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Il Trovatore - Musica, musica, musica...SUONATE!!!

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<strong>Il</strong> figlio si dimostra teneramente protettivo nei confronti della madre: ha premura per la sua insonnia, si chiede come<br />

proteggerla dalla luce e dall’aria gelida che entra dalle inferriate, come portarle sollievo, ma quella gli risponde che<br />

quella “tomba di vivi”, che toglie il respiro per quanto è angusta, non può essere migliorata: si può solo sfuggirne, da<br />

vivi o, più probabilmente, da morti, attraverso quella morte che già è visibile, come presenza concreta, segnandola<br />

(“Vedi! Le sue fosche impronte m’ha già stampato in fronte il dito della morte!”).<br />

Al sentire alludere alla fuga Manrico si torce disperato le mani: la prospettiva lo alletterebbe ma l’essere ridotto<br />

all’impotenza rende la sua sofferenza ancora più acuta; tenta come può di allontanare dalla madre almeno i cattivi<br />

pensieri, gli incubi, le visioni del funereo destino che la attende e che ella evoca con scultorea tragicità: “Troveranno un<br />

cadavere muto, gelido!... anzi uno scheletro!...”.<br />

La zingara non l’ascolta, non si trattiene,<br />

accenna appena al figlio l’appello che lui la<br />

salvi e ricade preda dell’ossessione (“Parola<br />

orrenda!”) che l’ha accompagnata per tutta la<br />

vita. Come caduta in trance, affannosamente,<br />

rantolante, mescolando passato e presente,<br />

ripercorre gli istanti del rogo, il supplizio della<br />

propria madre tra l’eccitato scherno dei<br />

carnefici; ne dà dettagli nuovi e, nel realismo,<br />

ancor più orripilanti: i capelli che, divenuti una<br />

torcia, liberano faville, gli occhi che schizzano<br />

fuori dalle orbite; infine, disperata, si chiede chi<br />

potrebbe sradicare una volta per tutte dalla sua<br />

memoria uno “spettacol sì atroce”, e finisce per<br />

accasciarsi, in balìa a convulsioni, sul corpo del<br />

<strong>Il</strong> rogo della strega, miniatura, anonimo<br />

figlio.

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