qdpd n 2.pdf - Collegio San Giuseppe - Istituto De Merode
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Pedagogia e Didattica Alessandro Cacciotti<br />
iustitia rem publicam regi non posse. 6 Nel l. XIX del <strong>De</strong> Civitate <strong>De</strong>i egli però conduce<br />
una critica serrata al concetto di Stato, così come lo aveva definito Cicerone:<br />
“Lo Stato è cosa del popolo e popolo non è ogni unione d’uomini aggregati casualmente,<br />
ma l’unione di una moltitudine legata in società nel consentire in un diritto e nella comunanza<br />
di un’utilità. La sua prima causa d’unirsi è non tanto la debolezza, quanto lo è<br />
una forma d’aggregazione direi naturale tra gli uomini: perché questa razza non è idonea<br />
a vivere né a spostarsi in solitudine ” . 7 Come si vede, per Cicerone la giustizia non è<br />
solo un principio regolativo della vita politica, ma anche e soprattutto costitutivo<br />
del popolo. Come l’armonia della musica, così la giustizia nella vita sociale<br />
stabilisce la concordia fra le parti più diverse e quindi costituisce l’unità della res<br />
publica. Qualora venga meno la giustizia, tale unità scompare. Conclude però<br />
Agostino: «Se dunque lo Stato (res publica) è cosa del popolo, se la definizione è vera,<br />
non è mai esistito lo Stato romano, perché mai fu cosa del popolo, ed egli [Cicerone] ha dimostrato<br />
che questa è la definizione dello Stato. Ha infatti definito il popolo come l’unione<br />
di un certo numero d’individui, messa in atto dalla conformità del diritto e dalla comunanza<br />
degli interessi.” 8 La mancanza di giustizia viene dimostrata da Agostino<br />
con un veloce excursus nella storia romana, sulla scorta di grandi scrittori latini,<br />
quali Sallustio, Tito Livio, Cicerone, che avevano descritto le vicende di Roma<br />
come una sequela interminabile di vizi e immoralità. Cicerone, parlando della<br />
presente condizione dello Stato, citava un verso famoso del poeta Ennio: Lo<br />
Stato romano è saldo in virtù dei costumi e uomini antichi 9 . Continuava poi Cicerone<br />
“Mi sembra che per la brevità e la verità egli abbia derivato quel verso come da un oracolo.<br />
Infatti né gli uomini, se la cittadinanza non fosse stata di buoni costumi, né i costumi,<br />
se non fossero stati a capo quegli uomini, avrebbero potuto fondare o conservare tanto<br />
a lungo una società civile tanto grande e che domina su regioni tanto estese. Quindi<br />
nel periodo anteriore al nostro ricordo lo stesso costume patrio adoperava uomini eccellenti<br />
e questi conservavano l’antico costume e gli istituti degli antenati. La nostra età<br />
avendo avuto in consegna una società come una pittura perfetta, ma un po’ stinta dall’antichità,<br />
non solo ha trascurato di restaurarla con i colori originali, ma non si è preoccupata<br />
neanche di conservare almeno il modellato e il disegno. Che cosa rimane dei costumi<br />
antichi con cui, come Ennio ha detto, stava saldo lo Stato romano se li vediamo talmente<br />
in disuso per dimenticanza che non solo non sono conservati ma perfino ignorati?<br />
6 CICERONE, <strong>De</strong> rep. 2,43 – AGOSTINO, <strong>De</strong> civ. <strong>De</strong>i, 2,21<br />
7 Cic, <strong>De</strong> re publica I,25: Est igitur res publica res populi, popolus autem non omnis coetus quoquo modo congregatus,<br />
sed coetus multitudinis iuris consensu et utilitatis communione sociatus. Eius autem prima causa coeundi est<br />
non tam imbecillitas quam naturalis quaedam hominum quasi congregatio; non est enim singulare nec solivagum<br />
genus hoc.” E ancora in III,33: “Populus non est […] nisi qui consensu iuris continetur” (Non è popolo se<br />
non quello che è tenuto insieme dal consensuale riconoscimento di diritti)<br />
8 <strong>De</strong> civitate <strong>De</strong>i XIX, 21.<br />
9 ENNIO, Ann. Fr. 284<br />
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