

intrasmissibile agli eredi.<br />

b) Diritto pretorio. - Il delitto di ingiuria, quale appare nella più<br />

tarda repubblica e nel periodo del principato, ha trasformato<br />

completamente sia gli elementi di fatto sia gli effetti giuridici<br />

<strong>Caietele</strong> <strong>Institutului</strong> <strong>Catolic</strong> IX (2010, 1) 131-168


Il sistema punitivo e penitenziario in epoca romana (II)<br />

145<br />

derivanti dall’ingiuria. Per un lato appariva troppo rigorosa ed<br />

inumana la pena del taglione comminata per l’os fractum, e dall’altro<br />

troppo tenue quella infl itta per le lesioni più lievi e diventata<br />

ormai ridicola con la progressiva svalutazione del denaro. Sorgeva<br />

pertanto l’esigenza di sostituire altre pene pecuniarie che fossero<br />

adeguate al nuovo stato di cose, che attribuissero inoltre al giudicante<br />

una maggiore libertà di apprezzamento, da applicare perciò<br />

in diversa misura nei singoli casi. Oltre a ciò il senso dell’onore,<br />

sempre più suscettibile ed affi nato, condusse a comprendere nel<br />

concetto di iniuria, mediante una interpretazione estensiva dei<br />

singoli casi discussi dalla pratica e dalla giurisprudenza, tutti i<br />

casi di offesa dell’onore.<br />

Ad un generale edictum (D, 47, 10, 15, § 26) la cui fonte è l’actio<br />

iniuriarum esperibile dinanzi ai recuperatores, a quanto pare, seguono<br />

editti speciali che accennano a particolari presupposti di fatto: de<br />

convicio che contempla l’offesa all’onore di una persona mediante<br />

clamori ingiuriosi, un chiaro e pubblico insulto che cagiona l’odio<br />

ed il disprezzo altrui; de adtemptata pudicizia, diretto contro le offese<br />

al pudore delle donne e della gioventù, anche se consistevano<br />

in un semplice inseguimento o in parole non corrette o fuor di<br />

luogo rivolte ad esse mediante appellari, adsceptare, comitem abducere;<br />

ne quid infamandi causa fi at che riguarda l’offesa all’onore dell’individuo<br />

in più vasta misura, cioè contro atti nocivi alla considerazione<br />

altrui.<br />

La giurisprudenza riunì poi le azioni che derivavano dagli<br />

editti speciali sotto un’unica denominazione di actio iniuriarum<br />

aestimatoria perché in sostanza esse si ispiravano allo stesso punto<br />

di vista.<br />

Si sostiene da alcuni che l’Editto abbia in un periodo più antico<br />

introdotto un iudicium diretto alla sola stima in denaro<br />

dell’ingiuria patita, in luogo delle pene comminate nella legge<br />

delle XII Tavole; questo iudicium più tardi sarebbe venuto meno,<br />

<strong>Caietele</strong> <strong>Institutului</strong> <strong>Catolic</strong> IX (2010, 1) 131-168


146 ETTORE TOMASSI<br />

con la introduzione della nuova azione. Ma questa tesi non è da<br />

accogliere e non è del resto dimostrata.<br />

E’ assai probabile che il diritto del pretore in materia di iniuria<br />

sia di origine greca. La romana iniuria corrisponde alla hybris greca<br />

nel suo signifi cato più comprensivo (Inst. IV, 4, pr.). Il trapasso<br />

dalle norme fi sse delle XII Tavole all’ammenda privata, da stabilirsi<br />

dal giudice di volta in volta, è da ricondurre a modelli greci.<br />

Ciò trova conferma nel fatto che la parte dell’Editto che è<br />

riprodotta in Collatio, 2, 6, 1 riproduce, come è stato opportunamente<br />

osservato, una disposizione del diritto alessandrino le cui<br />

norme sono pervenute mediante il ritrovamento di un papiro in<br />

materia.<br />

Nel diritto pretorio l’antica idea dell’iniuria (lesione fi sica) cede<br />

il posto a quella della contumelia (offesa morale).<br />

L’estensione del concetto di iniuria ad ogni lesione del diritto<br />

di personalità, conduce a riconoscere una difesa ad es. contro<br />

all’uso delle cose publico usui destinatae. Così l’azione si accorda<br />

anche per l’ingiuria arrecata al servus, e l’azione, salvo qualche<br />

particolare caso di usufrutto e di possesso in buona fede dello<br />

schiavo presso altri, normalmente si esperimenta dal dominus.<br />

c) Questa tendenza si accentua ancora più con la lex Cornelia<br />

di Silla che sanziona non solo le offese materiali, il verberare e il<br />

pulsare, ma anche la violazione di domicilio. Sembra che la pena<br />

fosse fi ssata in danaro e avesse come conseguenza l’intestabilità.<br />

Il giudizio nelle forme del processo penale era affi dato ad una<br />

delle giurie denominate quaestiones perpetuae, diretto però ad una<br />

pena pecuniaria. L’iniuria presuppone l’animus e l’affectus iniurandi,<br />

cioè il proposito, l’intenzione di compiere il fatto ingiurioso,<br />

nonché l’effettiva esistenza di questo.<br />

d) Della direttiva accennata che conduceva per via indiretta a<br />

sanzionare diritti patrimoniali (ad es., nella pena infl itta a chi fosse<br />

reo colpevole di violazione di domicilio), ebbe a servirsi la<br />

<strong>Caietele</strong> <strong>Institutului</strong> <strong>Catolic</strong> IX (2010, 1) 131-168


Il sistema punitivo e penitenziario in epoca romana (II)<br />

147<br />

giurisprudenza a partire dalla fi ne della Repubblica. Così ogni<br />

individuo che turba altri nell’uso di cose in suo potere, non importa<br />

a qual titolo, commette una iniuria, così pure i passi in un<br />

terreno altrui nonostante opposizione. Il carattere però del delitto<br />

contro la persona si mantiene inalterato nonostante il rilievo<br />

dato all’idea e all’interesse patrimoniale. L’offesa al patrimonio<br />

intanto opera ai fi ni della pena in quanto la lesione di un diritto<br />

si ripercuote sul titolare e ne diminuisce la personalità.<br />

e) La legislazione imperiale, la cui opera è riassunta nella legislazione<br />

giustinianea, persegue il fi ne di ricondurre il delitto privato<br />

entro il concetto di pena pubblica. In tal modo l’ambito di<br />

natura privata di questa specie di delitto si va riducendo sempre<br />

più alle più lievi lesioni e contumelie, o alle meno gravi lesioni<br />

della personalità dell’individuo. I crimina extraordinaria che prendono<br />

il posto delle quaestiones agevolano e favoriscono questa trasformazione<br />

in quanto i casi di ingiuria sono largamente compresi<br />

tra questi.<br />

Nel diritto giustinianeo il carattere meramente penale dell’azione<br />

è alquanto oscurato per il motivo che l’azione da far valere<br />

comprende anche il risarcimento del danno che deriva dall’iniuria<br />

(Cod. 9, 35, 8). L’offeso ha la scelta fra l’azione di ingiuria e la<br />

pena corporale infl itta extra ordinem mediante il magistrato.<br />

Alle considerazioni già fatte è da aggiungere che la differenza<br />

che si riscontra presso i giuristi tra iniuria levis e iniuria atrox consiste<br />

in ciò, che nell’una il pretore ha facoltà di accordare o negare<br />

l’azione secondo le circostanze, nell’altra l’azione compete secondo<br />

la legge, nè il magistrato può denegarla.<br />

L’actio iniuriarum aestimatoria (la formula di essa è assai discussa)<br />

è un’azione infamante in bonum et aequum concepta. L’azione è trattata<br />

dinanzi ai recuperatores, ma spesso si parla anche di un giudice.<br />

L’attore poteva deferire al convenuto il giuramento con la formula<br />

iniuriam se non fecisse (D, 47, 10, 5, 8).<br />

<strong>Caietele</strong> <strong>Institutului</strong> <strong>Catolic</strong> IX (2010, 1) 131-168


148 ETTORE TOMASSI<br />

La misura massima della condanna è determinata mediante<br />

taxatio. L’actio è intrasmissibile attivamente e passivamente prima<br />

della litis contestatio. Se l’attore non riesce a vincere con l’actio iniuriarum,<br />

allora egli è condannato con un iudicium contrarium ad un<br />

decimo della somma controversa” 8 .<br />

1.3. I reati di diritto pubblico (crimina)<br />

I reati di diritto pubblico, crimina, della repressione ordinaria<br />

sono quelli che o rimontano all’epoca della procedura comiziale<br />

o vennero valutati più tardi, ma sempre con leggi pubbliche. Essi<br />

sono, nell’elencazione del Brasiello, dal reato di procurato aborto<br />

in poi):<br />

a) Perduellio (derivante da per e duellum, cattiva guerra: cioè<br />

guerra al popolo romano) che è la denominazione più antica, di<br />

cui le prime furono quelle di colludenza coi nemici, o diserzione,<br />

represse fi n dalle XII Tavole, secondo il fr. 11, D. ad leg. Jul., 48,<br />

4, o addirittura di assunzione indebita di pubblici poteri. Vennero<br />

per la repressione di essa istituiti speciali magistrati, i duoviri perduellionis,<br />

e la pena di morte. Più tardi sopravvenne la denominazione<br />

più ampia di crimen maiestatis. Maiestas (forse da maius riferito<br />

alla posizione superiore, maggiore) designò forse in origine la<br />

posizione dei tribuni della plebe, ai quali non si adattava la parola<br />

podestà; poi si ampliò per indicare la maestà de popolo romano.<br />

Onde il crimine indicò in un primo tempo l’attentato ai tribuni,<br />

poi quello alla sicurezza del popolo, cioè allo Stato e, secondo il<br />

Mommsen, l’offesa all’imperatore, in quanto era considerato tribuno.<br />

Introdottesi le quaestiones, questo crimine fu regolato da<br />

una lex Cornelia de maiestate (81 a.C.); poi, forse, da una legge di<br />

Cesare, e fi nalmente da una lex Julia, dell’8 a.C., che, dopo aver<br />

parlato in genere di coloro qui laedunt maiestatem populi romani,<br />

8 Cfr. s.v. Damnum iniuria datum, in Nov. Dig. It., V, 1960, rist. 1981, pp. 110-<br />

111.<br />

<strong>Caietele</strong> <strong>Institutului</strong> <strong>Catolic</strong> IX (2010, 1) 131-168


Il sistema punitivo e penitenziario in epoca romana (II)<br />

149<br />

considerò oltre i casi precedenti ancora l’attentato al principe e<br />

la usurpazione di poteri del principe(fare leve militari, o tenere<br />

forze armate senza il suo comando), l’attentato e l’oltraggio ai<br />

magistrati, la sedizione, ogni vantaggio apportato ai nemici o a<br />

stranieri ai danni di Roma. Comprese pure casi diversi, come il<br />

falso nelle tabulae publicae, o il far fuggire il reo confesso. Occorre<br />

sempre il dolus malus e ed il reato può commettersi ope consiliove.<br />

La giurisprudenza estese poi questo concetto ad altre ipotesi<br />

nuove. Come. rei di maiestas vennero considerati i Cristiani, non<br />

perché l’avere altra religione per i Romani, politeisti, fosse considerato<br />

reato, ma perché i Cristiani non volevano fare onore al<br />

principe come divinità, venerare gli dèi dell’Impero e partecipare<br />

alle cerimonie pagane. Perciò l’intensità dell’applicazione delle<br />

pene contro di essi dipese dalle tendenze dei magistrati, dall’ambiente,<br />

e dagli ordini dell’imperatore.<br />

La pena della perduellio prima di Silla era la crocifi ssione (la<br />

croce esisteva già, come arbor infelix di Cerere). Dopo fu la capitale,<br />

cioè l’aqua et igni interdictio. Seguono il divieto della sepoltura<br />

e del tutto, oltre, naturalmente, la confi sca dei beni. Mentre poi<br />

la persecuzione di ogni altro reato si estingue con la morte, il<br />

giudizio contro i perduelles può essere continuato e perfi no iniziato<br />

anche dopo, potendosi avere anche la damnatio memoriae. In tal<br />

caso la persecuzione spetta al fi sco, e gli eredi possono dimostrare<br />

l’innocenza del defunto.<br />

In epoca post-classica, vengono considerate come maiestas una<br />

serie di ipotesi, prima straordinarie, e la pena viene notevolmente<br />

inasprita (decapitazione, metalla, altre sanzioni gravi); mentre si<br />

vietano le concessioni ai fi gli dei condannati di parti del patrimonio<br />

confi scato, concessioni che solevano farsi largamente per altri<br />

crimini.<br />

b) Omicidio: era denominato anticamente parricidium espressione<br />

con la quale si intendeva non la uccisione del proprio padre, ma<br />

<strong>Caietele</strong> <strong>Institutului</strong> <strong>Catolic</strong> IX (2010, 1) 131-168


150 ETTORE TOMASSI<br />

quella di un qualunque pater familias. Fin da epoca antichissima fu<br />

perseguito da speciali quaestores e la pena da infl iggersi fu la morte.<br />

Non è chiaro il vero signifi cato dell’antico precetto delle XII<br />

Tavole («si quis hominem liberum dolo sciens morti duit, paricidas esto »),<br />

che è stato interpretato o nel senso passivo, che cioè l’omicida<br />

«sia. parimenti ucciso», o come «vi sia un vendicatore», nel senso<br />

cioè che ogni congiunto debba esercitare la vendetta.<br />

Nell’epoca delle quaestiones l’omicidio fu disciplinato da la lex<br />

Cornelia de sicariis et venefcis, di Silla, che comprende anche il brigantaggio<br />

(« ambulare cum telo hominis necandi furtive faciendi causa »),<br />

alcuni atti commessi dal magistrato, in seguito a cui derivi ingiustamente<br />

la morte del colpevole, o il falso testimonio da cui derivi<br />

la condanna a morte; il venefi cio; 1’incendio. La pena legale<br />

è la capitale, cioè l’aqua et igni interdictio, cui segue automaticamente<br />

la perdita della cittadinanza e la confi sca.<br />

Alcuni senatoconsulti e rescritti interpretativi estesero la legge<br />

Cornelia ad altre ipotesi (fecero rientrare, ad es., nel venefi cio l’uso<br />

dei pocula abortionis seu amatoria o anche dell’arte magica a scopo<br />

nocivo); assimilarono la falsa denuncia alla falsa testimonianza,<br />

colpirono la evirazione libidinis vel promercii causa, la circoncisione<br />

dei non Giudei, i delitti commessi in occasione di un naufragio.<br />

Elemento essenziale del reato è il dolo. Si è puniti egualmente<br />

se l’effetto sia mancato; l’istigatore o il complice sono parifi cati<br />

all’autore del fatto. Il padrone poteva in origine mettere a morte<br />

lo schiavo, ma sotto l’Impero occorre che l’omicidio non sia sine<br />

causa. E’ suffi ciente però un giudizio domestico. Il padre poteva<br />

mettere a morte il fi glio, fi no alla Costituzione di Costantino (c.<br />

1, C, 9, 17) che lo vietò.<br />

Nell’epoca post-classica una serie di casi, prima puniti extra<br />

ordinem, vengono attratti nell’orbita della lex Cornelia de sicariis. Il<br />

diritto giustinianeo punisce anche altre ipotesi, avvicinando<br />

all’omicidio il procurato aborto, che prima era punito solo in<br />

quanto si usassero veleni.<br />

<strong>Caietele</strong> <strong>Institutului</strong> <strong>Catolic</strong> IX (2010, 1) 131-168


Il sistema punitivo e penitenziario in epoca romana (II)<br />

151<br />

Pel parricidio vero e proprio le XII Tavole stabilirono la pena<br />

del culleus, cioè della sommersione in un sacco, con animali che<br />

martoriassero il colpevole. Più tardi fu regolato dalla lex Pompeia,<br />

che applicò la pena dell’interdictio aqua et igni, nei casi di uccisione<br />

non dei soli genitori, ma anche dei fratelli e sorelle, degli zii paterni,<br />

della moglie, dei suoceri e dei padroni. La legge appare lacunosa,<br />

ed è riferita in modo diverso da diverse fonti. Le lacune<br />

vennero colmate dalla giurisprudenza.<br />

c) Falso: le XII Tavole punivano solo il falso testimonio, con il<br />

lancio dalla rupe Tarpeia. Una lex Cornei «testamentaria nummaria»,<br />

detta più tardi de falsis, represse la falsifi cazione delle monete o<br />

qualsiasi falsifi cazione, cancellazione, soppressione di testamento<br />

o anche la fabbricazione di sigilli falsi.<br />

Il Senatoconsulto Liboniano e un editto di Claudio aggiunsero<br />

il caso dello scrivere nel testamento altrui una disposizione in<br />

proprio favore. Un altro senatoconsulto estese la legge Cornelia<br />

anche agli altri documenti giuridici. Una larga evoluzione si dové<br />

avere in tema di falso documentale, in rapporto alla sempre più<br />

larga estensione dell’uso del documento.<br />

Altri senatoconsulti repressero l’adulterazione e l’alterazione di<br />

monete. Alla legge Cornelia sono stati ricondotti ancora la corruzione<br />

di giudice, la pronuncia di una sentenza con cosciente<br />

trasgressione di nome, la venditio fumi, la corruzione di testimoni<br />

per far intentare accuse capitali o per far condannare, la consegna<br />

di documenti da parte del difensore, nonché le usurpazioni<br />

di falso nome o di falsi gradi. La pena è l’aqua et igni interdictio (v.),<br />

e più tardi, nella repressione straordinaria, la morte, il metallum, o<br />

in casi meno gravi la relegazione e la confi sca di una parte e beni.<br />

Nell’epoca post-classica anche altri casi che prima erano puniti<br />

extra ordinem vengono ricondotti al falso, e forse allora sorge,<br />

per ipotesi un po’ più lontane, il concetto del quasi falsum (quale<br />

il dare o ricevere danaro per promuovere azioni criminali).<br />

<strong>Caietele</strong> <strong>Institutului</strong> <strong>Catolic</strong> IX (2010, 1) 131-168


152 ETTORE TOMASSI<br />

Il falso non è quindi qualche cosa di omogeneo, ma consiste<br />

in una serie di ipotesi raggruppate; né è suffi ciente il semplice<br />

mendacio, ma occorre che sia reso concreto in forme esteriori<br />

(falsifi cazione di documenti o altro).<br />

Vari casi di frode costituivano il delitto di stellionato, di contenuto<br />

incerto, il quale abbia carattere surrogativo, come il dolo<br />

nel diritto privato.<br />

d) Stellionato: è un crimen (il nome deriva da stellio, tipo di rettile<br />

dalla pelle variegata che cambia continuamente colore) sconosciuto<br />

fi no ad epoca avanzata e appare a partire da Antonino Pio<br />

ed è un indice anche dell’attività imperiale. Esso neque publicis iudicus<br />

neque privatis actionebus continetur (Pap. D. 47, 20, 1), ma esercitionem<br />

extraordinariam habet (Ulp. D. 47, 20, 2). Non vi è alcuna<br />

pena legittima perché il crimen di stellionato non è legitimum<br />

(Ulp.D. 47, 20, 3, 2). Vi è l’accusatio, probabilmente per quella<br />

trasfusione di atti processuali relativi ai iudicia publica nella cognitio;<br />

ma non possibile la desistenza in base al senatoconsulto Turpillianum.<br />

I casi di stellionatus nel diritto classico sarebbero oltre quelli<br />

indicati in un noto testo di Ulpiano (D. 47, 20, 3) anche il caso di<br />

chi vende come schiavo uno statuliber simulando la sua vera condizione<br />

(D. 40, 7, 3, 1) e quello del debitore che dà in pegno al<br />

suo creditore un oggetto altrui, oppure un oggetto proprio già<br />

pignorato ad altri e che formi oggetto di una obligatio in publicum<br />

(D.13, 7, 16, 1; D. 47, 20; C. IX, 34, 2 e 4).<br />

E’, dunque, lo stellionatus, un crimen che ha per scopo precipuo<br />

quello di reprimere le frodi in commercio.<br />

Giustiniano trasformò completamente l’istituto perché affermò<br />

il principio di reprimere ubicumque titulus criminis defi cit, illio<br />

stellionatus obicemus. Si punisce quindi come colpevole di stellionato<br />

chiunque abbia commesso un qualsiasi atto doloso che non rientri<br />

in un’altra distinta fi gura criminosa.<br />

Il Codice Napoleonico, dopo che l’istituto cadde in disuso per<br />

tutta l’età di mezzo indicò nell’articolo 2059 due sole determinate<br />

<strong>Caietele</strong> <strong>Institutului</strong> <strong>Catolic</strong> IX (2010, 1) 131-168


Il sistema punitivo e penitenziario in epoca romana (II)<br />

153<br />

ipotesi: a) vendere o ipotecare dolosamente un immobile non<br />

proprio e presentare come libero un immobile ipotecato; b) dichiarare<br />

ipoteche minori di quelle che vi sono realmente. In questo<br />

ipotizzare i due casi si rimandava al Codice Civile delle Due Sicilie<br />

all’articolo 1934.<br />

e) Violenza: come crimine a sé (vis,quindi, distinta dalla nozione<br />

generale di violenza di cui abbiamo già discusso nell’introduzione<br />

a questo nostro lavoro), entra tardi nel sistemi romano. La violenza<br />

non si presenta infatti come qualche cosa di uniforme, ma<br />

come un complesso di manifestazioni, alcune delle quali erano<br />

considerate solo dall’editto pretorio, altre venivano represse penalmente,<br />

ma in quanto costituivano un mezzo per commettere<br />

altri reati. Nel II secolo a. Cr. si incominciò a distinguere, e dal<br />

furto commesso con violenza e con altre circostanze sorse il<br />

delitto privato di bona vi rapta (rapina), mentre per altre ipotesi<br />

furono istituite delle quaestiones. Si distinsero vis publica e vis privata.<br />

La vis publica fu repressa dalla lex Plotia (89 a. Cr.?) completata<br />

dalla Lutetia, e poi dalla lex Julia. Fu considerata in prima linea<br />

l’ipotesi della sedizione (senza l’idea della resistenza all’autorità,<br />

nel qual caso si rientra nella maiestas), poi quella del porto d’armi<br />

in pubblico, delle organizzazioni di bande, dell’ammasso di armi,<br />

del turbamento dei comizi elettorali. L pena è l’aqua et igni interdictio.<br />

Sono repressi poi tutti quegli atti di violenza che contrastano<br />

all’ordine dei giudizi pubblici: e perciò l’impedimento al cittadino<br />

di esercitare la provocatio ad populum o all’imputato di presentarsi a<br />

Roma pel giudizio (fr. 6, D. huius tit.), o, in genere, ogni turbamento<br />

de giudizi (fr. 10). È perciò che alcuni studiosi identifi cano<br />

questa legge con la lex Julia iudiciorum publicorum, la quale, mentre<br />

regolava la forma dei giudizi, li avrebbe anche tutelati da ogni<br />

violenza.<br />

La vis privata è repressa anch’essa da una lex Julia, e dalle fonti<br />

non appare chiaro se sia una legge diversa dalla precedente, ovvero<br />

<strong>Caietele</strong> <strong>Institutului</strong> <strong>Catolic</strong> IX (2010, 1) 131-168


154 ETTORE TOMASSI<br />

la stessa. È facile che sia diversa, e si debba a sua volta identifi -<br />

care con la lex Julia iudiciorum privatorum, che regolò i giudizi privati.<br />

Essa comprende in prima linea l’attentato al regolare svolgimento<br />

dei giudizi, e poi tutti gli atti che si potrebbero chiamare<br />

di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, e gli altri atti di violenza.<br />

La pena è patrimoniale, la confi sca della terza parte dei<br />

beni, cui si giungono delle privazioni di dignitates e di cariche.<br />

Nell’epoca post-classica questo crimine subisce una profonda<br />

trasformazione, ancora non interamente chiara. Si tende a meglio<br />

determinare ad unifi care il crimine, pur tenendo separati i due<br />

tipi, con l’identifi care la vis publica con la vis armata, e la privata<br />

con vis sine armis; col fondere con esso un crimen violentiate sorto<br />

come straordinario nell’epoca classica, e con l’unire casi di violenza<br />

carnale che prima erano autonomi, applicandosi pene varie<br />

secondo i casi e secondo le persone (deportatio, metallum, ecc.).<br />

f) Adulterio: sono incerte le notizie dell’epoca repubblicana, in<br />

cui mancava una regolamentazione unica, alcuni casi rientrando<br />

nella violenza, altri rivestendo un carattere di empietà, ed essendo<br />

devoluti ai pontefi ci; e molte volte infi ne avendo applicazione i<br />

iudicia domestica, di cui si ha ancora traccia nelle relegazioni infl itte<br />

da Augusto. La legge che istituì una quaestio per questo reato fu<br />

la lex Julia de adulteriis, che si ricollega a tutta la legislazione di<br />

Augusto in materia matrimoniale. La legge contempla indistintamente<br />

adulterio e stupro, facendo rientrare in tali concetti anche<br />

la bigamia; attribuisce la pena anche al marito complice, contemplando<br />

quindi indirettamente il lenocinio; anzi fa obbligo al marito<br />

di rimandare immediatamente la moglie colta in fl agrante.<br />

Sembra che la fl agranza sia il solo caso in cui tale obbligo era<br />

tassativo.<br />

Il ratto entra nel concetto di violenza; il reato semplicemente<br />

tentato può considerarsi come iniuria.<br />

A parte il diritto alla vendetta privata, che la legge riconosce<br />

in alcuni casi di fl agranza, il padre può uccidere la fi glia, ed anche<br />

<strong>Caietele</strong> <strong>Institutului</strong> <strong>Catolic</strong> IX (2010, 1) 131-168


Il sistema punitivo e penitenziario in epoca romana (II)<br />

155<br />

l’estraneo, sempre che uccida anche a fi glia; il marito non può<br />

uccidere la moglie, ma soltanto l’estraneo, se sia un servo o un<br />

liberto, o una persona disonorata, e deve ripudiare subito la moglie,<br />

altrimenti viene accusato di lenocinio. A parte alcune punizioni<br />

speciali, infl itte, per es., da Augusto in virtù di poteri di<br />

coercizione familiare, la pena dell’adulterio è patrimoniale, la privazione<br />

di metà dei beni, e solo più tardi sopravviene la relegazione<br />

in insulam. L’accusa non è permessa a tutti, e può sperimentarsi<br />

anche nei 60 giorni dopo lo scioglimento del<br />

matrimonio.<br />

Il diritto imperiale tende a considerare come singoli reati i diversi<br />

casi di delitti contro il buon costume. Viene quindi represso<br />

da Costantino come reato a sé il ratto; sorge l’incesto, pel quale<br />

è talora anche comminata la pena capitale; la pederastia, già repressa<br />

da un’antica incerta lex Scantinia con una multa, viene punita<br />

poi, sotto gl’imperatori cristiani, o con la vivicombustione o<br />

con la decapitazione.<br />

Costantino per l’adulterio vero e proprio sancisce la pena di<br />

morte. Il diritto giustinianeo conferma tale sanzione; per lo stupro<br />

si è limitato alle relegazioni, aggiungendo la coercitio corporalis<br />

per gli humiliores, la confi sca di metà dei beni per gli honestiores<br />

(vedi «Honestiores» e «humiliores»). Si vengono così a distinguere le<br />

due forme.<br />

g) Ambitus: (che letteralmente signifi ca « giro », riferendosi<br />

forse al giro dei mercati e degli altri centri che facevano i candidati,<br />

i quali si dimostravano tali anche dal vestito «candido»), è il<br />

crimine pel quale vi è stata forse la legislazione più ricca e quindi<br />

più oscillante ed incerta, nell’ultima epoca repubblicana (leggi<br />

Cornelia, Calpurnia, Acilia, Licinia, Pompeia, Tullia). L’ultima fu<br />

Augustea (lex Julia de ambitu). Reprimeva ogni genere di corruzione<br />

elettorale (accaparramento di voti che avveniva attraverso terzi,<br />

o nei banchetti o negli spettacoli); la formazione di associazioni<br />

<strong>Caietele</strong> <strong>Institutului</strong> <strong>Catolic</strong> IX (2010, 1) 131-168


156 ETTORE TOMASSI<br />

elettorali (sodalicia, che organizzavano i votanti, ripartendo1i in<br />

gruppi e sottogruppi, ed esercitavano su di essi una rigorosa vigilanza).<br />

Si aggiunse poi anche la introduzione di nuove imposte,<br />

ed anche qualche forma di corruzione dei giudici. La pena della<br />

lex Julia fu pecuniaria, cioè una multa, mentre precedentemente,<br />

nell’epoca ciceroniana, pare vi sia stato un esilio di 10 anni. Si<br />

aggiunse l’esclusione dal Senato, e da altre cariche.<br />

Il reato, che dové essere comunissimo nell’ultima epoca repubblicana,<br />

venne perdendo importanza nell’epoca imperiale,<br />

dati l’assolutismo e la cessazione dell’elettività delle cariche, e si<br />

limitò soprattutto al campo municipale.<br />

h) Plagio: è l’usurpazione della potestà dominicale su persone<br />

libere e su schiavi altrui. Fu represso dalla lex Fabia (209 a.C.), la<br />

quale in un primo capitolo considerò l’ipotesi che alcuno abbia<br />

tenuto legato o abbia comprato o venduto un romano o un liberto,<br />

estendendo la punibilità al socio o al servo che abbia commesso<br />

il fatto con la scienza del padrone; in un secondo capo<br />

concerneva la sottrazione dello schiavo altrui, e la provocazione<br />

alla fuga. La pena fu di 50.000 sesterzi. Un senatoconsulto estese<br />

la lex Fabia contro chi venda, come soleva dirsi, la fuga del servo,<br />

cioè venda un servo fuggito, per un modico prezzo, da pagarsi<br />

indipendentemente dal se l’acquirente riuscisse a rintracciarlo.<br />

Sembra però che l’azione derivante dalla legge non avesse<br />

carattere criminale, e che il crimine vero proprio sia sorto con<br />

Caracalla, se non - come è stato ritenuto da ultimo - addirittura<br />

con Diocleziano, nella cognino extra ordinem. Ebbe pene varie: relegazione,<br />

metallo, ecc., e talora anche la morte. In diritto giustinianeo<br />

viene talora qualifi cato crimen capitale.<br />

i) Repentudae: è uno dei crimini su cui abbiamo maggiori fonti,<br />

possedendo numerosi frammenti, pervenutici direttamente su<br />

una tavola di bronzo conservata al Museo Nazionale di Napoli,<br />

della lex Acilia repentundarum (o, secondo altri, lex Sempronia iudiciaria),<br />

<strong>Caietele</strong> <strong>Institutului</strong> <strong>Catolic</strong> IX (2010, 1) 131-168


Il sistema punitivo e penitenziario in epoca romana (II)<br />

157<br />

di Caio Gracco, del 123 a.C. e ad esso riferendosi pure l’editto di<br />

Augusto ai Cirenei, trovato nel 1926 negli scavi di Cirene, che ripeté,<br />

per quella provincia, molte disposizioni di Roma, un fragmentum<br />

tarentinunim rinvenuto recentemente a Taranto, un frammento<br />

di papiro rinvenuto nella biblioteca di Leyda, proveniente<br />

forse da Fayum nell’Egitto, ove si riportano brani delle Sententiae<br />

cosiddette di Paolo. La grande importanza di tali fonti deriva<br />

soprattutto dal fatto che essi ci mostrano l’andamento del processo<br />

in materia di repetundae, e quindi, data l’affi nità tra le varie<br />

procedure, l’andamento in genere del processo criminale. L’esposizione<br />

del contenuto delle norme non va quindi fatta qui.<br />

Il crimen repetundarum presenta però un particolare interesse, in<br />

quanto fu il primo, secondo ogni probabilità pel quale si sia istituita<br />

una quaestio, con la lex Calpurnia, che forse fu la stessa che<br />

introdusse la condictio in diritto privato. Il tipo di sanzione che si<br />

limita a semplice valore delle cose estorte, ci fa vedere, poi, come i<br />

Romani, per stabilire se un fatto rivestisse il carattere di crimine,<br />

più che alla pena guardavano alla persecuzione, considerando<br />

crimine solo quello che era pubblicamente perseguito.<br />

Oltre la lex Calpurnia, e la successiva Acilia del 631-632 a.C.,<br />

vi furono altre leggi, Sempronia, due Serviliae, la Cornelia, e da ultimo<br />

una lex Julia. L’abbondanza della legislazione va spiegata col<br />

fatto che si vogliono aiutare i provinciali contro gli abusi dei<br />

magistrati romani, commessi nell’esercizio delle loro funzioni,<br />

ed anche dei senatori, nella partecipazione ai lavori, o nella qualità<br />

di giurati. Sono tenuti anche i fi gli pei vantaggi che conseguano<br />

approfi ttando della posizione paterna. Si reprime soprattutto<br />

l’acquisto di quelle pecuniae che il magistrato « in magistratu potestate<br />

curatione vel quo alio offi cio munere ministeriove publico accepit vel cum<br />

ex cohorte cuius eorum est ». La legge Acilia comprende l’auferre, cioè<br />

le usurpazioni dirette; il cogere, cioè gli acquisti che avvengono per<br />

intimidazione; il conciliare, cioè quelli che avvengono con lusinghe<br />

<strong>Caietele</strong> <strong>Institutului</strong> <strong>Catolic</strong> IX (2010, 1) 131-168


158 ETTORE TOMASSI<br />

o in cambio di favori. La condanna è alla restituzione del mal<br />

tolto, ma a tale pena si accompagnano varie incapacità (perdita<br />

dei diritti politici, rimozione dal Senato e ineleggibilità alle cariche<br />

pubbliche). Nell’epoca imperiale le ipotesi di repetundae vengono<br />

punite extra ordinem con altre sanzioni pi gravi (relegazione,<br />

ecc.) e probabilmente l’azione diretta alla pena patrimoniale divenne<br />

un’azione civile da risarcimento, trasmissibile contro gli<br />

eredi. Non considerandosi il motivo per cui il denaro viene<br />

estorto, questo crimine comprende non solo la nostra concussione,<br />

ma anche la corruzione, non esistendo un reato vero e<br />

proprio di corruptio, e la corruptio potendosi considerare piuttosto<br />

come un concetto generale.<br />

l) Peculato: originariamente è il delitto di chi si impossessa di<br />

pecus, cioè di capi di bestiame (antico mezzo di scambio); viene<br />

poi regolato con precisione dalla lex Julia, che punisce l’auferre,<br />

l’intercipere, il vertere in rem suam pecuniam, pecunia che può essere<br />

pubblica e sacra; onde l’affi nità delle due fi gure del peculato e del<br />

sacrilegio.<br />

Il peculato in senso stretto è un furtum publicae e pecuniae; eccede<br />

però la nozione del furto, e viene indicato con la frase populum<br />

fraudare; frode che consiste anche nel peggiorare la coniazione<br />

della moneta, o nel fabbricarne oltre il limite.<br />

Oggetto di sacrilegio sono le cose «rite» e «publicae consecratae»,<br />

più, tardi, anche quelle religiosae, cioè relative alla sepoltura. La<br />

pena in qualche ipotesi specialmente di sacrilegio dové essere<br />

l’interdizione dall’acqua e dal fuoco. Pel peculato normalmente<br />

fu pecuniaria e consisté nel quadruplo delle cose indebitamente<br />

prese.<br />

Un crimen speciale, represso da una lex Julia de residuis, è l’appropriazione<br />

dei denaro residuo che deve restituirsi al privato o<br />

all’ente pubblico che lo aveva concesso perché con esso si esercitasse<br />

un’attività.<br />

<strong>Caietele</strong> <strong>Institutului</strong> <strong>Catolic</strong> IX (2010, 1) 131-168


Il sistema punitivo e penitenziario in epoca romana (II)<br />

159<br />

Nell’epoca classica, varie ipotesi straordinarie vennero punite<br />

più gravemente e si fi nì col reprimere extra ordinem anche il peculato,<br />

ed il sacrilegio, giungendosi talora anche alla morte. Nel<br />

Codice giustinianeo i due titoli sono separati ed il sacrilegio ha<br />

un suo sviluppo autonomo. Anche pel peculato l’azione pecuniaria<br />

si distaccò dalla Penale, e fu diretta al semplice risarcimento.<br />

m) Annona: è il reato di chi produce artifi cialmente rincari sui<br />

pubblici mercati, represso da una lex Julia (di Cesare?) con una<br />

multa di 20.000 sesterzi. Ebbe presto una punizione più grave,<br />

extra ordinem (relegazione e opus publicum).<br />

n) Aborto: l’aborto diventa delitto solo al tempo dell’imperatore<br />

Selturnio Severo,venendo assimilato al malefi cium e punito<br />

con i lavori forzati o con il bando e la pena pecuniaria; se ne seguiva<br />

la morte della gestante la pena era quella capitale” 9 .<br />

Fino a Selturnio Severo l’aborto era una turpidutum e quindi<br />

non era classifi cato tra i reati, ciò in quanto il feto era considerato<br />

parte integrante delle viscere della madre. Per questa ragione<br />

mentre si riconosceva alla madre la facoltà di disporre liberamente<br />

del proprio corpo, e quindi dello stesso feto in esso contenuto,<br />

si riteneva, rispetto ai terzi, che l’uccisione del feto, salva<br />

l’offesa verso la donna, non potesse come tale rientrare tra i delitti<br />

contemplati dalla lex Cornelia (de sicarus et venefi cus) e in altre<br />

disposizioni complementari, che tutte presupponevano l’esigenza<br />

dell’essere umano distaccato dalle viscere materne. Così aggiunge<br />

il Perla “Le disposizioni punitive della legge Cornelia furono<br />

quindi, con un senatoconsulto, estese alla vendita e somministrazione<br />

dei pocula abortionis e matoris. Con ciò peraltro non si volle<br />

assimilare l’aborto al venefi cio per pecunie direttamente l’uccisione<br />

9 La presente voce è stata integrata dallo scrivente (per lo stellionato e per<br />

i reati dopo il punto m). Cfr. U. BRASIELLO, s.v. Crimina, in Nov. Dig. It., V<br />

1960, rist. 1981, pp. 1-4.<br />

<strong>Caietele</strong> <strong>Institutului</strong> <strong>Catolic</strong> IX (2010, 1) 131-168


160 ETTORE TOMASSI<br />

del feto ma si volle unicamente allargare la sfera repressiva dei<br />

delitti di venefi cio. Nell’epoca di maggior decadenza dei costumi,<br />

le pratiche abortive ebbero a Roma la più larga diffusione,<br />

essendo considerato come mezzo per sottrarsi ai dolori e ai pericoli<br />

del parto, al peso della fi gliolanza, e anche, solamente, per<br />

conservare la bellezza e la linea estetica del corpo. Contro di esso<br />

insorsero, in nome della morale, gli scrittori cristiani, tra cui particolarmente<br />

Tertulliano che nell’Apologetico sosteneva di riscontrare<br />

nel feto i caratteri essenziali della personalità umana<br />

(homo est qui est futurum). Si venne così preparando la completa e<br />

radicale trasformazione del delitto precedente, oltreché nella<br />

compilazione giustinianea, nella quale il procurato aborto fu<br />

considerato esplicitamente come delitto e avvicinato all’omicidio<br />

(fr. 8, Dig. 48, 8) 10 .<br />

o) Avvelenamento: i casi di avvelenamento erano diffusi in<br />

Roma antica. Lo confermano Quintiliano (Iust. Orat., 5, 11, 39),<br />

Tacito (Annales 3, 22 e ss), Svetonio (Tib. 49, 19) e papiri (P. Oxy.<br />

19, 1477).<br />

Silla istituì un tribunale permanente che si occupava esclusivamente<br />

di avvelenamenti. Diocleziano stabilì che fosse condannato<br />

a morte chi avesse procurato la morte per avvelenamento<br />

per succedere nell’eredità (Codex Iustinianeus, 6, 35, 9). D. 48, 1,<br />

14 riportò il caso di un padre che aveva accusato in modo del<br />

tutto infondato gli schiavi del genero (e quindi il genero stesso)<br />

dell’avvelenamento di sua fi glia, e per la sua accusa infondata<br />

l’accusatore da parte sua rischiava serie conseguenze, cioè l’accusa<br />

di calumnia. In questo caso Ulpiano afferma che non si può procedere<br />

per calumnia contro il padre perché i rapporti tra padre e<br />

fi glia giustifi cavano l’accusa, anche se falsa.<br />

10 L. PERLA, in Aborto (diritto – procurato aborto), in E.I., vol. I, 1929, p[p.<br />

111-112] 111.<br />

<strong>Caietele</strong> <strong>Institutului</strong> <strong>Catolic</strong> IX (2010, 1) 131-168


Il sistema punitivo e penitenziario in epoca romana (II)<br />

161<br />

p) Abigeato: l’abigeato è il furto del bestiame. Nel De re rustica<br />

2, 10, 3, Varrone (I secolo a. C.) dice che i pastori devono essere<br />

forti per difendere il bestiame non solo dalle belve feroci ma<br />

anche dai ladri. La frequenza di questo reato è provata da una<br />

legge del 395 (Cod. Theod. 2,1, 8) ed anche nei tribunali vescovili<br />

si discuteva frequentemente del possesso degli animali e del rischio<br />

che correva il proprietario circa la possibilità di essere oggetto di<br />

furto.<br />

Era ritenuto ladro di bestiame (abactor) chi rubava un cavallo,<br />

o due giumente, o dieci pecore (o capre) o cinque maiali. Al di<br />

sotto di questi limiti, l’abigeato era perseguito come furto semplice<br />

11 . Ulpiano è chiaro in tal senso. In D. 47, 14, 1 dice che c’è<br />

abigeato quando il furto è inteso come lavoro, e Columella, 7, 3,<br />

26 esorta il pastore ad essere attento che il gregge non si sparpagli<br />

“affi nché un ladro o una belva feroce non inganni il pastore<br />

che sogna”. Orazio (Epist. 1, 7,75 e ss) si lamentò dei continui<br />

furti di bestiame nelle classi patrizie e Agostino di Ippona, in<br />

Psalm, 37, 13 lamentava per il contadino nordafricano oltre la<br />

grandine il furto di bestiame. I Papiri in Egitto abbondano di tale<br />

reato e da Marziale a Palladio nella Historia Lusiaca 44, 5 c’è una<br />

preoccupazione intensa contro l’abigeato. Troiano minacciò con<br />

un esilio decennale chiunque aiutasse i ladri di bestiame (D.47,<br />

14, 3, 3),mentre Adriano volle la pena di morte per il furto di<br />

bestiame in Spagna, nella Betica. Fonti epigrafi che (CIL, IX,<br />

2438) e Codice Tedosiano, 9, 30, 1-5 testimoniano la diffusione<br />

dell’abigeato nell’Italia meridionale.<br />

q) Brigantaggio: non c’è dubbio che il brigantaggio diventa reato<br />

autonomo, cioè viene trattato in modo autonomo fra i reati<br />

in diritto romano solo tardi, e cioè con il Codice Teodosiano, ma non<br />

c’è dubbio altrettanto che il sistema del brigantaggio fu nettamente<br />

avversato nell’ordine pubblico. Un brigantaggio organizzato<br />

11 Cfr. J. U. KRAUSE, La criminalità del mondo antico, Roma, 2006, p. 134.<br />

<strong>Caietele</strong> <strong>Institutului</strong> <strong>Catolic</strong> IX (2010, 1) 131-168


162 ETTORE TOMASSI<br />

nasce e si diffonde in Cilicia e in Mauritania, ma un brigantaggio<br />

sommesso si diffonde in tutto l’impero dal II secolo a.C. al VI<br />

secolo d.C., e cioè dalla presenza di Pompeo prima e Cicerone<br />

dopo verso i briganti di Cilicia fi no alla legislazione giustinianea.<br />

Le fonti sono numerosissime: letterarie, epigrafi che, papiracee<br />

e normative fi no a quella del Vangelo di Luca 10, 25 e ss che<br />

riporta l’episodio del buon samaritano aggredito da rapinatori.<br />

L’organizzazione in bande autonome, fra tutte quella capitanata<br />

dal capobanda Bulla Felice, (cfr. J.-Uwe Krause, La criminalità<br />

nel mondo antico, cit., pp. 144-159) rese il fenomeno del brigantaggio<br />

gravissimo per tutto il III secolo d. C. tenuto soprattutto<br />

conto che Roma non raggiunse mai un controllo effettivo su alcuni<br />

monti come alcune zone del Nord Africa (Mauritania) o<br />

dell’Asia Minore (Cilicia).<br />

E ai briganti di terra vanno equiparati i briganti di mare, i pirati<br />

che solo nel 67 a.C. Pompeo riuscì a frenare per il mercato di<br />

schiavi cui si erano particolarmente dedicati. Il fenomeno era<br />

antico, e lo ricorda Senofonte Efesio 3, 2, 1, e ss e Cassio Dione<br />

74, 2, 4 e ss ma anche Apuleo, Metamorfosi 4, 23, 3 e ss. Le bande<br />

erano da schiavi fuggitivi (Cassio Dione 76, 0), disertori dell’esercito<br />

romano che si davano al furto, abigeato o tratta illegale<br />

degli schiavi (D. 49, 16, 5). Di questi scorsi chiarò Basilio di Cesarea<br />

(Epist. 268) e Zosimo (5, 22, 3) tanto che C. Th. 7, 18, 14<br />

invitava anche i privati a reagire con la forza fi no a uccidere i<br />

briganti.<br />

Caratteristica dei briganti erano le rapine (D. 48, 19, 27, 1 e ss;<br />

P. Ox. L., 3561; P. Fay 108) non solo nelle campagne ma anche<br />

tra i Monti della Mauritania (CIL VIII, 2728 = 18122 = ILS,<br />

5795; Plinio, Hist. Nat. 8, 142-144). Le loro ricchezze erano immense<br />

(Giovanni Crisostomo, De Lagaro 1, 12; Cod. Iust. 5, 17,<br />

8, 2; Petronio 111, 5 e ss). Le fonti giuridiche incitano a punire<br />

severamente coloro che aiutano i briganti (D. 47, 16, 2; D. 47, 16,<br />

<strong>Caietele</strong> <strong>Institutului</strong> <strong>Catolic</strong> IX (2010, 1) 131-168


Il sistema punitivo e penitenziario in epoca romana (II)<br />

163<br />

1 e 2; Apuleio, Metamorfosi, 4, 1, 1 e ss; Ite storia Monadorum in<br />

Aegypto 8, 30 e ss) anche, e forse più, se sono membri della polizia<br />

(D.47, 16, 1; Achille Tazio 7, 3; C I, 9, 41, 4; Ausonio, Epist.<br />

14, 22 e ss) fi no a Teodosio il Grande (379-395) quando ordina<br />

ai defensoris civitatum (uffi ciali che esercitavano una giurisdizione<br />

minima a livello urbano) di eliminare la protezione accordata ai<br />

briganti (Cth – 1, 29, 8), pena la distruzione stessa dell’Impero<br />

(Senofane, Benef. 4, 35, 2; Apuleio, Metamorfosi 1, 15; Plinio,<br />

Nat. Itist. 28, 115: 29, 77; Epiteto, 4, 1, 91 e ss; Cassio Dione 36,<br />

20, 1, 3). Di qui il numero enorme di postazioni militari (stationari)<br />

che difendono la sicurezza delle strade (Agostino, Epist. 46, 1;<br />

Ammiano Marcellino 27, 9, 6 e ss; 28, 2 11 e ss).<br />

r) rapimento: il rapimento è defi nito plagium in diritto romano<br />

ed è un reato a se stante. Era diretto ad alimentare il mercato<br />

degli schiavi tenuto conto che ogni anno dovevano subentrare<br />

500.000 nuovi schiavi 12 . La necessità di trovare nuovi schiavi è<br />

attestata dal fatto che Augusto e Tiberio si videro costretti a far<br />

perseguire le prigioni degli schiavi (ergastula) dei latifondi per<br />

scarcerare i liberi che vi erano rinchiusi (Svetonio, Aug. 32, 1;<br />

Tib. 8) e così si comportò Historia Augusta (Adriano, 18, 10).<br />

Ai governatori fu ordinato con mandata imperiali di perseguire<br />

duramente i rapitori (D. 48, 13, 4, 2) e occorse una Lex<br />

Fabia per trattare di questo reato, comminando i lavori in miniera<br />

se a rapire erano gli humiliores, l’esilio se a commettere questo<br />

reato erano gli honestiores (D. 48, 15, 7: Paulus, Sententiae, 5, 30).<br />

Diocleziano inasprì la pena portandola fi no alla condanna a<br />

morte (CI, 9, 20, 7).<br />

Il diritto intervenne anche sull’entità del riscatto (D. 24, 3, 21)<br />

fi no a stabilire l’entità della dote per una ragazza al posto del<br />

padre se questo era caduto prigioniero di guerra o era stato rapito<br />

dai briganti (D. 23, 3, 5, 4), ma Ulpiano dubitò, nel passo prima<br />

12 U. KRAUSE, La criminalità nel mondo antico, cit., p. 159<br />

<strong>Caietele</strong> <strong>Institutului</strong> <strong>Catolic</strong> IX (2010, 1) 131-168


164 ETTORE TOMASSI<br />

richiamato (D. 24, 3, 21) se un marito sia autorizzato a utilizzare<br />

la dote di sua moglie, di cui non può disporre liberamente, per<br />

riscattare i parenti della donna rapiti dai briganti. Agostino di<br />

Ippona si lamenta (Epist. 10, 2 e ss) per i numerosi rapimenti di<br />

bambini e di donne nel Nord Africa. Di ciò c’è un’eco in Costantino:<br />

gli schiavi e i liberti che si erano resi colpevoli di un tale<br />

delitto dovevano essere gettati alle belve feroci mentre gli uomini<br />

liberi dovevano essere uccisi con la spada durante i giochi gladiatori<br />

(C. Th. 9, 18, 1 e ss).<br />

I Padri della Chiesa si rendono portavoci di tale situazione e<br />

incitano gli Imperatori ad essere infl essibili. E c’è poi il problema<br />

del rapimento degli schiavi altrui come è testimoniato in D. 47,<br />

2, 68, 4 e in D. 47, 2, 75 che testimonia come il reato avveniva di<br />

frequente.<br />

s) Stupro: lo stuprum (le cui basi sono nel ricordo leggendario<br />

di Lucrezio, disonorati da Sesto Tarquinio, fi glio dell’ultimo re di<br />

Roma, Tarquinio il Superbo) era perseguito in età repubblicana<br />

per via di giustizia privata (Livio 1, 58). In epoca imperiale lo<br />

stupro era perseguito come atto di violenza (vis) secondo la Lex<br />

Julia de vi per cui il padre della famiglia era considerato colui che<br />

doveva punire il crimine per primo. Se si era lasciato convincere<br />

a rinunciare al suo proposito chiunque (extraneus) poteva sporgere<br />

denunzia (D. 48, 6, 5, 2; 48, 6, 3, 4).<br />

Chi violentava una donna estranea, sposata o meno, rischiava<br />

la pena di morte, che però non sempre veniva realizzata e che<br />

veniva sostituita con altra pena, come l’esilio (Ammiano Marcelluio,<br />

16, 5, 12).<br />

La violenza sessuale nelle città era diffusissima, soprattutto nei<br />

confronti delle donne di cattiva fama (Cicerone, Pro Roscio 30;<br />

Seneca, Controversiae, 5, 6).<br />

Spesso i colpevoli di violenze sessuali avvenivano nell’ambito<br />

della stessa famiglia. Fermico Materno, nel IV secolo riporta<br />

<strong>Caietele</strong> <strong>Institutului</strong> <strong>Catolic</strong> IX (2010, 1) 131-168


Il sistema punitivo e penitenziario in epoca romana (II)<br />

165<br />

come autori di uno stupro il padre, lo zio e il patrigno (dopo la<br />

morte del padre) di una vergine (6, 29, 23 e ss).<br />

Lo stupro di una schiava veniva risarcito secondo la Lex<br />

Aquilia. Le leggi augustee fi ssarono in modo defi nitivo (tanto<br />

miravano a porre un freno all’adulterio ma anche ai rapporti sessuali<br />

fra uomini e donne liberi al di fuori del matrimonio) che<br />

stuprum era qualunque rapporto sessuale con una donna non<br />

sposata facendo una grande distinzione tra seduzione e stupro.<br />

Compare nella tarda imperiale il numero di leggi sul rapimento<br />

di donne, cioè il rapimento con lo scopo di sposarla successivamente.<br />

A Roma un matrimonio legale presupponeva il consensus<br />

dei due coniugi ma anche il consensus del padre della sposa. Questo<br />

consenso era forzato con il rapimento della sposa, e questa<br />

prassi è citata spesso dai retori e da una legge di Costantino che<br />

minaccia pene disumane con quelli che prendono parte al rapimento<br />

di una vergine: i rapitori venivano giudicati immediatamente;<br />

le balie che avevano favorito il rapimento venivano punite<br />

versando oro in bocca del piombo fuso; la rapita avrebbe avuto<br />

la stessa punizione del rapitore anche se non era d’accordo perché<br />

comunque poteva gridare aiuto; i genitori dovevano essere<br />

condannati alla deportazione se potevano ma non hanno voluto<br />

perseguire il reato; tutti i complici dovevano essere puniti come<br />

i rapitori, indipendentemente dal loro sesso; gli schiavi complici<br />

dovevano essere arsi vivi.<br />

Gli schiavi che denunciavano il delitto dovevano essere premiati<br />

con il diritto di cittadinanza latina (C. Th. 9, 24, 1).<br />

t) Omosessualità: la Lex Scatinia di età repubblicana prevedeva<br />

una semplice ammenda per il rapporto sessuale con ragazzi liberi<br />

o eventualmente fra adulti solo per l’omosessualità passiva. Paolo nelle<br />

sue Sentenze, all’inizio del IV secolo (2, 26, 12 e ss) registra<br />

che l’omosessualità passiva veniva punita con la confi sca di metà<br />

del patrimonio; se c’era lo stuprum con un ragazzo si rischiava la<br />

<strong>Caietele</strong> <strong>Institutului</strong> <strong>Catolic</strong> IX (2010, 1) 131-168


166 ETTORE TOMASSI<br />

deportazione se era rimasto a livello di tentativo, la pena di morte<br />

se il rapporto sessuale era stato compiuto. Nel 342 fu introdotta<br />

la decapitazione per l’omosessuale passivo e nel 390 i prostituti<br />

maschili che lavoravano nei bordelli rischiavano di essere pubblicamente<br />

arsi sul rogo (C Th 9, 7, 3, 9, 10, 4 e Collatio Legum Mosaicarum<br />

et Romanorum 5, 3).<br />

Il Cristianesimo fu più rigoroso. Mentre prima ad essere colpiti<br />

erano prevalentemente gli omosessuali passivi (per quelli attivi si<br />

punivano solo quelli che avevano compiuti stuprum), Giustiniano<br />

introdusse la pena di morte per tutti gli omosessuali (Inst. Iust. 4,<br />

18, 4). Contro una tradizione, infatti, su cui l’omosessualità non<br />

era mai stata dichiarata contro natura e in cui si punivano solo gli<br />

omosessuali passivi alla stregua delle prostitute, il Cristianesimo<br />

introdusse la pena per tutti coloro che praticavano la sessualità<br />

non eterosessuale. I colpevoli erano spesso castrati e portati in<br />

giro per il ludibrio pubblico, come un secolo prima richiedeva<br />

l’autore Cristiano Salviano a metà del secolo prima. Verso la fi ne<br />

del suo regno, Giustiniano mitigò il suo rigore e in Nov. Iust. 141<br />

invitò (siamo nel 559) gli omosessuali a costituirsi e a fare penitenza<br />

presso i propri vescovi.<br />

u) Furto di raccolto: era un delitto capitale e veniva punito con<br />

la morte. Questo in età arcaica. Nell’età successiva fu ritenuto un<br />

reato di poco conto anche se preoccupava molto i proprietari<br />

terrieri. Così in Columella (I secolo d.C.) che consigliava di dare<br />

in affi tto i campi di cereali più lontani che il proprietario non<br />

può tenere protetti. Non sempre il furto di raccolto avveniva per<br />

necessità. Nelle Confessioni di Sant’Agostino 2, 4, 9 si dice che<br />

lo stesso Agostino compì furti pur non essendo mosso da bisogno.<br />

Ma più spesso come testimonia Gregorio Magno, Dialoghi<br />

1, 3, 2 e ss questi furti servivano al soddisfacimento di immediate<br />

esigenze alimentari.<br />

<strong>Caietele</strong> <strong>Institutului</strong> <strong>Catolic</strong> IX (2010, 1) 131-168


Il sistema punitivo e penitenziario in epoca romana (II)<br />

1.4. Estinzione dei reati<br />

167<br />

L’estinzione dei reati or ora descritti, si aveva secondo la classifi<br />

cazione descritta da Volterra 13 in sette modi: con la remissione,<br />

con la grazia, con la restituito (principalis e specialis), con l’espiazione<br />

della pena, tranne per quanto riguarda taluni effetti della condanna;<br />

con la prescrizione, e ovviamente con la morte del reo. L’estinzione<br />

del reato per prescrizione è sconosciuta nel diritto classico<br />

tranne alcuni casi tassativamente fi ssati, mentre nel diritto giustinianeo,<br />

sotto l’infl uenza del Cristianesimo (e il suo perdonismo)<br />

viene fi ssata una prescrizione generale ventennale.<br />

Nel caso della morte del reo, tuttavia, ancora Volterra precisa<br />

che vi sono cinque eccezioni:<br />

- i cadaveri dei condannati a morte non possono essere trasferiti<br />

per la sepoltura;<br />

- la morte non impedisce l’esecuzione delle pene pecuniarie<br />

già pronunciate;<br />

- il giudice può post mortem contro il perduellis e il colpevole di<br />

crimen maiestatis o del crimen repetundarum e, più tardi, anche contro<br />

il colpevole di manicheismo e altri reati religiosi;<br />

- il suicida è equiparato al damnatus quando sia postulatus o delatus<br />

o deprehensus in reatu e quando il suicidio sia compiuto allo<br />

scopo di sfuggire alla condanna;<br />

- si può agire contro gli eredi nel caso di contrabbando, di<br />

supposizioni di stato, di falso e nel caso della Lex Aulia repetundarum;<br />

- il patto remissorio estingue le azioni penali di furto e di ingiuria.<br />

13 Cfr. s.v. Reato (diritto romano), in E.I., XXVIII, 1935, p[p. 941-994]<br />

942.<br />

<strong>Caietele</strong> <strong>Institutului</strong> <strong>Catolic</strong> IX (2010, 1) 131-168


168 ETTORE TOMASSI<br />

1.5. Conclusione:<br />

i reati di diritto penale delle legislazioni occidentali<br />

redatto quelli elaborati sostanzialmente dal diritto romano<br />

Non c’è dubbio, da quanto fi no ad ora esaminato, che i reati<br />

di diritto penale delle legislazioni occidentali, ed in particolare<br />

della legislazione italiana, abbiano una stretta derivazione dalla<br />

dottrina generale dei reati di diritto romano.<br />

I punti su cui la dottrina futura dovrà vertere sono a mio avviso<br />

i seguenti:<br />

- la tendenza dell’illecito penale nel diritto romano a diventare<br />

illecito personale;<br />

- il raggiungimento del concetto di responsabilità penale per<br />

fatto proprio colpevole, così come viene ideato nel diritto romano;<br />

- il carattere personale dell’illecito penale a fronte degli illeciti<br />

extrapenali, fatto continuo all’interno della casistica dei reati penali<br />

nel diritto romano;<br />

- ricercare quanto della dottrina dell’illecito penale sia entrato<br />

nella dottrina europea, a partire da quella tedesca e poi da quella<br />

italiana e francese, ed anche iberica, e dei Paesi del cosiddetto<br />

socialismo irreale, prima e dopo il 1989.<br />

<strong>Caietele</strong> <strong>Institutului</strong> <strong>Catolic</strong> IX (2010, 1) 131-168

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!