qdpd n 2.pdf - Collegio San Giuseppe - Istituto De Merode
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Rivista semestrale di cultura scolastica lasalliana<br />
Anno I - N° 1 Dicembre 2008
“Il Quadriportico”<br />
www.sangiuseppedemerode.it<br />
Volumi pubblicati<br />
Giugno 2008 N° 0 Le radici della moralità (1)<br />
Dicembre 2008 N° 1 Giustizia e libertà (2)<br />
In preparazione<br />
Giugno 2009 N°1 Bioetica e diritto alla vita (3)
Anno Paolino 2008-2009<br />
William Blake ( 1757-1827 ) La conversione di <strong>San</strong> Paolo
Quaderni<br />
demerodiani<br />
di<br />
Pedagogia<br />
e<br />
Didattica<br />
Giustizia e Libertà
“Et ego ideo adulescentulos existimo in scholis stultissimos<br />
fieri quia nihil quae in usu habemus aut audiunt aut vident”.<br />
(Petronio Satyricon I, 3)<br />
Credo che i ragazzi perdano molta della loro intelligenza<br />
in una scuola dove non hanno alcun contatto con la vita reale.
Giustizia e Libertà<br />
SCUOLA SECONDARIA DI PRIMO GRADO<br />
EDUARDO CIAMPI, EMILY ANTONELLA POGGI, ANTONIO PILATO<br />
Song for Fidele Il trapasso come metafora della liberazione<br />
SCUOLA SECONDARIA DI SECONDO GRADO<br />
MICHELE BARILE<br />
Oscar Wilde Freedom of Soul, freedom of Man<br />
ALESSANDRO CACCIOTTI<br />
Giustizia e Popolo in <strong>San</strong>t’Agostino<br />
MARCO CILIONE<br />
Il dialogo dei Melii e degli Ateniesi (Thuc. V 85-112)<br />
MARINA PESCARMONA<br />
La verità rende giusti e liberi: il caso Galileo<br />
MANUELA REVELLO<br />
La Prosopopea delle Leggi<br />
ANDREA TESTA<br />
Letteratura, pensiero, azione: libertà e giustizia in Italia<br />
dall’età Napoleonica al Risorgimento<br />
a n t i v e d e r e dire, fare, educare oggi<br />
AUGUSTO BARTOLINI<br />
Educare alla libertà, in libertà, con libertà<br />
ALBERTO TORNATORA<br />
Educare al cuore<br />
Rivista semestrale di cultura scolastica lasalliana<br />
Anno I – N° 1 Dicembre 2008
Perché questi Quaderni<br />
Questa che sta muovendo i primi passi non è la solita rivista per insegnanti<br />
ma uno spazio in cui colleghi che credono nella propria vocazione<br />
di educatori-docenti mettono in comune esperienze, proposte, convinzioni,<br />
percorsi, tracciati, tentativi riusciti, contributi, domande e attese,<br />
nel loro fare scuola .<br />
Confrontarsi e condividere idee e metodi, contenuti e strategie è utile<br />
soprattutto a coloro che scrivono e raccontano il loro vivere la scuola .<br />
La comune ispirazione a principi pedagogici e strategie didattiche ha<br />
suggerito a coloro che hanno aderito al progetto la voglia di realizzarlo<br />
e di proporlo a colleghi disposti a prendere parte all’Avventura.<br />
“Quaderni demerodiani di Pedagogia e Didattica” può essere uno<br />
strumento spendibile nella quotidianità didattica, offrendo materiale<br />
articolato in moduli ed aperto ad una duttile interazione con la programmazione<br />
curricolare del docente che alle esperienze dei colleghi<br />
può attingere senza rinunciare al proprio originale apporto educativo.<br />
Lo spirito di questa “non-rivista” è quello di un forum, di un franco<br />
confronto e reciproco scambio che permette a chiunque di offrire il<br />
proprio contributo in nome della comune missione di educare con e<br />
nella offerta culturale della prassi didattica.<br />
Il termine “quaderni” vuole suggerire proprio questa operosità quotidiana<br />
e non presuntuosa di essere educatori lasalliani. Lasalliani , cioè<br />
che incarnano nella loro missione presso i giovani il carisma e la tradizione<br />
plurisecolare di S.G.B. de La Salle, in cui il progetto pastorale e la<br />
promozione culturale costituiscono un unicum irrinunciabile per chi<br />
considera il proprio insegnamento come “missione” e “missione condivisa”<br />
con i colleghi e compagni di viaggio.<br />
Il Direttore Editoriale<br />
Fratel Pio Rocca<br />
(dalla Presentazione del N° 0 Giugno 2008)
Giustizia e Libertà<br />
L'obiettivo di ogni intervento didattico deve essere, com'è noto,<br />
un'educazione integrale che permetta allo studente di esprimere al meglio<br />
le proprie potenzialità. Per essere davvero integrale, quindi, l'educazione<br />
non può escludere la dimensione valoriale e quella spirituale,<br />
che rappresentano due aspetti fondanti dell'identità della persona.<br />
La teologia pastorale, pur non avendo ancora uno statuto epistemologico<br />
ben definito, offre, tuttavia un supporto significativo al percorso<br />
educativo del discente perché attraverso le indicazioni della pastorale<br />
didattica permette di curare nell'insegnamento non solo<br />
l'aspetto etico-morale, ma anche quello spirituale, che per un malinteso<br />
senso della correttezza politica e di un laicismo troppo spesso spacciato<br />
per laicità, è 'igienicamente' estromesso dall'insegnamento.<br />
I contributi dei quaderni demerodiani hanno invece deciso di assumersi<br />
integralmente la responsabilità dell'insegnamento nella convinzione<br />
che la didattica offra attraverso i suoi contenuti disciplinari<br />
un'occasione straordinaria per veicolare valori e per riflettere sulla<br />
propria spiritualità, per diventare cioè onesti cittadini e buoni cristiani.<br />
Il tema della pastorale didattica di questo numero è giustizia e libertà:<br />
tutti gli interventi hanno evidenziato, nello specifico disciplinare dell'argomento<br />
scelto per il modulo didattico, non solo lo stretto legame tra il<br />
senso del giusto e la vera libertà, ma anche quanto in realtà la giustizia<br />
sia la conditio sine qua non della libertà. Essere liberi non vuol dire fare<br />
semplicemente quello che si vuole perché si è nella posizione economica<br />
o politico-sociale per poterlo fare: la vera libertà deve essere improntata<br />
a un profondo senso di responsabilità e rispetto verso se stessi e verso<br />
gli altri, deve farsi guidare da un rigoroso principio di equità.<br />
I moduli didattici di questo numero si prefiggono quindi l'obiettivo di<br />
educare gli studenti a questo giusto significato di libertà, evidenziando il<br />
male individuale e sociale che la confusione tra libertà e sopruso ha determinato<br />
nella storia dell'uomo.<br />
Marco Cilione
Giustizia e Libertà
Song for Fidele QdPD 1 (2008)<br />
Strumenti per la didattica modulare interdisciplinare<br />
Percorso tematico di educazione musicale e lingua e cultura inglese<br />
Song for Fidele<br />
William Shakespeare<br />
Il trapasso come metafora della liberazione<br />
EDUARDO CIAMPI (PROGRAMMAZIONE LINGUISTICO-LETTERARIA)<br />
EMILY ANTONELLA POGGI<br />
(PROGRAMMAZIONE MUSICALE-COMPOSITIVA E ARRANGIAMENTO)<br />
ANTONIO PILATO (ARRANGIAMENTO PER CHITARRA)<br />
Introduzione<br />
“Morire al mondo per vivere in Cristo”: comprendere bene questo prezioso<br />
adagio del Cristianesimo significa cogliere il profondo senso di libertà che c’è nel<br />
rinunciare al mondo secolarizzato per vivere in Cristo. A tale assoluta libertà, nella<br />
tradizione cristiana, e in quella poesia occidentale che immancabilmente fa capo<br />
ad essa, si allude spesso attraverso la metafora della morte. Lo stesso passo<br />
evangelico del seme che deve morire per poter vivere - “In verità, in verità vi dico:<br />
se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore,<br />
produce molto frutto” (Giov. 12,24) - presenta la medesima figura retorica. La<br />
15
Pedagogia e Didattica Ciampi, Poggi, Pilato<br />
condizione dell’anima è spesso simile a quella di un uomo che finito in mare tenta<br />
di salvarsi: più fa movimento e più finisce sott’acqua, più produce azione e<br />
peggio è. Se davvero vuole sottrarsi al pericolo, deve compiere un atto che apparentemente<br />
è contro la stessa logica: deve avere la fermezza di rimanere fermo,<br />
deve fare ‘il morto’; solo in questa condizione si salva, in questa morte apparente<br />
ritrova la vita. Allo stesso modo, dunque, gli aspetti egoici dell’anima devono<br />
morire, per far sì che l’uomo, nella sua integrità, ritrovi la pienezza della vita.<br />
Peraltro al di là del valore metaforico, in effetti, la morte di colui che ha vissuto<br />
la propria vita seguendo gli insegnamenti morali di Gesù Cristo, sostenuto dai<br />
Sacramenti della Chiesa, può anche intendersi come liberazione, passaggio a miglior<br />
vita, quella paradisiaca (o quantomeno a uno stato di conservazione, quello<br />
purgatoriale), dove la vicinanza a Dio è libertà. 1 Al contrario, per chi vive nel<br />
peccato - rifiutando volutamente i precetti religiosi volti a tutelare l’integrità della<br />
propria anima - la morte sarà un passaggio a un’ulteriore schiavitù, in uno stato,<br />
quello infernale, caratterizzato da una sofferenza perpetua: tutt’altro che una<br />
liberazione. Dunque, svincolarsi dall’oppressione delle passioni - e quindi delle<br />
paure - mondane, per essere liberi in Dio; una libertà che il Cristiano può già ottenere<br />
in vita, come dimostrano quei santi che sono morti al mondo, abbandonandosi<br />
gioiosamente, e nella libera scelta, 2 a Cristo.<br />
Nella presente unità didattica si è voluto dunque evidenziare questo particolare<br />
aspetto della libertà attraverso un’attività interdisciplinare (Lingua e cultura<br />
Inglese ed Educazione musicale) che porterà gli studenti a confrontarsi con un<br />
testo poetico in L2 set to music.<br />
La scelta di William Shakespeare come fonte letteraria accentua l’aspetto profondamente<br />
etico della produzione teatrale del bardo di Straford, un’arte che non<br />
è mera forma d’intrattenimento, come talvolta viene erroneamente ridotta, ma<br />
una vera e propria occasione per destare la coscienza, attraverso un processo che<br />
culmina nella catarsi. In un passo della commedia Much ado about nothing troviamo,<br />
peraltro pronunciate da un frate, proprio quelle significative parole che ribadiscono<br />
la valenza liberatoria della morte: Die to live! (Atto IV, scena 1), anche se<br />
in un contesto che apparentemente sembra essere soltanto una escamotage per<br />
potersi ricongiungere in seguito al proprio amato (per certi versi qualcosa di simile<br />
accade - anche se con risvolti decisamente tragici - anche in Romeo and Juliet).<br />
Il ‘Lamento funebre per Fidele’, il passo in questione, è invece tratto dal<br />
Cymbeline (Atto 4, scena 2) e celebra la presunta morte di Imogen. Le musiche sono<br />
di Gerald Finzi, raffinato e colto compositore inglese del XX secolo.<br />
1 La lettura del testo shakespeariano, in relazione al dettato pastorale lasalliano del corrente anno sul tema<br />
della libertà, assume dunque valenza allegorica e anagogica.<br />
2 Ma anche col contributo della grazia, che quando è gratisdata viene addirittura a superare l’aspetto volitivo<br />
personale.<br />
16
Song for Fidele QdPD 1 (2008)<br />
PROGRAMMAZIONE GENERALE<br />
<strong>De</strong>stinatari:<br />
Corso di terza media<br />
Discipline coinvolte:<br />
Inglese - Musica<br />
Durata:<br />
10 ore (4 Inglese, 4 Musica, 2 co-presenza Inglese-Musica)<br />
Spazi:<br />
La classe<br />
Metodi e mezzi:<br />
Schede con testo e glossario - Fotocopia della partitura - Lettore CD - Flauti soprani<br />
- Chitarra classica - Pianoforte (o tastiera elettrica)<br />
Obiettivi formativi:<br />
Contestualizzare un testo poetico in L2 e interpretarlo all’interno di un’esecuzione<br />
strumentale e corale, cogliendo aspetti di quella metodologia interdisciplinare<br />
che saranno peraltro utili in sede di colloquio d’esame di licenza.<br />
Inglese:<br />
Note biografico-letterarie su William Shakespeare in L2 - Lettura con particolare<br />
attenzione alla pronuncia e al lessico (arcaismi) - Accenni alla struttura<br />
grammaticale e ritmica del testo poetico - Traduzione del testo (con particolare<br />
attenzione all’uso del vocabolario).<br />
Musica:<br />
Note biografico-musicali sul compositore Gerald Finzi e ascolto del brano nelle<br />
due versioni disponibili (voce e pianoforte/orchestra) - Elaborazione della<br />
trascrizione (ovvero riduzione) per pianoforte, chitarre, coro e orchestra di<br />
flauti dritti (da allegare al progetto) - Formazione del gruppo degli esecutori.<br />
Verifiche:<br />
Prove in itinere sulle abilità linguistiche nella pronuncia del testo - Prove strumentali/vocali<br />
in itinere nell’esecuzione del brano - Prova generale conclusiva<br />
in copresenza dei docenti - Presentazione ed esecuzione conclusiva del brano<br />
in un particolare evento dell’anno scolastico.<br />
17
Pedagogia e Didattica Ciampi, Poggi, Pilato<br />
Bibliografia musicale:<br />
L. Calì, Psicopedagogia nella “educazione musicale”, Milano, 1970.<br />
K. Thomas, Metodo di direzione corale, Firenze, 1970.<br />
G. Stefani, Dal Parlato al canto: l’intonazione recitativa , Firenze, 1976.<br />
A.R. Addessi/C. Luzzi/J. Tafuri, Competenza stilistica musicale dagli 8 ai 14 anni,<br />
Ricerche CNR, 1998.<br />
A. Juvarra, Il canto e le sue tecniche, Milano, 1998.<br />
Bibliografia:<br />
W. Shakespeare, Cymbeline, Milano, 1989.<br />
E. Sharmann, Across cultures, London, 2005.<br />
E. Ciampi, La Rete di Shakespeare, Roma, 2005.<br />
Discografia:<br />
AA.VV., English orchestral songs (Chandos 95115. 8743)<br />
Gerald Finzi, The English Song series 12 (Naxos 8.557644)<br />
ORGANIZZAZIONE SISTEMATICA DELLE LEZIONI<br />
Lezione I (Inglese)<br />
Argomento:<br />
a) Breve riflessione introduttiva sul senso di libertà che raggiunge il Cristiano<br />
che rinuncia al mondo secolarizzato per vivere in Cristo (in L1).<br />
b) William Shakespeare as a dramatist and poet of Christian tradition.<br />
Metodo: Lezione frontale volta a stimolare la partecipazione e l’interesse degli<br />
studenti sul tema (in L1) e sulla figura del drammaturgo inglese (in L2).<br />
Lettura della scheda 1 da parte dell’insegnante che si assicura, attraverso alcune<br />
domande agli studenti, che sia stata compresa.<br />
Obiettivo: Cogliere la relazione tra l’opera teatrale Shakespeariana e l’etica cristiana,<br />
ed essere in grado di relazionare sinteticamente, o di rispondere a domande<br />
poste dall’insegnante (in L2).<br />
Durata: 1 ora<br />
18
Song for Fidele QdPD 1 (2008)<br />
Lezione II (Inglese)<br />
Argomento: Song for Fidele, dal Cymbeline (IV/2) di William Shakespeare<br />
Lettura estensiva del testo (prime due strofe) in L2 e traduzione.<br />
Metodo: Lezione frontale con la scheda 2. Vista la complessità del testo, il docente<br />
accompagna gli studenti nella comprensione delle immagini poetiche<br />
(illustrando un uso approfondito del vocabolario), ed evidenziando le connessioni<br />
e le analogie con l’argomento introduttivo della prima lezione.<br />
Obiettivo: Comprendere i contenuti del testo, confrontandosi con nuovo lessico<br />
e con aspetti particolari del linguaggio poetico.<br />
Durata: 1 ora<br />
Lezione III (Inglese)<br />
Argomento: ‘Song for Fidele’, Cymbeline (IV/2) di William Shakespeare<br />
Lettura estensiva del testo (ultime due strofe) in L2 e traduzione.<br />
Metodo: Lezione frontale con la scheda 2. Vista la complessità del testo, il docente<br />
accompagna gli studenti nella comprensione delle immagini poetiche<br />
(illustrando un uso approfondito del vocabolario), ed evidenziando le connessioni<br />
e le analogie con l’argomento introduttivo della prima lezione.<br />
Obiettivo: Comprendere i contenuti del testo, confrontandosi con nuovo lessico<br />
e con aspetti particolari del linguaggio poetico.<br />
Durata: 1 ora<br />
Lezione IV (Inglese)<br />
Argomento: ‘Song for Fidele’, Cymbeline (IV/2) di William Shakespeare<br />
Lettura intensiva del testo in L2 con particolare attenzione all’aspetto fonetico.<br />
Metodo: Lezione frontale con scheda fotocopiata del testo di Shakespeare con<br />
interventi volti a correggere gli eventuali errori di pronuncia.<br />
19
Pedagogia e Didattica Ciampi, Poggi, Pilato<br />
Obiettivo: Sapere leggere correttamente il testo.<br />
Durata: 1 ora<br />
3 Shakespeare operò come attore e drammaturgo con un gruppo londinese conosciuto come Lord<br />
Chamberlain’ Men. Le sue 37 opere teatrali sono basate su fonti che comprendono scritti latini e dell’antica<br />
grecia, nonché cronache storiche. Includono tragedie (Amleto, Macbeth, Otello…), commedie<br />
(Tanto rumore per nulla, Sogno d’una notte di mezz’estate…), drammi storici (Enrico V, Riccardo III…), e<br />
drammi fantastici (La tempesta, Il racconto d’inverno…). La sua produzione teatrale viene considerata<br />
come eredità della tradizione cristiana. La canzone che andremo a studiare, a cantare e a suonare nella<br />
versione del compositore inglese Gerald Finzi, è tratta dall’opera Cimbelino, la storia a lieto fine della<br />
famiglia d’un monarca britannico durante l’invasione romana. In realtà il canto è un lamento funebre,<br />
ma le parole del poeta sembrano considerare la morte come metafora di libertà, di quella che è la liberazione<br />
finale del fedele cristiano.<br />
20<br />
1 - William Shakespeare (1564 - 1616)<br />
Shakespeare worked as a professional actor and playwright with a group in London<br />
known as the Lord Chamberlain’s Men. His 37 plays are based on a number<br />
of sources including ancient Greek and Latin writings and historical chronicles.<br />
They include tragedies (Hamlet, Macbeth, Othello…), comedies (Much ado about<br />
nothing, A midsummer night’s dream…), histories (Henry V, Richard III…), and romances<br />
(The tempest, The winter’s tale…). His literary production is to be considered<br />
as heritage of the Christian tradition. The song we are going to study, sing<br />
and play in the setting of the British composer Gerald Finzi, is drawn from the<br />
play Cymbeline, the happy ending story of the family<br />
of the King of Britain during the Roman invasion. As<br />
a matter of fact, the song is a funeral chant, but the<br />
words of the poet seem to consider death as a<br />
metaphor of freedom, the Christian believer’s final<br />
surrender). 3<br />
2 - ‘Fear no more the heat of the sun’<br />
Fear no more the heat of the sun,<br />
Nor the furious winter rages<br />
Thou thy worldly task hast done<br />
Home art gone and taken thy wages<br />
Golden lads and girls all must,<br />
As chimney-sweepers, come to dust.
Song for Fidele QdPD 1 (2008)<br />
Fear no more the frown o’ th’ great<br />
Thou art past the tyrant stroke<br />
Care no more to clothe and eat<br />
To thee the reed is as the oak<br />
The sceptre learning physics must<br />
All follow this and come to dust.<br />
Fear no more the lightning-flash<br />
Nor th’ all-dreaded thunder-stone<br />
Fear not slander, censure rash<br />
Thou hast finished joy and moan<br />
All lovers young, all lovers must<br />
Consign to thee and come to dust.<br />
No exorciser harm thee!<br />
Nor no witchcraft charm thee!<br />
Ghost unlaid forbear thee!<br />
Nothing ill come near thee!<br />
Quiet consummation have,<br />
And renowed be thy grave! 4<br />
Glossario dell’inglese elisabettiano e delle contrazioni poetiche:<br />
Art: are / hast: have / o’: of / th’: the / thou: you (subject) / thee: you (object)<br />
/ thy: your<br />
Introduzione alla sezione musicale<br />
La partitura originale è in SI bemolle Maggiore, è stata trasportata un tono so-<br />
4 “<strong>De</strong>ll’arsura d’agosto non aver più timore, il gelo dell’inverno più non ti farà male. Sei arrivato a casa, hai<br />
riscosso la paga; e ti puoi riposare, ch’è finita la strada. Giovani dalle chiome bionde e fanciulle in fiore<br />
muoiono, come il nero spazzacamino muore. <strong>De</strong>l cipiglio dei grandi, dei colpi dei tiranni non aver più<br />
timore. Nulla ti può toccare. Non t’è più necessario mangiare o vestir panni, la quercia o l’arboscello, è<br />
per te cosa uguale. Lo scettro, la dottrina, la medicina, l’opre dell’uomo, tutto passa, tutto diventa polvere.<br />
Non aver più timore del baleno che abbaglia. Né del tuono che romba come suon di battaglia. Non aver<br />
più timore di calunnia e impostura. Per te non c’è più lagrime, né gioia, né sventura. E a te venga ogni<br />
amante sensibile e gentile, polvere ognun diventi, polvere grigia e vile. Non c’è più sortilegio che ti possa<br />
incantare. Non c’è più maleficio che ti possa stregare. Non c’è spettro insepolto che ormai può farti offesa,<br />
né strisciar di serpenti, né morso che avvelena. Dissolviti in silenzio, nella quiete e nell’ombra, caro ai<br />
vivi il tuo nome, venerata la tomba” (traduzione di Gabriele Baldini).<br />
21
Pedagogia e Didattica Ciampi, Poggi, Pilato<br />
pra. Non sono state fatte modifiche a livello armonico, ed è stato quindi rispettato<br />
l’originale, pur semplificandone l’arrangiamento.<br />
Sia la parte pianistica che la parte chitarristica sono state trascritte per un<br />
livello di abilità di quinto anno accademico, tuttavia sono state aggiunte le sigle<br />
degli accordi per facilitare i chitarristi alle ‘prime armi’.<br />
I pianisti che si trovano in difficoltà nell’esecuzione della loro parte possono<br />
suonare la parte melodica e accompagnarsi con gli accordi.<br />
La parte vocale ha una estensione da Do1 al FA2.<br />
Trattandosi di un progetto che si rivolge ad una terza media, sono date per acquisite<br />
le competenze e le conoscenze della grammatica musicale, dei ritmi e<br />
della loro realizzazione, nonché l’abilità di terzo anno di strumento.<br />
Lezione V (Co-presenza Inglese-Musica)<br />
Argomento: La musica come espressione complementare del canto e quindi<br />
del testo poetico.<br />
Contenuti: Gerald Finzi ‘Song for Fidele’ dalla raccolta di Songs Let us garlands<br />
bring.<br />
Metodo: Lezione frontale con ascolto musicale dal CD delle due versioni del<br />
Song (cameristica e orchestrale). Esercitazione alla lettura della partitura attraverso<br />
la lettura parlata ritmica del testo. Successivamente prime intonazioni<br />
vocali.<br />
Sussidi: Scheda fotocopiata della trascrizione del brano per orchestra per flauto<br />
dolce soprano, chitarra, voce e pianoforte.<br />
Obiettivo: Comprensione ritmica ed estensione vocale<br />
Durata: 1 ora<br />
Difficoltà: il primo approccio con lo spartito è il momento più impegnativo e<br />
difficile. È quindi necessario ottenere la massima attenzione da parte dei ragazzi.<br />
Un metodo utile per iniziare può essere quello di utilizzare il testo per<br />
imparare il ritmo – trasformare per pochi attimi questa partitura in una musica<br />
Rap curando, in modalità interdisciplinare col collega d’Inglese, la precisione<br />
del ritmo e delle dinamiche. Leggere quindi ritmicamente il testo, prestan-<br />
22
Song for Fidele QdPD 1 (2008)<br />
do attenzione alla correttezza della pronuncia, e solo successivamente, con<br />
l’aiuto del proprio strumento, il Docente potrà eseguire brevi tratti di melodie<br />
per la prima intonazione.<br />
Lezione VI (Musica)<br />
Argomento: Lettura della partitura<br />
Metodo: Lezione frontale a gruppi strumentali e voce<br />
Durata: 1 ora<br />
Difficoltà: È la lezione forse più impegnativa e talvolta può rischiare di diventare<br />
caotica. La prima domanda che faranno i ragazzi sarà: “e mentre gli altri<br />
suonano io che posso fare?” Giusta osservazione. Personalmente ho adottato<br />
un metodo sicuramente comune ed efficace. Ma prima di spiegarlo è indispensabile<br />
sottolineare che ciò riuscirà solo se ciascuna sezione strumentale costituisce<br />
‘gruppo’, per cui è impegno di tutti dare il massimo ed è questo il sentimento<br />
che il Docente deve far nascere nei ragazzi prima ancora di iniziare.<br />
Comunque in pratica nell’ora di musica i ragazzi si dispongono e cambiano<br />
di posto velocemente (nel cambio con l’ora precedente) in gruppi stabiliti<br />
con il loro strumento. Ognuno si può esercitare mentre l’altra sezione studia<br />
con l’insegnante, ad esempio: le pianole sono dotate di cuffiette, i chitarristi<br />
hanno un panno che legano intorno alla paletta in modo da fermare la<br />
vibrazione delle corde ed attutire il suono, i flautisti poggiano lo strumento<br />
sul mento in modo da memorizzare le posizioni, il coro ha la cuffia con la<br />
musica registrata. A turno sarà il docente ad ascoltare la sezione e impartire<br />
le correzioni.<br />
Mentre un ragazzo del coro può osservare drammaticamente: “Non ci arrivo<br />
al fa? Che mi consiglia professoressa?”. Si rimedia semplicemente abbassando<br />
l’ottava e quindi lasciando che solo il flauto arrivi al fa2, oppure rendere la linea<br />
melodica uguale a discrezione del gusto del Docente.<br />
Lezione VII (Musica)<br />
Argomento: Studio per singole ‘sezioni strumentali’<br />
Metodo: Lezione frontale a gruppi strumentali per l’esecuzione delle melodie<br />
23
Pedagogia e Didattica Ciampi, Poggi, Pilato<br />
OBIETTIVO: Conoscere la parte musicale del proprio strumento e interagire<br />
con altri compagni<br />
DURATA: 2 ore<br />
Difficoltà: È quindi chiaro che l’organizzazione degli strumenti provvede di<br />
per sé a mantenere ordine e quindi permette al Docente di avere la situazione<br />
sotto controllo. Si continua a lavorare per ‘sezioni strumentali’ dividendo la<br />
partitura a piccole melodie. Si consiglia di lavorare in maniera alternata, ad<br />
esempio: flauti e chitarra, chitarra e voce. Alcune melodie sono simili, ma non<br />
tutte, e quindi risulta valida anche l’alternativa: flauto e voce. Ciascuna melodia<br />
può essere ripetuta tutte le volte che il Docente ritenga sia necessario per<br />
passare poi all’esecuzione collettiva.<br />
Lezione VIII (Musica)<br />
Argomento: Esecuzione del brano<br />
Metodo: Lezione frontale per l’esecuzione del brano<br />
Durata: 1 ora<br />
Difficoltà: con l’aiuto del proprio strumento il Docente coordina e dirige la<br />
piccola orchestra. È opportuno che si riparta dalle piccole melodie scelte e piano<br />
piano si uniscano al fine di completare l’esecuzione.<br />
Lezione IX (Co-presenza Inglese-Musica)<br />
Verifica: Esecuzione finale, corale e strumentale, del Song, con eventuali correzioni<br />
da parte dei due docenti in co-presenza.<br />
Criteri di valutazione: Competente ritmiche, strumentali, vocali, linguistiche<br />
(pronuncia).<br />
Durata: 1 ora.<br />
24
Song for Fidele QdPD 1 (2008)<br />
Gerald Finzi (1906 - 1956)<br />
Di lontane origini ebraiche italiane, Finzi fu indirizzato alla composizione da<br />
Charles Stanford e nel 1930 si trasferì a Londra dove in seguito lavorò come<br />
docente, presso la Royal Academy of Music, entrando in contatto con i grandi<br />
compositori inglesi dell’epoca: Gustav Holst, Ralph Vaughan Williams, ma<br />
anche Edmund Rubbra, Herbert Howells, Howard Ferguson, ed Arthur Bliss.<br />
Dopo il essersi sposato nel 1933, andò a vivere con la moglie in una casa di<br />
campagna nell’Hampshire, dove poté dedicarsi completamente alla composizione,<br />
soprattutto di Songs per voce e pianoforte (particolarmente incisive le<br />
sue composizioni sui testi del poeta romantico William Wordsworth e del metafisico<br />
Thomas Traherne, entrambi inglesi) ma anche di brani orchestrali e corali,<br />
mostrando una particolare raffinatezza nelle melodie e nella ricerca timbrica.<br />
La canzone Fear no more the heat of<br />
the sun (ovvero ‘Song for Fidele’) è tratta<br />
dalla sua raccolta di Songs intitolata Let us<br />
garlands bring, e dedicata interamente a testi<br />
poetici concepiti da Shakespeare per essere<br />
eseguiti nelle sue opere teatrali.<br />
1.La lettura del testo shakespeariano, in relazione<br />
al dettato pastorale lasalliano del<br />
corrente anno sul tema della libertà, assume<br />
dunque valenza allegorica e anagogica.<br />
2. Ma anche col contributo della grazia, che in quanto è gratisdata viene addirittura<br />
a superare l’aspetto volitivo personale.<br />
3. Shakespeare operò come attore e drammaturgo con un gruppo londinese<br />
conosciuto come Lord Chamberlain’ Men. Le sue 37 opere teatrali sono<br />
basate su fonti che comprendono scritti latini e dell’antica grecia, nonché<br />
cronache storiche. Includono tragedie (Amleto, Macbeth, Otello…), commedie<br />
(Tanto rumore per nulla, Sogno d’una notte di mezz’estate…), drammi storici<br />
(Enrico V, Riccardo III…), e drammi fantastici (La tempesta, Il racconto d’inverno…).<br />
La sua produzione teatrale viene considerata come eredità della<br />
tradizione cristiana. La canzone che andremo a studiare, a cantare e a<br />
suonare nella versione del compositore inglese Gerald Finzi, è tratta dall’opera<br />
Cimbelino, la storia a lieto fine della famiglia d’un monarca britannico<br />
durante l’invasione romana. In realtà il canto è un lamento funebre, ma le<br />
parole del poeta sembrano considerare la morte come metafora di libertà, di<br />
25
Pedagogia e Didattica Ciampi, Poggi, Pilato<br />
quella che è la liberazione finale del fedele cristiano.<br />
4. “<strong>De</strong>ll’arsura d’agosto non aver più timore, il gelo dell’inverno più non ti<br />
farà male. Sei arrivato a casa, hai riscosso la paga; e ti puoi riposare, ch’è finita<br />
la strada. Giovani dalle chiome bionde e fanciulle in fiore muoiono, come il<br />
nero spazzacamino muore. <strong>De</strong>l cipiglio dei grandi, dei colpi dei tiranni non<br />
aver più timore. Nulla ti può toccare. Non t’è più necessario mangiare o vestir<br />
panni, la quercia o l’arboscello, è per te cosa uguale. Lo scettro, la dottrina, la<br />
medicina, l’opre dell’uomo, tutto passa, tutto diventa polvere. Non aver più<br />
timore del baleno che abbaglia. Né del tuono che romba come suon di<br />
battaglia. Non aver più timore di calunnia e impostura. Per te non c’è più lagrime,<br />
né gioia, né sventura. E a te venga ogni amante sensibile e gentile, polvere<br />
ognun diventi, polvere grigia e vile. Non c’è più sortilegio che ti possa incantare.<br />
Non c’è più maleficio che ti possa stregare. Non c’è spettro insepolto<br />
che ormai può farti offesa, né strisciar di serpenti, né morso che avvelena. Dissolviti<br />
in silenzio, nella quiete e nell’ombra, caro ai vivi il tuo nome, venerata<br />
la tomba” (traduzione di Gabriele Baldini).<br />
26
Song for Fidele QdPD 1 (2008)<br />
27
Pedagogia e Didattica Ciampi, Poggi, Pilato<br />
28
Song for Fidele QdPD 1 (2008)<br />
29
Pedagogia e Didattica Ciampi, Poggi, Pilato<br />
30
Song for Fidele QdPD 1 (2008)<br />
31
Pedagogia e Didattica Ciampi, Poggi, Pilato<br />
32
Freedom of Soul… QdPD 1 (2008)<br />
Strumenti per la didattica modulare della lingua inglese<br />
Percorso tematico<br />
“Like Gautier, I have always been one of those<br />
pour qui le monde visible existe.”<br />
O.Wilde, ‘<strong>De</strong> Profundis’<br />
“Come Gautier, io sono sempre stato uno di quelli<br />
per cui il mondo sensibile esiste.”<br />
Oscar Wilde<br />
Freedom of Soul, freedom of Man<br />
Libertà dell’Anima, libertà dell’Uomo<br />
MICHELE BARILE<br />
<strong>De</strong>stinatari: III Liceo Classico- V Scientifico<br />
Prerequisiti: conoscenza generale della biografia dell’autore, del periodo storico<br />
in cui visse e delle sue opere.<br />
Percorso:<br />
Si prendono in esame alcuni brani tratti da famose opera letterarie: “The Studies<br />
in the History of Renaissance” di Walter Pater, “The Picture of Dorian<br />
Gray” e “The Ballad of Reading Gaol” di O.Wilde per analizzare i concetti di:<br />
successo e fallimento della vita (W.Pater), l’ideale di Bellezza, i temi del Tempo<br />
e della spiritualità dell’arte (O.Wilde).<br />
Per quanto riguarda la lettura e l’analisi delle strofe iniziali dell’opera “The<br />
Ballad of Reading Gaol” si darà principalmente risalto ai due concetti che pre-<br />
33
Pedagogia e didattica Michele Barile<br />
valgono:” l’uomo uccide ciò che ama” e” la mancanza della pietà nella società<br />
colmata dal riscatto della morte del Figlio di Dio (“God’s Son died for all “)-<br />
Infine il contrasto prigionia- libertà sarà affrontato nella parte conclusiva<br />
del modulo.<br />
Si effettueranno questionari (tasks) a risposta sintetica, per l’analisi dei testi.<br />
Tutto il modulo sarà sviluppato e presentato in lingua inglese.<br />
Strategia didattica:<br />
-lezione frontale, lettura di passi significativi dei testi scelti; analisi e commento<br />
-lezione interattiva<br />
Strumenti:<br />
-testo in adozione<br />
-registratore<br />
-lavagna<br />
-dizionario di lingua inglese<br />
OBIETTIVI<br />
Conoscenze Tematiche:<br />
Gli ideali di vita proposti dell’Estetismo di fine ottocento in Inghilterra<br />
L’ Arte vista come forma di spiritualità<br />
La prigionia, in seguito ad un delitto commesso, come presa di coscienza dei<br />
veri valori umani<br />
Differenza tra il concetto di libertà umana e libertà nella visione di Dio.<br />
Competenze: saper individuare la differenza tra successo e fallimento dell’esistenza<br />
umana in seguito ai principi proposti dal movimento estetico.<br />
Saper evincere dai testi analizzati quali sono i valori umani portanti da ricercare.<br />
Saper comprendere e discutere sui temi di libertà proposti dalla società contemporanea<br />
e quelli suggeriti dagli ideali evangelici<br />
Testi di Riferimento: ”The Picture of Dorian Gray” di Oscar Wilde<br />
“The Ballad of Reading Gaol” di Oscar Wilde.<br />
Testi di supporto bibliografico:<br />
S.T. Coleridge, The Rime of the Ancient Mariner, London 1798<br />
Walter Pater, Studies in the History of Renaissance, Oxford 1873<br />
O.Wilde , <strong>De</strong> Profundis –London ,1905<br />
34
Freedom of Soul… QdPD 1 (2008)<br />
G. D’Annunzio Il Piacere, Milano, 1965<br />
Martin Luther King , I Have a Dream!..Washington,1963<br />
Nadine Gordimer, Burger’s Daughter, London 1979<br />
Nelson Mandela, Long Walk To Freedom, South Africa 1994<br />
D. Alighieri, Divina Commedia<br />
Verifica<br />
L’analisi testuale, con questionari a risposta sintetica, porterà gli alunni alla<br />
composizione di un saggio critico (a critical essay) da presentare alla fine<br />
del percorso.<br />
Discussione degli elaborati<br />
Durata: 8 ore, di cui una per la verifica e una per la correzione.<br />
Step 1 – The Aesthetic Vision of Life<br />
Objectives: learn about Aestheticism in Englandanalyse<br />
extracts from two works which epitomize English Aestheticismlearn<br />
how to compare “success” to “failure” in life -<br />
Documents: from Walter Pater, Studies in the History of Renaissance, 1873<br />
From O. Wilde, The Picture of Dorian Gray, 1891<br />
Study Skills – reading or listening from recorded passages, making notes or<br />
spidergrams, finding out key words – and topics to be added to the title<br />
Task 1– Read the text, Studies in the History of Renaissance, and explain:<br />
how long the best experiences last<br />
what needs to be done in order to make the most of our best experience.<br />
Task 2 – Consider Pater’s view of life.<br />
What does success or failure in life consist of?<br />
What should man devote himself in order to enjoy life’s highest quality?<br />
Why?<br />
Task 3 – read the text by Wilde and explain:<br />
what Lord Henry values in life most of all<br />
what he exhorts Dorian to do<br />
which statements in his speech recall Pater’s in Document 1<br />
Time for step 1, including students’ tasks: 3 hours.<br />
35
Pedagogia e didattica Michele Barile<br />
DOCUMENT 1<br />
Walter Pater, extract from Studies in the History of the Renaissance, 1873<br />
Every moment some form grows perfect in hand or face; some tone on the<br />
hills or sea is choicer than the rest; some mood of passion or insight or intellectual<br />
excitement is irresistibly real and attractive for us, - for that moment<br />
only. Not the fruit of experience, but experience itself is the end. A counted<br />
number of pulses only is given to us of a variegated, dramatic life.<br />
How may we see in them all that is to be seen in them by the finest senses? How<br />
can we pass most swiftly from point to point, and be present always at the focus<br />
where the greatest number of vital forces unite in their purest energy?<br />
To burn always with this hard gem-like flame, to maintain this ecstasy, is success<br />
in life. Failure is to form habits; for habits is relative to a stereotyped<br />
world.<br />
(…) we have an interval, and then our place knows us no more. Some spend<br />
this interval in listlessness 1<br />
Some in high passions, the wisest in art and song. For our one chance is in expanding<br />
that interval, in getting as many pulsations as possible into the given<br />
time. (…) Of this wisdom, the poetic passion, the desire of beauty, the love of<br />
art for art’s sake has most; for art comes to you professing frankly to give nothing<br />
but the highest quality to your moments as they pass, and simply for those<br />
moments’ sake.<br />
DOCUMENT O 1<br />
Walter Pater, dagli Studi Sulla Storia del Rinascimento, Oxford 1873<br />
In ogni istante qualche forma cresce perfetta;c’è qualche colore della collina o del mare<br />
che ci colpisce piu’ di tutto; qualche sensazione derivante da passioni, o da qualche<br />
intuito o da qualche eccitazione intellettuale è irresistibilmente realistica ed attraentesolo<br />
per quell’istante. Non il frutto dell’esperienza, ma l’esperienza stessa, è il fine. Ci<br />
vengono date un certo numero di pulsazioni di una vita variegata, drammatica.<br />
Come facciamo a vedere in esse tutto ciò che si può vedere attraverso i sensi piu’ raffinati?<br />
Come facciamo a passare rapidamente da un punto all’altro, ed essere sempre<br />
pronti ad osservare quel momento in cui il maggior numero di forze vitali si uniscono<br />
1 Listnessness, the condition of feeling indifferent to things (apatia)<br />
36
Freedom of Soul… QdPD 1 (2008)<br />
nella loro energia piu’ pura?<br />
Il successo della vita è ardere sempre di questa fiamma, conservare questa estasi.<br />
Il fallimento è formare abitudini; poiché le abitudini sono proprie di un mondo sempre<br />
uguale.<br />
(…) noi abbiamo un intervallo, e subito dopo il luogo in cui viviamo non ci riconosce<br />
piu’. Alcuni trascorrono quest’intervallo nell’apatia. Altri in profonde passioni, I piu’<br />
saggi nell’arte e nel canto. Per quanto ci riguarda abbiamo una sola possibilità<br />
d’espandere quell’intervallo, sentendo tante pulsazioni possibili nel tempo concesso<br />
(…) La gran parte di questa saggezza è occupata dalla passione poetica, dal desiderio<br />
di bellezza,dal l’amore dell’arte per l’arte; l’arte viene a voi con il franco proposito di<br />
non dar nulla al di fuori della piu’ alta qualità ai vostri momenti mentre passano, e<br />
soltanto per amore di quei momenti.<br />
DOCUMENT 2<br />
‘there is no such thing as a moral or an immoral book’ Oscar Wilde<br />
The Picture of Dorian Gray, 1891<br />
From chapter 2,<br />
Dorian Gray is a young and handsome aristocrat. He is having his portrait<br />
painted by his friend, the artist Basil Hallward. Lord Henry Wotton has come<br />
to visit Basil while Dorian is sitting for his portrait. This is their first meeting<br />
and Lord Henry explains to the young man his doctrine of life.<br />
To me Beauty is the wonder of wonder. It is only shallow people who do<br />
not judge by appearances. The true mystery of the world is the visible, not the<br />
invisible…Yes, Mr Gray, the gods have been good to you. But what the gods<br />
give they quickly take away. You have only a few years in which to live really,<br />
perfectly, and fully. When your youth goes, your beauty will go with it, and<br />
then you will suddenly discover that there are no triumphs left for you, or<br />
have to content yourself with those mean triumphs that the memory of your<br />
past will make more bitter than defeats. Every month as it wanes brings you<br />
nearer to something dreadful. Time is jealous of you, and wars against your<br />
lilies and your roses. You will become sallow 2 , and hollow-cheeked, and dulleyed.<br />
You will suffer horribly…Ah! Realize your youth while you have it.<br />
Don’t squander the gold of your days, listening to the tedious, trying to improve<br />
the hopeless failure, or giving away your life to the ignorant, the common,<br />
ad the vulgar. These are the sickly aims, the false ideals, of our age. Live!<br />
2 Sallow, of a yellow complaxion ( di un colorito giallastro).<br />
37
Pedagogia e didattica Michele Barile<br />
Live the wonderful life that is in you! Let nothing be lost upon you. Be always<br />
searching for new sensations. Be afraid of nothing… A new Hedonism 3 – that<br />
is what our century wants. You might be its visible symbol.<br />
DOCUMENTO 2<br />
Dal Ritratto di Dorian Gray – capitolo due<br />
Dorian Gray è un attraente giovane aristocratico. Il suo amico ed artista Basil<br />
Hallward sta, appunto, ritraendo il suo magnifico aspetto su una tela. Lord<br />
Henry Wotton viene a far visita a Basil proprio mentre Dorian è in posa davanti<br />
al pittore. Questa che segue è una parte del racconto del loro primo incontro<br />
e Lord Henry spiega al giovane la sua dottrina di vita.<br />
Per me la Bellezza è la meraviglia delle meraviglie. Soltanto le persone superficiali<br />
non giudicano dalle apparenze. Il vero mistero del mondo è il visibile, non l’invisibile…..Sì,<br />
Mr Gray, gli dèi vi sono stati benigni, ma gli dèi si riprendono ben<br />
presto quello che hanno donato. Avete solo pochi anni per vivere veramente, perfettamente,<br />
pienamente. Quando verrà meno la vostra gioventu’ sparirà insieme<br />
con essa anche la vostra bellezza e allora vi accorgerete ad un tratto che per voi<br />
non ci sono piu’ trionfi, oppure che dovrete accontentarvi di quei bassi trionfi che<br />
il ricordo del passato vi farà parere piu’ amari di una sconfitta. Ogni mese che passa<br />
vi avvicina a qualcosa di terribile. Il tempo è gelso di voi e ha mosso guerra ai<br />
vostri gigli e alle vostre rose. Diverrete giallo, colle guance incavate,, con l’occhio<br />
smorto. Soffrirete orribilmente…Ah, finché avrete la vostra giovinezza fate di essa<br />
una realtà. Non sprecate l’oro delle vostre giornate ad ascoltare gente noiosa, a<br />
cercar di emendare insuccessi senza speranza, a regalar la vostra vita a gente ignorante,<br />
ordinaria, volgare: son queste le aspirazioni morbose, i falsi ideali del nostro<br />
tempo. Vivete! Vivete la vita prodigiosa che è in voi! Fate che per voi nulla<br />
vada perduto, siate sempre in cerca di sensazioni nuove, non abbiate paura di<br />
niente….Un nuovo Edonismo, ecco quel che occorre al nostro secolo; e voi potreste<br />
esserne il simbolo visibile.<br />
3 Hedonism, cult of pleasure in life (edonismo)<br />
38
Freedom of Soul… QdPD 1 (2008)<br />
Step 2 Human Justice, Divine Forgiveness<br />
Objectives: learn about the theme of ‘Freedom’-<br />
(Is a man free to do whatever he wants to?)<br />
Learn about the concepts of ‘Justice and Punishment’<br />
Learn whether ‘living according to the Aesthetic precepts corresponds to<br />
living in a free way’<br />
Documents – O.Wilde ‘The Ballad of Reading Gaol, 1898<br />
Nelson Mandela, Long Walk to Freedom, South Africa, 1994<br />
Study Skills – reading or listening from recorded passages,<br />
- making notes or spidergrams<br />
- finding out key words and topics to be added to the title<br />
Task 1 – Read the text and state the features of the ballad that can be recognized<br />
in these stanzas;<br />
Say what you have learnt about the man who is going to be executed;<br />
Say what you know about the poet as a prisoner<br />
Compare the man and the narrator of the story<br />
State the symbolic relevance of the colours mentioned in the ballad.<br />
Task 2 – The words of another prisoner: “That fellow’s got to swing’ have a terrible<br />
impact on the narrator.<br />
<strong>De</strong>fine his state of mind and how he manages to convey it to the reader.<br />
By comparing Wilde’s ‘Ballad’ to ‘The Rime’ by S.T Coleridge, find out the<br />
common theme of Punishment and Justice<br />
For Step 2, including students’ tasks, 3 hours<br />
DOCUMENT 3<br />
O. Wilde, The Ballad of Reading Gaol, 1898<br />
from the very beginning of the Poem<br />
In memoriam C.T.W<br />
Sometime Trooper of the Royal Horse Guards<br />
Bit H. M. prison, Reading, Berkshire, 7 July 1896<br />
39
Pedagogia e didattica Michele Barile<br />
He did not wear his scarlet coat,<br />
For blood and wine are red,<br />
And blood and wine were on his hands<br />
When they found him with the dead,<br />
The poor dead woman whom he loved, 5<br />
And murdered in her bed.<br />
He walked amongst the Trial Men<br />
In a suit of shabby grey;<br />
A cricket cap was on his head,<br />
And his step seemed light and gay; 10<br />
But I never saw a man who looked<br />
So wistfully at the day.<br />
I never saw a man who looked<br />
With such a wistful eye<br />
Upon that little tent of blue 15<br />
Which prisoners call the sky,<br />
And at very drifting cloud that went<br />
With sails of silver by.<br />
I walked, with other souls in pain,<br />
Within another ring, 20<br />
And was wondering if the man had done<br />
A great or little thing,<br />
When a voice behind me whispered low,<br />
“that fellow’s got to swing”.<br />
<strong>De</strong>ar Christ! The very prison walls 25<br />
Suddenly seemed to reel,<br />
And the sky above my head became<br />
Like a casque of scorching steel;<br />
And, though I was a soul in pain,<br />
My pain I could not feel. 30<br />
I only Knew what hunted thought<br />
Quickened his step, and why<br />
He looked upon the garish day<br />
With such a wistful eye;<br />
40
Freedom of Soul… QdPD 1 (2008)<br />
The man had killed the thing he loved, 35<br />
And so he had to die.<br />
DOCUMENTO 3<br />
O. Wilde, La Ballata dal Carcere di Reading , 1898<br />
Dall’inizio della Ballata<br />
In memoriam C.T.W<br />
Sometime Trooper of the Royal Horse Guards<br />
Bit H.M. prison, Reading, Berkshire, 7 July 1896<br />
Non portava la sua giacca scarlatta,<br />
Perché il rosso è il colore del sangue e del vino,<br />
E sangue e vino aveva sulle mani<br />
Quando lo trovarono con la morta,<br />
Con la povera morta che aveva amato e 5<br />
assassinata nel suo letto.<br />
Egli camminava fra gli accusati<br />
Con un vestito grigio frusto<br />
Aveva in capo un berretto da cricket<br />
Ed il suo passo pareva leggero e gaio 10<br />
Ma io mai non vidi un uomo guardare<br />
Così ardentemente nel giorno<br />
Io mai non vidi un uomo guardare<br />
Con così ardente pupilla<br />
Quella piccola tenda d’azzurro 15<br />
Che i prigionieri chiamano cielo,<br />
Ed ogni nube errante che passava<br />
Con vele d’argento.<br />
Io camminavo con altre anime in pena<br />
In un altro recinto, e pensavo 20<br />
Se quell’uomo avesse commesso<br />
Una grande o una piccola colpa,<br />
41
Pedagogia e didattica Michele Barile<br />
Quando a bassa voce dietro di me<br />
Fu mormorato:” Quello, lo impiccheranno!”<br />
Cristo Gesu’! Le mura stesse della prigione 25<br />
Sembrarono ad un tratto crollarsi,<br />
E il cielo sulla mia testa divenne<br />
Come un casco di acciaio scottante;<br />
E, come io fossi un’anima in pena,<br />
La mia pena io non potevo sentire 30<br />
Io solamente sapevo quale pensiero inseguito<br />
Affrettava il suo passo, e perché<br />
Egli guardasse il giorno abbagliante<br />
Con così ardente pupilla,<br />
L’uomo aveva ucciso ciò che egli amava, 35<br />
E pertanto doveva morire.<br />
DOCUMENT 4<br />
From Nelson Mandela, Long Walk to Freedom, 1994<br />
In every life, every man has twin obligations – obligations to his family, to<br />
his parents, to his wife and children; and he has an obligation to his people,<br />
his community, his country. In a civil and humane society, each man is able<br />
to fulfil those obligations according to his own inclinations and abilities.<br />
But in a country like South Africa, it was impossible for any man of my<br />
birth and colour to fulfil both of those obligations. In South Africa, a man<br />
of colour who attempted to live as a human being was punished and isolated.<br />
In South Africa, a man who tried to fulfil his duty was inevitably ripped<br />
from his family and his home and forced to live apart, a twilight existence<br />
of secrecy and rebellion.<br />
DOCUMENTO 4<br />
Da Il Lungo Cammino Verso la Libertà, di Nelson Mandela, Sud Africa,1994<br />
Nella vita ogni uomo ha due obblighi- l’obbligo verso la sua famiglia, i<br />
suoi genitori, sua moglie e i suoi figli; e ha un obbligo verso il suo popolo,<br />
la sua comunità, il suo paese. In una società civile ed umana, ogni uo-<br />
42
Freedom of Soul… QdPD 1 (2008)<br />
mo è in grado di assolvere a tali obblighi secondo le sue attitudini ed abilità.<br />
Ma in un paese come il Sud Africa , era impossibile per un nativo di<br />
colore come me riuscire a soddisfare questi obblighi. In Sud Africa, qualsiasi<br />
uomo di colore che cercava di vivere come un essere umano veniva<br />
punito ed isolato. In Sud Africa, se un uomo cercava di portare a termine<br />
il suo dovere veniva inevitabilmente sradicato dalla sua famiglia, dalla<br />
sua casa e veniva costretto a vivere in isolamento, albore di un’ esistenza<br />
segregata e ribelle.<br />
Final Task: According to your answers to the previous tasks, write now a composition(<br />
180-200 words) in order to highlight the following points:<br />
(Struggle) for freedom (see Mandela, M.L. King, Nadine Gordimer….)<br />
(Struggle) for Justice (see O. Wilde)<br />
Further to the studies afforded in these units, say what idea of Justice and Freedom we<br />
have today, and how they differ from the ones suggested by Jesus Christ.....<br />
for this step - 2 hours<br />
43
Giustizia e Popolo… QdPD 1 (2008)<br />
Strumenti per la didattica modulare del latino<br />
Percorso tematico<br />
“Remota itaque iustitia, quid sunt regna, nisi magna latrocinia?”<br />
(Agostino <strong>De</strong> Civitate <strong>De</strong>i IV,4)<br />
Se non è rispettata la giustizia, cosa sono gli stati<br />
se non delle grandi bande di ladri?<br />
Giustizia e Popolo in <strong>San</strong>t’Agostino<br />
ALESSANDRO CACCIOTTI<br />
<strong>De</strong>stinatario: III LICEO CLASSICO<br />
Percorso: Si parte dalla famosa frase di Agostino e dall’aneddoto di Alessandro<br />
e il pirata – si prendono quindi in esame i testi del <strong>De</strong> Republica di Cicerone<br />
1, 25 e del <strong>De</strong> Civitate <strong>De</strong>i 4,4; 19, 21 e ss. di s. Agostino, di cui si fa lettura,<br />
traduzione e commento – si approfondiscono in seguito i termini della questione<br />
(concetti di res publica, populus, ius) - si passa poi all’esame comparativo<br />
operato da Agostino sul testo di Cicerone – si allarga quindi l’orizzonte sul<br />
rapporto fra Agostino e Roma – si precisano alcuni termini della questione<br />
nella cultura classica precedente – si traggono le conclusioni mettendo in evidenza<br />
gli apporti originali del grande dottore della Chiesa d’Occidente.<br />
Obiettivi<br />
Conoscenze:<br />
Concetti di res publica, iustitia, ius, civis, populus;<br />
Il rapporto tra Stato, diritto e cittadino nel mondo antico;<br />
45
Pedagogia e Didattica Alessandro Cacciotti<br />
Le opinioni sul modello ideale di Stato nell’antichità;<br />
Il concetto di giustizia nel pensiero classico e in quello agostiniano;<br />
L’attualità del dibattito e le sue implicazioni nella cultura contemporanea.<br />
Competenze:<br />
comprendere alcuni fondamenti del pensiero politico e sociale dell’antichità;<br />
saper individuare dal confronto di più testi e autori del passato il difficile ma<br />
costruttivo percorso verso il mondo moderno;<br />
acquisire strumenti per una indagine analitica e scientifica dei testi;<br />
comprendere le somiglianze e le differenze tra mondo antico e moderno di alcuni<br />
fondamentali concetti giuridici e politici.<br />
Testi di riferimento principali:<br />
<strong>De</strong> Republica di Cicerone 1, 25 - <strong>De</strong> Civitate <strong>De</strong>i 4,4; 19, 21 e ss. di S. Agostino<br />
Durata complessiva<br />
9 ore, di cui due per la verifica e la discussione delle correzioni<br />
Lezione I<br />
Stato e Popolo<br />
La frase famosa è citata da Benedetto XVI nella sua prima enciclica <strong>De</strong>us caritas<br />
est, pubblicata il 25 dicembre 2005, per indicare il rapporto fra politica e<br />
46<br />
Argomento Lo Stato è davvero “cosa del popolo”, come dice Cicerone?<br />
Contenuti <strong>De</strong> Republica di Cicerone 1, 25 e del <strong>De</strong> Civitate <strong>De</strong>i 4,4; 19, 21 e ss. di<br />
S. Agostino<br />
Lettura, traduzione e commento dei testi<br />
Metodo Lezione frontale con testo in fotocopia dei due scrittori<br />
Trascrizione della traduzione e delle note su quaderno personale<br />
dello studente<br />
Obiettivo Conoscere l’opinione di Cicerone sullo Stato e la critica che di essa<br />
ha condotto Agostino<br />
Introduzione al pensiero politico di Agostino<br />
Durata 2 ore
Giustizia e Popolo… QdPD 1 (2008)<br />
giustizia : “La giustizia è lo scopo e quindi anche la misura intrinseca di ogni<br />
politica. La politica è più che una semplice tecnica per la definizione dei pubblici<br />
ordinamenti: la sua origine e il suo scopo si trovano appunto nella giustizia<br />
e questa è di natura etica”. 1 La frase di Agostino si colloca nel l. IV del <strong>De</strong><br />
Civitate <strong>De</strong>i:<br />
“Se non è rispettata la giustizia, che cosa sono gli Stati se non delle grandi bande di ladri?<br />
Perché anche le bande dei briganti che cosa sono se non dei piccoli Stati? È pur sempre<br />
un gruppo di individui che è retto dal comando di un capo, è vincolato da un patto<br />
sociale e il bottino si divide secondo la legge della convenzione. Se la banda malvagia aumenta<br />
con l’aggiungersi di uomini perversi tanto che possiede territori, stabilisce residenze,<br />
occupa città, sottomette popoli, assume più apertamente il nome di Stato che gli è accordato<br />
ormai nella realtà dei fatti non dalla diminuzione dell’ambizione di possedere ma<br />
da una maggiore sicurezza nell’impunità. Con finezza e verità a un tempo rispose in questo<br />
senso ad Alessandro il Grande un pirata catturato. Il re gli chiese che idea gli era venuta<br />
in testa per infestare il mare. E quegli con franca spavalderia: “La stessa che a te per<br />
infestare il mondo intero; ma io sono considerato un pirata perché lo faccio con un piccolo<br />
naviglio, tu un condottiero perché lo fai con una grande flotta “ 2<br />
Agostino lascia chiaramente intendere, qualificando la risposta del pirata “fine<br />
e veritiera” 3 , che tra un grande impero che sottomette interi popoli e depreda<br />
le loro ricchezze e una piccola banda di ladri non vi è differenza se non di quantità.<br />
Perché dal punto di vista della qualità l’una e l’altra associazione di uomini<br />
sono la stessa cosa, essendo mancante nell’una e nell’altra la giustizia verso gli<br />
altri. Non può sfuggire che anche una banda di briganti si fonda sugli stessi requisiti<br />
di iuris consensus e utilitatis communio, che per Cicerone erano alla base della<br />
definizione di populus. <strong>De</strong>l resto anche un popolo ben unito all’interno può agire<br />
ingiustamente all’esterno. La differenza sta solo nell’impunità assicuratagli<br />
dalla sua potenza. E come giudicare le guerre di conquista? «Muovere guerra ai vicini,<br />
continuare con altre guerre, sconfiggere e assoggettare per semplice ambizione di dominio<br />
popoli che non davano molestia, che altro si deve considerare se non un grande atto<br />
di brigantaggio?» 4 Con lo stesso spirito, Agostino si è opposto alla tortura, alla<br />
quale il giudice ricorreva abitualmente nell’amministrazione della giustizia, contro<br />
degli innocenti per cercare di conoscere i colpevoli: «E che dire quando un tale<br />
subisce la tortura in un processo e viene straziato quando s’investiga se è colpevole e un<br />
innocente subisce pene certissime per un reato incerto?» 5 Allora questa giustizia che<br />
si risolve in ordinata organizzazione interna non può essere la vera.<br />
Il ragionamento di Agostino parte dal principio ciceroniano che sine summa<br />
1 BENEDETTO XVI, <strong>De</strong>us caritas est, 28 a<br />
2 <strong>De</strong> Civ. <strong>De</strong>i 4, 4<br />
3 Ibid.4,4<br />
4 Ibid. 4, 6<br />
5 Ibid. XIX, 6.<br />
47
Pedagogia e Didattica Alessandro Cacciotti<br />
iustitia rem publicam regi non posse. 6 Nel l. XIX del <strong>De</strong> Civitate <strong>De</strong>i egli però conduce<br />
una critica serrata al concetto di Stato, così come lo aveva definito Cicerone:<br />
“Lo Stato è cosa del popolo e popolo non è ogni unione d’uomini aggregati casualmente,<br />
ma l’unione di una moltitudine legata in società nel consentire in un diritto e nella comunanza<br />
di un’utilità. La sua prima causa d’unirsi è non tanto la debolezza, quanto lo è<br />
una forma d’aggregazione direi naturale tra gli uomini: perché questa razza non è idonea<br />
a vivere né a spostarsi in solitudine ” . 7 Come si vede, per Cicerone la giustizia non è<br />
solo un principio regolativo della vita politica, ma anche e soprattutto costitutivo<br />
del popolo. Come l’armonia della musica, così la giustizia nella vita sociale<br />
stabilisce la concordia fra le parti più diverse e quindi costituisce l’unità della res<br />
publica. Qualora venga meno la giustizia, tale unità scompare. Conclude però<br />
Agostino: «Se dunque lo Stato (res publica) è cosa del popolo, se la definizione è vera,<br />
non è mai esistito lo Stato romano, perché mai fu cosa del popolo, ed egli [Cicerone] ha dimostrato<br />
che questa è la definizione dello Stato. Ha infatti definito il popolo come l’unione<br />
di un certo numero d’individui, messa in atto dalla conformità del diritto e dalla comunanza<br />
degli interessi.” 8 La mancanza di giustizia viene dimostrata da Agostino<br />
con un veloce excursus nella storia romana, sulla scorta di grandi scrittori latini,<br />
quali Sallustio, Tito Livio, Cicerone, che avevano descritto le vicende di Roma<br />
come una sequela interminabile di vizi e immoralità. Cicerone, parlando della<br />
presente condizione dello Stato, citava un verso famoso del poeta Ennio: Lo<br />
Stato romano è saldo in virtù dei costumi e uomini antichi 9 . Continuava poi Cicerone<br />
“Mi sembra che per la brevità e la verità egli abbia derivato quel verso come da un oracolo.<br />
Infatti né gli uomini, se la cittadinanza non fosse stata di buoni costumi, né i costumi,<br />
se non fossero stati a capo quegli uomini, avrebbero potuto fondare o conservare tanto<br />
a lungo una società civile tanto grande e che domina su regioni tanto estese. Quindi<br />
nel periodo anteriore al nostro ricordo lo stesso costume patrio adoperava uomini eccellenti<br />
e questi conservavano l’antico costume e gli istituti degli antenati. La nostra età<br />
avendo avuto in consegna una società come una pittura perfetta, ma un po’ stinta dall’antichità,<br />
non solo ha trascurato di restaurarla con i colori originali, ma non si è preoccupata<br />
neanche di conservare almeno il modellato e il disegno. Che cosa rimane dei costumi<br />
antichi con cui, come Ennio ha detto, stava saldo lo Stato romano se li vediamo talmente<br />
in disuso per dimenticanza che non solo non sono conservati ma perfino ignorati?<br />
6 CICERONE, <strong>De</strong> rep. 2,43 – AGOSTINO, <strong>De</strong> civ. <strong>De</strong>i, 2,21<br />
7 Cic, <strong>De</strong> re publica I,25: Est igitur res publica res populi, popolus autem non omnis coetus quoquo modo congregatus,<br />
sed coetus multitudinis iuris consensu et utilitatis communione sociatus. Eius autem prima causa coeundi est<br />
non tam imbecillitas quam naturalis quaedam hominum quasi congregatio; non est enim singulare nec solivagum<br />
genus hoc.” E ancora in III,33: “Populus non est […] nisi qui consensu iuris continetur” (Non è popolo se<br />
non quello che è tenuto insieme dal consensuale riconoscimento di diritti)<br />
8 <strong>De</strong> civitate <strong>De</strong>i XIX, 21.<br />
9 ENNIO, Ann. Fr. 284<br />
48
Giustizia e Popolo… QdPD 1 (2008)<br />
E che dire degli uomini? I costumi sono scomparsi per carenza di uomini. E di un così<br />
grande male non solo dovremmo render conto ma in certo senso essere accusati di delitto<br />
capitale. E a causa dei nostri vizi e non per una eventualità qualsiasi conserviamo il nome<br />
di società civile ma in realtà l’abbiamo perduta da tempo” 10 .<br />
Lezione 2<br />
Argomento Rapporto tra Agostino e il mondo romano alla luce del sacco di<br />
Alarico<br />
Contenuti Accenni storici sugli avvenimenti dell’inizio del IV sec. d. C.<br />
Lettura e commento di testi che motivano la genesi<br />
del <strong>De</strong> Civitate <strong>De</strong>i<br />
Metodo Presentazione in Power Point del periodo storico<br />
Lezione frontale con testi in fotocopia<br />
Trascrizione della traduzione e delle note su quaderno personale<br />
dello studente<br />
Obiettivo Dimostrare il profondo inserimento di Agostino nel mondo e nella<br />
cultura romana;<br />
Motivare la genesi dell’opera del <strong>De</strong> Civitate <strong>De</strong>i<br />
Durata 1 ore<br />
Agostino e Roma<br />
Agostino non è ostile a Roma, tutt’altro. E’ stato educato alla conoscenza di<br />
tutto il patrimonio della cultura classica e si situa all’interno dell’Impero romano<br />
del suo tempo, di cui apprezza la grandezza. Egli è romano non solo di<br />
lingua e di cultura, ma anche di sentimenti e di cuore; non è un avversario, ma<br />
un ammiratore della romanità, delle leggi dell’impero e dei benefici resi da esse<br />
ai popoli. Addirittura ai suoi occhi Roma diventa il simbolo della città celeste:<br />
“Dio infatti mostrò nel ricchissimo e famoso impero romano quanta forza avessero<br />
le virtù civili, anche senza la vera religione, affinché si comprendesse che, qualora<br />
ci sia anche la vera religione, gli uomini diventano cittadini della Città celeste, ove regna<br />
come regina la Verità, come legge la Carità e che ha per durata l’Eternità” 11 .<br />
Sembra poi superfluo ricordare l’ammirazione che ebbe per Virgilio, per Cice-<br />
10 CICERONE, <strong>De</strong> rep. 5,1,1-2<br />
11 Ep. 138,3,17 (a Marcellino)<br />
49
Pedagogia e Didattica Alessandro Cacciotti<br />
rone, per Varrone e la vastità delle sue conoscenze letterarie: tutta la cultura<br />
antica si può dire che è presente nell’opera agostiniana e non solo per essere<br />
criticata. Anzi diventa principio fondamentale della città di Dio accettare e<br />
conservare le leggi, la cultura, le istituzioni di tutti i popoli ai quali si rivolge,<br />
purché non impediscano il culto del vero Dio: “La Città celeste […] convoca cittadini<br />
da tutte le nazioni, da tutte le lingue raccoglie una società pellegrina, non badando<br />
alle differenze dei costumi, delle leggi, delle istituzioni con le quali si stabilisce<br />
o si mantiene la pace terrena; non sopprime né distrugge alcuna di queste cose, anzi<br />
accetta e conserva tutto ciò che, sebbene diverso nelle diverse nazioni, tende a un solo<br />
e medesimo fine: la pace terrena, a condizione che non impedisca la religione che insegna<br />
ad adorare l’unico Dio, sommo e vero”. 12<br />
E tuttavia egli sa distinguere i piani nella Città di Dio: quello dell’opera divina<br />
che, tramite la grazia, tocca il cuore dell’uomo e quello delle forze umane che<br />
costruiscono l’Impero. Ha il coraggio di evidenziare la brama di dominio che<br />
con guerre incessanti ha sottomesso il mondo mediterraneo alla potenza di Roma.<br />
«Questo risultato» dice Agostino «è stato raggiunto con molte e immani guerre,<br />
con grande scempio di uomini e grande spargimento di sangue umano». 13 Agostino<br />
è stato spettatore nel 410 del sacco di Roma da parte di Alarico senza lasciarsi<br />
andare alla disperazione, come ha fatto il suo contemporaneo <strong>San</strong> Gerolamo.<br />
Roma non subiva una catastrofe simile dall’invasione dei Galli di Brenno nel<br />
390 a. C, perciò l’avvenimento fu letto come il segno più evidente dell’imminente<br />
crollo dell’impero e della fine un’epoca. Sembrava che la legge polibiana<br />
dell’anaciclosi si stesse per realizzare e il pianto dell’Emiliano di fronte alle rovine<br />
di Cartagine, causato dal presentimento che anche la sua città avrebbe potuto<br />
un giorno avere una simile fine, fosse stato davvero profetico.<br />
Invece Agostino continuò ad esprimere fiducia nella perennità di Roma “flagellata,<br />
non uccisa”; “castigata, non distrutta”. 14 Il <strong>De</strong> Urbis excidio, poi, discorso<br />
pronunciato recenti excidio tantae urbis, porta gli echi dello sgomento e della<br />
commozione che colpì Agostino insieme a tanti altri ed enuncia i principi della<br />
teologia cristiana della sofferenza: “Ci sono state annunciate cose orrende: stragi,<br />
incendi, rapine, uccisioni, tormenti. E’ vero, abbiamo udito molte cose: su tutte abbiamo<br />
gemuto, spesso abbiamo pianto, siamo riusciti appena a consolarci”. 15<br />
Il saccheggio di Roma suscitò accese polemiche in ambiente pagano contro il Cristianesimo,<br />
perché veniva attribuita ad esso la responsabilità della decadenza<br />
dello Stato romano. Agostino con il <strong>De</strong> Civitate <strong>De</strong>i si proponeva proprio di smontare<br />
questa accusa, che a suo dire tra l’altro, era sostenuta anche da chi aveva<br />
avuto salva la vita proprio perché aveva trovato rifugio nelle chiese cristiane,<br />
12 <strong>De</strong> Civ. <strong>De</strong>i, 19, 17<br />
13 <strong>De</strong> civitate <strong>De</strong>i 19, 7.<br />
50<br />
14 Serm. 81,9<br />
15 Serm. <strong>De</strong> Urbis excidio 6
Giustizia e Popolo… QdPD 1 (2008)<br />
verso le quali i barbari si erano mostrati più rispettosi. Dice nelle Retractationes:<br />
“Frattanto Roma fu messa a ferro e fuoco con l’invasione dei Goti che militavano sotto<br />
il re Alarico; l’occupazione causò un’enorme sciagura. Gli adoratori dei molti falsi<br />
dèi, che con un appellativo in uso chiamiamo pagani tentarono di attribuire il disastro<br />
alla religione cristiana e cominciarono a insultare il Dio vero con maggiore acrimonia<br />
e insolenza del solito. Per questo motivo io, ardendo dello zelo della casa di Dio, ho stabilito<br />
di scrivere i libri de La città di Dio contro questi insulti perché sono errori.” 16<br />
Agostino vuole perciò respingere l’affermazione pagana che il Cristianesimo<br />
ha provocato la fine delle virtù civiche e quindi la decadenza di Roma, che<br />
invece dipende, a suo parere, proprio dalla insufficienza di ogni sistema politico,<br />
basato solo su principi umani, a garantire la giustizia.<br />
Lezione 3<br />
Argomento Il concetto di giustizia e rapporto fra Stato e cittadino nel mondo<br />
antico<br />
Contenuti Breve excursus a partire dai miti antichi per passare poi a Platone –<br />
Aristotele – Polibio - Cicerone - Ulpiano<br />
Metodo Lezione frontale<br />
Video DVD sulla polis greca<br />
Obiettivo Comprendere alcuni fondamentali concetti giuridici dell’antichità<br />
Saper evincere da un testo criteri di analisi di comportamenti umani<br />
individuali e sociali;<br />
Comprendere le somiglianze e le differenze tra il mondo greco e<br />
quello romano<br />
Durata 2 ore<br />
Il concetto di giustizia nel mondo antico<br />
Esiste un accordo quasi unanime nella tradizione antica nel dare alla giustizia<br />
un ruolo determinante e una funzione portante nella formazione della<br />
moralità umana, nella costituzione delle strutture dello Stato e nell’attuazione<br />
del progresso e dell’incivilimento. Platone le dedica il primo libro della Politeia,<br />
il Clitofonte e gran parte del libro quarto delle Leggi; Aristotele il libro quinto<br />
dell’Etica Nicomachea; i poeti la personificano con Dike, dea della giustizia<br />
16 Retract. 2, 43,1<br />
51
Pedagogia e Didattica Alessandro Cacciotti<br />
distributiva, in Themi, dea della rettitudine e dell’equità naturale e anche in<br />
Nemesi, dea vendicativa dei rapporti sociali e della storia. Per Platone la giustizia<br />
è l’armonia tra le facoltà dell’anima e anche tra le classi di cittadini, in<br />
quanto assegna ad ogni facoltà oppure ad ogni classe sociale quello che a ciascuno<br />
spetta, come attuazione del proprio compito (ta autou prattein). Nella Repubblica<br />
è famosa la confutazione della tesi del sofista Trasimaco, secondo cui<br />
la giustizia è l’utile (sympheron) del più forte. Questa definizione, tramite le domande<br />
di Socrate, viene politicamente chiarita così:<br />
“... ciascun governo istituisce leggi (nomoi) per il proprio utile; la democrazia fa leggi<br />
democratiche, la tirannide tiranniche e allo stesso modo gli altri governi. E una volta<br />
che hanno fatto le leggi, proclamano che il giusto per i governati è ciò che è invece<br />
il loro proprio utile, e chi se ne allontana lo puniscono come trasgressore della legge ed<br />
ingiusto. Questo, mio ottimo amico, è quello che dico giusto, il medesimo in tutte<br />
quante le poleis, l’utile del potere costituito. Ma, se non erro, questo potere detiene la<br />
forza. Così ne viene, per chi sappia ben ragionare, che in ogni caso il giusto è sempre<br />
identico all’utile del più forte”. 17<br />
Per Aristotele la giustizia partecipa dell’essenza della virtù e dovrebbe rappresentare<br />
il giusto mezzo tra un difetto e un eccesso. Il concetto di medietà è riferito<br />
a due quantità estreme, che sono il troppo e il troppo poco nell’assegnazione<br />
degli onori e beni pubblici o nello scambio privato dei beni. Non si tratta<br />
di dare a tutti in modo uguale, ma di dare a ciascuno il proprio. Si fa risalire<br />
ad Aristotele la distinzione tra giustizia distributiva e giustizia commutativa;<br />
la prima regola i rapporti pubblici (distribuzione di onori e pubbliche ricchezze),<br />
l’altra i rapporti privati (scambio di cose).<br />
Nel mondo romano viene conservato il significato naturalistico della giustizia,<br />
ma è posto in maggiore rilievo l’aspetto soggettivo della medesima. Cicerone<br />
nel <strong>De</strong> inventione scrive: Iustitia est habitus animi, communi utilitate conservata,<br />
suam cuique tribuens dignitatem (la giustizia è uno stato morale, osservata per<br />
l’utilità di tutti, che dà a ciascuno una propria dignità) 18 . Ulpiano in modo<br />
analogo afferma: Iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum cuique tribuendi<br />
(la giustizia è la costante e perpetua volontà di riconoscere a ciascuno il proprio<br />
diritto). 19 L’ habitus animi si trasforma nella constans et perpetua voluntas;<br />
la dignitas nello ius. La giustizia è come una virtù attiva; non è solo scienza o<br />
ratio che segue la natura, ma è arte e voluntas. 20 In tale definizione c’è il riconoscimento<br />
che la giustizia consiste non, genericamente, nella conformità dei<br />
17 Platone, Repubblica, 338c-339a. 18 <strong>De</strong> inv. II, 53, 160 19 Dig. I, 1, 10 pr.<br />
20 Altra famosa definizione si trova nella Rhetorica ad Herennium, III, 2, 3, opera per lungo tempo attribuita<br />
a Cicerone (iustitia est aequitas ius unicuique retribuens pro dignitate cuiusque); cfr.<strong>De</strong> fin. V, 23, 67 (iustitia in<br />
suo cuique tribuendo); <strong>De</strong> nat. deor. III, 15, 38 (iustitia, quae suum cuique distribuit).<br />
52
Giustizia e Popolo… QdPD 1 (2008)<br />
fatti della vita associata all’ordinamento dello Stato (come avevano concepito<br />
i Greci) ma nella concreta predisposizione di regole e meccanismi di tutela,<br />
ispirati all’equità, culminanti nell’attribuzione a ciascun individuo (unicuique)<br />
del diritto a lui riconosciuto (suum ius) e finalizzati a garantire la dignità di ciascuno<br />
(pro dignitate cuiusque).<br />
Pur se non lo afferma esplicitamente, Cicerone ritiene che la fonte del processo<br />
di equità che garantisce il diritto soggettivo (aequitas ius unicuique retribuens)<br />
è l’autorità (auctoritas) degli organi dello Stato. Anche per Ulpiano iustitia<br />
est constans et perpetua voluntas suum unicuique tribuendi. 21 Egli conferma,<br />
così, che la giustizia è uno stabile sistema di tutela di diritti riconosciuti e attribuiti<br />
al singolo e che all’apice di tale sistema c’è l’autorità (voluntas) degli<br />
organi statali che ne garantiscono l’attuazione. 22<br />
Rapporto tra Stato e cittadino nel mondo antico<br />
Come si vede dunque il dibattito sulla giustizia presupponeva una concezione<br />
di Stato e di Popolo. Prima di Cicerone, tra gli altri, avevano diffusamente<br />
dibattuto sull’argomento Erodoto (nel discorso cosiddetto tripolitikòs), Platone,<br />
Aristotele e Polibio (soprattutto nel l. VI delle Storie). Tutti si erano affannati<br />
a definire il modello ideale di Stato. Nel mondo greco era centrale la polis,<br />
comunità-stato, che non fu soltanto una organizzazione politica e militare,<br />
ma anzitutto una koinonía – come soleva dire Polibio – cioè una comunità spirituale,<br />
religiosa ed educativa, in cui il polítes, il cittadino, era riconosciuto come<br />
soggetto giuridico unicamente per il suo vincolo di appartenenza ad essa<br />
e nei limiti della sua identificazione con gli interessi e la vita della città. La comunità-stato<br />
era tutto e i suoi componenti ne facevano parte come le braccia<br />
fanno parte del corpo umano. Quello che contava era la polis in quanto tale: al<br />
di fuori di essa, il polítes non esisteva; dentro, egli contava sì ma come membro,<br />
organo del tutto. Si ricorderà che Aristotele definiva il cittadino greco zôon<br />
politikón, animale politico, nel senso che al di fuori della politèia, cioè della<br />
cittadinanza e delle attività ad essa proprie, non può esistere l’individuo, o, se<br />
esiste come entità materiale, non può avere le stesse qualità e opportunità che<br />
la polis riconosce al cittadino come tale. Infatti, chi non faceva parte della polis<br />
si chiamava ídios. I Romani tradussero la medesima espressione con la parola<br />
privatus, che allude alla mancanza di un requisito essenziale alla soggettività<br />
del civis, quello pubblico. La partecipazione alla vita della polis fu nella società<br />
greca considerata talmente decisiva e caratterizzante per la personalità<br />
21 Dig. I, 1, 10 pr.<br />
22 Mi avvalgo in queste considerazioni dell’intervento di P. Calogero, Sul concetto di iuris consensus in<br />
sant’Agostino, in “Etica e Politica” IX, 2007, n. 2<br />
53
Pedagogia e Didattica Alessandro Cacciotti<br />
individuale che il restarne fuori equivaleva alla morte morale.<br />
In questo quadro delineato solo sommariamente, la persona come centro<br />
di autonomi diritti e interessi e come limite all’esercizio del potere statale non<br />
esiste. Questo spiega perché, in definitiva, la giustizia sia stata definita dai<br />
Greci, senza tanta problematicità, “conformità alle leggi della polis” e abbia costantemente<br />
ignorato l’idea non solo del riconoscimento ma perfino dell’esistenza,<br />
accanto e in dialettica con gli interessi pubblici, di sia pur limitati e fondamentali<br />
diritti soggettivi del cittadino.<br />
Nel mondo romano, la situazione cambia sotto molteplici aspetti, perché<br />
subentrano due elementi di straordinaria importanza. Il primo è costituito da<br />
quella che possiamo chiamare la scoperta del principio di legalità. 23 Mediante<br />
questo principio, i Romani diedero forma a un concetto chiave, che diverrà<br />
universale acquisizione del mondo moderno: solo riconoscendo diritti alla<br />
persona e dotandola di poteri di azione nei confronti del trasgressore, la legge<br />
può porre limiti effettivi all’espandersi dell’altrui potere e garantire l’esercizio<br />
delle libertà. Perciò al di fuori della legge non c’è che arbitrio e sopraffazione.<br />
Cicerone, sintetizzando questo pensiero, poté scrivere legum servi sumus,<br />
ut liberi esse possimus. 24 È la solenne affermazione del principio di legalità,<br />
in base alla quale i diritti riconosciuti ai cittadini sono garantiti da regole<br />
certe e predeterminate e che l’auctoritas, chiamata all’esercizio della giurisdizione,<br />
sia vincolata alla loro puntuale applicazione e sottoposta al dominio<br />
della legge.<br />
Tale principio però ebbe una forza solo all’interno dei rapporti di diritto<br />
privato. Con riferimento ai poteri pubblici, invece, il principio di legalità non<br />
seppe esprimere limiti forti, o quantomeno apprezzabili, perché la res publica<br />
ebbe anche per i Romani un ruolo primario e, rispetto agli interessi in essa incardinati,<br />
quelli del cittadino dovevano, in caso di contrasto, soccombere.<br />
Pur circoscritte all’ambito privatistico, le regole attuative del principio di<br />
legalità ebbero tuttavia una applicazione molto estesa, articolata e perfino garantistica,<br />
al punto che la loro definitiva sistemazione, codificata nel Corpus<br />
iuris civilis da Giustiniano, è stata diritto vigente per quasi tutti i popoli d’Europa<br />
fino alla codificazione napoleonica.<br />
Il riconoscimento dei diritti soggettivi fu conseguenza di un’altra scoperta<br />
del pensiero giuridico e politico romano, anticipatore del principio personalistico.<br />
Cicerone usa in proposito un termine famoso: quello di humanitas, che<br />
potremmo tradurre con “dignità della persona”, concetto nel quale convergono<br />
e convivono alcuni attributi fondamentali dell’individuo, che si fondano<br />
sul riconoscimento della specificità della persona umana, soggetto dotato di<br />
24 Pro Cluentio 53,146<br />
54
Giustizia e Popolo… QdPD 1 (2008)<br />
ragione e per questo distinto da tutti gli altri esseri viventi. L’humanitas implica<br />
l’acquisizione di una vasta cultura, il senso del rispetto e della tolleranza, il<br />
dovere di rendersi utile alla società e alla patria, l’autocontrollo, le buone maniere,<br />
la liberalità, la benevolenza, che, secondo Cicerone, è espressione di<br />
quella inclinazione diffusa negli uomini ad amarsi e ad amare, che dev’essere<br />
tenuta sempre presente come uno dei fondamenti del diritto. Naturalmente<br />
l’Arpinate non si spinge fino al punto di misconoscere il superiore interesse<br />
della res publica, per il quale questi diritti, pur fondamentali, della persona<br />
possono essere all’occorrenza sacrificati.<br />
Lezione 4<br />
Argomento Il concetto di giustizia in S. Agostino<br />
Contenuti Approfondimento della critica di Agostino a Cicerone e alla<br />
tradizione giuridica classica<br />
Metodo Lezione frontale con analisi e traduzione dei testi in fotocopia<br />
Obiettivo Comprendere la diversa interpretazione di alcuni termini;<br />
Comprendere che la specificità dell’interpretazione agostiniana<br />
della giustizia consiste nel ricondurre tutto al concetto cristiano<br />
di caritas.<br />
Durata 2 ore<br />
Giustizia in S. Agostino<br />
<strong>De</strong>lle precedenti elaborazioni classiche rimane, nella concezione agostiniana<br />
della giustizia, l’acquisizione fondamentale dello ius, inteso come diritto<br />
soggettivo. Agostino non solo ne condivide l’essenza, ma ne fa uno degli assi<br />
portanti della definizione di giustizia, che per lui è appunto consensus iuris. Il<br />
che significa che per lui la fonte dispensatrice e attributiva di diritti non è più<br />
la voluntas o la auctoritas dello Stato. E in luogo di essa compare per la prima<br />
volta, nel panorama definitorio, la parola consensus. Il termine nasce dal linguaggio<br />
e dall’esperienza giuridica in relazione alla sottoscrizione di contratti<br />
e vuole esprimere l’accordo di più soggetti che contraggono un patto. Non<br />
è la voluntas di cui parla Ulpiano o l’auctoritas statale che costituisce il fondamento<br />
dei diritti soggettivi ma, all’opposto, questi si fondano su una volontà<br />
55
Pedagogia e Didattica Alessandro Cacciotti<br />
pattizia che vincola gli individui e lo Stato e la cui forza impone a quest’ultimo<br />
di riconoscerli e rispettarli.<br />
Tanto essenziale è per Agostino l’elemento pattizio dei diritti, espresso dalla<br />
locuzione iuris consensus, che in esso egli identifica non solo la nozione di<br />
giustizia ma l’elemento costitutivo della nozione sia di Popolo sia di Stato.<br />
Egli afferma che se manca il patto fondativo dei diritti, non solo non si dà giustizia,<br />
ma viene meno pure il popolo come pluralità ordinata e armonica di<br />
persone accomunate dagli stessi interessi riconosciuti e garantiti dallo Stato; e<br />
viene meno anche quest’ultimo, perché Stato non c’è se non è fondato sul riconoscimento<br />
dei diritti individuali e quindi sulla giustizia.<br />
Particolarmente in due brani del <strong>De</strong> civitate <strong>De</strong>i Agostino chiarisce quali<br />
sono, a suo parere, i contenuti fondamentali del concetto di giustizia, in assenza<br />
dei quali - sostiene nel primo di essi - al re dovrebbe essere attribuito il nome<br />
di tiranno, alla classe dei governanti quello di fazione, al popolo quello di<br />
una moltitudine di uomini non associati (tenuti insieme) dal consenso sul reciproco<br />
riconoscimento dei diritti e dalla comunanza degli interessi (multitudo<br />
iuris consensu et utilitatis communione sociata) 25 : con la conseguenza che lo Stato,<br />
in cui ciascuno dei suddetti elementi converge, sarebbe a sua volta non solo<br />
marcio ma addirittura inesistente.<br />
Analoghe e forse più puntuali considerazioni egli esprime in un altro passo<br />
famoso, in cui afferma categoricamente: “Dove non c’è vera giustizia non può<br />
esserci associazione di uomini basata sul consensuale riconoscimento dei diritti e<br />
quindi neanche un popolo, secondo la definizione di Scipione e di Cicerone; e se non<br />
c’è popolo non c’è neppure la cosa del popolo ma quella di una moltitudine qualunque<br />
che non merita il nome di popolo. Or dunque: se la repubblica è la cosa del popolo e<br />
non c’è popolo là dove non c’è associazione di uomini accomunati dal reciproco riconoscimento<br />
dei diritti, se diritti non ci sono dove non c’è giustizia, si deve concludere<br />
che dove non c’è giustizia non c’è repubblica ”. 26<br />
Come appare evidente, in ambedue i brani Agostino fa ruotare l’idea di<br />
giustizia, in assenza della quale è compromessa l’esistenza di un’aggregazione<br />
umana definibile come popolo e come stato, su una entità complessa che<br />
egli definisce con la locuzione iuris consensus e subito dopo come virtus, quae<br />
sua cuique distribuit.<br />
Sulla base della definizione di Cicerone, Agostino ritiene quindi di aver di-<br />
25 <strong>De</strong> civ. <strong>De</strong>i 2, 21<br />
26 <strong>De</strong> civ. <strong>De</strong>i 19, 21: “Ubi non est vera iustitia, iuris consensu sociatus coetus hominum non potest esse et ideo nec<br />
populus iuxta illam Scipionis vel Ciceronis definitionem; et si non populus, nec res populi, sed qualiscumque multitudinis,<br />
quae populi nomine digna non est. Ac per hoc, si res publica res est populi et populus non est, qui consensu<br />
non sociatus est iuris, non est autem ius, ubi nulla iustitia est: procul dubio colligitur, ubi iustitia non est,<br />
non esse rem publicam”.<br />
56
Giustizia e Popolo… QdPD 1 (2008)<br />
mostrato che la res publica romana non fu mai una società civile, perché non si<br />
ebbe mai in essa la vera giustizia. Forse lo fu solo per certi suoi aspetti e in<br />
tempi molto antichi, ma la vera giustizia si ebbe soltanto nella società, di cui Cristo<br />
è fondatore e sovrano 27 , che è di sicuro uno stato del popolo, se non uno stato<br />
pubblico. Se la giustizia è, secondo la classica tradizione greco-romana, accettata<br />
anche da lui, rendere a ciascuno il suo, non è giusto chi non rende il suo<br />
a Dio, creatore dell’uomo. La pienezza della giustizia sta quindi nel restituire<br />
amore all’amore di Dio. Al culmine del suo ragionamento la giustizia diventa<br />
amore. E’ questo un punto fermo del pensiero agostiniano, espresso con una<br />
di quelle formule grandiose tipiche del suo stile: “Caritas magna, magna iustitia<br />
est; caritas perfecta, perfecta iustitia est”. 28 Anche per il concetto di populus Agostino<br />
riserva una sorpresa: dopo aver tanto citato la definizione di Cicerone,<br />
afferma:”Il popolo si può definire non con questa formula (quella di Cicerone), ma<br />
con un’altra, cioè: il popolo è l’unione di un certo numero di individui ragionevoli associati<br />
dalla concorde partecipazione degli interessi che persegue” 29 La novità consiste<br />
nel sostituire il concetto di iuris consensus con concors dilectio, e cioè della<br />
giustizia con l’amore. Non bisogna ovviamente dimenticare che tutto il <strong>De</strong> civ.<br />
<strong>De</strong>i è sorretto dall’idea della dualità antinomica dell’amore, scolpita nel famoso<br />
passo del l.XIV, 28: fecerunt itaque civitates duas amores duos…. L’amore è la<br />
massima forza aggregante della vita, in quanto è fonte di concordia e di unione,<br />
perciò il popolo trova in esso il suo motivo costitutivo. Istituzioni, leggi,<br />
costumi trovano il loro fondamento e il loro criterio direttivo in tale amore.<br />
Questo non implica necessariamente il riconoscimento di Cristo, quale suo<br />
conditor rectorque, come risultava per la giustizia (2, 21); gli è sufficiente avere<br />
l’amore in comune, che tuttavia non basta per farlo essere un popolo giusto,<br />
poiché per essere tale dovrebbe seguire quell’amor <strong>De</strong>i, che è la giustizia nella<br />
sua trasfigurata pienezza di senso: la iustitiae veritas (19,24). Pertanto, secondo<br />
Agostino, i Romani, come gli Assiri o i Greci hanno costituito veramente dei<br />
popoli, nel senso politico della parola, pur avendo ignorato Dio e quindi la vera<br />
giustizia. 30<br />
Il Cristianesimo opera così un capovolgimento rivoluzionario della concezione<br />
di giustizia. Nel suo credo la persona, che è imago <strong>De</strong>i, diviene centro del<br />
creato e il fine dell’agire politico, caput et fundamentum del sistema politico,<br />
giuridico e istituzionale. Non solo, ma la nozione di persona viene ad acquistare<br />
una latitudine mai conosciuta prima, perché abbraccia anche gli umili, i<br />
bisognosi, i poveri, gli emarginati, cioè tutte quelle creature che nella società<br />
25 <strong>De</strong> civ. <strong>De</strong>i 2, 21<br />
27 <strong>De</strong> civ. <strong>De</strong>i 2,21<br />
28 <strong>De</strong> natura et gratia 70<br />
29 <strong>De</strong> civ. <strong>De</strong>i 19,24<br />
30 S. COTTA, S. Agostino e la politica, in Opere di S.<br />
Agostino, La Città di Dio, pp. CXLIII e sgg.<br />
57
Pedagogia e Didattica Alessandro Cacciotti<br />
greca e in quella romana non godevano di piena dignità e non erano considerate<br />
soggetti di diritti.<br />
Per riconoscere e tutelare i diritti anche di queste creature una concezione<br />
cristiana della giustizia, come quella di Agostino, apriva di fatto la via alle moderne<br />
concezioni dei diritti umani e dei limiti effettivi all’esercizio del potere.<br />
Verifica<br />
Traduzione e analisi dell’inizio del cap. 24 del L. 19 del <strong>De</strong> Civitate <strong>De</strong>i:<br />
Si autem populus non isto, sed alio definiatur modo, velut si dicatur:”Populus est coetus<br />
multitudinis rationalis rerum quas dirigi concordi comunione sociatus”, profecto,<br />
ut videatur qualis quisque populus sit, illa sunt intuenda, quae dirigi. Quaecumque<br />
tamen diligat, si coetus est multitudinis non pecorum, sed rationalium creaturarum<br />
et eorum quae dirigi concordi comunione sociatus est, non absurde populus nuncupatur;<br />
tanto utique melior, quanto in melioribus, tantoque deterior, quanto est in deterioribus<br />
concors. Secundum istam definitionem nostram Romanus populus populus<br />
est et res eius sine dubitatione respublica.<br />
Oppure: Tre quesiti a risposta con trattazione sintetica di max 15 righe, scelti<br />
fra gli argomenti appronditi<br />
Dibattito: I concetti di giustizia e di Stato così come sono stati delineati da<br />
Agostino possono essere validi anche per i moderni Stati cosiddetti “laici”?<br />
58
Il dialogo dei Melii… QdPD 1 (2008)<br />
Strumenti per la didattica modulare del greco<br />
Percorso tematico<br />
Se il regno di Satana esiste, non può essere altro che la guerra.<br />
erasmo da rotterdam<br />
Il dialogo dei Melii e degli Ateniesi<br />
(Thuc. V 85-112)<br />
MArco cIlIone<br />
Il modulo intende illustrare agli alunni le caratteristiche della storiografia<br />
tucididea attraverso l’analisi di uno dei passi più emblematici della Guerra del<br />
Peloponneso, ovverosia il dialogo dei Melii e degli Ateniesi. l’approccio didattico<br />
porrà particolare enfasi sul rapporto tra diritto del vincitore e senso della<br />
giustizia, evidenziando come questo tema percorra i secoli dall’antichità classica<br />
all’età moderna senza sostanziali mutamenti di prospettiva.<br />
<strong>De</strong>stinatario: II liceo classico.<br />
Prerequisiti:<br />
- conoscenze generali di morfologia e sintassi;<br />
- quadro storico della guerra del Peloponneso;<br />
- caratteristiche della storiografia ionica erodotea;<br />
- la sofistica e il concetto di antilogia.<br />
59
Pedagogia e Didattica Marco Cilione<br />
Contenuti e testi: Thuc. V 85-112.<br />
Testi di supporto:<br />
1. Thuc. V 85-112.<br />
2. Thuc. III 82-84.<br />
3. IG I 2 97<br />
4. IG V 1.<br />
5. Aristoph. Pax 296-298.<br />
6. Hdt. VIII 46, 4; VIII 48; IX 106.<br />
7. <strong>De</strong>mosth. Per la libertà dei Rodii, 29.<br />
8. Isocrate, Archidamo 34-39.<br />
9. Machiavelli, Principe XXV.<br />
10. Passi scelti da Ariosto, Orlando furioso; Lena.<br />
11. IG I 3 60.<br />
12. Gorgia, Encomio di Elena 6.<br />
Strategia didattica e strumenti:<br />
- lezione frontale e partecipata;<br />
- uso di schede lessicali;<br />
- lavoro sui documenti epigrafici forniti in fotocopia.<br />
Obiettivi:<br />
- leggere e tradurre il testo tucidideo;<br />
- contestualizzare il passo all’interno del retroterra storico-politico dell’autore;<br />
- collocare il passo analizzato nell’economia generale dell’opera;<br />
- commentare dal punto di vista storico-critico il testo;<br />
- riflettere sul tema del rapporto tra giustizia e diritto del vincitore.<br />
Verifica: breve passo da tradurre e commentare.<br />
Durata: 5 ore, 3 per le lezioni e 2 per la verifica.<br />
60
Il dialogo dei Melii… QdPD 1 (2008)<br />
Lezione nr. 1<br />
Titolo Atene e i suoi alleati: l’antefatto storico-politico del dialogo.<br />
contenuti<br />
e testi<br />
Strategia<br />
e strumenti<br />
1. Thuc. V 85-112<br />
2. IG I2 97<br />
3. IG I3 60<br />
- lezione frontale e partecipata.<br />
- Dossier di fonti fornite in fotocopia.<br />
- Uso di schede lessicali.<br />
- Uso del DELG.<br />
obiettivi - contestualizzare i fatti.<br />
- Indagare le ragioni sottese all’atto di forza ateniese.<br />
- Passare in rassegna le fonti disponibili per interpretare i fatti.<br />
- <strong>De</strong>finire il concetto di guerra e di giustizia nella società greca.<br />
- Selezionare e interpretare le parole-chiave.<br />
Durata 1 h.<br />
l’estate del 416 a. c. vede ancora signori di Atene Alcibiade e nicia ed è segnata<br />
da un’impresa molto significativa per comprendere la forza dell’egemonia<br />
ateniese: la conquista di Melo. Melo è una piccola isola delle cicladi che<br />
nicia aveva già tentato invano di sottomettere nel 426 a. c. insidiandola con<br />
60 triere e 2000 opliti: Melo, terra di stirpe dorica 1 , infatti, era la sola isola delle<br />
cicladi a non essere tributaria di Atene, anche se figurava come debitrice<br />
della lega delio-attica nel decreto che cleone era riuscito a far approvare alla<br />
boulé dopo il successo di Sfacteria. Il decreto prevedeva che il tributo degli alleati<br />
fosse elevato da 500 a 1460 talenti per rimpinguare l’ormai esangue tesoro<br />
dell’Acropoli e fronteggiare con più tranquillità le onerose spese di guerra.<br />
In realtà l’influenza politica della lega delio-attica su Melo era solo nominale<br />
e l’isola continuava a conservare i suoi legami identitari con Sparta, pur beneficiando<br />
di fatto del clima di sicurezza e quindi di prosperità economica che la<br />
protezione della lega contribuiva a creare. l’imposizione della propria giurisdizione<br />
su Melo, però, andava ben oltre la riscossione di un tributo: la sottomissione<br />
dell’isola offriva in realtà ad Atene l’occasione di dimostrare ad amici<br />
e nemici la sua indiscussa egemonia sul mare. Tuttavia la resistenza di Me-<br />
1 I Melii erano apoikoi di Sparta: essi si aspettano dunque dalla madrepatria protezione e vendetta in nome<br />
dei rapporti di syngheneia. non a caso Thuc. VII 57, 1 associa l'idea di syngheneia a quella di dike: questo<br />
legame, forte nella civiltà arcaica, entra verosimilmente in crisi nel V sec. a. c. a seguito della diffusione<br />
di un razionalisno che ha snaturato anche il rapporto madrepatria-colonia in termini di astrazione intellettualistica<br />
(cfr. Musti 1994, p. 424; Musti 1991 2 , p. 41-42; p. 68, n. 2).<br />
61
Pedagogia e Didattica Marco Cilione<br />
lo si rivelò dannosa tanto all’isola quanto ad Atene: per l’una, infatti, una docile<br />
resa avrebbe evitato le terribili sanzioni, per l’altra una conquista pacifica<br />
avrebbe dissipato l’odio 2 suscitato da una così sproporzionata rivalsa.<br />
l’eccidio di Melo, del resto, è solo l’esito più macroscopico dell’odio che<br />
l’impero ateniese stava lentamente instillando nei suoi alleati. nell’economia<br />
della lega delio-attico, nata all’insegna del motto comuni amici, comuni nemici,<br />
esisteva di fatto una sproporzione evidente nella distribuzione delle risorse a<br />
tutto vantaggio dello splendore ateniese. A fronte di una solida protezione gli<br />
alleati avrebbero persino potuto tollerare una tale sperequazione, ma l’imperialismo<br />
assumeva sempre di più i tratti della tirannia e questo non faceva altro<br />
che alimentare l’orgoglio della ribellione e del riscatto: Ferrabino 3 sottolinea,<br />
quindi, come la solidarietà economica generasse paradossalmente un’antitesi<br />
politica. l’esercizio del sopruso era intimamente connesso al regolamento<br />
tributario dell’Attica: i proprietari di beni immobili erano esenti dal tributo<br />
ordinario e si compiacevano che a pagare per loro fossero i sudditi della lega.<br />
I conservatori, dunque, si dichiaravano fedeli a questo principio della democrazia<br />
ateniese che né Pericle, né cleone, né nicia vollero ovviamente intaccare,<br />
tranne poi doverne pagare lo scotto nella rete di ostilità che si stava a poco<br />
a poco delineando intorno ad Atene. le parole di Tucidide, in questo senso, invitano<br />
alla saggezza: anche quando il vincitore è nella posizione di imporre le<br />
sue condizioni dovrebbe comunque tener presente l‘equità (to epieikes) e con<br />
un’inattesa vittoria su di sé in generosità, fare una pace scambievole e ragionevole<br />
(per cleone non c’è posto per l’epieikeia nella gestione di un impero e nei rapporti<br />
internazionali). Ma questa è la posizione dei deboli; il più forte impone<br />
la sua volontà a prescindere da qualsiasi condizionamento morale: è quanto<br />
gli Ateniesi ricordano ai Melii, vale a dire quanto esige la Machtpolitik, il corrispettivo<br />
della tyrannis. Il dialogo diventa dunque, dalla parte dei Melii, un<br />
tentativo di persuasione sofistica all’indirizzo degli Ateniesi che anche il vincitore<br />
deve agire secondo equità, una dimostrazione in netta antilogia con la<br />
posizione amorale di Atene. così i Melii invano parlano dei meriti passati,<br />
dell’approvazione divina, dell’obbligo morale. Alla fine sono tre i punti intorno<br />
a cui si articola il loro tentativo di persuasione:<br />
- l’interesse comune del più forte e del più debole;<br />
- una politica imperialistica di espansione non può produrre sicurezza;<br />
- un impero basato sulla forza è destinato a perire.<br />
la sorte è imprevedibile: il pericolo può minacciare oggi il più debole, domani<br />
ugualmente il più forte. non ha senso, quindi, distruggere ciò che può servire al<br />
bene comune. Inoltre la conquista di un paese, secondo i Melii, vuol dire scontro<br />
2 cfr. <strong>De</strong> <strong>San</strong>ctis 1939, p. 306.<br />
62<br />
3 cfr. Ferrabino 1927, p. 266.
Il dialogo dei Melii… QdPD 1 (2008)<br />
con i nuovi confinanti e timore e ostilità da parte di quelli non ancora aggrediti.<br />
Agli occhi degli Ateniesi, invece, l’atteggiamento di Melo è pura follia (Poll»n te<br />
¢log…an tÁj diano…aj paršcete, e„ m¾ metasths£menoi œti ¹m©j ¥llo ti tînde<br />
swfronšsteron gnèsesqe 4 .): sperare nell’aiuto di Sparta 5 e degli dei, ipotecare il<br />
futuro di fronte all’imminente sciagura esula dalla logica del realismo politico.<br />
Tucidide non esprime giudizi sulla follia dei Melii e sulla violenza degli<br />
Ateniesi: si limita a ricostruire, con straordinaria perizia nell’invenzione documentaria<br />
6 , un dialogo verosimile, mettendo a frutto non solo l’apprendistato<br />
sofistico, ma anche l’approccio diagnostico della nascente scienza medica, che<br />
deve valutare i sintomi tenendo conto del quadro clinico complessivo. A Tucidide<br />
non sfugge, infatti, la necessità di contestualizzare il dialogo nell’alveo<br />
degli eventi che l’hanno preceduto e l’hanno seguito. non a caso il giudizio<br />
che gli Ateniesi esprimono su Sparta sembra chiaramente improntato all’esperienza<br />
sul campo. leggiamo, a questo proposito, i passi del dialogo:<br />
AQ. 3. [...] tÁj d j Lakedaimon…ouj dÒxhj, ¿n di¦ tÕ a„scrÕn d¾ bohq»sein<br />
Øm‹n pisteÚete aÙtoÚj, makar…santej Ømîn tÕ ¢peirÒkakon oÙ zhloàmen tÕ<br />
¥fron. 4. LakedaimÒnioi g¦r prÕj sf©j m n aÙtoÝj kaˆ t¦ picèria nÒmima<br />
ple‹sta ¢retÍ crîntai: prÕj d toÝj ¥llouj poll¦ ¥n tij œcwn e„pe‹n æj<br />
prosfšrontai, xunelën m£list' ¨n dhlèseien Óti pifanšstata ïn ‡smen t¦<br />
m n ¹dša kal¦ nom…zousi, t¦ d xumfšronta d…kaia. ka…toi oÙ prÕj tÁj<br />
Ømetšraj nàn ¢lÒgou swthr…aj ¹ toiaÚth di£noia 7 .<br />
AQ. OÜkoun o‡esqe tÕ xumfšron m n met' ¢sfale…aj e nai, tÕ d d…kaion kaˆ kalÕn<br />
met¦ kindÚnou dr©sqai: Ö LakedaimÒnioi ¼kista æj pˆ tÕ polÝ tolmîsin 8 .<br />
4 Thuc. V 111, 2: Dimostrate di essere davvero folli, se, dopo averci congedato, non delibererete qualcos'altro tra le<br />
cose più sagge.<br />
5 I Melii rifiutano la resa e muoiono fedeli alla loro indole spartana in nome di un insensato principio di<br />
decoro e onore.<br />
6 nella cultura antica, al legame tra libera invenzione e menzogna sembrano sottrarsi da una parte le finzioni<br />
dialogiche e mitologiche di Platone, perché funzionali all'indagine filosofica sul vero, dall'altra le<br />
invenzioni documentarie degli storici finalizzate a una migliore rappresentazione e intelligenza dei fatti.<br />
rispetto a questa seconda categoria si deve accantonare l'odierna concezione puristica del documento storico:<br />
soltanto così si può comprendere la disposizione ingenua che di fronte ai verosimili discorsi e dialoghi<br />
di Tucidide opera tanto nell'autore quanto nel lettore.<br />
7 Thuc. V 105, 3-4: 3. [...] Quanto alla vostra opinione sugli Spartani – che cioè essi, paventando la vergogna, correrebbero<br />
ad aiutarvi -, mentre ci rallegriamo per l'ingenuità, non vi invidiamo la follia. 4. In genere gli Spartani praticano<br />
la virtù soltanto nei loro rapporti interni: al contrario, sul loro modo di agire verso gli altri ci sarebbe davvero<br />
molto da dire. In due parole: gli Spartani sono coloro i quali, a nostra conoscenza, più sfacciatamente di chiunque<br />
altro, stimano bello quel che piace e giusto ciò che giova. Difficilmente una tal maniera di pensare può giovare a quella<br />
vostra salvezza di cui, in questa situazione, andate farneticando. (Traduz. di l. canfora).<br />
8 Thuc. V 107: E non pensate che l'utile si persegue evitando i pericoli, mentre il giusto e il nobile con rischio? Una<br />
strada, questa, nella quale gli Spartani per lo più non si avventurano. (Traduz. di l. canfora).<br />
63
Pedagogia e Didattica Marco Cilione<br />
AQ. TÕ d' curÒn ge to‹j xunagwnioumšnoij oÙ tÕ eÜnoun tîn pikalesamšnwn<br />
fa…netai, ¢ll' Àn tîn œrgwn tij dun£mei polÝ proÚcV: Ö LakedaimÒnioi<br />
kaˆ plšon ti tîn ¥llwn skopoàsin (tÁj goàn o„ke…aj paraskeuÁj<br />
¢pist…v kaˆ met¦ xumm£cwn pollîn to‹j pšlaj pšrcontai), éste oÙk e„kÕj<br />
j nÁsÒn ge aÙtoÝj ¹mîn naukratÒrwn Ôntwn peraiwqÁnai 9 .<br />
Dopo aver condotto la prima parte della lezione secondo una modalità<br />
frontale, ricorrendo all’ausilio di una buona carta geografica per illustrare lo<br />
scenario dello scontro, fornisco ai ragazzi le fotocopie con il testo tucidideo: affronteremo<br />
insieme il lavoro di traduzione e potrò verificare, con un esercizio<br />
guidato di commento, quanto della necessaria lezione frontale preliminare è<br />
stato recepito.<br />
Secondo gli Ateniesi la fiducia dei Melii negli Spartani sarebbe mal riposta:<br />
gli Spartani, infatti, sono coraggiosi e leali solo all’interno della loro comunità,<br />
mentre all’esterno l’autonomia dei loro alleati è direttamente proporzionale<br />
al proprio tornaconto, come già aveva fatto notare ironicamente Pericle nel<br />
discorso rivolto agli Ateniesi all’inizio della guerra 10 . Atene vuole qui attenuare<br />
la sua immagine di sovrana dispotica e liberticida e lo fa gettando fango<br />
sull’ipocrisia del sistema oligarchico spartano, che certo non pretendeva ufficialmente<br />
tributi dagli alleati, ma ne accettava di volontari 11 , e che in ogni caso<br />
esigeva l’adozione del suo modello di governo per gestire meglio i propri<br />
interessi. In questo primo brano, quindi, mi interessa far notare ai ragazzi due<br />
elementi essenziali della strategia psicagogica messa in atto dagli Ateniesi:<br />
- lo sforzo dialettico volto a stigmatizzare la politica estera spartana per meglio<br />
giustificare l’insaziabile esazione di tributi della lega delio-attica;<br />
- l’insistenza sulla follia dei Melii che sperano nell’aiuto di Sparta: l’uso del<br />
sostantivo tÕ ¥fron e dell’aggettivo ¢lÒgou legato a swthr…aj tende a con<br />
notare nel senso della dissennatezza e dell’illogicità la vana speranza dei Melii.<br />
concludo la lezione assegnando la lettura integrale dall’italiano di Thuc. V<br />
85-112 e invitando i ragazzi a ripassare quando hanno appreso sulla sofistica<br />
nelle lezioni di filosofia dell’anno precedente. Aggiungo anche un esercizio di<br />
analisi testuale sugli altri due brevi passi riportati in fotocopia.<br />
9 Thuc. V 109: Badate che, per chi deve accorrere in aiuto, la sicurezza non è data dalla benevolenza di chi ha sollecitato<br />
l'intervento: quello che importa è che abbia rilevanti forze militari. E' a questo che badano gli Spartani molto<br />
più degli altri: basti pensare che a tal punto diffidano della loro preparazione che persino nei conflitti coi loro vicini<br />
si muovono con un gran dispiegamento di alleati. Insomma è assolutamente impensabile che si avventurino in uno<br />
sbarco su di un'isola mentre noi abbiamo il dominio sul mare. (Traduz. di l. canfora).<br />
10 cfr. Thuc. I 1.44, 2.<br />
11 cfr. IG V 1, 1.<br />
64
Il dialogo dei Melii… QdPD 1 (2008)<br />
Lezione nr. 2<br />
Titolo Il dialogo e la sofistica.<br />
contenuti<br />
e testi<br />
Strategia<br />
e strumenti<br />
1. Thuc. V 85-112.<br />
2. Thuc. III 82-84.<br />
- lezione frontale e partecipata.<br />
- Dossier di fonti fornite in fotocopia.<br />
obiettivi - <strong>De</strong>finire il rapporto tra sofistica e storiografia tucididea;<br />
- <strong>De</strong>finire il genere letterario a cui appartiene il dialogo;<br />
- Individuare le leggi che secondo Tucidide governano la storia.<br />
- Selezionare e interpretare le parole-chiave.<br />
Durata 1 h.<br />
la lezione si apre con la verifica dell’esercizio di analisi testuale da cui<br />
emergono essenzialmente tre dati:<br />
- l’affermazione della politica dell’utile (tÕ xumfšron) sull’etica arcaica che<br />
avrebbe dovuto far prevalere il giusto e il nobile (tÕ d d…kaion kaˆ kalÕn)<br />
di fronte alla legittima richiesta di Melo, in ragione del rapporto di<br />
consanguineità con Sparta;<br />
- il valore di Tucidide come polemologo: non sono né la fortuna né la speranza a<br />
governare la fenomenologia della guerra, ma fattori umani calcolabili e<br />
prevedibili 12 . non si interviene a sostegno di qualcuno, se non si può contare<br />
su rilevanti forze militari (tîn œrgwn tij dun£mei polÝ proÚcV), e Sparta, in<br />
genere, interviene solo se può contare sulla massiccia adesione dei suoi alleati;<br />
- il potere di Atene sul mare (naukratÒrwn Ôntwn 13 ).<br />
e’ il momento di verificare il ripasso della sofistica. Prima, però, invito i ragazzi<br />
a riflettere sul genere letterario a cui ascriverebbero questo passo tucidideo,<br />
se non appartenesse a un’opera storica. Appurato che sembra proprio il<br />
dialogo di un dramma, anzi addirittura di una tragedia, considerando l’epilogo<br />
nefasto, dovremmo chiederci perché Tucidide abbia preferito la forma<br />
12 cfr. canfora 1991, p. 33.<br />
13 Da quanto si riesce a leggere in IG I 2 97, interessante esempio di epigrafe stoichedica, fornita ai ragazzi<br />
in fotocopia (per la figura e il testo vd. canfora 1991, pp. 176-177), il corpo di spedizione inviato contro<br />
Melo nel 416 era costituito da 30 triremi (rigo 12), 1200 opliti ateniesi (rigo 16) e 300 arcieri (rigo 17). Gli<br />
opliti degli alleati erano 1700, gli arcieri a cavallo 20, le triere di chio 6, di lesbo 2 (cfr. Thuc. V 84; vd.<br />
Ferrabino 1927, p. 262).<br />
65
Pedagogia e Didattica Marco Cilione<br />
drammatica al resoconto. Questo dialogo continuato, che rispetta tra l’altro<br />
l’unità pseudo-aristotelica di luogo, non ha precedenti nella storiografia greca,<br />
né possiamo dire che abbia fatto proseliti. la sua struttura è armonica: una<br />
lunga serie di battute incorniciate da due brevi didascalie sceniche. Westlake<br />
ritiene che il dialogo fosse stato pensato come un’opera a sé stante, alla moda<br />
dei dialoghi storico-mitici dei sofisti contemporanei. <strong>De</strong>l resto, se si elimina il<br />
dialogo dalla narrazione tucididea, il racconto non risulta affatto incongruente.<br />
e’ molto seducente l’ipotesi secondo cui Tucidide, ispirandosi alla moda<br />
delle antilogie sofistiche, abbia voluto attingere a un fatto di storia contemporanea<br />
per svolgere un tema esemplare di filosofia politica: una super-potenza<br />
che si impone su un piccolo stato neutrale nella totale indifferenza dell’altra<br />
super-potenza nemica. Il titolo di questa antilogia tucididea potrebbe essere La<br />
logica di potenza e la sua giustificazione. Questo tema si inquadra perfettamente<br />
nel dibattito sofistico tra legge convenzionale e stato di natura, dove l’auxethenai<br />
di uno stato sembra necessariamente rispondere all’ineluttabile fisiologia<br />
del dominio.<br />
con l’ausilio dei ragazzi è quindi arrivato il momento di definire i rapporti<br />
tra storiografia e sofistica. la sofistica aveva in generale posto l’accento sulla<br />
relatività della conoscenza umana e dei concetti universali secondo il modello<br />
protagoreo dell’homo mensura. Di qui l’uso dell’antilogia per rendere forte<br />
il discorso più debole e viceversa. Attraverso la potenza del logos, quindi, i<br />
sofisti si proponevano di formare la nuova classe dirigente, di educare l’uomo<br />
politico greco. Anche la storiografia, che non a caso Aristotele ascrive alla politica<br />
piuttosto che alla retorica, si propone questa finalità: Tucidide è perfettamente<br />
consapevole che conoscere quanto accade in passato può orientare nelle<br />
scelte future. In questo senso i Dissoi logoi costituiscono un importante riferimento<br />
per l’opera tucididea, se non addirittura un precedente 14 . l’autore<br />
dei Dissoi logoi, infatti, cita le guerre della storia greca a partire dall’ultima,<br />
cioé dalla vittoria spartana su Atene e i suoi alleati, fino alla guerra tra gli dei<br />
e i Giganti 15 . nella sua rassegna, quindi, la guerra diventa una sorta di epifenomeno<br />
che dimostra l’inevitabile prevalere della physis sul nomos: per l’autore<br />
dei Dissoi logoi la guerra è un bene per chi vince, un male per chi perde. An-<br />
14 l'opera può essere datata intorno al 400 a. c., ma per una più dettagliata disamina della sua cronologia<br />
cfr. Mazzarino 2000 3 , pp. 288-294, il quale interpreta la frase relativa alla vittoria dei lacedemoni sugli<br />
Ateniesi e i loro alleati non in relazione alla fine della guerra del Peloponneso (404 a. c.), bensì in relazione<br />
alla battaglia di Tanagra (457 a. c.).<br />
15 l'autore dei Dissoi logoi, pur puntualizzando che il compito dei poeti è dilettare e non dire la verità, si limita<br />
a estromettere dalla storia solo il mondo degli dei, ma non quello degli eroi e delle saghe epiche. erodoto<br />
continuerà a indicare cipselo come discendente del celebre lapita ceneo, conservando la promiscuità tra<br />
tradizione epica e tradizione storica. Soltanto Tucidide restituirà lapiti e centuari alla tradizione mitica parlando,<br />
per la Grecia primitiva, di migrazioni continue di popoli dovute all'ignoranza del commercio.<br />
66
Il dialogo dei Melii… QdPD 1 (2008)<br />
che il racconto tucidideo della guerra civile di corcira 16 , del resto, è pensato<br />
in questi termini: nella feroce lotta di classe la natura prevale sulla convenzione.<br />
Invito i ragazzi a lavorare proprio su questo episodio, fornendo loro il testo<br />
di Thuc. III 82-84:<br />
82. OÛtwj çm¾ st£sij proucèrhse, kaˆ œdoxe m©llon, diÒti n to‹j<br />
prèth gšneto, peˆ ÛsterÒn ge kaˆ p©n æj e„pe‹n tÕ `EllhnikÕn kin»qh, diaforîn<br />
oÙsîn ˜kastacoà to‹j te tîn d»mwn prost£taij toÝj ‘Aqhna…ouj<br />
p£gesqai kaˆ to‹j Ñl…goij toÝj Lakedaimon…ouj. kaˆ n m n e„r»nV oÙk ¨n<br />
cÒntwn prÒfasin oÙd' ˜to…mwn parakale‹n aÙtoÚj, polemoumšnwn d kaˆ<br />
xummac…aj ¤ma ˜katšroij tÍ tîn nant…wn kakèsei kaˆ sf…sin aÙto‹j k toà<br />
aÙtoà prospoi»sei: vd…wj aƒ pagwgaˆ to‹j newter…zein ti boulomšnoij<br />
por…zonto. kaˆ pšpese poll¦ kaˆ calep¦ kat¦ st£sin ta‹j pÒlesi, gignÒmena<br />
m n kaˆ a„eˆ sÒmena, ›wj ¨n ¹ aÙt¾ fÚsij ¢nqrèpwn Ï, m©llon d kaˆ<br />
¹suca…tera kaˆ to‹j e‡desi dihllagmšna, æj ¨n ›kastai aƒ metabolaˆ tîn<br />
xuntuciîn fistîntai. n m n g¦r e„r»nV kaˆ ¢gaqo‹j pr£gmasin a† te pÒleij<br />
kaˆ oƒ „diîtai ¢me…nouj t¦j gnèmaj œcousi di¦ tÕ m¾ j ¢kous…ouj ¢n£gkaj<br />
p…ptein: Ð d pÒlemoj Øfelën t¾n m¾ j ¢kous…ouj ¢n£gkaj p…ptein: Ð d pÒlemoj<br />
Øfelën t¾n eÙpor…an toà kaq' ¹mšran b…aioj did£skaloj kaˆ prÕj t¦<br />
parÒnta t¦j Ñrg¦j tîn pollîn Ðmoio‹. stas…azš te oân t¦ tîn pÒlewn, kaˆ<br />
t¦ fuster…zont£ pou pÚstei tîn progenomšnwn polÝ pšfere t¾n Øperbol¾n<br />
toà kainoàsqai t¦j diano…aj tîn t' piceir»sewn peritecn»sei kaˆ tîn<br />
timwriîn ¢top…v. kaˆ t¾n e„wqu‹an ¢x…wsin tîn Ñnom£twn j t¦ œrga<br />
¢nt»llaxan tÍ dikaièsei. tÒlma m n g¦r ¢lÒgistoj ¢ndre…a filštairoj<br />
nom…sqh, mšllhsij d promhq¾j deil…a eÙprep»j, tÕ d sîfron toà ¢n£ndrou<br />
prÒschma, kaˆ tÕ prÕj ¤pan xunetÕn pˆ p©n ¢rgÒn: tÕ d' mpl»ktwj ÑxÝ<br />
¢ndrÕj mo…rv prosetšqh, ¢sfale…v d tÕ pibouleÚsasqai ¢potropÁj prÒfasij<br />
eÜlogoj. kaˆ Ð m n calepa…nwn pistÕj a„e…, Ð d' ¢ntilšgwn aÙtù Ûpoptoj.<br />
pibouleÚsaj dš tij tucën xunetÕj kaˆ Øpono»saj œti deinÒteroj: probouleÚsaj<br />
d Ópwj mhd n aÙtîn de»sei, tÁj te ˜tair…aj dialut¾j kaˆ toÝj<br />
nant…ouj kpeplhgmšnoj. ¡plîj d Ð fq£saj tÕn mšllonta kakÒn ti dr©n<br />
pVne‹to, kaˆ Ð pikeleÚsaj tÕn m¾ dianooÚmenon. kaˆ m¾n kaˆ tÕ xuggen j toà<br />
˜tairikoà ¢llotrièteron gšneto di¦ tÕ ˜toimÒteron e nai ¢profas…stwj<br />
tolm©n: oÙ g¦r met¦ tîn keimšnwn nÒmwn çfel…aj aƒ toiaàtai xÚnodoi, ¢ll¦<br />
par¦ toÝj kaqestîtaj pleonex…v. kaˆ t¦j j sf©j aÙtoÝj p…steij oÙ tù qe…J<br />
nÒmJ m©llon kratÚnonto À tù koinÍ ti paranomÁsai. t£ te ¢pÕ tîn nant…wn<br />
kalîj legÒmena nedšconto œrgwn fulakÍ, e„ proÚcoien, kaˆ oÙ gennaiÒthti.<br />
¢ntitimwr»sasqa… tš tina perˆ ple…onoj Ãn À aÙtÕn m¾ propaqe‹n. kaˆ Órkoi<br />
16 Thuc. III 82-84.<br />
67
Pedagogia e Didattica Marco Cilione<br />
e‡ pou ¥ra gšnointo xunallagÁj, n tù aÙt…ka prÕj tÕ ¥poron ˜katšrJ<br />
didÒmenoi ‡scuon oÙk cÒntwn ¥lloqen dÚnamin: n d tù paratucÒnti Ð<br />
fq£saj qarsÁsai, e„ ‡doi ¥farkton, ¼dion di¦ t¾n p…stin timwre‹to À ¢pÕ toà<br />
profanoàj, kaˆ tÒ te ¢sfal j log…zeto kaˆ Óti ¢p£tV perigenÒmenoj<br />
xunšsewj ¢gènisma prosel£mbanen. ·´on d‘ oƒ polloˆ kakoàrgoi Ôntej dexioˆ<br />
kšklhntai À ¢maqe‹j ¢gaqo…, kaˆ tù m n a„scÚnontai, pˆ d tù ¢g£llontai.<br />
p£ntwn d' aÙtîn a‡tion ¢rc¾ ¹ di¦ pleonex…an kaˆ filotim…an: k d' aÙtîn kaˆ<br />
j tÕ filonike‹n kaqistamšnwn tÕ prÒqumon. oƒ g¦r n ta‹j pÒlesi prost£ntej<br />
met¦ ÑnÒmatoj ˜k£teroi eÙprepoàj, pl»qouj te „sonom…aj politikÁj kaˆ ¢ristokrat…aj<br />
sèfronoj protim»sei, t¦ m n koin¦ lÒgJ qerapeÚontej «qla<br />
poioànto, pantˆ d trÒpJ ¢gwnizÒmenoi ¢ll»lwn perig…gnesqai tÒlmhs£n te<br />
t¦ deinÒtata pexÍs£n te t¦j timwr…aj œti me…zouj, oÙ mšcri toà dika…ou kaˆ<br />
tÍ pÒlei xumfÒrou protiqšntej, j d tÕ ˜katšroij pou a„eˆ ¹don¾n œcon<br />
Ðr…zontej, kaˆ À met¦ y»fou ¢d…kou katagnèsewj À ceirˆ ktèmenoi tÕ krate‹n<br />
˜to‹moi Ãsan t¾n aÙt…ka filonik…an kpimpl£nai. éste eÙsebe…v m n oÙdšteroi<br />
nÒmizon, eÙprepe…v d lÒgou oŒj xumba…h pifqÒnwj ti diapr£xasqai,<br />
¥meinon ½kouon. t¦ d mšsa tîn politîn Øp' ¢mfotšrwn À Óti oÙ xunhgwn…zonto<br />
À fqÒnJ toà perie‹nai diefqe…ronto.<br />
1. A tal punto di ferocia arrivò quella guerra civile, e parve ancora più feroce perché<br />
fu la prima di tutte. Giacché in seguito tutta la stirpe greca, per così dire, subì tali<br />
sconvolgimenti, per il sorgere universale di conflitti tra capi del popolo, che volevano<br />
far venire gli Ateniesi nelle loro città, e gli oligarchi che invitavano i Lacedemoni.<br />
E se in tempo di pace le fazioni non avevano pretesti e non erano pronte a invitare le<br />
due potenze nemiche, una volta che queste entrarono in guerra facilmente si effettuavano<br />
richieste di alleanza, per poter colpire i nemici e procurarsi con ciò dei vantaggi,<br />
da parte di coloro che desideravano novità politiche. 2. E con le sedizioni molte e gravi<br />
sciagure piombarono sulle città, sciagure che avvengono e sempre avverranno finchè<br />
la natura umana sarà sempre la stessa, ma più gravi o più miti e differenti nell’<br />
aspetto a seconda del mutare delle circostanze. Chè in tempo di pace e di prosperità le<br />
città e i privati cittadini provano sentimenti migliori, per il fatto che non incontrano<br />
necessità che si oppongono al libero volere; al contrario, la guerra, che toglie il benessere<br />
delle abitudini giornaliere, è una maestra violenta e adatta alla situazione del momento<br />
i sentimenti della folla. 3. Allora, dunque, le città furono in preda alle sedizioni,<br />
e quelle che lo furono dopo, informate degli avvenimenti precedenti, fecero grandi<br />
progressi nel mutare i sentimenti in peggio, sia mediante l’accuratezza mostrata nelle<br />
imprese sia mediante le vendette eseguite in modo inaudito. 4. E l’usuale valore che<br />
le parole avevano in rapporto all’oggetto fu mutato a seconda della sua stima. Chè<br />
l’audacia dissennata fu considerata ardire devoto alla causa dei congiurati, e la previdente<br />
cautela viltà mascherata da un bel nome, e la moderazione un manto del vile, e<br />
68
Il dialogo dei Melii… QdPD 1 (2008)<br />
la prudenza in ogni cosa un essere oziosi in ogni cosa. L’essere follemente audaci fu<br />
considerato cosa degna del carattere dell’uomo, e il riflettere per tentare un’impresa da<br />
una posizione di sicurezza un ragionevole pretesto per rifiutare. 5. E chi si adirava era<br />
persona fida in ogni occasione, chi lo rimbeccava era sospetto. Uno che tendeva insidie,<br />
se riusciva nel suo intento, era intelligente, e se lo sospettava, era ancora più abile,<br />
mentre chi prendeva le sue misure in modo da non aver bisogno di quelle cautele<br />
era considerato istruttore della sua società politica e timoroso dei nemici. Insomma,<br />
era lodato chi riusciva a prevenire quello che voleva far del male e chi spingeva a farlo<br />
colui che nemmeno lo pensava. 6. E il legame di sangue divenne meno stretto di<br />
quello della società politica, poiché quest’ultima era più pronta a osare senza addurre<br />
pretesti: queste conveticole, infatti, non si formavano per ottenere vantaggi in conformità<br />
delle leggi, ma per fare dei soprusi con la violazione di quelle vigenti. E garantivano<br />
la fede datasi reciprocamente non tanto per mezzo delle leggi divine, quanto per<br />
mezzo di una comune violazione di quelle umane. 7. E le oneste proposte fatte dai nemici<br />
venivano accettate cautelandosi con i fatti, nel caso che si avesse la meglio, e non<br />
per nobiltà d’animo. Vendicarsi di uno era considerato molto più onorevole che non il<br />
non essere offesi per primi. E i giuramenti di rappacificazione, quando avvenivano,<br />
una volta che erano stati scambievolmente concessi, avevano momentaneo valore di<br />
fronte alle necessità che non concedevano ai contraenti altra risorsa. Ma all’occasione,<br />
chi per primo poteva prendere fiducia nelle proprie forze, se vedeva il nemico indifeso<br />
provava più piacere a vendicarsi approfittando della sua buona fede che agendo scopertamente,<br />
e a questo scopo faceva affidamento sulla sicurezza del successo e sul fatto<br />
che vincendo con l’inganno avrebbe avuto in più il premio di essere considerato intelligente.<br />
Gli individui comuni preferiscono essere chiamati abili malvagi piuttosto<br />
che sciocchi galantuomini e dell’ una cosa si vergognano, dell’altra si vantano. 8. Cagione<br />
di tutto ciò era il dominio ispirato dai soprusi e dall’ambizione, dai quali derivava<br />
anche l ardore di uomini posti di fronte alla necessità di vincere ad ogni costo.<br />
Ché nelle città i capi di fazione, ciascuno usando nomi onesti,cioè di preferire il popolo<br />
e l’uguaglianza civile oppure un’aristocrazia moderata, a parole curavano gli interessi<br />
comuni, ma a fatti ne facevano un premio della loro lotta. E, lottando con tutti i<br />
mezzi per superarsi, osarono compiere i fatti più inauditi e continuamente inasprirono<br />
le rappresaglie, non ponendo come loro confine la giustizia e l’utile della città, ma<br />
definendone a seconda del piacere che ciascuna delle due parti vi trovava; e, mentre<br />
cercavano di raggiungere il potere mediante una condanna motivata da un giusto decreto<br />
o l’uso della forza, erano pronti a soddisfare la bramosia di vittoria del momento.<br />
Sicchè nessuna delle due parti praticava l’onestà, ma godevano di miglior fama coloro<br />
che con un masto di bei discorsi riuscivano a fare qualcosa in modo odioso. E i cittadini<br />
neutrali perivano per mano di entrambi le fazioni, o perchè non si univano alla lotta<br />
o per l’odio che si provava perché scampavano alla morte. (Traduz. di c. Moreschini).<br />
69
Pedagogia e Didattica Marco Cilione<br />
83. OÛtw p©sa „dša katšsth kakotrop…aj di¦ t¦j st£seij tù `Ellhnikù, kaˆ<br />
tÕ eÜhqej, oá tÕ genna‹on ple‹ston metšcei, katagelasq n ºfan…sqh, tÕ d ¢ntitet£cqai<br />
¢ll»loij tÍ gnèmV ¢p…stwj pˆ polÝ di»negken: oÙ g¦r Ãn Ð dialÚswn<br />
oÜte lÒgoj curÕj oÜte Órkoj foberÒj, kre…ssouj d Ôntej ¤pantej logismù j<br />
tÕ ¢nšlpiston toà beba…ou m¾ paqe‹n m©llon prouskÒpoun À pisteàsai dÚnanto.<br />
kaˆ oƒ faulÒteroi gnèmhn æj t¦ ple…w perieg…gnonto: tù g¦r dedišnai tÒ te<br />
aØtîn nde j kaˆ tÕ tîn nant…wn xunetÒn, m¾ lÒgoij te ¼ssouj ðsi kaˆ k toà<br />
polutrÒpou aÙtîn tÁj gnèmhj fq£swsi proepibouleuÒmenoi, tolmhrîj prÕj t¦<br />
œrga cèroun. oƒ d katafronoàntej k¨n proaisqšsqai kaˆ œrgJ oÙd n sf©j de‹n<br />
lamb£nein § gnèmV œxestin, ¥farktoi m©llon diefqe…ronto.<br />
1. Così nella stirpe greca a causa delle sedizioni sorse ogni genere di disonestà, e la<br />
semplicità d’animo, con la quale generalmente la nobiltà si accompagna, irrisa svanì,<br />
mentre lo schierarsi in campi opposti con sentimenti di diffidenza ovunque fu un’abitudine<br />
predominante. 2. Giacché non era sufficiente a riconciliare né un discorso efficace<br />
né un giuramento spaventoso, ma tutti quanti, una volta che si trovassero in posizioni<br />
di superiorità, calcolando quanto fosse inseparabile la sicurezza, si cautelavano<br />
dalle offese più di quanto non fossero capaci di fidarsi di qualcuno. 3. E le persone<br />
dalla mente meno elevata di solito vincevano, ché temendo la propria inferiorità e<br />
l’astuzia dei nemici, cioè di essere vinti dai discorsi, e di essere prevenuti nelle insidie<br />
dall’astuzia della mente altrui, audacemente passavano all’azione. 4. Gli altri invece,<br />
pensando nel loro disprezzo di accorgersi in tempo delle offese e di non dover prendere<br />
coi fatti quello che si poteva prendere con l’intelligenza, più di tutti cadevano indifesi.<br />
(Traduz. di c. Moreschini).<br />
84. ['En d' oân tÍ KerkÚrv t¦ poll¦ aÙtîn proutolm»qh, kaˆ ÐpÒsa Ûbrei m n<br />
¢rcÒmenoi tÕ plšon À swfrosÚnV ØpÕ tîn t¾n timwr…an parascÒntwn oƒ ¢ntamunÒmenoi<br />
dr£seian, pen…aj d tÁj e„wqu…aj ¢pallaxe…ontšj tinej, m£lista<br />
d' ¨n di¦ p£qouj, piqumoàntej t¦ tîn pšlaj œcein, par¦ d…khn gignèskoien, o†<br />
te m¾ pˆ pleonex…v, ¢pÕ ‡sou d m£lista piÒntej ¢paideus…v ÑrgÁj ple‹ston<br />
kferÒmenoi çmîj kaˆ ¢parait»twj pšlqoien. xuntaracqšntoj te toà b…ou j<br />
tÕn kairÕn toàton tÍ pÒlei kaˆ tîn nÒmwn krat»sasa ¹ ¢nqrwpe…a fÚsij,<br />
e„wqu‹a kaˆ par¦ toÝj nÒmouj ¢dike‹n, ¢smšnh d»lwsen ¢krat¾j m n ÑrgÁj oâsa,<br />
kre…sswn d toà dika…ou, polem…a d toà proÚcontoj: oÙ g¦r ¨n toà te Ðs…ou<br />
tÕ timwre‹sqai prout…qesan toà te m¾ ¢dike‹n tÕ kerda…nein, n ú m¾ bl£ptousan<br />
„scÝn e ce tÕ fqone‹n. ¢xioàs… te toÝj koinoÝj perˆ tîn toioÚtwn oƒ<br />
¥nqrwpoi nÒmouj, ¢f: ïn ¤pasin lpˆj ØpÒkeitai sfale‹si k¨n aÙtoÝj diasózesqai,<br />
n ¥llwn timwr…aij prokatalÚein kaˆ m¾ Øpole…pesqai, e‡ pote ¥ra tij<br />
kinduneÚsaj tinÕj de»setai aÙtîn.]<br />
70
Il dialogo dei Melii… QdPD 1 (2008)<br />
1. Dunque, in Corcira, per la prima volta si osò commettere la maggior parte delle<br />
crudeltà. Tutto ciò che per vendicarsi possa compiere un popolo, il quale sia stato<br />
governato con la prepotenza più che con la moderazione da coloro che gli offrono motivi<br />
di vendetta; tutte le ingiuste decisioni che possono prendere uomini desiderosi di<br />
liberarsi dalla miseria abituale e bramosi di impadronirsi di quello che appartiene ad<br />
altri; tutte le crudeltà alle quali si abbandonano selvaggemente coloro che, non per avidità<br />
ma da una posizione di parità entrano in lotta lasciandosi trasportare dalla rozzezza<br />
dei loro sentimenti: tutto questo fu osato a Corcira. 2. Sconvoltosi in questa occasione<br />
il modo di vivere nella città, allora la natura umana, solita a commettere ingiustizie<br />
anche contro le leggi, ebbe il sopravvento su di esse, e volentieri si mostrò incapace<br />
di dominare i propri sentimenti, più forte della giustizia e nemica di chiunque<br />
fosse superiore. Ché altrimenti gli uomini non avrebbero preferito la vendetta alla santità<br />
e il guadagno al non offendere, se l’invidia non avesse avuto un potere dannoso.<br />
3. E gli uomini, per vendicarsi degli altri, vogliono abbattere quelle leggi comuni che a tutti<br />
offrono speranza di salvezza in caso di sventura, e pretendono che non restino salve nel<br />
caso che qualcuno travatosi nei pericoli abbia bisogno di esse.<br />
(Traduz. di c. Moreschini).<br />
le lotte civili degli anni 427-425 a corcira, che vedono il trionfo dei democratici<br />
sugli oligarchici, sterminati in un vero e proprio bagno di sangue, costituiscono<br />
una vera e propria rivoluzione nella storia della lotta politica in Grecia. Tucidide<br />
ne analizza i tratti con la sua consueta finezza di polemologo, ricorrendo allo<br />
psicologismo e al linguaggio medico della patologia. emblematica la frase:<br />
82. 2. [...] kaˆ pšpese poll¦ kaˆ calep¦ kat¦ st£sin ta‹j pÒlesi, gignÒmena<br />
m n kaˆ a„eˆ sÒmena, ›wj ¨n ¹ aÙt¾ fÚsij ¢nqrèpwn Ï, m©llon d kaˆ<br />
¹suca…tera kaˆ to‹j e‡desi dihllagmšna, æj ¨n ›kastai aƒ metabolaˆ tîn<br />
xuntuciîn fistîntai. [...]<br />
82. 2. [...] E con le sedizioni molte e gravi sciagure piombarono sulla città, sciagure<br />
che avvengono e sempre avverranno finché la natura umana sarà sempre la stessa,<br />
ma più gravi o più miti e differenti nell’aspetto a seconda del mutare delle circostanze.<br />
[...] (Traduz. di c. Moreschini).<br />
la natura umana, che è sempre la stessa, è il presupposto dell’analisi scientifica<br />
della storia e della possibilità di imparare da essa a gestire il presente e<br />
il futuro. I fenomeni che lo storico registra tendono a ripetersi in situazioni simili:<br />
una giusta diagnosi dei sintomi nella valutazione del quadro clinico complessivo<br />
consente un’adeguata intelligenza del fatto. come dice Mazzarino 17 ,<br />
71
Pedagogia e Didattica Marco Cilione<br />
quindi, non c’è differenza tra mali fisici e crisi dello stato.<br />
Due sono i compiti che assegno ai ragazzi in questa lezione:<br />
- individuare in Thuc. III 82-84 l’nflusso della sofistica e della scienza medica<br />
sull’interpretazione dei fatti;<br />
- realizzare uno schema sintetico di antilogie nel dialogo Melii-Ateniesi.<br />
Lezione nr. 3<br />
la verifica dei compiti assegnati ai ragazzi mi permette di evidenziare ancora<br />
meglio la lucidità esegetica di Tucidide che, parlando della guerra civile<br />
di corcira, riesce a ricondurre la genesi dello scontro al mutato senso attribuito<br />
alle parole rispetto alle circostanze e alla conseguente alterazione della psicologia<br />
delle masse 18 . la prevaricazione della natura sulla legge produce il<br />
sovvertimento dei valori, per cui vendicarsi è considerato molto più onorevole<br />
che essere offesi per primi e ingannare è sinonimo di intelligenza. Tanto i<br />
17 cfr. Mazzarino 2000 3 , p. 299.<br />
72<br />
Titolo Il dialogo, le antilogie e la questione etica.<br />
contenuti<br />
e testi<br />
Strategia<br />
e strumenti<br />
1. Thuc. V 85-112.<br />
2. Thuc. III 82.<br />
3. IG I 2 97<br />
4. IG V 1.<br />
5. Aristoph. Pax 296-298.<br />
6. Hdt. VIII 46, 4; VIII 48; IX 106.<br />
7. <strong>De</strong>mosth. Per la libertà dei Rodii 29.<br />
8. Isocrate, Archidamo 34-39.<br />
9. Machiavelli, Principe XXV.<br />
10. IG I 3 60.<br />
11. Gorgia, Encomio di Elena 6.<br />
- lezione frontale e partecipata.<br />
- Dossier di fonti fornite in fotocopia.<br />
- Uso di schede di lessicali.<br />
- Uso del DELG.<br />
obiettivi - Individuare le antilogie del dialogo;<br />
- <strong>De</strong>sumere dalle antilogia le regole del realismo politico ateniese;<br />
- riflettere sul rapporto utile-giusto;<br />
- confrontare Tucidide con Machiavelli e Ariosto.<br />
Durata 1 h.
Il dialogo dei Melii… QdPD 1 (2008)<br />
democratici quanto gli oligarchici sono consumati dalla febbre dell’ambizione<br />
e non esitano a usare decreti apparentemente giusti per combattere l’avversario<br />
politico 19 . Thuc. III 82 conclude con una frase emblematica per interpretare<br />
il dialogo dei Melii e degli Ateniesi:<br />
82. 8. [...] t¦ d mšsa tîn politîn Øp ¢mfotšrwn À Óti oÙ xunhgwn…zonto À<br />
fqÒnJ toà perie‹nai diefqe…ronto. 20 [...]<br />
82. 8. [...] E i cittadini neutrali perivano per mano di entrambe le fazioni, o perché<br />
non si univano alla lotta o per l’odio che si provava perché scampavano alla morte.<br />
(Traduz. di c. Moreschini).<br />
Quale era, infatti, la posizione di Melo rispetto ad Atene? Pur entrando a far<br />
parte della lega delio-attica, Melo non intende prendere parte allo scontro con<br />
Sparta perché ad essa è legata da rapporti di consanguineità. Dopo un iniziale<br />
periodo di non belligeranza Atene manda nicia con una potente flotta perché intimorisca<br />
i Melii, ma la spedizione si conclude in un nulla di fatto. Tra l’altro Melo<br />
continua a versare un tributo spontaneo a Sparta, come attesta IG V 1, 1, ma<br />
soprattutto si rifiuta di versare il dovuto alla lega delio-attica 21 . Questo stato di<br />
tensione, unito all’intollerabile ribellione di un’isola contro un impero fondato<br />
sulla talassocrazia, scatena l’invasione del 416 a. c. Dopo impegnative campagne<br />
di guerra Atene si decide finalmente a normalizzare l’anomalia melia, a punire il<br />
comportamento eversivo rispetto alle sempre più stringenti condizione della lega<br />
delio-attica e al peso del lungo conflitto. Prima dell’eccidio, però, gli Ateniesi<br />
offrono ai Melii l’opportunità di una resa senza conseguenze. A Melo vige un regime<br />
di natura oligarchica che non vuole discutere la questione dinnanzi al demo:<br />
gli aristocratici temono, infatti, che il popolo possa essere persuaso dagli ambasciatori<br />
ateniesi 22 . la trattativa, dunque, si svolge in privato. Grazie al lavoro<br />
dei ragazzi è possibile selezionare nel dialogo i concetti più significativi per la nostra<br />
riflessione conclusiva sul rapporto tra giustizia e diritto del vincitore.<br />
Un’attenta lettura del testo esige innanzi tutto una riflessione sul ruolo dei<br />
personaggi del dialogo: i Melii, in quanto isolani, sono sottoposti a uno speciale<br />
statuto di sudditanza militare rispetto alla lega 23 ; il confronto, quindi,<br />
non può giuridicamente svolgersi in termini di parità ed è per questo che gli<br />
Ateniesi finiscono con l’essere allo stesso tempo contendenti e giudici. In<br />
18 cfr. Thuc. III 82, 4.<br />
19 cfr. Thuc. III 82, 6-7.<br />
20 Thuc. III 82, 8.<br />
21 cfr. IG I 2 97, rigo 7.<br />
22 <strong>De</strong>l resto la degenerazione della democrazia ateniese<br />
passa attraverso la manipolazione del demo<br />
in forza del potere persuasivo della parola.<br />
73
Pedagogia e Didattica Marco Cilione<br />
Thuc. V 89, quindi, i ragazzi individuano subito come gli Ateniesi dirigano il<br />
confronto vanificando la forza persuasiva delle argomentazioni più scontate.<br />
Atene potrebbe addurre a proprio vantaggio:<br />
- la vittoria sui Persiani;<br />
- i torti subiti dai Melii.<br />
I Melii potrebbero addurre a proprio vantaggio:<br />
- il fatto di essere coloni di Sparta;<br />
- non aver commesso torti ai danni di Atene.<br />
Per gli Ateniesi il legame di consanguineità con Sparta è del tutto secondario<br />
rispetto al vincolo di sudditanza militare in ragione del quale i Melii, già<br />
alleati di Atene nell’iscrizione del tripode di <strong>De</strong>lfi 24 , dovevano fattivamente<br />
contribuire, come in passato 25 , a tutte le guerre dell’impero ateniese. In ogni<br />
caso, Melo può rivendicare una certa autonomia solo nella gestione degli affari<br />
interni, per quel che attiene invece all’esercizio dei diritti nei rapporti tra Stati, sono<br />
i più forti che li definiscono per i più deboli 26 . In Thuc. V 89, per l’appunto, gli<br />
Ateniesi affermano che:<br />
89. [...] ˜k£teroi ¢lhqîj fronoàmen diapr£ssesqai, pistamšnouj prÕj<br />
e„dÒtaj Óti d…kaia m n n tù ¢nqrwpe…J lÒgJ ¢pÕ tÁj ‡shj ¢n£gkhj kr…netai,<br />
dunat¦ d oƒ proÚcontej pr£ssousi kaˆ oƒ ¢sqene‹j xugcwroàsin.<br />
89.[...] consapevoli entrambi del fatto che la valutazione fondata sul diritto si pratica,<br />
nel ragionare umano, solo quando si è su una base di parità, mentre, se vi è disparità<br />
di forze, i forti esigono quanto è possibile e i più deboli approvano.<br />
e’ evidente che nel ragionamento degli Ateniesi il giusto coincide con l’utile:<br />
questa logica del potere risulta ampiamente condivisa, visto che, nell’eventualità<br />
di una vittoria spartana, Atene avrebbe beneficiato di una certa clemenza in ragione<br />
della comune strategia imperialistica 27 . I Melii devono obbedire; ma se il<br />
giusto coincide con l’utile 28 , l’obbedienza coincide con l’essere di qualcuno, cioè<br />
con la schiavitù, un’equazione possibile solo in presenza di un rapporto di consanguineità<br />
che i Melii hanno con Sparta, non con Atene: i non affini non possono<br />
avere nella lega gli stessi doveri dei consanguinei, ma devono potersi autodeterminare<br />
29 . Tutto giusto, se non fosse che Atene modula i suoi rapporti con i<br />
23 cfr. Aristoph. Pax 296-298.<br />
24 ATL III, p. 96.<br />
25 cfr. Hdt. VIII 46, 4; VIII 48; IX 106.<br />
26 così <strong>De</strong>mosth. Per la libertà dei Rodii 29.<br />
27 cfr. Dionigi di Alicarnasso, Su Tucidide, 39 = I<br />
74<br />
391, 24-25 U-r.<br />
28 Isocrate in Archidamo 34-39 condanna la logica<br />
che antepone il synpheron al dikaion.<br />
29 cfr. canfora 1991, pp. 60-61.
Il dialogo dei Melii… QdPD 1 (2008)<br />
semplici affini in ragione delle forze in campo: Melo, più debole, può facilmente<br />
essere ridotta da apoikos di Sparta a hypekoos di Atene. Faccio notare ai ragazzi la<br />
finezza gorgiana che esprime la logica della prevaricazione, come se si volessero<br />
persuadere i Melii anche con la suggestione della figura di suono.<br />
A questo punto vorrei stimolare nei ragazzi un lavoro pluridisciplinare. Il riferimento<br />
alla logica dell’utile nella prospettiva ateniese mi induce a proporre un<br />
collegamento con la logica dell’utile di alcuni personaggi ariostei dell’Orlando furioso<br />
e della Lena e con la Mandragola di Machiavelli. Faccio notare ai ragazzi che<br />
nella cultura greca, dopo il periodo omerico, si consolida il nesso tra etica e religione,<br />
per cui il fatto che Dike trovi posto accanto al trono di Zeus segna il passaggio<br />
da una concezione ferina e prevaricatrice della vittoria a una ispirata al<br />
senso di giustizia. In età sofistica, invece, anche Dike è sottoposta a un processo<br />
di relativizzazione tale per cui è legittimo dominare su chi puoi sopraffare 30 .<br />
Machiavelli può giustamente essere chiamato in causa anche per Thuc. V 103,<br />
dove gli Ateniesi vanificano l’argomentazione melia della speranza in nome di<br />
un lucido e laico 31 realismo politico: già canfora 32 ha opportunamente messo in<br />
luce il legame tra questo passo tucidideo e il capitolo XXV del Principe.<br />
Machiavelli e Ariosto rientrano nel programma curricolare del II liceo classico,<br />
quindi questo confronto con Tucidide risulta quanto mai utile e opportuno.<br />
Approfondimenti.<br />
Il tema consente di proporre ai ragazzi un percorso che spazia dalla tradizione<br />
veterotestamentaria alla contemporaneità assolvendo alla duplice funzione di<br />
consolidare la prospettiva storica nell’approccio ai problemi e di stimolare il<br />
coinvolgimento attraverso una documentata e opportuna attualizzazione. la costruzione<br />
di questo percorso diacronico deve essere necessariamente guidata<br />
dall’insegnante, ma può comunque offrire uno spunto interessante anche per la<br />
tesina di maturità. l’approfondimento può essere articolato nei seguenti punti:<br />
- l’assedio di Gerusalemme da parte degli Assiri (Re II 18, 13-37);<br />
- il concetto di iustum bellum nell’imperialismo aggressivo di roma;<br />
- erasmo da rotterdam e la condanna della guerra;<br />
- violazione inglese della neutralità della Danimarca (1809);<br />
- invasione russa dell’ossezia (2008).<br />
30 cfr. Gorgia, Encomio di Elena 6.<br />
31 la fiducia nell'aiuto degli dei (Thuc. V 104 VS<br />
Thuc. V 105) è vanificata dall'assunto che la logica<br />
della prevaricazione è accolta anche tra questi (cfr.<br />
Isocrate, Panatenaico 63-64).<br />
32 cfr. canfora 1992, p. 70.<br />
75
Pedagogia e Didattica Marco Cilione<br />
Verifica.<br />
Traduci il seguente passo fino al gnèsesqe della settima riga e commenta per intero<br />
il testo di cui, per la restante parte, ti sarà fornita una traduzione.<br />
AQ. ToÚtwn m n kaˆ pepeiramšnoij ¥n ti gšnoito kaˆ Øm‹n kaˆ oÙk ¢nepist»mosin<br />
Óti oÙd' ¢pÕ mi©j pèpote poliork…aj ‘Aqhna‹oi di' ¥llwn fÒbon ¢pecèrhsan.<br />
nqumoÚmeqa d Óti f»santej perˆ swthr…aj bouleÚsein oÙd n n tosoÚtJ<br />
lÒgJ e„r»kate ú ¥nqrwpoi ¨n pisteÚsantej nom…seian swq»sesqai, ¢ll' Ømîn<br />
t¦ m n „scurÒtata lpizÒmena mšlletai, t¦ d' Øp£rconta bracša prÕj t¦ ½dh<br />
¢ntitetagmšna perig…gnesqai. poll»n te ¢log…an tÁj diano…aj paršcete, e„ m¾<br />
metasths£menoi œti ¹m©j ¥llo ti tînde swfronšsteron gnèsesqe. oÙ g¦r d¾<br />
p… ge t¾n n to‹j a„scro‹j kaˆ proÚptoij kindÚnoij ple‹sta diafqe…rousan<br />
¢nqrèpouj a„scÚnhn tršyesqe. pollo‹j g¦r proorwmšnoij œti j oŒa fšrontai<br />
tÕ a„scrÕn kaloÚmenon ÑnÒmatoj pagwgoà dun£mei pesp£sato ¹sshqe‹si<br />
toà ·»matoj œrgJ xumfora‹j ¢nhkšstoij ˜kÒntaj peripese‹n kaˆ a„scÚnhn<br />
a„sc…w met¦ ¢no…aj ÀtÚcVproslabe‹n. Ö Øme‹j, Àn eâ bouleÚhsqe, ful£xesqe,<br />
kaˆ oÙk ¢prep j nomie‹te pÒleèj te tÁj meg…sthj ¹ss©sqai mštria prokaloumšnhj,<br />
xumm£couj genšsqai œcontaj t¾n Ømetšran aÙtîn Øpotele‹j, kaˆ<br />
doqe…shj aƒršsewj polšmou pšri kaˆ ¢sfale…aj m¾ t¦ ce…rw filonikÁsai: æj<br />
o†tinej to‹j m n ‡soij m¾ e‡kousi, to‹j d kre…ssosi kalîj prosfšrontai, prÕj<br />
d toÝj ¼ssouj mštrio… e„si, ple‹st' ¨n Ñrqo‹nto. skope‹te oân kaˆ<br />
metast£ntwn ¹mîn kaˆ nqume‹sqe poll£kij Óti perˆ patr…doj bouleÚesqe, Âj<br />
mi©j pšri kaˆ j m…an boul¾n tucoàs£n te kaˆ m¾ katorqèsasan œstai.<br />
76<br />
Bibliografia<br />
Canfora 1992 = l. canfora, Tucidide e l’impero, Bari 1991.<br />
Canfora 1999 = l. canfora, Il mistero Tucidide, Milano 1999.<br />
<strong>De</strong> <strong>San</strong>ctis 1939 = G. <strong>De</strong> <strong>San</strong>ctis, Storia dei Greci dalle origini alla fine del secolo<br />
V, vol. II, Firenze 1939.<br />
Erasmo da Rotterdam, Contro la guerra, a. c. di M. Jevolella, Milano 2008.<br />
Ferrabino 1927 = A. Ferrabino, L’impero ateniese, Torino 1927.<br />
Mazzarino 2000 3 = S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, Bari 2000.<br />
Musti 1991 2 = Le origini dei Greci. Dori e mondo egeo, a c. di D. Musti, Bari 1991 2 .<br />
Musti 1994 = D. Musti, Storia greca, Bari 1994.<br />
Musti 1995 = D. Musti, <strong>De</strong>mokratia. Origine di un’idea, Bari 1995.<br />
Sinclair 1993 = T. A. Sinclair, Il pensiero politico classico, Bari 1993.<br />
Tucidide, Il dialogo dei Melii e degli Ateniesi, a c. di l. canfora, Venezia.
La verità… QdPD 1 (2008)<br />
Strumenti per la didattica modulare delle scienze<br />
Percorso tematico<br />
La verità rende giusti e liberi :<br />
il caso Galileo<br />
MARINA PESCARMONA<br />
INTRODUZIONE<br />
La figura di Galileo Galilei si presta molto bene ad un approccio didattico<br />
multidisciplinare storico, filosofico, letterario e scientifico. E’ quello attuale,<br />
un momento in cui lo scienziato pisano viene esibito come una figura emblematica,<br />
vittima della Chiesa definita illiberale ed oscurantista. Si è voluto pertanto<br />
far chiarezza sulla vicenda di cui Galileo fu protagonista per poi indicare<br />
lo stretto legame intercorrente tra verità e libertà di pensiero.<br />
L’articolo è diviso in tre paragrafi: 1) una cornice storico-filosofica alla figura<br />
di Galileo , ricchissima di collegamenti con la filosofia; 2) una narrazione dei fatti<br />
che hanno portato al processo; 3) una discussione che offre spunti di riflessione<br />
che partono dalla questione galileiana per poi portare il discorso su problematiche<br />
più generali ed attuali relative alla tematica scelta di giustizia e libertà.<br />
La narrazione è inoltre interrotta da domande, e spunti di approfondimento<br />
che contengono, in nota a piè di pagina, sintetiche risposte che l’insegnante<br />
può poi ampliare quanto crede.<br />
77
Pedagogia e Didattica Marina Pescarmona<br />
Classi destinatarie: secondo classico, quarto scientifico<br />
Prerequisiti: approccio multidisciplinare con copresenze degli insegnanti. La<br />
prima parte è ricchissima di contenuti filosofico-scientifici di programma del<br />
primo classico –terzo scientifico. In particolare, per comprendere alcuni aspetti<br />
di Galileo, è indispensabile riproporre i principali elementi della fisica aristotelica.<br />
La terza parte deve invece portare ad un dibattito che faccia riflettere<br />
sul tema “giustizia e libertà” in termini generali ma anche facendo convergere<br />
il discorso su temi di attualità a cui i ragazzi possono essere sensibili<br />
Strategia didattica e strumenti: lezione frontale e partecipata; lezione in copresenza<br />
con l’insegnante di filosofia.<br />
Obiettivi: contestualizzare la figura di Galilei nel retroterra storico-culturale.<br />
Ricostruire le relazioni tra Galilei e gli scienziati del suo tempo. <strong>De</strong>finire le caratteristiche<br />
dell’approccio scientifico galileiano. Riflettere sul rapporto giustizia-<br />
verità, e verità- libertà di pensiero.<br />
Verifica: 1) una presentazione in Power Point, realizzata dai ragazzi, che mostri<br />
i contenuti appresi, le questioni affrontate, le domande che ne conseguono<br />
2) una verifica scritta che suggerisca di tracciare le caratteristiche dell’approccio<br />
scientifico galieliano.<br />
Durata del modulo: due lezioni da un’ora per il primo paragrafo, una lezione<br />
per il secondo, due lezioni per il terzo, due ore per la verifica.<br />
78<br />
IL MONDO FILOSOFICO – SCIENTIFICO IN CUI È CRESCIUTO GALILEO<br />
A voler fare un quadro davvero schematico del mondo accademico italiano<br />
all’epoca di Galileo, si potrebbe affermare che era diviso in due fronti: gli<br />
aristotelici e gli antiaristotelici. Il fatto che almeno il nucleo centrale della<br />
scienza aristotelica sia sopravvissuto per duemila anni è la migliore prova e<br />
garanzia della immensa portata del pensiero di Aristotele stesso. Ancora più<br />
stupefacente è pensare che tutto il quadro cosmologico nonché la fisica aristotelica<br />
è per la sua quasi totalità sbagliata ma che, nonostante la sua fallacia, ha<br />
troneggiato incontrastata, o quasi, fino al tempo di Galileo
La verità… QdPD 1 (2008)<br />
1) Come mai qualcosa di totalmente sbagliato è sopravvissuto così a lungo? 1<br />
Persino la grande rivoluzione rappresentata dal cristianesimo non è riuscita<br />
a seppellire l’aristotelismo che, grazie all’altissima figura di <strong>San</strong> Tommaso<br />
d’Aquino, ha potuto conciliarsi, mutatis mutandis, con la dottrina cristiana e<br />
quindi propagarsi insieme al cristianesimo.<br />
2) Richiamo su <strong>San</strong> Tommaso: indicare alcuni punti di contatto tra il pensiero tomistico<br />
e quello aristotelico originario 2<br />
Oltre all’impianto filosofico, anche il quadro prettamente cosmologico aristotelico<br />
ha trovato una sua collocazione all’interno del cristianesimo. Ne è testimone<br />
Dante Alighieri che, nella sua Commedia, propone una struttura del<br />
Paradiso che altro non è che il modello aristotelico-tolemaico con delle varianti<br />
necessarie a renderlo compatibile col cristianesimo: in particolare il freddo<br />
Motore Immobile aristotelico viene sostituito dalle gerarchie angeliche che governano<br />
ognuna una sfera celeste astrale.<br />
3) Spunto di approfondimento sulla struttura del Paradiso dantesco 3<br />
Tradizionalmente, soprattutto parlando di scienza, ad Aristotele viene contrapposto<br />
Platone ed in particolare l’importanza che questi dava alla matematica,<br />
quella matematica che Aristotele non considerava come lo strumento<br />
principe per la conoscenza (come invece si cominciò a fare con la rivoluzione<br />
scientifica seicentesca) di un mondo molto più ricco e complesso di quello descritto<br />
esclusivamente dai numeri. Il quantitativo era per Aristotele solo uno<br />
dei tanti aspetti del mondo e forse per lui il meno interessante<br />
4) Aristotele fu il primo grande biologo sistematico: cosa ha scritto in proposito? 4<br />
1 La fisica aristotelica ha un alto grado di coerenza interna, un’impostazione logica con pochi punti deboli. Non è modificabile<br />
solo parzialmente, è stato necessario ricostruire un altro impianto alternativo, cosa realizzata pienamente<br />
solo da Newton.<br />
2 Per esempio la prima prova di Tommaso dell’esistenza di Dio: “Omne quod movetur ab alio movetur”, come già in<br />
Aristotele. Ogni cosa che muta sottende un qualcosa che la fa mutare. Quindi a monte ci deve essere un primo<br />
motore, immobile che è motivo di ogni altro movimento. Per Tommaso questo principio è Dio.<br />
3 Il Paradiso è un mondo immateriale, etereo, diviso in nove cieli: i primi sette prendono il nome dai pianeti del sistema<br />
solare (Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno), gli ultimi due sono costituiti dalla sfera delle<br />
stelle fisse e dal Primo mobile. Il tutto è contenuto nell’Empireo.<br />
4 In zoologia, Aristotele si riferì ad un determinato sistema di generi naturali (“specie”), ciascuno dei quali si riproduce<br />
in conformità al proprio tipo, tranne alcune eccezioni. Le specie costituiscono una scala graduata che si estende<br />
dal semplice (vermi e mosche al gradino più basso) al complesso (esseri umani al gradino più alto), pur nell’impossibilità<br />
di qualsiasi evoluzione.<br />
79
Pedagogia e Didattica Marina Pescarmona<br />
Platone, e prima ancora Pitagora, hanno messo il numero al centro del loro<br />
pensiero ma la loro concezione di questi enti matematici è molto diversa da<br />
quella poi espressa nella scienza moderna. Basti pensare che per i pitagorici i<br />
numeri non sono entità astratte ma entità reali di cui il mondo è costituito.<br />
Pensiero comune tra i pitagorici-platonici e gli scienziati galileiani è invece il<br />
concetto di armonia numerica e la ricerca di un ordine celato in un mondo solo<br />
in apparenza caotico. Le legge fisica espressa da una formula matematica è<br />
la veste formale dell’ordine che governa il mondo, la natura non esibisce le<br />
sue leggi ma le rende intelligibili a chi le vuole scoprire. La matematica viene<br />
scoperta, non inventata, le legge emerge da sé quando scrolliamo la coltre di<br />
caos che copre la superficie del mondo naturale.<br />
Ma la seduzione delle armonie numeriche ha bisogno sempre di un freno<br />
razionale che eviti devianze misticheggianti, persino un matematico di grande<br />
portata come Johannes Kepler (1571-1630), almeno nella prima parte della<br />
sua storia scientifica e umana, ha esagerato nella ricerca delle armonie immaginando<br />
fantasiosi rapporti geometrici tra le sfere celesti.<br />
5) Approfondimento: “Mysterium cosmographicum” è l’opera in cui Keplero espone<br />
la sua concezione dell’armonia celeste. Cosa propone? 5<br />
Il Rinascimento italiano è stato pervaso da mistica, magie ed alchimie al cui fascino<br />
non rimarrà indifferente neanche il grande Isaac Newton (1642-1727) che ha<br />
dedicato gran parte della sua esistenza a studi alchemici (oltre che teologici).<br />
Ma, come dice Juan Josè <strong>San</strong>guineti 6 , “nella concezione aristotelica del sapere c’è<br />
anche un posto per la fisico- matematica, anche se Aristotele è stato più affascinato dalla<br />
biologia”. È riduttivo dire, secondo questo autore, che la scienza aristotelica sia solo<br />
qualitativa, “il Filosofo è invece cosciente delle dimensioni quantitative dell’essere mobile,<br />
negli Analitici secondi egli avanza una concezione fisico-matematica sostenendo che<br />
il sapere quia verte sui fatti empirici e compete alle scienze inferiori, mentre il sapere<br />
propter quid, proprio della matematica applicata alla fisica, possiede un livello superiore<br />
in quanto fornisce dimostrazioni procedendo dalle cause”. 7<br />
5 Lo scopo principale di “Mysterium cosmographicum”(1596) è quello di dimostrare che, nella creazione del mondo e<br />
nella disposizione dei cieli, Dio “ha guardato a quei cinque corpi regolari che hanno goduto di una così grande fama<br />
dai tempi di Pitagora e Platone” e che hanno accordato alla loro natura il numero, la proporzione e i rapporti dei<br />
moti celesti. I cinque solidi regolari sono il cubo, il tetraedro, il dodecaedro, l’icosaedro, l’ottaedro”.<br />
Per un approfondimento: Natascha Fabbri, “Cosmologia ed armonia in Kepler e Mersenne: contrappunto a due voci<br />
sul tema dell’Harmonice mundi”, Ed. Olschki<br />
6 Juan Josè <strong>San</strong>guineti- “Scienza Aristotelica e Scienza Moderna”, pp. 35- 1992, Armando Editore<br />
7 Cfr. An. Sec. I, 79 a 1-15<br />
80
La verità… QdPD 1 (2008)<br />
Citiamo un esempio, offerto dallo stesso Aristotele, che ha per oggetto l’arcobaleno.<br />
Il sapere meramente empirico riguardo all’arcobaleno si subordina<br />
alla prospettiva o geometria ottica; questa a sua volta è subordinata alla geometria,<br />
da cui procede l’ultimo propter quid. Il fisico che si limita allo studio descrittivo<br />
dell’arcobaleno acquista un sapere quia cioè del fatto che le cose sono<br />
così e non diversamente, ma l’interpretazione geometrica gli consente di raggiungere<br />
le ragioni profonde da cui si deducono le proprietà fenomeniche.<br />
Ma per Aristotele la versione matematica della realtà fisica non ne esprime la<br />
sostanza ma solo un aspetto parziale, dal momento che la realtà materiale contiene<br />
altri elementi intelligibili che la matematica non può spiegare. Sono stati<br />
piuttosto i successivi peripatetici a sfiduciare la matematica sviluppando maggiormente<br />
una scienza qualitativa aborrita dagli scienziati moderni.<br />
Tornando al tempo di Galileo, occorre dire che l’aristotelismo che si insegnava<br />
nelle Università era frutto di secoli di rivisitazione del pensiero originario<br />
dello stagirita. Il nocciolo della fisica aristotelica era tuttavia intatto, i concetti<br />
portanti di luoghi naturali, di moto naturale e moto forzato, di leggerezza e pesantezza<br />
sopravvivono per duemila anni perché costituiscono i pilastri di un<br />
edificio fisico che rende ragione di tutti i fenomeni visibili in modo molto ragionevole.<br />
Ed è proprio questo concetto di ragionevolezza che si vuole sottolineare,<br />
se riuscissimo a sgombrare il pensiero da pregiudizi la ragionevolezza<br />
aristotelica apparirebbe chiarissima. Aristotele spiega ciò che vede e che<br />
sente, i sensi guidano la ragione nella spiegazione dei fenomeni.<br />
6) La Scienza moderna svaluta i sensi. Un’affermazione da spiegare 8<br />
I sensi aristotelici sono davvero raffinati, si può dire che sia stato il più<br />
grande osservatore della natura mai esistito e cercò di rendere ragione di tutto,<br />
niente escluso.<br />
Tra i coraggiosi “nemici” dell’aristotelismo si situa sicuramente René <strong>De</strong>scartes<br />
(1596-1650) che ha vissuto l’antiaristotelismo come una missione, una<br />
sorta di crociata che però non ha avuto coraggio di portare fino in fondo in maniera<br />
esplicita. Il suo sistema del mondo, ad esempio, si fonda su un modello<br />
copernicano, ma mai il filosofo francese ha dichiarato pubblicamente di crede-<br />
8 Con il meccanicismo l’approccio alla scienza prende le distanze da ciò che i sensi possono indicare. Si dà importanza<br />
all’aspetto quantitativo che, per essere elaborato, deve essere isolato dal qualitativo sensoriale, si ragiona per modelli<br />
che simulano una natura semplificata. Un approccio molto efficace per realizzare ad esempio creazioni tecnologiche<br />
ma che impoverisce la conoscenza del reale, molto più complesso di qualsiasi modello.<br />
81
Pedagogia e Didattica Marina Pescarmona<br />
re in esso. Grande però, almeno dal punto di vista scientifico-filosofico, è stata<br />
l’energia che <strong>De</strong>scartes ha impiegato per combattere i “pregiudizi aristotelici.<br />
Si ricorda infatti che, pur essendo, al tempo di Galileo e Cartesio, il modello<br />
copernicano ormai noto, l’opera che lo spiegava, il <strong>De</strong> revolutionibus orbium coelestium,<br />
non ebbe subito grande seguito, era proposto dagli insegnanti più progressisti<br />
come uno dei possibili modelli di universo usato essenzialmente per calcolare<br />
le effemeridi ai fini della formulazione di oroscopi. La prefazione scritta da<br />
Osiander al <strong>De</strong> revolutionibus usa toni cauti facendo intendere il fatto che non si<br />
crede alla realtà fisica di una Terra mobile ma piuttosto si offre semplicemente un<br />
modello geometrico per far tornare meglio i conti delle previsioni astrali.<br />
7) Quale altro modello dell’universo era stato proposto? 9<br />
L’eleganza del modello copernicano non poteva non conquistare una mente<br />
come quella di Galileo. Sposare le idee di Copernico significava però dichiarare<br />
guerra ad Aristotele non solo relativamente al suo sistema del mondo ma<br />
anche a tutto l’impianto fisico. La teoria aristotelica dei luoghi naturali, che<br />
rende conto dei movimenti del mondo sublunare, si basa sulla Terra immobile<br />
centro di gravità e centro del cosmo. E, come già detto, se si smantella un<br />
pilastro della fisica aristotelica cade tutto l’edificio. Di questo Galileo era perfettamente<br />
cosciente e niente affatto spaventato all’idea di dover mettere tutto<br />
in discussione proprio come stava facendo Cartesio altrove. Ma il carattere<br />
del pisano non era quello del francese che, pur avendo fondato un nuovo metodo<br />
filosofico, non andò mai incontro a problemi con le autorità ecclesiastiche<br />
percependo fin dove poteva spingersi, omettendo od usando perifrasi<br />
quando si riferiva al modello copernicano.<br />
Cartesio non riuscì però a fondare una fisica convincente alternativa alla<br />
scuola peripatetica, pur essendo stato un eccellente matematico (basti pensare<br />
all’invenzione della geometria analitica) non introdusse la matematica nella<br />
fisica porgendo il fianco alla mente geniale di Newton che, in età giovanile,<br />
riuscirà a confutare a suon di numeri le fantasiose teorie fisiche cartesiane.<br />
9 Ad esempio il modello del danese Tycho Brahe (1546-1601). Si tratta di un sistema geocentrico in cui il Sole orbita<br />
intorno alla Terra (immobile ed al centro dell’universo) ed i pianeti intorno al Sole. Questo modello riscosse abbastanza<br />
successo in quanto non metteva in discussione la centralità della Terra e, d’altra parte, risolveva delle problematiche<br />
relative al precedente modello tolemaico. Tycho non credette al modello copernicano in quanto non riscontrò<br />
mai, neanche usando strumenti costruiti da lui stesso, l’effetto di parallasse stellare che avrebbe costituito una<br />
prova inoppugnabile della mobilità della Terra. Le distanze stellari sono troppo grandi per dare angoli parallattici<br />
osservabili con gli strumenti dell’epoca, in effetti la prima parallasse stellare venne osservata da Friedrich Wilhelm<br />
Bessel nel 1838, si trattava di 51 Cyg.<br />
82
La verità… QdPD 1 (2008)<br />
Gli atenei italiani del Cinque-Seicento erano occupati da professori quasi<br />
tutti di scuola peripatetica,e gli scritti del giovane Galileo (gli Juvenilia per<br />
esempio) testimoniano l’influenza che egli subì da questi accademici.<br />
In quegli anni la cultura scientifica non era appannaggio solo dei professoroni<br />
laici ma anche della Chiesa che, in particolare con i Gesuiti, vantava figure<br />
di primo piano nell’ambito scientifico. Galileo è stato, fino all’ultimo suo<br />
giorno terreno, molto religioso e quindi sensibile al parere dei colleghi scienziati<br />
religiosi. Almeno all’inizio della sua carriera scientifica, trovò nei Gesuiti<br />
e nel Papa stesso ammirazione del suo genio mentre sempre del tutto ostili<br />
rimasero i colleghi universitari peripatetici.<br />
LA REALTÀ DEI FATTI<br />
La vicenda galileiana che termina col famoso processo, comincia a prendere<br />
corpo da quando il pisano (già convinto copernicano) comincia ad usare il<br />
cannocchiale per osservare il cielo. Per amor di verità – perché la verità è la<br />
reale protagonista della nostra lezione - non fu Galileo ad inventare il telescopio<br />
10 (da tempo in uso in guerra e in mare) ma sicuramente egli perfezionò<br />
moltissimo i modelli già esistenti e sicuramente fu il primo a puntarlo verso il<br />
cielo facendo importanti scoperte.<br />
Prima ed importante data del nostro percorso è il 1610, anno in cui Galileo<br />
scopre i quattro satelliti di Giove (Io, Europa, Ganimede e Callisto) che chiamerà<br />
“Medicei” nella famosa opera Sidereus Nuncius. Nello stesso anno osserva<br />
le fasi di Venere e la morfologia della Luna.<br />
8) Perché queste scoperte sono così importanti ? 11<br />
La notizia di queste scoperte risuonò in tutta Europa rendendo Galileo<br />
molto celebre ma esposto alle invidie da parte dei suoi colleghi accademici al-<br />
10 Gli storici non sanno ancora dirci con esattezza dove e quando comparvero per la prima volta i cannocchiali. Di<br />
certo si sa che nel 1604 molte persone guardarono attraverso il cannocchiale ed esiste un documento che del 1634<br />
che sostiene che in Olanda, a Middelburg, Zacharias Janssen costruiva un cannocchiale su un modello che egli diceva<br />
pervenuto dall’Iitalia e su cui era scritto “anno 1590”. Nel 1608 cominciò ad interessarsi allo strumento qualche<br />
militare, nella primavera del 1609 arrivava qualche notizia dello strumento a Venezia alle orecchie di Galileo: dieci<br />
mesi dopo compariva il “Sidereus nuncius” che riportava notizie rivoluzionarie.<br />
11 Perché abbattono i dogmi aristotelici sul mondo celeste incorruttibile, immutabile e perfetto. Giove è centro di gravità<br />
togliendo l’esclusiva alla Terra; Venere ha le fasi come la Luna che mostra una morfologia simile alla Terra.<br />
Crolla la millenaria divisione tra mondo celeste e sublunare, la fisica celeste diventa uguale a quella terrestre.<br />
83
Pedagogia e Didattica Marina Pescarmona<br />
cuni dei quali arrivarono persino a dubitare delle sue scoperte. Dal momento<br />
che le leggi dell’ottica non erano molto note, il cannocchiale appariva come<br />
una sorta di “scatola magica” alla stregua di un caleidoscopio ed alcuni illustri<br />
personaggi - uno tra tutti il celebre filosofo Cesare Cremonini (1550/1631)rifiutarono<br />
persino di guardarci dentro.<br />
Ed in questa occasione lo scienziato pisano poté contare sull’appoggio degli<br />
astronomi della Compagnia di Gesù che confermarono le sue scoperte dietro<br />
insistenza di Roberto Bellarmino (gesuita, cardinale e capo del <strong>San</strong>t’Uffizio,<br />
poi santo e Dottore della Chiesa, 1542-1621) Il tutto finisce con un ricevimento<br />
in suo onore al Quirinale, allora residenza papale.<br />
È davvero un anno glorioso per Galileo, Cosimo II de’ Medici gli conferisce la<br />
carica di “primario matematico straordinario dello Studio di Pisa”, lautamente<br />
pagata e senza obbligo di residenza né di lezione.<br />
Galileo, esaltato da tutto questo, non si staccava dal telescopio (al punto da<br />
finire i suoi giorni quasi cieco), scopre Saturno “tricorporeo” (il suo strumento<br />
non distingue gli anelli ma solamente tre gobbe) e le macchie solari. A coronamento<br />
della sua gloria, nella primavera del 1611, viene nominato Accademico<br />
dei Lincei ed è introdotto dal nipote ed omonimo di Michelangelo Buonarroti<br />
al cardinale Maffeo Barberini, suo grande ammiratore, che presto diverrà<br />
Papa col nome di Urbano VIII.<br />
9) Chi ha fondato l’Accademia dei Lincei? Che attività ancora si svolgono? 12<br />
Ed è proprio Maffeo Barberini che appoggia, contro l’opinione degli altri<br />
scienziati, Galileo che sostiene che il ghiaccio galleggia perché meno denso<br />
dell’acqua. Essere sponsorizzato e sostenuto da personaggi così illustri spinse<br />
il pisano ad entrare in aperta polemica scientifica con i colleghi aristotelici e a<br />
scrivere il Discorso intorno alle cose che stanno in su l’acqua e che in quella si muovono<br />
diffondendo la sua fede copernicana, ormai, per lui, una certezza.<br />
Nel 1612 un domenicano, Niccolò Lorini, accusa la teoria copernicana di<br />
eresia, ma il <strong>San</strong>t’Uffizio dà il non luogo a procedere.<br />
10) Approfondimento sul <strong>San</strong>t’Uffizio. Esiste ancora? Che attività svolge? 13<br />
12 Nel 1603 quattro amici guidati dal nobile Federico Cesi danno vita ad un sodalizio dedito allo studio della Natura.<br />
Il loro emblema è la lince, animale dotato di una vista straordinaria ad indicare il profondo spirito d’osservazione<br />
con il quale i quattro fondatori si dedicano alle loro ricerche.<br />
13 La Congregazione della sacra romana e universale Inquisizione o <strong>San</strong>t’Uffizio fu una struttura della Chiesa Cattolica<br />
creata nel 1542 da papa Paolo III. Consisteva di un collegio permanente di cardinali e altri prelati che dipendeva direttamente<br />
dal papa. Il suo compito era mantenere e difendere l’integrità della fede, esaminare e proscrivere gli errori e le<br />
false dottrine. Aristotele questo scopo venne anche creato l’Indice dei libri proibiti. L’organo che ai giorni nostri è incaricato<br />
di vigilare sulla purezza della dottrina della Chiesa Cattolica è la Congregatio pro Doctrina Fidei.<br />
84
La verità… QdPD 1 (2008)<br />
Incoraggiato forse dalla presa di posizione del <strong>San</strong>t’Uffizio, finalmente si<br />
decide a scrivere le famose quattro Lettere copernicane, private ma fatte circolare<br />
a bella posta.<br />
La prima, indirizzata a Benedetto Castelli (1577-1643), monaco benedettino,<br />
suo amico e matematico all’Università di Pisa, sostiene come alcuni passi<br />
della Scrittura non possano essere presi alla lettera.<br />
La seconda e terza lettera parlano esplicitamente dell’opera di Copernico,<br />
la quarta fonda le sue argomentazioni proprio sul testo biblico. Galileo è ormai<br />
uscito allo scoperto, forte della fama acquisita, alla quale la sua vanità non<br />
era certo insensibile.<br />
Quasi subito, il padre domenicano Tommaso Caccini (1574-1648), nella<br />
Chiesa di <strong>San</strong>ta Maria Novella in Firenze, lo attacca ma il padre Benedetto Castelli<br />
nonchè il domenicano Luigi Maraffi, che aveva una carica di primo piano<br />
nell’ordine di san Domenico, lo difendono apertamente.<br />
Nel 1615 viene invitato a Roma per esporre ai cardinali la sue argomentazioni<br />
e da Roma scrive una lettera al cardinale Alessandro Orsini (1592-1626)<br />
in cui afferma che sono le maree la prova della rotazione della Terra.<br />
11) Ed invece qual è la causa delle maree? Quali sono invece le prove della rotazione<br />
della Terra? 14<br />
Questo periodo romano si conclude con la censura del <strong>San</strong>t’Uffizio sia pur<br />
attenuata da un’attestazione in sua difesa del cardinale Roberto Bellarmino<br />
che dichiara che l’oggetto del contendere è la dottrina copernicana e non<br />
l’opera di Galileo che comunque deve promettere di togliere, nella nuova edizione<br />
delle sue opere, tutti i riferimenti alle Scritture, così da evitare sconfinamenti<br />
dalla scienza alla teologia.<br />
Promessa che di fatto non venne mantenuta poiché, nello stesso anno, nell’edizione<br />
uscita a Bologna, vengono citati di nuovo i passi biblici che secondo<br />
lui suffragano la sua tesi.<br />
A quel punto la teoria copernicana viene ufficialmente dichiarata incompatibile<br />
con la fede cattolica. Molte voci di ecclesiastici si levano a protesta, tra<br />
cui quella dello stesso Maffeo Barberini, ormai inutilmente.<br />
14 Le maree sono causate dall’azione combinata dell’attrazione gravitazionale esercitata da Luna e Sole e della forza<br />
centrifuga provocata dal moto di rivoluzione del sistema Terra-Luna intorno al baricentro comune. Le prove di<br />
rotazione intorno all’asse sono due: la deviazione verso est, rispetto alla verticale, di un grave in caduta libera (esperienza<br />
di Guglielmini, 1791) e la rotazione della traccia lasciata dall’oscillazione di un pendolo (Foucault, 1851).<br />
Prove di rivoluzione sono invece il fenomeno di aberrazione stellare e l’individuazione della parallasse stellare.<br />
85
Pedagogia e Didattica Marina Pescarmona<br />
12) Maffeo Barberini, un Papa amante delle arti e delle scienze 15<br />
Nel 1623 esce Il Saggiatore dedicato al nuovo Papa Urbano VIII (sempre Maffeo<br />
Barberini) il quale se lo fa leggere compiaciuto mentre pranza. Galileo prova,<br />
grazie alla benevolenza del Papa, a riconquistare le posizione perdute. Nel 1632<br />
pubblica, con tanto di Imprimatur ecclesiastico, il Dialogo sopra i due massimi sistemi<br />
del mondo Tolemaico e Copernicano in cui, in forma dialogica e solo apparentemente<br />
imparziale, va sostenendo la supremazia copernicana irridendo sottilmente<br />
le posizioni tolemaiche avanzate da Simplicio, un nome appositamente scelto.<br />
L’anno seguente il <strong>San</strong>t’Uffizio lo chiama a Roma, lo processa e lo costringe<br />
ad abiurare (la tortura e l’”Eppur si muove” sono leggende posteriori), condannandolo<br />
a recitare per tre anni, una volta a settimana, i sette salmi penitenziali.<br />
Soggiorno obbligato a Siena (nella casa dell’arcivescovo suo amico) seguito<br />
dal permesso di scontare il domicilio coatto nella sua villa di Arcetri, dove,<br />
ormai anziano, viene assistito dalla figlia suor Maria Celeste. Il divieto di uscire<br />
dal luogo è revocato da lì a poco in segno di rispetto perché Galileo, vecchio<br />
e quasi cieco, non ha motivi per lasciare l’agiata residenza.<br />
L’8 gennaio 1642 il grande scienziato si spegne provvisto della benedizione<br />
papale, ha raggiunto l’ età di settantotto anni, se ne va invocando il nome di<br />
Gesù. Il suo corpo viene sepolto non, come vuole la leggenda, nel campanile<br />
del noviziato di <strong>San</strong>ta Croce per l’avversione del <strong>San</strong>t’Uffizio, ma nella chiesa<br />
dove è ancora oggi. Sulla tomba gli viene anche eretto un piccolo monumento<br />
con scolpita una apologia scritta dallo stesso maestro dei novizi dei frati di<br />
<strong>San</strong>ta Croce in Firenze.<br />
Nel 1757 la Chiesa revoca la proibizione di trattare il moto della Terra e toglie<br />
dall’Indice le opere di Galileo. Il 10 novembre 1979, in occasione delle celebrazioni<br />
del primo centenario della nascita di Albert Einstein, Giovanni Paolo<br />
II, di fronte ai membri della Pontificia Accademia delle Scienze, esprimeva<br />
il desiderio di riaprire l’esame della questione galileiana ed il 3 luglio 1981 veniva<br />
istituita una Commissione Pontificia per lo studio della controversia tolemaico-copernicana.<br />
Il 31 ottobre 1992, dopo dieci anni di lavoro, il cardinale Paul Poupard presentò<br />
i risultati delle ricerche. Secondo il cardinale il fatto che Galileo “ebbe<br />
molto a soffrire” e che, quindi, “…..Bisogna riconoscere …..con lealtà, come ha<br />
chiesto Vostra <strong>San</strong>tità” i torti da lui subiti, non impedisce di considerare che<br />
fu in “una congiuntura storico-culturale, ben lontana dal nostro tempo, che i giu-<br />
15 Urbano VIII fu un grande mecenate della stagione del Barocco romano. Videro luce sotto il suo pontificato<br />
palazzi,mura,monumenti, statue, arazzi e mosaici. Fu uomo colto ed abile scrittore di versi in latino. Nel 1625 iniziò<br />
la costruzione del Palazzo Barberini ad opera del Maderno e del Bernini.<br />
86
La verità… QdPD 1 (2008)<br />
dici di Galileo, incapaci di dissociare la fede da una cosmologia millenaria, credettero<br />
a torto che l’adozione della rivoluzione copernicana, peraltro non ancora definitivamente<br />
provata, fosse tale da fare vacillare la tradizione cattolica, e che era loro<br />
dovere proibirne l’insegnamento”. In altri termini, se quei giudici caddero<br />
vittime di un “errore soggettivo di giudizio”, non furono mai mossi da cieca<br />
avversità verso la scienza.<br />
DISCUSSIONE<br />
La verità non può contraddire la verità.<br />
Nessuno potrebbe negare quest’affermazione. Non ci possono essere due<br />
verità che si contraddicono l’una con l’altra: nel nostro caso, la mobilità della<br />
Terra (verità ormai accertata) non può essere incompatibile con la Verità Rivelata.<br />
Ogni volta che la scienza scopre qualcosa di vero questo non può che suscitare<br />
l’interesse della Chiesa e di chiunque voglia conoscere un po’ di più la<br />
realtà. Dio ha reso intelligibile la natura perché la mente umana la possa scoprire<br />
progressivamente e questa conoscenza non può che arricchire il nostro<br />
spirito che si nutre di sapienza umana e divina.<br />
Dalla realtà dei fatti descritti si evince che il centro della disputa verteva su<br />
come interpretare alcune Scritture, se in modo letterale o meno. Come dice la<br />
celebre frase del cardinale Cesare Baronio (1538-1607) “la Bibbia ci insegna come<br />
andare in cielo e non come vanno i cieli.<br />
La Bibbia dunque non è un libro scientifico che si occupa di darci nozioni<br />
sulla natura, non va dunque letto, quando parla di Terra immobile in modo<br />
letterale. L’esegesi biblica è affidata a teologi che studiano appunto il significato<br />
della Parola Rivelata che costituisce per i cristiani sorgente di verità<br />
incontestabile.<br />
La teoria dell’evoluzione ad esempio è ora propagandata, dalla fazione cosiddetta<br />
scientista-atea ed anticlericale, come contraltare della creazione divina.<br />
L’ipotetica (ma probabile) derivazione corporea dell’uomo dalla scimmia<br />
non sarebbe compatibile con l’atto della creazione, con l’esistenza di un Dio<br />
che ha voluto l’emergenza dell’uomo. La Chiesa dotta non risolve la problematica<br />
negando la teoria (non ne avrebbe neanche la competenza) ma mostrando<br />
la compatibilità tra la creazione e l’evoluzione. Dio si serve dei meccanismi<br />
naturali evolutivi per arrivare laddove voleva arrivare: all’uomo. Dio<br />
esercita invece un’azione diretta immettendo l’anima spirituale nel primo uomo,<br />
segnando così una netta separazione, una discontinuità ontologica, tra la<br />
scimmia e l’essere umano.<br />
87
Pedagogia e Didattica Marina Pescarmona<br />
Quando si parla di anima si abbandona la scienza per entrare nella teologia-filosofia,<br />
nessuno scienziato in quanto tale potrebbe portare dimostrazioni<br />
che contraddicano quanto appena detto. L’anima immateriale non è oggetto<br />
della scienza.<br />
I sostenitori della recente teoria dell’ Intelligent <strong>De</strong>sign entrano invece nell’ambito<br />
del materiale e quindi della scienza. Vorrebbero dimostrare che i meccanismi<br />
dell’evoluzione darwiniana non possono aver condotto all’uomo (né<br />
agli altri animali) che sarebbe invece il frutto di un disegno intelligente. Loro<br />
scopo non è quello di caratterizzare il Disegnatore ma di dimostrare la sua necessaria<br />
esistenza evidenziando le lacune (effettivamente esistenti) delle teorie<br />
di stampo darwiniano.<br />
Personalmente ritengo pericoloso appoggiare questa teoria che dà modo<br />
agli scienziati materialisti di scagliare dardi contro la Chiesa imputata di andare<br />
contro la scienza. Il disegno di Dio si può porre sul piano della volontà.<br />
Egli ha voluto l’uomo, il modo con cui questo è materialmente emerso è un<br />
problema che possiamo lasciare interamente agli scienziati.<br />
La verità rende liberi<br />
Sul caso Galileo si continuano a dire cose non vere, che è stato esiliato, torturato<br />
su ordine della Chiesa oscurantista ed antiscientifica. Certamente è<br />
sempre in ogni caso sbagliato processare qualcuno per delle idee scientifiche<br />
giuste o sbagliate che siano, provate o non provate non ha importanza. Non è<br />
stato giusto processare e condannare Galileo, invocare le circostanze storiche<br />
non è mio giudizio sufficiente a sollevare la Chiesa del tempo dalle sue colpe.<br />
Ma non è neanche corretto, e quindi giusto, ergere Galileo a figura martire di<br />
una Chiesa, allora ed ancora oggi, antiscientifica. Galileo sembra aver scelto di<br />
scontrarsi con il <strong>San</strong>t’Uffizio, non rispettando il divieto mettere, nella nuova<br />
edizione delle sue opere, tutti i riferimenti alle Scritture. Ha scelto di propagandare<br />
la sua verità perché per lui era impossibile non farlo. E questo ardore<br />
è comprensibile, lo possiamo provare ogni volta che siamo proprio convinti<br />
di qualcosa, anche se non abbiamo le prove per sostenerne la verità. Galileo<br />
avrebbe potuto evitare ogni guaio evitando lo sconfinamento con la teologia<br />
(peraltro non era neanche il suo campo di pensiero come ad esempio nel caso<br />
di Giordano Bruno) e propagandando il copernicanesimo come un’ipotesi.<br />
Non è stato cauto: è stato prorompente, a volte irridente (vedi la scelta del nome<br />
Simplicio nel Dialogo), disubbidente, insomma non ha voluto evitare le conseguenze<br />
che ben poteva immaginare.<br />
Ma Galileo è morto invocando Gesù, questo i paladini del “Galileo vittima<br />
della Chiesa oscurantista” non lo dicono, non fa comodo immaginare il gran-<br />
88
La verità… QdPD 1 (2008)<br />
de scienziato inginocchiato a pregare. Eppure egli aveva una fede che non è<br />
stata neanche un po’ incrinata dalle vicende alle quali è andato incontro. Galileo<br />
è rimasto libero di pensare fino alla fine a quello in cui credeva: la Terra<br />
che si muove e Gesù sceso in terra a salvarci.<br />
L’esortazione è allora quella di non fidarsi a priori dei giudizi altrui che<br />
a volte, più che giudizi, sono pregiudizi. Cercare la verità rende liberi, liberi<br />
di scegliere le nostre e solo nostre posizioni. Il pregiudizio è la prigione<br />
che bisogna evitare.<br />
Libertà e giustizia<br />
Non c’è giustizia senza libertà. Suona bene, ma è sempre così? È davvero<br />
sempre giusto lasciare ad esempio libertà di parola, opinione, azione? Se ci<br />
trovassimo, ai giorni nostri, davanti a qualcuno che va propagandando una<br />
teoria su quanto sia giusto sterminare gli ebrei, sarebbe questo lecito? Ovviamente<br />
no. Ma le cose possono non essere sempre così chiare, il confine tra lecito<br />
ed illecito non è sempre definito. Un campo in cui emerge chiaramente la<br />
labilità di questo confine è quello della bioetica, una scienza fondata in tempi<br />
recenti in seguito alle nuove possibilità d’intervento umano sulla natura.<br />
È giusta la fecondazione artificiale? Chi stabilisce i confini del lecito e giusto?<br />
La società umana, la società che nel tempo è cambiata molto dai tempi di<br />
Galileo e che ancora cambierà. Non ci sono regole condivisibili in ogni tempo<br />
ed in ogni luogo, per questo la questione bioetica è davvero spinosa, non ha<br />
la possibilità di validazione universale che ha la scienza.<br />
La Chiesa però delle certezze le ha, e queste certezze, non opinioni (proprio<br />
come la Terra che si muove per Galileo ) vuole con forza proporre. Con la forza<br />
di chi sa d’aver ragione si trova la Chiesa di oggi a mettere dei paletti al relativismo<br />
tanto temuto da Papa Benedetto XVI.<br />
89
Pedagogia e Didattica Marina Pescarmona<br />
BIBLIOGRAFIA<br />
R. CAMILLERI, Il caso Galileo, Novara 2004.<br />
F.S. COLLINS, Il linguaggio di Dio: Alla ricerca dell’armonia fra scienza<br />
e fede, Milano 2007.<br />
N. FABBRI, Cosmologia ed armonia in Kepler e Mersenne: contrappunto<br />
a due voci sul tema dell’Harmonice mundi”, Firenze 2003.<br />
K. FERGUSON, L’uomo dal naso d’oro: Tycho Brahe e Giovanni Keplero:<br />
La strana coppia che rivoluzionò la scienza, Milano 2003.<br />
L. GEYMONAT, Storia del pensiero filosofico e scientifico, Milano 1995.<br />
M. GLIOZZI, Storia della fisica (a cura di Alessandra e Ferdinando Gliozzi), Torino<br />
2005.<br />
A. KOYRE’, Studi galileiani, Torino 1979.<br />
P. ROSSI, La nascita della scienza moderna in Europa, Bari 2005.<br />
J.J. SANGUINETI, Scienza Aristotelica e Scienza Moderna, Roma 1992.<br />
90
La Prosopopea delle leggi QdPD 1 (2008)<br />
Strumenti per la didattica modulare del greco<br />
Percorso Tematico<br />
La Prosopopea delle Leggi<br />
ManueLa ReveLLo<br />
uno dei più fortunati canovacci didattici utili alla discussione sui temi della<br />
giustizia e della libertà è senza dubbio il Critone di Platone. Su questo dialogo<br />
socratico ho dunque dapprima progettato, poi sperimentato, una unità Didattica<br />
di cui offro un saggio che possa costituire spunto di riflessione e piattaforma<br />
di lavoro per insegnanti ed educatori.<br />
<strong>De</strong>stinatari: alunni II liceo classico<br />
Prerequisiti:<br />
1) Padronanza della morfo-sintassi greca nelle sue strutture fondamentali<br />
2) Conoscenza della figura di Socrate nel suo contesto storico<br />
3) Conoscenza generale dell’opera di Platone<br />
Contenuti:<br />
Il problema della violazione delle leggi<br />
Il contratto tra leggi e cittadino<br />
91
Pedagogia e Didattica Manuela Revello<br />
Testo principale:<br />
Platone, Critone, 50a-51c<br />
Testi di supporto:<br />
aristofane, Nuvole, 1400-65<br />
Platone, Protagora, 325c-326e<br />
Tucidide, Epitafio di Pericle, II, 37,1-3<br />
<strong>De</strong>mostene, Contro Midia, 223-224<br />
Lisia, Per l’uccisione di Eratostene, 34-36 e 47-50<br />
versioni del Critone di Manara valgimigli e di Maria Michela Sassi<br />
Strategia didattica:<br />
alla presentazione dell’argomento seguono traduzione e commento linguisticoletterario,<br />
con confronti, in modalità frontale-interattiva. In modalità laboratoriale<br />
si svolge invece la traduzione contrastiva con dibattito/riflessione guidata dall’insegnante.<br />
Successiva al laboratorio la somministrazione della verifica.<br />
Strumenti:<br />
Testo greco del Critone e testi di supporto<br />
Fotocopie del materiale non presente nei manuali scolastici<br />
vocabolario di greco<br />
Manuale di grammatica e sintassi greca<br />
Dizionario etimologico e schede lessicali<br />
Obiettivi:<br />
Saper analizzare e tradurre i passi del Critone 50a-51c<br />
Saper illustrare il significato del rapporto tra leggi e cittadino espresso nel Critone<br />
Saper individuare gli snodi argomentativi nel discorso delle Leggi<br />
Verifica:<br />
Tipologia: semistrutturata<br />
L’alunno deve individuare e/o commentare parole-chiave inerenti alla retorica<br />
e al metodo socratico tratte dal Discorso delle Leggi<br />
Durata: 7 ore comprensive di verifica e riconsegna elaborati<br />
I destinatari risultano normalmente già informati circa la figura di Socrate nel<br />
suo contesto storico, e ricordano bene anche Platone, affrontato nel precedente<br />
anno scolastico attraverso la programmazione di filosofia: prerequisiti indispensabili<br />
alla messa in pratica della presente unità Didattica. L’argomento va<br />
92
La Prosopopea delle leggi QdPD 1 (2008)<br />
introdotto attraverso una breve sintesi del quadro storico-culturale dell’atene<br />
del v secolo a.C. - funzionale anche ad una verifica immediata di tali prerequisiti<br />
– mentre il cuore dell’unità Didattica è il problema del “contratto” tra<br />
leggi e cittadino.<br />
In una sequenza di quattro lezioni, vengono trasmessi i meccanismi del discorso<br />
socratico commentando dettagliatamente la Prosopopea delle Leggi, corrispondente<br />
al passo 50a-51c del Critone, integrandola e confrontandola con altri passi<br />
significativi della letteratura greca aventi come tema il rapporto fra leggi e<br />
cittadino. Per completare il percorso, l’ultimo incontro deve svolgersi in modalità<br />
laboratoriale, proponendo la traduzione contrastiva del passo, attraverso il<br />
confronto fra traduzioni di autori ed epoche diverse. Lo scopo di tale attività è<br />
duplice: sviluppare negli allievi l’abilità nel rintracciare snodi significativi all’interno<br />
di un discorso argomentativo e consentire al docente di ricevere un feedback<br />
su quanto essi progressivamente maturano. Quindi, dopo tre lezioni e<br />
un laboratorio, va somministrata una verifica di tipo semistrutturato, seguita<br />
da un incontro per la riconsegna degli elaborati corretti e valutati.<br />
testi Platone, Critone, 50a-50c<br />
Platone, Protagora, 325c-326e (in italiano)<br />
aristofane, Nuvole, 1400-1465 (in italiano)<br />
contenuti metodo dialogico<br />
cornice del Critone<br />
il “vivere bene”<br />
procedimenti retorici<br />
patria e cittadino<br />
padri e figli<br />
strategia modalità frontale-interattiva<br />
obiettivi - saper analizzare e tradurre Critone 50a-50c<br />
- saperne individuare i principali snodi argomentativi<br />
- saper illustrare il ruolo dell’educazione in Grecia<br />
durata 120’<br />
Prima Lezione<br />
IL PROBLEMA DELLA VIOLAZIONE DELLE LEGGI<br />
93
Pedagogia e Didattica Manuela Revello<br />
Il ruolo dell’insegnante è inizialmente quello di ripercorrere la biografia di<br />
Platone insieme agli allievi valorizzando e mettendo in ordine ciò che essi già<br />
conoscono del metodo socratico: esso, che fu in seguito adottato da diverse<br />
scuole filosofiche – soprattutto la platonica, l’aristotelica e la stoica – si basava<br />
sulla discussione attraverso (dia/) il ragionare (le/gesqai), procedendo di<br />
riduzione in riduzione fino alla premessa non più oppugnabile, necessariamente<br />
convincente perché non contraddittoria e – soprattutto – “con-ragionata”<br />
(o¸mologi¿a). Il dialogo è una scelta espressiva, con cui Platone «si liberava<br />
dall’obbligo di identificarsi con la verità delle conclusioni o con l’esattezza<br />
dell’argomentare» 1 . La forma dialogica consentiva la compresenza di una<br />
pluralità di punti di vista, e ogni discorso risulta un momento di grande dignità,<br />
in cui colui che parla è portatore di una parte di verità, utile al raggiungimento<br />
completo di essa: ogni lo¿goj costituisce una tappa proficua del percorso<br />
di ricerca. Si deve poi parlare della versatilità del dialogo, che consentiva al<br />
filosofo – nella sua convinzione dell’inferiorità del discorso scritto rispetto al<br />
parlato 2 - di «sfuggire alla mutila fissità del trattato» 3 , permettendo – attraverso<br />
il sistema di domanda e replica – di sviscerare un problema nei suoi<br />
molteplici aspetti. Soprattutto, l’articolazione dialogica rispondeva alla necessità<br />
paradigmatica di riprodurre l’esplorazione filosofica: in altre parole il<br />
diale/gesqai, sul modello della conversazione filosofica, conduceva passo<br />
passo allo snodarsi dell’argomentazione, mostrando attraverso quali procedimenti<br />
andava condotta la ricerca del sapere 4 .<br />
In questo dialogare Critone tenta di persuadere il filosofo a fuggire, facendo<br />
anche appello all’opinione della gente che scorgerà nel comportamento di<br />
Socrate e dei suoi amici codardia e viltà per la mancata fuga. Socrate non<br />
respinge questo invito perché la legge lo vieta, ma pone una questione preliminare,<br />
e cioè la necessità di stabilire se la fuga è giusta, oppure se non lo è.<br />
Socrate rifiuta di agire a caso, come farebbero oi¸ polloi¯, e conduce grada-<br />
1 Ibidem, p. 113.<br />
2 nel Fedro Platone fa dire a Socrate che «chi crede di tramandare un’arte con la scrittura […] deve essere ricolmo<br />
di molta ingenuità […]» perché i discorsi scritti «se domandi loro qualcosa di ciò che dicono con l’intenzione<br />
di apprenderla, questo qualcosa suona sempre e solo identico. E, una volta che è scritto, tutto quanto il discorso rotola<br />
per ogni dove, finendo tra le mani di chi è competente così come tra quelle di chi non ha niente da spartire con<br />
esso, e non sa a chi deve parlare e a chi no. Se poi viene offeso e oltraggiato ingiustamente ha sempre bisogno dell’aiuto<br />
del padre, poiché non è capace di difendersi da sé, né di venire in aiuto a se stesso». Cfr. 275d-e, traduzione<br />
di u. Bultrighini, in MaLTeSe 20052 , II, p. 509.<br />
3 nIeDDu 1992, p. 574. Tra i passi più celebri inerenti al problema della parola scritta nel pensiero di<br />
Platone, vorrei ricordare quello sul mito delle cicale incantatrici, ancora nel Fedro, 258e-259d; quello su<br />
comunicabilità e principi dell’epistéme, nella Lettera vII, 342a e quello sull’immobilità della scrittura, ancora<br />
nella Lettera vII, 342e-343a.<br />
4 Cfr. <strong>San</strong>DBaCH 20073 , p. 113, ma soprattutto – per l’opposizione fra epidissi-retorica-macrologia e dialettica-brachilogia<br />
- aDoRno 1968, pp. 7-14.<br />
94
La Prosopopea delle leggi QdPD 1 (2008)<br />
tamente Critone a concordare con le opinioni via via sostenute: innanzitutto,<br />
che ou© to\ zh½n peri\ plei¯stou poihte¯on a©lla\ to\ euÅ zh½n (48b), in secondo<br />
luogo, che ou©damw ½j aÃra deÍi a©dikeiÍn, w ¨j oi¸polloiÜoiÃontai (49b),<br />
ossia che è importante non tanto vivere, quanto vivere bene, e che in nessun<br />
caso va commessa ingiustizia, come pensa la gente. Solo dopo questa introduzione,<br />
è opportuno procedere con la lettura e l’analisi del passo 50a-51c, spiegando<br />
ai ragazzi che sarà affrontato il cuore dell’argomentazione socratica<br />
interna al Critone.<br />
Si comincerà, dopo una prima lettura, con il soffermarsi sul senso del verbo<br />
skope¯w , ricordando quanto esso sia fondamentale nell’indagine socratica, dal<br />
momento che indica la riflessione, volta ad osservare la realtà da angoli visuali<br />
diversi: Socrate, per convincere il suo interlocutore dei propri argomenti a<br />
favore di una accettazione della condanna a morte, invita Critone a prendere<br />
in considerazione un’altra prospettiva.<br />
Scheda lessicale: skope¯w<br />
Ci sarebbero due spiegazioni circa la formazione del tema verbale skope: 1) al<br />
grado forte della radice fu aggiunto un ampliamento in -e, con originario valore<br />
iterativo-causativo 2) si tratta di un denominativo da skopo¿j, ouÍ, “osservatore”<br />
e anche “spia”. In ogni caso sembra vada ricondotto a ske¿ptomai, forma<br />
più rara in attico, col senso di “volgere lo sguardo verso qualcosa, considerare,<br />
esaminare” e che nel greco moderno significa “esaminare, meditare”. Fra i suoi<br />
derivati, si può ricordare ske¯y ij, “vista, osservazione, considerazione. Si è supposta<br />
un’originaria forma *skep-yo-mai, che risponde al latino specioV, oltre che<br />
a forme del sanscrito e dell’avestico. Il nome skopo¿j, da cui potrebbe essersi<br />
formato skope¯w , potrebbe rispondere al sanscrito spáša-, “guardare”. nelle lingue<br />
germaniche si è verificata una specializzazione per esprimere la nozione<br />
della profezia: ad es. nel norvegese spaVr, “che predice” (si risalirebbe ad un<br />
indoeuropeo *spoko-) e spaV, “predizione”. Secondo il Benveniste, un tema *sp-ek<br />
potrebbe confrontarsi con la radice *sep- del sanscrito sápati, “mostrare rispetto”.<br />
In italiano, si possono ricordare termini quali scopo e scettico, oltre a composti<br />
come microscopio, periscopio, telescopio, oroscopo. Per completezza, e per tenere vivi<br />
l’interesse e la memoria degli alunni per il lessico, va colta sempre l’occasione<br />
per ricordare anche altri verbi che in greco esprimono l’idea del vedere: utilissimo<br />
a tale scopo lo studio di B. Snell, che ha osservato quanto numerosi fossero<br />
- per necessità della lingua antica estranee a quella più recente - questi verbi in<br />
omero: o¸raÍn, i©deiÍn, leu¯ssein, a©qreiÍn, qeaÍsqai, ske¯ptesqai, oÃssesqai,<br />
dendi¯llein, de¯rkesqai, paptai¯nein, mentre dopo di lui troviamo, a sostituirli,<br />
soltanto ble¯pein e qew reiÍn. Cfr. SneLL 2002 (1963), pp. 22-24.<br />
95
Pedagogia e Didattica Manuela Revello<br />
Dopo aver letto e tradotto la formulazione dell’ipotesi, da parte di Socrate, che<br />
le Leggi stesse gli rivolgano la parola, va evidenziato il costrutto del participio<br />
presente di me¯llw , qui espresso in dativo e concordato con h¸miÍn, che regge<br />
l’infinito a©podidra¯skein e che si può considerare analogo alla perifrastica<br />
attiva latina. Si deve poi far notare agli allievi che ci troviamo di fronte ad un<br />
periodo ipotetico, in cui l’ottativo aoristo di eÃromai, collegato all’iniziale ei), è<br />
la protasi della possibilità, mentre l’apodosi la si trova un po’ più avanti, subito<br />
dopo il discorso diretto delle Leggi, precisamente nella locuzione<br />
ti¯e©rouÍmen.<br />
5 Cfr. MaMone 1955, p. 32.<br />
6 Socrate infatti non intende rispondere con l’ingiustizia all’ingiustizia, ossia recare danno ed offesa alla<br />
patria, «che è pur sempre quella lo ha condannato e che in questi frangenti, come non mai, è in preda ai<br />
mestatori e ai profittatori». Cfr. GIaRDInI 2005 2, p. 126.<br />
96<br />
Scheda lessicale: eÃromai<br />
ancora senza una precisa spiegazione riguardo l’etimologia, è uno dei diversi<br />
presenti, insieme a e©re¯w , eiÃromai, e©reei¯nw , e©reuna¯w , e©rw ta¯w ,indicanti<br />
l’idea del domandare, del chiedere, dell’interrogare. all’origine di queste forme<br />
sono stati supposti un radicale *e©rF- e un radicale *e©reF-. In particolare, il<br />
verbo e©reuna¯w e i suoi derivati esprimono la nozione di “inchiesta, ricerca”,<br />
mentre con e©rw ta¯w si indica il “porre delle questioni”. Il greco moderno<br />
impiega ancora eÃreuna nel senso di “investigazione, perquisizione”, mentre<br />
e©reunw =significa “esaminare, esplorare” e e©rw tw = “esaminare, esplorare”.<br />
L’etimologia resta ignota, anche se un confronto è stato fatto tra e©reuna¯w e la<br />
voce norvegese raun, “tentativo, prova, esplorazione”.<br />
andrebbe conferita particolare enfasi al verbo a©podidra¯skein, spiegando che<br />
si tratta di un verbo ignominioso, perché nel mondo greco era usato in riferimento<br />
agli schiavi e ai disertori: Socrate stesso sembra volerne attenuare l’impatto<br />
attraverso l’inciso eiÃq’ oÐpw j dei= o©noma¯sai tou=to 5 , ma la connotazione<br />
negativa resta, e allude all’atto vergognoso di venir meno ai propri doveri<br />
di cittadino 6 .
La Prosopopea delle leggi QdPD 1 (2008)<br />
Scheda lessicale: a©podidra¯skw<br />
Da un tema draV- alternante con draVp-: l’origine di quest’ultimo sembra inspiegabile,<br />
anche se si è tentato un confronto con il sanscrito draVpaiaty, verbo causativo<br />
che significa “far correre”. Il tema di eÃdraVn si ritrova invece nel presente<br />
radicale atematico del sanscrito dráti, “egli fugge”: la radice sarebbe *der, da cui<br />
*dr-e 2- . altri temi sarebbero *dre-w-, riscontrabile nel sanscrito drávati, *dr-em-,<br />
nel sanscrito dramati, confrontabile con drameiÍn, usato come aoristo nella<br />
coniugazione di tre¯xw . Da ricondurre a didra¯skw sono forme come<br />
drape¯thj, “disertore, fuggiasco”, drasmo¯j, “fuga”, aÃdrastoj, “che non<br />
fugge” o “che non cerca di fuggire (a)- privativo). Il suffisso -skw sottolinea il<br />
processo necessario per realizzare la fuga. Le forme verbali presentano tutte il<br />
preverbo a)po-.<br />
Congiuntamente all’analisi linguistica, va fortemente sottolineato il procedimento<br />
retorico della prosopopea delle Leggi, ossia il colpo di scena attraverso<br />
cui le Leggi personificate bloccherebbero Socrate in fuga per rivolgergli una<br />
serie di domande: è lo snodo argomentativo fondamentale dell’intero dialogo<br />
7 . Si devono invitare i ragazzi a considerare la potenza visiva e l’efficacia<br />
drammatica di questo procedimento, ricordando loro che secondo alcuni studiosi<br />
è più che appropriato il paragone con le consuetudini teatrali, in quanto<br />
le Leggi assumono la stessa funzione che ha il deus ex machina nel dramma<br />
greco: il coup de thea½tre che risolve in modo definitivo e indiscutibile la situazione<br />
8 . va fatto inoltre notare che nella locuzione oi¸no¯moi kai\ to\ koino\n<br />
thÍj po¯lew j le leggi sono considerate in perfetto accordo con la collettività,<br />
formando un unico organismo giuridico e politico 9 capace, nella finzione<br />
“teatrale”, di presentarsi a Socrate (azione espressa dal participio aoristo fortissimo<br />
di e)fi¯sthmi) e di parlargli: è la po¯lij, che parla.<br />
Da mettere in evidenza è anche l’immediato tono inquisitorio, il ritmo incalzante,<br />
in una sorta di “processo alle intenzioni” iniziato con la domanda ti¯e)n<br />
7 Si potrebbe fare una distinzione tra prosopopea e personificazione: quest’ultima, molto cara alla letteratura classica,<br />
consisterebbe nel conferire attributi umani a idee astratte (la Giustizia, la Fede, la Fama, etc.), a fenomeni<br />
della natura (la notte, le Stelle, etc.), a oggetti inanimati, ad animali. La personificazione è spesso associata<br />
all’allegoria. Secondo alcuni, sarebbe più corretto dire prosopopea quando l’autore fa parlare oggetti personificati<br />
o persone defunte. Da pro¿sw pon, “volto” e poie¯w , “faccio”. Cfr. anTISeRI et al. 1993, p. 1305.<br />
8 Cfr. SaSSI 19988 , pp. 84-85, ma specialmente nIeDDu 1992, pp. 578-580.<br />
9 Sono stati sollevati problemi di traduzione e di interpretazione riguardo alla formula oi¸ no¯moi kai\ to\<br />
koino\n thÍj po¯lew j. Secondo CaLoGeRo 1984, pp. 260-263, essa indicherebbe la costituzione giuridica<br />
ateniese nel suo complesso, mentre per molti critici anglosassoni la locuzione equivarrebbe a “the laws<br />
and the commonwealth”. Cfr. IoPPoLo 1996, p. 135, nota 32 (con bibliografia).<br />
97
Pedagogia e Didattica Manuela Revello<br />
n% ½ eÃxeij poiei=n; corrispondente al latino in animo habere, seguita dalla formula<br />
interrogativa aÃllo ti hÄ; colloquiale, traducibile letteralmente con<br />
“qualche altra cosa o…?”, ma equivalente per il senso al latino nonne, da cui<br />
aspettarsi una risposta affermativa: secondo le Leggi, Socrate avrebbe intenzione<br />
di “mettere mano” - e©pixeireiÍn 10 - alle leggi stesse e di distruggere –<br />
a)pole¯sai- l’intera città. In tale contesto mi è parso opportuno sottolineare<br />
l’espressione-chiave to¯so\n me¯roj, in quanto essa mette in chiaro che ogni<br />
cittadino ha una pesante responsabilità dal momento che può, con i suoi comportamenti,<br />
contribuire a vanificare la struttura giuridica della città.<br />
Contestualmente alla traduzione, va fatto presente che la proposizione relativa<br />
introdotta da e)n$Òha come antecedente e)kei¯nhn th\n po¯lin, spiegando che<br />
tutta la domanda intende mettere in risalto l’impossibilità di resistere, per una<br />
po¯lij in cui ai¸di¯kai, le sentenze, vengano rese aÃkuroi, cioè deboli,<br />
u¸po¯tw =n i¹diw tw =n, dai privati cittadini: solo l’e¹kklhsiā aveva la facoltà di<br />
concedere la grazia ai condannati, quindi l’iniziativa personale, arbitraria, che scavalcava<br />
le autorità competenti, costituiva un fatto molto grave 11 . È inoltre utile, ai<br />
fini della messa in rilievo dei procedimenti retorici, far notare agli alunni il senso<br />
di giustizia conferito alle sentenze: in quanto tali, esse non possono che essere giuste,<br />
dunque indicate con la stessa parola di¯kh, e che non a caso si ritrova spesso<br />
la sua radice nel corso di una lettura così ricca, appunto, di figure etimologiche.<br />
Per le stesse ragioni, andrebbe anticipato che anche l’idea contenuta nel<br />
termine aÃkuroi (a)-privativo + ku=roj, “potenza, autorità”, confrontabile con<br />
ku¯rioj, “padrone”) si ripropone qualche riga più avanti, a rafforzare la contrapposizione<br />
tra efficacia e inefficacia delle sentenze emanate dalla po¯lij.<br />
In effetti, nel mondo greco questo sostantivo sembra impiegato in due modi differenti:<br />
in omero è assai raro e indica “la regola, l’uso”, ed è pure attestato un avverbio<br />
di¯khn nel senso di “alla maniera di”. Questo primo uso è parallelo a quello<br />
di qe¯mij, però con una sfumatura diversa. un secondo uso ha visto passare dalla<br />
nozione di “regola, uso” a quella di “giustizia”, da un punto di vista prevalentemente<br />
umano, a differenza di qe¯mij, anche in opposizione a biā. La giustizia<br />
appare poi personificata in esiodo, in Pindaro, in eschilo. un particolare impiego è<br />
quello della giustizia “proferita”, ossia il giudizio, che può essere giusto o sbagliato.<br />
10 Chiara la derivazione del composto dal sostantivo xei¿r, xeiro¿j (probabilmente da *ghersr-): l’idea della<br />
violenza appare ancora più accentuata. Per l’etimologia, cfr. CHanTRaIne 1999 (1968), p. 1252.<br />
11 Sull’istituzione ateniese dell’ e¹kklhsiā si veda la raccolta di articoli in HanSen 1983, una parte dei<br />
quali riguardanti il Iv secolo.<br />
98<br />
Scheda lessicale: di¯kh
La Prosopopea delle leggi QdPD 1 (2008)<br />
va messo fortemente in rilievo il verbo o¸mologe¯w , “essere d’accordo”, ricordando<br />
che per la ricerca socratica è condizione indispensabile che gli interlocutori<br />
proseguano il dialogo solo dopo aver raggiunto la o¸mologiā, “concordanza,<br />
consenso” sui singoli punti, attraverso la persuasione 12 : tra Socrate e<br />
le Leggi c’è un accordo per cui esse gli hanno garantito aiuto e protezione in<br />
cambio della sua totale ubbidienza 13 . va spiegato che proprio il richiamo<br />
all’o¸mologiā rende cruciale questo snodo argomentativo, in quanto tutto il<br />
resto della prosopopea trae ragion d’essere ed efficacia da questo assunto iniziale,<br />
in cui le Leggi sono un vero e proprio contraente 14 .<br />
Scheda lessicale: o¸mologiā<br />
Fondamentale nel lessico dell’indagine socratica, il sostantivo è composto da<br />
o¸mo¯j, “identico, uguale” (radice indoeuropea *somo- che in greco ha dato l’esito<br />
o¸m-e in latino sim-, cfr. similis) e lo¯goj: per bocca delle Leggi, Platone enuncia<br />
l’intero metodo della discussione, perché da questo riconoscimento si potrà<br />
procedere alla necessaria ske¯y ij, “la riflessione”, da cui verrà poi la<br />
bou¯lesij, ossia la “deliberazione”. Cfr. GIaRDInI 20052 , p. 126, nota 16.<br />
Quanto all’etimologia di o¸mo¯j, già accennata, sembra si tratti di qualcosa di<br />
molto antico: nella vastità dei confronti possibili, ricordo qui il sanscrito samá-<br />
“uno, lo stesso”, persiano hama-, germanico samr, sami, gotico sa, sama, antico<br />
irlandese –som. La radice va ricondotta ad un concetto esprimente l’unità e<br />
l’identità, riscontrabile con diversi vocalismi in parole quali eiÒj, aÐma, a¸copulativo,<br />
eÐteroj, *a¸moj.<br />
12 Sull’importanza della persuasione, pure personificata nella dea P eiqw ¿, si veda RICCIaR<strong>De</strong>LLI 2003,<br />
pp. 203-204 (con bibliografia).<br />
13 al compimento dei diciotto anni, era prevista per i figli di cittadini ateniesi la dokimasi¿a, un esame dei<br />
requisiti fisici e giuridici a cui si veniva sottoposti per ottenere l’iscrizione nei registri del demo: cfr. IoP-<br />
PoLo 1996, p. 137, nota 44. Chi non avesse gradito questi ordinamenti, poteva andare in una delle colonie<br />
dove, come cittadino della madrepatria, avrebbe goduto di particolari privilegi. Se si sceglieva una<br />
destinazione totalmente straniera, atene continuava comunque a proteggere i propri nativi, più o meno<br />
come proteggeva i meteci. Si ricordi l’istituto della proxenia, per cui cfr. GuaRDuCCI 1987, p. 124. Il<br />
punto importante da rilevare è che chi rimaneva, avendo avuto libera scelta, si impegnava da quel<br />
momento ad accettare e ad osservare tutti gli ordinamenti della città. Cfr. GIaRDInI 2005 2, pp. 129-130,<br />
nota 18.<br />
14 Si tratta di una forte innovazione, attuata per mezzo di un’inversione che tende a polemizzare nei confronti<br />
delle teorie etico-giuridiche propugnate da antifonte. Cfr. CaLoGeRo 1984, pp. 257-261, oltre che<br />
IoPPoLo 1996, pp. xxx-xxxi.<br />
99
Pedagogia e Didattica Manuela Revello<br />
Gli alunni devono essere sollecitati ad individuare un altro importante procedimento<br />
retorico, quello dell’ironia: le Leggi ordinano a Socrate di non meravigliarsi<br />
(mh\ qau¯maze) di ciò che esse dicono ma di rispondere (a¹pokri¯nou),<br />
dal momento che egli è eiÃw qaj, cioè “abituato”, a xrh=sqai t% = e¹rw ta=n te<br />
kai\ a¹pokri¯nesqai, cioè “impiegare il (metodo del) domandare e (del)<br />
rispondere”. va quindi evidenziato come le Leggi ritorcano contro Socrate il<br />
metodo maieutico 15 da lui stesso creato, qui indicato da Platone con i due infiniti<br />
presenti sostantivati dall’articolo 16 (in dativo perché retti da xraōmai,<br />
analogamente al latino utor + ablativo) e connessi dal gruppo te kai\, ad esprimere<br />
l’intrinseca unità del metodo dialettico socratico.<br />
15 Come è noto l’arte della maieutica aiuta a partorire, e anche Socrate - figlio di una levatrice - la possiede,<br />
pur con delle differenze: per i passi più significativi sulle proprietà di tale arte, cfr. Teeteto, 149b-150a;<br />
150b; 210c; 150c-d; 157c-d; 161e-162a; 210b-d. altri passi, relativi soprattutto all’analogia tra il processo<br />
della conoscenza e la procreazione e la generazione, sono Simposio, 206e, 207e-208e, 209b; Fedro, 251e; La<br />
Repubblica, vI,490b e vII, 518c.<br />
16 ampiamente sottolineato il rapporto strettissimo tra lingua e formazione dei concetti in SneLL 2002<br />
(1963), pp. 313-314, al capitolo intitolato “La formazione dei concetti scientifici nella lingua greca”: questi si<br />
sarebbero «sviluppati proprio dalla lingua in modo organico»: l’esistenza dell’articolo determinativo è<br />
uno dei fondamentali punti di partenza per la possibilità stessa di un qualsivoglia concetto scientifico<br />
(ibidem, anche pp. 315-319, e il discorso si allarga alle forme nominali del verbo fino a p. 321). La lingua<br />
filosofica avrebbe inoltre contribuito, in questa tendenza alla formulazione chiara e precisa, a far sorgere<br />
nel v secolo un gran numero di astratti in -sij, compiendo un’evoluzione che – appunto per amore<br />
di chiarezza concettuale – era già cominciato nella lingua primitiva (ibidem, p. 322).<br />
100<br />
Scheda lessicale: eiÃw qaj<br />
Si tratta di un perfetto, a vocalismo allungato, da un ipotetico presente *eÃqw , da<br />
radice indoeuropea *swedh-. L’esito sarebbe dovuto ai passaggi sFeq- > e¹q- /<br />
h¹q- / w ¹q- (cfr. eÓqoj, “abitudine, uso”, hÕqoj, “uso, carattere”). Confrontabile il<br />
latino suesco, “essere solito”, assuesco, “abituare”, consuetus, etc.<br />
Proseguendo nella lettura, contestualmente alla traduzione va fatta notare la<br />
ripresa dei concetti di “metter mano” e “distruggere”, già visti più indietro, fino<br />
ad incontrare un nuovo snodo argomentativo, realizzato tramite l’interrogativa<br />
retorica introdotta dalla congiunzione negativa proclitica ou¹(analoga al latino<br />
nonne), il cui fulcro è costituito dall’indicativo aoristo del verbo genna¯w : le Leggi<br />
sostengono di aver generato esse stesse Socrate, dal momento che presiedono<br />
anche alla regolamentazione dei matrimoni (oi¨ no¯moi oi¨ peri\ tou¯j ga¯mouj).
La Prosopopea delle leggi QdPD 1 (2008)<br />
17 Cfr. IZZo D’aCCInnI 1989 14 , pp. 98-99.<br />
18 Cfr. PIeRI 1993, p. 129.<br />
Scheda lessicale: genna¯w<br />
La radice, come è noto, indica il concetto della “generazione” (cfr. ge¯noj, “stirpe”),<br />
ed è largamente e chiaramente attestata in numerose lingue indoeuropee<br />
secondo l’apofonia gen, gon, gn, variamente ampliabile da elementi suffissali.<br />
Il verbo genna¯w si classifica come denominativo di ge¯nna e funziona come un<br />
fattitivo del presente a raddoppiamento gi¯gnomai, “nascere”: il senso è dunque<br />
quello di “riprodurre, generare”, soprattutto in relazione alla paternità, e la<br />
forma genne¯santej indica “i genitori”.<br />
Il punto va enfatizzato spiegando che nel discorso delle Leggi viene stabilito che<br />
ogni azione umana possiede un carattere politico, in quanto si inserisce in una<br />
comunità dalla quale l’uomo non può prescindere 17 . al termine della domanda,<br />
pertanto, le Leggi ordinano a Socrate di spiegare - fra¯son, imperativo aoristo<br />
di fra¯zw - se abbia qualcosa da rimproverare loro - me¯mf$, indicativo presente<br />
di me¯mfomai - “cioè che non vanno bene”: espressione, quest’ultima,<br />
resa da Platone con w ¨j ou¹ kalw =j eÃxousin, dove l’uso di kalo¯j indica ciò<br />
che si conforma ad un valore, piuttosto che a un ideale di bellezza esteriore 18 .<br />
Scheda lessicale: fra¯zw<br />
In diatesi attiva il senso è quello di “far comprendere, indicare” attraverso i<br />
segni o la parola, “spiegare” ciò che si pensa o che si vuole dire. In omero indica<br />
anche il “parlare”, per farsi capire, “dire, annunciare”. In diatesi media<br />
esprime il “pensare, riflettere, essere di un avviso, meditare, immaginare”.<br />
L’etimologia non è ben ricostruibile, se non ipotizzando un radicale frad- che,<br />
nell’aoristo pe¯frade, doveva presentare un vocalismo ridotto. La dentale<br />
andrebbe pensata come una espansione, mentre nella vocale andrebbe visto<br />
l’esito di un’antica sonante lunga */ n@/: si sarebbe così originata una forma<br />
frh¯n, di cui fra- rappresenterebbe il grado zero.<br />
Socrate affermerebbe – fai¯hn aÃn, con ottativo presente di fhmi¯– di non aver<br />
nulla da rimproverare alle Leggi (ou¹ me¯mfomai), ed esse incalzano con una<br />
nuova domanda, alla quale Socrate è costretto a rispondere positivamente:<br />
“kalw =j”, fai¯hn aÃn. Infatti le Leggi gli hanno appena ricordato che lui, una<br />
volta generato, è stato da loro allevato ed educato, in quanto a ciò preposte –<br />
101<br />
1<br />
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1<br />
1
Pedagogia e Didattica Manuela Revello<br />
tetagme¯noi, participio perfetto di ta¯ssw - ordinando a suo padre –<br />
paragge¯llontej t% = patri\– di provvedere alla sua istruzione 19 .<br />
La lettura e il commento linguistico andranno sospesi in maniera congrua per proporre<br />
ai ragazzi due testi di supporto: un breve passo tratto dal Protagora 20 e pochi<br />
versi dalle Nuvole di aristofane 21 . Contestualmente alla lettura del primo, va spiegato<br />
che si tratta di una fonte importante, dello stesso Platone, che ci illustra diversi<br />
aspetti inerenti all’educazione nel mondo ateniese 22 ; la lettura del secondo – che<br />
può rivelarsi utile anche per concludere la prima lezione in un’atmosfera distesa –<br />
servirà a ricordare sia l’esistenza di una letteratura antisocratica 23 , sia una serie di<br />
testimonianze non platoniche su Socrate 24 .<br />
102<br />
Seconda Lezione<br />
testi Platone, Critone, 50e-51c<br />
Tucidide, La Guerra del Peloponneso, II, 37,1-3 (in italiano)<br />
<strong>De</strong>mostene, Contro Midia, 223-224 (in italiano)<br />
Lisia, Per l’uccisione di Eratostene, 34-36; 47-50 (in italiano)<br />
contenuti le leggi come contraente<br />
il rapporto non paritario<br />
procedimenti retorici<br />
vantaggi morali e materiali del contratto<br />
strategia modalità frontale-interattiva<br />
obiettivi - saper analizzare e tradurre Critone 50a-50c<br />
- saperne individuare i principali snodi argomentativi<br />
- saper illustrare il ruolo delle leggi nel mondo greco<br />
durata 120’<br />
20 Cfr. Protagora, 325c-326e.<br />
21 Cfr. Nuvole, vv. 1400-1465: per la traduzione e il commento del passo si può tilizzare GuIDoRIZZI-<strong>De</strong>L<br />
CoRno 2007.<br />
22 va bene la traduzione di BuLTRIGHInI 20052 , ma per un pur brevissimo commento si tenga conto di<br />
annaRaTone 1982.<br />
23 essa, contenente attacchi contro il filosofo, fu composta sia prima del processo sia dopo la condanna a morte.<br />
Si possono ricordare il Conno di amipsia, gli Adulatori e l’Autolico di eupoli, lo scritto Accusa contro Socrate<br />
del retore Policrate di atene, databile fra il 393 e il 390 a.C. Cfr. MoMIGLIano 1974, pp. 48-50.<br />
24 Il riferimento è alle quattro opere “socratiche” di Senofonte: l’Apologia di Socrate, i Memorabili, l’Economico<br />
e il Simposio. Come è noto, il divario fra Senofonte e Platone, nella caratterizzazione di Socrate, è nettissimo,<br />
ed è stato variamente giudicato dalla critica: la contraddittorietà dei “ritratti” è oggi ritenuta prova<br />
della complessità della figura del filosofo ateniese, e tutte le testimonianze su di lui vengono considerate<br />
complementari. Per una sintesi del problema, cfr. <strong>San</strong>DBaCH 20073 , pp. 105-110.
La Prosopopea delle leggi QdPD 1 (2008)<br />
IL CONTRATTO<br />
Secondo i Greci non si aveva diritto a parità di trattamento fra persone di<br />
rango diverso, fossero esse padre e figlio oppure padrone e servo 25 . Infatti le<br />
Leggi, puntualizzano che tra loro e Socrate – (soi\.kai\h¸mi=n, interpretabili<br />
come dativi sociativi 26 insieme all’espressione di uguaglianza e¹c iÃsou) - non<br />
può esserci lo stesso ius (to\ di¯kaion). a tale proposizione interrogativa segue<br />
una coordinata per la cui costruzione è necessario un preciso intervento, attraverso<br />
il chiarimento della posizione prolettica della relativa introdotta da<br />
aÀtta (forma attica – meno usuale di aÀtina - per il neutro plurale di oÀstij) 27 .<br />
Socrate aveva indotto Critone a convenire sul fatto che in nessun caso va commessa<br />
ingiustizia, neanche se si tratta di ricambiarla quando la si riceve: le<br />
Leggi hanno appena dimostrato che Socrate è loro figlio e schiavo, perciò la<br />
posizione di lui è subordinata, non paritaria, e quindi meno che mai ha il diritto<br />
di ricambiare l’ingiustizia delle Leggi nei suoi confronti, quand’anche queste<br />
l’avessero commessa 28 . Le Leggi ribadiscono l’impossibilità di una parità<br />
di diritti, contrapponendo in maniera antitetica pate¯ra e despo¯thn ai precedenti<br />
eÃgkonoj e dou=loj, ossia rimarcando che se non può esservi parità col<br />
padre o col padrone, non può esservi neanche con la po¯lij 29 .<br />
Particolare importanza va conferita alle metafore tratte dal linguaggio militare<br />
rintracciabili nel passo: anzittutto, nei due participi futuri trw qhso¯menon e<br />
a©poqanou¯menon, rispettivamente di titrw ¯skw e di a©poqn$¯skw , di valore<br />
consecutivo, in accusativo in quanto retti da aÃg$ 30 ; in secondo luogo nei tre<br />
aggettivi verbali u¸peikteōn, a©naxw rhteōn e leipteōn, reggenti thìn ta¯cin.<br />
25 Si pensi che nella città-stato solo il capo famiglia (ku¯rioj) era persona giuridica: rispondeva per tutti i<br />
familiari, secondo l’istituzione dell’oiÕkoj, di fronte alle leggi umane e divine; come sacerdote, celebrava<br />
i riti ufficiali connessi agli eventi di famiglia (nascite, matrimoni, morti), trasmetteva l’eredità (gli averi<br />
e i sacra) al primo figlio maschio avuto dalla moglie legittima. Su questo e su altri aspetti inerenti al diritto<br />
familiare (legati ad esempio al passaggio dall’istituzione arcaica, non scritta, del ge¯noj a quella dell’oiÕkoj<br />
e a quella, voluta da Clistene, del de¯moj), si veda GuaRDuCCI 1987, pp. 141-145.<br />
Materiali interessanti per un utilizzo didattico si possono reperire all’indirizzo http://www.africacomics.net/ita_guida_didattica_3.shtml,<br />
ciccando su “unità 3 – giovani e adulti”, a cura di a. vignola.<br />
26 Su questa e altre funzioni svolte dal caso dativo, lo studio più completo è in <strong>De</strong> MauRo 2005.<br />
27 Cfr. MaRInone 1960, p. 113, con nota 3; KÜHneR-GeRTH 1898, pp. 612-613.<br />
28 In altre parole, «la po¯lij deve essere in interiore homine prima che inter homines, e se le leggi della città<br />
sono un valore assoluto, la coscienza di tale valore esige la volontà ferma e decisa di sottomettersi<br />
comunque ad esso». Cfr. IZZo D’aCCInnI 198914 , p. 100.<br />
29 Cfr. PIeRI 1993, p. 131.<br />
30 La categoria di participi futuri in dipendenza da verbi di movimento sembra essere la più importante:<br />
qui si potrebbero interpretare anche con una sfumatura finale. Sul valore del participio futuro a seconda<br />
del verbo da cui dipende, si veda MaGnIen 1912, II, pp. 9-11.<br />
103
Pedagogia e Didattica Manuela Revello<br />
va ricordato, anche facendo riferimento ad archiloco 31 , che i comportamenti<br />
indicati da questi verbi - u¸pei¯kw , a©naxw re¯w , lei¯pw – erano considerati altamente<br />
disdicevoli dai Greci: con il primo si allude al reato di renitenza al servizio<br />
militare, ossia la grafhìa©strateiāj; con il secondo al reato di fuga, la<br />
grafhìdeiliāj; con il terzo al reato di diserzione, la grafhì leipotaciōu 32 .<br />
Il cerchio dell’argomentazione si chiude ritornando sul concetto di persuasione<br />
(pei¯qein) 33 e sull’altissima collocazione riservata alla patria nella scala<br />
gerarchica, superiore anche a quella degli stessi genitori, e perciò assolutamente<br />
non meritevole di subire violenza: il verbo bia¯zomai, che esprime questa<br />
violenza, regge infatti gli accusativi mhte¯ra, pate¯ra e patri¯da, quest’ultimo<br />
preceduto dalla locuzione comparativa eÃti hÒtton, “ancora meno”.<br />
ancora, l’azione del verbo bia¯zomaiappare dipendente dall’aggettivo oÐsioj,<br />
che propriamente significa “permesso dalla legge divina o di natura” 34 : spiegando<br />
che fare violenza ai genitori era considerato gravissimo 35 , va ricordato<br />
che non a caso – nella precedente lezione – si era visto un comportamento<br />
simile nel personaggio aristofanesco di Fidippide: egli aveva percosso il proprio<br />
padre, dopo aver appreso tale comportamento proprio nel “Pensatoio” di<br />
Socrate 36 .<br />
31 Cfr. fr. 5W.<br />
32 Durante il processo, Socrate aveva ricordato di essersi sempre comportato in maniera ineccepibile<br />
(Apologia, 28d-e). Qui ritorna dunque un altro motivo già centrale nell’autodifesa (Apologia, 28b): l’analogia<br />
fra l’obbedienza che si richiede ad un soldato in guerra e il dovere di tenere fede ad un impegno<br />
esistenziale. Il problema inerente alla differenza che intercorre tra l’impegno preso rispetto alla patria e<br />
quello preso nei confronti degli dèi, secondo alcuni renderebbe il parallelo ancora più significativo: si<br />
manifesterebbe infatti una profonda interazione tra politica e religiosità, all’insegna della coerenza morale.<br />
Cfr. SaSSI 19988 , p. 210.<br />
33 ancora una volta si può osservare che né sempre né dovunque Socrate ammette l’obbedienza incondizionata<br />
alle leggi: qui sembra proclamarla, ma a ben guardare ciò avviene in virtù del principio fondamentale<br />
di non commettere ingiustizia. Cfr. IoPPoLo 1996, p. 134.<br />
34 Spesso associato a di¿kaioj e i¸ero¿j. nel greco moderno, significa “santo, benedetto”. ancora senza una<br />
precisa etimologia. Cfr. CHanTRaIne 1999 (1968), p. 831.<br />
35 Cfr. e.g. Fedone, 113e-114a, in cui si dice che i colpevoli di tale azione sono relegati nel Tartaro.<br />
36 Cfr. aristofane, Nuvole, vv. 1400-1465.<br />
37 Cfr. Tucidide, La Guerra del Peloponneso, II, 37,1-3. una buona traduzione è quella di Mariella Cagnetta,<br />
in CanFoRa 2007, pp. 229-231.<br />
38 Cfr. <strong>De</strong>mostene, Contro Midia, 223-224. Per la traduzione e un breve commento, si veda Francesco<br />
Maspero, in aPRoSIo et al. 2008, pp. 559-561.<br />
39 Cfr. paragrafi 34-36 e 47-50. Per la traduzione e un breve commento si può usare MeDDa 1994, pp. 96-103.<br />
40 Cfr. MeDDa 1994, p. 78. uno studio specifico su tale reato nel mondo greco è in PaoLI 1950, pp. 123-182.<br />
41 Cfr. MeDDa 1994, pp. 19-20.<br />
104
La Prosopopea delle leggi QdPD 1 (2008)<br />
Tra i testi di supporto, il celebre Epitafio di Pericle tucidideo metterà in luce la<br />
particolare importanza attribuita alle leggi dal cittadino greco 37 , mentre l’orazione<br />
Contro Midia di <strong>De</strong>mostene rafforzerà quanto detto a proposito delle<br />
garanzie e del rispetto di cui le leggi necessitano per essere forti e quindi efficaci<br />
38 . Come ultima lettura va bene il passo dall’orazione Per l’uccisione di<br />
Eratostene 39 , da sfruttare per rafforzare due concetti relativi alla mentalità ateniese:<br />
il primo, inerente alla possibilità, per un cittadino che ritenga di essere<br />
accusato ingiustamente, di difendersi argomentando a proprio favore davanti<br />
ad un tribunale, ma senza commettere ingiustizia; il secondo, che non si può<br />
ricorrere alla violenza, tranne in quei casi in cui ciò sia consentito dalle leggi<br />
stesse: la vendetta compiuta da eufileto è perfettamente conforme alla legge<br />
periÜ moixeiāj (“sull’adulterio”) 40 e a quella peri≤fo¯nou (“sull’omicidio”)<br />
che consente l’uccisione dell’adultero colto in flagrante e reo confesso, quale<br />
era eratostene. In conclusione, va sottolineato il carattere fortemente provocatorio<br />
dell’ultima richiesta avanzata dall’accusato: se i giudici non la pensano<br />
come lui, tanto vale abrogare le leggi vigenti, visto che esse possono trasformarsi<br />
in una trappola micidiale per il cittadino onesto che agisce in conformità<br />
ad esse. La sola colpa di eufileto, quella per cui ora è sotto processo e rischia<br />
la condanna a morte, è di averle rispettate alla lettera 41 .<br />
37 Cfr. Tucidide, La Guerra del Peloponneso, II, 37,1-3. una buona traduzione è quella di Mariella Cagnetta,<br />
in CanFoRa 2007, pp. 229-231.<br />
38 Cfr. <strong>De</strong>mostene, Contro Midia, 223-224. Per la traduzione e un breve commento, si veda Francesco<br />
Maspero, in aPRoSIo et al. 2008, pp. 559-561.<br />
39 Cfr. paragrafi 34-36 e 47-50. Per la traduzione e un breve commento si può usare MeDDa 1994, pp. 96-103.<br />
40 Cfr. MeDDa 1994, p. 78. uno studio specifico su tale reato nel mondo greco è in PaoLI 1950, pp. 123-182.<br />
41 Cfr. MeDDa 1994, pp. 19-20.<br />
105
Pedagogia e Didattica Manuela Revello<br />
42 Seguendo cioè la teoria cognitivista, secondo cui i processi di elaborazione dell’informazione consentono<br />
all’individuo di apprendere e gestire attività cognitive complesse quali l’uso del linguaggio, il comprendere,<br />
il ricordare, il ragionare, il risolvere problemi. In tale prospettiva, il processo è di tipo costruttivo,<br />
ossia l‘acquisizione di una nuova conoscenza è il risultato di una costruzione personale di chi<br />
apprende: gli alunni utilizzeranno le loro strutture di conoscenza precedenti (i loro schemi cognitivi) per<br />
dare senso e rielaborare. Cfr. BoSCoLo 1997, pp. 16-18, 185-189.<br />
106<br />
Terza Lezione<br />
TRADuZIONE CONTRASTIVA<br />
testi Platone, Critone, 50a-51c<br />
versione di Manara valgimigli<br />
versione di Maria Michela Sassi<br />
contenuti procedimenti retorici<br />
strategia modalità laboratoriale<br />
obiettivi saper individuare in una versione punti di aderenza<br />
e di distacco rispetto al testo greco<br />
saper individuare analogie e differenze tra versioni diverse<br />
durata 60’<br />
Per motivare alla lezione-laboratorio, va spiegato agli alunni che nell’attività che<br />
si apprestano a svolgere potranno avvalersi di quanto appreso nelle precedenti<br />
lezioni dell’unità didattica. <strong>De</strong>vono quindi essere invitati a tenere sul banco il<br />
testo greco dei paragrafi 50a-51c del Critone, ricordando loro che una parte del<br />
lavoro richiederà anche un impegno critico 42 . Distribuite le fotocopie con le traduzioni<br />
affiancate, si concedono una decina di minuti per una prima lettura –<br />
personale e silenziosa – delle due versioni. al termine di questa prima lettura, si<br />
invita alla collaborazione in coppia, per individuare le principali differenze tra<br />
una resa e l’altra, curando di avere sempre presente il testo greco. allo scadere<br />
del tempo (una ventina di minuti) si espongono i risultati del confronto, via via<br />
opportunamente valorizzati o aggiustati dalla guida del docente.<br />
una significativa occasione di confronto può essere la frase del valgimigli, al<br />
paragrafo 50a, «Se ci venissero incontro le leggi e la città tutta quanta, e ci si fermassero<br />
innanzi e ci domandassero»: va chiesto ai ragazzi se la trovino più efficace<br />
rispetto a quella della Sassi. Dopo aver ascoltato la loro impressione, si può<br />
comunque indirizzarne l’attenzione sul testo greco, invitandoli a riflettere sul
La Prosopopea delle leggi QdPD 1 (2008)<br />
significato del participio aoristo fortissimo e)pista¿ntej: “piazzarsi” davanti a<br />
qualcuno, è certo un’espressione più colorita, più quotidiana e allo stesso tempo<br />
più fedele al significato del verbo originario. In generale, nella mia esperienza<br />
didattica i ragazzi hanno dichiarato di preferire la Sassi perché trovano il suo linguaggio<br />
più attuale e più immediatamente comprensibile, mentre alcune locuzioni<br />
utilizzate dal valgimigli sono parse troppo “auliche”. Tuttavia, quando ho<br />
domandato quale versione trovassero più adeguata nella resa della risposta finale<br />
di Critone, tutti hanno concordato sul fatto che la frase «a me sembra che le<br />
leggi dicano il vero», del valgimigli, renda con maggiore efficacia la sconsolata<br />
rassegnazione di Critone, rispetto allo sbrigativo «mi pare di sì» della Sassi.<br />
Quarta e Quinta Lezione<br />
LA VERIFICA 43<br />
Tipologia<br />
«Per ogni funzione e/o obiettivo specifico della valutazione va impiegato uno strumento<br />
di verifica omologo o congruente con quella funzione e/o con quell’obiettivo» 44 . La<br />
prova di verifica relativa alla nostra unità Didattica è stata quindi costruita e<br />
adattata al contesto valutativo di un preciso momento didattico.<br />
Per ragioni didattiche si è stabilita l’opportunità di considerare questo<br />
momento valutativo come verifica formativa: in tale modalità valutativa, intesa<br />
come regolativa o di processo, il formato della verifica utilizzato doveva necessariamente<br />
essere di tipo quali-quantitativo 45 . Lo scopo era infatti quello di<br />
motivare, incentivare all’autovalutazione (sia degli studenti sia dell’insegnante)<br />
e descrivere, infine, i risultati.<br />
Come si può vedere dall’allegato, la prova - della durata di un’ora - è stata di<br />
tipo semi-strutturato: sono stati cioè offerti stimoli o istruzioni di tipo chiuso,<br />
fornendo tutti i vincoli necessari a circoscrivere il compito richiesto: le domande<br />
2, 3, 4, 7 e parte della domanda 1 prevedono una elaborazione autonoma<br />
della risposta 46 , mentre le restanti domande hanno richiesto di barrare la voce<br />
corretta. Per tutte le domande, i vincoli hanno assolto anche alla funzione di<br />
indicatori per la valutazione.<br />
43 La verifica è stata somministrata ad una classe II di un liceo statale romano composta di 15 ragazze.<br />
44 DoMenICI 1993, p. 62.<br />
45 Cfr. BenvenuTo 2007, passim.<br />
46 In tale tipo di prova, «la chiusura dello stimolo presenta quei vincoli che permettono di presentare a tutti la<br />
stessa domanda, indicando quali caratteristiche e dimensioni tener presenti per l’esecuzione della prova,<br />
l’apertura della risposta permette invece di esibire i diversi gradi di comprensione e studio e di originalità<br />
che gli studenti possono avere relativamente ai diversi livelli di apprendimento». Ibidem, p. 12.<br />
107
Pedagogia e Didattica Manuela Revello<br />
Commento dei risultati<br />
Come era in parte prevedibile dall’alto livello di preparazione della classe, i<br />
risultati sono stati, nel complesso, più che soddisfacenti: il voto più alto è stato<br />
9, seguito da quattro 8, tre 7, sei sufficienze e, infine, un 5 e mezzo.<br />
Quest’ultimo risultato, l’unica insufficienza, è stato riportato anche a causa di<br />
gravi errori nella lingua italiana, più che nel contenuto dell’uD. La considerazione<br />
più rilevante sull’efficacia della verifica riguarda l’alto indice di discriminatività<br />
della domanda 6. Le ragazze, forse perché distratte da una figura<br />
retorica che non conoscevano bene (fatto di cui ho avuto piena conferma<br />
durante la riconsegna dei compiti), hanno paradossalmente orientato la propria<br />
scelta proprio sulla voce “metalessi”. Questo ha reso possibile discriminare<br />
le alunne pienamente padrone della “metafora” (ossia la giusta risposta)<br />
rispetto ad un altro gruppo evidentemente più insicuro. oltre che dei contenuti,<br />
per la valutazione si è tenuto conto del rispetto delle consegne (numero<br />
massimo di righe) e della padronanza e sicurezza nell’esposizione.<br />
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BenvenuTo G., Progettare la valutazione scolastica, dispense del corso SSIS-<br />
Lazio indirizzo linguistico-letterario, a.a. 2006-2007<br />
DoMenICI 1993<br />
DoMenICI G., Manuale della valutazione scolastica, Bari<br />
112
La Prosopopea delle leggi QdPD 1 (2008)<br />
veRIFICa<br />
1 ora<br />
uD greco<br />
1) nel Critone, il discorso delle Leggi è presentato attraverso<br />
il procedimento retorico della:<br />
prosopopea<br />
parodia<br />
perifrasi<br />
che consiste in... (max 2 righe)<br />
2) esponi ciò che sai sui seguenti termini, in max 10 righe complessive:<br />
a)skope¯w<br />
b)o¸mologi¿a<br />
Data<br />
nome<br />
3) Spiega cosa intendono dire le Leggi quando affermano: “mhìqau¯maze<br />
ta¯lego¯mena a)llaÜa)pokri¯nou, e)peidhìkaiìeiÃw qaj xrh=sqai tw|=<br />
e)rw ta=n te kaiìa)pokri¿nesqai”<br />
(max 8 righe)<br />
4) nel passo 50e, i termini pate¯ra e despo¯thn si contrappongono antiteticamente<br />
ai termini ______________ e ______________: quale concetto<br />
viene ribadito, dalle Leggi, attraverso questo procedimento retorico? e<br />
di quale procedimento retorico si tratta? (max 8 righe)<br />
113
5) nel passo 51a-b, i pronomi personali sono utilizzati<br />
dalle Leggi in funzione:<br />
114<br />
enfatica<br />
etica<br />
epanalettica<br />
6) nella locuzione “kaiÜou¹xiì u¸peikteōn ou)deì a¹naxw rhte¿on ou)deì<br />
leipteōn thÜn ta¯cin” è impiegato il procedimento retorico della:<br />
metonimia<br />
metafora<br />
metalessi<br />
7) Individua e trascrivi una frase o parola-chiave in cui è possibile rintracciare<br />
ironia o sarcasmo.<br />
Motiva la tua scelta (max 7 righe).
Letteratura, pensiero, azione… QdPD 1 (2008)<br />
Strumenti per la didattica modulare di italiano<br />
Percorso tematico<br />
Letteratura, pensiero, azione:<br />
libertà e giustizia in Italia<br />
dall’età napoleonica al Risorgimento<br />
Discipline coinvolte: Italiano, Storia<br />
ANDREA TESTA<br />
<strong>De</strong>stinatari: III Liceo Classico – V Liceo Scientifico<br />
Prerequisiti: conoscenza generale delle biografie degli autori, del periodo storico<br />
in cui vissero e operarono, delle loro pubblicazioni<br />
Testi e contenuti<br />
Ugo Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis (lettera del 17 marzo 1798): l’amore<br />
per Teresa non basta a spegnere la passione e la delusione patriottiche compresenti<br />
nell’animo del protagonista all’indomani del ‘tradimento’ di Napoleone<br />
con il trattato di Campoformio;<br />
sorgono nuovi spiriti accesi per le sorti d’Italia, ma altri s’illudono ancora sull’intervento<br />
straniero disinteressato.<br />
115
Pedagogia e Didattica Andrea Testa<br />
Ugo Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis (lettera del 19 e 20 febbraio 1799): l’imponenza<br />
e la maestosità delle Alpi spingono Jacopo a riflettere sulle violazioni<br />
dei confini italiani da parte di altri popoli; il ricordo dei fasti di un tempo non<br />
costituisce uno stimolo a ridestarsi da un sonno e da un’ignavia secolari; la riflessione<br />
sull’avvicendarsi delle potenze egemoni nella storia induce il protagonista<br />
a concludere che la ferinità ha avuto sempre la meglio sul raziocinio; la<br />
giustizia è esistita solo se imposta e mantenuta con la forza e la sua assenza è<br />
stata compensata con la creazione della religione in difesa dei deboli.<br />
Ugo Foscolo, Sull’origine e i limiti della giustizia: la giustizia è data dalla fortuna<br />
delle armi e dal calcolo dell’interesse; essa è diversa a seconda dei popoli,<br />
è limitata alle disposizioni di singoli governi, non è universale; il diritto dipende<br />
dalla ragione di stato; la giurisprudenza divide la giustizia in ius divinum,<br />
ius naturale, ius gentium e ius civile, smembrandone l’unità in modo irreversibile<br />
e riducendola a pura astrazione; l’esperienza personale e l’osservazione<br />
inducono l’autore a concludere che la giustizia coincide con la patria e la ragione<br />
di stato e che non esiste equità assoluta di alcuna legge, ma soltanto nell’uguaglianza<br />
dell’applicazione.<br />
G. Mazzini, Fede e avvenire: l’analisi del panorama politico europeo e quella<br />
della situazione complessiva dell’Italia nell’età della Restaurazione inducono<br />
l’autore a vedere nell’insurrezione l’unica via aperta al progresso, scartando<br />
tutte le altre ipotesi di soluzione del problema nazionale.<br />
M. D’Azeglio, Proposta di un programma per l’Opinione Nazionale Italiana: l’unione<br />
dei Principi italiani e la loro assoluta indipendenza d’azione è indicata come<br />
la politica più naturale e saggia, che può svincolare così l’Italia da ogni influenza<br />
estera; saranno queste le condizioni favorevoli al pieno sviluppo dei<br />
mezzi morali e materiali d’Italia, all’unione delle forze intellettuali, a partire<br />
dalla creazione del sistema rappresentativo.<br />
C. Pisacane, Saggio sulla rivoluzione: non esiste libertà senza uguaglianza sociale;<br />
il Risorgimento senza la partecipazione attiva delle grandi masse contadine<br />
può creare uno Stato nazionale, ma non può risolvere i problemi secolari<br />
della società italiana; le masse sono mosse non tanto dagli ideali,<br />
quanto dai bisogni.<br />
A supporto<br />
G. Berchet, Il giuramento di Pontida (vv.97-104: libertà come premio per chi è disposto<br />
a dare la vita per conquistarla);<br />
116
Letteratura, pensiero, azione… QdPD 1 (2008)<br />
A. Manzoni, Marzo 1821 (vv.28-32; 54-56; 89-104: principio di autodeterminazione<br />
dei popoli; lotta per la patria e per la libertà)<br />
Strategia didattica<br />
- lezione frontale: lettura di passi significativi dei testi scelti; analisi e commento<br />
- lezione interattiva<br />
Strumenti<br />
- antologia in adozione<br />
- fotocopie dei testi di supporto<br />
- dizionario di italiano<br />
- lavagna<br />
Obiettivi<br />
Saper inserire i testi scelti nel loro contesto storico-politico e letterario<br />
Saper enucleare correttamente la concezione della libertà e, dove presente,<br />
della giustizia in ciascuna delle testimonianze scritte prese in esame<br />
Saper operare un confronto critico tra le posizioni dei diversi autori<br />
Saper individuare gli elementi di attualità in alcune di esse<br />
Verifica<br />
Analisi testuale del passo del saggio di C. Pisacane, attraverso un questionario<br />
comprendente anche domande che lo pongono in relazione con gli altri selezionati<br />
per l’unità didattica.<br />
Durata<br />
6 ore (4 ore di lezione; una di verifica; una di consegna).<br />
Premessa<br />
L’unità intende svolgere un breve excursus attraverso alcune delle voci più<br />
rappresentative del patriottismo italiano, dall’età napoleonica fino agli anni<br />
centrali del Risorgimento, per coglierne il personale sentimento e la particolare<br />
espressione dei valori della libertà e della giustizia. Dalle loro connotazioni<br />
si può valutare in quale misura si possono considerare ancora oggi attuali.<br />
117
Pedagogia e Didattica Andrea Testa<br />
Lezione 1<br />
Patria, libertà e giustizia in Ultime lettere di Jacopo Ortis<br />
Obiettivi<br />
Saper focalizzare l’identità tra concetto di patria e di libertà<br />
Saper caratterizzare la libertà come premio del sacrificio di ciascun popolo<br />
Saper porre in relazione la lettera del 17 marzo 1798 con Il giuramento di Pontida<br />
di G. Berchet e Marzo 1821 di A. Manzoni<br />
Saper dare una prima definizione del concetto di giustizia<br />
Testi e contenuti<br />
Ortis, lettera del 17 marzo 1798 (passi scelti):<br />
- la passione d’amore è strettamente unita alla passione politica<br />
- generosità di alcuni ingegni nella sollevazione antitirannica<br />
- il tradimento di Napoleone e l’inerzia di molti<br />
- impossibilità di sperare in un intervento straniero disinteressato a favore<br />
dell’Italia<br />
- la libertà prima propagandata, poi calpestata dai Francesi<br />
- tirannia di Napoleone<br />
Ortis, lettera del 19 e 20 febbraio 1799 (passi scelti):<br />
- asprezza e maestosità del paesaggio alpino<br />
- violazione continua dei confini italiani da parte di altre nazioni nel corso dei<br />
secoli, fino alla dominazione napoleonica<br />
- inutilità delle glorie passate, se non spingono gli Italiani a insorgere<br />
- excursus storico e visione pessimistica dell’avvicendarsi dei popoli, ciascuno pre<br />
datore e dominatore sull’altro (Israeliti, Babilonesi, Macedoni, Spartani, Romani)<br />
- la giustizia come valore imposto da un governo dopo averla violata<br />
- la violazione dei diritti precede una giustizia apparente e ingannatrice<br />
- inesistenza di felicità e giustizia terrene; creazione in loro vece di divinità<br />
protettrici dei deboli<br />
- la compassione come unica virtù autentica<br />
Il giuramento di Pontida (vv.97-104):<br />
- la libertà è promessa a chi per essa mette in gioco la vita, non può essere<br />
premio di un desiderio sterile<br />
Marzo 1821 (vv.28-32; 54-56; 89-104):<br />
- L’Italia è un solo popolo per tradizioni militari, linguistiche, religiose,<br />
118
Letteratura, pensiero, azione… QdPD 1 (2008)<br />
storiche, etniche, militari; sarà interamente libera o schiava<br />
- Dio rifiuta la forza straniera, ogni popolo deve essere libero<br />
- urgenza dell’insurrezione per il riscatto nazionale<br />
Strumenti Metodologia<br />
- antologia in adozione - lezione frontale<br />
- dizionario di Italiano - lezione interattiva<br />
- lavagna<br />
Attività per lo studente Durata<br />
- appunti un’ora<br />
- sottolineatura di espressioni significative<br />
- a casa: lettura integrale dei passi dell’Ortis<br />
Lezione 2<br />
La giustizia secondo Ugo Foscolo<br />
Obiettivi<br />
Saper riferire i presupposti delle affermazioni e delle argomentazioni dell’autore<br />
Saper individuare l’origine della giustizia<br />
Saper delineare il volto assunto dalla giustizia nel corso dei secoli<br />
Saperne definire i confini e le suddivisioni subite nel tempo<br />
Saper cogliere il criterio di giustizia seguito dall’autore ponendolo in rapporto<br />
con le teorie sensiste<br />
Saper individuare i limiti entro i quali si può parlare di uguaglianza<br />
Testi e contenuti<br />
Sull’origine e i limiti della giustizia (passi scelti):<br />
- priorità dell’osservazione dei fatti sulla speculazione razionale astratta<br />
- la giustizia è imposta dalla forza, ha un ambito di validità ristretto a<br />
ciascun popolo, ispirandone le leggi, ma non può essere di respiro<br />
universale<br />
- la giustizia emana dalla ragione di stato<br />
- suddivisione della giustizia ad opera della giurisprudenza in ius divinum, ius<br />
naturale, ius gentium, ius civile; loro definizione e analisi; dannosità di tale<br />
smembramento<br />
- l’equità naturale è determinata dal bisogno; in sua assenza, scompare<br />
119
Pedagogia e Didattica Andrea Testa<br />
- ogni dovere e diritto risiede nell’istinto della propria conservazione<br />
- l’autore vive sentendo ciò che è giusto per lui: anelare continuamente a ciò<br />
che crede possa giovargli, odiare ciò che può nuocergli<br />
- forte relativismo del concetto di giustizia<br />
- l’unica uguaglianza consiste nell’uniformità di applicazione di ogni legge<br />
Strumenti<br />
- fotocopie dell’orazione di U. Foscolo<br />
- dizionario di Italiano<br />
Metodologia<br />
- lezione frontale<br />
- lezione interattiva<br />
Durata<br />
un’ora<br />
Lezione 3<br />
Mazzini e D’Azeglio: rivoluzionarismo e riformismo<br />
Obiettivi<br />
Saper ripercorrere l’analisi del contesto storico e politico europeo negli anni<br />
’30 dell’Ottocento operata da G. Mazzini<br />
Saper individuare gli aspetti che, a suo avviso, accomunano Italia, Polonia e<br />
Germania<br />
Saper motivare l’opzione insurrezionale in vista del progresso nazionale<br />
Saper delineare le premesse e lo sviluppo del pensiero di D’Azeglio<br />
Saper presentare il programma di riforme da lui enunciato<br />
Saper individuare le differenze sostanziali tra le due ipotesi di soluzione del<br />
problema nazionale<br />
Testi e contenuti<br />
Fede e avvenire (passi scelti):<br />
- la guerra sorgerà in Europa solo dall’insurrezione dei popoli oppressi<br />
120<br />
Attività per lo studente<br />
- sottolineatura dei passaggi chiavedel<br />
testo<br />
a casa: - lettura integrale dell’orazione<br />
- costruzione di una scheda<br />
lessicale sull’argomento
Letteratura, pensiero, azione… QdPD 1 (2008)<br />
- l’assenza di libertà di pensiero e di espressione, di ogni sviluppo intellettuale e<br />
industriale accomuna Italia, Polonia e Germania; in queste nazioni non c’è<br />
progresso<br />
- l’insurrezione è la sola via per il loro progresso<br />
- i popoli iniziano ad adorare la libertà durante le sofferenze della servitù;<br />
affinché la raggiungano occorre predicare, combattere, agire<br />
Proposta di un programma per l’Opinione Nazionale Italiana (passi scelti):<br />
- il dato di partenza è l’ordinamento politico della penisola<br />
- la linea politica dei Principi italiani è far causa comune tra loro, evitando<br />
ogni ingerenza straniera<br />
- la loro assoluta indipendenza d’azione può determinare il pieno sviluppo<br />
dei mezzi morali e materiali dell’Italia<br />
- occorre abbandonare il principio rivoluzionario e favorire un progresso<br />
moderato<br />
- imprescindibilità del sistema rappresentativo<br />
- riforme: elezione popolare dei Consigli comunali e provinciali; creazione di<br />
un buon sistema militare; pubblicità dei dibattimenti giudiziari;<br />
miglioramento delle leggi sulla stampa; realizzazione di un sistema<br />
ferroviario generale; libero commercio tra gli Stati; uniformità dei sistemi<br />
universitari; imparzialità nell’applicazione delle leggi<br />
Strumenti<br />
- manuale di Storia<br />
- eventuali fotocopie dei testi<br />
selezionati<br />
- dizionario di Italiano<br />
- lavagna<br />
Attività per lo studente<br />
- sottolineatura dei passaggi chiave<br />
dei testi<br />
- a casa: lettura integrale dei due<br />
testi proposti<br />
Metodologia<br />
- lezione frontale<br />
- lezione interattiva<br />
Durata<br />
un’ora<br />
121
Pedagogia e Didattica Andrea Testa<br />
Lezione 4<br />
C. Pisacane: analisi sulle strategie di liberazione nazionale<br />
Obiettivi<br />
Saper enunciare i principi basilari del pensiero di C. Pisacane<br />
Saper individuare la soluzione da lui proposta alla negatività dei risultati del<br />
moto risorgimentale<br />
Saper cogliere gli elementi di attualità della sua analisi<br />
Testi e contenuti<br />
Risorgimento e contadini (passo scelto da Saggio sulla rivoluzione):<br />
- l’odio contro i governi presenti è sufficiente all’insurrezione delle plebi, ma<br />
poi diminuisce e si spegne<br />
- gli alti ideali di libertà, indipendenza, amor patrio hanno presa sui giovani<br />
intellettuali, ma non basta<br />
- occorre perseguire la via del socialismo<br />
- analisi delle rivoluzioni del 1848: a un temporaneo successo ha fatto seguito<br />
il ritorno della tirannide; particolarismo e limitatezza delle insurrezioni<br />
con maggior concorso di popolo<br />
- priorità della ‘quistione economica’<br />
- la costruzione della libertà e i suoi problemi: la protezione del povero e del<br />
l’ignorante<br />
- occorre farsi interpreti dei tempi: il bisogno economico è il fattore che può<br />
unire stabilmente le masse alla causa risorgimentale<br />
- necessità di rendere il popolo consapevole di poter migliorare le sue<br />
condizioni di vita se muterà il sistema di governo<br />
Conclusioni<br />
Strumenti<br />
- antologia di testi in adozione<br />
- eventuali fotocopie del passo<br />
di C. Pisacane<br />
- dizionario di Italiano<br />
122<br />
Metodologia<br />
- lezione frontale<br />
- lezione interattiva
Letteratura, pensiero, azione… QdPD 1 (2008)<br />
Attività per lo studente<br />
- appunti<br />
- sottolineatura di espressioni<br />
chiave del pensiero dell’autore<br />
e delle conclusioni<br />
alle quali perviene<br />
Durata<br />
un’ora<br />
La lezione ha inizio con un breve riepilogo di alcuni cenni biografici di rilievo<br />
riguardanti l’autore (ad esempio la partecipazione alla prima guerra d’indipendenza<br />
o l’organizzazione della spedizione di Sapri, dove trovò la morte) e<br />
con un quadro sintetico delle sue opere principali (in gran parte saggi), in modo<br />
da collocarne la figura nel contesto storico, politico e culturale del tempo.<br />
Gli allievi prenderanno nota di queste informazioni iniziali.<br />
Si procede con la lettura del passo selezionato (da parte di diversi alunni, in modo<br />
alternato) e con opportune pause necessarie alle osservazioni dell’insegnante.<br />
L’autore propone una sua analisi del fallimento dei moti insurrezionali fino al<br />
momento in cui scrive (l’anno 1857).<br />
Il primo difetto risiede nella presenza di pochi veramente interessati al trionfo<br />
delle idee di libertà, indipendenza, amor di patria, ossia i giovani intellettuali<br />
che se ne sono fatti promotori (“l’Italia trionferà quando il contadino cangerà<br />
volontariamente la marra col fucile; ora, per lui, onore e patria sono parole che non<br />
hanno alcun significato; qualunque sia il risultamento della guerra, la servitù e la miseria<br />
lo aspettano”).<br />
L’insegnante si soffermerà su questo concetto fondamentale: le masse contadine<br />
parteciperanno all’insurrezione solo se potranno sperare in un cambiamento<br />
in meglio delle loro sorti.<br />
C. Pisacane individua la svolta nella prospettiva socialista: “Il socialismo, o se<br />
vogliasi usare altra parola, una completa riforma degli ordini sociali, è l’unico mezzo<br />
che, mostrando a coloro che soffrono un avvenire migliore da conquistarsi, li spingerà<br />
alla battaglia”.<br />
Ecco il motivo per cui i rivolgimenti del 1848 non ebbero il seguito auspicato:<br />
diversi erano e sono gli obiettivi di regnanti e masse contadine. E dove (a Roma<br />
e a Venezia) si è realizzata un’unità di mire, si è registrato ugualmente un<br />
insuccesso per la mancanza di una concertazione comune, che ha reso troppo<br />
circoscritto il fenomeno.<br />
Agli allievi occorrerà far notare che l’autore ribadisce ancora come sia la quistione<br />
economica, in modi diversi nell’intera Europa, ad avere la preminenza.<br />
Cita perciò un passo di una lettera inviata anni addietro da Sismondi (storico<br />
123
Pedagogia e Didattica Andrea Testa<br />
ed economista svizzero di origine italiana) a G. Mazzini: “Finalmente la libertà<br />
offre il più tremendo di tutti i problemi, quello della protezione del povero e dell’ ignorante…”,<br />
ponendo l’interrogativo su quale gruppo sociale avrebbe potuto assumersi<br />
l’onere di far sì che libertà equivalesse a uguaglianza sociale. A questo<br />
obiettivo avrebbe dovuto puntare G. Mazzini, secondo l’autore, indirizzandosi<br />
non alla borghesia, ma all’istruzione della plebe affinché lo affiancasse<br />
sempre più numerosa. L’intuizione profonda di Pisacane riguarda però anche<br />
il futuro Stato italiano, sul distacco tra masse e istituzioni, conseguenza di<br />
un processo di unificazione nazionale parziale e non condiviso da tutte le<br />
componenti sociali.<br />
I primi tempi si trattò dell’ostilità del Sud al sistema sabaudo, manifestata con<br />
la nascita e la diffusione del brigantaggio, poi con il radicamento delle associazioni<br />
a delinquere e di una logica clientelare che ha prodotto un ritardo economico<br />
e industriale ancora forte.<br />
La lezione più importante di Pisacane però è forse la necessità della propagazione<br />
delle idee secondo le modalità adeguate ai mezzi culturali dei destinatari,<br />
in modo che si trasformino in concretezza di risvolti e contribuiscano a<br />
modificare le condizioni materiali di chi le accoglie:<br />
“Tutti gli sforzi per sospingere un popolo al risorgimento debbono consistere nello<br />
svolgere e rendere popolari le idee, adattandole alla loro intelligenza e traendone quelle<br />
conseguenze che debbono condurre a un utile materiale immediato”.<br />
Conclusioni<br />
Al termine dell’unità si può affermare che la libertà, secondo gli autori considerati,<br />
è essenzialmente concepita come assenza della dominazione straniera<br />
e affermazione del principio di territorialità delle nazioni, così che possano costituirsi<br />
in Stati, con i loro organi di rappresentanza e in un regime di libertà<br />
di espressione. Questa è però una fase ancora poco più che embrionale del<br />
processo verso una piena libertà e una reale unificazione nazionale, e lo dimostra<br />
ancora Pisacane, che si chiede come eliminare le ingiustizie sociali una<br />
volta ottenuta l’indipendenza, o il pessimista Foscolo, il quale osserva in concreto<br />
le società, i popoli e gli eventi storici. Violazioni di libertà e di giustizia<br />
sono e sono state continue, perché le difficoltà sorgono nel momento in cui tali<br />
valori (giustizia e libertà) devono essere tradotti nella realtà, sia all’interno<br />
dei singoli Stati, sia in ambito internazionale. Il relativismo valoriale spinge a<br />
cercare allora una superiore norma etica di riferimento, che contempli il ruolo<br />
di quella compassione (o pietà, solidarietà), considerata unica virtù autentica<br />
da Foscolo, ma soprattutto, possiamo aggiungere, sentimento essenziale a garantire<br />
l’equilibrio della legislazione e dell’amministrazione del diritto.<br />
124
Letteratura, pensiero, azione… QdPD 1 (2008)<br />
Verifica<br />
C. Pisacane, Risorgimento e contadini<br />
Analizza il testo alla luce delle domande seguenti:<br />
Qual è la premessa dell’analisi dell’autore? A quali eventi si riferisce?<br />
Quali personalità eminenti del suo tempo, o a lui immediatamente precedenti,<br />
sono citate? A quale fine?<br />
Qual è la soluzione proposta al problema nazionale? Quali vantaggi offrirebbe?<br />
A quale dei testi trattati nell’unità didattica si può accostare la riflessione storico-sociale<br />
di Pisacane? Perché?<br />
Quali elementi di attualità si scorgono nella sua analisi?<br />
Bibliografia<br />
Berchet G., Romanze e fantasie, Firenze 1927<br />
D’Azeglio M., Proposta di un programma per l’Opinione Nazionale Italiana,<br />
Firenze 1847<br />
Foscolo U., Opere, Milano 19663<br />
Foscolo U., Ultime lettere di Jacopo Ortis, Milano 1949<br />
Manzoni A., Tragedie, Inni sacri ed Odi, Milano 1930<br />
Mazzini G., Antologia degli scritti politici (a c. di G. Galasso), Bologna 1961<br />
Pisacane C., Saggio sulla rivoluzione, Torino 1956.<br />
Materiali<br />
U. Foscolo, Sull’origine e i limiti della giustizia (passi scelti):<br />
[…] Or io primieramente mi confesso uno di quei tanti mortali a cui l’ingegno<br />
e la fortuna avendo negato la via alla verità del diritto, devono se non altro attenersi<br />
alla certezza del fatto, da che, privi della scienza de’ principi, come mai<br />
fornirebbero questo viaggio scurissimo della vita, se ei non si giovassero almeno<br />
del lume dell’esperienza? I dotti sono guidati dall’esterna ragione, ed io sono,<br />
con gli altri miei compagni nell’ignoranza, trascinato dall’onnipotente necessità.<br />
[…] Bensì mi sento sì dominato dalla consuetudine di giudicare più<br />
dal fatto che dai principi, ch’io non ho speranza più ormai di correggermi.<br />
[…] E nondimeno in due diverse sembianze la giustizia si mostra nel mondo;<br />
125
Pedagogia e Didattica Andrea Testa<br />
una per voce della metafisica, che sublime ed eloquente la innalza sul trono<br />
dei numi; l’altra ne’ fatti del genere umano, che non le dà per simboli se non<br />
la fortuna delle armi e il calcolo dell’interesse.<br />
[…] Potrò abbozzarvi le sembianze che la giustizia assume dalla forza, e sotto<br />
le quali soltanto io posso conoscerla.<br />
[…] Ma la legge di non fare agli altri ciò che non vorremmo che fosse fatto a noi,<br />
o non era legge di natura, o è da credere che fosse ancora bambina, perché alle prime<br />
pagine vidi che un fratello trucidò l’altro (Caino e Abele). Anzi pare che questa<br />
legge, ferita al suo nascere, non potesse più né invigorirsi, né crescere, perché<br />
appunto dopo quel duello, gli uomini nacquero, vissero e morirono guerreggiando<br />
perpetuamente tra loro, or per avarizia, or per ambizione, or per invidia, ed or<br />
senza perché, e sempre di terra in terra, e di anno in anno fino a’ miei giorni.<br />
Fra queste guerre non si era pertanto smarrita la giustizia, ch’io non la scorgessi<br />
talvolta; anzi notai sempre, che quantunque due popoli guerreggiassero<br />
ingiustamente tra loro, ciascheduno de’ due non poteva ad ogni modo aver<br />
forza e concordia in se stesso, se non in virtù di certe leggi, più o meno ragionevoli,<br />
ma che avevano pur sempre la giustizia come unico fine.<br />
[…] Dunque la giustizia è diversa e limitata, al pari delle leggi ch’ella mantiene.<br />
Dunque la giustizia sta nelle società particolari de’ popoli, ma non nella società<br />
del genere umano.<br />
[…] Conchiusi adunque che la giustizia, la quale comincia appena ad essere<br />
visibile agli uomini, deriva dalla forza. Dunque sulla terra senza forza non vi<br />
è giustizia; e se una città non avesse forza contro le usurpazioni esterne ed interne,<br />
non sarebbe giusta, perché non avrebbe leggi; perché le leggi senza la<br />
protezione della forza sono nulle.<br />
[…] Dunque il giusto non emana se non dalla ragion di stato, non si propaga<br />
fuori della ragione di stato e si riconcentra fermamente nella ragione di stato.<br />
Ma la giurisprudenza […] divise la giustizia in ius divinum, ius naturale, ius<br />
gentium, e ius civile. […] Così moltiplicate, confuse e snervate le parti, non si<br />
trova più modo a ricomporre e riconoscere quel principio primitivo e reale.<br />
Non si ricompose; […] la giustizia era ormai divenuta sovrumana e incomprensibile.<br />
[…] Anch’io, uomo e debole, quando l’esempio dell’altrui schiavitù mi fe’ temere<br />
della mia libertà, quando il sentimento contro l’oppressione comune mi<br />
suggeriva di unirmi a chi poteva accrescere le mie forze per respingerla o sostenerla,<br />
anch’io invocai l’equità naturale, e la vidi talvolta in mezzo alle famiglie,<br />
e tra pochi sventurati che amavano per essere riamati, e tra due amici che<br />
si riunivano contro l’avversa fortuna e l’indifferenza degli uomini; ed osservai<br />
spesso che il bisogno la convertiva in costume: ma gli effetti o danneggiavano<br />
126
Letteratura, pensiero, azione… QdPD 1 (2008)<br />
gli altri, o non si propagavano; e, tolte le cause, non la vidi più.<br />
[…] L’uomo tal quale è in società, con ciò che gli uni chiamano vizi, gli altri<br />
passioni, gli uni scienza, gli altri ignoranza, è pur l’uomo tal quale fu creato<br />
dalla natura; ma dividendo natura da società, e società da usi, pregiudizi ed<br />
istituzioni, per conoscere l’uomo si guarda partitamene ciò che è inseparabile,<br />
in modo che, diviso nelle sue parti, perderebbe il suo tutto. Così la filosofia divide<br />
anima e corpo; ma chi vede anima senza corpo?<br />
[…] Ma si consideri l’uomo in qualche stato, e con quante astrazioni si voglia;<br />
ogni opinione, ed anche quella che crede il genere umano illuminato da un<br />
principio eterno di ragione pura del retto e del giusto, indipendente dalla forza<br />
e dall’interesse, deve ad ogni modo incontrarsi in questo punto: che «ogni<br />
dovere e diritto risiede nell’istinto della propria conservazione».<br />
[…] Questo istinto che mi persuade alla vita, come mi parla? Con l’impulso al<br />
piacere e con l’avversione al dolore? Come obbedisco? Anelando continuamente<br />
a ciò che io credo che possa giovarmi, e con l’odiare ciò che può nuocermi?<br />
Con che mezzo formo questo giudizio? Con la ragione? No: invano le<br />
scuole mi hanno parlato ognor di ragione.<br />
[…] Or se il criterio ch’io fo sul piacere e sul dolore è ineguale e non sentito né<br />
conosciuto che in ciò che tocca a me solo, io, secondandolo, non posso usare<br />
che delle mie forze, ed agire unicamente per la mia propria conservazione. E<br />
per la conservazione degli altri?<br />
[…] Dopo questo esame dei fatti, le parole giustizia, patria e ragione di stato suonano<br />
per me una medesima cosa. Non però nego, che vi siano principi certi ed eterni<br />
di diritto naturale, di diritto divino e delle genti: non lo so; non ho parlato che<br />
di ciò che ho veduto, ed ho quindi ricavato le seguenti conclusioni: 1) che le norme<br />
di giusto, benché facciano la gloria e la prosperità de’ filosofi, non possono<br />
esser né conosciute, né praticate mai da’ popoli, a’ quali non si può parlare che<br />
per mezzo di leggi positive; 2) che non vi siano norme positive di giusto se non<br />
da cittadino a cittadino, e da governo a popolo; ma non mai da uomo a uomo, e<br />
da governo a governo; 3) che non possono né nascere né sussistere senza forza;<br />
4) che quella ragione di stato è più giusta che più concilia con leggi civili gli interessi<br />
reciprochi de’ cittadini, e con leggi politiche gl’interessi reciprochi de’ governi,<br />
dirigendo così a comune vantaggio le umane passioni, onde mantenere<br />
concordi ed attive le forze d’un popolo, perché ei possa imporre, e non pagare,<br />
tributi ad un altro; 5) che non possa darsi equità assoluta nella sostanza di veruna<br />
legge, ma che l’equità consista nella eguaglianza universale, religiosa, severissima<br />
dell’applicazione; 6) che però praticamente tutti i diritti, naturale, divino,<br />
pubblico e civile devono emanare da una sola legge, e riconcentrarsi in una sola:«Suprema<br />
lex, populi salus esto».<br />
127
Pedagogia e Didattica Andrea Testa<br />
G. Mazzini, Fede e avvenire (passi scelti):<br />
[…] La guerra non sorgerà in Europa se non dall’insurrezione. I Colpi di Stato?<br />
Solo una lotta energica, ostinata, può renderli inevitabili. Or come sostenerla?<br />
Colla cospirazione? I predicatori di pazienza la rifiutano, come rifiutano le<br />
sommosse. Colla stampa? I Governi la uccidono: avete per ogni dove leggi che<br />
incatenano, censori che tormentano lo scrittore, giudici che condannano e<br />
chiudono il pensiero in una prigione. Potrete superare questi ostacoli? In Francia<br />
forse. Ma ponete un paese privo assolutamente di stampa, senza Parlamento<br />
o Consigli che discutano, senza giornali letterari, senza teatro nazionale,<br />
senza insegnamento popolare, senza libri stranieri. Ponete che quel paese<br />
soffra, soffra tremendamente, nelle sue moltitudini come nelle classi agiate, di<br />
miseria, d’oppressione straniera e domestica, di violazioni continue del suo<br />
principio nazionale, d’assenza d’ogni sviluppo intellettuale e industriale. Come<br />
mai farà quel paese? Da qual parte potrà originare poi esso il lento progresso<br />
a gradi che vagheggiate?<br />
Or quel paese esiste. Quel paese ha nome Italia, Polonia, Germania da qualche<br />
tempo. Quel paese abbraccia i due terzi d’Europa.<br />
[…] L’insurrezione: io non vedo, per quei popoli, altro consiglio possibile: l’insurrezione<br />
appena le circostanze concedano: l’insurrezione energica, generale:<br />
l’insurrezione delle moltitudini: la guerra santa degli oppressi: la repubblica<br />
per creare repubblicani: il popolo in azione per iniziare il progresso. L’insurrezione<br />
annunzi terribile i decreti di Dio: sommova e spiani il suolo sul quale deve<br />
innalzarsi il suo edificio immortale: inondi, come il Nilo, le contrade ch’essa<br />
deve rendere fertili.<br />
[…] I popoli s’iniziano nei patimenti della servitù all’adorazione della libertà.<br />
Sopportarono oltre ogni espressione: ingigantirono, levandosi, oltre ogni presumere.<br />
I loro dolori furono benedetti. Ogni lagrima insegnò loro una verità.<br />
Ogni anno di martirio li preparò a una redenzione assoluta. Bevvero il calice<br />
fino all’ultima stilla. Non avanza ad essi che infrangerlo.<br />
Qual è dunque il da farsi?<br />
Predicare, Combattere, Agire.<br />
M. D’Azeglio, Proposta di un programma per l’Opinione Nazionale Italiana<br />
(passi scelti):<br />
Partendo dal principio, che in politica la sola cosa reale e da cercarsi è il possibile<br />
e il pratico, intendiamo prender per base l’ordinamento della penisola<br />
quale esiste di fatto oggidì.<br />
[…] Crediamo che la politica più naturale dei Principi italiani avrebbe dovu-<br />
128
Letteratura, pensiero, azione… QdPD 1 (2008)<br />
to, e dovrebbe essere sempre, il far causa comune tra loro, stringendosi insieme<br />
onde mantenersi sciolti da ogni influenza estera. Essi non hanno nulla a temere<br />
gli uni degli altri,e sono invece nel pericolo comune di venir offesi nella loro libertà<br />
d’azione o nella dignità della loro corona dalle potenze maggiori.<br />
[…] Sarebbe sola e veramente sapiente politica, e di primo interesse de’ Principi<br />
italiani, quella di dirigere gli atti del loro governo in modo da rendere i loro sudditi,<br />
e la parte italiana dell’Italia, la più felice e la meglio ordinata. Se non si sono<br />
sempre mostrati fedeli a questa politica, crediamo ciò sia avvenuto, come accennammo,<br />
perché stimassero aver a temer più de’ loro Popoli, che non della preponderanza<br />
straniera. Crediamo però che quel pericolo fosse minore che non<br />
pensavano, e certamente poi stesse a noi l’evitarlo.<br />
[…] Essendo convinti, dunque, che la prima e più attendibile condizione di miglioramento<br />
sta per noi nella stretta unione de’ Principi italiani tra loro, e nella loro<br />
assoluta indipendenza d’azione, onde possano condurci al pieno sviluppo de’<br />
nostri mezzi morali e materiali, ed al libero impiego di tutte le nostre forze nel modo<br />
più vantaggioso all’Italia, indipendentemente da interessi non italiani…Noi<br />
crediamo che la tendenza generale della civiltà moderna verso il sistema rappresentativo,<br />
sia la conseguenza de’ vari stadii che ha sin qui attraversati, e sia<br />
l’espressione delle necessità sociali portate dalle sue condizioni presenti.<br />
[…] Crediamo però ci sia permesso esprimere in generale il desiderio, che si diriga<br />
l’attenzione su un buon ordinamento de’ Consigli comunali e provinciali,<br />
costituiti per via d’elezione popolare. Sullo stabilimento d’un buon sistema militare,<br />
sia delle truppe di linea che delle guardie cittadine, con tutta la possibile<br />
uniformità tra Stato e Stato, onde il complesso possa servire a guarentigia dell’intera<br />
indipendenza de’ Principi.<br />
Sulle riforme da introdursi ne’ Codici, purgandoli dai principii eccezionali e di<br />
privilegio, adottando la pubblicità dei dibattimenti, ed il giudizio per giurì, tendendo<br />
alla maggior possibile uniformità ed analogia fra gli Stati italiani.<br />
Sopra un progressivo miglioramento delle leggi sulla Stampa, e singolarmente<br />
sulla loro imparziale e schietta applicazione. Sull’esecuzione d’un sistema generale<br />
di strade di ferro, che promuovano gl’interessi generali della Penisola.<br />
Sulla ricerca de’mezzi più opportuni onde togliere al commercio interno i numerosi<br />
incagli di dogane, barriere, visite, che gli sono di tanto danno; e sull’adozione<br />
d’un uniforme sistema di monete, pesi e misure.<br />
Sul miglioramento degli studii, rendendoli estesi, forti, ed a livello de’ bisogni<br />
presenti; introducendo un’uniformità ne’ sistemi universitari in modo che fra<br />
Stato e Stato si ammettesse la reciproca validità degli studii fatti nelle varie Università<br />
italiane, e sull’educazione delle classi inferiori.<br />
Sul progresso della legalità, e l’esatta ed imparziale applicazione delle leggi per<br />
parte dell’autorità.<br />
129
Pedagogia e Didattica Andrea Testa<br />
C. Pisacane, Risorgimento e contadini (passi scelti):<br />
L’odio ai presenti governi, bastante ad insorgere, trionfata l’insurrezione, s’ammorza;<br />
quindi bisogna suscitare una passione, onde bilanciare gli stenti e i rischi<br />
della guerra. Il desiderio di libertà, d’indipendenza, l’amor della patria, hanno<br />
forza grandissima nei cuori di quella balda e intelligente gioventù, che è sempre<br />
prima ad affrontare i pericoli delle battaglie, ma essi soli non bastano; l’Italia<br />
trionferà quando il contadino cangerà volontariamente la marra col fucile; ora,<br />
per lui, onore e patria sono parole che non hanno alcun significato; qualunque<br />
sia il risultamento della guerra, la servitù e la miseria lo aspettano.<br />
[…] Il socialismo, o se vogliasi usare altra parola, una completa riforma degli<br />
ordini sociali, è l’unico mezzo che, mostrando a coloro che soffrono un avvenire<br />
migliore da conquistarsi, li sospingerà alla battaglia.<br />
[…] I rivolgimenti del ’48 ebbero precisamente questo carattere; tutto il popolo<br />
che si agita, i principi sono travolti nel turbine, ed al termine di questa<br />
nuova fase succede una disfatta, ed un nuovo ammaestramento. Popolo e<br />
principi hanno mire opposte. Quindi diffidenza, dubbia fede, spergiuro, incapacità<br />
ne’ capi; e, dopo tanti sforzi, il popolo altro non guadagnò che persecuzioni<br />
ed efferata tirannide.<br />
A Roma, a Venezia, il popolo combatte solo, quasi svincolato dalle pastoie domestiche;<br />
ivi combattesi con tutta l’anima, gregari e capi non vogliono che la<br />
vittoria; hanno unità di mire, unità d’interessi; la disfatta è ugualmente ruinosa<br />
per tutti; non vi sono cagioni estranee alla causa italiana, che distornino ed<br />
ammorzino l’impeto de’ combattenti; non v’è nulla da conservare. Nondimeno<br />
Roma e Venezia cadono, e perché? Perché angustiarono i loro sguardi tra le<br />
mura di una città: si combatté per Roma e per Venezia, non già per l’Italia.<br />
[…] È la quistione economica, che sotto vari aspetti padroneggia l’Europa, e<br />
reclama la sua supremazia. Il popolo non ottenne dalla repubblica vantaggi tali<br />
da impugnare le armi a sua difesa; in esso prevaleva l’odio al passato più<br />
che l’amore al presente. Mazzini, oltre a ciò, avrebbe dovuto ridursi alla memoria<br />
la lettera che Sismondi scriveva alla Giovine Italia: «Finalmente la stessa<br />
libertà, scriveva l’insigne pubblicista, offre il più tremendo di tutti i problemi,<br />
quello della protezione del povero e dell’ignorante…affiderete voi la causa<br />
del proletariato agli uomini che ne dividono le privazioni? Essi non hanno<br />
forza. La affiderete dunque ai ricchi? Essi saranno i primi a tradire il popolo».<br />
[…] Tutti gli sforzi per sospingere un popolo al risorgimento debbono consistere<br />
nello svolgere e rendere popolari le idee, adattandole alla loro intelligenza<br />
e traendone quelle conseguenze che debbono condurre a un utile materiale<br />
immediato, onde siano sempre fomite maggiore alle passioni, che debbono,<br />
essenzialmente, esistere nel popolo.<br />
130
Letteratura, pensiero, azione… QdPD 1 (2008)<br />
G. Berchet, Il giuramento di Pontida, vv. 97-104:<br />
Presto, all’armi! Chi ha un ferro, l’affili:<br />
chi un sopruso patì, sel ricordi.<br />
Via da noi questo branco d’ingordi!<br />
Giù l’orgoglio del fulvo lor sir!<br />
Libertà non fallisce ai volenti,<br />
ma il sentier de’ perigli ell’addita;<br />
ma promessa a chi ponvi la vita,<br />
non è premio d’inerte desir.<br />
A. Manzoni, Marzo 1821, vv. 28-32:<br />
Una gente che libera tutta,<br />
o fia serva tra l’Alpe ed il mare;<br />
una d’arme, di lingua, d’altare,<br />
di memorie, di sangue e di cor.<br />
vv. 54-56:<br />
Dio rigetta la forza straniera;<br />
ogni gente sia libera, e pera<br />
della spada l’iniqua ragion.<br />
vv. 89-104:<br />
Oggi, o forti, sui volti baleni<br />
il furor delle menti segrete:<br />
per l’Italia si pugna, vincete!<br />
Il suo fato sui brandi vi sta.<br />
O risorta per voi la vedremo<br />
al convito de’ popoli assisa,<br />
o più serva, più vil, più derisa,<br />
sotto l’orrida verga starà.<br />
Oh giornate del nostro riscatto!<br />
Oh dolente per sempre colui<br />
che da lunge, dal labbro d’altrui,<br />
come un uomo straniero, le udrà!<br />
Che a’ suoi figli narrandole un giorno,<br />
dovrà dir sospirando: io non c’era;<br />
che la santa vittrice bandiera<br />
salutata quel dì non avrà.<br />
131
antivedere QdPD 1 (2008)<br />
a n t i v e d e r e<br />
dire, fare, educare oggi<br />
Antivedére I (ant. antevedére), tr. Letter.<br />
Anticipare con la mente il futuro; prevedere,<br />
presagire.<br />
Antivedére 2 , sm. Letter. Il prevedere le<br />
cose future; previsione, preveggenza.<br />
S. Battaglia, Grande Dizionario della Lingua Italiana, Torino 1961<br />
Vedere prima, vedere in anticipo, sapere cogliere da un particolare,<br />
da un atteggiamento, da uno sguardo lo stato d’animo,<br />
il sentimento dell’alunno che abbiamo davanti agli<br />
occhi ogni giorno. E’ quella stessa capacità di intuire (intueri)<br />
ovvero di guardare dentro di sé per conoscersi e cercare<br />
poi di vedere dentro gli altri: è una abilità che ciascuno di<br />
noi con dedizione e passione può affinare sempre di più<br />
riflettendo attentamente sulle esperienze passate, meditando<br />
soprattutto sui propri errori e le proprie mancanze. Non<br />
può passare inosservato il fatto che i nostri antenati latini<br />
per parlare del tempo che sarebbe venuto, del futuro, lo<br />
hanno designato con un termine che ha in comune con il<br />
tema del perfetto *fu la radice del greco phyo come se solo<br />
ciò che è stato può suggerirci quello che sarà. L’insegnante,<br />
con accortezza e cautela, deve allora potere essere in grado<br />
di anticipare per prevenire, di afferrare “al volo” una situazione<br />
critica per avvicinarsi al cuore di chi, forse senza neanche<br />
saperlo, attende di essere chiamato per nome non solo al<br />
momento dell’appello o quando deve essere interrogato. La<br />
lungimiranza di antivedere, che per essere attuata presuppone<br />
una attenzione costante ed affettuosa nei confronti dell’alunno,<br />
si impone pertanto come virtù necessaria, direi<br />
perfino indispensabile per tutti coloro che sono consapevoli<br />
della particolare cura che comporta un serio impegno nel<br />
delicato processo educativo. (a. tor.)<br />
133
134<br />
“Vanitas est praesentem vitam solum attendere,<br />
et quae futura sunt non praevidere.”<br />
(<strong>De</strong> imitatione Christi I, 4)<br />
Attendere solamente alla presente vita<br />
e non antivedere le cose future, è vanità.
Educare alla libertà… QdPD 1 (2008)<br />
“Si può sperare di avere insegnato qualche cosa solo<br />
quando si ha la certezza di avere imparato<br />
qualche cosa.”<br />
Paulo Freire<br />
Educare alla libertà, in libertà, con libertà<br />
Riflessioni pedagogico-educative<br />
AUGUSTO BARTOLINI<br />
Ai genitori, agli insegnanti, a tutte le persone preposte all’educazione<br />
Il rapporto genitore-figlio, insegnante-alunno è così forte, così intenso che<br />
ci è praticamente proibito sbagliare perché le conseguenze di un errore potrebbero<br />
essere veramente dannose…<br />
Sì, è una grossa responsabilità essere genitori ed educatori. Significa avere<br />
padronanza di forti e utili esperienze da mettere a disposizione di un essere<br />
che ne è praticamente privo. Una prima difficoltà va ricercata nel divario di<br />
età, non tanto anagrafica quanto esperienziale.<br />
La tendenza dell’adulto, ( il primo grave errore cui può cadere è proprio<br />
quello di sentirsi unico depositario del sapere della vita) è pretendere che il<br />
proprio figlio ( alunno ) segua le imposizioni da lui dettate. Se il figlio non segue,<br />
( lungi dal pensiero che il grande possa commettere errori) nasce il contrasto<br />
con troppa superficialità definito generazionale.<br />
135
antivedere Augusto Bartolini<br />
E tutte le problematiche legate a questa forma di incomprensione, sono attribuite<br />
al figlio che, vuoi per ragioni ereditarie, vuoi per sviamenti tipici della<br />
società, del gruppo, dell’ambiente, non è in grado o non vuole ascoltare<br />
“i saggi consigli”.<br />
Se per un attimo cercassimo di analizzare la ragione per cui il minore non<br />
ci ascolta o non è soddisfatto del nostro intervento, scopriremmo che, spesso,<br />
in noi predomina la volontà di costringere l’altro all’ubbidienza senza minimamente<br />
pensare che il nostro fare non è educativo bensì impositivo e in molti<br />
casi repressivo.<br />
Cerchiamo di analizzare, attraverso il nostro vivere quotidiano, quali potrebbero<br />
essere gli errori più comuni in cui più facilmente potremmo incorrere durante<br />
il percorso educativo che proponiamo ai nostri figli o ai nostri alunni.<br />
IL PRIMO INCONTRO<br />
La cosa più bella che possa osservare il genitore che guarda il suo figliolo è<br />
il momento in cui lui fissa, analizza, sorride e si riempie di tutto ciò che lo circonda.<br />
Il genitore è felice, gode della felicità del figlio, ma in quel momento<br />
si dovrà rendere conto che lì sta l’inizio di quel rapporto che li porterà ad<br />
essere due individui, prima uno subalterno all’altro per necessità naturale<br />
poi sempre di più conflittuali fino alla separazione “cellulare”.<br />
E solo in quel momento si potranno tirare le somme e dire: “ Sono stato un<br />
buon genitore?” Ho comunicato a lui le mie esperienze senza essere stato troppo<br />
invasivo? L’essere stato un buon figlio è poi la derivazione naturale della<br />
prima domanda.<br />
Analisi della situazione<br />
Il genitore, e in secondo momento l’insegnante sotto l’aspetto culturaleesperenziale,<br />
è il punto fermo, il centro dell’universo del bambino. E’ il suo<br />
punto di riferimento. Colui che premia con uno sguardo, una carezza, un sorriso;<br />
colui che ci dimostra il non gradimento con una sola inflessione del volto.<br />
Quei gesti naturalissimi sono il metro, la misura la direzione delle azioni<br />
sempre più consapevoli del bambino.<br />
Ma poi arriva il momento delle domande:<br />
La parola del genitore ora, come i suoi modi e i suoi gesti prima, sono la “guida”.<br />
Triste sarebbe per un bambino, se le sue domande saranno ritenute sciocche e<br />
infantili o petulanti e noiose. Il primo grave errore che si può commettere è<br />
136
Educare alla libertà… QdPD 1 (2008)<br />
quello di considerarle tali. Il grande rimprovera al piccolo la nullità delle sue<br />
affermazioni magari tacciandolo nei casi estremi, anche da sciocco: (“ Zitto, tu<br />
non capisci !”) e mostrarsi scocciato, dandogli magari lezioni non richieste e<br />
non comprese su come porre domande e come essere grandi…<br />
La verità che è che stiamo scardinando le sue certezze, le sue illusioni…<br />
la sua libertà di porsi come essere in crescita!<br />
Non per questo il bambino perde la fiducia del genitore ma lo vedrà sotto<br />
un aspetto nuovo, sotto l’aspetto di un giudice che non tollera errori, che pretende,<br />
che si faccia come dice lui.<br />
Cominciano ad affacciarsi diversi interrogativi nella mente del bambino:<br />
• Non sono come mi vorrebbe…<br />
• Non sono capace di essere come lui mi vorrebbe…<br />
• Se gli pongo questa domanda, mi prenderò un’altra offesa?<br />
• A chi rivolgermi per avere risposte ai miei quesiti?<br />
Va da sé che la stima affettiva, che pure resta fortissima, subisce un trauma.<br />
Meglio sarebbe rispondere al bambino con la stessa serietà e attenzione<br />
che lui mette nel formulare le domande.<br />
Si eviterà così di annacquare quel collante affettivo entro il quale il genitore<br />
può fare breccia e istruire, guidare, convincere il bambino a seguire le sue<br />
richieste che istintivamente ritiene giuste in quanto proposte da persona di<br />
massima fiducia..<br />
Ogni richiesta del bambino merita una risposta seria e convincente possibilmente<br />
formulata in maniera da essere ben compresa. Non siamo ancora<br />
nella fase in cui il bambino contraddistingue il sapiente dall’ignorante, ma in<br />
quella che contraddistingue chi è chiaro da chi non è chiaro. Se appartenessimo<br />
alla categoria dei poco chiari, con il passare degli anni la stima del bambino<br />
ormai ragazzo o adulto sarebbe fortemente compromessa.<br />
Ancora oggi benché mio figlio abbia più di trenta anni, ogni tanto mi interrompe<br />
dicendomi: “ Papà, in quell’occasione tu hai affermato questo e questo…<br />
Oggi tu dici quest’altro…, te ne approfittavi perché io ero piccolo e non<br />
capivo…<br />
Di fronte alla loro memoria così viva è difficile negare e allora ecco pronta la<br />
137
antivedere Augusto Bartolini<br />
risposta in discolpa:<br />
Forse non mi hai capito bene, eppure ero stato chiaro…<br />
In ogni caso è una scusante che, invece di assolverci, ci condanna .<br />
Raramente esce fuori una risposta che sa di umiltà e di razionalità: “ Prima<br />
pensavo anch’io che fosse così, ma poi…”<br />
In questo modo abbiamo dato una bella mano a sminuire il mito del “ genitore<br />
che sa tutto”accelerando in lui la ricerca di un altro “ che sa tutto”: l’insegnante.<br />
LA SCUOLA<br />
Il momento della scuola, cambiamento radicale della vita di un bambino,<br />
potrebbe dimostrarsi un grosso trauma per il bambino. Il cerchio ristretto della<br />
società familiare, all’improvviso si dilata e diventa un insieme di famiglie<br />
che mette in comune il proprio bagaglio di esperienze affinché se ne possa ricavare<br />
una sintesi che funga da base di partenza per il futuro dei figli.<br />
Nel momento fatidico dell’ingresso a scuola assistiamo a diversi atteggiamenti<br />
del bambino (quelli di molti grandi non li prendiamo in considerazione<br />
per pura commiserazione) .<br />
• Il bambino è sì attaccato alla mano del genitore, ma i suoi occhi solari spaziano<br />
nell’ambiente che lo circonda e gioisce nel suo intimo della novità.<br />
Sarà colui che saluterà il genitore con la mano e il volto piegato all’indietro<br />
ma che non perderà il passo verso la novità che lo attende.<br />
• Il bambino è attaccato alla mano del genitore ma è unito al genitore con tutto il<br />
suo corpo e guarda di sottecchi il mondo nuovo che si apre davanti a lui.<br />
Sarà colui che saluterà il genitore con la mano instabile la bocca contratta al<br />
pianto, gli occhi lucidi. E’ più interessato a capire il perché di quello strappo<br />
piuttosto che pensare alla novità che lo attende.<br />
• Il bambino punta i piedi, piange, si dispera, le sue dita di acciaio si avvinghiano<br />
a qualunque cosa lo tenga legato al genitore.<br />
Non ha tempo e voglia di capire che cosa stia succedendo, semplicemente<br />
non vuole distaccarsi dal suo piccolo mondo familiare.<br />
138
Educare alla libertà… QdPD 1 (2008)<br />
• Il bambino piange, si dispera, offende, insulta, scalcia chiunque gli si avvicini.<br />
Si sente tradito e non vuole sentirsi dire: “ E’ meglio, lo facciamo per te, per<br />
il tuo bene…”<br />
Questi diversi atteggiamenti con tutte le possibili sfumature sono il primo<br />
prodotto del rapporto venutosi a creare nel nucleo familiare. Nei primi due casi<br />
c’è una situazione di armonia. Effettivamente il bambino considera il genitore,<br />
il suo punto di riferimento e il lasciarlo in mani ancora sconosciute non<br />
lo preoccupa perché l’ha scelto “Lui!” Piccoli aggiustamenti nel corso del tempo<br />
da parte dell’insegnante, colloqui e certezze affermate dai genitori porteranno<br />
a una scolarità e a una socialità sicuramente soddisfacenti, se non intercorreranno<br />
forti fattori negativi.<br />
Il terzo caso, il più delle volte è frutto di una preponderante irrazionalità<br />
passeggera, dovuta al timore che il suo ego, troppo protetto nell’ambito familiare<br />
abbia da soffrire la competizione con l’ego altrui. Non appena l’insegnante<br />
e l’intervento attento dei genitori riusciranno a chiarire quell’apparente<br />
abbandono, tutto si risolverà.<br />
Però potrebbe essere un bambino a rischio: una chiusura ermetica del genitore<br />
o una accoglienza troppo fredda dell’insegnante potrebbe aggravare quel<br />
senso di abbandono percepito dal bambino e aprire in lui idee che lo porteranno<br />
a un conflitto sempre più forte sia con i genitori che “si sono disfatti di lui”<br />
sia con l’ambiente scolastico considerato la casa di rieducazione, dalla quale<br />
bisogna evadere il più presto possibile.<br />
Il quarto caso si presenta di una gravità eccezionale, E’ un vero problema<br />
per l’insegnante che dovrà correggere,se ci riuscirà, gli innumerevoli errori<br />
fatti da coloro che per legge sono i veri educatori. Nella fase prescolare, probabilmente,<br />
non ha potuto contare su due genitori ma su due servitori a tempo<br />
pieno, su due sottomessi, su due “tappetini” .<br />
Un bambino che si presenta in un nuovo ambiente abituato ad essere:<br />
- Egocentro nel piccolo mondo familiare<br />
- Tiranno assoluto<br />
- Perfetto in tutte le sue mancanze<br />
- Soddisfatto in tutte le sue richieste<br />
- Libero di sfasciare, di sporcare, di sproloquiare e di dire parolacce<br />
- Sicuro di almeno due mastini che lo difenderanno a spada tratta qualunque<br />
cosa dica o faccia<br />
139
antivedere Augusto Bartolini<br />
Rischierà nel corso della sua scolarità di spadroneggiare sugli altri spaccando<br />
l’ambiente classe in:<br />
- Avversari da temere o da combattere<br />
- Sudditi fedeli per quieto vivere<br />
- Sicari pronti a dar corpo a ogni sua richiesta.<br />
E impianterà così le basi per quel bullismo che lo porterà a commettere mancanze<br />
e male azioni rapportate alla sua età: la gravità delle azioni sarà proporzionale<br />
alla crescita.<br />
Se ne esce affrontando il problema da più parti:<br />
- con intelligenza e umiltà da parte dei genitori<br />
- con la pazienza e la fermezza dell’insegnante<br />
- con il dialogo il più possibile aperto e costruttivo tra gli educatori<br />
- con i consigli dello psicologo<br />
- con la collaborazione di tutti.<br />
PERCHE’ LA COSA VERAMENTE IMPORTANTE E’ LA COMPLETA FORMA-<br />
ZIONE SOCIALE, CULTURALE, SPIRITUALE DELL’ALUNNO,<br />
FUTURO CITTADINO.<br />
LA PRIMA FASE DELL’ESSERE SE STESSI<br />
Giunge il momento in cui il genitore non è più “ Colui che sa tutto…”<br />
L’impianto culturale del bambino cresce a dismisura, la sua mente si allarga,<br />
assorbe…<br />
Ora il centro del sapere è il maestro!<br />
“ Il maestro ha detto… Me l’ha detto il maestro… Tu non capisci, me l’ha detto il<br />
maestro…” ed altre espressioni che fanno parte del suo modo di esprimersi.<br />
Che responsabilità!<br />
E noi genitori? Abbiamo perduto di colpo la nostra privilegiata posizione?<br />
No. Dobbiamo semplicemente prendere atto che dovremo condividere il<br />
nostro trono culturale ed esperenziale con altri. Se giocheremo a buttarci giù<br />
dal trono, allora avremo fallito in partenza. Se utilizzeremo tutti i trucchi per<br />
favorire una convivenza accettabile allora avremo superato il problema.<br />
140
Educare alla libertà… QdPD 1 (2008)<br />
• Contrastare caparbiamente o risolutamente il bambino è grave, come è<br />
ancora più grave mettere in dubbio agli occhi del bambino, le capacità del<br />
maestro o di altri che lo attorniano.<br />
Ma a chi dovrà poi dare retta, al padre? Al maestro?<br />
A tutti e due è impossibile perché non dicono la stessa cosa.<br />
Non è un grosso rischio? Non è confonderlo negandogli la possibilità e la libertà<br />
di discernere da solo nel corso del tempo, il ruolo delle persone preposte<br />
alla sua crescita?<br />
• Se darà ragione al maestro, noi genitori saremo condannati a perdere<br />
inesorabilmente la stima…<br />
• Se darà ragione a noi, perderà la stima del maestro e chi ne farà le spese<br />
sarà la sua formazione…<br />
• Se perderà la stima di tutti e due, a chi darà ragione? Al bullo della<br />
classe? E poi al bullo di quartiere?<br />
Impariamo a riconoscere il nostro ruolo, a rispettare il ruolo degli altri, a<br />
dare risposte chiare e precise a seconda del nostro ruolo.<br />
• Non dobbiamo aver timore di dire: “ Guarda, non sono certo di saperlo,<br />
forse è meglio che te lo fai spiegare dall’insegnante…”<br />
• Il bambino ormai è entrato nell’ordine delle idee che il dispensatore del<br />
sapere scolastico è il maestro, il genitore ha tutto un altro ruolo e la stima<br />
e la fiducia che lui ha per noi non sarà neppure scalfita…<br />
• Non pensiamo assolutamente di ingannarli, non sono così piccoli, impre<br />
parati e sprovveduti come spesso ce li raffiguriamo…<br />
Un episodio vissuto in prima persona<br />
Il papà, che oltretutto è anche maestro, sta riparando lo scaldabagno che<br />
perde… Si sente chiamare da suo figlio che stava facendo il compito (faceva la<br />
terza elementare) e che si era alzato perché aveva bisogno di una spiegazione:<br />
“Papà perché…?” Il papà sudato e innervosito risponde sbuffando: “Senti,<br />
proprio non lo so lasciami fare.” Il bambino, rimasto male dalla risposta, ha un<br />
sussulto e dice: “Ma allora che maestro sei?”<br />
Improvvisamente il lavoro che stava facendo gli è sembrato un nonnulla di<br />
141
antivedere Augusto Bartolini<br />
fronte alla risposta ricevuta per cui, senza pensarci su, è sceso dalla scala, si è<br />
lavato le mani, e dopo essersi scusato per non avergli risposto subito, si è messo<br />
accanto a lui e gli ha fornito tutte le spiegazioni di cui aveva bisogno .<br />
E quando il ragazzo prenderà coscienza della sua situazione sociale, del ceto<br />
di appartenenza, del rapporto che intercorre tra gli elementi delle famiglie<br />
degli amici? Quando inizierà quella situazione conflittuale nella quale il ragazzo,<br />
oltre a provare la fermezza e il carattere del genitore, lo sceglierà inizialmente<br />
come modello, come farà il padre a rapportarsi con lui?<br />
Saprà dare risposte serie?<br />
Come potrà porsi come modello?<br />
Come potrà essere certo di essere creduto?<br />
Come potrà spiegare eventualmente la sua posizione di coniuge separato, o<br />
altro?<br />
Se sarà stato un genitore attento alle necessità del figlio nell’età infantile e<br />
scolare, avrà sicuramente meno difficoltà di colui che, egoisticamente, pensando<br />
al bene del proprio figlio, in realtà faceva il suo bene. Suo figlio anche penserà<br />
a se stesso e, difficilmente eleggerà il padre a modello della sua vita e di<br />
quella dei propri figli.<br />
CONCLUSIONE<br />
La conferma di essere stati buoni educatori e buoni genitori, la avremo purtroppo<br />
quando ormai i nostri interventi non avranno più alcun effetto. Ed allora<br />
incominciamo fin da subito a considerare il figlio un altro essere in crescita<br />
e formazione soffermandoci bene sulla parola “altro“. Non imponiamoci,<br />
mostriamoci soltanto! Lasciamolo libero di cercarsi un modello convincente.<br />
Se noi saremo stati modelli convincenti egli non potrà che rapportarsi a noi<br />
e potremo così dire nel nostro intimo:<br />
142<br />
“ E’ partito seguendo il mio esempio, diventerà migliore di me!”
Educare al cuore QdPD 1 (2008)<br />
“L’insegnante si qualifica per conoscere il mondo e per essere in<br />
grado di istruire altri in proposito, ed è autorevole in quanto, di<br />
quel mondo, si assume la responsabilità. Di fronte al fanciullo è una<br />
sorta di rappresentante di tutti i cittadini adulti della terra, che indica<br />
i particolari dicendo: ecco il nostro mondo.”<br />
Hannah Arendt 1<br />
“Una scuola che si sbarazza di Franti è una scuola da buttare.”<br />
Domenico Starnone 2<br />
Educare al cuore 3<br />
ALBERTO TORNATORA<br />
I giovani cercano sempre un interlocutore con cui confrontarsi e quando lo individuano<br />
nel mondo degli adulti i loro commenti, spesso poco benevoli, contengono<br />
frammenti di verità così scomode e sgradevoli che costringono gli adulti a<br />
fare i conti con la loro ipocrisia. La verità, una “virtù crudele” 4 che, seppure solamente<br />
accennata, non perdona al re di essere nudo e lo espone al riso e alla dissacrazione,<br />
riesce a spezzare la cornice di ipocrisia che racchiude in sé le convenzioni,<br />
i limiti e tutti quei compromessi che regolano la nostra vita sociale. La verità si<br />
manifesta in maniera limpida nello sguardo ingenuo del bambino che dice quello<br />
che vede e giunge a trarne le conseguenze : il mondo degli adulti è ipocrita.<br />
Questa ipocrisia , che è all’origine del disagio esistenziale dei giovani 5 , de-<br />
1 H. Arendt, Tra passato e futuro, Milano 1991 pag. 247<br />
2 D. Starnone, Paura di Franti, introduzione a E. <strong>De</strong> Amicis Cuore, Milano 2007 pag. XXIV<br />
3 “Per costruire una società più giusta è necessario un grande impegno a livello politico, economico-sociale<br />
e culturale. Ma ciò non basta! L’impegno decisivo deve essere rivolto al cuore stesso dell’uomo.” Giovanni<br />
Paolo II , Centesimus Annus<br />
4 A. Tagliapietra, La virtù crudele. Filosofia e storia della sincerità, Torino 2003<br />
5 “L’ipocrisia degli adulti origina i disagi dei giovani.” (N. Pisanu)<br />
143
antivedere Alberto Tornatora<br />
lude le aspettative anche quelle più sentite ed urgenti e può arrivare persino<br />
a spegnere ogni possibile passione. Se questo è l’esempio che danno gli adulti<br />
quali sentimenti possono avere i giovani che si pongono di fronte a loro?<br />
Ad essi non resta che l’indifferenza o la ribellione. Ma della ribellione che è da<br />
sempre una ingenua ( ovvero nello stesso tempo nobile e spontanea) spinta alla<br />
ricerca del nuovo, che è una costante che caratterizza gli anni in salita dell’adolescenza,<br />
si sono quasi perse le tracce.<br />
Il limbo del conformismo<br />
Piuttosto sono l’indifferenza ed il disinteresse che generano tra i ragazzi il<br />
conformismo, una sorta di limbo dove languiscono le anime quasi spente di<br />
quei giovani che, nel migliore dei casi, saranno mossi ad agire solo per un interesse<br />
personale e non piuttosto per un ideale teso al vantaggio della collettività<br />
. E se ci si mette anche la scuola a mortificare le loro aspirazioni, a scoraggiare<br />
l’entusiasmo per gli ideali cui vorrebbero ispirarsi, una scuola dove vige<br />
il principio che l’insegnante deve istruire e non educare dal momento che<br />
l’educazione è una conseguenza diretta dell’istruzione ( ! ? ), allora non ci si<br />
deve meravigliare che i diversi sintomi del malessere esistenziale (droga, violenza<br />
e alcolismo) si fanno più evidenti e diffusi e sono il segnale preoccupante<br />
di un disequilibrio tra le diverse componenti fisiche, psicologiche e sociali.<br />
La scuola dovrebbe provvedere a fare acquisire ai giovani le leggi della<br />
convivenza (cfr. i quattro pilastri della educazione: sapere, sapere fare, sapere<br />
essere e sapere vivere con gli altri ) invece di provocare disinteresse non fornendo<br />
motivazioni sufficientemente valide, isterilendosi in forme autoritarie<br />
o, peggio, permissive dove ciò che conta è la confezione del sapere , non i suoi<br />
contenuti, non la sua potenziale vitalità che ne fa argomento di passione.<br />
Ma è impensabile istruire se non si provvede prima e/o contestualmente<br />
ai tempi della istruzione alla costruzione della identità dell’individuo attivando<br />
specifici processi educativi. L’identità di ognuno si costruisce a partire dal<br />
riconoscimento dell’altro e se questo riconoscimento manca in famiglia e a<br />
scuola allora il rischio è che l’identità cerchi se stessa fuori , per strada dove la<br />
droga, l’alcool ed il sesso diventano le forme esasperate di un riconoscimento<br />
mancato (per insensibilità dei genitori? per imperizia degli insegnanti? in ogni<br />
caso perché non sono state offerte forme di riconoscimento più adeguate) 6 .<br />
L’adolescenza che vive nel desiderio di agire, conoscere e scoprire viene<br />
continuamente ostacolata dalla realtà e allora, come sostiene Umerto Galimberti<br />
“sono possibili due atteggiamenti: la rimozione (creazione di un mondo dei so-<br />
144
Educare al cuore QdPD 1 (2008)<br />
gni alternativo) o la frustrazione (l’annullamento dell’identità)”. 7<br />
In questo scontro tra la dimensione della realtà , che nella sua quotidianità<br />
produce delusione, e quella del desiderio che resta inappagato, i giovani rimuovono<br />
il “reale” inventando una realtà altra e, così facendo, il sentimento<br />
di frustrazione che essi provano e che a piccole dosi è utile per la crescita può<br />
condurli persino ad un totale annullamento della volontà di esistere.<br />
I logaritmi, i Sepolcri e l’analfabetismo affettivo<br />
La scuola svolge intanto diligentemente i programmi ministeriali perché<br />
l’istruzione possa essere alla portata di tutti : l’errore che viene commesso è<br />
però quello di considerare l’educazione un derivato dell’istruzione: è vero invece<br />
che solo ad educazione avvenuta e/o contemporaneamente ad essa,<br />
l’istruzione diventa possibile. Si può istruire solo chi è consapevole di acquisire<br />
lentamente, progressivamente una coscienza di sé.<br />
Per educare non basta istruire se l’istruzione è “la trasmissione spassionata,<br />
quando non addirittura stanca, di nozioni estratte dalla storia della cultura, dopo<br />
averle opportunamente purificate dalle risonanze psicologiche,emozionali,sentimentali<br />
in modo che la scientificità del sapere non sia compromessa da queste scorie umane”. 8<br />
Una scuola che ha espulso dalle sue aule l’educazione dei sentimenti ha condannato<br />
all’esilio l’emozione e poiché non ci può essere apprendimento che<br />
non si fondi su una partecipazione emotiva dello studente il rischio che si corre<br />
è la mortificazione di quel sentimento spontaneo che si dischiude con energia<br />
e disordine aprendosi alla vita ; l’incuria e la superficialità degli adulti responsabili<br />
sono le coordinate geografiche di un orizzonte di abbandono e depressione<br />
che incombe minacciosamente sui giovani.<br />
Certo la scuola ha il compito di trasmettere saperi ma dimentica che deve<br />
6 “ L’adolescenza e la prima giovinezza si sono sottratte al magnetismo degli adulti. L’allungarsi biologico<br />
e sociale della vita ha reso meno urgente il passaggio alla maturità. I tempi si sono dilatati, c’è meno fretta.<br />
(…) L’adolescenza si è emancipata dalla sua condizione di minorità, si è consolidata in uno stato mentale<br />
capace di un irradiamento forte, in un tempo di vita non più schiacciato dalla corsa verso la maturità.<br />
Induce ormai un universo di consumi, di mode e di simboli che a loro volta la stabilizzano e la proteggono.<br />
La vita “lunga” non ha più un solo culmine né un’unica finalità: ha fasi autonome, con passaggi<br />
morbidi; non è lineare, ma multiversa; si sviluppa in più direzioni, ciascuna con proprie inclinazioni e<br />
regole. (…) Vi è nell’universo dei nostri ragazzi una spinta verso la cura di sé, verso l’affermazione immediata<br />
della propria labile e cangiante identità - sotto forma di bisogno di riconoscimento, di visibilità, di<br />
ricerca di approvazione nella cerchia dei coetanei - che, se non controllata e orientata dall’ambiente in cui<br />
si esprime, può aprirsi su rischi assai seri.” A. Schiavone, Cambiare la scuola pensando agli studenti, in La Repubblica<br />
12 Ottobre 2008 pag. 26<br />
7 U. Galimberti, Paesaggi dell’anima, Milano 1996 pag. 142<br />
8 U. Galimberti, op. cit., pag. 149<br />
145
antivedere Alberto Tornatora<br />
innanzitutto sapere essere al servizio del cuore degli studenti offrendo loro gli<br />
strumenti, i progetti, i percorsi di indagine che alimentino il loro interesse e<br />
non invece operare per livellare le soggettività nascenti in nome di un presunto,<br />
sterile sapere oggettivo . 9<br />
Quanti sono gli studenti, che quando studiano, lo fanno solo per l’interrogazione<br />
e i compiti perché sono convinti di fare cose inutili per la vita? 10<br />
Insegnanti e genitori esortano allo studio, all’impegno e i giovani, quando<br />
provano a mettere in pratica i consigli degli adulti, si annoiano fino alla morte<br />
di fronte a pagine disanimate, estranee: la loro testa è altrove, le loro urgenze<br />
sono altre e nello stesso tempo essi sentono aumentare i sensi di colpa per<br />
gli esiti insoddisfacenti del loro profitto scolastico. Questo è il quadro di un<br />
percorso adolescenziale oggi purtroppo abbastanza diffuso dove il disagio è<br />
il segno di una demotivazione che arriva a spegnere nei giovani il rispetto di<br />
sé. Un dolore esistenziale che non può essere ignorato da chi opera con i giovani,<br />
da chi ha il compito di educarli alla vita e non si accorge invece delle loro<br />
esistenze precarie, della loro incerta identità che proprio quando incomincia<br />
a prendere forma è minacciata dal non sapere chi si è e dalla paura di non<br />
riuscire a diventare quello che si vorrebbe.<br />
Lo psicologo Paolo Crepet ha definito come “dimensione del vuoto” quel<br />
disagio esistenziale che può diventare l’anticamera del suicidio ; se è vero che<br />
in Italia ogni giorno ci sono due giovani che si tolgono la vita mentre altri dieci<br />
tentano di farlo, per quanto la prevenzione al suicidio degli adolescenti non<br />
rientri nei programmi scolastici, è probabile che una parte di responsabilità di<br />
questo vuoto sia imputabile alla scuola dove, per dirla con Leopardi, di loro<br />
e del loro tempo “si spende la miglior parte”.<br />
La funzione dell’educatore<br />
Gli insegnanti dovrebbero essere consapevoli che l’apprendimento dipende<br />
in gran parte dall’autostima ( ovvero dalla considerazione positiva di sé )<br />
che innesca un meccanismo virtuoso, così come dall’auto accettazione ( la capacità<br />
di accogliere il negativo ) che consente di affrontare le avversità della<br />
vita. La funzione dell’educatore consiste appunto nello svolgere una adeguata<br />
prevenzione cosiddetta “primaria” per non trovarsi poi a dovere affrontare la<br />
dimensione del vuoto popolata dai fantasmi della tossicodipendenza, dell’alcolismo<br />
e del sesso verso cui i giovani si sentono portati alla deriva, e dove<br />
forse essi stessi “si sentono stranieri nella propria vita”. 11<br />
146
Educare al cuore QdPD 1 (2008)<br />
L’impegno dell’educazione, che ha come obiettivo quello di promuovere le<br />
capacità fondamentali di ogni individuo per aiutarlo a vivere la propria vita<br />
in modo “storico, cosciente, libero, responsabile e solidale nel mondo e con gli<br />
altri” (C. Nanni), chiama in causa gli insegnanti e le loro competenze, il loro<br />
stile, il senso di responsabilità: in una parola la loro professionalità.<br />
Indubbiamente l’insegnante - educatore deve avere una approfondita conoscenza<br />
della/e disciplina/e insegnata/e, una provata competenza didattica<br />
qualificata dalla capacità personale di animare la ricerca e incoraggiare il dibattito<br />
e il confronto tra gli alunni. 12 <strong>De</strong>ve pertanto possedere idonee conoscenze<br />
relative ai processi di apprendimento ed istruzione, deve sapere personalizzare<br />
lo stile di insegnamento ed applicare validi criteri docimologici (valutazione<br />
e controllo) che gli permettano una appropriata verifica formativa.<br />
E’ opportuno ipotizzare che l’insegnante abbia anche delle capacità pedagogiche<br />
generali e, soprattutto,una spontanea disponibilità ad un costante aggiornamento.<br />
Insomma all’insegnante è richiesta una serie di caratteristiche<br />
che dovrebbero esaltare le qualità dell’impegno professionale cui è chiamato.<br />
Nella tradizione educativa cristiana la mentalità dell’insegnante - educatore è<br />
particolarmente attenta alla crescita personale, sia essa individuale che comunitaria,<br />
del giovane; l’educatore ha una visione del mondo e della vita che dà fiducia<br />
alla capacità dell’umanità di costruire una vita e un mondo a misura d’uomo,<br />
o meglio cristianamente, a misura dell’umanità di Cristo risorto e individua come<br />
punto di partenza del processo educativo quegli aspetti della vita personale<br />
di ciascuno che sono da promuovere, sostenere, coltivare, incoraggiare, fare cre-<br />
9 “Nel mondo che cambia, i ragazzi cambiano: loro tutti gli anni hanno sempre quindici anni, e tu, dall’altra<br />
parte della cattedra ne hai sempre uno di più. Quest’anno in più, che ci allontana dalla gioventù (dalla<br />
nostra e dalla loro) possiamo decidere di giocarcelo scavando un solco o gettando un ponte: personalmente<br />
ritengo che attraversare un ponte sia operazione più facile che risalire da un buco profondo tanti<br />
metri quanti sono gli anni che dividono le generazioni. Il ponte è la metafora che chiarisce cosa significa<br />
entrare in relazione con qualcuno. La relazione interpersonale, un tassello fondamentale del processo<br />
di apprendimento, è un gioco delicato che implica fiducia reciproca; ma è anche una scommessa che si<br />
può vincere o perdere. Non basta aver costruito un ponte: poi bisogna avere il coraggio di attraversarlo.”<br />
A. Ghibaudi, Conoscere i ragazzi, sta in AA. VV., La mia scuola , a cura di D. Chiesa e C. Trucco Zagrebelsky<br />
Torino 2005 pag. 40<br />
10 “Studium discendi voluntate, quae cogi non potest, constat.” (L’amore per lo studio si fonda sulla volontà che<br />
non può essere indotta con la forza) Quintiliano Institutio oratoria I, 3, 8<br />
11 U. Galimberti, op. cit. , pag.161<br />
12 “I docenti possono pensare di avviare un percorso di cambiamento solo stabilendo relazioni diverse,<br />
avendo il coraggio di lasciare la veste di chi fa del falso moralismo o si presenta come indulgente amico<br />
degli studenti o ancora come esecutore di protocolli procedurali che non intaccano positivamente la qualità<br />
della relazione educativa e dunque l’assunzione di abiti morali. E’ necessario dedicarsi senza artifizi<br />
a ritrovare l’importanza della vita, dell’impegno, della serietà ed eticità delle proprie azioni a partire dalla<br />
specificità del contesto scolastico; in definitiva, si tratta di esprimere e praticare il significato di perfettibilità<br />
umana.” M. Benetton, Educare alle virtù, in “Nuova Secondaria 2” Brescia Ottobre 2008 pag.16<br />
147
antivedere Alberto Tornatora<br />
scere.<br />
Il laico cattolico educatore<br />
La figura dell’educatore quale testimone ed esempio di una condotta di vita<br />
ispirata all’onestà dei sentimenti e delle opere deve potere essere riconosciuta in<br />
maniera inequivocabile : il suo impegno educativo mira al rafforzamento della<br />
piena maturità umana fondata sul senso del dovere e della responsabilità ; egli<br />
deve essere in grado di offrire agli alunni gli strumenti necessari per la ricerca<br />
della vera libertà che è quella dell’uomo creato ad immagine e somiglianza di<br />
Dio così da orientarli nella maturazione della coscienza morale personale che<br />
consiste nella capacità specifica di discernere il bene e il male. 13<br />
L’educatore è colui che agisce con sollecitudine e discrezione sempre attento<br />
alla sensibilità psicologica ed affettiva dell’educando; così facendo, in quanto<br />
testimone della fede nella scuola, opera come apostolo dell’educazione<br />
esercitando un vero e proprio ministero educativo al servizio della umanità.<br />
Il rapporto educativo fin qui descritto si presenta dunque come un rapporto<br />
teleologico, ossia orientato secondo finalità, per il conseguimento di obiettivi<br />
che ne regolano la dinamica ; questo rapporto è possibile solo se c’è effettiva<br />
comunicazione tra l’educatore e l’educando, ovvero quando si instaura un<br />
rapporto “dialogale” che certo non annulla la naturale asimmetria tra i due<br />
soggetti, anzi ne trae alimento per dare origine a quella particolare tonalità af-<br />
13 “… il rapporto tra scuola e società, tra scuola e mondo del lavoro ha bisogno di un nuovo equilibrio, per<br />
evitare ad entrambi i rischi della frattura e della confusione.<br />
L’urgenza e la necessità di cambiare profondamente le strutture (istituzionali, economiche e politiche), però,<br />
presuppone persone ad alta tensione morale e con una forte passione per l’uomo e i suoi destini. Si tratta<br />
di ridefinire secondo un più alto profilo la figura dell’educatore nella scuola, facendo sintesi tra competenze<br />
professionali e motivazioni educative, con una particolare attenzione alla capacità al dialogo.<br />
Si tratta altresì di ripensare la funzione educativa della scuola attraverso una progettualità globale con il<br />
riferimento a un’idea di scuola di persone per la comunità, cioè uno spazio relazionale, nel quale alcuni soggetti<br />
personali concorrono alla costruzione di identità personali libere e consapevoli, tramite una proposta<br />
culturale seria e ricca di significati validi e condivisi.<br />
Tale mutamento di prospettiva mette al centro la persona, e chiede alla scuola di rendere sempre più flessibili<br />
e adeguati i propri percorsi e le proprie strutture, così da rispondere all’originalità e alla varietà delle<br />
situazioni personali e ambientali.” Cfr. D. Petti, Dispense del Corso per Coordinatori scolastici – Teologia<br />
dell’Educazione, Prima Lezione<br />
14 “ L’emergenza educativa si presenta allora come richiesta di un ritorno all’etica, nella duplice forma dell’acquisizione<br />
dell’educazione buona da parte dei giovani e dell’assunzione di responsabilità etica da<br />
parte di professionisti e attori dell’educazione. (…) Oggi nella scuola sembra essere carente proprio l’educazione<br />
alle virtù. Dall’astrattezza di significato del termine valore, che costituisce un’energia che orienta<br />
al bene, è pertanto opportuna e doverosa l’immersione nella pratica dell’azione attraverso la virtù,<br />
che corrisponde ad un abito morale acquisito.” M. Benetton, art. cit. , pag. 14<br />
148
Educare al cuore QdPD 1 (2008)<br />
fettiva presente nel rapporto educativo che può essere definita “amore educativo”.<br />
14<br />
Educare al cuore, nel rispetto dei ruoli e delle competenze, è una azione educativa<br />
che può avere una base emozionale (eros) ed anche una espressione sentimentale<br />
(affetto) intesa a valorizzare la persona, nella formazione e nel riconoscimento<br />
di una propria identità. Don Bosco parlava de “il punto accessibile al<br />
bene” che in ciascuno deve essere individuato ed accresciuto: è questo in sostanza<br />
il compito dell’educatore che deve sapere guidare l’educando in una crescita<br />
intellettuale, morale e religiosa che sia graduale e vissuta in comunione.<br />
La tradizione pedagogica lasalliana 15<br />
Il docente cristianamente ispirato che opera all’interno di una istituzione<br />
lasalliana deve allora essere consapevole di essere inserito in una tradizione<br />
educativa che ha una storia da cui egli può trarre ispirazione. La tradizione lasalliana,<br />
che da oltre tre secoli opera nell’ambito educativo ponendo al centro<br />
dell’attenzione il fanciullo 16 e le sue esigenze (di ogni tipo) , si fonda sulla lun-<br />
15 Per una panoramica attuale delle esperienze educative lasalliane in ambito internazionale vedi N.<br />
Capelle, Voglio venire nella tua scuola , Parigi 2006 in particolare Una visione internazionale dell’Educazione,<br />
pagg. 221-248<br />
16 Al centro della azione educativa svolta dall’educatore cristiano per La Salle c’è il ragazzo (cfr. MTR 13,3<br />
dove i giovani sono presentati come “speranza,gioia e corona dell’educatore”). Questa prospettiva<br />
“mistica” nella quale vengono descritti i ragazzi genera una sorta di ottimismo pedagogico che ha ragione<br />
di essere in quanto speranza nella capacità dell’uomo di essere “sopraffatto” dallo Spirito di Dio.<br />
Il quadro che La Salle contempla quotidianamente, soprattutto in riferimento alla educazione dei giovani,<br />
non è certo tale da ispirargli gioia e ottimismo. I ragazzi cui egli pensa nel realizzare le sue scuole sono<br />
“i figli degli artigiani e dei poveri” i jeunes sauvages , i giovani abbandonati a se stessi, al pericolo di<br />
una vita vissuta allo sbando. La Salle raccomanda ai fratelli di sapere accogliere i ragazzi così come sono,<br />
amarli senza distinzioni né prevenzioni : “Riconoscete Gesù sotto i poveri stracci dei ragazzi che dovete<br />
istruire…” (Med. 96,3) : a fondamento di tutta l’opera educativa c’è il riconoscimento della dignità<br />
di ogni ragazzo.<br />
17 La pedagogia del santo che viene descritta in tutta la sua esaustiva puntualità e completezza nella Conduite<br />
des Ecoles e nelle Règles de la biénseance, risalta nelle Meditazioni per la costante attenzione che egli<br />
raccomanda ai bisogni dei ragazzi, per la individuazione delle finalità che gli educatori debbono avere<br />
sempre presenti nel loro lavoro e per l’attenzione alla scelta e alla preparazione di tutte le persone coinvolte<br />
nel progetto educativo. E poiché la Sacra Scrittura è la materia stessa delle Meditazioni il La Salle<br />
fonda ed argomenta le sue riflessioni su di essa traendone talvolta esempi così suggestivi ed intuizioni<br />
anche originali come ad esempio nella quarta e quinta meditazione (rispettivamente 197 e 198) quando<br />
afferma che la Provvidenza vuole che gli educatori siano (come) gli angeli custodi dei loro ragazzi.<br />
L’idea degli educatori quali “angeli custodi visibili” che devono insegnare con l’esempio e la pratica le verità<br />
cristiane è di una tenerezza struggente (mi si conceda l’espressione commossa) che ci fa percepire appieno<br />
la delicatezza d’animo (vorrei dire la dolcezza per ricordare una delle 12 virtù del buon maestro) del<br />
santo che comunque termina le sue meditazioni non senza lanciare un severo ammonimento ai fratelli :<br />
“Dio vi ha affidato un ministero così santo di cui Vi chiederà conto esattissimo nel Giorno del Giudizio”(197)…“Adoperatevi<br />
con zelo…impegnatevi al massimo”(198)<br />
149
antivedere Alberto Tornatora<br />
gimirante intuizione del fondatore dei Fratelli delle Scuole Cristiane <strong>San</strong> Giovanni<br />
Battista <strong>De</strong> La Salle il quale ha avuto come prima e più urgente preoccupazione<br />
quella di formare buoni insegnanti : impegno cui dedicò circa quaranta<br />
anni della sua vita. 17<br />
La Salle ha predicato e svolto quella che lui stesso ha definito opera di Dio<br />
all’interno di un progetto educativo che chiama gli insegnanti ad essere veri e<br />
propri protagonisti della storia sacra : è questo il carisma lasalliano per cui il<br />
mestiere dell’insegnante diviene un “ministero” apostolico ed ecclesiale che<br />
deve essere svolto con particolare zelo. Zelo 18 è la parola-chiave di tutta la<br />
pedagogia lasalliana che con questo termine definisce lo spirito di fede in<br />
azione, in piena collaborazione con Dio al Suo piano di salvezza: lo zelo testimonia<br />
appunto la fedeltà all’uomo e il ministero di servizio realizzato.<br />
Nell’ambito più ampio della chiamata cristiana la vocazione dell’educatore<br />
è l’espressione di una specifica spiritualità che, nella prospettiva lasalliana,<br />
ha la caratteristica di essere una spiritualità apostolica in quanto essa è la ragione<br />
stessa della missione che oggi unisce Fratelli e laici nella condivisione<br />
del carisma del Fondatore.<br />
18 Lo zelo che testimonia il ministero di servizio realizzato altri non è che l’amore educativo : un sentimento<br />
che permette all’educatore di “toccare il cuore degli alunni” (Med. 81,2; 119,3) e di operare quindi con<br />
efficacia. Uno zelo che si realizza nell’impegno ad educare i fanciulli nella pietà e nel buon costume<br />
facendoli consapevoli e partecipi della biénseance che non è da considerarsi come una qualità puramente<br />
umana e mondana anzi, per La Salle la politesse, considerata nel suo aspetto migliore, è la stessa carità<br />
messa in pratica e il giovane che avrà imparato a comportarsi con garbo ed educazione saprà evitare eccessi<br />
anche nel vizio (cfr. Conduite 1,15)<br />
150
Educare al cuore QdPD 1 (2008)<br />
MICHELE BARILE Docente di Lingua e Letteratura Inglese al<br />
Liceo. Referente CELAS. Consulente linguistico presso Enti Pubblici.<br />
Responsabile preparazione Esami Cambridge.<br />
AUGUSTO BARTOLINI Responsabile del corso Primario al <strong>Collegio</strong><br />
<strong>San</strong> <strong>Giuseppe</strong> <strong>Istituto</strong> <strong>De</strong> <strong>Merode</strong>. Ha conseguito il Master per Educatori<br />
Cristiani e il diploma di Coordinatore Scolastico.<br />
ALESSANDRO CACCIOTTI Docente di Latino e Greco si è specializzato<br />
all’ Università Gregoriana. E’ fondatore del Laboratorio Teatrale “Il<br />
Quadriportico” e ha al suo attivo come regista oltre 30 produzioni teatrali.<br />
EDUARDO CIAMPI Docente di Lingua e Letteratura Inglese al<br />
Liceo. Traduttore, articolista e saggista impegnato da anni nell’editoria.<br />
MARCO CILIONE Docente di materie letterarie al Liceo frequenta<br />
il Master per Educatori Cristiani. Studioso di dialettologia ed epigrafia<br />
greca. Ha curato la raccolta delle fonti greche e latine per il progetto<br />
Imago Urbis.<br />
MARINA PESCARMONA Docente di Scienze al Liceo è Dottore di<br />
Ricerca in Scienze medico-forensi e frequenta il Master “Scienza e Fede”<br />
presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum.<br />
ANTONIO PILATO Docente di Chitarra e Laureato in Lettere è<br />
specializzato in Composizione. Frequenta la Scuola Chitarristica<br />
Internazionale a Coblenza.<br />
EMILY ANTONELLA POGGI Docente di Educazione Musicale e di<br />
Strumento. Diplomata in pianoforte si è specializzata nella metodologia<br />
Orff-Schulwerk e nel Biennio Interpretativo-Compositivo<br />
MANUELA REVELLO Docente di materie letterarie al Liceo frequenta<br />
il Master per Educatori Cristiani. Specializzata in Archeologia del<br />
Vicino Oriente antico è membro del Consiglio scientifico della LASET.<br />
ANDREA TESTA Docente di materie letterarie al Liceo frequenta<br />
il Master per Educatori Cristiani. Ha conseguito il Perfezionamento<br />
nello studio della tradizione della lingua italiana del Trecento.<br />
ALBERTO TORNATORA Docente di materie letterarie al Liceo. Ha<br />
conseguito il Master per Educatori Cristiani e il diploma di Coordinatore<br />
Scolastico. Studioso di letteratura cristiana antica è autore di articoli e saggi<br />
pubblicati in riviste universitarie.<br />
151
CONTENUTI...................................................................................................................7<br />
PRESENTAZIONE<br />
Perchè questi Quaderni di Fr. Pio Rocca.....................................................................9<br />
INTRODUZIONE<br />
Giustizia e libertà di Marco Cilione ..........................................................................11<br />
EDUARDO CIAMPI, EMILY ANTONELLA POGGI,ANTONIO PILATO<br />
Song for Fidele<br />
Il trapasso come metafora della liberazione...........................................................15<br />
MICHELE BARILE<br />
Oscar Wilde Freedom of Soul, freedom of Man .......................................................33<br />
ALESSANDRO CACCIOTTI<br />
Giustizia e Popolo in <strong>San</strong>t’Agostino........................................................................45<br />
MARCO CILIONE<br />
Il dialogo dei Melii e degli Ateniesi<br />
(Thuc. V 85-112) ............................................................................................................59<br />
MARINA PESCARMONA<br />
La verità rende giusti e liberi: il caso Galileo ........................................................77<br />
MANUELA REVELLO<br />
La Prosopopea delle Leggi .........................................................................................91<br />
ANDREA TESTA<br />
Letteratura, pensiero, azione: libertà e giustizia in Italia<br />
dall’età napoleonica al Risorgimento.....................................................................115<br />
antivedere dire, fare, educare oggi .......................................................................133<br />
AUGUSTO BARTOLINI<br />
Educare alla libertà, in libertà, con libertà............................................................135<br />
ALBERTO TORNATORA<br />
Educare al cuore..........................................................................................................143<br />
GLI AUTORI...............................................................................................................151<br />
INDICE.........................................................................................................................153<br />
153
APPUNTI<br />
155
156<br />
APPUNTI
APPUNTI<br />
157
158<br />
APPUNTI
APPUNTI<br />
159
160<br />
Qui<br />
docent<br />
Paulatim<br />
Discunt
ANNO I - N° 1 DICEMBRE 2008<br />
DIRETTORE RESPONSABILE Virginio Mattoccia<br />
DIREZIONE - REDAZIONE Quaderni demerodiani di<br />
Pedagogia e Didattica,<br />
rivista semestrale<br />
Registrazione Tribunale di Roma<br />
n. 400 del 20.11.2008<br />
Editore il “Quadriportico”<br />
Via S. Sebastianello,1<br />
00187 - Roma - 06 69922505<br />
Coordinamento grafico e stampa<br />
Gruppo“Just in Time”<br />
www.justintime.it<br />
COLLABORATORI<br />
Michele Barile, Augusto Bartolini, Alessandro Cacciotti, Eduardo Ciampi, Marco<br />
Cilione, Marina Pescarmona, Antonio Pilato, Emily Antonella Poggi, Manuela<br />
Revello, Andrea Testa, Alberto Tornatora
ASSOCIATI LASALLIANI PER LA MISSIONE EDUCATIVA<br />
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