La storiografia italiana dell'ultimo trentennio sulla ... - Delpt.unina.it
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I. SAGGI<br />
Premessa<br />
<strong>La</strong> <strong>storiografia</strong> <strong><strong>it</strong>aliana</strong> dell’ultimo <strong>trentennio</strong> <strong>sulla</strong> finanza<br />
in età contemporanea: borsa, assicurazioni e finanza pubblica<br />
di<br />
FRANCESCO BALLETTA<br />
Consent<strong>it</strong>emi di aprire questa rassegna <strong>sulla</strong> storia finanziaria <strong><strong>it</strong>aliana</strong> relativa<br />
al XIX e XX secolo con un’affermazione che può sembrare pesante: la storia<br />
finanziaria <strong><strong>it</strong>aliana</strong> dell’età contemporanea è ancora tutta da scrivere, le<br />
ricerche finora condotte hanno solo portato alla luce pochi aspetti e pochi<br />
momenti di vicende che, per loro natura, sono complesse ed hanno bisogno di<br />
una buona preparazione delle tecniche finanziarie e contabili per capirne il<br />
significato. Per chiarire questa affermazione devo prima stabilire cosa intendo<br />
per storia finanziaria: è la somma della storia bancaria, della storia delle assicurazioni,<br />
della storia delle borse, della storia dello scambio dei t<strong>it</strong>oli azionari e<br />
obbligazionari non quotati in borsa e della storia della finanza pubblica, intesa<br />
come finanza dello stato e finanza degli enti locali. Le ricerche relative all’età<br />
contemporanea hanno avuto un diverso approfondimento. Più numerose e<br />
meglio argomentate quelle di storia bancaria, che, comunque, in questa occasione,<br />
non tratterò. Sono state solo avviate quelle di storia delle assicurazioni,<br />
che, dopo le banche, gestirono la fetta più significativa del risparmio privato e<br />
pubblico. Sono avviate, ma spesso condotte male, le ricerche sul mercato borsistico.<br />
<strong>La</strong> storia del mercato dei t<strong>it</strong>oli fuori borsa non è stata neanche iniziata. Le<br />
ricerche di finanza pubblica sono state avviate fin dall’Ottocento, ma, negli ultimi<br />
decenni, hanno subìto un grave rallentamento.<br />
Mi occuperò di ricerche che hanno studiato i cap<strong>it</strong>ali veicolati dalle borse<br />
e dalle imprese di assicurazione, nonché dal risparmio gest<strong>it</strong>o dagli enti pubblici,<br />
mettendo in luce il funzionamento e la trasparenza dei mercati attraverso la<br />
libera competizione economica e l’ottimale allocazione delle risorse, cioè evidenziando<br />
l’ideologia dell’“ottimo paretiano”, che, alla fine dell’Ottocento, fu<br />
teorizzato da Vilfredo Pareto, come perfezionamento logico del mercato. I due<br />
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elementi che terrò in considerazione sono i seguenti: 1) le decisioni prese dagli<br />
individui e dalle famiglie del cap<strong>it</strong>alismo <strong>it</strong>aliano; 2) il sistema ist<strong>it</strong>uzionale in<br />
cui essi operarono e le pol<strong>it</strong>iche economiche attuate dai governanti. Pareto<br />
tenne conto delle preferenze degli operatori finanziari non in relazione alla util<strong>it</strong>à<br />
che le loro decisioni ebbero per la società, bensì in base ai rapporti che scaturivano<br />
fra gli individui, per cui gli operatori del mercato finanziario agivano,<br />
in maniera fredda e precisa, in vista di un proprio vantaggio e in danno per la<br />
controparte. In relazione al sistema ist<strong>it</strong>uzionale in cui operavano, gli interventi<br />
di pol<strong>it</strong>ica economica e, più specificamente, di pol<strong>it</strong>ica fiscale, vengono visti<br />
in relazione ai vantaggi che arrecavano alla società in generale o creavano favori<br />
per alcuni e danni per altri componenti della stessa società. In questo amb<strong>it</strong>o<br />
rientrano le valutazioni degli investimenti finanziari, per cui gli economisti si<br />
sono divisi fra i sosten<strong>it</strong>ori dell’approccio ist<strong>it</strong>uzionale-normativo e quello di<br />
tipo economico-pos<strong>it</strong>ivo. Il primo tiene conto – ai fini della valutazione delle<br />
imprese, della distribuzione dei dividendi e delle decisioni di investimento –<br />
della organizzazione dell’impresa e delle norme che la regolarono. Il secondo,<br />
che si riferisce al modello di Modigliani e Miller – conosciuto anche come New<br />
Finance –, è molto più teorico, poiché tiene conto di mercati perfetti di cap<strong>it</strong>ali,<br />
in assenza di imposizioni fiscali nonché tassi di interesse passivi analoghi per<br />
le imprese e per gli azionisti, per cui la struttura finanziaria, con tali condizioni,<br />
non avrebbe nessuna influenza sul valore delle imprese societarie, “poiché il<br />
maggior rischio conseguente ad un più intenso sfruttamento della leva finanziaria,<br />
spinge verso l’alto la remunerazione richiesta dagli azionisti per acquisire<br />
t<strong>it</strong>oli della società in misura esattamente equivalente alla maggiore redd<strong>it</strong>iv<strong>it</strong>à<br />
garant<strong>it</strong>a dallo stesso effetto leva” 1 . Pertanto con modello Modigliani e Miller<br />
viene messa in dubbio l’util<strong>it</strong>à della pol<strong>it</strong>ica finanziaria aziendale.<br />
Partendo dall’ottimo paretiano, in un mercato perfetto, vale il principio del<br />
più forte che deve distruggere il più debole, nell’esaminare il contenuto della<br />
<strong>storiografia</strong> <strong><strong>it</strong>aliana</strong> sui problemi finanziari abbiamo segu<strong>it</strong>o come filo conduttore<br />
gli interventi a livello governativo o della banca centrale o dei responsabili<br />
della pol<strong>it</strong>ica finanziaria (i cosiddetti “gnomi della finanza”), che furono effettuati<br />
per mettere delle regole, affinché si attenuassero le conseguenze del principio<br />
paretiano. In questo intervento, abbiamo cercato di seguire le tensioni che<br />
si crearono fra potere centrale e poteri locali o specifici; se vi fu una sopraffazione<br />
delle regole o degli indirizzi di pol<strong>it</strong>ica economica; quale fu la redistribuzione<br />
della ricchezza prodotta dagli interventi centrali.<br />
I maggiori artefici degli interventi in materia di finanza, dall’un<strong>it</strong>à d’Italia<br />
ai nostri giorni, furono Minghetti, Sella, Depretis, Crispi, Luzzatti, Beneduce,<br />
1 G. BERTINETTI, <strong>La</strong> finanza dei grandi gruppi aziendali <strong>it</strong>aliani, Egea, Milano, 1994, p. 83.<br />
84
Stringher, Menichella, Mattioli, Cuccia, <strong>La</strong> Malfa e Carli. Particolarmente interessante<br />
sarà la ricostruzione storica del mercato finanziario <strong>it</strong>aliano dal primo<br />
dopoguerra ai nostri giorni, allorché si attuò una pol<strong>it</strong>ica di contenimento del<br />
mercato borsistico e di sostegno del mercato bancario. Questo processo, che fu<br />
voluto da Beneduce e sostenuto, successivamente, dai suoi seguaci – Menichella,<br />
Mattioli, Cuccia, <strong>La</strong> Malfa e Carli –, si estrinsecò, principalmente, attraverso<br />
le leggi bancarie del 1926 e del 1936, in base alle quali il potere monetario –<br />
detenuto dalla Banca d’Italia e dal Tesoro – controllò il mercato finanziario <strong>it</strong>aliano<br />
ed aprì la strada ad un sempre maggiore intervento dello stato nell’economia.<br />
Ciò significò un vero e proprio blocco del mercato finanziario. Solo dall’inizio<br />
degli anni Novanta del Novecento, con la creazione della Consob, si<br />
cominciò ad avere un mercato borsistico più aperto e informato a regole di controllo,<br />
che tuttavia furono insufficienti a contenere le speculazioni spietate.<br />
Sull’importanza dello studio del cap<strong>it</strong>alismo finanziario <strong>it</strong>aliano, mi lim<strong>it</strong>erò<br />
a qualche considerazione effettuata da Luciano Segreto in un articolo pubblicato<br />
sul primo numero della “Rivista di Storia Finanziaria”. Gli studiosi del<br />
cap<strong>it</strong>alismo finanziario, egli scriveva, “si muovono controcorrente rispetto agli<br />
altri studiosi che hanno offerto interpretazioni generali della storia del cap<strong>it</strong>alismo<br />
<strong>it</strong>aliano” 2 . Si tratta di un’altra immagine del cap<strong>it</strong>alismo, “che fatica talvolta<br />
a coesistere con quella già consolidata dagli studiosi precedenti, quasi come<br />
se chi se ne occupa parlasse un’altra lingua e si riferisse a un altro cap<strong>it</strong>alismo” 3 .<br />
Per dimostrare questa sua affermazione, Segreto confronta il censimento industriale<br />
del 1911 con quello del 1951 e i cap<strong>it</strong>ali invest<strong>it</strong>i nelle società per azioni<br />
nello stesso periodo. In base ai censimenti, il maggior numero di occupati, nel<br />
1911, si aveva nei settori tessile, alimentare e meccanico; nello stesso periodo, le<br />
prime 100 società con maggiore cap<strong>it</strong>ale si invest<strong>it</strong>o trovano nei seguenti settori:<br />
finanziario, bancario, della navigazione, immobiliare e elettrico e chimico.<br />
Nel 1951, i censimenti riportavano che le società con maggior numero di operai<br />
erano le stesse del 1911. Dal punto di vista finanziario, le società con maggiori<br />
cap<strong>it</strong>ali, a partire dagli anni Venti fino agli anni Cinquanta, erano le<br />
società elettriche, segu<strong>it</strong>e da quelle meccaniche e dalle banche. Se prendiamo in<br />
considerazione le cap<strong>it</strong>alizzazioni di borsa, la s<strong>it</strong>uazione non cambia e troviamo<br />
in testa le banche e le società elettriche. Ciò significa che questi due settori –<br />
rappresentati da Motta, Pirelli, Feltrinelli, Volpi e Beneduce – erano i più forti<br />
del cap<strong>it</strong>alismo <strong>it</strong>aliano ed erano quelli che, durante il periodo fra le due guerre,<br />
ebbero un maggiore peso <strong>sulla</strong> pol<strong>it</strong>ica del fascismo per i cap<strong>it</strong>ali che il settore<br />
era capace di rimuovere.<br />
2 L. SEGRETO, Assetti proprietari e grandi mediatori in Italia nella prima metà del Novecento,<br />
in “Rivista di Storia Finanziaria”, n. 1, luglio-dicembre 1998, p. 9.<br />
3 Ibidem.<br />
85
Tenendo conto dell’importanza finanziaria dell’industria elettrica, Luciano<br />
Segreto propone finanche una diversa periodizzazione della storia industriale<br />
<strong><strong>it</strong>aliana</strong>. <strong>La</strong> cresc<strong>it</strong>a del cap<strong>it</strong>alismo finanziario <strong>it</strong>aliano, dalla fine dell’Ottocento<br />
alla fine della prima guerra mondiale, ebbe la sua evoluzione grazie agli investimenti<br />
nel settore elettrico effettuati da alcune holding estere. Negli anni<br />
Venti, si ebbe il consolidamento di alcuni gruppi finanziari regionali; nel 1933,<br />
si ebbe la massiccia presenza dello stato nel cap<strong>it</strong>alismo con l’entrata nell’IRI<br />
nel settore elettrico. Nel 1935, le privatizzazioni dell’Edison e della Bastogi<br />
durarono fino alla nazionalizzazione del 1962-63. I protagonisti di questo cap<strong>it</strong>alismo<br />
furono: Fiat, Pirelli, Edison, Gruppo Sade, SME, Italcable, IRI, Fondiaria,<br />
Ras, Generali, Banca Toscana, Monte dei Paschi di Siena e Banco di<br />
Napoli. Anche il mondo delle assicurazioni ebbe un ruolo importante nel cap<strong>it</strong>alismo<br />
finanziario che si formò fra le due guerre.<br />
Nel secondo dopoguerra, non vi furono grandi mutamenti nell’assetto proprietario<br />
delle grandi famiglie del cap<strong>it</strong>alismo <strong>it</strong>aliano. Mentre Beneduce fu l’artefice<br />
e il garante delle caratteristiche del cap<strong>it</strong>alismo <strong>it</strong>aliano nel periodo fra le<br />
due guerre mondiali, Mediobanca, sotto la direzione di Cuccia (genero di Beneduce),<br />
operò per la conservazione del potere finanziario di quelle famiglie. I<br />
movimenti diretti a scompaginare quegli equilibri furono sempre rapidamente<br />
soffocati. Cambiarono i governi, mutarono le pol<strong>it</strong>iche, la congiuntura economica<br />
subì profonde variazioni, ma il potere finanziario di pochi rimase immutato,<br />
ciò dimostra che si trattò di un potere dotato di propri tempi e proprie<br />
caratteristiche che si distinguono da altri movimenti 4 .<br />
I. <strong>La</strong> <strong>storiografia</strong> sul mercato borsistico<br />
1. Le testimonianze dei protagonisti<br />
Le ricerche <strong>sulla</strong> borsa hanno due facce: quella relativa allo studio delle<br />
manovre finanziarie condotte dalle grandi famiglie del cap<strong>it</strong>alismo <strong>it</strong>aliano e<br />
quella relativa allo studio delle ist<strong>it</strong>uzioni e del mercato borsistico legato al<br />
comportamento degli invest<strong>it</strong>ori. Le difficoltà relative alle prime ricerche dipendono<br />
dall’ermetismo dei protagonisti di quelle manovre e dai contrasti che<br />
vi furono fra loro, senza escludere la pol<strong>it</strong>ica dei governanti, che, attraverso la<br />
manovra monetaria, la pol<strong>it</strong>ica fiscale e quella delle privatizzazioni, regolarono,<br />
spesso, quel comportamento. Lo studio del mercato borsistico cozza con le difficoltà<br />
per la ricostruzione di una “storia economica dell’informazione”, la quale<br />
ebbe un peso determinante sul comportamento del risparmiatore. Determi-<br />
4 Ibidem, pp. 14-16.<br />
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nante per comprendere il mercato è la conoscenza degli indicatori fondamentali,<br />
i quali dipendono dalla conoscenza della contabil<strong>it</strong>à delle imprese.<br />
Appartengono alla categoria delle pubblicazioni relative al comportamento<br />
degli attori principali del cap<strong>it</strong>alismo i volumi scr<strong>it</strong>ti da giornalisti. Si tratta<br />
degli interessanti lavori di Fabio Tamburini <strong>sulla</strong> v<strong>it</strong>a di due protagonisti del<br />
mercato finanziario <strong>it</strong>aliano – Enrico Cuccia e Aldo Ravelli – e i volumi di Stefano<br />
Cingolani, Eugenio Scalfari e Giuseppe Turoni <strong>sulla</strong> borghesia finanziaria<br />
<strong><strong>it</strong>aliana</strong> 5 . Fabio Tamburini è un giornalista molto attento all’evoluzione del mercato<br />
finanziario, ma non lavora su documenti, né sulle dichiarazioni di Cuccia –<br />
d’altro canto raramente mise in pubblico il suo pensiero –, bensì su interviste di<br />
numerosi protagonisti dell’economia e della pol<strong>it</strong>ica <strong><strong>it</strong>aliana</strong>. Nel volume dedicato<br />
a Cuccia, viene delineata la figura del grande manovratore della finanza<br />
<strong><strong>it</strong>aliana</strong>, garante della stabil<strong>it</strong>à del sistema, per cui le sue decisioni influirono<br />
sugli assetti proprietari delle grandi imprese <strong>it</strong>aliane: Montedison, Pirelli, Generali,<br />
Fondiaria, Burgo, Olivetti, Fiat e molte altre. Tutte imprese, spesso, gest<strong>it</strong>e<br />
da famiglie, pronte a distruggersi a vicenda pur di conquistare una fetta sempre<br />
più grossa del mercato finanziario <strong>it</strong>aliano. L’autore sostiene che è possibile<br />
gestire la finanza di un paese senza esserne proprietario. È il caso di Cuccia, che<br />
aveva la sola direzione di Mediobanca, ma ha influ<strong>it</strong>o per mezzo secolo <strong>sulla</strong><br />
finanza <strong><strong>it</strong>aliana</strong>. Nonostante la pubblicazione di Tamburini, prima di arrivare a<br />
chiarire le manovre finanziarie messe in atto dallo “gnomo” della finanza occorrerà<br />
scavare molto sui documenti conservati negli archivi delle imprese 6 .<br />
Il secondo volume di Tamburini è dedicato ad un uomo, Aldo Ravelli, che,<br />
come Cuccia, r<strong>it</strong>eneva che “il silenzio fosse d’oro”. Nel settore finanziario, bisogna<br />
essere molto riservati se non si vogliono commettere errori. Sulla base di<br />
questo principio, Ravelli – un uomo di sinistra “con il portafoglio a destra” – fu<br />
il grande vecchio e uno dei maggiori protagonisti di “piazza affari”. Morto, nel<br />
1995, all’età di ottantatré anni, fu presente in tutte le grandi operazioni che si<br />
fecero alla Borsa di Milano, dal dopoguerra in poi, in qual<strong>it</strong>à di “ribassista<br />
implacabile, abilissimo nel guadagnare puntando sul crollo dei t<strong>it</strong>oli azionari” 7 .<br />
Nell’intervista che concesse a Tamburini, racconta le vicende di cui fu protagonista.<br />
Viene alla luce uno spaccato nuovo della storia economica e finanziaria<br />
5 F. TAMBURINI, Un siciliano a Milano. Nella storia di un protagonista le vicende della finanza<br />
e dell’economia <strong><strong>it</strong>aliana</strong> dal dopoguerra ad oggi, Longanesi e C., Milano, 1992; F. TAMBURINI,<br />
Misteri d’Italia. Aldo Ravelli, il re Mida della Borsa, racconta come diventare ricchi, i segreti dei<br />
potenti, io e la sinistra, Longanesi e C., Milano, 1996; S. CINGOLANI, Le grandi famiglie del cap<strong>it</strong>alismo<br />
<strong>it</strong>aliano, Ed<strong>it</strong>ori <strong>La</strong>terza, Roma-Bari, 1990; E. SCALFARI e G. TURANI, Razza padrona. Storia<br />
della borghesia di Stato e del cap<strong>it</strong>alismo <strong>it</strong>aliano, 1962-1974, Baldini e Castoldi, Milano, 1998.<br />
6 F. TAMBURINI, Un siciliano a Milano, c<strong>it</strong>., pp. 7-12.<br />
7 F. TAMBURINI, Misteri d’Italia, c<strong>it</strong>., p. 7.<br />
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d’Italia basato sulle vicende di tre borghesie: “quella di Agnelli e Pirelli, quella<br />
di Berlusconi e quella di Cosa Nostra” 8 e che comunque “c’è una sproporzione<br />
enorme – egli afferma – tra l’illec<strong>it</strong>o scoperto dai magistrati e quanto è realmente<br />
accaduto. Sono rimasti quasi completamente inesplorati gli intrecci esistenti<br />
tra l’alta finanza, la pol<strong>it</strong>ica, i servizi segreti e la mafia” 9 .<br />
I due volumi di Tamburini, pur non potendosi considerare lavori scientifici,<br />
sono testimonianze dei protagonisti della finanza <strong><strong>it</strong>aliana</strong>, pertanto cost<strong>it</strong>uiscono<br />
il primo approccio per le future ricerche.<br />
Nello stesso filone r<strong>it</strong>eniamo di includere il volume del giornalista Stefano<br />
Cingolani, sulle grandi famiglie del cap<strong>it</strong>alismo <strong>it</strong>aliano nel ventennio 1970-<br />
1990 10 , dove vengono rilevati i rapporti di forza esistenti fra la proprietà delle<br />
imprese e il management. Le vicende dei protagonisti del cap<strong>it</strong>alismo finanziario<br />
trovano stretta connessione con l’economia di quel periodo, per cui l’autore<br />
rileva una certa minore dipendenza – rispetto ai decenni del fascismo e del<br />
periodo della ricostruzione – dei mezzi propri delle imprese accompagnata dal<br />
rafforzamento dell’assetto proprietario e la conseguente riduzione del cred<strong>it</strong>o<br />
bancario; un maggiore ricorso al cap<strong>it</strong>ale di rischio; un rafforzamento della<br />
grande impresa affidato alla direzione manageriale. In questo processo, si ebbe il<br />
sostegno dello stato e la presenza di “un tempio” assieme a un “gran sacerdote”<br />
del cap<strong>it</strong>alismo <strong>it</strong>aliano, Mediobanca ed Enrico Cuccia, “l’uno fornì la stanza di<br />
compensazione dei maggiori confl<strong>it</strong>ti, l’altro cercò di dirimerli, ma favorì anche<br />
quando r<strong>it</strong>eneva necessario che esplodessero”. “Senza conoscere l’uno e l’altro –<br />
conclude Cingolani – non si capisce la storia economica di questo dopoguerra e<br />
soprattutto del ventennio [1970-1990] più tumultuoso del cap<strong>it</strong>alismo <strong>it</strong>aliano” 11 .<br />
Cingolani riconosce l’importanza degli avvenimenti finanziari per la ricostruzione<br />
della storia economica, tuttavia il suo lavoro può essere considerato solo come<br />
l’interpretazione di avvenimenti vissuti da giornalista, per cui possono considerarsi,<br />
prevalentemente, cronache e non ancora storia.<br />
Le stesse caratteristiche possiede il volume di Eugenio Scalfari e Giuseppe<br />
Turani dal t<strong>it</strong>olo emblematico “Razza padrona. Storia della borghesia di Stato e<br />
del cap<strong>it</strong>alismo <strong>it</strong>aliano 1962-1974” 12 . Un volume pubblicato, nel 1974, e<br />
ristampato dopo venticinque anni, nel 1998, senza alcuna aggiunta o modifica,<br />
perché la <strong>storiografia</strong> finanziaria sull’argomento non ha fatto passi avanti. Il<br />
libro potrebbe int<strong>it</strong>olarsi “una preziosa occasione perduta dal cap<strong>it</strong>alismo <strong>it</strong>a-<br />
8<br />
Ibidem, p. 202.<br />
9<br />
Ibidem, retro della sovracoperta.<br />
10<br />
S. CINGOLANI, Le grandi famiglie del cap<strong>it</strong>alismo <strong>it</strong>aliano, Ed<strong>it</strong>ori <strong>La</strong>terza, c<strong>it</strong>., pp. 275-276.<br />
11<br />
Ibidem, p. 87.<br />
12<br />
E. SCALFARI e G. TURANI, Razza padrona, c<strong>it</strong>.<br />
88
liano”, poiché i cap<strong>it</strong>ali che lo stato pagò per la nazionalizzazione dell’energia<br />
elettrica avrebbero potuto trovare una giusta collocazione per il rafforzamento<br />
del cap<strong>it</strong>alismo privato, invece, una metà di quei cap<strong>it</strong>ali, attraverso l’IRI e la<br />
Montecatini, fu gest<strong>it</strong>a dalla borghesia di Stato e l’altra metà, secondo gli autori,<br />
fu “dispersa, polverizzata, dissipata” 13 . <strong>La</strong> nazionalizzazione contribuì a far<br />
scomparire le famiglie del “gruppo veneto” dell’energia elettrica (Volpi, Cini e<br />
Gaggio) della Bastogi e della Centrale. Sotto i colpi di Eugenio Cefis scomparvero<br />
quasi tutti i componenti del Consiglio di Amministrazione della Bastogi,<br />
che può considerarsi una delle prime società finanziarie <strong>it</strong>aliane. “Il salotto<br />
buono dei vecchi padroni era stato brutalmente invaso dalla nuova borghesia di<br />
stato guidata dal presidente della Montedison (Cefis). Dei nomi antichi si era<br />
salvato solo Pesenti, in forza dell’alleanza contratta con nuovi padroni” 14 . Il giudizio<br />
degli autori sull’utilizzo dei cap<strong>it</strong>ali pagati dallo stato per la nazionalizzazione<br />
è molto severo: “quei miliardi furono sprecati al vento. Peggio: misero in<br />
moto o aggravarono una serie di elementi negativi di carattere industriale,<br />
finanziario e pol<strong>it</strong>ico che contribuirono potentemente alla degenerazione del<br />
sistema quale oggi lo conosciamo” 15 . Si tratta del giudizio di due osservatori<br />
della realtà, che hanno vissuto dall’esterno le vicende finanziarie del periodo<br />
1964-74, ma la storia vera di quel periodo bisogna ancora scriverla.<br />
Pur rientrando nel filone della storia dei protagonisti del cap<strong>it</strong>alismo <strong>it</strong>aliano,<br />
diversa è la pubblicazione di Nicola De Ianni sui rapporti finanziari intercorsi<br />
fra Gualino ed Agnelli, fra il 1917 e il 1927 16 . Essa ha spessore scientifico,<br />
perché costru<strong>it</strong>a su una documentazione ined<strong>it</strong>a, cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>a dalle carte dell’Archivio<br />
personale di Gualino. Da questo lavoro si ricava l’applicazione della teoria<br />
dell’ottimo paretiano, per cui si ha una ottima allocazione delle risorse, non<br />
in base alla loro util<strong>it</strong>à per le società, bensì in base alle circostanze che al miglioramento<br />
della condizione di un individuo corrisponde il peggioramento di un<br />
altro. Così vengono alla luce complesse manovre finanziarie compiute da Giovanni<br />
Agnelli e Riccardo Gaulino per accaparrarsi delle proprietà della Fiat,<br />
ricorrendo, durante la prima guerra mondiale, al mercato dell’azionariato diffuso<br />
e, dopo la guerra, alle finanziarie ed ai sindacati di blocco. Un momento centrale<br />
dei rapporti fra i due protagonisti del cap<strong>it</strong>alismo <strong>it</strong>aliano fu la vicenda<br />
dell’occupazione della Fiat da parte degli operai. Agnelli si oppose alla pressione<br />
degli operai e decise di vendere le azioni di sua proprietà. Gualino divenne<br />
proprietario della Fiat acquistando il 75 per cento del cap<strong>it</strong>ale. Solo quando<br />
13 Ibidem, p. 29.<br />
14 Ibidem, p. 27.<br />
15 Ibidem, p. 22.<br />
16 N. DE IANNI, Gli affari di Agnelli e Gualino (1917-1927), Prismi, Napoli, 1998.<br />
89
passò la ventata di ag<strong>it</strong>azioni, Gualino, che era principalmente impegnato a far<br />
quattrini e non gestire una impresa industriale, rivendette la società ad Agnelli.<br />
Questo episodio, poco noto alla <strong>storiografia</strong> <strong>sulla</strong> industria <strong><strong>it</strong>aliana</strong>, chiarisce<br />
quanto sia importante ricostruire gli avvenimenti <strong>sulla</strong> documentazione ined<strong>it</strong>a.<br />
Tra le numerose nov<strong>it</strong>à del volume di De Ianni vanno sottolineate le scalate che<br />
Gualino fece al Cred<strong>it</strong>o Italiano, specialmente la terza, quando il governo, presieduto<br />
da Mussolini, nel 1924, per bloccare l’operazione, sospese il dir<strong>it</strong>to di<br />
sconto, costringendo Gualino a rivendere le azioni della banca. <strong>La</strong> vicenda<br />
mette in luce l’importanza che il potere pol<strong>it</strong>ico attribuiva alle manovre finanziarie<br />
ed ai rapporti esistenti fra potere pol<strong>it</strong>ico e imprend<strong>it</strong>ori. In questo caso,<br />
viene alla luce il rapporto di forza fra potere pol<strong>it</strong>ico e potere finanziario. Questo<br />
rapporto vale anche per Bondi, Perroni, Ravelli, De Benedetti e moltissimi<br />
altri che utilizzarono la borsa per le loro manovre finanziarie, influendo negativamente<br />
sull’economia reale.<br />
2. Le ist<strong>it</strong>uzioni e il mercato finanziario<br />
Un secondo filone di ricerche relativo al mercato finanziario si è indirizzato<br />
all’esame delle ist<strong>it</strong>uzioni e del mercato borsistico, evidenziando i seguenti<br />
aspetti: i mutamenti delle disposizioni che regolarono i mercati; le caratteristiche<br />
del mercato primario e quello secondario; il rapporto fra ciclo di risparmio<br />
avviato alle industrie per mezzo del sistema bancario e cap<strong>it</strong>ali rastrellati attraverso<br />
la borsa; l’esame del risparmio accantonato dagli amministratori, defin<strong>it</strong>o<br />
“risparmio forzato”, e la conseguenza che tale forzatura ebbe sull’andamento<br />
dell’economia e sul funzionamento del “mercato perfetto”, inteso, in termini<br />
paretiani, come ottimo allocatore delle risorse. Queste considerazioni vengono<br />
alla luce dall’esame del mercato primario e secondario effettuato dalle mie due<br />
pubblicazioni <strong>sulla</strong> storia delle Assicurazioni Generali 17 , da quella di De Ianni<br />
<strong>sulla</strong> Fiat 18 e da quella di Schisani <strong>sulla</strong> Borsa di Napoli 19 .<br />
Con le ricerche <strong>sulla</strong> storia delle Assicurazioni Generali, non potendo utilizzare<br />
la documentazione archivistica, tenendo conto degli aumenti di cap<strong>it</strong>ale<br />
effettuati dalla società e dei dati contenuti nei bilanci pubblicati, si è potuto<br />
rilevare il rapporto esistente fra risparmio raccolto dagli azionisti e risparmio<br />
avuto in prest<strong>it</strong>o dalle banche, ma anche il rapporto fra risparmio volontario e<br />
17<br />
F. BALLETTA, Cap<strong>it</strong>ali, borse e assicurazioni in Italia nella seconda metà del Novecento, Arte Tipografica,<br />
Napoli, 1997; F. BALLETTA, Mercato finanziario e Assicurazioni Generali, ESI, Napoli, 1995.<br />
18<br />
N. DE IANNI, Cap<strong>it</strong>ale e mercato azionario. <strong>La</strong> Fiat dal 1899 al 1961, ESI, Napoli, 1995.<br />
19<br />
M.C. SCHISANI, <strong>La</strong> Borsa di Napoli (1778-1860). Ist<strong>it</strong>uzioni, regolazioni e attiv<strong>it</strong>à, ESI,<br />
Napoli, 2001.<br />
90
“risparmio forzato”, cioè quella parte di utile non distribu<strong>it</strong>o per favorire gli<br />
investimenti nella fase di espansione dell’economia. A questa pol<strong>it</strong>ica si contrappose<br />
quella diretta a distribuire una parte consistente degli utili al fine di<br />
consolidare il cap<strong>it</strong>ale e tamponare eventuali rischi di perd<strong>it</strong>a del valore dei t<strong>it</strong>oli.<br />
Dall’attuazione di queste contrapposte pol<strong>it</strong>iche è stato possibile calcolare il<br />
guadagno realizzato da coloro che, nell’arco di quasi cento anni, effettuarono<br />
investimenti in azioni delle Assicurazioni Generali.<br />
Per l’esame dell’andamento delle quotazioni dei t<strong>it</strong>oli è stata utilizzata l’analisi<br />
tecnica, che serve a prevedere l’andamento delle quotazioni future, nel<br />
breve periodo, tenendo conto dell’andamento storico delle quotazioni. All’analisi<br />
tecnica abbiamo contrapposto l’analisi fondamentale, basata <strong>sulla</strong> cap<strong>it</strong>alizzazione<br />
di borsa e sugli indici di redd<strong>it</strong>iv<strong>it</strong>à delle Generali.<br />
A questo mio lavoro si affianca quello di De Ianni <strong>sulla</strong> storia della Fiat fra<br />
il 1899 e il 1961, dove si effettua un’analisi dei dati di bilancio e del mercato<br />
primario e secondario delle quotazioni della Fiat.<br />
Maria Carmela Schisani ricostruisce le vicende della Borsa di Napoli dalla<br />
sua cost<strong>it</strong>uzione (1778) fino al momento dell’un<strong>it</strong>à d’Italia. L’obiettivo è quello<br />
di valutare le complesse cause socio-pol<strong>it</strong>iche ed economiche responsabili dell’arretratezza<br />
del mezzogiorno borbonico, attraverso le vicende ed il ruolo svolto<br />
dall’ist<strong>it</strong>uzione finanziaria. Lo studio si compone di tre livelli di analisi<br />
inscindibili: ist<strong>it</strong>uzionale, sociale e operativo e si svolge in un contesto – assunto<br />
come premessa – in cui il modello economico del regno meridionale assume<br />
le seguenti caratteristiche: 1) condizionamento della posizione di debolezza<br />
finanziaria dei governanti; 2) controllo di un gruppo ristretto di operatori economici<br />
forti avallati da un ordinamento ist<strong>it</strong>uzionale di base, che fallisce il suo<br />
obiettivo garantista, non riuscendo a creare una struttura stabile di relazioni<br />
sociali ed economiche. L’intervento legislativo assume caratteristiche di periodic<strong>it</strong>à<br />
e settorial<strong>it</strong>à. Lo stato interveniva con lo scopo di interrompere le operazioni<br />
di speculazione, prima che le stesse si trasformassero in defin<strong>it</strong>iva egemonia<br />
su un determinato settore di mercato. Tale condotta dimostra che lo stato<br />
non si voleva sottrarre alle regole del gioco, cui esso stesso partecipava per le<br />
necess<strong>it</strong>à finanziarie derivanti dall’esercizio del proprio potere e per il finanziamento<br />
del deb<strong>it</strong>o pubblico.<br />
Nel corso della storia della Borsa di Napoli, ci si imbatte in cicli di durata<br />
molto diversa, i cui punti di inversione sono generalmente scand<strong>it</strong>i da interventi<br />
ist<strong>it</strong>uzionali. 1) <strong>La</strong> prima opportun<strong>it</strong>à che aprì la strada alla formazione della<br />
Borsa fu il cambio, nel periodo di transizione settecentesca, in cui la piazza<br />
mercantile chiedeva di affrancarsi dalla pratica del cambio indiretto; 2) dopo il<br />
decennio francese – che aveva contribu<strong>it</strong>o a proiettare la Borsa nella sua funzione<br />
propriamente operativa, con l’allargamento degli affari alla negoziazione<br />
dei t<strong>it</strong>oli del deb<strong>it</strong>o pubblico –, gli anni ’20 dell’800 furono caratterizzati dall’i-<br />
91
nizio della speculazione <strong>sulla</strong> rend<strong>it</strong>a; 3) nel biennio 1833-35, rientrata l’emergenza<br />
finanziaria della restaurazione, nel momento in cui i t<strong>it</strong>oli pubblici erano<br />
risal<strong>it</strong>i ad una posizione di relativa stabil<strong>it</strong>à, l’intervento dello stato dirottò, forzosamente,<br />
gli interessi verso le società anonime. <strong>La</strong> speculazione azionaria fu<br />
un ciclo di durata lim<strong>it</strong>atissima (dal 1833 al 1835), che fu, bruscamente, interrotto<br />
dai provvedimenti regolamentari del 1834 che impedirono lo sconto di<br />
“soldi” e pensioni; 4) il 1835 fu un anno di svolta, in corrispondenza del tramonto<br />
societario e, contestualmente al fallimento del progetto di conversione<br />
della rend<strong>it</strong>a pubblica, l’orizzonte di azione degli operatori napoletani portò in<br />
primo piano la borsa merci rispetto ai ridotti margini speculativi della borsa<br />
valori. A partire dal biennio 1834-35, l’interesse mercantile si rivolse verso il<br />
mercato granario. Il ciclo speculativo sul grano ebbe durata notevole e assunse<br />
toni patologici, dal 1840 in poi, dopo il nuovo contratto per le forn<strong>it</strong>ure mil<strong>it</strong>ari<br />
di grano e avena (1839), che prevedeva la commisurazione dei prezzi da<br />
applicare alle derrate alla media dell’ultimo semestre di Borsa.<br />
Queste prime ricerche di Balletta, De Ianni e Schisani aprono la strada a<br />
successive indagini di storia delle imprese <strong>it</strong>aliane al fine di cost<strong>it</strong>uire un mosaico<br />
del mercato finanziario <strong>it</strong>aliano.<br />
A questi tre lavori si affiancano le ricerche di Stefano Baia Curioni 20 , Elisa<br />
Boccia 21 , Gianpaolo Mastroianni 22 e Filomena Tartaglia 23 . Stefano Baia Curioni<br />
è stato uno dei primi studiosi del mercato borsistico milanese. Il lavoro più<br />
significativo è quello relativo al mercato azionario in Italia, dal 1808 al 1938,<br />
dove si affronta la Borsa di Milano come oggetto di ricerca autonomo delineato<br />
nelle sue varie sfaccettature: economiche, pol<strong>it</strong>iche, ist<strong>it</strong>uzionali ed organizzative<br />
in un’ottica di lungo periodo, dove confluiscono, sedimentandosi, “usi,<br />
20<br />
S. BAIA CURIONI, Regolazione e competizione, storia del mercato azionario in Italia (1808 -<br />
1938), Milano, 1995; S. BAIA CURIONI, Modernizzazione e mercato. <strong>La</strong> Borsa di Milano nella<br />
“nuova economia” dell’età giol<strong>it</strong>tiana, Milano, 2000; S. BAIA CURIONI, <strong>La</strong> Borsa Valori, in “AA.VV.,<br />
Storia di Milano, vol. XVIII, Il Novecento”, Enciclopedia Italiana, Milano, 1996; S. BAIA CURIO-<br />
NI, <strong>La</strong> comun<strong>it</strong>à finanziaria milanese e la ricostruzione del sistema finanziario, in “G. De Luca (a<br />
cura di), Pensare l’Italia nuova: la cultura economica milanese”, Franco Angeli, Milano, 1997; S.<br />
BAIA CURIONI, Riflessioni sui mercati finanziari in epoca giol<strong>it</strong>tiana, in “Pensiero economico <strong>it</strong>aliano”,<br />
a. 3, fasc. 2; S. BAIA CURIONI, Il telegrafo e la formazione di un sistema integrato di mercati<br />
mobiliari in Italia (1888-1905), in “Società Italiana degli Storici dell’Economia, Innovazione e<br />
sviluppo. Tecnologia e organizzazione fra teoria economica e ricerca storica (secoli XVI-XX)”,<br />
Monduzzi Ed<strong>it</strong>ore, Bologna, 1996; S. BAIA CURIONI, Sull’evoluzione ist<strong>it</strong>uzionale della Borsa Valori<br />
di Milano (1898-1941), in “Rivista di Storia Economica”, 1991, numero unico.<br />
21<br />
E. BOCCIA, <strong>La</strong> Borsa di Milano tra miracolo e crisi (1958-1978), Prismi, Napoli, 2000.<br />
22<br />
G. MASTROIANNI, Le emissioni obbligazionarie nel mercato finanziario <strong>it</strong>aliano (1926-<br />
1938), Prismi, Napoli, 2000.<br />
23<br />
F. TARTAGLIA, Fisco e mercato finanziario in Italia (1914-1945), Prismi, Napoli, 2000.<br />
92
saperi, poteri”. <strong>La</strong> principale innovazione consiste nell’impostazione del lavoro,<br />
che, affrontando, cr<strong>it</strong>icamente, il dibatt<strong>it</strong>o internazionale sul ruolo delle ist<strong>it</strong>uzioni<br />
in generale e sui nodi fondamentali del mercato azionario (vend<strong>it</strong>e a termine<br />
e speculazione), arriva, progressivamente, ad un’analisi del significato dell’ist<strong>it</strong>uzionalizzazione<br />
delle contrattazioni, delle “invarianze” nell’assetto organizzativo<br />
e nel sistema decisionale della Borsa di Milano e del condizionamento<br />
che operò nella definizione del ruolo del mercato per lo sviluppo economico<br />
<strong>it</strong>aliano.<br />
Le carenze del mercato borsistico <strong>it</strong>aliano vengono attribu<strong>it</strong>e da Baia<br />
Curioni ai ben noti vincoli della dipendenza dell’economia <strong><strong>it</strong>aliana</strong> dal ciclo<br />
internazionale e della contradd<strong>it</strong>toria presenza dello stato, da una parte, sosten<strong>it</strong>ore<br />
dello sviluppo industriale e, dall’altra, operatore attivo dominante, attraverso<br />
i valori pubblici, e dunque antagonista della cresc<strong>it</strong>a del mercato azionario.<br />
L’autore opera una rilettura di tali nodi del sistema economico <strong>it</strong>aliano trovando<br />
significativi raccordi con i risultati ottenuti da Ranald Michie relativamente<br />
all’esperienza inglese ed americana. <strong>La</strong> Borsa di Milano è, in sintesi, nell’accezione<br />
dello stesso autore, “un conten<strong>it</strong>ore degli scambi” di cui vengono<br />
analizzati gli assetti ist<strong>it</strong>uzionali e i relativi processi decisionali che condussero<br />
a certi risultati.<br />
L’analisi condotta da Baia Curioni evidenzia una periodizzazione mediata<br />
con i cicli di borsa. 1) Dal 1808 e fino al 1894, la Borsa di Milano non compì<br />
grandi progressi rimanendo in una dimensione localistica. 2) Una fase di ripresa<br />
si ebbe dal ’94 in poi, anno in cui, oltre all’avvio di un significativo processo<br />
di integrazione tra le piazze (dovuta all’introduzione del telegrafo e della stanza<br />
di compensazione), si ebbe la cresc<strong>it</strong>a dell’economia e dell’ingresso di nuovi<br />
t<strong>it</strong>oli azionari nel listino (bancari e metallurgici). 3) Il periodo della grande svolta,<br />
però, fu quello del quindicennio immediatamente precedente il primo confl<strong>it</strong>to<br />
mondiale, allorché fu rotto il “patto” che legava i poteri governativi ed i<br />
protagonisti dell’accumulazione finanziaria. Il mercato mobiliare, con la cresc<strong>it</strong>a<br />
delle attiv<strong>it</strong>à speculative, attraversò, dal 1900 al 1913, un periodo di prova.<br />
Partendo da un significativo decollo del mercato azionario (1903), si assistette<br />
alla violenta crisi ist<strong>it</strong>uzionale degli agenti di cambio (1904) e al delinearsi di<br />
chiari segnali di modifica nelle modal<strong>it</strong>à di raccolta del cap<strong>it</strong>ale di rischio<br />
(1904-1906), arrivando allo scossone della grande crisi di liquid<strong>it</strong>à e sovrapproduzione.<br />
I risultati di queste turbative vennero raccolti nel provvedimento di<br />
legge del 1913, che sancì la defin<strong>it</strong>iva v<strong>it</strong>toria della banca mista <strong>sulla</strong> borsa. <strong>La</strong><br />
spaccatura tra la disciplina bancaria e quella borsistica diventò uno strumento<br />
formale per consentire i giochi di potere dell’alta banca, che privata di responsabil<strong>it</strong>à<br />
pubblica, rimase arb<strong>it</strong>ro, pressoché unico, all’interno della Borsa, consolidando,<br />
così, un non semplice movimento già in atto da oltre un decennio.<br />
Là dove, formalmente, i monopolisti delle borse erano gli agenti di cambio, la<br />
93
anca mista affiancò ai poteri già acquis<strong>it</strong>i una legalizzazione alle grida ed una<br />
massiccia presenza in Deputazione, identificando, in tal modo, funzioni di controllore<br />
e di controllato. 4) <strong>La</strong> legge del 1913 aveva rimandato la questione della<br />
presenza alle grida dei soli agenti di cambio. Nel 1925, un decreto di De Stefani,<br />
attuò un maggior controllo sul mercato finanziario, con l’intento di creare<br />
un mercato “pubblico” rivendicato dal governo fascista, desideroso di assumere<br />
un ruolo autonomo nei confronti dei grandi intermediari e, contemporaneamente,<br />
distogliere dal governo dell’economia il ceto degli industriali. In effetti,<br />
solo dopo la crisi del ’31 si giunse all’assorbimento in una sfera connessa al<br />
potere governativo. Essendosi avviata, sin dal ’25, ma non del tutto applicata,<br />
questa tendenza al potenziamento dei pubblici poteri che si realizzò, in termini<br />
più pratici, con l’opera del Beneduce e con la legge del ’36. 5) In tal modo, l’attiv<strong>it</strong>à<br />
della Borsa fu molto ridotta ed ulteriormente soffocata da provvedimenti<br />
fiscali (tra questi si rammentano: l’imposizione di un’aliquota del 20 per cento<br />
sui rendimenti del t<strong>it</strong>oli al portatore, di una patrimoniale progressiva sui t<strong>it</strong>oli<br />
azionari, di una sovrimposta del 5 per cento sulle contrattazioni azionarie, della<br />
nominativ<strong>it</strong>à obbligatoria dei t<strong>it</strong>oli azionari, ecc.). Con la caduta dei grandi<br />
intermediari, nel ’36, fu la volta del regolamento che sancì il tramonto della<br />
banca universale, instradando il sistema finanziario <strong>it</strong>aliano verso la specializzazione<br />
e creando canali di allocazione del risparmio indipendenti dal mercato<br />
mobiliare. 6) Il consolidarsi della presenza dello stato e del corpo degli agenti<br />
di cambio e la disfatta dei centri intermedi di potere, come le banche miste e le<br />
camere di commercio, il listino di Borsa non si ampliò, l’investimento azionario<br />
declinò a favore di quello a redd<strong>it</strong>o fisso e in t<strong>it</strong>oli pubblici. Dunque, la borsa<br />
<strong><strong>it</strong>aliana</strong> andò assumendo la tipologia che la caratterizzò fino alla fine del Novecento.<br />
Secondo Baia Curioni, la Borsa di Milano compì un ciclo di “evoluzione al<br />
contrario”, in base a un processo che vide un lungo periodo di marginal<strong>it</strong>à<br />
rispetto al sistema economico, un periodo di vivace espansione con il coinvolgimento<br />
della banca dell’età giol<strong>it</strong>tiana (1897-1906), fino ad arrivare ad un<br />
lungo periodo di marginalizzazione.<br />
Tra i diversi aspetti del mercato borsistico studiati da Baia Curioni vengono<br />
alla luce le influenze che le innovazioni tecnologiche ebbero sull’andamento<br />
del mercato borsistico. In particolare, egli prende in esame l’uso del telegrafo e<br />
del telefono e l’influenza sul processo di formazione dei prezzi di borsa in alcune<br />
piazze <strong>it</strong>aliane: Genova, Milano e Torino. <strong>La</strong> sua tesi è che l’innovazione tecnica<br />
deve essere studiata in relazione alle ist<strong>it</strong>uzioni e all’organizzazione dei<br />
mercati. Le soluzioni complessive da adottare sarebbero variate in base alla<br />
diversa organizzazione e ai rapporti fra ist<strong>it</strong>uzioni ed organizzazione. L’obiettivo<br />
finale per il mercato borsistico è quello di ev<strong>it</strong>are che, all’interno dello stesso<br />
mercato, si formino prezzi differenti da quelli che si sarebbero formati dal-<br />
94
l’incontro della domanda e dell’offerta complessiva 24 . Anche in questo caso<br />
viene alla luce l’ottimo paretiano dell’allocazione delle risorse. In relazione<br />
all’uso del telegrafo, analizzando gli scarti fra i prezzi quotidiani delle borse di<br />
Genova, di Milano e di Torino, si ebbe una maggiore integrazione nel loro funzionamento.<br />
Contemporaneamente, si creò un sistema di reciproche influenze<br />
che misero in luce le carenze delle regole stabil<strong>it</strong>e per il loro funzionamento 25 .<br />
<strong>La</strong> ricerca di Elisa Boccia, relativa alla Borsa di Milano, nel periodo 1958-<br />
1978, stabilisce il ruolo che svolse il mercato finanziario nell’allocazione delle<br />
risorse e nello scambio dei t<strong>it</strong>oli. Tiene conto della pol<strong>it</strong>ica fiscale e finanziaria<br />
adottata dai governi. Il lavoro è basato su una opportuna riclassificazione del<br />
listino di borsa al fine di misurare le emissioni qual<strong>it</strong>ative e quant<strong>it</strong>ative dei t<strong>it</strong>oli<br />
azionari ed obbligazionari. Viene applicata l’analisi fondamentale ai dati relativi<br />
alle emissioni di t<strong>it</strong>oli in occasione di aumenti di cap<strong>it</strong>ali e per valutare la<br />
redd<strong>it</strong>iv<strong>it</strong>à delle imprese. Il risultato finale è che il mercato finanziario <strong>it</strong>aliano<br />
era inefficiente, per lo scarso contributo all’allocazione del risparmio nelle<br />
imprese e la poca attrazione dei risparmiatori verso il cap<strong>it</strong>ale di rischio 26 .<br />
Mastroianni studia il mercato obbligazionario in un periodo particolare<br />
della storia finanziaria <strong><strong>it</strong>aliana</strong>, gli anni compresi fra il 1926 ed il 1938, allorché,<br />
per la crisi delle banche miste, che effettuavano finanziamenti a lungo termine<br />
alle imprese, si ricorse al cred<strong>it</strong>o obbligazionario per mezzo degli ist<strong>it</strong>uti creati<br />
dallo stato, cioè il Consorzio di cred<strong>it</strong>o per le opere pubbliche (Crediop), l’Ist<strong>it</strong>uto<br />
di Cred<strong>it</strong>o per le Imprese di Pubblica Util<strong>it</strong>à (ICIPU), l’Ist<strong>it</strong>uto Mobiliare<br />
Italiano (IMI) e l’Ist<strong>it</strong>uto per la Ricostruzione Industriale (IRI). Il volume contiene<br />
un esame della tecnica di emissione, della normativa fiscale relativa ai t<strong>it</strong>oli<br />
obbligazionari, i privilegi concessi alle banche pubbliche volute dal fascismo<br />
e conosciute come ist<strong>it</strong>uti Beneduce, nonché il rapporto intercorso con la pol<strong>it</strong>ica<br />
monetaria deflazionistica dell’epoca 27 .<br />
<strong>La</strong> minuziosa ricerca compiuta da Filomena Tartaglia mira a misurare l’influenza<br />
che i provvedimenti tributari, emanati dalla prima alla seconda guerra<br />
mondiale, ebbero sul mercato azionario ed obbligazionario. Dalla ricerca risulta<br />
una chiara volontà del fascismo di soffocare l’attiv<strong>it</strong>à delle borse per mezzo<br />
della leva fiscale o con l’emanazione di provvedimenti che non favorivano gli<br />
investimenti in azioni, come per le operazioni a termine, la copertura in t<strong>it</strong>oli, o<br />
in contanti, per il 25 per cento dell’ammontare dell’operazione. In generale, il<br />
fisco ebbe una elevata responsabil<strong>it</strong>à dell’asf<strong>it</strong>tica attiv<strong>it</strong>à delle borse <strong>it</strong>aliane:<br />
24<br />
S. BAIA CURIONI, Il telegrafo e la formazione di un sistema integrato di mercati mobiliari in<br />
Italia (1888-1905), c<strong>it</strong>., pp. 377-378.<br />
25<br />
Ibidem, p. 385.<br />
26<br />
E. BOCCIA, <strong>La</strong> Borsa di Milano, c<strong>it</strong>., pp. 9-10.<br />
27<br />
G. MASTROIANNI, Le emissioni obbligazionarie, c<strong>it</strong>., pp. 9-10.<br />
95
determinò le scelte degli operatori economici, indirizzò l’allocazione del risparmio<br />
e la redistribuzione delle risorse disponibili 28 .<br />
Per ultimo ho lasciato un gruppo di quattro pubblicazioni, di cui tre devono<br />
considerarsi un racconto, molto generale, della storia della borsa <strong><strong>it</strong>aliana</strong>,<br />
dall’Un<strong>it</strong>à ai nostri giorni, e la quarta una preziosa fonte per le future ricerche.<br />
I primi tre lavori sono quelli di Alessandro Aleotti 29 , Giovanni Siciliano 30 e Alessandro<br />
Volpi 31 , il terzo è stato curato da Giuseppe De Luca in collaborazione<br />
con Giuseppe Poletta e Sara Zanisi 32 .<br />
Il lavoro di Aleotti, pur non essendo il risultato di una ricerca documentale,<br />
né la sintesi di un congruo numero di ricerche <strong>sulla</strong> storia finanziaria delle<br />
imprese, può considerarsi una descrizione di lungo periodo del rapporto fra<br />
provvedimenti pol<strong>it</strong>ico – legislativi e fluttuazioni delle quotazioni dei t<strong>it</strong>oli.<br />
Secondo Aleotti, il risultato di tale rapporto fu sfavorevole per il mercato finanziario<br />
– in aggiunta alla presenza delle banche e di un consistente deb<strong>it</strong>o pubblico<br />
– per cui non si ebbe la formazione di un mercato borsistico maturo,<br />
capace di indirizzare i risparmi verso gli investimenti produttivi 33 .<br />
Anche il volume di Siciliano analizza, nell’arco di cento anni (l’intero<br />
Novecento), il rapporto fra operazioni di borsa e pol<strong>it</strong>ica economica, assieme<br />
all’andamento della congiuntura <strong><strong>it</strong>aliana</strong>. Anche per tale lavoro si rileva una<br />
sostanziale coincidenza fra quotazioni ed eventi più significativi della storia economica<br />
<strong><strong>it</strong>aliana</strong>: dissesti bancari, nell’immediato primo dopoguerra, scomparsa<br />
delle banche miste, creazione degli ist<strong>it</strong>uti Beneduce, seconda guerra mondiale,<br />
nazionalizzazione dell’energia elettrica e cresc<strong>it</strong>a delle imprese pubbliche. È lo<br />
stesso autore che non annovera il suo lavoro tra i saggi di storia economica –<br />
“poiché non vi è lavoro, egli scrive, basato sull’accesso diretto a fonti documentali<br />
e a materiale di archivio” – bensì fra i “lavori di economia finanziaria”<br />
34 , dove si effettua un’analisi delle serie storiche dei rendimenti delle azioni,<br />
confrontati con i rendimenti dei t<strong>it</strong>oli pubblici. Il risultato, nel lungo periodo,<br />
fu la maggiore convenienza ad investire in t<strong>it</strong>oli di rischio, che non in t<strong>it</strong>oli pubblici.<br />
Dal confronto con il rendimento dei t<strong>it</strong>oli degli Stati Un<strong>it</strong>i, o di altri paesi<br />
europei, il rendimento dei t<strong>it</strong>oli azionari <strong>it</strong>aliani fu inferiore. <strong>La</strong> ragione del<br />
28 F. TARTAGLIA, Fisco e mercato finanziario, c<strong>it</strong>., pp. 9-10.<br />
29 A. ALEOTTI, Borsa e industria. Cento anni di rapporti difficili, Edizioni di Comun<strong>it</strong>à, Mila-<br />
no, 1990.<br />
30 G. SICILIANO, Cento anni di borsa in Italia, Il Mulino, Bologna, 2001.<br />
31 A. VOLPI, Breve storia del mercato finanziario <strong>it</strong>aliano dal 1811 ad oggi, Carocci Ed<strong>it</strong>ore,<br />
Roma, 2002.<br />
32 G. DE LUCA (a cura di), Le società quotate alla Borsa Valori di Milano dal 1861 al 2000.<br />
Profili storici e t<strong>it</strong>oli azionari, Libri Scheiwiller, Milano, 2002.<br />
33 A. ALEOTTI, Borse e industrie, c<strong>it</strong>., pp. 9-11.<br />
34 G. SICILIANO, Cento anni, c<strong>it</strong>., p. 7.<br />
96
minor rendimento dipenderebbe dalla presenza, in Italia, del “rischio di espropriazione”<br />
dei t<strong>it</strong>oli, che non esiste in altri paesi. Il basso livello delle quotazioni<br />
azionarie avrebbe influ<strong>it</strong>o, negativamente, <strong>sulla</strong> convenienza a quotare in<br />
borsa i t<strong>it</strong>oli di molte società. Lo stesso autore riconosce che su tale decisione<br />
influirono anche altri elementi, come la pressione fiscale, ma questo – diversamente<br />
da quanto sostengono Aleotti ed altri – avrebbe avuto minore influenza<br />
rispetto al basso rendimento 35 . Un altro aspetto che rimane irrisolto è il rapporto<br />
fra variazione degli investimenti in cap<strong>it</strong>ali di rischio e dividendi distribu<strong>it</strong>i.<br />
In alcuni periodi (dagli anni Venti agli anni Settanta), gli alti dividendi<br />
distribu<strong>it</strong>i non favorirono gli investimenti dei risparmi in t<strong>it</strong>oli azionari. Altra<br />
ragione che influì, negativamente, su tali investimenti fu la scarsa difesa degli<br />
azionisti di minoranza, per cui, di fronte al prevalere dei potenti gruppi familiari,<br />
raramente si formò un azionariato diffuso 36 .<br />
Della carenza di ricerche di base sul mercato finanziario risente anche il<br />
volume di Alessandro Volpi. Pertanto, nella ricerca sulle cause che influirono<br />
sul magro listino della Borsa di Milano – nonostante la presenza di un consistente<br />
numero di società anonime <strong>it</strong>aliane – l’autore è costretto a fare delle supposizioni:<br />
mancanza di una classe di intermediari finanziari, cioè carenza di<br />
agenti di borsa; mancanza di una “rete di protezione” capace di difendere il<br />
mercato dalla volatil<strong>it</strong>à e dai facili assalti degli speculatori; carenza di fondi<br />
comuni di investimento arrivati in Italia troppo tardi; carenza di ist<strong>it</strong>uti assicurativi<br />
che investivano il ricavato dei premi in t<strong>it</strong>oli; frammentazione del mercato<br />
finanziario, per cui i t<strong>it</strong>oli emessi per aumenti di cap<strong>it</strong>ale, spesso, venivano<br />
collocati attraverso circu<strong>it</strong>i informali; l’accostamento della borsa non ad un<br />
luogo per dirottare i cap<strong>it</strong>ali verso le imprese, bensì a luogo dove prevaleva il<br />
gioco d’azzardo e la speculazione, anche in relazione all’assenza di regole precise<br />
che avrebbero dovuto gestire le borse, tenuto conto che la Consob cominciò<br />
a funzionare solo all’inizio degli anni Novanta 37 . <strong>La</strong> risposta a queste supposizioni,<br />
introdotte nei lavori di Aleotti, Volpi e Siciliano, si avrà solo dopo<br />
aver condotto numerose ricerche costru<strong>it</strong>e <strong>sulla</strong> base di una vasta documentazione.<br />
Diverso è il lavoro coordinato da De Luca e pubblicato in un grosso volume.<br />
Assieme ad un profilo storico della Borsa di Milano sono presentate, in<br />
breve, le storie di ben ottocento imprese che, fra il 1861 e il 2000, furono<br />
ammesse al listino di quella Borsa. Nella breve storia della Borsa, De Luca<br />
mette in evidenza come, con il crescere del mercato finanziario <strong>it</strong>aliano, negli<br />
35 Ibidem, p. 9.<br />
36 Ibidem, p. 11.<br />
37 A. VOLPI, Breve storia del mercato finanziario, c<strong>it</strong>., pp. 175-177.<br />
97
ultimi decenni del Novecento, si delineò la separazione fra attiv<strong>it</strong>à produttiva<br />
ed attiv<strong>it</strong>à finanziaria, cioè fra economia reale ed economia finanziaria. <strong>La</strong><br />
seconda con proprie caratteristiche e propri prof<strong>it</strong>ti 38 . È questa la stessa considerazione<br />
che si ricava dalle ricerche che ho effettuato <strong>sulla</strong> storia finanziaria<br />
delle Assicurazioni Generali, dove l’attiv<strong>it</strong>à assicurativa era separata da quella<br />
finanziaria, con una sua gestione ed utili propri direttamente dipendenti dal<br />
mercato finanziario <strong>it</strong>aliano e dalle grandi borse internazionali. In questa ottica,<br />
entra la pol<strong>it</strong>ica dei passaggi di proprietà delle grandi aziende, il sistema delle<br />
scatole cinesi, prima la pubblicizzazione delle imprese dagli anni Trenta in poi<br />
e la privatizzazione degli ultimi anni. Ma il pregio della ricerca di De Luca va<br />
individuato, oltre che nelle tavole di iscrizione e cancellazione delle imprese dal<br />
listino, principalmente nella breve biografia delle società quotate: denominazione<br />
sociale, cap<strong>it</strong>ale sociale, tipo di attiv<strong>it</strong>à, anno di ammissione e di cancellazione<br />
dal listino delle quotazioni. Non è la storia dettagliata di 800 società, che<br />
sarebbe stata impossibile realizzare in una pubblicazione di 700 pagine, ma la<br />
guida per ulteriori ricerche, potremmo dire la base per avviare una vera storia<br />
del cap<strong>it</strong>alismo finanziario <strong>it</strong>aliano.<br />
II. Sulla storia delle assicurazioni<br />
1. I primi tentativi di ricostruzione di una storia generale delle assicurazioni<br />
Come abbiamo rilevato per la borsa, anche per l’attiv<strong>it</strong>à assicurativa le<br />
ricerche finora compiute, in Italia, sono scarse e con diversa impostazione. Le<br />
ragioni del disinteresse degli storici per tale settore non mi sono chiare. Possiamo<br />
dare due interpretazioni: la difficoltà di individuare il servizio prodotto<br />
dalle compagnie di assicurazione, oppure le difficoltà di interpretazione del settore<br />
finanziario, che ha assunto una sempre maggiore importanza nell’amb<strong>it</strong>o<br />
delle attiv<strong>it</strong>à assicurative. Per la prima ragione si tratta della produzione di un<br />
bene “immateriale” di difficile valutazione: la sicurezza degli individui e della<br />
collettiv<strong>it</strong>à, ossia il superamento di incertezze e paure che prospettano il futuro<br />
ad un individuo o ad una impresa influendo <strong>sulla</strong> loro qual<strong>it</strong>à della v<strong>it</strong>a. Questo<br />
servizio, molto spesso, non è soggetto a una misurazione precisa e lo storico<br />
trova difficile avvicinarvisi. Sotto l'aspetto finanziario, la valutazione dell’attiv<strong>it</strong>à<br />
di una impresa assicurativa diviene difficile, perché si tratta dell’utilizzo di<br />
cap<strong>it</strong>ali altrui che vengono affidati all’impresa assicurativa nella speranza di una<br />
buona gestione. <strong>La</strong> sorte dell’impresa assicurativa, da un lato, è legata alle informazioni<br />
che essa è capace di procurarsi intorno al verificarsi dell’evento futuro<br />
38 G. DE LUCA (a cura di), Le società quotate, c<strong>it</strong>., p. 25.<br />
98
e dall’altro è legata alla buona conoscenza del mercato finanziario in cui opera.<br />
Capire come è gest<strong>it</strong>a un’impresa non è cosa facile: occorre una buona preparazione<br />
delle tecniche di calcolo e della gestione contabile. Per lo storico è<br />
anche difficile avere la disponibil<strong>it</strong>à della ricca documentazione raccolta dalle<br />
compagnie di assicurazione, decisamente restie ad aprire i loro archivi agli studiosi.<br />
Anche per il settore assicurativo, come per la borsa, dobbiamo rilevare<br />
l’esistenza di due tipi di pubblicazioni: una che traccia le linee essenziali dell’evoluzione<br />
dell’attiv<strong>it</strong>à assicurativa e l’altra che riguarda la storia di singole<br />
imprese. Nel primo filone, rientra un volumetto di appunti di storia delle assicurazioni<br />
di Ennio De Simone 39 , il volume di Roberto Baglioni sulle assicurazioni<br />
in Italia dal medioevo ai giorni nostri 40 e l’articolo di Giuseppe Cassandro<br />
sui lineamenti storici delle assicurazioni 41 . Nelle ricerche relative alle singole<br />
imprese rientrano le mie due pubblicazioni <strong>sulla</strong> storia delle Assicurazioni<br />
Generali 42 e il volume, in due tomi, di Tommaso Fanfani relativo ai cento<br />
anni di storia di Alleanza Assicurazioni 43 , nonché l’articolo di Nicola De Ianni<br />
sul lavoro dei colletti bianchi alle Assicurazioni Generali, nel decennio 1968-<br />
1979 44 .<br />
Nei tre volumi di storia delle assicurazioni in generale vengono tracciate,<br />
<strong>sulla</strong> base di una scarna bibliografia esistente sulle singole imprese di assicurazione<br />
– cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>e, per la maggior parte, di commemorazioni di particolari<br />
momenti aziendali –, l’evoluzione dei contratti di assicurazione dal medioevo<br />
all’età del mercantilismo e all’età contemporanea. Si tratta della storia dei primi<br />
contratti di assicurazione relativi ai trasporti mar<strong>it</strong>timi e delle prime disposizioni<br />
di legge, del 1300 e del 1400, che regolarono l’attiv<strong>it</strong>à assicurativa. Per l’epoca<br />
contemporanea, si c<strong>it</strong>ano le prime compagnie di assicurazioni che sorsero<br />
a Trieste e in Piemonte; si sottolinea il ruolo delle società di mutuo soccorso che<br />
39 E. DE SIMONE, Appunti di storia delle assicurazioni, Arte Tipografica, Napoli, 1991.<br />
40 R. BAGLIONI, L’assicurazione in Italia dal medioevo ai giorni nostri, IFA-Publiass, Milano,<br />
1996.<br />
41<br />
G. CASSANDRO, Lineamenti storici dell’assicurazione, in “Dir<strong>it</strong>to e pratica dell’assicurazione”,<br />
fasc. 1, gennaio-marzo 1976, pp. 559-580.<br />
42<br />
F. BALLETTA, Mercato finanziario e Assicurazioni Generali, c<strong>it</strong>.; F. BALLETTA, Cap<strong>it</strong>ali, borsa e<br />
assicurazioni in Italia nella seconda metà del Novecento, c<strong>it</strong>.<br />
43<br />
T. FANFANI, Alleanza Assicurazioni. Cento anni di storia, Alleanza Assicurazioni S.p.A.,<br />
Milano, 1998; Atto cost<strong>it</strong>utivo, uomini, dati e bilanci. Appendice a Alleanza Assicurazioni. Cento<br />
anni di storia, Alleanza Assicurazioni S.p.A., Milano, 1998.<br />
44<br />
N. DE IANNI, I mutamenti nel lavoro delle assicurazioni: le Generali da Baroncini a Merzagora<br />
(1968-1979), in “Società Italiana degli Storici dell’Economia, Il lavoro come fattore produttivo e<br />
come risorsa nella storia economica <strong><strong>it</strong>aliana</strong>”. Atti del convegno di studi, Roma, 24 novembre 2000,<br />
a cura di S. Zaninelli e M. Toccolini, V<strong>it</strong>a e Pensiero Univers<strong>it</strong>à, Milano, 2002, pp. 445-465.<br />
99
ebbero per i lavoratori dell’Ottocento. Per il Novecento, con la presenza sempre<br />
più consistente dello stato nell’economia, si rileva il ruolo del welfare state<br />
nel settore dell’assistenza e della previdenza. In particolare, Baglioni mette in<br />
evidenza le profonde trasformazioni sub<strong>it</strong>e dalle assicurazioni con la rivoluzione<br />
industriale. Egli sottolinea che era un’attiv<strong>it</strong>à relegata ai margini della v<strong>it</strong>a<br />
economica, poiché l’analisi degli economisti era incentrata, esclusivamente,<br />
<strong>sulla</strong> cresc<strong>it</strong>a della produzione. Il miglioramento della qual<strong>it</strong>à della v<strong>it</strong>a, che<br />
deriva dalle assicurazioni, veniva marginalizzato con l’evolversi delle società. Il<br />
timore di perd<strong>it</strong>e aziendali portò in primo piano l’assicurazione dei risk management,<br />
che serve a tranquillizzare l’imprend<strong>it</strong>ore sui risultati del suo operato.<br />
Altri temi affrontati da Baglioni sono la specializzazione dell’attiv<strong>it</strong>à assicurativa,<br />
la trasparenza nella stipula dei contratti, i mutamenti degli assetti proprietari<br />
delle compagnie di assicurazione e la sempre maggiore internazionalizzazione<br />
dell’attiv<strong>it</strong>à assicurativa. <strong>La</strong> specializzazione si rilevò una strada obbligata, allorché<br />
si passò dalla concezione che l’attiv<strong>it</strong>à assicurativa fosse legata alla scommessa<br />
e alla valutazione di quelle attiv<strong>it</strong>à con metodi scientifici con la valutazione<br />
attuariale dei rischi legati alle leggi del calcolo delle probabil<strong>it</strong>à. Collocando<br />
l’assicurato al centro dell’attiv<strong>it</strong>à assicurativa e l’organizzazione del servizio<br />
a favore del cliente, l’informazione, per l’assicurato, è diventata un elemento<br />
indispensabile per la trasparenza e per la buona riusc<strong>it</strong>a del servizio. Un<br />
provvedimento attuato in tale direzione fu la polizza v<strong>it</strong>a rivalutabile, che pone<br />
l’assicurato al riparo dalle perd<strong>it</strong>e derivanti dalla svalutazione della moneta.<br />
Dagli anni Ottanta del Novecento, i cap<strong>it</strong>alisti <strong>it</strong>aliani furono interessati ad<br />
effettuare investimenti nel settore assicurativo. Per conseguenza, negli ultimi<br />
venti anni del Novecento, si ebbe un accelerato balletto di pacchetti azionari di<br />
società assicurative, con profondi mutamenti nell’assetto proprietario. Il risultato<br />
fu la eliminazione di numerosi ostacoli posti dalla presenza dello stato nel<br />
settore e la formazione di grandi imprese capaci di operare sul mercato europeo<br />
e sul mercato internazionale.<br />
Con la sempre maggiore integrazione dell’Italia nella Unione Europea<br />
anche le compagnie di assicurazioni, per tenere testa alle grandi compagnie<br />
europee, dovettero allineare i propri standard economici e finanziari ai paesi<br />
più sviluppati dal punto di vista economico e finanziario. I nuovi strumenti<br />
finanziari adottati dalle compagnie furono i fondi comuni di investimento e i<br />
fondi pensione. Nella prospettiva futura, alle banche toccherà il comp<strong>it</strong>o di<br />
gestire sempre più il risparmio a breve e medio termine e alle assicurazioni la<br />
gestione del risparmio a lungo termine con la conseguente “accentuazione e<br />
accelerazione del processo di redistribuzione dell’intermediazione del risparmio”.<br />
“Dall’indirizzo del risparmio individuale e familiare in t<strong>it</strong>oli di stato e<br />
depos<strong>it</strong>i bancari – scrive Roberto Pontremoli, nella prefazione al volume di<br />
Baglioni – si passerà in modo sempre più incisivo a forme di gestione indiretta<br />
100
del risparmio e, in questo caso, il ruolo di intermediazione delle assicurazioni<br />
sarà determinante, anche in termini di servizi che vengono offerti agli assicurati<br />
ben oltre la mera remunerazione finanziaria, garantendo bisogni di sicurezza<br />
contro molteplici evenienze” 45 .<br />
2. Le ricerche di storia delle imprese di assicurazioni<br />
I due volumi che ho pubblicato <strong>sulla</strong> storia delle Assicurazioni Generali –<br />
il primo relativo al periodo 1920-1960 ed il secondo al 1960-1995 46 – sono<br />
costru<strong>it</strong>i nell’ottica della storia finanziaria, un’ottica finora snobbata dagli economisti<br />
e rifiutata dagli storici dell’economia. Nel primo, dopo aver tracciato le<br />
linee generali dell’assetto organizzativo della società e descr<strong>it</strong>to l’andamento dei<br />
premi in relazione all’evolversi dell’economia, è stato messo in risalto l’andamento<br />
del cap<strong>it</strong>ale sociale, l’assetto proprietario ed i fondi di garanzia accumulati.<br />
Su tali fondi sono stati affondati i bisturi separando gli investimenti mobiliari<br />
da quelli immobiliari. Sono state esaminate le relazioni intercorse fra i maggiori<br />
artefici della gestione finanziaria dell’epoca – Beneduce, Stringher, Morpurgo<br />
e Volpi – assieme alle connessioni con il potere pol<strong>it</strong>ico, nelle mani del<br />
fascismo, che seppe intuire l’importanza della gestione finanziaria per l’economia<br />
dell’epoca.<br />
Nel secondo volume, dopo un esame dell’andamento dell’attiv<strong>it</strong>à assicurativa,<br />
in Italia, fra il 1960 e il 1995, l’analisi dell’attiv<strong>it</strong>à delle Generali ha riguardato<br />
l’attiv<strong>it</strong>à caratteristica, ma principalmente la gestione finanziaria. Gestione<br />
che, gradualmente, prese il sopravvento sull’attiv<strong>it</strong>à assicurativa. Il cap<strong>it</strong>alismo<br />
<strong>it</strong>aliano fu controllato dalle mani forti di poche grandi famiglie – Agnelli, Ferruzzi,<br />
De Benedetti, Berlusconi, Romagnoli, Patrucco, Benetton e qualche altro<br />
– che non si preoccuparono di migliorare la produttiv<strong>it</strong>à dell’azienda, ma furono<br />
sempre pronti a scalare qualsiasi società debole o solida del settore assicurativo<br />
o non; creare o rompere alleanze senza vincoli di dipendenza dai grandi<br />
protagonisti della finanza internazionale. <strong>La</strong> conseguenza di tale comportamento<br />
si è vista nel settore automobilistico, con le difficoltà in cui oggi si è trovata<br />
la FIAT, per la quale gli amministratori, preoccupati dalla gestione finanziaria,<br />
tralasciarono il rinnovo della produzione, necessario per tenere testa alla concorrenza<br />
del settore automobilistico europeo e internazionale.<br />
A tali conclusioni, per il settore assicurativo, si arriva dall’analisi della valutazione<br />
dell’azienda sul mercato borsistico. Dalla cap<strong>it</strong>alizzazione di borsa, dal<br />
45 R. PONTREMOLI, Prefazione, in “R. Baglioni, L’assicurazione in Italia”, c<strong>it</strong>., p. 10.<br />
46 F. BALLETTA, Mercato finanziario, c<strong>it</strong>.; F. BALLETTA, Cap<strong>it</strong>ali, borsa e assicurazioni, c<strong>it</strong>.<br />
101
pay-out e dagli indici di valutazione dell’attiv<strong>it</strong>à industriale si è potuto misurare<br />
la solid<strong>it</strong>à delle Assicurazioni Generali. Pertanto si rileva che l’utile dell’azienda<br />
derivava, principalmente, dalla gestione finanziaria. Gestione strettamente<br />
legata al mercato borsistico, che operava in una s<strong>it</strong>uazione di quasi<br />
monopolio, perché dominato dalla volontà di Enrico Cuccia, che attraverso<br />
Mediobanca, era impegnato a mantenere gli equilibri finanziari fra le grandi<br />
famiglie del cap<strong>it</strong>alismo <strong>it</strong>aliano. Per consentire la formazione di un libero mercato<br />
finanziario, a nulla servì la presenza di un azionariato diffuso per il cap<strong>it</strong>ale<br />
delle Generali. <strong>La</strong> gestione della società era affidata ad amministratori dipendenti<br />
dalle decisioni di Cuccia, che, attraverso i presidenti delle Generali –<br />
Merzagora, Randone, Coppola e Bernheim – influì in misura determinante <strong>sulla</strong><br />
gestione della pol<strong>it</strong>ica industriale e finanziaria della compagnia.<br />
Tommaso Fanfani ha ricostru<strong>it</strong>o al storia di cento anni di Alleanza Assicurazioni,<br />
dal 1898 al 1995 47 . Pur denunciando una certa dispersione di documenti,<br />
egli riesce a ricostruire le vicende della compagnia servendosi dei verbali dei consigli<br />
e delle assemblee dei soci, della corrispondenza e dei bilanci della società. <strong>La</strong><br />
prima nov<strong>it</strong>à che si ricava dalla ricerca è che la società fu cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>a, a Genova,<br />
con cap<strong>it</strong>ale tedesco, come si verificò, nello stesso periodo, per il Cred<strong>it</strong>o Italiano<br />
e la Banca Commerciale Italiana. È questo un ulteriore rafforzamento dell’ipotesi,<br />
da più parti sostenuta, della dipendenza <strong><strong>it</strong>aliana</strong> dal cap<strong>it</strong>ale straniero. Una<br />
seconda considerazione è la nasc<strong>it</strong>a dell’azienda in un momento in cui lo stato<br />
cominciò ad intervenire nel settore previdenziale con l’assicurazione obbligatoria,<br />
al fine di proteggere i lavoratori contro i danni alla salute derivanti dagli infortuni<br />
sul lavoro, con la ist<strong>it</strong>uzione della Cassa nazionale per la previdenza per l’invalid<strong>it</strong>à<br />
e la vecchiaia e, qualche anno più tardi (1912), accentrando nell’INA le assicurazioni<br />
<strong>sulla</strong> v<strong>it</strong>a. Era la dimostrazione del bisogno di sicurezza. Tuttavia la presenza<br />
dello stato nel settore cost<strong>it</strong>uiva un ostacolo alla cresc<strong>it</strong>a delle assicurazioni<br />
private. L’attiv<strong>it</strong>à della compagnia fu strettamente legata all’andamento dell’economia<br />
del paese, ma, principalmente, all’opera dei suoi dirigenti, di cui i più<br />
importanti furono Evan Mackenzie e Mario Gasbarri.<br />
Un momento importante della v<strong>it</strong>a di Alleanza fu il 1933, allorché la<br />
società entrò a far parte della compagnia Assicurazioni Generali, che aveva una<br />
maggiore esperienza perché, all’epoca, aveva compiuto i primi cento anni di<br />
v<strong>it</strong>a e perché svolgeva la sua attiv<strong>it</strong>à a livello internazionale. L’evento viene defin<strong>it</strong>o<br />
da Fanfani come “il fatto più importante, dopo la fondazione, visto che<br />
dalla nuova proprietà scaturi[rono] la ripresa e l’affermazione fino al raggiungimento<br />
di ambiziosi traguardi” 48 .<br />
47<br />
T. FANFANI, Alleanza Assicurazioni, c<strong>it</strong>.; Atto cost<strong>it</strong>utivo, uomini, dati e bilanci. Appendice<br />
a Alleanza Assicurazioni, c<strong>it</strong>.<br />
48<br />
T. FANFANI, Alleanza Assicurazioni, c<strong>it</strong>., p. 17.<br />
102
Particolarmente significativa fu la gestione da parte di Mario Gasbarri, dal<br />
1935 al 1978, che si fece carico delle difficoltà prodotte alla compagnia dalla<br />
seconda guerra mondiale e dalla cresc<strong>it</strong>a nel dopoguerra, allorché puntò sulle<br />
assicurazioni popolari basate <strong>sulla</strong> raccolta del piccolo risparmio. Gli anni<br />
Ottanta furono caratterizzati da profondi mutamenti introdotti dalla rapid<strong>it</strong>à<br />
del movimento delle informazioni e dalla concorrenza, sempre più spietata, che<br />
derivò dalla maggiore apertura del mercato europeo e del mercato internazionale.<br />
Il giudizio sul lavoro compiuto da Tommaso Fanfani è più che pos<strong>it</strong>ivo: si<br />
tratta della ricostruzione scientifica di una storia d’impresa che prende le<br />
distanze da qualsiasi approccio celebrativo, come il t<strong>it</strong>olo del volume potrebbe<br />
fare intendere. Altro mer<strong>it</strong>o è quello di avere reso attraente la lettura del lavoro<br />
facendo un parco uso della mole di dati disponibili. Dati che sono riportati<br />
in appos<strong>it</strong>o volume di appendice dal t<strong>it</strong>olo “Atto cost<strong>it</strong>utivo, uomini, dati e<br />
bilanci”, dove a Giuseppe Conti 49 è toccato il difficile comp<strong>it</strong>o della riclassificazione<br />
dei dati di bilanci con lo scopo di rendere comparabili cifre che altrimenti<br />
avrebbero avuto poco significato. Pertanto l’appendice può considerarsi<br />
una buona fonte per la ricostruzione di indici di bilancio dai quali ricavare ulteriori<br />
interpretazioni della v<strong>it</strong>a della compagnia.<br />
Al convegno della Società Italiana degli Storici dell’Economia che si tenne,<br />
a Roma, nel novembre del 2000, sul tema “Il lavoro come fattore produttivo e<br />
come risorsa nella storia dell’economia <strong><strong>it</strong>aliana</strong>”, Nicola De Ianni si cimentò su<br />
un argomento difficile: “I mutamenti nel lavoro delle assicurazioni: le Generali<br />
da Baroncini a Merzagora (1968-1979)” 50 . Si tratta del lavoro effettuato dai colletti<br />
bianchi impiegati della più grande impresa del settore, le Assicurazioni<br />
Generali. Pur apprezzando l’original<strong>it</strong>à del tema affrontato, in effetti, De Ianni<br />
– servendosi di una interessante documentazione conservata nell’archivio privato<br />
di Merzagora – mette in risalto i mutamenti che si ebbero ai vertici dell’azienda<br />
e la riduzione dell’importanza dell’attiv<strong>it</strong>à delle agenzie assicurative<br />
volute da Merzagora al fine di ridurre i costi dell’impresa. <strong>La</strong> relazione, tuttavia,<br />
come riconosce lo stesso autore – “un mostro con una grande testa ed un<br />
piccolo corpo” 51 – ha scarsa importanza per i cambiamenti introdotti nel lavoro,<br />
ma conferma i risultati delle ricerche finora da me compiuti sui dati dei<br />
bilanci delle Generali, dai quali risulta il peso, sempre maggiore, che ebbe l’attiv<strong>it</strong>à<br />
finanziaria rispetto a quella assicurativa o caratteristica (o con un termine<br />
49<br />
I bilanci di Alleanza dal 1902 al 1995, a cura di Giuseppe Conti, in Atto cost<strong>it</strong>utivo, uomini,<br />
dati e bilanci, c<strong>it</strong>., pp. 45-152.<br />
50<br />
N. DE IANNI, I mutamenti nel lavoro delle assicurazioni: le Generali da Baroncini a Merza-<br />
gora (1968-1979), c<strong>it</strong>., pp. 445-465.<br />
51 Ibidem, p. 445.<br />
103
meno preciso “industriale”) con l’obbiettivo di massimizzare i prof<strong>it</strong>ti degli<br />
azionisti. Ciò ha significato che il risparmiatore fu attirato dalle assicurazioni<br />
<strong>sulla</strong> v<strong>it</strong>a, principalmente, per la funzione previdenziale. Pertanto il lavoro dell’assicuratore<br />
si è avvicinato a quello di banchiere e di “consulente globale”,<br />
forn<strong>it</strong>ore di più servizi, piuttosto che vend<strong>it</strong>ore di sicurezza e tranquill<strong>it</strong>à con la<br />
copertura dei rischi.<br />
III. <strong>La</strong> <strong>storiografia</strong> <strong>sulla</strong> finanza pubblica<br />
Premessa<br />
Abbiamo rilevato che le ricerche <strong>sulla</strong> storia della finanza pubblica sono<br />
molto più numerose di quelle <strong>sulla</strong> borsa e <strong>sulla</strong> finanza privata. Vi sono ricerche<br />
di studiosi della prima metà dell’Ottocento, come Ludovico Bianchini o<br />
Luigi Cibrario o della seconda metà dell’Ottocento, come quelle di Achille Plebano,<br />
Paolo Carcano e Eugenio Messeri, che sono ancora scientificamente valide,<br />
nonostante i profondi mutamenti avvenuti nella impostazione scientifica dei<br />
lavori e nella interpretazione dei documenti. Come rivelò Giuseppe Felloni 52 , in<br />
un altro convegno <strong>sulla</strong> <strong>storiografia</strong> della finanza pubblica <strong><strong>it</strong>aliana</strong>, anche noi<br />
abbiamo notato, nell’ultimo ventennio, un calo di interesse degli storici verso la<br />
finanza pubblica. Ciò nonostante, susc<strong>it</strong>a grande interesse, fra gli economisti ed<br />
i responsabili della pol<strong>it</strong>ica finanziaria e monetaria, il disavanzo del bilancio<br />
dello stato e il forte deb<strong>it</strong>o pubblico, per il quale si è temuto che l’Italia non<br />
riuscisse ad entrare, fin dal primo momento, nell’area dell’Euro.<br />
Sulla base delle ricerche effettuate nell’ultimo <strong>trentennio</strong> <strong>sulla</strong> finanza pubblica,<br />
ho r<strong>it</strong>enuto di fare una selezione dei lavori storici più significativi. Essi<br />
sono stati raggruppati in sei categorie: 1) le ricerche <strong>sulla</strong> pol<strong>it</strong>ica fiscale, che<br />
chiameremo “circu<strong>it</strong>o del risparmio forzato”; 2) quelle sul risparmio raccolto<br />
dal Crediop e dagli uffici postali, che chiameremo “circu<strong>it</strong>o del risparmio<br />
volontario”; 3) la pol<strong>it</strong>ica della spesa pubblica; 4) la pol<strong>it</strong>ica del deb<strong>it</strong>o pubblico;<br />
5) la finanza pubblica in generale; 6) la finanza locale.<br />
1. Il “circu<strong>it</strong>o del risparmio forzato”<br />
<strong>La</strong> prima segnalazione che mi sento di effettuare è la ricerca compiuta da<br />
Gianni Marongiu, professore di Dir<strong>it</strong>to Tributario, <strong>sulla</strong> storia del fisco, in Ita-<br />
52 G. FELLONI, Temi e problemi nella storia finanziaria degli stati <strong>it</strong>aliani, in “Rivista di Storia<br />
Finanziaria”, n. 2, gennaio-giugno 1999, p. 103.<br />
104
lia, nel periodo della destra storica (1861-1876) 53 e in quello della sinistra storica<br />
(1876-1896) 54 . Marongiu, pur essendo un cultore di discipline giuridiche,<br />
ricostruì la storia del fisco rifacendosi all’opera dei protagonisti della finanza<br />
pubblica dell’epoca e si soffermò sulle teorie fiscali. Nel primo volume, esaltò<br />
l’opera svolta dai due ministri delle finanze dell’epoca, Minghetti e Sella, e sottolineò<br />
il contributo di <strong>La</strong>nza, Ricasoli, Scialoja, Ferrara e Combray-Digny, che<br />
furono i maggiori sosten<strong>it</strong>ori della pol<strong>it</strong>ica liberistica e si fecero carico di assestare<br />
il sistema tributario <strong>it</strong>aliano, risultato dall’accozzaglia di più sistemi<br />
costru<strong>it</strong>i in stati con ist<strong>it</strong>uzioni pol<strong>it</strong>iche contrastanti fra loro. Significativa fu<br />
l’introduzione dell’imposta di ricchezza mobile – un tributo che poteva tener<br />
testa all’incom tax inglese e ai più moderni tributi analoghi applicati in Francia<br />
o in Prussia – che colpiva i redd<strong>it</strong>i della nascente borghesia. Ciò significa che i<br />
fautori di quella pol<strong>it</strong>ica tributaria stavano puntando su una radicale trasformazione<br />
dell’economia del paese, da economia agraria in economia industriale e<br />
commerciale.<br />
Con l’applicazione dell’imposta sul macinato, i governanti furono consapevoli<br />
della gravos<strong>it</strong>à del tributo, ma volevano che tutte le classi sociali, ricche e<br />
povere, fossero coinvolte nel rinnovamento della società e comunque contribuissero<br />
al pareggio del bilancio dello stato. Una pol<strong>it</strong>ica fiscale severa, accompagnata<br />
ad una pol<strong>it</strong>ica di contenimento delle spese, che, per la maggior parte,<br />
erano spese di investimento e dovevano servire a formare le coscienze di c<strong>it</strong>tadini<br />
<strong>it</strong>aliani e, principalmente, di c<strong>it</strong>tadini liberi. Informata a questi principi, la<br />
pol<strong>it</strong>ica fiscale della destra riuscì a garantire la copertura delle ingenti spese che<br />
doveva sostenere uno stato, giovane e fragile, in fase di organizzazione. Secondo<br />
Marongiu, i governanti vi riuscirono “grazie ai rilevanti elementi di nov<strong>it</strong>à<br />
che connaturarono quell’ordinamento” 55 .<br />
Sulla base di queste considerazioni, l’interpretazione della storia fiscale di<br />
Marongiu si allinea all’interpretazione che Richard A. Musgrave diede della<br />
finanza pubblica: una finanza che influenza la redistribuzione della ricchezza. Il<br />
passaggio dall’economia agricola all’economia industriale e commerciale, la<br />
lotta al disavanzo del bilancio dello stato, che vincolò la cresc<strong>it</strong>a economica, gli<br />
investimenti produttivi dello stato e la riduzione dell’indeb<strong>it</strong>amento dell’Italia<br />
verso l’estero, che caratterizzarono la pol<strong>it</strong>ica della destra storica, contribuirono<br />
a ridurre la povertà dei meno abbienti, diversamente da quanto pensava<br />
53<br />
G. MARONGIU, Storia del fisco in Italia. I. <strong>La</strong> pol<strong>it</strong>ica fiscale della destra storica (1861-1876),<br />
Einaudi, Torino, 1995.<br />
54<br />
G. MARONGIU, Storia del fisco in Italia. II. <strong>La</strong> pol<strong>it</strong>ica fiscale della sinistra storica (1876-<br />
1896), Einaudi, Torino, 1996.<br />
55<br />
G. MARONGIU, Storia del fisco in Italia. I. <strong>La</strong> pol<strong>it</strong>ica fiscale della destra, c<strong>it</strong>., p. XV.<br />
105
Adamo Sm<strong>it</strong>h con il mantenimento di salari di sussistenza 56 . Così la redistribuzione<br />
della ricchezza fra la popolazione ebbe un ruolo importante per la cresc<strong>it</strong>a<br />
dell'economia <strong><strong>it</strong>aliana</strong>, poiché “la ricchezza delle nazioni dipen[dendo]<br />
anche dalla distribuzione è altrettanto certo che tale ricchezza appartiene ai singoli<br />
e in tale ottica va correttamente riguardata” 57 .<br />
Nel secondo volume pubblicato da Marongiu, relativo alla pol<strong>it</strong>ica fiscale<br />
della sinistra storica, la pol<strong>it</strong>ica adottata fu letteralmente capovolta, rispetto al<br />
periodo della destra. <strong>La</strong> pol<strong>it</strong>ica fiscale e il pareggio del bilancio dello stato, che<br />
erano stati messi in primo piano per la cresc<strong>it</strong>a economica del paese, passarono<br />
in second’ordine, vennero considerati fatti tecnici e non pol<strong>it</strong>ici. Il programma<br />
del governo non ebbe più come obiettivo principale il contenimento e la selezione<br />
della spesa pubblica; gli assetti tributari non ebbero più una valenza pol<strong>it</strong>ica<br />
(in termini di efficienza e/o di giustizia e/o di consenso) 58 , che aveva portato,<br />
nei primi decenni dell’Un<strong>it</strong>à, alla maturazione della coscienza di <strong>it</strong>aliani e al<br />
convincimento, che, in uno stato moderno, i c<strong>it</strong>tadini devono contribuire alle<br />
spese pubbliche.<br />
In conseguenza di tale impostazione, allorché Crispi volle attuare l’ard<strong>it</strong>o<br />
progetto di riforme amministrative e sociali, che aveva come fine l’ammodernamento<br />
cap<strong>it</strong>alistico del paese accompagnato all’attuazione della pol<strong>it</strong>ica coloniale,<br />
come dimostrazione della potenza realizzata dall’Italia, il sistema fiscale<br />
non fu più in grado di dare il gett<strong>it</strong>o necessario. Anzi, il mancato ammodernamento<br />
dei tributi diede al sistema caratteri di pesante iniqu<strong>it</strong>à e incoerenza.<br />
All’ordinamento tributario vennero a mancare quei tratti di nov<strong>it</strong>à, che gli avevano<br />
confer<strong>it</strong>o gli uomini della destra. Il sistema tributario divenne un peso iniquo<br />
per i consumi popolari, anche più ingiusto di quanto era stato costretto a<br />
fare la stessa destra. “<strong>La</strong> destra storica – scrive Marongiu –, rispettando le regole<br />
che si era posta, ricoprì bene il proprio ruolo di ceto di governo e di maggioranza<br />
che chiede, che tassa, che impone e pretende” 59 .<br />
Poiché la sinistra storica non fu in grado di attuare una pol<strong>it</strong>ica tributaria<br />
capace di far fronte alla liev<strong>it</strong>azione delle spese, fu costretta a ricorrere ad una<br />
finanza di emergenza, che si ripropose giorno per giorno, per la quale Crispi<br />
non temeva “di contraddirsi, di mentire, di conclamare obiettivi quali la riforma<br />
tributaria, alla quale non dedicò mai un intervento, un’analisi specifica” 60 .<br />
<strong>La</strong> conseguenza fu il disavanzo del bilancio dello stato e la mancanza di una<br />
56<br />
R.A. MUSGRAVE, Finanza pubblica, equ<strong>it</strong>à e democrazia, Il Mulino, Bologna, 1995, pp.<br />
XXV-XXVI.<br />
57<br />
Ibidem, p. XXVI.<br />
58<br />
G. MARONGIU, Storia del fisco in Italia. II. <strong>La</strong> pol<strong>it</strong>ica fiscale della sinistra, c<strong>it</strong>., p. XIV.<br />
59 Ibidem, p. XVI.<br />
60 Ibidem, p. XV.<br />
106
pol<strong>it</strong>ica adeguata alla redistribuzione dei redd<strong>it</strong>i e alla cresc<strong>it</strong>a economica del<br />
paese. Si diede maggiore potere al presidente del consiglio dei ministri, affinché,<br />
con la sua abil<strong>it</strong>à, potesse gestire i provvedimenti finanziari approvati dal<br />
Parlamento. Ma gli interventi di Crispi e Depretis servirono poco senza avere<br />
delle “regole”, una pol<strong>it</strong>ica intorno alla quale costruire gli interventi. Ciò significò<br />
– secondo Marongiu – “un arretramento, rispetto al processo di modernizzazione<br />
del paese e quindi un rallentamento al ricongiungimento dell’Europa<br />
civile, che aveva giustificato il Risorgimento” 61 .<br />
Un secondo volume sul fisco che desidero segnalare è quello di Paolo<br />
Giannotti su “<strong>La</strong> riforma impossibile” 62 , dove si mettono a fuoco alcuni<br />
momenti significativi della pol<strong>it</strong>ica fiscale <strong><strong>it</strong>aliana</strong>: la riforma della finanza locale,<br />
proposta da Magliani, nel 1879, diretta ad assestare i bilanci dei comuni falcidiati<br />
dalla pol<strong>it</strong>ica del governo centrale; il costo della guerra di Libia, del<br />
1911-12, e le conseguenze sulle finanze dello stato; la pol<strong>it</strong>ica fiscale di Giol<strong>it</strong>ti<br />
e Salandra; la crisi del fisco durante la prima guerra mondiale. <strong>La</strong> linea che si<br />
rileva dal lavoro di Giannotti è che vi furono grosse difficoltà, tra la fine dell’Ottocento<br />
e i primi decenni del Novecento, ad introdurre riforme democratiche<br />
in campo fiscale, perché, secondo Giol<strong>it</strong>ti, non si voleva calcare la mano<br />
sulle ricchezze della nascente borghesia.<br />
Domenicantonio Fausto, in un grosso saggio, pubblicato nella Collana<br />
“Ricerche per la storia della Banca d’Italia”, prende in esame la pol<strong>it</strong>ica fiscale<br />
nel periodo compreso fra la prima guerra mondiale e l’avvio del governo fascista<br />
(1914-1922) 63 . <strong>La</strong> linea di fondo segu<strong>it</strong>a è che, all’inizio della guerra, non vi<br />
era un sistema tributario adatto ad affrontare la finanza di urgenza. Il sistema<br />
era lo stesso di quello instaurato dalla destra al momento dell’unificazione,<br />
quindi basato sul concetto che, per aumentare il gett<strong>it</strong>o, bisognava inasprire le<br />
aliquote. I progetti di riforma, più volte presentati, non avevano trovato l’approvazione<br />
del Parlamento. Così, durante il periodo bellico e nel triennio successivo,<br />
il governo prese provvedimenti finanziari indipendentemente dall’accertamento<br />
dei redd<strong>it</strong>i o del patrimonio. Essi erano dettati solo dalle necess<strong>it</strong>à<br />
del momento. Furono aumentate più volte le aliquote delle imposte dirette<br />
(<strong>sulla</strong> ricchezza mobile, sui terreni e sui fabbricati), il loro gett<strong>it</strong>o fu sempre,<br />
proporzionalmente, inferiore a quello delle imposte indirette. Negli anni della<br />
61<br />
Ibidem, pp. XVI-XVII.<br />
62<br />
P. GIANNOTTI, <strong>La</strong> riforma impossibile. Momenti di storia del fisco in Italia (1876-1918),<br />
Edizioni Quattroventi, Urbino, 1998.<br />
63<br />
D. FAUSTO, <strong>La</strong> pol<strong>it</strong>ica fiscale dalla prima guerra mondiale al regime fascista, in “AA.VV.,<br />
Problemi di finanza pubblica tra le due guerre (1919-1939)”, Ricerche per la storia della Banca<br />
d’Italia, vol. II, Ed<strong>it</strong>ore <strong>La</strong>terza, Roma-Bari, pp. 3-138.<br />
107
guerra e al momento della v<strong>it</strong>toria, non si seppe applicare una “imposta sul<br />
patrimonio”, come nuova fonte tributaria. Solo nel 1919, sull’esempio della<br />
Germania, si approf<strong>it</strong>tò di quel nuovo strumento di pol<strong>it</strong>ica fiscale. Il gett<strong>it</strong>o<br />
delle imposte dirette crebbe, ma vi era bisogno di una profonda ristrutturazione<br />
del sistema, l’ordinamento di tali tributi era caotico e “che, oltre ad essere<br />
un ostacolo alla produzione, era anche fonte di aggravio di costi per l’amministrazione<br />
finanziaria. Il sistema delle imposte dirette aveva bisogno di una semplificazione<br />
e di una razionalizzazione” 64 . Per il momento particolare creato<br />
dalla guerra – compreso il fenomeno del “ribellismo fiscale” –, il gett<strong>it</strong>o tributario<br />
non riuscì a colmare il disavanzo del bilancio dello stato, per cui fu necessario<br />
fare largo ricorso all’indeb<strong>it</strong>amento con l’emissione dei buoni del Tesoro.<br />
“L’emissione dei prest<strong>it</strong>i contribuiva solo in parte al contenimento del circolante,<br />
sia perché i prest<strong>it</strong>i venivano in parte sottoscr<strong>it</strong>ti mediante anticipazioni bancarie,<br />
sia perché i t<strong>it</strong>oli del deb<strong>it</strong>o pubblico potevano sost<strong>it</strong>uire le monete in<br />
alcune delle sue funzioni” 65 . Attraverso l’inflazione, che colpiva i possessori di<br />
t<strong>it</strong>oli pubblici a lungo termine, durante la guerra e dopo, si ebbe la redistribuzione<br />
delle ricchezze con il passaggio dei possessori a redd<strong>it</strong>o fisso ai possessori<br />
di beni immobili.<br />
Nell’immediato dopoguerra fino all’avvento del governo Mussolini, si tentò<br />
di approvare una riforma organica del sistema tributario, fu, principalmente, il<br />
ministro delle finanze, Soleri, che predispose una riforma comprendente la revisione<br />
dei tributi statali e degli enti locali, ma il Parlamento non riuscì ad approvarla<br />
per la caduta del governo. Era la continuazione di ciò che era accaduto<br />
prima della guerra, per cui “il rapido succedersi di diversi governi, consentirono<br />
soltanto che fossero apportate modificazioni al sistema impos<strong>it</strong>ivo attraverso<br />
r<strong>it</strong>occhi e approssimazioni successive” 66 .<br />
Comunque è questo un terreno sul quale gli storici dovranno ancora cimentarsi<br />
attraverso l’esame della documentazione ministeriale. Lo stesso vale per i rapporti<br />
intercorsi fra Banca d’Italia e governo del paese <strong>sulla</strong> pol<strong>it</strong>ica finanziaria da<br />
adottare relativamente all’emissione di cartamoneta, per la concessione di anticipazioni<br />
degli ist<strong>it</strong>uti di emissione al Tesoro dello stato e per l’emissione dei t<strong>it</strong>oli<br />
del deb<strong>it</strong>o pubblico. Secondo Fausto, la documentazione è scarsa, per cui non vi<br />
sarebbero state divergenze fra la Banca d’Italia e i governi 67 , ma non mi risulta che<br />
siano state fatte ricerche in tale direzione sui documenti dei tre ist<strong>it</strong>uti di emissione<br />
dell’epoca (Banca d’Italia, Banco di Napoli e Banco di Sicilia).<br />
64 Ibidem, p. 132.<br />
65 Ibidem, p. 133.<br />
66 Ibidem, p. 135.<br />
67 Ibidem, p. 134.<br />
108
2. Il “circu<strong>it</strong>o del risparmio volontario”<br />
Nell’amb<strong>it</strong>o dei circu<strong>it</strong>i creati per raccogliere risparmi e stabilirne la successiva<br />
allocazione in connessione con la pol<strong>it</strong>ica economica dei governanti e<br />
alla pol<strong>it</strong>ica monetaria della banca centrale, vanno ricordati due contributi<br />
scientifici originali: quello di Pier Francesco Asso e Marcello De Cecco <strong>sulla</strong><br />
storia del Crediop (Consorzio di Cred<strong>it</strong>o per le Opere Pubbliche) 68 e la ricerca<br />
a più mani (Pier Francesco Asso, Stefano Battilossi, Leandro Conte, Marcello<br />
De Cecco, Giuseppe Della Torre e Gianni Toniolo) <strong>sulla</strong> Cassa Depos<strong>it</strong>i e Prest<strong>it</strong>i<br />
curata da de Cecco e Toniolo 69 .<br />
Nel primo lavoro, costru<strong>it</strong>o su una documentazione ined<strong>it</strong>a, si esamina l’attiv<strong>it</strong>à<br />
degli ist<strong>it</strong>uti voluti da Beneduce (Crediop e ICIPU) autorizzati ad emettere<br />
obbligazioni con lo scopo di finanziare opere pubbliche, oppure attiv<strong>it</strong>à produttive<br />
pubbliche o private promosse dallo stato. Gli autori evidenziano che,<br />
con la formazione dello stato imprend<strong>it</strong>ore, creatosi in Italia dagli anni Trenta<br />
in poi, si formarono due circu<strong>it</strong>i finanziari paralleli e concorrenziali: quello<br />
dello stato che reperiva risparmi attraverso il fisco e con l’emissione di t<strong>it</strong>oli del<br />
deb<strong>it</strong>o pubblico e il secondo con l’emissione di obbligazioni del Crediop e di<br />
altri ist<strong>it</strong>uti di cred<strong>it</strong>o speciali. “L’esistenza di un doppio circu<strong>it</strong>o, quello statale<br />
e quello extrastatale a cui gli enti pubblici partecipavano, – spiegano gli autori<br />
– cost<strong>it</strong>uiva, nel pensiero del suo ideatore [Beneduce], la garanzia fondamentale<br />
che l’intervento dello stato non si sarebbe tradotto in una perd<strong>it</strong>a di efficienza<br />
e stabil<strong>it</strong>à per il sistema economico” 70 . In questo modo, secondo Sabino Cassese,<br />
Beneduce avrebbe creato uno stato nello stato, affidandolo ad una burocrazia<br />
illuminata e competente capace di fornire servizi specifici. Il circu<strong>it</strong>o<br />
finanziario si sarebbe autoalimentato rimanendo estraneo al Tesoro dello<br />
stato 71 , stabilendo una correlazione precisa fra emissione di obbligazioni e<br />
obiettivo da realizzare. Della ricerca, minuziosa ed originale, condotta dai due<br />
studiosi si rileva che furono realizzate opere pubbliche volute dal governo e<br />
legate alla pol<strong>it</strong>ica economica del momento: bonifiche, servizi mar<strong>it</strong>timi, costruzioni<br />
edilizie, grandi infrastrutture, finanziamenti agli enti locali, all’IRI, ma<br />
anche mutui al Tesoro, sistemazione di prest<strong>it</strong>i bellici.<br />
I due circu<strong>it</strong>i – quello statale e quello degli enti speciali – poiché avevano<br />
68<br />
P.F. ASSO e M. DE CECCO, Storia del Crediop. Tra cred<strong>it</strong>o speciale e finanza pubblica (1920<br />
-1960), Ed<strong>it</strong>ore <strong>La</strong>terza, Roma-Bari, 1994.<br />
69<br />
AA.VV., Storia della Cassa Depos<strong>it</strong>i e Prest<strong>it</strong>i, a cura di M. De Cecco e G. Toniolo, Ed<strong>it</strong>ore<br />
<strong>La</strong>terza, Roma-Bari, 2000.<br />
70<br />
P.F. ASSO e M. DE CECCO, Storia del Crediop, c<strong>it</strong>., p. 6.<br />
71<br />
S. CASSESE, Gli statuti degli enti Beneduce, in “Storia contemporanea”, XV, 5, ottobre<br />
1984.<br />
109
lo stesso obiettivo, entravano spesso in concorrenza, per cui, dal momento della<br />
cost<strong>it</strong>uzione, si ebbe “un braccio di ferro per ridurre le distanze fra i circu<strong>it</strong>i<br />
paralleli e per ricondurre il circu<strong>it</strong>o extrastatale e di mercato in cui operava il<br />
Consorzio all’interno del più ampio quadro del finanziamento del deb<strong>it</strong>o pubblico”<br />
72 . Spesso i dirigenti del Crediop e dell’ICIPU si trovarono a dover effettuare<br />
scelte difficili, poiché alle richieste di finanziamenti, che venivano dal<br />
governo e dal Parlamento, si opponevano i governatori della Banca d’Italia, che<br />
dovevano perseguire una pol<strong>it</strong>ica di stabil<strong>it</strong>à monetaria. Tuttavia, nei periodi di<br />
emergenza, che si ebbero fra gli anni Cinquanta e Sessanta, fu giocoforza, da<br />
parte dell’autor<strong>it</strong>à monetaria, usare le emissioni obbligazionarie dei consorzi<br />
come pol<strong>it</strong>ica monetaria e comunque favorire una pol<strong>it</strong>ica comune fra circu<strong>it</strong>o<br />
statale e circu<strong>it</strong>o del cred<strong>it</strong>o speciale 73 . In questo panorama, in cui lo stato e gli<br />
enti speciali cercarono di rastrellare denaro sul mercato, furono sempre i risparmiatori<br />
<strong>it</strong>aliani a dimostrare grande generos<strong>it</strong>à, come un popolo di formiche.<br />
Il volume <strong>sulla</strong> storia della Cassa Depos<strong>it</strong>i e Prest<strong>it</strong>i, che comprende un arco<br />
di tempo che va dal 1850 al 1990, racconta le caratteristiche di un terzo circu<strong>it</strong>o<br />
finanziario, che possiamo definire pubblico, perché viene gest<strong>it</strong>o dagli uffici postali<br />
al momento della raccolta e dalla Cassa Depos<strong>it</strong>i e Prest<strong>it</strong>i per l’impiego del<br />
risparmio 74 . Due ist<strong>it</strong>uzioni che cost<strong>it</strong>uiscono una garanzia per il piccolo risparmiatore<br />
– specialmente delle zone periferiche del paese e del Mezzogiorno –, il<br />
quale non è in grado di seguire le operazioni di borsa ed ha scarsa fiducia nelle<br />
banche. Se a questo si aggiunge la capillar<strong>it</strong>à degli sportelli postali, che arrivano in<br />
tutti i centri ab<strong>it</strong>ati, dove, ancora oggi, non è arrivato lo sportello bancario, si può<br />
comprendere il successo dei flussi finanziari passati per tale circu<strong>it</strong>o. <strong>La</strong> ricerca, da<br />
un lato, può considerarsi la storia delle ist<strong>it</strong>uzioni e dall'altro l'esame delle fluttuazioni<br />
della gestione del risparmio. Pertanto possiamo considerare questo lavoro<br />
come la storia di un mercato alla ricerca dell’ottimo paretiano, poiché la pol<strong>it</strong>ica di<br />
raccolta e di impiego adottata dai governanti trovò in quelle ist<strong>it</strong>uzioni – secondo<br />
l’impostazione dei ricercatori – uno strumento flessibile capace di adattarsi facilmente<br />
alle esigenze della pol<strong>it</strong>ica monetaria e della pol<strong>it</strong>ica economica dei governanti.<br />
L’attiv<strong>it</strong>à dei mutui concessi dalla Cassa non può essere assimilato a quello<br />
di una banca, poiché essa non ha mai svolto ricerche per stabilire l’affidabil<strong>it</strong>à dei<br />
clienti, cioè degli enti locali. “Essa gestisce un circu<strong>it</strong>o di risorse che usa, sì, lo strumento<br />
tecnico del mutuo, ma senza ruoli aggiuntivi rispetto a quello di rendere<br />
evidente che si tratta di una spesa la cui copertura andrà poi trovata nelle risorse<br />
fiscali dell’ente, o in quelle dello stato centrale” 75 .<br />
72<br />
P.F. ASSO e M. DE CECCO, Storia del Crediop, c<strong>it</strong>., p. 7.<br />
73<br />
Ibidem, p. 9.<br />
74<br />
AA.VV., Storia della Cassa Depos<strong>it</strong>i e Prest<strong>it</strong>i, c<strong>it</strong>., p. V.<br />
75 Ibidem, p. XII.<br />
110
Anche da questo lavoro vengono alla luce le tensioni sorte fra potere centrale<br />
e autonomia delle ist<strong>it</strong>uzioni locali; fra gestione del deb<strong>it</strong>o pubblico e<br />
risparmio raccolto dagli uffici postali; fra pol<strong>it</strong>ica di raccolta delle casse di<br />
risparmio postali e quella delle casse di risparmio private. Nonostante il governo<br />
avesse sempre dimostrato preferenza per i t<strong>it</strong>oli del deb<strong>it</strong>o pubblico, il cui<br />
ricavato gestiva liberamente, sostenne la cresc<strong>it</strong>a del risparmio postale con<br />
incentivi ai dirigenti dell’Ente Poste per accrescere la raccolta del risparmio.<br />
Addir<strong>it</strong>tura l’importanza di un ufficio postale non si misurava tanto <strong>sulla</strong> base<br />
del servizio di corrispondenze, quanto <strong>sulla</strong> quant<strong>it</strong>à di risparmio che gli impiegati<br />
erano capaci di raccogliere. Ciò perché vi era convenienza per il Tesoro,<br />
che raccoglieva risparmio sostenendo costi molto bassi, e per gli enti locali, che<br />
ricevevano cred<strong>it</strong>i a basso tasso di interesse. Le tensioni sorte fra la Cassa Depos<strong>it</strong>i<br />
e Prest<strong>it</strong>i – che voleva mantenere autonomia di gestione – ed il Tesoro – che<br />
voleva asservirla alla sua pol<strong>it</strong>ica – spesso furono risolte con specifiche interpretazioni<br />
<strong>sulla</strong> natura giuridica della Cassa o con “interventi di riassetto effettuati,<br />
al prevalere dell’esigenza di farne uno strumento di uso molteplice in<br />
mano al Tesoro; il che necessariamente richiedeva – secondo l’interpretazione<br />
di Maria Teresa Salvemini, direttrice generale della Cassa – di rinunciare all’idea<br />
di creare, invece, una ist<strong>it</strong>uzione dalla missione e dai connotati precisi” 76 .<br />
Una contraddizione esiste nella gestione del risparmio, che, raccolto a breve<br />
termine o legato al dir<strong>it</strong>to del rimborso anticipato, veniva impiegato a lungo termine<br />
e a tasso fisso. Ciò causò, nella lunga storia della Cassa, delle crisi di liquid<strong>it</strong>à<br />
o crisi di bilancio “non dovute a errori nella originaria fissazione della<br />
costellazione dei tassi di interesse attivi e passivi, ma ad eventi successivi, capaci<br />
di influenzare l’uno o l’altro lato del bilancio” 77 . Pertanto, la pol<strong>it</strong>ica dei tassi<br />
di interesse attivi e passivi fu strettamente legata all’andamento del mercato<br />
monetario e finanziario, ma anche alla volontà degli organi pol<strong>it</strong>ici. Ciò dimostra<br />
le difficoltà della Cassa di perseguire un’autonoma pol<strong>it</strong>ica, che fu legata,<br />
comunque, al deb<strong>it</strong>o pubblico e all’andamento dei flussi finanziari dello stato.<br />
“Tra la pol<strong>it</strong>ica di bilancio dello stato – scrive Maria Teresa Salvemini – basata<br />
sull’uso di trasferimenti verso altri soggetti pubblici e sull’accentramento dell’acquisizione<br />
di entrate fiscali, e l’uso del circu<strong>it</strong>o di risorse finanziarie affidato<br />
alla gestione della Cassa si verifica così una sinergia di natura complessa, e di<br />
grande rilevanza”. In alcuni momenti, lo stato stabilì quali erano i cred<strong>it</strong>i che la<br />
Cassa poteva concedere agli enti locali; in altri, fu lo stato che si fece carico dei<br />
mutui degli enti locali 78 .<br />
76 Ibidem, p. VIII.<br />
77 Ibidem, p. X.<br />
78 Ibidem, p. XI.<br />
111
<strong>La</strong> storia della Cassa è costellata dall’insorgere di continue tensioni fra<br />
potere centrale dello stato e autonomie locali. Tali tensioni furono più numerose<br />
nella seconda metà dell’Ottocento, quando il potere statale era ancora debole;<br />
scemarono nel Novecento, quando quel potere si rafforzò, anche se le tensioni<br />
non scomparvero. Con il rafforzamento dei poteri degli enti locali (regioni,<br />
province e comuni), non è ancora chiaro quali saranno le conseguenze <strong>sulla</strong><br />
stessa natura della Cassa. Fin quando era lo stato che controllava le risorse dei<br />
comuni e delle province stabilendo anche i loro investimenti, la Cassa, in questa<br />
fase, era interamente “uno strumento utilizzato per il controllo sulle disponibil<strong>it</strong>à<br />
di queste risorse, <strong>sulla</strong> realizzazione delle prior<strong>it</strong>à assegnate alla creazione<br />
di infrastrutture, nonché sulle strutture del deb<strong>it</strong>o dello stato” 79 . Ma quando<br />
tale potere finirà quale sarà la sorte della Cassa?<br />
3. Le ricerche <strong>sulla</strong> spesa pubblica<br />
Se si lamenta carenza di ricerche <strong>sulla</strong> finanza pubblica in generale, quelle<br />
relative alla spesa pubblica sono ancora più esigue. Ci soffermeremo su due<br />
lavori che sono abbastanza significativi per le diverse conclusioni a cui arrivano.<br />
Si tratta degli studi compiuti dagli economisti Giorgio Brosio e Carla Marchese<br />
sull’evoluzione della spesa pubblica dall’un<strong>it</strong>à d’Italia agli anni 90 del Novecento<br />
80 e il lavoro di Daniele Franco <strong>sulla</strong> espansione della spesa pubblica nel<br />
<strong>trentennio</strong> 1960-1990 81 . Riconosciamo che vi sono altre ricerche sull’argomento,<br />
in particolare quelle di Pedone, Luzzatti e Portese, Fratianni e Spinelli, quelle<br />
di Fossati 82 , ma il loro contributo rimane comunque lim<strong>it</strong>ato alla descrizione<br />
dei dati disponibili e non ad una ricostruzione documentale e lontano dalla<br />
modellizzazione dei risultati. D’altra parte – secondo Brosio e Marchese – la<br />
spesa pubblica “è una manifestazione così complessa da rendere molto difficile<br />
la modellizzazione della sua cresc<strong>it</strong>a” 83 .<br />
79<br />
Ibidem, p. XI.<br />
80<br />
G. BROSIO e C. MARCHESE, Il potere di spendere. Economia e storia della spesa pubblica dall’unificazione<br />
ad oggi, Il Mulino, Bologna, 1986.<br />
81<br />
D. FRANCO, L’espansione della spesa pubblica in Italia. Un’analisi rigorosa e sistematica<br />
dello sviluppo della spesa pubblica in Italia dal 1960 al 1990 nelle sue interne circolazioni, Il Mulino,<br />
Bologna, 1993.<br />
82<br />
A. PEDONE, Il bilancio dello Stato e lo sviluppo economico <strong>it</strong>aliano 1861-1963, in “Rassegna<br />
economica”, XXXI, 1976, n. 2, pp. 285-341; E. LUZZATTI e R. PORTESE, <strong>La</strong> spesa pubblica in<br />
Italia (1862-1980), in “<strong>La</strong> pubblica amministrazione”, a cura di S. Cassese, Utet, Torino, 1984; A.<br />
FOSSATI, <strong>La</strong> spesa pubblica in Italia dal 1951 al 1980, in “Rivista di dir<strong>it</strong>to finanziario e scienza<br />
delle finanze”, XL, 1981, pp. 322-375; M. FRATIANNI e F. SPINELLI, The Growth of Government<br />
in Italy. Evidence from 1861 to 1979, in “Public Choice”, XXXIX, 1982, n. 2, pp. 224-245.<br />
83<br />
G. BROSIO e C. MARCHESE, Il potere di spendere, c<strong>it</strong>., p. 11.<br />
112
In altre pubblicazioni, sociologi e giornalisti si sono occupati della sempre<br />
crescente presenza dello stato nell’economia, quello che gli inglesi definiscono<br />
Growth of Government, cioè cresc<strong>it</strong>a del settore pubblico, che è un problema<br />
più ampio di quello finanziario, cioè esso comprende anche l’intervento dello<br />
stato per regolare i mercati o la gestione statale di imprese industriali, che, in<br />
Italia, è avvenuto principalmente attraverso l’IRI. Il nostro obiettivo è lim<strong>it</strong>ato<br />
ad esaminare l’andamento della spesa pubblica e stabilirne le cause e le conseguenze<br />
in relazione alle ist<strong>it</strong>uzioni, alla società e all'economia.<br />
<strong>La</strong> ricerca di Brosio e Marchese parte dal presupposto che la spesa pubblica<br />
“è essenzialmente un fenomeno redistributivo della ricchezza”. Alle variazioni<br />
della spesa pubblica parteciparono coloro che, in vario modo, avevano una<br />
motivazione per provocarla (pol<strong>it</strong>ici, pubblici funzionari, sindacati, gruppi di<br />
pressione); il contesto ist<strong>it</strong>uzionale sociale ed economico influì sulle aggiunte o<br />
riduzioni di spesa; non poche furono le interazioni fra gli interessati e il contesto<br />
84 . Secondo Brosio e Marchese, “sono i sistemi ist<strong>it</strong>uzionali e i movimenti<br />
individuali da questi condizionati che determinano la direzione in cui avviene il<br />
processo di redistribuzione e fissano il lim<strong>it</strong>e entro cui il processo ha luogo” 85 .<br />
Con tale impostazione, la ricerca dei due autori si avvicina ai modelli di<br />
Musgrave e Rostow 86 , che tengono conto delle trasformazioni societarie prodotte<br />
dalla spesa. Nei primi anni di cost<strong>it</strong>uzione di uno stato, come si verificò<br />
per l’Italia, e nel primo periodo di cresc<strong>it</strong>a dell’economia, le spese servono a<br />
creare infrastrutture, cioè svolgono un ruolo nel processo di accumulazione<br />
delle ricchezze, successivamente cresce la spesa per trasferimenti e per consumi<br />
sociali. In questa pol<strong>it</strong>ica di redistribuzione, che si può realizzare attraverso la<br />
pol<strong>it</strong>ica fiscale o altra manovra di pol<strong>it</strong>ica economica, i governanti trasferiscono<br />
una parte delle ricchezze, che si è concentrata nelle mani di pochi ricchi, ad una<br />
maggioranza di c<strong>it</strong>tadini poveri, o meno ricchi. In questo processo, rimane<br />
incontrollato, o di difficile controllo, la cresc<strong>it</strong>a demografica e le innovazioni<br />
tecnologiche, che possono aumentare la produttiv<strong>it</strong>à e ridurre l’occupazione.<br />
Anche Gino Borgatta, in una rassegna sull’evoluzione della finanza pubblica,<br />
sottolineò il mutamento della proprietà e della gestione delle ricchezze che si<br />
ebbe nella prima metà del Novecento, prima, con il mutamento dell’ordine giuridico,<br />
poi, con trasformazioni rapide e violente causate dalle due guerre mondiali<br />
che impoverirono alcuni ed arricchirono altri 87 .<br />
84 Ibidem, p. 8.<br />
85 Ibidem, p. 13.<br />
86 Ibidem, p. 26; R.A. MUSGRAVE, Finanza pubblica, equ<strong>it</strong>à, democrazia, Il Mulino, Bologna,<br />
1993; W.W. ROSTOW, Pol<strong>it</strong>ics and the Stages of Growth, Cambridge Univers<strong>it</strong>y Press, Cambridge<br />
(Mass.), 1971.<br />
87 G. BORGATTA, Appunti sull’evoluzione della finanza pubblica, Estratto da “Studi economici”,<br />
a. XIX, n. 1, gennaio-febbraio 1964, pp. 6-7.<br />
113
Sulla base di questa impostazione, gli autori rilevano che l’aumento della<br />
spesa pubblica, in Italia, anche tenendo conto delle inefficienze dei servizi pubblici<br />
e dell’elevata quota di spese destinata al pagamento degli interessi del<br />
deb<strong>it</strong>o pubblico, consentì la formazione di uno stato assistenziale, che, nella<br />
redistribuzione delle ricchezze, ridusse notevolmente le s<strong>it</strong>uazioni di povertà<br />
individuali. Questa caratteristica generale trovò una diversificazione nella divisione<br />
dei periodi considerati e nella destinazione obbligata che molte spese avevano,<br />
come quelle mil<strong>it</strong>ari, per le opere pubbliche e per il mantenimento dell’ordinamento<br />
amministrativo. Le spese prese in considerazione dagli autori<br />
sono quelle dello stato, degli enti locali (comuni, province e regioni) e degli enti<br />
pevidenziali (INPS, INAM e INAIL); vennero escluse le spese del settore pubblico<br />
allargato, cioè quelle delle aziende autonome, delle municipalizzate, dell’ENEL<br />
e di altre piccole aziende dipendenti da enti pubblici 88 . Nel periodo<br />
compreso fra l’unificazione e la fine della prima guerra mondiale (1866-1918),<br />
poiché molte spese furono dirette a creare infrastrutture, la funzione redistributiva<br />
ebbe un andamento irregolare: cresc<strong>it</strong>a lim<strong>it</strong>ata, nel periodo di governo<br />
della destra (1866-1876); incremento rapido fino al 1918, anche se, rispetto ad<br />
altri paesi europei, aveva ancora una funzione molto lim<strong>it</strong>ata (0,7 per cento del<br />
PIL). Comunque, anche se la parte di spesa destinata alle pensioni sociali fu<br />
lim<strong>it</strong>ata, l’Italia fu il paese che, per primo, si indirizzò verso la pol<strong>it</strong>ica del welfare<br />
state con una consistente spesa previdenziale 89 . Fra il 1919 e il 1922, si<br />
ebbe una forte espansione delle spese redistributive; un rallentamento fino al<br />
1925; e una forte ripresa negli anni Trenta, allorché furono cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>i gli ist<strong>it</strong>uti<br />
previdenziali (INPS e INAIL). Comunque, rispetto alla cresc<strong>it</strong>a delle spese<br />
mil<strong>it</strong>ari e quelle per le infrastrutture, la cresc<strong>it</strong>a delle spese previdenziali fu<br />
minore. In questo periodo, bisognerà considerare anche l’influenza che ebbero<br />
le specifiche ist<strong>it</strong>uzioni create dal fascismo (in particolare con il corporativismo),<br />
che differenziò l’Italia dagli altri paesi democratici 90 .<br />
Nell’immediato secondo dopoguerra, le spese redistributive fecero un notevole<br />
balzo in avanti, tanto che, nel 1948, erano il doppio di quelle del 1939; ancora<br />
più accelerata fu la cresc<strong>it</strong>a fra il 1948 e il 1980. È stata calcolata una cresc<strong>it</strong>a del<br />
9 per cento l’anno, cioè superiore alla cresc<strong>it</strong>a della spesa complessiva. L’incidenza<br />
sul PIL fu del 10 per cento. <strong>La</strong> componente più dinamica fu sempre la spesa previdenziale.<br />
Un rallentamento nella cresc<strong>it</strong>a si ebbe solo nel biennio 1973-74, “rallentamento<br />
tuttavia inferiore a quello che caratterizz[ò] il prodotto interno e quindi<br />
associato ad un balzo del rapporto spesa / prodotto” 91 .<br />
88 Ibidem, p. 15.<br />
89 Ibidem, p. 60.<br />
90 Ibidem, pp. 67-70.<br />
91 Ibidem, p. 74.<br />
114
<strong>La</strong> seconda ricerca che abbiamo preso in esame riguarda l’espansione della<br />
spesa pubblica in Italia fra il 1960 e il 1990. <strong>La</strong> metodologia adottata dall’autore,<br />
Domenico Franco, è quella della disaggregazione delle spese, per cui esamina<br />
solo tre categorie di spese – l’istruzione, la san<strong>it</strong>à e la previdenza e assistenza<br />
–, che rappresentarono circa il 50 per cento delle erogazioni pubbliche <strong>it</strong>aliane<br />
al netto degli interessi sul deb<strong>it</strong>o. Le ragioni della disaggregazione sono<br />
dovute al fatto che la spesa era molto “eterogenea sia sotto il profilo economico<br />
sia sotto quello funzionale”; gli enti che effettuavano le spese avevano caratteristiche<br />
ed obiettivi diversi; che la capac<strong>it</strong>à dei c<strong>it</strong>tadini, dei pol<strong>it</strong>ici e dei<br />
burocrati di influire sulle spese variavano allorché si passava da una categoria di<br />
spese ad altre; i fattori demografici, congiunturali ed ideologici influivano, in<br />
modo diverso, a seconda del tipo di spesa. In generale, <strong>sulla</strong> cresc<strong>it</strong>a delle spese<br />
influivano diverse decisioni prese in tempi e da soggetti diversi con differenti<br />
obiettivi da realizzare e dal loro interagire con gli eventi macroeconomici 92 .<br />
Le categorie di spese prese in considerazione, per il <strong>trentennio</strong> 1960-1990,<br />
determinarono i due terzi dell’incremento della incidenza delle stesse sul prodotto<br />
interno. <strong>La</strong> cresc<strong>it</strong>a delle spese per l’istruzione si ebbe in conseguenza di<br />
un fattore di tipo strutturale, cioè per la sempre maggiore diffusione della scolarizzazione,<br />
connessa al processo di cresc<strong>it</strong>a economica e sociale della popolazione.<br />
A questa ragione si unì una causa di natura pol<strong>it</strong>ica: aumentò il numero<br />
degli insegnanti per perseguire obiettivi occupazionali. Comunque, vi fu carenza<br />
di controllo delle spese e le tensioni sociali contribuirono alla cresc<strong>it</strong>a 93 .<br />
Le spese per la san<strong>it</strong>à aumentarono per l’aumento della quant<strong>it</strong>à dei servizi<br />
forn<strong>it</strong>i ai c<strong>it</strong>tadini. Si prolungò la durata media della degenza, che, comunque,<br />
fu inferiore a quella registrata in altri paesi europei. Crebbe il costo dei<br />
servizi, maggiormente per il miglioramento delle tecniche mediche e per la<br />
maggiore att<strong>it</strong>udine dei c<strong>it</strong>tadini verso la cura della salute. In altri termini, l’aumento<br />
della spesa san<strong>it</strong>aria fu dovuta a fattori inev<strong>it</strong>abili. In questa prospettiva,<br />
contribuì il prolungarsi della v<strong>it</strong>a media e del costo dei servizi, tra i quali, maggiormente,<br />
il costo per il personale che lavorava nel settore 94 .<br />
<strong>La</strong> liev<strong>it</strong>azione della spesa per la previdenza e assistenza fu dovuta, principalmente,<br />
alla cresc<strong>it</strong>a delle pensioni. <strong>La</strong> “pol<strong>it</strong>ica sociale” andò sempre più<br />
identificandosi con la “pol<strong>it</strong>ica delle pensioni” 95 . L’aumento fu determinato dall’allungamento<br />
della v<strong>it</strong>a media della popolazione; dall’estensione del sistema<br />
pensionistico alla global<strong>it</strong>à dei c<strong>it</strong>tadini; dal largheggiare nella concessione di<br />
92 D. FRANCO, L’espansione della spesa pubblica, c<strong>it</strong>., p. 9.<br />
93 Ibidem, pp. 76-77.<br />
94 Ibidem, pp. 112-113.<br />
95 Ibidem, p. 170.<br />
115
pensioni di invalid<strong>it</strong>à da parte dell’INPS. Anche la normativa, molto favorevole<br />
ai pensionati, sostenne la cresc<strong>it</strong>a della spesa. Le norme più dispendiose<br />
riguardarono: 1) le condizioni per l’erogazione della pensione (età, anzian<strong>it</strong>à<br />
contributiva e redd<strong>it</strong>o); 2) possibil<strong>it</strong>à di cumulo di più pensioni; 3) collegamento<br />
fra retribuzione e pensione 96 .<br />
In conclusione, mancò una programmazione e un controllo sulle spese che<br />
si effettuavano. Crebbero gli organici nel settore dell’istruzione, senza controllo;<br />
la spesa san<strong>it</strong>aria non si riuscì a contenerla per l’evoluzione delle tecniche<br />
mediche e l’invecchiamento della popolazione; la somma di più provvedimenti<br />
nel settore pensionistico non favorì l’attuazione di una riforma organica. Pertanto,<br />
l’autore consiglia al governo la necess<strong>it</strong>à di “programmare più efficacemente<br />
la dinamica delle spese e al Parlamento e all’opinione pubblica di controllare<br />
più strettamente la gestione della stessa e il rispetto dei programmi” 97 .<br />
4. Il deb<strong>it</strong>o pubblico<br />
Il disavanzo del bilancio dello stato e il conseguente deb<strong>it</strong>o pubblico, spesso,<br />
condizionarono la pol<strong>it</strong>ica economica dei governanti, sia prima che dopo<br />
l’un<strong>it</strong>à d’Italia. Questa circostanza ha susc<strong>it</strong>ato l’interesse degli storici per lo<br />
studio del deb<strong>it</strong>o pubblico. In qualche caso, essi furono chiamati a dare il loro<br />
contributo alle ragioni dell’indeb<strong>it</strong>amento e alla necess<strong>it</strong>à del riordino dei conti<br />
pubblici, come fece Paolo Baffi, all’inizio degli anni Novanta, con la ricerca<br />
pubblicata a cura dell’Ente per gli Studi Monetari, Bancari e Finanziari “Luigi<br />
Einaudi” 98 . In tale ricerca, Vera Zamagni ricostruì la storia del deb<strong>it</strong>o pubblico<br />
<strong>it</strong>aliano nei primi quindici anni dell’un<strong>it</strong>à d’Italia (1861-1876) 99 e Gianni Toniolo,<br />
assieme a Piero Ganugi, trattarono gli anni compresi fra il 1876 e il 1947 100 .<br />
Nel primo lavoro, viene evidenziata la crisi della finanza pubblica <strong><strong>it</strong>aliana</strong><br />
nel primo decennio dell’Un<strong>it</strong>à (1861-1870) e la pol<strong>it</strong>ica di rientro attuata da<br />
Sella e Minghetti, nel quinquennio successivo, attraverso un aumento delle<br />
96 Ibidem, pp. 174-175.<br />
97 Ibidem, pp. 210-211.<br />
98 AA.VV., Il disavanzo pubblico in Italia: natura strutturale e pol<strong>it</strong>iche di rientro, vol. I, Alle<br />
radici del defic<strong>it</strong>: pol<strong>it</strong>ica della spesa e pol<strong>it</strong>ica fiscale. Vol. II. Le pol<strong>it</strong>iche di rientro: problemi macro<br />
e microeconomici: dell’aggiustamento, a cura dell’Ente per gli studi monetari, bancari e finanziari<br />
“Luigi Einaudi”, Il Mulino, Bologna, 1992.<br />
99 V. ZAMAGNI, Deb<strong>it</strong>o pubblico e creazione di un nuovo apparato fiscale nell’Italia unificata<br />
(1861-1876). Come la Destra Storica affrontò e risolse un caso di deb<strong>it</strong>o pubblico in rapida espansione,<br />
in “AA.VV., Il disavanzo pubblico in Italia”, vol. II, c<strong>it</strong>., pp. 9-95.<br />
100 G. TONIOLO e P. GANUGI, Il deb<strong>it</strong>o pubblico <strong>it</strong>aliano in prospettiva secolare (1876-1947),<br />
in “AA.VV., Il disavanzo pubblico in Italia”, vol. II, c<strong>it</strong>., pp. 103-143.<br />
116
imposte dirette. <strong>La</strong> tesi di Zamagni – alla quale si allineò Marongiu – è che il<br />
pareggio del bilancio e il contenimento del deb<strong>it</strong>o pubblico si ebbe per la decisa<br />
volontà dei governanti, per la loro coerenza e perché erano convinti che il<br />
pagamento dei tributi avesse una motivazione etica, cioè contributiva a creare la<br />
coscienza contributiva degli <strong>it</strong>aliani 101 . Questa tesi, però, venne contestata da<br />
Giuseppe Tattara, che, partendo dall’ipotesi dello storico Luigi Luzzatto, per<br />
cui “l’unificazione del regno fu fatta con il cap<strong>it</strong>ale straniero”, r<strong>it</strong>enne importante<br />
l’influenza che ebbe l’andamento del ciclo finanziario internazionale sulle<br />
decisioni di pol<strong>it</strong>ica economica dei governanti. Egli dava importanza al grado di<br />
apertura dell’Italia nei confronti dell’estero e agli acquisti di t<strong>it</strong>oli del deb<strong>it</strong>o<br />
pubblico <strong>it</strong>aliano effettuati sui mercati di Parigi e di Londra. Poiché l’Italia<br />
divenne una nazione dalla quale entravano ed uscivano i flussi dei cap<strong>it</strong>ali esteri,<br />
attraverso l’acquisto e la vend<strong>it</strong>a di t<strong>it</strong>oli <strong>it</strong>aliani, la sua attiv<strong>it</strong>à interna fu<br />
legata dalla disponibil<strong>it</strong>à di cap<strong>it</strong>ale straniero. “L’attiv<strong>it</strong>à interna va spiegata –<br />
scrive Tattara – principalmente attraverso gli eccessi e le contrazioni dei cap<strong>it</strong>ali<br />
disponibili a livello internazionale, quindi attraverso mutamenti di offerta” 102 .<br />
Pertanto, poiché, negli anni Settanta dell’Ottocento, divenne più costoso, per<br />
l’Italia, procurarsi cap<strong>it</strong>ali stranieri fu necessario aumentare la pressione fiscale.<br />
Il lavoro di Toniolo e Ganugi sul deb<strong>it</strong>o pubblico <strong>it</strong>aliano, nel periodo<br />
1876-1947, individua, <strong>sulla</strong> base di dati statistici, le cause dei momenti di cresc<strong>it</strong>a<br />
del deb<strong>it</strong>o e i successi ottenuti con le pol<strong>it</strong>iche di rientro 103 . Nel primo<br />
periodo esaminato (1876-1888), la cresc<strong>it</strong>a del deb<strong>it</strong>o pubblico fu di 3 punti<br />
percentuali in più, rispetto alla cresc<strong>it</strong>a del PIL. Le ragioni dell’aumento sono<br />
da attribuire alla cresc<strong>it</strong>a della spesa per la costruzione delle ferrovie, al ristagno<br />
dell’economia e perché non fu possibile attuare manovre monetarie per i vincoli<br />
posti dal gold standard alla liev<strong>it</strong>azione della circolazione monetaria. L’indeb<strong>it</strong>amento<br />
continuò ad aumentare, nel periodo 1888-1897, per la crisi economica<br />
e finanziaria, che non consentì l’aumento della pressione fiscale, e per la cresc<strong>it</strong>a<br />
delle spese mil<strong>it</strong>ari dipendenti dall’attuazione della pol<strong>it</strong>ica coloniale. Nel<br />
periodo 1898-1914, la cresc<strong>it</strong>a economica fu quasi continua, rallentò solo<br />
durante la crisi del 1907, per cui si ebbe il calo dell’indeb<strong>it</strong>amento. <strong>La</strong> prima<br />
guerra mondiale portò una nuova impennata dell’indeb<strong>it</strong>amento, che si riuscì a<br />
frenare solo nel 1927 (dall’1,20 per cento del PIL, nel 1920, allo 0,61 nel 1927).<br />
Successivamente, fu difficile porre un freno al deb<strong>it</strong>o pubblico per la grande<br />
crisi, la guerra per la conquista dell’Etiopia e la seconda guerra mondiale.<br />
101<br />
V. ZAMAGNI, Deb<strong>it</strong>o pubblico e creazione di un nuovo apparato fiscale, c<strong>it</strong>., pp. 9-95.<br />
102<br />
G. TATTARA, Commento, in “AA.VV., Il disavanzo pubblico in Italia”, vol. II, c<strong>it</strong>., p. 100.<br />
103<br />
G. TONIOLO e P. GANUGI, Il deb<strong>it</strong>o pubblico <strong>it</strong>aliano in prospettiva secolare (1876-1947),<br />
c<strong>it</strong>., pp. 103-143.<br />
117
Questo ciclo, così descr<strong>it</strong>to da Toniolo e Ganugi, non si discosta dal ciclo<br />
dell’economia <strong><strong>it</strong>aliana</strong> del periodo considerato, gli autori non dicono nulla di<br />
nuovo. Essi attribuiscono le cause della crisi di maggior rilievo, quelle del 1888-<br />
93, alla “debolezza della posizione <strong><strong>it</strong>aliana</strong> sui mercati finanziari internazionali<br />
e alla fragil<strong>it</strong>à del sistema di intermediazione finanziaria” 104 . Gli autori fanno un<br />
confronto con la crisi del 1975 che non sarebbe “nemmeno lontanamente paragonabile,<br />
per grav<strong>it</strong>à ed es<strong>it</strong>i, a quella culminata nel 1893” 105 . Comunque si tratta<br />
di un confronto arb<strong>it</strong>rario, poiché per la prima crisi sono state solo descr<strong>it</strong>te<br />
le cause, senza un’adeguata dimostrazione; la seconda crisi, relativa agli anni<br />
Settanta del Novecento, non è stata neanche descr<strong>it</strong>ta nelle sue caratteristiche<br />
essenziali. Giustamente, commenta Marcello De Cecco riferendosi alle affermazioni<br />
di Toniolo e Ganugi, “non si possono fare confronti con il passato, non<br />
solo per motivi metodologici, ma anche perché la s<strong>it</strong>uazione è molto diversa” 106 .<br />
Tuttavia, dall’infelice confronto effettuato è il meno che si possa dire del lavoro<br />
di Toniolo e Ganugi. Sono molte le ragioni della poca attendibil<strong>it</strong>à della ricerca:<br />
l’andamento del deb<strong>it</strong>o pubblico è visto solo in relazione al PIL, il cui calcolo<br />
è difficile e quelli esistenti vanno rivisti; non sono state consultate le fonti<br />
documentali, le sole che potrebbero rivelarci se la pol<strong>it</strong>ica di indeb<strong>it</strong>amento fu<br />
dovuta alla finanza internazionale e alle incapac<strong>it</strong>à dei governanti a trovare altre<br />
soluzioni per aumentare le entrate; non si evidenziano le relazioni con la pol<strong>it</strong>ica<br />
monetaria, né l’influenza <strong>sulla</strong> formazione del risparmio. Questi parametri<br />
avrebbero chiar<strong>it</strong>o le ragioni del disavanzo del bilancio dello stato e del conseguente<br />
indeb<strong>it</strong>amento. <strong>La</strong> difficoltà che si ha per la ricostruzione della storia<br />
della finanza pubblica <strong><strong>it</strong>aliana</strong>, l’abbiamo detto, è la mole e la disorganic<strong>it</strong>à<br />
della documentazione disponibile.<br />
Contrariamente al lavoro di Toniolo e Ganugi, bisogna apprezzare il lavoro<br />
di Antonio Confalonieri ed Ettore Gatti <strong>sulla</strong> pol<strong>it</strong>ica del deb<strong>it</strong>o pubblico in<br />
Italia, nel periodo 1919-1943, confrontata con quella della Gran Bretagna, della<br />
Francia e della Germania 107 . Si tratta di un lavoro ricco di dati commentati solo<br />
in parte dagli autori. <strong>La</strong> prima considerazione deriva dal rapporto di preferenza<br />
dei governanti, allorché hanno bisogno di cap<strong>it</strong>ali, fra queste tre fonti: a)<br />
anticipazioni da chiedere alla banca centrale; b) emissione di cartamoneta; c)<br />
deb<strong>it</strong>o pubblico. Le tre fonti di finanziamento furono usate, di volta in volta, in<br />
Italia e negli altri paesi europei, secondo le circostanze. Altra scelta riguardò<br />
104<br />
Ibidem, p. 138.<br />
105<br />
Ibidem, p. 138.<br />
106<br />
M. DE CECCO, Commento, in “AA.VV., Il disavanzo pubblico in Italia”, vol. II, c<strong>it</strong>., p. 145.<br />
107<br />
A. CONFALONIERI e E. GATTI, <strong>La</strong> pol<strong>it</strong>ica del deb<strong>it</strong>o pubblico in Italia (1919-1943), voll. I<br />
e II, Cariplo, <strong>La</strong>terza, Bari, 1986.<br />
118
l’uso del deb<strong>it</strong>o fluttuante o redimibile o consolidato. Al terzo tipo di deb<strong>it</strong>o si<br />
fece ricorso nei momenti più difficili, come la grande crisi o le due guerre mondiali.<br />
Più facile fu il ricorso al deb<strong>it</strong>o fluttuante – intendendo questo per deb<strong>it</strong>o<br />
a breve termine, depos<strong>it</strong>i nel conto corrente della Cassa Depos<strong>it</strong>i e Prest<strong>it</strong>i ed<br />
emissione di biglietti per conto dello stato –, che, comunque, rappresentò una<br />
percentuale minima del deb<strong>it</strong>o pubblico complessivo. Continua fu la tensione<br />
dei governanti per trasformare il deb<strong>it</strong>o fluttuante in consolidato, poiché si<br />
temeva che, arrivando un momento di difficoltà dell’economia, lo stato, avendo<br />
bisogno di cap<strong>it</strong>ali, in presenza di un elevato deb<strong>it</strong>o fluttuante, avrebbe ottenuto<br />
con difficoltà nuovi prest<strong>it</strong>i.<br />
<strong>La</strong> ricerca di Confalonieri e Gatti si sofferma anche sul rapporto fra saggi<br />
di interesse e scadenze del deb<strong>it</strong>o pubblico. Gli autori sottolineano la incapac<strong>it</strong>à<br />
dei governanti dell’epoca a gestire l’andamento dei saggi di interesse del<br />
deb<strong>it</strong>o pubblico. Per i saggi da applicare si ebbero contrasti fra banca centrale<br />
e banche ordinarie, fra Tesoro dello Stato e Parlamento e fra Tesoro e banca<br />
centrale. <strong>La</strong> banca centrale, allorché il Tesoro fissava i saggi di interesse, si sentiva<br />
privata della libertà di manovre degli stessi, perché non riusciva a gestire la<br />
pol<strong>it</strong>ica monetaria. <strong>La</strong> conseguenza era che i governanti e la banca centrale,<br />
dovendo combattere su più fronti, non furono in condizioni di controllare il<br />
livello dei prezzi, specialmente nei momenti più difficili, come la grande crisi<br />
del 1929-33 108 .<br />
Un ulteriore problema affrontato da Confalonieri e Gatti riguarda il collocamento<br />
del deb<strong>it</strong>o pubblico. Problema di non facile soluzione, perché non vi sono<br />
dati sul classamento del deb<strong>it</strong>o pubblico <strong>it</strong>aliano e non è facile stabilire quale<br />
parte delle disponibil<strong>it</strong>à finanziarie fu invest<strong>it</strong>a in t<strong>it</strong>oli pubblici dalle banche,<br />
dalle compagnie di assicurazione, dagli enti statali (Cassa Depos<strong>it</strong>i e Prest<strong>it</strong>i, ist<strong>it</strong>uti<br />
di previdenza) e dalle imprese in genere. Dai pochi dati disponibili risulta<br />
una preferenza per gli investimenti in buoni del Tesoro pluriennali; nei deb<strong>it</strong>i<br />
consolidati grossi investimenti furono effettuati dalla Cassa Depos<strong>it</strong>i e Prest<strong>it</strong>i e<br />
dai risparmiatori privati, mentre, molto scarsi furono gli investimenti effettuati<br />
dalle banche, coscienti dell’inflazione che corrodeva i prest<strong>it</strong>i a lungo termine e i<br />
fondi pensione aziendali 109 . In conclusione, il lavoro di Confalonieri e di Gatti<br />
può considerarsi una fonte preziosa per ulteriori ricerche sulle tecniche di emissione<br />
dei t<strong>it</strong>oli del deb<strong>it</strong>o pubblico, <strong>sulla</strong> scelta di pol<strong>it</strong>ica monetaria, <strong>sulla</strong> regolazione<br />
dell’andamento dei prezzi e <strong>sulla</strong> collocazione del risparmio.<br />
Interessanti sono quelle ricerche – costru<strong>it</strong>e <strong>sulla</strong> base di dati statistici e<br />
documenti – dirette a chiarire le interazioni esistenti fra pol<strong>it</strong>ica monetaria,<br />
108 Ibidem, vol. I, p. 23.<br />
109 Ibidem, vol. I, pp. 34-35.<br />
119
pol<strong>it</strong>ica bancaria e finanziaria ed economia reale. Un tentativo in tale direzione<br />
viene fatto nel lavoro di Panteghini e di Spinelli, dal t<strong>it</strong>olo: “Un buon rientro<br />
dal deb<strong>it</strong>o pubblico: l’Italia tra ’800 e ’900” 110 . In esso, la pol<strong>it</strong>ica monetaria e<br />
quella fiscale dei governanti dell’epoca non vengono viste slegate. Negli anni<br />
compresi tra la fine dell’Ottocento e lo scoppio della prima guerra mondiale, si<br />
ebbe un’interazione fra strategia monetaria e pol<strong>it</strong>ica fiscale. Gli autori partono<br />
dal presupposto che si ebbe una stabilizzazione dei cambi, grazie alla riduzione<br />
dello stock di t<strong>it</strong>oli <strong>it</strong>aliani quotati all’estero. Ciò fu una conseguenza anche del<br />
riequilibrio della bilancia dello stato, grazie ad un maggior gett<strong>it</strong>o fiscale e il<br />
conseguente freno alla cresc<strong>it</strong>a dell’emissione dei t<strong>it</strong>oli del deb<strong>it</strong>o pubblico (dal<br />
1896 al 1913, il rapporto deb<strong>it</strong>o pubblico PIL scese dall’1,32 allo 0,78 per<br />
cento) 111 . Pertanto, la stabil<strong>it</strong>à dei cambi comportò la stabil<strong>it</strong>à dell’emissione<br />
monetaria. “Il legame fra la pol<strong>it</strong>ica monetarie e la pol<strong>it</strong>ica fiscale risulta biunivoco,<br />
dal momento che la stessa pol<strong>it</strong>ica monetaria svolge un ruolo fondamentale<br />
nell’equilibrio del bilancio statale e <strong>sulla</strong> riduzione dello stock del deb<strong>it</strong>o<br />
pubblico”. Grazie a tale interazione e alla conseguente stabil<strong>it</strong>à finanziaria fu<br />
possibile il r<strong>it</strong>orno alla convertibil<strong>it</strong>à della cartamoneta e la conversione del<br />
deb<strong>it</strong>o pubblico (nel 1906) fu sub<strong>it</strong>o consolidato. Gli autori sono convinti che i<br />
governanti dell’epoca, assieme ai responsabili della pol<strong>it</strong>ica bancaria, seguirono<br />
una teoria fiscale–finanziaria con una duplice applicazione: il cambio della lira<br />
influì <strong>sulla</strong> pol<strong>it</strong>ica fiscale nei suoi aspetti di movimenti di cap<strong>it</strong>ali; lo stock del<br />
deb<strong>it</strong>o pubblico, collocato all’estero, cost<strong>it</strong>uiva un veicolo di perturbazione sul<br />
cambio delle lire e sulle riserve degli ist<strong>it</strong>uti di emissione, ciò, a sua volta, influiva<br />
<strong>sulla</strong> pol<strong>it</strong>ica monetaria da adottare 112 .<br />
A conclusioni molto vicine a quelle di Panteghini e di Spinelli giunge Paolo<br />
Pecorari nel suo lavoro dal t<strong>it</strong>olo: “<strong>La</strong> pol<strong>it</strong>ica finanziaria di Luigi Luzzatti, Ministro<br />
del Tesoro nei governi Rudini (1896-98)” 113 . Il periodo preso in considerazione<br />
da Pecorari è più breve, ma egli sub<strong>it</strong>o fissa l’indirizzo di pol<strong>it</strong>ica finanziaria<br />
voluto da Luzzatti: “riequilibrare la bilancia dei pagamenti, risanare la circolazione<br />
e raggiungere il pareggio”, aumentando la pressione fiscale e controllando le<br />
spese al fine di ridurre il deb<strong>it</strong>o pubblico. Nell’attuare quella pol<strong>it</strong>ica, Luzzatti insistette,<br />
innanz<strong>it</strong>utto, sul risanamento monetario, per cui riuscì a ridare alla lira di<br />
110<br />
P. PANTEGHINI e F. SPINELLI, Un “buon” rientro dal deb<strong>it</strong>o pubblico: l’Italia tra ’800 e ’900,<br />
in “Pol<strong>it</strong>iche macroeconomiche, gestione del deb<strong>it</strong>o pubblico e mercati finanziari”, a cura di M.<br />
Bagella e L. Paganetto, Il Mulino, Bologna, 2002, pp. 145-182.<br />
111<br />
Ibidem, p. 147.<br />
112<br />
Ibidem, pp. 151-152.<br />
113<br />
P. PECORARI, <strong>La</strong> pol<strong>it</strong>ica finanziaria di Luigi Luzzatti, Ministro del Tesoro nei governi Rudini<br />
(1896-98), in “Finanza e deb<strong>it</strong>o pubblico in Italia tra ’800 e ’900”, Ist<strong>it</strong>uto Veneto di Scienze<br />
Lettere ed Arti, Venezia, 1995, pp. 13-97.<br />
120
carta la convertibil<strong>it</strong>à in oro. Ciò passò attraverso il risanamento patrimoniale degli<br />
ist<strong>it</strong>uti di emissione, fiaccati dalla crisi finanziaria del 1893-94. Luzzatti riuscì a<br />
risanare il Banco di Napoli, che fu particolarmente coinvolto nella crisi, rafforzò le<br />
riserve degli ist<strong>it</strong>uti di emissione ed avviò quel processo di consolidamento della<br />
Banca d’Italia, che, nel giro di un quarto di secolo, acquistò il monopolio dell’emissione<br />
della cartamoneta e prese le redini della pol<strong>it</strong>ica monetaria del paese contrastando<br />
la pol<strong>it</strong>ica dei ministri del Tesoro. Risanata la moneta si favorì anche il<br />
risanamento delle finanze dello stato e la riduzione del deb<strong>it</strong>o pubblico, che si<br />
ebbe anche grazie all'aumento del gett<strong>it</strong>o tributario e all’aumento delle rimesse<br />
degli emigrati. Quest’ultimo è un fattore pos<strong>it</strong>ivo della bilancia dei pagamenti, per<br />
la quale Luzzatti si impegnò a combattere le frodi che si commettevano, in Italia e<br />
all’estero, allorché gli emigranti spedivano i loro risparmi in Italia 114 .<br />
Nell’amb<strong>it</strong>o delle ricerche sul deb<strong>it</strong>o pubblico, vanno segnalati i saggi di<br />
Giancarlo Salvemini e di Vera Zamagni, di Giuseppe Felicetti e di Andrea Ripa<br />
di Meana pubblicati nella Collana storica della Banca d’Italia.<br />
Giancarlo Salvemini e Vera Zamagni hanno ricostru<strong>it</strong>o la storia dell’indeb<strong>it</strong>amento<br />
statale <strong>it</strong>aliano nel periodo fra le due guerre 115 . Si tratta della determinazione<br />
del fabbisogno di cassa dello stato attraverso serie storiche (per il<br />
periodo 1918-1939) relative ai t<strong>it</strong>oli del deb<strong>it</strong>o pubblico emessi dallo stato a<br />
breve, medio e lungo termine; la raccolta del risparmio postale; le anticipazioni<br />
che gli ist<strong>it</strong>uti di emissione concessero al Tesoro; i biglietti emessi per conto<br />
dello stato; i deb<strong>it</strong>i esteri; altri finanziamenti concessi allo stato. <strong>La</strong> disponibil<strong>it</strong>à<br />
di questi dati consente di analizzare la pol<strong>it</strong>ica fiscale e monetaria adottata dai<br />
governanti nel periodo fra le due guerre. Per un giudizio attendibile sugli effetti<br />
del fabbisogno finanziario e del deb<strong>it</strong>o del settore statale, secondo gli autori,<br />
“richiederebbe che queste grandezze fossero analizzate in relazione alle altre<br />
variabili economiche nazionali e internazionali, che influenzavano nel periodo<br />
in esame la finanza pubblica <strong><strong>it</strong>aliana</strong> e, a loro volta, erano influenzate da queste”.<br />
Ciò non è stato fatto dagli autori che hanno voluto dare solo un “contributo<br />
conosc<strong>it</strong>ivo” per coloro che vogliono esaminare l’economia dell’epoca in<br />
forma cr<strong>it</strong>ica. Il saggio di Salvemini e Zamagni viene completato da un’appendice<br />
curata da Alberto Baccini, dove si effettua un’analisi cr<strong>it</strong>ica comparata<br />
delle serie ricostru<strong>it</strong>e e di altre ricostruzioni esistenti in tema di bilancio pubblico,<br />
offrendo un’interpretazione del dibatt<strong>it</strong>o <strong>sulla</strong> finanza pubblica 116 .<br />
114 Ibidem, pp. 64-65.<br />
115 G. SALVEMINI e V. ZAMAGNI, Finanza pubblica e indeb<strong>it</strong>amento tra le due guerre mondiali: il<br />
finanziamento del settore statale, in “AA.VV., Problemi di finanza pubblica tra le due guerre (1919-<br />
1939)”, Ricerche per la storia della Banca d’Italia, vol. II, Ed<strong>it</strong>ore <strong>La</strong>terza, Roma-Bari, 1993.<br />
116 A. BACCINI, Appendice A2. Sulla ricostruzione del bilancio dello stato, con particolare riferimento<br />
agli anni 1918-39, in “AA.VV., Problemi di finanza pubblica”, c<strong>it</strong>., pp. 237-283.<br />
121
Nello stesso volume relativo ai “Problemi di finanza pubblica tra le due<br />
guerre (1919-1939)”, pubblicato nella Collana di “Ricerche per la storia della<br />
Banca d’Italia”, vi è un saggio di Giuseppe Felicetti, nel quale si riportano i<br />
dati, prima non disponibili, sui rendimenti, all’emissione, dei t<strong>it</strong>oli pubblici,<br />
sulle quant<strong>it</strong>à emesse e sui rimborsi effettuati 117 . “I dati ricostru<strong>it</strong>i consentono –<br />
secondo Franco Cotula – di studiare la gestione del deb<strong>it</strong>o pubblico <strong>it</strong>aliano; la<br />
scelta dei tassi di interesse all’emissione; l’ammontare, la durata e le altre caratteristiche<br />
dei t<strong>it</strong>oli emessi 118 .<br />
Andrea Ripa di Meana, sempre nel volume della Collana di “Ricerche per<br />
la storia della Banca d’Italia”, pubblica un saggio su “Il consolidamento del<br />
deb<strong>it</strong>o pubblico e la stabilizzazione Mussolini”. L’autore, partendo dal presupposto<br />
che bisogna trovare la ragione del successo di ogni pol<strong>it</strong>ica di stabilizzazione,<br />
si riaggancia alla teoria di T. Sargent, in base alla quale la pol<strong>it</strong>ica di<br />
pareggio del bilancio, persegu<strong>it</strong>o dai governi, porta alla stabilizzazione del valore<br />
della moneta e quindi crea un clima di fiducia nei possessori di t<strong>it</strong>oli del<br />
deb<strong>it</strong>o pubblico. Questa fiducia dà successo all’operazione di consolidamento<br />
del deb<strong>it</strong>o. Partendo da questo presupposto, Ripa di Meana ricollega il successo<br />
del consolidamento del deb<strong>it</strong>o pubblico – attuato da Mussolini, nel 1926,<br />
con il prest<strong>it</strong>o L<strong>it</strong>torio – alla riforma fiscale, che avrebbe ridotto il disavanzo del<br />
bilancio dello stato, e alla pol<strong>it</strong>ica di stabilizzazione della lira con il r<strong>it</strong>orno all’oro.<br />
Il consolidamento del deb<strong>it</strong>o consentì al governo di avere pieno controllo<br />
monetario, tagliando la spirale che si era creata tra rifinanziamento del deb<strong>it</strong>o,<br />
cioè continua emissione di t<strong>it</strong>oli pubblici, creazione di moneta, fuga di cap<strong>it</strong>ali<br />
per la svalutazione della lira e aspettative di svalutazione. Le conseguenze della<br />
moneta forte non influirono eccessivamente sui cambi, grazie al contenimento<br />
degli scambi internazionali. Molto negativo fu, invece, il permanere dell’elevato<br />
costo del denaro, che produsse effetti restr<strong>it</strong>tivi sugli investimenti industriali.<br />
“Il consolidamento – conclude Cotula – al di là del breve periodo, avvantaggiò<br />
i detentori dei t<strong>it</strong>oli pubblici, che conseguirono guadagni in conto cap<strong>it</strong>ale in<br />
termini ‘reali’ perché la caduta del corso dei t<strong>it</strong>oli fu più che compensata dalla<br />
riduzione del livello dei prezzi, di riflesso, il consolidamento contribuì ad accrescere<br />
gli oneri finanziari reali del Tesoro” 119 .<br />
In conclusione, apprezziamo i lavori di Salvemini e Zamagni, di Felicetti e<br />
di Ripa di Meana, poiché si pongono obiettivi di ricerca lim<strong>it</strong>ati e ben docu-<br />
117<br />
G. FELICETTI, Le emissioni di t<strong>it</strong>oli pubblici nel periodo 1919-1939, in “AA.VV., Problemi<br />
di finanza pubblica tra le due guerre”, c<strong>it</strong>., pp. 333-356.<br />
118<br />
F. COTULA, Introduzione, in “AA.VV., Problemi di finanza pubblica tra le due guerre”,<br />
c<strong>it</strong>., p. XI.<br />
119<br />
Ibidem.<br />
122
mentati. Anzi possono considerarsi il primo passo per ulteriori ricerche. Salvemini<br />
e Zamagni riconoscono che i dati raccolti vanno interpretati alla luce di<br />
altri dati sull’economia e sulle finanze, altrimenti non possono dare risultati<br />
degni di considerazione. Felicetti si propone di misurare la quant<strong>it</strong>à e descrivere<br />
le caratteristiche dei t<strong>it</strong>oli emessi, il loro rendimento, nonché i rimborsi effettuati.<br />
Anche questa ricerca è prevalentemente informativa. Solo il saggio di<br />
Ripa di Meana è interpretativo di un evento ben delim<strong>it</strong>ato, come la conversione<br />
del deb<strong>it</strong>o fluttuante, che diede buoni risultati grazie al fatto che fu attuato<br />
in un momento di pol<strong>it</strong>ica monetaria deflazionistica.<br />
5. <strong>La</strong> finanza statale<br />
Nell’amb<strong>it</strong>o delle ricerche sulle finanze dello stato, dall’inizio dell’Ottocento<br />
alla fine del Novecento, abbiamo r<strong>it</strong>enuto di soffermarci sul lavoro di Nicola<br />
Ostuni, relativo alle finanze del regno delle Due Sicilie 120 , sul lavoro di Paolo<br />
Frascani riguardante i rapporti fra finanza ed economia dall’un<strong>it</strong>à d’Italia agli<br />
anni Trenta 121 , sul mio lavoro relativo all’opera di Marcello Soleri come Ministro<br />
delle Finanze e Ministro del Tesoro 122 , sul lavoro di Giancarlo Morcaldo<br />
relativo alle finanze <strong>it</strong>aliane nel <strong>trentennio</strong> 1960-1992 123 e sugli atti del convegno<br />
relativo alla finanza pubblica in età di crisi 124 .<br />
Il lavoro di Ostuni percorre, attraverso una complessa analisi bibliografica<br />
e documentale, le vicende economico-finanziarie del regno delle Due Sicilie, a<br />
partire dalla restaurazione post-murattiana. I risultati portano alla revisione dei<br />
giudizi, <strong>sulla</strong> pol<strong>it</strong>ica economica della restaurazione borbonica, formulati, in<br />
particolare, da Ludovico Bianchini <strong>sulla</strong> base degli stati discussi dello stato.<br />
L’autore dimostra che, in termini reali, in presenza di prezzi decrescenti, rispetto<br />
al decennio francese, il bilancio dello stato mostrava le seguenti caratteristiche:<br />
1) rilevanti incrementi in entrata, ottenuti con una pressione tributaria<br />
quasi insostenibile; 2) stazionarietà (o comunque modesta cresc<strong>it</strong>a) in tutti i settori<br />
della spesa, con inev<strong>it</strong>abile conseguenza della stagnazione. Il forte drenaggio<br />
fiscale ed il ricorso all’indeb<strong>it</strong>amento pubblico accentuarono (anche con la<br />
rarefazione del circolante) la depressione dei prezzi interni e causarono la sva-<br />
120<br />
N. OSTUNI, Finanze ed economia nel regno delle Due Sicilie, Liguori, Napoli, 1992.<br />
121<br />
P. FRASCANI, Finanza, economia ed intervento pubblico dall’unificazione agli anni Trenta,<br />
Ist<strong>it</strong>uto Italiano per gli Studi Filosofici, Napoli, 1988.<br />
122<br />
F. BALLETTA, <strong>La</strong> pol<strong>it</strong>ica finanziaria in Italia nel primo e nel secondo dopoguerra. L’opera<br />
di Marcello Soleri, ESI, Napoli, 1993.<br />
123<br />
G. MORCALDO, <strong>La</strong> finanza pubblica in Italia (1960-1992), Il Mulino, Bologna, 1993.<br />
124<br />
AA.VV., <strong>La</strong> finanza pubblica in età di crisi, a cura di A. Di V<strong>it</strong>torio, Cacucci Ed<strong>it</strong>ore, Bari, 1993<br />
123
lutazione del ducato sui mercasti esteri, dove la moneta napoletana veniva<br />
inviata per far fronte ai pagamenti internazionali 125 .<br />
Ostuni, ponendosi <strong>sulla</strong> linea del modello teorico di Wallerstein, relativamente<br />
al funzionamento dell’economia di un’area periferica, dimostra, affrontando<br />
anche una importante componente sociale, come, la struttura bancaria<br />
napoletana, monopolio di pochi grandi mercanti, gestisse il circu<strong>it</strong>o finanziario,<br />
che consentiva un temporaneo rientro dei cap<strong>it</strong>ali monetari che venivano riesportati<br />
dal governo per far fronte ai suoi impegni internazionali. Il ceto oligarchico<br />
dei mercanti banchieri, in tal modo, raccoglieva i frutti dei differenti tassi<br />
di interesse tra mercato estero (bassi) ed interno (alti) e beneficiava di alcune<br />
scelte di pol<strong>it</strong>ica economica, che il governo era costretto a compiere per facil<strong>it</strong>are<br />
il comp<strong>it</strong>o dei prestatori spesso collegati, con vincoli societari, a importanti<br />
banche estere. In tal modo, l’autore sottolinea il fenomeno della preminenza<br />
del ceto mercantile nell’economia del regno di Napoli. L’analisi delle vicende<br />
pol<strong>it</strong>ico–finanziarie e socio-economiche del regno borbonico rappresentano i<br />
piani strettamente interrelati su cui si costruisce l’impianto del lavoro.<br />
Il libro di Frascani raccoglie scr<strong>it</strong>ti ined<strong>it</strong>i e già pubblicati sulle finanze<br />
dello stato <strong>it</strong>aliano e la finanza locale in connessione con lo sviluppo economico<br />
e con i mutamenti sociali che si ebbero dall’Un<strong>it</strong>à alla vigilia della seconda<br />
guerra mondiale 126 . Non trattandosi di cap<strong>it</strong>oli di una stessa ricerca, i lavori<br />
difettano di coordinazione, tuttavia sono legati da un comune intento: mettere<br />
in evidenza i meccanismi di finanziamento del sistema finanziario, al fine di stabilire<br />
le connessioni fra i mutamenti della finanza pubblica e le scelte effettuate<br />
dai responsabili della pol<strong>it</strong>ica nazionale e locale. “Tale angolazione – secondo<br />
Frascani – consente di delineare la central<strong>it</strong>à delle problematiche finanziarie<br />
nella storia economica dell’Italia contemporanea, ma anche di evidenziare la<br />
compless<strong>it</strong>à e la poliedric<strong>it</strong>à in un quadro interpretativo più ampio” 127 .<br />
Per il governo della destra storica, Frascani sottolinea le difficoltà che furono<br />
incontrate per l’applicazione del sistema di riscossione delle imposte dirette,<br />
poiché la maggior parte della popolazione considerava il pagamento dei tributi<br />
un atto imposto, una violenza o un’ingerenza dello stato nella v<strong>it</strong>a privata. Il<br />
comp<strong>it</strong>o degli esattori dei tributi fu quello di mediare fra le esigenze e le aspettative<br />
dei contribuenti, i quali si dovettero convincere che quel pagamento era<br />
il corrispettivo di servizi sociali che ricevevano.<br />
Un altro aspetto sottolineato dall’autore riguarda la redistribuzione dei<br />
redd<strong>it</strong>i attuata dalla pol<strong>it</strong>ica fiscale della destra storica 128 . Redistribuzione sotto-<br />
125 N. OSTUNI, Finanza ed economia nel regno delle Due Sicilie, c<strong>it</strong>., pp. 20 e sgg.<br />
126 P. FRASCANI, Finanze, economia e intervento pubblico, c<strong>it</strong>., p. XII.<br />
127 Ibidem, p. XIV.<br />
128 Ibidem, pp. 3- 5.<br />
124
lineata da Rosario Romeo, Valerio Castronovo e Franco Bonelli nei loro lavori<br />
<strong>sulla</strong> interpretazione del cap<strong>it</strong>alismo <strong>it</strong>aliano 129 , per cui la pol<strong>it</strong>ica della destra<br />
storica comportò un trasferimento di ricchezze dal comparto agricolo a quello<br />
dei servizi e delle infrastrutture.<br />
Saltando alle finanze dello stato nel periodo di passaggio dall’economia<br />
bellica all’economia di pace (1918-1922), Frascani attribuisce un ruolo determinante<br />
all’intervento pubblico, ruolo segnato dall’alternarsi di inflazione e deflazione,<br />
effetti monetari solo in parte favorevoli alle industrie, ma che avvantaggiarono<br />
le banche pubbliche con particolare riguardo agli ist<strong>it</strong>uti di emissione<br />
finanziatori delle attiv<strong>it</strong>à industriali. <strong>La</strong> presenza dello stato nell’economia,<br />
durante il primo dopoguerra, si rafforzò “a partire da un’idea di integrazione<br />
dei circu<strong>it</strong>i finanziari pubblici e privati che tenne conto dell'assetto produttivo<br />
e delle esperienze maturate nella gestione della pol<strong>it</strong>ica economica durante la<br />
fase della riconversione” 130 . Nella fase liberistica, l’intervento si consolidò e fu<br />
demandato “alle alte sfere di una tecnocrazia che, proveniente dalle esperienze<br />
del decennio giol<strong>it</strong>tiano, attraversò senza traumi significativi il periodo bellico e<br />
postbellico per approdare, durante il periodo fascista, a nuovi e più significativi<br />
traguardi nella gestione esecutiva dell’economia pubblica” 131 . Comunque,<br />
secondo Frascani, queste tematiche, incentrate principalmente <strong>sulla</strong> posizione<br />
che il cap<strong>it</strong>ale finanziario ebbe nell’economia pubblica, attendono ancora di<br />
essere studiate, anche in relazione al processo di sviluppo economico 132 .<br />
Il problema della influenza della finanza locale sullo sviluppo economico<br />
<strong>it</strong>aliano viene affrontato da Frascani per il periodo liberale e in età crispina “si<br />
riaggancia sia alla prospettiva spesa pubblica – modernizzazione – sviluppo che<br />
al modulo fiscal<strong>it</strong>à – consumi – crisi agraria” 133 . Le conclusioni dell’autore sono<br />
molto significative, poiché rilevano che, nel periodo considerato, i comuni <strong>it</strong>aliani<br />
furono impegnati ad adeguare i loro servizi all’evoluzione dell’economia<br />
locale. Tuttavia, tale tendenza – secondo Frascani – andava “commisurata ad<br />
una varietà di s<strong>it</strong>uazioni geografiche ed economiche che nella nostra indagine<br />
appare solo tratteggiata a grandi linee. Ribadendo ancora una volta l’esigenza di<br />
ricostruire sul metro di analisi locali le s<strong>it</strong>uazioni economiche e pol<strong>it</strong>iche a cui<br />
possono essere rifer<strong>it</strong>e le scelte delle amministrazioni locali” 134 . Comunque, tali<br />
129 R. ROMEO, Risorgimento e cap<strong>it</strong>alismo, Bari, 1959, p. 122; V. CASTRONOVO, <strong>La</strong> storia economica,<br />
in “Storia d’Italia”, vol. 4, t. 1, Torino, 1975, p. 26; F. BONELLI, Il cap<strong>it</strong>alismo <strong>it</strong>aliano.<br />
Linee generali d’interpretazione, in “Storia d’Italia”, Annali, Torino, 1978, pp. 1202 e sgg.<br />
130 P. FRASCANI, Finanze, economia, c<strong>it</strong>., p. 153.<br />
131 Ibidem, p. 153.<br />
132 Ibidem, p. 112.<br />
133 Ibidem, p. XIV.<br />
134 Ibidem, pp. 62-63.<br />
125
scelte andavano ricollegate alla pol<strong>it</strong>ica finanziaria generale del paese, sia per gli<br />
enti locali che per gli enti statali. Ciò dimostra che la strada della ricerca storica<br />
in fatto di finanza locale è ancora molto lunga.<br />
Il mio lavoro sull’opera compiuta da Marcello Soleri, in materia di pol<strong>it</strong>ica<br />
finanziaria 135 , vuole essere un contributo di chiarificazione sull’operato di un<br />
uomo della “sinistra liberale” – alla quale appartennero Maffeo Pantaleoni,<br />
Antonio De V<strong>it</strong>i De Marco e Luigi Einaudi –, che, nel primo dopoguerra, fu<br />
prima commissario per gli approvvigionamenti e consumi e poi ministro delle<br />
Finanze; nel secondo dopoguerra, fu ministro del Tesoro. Il lavoro è impostato<br />
con l’intento di stabilire quanto Soleri si adoperò per eliminare le distorsioni<br />
del cap<strong>it</strong>alismo <strong>it</strong>aliano derivanti dagli sconvolgimenti economici e finanziari<br />
prodotti dalla guerra. I provvedimenti urgenti che fu necessario prendere per<br />
gli eventi bellici in atto, accompagnati alle distruzioni inutili di ricchezze, favorirono<br />
la corruzione, l’evasione fiscale, lo smantellamento delle direzioni amministrative<br />
delle aziende pubbliche e private e, principalmente, aiutarono l’arricchimento<br />
di alcuni a danno di altri.<br />
In qual<strong>it</strong>à di commissario per gli approvvigionamenti e consumi, nel primo<br />
dopoguerra, a Soleri toccò il non facile comp<strong>it</strong>o di liquidare, gradualmente,<br />
l’apparato annonario costru<strong>it</strong>o durante la guerra, intorno al quale si effettuavano<br />
non poche operazioni speculative, fonte di arricchimento per i forn<strong>it</strong>ori<br />
dello stato e per gli addetti alla distribuzione di generi di prima necess<strong>it</strong>à. Per<br />
le finanze dello stato, lo smantellamento dell’apparato annonario significò riduzione<br />
delle spese. Nella stessa direzione andò l’abolizione del prezzo pol<strong>it</strong>ico<br />
del pane, che si traduceva in una spesa inutile per lo stato e un beneficio eccessivo<br />
per le classi ricche. Come ministro delle Finanze preparò un progetto di<br />
riforma generale del sistema tributario statale, che si era strettamente correlato<br />
con la finanza locale. Il progetto, tuttavia, non fu approvato per la caduta del<br />
governo. Soleri introdusse numerosi correttivi ai tributi al fine di eliminare le<br />
sperequazioni esistenti fra imposte ordinarie e imposte straordinarie. In particolare,<br />
migliorò l’imposta sul patrimonio, per la quale era contrario in linea di<br />
principio, perché, in un paese civile, le imposte devono colpire esclusivamente<br />
i redd<strong>it</strong>i e non taglieggiare i patrimoni, che sono la fonte per la realizzazione di<br />
altre ricchezze. Egli riusciva ad accettarla solo come imposta straordinaria e ne<br />
vedeva l’applicazione come imposta reale, proporzionale e secca, non personale<br />
e progressiva. Comunque, con l’introduzione delle sue modifiche riuscì quasi<br />
a trasformarla in imposta sul redd<strong>it</strong>o, poiché dilazionò il pagamento in un arco<br />
di tempo di venti anni, in modo che il peso ricadeva sul redd<strong>it</strong>o senza taglieg-<br />
135<br />
F. BALLETTA, <strong>La</strong> pol<strong>it</strong>ica finanziaria in Italia nel primo e nel secondo dopoguerra, c<strong>it</strong>., pp.<br />
1-185.<br />
126
giare il patrimonio. Nel primo dopoguerra, Soleri riuscì nel difficile comp<strong>it</strong>o di<br />
operare il passaggio dalla finanza straordinaria di guerra a quella ordinaria di<br />
pace. Passaggio che andava attuato gradualmente per ev<strong>it</strong>are scossoni alla economia<br />
ancora troppo fragile. Così non fu facile ev<strong>it</strong>are il calo delle entrate e,<br />
contemporaneamente, allentare la pressione tributaria al fine di non scoraggiare<br />
gli investimenti.<br />
Nel secondo dopoguerra, a Soleri, come ministro del Tesoro, toccò il comp<strong>it</strong>o<br />
di attuare una pol<strong>it</strong>ica antinflazionistica attraverso il contenimento delle<br />
spese dello stato e la riduzione della circolazione monetaria. I provvedimenti<br />
più significativi che prese riguardarono ancora l’abolizione del prezzo pol<strong>it</strong>ico<br />
del pane e il difficile riconoscimento, da parte del governo alleato, del cred<strong>it</strong>o<br />
<strong>it</strong>aliano relativo alle am-lire. Ma il provvedimento più coraggioso fu preso, nel<br />
1945, con il lancio di un prest<strong>it</strong>o in buoni quinquennali del Tesoro, in un<br />
momento in cui l’economia era distrutta e bancari, finanzieri ed economisti<br />
erano contrari. Il prest<strong>it</strong>o ebbe un grande successo, Einaudi riconobbe che vi fu<br />
un “plebisc<strong>it</strong>o” dei risparmiatori a favore del provvedimento. Ciò significò un<br />
notevole freno al dilagare dell’inflazione, un rafforzamento della fiducia degli<br />
alleati nella capac<strong>it</strong>à di ripresa dell’Italia e fu il primo passo serio per la ricostruzione<br />
economica del paese 136 .<br />
Tra i saggi <strong>sulla</strong> finanza pubblica in generale r<strong>it</strong>engo di segnalare il lavoro<br />
di Giancarlo Morcaldo <strong>sulla</strong> finanza pubblica in Italia fra il 1960 e il 1992 137 . Un<br />
periodo di profonde trasformazioni del tessuto economico-sociale, caratterizzato,<br />
negli anni Settanta, dall’inflazione galoppante favor<strong>it</strong>a dalla spinta salariale,<br />
dalla cresc<strong>it</strong>a del costo delle materie prime e delle fonti energetiche. Negli anni<br />
Ottanta, l’inflazione diminuì per la riduzione del costo dei prodotti energetici,<br />
per l’azione della pol<strong>it</strong>ica monetaria e del cambio. In questo quadro, l’autore si<br />
chiede in che misura la finanza pubblica influì sull’evoluzione dell’economia. In<br />
particolare come l’economia risentì del peso dell’intervento pubblico, dell’elevato<br />
fabbisogno di entrate e dell’accumulo del deb<strong>it</strong>o pubblico. Alla cresc<strong>it</strong>a<br />
della spesa pubblica e del disavanzo, nel <strong>trentennio</strong> considerato, contribuirono<br />
fattori di fondo – come la cresc<strong>it</strong>a demografica e il miglioramento della sicurezza<br />
sociale già avviato nei decenni precedenti –, ma anche la dissociazione di<br />
responsabil<strong>it</strong>à tra i centri decisionali di spesa e quelli incaricati di reperire le<br />
entrate necessarie a far fronte alle spese; l’irrigidimento della spesa connessa<br />
con l’introduzione di meccanismi automatici di cresc<strong>it</strong>a delle variabili demografiche<br />
e macroeconomiche; l’incapac<strong>it</strong>à delle strutture del bilancio ad adeguarsi<br />
al fabbisogno finanziario dello stato. A poco serviranno le pol<strong>it</strong>iche di<br />
136 F. BALLETTA, <strong>La</strong> pol<strong>it</strong>ica finanziaria in Italia, c<strong>it</strong>., pp. 158-160.<br />
137 G. MORCALDO, <strong>La</strong> finanza pubblica in Italia (1960-1992), c<strong>it</strong>., pp. 5-265.<br />
127
ilancio per il riequilibrio dei conti pubblici, in particolare fu “posto in rilievo<br />
come gli obiettivi dell’azione sul saldo ‘primario’ nel corso del tempo [furono]<br />
resi più stringenti, per far fronte agli elevati tassi d’interesse pagati per il deb<strong>it</strong>o<br />
pubblico” 138 . I riflessi dell’intervento pubblico e del disavanzo del bilancio<br />
dello stato – esaminati attraverso il sistema tributario e nei principali comparti<br />
della spesa – vengono visti da Morcaldo in relazione al redd<strong>it</strong>o disponibile delle<br />
famiglie e all’andamento dei prezzi. In propos<strong>it</strong>o, vengono analizzati i diversi<br />
canali attraverso i quali si può influire sui prezzi e sui redd<strong>it</strong>i: la pol<strong>it</strong>ica di<br />
sostegno della domanda; il ricorso al mercato del cred<strong>it</strong>o; la creazione di moneta;<br />
gli inasprimenti fiscali. L’autore, inoltre, esamina gli effetti dell’espansione<br />
della spesa pubblica e dei disavanzi di bilancio sul settore privato. In particolare,<br />
studia gli effetti del costo dei loro finanziamenti (crowding aut) e quelli sull’attiv<strong>it</strong>à<br />
produttiva attraverso il sostegno del cambio, che, in conseguenza del<br />
divario d’inflazione, rispetto agli altri paesi, causò rilevanti perd<strong>it</strong>e di compet<strong>it</strong>iv<strong>it</strong>à.<br />
Le ultime conseguenze del dissesto della finanza pubblica vengono viste<br />
in relazione alla formazione del risparmio, prendendo in considerazione la cresc<strong>it</strong>a<br />
dei consumi e il miglioramento del sistema pensionistico. Nel presentare<br />
il volume di Morcaldo, il governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio, sottolinea<br />
i fattori che influirono sul grado di efficienza e controllabil<strong>it</strong>à della<br />
spesa. “Tra questi – egli scrive – alcune modifiche ist<strong>it</strong>uzionali che hanno interessato<br />
i vari livelli di governo – da cui è derivata una dissociazione di responsabil<strong>it</strong>à<br />
tra gli enti preposti all’attuazione degli interventi e quelli incaricati di<br />
reperire i mezzi finanziari occorrenti; l’introduzione di meccanismi automatici<br />
di determinazione della spesa – che ne hanno rafforzato i legami con le variabili<br />
macroeconomiche e demografiche; la rigid<strong>it</strong>à della struttura dei bilanci pubblici<br />
e la farraginos<strong>it</strong>à delle procedure amministrative – che hanno ridotto la<br />
capac<strong>it</strong>à delle pubbliche amministrazioni di far fronte all’evolversi dei bisogni”<br />
139 .<br />
Un richiamo all’importanza della storia della finanza pubblica fu fatto nel<br />
convegno che si tenne, a Bari, nell’autunno del 1991, su “<strong>La</strong> finanza pubblica<br />
in età di crisi” 140 . In quella occasione, Luigi De Rosa sottolineò le “modeste presenze<br />
della <strong>storiografia</strong> finanziaria”, rispetto alla <strong>storiografia</strong> economica generale.<br />
Sull’importanza della finanza pubblica, De Rosa disse che si tratta di “un<br />
tema centrale della storia economica; non solo un cap<strong>it</strong>olo di straordinario interesse,<br />
suscettibile di un vastissimo campo di indagine, ma uno strumento per<br />
intrecciare relazioni fra l’uno e l’altro fenomeno, per trarre dall’esperienza sto-<br />
138 Ibidem, p. 19.<br />
139 A. FAZIO, Prefazione, in “G. Morcaldo, <strong>La</strong> finanza pubblica <strong><strong>it</strong>aliana</strong>”, c<strong>it</strong>., p. 7.<br />
140 AA.VV., <strong>La</strong> finanza pubblica in età di crisi, a cura di A. Di V<strong>it</strong>torio, c<strong>it</strong>., pp. 1-345.<br />
128
ica la conferma del probabile successo o fallimento di certi provvedimenti, per<br />
valutare il grado di indipendenza degli altri paesi, per definire il grado di giustizia<br />
o di efficienza sociale che caratterizza il paese; in breve: il livello stesso<br />
della libertà degli strati sociali e dei fattori che lo sostengono” 141 .<br />
Il tema del convegno era circoscr<strong>it</strong>to ai momenti di crisi e abbracciava un<br />
arco temporale piuttosto vasto: dalla fine del ’500 alla metà del ’900. I relatori<br />
che trattarono l’epoca contemporanea furono Leandro Conte, Daniela Felisini,<br />
Luigi De Rosa e Paolo Frascani. Leandro Conte trattò del rapporto fra finanza<br />
pubblica e domanda di cred<strong>it</strong>o negli stati sardi nel 1857 142 . <strong>La</strong> cresc<strong>it</strong>a delle<br />
spese statali, in Piemonte, si pensava di coprirla con le riforme del fisco, in particolare<br />
con la riduzione dei dazi doganali e il miglioramento del sistema di<br />
riscossione dei tributi, eliminando gli appalti. Poiché la riforma fiscale non fu<br />
approvata, complessivamente, dal Parlamento, ma per pezzi, la frantumazione<br />
la privò di efficacia e il rinnovamento mancò. Pertanto, il governo dovette cercare<br />
la collaborazione dell’ist<strong>it</strong>uto di emissione. <strong>La</strong> Banca Nazionale garantì<br />
liquid<strong>it</strong>à alle finanze statali con il ricorso a prest<strong>it</strong>i sull’estero e con l’introduzione<br />
del corso forzoso della cartamoneta. <strong>La</strong> nov<strong>it</strong>à consisteva nell’avere trasfer<strong>it</strong>o<br />
la gestione della crisi finanziaria dallo stato ad una ist<strong>it</strong>uzione privata, la<br />
Banca Nazionale, che si poteva avvalere del dir<strong>it</strong>to di emissione ed effettuare<br />
operazioni di drenaggio di cap<strong>it</strong>ali per il fabbisogno finanziario dello stato. Ciò<br />
si riuscì a realizzare solo quando furono eliminate le norme sull’usura, che rendevano<br />
poco elastico il sistema finanziario. “In conclusione – rileva Conte –<br />
l’insieme degli scompensi segu<strong>it</strong>i alla riforma del sistema fiscale e all’indirizzo<br />
produttivistico cui i governi Cavour orientarono l’economia piemontese si<br />
caratterizzò in un’alta mobil<strong>it</strong>à di cap<strong>it</strong>ali, in una costante esposizione sull’estero”<br />
143 .<br />
<strong>La</strong> relazione di Daniela Felisini affronta le crisi che si ebbero nello Stato<br />
Pontificio: quella del 1831 con caratteri pol<strong>it</strong>ico-sociali e la carestia nel 1846-<br />
47, che continuò con gli avvenimenti rivoluzionari del 1848-49. Per la fragil<strong>it</strong>à<br />
e la rigid<strong>it</strong>à del sistema finanziario, lo stato non seppe adeguarsi al fabbisogno<br />
di nuove entrate per coprire le spese mil<strong>it</strong>ari e per far fronte alla riduzione delle<br />
entrate, conseguenza della crisi economica. <strong>La</strong> pol<strong>it</strong>ica finanziaria, non riuscendo<br />
a trovare nuovi tributi, seppe solo aumentare ulteriormente l’indeb<strong>it</strong>amento<br />
con l’estero 144 .<br />
141 L. DE ROSA, Prefazione, in “AA.VV., <strong>La</strong> finanza pubblica in età di crisi”, c<strong>it</strong>., p. XVI.<br />
142 L. CONTE, Finanza pubblica e domanda di cred<strong>it</strong>o, la crisi del 1857 negli stati sardi, in<br />
“AA.VV., <strong>La</strong> finanza pubblica in età di crisi”, c<strong>it</strong>., pp. 51-61.<br />
143 Ibidem, p. 61.<br />
144 D. FELISINI, Le finanze pontificie nell’Ottocento tra inquiet<strong>it</strong>udine pol<strong>it</strong>ico-sociale e crisi<br />
economica, in “AA.VV., <strong>La</strong> finanza pubblica in età di crisi”, c<strong>it</strong>., pp. 181-211.<br />
129
Luigi De Rosa traccia un panorama delle crisi finanziarie che interessarono<br />
l’Italia dalla Unificazione agli anni Settanta del Novecento 145 . Egli esamina le<br />
ragioni delle crisi e sottolinea i sacrifici che furono compiuti dagli <strong>it</strong>aliani per il<br />
loro superamento, “sempre tramandando alle generazioni successive gravose<br />
ered<strong>it</strong>à”. Spesso le crisi furono causate da errate pol<strong>it</strong>iche interne, ma anche da<br />
fattori economici esterni. “Quel che si vuole sottolineare – egli scrive – è che la<br />
finanza pubblica di uno Stato, in particolare lo stato <strong>it</strong>aliano, non ha mai vissuto,<br />
né può vivere, fuori del mondo, ma è immersa, anche con le sue più recond<strong>it</strong>e<br />
fibre, nel tessuto economico nazionale e internazionale, e risente profondamente<br />
dei suoi movimenti. <strong>La</strong> finanza pubblica riflette cioè, nel bene e nel<br />
male, quanto accade nella realtà in cui il paese è collocato e soprattutto esprime<br />
le premesse di valore, o le pubbliche scelte, come oggi si dice, della classe<br />
pol<strong>it</strong>ica che lo controlla e lo guida” 146 .<br />
Paolo Frascani esamina l’influenza che la finanza locale ha avuto <strong>sulla</strong> evoluzione<br />
dell’economia <strong><strong>it</strong>aliana</strong> nella seconda metà dell’Ottocento 147 . Rileva i<br />
rapporti fra enti locali e Cassa Depos<strong>it</strong>i e Prest<strong>it</strong>i, che finanziò molte spese pubbliche.<br />
Così il risparmio raccolto dalla Cassa muoveva concorrenza ai cap<strong>it</strong>ali<br />
che dovevano servire alle industrie. Si tratta di una interferenza fra finanza locale<br />
e assetti produttivi, proprio nel momento in cui si stava riducendo l’indeb<strong>it</strong>amento<br />
dello stato per favorire il cred<strong>it</strong>o alle imprese. “<strong>La</strong> pol<strong>it</strong>ica di bilancio<br />
dei comuni fa registrare un andamento sostanzialmente opposto (a quello dello<br />
stato), dispiegando effetti meno vistosi sul piano quant<strong>it</strong>ativo, ma probabilmente<br />
più mirati ed efficaci, in quanto riconducibili ad una miriade di s<strong>it</strong>uazioni<br />
locali” 148 .<br />
6. <strong>La</strong> <strong>storiografia</strong> <strong>sulla</strong> finanza locale<br />
Per la storia della finanza locale la letteratura esistente è ancora più scarna<br />
rispetto agli studi <strong>sulla</strong> finanza statale. Tra le poche ricerche serie che sono state<br />
realizzate, nell'ultimo <strong>trentennio</strong>, prenderemo in considerazione due pubblicazioni<br />
di Piola Caselli sul bilancio del comune di Cagliari, dal 1837 al 1848 149 , e<br />
145<br />
L. DE ROSA, Crisi e risanamento della finanza pubblica nell’Italia un<strong>it</strong>a, in “AA.VV., <strong>La</strong><br />
finanza pubblica in età di crisi”, c<strong>it</strong>., pp. 281-304.<br />
146<br />
Ibidem, p. 304.<br />
147<br />
P. FRASCANI, Crisi economiche e finanza locale nell’Italia liberale, in “AA.VV., <strong>La</strong> finanza<br />
pubblica in età di crisi”, c<strong>it</strong>., pp. 305-323.<br />
148<br />
Ibidem, p. 323.<br />
149<br />
F.P. CASELLI, Il bilancio del comune di Cagliari (1837-1848), in “Annali della Facoltà di<br />
Scienze Pol<strong>it</strong>iche dell’Univers<strong>it</strong>à di Cagliari”, Milano, 1976.<br />
130
le finanze del comune di Domodossola nel Novecento 150 ; una ricerca di Maria<br />
Carmela Schisani sulle finanze del comune di Piedimonte d’Alife, dal 1830 al<br />
1859 151 ; una mia pubblicazione <strong>sulla</strong> pol<strong>it</strong>ica tributaria del comune di Napoli,<br />
dal 1861 al 1883 152 , e il recente lavoro di Rosa Vaccaro su comuni e stato nell’Italia<br />
liberale 153 . I temi di maggiore interesse per la storia della finanza locale<br />
sono le relazioni intercorse fra governo centrale ed enti periferici. Il dibatt<strong>it</strong>o<br />
teorico sui rapporti fra stato e comuni ha riguardato sia le entrate che le spese.<br />
Nei primi decenni dell’Un<strong>it</strong>à, erano i comuni che riscuotevano il maggior gett<strong>it</strong>o<br />
tributario derivante dai dazi e ne trasferivano una parte allo stato; dal 1881,<br />
con il dissesto finanziario dei comuni più grossi – Roma, Napoli, Torino, Milano<br />
– la riscossione passò allo stato, che si impegnò a trasferire una parte del gett<strong>it</strong>o<br />
ai comuni. In effetti, il modello dell’autonomia impos<strong>it</strong>iva degli enti locali<br />
durò fino agli anni Settanta del Novecento. Un modello che prevedeva l’ente<br />
locale come “prelevatore efficiente”. Ciò, tuttavia, si attuò solo per aree imponibili<br />
ristrette (es.: imposta sugli immobili), molto più difficile risultava l’accertamento<br />
dei redd<strong>it</strong>i a livello locale. Dagli anni Settanta in poi, con la riforma<br />
della finanza locale, si passò al modello del prelievo centrale e il trasferimento<br />
di una parte delle entrate statali agli enti locali 154 .<br />
Anche dal lato delle spese, le posizioni sono profondamente mutate. <strong>La</strong> legge<br />
del 1865, che regolò le finanze municipali e provinciali, attribuì agli enti locali<br />
comp<strong>it</strong>i importanti nell’amb<strong>it</strong>o della san<strong>it</strong>à, dell’assistenza, dell’istruzione, dell’ordine<br />
pubblico e della tutela dell’ambiente. Le spese relative a tali comp<strong>it</strong>i subirono<br />
un calo solo durante gli anni della prima guerra mondiale. Dal 1929, per la<br />
pol<strong>it</strong>ica di accentramento dei poteri nello stato, si ebbe un ridimensionamento<br />
delle funzioni dei comuni e delle province, per cui molti servizi passarono alla<br />
competenza del governo. Il Testo Unico della finanza locale, approvato nel 1931,<br />
trasferì allo stato molte spese per l’istruzione, per la giustizia e per le opere pubbliche.<br />
Con l’avvio della pol<strong>it</strong>ica del welfare state, alcune spese sociali ricaddero<br />
sui comuni. Fino agli anni Cinquanta del Novecento, per la pol<strong>it</strong>ica accentratrice<br />
dei poteri del fascismo, le spese degli enti locali furono molto contenute 155 .<br />
150<br />
AA.VV., Domodossola nel Novecento, a cura di F.P. Caselli, Edizione Grassi, Domodossola,<br />
2000.<br />
151<br />
M.C. SCHISANI, <strong>La</strong> finanza pubblica napoletana tra centro e periferia. Piedimonte d’Alife<br />
durante il regno di Ferdinando II (1830-59), ESI, Napoli, 1995.<br />
152<br />
F. BALLETTA, Economia e finanze a Napoli dopo l’Un<strong>it</strong>à. I. <strong>La</strong> pol<strong>it</strong>ica tributaria municipale,<br />
Arte Tipografica, Napoli, 1983.<br />
153<br />
R. VACCARO, Comuni e stato nell’Italia liberale, Cedam, Padova, 2001.<br />
154<br />
Ibidem, pp. 13-14.<br />
155<br />
A. FRASCHINI, <strong>La</strong> finanza comunale in Italia: uno schema interpretativo, Franco Angeli,<br />
Milano, 1991, pp. 11-12.<br />
131
Negli anni Cinquanta e Sessanta, sull’onda dello sviluppo economico e l’inurbamento<br />
nelle c<strong>it</strong>tà del Nord della popolazione proveniente dalle campagne<br />
del Sud, crebbero le spese dei comuni per i servizi sociali con alto contenuto di<br />
bene pubblico o strettamente necessario al miglioramento della produttiv<strong>it</strong>à<br />
industriale (acqua, viabil<strong>it</strong>à, trasporti, pulizia, illuminazione, ecc.). Negli anni<br />
’70 e ’80, le spese furono indirizzate più verso i servizi personali (assistenza agli<br />
anziani, ai disabili, ai più poveri, per la costruzione di ab<strong>it</strong>azioni popolari, ecc.),<br />
per cui ebbe una funzione redistributiva delle ricchezze. In sintesi, pur crescendo<br />
gli oneri pubblici, si ebbe la riduzione delle spese mil<strong>it</strong>ari e l’aumento<br />
delle spese sociali redistributive 156 .<br />
Il lavoro di Piola Caselli sui bilanci del comune di Cagliari, pur essendo<br />
lim<strong>it</strong>ato al periodo 1837-1848, cost<strong>it</strong>uisce un modello di ricerca significativo<br />
per un giudizio sull’economia e sull’amministrazione di una c<strong>it</strong>tà. I legami<br />
finanziari fra le casse dello stato e la cassa comunale si risolsero pos<strong>it</strong>ivamente,<br />
tanto che possono considerarsi, secondo Caselli, una part<strong>it</strong>a di giro. Lo stesso<br />
Caselli sottolinea la funzional<strong>it</strong>à della prassi amministrativo-contabile attuata,<br />
che si concretizzò in tutti gli atti dovuti e di controllo. Gli amministratori non<br />
furono tentati ad effettuare spese facili, ma neanche “si irrigidirono in un pungoloso<br />
fiscalismo”. Riuscirono a tenere il bilancio in pareggio o si indeb<strong>it</strong>arono<br />
per la costruzione di una importante opera pubblica, come l’ospedale, o per<br />
l’approvvigionamento di grano e carne per la c<strong>it</strong>tà nei momenti di carestia.<br />
Nella gestione ordinaria, non si pensò a grandi opere, ma l’amministrazione si<br />
impegnò per il mantenimento della viabil<strong>it</strong>à, del verde, delle forn<strong>it</strong>ure di acqua<br />
e per la sicurezza delle ab<strong>it</strong>azioni. Anche il personale municipale, pur essendo<br />
numeroso, fu più impegnato per i servizi esterni che non per il lavoro negli uffici.<br />
L’attiv<strong>it</strong>à del comune, pur essendo condizionata dall’assenza di dinamismo<br />
dell’economia della Sardegna e dall’isolamento, rispetto al continente, si rivelò<br />
scrupolosa e gli amministratori operarono con “intelligente parsimonia nella<br />
distribuzione delle risorse” 157 .<br />
Diverse da quelle di Caselli sono le conclusioni della ricerca effettuata da<br />
Maria Carmela Schisani sulle finanze di un importante comune del regno delle<br />
Due Sicilie, Piedimonte d’Alife, relative agli anni 1830-1859 158 . Pur trattandosi<br />
di un comune che aveva una buona attiv<strong>it</strong>à industriale e godeva di una buona<br />
posizione geografica – poteva fare da cerniera per il commercio interno del<br />
regno di Napoli fra la provincia di Caserta ed il Molise – per la pol<strong>it</strong>ica attuata<br />
156<br />
Ibidem, pp. 12-13.<br />
157<br />
F.P. CASELLI, Il bilancio del comune di Cagliari, c<strong>it</strong>., p. 59.<br />
158<br />
M.C. SCHISANI, <strong>La</strong> finanza pubblica napoletana tra centro e periferia. Piedimonte d’Alife,<br />
c<strong>it</strong>., pp. 7-140.<br />
132
dai Borbone e per la pol<strong>it</strong>ica degli amministratori locali, l’ente non ebbe la<br />
forza di favorire la cresc<strong>it</strong>a dell’economia locale. Le innovazioni ist<strong>it</strong>uzionali<br />
introdotte dai francesi, nel Mezzogiorno, all’inizio dell’Ottocento, non avevano<br />
sost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o completamente l’apparato ist<strong>it</strong>uzionale settecentesco. Il governo centrale<br />
forte non era in grado di far fronte alla varietà di esigenze che si presentavano<br />
a livello locale; le amministrazioni comunali, governate dal decurionato –<br />
un organo nominato dal re –, non furono in condizione di ribellarsi alle pol<strong>it</strong>iche<br />
dei Borbone. Pertanto, mentre a Cagliari si riuscì a realizzare un ospedale<br />
c<strong>it</strong>tadino, a Piedimonte d’Alife, coloro che coprivano le cariche pol<strong>it</strong>iche si<br />
erano così insteril<strong>it</strong>i da non avere la forza di ribellarsi al piano di costruzioni<br />
stradali, distrettuali e provinciali che lasciava Piedimonte d’Alife fuori da<br />
importanti vie di comunicazione commerciali. Dal punto di vista amministrativo-contabile,<br />
i preposti al governo della c<strong>it</strong>tà ebbero poche possibil<strong>it</strong>à di gestione<br />
delle entrate, poiché vincolati alle necess<strong>it</strong>à del pareggio del bilancio. Le<br />
entrate comunali, cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>e per la maggior parte dal gett<strong>it</strong>o dei dazi di consumo,<br />
non aumentarono in proporzione all’aumento dei bisogni. Lo stesso dazio<br />
creò buoni margini di favore per l’el<strong>it</strong>e locale – cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>a principalmente dagli<br />
amministratori comunali –, che cercarono favori personali al momento del<br />
pagamento dei tributi. In conclusione, la cattiva amministrazione e le farraginose<br />
regole ist<strong>it</strong>uzionali impedirono qualsiasi cresc<strong>it</strong>a dell’agricoltura locale,<br />
sfruttata dal circu<strong>it</strong>o commerciale, né favorì la cresc<strong>it</strong>a della produzione industriale,<br />
che viveva sotto la serra calda della protezione statale 159 .<br />
Nel mio lavoro <strong>sulla</strong> pol<strong>it</strong>ica tributaria del comune di Napoli, dal 1861 al<br />
1883 160 , espongo i primi risultati di una ricerca che in futuro riguarderà anche le<br />
spese del comune. L’indagine – costru<strong>it</strong>a sugli atti del Consiglio Comunale e sui<br />
bilanci preventivi e di cassa – rileva le tensioni che si ebbero fra il governo centrale<br />
e gli amministratori napoletani. Il primo impegnato a realizzare il pareggio del<br />
bilancio e quindi a rastrellare, il più possibile, entrate tributarie, i secondi preoccupati<br />
dell’eccessivo peso fiscale che ricadeva sui contribuenti. I risultati di tale<br />
contrasto ebbero riflessi sulle frequenti variazioni delle tariffe dei dazi di consumo<br />
e sull’ammontare del canone daziario, che il comune doveva versare allo stato.<br />
Altra conseguenza fu il passaggio da un sistema tributario semplice, basato principalmente<br />
sui dazi di consumo e <strong>sulla</strong> sovraimposta – che esisteva nel primo decennio<br />
dell’Un<strong>it</strong>à –, ad un sistema complesso e confuso, per cui si moltiplicarono i<br />
piccoli tributi – sulle insegne, sul suolo pubblico, sulle vetture, ecc. –, che erano di<br />
difficile e costosa riscossione. Quando gli amministratori comunali dovettero scegliere<br />
fra imposta di famiglia e imposta sul valore locativo optarono per la seconda,<br />
che creava ingiustizie, ma era di facile riscossione.<br />
159 Ibidem, p. 98.<br />
160 F. BALLETTA, Economia e finanze a Napoli, c<strong>it</strong>., pp. 7-355.<br />
133
Nel primo ventennio dell’Un<strong>it</strong>à, la finanza locale fu regolata dalle leggi del<br />
1859 e del 1865. Successivamente, si aggiunsero nuove disposizioni che contribuirono<br />
a rendere difficile e caotica la gestione finanziaria dei comuni. Vi era la<br />
necess<strong>it</strong>à di una riforma organica della finanza locale, che fosse ben coordinata<br />
con quella dello stato. A queste difficoltà oggettive si aggiunse la preoccupazione<br />
degli amministratori locali, che cercavano di non aggravare la pressione sulle<br />
imposte dirette e in particolare quella sulle proprietà fondiarie, che erano nelle<br />
mani degli elettori municipali. Spesso non furono approvati i regolamenti per la<br />
riscossione dei tributi, per conseguenza i contribuenti che si rifiutavano di<br />
pagare non erano sottoposti a sanzioni e gli appaltatori, con l'appoggio degli<br />
assessori, spadroneggiavano nella riscossione dei tributi, commettendo abusi e<br />
ruberie. Altra piaga che colpiva il gett<strong>it</strong>o tributario fu il contrabbando, che arrivava<br />
fino al 50 per cento del dazio di consumo (maggiormente su generi di<br />
prima necess<strong>it</strong>à: farina, latticini, carne e legumi). D’altra parte, la stessa legge<br />
che regolava la riscossione dei dazi conteneva elementi di ingiustizia, poiché il<br />
canone che i comuni dovevano versare allo stato cresceva con il crescere della<br />
popolazione ed era proporzionale ai consumi. Per Napoli questa regola si traduceva<br />
in un peso ingiusto, poiché si trattava di una delle maggiori c<strong>it</strong>tà <strong>it</strong>aliane<br />
per dens<strong>it</strong>à demografica ed i consumi erano contenuti per il disagio economico<br />
in cui versavano molti c<strong>it</strong>tadini. Per la carenza nel gett<strong>it</strong>o daziario, il<br />
comune, spesso, non riusciva a versare allo stato il canone stabil<strong>it</strong>o, così aveva<br />
accumulato un deb<strong>it</strong>o che non era in grado di pagare. Solo, nel 1879, grazie<br />
all’intervento di Magliani, una legge mise ordine nelle finanze della c<strong>it</strong>tà e la<br />
riscossione del dazio passò dalla c<strong>it</strong>tà allo stato.<br />
In conclusione, il dissesto delle finanze napoletane dipendeva dalle leggi<br />
che regolavano la finanza locale, dalla pol<strong>it</strong>ica di pareggio del bilancio attuata<br />
dal governo centrale, e dalla incapac<strong>it</strong>à e disonestà degli amministratori locali.<br />
Un secondo lavoro di Fausto Piola Caselli <strong>sulla</strong> finanza locale riguarda la<br />
storia di un comune del Piemonte, Domodossola, dal 1901 al 1999 161 . All’inizio<br />
del 900, i rapporti fra stato e comune furono piuttosto freddi. Domodossola fu<br />
gest<strong>it</strong>a con autosufficienza finanziaria. Lo stato si fece sentire solo in occasione<br />
di grandi opere pubbliche di interesse nazionale, come l’apertura del traforo<br />
del Sempione. Durante il fascismo, la presenza dello stato fu avvert<strong>it</strong>a solo per<br />
il comportamento del podestà, per manifestazioni del part<strong>it</strong>o o per l’imposizione<br />
del calmiere dei prezzi, che comunque influivano poco sulle finanze comunali.<br />
Il rapporto fra periferia e centro cambiò radicalmente, dal 1970 in poi,<br />
allorché una nuova legislazione attribuì ai comuni nuovi comp<strong>it</strong>i e una maggio-<br />
161<br />
F.P. CASELLI, Domodossola nel Novecento. Finanza comunale ed economia c<strong>it</strong>tadina, in<br />
“Domodossola nel Novecento”, c<strong>it</strong>., pp. 55-134.<br />
134
e autonomia amministrativa e finanziaria. Per gli enti locali, comunque, fu stabil<strong>it</strong>o<br />
il legame con le regioni. Dal punto di vista fiscale, si ebbe una profonda<br />
rivoluzione, perché furono abol<strong>it</strong>i i dazi di consumo e l’imposta sui redd<strong>it</strong>i delle<br />
famiglie, sost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>i con tributi sui fabbricati. Lo stato si assunse il comp<strong>it</strong>o della<br />
riscossione dei tributi e trasferì ai comuni la maggior parte del loro fabbisogno.<br />
<strong>La</strong> ragione dell’accentramento della riscossione dei tributi era dovuta alle “efficienze<br />
nella raccolta del gett<strong>it</strong>o, semplificazione e unificazione del sistema tributario,<br />
‘pervers<strong>it</strong>à’ degli enti locali nei riguardi dell’attiv<strong>it</strong>à di stabilizzazione<br />
effettuata dal governo centrale, gerarchizzazione degli indirizzi di pol<strong>it</strong>ica fiscale<br />
redistributiva” 162 . Per il comune di Domodossola, nel 1990, i trasferimenti<br />
rappresentavano circa il 60 per cento delle entrate.<br />
Nel settore delle spese, ai comuni fu affidato il gravoso comp<strong>it</strong>o della redistribuzione<br />
dei redd<strong>it</strong>i, poiché furono potenziati gli aiuti agli anziani, ai disabili<br />
e alle classi sociali più deboli, contemporaneamente, si potenziarono le spese<br />
per il miglioramento dell’ambiente e per i lavori pubblici. L’indeb<strong>it</strong>amento del<br />
comune di Domodossola fu rivolto, nel primo ventennio del secolo, più verso le<br />
banche locali – che chiedevano alti tassi di interesse – che verso la Cassa Depos<strong>it</strong>i<br />
e Prest<strong>it</strong>i. Durante il fascismo, l’indeb<strong>it</strong>amento diminuì, poiché molti oneri,<br />
come quelli per la scuola, passarono allo stato. Nel secondo dopoguerra, continuò<br />
l’indeb<strong>it</strong>amento con le banche e fu esteso a diversi settori amministrativi 163 .<br />
Dai dati riportati da Caselli, relativi a tutto il Novecento (dal 1900 al 1999) –<br />
depurati della svalutazione della lira e del movimento demografico – risulta un<br />
crescente intervento del comune nella v<strong>it</strong>a c<strong>it</strong>tadina e, in valore reale, le spese<br />
crebbero da 80 mila a 140 milioni di lire 164 .<br />
In una recente pubblicazione, Rosa Vaccaro studia il ruolo svolto dagli enti<br />
locali nello sviluppo economico <strong>it</strong>aliano in età liberale 165 . L’autrice non si pone<br />
l’ambizioso comp<strong>it</strong>o di esaminare, in generale, quale fu il peso che ebbero gli<br />
enti locali sull’economia dei primi decenni dell’Un<strong>it</strong>à, bensì effettua una selezione<br />
geografica e tematica, cosciente delle profonde differenze delle strutture<br />
produttive e delle differenti condizioni economiche che componevano il terr<strong>it</strong>orio<br />
unificato e ancor più della presenza di differenti él<strong>it</strong>es che controllavano<br />
la pol<strong>it</strong>ica e l’economia locale. Di tale divisione furono coscienti i parlamentari<br />
<strong>it</strong>aliani, che approvarono la legge del 1865 sull’unificazione amministrativa, la<br />
quale diede ai comuni e alle province autonomia nella gestione delle risorse e ai<br />
prefetti, come rappresentanti del potere centrale, il comp<strong>it</strong>o del controllo delle<br />
162<br />
G.C. ROMAGNOLI, Nuove pol<strong>it</strong>iche di finanziamento degli enti locali in Italia. Confronto<br />
con l’esperienza nord-americana, Franco Angeli, Milano, 1985, p. 184.<br />
163<br />
Ibidem, p. 72.<br />
164<br />
Ibidem, p. 74.<br />
165<br />
R. VACCARO, Comuni e stato nell’Italia liberale, c<strong>it</strong>., pp. 1-234.<br />
135
leggi e dei regolamenti. In questi termini, fu estesa a tutta la penisola unificata<br />
la legge Rattazzi del 1859, con l’intento di creare un mercato unico abolendo le<br />
sacche di arretratezza. Ma, passato il momento dell’unificazione, la legge non fu<br />
più rivista. Solo negli anni Settanta del Novecento si ebbe una profonda revisione<br />
delle finanze provinciali e comunali.<br />
<strong>La</strong> selezione effettuata dall’autrice riguarda tre aspetti della finanza locale: le<br />
costruzioni stradali, le finanze del circondario di Velletri e le opere di san<strong>it</strong>à ed<br />
igiene realizzate nella provincia di Roma. Sul primo punto Rosa Vaccaro rivela gli<br />
errori della pol<strong>it</strong>ica della destra, con la quale si pretendeva, attraverso la costruzione<br />
delle strade, di dare un impulso all’economia, viceversa dovrebbe essere<br />
l’incremento della produzione a favorire il miglioramento della viabil<strong>it</strong>à. Così, in<br />
Italia, la costruzione di una nuova rete viaria e la manutenzione di quella esistente<br />
si mossero con lentezza, perché lo stato pretese un largo contributo dai comuni,<br />
che, spesso, non erano in grado di sostenere, specie quando si trattava di piccoli<br />
centri montani, con scarsissime risorse. Obbligati a pagare il contributo, i<br />
comuni furono costretti ad indeb<strong>it</strong>arsi, oppure elevarono la pressione tributaria.<br />
In alcuni casi, costru<strong>it</strong>e le strade, in breve tempo, si resero inutilizzabili, perché i<br />
comuni non possedevano i mezzi per la manutenzione.<br />
Nel secondo saggio – dal t<strong>it</strong>olo “Unificazione amministrativa e finanza<br />
locale. Il circondario di Velletri (1871-1897)” – l’autrice esamina gli effetti della<br />
legge comunale e provinciale del 1865, nei 18 comuni che componevano il circondario<br />
di Velletri. Si tratta di un’area lim<strong>it</strong>ata, che, tuttavia, riflette la varietà<br />
delle condizioni economiche esistenti nel paese. Dei comuni esaminati, alcuni<br />
avevano un ricco patrimonio, per cui non avvertivano le conseguenze delle<br />
nuove leggi; in altri, i nuovi tributi esasperarono le disuguaglianze nella distribuzione<br />
dei redd<strong>it</strong>i. È la conferma di ciò che accadde per il comune di Napoli,<br />
che, all’inizio del Novecento, venne denunciato dall’onorevole Majorana:<br />
“grande sperequazione che si verifica non solo fra comune e comune, ma ben<br />
anco fra l’una e l’altra classe di contribuenti dello stesso comune” 166 .<br />
Nel terzo saggio di Vaccaro – dal t<strong>it</strong>olo “Comuni, san<strong>it</strong>à ed opere igieniche<br />
nella provincia di Roma (1870-1913)” – viene dato un giudizio sul funzionamento<br />
della san<strong>it</strong>à in Italia. Nei primi anni del Novecento, in tutto il regno, si<br />
ebbe una consistente riduzione della mortal<strong>it</strong>à per malattie infettive, minore,<br />
però, fu la riduzione per la provincia di Roma, dove, nel quadriennio 1907-<br />
1911, si registrò addir<strong>it</strong>tura una recrudescenza di quelle malattie (morbillo, tifo<br />
e scarlattina). <strong>La</strong> cura dell’igiene e della san<strong>it</strong>à pubblica dalla legge del 1865 fu<br />
affidata ai comuni. Tuttavia, per le ristrettezze dei mezzi finanziari a loro disposizione<br />
e per incuria o incapac<strong>it</strong>à degli amministratori locali non si riuscì ad eli-<br />
166 Atti, parlamentari, Camera dei Deputati, Legislazione XXII, sessione 1904-1905, documento<br />
n. 339, p. 12, c<strong>it</strong>ato in “R. Vaccaro, Comuni e stato”, c<strong>it</strong>., p. 146.<br />
136
minare le cause igieniche della persistente mortal<strong>it</strong>à. Secondo il medico provinciale<br />
di Roma, Raffaele Zampa, bisognava “rest<strong>it</strong>uire gli agricoltori alle campagne”,<br />
cioè bisognava vietare l’allevamento del bestiame nei centri ab<strong>it</strong>ati.<br />
Secondo l’interpretazione dell’autrice, l’alta mortal<strong>it</strong>à dipendeva dalla scarsa<br />
produttiv<strong>it</strong>à del lavoro agricolo, che si traduceva nelle misere condizioni economiche<br />
dei contadini, ma ancora più dalla malaria che imperversava nelle<br />
paludi. Gli scarsi guadagni degli agricoltori dipendevano dai piccoli appezzamenti<br />
che coltivavano o dalla presenza del latifondo mal coltivato e con scarsissima<br />
produttiv<strong>it</strong>à. Pertanto, le cattive condizioni san<strong>it</strong>arie erano il risultato “del<br />
degrado del terr<strong>it</strong>orio, della bassa produttiv<strong>it</strong>à della terra e dello scarso redd<strong>it</strong>o<br />
dei contadini” 167 . Problemi che saranno affrontati solo dopo la prima guerra<br />
mondiale.<br />
Conclusioni<br />
Gli studi che si sono avviati <strong>sulla</strong> storia del mercato borsistico <strong>it</strong>aliano<br />
assieme alle ricerche di storia delle assicurazioni hanno fatto compiere un notevole<br />
salto di qual<strong>it</strong>à alla <strong>storiografia</strong> <strong><strong>it</strong>aliana</strong> degli ultimi decenni, consentendogli<br />
un netto distacco dal giudizio negativo pronunciato da Giuseppe Galasso<br />
nel volume “Nient’altro che storia”, dove si afferma che la recente <strong>storiografia</strong><br />
non ha compiuto “nessun grande volo; pochi svolgimenti realmente importanti<br />
del già detto: molta superficial<strong>it</strong>à e incertezza di prospettive, insieme con una<br />
diffusa supponenza verso alcuni dei maggiori indirizzi e tradizioni della cultura<br />
europea” 168 . <strong>La</strong> ragione di tale deficienza sarebbe legata all’ansia del “moderno”<br />
e le nebbie del “postmoderno”, che hanno sconvolto e depresso la tradizione<br />
della <strong>storiografia</strong> europea 169 .<br />
Viceversa, la ricostruzione della storia della borsa attraverso alcune significative<br />
imprese del mercato <strong>it</strong>aliano hanno rilevato l’importanza della ricerca<br />
fondata su nuovi documenti, fondamento dell’evoluzione dell’impresa al fine di<br />
costruire ed approfondire gli indicatori fondamentali, che determinano la realtà<br />
del mercato e le manovre che le grandi famiglie del cap<strong>it</strong>alismo hanno compiuto<br />
per rimanere al comando dei grandi gruppi industriali e finanziari.<br />
<strong>La</strong> strada delle ricerche sull’importanza degli investimenti di rischio è aperta.<br />
Ora bisogna percorrerla fino in fondo con nuovi e più approfond<strong>it</strong>i studi<br />
che prendono le distanze dalle conclusioni a cui sono arrivati alcuni ed<strong>it</strong>oriali-<br />
167<br />
R. VACCARO, Comuni e stato, c<strong>it</strong>., p. 228.<br />
168<br />
G. GALASSO, Nient’altro che storia. Saggi di teoria e metodologia della storia, Il Mulino,<br />
Bologna, 2000, p. 7.<br />
169<br />
Ibidem, p. 8.<br />
137
sti di giornali <strong>sulla</strong> necess<strong>it</strong>à di regolamentare i mercati finanziari nazionali e<br />
internazionali al fine di scoraggiare le bolle speculative ed attenuarne le conseguenze<br />
170 . Forse potrebbe essere anche questa la soluzione per ridurre l’area del<br />
rischio, ma le proposte potranno farsi solo dopo una profonda conoscenza dei<br />
mercati.<br />
Secondo Giuseppe Felloni, il minor numero di pubblicazioni di storia<br />
finanziaria <strong><strong>it</strong>aliana</strong> degli ultimi decenni sarebbe derivato da una “certa stanchezza<br />
per questo genere di studi, da una certa insoddisfazione per i risultati<br />
ottenuti con le metodologie e le problematiche tradizionali 171 . Io aggiungerei,<br />
per la storia della finanza pubblica postun<strong>it</strong>aria, che – dopo le ricerche di<br />
Achille Plebano 172 , Giuseppe Parravicini 173 e Francesco A. Repaci 174 , che hanno<br />
tracciato le linee essenziali degli eventi – occorre passare ad approfondimenti<br />
per periodi lim<strong>it</strong>ati e per argomenti specifici; creare connessioni fra la pol<strong>it</strong>ica<br />
monetaria e la finanza pubblica; misurare, con indagini quant<strong>it</strong>ative, gli effetti<br />
che la pol<strong>it</strong>ica fiscale produsse <strong>sulla</strong> redistribuzione della ricchezza; stabilire le<br />
ragioni di una maggiore o minore pressione fiscale; valutare la pol<strong>it</strong>ica della<br />
spesa pubblica, calcolando il miglioramento di produttiv<strong>it</strong>à che ricevettero le<br />
imprese; esaminare i diversi tipi di indeb<strong>it</strong>amento che lo stato effettuò stabilendo<br />
la convenienza dei deb<strong>it</strong>i a breve rispetto a quelli a lungo termine. Per impostare<br />
ricerche di questo tipo, ed altre che non è il caso di elencare, occorre<br />
avere prima una profonda conoscenza delle tecniche contabili, al fine di dare la<br />
migliore interpretazione della pol<strong>it</strong>ica finanziaria adottata. A ciò bisogna<br />
aggiungere la mole di documenti da consultare. Consultazione non facile, perché<br />
si tratta di carte raccolte in modo disorganico. “Sussiste infatti – scrive<br />
Paolo Roberti nella prefazione del volume sul deb<strong>it</strong>o pubblico pubblicato dal<br />
Ministero del Tesoro – una molteplic<strong>it</strong>à di fonti e di aggregati di riferimento<br />
che, a loro volta, si sommano a una frammentarietà dell’informazione e a una<br />
mancanza o difficoltà di reperimento dei cr<strong>it</strong>eri di raccordo tra i diversi dati” 175 .<br />
Dello stesso parere era Luigi Einaudi, che, nel ricordare i numerosi bilanci di<br />
previsione, i consuntivi, i conti mensili del Tesoro, i documenti della Ragioneria<br />
170<br />
F. GALIMBERTI, Economia e pazzia. Crisi finanziarie di ieri e di oggi, Ed<strong>it</strong>ori <strong>La</strong>terza,<br />
Roma-Bari, 2002, pp. XIV-XV.<br />
171<br />
G. FELLONI, Temi e problemi nella storia, c<strong>it</strong>., p. 103.<br />
172<br />
A. PLEBANO, Storia della finanza <strong><strong>it</strong>aliana</strong> nei primi quaranta anni della unificazione,<br />
Ristampa a cura di S. Buscensa, voll. 3, Padova, 1960.<br />
173<br />
G. PARRAVICINI, <strong>La</strong> pol<strong>it</strong>ica fiscale e le entrate effettive nel regno d’Italia (1860-1990), Torino,<br />
1958.<br />
174<br />
F.A. REPACI, <strong>La</strong> finanza <strong><strong>it</strong>aliana</strong> nel secolo 1861-1960, Bologna, 1962.<br />
175<br />
P. ROBERTI, Obiettivi, previsioni, andamenti di finanza pubblica e pol<strong>it</strong>ica fiscale, in “Ministero<br />
del Tesoro, Pol<strong>it</strong>ica fiscale e deb<strong>it</strong>o pubblico”, Poligrafico dello Stato e Zecca dello Stato,<br />
Roma, 1993, p. 26.<br />
138
Generale dello Stato, della Corte dei Conti, della Giunta per il Bilancio della<br />
Camera dei Deputati e del Senato scrisse: “Soltanto a guardare quelle pile di<br />
volumi particolareggiati, compiuti, ammirandi per lo scrupolo di dire tutto,<br />
cascano le braccia …. chi ha bisogno di precisione, dopo qualche giorno di<br />
scartabellamento dei documenti ufficiali, comincia a sentirsi girare la testa” 176 .<br />
Einaudi, comunque, parlava di soli documenti ufficiali, pubblicati, ma ad essi<br />
bisognerà aggiungere la corrispondenza accumulata dai ministeri del Tesoro e<br />
delle Finanze e i documenti degli archivi privati. Il lavoro di ricerca non dovrà<br />
riguardare un solo storico, ma intere generazioni. Solo allora potremo dare dei<br />
giudizi seri <strong>sulla</strong> pol<strong>it</strong>ica fiscale, <strong>sulla</strong> pol<strong>it</strong>ica delle spese e sull’indeb<strong>it</strong>amento<br />
dello stato, stabilendo connessioni fra finanza pubblica e finanza privata, fra<br />
finanze e pol<strong>it</strong>ica economica e pol<strong>it</strong>ica monetaria in particolare.<br />
176<br />
Ibidem, p. 33; L. EINAUDI, Del fare statistiche finanziarie, in “<strong>La</strong> Riforma Sociale”, maggio-giugno<br />
1934.<br />
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FINITO DI STAMPARE NEL MESE DI GIUGNO MMIII<br />
NELLO STABILIMENTO «ARTE TIPOGRAFICA» S.A.S.<br />
S. BIAGIO DEI LIBRAI - NAPOLI<br />
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ISSN 1721-6060<br />
ISSN 1721-6060<br />
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