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qdpd n 2.pdf - Collegio San Giuseppe - Istituto De Merode

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Rivista semestrale di cultura scolastica lasalliana<br />

Anno I - N° 1 Dicembre 2008


“Il Quadriportico”<br />

www.sangiuseppedemerode.it<br />

Volumi pubblicati<br />

Giugno 2008 N° 0 Le radici della moralità (1)<br />

Dicembre 2008 N° 1 Giustizia e libertà (2)<br />

In preparazione<br />

Giugno 2009 N°1 Bioetica e diritto alla vita (3)


Anno Paolino 2008-2009<br />

William Blake ( 1757-1827 ) La conversione di <strong>San</strong> Paolo


Quaderni<br />

demerodiani<br />

di<br />

Pedagogia<br />

e<br />

Didattica<br />

Giustizia e Libertà


“Et ego ideo adulescentulos existimo in scholis stultissimos<br />

fieri quia nihil quae in usu habemus aut audiunt aut vident”.<br />

(Petronio Satyricon I, 3)<br />

Credo che i ragazzi perdano molta della loro intelligenza<br />

in una scuola dove non hanno alcun contatto con la vita reale.


Giustizia e Libertà<br />

SCUOLA SECONDARIA DI PRIMO GRADO<br />

EDUARDO CIAMPI, EMILY ANTONELLA POGGI, ANTONIO PILATO<br />

Song for Fidele Il trapasso come metafora della liberazione<br />

SCUOLA SECONDARIA DI SECONDO GRADO<br />

MICHELE BARILE<br />

Oscar Wilde Freedom of Soul, freedom of Man<br />

ALESSANDRO CACCIOTTI<br />

Giustizia e Popolo in <strong>San</strong>t’Agostino<br />

MARCO CILIONE<br />

Il dialogo dei Melii e degli Ateniesi (Thuc. V 85-112)<br />

MARINA PESCARMONA<br />

La verità rende giusti e liberi: il caso Galileo<br />

MANUELA REVELLO<br />

La Prosopopea delle Leggi<br />

ANDREA TESTA<br />

Letteratura, pensiero, azione: libertà e giustizia in Italia<br />

dall’età Napoleonica al Risorgimento<br />

a n t i v e d e r e dire, fare, educare oggi<br />

AUGUSTO BARTOLINI<br />

Educare alla libertà, in libertà, con libertà<br />

ALBERTO TORNATORA<br />

Educare al cuore<br />

Rivista semestrale di cultura scolastica lasalliana<br />

Anno I – N° 1 Dicembre 2008


Perché questi Quaderni<br />

Questa che sta muovendo i primi passi non è la solita rivista per insegnanti<br />

ma uno spazio in cui colleghi che credono nella propria vocazione<br />

di educatori-docenti mettono in comune esperienze, proposte, convinzioni,<br />

percorsi, tracciati, tentativi riusciti, contributi, domande e attese,<br />

nel loro fare scuola .<br />

Confrontarsi e condividere idee e metodi, contenuti e strategie è utile<br />

soprattutto a coloro che scrivono e raccontano il loro vivere la scuola .<br />

La comune ispirazione a principi pedagogici e strategie didattiche ha<br />

suggerito a coloro che hanno aderito al progetto la voglia di realizzarlo<br />

e di proporlo a colleghi disposti a prendere parte all’Avventura.<br />

“Quaderni demerodiani di Pedagogia e Didattica” può essere uno<br />

strumento spendibile nella quotidianità didattica, offrendo materiale<br />

articolato in moduli ed aperto ad una duttile interazione con la programmazione<br />

curricolare del docente che alle esperienze dei colleghi<br />

può attingere senza rinunciare al proprio originale apporto educativo.<br />

Lo spirito di questa “non-rivista” è quello di un forum, di un franco<br />

confronto e reciproco scambio che permette a chiunque di offrire il<br />

proprio contributo in nome della comune missione di educare con e<br />

nella offerta culturale della prassi didattica.<br />

Il termine “quaderni” vuole suggerire proprio questa operosità quotidiana<br />

e non presuntuosa di essere educatori lasalliani. Lasalliani , cioè<br />

che incarnano nella loro missione presso i giovani il carisma e la tradizione<br />

plurisecolare di S.G.B. de La Salle, in cui il progetto pastorale e la<br />

promozione culturale costituiscono un unicum irrinunciabile per chi<br />

considera il proprio insegnamento come “missione” e “missione condivisa”<br />

con i colleghi e compagni di viaggio.<br />

Il Direttore Editoriale<br />

Fratel Pio Rocca<br />

(dalla Presentazione del N° 0 Giugno 2008)


Giustizia e Libertà<br />

L'obiettivo di ogni intervento didattico deve essere, com'è noto,<br />

un'educazione integrale che permetta allo studente di esprimere al meglio<br />

le proprie potenzialità. Per essere davvero integrale, quindi, l'educazione<br />

non può escludere la dimensione valoriale e quella spirituale,<br />

che rappresentano due aspetti fondanti dell'identità della persona.<br />

La teologia pastorale, pur non avendo ancora uno statuto epistemologico<br />

ben definito, offre, tuttavia un supporto significativo al percorso<br />

educativo del discente perché attraverso le indicazioni della pastorale<br />

didattica permette di curare nell'insegnamento non solo<br />

l'aspetto etico-morale, ma anche quello spirituale, che per un malinteso<br />

senso della correttezza politica e di un laicismo troppo spesso spacciato<br />

per laicità, è 'igienicamente' estromesso dall'insegnamento.<br />

I contributi dei quaderni demerodiani hanno invece deciso di assumersi<br />

integralmente la responsabilità dell'insegnamento nella convinzione<br />

che la didattica offra attraverso i suoi contenuti disciplinari<br />

un'occasione straordinaria per veicolare valori e per riflettere sulla<br />

propria spiritualità, per diventare cioè onesti cittadini e buoni cristiani.<br />

Il tema della pastorale didattica di questo numero è giustizia e libertà:<br />

tutti gli interventi hanno evidenziato, nello specifico disciplinare dell'argomento<br />

scelto per il modulo didattico, non solo lo stretto legame tra il<br />

senso del giusto e la vera libertà, ma anche quanto in realtà la giustizia<br />

sia la conditio sine qua non della libertà. Essere liberi non vuol dire fare<br />

semplicemente quello che si vuole perché si è nella posizione economica<br />

o politico-sociale per poterlo fare: la vera libertà deve essere improntata<br />

a un profondo senso di responsabilità e rispetto verso se stessi e verso<br />

gli altri, deve farsi guidare da un rigoroso principio di equità.<br />

I moduli didattici di questo numero si prefiggono quindi l'obiettivo di<br />

educare gli studenti a questo giusto significato di libertà, evidenziando il<br />

male individuale e sociale che la confusione tra libertà e sopruso ha determinato<br />

nella storia dell'uomo.<br />

Marco Cilione


Giustizia e Libertà


Song for Fidele QdPD 1 (2008)<br />

Strumenti per la didattica modulare interdisciplinare<br />

Percorso tematico di educazione musicale e lingua e cultura inglese<br />

Song for Fidele<br />

William Shakespeare<br />

Il trapasso come metafora della liberazione<br />

EDUARDO CIAMPI (PROGRAMMAZIONE LINGUISTICO-LETTERARIA)<br />

EMILY ANTONELLA POGGI<br />

(PROGRAMMAZIONE MUSICALE-COMPOSITIVA E ARRANGIAMENTO)<br />

ANTONIO PILATO (ARRANGIAMENTO PER CHITARRA)<br />

Introduzione<br />

“Morire al mondo per vivere in Cristo”: comprendere bene questo prezioso<br />

adagio del Cristianesimo significa cogliere il profondo senso di libertà che c’è nel<br />

rinunciare al mondo secolarizzato per vivere in Cristo. A tale assoluta libertà, nella<br />

tradizione cristiana, e in quella poesia occidentale che immancabilmente fa capo<br />

ad essa, si allude spesso attraverso la metafora della morte. Lo stesso passo<br />

evangelico del seme che deve morire per poter vivere - “In verità, in verità vi dico:<br />

se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore,<br />

produce molto frutto” (Giov. 12,24) - presenta la medesima figura retorica. La<br />

15


Pedagogia e Didattica Ciampi, Poggi, Pilato<br />

condizione dell’anima è spesso simile a quella di un uomo che finito in mare tenta<br />

di salvarsi: più fa movimento e più finisce sott’acqua, più produce azione e<br />

peggio è. Se davvero vuole sottrarsi al pericolo, deve compiere un atto che apparentemente<br />

è contro la stessa logica: deve avere la fermezza di rimanere fermo,<br />

deve fare ‘il morto’; solo in questa condizione si salva, in questa morte apparente<br />

ritrova la vita. Allo stesso modo, dunque, gli aspetti egoici dell’anima devono<br />

morire, per far sì che l’uomo, nella sua integrità, ritrovi la pienezza della vita.<br />

Peraltro al di là del valore metaforico, in effetti, la morte di colui che ha vissuto<br />

la propria vita seguendo gli insegnamenti morali di Gesù Cristo, sostenuto dai<br />

Sacramenti della Chiesa, può anche intendersi come liberazione, passaggio a miglior<br />

vita, quella paradisiaca (o quantomeno a uno stato di conservazione, quello<br />

purgatoriale), dove la vicinanza a Dio è libertà. 1 Al contrario, per chi vive nel<br />

peccato - rifiutando volutamente i precetti religiosi volti a tutelare l’integrità della<br />

propria anima - la morte sarà un passaggio a un’ulteriore schiavitù, in uno stato,<br />

quello infernale, caratterizzato da una sofferenza perpetua: tutt’altro che una<br />

liberazione. Dunque, svincolarsi dall’oppressione delle passioni - e quindi delle<br />

paure - mondane, per essere liberi in Dio; una libertà che il Cristiano può già ottenere<br />

in vita, come dimostrano quei santi che sono morti al mondo, abbandonandosi<br />

gioiosamente, e nella libera scelta, 2 a Cristo.<br />

Nella presente unità didattica si è voluto dunque evidenziare questo particolare<br />

aspetto della libertà attraverso un’attività interdisciplinare (Lingua e cultura<br />

Inglese ed Educazione musicale) che porterà gli studenti a confrontarsi con un<br />

testo poetico in L2 set to music.<br />

La scelta di William Shakespeare come fonte letteraria accentua l’aspetto profondamente<br />

etico della produzione teatrale del bardo di Straford, un’arte che non<br />

è mera forma d’intrattenimento, come talvolta viene erroneamente ridotta, ma<br />

una vera e propria occasione per destare la coscienza, attraverso un processo che<br />

culmina nella catarsi. In un passo della commedia Much ado about nothing troviamo,<br />

peraltro pronunciate da un frate, proprio quelle significative parole che ribadiscono<br />

la valenza liberatoria della morte: Die to live! (Atto IV, scena 1), anche se<br />

in un contesto che apparentemente sembra essere soltanto una escamotage per<br />

potersi ricongiungere in seguito al proprio amato (per certi versi qualcosa di simile<br />

accade - anche se con risvolti decisamente tragici - anche in Romeo and Juliet).<br />

Il ‘Lamento funebre per Fidele’, il passo in questione, è invece tratto dal<br />

Cymbeline (Atto 4, scena 2) e celebra la presunta morte di Imogen. Le musiche sono<br />

di Gerald Finzi, raffinato e colto compositore inglese del XX secolo.<br />

1 La lettura del testo shakespeariano, in relazione al dettato pastorale lasalliano del corrente anno sul tema<br />

della libertà, assume dunque valenza allegorica e anagogica.<br />

2 Ma anche col contributo della grazia, che quando è gratisdata viene addirittura a superare l’aspetto volitivo<br />

personale.<br />

16


Song for Fidele QdPD 1 (2008)<br />

PROGRAMMAZIONE GENERALE<br />

<strong>De</strong>stinatari:<br />

Corso di terza media<br />

Discipline coinvolte:<br />

Inglese - Musica<br />

Durata:<br />

10 ore (4 Inglese, 4 Musica, 2 co-presenza Inglese-Musica)<br />

Spazi:<br />

La classe<br />

Metodi e mezzi:<br />

Schede con testo e glossario - Fotocopia della partitura - Lettore CD - Flauti soprani<br />

- Chitarra classica - Pianoforte (o tastiera elettrica)<br />

Obiettivi formativi:<br />

Contestualizzare un testo poetico in L2 e interpretarlo all’interno di un’esecuzione<br />

strumentale e corale, cogliendo aspetti di quella metodologia interdisciplinare<br />

che saranno peraltro utili in sede di colloquio d’esame di licenza.<br />

Inglese:<br />

Note biografico-letterarie su William Shakespeare in L2 - Lettura con particolare<br />

attenzione alla pronuncia e al lessico (arcaismi) - Accenni alla struttura<br />

grammaticale e ritmica del testo poetico - Traduzione del testo (con particolare<br />

attenzione all’uso del vocabolario).<br />

Musica:<br />

Note biografico-musicali sul compositore Gerald Finzi e ascolto del brano nelle<br />

due versioni disponibili (voce e pianoforte/orchestra) - Elaborazione della<br />

trascrizione (ovvero riduzione) per pianoforte, chitarre, coro e orchestra di<br />

flauti dritti (da allegare al progetto) - Formazione del gruppo degli esecutori.<br />

Verifiche:<br />

Prove in itinere sulle abilità linguistiche nella pronuncia del testo - Prove strumentali/vocali<br />

in itinere nell’esecuzione del brano - Prova generale conclusiva<br />

in copresenza dei docenti - Presentazione ed esecuzione conclusiva del brano<br />

in un particolare evento dell’anno scolastico.<br />

17


Pedagogia e Didattica Ciampi, Poggi, Pilato<br />

Bibliografia musicale:<br />

L. Calì, Psicopedagogia nella “educazione musicale”, Milano, 1970.<br />

K. Thomas, Metodo di direzione corale, Firenze, 1970.<br />

G. Stefani, Dal Parlato al canto: l’intonazione recitativa , Firenze, 1976.<br />

A.R. Addessi/C. Luzzi/J. Tafuri, Competenza stilistica musicale dagli 8 ai 14 anni,<br />

Ricerche CNR, 1998.<br />

A. Juvarra, Il canto e le sue tecniche, Milano, 1998.<br />

Bibliografia:<br />

W. Shakespeare, Cymbeline, Milano, 1989.<br />

E. Sharmann, Across cultures, London, 2005.<br />

E. Ciampi, La Rete di Shakespeare, Roma, 2005.<br />

Discografia:<br />

AA.VV., English orchestral songs (Chandos 95115. 8743)<br />

Gerald Finzi, The English Song series 12 (Naxos 8.557644)<br />

ORGANIZZAZIONE SISTEMATICA DELLE LEZIONI<br />

Lezione I (Inglese)<br />

Argomento:<br />

a) Breve riflessione introduttiva sul senso di libertà che raggiunge il Cristiano<br />

che rinuncia al mondo secolarizzato per vivere in Cristo (in L1).<br />

b) William Shakespeare as a dramatist and poet of Christian tradition.<br />

Metodo: Lezione frontale volta a stimolare la partecipazione e l’interesse degli<br />

studenti sul tema (in L1) e sulla figura del drammaturgo inglese (in L2).<br />

Lettura della scheda 1 da parte dell’insegnante che si assicura, attraverso alcune<br />

domande agli studenti, che sia stata compresa.<br />

Obiettivo: Cogliere la relazione tra l’opera teatrale Shakespeariana e l’etica cristiana,<br />

ed essere in grado di relazionare sinteticamente, o di rispondere a domande<br />

poste dall’insegnante (in L2).<br />

Durata: 1 ora<br />

18


Song for Fidele QdPD 1 (2008)<br />

Lezione II (Inglese)<br />

Argomento: Song for Fidele, dal Cymbeline (IV/2) di William Shakespeare<br />

Lettura estensiva del testo (prime due strofe) in L2 e traduzione.<br />

Metodo: Lezione frontale con la scheda 2. Vista la complessità del testo, il docente<br />

accompagna gli studenti nella comprensione delle immagini poetiche<br />

(illustrando un uso approfondito del vocabolario), ed evidenziando le connessioni<br />

e le analogie con l’argomento introduttivo della prima lezione.<br />

Obiettivo: Comprendere i contenuti del testo, confrontandosi con nuovo lessico<br />

e con aspetti particolari del linguaggio poetico.<br />

Durata: 1 ora<br />

Lezione III (Inglese)<br />

Argomento: ‘Song for Fidele’, Cymbeline (IV/2) di William Shakespeare<br />

Lettura estensiva del testo (ultime due strofe) in L2 e traduzione.<br />

Metodo: Lezione frontale con la scheda 2. Vista la complessità del testo, il docente<br />

accompagna gli studenti nella comprensione delle immagini poetiche<br />

(illustrando un uso approfondito del vocabolario), ed evidenziando le connessioni<br />

e le analogie con l’argomento introduttivo della prima lezione.<br />

Obiettivo: Comprendere i contenuti del testo, confrontandosi con nuovo lessico<br />

e con aspetti particolari del linguaggio poetico.<br />

Durata: 1 ora<br />

Lezione IV (Inglese)<br />

Argomento: ‘Song for Fidele’, Cymbeline (IV/2) di William Shakespeare<br />

Lettura intensiva del testo in L2 con particolare attenzione all’aspetto fonetico.<br />

Metodo: Lezione frontale con scheda fotocopiata del testo di Shakespeare con<br />

interventi volti a correggere gli eventuali errori di pronuncia.<br />

19


Pedagogia e Didattica Ciampi, Poggi, Pilato<br />

Obiettivo: Sapere leggere correttamente il testo.<br />

Durata: 1 ora<br />

3 Shakespeare operò come attore e drammaturgo con un gruppo londinese conosciuto come Lord<br />

Chamberlain’ Men. Le sue 37 opere teatrali sono basate su fonti che comprendono scritti latini e dell’antica<br />

grecia, nonché cronache storiche. Includono tragedie (Amleto, Macbeth, Otello…), commedie<br />

(Tanto rumore per nulla, Sogno d’una notte di mezz’estate…), drammi storici (Enrico V, Riccardo III…), e<br />

drammi fantastici (La tempesta, Il racconto d’inverno…). La sua produzione teatrale viene considerata<br />

come eredità della tradizione cristiana. La canzone che andremo a studiare, a cantare e a suonare nella<br />

versione del compositore inglese Gerald Finzi, è tratta dall’opera Cimbelino, la storia a lieto fine della<br />

famiglia d’un monarca britannico durante l’invasione romana. In realtà il canto è un lamento funebre,<br />

ma le parole del poeta sembrano considerare la morte come metafora di libertà, di quella che è la liberazione<br />

finale del fedele cristiano.<br />

20<br />

1 - William Shakespeare (1564 - 1616)<br />

Shakespeare worked as a professional actor and playwright with a group in London<br />

known as the Lord Chamberlain’s Men. His 37 plays are based on a number<br />

of sources including ancient Greek and Latin writings and historical chronicles.<br />

They include tragedies (Hamlet, Macbeth, Othello…), comedies (Much ado about<br />

nothing, A midsummer night’s dream…), histories (Henry V, Richard III…), and romances<br />

(The tempest, The winter’s tale…). His literary production is to be considered<br />

as heritage of the Christian tradition. The song we are going to study, sing<br />

and play in the setting of the British composer Gerald Finzi, is drawn from the<br />

play Cymbeline, the happy ending story of the family<br />

of the King of Britain during the Roman invasion. As<br />

a matter of fact, the song is a funeral chant, but the<br />

words of the poet seem to consider death as a<br />

metaphor of freedom, the Christian believer’s final<br />

surrender). 3<br />

2 - ‘Fear no more the heat of the sun’<br />

Fear no more the heat of the sun,<br />

Nor the furious winter rages<br />

Thou thy worldly task hast done<br />

Home art gone and taken thy wages<br />

Golden lads and girls all must,<br />

As chimney-sweepers, come to dust.


Song for Fidele QdPD 1 (2008)<br />

Fear no more the frown o’ th’ great<br />

Thou art past the tyrant stroke<br />

Care no more to clothe and eat<br />

To thee the reed is as the oak<br />

The sceptre learning physics must<br />

All follow this and come to dust.<br />

Fear no more the lightning-flash<br />

Nor th’ all-dreaded thunder-stone<br />

Fear not slander, censure rash<br />

Thou hast finished joy and moan<br />

All lovers young, all lovers must<br />

Consign to thee and come to dust.<br />

No exorciser harm thee!<br />

Nor no witchcraft charm thee!<br />

Ghost unlaid forbear thee!<br />

Nothing ill come near thee!<br />

Quiet consummation have,<br />

And renowed be thy grave! 4<br />

Glossario dell’inglese elisabettiano e delle contrazioni poetiche:<br />

Art: are / hast: have / o’: of / th’: the / thou: you (subject) / thee: you (object)<br />

/ thy: your<br />

Introduzione alla sezione musicale<br />

La partitura originale è in SI bemolle Maggiore, è stata trasportata un tono so-<br />

4 “<strong>De</strong>ll’arsura d’agosto non aver più timore, il gelo dell’inverno più non ti farà male. Sei arrivato a casa, hai<br />

riscosso la paga; e ti puoi riposare, ch’è finita la strada. Giovani dalle chiome bionde e fanciulle in fiore<br />

muoiono, come il nero spazzacamino muore. <strong>De</strong>l cipiglio dei grandi, dei colpi dei tiranni non aver più<br />

timore. Nulla ti può toccare. Non t’è più necessario mangiare o vestir panni, la quercia o l’arboscello, è<br />

per te cosa uguale. Lo scettro, la dottrina, la medicina, l’opre dell’uomo, tutto passa, tutto diventa polvere.<br />

Non aver più timore del baleno che abbaglia. Né del tuono che romba come suon di battaglia. Non aver<br />

più timore di calunnia e impostura. Per te non c’è più lagrime, né gioia, né sventura. E a te venga ogni<br />

amante sensibile e gentile, polvere ognun diventi, polvere grigia e vile. Non c’è più sortilegio che ti possa<br />

incantare. Non c’è più maleficio che ti possa stregare. Non c’è spettro insepolto che ormai può farti offesa,<br />

né strisciar di serpenti, né morso che avvelena. Dissolviti in silenzio, nella quiete e nell’ombra, caro ai<br />

vivi il tuo nome, venerata la tomba” (traduzione di Gabriele Baldini).<br />

21


Pedagogia e Didattica Ciampi, Poggi, Pilato<br />

pra. Non sono state fatte modifiche a livello armonico, ed è stato quindi rispettato<br />

l’originale, pur semplificandone l’arrangiamento.<br />

Sia la parte pianistica che la parte chitarristica sono state trascritte per un<br />

livello di abilità di quinto anno accademico, tuttavia sono state aggiunte le sigle<br />

degli accordi per facilitare i chitarristi alle ‘prime armi’.<br />

I pianisti che si trovano in difficoltà nell’esecuzione della loro parte possono<br />

suonare la parte melodica e accompagnarsi con gli accordi.<br />

La parte vocale ha una estensione da Do1 al FA2.<br />

Trattandosi di un progetto che si rivolge ad una terza media, sono date per acquisite<br />

le competenze e le conoscenze della grammatica musicale, dei ritmi e<br />

della loro realizzazione, nonché l’abilità di terzo anno di strumento.<br />

Lezione V (Co-presenza Inglese-Musica)<br />

Argomento: La musica come espressione complementare del canto e quindi<br />

del testo poetico.<br />

Contenuti: Gerald Finzi ‘Song for Fidele’ dalla raccolta di Songs Let us garlands<br />

bring.<br />

Metodo: Lezione frontale con ascolto musicale dal CD delle due versioni del<br />

Song (cameristica e orchestrale). Esercitazione alla lettura della partitura attraverso<br />

la lettura parlata ritmica del testo. Successivamente prime intonazioni<br />

vocali.<br />

Sussidi: Scheda fotocopiata della trascrizione del brano per orchestra per flauto<br />

dolce soprano, chitarra, voce e pianoforte.<br />

Obiettivo: Comprensione ritmica ed estensione vocale<br />

Durata: 1 ora<br />

Difficoltà: il primo approccio con lo spartito è il momento più impegnativo e<br />

difficile. È quindi necessario ottenere la massima attenzione da parte dei ragazzi.<br />

Un metodo utile per iniziare può essere quello di utilizzare il testo per<br />

imparare il ritmo – trasformare per pochi attimi questa partitura in una musica<br />

Rap curando, in modalità interdisciplinare col collega d’Inglese, la precisione<br />

del ritmo e delle dinamiche. Leggere quindi ritmicamente il testo, prestan-<br />

22


Song for Fidele QdPD 1 (2008)<br />

do attenzione alla correttezza della pronuncia, e solo successivamente, con<br />

l’aiuto del proprio strumento, il Docente potrà eseguire brevi tratti di melodie<br />

per la prima intonazione.<br />

Lezione VI (Musica)<br />

Argomento: Lettura della partitura<br />

Metodo: Lezione frontale a gruppi strumentali e voce<br />

Durata: 1 ora<br />

Difficoltà: È la lezione forse più impegnativa e talvolta può rischiare di diventare<br />

caotica. La prima domanda che faranno i ragazzi sarà: “e mentre gli altri<br />

suonano io che posso fare?” Giusta osservazione. Personalmente ho adottato<br />

un metodo sicuramente comune ed efficace. Ma prima di spiegarlo è indispensabile<br />

sottolineare che ciò riuscirà solo se ciascuna sezione strumentale costituisce<br />

‘gruppo’, per cui è impegno di tutti dare il massimo ed è questo il sentimento<br />

che il Docente deve far nascere nei ragazzi prima ancora di iniziare.<br />

Comunque in pratica nell’ora di musica i ragazzi si dispongono e cambiano<br />

di posto velocemente (nel cambio con l’ora precedente) in gruppi stabiliti<br />

con il loro strumento. Ognuno si può esercitare mentre l’altra sezione studia<br />

con l’insegnante, ad esempio: le pianole sono dotate di cuffiette, i chitarristi<br />

hanno un panno che legano intorno alla paletta in modo da fermare la<br />

vibrazione delle corde ed attutire il suono, i flautisti poggiano lo strumento<br />

sul mento in modo da memorizzare le posizioni, il coro ha la cuffia con la<br />

musica registrata. A turno sarà il docente ad ascoltare la sezione e impartire<br />

le correzioni.<br />

Mentre un ragazzo del coro può osservare drammaticamente: “Non ci arrivo<br />

al fa? Che mi consiglia professoressa?”. Si rimedia semplicemente abbassando<br />

l’ottava e quindi lasciando che solo il flauto arrivi al fa2, oppure rendere la linea<br />

melodica uguale a discrezione del gusto del Docente.<br />

Lezione VII (Musica)<br />

Argomento: Studio per singole ‘sezioni strumentali’<br />

Metodo: Lezione frontale a gruppi strumentali per l’esecuzione delle melodie<br />

23


Pedagogia e Didattica Ciampi, Poggi, Pilato<br />

OBIETTIVO: Conoscere la parte musicale del proprio strumento e interagire<br />

con altri compagni<br />

DURATA: 2 ore<br />

Difficoltà: È quindi chiaro che l’organizzazione degli strumenti provvede di<br />

per sé a mantenere ordine e quindi permette al Docente di avere la situazione<br />

sotto controllo. Si continua a lavorare per ‘sezioni strumentali’ dividendo la<br />

partitura a piccole melodie. Si consiglia di lavorare in maniera alternata, ad<br />

esempio: flauti e chitarra, chitarra e voce. Alcune melodie sono simili, ma non<br />

tutte, e quindi risulta valida anche l’alternativa: flauto e voce. Ciascuna melodia<br />

può essere ripetuta tutte le volte che il Docente ritenga sia necessario per<br />

passare poi all’esecuzione collettiva.<br />

Lezione VIII (Musica)<br />

Argomento: Esecuzione del brano<br />

Metodo: Lezione frontale per l’esecuzione del brano<br />

Durata: 1 ora<br />

Difficoltà: con l’aiuto del proprio strumento il Docente coordina e dirige la<br />

piccola orchestra. È opportuno che si riparta dalle piccole melodie scelte e piano<br />

piano si uniscano al fine di completare l’esecuzione.<br />

Lezione IX (Co-presenza Inglese-Musica)<br />

Verifica: Esecuzione finale, corale e strumentale, del Song, con eventuali correzioni<br />

da parte dei due docenti in co-presenza.<br />

Criteri di valutazione: Competente ritmiche, strumentali, vocali, linguistiche<br />

(pronuncia).<br />

Durata: 1 ora.<br />

24


Song for Fidele QdPD 1 (2008)<br />

Gerald Finzi (1906 - 1956)<br />

Di lontane origini ebraiche italiane, Finzi fu indirizzato alla composizione da<br />

Charles Stanford e nel 1930 si trasferì a Londra dove in seguito lavorò come<br />

docente, presso la Royal Academy of Music, entrando in contatto con i grandi<br />

compositori inglesi dell’epoca: Gustav Holst, Ralph Vaughan Williams, ma<br />

anche Edmund Rubbra, Herbert Howells, Howard Ferguson, ed Arthur Bliss.<br />

Dopo il essersi sposato nel 1933, andò a vivere con la moglie in una casa di<br />

campagna nell’Hampshire, dove poté dedicarsi completamente alla composizione,<br />

soprattutto di Songs per voce e pianoforte (particolarmente incisive le<br />

sue composizioni sui testi del poeta romantico William Wordsworth e del metafisico<br />

Thomas Traherne, entrambi inglesi) ma anche di brani orchestrali e corali,<br />

mostrando una particolare raffinatezza nelle melodie e nella ricerca timbrica.<br />

La canzone Fear no more the heat of<br />

the sun (ovvero ‘Song for Fidele’) è tratta<br />

dalla sua raccolta di Songs intitolata Let us<br />

garlands bring, e dedicata interamente a testi<br />

poetici concepiti da Shakespeare per essere<br />

eseguiti nelle sue opere teatrali.<br />

1.La lettura del testo shakespeariano, in relazione<br />

al dettato pastorale lasalliano del<br />

corrente anno sul tema della libertà, assume<br />

dunque valenza allegorica e anagogica.<br />

2. Ma anche col contributo della grazia, che in quanto è gratisdata viene addirittura<br />

a superare l’aspetto volitivo personale.<br />

3. Shakespeare operò come attore e drammaturgo con un gruppo londinese<br />

conosciuto come Lord Chamberlain’ Men. Le sue 37 opere teatrali sono<br />

basate su fonti che comprendono scritti latini e dell’antica grecia, nonché<br />

cronache storiche. Includono tragedie (Amleto, Macbeth, Otello…), commedie<br />

(Tanto rumore per nulla, Sogno d’una notte di mezz’estate…), drammi storici<br />

(Enrico V, Riccardo III…), e drammi fantastici (La tempesta, Il racconto d’inverno…).<br />

La sua produzione teatrale viene considerata come eredità della<br />

tradizione cristiana. La canzone che andremo a studiare, a cantare e a<br />

suonare nella versione del compositore inglese Gerald Finzi, è tratta dall’opera<br />

Cimbelino, la storia a lieto fine della famiglia d’un monarca britannico<br />

durante l’invasione romana. In realtà il canto è un lamento funebre, ma le<br />

parole del poeta sembrano considerare la morte come metafora di libertà, di<br />

25


Pedagogia e Didattica Ciampi, Poggi, Pilato<br />

quella che è la liberazione finale del fedele cristiano.<br />

4. “<strong>De</strong>ll’arsura d’agosto non aver più timore, il gelo dell’inverno più non ti<br />

farà male. Sei arrivato a casa, hai riscosso la paga; e ti puoi riposare, ch’è finita<br />

la strada. Giovani dalle chiome bionde e fanciulle in fiore muoiono, come il<br />

nero spazzacamino muore. <strong>De</strong>l cipiglio dei grandi, dei colpi dei tiranni non<br />

aver più timore. Nulla ti può toccare. Non t’è più necessario mangiare o vestir<br />

panni, la quercia o l’arboscello, è per te cosa uguale. Lo scettro, la dottrina, la<br />

medicina, l’opre dell’uomo, tutto passa, tutto diventa polvere. Non aver più<br />

timore del baleno che abbaglia. Né del tuono che romba come suon di<br />

battaglia. Non aver più timore di calunnia e impostura. Per te non c’è più lagrime,<br />

né gioia, né sventura. E a te venga ogni amante sensibile e gentile, polvere<br />

ognun diventi, polvere grigia e vile. Non c’è più sortilegio che ti possa incantare.<br />

Non c’è più maleficio che ti possa stregare. Non c’è spettro insepolto<br />

che ormai può farti offesa, né strisciar di serpenti, né morso che avvelena. Dissolviti<br />

in silenzio, nella quiete e nell’ombra, caro ai vivi il tuo nome, venerata<br />

la tomba” (traduzione di Gabriele Baldini).<br />

26


Song for Fidele QdPD 1 (2008)<br />

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Pedagogia e Didattica Ciampi, Poggi, Pilato<br />

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Song for Fidele QdPD 1 (2008)<br />

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Pedagogia e Didattica Ciampi, Poggi, Pilato<br />

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Song for Fidele QdPD 1 (2008)<br />

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Pedagogia e Didattica Ciampi, Poggi, Pilato<br />

32


Freedom of Soul… QdPD 1 (2008)<br />

Strumenti per la didattica modulare della lingua inglese<br />

Percorso tematico<br />

“Like Gautier, I have always been one of those<br />

pour qui le monde visible existe.”<br />

O.Wilde, ‘<strong>De</strong> Profundis’<br />

“Come Gautier, io sono sempre stato uno di quelli<br />

per cui il mondo sensibile esiste.”<br />

Oscar Wilde<br />

Freedom of Soul, freedom of Man<br />

Libertà dell’Anima, libertà dell’Uomo<br />

MICHELE BARILE<br />

<strong>De</strong>stinatari: III Liceo Classico- V Scientifico<br />

Prerequisiti: conoscenza generale della biografia dell’autore, del periodo storico<br />

in cui visse e delle sue opere.<br />

Percorso:<br />

Si prendono in esame alcuni brani tratti da famose opera letterarie: “The Studies<br />

in the History of Renaissance” di Walter Pater, “The Picture of Dorian<br />

Gray” e “The Ballad of Reading Gaol” di O.Wilde per analizzare i concetti di:<br />

successo e fallimento della vita (W.Pater), l’ideale di Bellezza, i temi del Tempo<br />

e della spiritualità dell’arte (O.Wilde).<br />

Per quanto riguarda la lettura e l’analisi delle strofe iniziali dell’opera “The<br />

Ballad of Reading Gaol” si darà principalmente risalto ai due concetti che pre-<br />

33


Pedagogia e didattica Michele Barile<br />

valgono:” l’uomo uccide ciò che ama” e” la mancanza della pietà nella società<br />

colmata dal riscatto della morte del Figlio di Dio (“God’s Son died for all “)-<br />

Infine il contrasto prigionia- libertà sarà affrontato nella parte conclusiva<br />

del modulo.<br />

Si effettueranno questionari (tasks) a risposta sintetica, per l’analisi dei testi.<br />

Tutto il modulo sarà sviluppato e presentato in lingua inglese.<br />

Strategia didattica:<br />

-lezione frontale, lettura di passi significativi dei testi scelti; analisi e commento<br />

-lezione interattiva<br />

Strumenti:<br />

-testo in adozione<br />

-registratore<br />

-lavagna<br />

-dizionario di lingua inglese<br />

OBIETTIVI<br />

Conoscenze Tematiche:<br />

Gli ideali di vita proposti dell’Estetismo di fine ottocento in Inghilterra<br />

L’ Arte vista come forma di spiritualità<br />

La prigionia, in seguito ad un delitto commesso, come presa di coscienza dei<br />

veri valori umani<br />

Differenza tra il concetto di libertà umana e libertà nella visione di Dio.<br />

Competenze: saper individuare la differenza tra successo e fallimento dell’esistenza<br />

umana in seguito ai principi proposti dal movimento estetico.<br />

Saper evincere dai testi analizzati quali sono i valori umani portanti da ricercare.<br />

Saper comprendere e discutere sui temi di libertà proposti dalla società contemporanea<br />

e quelli suggeriti dagli ideali evangelici<br />

Testi di Riferimento: ”The Picture of Dorian Gray” di Oscar Wilde<br />

“The Ballad of Reading Gaol” di Oscar Wilde.<br />

Testi di supporto bibliografico:<br />

S.T. Coleridge, The Rime of the Ancient Mariner, London 1798<br />

Walter Pater, Studies in the History of Renaissance, Oxford 1873<br />

O.Wilde , <strong>De</strong> Profundis –London ,1905<br />

34


Freedom of Soul… QdPD 1 (2008)<br />

G. D’Annunzio Il Piacere, Milano, 1965<br />

Martin Luther King , I Have a Dream!..Washington,1963<br />

Nadine Gordimer, Burger’s Daughter, London 1979<br />

Nelson Mandela, Long Walk To Freedom, South Africa 1994<br />

D. Alighieri, Divina Commedia<br />

Verifica<br />

L’analisi testuale, con questionari a risposta sintetica, porterà gli alunni alla<br />

composizione di un saggio critico (a critical essay) da presentare alla fine<br />

del percorso.<br />

Discussione degli elaborati<br />

Durata: 8 ore, di cui una per la verifica e una per la correzione.<br />

Step 1 – The Aesthetic Vision of Life<br />

Objectives: learn about Aestheticism in Englandanalyse<br />

extracts from two works which epitomize English Aestheticismlearn<br />

how to compare “success” to “failure” in life -<br />

Documents: from Walter Pater, Studies in the History of Renaissance, 1873<br />

From O. Wilde, The Picture of Dorian Gray, 1891<br />

Study Skills – reading or listening from recorded passages, making notes or<br />

spidergrams, finding out key words – and topics to be added to the title<br />

Task 1– Read the text, Studies in the History of Renaissance, and explain:<br />

how long the best experiences last<br />

what needs to be done in order to make the most of our best experience.<br />

Task 2 – Consider Pater’s view of life.<br />

What does success or failure in life consist of?<br />

What should man devote himself in order to enjoy life’s highest quality?<br />

Why?<br />

Task 3 – read the text by Wilde and explain:<br />

what Lord Henry values in life most of all<br />

what he exhorts Dorian to do<br />

which statements in his speech recall Pater’s in Document 1<br />

Time for step 1, including students’ tasks: 3 hours.<br />

35


Pedagogia e didattica Michele Barile<br />

DOCUMENT 1<br />

Walter Pater, extract from Studies in the History of the Renaissance, 1873<br />

Every moment some form grows perfect in hand or face; some tone on the<br />

hills or sea is choicer than the rest; some mood of passion or insight or intellectual<br />

excitement is irresistibly real and attractive for us, - for that moment<br />

only. Not the fruit of experience, but experience itself is the end. A counted<br />

number of pulses only is given to us of a variegated, dramatic life.<br />

How may we see in them all that is to be seen in them by the finest senses? How<br />

can we pass most swiftly from point to point, and be present always at the focus<br />

where the greatest number of vital forces unite in their purest energy?<br />

To burn always with this hard gem-like flame, to maintain this ecstasy, is success<br />

in life. Failure is to form habits; for habits is relative to a stereotyped<br />

world.<br />

(…) we have an interval, and then our place knows us no more. Some spend<br />

this interval in listlessness 1<br />

Some in high passions, the wisest in art and song. For our one chance is in expanding<br />

that interval, in getting as many pulsations as possible into the given<br />

time. (…) Of this wisdom, the poetic passion, the desire of beauty, the love of<br />

art for art’s sake has most; for art comes to you professing frankly to give nothing<br />

but the highest quality to your moments as they pass, and simply for those<br />

moments’ sake.<br />

DOCUMENT O 1<br />

Walter Pater, dagli Studi Sulla Storia del Rinascimento, Oxford 1873<br />

In ogni istante qualche forma cresce perfetta;c’è qualche colore della collina o del mare<br />

che ci colpisce piu’ di tutto; qualche sensazione derivante da passioni, o da qualche<br />

intuito o da qualche eccitazione intellettuale è irresistibilmente realistica ed attraentesolo<br />

per quell’istante. Non il frutto dell’esperienza, ma l’esperienza stessa, è il fine. Ci<br />

vengono date un certo numero di pulsazioni di una vita variegata, drammatica.<br />

Come facciamo a vedere in esse tutto ciò che si può vedere attraverso i sensi piu’ raffinati?<br />

Come facciamo a passare rapidamente da un punto all’altro, ed essere sempre<br />

pronti ad osservare quel momento in cui il maggior numero di forze vitali si uniscono<br />

1 Listnessness, the condition of feeling indifferent to things (apatia)<br />

36


Freedom of Soul… QdPD 1 (2008)<br />

nella loro energia piu’ pura?<br />

Il successo della vita è ardere sempre di questa fiamma, conservare questa estasi.<br />

Il fallimento è formare abitudini; poiché le abitudini sono proprie di un mondo sempre<br />

uguale.<br />

(…) noi abbiamo un intervallo, e subito dopo il luogo in cui viviamo non ci riconosce<br />

piu’. Alcuni trascorrono quest’intervallo nell’apatia. Altri in profonde passioni, I piu’<br />

saggi nell’arte e nel canto. Per quanto ci riguarda abbiamo una sola possibilità<br />

d’espandere quell’intervallo, sentendo tante pulsazioni possibili nel tempo concesso<br />

(…) La gran parte di questa saggezza è occupata dalla passione poetica, dal desiderio<br />

di bellezza,dal l’amore dell’arte per l’arte; l’arte viene a voi con il franco proposito di<br />

non dar nulla al di fuori della piu’ alta qualità ai vostri momenti mentre passano, e<br />

soltanto per amore di quei momenti.<br />

DOCUMENT 2<br />

‘there is no such thing as a moral or an immoral book’ Oscar Wilde<br />

The Picture of Dorian Gray, 1891<br />

From chapter 2,<br />

Dorian Gray is a young and handsome aristocrat. He is having his portrait<br />

painted by his friend, the artist Basil Hallward. Lord Henry Wotton has come<br />

to visit Basil while Dorian is sitting for his portrait. This is their first meeting<br />

and Lord Henry explains to the young man his doctrine of life.<br />

To me Beauty is the wonder of wonder. It is only shallow people who do<br />

not judge by appearances. The true mystery of the world is the visible, not the<br />

invisible…Yes, Mr Gray, the gods have been good to you. But what the gods<br />

give they quickly take away. You have only a few years in which to live really,<br />

perfectly, and fully. When your youth goes, your beauty will go with it, and<br />

then you will suddenly discover that there are no triumphs left for you, or<br />

have to content yourself with those mean triumphs that the memory of your<br />

past will make more bitter than defeats. Every month as it wanes brings you<br />

nearer to something dreadful. Time is jealous of you, and wars against your<br />

lilies and your roses. You will become sallow 2 , and hollow-cheeked, and dulleyed.<br />

You will suffer horribly…Ah! Realize your youth while you have it.<br />

Don’t squander the gold of your days, listening to the tedious, trying to improve<br />

the hopeless failure, or giving away your life to the ignorant, the common,<br />

ad the vulgar. These are the sickly aims, the false ideals, of our age. Live!<br />

2 Sallow, of a yellow complaxion ( di un colorito giallastro).<br />

37


Pedagogia e didattica Michele Barile<br />

Live the wonderful life that is in you! Let nothing be lost upon you. Be always<br />

searching for new sensations. Be afraid of nothing… A new Hedonism 3 – that<br />

is what our century wants. You might be its visible symbol.<br />

DOCUMENTO 2<br />

Dal Ritratto di Dorian Gray – capitolo due<br />

Dorian Gray è un attraente giovane aristocratico. Il suo amico ed artista Basil<br />

Hallward sta, appunto, ritraendo il suo magnifico aspetto su una tela. Lord<br />

Henry Wotton viene a far visita a Basil proprio mentre Dorian è in posa davanti<br />

al pittore. Questa che segue è una parte del racconto del loro primo incontro<br />

e Lord Henry spiega al giovane la sua dottrina di vita.<br />

Per me la Bellezza è la meraviglia delle meraviglie. Soltanto le persone superficiali<br />

non giudicano dalle apparenze. Il vero mistero del mondo è il visibile, non l’invisibile…..Sì,<br />

Mr Gray, gli dèi vi sono stati benigni, ma gli dèi si riprendono ben<br />

presto quello che hanno donato. Avete solo pochi anni per vivere veramente, perfettamente,<br />

pienamente. Quando verrà meno la vostra gioventu’ sparirà insieme<br />

con essa anche la vostra bellezza e allora vi accorgerete ad un tratto che per voi<br />

non ci sono piu’ trionfi, oppure che dovrete accontentarvi di quei bassi trionfi che<br />

il ricordo del passato vi farà parere piu’ amari di una sconfitta. Ogni mese che passa<br />

vi avvicina a qualcosa di terribile. Il tempo è gelso di voi e ha mosso guerra ai<br />

vostri gigli e alle vostre rose. Diverrete giallo, colle guance incavate,, con l’occhio<br />

smorto. Soffrirete orribilmente…Ah, finché avrete la vostra giovinezza fate di essa<br />

una realtà. Non sprecate l’oro delle vostre giornate ad ascoltare gente noiosa, a<br />

cercar di emendare insuccessi senza speranza, a regalar la vostra vita a gente ignorante,<br />

ordinaria, volgare: son queste le aspirazioni morbose, i falsi ideali del nostro<br />

tempo. Vivete! Vivete la vita prodigiosa che è in voi! Fate che per voi nulla<br />

vada perduto, siate sempre in cerca di sensazioni nuove, non abbiate paura di<br />

niente….Un nuovo Edonismo, ecco quel che occorre al nostro secolo; e voi potreste<br />

esserne il simbolo visibile.<br />

3 Hedonism, cult of pleasure in life (edonismo)<br />

38


Freedom of Soul… QdPD 1 (2008)<br />

Step 2 Human Justice, Divine Forgiveness<br />

Objectives: learn about the theme of ‘Freedom’-<br />

(Is a man free to do whatever he wants to?)<br />

Learn about the concepts of ‘Justice and Punishment’<br />

Learn whether ‘living according to the Aesthetic precepts corresponds to<br />

living in a free way’<br />

Documents – O.Wilde ‘The Ballad of Reading Gaol, 1898<br />

Nelson Mandela, Long Walk to Freedom, South Africa, 1994<br />

Study Skills – reading or listening from recorded passages,<br />

- making notes or spidergrams<br />

- finding out key words and topics to be added to the title<br />

Task 1 – Read the text and state the features of the ballad that can be recognized<br />

in these stanzas;<br />

Say what you have learnt about the man who is going to be executed;<br />

Say what you know about the poet as a prisoner<br />

Compare the man and the narrator of the story<br />

State the symbolic relevance of the colours mentioned in the ballad.<br />

Task 2 – The words of another prisoner: “That fellow’s got to swing’ have a terrible<br />

impact on the narrator.<br />

<strong>De</strong>fine his state of mind and how he manages to convey it to the reader.<br />

By comparing Wilde’s ‘Ballad’ to ‘The Rime’ by S.T Coleridge, find out the<br />

common theme of Punishment and Justice<br />

For Step 2, including students’ tasks, 3 hours<br />

DOCUMENT 3<br />

O. Wilde, The Ballad of Reading Gaol, 1898<br />

from the very beginning of the Poem<br />

In memoriam C.T.W<br />

Sometime Trooper of the Royal Horse Guards<br />

Bit H. M. prison, Reading, Berkshire, 7 July 1896<br />

39


Pedagogia e didattica Michele Barile<br />

He did not wear his scarlet coat,<br />

For blood and wine are red,<br />

And blood and wine were on his hands<br />

When they found him with the dead,<br />

The poor dead woman whom he loved, 5<br />

And murdered in her bed.<br />

He walked amongst the Trial Men<br />

In a suit of shabby grey;<br />

A cricket cap was on his head,<br />

And his step seemed light and gay; 10<br />

But I never saw a man who looked<br />

So wistfully at the day.<br />

I never saw a man who looked<br />

With such a wistful eye<br />

Upon that little tent of blue 15<br />

Which prisoners call the sky,<br />

And at very drifting cloud that went<br />

With sails of silver by.<br />

I walked, with other souls in pain,<br />

Within another ring, 20<br />

And was wondering if the man had done<br />

A great or little thing,<br />

When a voice behind me whispered low,<br />

“that fellow’s got to swing”.<br />

<strong>De</strong>ar Christ! The very prison walls 25<br />

Suddenly seemed to reel,<br />

And the sky above my head became<br />

Like a casque of scorching steel;<br />

And, though I was a soul in pain,<br />

My pain I could not feel. 30<br />

I only Knew what hunted thought<br />

Quickened his step, and why<br />

He looked upon the garish day<br />

With such a wistful eye;<br />

40


Freedom of Soul… QdPD 1 (2008)<br />

The man had killed the thing he loved, 35<br />

And so he had to die.<br />

DOCUMENTO 3<br />

O. Wilde, La Ballata dal Carcere di Reading , 1898<br />

Dall’inizio della Ballata<br />

In memoriam C.T.W<br />

Sometime Trooper of the Royal Horse Guards<br />

Bit H.M. prison, Reading, Berkshire, 7 July 1896<br />

Non portava la sua giacca scarlatta,<br />

Perché il rosso è il colore del sangue e del vino,<br />

E sangue e vino aveva sulle mani<br />

Quando lo trovarono con la morta,<br />

Con la povera morta che aveva amato e 5<br />

assassinata nel suo letto.<br />

Egli camminava fra gli accusati<br />

Con un vestito grigio frusto<br />

Aveva in capo un berretto da cricket<br />

Ed il suo passo pareva leggero e gaio 10<br />

Ma io mai non vidi un uomo guardare<br />

Così ardentemente nel giorno<br />

Io mai non vidi un uomo guardare<br />

Con così ardente pupilla<br />

Quella piccola tenda d’azzurro 15<br />

Che i prigionieri chiamano cielo,<br />

Ed ogni nube errante che passava<br />

Con vele d’argento.<br />

Io camminavo con altre anime in pena<br />

In un altro recinto, e pensavo 20<br />

Se quell’uomo avesse commesso<br />

Una grande o una piccola colpa,<br />

41


Pedagogia e didattica Michele Barile<br />

Quando a bassa voce dietro di me<br />

Fu mormorato:” Quello, lo impiccheranno!”<br />

Cristo Gesu’! Le mura stesse della prigione 25<br />

Sembrarono ad un tratto crollarsi,<br />

E il cielo sulla mia testa divenne<br />

Come un casco di acciaio scottante;<br />

E, come io fossi un’anima in pena,<br />

La mia pena io non potevo sentire 30<br />

Io solamente sapevo quale pensiero inseguito<br />

Affrettava il suo passo, e perché<br />

Egli guardasse il giorno abbagliante<br />

Con così ardente pupilla,<br />

L’uomo aveva ucciso ciò che egli amava, 35<br />

E pertanto doveva morire.<br />

DOCUMENT 4<br />

From Nelson Mandela, Long Walk to Freedom, 1994<br />

In every life, every man has twin obligations – obligations to his family, to<br />

his parents, to his wife and children; and he has an obligation to his people,<br />

his community, his country. In a civil and humane society, each man is able<br />

to fulfil those obligations according to his own inclinations and abilities.<br />

But in a country like South Africa, it was impossible for any man of my<br />

birth and colour to fulfil both of those obligations. In South Africa, a man<br />

of colour who attempted to live as a human being was punished and isolated.<br />

In South Africa, a man who tried to fulfil his duty was inevitably ripped<br />

from his family and his home and forced to live apart, a twilight existence<br />

of secrecy and rebellion.<br />

DOCUMENTO 4<br />

Da Il Lungo Cammino Verso la Libertà, di Nelson Mandela, Sud Africa,1994<br />

Nella vita ogni uomo ha due obblighi- l’obbligo verso la sua famiglia, i<br />

suoi genitori, sua moglie e i suoi figli; e ha un obbligo verso il suo popolo,<br />

la sua comunità, il suo paese. In una società civile ed umana, ogni uo-<br />

42


Freedom of Soul… QdPD 1 (2008)<br />

mo è in grado di assolvere a tali obblighi secondo le sue attitudini ed abilità.<br />

Ma in un paese come il Sud Africa , era impossibile per un nativo di<br />

colore come me riuscire a soddisfare questi obblighi. In Sud Africa, qualsiasi<br />

uomo di colore che cercava di vivere come un essere umano veniva<br />

punito ed isolato. In Sud Africa, se un uomo cercava di portare a termine<br />

il suo dovere veniva inevitabilmente sradicato dalla sua famiglia, dalla<br />

sua casa e veniva costretto a vivere in isolamento, albore di un’ esistenza<br />

segregata e ribelle.<br />

Final Task: According to your answers to the previous tasks, write now a composition(<br />

180-200 words) in order to highlight the following points:<br />

(Struggle) for freedom (see Mandela, M.L. King, Nadine Gordimer….)<br />

(Struggle) for Justice (see O. Wilde)<br />

Further to the studies afforded in these units, say what idea of Justice and Freedom we<br />

have today, and how they differ from the ones suggested by Jesus Christ.....<br />

for this step - 2 hours<br />

43


Giustizia e Popolo… QdPD 1 (2008)<br />

Strumenti per la didattica modulare del latino<br />

Percorso tematico<br />

“Remota itaque iustitia, quid sunt regna, nisi magna latrocinia?”<br />

(Agostino <strong>De</strong> Civitate <strong>De</strong>i IV,4)<br />

Se non è rispettata la giustizia, cosa sono gli stati<br />

se non delle grandi bande di ladri?<br />

Giustizia e Popolo in <strong>San</strong>t’Agostino<br />

ALESSANDRO CACCIOTTI<br />

<strong>De</strong>stinatario: III LICEO CLASSICO<br />

Percorso: Si parte dalla famosa frase di Agostino e dall’aneddoto di Alessandro<br />

e il pirata – si prendono quindi in esame i testi del <strong>De</strong> Republica di Cicerone<br />

1, 25 e del <strong>De</strong> Civitate <strong>De</strong>i 4,4; 19, 21 e ss. di s. Agostino, di cui si fa lettura,<br />

traduzione e commento – si approfondiscono in seguito i termini della questione<br />

(concetti di res publica, populus, ius) - si passa poi all’esame comparativo<br />

operato da Agostino sul testo di Cicerone – si allarga quindi l’orizzonte sul<br />

rapporto fra Agostino e Roma – si precisano alcuni termini della questione<br />

nella cultura classica precedente – si traggono le conclusioni mettendo in evidenza<br />

gli apporti originali del grande dottore della Chiesa d’Occidente.<br />

Obiettivi<br />

Conoscenze:<br />

Concetti di res publica, iustitia, ius, civis, populus;<br />

Il rapporto tra Stato, diritto e cittadino nel mondo antico;<br />

45


Pedagogia e Didattica Alessandro Cacciotti<br />

Le opinioni sul modello ideale di Stato nell’antichità;<br />

Il concetto di giustizia nel pensiero classico e in quello agostiniano;<br />

L’attualità del dibattito e le sue implicazioni nella cultura contemporanea.<br />

Competenze:<br />

comprendere alcuni fondamenti del pensiero politico e sociale dell’antichità;<br />

saper individuare dal confronto di più testi e autori del passato il difficile ma<br />

costruttivo percorso verso il mondo moderno;<br />

acquisire strumenti per una indagine analitica e scientifica dei testi;<br />

comprendere le somiglianze e le differenze tra mondo antico e moderno di alcuni<br />

fondamentali concetti giuridici e politici.<br />

Testi di riferimento principali:<br />

<strong>De</strong> Republica di Cicerone 1, 25 - <strong>De</strong> Civitate <strong>De</strong>i 4,4; 19, 21 e ss. di S. Agostino<br />

Durata complessiva<br />

9 ore, di cui due per la verifica e la discussione delle correzioni<br />

Lezione I<br />

Stato e Popolo<br />

La frase famosa è citata da Benedetto XVI nella sua prima enciclica <strong>De</strong>us caritas<br />

est, pubblicata il 25 dicembre 2005, per indicare il rapporto fra politica e<br />

46<br />

Argomento Lo Stato è davvero “cosa del popolo”, come dice Cicerone?<br />

Contenuti <strong>De</strong> Republica di Cicerone 1, 25 e del <strong>De</strong> Civitate <strong>De</strong>i 4,4; 19, 21 e ss. di<br />

S. Agostino<br />

Lettura, traduzione e commento dei testi<br />

Metodo Lezione frontale con testo in fotocopia dei due scrittori<br />

Trascrizione della traduzione e delle note su quaderno personale<br />

dello studente<br />

Obiettivo Conoscere l’opinione di Cicerone sullo Stato e la critica che di essa<br />

ha condotto Agostino<br />

Introduzione al pensiero politico di Agostino<br />

Durata 2 ore


Giustizia e Popolo… QdPD 1 (2008)<br />

giustizia : “La giustizia è lo scopo e quindi anche la misura intrinseca di ogni<br />

politica. La politica è più che una semplice tecnica per la definizione dei pubblici<br />

ordinamenti: la sua origine e il suo scopo si trovano appunto nella giustizia<br />

e questa è di natura etica”. 1 La frase di Agostino si colloca nel l. IV del <strong>De</strong><br />

Civitate <strong>De</strong>i:<br />

“Se non è rispettata la giustizia, che cosa sono gli Stati se non delle grandi bande di ladri?<br />

Perché anche le bande dei briganti che cosa sono se non dei piccoli Stati? È pur sempre<br />

un gruppo di individui che è retto dal comando di un capo, è vincolato da un patto<br />

sociale e il bottino si divide secondo la legge della convenzione. Se la banda malvagia aumenta<br />

con l’aggiungersi di uomini perversi tanto che possiede territori, stabilisce residenze,<br />

occupa città, sottomette popoli, assume più apertamente il nome di Stato che gli è accordato<br />

ormai nella realtà dei fatti non dalla diminuzione dell’ambizione di possedere ma<br />

da una maggiore sicurezza nell’impunità. Con finezza e verità a un tempo rispose in questo<br />

senso ad Alessandro il Grande un pirata catturato. Il re gli chiese che idea gli era venuta<br />

in testa per infestare il mare. E quegli con franca spavalderia: “La stessa che a te per<br />

infestare il mondo intero; ma io sono considerato un pirata perché lo faccio con un piccolo<br />

naviglio, tu un condottiero perché lo fai con una grande flotta “ 2<br />

Agostino lascia chiaramente intendere, qualificando la risposta del pirata “fine<br />

e veritiera” 3 , che tra un grande impero che sottomette interi popoli e depreda<br />

le loro ricchezze e una piccola banda di ladri non vi è differenza se non di quantità.<br />

Perché dal punto di vista della qualità l’una e l’altra associazione di uomini<br />

sono la stessa cosa, essendo mancante nell’una e nell’altra la giustizia verso gli<br />

altri. Non può sfuggire che anche una banda di briganti si fonda sugli stessi requisiti<br />

di iuris consensus e utilitatis communio, che per Cicerone erano alla base della<br />

definizione di populus. <strong>De</strong>l resto anche un popolo ben unito all’interno può agire<br />

ingiustamente all’esterno. La differenza sta solo nell’impunità assicuratagli<br />

dalla sua potenza. E come giudicare le guerre di conquista? «Muovere guerra ai vicini,<br />

continuare con altre guerre, sconfiggere e assoggettare per semplice ambizione di dominio<br />

popoli che non davano molestia, che altro si deve considerare se non un grande atto<br />

di brigantaggio?» 4 Con lo stesso spirito, Agostino si è opposto alla tortura, alla<br />

quale il giudice ricorreva abitualmente nell’amministrazione della giustizia, contro<br />

degli innocenti per cercare di conoscere i colpevoli: «E che dire quando un tale<br />

subisce la tortura in un processo e viene straziato quando s’investiga se è colpevole e un<br />

innocente subisce pene certissime per un reato incerto?» 5 Allora questa giustizia che<br />

si risolve in ordinata organizzazione interna non può essere la vera.<br />

Il ragionamento di Agostino parte dal principio ciceroniano che sine summa<br />

1 BENEDETTO XVI, <strong>De</strong>us caritas est, 28 a<br />

2 <strong>De</strong> Civ. <strong>De</strong>i 4, 4<br />

3 Ibid.4,4<br />

4 Ibid. 4, 6<br />

5 Ibid. XIX, 6.<br />

47


Pedagogia e Didattica Alessandro Cacciotti<br />

iustitia rem publicam regi non posse. 6 Nel l. XIX del <strong>De</strong> Civitate <strong>De</strong>i egli però conduce<br />

una critica serrata al concetto di Stato, così come lo aveva definito Cicerone:<br />

“Lo Stato è cosa del popolo e popolo non è ogni unione d’uomini aggregati casualmente,<br />

ma l’unione di una moltitudine legata in società nel consentire in un diritto e nella comunanza<br />

di un’utilità. La sua prima causa d’unirsi è non tanto la debolezza, quanto lo è<br />

una forma d’aggregazione direi naturale tra gli uomini: perché questa razza non è idonea<br />

a vivere né a spostarsi in solitudine ” . 7 Come si vede, per Cicerone la giustizia non è<br />

solo un principio regolativo della vita politica, ma anche e soprattutto costitutivo<br />

del popolo. Come l’armonia della musica, così la giustizia nella vita sociale<br />

stabilisce la concordia fra le parti più diverse e quindi costituisce l’unità della res<br />

publica. Qualora venga meno la giustizia, tale unità scompare. Conclude però<br />

Agostino: «Se dunque lo Stato (res publica) è cosa del popolo, se la definizione è vera,<br />

non è mai esistito lo Stato romano, perché mai fu cosa del popolo, ed egli [Cicerone] ha dimostrato<br />

che questa è la definizione dello Stato. Ha infatti definito il popolo come l’unione<br />

di un certo numero d’individui, messa in atto dalla conformità del diritto e dalla comunanza<br />

degli interessi.” 8 La mancanza di giustizia viene dimostrata da Agostino<br />

con un veloce excursus nella storia romana, sulla scorta di grandi scrittori latini,<br />

quali Sallustio, Tito Livio, Cicerone, che avevano descritto le vicende di Roma<br />

come una sequela interminabile di vizi e immoralità. Cicerone, parlando della<br />

presente condizione dello Stato, citava un verso famoso del poeta Ennio: Lo<br />

Stato romano è saldo in virtù dei costumi e uomini antichi 9 . Continuava poi Cicerone<br />

“Mi sembra che per la brevità e la verità egli abbia derivato quel verso come da un oracolo.<br />

Infatti né gli uomini, se la cittadinanza non fosse stata di buoni costumi, né i costumi,<br />

se non fossero stati a capo quegli uomini, avrebbero potuto fondare o conservare tanto<br />

a lungo una società civile tanto grande e che domina su regioni tanto estese. Quindi<br />

nel periodo anteriore al nostro ricordo lo stesso costume patrio adoperava uomini eccellenti<br />

e questi conservavano l’antico costume e gli istituti degli antenati. La nostra età<br />

avendo avuto in consegna una società come una pittura perfetta, ma un po’ stinta dall’antichità,<br />

non solo ha trascurato di restaurarla con i colori originali, ma non si è preoccupata<br />

neanche di conservare almeno il modellato e il disegno. Che cosa rimane dei costumi<br />

antichi con cui, come Ennio ha detto, stava saldo lo Stato romano se li vediamo talmente<br />

in disuso per dimenticanza che non solo non sono conservati ma perfino ignorati?<br />

6 CICERONE, <strong>De</strong> rep. 2,43 – AGOSTINO, <strong>De</strong> civ. <strong>De</strong>i, 2,21<br />

7 Cic, <strong>De</strong> re publica I,25: Est igitur res publica res populi, popolus autem non omnis coetus quoquo modo congregatus,<br />

sed coetus multitudinis iuris consensu et utilitatis communione sociatus. Eius autem prima causa coeundi est<br />

non tam imbecillitas quam naturalis quaedam hominum quasi congregatio; non est enim singulare nec solivagum<br />

genus hoc.” E ancora in III,33: “Populus non est […] nisi qui consensu iuris continetur” (Non è popolo se<br />

non quello che è tenuto insieme dal consensuale riconoscimento di diritti)<br />

8 <strong>De</strong> civitate <strong>De</strong>i XIX, 21.<br />

9 ENNIO, Ann. Fr. 284<br />

48


Giustizia e Popolo… QdPD 1 (2008)<br />

E che dire degli uomini? I costumi sono scomparsi per carenza di uomini. E di un così<br />

grande male non solo dovremmo render conto ma in certo senso essere accusati di delitto<br />

capitale. E a causa dei nostri vizi e non per una eventualità qualsiasi conserviamo il nome<br />

di società civile ma in realtà l’abbiamo perduta da tempo” 10 .<br />

Lezione 2<br />

Argomento Rapporto tra Agostino e il mondo romano alla luce del sacco di<br />

Alarico<br />

Contenuti Accenni storici sugli avvenimenti dell’inizio del IV sec. d. C.<br />

Lettura e commento di testi che motivano la genesi<br />

del <strong>De</strong> Civitate <strong>De</strong>i<br />

Metodo Presentazione in Power Point del periodo storico<br />

Lezione frontale con testi in fotocopia<br />

Trascrizione della traduzione e delle note su quaderno personale<br />

dello studente<br />

Obiettivo Dimostrare il profondo inserimento di Agostino nel mondo e nella<br />

cultura romana;<br />

Motivare la genesi dell’opera del <strong>De</strong> Civitate <strong>De</strong>i<br />

Durata 1 ore<br />

Agostino e Roma<br />

Agostino non è ostile a Roma, tutt’altro. E’ stato educato alla conoscenza di<br />

tutto il patrimonio della cultura classica e si situa all’interno dell’Impero romano<br />

del suo tempo, di cui apprezza la grandezza. Egli è romano non solo di<br />

lingua e di cultura, ma anche di sentimenti e di cuore; non è un avversario, ma<br />

un ammiratore della romanità, delle leggi dell’impero e dei benefici resi da esse<br />

ai popoli. Addirittura ai suoi occhi Roma diventa il simbolo della città celeste:<br />

“Dio infatti mostrò nel ricchissimo e famoso impero romano quanta forza avessero<br />

le virtù civili, anche senza la vera religione, affinché si comprendesse che, qualora<br />

ci sia anche la vera religione, gli uomini diventano cittadini della Città celeste, ove regna<br />

come regina la Verità, come legge la Carità e che ha per durata l’Eternità” 11 .<br />

Sembra poi superfluo ricordare l’ammirazione che ebbe per Virgilio, per Cice-<br />

10 CICERONE, <strong>De</strong> rep. 5,1,1-2<br />

11 Ep. 138,3,17 (a Marcellino)<br />

49


Pedagogia e Didattica Alessandro Cacciotti<br />

rone, per Varrone e la vastità delle sue conoscenze letterarie: tutta la cultura<br />

antica si può dire che è presente nell’opera agostiniana e non solo per essere<br />

criticata. Anzi diventa principio fondamentale della città di Dio accettare e<br />

conservare le leggi, la cultura, le istituzioni di tutti i popoli ai quali si rivolge,<br />

purché non impediscano il culto del vero Dio: “La Città celeste […] convoca cittadini<br />

da tutte le nazioni, da tutte le lingue raccoglie una società pellegrina, non badando<br />

alle differenze dei costumi, delle leggi, delle istituzioni con le quali si stabilisce<br />

o si mantiene la pace terrena; non sopprime né distrugge alcuna di queste cose, anzi<br />

accetta e conserva tutto ciò che, sebbene diverso nelle diverse nazioni, tende a un solo<br />

e medesimo fine: la pace terrena, a condizione che non impedisca la religione che insegna<br />

ad adorare l’unico Dio, sommo e vero”. 12<br />

E tuttavia egli sa distinguere i piani nella Città di Dio: quello dell’opera divina<br />

che, tramite la grazia, tocca il cuore dell’uomo e quello delle forze umane che<br />

costruiscono l’Impero. Ha il coraggio di evidenziare la brama di dominio che<br />

con guerre incessanti ha sottomesso il mondo mediterraneo alla potenza di Roma.<br />

«Questo risultato» dice Agostino «è stato raggiunto con molte e immani guerre,<br />

con grande scempio di uomini e grande spargimento di sangue umano». 13 Agostino<br />

è stato spettatore nel 410 del sacco di Roma da parte di Alarico senza lasciarsi<br />

andare alla disperazione, come ha fatto il suo contemporaneo <strong>San</strong> Gerolamo.<br />

Roma non subiva una catastrofe simile dall’invasione dei Galli di Brenno nel<br />

390 a. C, perciò l’avvenimento fu letto come il segno più evidente dell’imminente<br />

crollo dell’impero e della fine un’epoca. Sembrava che la legge polibiana<br />

dell’anaciclosi si stesse per realizzare e il pianto dell’Emiliano di fronte alle rovine<br />

di Cartagine, causato dal presentimento che anche la sua città avrebbe potuto<br />

un giorno avere una simile fine, fosse stato davvero profetico.<br />

Invece Agostino continuò ad esprimere fiducia nella perennità di Roma “flagellata,<br />

non uccisa”; “castigata, non distrutta”. 14 Il <strong>De</strong> Urbis excidio, poi, discorso<br />

pronunciato recenti excidio tantae urbis, porta gli echi dello sgomento e della<br />

commozione che colpì Agostino insieme a tanti altri ed enuncia i principi della<br />

teologia cristiana della sofferenza: “Ci sono state annunciate cose orrende: stragi,<br />

incendi, rapine, uccisioni, tormenti. E’ vero, abbiamo udito molte cose: su tutte abbiamo<br />

gemuto, spesso abbiamo pianto, siamo riusciti appena a consolarci”. 15<br />

Il saccheggio di Roma suscitò accese polemiche in ambiente pagano contro il Cristianesimo,<br />

perché veniva attribuita ad esso la responsabilità della decadenza<br />

dello Stato romano. Agostino con il <strong>De</strong> Civitate <strong>De</strong>i si proponeva proprio di smontare<br />

questa accusa, che a suo dire tra l’altro, era sostenuta anche da chi aveva<br />

avuto salva la vita proprio perché aveva trovato rifugio nelle chiese cristiane,<br />

12 <strong>De</strong> Civ. <strong>De</strong>i, 19, 17<br />

13 <strong>De</strong> civitate <strong>De</strong>i 19, 7.<br />

50<br />

14 Serm. 81,9<br />

15 Serm. <strong>De</strong> Urbis excidio 6


Giustizia e Popolo… QdPD 1 (2008)<br />

verso le quali i barbari si erano mostrati più rispettosi. Dice nelle Retractationes:<br />

“Frattanto Roma fu messa a ferro e fuoco con l’invasione dei Goti che militavano sotto<br />

il re Alarico; l’occupazione causò un’enorme sciagura. Gli adoratori dei molti falsi<br />

dèi, che con un appellativo in uso chiamiamo pagani tentarono di attribuire il disastro<br />

alla religione cristiana e cominciarono a insultare il Dio vero con maggiore acrimonia<br />

e insolenza del solito. Per questo motivo io, ardendo dello zelo della casa di Dio, ho stabilito<br />

di scrivere i libri de La città di Dio contro questi insulti perché sono errori.” 16<br />

Agostino vuole perciò respingere l’affermazione pagana che il Cristianesimo<br />

ha provocato la fine delle virtù civiche e quindi la decadenza di Roma, che<br />

invece dipende, a suo parere, proprio dalla insufficienza di ogni sistema politico,<br />

basato solo su principi umani, a garantire la giustizia.<br />

Lezione 3<br />

Argomento Il concetto di giustizia e rapporto fra Stato e cittadino nel mondo<br />

antico<br />

Contenuti Breve excursus a partire dai miti antichi per passare poi a Platone –<br />

Aristotele – Polibio - Cicerone - Ulpiano<br />

Metodo Lezione frontale<br />

Video DVD sulla polis greca<br />

Obiettivo Comprendere alcuni fondamentali concetti giuridici dell’antichità<br />

Saper evincere da un testo criteri di analisi di comportamenti umani<br />

individuali e sociali;<br />

Comprendere le somiglianze e le differenze tra il mondo greco e<br />

quello romano<br />

Durata 2 ore<br />

Il concetto di giustizia nel mondo antico<br />

Esiste un accordo quasi unanime nella tradizione antica nel dare alla giustizia<br />

un ruolo determinante e una funzione portante nella formazione della<br />

moralità umana, nella costituzione delle strutture dello Stato e nell’attuazione<br />

del progresso e dell’incivilimento. Platone le dedica il primo libro della Politeia,<br />

il Clitofonte e gran parte del libro quarto delle Leggi; Aristotele il libro quinto<br />

dell’Etica Nicomachea; i poeti la personificano con Dike, dea della giustizia<br />

16 Retract. 2, 43,1<br />

51


Pedagogia e Didattica Alessandro Cacciotti<br />

distributiva, in Themi, dea della rettitudine e dell’equità naturale e anche in<br />

Nemesi, dea vendicativa dei rapporti sociali e della storia. Per Platone la giustizia<br />

è l’armonia tra le facoltà dell’anima e anche tra le classi di cittadini, in<br />

quanto assegna ad ogni facoltà oppure ad ogni classe sociale quello che a ciascuno<br />

spetta, come attuazione del proprio compito (ta autou prattein). Nella Repubblica<br />

è famosa la confutazione della tesi del sofista Trasimaco, secondo cui<br />

la giustizia è l’utile (sympheron) del più forte. Questa definizione, tramite le domande<br />

di Socrate, viene politicamente chiarita così:<br />

“... ciascun governo istituisce leggi (nomoi) per il proprio utile; la democrazia fa leggi<br />

democratiche, la tirannide tiranniche e allo stesso modo gli altri governi. E una volta<br />

che hanno fatto le leggi, proclamano che il giusto per i governati è ciò che è invece<br />

il loro proprio utile, e chi se ne allontana lo puniscono come trasgressore della legge ed<br />

ingiusto. Questo, mio ottimo amico, è quello che dico giusto, il medesimo in tutte<br />

quante le poleis, l’utile del potere costituito. Ma, se non erro, questo potere detiene la<br />

forza. Così ne viene, per chi sappia ben ragionare, che in ogni caso il giusto è sempre<br />

identico all’utile del più forte”. 17<br />

Per Aristotele la giustizia partecipa dell’essenza della virtù e dovrebbe rappresentare<br />

il giusto mezzo tra un difetto e un eccesso. Il concetto di medietà è riferito<br />

a due quantità estreme, che sono il troppo e il troppo poco nell’assegnazione<br />

degli onori e beni pubblici o nello scambio privato dei beni. Non si tratta<br />

di dare a tutti in modo uguale, ma di dare a ciascuno il proprio. Si fa risalire<br />

ad Aristotele la distinzione tra giustizia distributiva e giustizia commutativa;<br />

la prima regola i rapporti pubblici (distribuzione di onori e pubbliche ricchezze),<br />

l’altra i rapporti privati (scambio di cose).<br />

Nel mondo romano viene conservato il significato naturalistico della giustizia,<br />

ma è posto in maggiore rilievo l’aspetto soggettivo della medesima. Cicerone<br />

nel <strong>De</strong> inventione scrive: Iustitia est habitus animi, communi utilitate conservata,<br />

suam cuique tribuens dignitatem (la giustizia è uno stato morale, osservata per<br />

l’utilità di tutti, che dà a ciascuno una propria dignità) 18 . Ulpiano in modo<br />

analogo afferma: Iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum cuique tribuendi<br />

(la giustizia è la costante e perpetua volontà di riconoscere a ciascuno il proprio<br />

diritto). 19 L’ habitus animi si trasforma nella constans et perpetua voluntas;<br />

la dignitas nello ius. La giustizia è come una virtù attiva; non è solo scienza o<br />

ratio che segue la natura, ma è arte e voluntas. 20 In tale definizione c’è il riconoscimento<br />

che la giustizia consiste non, genericamente, nella conformità dei<br />

17 Platone, Repubblica, 338c-339a. 18 <strong>De</strong> inv. II, 53, 160 19 Dig. I, 1, 10 pr.<br />

20 Altra famosa definizione si trova nella Rhetorica ad Herennium, III, 2, 3, opera per lungo tempo attribuita<br />

a Cicerone (iustitia est aequitas ius unicuique retribuens pro dignitate cuiusque); cfr.<strong>De</strong> fin. V, 23, 67 (iustitia in<br />

suo cuique tribuendo); <strong>De</strong> nat. deor. III, 15, 38 (iustitia, quae suum cuique distribuit).<br />

52


Giustizia e Popolo… QdPD 1 (2008)<br />

fatti della vita associata all’ordinamento dello Stato (come avevano concepito<br />

i Greci) ma nella concreta predisposizione di regole e meccanismi di tutela,<br />

ispirati all’equità, culminanti nell’attribuzione a ciascun individuo (unicuique)<br />

del diritto a lui riconosciuto (suum ius) e finalizzati a garantire la dignità di ciascuno<br />

(pro dignitate cuiusque).<br />

Pur se non lo afferma esplicitamente, Cicerone ritiene che la fonte del processo<br />

di equità che garantisce il diritto soggettivo (aequitas ius unicuique retribuens)<br />

è l’autorità (auctoritas) degli organi dello Stato. Anche per Ulpiano iustitia<br />

est constans et perpetua voluntas suum unicuique tribuendi. 21 Egli conferma,<br />

così, che la giustizia è uno stabile sistema di tutela di diritti riconosciuti e attribuiti<br />

al singolo e che all’apice di tale sistema c’è l’autorità (voluntas) degli<br />

organi statali che ne garantiscono l’attuazione. 22<br />

Rapporto tra Stato e cittadino nel mondo antico<br />

Come si vede dunque il dibattito sulla giustizia presupponeva una concezione<br />

di Stato e di Popolo. Prima di Cicerone, tra gli altri, avevano diffusamente<br />

dibattuto sull’argomento Erodoto (nel discorso cosiddetto tripolitikòs), Platone,<br />

Aristotele e Polibio (soprattutto nel l. VI delle Storie). Tutti si erano affannati<br />

a definire il modello ideale di Stato. Nel mondo greco era centrale la polis,<br />

comunità-stato, che non fu soltanto una organizzazione politica e militare,<br />

ma anzitutto una koinonía – come soleva dire Polibio – cioè una comunità spirituale,<br />

religiosa ed educativa, in cui il polítes, il cittadino, era riconosciuto come<br />

soggetto giuridico unicamente per il suo vincolo di appartenenza ad essa<br />

e nei limiti della sua identificazione con gli interessi e la vita della città. La comunità-stato<br />

era tutto e i suoi componenti ne facevano parte come le braccia<br />

fanno parte del corpo umano. Quello che contava era la polis in quanto tale: al<br />

di fuori di essa, il polítes non esisteva; dentro, egli contava sì ma come membro,<br />

organo del tutto. Si ricorderà che Aristotele definiva il cittadino greco zôon<br />

politikón, animale politico, nel senso che al di fuori della politèia, cioè della<br />

cittadinanza e delle attività ad essa proprie, non può esistere l’individuo, o, se<br />

esiste come entità materiale, non può avere le stesse qualità e opportunità che<br />

la polis riconosce al cittadino come tale. Infatti, chi non faceva parte della polis<br />

si chiamava ídios. I Romani tradussero la medesima espressione con la parola<br />

privatus, che allude alla mancanza di un requisito essenziale alla soggettività<br />

del civis, quello pubblico. La partecipazione alla vita della polis fu nella società<br />

greca considerata talmente decisiva e caratterizzante per la personalità<br />

21 Dig. I, 1, 10 pr.<br />

22 Mi avvalgo in queste considerazioni dell’intervento di P. Calogero, Sul concetto di iuris consensus in<br />

sant’Agostino, in “Etica e Politica” IX, 2007, n. 2<br />

53


Pedagogia e Didattica Alessandro Cacciotti<br />

individuale che il restarne fuori equivaleva alla morte morale.<br />

In questo quadro delineato solo sommariamente, la persona come centro<br />

di autonomi diritti e interessi e come limite all’esercizio del potere statale non<br />

esiste. Questo spiega perché, in definitiva, la giustizia sia stata definita dai<br />

Greci, senza tanta problematicità, “conformità alle leggi della polis” e abbia costantemente<br />

ignorato l’idea non solo del riconoscimento ma perfino dell’esistenza,<br />

accanto e in dialettica con gli interessi pubblici, di sia pur limitati e fondamentali<br />

diritti soggettivi del cittadino.<br />

Nel mondo romano, la situazione cambia sotto molteplici aspetti, perché<br />

subentrano due elementi di straordinaria importanza. Il primo è costituito da<br />

quella che possiamo chiamare la scoperta del principio di legalità. 23 Mediante<br />

questo principio, i Romani diedero forma a un concetto chiave, che diverrà<br />

universale acquisizione del mondo moderno: solo riconoscendo diritti alla<br />

persona e dotandola di poteri di azione nei confronti del trasgressore, la legge<br />

può porre limiti effettivi all’espandersi dell’altrui potere e garantire l’esercizio<br />

delle libertà. Perciò al di fuori della legge non c’è che arbitrio e sopraffazione.<br />

Cicerone, sintetizzando questo pensiero, poté scrivere legum servi sumus,<br />

ut liberi esse possimus. 24 È la solenne affermazione del principio di legalità,<br />

in base alla quale i diritti riconosciuti ai cittadini sono garantiti da regole<br />

certe e predeterminate e che l’auctoritas, chiamata all’esercizio della giurisdizione,<br />

sia vincolata alla loro puntuale applicazione e sottoposta al dominio<br />

della legge.<br />

Tale principio però ebbe una forza solo all’interno dei rapporti di diritto<br />

privato. Con riferimento ai poteri pubblici, invece, il principio di legalità non<br />

seppe esprimere limiti forti, o quantomeno apprezzabili, perché la res publica<br />

ebbe anche per i Romani un ruolo primario e, rispetto agli interessi in essa incardinati,<br />

quelli del cittadino dovevano, in caso di contrasto, soccombere.<br />

Pur circoscritte all’ambito privatistico, le regole attuative del principio di<br />

legalità ebbero tuttavia una applicazione molto estesa, articolata e perfino garantistica,<br />

al punto che la loro definitiva sistemazione, codificata nel Corpus<br />

iuris civilis da Giustiniano, è stata diritto vigente per quasi tutti i popoli d’Europa<br />

fino alla codificazione napoleonica.<br />

Il riconoscimento dei diritti soggettivi fu conseguenza di un’altra scoperta<br />

del pensiero giuridico e politico romano, anticipatore del principio personalistico.<br />

Cicerone usa in proposito un termine famoso: quello di humanitas, che<br />

potremmo tradurre con “dignità della persona”, concetto nel quale convergono<br />

e convivono alcuni attributi fondamentali dell’individuo, che si fondano<br />

sul riconoscimento della specificità della persona umana, soggetto dotato di<br />

24 Pro Cluentio 53,146<br />

54


Giustizia e Popolo… QdPD 1 (2008)<br />

ragione e per questo distinto da tutti gli altri esseri viventi. L’humanitas implica<br />

l’acquisizione di una vasta cultura, il senso del rispetto e della tolleranza, il<br />

dovere di rendersi utile alla società e alla patria, l’autocontrollo, le buone maniere,<br />

la liberalità, la benevolenza, che, secondo Cicerone, è espressione di<br />

quella inclinazione diffusa negli uomini ad amarsi e ad amare, che dev’essere<br />

tenuta sempre presente come uno dei fondamenti del diritto. Naturalmente<br />

l’Arpinate non si spinge fino al punto di misconoscere il superiore interesse<br />

della res publica, per il quale questi diritti, pur fondamentali, della persona<br />

possono essere all’occorrenza sacrificati.<br />

Lezione 4<br />

Argomento Il concetto di giustizia in S. Agostino<br />

Contenuti Approfondimento della critica di Agostino a Cicerone e alla<br />

tradizione giuridica classica<br />

Metodo Lezione frontale con analisi e traduzione dei testi in fotocopia<br />

Obiettivo Comprendere la diversa interpretazione di alcuni termini;<br />

Comprendere che la specificità dell’interpretazione agostiniana<br />

della giustizia consiste nel ricondurre tutto al concetto cristiano<br />

di caritas.<br />

Durata 2 ore<br />

Giustizia in S. Agostino<br />

<strong>De</strong>lle precedenti elaborazioni classiche rimane, nella concezione agostiniana<br />

della giustizia, l’acquisizione fondamentale dello ius, inteso come diritto<br />

soggettivo. Agostino non solo ne condivide l’essenza, ma ne fa uno degli assi<br />

portanti della definizione di giustizia, che per lui è appunto consensus iuris. Il<br />

che significa che per lui la fonte dispensatrice e attributiva di diritti non è più<br />

la voluntas o la auctoritas dello Stato. E in luogo di essa compare per la prima<br />

volta, nel panorama definitorio, la parola consensus. Il termine nasce dal linguaggio<br />

e dall’esperienza giuridica in relazione alla sottoscrizione di contratti<br />

e vuole esprimere l’accordo di più soggetti che contraggono un patto. Non<br />

è la voluntas di cui parla Ulpiano o l’auctoritas statale che costituisce il fondamento<br />

dei diritti soggettivi ma, all’opposto, questi si fondano su una volontà<br />

55


Pedagogia e Didattica Alessandro Cacciotti<br />

pattizia che vincola gli individui e lo Stato e la cui forza impone a quest’ultimo<br />

di riconoscerli e rispettarli.<br />

Tanto essenziale è per Agostino l’elemento pattizio dei diritti, espresso dalla<br />

locuzione iuris consensus, che in esso egli identifica non solo la nozione di<br />

giustizia ma l’elemento costitutivo della nozione sia di Popolo sia di Stato.<br />

Egli afferma che se manca il patto fondativo dei diritti, non solo non si dà giustizia,<br />

ma viene meno pure il popolo come pluralità ordinata e armonica di<br />

persone accomunate dagli stessi interessi riconosciuti e garantiti dallo Stato; e<br />

viene meno anche quest’ultimo, perché Stato non c’è se non è fondato sul riconoscimento<br />

dei diritti individuali e quindi sulla giustizia.<br />

Particolarmente in due brani del <strong>De</strong> civitate <strong>De</strong>i Agostino chiarisce quali<br />

sono, a suo parere, i contenuti fondamentali del concetto di giustizia, in assenza<br />

dei quali - sostiene nel primo di essi - al re dovrebbe essere attribuito il nome<br />

di tiranno, alla classe dei governanti quello di fazione, al popolo quello di<br />

una moltitudine di uomini non associati (tenuti insieme) dal consenso sul reciproco<br />

riconoscimento dei diritti e dalla comunanza degli interessi (multitudo<br />

iuris consensu et utilitatis communione sociata) 25 : con la conseguenza che lo Stato,<br />

in cui ciascuno dei suddetti elementi converge, sarebbe a sua volta non solo<br />

marcio ma addirittura inesistente.<br />

Analoghe e forse più puntuali considerazioni egli esprime in un altro passo<br />

famoso, in cui afferma categoricamente: “Dove non c’è vera giustizia non può<br />

esserci associazione di uomini basata sul consensuale riconoscimento dei diritti e<br />

quindi neanche un popolo, secondo la definizione di Scipione e di Cicerone; e se non<br />

c’è popolo non c’è neppure la cosa del popolo ma quella di una moltitudine qualunque<br />

che non merita il nome di popolo. Or dunque: se la repubblica è la cosa del popolo e<br />

non c’è popolo là dove non c’è associazione di uomini accomunati dal reciproco riconoscimento<br />

dei diritti, se diritti non ci sono dove non c’è giustizia, si deve concludere<br />

che dove non c’è giustizia non c’è repubblica ”. 26<br />

Come appare evidente, in ambedue i brani Agostino fa ruotare l’idea di<br />

giustizia, in assenza della quale è compromessa l’esistenza di un’aggregazione<br />

umana definibile come popolo e come stato, su una entità complessa che<br />

egli definisce con la locuzione iuris consensus e subito dopo come virtus, quae<br />

sua cuique distribuit.<br />

Sulla base della definizione di Cicerone, Agostino ritiene quindi di aver di-<br />

25 <strong>De</strong> civ. <strong>De</strong>i 2, 21<br />

26 <strong>De</strong> civ. <strong>De</strong>i 19, 21: “Ubi non est vera iustitia, iuris consensu sociatus coetus hominum non potest esse et ideo nec<br />

populus iuxta illam Scipionis vel Ciceronis definitionem; et si non populus, nec res populi, sed qualiscumque multitudinis,<br />

quae populi nomine digna non est. Ac per hoc, si res publica res est populi et populus non est, qui consensu<br />

non sociatus est iuris, non est autem ius, ubi nulla iustitia est: procul dubio colligitur, ubi iustitia non est,<br />

non esse rem publicam”.<br />

56


Giustizia e Popolo… QdPD 1 (2008)<br />

mostrato che la res publica romana non fu mai una società civile, perché non si<br />

ebbe mai in essa la vera giustizia. Forse lo fu solo per certi suoi aspetti e in<br />

tempi molto antichi, ma la vera giustizia si ebbe soltanto nella società, di cui Cristo<br />

è fondatore e sovrano 27 , che è di sicuro uno stato del popolo, se non uno stato<br />

pubblico. Se la giustizia è, secondo la classica tradizione greco-romana, accettata<br />

anche da lui, rendere a ciascuno il suo, non è giusto chi non rende il suo<br />

a Dio, creatore dell’uomo. La pienezza della giustizia sta quindi nel restituire<br />

amore all’amore di Dio. Al culmine del suo ragionamento la giustizia diventa<br />

amore. E’ questo un punto fermo del pensiero agostiniano, espresso con una<br />

di quelle formule grandiose tipiche del suo stile: “Caritas magna, magna iustitia<br />

est; caritas perfecta, perfecta iustitia est”. 28 Anche per il concetto di populus Agostino<br />

riserva una sorpresa: dopo aver tanto citato la definizione di Cicerone,<br />

afferma:”Il popolo si può definire non con questa formula (quella di Cicerone), ma<br />

con un’altra, cioè: il popolo è l’unione di un certo numero di individui ragionevoli associati<br />

dalla concorde partecipazione degli interessi che persegue” 29 La novità consiste<br />

nel sostituire il concetto di iuris consensus con concors dilectio, e cioè della<br />

giustizia con l’amore. Non bisogna ovviamente dimenticare che tutto il <strong>De</strong> civ.<br />

<strong>De</strong>i è sorretto dall’idea della dualità antinomica dell’amore, scolpita nel famoso<br />

passo del l.XIV, 28: fecerunt itaque civitates duas amores duos…. L’amore è la<br />

massima forza aggregante della vita, in quanto è fonte di concordia e di unione,<br />

perciò il popolo trova in esso il suo motivo costitutivo. Istituzioni, leggi,<br />

costumi trovano il loro fondamento e il loro criterio direttivo in tale amore.<br />

Questo non implica necessariamente il riconoscimento di Cristo, quale suo<br />

conditor rectorque, come risultava per la giustizia (2, 21); gli è sufficiente avere<br />

l’amore in comune, che tuttavia non basta per farlo essere un popolo giusto,<br />

poiché per essere tale dovrebbe seguire quell’amor <strong>De</strong>i, che è la giustizia nella<br />

sua trasfigurata pienezza di senso: la iustitiae veritas (19,24). Pertanto, secondo<br />

Agostino, i Romani, come gli Assiri o i Greci hanno costituito veramente dei<br />

popoli, nel senso politico della parola, pur avendo ignorato Dio e quindi la vera<br />

giustizia. 30<br />

Il Cristianesimo opera così un capovolgimento rivoluzionario della concezione<br />

di giustizia. Nel suo credo la persona, che è imago <strong>De</strong>i, diviene centro del<br />

creato e il fine dell’agire politico, caput et fundamentum del sistema politico,<br />

giuridico e istituzionale. Non solo, ma la nozione di persona viene ad acquistare<br />

una latitudine mai conosciuta prima, perché abbraccia anche gli umili, i<br />

bisognosi, i poveri, gli emarginati, cioè tutte quelle creature che nella società<br />

25 <strong>De</strong> civ. <strong>De</strong>i 2, 21<br />

27 <strong>De</strong> civ. <strong>De</strong>i 2,21<br />

28 <strong>De</strong> natura et gratia 70<br />

29 <strong>De</strong> civ. <strong>De</strong>i 19,24<br />

30 S. COTTA, S. Agostino e la politica, in Opere di S.<br />

Agostino, La Città di Dio, pp. CXLIII e sgg.<br />

57


Pedagogia e Didattica Alessandro Cacciotti<br />

greca e in quella romana non godevano di piena dignità e non erano considerate<br />

soggetti di diritti.<br />

Per riconoscere e tutelare i diritti anche di queste creature una concezione<br />

cristiana della giustizia, come quella di Agostino, apriva di fatto la via alle moderne<br />

concezioni dei diritti umani e dei limiti effettivi all’esercizio del potere.<br />

Verifica<br />

Traduzione e analisi dell’inizio del cap. 24 del L. 19 del <strong>De</strong> Civitate <strong>De</strong>i:<br />

Si autem populus non isto, sed alio definiatur modo, velut si dicatur:”Populus est coetus<br />

multitudinis rationalis rerum quas dirigi concordi comunione sociatus”, profecto,<br />

ut videatur qualis quisque populus sit, illa sunt intuenda, quae dirigi. Quaecumque<br />

tamen diligat, si coetus est multitudinis non pecorum, sed rationalium creaturarum<br />

et eorum quae dirigi concordi comunione sociatus est, non absurde populus nuncupatur;<br />

tanto utique melior, quanto in melioribus, tantoque deterior, quanto est in deterioribus<br />

concors. Secundum istam definitionem nostram Romanus populus populus<br />

est et res eius sine dubitatione respublica.<br />

Oppure: Tre quesiti a risposta con trattazione sintetica di max 15 righe, scelti<br />

fra gli argomenti appronditi<br />

Dibattito: I concetti di giustizia e di Stato così come sono stati delineati da<br />

Agostino possono essere validi anche per i moderni Stati cosiddetti “laici”?<br />

58


Il dialogo dei Melii… QdPD 1 (2008)<br />

Strumenti per la didattica modulare del greco<br />

Percorso tematico<br />

Se il regno di Satana esiste, non può essere altro che la guerra.<br />

erasmo da rotterdam<br />

Il dialogo dei Melii e degli Ateniesi<br />

(Thuc. V 85-112)<br />

MArco cIlIone<br />

Il modulo intende illustrare agli alunni le caratteristiche della storiografia<br />

tucididea attraverso l’analisi di uno dei passi più emblematici della Guerra del<br />

Peloponneso, ovverosia il dialogo dei Melii e degli Ateniesi. l’approccio didattico<br />

porrà particolare enfasi sul rapporto tra diritto del vincitore e senso della<br />

giustizia, evidenziando come questo tema percorra i secoli dall’antichità classica<br />

all’età moderna senza sostanziali mutamenti di prospettiva.<br />

<strong>De</strong>stinatario: II liceo classico.<br />

Prerequisiti:<br />

- conoscenze generali di morfologia e sintassi;<br />

- quadro storico della guerra del Peloponneso;<br />

- caratteristiche della storiografia ionica erodotea;<br />

- la sofistica e il concetto di antilogia.<br />

59


Pedagogia e Didattica Marco Cilione<br />

Contenuti e testi: Thuc. V 85-112.<br />

Testi di supporto:<br />

1. Thuc. V 85-112.<br />

2. Thuc. III 82-84.<br />

3. IG I 2 97<br />

4. IG V 1.<br />

5. Aristoph. Pax 296-298.<br />

6. Hdt. VIII 46, 4; VIII 48; IX 106.<br />

7. <strong>De</strong>mosth. Per la libertà dei Rodii, 29.<br />

8. Isocrate, Archidamo 34-39.<br />

9. Machiavelli, Principe XXV.<br />

10. Passi scelti da Ariosto, Orlando furioso; Lena.<br />

11. IG I 3 60.<br />

12. Gorgia, Encomio di Elena 6.<br />

Strategia didattica e strumenti:<br />

- lezione frontale e partecipata;<br />

- uso di schede lessicali;<br />

- lavoro sui documenti epigrafici forniti in fotocopia.<br />

Obiettivi:<br />

- leggere e tradurre il testo tucidideo;<br />

- contestualizzare il passo all’interno del retroterra storico-politico dell’autore;<br />

- collocare il passo analizzato nell’economia generale dell’opera;<br />

- commentare dal punto di vista storico-critico il testo;<br />

- riflettere sul tema del rapporto tra giustizia e diritto del vincitore.<br />

Verifica: breve passo da tradurre e commentare.<br />

Durata: 5 ore, 3 per le lezioni e 2 per la verifica.<br />

60


Il dialogo dei Melii… QdPD 1 (2008)<br />

Lezione nr. 1<br />

Titolo Atene e i suoi alleati: l’antefatto storico-politico del dialogo.<br />

contenuti<br />

e testi<br />

Strategia<br />

e strumenti<br />

1. Thuc. V 85-112<br />

2. IG I2 97<br />

3. IG I3 60<br />

- lezione frontale e partecipata.<br />

- Dossier di fonti fornite in fotocopia.<br />

- Uso di schede lessicali.<br />

- Uso del DELG.<br />

obiettivi - contestualizzare i fatti.<br />

- Indagare le ragioni sottese all’atto di forza ateniese.<br />

- Passare in rassegna le fonti disponibili per interpretare i fatti.<br />

- <strong>De</strong>finire il concetto di guerra e di giustizia nella società greca.<br />

- Selezionare e interpretare le parole-chiave.<br />

Durata 1 h.<br />

l’estate del 416 a. c. vede ancora signori di Atene Alcibiade e nicia ed è segnata<br />

da un’impresa molto significativa per comprendere la forza dell’egemonia<br />

ateniese: la conquista di Melo. Melo è una piccola isola delle cicladi che<br />

nicia aveva già tentato invano di sottomettere nel 426 a. c. insidiandola con<br />

60 triere e 2000 opliti: Melo, terra di stirpe dorica 1 , infatti, era la sola isola delle<br />

cicladi a non essere tributaria di Atene, anche se figurava come debitrice<br />

della lega delio-attica nel decreto che cleone era riuscito a far approvare alla<br />

boulé dopo il successo di Sfacteria. Il decreto prevedeva che il tributo degli alleati<br />

fosse elevato da 500 a 1460 talenti per rimpinguare l’ormai esangue tesoro<br />

dell’Acropoli e fronteggiare con più tranquillità le onerose spese di guerra.<br />

In realtà l’influenza politica della lega delio-attica su Melo era solo nominale<br />

e l’isola continuava a conservare i suoi legami identitari con Sparta, pur beneficiando<br />

di fatto del clima di sicurezza e quindi di prosperità economica che la<br />

protezione della lega contribuiva a creare. l’imposizione della propria giurisdizione<br />

su Melo, però, andava ben oltre la riscossione di un tributo: la sottomissione<br />

dell’isola offriva in realtà ad Atene l’occasione di dimostrare ad amici<br />

e nemici la sua indiscussa egemonia sul mare. Tuttavia la resistenza di Me-<br />

1 I Melii erano apoikoi di Sparta: essi si aspettano dunque dalla madrepatria protezione e vendetta in nome<br />

dei rapporti di syngheneia. non a caso Thuc. VII 57, 1 associa l'idea di syngheneia a quella di dike: questo<br />

legame, forte nella civiltà arcaica, entra verosimilmente in crisi nel V sec. a. c. a seguito della diffusione<br />

di un razionalisno che ha snaturato anche il rapporto madrepatria-colonia in termini di astrazione intellettualistica<br />

(cfr. Musti 1994, p. 424; Musti 1991 2 , p. 41-42; p. 68, n. 2).<br />

61


Pedagogia e Didattica Marco Cilione<br />

lo si rivelò dannosa tanto all’isola quanto ad Atene: per l’una, infatti, una docile<br />

resa avrebbe evitato le terribili sanzioni, per l’altra una conquista pacifica<br />

avrebbe dissipato l’odio 2 suscitato da una così sproporzionata rivalsa.<br />

l’eccidio di Melo, del resto, è solo l’esito più macroscopico dell’odio che<br />

l’impero ateniese stava lentamente instillando nei suoi alleati. nell’economia<br />

della lega delio-attico, nata all’insegna del motto comuni amici, comuni nemici,<br />

esisteva di fatto una sproporzione evidente nella distribuzione delle risorse a<br />

tutto vantaggio dello splendore ateniese. A fronte di una solida protezione gli<br />

alleati avrebbero persino potuto tollerare una tale sperequazione, ma l’imperialismo<br />

assumeva sempre di più i tratti della tirannia e questo non faceva altro<br />

che alimentare l’orgoglio della ribellione e del riscatto: Ferrabino 3 sottolinea,<br />

quindi, come la solidarietà economica generasse paradossalmente un’antitesi<br />

politica. l’esercizio del sopruso era intimamente connesso al regolamento<br />

tributario dell’Attica: i proprietari di beni immobili erano esenti dal tributo<br />

ordinario e si compiacevano che a pagare per loro fossero i sudditi della lega.<br />

I conservatori, dunque, si dichiaravano fedeli a questo principio della democrazia<br />

ateniese che né Pericle, né cleone, né nicia vollero ovviamente intaccare,<br />

tranne poi doverne pagare lo scotto nella rete di ostilità che si stava a poco<br />

a poco delineando intorno ad Atene. le parole di Tucidide, in questo senso, invitano<br />

alla saggezza: anche quando il vincitore è nella posizione di imporre le<br />

sue condizioni dovrebbe comunque tener presente l‘equità (to epieikes) e con<br />

un’inattesa vittoria su di sé in generosità, fare una pace scambievole e ragionevole<br />

(per cleone non c’è posto per l’epieikeia nella gestione di un impero e nei rapporti<br />

internazionali). Ma questa è la posizione dei deboli; il più forte impone<br />

la sua volontà a prescindere da qualsiasi condizionamento morale: è quanto<br />

gli Ateniesi ricordano ai Melii, vale a dire quanto esige la Machtpolitik, il corrispettivo<br />

della tyrannis. Il dialogo diventa dunque, dalla parte dei Melii, un<br />

tentativo di persuasione sofistica all’indirizzo degli Ateniesi che anche il vincitore<br />

deve agire secondo equità, una dimostrazione in netta antilogia con la<br />

posizione amorale di Atene. così i Melii invano parlano dei meriti passati,<br />

dell’approvazione divina, dell’obbligo morale. Alla fine sono tre i punti intorno<br />

a cui si articola il loro tentativo di persuasione:<br />

- l’interesse comune del più forte e del più debole;<br />

- una politica imperialistica di espansione non può produrre sicurezza;<br />

- un impero basato sulla forza è destinato a perire.<br />

la sorte è imprevedibile: il pericolo può minacciare oggi il più debole, domani<br />

ugualmente il più forte. non ha senso, quindi, distruggere ciò che può servire al<br />

bene comune. Inoltre la conquista di un paese, secondo i Melii, vuol dire scontro<br />

2 cfr. <strong>De</strong> <strong>San</strong>ctis 1939, p. 306.<br />

62<br />

3 cfr. Ferrabino 1927, p. 266.


Il dialogo dei Melii… QdPD 1 (2008)<br />

con i nuovi confinanti e timore e ostilità da parte di quelli non ancora aggrediti.<br />

Agli occhi degli Ateniesi, invece, l’atteggiamento di Melo è pura follia (Poll»n te<br />

¢log…an tÁj diano…aj paršcete, e„ m¾ metasths£menoi œti ¹m©j ¥llo ti tînde<br />

swfronšsteron gnèsesqe 4 .): sperare nell’aiuto di Sparta 5 e degli dei, ipotecare il<br />

futuro di fronte all’imminente sciagura esula dalla logica del realismo politico.<br />

Tucidide non esprime giudizi sulla follia dei Melii e sulla violenza degli<br />

Ateniesi: si limita a ricostruire, con straordinaria perizia nell’invenzione documentaria<br />

6 , un dialogo verosimile, mettendo a frutto non solo l’apprendistato<br />

sofistico, ma anche l’approccio diagnostico della nascente scienza medica, che<br />

deve valutare i sintomi tenendo conto del quadro clinico complessivo. A Tucidide<br />

non sfugge, infatti, la necessità di contestualizzare il dialogo nell’alveo<br />

degli eventi che l’hanno preceduto e l’hanno seguito. non a caso il giudizio<br />

che gli Ateniesi esprimono su Sparta sembra chiaramente improntato all’esperienza<br />

sul campo. leggiamo, a questo proposito, i passi del dialogo:<br />

AQ. 3. [...] tÁj d j Lakedaimon…ouj dÒxhj, ¿n di¦ tÕ a„scrÕn d¾ bohq»sein<br />

Øm‹n pisteÚete aÙtoÚj, makar…santej Ømîn tÕ ¢peirÒkakon oÙ zhloàmen tÕ<br />

¥fron. 4. LakedaimÒnioi g¦r prÕj sf©j m n aÙtoÝj kaˆ t¦ picèria nÒmima<br />

ple‹sta ¢retÍ crîntai: prÕj d toÝj ¥llouj poll¦ ¥n tij œcwn e„pe‹n æj<br />

prosfšrontai, xunelën m£list' ¨n dhlèseien Óti pifanšstata ïn ‡smen t¦<br />

m n ¹dša kal¦ nom…zousi, t¦ d xumfšronta d…kaia. ka…toi oÙ prÕj tÁj<br />

Ømetšraj nàn ¢lÒgou swthr…aj ¹ toiaÚth di£noia 7 .<br />

AQ. OÜkoun o‡esqe tÕ xumfšron m n met' ¢sfale…aj e nai, tÕ d d…kaion kaˆ kalÕn<br />

met¦ kindÚnou dr©sqai: Ö LakedaimÒnioi ¼kista æj pˆ tÕ polÝ tolmîsin 8 .<br />

4 Thuc. V 111, 2: Dimostrate di essere davvero folli, se, dopo averci congedato, non delibererete qualcos'altro tra le<br />

cose più sagge.<br />

5 I Melii rifiutano la resa e muoiono fedeli alla loro indole spartana in nome di un insensato principio di<br />

decoro e onore.<br />

6 nella cultura antica, al legame tra libera invenzione e menzogna sembrano sottrarsi da una parte le finzioni<br />

dialogiche e mitologiche di Platone, perché funzionali all'indagine filosofica sul vero, dall'altra le<br />

invenzioni documentarie degli storici finalizzate a una migliore rappresentazione e intelligenza dei fatti.<br />

rispetto a questa seconda categoria si deve accantonare l'odierna concezione puristica del documento storico:<br />

soltanto così si può comprendere la disposizione ingenua che di fronte ai verosimili discorsi e dialoghi<br />

di Tucidide opera tanto nell'autore quanto nel lettore.<br />

7 Thuc. V 105, 3-4: 3. [...] Quanto alla vostra opinione sugli Spartani – che cioè essi, paventando la vergogna, correrebbero<br />

ad aiutarvi -, mentre ci rallegriamo per l'ingenuità, non vi invidiamo la follia. 4. In genere gli Spartani praticano<br />

la virtù soltanto nei loro rapporti interni: al contrario, sul loro modo di agire verso gli altri ci sarebbe davvero<br />

molto da dire. In due parole: gli Spartani sono coloro i quali, a nostra conoscenza, più sfacciatamente di chiunque<br />

altro, stimano bello quel che piace e giusto ciò che giova. Difficilmente una tal maniera di pensare può giovare a quella<br />

vostra salvezza di cui, in questa situazione, andate farneticando. (Traduz. di l. canfora).<br />

8 Thuc. V 107: E non pensate che l'utile si persegue evitando i pericoli, mentre il giusto e il nobile con rischio? Una<br />

strada, questa, nella quale gli Spartani per lo più non si avventurano. (Traduz. di l. canfora).<br />

63


Pedagogia e Didattica Marco Cilione<br />

AQ. TÕ d' curÒn ge to‹j xunagwnioumšnoij oÙ tÕ eÜnoun tîn pikalesamšnwn<br />

fa…netai, ¢ll' Àn tîn œrgwn tij dun£mei polÝ proÚcV: Ö LakedaimÒnioi<br />

kaˆ plšon ti tîn ¥llwn skopoàsin (tÁj goàn o„ke…aj paraskeuÁj<br />

¢pist…v kaˆ met¦ xumm£cwn pollîn to‹j pšlaj pšrcontai), éste oÙk e„kÕj<br />

j nÁsÒn ge aÙtoÝj ¹mîn naukratÒrwn Ôntwn peraiwqÁnai 9 .<br />

Dopo aver condotto la prima parte della lezione secondo una modalità<br />

frontale, ricorrendo all’ausilio di una buona carta geografica per illustrare lo<br />

scenario dello scontro, fornisco ai ragazzi le fotocopie con il testo tucidideo: affronteremo<br />

insieme il lavoro di traduzione e potrò verificare, con un esercizio<br />

guidato di commento, quanto della necessaria lezione frontale preliminare è<br />

stato recepito.<br />

Secondo gli Ateniesi la fiducia dei Melii negli Spartani sarebbe mal riposta:<br />

gli Spartani, infatti, sono coraggiosi e leali solo all’interno della loro comunità,<br />

mentre all’esterno l’autonomia dei loro alleati è direttamente proporzionale<br />

al proprio tornaconto, come già aveva fatto notare ironicamente Pericle nel<br />

discorso rivolto agli Ateniesi all’inizio della guerra 10 . Atene vuole qui attenuare<br />

la sua immagine di sovrana dispotica e liberticida e lo fa gettando fango<br />

sull’ipocrisia del sistema oligarchico spartano, che certo non pretendeva ufficialmente<br />

tributi dagli alleati, ma ne accettava di volontari 11 , e che in ogni caso<br />

esigeva l’adozione del suo modello di governo per gestire meglio i propri<br />

interessi. In questo primo brano, quindi, mi interessa far notare ai ragazzi due<br />

elementi essenziali della strategia psicagogica messa in atto dagli Ateniesi:<br />

- lo sforzo dialettico volto a stigmatizzare la politica estera spartana per meglio<br />

giustificare l’insaziabile esazione di tributi della lega delio-attica;<br />

- l’insistenza sulla follia dei Melii che sperano nell’aiuto di Sparta: l’uso del<br />

sostantivo tÕ ¥fron e dell’aggettivo ¢lÒgou legato a swthr…aj tende a con<br />

notare nel senso della dissennatezza e dell’illogicità la vana speranza dei Melii.<br />

concludo la lezione assegnando la lettura integrale dall’italiano di Thuc. V<br />

85-112 e invitando i ragazzi a ripassare quando hanno appreso sulla sofistica<br />

nelle lezioni di filosofia dell’anno precedente. Aggiungo anche un esercizio di<br />

analisi testuale sugli altri due brevi passi riportati in fotocopia.<br />

9 Thuc. V 109: Badate che, per chi deve accorrere in aiuto, la sicurezza non è data dalla benevolenza di chi ha sollecitato<br />

l'intervento: quello che importa è che abbia rilevanti forze militari. E' a questo che badano gli Spartani molto<br />

più degli altri: basti pensare che a tal punto diffidano della loro preparazione che persino nei conflitti coi loro vicini<br />

si muovono con un gran dispiegamento di alleati. Insomma è assolutamente impensabile che si avventurino in uno<br />

sbarco su di un'isola mentre noi abbiamo il dominio sul mare. (Traduz. di l. canfora).<br />

10 cfr. Thuc. I 1.44, 2.<br />

11 cfr. IG V 1, 1.<br />

64


Il dialogo dei Melii… QdPD 1 (2008)<br />

Lezione nr. 2<br />

Titolo Il dialogo e la sofistica.<br />

contenuti<br />

e testi<br />

Strategia<br />

e strumenti<br />

1. Thuc. V 85-112.<br />

2. Thuc. III 82-84.<br />

- lezione frontale e partecipata.<br />

- Dossier di fonti fornite in fotocopia.<br />

obiettivi - <strong>De</strong>finire il rapporto tra sofistica e storiografia tucididea;<br />

- <strong>De</strong>finire il genere letterario a cui appartiene il dialogo;<br />

- Individuare le leggi che secondo Tucidide governano la storia.<br />

- Selezionare e interpretare le parole-chiave.<br />

Durata 1 h.<br />

la lezione si apre con la verifica dell’esercizio di analisi testuale da cui<br />

emergono essenzialmente tre dati:<br />

- l’affermazione della politica dell’utile (tÕ xumfšron) sull’etica arcaica che<br />

avrebbe dovuto far prevalere il giusto e il nobile (tÕ d d…kaion kaˆ kalÕn)<br />

di fronte alla legittima richiesta di Melo, in ragione del rapporto di<br />

consanguineità con Sparta;<br />

- il valore di Tucidide come polemologo: non sono né la fortuna né la speranza a<br />

governare la fenomenologia della guerra, ma fattori umani calcolabili e<br />

prevedibili 12 . non si interviene a sostegno di qualcuno, se non si può contare<br />

su rilevanti forze militari (tîn œrgwn tij dun£mei polÝ proÚcV), e Sparta, in<br />

genere, interviene solo se può contare sulla massiccia adesione dei suoi alleati;<br />

- il potere di Atene sul mare (naukratÒrwn Ôntwn 13 ).<br />

e’ il momento di verificare il ripasso della sofistica. Prima, però, invito i ragazzi<br />

a riflettere sul genere letterario a cui ascriverebbero questo passo tucidideo,<br />

se non appartenesse a un’opera storica. Appurato che sembra proprio il<br />

dialogo di un dramma, anzi addirittura di una tragedia, considerando l’epilogo<br />

nefasto, dovremmo chiederci perché Tucidide abbia preferito la forma<br />

12 cfr. canfora 1991, p. 33.<br />

13 Da quanto si riesce a leggere in IG I 2 97, interessante esempio di epigrafe stoichedica, fornita ai ragazzi<br />

in fotocopia (per la figura e il testo vd. canfora 1991, pp. 176-177), il corpo di spedizione inviato contro<br />

Melo nel 416 era costituito da 30 triremi (rigo 12), 1200 opliti ateniesi (rigo 16) e 300 arcieri (rigo 17). Gli<br />

opliti degli alleati erano 1700, gli arcieri a cavallo 20, le triere di chio 6, di lesbo 2 (cfr. Thuc. V 84; vd.<br />

Ferrabino 1927, p. 262).<br />

65


Pedagogia e Didattica Marco Cilione<br />

drammatica al resoconto. Questo dialogo continuato, che rispetta tra l’altro<br />

l’unità pseudo-aristotelica di luogo, non ha precedenti nella storiografia greca,<br />

né possiamo dire che abbia fatto proseliti. la sua struttura è armonica: una<br />

lunga serie di battute incorniciate da due brevi didascalie sceniche. Westlake<br />

ritiene che il dialogo fosse stato pensato come un’opera a sé stante, alla moda<br />

dei dialoghi storico-mitici dei sofisti contemporanei. <strong>De</strong>l resto, se si elimina il<br />

dialogo dalla narrazione tucididea, il racconto non risulta affatto incongruente.<br />

e’ molto seducente l’ipotesi secondo cui Tucidide, ispirandosi alla moda<br />

delle antilogie sofistiche, abbia voluto attingere a un fatto di storia contemporanea<br />

per svolgere un tema esemplare di filosofia politica: una super-potenza<br />

che si impone su un piccolo stato neutrale nella totale indifferenza dell’altra<br />

super-potenza nemica. Il titolo di questa antilogia tucididea potrebbe essere La<br />

logica di potenza e la sua giustificazione. Questo tema si inquadra perfettamente<br />

nel dibattito sofistico tra legge convenzionale e stato di natura, dove l’auxethenai<br />

di uno stato sembra necessariamente rispondere all’ineluttabile fisiologia<br />

del dominio.<br />

con l’ausilio dei ragazzi è quindi arrivato il momento di definire i rapporti<br />

tra storiografia e sofistica. la sofistica aveva in generale posto l’accento sulla<br />

relatività della conoscenza umana e dei concetti universali secondo il modello<br />

protagoreo dell’homo mensura. Di qui l’uso dell’antilogia per rendere forte<br />

il discorso più debole e viceversa. Attraverso la potenza del logos, quindi, i<br />

sofisti si proponevano di formare la nuova classe dirigente, di educare l’uomo<br />

politico greco. Anche la storiografia, che non a caso Aristotele ascrive alla politica<br />

piuttosto che alla retorica, si propone questa finalità: Tucidide è perfettamente<br />

consapevole che conoscere quanto accade in passato può orientare nelle<br />

scelte future. In questo senso i Dissoi logoi costituiscono un importante riferimento<br />

per l’opera tucididea, se non addirittura un precedente 14 . l’autore<br />

dei Dissoi logoi, infatti, cita le guerre della storia greca a partire dall’ultima,<br />

cioé dalla vittoria spartana su Atene e i suoi alleati, fino alla guerra tra gli dei<br />

e i Giganti 15 . nella sua rassegna, quindi, la guerra diventa una sorta di epifenomeno<br />

che dimostra l’inevitabile prevalere della physis sul nomos: per l’autore<br />

dei Dissoi logoi la guerra è un bene per chi vince, un male per chi perde. An-<br />

14 l'opera può essere datata intorno al 400 a. c., ma per una più dettagliata disamina della sua cronologia<br />

cfr. Mazzarino 2000 3 , pp. 288-294, il quale interpreta la frase relativa alla vittoria dei lacedemoni sugli<br />

Ateniesi e i loro alleati non in relazione alla fine della guerra del Peloponneso (404 a. c.), bensì in relazione<br />

alla battaglia di Tanagra (457 a. c.).<br />

15 l'autore dei Dissoi logoi, pur puntualizzando che il compito dei poeti è dilettare e non dire la verità, si limita<br />

a estromettere dalla storia solo il mondo degli dei, ma non quello degli eroi e delle saghe epiche. erodoto<br />

continuerà a indicare cipselo come discendente del celebre lapita ceneo, conservando la promiscuità tra<br />

tradizione epica e tradizione storica. Soltanto Tucidide restituirà lapiti e centuari alla tradizione mitica parlando,<br />

per la Grecia primitiva, di migrazioni continue di popoli dovute all'ignoranza del commercio.<br />

66


Il dialogo dei Melii… QdPD 1 (2008)<br />

che il racconto tucidideo della guerra civile di corcira 16 , del resto, è pensato<br />

in questi termini: nella feroce lotta di classe la natura prevale sulla convenzione.<br />

Invito i ragazzi a lavorare proprio su questo episodio, fornendo loro il testo<br />

di Thuc. III 82-84:<br />

82. OÛtwj çm¾ st£sij proucèrhse, kaˆ œdoxe m©llon, diÒti n to‹j<br />

prèth gšneto, peˆ ÛsterÒn ge kaˆ p©n æj e„pe‹n tÕ `EllhnikÕn kin»qh, diaforîn<br />

oÙsîn ˜kastacoà to‹j te tîn d»mwn prost£taij toÝj ‘Aqhna…ouj<br />

p£gesqai kaˆ to‹j Ñl…goij toÝj Lakedaimon…ouj. kaˆ n m n e„r»nV oÙk ¨n<br />

cÒntwn prÒfasin oÙd' ˜to…mwn parakale‹n aÙtoÚj, polemoumšnwn d kaˆ<br />

xummac…aj ¤ma ˜katšroij tÍ tîn nant…wn kakèsei kaˆ sf…sin aÙto‹j k toà<br />

aÙtoà prospoi»sei: vd…wj aƒ pagwgaˆ to‹j newter…zein ti boulomšnoij<br />

por…zonto. kaˆ pšpese poll¦ kaˆ calep¦ kat¦ st£sin ta‹j pÒlesi, gignÒmena<br />

m n kaˆ a„eˆ sÒmena, ›wj ¨n ¹ aÙt¾ fÚsij ¢nqrèpwn Ï, m©llon d kaˆ<br />

¹suca…tera kaˆ to‹j e‡desi dihllagmšna, æj ¨n ›kastai aƒ metabolaˆ tîn<br />

xuntuciîn fistîntai. n m n g¦r e„r»nV kaˆ ¢gaqo‹j pr£gmasin a† te pÒleij<br />

kaˆ oƒ „diîtai ¢me…nouj t¦j gnèmaj œcousi di¦ tÕ m¾ j ¢kous…ouj ¢n£gkaj<br />

p…ptein: Ð d pÒlemoj Øfelën t¾n m¾ j ¢kous…ouj ¢n£gkaj p…ptein: Ð d pÒlemoj<br />

Øfelën t¾n eÙpor…an toà kaq' ¹mšran b…aioj did£skaloj kaˆ prÕj t¦<br />

parÒnta t¦j Ñrg¦j tîn pollîn Ðmoio‹. stas…azš te oân t¦ tîn pÒlewn, kaˆ<br />

t¦ fuster…zont£ pou pÚstei tîn progenomšnwn polÝ pšfere t¾n Øperbol¾n<br />

toà kainoàsqai t¦j diano…aj tîn t' piceir»sewn peritecn»sei kaˆ tîn<br />

timwriîn ¢top…v. kaˆ t¾n e„wqu‹an ¢x…wsin tîn Ñnom£twn j t¦ œrga<br />

¢nt»llaxan tÍ dikaièsei. tÒlma m n g¦r ¢lÒgistoj ¢ndre…a filštairoj<br />

nom…sqh, mšllhsij d promhq¾j deil…a eÙprep»j, tÕ d sîfron toà ¢n£ndrou<br />

prÒschma, kaˆ tÕ prÕj ¤pan xunetÕn pˆ p©n ¢rgÒn: tÕ d' mpl»ktwj ÑxÝ<br />

¢ndrÕj mo…rv prosetšqh, ¢sfale…v d tÕ pibouleÚsasqai ¢potropÁj prÒfasij<br />

eÜlogoj. kaˆ Ð m n calepa…nwn pistÕj a„e…, Ð d' ¢ntilšgwn aÙtù Ûpoptoj.<br />

pibouleÚsaj dš tij tucën xunetÕj kaˆ Øpono»saj œti deinÒteroj: probouleÚsaj<br />

d Ópwj mhd n aÙtîn de»sei, tÁj te ˜tair…aj dialut¾j kaˆ toÝj<br />

nant…ouj kpeplhgmšnoj. ¡plîj d Ð fq£saj tÕn mšllonta kakÒn ti dr©n<br />

pVne‹to, kaˆ Ð pikeleÚsaj tÕn m¾ dianooÚmenon. kaˆ m¾n kaˆ tÕ xuggen j toà<br />

˜tairikoà ¢llotrièteron gšneto di¦ tÕ ˜toimÒteron e nai ¢profas…stwj<br />

tolm©n: oÙ g¦r met¦ tîn keimšnwn nÒmwn çfel…aj aƒ toiaàtai xÚnodoi, ¢ll¦<br />

par¦ toÝj kaqestîtaj pleonex…v. kaˆ t¦j j sf©j aÙtoÝj p…steij oÙ tù qe…J<br />

nÒmJ m©llon kratÚnonto À tù koinÍ ti paranomÁsai. t£ te ¢pÕ tîn nant…wn<br />

kalîj legÒmena nedšconto œrgwn fulakÍ, e„ proÚcoien, kaˆ oÙ gennaiÒthti.<br />

¢ntitimwr»sasqa… tš tina perˆ ple…onoj Ãn À aÙtÕn m¾ propaqe‹n. kaˆ Órkoi<br />

16 Thuc. III 82-84.<br />

67


Pedagogia e Didattica Marco Cilione<br />

e‡ pou ¥ra gšnointo xunallagÁj, n tù aÙt…ka prÕj tÕ ¥poron ˜katšrJ<br />

didÒmenoi ‡scuon oÙk cÒntwn ¥lloqen dÚnamin: n d tù paratucÒnti Ð<br />

fq£saj qarsÁsai, e„ ‡doi ¥farkton, ¼dion di¦ t¾n p…stin timwre‹to À ¢pÕ toà<br />

profanoàj, kaˆ tÒ te ¢sfal j log…zeto kaˆ Óti ¢p£tV perigenÒmenoj<br />

xunšsewj ¢gènisma prosel£mbanen. ·´on d‘ oƒ polloˆ kakoàrgoi Ôntej dexioˆ<br />

kšklhntai À ¢maqe‹j ¢gaqo…, kaˆ tù m n a„scÚnontai, pˆ d tù ¢g£llontai.<br />

p£ntwn d' aÙtîn a‡tion ¢rc¾ ¹ di¦ pleonex…an kaˆ filotim…an: k d' aÙtîn kaˆ<br />

j tÕ filonike‹n kaqistamšnwn tÕ prÒqumon. oƒ g¦r n ta‹j pÒlesi prost£ntej<br />

met¦ ÑnÒmatoj ˜k£teroi eÙprepoàj, pl»qouj te „sonom…aj politikÁj kaˆ ¢ristokrat…aj<br />

sèfronoj protim»sei, t¦ m n koin¦ lÒgJ qerapeÚontej «qla<br />

poioànto, pantˆ d trÒpJ ¢gwnizÒmenoi ¢ll»lwn perig…gnesqai tÒlmhs£n te<br />

t¦ deinÒtata pexÍs£n te t¦j timwr…aj œti me…zouj, oÙ mšcri toà dika…ou kaˆ<br />

tÍ pÒlei xumfÒrou protiqšntej, j d tÕ ˜katšroij pou a„eˆ ¹don¾n œcon<br />

Ðr…zontej, kaˆ À met¦ y»fou ¢d…kou katagnèsewj À ceirˆ ktèmenoi tÕ krate‹n<br />

˜to‹moi Ãsan t¾n aÙt…ka filonik…an kpimpl£nai. éste eÙsebe…v m n oÙdšteroi<br />

nÒmizon, eÙprepe…v d lÒgou oŒj xumba…h pifqÒnwj ti diapr£xasqai,<br />

¥meinon ½kouon. t¦ d mšsa tîn politîn Øp' ¢mfotšrwn À Óti oÙ xunhgwn…zonto<br />

À fqÒnJ toà perie‹nai diefqe…ronto.<br />

1. A tal punto di ferocia arrivò quella guerra civile, e parve ancora più feroce perché<br />

fu la prima di tutte. Giacché in seguito tutta la stirpe greca, per così dire, subì tali<br />

sconvolgimenti, per il sorgere universale di conflitti tra capi del popolo, che volevano<br />

far venire gli Ateniesi nelle loro città, e gli oligarchi che invitavano i Lacedemoni.<br />

E se in tempo di pace le fazioni non avevano pretesti e non erano pronte a invitare le<br />

due potenze nemiche, una volta che queste entrarono in guerra facilmente si effettuavano<br />

richieste di alleanza, per poter colpire i nemici e procurarsi con ciò dei vantaggi,<br />

da parte di coloro che desideravano novità politiche. 2. E con le sedizioni molte e gravi<br />

sciagure piombarono sulle città, sciagure che avvengono e sempre avverranno finchè<br />

la natura umana sarà sempre la stessa, ma più gravi o più miti e differenti nell’<br />

aspetto a seconda del mutare delle circostanze. Chè in tempo di pace e di prosperità le<br />

città e i privati cittadini provano sentimenti migliori, per il fatto che non incontrano<br />

necessità che si oppongono al libero volere; al contrario, la guerra, che toglie il benessere<br />

delle abitudini giornaliere, è una maestra violenta e adatta alla situazione del momento<br />

i sentimenti della folla. 3. Allora, dunque, le città furono in preda alle sedizioni,<br />

e quelle che lo furono dopo, informate degli avvenimenti precedenti, fecero grandi<br />

progressi nel mutare i sentimenti in peggio, sia mediante l’accuratezza mostrata nelle<br />

imprese sia mediante le vendette eseguite in modo inaudito. 4. E l’usuale valore che<br />

le parole avevano in rapporto all’oggetto fu mutato a seconda della sua stima. Chè<br />

l’audacia dissennata fu considerata ardire devoto alla causa dei congiurati, e la previdente<br />

cautela viltà mascherata da un bel nome, e la moderazione un manto del vile, e<br />

68


Il dialogo dei Melii… QdPD 1 (2008)<br />

la prudenza in ogni cosa un essere oziosi in ogni cosa. L’essere follemente audaci fu<br />

considerato cosa degna del carattere dell’uomo, e il riflettere per tentare un’impresa da<br />

una posizione di sicurezza un ragionevole pretesto per rifiutare. 5. E chi si adirava era<br />

persona fida in ogni occasione, chi lo rimbeccava era sospetto. Uno che tendeva insidie,<br />

se riusciva nel suo intento, era intelligente, e se lo sospettava, era ancora più abile,<br />

mentre chi prendeva le sue misure in modo da non aver bisogno di quelle cautele<br />

era considerato istruttore della sua società politica e timoroso dei nemici. Insomma,<br />

era lodato chi riusciva a prevenire quello che voleva far del male e chi spingeva a farlo<br />

colui che nemmeno lo pensava. 6. E il legame di sangue divenne meno stretto di<br />

quello della società politica, poiché quest’ultima era più pronta a osare senza addurre<br />

pretesti: queste conveticole, infatti, non si formavano per ottenere vantaggi in conformità<br />

delle leggi, ma per fare dei soprusi con la violazione di quelle vigenti. E garantivano<br />

la fede datasi reciprocamente non tanto per mezzo delle leggi divine, quanto per<br />

mezzo di una comune violazione di quelle umane. 7. E le oneste proposte fatte dai nemici<br />

venivano accettate cautelandosi con i fatti, nel caso che si avesse la meglio, e non<br />

per nobiltà d’animo. Vendicarsi di uno era considerato molto più onorevole che non il<br />

non essere offesi per primi. E i giuramenti di rappacificazione, quando avvenivano,<br />

una volta che erano stati scambievolmente concessi, avevano momentaneo valore di<br />

fronte alle necessità che non concedevano ai contraenti altra risorsa. Ma all’occasione,<br />

chi per primo poteva prendere fiducia nelle proprie forze, se vedeva il nemico indifeso<br />

provava più piacere a vendicarsi approfittando della sua buona fede che agendo scopertamente,<br />

e a questo scopo faceva affidamento sulla sicurezza del successo e sul fatto<br />

che vincendo con l’inganno avrebbe avuto in più il premio di essere considerato intelligente.<br />

Gli individui comuni preferiscono essere chiamati abili malvagi piuttosto<br />

che sciocchi galantuomini e dell’ una cosa si vergognano, dell’altra si vantano. 8. Cagione<br />

di tutto ciò era il dominio ispirato dai soprusi e dall’ambizione, dai quali derivava<br />

anche l ardore di uomini posti di fronte alla necessità di vincere ad ogni costo.<br />

Ché nelle città i capi di fazione, ciascuno usando nomi onesti,cioè di preferire il popolo<br />

e l’uguaglianza civile oppure un’aristocrazia moderata, a parole curavano gli interessi<br />

comuni, ma a fatti ne facevano un premio della loro lotta. E, lottando con tutti i<br />

mezzi per superarsi, osarono compiere i fatti più inauditi e continuamente inasprirono<br />

le rappresaglie, non ponendo come loro confine la giustizia e l’utile della città, ma<br />

definendone a seconda del piacere che ciascuna delle due parti vi trovava; e, mentre<br />

cercavano di raggiungere il potere mediante una condanna motivata da un giusto decreto<br />

o l’uso della forza, erano pronti a soddisfare la bramosia di vittoria del momento.<br />

Sicchè nessuna delle due parti praticava l’onestà, ma godevano di miglior fama coloro<br />

che con un masto di bei discorsi riuscivano a fare qualcosa in modo odioso. E i cittadini<br />

neutrali perivano per mano di entrambi le fazioni, o perchè non si univano alla lotta<br />

o per l’odio che si provava perché scampavano alla morte. (Traduz. di c. Moreschini).<br />

69


Pedagogia e Didattica Marco Cilione<br />

83. OÛtw p©sa „dša katšsth kakotrop…aj di¦ t¦j st£seij tù `Ellhnikù, kaˆ<br />

tÕ eÜhqej, oá tÕ genna‹on ple‹ston metšcei, katagelasq n ºfan…sqh, tÕ d ¢ntitet£cqai<br />

¢ll»loij tÍ gnèmV ¢p…stwj pˆ polÝ di»negken: oÙ g¦r Ãn Ð dialÚswn<br />

oÜte lÒgoj curÕj oÜte Órkoj foberÒj, kre…ssouj d Ôntej ¤pantej logismù j<br />

tÕ ¢nšlpiston toà beba…ou m¾ paqe‹n m©llon prouskÒpoun À pisteàsai dÚnanto.<br />

kaˆ oƒ faulÒteroi gnèmhn æj t¦ ple…w perieg…gnonto: tù g¦r dedišnai tÒ te<br />

aØtîn nde j kaˆ tÕ tîn nant…wn xunetÒn, m¾ lÒgoij te ¼ssouj ðsi kaˆ k toà<br />

polutrÒpou aÙtîn tÁj gnèmhj fq£swsi proepibouleuÒmenoi, tolmhrîj prÕj t¦<br />

œrga cèroun. oƒ d katafronoàntej k¨n proaisqšsqai kaˆ œrgJ oÙd n sf©j de‹n<br />

lamb£nein § gnèmV œxestin, ¥farktoi m©llon diefqe…ronto.<br />

1. Così nella stirpe greca a causa delle sedizioni sorse ogni genere di disonestà, e la<br />

semplicità d’animo, con la quale generalmente la nobiltà si accompagna, irrisa svanì,<br />

mentre lo schierarsi in campi opposti con sentimenti di diffidenza ovunque fu un’abitudine<br />

predominante. 2. Giacché non era sufficiente a riconciliare né un discorso efficace<br />

né un giuramento spaventoso, ma tutti quanti, una volta che si trovassero in posizioni<br />

di superiorità, calcolando quanto fosse inseparabile la sicurezza, si cautelavano<br />

dalle offese più di quanto non fossero capaci di fidarsi di qualcuno. 3. E le persone<br />

dalla mente meno elevata di solito vincevano, ché temendo la propria inferiorità e<br />

l’astuzia dei nemici, cioè di essere vinti dai discorsi, e di essere prevenuti nelle insidie<br />

dall’astuzia della mente altrui, audacemente passavano all’azione. 4. Gli altri invece,<br />

pensando nel loro disprezzo di accorgersi in tempo delle offese e di non dover prendere<br />

coi fatti quello che si poteva prendere con l’intelligenza, più di tutti cadevano indifesi.<br />

(Traduz. di c. Moreschini).<br />

84. ['En d' oân tÍ KerkÚrv t¦ poll¦ aÙtîn proutolm»qh, kaˆ ÐpÒsa Ûbrei m n<br />

¢rcÒmenoi tÕ plšon À swfrosÚnV ØpÕ tîn t¾n timwr…an parascÒntwn oƒ ¢ntamunÒmenoi<br />

dr£seian, pen…aj d tÁj e„wqu…aj ¢pallaxe…ontšj tinej, m£lista<br />

d' ¨n di¦ p£qouj, piqumoàntej t¦ tîn pšlaj œcein, par¦ d…khn gignèskoien, o†<br />

te m¾ pˆ pleonex…v, ¢pÕ ‡sou d m£lista piÒntej ¢paideus…v ÑrgÁj ple‹ston<br />

kferÒmenoi çmîj kaˆ ¢parait»twj pšlqoien. xuntaracqšntoj te toà b…ou j<br />

tÕn kairÕn toàton tÍ pÒlei kaˆ tîn nÒmwn krat»sasa ¹ ¢nqrwpe…a fÚsij,<br />

e„wqu‹a kaˆ par¦ toÝj nÒmouj ¢dike‹n, ¢smšnh d»lwsen ¢krat¾j m n ÑrgÁj oâsa,<br />

kre…sswn d toà dika…ou, polem…a d toà proÚcontoj: oÙ g¦r ¨n toà te Ðs…ou<br />

tÕ timwre‹sqai prout…qesan toà te m¾ ¢dike‹n tÕ kerda…nein, n ú m¾ bl£ptousan<br />

„scÝn e ce tÕ fqone‹n. ¢xioàs… te toÝj koinoÝj perˆ tîn toioÚtwn oƒ<br />

¥nqrwpoi nÒmouj, ¢f: ïn ¤pasin lpˆj ØpÒkeitai sfale‹si k¨n aÙtoÝj diasózesqai,<br />

n ¥llwn timwr…aij prokatalÚein kaˆ m¾ Øpole…pesqai, e‡ pote ¥ra tij<br />

kinduneÚsaj tinÕj de»setai aÙtîn.]<br />

70


Il dialogo dei Melii… QdPD 1 (2008)<br />

1. Dunque, in Corcira, per la prima volta si osò commettere la maggior parte delle<br />

crudeltà. Tutto ciò che per vendicarsi possa compiere un popolo, il quale sia stato<br />

governato con la prepotenza più che con la moderazione da coloro che gli offrono motivi<br />

di vendetta; tutte le ingiuste decisioni che possono prendere uomini desiderosi di<br />

liberarsi dalla miseria abituale e bramosi di impadronirsi di quello che appartiene ad<br />

altri; tutte le crudeltà alle quali si abbandonano selvaggemente coloro che, non per avidità<br />

ma da una posizione di parità entrano in lotta lasciandosi trasportare dalla rozzezza<br />

dei loro sentimenti: tutto questo fu osato a Corcira. 2. Sconvoltosi in questa occasione<br />

il modo di vivere nella città, allora la natura umana, solita a commettere ingiustizie<br />

anche contro le leggi, ebbe il sopravvento su di esse, e volentieri si mostrò incapace<br />

di dominare i propri sentimenti, più forte della giustizia e nemica di chiunque<br />

fosse superiore. Ché altrimenti gli uomini non avrebbero preferito la vendetta alla santità<br />

e il guadagno al non offendere, se l’invidia non avesse avuto un potere dannoso.<br />

3. E gli uomini, per vendicarsi degli altri, vogliono abbattere quelle leggi comuni che a tutti<br />

offrono speranza di salvezza in caso di sventura, e pretendono che non restino salve nel<br />

caso che qualcuno travatosi nei pericoli abbia bisogno di esse.<br />

(Traduz. di c. Moreschini).<br />

le lotte civili degli anni 427-425 a corcira, che vedono il trionfo dei democratici<br />

sugli oligarchici, sterminati in un vero e proprio bagno di sangue, costituiscono<br />

una vera e propria rivoluzione nella storia della lotta politica in Grecia. Tucidide<br />

ne analizza i tratti con la sua consueta finezza di polemologo, ricorrendo allo<br />

psicologismo e al linguaggio medico della patologia. emblematica la frase:<br />

82. 2. [...] kaˆ pšpese poll¦ kaˆ calep¦ kat¦ st£sin ta‹j pÒlesi, gignÒmena<br />

m n kaˆ a„eˆ sÒmena, ›wj ¨n ¹ aÙt¾ fÚsij ¢nqrèpwn Ï, m©llon d kaˆ<br />

¹suca…tera kaˆ to‹j e‡desi dihllagmšna, æj ¨n ›kastai aƒ metabolaˆ tîn<br />

xuntuciîn fistîntai. [...]<br />

82. 2. [...] E con le sedizioni molte e gravi sciagure piombarono sulla città, sciagure<br />

che avvengono e sempre avverranno finché la natura umana sarà sempre la stessa,<br />

ma più gravi o più miti e differenti nell’aspetto a seconda del mutare delle circostanze.<br />

[...] (Traduz. di c. Moreschini).<br />

la natura umana, che è sempre la stessa, è il presupposto dell’analisi scientifica<br />

della storia e della possibilità di imparare da essa a gestire il presente e<br />

il futuro. I fenomeni che lo storico registra tendono a ripetersi in situazioni simili:<br />

una giusta diagnosi dei sintomi nella valutazione del quadro clinico complessivo<br />

consente un’adeguata intelligenza del fatto. come dice Mazzarino 17 ,<br />

71


Pedagogia e Didattica Marco Cilione<br />

quindi, non c’è differenza tra mali fisici e crisi dello stato.<br />

Due sono i compiti che assegno ai ragazzi in questa lezione:<br />

- individuare in Thuc. III 82-84 l’nflusso della sofistica e della scienza medica<br />

sull’interpretazione dei fatti;<br />

- realizzare uno schema sintetico di antilogie nel dialogo Melii-Ateniesi.<br />

Lezione nr. 3<br />

la verifica dei compiti assegnati ai ragazzi mi permette di evidenziare ancora<br />

meglio la lucidità esegetica di Tucidide che, parlando della guerra civile<br />

di corcira, riesce a ricondurre la genesi dello scontro al mutato senso attribuito<br />

alle parole rispetto alle circostanze e alla conseguente alterazione della psicologia<br />

delle masse 18 . la prevaricazione della natura sulla legge produce il<br />

sovvertimento dei valori, per cui vendicarsi è considerato molto più onorevole<br />

che essere offesi per primi e ingannare è sinonimo di intelligenza. Tanto i<br />

17 cfr. Mazzarino 2000 3 , p. 299.<br />

72<br />

Titolo Il dialogo, le antilogie e la questione etica.<br />

contenuti<br />

e testi<br />

Strategia<br />

e strumenti<br />

1. Thuc. V 85-112.<br />

2. Thuc. III 82.<br />

3. IG I 2 97<br />

4. IG V 1.<br />

5. Aristoph. Pax 296-298.<br />

6. Hdt. VIII 46, 4; VIII 48; IX 106.<br />

7. <strong>De</strong>mosth. Per la libertà dei Rodii 29.<br />

8. Isocrate, Archidamo 34-39.<br />

9. Machiavelli, Principe XXV.<br />

10. IG I 3 60.<br />

11. Gorgia, Encomio di Elena 6.<br />

- lezione frontale e partecipata.<br />

- Dossier di fonti fornite in fotocopia.<br />

- Uso di schede di lessicali.<br />

- Uso del DELG.<br />

obiettivi - Individuare le antilogie del dialogo;<br />

- <strong>De</strong>sumere dalle antilogia le regole del realismo politico ateniese;<br />

- riflettere sul rapporto utile-giusto;<br />

- confrontare Tucidide con Machiavelli e Ariosto.<br />

Durata 1 h.


Il dialogo dei Melii… QdPD 1 (2008)<br />

democratici quanto gli oligarchici sono consumati dalla febbre dell’ambizione<br />

e non esitano a usare decreti apparentemente giusti per combattere l’avversario<br />

politico 19 . Thuc. III 82 conclude con una frase emblematica per interpretare<br />

il dialogo dei Melii e degli Ateniesi:<br />

82. 8. [...] t¦ d mšsa tîn politîn Øp ¢mfotšrwn À Óti oÙ xunhgwn…zonto À<br />

fqÒnJ toà perie‹nai diefqe…ronto. 20 [...]<br />

82. 8. [...] E i cittadini neutrali perivano per mano di entrambe le fazioni, o perché<br />

non si univano alla lotta o per l’odio che si provava perché scampavano alla morte.<br />

(Traduz. di c. Moreschini).<br />

Quale era, infatti, la posizione di Melo rispetto ad Atene? Pur entrando a far<br />

parte della lega delio-attica, Melo non intende prendere parte allo scontro con<br />

Sparta perché ad essa è legata da rapporti di consanguineità. Dopo un iniziale<br />

periodo di non belligeranza Atene manda nicia con una potente flotta perché intimorisca<br />

i Melii, ma la spedizione si conclude in un nulla di fatto. Tra l’altro Melo<br />

continua a versare un tributo spontaneo a Sparta, come attesta IG V 1, 1, ma<br />

soprattutto si rifiuta di versare il dovuto alla lega delio-attica 21 . Questo stato di<br />

tensione, unito all’intollerabile ribellione di un’isola contro un impero fondato<br />

sulla talassocrazia, scatena l’invasione del 416 a. c. Dopo impegnative campagne<br />

di guerra Atene si decide finalmente a normalizzare l’anomalia melia, a punire il<br />

comportamento eversivo rispetto alle sempre più stringenti condizione della lega<br />

delio-attica e al peso del lungo conflitto. Prima dell’eccidio, però, gli Ateniesi<br />

offrono ai Melii l’opportunità di una resa senza conseguenze. A Melo vige un regime<br />

di natura oligarchica che non vuole discutere la questione dinnanzi al demo:<br />

gli aristocratici temono, infatti, che il popolo possa essere persuaso dagli ambasciatori<br />

ateniesi 22 . la trattativa, dunque, si svolge in privato. Grazie al lavoro<br />

dei ragazzi è possibile selezionare nel dialogo i concetti più significativi per la nostra<br />

riflessione conclusiva sul rapporto tra giustizia e diritto del vincitore.<br />

Un’attenta lettura del testo esige innanzi tutto una riflessione sul ruolo dei<br />

personaggi del dialogo: i Melii, in quanto isolani, sono sottoposti a uno speciale<br />

statuto di sudditanza militare rispetto alla lega 23 ; il confronto, quindi,<br />

non può giuridicamente svolgersi in termini di parità ed è per questo che gli<br />

Ateniesi finiscono con l’essere allo stesso tempo contendenti e giudici. In<br />

18 cfr. Thuc. III 82, 4.<br />

19 cfr. Thuc. III 82, 6-7.<br />

20 Thuc. III 82, 8.<br />

21 cfr. IG I 2 97, rigo 7.<br />

22 <strong>De</strong>l resto la degenerazione della democrazia ateniese<br />

passa attraverso la manipolazione del demo<br />

in forza del potere persuasivo della parola.<br />

73


Pedagogia e Didattica Marco Cilione<br />

Thuc. V 89, quindi, i ragazzi individuano subito come gli Ateniesi dirigano il<br />

confronto vanificando la forza persuasiva delle argomentazioni più scontate.<br />

Atene potrebbe addurre a proprio vantaggio:<br />

- la vittoria sui Persiani;<br />

- i torti subiti dai Melii.<br />

I Melii potrebbero addurre a proprio vantaggio:<br />

- il fatto di essere coloni di Sparta;<br />

- non aver commesso torti ai danni di Atene.<br />

Per gli Ateniesi il legame di consanguineità con Sparta è del tutto secondario<br />

rispetto al vincolo di sudditanza militare in ragione del quale i Melii, già<br />

alleati di Atene nell’iscrizione del tripode di <strong>De</strong>lfi 24 , dovevano fattivamente<br />

contribuire, come in passato 25 , a tutte le guerre dell’impero ateniese. In ogni<br />

caso, Melo può rivendicare una certa autonomia solo nella gestione degli affari<br />

interni, per quel che attiene invece all’esercizio dei diritti nei rapporti tra Stati, sono<br />

i più forti che li definiscono per i più deboli 26 . In Thuc. V 89, per l’appunto, gli<br />

Ateniesi affermano che:<br />

89. [...] ˜k£teroi ¢lhqîj fronoàmen diapr£ssesqai, pistamšnouj prÕj<br />

e„dÒtaj Óti d…kaia m n n tù ¢nqrwpe…J lÒgJ ¢pÕ tÁj ‡shj ¢n£gkhj kr…netai,<br />

dunat¦ d oƒ proÚcontej pr£ssousi kaˆ oƒ ¢sqene‹j xugcwroàsin.<br />

89.[...] consapevoli entrambi del fatto che la valutazione fondata sul diritto si pratica,<br />

nel ragionare umano, solo quando si è su una base di parità, mentre, se vi è disparità<br />

di forze, i forti esigono quanto è possibile e i più deboli approvano.<br />

e’ evidente che nel ragionamento degli Ateniesi il giusto coincide con l’utile:<br />

questa logica del potere risulta ampiamente condivisa, visto che, nell’eventualità<br />

di una vittoria spartana, Atene avrebbe beneficiato di una certa clemenza in ragione<br />

della comune strategia imperialistica 27 . I Melii devono obbedire; ma se il<br />

giusto coincide con l’utile 28 , l’obbedienza coincide con l’essere di qualcuno, cioè<br />

con la schiavitù, un’equazione possibile solo in presenza di un rapporto di consanguineità<br />

che i Melii hanno con Sparta, non con Atene: i non affini non possono<br />

avere nella lega gli stessi doveri dei consanguinei, ma devono potersi autodeterminare<br />

29 . Tutto giusto, se non fosse che Atene modula i suoi rapporti con i<br />

23 cfr. Aristoph. Pax 296-298.<br />

24 ATL III, p. 96.<br />

25 cfr. Hdt. VIII 46, 4; VIII 48; IX 106.<br />

26 così <strong>De</strong>mosth. Per la libertà dei Rodii 29.<br />

27 cfr. Dionigi di Alicarnasso, Su Tucidide, 39 = I<br />

74<br />

391, 24-25 U-r.<br />

28 Isocrate in Archidamo 34-39 condanna la logica<br />

che antepone il synpheron al dikaion.<br />

29 cfr. canfora 1991, pp. 60-61.


Il dialogo dei Melii… QdPD 1 (2008)<br />

semplici affini in ragione delle forze in campo: Melo, più debole, può facilmente<br />

essere ridotta da apoikos di Sparta a hypekoos di Atene. Faccio notare ai ragazzi la<br />

finezza gorgiana che esprime la logica della prevaricazione, come se si volessero<br />

persuadere i Melii anche con la suggestione della figura di suono.<br />

A questo punto vorrei stimolare nei ragazzi un lavoro pluridisciplinare. Il riferimento<br />

alla logica dell’utile nella prospettiva ateniese mi induce a proporre un<br />

collegamento con la logica dell’utile di alcuni personaggi ariostei dell’Orlando furioso<br />

e della Lena e con la Mandragola di Machiavelli. Faccio notare ai ragazzi che<br />

nella cultura greca, dopo il periodo omerico, si consolida il nesso tra etica e religione,<br />

per cui il fatto che Dike trovi posto accanto al trono di Zeus segna il passaggio<br />

da una concezione ferina e prevaricatrice della vittoria a una ispirata al<br />

senso di giustizia. In età sofistica, invece, anche Dike è sottoposta a un processo<br />

di relativizzazione tale per cui è legittimo dominare su chi puoi sopraffare 30 .<br />

Machiavelli può giustamente essere chiamato in causa anche per Thuc. V 103,<br />

dove gli Ateniesi vanificano l’argomentazione melia della speranza in nome di<br />

un lucido e laico 31 realismo politico: già canfora 32 ha opportunamente messo in<br />

luce il legame tra questo passo tucidideo e il capitolo XXV del Principe.<br />

Machiavelli e Ariosto rientrano nel programma curricolare del II liceo classico,<br />

quindi questo confronto con Tucidide risulta quanto mai utile e opportuno.<br />

Approfondimenti.<br />

Il tema consente di proporre ai ragazzi un percorso che spazia dalla tradizione<br />

veterotestamentaria alla contemporaneità assolvendo alla duplice funzione di<br />

consolidare la prospettiva storica nell’approccio ai problemi e di stimolare il<br />

coinvolgimento attraverso una documentata e opportuna attualizzazione. la costruzione<br />

di questo percorso diacronico deve essere necessariamente guidata<br />

dall’insegnante, ma può comunque offrire uno spunto interessante anche per la<br />

tesina di maturità. l’approfondimento può essere articolato nei seguenti punti:<br />

- l’assedio di Gerusalemme da parte degli Assiri (Re II 18, 13-37);<br />

- il concetto di iustum bellum nell’imperialismo aggressivo di roma;<br />

- erasmo da rotterdam e la condanna della guerra;<br />

- violazione inglese della neutralità della Danimarca (1809);<br />

- invasione russa dell’ossezia (2008).<br />

30 cfr. Gorgia, Encomio di Elena 6.<br />

31 la fiducia nell'aiuto degli dei (Thuc. V 104 VS<br />

Thuc. V 105) è vanificata dall'assunto che la logica<br />

della prevaricazione è accolta anche tra questi (cfr.<br />

Isocrate, Panatenaico 63-64).<br />

32 cfr. canfora 1992, p. 70.<br />

75


Pedagogia e Didattica Marco Cilione<br />

Verifica.<br />

Traduci il seguente passo fino al gnèsesqe della settima riga e commenta per intero<br />

il testo di cui, per la restante parte, ti sarà fornita una traduzione.<br />

AQ. ToÚtwn m n kaˆ pepeiramšnoij ¥n ti gšnoito kaˆ Øm‹n kaˆ oÙk ¢nepist»mosin<br />

Óti oÙd' ¢pÕ mi©j pèpote poliork…aj ‘Aqhna‹oi di' ¥llwn fÒbon ¢pecèrhsan.<br />

nqumoÚmeqa d Óti f»santej perˆ swthr…aj bouleÚsein oÙd n n tosoÚtJ<br />

lÒgJ e„r»kate ú ¥nqrwpoi ¨n pisteÚsantej nom…seian swq»sesqai, ¢ll' Ømîn<br />

t¦ m n „scurÒtata lpizÒmena mšlletai, t¦ d' Øp£rconta bracša prÕj t¦ ½dh<br />

¢ntitetagmšna perig…gnesqai. poll»n te ¢log…an tÁj diano…aj paršcete, e„ m¾<br />

metasths£menoi œti ¹m©j ¥llo ti tînde swfronšsteron gnèsesqe. oÙ g¦r d¾<br />

p… ge t¾n n to‹j a„scro‹j kaˆ proÚptoij kindÚnoij ple‹sta diafqe…rousan<br />

¢nqrèpouj a„scÚnhn tršyesqe. pollo‹j g¦r proorwmšnoij œti j oŒa fšrontai<br />

tÕ a„scrÕn kaloÚmenon ÑnÒmatoj pagwgoà dun£mei pesp£sato ¹sshqe‹si<br />

toà ·»matoj œrgJ xumfora‹j ¢nhkšstoij ˜kÒntaj peripese‹n kaˆ a„scÚnhn<br />

a„sc…w met¦ ¢no…aj ÀtÚcVproslabe‹n. Ö Øme‹j, Àn eâ bouleÚhsqe, ful£xesqe,<br />

kaˆ oÙk ¢prep j nomie‹te pÒleèj te tÁj meg…sthj ¹ss©sqai mštria prokaloumšnhj,<br />

xumm£couj genšsqai œcontaj t¾n Ømetšran aÙtîn Øpotele‹j, kaˆ<br />

doqe…shj aƒršsewj polšmou pšri kaˆ ¢sfale…aj m¾ t¦ ce…rw filonikÁsai: æj<br />

o†tinej to‹j m n ‡soij m¾ e‡kousi, to‹j d kre…ssosi kalîj prosfšrontai, prÕj<br />

d toÝj ¼ssouj mštrio… e„si, ple‹st' ¨n Ñrqo‹nto. skope‹te oân kaˆ<br />

metast£ntwn ¹mîn kaˆ nqume‹sqe poll£kij Óti perˆ patr…doj bouleÚesqe, Âj<br />

mi©j pšri kaˆ j m…an boul¾n tucoàs£n te kaˆ m¾ katorqèsasan œstai.<br />

76<br />

Bibliografia<br />

Canfora 1992 = l. canfora, Tucidide e l’impero, Bari 1991.<br />

Canfora 1999 = l. canfora, Il mistero Tucidide, Milano 1999.<br />

<strong>De</strong> <strong>San</strong>ctis 1939 = G. <strong>De</strong> <strong>San</strong>ctis, Storia dei Greci dalle origini alla fine del secolo<br />

V, vol. II, Firenze 1939.<br />

Erasmo da Rotterdam, Contro la guerra, a. c. di M. Jevolella, Milano 2008.<br />

Ferrabino 1927 = A. Ferrabino, L’impero ateniese, Torino 1927.<br />

Mazzarino 2000 3 = S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, Bari 2000.<br />

Musti 1991 2 = Le origini dei Greci. Dori e mondo egeo, a c. di D. Musti, Bari 1991 2 .<br />

Musti 1994 = D. Musti, Storia greca, Bari 1994.<br />

Musti 1995 = D. Musti, <strong>De</strong>mokratia. Origine di un’idea, Bari 1995.<br />

Sinclair 1993 = T. A. Sinclair, Il pensiero politico classico, Bari 1993.<br />

Tucidide, Il dialogo dei Melii e degli Ateniesi, a c. di l. canfora, Venezia.


La verità… QdPD 1 (2008)<br />

Strumenti per la didattica modulare delle scienze<br />

Percorso tematico<br />

La verità rende giusti e liberi :<br />

il caso Galileo<br />

MARINA PESCARMONA<br />

INTRODUZIONE<br />

La figura di Galileo Galilei si presta molto bene ad un approccio didattico<br />

multidisciplinare storico, filosofico, letterario e scientifico. E’ quello attuale,<br />

un momento in cui lo scienziato pisano viene esibito come una figura emblematica,<br />

vittima della Chiesa definita illiberale ed oscurantista. Si è voluto pertanto<br />

far chiarezza sulla vicenda di cui Galileo fu protagonista per poi indicare<br />

lo stretto legame intercorrente tra verità e libertà di pensiero.<br />

L’articolo è diviso in tre paragrafi: 1) una cornice storico-filosofica alla figura<br />

di Galileo , ricchissima di collegamenti con la filosofia; 2) una narrazione dei fatti<br />

che hanno portato al processo; 3) una discussione che offre spunti di riflessione<br />

che partono dalla questione galileiana per poi portare il discorso su problematiche<br />

più generali ed attuali relative alla tematica scelta di giustizia e libertà.<br />

La narrazione è inoltre interrotta da domande, e spunti di approfondimento<br />

che contengono, in nota a piè di pagina, sintetiche risposte che l’insegnante<br />

può poi ampliare quanto crede.<br />

77


Pedagogia e Didattica Marina Pescarmona<br />

Classi destinatarie: secondo classico, quarto scientifico<br />

Prerequisiti: approccio multidisciplinare con copresenze degli insegnanti. La<br />

prima parte è ricchissima di contenuti filosofico-scientifici di programma del<br />

primo classico –terzo scientifico. In particolare, per comprendere alcuni aspetti<br />

di Galileo, è indispensabile riproporre i principali elementi della fisica aristotelica.<br />

La terza parte deve invece portare ad un dibattito che faccia riflettere<br />

sul tema “giustizia e libertà” in termini generali ma anche facendo convergere<br />

il discorso su temi di attualità a cui i ragazzi possono essere sensibili<br />

Strategia didattica e strumenti: lezione frontale e partecipata; lezione in copresenza<br />

con l’insegnante di filosofia.<br />

Obiettivi: contestualizzare la figura di Galilei nel retroterra storico-culturale.<br />

Ricostruire le relazioni tra Galilei e gli scienziati del suo tempo. <strong>De</strong>finire le caratteristiche<br />

dell’approccio scientifico galileiano. Riflettere sul rapporto giustizia-<br />

verità, e verità- libertà di pensiero.<br />

Verifica: 1) una presentazione in Power Point, realizzata dai ragazzi, che mostri<br />

i contenuti appresi, le questioni affrontate, le domande che ne conseguono<br />

2) una verifica scritta che suggerisca di tracciare le caratteristiche dell’approccio<br />

scientifico galieliano.<br />

Durata del modulo: due lezioni da un’ora per il primo paragrafo, una lezione<br />

per il secondo, due lezioni per il terzo, due ore per la verifica.<br />

78<br />

IL MONDO FILOSOFICO – SCIENTIFICO IN CUI È CRESCIUTO GALILEO<br />

A voler fare un quadro davvero schematico del mondo accademico italiano<br />

all’epoca di Galileo, si potrebbe affermare che era diviso in due fronti: gli<br />

aristotelici e gli antiaristotelici. Il fatto che almeno il nucleo centrale della<br />

scienza aristotelica sia sopravvissuto per duemila anni è la migliore prova e<br />

garanzia della immensa portata del pensiero di Aristotele stesso. Ancora più<br />

stupefacente è pensare che tutto il quadro cosmologico nonché la fisica aristotelica<br />

è per la sua quasi totalità sbagliata ma che, nonostante la sua fallacia, ha<br />

troneggiato incontrastata, o quasi, fino al tempo di Galileo


La verità… QdPD 1 (2008)<br />

1) Come mai qualcosa di totalmente sbagliato è sopravvissuto così a lungo? 1<br />

Persino la grande rivoluzione rappresentata dal cristianesimo non è riuscita<br />

a seppellire l’aristotelismo che, grazie all’altissima figura di <strong>San</strong> Tommaso<br />

d’Aquino, ha potuto conciliarsi, mutatis mutandis, con la dottrina cristiana e<br />

quindi propagarsi insieme al cristianesimo.<br />

2) Richiamo su <strong>San</strong> Tommaso: indicare alcuni punti di contatto tra il pensiero tomistico<br />

e quello aristotelico originario 2<br />

Oltre all’impianto filosofico, anche il quadro prettamente cosmologico aristotelico<br />

ha trovato una sua collocazione all’interno del cristianesimo. Ne è testimone<br />

Dante Alighieri che, nella sua Commedia, propone una struttura del<br />

Paradiso che altro non è che il modello aristotelico-tolemaico con delle varianti<br />

necessarie a renderlo compatibile col cristianesimo: in particolare il freddo<br />

Motore Immobile aristotelico viene sostituito dalle gerarchie angeliche che governano<br />

ognuna una sfera celeste astrale.<br />

3) Spunto di approfondimento sulla struttura del Paradiso dantesco 3<br />

Tradizionalmente, soprattutto parlando di scienza, ad Aristotele viene contrapposto<br />

Platone ed in particolare l’importanza che questi dava alla matematica,<br />

quella matematica che Aristotele non considerava come lo strumento<br />

principe per la conoscenza (come invece si cominciò a fare con la rivoluzione<br />

scientifica seicentesca) di un mondo molto più ricco e complesso di quello descritto<br />

esclusivamente dai numeri. Il quantitativo era per Aristotele solo uno<br />

dei tanti aspetti del mondo e forse per lui il meno interessante<br />

4) Aristotele fu il primo grande biologo sistematico: cosa ha scritto in proposito? 4<br />

1 La fisica aristotelica ha un alto grado di coerenza interna, un’impostazione logica con pochi punti deboli. Non è modificabile<br />

solo parzialmente, è stato necessario ricostruire un altro impianto alternativo, cosa realizzata pienamente<br />

solo da Newton.<br />

2 Per esempio la prima prova di Tommaso dell’esistenza di Dio: “Omne quod movetur ab alio movetur”, come già in<br />

Aristotele. Ogni cosa che muta sottende un qualcosa che la fa mutare. Quindi a monte ci deve essere un primo<br />

motore, immobile che è motivo di ogni altro movimento. Per Tommaso questo principio è Dio.<br />

3 Il Paradiso è un mondo immateriale, etereo, diviso in nove cieli: i primi sette prendono il nome dai pianeti del sistema<br />

solare (Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno), gli ultimi due sono costituiti dalla sfera delle<br />

stelle fisse e dal Primo mobile. Il tutto è contenuto nell’Empireo.<br />

4 In zoologia, Aristotele si riferì ad un determinato sistema di generi naturali (“specie”), ciascuno dei quali si riproduce<br />

in conformità al proprio tipo, tranne alcune eccezioni. Le specie costituiscono una scala graduata che si estende<br />

dal semplice (vermi e mosche al gradino più basso) al complesso (esseri umani al gradino più alto), pur nell’impossibilità<br />

di qualsiasi evoluzione.<br />

79


Pedagogia e Didattica Marina Pescarmona<br />

Platone, e prima ancora Pitagora, hanno messo il numero al centro del loro<br />

pensiero ma la loro concezione di questi enti matematici è molto diversa da<br />

quella poi espressa nella scienza moderna. Basti pensare che per i pitagorici i<br />

numeri non sono entità astratte ma entità reali di cui il mondo è costituito.<br />

Pensiero comune tra i pitagorici-platonici e gli scienziati galileiani è invece il<br />

concetto di armonia numerica e la ricerca di un ordine celato in un mondo solo<br />

in apparenza caotico. Le legge fisica espressa da una formula matematica è<br />

la veste formale dell’ordine che governa il mondo, la natura non esibisce le<br />

sue leggi ma le rende intelligibili a chi le vuole scoprire. La matematica viene<br />

scoperta, non inventata, le legge emerge da sé quando scrolliamo la coltre di<br />

caos che copre la superficie del mondo naturale.<br />

Ma la seduzione delle armonie numeriche ha bisogno sempre di un freno<br />

razionale che eviti devianze misticheggianti, persino un matematico di grande<br />

portata come Johannes Kepler (1571-1630), almeno nella prima parte della<br />

sua storia scientifica e umana, ha esagerato nella ricerca delle armonie immaginando<br />

fantasiosi rapporti geometrici tra le sfere celesti.<br />

5) Approfondimento: “Mysterium cosmographicum” è l’opera in cui Keplero espone<br />

la sua concezione dell’armonia celeste. Cosa propone? 5<br />

Il Rinascimento italiano è stato pervaso da mistica, magie ed alchimie al cui fascino<br />

non rimarrà indifferente neanche il grande Isaac Newton (1642-1727) che ha<br />

dedicato gran parte della sua esistenza a studi alchemici (oltre che teologici).<br />

Ma, come dice Juan Josè <strong>San</strong>guineti 6 , “nella concezione aristotelica del sapere c’è<br />

anche un posto per la fisico- matematica, anche se Aristotele è stato più affascinato dalla<br />

biologia”. È riduttivo dire, secondo questo autore, che la scienza aristotelica sia solo<br />

qualitativa, “il Filosofo è invece cosciente delle dimensioni quantitative dell’essere mobile,<br />

negli Analitici secondi egli avanza una concezione fisico-matematica sostenendo che<br />

il sapere quia verte sui fatti empirici e compete alle scienze inferiori, mentre il sapere<br />

propter quid, proprio della matematica applicata alla fisica, possiede un livello superiore<br />

in quanto fornisce dimostrazioni procedendo dalle cause”. 7<br />

5 Lo scopo principale di “Mysterium cosmographicum”(1596) è quello di dimostrare che, nella creazione del mondo e<br />

nella disposizione dei cieli, Dio “ha guardato a quei cinque corpi regolari che hanno goduto di una così grande fama<br />

dai tempi di Pitagora e Platone” e che hanno accordato alla loro natura il numero, la proporzione e i rapporti dei<br />

moti celesti. I cinque solidi regolari sono il cubo, il tetraedro, il dodecaedro, l’icosaedro, l’ottaedro”.<br />

Per un approfondimento: Natascha Fabbri, “Cosmologia ed armonia in Kepler e Mersenne: contrappunto a due voci<br />

sul tema dell’Harmonice mundi”, Ed. Olschki<br />

6 Juan Josè <strong>San</strong>guineti- “Scienza Aristotelica e Scienza Moderna”, pp. 35- 1992, Armando Editore<br />

7 Cfr. An. Sec. I, 79 a 1-15<br />

80


La verità… QdPD 1 (2008)<br />

Citiamo un esempio, offerto dallo stesso Aristotele, che ha per oggetto l’arcobaleno.<br />

Il sapere meramente empirico riguardo all’arcobaleno si subordina<br />

alla prospettiva o geometria ottica; questa a sua volta è subordinata alla geometria,<br />

da cui procede l’ultimo propter quid. Il fisico che si limita allo studio descrittivo<br />

dell’arcobaleno acquista un sapere quia cioè del fatto che le cose sono<br />

così e non diversamente, ma l’interpretazione geometrica gli consente di raggiungere<br />

le ragioni profonde da cui si deducono le proprietà fenomeniche.<br />

Ma per Aristotele la versione matematica della realtà fisica non ne esprime la<br />

sostanza ma solo un aspetto parziale, dal momento che la realtà materiale contiene<br />

altri elementi intelligibili che la matematica non può spiegare. Sono stati<br />

piuttosto i successivi peripatetici a sfiduciare la matematica sviluppando maggiormente<br />

una scienza qualitativa aborrita dagli scienziati moderni.<br />

Tornando al tempo di Galileo, occorre dire che l’aristotelismo che si insegnava<br />

nelle Università era frutto di secoli di rivisitazione del pensiero originario<br />

dello stagirita. Il nocciolo della fisica aristotelica era tuttavia intatto, i concetti<br />

portanti di luoghi naturali, di moto naturale e moto forzato, di leggerezza e pesantezza<br />

sopravvivono per duemila anni perché costituiscono i pilastri di un<br />

edificio fisico che rende ragione di tutti i fenomeni visibili in modo molto ragionevole.<br />

Ed è proprio questo concetto di ragionevolezza che si vuole sottolineare,<br />

se riuscissimo a sgombrare il pensiero da pregiudizi la ragionevolezza<br />

aristotelica apparirebbe chiarissima. Aristotele spiega ciò che vede e che<br />

sente, i sensi guidano la ragione nella spiegazione dei fenomeni.<br />

6) La Scienza moderna svaluta i sensi. Un’affermazione da spiegare 8<br />

I sensi aristotelici sono davvero raffinati, si può dire che sia stato il più<br />

grande osservatore della natura mai esistito e cercò di rendere ragione di tutto,<br />

niente escluso.<br />

Tra i coraggiosi “nemici” dell’aristotelismo si situa sicuramente René <strong>De</strong>scartes<br />

(1596-1650) che ha vissuto l’antiaristotelismo come una missione, una<br />

sorta di crociata che però non ha avuto coraggio di portare fino in fondo in maniera<br />

esplicita. Il suo sistema del mondo, ad esempio, si fonda su un modello<br />

copernicano, ma mai il filosofo francese ha dichiarato pubblicamente di crede-<br />

8 Con il meccanicismo l’approccio alla scienza prende le distanze da ciò che i sensi possono indicare. Si dà importanza<br />

all’aspetto quantitativo che, per essere elaborato, deve essere isolato dal qualitativo sensoriale, si ragiona per modelli<br />

che simulano una natura semplificata. Un approccio molto efficace per realizzare ad esempio creazioni tecnologiche<br />

ma che impoverisce la conoscenza del reale, molto più complesso di qualsiasi modello.<br />

81


Pedagogia e Didattica Marina Pescarmona<br />

re in esso. Grande però, almeno dal punto di vista scientifico-filosofico, è stata<br />

l’energia che <strong>De</strong>scartes ha impiegato per combattere i “pregiudizi aristotelici.<br />

Si ricorda infatti che, pur essendo, al tempo di Galileo e Cartesio, il modello<br />

copernicano ormai noto, l’opera che lo spiegava, il <strong>De</strong> revolutionibus orbium coelestium,<br />

non ebbe subito grande seguito, era proposto dagli insegnanti più progressisti<br />

come uno dei possibili modelli di universo usato essenzialmente per calcolare<br />

le effemeridi ai fini della formulazione di oroscopi. La prefazione scritta da<br />

Osiander al <strong>De</strong> revolutionibus usa toni cauti facendo intendere il fatto che non si<br />

crede alla realtà fisica di una Terra mobile ma piuttosto si offre semplicemente un<br />

modello geometrico per far tornare meglio i conti delle previsioni astrali.<br />

7) Quale altro modello dell’universo era stato proposto? 9<br />

L’eleganza del modello copernicano non poteva non conquistare una mente<br />

come quella di Galileo. Sposare le idee di Copernico significava però dichiarare<br />

guerra ad Aristotele non solo relativamente al suo sistema del mondo ma<br />

anche a tutto l’impianto fisico. La teoria aristotelica dei luoghi naturali, che<br />

rende conto dei movimenti del mondo sublunare, si basa sulla Terra immobile<br />

centro di gravità e centro del cosmo. E, come già detto, se si smantella un<br />

pilastro della fisica aristotelica cade tutto l’edificio. Di questo Galileo era perfettamente<br />

cosciente e niente affatto spaventato all’idea di dover mettere tutto<br />

in discussione proprio come stava facendo Cartesio altrove. Ma il carattere<br />

del pisano non era quello del francese che, pur avendo fondato un nuovo metodo<br />

filosofico, non andò mai incontro a problemi con le autorità ecclesiastiche<br />

percependo fin dove poteva spingersi, omettendo od usando perifrasi<br />

quando si riferiva al modello copernicano.<br />

Cartesio non riuscì però a fondare una fisica convincente alternativa alla<br />

scuola peripatetica, pur essendo stato un eccellente matematico (basti pensare<br />

all’invenzione della geometria analitica) non introdusse la matematica nella<br />

fisica porgendo il fianco alla mente geniale di Newton che, in età giovanile,<br />

riuscirà a confutare a suon di numeri le fantasiose teorie fisiche cartesiane.<br />

9 Ad esempio il modello del danese Tycho Brahe (1546-1601). Si tratta di un sistema geocentrico in cui il Sole orbita<br />

intorno alla Terra (immobile ed al centro dell’universo) ed i pianeti intorno al Sole. Questo modello riscosse abbastanza<br />

successo in quanto non metteva in discussione la centralità della Terra e, d’altra parte, risolveva delle problematiche<br />

relative al precedente modello tolemaico. Tycho non credette al modello copernicano in quanto non riscontrò<br />

mai, neanche usando strumenti costruiti da lui stesso, l’effetto di parallasse stellare che avrebbe costituito una<br />

prova inoppugnabile della mobilità della Terra. Le distanze stellari sono troppo grandi per dare angoli parallattici<br />

osservabili con gli strumenti dell’epoca, in effetti la prima parallasse stellare venne osservata da Friedrich Wilhelm<br />

Bessel nel 1838, si trattava di 51 Cyg.<br />

82


La verità… QdPD 1 (2008)<br />

Gli atenei italiani del Cinque-Seicento erano occupati da professori quasi<br />

tutti di scuola peripatetica,e gli scritti del giovane Galileo (gli Juvenilia per<br />

esempio) testimoniano l’influenza che egli subì da questi accademici.<br />

In quegli anni la cultura scientifica non era appannaggio solo dei professoroni<br />

laici ma anche della Chiesa che, in particolare con i Gesuiti, vantava figure<br />

di primo piano nell’ambito scientifico. Galileo è stato, fino all’ultimo suo<br />

giorno terreno, molto religioso e quindi sensibile al parere dei colleghi scienziati<br />

religiosi. Almeno all’inizio della sua carriera scientifica, trovò nei Gesuiti<br />

e nel Papa stesso ammirazione del suo genio mentre sempre del tutto ostili<br />

rimasero i colleghi universitari peripatetici.<br />

LA REALTÀ DEI FATTI<br />

La vicenda galileiana che termina col famoso processo, comincia a prendere<br />

corpo da quando il pisano (già convinto copernicano) comincia ad usare il<br />

cannocchiale per osservare il cielo. Per amor di verità – perché la verità è la<br />

reale protagonista della nostra lezione - non fu Galileo ad inventare il telescopio<br />

10 (da tempo in uso in guerra e in mare) ma sicuramente egli perfezionò<br />

moltissimo i modelli già esistenti e sicuramente fu il primo a puntarlo verso il<br />

cielo facendo importanti scoperte.<br />

Prima ed importante data del nostro percorso è il 1610, anno in cui Galileo<br />

scopre i quattro satelliti di Giove (Io, Europa, Ganimede e Callisto) che chiamerà<br />

“Medicei” nella famosa opera Sidereus Nuncius. Nello stesso anno osserva<br />

le fasi di Venere e la morfologia della Luna.<br />

8) Perché queste scoperte sono così importanti ? 11<br />

La notizia di queste scoperte risuonò in tutta Europa rendendo Galileo<br />

molto celebre ma esposto alle invidie da parte dei suoi colleghi accademici al-<br />

10 Gli storici non sanno ancora dirci con esattezza dove e quando comparvero per la prima volta i cannocchiali. Di<br />

certo si sa che nel 1604 molte persone guardarono attraverso il cannocchiale ed esiste un documento che del 1634<br />

che sostiene che in Olanda, a Middelburg, Zacharias Janssen costruiva un cannocchiale su un modello che egli diceva<br />

pervenuto dall’Iitalia e su cui era scritto “anno 1590”. Nel 1608 cominciò ad interessarsi allo strumento qualche<br />

militare, nella primavera del 1609 arrivava qualche notizia dello strumento a Venezia alle orecchie di Galileo: dieci<br />

mesi dopo compariva il “Sidereus nuncius” che riportava notizie rivoluzionarie.<br />

11 Perché abbattono i dogmi aristotelici sul mondo celeste incorruttibile, immutabile e perfetto. Giove è centro di gravità<br />

togliendo l’esclusiva alla Terra; Venere ha le fasi come la Luna che mostra una morfologia simile alla Terra.<br />

Crolla la millenaria divisione tra mondo celeste e sublunare, la fisica celeste diventa uguale a quella terrestre.<br />

83


Pedagogia e Didattica Marina Pescarmona<br />

cuni dei quali arrivarono persino a dubitare delle sue scoperte. Dal momento<br />

che le leggi dell’ottica non erano molto note, il cannocchiale appariva come<br />

una sorta di “scatola magica” alla stregua di un caleidoscopio ed alcuni illustri<br />

personaggi - uno tra tutti il celebre filosofo Cesare Cremonini (1550/1631)rifiutarono<br />

persino di guardarci dentro.<br />

Ed in questa occasione lo scienziato pisano poté contare sull’appoggio degli<br />

astronomi della Compagnia di Gesù che confermarono le sue scoperte dietro<br />

insistenza di Roberto Bellarmino (gesuita, cardinale e capo del <strong>San</strong>t’Uffizio,<br />

poi santo e Dottore della Chiesa, 1542-1621) Il tutto finisce con un ricevimento<br />

in suo onore al Quirinale, allora residenza papale.<br />

È davvero un anno glorioso per Galileo, Cosimo II de’ Medici gli conferisce la<br />

carica di “primario matematico straordinario dello Studio di Pisa”, lautamente<br />

pagata e senza obbligo di residenza né di lezione.<br />

Galileo, esaltato da tutto questo, non si staccava dal telescopio (al punto da<br />

finire i suoi giorni quasi cieco), scopre Saturno “tricorporeo” (il suo strumento<br />

non distingue gli anelli ma solamente tre gobbe) e le macchie solari. A coronamento<br />

della sua gloria, nella primavera del 1611, viene nominato Accademico<br />

dei Lincei ed è introdotto dal nipote ed omonimo di Michelangelo Buonarroti<br />

al cardinale Maffeo Barberini, suo grande ammiratore, che presto diverrà<br />

Papa col nome di Urbano VIII.<br />

9) Chi ha fondato l’Accademia dei Lincei? Che attività ancora si svolgono? 12<br />

Ed è proprio Maffeo Barberini che appoggia, contro l’opinione degli altri<br />

scienziati, Galileo che sostiene che il ghiaccio galleggia perché meno denso<br />

dell’acqua. Essere sponsorizzato e sostenuto da personaggi così illustri spinse<br />

il pisano ad entrare in aperta polemica scientifica con i colleghi aristotelici e a<br />

scrivere il Discorso intorno alle cose che stanno in su l’acqua e che in quella si muovono<br />

diffondendo la sua fede copernicana, ormai, per lui, una certezza.<br />

Nel 1612 un domenicano, Niccolò Lorini, accusa la teoria copernicana di<br />

eresia, ma il <strong>San</strong>t’Uffizio dà il non luogo a procedere.<br />

10) Approfondimento sul <strong>San</strong>t’Uffizio. Esiste ancora? Che attività svolge? 13<br />

12 Nel 1603 quattro amici guidati dal nobile Federico Cesi danno vita ad un sodalizio dedito allo studio della Natura.<br />

Il loro emblema è la lince, animale dotato di una vista straordinaria ad indicare il profondo spirito d’osservazione<br />

con il quale i quattro fondatori si dedicano alle loro ricerche.<br />

13 La Congregazione della sacra romana e universale Inquisizione o <strong>San</strong>t’Uffizio fu una struttura della Chiesa Cattolica<br />

creata nel 1542 da papa Paolo III. Consisteva di un collegio permanente di cardinali e altri prelati che dipendeva direttamente<br />

dal papa. Il suo compito era mantenere e difendere l’integrità della fede, esaminare e proscrivere gli errori e le<br />

false dottrine. Aristotele questo scopo venne anche creato l’Indice dei libri proibiti. L’organo che ai giorni nostri è incaricato<br />

di vigilare sulla purezza della dottrina della Chiesa Cattolica è la Congregatio pro Doctrina Fidei.<br />

84


La verità… QdPD 1 (2008)<br />

Incoraggiato forse dalla presa di posizione del <strong>San</strong>t’Uffizio, finalmente si<br />

decide a scrivere le famose quattro Lettere copernicane, private ma fatte circolare<br />

a bella posta.<br />

La prima, indirizzata a Benedetto Castelli (1577-1643), monaco benedettino,<br />

suo amico e matematico all’Università di Pisa, sostiene come alcuni passi<br />

della Scrittura non possano essere presi alla lettera.<br />

La seconda e terza lettera parlano esplicitamente dell’opera di Copernico,<br />

la quarta fonda le sue argomentazioni proprio sul testo biblico. Galileo è ormai<br />

uscito allo scoperto, forte della fama acquisita, alla quale la sua vanità non<br />

era certo insensibile.<br />

Quasi subito, il padre domenicano Tommaso Caccini (1574-1648), nella<br />

Chiesa di <strong>San</strong>ta Maria Novella in Firenze, lo attacca ma il padre Benedetto Castelli<br />

nonchè il domenicano Luigi Maraffi, che aveva una carica di primo piano<br />

nell’ordine di san Domenico, lo difendono apertamente.<br />

Nel 1615 viene invitato a Roma per esporre ai cardinali la sue argomentazioni<br />

e da Roma scrive una lettera al cardinale Alessandro Orsini (1592-1626)<br />

in cui afferma che sono le maree la prova della rotazione della Terra.<br />

11) Ed invece qual è la causa delle maree? Quali sono invece le prove della rotazione<br />

della Terra? 14<br />

Questo periodo romano si conclude con la censura del <strong>San</strong>t’Uffizio sia pur<br />

attenuata da un’attestazione in sua difesa del cardinale Roberto Bellarmino<br />

che dichiara che l’oggetto del contendere è la dottrina copernicana e non<br />

l’opera di Galileo che comunque deve promettere di togliere, nella nuova edizione<br />

delle sue opere, tutti i riferimenti alle Scritture, così da evitare sconfinamenti<br />

dalla scienza alla teologia.<br />

Promessa che di fatto non venne mantenuta poiché, nello stesso anno, nell’edizione<br />

uscita a Bologna, vengono citati di nuovo i passi biblici che secondo<br />

lui suffragano la sua tesi.<br />

A quel punto la teoria copernicana viene ufficialmente dichiarata incompatibile<br />

con la fede cattolica. Molte voci di ecclesiastici si levano a protesta, tra<br />

cui quella dello stesso Maffeo Barberini, ormai inutilmente.<br />

14 Le maree sono causate dall’azione combinata dell’attrazione gravitazionale esercitata da Luna e Sole e della forza<br />

centrifuga provocata dal moto di rivoluzione del sistema Terra-Luna intorno al baricentro comune. Le prove di<br />

rotazione intorno all’asse sono due: la deviazione verso est, rispetto alla verticale, di un grave in caduta libera (esperienza<br />

di Guglielmini, 1791) e la rotazione della traccia lasciata dall’oscillazione di un pendolo (Foucault, 1851).<br />

Prove di rivoluzione sono invece il fenomeno di aberrazione stellare e l’individuazione della parallasse stellare.<br />

85


Pedagogia e Didattica Marina Pescarmona<br />

12) Maffeo Barberini, un Papa amante delle arti e delle scienze 15<br />

Nel 1623 esce Il Saggiatore dedicato al nuovo Papa Urbano VIII (sempre Maffeo<br />

Barberini) il quale se lo fa leggere compiaciuto mentre pranza. Galileo prova,<br />

grazie alla benevolenza del Papa, a riconquistare le posizione perdute. Nel 1632<br />

pubblica, con tanto di Imprimatur ecclesiastico, il Dialogo sopra i due massimi sistemi<br />

del mondo Tolemaico e Copernicano in cui, in forma dialogica e solo apparentemente<br />

imparziale, va sostenendo la supremazia copernicana irridendo sottilmente<br />

le posizioni tolemaiche avanzate da Simplicio, un nome appositamente scelto.<br />

L’anno seguente il <strong>San</strong>t’Uffizio lo chiama a Roma, lo processa e lo costringe<br />

ad abiurare (la tortura e l’”Eppur si muove” sono leggende posteriori), condannandolo<br />

a recitare per tre anni, una volta a settimana, i sette salmi penitenziali.<br />

Soggiorno obbligato a Siena (nella casa dell’arcivescovo suo amico) seguito<br />

dal permesso di scontare il domicilio coatto nella sua villa di Arcetri, dove,<br />

ormai anziano, viene assistito dalla figlia suor Maria Celeste. Il divieto di uscire<br />

dal luogo è revocato da lì a poco in segno di rispetto perché Galileo, vecchio<br />

e quasi cieco, non ha motivi per lasciare l’agiata residenza.<br />

L’8 gennaio 1642 il grande scienziato si spegne provvisto della benedizione<br />

papale, ha raggiunto l’ età di settantotto anni, se ne va invocando il nome di<br />

Gesù. Il suo corpo viene sepolto non, come vuole la leggenda, nel campanile<br />

del noviziato di <strong>San</strong>ta Croce per l’avversione del <strong>San</strong>t’Uffizio, ma nella chiesa<br />

dove è ancora oggi. Sulla tomba gli viene anche eretto un piccolo monumento<br />

con scolpita una apologia scritta dallo stesso maestro dei novizi dei frati di<br />

<strong>San</strong>ta Croce in Firenze.<br />

Nel 1757 la Chiesa revoca la proibizione di trattare il moto della Terra e toglie<br />

dall’Indice le opere di Galileo. Il 10 novembre 1979, in occasione delle celebrazioni<br />

del primo centenario della nascita di Albert Einstein, Giovanni Paolo<br />

II, di fronte ai membri della Pontificia Accademia delle Scienze, esprimeva<br />

il desiderio di riaprire l’esame della questione galileiana ed il 3 luglio 1981 veniva<br />

istituita una Commissione Pontificia per lo studio della controversia tolemaico-copernicana.<br />

Il 31 ottobre 1992, dopo dieci anni di lavoro, il cardinale Paul Poupard presentò<br />

i risultati delle ricerche. Secondo il cardinale il fatto che Galileo “ebbe<br />

molto a soffrire” e che, quindi, “…..Bisogna riconoscere …..con lealtà, come ha<br />

chiesto Vostra <strong>San</strong>tità” i torti da lui subiti, non impedisce di considerare che<br />

fu in “una congiuntura storico-culturale, ben lontana dal nostro tempo, che i giu-<br />

15 Urbano VIII fu un grande mecenate della stagione del Barocco romano. Videro luce sotto il suo pontificato<br />

palazzi,mura,monumenti, statue, arazzi e mosaici. Fu uomo colto ed abile scrittore di versi in latino. Nel 1625 iniziò<br />

la costruzione del Palazzo Barberini ad opera del Maderno e del Bernini.<br />

86


La verità… QdPD 1 (2008)<br />

dici di Galileo, incapaci di dissociare la fede da una cosmologia millenaria, credettero<br />

a torto che l’adozione della rivoluzione copernicana, peraltro non ancora definitivamente<br />

provata, fosse tale da fare vacillare la tradizione cattolica, e che era loro<br />

dovere proibirne l’insegnamento”. In altri termini, se quei giudici caddero<br />

vittime di un “errore soggettivo di giudizio”, non furono mai mossi da cieca<br />

avversità verso la scienza.<br />

DISCUSSIONE<br />

La verità non può contraddire la verità.<br />

Nessuno potrebbe negare quest’affermazione. Non ci possono essere due<br />

verità che si contraddicono l’una con l’altra: nel nostro caso, la mobilità della<br />

Terra (verità ormai accertata) non può essere incompatibile con la Verità Rivelata.<br />

Ogni volta che la scienza scopre qualcosa di vero questo non può che suscitare<br />

l’interesse della Chiesa e di chiunque voglia conoscere un po’ di più la<br />

realtà. Dio ha reso intelligibile la natura perché la mente umana la possa scoprire<br />

progressivamente e questa conoscenza non può che arricchire il nostro<br />

spirito che si nutre di sapienza umana e divina.<br />

Dalla realtà dei fatti descritti si evince che il centro della disputa verteva su<br />

come interpretare alcune Scritture, se in modo letterale o meno. Come dice la<br />

celebre frase del cardinale Cesare Baronio (1538-1607) “la Bibbia ci insegna come<br />

andare in cielo e non come vanno i cieli.<br />

La Bibbia dunque non è un libro scientifico che si occupa di darci nozioni<br />

sulla natura, non va dunque letto, quando parla di Terra immobile in modo<br />

letterale. L’esegesi biblica è affidata a teologi che studiano appunto il significato<br />

della Parola Rivelata che costituisce per i cristiani sorgente di verità<br />

incontestabile.<br />

La teoria dell’evoluzione ad esempio è ora propagandata, dalla fazione cosiddetta<br />

scientista-atea ed anticlericale, come contraltare della creazione divina.<br />

L’ipotetica (ma probabile) derivazione corporea dell’uomo dalla scimmia<br />

non sarebbe compatibile con l’atto della creazione, con l’esistenza di un Dio<br />

che ha voluto l’emergenza dell’uomo. La Chiesa dotta non risolve la problematica<br />

negando la teoria (non ne avrebbe neanche la competenza) ma mostrando<br />

la compatibilità tra la creazione e l’evoluzione. Dio si serve dei meccanismi<br />

naturali evolutivi per arrivare laddove voleva arrivare: all’uomo. Dio<br />

esercita invece un’azione diretta immettendo l’anima spirituale nel primo uomo,<br />

segnando così una netta separazione, una discontinuità ontologica, tra la<br />

scimmia e l’essere umano.<br />

87


Pedagogia e Didattica Marina Pescarmona<br />

Quando si parla di anima si abbandona la scienza per entrare nella teologia-filosofia,<br />

nessuno scienziato in quanto tale potrebbe portare dimostrazioni<br />

che contraddicano quanto appena detto. L’anima immateriale non è oggetto<br />

della scienza.<br />

I sostenitori della recente teoria dell’ Intelligent <strong>De</strong>sign entrano invece nell’ambito<br />

del materiale e quindi della scienza. Vorrebbero dimostrare che i meccanismi<br />

dell’evoluzione darwiniana non possono aver condotto all’uomo (né<br />

agli altri animali) che sarebbe invece il frutto di un disegno intelligente. Loro<br />

scopo non è quello di caratterizzare il Disegnatore ma di dimostrare la sua necessaria<br />

esistenza evidenziando le lacune (effettivamente esistenti) delle teorie<br />

di stampo darwiniano.<br />

Personalmente ritengo pericoloso appoggiare questa teoria che dà modo<br />

agli scienziati materialisti di scagliare dardi contro la Chiesa imputata di andare<br />

contro la scienza. Il disegno di Dio si può porre sul piano della volontà.<br />

Egli ha voluto l’uomo, il modo con cui questo è materialmente emerso è un<br />

problema che possiamo lasciare interamente agli scienziati.<br />

La verità rende liberi<br />

Sul caso Galileo si continuano a dire cose non vere, che è stato esiliato, torturato<br />

su ordine della Chiesa oscurantista ed antiscientifica. Certamente è<br />

sempre in ogni caso sbagliato processare qualcuno per delle idee scientifiche<br />

giuste o sbagliate che siano, provate o non provate non ha importanza. Non è<br />

stato giusto processare e condannare Galileo, invocare le circostanze storiche<br />

non è mio giudizio sufficiente a sollevare la Chiesa del tempo dalle sue colpe.<br />

Ma non è neanche corretto, e quindi giusto, ergere Galileo a figura martire di<br />

una Chiesa, allora ed ancora oggi, antiscientifica. Galileo sembra aver scelto di<br />

scontrarsi con il <strong>San</strong>t’Uffizio, non rispettando il divieto mettere, nella nuova<br />

edizione delle sue opere, tutti i riferimenti alle Scritture. Ha scelto di propagandare<br />

la sua verità perché per lui era impossibile non farlo. E questo ardore<br />

è comprensibile, lo possiamo provare ogni volta che siamo proprio convinti<br />

di qualcosa, anche se non abbiamo le prove per sostenerne la verità. Galileo<br />

avrebbe potuto evitare ogni guaio evitando lo sconfinamento con la teologia<br />

(peraltro non era neanche il suo campo di pensiero come ad esempio nel caso<br />

di Giordano Bruno) e propagandando il copernicanesimo come un’ipotesi.<br />

Non è stato cauto: è stato prorompente, a volte irridente (vedi la scelta del nome<br />

Simplicio nel Dialogo), disubbidente, insomma non ha voluto evitare le conseguenze<br />

che ben poteva immaginare.<br />

Ma Galileo è morto invocando Gesù, questo i paladini del “Galileo vittima<br />

della Chiesa oscurantista” non lo dicono, non fa comodo immaginare il gran-<br />

88


La verità… QdPD 1 (2008)<br />

de scienziato inginocchiato a pregare. Eppure egli aveva una fede che non è<br />

stata neanche un po’ incrinata dalle vicende alle quali è andato incontro. Galileo<br />

è rimasto libero di pensare fino alla fine a quello in cui credeva: la Terra<br />

che si muove e Gesù sceso in terra a salvarci.<br />

L’esortazione è allora quella di non fidarsi a priori dei giudizi altrui che<br />

a volte, più che giudizi, sono pregiudizi. Cercare la verità rende liberi, liberi<br />

di scegliere le nostre e solo nostre posizioni. Il pregiudizio è la prigione<br />

che bisogna evitare.<br />

Libertà e giustizia<br />

Non c’è giustizia senza libertà. Suona bene, ma è sempre così? È davvero<br />

sempre giusto lasciare ad esempio libertà di parola, opinione, azione? Se ci<br />

trovassimo, ai giorni nostri, davanti a qualcuno che va propagandando una<br />

teoria su quanto sia giusto sterminare gli ebrei, sarebbe questo lecito? Ovviamente<br />

no. Ma le cose possono non essere sempre così chiare, il confine tra lecito<br />

ed illecito non è sempre definito. Un campo in cui emerge chiaramente la<br />

labilità di questo confine è quello della bioetica, una scienza fondata in tempi<br />

recenti in seguito alle nuove possibilità d’intervento umano sulla natura.<br />

È giusta la fecondazione artificiale? Chi stabilisce i confini del lecito e giusto?<br />

La società umana, la società che nel tempo è cambiata molto dai tempi di<br />

Galileo e che ancora cambierà. Non ci sono regole condivisibili in ogni tempo<br />

ed in ogni luogo, per questo la questione bioetica è davvero spinosa, non ha<br />

la possibilità di validazione universale che ha la scienza.<br />

La Chiesa però delle certezze le ha, e queste certezze, non opinioni (proprio<br />

come la Terra che si muove per Galileo ) vuole con forza proporre. Con la forza<br />

di chi sa d’aver ragione si trova la Chiesa di oggi a mettere dei paletti al relativismo<br />

tanto temuto da Papa Benedetto XVI.<br />

89


Pedagogia e Didattica Marina Pescarmona<br />

BIBLIOGRAFIA<br />

R. CAMILLERI, Il caso Galileo, Novara 2004.<br />

F.S. COLLINS, Il linguaggio di Dio: Alla ricerca dell’armonia fra scienza<br />

e fede, Milano 2007.<br />

N. FABBRI, Cosmologia ed armonia in Kepler e Mersenne: contrappunto<br />

a due voci sul tema dell’Harmonice mundi”, Firenze 2003.<br />

K. FERGUSON, L’uomo dal naso d’oro: Tycho Brahe e Giovanni Keplero:<br />

La strana coppia che rivoluzionò la scienza, Milano 2003.<br />

L. GEYMONAT, Storia del pensiero filosofico e scientifico, Milano 1995.<br />

M. GLIOZZI, Storia della fisica (a cura di Alessandra e Ferdinando Gliozzi), Torino<br />

2005.<br />

A. KOYRE’, Studi galileiani, Torino 1979.<br />

P. ROSSI, La nascita della scienza moderna in Europa, Bari 2005.<br />

J.J. SANGUINETI, Scienza Aristotelica e Scienza Moderna, Roma 1992.<br />

90


La Prosopopea delle leggi QdPD 1 (2008)<br />

Strumenti per la didattica modulare del greco<br />

Percorso Tematico<br />

La Prosopopea delle Leggi<br />

ManueLa ReveLLo<br />

uno dei più fortunati canovacci didattici utili alla discussione sui temi della<br />

giustizia e della libertà è senza dubbio il Critone di Platone. Su questo dialogo<br />

socratico ho dunque dapprima progettato, poi sperimentato, una unità Didattica<br />

di cui offro un saggio che possa costituire spunto di riflessione e piattaforma<br />

di lavoro per insegnanti ed educatori.<br />

<strong>De</strong>stinatari: alunni II liceo classico<br />

Prerequisiti:<br />

1) Padronanza della morfo-sintassi greca nelle sue strutture fondamentali<br />

2) Conoscenza della figura di Socrate nel suo contesto storico<br />

3) Conoscenza generale dell’opera di Platone<br />

Contenuti:<br />

Il problema della violazione delle leggi<br />

Il contratto tra leggi e cittadino<br />

91


Pedagogia e Didattica Manuela Revello<br />

Testo principale:<br />

Platone, Critone, 50a-51c<br />

Testi di supporto:<br />

aristofane, Nuvole, 1400-65<br />

Platone, Protagora, 325c-326e<br />

Tucidide, Epitafio di Pericle, II, 37,1-3<br />

<strong>De</strong>mostene, Contro Midia, 223-224<br />

Lisia, Per l’uccisione di Eratostene, 34-36 e 47-50<br />

versioni del Critone di Manara valgimigli e di Maria Michela Sassi<br />

Strategia didattica:<br />

alla presentazione dell’argomento seguono traduzione e commento linguisticoletterario,<br />

con confronti, in modalità frontale-interattiva. In modalità laboratoriale<br />

si svolge invece la traduzione contrastiva con dibattito/riflessione guidata dall’insegnante.<br />

Successiva al laboratorio la somministrazione della verifica.<br />

Strumenti:<br />

Testo greco del Critone e testi di supporto<br />

Fotocopie del materiale non presente nei manuali scolastici<br />

vocabolario di greco<br />

Manuale di grammatica e sintassi greca<br />

Dizionario etimologico e schede lessicali<br />

Obiettivi:<br />

Saper analizzare e tradurre i passi del Critone 50a-51c<br />

Saper illustrare il significato del rapporto tra leggi e cittadino espresso nel Critone<br />

Saper individuare gli snodi argomentativi nel discorso delle Leggi<br />

Verifica:<br />

Tipologia: semistrutturata<br />

L’alunno deve individuare e/o commentare parole-chiave inerenti alla retorica<br />

e al metodo socratico tratte dal Discorso delle Leggi<br />

Durata: 7 ore comprensive di verifica e riconsegna elaborati<br />

I destinatari risultano normalmente già informati circa la figura di Socrate nel<br />

suo contesto storico, e ricordano bene anche Platone, affrontato nel precedente<br />

anno scolastico attraverso la programmazione di filosofia: prerequisiti indispensabili<br />

alla messa in pratica della presente unità Didattica. L’argomento va<br />

92


La Prosopopea delle leggi QdPD 1 (2008)<br />

introdotto attraverso una breve sintesi del quadro storico-culturale dell’atene<br />

del v secolo a.C. - funzionale anche ad una verifica immediata di tali prerequisiti<br />

– mentre il cuore dell’unità Didattica è il problema del “contratto” tra<br />

leggi e cittadino.<br />

In una sequenza di quattro lezioni, vengono trasmessi i meccanismi del discorso<br />

socratico commentando dettagliatamente la Prosopopea delle Leggi, corrispondente<br />

al passo 50a-51c del Critone, integrandola e confrontandola con altri passi<br />

significativi della letteratura greca aventi come tema il rapporto fra leggi e<br />

cittadino. Per completare il percorso, l’ultimo incontro deve svolgersi in modalità<br />

laboratoriale, proponendo la traduzione contrastiva del passo, attraverso il<br />

confronto fra traduzioni di autori ed epoche diverse. Lo scopo di tale attività è<br />

duplice: sviluppare negli allievi l’abilità nel rintracciare snodi significativi all’interno<br />

di un discorso argomentativo e consentire al docente di ricevere un feedback<br />

su quanto essi progressivamente maturano. Quindi, dopo tre lezioni e<br />

un laboratorio, va somministrata una verifica di tipo semistrutturato, seguita<br />

da un incontro per la riconsegna degli elaborati corretti e valutati.<br />

testi Platone, Critone, 50a-50c<br />

Platone, Protagora, 325c-326e (in italiano)<br />

aristofane, Nuvole, 1400-1465 (in italiano)<br />

contenuti metodo dialogico<br />

cornice del Critone<br />

il “vivere bene”<br />

procedimenti retorici<br />

patria e cittadino<br />

padri e figli<br />

strategia modalità frontale-interattiva<br />

obiettivi - saper analizzare e tradurre Critone 50a-50c<br />

- saperne individuare i principali snodi argomentativi<br />

- saper illustrare il ruolo dell’educazione in Grecia<br />

durata 120’<br />

Prima Lezione<br />

IL PROBLEMA DELLA VIOLAZIONE DELLE LEGGI<br />

93


Pedagogia e Didattica Manuela Revello<br />

Il ruolo dell’insegnante è inizialmente quello di ripercorrere la biografia di<br />

Platone insieme agli allievi valorizzando e mettendo in ordine ciò che essi già<br />

conoscono del metodo socratico: esso, che fu in seguito adottato da diverse<br />

scuole filosofiche – soprattutto la platonica, l’aristotelica e la stoica – si basava<br />

sulla discussione attraverso (dia/) il ragionare (le/gesqai), procedendo di<br />

riduzione in riduzione fino alla premessa non più oppugnabile, necessariamente<br />

convincente perché non contraddittoria e – soprattutto – “con-ragionata”<br />

(o¸mologi¿a). Il dialogo è una scelta espressiva, con cui Platone «si liberava<br />

dall’obbligo di identificarsi con la verità delle conclusioni o con l’esattezza<br />

dell’argomentare» 1 . La forma dialogica consentiva la compresenza di una<br />

pluralità di punti di vista, e ogni discorso risulta un momento di grande dignità,<br />

in cui colui che parla è portatore di una parte di verità, utile al raggiungimento<br />

completo di essa: ogni lo¿goj costituisce una tappa proficua del percorso<br />

di ricerca. Si deve poi parlare della versatilità del dialogo, che consentiva al<br />

filosofo – nella sua convinzione dell’inferiorità del discorso scritto rispetto al<br />

parlato 2 - di «sfuggire alla mutila fissità del trattato» 3 , permettendo – attraverso<br />

il sistema di domanda e replica – di sviscerare un problema nei suoi<br />

molteplici aspetti. Soprattutto, l’articolazione dialogica rispondeva alla necessità<br />

paradigmatica di riprodurre l’esplorazione filosofica: in altre parole il<br />

diale/gesqai, sul modello della conversazione filosofica, conduceva passo<br />

passo allo snodarsi dell’argomentazione, mostrando attraverso quali procedimenti<br />

andava condotta la ricerca del sapere 4 .<br />

In questo dialogare Critone tenta di persuadere il filosofo a fuggire, facendo<br />

anche appello all’opinione della gente che scorgerà nel comportamento di<br />

Socrate e dei suoi amici codardia e viltà per la mancata fuga. Socrate non<br />

respinge questo invito perché la legge lo vieta, ma pone una questione preliminare,<br />

e cioè la necessità di stabilire se la fuga è giusta, oppure se non lo è.<br />

Socrate rifiuta di agire a caso, come farebbero oi¸ polloi¯, e conduce grada-<br />

1 Ibidem, p. 113.<br />

2 nel Fedro Platone fa dire a Socrate che «chi crede di tramandare un’arte con la scrittura […] deve essere ricolmo<br />

di molta ingenuità […]» perché i discorsi scritti «se domandi loro qualcosa di ciò che dicono con l’intenzione<br />

di apprenderla, questo qualcosa suona sempre e solo identico. E, una volta che è scritto, tutto quanto il discorso rotola<br />

per ogni dove, finendo tra le mani di chi è competente così come tra quelle di chi non ha niente da spartire con<br />

esso, e non sa a chi deve parlare e a chi no. Se poi viene offeso e oltraggiato ingiustamente ha sempre bisogno dell’aiuto<br />

del padre, poiché non è capace di difendersi da sé, né di venire in aiuto a se stesso». Cfr. 275d-e, traduzione<br />

di u. Bultrighini, in MaLTeSe 20052 , II, p. 509.<br />

3 nIeDDu 1992, p. 574. Tra i passi più celebri inerenti al problema della parola scritta nel pensiero di<br />

Platone, vorrei ricordare quello sul mito delle cicale incantatrici, ancora nel Fedro, 258e-259d; quello su<br />

comunicabilità e principi dell’epistéme, nella Lettera vII, 342a e quello sull’immobilità della scrittura, ancora<br />

nella Lettera vII, 342e-343a.<br />

4 Cfr. <strong>San</strong>DBaCH 20073 , p. 113, ma soprattutto – per l’opposizione fra epidissi-retorica-macrologia e dialettica-brachilogia<br />

- aDoRno 1968, pp. 7-14.<br />

94


La Prosopopea delle leggi QdPD 1 (2008)<br />

tamente Critone a concordare con le opinioni via via sostenute: innanzitutto,<br />

che ou© to\ zh½n peri\ plei¯stou poihte¯on a©lla\ to\ euÅ zh½n (48b), in secondo<br />

luogo, che ou©damw ½j aÃra deÍi a©dikeiÍn, w ¨j oi¸polloiÜoiÃontai (49b),<br />

ossia che è importante non tanto vivere, quanto vivere bene, e che in nessun<br />

caso va commessa ingiustizia, come pensa la gente. Solo dopo questa introduzione,<br />

è opportuno procedere con la lettura e l’analisi del passo 50a-51c, spiegando<br />

ai ragazzi che sarà affrontato il cuore dell’argomentazione socratica<br />

interna al Critone.<br />

Si comincerà, dopo una prima lettura, con il soffermarsi sul senso del verbo<br />

skope¯w , ricordando quanto esso sia fondamentale nell’indagine socratica, dal<br />

momento che indica la riflessione, volta ad osservare la realtà da angoli visuali<br />

diversi: Socrate, per convincere il suo interlocutore dei propri argomenti a<br />

favore di una accettazione della condanna a morte, invita Critone a prendere<br />

in considerazione un’altra prospettiva.<br />

Scheda lessicale: skope¯w<br />

Ci sarebbero due spiegazioni circa la formazione del tema verbale skope: 1) al<br />

grado forte della radice fu aggiunto un ampliamento in -e, con originario valore<br />

iterativo-causativo 2) si tratta di un denominativo da skopo¿j, ouÍ, “osservatore”<br />

e anche “spia”. In ogni caso sembra vada ricondotto a ske¿ptomai, forma<br />

più rara in attico, col senso di “volgere lo sguardo verso qualcosa, considerare,<br />

esaminare” e che nel greco moderno significa “esaminare, meditare”. Fra i suoi<br />

derivati, si può ricordare ske¯y ij, “vista, osservazione, considerazione. Si è supposta<br />

un’originaria forma *skep-yo-mai, che risponde al latino specioV, oltre che<br />

a forme del sanscrito e dell’avestico. Il nome skopo¿j, da cui potrebbe essersi<br />

formato skope¯w , potrebbe rispondere al sanscrito spáša-, “guardare”. nelle lingue<br />

germaniche si è verificata una specializzazione per esprimere la nozione<br />

della profezia: ad es. nel norvegese spaVr, “che predice” (si risalirebbe ad un<br />

indoeuropeo *spoko-) e spaV, “predizione”. Secondo il Benveniste, un tema *sp-ek<br />

potrebbe confrontarsi con la radice *sep- del sanscrito sápati, “mostrare rispetto”.<br />

In italiano, si possono ricordare termini quali scopo e scettico, oltre a composti<br />

come microscopio, periscopio, telescopio, oroscopo. Per completezza, e per tenere vivi<br />

l’interesse e la memoria degli alunni per il lessico, va colta sempre l’occasione<br />

per ricordare anche altri verbi che in greco esprimono l’idea del vedere: utilissimo<br />

a tale scopo lo studio di B. Snell, che ha osservato quanto numerosi fossero<br />

- per necessità della lingua antica estranee a quella più recente - questi verbi in<br />

omero: o¸raÍn, i©deiÍn, leu¯ssein, a©qreiÍn, qeaÍsqai, ske¯ptesqai, oÃssesqai,<br />

dendi¯llein, de¯rkesqai, paptai¯nein, mentre dopo di lui troviamo, a sostituirli,<br />

soltanto ble¯pein e qew reiÍn. Cfr. SneLL 2002 (1963), pp. 22-24.<br />

95


Pedagogia e Didattica Manuela Revello<br />

Dopo aver letto e tradotto la formulazione dell’ipotesi, da parte di Socrate, che<br />

le Leggi stesse gli rivolgano la parola, va evidenziato il costrutto del participio<br />

presente di me¯llw , qui espresso in dativo e concordato con h¸miÍn, che regge<br />

l’infinito a©podidra¯skein e che si può considerare analogo alla perifrastica<br />

attiva latina. Si deve poi far notare agli allievi che ci troviamo di fronte ad un<br />

periodo ipotetico, in cui l’ottativo aoristo di eÃromai, collegato all’iniziale ei), è<br />

la protasi della possibilità, mentre l’apodosi la si trova un po’ più avanti, subito<br />

dopo il discorso diretto delle Leggi, precisamente nella locuzione<br />

ti¯e©rouÍmen.<br />

5 Cfr. MaMone 1955, p. 32.<br />

6 Socrate infatti non intende rispondere con l’ingiustizia all’ingiustizia, ossia recare danno ed offesa alla<br />

patria, «che è pur sempre quella lo ha condannato e che in questi frangenti, come non mai, è in preda ai<br />

mestatori e ai profittatori». Cfr. GIaRDInI 2005 2, p. 126.<br />

96<br />

Scheda lessicale: eÃromai<br />

ancora senza una precisa spiegazione riguardo l’etimologia, è uno dei diversi<br />

presenti, insieme a e©re¯w , eiÃromai, e©reei¯nw , e©reuna¯w , e©rw ta¯w ,indicanti<br />

l’idea del domandare, del chiedere, dell’interrogare. all’origine di queste forme<br />

sono stati supposti un radicale *e©rF- e un radicale *e©reF-. In particolare, il<br />

verbo e©reuna¯w e i suoi derivati esprimono la nozione di “inchiesta, ricerca”,<br />

mentre con e©rw ta¯w si indica il “porre delle questioni”. Il greco moderno<br />

impiega ancora eÃreuna nel senso di “investigazione, perquisizione”, mentre<br />

e©reunw =significa “esaminare, esplorare” e e©rw tw = “esaminare, esplorare”.<br />

L’etimologia resta ignota, anche se un confronto è stato fatto tra e©reuna¯w e la<br />

voce norvegese raun, “tentativo, prova, esplorazione”.<br />

andrebbe conferita particolare enfasi al verbo a©podidra¯skein, spiegando che<br />

si tratta di un verbo ignominioso, perché nel mondo greco era usato in riferimento<br />

agli schiavi e ai disertori: Socrate stesso sembra volerne attenuare l’impatto<br />

attraverso l’inciso eiÃq’ oÐpw j dei= o©noma¯sai tou=to 5 , ma la connotazione<br />

negativa resta, e allude all’atto vergognoso di venir meno ai propri doveri<br />

di cittadino 6 .


La Prosopopea delle leggi QdPD 1 (2008)<br />

Scheda lessicale: a©podidra¯skw<br />

Da un tema draV- alternante con draVp-: l’origine di quest’ultimo sembra inspiegabile,<br />

anche se si è tentato un confronto con il sanscrito draVpaiaty, verbo causativo<br />

che significa “far correre”. Il tema di eÃdraVn si ritrova invece nel presente<br />

radicale atematico del sanscrito dráti, “egli fugge”: la radice sarebbe *der, da cui<br />

*dr-e 2- . altri temi sarebbero *dre-w-, riscontrabile nel sanscrito drávati, *dr-em-,<br />

nel sanscrito dramati, confrontabile con drameiÍn, usato come aoristo nella<br />

coniugazione di tre¯xw . Da ricondurre a didra¯skw sono forme come<br />

drape¯thj, “disertore, fuggiasco”, drasmo¯j, “fuga”, aÃdrastoj, “che non<br />

fugge” o “che non cerca di fuggire (a)- privativo). Il suffisso -skw sottolinea il<br />

processo necessario per realizzare la fuga. Le forme verbali presentano tutte il<br />

preverbo a)po-.<br />

Congiuntamente all’analisi linguistica, va fortemente sottolineato il procedimento<br />

retorico della prosopopea delle Leggi, ossia il colpo di scena attraverso<br />

cui le Leggi personificate bloccherebbero Socrate in fuga per rivolgergli una<br />

serie di domande: è lo snodo argomentativo fondamentale dell’intero dialogo<br />

7 . Si devono invitare i ragazzi a considerare la potenza visiva e l’efficacia<br />

drammatica di questo procedimento, ricordando loro che secondo alcuni studiosi<br />

è più che appropriato il paragone con le consuetudini teatrali, in quanto<br />

le Leggi assumono la stessa funzione che ha il deus ex machina nel dramma<br />

greco: il coup de thea½tre che risolve in modo definitivo e indiscutibile la situazione<br />

8 . va fatto inoltre notare che nella locuzione oi¸no¯moi kai\ to\ koino\n<br />

thÍj po¯lew j le leggi sono considerate in perfetto accordo con la collettività,<br />

formando un unico organismo giuridico e politico 9 capace, nella finzione<br />

“teatrale”, di presentarsi a Socrate (azione espressa dal participio aoristo fortissimo<br />

di e)fi¯sthmi) e di parlargli: è la po¯lij, che parla.<br />

Da mettere in evidenza è anche l’immediato tono inquisitorio, il ritmo incalzante,<br />

in una sorta di “processo alle intenzioni” iniziato con la domanda ti¯e)n<br />

7 Si potrebbe fare una distinzione tra prosopopea e personificazione: quest’ultima, molto cara alla letteratura classica,<br />

consisterebbe nel conferire attributi umani a idee astratte (la Giustizia, la Fede, la Fama, etc.), a fenomeni<br />

della natura (la notte, le Stelle, etc.), a oggetti inanimati, ad animali. La personificazione è spesso associata<br />

all’allegoria. Secondo alcuni, sarebbe più corretto dire prosopopea quando l’autore fa parlare oggetti personificati<br />

o persone defunte. Da pro¿sw pon, “volto” e poie¯w , “faccio”. Cfr. anTISeRI et al. 1993, p. 1305.<br />

8 Cfr. SaSSI 19988 , pp. 84-85, ma specialmente nIeDDu 1992, pp. 578-580.<br />

9 Sono stati sollevati problemi di traduzione e di interpretazione riguardo alla formula oi¸ no¯moi kai\ to\<br />

koino\n thÍj po¯lew j. Secondo CaLoGeRo 1984, pp. 260-263, essa indicherebbe la costituzione giuridica<br />

ateniese nel suo complesso, mentre per molti critici anglosassoni la locuzione equivarrebbe a “the laws<br />

and the commonwealth”. Cfr. IoPPoLo 1996, p. 135, nota 32 (con bibliografia).<br />

97


Pedagogia e Didattica Manuela Revello<br />

n% ½ eÃxeij poiei=n; corrispondente al latino in animo habere, seguita dalla formula<br />

interrogativa aÃllo ti hÄ; colloquiale, traducibile letteralmente con<br />

“qualche altra cosa o…?”, ma equivalente per il senso al latino nonne, da cui<br />

aspettarsi una risposta affermativa: secondo le Leggi, Socrate avrebbe intenzione<br />

di “mettere mano” - e©pixeireiÍn 10 - alle leggi stesse e di distruggere –<br />

a)pole¯sai- l’intera città. In tale contesto mi è parso opportuno sottolineare<br />

l’espressione-chiave to¯so\n me¯roj, in quanto essa mette in chiaro che ogni<br />

cittadino ha una pesante responsabilità dal momento che può, con i suoi comportamenti,<br />

contribuire a vanificare la struttura giuridica della città.<br />

Contestualmente alla traduzione, va fatto presente che la proposizione relativa<br />

introdotta da e)n$Òha come antecedente e)kei¯nhn th\n po¯lin, spiegando che<br />

tutta la domanda intende mettere in risalto l’impossibilità di resistere, per una<br />

po¯lij in cui ai¸di¯kai, le sentenze, vengano rese aÃkuroi, cioè deboli,<br />

u¸po¯tw =n i¹diw tw =n, dai privati cittadini: solo l’e¹kklhsiā aveva la facoltà di<br />

concedere la grazia ai condannati, quindi l’iniziativa personale, arbitraria, che scavalcava<br />

le autorità competenti, costituiva un fatto molto grave 11 . È inoltre utile, ai<br />

fini della messa in rilievo dei procedimenti retorici, far notare agli alunni il senso<br />

di giustizia conferito alle sentenze: in quanto tali, esse non possono che essere giuste,<br />

dunque indicate con la stessa parola di¯kh, e che non a caso si ritrova spesso<br />

la sua radice nel corso di una lettura così ricca, appunto, di figure etimologiche.<br />

Per le stesse ragioni, andrebbe anticipato che anche l’idea contenuta nel<br />

termine aÃkuroi (a)-privativo + ku=roj, “potenza, autorità”, confrontabile con<br />

ku¯rioj, “padrone”) si ripropone qualche riga più avanti, a rafforzare la contrapposizione<br />

tra efficacia e inefficacia delle sentenze emanate dalla po¯lij.<br />

In effetti, nel mondo greco questo sostantivo sembra impiegato in due modi differenti:<br />

in omero è assai raro e indica “la regola, l’uso”, ed è pure attestato un avverbio<br />

di¯khn nel senso di “alla maniera di”. Questo primo uso è parallelo a quello<br />

di qe¯mij, però con una sfumatura diversa. un secondo uso ha visto passare dalla<br />

nozione di “regola, uso” a quella di “giustizia”, da un punto di vista prevalentemente<br />

umano, a differenza di qe¯mij, anche in opposizione a biā. La giustizia<br />

appare poi personificata in esiodo, in Pindaro, in eschilo. un particolare impiego è<br />

quello della giustizia “proferita”, ossia il giudizio, che può essere giusto o sbagliato.<br />

10 Chiara la derivazione del composto dal sostantivo xei¿r, xeiro¿j (probabilmente da *ghersr-): l’idea della<br />

violenza appare ancora più accentuata. Per l’etimologia, cfr. CHanTRaIne 1999 (1968), p. 1252.<br />

11 Sull’istituzione ateniese dell’ e¹kklhsiā si veda la raccolta di articoli in HanSen 1983, una parte dei<br />

quali riguardanti il Iv secolo.<br />

98<br />

Scheda lessicale: di¯kh


La Prosopopea delle leggi QdPD 1 (2008)<br />

va messo fortemente in rilievo il verbo o¸mologe¯w , “essere d’accordo”, ricordando<br />

che per la ricerca socratica è condizione indispensabile che gli interlocutori<br />

proseguano il dialogo solo dopo aver raggiunto la o¸mologiā, “concordanza,<br />

consenso” sui singoli punti, attraverso la persuasione 12 : tra Socrate e<br />

le Leggi c’è un accordo per cui esse gli hanno garantito aiuto e protezione in<br />

cambio della sua totale ubbidienza 13 . va spiegato che proprio il richiamo<br />

all’o¸mologiā rende cruciale questo snodo argomentativo, in quanto tutto il<br />

resto della prosopopea trae ragion d’essere ed efficacia da questo assunto iniziale,<br />

in cui le Leggi sono un vero e proprio contraente 14 .<br />

Scheda lessicale: o¸mologiā<br />

Fondamentale nel lessico dell’indagine socratica, il sostantivo è composto da<br />

o¸mo¯j, “identico, uguale” (radice indoeuropea *somo- che in greco ha dato l’esito<br />

o¸m-e in latino sim-, cfr. similis) e lo¯goj: per bocca delle Leggi, Platone enuncia<br />

l’intero metodo della discussione, perché da questo riconoscimento si potrà<br />

procedere alla necessaria ske¯y ij, “la riflessione”, da cui verrà poi la<br />

bou¯lesij, ossia la “deliberazione”. Cfr. GIaRDInI 20052 , p. 126, nota 16.<br />

Quanto all’etimologia di o¸mo¯j, già accennata, sembra si tratti di qualcosa di<br />

molto antico: nella vastità dei confronti possibili, ricordo qui il sanscrito samá-<br />

“uno, lo stesso”, persiano hama-, germanico samr, sami, gotico sa, sama, antico<br />

irlandese –som. La radice va ricondotta ad un concetto esprimente l’unità e<br />

l’identità, riscontrabile con diversi vocalismi in parole quali eiÒj, aÐma, a¸copulativo,<br />

eÐteroj, *a¸moj.<br />

12 Sull’importanza della persuasione, pure personificata nella dea P eiqw ¿, si veda RICCIaR<strong>De</strong>LLI 2003,<br />

pp. 203-204 (con bibliografia).<br />

13 al compimento dei diciotto anni, era prevista per i figli di cittadini ateniesi la dokimasi¿a, un esame dei<br />

requisiti fisici e giuridici a cui si veniva sottoposti per ottenere l’iscrizione nei registri del demo: cfr. IoP-<br />

PoLo 1996, p. 137, nota 44. Chi non avesse gradito questi ordinamenti, poteva andare in una delle colonie<br />

dove, come cittadino della madrepatria, avrebbe goduto di particolari privilegi. Se si sceglieva una<br />

destinazione totalmente straniera, atene continuava comunque a proteggere i propri nativi, più o meno<br />

come proteggeva i meteci. Si ricordi l’istituto della proxenia, per cui cfr. GuaRDuCCI 1987, p. 124. Il<br />

punto importante da rilevare è che chi rimaneva, avendo avuto libera scelta, si impegnava da quel<br />

momento ad accettare e ad osservare tutti gli ordinamenti della città. Cfr. GIaRDInI 2005 2, pp. 129-130,<br />

nota 18.<br />

14 Si tratta di una forte innovazione, attuata per mezzo di un’inversione che tende a polemizzare nei confronti<br />

delle teorie etico-giuridiche propugnate da antifonte. Cfr. CaLoGeRo 1984, pp. 257-261, oltre che<br />

IoPPoLo 1996, pp. xxx-xxxi.<br />

99


Pedagogia e Didattica Manuela Revello<br />

Gli alunni devono essere sollecitati ad individuare un altro importante procedimento<br />

retorico, quello dell’ironia: le Leggi ordinano a Socrate di non meravigliarsi<br />

(mh\ qau¯maze) di ciò che esse dicono ma di rispondere (a¹pokri¯nou),<br />

dal momento che egli è eiÃw qaj, cioè “abituato”, a xrh=sqai t% = e¹rw ta=n te<br />

kai\ a¹pokri¯nesqai, cioè “impiegare il (metodo del) domandare e (del)<br />

rispondere”. va quindi evidenziato come le Leggi ritorcano contro Socrate il<br />

metodo maieutico 15 da lui stesso creato, qui indicato da Platone con i due infiniti<br />

presenti sostantivati dall’articolo 16 (in dativo perché retti da xraōmai,<br />

analogamente al latino utor + ablativo) e connessi dal gruppo te kai\, ad esprimere<br />

l’intrinseca unità del metodo dialettico socratico.<br />

15 Come è noto l’arte della maieutica aiuta a partorire, e anche Socrate - figlio di una levatrice - la possiede,<br />

pur con delle differenze: per i passi più significativi sulle proprietà di tale arte, cfr. Teeteto, 149b-150a;<br />

150b; 210c; 150c-d; 157c-d; 161e-162a; 210b-d. altri passi, relativi soprattutto all’analogia tra il processo<br />

della conoscenza e la procreazione e la generazione, sono Simposio, 206e, 207e-208e, 209b; Fedro, 251e; La<br />

Repubblica, vI,490b e vII, 518c.<br />

16 ampiamente sottolineato il rapporto strettissimo tra lingua e formazione dei concetti in SneLL 2002<br />

(1963), pp. 313-314, al capitolo intitolato “La formazione dei concetti scientifici nella lingua greca”: questi si<br />

sarebbero «sviluppati proprio dalla lingua in modo organico»: l’esistenza dell’articolo determinativo è<br />

uno dei fondamentali punti di partenza per la possibilità stessa di un qualsivoglia concetto scientifico<br />

(ibidem, anche pp. 315-319, e il discorso si allarga alle forme nominali del verbo fino a p. 321). La lingua<br />

filosofica avrebbe inoltre contribuito, in questa tendenza alla formulazione chiara e precisa, a far sorgere<br />

nel v secolo un gran numero di astratti in -sij, compiendo un’evoluzione che – appunto per amore<br />

di chiarezza concettuale – era già cominciato nella lingua primitiva (ibidem, p. 322).<br />

100<br />

Scheda lessicale: eiÃw qaj<br />

Si tratta di un perfetto, a vocalismo allungato, da un ipotetico presente *eÃqw , da<br />

radice indoeuropea *swedh-. L’esito sarebbe dovuto ai passaggi sFeq- > e¹q- /<br />

h¹q- / w ¹q- (cfr. eÓqoj, “abitudine, uso”, hÕqoj, “uso, carattere”). Confrontabile il<br />

latino suesco, “essere solito”, assuesco, “abituare”, consuetus, etc.<br />

Proseguendo nella lettura, contestualmente alla traduzione va fatta notare la<br />

ripresa dei concetti di “metter mano” e “distruggere”, già visti più indietro, fino<br />

ad incontrare un nuovo snodo argomentativo, realizzato tramite l’interrogativa<br />

retorica introdotta dalla congiunzione negativa proclitica ou¹(analoga al latino<br />

nonne), il cui fulcro è costituito dall’indicativo aoristo del verbo genna¯w : le Leggi<br />

sostengono di aver generato esse stesse Socrate, dal momento che presiedono<br />

anche alla regolamentazione dei matrimoni (oi¨ no¯moi oi¨ peri\ tou¯j ga¯mouj).


La Prosopopea delle leggi QdPD 1 (2008)<br />

17 Cfr. IZZo D’aCCInnI 1989 14 , pp. 98-99.<br />

18 Cfr. PIeRI 1993, p. 129.<br />

Scheda lessicale: genna¯w<br />

La radice, come è noto, indica il concetto della “generazione” (cfr. ge¯noj, “stirpe”),<br />

ed è largamente e chiaramente attestata in numerose lingue indoeuropee<br />

secondo l’apofonia gen, gon, gn, variamente ampliabile da elementi suffissali.<br />

Il verbo genna¯w si classifica come denominativo di ge¯nna e funziona come un<br />

fattitivo del presente a raddoppiamento gi¯gnomai, “nascere”: il senso è dunque<br />

quello di “riprodurre, generare”, soprattutto in relazione alla paternità, e la<br />

forma genne¯santej indica “i genitori”.<br />

Il punto va enfatizzato spiegando che nel discorso delle Leggi viene stabilito che<br />

ogni azione umana possiede un carattere politico, in quanto si inserisce in una<br />

comunità dalla quale l’uomo non può prescindere 17 . al termine della domanda,<br />

pertanto, le Leggi ordinano a Socrate di spiegare - fra¯son, imperativo aoristo<br />

di fra¯zw - se abbia qualcosa da rimproverare loro - me¯mf$, indicativo presente<br />

di me¯mfomai - “cioè che non vanno bene”: espressione, quest’ultima,<br />

resa da Platone con w ¨j ou¹ kalw =j eÃxousin, dove l’uso di kalo¯j indica ciò<br />

che si conforma ad un valore, piuttosto che a un ideale di bellezza esteriore 18 .<br />

Scheda lessicale: fra¯zw<br />

In diatesi attiva il senso è quello di “far comprendere, indicare” attraverso i<br />

segni o la parola, “spiegare” ciò che si pensa o che si vuole dire. In omero indica<br />

anche il “parlare”, per farsi capire, “dire, annunciare”. In diatesi media<br />

esprime il “pensare, riflettere, essere di un avviso, meditare, immaginare”.<br />

L’etimologia non è ben ricostruibile, se non ipotizzando un radicale frad- che,<br />

nell’aoristo pe¯frade, doveva presentare un vocalismo ridotto. La dentale<br />

andrebbe pensata come una espansione, mentre nella vocale andrebbe visto<br />

l’esito di un’antica sonante lunga */ n@/: si sarebbe così originata una forma<br />

frh¯n, di cui fra- rappresenterebbe il grado zero.<br />

Socrate affermerebbe – fai¯hn aÃn, con ottativo presente di fhmi¯– di non aver<br />

nulla da rimproverare alle Leggi (ou¹ me¯mfomai), ed esse incalzano con una<br />

nuova domanda, alla quale Socrate è costretto a rispondere positivamente:<br />

“kalw =j”, fai¯hn aÃn. Infatti le Leggi gli hanno appena ricordato che lui, una<br />

volta generato, è stato da loro allevato ed educato, in quanto a ciò preposte –<br />

101<br />

1<br />

1<br />

1<br />

1<br />

1


Pedagogia e Didattica Manuela Revello<br />

tetagme¯noi, participio perfetto di ta¯ssw - ordinando a suo padre –<br />

paragge¯llontej t% = patri\– di provvedere alla sua istruzione 19 .<br />

La lettura e il commento linguistico andranno sospesi in maniera congrua per proporre<br />

ai ragazzi due testi di supporto: un breve passo tratto dal Protagora 20 e pochi<br />

versi dalle Nuvole di aristofane 21 . Contestualmente alla lettura del primo, va spiegato<br />

che si tratta di una fonte importante, dello stesso Platone, che ci illustra diversi<br />

aspetti inerenti all’educazione nel mondo ateniese 22 ; la lettura del secondo – che<br />

può rivelarsi utile anche per concludere la prima lezione in un’atmosfera distesa –<br />

servirà a ricordare sia l’esistenza di una letteratura antisocratica 23 , sia una serie di<br />

testimonianze non platoniche su Socrate 24 .<br />

102<br />

Seconda Lezione<br />

testi Platone, Critone, 50e-51c<br />

Tucidide, La Guerra del Peloponneso, II, 37,1-3 (in italiano)<br />

<strong>De</strong>mostene, Contro Midia, 223-224 (in italiano)<br />

Lisia, Per l’uccisione di Eratostene, 34-36; 47-50 (in italiano)<br />

contenuti le leggi come contraente<br />

il rapporto non paritario<br />

procedimenti retorici<br />

vantaggi morali e materiali del contratto<br />

strategia modalità frontale-interattiva<br />

obiettivi - saper analizzare e tradurre Critone 50a-50c<br />

- saperne individuare i principali snodi argomentativi<br />

- saper illustrare il ruolo delle leggi nel mondo greco<br />

durata 120’<br />

20 Cfr. Protagora, 325c-326e.<br />

21 Cfr. Nuvole, vv. 1400-1465: per la traduzione e il commento del passo si può tilizzare GuIDoRIZZI-<strong>De</strong>L<br />

CoRno 2007.<br />

22 va bene la traduzione di BuLTRIGHInI 20052 , ma per un pur brevissimo commento si tenga conto di<br />

annaRaTone 1982.<br />

23 essa, contenente attacchi contro il filosofo, fu composta sia prima del processo sia dopo la condanna a morte.<br />

Si possono ricordare il Conno di amipsia, gli Adulatori e l’Autolico di eupoli, lo scritto Accusa contro Socrate<br />

del retore Policrate di atene, databile fra il 393 e il 390 a.C. Cfr. MoMIGLIano 1974, pp. 48-50.<br />

24 Il riferimento è alle quattro opere “socratiche” di Senofonte: l’Apologia di Socrate, i Memorabili, l’Economico<br />

e il Simposio. Come è noto, il divario fra Senofonte e Platone, nella caratterizzazione di Socrate, è nettissimo,<br />

ed è stato variamente giudicato dalla critica: la contraddittorietà dei “ritratti” è oggi ritenuta prova<br />

della complessità della figura del filosofo ateniese, e tutte le testimonianze su di lui vengono considerate<br />

complementari. Per una sintesi del problema, cfr. <strong>San</strong>DBaCH 20073 , pp. 105-110.


La Prosopopea delle leggi QdPD 1 (2008)<br />

IL CONTRATTO<br />

Secondo i Greci non si aveva diritto a parità di trattamento fra persone di<br />

rango diverso, fossero esse padre e figlio oppure padrone e servo 25 . Infatti le<br />

Leggi, puntualizzano che tra loro e Socrate – (soi\.kai\h¸mi=n, interpretabili<br />

come dativi sociativi 26 insieme all’espressione di uguaglianza e¹c iÃsou) - non<br />

può esserci lo stesso ius (to\ di¯kaion). a tale proposizione interrogativa segue<br />

una coordinata per la cui costruzione è necessario un preciso intervento, attraverso<br />

il chiarimento della posizione prolettica della relativa introdotta da<br />

aÀtta (forma attica – meno usuale di aÀtina - per il neutro plurale di oÀstij) 27 .<br />

Socrate aveva indotto Critone a convenire sul fatto che in nessun caso va commessa<br />

ingiustizia, neanche se si tratta di ricambiarla quando la si riceve: le<br />

Leggi hanno appena dimostrato che Socrate è loro figlio e schiavo, perciò la<br />

posizione di lui è subordinata, non paritaria, e quindi meno che mai ha il diritto<br />

di ricambiare l’ingiustizia delle Leggi nei suoi confronti, quand’anche queste<br />

l’avessero commessa 28 . Le Leggi ribadiscono l’impossibilità di una parità<br />

di diritti, contrapponendo in maniera antitetica pate¯ra e despo¯thn ai precedenti<br />

eÃgkonoj e dou=loj, ossia rimarcando che se non può esservi parità col<br />

padre o col padrone, non può esservi neanche con la po¯lij 29 .<br />

Particolare importanza va conferita alle metafore tratte dal linguaggio militare<br />

rintracciabili nel passo: anzittutto, nei due participi futuri trw qhso¯menon e<br />

a©poqanou¯menon, rispettivamente di titrw ¯skw e di a©poqn$¯skw , di valore<br />

consecutivo, in accusativo in quanto retti da aÃg$ 30 ; in secondo luogo nei tre<br />

aggettivi verbali u¸peikteōn, a©naxw rhteōn e leipteōn, reggenti thìn ta¯cin.<br />

25 Si pensi che nella città-stato solo il capo famiglia (ku¯rioj) era persona giuridica: rispondeva per tutti i<br />

familiari, secondo l’istituzione dell’oiÕkoj, di fronte alle leggi umane e divine; come sacerdote, celebrava<br />

i riti ufficiali connessi agli eventi di famiglia (nascite, matrimoni, morti), trasmetteva l’eredità (gli averi<br />

e i sacra) al primo figlio maschio avuto dalla moglie legittima. Su questo e su altri aspetti inerenti al diritto<br />

familiare (legati ad esempio al passaggio dall’istituzione arcaica, non scritta, del ge¯noj a quella dell’oiÕkoj<br />

e a quella, voluta da Clistene, del de¯moj), si veda GuaRDuCCI 1987, pp. 141-145.<br />

Materiali interessanti per un utilizzo didattico si possono reperire all’indirizzo http://www.africacomics.net/ita_guida_didattica_3.shtml,<br />

ciccando su “unità 3 – giovani e adulti”, a cura di a. vignola.<br />

26 Su questa e altre funzioni svolte dal caso dativo, lo studio più completo è in <strong>De</strong> MauRo 2005.<br />

27 Cfr. MaRInone 1960, p. 113, con nota 3; KÜHneR-GeRTH 1898, pp. 612-613.<br />

28 In altre parole, «la po¯lij deve essere in interiore homine prima che inter homines, e se le leggi della città<br />

sono un valore assoluto, la coscienza di tale valore esige la volontà ferma e decisa di sottomettersi<br />

comunque ad esso». Cfr. IZZo D’aCCInnI 198914 , p. 100.<br />

29 Cfr. PIeRI 1993, p. 131.<br />

30 La categoria di participi futuri in dipendenza da verbi di movimento sembra essere la più importante:<br />

qui si potrebbero interpretare anche con una sfumatura finale. Sul valore del participio futuro a seconda<br />

del verbo da cui dipende, si veda MaGnIen 1912, II, pp. 9-11.<br />

103


Pedagogia e Didattica Manuela Revello<br />

va ricordato, anche facendo riferimento ad archiloco 31 , che i comportamenti<br />

indicati da questi verbi - u¸pei¯kw , a©naxw re¯w , lei¯pw – erano considerati altamente<br />

disdicevoli dai Greci: con il primo si allude al reato di renitenza al servizio<br />

militare, ossia la grafhìa©strateiāj; con il secondo al reato di fuga, la<br />

grafhìdeiliāj; con il terzo al reato di diserzione, la grafhì leipotaciōu 32 .<br />

Il cerchio dell’argomentazione si chiude ritornando sul concetto di persuasione<br />

(pei¯qein) 33 e sull’altissima collocazione riservata alla patria nella scala<br />

gerarchica, superiore anche a quella degli stessi genitori, e perciò assolutamente<br />

non meritevole di subire violenza: il verbo bia¯zomai, che esprime questa<br />

violenza, regge infatti gli accusativi mhte¯ra, pate¯ra e patri¯da, quest’ultimo<br />

preceduto dalla locuzione comparativa eÃti hÒtton, “ancora meno”.<br />

ancora, l’azione del verbo bia¯zomaiappare dipendente dall’aggettivo oÐsioj,<br />

che propriamente significa “permesso dalla legge divina o di natura” 34 : spiegando<br />

che fare violenza ai genitori era considerato gravissimo 35 , va ricordato<br />

che non a caso – nella precedente lezione – si era visto un comportamento<br />

simile nel personaggio aristofanesco di Fidippide: egli aveva percosso il proprio<br />

padre, dopo aver appreso tale comportamento proprio nel “Pensatoio” di<br />

Socrate 36 .<br />

31 Cfr. fr. 5W.<br />

32 Durante il processo, Socrate aveva ricordato di essersi sempre comportato in maniera ineccepibile<br />

(Apologia, 28d-e). Qui ritorna dunque un altro motivo già centrale nell’autodifesa (Apologia, 28b): l’analogia<br />

fra l’obbedienza che si richiede ad un soldato in guerra e il dovere di tenere fede ad un impegno<br />

esistenziale. Il problema inerente alla differenza che intercorre tra l’impegno preso rispetto alla patria e<br />

quello preso nei confronti degli dèi, secondo alcuni renderebbe il parallelo ancora più significativo: si<br />

manifesterebbe infatti una profonda interazione tra politica e religiosità, all’insegna della coerenza morale.<br />

Cfr. SaSSI 19988 , p. 210.<br />

33 ancora una volta si può osservare che né sempre né dovunque Socrate ammette l’obbedienza incondizionata<br />

alle leggi: qui sembra proclamarla, ma a ben guardare ciò avviene in virtù del principio fondamentale<br />

di non commettere ingiustizia. Cfr. IoPPoLo 1996, p. 134.<br />

34 Spesso associato a di¿kaioj e i¸ero¿j. nel greco moderno, significa “santo, benedetto”. ancora senza una<br />

precisa etimologia. Cfr. CHanTRaIne 1999 (1968), p. 831.<br />

35 Cfr. e.g. Fedone, 113e-114a, in cui si dice che i colpevoli di tale azione sono relegati nel Tartaro.<br />

36 Cfr. aristofane, Nuvole, vv. 1400-1465.<br />

37 Cfr. Tucidide, La Guerra del Peloponneso, II, 37,1-3. una buona traduzione è quella di Mariella Cagnetta,<br />

in CanFoRa 2007, pp. 229-231.<br />

38 Cfr. <strong>De</strong>mostene, Contro Midia, 223-224. Per la traduzione e un breve commento, si veda Francesco<br />

Maspero, in aPRoSIo et al. 2008, pp. 559-561.<br />

39 Cfr. paragrafi 34-36 e 47-50. Per la traduzione e un breve commento si può usare MeDDa 1994, pp. 96-103.<br />

40 Cfr. MeDDa 1994, p. 78. uno studio specifico su tale reato nel mondo greco è in PaoLI 1950, pp. 123-182.<br />

41 Cfr. MeDDa 1994, pp. 19-20.<br />

104


La Prosopopea delle leggi QdPD 1 (2008)<br />

Tra i testi di supporto, il celebre Epitafio di Pericle tucidideo metterà in luce la<br />

particolare importanza attribuita alle leggi dal cittadino greco 37 , mentre l’orazione<br />

Contro Midia di <strong>De</strong>mostene rafforzerà quanto detto a proposito delle<br />

garanzie e del rispetto di cui le leggi necessitano per essere forti e quindi efficaci<br />

38 . Come ultima lettura va bene il passo dall’orazione Per l’uccisione di<br />

Eratostene 39 , da sfruttare per rafforzare due concetti relativi alla mentalità ateniese:<br />

il primo, inerente alla possibilità, per un cittadino che ritenga di essere<br />

accusato ingiustamente, di difendersi argomentando a proprio favore davanti<br />

ad un tribunale, ma senza commettere ingiustizia; il secondo, che non si può<br />

ricorrere alla violenza, tranne in quei casi in cui ciò sia consentito dalle leggi<br />

stesse: la vendetta compiuta da eufileto è perfettamente conforme alla legge<br />

periÜ moixeiāj (“sull’adulterio”) 40 e a quella peri≤fo¯nou (“sull’omicidio”)<br />

che consente l’uccisione dell’adultero colto in flagrante e reo confesso, quale<br />

era eratostene. In conclusione, va sottolineato il carattere fortemente provocatorio<br />

dell’ultima richiesta avanzata dall’accusato: se i giudici non la pensano<br />

come lui, tanto vale abrogare le leggi vigenti, visto che esse possono trasformarsi<br />

in una trappola micidiale per il cittadino onesto che agisce in conformità<br />

ad esse. La sola colpa di eufileto, quella per cui ora è sotto processo e rischia<br />

la condanna a morte, è di averle rispettate alla lettera 41 .<br />

37 Cfr. Tucidide, La Guerra del Peloponneso, II, 37,1-3. una buona traduzione è quella di Mariella Cagnetta,<br />

in CanFoRa 2007, pp. 229-231.<br />

38 Cfr. <strong>De</strong>mostene, Contro Midia, 223-224. Per la traduzione e un breve commento, si veda Francesco<br />

Maspero, in aPRoSIo et al. 2008, pp. 559-561.<br />

39 Cfr. paragrafi 34-36 e 47-50. Per la traduzione e un breve commento si può usare MeDDa 1994, pp. 96-103.<br />

40 Cfr. MeDDa 1994, p. 78. uno studio specifico su tale reato nel mondo greco è in PaoLI 1950, pp. 123-182.<br />

41 Cfr. MeDDa 1994, pp. 19-20.<br />

105


Pedagogia e Didattica Manuela Revello<br />

42 Seguendo cioè la teoria cognitivista, secondo cui i processi di elaborazione dell’informazione consentono<br />

all’individuo di apprendere e gestire attività cognitive complesse quali l’uso del linguaggio, il comprendere,<br />

il ricordare, il ragionare, il risolvere problemi. In tale prospettiva, il processo è di tipo costruttivo,<br />

ossia l‘acquisizione di una nuova conoscenza è il risultato di una costruzione personale di chi<br />

apprende: gli alunni utilizzeranno le loro strutture di conoscenza precedenti (i loro schemi cognitivi) per<br />

dare senso e rielaborare. Cfr. BoSCoLo 1997, pp. 16-18, 185-189.<br />

106<br />

Terza Lezione<br />

TRADuZIONE CONTRASTIVA<br />

testi Platone, Critone, 50a-51c<br />

versione di Manara valgimigli<br />

versione di Maria Michela Sassi<br />

contenuti procedimenti retorici<br />

strategia modalità laboratoriale<br />

obiettivi saper individuare in una versione punti di aderenza<br />

e di distacco rispetto al testo greco<br />

saper individuare analogie e differenze tra versioni diverse<br />

durata 60’<br />

Per motivare alla lezione-laboratorio, va spiegato agli alunni che nell’attività che<br />

si apprestano a svolgere potranno avvalersi di quanto appreso nelle precedenti<br />

lezioni dell’unità didattica. <strong>De</strong>vono quindi essere invitati a tenere sul banco il<br />

testo greco dei paragrafi 50a-51c del Critone, ricordando loro che una parte del<br />

lavoro richiederà anche un impegno critico 42 . Distribuite le fotocopie con le traduzioni<br />

affiancate, si concedono una decina di minuti per una prima lettura –<br />

personale e silenziosa – delle due versioni. al termine di questa prima lettura, si<br />

invita alla collaborazione in coppia, per individuare le principali differenze tra<br />

una resa e l’altra, curando di avere sempre presente il testo greco. allo scadere<br />

del tempo (una ventina di minuti) si espongono i risultati del confronto, via via<br />

opportunamente valorizzati o aggiustati dalla guida del docente.<br />

una significativa occasione di confronto può essere la frase del valgimigli, al<br />

paragrafo 50a, «Se ci venissero incontro le leggi e la città tutta quanta, e ci si fermassero<br />

innanzi e ci domandassero»: va chiesto ai ragazzi se la trovino più efficace<br />

rispetto a quella della Sassi. Dopo aver ascoltato la loro impressione, si può<br />

comunque indirizzarne l’attenzione sul testo greco, invitandoli a riflettere sul


La Prosopopea delle leggi QdPD 1 (2008)<br />

significato del participio aoristo fortissimo e)pista¿ntej: “piazzarsi” davanti a<br />

qualcuno, è certo un’espressione più colorita, più quotidiana e allo stesso tempo<br />

più fedele al significato del verbo originario. In generale, nella mia esperienza<br />

didattica i ragazzi hanno dichiarato di preferire la Sassi perché trovano il suo linguaggio<br />

più attuale e più immediatamente comprensibile, mentre alcune locuzioni<br />

utilizzate dal valgimigli sono parse troppo “auliche”. Tuttavia, quando ho<br />

domandato quale versione trovassero più adeguata nella resa della risposta finale<br />

di Critone, tutti hanno concordato sul fatto che la frase «a me sembra che le<br />

leggi dicano il vero», del valgimigli, renda con maggiore efficacia la sconsolata<br />

rassegnazione di Critone, rispetto allo sbrigativo «mi pare di sì» della Sassi.<br />

Quarta e Quinta Lezione<br />

LA VERIFICA 43<br />

Tipologia<br />

«Per ogni funzione e/o obiettivo specifico della valutazione va impiegato uno strumento<br />

di verifica omologo o congruente con quella funzione e/o con quell’obiettivo» 44 . La<br />

prova di verifica relativa alla nostra unità Didattica è stata quindi costruita e<br />

adattata al contesto valutativo di un preciso momento didattico.<br />

Per ragioni didattiche si è stabilita l’opportunità di considerare questo<br />

momento valutativo come verifica formativa: in tale modalità valutativa, intesa<br />

come regolativa o di processo, il formato della verifica utilizzato doveva necessariamente<br />

essere di tipo quali-quantitativo 45 . Lo scopo era infatti quello di<br />

motivare, incentivare all’autovalutazione (sia degli studenti sia dell’insegnante)<br />

e descrivere, infine, i risultati.<br />

Come si può vedere dall’allegato, la prova - della durata di un’ora - è stata di<br />

tipo semi-strutturato: sono stati cioè offerti stimoli o istruzioni di tipo chiuso,<br />

fornendo tutti i vincoli necessari a circoscrivere il compito richiesto: le domande<br />

2, 3, 4, 7 e parte della domanda 1 prevedono una elaborazione autonoma<br />

della risposta 46 , mentre le restanti domande hanno richiesto di barrare la voce<br />

corretta. Per tutte le domande, i vincoli hanno assolto anche alla funzione di<br />

indicatori per la valutazione.<br />

43 La verifica è stata somministrata ad una classe II di un liceo statale romano composta di 15 ragazze.<br />

44 DoMenICI 1993, p. 62.<br />

45 Cfr. BenvenuTo 2007, passim.<br />

46 In tale tipo di prova, «la chiusura dello stimolo presenta quei vincoli che permettono di presentare a tutti la<br />

stessa domanda, indicando quali caratteristiche e dimensioni tener presenti per l’esecuzione della prova,<br />

l’apertura della risposta permette invece di esibire i diversi gradi di comprensione e studio e di originalità<br />

che gli studenti possono avere relativamente ai diversi livelli di apprendimento». Ibidem, p. 12.<br />

107


Pedagogia e Didattica Manuela Revello<br />

Commento dei risultati<br />

Come era in parte prevedibile dall’alto livello di preparazione della classe, i<br />

risultati sono stati, nel complesso, più che soddisfacenti: il voto più alto è stato<br />

9, seguito da quattro 8, tre 7, sei sufficienze e, infine, un 5 e mezzo.<br />

Quest’ultimo risultato, l’unica insufficienza, è stato riportato anche a causa di<br />

gravi errori nella lingua italiana, più che nel contenuto dell’uD. La considerazione<br />

più rilevante sull’efficacia della verifica riguarda l’alto indice di discriminatività<br />

della domanda 6. Le ragazze, forse perché distratte da una figura<br />

retorica che non conoscevano bene (fatto di cui ho avuto piena conferma<br />

durante la riconsegna dei compiti), hanno paradossalmente orientato la propria<br />

scelta proprio sulla voce “metalessi”. Questo ha reso possibile discriminare<br />

le alunne pienamente padrone della “metafora” (ossia la giusta risposta)<br />

rispetto ad un altro gruppo evidentemente più insicuro. oltre che dei contenuti,<br />

per la valutazione si è tenuto conto del rispetto delle consegne (numero<br />

massimo di righe) e della padronanza e sicurezza nell’esposizione.<br />

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Docimologia<br />

BenvenuTo 2007<br />

BenvenuTo G., Progettare la valutazione scolastica, dispense del corso SSIS-<br />

Lazio indirizzo linguistico-letterario, a.a. 2006-2007<br />

DoMenICI 1993<br />

DoMenICI G., Manuale della valutazione scolastica, Bari<br />

112


La Prosopopea delle leggi QdPD 1 (2008)<br />

veRIFICa<br />

1 ora<br />

uD greco<br />

1) nel Critone, il discorso delle Leggi è presentato attraverso<br />

il procedimento retorico della:<br />

prosopopea<br />

parodia<br />

perifrasi<br />

che consiste in... (max 2 righe)<br />

2) esponi ciò che sai sui seguenti termini, in max 10 righe complessive:<br />

a)skope¯w<br />

b)o¸mologi¿a<br />

Data<br />

nome<br />

3) Spiega cosa intendono dire le Leggi quando affermano: “mhìqau¯maze<br />

ta¯lego¯mena a)llaÜa)pokri¯nou, e)peidhìkaiìeiÃw qaj xrh=sqai tw|=<br />

e)rw ta=n te kaiìa)pokri¿nesqai”<br />

(max 8 righe)<br />

4) nel passo 50e, i termini pate¯ra e despo¯thn si contrappongono antiteticamente<br />

ai termini ______________ e ______________: quale concetto<br />

viene ribadito, dalle Leggi, attraverso questo procedimento retorico? e<br />

di quale procedimento retorico si tratta? (max 8 righe)<br />

113


5) nel passo 51a-b, i pronomi personali sono utilizzati<br />

dalle Leggi in funzione:<br />

114<br />

enfatica<br />

etica<br />

epanalettica<br />

6) nella locuzione “kaiÜou¹xiì u¸peikteōn ou)deì a¹naxw rhte¿on ou)deì<br />

leipteōn thÜn ta¯cin” è impiegato il procedimento retorico della:<br />

metonimia<br />

metafora<br />

metalessi<br />

7) Individua e trascrivi una frase o parola-chiave in cui è possibile rintracciare<br />

ironia o sarcasmo.<br />

Motiva la tua scelta (max 7 righe).


Letteratura, pensiero, azione… QdPD 1 (2008)<br />

Strumenti per la didattica modulare di italiano<br />

Percorso tematico<br />

Letteratura, pensiero, azione:<br />

libertà e giustizia in Italia<br />

dall’età napoleonica al Risorgimento<br />

Discipline coinvolte: Italiano, Storia<br />

ANDREA TESTA<br />

<strong>De</strong>stinatari: III Liceo Classico – V Liceo Scientifico<br />

Prerequisiti: conoscenza generale delle biografie degli autori, del periodo storico<br />

in cui vissero e operarono, delle loro pubblicazioni<br />

Testi e contenuti<br />

Ugo Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis (lettera del 17 marzo 1798): l’amore<br />

per Teresa non basta a spegnere la passione e la delusione patriottiche compresenti<br />

nell’animo del protagonista all’indomani del ‘tradimento’ di Napoleone<br />

con il trattato di Campoformio;<br />

sorgono nuovi spiriti accesi per le sorti d’Italia, ma altri s’illudono ancora sull’intervento<br />

straniero disinteressato.<br />

115


Pedagogia e Didattica Andrea Testa<br />

Ugo Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis (lettera del 19 e 20 febbraio 1799): l’imponenza<br />

e la maestosità delle Alpi spingono Jacopo a riflettere sulle violazioni<br />

dei confini italiani da parte di altri popoli; il ricordo dei fasti di un tempo non<br />

costituisce uno stimolo a ridestarsi da un sonno e da un’ignavia secolari; la riflessione<br />

sull’avvicendarsi delle potenze egemoni nella storia induce il protagonista<br />

a concludere che la ferinità ha avuto sempre la meglio sul raziocinio; la<br />

giustizia è esistita solo se imposta e mantenuta con la forza e la sua assenza è<br />

stata compensata con la creazione della religione in difesa dei deboli.<br />

Ugo Foscolo, Sull’origine e i limiti della giustizia: la giustizia è data dalla fortuna<br />

delle armi e dal calcolo dell’interesse; essa è diversa a seconda dei popoli,<br />

è limitata alle disposizioni di singoli governi, non è universale; il diritto dipende<br />

dalla ragione di stato; la giurisprudenza divide la giustizia in ius divinum,<br />

ius naturale, ius gentium e ius civile, smembrandone l’unità in modo irreversibile<br />

e riducendola a pura astrazione; l’esperienza personale e l’osservazione<br />

inducono l’autore a concludere che la giustizia coincide con la patria e la ragione<br />

di stato e che non esiste equità assoluta di alcuna legge, ma soltanto nell’uguaglianza<br />

dell’applicazione.<br />

G. Mazzini, Fede e avvenire: l’analisi del panorama politico europeo e quella<br />

della situazione complessiva dell’Italia nell’età della Restaurazione inducono<br />

l’autore a vedere nell’insurrezione l’unica via aperta al progresso, scartando<br />

tutte le altre ipotesi di soluzione del problema nazionale.<br />

M. D’Azeglio, Proposta di un programma per l’Opinione Nazionale Italiana: l’unione<br />

dei Principi italiani e la loro assoluta indipendenza d’azione è indicata come<br />

la politica più naturale e saggia, che può svincolare così l’Italia da ogni influenza<br />

estera; saranno queste le condizioni favorevoli al pieno sviluppo dei<br />

mezzi morali e materiali d’Italia, all’unione delle forze intellettuali, a partire<br />

dalla creazione del sistema rappresentativo.<br />

C. Pisacane, Saggio sulla rivoluzione: non esiste libertà senza uguaglianza sociale;<br />

il Risorgimento senza la partecipazione attiva delle grandi masse contadine<br />

può creare uno Stato nazionale, ma non può risolvere i problemi secolari<br />

della società italiana; le masse sono mosse non tanto dagli ideali,<br />

quanto dai bisogni.<br />

A supporto<br />

G. Berchet, Il giuramento di Pontida (vv.97-104: libertà come premio per chi è disposto<br />

a dare la vita per conquistarla);<br />

116


Letteratura, pensiero, azione… QdPD 1 (2008)<br />

A. Manzoni, Marzo 1821 (vv.28-32; 54-56; 89-104: principio di autodeterminazione<br />

dei popoli; lotta per la patria e per la libertà)<br />

Strategia didattica<br />

- lezione frontale: lettura di passi significativi dei testi scelti; analisi e commento<br />

- lezione interattiva<br />

Strumenti<br />

- antologia in adozione<br />

- fotocopie dei testi di supporto<br />

- dizionario di italiano<br />

- lavagna<br />

Obiettivi<br />

Saper inserire i testi scelti nel loro contesto storico-politico e letterario<br />

Saper enucleare correttamente la concezione della libertà e, dove presente,<br />

della giustizia in ciascuna delle testimonianze scritte prese in esame<br />

Saper operare un confronto critico tra le posizioni dei diversi autori<br />

Saper individuare gli elementi di attualità in alcune di esse<br />

Verifica<br />

Analisi testuale del passo del saggio di C. Pisacane, attraverso un questionario<br />

comprendente anche domande che lo pongono in relazione con gli altri selezionati<br />

per l’unità didattica.<br />

Durata<br />

6 ore (4 ore di lezione; una di verifica; una di consegna).<br />

Premessa<br />

L’unità intende svolgere un breve excursus attraverso alcune delle voci più<br />

rappresentative del patriottismo italiano, dall’età napoleonica fino agli anni<br />

centrali del Risorgimento, per coglierne il personale sentimento e la particolare<br />

espressione dei valori della libertà e della giustizia. Dalle loro connotazioni<br />

si può valutare in quale misura si possono considerare ancora oggi attuali.<br />

117


Pedagogia e Didattica Andrea Testa<br />

Lezione 1<br />

Patria, libertà e giustizia in Ultime lettere di Jacopo Ortis<br />

Obiettivi<br />

Saper focalizzare l’identità tra concetto di patria e di libertà<br />

Saper caratterizzare la libertà come premio del sacrificio di ciascun popolo<br />

Saper porre in relazione la lettera del 17 marzo 1798 con Il giuramento di Pontida<br />

di G. Berchet e Marzo 1821 di A. Manzoni<br />

Saper dare una prima definizione del concetto di giustizia<br />

Testi e contenuti<br />

Ortis, lettera del 17 marzo 1798 (passi scelti):<br />

- la passione d’amore è strettamente unita alla passione politica<br />

- generosità di alcuni ingegni nella sollevazione antitirannica<br />

- il tradimento di Napoleone e l’inerzia di molti<br />

- impossibilità di sperare in un intervento straniero disinteressato a favore<br />

dell’Italia<br />

- la libertà prima propagandata, poi calpestata dai Francesi<br />

- tirannia di Napoleone<br />

Ortis, lettera del 19 e 20 febbraio 1799 (passi scelti):<br />

- asprezza e maestosità del paesaggio alpino<br />

- violazione continua dei confini italiani da parte di altre nazioni nel corso dei<br />

secoli, fino alla dominazione napoleonica<br />

- inutilità delle glorie passate, se non spingono gli Italiani a insorgere<br />

- excursus storico e visione pessimistica dell’avvicendarsi dei popoli, ciascuno pre<br />

datore e dominatore sull’altro (Israeliti, Babilonesi, Macedoni, Spartani, Romani)<br />

- la giustizia come valore imposto da un governo dopo averla violata<br />

- la violazione dei diritti precede una giustizia apparente e ingannatrice<br />

- inesistenza di felicità e giustizia terrene; creazione in loro vece di divinità<br />

protettrici dei deboli<br />

- la compassione come unica virtù autentica<br />

Il giuramento di Pontida (vv.97-104):<br />

- la libertà è promessa a chi per essa mette in gioco la vita, non può essere<br />

premio di un desiderio sterile<br />

Marzo 1821 (vv.28-32; 54-56; 89-104):<br />

- L’Italia è un solo popolo per tradizioni militari, linguistiche, religiose,<br />

118


Letteratura, pensiero, azione… QdPD 1 (2008)<br />

storiche, etniche, militari; sarà interamente libera o schiava<br />

- Dio rifiuta la forza straniera, ogni popolo deve essere libero<br />

- urgenza dell’insurrezione per il riscatto nazionale<br />

Strumenti Metodologia<br />

- antologia in adozione - lezione frontale<br />

- dizionario di Italiano - lezione interattiva<br />

- lavagna<br />

Attività per lo studente Durata<br />

- appunti un’ora<br />

- sottolineatura di espressioni significative<br />

- a casa: lettura integrale dei passi dell’Ortis<br />

Lezione 2<br />

La giustizia secondo Ugo Foscolo<br />

Obiettivi<br />

Saper riferire i presupposti delle affermazioni e delle argomentazioni dell’autore<br />

Saper individuare l’origine della giustizia<br />

Saper delineare il volto assunto dalla giustizia nel corso dei secoli<br />

Saperne definire i confini e le suddivisioni subite nel tempo<br />

Saper cogliere il criterio di giustizia seguito dall’autore ponendolo in rapporto<br />

con le teorie sensiste<br />

Saper individuare i limiti entro i quali si può parlare di uguaglianza<br />

Testi e contenuti<br />

Sull’origine e i limiti della giustizia (passi scelti):<br />

- priorità dell’osservazione dei fatti sulla speculazione razionale astratta<br />

- la giustizia è imposta dalla forza, ha un ambito di validità ristretto a<br />

ciascun popolo, ispirandone le leggi, ma non può essere di respiro<br />

universale<br />

- la giustizia emana dalla ragione di stato<br />

- suddivisione della giustizia ad opera della giurisprudenza in ius divinum, ius<br />

naturale, ius gentium, ius civile; loro definizione e analisi; dannosità di tale<br />

smembramento<br />

- l’equità naturale è determinata dal bisogno; in sua assenza, scompare<br />

119


Pedagogia e Didattica Andrea Testa<br />

- ogni dovere e diritto risiede nell’istinto della propria conservazione<br />

- l’autore vive sentendo ciò che è giusto per lui: anelare continuamente a ciò<br />

che crede possa giovargli, odiare ciò che può nuocergli<br />

- forte relativismo del concetto di giustizia<br />

- l’unica uguaglianza consiste nell’uniformità di applicazione di ogni legge<br />

Strumenti<br />

- fotocopie dell’orazione di U. Foscolo<br />

- dizionario di Italiano<br />

Metodologia<br />

- lezione frontale<br />

- lezione interattiva<br />

Durata<br />

un’ora<br />

Lezione 3<br />

Mazzini e D’Azeglio: rivoluzionarismo e riformismo<br />

Obiettivi<br />

Saper ripercorrere l’analisi del contesto storico e politico europeo negli anni<br />

’30 dell’Ottocento operata da G. Mazzini<br />

Saper individuare gli aspetti che, a suo avviso, accomunano Italia, Polonia e<br />

Germania<br />

Saper motivare l’opzione insurrezionale in vista del progresso nazionale<br />

Saper delineare le premesse e lo sviluppo del pensiero di D’Azeglio<br />

Saper presentare il programma di riforme da lui enunciato<br />

Saper individuare le differenze sostanziali tra le due ipotesi di soluzione del<br />

problema nazionale<br />

Testi e contenuti<br />

Fede e avvenire (passi scelti):<br />

- la guerra sorgerà in Europa solo dall’insurrezione dei popoli oppressi<br />

120<br />

Attività per lo studente<br />

- sottolineatura dei passaggi chiavedel<br />

testo<br />

a casa: - lettura integrale dell’orazione<br />

- costruzione di una scheda<br />

lessicale sull’argomento


Letteratura, pensiero, azione… QdPD 1 (2008)<br />

- l’assenza di libertà di pensiero e di espressione, di ogni sviluppo intellettuale e<br />

industriale accomuna Italia, Polonia e Germania; in queste nazioni non c’è<br />

progresso<br />

- l’insurrezione è la sola via per il loro progresso<br />

- i popoli iniziano ad adorare la libertà durante le sofferenze della servitù;<br />

affinché la raggiungano occorre predicare, combattere, agire<br />

Proposta di un programma per l’Opinione Nazionale Italiana (passi scelti):<br />

- il dato di partenza è l’ordinamento politico della penisola<br />

- la linea politica dei Principi italiani è far causa comune tra loro, evitando<br />

ogni ingerenza straniera<br />

- la loro assoluta indipendenza d’azione può determinare il pieno sviluppo<br />

dei mezzi morali e materiali dell’Italia<br />

- occorre abbandonare il principio rivoluzionario e favorire un progresso<br />

moderato<br />

- imprescindibilità del sistema rappresentativo<br />

- riforme: elezione popolare dei Consigli comunali e provinciali; creazione di<br />

un buon sistema militare; pubblicità dei dibattimenti giudiziari;<br />

miglioramento delle leggi sulla stampa; realizzazione di un sistema<br />

ferroviario generale; libero commercio tra gli Stati; uniformità dei sistemi<br />

universitari; imparzialità nell’applicazione delle leggi<br />

Strumenti<br />

- manuale di Storia<br />

- eventuali fotocopie dei testi<br />

selezionati<br />

- dizionario di Italiano<br />

- lavagna<br />

Attività per lo studente<br />

- sottolineatura dei passaggi chiave<br />

dei testi<br />

- a casa: lettura integrale dei due<br />

testi proposti<br />

Metodologia<br />

- lezione frontale<br />

- lezione interattiva<br />

Durata<br />

un’ora<br />

121


Pedagogia e Didattica Andrea Testa<br />

Lezione 4<br />

C. Pisacane: analisi sulle strategie di liberazione nazionale<br />

Obiettivi<br />

Saper enunciare i principi basilari del pensiero di C. Pisacane<br />

Saper individuare la soluzione da lui proposta alla negatività dei risultati del<br />

moto risorgimentale<br />

Saper cogliere gli elementi di attualità della sua analisi<br />

Testi e contenuti<br />

Risorgimento e contadini (passo scelto da Saggio sulla rivoluzione):<br />

- l’odio contro i governi presenti è sufficiente all’insurrezione delle plebi, ma<br />

poi diminuisce e si spegne<br />

- gli alti ideali di libertà, indipendenza, amor patrio hanno presa sui giovani<br />

intellettuali, ma non basta<br />

- occorre perseguire la via del socialismo<br />

- analisi delle rivoluzioni del 1848: a un temporaneo successo ha fatto seguito<br />

il ritorno della tirannide; particolarismo e limitatezza delle insurrezioni<br />

con maggior concorso di popolo<br />

- priorità della ‘quistione economica’<br />

- la costruzione della libertà e i suoi problemi: la protezione del povero e del<br />

l’ignorante<br />

- occorre farsi interpreti dei tempi: il bisogno economico è il fattore che può<br />

unire stabilmente le masse alla causa risorgimentale<br />

- necessità di rendere il popolo consapevole di poter migliorare le sue<br />

condizioni di vita se muterà il sistema di governo<br />

Conclusioni<br />

Strumenti<br />

- antologia di testi in adozione<br />

- eventuali fotocopie del passo<br />

di C. Pisacane<br />

- dizionario di Italiano<br />

122<br />

Metodologia<br />

- lezione frontale<br />

- lezione interattiva


Letteratura, pensiero, azione… QdPD 1 (2008)<br />

Attività per lo studente<br />

- appunti<br />

- sottolineatura di espressioni<br />

chiave del pensiero dell’autore<br />

e delle conclusioni<br />

alle quali perviene<br />

Durata<br />

un’ora<br />

La lezione ha inizio con un breve riepilogo di alcuni cenni biografici di rilievo<br />

riguardanti l’autore (ad esempio la partecipazione alla prima guerra d’indipendenza<br />

o l’organizzazione della spedizione di Sapri, dove trovò la morte) e<br />

con un quadro sintetico delle sue opere principali (in gran parte saggi), in modo<br />

da collocarne la figura nel contesto storico, politico e culturale del tempo.<br />

Gli allievi prenderanno nota di queste informazioni iniziali.<br />

Si procede con la lettura del passo selezionato (da parte di diversi alunni, in modo<br />

alternato) e con opportune pause necessarie alle osservazioni dell’insegnante.<br />

L’autore propone una sua analisi del fallimento dei moti insurrezionali fino al<br />

momento in cui scrive (l’anno 1857).<br />

Il primo difetto risiede nella presenza di pochi veramente interessati al trionfo<br />

delle idee di libertà, indipendenza, amor di patria, ossia i giovani intellettuali<br />

che se ne sono fatti promotori (“l’Italia trionferà quando il contadino cangerà<br />

volontariamente la marra col fucile; ora, per lui, onore e patria sono parole che non<br />

hanno alcun significato; qualunque sia il risultamento della guerra, la servitù e la miseria<br />

lo aspettano”).<br />

L’insegnante si soffermerà su questo concetto fondamentale: le masse contadine<br />

parteciperanno all’insurrezione solo se potranno sperare in un cambiamento<br />

in meglio delle loro sorti.<br />

C. Pisacane individua la svolta nella prospettiva socialista: “Il socialismo, o se<br />

vogliasi usare altra parola, una completa riforma degli ordini sociali, è l’unico mezzo<br />

che, mostrando a coloro che soffrono un avvenire migliore da conquistarsi, li spingerà<br />

alla battaglia”.<br />

Ecco il motivo per cui i rivolgimenti del 1848 non ebbero il seguito auspicato:<br />

diversi erano e sono gli obiettivi di regnanti e masse contadine. E dove (a Roma<br />

e a Venezia) si è realizzata un’unità di mire, si è registrato ugualmente un<br />

insuccesso per la mancanza di una concertazione comune, che ha reso troppo<br />

circoscritto il fenomeno.<br />

Agli allievi occorrerà far notare che l’autore ribadisce ancora come sia la quistione<br />

economica, in modi diversi nell’intera Europa, ad avere la preminenza.<br />

Cita perciò un passo di una lettera inviata anni addietro da Sismondi (storico<br />

123


Pedagogia e Didattica Andrea Testa<br />

ed economista svizzero di origine italiana) a G. Mazzini: “Finalmente la libertà<br />

offre il più tremendo di tutti i problemi, quello della protezione del povero e dell’ ignorante…”,<br />

ponendo l’interrogativo su quale gruppo sociale avrebbe potuto assumersi<br />

l’onere di far sì che libertà equivalesse a uguaglianza sociale. A questo<br />

obiettivo avrebbe dovuto puntare G. Mazzini, secondo l’autore, indirizzandosi<br />

non alla borghesia, ma all’istruzione della plebe affinché lo affiancasse<br />

sempre più numerosa. L’intuizione profonda di Pisacane riguarda però anche<br />

il futuro Stato italiano, sul distacco tra masse e istituzioni, conseguenza di<br />

un processo di unificazione nazionale parziale e non condiviso da tutte le<br />

componenti sociali.<br />

I primi tempi si trattò dell’ostilità del Sud al sistema sabaudo, manifestata con<br />

la nascita e la diffusione del brigantaggio, poi con il radicamento delle associazioni<br />

a delinquere e di una logica clientelare che ha prodotto un ritardo economico<br />

e industriale ancora forte.<br />

La lezione più importante di Pisacane però è forse la necessità della propagazione<br />

delle idee secondo le modalità adeguate ai mezzi culturali dei destinatari,<br />

in modo che si trasformino in concretezza di risvolti e contribuiscano a<br />

modificare le condizioni materiali di chi le accoglie:<br />

“Tutti gli sforzi per sospingere un popolo al risorgimento debbono consistere nello<br />

svolgere e rendere popolari le idee, adattandole alla loro intelligenza e traendone quelle<br />

conseguenze che debbono condurre a un utile materiale immediato”.<br />

Conclusioni<br />

Al termine dell’unità si può affermare che la libertà, secondo gli autori considerati,<br />

è essenzialmente concepita come assenza della dominazione straniera<br />

e affermazione del principio di territorialità delle nazioni, così che possano costituirsi<br />

in Stati, con i loro organi di rappresentanza e in un regime di libertà<br />

di espressione. Questa è però una fase ancora poco più che embrionale del<br />

processo verso una piena libertà e una reale unificazione nazionale, e lo dimostra<br />

ancora Pisacane, che si chiede come eliminare le ingiustizie sociali una<br />

volta ottenuta l’indipendenza, o il pessimista Foscolo, il quale osserva in concreto<br />

le società, i popoli e gli eventi storici. Violazioni di libertà e di giustizia<br />

sono e sono state continue, perché le difficoltà sorgono nel momento in cui tali<br />

valori (giustizia e libertà) devono essere tradotti nella realtà, sia all’interno<br />

dei singoli Stati, sia in ambito internazionale. Il relativismo valoriale spinge a<br />

cercare allora una superiore norma etica di riferimento, che contempli il ruolo<br />

di quella compassione (o pietà, solidarietà), considerata unica virtù autentica<br />

da Foscolo, ma soprattutto, possiamo aggiungere, sentimento essenziale a garantire<br />

l’equilibrio della legislazione e dell’amministrazione del diritto.<br />

124


Letteratura, pensiero, azione… QdPD 1 (2008)<br />

Verifica<br />

C. Pisacane, Risorgimento e contadini<br />

Analizza il testo alla luce delle domande seguenti:<br />

Qual è la premessa dell’analisi dell’autore? A quali eventi si riferisce?<br />

Quali personalità eminenti del suo tempo, o a lui immediatamente precedenti,<br />

sono citate? A quale fine?<br />

Qual è la soluzione proposta al problema nazionale? Quali vantaggi offrirebbe?<br />

A quale dei testi trattati nell’unità didattica si può accostare la riflessione storico-sociale<br />

di Pisacane? Perché?<br />

Quali elementi di attualità si scorgono nella sua analisi?<br />

Bibliografia<br />

Berchet G., Romanze e fantasie, Firenze 1927<br />

D’Azeglio M., Proposta di un programma per l’Opinione Nazionale Italiana,<br />

Firenze 1847<br />

Foscolo U., Opere, Milano 19663<br />

Foscolo U., Ultime lettere di Jacopo Ortis, Milano 1949<br />

Manzoni A., Tragedie, Inni sacri ed Odi, Milano 1930<br />

Mazzini G., Antologia degli scritti politici (a c. di G. Galasso), Bologna 1961<br />

Pisacane C., Saggio sulla rivoluzione, Torino 1956.<br />

Materiali<br />

U. Foscolo, Sull’origine e i limiti della giustizia (passi scelti):<br />

[…] Or io primieramente mi confesso uno di quei tanti mortali a cui l’ingegno<br />

e la fortuna avendo negato la via alla verità del diritto, devono se non altro attenersi<br />

alla certezza del fatto, da che, privi della scienza de’ principi, come mai<br />

fornirebbero questo viaggio scurissimo della vita, se ei non si giovassero almeno<br />

del lume dell’esperienza? I dotti sono guidati dall’esterna ragione, ed io sono,<br />

con gli altri miei compagni nell’ignoranza, trascinato dall’onnipotente necessità.<br />

[…] Bensì mi sento sì dominato dalla consuetudine di giudicare più<br />

dal fatto che dai principi, ch’io non ho speranza più ormai di correggermi.<br />

[…] E nondimeno in due diverse sembianze la giustizia si mostra nel mondo;<br />

125


Pedagogia e Didattica Andrea Testa<br />

una per voce della metafisica, che sublime ed eloquente la innalza sul trono<br />

dei numi; l’altra ne’ fatti del genere umano, che non le dà per simboli se non<br />

la fortuna delle armi e il calcolo dell’interesse.<br />

[…] Potrò abbozzarvi le sembianze che la giustizia assume dalla forza, e sotto<br />

le quali soltanto io posso conoscerla.<br />

[…] Ma la legge di non fare agli altri ciò che non vorremmo che fosse fatto a noi,<br />

o non era legge di natura, o è da credere che fosse ancora bambina, perché alle prime<br />

pagine vidi che un fratello trucidò l’altro (Caino e Abele). Anzi pare che questa<br />

legge, ferita al suo nascere, non potesse più né invigorirsi, né crescere, perché<br />

appunto dopo quel duello, gli uomini nacquero, vissero e morirono guerreggiando<br />

perpetuamente tra loro, or per avarizia, or per ambizione, or per invidia, ed or<br />

senza perché, e sempre di terra in terra, e di anno in anno fino a’ miei giorni.<br />

Fra queste guerre non si era pertanto smarrita la giustizia, ch’io non la scorgessi<br />

talvolta; anzi notai sempre, che quantunque due popoli guerreggiassero<br />

ingiustamente tra loro, ciascheduno de’ due non poteva ad ogni modo aver<br />

forza e concordia in se stesso, se non in virtù di certe leggi, più o meno ragionevoli,<br />

ma che avevano pur sempre la giustizia come unico fine.<br />

[…] Dunque la giustizia è diversa e limitata, al pari delle leggi ch’ella mantiene.<br />

Dunque la giustizia sta nelle società particolari de’ popoli, ma non nella società<br />

del genere umano.<br />

[…] Conchiusi adunque che la giustizia, la quale comincia appena ad essere<br />

visibile agli uomini, deriva dalla forza. Dunque sulla terra senza forza non vi<br />

è giustizia; e se una città non avesse forza contro le usurpazioni esterne ed interne,<br />

non sarebbe giusta, perché non avrebbe leggi; perché le leggi senza la<br />

protezione della forza sono nulle.<br />

[…] Dunque il giusto non emana se non dalla ragion di stato, non si propaga<br />

fuori della ragione di stato e si riconcentra fermamente nella ragione di stato.<br />

Ma la giurisprudenza […] divise la giustizia in ius divinum, ius naturale, ius<br />

gentium, e ius civile. […] Così moltiplicate, confuse e snervate le parti, non si<br />

trova più modo a ricomporre e riconoscere quel principio primitivo e reale.<br />

Non si ricompose; […] la giustizia era ormai divenuta sovrumana e incomprensibile.<br />

[…] Anch’io, uomo e debole, quando l’esempio dell’altrui schiavitù mi fe’ temere<br />

della mia libertà, quando il sentimento contro l’oppressione comune mi<br />

suggeriva di unirmi a chi poteva accrescere le mie forze per respingerla o sostenerla,<br />

anch’io invocai l’equità naturale, e la vidi talvolta in mezzo alle famiglie,<br />

e tra pochi sventurati che amavano per essere riamati, e tra due amici che<br />

si riunivano contro l’avversa fortuna e l’indifferenza degli uomini; ed osservai<br />

spesso che il bisogno la convertiva in costume: ma gli effetti o danneggiavano<br />

126


Letteratura, pensiero, azione… QdPD 1 (2008)<br />

gli altri, o non si propagavano; e, tolte le cause, non la vidi più.<br />

[…] L’uomo tal quale è in società, con ciò che gli uni chiamano vizi, gli altri<br />

passioni, gli uni scienza, gli altri ignoranza, è pur l’uomo tal quale fu creato<br />

dalla natura; ma dividendo natura da società, e società da usi, pregiudizi ed<br />

istituzioni, per conoscere l’uomo si guarda partitamene ciò che è inseparabile,<br />

in modo che, diviso nelle sue parti, perderebbe il suo tutto. Così la filosofia divide<br />

anima e corpo; ma chi vede anima senza corpo?<br />

[…] Ma si consideri l’uomo in qualche stato, e con quante astrazioni si voglia;<br />

ogni opinione, ed anche quella che crede il genere umano illuminato da un<br />

principio eterno di ragione pura del retto e del giusto, indipendente dalla forza<br />

e dall’interesse, deve ad ogni modo incontrarsi in questo punto: che «ogni<br />

dovere e diritto risiede nell’istinto della propria conservazione».<br />

[…] Questo istinto che mi persuade alla vita, come mi parla? Con l’impulso al<br />

piacere e con l’avversione al dolore? Come obbedisco? Anelando continuamente<br />

a ciò che io credo che possa giovarmi, e con l’odiare ciò che può nuocermi?<br />

Con che mezzo formo questo giudizio? Con la ragione? No: invano le<br />

scuole mi hanno parlato ognor di ragione.<br />

[…] Or se il criterio ch’io fo sul piacere e sul dolore è ineguale e non sentito né<br />

conosciuto che in ciò che tocca a me solo, io, secondandolo, non posso usare<br />

che delle mie forze, ed agire unicamente per la mia propria conservazione. E<br />

per la conservazione degli altri?<br />

[…] Dopo questo esame dei fatti, le parole giustizia, patria e ragione di stato suonano<br />

per me una medesima cosa. Non però nego, che vi siano principi certi ed eterni<br />

di diritto naturale, di diritto divino e delle genti: non lo so; non ho parlato che<br />

di ciò che ho veduto, ed ho quindi ricavato le seguenti conclusioni: 1) che le norme<br />

di giusto, benché facciano la gloria e la prosperità de’ filosofi, non possono<br />

esser né conosciute, né praticate mai da’ popoli, a’ quali non si può parlare che<br />

per mezzo di leggi positive; 2) che non vi siano norme positive di giusto se non<br />

da cittadino a cittadino, e da governo a popolo; ma non mai da uomo a uomo, e<br />

da governo a governo; 3) che non possono né nascere né sussistere senza forza;<br />

4) che quella ragione di stato è più giusta che più concilia con leggi civili gli interessi<br />

reciprochi de’ cittadini, e con leggi politiche gl’interessi reciprochi de’ governi,<br />

dirigendo così a comune vantaggio le umane passioni, onde mantenere<br />

concordi ed attive le forze d’un popolo, perché ei possa imporre, e non pagare,<br />

tributi ad un altro; 5) che non possa darsi equità assoluta nella sostanza di veruna<br />

legge, ma che l’equità consista nella eguaglianza universale, religiosa, severissima<br />

dell’applicazione; 6) che però praticamente tutti i diritti, naturale, divino,<br />

pubblico e civile devono emanare da una sola legge, e riconcentrarsi in una sola:«Suprema<br />

lex, populi salus esto».<br />

127


Pedagogia e Didattica Andrea Testa<br />

G. Mazzini, Fede e avvenire (passi scelti):<br />

[…] La guerra non sorgerà in Europa se non dall’insurrezione. I Colpi di Stato?<br />

Solo una lotta energica, ostinata, può renderli inevitabili. Or come sostenerla?<br />

Colla cospirazione? I predicatori di pazienza la rifiutano, come rifiutano le<br />

sommosse. Colla stampa? I Governi la uccidono: avete per ogni dove leggi che<br />

incatenano, censori che tormentano lo scrittore, giudici che condannano e<br />

chiudono il pensiero in una prigione. Potrete superare questi ostacoli? In Francia<br />

forse. Ma ponete un paese privo assolutamente di stampa, senza Parlamento<br />

o Consigli che discutano, senza giornali letterari, senza teatro nazionale,<br />

senza insegnamento popolare, senza libri stranieri. Ponete che quel paese<br />

soffra, soffra tremendamente, nelle sue moltitudini come nelle classi agiate, di<br />

miseria, d’oppressione straniera e domestica, di violazioni continue del suo<br />

principio nazionale, d’assenza d’ogni sviluppo intellettuale e industriale. Come<br />

mai farà quel paese? Da qual parte potrà originare poi esso il lento progresso<br />

a gradi che vagheggiate?<br />

Or quel paese esiste. Quel paese ha nome Italia, Polonia, Germania da qualche<br />

tempo. Quel paese abbraccia i due terzi d’Europa.<br />

[…] L’insurrezione: io non vedo, per quei popoli, altro consiglio possibile: l’insurrezione<br />

appena le circostanze concedano: l’insurrezione energica, generale:<br />

l’insurrezione delle moltitudini: la guerra santa degli oppressi: la repubblica<br />

per creare repubblicani: il popolo in azione per iniziare il progresso. L’insurrezione<br />

annunzi terribile i decreti di Dio: sommova e spiani il suolo sul quale deve<br />

innalzarsi il suo edificio immortale: inondi, come il Nilo, le contrade ch’essa<br />

deve rendere fertili.<br />

[…] I popoli s’iniziano nei patimenti della servitù all’adorazione della libertà.<br />

Sopportarono oltre ogni espressione: ingigantirono, levandosi, oltre ogni presumere.<br />

I loro dolori furono benedetti. Ogni lagrima insegnò loro una verità.<br />

Ogni anno di martirio li preparò a una redenzione assoluta. Bevvero il calice<br />

fino all’ultima stilla. Non avanza ad essi che infrangerlo.<br />

Qual è dunque il da farsi?<br />

Predicare, Combattere, Agire.<br />

M. D’Azeglio, Proposta di un programma per l’Opinione Nazionale Italiana<br />

(passi scelti):<br />

Partendo dal principio, che in politica la sola cosa reale e da cercarsi è il possibile<br />

e il pratico, intendiamo prender per base l’ordinamento della penisola<br />

quale esiste di fatto oggidì.<br />

[…] Crediamo che la politica più naturale dei Principi italiani avrebbe dovu-<br />

128


Letteratura, pensiero, azione… QdPD 1 (2008)<br />

to, e dovrebbe essere sempre, il far causa comune tra loro, stringendosi insieme<br />

onde mantenersi sciolti da ogni influenza estera. Essi non hanno nulla a temere<br />

gli uni degli altri,e sono invece nel pericolo comune di venir offesi nella loro libertà<br />

d’azione o nella dignità della loro corona dalle potenze maggiori.<br />

[…] Sarebbe sola e veramente sapiente politica, e di primo interesse de’ Principi<br />

italiani, quella di dirigere gli atti del loro governo in modo da rendere i loro sudditi,<br />

e la parte italiana dell’Italia, la più felice e la meglio ordinata. Se non si sono<br />

sempre mostrati fedeli a questa politica, crediamo ciò sia avvenuto, come accennammo,<br />

perché stimassero aver a temer più de’ loro Popoli, che non della preponderanza<br />

straniera. Crediamo però che quel pericolo fosse minore che non<br />

pensavano, e certamente poi stesse a noi l’evitarlo.<br />

[…] Essendo convinti, dunque, che la prima e più attendibile condizione di miglioramento<br />

sta per noi nella stretta unione de’ Principi italiani tra loro, e nella loro<br />

assoluta indipendenza d’azione, onde possano condurci al pieno sviluppo de’<br />

nostri mezzi morali e materiali, ed al libero impiego di tutte le nostre forze nel modo<br />

più vantaggioso all’Italia, indipendentemente da interessi non italiani…Noi<br />

crediamo che la tendenza generale della civiltà moderna verso il sistema rappresentativo,<br />

sia la conseguenza de’ vari stadii che ha sin qui attraversati, e sia<br />

l’espressione delle necessità sociali portate dalle sue condizioni presenti.<br />

[…] Crediamo però ci sia permesso esprimere in generale il desiderio, che si diriga<br />

l’attenzione su un buon ordinamento de’ Consigli comunali e provinciali,<br />

costituiti per via d’elezione popolare. Sullo stabilimento d’un buon sistema militare,<br />

sia delle truppe di linea che delle guardie cittadine, con tutta la possibile<br />

uniformità tra Stato e Stato, onde il complesso possa servire a guarentigia dell’intera<br />

indipendenza de’ Principi.<br />

Sulle riforme da introdursi ne’ Codici, purgandoli dai principii eccezionali e di<br />

privilegio, adottando la pubblicità dei dibattimenti, ed il giudizio per giurì, tendendo<br />

alla maggior possibile uniformità ed analogia fra gli Stati italiani.<br />

Sopra un progressivo miglioramento delle leggi sulla Stampa, e singolarmente<br />

sulla loro imparziale e schietta applicazione. Sull’esecuzione d’un sistema generale<br />

di strade di ferro, che promuovano gl’interessi generali della Penisola.<br />

Sulla ricerca de’mezzi più opportuni onde togliere al commercio interno i numerosi<br />

incagli di dogane, barriere, visite, che gli sono di tanto danno; e sull’adozione<br />

d’un uniforme sistema di monete, pesi e misure.<br />

Sul miglioramento degli studii, rendendoli estesi, forti, ed a livello de’ bisogni<br />

presenti; introducendo un’uniformità ne’ sistemi universitari in modo che fra<br />

Stato e Stato si ammettesse la reciproca validità degli studii fatti nelle varie Università<br />

italiane, e sull’educazione delle classi inferiori.<br />

Sul progresso della legalità, e l’esatta ed imparziale applicazione delle leggi per<br />

parte dell’autorità.<br />

129


Pedagogia e Didattica Andrea Testa<br />

C. Pisacane, Risorgimento e contadini (passi scelti):<br />

L’odio ai presenti governi, bastante ad insorgere, trionfata l’insurrezione, s’ammorza;<br />

quindi bisogna suscitare una passione, onde bilanciare gli stenti e i rischi<br />

della guerra. Il desiderio di libertà, d’indipendenza, l’amor della patria, hanno<br />

forza grandissima nei cuori di quella balda e intelligente gioventù, che è sempre<br />

prima ad affrontare i pericoli delle battaglie, ma essi soli non bastano; l’Italia<br />

trionferà quando il contadino cangerà volontariamente la marra col fucile; ora,<br />

per lui, onore e patria sono parole che non hanno alcun significato; qualunque<br />

sia il risultamento della guerra, la servitù e la miseria lo aspettano.<br />

[…] Il socialismo, o se vogliasi usare altra parola, una completa riforma degli<br />

ordini sociali, è l’unico mezzo che, mostrando a coloro che soffrono un avvenire<br />

migliore da conquistarsi, li sospingerà alla battaglia.<br />

[…] I rivolgimenti del ’48 ebbero precisamente questo carattere; tutto il popolo<br />

che si agita, i principi sono travolti nel turbine, ed al termine di questa<br />

nuova fase succede una disfatta, ed un nuovo ammaestramento. Popolo e<br />

principi hanno mire opposte. Quindi diffidenza, dubbia fede, spergiuro, incapacità<br />

ne’ capi; e, dopo tanti sforzi, il popolo altro non guadagnò che persecuzioni<br />

ed efferata tirannide.<br />

A Roma, a Venezia, il popolo combatte solo, quasi svincolato dalle pastoie domestiche;<br />

ivi combattesi con tutta l’anima, gregari e capi non vogliono che la<br />

vittoria; hanno unità di mire, unità d’interessi; la disfatta è ugualmente ruinosa<br />

per tutti; non vi sono cagioni estranee alla causa italiana, che distornino ed<br />

ammorzino l’impeto de’ combattenti; non v’è nulla da conservare. Nondimeno<br />

Roma e Venezia cadono, e perché? Perché angustiarono i loro sguardi tra le<br />

mura di una città: si combatté per Roma e per Venezia, non già per l’Italia.<br />

[…] È la quistione economica, che sotto vari aspetti padroneggia l’Europa, e<br />

reclama la sua supremazia. Il popolo non ottenne dalla repubblica vantaggi tali<br />

da impugnare le armi a sua difesa; in esso prevaleva l’odio al passato più<br />

che l’amore al presente. Mazzini, oltre a ciò, avrebbe dovuto ridursi alla memoria<br />

la lettera che Sismondi scriveva alla Giovine Italia: «Finalmente la stessa<br />

libertà, scriveva l’insigne pubblicista, offre il più tremendo di tutti i problemi,<br />

quello della protezione del povero e dell’ignorante…affiderete voi la causa<br />

del proletariato agli uomini che ne dividono le privazioni? Essi non hanno<br />

forza. La affiderete dunque ai ricchi? Essi saranno i primi a tradire il popolo».<br />

[…] Tutti gli sforzi per sospingere un popolo al risorgimento debbono consistere<br />

nello svolgere e rendere popolari le idee, adattandole alla loro intelligenza<br />

e traendone quelle conseguenze che debbono condurre a un utile materiale<br />

immediato, onde siano sempre fomite maggiore alle passioni, che debbono,<br />

essenzialmente, esistere nel popolo.<br />

130


Letteratura, pensiero, azione… QdPD 1 (2008)<br />

G. Berchet, Il giuramento di Pontida, vv. 97-104:<br />

Presto, all’armi! Chi ha un ferro, l’affili:<br />

chi un sopruso patì, sel ricordi.<br />

Via da noi questo branco d’ingordi!<br />

Giù l’orgoglio del fulvo lor sir!<br />

Libertà non fallisce ai volenti,<br />

ma il sentier de’ perigli ell’addita;<br />

ma promessa a chi ponvi la vita,<br />

non è premio d’inerte desir.<br />

A. Manzoni, Marzo 1821, vv. 28-32:<br />

Una gente che libera tutta,<br />

o fia serva tra l’Alpe ed il mare;<br />

una d’arme, di lingua, d’altare,<br />

di memorie, di sangue e di cor.<br />

vv. 54-56:<br />

Dio rigetta la forza straniera;<br />

ogni gente sia libera, e pera<br />

della spada l’iniqua ragion.<br />

vv. 89-104:<br />

Oggi, o forti, sui volti baleni<br />

il furor delle menti segrete:<br />

per l’Italia si pugna, vincete!<br />

Il suo fato sui brandi vi sta.<br />

O risorta per voi la vedremo<br />

al convito de’ popoli assisa,<br />

o più serva, più vil, più derisa,<br />

sotto l’orrida verga starà.<br />

Oh giornate del nostro riscatto!<br />

Oh dolente per sempre colui<br />

che da lunge, dal labbro d’altrui,<br />

come un uomo straniero, le udrà!<br />

Che a’ suoi figli narrandole un giorno,<br />

dovrà dir sospirando: io non c’era;<br />

che la santa vittrice bandiera<br />

salutata quel dì non avrà.<br />

131


antivedere QdPD 1 (2008)<br />

a n t i v e d e r e<br />

dire, fare, educare oggi<br />

Antivedére I (ant. antevedére), tr. Letter.<br />

Anticipare con la mente il futuro; prevedere,<br />

presagire.<br />

Antivedére 2 , sm. Letter. Il prevedere le<br />

cose future; previsione, preveggenza.<br />

S. Battaglia, Grande Dizionario della Lingua Italiana, Torino 1961<br />

Vedere prima, vedere in anticipo, sapere cogliere da un particolare,<br />

da un atteggiamento, da uno sguardo lo stato d’animo,<br />

il sentimento dell’alunno che abbiamo davanti agli<br />

occhi ogni giorno. E’ quella stessa capacità di intuire (intueri)<br />

ovvero di guardare dentro di sé per conoscersi e cercare<br />

poi di vedere dentro gli altri: è una abilità che ciascuno di<br />

noi con dedizione e passione può affinare sempre di più<br />

riflettendo attentamente sulle esperienze passate, meditando<br />

soprattutto sui propri errori e le proprie mancanze. Non<br />

può passare inosservato il fatto che i nostri antenati latini<br />

per parlare del tempo che sarebbe venuto, del futuro, lo<br />

hanno designato con un termine che ha in comune con il<br />

tema del perfetto *fu la radice del greco phyo come se solo<br />

ciò che è stato può suggerirci quello che sarà. L’insegnante,<br />

con accortezza e cautela, deve allora potere essere in grado<br />

di anticipare per prevenire, di afferrare “al volo” una situazione<br />

critica per avvicinarsi al cuore di chi, forse senza neanche<br />

saperlo, attende di essere chiamato per nome non solo al<br />

momento dell’appello o quando deve essere interrogato. La<br />

lungimiranza di antivedere, che per essere attuata presuppone<br />

una attenzione costante ed affettuosa nei confronti dell’alunno,<br />

si impone pertanto come virtù necessaria, direi<br />

perfino indispensabile per tutti coloro che sono consapevoli<br />

della particolare cura che comporta un serio impegno nel<br />

delicato processo educativo. (a. tor.)<br />

133


134<br />

“Vanitas est praesentem vitam solum attendere,<br />

et quae futura sunt non praevidere.”<br />

(<strong>De</strong> imitatione Christi I, 4)<br />

Attendere solamente alla presente vita<br />

e non antivedere le cose future, è vanità.


Educare alla libertà… QdPD 1 (2008)<br />

“Si può sperare di avere insegnato qualche cosa solo<br />

quando si ha la certezza di avere imparato<br />

qualche cosa.”<br />

Paulo Freire<br />

Educare alla libertà, in libertà, con libertà<br />

Riflessioni pedagogico-educative<br />

AUGUSTO BARTOLINI<br />

Ai genitori, agli insegnanti, a tutte le persone preposte all’educazione<br />

Il rapporto genitore-figlio, insegnante-alunno è così forte, così intenso che<br />

ci è praticamente proibito sbagliare perché le conseguenze di un errore potrebbero<br />

essere veramente dannose…<br />

Sì, è una grossa responsabilità essere genitori ed educatori. Significa avere<br />

padronanza di forti e utili esperienze da mettere a disposizione di un essere<br />

che ne è praticamente privo. Una prima difficoltà va ricercata nel divario di<br />

età, non tanto anagrafica quanto esperienziale.<br />

La tendenza dell’adulto, ( il primo grave errore cui può cadere è proprio<br />

quello di sentirsi unico depositario del sapere della vita) è pretendere che il<br />

proprio figlio ( alunno ) segua le imposizioni da lui dettate. Se il figlio non segue,<br />

( lungi dal pensiero che il grande possa commettere errori) nasce il contrasto<br />

con troppa superficialità definito generazionale.<br />

135


antivedere Augusto Bartolini<br />

E tutte le problematiche legate a questa forma di incomprensione, sono attribuite<br />

al figlio che, vuoi per ragioni ereditarie, vuoi per sviamenti tipici della<br />

società, del gruppo, dell’ambiente, non è in grado o non vuole ascoltare<br />

“i saggi consigli”.<br />

Se per un attimo cercassimo di analizzare la ragione per cui il minore non<br />

ci ascolta o non è soddisfatto del nostro intervento, scopriremmo che, spesso,<br />

in noi predomina la volontà di costringere l’altro all’ubbidienza senza minimamente<br />

pensare che il nostro fare non è educativo bensì impositivo e in molti<br />

casi repressivo.<br />

Cerchiamo di analizzare, attraverso il nostro vivere quotidiano, quali potrebbero<br />

essere gli errori più comuni in cui più facilmente potremmo incorrere durante<br />

il percorso educativo che proponiamo ai nostri figli o ai nostri alunni.<br />

IL PRIMO INCONTRO<br />

La cosa più bella che possa osservare il genitore che guarda il suo figliolo è<br />

il momento in cui lui fissa, analizza, sorride e si riempie di tutto ciò che lo circonda.<br />

Il genitore è felice, gode della felicità del figlio, ma in quel momento<br />

si dovrà rendere conto che lì sta l’inizio di quel rapporto che li porterà ad<br />

essere due individui, prima uno subalterno all’altro per necessità naturale<br />

poi sempre di più conflittuali fino alla separazione “cellulare”.<br />

E solo in quel momento si potranno tirare le somme e dire: “ Sono stato un<br />

buon genitore?” Ho comunicato a lui le mie esperienze senza essere stato troppo<br />

invasivo? L’essere stato un buon figlio è poi la derivazione naturale della<br />

prima domanda.<br />

Analisi della situazione<br />

Il genitore, e in secondo momento l’insegnante sotto l’aspetto culturaleesperenziale,<br />

è il punto fermo, il centro dell’universo del bambino. E’ il suo<br />

punto di riferimento. Colui che premia con uno sguardo, una carezza, un sorriso;<br />

colui che ci dimostra il non gradimento con una sola inflessione del volto.<br />

Quei gesti naturalissimi sono il metro, la misura la direzione delle azioni<br />

sempre più consapevoli del bambino.<br />

Ma poi arriva il momento delle domande:<br />

La parola del genitore ora, come i suoi modi e i suoi gesti prima, sono la “guida”.<br />

Triste sarebbe per un bambino, se le sue domande saranno ritenute sciocche e<br />

infantili o petulanti e noiose. Il primo grave errore che si può commettere è<br />

136


Educare alla libertà… QdPD 1 (2008)<br />

quello di considerarle tali. Il grande rimprovera al piccolo la nullità delle sue<br />

affermazioni magari tacciandolo nei casi estremi, anche da sciocco: (“ Zitto, tu<br />

non capisci !”) e mostrarsi scocciato, dandogli magari lezioni non richieste e<br />

non comprese su come porre domande e come essere grandi…<br />

La verità che è che stiamo scardinando le sue certezze, le sue illusioni…<br />

la sua libertà di porsi come essere in crescita!<br />

Non per questo il bambino perde la fiducia del genitore ma lo vedrà sotto<br />

un aspetto nuovo, sotto l’aspetto di un giudice che non tollera errori, che pretende,<br />

che si faccia come dice lui.<br />

Cominciano ad affacciarsi diversi interrogativi nella mente del bambino:<br />

• Non sono come mi vorrebbe…<br />

• Non sono capace di essere come lui mi vorrebbe…<br />

• Se gli pongo questa domanda, mi prenderò un’altra offesa?<br />

• A chi rivolgermi per avere risposte ai miei quesiti?<br />

Va da sé che la stima affettiva, che pure resta fortissima, subisce un trauma.<br />

Meglio sarebbe rispondere al bambino con la stessa serietà e attenzione<br />

che lui mette nel formulare le domande.<br />

Si eviterà così di annacquare quel collante affettivo entro il quale il genitore<br />

può fare breccia e istruire, guidare, convincere il bambino a seguire le sue<br />

richieste che istintivamente ritiene giuste in quanto proposte da persona di<br />

massima fiducia..<br />

Ogni richiesta del bambino merita una risposta seria e convincente possibilmente<br />

formulata in maniera da essere ben compresa. Non siamo ancora<br />

nella fase in cui il bambino contraddistingue il sapiente dall’ignorante, ma in<br />

quella che contraddistingue chi è chiaro da chi non è chiaro. Se appartenessimo<br />

alla categoria dei poco chiari, con il passare degli anni la stima del bambino<br />

ormai ragazzo o adulto sarebbe fortemente compromessa.<br />

Ancora oggi benché mio figlio abbia più di trenta anni, ogni tanto mi interrompe<br />

dicendomi: “ Papà, in quell’occasione tu hai affermato questo e questo…<br />

Oggi tu dici quest’altro…, te ne approfittavi perché io ero piccolo e non<br />

capivo…<br />

Di fronte alla loro memoria così viva è difficile negare e allora ecco pronta la<br />

137


antivedere Augusto Bartolini<br />

risposta in discolpa:<br />

Forse non mi hai capito bene, eppure ero stato chiaro…<br />

In ogni caso è una scusante che, invece di assolverci, ci condanna .<br />

Raramente esce fuori una risposta che sa di umiltà e di razionalità: “ Prima<br />

pensavo anch’io che fosse così, ma poi…”<br />

In questo modo abbiamo dato una bella mano a sminuire il mito del “ genitore<br />

che sa tutto”accelerando in lui la ricerca di un altro “ che sa tutto”: l’insegnante.<br />

LA SCUOLA<br />

Il momento della scuola, cambiamento radicale della vita di un bambino,<br />

potrebbe dimostrarsi un grosso trauma per il bambino. Il cerchio ristretto della<br />

società familiare, all’improvviso si dilata e diventa un insieme di famiglie<br />

che mette in comune il proprio bagaglio di esperienze affinché se ne possa ricavare<br />

una sintesi che funga da base di partenza per il futuro dei figli.<br />

Nel momento fatidico dell’ingresso a scuola assistiamo a diversi atteggiamenti<br />

del bambino (quelli di molti grandi non li prendiamo in considerazione<br />

per pura commiserazione) .<br />

• Il bambino è sì attaccato alla mano del genitore, ma i suoi occhi solari spaziano<br />

nell’ambiente che lo circonda e gioisce nel suo intimo della novità.<br />

Sarà colui che saluterà il genitore con la mano e il volto piegato all’indietro<br />

ma che non perderà il passo verso la novità che lo attende.<br />

• Il bambino è attaccato alla mano del genitore ma è unito al genitore con tutto il<br />

suo corpo e guarda di sottecchi il mondo nuovo che si apre davanti a lui.<br />

Sarà colui che saluterà il genitore con la mano instabile la bocca contratta al<br />

pianto, gli occhi lucidi. E’ più interessato a capire il perché di quello strappo<br />

piuttosto che pensare alla novità che lo attende.<br />

• Il bambino punta i piedi, piange, si dispera, le sue dita di acciaio si avvinghiano<br />

a qualunque cosa lo tenga legato al genitore.<br />

Non ha tempo e voglia di capire che cosa stia succedendo, semplicemente<br />

non vuole distaccarsi dal suo piccolo mondo familiare.<br />

138


Educare alla libertà… QdPD 1 (2008)<br />

• Il bambino piange, si dispera, offende, insulta, scalcia chiunque gli si avvicini.<br />

Si sente tradito e non vuole sentirsi dire: “ E’ meglio, lo facciamo per te, per<br />

il tuo bene…”<br />

Questi diversi atteggiamenti con tutte le possibili sfumature sono il primo<br />

prodotto del rapporto venutosi a creare nel nucleo familiare. Nei primi due casi<br />

c’è una situazione di armonia. Effettivamente il bambino considera il genitore,<br />

il suo punto di riferimento e il lasciarlo in mani ancora sconosciute non<br />

lo preoccupa perché l’ha scelto “Lui!” Piccoli aggiustamenti nel corso del tempo<br />

da parte dell’insegnante, colloqui e certezze affermate dai genitori porteranno<br />

a una scolarità e a una socialità sicuramente soddisfacenti, se non intercorreranno<br />

forti fattori negativi.<br />

Il terzo caso, il più delle volte è frutto di una preponderante irrazionalità<br />

passeggera, dovuta al timore che il suo ego, troppo protetto nell’ambito familiare<br />

abbia da soffrire la competizione con l’ego altrui. Non appena l’insegnante<br />

e l’intervento attento dei genitori riusciranno a chiarire quell’apparente<br />

abbandono, tutto si risolverà.<br />

Però potrebbe essere un bambino a rischio: una chiusura ermetica del genitore<br />

o una accoglienza troppo fredda dell’insegnante potrebbe aggravare quel<br />

senso di abbandono percepito dal bambino e aprire in lui idee che lo porteranno<br />

a un conflitto sempre più forte sia con i genitori che “si sono disfatti di lui”<br />

sia con l’ambiente scolastico considerato la casa di rieducazione, dalla quale<br />

bisogna evadere il più presto possibile.<br />

Il quarto caso si presenta di una gravità eccezionale, E’ un vero problema<br />

per l’insegnante che dovrà correggere,se ci riuscirà, gli innumerevoli errori<br />

fatti da coloro che per legge sono i veri educatori. Nella fase prescolare, probabilmente,<br />

non ha potuto contare su due genitori ma su due servitori a tempo<br />

pieno, su due sottomessi, su due “tappetini” .<br />

Un bambino che si presenta in un nuovo ambiente abituato ad essere:<br />

- Egocentro nel piccolo mondo familiare<br />

- Tiranno assoluto<br />

- Perfetto in tutte le sue mancanze<br />

- Soddisfatto in tutte le sue richieste<br />

- Libero di sfasciare, di sporcare, di sproloquiare e di dire parolacce<br />

- Sicuro di almeno due mastini che lo difenderanno a spada tratta qualunque<br />

cosa dica o faccia<br />

139


antivedere Augusto Bartolini<br />

Rischierà nel corso della sua scolarità di spadroneggiare sugli altri spaccando<br />

l’ambiente classe in:<br />

- Avversari da temere o da combattere<br />

- Sudditi fedeli per quieto vivere<br />

- Sicari pronti a dar corpo a ogni sua richiesta.<br />

E impianterà così le basi per quel bullismo che lo porterà a commettere mancanze<br />

e male azioni rapportate alla sua età: la gravità delle azioni sarà proporzionale<br />

alla crescita.<br />

Se ne esce affrontando il problema da più parti:<br />

- con intelligenza e umiltà da parte dei genitori<br />

- con la pazienza e la fermezza dell’insegnante<br />

- con il dialogo il più possibile aperto e costruttivo tra gli educatori<br />

- con i consigli dello psicologo<br />

- con la collaborazione di tutti.<br />

PERCHE’ LA COSA VERAMENTE IMPORTANTE E’ LA COMPLETA FORMA-<br />

ZIONE SOCIALE, CULTURALE, SPIRITUALE DELL’ALUNNO,<br />

FUTURO CITTADINO.<br />

LA PRIMA FASE DELL’ESSERE SE STESSI<br />

Giunge il momento in cui il genitore non è più “ Colui che sa tutto…”<br />

L’impianto culturale del bambino cresce a dismisura, la sua mente si allarga,<br />

assorbe…<br />

Ora il centro del sapere è il maestro!<br />

“ Il maestro ha detto… Me l’ha detto il maestro… Tu non capisci, me l’ha detto il<br />

maestro…” ed altre espressioni che fanno parte del suo modo di esprimersi.<br />

Che responsabilità!<br />

E noi genitori? Abbiamo perduto di colpo la nostra privilegiata posizione?<br />

No. Dobbiamo semplicemente prendere atto che dovremo condividere il<br />

nostro trono culturale ed esperenziale con altri. Se giocheremo a buttarci giù<br />

dal trono, allora avremo fallito in partenza. Se utilizzeremo tutti i trucchi per<br />

favorire una convivenza accettabile allora avremo superato il problema.<br />

140


Educare alla libertà… QdPD 1 (2008)<br />

• Contrastare caparbiamente o risolutamente il bambino è grave, come è<br />

ancora più grave mettere in dubbio agli occhi del bambino, le capacità del<br />

maestro o di altri che lo attorniano.<br />

Ma a chi dovrà poi dare retta, al padre? Al maestro?<br />

A tutti e due è impossibile perché non dicono la stessa cosa.<br />

Non è un grosso rischio? Non è confonderlo negandogli la possibilità e la libertà<br />

di discernere da solo nel corso del tempo, il ruolo delle persone preposte<br />

alla sua crescita?<br />

• Se darà ragione al maestro, noi genitori saremo condannati a perdere<br />

inesorabilmente la stima…<br />

• Se darà ragione a noi, perderà la stima del maestro e chi ne farà le spese<br />

sarà la sua formazione…<br />

• Se perderà la stima di tutti e due, a chi darà ragione? Al bullo della<br />

classe? E poi al bullo di quartiere?<br />

Impariamo a riconoscere il nostro ruolo, a rispettare il ruolo degli altri, a<br />

dare risposte chiare e precise a seconda del nostro ruolo.<br />

• Non dobbiamo aver timore di dire: “ Guarda, non sono certo di saperlo,<br />

forse è meglio che te lo fai spiegare dall’insegnante…”<br />

• Il bambino ormai è entrato nell’ordine delle idee che il dispensatore del<br />

sapere scolastico è il maestro, il genitore ha tutto un altro ruolo e la stima<br />

e la fiducia che lui ha per noi non sarà neppure scalfita…<br />

• Non pensiamo assolutamente di ingannarli, non sono così piccoli, impre<br />

parati e sprovveduti come spesso ce li raffiguriamo…<br />

Un episodio vissuto in prima persona<br />

Il papà, che oltretutto è anche maestro, sta riparando lo scaldabagno che<br />

perde… Si sente chiamare da suo figlio che stava facendo il compito (faceva la<br />

terza elementare) e che si era alzato perché aveva bisogno di una spiegazione:<br />

“Papà perché…?” Il papà sudato e innervosito risponde sbuffando: “Senti,<br />

proprio non lo so lasciami fare.” Il bambino, rimasto male dalla risposta, ha un<br />

sussulto e dice: “Ma allora che maestro sei?”<br />

Improvvisamente il lavoro che stava facendo gli è sembrato un nonnulla di<br />

141


antivedere Augusto Bartolini<br />

fronte alla risposta ricevuta per cui, senza pensarci su, è sceso dalla scala, si è<br />

lavato le mani, e dopo essersi scusato per non avergli risposto subito, si è messo<br />

accanto a lui e gli ha fornito tutte le spiegazioni di cui aveva bisogno .<br />

E quando il ragazzo prenderà coscienza della sua situazione sociale, del ceto<br />

di appartenenza, del rapporto che intercorre tra gli elementi delle famiglie<br />

degli amici? Quando inizierà quella situazione conflittuale nella quale il ragazzo,<br />

oltre a provare la fermezza e il carattere del genitore, lo sceglierà inizialmente<br />

come modello, come farà il padre a rapportarsi con lui?<br />

Saprà dare risposte serie?<br />

Come potrà porsi come modello?<br />

Come potrà essere certo di essere creduto?<br />

Come potrà spiegare eventualmente la sua posizione di coniuge separato, o<br />

altro?<br />

Se sarà stato un genitore attento alle necessità del figlio nell’età infantile e<br />

scolare, avrà sicuramente meno difficoltà di colui che, egoisticamente, pensando<br />

al bene del proprio figlio, in realtà faceva il suo bene. Suo figlio anche penserà<br />

a se stesso e, difficilmente eleggerà il padre a modello della sua vita e di<br />

quella dei propri figli.<br />

CONCLUSIONE<br />

La conferma di essere stati buoni educatori e buoni genitori, la avremo purtroppo<br />

quando ormai i nostri interventi non avranno più alcun effetto. Ed allora<br />

incominciamo fin da subito a considerare il figlio un altro essere in crescita<br />

e formazione soffermandoci bene sulla parola “altro“. Non imponiamoci,<br />

mostriamoci soltanto! Lasciamolo libero di cercarsi un modello convincente.<br />

Se noi saremo stati modelli convincenti egli non potrà che rapportarsi a noi<br />

e potremo così dire nel nostro intimo:<br />

142<br />

“ E’ partito seguendo il mio esempio, diventerà migliore di me!”


Educare al cuore QdPD 1 (2008)<br />

“L’insegnante si qualifica per conoscere il mondo e per essere in<br />

grado di istruire altri in proposito, ed è autorevole in quanto, di<br />

quel mondo, si assume la responsabilità. Di fronte al fanciullo è una<br />

sorta di rappresentante di tutti i cittadini adulti della terra, che indica<br />

i particolari dicendo: ecco il nostro mondo.”<br />

Hannah Arendt 1<br />

“Una scuola che si sbarazza di Franti è una scuola da buttare.”<br />

Domenico Starnone 2<br />

Educare al cuore 3<br />

ALBERTO TORNATORA<br />

I giovani cercano sempre un interlocutore con cui confrontarsi e quando lo individuano<br />

nel mondo degli adulti i loro commenti, spesso poco benevoli, contengono<br />

frammenti di verità così scomode e sgradevoli che costringono gli adulti a<br />

fare i conti con la loro ipocrisia. La verità, una “virtù crudele” 4 che, seppure solamente<br />

accennata, non perdona al re di essere nudo e lo espone al riso e alla dissacrazione,<br />

riesce a spezzare la cornice di ipocrisia che racchiude in sé le convenzioni,<br />

i limiti e tutti quei compromessi che regolano la nostra vita sociale. La verità si<br />

manifesta in maniera limpida nello sguardo ingenuo del bambino che dice quello<br />

che vede e giunge a trarne le conseguenze : il mondo degli adulti è ipocrita.<br />

Questa ipocrisia , che è all’origine del disagio esistenziale dei giovani 5 , de-<br />

1 H. Arendt, Tra passato e futuro, Milano 1991 pag. 247<br />

2 D. Starnone, Paura di Franti, introduzione a E. <strong>De</strong> Amicis Cuore, Milano 2007 pag. XXIV<br />

3 “Per costruire una società più giusta è necessario un grande impegno a livello politico, economico-sociale<br />

e culturale. Ma ciò non basta! L’impegno decisivo deve essere rivolto al cuore stesso dell’uomo.” Giovanni<br />

Paolo II , Centesimus Annus<br />

4 A. Tagliapietra, La virtù crudele. Filosofia e storia della sincerità, Torino 2003<br />

5 “L’ipocrisia degli adulti origina i disagi dei giovani.” (N. Pisanu)<br />

143


antivedere Alberto Tornatora<br />

lude le aspettative anche quelle più sentite ed urgenti e può arrivare persino<br />

a spegnere ogni possibile passione. Se questo è l’esempio che danno gli adulti<br />

quali sentimenti possono avere i giovani che si pongono di fronte a loro?<br />

Ad essi non resta che l’indifferenza o la ribellione. Ma della ribellione che è da<br />

sempre una ingenua ( ovvero nello stesso tempo nobile e spontanea) spinta alla<br />

ricerca del nuovo, che è una costante che caratterizza gli anni in salita dell’adolescenza,<br />

si sono quasi perse le tracce.<br />

Il limbo del conformismo<br />

Piuttosto sono l’indifferenza ed il disinteresse che generano tra i ragazzi il<br />

conformismo, una sorta di limbo dove languiscono le anime quasi spente di<br />

quei giovani che, nel migliore dei casi, saranno mossi ad agire solo per un interesse<br />

personale e non piuttosto per un ideale teso al vantaggio della collettività<br />

. E se ci si mette anche la scuola a mortificare le loro aspirazioni, a scoraggiare<br />

l’entusiasmo per gli ideali cui vorrebbero ispirarsi, una scuola dove vige<br />

il principio che l’insegnante deve istruire e non educare dal momento che<br />

l’educazione è una conseguenza diretta dell’istruzione ( ! ? ), allora non ci si<br />

deve meravigliare che i diversi sintomi del malessere esistenziale (droga, violenza<br />

e alcolismo) si fanno più evidenti e diffusi e sono il segnale preoccupante<br />

di un disequilibrio tra le diverse componenti fisiche, psicologiche e sociali.<br />

La scuola dovrebbe provvedere a fare acquisire ai giovani le leggi della<br />

convivenza (cfr. i quattro pilastri della educazione: sapere, sapere fare, sapere<br />

essere e sapere vivere con gli altri ) invece di provocare disinteresse non fornendo<br />

motivazioni sufficientemente valide, isterilendosi in forme autoritarie<br />

o, peggio, permissive dove ciò che conta è la confezione del sapere , non i suoi<br />

contenuti, non la sua potenziale vitalità che ne fa argomento di passione.<br />

Ma è impensabile istruire se non si provvede prima e/o contestualmente<br />

ai tempi della istruzione alla costruzione della identità dell’individuo attivando<br />

specifici processi educativi. L’identità di ognuno si costruisce a partire dal<br />

riconoscimento dell’altro e se questo riconoscimento manca in famiglia e a<br />

scuola allora il rischio è che l’identità cerchi se stessa fuori , per strada dove la<br />

droga, l’alcool ed il sesso diventano le forme esasperate di un riconoscimento<br />

mancato (per insensibilità dei genitori? per imperizia degli insegnanti? in ogni<br />

caso perché non sono state offerte forme di riconoscimento più adeguate) 6 .<br />

L’adolescenza che vive nel desiderio di agire, conoscere e scoprire viene<br />

continuamente ostacolata dalla realtà e allora, come sostiene Umerto Galimberti<br />

“sono possibili due atteggiamenti: la rimozione (creazione di un mondo dei so-<br />

144


Educare al cuore QdPD 1 (2008)<br />

gni alternativo) o la frustrazione (l’annullamento dell’identità)”. 7<br />

In questo scontro tra la dimensione della realtà , che nella sua quotidianità<br />

produce delusione, e quella del desiderio che resta inappagato, i giovani rimuovono<br />

il “reale” inventando una realtà altra e, così facendo, il sentimento<br />

di frustrazione che essi provano e che a piccole dosi è utile per la crescita può<br />

condurli persino ad un totale annullamento della volontà di esistere.<br />

I logaritmi, i Sepolcri e l’analfabetismo affettivo<br />

La scuola svolge intanto diligentemente i programmi ministeriali perché<br />

l’istruzione possa essere alla portata di tutti : l’errore che viene commesso è<br />

però quello di considerare l’educazione un derivato dell’istruzione: è vero invece<br />

che solo ad educazione avvenuta e/o contemporaneamente ad essa,<br />

l’istruzione diventa possibile. Si può istruire solo chi è consapevole di acquisire<br />

lentamente, progressivamente una coscienza di sé.<br />

Per educare non basta istruire se l’istruzione è “la trasmissione spassionata,<br />

quando non addirittura stanca, di nozioni estratte dalla storia della cultura, dopo<br />

averle opportunamente purificate dalle risonanze psicologiche,emozionali,sentimentali<br />

in modo che la scientificità del sapere non sia compromessa da queste scorie umane”. 8<br />

Una scuola che ha espulso dalle sue aule l’educazione dei sentimenti ha condannato<br />

all’esilio l’emozione e poiché non ci può essere apprendimento che<br />

non si fondi su una partecipazione emotiva dello studente il rischio che si corre<br />

è la mortificazione di quel sentimento spontaneo che si dischiude con energia<br />

e disordine aprendosi alla vita ; l’incuria e la superficialità degli adulti responsabili<br />

sono le coordinate geografiche di un orizzonte di abbandono e depressione<br />

che incombe minacciosamente sui giovani.<br />

Certo la scuola ha il compito di trasmettere saperi ma dimentica che deve<br />

6 “ L’adolescenza e la prima giovinezza si sono sottratte al magnetismo degli adulti. L’allungarsi biologico<br />

e sociale della vita ha reso meno urgente il passaggio alla maturità. I tempi si sono dilatati, c’è meno fretta.<br />

(…) L’adolescenza si è emancipata dalla sua condizione di minorità, si è consolidata in uno stato mentale<br />

capace di un irradiamento forte, in un tempo di vita non più schiacciato dalla corsa verso la maturità.<br />

Induce ormai un universo di consumi, di mode e di simboli che a loro volta la stabilizzano e la proteggono.<br />

La vita “lunga” non ha più un solo culmine né un’unica finalità: ha fasi autonome, con passaggi<br />

morbidi; non è lineare, ma multiversa; si sviluppa in più direzioni, ciascuna con proprie inclinazioni e<br />

regole. (…) Vi è nell’universo dei nostri ragazzi una spinta verso la cura di sé, verso l’affermazione immediata<br />

della propria labile e cangiante identità - sotto forma di bisogno di riconoscimento, di visibilità, di<br />

ricerca di approvazione nella cerchia dei coetanei - che, se non controllata e orientata dall’ambiente in cui<br />

si esprime, può aprirsi su rischi assai seri.” A. Schiavone, Cambiare la scuola pensando agli studenti, in La Repubblica<br />

12 Ottobre 2008 pag. 26<br />

7 U. Galimberti, Paesaggi dell’anima, Milano 1996 pag. 142<br />

8 U. Galimberti, op. cit., pag. 149<br />

145


antivedere Alberto Tornatora<br />

innanzitutto sapere essere al servizio del cuore degli studenti offrendo loro gli<br />

strumenti, i progetti, i percorsi di indagine che alimentino il loro interesse e<br />

non invece operare per livellare le soggettività nascenti in nome di un presunto,<br />

sterile sapere oggettivo . 9<br />

Quanti sono gli studenti, che quando studiano, lo fanno solo per l’interrogazione<br />

e i compiti perché sono convinti di fare cose inutili per la vita? 10<br />

Insegnanti e genitori esortano allo studio, all’impegno e i giovani, quando<br />

provano a mettere in pratica i consigli degli adulti, si annoiano fino alla morte<br />

di fronte a pagine disanimate, estranee: la loro testa è altrove, le loro urgenze<br />

sono altre e nello stesso tempo essi sentono aumentare i sensi di colpa per<br />

gli esiti insoddisfacenti del loro profitto scolastico. Questo è il quadro di un<br />

percorso adolescenziale oggi purtroppo abbastanza diffuso dove il disagio è<br />

il segno di una demotivazione che arriva a spegnere nei giovani il rispetto di<br />

sé. Un dolore esistenziale che non può essere ignorato da chi opera con i giovani,<br />

da chi ha il compito di educarli alla vita e non si accorge invece delle loro<br />

esistenze precarie, della loro incerta identità che proprio quando incomincia<br />

a prendere forma è minacciata dal non sapere chi si è e dalla paura di non<br />

riuscire a diventare quello che si vorrebbe.<br />

Lo psicologo Paolo Crepet ha definito come “dimensione del vuoto” quel<br />

disagio esistenziale che può diventare l’anticamera del suicidio ; se è vero che<br />

in Italia ogni giorno ci sono due giovani che si tolgono la vita mentre altri dieci<br />

tentano di farlo, per quanto la prevenzione al suicidio degli adolescenti non<br />

rientri nei programmi scolastici, è probabile che una parte di responsabilità di<br />

questo vuoto sia imputabile alla scuola dove, per dirla con Leopardi, di loro<br />

e del loro tempo “si spende la miglior parte”.<br />

La funzione dell’educatore<br />

Gli insegnanti dovrebbero essere consapevoli che l’apprendimento dipende<br />

in gran parte dall’autostima ( ovvero dalla considerazione positiva di sé )<br />

che innesca un meccanismo virtuoso, così come dall’auto accettazione ( la capacità<br />

di accogliere il negativo ) che consente di affrontare le avversità della<br />

vita. La funzione dell’educatore consiste appunto nello svolgere una adeguata<br />

prevenzione cosiddetta “primaria” per non trovarsi poi a dovere affrontare la<br />

dimensione del vuoto popolata dai fantasmi della tossicodipendenza, dell’alcolismo<br />

e del sesso verso cui i giovani si sentono portati alla deriva, e dove<br />

forse essi stessi “si sentono stranieri nella propria vita”. 11<br />

146


Educare al cuore QdPD 1 (2008)<br />

L’impegno dell’educazione, che ha come obiettivo quello di promuovere le<br />

capacità fondamentali di ogni individuo per aiutarlo a vivere la propria vita<br />

in modo “storico, cosciente, libero, responsabile e solidale nel mondo e con gli<br />

altri” (C. Nanni), chiama in causa gli insegnanti e le loro competenze, il loro<br />

stile, il senso di responsabilità: in una parola la loro professionalità.<br />

Indubbiamente l’insegnante - educatore deve avere una approfondita conoscenza<br />

della/e disciplina/e insegnata/e, una provata competenza didattica<br />

qualificata dalla capacità personale di animare la ricerca e incoraggiare il dibattito<br />

e il confronto tra gli alunni. 12 <strong>De</strong>ve pertanto possedere idonee conoscenze<br />

relative ai processi di apprendimento ed istruzione, deve sapere personalizzare<br />

lo stile di insegnamento ed applicare validi criteri docimologici (valutazione<br />

e controllo) che gli permettano una appropriata verifica formativa.<br />

E’ opportuno ipotizzare che l’insegnante abbia anche delle capacità pedagogiche<br />

generali e, soprattutto,una spontanea disponibilità ad un costante aggiornamento.<br />

Insomma all’insegnante è richiesta una serie di caratteristiche<br />

che dovrebbero esaltare le qualità dell’impegno professionale cui è chiamato.<br />

Nella tradizione educativa cristiana la mentalità dell’insegnante - educatore è<br />

particolarmente attenta alla crescita personale, sia essa individuale che comunitaria,<br />

del giovane; l’educatore ha una visione del mondo e della vita che dà fiducia<br />

alla capacità dell’umanità di costruire una vita e un mondo a misura d’uomo,<br />

o meglio cristianamente, a misura dell’umanità di Cristo risorto e individua come<br />

punto di partenza del processo educativo quegli aspetti della vita personale<br />

di ciascuno che sono da promuovere, sostenere, coltivare, incoraggiare, fare cre-<br />

9 “Nel mondo che cambia, i ragazzi cambiano: loro tutti gli anni hanno sempre quindici anni, e tu, dall’altra<br />

parte della cattedra ne hai sempre uno di più. Quest’anno in più, che ci allontana dalla gioventù (dalla<br />

nostra e dalla loro) possiamo decidere di giocarcelo scavando un solco o gettando un ponte: personalmente<br />

ritengo che attraversare un ponte sia operazione più facile che risalire da un buco profondo tanti<br />

metri quanti sono gli anni che dividono le generazioni. Il ponte è la metafora che chiarisce cosa significa<br />

entrare in relazione con qualcuno. La relazione interpersonale, un tassello fondamentale del processo<br />

di apprendimento, è un gioco delicato che implica fiducia reciproca; ma è anche una scommessa che si<br />

può vincere o perdere. Non basta aver costruito un ponte: poi bisogna avere il coraggio di attraversarlo.”<br />

A. Ghibaudi, Conoscere i ragazzi, sta in AA. VV., La mia scuola , a cura di D. Chiesa e C. Trucco Zagrebelsky<br />

Torino 2005 pag. 40<br />

10 “Studium discendi voluntate, quae cogi non potest, constat.” (L’amore per lo studio si fonda sulla volontà che<br />

non può essere indotta con la forza) Quintiliano Institutio oratoria I, 3, 8<br />

11 U. Galimberti, op. cit. , pag.161<br />

12 “I docenti possono pensare di avviare un percorso di cambiamento solo stabilendo relazioni diverse,<br />

avendo il coraggio di lasciare la veste di chi fa del falso moralismo o si presenta come indulgente amico<br />

degli studenti o ancora come esecutore di protocolli procedurali che non intaccano positivamente la qualità<br />

della relazione educativa e dunque l’assunzione di abiti morali. E’ necessario dedicarsi senza artifizi<br />

a ritrovare l’importanza della vita, dell’impegno, della serietà ed eticità delle proprie azioni a partire dalla<br />

specificità del contesto scolastico; in definitiva, si tratta di esprimere e praticare il significato di perfettibilità<br />

umana.” M. Benetton, Educare alle virtù, in “Nuova Secondaria 2” Brescia Ottobre 2008 pag.16<br />

147


antivedere Alberto Tornatora<br />

scere.<br />

Il laico cattolico educatore<br />

La figura dell’educatore quale testimone ed esempio di una condotta di vita<br />

ispirata all’onestà dei sentimenti e delle opere deve potere essere riconosciuta in<br />

maniera inequivocabile : il suo impegno educativo mira al rafforzamento della<br />

piena maturità umana fondata sul senso del dovere e della responsabilità ; egli<br />

deve essere in grado di offrire agli alunni gli strumenti necessari per la ricerca<br />

della vera libertà che è quella dell’uomo creato ad immagine e somiglianza di<br />

Dio così da orientarli nella maturazione della coscienza morale personale che<br />

consiste nella capacità specifica di discernere il bene e il male. 13<br />

L’educatore è colui che agisce con sollecitudine e discrezione sempre attento<br />

alla sensibilità psicologica ed affettiva dell’educando; così facendo, in quanto<br />

testimone della fede nella scuola, opera come apostolo dell’educazione<br />

esercitando un vero e proprio ministero educativo al servizio della umanità.<br />

Il rapporto educativo fin qui descritto si presenta dunque come un rapporto<br />

teleologico, ossia orientato secondo finalità, per il conseguimento di obiettivi<br />

che ne regolano la dinamica ; questo rapporto è possibile solo se c’è effettiva<br />

comunicazione tra l’educatore e l’educando, ovvero quando si instaura un<br />

rapporto “dialogale” che certo non annulla la naturale asimmetria tra i due<br />

soggetti, anzi ne trae alimento per dare origine a quella particolare tonalità af-<br />

13 “… il rapporto tra scuola e società, tra scuola e mondo del lavoro ha bisogno di un nuovo equilibrio, per<br />

evitare ad entrambi i rischi della frattura e della confusione.<br />

L’urgenza e la necessità di cambiare profondamente le strutture (istituzionali, economiche e politiche), però,<br />

presuppone persone ad alta tensione morale e con una forte passione per l’uomo e i suoi destini. Si tratta<br />

di ridefinire secondo un più alto profilo la figura dell’educatore nella scuola, facendo sintesi tra competenze<br />

professionali e motivazioni educative, con una particolare attenzione alla capacità al dialogo.<br />

Si tratta altresì di ripensare la funzione educativa della scuola attraverso una progettualità globale con il<br />

riferimento a un’idea di scuola di persone per la comunità, cioè uno spazio relazionale, nel quale alcuni soggetti<br />

personali concorrono alla costruzione di identità personali libere e consapevoli, tramite una proposta<br />

culturale seria e ricca di significati validi e condivisi.<br />

Tale mutamento di prospettiva mette al centro la persona, e chiede alla scuola di rendere sempre più flessibili<br />

e adeguati i propri percorsi e le proprie strutture, così da rispondere all’originalità e alla varietà delle<br />

situazioni personali e ambientali.” Cfr. D. Petti, Dispense del Corso per Coordinatori scolastici – Teologia<br />

dell’Educazione, Prima Lezione<br />

14 “ L’emergenza educativa si presenta allora come richiesta di un ritorno all’etica, nella duplice forma dell’acquisizione<br />

dell’educazione buona da parte dei giovani e dell’assunzione di responsabilità etica da<br />

parte di professionisti e attori dell’educazione. (…) Oggi nella scuola sembra essere carente proprio l’educazione<br />

alle virtù. Dall’astrattezza di significato del termine valore, che costituisce un’energia che orienta<br />

al bene, è pertanto opportuna e doverosa l’immersione nella pratica dell’azione attraverso la virtù,<br />

che corrisponde ad un abito morale acquisito.” M. Benetton, art. cit. , pag. 14<br />

148


Educare al cuore QdPD 1 (2008)<br />

fettiva presente nel rapporto educativo che può essere definita “amore educativo”.<br />

14<br />

Educare al cuore, nel rispetto dei ruoli e delle competenze, è una azione educativa<br />

che può avere una base emozionale (eros) ed anche una espressione sentimentale<br />

(affetto) intesa a valorizzare la persona, nella formazione e nel riconoscimento<br />

di una propria identità. Don Bosco parlava de “il punto accessibile al<br />

bene” che in ciascuno deve essere individuato ed accresciuto: è questo in sostanza<br />

il compito dell’educatore che deve sapere guidare l’educando in una crescita<br />

intellettuale, morale e religiosa che sia graduale e vissuta in comunione.<br />

La tradizione pedagogica lasalliana 15<br />

Il docente cristianamente ispirato che opera all’interno di una istituzione<br />

lasalliana deve allora essere consapevole di essere inserito in una tradizione<br />

educativa che ha una storia da cui egli può trarre ispirazione. La tradizione lasalliana,<br />

che da oltre tre secoli opera nell’ambito educativo ponendo al centro<br />

dell’attenzione il fanciullo 16 e le sue esigenze (di ogni tipo) , si fonda sulla lun-<br />

15 Per una panoramica attuale delle esperienze educative lasalliane in ambito internazionale vedi N.<br />

Capelle, Voglio venire nella tua scuola , Parigi 2006 in particolare Una visione internazionale dell’Educazione,<br />

pagg. 221-248<br />

16 Al centro della azione educativa svolta dall’educatore cristiano per La Salle c’è il ragazzo (cfr. MTR 13,3<br />

dove i giovani sono presentati come “speranza,gioia e corona dell’educatore”). Questa prospettiva<br />

“mistica” nella quale vengono descritti i ragazzi genera una sorta di ottimismo pedagogico che ha ragione<br />

di essere in quanto speranza nella capacità dell’uomo di essere “sopraffatto” dallo Spirito di Dio.<br />

Il quadro che La Salle contempla quotidianamente, soprattutto in riferimento alla educazione dei giovani,<br />

non è certo tale da ispirargli gioia e ottimismo. I ragazzi cui egli pensa nel realizzare le sue scuole sono<br />

“i figli degli artigiani e dei poveri” i jeunes sauvages , i giovani abbandonati a se stessi, al pericolo di<br />

una vita vissuta allo sbando. La Salle raccomanda ai fratelli di sapere accogliere i ragazzi così come sono,<br />

amarli senza distinzioni né prevenzioni : “Riconoscete Gesù sotto i poveri stracci dei ragazzi che dovete<br />

istruire…” (Med. 96,3) : a fondamento di tutta l’opera educativa c’è il riconoscimento della dignità<br />

di ogni ragazzo.<br />

17 La pedagogia del santo che viene descritta in tutta la sua esaustiva puntualità e completezza nella Conduite<br />

des Ecoles e nelle Règles de la biénseance, risalta nelle Meditazioni per la costante attenzione che egli<br />

raccomanda ai bisogni dei ragazzi, per la individuazione delle finalità che gli educatori debbono avere<br />

sempre presenti nel loro lavoro e per l’attenzione alla scelta e alla preparazione di tutte le persone coinvolte<br />

nel progetto educativo. E poiché la Sacra Scrittura è la materia stessa delle Meditazioni il La Salle<br />

fonda ed argomenta le sue riflessioni su di essa traendone talvolta esempi così suggestivi ed intuizioni<br />

anche originali come ad esempio nella quarta e quinta meditazione (rispettivamente 197 e 198) quando<br />

afferma che la Provvidenza vuole che gli educatori siano (come) gli angeli custodi dei loro ragazzi.<br />

L’idea degli educatori quali “angeli custodi visibili” che devono insegnare con l’esempio e la pratica le verità<br />

cristiane è di una tenerezza struggente (mi si conceda l’espressione commossa) che ci fa percepire appieno<br />

la delicatezza d’animo (vorrei dire la dolcezza per ricordare una delle 12 virtù del buon maestro) del<br />

santo che comunque termina le sue meditazioni non senza lanciare un severo ammonimento ai fratelli :<br />

“Dio vi ha affidato un ministero così santo di cui Vi chiederà conto esattissimo nel Giorno del Giudizio”(197)…“Adoperatevi<br />

con zelo…impegnatevi al massimo”(198)<br />

149


antivedere Alberto Tornatora<br />

gimirante intuizione del fondatore dei Fratelli delle Scuole Cristiane <strong>San</strong> Giovanni<br />

Battista <strong>De</strong> La Salle il quale ha avuto come prima e più urgente preoccupazione<br />

quella di formare buoni insegnanti : impegno cui dedicò circa quaranta<br />

anni della sua vita. 17<br />

La Salle ha predicato e svolto quella che lui stesso ha definito opera di Dio<br />

all’interno di un progetto educativo che chiama gli insegnanti ad essere veri e<br />

propri protagonisti della storia sacra : è questo il carisma lasalliano per cui il<br />

mestiere dell’insegnante diviene un “ministero” apostolico ed ecclesiale che<br />

deve essere svolto con particolare zelo. Zelo 18 è la parola-chiave di tutta la<br />

pedagogia lasalliana che con questo termine definisce lo spirito di fede in<br />

azione, in piena collaborazione con Dio al Suo piano di salvezza: lo zelo testimonia<br />

appunto la fedeltà all’uomo e il ministero di servizio realizzato.<br />

Nell’ambito più ampio della chiamata cristiana la vocazione dell’educatore<br />

è l’espressione di una specifica spiritualità che, nella prospettiva lasalliana,<br />

ha la caratteristica di essere una spiritualità apostolica in quanto essa è la ragione<br />

stessa della missione che oggi unisce Fratelli e laici nella condivisione<br />

del carisma del Fondatore.<br />

18 Lo zelo che testimonia il ministero di servizio realizzato altri non è che l’amore educativo : un sentimento<br />

che permette all’educatore di “toccare il cuore degli alunni” (Med. 81,2; 119,3) e di operare quindi con<br />

efficacia. Uno zelo che si realizza nell’impegno ad educare i fanciulli nella pietà e nel buon costume<br />

facendoli consapevoli e partecipi della biénseance che non è da considerarsi come una qualità puramente<br />

umana e mondana anzi, per La Salle la politesse, considerata nel suo aspetto migliore, è la stessa carità<br />

messa in pratica e il giovane che avrà imparato a comportarsi con garbo ed educazione saprà evitare eccessi<br />

anche nel vizio (cfr. Conduite 1,15)<br />

150


Educare al cuore QdPD 1 (2008)<br />

MICHELE BARILE Docente di Lingua e Letteratura Inglese al<br />

Liceo. Referente CELAS. Consulente linguistico presso Enti Pubblici.<br />

Responsabile preparazione Esami Cambridge.<br />

AUGUSTO BARTOLINI Responsabile del corso Primario al <strong>Collegio</strong><br />

<strong>San</strong> <strong>Giuseppe</strong> <strong>Istituto</strong> <strong>De</strong> <strong>Merode</strong>. Ha conseguito il Master per Educatori<br />

Cristiani e il diploma di Coordinatore Scolastico.<br />

ALESSANDRO CACCIOTTI Docente di Latino e Greco si è specializzato<br />

all’ Università Gregoriana. E’ fondatore del Laboratorio Teatrale “Il<br />

Quadriportico” e ha al suo attivo come regista oltre 30 produzioni teatrali.<br />

EDUARDO CIAMPI Docente di Lingua e Letteratura Inglese al<br />

Liceo. Traduttore, articolista e saggista impegnato da anni nell’editoria.<br />

MARCO CILIONE Docente di materie letterarie al Liceo frequenta<br />

il Master per Educatori Cristiani. Studioso di dialettologia ed epigrafia<br />

greca. Ha curato la raccolta delle fonti greche e latine per il progetto<br />

Imago Urbis.<br />

MARINA PESCARMONA Docente di Scienze al Liceo è Dottore di<br />

Ricerca in Scienze medico-forensi e frequenta il Master “Scienza e Fede”<br />

presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum.<br />

ANTONIO PILATO Docente di Chitarra e Laureato in Lettere è<br />

specializzato in Composizione. Frequenta la Scuola Chitarristica<br />

Internazionale a Coblenza.<br />

EMILY ANTONELLA POGGI Docente di Educazione Musicale e di<br />

Strumento. Diplomata in pianoforte si è specializzata nella metodologia<br />

Orff-Schulwerk e nel Biennio Interpretativo-Compositivo<br />

MANUELA REVELLO Docente di materie letterarie al Liceo frequenta<br />

il Master per Educatori Cristiani. Specializzata in Archeologia del<br />

Vicino Oriente antico è membro del Consiglio scientifico della LASET.<br />

ANDREA TESTA Docente di materie letterarie al Liceo frequenta<br />

il Master per Educatori Cristiani. Ha conseguito il Perfezionamento<br />

nello studio della tradizione della lingua italiana del Trecento.<br />

ALBERTO TORNATORA Docente di materie letterarie al Liceo. Ha<br />

conseguito il Master per Educatori Cristiani e il diploma di Coordinatore<br />

Scolastico. Studioso di letteratura cristiana antica è autore di articoli e saggi<br />

pubblicati in riviste universitarie.<br />

151


CONTENUTI...................................................................................................................7<br />

PRESENTAZIONE<br />

Perchè questi Quaderni di Fr. Pio Rocca.....................................................................9<br />

INTRODUZIONE<br />

Giustizia e libertà di Marco Cilione ..........................................................................11<br />

EDUARDO CIAMPI, EMILY ANTONELLA POGGI,ANTONIO PILATO<br />

Song for Fidele<br />

Il trapasso come metafora della liberazione...........................................................15<br />

MICHELE BARILE<br />

Oscar Wilde Freedom of Soul, freedom of Man .......................................................33<br />

ALESSANDRO CACCIOTTI<br />

Giustizia e Popolo in <strong>San</strong>t’Agostino........................................................................45<br />

MARCO CILIONE<br />

Il dialogo dei Melii e degli Ateniesi<br />

(Thuc. V 85-112) ............................................................................................................59<br />

MARINA PESCARMONA<br />

La verità rende giusti e liberi: il caso Galileo ........................................................77<br />

MANUELA REVELLO<br />

La Prosopopea delle Leggi .........................................................................................91<br />

ANDREA TESTA<br />

Letteratura, pensiero, azione: libertà e giustizia in Italia<br />

dall’età napoleonica al Risorgimento.....................................................................115<br />

antivedere dire, fare, educare oggi .......................................................................133<br />

AUGUSTO BARTOLINI<br />

Educare alla libertà, in libertà, con libertà............................................................135<br />

ALBERTO TORNATORA<br />

Educare al cuore..........................................................................................................143<br />

GLI AUTORI...............................................................................................................151<br />

INDICE.........................................................................................................................153<br />

153


APPUNTI<br />

155


156<br />

APPUNTI


APPUNTI<br />

157


158<br />

APPUNTI


APPUNTI<br />

159


160<br />

Qui<br />

docent<br />

Paulatim<br />

Discunt


ANNO I - N° 1 DICEMBRE 2008<br />

DIRETTORE RESPONSABILE Virginio Mattoccia<br />

DIREZIONE - REDAZIONE Quaderni demerodiani di<br />

Pedagogia e Didattica,<br />

rivista semestrale<br />

Registrazione Tribunale di Roma<br />

n. 400 del 20.11.2008<br />

Editore il “Quadriportico”<br />

Via S. Sebastianello,1<br />

00187 - Roma - 06 69922505<br />

Coordinamento grafico e stampa<br />

Gruppo“Just in Time”<br />

www.justintime.it<br />

COLLABORATORI<br />

Michele Barile, Augusto Bartolini, Alessandro Cacciotti, Eduardo Ciampi, Marco<br />

Cilione, Marina Pescarmona, Antonio Pilato, Emily Antonella Poggi, Manuela<br />

Revello, Andrea Testa, Alberto Tornatora


ASSOCIATI LASALLIANI PER LA MISSIONE EDUCATIVA<br />

Q<br />

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