pier francesco giambullari e la prima storia d'europa - Padis
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PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA D’EUROPA<br />
DELL’ETÀ MODERNA. RADICI POLITICO-RELIGIOSE DI UN’IDEA<br />
Francesco Vitali<br />
dottorato di ricerca in Storia del<strong>la</strong> formazione dell’Europa moderna. Culture nazionali e idea<br />
d’Europa (XVI Ciclo), dipartimento di studi politici, Facoltà di Scienze Politiche, Roma, La<br />
Sapienza<br />
coordinatore del dottorato professore Paolo Simoncelli<br />
commissione di discussione composta dal professore Eugenio Di Rienzo, professore Gaetano<br />
P<strong>la</strong>tania, professoressa Giovanna Motta (presidente)<br />
La tesi si focalizza sull’analisi dell’incompiuta Storia d’Europa composta da Pier Francesco<br />
Giambul<strong>la</strong>ri a partire dai primi anni quaranta del Cinquecento fino al<strong>la</strong> morte occorsa<br />
nell’agosto 1555, in re<strong>la</strong>zione al<strong>la</strong> sua parabo<strong>la</strong> politico-culturale. Un’esistenza vissuta<br />
costantemente nell’ambiente mediceo, come emblematicamente mostra il ruolo svolto nel<strong>la</strong><br />
fondazione dell’Accademia fiorentina e nell’impegno letterari speso a supporto del nascente<br />
assolutismo di Cosimo I e del<strong>la</strong> sua proiezione espansiva regionale. Le lezioni dantesche ma<br />
soprattutto il trattatello sull’origine di Firenze Il Gello, pubblicato nel 1546, attraverso le fonti<br />
letterarie e le tesi storico-linguistiche esposte, documentano un chiaro indirizzo ghibellino,<br />
filoimperiale, favorevole a Carlo V d’Asburgo, in linea, sia con le coordinate antifarnesiane<br />
del<strong>la</strong> politica estera cosimiana, sia con l’antica militanza ghibellina degli avi del Giambul<strong>la</strong>ri.<br />
L’incompiuta Storia d’Europa conferma pienamente questa tendenza filo-asburgica,<br />
celebrando non Carlo Magno, ma Ottone I quale restauratore del<strong>la</strong> forza politico-spirituale<br />
dell’idea imperiale e garante del<strong>la</strong> stabilità del<strong>la</strong> Res publica Christiana e dei regni che <strong>la</strong><br />
compongono.<br />
1
Pier Francesco Giambul<strong>la</strong>ri e <strong>la</strong> <strong>prima</strong> <strong>storia</strong> d’Europa dell’età moderna, radici politicoreligiose<br />
di un’idea<br />
Capitolo I Pier Francesco Giambul<strong>la</strong>ri letterato al servizio dei Medici<br />
1. La tradizione familiare ghibellina e il suo declino: Pier<strong>francesco</strong> cortigiano mediceo pag.<br />
3<br />
2. Accademico: le lezioni dantesche pag. 19<br />
3. Verso <strong>la</strong> <strong>storia</strong> d’Europa: Le fonti aramaiche pag. 31<br />
Capitolo II La <strong>storia</strong> d’Europa:<br />
1. La fortuna e motivi del<strong>la</strong> <strong>storia</strong> d’Europa pag. 64<br />
2. Libro primo: il lungo percorso dalle radici storico-geografiche all’instabilità dell’area<br />
imperiale pag. 77<br />
3. Libro secondo: Beato Renano, <strong>la</strong> nuova Germania e <strong>la</strong> Trans<strong>la</strong>tio imperii pag. 135<br />
4. Libro terzo: <strong>la</strong> trans<strong>la</strong>tio imperii al mondo tedesco, da Corrado di Franconia a Arrigo di<br />
Sassonia pag. 166<br />
Capitolo III La <strong>storia</strong> d’Europa e alcuni confronti con <strong>la</strong> storiografia coeva:<br />
1. Paolo Giovio pag. 195<br />
2. Cosimo Bartoli pag. 202<br />
3. Giro<strong>la</strong>mo Bardi e Lodovico Guicciardini pag. 213<br />
4. Natale de’ Conti pag. 245<br />
5. Jacques-Auguste de Thou pag. 250<br />
Bibliografia pag. 261<br />
2
Capitolo I<br />
Pier Francesco Giambul<strong>la</strong>ri letterato al servizio dei Medici<br />
1. La tradizione familiare ghibellina e il suo declino: Pier<strong>francesco</strong> cortigiano mediceo<br />
Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri nasce nel 1495 a Firenze dal matrimonio di Bernardo e Lucrezia<br />
di Luigi degli Stefani avvenuto nel 1485 1 , ultimo discendente di una famiglia dai trascorsi non<br />
certo trascurabili nel<strong>la</strong> <strong>storia</strong> cittadina del<strong>la</strong> seconda metà del tredicesimo secolo.<br />
Lo stemma del<strong>la</strong> famiglia è costituito da tre rose rosse su sfondo bianco, interval<strong>la</strong>te da un<br />
archipenzolo ossia una squadra nera 2 .<br />
Segnale dell’importanza del<strong>la</strong> famiglia e del<strong>la</strong> sua diretta partecipazione alle decisioni del<strong>la</strong><br />
vita politica cittadina già in tempi remoti, è fornita dal<strong>la</strong> sua inclusione nel<strong>la</strong> lista delle casate<br />
che per il sestiere di S. Pancrazio hanno <strong>la</strong> dignità per accedere al conso<strong>la</strong>to del comune<br />
fiorentino nel 1210 3 .<br />
Il nome Giambul<strong>la</strong>ri che qualifica l’intera casata deriva originariamente dal soprannome di<br />
“Giambul<strong>la</strong>rio” attribuito a Iacopo figlio di Ricevuto. La famiglia di fede politica<br />
accesamente ghibellina, raggiunge il suo massimo splendore e <strong>la</strong> sua più incisiva influenza<br />
politica durante <strong>la</strong> vita di Iacopo e dei suoi tre fratelli Filippo, Gianni e Bindo. Gianni è tra i<br />
consiglieri del comune quando il 6 settembre 1256 viene notificato il lodo del<strong>la</strong> pace sancita<br />
con i Pisani 4 . Bindo, invece “giudice o cavaliere” subisce nel 1268, in quanto ghibellino, <strong>la</strong><br />
condanna all’esilio. Filippo, inserito nel<strong>la</strong> lista degli ufficiali incaricati di “consegnare le<br />
caval<strong>la</strong>te” per <strong>la</strong> battaglia di Montaperti, <strong>la</strong>scia le insegne guelfe sotto cui milita, perché<br />
anche lui di fazione ghibellina. Dopo <strong>la</strong> sconfitta dei guelfi a Montaperti, può tornare a<br />
Firenze ed il 22 novembre 1260 viene inserito tra gli ambasciatori inviati ai senesi per<br />
ratificare il trattato di pace precedentemente sottoscritto 5 . Iacopo fa parte del consiglio del<br />
1 Su Bernardo e Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri cfr. in DBI, <strong>la</strong> voce di F. Pignatti, vol. LIV, Roma, 2000,<br />
rispettivamente pp. 306-308 e 308-312. In partico<strong>la</strong>re sul matrimonio di Bernardo cfr. p. 306 e il Repertorio<br />
numerico del Poligrafo Gargani (d’ora in poi Poligrafo Gargani che si trova nel<strong>la</strong> Biblioteca nazionale di<br />
Firenze; d’ora in poi BNF) nel<strong>la</strong> carta Giamberti Gianfaldoni 948 (d’ora in poi Gianfaldoni), schede numerate<br />
sui Giambul<strong>la</strong>ri 161-216, <strong>la</strong> scheda n. 169 in cui leggiamo: “Bernardo di Gio. Giambul<strong>la</strong>ri rigattiere Lucrezia di<br />
Luigi di Salvi Stefani nel 1485 al<strong>la</strong> gab. D 136 carta 122” con rinvio al Cod. Magliabechiano 211, c<strong>la</strong>sse XXVI<br />
(in BNF) carta 167. Comunque, a quanto riferisce il poligrafo Luigi Passerini, nelle carte del<strong>la</strong> Collezione<br />
genealogica Passerini, Indice delle famiglie nobili (BNF) sul<strong>la</strong> famiglia Giambul<strong>la</strong>ri, d’ora in avanti,<br />
Giambul<strong>la</strong>ri, Passerini, cit., carta 158bis, il Giambul<strong>la</strong>ri aveva un fratello Giovanni di cui si menziona<br />
esclusivamente <strong>la</strong> notizia del<strong>la</strong> morte avvenuta nel 1529.<br />
2 Sul<strong>la</strong> configurazione dello stemma vedi Poligrafo Gargani, cit., nel<strong>la</strong> carta Giacomo Giandolini 947 (d’ora in<br />
poi Giandolini), schede numerate sui Giambul<strong>la</strong>ri 168-221, in partico<strong>la</strong>re nel<strong>la</strong> scheda n. 168 con rinvio al Cod.<br />
2023 Riccardiano carta 49 (che si trova nel<strong>la</strong> Biblioteca Riccardiana di Firenze; d’ora in poi BRF) e nel<strong>la</strong> carta<br />
Gianfaldoni, cit., <strong>la</strong> scheda n. 161 con rinvio al Priorista manoscritto (nell’Archivio delle corporazioni Religiose<br />
di Firenze) Cod. 202 di Vallombrosa carta 585.<br />
3 Cod. Riccardiano 2305, (BRF) l’elenco “Delle famiglie che andavano in Firenze per i sestieri, e che sole<br />
potevano havere in casa il supremo honore del conso<strong>la</strong>to nell’anno 1210” alle pp. 1-11, i “Giambul<strong>la</strong>ri” sono<br />
menzionati a p. 9. Ivi sul<strong>la</strong> non trascurabile rilevanza dell’inclusione tra le famiglie che possono accedere al<br />
conso<strong>la</strong>to e sull’importanza del<strong>la</strong> carica in questione cfr. il passo del compositore del manoscritto: “…il quale<br />
era Magistrato e dignità suprema sopra i Priori ed altri officij, e così dentro al<strong>la</strong> città come fuora per il suo<br />
dominio comandavano…”.<br />
4 In questo senso cfr. anche l’elenco, ivi contenuto, dei componenti del consiglio cittadino che stipu<strong>la</strong> <strong>la</strong> pace<br />
del 1256 a p. 63: “Gianni Ricevuti” e “Iacobus f. Gianni”.<br />
5 In proposito vedi Giambul<strong>la</strong>ri, Passerini, cit., <strong>la</strong> carta n. 158bis, cit., (riproposta anche in C. Va<strong>la</strong>cca, La vita e<br />
le opere di Messer Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri, <strong>prima</strong> parte 1495-1541, Bitonto, Tipografia editrice N. Garofalo,<br />
1898, insieme a L. Passerini-Illustrazione dell’”albero genealogico del<strong>la</strong> famiglia Giambul<strong>la</strong>ri”, carta n. 188 alle<br />
pp. 125-133). In proposito cfr. anche Il libro di Montaperti pubblicato ad opera di Cesare Paoli in Documenti di<br />
Storia Italiana, pubblicati a cura del<strong>la</strong> Regia deputazione di Storia patria per le provincie di Toscana,<br />
dell’Umbria, e delle Marche, tomo IX, in Firenze, presso G. P. Viesseux, coi tipi di M. Cellini e C. al<strong>la</strong><br />
3
comune nel 1255 ed il 2 agosto ratifica un trattato con i senesi. Al momento del<strong>la</strong> battaglia di<br />
Montaperti, è iscritto tra gli ufficiali incaricati di “ordinare le caval<strong>la</strong>te” ma non si hanno<br />
notizie sicure sul<strong>la</strong> sua partecipazione allo scontro. Comunque, ghibellino al pari degli altri tre<br />
fratelli, torna trionfalmente in città dopo <strong>la</strong> battaglia. Tuttavia, il predominio ghibellino a<br />
Firenze termina in corrispondenza delle sconfitte di Manfredi a Benevento nel 1266 e di<br />
Corradino a Tagliacozzo nel 1268 6 . I guelfi, infatti, tornano in città e mettono al bando i<br />
ghibellini, anche se Iacopo e il figlio Lippo nonostante il provvedimento punitivo per <strong>la</strong> loro<br />
fazione, continuano a dimorare in città 7 .<br />
Raggiunta tra guelfi e ghibellini <strong>la</strong> pacificazione nel 1280, Iacopo accede al<strong>la</strong> carica di<br />
console dell’arte del<strong>la</strong> seta nel 1289 e priore delle arti nel 1293 per un bimestre a partire dal<br />
15 dicembre. Anche un altro membro del<strong>la</strong> famiglia, il figlio di Iacopo: Lippo, ottiene <strong>la</strong><br />
prestigiosa carica di priore delle arti con dieci anni di anticipo rispetto al<strong>la</strong> nomina paterna, il<br />
15 febbraio 1282. Iacopo verrà anche eletto capitano di S. Michele nel 1296 morendo nel<br />
1305 8 . Nomine entrambe estremamente significative in quanto collocano due membri del<strong>la</strong><br />
famiglia al vertice del sistema delle arti che costituisce il meccanismo di selezione e scelta<br />
del<strong>la</strong> rappresentanza politica cittadina, dal<strong>la</strong> quale è escluso chi non è iscritto ad un’arte.<br />
Soprattutto rilevante è <strong>la</strong> nomina di Lippo, vista <strong>la</strong> designazione di soli tre priori per bimestre,<br />
eleggibili all’interno delle sole tre arti maggiori, di Calima<strong>la</strong>, dei Cambiatori e del<strong>la</strong> Lana 9 .<br />
Diversamente <strong>la</strong> nomina di Iacopo avviene nel periodo delle rifome istituzionali di Giano<br />
Del<strong>la</strong> Bel<strong>la</strong> 10 che persegue, d’intesa col popolo minuto una politica antimagnatizia, ed estende<br />
<strong>la</strong> possibilità di essere eletti al priorato ai membri di altre tre arti nel 1293 e, successivamente<br />
a tutte le minori 11 .<br />
galileiana, 1889, p. 295 dove leggiamo: “Giambol<strong>la</strong>ius f. Ricevuti, pro se et Philippo eius fratre, consignavit<br />
unum equum pili nigri, consignatum eisdem Giambol<strong>la</strong>io et Philippo ad equitandum.” Sull’orientamento<br />
ghibellino del<strong>la</strong> famiglia Giambul<strong>la</strong>ri cfr. anche S. Salvini, Fasti conso<strong>la</strong>ri dell’accademia fiorentina di Salvino<br />
Salvini. Consolo del<strong>la</strong> medesima e rettore generale dello studio di Firenze. All’altezza reale del serenissimo Gio.<br />
Gastone gran principe di Toscana, in Firenze, MDCCXVII, nel<strong>la</strong> Stamperia di S.A.R., p. 67.<br />
6 Ibidem.<br />
7 Al riguardo vedi nel Poligrafo Gargani <strong>la</strong> carta Giandolini, al<strong>la</strong> scheda n. 187 leggiamo “Fra i Ghibellini del<br />
Sesto di S. Pancratio che, quantunque sbanditi, potevano nel 1268 dimorare in città: Giambul<strong>la</strong>rius et Filippus<br />
de domo de Giambul<strong>la</strong>ri” con rinvio al Saggio di poesie edite e inedite di P. F. Giambul<strong>la</strong>ri, a cura di Domenico<br />
Moreni, nel<strong>la</strong> stamperia Magheri, Firenze, 1820, in partico<strong>la</strong>re cfr. p. 48. Inoltre conferma indiretta di questo<br />
fatto <strong>la</strong> ricaviamo anche dal Cod. Magliabechiano 395, c<strong>la</strong>sse XXV, volume del manoscritto Zibaldone istorico<br />
di Filippo Del Migliore che nelle prime 64 carte fornisce un’elenco dei Ghibellini espulsi da Firenze in seguito ai<br />
rovesci subiti nel 1268, nel quale non risultano i nomi di Iacopo e Filippo.<br />
8 Giambul<strong>la</strong>ri, Passerini, cit., sul<strong>la</strong> importanza del<strong>la</strong> carica di capitano del popolo rinviamo a A. D’Addario,<br />
Alle origini dello Stato moderno in Italia. Il caso toscano, a cura di P. Simoncelli, Firenze, Le Lettere, 1998, in<br />
partico<strong>la</strong>re cfr. p. 34 e sulle nomine al priorato delle arti di Iacopo e Lippo di S. Pancrazio, cfr. anche il Segaloni,<br />
Priorista, tomo I, Cod. 2023 Riccardiano, cit., carta 49; inoltre nel Poligrafo Gargani nel<strong>la</strong> carta Gianfaldoni,<br />
cit., al<strong>la</strong> scheda 181 è registrata l’assunzione di Iacopo al<strong>la</strong> carica di sindaco di S. Michele insieme al figlio di<br />
Lippo: “Bindus q. Lippi Giambol<strong>la</strong>rii et Jacobus Giambul<strong>la</strong>rius q. Ricevuti pop. S. Mich. Ughi- sindici l’anno<br />
1297” secondo <strong>la</strong> carta 30 del libro G delle Provvisioni di Firenze con rinvio al Cod. 2305 Riccard., cit., carta<br />
173. Inoltre sulle due elezioni a priori delle arti di Iacopo e Lippo vedi il Priorista delle famiglie fiorentine,<br />
codice manoscritto n. 415 del<strong>la</strong> Biblioteca Corsiniana (Accademia dei Lincei), Roma, in partico<strong>la</strong>re p. 45.<br />
9 In proposito rinviamo a G. Gandi, Le corporazioni dell’Antica Firenze. Prefazione dell’on. Ferruccio Lantini<br />
presidente del<strong>la</strong> confederazione naz. Fascista dei commercianti con gli stemmi delle arti e numerose<br />
illustrazioni di Firenze scomparsa, edito a cura del<strong>la</strong> confed. Naz. Fascista dei commercianti, 1928, in<br />
partico<strong>la</strong>re pp. 13-15; inoltre sulle arti rinviamo anche a R. Davidsohn, Storia di Firenze, 1956-1965, Firenze,<br />
Sansoni, VIII voll., (traduzione di Geschichte von Florenz di Eugenio Dupré Thiesaider) n partico<strong>la</strong>re vol. IV, I<br />
primordi del<strong>la</strong> civiltà fiorentina, parte II. Industria, arti, commercio e finanze, pp. 221-347.<br />
10 Sul quale cfr. <strong>la</strong> voce redatta di G. Pinto in DBI, vol. XXXVI, Roma 1988, pp. 680-686.<br />
11 Vedi G. Gandi, Le corporazioni dell’antica Firenze, cit., pp. 15-18, inoltre cfr. nel<strong>la</strong> voce di G. Pinto, cit., pp.<br />
683-685.<br />
4
Ulteriore testimonianza di poco successiva del<strong>la</strong> importante posizione del<strong>la</strong> famiglia è<br />
costituita dall’iscrizione in veste di matricole dell’arte maggiore di Calima<strong>la</strong> di due figli di<br />
Lippo, Iacopo e Bernardo nel 1306 12 .<br />
Tuttavia, appena qualche anno dopo, <strong>la</strong> discesa in Italia di Arrigo VII nel 1310 provoca<br />
l’inizio del<strong>la</strong> parabo<strong>la</strong> discendente del<strong>la</strong> famiglia. Nonostante i danni subiti dal<strong>la</strong> casa di<br />
commercio posseduta da un altro figlio di Lippo: Lapo, ad Asti, per l’assedio posto al<strong>la</strong> città<br />
dall’imperatore, i Giambul<strong>la</strong>ri, esclusi dalle magistrature cittadine dal<strong>la</strong> riforma istituzionale<br />
compiuta da Baldo D’Aguglione nel 1311 a causa del loro antico ghibellinismo 13 , si schierano<br />
apertamente dal<strong>la</strong> parte di Arrigo VII 14 . L’infruttuoso assedio posto dall’imperatore a Firenze,<br />
determina <strong>la</strong> condanna all’esilio di molti membri del<strong>la</strong> famiglia e <strong>la</strong> confisca di tutti i suoi<br />
beni 15 . Al<strong>la</strong> perdita del prestigio e dell’onore cittadino, pertanto, si affianca il deperimento<br />
delle condizioni materiali del<strong>la</strong> famiglia di Pier<strong>francesco</strong>. I Giambul<strong>la</strong>ri, ancora benestanti nel<br />
1364 secondo il testamento redatto da Manfredi (figlio di Domenico, proprietario di banche e<br />
case a Rimini e a Forlì 16 , coniugato con Costanza di Filippo di Lando Ricevuto morto nel<br />
1372) 17 perderanno <strong>la</strong> loro ricchezza pochi anni dopo. La sorel<strong>la</strong> di Manfredi, Diana 18 morta<br />
12 Bernardo viene indicato tra i figli di Lippo insieme a Domenico in Poligrafo Gargani, cit., nel<strong>la</strong> carta n. 948<br />
Giamberti Gianfaldoni (d’ora in poi Gianfaldoni) al<strong>la</strong> scheda 170 in cui leggiamo: “8 gennaio 1316 Pagamenti<br />
fatti da Bernardo e Domenico fratelli e figli del fu (o suddetto) Lippo Giambul<strong>la</strong>ri ec. Rog. Bonaventura del fu<br />
monaco nota” con rinvio all’Archivio Diplomatico fiorentino, foglio delle carte di S. Spirito. Ivi, inoltre nelle<br />
schede 168 e 169 apprendiamo che Bernardo muore il 21 marzo 1362, con rinvio rispettivamente al Necrologio<br />
di S. Maria Novel<strong>la</strong>, alle Delizie degli eruditi toscani, IX, carta 137 e al<strong>la</strong> carta 26 del Sepoltuario di S. Maria<br />
Novel<strong>la</strong> e al Sepoltuario del Rosselli (in BNF). Inoltre sui due fratelli, in partico<strong>la</strong>re Bernardo cfr. anche il Cod.<br />
412 Magliabechiano, c<strong>la</strong>sse XXV, carta 15, Ferdinando Leopoldo del Migliore, Zibaldone Istorico : “Dom. et<br />
Bernardus. Johannis Bernardi de Giambul<strong>la</strong>rius pop. S. Michaelis, Bertelde testes”. Sul<strong>la</strong> preminenza all’interno<br />
del sistema delle arti di quel<strong>la</strong> di Callima<strong>la</strong> e sul suo funzionamento vedi R. Davidsohn, Storia di Firenze, cit.,<br />
pp. 251-266.<br />
Ivi, però nel<strong>la</strong> carta Gianfaldoni, cit., nel<strong>la</strong> scheda 191 si fa riferimento al<strong>la</strong> nomina di Bernardo e dell’altro suo<br />
fratello Iacopo, altro suo fratello, a matricole dell’arte di Callima<strong>la</strong> 11 marzo 1306. Leggiamo infatti: “Jacopus et<br />
Bernardus fratres et filiis q. Lippi Giambul<strong>la</strong>rii recepti sunt ad dictam artem et iuraverunt pro se ipsis et eorum<br />
filiis et descentibus et solverant”. Inoltre in A. Sapori, Una compagnia di Callima<strong>la</strong> ai primi del Trecento,<br />
Firenze, Olschki, 1932, abbiamo notizia dell’attività per conto del<strong>la</strong> compagnia di Bernardo e di Domenico<br />
(presumibilmente anche lui pertanto membro dell’arte) che affittano una cel<strong>la</strong> per vendere del vino nel 1320 p.<br />
198 e ancora sull’attività di Bernardo che con Tano Chiarissimi e compagni nel 1323 acquista dei panni alle pp.<br />
238 e 303.<br />
13 Ivi nel<strong>la</strong> carta Giandolini, cit., <strong>la</strong> scheda n. 171 in cui leggiamo “De domo de Giambol<strong>la</strong>ri et mingardonibus<br />
ghibellini del Sesto di S. Pancrazio nel 1268 eccettuati dal<strong>la</strong> riforma di M. Baldo D’Aguglione” (<strong>la</strong> riforma è<br />
evidentemente quel<strong>la</strong> del 1310 non del 1268). Informazione tratta dal Cod. 395 Magliabechiano, cit., c. 71 in cui<br />
troviamo l’elenco dei ghibellini colpiti dal<strong>la</strong> riforma d’Aguglione che fanno parte del popolo di S. Pancrazio. In<br />
proposito inoltre cfr. V. Borghini, Storia del<strong>la</strong> nobiltà fiorentina. Discorsi inediti o rari, a cura di J. R.<br />
Woodhouse, Pisa, Edizione Marlin, 1974, p. 236 che cita per il sesto di S. Pancrazio i “Giambu<strong>la</strong>ri e i<br />
Migardoni” tra gli “eccettuati Ghibellini e Bianchi 1311”.<br />
14 Sul quale cfr. <strong>la</strong> voce Enrico VII di Ovidio Capitani in Enciclopedia dantesca, Istituto del<strong>la</strong> Enciclopedia<br />
Italiana Treccani, Roma, 1970, V voll., ivi vol. II, pp. 682-688, in partico<strong>la</strong>re sul<strong>la</strong> sua discesa in Italia e sul<br />
finale fallimento dell’assedio posto a Firenze, pp. 682-684.<br />
15 Cfr. sulle due cacciate dei Giambul<strong>la</strong>ri in quanto ghibellini anche C. Lenzoni, Difesa del<strong>la</strong> lingua e di Dante,<br />
Firenze, Torrentino, 1556, p. 67 in cui leggiamo: “Come i ghibellini i Giambul<strong>la</strong>ri furono due volte cacciati e<br />
fatti ribelli e li furono arse e disfatte le case e le possessioni.” Inoltre, cfr. Giambul<strong>la</strong>ri, Passerini, cit., a<br />
proposito del danno economico arrecato al<strong>la</strong> florida casa di commercio di Asti posseduta da uno dei figli di<br />
Lippo, Lapo, dall’assedio posto a quel<strong>la</strong> città da Arrigo VII durante <strong>la</strong> sua discesa in Italia.<br />
16 La sua florida condizione economica è documentata anche nel<strong>la</strong> carta Gianfaldoni, cit., al<strong>la</strong> scheda 187 in cui<br />
leggiamo: “Manfredo del fu Domenico Giambol<strong>la</strong>ri del popolo di S. Maria Ughi, 31 maggio 1364, compratore”<br />
con rinvio all’Archivio Diplomatico fiorentino, spoglio delle carte di S. Maria Novel<strong>la</strong>. Domenico figlio di<br />
Lippo e di Bice (al riguardo Passerini,cit., carta 188) del quale nelle carte Giamberti-Gianfaldoni, cit., carta 179<br />
leggiamo “Dominicum Lippi Giambol<strong>la</strong>ri populi S. Mariae Ugonis- 4 marzo 1328 in iscrittura con rinvio a<br />
Iacopo Corbinelli, I<strong>storia</strong> de’ Gondi, parte II, p. XC. Inoltre, Passerini, cit., carta 188 individua <strong>la</strong> data del<strong>la</strong> sua<br />
morte nell’11 aprile 1358.<br />
17 Ivi, al<strong>la</strong> scheda 186 viene confermata <strong>la</strong> data del<strong>la</strong> sua morte. Viene riportata <strong>la</strong> scritta apposta sul suo<br />
sepolcro in S. Maria Novel<strong>la</strong> che dice: “Hoc est sepulcrum Manfredis Dominici de Giambul<strong>la</strong>ribus et suos. Qui<br />
obiit anno 1372…” in V. Rosselli, Sepoltuario, vol. II, p. 641, carta 48. Cfr. anche in proposito il Cod.<br />
5
nel 1377, sposa di Iacopo di Strozza Strozzi 19 , infatti, designerà il convento domenicano di S.<br />
Maria Novel<strong>la</strong>, erede del patrimonio familiare ricevendo, in segno di gratitudine, il privilegio<br />
per il capofamiglia di sedere al<strong>la</strong> mensa dei religiosi del convento “nel giorno dell’Ottava di<br />
San Tommaso d’Aquino”. Queste reciproche concessioni avrebbero sancito <strong>la</strong> fine del<br />
contrasto che da tempo divideva i domenicani di S. Maria Novel<strong>la</strong> e Diana a proposito di suo<br />
figlio Alessio. Questi, infatti, vestendo l’abito domenicano in età eccessivamente precoce,<br />
aveva suscitato il sospetto materno che <strong>la</strong> sua risoluzione fosse stata prodotta dalle pressioni<br />
dei conventuali interessati al<strong>la</strong> ricchezza del giovane fanciullo. Diana, pertanto, aveva fatto<br />
ritirare Alessio dal chiostro anche se poi quest’ultimo vi era tornato improntando <strong>la</strong> sua<br />
condotta a criteri esemp<strong>la</strong>ri, a dimostrazione del<strong>la</strong> coerente e sentita vocazione 20 . Al riguardo<br />
testimonia del lungo contenzioso sorto tra Diana ed i frati del convento <strong>la</strong> donazione al<strong>la</strong><br />
madre di Alessio che ne affida <strong>la</strong> procura ad alcuni frati di S. Maria Novel<strong>la</strong> suscitando così <strong>la</strong><br />
reazione di Diana che ottiene un lodo a suo favore contro ogni ingerenza esterna nell’uso dei<br />
suoi beni a pena di sanzioni pecuniarie:<br />
“1367, 19 Luglio…Donazione tra vivi di tutte le suppellettili, arnesi, masserizie, panni<strong>la</strong>ni,<br />
…e generalmente tutta <strong>la</strong> mobilia di qualunque spezie esistente nel<strong>la</strong> città di Firenze, del<br />
contado fatta da fra Alesssio del fu Iacopo di Strozza degli Strozzi Domenicano nel convento<br />
di S. Maria Novel<strong>la</strong> a donna Diana del fu Domenico Giambol<strong>la</strong>ri vedova di d. Iacopo sua<br />
madre. Fatta in d. convento Rogato Niccolò del fu Ugolino Jacopi… È riportato in seguito il<br />
mandato di procura del 3 maggio 1365 fatto da fra Giovanni di N: Giachinotti Priore e dai<br />
fratelli del Convento adunati capito<strong>la</strong>rmene in fra Iacopo…nei frati Uberto di Donato,<br />
Antonio di Navi, Miniato di Lapo, Antonio dimona, Stefano …ed in fra Iacopo Borghi.<br />
Magliabechiano 391, c<strong>la</strong>sse XXV, (che corrisponde al vol. I dello Zibaldone istorico, cit.,) al<strong>la</strong> sezione delle<br />
carte 271-375 “Mortuario antico di S. M. Novel<strong>la</strong> di Firenze del ordine de Predicatori o libro antico de Morti di<br />
S. M. Novel<strong>la</strong>”, in partico<strong>la</strong>re carta 278: “Ianuarius 1372 Manfredi Dominici de Giambul<strong>la</strong>ris di S. Michelis<br />
Ugonis cum habitu ordinis”. Inoltre, a proposito del<strong>la</strong> notizia del matrimonio con Costanza che morirà solo molti<br />
anni dopo il marito il 29 ottobre 1397, rinviamo all’albero genealogico nel<strong>la</strong> carta Passerini, cit., n. 188.<br />
18 In proposito cfr. Poligrafo Gargani, cit., nel<strong>la</strong> carta Giandolini, cit., al<strong>la</strong> scheda n. 183 in cui vengono<br />
menzionati quali figli di Domenico: Bernardo (del quale a proposito del figlio Angelo nel<strong>la</strong> carta Gianfaldoni,<br />
cit., scheda n. 164 apprendiamo: “Angelus q. Bernardi de Giambo<strong>la</strong>rijs S. M. Ugonis Telda q. D. Foresis de<br />
Falconerijs- nel 1359 in gab. E II carta 102…”), Francesco e Leonardo con rinvio a Manni Domenico,<br />
Zibaldone, manoscritto. Ivi, riguardo a Francesco rileviamo che ha due figlie Vittoria e Leonarda. Leggiamo<br />
infatti nel<strong>la</strong> scheda n. 180: “Vettoria di Franc: Dom. de Giambol<strong>la</strong>rij nel 1385 al<strong>la</strong> gab. col marito” che rinvia a<br />
V. Pani, Bartolomeo di Beltramo, p. 181, (in proposito cfr. anche Passerini, cit.,) e nel<strong>la</strong> scheda n. 181:<br />
“Leonarda di Francisci Dom. de Giambol<strong>la</strong>ribus- Nel 1392 al<strong>la</strong> gab,(el<strong>la</strong>) col marito, con rinvio a V. Pani,<br />
Nepo di M. Geri, p. 182. Inoltre, ivi riguardo al<strong>la</strong> sua morte nel<strong>la</strong> scheda n. 188 viene riportata l’iscrizione<br />
apposta sul<strong>la</strong> tomba di famiglia in S. Maria Novel<strong>la</strong> che ci informa dell’anno del<strong>la</strong> sua morte: “Hoc est<br />
sepulchrem Manfredij dominici de Giambul<strong>la</strong>ribus et sui. Qui obiit anno Dom. MCCCLXXII de Mense Decemb..<br />
”. Notizie pienamente confermate in Passerini, 165bis, dove l’elenco dei fratelli di “Francesco detto Riccio”<br />
conferma il matrimonio di Leonarda con “Leonardo di M. Niccolò ….1392 nipote di M. Geri dei Pazzi” e<br />
Vittoria “1385 Bartolomeo di Beltramo dei Pazzi” e comprende anche “Tommaso morto il 25 agosto 1382;<br />
Anastasia monaca in S. Giuliano[…]; Tita sposa di Amerigo dei Medici; Antonio morto il 7 luglio 1383” Oltre<br />
ivi naturalmente al già citato elenco dei fratelli di Manfredi di ben otto componenti.<br />
19 A proposito del matrimonio di Diana cfr. il Cod. Magliabechiano 132, c<strong>la</strong>sse XXVI, Ex libris Gabelle<br />
Contractorum vol. V dello Zibaldone, cit., nell’elenco c24, carta 157: “Diana uxor di Iacopo di Strozza degli<br />
Strozzi filia di Dom. De Giambul<strong>la</strong>ribus”. Inoltre dal Cod. Magliabechiano 299, c<strong>la</strong>sse XXXVII, Da diversi<br />
libri…dell’Atti (o arte) de Giudici e <strong>storia</strong> del<strong>la</strong> città di Firenze, dall’elenco degli atti compiuti entro l’11 marzo<br />
1359 nel<strong>la</strong> carta 128 apprendiamo che recettori del<strong>la</strong> dote di Diana sono tre dei suoi fratelli: Manfredi, Zanobi<br />
(sul quale vedi in Giamberti-Gianfaldoni, cit., carta 216: “Zanobi del fu Domenico Giambol<strong>la</strong>ri del popolo di S.<br />
Donato de’ Vecchi- 9 maggio 1361 venditore” con rinvio all’Archivio Diplomatico fiorentino: spoglio delle carte<br />
di S. Maria Novel<strong>la</strong>) e Bernardo.<br />
20 In proposito oltre a Giambul<strong>la</strong>ri, Passerini, cit.. dove inoltre viene specificato che lo stesso Pier<strong>francesco</strong><br />
esercita il privilegio concesso dai domenicani a Diana, quale capofamiglia e ultimo discendente dei Giambul<strong>la</strong>ri<br />
che si estinguono con <strong>la</strong> sua morte, (per <strong>la</strong> frase virgolettata e per <strong>la</strong> conclusione del<strong>la</strong> vicenda in questione<br />
rinviamo a F. Salvini, Fasti conso<strong>la</strong>ri, cit., in partico<strong>la</strong>re p. 70). Sull’estinzione dei Giambul<strong>la</strong>ri cfr. anche<br />
Poligrafo Gargani, cit., nel<strong>la</strong> carta Giandolini, cit., al<strong>la</strong> scheda 194.<br />
6
converso per compromettere qualunque lite fatto e non come il precedente segue dipoi il<br />
compromesso fatto nel dì 23 del 1367 del<strong>la</strong> predominata donna Diana autorizzata da Piero di<br />
Noto Michi del popolo di S. Pancrazio che…dal d. fra Iacopo del fu Borgo converso come<br />
procuratore di d. convento dall’altra parte in Francesco del fu Giunta di Borgo e chiamino lì<br />
Bagno Vetajolo del popolo di S. Maria Novel<strong>la</strong>, i quali col loro lodo del 28 se confermarono<br />
<strong>la</strong> donazione precedente: et condannarano i frati a pagare al<strong>la</strong> d. donna Diana fiorini 50<br />
ogni volta che i beni mobili donatile venissero evitti, ed ogni volta che i detti rati <strong>la</strong><br />
inquietassero nel possesso, o nell’uso o dei mobili medesimi. Fatto e rogato come i<br />
precedenti” 21<br />
Lo stemperamento delle precedenti tensioni si evince chiaramente dai successivi atti<br />
patrimoniali di Diana in primo luogo <strong>la</strong> donazione prevista nel ’73, fatto salvo l’usufrutto in<br />
re<strong>la</strong>zione al<strong>la</strong> sua morte:<br />
“1373 19 ottobre. Donna Diana del fu Domenico di Lippo Giambul<strong>la</strong>ri vedova di Iacopo di<br />
Strozza degli Strozzi del popolo di S. Maria Ughi autorizzata da[…] di Ridolfo da Prato<br />
Rettore del<strong>la</strong> Chiesa di S: M. Ughi suo…dono tra vivi a frate Alessio …suo figlio e di d. fu<br />
Iacopo tre di quattro parti per indiviso di un podere con torre, casa, nel popolo di S. Giorgio<br />
a calonica e di quattro pezzi di terra in d. popolo di d. calonica, riservatogli l’usufrutto sua<br />
vita natural durante, col patto che esso con quattro frati dei più vecchi sia obbligato dopo <strong>la</strong><br />
di lei morte distribuire il possesso dei d. beni ai poveri ed ai luoghi pii dentro l’anno, e<br />
mancando possa eseguire tal distribuzione il Priore degli Spedali di S. M. Nuova e de<br />
Pinzocheri del …ordine di S. Francesco, ed il priore di S: M. degli Angeli dentro il semestre<br />
dopo il detto anno, a non eseguendo tal distribuzione, sostituì nei detti beni gli Spedali di S.<br />
Gallo, di S. Maria del<strong>la</strong> Sca<strong>la</strong>, e di S. Maria Nuova” 22<br />
e soprattutto il testamento del ’77:<br />
“1377, 21 luglio. Testamento nuncupativo di donna Diana del fu Domenico di Lippo<br />
Giambul<strong>la</strong>ri vedova di Iacopo di Strozza Strozzi del popolo di S. Maria Ughi pel quale <strong>la</strong>sciò<br />
a frate Alessio di S. M. Novel<strong>la</strong> suo figlio sua vita natural durante l’usufrutto di un podere<br />
con casa nel popolo di S. Stefano …e dopo <strong>la</strong> di lei morte <strong>la</strong>sciò <strong>la</strong> proprietà a Manfredo,<br />
Francesco, Bernardo e Lionardo suoi fratelli germani e ai loro figli e discendenti per linea<br />
mascolina l’uno all’altro sostituendo per stirpi e non per capi coll’obbligo di pagare<br />
annualmente a suor Anastasia figlio<strong>la</strong> del detto Francesco vocato Riccio monaca nel<br />
Monastero di S. Giuliano a Monc(t)ajone fiorini 6 d’oro, fiorini 4 ai frati di S. M. Novel<strong>la</strong> per<br />
una pietanza nel giorno di S. Michele di Settembre, ed istituì erede universale il d. frate<br />
Alessio. Fatto in Fir. Rogato Michele del fu Aldobrando degli Albizzi di Fir. Giudice e<br />
notaio.” 23<br />
Confermato ancora da un altro documento:<br />
“1377, 17 settembre…Addizione del<strong>la</strong> eredità di Iacopo di Strozza Strozzi , e di donna<br />
Diana vedova del d. e medesima figlia del fu Domenico Giambol<strong>la</strong>ri, Genitori di frate<br />
Alessio, fatta da fra Iacopo di M. Tommaso Altoviti Priore e dai frati del Convento di S.<br />
Maria Novel<strong>la</strong> adunati capito<strong>la</strong>rmente, e mandato di procura in …Fra Angiolo Adimari, frate<br />
Alessio sud., frate Zanobi di maestro Francesco e fra Giovanni di…tutti di Firenze per<br />
21 Archivio di Stato di Firenze (d’ora in poi ASF), Archivio Diplomatico fiorentino, spoglio di S. Maria<br />
Novel<strong>la</strong>, carta 186.<br />
22 Ivi, carta 195.<br />
23 Ivi, carta 202.<br />
7
compi<strong>la</strong>re l’inventario dei Beni, allogarli, venderli, fatto in detto convento. Rog. Giustino del<br />
fu Giusto […]” 24<br />
Si pongono in questo modo le basi di un costante e duraturo legame con i domenicani di S.<br />
Maria Novel<strong>la</strong> testimoniato ad esempio dall’ingresso tra i domenicani di un altro membro<br />
del<strong>la</strong> famiglia Giambul<strong>la</strong>ri: Francesco 25 .<br />
Leonardo, altro fratello di Manfredi 26 finirà nel 1383 in prigione per debiti 27 e soltanto suo<br />
nipote e padre di Bernardo, l’orafo Piero 28 , reintegrerà il cognome dei Giambul<strong>la</strong>ri nei<br />
pubblici registri del<strong>la</strong> tassazione 29 . Anche l’orazione funebre preparata e letta in onore di<br />
Pier<strong>francesco</strong> da Cosimo Bartoli 30 suo amico, e membro come lui dell'Accademia fiorentina 31 ,<br />
si sofferma sul<strong>la</strong> celebre tradizione dei Giambul<strong>la</strong>ri:<br />
“La nobiltà del<strong>la</strong> casa dei Giambul<strong>la</strong>ri <strong>la</strong>rgamente in più e più luoghi delle historie nostre<br />
si legge; ma partico<strong>la</strong>rmente nel 1216, dopo il caso di messer Buondelmonte Buondelmonti<br />
questa famiglia, <strong>la</strong> quale aveva le case sue nel Sesto di S. Pancratio, presso a S. Maria Ughi<br />
era delle più potenti e nobili famiglie, che allora si ritrovassero al governo del<strong>la</strong> nostra<br />
Repubblica, e et se bene non abbiamo memoria di alcuno partico<strong>la</strong>re cittadino di essa, non ci<br />
debbe parere gran fatto, perciò che gli scrittori di quei tempi, come Ricordano Malespini, et<br />
alcuni altri senza nome, usavano più tosto nominare tutte le famiglie in generale, che alcuni<br />
di loro in partico<strong>la</strong>re, se non in qualche caso che fosse importato grandemente a tutta <strong>la</strong> città,<br />
bastici che nelle cose de Guelfi e Ghibellini, infra le famiglie che aderivano agli Imperatori,<br />
<strong>la</strong> famiglia de Gaimbul<strong>la</strong>ri non fu in fra le minime, ma in fra le più potentie principali…” 32 .<br />
24 Ivi, carta 203.<br />
25 Passerini, cit., 158bis, in cui leggiamo: “Francesco n. 1408 domenicano di S. Maria Novel<strong>la</strong> col nome di Fra<br />
Giovanni” figlio di Pietro l’orafo, certo in questo caso <strong>la</strong> vocazione religiosa potrebbe essere stata influenzata<br />
anche dalle ormai pessime condizioni economiche in cui versava <strong>la</strong> famiglia in proposito vedi di seguito.<br />
26 Al riguardo vedi supra <strong>la</strong> <strong>prima</strong> parte del<strong>la</strong> nota n. 19.<br />
27 In proposito, cfr. Poligrafo Gargani, cit., nel<strong>la</strong> carta Giandolini, cit., al<strong>la</strong> scheda 189 che offre conferma del<br />
successivo arresto, dicendo: “Lionardo di Domenico Giambol<strong>la</strong>ri- per gonf. Leon bianco nel 1382 debitore delle<br />
Prestanze” con rinvio all’Archivio delle Decime. Specchio de’ debitori delle Prestanze del 1382 carta 231. A<br />
proposito del<strong>la</strong> condizione economica di Leonardo nel 1382, ivi, ricaviamo un’altra notazione nel<strong>la</strong> scheda 190:<br />
“Leonardus vocatus Passamonte q. Dom. de Giambul<strong>la</strong>rius di Paolo figlio, erede- l’anno 1382 in gab. E 34<br />
carta 252” con rinvio al Cod. Magliabechiano 132, c<strong>la</strong>sse XXVI, carta 210 (in BNF). Inoltre, nel Passerini, cit.,<br />
carta 158bis ipotizza <strong>la</strong> motivazione del soprannome affibiato a Leonardo di Passamonte : “gli fu posto il<br />
soprannome di Passamonte, forse per avere passato gran parte del<strong>la</strong> vita mercanteggiando in straniere<br />
regioni.”<br />
28 Piero figlio dell’orafo Giovanni, sposato con Lisa di Simone di Cino Legnaiolo, da cui Piero sarebbe nato nel<br />
1406 e vissuto fino al 1457. Anche Giovanni viene sepolto in S. Maria Novel<strong>la</strong>; al riguardo cfr. Poligrafo<br />
Gargani, cit., nel<strong>la</strong> carta Giandolini, cit., al<strong>la</strong> scheda n. 182 in cui leggiamo: “Giovanni di Bernardo Giambol<strong>la</strong>ri<br />
popolo S. Lorenzo nel Carpaccio r. in S. Maria Novel<strong>la</strong> 31 Agosto 1430 “ con rinvio al Necrologio fiorentino del<br />
1424-1430 in ASF.<br />
29 Ibidem.<br />
30 Su Cosimo Bartoli oltre al<strong>la</strong> re<strong>la</strong>tiva voce di N. De B<strong>la</strong>si in DBI, vol. VI, Roma, 1964, pp. 561-563, cfr.<br />
soprattutto J.Bryce, Cosimo Bartoli (1503-1572). The Career of a Florentine Polymath, Genève, 1983.<br />
31 Ivi, a proposito del genere delle orazioni funebri degli accademici in generale e di quelle pronunciate dal<br />
Bartoli in partico<strong>la</strong>re, cfr. pp. 237-239.<br />
32 Orazione di Cosimo Bartoli, gentil'huomo et accademico fiorentino. Recitata pubblicamente nel<strong>la</strong><br />
Accademia fiorentina nelle esequie di Messer Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri, in P. Giambul<strong>la</strong>ri, Hi<strong>storia</strong><br />
dell'Europa, Venezia, 1566, a cura di C. Bartoli, appresso Francesco de Franceschi senese, pp. 161-166, passo<br />
cit. a p. 162. Sull’origine del<strong>la</strong> divisione tra Guelfi e Ghibellini rinviamo a R. Davidsohn, Storia di Firenze, cit.,<br />
vol. II, parte I, 1956 in partico<strong>la</strong>re pp. 61-66; cfr. anche Istorie fiorentine di Scipione Ammirato. Parte <strong>prima</strong> con<br />
l’aggiunte di Scipione Ammirato il giovane contrassegnate in carattere in corsivo, Firenze, per L. Marchini e G.<br />
Becherini, MDCCCXXIV-MDCCCXXVII, XI tomi, in partico<strong>la</strong>re, tomo I, libro I, pp. 173-175; N. Machiavelli,<br />
Istorie fiorentine, in Opere di Niccolò Machiavelli, a cura di S. Bertelli, XI voll., Mi<strong>la</strong>no, Giovanni Salerno,<br />
1979, in partico<strong>la</strong>re III vol. pp. 106-108.<br />
8
Nondimeno, l’accademico sottolinea il sopraggiunto disagio economico del<strong>la</strong> famiglia 33<br />
causato dai “travagli del<strong>la</strong> città nostra” 34 . Al tempo di Bernardo e Francesco, il casato ormai<br />
definitivamente impoverito sotto il profilo economico, si trova in un contesto fiorentino<br />
formalmente ancora repubblicano e sostanzialmente caratterizzato dal<strong>la</strong> signoria medicea<br />
interrotta, solo nel 1494-1512, dal<strong>la</strong> costituzione del<strong>la</strong> repubblica savonaroliano-soderiniana 35 .<br />
Bernardo figlio di Piero ed ultimo di sette fratelli 36 , notaio delle dogane dal 1516 37 e<br />
compositore di rime sacre e profane 38 , è strettamente legato all'ambiente mediceo. Apprezzato<br />
da Leone X, è anche in rapporti di profonda amicizia “quasi…stretta fratel<strong>la</strong>nza” con il duca<br />
Giuliano de' Medici 39 .<br />
Pier<strong>francesco</strong> vive all'interno del contesto mediceo <strong>la</strong> sua fanciullezza e vi matura <strong>la</strong> sua<br />
propensione agli studi letterari e linguistici. Bernardo, che voleva che Pier<strong>francesco</strong> divenisse<br />
mercante, aval<strong>la</strong> proprio su consiglio di Giuliano de’ Medici, <strong>la</strong> pulsione del figlio per gli<br />
studi letterari e per <strong>la</strong> poesia 40 .<br />
Del resto, l’ambiente mediceo, strutturatosi sul<strong>la</strong> falsariga di una vera e propria corte,<br />
costituisce il contesto ideale per supportare con i mezzi necessari e gli adeguati<br />
riconoscimenti <strong>la</strong> scelta di Pier<strong>francesco</strong>. Egli, infatti, svolge presso Alfonsina de’ Medici,<br />
vedova di Piero, dal 1511 al 1520, l'incarico di segretario 41 . Tuttavia, sia il fatto che<br />
Pier<strong>francesco</strong> non venga utilizzato in una commissione importante diversamente da altri<br />
segretari dei Medici, sia il poco tempo effettivamente trascorso a Firenze da Alfonsina che in<br />
questi anni si trova frequentemente a Roma per ottenere garanzie alle ambizioni del figlio,<br />
evidenziano <strong>la</strong> valenza in gran parte solo onorifica del suo incarico 42 . Nel frattempo, grazie<br />
all'interessamento di Alfonsina, Pier<strong>francesco</strong> ottiene nel 1515 il beneficio ecclesiastico di<br />
100 scudi collegato al rettorato del<strong>la</strong> chiesa di Careggi, e <strong>la</strong> rendita di 200 scudi l'anno<br />
connessa al<strong>la</strong> cappel<strong>la</strong> di S. Maria di Libbiano a Volterra proveniente dal ricavato delle cave<br />
di vetriolo e per concessione di Leone X una pensione in Spagna 43 di 300 scudi 44 , nonché i<br />
33 In questo senso non va trascurato che <strong>la</strong> famiglia Giambul<strong>la</strong>ri nel 1520 vive in una casa in via S. Gallo presso<br />
<strong>la</strong> chiesa di S. Basilio, di cui non è proprietaria e <strong>la</strong> cui disponibilità le viene attribuita nel 1519 dal capitolo di S.<br />
Lorenzo. Cfr. in proposito C. Va<strong>la</strong>cca, La vita e le opere, cit., pp. 9-11.<br />
34 Ibidem.<br />
35 Cfr. R. Albertini, Firenze dal<strong>la</strong> repubblica al principato. Storia e coscienza politica, Torino, Einaudi, 1995<br />
(ristampa del 1970), in partico<strong>la</strong>re pp. 3-44. Vedi inoltre A. D’Addario, Alle origini dello Stato moderno in<br />
Italia, cit., in partico<strong>la</strong>re cfr. pp. 29-112.<br />
36 Passerini, cit., carta 188 in cui troviamo con il nome di Bernardo <strong>la</strong> seguente lista di fratelli: “Francesco n.<br />
1441; Giro<strong>la</strong>mo n. 1450, Lessandra 1456-1472, sposa di Bartollomeo di Carlo Bongiovanni; Marietta n. 1453;<br />
Lisabetta n. 1464, sposa di Mico di Forese di Matteo del Forese; Manfredi n. 1456.”<br />
37 C. Va<strong>la</strong>cca, La vita e le opere, cit., p. 9.<br />
38 Riguardo ai <strong>la</strong>vori poetici e alle edizioni dei <strong>la</strong>vori poetici di Bernardo Giambul<strong>la</strong>ri cfr. Saggio di poesie edite<br />
e inedite di Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri, cit., in partico<strong>la</strong>re pp. 46-47 cfr. anche Letteratura italiana. Gli autori.<br />
Dizionario bio-bibliografico e indici, vol. I, A-G, p. 887 e <strong>la</strong> voce di F. Pignatti, Bernardo Giambul<strong>la</strong>ri, cit., pp.<br />
306-308.<br />
39 Sui legami tra Bernardo e l'ambiente mediceo cfr. anche C. Bartoli, Orazione, cit., p. 162.<br />
40 Oltre al già citato C. Bartoli, Orazione, cit., p. 162, in proposito cfr. P. F. Giambul<strong>la</strong>ri, Storia d’Europa, a<br />
cura di G. Marangoni, Mi<strong>la</strong>no, Val<strong>la</strong>rdi, 1910, <strong>la</strong> Prefazione di G. Marangoni, pp. V-LVII, in partico<strong>la</strong>re p. V.<br />
41 Ivi, sui rapporti tra Pier<strong>francesco</strong> e i Medici vedi pp. 162-163, inoltre cfr. anche <strong>la</strong> lettera dedicatoria scritta<br />
da Cosimo Bartoli a Cosimo I contenuta nel<strong>la</strong> Hi<strong>storia</strong> dell'Europa, cit., e <strong>la</strong> dedica a Francesco de' Medici<br />
(pagine non numerate) del Giambul<strong>la</strong>ri nel De <strong>la</strong> lingua che si par<strong>la</strong> e si scrive in Firenze, edita da L. Torrentino<br />
nel 1552.<br />
42 C. Va<strong>la</strong>cca, La vita e le opere, cit., pp. 15-22 in cui Va<strong>la</strong>cca dissente dal Bartoli sul tempo effettivo del<br />
segretariato di Pier<strong>francesco</strong> e sul<strong>la</strong> rilevanza delle sue mansioni.<br />
43 I tre benefici ricevuti da Pier<strong>francesco</strong> sono elencati dal Bartoli nell'Orazione a p. 163. Il Va<strong>la</strong>cca dimostra<br />
l'esistenza del<strong>la</strong> rendita di Volterra attraverso una lettera indirizzata dal Giambul<strong>la</strong>ri ad Alfonsina, da lui<br />
segna<strong>la</strong>ta in C. Va<strong>la</strong>cca, La vita e le opere, cit., alle pp. 22-23 e riproposta in nota 1. L’attribuzione del rettorato<br />
di Careggi è comprovata da una lettera del 20 maggio 1524 di Pier<strong>francesco</strong> riguardante l’emergenza del<strong>la</strong> peste<br />
ed il malcontento degli abitanti di Careggi per l'arrivo di persone contaminate. Scrive infatti il Giambul<strong>la</strong>ri:<br />
“Francesco mio caro il futuro abate di S. Pancrazio ha questa mattina fatto un bel servizio a tutto questo paese;<br />
e non ci sendo persona alcuna amma<strong>la</strong>ta [..] duol di capo, ha condotto qua su una schiera di ammorbati, nelle<br />
nostre case cioè in quelle che tengono di nostro, che essere in luogo rilevato non può trarre vento alcuno, che ne<br />
9
privilegi di famigliare e commensale continuo del pontefice. È sempre l'iniziativa del<strong>la</strong> madre<br />
del duca di Urbino che procura al Giambul<strong>la</strong>ri <strong>la</strong> nomina a canonico soprannumerario di S.<br />
Lorenzo anche se le resistenze del capitolo rendono necessario l'anno successivo, nel 1516,<br />
una bol<strong>la</strong> confermataria di Leone X ed una nuova deliberazione del capitolo 45 . In seguito, il<br />
31 luglio del 1527, durante l'ultima repubblica fiorentina Pier<strong>francesco</strong>, sotto il priorato di<br />
Francesco Campana, verrà eletto canonico rego<strong>la</strong>re in sostituzione di Baldassarre Bigazzi<br />
morto nel 1522 46 .<br />
Creatura di Cesare Riario arcivescovo di Pisa dal 1499 al 1518 47 , <strong>la</strong> cui famiglia è di<br />
tradizione antimedicea, e suo vicario generale nel<strong>la</strong> diocesi pisana, Francesco Campana viene<br />
eletto al priorato di S. Lorenzo il 22 novembre 1512 mantenendo questa funzione fino al<br />
momento del<strong>la</strong> morte, avvenuta nel giugno 1534. Successore del Campana al priorato è il<br />
mediceo Giovan Battista Figiovanni 48 posto in precedenza nel 1519, dal cardinale Giulio de’<br />
Medici a sovrintendere al<strong>la</strong> costruzione del<strong>la</strong> nuova sagrestia e del<strong>la</strong> biblioteca <strong>la</strong>urenziana a<br />
Miche<strong>la</strong>ngelo 49 . La conflittualità del rapporto tra Figiovanni e Miche<strong>la</strong>ngelo, spinge nel 1526,<br />
Giulio de’ Medici, ormai Clemente VII, ad assegnare <strong>la</strong> sovrintendenza dei <strong>la</strong>vori a Piero<br />
Buonaccorsi. Tuttavia, nel 1530 ritornati i Medici a Firenze, Figiovanni recupera <strong>la</strong> sua<br />
semini el fato loro in tutto il paese. Che questo sia a proposito a tener sano questo paese come desidera <strong>la</strong><br />
signoria di Nostro Signor forse mons. Di Cortona disegnandolo di rifugio se <strong>la</strong> moria stringessi costi, lo <strong>la</strong>scio<br />
considerare a ognuno: so ben questo che se e cittadini no havessino respecto ad essere costoro in futuro,<br />
andrebbono a ardere <strong>la</strong> casa con ciocchè vi è drento; io te l'ho voluto fare intendere, accioch'è volendo<br />
rimediare tu possa a tempo per parte di tutto questo popolo e mia ti priegho che tu ci ripari in quel miglior<br />
modo che ti pare.<br />
Careggi 20 maggio 1524<br />
Messer Paulo de Medici se ne levato su e credo che a quest'hora sia venuto costì a quello effetto; e se non è<br />
venuto, verrà absolutamente innanzi le XX ore che vedi quel che ti pare da fare.”<br />
La lettera in cui il canonico <strong>la</strong>urenziano allude al vescovo di Cortona che nel 1524 è il cardinale Silvio<br />
Passerini solitamente assente dal<strong>la</strong> diocesi e per il quale rinviamo a G. Cappelletti, Le chiese d'Italia dal<strong>la</strong> loro<br />
origine sino ai nostri giorni, vol. XVIII, Venezia si trova nel<strong>la</strong> filza 118 dell'Archivio mediceo avanti il<br />
Principato in ASF, ed è il documento 250. Vi è poi, oltre al<strong>la</strong> pensione in Spagna di cui par<strong>la</strong> soltanto il Bartoli,<br />
<strong>la</strong> nomina a “familiare e continuo commensale” del pontefice, operata da Leone X nei confronti del Giambul<strong>la</strong>ri<br />
sostenuta dal Salvini sul<strong>la</strong> base di una bol<strong>la</strong> non ritrovata dal Va<strong>la</strong>cca per <strong>la</strong> quale cfr. ancora id., La vita e le<br />
opere, cit., p. 24.<br />
44 Sull'ammontare del<strong>la</strong> pensione cfr. in DBI, <strong>la</strong> voce Giambul<strong>la</strong>ri Pier<strong>francesco</strong>, cit., in partico<strong>la</strong>re p. 308.<br />
45 C. Va<strong>la</strong>cca, La vita e le opere, cit., pp. 25-27.<br />
46 Ivi, p. 39, inoltre cfr. Appendice XIX-Atto di accettazione di Pier<strong>francesco</strong> a canonico di S. Lorenzo, pp.<br />
119-123. Inoltre, sui rapporti con Alfonsina e sui re<strong>la</strong>tivi benefici ricevuti fino al canonicato <strong>la</strong>urenziano, cfr.<br />
anche Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri. Nota introduttiva in Storici e politici fiorentini del Cinquecento, a cura di<br />
Ange<strong>la</strong> Baiocchi, testi a cura di Simone Albonico, Ricciardi editore Mi<strong>la</strong>no-Napoli, 1994, pp. 829-839, in<br />
partico<strong>la</strong>re p. 831.<br />
47 G. Cappelletti, Le chiese d'Italia dal<strong>la</strong> loro origine sino ai nostri giorni, Venezia, Giuseppe Antonelli, 1844-<br />
1870, XXI voll., in partico<strong>la</strong>re vol. XVI, 1861, p. 179.<br />
48 Sul quale vedi <strong>la</strong> voce di V. Arrighi, Figiovanni Giovan Battista, in DBI, vol. XLVII, Roma, 1997, pp. 557-<br />
558, in partico<strong>la</strong>re sul<strong>la</strong> sua posizione Medicea e sui vantaggi e benefici ottenuti grazie all’assunzione sul soglio<br />
pontificio di Giulio de’ Medici, cfr. p. 557. Inoltre, sul<strong>la</strong> sua vita a S. Lorenzo rinviamo al Cod. 1, Libro dei<br />
partiti del Capitolo di S. Lorenzo, 1516-1544, (consultabile nell’Archivio Capito<strong>la</strong>re di S. Lorenzo presso <strong>la</strong><br />
Biblioteca Laurenziana di Firenze; d’ora in poi BLF) in cui rileviamo innanzittutto dell’incarico dato al<br />
Figiovanni a p. 15: “Addì 27 maggio 1517[…]con 10 fave nere Chamarlingo del<strong>la</strong> scuo<strong>la</strong> dei chierici M.<br />
Giovambattista Figiovanni[…]” cui poco dopo rinunziò come leggiamo nel resoconto dell’8 luglio 1517 nel<strong>la</strong><br />
pagina seguente. Inoltre, ivi, a p. 137 si conferma <strong>la</strong> sua nomina a priore nel 1534 che <strong>la</strong>scia vacante un<br />
canonicato assunto dal mediceo Domenico Baglioni: “A dì 18 luglio 1534. Essendo coadunato il Capitolo…si<br />
accettò <strong>la</strong> nomina del nuovo canonico de Medici Me. Domenico di Biagio Baglioni in luogo del M. Baptista<br />
Figiovanni assumpto al priorato…”. Nomina del Baglioni avvenuta in base alle prerogative medicee su due<br />
canonicati <strong>la</strong>urenziani stabiliti dal<strong>la</strong> sede Apostolica per i quali vedi infra.<br />
49 Cfr. D. Moreni, Continuazione delle memorie istoriche dell’ambrosiana imperial basilica di S. Lorenzo in<br />
Firenze dal<strong>la</strong> erezione del<strong>la</strong> chiesa presente a tutto il regno mediceo, Firenze, 1816, in partico<strong>la</strong>re tomo I: pp.<br />
167, 170-171, 204-205, 291 e 293-294.<br />
10
precedente funzione ricevendo <strong>la</strong> nomina di provveditore. Riprende anche il suo rapporto con<br />
Miche<strong>la</strong>ngelo durato fino al<strong>la</strong> morte di Clemente VII nel 1534 50 .<br />
È proprio per conto dello stesso Figiovanni beneficiario delle distribuzioni del coro e del<strong>la</strong><br />
sagrestia per <strong>la</strong> costruzione del<strong>la</strong> biblioteca <strong>la</strong>urenziana che Pier<strong>francesco</strong>, camerlengo di S.<br />
Lorenzo dal 1 marzo 1530 in coppia con Miche<strong>la</strong>ngelo Biscioni per un periodo di 15 mesi 51 ,<br />
ringrazia il capitolo il 2 gennaio 1532. Nel frattempo, nel 1529, erano morti i suoi genitori e<br />
nello stesso anno aveva perso sia <strong>la</strong> rendita delle cave di vetriolo di Volterra a causa di una<br />
frana che le rendeva impraticabili, sia <strong>la</strong> pensione in Spagna 52 , conservando solo il rettorato<br />
del<strong>la</strong> chiesa di Careggi e <strong>la</strong> sua proprietà di Castello 53 .<br />
Diverse sono le notizie del camerlingato del Giambul<strong>la</strong>ri, che possiamo ricavare nei Ricordi<br />
del Camerlingo, scritte prevalentemente di sua mano 54 e dal<strong>la</strong> deliberazione del capitolo<br />
<strong>la</strong>urenziano del sabato 30 maggio 1545 che lo nomina tra gli “ufiziali”, affidandogli <strong>la</strong><br />
redazione e <strong>la</strong> cura del quaderno dei Ricordi per il 1545-1546 55 . I fatti in esso narrati<br />
pertinenti al<strong>la</strong> funzione del camerlingo responsabile del<strong>la</strong> gestione economica del<strong>la</strong> basilica,<br />
riguardano in prevalenza questioni economiche e finanziarie, affitti 56 , prestiti, alloggiamenti,<br />
debiti, saldi, spese, locazioni, poderi, rapporti con altre chiese 57 , incarichi.<br />
Dopo il suo camerlingato Pier<strong>francesco</strong> diviene, con Francesco di Dino 58 , sindaco<br />
dell’abbazia di S. Benedetto in Alpe 59 , mentre il Biscioni ricopre <strong>la</strong> carica di governatore<br />
50 Vedi inoltre a proposito del<strong>la</strong> costruzione del<strong>la</strong> <strong>la</strong>urenziana e del rapporto tra Figiovanni e Miche<strong>la</strong>ngelo V.<br />
Arrighi, Figiovanni, cit., p. 558 e soprattutto Il carteggio di Miche<strong>la</strong>ngelo. Edizione postuma di Giovanni Poggi,<br />
a cura di Pao<strong>la</strong> Barocchi e Renzo Ristori, Firenze, Sansoni, IV voll., 1965-1979, in partico<strong>la</strong>re voll. II-IV, ad<br />
indicem.<br />
51 D. Moreni, Continuazione, cit., tomo I: p. 204, in partico<strong>la</strong>re nota 1.<br />
52 Cfr., C. Bartoli, Orazione, cit., pp. 164-165.<br />
53 M. P<strong>la</strong>isance, Une première affirmation de <strong>la</strong> politique culturelle de Còme Ier: <strong>la</strong> transformation de<br />
l'académie des "humidi" en académie florentine (1540-1542) in AA.VV., Les écrivains et le pouvoir en Italie à<br />
l'époque de <strong>la</strong> Renaissance, vol. I, Universitè de <strong>la</strong> Sorbonne Nouvelle, Paris 1973, pp. 361-438, cfr. p. 405.<br />
54 Cod mss. 2479, Ricordi del Camerlingo di Sancto Lorenzo, Archivio Capito<strong>la</strong>re di San Lorenzo, BLF,<br />
(indicato da C. Va<strong>la</strong>cca, La vita e le opere, cit., a p. 39) che a pagina 3 annuncia il camerlingato del Giambul<strong>la</strong>ri<br />
e <strong>la</strong> prosecuzione da parte sua del<strong>la</strong> scrittura del quaderno: “Seguiterassi…Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri canonico e<br />
camarlingo per mesi quindici cominciati a dì primo marzo 1530 ad usanza fiorentina e da finirsi a dì 31 maggio<br />
1532”.<br />
55 Cod. mss. 2299, Libro dei Partiti del capitolo di S. Lorenzo 1544-1562, Archivio Capito<strong>la</strong>re di S. Lorenzo,<br />
BLF, in cui a p.2: “sabato a dì 30 maggio 1545 Citato il capitolo primo dì per l’altro: et ragunato solennemente<br />
il Reverendo sig. Priore con dieci canonici; elessero et vinsero per partito gli infrascritti ufiziali per lo anno<br />
futuro da cominciarsi a dì primo di Giugno 1545, et finire per tutto maggio 1546[…]Il libro de’ Ricordi a<br />
messer Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri.[…]”. Ivi, a p. 6 apprendiamo del<strong>la</strong> riconferma del Giambul<strong>la</strong>ri al<strong>la</strong> carica di<br />
ufficiale preposto al<strong>la</strong> cura del quaderno dei Ricordi anche per l’anno successivo “da cominciarsi addì primo di<br />
giugno 1546, et finirsi per tutto maggio 1547…”.<br />
56 Ricordi, cit., carta 3 leggiamo: “Ricordo come a di 16 decto messer Miche<strong>la</strong>ngelo Biscioni e messer<br />
Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri canonici e sindaci speciali a questo effetto, in nome di tutto il capitolo, et ad<br />
instantia di messer Giovanni…scemorono el fitto del poder di Baccio del<strong>la</strong> Campana spetiale che tiene da noi a<br />
linea masculina, reducendolo a ducati ventisei d’oro per annuo canone e fitto, stando in tutto e per tutto fermo el<br />
contratto fatto co sopradecto Baccio: accedente et consensu benep<strong>la</strong>cito sedis apostolica el quale infra sei mesi<br />
da hoggi si debbia cercar sobtener a spese tutte di decto…rogato per Giovanni Vanucci nostro cancelliere sotto<br />
dicto di.”<br />
57 Ivi per l’invio del<strong>la</strong> campana al<strong>la</strong> chiesa di S. Marco vecchio, carta 4: “Ricordo come il dì primo d’aprile<br />
1531 habbiamo mandato al<strong>la</strong> nostra chiesa di S. Marco vecchio <strong>la</strong> campanetta che stava in chiesa qui al<strong>la</strong><br />
vergine…per ordine del Capitolo…”<br />
58 Ivi, a proposito di Francesco Dino canonico soprannumerario tra il 4 giugno 1509 e il 25 luglio 1510,<br />
nominato canonico collegiale il 14 marzo 1513, scelto dal capitolo nell’agosto del 1516 per andare a Roma a<br />
complimentarsi con Leone X del<strong>la</strong> sua avvenuta elezione al soglio pontificio e successivamente eletto per<br />
completare le nuove costituzioni di S. Lorenzo ultimate nel 1552, cfr. nel tomo I, pp. 173 in partico<strong>la</strong>re nota n. 2,<br />
pp. 194-199 e pp. 325-326 e nel tomo II, pp. 288, 298, 303 e 320-321. Senza dimenticare <strong>la</strong> nomina a<br />
Camerlengo <strong>la</strong>urenziano a fianco di Nero Neroni per <strong>la</strong> quale rinviamo a Ricordi del camerlingato, cit., in<br />
partico<strong>la</strong>re p. 22: “Ricordo questo dì giugno 1533. Come messer Francesco Dini e messer Nerone Neroni sindaci<br />
e curatori del capitolo[…]” e l’assegnazione del Libro de’ Partiti, cit., per il 1545 quale ufficiale fatta dal<br />
capitolo <strong>la</strong>urenziano per <strong>la</strong> quale vd. supra nota 55.<br />
11
generale delle Romagne, come attesta il ricordo del 15 gennaio 1533 60 . Durante quest’anno il<br />
nostro canonico continua comunque a operare su mandato del capitolo ancora a fianco del<br />
Biscioni, 61 e in diversi frangenti con Nero Neroni 62 . Il Giambul<strong>la</strong>ri, è protagonista inoltre di<br />
una lite con un altro canonico <strong>la</strong>urenziano Giovanni Norchiati 63 , anche se chiara risulta <strong>la</strong> sua<br />
innocenza. Egli, infatti, subisce nel<strong>la</strong> sagrestia del<strong>la</strong> chiesa di fronte a diversi testimoni gli<br />
insulti del Norchiati, in seguito punito dal capitolo <strong>la</strong>urenziano, con l’esclusione dalle<br />
distribuzioni ordinarie e straordinarie per due mesi, e l’obbligo di officiare die noctuque dal 1<br />
al 16 aprile. Il Giambul<strong>la</strong>ri, tuttavia, perdona il Norchiati e tentato, vanamente, di sollevarlo<br />
Inoltre, vd. il riferimento al Dino formu<strong>la</strong>to nel<strong>la</strong> lettera inviata da Stefano Lunetti in Firenze a Miche<strong>la</strong>ngelo<br />
in Carrara del 20 aprile 1521 a proposito del<strong>la</strong> costruzione del<strong>la</strong> nuova cappel<strong>la</strong>: “Carissimo mio etc. Avvisovi<br />
come, avendo posto <strong>la</strong> basa del canto a l’entrata, come sapete, è stata vista da molti. Hanno infra loro auto<br />
molte dispute, in che modo abbia a stare l’entrata del<strong>la</strong> chapel<strong>la</strong>; ma oggi, venendoci Domenicho Boninsegni, al<br />
primo domandò di questa entrata, et subito messer Francescho di Dino rispose che si farebe chome nel<strong>la</strong><br />
vechia.” in Il carteggio di Miche<strong>la</strong>ngelo, cit., in partico<strong>la</strong>re, vol. II, pp. 288-289, passo riportato a p. 288.<br />
59 S. Benedetto in Alpe una delle due abbazie camaldolesi (l’altra è S. Stefano da Cinto<strong>la</strong> presso Vico Pisano)<br />
attribuite da Leone X al Figiovanni che ne sarebbe divenuto commendatorio riunendo in seguito S. Benedetto in<br />
Alpe al<strong>la</strong> mensa del capitolo di S. Lorenzo. In proposito vedi supra <strong>la</strong> nota 48. Cfr. inoltre D. Moreni,<br />
Continuazione, cit., tomo I, pp. 270-271 e in partico<strong>la</strong>re nota n. 1 a p. 271. A proposito dell’incarico di sindaco<br />
di S. Benedetto in Alpe svolto dal Giambul<strong>la</strong>ri oltre al<strong>la</strong> determinazione dei territori appartenenti al monastero di<br />
S. Benedetto in Alpe effettuata il 3 maggio 1532 con Francesco di Dino e i rappresentanti del coevo comune per<br />
il quale rinviamo al mss. in pergamena 1155, dell’Archivio capito<strong>la</strong>re di S. Lorenzo, BLF, cfr. soprattutto<br />
l’indice delle scritture inviate ai canonici <strong>la</strong>urenziani responsabili delle abbazie romanognole nel Cod. mss. 2317<br />
dell’Archivio capito<strong>la</strong>re di S. Lorenzo, BLF pp. 21-31. In partico<strong>la</strong>re, nel sottoelenco degli strumenti dati ai<br />
<strong>la</strong>urenziani per operare negli affari pertinenti alle abbazie romagnole a p. 27 rileviamo <strong>la</strong> procura attribuita nel<br />
1532 al Biscioni e al Giambul<strong>la</strong>ri “Procura…Biscionem et PetrumFranciscum Giambul<strong>la</strong>rium, cum facultate<br />
disponendi(ponendi ) litteras, quoque iter Capitulum nostrum…” e soprattutto p. 28 in cui <strong>la</strong> procura viene<br />
assegnata al nostro canonico per l’anno 1534 “Procura…Giambull. Romandio<strong>la</strong> 1534”, e nel successivo<br />
sottoelenco dei libri delle entrate e uscite inerenti le abbazie romagnole, a p. 29 l’attribuzione di un “liber<br />
provenctuum(o orum) abatiarum romandio<strong>la</strong>rum per Petrum Franciscum Giambul<strong>la</strong>rium 1533” e soprattutto a<br />
p. 30 con <strong>la</strong> mensione di un “Liber proventuum et expensarum, abbatiarum Roman. per Perfranciscus di<br />
Giambul<strong>la</strong>rijs ab anno 1532 usque 1554” a dimostrazione del suo persistente coinvolgimento nell’ambito di<br />
queste abbazie romagnole.<br />
60 Ricordi del camerlengo, cit., carta 19: “Ricordo quel dì 15 di Gennaio 1533 come Messer Miche<strong>la</strong>ngelo<br />
Biscioni nostro canonico e Ghovernator generale di tutta <strong>la</strong> nostra Romagna[…]”.<br />
61 Ivi, in partico<strong>la</strong>re p. 26: “Ricordo come questo dì di decto mese (30 ottobre 1533) Miche<strong>la</strong>ngelo Biscioni e<br />
messer Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri deputati dal capitolo a questo effetto come al libro de partiti B, accettarono<br />
Carlone di Giannone…per commesso del nostro capitolo insieme con messera Camil<strong>la</strong> sua donna[…]” e ancora<br />
a p. 33: “Ricordo come questo dì 10 di marzo messer Miche<strong>la</strong>ngelo Biscioni et messer Pier<strong>francesco</strong> syndaci del<br />
Capitolo a questo effetto allogharono in fitto perpetuo…il mulino di San Donato di Modigliani[…]”.<br />
62 Ivi, p. 34: “Ricordo questo dì 10 marzo 1534 come di sopradecto Messer Nerone Neroni, m. Pier<strong>francesco</strong><br />
Giambul<strong>la</strong>ri e mess. Domenico Baglioni nostri canonici per commissione del Capitolo, allogharono e<br />
concedereno in fitto perpetuo accedente benep<strong>la</strong>cito sedis apostolicae a Giovanni di Lolo di Francesco da<br />
Valdirio[…]” e ivi: “Ricordo come questo dì 5 aprile 1534 messer Nerone Neroni e m. Giambul<strong>la</strong>ri syndici del<br />
capitolo a questo effetto e in nome del Capitolo…comperarono…a Pieraccino…tutta <strong>la</strong> sua parte del poder di<br />
Cignano…”. Senza trascurare le azioni congiunte compiute in re<strong>la</strong>zione all’abbazia di S. Giovanni Acereta<br />
inclusa nel<strong>la</strong> mensa di S. Lorenzo per le quali rinviamo agli atti rogati nei mss. in pergamena dell’Archivio<br />
Capito<strong>la</strong>re di S. Lorenzo, BLF: il 1149 (10 maggio 1534) su una lite tra il rettore dell’abbazia suddetta e <strong>la</strong><br />
famiglia dei Cappelli a causa di un podere a Cignano risolta dal Giambul<strong>la</strong>ri e dal Neroni, il 1159 consistente<br />
nel<strong>la</strong> permuta con Giolo del fu Perugino di Biagio de Ragazis del canone da lui dovuto al<strong>la</strong> chiesa con un terreno<br />
nel comune di Acerata e il 1153 lo stesso giorno, (11 maggio 1534), <strong>la</strong> permuta di alcune terre di alcune terre,<br />
poste in Acerata nel<strong>la</strong> diocesi di Faenza con Michele del fu Guerra di Guido de Razzis. Inoltre cfr. anche il 1214<br />
su una somma di denaro ricevuta dal Giambul<strong>la</strong>ri dal <strong>la</strong>voratore del<strong>la</strong> metà di un podere contiguo all’abbazia di<br />
Acerata (11 settembre 1533).<br />
Inoltre, nei Ricordi, cit., ritroviamo un'altra volta il nome del nostro canonico a p. 50: “Ricordo come questo dì<br />
27 di luglio (del 1544) essere M. Nuccio Giocondi Camerlengo e messer Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri curato del<br />
Capitolo allogano a Raffaello di barto fornaio una bottega posta in borgo S. Lorenzo sotto <strong>la</strong> nostra casa[…]”.<br />
63 Sul Norchiati e sul suo canonicato in S. Lorenzo cfr. D. Moreni, Continuazione, cit., in partico<strong>la</strong>re, tomo II,<br />
pp. 146-147 e 150-151.<br />
12
dall’inflizione dal<strong>la</strong> pena diventa suo amico. 64 Indicativa del cambiamento dei rapporti tra i<br />
due è anche <strong>la</strong> comune nomina di ragionieri del Camerlengo nel 1534 e di “curaiuoli” di<br />
Domenico Baglioni camerlengo di Romagna l’anno successivo, nel quale il Giambul<strong>la</strong>ri<br />
mantiene anche <strong>la</strong> sua funzione di ragioniere.<br />
Il nostro canonico nel 1534, diviene inoltre scrivano del capitolo <strong>la</strong>urenziano secondo <strong>la</strong><br />
deliberazione capito<strong>la</strong>re del 27 maggio, che assegna gli uffici fino al giugno 1535 65 .<br />
Successivamente, nel 1545, oltre ad essere nominato ufficiale dal capitolo responsabile del<br />
quaderno dei Ricordi come abbiamo visto 66 , viene scelto anche come “mallevadore” insieme<br />
a Lodovico Epifani, del priore designato nuovo camerlengo in sostituzione del neoeletto<br />
Niccolò detto “giocondo”, defunto. 67<br />
L’anno successivo, il Giambul<strong>la</strong>ri si reca nuovamente nel<strong>la</strong> badia romagno<strong>la</strong> insieme al<br />
Neroni per conto del capitolo 68 . Per l’anno 1547-1548, viene confermata <strong>la</strong> sua responsabilità<br />
per il libro dei Ricordi con l’accezione di “soprastante del<strong>la</strong> (o al<strong>la</strong>) cera” 69 e pochi giorni<br />
dopo, è nuovamente nominato insieme al Neroni mallevadore del camerlengo per il nuovo<br />
anno 70 . L’anno seguente, invece, pur non rivestendo cariche partico<strong>la</strong>ri, il Giambul<strong>la</strong>ri viene<br />
64 Ivi, tomo II, p. 150 in cui si riferisce delle molteplici e ripetute ingiurie rivolte dal Norchiati al Giambul<strong>la</strong>ri<br />
al<strong>la</strong> presenza di vari testimoni nel<strong>la</strong> sagrestia di S. Lorenzo e delle conseguenti sanzioni stabilite dal capitolo nei<br />
suoi confronti per questo comportamento. In proposito cfr. anche <strong>la</strong> Prefazione, cit., di G. Marangoni, cit., p.<br />
VII.<br />
65 Vd. Cod. 1, cit., a p. 135-136: “Addì 27 marzo 1534[…]ragionieri del Camerlengo item che M.<br />
Pier<strong>francesco</strong>Giambul<strong>la</strong>rii et messer Giovanni Norchiati, rileghino il …al camarlingho dell’anno passato…” e a<br />
p. 141: “die XV maij 1535[…]Camarlingo il nostro reverendissimo priore Me. Giovanbaptista<br />
Figiovanni…Camarlingo di Romagna M. Domenico Baglioni,Curaiuoli M. Giambul<strong>la</strong>rii et Norchiato,<br />
Ragionieri M. Giro<strong>la</strong>mo et Giambul<strong>la</strong>rii…” confermata del resto anche dall’incarico ricevuto dal nostro<br />
ricordato che insieme a Domenico Baglioni recupera, su incarico del capitolo del 14 (Iulii), dal mugnaio<br />
Baldassare di leccone, i Mulini appartenenti a S. Benedetto in Alpe, a p. 142. Inoltre sul<strong>la</strong> nomina a scrivano del<br />
capitolo per il 1535 del Giamabul<strong>la</strong>ri leggiamo a p. 136: “Addì 27 marzo 1534[…] Item vinsono ne detti partiti<br />
che m. Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri tenga e libri del nostro capitolo ed sa<strong>la</strong>rio di lire ventotto per ogni anno[…]”<br />
C. Va<strong>la</strong>cca, La vita e le opere, cit., p. 40.<br />
66 In proposito vedi supra nota 55.<br />
67 In questo senso vedi Cod. 2299, cit., a p. 3: “ Mercoledì addì 12 agosto 1545 Ragunati insieme il S. Priore e<br />
canonici in sufficiente numero fu creato per solenne partito e vinto secondo gli ordini camerlengo nostro messer<br />
Reverendo Priore vescovo di Assisi chiamato, attesa <strong>la</strong> morte seguita di Messer Niccolò il giocondo allora<br />
camarlingo et quasi per tutto il tempo et doveva stare nell’offitio di Messer Niccolò cioè per infino a tutto<br />
maggio…1546.<br />
Et nel giorno medesimo dette per suoi mallevadori il creato camerlengo messer Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri et<br />
messer Lodovico Epifani i quali furono approvati per partito vinto et fu concesso al detto camarlingo il mandato<br />
et come è solito darsi alli altri camarlinghi. […]”.<br />
In base a questo incarico pertanto Giambul<strong>la</strong>ri deve intervenire nel<strong>la</strong> concessione del canonicato vacante per <strong>la</strong><br />
morte di Niccolò a Iacopo figlio di Francesco Aldobrandini “essendo vacato il canonicato del quale sono<br />
padroni gli Aldobrandini” che “domandarono che allui fusse conferito il detto canonicato vacante. Il che messo<br />
a partito fu vinto et per il priore nostro […] de prefati padroni nel canonicato predetto il detto Iacopo secondo<br />
<strong>la</strong> nostra antica consuetudine fu rogato Ser Giovanni Vannucci nota dell’arcivescovado di Firenze et<br />
successivamente fu commesso a messer Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri e messer Lodovico Epifani che dessino <strong>la</strong><br />
possessione corporale a quello in coro e a lui così nuovamente creato canonico il che mandando i prefati ad<br />
officho ne fu rogato ser Piero Epifani nota del vescovado di Firenze sotto detto dì.” come leggiamo a p. 4:”<br />
Incarico che, pur essendo nell’anno successivo riconfermato al camerlingato il Priore, non viene invece reiterato<br />
al Giambul<strong>la</strong>ri, in proposito rinviamo ivi, alle pp. 6-7.<br />
68 Ivi, p. 8: “Addì 30 di Agosto 1546[…]Et nel medesimo giorno fu data commissione a m. Neroni e m.<br />
Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri nostri canonici d’andare in Romagna a visitare le badie dal Capitolo nostro et<br />
ricevere un pagamento di certe terre vendute per il fattore nostro a… Antonio da Viorano et di più vendere un<br />
poveretto del<strong>la</strong> fontana bianca[…].”<br />
69 Ivi, p. 14: “Addì 27 maggio 1547…fatti altri ufiziali…per durare detti officii, tutto il seguente anno dal<br />
giorno 6 di Giugno fino addì 31 di maggio 1548[…]Soprastante del<strong>la</strong> cera m. Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri per il<br />
libro de ricordi”, ufficio che comunque non gli verrà reiterato per l’anno 1548-49 come apprendiamo dalle<br />
re<strong>la</strong>tive delibere del capitolo per le quali cfr. ivi, il resoconto del 17 maggio 1548 a p. 21 sugli ufficiali di S.<br />
Lorenzo per l’anno 1548-1549.<br />
70 Ivi, “Addì primo di giugno 1547 essendo congregato il capitolo nel luogo solito fu dato il mandato in forma<br />
al Reverendo Priore nostro Camerlingo per quest’anno et egli per suoi mallevadori dette secondo l’usanza M.<br />
13
segna<strong>la</strong>to, nel<strong>la</strong> riunione del<strong>la</strong> delibera come maestro del<strong>la</strong> scuo<strong>la</strong> dei chierici di Vincenzio da<br />
Cosenza 71 . Nel 1549, torna ad occuparsi del<strong>la</strong> redazione del quaderno dei Partiti 72 , ma riceve<br />
anche l’incarico di sistemare e rendere in buona forma <strong>la</strong>tina le nuove costituzioni<br />
<strong>la</strong>urenziane, insieme a Piero Truciolo 73 . Inoltre, viene anche stabilito che quando il canonicato<br />
del Giambul<strong>la</strong>ri dovesse divenire vacante andrebbe a Donato Valdambrini, secondo volontà<br />
ducale espressa dal segretario del duca Lelio Torelli, in base al patronato concesso dal<strong>la</strong> sede<br />
apostolica ai Medici su due canonicati del<strong>la</strong> Chiesa <strong>la</strong>urenziana 74 .<br />
Il Valdambrini, infatti, è menzionato tra i sostituti anche nel partito che distribuisce gli<br />
ufficii per l’anno seguente, che assegna nuovamente Giambul<strong>la</strong>ri al<strong>la</strong> redazione del libro dei<br />
Ricordi 75 , e pochi giorni dopo lo nomina, ancora a fianco di Nerone Neroni, mallevadore del<br />
nuovo camerlengo Piero Fetti 76 . Ma si conferma ulteriormente l’apprezzamento in cui il<br />
Nerone Neroni e m. Pier<strong>francesco</strong>Giambul<strong>la</strong>ri …canonici pronti et promettenti quali furono approvati per<br />
solenne partito di tutte le fave nere sotto el quale partito fu etiandio concesso il mandato come di sopra rogato<br />
del tutto ser Giovanni Vanucci nostro cancellier[…]”. Poco dopo, durante il suo mandato, verranno preparati da<br />
Domenico Baglioni e Antonio Petri su incarico del capitolo i nuovi statuti del Camerlengo e dei curaioli<br />
approvati il 25 agosto 1547; ivi, vedi pp. 16-17. Inoltre il 4 aprile 1548 Ludovico Epifani di difendere in causa <strong>la</strong><br />
situazione dei beni del<strong>la</strong> chiesa di S. Bartolommeo ascrivibili al possesso di S. Lorenzo secondo il contratto<br />
precedentemente pattuito dal Giambul<strong>la</strong>ri come leggiamo alle pp. 20-21: “Essendo ragunato il Capitolo…fu data<br />
Commissione a m. Ludovico Epifani…per seguire le ragioni del capitolo in iudicio et fuora sopra <strong>la</strong> chiesa di S.<br />
Bartolommeo concessa già…et si pretenda che il detto …ci osservi quel tanto et quel promesso per il contratto,<br />
del …fatto partito fu vinto …et…fu data commissione a m. Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri e m. Antonio Petri di<br />
riveder tutti i beni del capitolo dati a linea di livello e quelli che si possano con ragione ridurre in proprietà e<br />
possessione nostra o per un verso o per l’altro, singegnino di ridurli e per questo effetto possino ”.<br />
71 Ivi, p. 23: “Il capitolo ragunato…ha eletto per maestro del<strong>la</strong> scuo<strong>la</strong> di chierici messer Vincentio da Cosenza<br />
col solito sa<strong>la</strong>rio et obblighi con consenso degli operai come disse M. Pierfranc. Giambul<strong>la</strong>ri et che lo uffitio<br />
suo col sa<strong>la</strong>rio incominciassi …il presente mese o <strong>prima</strong> quando il maestro vecchio havessi di sgombro le sue<br />
cose…”.<br />
72 Ivi, a p. 30: “Mercoledì Addì 22 dimaggio 1549. Citato il capitolo…et solennemente ragunato…li<br />
Reverendissimi Canonici elessono et vinsono per partitogli infrascripti uffitiali per lo anno advenire da<br />
cominciarsi addì…di giugno 1549 et finirsi per tutto maggio 1550[…]Al libro de partiti Messer Pier<strong>francesco</strong><br />
Giambul<strong>la</strong>ri[…]in ridetta commissione detto dì a M. Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri che dessi un libro da cantore al<br />
maestro di scuo<strong>la</strong> per insegnar canto a chierici…”.<br />
73 Ivi, infatti, leggiamo in fondo a p. 32: “Giovedì a dì 30 detto (Gennaio 1549)[…]il medesimo giorno per<br />
partito di tutte fave nere fu dato per commissione a messer Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri, et a messer Piero<br />
Truciolo di acconciare le costituzioni e di rassettarle in buona forma in lingua <strong>la</strong>tina.”<br />
74 Ivi, a proposito del Giambul<strong>la</strong>ri vedi p. 31: “Mercoledì a dì 4 di settembre 1549…Messer Donato<br />
Valdambrini entrò in capitolo con Messer Giovanni Vannucci nostro cancelliere: et presentò le bolle el mandato<br />
et il processo dello accesso al canonicato di Messer Pierfranc. Giambul<strong>la</strong>ri, in qualunche modo e’ vacherà: et<br />
intimandole al capitolo domandò il consenso di quello. Messesi a partito presente Messer Taddeo di Bartolomeo<br />
Chiari, et Piero di Antonio…nostri cappel<strong>la</strong>ni, et con otto fave nere et due bianche fu accettata <strong>la</strong> Intimazione,<br />
offerto <strong>la</strong> obbedienza alle bolle per quando verrà il caso et prestato il Consenso come padroni, rogato di tutto<br />
Messer Giovanni Vannucci nostro Cancelliere che fece fede al capitolo de <strong>la</strong> licenzia di Messer Lelio…”.<br />
Inoltre, sul patronato mediceo, rinviamo in partico<strong>la</strong>re a p. 74.<br />
75 Ivi, p. 34: “Mercoledì a dì 14 di maggio 1550. Ragunato il capitolo…furono creati gli infrascritti ufficiali per<br />
uno anno prossimo futuro da cominciare il dì primo di Giugno 1550, et finire come segue et ciascuno con il<br />
solito emolumento[…]Appresso furono confermati gli infrascritti sostituti cioè Donato Valdambrini…” Il<br />
Valdambrini avrebbe ricevuto analoga conferma nel<strong>la</strong> risoluzione del capitolo per gli incarichi dell’anno<br />
successivo del 13 maggio 1551 per <strong>la</strong> quale rinviamo ivi a p. 46, con l’aggiunta, poco dopo, il 27 maggio, del<strong>la</strong><br />
nomina a cappel<strong>la</strong>no del Vicorato; leggiamo infatti a p. 47: “Mercoledì a dì 27 di maggio…il decto Capitolo<br />
avendo piena et certa notizia che <strong>la</strong> Cappel<strong>la</strong>nia di S. Giuliano et S. Francesco del<strong>la</strong> quael era rettore M.<br />
Bernardo Fumanti era vacata per renuntia fatta dal decto Bernardo in mano di N. S. pp. Iulio III…avendo<br />
ancora notizia che sua Santità li aveva conferita a M. Donato Valdambrini d’Arezzo però il detto Capitolo<br />
acconsentì a tal (col<strong>la</strong>rino?) et accettò per nuovo Cappel<strong>la</strong>no di decta Cappel<strong>la</strong>nia il prefato M. Donato, max.<br />
veggendone il Capitolo il consenso de padroni, et <strong>la</strong> licentia del maggiordomo M. Lelio Torelli auditor di S.<br />
E…”.<br />
76 Ibidem: “Mercoledì a dì 28….Messer Piero Fetti nuovo Camarlingo dette per suoi mallevadori per uno anno<br />
messer Nerone Neroni, et messer Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri presenti e consenzienti come appar per mano di<br />
Messer Giovanni Vannucci…”.<br />
14
capitolo tiene l’ordine e <strong>la</strong> scrittura del nostro canonico dal<strong>la</strong> richiesta di inventariare tutti i<br />
beni del convento e dare disciplina e chiarezza all’archivio 77 .<br />
L’anno successivo il Giambul<strong>la</strong>ri è curatore di Ludovico Epifani nuovo camerlengo e<br />
corista dei canonici, mansione quest’ultima conservata anche nel 1552 e nel 1553. 78 Il 5<br />
agosto 1551 insieme a Nerone Neroni è convocato anche nel<strong>la</strong> causa di affrancazione di<br />
Ottaviano de’ Medici 79 . Il Giambul<strong>la</strong>ri viene per l’ultima volta investito insieme al Neroni<br />
del<strong>la</strong> risoluzione del<strong>la</strong> causa concernente <strong>la</strong> Cappel<strong>la</strong> de’ Taddei il 9 dicembre 1552,<br />
ricompostasi in gennaio 80 .<br />
Tuttavia, per <strong>la</strong> partenza al servizio di Cosimo a Pisa del responsabile del quaderno dei<br />
Partiti recupera a partire dal 2 dicembre 1551, anche questa funzione 81 .<br />
Nominato corista 82 , circa un anno dopo, il 9 dicembre 1552 viene dotato dal capitolo di<br />
autorità nel<strong>la</strong> risoluzione in piena autonomia ancora al fianco di Nerone Neroni del<strong>la</strong> causa<br />
77 Ivi, a p. 38: “Mercoledì a dì 23 di luglio…per partito vinto di tutte fave nere fu data commessione a messer<br />
Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri et a Messer Anto. Potrei et a Messer Francesco di Dino che facessimo inventario di<br />
tutte le scritture di una casa per doversi tener conto con più ordine nel nostro Archivio, et non solo facessimo tal<br />
inventario ma seguitassimo etiamdio lo inventario et ordine di tutti li nostri beni altra volta cominciato dalli<br />
decti Messer Pierfranc. et Messer Anto. Petrei, con quanto inteso et sempre et li detti o ciascuno di loro in tal<br />
opera sarà occupato sia admesso come se egli fussi presente in chiesa.<br />
Il prefato capitolo…il dì decto…dette facoltà et amp<strong>la</strong> commessione alli predetti tre canonici, cioè M. Pierfranc.<br />
Giambul<strong>la</strong>ri, M. Ant. Petrei et M. France. Di Dino, che potessino far acconciare gli armarij casse et palchetti<br />
dello archivio, per più comoda conservatione delle dette nostre scritture, come più a proposito alli detti<br />
paresse…”<br />
78 Ivi, p. 46: “Mercoledì a dì 13 di maggio…furon creati gl’infrascritti ufficiali….Camerlingho Lodovico<br />
Epifani, Curaiuoli M. Pierfranc. Giamb. Et M. Piero da Volterra…Corista de’ Canonici M. Pierfranc.<br />
Giamb.[…]Appresso furon rifomati et raffermi gli infrascritti sostituti cioè Donato Valdambrini…”. Come<br />
curatore il Giambul<strong>la</strong>ri sarebbe stato investito del<strong>la</strong> seguente commissione: “Mercoledì alli 2 di settembre<br />
1551[...]fu data autorità a presenti curaiuoli M. Pierfranc. Giambul<strong>la</strong>ri et M. Piero Trucioli et al Camarlingho<br />
M. Lodovico Epifani che componghino assettino et finischino come parrà et piacirà a loro il negozio di M.<br />
Lorenzo d’Arezzo già nostro cappel<strong>la</strong>no a S. Marco vecchio datogli dal Cappel<strong>la</strong>no et vicario et tutto quello che<br />
i dicti col prefato M. Lorenzo converranno et determineranno…”. Sul<strong>la</strong> sua riconferma come corista dei<br />
canonici, inoltre, cfr. p. 54 e per l’anno che inizia nel giugno 1553 pp. 66-67, in partico<strong>la</strong>re p. 67.<br />
79 Ivi, alle pp. 48-49: “Addì 5 d’agosto Ragunato il capitolo…in persone nove et partito gli operai furon fatti<br />
sindachi et procuratori del capitolo. M. Nerone Neroni et M. Pierfranc. Giambul<strong>la</strong>ri a comparire innanzi a<br />
giudici Apostolici nel<strong>la</strong> causa del<strong>la</strong> Affrancatione di M. Ottavio de’ Medici et a ultimar<strong>la</strong> et finir<strong>la</strong> come appare<br />
per rogo di M. Giovanni Vannucci…”.<br />
80 In proposito per l’attribuzione dell’incarico a p. 61: “Venerdì addì 9 dicembre 1552[…] si dette libera autorità<br />
a M. Nerone Neroni, et M. Pierfranc. Giambul<strong>la</strong>rii che nel<strong>la</strong> causa del<strong>la</strong> cappel<strong>la</strong> de Taddei senza più altrimenti<br />
litigare convenissino con essi Taddei secondo che giudicassino esser conveniente et che tutto quello ne facessino<br />
come amorevoli di nostra casa, dal Capitolo senza eccettione sarebbe sempre approvato.” E ancora nel<strong>la</strong><br />
riunione del capitolo del 16 dicembre a p. 62: “si dette di nuovo autorità alli reverendi M. Nerone Neroni et a M.<br />
Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri che oltre al terminare et comporre <strong>la</strong> lite che ha il Capitolo con M. Francesco di<br />
Vincentio Taddei accettassimo ancora certo credito di scudi venti sul monte del Comune di Firenze,<br />
promettendo che tutto quello che li dua soprascritti Canonici facessino, sarebbe accettato per benissimo fatto.”<br />
E per <strong>la</strong> soluzione a p. 63: “Mercoledì addì 4 di Gennaio MDLII[…]si vinse un partito…per il quale<br />
confermandosi tutto quello che M. Neroni et M. Pierfranc. Giambul<strong>la</strong>ri havessino fatto nel<strong>la</strong> causa de Taddei, si<br />
accettò il credito di monte del Comune di Firenze che essi Taddei in perpetuo hanno adsegnato al nostro<br />
capitolo acciochè M. Francesco di Vincentio Taddei cappel<strong>la</strong>no del<strong>la</strong> Cappel<strong>la</strong> di S. Antonio in vita sua, o suo<br />
sostituto per tempi che si offitiassi, fussi admesso alle distribuzioni quotidiane del<strong>la</strong> messa nostra secondo<br />
l’usanza degli altri nostri Cappel<strong>la</strong>ni, siccome apparisce per un contratto rogato questo dì…nell’Arcivescovado<br />
di Firenze.”. Senza trascurare una missione affidata a lui e a Niccolò Rucel<strong>la</strong>i il 17 marzo 1552 ancora a sfondo<br />
economico-finanziario, inerente fitti e terre connesse al<strong>la</strong> Chiesa di Santa Musteo<strong>la</strong> nel<strong>la</strong> diocesi di Bologna per<br />
<strong>la</strong> quale rinviamo a p. 64.<br />
81 Ivi, p. 51: “Essendo il nostro Piero Truciolo trasferitosi a Pisa a servizio di S. Ecc. fu commesso<br />
pubblicamente in capitolo a me Pierfranc. Giambul<strong>la</strong>ri che io scrivessi i partiti che si facevano da qui innanzi in<br />
su quel libro, et così quegli che si erano fatti fino ad hora, che erano notati sopra un foglio. Et questa<br />
commissione mi fu data a dì 2 di Dicembre 1551.”<br />
82 Ivi, p. 54: “Gli officiali eletti…che hanno funzioni da incominciarsi adì primo di giugno et finire quattro<br />
maggio 1553…El corista dei canonici M. Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri…Et ragionieri a rivedere i conti a m.<br />
Ludovico Epifani vecchio camarlingo M. Nerone et m. Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri[…]”.<br />
15
del<strong>la</strong> cappel<strong>la</strong> dei Taddei 83 e nel marzo del 1553 incaricato di “dislogare et allogare le terre<br />
del<strong>la</strong> nostra Chiesa di Santa Musteo<strong>la</strong> nel<strong>la</strong> diocesi et con quelle condizioni<br />
che…giudicassino più a proposito[…]”. 84<br />
Confermato corista il 17 maggio 1553 85 , chiede al capitolo di pronunciarsi sul<strong>la</strong> conferma a<br />
Piero Trucioli da Volterra ora che era diventato priore e non più semplice canonico,<br />
ricevendone risposta affermativa 86 .<br />
Per l’anno seguente, il nostro ritorna all’incarico di “ceraiuolo” 87 . Funzione non<br />
riconfermata nel 1555, anno in cui il Giambul<strong>la</strong>ri non riceve alcuna funzione degli ufficiali<br />
del capitolo, morendo il 24 agosto con immediata trans<strong>la</strong>zione di canonicato e annesse<br />
condizioni a Donato di Valdambrini 88 .<br />
All’interno del convento inoltre il Giambul<strong>la</strong>ri, diviene il primo custode del<strong>la</strong> biblioteca<br />
<strong>la</strong>urenziana nel<strong>la</strong> cui costruzione come abbiamo visto era stato coinvolto con il Figiovanni.<br />
Testimonianza del conferimento di questa funzione sono i passaggi di due lettere inviate da<br />
Francesco Berni a Giovanni Francesco Bini 89 , nel testo delle quali compare appunto lo stesso<br />
Figiovanni 90 . Quest’ultimo, infatti, permette al Berni l’accesso nel<strong>la</strong> biblioteca per reperire i<br />
libri indicatigli dal Bini per conto di Clemente VII. Il Berni, riferendosi affettuosamente al<br />
provveditore del<strong>la</strong> Laurenziana 91 , scrive:<br />
“Il barba Figiovanni nostro mi ha mostro il capitolo che li scrivete in una lettera, che mi<br />
faccia favore ad entrare ed uscire del<strong>la</strong> libreria di S. Lorenzo, per far quelli servizii di N. S.<br />
re: al<strong>la</strong> cui santità sarete contento dire, che lunedì, al nome di Dio, sarò addosso al<br />
83 Ivi, a p. 61: “Detto dì per un partito unitamente vinto si dette libera autorità a m. Neroni de Neroni, et a me.<br />
Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri che nel<strong>la</strong> causa del<strong>la</strong> cappel<strong>la</strong> dei Taddei, senza più altrimenti litigare convenissimo<br />
con essi Taddei secondo che giudicassino essere conveniente et che tutto quello ne facessimo come amorevoli di<br />
nostra casa, da Capitolo senza eccettione sarebbe sempre approvato.” E ancora a p. 62 il 21 dicembre questa<br />
autorità viene riconfermata ai due: “Ragunato il nostro Capitolo…per partito di tutte fave nere si dette di nuovo<br />
autorità alli reverendi m. Neroni…et…Gambul<strong>la</strong>ri che oltre al terminare di comporre <strong>la</strong> lite che ha il capitolo<br />
con ser Francesco di Vincentio Taddei, accettassino ancora certo credito di venti denari sul monte del Comune<br />
di Firenze, promettendo che tutto quello che li dua soprascritti canonici facessimo, sarebbe accettato per<br />
benessimo fatto.”<br />
84 Ivi, p. 64, “Venerdì adì XVII di marzo MDLII (1553)”<br />
85 Ivi, p. 67.<br />
86 Ivi, p. 73: “A dì 25 d’ottobre 1553[…]Item…dal nostro Me. Pierfranc. Giambul<strong>la</strong>ri corista de nostri canonici<br />
fu domandato se egli doveva admettere a tutte le distribuzioni di nostra chiesa il predetto nostro signor Priore<br />
M. Piero da Volterra, siccome era solito admetterlo quando era Canonico, da tutti li congregati fu<br />
benignamente risposto a viva voce, che tutti erano contentissimi del prefato M. Piero godessi le solite exentioni<br />
già concessegli dall’Illustrissimo Duca nostro…”.<br />
87 Ivi, p. 78-79: “Mercoledì a dì XVI Maggio 1554…per uno anno proximo futuro da cominciare il dì primo di<br />
Giugno 1554[…]ceraiuolo M. Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri…”.<br />
88 Sugli ufficiali dell’anno in questione cfr. pp. 86-87. Inoltre per <strong>la</strong> trans<strong>la</strong>zione delle prerogative del<br />
Giambul<strong>la</strong>ri al Valdambrini leggiamo a p. 88: “A dì 25 agosto…per partito vinto con tutte fave nere M. Donato<br />
…Valdambrini per nostro canonico già posseduto da…M. Pierfranc. Giambul<strong>la</strong>ri per sua morte a licentia non<br />
di manco dell’Illu. S. Duca come per un soprascripto di Messer Lelio e tractone <strong>la</strong> bol<strong>la</strong> come amp<strong>la</strong>mente furno<br />
da tutto il capitolo viste et lette li fu concesso il possesso et lo stallo in coro et <strong>la</strong> voce in capitolo et <strong>la</strong><br />
costitutioni giurate promettendo ad observantia[…]” e nel<strong>la</strong> stessa pagina di seguito, nel<strong>la</strong> riunione del 28<br />
agosto, il capitolo assegna al Valdambrini <strong>la</strong> stanza occupata dal Giambul<strong>la</strong>ri.<br />
89 Sul quale rinviamo al<strong>la</strong> voce di G. Ballistreri, Giovanni Francesco Bini (Bino), in DBI, volume X, Roma<br />
1968, pp. 510-513.<br />
90 I testi delle lettere in questione, entrambe inviate da Francesco Berni a Francesco Giovanni Bini, da Firenze a<br />
Roma, rispettivamente il 28 marzo e il 12 aprile del 1534 si trovano in F. Berni, Rime poesie <strong>la</strong>tine e lettere edite<br />
e inedite ordinate e annotate per cura di Antonio Virgili aggiuntovi <strong>la</strong> Catrina, il Dialogo contra i poeti e il<br />
Commento al capitolo del<strong>la</strong> primiera, Firenze, successori Le Monnier, 1885, pp. 326-329.<br />
91 Il legame affettivo esistente tra il Figiovanni, il Bini e il Berni traspare chiaramente anche dal<strong>la</strong> precedente<br />
lettera del Berni a quest’ultimo del 14 gennaio 1534 in cui leggiamo: “M. Giovanni Battista Figiovanni vostro e<br />
mio, che dice che vi vuol tanto bene quanto presso che non dissi al<strong>la</strong> casa de’ Medici…” in F. Berni, Rime, cit.,<br />
pp. 324-326, passo riportato a p. 325.<br />
16
Giambul<strong>la</strong>ri, e caverò il marcio dell’uno e dell’altro negozio; dico del libro di filosofia, e<br />
dello Ippocrate.” 92<br />
Le ricerche condotte nel<strong>la</strong> <strong>la</strong>urenziana, tuttavia, nonostante l’impegno dello stesso custode,<br />
non danno buoni risultati, in base a quanto il Berni dichiara nel<strong>la</strong> successiva missiva:<br />
“che mi pare esser chiaro che noi non faremo mai niente quanto al ritrovare quelli<br />
quinterni scambiati nel libro, di che mi dette nota mastro Ferrando, perché oltre al<strong>la</strong><br />
diligenzia che ne feci io il primo dì, l’ha fatta parecchi dì al<strong>la</strong> fi<strong>la</strong> quel prete de’ Giambul<strong>la</strong>ri<br />
che è quivi custode, e ultimamente Piero Vettori, il qual mi risolve che è come cercar de<br />
funghi: pure non si <strong>la</strong>scia di per questo di far nuova diligenza, né si <strong>la</strong>scerà. Quanto al farlo<br />
riscrivere dall’archetipo, in caso che non si trovassimo, non bisogna pensare; perché siamo<br />
risoluti che tale libro non solo non v’è, ma non vi fu mai. Lo Ippocrate con lo Erotiano, che<br />
N. S.re mi disse e il signor Lascari 93 , dice il Giambul<strong>la</strong>ri ch’è un pezzo che il Guarino cavò di<br />
libraria e mandollo a Roma, né sa a chi; e conclude che non v’è. E anche di questo non<br />
bisogna far conto qua: cerchisi costà, e per cercarlo io vedrò d’avere dal detto quelle più<br />
conietture che potrò; ma fin adesso <strong>la</strong> cosa sta come voi intendete.” 94<br />
Secondo quanto emerge abbastanza chiaramente dal precedente passo <strong>la</strong> ricerca del Berni si<br />
comprende nelle sue finalità per <strong>la</strong> menzione del medico siciliano Ferrando e di Giovanni<br />
Lascari. Il medico siciliano non è altri che Ferdinando Ba<strong>la</strong>mi che, su incarico di Clemente<br />
VII, al momento del<strong>la</strong> missiva del Berni, si dedica al<strong>la</strong> traduzione in <strong>la</strong>tino del trattato di<br />
Galeno sull’anatomia: il De ossibus, per <strong>la</strong> quale i testi di Ippocrate e Erotiano sono passaggi<br />
obbligati. Parimenti imprescindibile, al <strong>la</strong>voro del medico siciliano è l’emendazione del testo<br />
originario greco di Galeno di cui si occupa Giovanni Lascari. Pertanto, il terzo libro a cui si<br />
allude nel<strong>la</strong> lettera è una versione del trattato galeniano in lingua originale greca necessario al<br />
Lascari per effettuare alcune verifiche. Del<strong>la</strong> traduzione, finalmente compiuta e stampata a<br />
Roma e del suo autore 95 , parlerà un’altra lettera inviata dal Berni a Carlo Gualteruzzi da Fano<br />
nel 1535: lettera indicativa anche dei rapporti e dei legami intrattenuti dal Berni con gli<br />
ambienti dell’evangelismo italiano, che era stato del resto nell’entourage del vescovo di<br />
Verona Gian Matteo Giberti 96 fino al<strong>la</strong> fine del 1532 97 .<br />
Inoltre, non va trascurato in questa direzione, oltre all’amicizia col Berni, il legame<br />
instauratosi tra il Bini ed il Sadoleto. Il Bini, infatti, entra nel<strong>la</strong> segreteria del Sadoleto nel<br />
1525 ottenendo da lui anche dopo il suo trasferimento a Carpentras sostegno e appoggio per<br />
acquisire benefici e riconoscimenti nell’ambito del<strong>la</strong> Curia. All’interno del<strong>la</strong> quale lo<br />
92 Ivi, lettera cit., passo riportato a p. 326.<br />
93 Giovanni Lascari che in questo periodo e fino al<strong>la</strong> sua morte occorsa nel 1535 è al servizio del Cardinale<br />
Niccolò Ridolfi a Roma, in proposito ai loro rapporti anche precedenti cfr. R. Ridolfi, La biblioteca del cardinale<br />
Niccolò Ridolfi, in “La Bibliofilia”, anno XXXI, 1929, maggio, pp. 173-193, in partico<strong>la</strong>re pp. 177-180; ivi<br />
inoltre cfr. anche riguardo all’aiuto fornito dal cardinale all’attività culturale di Pier Vettori e al<strong>la</strong> stima nutrita<br />
nei confronti del cardinale pp. 181-182.<br />
94 Berni, Rime, cit., lettera cit., passo riportato alle pp. 327-328.<br />
95 Riguardo a Ferdinando Ba<strong>la</strong>mio in precedenza medico di Leone X, dal 1530 protomedico pontificio e in<br />
seguito segretario del cardinale filomediceo Alessandro Cesarini (sul quale cfr. <strong>la</strong> voce di F. Petrucci, Cesarini<br />
Alessandro, in DBI, vol. XXIV, Roma, 1980, pp. 180-182) e al<strong>la</strong> sua traduzione rinviamo al<strong>la</strong> voce di P.<br />
Zambelli, Ba<strong>la</strong>mi Ferdinando (Ferrante Siciliano), in DBI, vol. V, Roma, 1963, pp. 307-308.<br />
96 Cfr. <strong>la</strong> voce di A. Turchini, Giberti Gian Matteo, in DBI, vol. LIV, cit., pp. 623-629, in partico<strong>la</strong>re sul Berni<br />
p. 626 e A. Prosperi, Tra Evangelismo e Controriforma: G. M. G. (1495-1543), Roma, 1969.<br />
97 Lettera inviata a Messer Carlo Gualteruzzo da Fano in Roma da Firenze 31 marzo 1535, in Berni, Rime, cit.,<br />
p. 341 in cui a proposito del siciliano medico Ferrando scrive: “Pregovi quando vi vien visto M. ro Ferrando<br />
siciliano medico, ringratiate S. S. per mia parte dell’opera che mi ha mandato a donare con tanta cortesia,<br />
ricordandosi di me che non è punto cambiato; et diteli che per quel poco iuditio che ho, mi par bellissima et<br />
degna delle sue lettere et del suo ingegno. Raccomandatemi a Mons. Di Carnesecchi a M. Giovanni del<strong>la</strong> Casa,<br />
et al Molza e voi amatemi.”<br />
17
vediamo, negli anni trenta alle dirette dipendenze dei protonotari apostolici, tra cui dal 1533 il<br />
Carnesecchi 98 . Impegnato a tenere i contatti con Firenze e con il Fiegiovanni, non solo per le<br />
questioni attinenti i libri menzionati nelle lettere del Berni sopraindicate, ma anche a<br />
comunicare <strong>la</strong> volontà pontificia riguardo al completamento del<strong>la</strong> Laurenziana, a sostegno<br />
delle richieste e delle esigenze espresse nel merito da Miche<strong>la</strong>ngelo e a fungere da filtro e<br />
collegamento tra l’artista e il Figiovanni in due occasioni 99 .<br />
Il Giambul<strong>la</strong>ri mantiene l’incarico di custode del<strong>la</strong> biblioteca del convento, fino al<strong>la</strong> sua<br />
morte. La continuità di questa funzione, infatti, viene confermata da alcune tracce sparse<br />
lungo gli anni. La <strong>prima</strong> concerne, come indica il biglietto scritto dal Giambul<strong>la</strong>ri a<br />
Pier<strong>francesco</strong> Riccio il 2 febbraio 1541, l’invio al fedele servitore di Cosimo di due<br />
manoscritti, uno di Plinio, l’altro di Cornelio Celso 100 . La seconda, riguarda alcuni libri<br />
detenuti dal cardinale Niccolò Ridolfi che sarebbero dovuti tornare con <strong>la</strong> sua morte al<strong>la</strong><br />
Laurenziana. Allo scopo, il nostro canonico viene incaricato di sti<strong>la</strong>re una nuova più accurata<br />
lista dei libri contenuti nel<strong>la</strong> biblioteca medicea, come conferma <strong>la</strong> lettera di Cristiano Pagni<br />
al Riccio del 31 marzo 1550:<br />
“[…]Ho hauto l’Indice del<strong>la</strong> libreria di S. Lorenzo, et s’è dato al Portio [Simone Porzio]<br />
per ordine di sua Ecc.a [Cosimo I] acciò lo riscontri con quello di [Niccolò] Ridolfi et come<br />
lo rihabia lo rimanderò al Giambul<strong>la</strong>ri [Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri]. A sua Ecc.a piace se ne<br />
debba fare un altro al netto in carta buona ma con maggior diligentia che non è fatto questo,<br />
distinguendo l’opere che sono in ciascun volume, come scriverò al Giambul<strong>la</strong>re quando gliel<br />
[glielo] rimanderò et sarà con V.S. per ordinarlo[…] 101<br />
Lettera a cui segue, <strong>la</strong> missiva del Riccio al Pagni del 1 aprile che, oltre a presentare allegate<br />
due epistole dell’ambasciatore di Cosimo I a Roma Averardo Serristori e di Benvenuto<br />
Cellini, attesta del<strong>la</strong> diligente esecuzione del compito assegnato al Giambul<strong>la</strong>ri, e del buon<br />
andamento dei <strong>la</strong>vori del<strong>la</strong> Laurenziana:<br />
“[…]L’indice per <strong>la</strong> libreria di S.o Lorenzo stato molto bene, scripto et annotato in quel<br />
modo che S. Ex. Ordina al [Pier<strong>francesco</strong>] Giambul<strong>la</strong>ri, et io gli adviserò perché si faccia<br />
una pulizia libro (o in pulizia libro o libri), <strong>la</strong> qual libreria, dico, del<strong>la</strong> stanza, si vien finendo<br />
con gran soddisfatione d’ognuno da giorni, e da infiniti forestieri che passano a visitare il<br />
loco, con lode infinita di sua Ex. […]” 102<br />
Il maggiordomo di Cosimo I, invia poi una parte dell’indice con <strong>la</strong> lettera del 5 Aprile<br />
inviata al Pagni 103 . Il Riccio scrive infatti:<br />
“In risposta di questa lettera di V. S. del 2 en <strong>la</strong> quale dico che sia usata e usa<br />
diligentia…l’esemp<strong>la</strong>re […]Mando con questa a V. S. il cominciato indice de libri qua del<strong>la</strong><br />
98 In proposito vedi <strong>la</strong> voce di A. Rotondò, Carnesecchi Pietro, in DBI, Roma, 1977, vol. XX, pp. 466-476.<br />
99 Cfr. in tal senso <strong>la</strong> lettera di Battista Figiovanni in Firenze a Miche<strong>la</strong>ngelo in Roma del 7 ottobre 1532, di<br />
Giovan Francesco Bini in Roma a Miche<strong>la</strong>ngelo in Firenze del 3 agosto 1533 e quel<strong>la</strong> di Sebastiano del Piombo<br />
in Roma a Miche<strong>la</strong>ngelo in Firenze del 23 agosto 1533 in Il carteggio di Miche<strong>la</strong>ngelo, cit., in partico<strong>la</strong>re vedi<br />
vol. III, p. 436, vol. IV, pp. 34-35 e pp. 44-45<br />
100 In proposito vedi A. Cecchi, Il maggiordomo ducale Pier<strong>francesco</strong> Riccio e gli artisti del<strong>la</strong> corte medicea,<br />
in “Mitteilungen des Kunsthistorischen institutes in Florenz”, XII. Band – 1998 – Heft 1, pp. 115-143, in<br />
partico<strong>la</strong>re p. 115.<br />
101 ASF, Mediceo del Principato (d’ora in poi MdP), filza 1176, inserto n. 3, c. 38, Cristiano Pagni a<br />
Pier<strong>francesco</strong> Riccio il 31 marzo 1550 da Pisa.<br />
102 ASF, MdP, filza 397, c. 15 Pier<strong>francesco</strong> Riccio a Cristiano Pagni il 1 aprile 1550 da Firenze.<br />
103 ASF, MdP, filza 397, cc. 111-112 da Pier<strong>francesco</strong> Riccio a Cristiano Pagni il 5 Aprile 1550.<br />
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Libreria di S. Lorenzo, di Francesco Giambul<strong>la</strong>ri, è a punto a mezzo, per V. S. si degnerà<br />
ordinare[…]” 104<br />
Il 9 aprile poi il Portio invia al duca una lettera che dà notizia del riscontro compiuto<br />
sull’indice del<strong>la</strong> Laurenziana <strong>la</strong>mentando l’assenza nel<strong>la</strong> lista del Ridolfi di molti codici e libri<br />
che il cardinale avrebbe dovuto restituire al<strong>la</strong> biblioteca medicea 105 .<br />
Un’altra traccia dell’incarico svolto del Giambul<strong>la</strong>ri risale al 1552 e riguarda <strong>la</strong><br />
conservazione dei libri del<strong>la</strong> Laurenziana, messi a repentaglio da roditori e polvere, che<br />
destano <strong>la</strong> preoccupazione del capitolo <strong>la</strong>urenziano e le conseguenti contromisure indicate nel<br />
già citato libro dei partiti:<br />
“Mercoledì a dì 13 di settembre 1552…avuta consideratione, che i libri del<strong>la</strong> nostra<br />
mobilissima Libreria di San Lorenzo, anchorache in ogni tempo sieno stati benissimo<br />
custoditi, restarono alquanto offesi da sorci et simili animaletti, per salvezza di essi libri si<br />
vinse un partito con tutte fave nere che il reverendo Messer Pierfranc. Giambul<strong>la</strong>ri nostro<br />
Canonico et custode di detti libri, a sua elettione pigliassi un Chierico habile che dua volte, o<br />
una almeno ogni mese rivedessi et spolverassi detti libri, et al prefato Chierico per sua<br />
mercede fu dal Capitolo…lire dodici l’anno cioè soldi venti il mese.” 106<br />
In questi primi anni dopo il 1550 si registra <strong>la</strong> richiesta del Borghini concernente le opere di<br />
Origene 107 a cui il Giambul<strong>la</strong>ri risponde:<br />
“Origenis de omnibus sedibus veterorum Philosophorum<br />
Liber col<strong>la</strong>tus ex opibus Origenis, qui vocatur philocalia.<br />
Non ci abbiamo altre cose di Origene che le due segnate di sopra. Ne vi sia meraviglia se<br />
avete in fantasia altri titoli, il non ritrovarceli: perché questo è difetto dello indice vecchio,<br />
che in moltissimi luoghi si trova errato ne titoli. Habbiamolo con somma diligentia, et veduto<br />
minutissimamente ogni libro a carta a carta: et …i titoli falsi, ridotto il tutto al vero esser<br />
suo. Et come vi dico, di Origene tra greci et non ci abbiamo altro: et questo potrete vedere a<br />
vostra comodità in camera mia: ma volendo cavargli di qui vi bisogna <strong>la</strong> poliza di mano di<br />
Messer Lelio. Sempre al piacer vostro. Di S. Lorenzo il 24 di novembre 1551.<br />
2. Accademico: le lezioni dantesche<br />
Queste notazioni biografiche già sufficienti a testimoniare il legame tra Pier<strong>francesco</strong><br />
Giambul<strong>la</strong>ri e l’ambiente mediceo, ne costituiscono peraltro soltanto un aspetto. Il trascorrere<br />
dell’esistenza di Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri all’interno dell’entourage mediceo infatti risulta<br />
evidente anche in re<strong>la</strong>zione al<strong>la</strong> sua attività di letterato e di membro dell’Accademia<br />
fiorentina.<br />
In questa direzione <strong>la</strong> <strong>prima</strong> scrittura rilevante del Giambul<strong>la</strong>ri, al di là delle sue<br />
composizioni in versi non facilmente databili ma in gran parte limitate al periodo giovanile 108 ,<br />
104 Ivi, carta 111.<br />
105 ASF, MdP, filza 397, cc. 172-174 Portio a Cosimo da Livorno 9 Aprile 1550, riportata quasi integralmente<br />
in R. Ridolfi, La biblioteca, cit., e al<strong>la</strong> quale rinviamo sul testo e sul senso del<strong>la</strong> lettera nel<strong>la</strong> vicenda dei libri del<br />
cardinale, in partico<strong>la</strong>re vedi pp. 185 e 190-193.<br />
106 Cod. 2299, cit., passo riportato a p. 58.<br />
107 Carte strozziane, c<strong>la</strong>sse XXV, 551, Carte e memorie varie di Vincenzo Borghini si trovano in BNF a p. 45:<br />
“io vorrei da v. s. un singu<strong>la</strong>r piacer, che <strong>la</strong> si degnassi per un poco mente in su l’indice dei libri greci Sacri,<br />
delle opere di Origine sono costì nel<strong>la</strong> biblioteca: che me ne dessi un poco d’avviso che mi ricordo avervi letto<br />
sopra S. Pagolo…”<br />
19
è il celebrativo resoconto dei preparativi per le nozze di Cosimo I con Eleonora figlia del<br />
viceré di Toledo 109 , corredato anche dalle stanze e dai madrigali di Giambattista Gelli 110 del<br />
1539. Questo scritto d’occasione suggel<strong>la</strong> un evento essenziale per <strong>la</strong> sopravvivenza di<br />
Firenze come entità politica autonoma. Il matrimonio, infatti, preceduto dall’assegnazione<br />
imperiale del titolo ducale a Cosimo esclude definitivamente <strong>la</strong> trasformazione di Firenze in<br />
un governatorato spagnolo, anche se l’occupazione imperiale delle fortezze di Firenze e<br />
Livorno durata fino all'estate del 1543 limita fortemente l’indipendenza del potere ducale 111 .<br />
Più indicativo del<strong>la</strong> linea medicea del nostro appare il successivo ruolo svolto nell’ambito<br />
del<strong>la</strong> trasformazione del sodalizio privato degli Umidi in Accademia fiorentina, istituzione di<br />
stato, vera e propria emanazione del potere cosiminiano, funzionale al suo rafforzamento ed<br />
all’attuazione delle sue finalità, ampiamente illustrato dagli ormai c<strong>la</strong>ssici studi di Michel<br />
P<strong>la</strong>isance 112 .<br />
L’ingresso del Giambul<strong>la</strong>ri infatti, cooptato nel sodalizio degli Umidi (sorto il 1 novembre<br />
1540 in una riunione a casa di Giovanni Norchiati), insieme al suo amico anche lui mediceo<br />
Cosimo Bartoli il 25 dicembre, segna infatti l’inizio di quello che sarebbe stato un vero e<br />
proprio stravolgimento del gruppo raccoltosi intorno al<strong>la</strong> carismatica figura del Lasca, sotto il<br />
patronato di Giovanni Mazzuoli. In realtà, gli Umidi 113 , accolgono con favore l'ingresso dei<br />
due arroti, sia in vista di una facilitazione dei rapporti con il potere ducale 114 , sia per il valore<br />
aggiunto che le loro competenze linguistiche possono apportare allo sviluppo del<strong>la</strong> lingua.<br />
Competenze peraltro eccentriche quelle dei due arroti rispetto al<strong>la</strong> maggioranza degli Umidi,<br />
si rive<strong>la</strong>no più vicine soltanto agli interessi del già menzionato Giovanni Norchiati,<br />
(soprannominato il “<strong>la</strong>crimoso”) che predilige le problematiche connesse al vocabo<strong>la</strong>rio del<strong>la</strong><br />
lingua volgare rispetto al<strong>la</strong> poesia ed alle cognizioni euclidee. 115 Giambul<strong>la</strong>ri e Bartoli, d’altra<br />
108 Ivi, a questo proposito, cfr. pp. 34-35 in cui il Va<strong>la</strong>cca dissente, sia dal Gotti, sia dal Moreni sul<strong>la</strong><br />
limitazione del periodo di composizione delle rime al<strong>la</strong> gioventù e ipotizza il proseguimento di tale attività fino<br />
al 1544. Del<strong>la</strong> produzione in versi del Giambul<strong>la</strong>ri verranno pubblicati postumi i sei canti carnascialeschi nel<strong>la</strong><br />
raccolta: Tutti i trionfi, carri, mascherate [sic] o canti carnascialeschi andati per Firenze dal tempo del<br />
magnifico Lorenzo vecchio de Medici…infino a questo anno presente 1559, Firenze, L. Torrentino, 1559, del<strong>la</strong><br />
quale il “Lasca” (Anton Francesco Grazzini) sarà il curatore.<br />
109 Apparato et feste nelle nozze dello illustrissimo Signor Duca di Firenze et del<strong>la</strong> Duchessa sua Consorte, con<br />
le sue Stanze, Madrial, Commedia et intermedii in quel<strong>la</strong> recitati, Impressa in Fiorenza per Benedetto Giunta<br />
1539, sul quale cfr. Va<strong>la</strong>cca, La vita e le opere, cit., pp. 41-46 e G. Cipriani, Il mito etrusco nel rinascimento<br />
fiorentino, Firenze, Olschki, 1980, 75-79; inoltre su Eleonora cfr. <strong>la</strong> re<strong>la</strong>tiva voce Eleonora de Toledo di V.<br />
Arrighi, in DBI, vol. XLII, pp. 437-441 .<br />
110 Sul quale rinviamo preliminarmente a A. L. De Gaetano, Giambattista Gelli and the Florentine Academy:<br />
the Rebellion against Latin, 1976, Firenze, olschki, in partico<strong>la</strong>re pp. 37-39, inoltre cfr. G. Cipriani, Il mito<br />
etrusco, cit., in partico<strong>la</strong>re pp. 78-80 e Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri. Nota introduttiva, cit., pp. 830-831.<br />
111 In proposito A. D’Addario, Alle origini dello Stato moderno in Italia, cit., pp. 185-219, Giorgio Spini,<br />
Cosimo I e l’indipendenza del principato mediceo, Firenze, Vallecchi, 1980 (<strong>prima</strong> ediz., Firenze, Vallecchi<br />
1945), R. Von Albertini, Firenze dal<strong>la</strong> Repubblica al Principato, cit., pp. e M. Firpo, Gli affreschi di Pontormo<br />
a San Lorenzo. Eresia, politica e cultura nel<strong>la</strong> Firenze di Cosimo I, Torino, Einaudi, 1997, pp. 295-296.<br />
112 Cfr. R. Albertini, Firenze dal<strong>la</strong> Repubblica al Principato, cit., pp. 201-305, per tutto quello che concerne<br />
però l’Accademia fiorentina cfr. soprattutto M. P<strong>la</strong>isance, Une première affirmation, cit., e Id., Culture et<br />
politique à Florence de 1542 a 1551: Lasca et les Humidi aux prises avec l'Académie Florentine, in Les<br />
écrivains et le pouvoir en Italie à l'époque de <strong>la</strong> Renaissance, vol. II, Université de <strong>la</strong> Sorbonne nouvelle, Paris<br />
1974, pp. 149-242, entrambi ora in Id., L’Accademia e il suo principe. Cultura e politica a Firenze al tempo di<br />
Cosimo I e di Francesco de’ Medici, Vecchiarelli editore, Roma, 2004, rispettivamente alle pp. 29-122 e 123-<br />
234.<br />
113 Ivi, riguardo al<strong>la</strong> nascita e alle caratteristiche dell'Accademia degli Umidi, alle sue peculiarità ed ai suoi<br />
legami con l’Accademia degli Infiammati e alle re<strong>la</strong>zioni intercorrenti tra alcuni suoi esponenti e Benedetto<br />
Varchi cfr. M. P<strong>la</strong>isance, Une primière affirmation, cit., pp. 45-46 e 49, inoltre cfr. P. Simoncelli, La lingua di<br />
Adamo. Guil<strong>la</strong>ume Postel tra accademici e fuoriusciti fiorentini, Firenze, Olschki, 1984, p. 47, in partico<strong>la</strong>re<br />
nota 88; M. Firpo, Gli affreschi di Pontormo, cit., pp. 167-169, Ann E. Moyer, Textualizing Florence: Florentine<br />
Studies in the Age of Cosimo I, University of Pennsylvania, 2003, pp. 1-24, in partico<strong>la</strong>re pp. 2-3.<br />
114 Cfr. M. Firpo, Gli affreschi, cit., p. 169.<br />
115 D. Moreni, Continuazione, cit., cfr. tomo II, pp. 153-154 sul<strong>la</strong> stima del Norchiati verso il Giambul<strong>la</strong>ri il<br />
testo del<strong>la</strong> lettera dedicatoria dell'11 novembre 1538 del suo Trattato de' diphtonghi toscani del 1539, ma<br />
20
parte, come da ultimo ha sottolineato il D’Alessandro, pongono lo sviluppo del volgare al<br />
servizio del<strong>la</strong> divulgazione di un sapere enciclopedico in grado di superare gli steccati imposti<br />
dal <strong>la</strong>tino e capace di concedere ampio spazio e rilievo alle scienze tecniche e meccaniche, in<br />
evidente discontinuità con <strong>la</strong> priorità attribuita dagli Umidi al<strong>la</strong> poesia. I due arroti si<br />
muovono in base alle esigenze di consenso e legittimazione dello stato cosimiano e di<br />
efficienza del suo apparato tecnocratico, in linea con <strong>la</strong> profonda trasformazione in atto del<strong>la</strong><br />
figura del letterato nel<strong>la</strong> nuova condizione storico-politica fiorentina e italiana e del<strong>la</strong><br />
funzione del sapere strettamente connessa alle nuove possibilità del<strong>la</strong> sua divulgazione<br />
attraverso lo sviluppo del<strong>la</strong> stampa 116 .<br />
Istanze che si affermano con l’ingresso tra 15 e 20 gennaio di molti filomedicei e <strong>la</strong><br />
seguente riforma dell’11 febbraio 1542, compiuta dietro <strong>la</strong> regia del potere ducale, che<br />
costituisce formalmente l’Accademia fiorentina. Riforma nel<strong>la</strong> quale per <strong>la</strong> verità il P<strong>la</strong>isance<br />
sottolinea maggiormente il contributo preparatorio apportato da Cosimo Bartoli, rispetto al<br />
nostro, anche se Salvatore Lo Re in un recente saggio è tornato sul punto evidenziando<br />
l’intervento fondamentale fornito in fatto di riforme interne da un altro personaggio, anche lui<br />
strettamente legato al Giambul<strong>la</strong>ri, Carlo Lenzoni 117 .<br />
Tuttavia, l’egemonizzazione da parte ducale dell’Accademia vive fasi successive e si<br />
produce secondo dinamiche molteplici. Indubbiamente Giambul<strong>la</strong>ri, Lenzoni, Bartoli e<br />
Giambattista Gelli recitano in questa direzione un ruolo non trascurabile, che va però<br />
considerato secondo le proprie peculiarità e contraddizioni e comunque inquadrato rispetto<br />
alle istanze cosimiane con le quali, non necessariamente e in tutti i frangenti, è destinata a<br />
coincidere. Certamente il ruolo non secondario per l’acquisizione del pieno controllo<br />
dell’istituzione da parte ducale svolto dal gruppo del Giambul<strong>la</strong>ri nei primi anni di vita<br />
dell’Accademia è testimoniato dal<strong>la</strong> vittoriosa contrapposizione letteraria ed accademica<br />
sostenuta con gli Umidi coagu<strong>la</strong>ti attorno a Benedetto Varchi 118 , tornato dall’esilio nel 1543,<br />
che si conclude con <strong>la</strong> riforma del 4 marzo 1546 che l’anno seguente provoca l’espulsione<br />
degli Umidi contrari all’indirizzo mediceo e favorisce l’elezione al conso<strong>la</strong>to del Giambul<strong>la</strong>ri.<br />
Un conflitto (peraltro condito anche dalle accuse del Lenzoni al Varchi e l’arresto di<br />
quest’ultimo nel 1545 letterario) letterario che propone evidenti divaricazioni sul piano<br />
ortografico e linguistico, dalle chiare implicazioni politiche. Giambul<strong>la</strong>ri, infatti, autore<br />
insieme a Cosimo Bartoli delle criticate Regole per <strong>la</strong> pronunzia fiorentina pubblicate nel<br />
1544 sotto lo pseudonimo di Neri Dorte<strong>la</strong>ta 119 , comincia durante il conso<strong>la</strong>to di Benedetto<br />
Varchi nell’estate del 1545 il trattatello linguistico del Gello di impostazione chiaramente<br />
antibembesca. Nel suo scritto il Giambul<strong>la</strong>ri presenta le tesi aramaico-etrusche sul<strong>la</strong><br />
derivazione del toscano dal caldaico e sul<strong>la</strong> fondazione di Firenze da parte di Ercole Libio<br />
unificatore di tutta <strong>la</strong> Toscana, per sostenere <strong>la</strong> politica espansionistica a livello regionale di<br />
soprattutto sugli interessi letterari del Norchiati cfr. M. P<strong>la</strong>isance, Une première affirmation, cit., pp. 77-79 e 83<br />
e C<strong>la</strong>udia Di Filippo Bareggi, In nota al<strong>la</strong> politica culturale di Cosimo I: l’Accademia fiorentina in “Quaderni<br />
Storici”, 1973 maggio-agosto, n. 23, pp. 527-574, in partico<strong>la</strong>re pp. 531-532 e 536; cfr. inoltre C. Marconcini,<br />
L’Accademia del<strong>la</strong> Crusca dalle origini al<strong>la</strong> <strong>prima</strong> edizione del vocabo<strong>la</strong>rio (1612), Pisa, tipografia Valenti,<br />
1910, pp. 32-33. Cfr. inoltre sul Norchiati Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri. Nota introduttiva, cit., p. 832.<br />
116 Alessandro d’Alessandro, Cultura e politica nell’Accademia fiorentina: note alle lezioni su Dante di<br />
Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri in “Medioevo e Rinascimento”, ottobre 2002, pp. 217-240, in partico<strong>la</strong>re pp. 218-<br />
221; sulle profonde trasformazioni che coinvolgono gli intellettuali italiani nel XVI secolo cfr. anche G.<br />
Mazzacurati, Conflitti di culture nel Cinquecento, Napoli, Liguori, 1977, pp. 225-288, in partico<strong>la</strong>re<br />
sull’Accademia Fiorentina pp. 227-228 e 232, 249-251 e 273.<br />
117 Vedi M. P<strong>la</strong>isance, Une Première affirmation, cit., pp. 79-89 e Salvatore Lo Re, La Vita di Numa Pompilio<br />
di Ugolino Martelli. Tensioni e consenso nell’Accademia fiorentina (1542-1545), in “Bruniana e<br />
Campanelliana”, 2003, pp. 59-72, in partico<strong>la</strong>re vedi pp. 62-63.<br />
118 Sul quale rinviamo in primo luogo a S. Lo Re, Biografie e biografi di Benedetto Varchi, in “Archivio<br />
Storico Italiano”, anno CLVI, 1998, disp. IV, pp.671-736.<br />
119 M. P<strong>la</strong>isance, Culture et politique, cit., pp. 137 e 145 per le critiche del Varchi, cfr. inoltre I<strong>la</strong>ria Bonomi,<br />
Introduzione a Regole del<strong>la</strong> lingua fiorentina, cit., pp. XVII-XVIII, e Ann E. Moyer, Textualizing Florence, cit.,<br />
p. 7-9.<br />
21
Cosimo, novello Ercole. Il Gello riprende e approfondisce le tesi formu<strong>la</strong>te all’inizio del 1544<br />
dal Gelli, verso il quale il Giambul<strong>la</strong>ri riconosce già nel titolo del suo scritto il suo debito, nel<br />
manoscritto Dell’Origine di Firenze che sviluppa quanto già enucleato nell’ Egloga per il<br />
felicissimo giorno di 9 gennaio nel quale lo eccellentissimo Signor Cosimo fu fatto Duca di<br />
Firenze del 1542 120 .<br />
In alternativa all’immagine aramaica di conquistatore, Ugolino Martelli 121 altro ex<br />
infiammato, propone per il duca di Firenze, nello stesso 1545 nell’inedito sul<strong>la</strong> Vita di Numa<br />
Pompilio il modello del pacificatore, del moderato e giusto re romano 122 .<br />
Prospettive contrastanti che Cosimo nonostante accolga favorevolmente il Gello<br />
visionandolo durante <strong>la</strong> sua stesura e facendolo pubblicare nel 1546 dal primo stampatore<br />
ducale, Anton Francesco Doni, cerca di far convivere attraverso un’accorta politica di<br />
pubblicazioni e dediche per alimentare <strong>la</strong> propria immagine di giusto principe, protettore dei<br />
letterati, amante delle arti 123 .<br />
Senza dimenticare il momento di massima conflittualità vissuto nel biennio 45-46 con Paolo<br />
III costante minaccia al consolidamento dello stato fiorentino, Cosimo attua una politica volta<br />
ad utilizzare pienamente in chiave di consenso e rafforzamento dello stato il maggior numero<br />
possibile di intellettuali, pur all’interno del<strong>la</strong> progressiva normalizzazione dell’Accademia. Si<br />
muove pertanto in modo spregiudicato, variabile, multidirezionale 124 , come dimostra nel 1549<br />
<strong>la</strong> riedizione delle Prose del Bembo precedute da una dedica di Varchi, che già da due anni,<br />
stipendiato da Cosimo scrive <strong>la</strong> Storia fiorentina, e contemporaneamente l’uscita del<strong>la</strong><br />
seconda edizione del Gello del Giambul<strong>la</strong>ri sempre ad opera del nuovo stampatore ducale<br />
Lorenzo Torrentino 125 .<br />
Le posizioni linguistiche aramaiche del Giambul<strong>la</strong>ri, dopo l’allineamento accademico<br />
perdono rapidamente terreno presso <strong>la</strong> corte medicea 126 , senza contare che già dopo il<br />
trattatello manoscritto del 1544 il Gelli scioglie il loro tandem distanziandosi in maniera<br />
crescente dalle fantasiose tesi aramaiche fino a sconfessarle pienamente nel Dialogo o<br />
Ragionamento infra M. Cosimo Bartoli et Giovan Battista Gelli sopra le difficoltà del metter<br />
in Regole <strong>la</strong> nostra lingua. Quest’opera premessa al De <strong>la</strong> lingua che si par<strong>la</strong> e scrive in<br />
120 Sui conflitti tra medicei ed aramei nel periodo 1542-1547 vedi M. P<strong>la</strong>isance, Culture et politique, cit., pp.<br />
141-189 Cfr. inoltre P. Simoncelli, Evangelismo italiano del cinquecento. Questione religiosa e nicodemismo<br />
politico, Roma, Istituto storico per l'età moderna e contemporanea, 1979, pp. 351-356 e in partico<strong>la</strong>re sulle tesi<br />
aramee id., La lingua di Adamo, cit., pp. 18-26 e 34-40 , e M. Firpo, Gli affreschi, cit., pp. 171-174 e 268-284.<br />
121 Sul quale vedi V. Bramanti, Ritratto di Ugolino Martelli (1519-1592), “Schede umanistiche”, n. 2 (1999),<br />
pp. 5-53.<br />
122 Rinviamo a S. Lo Re, La Vita di Numa Pompilio, cit., in partico<strong>la</strong>re pp. 65-71.<br />
123 Sul<strong>la</strong> supervisione ducale del Gello vedi M. P<strong>la</strong>isance, Culture et politique, cit., p. 160. Sull’attività di<br />
Anton Francesco Doni come stampatore mediceo cfr. id., Le retour à Florence de Doni: d’Alexandre à Còme in<br />
appendice al seminario “Una soma di libri”. L’edizione delle opere di Anton Francesco Doni (Pisa, Facoltà di<br />
lettere, ottobre 2002, curato da Gabriel<strong>la</strong> Albanese, ora in L’Accademia e il suo principe, cit., pp. 405-417.<br />
Sull’artico<strong>la</strong>ta politica culturale di Cosimo cfr. ancora di M. P<strong>la</strong>isance, Les Dédicaces à Còme Ier: 1546-1550 in<br />
Charles Adelin Fiorato, Jean-C<strong>la</strong>ude Margolin, éds., L’ècrivain face à son public en France et en Italie à <strong>la</strong><br />
Renaissance, Paris, Vrin, 1989, pp. 173-187, ora in L’Accademia e il suo principe, cit., pp. 235-255 e Id., Còme<br />
Ier ou le prince idéal dans le dédicaces et les traités des annés 1548-1552, in Jean Dufournet, Adelin Fiorato,<br />
Augustin Redondo, Le pouvoir monarchique et ses supports idéologiques : XIVème-XVIIème siècles,<br />
Publications de <strong>la</strong> Sorbonne Nouvelle, 1990, pp. 53-63, ora ivi pp. 257-269.<br />
124 Ann E. Moyer, Textualing Florence, cit., pp. 1-2.<br />
125 In proposito rinviamo a M. P<strong>la</strong>isance, Les Dédicaces à Còme Ier, cit., pp. 249-251 e Ann E. Moyer,<br />
Textualing Florence, cit., p. 5. Inoltre sul Torrentino pseudonimo per Laurens Van der Bleeck rinviamo a A.<br />
Ricci, Lorenzo Torrentino and the Cultural Programme of Cosimo I de’ Medici in AA. VV., The Cultural<br />
Politics of Duke Cosimo I de’ Medici, edited by Konrad Eisenbichler, Aldershot, Ashgate, 2001, pp. 103-119,<br />
cfr. inoltre G. Bertoli, Contributo al<strong>la</strong> biografia di Lorenzo Torrentino stampatore ducale a Firenze (1547-1563)<br />
in AA. VV., Studi in onore di Arnaldo d’Addario, a cura di Luigi Borgia, Francesco de Luca, Paolo Viti,<br />
Raffael<strong>la</strong> Maria Zaccaria, Lecce, Conte editore, 1995, IV voll., II vol., pp. 657-664.<br />
126 M. P<strong>la</strong>isance, Còme Ier ou le prince idéal, cit., p. 259 e nota n. 7 e M. Firpo, Gli affreschi di Pontormo, cit.,<br />
p. 88 e nota n. 69.<br />
22
Firenze del Giambul<strong>la</strong>ri composta nel 1548 ma pubblicata nel 1552 127 , infatti contesta<br />
esplicitamente le posizioni linguistiche del canonico <strong>la</strong>urenziano all’indomani del fallimento<br />
delle due commissioni istituite in seno all’Accademia tra il 1550 ed il 1551 per stabilire le<br />
regole del<strong>la</strong> lingua fiorentina. Del resto, lo stesso Giambul<strong>la</strong>ri, già <strong>prima</strong> di questa sconfitta<br />
accademica delle tesi aramaiche, denota un’evoluzione delle sue posizioni nel De <strong>la</strong> lingua e<br />
nel<strong>la</strong> lezione dantesca tenuta nel 1548, ben diversa dalle precedenti caratterizzate da un<br />
impianto eminentemente neop<strong>la</strong>tonico-ermetico, mostra alcuni segnali di avvicinamento<br />
all’aristotelismo 128 .<br />
Tuttavia, <strong>la</strong> componente aramaica supporta ancora le finalità politico-culturali cosimiane<br />
nell’edizione torrentiniana delle Vite di Giorgio Vasari del 1550. 129 È noto infatti il ruolo che<br />
il Giambul<strong>la</strong>ri insieme al Bartoli ed al Lenzoni e accanto a Vincenzo Borghini, svolge<br />
nell’ultima fase preparatoria del<strong>la</strong> <strong>prima</strong> edizione di questo testo, <strong>la</strong> cui genesi peraltro è tutta<br />
interna all’ambiente farnesiano di Roma. In partico<strong>la</strong>re, sia il canonico <strong>la</strong>urenziano,<br />
responsabile dell’operazione nel suo complesso quale tramite tra editore e autore, sia il<br />
Bartoli, offrono il contributo più significativo per inscrivere l’opera nel quadro del <strong>prima</strong>to<br />
politico-culturale acquisito dal<strong>la</strong> Toscana grazie al principato cosimiano. 130 L’influenza del<br />
gruppo aramaico si percepisce, sia nel<strong>la</strong> divisione delle Vite strutturata originariamente<br />
secondo un criterio cronologico, in tre parti in base agli stili, sia nel proemio generale<br />
dell’opera chiaramente focalizzato sull’origine etrusca dell’arte e in gran parte composto dal<br />
Giambul<strong>la</strong>ri e dal Bartoli. Prospettiva sovrapposta e non perfettamente collimante con il fine<br />
principale manifestato dal Vasari, nel poscritto dell’opera composto con l’aiuto del Borghini,<br />
di raccontare le vite degli artisti piuttosto che di insegnare lo scrivere toscano nel poscritto<br />
dell’opera.<br />
Peraltro, proprio nel proemio generale fatta salva l’origine etrusca dell’arte, trape<strong>la</strong>no<br />
alcune differenze nei passaggi presumibilmente ascrivibili al Giambul<strong>la</strong>ri e al Bartoli.<br />
Quest’ultimo infatti manifesta un certo ondeggiamento sulle premesse caldaiche del<strong>la</strong><br />
fioritura artistica etrusco-toscana e comunque considera secondario il problema delle origini<br />
umane delle arti rispetto al ruolo preponderante attribuito in questo senso all’ispirazione<br />
divina diversamente dalle precise e doviziose coordinate storico-artistiche di tipo caldaicoetrusco<br />
fornite dal Giambul<strong>la</strong>ri. Comunque al di là di queste distinzioni, essi esercitano<br />
un’indubbia influenza anche nell’assunzione da parte delle Vite del<strong>la</strong> prospettiva ciclica che<br />
individua nell’epoca moderna seguita all’antichità ed al MedioEvo una rinascita delle arti<br />
culminante nell’apoteosi miche<strong>la</strong>ngiolesca che coincide con l’affermazione politica del<br />
principato cosimiano. 131<br />
127 Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri Fiorentino, de <strong>la</strong> lingua che si par<strong>la</strong> et scrive in Firenze. Et uno Dialogo di<br />
Giovan Batista Gelli sopra <strong>la</strong> difficoltà dello ordinare detta lingua, in Firenze, Con privilegio di Papa Iulio III,<br />
et Cosimo de Medici, Duca II di Fiorenza, Torrentino, 1552.<br />
128 P. Simoncelli, La lingua di Adamo, cit., pp. 78-79.<br />
129 G. Vasari, Le Vite de più eccellenti pittori scultori e architettori, 1550, Fiorenza, Torrentino, testo del<strong>la</strong><br />
<strong>prima</strong> edizione riproposta insieme a quel<strong>la</strong> giuntina del 1568 che può consultarsi in G. Vasari, Le Vite de’ più<br />
eccellenti scultori, pittori e architettori nelle redazioni del 1550 e 1568, testo a cura di Rosanna Bettarini,<br />
commento seco<strong>la</strong>re a cura di Pao<strong>la</strong> Barocchi, Firenze, Sansoni editore, VIII voll., 1966-1987 Sul Vasari<br />
rinviamo a Ro<strong>la</strong>nd Le Mollé, Giorgio Vasari. L’homme des Mèdicis, Grasset, Paris, 1995, in partico<strong>la</strong>re sulle<br />
Vite pp. 91-141, sull’edizione torentiniana pp. 91-111 e sul contributo del Giambul<strong>la</strong>ri pp 104-105.<br />
130 T. Frangenberg, Bartoli, Giambul<strong>la</strong>ri and the Prefaces to Vasari’s Lives (1550), in “Journal of the Warburg<br />
and Courtauld Institutes” LXV, the Warburg Institute University of London, 2002, pp. 244-258, sul<strong>la</strong><br />
responsabilità complessiva del Giambul<strong>la</strong>ri in partico<strong>la</strong>re vedi pp. 247 (nota n. 23) e 257. Inoltre al riguardo cfr.<br />
l’intervento di P. Scapecchi, Una carta dell’esemp<strong>la</strong>re riminese delle Vite del Vasari con correzioni di<br />
Giambul<strong>la</strong>ri. Nuove indicazioni e proposte per <strong>la</strong> torrentiniana, in “Mitteilungen des Kunsthistorischen institutes<br />
in Florenz”, numero cit., pp. 101-111 che, sul<strong>la</strong> base del ritrovamento fatto, ipotizza Giambul<strong>la</strong>ri essere stato in<br />
un primo momento il solo revisore di tutto il manoscritto vasariano sul quale in tipografia sarebbero in seguito<br />
intervenuti anche Vincenzo Borghini, Lenzoni, Bartoli e i correttori del Torrentino, al riguardo in partico<strong>la</strong>re cfr.<br />
p. 103.<br />
131 Ivi per queste distinzioni tra il Bartoli ed il Giambul<strong>la</strong>ri e per il diverso approccio del Vasari vedi pp. 249-<br />
258; inoltre sull’origine etrusca delle arti nel Le Vite cfr. P. Simoncelli, Jacopo da Pontormo e Pier<strong>francesco</strong><br />
23
Miche<strong>la</strong>ngelo è il destinatario del<strong>la</strong> dedica premessa al<strong>la</strong> Difesa del<strong>la</strong> lingua fiorentina e di<br />
Dante iniziata dal Lenzoni in risposta alle critiche del Bembo e del Tomitano all’Alighieri 132 ,<br />
e completata dal Giambul<strong>la</strong>ri per <strong>la</strong> morte del Lenzoni. In realtà però l’opera sarà pubblicata<br />
soltanto nel 1556 (quindi successivamente al<strong>la</strong> morte del Giambul<strong>la</strong>ri) a cura del Bartoli che<br />
vi manterrà comunque <strong>la</strong> dedica concordata originariamente dal Lenzoni e dal canonico<br />
<strong>la</strong>urenziano 133 . Dedica incentrata in chiave filomedicea sull’accostamento tra Miche<strong>la</strong>ngelo e<br />
Dante quali modelli inarrivabili nei campi artistico e letterario. Il Vasari puntualmente ne<br />
avrebbe riferito nel<strong>la</strong> rie<strong>la</strong>borazione del<strong>la</strong> vita di Miche<strong>la</strong>ngelo apparsa nell’edizione giuntina<br />
delle Vite del 1568 non menzionando però il nome del Giambul<strong>la</strong>ri, nonostante gli ampi<br />
meriti attribuiti al canonico <strong>la</strong>urenziano dal Bartoli nel<strong>la</strong> dedica a Cosimo a proposito del<strong>la</strong><br />
preparazione dell’opera 134 .<br />
Al di là di questo, <strong>la</strong> Difesa registra il definitivo distacco del Giambul<strong>la</strong>ri dalle posizioni<br />
linguistiche aramaiche accompagnata dal<strong>la</strong> costante propensione dantesca in chiave<br />
antibembesca. È una caratteristica comune a tutto il gruppo vicino al canonico <strong>la</strong>urenziano 135<br />
che a prescindere dal diverso grado di adesione alle tesi aramaiche considera Dante quale<br />
fulcro inamovibile del programma di esaltazione del volgare fiorentino perseguito da Cosimo<br />
con <strong>la</strong> fondazione dell’Accademia fiorentina 136 . A livello teoretico infatti <strong>la</strong> preferenza<br />
dantesca tributata nel Convivio al volgare rispetto al <strong>la</strong>tino legittima pienamente <strong>la</strong> sua<br />
valorizzazione quale lingua dotata di dignità letteraria. Sotto il profilo concreto Dante si pone<br />
attraverso <strong>la</strong> Divina Commedia, in antitesi ai pregiudizi bembeschi, quale modello linguistico<br />
di assoluta eccellenza ed emblema del sapere enciclopedico che Cosimo vuole diffondere a<br />
tutti i livelli sociali per rafforzare l’identità e l’efficienza del nuovo assetto politico toscano.<br />
Naturalmente l’opzione linguistica dantesca presenta anche degli immediati risvolti politici in<br />
chiave ghibellina e filo-imperiale nonché antiromana perfettamente in linea con le coordinate<br />
Riccio. Due appunti, in “Critica Storica”, 17, 1980, pp. 331-348 in partico<strong>la</strong>re p. 347 e id., Pontormo e <strong>la</strong> cultura<br />
fiorentina in “Archivio Storico italiano”, 1995, M. Firpo, Gli affreschi di Pontormo, cit., p. 89; cfr. inoltre G.<br />
Cipriani, Il mito etrusco, cit., p. 94.<br />
132 In proposito rinviamo a G. Mazzacurati, Conflitti di culture nel Cinquecento, Napoli, Liguori, 1977, in<br />
partico<strong>la</strong>re pp. 185-200; inoltre cfr. anche Michele Barbi, Dante nel Cinquecento in “Annali del<strong>la</strong> R. Scuo<strong>la</strong><br />
Normale Superiore di Pisa, c<strong>la</strong>sse di filosofia e filologia, 1890, vol. VII, pp. 1-407, in partico<strong>la</strong>re pp. 26-29.<br />
133 C. Lenzoni, In difesa del<strong>la</strong> lingua fiorentina e di Dante, Firenze, Torrentino, 1557.<br />
134 Ivi, il Bartoli a p. 3 scrive: “percioche se bene insieme con M. Pier<strong>francesco</strong> m’ero dopo <strong>la</strong> morte di Carlo,<br />
circa quelli non poco affaticato, avevo nondimeno <strong>la</strong>sciato a lui tutto il peso, et il carico di mandarli fuora” e G.<br />
Vasari, Le Vite, cit., vol. VI, passo in questione a pp. 91-92 in cui leggiamo: “si risolvè fuggirsi di Roma, e<br />
segretamente andò Miche<strong>la</strong>ngelo nelle montagne di Spu<strong>la</strong>to; dove egli visitando certi luoghi di romitori, nel<br />
qual tempo scrivendoli il Vasari e mandandogli una operetta che Carlo Lenzoni cittadino fiorentino al<strong>la</strong> morte<br />
sua aveva <strong>la</strong>sciata a Messer Cosimo Bartoli, che dovessi far<strong>la</strong> stampare e dirizzare a Miche<strong>la</strong>gnolo, finita che<br />
el<strong>la</strong> fu, in què di <strong>la</strong> mandò il Vasari a Miche<strong>la</strong>gnolo, che, ricevuta rispose così: “Messer Giorgio amico caro. Io<br />
ho ricevuto il libretto di Messer Cosimo che voi mi mandate, ed in questa sarà una di ringraziamento; pregovi<br />
che gliene diate, et a quel<strong>la</strong> mi raccomando. […]De’ 18 di settembre 1556”.”<br />
135 Ivi, infatti nel<strong>la</strong> <strong>prima</strong> parte composta dal Lenzoni leggiamo a p. 10 in un confronto tra Miche<strong>la</strong>ngelo e<br />
Raffaello svolto paralle<strong>la</strong>mente a quello instaurato tra Petrarca e Dante “L’uno e l’altro, è maestro perfetto: e<br />
sono di così diversa maniera come il Petrarca e Dante. E così come il Petrarca imparò da Dante e non lo<br />
superò, se bene fece divinamente; così Rafaello non ha superato M., se bene paion fatte in Paradiso le sue<br />
pitture.” Evidenziato in Giorgio Vasari, La vita di Miche<strong>la</strong>ngelo. Nelle redazioni del 1550 e del 1568, curata e<br />
commentata da Pao<strong>la</strong> Barocchi, 5 voll., Mi<strong>la</strong>no-Napoli, Ricciardi, 1962, vol. IV, pp. 1985-1986 in cui <strong>la</strong><br />
curatrice propone anche un passo delle lezioni dantesche del Gelli che celebra Dante e Miche<strong>la</strong>ngelo (per il quale<br />
si rinvia a G. B. Gelli, Letture edite e inedite sopra <strong>la</strong> Commedia di Dante, a cura di C. Negroni, Firenze, fratelli<br />
Bocca, 1887, II voll, in partico<strong>la</strong>re vedi vol. I, p. 330) e <strong>la</strong> dedica rivolta ne La Difesa, cit., pp. 5-6 dal<br />
Giambul<strong>la</strong>ri a Miche<strong>la</strong>ngelo, a testimoniare <strong>la</strong> compattezza del gruppo sul punto in questione.<br />
136 In proposito cfr. l’esplicito riferimento al<strong>la</strong> preparazione del<strong>la</strong> Difesa in funzione antibembesca formu<strong>la</strong>to<br />
dal Gelli nel ragionamento quarto dei Capricci del bottaio, in G. Gelli, Opere, a cura di Delmo Maestri, Torino,<br />
Utet, 1976, p. 187. Lenzoni invece richiama nel<strong>la</strong> Difesa, cit., i Capricci a p. 22.<br />
24
del<strong>la</strong> politica estera di Cosimo legato a Carlo V e schierato su posizioni nettamente<br />
antifarnesiane 137 .<br />
In questa direzione non va trascurata <strong>la</strong> presenza nelle lezioni accademiche dantesche degli<br />
anni Quaranta di numerosi e cospicui prestiti letterari tratti dal Beneficio di Cristo, per quanto<br />
filtrati da prudenti formule nicodemitiche come documentato da Paolo Simoncelli 138 . Il<br />
Beneficio sintesi dell’insegnamento e del magistero di Juan de Valdès, infatti, manifesto<br />
programmatico dell’a<strong>la</strong> degli “Spirituali” capeggiata da Reginald Pole e Giovanni Morone che<br />
vogliono raggiungere un accordo dottrinale con i protestanti sarebbe stato puntualmente e<br />
duramente sanzionato dal Concilio di Trento 139 . Testo, tuttavia, a lungo, considerato dal<strong>la</strong><br />
corte imperiale, che ancora nei conc<strong>la</strong>vi del 1549 e 1555 sostiene <strong>la</strong> candidatura al<strong>la</strong> tiara<br />
pontificia dei massimi esponenti del partito valdesiano, una p<strong>la</strong>usibile opzione per facilitare<br />
l’accordo politico con i principi tedeschi tanto agognato da Carlo V specialmente nel<strong>la</strong> <strong>prima</strong><br />
metà degli anni Quaranta. Linea conciliativa, avversata da Paolo III, che non casualmente<br />
trova notevole eco a Firenze nell’entourage del duca e tra i membri dell’accademia,<br />
indifferentemente dall’appartenenza o dal<strong>la</strong> vicinanza al gruppo degli aramei o degli Umidi e<br />
a prescindere dalle dispute accademiche in corso. Cosimo infatti, come documentato da<br />
Massimo Firpo, non appare semplicemente tollerante verso le diffuse suggestioni valdesiane<br />
di corte ed accademia ma svolge un ruolo direttivo nel<strong>la</strong> formu<strong>la</strong>zione di queste istanze<br />
culturali filo-imperiali e antiromane, commissionando gli affreschi di San Lorenzo negli anni<br />
1545-46 al Pontormo, secondo un programma iconografico approntato dal Varchi sul<strong>la</strong> base<br />
del Catechismo del Valdès 140 .<br />
Suggestioni a cui certamente non rimangono estranei gli aramei, nei loro interventi<br />
accademici e contributi letterari, chiaramente connotati anche da una forte componente<br />
p<strong>la</strong>tonica ed ermetico-cabalistica 141 . La quale d’altronde trova probabilmente un terreno fertile<br />
137 Mary Alexandra Watt, The Reception of Dante in the Time of Cosimo I in The Cultural Politics, cit., pp.<br />
121-134, in partico<strong>la</strong>re pp. 125-128; inoltre in generale sul<strong>la</strong> recezione di Dante nel Cinquecento cfr. A. Vallone,<br />
Aspetti dell’esegesi dantesca nei secoli XVI e XVII attraverso testi inediti, Lecce, Milel<strong>la</strong>, 1966 e soprattutto G.<br />
Mazzacurati, Dante nell’Accademia fiorentina (1540-1560) (tra esegesi umanistica e razionalismo critico), in<br />
“Filologia e Letteratura”, anno XIII, fasc. I, pp. 258-308; ivi inoltre cfr. S. Battaglia, Processo a Dante nel<br />
Cinquecento, pp. 1-23. Sullo sviluppo del volgare e sull’istanza enciclopedica cfr. inoltre anche M. Barbi, Dante<br />
nel Cinquecento, cit., pp. 180-186.<br />
138 In proposito rinviamo a P. Simoncelli, Evangelismo italiano, cit., in partico<strong>la</strong>re ivi cap. VI, Il “beneficio di<br />
Cristo” a Firenze: un’ipotesi su Riforma e nicodemismo politico nell’età di Cosimo I, pp. 330-420; cfr. inoltre<br />
M. Firpo, Gli affreschi, cit., pp. 175-246. e G. Fragnito, Fattore religioso e consolidamento del principato<br />
mediceo, in “Rivista di Storia religiosa”, vol. CXI, fascicolo I, gennaio 1999, pp. 235-250, in partico<strong>la</strong>re pp. 235-<br />
247.<br />
139 Al riguardo rinviamo a Il processo inquisitoriale del cardinal Giovanni Morone, a cura di M.Firpo-D.<br />
Marcatto, VI voll., Roma, Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea, 1981-1989, in partico<strong>la</strong>re<br />
vol. II, Il processo d’accusa e re<strong>la</strong>tiva bibliografia, 1984; cfr. inoltre anche M. Firpo, Il Beneficio di Cristo e il<br />
concilio di Trento (1542-1546), e <strong>la</strong> re<strong>la</strong>tiva bibliografia in “Rivista di <strong>storia</strong> e letteratura religiosa”, 1995, pp.<br />
45-71.<br />
140 M. Firpo, Gli affreschi, cit., in partico<strong>la</strong>re pp. 311-358; cfr. inoltre G. Fragnito, Fattore religioso e<br />
consolidamento del principato mediceo, in “Rivista di Storia religiosa”, vol. CXI, fascicolo I, gennaio 1999, pp.<br />
235-250, in partico<strong>la</strong>re pp. 235-247.<br />
141 P. Simoncelli, Evangelismo italiano, cit., pp. 364-375 e M. Firpo, Gli affreschi, cit., pp.<br />
179-192. Inoltre, vedi anche quello che il Gelli dice nel testo di una lezione dantesca sul<br />
quinto canto dell’Inferno, svolta proprio dal Gelli nel 1556 in veste di lettore ufficiale<br />
dell’Accademia per <strong>la</strong> materia dantesca. In questa lezione, infatti, il Gelli utilizza il versetto 7<br />
del Salmo L del profeta David “ecco in peccato oimè concetto fui, e mi accese al peccar <strong>la</strong><br />
madre mia” aggiungendo “che così tradusse il nostro diligentissimo Lenzoni, seguitando <strong>la</strong><br />
traduzione di alcuni moderni, <strong>la</strong> qual dove l’antica dice:<br />
“Et in peccatis concepit me mater mea”, ha “Et mater mea concepit me pronum ad malum, vel inclinatum ad<br />
peccandum“ che così dicono che dice <strong>la</strong> verità ebrea.” Riferendosi al<strong>la</strong> traduzione del Brucioli per il riferimento<br />
G. Gelli, Opere, cit., p. 241 e nota 49.<br />
25
a corte vista l’impostazione culturale di Eleonora di Toledo educata da Benvenida Abrabanel,<br />
imparentata con Isacco e Leone Ebreo, come segna<strong>la</strong>to da Giglio<strong>la</strong> Fragnito 142 .<br />
Da parte sua il Giambul<strong>la</strong>ri nel<strong>la</strong> seconda metà del 1542 durante il conso<strong>la</strong>to di Bernardo<br />
Segni espone un commento al XXVI canto del Paradiso dantesco tenuto in Accademia<br />
incentrato De <strong>la</strong> carità 143 , che presenta tracce del Beneficio di Cristo ed alcuni echi del<strong>la</strong><br />
tradizione begarda 144 . Inoltre, nel<strong>la</strong> successiva lezione Degli influssi celesti svolge<br />
un’argomentazione che complessivamente nega il libero arbitrio, pur attenuando il senso delle<br />
sue affermazioni con una formu<strong>la</strong> prudenziale quando afferma:<br />
“tutto quello che dal<strong>la</strong> celeste virtù è mosso a essere, non viene a caso, ma guidato e<br />
indirizzato dal<strong>la</strong> provvidenza di Dio, a quel fine stesso dove a lei piace che si conduca quasi<br />
freccia che, mediante l’arco che <strong>la</strong> pigne direttamente, corre al bersaglio dove primieramente<br />
l’indirizzò <strong>la</strong> volontà di chi <strong>la</strong> tirava.<br />
Sopra queste poche parole, volendo io ragionar con voi, <strong>la</strong>sciando a aparte <strong>la</strong> difficil e forse<br />
dannosa disputa del<strong>la</strong> predestinazione e del libero arbitrio, come cosa che a’ nostri maetri<br />
teologi interamente si appartenga, dirò quanto mi sia possibile, quale, donde e perché sia <strong>la</strong><br />
virtù ne’ corpi celesti, in qual maniera gli volga Dio, e in che modo egli influisca per questi,<br />
sapientissimamente governando tutto quello che ci offerisce e al<strong>la</strong> vista e all’intelletto. ” 145<br />
Procedimento peraltro non unico negli interventi degli accademici e utilizzato anche da altri<br />
con finalità evidentemente prudenziali e caute<strong>la</strong>tive 146 . Il sostanziale anche se cauto<br />
sbi<strong>la</strong>nciamento in favore del<strong>la</strong> predestinazione all’interno di questo commento è stato<br />
evidenziato dal D’Alessandro, che ha sottolineato a proposito di queste lezioni p<strong>la</strong>toniche del<br />
Giambul<strong>la</strong>ri e più in generale degli altri aramei, <strong>la</strong> diffusa ripresa di fonti del neop<strong>la</strong>tonismo<br />
ermetico rinascimentale del calibro di Cornelio Agrippa e Francesco Giorgio Veneto 147 le cui<br />
opere “erano già state gravemente sospettate di eresia dallo stesso Contarini, e che, negli<br />
anni successivi al Concilio di Trento, saranno drasticamente espurgate dai Censori del<strong>la</strong><br />
Congregazione dell’Indice.” 148<br />
Non priva di interesse in questa direzione appare anche <strong>la</strong> lezione dantesca del 1541 volta a<br />
definire l’esatta collocazione spaziale e <strong>la</strong> descrizione del Purgatorio dantesco 149 in cui oltre a<br />
utilizzare tra le sue fonti il geografo umanista erasmiano di fede protestante Jacob Ziegler 150 a<br />
supporto dell’esistenza dei poli e dell’abitabilità del<strong>la</strong> regione scandinava sconosciuta agli<br />
142 G. Fragnito, Arte e religione, cit., pp. 244-245.<br />
143 Del<strong>la</strong> carità in Lettioni d’accademici fiorentini sopra Dante, Firenze, Doni, 1547, pp. 53g3-68i2, (inoltre ivi<br />
alle pp. 82L1-96m4 Del sito del Purgatorio), poi in Lezioni di M. Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri, lette nel<strong>la</strong><br />
Accademia fiorentina, Firenze, Torrentino, 1551, pp. 42-84, ora in P. Giambul<strong>la</strong>ri, Lezioni di messer Pier<br />
Francesco Giambul<strong>la</strong>ri aggiuntovi l’origine del<strong>la</strong> lingua fiorentina altrimenti il Gello dello stesso autore,<br />
Mi<strong>la</strong>no, per Giovanni Silvestri, 1827, pp. 37-72.<br />
144 P. Simoncelli, Evangelismo italiano, cit., pp. 373-375; cfr. inoltre A. D’Alessandro, Cultura e politica<br />
nell’Accademia fiorentina, cit., p. 233.<br />
145 Degl’influssi celesti. Terza lezione, nel conso<strong>la</strong>to di Carlo Lenzoni in P. Giambul<strong>la</strong>ri, Lezioni, cit., pp. 73-<br />
105, in partico<strong>la</strong>re passo menzionato al<strong>la</strong> p. 76.<br />
146 Il Varchi ad esempio, proprio in un commento dantesco tenuto durante il suo conso<strong>la</strong>to (aprile-settembre<br />
1545) a proposito del tema del<strong>la</strong> predestinazione dice di rimettersi al pronunciamento teologi all’interno di<br />
un’argomentazione sviluppata però in tutt’altra direzione come documentato in P. Simoncelli, Evangelismo<br />
italiano, cit., pp. 341-344, in partico<strong>la</strong>re passo in questione a p. 343.<br />
147 Francisci Georgici Veneti minoritanae familiae De Harmonia mundi totius cantica tria, Venetiis in edibus<br />
Bernardini De Vitalibus calchographi an. DMXXV, mense Septembre.<br />
148 A. D’Alessandro, Cultura e politica nell’Accademia fiorentina, cit., in partico<strong>la</strong>re pp. 221, 230 e passo<br />
riportato a p. 240.<br />
149 Del sito del Purgatorio in Lezioni, cit., pp. 3-33.<br />
150 Ivi, pp. 12-13 in proposito vedi infra capitolo II, par. II, inoltre sull’orientamento filo-erasmiano e<br />
sull’orientamento protestante di Ziegler rinviamo a Silvana Seidel Menchi, Erasmo in Italia 1520-1580, Torino,<br />
Bol<strong>la</strong>ti-Boringhieri, 1987, in partico<strong>la</strong>re pp. 57-58 e 96; per <strong>la</strong> rilevanza dello Ziegler quale fonte del Giambul<strong>la</strong>ri<br />
vedi infra cap. III, par. I.<br />
26
antichi 151 , appare quantomeno curiosa l’allusione alle divergenze presenti tra i teologi a<br />
proposito del purgatorio delle anime dei defunti, cui peraltro non segue da parte dell’autore<br />
una presa di posizione univoca 152 :<br />
“Abitasi adunque <strong>la</strong> terra per tutto, e per tutto fa lume il sole. Il che ben dovette conoscere<br />
il Poeta nostro, avvegnachè per non contrapporsi all’opinione comune dell’età sua, non<br />
avendo come noi altri <strong>la</strong> esperienza in favore, non ardì forse manifestarlo con altro modo che<br />
col fingere in quell’altro emisfero il suo Purgatorio. Nel quale allegoricamente insegna egli<br />
mondarsi da’ vizi alle anime de’ viventi e non a quelle de’ morti; del Purgatorio delle quali<br />
tanto è ancora disparere tra’ sacri Dottori, che mal si puote sin qui assegnargli un luogo<br />
certo e determinato.” 153<br />
Non meno significativi, oltre alle lezioni, appaiano alcuni passaggi di altri contributi<br />
letterari su Dante, come il commento Del sito, forme e misure dello Inferno pubblicato dal<br />
Giambul<strong>la</strong>ri insieme al già menzionato Regole per <strong>la</strong> pronunzia fiorentina sotto lo<br />
pseudonimo di Neri Dorte<strong>la</strong>ta 154 . In questo trattatello infatti, i motivi del<strong>la</strong> persistente forza<br />
del<strong>la</strong> tradizione familiare ghibellina 155 si sposano con le esigenze di legittimazione del potere<br />
cosimiano. La politica culturale filo-dantesca sostenuta da Cosimo si spiega anche con<br />
l’esigenza di giustificare il proprio potere di stampo assolutistico, sul<strong>la</strong> base delle opere del<br />
grande fiorentino dal De Monarchia al<strong>la</strong> Commedia, giovandosi in questa direzione anche<br />
del<strong>la</strong> tesi del buon tempo antico di Firenze in opposizione al<strong>la</strong> storiografia repubblicana di<br />
stampo guelfo. 156<br />
Giambul<strong>la</strong>ri indubbiamente sostiene <strong>la</strong> tesi del buon tempo antico come testimonia<br />
l’identificazione di Firenze con <strong>la</strong> selva oscura da cui prende le mosse il viaggio dantesco<br />
nell’Inferno. Il canonico <strong>la</strong>urenziano individua nel<strong>la</strong> selva oscura una metafora del<strong>la</strong><br />
decadenza del<strong>la</strong> città provocata dalle contrapposizioni interne tra guelfi e ghibellini e dal<br />
prevalere dei primi. Significativo in questo senso è il racconto del<strong>la</strong> strage di fiorentini<br />
provocata dal podestà Fulcieri da Calboli 157 , di parte guelfa, nel 1302, che il Giambul<strong>la</strong>ri<br />
riferisce, sul<strong>la</strong> scorta dantesca, dopo aver illustrato il significato sotteso all’immagine del<strong>la</strong><br />
selva:<br />
“La selva nel<strong>la</strong> quale si ritruova Dante smarrito, non è altro che Firenze, Patria sua, <strong>la</strong><br />
quale metaforicamente chiama egli selva, non di Alberi, ma di persone che senza uso alcuno<br />
di ragione, o di intelletto vivono so<strong>la</strong>mente come le Piante. Il che acciochè duro non paia,<br />
ricordiamoci che nel canto IIII dello Inferno, ragionando egli de <strong>la</strong> moltitudine delle Anime,<br />
che nel Limbo riscontravano, dice<br />
Non <strong>la</strong>sciavam’ lo andar perch’e’ dicessi,<br />
Ma passavam’ <strong>la</strong> selva tutta via,<br />
La selva dico di spiriti spessi<br />
151 Ivi, pp. 12-13.<br />
152 Cfr. al riguardo A. D’Alessandro, Cultura e politica nell’Accademia fiorentina, cit., pp. 229-230.<br />
153 Ivi, passo a p. 16.<br />
154 Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri accademico fior. De’l sito, Forma, et Misure, dello Inferno di Dante, in Firenze<br />
per Neri Dorte<strong>la</strong>ta, MDXLIIII.<br />
155 Vedi supra: I par. del capitolo.<br />
156 Mary Alexandra Watt, The Reception of Dante in the Time of Cosimo I in The Cultural Politics, cit., pp.<br />
128-131; inoltre sul<strong>la</strong> tesi del buon tempo antico rinviamo a Guido Pampaloni, Gli Alighieri, Dante e il buon<br />
tempo antico. (Il canto XVI dell’Inferno) in AA. VV., Studi in onore di Arnaldo D’Addario, a cura di Luigi<br />
Borgia, Francesco De Luca, Paolo Viti, Raffael<strong>la</strong> Maria Zaccaria, Lecce, Conte editore, 1995, IV voll., nel III<br />
vol., pp. 437-453; cfr. infine Ch. T. Davis, Il buon tempo antico in “Florentine studies”, ed. N. Rubinstein,<br />
Londra, 1968, pp. 49-51.<br />
157 Cfr. <strong>la</strong> re<strong>la</strong>tiva voce Calcoli Fulcieri de di Augusto Vasina in Enciclopedia dantesca, cit., vol. I, pp. 761-<br />
762.<br />
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Et che nel XIIII, del Purgatorio dove si predice l’uccisione et Macello, che de’ Cittadini<br />
fiorentini fece poi Fulcreri da Càlboli, quando e fu podestà di Firenze, l’anno MCCCII,<br />
soggiungendo finalmente <strong>la</strong> vituperosa partita di esso Fulcreri da <strong>la</strong> nostra Città, dice<br />
Sanguinoso esce de <strong>la</strong> triste Selva,<br />
Lascia<strong>la</strong> tal, che di quivi a mill’anni<br />
Nello stato <strong>prima</strong> non si rinselva.[…]La onde non da altro luogo, ma da <strong>la</strong> Città di Firenze<br />
comincia il poeta questo viaggio… ” 158<br />
Il buon tempo antico, del resto, anche nel<strong>la</strong> <strong>storia</strong> politica del suo casato appare<br />
irrimediabilmente concluso nei primi anni del XIV secolo, in partico<strong>la</strong>re per l’esclusione dal<br />
diritto di accesso alle cariche politiche subito nel 1311 e per il successivo inconcludente<br />
assedio posto da Arrigo VII a Firenze 159 .<br />
Del resto rappresentare una Firenze trecentesca di<strong>la</strong>niata dalle fazioni richiama<br />
evidentemente per contrasto, <strong>la</strong> nuova Firenze, finalmente pacificata da Cosimo I. Indizio<br />
dell’attualizzazione in chiave filocosimiana del commento, giunge oltre che dal<strong>la</strong> lettera<br />
dedicatoria al Duca dell’operetta 160 , anche dal passaggio che elenca le tipologie dei traditori<br />
descritte nell’Inferno dantesco in un crescendo di gravità che culmina in Bruto e Cassio<br />
considerati al<strong>la</strong> stregua di Lucifero in quanto tradiscono il corrispettivo di Gesù Cristo sul<strong>la</strong><br />
terra, l’imperatore, secondo un’interpretazione che sovverte sul punto <strong>la</strong> prospettiva di<br />
Cristoforo Landino, solitamente molto accreditato e seguito dal nostro 161 :<br />
“Et se alcuno mi dicesse ora; che adunque sono quelle altre, Caina, Antenora, et<br />
Tolommea? Risponderei, che a me pare che il nostro poeta ponga questi nomi per denotare le<br />
quattro spezie del tradimento, con le quali drittamente si fa contro a l’obbligo impostoci dal<strong>la</strong><br />
natura, di amare i Parenti, <strong>la</strong> Patria, quelli che ricevamo a <strong>la</strong> mensa nostra, et il nostro<br />
158 De’l Sito, cit., passo riportatano alle pp. 28b6-29b7; inoltre a proposito dei luoghi danteschi riferiti cfr.<br />
Dante Alighieri, La Divina Commedia, a cura di Natalino Sapegno, Firenze, La Nuova Italia, 1993 (<strong>prima</strong><br />
edizione 1955), III voll., in partico<strong>la</strong>re vol. I, Inferno, pp. 5-6 e 46; inoltre vol. II, Purgatorio, pp. 154-155.<br />
159 Vedi supra par. I p. 3.<br />
160 De’l sito, pp. 3-4a2, in partico<strong>la</strong>re a p. 4a2 leggiamo con evidente riferimento anche agli scontri in<br />
Accademia dove infatti il trattatello sulle Regole avrebbe provocato aspre critiche : “Priego dunque <strong>la</strong> E. V.<br />
Veriss. Fautrice di tutte le nobilissim. Scientie et Arti, come chiaramente ne ha dimostralo averle in tanti<br />
travagli del Mondo, ridotte nel tranquillo et sicur. Porto del suo celebratiss. Studio di Pisa; et lo haver’ dato<br />
ricetto nello Onorato Grembo del<strong>la</strong> sua Fiorentina Accademia ad ogni Musa desiderosa di par<strong>la</strong>re in questa<br />
Lingua i suoi bellissimi concetti, Che el<strong>la</strong> si degni qualunche egli si sia di accertarlo benignamente acciò che<br />
favorito da lei, vadìa fuori più sicuro da gli invidiosi morsi di coloro, che mai nul<strong>la</strong> faccendo, biasiman sempre:<br />
et al corrente animo mio si aggiunga il pungentissimo sperone di un tanto favore, a farmi più tosto dare in luce<br />
molti altri scritti sopra <strong>la</strong> Commedia di questo poeta; nel<strong>la</strong> quale già sono molti anni che io mi affatico…”<br />
161 De’l sito, cit., a proposito di questa discrepanza, rinviamo a M. Barbi, Dante nel Cinquecento, cit., che<br />
ricorda anche come il Landino non riconosca nel Veltro un personaggio imperiale ancora in contrasto con <strong>la</strong><br />
prospettiva del Giambul<strong>la</strong>ri, pp. 248-249, ma a p. 200 sottolinea che l’esposizione scritta sull’esemp<strong>la</strong>re aldino<br />
del<strong>la</strong> Commedia del 1502 storica ed allegorica del Giambul<strong>la</strong>ri è tratta pressoché interamente dal commento del<br />
Landino. Al riguardo, del resto, basta ricordare il modo in cui il Giambul<strong>la</strong>ri all’inizio del<strong>la</strong> lezione Del sito del<br />
Purgatorio, cit., alle pp. 4-5 elogi il commento del Landino capace di evidenziare <strong>la</strong> qualità di poeta teologo di<br />
Dante, nei seguenti termini: “che non poeta semplicemente, ma teologo eccellentissimo dai teologi stessi<br />
meritatamente possa esser detto; sì come ampiamente vi hanno mostrato tutti quegli elevati spiriti che sin qui<br />
l’hanno commentato. Tra’ quali, partico<strong>la</strong>rmente Benvenuto da Imo<strong>la</strong>, Francesco da Buti, e l’eccellente nostro<br />
Landino, oltre i diversi sensi allegorici, oltre le profonde specu<strong>la</strong>zioni, oltre le altissime specu<strong>la</strong>zioni, oltre le<br />
altissime contemp<strong>la</strong>zioni che in tutto questo Poema ci hanno scoperto, vi ci hanno ancora dimostrato tanta<br />
filosofia, tanta dottrina…che ingratissimi certamente saremmo noi da esser tenuti se alle così oneste fatiche loro<br />
non ci riconoscessimo più che obbligati.” Del resto di provenienza <strong>la</strong>indiniana, oltre che ficiniana e polizianesca,<br />
è <strong>la</strong> definizione di Dante quale poeta teologo fatta propria nel Cinquecento da più parti, non solo dal Giambul<strong>la</strong>ri<br />
e dal Gelli, ma anche tra gli altri da Vincenzo Borghini; in proposito rinviamo a G. Mazzacurati, Dante<br />
nell’Accademia fiorentina, cit., pp. 272-275 e id., Conflitti di culture, cit., pp. 218-223. Inoltre, per un<br />
inquadramento generale del<strong>la</strong> questione del poeta teologo, cfr. S. Battaglia, Introduzione al<strong>la</strong> teoria del poeta<br />
teologo, in “Cultura e scuo<strong>la</strong>”, XIII-XIV (gennaio-giugno 1965), pp. 72-86 e id., Teoria del poeta teologo in<br />
Esemp<strong>la</strong>rità e antagonismo nel pensiero di Dante, vol. II.<br />
28
proprio signore. La qual cosa chiaramente si dimostra ne’ nomi che a queste quattro spezie a<br />
posto lo autore. Imperochè nel primo luogo chiamato Caina, da Caino che uccise il fratello,<br />
pone so<strong>la</strong>mente quelli che hanno tradito i parenti loro. Nel secondo detto Antenora per<br />
Antenore che tradì <strong>la</strong> terra sua, pone chi ha tradito o <strong>la</strong> patria o <strong>la</strong> parte sua. Nel terzo detto<br />
Tolomea da Tolomeo di Abobo che in tavo<strong>la</strong> sua fece uccidere Simone Maccabeo che<br />
mangiava seco; pone chi sotto spezie di benefizio, o di servizio, ha ucciso tra i Cibi quelle<br />
persone che e’ fingeva di accarezzare. Nello ultimo detto Giudecca da Giuda che tradì Gesù<br />
Christo suo et nostro Signore pone egli nominatamente Lucifero et lui, che tradirono lo<br />
Imperatore immortale: et Bruto et Cassio che tradirono il Mortale.” 162<br />
Richiami e motivi tutt’altro che sporadici come testimonia il Giambul<strong>la</strong>ri stesso nel<strong>la</strong><br />
sudetta lettera dedicatoria quando a proposito dello studio del<strong>la</strong> Commedia dichiara “nel<strong>la</strong><br />
quale sono molti anni che m’affatico…” 163 . Parole, pienamente confermate dal<strong>la</strong> preparazione<br />
di un commento complessivo al<strong>la</strong> Commedia cui il canonico <strong>la</strong>urenziano attende già molti<br />
anni <strong>prima</strong> rispetto a questa pubblicazione. Indicazioni chiare in questo senso le fornisce<br />
Giovanni Norchiati nel<strong>la</strong> dedica del suo Trattato de Diptonghi toscani datata 15 agosto<br />
1538 164 . Il commento però, del<strong>la</strong> cui non sopita attesa nei circoli accademici fiorentini ci reca<br />
testimonianza una lettera inviata da Niccolò Martelli al Giambul<strong>la</strong>ri in data 1547, non sarebbe<br />
mai stato ultimato nè pubblicato. Secondo <strong>la</strong> testimonianza del Gelli a cui il Giambul<strong>la</strong>ri<br />
affida il manoscritto per aiutarlo nelle lezioni che dal 1553 in poi, svolge per un decennio fino<br />
al<strong>la</strong> morte, come commentatore ufficiale dell’Accademia per <strong>la</strong> materia dantesca, <strong>la</strong> fatica<br />
sarebbe giunta ai primi canti del Purgatorio. Gelli che, come traspare anche dal testo delle sue<br />
lezioni dimostra di essersene avvalso in diverse circostanze a dimostrazione del<strong>la</strong> solida intesa<br />
instaurata in tema dantesco col Giambul<strong>la</strong>ri al di là delle divergenze aramaiche, dichiara di<br />
non averlo pubblicato in ottemperanza alle ultime volontà del canonico <strong>la</strong>urenziano. Ulteriore<br />
indiretta conferma di questo connubio dantesco si riscontra anche nel campo pittorico<br />
nell’affresco del Cristo al limbo, episodio riferito nel canto XII dell’Inferno dantesco e<br />
menzionato anche nel De’l sito, dipinto nel 1552 dal Bronzino, allievo prediletto del<br />
Pontormo di cui conclude <strong>la</strong> fatica degli affreschi <strong>la</strong>urenziani non terminati dal maestro a<br />
causa del<strong>la</strong> morte 165 .<br />
Ritornando al commento del canonico <strong>la</strong>urenziano, che a detta del Gelli era preceduto anche<br />
da una vita di Dante composta dal Giambul<strong>la</strong>ri, Michele Barbi ne ha pubblicato a fine<br />
ottocento l’unica parte rimasta, re<strong>la</strong>tiva al primo canto dell’Inferno, successiva all’uscita De’l<br />
Sito al quale fa riferimento in due punti 166 .<br />
162 Passo cit., a p. 124h6 al riguardo cfr. Dante Alighieri, Inferno, canto XXXIV, pp. 377-385, in partico<strong>la</strong>re pp.<br />
378-382.<br />
163 Vedi supra nota 160.<br />
164 In proposito vedi supra p. 21 e soprattutto M. Barbi, Dante nel Cinquecento, cit., p. 196.<br />
165 Sull’affresco del Bronzino rinviamo a M. Firpo, Gli affreschi, cit., pp. 207-208 e riguardo al<strong>la</strong> discesa di<br />
Cristo al Limbo nel De’l sito, cit., pp. 30b7-31b8, Giambul<strong>la</strong>ri scrive:<br />
“Que versi che par<strong>la</strong>no de <strong>la</strong> Erta, non <strong>la</strong> pongono da’l Portone a’l Fiume, ma dentro a Cerchii dello Inferno: i<br />
quali perché cominciano al Limbo, non possono abbracciare cosa alcuna che non sia da’l fiume in là. Et che il<br />
Limbo sia il primo cerchio, lo specifica il Poeta stesso nel IIII Canto dello Inferno quando dice:<br />
“Così si mise, e così mi fe entrare<br />
Nel primo Cerchio, che l’abisso cigne.<br />
Et nel canto XII ancora ragionando del Terremoto, che rovinò lo inferno, descrivendo con bel<strong>la</strong> perifrasi <strong>la</strong><br />
venuta di Cristo al Limbo dice:<br />
“Ma certo poco pria, s’io ben discerno,<br />
Che venisse colui, che <strong>la</strong> gran preda<br />
Levò a Dite de’l Cerchio superno:<br />
Questa preda furono le Anime de santi Padri da Giesù Cristo tratte de’l Limbo, come è notissimo: il quale<br />
Limbo essendo il superno Cerchio dello inferno, viene come io dissi a essere il primo di verso <strong>la</strong> faccia del<strong>la</strong><br />
Terra.[…]”<br />
166 M. Barbi, Dante nel Cinquecento, cit., pp. 82-83 e 187-201, inoltre ivi il testo in questione trovato dal Barbi<br />
nelle due versioni fiorentina e veneta leggermente precedente, si trova in appendice, Commento sopra il I canto<br />
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Rispetto a quest’ultimo, oltre a riproporre l’identificazione Firenze-selva oscura, sul<strong>la</strong> base<br />
dei medesimi luoghi danteschi già riferiti 167 , offre ulteriori spunti nel<strong>la</strong> direzione filoimperiale.<br />
Infatti, in re<strong>la</strong>zione al<strong>la</strong> lupa che vuole ricacciare il poeta nel<strong>la</strong> selva oscura e<br />
impedirgli l’ascesa al monte, Giambul<strong>la</strong>ri si dilunga per alcune pagine sul<strong>la</strong> profezia del<br />
veltro, sostenendone l’identificazione storica con Cangrande del<strong>la</strong> Sca<strong>la</strong> 168 , a proposito del<br />
quale ripropone le profetiche parole pronunciate da Cacciaguida 169 nei versi 70-93 del XVII<br />
canto del Paradiso sulle grandi imprese che compirà, rinviando poi ad ulteriori<br />
approfondimenti con le seguenti parole:<br />
“Il gran Veltro dunque fuor d’ogni dubbio è messer Cane del<strong>la</strong> Sca<strong>la</strong>, del quale si dirà<br />
quando tempo fia, attendendo per hora al<strong>la</strong> esposizione del nostro testo…”. 170<br />
Vediamo del resto che vengono riproposti dei versi, quelli del tradimento consumato nei<br />
confronti di Arrigo VII da Clemente V 171 , partico<strong>la</strong>rmente significativi nel<strong>la</strong> <strong>storia</strong> dei<br />
Giambul<strong>la</strong>ri. Cacciaguida inoltre, personaggio chiave del<strong>la</strong> rievocazione del buon tempo<br />
antico nei canti XV e XVI del Paradiso 172 , assume anche nel discorso ghibellino-filoimperiale<br />
(proprio in virtù del giudizio qui espresso su Cangrande) un ruolo significativo in quanto teso<br />
a sottolineare le grandi speranze di rafforzamento imperiale collegate al signore di Verona che<br />
viene designato come vicario imperiale da Arrigo VII durante <strong>la</strong> sua infruttuosa campagna<br />
militare italiana 173 .<br />
Del resto, in questa direzione, in precisa corrispondenza con l’elencazione dei traditori<br />
sviluppata nel De’l sito, Giambul<strong>la</strong>ri spiega le parole di Virgilio “nacqui adunche al tempo di<br />
Giulio Cesare, ancor che fussi tardi” nel seguente modo propedeutico all’elogio di quello che<br />
è il fondatore dell’impero romano:<br />
“non quanto a l’essere nato vicino al<strong>la</strong> morte di Cesare, perché nacque circa a anni XIV<br />
<strong>prima</strong> che Cesare morissi; ma tardi, quanto a veder esso Cesare trionfante. Il che forse finge<br />
Dante per haver egli osservato che Virgilio in tutte l’opere sue sommamente <strong>la</strong>uda Cesare, et<br />
però mostra che ei desiderassi di averlo veduto trionfare.”<br />
Cesare infatti pone le premesse per <strong>la</strong> rinascita dell’età dell’oro recuperata sotto Ottaviano<br />
Augusto, già dal Giambul<strong>la</strong>ri richiamato più volte nell’Apparato in re<strong>la</strong>zione al conferimento<br />
del titolo ducale a Cosimo I da parte di Carlo V 174 , e definito in questo frangente “felice et<br />
avventurato.” 175<br />
Elementi non trascurabili sebbene preliminarmente il canonico <strong>la</strong>urenziano sostenga di voler<br />
svolgere un’analisi meramente letterale <strong>la</strong>sciando ad altri il piano dell’interpretazione<br />
allegorica e del<strong>la</strong> specu<strong>la</strong>zione.<br />
Ora, a parte l’evidente quanto obbligata professsione di modestia esibita dal Giambul<strong>la</strong>ri,<br />
seppur esclusivamente letterale <strong>la</strong> spiegazione del senso dei versi danteschi non appare meno<br />
dell’Inferno di Pier Francesco Giambul<strong>la</strong>ri, pp. 365-407 e sui codici verificati dal Barbi vedi pp. 198-199.<br />
Infatti leggiamo ivi a p. 368 un evidente richiamo al De’l sito sul<strong>la</strong> datazione del<strong>la</strong> visione avuta da Dante: “resta<br />
adunque che <strong>la</strong> vision fusse nel giubileo del 1300 et nel<strong>la</strong> settimana santa…come <strong>la</strong>rgamente habbiamo provato<br />
nel nostro dialogo del sito et misure de l’Inferno.”<br />
167 Ivi, p. 369.<br />
168 Sul quale cfr. preliminarmente <strong>la</strong> voce di Giro<strong>la</strong>mo Arnaldi in Enciclopedia dantesca, cit., Vol. II, pp. 356-<br />
359.<br />
169 Ivi cfr. al<strong>la</strong> voce Cacciaguida di Fiorenzo Forti, vol. I, 733-739.<br />
170 Commento, cit., pp. 395-400, passi riportati alle pp. 396-397. Per i versi di Cacciaguida riportati dal<br />
Giambul<strong>la</strong>ri cfr. Dante Alighieri, Divina Commedia, cit., vol. III, Paradiso, pp. 222-223.<br />
171 Cfr. Clemente V di Raoul Manselli in Enciclopedia dantesca, cit., vol. II, pp. 39-40.<br />
172 G. Pampaloni, Gli Alighieri, Dante e il buon tempo antico, cit., pp. 437-440.<br />
173 Enrico VII, cit., in Enciclopedia dantesca, cit., vol. II, p. 684.<br />
174 Sui riferimenti ad Augusto vedi G. Cipriani, Il mito etrusco, cit., pp. 76-78.<br />
175 Commento sopra il I canto, cit., passi a p. 388.<br />
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consapevole e rilevante 176 . Né il vincolo letterale ci sembra impedisca al Giambul<strong>la</strong>ri di<br />
caricare di significati e valenze i versi danteschi come quando in due frangenti cita Francesco<br />
Zorzi 177 e soprattutto nel caso delle parole pronunciate nel<strong>la</strong> finzione dantesca da Virgilio a<br />
proposito del<strong>la</strong> sua impossibilità per giusto decreto divino di andare in Paradiso, in cui<br />
emergono considerazioni tutt’altro che scontate sul tema del<strong>la</strong> predestinazione:<br />
“O felice colui: usa in questo luogo <strong>la</strong> figura che i Greci chiamano Epiphonema…<strong>la</strong> quale<br />
altro non è che uno accrescimento et amplificatione del<strong>la</strong> cosa narrata o lodata, soggiuntole<br />
nel<strong>la</strong> fine, come qui vedi che dice: o felice, o beato et bene avventurato, colui, quel tale, che<br />
ivi, in quel<strong>la</strong> città superna, elegge, deputa et predestina esso Dio ad habitar quivi, imperochè<br />
nessuno si elegge egli stesso al<strong>la</strong> eterna beatitudine, ma da Dio ivi è eletto per gratia, come<br />
altrove si dirà.” 178<br />
3. Le fonti aramaiche<br />
In re<strong>la</strong>zione al quadro fin qui delineato, appare interessante tornare sul Gello 179 del<br />
Giambul<strong>la</strong>ri, al di là delle brevemente ricordate posizioni linguistiche, in re<strong>la</strong>zione al sistema<br />
delle fonti che presiede al<strong>la</strong> sua composizione. In questa direzione merita indubbiamente<br />
attenzione il problematico rapporto instauratosi tra Gullielme Postel 180 e le posizioni<br />
aramaiche, ampiamente analizzato da Paolo Simoncelli. Una re<strong>la</strong>zione che in primo luogo<br />
appare differente se parliamo di Gelli e di Giambul<strong>la</strong>ri, al di là dei debiti riconosciuti da<br />
quest’ultimo nei confronti del trattattello sull’Origine di Firenze. Ben maggiore infatti risulta<br />
<strong>la</strong> dipendenza delle formu<strong>la</strong>zioni aramaiche gelliane dagli scritti postelliani di fine anni trenta<br />
rispetto al<strong>la</strong> più complessa e artico<strong>la</strong>ta inte<strong>la</strong>iatura del Gello del Giambul<strong>la</strong>ri filologicamente<br />
più solido e per più aspetti autonomo dall’orientamento del Postel.<br />
Il canonico <strong>la</strong>urenziano, infatti, chiama in soccorso il Postel in re<strong>la</strong>zione alle lotte<br />
accademiche sul<strong>la</strong> base di un passo di Ateneo che certifica <strong>la</strong> venuta del Noè biblico in<br />
Toscana sconosciuto allo stesso francese. La sua risposta appare comunque tardiva, visto che<br />
sarà contenuta nel De Etruriae...originibus stampato dal Torrentino nel 1551 181 , quindi a<br />
176 Ivi, a pp. 365-366 l’autore dice: “dico liberamente a ciascuno che io…scrivo…dichiarando et esponendo <strong>la</strong><br />
lettera di questo divin poema, <strong>la</strong> quale sin qui da molti de’ nostri poco stimata, come cosa a tutti notissima, et<br />
da’ forestieri non bene intesa, come ancora da quelli aliena, falsa cagione ha dato ad alcuni di men reputare<br />
questo Poeta…per farlo conoscere agli matori del<strong>la</strong> nostra lingua, <strong>la</strong> quale ampiamente in costui dimostra i<br />
tesori delle sue ricchezze, posposto ogni senso allegorico, mi ingegnerò so<strong>la</strong>mente far piano et aperto quel tanto<br />
che nel<strong>la</strong> sua breccia si contiene; confidandomi nel<strong>la</strong> benignità di chi legge, che servendosi di questi altri nelle<br />
altissime allegorie et profonde specu<strong>la</strong>zioni, piglierà gratamente quel tanto che volentieri gli si dona con <strong>la</strong> mia<br />
bassezza, con <strong>la</strong> quale, acciochè più tempo non si perda hor nelle scuse, vengo al<strong>la</strong> opera col nome di Dio.”; sul<br />
criterio utilizzato dal Giambul<strong>la</strong>ri vedi cosa dice il Barbi ivi a p. 202, criterio comunque abbandonato per offrire<br />
anche un’interpretazione allegorica nell’ulteriore e<strong>la</strong>borazione a noi non pervenuta ma posseduta e consultata dal<br />
Gelli per le sue lezioni; in proposito ivi, p. 200.<br />
177 Ivi, vedi pp. 380-381 e pp. 394-395.<br />
178 Ivi, passo a p. 403.<br />
179 P. Giambul<strong>la</strong>ri, Il Gello, per il Doni, in Fiorenza 1546, d’ora in poi cit. come Il Gello.<br />
180 Sul quale cfr. preliminarmente Wiliam J. Bouwsma, Concordia Mundi. The Career and Thought of<br />
Guil<strong>la</strong>ume Postel (1510-1581), Cambridge, Mass. 1957, Geroges Weill, Vie et caractère de Guil<strong>la</strong>ume Postel,<br />
traduzione in francese di Francois Secret, Mi<strong>la</strong>no, Archè, 1987 (<strong>prima</strong> edizione 1967); M. L. Kuntz, Guil<strong>la</strong>ume<br />
Postel Prophet of the Restitution of All Things. His life and Thought, The Hague-Boston-London 1981 e id.,<br />
Venice, Mith and Utopian Thought in the Sixteenth Century: Bodin, Postel and the Virgin of Venice, Galliard<br />
(printers), Norfolk, 1999; Guil<strong>la</strong>ume Postel 1581-1981. Actes du colloque International d’Avranches 5-9<br />
septembre 1981, Guy Trèdaniel, Paris, Edtions De La Maisnie, 1985 e Yvonne Petri, Gendere, Kabba<strong>la</strong>h, and<br />
the Reformation. The Mystical Theology of Guil<strong>la</strong>ume Postel (1510-1581), Leiden-Boston, Brill, 2004.<br />
181 De Etruriae regionis, quae <strong>prima</strong> in orbe Europaeo habitata est, Originibus, Institutis, Religione et<br />
Moribus, et in primis DE AUREI SAECULI DOCTRINA et vita praestantissima quae in divinationis sacrae usu<br />
posita est, Gulielmi postelli Commentatio, Florentiae, MDLI.<br />
31
conflitti accademici conclusi e, al di là dei grandi elogi tributati al Giambul<strong>la</strong>ri per il passo di<br />
Ateneo, piena di distinguo e presa di distanze dal Gello. 182<br />
Anche il D’Alessandro ha riscontrato <strong>la</strong> grande differenza intercorrente tra il De Etruriae ed<br />
il Gello, in re<strong>la</strong>zione al diverso modo di sviluppare le rispettive posizioni che si traduce anche<br />
in un differente modo in cui vengono utilizzate le affermazioni di Beroso Caldeo. Autorità<br />
assoluta nel caso di Postel, capace di integrare ed illuminare il testo biblico sotto il profilo<br />
storico e linguistico, viene utilizzato dal Giambul<strong>la</strong>ri con una prudenza ai limiti del<strong>la</strong> riserva<br />
tale da provocare <strong>la</strong> stigmatizzazione del visionario francese nel De Etruriae…. 183<br />
Altrove è necessario guardare in materia di fonti a proposito del Gello, come osserva Paolo<br />
Simoncelli che rileva l’influenza tutt’altro che marginale esercitata da Sebastian Muenster<br />
sulle asserzioni del canonico <strong>la</strong>urenziano. 184 Autore completamente estraneo al Dell’origine di<br />
Firenze 185 composto dal Gelli, il dotto ebraista tedesco, originario del Pa<strong>la</strong>tinato dove nasce<br />
nel 1488 presso Manz, è figura tutt’altro che trascurabile sotto il profilo religioso e culturale<br />
dell’Europa del Cinquecento. Nel 1505 si trasferisce ad Heidelberg ed entra nell’ordine<br />
francescano. In seguito, conduce dei brevi periodi di studio a Lovanio e nell’Università di<br />
Friburgo sotto il magistero di Gregor Reisch, secondo <strong>la</strong> testimonianza dell’orazione funebre<br />
di Schereckenfucs. Dal 1509 si trova nel monastero di Rufach, nell’alta Alsazia, e inizia a<br />
studiare l’ebraico sotto <strong>la</strong> guida di Konrad Pellikan da lui seguito anche a Pforzheim dove nel<br />
1512 viene ordinato sacerdote. Muenster seguirà Pellikan anche a Tubinga come professore di<br />
teologia e filosofia al<strong>la</strong> fine del 1514 dove rimarrà fino al 1518 divenendo allievo del<br />
matematico, astronomo, cartografo, geografo, Johann Stoffler 186 appassionato dalle sue<br />
lezioni di geografia e cartografia. Nel successivo biennio 1519-1520 Muenster risiede a<br />
Basilea dove <strong>la</strong>vora per l’editore Adam Petri, che segue ferventemente gli scritti di Lutero<br />
degli anni 1518-1520 e determina il suo primo contatto con <strong>la</strong> Riforma protestante 187 . Tornato<br />
nel 1521 ad Heidelberg vi insegna l’ebraico dal 1524 al 1529. In agosto si trasferisce<br />
definitivamente a Basilea, abbandona l’abito fratesco aderendo al<strong>la</strong> Riforma protestante, e nel<br />
1530 sposa Anna, vedova di Adam Petri, morto nel 1527 188 . A Basilea il Muenster, continua<br />
ad insegnare ebraico nel<strong>la</strong> locale università 189 ricoprendo anche, tra 1547 e 1548 <strong>la</strong> carica di<br />
rettore dell’ateneo, nel momento in cui ospita Lelio Socini allora di passaggio nel<strong>la</strong> città, e<br />
suo allievo di ebraico 190 . Inoltre, negli anni basileesi pubblica <strong>la</strong> maggior parte delle sue<br />
182 P. Simoncelli, La lingua di Adamo, cit., in partico<strong>la</strong>re pp. 9-96.<br />
183 Alessandro D’Alessandro, La scoperta di un passo di Ateneo nei rapporti tra Guil<strong>la</strong>ume Postel e<br />
Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri, in AA.VV., Postello, Venezia e il suo mondo, a cura di Marion Leathers Kuntz,<br />
Firenze, Olschki, 1988, pp. 261-279, in partico<strong>la</strong>re pp. 270-279.<br />
184 P. Simoncelli, La lingua di Adamo, cit., in partico<strong>la</strong>re sull’influenza muensteriana pp. 36-37, in partico<strong>la</strong>re<br />
note 58 e 59.<br />
185 Al riguardo rinviamo a G. B. Gelli, Dell’origine di Firenze. Introduzione, testo inedito e note a cura di A.<br />
D’Alessandro, “Atti e memorie dell’Accademia Toscana di Scienze e Lettere La Colombaria”, vol. XLIV, n. s.,<br />
XXX, 1979, pp. 61-122.<br />
186 Per un breve profilo del quale vedi <strong>la</strong> voce Johann Stoffler di Peter G. Bietenholz in Contemporaries of<br />
Erasmus. A Biographical Register of the Renaissance and Reformation, a cura di Peter G. Bietenholz,<br />
Toronto/Buffalo/London, University of Toronto Press, III Voll., 1985-1987, in partico<strong>la</strong>re III vol. 1987, pp. 288-<br />
289.<br />
187 A proposito del<strong>la</strong> biografia e delle edizioni di scritti luterani di Adam Petri vedi C. W. Heckethorn, The<br />
Printers of Basle. In the XV and XVI Centuries. Their biographies, printed books and devices, London, printed<br />
by unwin brothers at the Gresham press, 1897, pp. 143-153.<br />
188 Ivi, sull’anno del<strong>la</strong> morte di Adam Petri e sul matrimonio di Muenster con <strong>la</strong> sua vedova, cfr. p. 144.<br />
189 A proposito di Sébastian Muenster, cfr. K. H. Burdmeister, Briefe Sébastian Muensters <strong>la</strong>teneische und<br />
deutsch, C. H. Boehringer Sohn-Ingelheim Am Rhein, 1964, pp. 5-6 e in S. Muenster, Cosmographei Basel<br />
1550, Theatrum orbis terrarum Ltd., Amsterdam 1968, l’introduzione del curatore dell’opera R. Oehme, pp. V-<br />
XXVIII, in partico<strong>la</strong>re p. VI.<br />
190 Cfr. D. Cantimori, Eretici italiani del Cinquecento, a cura di A. Prosperi, Torino, Einaudi, 1992, p. 138 e L.<br />
Sozzini, Opere, edizione critica a cura di Antonio Rotondò, Firenze, Olschki, 1986, pp. 26-27, 32 in partico<strong>la</strong>re<br />
nota n. 41, p. 145 nota n. 11, e ivi le menzioni del Muenster presenti nel carteggio del Socini alle pp. 148-149,<br />
155, 170, 245.<br />
32
opere, grazie al sostegno di Heinrich Petri, suo figliastro, continuatore dell’attività editoriale<br />
paterna 191 .<br />
Sotto il profilo di possibili rapporti diretti del Muenster con l’ambiente fiorentino, possiamo<br />
registrare sul<strong>la</strong> base del suo carteggio, soltanto alcuni contatti italiani in re<strong>la</strong>zione al<strong>la</strong><br />
preparazione di una nuova edizione del<strong>la</strong> sua Cosmographia universalis. Questa nuova<br />
edizione che prevede non solo, rispetto al<strong>la</strong> <strong>prima</strong> del 1544 e alle successive in lingua<br />
tedesca 192 , l’aggiunta del<strong>la</strong> versione <strong>la</strong>tina ma anche un ampliamento realizzato con i<br />
contributi inviati dalle città e dalle nazioni interessate o comunque contattate, consistenti<br />
essenzialmente in descrizioni geografiche e pitture di luoghi e città, coinvolge anche Firenze,<br />
Roma e Venezia. Il Muenster, infatti, nel<strong>la</strong> lettera del 23 dicembre 1550 afferma: “Expecto<br />
quoque quaedam ex Italia” 193 , alludendo ai contributi su Firenze, Roma e Venezia previsti tra<br />
quelli già da lui pagati, concernenti un folto gruppo di città straniere già menzionati in una<br />
precedente episto<strong>la</strong> del 4 maggio 194 .<br />
Diversamente evidente, in un’analisi puntuale del testo del Giambul<strong>la</strong>ri risulta <strong>la</strong> presenza e<br />
<strong>la</strong> centralità del<strong>la</strong> Bibbia eterodossa che il Muenster traduce dall’ebraico in <strong>la</strong>tino, stampata a<br />
Basilea nel 1534 e ‘35. La sua impostazione protestante, emerge in modo abbastanza evidente<br />
già nel<strong>la</strong> premessa al primo tomo in cui l’autore si rivolge al “cristiano et pio lectori”,<br />
mettendo in risalto, il peccato originale di Adamo ed il conseguente stato di irrimediabile<br />
corruzione che ha colpito tutti gli uomini 195 . Sul<strong>la</strong> condizione di prostrazione umana causata<br />
dal peccato non sarebbe mancata, del resto, una notazione dello stesso Giambul<strong>la</strong>ri nel<strong>la</strong> già<br />
menzionata lezione dantesca sul<strong>la</strong> Carità del 1542:<br />
“Se io volessi qui entrare ad esporvi <strong>la</strong> cagione perché volesse l’eterno Padre che e’ morisse<br />
l’unigenito suo Figliuolo, piuttosto che perdonare assolutamente all’uomo il peccato suo,<br />
bisognerebbe certo allungarmi troppo. E però dirò so<strong>la</strong>mente che a maggior espressione di<br />
quello infinito amore che ci porta Dio, volle quel<strong>la</strong> sopra eminentissima carità che l’uomo da<br />
ogni felicità caduto, e miserabilissimamente sommerso nel baratro del peccato, si ristaurasse e<br />
si deducesse al<strong>la</strong> vera ed eterna felicità, riunendolo al suo Creatore. Ma perché non poteva<br />
l’uomo per sé stesso volgersi a Dio, non essendo <strong>la</strong> nostra natura di voltarci per noi medesimi,<br />
ma di esser volti, come dimostra il Pico nell’Ettaplo, mandò l’unigenito suo Figliuolo a<br />
vestirsi di questa carne e a morire in croce con el<strong>la</strong>, ciò che, <strong>la</strong>vandoci Gesù Cristo così dal<br />
191 Cfr. K. H. Burdmeister, Briefe Sebastian Muensters, cit., p. 7.<br />
192 Ivi, in proposito cfr. <strong>la</strong> lettera del 7 novembre 1544 inviata dal Muenster da Basilea ad Andreas Masius:<br />
“Audisti fortassis de mea Cosmographia, quam proximis nundinis Germanice evulgavi[…]”, in K. H.<br />
Burdmeister, pp. 88-89, passo cit. a p. 88. Inoltre, per un elenco completo delle edizioni nelle diverse lingue, in<br />
partico<strong>la</strong>re in tedesco e in <strong>la</strong>tino, vedi introduzione a S. Muenster, Cosmographei, cit., a p. XXVI.<br />
193 Ivi, cfr. <strong>la</strong> lettera del 23 dicembre 1550 a Ioachino Vadiano alle pp. 188-189, passo cit. a p. 188.<br />
194 Ivi, cfr. <strong>la</strong> lettera del 4 maggio 1550 inviata dal Muenster a Cornelio Gaudensio e Giorgio Cassandro p. 175,<br />
in partico<strong>la</strong>re: “Extranae civitates nostris sumptibus curantur, quales sunt Lutetia, Roma, Florentia, Cairum<br />
(quod iam sculpitur), Costantinopolis, Venetiae, Belgradum, Argiera, Ierosolyma etc..”<br />
Inoltre, a proposito del profilo biografico del Muenster e soprattutto del significativo contributo apportato al<strong>la</strong><br />
geografia con <strong>la</strong> sua Cosmographia cfr. Al<strong>la</strong> scoperta del mondo l’arte del<strong>la</strong> cartografia da Tolomeo a<br />
Mercatore, presentazione Francesco Sicilia, testi Mauro Bini, Ernesto Mi<strong>la</strong>no, Annalisa Battini, Laura<br />
Federzoni, Modena, Il Bulino, 2001, in partico<strong>la</strong>re ivi rinviamo a Annalisa Battini, Gli at<strong>la</strong>nti del cinquecento<br />
Mercatore e <strong>la</strong> cartografia moderna, pp. 189-200.<br />
195 Ivi, Cristiano et pio lectori Sebast. Muensterus s.d.., che inizia in questi termini “Etiamsi mortalis nostra<br />
natura, candide lector,varijs obnoxia facta sit malis, ex primi hominis peccato, multasque contraxerit <strong>la</strong>bes et<br />
corrupte<strong>la</strong>s, <strong>prima</strong>s tamen videtur tenere il<strong>la</strong> mentis nostrae instabilitas, atque animus sibi nunquam satis<br />
constans: quo malo etiam plerosque, qui columnae videbantur, in praecipitium ruisse esperti sumus. Siquidem<br />
postquam primis noster parens animum advertit deo…protinus illum peccantem et totam eius posteritatem haec<br />
consequuta est poena, ut in nul<strong>la</strong> re fluctuansque inter tentationum illectamenta, diu herere velit aut possit, quin<br />
ea aliquantisper perfruitus, atque ad fastidium satiatus, mox ad aliam et aliam aestuet, qua se ad horam quoque<br />
oblecte.” Passo cit. a p. a 4.<br />
33
peccato e dirizzandoci, o per meglio dire, tirandoci all’eterno Padre, unisse tutta <strong>la</strong> creatura<br />
col Creatore…” 196<br />
Notazione evidentemente tesa a marcare l’imprescindibilità del sacrificio di Cristo in linea<br />
con quanto osservato sulle tendenze ben presenti in ambito accademico.<br />
D’altra parte Muenster nel<strong>la</strong> sua introduzione punta il dito, all’interno del<strong>la</strong> generale<br />
corruzione umana, sugli Ebrei incapaci di riconoscere Cristo e sordi di fronte al messaggio<br />
scritturale formu<strong>la</strong>to dai profeti 197 . La loro proterva incapacità di comprendere <strong>la</strong> Scrittura<br />
denuncia emblematicamente l’analoga condizione del mondo cristiano favorita in primo luogo<br />
dalle versioni bibliche, errate e fuorvianti, divenute ormai patrimonio e tradizione del<strong>la</strong><br />
Chiesa romana. Al riguardo Muenster riferisce delle mancanze del<strong>la</strong> versione biblica dei<br />
Settanta, giustamente criticata ed emendata da S. Giro<strong>la</strong>mo, <strong>la</strong> cui vulgata tuttavia per quanto<br />
giudicata positivamente, presenta anch’essa alcune carenze opportunamente ravvisate, da<br />
Lutero, Reuchlin, Agostino Steuco, Santi Pagnino 198 .<br />
Una critica finalizzata (come si evince nel prosieguo del<strong>la</strong> nota munsteriana, che non manca<br />
di ricordare gli studi di ebraico intrapresi con il Pellikan) 199 all’elogio di Erasmo, modello<br />
196 De <strong>la</strong> carità, cit., passo alle pp. 68-69.<br />
197 Ivi: “Et Iudaei quidam vehementer videbantur ze<strong>la</strong>re pro domino exercituum, et pro domo dei, cum<br />
Christum eius fastidirent, et ad mortem usque persequerent: sed perversus fuit zelus ille, cum non fuerit<br />
secundum scientiam, sed procedebat ex odio rationem excaecante: unde furore magis in illum debacchati sunt,<br />
quam dei zelo. Et in hac pervicacia in hunc usque diem, misera il<strong>la</strong> gens usqueadeo obstinata manet, ut nullis<br />
prophetarum oraculis quantumlibet c<strong>la</strong>ris et apertis, nullis rationibus, sed neque minis et terroribus a<br />
praecipitio et ab errore reduci possit : id quod Isaias ante futurum praedixit : Impingua, inquiens, sive obstina<br />
cor populi huius, et aures eius aggrava, atque oculos eius obline, ne fortem videat oculis et c. Apud Ieremiam<br />
quoque magno in speciem zelo dicebat: templum domini, templum domini, templum domini, et tamen deus<br />
dicebat illis per eundem prophetam: Non habeatis fiduciam in verbis istis mendacibus. His similimi sunt, qui<br />
humanas constitutiones, veterum decreta, et inolitas consuetudines pluris faciunt, quam ipsa mandata dei,<br />
exco<strong>la</strong>ntes scilicet culicem, et gamentum glutienses. O perversum iudicium, et a Christiano pectore summopere<br />
arcendum. Et tamen qui eiusmodi sunt, audent dicere, se zelo dei moveri, etiam quando grassant et tyrannice<br />
saeviunt in proximi necem, ob vio<strong>la</strong>tam humanam constitutiuncu<strong>la</strong>m, cuius quidam observantia, nec tantillum<br />
meliorem reddit animum, aut eius provet salutem.”<br />
Inoltre, sul<strong>la</strong> inadeguatezza del<strong>la</strong> versione dei Settanta e sul giudizio positivo formu<strong>la</strong>to da Erasmo e<br />
dall’umanesimo europeo sul<strong>la</strong> funzione di correzione svolta dal<strong>la</strong> Vulgata rispetto ad essa, cfr. C. Asso, La<br />
teologia e <strong>la</strong> grammatica. La controversia tra Erasmo ed Edward Lee, Firenze, Olschki, 1993, in partico<strong>la</strong>re pp.<br />
60-62.<br />
198 Ivi, infatti: “Tali quoque zelo, aut potius invidia <strong>la</strong>borabant plurimi, divi Hieronymi temporibus, nullibi non<br />
insidias struentes viro sancto, non ob aliam causam quam quod opus pium et sanctum moliretur, nempe veteris<br />
instrumenti, synceriorem versionem. Videbat namque vir pius et doctus, Latinos vera et genuina legis atque<br />
prophetarum destitutos lecitone: nam Septuaginta interpretum aeditio, quae tunc ubique locorum recentissima<br />
erat, apud Graecos et Latinos, nedum perperam in plerisque locis versa fuit, verum et per scriptores atque<br />
sciolos plurimum corrupta, id quod et hodie facile patet conferenti aeditionem il<strong>la</strong>m iuxta Heb. Veritatem: ut<br />
interim taceam illos non admodum peritos fuisse Heb. Linguae, id quod vel inviti cogimur fateri, alioquin in<br />
plurimis locis non tamen foede <strong>la</strong>psi fuissent. Videbat inquam id Hiero, sicut et Aqui<strong>la</strong>, Symmachus, Thedotio,<br />
atque multi alji studiosi viri, et huiusmodi erroribus corrigendis animu adiecerunt, quisque pro virili sua:<br />
indignum rati, quod cum in omnibus rebus avesse debeat depravatio, sacri codices impuritatem admixtam<br />
haberent, qui tamen in primis illustrandi et extergendi erant, atque in nitorem suum vindicandi. Nec tamen sic<br />
omnia ad vivum resecarunt, quin posteri semper aliquid adhuc emendandum deprehenderint. Nam qui Heb.<br />
Linguam vel mediocriter est doctus, facile videbit, interpretem nostrum, quicumque tandem is fuerit, interdum<br />
non satis ocu<strong>la</strong>tum fuisse. Sensit id Nico<strong>la</strong>us Lyranus, Paulus Burgensis, Ioannes Reuchlinus, Santes Pagninus,<br />
Martinus Lutherus, et Augustinus Steuchus, etiamsi is plerumque se vidisse dissimulet .”<br />
199 Ivi : “Sed et Iudaei nostram in nonullis locis irrident aeditionem, dicentes eam Heb. Veritati non per omnia<br />
et ad amussim respondere. Advertimus et nos iam a vigenti annis, a tempore quod sub Conrado Pellicano<br />
fedelissimo praeceptore nostro hebraicari coepimus, <strong>la</strong>bes quasdam intolerabiles irrepsisse, non tam interpretis<br />
culpa quam scriptorum vitio. Et certe non est perpetuo ad haec conivendum. Quanquam verear, ne si quis<br />
diligentius il<strong>la</strong> conetur emendare, sicuti omnes pro domini verbo ze<strong>la</strong>re tenemur, totus contra illum commoveant<br />
orbis, excitentur tragoediae, c<strong>la</strong>ment omnes, vociferent, ingemiscant, et nemo moribus et vita tam alienus sit a<br />
Cristo, qui hic non ostentet se zelu gerere pro verbo domini, etiam si nunquam opere et veritate illud implere<br />
studuit. Qua in re si cum talibus expostu<strong>la</strong>re coeperimus, quaerentes quanam ratione sic insaniant, nihil habent<br />
34
dell’umanesimo filologico e punto di riferimento delle fatiche del Muenster. Erasmo, infatti,<br />
giganteggia nel<strong>la</strong> praefatio munsteriana per <strong>la</strong> lotta sostenuta contro gli errori del<strong>la</strong> Vulgata ed<br />
i difensori del<strong>la</strong> mendace tradizione del<strong>la</strong> Chiesa cattolica, gli “Sycophantorum” 200 .<br />
È un Erasmo certamente percepito secondo le potenzialità radicali del<strong>la</strong> sua versione del<br />
Nuovo Testamento e associato evidentemente dal Muenster alle istanze protestanti. Un<br />
Erasmo <strong>la</strong>rgamente interpretato secondo queste coordinate anche in Italia e tra gli altri proprio<br />
da Agostino Steuco da un <strong>la</strong>to convinto assertore dell’umanesimo di cui coglie le grandi<br />
potenzialità di penetrazione e diffusione popo<strong>la</strong>re, dall’altro timoroso delle imprevedibili<br />
conseguenze sociali del<strong>la</strong> nuova cultura 201 . Steuco appunto giudicato in modo ambivalente dal<br />
Muenster come conferma anche nel<strong>la</strong> prefazione al testo che segue <strong>la</strong> lettera al lettore 202 . Qui,<br />
infatti, il dotto ebraista, da un <strong>la</strong>to condivide i rilievi mossi dallo Steuco al<strong>la</strong> Vulgata di San<br />
Giro<strong>la</strong>mo, dall’altro denuncia le sue profonde <strong>la</strong>cune in fatto di conoscenza dell’ebraico 203 .<br />
Senza trascurare probabilmente che tra i Sycophantorum il Muenster comprenda il<br />
personaggio simbolo del<strong>la</strong> lotta condotta a Lovanio contro le istanze filologiche propugnate<br />
da Erasmo erasmiano con <strong>la</strong> fondazione del Collegium Trilingue: Edward Lee 204 .<br />
Muenster del resto è legato all’esperienza ed al metodo del Collegium Trilingue chiaramente<br />
strutturato dal procedimento filologico erasmiano, come documenta oltre a questa prefazione<br />
l’inclusione di molte delle sue opere a cominciare dal<strong>la</strong> Hebraica Biblia, poi utilizzate dal<br />
Giambul<strong>la</strong>ri nel Gello, nel programma di Studia humanitatis condotto dal Collegium per<br />
raggiungere una piena conoscenza del<strong>la</strong> lingua ebraica quale indispensabile strumento per<br />
l’acquisizione del pieno ed autentico significato dei Testi Sacri 205 . L’impegno munsteriano si<br />
quod respondeant, nisi quod per veteres communis il<strong>la</strong> aeditio sit probata. Tanta est enim vetustatis consuetudo,<br />
ut divi Hieronymi utar verbis, ut etiam consessa plerisque vitia p<strong>la</strong>ceant. ”<br />
200 Ivi, leggiamo: “Tanta est enim vetustatis consuetudo, ut divi Hieronymi utar verbis, ut etiam consessa<br />
plerisque vitia p<strong>la</strong>ceant. Nemo non novit, quantus tumultus superioribus annis excitatus fuerit contra Erasmus,<br />
quod corriere ausus fuerit, sic enim illi loquunt, sanctum Evangelium, et vio<strong>la</strong>re rem tam sanctam. Idem mihi<br />
eventurum scio, multorum calumnias haud oscure praevidens, qui in hoc theatrum ingiedi praesumpserim, et<br />
veteris testamenti novam tentarim versionem: etiamsi sciam me huius viri comparatione nihil esse. Sed so<strong>la</strong>t me<br />
id interim, quod sciam viros bonos et pios nihil agere absque iudicio. Sycophantarum est, nedum quae non<br />
legerunt damnare, verum et quae bene dicunt reprehendere. So<strong>la</strong>t etiam me conscientia mea, quod non in<br />
gloriam meam et veterum reprehensionem, quibus etiam maximadebemus gratiam, postquam id egerunt, quod<br />
preastare potuerunt, praesertim in tantalibrorum penuria, hunc subierim <strong>la</strong>borem, et quod aliud non<br />
deprompserim, quam quod Heb. Textum habere deprehendi, testibus Rabinorum commentarijs. ”.<br />
201 Sul radicalismo del<strong>la</strong> stessa lezione erasmiana e del<strong>la</strong> sua edizione del Nuovo Testamento del 1516, cfr. A.<br />
Aubert, Itinerari del<strong>la</strong> consapevolezza. Un progetto di ricerche ed una col<strong>la</strong>na di studi sul<strong>la</strong> crisi religiosa del<br />
Cinquecento, in “Archivio Storico Italiano”, CLIX, 2001, in partico<strong>la</strong>re, pp. 625-636. Sul<strong>la</strong> percezione in Italia<br />
di Erasmo secondo il binomio composto da Lutero si rinvia a Seidel Menchi, Erasmo in Italia, cit., in partico<strong>la</strong>re<br />
capitolo II, Erasmo luterano: una costruzione del<strong>la</strong> teologia italiana fra il 1520 ed il 1535, pp. 41-72 e con<br />
riguardo ad Agostino Steuco soprattutto pp. 54-55.<br />
202 Praefatio Sebast. Muensteri in vetum testamentum in Hebraica Biblia, cit., Tomo I, cit..<br />
203 Ivi: “Omitto alia loca quamplurima, in quibus inscitiam suam, quantum attinet ad Hebraeam linguam tam<br />
aperte prodidit, ut mirer quomodo in ea re ausus fuerit sibi tantam arrogare autoritatem, cui tam arcta in hac<br />
lingua fuit cognitio. Deinde quando dicit, inter aeditionem nostram et Hebraicam veritatem fere nul<strong>la</strong>m esse<br />
differentiam, imo aeditionem nostram absolutissimam: rursus miror hominem, quod sibi ipsitam parum constet,<br />
qui super pentateuchus in pluribus quam sexcentis locis carpit Hieronymum, quem vulgatae aeditionis asserit<br />
autorem.”<br />
204 Sul<strong>la</strong> disputa si rinvia a C. Asso, La teologia e <strong>la</strong> grammatica, cit. e A. Aubert, Itinerari del<strong>la</strong><br />
consapevolezza, cit..<br />
205 Sul<strong>la</strong> nascita e sul<strong>la</strong> <strong>storia</strong> del Collegium Trilingue rinviamo a Henry de Vocht, History of the Foundation<br />
and Rise of the Collegium Trilingue Lovaniense, Louvain, Librarie Universitaire, 1951-1955, 4 voll. e Storia<br />
d’Italia, Annali, voll. I-XIX, Torino, Einaudi, 1978-2003, vol. XI, Gli ebrei in Italia, parte <strong>prima</strong>, 1996, al<strong>la</strong> voce<br />
di E. Garin, L’Umanesimo italiano e <strong>la</strong> cultura ebraica, pp. 359-384, in partico<strong>la</strong>re p. 363. Inoltre sull’inclusione<br />
delle opere munsteriane tra i testi adottati al Collegium Trilingue vedi in AA. VV., L’Humanisme Allemand<br />
1480-1540. Actes du XVIII colloque international de Tours, Paris, Vrin, 1979, Pierre Aquilon, Appendice.<br />
Catalogue de l’exposition organisée a <strong>la</strong> bibliothèque municipale d’Orléans le 15 juillet 1975, pp. 607-676, in<br />
partico<strong>la</strong>re l’elenco :Le Collège Trilingue : manuels et éditions de textes l’hébreu (27-32), pp. 648-650 e sul<strong>la</strong><br />
Hebraica Biblia, cit., pp. 613 e 650.<br />
35
inquadra nel<strong>la</strong> generale ripresa degli studi ebraici inaugurata dall’umanesimo tedesco a inizio<br />
Cinquecento appunto dai suoi maestri Pellikan, Reuchlin e Elias Levita primo artefice di<br />
questa riscoperta del<strong>la</strong> lingua ebraica da parte dell’umanesimo tedesco e capace di esercitare<br />
una profonda influenza sull’esperienza del Collegium 206 . Una riscoperta, fortemente<br />
incentivata e caratterizzata, nello schieramento protestante, dal<strong>la</strong> tendenza a giovarsi<br />
dell’esegesi ebraica e del materiale antiquario offerto dal<strong>la</strong> letteratura rabbinica 207 .<br />
Non dimentichiamo poi in questa direzione filoerasmiana come <strong>la</strong> grammatica delle Regole<br />
del<strong>la</strong> lingua fiorentina del Giambul<strong>la</strong>ri mostri un fortissimo debito filologico nei confronti<br />
Del De emendata structura Latini sermonis… dell’erasmiano inglese Tommaso Linacrio che<br />
Giambul<strong>la</strong>ri consulta e utilizza riproducendone passaggi letterali e impostazione per ben<br />
cinque dei sette libri in cui divide <strong>la</strong> sua grammatica, traendoli da un’edizione anteriore il<br />
1543 ma posteriore al 1538, come indica I<strong>la</strong>ria Bonomi. Probabilmente, visto che <strong>la</strong> <strong>prima</strong><br />
edizione italiana del<strong>la</strong> grammatica del Linacrio è del 1557, ed il testo viene pressoché<br />
ignorato in Inghilterra, mentre beneficia di molte edizioni francesi e tedesche 208 , Giambul<strong>la</strong>ri<br />
consulta l’edizione lionese del 1541 curata da Me<strong>la</strong>ntone come del resto <strong>la</strong> successiva del<br />
1544, entrambe stampate dai torchi di Sebastian Grifo 209 . Grammatica cui lo stesso Postel<br />
riserva nel suo linguarum…del 1538, ben noto al Giambul<strong>la</strong>ri, un giudizio estremamente<br />
positivo. 210<br />
Pertanto, proprio in virtù delle tracce ireniche ed erasmiane già ravvisate peraltro nelle<br />
coeve lezioni dantesche del canonico <strong>la</strong>urenziano ci sembra opportuno analizzare e ponderare<br />
l’effettiva consistenza dell’influenza muensteriana nel Gello ripercorrendo i singoli passi in<br />
cui essa si rileva.<br />
Il Giambul<strong>la</strong>ri che nel<strong>la</strong> finzione dialogica in questa <strong>prima</strong> parte è ce<strong>la</strong>to sotto le vesti del<br />
Gello, ricorre fin dalle prime pagine del suo trattattello al<strong>la</strong> Hebraica Biblia, per fugare le<br />
perplessità esposte da Messer Curzio sull’effettiva durata di otto o novecento anni del<strong>la</strong> vita<br />
degli uomini vissuti <strong>prima</strong> del diluvio universale, risponde:<br />
“Ma che <strong>la</strong> vita loro fosse pur tanta, non so<strong>la</strong>mente si testifica per que’ tanti autori gentili<br />
che Iosefo adduce nel primo delle antichità. Ma <strong>la</strong> ragione ancora ce <strong>la</strong> insegna e Mosè<br />
stesso nel Genesi chiaramente ce lo dimostra. Conciosia che quanto al<strong>la</strong> ragione, <strong>la</strong> necessità<br />
di riempire il mondo; il bisogno di trovare le scienze e l’arti, che tutte nacquero di esperienza<br />
ricercavano vita lunghissima. Oltra che <strong>la</strong> gagliarda complessione di corpi si grandi, per se<br />
medesima gli conservava lungamente. Perché essendo tutti Giganti, cioè di statura senza<br />
comparatione maggiore che <strong>la</strong> nostra: tale era <strong>la</strong> quantità del<strong>la</strong> vita, quale il vigore e <strong>la</strong> forza<br />
206 Ivi, sull’influenza esercitata da Elias Levita, in partico<strong>la</strong>re su Sebastian Muenster vedi vol. II, The<br />
Development, pp. 118-122 e ancora ivi, vol. III, The Full Growth, pp. 160-162 a proposito dell’insegnamento di<br />
John Von Campen sul<strong>la</strong> carriera ivi , vedi anche pp. 158-160 e 163-208.<br />
207 Storia d’Italia, cit., Annali, cit., nel<strong>la</strong> voce di Fausto Parente, La Chiesa e il Talmud, pp. 521-644, in<br />
partico<strong>la</strong>re pp. 620-624.<br />
208 In proposito rinviamo a I<strong>la</strong>ria Bonomi, Introduzione, cit., a Regole del<strong>la</strong> lingua fiorentina, cit., pp.<br />
XXXVIII-XXXIX. Inoltre sul<strong>la</strong> considerazione di cui gode il Linacrio in ambito francese e tedesco vedi P.<br />
Aquilon, La réception de l’Humanisme allemand a Paris in L’Humanisme Allemand, cit., pp. 45-80, in<br />
partico<strong>la</strong>re pp. 51 e 57.<br />
209 Thomae Linacri Britanni De emendata structura Latini sermonis libri sex. Cum Indice copiosissimo in<br />
eosdem, Seb. Gryphium excudebat, Lugduni, 1541. Sul Gryphius si rinvia a U. Rozzo, La cultura italiana nelle<br />
edizioni lionesi di Sébastiene Gryphe 1531-1541, in “LA Bibliofilia”, 1988, disp. II, pp. 161-195, inoltre sul<strong>la</strong><br />
sua attività cfr. Peter G. Bietenholz, Basle and France in the Sixteenth Century. The Basle Humanists and<br />
Printers in their Contact with Francophone Culture, Genève, Droz, 1971, ad indicem.<br />
210 Linguarum duodecim characteribus differentium Alphabetum, introductio ac legendi modus longe<br />
facilimus. Linguarum nomina sequens proxime pagel<strong>la</strong> offeret, Guillielmi Postelli, Barentonii diligentia, Prostant<br />
Parisiis apud Dionysium Lescuier 1538, quando nel paragrafo intito<strong>la</strong>to Diviso Literarum Postel dice in termini<br />
elogiativi (pagine non numerate) “Syntaxim praec<strong>la</strong>rissima tradidit Thomas Linacrer Anglus. Tres orationis<br />
partes inflexionem syntaximn et quantitatem sub compendio apud Me<strong>la</strong>nchtonem reperies” .<br />
36
del corpo. Havevano ancora il ciel più benigno, <strong>la</strong> terra più sana, per non essere venuto il<br />
Diluvio; e cibavansi moderatamente il che prolunga molto <strong>la</strong> vita.” 211<br />
Passo che appare abbastanza vicino ai punti del VI capitolo del<strong>la</strong> Genesi dell’edizione<br />
muensteriana del<strong>la</strong> Bibbia concernenti <strong>la</strong> moltiplicazione del<strong>la</strong> popo<strong>la</strong>zione terrestre ed i<br />
Giganti:<br />
”Et factum est, quod coepit homo multiplicari in superficie terre[…]Gigantes vero fuerunt<br />
in terra in diebus illis…” 212<br />
Tuttavia, <strong>la</strong> vera e propria dipendenza dal<strong>la</strong> traduzione munsteriana si evince dal<strong>la</strong><br />
successiva spiegazione di Mosè, riferita dal Gello, attraverso <strong>la</strong> riproposizione volgarizzata di<br />
diversi passi muensteriani tratti in primo luogo dall’inizio del settimo capitolo del<strong>la</strong> Genesi a<br />
proposito del<strong>la</strong> collocazione temporale del diluvio universale in re<strong>la</strong>zione all’età del Noè<br />
biblico muensteriano:<br />
Gello: “Scrive Mosè nel Genesi al settimo<br />
capo…che il principio del Diluvio fu l’anno<br />
secentesimo del<strong>la</strong> vita di Noè, e <strong>la</strong> fine di<br />
quello nel secentesimo primo.” 213<br />
“Et erat Noah filius sexcentorum annorum: et<br />
diluvium acquorum fuit super terram…” 214<br />
E dal<strong>la</strong> dimostrazione dell’equivalenza degli anni prediluviani e di quelli contemporanei,<br />
effettuata dal Gello pur precisando che <strong>la</strong> maniera ebraica di computare un anno è partico<strong>la</strong>re<br />
e non univoca, sul<strong>la</strong> base di un’altra opera del Muenster, il Kalendarium Hebraicum 215 :<br />
211 Gello, cit., passo cit. a p. 8a.<br />
212 Biblia Hebraica, cit., vol. I, p. 5a5.<br />
213 Vedi nota 212.<br />
214 Biblia Hebraica, cit., passo cit., p. 6a6.<br />
215 Kalendarium Hebraicum [Sebastiani Muensterii opera], ex Hebraeorum penetralibus iam recens in lucem<br />
aeditum: quod non tam hebraicae studiosis quam historiographis et astronomiae peritus subsernire poterit,<br />
Basileae, apud J. Frobenium, 1527; inoltre vedi P. Aquilon, Catalogue, cit., pp. 612 e 649.<br />
37
Gello: “Et però aderite, che se bene gli anni<br />
sono di più sorti in diversi luoghi e di<br />
quantità diversissima; gli Hebrei gli anno di<br />
XII Lune, con alcuni giorni di più, che<br />
adattati alle regole loro, ragguagliano con<br />
l’anno so<strong>la</strong>re, ma non sempre in un modo<br />
medesimo; secondo ch’io ho ritratto dagli<br />
scritti <strong>la</strong>tini del Munstero Sopra il calendario<br />
degli Hebrei. Perciò che l’anno appresso di<br />
loro è di due sorti, Embolismico e Commune:<br />
e chiamano Embolismico quello che avanza e<br />
trascende l’anno comune d’ un mese intero.<br />
Et questo comune non è anche sempre a un<br />
modo: ma è di tre maniere; cioè pieno,<br />
mezzano e scemo. Le quali differentie…non<br />
sono però necessarie al nostro discorso.<br />
Perché io per esser inteso meglio, non voglio<br />
ragionare se non secondo l’anno commune<br />
pieno, che è di giorni CCCLV, cioè di XII<br />
mesi lunari: sette de’ quali hanno giorni XXX,<br />
e cinque XXIX: come da voi stesso potete<br />
vedere nel luogo predetto.” 216<br />
Kalendarium : “Longe alia ratione Hebraei<br />
suos computant annos et menses quam Latini.<br />
Nam habent annos et menses lunares, non<br />
so<strong>la</strong>res, ut <strong>la</strong>tini…Habent igitur Hebraei<br />
duplicem annum, videlicet communem…id est,<br />
annus p<strong>la</strong>nus et simplex : et embolismicus…id<br />
est, annus transitus habens, seu potius<br />
transcensum. Nam transcendit annum<br />
communem uno mense. Unde primus annus<br />
constat 12…mensibus: Secundus tredecim.<br />
” 217<br />
Distinzioni che comunque non impediscono al Gello <strong>la</strong> possibilità di sostenere <strong>la</strong> sostanziale<br />
vicinanza tra anno so<strong>la</strong>re e anno ebraico, che può ritornare alle vicende del Noè muensteriano<br />
in totale conformità ai capitoli settimo e ottavo del<strong>la</strong> Genesi del<strong>la</strong> Hebraica Biblia utilizzata<br />
per fugare i residuali dubbi del Curzio:<br />
216 Gello, cit., pp. 8a-9b.<br />
217 Kalendarium Hebraicum, cit., passo riportato a p. 42g1.<br />
38
Gello: “Dice dunque Mosè così. Nell’anno<br />
secentesimo del<strong>la</strong> vita di Noè, il<br />
diciassettesimo dì del secondo mese, si<br />
ruppero tutte le fonti dello abisso, e si<br />
apersero le cateratte del cielo e piovve<br />
quaranta di e quaranta notti sopra <strong>la</strong> terra.<br />
Et nel capo seguente, cioè nel ottavo<br />
soggiunse poi queste parole. Ricordatosi il<br />
Signore di Noè, e di tutti gli animali e<br />
giumenti che erano con lui nell’Arca, indusse<br />
il vento sopra <strong>la</strong> Terra, fermò <strong>la</strong> pioggia; e<br />
furono chiuse le fonti dello abisso e le<br />
cateratte del cielo. Et cominciarono l’acque a<br />
diminuirsi dopo cento cinquanta giorni.<br />
Posassi poi l’Arca ne’ monti di Armenia il<br />
venzettesmo di del settimo mese: ma l’acque<br />
andarono mancando infino al decimo mese.<br />
Et il di primo del mese decimo, apparirono le<br />
cime de’ monti. Dopo XXXX giorni poi<br />
aprendo Noè <strong>la</strong> finestrel<strong>la</strong>, che egli haveva<br />
fatto al<strong>la</strong> Arca, mandò fuori il Corbo: e tutto<br />
quel che seguita appresso, fin’ dove e dice.<br />
Dunque nel secentesimo primo anno di Noè, e<br />
il primo di del mese mancaron l’acque di su<br />
<strong>la</strong> Terra: et levò Noè il coperchio del<strong>la</strong> Arca,<br />
e vide rasciuttto il suolo del<strong>la</strong> Terra. Et il<br />
venzettesimo giorno del secondo mese fu <strong>la</strong><br />
terra secca per tutto. ” 218<br />
capitoli VII e VIII del<strong>la</strong> Genesi del<strong>la</strong><br />
Hebraica Biblia: “In anno sexcentesimo vite<br />
Noah, in mense secondo, decimaseptima die<br />
mensis, in ipsa die rupti sunt omnes fontes<br />
abissi, magnae; et fenestrae caeli apertae<br />
sunt. Et fuit pluvia super Terram quadraginta<br />
diebus et quadraginta noctibus. 219 […] Et<br />
recodatus est deus ipsius Noah et cuncti<br />
animantis, omnisque iumenti que erant secum<br />
in arca: et fecit transige deus ventum super<br />
terram, coelo. Et reversae sunt aquae de<br />
Terra, eundo et redeundo : imminutaeque<br />
sunt aquae a fine quinquagesimi et centesimi<br />
diei. Et requievit arca in mense septimo, in<br />
decimaseptima die mensis super montes<br />
Armeniae. Et aquae quidam erant euntes et<br />
decrescentes usque ad mensem decimum: in<br />
decimo <strong>prima</strong>que illus mensis, visa sunt<br />
cacumina montium. Factumque est a fine<br />
quadragesimi diei, et aperuit Noah finestram<br />
arcae quam fecerat. Et emisit corvuum […]<br />
Factumque est in primo et sexcentesimo anno,<br />
in primo et in <strong>prima</strong> illius mensis, exiccatae<br />
sunt aquae de Terra : et amovit Noah<br />
operculum arcae, viditque, et ecce exiccata<br />
erat superficies humi. Porrò in mense<br />
secundo, in vigesimaseptima die mensis<br />
exaruit Terra.” 220<br />
Il Gello pertanto, in base alle precedenti asserzioni, conclude: “Potendo voi primieramente<br />
vedere un anno intero dal 600 al 601; composto di XII mesi: de quali nominatamente vi sono,<br />
il primo, il settimo e il decimo: con quelle tante decine di giorni che seguono appresso: et i<br />
mesi anchora di XXX giorni trovandovisi partico<strong>la</strong>rmente nominato il primo, il<br />
diciassettesimo, e il venzettesimo del mese.” 221<br />
Tuttavia, Messer Curzio non pago delle sue dimostrazioni, gli domanda quali mesi Mosè<br />
chiami “secondi, settimi e decimi…”. Il Gello, allora si avvale nuovamente di uno specifico<br />
passo del Kalendarium:<br />
“Lunga è stata…ed è anchora <strong>la</strong> disputa tra<br />
gli Hebrei stessi, non che tra i nostri dove sia<br />
il principio dell’anno. Benché tutti dichino<br />
nello Equinottio. Perchè altri lo pigliano<br />
dal<strong>la</strong> <strong>prima</strong>vera secondo l’ordine che pose<br />
Mosè nello uscire de lo Egitto, e altri da<br />
l’Autunno: et ciascuno certamente con gran<br />
218 Gello, cit., p. 9b.<br />
219 Hebraica Biblia, cit., Genesi capitolo VII, passo a pp. 6a6-7b1.<br />
220 Ivi, Genesi capitolo VIII, passi riportati a p. 7b1.<br />
221 Gello, cit., pp. 9b1-10b1.<br />
222 Ivi, p. 10b1.<br />
“Proinde incipiunt annum suum a principio<br />
mensis Tisri, qui scilicet autumnali<br />
aequinoctio proximior est. Nam maior pars<br />
eorum putant mundum a deo creato in illo<br />
aequinoctio. Sed Moses Legisaltor, dum<br />
profisciscerenteur filij Iisrael de Aegypto,<br />
iussit mensem Nisan qui circa vernum cadit<br />
39
agioni .” 222 aequinoctium, primum appel<strong>la</strong>ri, quod in eo<br />
evassissent Aegyptiacam servitutem.” 223<br />
Considerazione che forse richiama indirettamente anche una delle note che si trovano al<strong>la</strong><br />
fine di ogni capitolo del<strong>la</strong> Hebraica Biblia a chiarimento e approfondimento di partico<strong>la</strong>ri<br />
termini ed elementi biblici, specificamente <strong>la</strong> c posta in calce al capitolo VII del<strong>la</strong> Genesi e<br />
concernente l’espressione “mense secondo” e le due modalità ebraiche di computare l’inizio<br />
dell’anno:<br />
“Dubium est apud Hebreos, num is mensis sit Marhesuan vel I<strong>la</strong>r. Nam statuunt duplex<br />
initium anni. In rebus prophanis inchoant annum a novilunio propinquiori equinoctio<br />
autunnali: et vocantur primus mensis Tisri, secundus Marhesuan, tertius Kislef et c.<br />
Pro Sacris vero exordiuntur annum ab incensione que vicinior et aequinoctio vernali, et<br />
vocatur primis mensis Nisan, secundus Itar, tertius Sivam et c.” 224<br />
Comunque il Gello, nonostante <strong>la</strong> persistente controversia a proposito dell’inizio dell’anno<br />
in atto con il Curzio, assegna <strong>la</strong> sua preferenza al<strong>la</strong> prospettiva profana, peraltro supportata,<br />
anch’essa da evidenti riferimenti ancora al<strong>la</strong> Hebraica Biblia e al Kalendarium:<br />
“Ma pure <strong>la</strong> comune opinione degli Hebrei e<br />
che e fia nello Autunno: essendo scritto nello<br />
Esodo al XXIII dove si comandono le tre<br />
solennità che ogni anno si debbono fare, et <strong>la</strong><br />
festa del<strong>la</strong> ricolta che è nel<strong>la</strong> fine dello anno,<br />
quando tu harai ragunato tutti i frutti del<br />
campo tuo.”<br />
“Chiamano dunque principio dello anno il<br />
mese di Tisri, che comincia il quinto dì del<br />
nostro settembre: e da quello contano i<br />
Giubilei e lo anno settimo: nel quale non è<br />
lecito seminare, ne ricorre, come aperto<br />
narra <strong>la</strong> Bibbia.” 226<br />
223 Kalendarium Hebraicum, cit., passo cit. a p. 43g2.<br />
224 Hebraica Biblia, cit., p. 7b1.<br />
capitolo XXIII Esodo: “Tribus vicibus<br />
celebrabis mihi festum in anno. Solemnitate<br />
azimorum custodies: septem diebus comedes<br />
azyma, quem admodum praecepi tibi, ideque<br />
tempore mensibus, quo maturescunt fruges: in<br />
illo enim egressi estis de Aegypto: et no<br />
videbunt facies meae inanes. Et festum messis<br />
primitivorum operis tui que seminaveris per<br />
annum (custodies) atque festum collectionis,<br />
quid est in exitu anni, cum collegeris opera<br />
tua de agro. Sex annis seminabis terram tuam<br />
et congregabis proventus eius. In septimo<br />
vero liberam dimittes atque deferas eam, ut<br />
comedant pauperes populi tui, et de residuo<br />
eorum comodante bestiae agri: sic quoque<br />
facies cum vinea tua et cum oliveto tuo.” 225<br />
Kalendarium: “Mensem igitur Tisri seu eius<br />
principium vocant…caput anni: ab eo<br />
deducunt temporum supputationes, et<br />
iubileum ac septimum annum deo dicatum ab<br />
eo incipiunt: ne si a Nisan inciperent, fructus<br />
quorum annorum perderent, quum messis<br />
anni sexti haberi non posset, nec seminari in<br />
anno septimo” 227<br />
40
Pertanto, conclude il Gello, rinviando per <strong>la</strong> collocazione cronologica dell’anno del diluvio<br />
rispetto al<strong>la</strong> creazione di Adamo ad un altro specifico punto dell’edizione munsteriana del<strong>la</strong><br />
Bibbia: “sicuramente possiamo dire che quel<strong>la</strong> vendicativa e mortifera pioggia cominciò il<br />
ventunesimo giorno di ottobre e secondo <strong>la</strong> testimonianza di Albumasar nel libro delle<br />
congiuntioni grandi, el<strong>la</strong> cominciò in venerdi sera, lo anno secondo Mosè 1656 da <strong>la</strong><br />
creatione di Adamo; come da voi stesso potete vedere, per gli anni de’ Padri scritti da Mosè<br />
nel quinto del Genesi. […] il di quinto di settembre si vide <strong>la</strong> terra tutta scoperta: et l’ultimo<br />
giorno di ottobre fu licentiado poi de l’Arca ogni uno. Questo è quanto io posso dirvi de lo<br />
anno Hebreo, de’l quale si serve Mosè, come avete udito di sopra et se io non vi dico<br />
partico<strong>la</strong>rmente i nomi di tutti i mesi, e <strong>la</strong> quantità di ciascuno: scusatemi per il non saper io<br />
quel<strong>la</strong> lingua; e per <strong>la</strong> difficoltà del<strong>la</strong> pronuntia loro: <strong>la</strong> quale (secondo il dire di Munster) è<br />
tutta caldea, imparata nel<strong>la</strong> Babilonica servitù: perché <strong>prima</strong> chiamavano i mesi da’l<br />
numero, e non da il nome; come avete potuto advertire nel testo del Genesi”. 228<br />
Una periodizzazione diluviana inoltre, che risulta perfettamente coincidente anche con<br />
quel<strong>la</strong> esposta nel Kalendarium Hebraicum nel quale leggiamo “Ab Adam usque ad diluvium<br />
anni mille sexcenti quinquaginta sex” 229 .<br />
Diversamente i mesi in cui si produce e si esaurisce progressivamente il diluvio, indicati nel<br />
Gello concordano con <strong>la</strong> nota a posta al margine del capitolo VIII del<strong>la</strong> Genesi muensteriana:<br />
Il settimo mese loro chiamato Nisan, che è di<br />
giorni XXX, comincia a di due di marzo e<br />
finisce lli XXXI. Per il che fe l’arca il XXVII<br />
di del settimo mese si posò ne’ monti di<br />
Armenia: sappiamo che ciò advenne il XXVII<br />
giorno di marzo. Il mese decimo che da loro è<br />
detto Tamun, comincia il XXX giorno del<br />
nostro maggio: e in tal di si scopersero le<br />
cime de monti, come di sopra disse Mosè, in<br />
caso però che quell’anno, fosse anno comune<br />
e pieno. De’l quale solo dissi voler par<strong>la</strong>re.<br />
Possiamo dunque conchiudere che <strong>la</strong> pioggia<br />
cominciata il ventunesimo giorno di ottobre,<br />
durò tutto il seguente Novembre senza mai<br />
restare: et che in capo a di cento cinquanta,<br />
che secondo l’anno predetto corrispondono al<br />
decimonono del nostro marzo, cominciarono<br />
a scemare l’aque: et che il trentesimo di<br />
maggio apparsero le cime de’ monti…” 230<br />
“Mense septimo. Qui scilicet est Sivan, si<br />
computer a Tisri. Et quamquam is sit octavus<br />
a Tifsri, tamen Scriptura hic numerat menses<br />
illos qui defluexerant ab eo tempore quo<br />
cohibita est pluvia, quod fuit in Kisleu.<br />
Decimo vero mense qui est…Iulio nostro et<br />
partim Augusto respondens, apparuerunt<br />
capita montium. Aben Esra ucro putat hunc<br />
decimum mensem fuisse…hoc est. Ianuarium,<br />
qui decimus fuit ab inizio diluvij. Et quod<br />
dicitur Noah aperuisse fenestram arcae post<br />
quadragesimum diem, intelligendum est<br />
postquam apparuerunt cacumina montium.<br />
Porrò montes Armeniae qui hoc<br />
comemorantur, apud Hebreos vocantur<br />
montes Ararabot. Onkelos vero chald.<br />
interpres vocat eos montes Cardu: qui<br />
fortasse sunt Montes Gordei, quos Ptolomeus<br />
in Armenia describit.“ 231<br />
Tuttavia, messer Curzio continua a contestare le affermazioni gelliane, sul<strong>la</strong> base delle<br />
stesse fonti presentate, Iosefo e Damasceno 232 , per negare l’unicità del diluvio universale e<br />
225 Hebraica Biblia, cit., vol. I, Esodo, cap. XXIII, pp. 73n1-74n2.<br />
226 Gello, cit., p. 10b1.<br />
227 Kalendarium Hebraicum, cit., passo cit. a p. 43g2.<br />
228 Gello, cit., pp. 10b1-11b2.<br />
229 Kalendarium Hebraicum, cit., passo cit., a p. 11c2.<br />
230 Gello, cit., pp. 10b1-11b2.<br />
231 Hebraica Biblia, cit., p. 8b2.<br />
232 Si tratta di F<strong>la</strong>vii Iosephi antiquitatum Iudaicarum libri XX ad vetera exemp<strong>la</strong>ria diligenter recogniti…,<br />
Vaeneunt Luteciae Aedibus Iacobi Izeruer sub signo geminorum Pullorum in via divi Iacobi, MDXXXV, che<br />
riguardo alle prove del passaggio in Armenia dell’Arca, (uno dei motivi del<strong>la</strong> contesa con il Curzio cfr. Gello,<br />
cit., pp. 11-12b2) a p. 7a4 dice: “Dicitur autem et navis eius quae in Armeniam venit, circa montem Chordieum<br />
41
sostenere lo svolgimento di numerosi diluvii nel corso del<strong>la</strong> <strong>storia</strong> umana, così da dimostrare<br />
l’impossibilità di sostenere <strong>la</strong> coincidenza storica delle figure di Noè e Ogigi Prisco Il Gello<br />
pertanto per ribattere questa argomentazione, chiama in aiuto, oltre allo stesso Iosefo, ancora<br />
il Muenster e non so<strong>la</strong>mente quello del<strong>la</strong> Hebraica Biblia 233 . Afferma infatti che “questo<br />
Ogigi Prisco sarà il medesimo che Noè: cognominato forse così dal verbo higid, che agli<br />
Aramei significa illustrare come nel Trilingue Munsteriano. Perché e illustrò egli il secol<br />
seguente di cio che era stato innanzi il diluvio; e de le Arti, e de le scientie: e fu illustre e<br />
celebratissimo in tutti i secoli da venire. La onde ben dice l’Annio, che e fu cognominato<br />
Ogigisan, cioè sacerdote sagro e illustre. Et che questo nome non sia greco, ma Arameo, lo<br />
mostra nel primo Iosefo, dicendo che Abraham habitò vicino ad Ebron, al <strong>la</strong>to del Leccio di<br />
Ogige. Il quale Ogige come pur adesso habbiamo mostrato è esso Noè, che anchora per<br />
sopranome fu chiamato Cielo e Iano…” 234 .<br />
Come vediamo, oltre all’utilizzazione di Annio da Viterbo, nonché di Iosefo 235 in direzione<br />
opposta all’impiego curziano, il Gello richiama un'altra opera munsteriana: il Dictionarium<br />
Trilingue del 1530 236 . Anche poco, del resto, Muenster risulta imprescindibile per asserire che<br />
Saturno sia figlio di Cielo e quindi di Noè che coincide con quest’ultimo. Di conseguenza<br />
Cam risulta essere figlio di Noè. Il Giambul<strong>la</strong>ri, tuttavia, ricorre anche ad altri autori pagani e<br />
c<strong>la</strong>ssici per dimostrare questa tesi, rifiutando invece possibili sostegni derivanti da Beroso 237 ,<br />
come accennato architrave invece delle posizioni aramaiche di Giambattista Gelli 238 . Dice,<br />
infatti, il canonico <strong>la</strong>urenziano che “Saturno… fosse figliuolo di Cielo, chiarissimamente lo<br />
mostrano tutti i poeti Greci e <strong>la</strong>tini […] Dimostralo medesimamente <strong>la</strong> scelerata impietà de’l<br />
castrar suo padre, come cantano tanti scrittori, e Mosè stesso nel nono del Genesi racconta;<br />
ma con parole più coperte.” 239<br />
Menzionate poi alcune notizie su Cam ricavate da Giovanni Lucido e Diodoro Siculo, il<br />
Gello ritorna all’episodio del<strong>la</strong> castrazione di Noè 240 sul<strong>la</strong> base del<strong>la</strong> versione muensteriana:<br />
“La onde, non senza cagione dice Mosè nel<br />
luogo predetto che svegliatosi Noè da’l vino,<br />
e intendendo cio che fatto gli haveva Cam suo<br />
minor figliuolo: maledicesse, non lui, ma<br />
Canaam figliuolo di quello: et lo fece schiavo<br />
di Sem et di Iafet.” 241<br />
“Et evigi<strong>la</strong>vit Noah a vino suo, et cognovit<br />
quae fecerat ei filius suus minor. Et ait:<br />
maledictus Chnaan, servus servorum erit<br />
fratribus suis. Dixitque : benedictus dominus<br />
deus Sem : et erit Chnaan illi in servum.” 242<br />
adhuc aliqua pars esse, et quosdam bitumen exinde tollere, quo maxime homines ad expiationes utuntur.” e a<br />
<strong>la</strong>to, in corrispondenza del precedente passaggio si legge “in Armenia Arca reliquas ostendi”. Inoltre, in<br />
proposito cfr. anche A. D’Alessandro, “Il Gello” di Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri mito e ideologia nel principato<br />
di Cosimo I, in La nascita del<strong>la</strong> Toscana. Dal Convegno di studi per il IV centenario del<strong>la</strong> morte di Cosimo I de’<br />
Medici, Firenze, Olschki, 1980, pp. 80-83.<br />
233 Gello, cit. pp. 11b2-12b2.<br />
234 Ivi, p.13b3.<br />
235 Antiquitatum Iudaicarum, cit., p. 13b1, dove leggiamo a conferma del fatto che Abramo abbia per un<br />
periodo abitato presso Ebron (in proposito cfr. Gello, cit., p. 13b3): “…ipse partem ab eo relictam, habitavit in<br />
civitate Ebron…”.<br />
236 S. Muensterii, Dictionarium Trilingue, Henricus Petrus Augusto, anno MDXXX, cfr. in partico<strong>la</strong>re p. 103.<br />
237 Gello, cit., pp. 13b3-14b3.<br />
238 In proposito rinviamo a P. Simoncelli, La lingua di Adamo, cit., pp. 35-36; cfr. inoltre A. D’Alessandro, “Il<br />
Gello”, cit., pp. 80-83.<br />
239 Gello, cit., p. 14b3.<br />
240 Ivi, pp. 14b3-15b4.<br />
241 Ivi, passo cit. a p. 15b4.<br />
242 Hebraica Biblia, cit., p. 8b2.<br />
42
Infine, ancora sul<strong>la</strong> figura di Cam-Saturno il Gello ripropone altri passaggi biblici<br />
munsteriani, dichiarando esplicitamente ad uno stupito Curzio, l’ispirazione talmudica delle<br />
sue citazioni scritturali 243 .<br />
“sempre da Mosè posto il secondo infra i tre<br />
primi figliuoli di Noè. Conciosia che e’dica<br />
nel VI del Genesi. Et generò Noè tre figliuoli,<br />
Sem, Cam e Iafet.” 244<br />
“Et nel VII. A <strong>la</strong> fine di quel giorno, entrò<br />
nell’Arca Noè, Sem, Cam, e Iafet suoi<br />
figliuoli, <strong>la</strong> moglie sua e le nuore.” 246<br />
“E nel principio del capo X. Queste sono le<br />
generationi de figliuoli di Noè, Sem, Cam,<br />
Iafet.” 248<br />
“Genuit vero Noah tres filios: Sem, Ham,<br />
Iapheth.” 245<br />
“Venitque Noah et filius eius et uxor eius et<br />
uxores filiorum eius secum ad arcam propter<br />
aquas diluvii.” 247<br />
“Haec sunt generationes filiorum Noah, Sem,<br />
Ham e Iapheth…” 249<br />
Il Gello, appagata <strong>la</strong> curiosità del Curzio sull’appel<strong>la</strong>tivo di Cielo attribuito a Noè, spiega il<br />
senso di un altro nominativo appartenente al personaggio biblico, quello di Iano, facendo<br />
propria <strong>la</strong> spiegazione esposta nel Trattattello dell’origine di Firenze dal Gelli secondo <strong>la</strong><br />
quale Iano in aramaico deriva “da Iain che…significa vino, e da No, che vuol dire<br />
famoso…cioè famoso e celebre per il vino: per esser’ egli stato il primo inventore di quello,<br />
come aperto narra Mosè nel sesto del Genesi: et il primo che insegnò coltivar le vigne in<br />
Italia…” 250 .<br />
In realtà, l’attribuzione dell’invenzione del vino a Noè nel<strong>la</strong> versione muensteriana si<br />
riscontra nel capitolo IX e non nel VI del<strong>la</strong> Genesi, dove è scritto:”Coepit Noah esse vir<br />
(cultor) terrae et p<strong>la</strong>ntavit vineam.” 251<br />
Tuttavia, il binomio Noè-Iano presupposto dell’identità di Noè con il Giano romano<br />
provoca le ulteriori obiezioni del Curzio che mette in dubbio <strong>la</strong> provenienza di Giano<br />
dall’Armenia, nonostante <strong>la</strong> precedente esplicazione linguistica sul<strong>la</strong> voce aramaica Iain.<br />
Allora, il Gello non potendosi avvalere di Lucido che si basa su Beroso 252 , per giustificare <strong>la</strong><br />
navigazione di Noè dal<strong>la</strong> “Mesopotamia, da gli Hebrei chiamata Aram: dove si moltiplicò<br />
<strong>prima</strong> <strong>la</strong> specie humana, in tanta abbondanza: che mestiero le fu di al<strong>la</strong>rgarsi negli altri<br />
paesi” al Lazio, ricorre ad Ateneo. Peraltro, subito dopo recupera lo stesso Lucido ma soltanto<br />
in quanto convergente con <strong>la</strong> logica del Noè biblico muensteriano, poiché colloca<br />
temporalmente <strong>la</strong> venuta noachica in Italia ”cento e otto anni dopo il diluvio<br />
generalissimo…” 253 .<br />
Risulta abbastanza evidente anche dall’impiego di Luciano, quanto rilevato dal<br />
D’Alessandro, sul<strong>la</strong> diversità del ruolo attribuito a Beroso, rispettivamente auctoritas<br />
imprescindibile nel De Etruriae postelliano dove integra e chiarisce l’autentico significato<br />
delle Sacre Scritture, utilizzato soltanto quando non contraddice il testo biblico munsteriano<br />
nel Gello 254 .<br />
243 Gello, cit., p. 15b4.<br />
244 Ibidem.<br />
245 Hebraica Biblia, cit., p. 6a6.<br />
246 Vedi nota 243.<br />
247 Ivi, p. 6a6.<br />
248 Gello, cit., p. 15b4.<br />
249 Hebraica Biblia, cit., p. 9b3.<br />
250 Gello, cit., p. 16b4.<br />
251 Hebraica Biblia, cit., p. 8b2.<br />
252 Gello, cit., pp. 17c1-18c1.<br />
253 Gello, pp. 17c1-18c1; inoltre sulle fonti in questione e sul loro utilizzo cfr. P. Simoncelli, La lingua di<br />
Adamo, cit., pp. 37-38, in partico<strong>la</strong>re su Ateneo ivi vedi nota n. 64.<br />
254 A. D’Alessandro, La scoperta di un passo di Ateneo, cit., pp. 270-279.<br />
43
Nel mirino del Giambul<strong>la</strong>ri cade poi anche Macrobio, il quale difformemente dal<strong>la</strong> Bibbia<br />
ritiene le due faccie del<strong>la</strong> medaglia del Giano bifronte, allusive del<strong>la</strong> prudenza di Noè mentre<br />
in realtà: “e volti del<strong>la</strong> sua impronta, significano che e vide il secolo dinanzi al diluvio; e<br />
hebbe verissima e piena cognizione di cio che era stato avanti a quello : e che e vide <strong>la</strong> nuova<br />
successione de gli uomini dopo il diluvio. Il che volendo che noi intendessimo chi primo fece<br />
quel<strong>la</strong> medaglia, vi aggiunse per rovescio <strong>la</strong> nave; cioè l’Arca stessa, dove egli salvò se<br />
medesimo, e noi come narrano le historie sante.” 255<br />
Del resto, anche in un’altra circostanza questa fonte si rive<strong>la</strong> inattendibile, quando<br />
attribuisce <strong>la</strong> nave del viaggio in Italia a Saturno Cretese, personaggio da cui sarebbe derivato<br />
il nome di Saturnia, perché ignaro del<strong>la</strong> “verità del<strong>la</strong> hi<strong>storia</strong>, che era solo appresso gli<br />
Hebrei”, e con lui Ovidio 256 . In realtà, il personaggio in questione, corrisponde al figlio di<br />
colui che Mosè chiama “Cus figliuolo di Cam, figliuolo di Noè: il quale Noè, o volete dirlo<br />
Iano, e benignamente lo ricevette; et lo fece signore di<strong>la</strong> dal Tevere di tutti que popoli, che<br />
dipoi si chiamaron Lazio.” 257 Si tratta di Sabazio, figliuolo di Cus, indicato nel<strong>la</strong> bibbia<br />
munsteriana al capitolo X del<strong>la</strong> Genesi come Sabtha 258 . Pertanto, il Gello conclude che “<strong>la</strong><br />
Italia è chiamata Saturnia, da Saturno Caspio che venne a Iano: et non dal Cretese, che<br />
comiciò a regnare CCCCLV anni dopo <strong>la</strong> morte di esso Iano.” 259<br />
Acc<strong>la</strong>rato il viaggio di Noè-Giano e di Sabazio in Italia, Curzio interroga il Gello riguardo<br />
al<strong>la</strong> successione dei re d’Italia da Iano fino ad Ercole. Il Gello, cita nuovamente tra le sue<br />
fonti: il Lucido e l’Annio. Sul<strong>la</strong> veridicità dei commenti di quest’ultimo, tuttavia, emergono<br />
ulteriori malce<strong>la</strong>te riserve, e <strong>la</strong> posizione gelliana appare estremamente cauta e prudente: “ma<br />
comunque…di tutta <strong>la</strong> hi<strong>storia</strong> ch’io dirò tra <strong>la</strong> venuta di Iano e quel<strong>la</strong> d’Ercole suo<br />
bisnipote, rimanga pure ogni credito appresso di chi <strong>la</strong> scrive: ch’io per me non ci voglio né<br />
honore, ne biasimo alcuno.” 260<br />
Diversamente riguardo agli umbri, primi abitanti del<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong>, il Gello propone <strong>la</strong><br />
tripartizione berosiana fondata sull’area di provenienza e su quel<strong>la</strong> di stanziamento 261 ,<br />
sostenendo poi che gli umbri “discesero da gli antichi Galli” i quali “non sono i Francesi, ma<br />
sono quegli stessi padri che si salvarono da’l diluvio. Dicendo l’Annio che i Galli sono così<br />
chiamati con antichissima voce Etrusca, Aramea, et Hebrea…” 262 . Inoltre, sulle origini degli<br />
umbri, il Giambul<strong>la</strong>ri offre ulteriori delucidazioni rifacendosi al dotto ebraista domenicano<br />
Santi Pagnini e richiamando un passo del libro di Isaia del<strong>la</strong> Hebraica Biblia, rispondendo<br />
che “Gal, come veder si può in Santi Pagnino 263 , significa l’onda marina, per lo aggiramento<br />
del moto suo: e Galim nel plurale, l’onde; dicendosi<br />
nel XXXXVIII d’Isaia, e <strong>la</strong> giustizia tua che<br />
Galim cioè come l’onde marine.” 264<br />
“tunc fuisset quasi fluvius pax tua, et iustitia<br />
tua sicut fluctus maris.” 265<br />
255 Gello, cit., pp. 18c1-19c2.<br />
256 Ivi, p. 19c2; inoltre sulle fonti in questione cfr. A. D’Alessandro, Il “Gello”, cit., p. 84.<br />
257 Gello, cit., p. 20c2.<br />
258 Hebraica Biblia, cit., p. 9b3.<br />
259 Gello, cit., p. 23c4.<br />
260 Ivi, p. 27d2.<br />
261 Ivi, pp. 27-28d2.<br />
262 Ivi, pp. 27d2-28d2.<br />
263 Biblia, <strong>la</strong>tino. 1528. Pagnini. Biblia. Habes in hoc libro utriusque Instrumenti novam tra<strong>la</strong>tionem aeditam a<br />
Sancte Pagnino, [Lugduni, per A. du Ry, 1527] nel<strong>la</strong> quale leggiamo “Et fuisset sicut flumen pax tua, et iustitia<br />
tua sicut fluct maris.”, fo. 236.<br />
264 Gello, cit., p. 28d2.<br />
265 Hebraica Biblia, cit., vol. II, passo cit. a p. 401FF6. Espressione quel<strong>la</strong> del “Quasi pluvius pax tua” che nel<br />
testo muensteriano è anche oggetto di una delle note marginali al capitolo XXXXVIII di Isaia, indicata con <strong>la</strong><br />
lettera h che motiva l’espressione in questione con le seguenti parole: “Hoc est, multa fuisset pax, sicut aquae<br />
fluvij plurimae sunt: et iustitia tua fuisset perpetua, sicut mare nunquam est sine fluctibus. Porrò per interiora<br />
maris quidam intelligunt <strong>la</strong>pillos maris alij pisces eius.”<br />
44
Puossi dunque inferire…che i Galli antichi fossero gli inondati, cioè Noè co’ figlioli, che si<br />
salvarono a gal<strong>la</strong> su per l’onde, nel<strong>la</strong> Arca del diluvio; et che gli Umbri fossero i figlioli di<br />
costoro…” 266<br />
Passaggio questo che merita qualche attenzione in quanto diverge con il corrispondente<br />
presente nel De Etruriae in cui manca <strong>la</strong> specificazione secondo cui gli antichi Galli che si<br />
salvano dal diluvio non sono in nessun modo collegabili ai francesi 267 . Una differenza che<br />
denuncia una profonda alterità di impostazione generale. Nel De Etruriae, infatti, dopo alcune<br />
pagine il visionario francese svolge un’ampia parentesi per associare strettamente, attraverso<br />
<strong>la</strong> paternità di Comero figlio di Iapeto e nipote di Noè, i Galli del diluvio, da cui derivano gli<br />
umbri, ai francesi in modo da legittimare le aspirazioni imperiali del<strong>la</strong> corona francese in<br />
re<strong>la</strong>zione al suo disegno profetico di restitutio politico-religiosa:<br />
“Quod Gallus sit dictus ex primogeniturae eius vocabulo potest cognosci. Eius enim<br />
primogenitus fuit Iapetus cuius rursum primogenitus fuit Gomerus primo post diluvium natus.<br />
Iosefus autem ait eos, qui suo seculo Galli seu Ga<strong>la</strong>thae nominabantur olim vocatos fuisse<br />
Gomeritas quos Gomer instituit. Berosus autem affirmat in ipsa Umbria eos qui erant ex<br />
posteritate Gomeri avito nomine vocatos fuisse a Iano Gallos. Quod si deprecemur viri<br />
authoritatem audiamus Romanos et in primis Catonem qui sic ait: venisse ex illis qui diluvio<br />
superstites fuerant ab Armenia Ianum in Italiam cum Gallis progenitoribus Umbrorum et c.<br />
Quare avitum nomen eorum qui fuerunt diluvio superstites, est Gallus. Fluctibusque ereptus,<br />
quod avitum nomen soli Gomeritarum familiare voluit dari Quam merito vero parens<br />
hominum sit dictus Gallus satis constat.” 268<br />
Inequivocabile conferma in questa direzione del resto, appare il passo contenuto nel<strong>la</strong> lunga<br />
lettera di risposta del Postel al Giambul<strong>la</strong>ri del 30 maggio 1549, posta in appendice al De<br />
Etruriae e volta a sostenere <strong>la</strong> veridicità intangibile di Beroso sul<strong>la</strong> cui base, scardina<br />
definitivamente l’identificazione di Galli e italiani per <strong>la</strong>sciare chiaramente il posto<br />
all’associazione tra Galli sopravvissuti al diluvio e francesi:<br />
“Quod autem multo minus corruperit Annius illud obstat, quod nul<strong>la</strong> ad eum inde<br />
commoditas pervenire poterat. Multo minus vero ad suae gentis gloriam. Cogitur enim velit<br />
nolitve quam vult esse in tota Italia, uti est, antiquisssimam Aboriginum et Ombrorum<br />
originem in Gallos diluvio superstites referre. Gallim enim fluctibus ereptos fluctuatosve<br />
sonat. Quare quum legerit apud Iosefum Gomeritas non tantum esse Italos Gallos, sed illos<br />
qui postea Celtae dicti sunt, fuisseque a Gomero institutos, qui fieri potuisset ut fingeret quod<br />
266 Vedi nota 264.<br />
267 De Etruriae regionis,cit., dove a p. 68iII leggiamo:<br />
“Positivo veritatis et Plinii hi<strong>storia</strong> et Graecorum fabu<strong>la</strong> oritur. Quod fuit aliquando diluvium generale, in quo<br />
praeter paucos superstites totum genus humanum et animantium fuit consumptum, ita ut fuerit nocesse totum<br />
gehnus hominum ab uno Deucalione et ab una Pyrrha reparari, et tandem ab ea familia eorum qui liberati sunt<br />
a Diluvio venere in italiam, eiusmodi homines qui in nominis sui ratione memoriam diluvii conservarent<br />
aeternam, sunt Ombri vel Umbri, quasi umbrii. Hoc autem nomen est a Graecis loco Ebraici et veri<br />
suppositum…Gal enim ut notavere qui de hac re iam ample scripserunt fluctum significat, et aquorum copiam.<br />
Unde Ombrii seu Umbrii olim vocabantur Gallum vel Gallim impluviati quos posteritas vocavit Gallos.”<br />
268 Ivi, p. 97-98n1. Sul sistema postelliano e sul<strong>la</strong> valenza filo-francese del significato da lui attribuito al<br />
termine Gallo rinviamo a C<strong>la</strong>ude-Gilbert Dubois, Le Développement Littéraire d’un mythe nazionaliste avec<br />
l’édition critique d’un traité inédit de Guil<strong>la</strong>ume Postel. De ce qui est premier pour reformer le monde, Paris,<br />
Vrin, 1972, pp. 54-84 in partico<strong>la</strong>re p. 63 e a Marion L. Kuntz, Guil<strong>la</strong>ume Postel and the World state: Restitution<br />
and the Universal Monarchy in “Hystory of European Ideas 4”, n. 3-4, Oxford, 1983, pp. 299-323 e 445-465 ora<br />
in id. Venice Myth and Utopian Thought, cit., rinviamo in partico<strong>la</strong>re al<strong>la</strong> Part II, pp. 445–465 e sul significato di<br />
Gallim a p. 447; inoltre sul ruolo provvidenziale attribuito al<strong>la</strong> corona francese nel disegno profetico postelliano<br />
cfr. anche P. Simoncelli, La lingua di Adamo, cit., in partico<strong>la</strong>re pp. 89-98, A. D’Alessandro, G. Postel e<br />
Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri, cit., in partico<strong>la</strong>re pp. 263-265, e Yvonne Petry, Gender, Kabba<strong>la</strong>h and the<br />
Reformation, cit., pp. 51-69.<br />
45
contra suum argumentum faceret? At vero ipsius Iosefi sententia de illo audienda est, libri<br />
primi cap. III ait Berosum de iis, quae circa diluvium contingerunt omnino consentanea Mosi<br />
dixisse. Hoc vero in primi libri epitomate c<strong>la</strong>rum sit in Beroso.” 269<br />
Tornando al Gello <strong>la</strong> centralità munsteriana viene confermata anche dal<strong>la</strong> strutturazione del<br />
racconto del<strong>la</strong> venuta di Giano in Italia e dal<strong>la</strong> successione dei re da lui originati fino ad<br />
Ercole Libio, attraverso riferimenti ed elementi proposti da questa fonte, strumentalmente<br />
impiegati per avvalorare le tesi linguistiche aramaiche. Infatti, nel momento in cui il Gello<br />
afferma riguardo al momento dell’arrivo di Noè in Italia che “Puossi ben’ dire, così al<strong>la</strong><br />
grossa aggiustando fede a Beroso, che ne l’anno 1765 de <strong>la</strong> creatione, e 109 da’l diluvio Noè<br />
venne in questi paesi, con Comero…et ci stette 33 anni…Et che nell’anno XXIV di questa sua<br />
stanza, cominciò Nembrot a regnare in Assiria, disegnar Babilonia, e fondare <strong>la</strong> torre” 270<br />
oltre a ripetere quello che aveva già tratto da Lucido, continua a seguire <strong>la</strong> cronologia biblica<br />
munsteriana. Stessa cosa avviene a proposito del regno di Oco Veio, successore di Noè<br />
tornato dopo 33 anni in Armenia e di Comero nipote di quest’ultimo che governa l’Italia per<br />
58 anni, durante il cui regno “nel XXIIII anno suo, nacque in Caldea il padre di Abramo” 271<br />
con l’ennesimo riferimento biblico 272 . Ulteriore conferma del<strong>la</strong> rilevanza per il Gello del<strong>la</strong><br />
Bibbia muensteriana, si ha con riguardo al passaggio sul ritorno in Italia di Noè, integralmente<br />
tratto dal<strong>la</strong> seconda parte del<strong>la</strong> nota c al capitolo XI del<strong>la</strong> Genesi, nel<strong>la</strong> versione dell’umanista<br />
tedesco, partendo da “annoverano”:<br />
“L’anno LXXII di Iano, cioè del<strong>la</strong> seconda<br />
venuta sua, che è il 340 da’l diluvio, fu fatta<br />
<strong>la</strong> divisione delle lingue, come nel Seder<br />
ho<strong>la</strong>nde de gli hebrei appare, benché altrove<br />
si dica 68 anni <strong>prima</strong>; cioè l’anno 272 dopo il<br />
diluvio. Ma io dico 340, perché Sebastiano<br />
Munstero sopra lo XI capo del Genesi dice<br />
queste parole.<br />
Annoverano gli Hebrei da’l diluvio, a <strong>la</strong><br />
divisione delle lingue, anni 340: il che potrà<br />
vedersi nel libro Seder ho<strong>la</strong>m; una parte del<br />
quale habbiamo noi pubblicata, col<br />
“Numerant autem Hebraei a diluvio usque ad<br />
divisionem linguarum, anno CCCXL. Videre<br />
id fusis licebit in libro Seder o<strong>la</strong>m, eius<br />
partem in Calendario Heb. Evulgavimus.<br />
269 Ivi, pp. 226fI-227fII che si trovano nel<strong>la</strong> lettera del Postel al Giambul<strong>la</strong>ri Viro Bono et Sapienti Petro<br />
Francisco Giambul<strong>la</strong>rio, inter aedis D. Laurentii mystas canonico et Accademico carissimo Fiorentino<br />
Gulielmus Postellus sacerdos imitationis apostolicae studiosus salutem, pp. 219-251 e precisamente all’interno<br />
del capitolo XLVIII, Quod sint Berosi Chaldei quae eius nomine circumferentur (in proposito cfr. D’Alessandro,<br />
G. Postel e Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri, cit., in partico<strong>la</strong>re pp. 272-274) propedeutico al diritto all’imperio<br />
universale dichiarato a chiare lettere all’interno dell’episto<strong>la</strong> postelliana nel capitolo successivo, Argomenta ex<br />
ipso Beroso petita. Quod sit impossibile quicquam illum in sua hi<strong>storia</strong> finxisse, in cui leggiamo alle pp. 232f4-<br />
233g1: “Quare ius aeterni imperii fore in domo Gomeri et eius patris impeti quem una secum in Europam duxit<br />
manifestissime demonstravit esse secundum patris universorum Noachi voluntatem[…]”.<br />
270 Gello, cit., p. 29d3.<br />
271 Ibidem.<br />
272 Hebraica Biblia, cit., cfr. in partico<strong>la</strong>re Genesi, capitolo XI, p. 10b4 in cui leggiamo infatti: “Et vixit Nahor<br />
vigintinovem annis et genuit Taerah.[…]Terah vero vixit septuaginta annis et genuit Abram…”.<br />
273 Kalendarium Hebraicum, cit., sul quale cfr. in proposito pp. 13c3 e 27e2, peraltro con indicazione anche<br />
dell’opinione che tra diluvio e divisione delle lingue intercorressero soltanto 272 anni a p. 13c3, dove leggiamo:<br />
“A diluvio usque ad divisionem, ducenti septuaginta duo anni. (con a fianco le parole “aliter 340”)”,<br />
puntualmente riproposta dal Giambul<strong>la</strong>ri che però afferma decisamente quel<strong>la</strong> dei 340 anni. Del resto, di seguito,<br />
al<strong>la</strong> precedente asserzione il Muenster scrive nel Kalendarium “A nativitate Abraham usque ad divisionem,<br />
quadraginta octo anni” che unita con <strong>la</strong> cronologia di p. 27e2 a proposito del<strong>la</strong> nascita di Abramo: “A diluvio ad<br />
Abraham, anni 292” è evidente sostegno al computo dei 340 anni, senza dimenticare il riferimento a Genesi 15<br />
nel<strong>la</strong> medesima pagina. (cfr. inoltre in tal senso ancora p. 13c3 <strong>la</strong> cronologia concernente Noè “quando venit<br />
diluvium, Noah fuit filius 600 annorum: vixitque post diluvium 350 annis.” ).<br />
46
Calendario degli Hebrei 273 . Et di qui si vede<br />
manifestamente: che Noè visse dieci anni<br />
dopo <strong>la</strong> confusione delle lingue. Et che<br />
essendo pur’ egli padre di tutto quel popolo<br />
non potette però raffrenare i tralignati<br />
figliuoli da <strong>la</strong> stolta prosuntione loro: con <strong>la</strong><br />
quale si sforzavano di farsi illustri, per lo<br />
edificio di si gran torre: ne i ribelli da’l<br />
precipitarsi nel<strong>la</strong> ido<strong>la</strong>tria: e da’l negare<br />
l’altissimo Dio.” 274<br />
Unde pater Noah vixisse decem annos post<br />
linguarum confusionem. Et cum totius illius<br />
populi esset pater, non potuit degeneres filios<br />
cohibere a stulta praesumtione, qua<br />
nitembantur celebrare nomen suum ingentis<br />
turris aedificio. Sed nec rebelles filios<br />
cohercere potuit, quin in pessimum ido<strong>la</strong>triae<br />
<strong>la</strong>berentum vitium, et deum negarent<br />
altissimum.“ 275<br />
Il Muenster pertanto rende possibile <strong>la</strong> concordanza tra teorie linguistiche del Giambul<strong>la</strong>ri e<br />
Convivio dantesco I, v, 9. Infatti, il canonico di S. Lorenzo può asserire che <strong>la</strong> confusione<br />
delle lingue si sia prodotta posteriormente al regno di Nembrot che iniziò <strong>la</strong> costruzione del<strong>la</strong><br />
torre di Babele ma morì <strong>prima</strong> che fosse completata, dopo 56 anni di regno, proprio grazie<br />
al<strong>la</strong> totale mancanza di indicazioni in proposito, nell’”infallibil scritto di Mosè” 276 .<br />
Periodizzazione che, tuttavia, non p<strong>la</strong>ca le perplessità di Curzio favorevole ad una ben diversa<br />
cronologia:<br />
“Voi mi dite una cosa…che io non l’ho più udita: e non so come el<strong>la</strong> si stia. Perché se <strong>la</strong><br />
confusione delle lingue fu fatta nel murare <strong>la</strong> Torre di Babel; e Nembrot murò <strong>la</strong> Torre; e non<br />
visse nel Regno più che anni 56: Io non mi so acconciare nello animo, come voi arrecchiate<br />
a’l 72 anno di Iano, che è il 1996 del mondo, quello che era stato <strong>prima</strong> 153 anni almeno;<br />
quando bene fosse stato l’ultimo anno di esso Nembrot.”<br />
Obiezione che in realtà poggia su una periodizzazione del<strong>la</strong> confusione delle lingue che per<br />
quanto profondamente diversa da quel<strong>la</strong> costruita nel Gello converge invece con quel<strong>la</strong><br />
esposta in un’altra opera muensteriana, anch’essa conosciuta dal Giambul<strong>la</strong>ri secondo quanto<br />
si evince chiaramente dal<strong>la</strong> p. 70 del Gello: <strong>la</strong> Chaldaica Grammatica 277 . Infatti, il Muenster<br />
in quest’ultima opera, edita nello stesso anno del Kalendarium Hebraicum, richiamato<br />
direttamente nel<strong>la</strong> lettera dedicatoria del<strong>la</strong> Gramatica 278 , individua l’inizio del<strong>la</strong> costruzione<br />
del<strong>la</strong> torre di Babele, nel 131° anno successivo al diluvio universale quando sorge il regno di<br />
Nembrot, attraverso <strong>la</strong> riproposizione del racconto di Beroso Caldeo:<br />
274 Gello, cit.,p. 30d3.<br />
275 Hebraica Biblia, cit., p. 10b4. La <strong>prima</strong> parte del<strong>la</strong> nota si sofferma sul<strong>la</strong> radice del termine “Babel” che<br />
“confundere et comiscere significat…”.<br />
276 Gello, cit., p. 30d3.<br />
277 Chaldaica Grammatica, antehac a nemine attentata, sed iam primum per Sébastianum Muensterium<br />
obscripta et aedita…[Colophon: Basileae, apud Io. Frobenium, anno 1527]. Quest’ultima non segna<strong>la</strong>ta tra i testi<br />
utilizzati nel Collegium Trilingue.<br />
278 Ivi, nel<strong>la</strong> lettera dedicatoria, leggiamo infatti: “Chaldaice autem linguae studium ob hanc potissimum<br />
suscepi causam, quod viderem non solum Danielem et Ezram ex magna parte Chaldaice Scriptos, verum et<br />
omnes Hebraeorum Biblicas interpretationes, vel omnino esse Chaldaicas, ut sunt Thargumin Onkeli, Ionathan,<br />
Vzielis et reliquorum, vel multo habere de Chaldaismo, ut sunt Rabbinorum peruschim seu commentarij: et in<br />
summa, quicquid ab Hebraeis iam longo tempore scriptum est, aeque resipit Chaldaismum atque Hebraismum:<br />
id quod cuique perspicuum esse poterit, qui vel mediocrem noticiam Hebraicae Bibliae assecutus sit, et in<br />
autorem aliquem Hebraeum inciderit. Testabitur id quoque Kalendarium Hebraicum a me iam aeditum, et brevi<br />
orbi suppeditandum.” In proposito cfr. una lettera inviata dal Munster a Beato Renano il 9 marzo 1526, da<br />
Heidelberg a Basilea in cui leggiamo: “[…]Cetrum per hiemen instantissime incubui Grammaticae Chaldaicae<br />
edendae atque eiusdem linguae dictionario. Atque utrumque est mihi denuo excribendum. Grammaticae<br />
principium mitto Basileam, non quod iam excudatur, sed ut ea, quae de linguarum affinitate a principio primi<br />
octernonis scribo, per te in forma elengatiorem redigantur, id quod homo doctus facile possit facere<br />
quemadmodum et iam saepenumero mihi et omnibus studiosis in hoc operam tuam praestitisti […]Epistu<strong>la</strong>m<br />
nondum adieci persuasus, ut eum dedicem Eberhardi, Ottonicae Silvae domini filio studiosssimo, ad quem post<br />
paschales ut arbitror vocandus sum ferias.[…].”<br />
47
“tradunt non modo literae humanae, verum et divinae, Chaldaeorum regionem non longe<br />
post desicccationem orbis ab aquis diluvij, in magnum et praecipuum Asiae excrevisse<br />
regnum. Nam scributur Genesis II. Quod filij Adam quum adhuc essent <strong>la</strong>bij unius,<br />
eorundemque sermonum, coeperint extruere civitatem et turrim magnam in ea, cuius culmen<br />
usque ad coeli altitudinem erigere moliebantur, quo scilicet deinceps aquarum facile<br />
declinare possent inundatiam. Quorum stultam praesumptionem deus non ferens, prius quam<br />
aedificium illud ingens ad umbilicum non perduceretur, tantam inter eos fecit linguae<br />
confusionem, ut nullus fere quid alius loqueretur intelligeret. Ob quem eventum et locus<br />
deinceps Babel ab omnibus vocatus est, quod tam Hebraeis quam Chaldaeis confusionem<br />
sonat. Illis itaque quibus nativa relicta erat lingua regionem il<strong>la</strong>m et patriam retinentibus,<br />
caeteri in universum dispersi sunt mundum. Huic scripturae loco alludens Berosus<br />
Babylonius antiquissimus Historiographus,quippe qui ante monarchiam Alexandri Magni in<br />
Chaldea floruit, in quarto libro ita loquitur: Quum post salutem humanam ab aquis, genus<br />
humanum in immensum esset multiplicatum, et ad comparandas novas fides necessitas<br />
compelleret, Ianus pater, qui et Noha, adhortatus est homines principes novas quaerere fedes,<br />
et edificare urbes. Quare Nimbrotus cum populo venit in campum Sennar, ubi designavit<br />
urbem, et fondavit maximam turrim, anno salutis ab aquis 131, quam deduxit ad altitudinem<br />
et magnitudinem montium, in signum atque monimentum quod primis in orbe terrarum est<br />
populus Babylonicus, et regnum regnorum dici debeat. Non tamen turrim ipsam complevit, et<br />
c. Haec Berosus gentilis. Scribit etiam quod multi libri in Chaldaica lingua post diluvium<br />
scripti fuerint, de disposizione mundi, de vaijs colorijs et urbibus quae fuerunt ante<br />
cataclismum . ” 279<br />
Sul<strong>la</strong> base di questa periodizzazione e considerata <strong>la</strong> durata complessiva del regno di<br />
Nembrot in 56 anni, <strong>la</strong> confusione delle lingue, avviene pertanto nel 187° anno successivo al<br />
diluvio universale, esattamente 153 anni <strong>prima</strong> del termine di 340 anni stabilito nel<br />
Kalendarium e nel<strong>la</strong> Biblia Hebraica 280 , in linea con le parole del Curzio.<br />
Quest’ultimo, tuttavia, pur ricorrendo anche a Giuseppe F<strong>la</strong>vio non può comunque evitare <strong>la</strong><br />
perentoria bocciatura del Gello:<br />
“Come gli Hebrei se l’acconcino…io non lo so: ma bene vi dico quello che io n’ho letto, e<br />
dove io l’ho letto, Pensivi chi lo scrive, che io non ne voglio ne honore, ne vergogna.<br />
Dicendone massimamente Iosefo Iudeo egli anchora in altra maniera, ma conforme forse al<br />
279 Chaldaica Grammatica, cit., p. 1b1-2b1.<br />
280 Prospettiva alternativa che il Muenster manterrà anche 25 anni dopo, nel<strong>la</strong> successiva Cosmographia<br />
universalis Lib. VI. In quibus, iuxta certioris fidei scriptorum traditionem describuntur, omnium habitabilis orbis<br />
partium situs, propriaeque dotes. Regionum Topogaphicae effigies. Terrae ingenia, quibus fit ut tam differentes<br />
et varias species res, et animatas et inanimatas, ferat animalium peregrinorum naturae et picturae. Nobiliorum<br />
civitatum icones et descriptiones. Regnorum initia, incrementa et trans<strong>la</strong>tiones. Omnium gentium mores, leges,<br />
religio, res gestae, mutationes : Item regum et principum genealogiae, ex Henricii Petri officina, Basileae, 1552.<br />
Ivi, nel libro V, alle pp. 1025-1026zz1 in cui si trova il paragrafo dedicato a “Babylonia et Chaldea” infatti,<br />
leggiamo:<br />
“Hac in regione iuxta Tigridem fluvium mox post diluvium coeperunt filij Adam extruere civitatem et turrim in<br />
ea, cuius cacumen erigeretur in coelum, subuexerunt autem, ut quidam scribunt altitudinem quinque millium,<br />
centum, septuaginta quatuor passuum: at deus praesumptionem illorum coerces, sine g<strong>la</strong>dio, peste aliove<br />
morbo, solius linguae, quae tunc unica fuit, confusione, illorum conatum impedivit, quare et locus ille deinceps<br />
ab eventu illo Babel fuit dictus. Sonat autem Babel mixturam. Mixta enim fuit <strong>prima</strong> et originalis Hebraica<br />
lingua, nedum dialectis et idiomatibus varijs[…]Homines itaquae unam et propriam intelligentes linguam,<br />
coadunati sub certo duce, peculiarem sibi vendicarunt in orbe terram. Puta Aegyptiace loquentes eam terram a<br />
cultoribus suis Aegyptus fuit vocata, Teutones Germaniam, Itali Italiam, secundum quod quisque populus a Iano<br />
summo patre, hoc est, a Noah, qui adhuc vivebat, terram acceperat sibi designatam. Apud paucissimos mansit<br />
lingua nativa nempe Hebraica, in ea scilicet famiglia qua descendit Abraham patriarcha, in cuius posteritate<br />
so<strong>la</strong>, sancta remansit lingua. Eos autem qui in Babylonia sive Chaldaica remanserunt, coegit Nimrod ad<br />
obedientiam suam, inchoavitque monarchiam <strong>prima</strong>m. Iosephus affirmat Nimrodum gigantem, principem fuisse<br />
eorum, qui turris aedificium moliebantur. Nimrodo successit Belus…”.<br />
48
vostro parere. Concio sia che nel primo delle antichità, ragionando de <strong>la</strong> Torre, e del<strong>la</strong><br />
confusione delle lingue egli scriva cosi.<br />
De <strong>la</strong> Babilonica Torre, e de le diverse voci de gli huomini fa mentione anchor <strong>la</strong> Sibil<strong>la</strong>,<br />
dicendo: Mentre che tutti gli huomini avevano un par<strong>la</strong>r’ solo; edificarono certi una Torre<br />
altissima, come per sca<strong>la</strong> da andare in Cielo: Ma gli Iddij atterrarono <strong>la</strong> Torre co’ venti; e a<br />
ciascuno di quegli uomini attribuirono proprio e partico<strong>la</strong>re linguaggio. Et però si chiamò <strong>la</strong><br />
Terra Babel. Ma ne per questo anchora si potrebbe però convincere, che <strong>la</strong> confusione fosse<br />
fatta sotto Nembrot; non lo dicendo massimamente lo infallibile scritto di Mose. Perché<br />
quanto maggiore fu quello edificio: tanto più tempo ci volse a farlo. Et se Nembrot fondò <strong>la</strong><br />
Torre, non avendo egli regnato più che anni 56; non potette veder<strong>la</strong> tanto alta che el<strong>la</strong><br />
meritasse di esser disfatta per mano degli Angeli.” 281<br />
Punto di vista, quello espresso dal canonico fiorentino sul<strong>la</strong> confusione delle lingue di<br />
evidente matrice aristotelica, che entra in contraddizione anche con <strong>la</strong> posizione di Guil<strong>la</strong>ume<br />
Postel espressa fin dagli scritti del<strong>la</strong> fine degli anni trenta per altri versi ispiratori<br />
dell’orientamento aramaico come detto del nostro canonico e soprattutto di Gian Battista<br />
Gelli, e precisamente il De originibus seu de Hebraicae linguae…pubblicato insieme al De<br />
linguarum duodecim… 282 . Il De Etruriae mantiene e approfondisce il punto<br />
dell’incorruttibilità del<strong>la</strong> lingua a ulteriore conferma delle profonde differenze di ispirazione<br />
che lo separano dallo scritto del Giambul<strong>la</strong>ri. Ultima manifestazione del resto, di un percorso<br />
ben chiaro già negli scritti del<strong>la</strong> <strong>prima</strong> metà degli anni Quaranta che registrano un corso di<br />
rapporti non certo positivi tra il Postel e Sebastian Muenster 283 . Ai rinvii espliciti e agli elogi<br />
rivolti al Muenster nei menzionati scritti del 1538, da cui traspare anche <strong>la</strong> consonante<br />
utilizzazione di Plinio e Beroso Caldeo come fonti delle fantasie aramaiche, <strong>la</strong> convergenza<br />
sull’identità di Noè e Giano, oltre al<strong>la</strong> condivisa prospettiva dell’unicità del<strong>la</strong> lingua da<br />
Adamo a Nembrot, rinvenibili nel<strong>la</strong> Chaldaica Grammatica munsteriana 284 , subentra, infatti,<br />
un profondo contrasto tra il visionario francese ed il dotto ebraista tedesco.<br />
281 P. Giambul<strong>la</strong>ri, Gello, cit., passo cit., a p. 31d4.<br />
282 Gulielmi Postelli Baren. Doleriensis de Originibus seu de Hebraicae linguae et gentis antiquitate, deque<br />
variarum linguarum affinitate, liber. In quo ab Hebraorum Chaldeorumve gente traductas in toto orbe Colonias<br />
Vocabuli Hebraici argumento, humanitatisque authorum testimono videbis: literas, leges, disciplinasque omnes<br />
inde ortas cognosces : communitatemque notiorum idiomatum aliquam cum Hebraismo esse, Prostant Parisiis :<br />
apud Dionysium lescuier, sub Porcelli signo e regione D. Hi<strong>la</strong>rii [Parigi] : excudebat Petrus Vidovaeus, vigesima<br />
septima Martijs 1538, legato ed editato insieme al De linguarum duodecim characteribus differentium, cit. ; sul<br />
De originibus cfr. inoltre Jean Ceard, Le “De Originibus” de Postel et <strong>la</strong> linguistique de son Temps in Postello,<br />
Venezia e il suo mondo, cit., pp. 19-43.<br />
283 Sul nodo dell’incorrutibilità del<strong>la</strong> lingua e delle divergenze sostanziali a livello linguistico ed ideologico,<br />
esistenti tra gli accademici fiorentini ed il Postel rinviamo nel suo complesso a P. Simoncelli, La lingua di<br />
Adamo, cit., e a proposito degli spunti forniti dal Postel per <strong>la</strong> formu<strong>la</strong>zione delle tesi aramaiche cfr., ivi, pp. 56-<br />
60.<br />
284 Nel De originibus, cit., Postel rinvia a p. E1 (pagine non numerate) a Santi Pagnino e al Muenster a<br />
proposito del “Omnes grammaticas linguas, precipue orientales, Hebraicae affines, locutiomne, signis aut<br />
vocibus esse” quando dice “Quia vero de Chaldaismo satis constat argumentum illi qui Aruch Hebraice<br />
scriptum, aut, Latine a Sancte Pagnino datum viderit seu Muensteri grammaticas introductiones Chald. Legerit,<br />
esse verissimum, il<strong>la</strong>m vocum affinitatem in Chaldaic. Ne sin tediosus obmittam.” Posizioni ribadite anche nel<br />
De linguarum duodecim characteribus differentium, cit., nel<strong>la</strong> Praefatio quando insieme al<strong>la</strong> diligente opera in<br />
ambito grammaticale per nomi e verbi ebraici di Elia Levita, viene ricordato il contributo muensteriano a<br />
proposito dei nomi e dei verbi <strong>la</strong>tini accompagnato dai nomi di Reuchlin, Campense, Santi Pagnino; leggiamo<br />
infatti a bIII (pagine non altimenti numerate): “Nomina ipsa et verba in tabulis habebis. Caetera ex ipsis<br />
gramatices authoribus tibi comparandis. Ex Hebraeis diligenter tractavit Rabi Mose Kimhi…Elias<br />
Germanus…Ex <strong>la</strong>tinis Reuchlinus, Sanctes Pagninus, Campensis, Munsterus diligenter tradiderunt.[…]” (in<br />
proposito cfr. Bouwsma, Concordia mundi, cit., alle pp. 57-58), inoltre ivi il Postel richiama direttamente <strong>la</strong><br />
grammatica chaldaica del Muenster in conclusione del capitoletto De lingua Chaldaica quando a cII afferma:<br />
“Haec satis erunt pro introductione. Caeterum grammatica nil differt ab ea, quam Muensterus tractavit, illic<br />
lectorem diligentem remittam.”<br />
49
La loro distanza, infatti, emerge pienamente nell’evidente risentimento espresso dal dotto<br />
ebraista tedesco in una lettera del 1544, per le critiche mosse dal francese al<strong>la</strong> traduzione<br />
dall’ebraico in <strong>la</strong>tino, del vangelo di Matteo realizzata nel 1537, e per le obiezioni re<strong>la</strong>tive alle<br />
prospettive linguistico-religiose munsteriane sul<strong>la</strong> cultura e <strong>la</strong> lingua ebraica 285 .<br />
Muenster che come documentano le successive pagine del Gello, ricche di rinvii al<strong>la</strong><br />
Hebraica Biblia, non sembra assolutamente risentire dei contrasti sorti col Postel nel<strong>la</strong><br />
percezione del canonico <strong>la</strong>urenziano. D’altra parte Giambul<strong>la</strong>ri ignora, difficile dire se<br />
volutamente o meno, gli scritti postelliani degli anni Quaranta.<br />
Appunto sul<strong>la</strong> base del<strong>la</strong> Genesi munsteriana il Giambul<strong>la</strong>ri scrive che, durante il<br />
diciottesimo anno di regno in Italia di Crano, figlio di Iano ormai morto, “uscì Abramo di<br />
Caldea con <strong>la</strong> gran promessa di Dio. Et lo XI anno di poi essendo egli già di 68 gli nacque<br />
Ismal non legittimo, che fu l’origine degli Arabi l’anno 42 di Crano, che è il centesimo di<br />
esso Abramo nacque il promesso figliuolo Isaac, unica e so<strong>la</strong> radice del popolo Hebreo, come<br />
ampiamente descrive Mosè.” 286<br />
Sono ben tre diversi passaggi testuali muensteriani a ispirare il canonico <strong>la</strong>urenziano in<br />
questo punto. In primo luogo, il capitolo XII sulle promesse divine ad Abramo. 287 In secondo<br />
In tal senso cfr. quello che Postel considera il giusto significato da attribuire a quanto Plinio scrive al cap. 56<br />
del settimo libro del<strong>la</strong> sua Hi<strong>storia</strong> naturalis al cap. 56, quando nel De originibus, cit., afferma a p. a4 (secondo<br />
<strong>la</strong> sequenza che nel testo si ferma ad a3 e ricomincia soltanto a b1): “Plinius ille…asserit tam antiquum fuisse<br />
Syris et Chaldeis literarum usum, ut multi illos aeternas apud illos putarint […]Hoc revera docet apertissimae<br />
primis et antiquissimis literis scriptiasse Hebreaos et Chaldaeos: nam iidem sunt qui et Assirij. et ante Heber, a<br />
quo dicti Hebraei sunt, erant unum cum Chaldaeis genus, ex quo genere elecuts est primo Abrahamus omnibus<br />
priscis authoribus celebris. Plinius etiam 5. lib. Cap. 12. confirmat praedictam sententiam, Ipsa gens Phoenicum<br />
(Phoenicibus, Syros universos de quibus ibi loquitur intelligit) in gloria magna, litterarum inventionis et<br />
syderum, navaliumque ac bellicarum artium fuit. ” con il passo muensteriano del<strong>la</strong> Grammatica a p. 2b1 che<br />
esprime un concetto analogo nel<strong>la</strong> sostanza: “Hinc quoque Plinius lib. 7, cap. 56 motus, arbitratur literas<br />
Assyrias et Babylonicas perpetuas fuisse. Nam regnum Babylonium non tam potentia quam scientia et sapientia,<br />
maxime matematica, semper floruit…”. Inoltre sull’identità stabilita tra Noè e Giano, sul<strong>la</strong> confusione delle<br />
lingue e sull’utilizzazione del<strong>la</strong> fonte berosiana cfr. il passo del<strong>la</strong> Grammatica citato e indicato nel<strong>la</strong> nota 279<br />
con i seguenti passi del De originibus a p. a4: “Noachus enim idem est qui et <strong>la</strong>tinis Iaunus a vini usu reperto<br />
(nam Hebraeis Iain vinum, significat)…” e a p. b4-c1: “Nemrod pene exiciderat…Is quasi vim nature afferre,<br />
cuius artem et potentiam ingenio humano effugere volebat cupiens. Secundum nomen suum divinae repugnans<br />
potentie, in nostram omnium perniciem, il<strong>la</strong>m, ad illuviam aquarum devitandam, excogitavit, ubi divina ostendit<br />
providentia,[…]Mutatum illic naturale idioma et primum a parente rerum nature deo concessum munus. Nomen<br />
turri et operi imperfecto Babel fuit[…]Opus ultione divina incompletum, absolutum fuit, non a Nino aut<br />
Semiramide, ut historici Graecorum falso omnes crediderunt, et scriptum reliquerunt, sed a Nebucadssener, qui<br />
anno Astyagis Medorum regis 9, Iudaeos captivos abduxit, cuius miranda quaedam opera in libro primo contra<br />
Apionem Gramaticum Iosephus ex Beroso Chaldeorum historiographo recitat, cui sententiae certe citius<br />
subscripsero quam universae Graecorum turbae. Regio tota a tam celebri urbe Babilloniae nomen apud omnes<br />
authores habuit. Alioqui terra Sennaar et Chaldea dicta est.” Passaggio peraltro da confrontare con le parole<br />
riguardanti il pieno espletamento del<strong>la</strong> punizione divina da parte di Nabucodonosor cfr. p. a3 del<strong>la</strong> lettera<br />
dedicatoria del<strong>la</strong> Grammatica munsteriana.<br />
285 In proposito, infatti, il Muenster scrive a Corrado Pellicano il 2 settembre 1544 da Basilea: “Quare scribis de<br />
Wilelmo Postello hactenus non vidi, sed nec hominis novi. Quae scripsi in annotationibus super Mattheum, ante<br />
me scripsit quoque Buccerus, praeter Hebraica, quae ex Nihazon et aliis rabinis adduxi. Damnarunt et antea, ut<br />
nosti, Lovanienses annotationes meas in Mattheum non ob aliam causam quam quod libri Luterani ad ea loca<br />
ferri non permittentur, ideo nesciunt fere, quid hodie nostris scribatur. At evangelium meum non putantur esse<br />
sospectum, ideo permissum fuit publice vendi quousquam invenerunt quaedam, quae teneras illorum aures<br />
offenderunt. Scripsi moderatius in vetus testamentum, ut etiam in Hispania inter quondam magni nominis<br />
certatum fuerit de me, quibusdam asserentibus me abiecisse cucullum, aliis autem constanter negantibus etc.<br />
Quod de Lutheranico furore scribis, nescio an sic intelligere debeam, quod ille furore suo debachatus in me<br />
fuerit aut quod in alios scrivere non possit sine furore.” Lettera riportata in Briefe Sebastian Muenster, pp. 77-<br />
79, passo cit. alle pp. 77-78, peraltro menzionato anche in F. Secret, Notes sur Guil<strong>la</strong>ume Postel, VII, Guil<strong>la</strong>ume<br />
Postel et Sébastian Muenster, in “Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance”, XXII, 1960, al quale rinviamo<br />
per il merito complessivo e per i punti salienti delle divergenze tra Postel e Muenster, cfr. in partico<strong>la</strong>re, pp. 377-<br />
380.<br />
286 Gello, cit.,passo cit. a p. 31d4.<br />
287 Hebraica Biblia, cit., p. 10b4.<br />
50
luogo il capitolo XVI concernente il concepimento di Ismael quando Abramo aveva non 68<br />
bensì 86 anni “Porrò Abram erat filius octaginta et sex annorum”. Di questo capitolo,<br />
Giambul<strong>la</strong>ri prende spunto per il passaggio testuale sugli Arabi e Ismael dal<strong>la</strong> nota marginale<br />
b che dice “Hebraice Ismael quod interpretantur, audiet deus. Fuit is homo, id est diligens<br />
solitudines et inhins feris capiendis. Vocant autem hodie Hebraei in commentarijs suis<br />
Ismaelitas, eos quos nos Saracenos vocamus qui scilicet sunt Aphri, Aegyptij, Arabes.” 288<br />
In ultimo, il capitolo XVII in cui Dio determina <strong>la</strong> nascita di Isacco quando Abramo ha già<br />
vissuto cento anni del<strong>la</strong> sua vita “Abraham…centum annorum…” 289 .<br />
La cronologia biblica munsteriana consente del resto al Gello, sia di documentare e definire<br />
temporalmente <strong>la</strong> priorità del<strong>la</strong> civiltà etrusca rispetto a quel<strong>la</strong> greca “per un tempo totale di<br />
141 anni, che parte proprio dai 33 anni di Iano.” 290 , senza trascurare un precedente<br />
riferimento al popo<strong>la</strong>mento, anch’esso posteriore di Spagna, Germania e Francia 291 , sia di<br />
spiegare l’origine di Firenze, fondata appunto da Ercole Libio figlio di Osiri secondo <strong>la</strong><br />
seguente argomentazione:<br />
“Questi dunque fu bisnipote di Noè, come testifica Mosè nel Genesi al X ponendolo per<br />
figliuolo di Misraim, che fu di Cam che fu di Noè. Ma perché voi potreste dirmi che ha che<br />
fare Misraim con Osiri; che havete messo per padre di Hercole? Advertite che oltra il Lucido<br />
e l’Annio che lo pongono per il medesimo: lo Egitto nelle Sacre lettere, sempre si chiama<br />
Misraim…il che arguisce certamente, che egli habbia tal’ nome da’l sopra detto figliuolo di<br />
Cam. La onde, se i nomi delle Provincie si pongono da le persone maggiori e di maggiori<br />
autorità: et il maggiore de figliuoli di Cam fu Osiri, unico signore di tutto lo Egitto come<br />
havete da Diodoro…Forza è che Misraim e’ Osiri sia un’medesimo…Di costui dunque<br />
nacque Leabim, o Luabim che è esso Libio che noi cerchiamo.” 292<br />
La successione da Cam fino a Ercole Libio, attraverso Osiri, trova riscontro positivo, come<br />
indicato dal Gello nel<strong>la</strong> Hebraica Biblia in cui è scritto:”Filij vero Ham: Cusch et Mizraijm<br />
[…] Porrò Mizraijm genuit Ludim et Enarnim et Lehabim…” 293 . Ercole Libio da non<br />
confondere con Ercole greco giunto in Italia ben 433 anni dopo <strong>la</strong> venuta del primo, pertanto,<br />
sconfitti i Giganti, riporta pace e stabilità nel<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong> e fa nascere Firenze con il taglio del<strong>la</strong><br />
Golfolina 294 .<br />
A questo punto del Gello, acquisita storicamente <strong>la</strong> fondazione di Firenze da parte del<br />
bisnipote di Noè-Giano, Giambul<strong>la</strong>ri abbandona i panni del Gelli ed entra in scena in <strong>prima</strong><br />
persona come interlocutore principale di messer Curzio per illustrare <strong>la</strong> conseguenza<br />
linguistica di questo quadro storico noachico: <strong>la</strong> derivazione dell’etrusco dall’arameo. In<br />
questa direzione il canonico <strong>la</strong>urenziano ricorre anche al<strong>la</strong> già menzionata Chaldaica<br />
Grammatica e in partico<strong>la</strong>re alle affinità, descritte nel primo capitolo dell’opera, rimaste dopo<br />
<strong>la</strong> confusione delle lingue tra l’ebraico e tutte le altre lingue in partico<strong>la</strong>r modo col caldeo con<br />
cui inizialmente l’ebraico coincideva 295 . Affinità che chiaramente il canonico <strong>la</strong>urenziano<br />
288 Ivi, passi cit. a p. 13c1.<br />
289 Ivi, p. 14c2. Cfr. inoltre, Kalendarium Hebraicum, “a nativitate Abraham usque ad nativitate Iizhak, centum<br />
anni. ” a p. 13c3.<br />
290 Gello, cit., p. 35e2<br />
291 Ivi, cfr. p. 29.<br />
292 Ivi, p. 36.<br />
293 Hebraica Biblia, cit., p. 9b3.<br />
294 Gello, cit., cfr. pp. 37e3-40e4.<br />
295 Ivi, pp. 8b4-9C1 nel capitolo intito<strong>la</strong>to “De affinitate et differentia linguarum Chald. Et Heb.”<br />
Leggiamo: “Ebraeam linguam omnibus priorem, sanctiorem, nobiliorem semper fuisse, neminem ignorare<br />
arbitror, qui vetus saltem legerit instrumentum. Interciderunt quidam teste divo Hieronymo ante multos annos<br />
literae eius linguae, quibus Iudaei ante Babylonicam usi sunt captivitate, inventaeque sunt aliae ab Ezra scriba<br />
et legis doctore post secondi templi instaurationem, quibus hodie utuntur Iudaei, invariata tamen sub utrisque<br />
characteribus lingua sacra, id quod indicant nomina Adam, Hava, Kain, Seth, Noah, Iizhac, Iacob, et alia (p.<br />
9c1) quamplurima, quorum interpretationem scriptura referens, linguam inconcussam mantisse manifeste<br />
demonstrat. Berosus quoque vetustus ille historiographus idem confirmat dum asserit Noham terram vocasse<br />
51
al<strong>la</strong>rga anche all’etrusco in linea con <strong>la</strong> tesi del<strong>la</strong> sua filiazione caldaico-aramea. Oltre alle<br />
asserzioni del Giambul<strong>la</strong>ri ”che l’antica Scrittura Etrusca, sia <strong>la</strong> medesima che <strong>la</strong> Aramea,<br />
facilmente comprender si puote, per le cose dette dal Gello. Perché se Iano è il medesimo che<br />
Noè, come io credo veramente; e come voi stesso lo acconsentite: verisimilmente pare da<br />
conchiudere, che avendo egli arrecato in Etruria le lettere; non potesse arrecarci altri modi,<br />
né altri caratteri, che quegli stessi che e ‘ si sapeva nel suo paese: Et che se gli Etrusci da lui<br />
solo lo appresero lo Scrivere: da lui solo dico, rispetto a Comero Gallo e agli altri venuti<br />
seco; Tutti pure usciti de’l medesimo stipite: Forza è che non apprendessero altra maniera<br />
che quel<strong>la</strong> stessa, che adotta ne havevano i padri loro.” fondate sul<strong>la</strong> identità di Noè e Giano<br />
già riscontrata nel<strong>la</strong> Chaldaica Grammatica munsteriana, tesi analoghe ad un passaggio di<br />
quest’ultima esprimono anche le successive parole del Giambul<strong>la</strong>ri, ovviamente tras<strong>la</strong>te al<strong>la</strong><br />
scrittura degli etruschi: “che scrivendo essi a’l contrario de’ <strong>la</strong>tini, cioè da destra a sinistra<br />
come gli Aramei: dimostrano assai chiaramente che di là presero questa scrittura.” 296 Del<br />
resto l’identico modo di scrittura dell’etrusco e dell’aramaico deriva secondo il Giambul<strong>la</strong>ri:<br />
“Non so<strong>la</strong>mente… da lo haverci arrecato Iano, questa maniera di scrivere: ma che <strong>la</strong><br />
Scrittura Caldea, Araba, Samaritana, e Hebrea, Originate da quello stesso paese che <strong>la</strong><br />
Etrusca: cioè di Aram, donde vennero i nostri antichi.” Il Curzio non condivide le<br />
osservazioni sul<strong>la</strong> scrittura formu<strong>la</strong>te dal Giambul<strong>la</strong>ri, e contesta l’origine degli Ebrei<br />
dall’Aram, in re<strong>la</strong>zione al<strong>la</strong> differenza linguistica tra l’ebraico ed il caldaico sostenuta sul<strong>la</strong><br />
base di quanto scrive Daniele sui fanciulli ebrei tenuti in schiavitù dagli Assirii, riferito nel<strong>la</strong><br />
Chaldaica Gramatica:<br />
“De’ Caldei soggiunse egli, non accada che<br />
io vi dimandi; per essere dello stesso paese<br />
che una lingua tanto diversa da <strong>la</strong> Caldea;<br />
che per quanto ne Scrive Daniello, i fanciulli<br />
ebrei condotti in servitù degli Assirij, furono<br />
dal Re mandati ad imparare <strong>la</strong> lingua<br />
Caldea: per potere essere in strutti nelle<br />
Scienze, et par<strong>la</strong>re nel cospetto del Re, che<br />
non intendeva <strong>la</strong> lingua Hebrea?” 297<br />
“Et si dicas Danielem cum socijs suis traditum<br />
cuidam praeposito discendi gratia<br />
Chaldaicam linguam et literas ut apud<br />
eundem cap. I legitur: non ergo suam in<br />
captivitate Iudaei deserverunt linguam,<br />
quandoquidem electi illi iuvenes speciali regis<br />
imperio istituti fuerint ad discendam il<strong>la</strong>m<br />
linguam. Respondeo: Daniel et socj sui cum<br />
Ioakim rege iam iuvenes de Hierusalem in<br />
Babyloniam tras<strong>la</strong>ti,Chaldaeorum utique<br />
linguam ignorabant, nec brevis il<strong>la</strong> cum<br />
Chaldeis consuetudo tam facile cognitam<br />
Aretinam, et ignem Estam: siquidem…est Hebraeis terra, et…ignis. Caeterum quum post diluvium genus<br />
humanum in immensum multiplicaretur, omnesque homines unius essent sermons, hoc est, omnes ea loquerentur<br />
lingua, quae postea Hebraica et Iudaica coepit vocari, concordique animo turrim niterentur extruere, quae coeli<br />
contingeret fastigium, deum sic aedificium illud impedivisse testatur scriptura, ut ab<strong>la</strong>ta nativa lingua, tot alias<br />
et tam diversas animis eorum inspiravit ut nullus fere quid alius loqueretur intelligeret. Dicit quidem scriptura<br />
deum confudisse et divisisse linguam eorum, hoc est, ex una multas ferisse, et tandem in varias dissecuisse, ut<br />
intelligas in omnes mundi linguas, aliquas saltem voces ex Hebreo fonte dimanasse.<br />
Sunt autem Syrorum, Assyriorum, Babyloniorum, Arabum, Moedorum, Persarum, et aliarum multarum<br />
orientalium nationum linguae, Hebrae maxime confines, et rursum Germanorum et aliorum occidentalium<br />
regioum linguae maxime diversae, tam et si non omnino Hebraicarum dictionum sint expertes. Et ut in summa<br />
dicam, quanto in il<strong>la</strong> Babylonica confusione gens quaeque remotius in terram deturpata est, tan/to minus<br />
convenit ei cum Hebraica lingua: et quo proprius consedit, hoc magis in semone participavit. Hinc est quod<br />
Chaldaeorum lingua prae caeteris omnibus Hebrae affinior est: imò Philo Iudaeus arbitrat Hebraeorum<br />
linguam non differire a Chal. hac motus ratione, atque Abraham fuerit ex Chaldaeis, a quo Heb. Lingua in<br />
omnes transmissa est posteros. Quem divus Hiero. Dan. I. redarguens ait: Quomodo igitur iubent pueri Hebraei,<br />
Daniel scilicet et socij sui, linguam doceri, quam iam noverant. […]”.<br />
296 Gello, cit., passi cit. a p.42f1, mentre nel<strong>la</strong> Chaldaica Grammatica leggiamo a proposito del<strong>la</strong> scrittura<br />
indiana a p. 13c3: “Scribitur autem ipsa et legitur a sinistra ad dextram, more Latinorum et Graecorum: et non a<br />
dextra ad sinistram, ut Arabes, Hebraei et Chaldaei facere consueverunt.”<br />
297 Ibidem. Inoltre ivi, cfr. a p. 44f2 sul racconto di Daniele: “E dunque verissimo il detto di Daniello, che que’<br />
putti imparassino Caldeo.”<br />
52
potuit eis conciliare linguam, quam tamen<br />
diuturnior convictus omnibus intelligibilem<br />
reddidit, maxime pueris, qui non sine<br />
miraculo, ut Quintilianus ait, multo citius et<br />
perfectiusque grandiores et natu incognitam<br />
addiscunt linguam.” 298<br />
Nonostante <strong>la</strong> citazione di Daniele, il Giambul<strong>la</strong>ri rimane comunque fermo nel sostenere <strong>la</strong><br />
provenienza degli Ebrei dall’Aram, avvalendosi nuovamente delle parole pronunciate da<br />
Mosè nel<strong>la</strong> Hebraica Biblia:<br />
“Perché quanto a l’originarsi gli Hebrei in<br />
Aram, noi l’habbiamo da’l nostro Mosè, che<br />
nel XII del Genesi dice che Dio disse ad<br />
Abramo:<br />
Esci dal<strong>la</strong> terra tua, e del<strong>la</strong> natione tua, e<br />
del<strong>la</strong> casa del padre tuo: Et vieni a <strong>la</strong> terra<br />
che ti mostrerò et quello che seguita fin dove<br />
il testo soggiunge.<br />
Uscì dunque Abramo come haveva<br />
comandatoli il Signore et andò Lotto con esso<br />
lui. Et haveva Abramo 75 anni, quando si<br />
partì di Aram, sin qui Mosè.” 299<br />
“Et dixit dominus ad Abram egredere de terra<br />
tua et de natione tua atque de domo patris tui,<br />
ad terram quam ostendam tibi […] Abiit<br />
itaque Abram sicut loquutus erat ad eum<br />
dominus, et ivit secum Lot: fuitque Abram<br />
filius quinque et septuaginta annorum dum<br />
egrederetur de Charan.” 300<br />
Parole a sostegno delle quali, per certificare <strong>la</strong> provenienza di Abramo dall’Aram, il<br />
Giambul<strong>la</strong>ri offre un’ulteriore delucidazione basata ancora sul testo biblico:<br />
“Ma se voi mi diceste hora che <strong>la</strong> <strong>prima</strong><br />
partita sua non fu di Aram; ma di Orcoa,<br />
chiamata nelle lettere Sacre Ur Caldeorum:<br />
de <strong>la</strong> quale egli uscì giovanetto co’l padre<br />
suo, come si vede nel Genesi a lo XI…e venne<br />
ad abitare in Aram. Et poi nel 75 anno del<strong>la</strong><br />
vita sua…si uscì di Aram, io vi replico che<br />
Orcoa (città dove e’ nacque, e donde<br />
giovanetto partì col padre, è terra del<strong>la</strong><br />
Caldea, come lo dicono le Sacre Scritture; e<br />
non tanto appartata dal<strong>la</strong> Mesopotamia che<br />
el<strong>la</strong> possa però variare <strong>la</strong> favel<strong>la</strong> d’una gran<br />
cosa…” 301<br />
Poi, a proposito del<strong>la</strong> città di Orcoa aggiunge:<br />
“Et tulit Taerah Abram filium suum…et<br />
egressi sunt pariter de Ur Chaldaeorum, ut<br />
irent in terram Chnaan: veneruntque usque<br />
Charan, et habitaverunt ibi. Fuerunt autem<br />
dies Terah, quinque anni et ducenti anni;<br />
mortuusque est Taerah in Charan.” 302<br />
298 Chaldaica Grammatica, cit., passo riportato alle pp. 4b2-5b3.<br />
299 Ivi, passo cit., pp. 42f1-43f2.<br />
300 Hebraica Biblia, cit., Genesi: capitolo XII, passo cit. a p. 10b4. Cfr. inoltre ancora <strong>la</strong> convergenza con <strong>la</strong><br />
cronologia proposta nel Kalendarium Hebraicum, “A tempore quo natus est Abraham, usque ad tempus quo<br />
<strong>prima</strong> vice exivit de Haran, anni 52. Et a tempore quo egressus est de Haran, ad tempus quando stetit inter<br />
partes, anni 18. Reversus autem in Haran, mansit ibi 5 anni: et inde rediens in terram Chnaan, fuit filius 75<br />
annorum. Hinc a nativitate Iizhac, 25 anni.” p. 27.<br />
301 Gello, cit., p. 43f2.<br />
302 Hebraica Biblia, cit., p.10b4. Cfr. identica cronologia nel Kalendarium, cit., “Taerah donec natus est<br />
Abraham pater noster, vixit annis septuaginta. Porrò anni vitae suae ducentiquinque.” a p. 13.<br />
53
“che essendo posta <strong>la</strong> da lo Eufrate, è pure el<strong>la</strong> anchora Aramea. Laonde non<br />
cangiandovisi <strong>la</strong> favel<strong>la</strong>, diremo che Abramo <strong>la</strong> par<strong>la</strong>sse per sua, e come sua propria: o si<br />
poco alterata, che male apparisse <strong>la</strong> differenza. Il che non gli advenne già poi; Quando<br />
partito di Aram, se ne venne tra’ Cananei: <strong>la</strong> lingua de’ quali, come fatta si fosse non<br />
sappiamo altrimenti; per haver<strong>la</strong> spenta gli hebrei, quando sotto <strong>la</strong> guida di Iosuè<br />
annul<strong>la</strong>rono quel<strong>la</strong> natione. Non fu dunque diversa <strong>la</strong> Caldea da <strong>la</strong> lingua Hebrea, quando <strong>la</strong><br />
Hebrea primieramente cominciò nel<strong>la</strong> casa e famiglia di Abramo: Ma andossi bene<br />
alterando, e cangiando tanto di tempo in tempo; come fanno anchora tutte l’altre: che nello<br />
spatio di 1349 anni, che sono tra il 75 di Abramo, e <strong>la</strong> rovina del tempio fatta da Caldei…el<strong>la</strong><br />
venne a essere tanto mutata; che fu mestiero imparare l’una e l’altra, a chi volle saperle<br />
amendue” 303 .<br />
Pertanto Giambul<strong>la</strong>ri sostiene l’iniziale coincidenza di ebraico e caldaico nel<strong>la</strong> famiglia di<br />
Abramo fino al<strong>la</strong> sua partenza dall’Aram, appoggiandosi al<strong>la</strong> stessa Grammatica munsteriana,<br />
nonostante <strong>la</strong> posizione certamente non aristotelica del dotto ebraista tedesco in materia<br />
linguistica. Scrive infatti:<br />
“Noverat igitur, ut alij verius sentiunt, Abraham duas linguas, Hebraeorum scilicet et Chal.<br />
Primam deus puram et inconfusam in Abrahami familia reliquit. Et quum ipse Abraham<br />
imperio divino de Ur Chaldaeorum, relicta omni cognatione sua, in terram Chanaan<br />
peregrinaturus veniret, usus est cum suis sacra lingua, caeteris propinquis et cognatis suis<br />
quos in Chaldea reliquit, Babyloniorum iam assuefactis linguae, et tandem involutis<br />
errore.” 304<br />
Passaggio che chiarisce l’opportuno valore da assegnare al<strong>la</strong> precedente menzione di<br />
Daniele in evidente antitesi con <strong>la</strong> posizione curziana tout court ancorata al<strong>la</strong> tesi del<strong>la</strong><br />
originaria separatezza delle lingue caldea ed ebraica.<br />
Del resto, <strong>la</strong> vicinanza tra Grammatica e Gello almeno a livello di tesi partico<strong>la</strong>re, sembra<br />
confortata anche a proposito del<strong>la</strong> non mutazione dei caratteri ebraici da parte di Esdra. Anche<br />
se abbastanza sorprendentemente il Giambul<strong>la</strong>ri omette a sostegno di questa tesi di<br />
menzionare il nome di Muenster, appoggiandosi invece ad una fonte che sostiene in proposito<br />
il contrario. Egli, infatti, dichiara:<br />
“De’ caratteri Hebrei non vo’ dire che non siano i veri: perché havendoli havuti da’l<br />
Cielo; ragionevolmente creder‘ si puote, che <strong>la</strong> stessa virtù che gli diede; quel<strong>la</strong> stessa ce li<br />
mantenga in tante rovine et mutazioni di cose che ha havuto quel<strong>la</strong> natione. Et se bene alcun’<br />
dice, che e’ sono da Esdra; e ne mostrano alfabeti più antichi, come il celeste, lo angelico,<br />
quello del passaggio del fiume, o quell’altro di Salomone, che nel<strong>la</strong> occulta filosofia di<br />
Agrippa si veggono: Advertisca pure chi lo dice; che ben’ possono essere gli alfabeti che e’<br />
dicono: Ma non può già esser vero, che <strong>la</strong> antica scrittura Hebrea sia stata mutata da Esdra;<br />
essendosi mantenuti i libri del<strong>la</strong> legge con tanta veneratione, quanto apertissimamente<br />
dimostra il giudizioso Bibliandro, negli ottimi Scrittori Hebrei.” 305<br />
303 Vedi nota n. 301.<br />
304 Grammatica Chaldaica, cit., passo cit. a p. 10c1.<br />
305 Gello, cit., 44f2, da confrontare con Chaldaica Grammatica, cit., alle pp. 8b4-9c1: Ebraeam linguam<br />
omnibus priorem, sanctiorem, nobiliorem semper fuisse, neminem ignorare arbitror, qui vetus saltem legerit<br />
instrumentum. Interciderunt quidam teste divo Hieronymo ante multos annos literae eius linguae, quibus Iudaei<br />
ante Babylonicam usi sunt captivitate, inventaeque sunt aliae ab Ezra scriba et legis doctore post secondi templi<br />
instaurationem, quibus hodie utuntur Iudaei, invariata tamen sub utrisque characteribus lingua sacra, id quod<br />
indicant nomina Adam, Hava, Kain, Seth, Noah, Iizhac, Iacob, et alia quamplurima, quorum interpretationem<br />
scriptura referens, linguam inconcussam mantisse manifeste demonstrat.” Ivi, cfr. inoltre p. 13c3: “Porrò quales<br />
ij sint characteres, non omnino certum est apud nos: quandoquidem Iudaei, etiam ante Hieronymi tempora,<br />
54
Theodor Bibliander in realtà appare in piena sintonia sul piano linguistico, col Postel degli<br />
anni Quaranta, sia sul<strong>la</strong> mutazione dei caratteri ebraici da parte di Esdra, sia sull’unicità del<strong>la</strong><br />
lingua fino a Nembrot per cui <strong>la</strong> sua menzione tradisce probabilmente un fraintendimento<br />
nel<strong>la</strong> consultazione del De Optimo genere Grammaticorum 306 da parte del Giambul<strong>la</strong>ri, che,<br />
infatti, mantiene costante il suo supporto al<strong>la</strong> tesi del<strong>la</strong> veridicità del Convivio dantesco. 307<br />
Al di là di questo, sancita in tal modo <strong>la</strong> derivazione dell’aramaico dall’etrusco, con il<br />
ricorso anche all’auctoritas di Tito Livio sul<strong>la</strong> precedenza storica del<strong>la</strong> civiltà etrusca rispetto<br />
a quel<strong>la</strong> <strong>la</strong>tina, rileviamo nel seguito del Gello il ricorso a riferimenti munsteriani atti a<br />
spiegare le peculiarità grammaticali del<strong>la</strong> lingua ebraica e a dimostrare il suo notevole<br />
influsso sul toscano. Anche se il Giambul<strong>la</strong>ri, ricordando che <strong>la</strong> lingua toscana è anche un<br />
composto di “Greco, Latino, todesco e Francese” 308 , non trascura <strong>la</strong> rilevanza di altre<br />
influenze storiche.<br />
Comunque, riguardo all’ebraico, il Giambul<strong>la</strong>ri ricorre ad un passo biblico su Sichen e al<strong>la</strong><br />
nota marginale g munsteriana sul comparativo, per spiegare teoricamente <strong>la</strong> mancanza del<br />
comparativo nel<strong>la</strong> lingua ebraica e <strong>la</strong> sua formazione attraverso l’aggettivo e <strong>la</strong> preposizione,<br />
affermando che gli ebrei:<br />
“non hanno… il comparativo: ma esprimono per lo adiettivo, e per <strong>la</strong> prepositione, come<br />
nel XXXIV del Genesi apertamente si può conoscere: perché ragionandovisi di Sichem, dice<br />
quel testo, vehunicbad mi col bet aviu; cioè, et era egli lo onorato di tutta <strong>la</strong> casa di suo<br />
padre. Il che osserviamo noi anchora, che non havendo se non 4 comparativi aggiugnendo<br />
agli altri nomi lo adverbio; più, diciamo il più bello di tutti, il più forte dell’esercito…” 309 .<br />
Passaggio in cui è letteralmente riportato il passaggio del testo muensteriano del<strong>la</strong> Genesi<br />
XXXIV su Sichen: “et erat honorabilior omnibus qui erant in domo patris sui.” 310 e si trae<br />
spunto dal<strong>la</strong> spiegazione di honorabilior contenuta nel<strong>la</strong> nota marginale che dice:<br />
“Constituunt Hebraei comparitivum, per adiectivum et praepositionem ab vel prae: ut,<br />
honoratus prae omnibus, id est, honorabilior omnibus: id quod nostri interpretes hic non<br />
adverterunt, qui hunc locum fic reddiderunt: erat inclytus in omni domo patris sui.” 311<br />
Il Giambul<strong>la</strong>ri si appoggia ancora al testo muensteriano per illustrare l’assenza del<br />
super<strong>la</strong>tivo nel<strong>la</strong> lingua ebraica. Essi, infatti:<br />
“non hanno super<strong>la</strong>tivo; ma esprimono con<br />
replicare due volte il positivo; come nel<br />
Genesi al VII si legge, ve ha main gabern<br />
meod meod al Arez, cioè, et le acque<br />
inondarono molto molto sopra <strong>la</strong> terra” 312<br />
“et acquae inundaverunt vehementissime<br />
super terram…” 313<br />
Chaldaicos libros Hebraicis consueverint scrivere characteribus, id quod in Danielis et Ezrae libris factum esse<br />
perspicuum est.”<br />
306 De optimo genere grammaticorum Hebraicorum commentarius Theodori Bibliandri, Basileae 1542.<br />
307 Riguardo al<strong>la</strong> convergenza delle prospettive di Bibliander con quelle postelliane riguardo a Esdra e<br />
all’unicità del<strong>la</strong> lingua da Adamo a Nembrot rinviamo a P. Simoncelli, La lingua di Adamo, cit., pp. 43-45.<br />
308 Gello, cit., cfr. pp. 48f4-51g2.<br />
309 Ivi, passo cit. a p. 52g2.<br />
310 Hebraica Biblia, cit., passo cit. a p. 33f3.<br />
311 Ivi, p. 34f4.<br />
312 Gello, cit., passo cit. a p. 52g2.<br />
313 Hebraica Biblia, cit., p. 7b1.<br />
55
E ancora, a proposito del<strong>la</strong> discordanza di numero tra verbo singo<strong>la</strong>re e sostantivo plurale di<br />
una cosa, prosegue e dice che gli aramei<br />
“uniscon…il numero singo<strong>la</strong>re del verbo, co’l<br />
plurale del<strong>la</strong> cosa, come nel XVIII capo del<strong>la</strong><br />
Genesi, dove Abramo dice a Dio, V<strong>la</strong>i ie Sc<br />
camiscim zadichim betoc ha hir, cioè, Forse è<br />
cinquanta giusti nel<strong>la</strong> città” 314<br />
“Fortasse sunt quinquaginta iusti intra<br />
civitatem…” 315<br />
Poco dopo, l’autore del Gello soffermatosi su pronomi e articoli in aramaico 316 , illustra il<br />
significato in lingua ebraica del<strong>la</strong> doppia negazione, spiegando che “le due negazioni<br />
continuate, non affermano appresso a gli Hebrei ma niegano maggiormente: come nel XIIII<br />
dello Esodo. Et dissero a Mosè, ha mi beli ben chevarim be mizraim, cioè, per che non erano<br />
forse no sepolture in Egitto. Il che in tutto e per tutto si osserva appresso di noi…” 317<br />
Sia, per <strong>la</strong> spiegazione generale, sia per l’esempio biblico rintracciamo il rinvio al<strong>la</strong> bibbia<br />
muensteriana. Infatti non solo vi è corrispondenza col passo <strong>la</strong>tino che dice: “Dixerunt autem<br />
ad Mosem: nunquid quia non erant sepulchra in Aegypto?” 318 ma, il passo medesimo è<br />
oggetto del<strong>la</strong> nota marginale c al capitolo che concerne il valore del<strong>la</strong> doppia negazione in<br />
aramaico e afferma nel<strong>la</strong> <strong>prima</strong> parte: “Non rarum est apud Hebraos, ut duae negationes mox<br />
sese consequantur, et tamen non efficiant unam affirmationem.” 319 Anche se non va<br />
dimenticato, il sostegno tratto per alcuni passaggi concernenti <strong>la</strong> lingua aramaica in queste<br />
pagine del Gello dall’ebraista Teseo Ambrogio 320 .<br />
Nel seguito del testo, il Giambul<strong>la</strong>ri elenca le numerose voci derivanti dall’aramaico che<br />
ancora permangono nel toscano moderno, appoggiandosi nuovamente, di fronte al<strong>la</strong><br />
diffidenza del Curzio, su alcune opere munsteriane secondo quel che desumiamo dal<br />
riferimento ai “Ditionarij stessi Caldei e Hebrei che si trovano oggi stampati: e sono<br />
composti da oltramontani, che non sanno <strong>la</strong> lingua nostra” e dal confronto dei passi in<br />
questione con i Dizionari muensteriani 321 . Dizionari citati in conclusione del<strong>la</strong> lunga<br />
elencazione esemplificativa del nesso di dipendenza del toscano dall’aramaico:<br />
“Diciamo noi adunque, Ambasciata, Imbasciadore e ambasceria, da Bascer, che a loro<br />
significa nuntiare 322 . Mezzo, e ammezzare, da Mezah, che è dividere in due parti uguali. Nodo<br />
e annodare, da Anad, che è innodare. Arra e innarrare, da Arah, che è pegno e impegnare.<br />
Assillo, da Sillon che è <strong>la</strong> spina. Avello, da Aval, che è piangere. Azzimato e azzimare, da<br />
Zamat che è quel ricciolino che rigettano le donne verso gli orecchi. Baca<strong>la</strong>re da bacal, che è<br />
314 Vedi supra nota n. 312.<br />
315 Hebraica Biblia, cit., passo a p. 15c3 dell’episodio biblico di Sodoma e Gomorra.<br />
316 Gello, cit., pp. 52g-53g3.<br />
317 Ivi, passo cit. a p. 53g3<br />
318 Hebraica Biblia, passo cit. a p. 65l5.<br />
319 Ivi, passo cit. a p. 65l5.<br />
320 In proposito rinviamo a P. Simoncelli, La lingua di Adamo, cit., p. 85, in partico<strong>la</strong>re nota n. 32, inoltre ivi,<br />
cfr. p. 44, in partico<strong>la</strong>re nota n. 81 sul<strong>la</strong> piena convergenza in materia linguistica del Teseo con Guil<strong>la</strong>ume<br />
Postel, in proposito cfr. anche Yvonne Petry, Gender, Kabba<strong>la</strong>h and the Reformation, cit., p. 32.<br />
321 Ditionarium Chaldaicum, non tam ad chaldicos interpretes quoque Rabbinorum intelligenda commentaria<br />
necessarium: per Sebastianum Muensterum ex baal Aruch et Chal. Biblijs atque Hebraeorum peruschim<br />
congestum, Basileae apud Io. Fro. anno M. D. XXVII, e Dictionarium Hebraicum ex Rabinorum commentarijs<br />
collectum, adiectis iis chaldaicis vocabulis quorum in Bibliis et usus: ab autore Sebastiano non solum dermo<br />
locupletum, sed a multis passim mutatis emendatum, ut hac interpo<strong>la</strong>tione liber renatus videatur et p<strong>la</strong>ne<br />
novuus, Basileae apud Io. Froben, an. MDXXV, mense Novemb.. entrambi segna<strong>la</strong>ti in P. Aquilon,<br />
Catalogue,cit., pp. 612 e 649.<br />
322 Cfr. Dictionarium Chaldaicum, cit., a p. 107: “…miscuit, conspersit: Exodi 29.”, cfr. inoltre ivi, p. 65:<br />
“Secundo significant nunciare. Inde…nuncius:…nunciatio: 3. Regum 2.” E Dictionarium Hebraicum, cit., a p.<br />
g6: “Evangelista, nuncius: I Regum 4…Nuncium: 2. Reg. decimo octavo…”.<br />
56
maestro e autore 323 . Bal<strong>la</strong>re, da Ba<strong>la</strong>l, che è mesco<strong>la</strong>re 324 . Bandire, da ban, che è fare<br />
intendere altrui le cose. Baratto e barattare, da Barath, che è contrattare per patto.<br />
Barbaglio, da Barbel, che è lo abbigliamento. Batto, battaglio, battaglia e batosta, da batas,<br />
che percuotere 325 . Bazza diciamo a giuoco, quando senza trionfo si piglia <strong>la</strong> carta dello<br />
adversario; da Baz che vuol dire predare, o da Bazah, che è spregiare e non istimare 326 .<br />
Bollicame, bollore e bollire, da Bul che significa pullu<strong>la</strong>re. Borro, burrone e burrato, da<br />
Bor, che e pozzo e fossa profonda 327 . Botte da Gabot che è vaso da vino. Bracco, il cane da<br />
levare le fiere, da Barac, che è far fuggire. Bua dicono i nostri fanciulli, da Buah, che è <strong>la</strong><br />
piaga 328 . Buccia, da Buz, che è <strong>la</strong> spoglia. Brigata, da Bergad, che è ragunamento di persone.<br />
Ca<strong>la</strong>ta, il ballo di molta fretta, da Ca<strong>la</strong>t, che è lo affretarsi. Ca<strong>la</strong>mita, <strong>la</strong> pietra che tira il<br />
ferro, da Ca<strong>la</strong>mis, che è <strong>la</strong> felce 329 . Calca, lo stiramento delle persone, da Chelca, che è<br />
l’opprimere 330 . Carbone, da Carbon, che <strong>la</strong> estrema e ultima siccita arsiccia 331 . Caruccio, e<br />
carrozza, da Caruz, carro piccolo. Castaldo, il governatore e administratore delle case<br />
grandi, da Castal, che è il dispensiere e distributore 332 . Catani, per i signorotti del paese, da<br />
Hetanim, che sono gli ottimati, e i principali del<strong>la</strong> città 333 . Cava e caverna, da Cavva, che è<br />
ricettacolo, cateratta e finestra 334 . Cavo, per canapo, da Cau, che è <strong>la</strong> funicel<strong>la</strong> 335 . Cera 336 ,<br />
per <strong>la</strong> presentia, quando il dabene si conosce a <strong>la</strong> cera sua, da Chiruz, che è quello stesso,<br />
che i Romani chiamavano indoles. Andare a <strong>la</strong> chicchera, cioè accattando, da chiccher, che<br />
significa investigazione e cercare 337 . Chiose dicono i nostri fanciulli, quelle monete di piombo<br />
con che e’giuocano, da Ghioser, che significa formare e spingere 338 ; perché da loro stessi se<br />
le formano e fingono a lor’piacere. Ciabatta, da hasciabat, che è impedimento. Cocca di<br />
strale, da Coca, che è carcere e chiudimento 339 . Come, da Chemo, che è il quemadmodum de’<br />
<strong>la</strong>tini, o da Chema, che il sicut 340 .Corbello, da Chirbel, che è vestire e involgere 341 . Cotta, da<br />
323 Cfr. Dictionarium Hebraicum, cit., a p.: “…Item…doctor, instructor, legis<strong>la</strong>tor: Psal. 84.”<br />
324 Cfr. a proposito di mesco<strong>la</strong>re Dictionarium Chaldaicum, cit., a p. 56: “…idem quod…miscuit: Ester I.”<br />
325 Ivi, riguardo a scuotere cfr. a p. 111: “…Triturare, escutere: Iudicum 8.”<br />
326 Ivi, cfr. p. 7 su Baz: “Primo significat calumniari, et rapere.”<br />
327 Riguardo al termine fossa cfr. Dictionarium Hebraicum, cit., p. g8: “…Idem quod… fovea, fossa, cisterna:<br />
Isaia. 30.”<br />
328 Ivi, sul<strong>la</strong> piaga dei fanciulli cfr. a p. d8 il seguente passo: “Digitus, p<strong>la</strong>ga…foem. gen. Isaiae decimo<br />
septimo.”<br />
329 Sul<strong>la</strong> felce, cfr. Dictionarium Chaldaicum, cit., a p. 2 “Alij putant esse instrumentum instar ca<strong>la</strong>mi ferrei ,<br />
quo ignis accenditur” e ivi, sul<strong>la</strong> ca<strong>la</strong>mita cfr. p. 4: ”Lapis[…]qui trahit ferrum…Hoc est, in lingua Germanica<br />
Augstein, vel Magnet.”<br />
330 Ivi, cfr. p. 111: “Secundo…significant calcare, conculcare: 3. Reg.2.”<br />
331 In proposito cfr. Dictionarium Hebraicum, cit., p. h5: “…Carbo, pruna, scintil<strong>la</strong>…” cfr. inoltre Dictionarium<br />
Chaldaicum, cit., a p. 87.<br />
332 Sul termine in questione cfr. Dictionarium Chaldaicum, cit., p. 8 riguardo a Gastaldo e governatore: “Primo<br />
idem est quod…mercede conduxit: Gen. 30, Inde…Isa. 21 et…Levit. 19.[…]Gubernator…Idem est<br />
quod…praefectus, praepositus.”<br />
333 Cfr. Dictionarium Hebraicum, cit., a p. c6 dove a proposito degli ottimati leggiamo: “Fortis, durus idem<br />
quod…in plural…optimates, magnates: Iob. 12[…]”. Cfr. inoltre Dictionarium Chaldaicum, cit., p. 112:<br />
“…Optimates, potentes, magnates: Dan. 3. ”<br />
334 Ivi, riguardo a Cavva cfr. pp. d8-e1 in cui “Idem quod…fenestra, cataracta: Hosee 13…Unde Isa. 24.<br />
cataractae coeli dicuntur aperiri, quando pluvia in magna copia descendit, quasi omnes fenestrae coeli apertae<br />
essent. Isa. 60. exponitur pro…fenestris.” Cfr. anche il Dictionarium Chaldaicum, cit., p. 61.<br />
335 Cfr. Dictionarium Chaldaicum, a p. 15: “Funis, instita: Iosue 2.” Inoltre cfr. Dictionarium Hebraicum, cit., a<br />
p. n4: “…Filum ,funiculum, vitta…Gen. 14.”<br />
336 In proposito cfr. Dictionarium Hebraicum, cit., p. k6: “…Cera: mas. gen. ut patet Psal. 22.”<br />
337 Cfr. Dictionarium Chaldaicum, cit., a p. 54: “…Secundo, quaerere, investigare: Iud. 14.”<br />
338 In proposito cfr. Dictionarium Hebraicum, cit., a p. s5: “…Formavit, finxit: Psal. 74. Et nota quod…proprie<br />
creare significant, hoc est, ex nihilo aliquid facere…”.<br />
339 Cfr. Dictionarium Chaldaicum, cit., a p. 29: “…Carcer, vincu<strong>la</strong>” e a p. 34: “…Ligavit: Iud. 16…Captivi,<br />
ibidem: et…Carcer: 3 Reg. 22.”<br />
340 Ivi, p. 16: “Quemadmodum: Prover. 23. qualiter, quomodo…”.<br />
341 Ivi sul Corbello cfr. p. 6 “Est…vestis quae cuti adheret, ut est interu<strong>la</strong>.”<br />
57
Cot, che vuol’ dir veste. Croscio d’acqua, da Ghescem, che è forte e impetuosa pioggia 342 .<br />
Danza per ballo, da Daz, che è far festa ed esultare. Dardo, che si <strong>la</strong>ncia, da Dardar, che è<br />
stimolo e spina 343 . Doga, di Botte, da Dogah, che è navicel<strong>la</strong> o scafa 344 . Ma come io vi diceva<br />
pure hora, questa materia non ha il suo luogo. Et però <strong>la</strong>sciamo<strong>la</strong> stare, che <strong>la</strong> copia sarebbe<br />
fastidio. Et se io discoressi per tutte le lettere, troppo tosto saremmo a’l mille. Ditemene<br />
rispose egli, anchora parecchi di gratia. Et io. Usiamo noi di rispondere, quando non<br />
habbiamo inteso bene, e? voce in tutto Aramea, che volendo essi anchora dir’, come? O che<br />
voi? Dicono, e? Fallito diciamo noi il Mercante, che non può comparire per debito, da Falit,<br />
che è fugitivo e fuggiasco. Fanti e fanteria, da efanti che è <strong>la</strong> torma de’ soldati 345 . Fetta di<br />
pane, o di altro, da Fat, che è il pezzo. Ga<strong>la</strong>, quel taglio che scopre il nascoso, da Ga<strong>la</strong>h, che<br />
rive<strong>la</strong>re e manifestare 346 . Garrire per riprendere, da Garar, che è sgridare. Gemma, per<br />
occhio di vite, da Zemah, che è germugliamento 347 . Gobbo, da goba, che è altezza e<br />
rilevamento 348 . Ma per contentarvi con più brevità, Sappiate che Etrusche voci sono queste.<br />
Insegna, iscerre, isgorbio. L’ago, <strong>la</strong>mpa da leccare. Lecco delle pallottole, che è quello che si<br />
tira innanzi per segno, da Isclic, che è <strong>la</strong>nciare e proporre. Lezij, lezzo. Lucco, veste, che da<br />
noi si porta <strong>la</strong> state. Macco, macu<strong>la</strong>to, ma<strong>la</strong>to, male per infermità 349 , Mana di danari,<br />
manico, marra, martello 350 , maschera, mattana, mazza, meschino, meschinità, micca,<br />
minchione, moccolo, motta, moscio, mozzare. Nacchera, nappo, nano, nastro, nave 351 ,<br />
nettare 352 , ninnare, nozze 353 , nocchiero, nuvolo. Orzo, ortica, osceno, hotta. Padule 354 , parete<br />
da uccel<strong>la</strong>re, passetto da misurare, passo e passare 355 . Pazzo, pe<strong>la</strong>go, pelo per fessura.<br />
Piccone, pollone, pu<strong>la</strong>. Rabbia per fame, Ragazzo, rame, ranno, rascia, razzo, razza, ricco,<br />
roba, rocca, romano di stadera, ruzzare. Sacco 356 , Saetta, Saettile, Saettalo, Salma,<br />
Sapone 357 , Sa<strong>la</strong>, Sargia, Scemo 358 , Schegge, Scia<strong>la</strong>re, Scialbare, Sciatto, Sciliva, scodel<strong>la</strong> 359 ,<br />
scuffia, senno, sensale, sere, sornacchio, spezzo, spillo, staccialo, strada, stufa 360 , succia 361 .<br />
Taccagno, taccagneria, taccone. Tamburo, tallo, tana, tanie, tarare, tasca, tenda, tentenno,<br />
tomaia, tonnina, toppa, toro, trama, tuffo. Vivaio, vizzo, uncino 362 , uscire 363 . Zacchera, zanna,<br />
342 In proposito cfr. Dictionarium Hebraicum, cit., p. i5: “Hinc…pluvia, imber: mas. gen. 3. Reg. 18.”<br />
343 Ivi, riguardo a dardo cfr. p. k7: “…Idem quod…stimulus, acus…”.<br />
344 Ivi, sul<strong>la</strong> navicel<strong>la</strong> cfr. p. i8: “…Piscatorium instrumentum, seu ut alij volunt navicu<strong>la</strong> parva, scapha: Amos<br />
4.”<br />
345 Ivi, cfr. p. h1-h2: “…Turma, cuneus, cohors militum, globus exercitus: Psal. 18. et Mich. 5. Kimhi<br />
exponit…coetum fortium, et Iob 25.”<br />
346 Ivi, al riguardo cfr. p. r4: “…Cognovit, scivit. Inde verbum Hiphil...notum fecit, ostendit, fecit scire: Psal.<br />
98.”<br />
347 Ivi, cfr. p. k7: “…Virens, viror, herba recens, germen viride: Isa. 15.”<br />
348 Ivi, riguardo al<strong>la</strong> voce gobbo cfr. p. g9: “…gibus, gibberosus: Lev. 21.”<br />
349 In proposito cfr. Dictionarium Chaldaicum, cit., a p. 104: “…Dolores, infirmitates.”<br />
350 Sul Martello, ivi cfr. p. 43: “…Malleus: Isa: 24.”<br />
351 Dictionarium Hebraicum, cit., cfr. a proposito del<strong>la</strong> nave p. d4 “item…navis, c<strong>la</strong>ssis […]”<br />
352 Ivi, su nettare cfr. p. i7: “…mel: mas. gen…”.<br />
353 Ivi, cfr. p. u2 “…Hinc…desponsatio, nuptiae: Ier. 2.”<br />
354 Riguardo al termine padule, ossia palude cfr. Dictionarium Chaldaicum, cit., p. 67: “…Primo est idem<br />
quod…stagnum, palus: Isaiae 14.”<br />
355 Ivi, sul passo cfr. p. 64: “…idem quod…passus, gressus.”<br />
356 Ivi, riguardo a Sacco cfr. p. 126: “…secondo…in lingua israelitica significat…Saccum.”.<br />
357 Ivi, riguardo al termine sapone cfr. a p. 11 il seguente passo “Idem quod…Nitrum, quo <strong>la</strong>vantur vestes,<br />
sapo.”<br />
358 Cfr. Dictionarium Hebraicum, cit., a p. b7: “…stultus, fatuus: Ier. 4…Inde…idem quod…stulticia: Proverb.<br />
26.”<br />
359 Sul termine scodel<strong>la</strong> cfr. Dictionarium Chaldaicum, cit., a p. 106: “…Idem quod…mensa, discus, scutel<strong>la</strong>.”<br />
360 Ivi, sul<strong>la</strong> stufa cfr. <strong>la</strong> voce a p. 3 nel passo che dice: “Alij dicunt quod sit…stufa, . aestuarium, seu<br />
Hypocaustum.”<br />
361 In proposito cfr. Dictionarium Hebraicum, cit. a p. r8: “…suxit: Isa. 60.”<br />
362 Ivi, sull’uncino cfr. p. b4, in partico<strong>la</strong>re “Significat circulum, hamum, uncinum, sive Kimhi exponit Isa. 58.<br />
ahenum, quod scilicet habet caput incurvatus…”.<br />
363 Ivi, cfr. p. s3: “…Exivit, egressus est…”.<br />
58
zavorra, bazzicare, zebe, zero, zipolo, ziro, zol<strong>la</strong>, zuffa 364 : con una quasi infinità di tante altre,<br />
che troppo vorrebbono di tempo, ad eser’ raccontate.” 365<br />
A questo punto, di fronte all’ampia certificazione del legame tra ebraico e aramaico, il<br />
Curzio si arrende e promette “che mai più non ardirò chiamare <strong>la</strong> lingua vostra una<br />
corruzione del<strong>la</strong> <strong>la</strong>tina…”. Tuttavia, <strong>la</strong> sua curiosità si sposta sull’influenza che lingue come<br />
il francese ed i tedesco hanno esercitato sul toscano con annesse voci toscane originate da<br />
loro 366 . Ovviamente gli interrogativi curziani offrono non accidentalmente il terreno per una<br />
rapida ma non meno significativa panoramica storico-politica sull’incidenza francese e<br />
tedesca sulle voci del<strong>la</strong> lingua toscana:<br />
“le Todesche ci sono inframmesse, non tanto da i Mercanti: quanto da que soldati tedeschi<br />
che tanto tempo ci praticarono, da Arrigo, infino a l’ultima cacciata de Ghibellini, che sono<br />
350 anni…<br />
Et si come ci addussero questi soldati…le voci todesche: così ci vennero anchora le francesi<br />
dagli Angioini, per que’ tanti Carli e Ruberti di Napoli; che impoverirono questa città.” 367<br />
Abbastanza chiaro appare il giudizio negativo sul dominio angioino a Napoli nel<strong>la</strong> direzione<br />
di un orientamento complessivo non certo filofrancese ulteriormente confermato poco dopo<br />
quando il canonico <strong>la</strong>urenziano scardina <strong>la</strong> tesi del<strong>la</strong> derivazione dello stile poetico e del<br />
sistema delle rime toscane dal provenzale, proposta dal Curzio, in base al<strong>la</strong> priorità temporale<br />
del<strong>la</strong> nascita del<strong>la</strong> forma orale del<strong>la</strong> poesia rispetto a quel<strong>la</strong> scritta. Precedenza testimoniata<br />
secondo il Giambul<strong>la</strong>ri in “Mosè e in Iob, come pruova Iosefo, e in David, e’ in tanti profeti,<br />
negli oracoli delle Sibille, in Esiodo, in Museo, in Homero”.<br />
A supporto del<strong>la</strong> sua argomentazione il canonico <strong>la</strong>urenziano ricorre al <strong>la</strong>voro dei<br />
grammatici per asserire <strong>la</strong> diversità delle misure dei versi, menzionando in questa occasione<br />
Muenster per sostenere l’autonomia del<strong>la</strong> poesia toscana dalle rime provenzali, con riguardo<br />
all’endecasil<strong>la</strong>bo e dice:<br />
“Et per trovarsi lo undici sil<strong>la</strong>bo non solo tra noi e tra’ Provenzali, ma tra Latini, tra i<br />
Greci e tra gli Hebrei anchora come havete da’l dotto Munstero nelle XVIII maniere de versi<br />
Hebraici.” 368<br />
In realtà <strong>la</strong> trattazione dei versi ebraici è riconducibile al Proemio sopra i Salmi di Agostino<br />
Steuco, confuso inavvertitamente col Muenster 369 .<br />
Al di là di questo, Lenzoni che nel<strong>la</strong> finzione dialogica si sostituisce al Giambul<strong>la</strong>ri, sul<strong>la</strong><br />
falsariga del<strong>la</strong> precedente parentesi storico-linguistica, sottolinea l’antecendenza cronologica<br />
dei rimatori del<strong>la</strong> scuo<strong>la</strong> poetica siciliana fiorita con Federico II, rispetto ai rimatori<br />
provenzali che “furono con il Conte Ramando Beringhieri; suocero di quel Carlo di Angiò,<br />
che occupando il Regno di Napoli, uccise il buon Re Manfredi, figliuolo di Federigo II.” 370<br />
Pertanto, l’origine del<strong>la</strong> poesia toscana è ravvisabile in quel<strong>la</strong> siciliana 371 , addirittura<br />
anteriormente a Federigo II, come “dimostra il sonetto di Agatone Drusi; letto non è molto<br />
nel<strong>la</strong> dottissima e virtuosissima Accademia degli Intronati.” 372<br />
364 Ivi, a proposito di zuffa cfr. a p. k2: “…idem quod…contentio, rixa, discordia: Ier. 15.”<br />
365 Gello, cit., passo cit. a pp. 55g3-57h1.<br />
366 Ivi, passo cit. a p. 57h1.<br />
367 Ivi, passo cit. a p. 59h2.<br />
368 Ivi, passi cit. a p. 60h2.<br />
369 Sull’indicazione di Steuco rinviamo a G. Marangoni, Prefazione al<strong>la</strong> Storia d’Europa, cit., in partico<strong>la</strong>re p.<br />
XVI.<br />
370 Ivi, passo cit. a p. 61h3.<br />
371 Ivi, cfr. pp. 62h3-64h4.<br />
372 Ivi, passo cit., a p. 62.<br />
59
Elementi dunque abbastanza chiari specie se ricollegati alle divergenze col Postel e al<br />
ricorso al supporto di riferimenti biblici e noachici munsteriani che riprende, una volta<br />
esaurita <strong>la</strong> parentesi sulle voci toscane derivate da francese e tedesco, a proposito del<strong>la</strong> radice<br />
aramaica dei nomi delle città toscane. Arezzo, ad esempio, non deriva il suo nome dal<strong>la</strong><br />
semina ordinata da Toti<strong>la</strong> nel luogo in cui precedentemente sorgeva Aurelia quanto piuttosto<br />
“perché Iano <strong>la</strong> chiamò Arezzo, da’l cognome del<strong>la</strong> donna sua Arezia, cioè Terra, <strong>la</strong> qual’<br />
Terra nelle Sacre Scritture si chiama Arez 373 ; dicendo Mosè nel principio del Genesi, Berescit<br />
Barah, elohim e ascianain, ve e Arez. Cioè nel principio creò Dio i Cieli e <strong>la</strong> Terra 374 . Fu<br />
adunque il nome di Arezzo, <strong>prima</strong> che Toti<strong>la</strong>, almanco 2580 anni; Perché tanti ne sono da <strong>la</strong><br />
seconda venuta di Iano, fino a Toti<strong>la</strong>…” 375 .<br />
Centrale fra le altre, è naturalmente <strong>la</strong> spiegazione aramaica del nome di Firenze, punto di<br />
snodo dell’ampio ordito noachico sviluppato fin dalle prime pagine del Gello, fornita dal<br />
Lenzoni:<br />
“Bastandomi…il poter dimostrare; che il vero nome del<strong>la</strong> mia Patria, non è Fluentia…Ma<br />
Florentia a Latini e Firenze a noi, da <strong>la</strong> insegna e da gli abitanti. Con cio sia che Fir in<br />
lingua aramea significa fiore, come appare nello VIII capo de Numeri nel<strong>la</strong> voce Fircah, cioè<br />
fior suo 376 : e nel Fircam cioè fior loro nel V cap. di Esaia 377 . Hen poi significa Gratia, come<br />
nel VI del Genesi, trovò Noè Hen (cioè gratia) davanti a Dio 378 . La onde congiunte insieme<br />
queste due voci, direbbono Fiore di Gratia o Fiore Gratioso. Et tale era veramente il<br />
bianchissimo Giglio, segno antichissimo de fiorentini.” 379<br />
Partico<strong>la</strong>re, questo del colore originario e autentico del giglio tutt’altro che insignificante, in<br />
quanto, determina <strong>la</strong> precisazione curziana che l’attuale colore del simbolo di Firenze è invece<br />
rosso e <strong>la</strong> seguente replica:<br />
“Sì ne tempi nostri…Ma non avanti <strong>la</strong> nimicissima divisione de’ Guelfi e de’ Ghibellini: che<br />
allhora lo rimutò <strong>la</strong> miserabile disavventura di questo popolo. Dicendo nel VI il Vil<strong>la</strong>no: Che<br />
i cittadini Guelfi, nel 1201, dove anticamente si portava il campo vermiglio, e il giglio<br />
Bianco; fecero per il contrario, il campo bianco e il giglio vermiglio. E i Ghibellini si<br />
ritennero <strong>la</strong> <strong>prima</strong> insegna.”<br />
Una replica, perfettamente funzionale, al<strong>la</strong> prospettiva politica germanica ghibellina<br />
filoasburgica e al mito del buon tempo antico, suggestioni ben presenti nel<strong>la</strong> produzione e<br />
negli intendimenti politico-letterari del Giambul<strong>la</strong>ri. A maggior ragione, vista <strong>la</strong> fonte in<br />
questione e <strong>la</strong> selezione compiuta dal canonico <strong>la</strong>urenziano che desta almeno qualche<br />
perplessità sul<strong>la</strong> casualità dell’errore nell’individuazione dell’anno di riferimento nel 1201<br />
invece che nel 1251. Vil<strong>la</strong>ni infatti, pur considerando nel<strong>la</strong> sua periodizzazione del<strong>la</strong> <strong>storia</strong><br />
fiorentina l’inizio dei conflitti cittadini del 1216, posticipa tuttavia, rispetto al<strong>la</strong> prospettiva<br />
dantesca e quindi all’orientamento del Giambul<strong>la</strong>ri <strong>la</strong> conclusione del buon tempo antico di<br />
cento anni dal<strong>la</strong> costituzione del primo popolo avvenuta nel 1250 in linea con il suo<br />
orientamento filo-guelfo. Nel<strong>la</strong> storiografia del Vil<strong>la</strong>ni, il 1250 che coincide con <strong>la</strong> morte di<br />
373 Cfr. in proposito anche <strong>la</strong> Chaldaica Grammatica a p. 9c1 dove leggiamo: “Berosus quoque vetustus ille<br />
historiographus idem confirmat dum asserit Noham terram vocasse Aretinam…”.<br />
374 Cfr. con Hebraica Biblia, cit., p. 1a1, il passo già da noi riportato di inizio del primo capitolo del<strong>la</strong> Genesi:<br />
“In principio creavit deus caelum et Terram.”<br />
375 Gello, cit., cfr. p. 65 e ivi, passo cit. a p. 66i1.<br />
376 Hebraica Biblia, cit., cfr. Numeri, cap. VIII, pp. 133z1-134z2.<br />
377 Ivi, cfr. Esaia, tomo II, cap. V, p. 369aa4.<br />
378 Ivi, cfr. p. 6a6 “Noah vero invenit gratiam in oculis domini.”<br />
379 Gello, cit., p. 68i2.<br />
60
Federico II e determina <strong>la</strong> fine del<strong>la</strong> egemonia imperiale sul<strong>la</strong> città e <strong>la</strong> nascita delle istituzioni<br />
comunali fiorentine appare un momento altamente positivo 380 .<br />
Diversamente in questo punto del Gello, al di là dei dubbi sull’indicazione dell’anno,<br />
l’estrapo<strong>la</strong>zione del Giambul<strong>la</strong>ri e <strong>la</strong> valutazione, testimoniano comunque l’impostazione<br />
filoghibellina del canonico <strong>la</strong>urenziano che sottolinea chiaramente come i ghibellini fiorentini<br />
siano i depositarii dell’autentico simbolo di Firenze con tanto di supporto dantesco 381 e in<br />
stretta consequenzialità con <strong>la</strong> spiegazione del significato del nome del<strong>la</strong> città viene formu<strong>la</strong>to<br />
sul<strong>la</strong> base del<strong>la</strong> versione biblica del’eterodosso tedesco Muenster.<br />
Dietro e oltre il piano linguistico, e le acc<strong>la</strong>rate finalità accademiche del trattattello, pertanto<br />
Giambul<strong>la</strong>ri fa trape<strong>la</strong>re anche in questo intervento una prospettiva sostanzialmente<br />
rispondente al<strong>la</strong> linea antiromana e filo-asburgica del<strong>la</strong> corte medicea 382 .<br />
Ipotesi confortata anche dal<strong>la</strong> prudente attesa cosimiana degli sviluppi del<strong>la</strong> situazione<br />
politico-religiosa e ai rapporti da lui intrattenuti nel biennio 1545-1546 con i principi<br />
protestanti, per arginare un’intesa troppo stretta tra Paolo III e Carlo V 383 .<br />
Senza dimenticare che il trattattello del Giambul<strong>la</strong>ri, viene approntato nell’estate del 1545, a<br />
ridosso dell’apertura del Concilio tanto a lungo invocato da parte asburgica e finalmente<br />
ottenuto nel marzo dello stesso anno. Concilio, <strong>la</strong> cui inaugurazione rinvigorisce le mai spente<br />
aspettative di concordia interne al<strong>la</strong> cristianità, secondo un orientamento di ampie prospettive<br />
non rigidamente e angustamente dottrinali proprie dello stesso Giambul<strong>la</strong>ri, visti i riferimenti<br />
culturali che esprime tanto nel Gello quanto nelle coeve lezioni dantesche 384 .<br />
Tornando al testo, infatti, Lenzoni, prosegue nel<strong>la</strong> spiegazione del nome Firenze in piena<br />
sintonia con <strong>la</strong> genealogia noachica, sostenendo che “il nome di Firenze è composto<br />
so<strong>la</strong>mente di due voci, cioè da Fir, che è fiore,…e di ez che vuol dire forte. Non perché dica<br />
380 Ivi, passo a p. 69i3. Il passo in questione, è tratto dalle Croniche del guelfo Giovanni Vil<strong>la</strong>ni morto nel 1348,<br />
ma cronologicamente e storicamente riguarda appunto <strong>la</strong> cacciata dei Ghibellini da Firenze compiuta, dopo <strong>la</strong><br />
vittoria conseguita contro Pistoia, dai guelfi ritornati dentro al<strong>la</strong> città in seguito al<strong>la</strong> morte di Federico II nel<br />
1250, e non nel 1201; leggiamo infatti in Cronica di Giovanni Vil<strong>la</strong>ni a miglior lezione ridotta coll’aiuto de testi<br />
a penna, Firenze, per il Magheri, 1823, tomo II, libro VI, cap. XLIII, alle pp. 65-66: “…le dette case de’<br />
ghibellini di Firenze furono cacciati e mandati fuori del<strong>la</strong> città per lo popolo di Firenze, il detto mese di Luglio<br />
1251. E cacciati i caporali de’ Ghibellini di Firenze, il popolo e gli Guelfi che dimoraro al<strong>la</strong> signoria di Firenze,<br />
si mutaro l’arme del comune di Firenze; e dove anticamente si portava il campo rosso e’l giglio bianco, si<br />
feciono per contrario il campo bianco e’l giglio rosso, e’ i ghibellini si ritennero <strong>la</strong> <strong>prima</strong> insegna, ma <strong>la</strong><br />
insegna antica del comune dimezzata bianca e rossa, cioè lo stendale ch’andava nell’osti in sul carroccio non si<br />
mutò mai.” Cfr. anche ivi, tomo I, libro V, cap. XL p. 261 “Nell’anno 1216…<strong>la</strong> ‘nsegna del comune di Firenze,<br />
il campo rosso e’l giglio bianco, fu <strong>la</strong> <strong>prima</strong> che si vide in su le mura di Damiata…” e ancora a proposito del<strong>la</strong><br />
morte dell’imperatore e del ritorno dei guelfi cfr, pp. 62-64. Sul<strong>la</strong> prospettiva guelfa del Vil<strong>la</strong>ni e sul<strong>la</strong> diversa<br />
prospettiva di periodizzazione del buon tempo antico rinviamo a N. Rubinstein, Il Medio Evo nel<strong>la</strong> storiografia<br />
italiana del Rinascimento, in “Lettere italiane”, 24, 1972, pp. 431-447; in partico<strong>la</strong>re pp. 434-436 e 444-446.<br />
Inoltre verifica Ch. T. Davis, Il buon tempo antico in Florentine Studies, ed. N. Rubinstein, Londra 1968, pp. 49-<br />
51.<br />
381 Ivi, nel<strong>la</strong> stessa pagina leggiamo infatti riguardo al mantenimento da parte dei Ghibellini dell’insegna<br />
originaria: “La qualcosa accennando il dottissimo Poeta nostro, induce il suo Cacciaguida nel XVI del Paradiso<br />
a dire così:<br />
“Con queste genti, vidi io, glorioso<br />
Et giusto il Popol’ suo tanto; che il Giglio<br />
Non era ad aste mai posto a ritroso:<br />
Né per division’ fatto vermiglio.”<br />
382 In questa direzione, ci sembra stranamente casuale, <strong>la</strong> vicinanza linguistica dei nomi di coloro i quali hanno<br />
dato il nome al popolo tedesco e a quello toscano. Il primo nasce posteriormente al secondo da “Tuisco Gigante,<br />
uno de figliuoli di Noè, nato dopo il diluvio: da’l quale dura anchor hoggi il nome Todesco, quasi Toesco, poco<br />
alterato da’l primo suono.” Che inizia a popo<strong>la</strong>re <strong>la</strong> Germania durante il quindicesimo anno di regno in Italia di<br />
Comero. L’altro, “quanto al nome Toscano…se lo ritiene da Tusco, figliuolo di Ercole Egittio, che successe al<br />
padre nel Regno… il 2291 de <strong>la</strong> creatione e 635 da il diluvio…”. Per i passi in questione cfr. Gello, cit.,<br />
rispettivamente alle pp. 29d3 e 48f4.<br />
383 Cfr. G. Fragnito, Un pratese al<strong>la</strong> corte di Cosimo I. Riflessioni e materiali per un profilo di Pier<strong>francesco</strong><br />
Riccio, in “Archivio di studi pratesi”, 1986, in partico<strong>la</strong>re pp. 42-45.<br />
384 Vedi supra, II paragrafo.<br />
61
Fior’forte…ma Fiore de forti, cioè de soldati di Hercole Egittio; posti qui ad habitare da<br />
Hercole stesso; come dianzi udiste dal Gello.” 385 Egli inoltre, recupera direttamente <strong>la</strong><br />
Chaldaica Grammatica munsteriana per giustificare nel passaggio da Firez a Firenze,<br />
l’aggiunta del<strong>la</strong> lettera n: “come lo n vi sia interposto, lo dichiara l’uso arameo, che lo<br />
chiama lettera servile: cioè non naturale, o fondamentale delle voci: ma aggiunta loro per<br />
comodità e servitio di quelle, talvolta di ripieno, e talvolta per uno uso sovrabbondante 386 ;<br />
come e quando e’dicono, IMBA, per IBA, cioè frutto…e ANTE per ATE, cioè Tu: come<br />
aperto mostra il Munstero nel<strong>la</strong> Gramatica de’ Caldei.” 387 Da cui, pertanto “aggiungendo lo<br />
e,…di Firenz, facciamo Firenze, fiore de forti, cioè de soldati d’Ercole Egittio. Il quale<br />
seccato il padule, <strong>la</strong>sciò i vecchi soldati a godersi questo bel piano…come provano<br />
apertamente le ragioni addotte dal Gello, da’l nome del Fiume; da <strong>la</strong> insegna sua; e da’l<br />
sigillo del Magistrato supremo di questa città, che ha sempre havuto <strong>la</strong> impronta di<br />
Hercole.” 388<br />
La insegna di Hercole, secondo quanto il Lenzoni chiarirà nei passaggi successivi, è il<br />
marzocco, il leone, simbolo del<strong>la</strong> Firenze repubblicana, riproposto in chiave aramaica con<br />
l’attribuzione di un significato del quale ancora una volta è evidente il debito nei confronti<br />
del<strong>la</strong> fonte muensteriana:<br />
“Mostramisi dunque <strong>la</strong> insegna d’Hercole nel Lione, perché egli uccise il Lione, vestissi di<br />
pelle di Lione; per cognome fu detto AR, e ARI, cioè Lione; al fiume nostro pose nome Arno,<br />
cioè Lion’ famoso…Aggiugnesi a tutto questo che e noi in memoria sua, Tegnamo anchora<br />
per Impresa il Lione, e chiamiamolo Marzocco: non perché questa voce a noi, o ad altri<br />
propriamente vaglia; Lione: Ma per mostrare che noi Siamo da Hercole. Conciosia che que’<br />
primi nostri…dovevano gridare, Mazoc, Mazoc, cioè fondator’ fondatore[…]tra i molti<br />
significati di questa voce Zoc, tanto suona el<strong>la</strong> in lingua Aramea, quanto a Latini,<br />
fondamento e sostenimento come ne Dittionarij del Munstero 389 .” 390<br />
Un debito, che va di pari passo nel precedente passaggio con <strong>la</strong> trasposizione di significato<br />
del termine marzocco, dalle sue originarie valenze repubblicane a valenze medicee.<br />
385 Ivi, passo cit. a 69i3.<br />
386 Cfr. Chaldaica Grammatica, cit., a p. 19d2 in cui leggiamo: “Et vocantur serviles, quod de dictionis essentia<br />
non sunt quando serviunt[…]. Constituunt atque syl<strong>la</strong>bae quaedam serviles ex his accidentarijs literis<br />
387 Gello, cit., passo cit. a p. 70.<br />
388 Ibidem.<br />
389 Su Zoc cfr. Dictionarium Hebraicum, cit., “…fundavit, fundamentum posuit: Psal. 89…Inde…fundamentum,<br />
basis…”. Inoltre, curioso è rilevare che nel<strong>la</strong> pressoché identica nuova edizione (<strong>la</strong> seconda) del Gello del 1549<br />
stampata dal Torrentino, viene aggiunto un ulteriore rimando al muensteriano Chaldaicum Dictionarium, quando<br />
leggiamo a proposito delle lettere etrusche scolpite su alcune medaglie ritrovate: “E che in alcune medaglie di<br />
quelle antichissime etrusche…dove da una banda si vede <strong>la</strong> testa di Iano con le due facce e dall’altro un delfino<br />
goffo e mal fatto a gal<strong>la</strong> in su l’acqua, manifestamente appariscono lettere etrusche nel suo d’intorno che dicono<br />
Orise<strong>la</strong> cioè libertà, secondo alcuni, che <strong>la</strong> interpretarono dal<strong>la</strong> voce ebrea Hhor, che significa libero.<br />
Avvegnachè, io seguitando come assai più antica <strong>la</strong> lingua caldea, intenda piuttosto Moneta di mio padre, da<br />
Hor che in quello idioma dice padre, e Je<strong>la</strong>, moneta di quattro denari, come nel dizionario caldeo del Muenstero<br />
agevolmente si può vedere.” In Lezioni di Messer Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri aggiuntovi l’origine del<strong>la</strong> lingua<br />
fiorentina altrimenti il Gello dello stesso autore, Mi<strong>la</strong>no, Giovanni Silvestri, 1827, passo cit., alle pp. 211-212.<br />
Una precedente edizione del Gello viene compiuta da Giuseppe degli Aromatari sotto il nome di Subasiano nel<br />
Tomo VI del<strong>la</strong> raccolta degli “Autori del ben par<strong>la</strong>re”, impressa in Venezia, nel<strong>la</strong> Salicata, 1643, in tomi XIX, in<br />
4, secondo quanto apprendiamo a p. 21 al<strong>la</strong> nota n. 6 del<strong>la</strong> I<strong>storia</strong> dell’Europa dall’800 al 913 di Messer Pier<br />
Francesco Giambul<strong>la</strong>ri, Torino, L’Unione tipografico-editrice, 1861. Dove si ricorda anche che le due edizioni<br />
del Gello del 1546 e del 1549 vengono citate dagli accademici del<strong>la</strong> Crusca nel loro Vocabo<strong>la</strong>rio (per ulteriori<br />
notizie riguardo al<strong>la</strong> recezione delle opere del Giambul<strong>la</strong>ri nei dizionari del<strong>la</strong> Crusca vedi infra capitolo III).<br />
390 Gello, cit., passo cit. a p. 71i4.<br />
391 La lettera inviata da Marzio Marzi de’ Medici Priore di S. Lorenzo a Pier Francesco Riccio preposto di Prato<br />
il 13 febbraio 1543 (che corrisponde per il calendario moderno al 1544) si trova in ASF, volume n. 1171, inserto<br />
n. 1, Foglio n. 20. Al riguardo e sul<strong>la</strong> questione del termine Marzocco cfr. A. D’Alessandro, Introduzione, cit.,<br />
pp. 62-63; cfr. inoltre P. Simoncelli, La lingua di Adamo, cit., pp. 21-22.<br />
62
Operazione peraltro, già avviata dal Gelli <strong>prima</strong> nell’Egloga a Cosimo, poi nel Dell’origine di<br />
Firenze inviato al Duca, come attesta <strong>la</strong> lettera mandata da Angelo de’ Marzi vescovo di<br />
Marsico e segretario di Cosimo I a Pier<strong>francesco</strong> Riccio in data 12 febbraio 1544, a cui viene<br />
allegata:<br />
“una lettera del Gello [Giambattista Gelli] dentrovi una del Giambul<strong>la</strong>ri per difinitione del<br />
Marzoccho. S. Ecc.tia [Cosimo I] m’ha comandato <strong>la</strong> mandi a V. S. R. perché lei <strong>la</strong> facci<br />
scrivere in quell’operetta del Gello, et a lui dirà che S. Ecc.tia l’ha havuta chara et quanto<br />
habbi commesso […]”. 391<br />
Pertanto, il Giambul<strong>la</strong>ri inserisce il suo contributo in merito al significato del termine<br />
Marzocco nel suo Gello in preparazione durante il 1544, dietro sollecitazione ducale.<br />
Del resto anche le ultime pagine del trattattello in cui viene smantel<strong>la</strong>ta <strong>la</strong> tesi del<strong>la</strong><br />
ricostruzione del<strong>la</strong> città ad opera di Carlo Magno confermano le propensioni medicee e<br />
filoghibelline del Giambul<strong>la</strong>ri 392 . Prospettiva nell’occasione sostenuta dal Curzio ma cara a<br />
tanta parte del<strong>la</strong> storiografia fiorentina dal Vil<strong>la</strong>ni, al Bruni, al Machiavelli, anche se secondo<br />
diverse sfumature e opzioni ideologiche 393 , <strong>la</strong> quale non può che trovare in disaccordo il<br />
canonico <strong>la</strong>urenziano. Essa infatti afferma l’antica e sedimentata propensione francofi<strong>la</strong> del<strong>la</strong><br />
città 394 , chiaramente inaccettabile per gli elementi fin’ora riscontrati agli occhi del canonico<br />
fiorentino che sembra guardare in direzione germanica o quantomeno asburgica.<br />
392 Gello, cit., cfr. pp. 76-78. Lo stesso Gelli ancora nel 1561 nel<strong>la</strong> Lettura sesta, lezione quinta in G. B. Gelli,<br />
Opere, cit., pp. 768-768 respinge <strong>la</strong> rifondazione carolingia del<strong>la</strong> città e <strong>la</strong> precedente distruzione attribuita dal<strong>la</strong><br />
tradizionale strogiorafia ad Atti<strong>la</strong> e a Toti<strong>la</strong>, in proposito si rinvia in partico<strong>la</strong>re alle pp. 773-776.<br />
393 In proposito rinviamo a N. Rubinstein, Il Medio Evo, cit.. Inoltre verifica Ch. T. Davis, Il buon tempo antico,<br />
cit., inoltre, riguardo al<strong>la</strong> prospettiva antimperiale del Bruni cfr. anche Frances A. Yates, Astrea. L’idea di<br />
Impero nel Cinquecento, Torino, Einaudi, 1978, in partico<strong>la</strong>re cfr. pp. 24-25.<br />
394 Sul<strong>la</strong> quale ivi, p. 445 e A. Aubert, Eterodossia e Controriforma nell’Italia del Cinquecento, Bari, Cacucci,<br />
2003, p. 10.<br />
63
Capitolo II<br />
1. La fortuna e motivi del<strong>la</strong> Storia d’Europa<br />
La Storia d’Europa e le sue fonti<br />
A più di trecento anni dal<strong>la</strong> scomparsa, una targa apposta nel chiostro del<strong>la</strong> chiesa di S.<br />
Lorenzo nel 1862, avrebbe reso omaggio a Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri quale autore del<strong>la</strong><br />
Storia d’Europa:<br />
Petrus Franciscus Giambu<strong>la</strong>rius<br />
canonicus basilicae <strong>la</strong>urentianae doctus sermones linguae ebraicae chaldaicae etruscae<br />
graecae <strong>la</strong>tinae nec non prec<strong>la</strong>ra doctrina et eruditione ornatus inter quae plura conscripsit<br />
longe eminet hi<strong>storia</strong>e europae ab anno DCCC ad MCC- in ea quippe fiorentini incorrupta<br />
sermonis integritas praelucet et narrationis mira iucunditas dulcissimusque candor sine<br />
satietate delectat- vir fuit sanctissimus castissimusque sacerdos et civis optimus atquenob<br />
virtutis opinionem iudicio principum et muneribus honestatus obiit sexagenarius gentis suae<br />
postremus anno MDLV. Cultores politioris humanitatis non incuriosi suorum memoriam vir<br />
praestantissimi titolo hoc vetustate senescere prohibueverunt.<br />
An. MDCCCLXII<br />
Segnale di un’avvenuta riscoperta dell’opera, sostanzialmente dimenticata sotto il profilo<br />
dell’interesse culturale e del<strong>la</strong> fortuna editoriale, seguito all’unica edizione cinquecentesca<br />
realizzata dallo stampatore veneziano di origini senesi Francesco De Franceschi 395 nel 1566<br />
dietro sollecitazione di Cosimo Bartoli 396 , e non più pubblicato fino al secolo XIX.<br />
Prima ed unica impressione cinquecentesca che nonostante sia supervisionata dal Bartoli<br />
che si trova stabilmente a Venezia dal 1562 quale agente mediceo in sostituzione di Pero<br />
Gelido fuggito a Lione 397 , presenta molti errori a partire dall’indicazione del periodo storico<br />
trattato contenuta nel titolo, dall’800 al 913 invece di quello effettivo dall’887 al 947.<br />
Confusione peraltro già denunciata dal Bartoli undici anni <strong>prima</strong> in conclusione<br />
dell’orazione funebre pronunciata per il Giambul<strong>la</strong>ri a Santa Maria Novel<strong>la</strong>, quando aveva<br />
sottolineato il carattere incompiuto dell’opera e l’intenzione di pubblicare “i più et più libri<br />
del<strong>la</strong> hi<strong>storia</strong> d’Europa, circa lo anno novecentesimo del<strong>la</strong> nostra salute, <strong>la</strong> quale egli con<br />
estrema diligentia, et meraviglioso giudizio aveva (cavando<strong>la</strong> dalle tenebre) messa in<br />
luce” 398 .<br />
Al di là di questo, nel<strong>la</strong> lettera dedicatoria dell’edizione veneziana del<strong>la</strong> Storia indirizzata a<br />
Cosimo, il Bartoli ribadisce l’elogio allo sforzo profuso dall’amico per comprendere un<br />
periodo oscuro e indecifrato in re<strong>la</strong>zione agli scrittori di storie secondo il consolidato motivo<br />
umanistico del valore esemp<strong>la</strong>re del<strong>la</strong> <strong>storia</strong>:<br />
395 Si rinvia preliminarmente al<strong>la</strong> voce De Franceschi Francesco, di L. Baldacchini, in DBI, vol. XXXVI,<br />
1988, pp. 30-35 e soprattutto a Dizionario de Tipografi e degli editori italiani. Il Cinquecento diretto da Marco<br />
Menato, Ennio Sandal, Giuseppina Zappel<strong>la</strong>, Editrice Bibliografica, Mi<strong>la</strong>no, 1997, in partico<strong>la</strong>re vedi vol. I: A-<br />
F, <strong>la</strong> voce Franceschi, Francesco de ed eredi, di Marcello Brusegan, pp. 450-453.<br />
396 Hi<strong>storia</strong> dell’Europa, cit..<br />
397 In proposito rinviamo a J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., per il periodo veneziano complessivo pp. 85-159, in<br />
partico<strong>la</strong>re per l’avvicendamento con Pero Gelido scappato a Lione ivi, pp. 85-86<br />
398 Ivi, p. 166.<br />
64
“quegli che hanno scritto le historie…ci hanno <strong>la</strong>sciata una viva memoria delle cose<br />
passate, per le quali non haremo notizia alcuna, mettendocele innanzi agli occhi in uno<br />
specchio, come se le vedessimo intervenire a tempi nostri. La qual cosa ci fa più accorti et più<br />
prudenti, in saperci risolvere, o di pigliare i partiti, o di schifare i pericoli, con gli esempi di<br />
altri[…]Del<strong>la</strong> qual sorte Scrittori se bene ce ne è pure assai buon numero, non è, però che<br />
delle azzioni occorse nel<strong>la</strong> Europa dalli anni 800 di nostra salute infino al 1200, non si<br />
desideri chi più <strong>la</strong>rgamente et distintamente le avessi scritte. Il che considerato già molti anni<br />
sono dal virtuoso Pier Francesco Giambul<strong>la</strong>ri, come desideroso di supplire a questo<br />
mancamento, avendo con sua non picco<strong>la</strong> spesa ragunati molti e molti Autori et <strong>la</strong>tini, et<br />
Grechi et Franzesi, et Todeschi, et Spagnoli, et Inghilesi et Italiani, et di altre nazioni, che<br />
sparsamente ragionavano delle cose di quei tempi, et assai confusamente, si deliberò con<br />
molta fatica et diligentia sua di mettere una hi<strong>storia</strong> ordinata insieme delle cose che in quei<br />
tempi occorsono…” 399<br />
Da questo momento in poi si verifica una sorta di schiacciamento del<strong>la</strong> dimensione storica<br />
del<strong>la</strong> produzione culturale del canonico <strong>la</strong>urenziano esclusivamente considerato quale<br />
grammatico e linguista. Le menzioni e gli apprezzamenti che pure <strong>la</strong> Storia d’Europa, riceve,<br />
a partire dal<strong>la</strong> seconda metà del Seicento, nei dizionari dell’Accademia del<strong>la</strong> Crusca<br />
rimangono limitati ad una valutazione linguistica e stilistica 400 .<br />
399 Ivi, Cosimo Bartoli, Allo illustris. Et eccellentiss. S. il S. Cosimo de Medici duca di Firenze e Siena…, Di<br />
Venetia, alli 12 di Settembre MDLXVI (pagine non numerate).<br />
400 In proposito cfr. Vocabo<strong>la</strong>rio degli accademici del<strong>la</strong> Crusca, in questa terza impressione Nuovamente<br />
corretto e copiosamente accresciuto…, in Firenze MDCXCI, nel<strong>la</strong> stamperia dell’Accademia del<strong>la</strong> Crusca, III<br />
voll., in partico<strong>la</strong>re all’interno del vol. I nell’elenco degli Autori moderni citati in difetto o confermazion degli<br />
antichi per dimostrazion dell’uso, o per qualch’altra occorrenza, a p. 32 “La <strong>storia</strong> dell’Europa del<br />
Giambul<strong>la</strong>ri”. Da notare nel<strong>la</strong> pagina precedente <strong>la</strong> menzione di Bernardo Giambul<strong>la</strong>ri insieme a Luca Pulci per<br />
il “Ciriffo Calvaneo”. Infatti nel tomo I degli Atti dell’Accademia del<strong>la</strong> Crusca, stampato in Firenze nel 1819,<br />
al<strong>la</strong> carta LXXIII si ricorda che il 20 settembre 1658, i deputati al<strong>la</strong> compi<strong>la</strong>zione del vocabo<strong>la</strong>rio stabiliscono di<br />
citare <strong>la</strong> Storia del Giambul<strong>la</strong>ri e ne affidano lo spoglio al dottor Simon Berti denominato lo Smunto come<br />
ricaviamo da A. Mortara, Notizie intorno al<strong>la</strong> vita ed alle opere di Pier Francesco Giambul<strong>la</strong>ri, cit., in I<strong>storia</strong><br />
dell’Europa dall’800 al 913 di Messer Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri, testo di lingua, Torino, l’Unione tipograficoeditrice,<br />
1861, a p. 35. (Anche nelle pagine precedenti, del resto, abbiamo ulteriori elementi che testimoniano del<br />
lungo tempo atteso dalle opere del canonico per un’effettiva recezione se non addirittura ne siano date<br />
segna<strong>la</strong>zioni erronee dal Tiraboschi come per il Del<strong>la</strong> lingua che si par<strong>la</strong> e scrive in Firenze per il quale ivi<br />
rinviamo alle pp. 28-29, oppure per le Lezzioni di M. Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri lette nell’Accademia fiorentina,<br />
cit., che possono essere state menzionate in qualche edizione del suddetto vocabo<strong>la</strong>rio come parte delle Prose<br />
fiorentine, Firenze, Tartini e Franchi, 1716-1731, voll. 17; in proposito vedi ivi, pp. 29-30. Notizia confermata<br />
anche dall’assenza del Giambul<strong>la</strong>ri negli elenchi di precedenti edizioni del suddetto dizionario come <strong>la</strong> <strong>prima</strong><br />
edizione veneziana secentesca Vocabo<strong>la</strong>rio degli Accademici del<strong>la</strong> Crusca, con tre indici delle voci, locuzioni, e<br />
proverbi Latini, e Greci, posti per entro l’Opera. Con privilegio del sommo pontefice, del Re Cattolico, del<strong>la</strong><br />
Serenissima Repubblica di Venezia, e degli altri Principi, e Potentati d’Italia, e fuor d’Italia, del<strong>la</strong> Maestà<br />
Cesarea, del Re Cristianissimo…in Venetia, MDCXII, appresso Giovanni Alberti, 1612 (sul<strong>la</strong> quale cfr. M.<br />
Sciarrini, “La Italia Natione”. Il sentimento nazionale italiano in età moderna, Mi<strong>la</strong>no, Franco Angeli, Roma,<br />
2004, in partico<strong>la</strong>re pp. 137-141) e parimenti nel<strong>la</strong> seconda impressione…, in Venezia, MDCXXIII, appresso<br />
Iacopo Sarzina.<br />
Anche nell’ottocentesco Vocabo<strong>la</strong>rio degli accademici del<strong>la</strong> Crusca, in Firenze, nel<strong>la</strong> tipografia galileiana di M.<br />
Cellini e c., (quinta impressione) 1863-1866, XII voll. sebbene ivi <strong>la</strong> Storia sia chiaramente richiamata ed<br />
indicata al vol. I a p. XLVIIIf4, vengono piuttosto valorizzati altri contributi del canonico <strong>la</strong>urenziano come<br />
vediamo nel vol. II, 1866, pp. 339-340 dove <strong>la</strong> voce cabalista contiene una definizione costituita dal<strong>la</strong> citazione<br />
tratta dal<strong>la</strong> dantesca lezione II in Lezioni…1551, cit., p. 47.<br />
Inoltre, sul<strong>la</strong> nascita dell’accademia del<strong>la</strong> Crusca cfr. M. P<strong>la</strong>isance, Le accademie fiorentine negli anni ottanta<br />
del Cinquecento in Piero Gargiulo, Alessandro Magini, Stéphane Toussaint, éds., Neop<strong>la</strong>tonismo, musica,<br />
letteratura nel Rinascimento. I Bardi di Vernio e l’Accademia del<strong>la</strong> Crusca, Prato, “Cahiers Accademia”, I,<br />
2000, pp. 31-39, ora in M. P<strong>la</strong>isance, L’Accademia e il suo principe, cit., pp. 363-374, in partico<strong>la</strong>re cfr. pp. 366-<br />
374.<br />
65
Nel corso del Settecento <strong>la</strong> situazione non muta sensibilmente come dimostrano i giudizi di<br />
Giambattista Vico 401 e Lodovico Antonio Muratori 402 , circoscritti alle posizioni aramaiche e<br />
al Gello del Giambul<strong>la</strong>ri.<br />
Soltanto verso <strong>la</strong> fine del Settecento Giro<strong>la</strong>mo Tiraboschi 403 torna sul contributo storico del<br />
Giambul<strong>la</strong>ri, elogiandone l’impegno profuso per “sceverare” tante fonti. Tuttavia, sul<strong>la</strong><br />
falsariga di Muratori, il Tiraboschi considera Carlo Sigonio un modello imprescindibile ed<br />
inarrivabile per lo studio e <strong>la</strong> comprensione dell’epoca medievale 404 , preferendolo al<br />
Giambul<strong>la</strong>ri anche perché capace di completare <strong>la</strong> narrazione storica dal IX al XIII secolo<br />
diversamente dal canonico <strong>la</strong>urenziano. 405<br />
Inoltre, il Tiraboschi pur apprezzando stilisticamente <strong>la</strong> Storia del Giambul<strong>la</strong>ri ne critica <strong>la</strong><br />
grammatica e l’ortografia, in linea con i rilievi già espressi da Apostolo Zeno. 406<br />
401 G. Vico, Principi di Scienza Nuova d’intorno al<strong>la</strong> comun natura delle nazioni, in questa terza impressione<br />
dal medesimo autore in un gran numero di luoghi corretta, schiarita e notabilmente accresciuta 1744, in G.<br />
Vico, Opere, a cura di Fausto Nicolini, Napoli, Riccardo Ricciardi, Verona, 1953, pp. 365-905, cfr. in partico<strong>la</strong>re<br />
pp. 472-473: “Questa dignità dà altresì i principi di scienza all’argomento di che scrisse il Giambul<strong>la</strong>ri: che <strong>la</strong><br />
lingua Toscana sia d’origine siriaca. La quale non potè provenire che dagli più antichi fenici, che furono i primi<br />
navigatori del mondo antico, come poco sopra n’abbiamo proposto una dignità…”<br />
402 Nelle Dissertazioni sopra le antichità italiane nel<strong>la</strong> dissertazione XXIII, Dell’origine o sia dell’etimologia<br />
delle voci italiane, leggiamo: “Sia a me permesso di dire mancar di molto in chi ha finquì ricercato onde sia<br />
nata buona copia de’ nostri vocaboli, imperciocchè troppo facilmente si persuasero uomini dotti che quasi tutte<br />
le voci italiane sieno derivate dal<strong>la</strong> lingua <strong>la</strong>tina o greca, nel li credo io ingannati. Ci sono altre nazioni presso<br />
le quali si dee cercare e si trova l’origine di non pochi de’ nostri vocaboli. Né migliore strada presero coloro<br />
che dedussero dal<strong>la</strong> provenzale non poche d’esse voci, e di bei sogni propose il Giambul<strong>la</strong>ri con cercarne <strong>la</strong><br />
miniera nel<strong>la</strong> lingua aramea. Ma noi molto men di quel che si crede abbiam preso dal greco linguaggio,<br />
pochissimo dagli Ebrei; e quei pochi vocaboli che dal<strong>la</strong> Provenza passarono in Italia furono bensì usati da<br />
qualche scrittore, ma non già adottati dal popolo.” In Dal Muratori al Cesarotti. Opere di Lodovico Antonio<br />
Muratori, a cura di Giorgio Falco e Fiorenzo Forti, V tomi, Riccardo Ricciardi, Verona, 1978, passo cit. in tomo<br />
I, parte I, p. 649.<br />
403 Storia del<strong>la</strong> Letteratura italiana del cav. Abate Giro<strong>la</strong>mo Tiraboschi. Dall’anno MD fino all’anno MDCCC,<br />
Firenze, presso Molni, Landi e c., 1805-1813, IX tomi., (<strong>prima</strong> edizione Modena, 1772), sul quale cfr. E.<br />
Raimondi, I lumi dell’erudizione. Saggi sul Settecento italiano, Mi<strong>la</strong>no, Vita e pensiero, 1989 e AA. VV.,<br />
Tiraboschi: miscel<strong>la</strong>nea di studi, a cura di Anna Rosa Venturi Barbolini, Modena, Biblioteca Estense<br />
Universitaria, 1997.<br />
404 In proposito, E. Raimondi, I lumi dell’erudizione, cit., in partico<strong>la</strong>re p. 135.<br />
405 Storia del<strong>la</strong> Letteratura italiana, cit., tomo VII, Dall’anno MD all’anno MDC, parte II, libro III, pp. 886-<br />
887 dove leggiamo con evidenti imprecisioni anche sull’anno di morte del Giambul<strong>la</strong>ri: “Più esatta e più utile<br />
sarebbe stata <strong>la</strong> <strong>storia</strong> di Pier Francesco Giambul<strong>la</strong>ri fiorentino, se avesse potuto condur<strong>la</strong> al<strong>la</strong> fine. Avea egli<br />
intrapreso a scrivere una Storia d’Europa, cominciando dal principio del IX secolo, e veggendo che le altre<br />
Storie finallora pubblicate erano o superficiali, o favolose, avea raccolto gran copia di scrittori antichi e<br />
moderni di qualunque nazione per confrontargli tra loro, e discutere i lor racconti. Ma egli, giunto al libro VII,<br />
cioè all’an. 913, finì di vivere in età d circa 69 anni nel 1563, e <strong>la</strong> sua <strong>storia</strong> non fu stampata che due anni<br />
appresso[…]A questi scrittori di <strong>storia</strong> generale altri ne aggiungerò a questo luogo, che benché prendessero ad<br />
argomento de’ loro racconti o le sole vicende italiane, o qualche parte di esse, perché nondimen trattenersi ne’<br />
tempi da noi più rimoti possono andar del pari co’ mentovati finora.[…]Ma queste opere e questi scrittori<br />
svaniscono innanzi all’immortale Siconio. Egli è il solo che fra <strong>la</strong> folta caligine de’ barbari secoli passeggia con<br />
piè sicuro e sparge luce per ogni parte.” In partico<strong>la</strong>re ivi, sul Sigonio vedi pp. 820-837.<br />
406 Ivi, tomo VII, cit., parte quarta, libro III, leggiamo alle pp. 1567-1568: “il primo fra’ Toscani a scrivere<br />
del<strong>la</strong> lingua italiana fu Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri di patria fiorentino, di cui già si è detto nel ragionare degli<br />
storici. Qui dunque ne rammenteremo solo il Gello…Volle il Giambul<strong>la</strong>ri persuaderci che <strong>la</strong> nostra lingua<br />
venisse dall’antica etrusca, e fosse accresciuta poi anche dall’ebraica e dall’aramea; e ognun può immaginare<br />
quai belle cose dovesse dire su tal proposito. Nondimeno ei dee aversi in conto di uno degli scrittori più<br />
benemeriti del<strong>la</strong> lingua italiana per <strong>la</strong> sceltezza delle voci e dell’espressioni. Non così riguardo al<strong>la</strong> grammatica<br />
e al<strong>la</strong> ortografia, nelle quali, come avverte Apostolo Zeno (l. c. p. 25), ei non è modello troppo degno<br />
d’imitazione, essendo a lui pure avvenuto ciò che secondo il can. Salvino Salvini…accadde talvolta ad altri<br />
Toscani, cioè ch’essi, fondati sul benefizio del Cielo, che donò loro il più gentil par<strong>la</strong>re d’Italia, trascurano i<br />
loro stessi beni, non osservando perfettamente l’esatta correzione, e non curandosi di aggiungere al<strong>la</strong> fertilità,<br />
per dir così, del lor terreno <strong>la</strong> necessaria cultura e a’ loro componimenti l’ultimo pulimento.”<br />
66
Peraltro, lo stesso Tiraboschi dimostra di aver letto tutt’altro che attentamente <strong>la</strong> Storia del<br />
Giambul<strong>la</strong>ri come non mancherà di rilevare il vero artefice del ri<strong>la</strong>ncio dell’opera del<br />
canonico <strong>la</strong>urenziano: Pietro Giordani 407 .<br />
Il celebre purista, infatti, elogia grandemente lo stile del<strong>la</strong> prosa del Giambul<strong>la</strong>ri<br />
definendolo un “mellifluo Erodoto”, capace di rieccheggiare <strong>la</strong> naturalità del<strong>la</strong> lingua italiana<br />
del Trecento e di riprodurre lo stile greco. Il Giordani fautore di una prospettiva linguistica<br />
non scevra da una volontà di rottura col modello educativo e culturale di matrice<br />
controriformista, esalta lo stile del canonico <strong>la</strong>urenziano per quel<strong>la</strong> naturalità che manca al<strong>la</strong><br />
prosa dei <strong>la</strong>tini, fondamentale invece sotto il profilo dell’apporto lessicale al<strong>la</strong> formazione<br />
del<strong>la</strong> nostra lingua. 408<br />
A parte questo, l’appel<strong>la</strong>tivo del Giordani si spiega, oltre che con una non improbabile<br />
allusione al<strong>la</strong> valenza di Erodoto come fonte del filone etrusco tanto caro al Giambul<strong>la</strong>ri 409 ,<br />
anche in re<strong>la</strong>zione al quadro storico che il canonico <strong>la</strong>urenziano voleva rappresentare. In<br />
un’altra delle sue lettere il Giordani afferma:<br />
“Se mai fu in Italia chi potesse rappresentarci Erodoto, o è questi, o altri non ne conosco.<br />
Che ampio e bel disegno di <strong>storia</strong> se <strong>la</strong> vita gli fosse bastata a colorirlo! E quanta fatica gli<br />
dovette costare poiché non erano ancora al mondo i <strong>la</strong>vori di Carlo Sigonio, a portar luce in<br />
que’ tre secoli tanto infelici e tenebrosi che furono dall’887 al 1200!” 410<br />
Un giudizio che si inquadra nel<strong>la</strong> generale riscoperta che il Romanticismo compie del<br />
Medio Evo in evidente opposizione al<strong>la</strong> sua prevalente ma non esclusiva liquidazione durante<br />
il secolo dei Lumi quale epoca storica di barbarie e oscurantismo, sul<strong>la</strong> falsariga di<br />
orientamenti interpretativi e schemi storiografici <strong>la</strong>rgamente attinti dall’Umanesimo.<br />
In proposito cfr. I<strong>storia</strong> dell’Europa dall’800 al 913 di Messer Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri. Testo di lingua,<br />
Torino, L’Unione tipografico-editrice, 1861 in cui si riferisce il parere del Tiraboschi con annessa confutazione<br />
delle deficienze grammaticali del Giambul<strong>la</strong>ri da lui denunciate, cfr. pp. 27-28.<br />
Inoltre su Apostolo Zeno rinviamo a Storia del<strong>la</strong> Letteratura, Fabbri, Mi<strong>la</strong>no 1967, ad indicem; H. Kindermann,<br />
Teatro europeo del Rococò, in Sensibilità razionalismo nel Settecento, Firenze, 1967; G. Torcel<strong>la</strong>n, Giornalismo<br />
e cultura illuministica nel Settecento veneto, in Settecento veneto, Torino 1969, ad indicem.<br />
407 Sul quale vedi <strong>la</strong> re<strong>la</strong>tiva voce Giordani Pietro di G. Monsagrati, su DBI, vol. LV, Roma, 2000, pp. 219-<br />
226, cfr. inoltre Pietro Giordani nel II centenario del<strong>la</strong> nascita. Atti del Convegno di studi, Piacenza, 16-18<br />
marzo 1974, cassa di risparmio di Piacenza, 1974, ivi, in partico<strong>la</strong>re per un sintetico e generale profilo di questa<br />
figura <strong>la</strong> re<strong>la</strong>zione introduttiva di Carlo Dionisotti, Discorso introduttivo, pp. 1-20. A proposito del<strong>la</strong><br />
stigmatizzazione delle inesattezze del Tiraboschi vedi in P. Giordani, Opere, XIV voll., a cura di Antonio<br />
Gussalli, Mi<strong>la</strong>no, per Francesco Sanvito, 1854-1863, ivi, vol. X, p. 426 in cui accusa il Tiraboschi addirittura di<br />
non aver letto l’opera del canonico <strong>la</strong>urenziano.<br />
Tuttavia, l’errore compiuto dal Tiraboschi nel definire l’arco cronologico dell’opera dall’800 al 913 sarebbe<br />
stato commesso anche in molte altre edizioni ottocentesche del<strong>la</strong> Storia d’Europa che d’altronde lo criticano per<br />
le indicazioni errate sul<strong>la</strong> confusione fatta nel<strong>la</strong> recezione delle opere del canonico nei Dizionari del<strong>la</strong> Crusca.<br />
Inoltre vedi supra nota 12 per l’edizione del 1861 e ancora I<strong>storia</strong> d’Europa…dal DCCC al DCCCCXIII,<br />
Mi<strong>la</strong>no, casa editrice di M. Guigoni, 1873, che ripropone le notizie del..Mortara, cit..<br />
408 P. Giordani, Opere, cit., a proposito del giudizio sul Giambul<strong>la</strong>ri, vedi <strong>la</strong> lettera inviata da Mi<strong>la</strong>no il 20<br />
maggio 1817 al Conte Pompeo del Toso a Vicenza, vol. IV, pp. 64-66, e soprattutto a p. 65 il passo in cui il<br />
Giordani esprime il giudizio sopra ricordato e <strong>la</strong>menta <strong>la</strong> scorrettezza dell’edizione cinquecentesca del<strong>la</strong> Storia<br />
d’Europa manifestando chiaramente il proposito di realizzarne una nuova edizione: “Ond’è ottimo ch’io non<br />
pensi al guadagno che niuno ne farei; ma solo al piacere degli studiosi, cercando di pubblicare qualche buon<br />
libro poco divulgato. Ho l’animo al Giambul<strong>la</strong>ri: ma pesami di non poter trovare qualche manoscritto, onde<br />
medicare alcun poco quell’unica stampa, dal<strong>la</strong> quale si spesso non si riesce di cavar senso. Ma vedremo; e si farà<br />
il meno male possibile. Certo quel<strong>la</strong> prosa mi pare un gran che: el<strong>la</strong> so<strong>la</strong> fra le italiane mi rende un poco del<br />
mellifluo Erodoto.” Sul<strong>la</strong> distinzione tra stile e lingua dei trecentisti in re<strong>la</strong>zione al <strong>la</strong>tino in chiave di rottura con<br />
<strong>la</strong> Controriforma rinviamo a Sebastiano Timpanaro, Il Giordani e <strong>la</strong> questione del<strong>la</strong> lingua in Pietro Giordani,<br />
cit., pp. 157-208, pp. 175-185, in partico<strong>la</strong>re nota 65 a p. 185; inoltre ivi, riguardo al giudizio espresso sul<br />
Giambul<strong>la</strong>ri cfr. <strong>la</strong> nota 43 a p. 176 e <strong>la</strong> nota n. 62 a p. 183.<br />
409 In proposito cfr. G. Cipriani, Il mito etrusco, cit., p. 33 in partico<strong>la</strong>re nota n. 68.<br />
410 Ivi, lettera del 1821 al tipografo Niccolò Bottoni, vol. X, pp. 423-427, passo cit. a p. 426.<br />
67
Una piena coscienza del Medio Evo, del resto, dopo gli sconvolgimenti rivoluzionari, viene<br />
percepita come irrinunciabile esigenza al fine di un pieno ristabilimento dello spirito e del<strong>la</strong><br />
coscienza identitaria europea. Un recupero naturalmente non puramente nostalgico e rivolto al<br />
passato come quello mistico proposto dal Novalis nell’ambito del<strong>la</strong> Restaurazione che rifiuta<br />
<strong>la</strong> Riforma protestante e <strong>la</strong> modernità, ma che sia capace di cogliere nel processo in atto<br />
dell’affermazione spirituale del principio nazionale non più limitato ad una sfera meramente<br />
etnico-linguistica, le imprescindibili origini romano-barbariche, nel<strong>la</strong> prospettiva avanzata tra<br />
gli altri, dal Guizot 411 .<br />
La riscoperta medievale poi, attraverso l’esaltazione del primordiale spirito libertario delle<br />
stirpi germaniche, gioca un ruolo estremamente importante nel rinvigorimento del mito del<strong>la</strong><br />
superiorità del<strong>la</strong> civiltà europea quale assetto politico-spirituale fondato sul<strong>la</strong> libertà, di cui<br />
primo antesignano anche se con riferimento ad un’Europa limitata al<strong>la</strong> Grecia era stato<br />
proprio Erodoto in antitesi al<strong>la</strong> tirannide orientale del mondo persiano. 412<br />
Pertanto, sul<strong>la</strong> base di queste suggestioni <strong>la</strong> Storia del Giambul<strong>la</strong>ri suscita nuova curiosità.<br />
Tanto più che il nostro canonico costruisce <strong>la</strong> propria narrazione delle vicende del continente<br />
su questo doppio binario, di unità spirituale e di molteplicità politico-storica, secondo quanto<br />
il Bartoli aveva detto del<strong>la</strong> raccolta e dell’uso delle fonti operato dal Giambul<strong>la</strong>ri.<br />
Fin dalle prime battute, come sottolinea Carlo Curcio, l’Europa descritta dal Giambul<strong>la</strong>ri<br />
appare come un “contenente” <strong>la</strong> cui <strong>storia</strong> “procede per nazioni e per paesi. La <strong>storia</strong><br />
d’Europa, per <strong>la</strong> <strong>prima</strong> volta, è <strong>storia</strong> dei popoli d’Europa, delle nazioni europee.” Spesso<br />
sembra imporsi quale criterio fondativo del<strong>la</strong> <strong>storia</strong> <strong>la</strong> geografia, ma poi riemerge il col<strong>la</strong>nte<br />
unitario spirituale costituito dal Cristianesimo, specie in re<strong>la</strong>zione ad invasioni esterne, ma<br />
sempre secondo questo duplice binario di unità molteplicità. Scrive infatti ancora il Curcio:<br />
“Non c’era nel<strong>la</strong> <strong>storia</strong> del Giambul<strong>la</strong>ri, <strong>la</strong> Cristianità, c’erano nazioni cristiane, c’erano<br />
Cristiani. Ecco, ancora un legame spirituale, il legame che teneva uniti i popoli del<br />
continente. Tale unione si notava soprattutto quando genti d’altre razze e d’altri continenti<br />
invadevano l’Europa[…]In Europa vi erano pel Giambul<strong>la</strong>ri, nazioni con caratteri, costumi,<br />
indirizzi politici ormai staccati ed evidenti. V’erano contrasti e guerre, altro segno<br />
dell’individualità di quelle nazioni. Entro quel ‘contenente’ non c’era armonia di spiriti.” 413<br />
Del resto, in questa direzione va tenuto presente sia l’anno di inizio del<strong>la</strong> narrazione del<strong>la</strong><br />
Storia, sia il momento storico in cui Giambul<strong>la</strong>ri si dedica al<strong>la</strong> sua composizione. La<br />
narrazione del canonico <strong>la</strong>urenziano parte significativamente dall’887, momento nel quale<br />
l’impero carolingio si sgreto<strong>la</strong> definitivamente nei tre regni autonomi di Francia, Germania ed<br />
411 Al riguardo rinviamo in primo luogo a Marcello Verga, Storie d’Europa. Secoli XVIII-XXI, Roma, Carocci<br />
editore, 2004, pp. 35-46 e F. Chabod, Storia dell’idea d’Europa, a cura di Ernesto Sestan e Armando Saitta,<br />
Bari, Laterza, 1995, (<strong>prima</strong> edizione 1964), pp. 104, 125-144 e 152-153; inoltre ivi, Appendice, pp. 161-171, in<br />
partico<strong>la</strong>re pp. 161-164 e ancora su Guizot, id., Nazione ed Europa nel pensiero dell’Ottocento in “Quaderni<br />
ACI”, 6 (1951) pp. 17-32, ora in id., Idea di Europa e politica dell’equilibrio, a cura di Luisa Azzolini, Bologna,<br />
Il Mulino, 1995, pp. 259-283, in partico<strong>la</strong>re pp. 269-276; inoltre, cfr. G. Ca<strong>la</strong>brò, L’idea di Europa di Chabod, in<br />
“La Cultura”, a. XLII, n. 2, agosto 2004, pp. 235-255, sul<strong>la</strong> riconsiderazione ottocentesca del periodo medievale<br />
pp. 237 e 239, 250-255, e C. Curcio, Europa. Storia di un’idea, Firenze, Vallecchi, 1958, II voll., pp. 502-503.<br />
Infine sull’Europa Medievale, cfr. anche Roberto Lopez, La nascita dell’Europa secoli V-XIV, Torino, Einaudi,<br />
1966 (traduzione di Naissance de l’Europe, Parigi, Armand Colin, 1962) cfr. AA.VV., Il Medioevo dagli<br />
orizzonti aperti, Atti del<strong>la</strong> giornata di studio per Roberto Lopez, Genova, 9 giugno 1987, Genova, cooperativa<br />
grafica, 1989.<br />
412 Su Erodoto, F. Chabod, Storia dell’idea d’Europa, cit., in partico<strong>la</strong>re pp. 23-24, e id., L’idea di Europa.<br />
Prolusione al corso di Storia moderna nell’Università di Roma 22 gennaio 1947 nel<strong>la</strong> “Rassegna d’Italia”, II,<br />
1947, n. 4, pp. 3-17, n.5 pp. 25-37, ora in Idea d’Europa e politica dell’equilibrio, cit., pp. 139-203, in<br />
partico<strong>la</strong>re pp. 142-143 e C. Curcio, Europa Storia di un’idea, cit., I vol., pp. 55-58; inoltre G. Ca<strong>la</strong>brò, L’idea di<br />
Europa di Chabod, cit., p. 236.<br />
413 C. Curcio, Europa <strong>storia</strong> di un’idea, cit., passi alle pp. 204-205.<br />
68
Italia con <strong>la</strong> deposizione di Carlo Il Grosso 414 . Inoltre, quando il Giambul<strong>la</strong>ri <strong>la</strong>vora al<strong>la</strong><br />
Storia 415 , siamo negli anni quaranta, (in partico<strong>la</strong>re cinque dei sette libri pervenutici nel<strong>la</strong><br />
versione del testo a stampa sono ultimati entro il 1547 416 ) fase in cui <strong>la</strong> cristianità europea<br />
appare gravemente <strong>la</strong>cerata dal dissidio tra protestanti e cattolici e dallo scontro militare tra<br />
Carlo V e <strong>la</strong> Lega di Smalcalda.<br />
Tuttavia, nel<strong>la</strong> Storia d’Europa il canonico <strong>la</strong>urenziano non si limita semplicemente a<br />
registrare queste profonde divisioni. Egli, infatti, sostiene con forza <strong>la</strong> permanenza del<br />
principio imperiale e <strong>la</strong> sua capacità di operare quale fattore essenziale dello sviluppo europeo<br />
a partire dal momento in cui si verifica <strong>la</strong> Trans<strong>la</strong>tio imperii dagli imperatori carolingi agli<br />
imperatori Sassoni, Arrigo e soprattutto suo figlio Ottone I. Certo ormai l’idea imperiale non è<br />
più figlia dell’ecumene romana e del<strong>la</strong> istanza universalistica del<strong>la</strong> cultura greco-romana, ma<br />
il prodotto dell’incontro e del<strong>la</strong> fusione tra le nuove stirpi germaniche e <strong>la</strong> cultura cristiana.<br />
Come vedremo, peraltro, il comune sostrato cristiano non interviene nel<strong>la</strong> Storia, soltanto<br />
saltuariamente in caso di attacco degli infedeli e barbari Ungheri o dei Saraceni a costituire un<br />
col<strong>la</strong>nte provvisorio e temporaneo. Gli imperatori sassoni, guidati dal<strong>la</strong> volontà e dal favore<br />
divino come l’autore sottolinea ripetutamente, svolgono una missione di guida morale e<br />
politica del<strong>la</strong> cristianità. Ruolo imperiale a cui corrisponde <strong>la</strong> marginalizzazione di Roma e<br />
molte volte <strong>la</strong> negativa rappresentazione dei pontefici medievali e delle loro azioni antitetiche<br />
all’imperatore e conseguentemente agli autentici interessi del<strong>la</strong> Res publica christiana.<br />
Pertanto lo scritto riprende <strong>la</strong> prospettiva filoghibellina e filoerasmiana rilevata negli altri<br />
interventi del Giambul<strong>la</strong>ri, <strong>la</strong> quale influenza profondamente <strong>la</strong> stessa concezione del potere<br />
imperiale di Carlo V 417 , per il tramite di Mercurino da Gattinara, pur non essendone l’unica<br />
componente. Il grande cancelliere dell’imperatore, del resto, e<strong>la</strong>bora una prospettiva imperiale<br />
sincretistica, basata sul<strong>la</strong> concezione medievale che privilegia l’elemento germanico, quel<strong>la</strong><br />
umanistica che rivendica <strong>la</strong> centralità di Roma e dell’Italia e quel<strong>la</strong> erasmiana che, in un<br />
panorama di Stati e principi indipendenti, trasferisce al concerto tra sovrani <strong>la</strong> tute<strong>la</strong> dei valori<br />
del<strong>la</strong> Res publica christiana.<br />
414 Sul periodo carolingio cfr. Nascita dell’Europa ed Europa carolingia: un’equazione da verificare, settimana<br />
di studio 19-25 aprile 1979, II voll., Centro Italiano di studi sull’alto medioevo, Spoleto, 1981.<br />
415 Fin da ora e per <strong>la</strong> successiva analisi delle fonti faremo riferimento al<strong>la</strong> I<strong>storia</strong> d’Europa, a cura di G.<br />
Marangoni, cit..<br />
416 La lezione a stampa infatti, nell’edizione I<strong>storia</strong> d’Europa, a cura di G. Marangoni, cit., cui facciamo<br />
riferimento fin da ora e per <strong>la</strong> successiva analisi sulle fonti, conferma che sicuramente cinque dei sette libri a noi<br />
complessivamente giunti, viene completata già nel 1547, attraverso un riferimento contenuto nel primo libro<br />
dove leggiamo a p. 11 a proposito delle città boeme “Le città principali sono Volograd, modernamente chiamata<br />
Olmic, e Bruna e Znoimia, dove mancò di vita lo imperatore Sigismondo, non sono oltre a cento dieci anni.” e<br />
due passi del quinto che alludono chiaramente all’anno in questione. Il primo riguarda all’interno del<strong>la</strong><br />
descrizione geografica del<strong>la</strong> Scandinavia, il fiume norvegese Mos:<br />
“E dentro fra terra ferma sono infinite fiumare e diversi <strong>la</strong>ghi, e uno fra gli altri chiamato Mos; nel quale,<br />
quando ca<strong>la</strong>mitade alcuna debbe venire in Norvegia, apparisce (dice il Landavo) un serpente grandissimo, co’l<br />
medesimo significato che le comete negli altri luoghi.[…]Fu veduto il serpente detto, non sono più che<br />
venticinque anni, cioè nel millecinquecentoventidue. E per quanto giudicaresi poteva per quello che appariva di<br />
lui sopra al<strong>la</strong> acqua, in maniera quasi di canapo che in sé stesso fusse raccolto, fu giudicato cinquanta cubiti; e<br />
ne seguì appresso <strong>la</strong> cacciata del re Cristierno, de <strong>la</strong> quale non si aspetta par<strong>la</strong>re a me, per esser fuori dei tempi<br />
ch’io scrivo.” passo cit., alle pp. 310-311 e il secondo all’interno del prospetto geografico del<strong>la</strong> Russia, a<br />
certificazione dell’autorità superiore esercitata dal patriarca di Costantinopoli sull’arcivescovo di Leopoli con<br />
riferimento al concilio di Costanza:<br />
“Il quale…riconosce per maggiore il patriarca di Costantinopoli, e a lui obbedisce in tutte le cose: come poco<br />
più di cento anni sono, potè vedersi pubblicamente nello ottavo sacrosanto concilio universale, celebrato nel<strong>la</strong><br />
nostra città per Eugenio quarto sommo pontefice, presente lo imperatore greco ed esso patriarca<br />
costantinopolitano, in compagnia di Isidoro, poi cardinale, ed allora arcivescovo universale di tutta <strong>la</strong><br />
Rossia…”., passo cit., alle pp. 331-332. Sul compimento dei primi cinque libri, cfr. G. Marangoni, Introduzione,<br />
cit., p. XXXI.<br />
417 Sul quale preliminarmente rinviamo a Pierpaolo Merlin, La forza e <strong>la</strong> fede. Vita di Carlo V, Roma-Bari,<br />
Laterza, 2004, e annessa bibliografia, pp. 399-406.<br />
69
Una prospettiva che, proprio attraverso il nesso prioritario che il Gattinara istituisce tra Italia<br />
e Germania, secondo <strong>la</strong> fusione di istanze dantesche e umanistiche 418 , si sposa evidentemente<br />
con <strong>la</strong> realtà imperiale delineata dal Giambul<strong>la</strong>ri in cui il rapporto instaurato tra autorità<br />
imperiale e regno d’Italia risulta molto stretto.<br />
Un’impostazione pertanto, quel<strong>la</strong> del canonico <strong>la</strong>urenziano, perfettamente funzionale al<strong>la</strong><br />
politica antiromana di Cosimo il quale, secondo quanto scrive Carlo Dionisotti, che<br />
suggerisce addirittura un’implicita identificazione nel<strong>la</strong> Storia d’Europa tra Ottone I di<br />
Sassonia e Carlo V , “mirava al granducato, ossia al vicariato imperiale sul<strong>la</strong> Toscana” 419 .<br />
Significativo in questa direzione è anche il cambiamento del progetto generale del<strong>la</strong> Storia<br />
rilevato da Giuseppe Kirner 420 sul<strong>la</strong> base del confronto tra l’edizione a stampa e l’unico<br />
parziale manoscritto autografo dell’opera da lui segna<strong>la</strong>to: il magliabechiano 111, c<strong>la</strong>sse<br />
XXIV. In questo codice che presenta il primo e una parte di quello che sarebbe diventato il<br />
secondo libro del<strong>la</strong> Storia d’Europa, il Giambul<strong>la</strong>ri annuncia il progetto originario di coprire<br />
un arco di 70 anni di accadimenti storici italiani ed europei, dall’incoronazione imperiale di<br />
Arnolfo (887) all’ascesa al regno d’Italia di Berengario II (957):<br />
“Ritornato adunche in Ponente l’imperio sotto il gran Carlo e suoi discendenti, e suscitatosi<br />
con esso in parte il quasi estinto valore antico, ne seguirono tosto quei frutti, che per essere<br />
manifestissimi nelle istorie, non accade a me replicargli; e ne successero appresso quei rari,<br />
anzi piuttosto insoliti effetti, che gran tempo stati nascosi, ci sforzeremo di recare in luce,<br />
cominciando a lo imperio di Arnolfo, dove tutti i nostri scrittori vorrebbono gli antichi più<br />
diligenti nelle cose almanco d’Italia per anni LXX o circa, molto male da quegli accennate, et<br />
(secondo che dicono) peggio descritte. Alle quali <strong>prima</strong> che altrimenti io ponga <strong>la</strong> mano,<br />
deliberandomi pure di narrare non le istorie sole d’Italia, ma quelle ancora d’Europa,<br />
conveniente e giusto mi pare…” 421<br />
Un programma dunque ricalcato sull’arco storico svolto dall’Antopodosis di Liutprando, che<br />
tuttavia viene modificato <strong>prima</strong> del 1547 come si evince nel testo a stampa che non riporta il<br />
passaggio riscontrato nel codice autografo e contiene nell’ultima pagina del quarto libro un<br />
rinvio a Ottone III e nel quinto due richiami a Ottone II 422 . Giambul<strong>la</strong>ri, pertanto, come rileva<br />
Kirner, <strong>prima</strong> vuole trattare il periodo in cui l’Italia ha re propri, poi anche <strong>la</strong> fase di dominio<br />
sul<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong> degli imperatori tedeschi 423 .<br />
Ulteriore conferma in questo senso, oltre al Bartoli, <strong>la</strong> fornisce il Gelli che in una sua<br />
lezione dantesca del 1558, sul X canto dell’Inferno, ricorda come <strong>la</strong> tesi sull’origine dei nomi<br />
di guelfi e ghibellini del Boccaccio venga confutata dal Giambul<strong>la</strong>ri che “dimostra…in quel<strong>la</strong><br />
I<strong>storia</strong> dal mille al mille e Trecento, ch’egli ha scritto, cavando<strong>la</strong> con grandissima diligenza<br />
da molti istoriografi esterni (perciòche ei non si trova scritto cosa alcuna o pochissimo di<br />
quei tempi da’ nostri italiani) non può esser in alcun modo vera” 424<br />
418 Ivi, sulle diverse componenti del<strong>la</strong> concezione imperiale di Carlo V sul<strong>la</strong> sua evoluzione in re<strong>la</strong>zione alle<br />
varie fasi storiche del suo impero fino al suo fallimento pp. 156-365 e in partico<strong>la</strong>re sull’influenza del Gattinara e<br />
sugli elementi del<strong>la</strong> sua prospettiva imperiale vedi pp. 156-180.<br />
419 C. Dionisotti, Medio Evo barbarico e Cinquecento italiano, in “Lettere italiane”, XXIV, 1972, pp. 421-430,<br />
in partico<strong>la</strong>re pp. 428-429 e passo cit. a p. 429.<br />
420 G. Kirner, Sul<strong>la</strong> <strong>storia</strong> d’Europa di Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri, Pisa, Tipografia T. Nistri e C., 1889, pp. 6-7.<br />
421 BNF, cod. Magliabechiano 111, c<strong>la</strong>sse XXIV, passo cit., alle pp. 3-4.<br />
422 Giambul<strong>la</strong>ri nel IV libro riferendosi ai “Borussi” dice che “quello che e’ facessero poi ne’ tempi del terzo<br />
Ottone…lo diremo ne’ luoghi suoi” Storia d’Europa, cit., passo cit. a p. 287, e nel V, <strong>prima</strong> promette di porre<br />
fine al<strong>la</strong> confusione spaziale e temporale prodotta da diverse fonti sul<strong>la</strong> <strong>storia</strong> boema quando storicamente<br />
arriverà “a’ tempi di Ottone secondo…”, passo cit. a p. 347, poi anticipa sul conto di Oderico principe di<br />
Boemia: “ed ebbene poi col tempo un figliuolo chiamato Bisetis<strong>la</strong>o, che fu genero di Ottone secondo, come a suo<br />
luogo racconteremo.”, p. 352.<br />
423 G. Kirner, Sul<strong>la</strong> <strong>storia</strong> d’Europa, cit., p. 6-12.<br />
424 Gelli, Letture edite ed inedite sopra <strong>la</strong> Commedia di Dante, cit., all’interno del<strong>la</strong> Lettura quinta sopra lo<br />
inferno fatta all’Accademia fiorentina nel conso<strong>la</strong>to di M. Francesco Cattani da Diacceto MDLVIII, pp. 573-<br />
70
Probabilmente, secondo quanto sostenuto dal<strong>la</strong> Marangoni, il Giambul<strong>la</strong>ri, dopo aver<br />
completato i primi cinque libri dell’opera intorno al 1547, nei restanti otto anni del<strong>la</strong> sua<br />
esistenza oltre ad aver composto il sesto e parte del settimo libro, redige anche degli appunti<br />
preparatori di quel<strong>la</strong> che sarebbe dovuta essere <strong>la</strong> prosecuzione del<strong>la</strong> Storia in base al nuovo<br />
progetto. Una continuazione mai realizzata per il sopraggiungere del<strong>la</strong> morte che non<br />
permette al canonico <strong>la</strong>urenziano di completare neanche il settimo libro dell’opera, rimasto in<br />
una fase di abbozzo 425 .<br />
Peraltro, in mancanza di elementi certi per il periodo 1547-1555, non può nemmeno<br />
escludersi del tutto l’ipotesi venti<strong>la</strong>ta da Kirner su un’interruzione del<strong>la</strong> scrittura dal 1547 al<br />
1555 quando prossimo al<strong>la</strong> morte il Giambul<strong>la</strong>ri avrebbe ripreso <strong>la</strong> Storia come <strong>la</strong>scerebbe<br />
supporre l’abbozzo del settimo libro 426 .<br />
Il<strong>la</strong>zione non del tutto priva di fondamento visto l’acuirsi proprio nel 1555 con l’elezione al<br />
soglio pontificio di Paolo IV in aprile (dunque pochi mesi <strong>prima</strong> del<strong>la</strong> morte del Giambul<strong>la</strong>ri<br />
avvenuta al<strong>la</strong> fine di agosto) dei contrasti tra papa e Cosimo, dopo il periodo certamente più<br />
disteso vissuto tra Firenze e Roma durante il pontificato di Giulio III (1550-1555) 427 .<br />
Forse proprio il cambiamento dei rapporti con <strong>la</strong> Santa Sede, che si registra con i pontificati<br />
di Pio IV (1559-1566) e Pio V (1566-1572) spiega il perché <strong>la</strong> Storia d’Europa sia l’unica<br />
opera del Giambul<strong>la</strong>ri non edita a Firenze. Cosimo, infatti, stringe col successore del Carafa,<br />
Michele Ghislieri Pio V, una salda intesa volta a conseguire il titolo granducale (poi<br />
riconosciutogli nel 1569) adottando, conseguentemente, una politica culturale e religiosa<br />
opposta rispetto agli orientamenti irenici e valdesiani sostenuti negli anni quaranta e<br />
cinquanta. Come sottolineato anche da Giorgio Spini, dal 1559 inizia una fase di vero e<br />
proprio sganciamento nei confronti del potere asburgico con cui peraltro i rapporti non erano<br />
mai stati facili 428 , che implica anche il ripudio del<strong>la</strong> precedente linea ghibellina e di testi come<br />
<strong>la</strong> Storia che <strong>la</strong> caldeggiavano. Una stagione si era ormai conclusa come documenta anche<br />
l’allontanamento definitivo dal<strong>la</strong> corte medicea del Tormentino, in seguito al<strong>la</strong> perdita del<br />
monopolio di stampatore ducale avvenuta nel 1560, pochi anni <strong>prima</strong> del<strong>la</strong> pubblicazione<br />
veneziana del<strong>la</strong> Storia 429 .<br />
691, nel<strong>la</strong> Lezione terza sul canto X di Farinata degli Uberti, pp. 603-617, vol. I, a p. 609. In proposito vedi G.<br />
Kirner, Sul<strong>la</strong> Storia d’Europa, cit., pp. 9-11; inoltre cfr. G. Marangoni, Introduzione, cit., alle pp. XXX-XXXIII<br />
e C. Vasoli, A proposito del<strong>la</strong> Storia d’Europa del Giambul<strong>la</strong>ri, in “Nuova rivista storica”, LXXVII (1993), pp.<br />
624-639, in partico<strong>la</strong>re p. 626.<br />
Inoltre a p. 609-610 leggiamo <strong>la</strong> spiegazione dei nomi guelfo e ghibellina tratta da Ottone Frisigense e poi<br />
ripresa altrove dal Bartoli a proposito del<strong>la</strong> nascita di Federigo Barbarossa che avrebbe dovuto conciliare le due<br />
fazioni (vedi infra cap. III), e l’origine per l’Italia di questo termine ben più tarda, che il Gelli sembra preferire<br />
(sebbene sembri oscil<strong>la</strong>re sul<strong>la</strong> veridicità di una delle due tesi al<strong>la</strong> fine, ha precedente confutato, attraverso il<br />
supporto di Giambul<strong>la</strong>ri, <strong>la</strong> tesi boccaccesca sull’origine dei nomi risalente addirittura al 1070 alle pp. 608-609) :<br />
“Queste son le parole di questo autore; e questo ch’egli scrive fu più di ottanta anni che questi nomi di Guelfi e<br />
Ghibellini si sentissero in Italia nominare; imperò che, secondo il Biondo e gli altri istoriografi di quei tempi, ei<br />
cominciarono a sentirsi in Italia circa al mille dugento quaranta. Sono adunque i Ghibellini e così si vede ancora<br />
oggi, quei del<strong>la</strong> casa e del<strong>la</strong> fazione imperiale; ed i Guelfi quei del<strong>la</strong> casa di Baviera e del<strong>la</strong> parte franzese. Ma o<br />
l’una o l’altra di queste origini che abbino avute queste parti, elle sono state perniziosissime a tutta Italia, e<br />
partico<strong>la</strong>rmente al<strong>la</strong> città nostra, e massimamente ne’ tempi del Poeta nostro, e poco avanti di quei di questo M.<br />
Farinata; il quale fu uno de’ capi principali di parte ghibellina.”<br />
425 In proposito G. Marangoni, Introduzione, cit., pp. XXXII-XXXIII.<br />
426 G. Kirner, Sul<strong>la</strong> <strong>storia</strong> d’Europa, cit., pp. 8-9.<br />
427 In proposito M. Firpo, Gli affreschi, cit., pp. 379-393.<br />
428 G. Spini, Il principato dei Medici e il sistema degli stati europei nel Cinquecento in Firenze e <strong>la</strong> Toscana dei<br />
Medici nell’europa del Cinquecento, Firenze, Olsckhi, 1983, III voll., vol. I, pp. 177-216, in partico<strong>la</strong>re cfr. pp.<br />
186-199.<br />
429 M. Firpo Gli affreschi, cit., pp. 393-407 e sul<strong>la</strong> fine del monopolio del Torrentino, che prende l’iniziativa di<br />
impiantare una stamperia a Mondovì nel ducato di Savoia nel 1562, si rinvia in partico<strong>la</strong>re a A. Ricci, Lorenzo<br />
Torrentino, cit., p. 108.<br />
71
Né meno significativo a supportare in qualche modo questa ipotesi è il fatto che lo<br />
stampatore pubblica <strong>la</strong> Storia d’Europa, Francesco de’ Franceschi, verrà processato per ben<br />
due volte a causa del<strong>la</strong> detenzione di libri proibiti, tra cui <strong>la</strong> sesta centuria di Magdeburgo 430 .<br />
Al di là di questo comunque, il fatto che il canonico <strong>la</strong>urenziano decida di ampliare il piano<br />
dell’opera conferma ulteriormente <strong>la</strong> sua propensione ghibellina in perfetta continuità con i<br />
suoi precedenti interventi letterari. È appena il caso di sottolineare come il Gelli richiami <strong>la</strong><br />
Storia d’Europa proprio in re<strong>la</strong>zione all’origine delle fazioni fiorentine di guelfi e ghibellini <strong>la</strong><br />
cui nascita appunto pone fine all’epoca del buon tempo antico, <strong>la</strong> cui durata coincide con<br />
l’arco di tempo che Giambul<strong>la</strong>ri intende secondo il suo ultimo progetto coprire storicamente.<br />
Tornando ai motivi di possibile interesse ottocentesco del<strong>la</strong> Storia, il Sacro romano impero,<br />
inoltre, pur nel<strong>la</strong> molteplicità degli organismi politici che lo compongono, trova un ulteriore<br />
motivo di specificità nell’indiretto quanto costante confronto che il Giambul<strong>la</strong>ri instaura con<br />
l’impero bizantino. Realtà bizantina che il Giambul<strong>la</strong>ri delinea negativamente rispetto al<strong>la</strong> pur<br />
movimentata e inquieta realtà europea, in quanto preda del<strong>la</strong> corruzione e dell’inettitudine dei<br />
suoi imperatori e delle ambigue figure del<strong>la</strong> sua corte 431 .<br />
Lo stesso fattore fisico-geografico integra, come vedremo, le linee interpretative accennate,<br />
difficilmente risultando un fattore neutro o comunque non corre<strong>la</strong>to alle prospettive e agli<br />
orientamenti presenti nel<strong>la</strong> Storia, funzionale cioè nel duplice binario del<strong>la</strong> comune civiltà<br />
europea e del<strong>la</strong> specificità e molteplicità delle sue realtà politiche.<br />
Pertanto, dato l’interesse che le caratteristiche del<strong>la</strong> Storia d’Europa suscitano nel panorama<br />
culturale italiano del XIX secolo, appare comprensibile l’intenzione del Giordani di<br />
diffondere il testo del Giambul<strong>la</strong>ri in una nuova edizione, finalmente depurata dei tanti errori<br />
riscontrati nell’unica stampa cinquecentesca e nel<strong>la</strong> <strong>prima</strong> scorretta stampa del XIX secolo,<br />
edita a Palermo nel 1818. Dopo aver vanamente proposto all’ex giacobino Pietro Brighenti 432<br />
una nuova pubblicazione 433 , del testo finalmente emendato dagli errori delle due uniche<br />
precedenti edizioni, ne cura personalmente l’edizione livornese del 1831 434 .<br />
430 In proposito vedi infra cap. III, pp. 11-12.<br />
431 Sull’antitesi tra Sacro romano impero e impero bizantino cfr. F. Chabod, Storia dell’idea d’Europa, cit., pp.<br />
38-43,<br />
432 Sul quale rinviamo al<strong>la</strong> voce Brighenti Pietro di G. Monsagrati, in DBI, vol. XIV, Roma, 1972, pp. 264-266,<br />
in partico<strong>la</strong>re sul<strong>la</strong> sua militanza giacobina anteriore al 1820, data dal<strong>la</strong> quale diviene informatore dell’Austria,<br />
cfr. pp. 264-265. Per <strong>la</strong> sua attività di spia del governo austriaco rinviamo in partico<strong>la</strong>re a L. Raffaele, Una dotta<br />
spia dell’Austria, Roma, Tipografia operaia romana cooperativa, 1921.<br />
433 In proposito vedi <strong>la</strong> lettera inviata dal Giordani al Brighenti il 22 febbraio 1822 a Bologna, ora in L.<br />
Raffaele, Una dotta spia, cit., pp. 14-16, in partico<strong>la</strong>re cfr. pp. 14-15.<br />
434 Nel frattempo, c’erano state almeno altre tre edizioni: quel<strong>la</strong> pisana (I<strong>storia</strong> d’Europa di Messer<br />
Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri dal DCCC al DCCCCXIII, Pisa, presso N. Capurro, co’ caratteri di F. Didot, 1822), e<br />
le due mi<strong>la</strong>nesi del 1827 (I<strong>storia</strong> d’Europa di Messer Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri dal DCCC al DCCCCXIII,<br />
testo…di lingua, Mi<strong>la</strong>no, N. Bettoni, 1827) e del 1830 (I<strong>storia</strong> dell’Europa di Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri dal<br />
800 al 919, a cura di Antonio Fontana, Mi<strong>la</strong>no, 1830, uscito nel<strong>la</strong> col<strong>la</strong>na del<strong>la</strong> “Biblioteca storica di tutte le<br />
nazioni”) che ripresentano esclusivamente un breve riassunto a livello critico delle notizie offerte dal Mortara le<br />
cui notazioni del resto costituiscono anche l’esclusivo apparato critico (anche se riproposte in modo integrale<br />
questa volta nell’edizione torinese del 1861, I<strong>storia</strong> dell’Europa dall’800 al 913, cit., (ivi, pp. 5-37). Oltre a<br />
quel<strong>la</strong> napoletana del 1832 in cui si replicava nel<strong>la</strong> premessa alle considerazioni formu<strong>la</strong>te da Giuseppe Maffei<br />
nel<strong>la</strong> sua Storia del<strong>la</strong> letteratura italiana del cavaliere Giuseppe Maffei, terza edizione originale nuovamente<br />
corretta dall’autore e riveduta da Pietro Thouar, II voll., Firenze, Le Monnier 1853, (1 edizione Mi<strong>la</strong>no, Società<br />
tipografica de’ c<strong>la</strong>ssici italiani 1825), a p. 409 del primo volume: “Pier Francesco Giambul<strong>la</strong>ri avea impreso a<br />
scrivere una Storia generale dell’Europa, incominciando dal nono secolo; ma giunto al libro VII, cioè all’anno<br />
913, finì di vivere. Egli era stato uno de’ fondatori del<strong>la</strong> fiorentina Accademia, e si era reso assai benemerito<br />
dell’italica favel<strong>la</strong> con un dialogo intito<strong>la</strong>to il Gello, ove tratta dell’origine del<strong>la</strong> medesima, e colle sue Lezioni,<br />
in alcuna delle quali illustra Dante, e nelle altre tratta vari argomenti. La sua Storia, come quel<strong>la</strong> che forma testo<br />
di lingua, fu spesse volte citata dagli Accademici del<strong>la</strong> Crusca; ma è scritta con poca critica e con minor<br />
filosofia, perché queste due scorte dello storico non avevano fatto nel secolo del Giambul<strong>la</strong>ri, molti progressi.”<br />
La forte negatività del<strong>la</strong> critica al Giambul<strong>la</strong>ri viene confermata anche dal successivo elogio dell’opera storica di<br />
Marcello Adriani<br />
72
Inoltre, <strong>la</strong> rinnovata fortuna editoriale del<strong>la</strong> Storia d’Europa interagisce marginalmente<br />
anche con motivi e posizioni collegate a vario titolo con il processo del Risorgimento italiano.<br />
In questa direzione sono indubbiamente indicative le considerazioni di Luigi Carrer critico<br />
letterario di sentimenti antiaustriaci e neoguelfi (almeno nel<strong>la</strong> <strong>prima</strong> fase dei moti<br />
rivoluzionari del 1848), curatore dell’edizione veneta del 1840 435 in cui, pur ignorando le<br />
correzioni apportate dal Giordani 436 , ribadisce il parallelo Giambul<strong>la</strong>ri-Erodoto 437 . Il Carrer,<br />
infatti, accomuna i due storici per <strong>la</strong> capacità, da un <strong>la</strong>to di discernere le favole dai fatti reali,<br />
dall’altro di costruire e control<strong>la</strong>re una complessa e ampia te<strong>la</strong> di accadimenti, variando<br />
opportunamente stile e lingua.<br />
Peraltro, proprio l’orientamento neoguelfo e le nostalgie per le glorie repubblicane di<br />
Venezia conducono il Carrer a considerazioni tutt’altro che positive, nonostante gli iniziali<br />
elogi sul Giambul<strong>la</strong>ri. Vista l’eccentricità del<strong>la</strong> Storia d’Europa rispetto all’ambito<br />
rigorosamente fiorentino delle altre opere del Giambul<strong>la</strong>ri, indica <strong>la</strong> causa <strong>prima</strong> del<strong>la</strong> sua<br />
composizione nel<strong>la</strong> volontà del canonico <strong>la</strong>urenziano di non scrivere una <strong>storia</strong> del<strong>la</strong> città che<br />
mettesse in cattiva luce i Medici suoi protettori:<br />
“Vuolsi ancora sommamente lodare quel<strong>la</strong> maniera sua riposata di racconto, senza<br />
accendersi troppo nelle passioni de’ personaggi di cui riferisce i fatti o i pensieri, non si però<br />
che non traspiri in qual parte pieghi <strong>la</strong> naturale bontà del suo animo. Chè in vero, quando<br />
anche tacessero del tutto i biografi, si comprenderebbe dal<strong>la</strong> lettura del<strong>la</strong> Storia essere stato<br />
buonissimo. E forse, mi sia condonata questa supposizione, dal pericolo di oltraggiare <strong>la</strong><br />
verità, o gravemente spiacere a’ suoi benefattori di fresco montati al<strong>la</strong> signoria di Firenze, fu<br />
indotto il Giambul<strong>la</strong>ri a comporre <strong>la</strong> <strong>storia</strong> generale ed antica d’Europa, anziché quel<strong>la</strong><br />
partico<strong>la</strong>re e più recente del<strong>la</strong> sua città. Mentre per altra parte, che sviscerato amatore ei si<br />
fosse di questa, il mostrò negli altri studi, cacciandosi per acquistar fama di reverenda<br />
antichità al<strong>la</strong> sua lingua fra le tenebrose controversie dell’arameo, e, con più utili ricerche,<br />
primo fra’ toscani diede ordine alle regole necessarie al<strong>la</strong> sua grammatica. Oltrechè vedeva<br />
essergli occupato il campo del<strong>la</strong> <strong>storia</strong> patria, da parecchi valenti contemporanei, investiti<br />
del<strong>la</strong> nobiltà dell’ufficio loro, e non frenati da riguardo alcuno di benefici, perché esuli e figli<br />
e congiunti d’esuli e di giustiziati. Per cui, se non vuolsi encomiare nello storico nostro <strong>la</strong><br />
435 F. Giambul<strong>la</strong>ri, Storia dell’Europa dal DCCC al DCCCCXIII, a cura di L. Carrer, Venezia, Tipi del<br />
Gondoliere, 1840; sul Carrer rinviamo al<strong>la</strong> voce Carrer Luigi di F. Del Beccaro, in DBI, vol. XX, Roma, 1977,<br />
pp. 730-734 e al<strong>la</strong> Nota biografica e critica in L. Carrer, Scritti Critici, Bari, Laterza, 1969, pp. 723-736; in<br />
partico<strong>la</strong>re sulle sue posizioni politiche pp. 726-727 e per le posizioni culturali di profonda commistione tra<br />
romanticismo e c<strong>la</strong>ssicismo 728-736, inoltre sul<strong>la</strong> non condivisione delle modalità con cui il Tiraboschi scrive <strong>la</strong><br />
sua Storia del<strong>la</strong> Letteratura italiana, cit., cfr. p. 725.<br />
436 Analoga linea si ravvisa nel Del<strong>la</strong> I<strong>storia</strong> d’Europa di Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri libri sette, a cura di<br />
Aurelio Gotti, Firenze, Felice Le Monnier, 1856, (in proposito inoltre cfr. P. Giordani, Opere, vol. X, vedi nota<br />
dell’editore fiorentino alle pp. 427-428) in cui il curatore fiorentino (sul quale vedi <strong>la</strong> voce Gotti Aurelio di C.<br />
Cinelli, in DBI, vol. LVIII, Roma, 2002, pp. 149-153) richiama direttamente le notazioni del Carrer e sottolinea<br />
l’attenzione con cui il Giambul<strong>la</strong>ri affronta nello stesso tempo il discorso storico e geografico, un elemento di<br />
chiara continuità con lo stile e le peculiarità dell’arte storica di Erodoto nell’Introduzione, Intorno a<br />
Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri ed al<strong>la</strong> sua i<strong>storia</strong>, in Del<strong>la</strong> I<strong>storia</strong> d’Europa, cit., pp. III-XL, in partico<strong>la</strong>re pp. IV e<br />
XXXIII-XL.<br />
Diversamente per <strong>la</strong> seconda edizione curata per <strong>la</strong> Le Monnier nel 1864 il Gotti si gioverà delle correzioni del<br />
Giordani precisate e risistemate nel 1856 da Antonio Gussalli; sul<strong>la</strong> vicenda rinviamo a Nota ai Testi in Storici e<br />
politici del Cinquecento, a cura di Angelo Baiocchi, testi a cura di Simone Albonico, Riccardo Ricciardi, Miano-<br />
Napoli, 1994, pp. 1091-1097, in partico<strong>la</strong>re pp. 1092-1093 e nota n. 1.<br />
437 Inoltre, sul<strong>la</strong> disparità dei giudizi che coinvolgono <strong>la</strong> Storia d’Europa vedi anche <strong>la</strong> confutazione del<br />
giudizio negativo formu<strong>la</strong>to nel Settecento da Giuseppe Maffei contenuta nel<strong>la</strong> nota introduttiva all’edizione<br />
napoletana dell’opera del Giambul<strong>la</strong>ri, Storia dell’Europa dall’800 al 913, Napoli, tipografia del Tasso, 1832,<br />
cfr. in partico<strong>la</strong>re le pp. 5-7.<br />
73
difficile franchezza, né manco gli son dovute le censure meritate da altri: il Nerli, a modo<br />
d’esempio e l’Ammirato.” 438<br />
Certo poi, il cortigiano di “difficile franchezza” viene preferito al Nardi per il distacco<br />
mostrato rispetto al<strong>la</strong> materia storica trattata e per <strong>la</strong> capacità di al<strong>la</strong>rgarne l’oggetto,<br />
diversamente dal<strong>la</strong> viva e diretta partecipazione dell’esule repubblicano, capace però proprio<br />
in virtù di queste condizioni di un approccio più immediato alle vicende narrate:<br />
“Le passioni e le mire che in questi veggionsi di già apertamente scoppiate con danni e<br />
scandali atroci, nel Giambul<strong>la</strong>ri sono, quasi direbbesi, tuttavia chiuse nel germe. Non ultima<br />
ancora è <strong>la</strong> brevità, molto desiderata in una raccolta che deve procedere entro limiti<br />
impreteribili. Ma sopra ogni altro motivo, mi piace ricordare l’imparzialità dello scrittore, <strong>la</strong><br />
quale non solo è da attribuire a al<strong>la</strong> volontà sua, quanto al<strong>la</strong> natura stessa delle materie<br />
trattate. Perché par<strong>la</strong>ndo egli di cose attinte da’ libri, non sentitasi nè poteva sentirsi agitato<br />
da què bollori, che pur si veggono anche di sottovia <strong>la</strong> onesta pacatezza del Nardi. Voglio io<br />
dire con questo che siano da preferire quegli storici che narrano cose non vedute co’ loro<br />
propri occhi; ovvero da censurare i contemporanei che le cose vedute non sanno raccontare<br />
senza una qualche mostra di commovimento interiore? Non punto: chè l’una cosa rende più<br />
ma<strong>la</strong>gevole <strong>la</strong> veracità, l’altra infonde calore nel giudizio.[…]Non pongo io già questa Storia<br />
d’innanzi agli studiosi con dire: ecco qui, come il Giambul<strong>la</strong>ri, voi pure scrivete le cose da<br />
altri imparate, meglio che quelle da voi stessi vedute: e lungi da restringervi col<strong>la</strong> narrazione<br />
ad una contrada, abbracciatele tutte; intendo invece tacitamente dir loro: avvezzatevi,<br />
coll’esempio del<strong>la</strong> serena tranquillità che questo storico potè serbare in cose che gli<br />
entrarono all’animo raffredandosi anticipatamente nell’intelletto, a mantenervi tranquilli in<br />
proposito ancora di ciò che colpì gli occhi vostri e aveste voi stessi tra mano; quando anche<br />
vi piaccia, con affettuoso riguardo ad una gente o ad un tempo in partico<strong>la</strong>re, limitar ad essi<br />
<strong>la</strong> vostra narrazione, non dimenticate le re<strong>la</strong>zioni che ogni anche minimo fatto ha col pieno<br />
degli umani accidenti.” 439<br />
Valutazioni di ben altro tenore troviamo invece nel<strong>la</strong> Storia d’Europa pubblicata a Napoli a<br />
cura di Gabriele di Stefano 440 . Nei suoi giudizi dell’edizione del 1862 (<strong>la</strong> <strong>prima</strong> risale al<br />
1840 441 ) risulta incondizionato, infatti, l’apprezzamento del Giambul<strong>la</strong>ri, sia sul<strong>la</strong> falsariga del<br />
parallelo con Erodoto, sia in polemica con gli errori commessi dal Tiraboschi. Di Stefano<br />
inoltre, stigmatizza <strong>la</strong> limitata valorizzazione del<strong>la</strong> produzione letteraria del Giambul<strong>la</strong>ri e in<br />
primo luogo del<strong>la</strong> Storia d’Europa, promossa dagli Accademici del<strong>la</strong> Crusca 442 .<br />
Ma soprattutto Di Stefano coglie <strong>la</strong> linea filoghibellina e anticuriale espressa dal<br />
Giambul<strong>la</strong>ri nel<strong>la</strong> sua Storia fin dalle prime battute, elogiando <strong>la</strong> profonda sincerità<br />
dell’animo del letterato fiorentino in quanto:<br />
“Ascritto com’egli era, al ministero del<strong>la</strong> Chiesa, pur non <strong>la</strong>scia di grandemente<br />
disapprovare le gesta di Sergio e di Formoso, e se non biasima, certo deplora <strong>la</strong> donazione di<br />
Costantino fatta a Silvestro. “ 443<br />
438 Ai lettori. Luigi Carrer in Storia dell’Europa, cit., pp. V- XIV, ora anche in id., Scritti critici, cit., pp. 156-<br />
162, ivi per le asserzioni del Carrer pp. 156-159, in partico<strong>la</strong>re passo cit. alle pp. 158-159. Inoltre, ivi, sulle<br />
propensioni favorevoli al<strong>la</strong> storiografia repubblicana del Carrer cfr. “Niccolò de’ Lapi”di Massimo d’Azeglio,<br />
pp. 386-397, in partico<strong>la</strong>re pp. 386-387.<br />
439 L. Carrer, Scritti critici, cit., passo alle pp. 160-161.<br />
440 Storia dell’Europa di Francesco Giambul<strong>la</strong>ri, con un discorso e copiose annotazioni di Gabriele di Stefano,<br />
terza edizione, II voll., Napoli, Gabriele Rondinelli editore, 1862 (<strong>prima</strong> edizione sempre a cura del di Stefano<br />
del 1840).<br />
441 In proposito cfr. Kirner, Sul<strong>la</strong> Storia d’Europa, cit., p. 5.<br />
442 Ivi, pp. 7-23, in partico<strong>la</strong>re sui punti in questione cfr. pp. 16-20.<br />
443 Ivi, passo cit., a p. 18, inoltre in proposito vedi infra par. II, p. 2.<br />
74
Agiscono evidentemente nel giudizio del Di Stefano suggestioni di ben altro tenore rispetto<br />
a quelle palesate dal Carrer, sia in re<strong>la</strong>zione al<strong>la</strong> diversa impostazione polito-culturale che ne<br />
caratterizza i giudizi, sia forse anche in re<strong>la</strong>zione al<strong>la</strong> recente unificazione politica italiana.<br />
Comunque al di là delle implicazioni contemporanee e delle diverse posizioni presenti<br />
nell’ambito risorgimentale, il giudizio del Di Stefano coglieva dati caratterizzanti del<strong>la</strong> linea<br />
storiografico-politica del canonico <strong>la</strong>urenziano trascurati invece dei commentatori positivisti<br />
abbastanza severi nel giudicare <strong>la</strong> qualità del<strong>la</strong> sua storiografia.<br />
Enrico Rosa curatore dell’edizione torinese del 1896, ad esempio, se apprezza il pregio<br />
stilistico del libro e ne elogia l’impiego sco<strong>la</strong>stico, denuncia però anche le sue carenze<br />
storiche, <strong>la</strong> mancanza di uno spirito critico solido e incisivo, <strong>la</strong> copiosa presenza di<br />
imprecisioni geografiche e storiche che le precedenti edizioni non hanno rettificato 444 .<br />
Di pochi anni successiva, un’altra opera (già menzionata) completamente dedicata<br />
all’analisi del<strong>la</strong> Storia d’Europa del Giambul<strong>la</strong>ri e delle sue fonti, di Giuseppe Kirner.<br />
Il Kirner, concentrato sull’analisi delle fonti del<strong>la</strong> Storia, pur apprezzando il <strong>la</strong>voro dotto ed<br />
erudito compiuto dal Giambul<strong>la</strong>ri che ricorre anche a discipline ausiliarie del<strong>la</strong> <strong>storia</strong> quali <strong>la</strong><br />
geografia e <strong>la</strong> cronologia per addivenire al<strong>la</strong> chiarezza degli eventi e dei loro tempi di<br />
svolgimento, rileva però i precisi limiti dell’opera sotto il profilo del valore storico.<br />
Giambul<strong>la</strong>ri troppo frequentemente, infatti, soggiace al gusto del<strong>la</strong> descrizione, immaginando<br />
i fatti ed i moventi dei personaggi che agiscono nel<strong>la</strong> Storia prendendo licenza dalle fonti che<br />
documentano e certificano i reali e concreti accadimenti 445 .<br />
La Marangoni infine nell’edizione del 1910, ritorna sul<strong>la</strong> falsariga del Kirner sull’uso<br />
spesso poco critico delle fonti e sull’incapacità, in più di un’occasione, di preferire <strong>la</strong> versione<br />
di una fonte sulle altre in re<strong>la</strong>zione ad un avvenimento controverso 446 .<br />
Anche il successivo intervento di Benedetto Croce si inserisce pienamente in questo<br />
ridimensionamento del valore e del significato del<strong>la</strong> Storia, negando al suo autore ogni<br />
possibile accostamento ad Erodoto e ravvisando nel suo scritto <strong>la</strong> mancanza di qualsiasi<br />
aff<strong>la</strong>to spirituale. Nonostante, infatti, il Croce riconosca <strong>la</strong> buona attitudine del Giambul<strong>la</strong>ri<br />
nel<strong>la</strong> raccolta e nel<strong>la</strong> scelta delle fonti, bol<strong>la</strong> <strong>la</strong> sua opera come un esercizio esclusivamente<br />
retorico. La Storia d’Europa è priva di pensiero storico e costituisce soltanto l’espressione<br />
dell’abilità del grammatico, del “linguaiolo”. In realtà <strong>la</strong> denuncia crociana del valore<br />
meramente retorico dell’opera del Giambul<strong>la</strong>ri vuole colpire il Giordani ed il suo criterio di<br />
valutazione esclusivamente formalistico del<strong>la</strong> letteratura che l’ha condotto colpevolmente a<br />
preferire il Giambul<strong>la</strong>ri al Machiavelli 447 .<br />
Il già citato intervento di Carlo Dionisotti, torna ad occuparsi dei problemi e delle questioni<br />
legate al<strong>la</strong> Storia d’Europa in una prospettiva attenta a definirne il rapporto con <strong>la</strong> precedente<br />
storiografia fiorentina e con l’umanesimo italiano. Quel<strong>la</strong> del Giambul<strong>la</strong>ri, sottolinea<br />
Dionisotti, è <strong>la</strong> <strong>prima</strong> <strong>storia</strong> d’Europa scritta in età moderna e costituisce frutto non<br />
accidentale di una parabo<strong>la</strong> di interessi e approcci storico-politici del<strong>la</strong> storiografia fiorentina<br />
che passa per Machiavelli e Guicciardini, secondo un chiaro ampliamento di prospettive nelle<br />
quali ricomprendere e collocare le vicende fiorentine ed italiane. La Storia d’Europa del<br />
444 Precedente di quattro anni all’edizione del Rosa, l’antologia di passi scelti ad uso delle scuole ginnasiali del<br />
professor Bonamici priva di nuovi apporti critici tranne che sotto il profilo linguistico: Narrazioni scelte dalle<br />
Istorie dell’Europa di Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri, ad uso delle scuole ginnasiali, con note del prof. Giuseppe<br />
Bonamici, Verona, Donato Tedeschi e figli editori, 1892.<br />
445 Ivi, rinviamo in partico<strong>la</strong>re alle pp. 36-39 e 41-42. Inoltre, ivi, sui contributi critici e le edizioni del<strong>la</strong> Storia<br />
d’Europa del Bartoli, del Masi, del Mortara, del Giordani, del Carrer, del Gotti, del Di Stefano e sulle edizioni<br />
del<strong>la</strong> Storia d’Europa connesse cfr. pp. 3-6.<br />
446 L. Marangoni, Prefazione, cit., in partico<strong>la</strong>re vedi pp. XLV-LII.<br />
447 B. Croce, Poeti e scrittori del pieno e del tardo Rinascimento, Bari, Laterza, 1945, in partico<strong>la</strong>re Vol. II, pp.<br />
56-64. Sul<strong>la</strong> preferenza del Giordani vedi inoltre P. Giordani, Opere, cit., Appendice, vol. XIV, pp. 433-436.<br />
75
Giambul<strong>la</strong>ri registra il definitivo superamento del<strong>la</strong> dimensione cittadina del vivere civile a<br />
vantaggio dello stato assoluto regionale inquadrato in una prospettiva continentale 448 .<br />
Certamente, <strong>la</strong> linea storiografica del<strong>la</strong> Storia costituisce coerente sviluppo del<strong>la</strong> tendenza di<br />
legittimazione dello stato regionale formu<strong>la</strong>ta nel Gello in opposizione a qualsiasi nostalgia<br />
per <strong>la</strong> dimensione comunale di tradizione guelfa.<br />
Passo peraltro ulteriore, rispetto al<strong>la</strong> stessa accettazione del principato e del<strong>la</strong> dimensione<br />
regionale toscana compiuta anche da altri esponenti coevi del<strong>la</strong> storiografia fiorentina come<br />
Bernardo Segni e Benedetto Varchi che tuttavia non cercano di e<strong>la</strong>borare un’idea complessiva<br />
ed unitaria del vecchio continente 449 .<br />
Tentativo invece esplicitamente intrapreso già nel titolo dal canonico <strong>la</strong>urenziano che, senza<br />
alcuna esitazione si distanzia nettamente dai retaggi dell’umanesimo civile fiorentino, in<br />
direzione dell’umanesimo tedesco come testimoniano le stesse fonti selezionate per <strong>la</strong> Storia<br />
d’Europa orientate, in gran parte, in direzione antiromana e antiitaliana 450 .<br />
Peraltro, <strong>la</strong> tendenza a leggere <strong>la</strong> proposta storica del Giambul<strong>la</strong>ri nell’ambito di un mero<br />
sfoggio di erudizione assolutamente avulso da ogni intendimento di tipo politico viene<br />
riproposto l’anno successivo all’intervento del Dionisotti, da Emanuel<strong>la</strong> Scarano. Una<br />
trattazione quel<strong>la</strong> del Giambul<strong>la</strong>ri sostanzialmente circoscritta ad una finalità di tipo letterario,<br />
priva di ogni partecipazione politica come indica il fatto che il canonico <strong>la</strong>urenziano<br />
abbandoni “addirittura il presente ed il vicino passato per volgersi ad epoche remote.” 451<br />
Diversamente dal<strong>la</strong> Scarano, Cesare Vasoli, sul<strong>la</strong> falsariga del Dionisotti, ha proposto di<br />
nuovo l’esigenza di una complessiva riconsiderazione del<strong>la</strong> Storia d’Europa. In partico<strong>la</strong>re,<br />
mettendo in discussione il giudizio crociano, Vasoli ha sollecitato, secondo un’ottica di più<br />
ampio respiro, ad interrogarsi sul disegno complessivo dell’opera in re<strong>la</strong>zione al resto del<strong>la</strong><br />
produzione letteraria del suo autore e al mondo culturale in cui Giambul<strong>la</strong>ri viveva 452 .<br />
Inoltre Vasoli ha ravvisato, nel<strong>la</strong> narrazione del canonico <strong>la</strong>urenziano, <strong>la</strong> continuità dell’idea<br />
imperiale e <strong>la</strong> sua storica concretizzazione nei popoli germanici dell’Europa centrosettentrionale<br />
e centro-orientale 453 .<br />
Dunque una parabo<strong>la</strong> storiografica artico<strong>la</strong>ta e controversa quel<strong>la</strong> del<strong>la</strong> Storia d’Europa al<strong>la</strong><br />
cui comprensione rispetto alle ipotesi ed alle linee di interpretazione abbozzate a questo punto<br />
appare certamente utile una verifica, almeno parziale sul testo e sulle fonti utilizzate.<br />
448 C. Dionisotti, Medio Evo barbarico e Cinquecento italiano, cit., p. 429.<br />
449 Sul<strong>la</strong> storiografia fiorentina cinquecentesca si rinvia a AA. VV., Storiografia repubblicana fiorentina (1494-<br />
1570), a cura di Jean Jacques Marchand e Jean-C<strong>la</strong>ude Zancarini, Firenze, Franco Cesati editore, 2003, e ivi, a<br />
proposito del definitivo superamento delle concezioni di stampo cittadino, vedi Elena Fasano Guarini, Città e<br />
stato nel<strong>la</strong> storiografia fiorentina del Cinquecento, pp. 283-307, in partico<strong>la</strong>re sulle prospettive di Varchi e<br />
Segni pp. 296-298 e 300-302.<br />
450 Vedi nota 54.<br />
451 Emanuel<strong>la</strong> Scarano Lugnani, Guicciardini e <strong>la</strong> crisi del Rinascimento, Roma-Bari, Laterza, 1973, pp. 144-<br />
146, passo cit. in partico<strong>la</strong>re a p. 144.<br />
452 C. Vasoli, A proposito del<strong>la</strong> Storia d’Europa del Giambul<strong>la</strong>ri, cit., pp. 625-631.<br />
453 Ivi, vedi pp. 626, 632 e 635.<br />
76
2. Libro primo: il lungo percorso dalle radici storico-geografiche all’instabilità dell’area<br />
imperiale<br />
Il primo capitolo del<strong>la</strong> Storia d’Europa, che fornisce <strong>la</strong> cornice del<strong>la</strong> narrazione storica<br />
successiva, attraverso <strong>la</strong> fissazione del<strong>la</strong> dimensione storica-cronologica di partenza e dello<br />
spazio geografico in cui i fatti si svolgeranno, inizia, soffermandosi sul crollo dell’impero<br />
romano d’occidente causato dalle decisioni di Costantino e sul<strong>la</strong> sua rifondazione carolingia.<br />
Un primo tangibile segnale del<strong>la</strong> prospettiva cui abbiamo accennato nel precedente paragrafo.<br />
Il crollo dell’impero romano, l’ingresso e <strong>la</strong> proliferazione dei barbari costituiscono i dati di<br />
partenza, i riferimenti imprescindibili dell’Europa che il Giambul<strong>la</strong>ri racconterà nel suo<br />
delinearsi. Le invasioni barbariche segnano, infatti, un momento di netta e definitiva cesura<br />
che chiude l’antichità e dissolve per sempre le istituzioni <strong>la</strong>tine, aprendo un’epoca di profonda<br />
irrequietezza e novità: quel<strong>la</strong> medievale 454 . Diverso rispetto all’atteggiamento generalmente<br />
diffuso nell’Umanesimo italiano il contegno di Giambul<strong>la</strong>ri. Egli, infatti, piuttosto che<br />
interpretare apocalitticamente le invasioni barbariche al<strong>la</strong> stregua di un ineludibile fato che<br />
distrugge improvvisamente un equilibrio perfetto ed ideale, quello del<strong>la</strong> civiltà romano-<strong>la</strong>tina,<br />
imputa proprio all’impero romano occidentale chiare responsabilità per il proprio crollo,<br />
riconducibili alle scelte di Costantino 455 :<br />
“La veneranda maestà dello Imperio, dal<strong>la</strong> invitta maestà di Cesare primieramente fondato<br />
in Roma, stabilito da Augusto…si mantenne in somma grandezza ed in reverenzia dello<br />
universo, sino a tanto che Costantino, di che sempre si debbe <strong>la</strong> bel<strong>la</strong> Italia dolere (parlo<br />
come istorico mondano, perché considerando le grazie che ebbe Costantino, fu opera dello<br />
Spirito Santo tale mutazione, con <strong>la</strong>sciar Roma a Cristo nel suo vicario Silvestro), invaghitosi<br />
delle antiche rovine di Tracia, per fondare una terra nuova negli estremi liti del<strong>la</strong> Europa,<br />
abbandonò <strong>la</strong> universal regina del mondo, e preponendo i paesi strani a’ domestici, i servi a<br />
signori, i vili e incogniti rivi al celebratissimo Tevere, e <strong>la</strong> ambiziosa volontà sua alle vestigie<br />
santissime di quelli spiriti virtuosi che avevano condotto Roma a ‘l supremo de’ sommi onori,<br />
transferì <strong>la</strong> sedia in Bisanzio, ed agli ultimi confini del<strong>la</strong> Grecia se ne portò tutto quello che<br />
<strong>la</strong> già gloriosa Roma, con tanta virtù e con si onorate fatiche, lungamente aveva acquistato. Il<br />
che di quanto danno fusse al<strong>la</strong> rovina dello Occidente; assai chiaro ce lo dimostrano i tanti<br />
diluvii delle barbare nazioni, che non so<strong>la</strong>mente inondarono nel<strong>la</strong> Europa, ma e nell’Africa<br />
ancora, con sommo danno dello universo, e massimamente dello Imperio stesso romano.” 456<br />
In questo passaggio, il canonico <strong>la</strong>urenziano pone l’accento sul<strong>la</strong> rovina provocata<br />
all’Occidente dal crollo dell’autorità imperiale rispetto ai vantaggi determinati dal nuovo<br />
rilievo assunto dal<strong>la</strong> Chiesa di Roma che si inserisce in questo vuoto di potere. In proposito è<br />
interessante registrare l’assenza di questa parentesi nell’unica versione del testo manoscritto<br />
del<strong>la</strong> Storia d’Europa pervenutaci, costitutita come detto dall’autografo magliabechiano<br />
trovato dal Kirner 457 . Parentesi che smussa il sapore ghibellino del testo originario, nel quale<br />
<strong>la</strong> realtà prodotta in Europa occidentale e in Italia dal<strong>la</strong> posizione predominante acquisita dal<strong>la</strong><br />
Chiesa di Roma, non viene registrata positivamente. Non si può neanche escludere mancando<br />
nel codice autografo, pur nel<strong>la</strong> scarsità di elementi a nostra disposizione, che queste parole<br />
siano state predisposte per <strong>la</strong> versione a stampa in epoca successiva al<strong>la</strong> morte del<br />
Giambul<strong>la</strong>ri.<br />
454 Vedi G. Costa, Le antichità germaniche nel<strong>la</strong> cultura italiana da Machiavelli a Vico, Bibliopolis, Napoli,<br />
1977, sul<strong>la</strong> prospettiva umanistica in generale cfr. pp. 44 e 55-56 e sul<strong>la</strong> percezione delle invasioni barbare<br />
espressa del Giambul<strong>la</strong>ri, ivi, vedi. le pp. 55-56.<br />
455 Al riguardo cfr. C. Vasoli, A proposito del<strong>la</strong> <strong>storia</strong> d’Europa del Giambul<strong>la</strong>ri, cit., p. 635.<br />
456 Storia d’Europa, cit., passo cit., alle pp. 3-4.<br />
457 Cod. Magl. 111, cit., cfr. p. 1.<br />
77
Del loro evidente movente caute<strong>la</strong>tivo aveva par<strong>la</strong>to già il Di Stefano, sottolineando <strong>la</strong><br />
dissonanza del<strong>la</strong> parentesi in questione rispetto al tenore generale del testo a stampa 458 . La<br />
prospettiva complessiva del Giambul<strong>la</strong>ri, infatti, si delinea chiaramente nelle successive<br />
considerazioni nelle quali, recuperando l’armonia tra <strong>la</strong> prospettiva mondana e quel<strong>la</strong> divina,<br />
commenta favorevolmente <strong>la</strong> trans<strong>la</strong>tio imperii da Roma al mondo tedesco compiutasi con<br />
l’incoronazione da parte di Leone III, di Carlo Magno che restaura l’autorità imperiale,<br />
recando benefici effetti sull’Italia profondamente decaduta:<br />
“E fu tanto favorevole il Cielo a questa non manco santa che necessaria elezione del<br />
Sommo Pontefice, e <strong>la</strong> singo<strong>la</strong>re eccellenza di Carlo si ampiamente le corrispose con l’armi,<br />
con <strong>la</strong> prudenzia e con <strong>la</strong> bontà, che il perduto valore d’Italia, da cotanto esemplo eccitato,<br />
cominciò <strong>la</strong>rgamente a farsi conoscere…” 459<br />
In proposito il nostro riferisce l’attacco condotto contro i Mori in Africa dal conte del<strong>la</strong><br />
Corsica e dai conti toscani per costringerli ad abbandonare il territorio italico, avvenuto<br />
all’epoca del regno del figlio di Carlo Magno Ludovico, rifacendosi alle Enneades 460 di<br />
Marco Antonio Coccio Sabellico 461 . Umanista del<strong>la</strong> seconda metà del quattrocento e storico<br />
ufficiale del<strong>la</strong> repubblica veneta 462 , il Sabellico, cerca nelle Enneades di superare <strong>la</strong><br />
dimensione esclusivamente veneziana di tutta <strong>la</strong> sua produzione, dando vita ad una sorta di<br />
cronaca universale che ricomprenda, sempre in un’ottica filo-veneziana, le vicende <strong>la</strong>gunari in<br />
un ordito storico-geografico più ampio, che tuttavia risulta molto disordinato anche a causa<br />
dei tanti eventi e scenari illustrati 463 .<br />
Fin da queste prime battute, pertanto, l’autore stabilisce uno stretto rapporto tra svolgimenti<br />
franco-tedeschi e vicende italiane secondo un nesso di causalità e dipendenza molto indicativo<br />
del<strong>la</strong> preminenza e del<strong>la</strong> centralità dell’area tedesca confermato anche dal massiccio impiego<br />
di diverse fonti medievali di area o comunque di prospettiva germanica.<br />
L’azione vera e propria che, come detto comincia nell’887, con l’assunzione di Arnolfo di<br />
Carinzia al<strong>la</strong> maestà imperiale in luogo di suo zio Carlo il Grosso deposto si basa sul racconto<br />
462 In proposito cfr. F. Gilbert, Machiavelli e Guicciardini. Pensiero politico e storiografia a Firenze nel<br />
Cinquecento, Torino, Einaudi, 1970, in partico<strong>la</strong>re vedi pp. 187-188.<br />
458 Già il Di Stefano in proposito Storia dell’Europa, Torino, 1862, cit., a p. 18 nota: “Niente e a dire del<strong>la</strong><br />
ingenua veracità di cui è sparso tutto il racconto, che manifesta per nul<strong>la</strong> parziale l’animo di chi narra. Ascritto,<br />
com’egli era, al ministero del<strong>la</strong> Chiesa, pur non <strong>la</strong>scia di grandemente disapprovare le geste di Sergio e di<br />
Formoso, e se non biasima, certo deplora <strong>la</strong> donazione di Costantino fatta a Silvestro.” Sul quale ivi, vedi poi <strong>la</strong><br />
nota n.2 alle pp. 25-26 del libro primo in cui il Di Stefano nell’elogiare l’equilibrio e <strong>la</strong> chiarezza di questo lungo<br />
periodo iniziale, nell’evidenziarne <strong>la</strong> lunghezza pone l’accento proprio sul<strong>la</strong> considerazione tra parentesi.<br />
Secondo il suo parere infatti il Giambul<strong>la</strong>ri (ivi, p. 26) “avrebbe potuto bene fare un secondo periodo di questo<br />
concetto secondario: ma volendo e’ prontamente apprestare, per così dire, il rimedio al<strong>la</strong> ferita, non gli parve<br />
bene di <strong>la</strong>sciare per alcun intervallo nell’animo di qualche pio leggitore il molesto dubbio che avrebbero potuto<br />
ingenerare le parole di che sempre dolere si debbe <strong>la</strong> bel<strong>la</strong> Italia; e però soggiunse immantinenti <strong>la</strong> distinzione<br />
tra il risguardar le cose nel ben essere politico, e il considerarle più altamente ne providenziali fini del ben<br />
essere religioso.”<br />
459 Storia, passo alle pp. 4-5.<br />
460 Opera M. Antonii Coccii Sabellici in duos digesta tomos Rapsodiae Hi<strong>storia</strong>e enneadum XI, Quinque<br />
priores uno continentur, altero sex reliquiae cum D. Casparis Hedionis Historica synopsi, qua huius auctoris<br />
institum summa fide et diligentia ad annum MDXXVIII persequitur. His veluti una perpetuaque oratione res<br />
memorabiles ab orbe condito in praesens usque tempus gestae, ea perspicuitate narrantur, ut innumeri loci,<br />
obscuri apud reliquos historicos Basileae, ex officina Hervagiana, anno MDXXXVIII, il passo a cui rinvia il<br />
Giambul<strong>la</strong>ri si trova nel Tomo II, Enneades VIII, liber IX, pp. 459qqq2-460qqq2.<br />
461 Sul quale rinviamo al<strong>la</strong> voce Coccio Macantonio detto Marcantonio Sabellico, di F. Tateo, in DBI, vol.<br />
XXVI, Roma 1982, pp. 510-515.<br />
463 Sul<strong>la</strong> storiografia del Sabellico rinviamo a H. Cochrane, Hi<strong>storia</strong>ns and Historiography in the Italian<br />
Renaissance, The University of Chicago Press, Chicago-London, 1985, pp. 83-86, in partico<strong>la</strong>re sulle Enneades,<br />
pp. 85-86. Inoltre cfr. anche B. R. Reynolds, Latin Historiography: a Survey, 1400-1600, in “Studies in the<br />
Renaissance”, 1955, pp. 7-66, in partico<strong>la</strong>re pp. 15-16.<br />
78
di Reginone, abate di Prums 464 . Per trattare <strong>la</strong> deposizione di Carlo il Grosso, il Giambul<strong>la</strong>ri<br />
ricorre al Chronicon di <strong>storia</strong> universale di questo personaggio del nono secolo che si<br />
sofferma sulle vicende avvenuta tra <strong>la</strong> nascita di Cristo e il 906 dopo Cristo 465 , avvalendosi<br />
del<strong>la</strong> <strong>storia</strong> e delle fonti franche sviluppate secondo uno schema annalistico 466 . Al<strong>la</strong> morte di<br />
Reginone (915) il Chronicon viene continuato, per i successivi avvenimenti del decimo<br />
secolo, dal 907 al 967 dall’abate Adalberto di Weissemburg, primo arcivescovo di<br />
Magdeburgo anch’egli, fonte del<strong>la</strong> Storia d’Europa l’indicato come “augumentatore di<br />
Reginone” 467 .<br />
“trovandosi mal disposto del<strong>la</strong> persona, e<br />
del<strong>la</strong> mente non molto sano venne in tanto<br />
dispregio de’ suoi baroni che, <strong>la</strong>sciato ed<br />
abbandonato da tutti, in tre giorni si ritrovò<br />
non so<strong>la</strong>mente privato del<strong>la</strong> dignità e maestà<br />
imperiale, ma di chi pure lo servisse e gli<br />
ministrasse negli estremi bisogni suoi. E bene<br />
arebbe patito del vitto ancora, se in così<br />
orribile assalto del<strong>la</strong> fortuna, il vescovo<br />
Luilperto, con le private facultà sue non gli<br />
avesse somministrato da potersi mantenersi<br />
vivo. Carlo dunque, vedendosi in caso sì<br />
miserabile, mandò supplicando al nipote<br />
Arnolfo sublimato già nello Imperio, non di<br />
riavere le cose perdute o di esser vendicato di<br />
una ingiuria tanto importante, ma so<strong>la</strong>mente<br />
d’avere da vivere e da sostentarsi nelle<br />
miserie del<strong>la</strong> vecchiezza. La qual cosa<br />
concedendogli Arnolfo benignamente, gli<br />
assegnò in Germana certe rendite particu<strong>la</strong>ri,<br />
con le quali egli sopravvisse circa ad un anno<br />
per un esempio manifestissimo del<strong>la</strong> fortuna.<br />
La quale con una finta benignità esaltando a<br />
cotanta altezza Carlo, ancora giovane, sano<br />
ed onoratissimo; e, senza guerre e senza<br />
sudori, sublimandolo in tale maniera che di<br />
ricchezza, di potenzia, e di maestà non aveva<br />
da esser posposto a qual si voglia de’ re de’<br />
“Imperator corpore et animo coepit<br />
aegrotare…cernentes optimates<br />
regni…Arnolfum filium Carlomani ultro in<br />
regnum attrahunt…ita ut in triduo vix aliquis<br />
remaneret, qui ei saltem officia summovitatis<br />
impenderet, cibus tamen et potus ex Luidperti<br />
episcopi sumptibus administrabatur. Erat res<br />
spectaculo digna, et aestimatione sortis<br />
humane, rerum variegate miranda. Nam sicut<br />
ante seconda fortuna rebus ultra, quam<br />
arbitrari posset affluentibus,tot tantaque<br />
imperij regna sine <strong>la</strong>borum sudoribus, et<br />
certaminibus attraxerat, ita ut post magnum<br />
Carolum maiestate, protestate, divitijs, nulli<br />
regnum Francorum videretur esse<br />
postponendus. Ita nunc adversa velut in<br />
ostensione fragilitas humane deficiens, quae<br />
fortuna cumu<strong>la</strong>verat, cuncta inhoneste, in<br />
momento abstulit. Que prospero arridens<br />
successu, quondam gloriose attulerat. Mittit<br />
ergo ad Arnulfum ex imperatore effectus<br />
egenus, ex desperatis rebus non de imperij<br />
digitate sed de victo cotidiano cogitans,<br />
tantum alimentorum copiam ad subsidium<br />
vitae praesentis supplex<br />
exposcit[…]Miseranda rerum facies, videre<br />
imperatorem opulentissimum, non solum<br />
fortunae ornamentis destitutum, verum etiam<br />
464 Su Reginone vedi <strong>la</strong> re<strong>la</strong>tiva voce Reginone da Prum di Walter Holtzmann in Enciclopedia italiana, Roma,<br />
Istituto Treccani, 1949, vol. XXVIII, p. 1000. Cfr. inoltre A. Potthast, Wegweiser durch-die Geschichts Werke<br />
des europaischen mitte<strong>la</strong>lters bis 1500. Vollstandiges inhaltsverzeichniss zu Acta Sanctorum boll.- Bouquet-<br />
Migne- Mon. Germ. Hist.-Muratori- Rerum Britann. Scrpiptores, anhang quellenkunde fur die geschicte del<br />
europaischen staaten wahrend des mitte<strong>la</strong>lters, Berlin, W. Weber, 1896, Biblioteca Historica Medii Aevi, II vol.,<br />
p. 956 e in Ulysse Chevalier, Répertoire des sources historiques du moyen age. Bio-bibliographie, Kraus reprint<br />
corporation, New York, new edition, printed in Germany, 1960, 2 voll., (<strong>prima</strong> edizione 1905), in partico<strong>la</strong>re pp.<br />
3917-3918, vol. II.<br />
465 Reginonis monachi Prumiensis annales, non tam de Augustorum vitis, quam aliorum Germanorum gestis et<br />
docte et compendiose disserentes, ante sexigentos fere annos editi, Maguntiae mense augusto, Anno MDXXI,<br />
Ioannis Schoeffer; d’ora in poi Reginonis…annales.<br />
466 In proposito cfr. Letteratura <strong>la</strong>tina medievale (secoli VI-XV). Un manuale, a cura di C<strong>la</strong>udio Leonardi e di<br />
Ferruccio Bertini, Enzo Cecchini, Lucia Cesarini Martinelli, Peter Dronke, Peter Christian Jacobsen, Michael<br />
Lapidge, Emore Paoli, Giovanni Po<strong>la</strong>ra, Firenze, Sismel, 2002, in partico<strong>la</strong>re cfr. pp. 140 e 167.<br />
467 Sull’indicazione e utilizzazione delle due fonti rinviamo preliminarmente a L. Marangoni, Prefazione, cit., p.<br />
XXXV; cfr. inoltre G. Kirner, Sul<strong>la</strong> Storia, cit., pp. 18-19.<br />
79
Franchi; spogliandosi poi ad un tratto il sino<br />
a quivi mentito viso, lo depresse sì fattamente<br />
che senza manifesta violenza di genti strane,<br />
lo condusse vecchio, amma<strong>la</strong>to e solo a<br />
mendicare il vitto ed il vestito, ed a chiedere<br />
per Dio ai suoi assegnatamente quello che<br />
egli già con somma liberalità soleva dare<br />
agli strani.” 468<br />
humane opis egentem. Concessit autem<br />
Arnolfus rex nonnullos fiscos in Alemanna,<br />
unde ei alimonia preberetur, ipse vero<br />
compositis in Francia feliciter rebus in<br />
Baiovariam revertitur.” 469<br />
In questa <strong>prima</strong> scelta di Giambul<strong>la</strong>ri già emerge <strong>la</strong> vicinanza ad un contesto, quello degli<br />
umanisti tedeschi, che riprende con grande interesse lo studio dell’epoca medievale in chiave<br />
nazionalistica e antiromana con evidenti e non trascurabili implicazioni dottrinali e religiose a<br />
partire dal 1517. Si par<strong>la</strong> naturalmente di un nazionalismo di tipo culturale che a livello<br />
politico va comunque ricondotto nell’ambito del<strong>la</strong> concezione imperiale 470 , fortemente<br />
caratterizzata in chiave tedesca. Come osserva Rosario Romeo, infatti “sino al<strong>la</strong> seconda<br />
metà del XVIII secolo <strong>la</strong> cultura tedesca, nelle sue espressioni più alte e a livello delle masse<br />
popo<strong>la</strong>ri, rimase sostanzialmente una cultura priva del<strong>la</strong> dimensione politica del sentimento<br />
nazionale.” 471<br />
Gli umanisti tedeschi pertanto ritrovano in autori come Reginone <strong>la</strong> certificazione del ruolo<br />
giocato dalle stirpi germaniche nel<strong>la</strong> <strong>storia</strong> europea, e le ragioni del<strong>la</strong> propria identità e unità<br />
culturale 472 . Identità sviluppata in direzione antiromana come testimonia <strong>la</strong> lettera posta al<strong>la</strong><br />
fine del Chronicon di Reginone nell’edizione maguntina del 1521, indirizzata da Sebastianus<br />
de Rotenhan a Wolfang Fabricius Capitone 473 . Evidentemente polemico nei confronti del<br />
presente, infatti, risulta l’elogio del Rotenhan all’impegno e al<strong>la</strong> capacità mostrati da Regino<br />
nel<strong>la</strong> raccolta dei decreti ecclesiastiaci del<strong>la</strong> Germania dei suoi tempi in cui le diocesi<br />
metropolitane erano dirette da una giurisdizione autonoma e non dall’autoritario centralismo<br />
romano 474 .<br />
Mentre gli umanisti italiani considerano generalmente il medioevo come un’epoca di<br />
decadenza, rispetto al<strong>la</strong> realtà esemp<strong>la</strong>re rappresentata dall’impero romano, modello<br />
inarrivabile e punto di riferimento perenne anche nei tempi bui, nucleo essenziale del<strong>la</strong><br />
civilizzazione dei popoli barbari che sono stati romanizzati e conquistati dal<strong>la</strong> cultura greco<strong>la</strong>tina,<br />
Giambul<strong>la</strong>ri sposta decisamente punto d’osservazione e conclusioni. Il Medioevo<br />
468 Storia d’Europa, cit., passo alle pp. 5-6.<br />
469 Reginonis…annales, cit., passo riportato a p. 43h5, <strong>la</strong> col<strong>la</strong>zione dei passi di Regino e di quelli del<br />
Giambul<strong>la</strong>ri viene effettuata anche in L. Marangoni, Prefazione, cit., alle pp. LII e ivi, a p. 6 nel<strong>la</strong> nota di<br />
commento ai passaggi 79-80, anche se non in re<strong>la</strong>zione ad un’edizione cinquecentesca di Reginone, anzi molto<br />
posteriore all’epoca in cui il nostro canonico vive e consulta le fonti del<strong>la</strong> sua narrazione storica.<br />
470 Sul significato culturale del termine nazione e del nazionalismo nel XVI secolo rinviamo a F. Chabod,<br />
Alcune questioni di terminologia: Stato, nazione, patria nel linguaggio del Cinquecento, in id., Alle origini dello<br />
Stato moderno, Università degli studi di Roma, facoltà di lettere e filosofia, anno accademico 1956-1957,<br />
Edizioni dell’Ateneo, Roma 1957, pp. 3-86, ora in Id., Scritti sul Rinascimento, Einaudi, Torino, 1971, pp. 625-<br />
683, in partico<strong>la</strong>re cfr. pp. 653-655.<br />
471 R. Romeo, Idea e coscienza di nazione fino al<strong>la</strong> <strong>prima</strong> guerra mondiale. Appunti, in “Clio”, 1978, anno<br />
XIV, n.1 marzo, pp. 5-34, in partico<strong>la</strong>re pp. 17-18 e passo cit. a p. 17.<br />
472 John F. D’Amico, Ulrich von Hutten and Beatus Rhenanus as Medieval Hi<strong>storia</strong>ns and Religious<br />
Propagandists in the Early Reformation, in id., Roman and German Humanism, 1450-1550, edited by Paul F.<br />
Glendler, printed by Galliard, Great Yarmouth, Great Britain, 1993, pp. 3-33, in partico<strong>la</strong>re cfr. pp. 3-8 inoltre<br />
cfr. R. Romeo, Idea e coscienza di nazione, cit., p. 28.<br />
473 La lettera noncupatoria dell’opera è indirizzata dallo stesso Sebastianus de Rotenhan a Carlo V e si trova in<br />
Reginonis…annales, cit., alle pp. 2-3 con un finale rinvio al<strong>la</strong> lettera rivolta al Capitone: “Ad Reginonis<br />
propriorem agnitionem facientia, circa operis calcem deprehendes”.<br />
474 Ivi, leggiamo: “his temporibus etiam, quibus singu<strong>la</strong>e Metropoles separatis legibus, et Romanis<br />
pontificalibus haud prorsus quadrantibus dirigebantur, ecllesiastica Germaniae decreta non minus docte, quam<br />
<strong>la</strong>boriose congessit…”.<br />
80
secondo una percezione eccentrica rispetto all’orientamento degli umanisti italiani, merita per<br />
il Giambul<strong>la</strong>ri di essere conosciuto e valorizzato.<br />
Tornando al testo, il racconto del<strong>la</strong> fine di Carlo il Grosso è un primo indizio del processo di<br />
decadenza che coinvolge <strong>la</strong> dinastia carolingia traducendosi nel disfacimento subìto dal<strong>la</strong><br />
realtà imperiale.<br />
Reginone disapprova <strong>la</strong> scissione dell’impero nei tre regni separati di Germania, Italia e<br />
Francia, determinata dal<strong>la</strong> mancanza di un erede legittimo. Arnolfo, secondo l’abate di Prums,<br />
nonostante <strong>la</strong> propria illegittimità è il naturale signore dell’impero. Il rifiuto dell’autorità di<br />
Arnolfo che determina l’elezione nei singoli regni di sovrani tratti dalle rispettive aristocrazie,<br />
produce una serie di sanguinosi conflitti tra gli ottimati franchi. 475<br />
Tuttavia, <strong>prima</strong> di entrare nel vivo del racconto delle gesta di Arnolfo, dato anche il<br />
carattere introduttivo del capitolo in questione, il Giambul<strong>la</strong>ri offre un prospetto geografico<br />
del teatro europeo dei fatti storici. Curcio rileva come nel<strong>la</strong> Storia “<strong>la</strong> base del<strong>la</strong> <strong>storia</strong> è<br />
geografica. Ma ciononostante, sia pure inavvertitamente si nota che quel<strong>la</strong> base talvolta non<br />
regge. La <strong>storia</strong> può vincere <strong>la</strong> geografia, <strong>la</strong> dinamica dei popoli può dare senso e significato<br />
diverso ai confini tradizionali geografici” 476 .<br />
In realtà <strong>storia</strong> e geografia si integrano profondamente. Quest’ultima, difficilmente viene<br />
utilizzata in modo neutro, sia quale dato apparentemente fisso e oggettivato, sia quando<br />
diviene e si modifica in re<strong>la</strong>zione allo svolgimento storico, presenta profonde implicazioni<br />
culturali ed assume un ruolo del tutto funzionale al<strong>la</strong> narrazione storica ed ad suoi<br />
orientamenti.<br />
Corrado Vivanti, ha opportunamente sottolineato, sul<strong>la</strong> falsariga burckhardtiana, come<br />
l’Umanesimo fin dal suo inizio riproponga il nesso tra conoscenza geografica e studio del<strong>la</strong><br />
<strong>storia</strong>, di derivazione c<strong>la</strong>ssica, ponendo “le basi di una moderna geografia umana”<br />
Finchè non si verifica <strong>la</strong> separazione del<strong>la</strong> due discipline, pertanto “<strong>la</strong> dimensione spaziale<br />
non è solo <strong>la</strong> scena su cui si svolgono le varie vicende, ma è un elemento a sua volta investito<br />
dall’operatore umano.” 477<br />
All’interno di questa prospettiva si inquadrano anche gli interessi geografici del Giambul<strong>la</strong>ri<br />
certamente non secondarii vista <strong>la</strong> considerazione che mostra per geografia e cosmografia<br />
nel<strong>la</strong>, più volte citata, lezione dantesca del 20 novembre 1541 478 . In quell’occasione il<br />
canonico <strong>la</strong>urenziano, infatti, ricordata l’assoluta preminenza esercitata dal<strong>la</strong> teologia su tutte<br />
le altre scienze nel<strong>la</strong> Divina Commedia, sottolinea anche il valore non secondario attribuito da<br />
Dante all’astrologia, strettamente connessa al<strong>la</strong> cosmografia:<br />
“tra l’altre più belle e più necessarie scienze che in questo Divin Poema divinissimamente<br />
seminate si riconoscono, l’Astrologia veramente e <strong>la</strong> Cosmografia, tanto bene, con tanto<br />
ordine e sì propriamente per tutta quell’opera dove insieme e dove spartite, si veggono così<br />
ben tessute e intrecciate, che chi le considera attentamente, senza molta difficoltà vi ritrova<br />
quel<strong>la</strong> necessaria congiunzione delle due predette scienze, che da molti è cerca, da pochi<br />
conosciuta et da pochissimi sino ad oggi recata in luce” 479 .<br />
475 Sui cambiamenti prodotti storicamente dal<strong>la</strong> deposizione di Carlo il Grosso nell’impero e sul<strong>la</strong> posizione<br />
assuta riguardo agli eventi in questione da Reginone rinviamo a The New Cambridge Medieval History,<br />
Cambridge University Press, 1994-2000, voll. VII, nel vol. II, edited by Rosamond Mckitterick, 1995, vedi pp.<br />
138-139, e ivi, ancora sul processo di integrazione tra Carolingi e aristocratici e sul<strong>la</strong> lucida disamina di<br />
Reginone, cfr. p. 449. Inoltre riguardo al giudizio negativo del Giambul<strong>la</strong>ri sui successori di Carlo Magno vedi<br />
C. Vasoli, A proposito del<strong>la</strong> <strong>storia</strong> d’Europa, cit., p. 632.<br />
476 C. Curcio, Europa <strong>storia</strong> di un’idea, cit., I vol., p. 204.<br />
477 C. Vivanti, Gli umanisti e le scoperte geografiche, in Il nuovo mondo nel<strong>la</strong> coscienza italiana e tedesca del<br />
Cinquecento, a cura di A. Prosperi e W. Reinhard, Bologna 1992, pp. 327-349, ora in id., Incontri con <strong>la</strong> <strong>storia</strong>.<br />
Politica, cultura e società nell’Europa moderna, a cura di Miguel Gotor e Gabriele Pedullà, presentazione di<br />
Maurice Aymard, Torino, Seam, 2001, pp. 73-90, in partico<strong>la</strong>re passo cit., p. 74 e ivi, id., I ”commentarii” di Pio<br />
II, ( <strong>prima</strong> in “Studi Storici”, 26, 1985, pp. 443-462), pp. 51-73, passo cit., a p. 54.<br />
478 P. Giambul<strong>la</strong>ri, Del sito e del<strong>la</strong> forma del Purgatorio, cit..<br />
479 Ivi, passo a p. 5.<br />
81
La prospettiva neop<strong>la</strong>tonica, cui questa lezione va ascritta, valorizza specialmente nel<strong>la</strong><br />
<strong>prima</strong> metà del XVI secolo, <strong>la</strong> funzione di cosmografia e geografia quali strumenti di<br />
conoscenza dell’uomo e del creato, funzionali pertanto ad esprimere ed esaltare <strong>la</strong> perfezione<br />
e <strong>la</strong> grandezza divina.<br />
L’adesione del Giambul<strong>la</strong>ri a questi orientamenti viene confermata anche dai numerosi<br />
riferimenti agli esponenti del<strong>la</strong> cultura europea coeva che si dedicano agli studi cosmografici<br />
e geografici secondo quest’indirizzo, presenti nel<strong>la</strong> lezione 480 .<br />
D’altra parte, fin dalle prime battute del<strong>la</strong> Storia cosmografia e geografia, forniscono un<br />
supporto indispensabile al<strong>la</strong> trattazione storica nel<strong>la</strong> descrizione dell’Europa. Il dato fisicoclimatico<br />
insieme al<strong>la</strong> molteplicità e varietà dei caratteri presentati, contribuisce<br />
immediatamente a sancire <strong>la</strong> superiorità del<strong>la</strong> civiltà del continente europeo rispetto ad Asia<br />
ed Africa, nonostante <strong>la</strong> loro maggiore superficie:<br />
“La sua qualità, ragionandone generalmente, si può dire assai temperata, e di un’aria<br />
molto benigna; come chiaramente si può vedere da l’essere questa regione abbondantissima<br />
di biade, vini, frutte, carne, e di ciascuna altra cosa che al vivere è necessaria; copiosa<br />
d’uomini armigeri, e parimente di quegli ancora che esercitano l’agricoltura, e tutte l’altre<br />
arti che al ben vivere sono di momento: ricca di tutti i metalli, piena di cittadi ornatissime,<br />
dotata di fiumi, di <strong>la</strong>ghi, di selve, di campagne, di monti; ed in somma sì fattamente provista<br />
dal<strong>la</strong> benigna madre natura, che el<strong>la</strong> se bene è di corpo minore, sopravanza però di gran<br />
lunga ed eccede l’Africa e l’Asia in tutte le cose, cavandone so<strong>la</strong>mente gli odori e le<br />
gemme.” 481<br />
Parole nelle quali, non è difficile individuare l’influenza del pensiero geografico greco ed in<br />
partico<strong>la</strong>re di Strabone che proprio nel<strong>la</strong> condizione del clima temperato e nel<strong>la</strong> conseguente<br />
varietà di uomini, propensioni, risorse, che caratterizzava prevalentemente l’Europa,<br />
individuava le ragioni del suo <strong>prima</strong>to 482 .<br />
Il profilo del Giambul<strong>la</strong>ri, presenta anche una certa analogia concettuale con le descrizioni<br />
del continente europeo proposte da Sèbastian Muenster, di cui segue attentamente gli<br />
interventi in materia geografica, come documenta in primo luogo <strong>la</strong> suddetta lezione dantesca.<br />
Quando infatti, il Giambul<strong>la</strong>ri si propone di localizzare il Purgatorio ricorrendo alle coeve<br />
rivisitazioni e correzioni apportate al<strong>la</strong> geografia tolemaica dal<strong>la</strong> cosmografia europea in<br />
re<strong>la</strong>zione alle nuove scoperte geografiche 483 , dopo essersi scagliato contro l’opinione di greci<br />
e <strong>la</strong>tini che avevano negato l’esistenza degli antipodi e sostenuto conseguentemente <strong>la</strong> non<br />
abitabilità di alcune zone del mondo 484 , conclude, menzionando direttamente l’autore tedesco:<br />
480 In proposito vedi infra pagina seguente.<br />
481 Storia, cit., passo a p. 7, al riguardo cfr. C. Vasoli, A proposito del<strong>la</strong> <strong>storia</strong> d’Europa, cit., pp. 632-633.<br />
482 A proposito delle formu<strong>la</strong>zioni sul fattore fisico-climatico nel pensiero greco si rinvia a C. Curcio, Europa.<br />
Storia di un’idea, cit., I vol., pp. 54-67, in partico<strong>la</strong>re sul<strong>la</strong> posizione di Strabone p. 67.<br />
483 In proposito rinviamo a M. Mi<strong>la</strong>nesi, Il Tolomeo sostituito. Studi di <strong>storia</strong> delle conoscenze geografiche nel<br />
XVI secolo, Mi<strong>la</strong>no, Unicopli, 1984; e in AA. VV., Al<strong>la</strong> scoperta del mondo l’arte del<strong>la</strong> cartografia da Tolomeo<br />
a Mercatore, cit., a Gli at<strong>la</strong>nti del cinquecento Mercatore e <strong>la</strong> cartografia moderna, cit., pp. 171-239.<br />
484 Del sito e del<strong>la</strong> forma del Purgatorio, cit., a p. 7 il Giambul<strong>la</strong>ri infatti contesta vivacemente l’“invecchiata<br />
credenza di tanti scrittori e greci e <strong>la</strong>tini, che negando del tutto gli Antipodi, ci hanno posto questo mondo in<br />
una so<strong>la</strong> parte abitato, affermando più del dovere che i due estremi di quello sono <strong>la</strong> metà dell’anno vestiti di<br />
continue tenebre, ed hanno i freddi, tanto eccessivi, che <strong>la</strong> natura de’ viventi non gli può sopportare in guisa<br />
alcuna, e che <strong>la</strong> parte del mezzo è continuamente abbrucciata da un calore tanto intenso e da un ardore si<br />
smisurato che sofferir non lo puote vivente alcuno. Cose per quanto mostra l’esperienza, tutte false, tutte<br />
erronee, tutte bugie, nate dal<strong>la</strong> poca cognizione che gli antichi avevano del mondo, e dal<strong>la</strong> estrema leggerezza<br />
dei Greci, che nelle istorie loro troppo sicuramente posero in carta quelle cose che e’ non sapevano…”. In<br />
proposito vedi supra nel cap.I, p. 33.<br />
82
“non sappiamo noi per tanti che vivono che sotto l’equinoziale e nel<strong>la</strong> stessa lor zona<br />
torrida, non so<strong>la</strong>mente è abitazione comoda e atta al<strong>la</strong> vita umana, ma vi sono ancora gli<br />
ampissimi regni di Gambra, di Ginega, di Melli, di Orgvena, del Pretegianni, di Melinda, di<br />
Cei<strong>la</strong>n, di Calicut, di Sammotra, di Porne, e nel Nuovo Mondo una gran parte di essa<br />
America? Siccome per voi stessi potete vedere, ne’ Tolomei ultimamente messi in istampa da<br />
Sebastiano Muenstero…” 485<br />
Nel passo in questione, il canonico <strong>la</strong>urenziano richiama l’edizione basileese del<strong>la</strong><br />
Geographia di Tolomeo del 1540 che ripropone <strong>la</strong> traduzione <strong>la</strong>tina dell’umanista tedesco<br />
Willibald Pirckheimer del 1525, curata dal Muenster 486 . L’umanista tedesco inserisce<br />
annotazioni e postille al<strong>la</strong> fine di ogni capitolo e completa le rappresentazioni cartografiche<br />
tolemaiche correggendone le mancanze come nel caso del continente americano. In realtà, il<br />
testo offerto dal Muenster ricalca in gran parte quello e<strong>la</strong>borato dal Pirckheimer nel<strong>la</strong><br />
rivisitazione per <strong>la</strong> successiva edizione lionese del 1535 dei fratelli Trechsel, di Michele<br />
Serveto. Sotto lo pseudonimo di Vil<strong>la</strong>noviano, infatti, quest’ultimo compie un intervento<br />
tutt’altro che impersonale, documentato dalle copiose note esplicative aggiunte al<strong>la</strong> traduzione<br />
del Pirckheimer.<br />
Un sostanziale contributo innovativo rispetto all’edizione lionese, il Muenster lo fornisce<br />
soprattutto sotto il profilo cartografico delle nuove mappe e re<strong>la</strong>tivamente ai termini tecnici<br />
che introduce 487 , attenendosi per il resto al<strong>la</strong> rivisitazione del Serveto 488 .<br />
Muenster, allievo di Johann Stoffler 489 , uno dei maggiori fautori del rinnovamento<br />
astronomico europeo in chiave neop<strong>la</strong>tonica, pertanto offre il suo maggior contributo al<br />
rinnovamento degli studi in questo campo evidenziando le carenze del Tolomeo geografo<br />
rispetto ai grandi meriti del Tolomeo astronomo, come sottolineato da Marica Mi<strong>la</strong>nesi 490 .<br />
Una tendenza di riscoperta autentica del sapere antico e di rinnovamento non occasionale<br />
nell’Umanesimo tedesco come dimostra l’intenzione di recuperare tra gli altri, un Aristotele<br />
completamente purificato da retaggi del<strong>la</strong> Sco<strong>la</strong>stica, attraverso una traduzione<br />
filologicamente corretta delle sue opere in tedesco, avanzata da un altro allievo dello Stoffler,<br />
485 Ivi, passo alle pp. 7-8.<br />
486 Geographia universalis vetus et nova complectens C<strong>la</strong>udii Ptolemaei alexandrini enarattionis libros VIII.<br />
Quorum primus nova trans<strong>la</strong>tione Pirkeimheri et accessione commentarioli illustrior quam hactenus fuerit,<br />
redditus est. Reliqui cum greco et alijs vetustis exemp<strong>la</strong>ribus col<strong>la</strong>ti, in infinitis fere locis castigatiores facti sunt.<br />
Addita sunt insuper Scholia, quibus exoleta urbium, montium, fluviorumque nomina ad nostri seculi morem<br />
exponentur. Succedunt tabu<strong>la</strong>e Ptolemaicae, opera Sèbastiani Muensteri novo paratae modo. His adiectae sunt<br />
novae tabu<strong>la</strong>e, modernam orbis facies literis et pictura explicantes, inter quas quidam antehac Ptolomeo non<br />
fuerunt additae. Ultimo annexum est compendium geographicae descriptionis, in quo varij gentium et regionum<br />
ritus et mores explicantur. Praefixus est quoque universo operi index memorabilium popilorum, civitatum,<br />
fluviorum,montium, terrarum, <strong>la</strong>cuum et c., Basileae apud Henrichum Petrum, mense martio anno MDXL, nel<strong>la</strong><br />
quale risalta evidente lo scarto tra le due rappresentazioni geografiche del<strong>la</strong> terra con aggiunto in quel<strong>la</strong><br />
muensteriana il continente americano, <strong>la</strong> Scandinavia e l’Africa occidentale mancanti nel<strong>la</strong> tolemaica, poste in<br />
appendice all’ultimo libro del<strong>la</strong> Geographia Ptolemaica, l’ottavo; vedi pp. 159 e 163. Su questa e sulle succesive<br />
edizioni vedi i riferimenti in S. Muenster, Briefe, cit., ad indicem in partico<strong>la</strong>re sull’edizione del 1545 <strong>la</strong> lettera<br />
del Muenster al suo maestro Pellikan del 21 giugno, pp. 105-110 in cui sottolinea l’ulteriore aggiunta di nuove<br />
tavole: “Excudimus et iam terbio Cosmographiam Ptolemaei Latine cum aliquot novis tabu<strong>la</strong>e.” Passo a p. 105.<br />
Inoltre a proposito di Willibald Pirchkeim rinviamo a Willibald Pirckheimer voce di L. Domonkos in<br />
Contemporaries of Erasmus, cit., nel vol. III, 1987, pp. 89-95.<br />
487 Gli at<strong>la</strong>nti del cinquecento, cit., in partico<strong>la</strong>re pp. 183-190.<br />
488 In proposito ci sembra interessante segna<strong>la</strong>re come Muenster riproponga, del<strong>la</strong> revisione del Serveto, <strong>la</strong><br />
negativa valutazione sul<strong>la</strong> Spagna suscitando l’ampia controffensiva pubblicistica di Damiano De Goa, al<br />
riguardo si rinvia a Henry Vocht de, History of the Foundation and the Rise of the Collegium Trilingue<br />
Lovaniense, cit., vol. III, The Full Growth, pp. 64-67,<br />
489 Sul cui magistero e sul rilevante impatto suscitato sul neop<strong>la</strong>tonismo europeo rinviamo a L. Felici, Tra<br />
Riforma ed eresia. La giovinezza di Martin Borrhaus (1499-1528), cit., pp. 5-9.<br />
490 M. Mi<strong>la</strong>nesi, Il Tolomeo sostituito, cit., vedi pp. 18-19.<br />
83
Martin Borrhaus e poi trasformata in un formale progetto da Me<strong>la</strong>ntone a cui anche il<br />
Pirchkeimer avrebbe dovuto prendere parte 491 .<br />
Dunque un Giambul<strong>la</strong>ri, attento alle novità in campo astronomico, che probabilmente tiene<br />
conto del seguente passaggio del Tolomeo munsteriano, per il suo profilo d’Europa, vista<br />
l’identità concettuale e <strong>la</strong> somiglianza letterale che emerge dal confronto 492 , nonostante il<br />
diverso ordine logico osservato dai due autori:<br />
“L’Europa una delle tre principalissime parti<br />
del mondo[…]La sua qualità, ragionandone<br />
generalmente, si può dire assai temperata, e<br />
di un’aria molto benigna; come chiaramente<br />
si può vedere da l’essere questa regione<br />
abbondantissima di biade, vini, frutte, carne,<br />
e di ciascuna altra cosa che al vivere è<br />
necessaria; copiosa d’uomini armigeri, e<br />
parimente di quegli ancora che esercitano<br />
l’agricoltura, e tutte l’altre arti che al ben<br />
vivere sono di momento: ricca di tutti i<br />
metalli, piena di<br />
cittadi ornatissime, dotata di fiumi, di <strong>la</strong>ghi,<br />
di selve, di campagne, di monti; ed in somma<br />
sì fattamente provista dal<strong>la</strong> benigna madre<br />
natura, che el<strong>la</strong> se bene è di corpo minore,<br />
sopravanza però di gran lunga ed eccede<br />
l’Africa e l’Asia in tutte le cose, cavandone<br />
so<strong>la</strong>mente gli odori e le gemme. Questa,<br />
cominciandosi da ponente, contiene <strong>la</strong><br />
Spagna, <strong>la</strong> Francia, <strong>la</strong> Italia, <strong>la</strong> Germania, <strong>la</strong><br />
Ungheria, <strong>la</strong> Polonia, <strong>la</strong> Moscovita, <strong>la</strong><br />
Sarmazia, e di qua da’l Danubio <strong>la</strong><br />
Schiavonia, <strong>la</strong> Macedonia, <strong>la</strong> Grecia, <strong>la</strong><br />
Tracia, con molte isole…” 493<br />
“Haec una est tribus orbis partibus […]Sed<br />
quod in p<strong>la</strong>no est et naturalem habet<br />
temperiem[…]affert fructus optimos vitae<br />
necessarios, et metal<strong>la</strong> quaecumque usui<br />
necessaria sunt. Odores vero ad sacrificia<br />
necnon multi sumptus <strong>la</strong>pillos extrinsecus<br />
petit. Similiter pecudum mitium exhibet<br />
copiam, ac bestiarum ferarumque habet<br />
raritatem.[…]accipiuntque hae gentes aliqua<br />
inter se beneficia, dum aliae opem armis<br />
ferunt, aliae fructibus et artibusque morumque<br />
doctrina. Habet enim Europa multitudinem<br />
pugnacem, habet et que agros co<strong>la</strong>t, quaeque<br />
urbes contineat.[…] Est adeo amoena,<br />
pulcherrimisque urbibus, castris, vicis et pagis<br />
exornata, virtute denique populorum tam<br />
praestans, ut longe superet Asia aut<br />
Aphricam, quantumlibet il<strong>la</strong>e terrae sint<br />
maiores. […]Particu<strong>la</strong>ris pars <strong>prima</strong> ab<br />
occasu Hispania…Galliam…Post Italiam<br />
autem, quae ad ortum reliquia sunt Europae,<br />
bisariam dividuntur Istro flumine 494 …a<br />
sinistra reliquens Germaniam, Ungariam,<br />
Poloniam, Moscoviam et c. A dextra vero<br />
Illyricum, Dalmatiam, Thraciam,<br />
491 Sul progetto mai realizzato cfr. L. Felici, Eresia e giovinezza, cit., pp. 9-11.<br />
492 Molto lontano invece da una possibile corrispondenza ci sembra <strong>la</strong> fonte indicata dal<strong>la</strong> Marangoni in Storia<br />
d’Europa, cit., p. 6 in nota: Pii.II. pon. Max. Asiae Europaequae elegantissima descriptio, mira festivitate tum<br />
veterum, tum recentium res memoratu dignas complectens, maxime sub Federico III. Apud Europeos Christiani<br />
cum Turcis, Prutenis, Soldano, et caeteris hostibus fidei, tum etiam inter sese vario bellorum eventu<br />
commiserunt. Accessit Henrici G<strong>la</strong>reani, Helvetij, poetae <strong>la</strong>ureati compendiaria Asiae, Africae, Europaequae<br />
descriptio, Parisijs apud Galeotum a prato, ad <strong>prima</strong>m Pa<strong>la</strong>tij regij columnam, 1534, (in realtà <strong>la</strong> Marangoni cita<br />
l’edizione veneziana dell’opera del 1544) in cui leggiamo alle pp. 9-11: “Consensu omnium receptum est, totius<br />
habitabilis treis praecipuas esistere portiones, quorum pre magnitudine <strong>prima</strong> est Asia, secunda est Aphrica,<br />
tertia Europa. Asia coniungitur Aphricae (sicut Ptolomeao vosum est) per dorsum Arabile, quod mare nostrum<br />
ab Arabico finu disiungit. Nemo id negat, sed adijcit ille alio in loco, coniungi per terram incognitam quae<br />
indicum pe<strong>la</strong>gus circumplectitur. In qua sententia pene solus est. Omnes enim quos offendimus de situ orbis<br />
scribentes, mare indicum ad austrum et orientem fine terminis ponunt : et partem oceani esse volunt, sicut ab his<br />
traditum est, qui arabico finu in At<strong>la</strong>nticum mare, et ad columnas Herculis naviagarunt. Europae et Asiae<br />
coniunctio sit per dorsum quod inter paludem maeotim et Sarmaticum oceanum excurrit supra Tanais fluvij<br />
fontes. Aphrica nusquam, per sese Europae coheret, hinc freto Herculeo, illinc Asia interiacete discreta. Fuerunt<br />
qui ea ab Asia disiungere voluerunt, id terrae intercedere meditati, quod inter rubrum et nostrum pe<strong>la</strong>gus<br />
medium est: cuius <strong>la</strong>titudinem non amplius quod mille et quingentorum stadiorum esse dixerunt. […]Europa per<br />
Hispaniam, Italiam, et Peloponesum australior est, parallelum qui per Rhodum ducitur, attingens: in<br />
septentrionem per Germaniam et Norvegiam maxime protesa: quinto et sexto climate felix, ulterius non adeo<br />
benigna.”<br />
493 Storia, cit., p. 6.<br />
494 Altro modo di indicare il Danubio in proposito vedi Geographia vetus et nova, cit., p. 44.<br />
84
Macedoniam, reliquamque ultimam Graeciam.<br />
Praeiacent quoque Europae insu<strong>la</strong>e…” 495<br />
Peraltro, il passo muensteriano è molto vicino ad un altro brano del<strong>la</strong> sua celebre<br />
Cosmographiae Universalis 496 edita in tedesco nel 1544 e nel 1550 in <strong>la</strong>tino 497 , ben nota al<br />
Giambul<strong>la</strong>ri come vedremo. In realtà a ben guardare, nel<strong>la</strong> Cosmographia, l’umanista<br />
tedesco 498 offre quasi una ripetizione letterale di un passaggio tratto dall’opera Omnium<br />
gentium, mores, leges et ritus… 499 di Jacob Ziegler 500 editata nel 1542 a Venezia 501 . Il<br />
Muenster, del resto, ripone grande fiducia nelle conoscenze geografiche dello Ziegler come<br />
testimoniano alcuni passi delle sue lettere 502 e l’inclusione dell’astronomo nell’elenco delle<br />
fonti del<strong>la</strong> sua Cosmographiae nell’edizione del 1552 503 .<br />
495 Ivi, passo a p. 269.<br />
496 S. Muenster, Cosmographiae universalis lib. VI in quibus, iuxta certioris fidei scriptorum traditionem<br />
describuntur, omnium habitabilis orbis partium situs, propriaque dotes. Regionum Topographicae effigies.<br />
Terra ingenia, quibus fit ut tam differentes et varias species res, et animatas et inanimatas, ferat. Animalium<br />
peregrinorum naturae et picturae. Nobiliorum civitatum icones et descriptiones. Regnorum initia, incrementa et<br />
trans<strong>la</strong>tiones. Omnium gentium mores, leges, religio, res gestae, mutationes : Item regum et principum<br />
genalogiae, Basileae 1552.<br />
497 La Cosmographia, infatti, fino al 1550, anno del<strong>la</strong> <strong>prima</strong> edizione in lingua <strong>la</strong>tina, esiste solo in versione<br />
tedesca. Pertanto il Giambul<strong>la</strong>ri che <strong>la</strong> cita intorno al 1547 <strong>la</strong> consulta probabilmente in questa lingua. A parte <strong>la</strong><br />
remota possibilità che egli l’abbia vista in versione volgare. Ipotesi da verificare, considerato che una delle tre<br />
edizioni in volgare dell’opera munsteriana è stata realizzata dallo stampatore veneziano Thomasini in data non<br />
meglio precisata. Senza dubbio invece il Giambul<strong>la</strong>ri non ha consultato le altre due versioni volgari, una infatti<br />
viene stampata a Basilea nel 1558, l’altra nel 1575 a Colonia. Al riguardo rinviamo a R. Oehme, Introduction,<br />
cit., in S. Muenster, Cosmographie, cit., pp. XIV-XVIII. Inoltre, in proposito cfr. Gli At<strong>la</strong>nti del Cinquecento,<br />
cit., pp. 190-197.<br />
498 Cosmographiae universalis, cit., p. 40c4-41c5 “Est itaque Europa regio reliquis orbis partibus minor, sed<br />
populosissima, fertilissima atque cultissima, non cedens etiam Africae quantumuis ipsa longior et <strong>la</strong>tior sit<br />
Europa. Nam in Europa non inveniunt tam vastae solitudines, tam steriles arene, et tam ingens calor omnia<br />
exurens ut in Africa. Nullus est loco aut regio in Europa tam abiecta, in qua homines sibi non fecerint<br />
mansiones, et ubi vitae necessaria non commode sibi parare queant. Quantum autem Europae ipsius in p<strong>la</strong>no<br />
est, naturalemque habet temperiem, multum adiuvat ad ista, quandoquidem id quod est in felici regione<br />
pacificum omne est, et quod in tristi, pugnax et virile: accipiuntque hae gentes aliqua inter se beneficia. Aliae<br />
enim opem armis ferunt, aliae fructibus et artibus, morumque doctrina. Est ergo Europa ad pacem et a bellum<br />
sufficientissima sibi. Nam habet abundem multitudinem pugnacem, et quae agros co<strong>la</strong>t, et quae urbes contineat<br />
quoque. Excellit haec et fructus afferens optimos vitae necessarios, et metal<strong>la</strong> quaecumque usui sunt. Odores ad<br />
sacrificia, nec non multi sumptus <strong>la</strong>pillos ipsa extrinsecs petit. Similter pecudum exhibet mitium multarum<br />
copiam, at bestiarumque habet raritatem.”<br />
499 Omnium gentium mores, leges et ritus, ex multis c<strong>la</strong>rissimimis rerum scriptoribus, a Ioanne Boemo Aubano<br />
Teutonico nuper collecti, et novis sine recogniti. Tribus libris absolutum opus, Aphricam, Asiam, et Europam<br />
describentibus. Accesit libellus de Regionibus Septentrionalibus, earumque Gentium ritibus, veterum Scriptorum<br />
saeculo fere incognitis, ex Iacobo Zieglero Geographo diligentiss. Necnon Mathiae a Michou de Sarmatia<br />
Asiana, atque Europea, libri duo. Non sine indice locupletissimo, Venetiis, MDXXXXII.<br />
500 Sul quale vedi <strong>la</strong> voce Jacob Ziegler di Ilse Guenther e Peter G. Bietenholz in Contemporaries of Erasmus,<br />
cit., vol. III, 1987, pp. 474-476.<br />
501 Omnium gentium mores, leges et ritus, cit., liber III, pp. 150kIII-151kIIII: “Quantum autem Europae ipsius<br />
in p<strong>la</strong>no est, naturalemque habet temperiem, multum adiuvat ad ista, quandoquidem id quod est in felici regione<br />
pacificum omne est, et quod in tristi, pugnax et virile: accipiuntque hae gentes aliqua inter se beneficia. Aliae<br />
enim opem armis ferunt, aliae fructibus et artibus, morumque doctrina.[…] Ex hoc autem ad pacem et a bellum<br />
sufficientissima sibi. Etenim multitudinem pugnacem abunde habet, et quae agros co<strong>la</strong>t, et quae urbes quoque<br />
contineat. Excellit haec et fructus afferens optimos vitae necessarios, et metal<strong>la</strong> quaecumque usui sunt. Odores<br />
ad sacrificia, nec non multi sumptus <strong>la</strong>pillos ipsa extrinsecs petit.[…]Similiter pecudum exhibet mitium<br />
multarum copiam, at bestiarum ferarumque habet raritatem.”<br />
502 Nel<strong>la</strong> lettera inviata da Basilea a Giorgio il Normanno che gli ha scritto per conto di Gustavo Wasa “regis<br />
Suecorum, Gothorum” il 20 Agosto 1545, Muenster afferma: ”Gaudeo regi p<strong>la</strong>cuisse <strong>la</strong>borem meum. Quod<br />
queadam perperam scripsi de retrusioribus regni vestri gentibus atque de minera auri, ex cerebro meo non<br />
deprompsi, sed accepi vel ex O<strong>la</strong>o Magno vel ex Zieglero, qui ante me haec notarunt, sed eradam ubi ad tertiam<br />
editionem ventum fuerit.” In S. Muenster, Briefe, cit., pp. 112-120, passo riportato a p. 113, e ancora ivi, il 3<br />
gennaio 1548 a Matthias Erb “In summa aliud emp<strong>la</strong>strum huic vulneri adhiberi nequit, quam quod in tertia<br />
85
Il cosmografo bavarese viene chiamato in causa nel<strong>la</strong> lezione dantesca del Giambul<strong>la</strong>ri del<br />
’41, come accennato, quale principale sostenitore nel<strong>la</strong> sua Schondia 504 (poi riutilizzata dal<br />
canonico <strong>la</strong>urenziano anche nel<strong>la</strong> Storia) dell’esistenza e dell’abilità del<strong>la</strong> Scandinavia,<br />
sconosciuta a Tolomeo 505 .<br />
D’altra parte il Giambul<strong>la</strong>ri conosceva anche un altro passo muensteriano simile ai<br />
precedenti ma cronologicamente precedente a quello ziegleriano degli Omnium…mores che<br />
non sappiamo se sia stato da lui effettivamente letto. Il passaggio sicuramente letto, si trova,<br />
appunto, in uno scritto incluso nel<strong>la</strong> silloge basileese, curata dal canonico del duomo di<br />
Strasburgo Johann Huttich e stampata nel 1532 506 da Johann Hervagius 507 conosciuta dal<br />
canonico <strong>la</strong>urenziano 508 . Elemento che oltre a confermare <strong>la</strong> vicinanza del Giambul<strong>la</strong>ri a certi<br />
indirizzi neop<strong>la</strong>tonici in campo astronomico, offre ulteriori elementi del suo contatto con<br />
scritti di figure dell’umanesimo tedesco associate al<strong>la</strong> Riforma. Nel caso specifico (a parte<br />
naturalmente il Muenster) ci riferiamo all’umanista Simon Grynaeus chiamato a insegnare<br />
greco a Basilea nel 1529 dietro interessamento di Eco<strong>la</strong>mpadio e partito nel 1531 al<strong>la</strong> volta di<br />
Tubinga per riorganizzare <strong>la</strong> locale università e diffondere <strong>la</strong> Riforma su incarico di Hulrich<br />
del Wuttemberg 509 . Il Grynaeus infatti scrive l’introduzione 510 del<strong>la</strong> silloge, sviluppando il<br />
edizione, quam prope diem longe magnificentiorem adornabimus, haec ut mendacia explodemus, sicut et ex au<strong>la</strong><br />
regis Sueciae monitus sum, ut quaedam mutem, quae suppeditarunt Jacobus Zieglerus et O<strong>la</strong>us Magnus. Spero<br />
per haec p<strong>la</strong>cari commotum animum principis.”, pp. 127-130, passo riportato a p. 128 e infine ivi, nel gennaio<br />
1550 da Basilea a Gustavo Wasa “Quae de fiorentissimo tuae maiestatis regno hic scribo, ex recentioribus<br />
scriptoribus, maxime autem ex Krantio, Zieglero et O<strong>la</strong>o Magno desumpsi.”, lettera alle pp. 155-160, passo<br />
riportato a p. 157.<br />
503 Catalogus doctorum virorum, quorum scripsit et ope sumus usi et adiuti in hoc opere in Cosmographiae<br />
universalis, cit., che segue <strong>la</strong> lettera dedicataria a Carlo V e precede l’indice delle cose e dei fatti notabili.<br />
504 Syria ad Ptolomaici operis rationem. Praeterea Strabone, Plinio, et Antonio auctoribus locupletata.<br />
Palestina, iisdem auctoribus, Praeterea hi<strong>storia</strong> sacra, et Iosepho, et divo Hieronymo locupletata. Aegyptus,<br />
iisdem auctoribus. Praeterea Joanne Leone Arabe grammatico, secundum recentiorum locorum situm, illustrata.<br />
Schondia, tradita ab auctoribus, quin eius operis prologo memorantur. Holmiae, civitatis regie, Suetiae,<br />
deplorabilis excidijs per Christiernum Datiae cimbricae regem hi<strong>storia</strong>e. Regionum superiorum, singu<strong>la</strong>e<br />
tabu<strong>la</strong>e Geographicae, Argentorati apud Petrum Opilionem, MDXXXII.<br />
505 Del sito e del<strong>la</strong> forma del Purgatorio, cit., alle pp. 12-13 Giambul<strong>la</strong>ri chiama in causa <strong>la</strong> Scondia dello<br />
Ziegler: “Laonde in tutto il tempo predetto egli è certamente impossibile che ei non vi sia lume o che il freddo vi<br />
sia intollerabile né in Norvegia, né in Isvezia, dalle quali (come nel<strong>la</strong> Scondia del Zieglero si conosce), il<br />
novembre e il dicembre di ciascun anno si trova lontano il sole novantuno e novantadue gradi. E pur sono<br />
queste due province non so<strong>la</strong>mente abitate, ma frequentate, quanto sanno i vostri mercatanti, non che quelli<br />
del<strong>la</strong> Germania che continuamente vi fanno faccende. Molto più ancora è impossibile che ciò avvenga in tutto<br />
quel tempo che il sole sta ne’ segni settentrionali[…]Restaci dunque so<strong>la</strong>mente da dubitare di quel tempo che il<br />
sole sta ne’ segni meridionali, tempo (secondo gli antichi) di notte scurissima e continuata in tutte le parti vicine<br />
al polo. Il che sebbene è falsissimo per <strong>la</strong> testimonianza degli uomini di que’ dintorni che nel<strong>la</strong> morte di Adriano<br />
VI si trovarono in Roma, e per quel<strong>la</strong> del Zieglero sopra detto, che nel<strong>la</strong> Scondia sua, <strong>la</strong>rgamente e con gran<br />
dottrina, di ciò disputa, si riprova pure ancor falso per questa via.”.<br />
506 Novus orbis regionum ac insu<strong>la</strong>rum veteribus incognitarum, una cum tabu<strong>la</strong> cosmographca, et aliquot aliis<br />
consimilis argument libellis quorum omnium catalogus sequenti patebit pagina, Parisiis apud Galeotum a Prato,<br />
MDXXXII, VIII Novembris ivi, lo scritto Typi cosmographici et dec<strong>la</strong>ratio et usus, per Sebastianum<br />
Muensterum in Novus Orbis, cit., pp. 20-24 (numerazione aggiunta a mano in re<strong>la</strong>zione alle pagine precedenti<br />
dell’indice, mentre al<strong>la</strong> fine dello scritto munsteriano essa comincia da 1) in partico<strong>la</strong>re a proposito del prospetto<br />
dell’Europa il Muenster scrive a p. 21: “Haec Europa licet comparatione aliarum terrae partium sit parva, est<br />
tamen cultissima et populosissima, ut etiam in ea re excedat totam Africam, non obstante quod il<strong>la</strong> in triplo sit<br />
maior.[…]Habet multitudinem pugnacem, et quae agros co<strong>la</strong>t, et qaue urbes quoque ; contineat, Affert fructus<br />
optimos vitae necessarios, et metal<strong>la</strong> quaecumque usui sunt. Similter pecudum mitium exhibet copiam :<br />
bestiarum ferarumque habet raritatem. Odores et <strong>la</strong>pillos magni sumptus extrinsecus petit.”<br />
507 Sullo stampatore John Herwagen e sul<strong>la</strong> sua attività vedi C. W. Heckethorn, The Printers of Basle, cit., pp.<br />
117-120, 123-124, 172, 197 e sull’omonimo figlio anch’egli stampatore pp. 129-130.<br />
508 Sul<strong>la</strong> lettera dell’opera in re<strong>la</strong>zione ad altre fonti si rinvia a Storia, cit., p. 13 in partico<strong>la</strong>re nota critica del<strong>la</strong><br />
Marangoni sul<strong>la</strong> Sarmazia.<br />
509 Per queste ed altre notizie biografiche su Simon Grynaeus si rinvia a L. Felici, Tra riforma ed eresia, cit., in<br />
partico<strong>la</strong>re <strong>la</strong> nota 48 a p. 302 e F. Ritter, Histoire de l’imprimerie Alsacienne aux XVe et XVIe siècles, editions<br />
F.- X. Le Roux, Strasbourg-Paris, 1955 cfr. in partico<strong>la</strong>re nelle Appendices il profilo n. 369 a p. 562; inoltre cfr.<br />
86
confronto in materia geografica tra antichi e moderni, secondo quei termini neop<strong>la</strong>tonici e<br />
religiosi strettamente legati al<strong>la</strong> ricerca e all’interpretazione del dato scientifico. Pur<br />
sollecitando gli uomini ad ammirare <strong>la</strong> gloria di Dio manifestata dal<strong>la</strong> creazione, del<strong>la</strong> natura<br />
terrestre 511 , l’umanista tedesco nutre forti perplessità sul<strong>la</strong> capacità umana di contemp<strong>la</strong>re e<br />
comprendere <strong>la</strong> perfezione divina del creato, perchè:<br />
“Quamquam hoc totum naturae spectaculum, ex quo velut vivo libro condisci opifx ille<br />
rerum debebat, luculenter considerationi hominum offert sese…tamen ignava esse vitio et<br />
socordia hominum videtur, nec quicquam admirationis habere facies il<strong>la</strong> naturae, etque;<br />
incredibile memoratu, quam pauci mortales vel maiestate eius summa, vel variegate mirabili<br />
excitentur.”<br />
I pochi che contraddicono questa tendenza generale, grazie ai loro studi e alle ricerche<br />
scientifiche, sono i medici e gli esploratori. Tuttavia, è l’intervento del<strong>la</strong> provvidenza divina<br />
che differenzia questa minoranza dal resto dell’umanità:<br />
“Adversus hunc morbum hominum, omnis generis scriptores et inventores rerum, divina<br />
providentia veluti medicos commenta obiecit, qui imperitis et inertibus istis vim naturae<br />
eruerent, et tamquam in lucem proferrent, et per eam opificis admonerent.” 512<br />
In questo modo, al pari di quanto accade per le altre arti, le conoscenze tecniche e<br />
scientifiche acquisite dall’uomo non senza il risolutivo intervento divino, sono diffuse dal<strong>la</strong><br />
paro<strong>la</strong> scritta che permette <strong>la</strong> circo<strong>la</strong>zione delle scoperte e consente l’ulteriore possibilità di<br />
penetrare <strong>la</strong> bellezza e <strong>la</strong> complessa armonia del creato. 513 Discorso suffragato dall’imponente<br />
mole di scoperte geografiche avvenute nei primi tre decenni del sedicesimo secolo:<br />
“Degeneres homines qui ut naturae lucem, qua vivant et qua utuntur per omnia, nul<strong>la</strong>m<br />
vident, ita sapientiam inventa et mirabilium rerum auctores, idcirco quia es iam usu<br />
contriverunt, pro nihilo habent. Nobis autem secus in unaquaque re <strong>prima</strong> origo et fons<br />
pervestigandus. Neque vero vana videri vis naturae debet, tanto desiderio ad rerum<br />
cognitionem incensa, nec vulgare exemplum, Orbis partem nostro saeculo inventam esse<br />
tantam propemodum, quanta est Europa.” 514<br />
Svolta questa introduzione storico-geografica il Giambul<strong>la</strong>ri inizia il racconto dei fatti<br />
storici che si svolgono durante il regno di Arnolfo. L’imperatore è subito protagonista di una<br />
guerra con il re di Boemia Suembaldo. La <strong>prima</strong> fonte di riferimento per i fatti boemi è<br />
l’Hi<strong>storia</strong> Bohemica di Pio II, stampata a Basilea da Johann Hervagius in una raccolta di fonti<br />
prevalentemente tedesche molto utilizzate dal Giambul<strong>la</strong>ri per <strong>la</strong> Storia, come vedremo 515 . Lo<br />
J. Jacquiot, La medaille dans l’humanisme allemand in L’Humanisme allemand, cit., pp. 567-581, in partico<strong>la</strong>re<br />
pp. 569-570.<br />
510 Excellenti viro Georgio collimitio danstettero artis medicae et disciplinarum mathematicarum omnium<br />
facile principi, Simon Grynaeus, in Novus Orbis, cit., pagine non numerate.<br />
511 In proposito vedi anche M. Mi<strong>la</strong>nesi, Il Tolomeo sostituito, cit., pp. 39-40.<br />
512 Passi citati, Excellenti viro Georgico, cit..<br />
513 Ivi, infatti, il Grynaeus sostiene: “Ac ut artes caeteras, quae variae et multiplices sunt, aliam aliamque<br />
unaqueque naturae partem tactantes praeteream nunc, nul<strong>la</strong>e plus sibiipsis auctoritatis, vel naturae rerum<br />
admirationis, parant, quam quae coeli et terrae situ, quem il<strong>la</strong> et seorsum et quem inter sese habent,<br />
descripserunt…non absque certa et evidenti multarum et difficilium artium notizia constitutas. Quae postquam<br />
inventae non absque beneficentia Dei, et proditae literis fuerunt, rem prius impossibilem generi humano, ire non<br />
solum mente et cogitatione per coeli spatia, sed terram oculis circuire, et mundum perambu<strong>la</strong>re licebat.”<br />
514 Excellent viro, cit…<br />
515 Aenae Sylvii Hi<strong>storia</strong> Bohemica in Vitichindi Saxonis rerum ab Henrico et Ottone I impp. Gestarum libri III,<br />
unam cum alijs quibusdam raris et antehac non lectis diversorum autorum historijs, ab anno salutatis DCCC.<br />
usque ad praesentem aetatem: quorum catalogus patebit pagina Huc accessit rerum scitu dignarum copiosus<br />
87
stesso Pio II, del resto, dedica ampio spazio al<strong>la</strong> Germania nel<strong>la</strong> sua opera storica, esaltandone<br />
<strong>la</strong> centralità assunta nell’Europa moderna in seguito al<strong>la</strong> Tras<strong>la</strong>tio imperii. Tuttavia i meriti<br />
del<strong>la</strong> civilizzazione tedesca appartengono, secondo il celebre umanista, al<strong>la</strong> Chiesa. D’altra<br />
parte in un momento di sostanziale impotenza dell’autorità imperiale, Pio II attribuisce al<strong>la</strong><br />
Chiesa il ruolo guida del<strong>la</strong> Res publica christiana, e il compito di garantire <strong>la</strong> sua compattezza<br />
interna e <strong>la</strong> sua sicurezza esterna, anche a livello politico contro le aspirazioni egemoniche<br />
francesi 516 .<br />
L’Hi<strong>storia</strong> bohemica focalizzata in gran parte sul vulnus aperto nel<strong>la</strong> contemporaneità dal<strong>la</strong><br />
questione hussita che turba l’armonia interna dell’Europa cristiana, già fortemente minacciata<br />
ad oriente dal<strong>la</strong> pressione ottomana, va letta in questa direzione 517 .<br />
Del<strong>la</strong> prospettiva di Pio II, Giambul<strong>la</strong>ri certamente condivide l’individuazione del fulcro<br />
dell’idea d’Europa nell’elemento cristiano. L’adesione al cristianesimo costituisce il requisito<br />
essenziale di appartenenza al<strong>la</strong> realtà spirituale europea 518 ed al<strong>la</strong> sua forma politica, l’Impero.<br />
In questo senso è indicativo che il Giambul<strong>la</strong>ri sul<strong>la</strong> falsariga dell’Hi<strong>storia</strong> Boemica individui<br />
<strong>la</strong> causa del conflitto nel rifiuto di Suembaldo di pagare il tributo dovuto ad Arnolfo per il<br />
vincolo di soggezione all’impero sancito dall’episodio del battesimo di Suembaldo che segna<br />
l’ingresso dei Boemi nell’Europa crisitana:<br />
“…attendendo ad insignorirsi delle cose<br />
del<strong>la</strong> corona, trovò che Suembaldo re di<br />
Moravia, da Pio nel<strong>la</strong> i<strong>storia</strong> boemica<br />
nominato Svatocopio, non voleva pagare il<br />
censo, né riconoscere <strong>la</strong> soggezione che<br />
aveva il sopradetto regno allo imperio franco<br />
o germano.” 519<br />
“Era questo re Suembaldo, che fu il<br />
penultimo re de’ Moravi, pochi anni avanti<br />
fatto cristiano con una parte del regno suo, e<br />
battezzato da quel Cirillo apostolo de gli<br />
Schiavoni, che per comodità del<strong>la</strong> gregge sua<br />
impetrò dal<strong>la</strong> Santa sede romana di potere<br />
celebrare <strong>la</strong> messa in lingua schiavona, come<br />
racconta il secondo Pio.” 521<br />
“Svatocopius eo tempore Moravis imperabat<br />
Christianae religionis cultor: et dignus cuius<br />
memoriam ad posteros<br />
referamus.[…]Svatocopius regum penultimus,<br />
cum aliquandium feliceter regnasset, tandem<br />
Arnolpho imperatori tributum pendere<br />
recusans…” 520<br />
“…Cyrillum…qui baptizato quondam<br />
Svatacopio, Moravius Christiana crediderat:<br />
multasque alias Sc<strong>la</strong>vorum gentes ad fidem<br />
Christi converterat. Referunt, Cyrillum cum<br />
Romae ageret, Romano Pontifici supplicasse:<br />
ut Sc<strong>la</strong>vorum linguam, eius gentis hominibus,<br />
quam baptizaverat, rem divinam faciens, uti<br />
posset.” 522<br />
D’altro parte le digressioni del Giambul<strong>la</strong>ri costituiscono anche l’applicazione di un tipico<br />
procedimento del<strong>la</strong> storiografia umanistica attinto dalle storie c<strong>la</strong>ssiche che prevede,<br />
preliminarmente al racconto di un conflitto, un’informazione sul carattere e sul<strong>la</strong> <strong>storia</strong> dei<br />
popoli coinvolti 523 . Non può mancare inoltre, una descrizione geografica del<strong>la</strong> regione abitata<br />
dai Boemi: <strong>la</strong> Moravia. Malgrado in proposito il Giambul<strong>la</strong>ri ricorra ad altre due fonti: i<br />
Commentarii urbani di Maffei Raffaele detto il “Volterrano” 524 , riguardo ad una spiegazione<br />
index, Basileae, apud Io. Hervagium, mense martio, Anno MDXXXII, pp. 126l3-217t1; d’ora in poi Hi<strong>storia</strong><br />
Bohemica.<br />
516 In proposito si rinvia a C. Vivanti, “I commentarii” di Pio II, cit., in partico<strong>la</strong>re pp. 65-66 e 69-71.<br />
517 Sul<strong>la</strong> storiografia di Pio II e in partico<strong>la</strong>re sull’Hi<strong>storia</strong> bohemica, cit., rinviamo a E. Cochrane, Hi<strong>storia</strong>ns<br />
and Historiography, cit., pp. 44-47 e G. Costa, Le antichità germaniche, cit., pp. 43-44. Cfr. inoltre B. R.<br />
Reynolds, Latin Historiography, cit., pp. 12-14.<br />
518 In proposito cfr. C. Curcio, Europa. Storia di un’idea, cit., I vol., pp. in partico<strong>la</strong>re 180-181.<br />
519 Storia, cit., passo a p. 7.<br />
520 Hi<strong>storia</strong> Bohemica, cit., passo cit. a p. 139m4.<br />
521 Storia, cit., passo riportato a p. 8.<br />
522 Hi<strong>storia</strong> Bohemica, cit., passo riportato a p. 140m4.<br />
523 F. Gilbert, Machiavelli e Guicciardini, cit., pp. 180-181.<br />
524 Sul quale rinviamo a E. Cochrane, Hi<strong>storia</strong>ns and Historiography, cit., pp. 49-51.<br />
88
peraltro poco accreditata del nome del fiume Morava, e alle Rerum Hungaricorum Decades 525<br />
dell’umanista asco<strong>la</strong>no Antonio Buonfino 526 , Pio II, autore di accurate e ricche descrizioni<br />
geografiche delle regioni dell’Europa centro-orientale, rimane comunque il principale punto<br />
di riferimento del suo racconto:<br />
“Questa è <strong>la</strong> provincia del<strong>la</strong> Germania<br />
antica, nel<strong>la</strong> famosissima selva Ercinia:<br />
confinata a ponente da le montagne del<strong>la</strong><br />
Boemia e dal fiume Morava (dice Raffaello<br />
Volterrano), dal quale secondo molti, si<br />
chiama el<strong>la</strong> per questo nome, nonostante che<br />
il Buonfino lo derivi da Morobaudo re per lo<br />
addietro de’ Marcomanni, i quali abitarono<br />
questa e <strong>la</strong> Slesia, che <strong>la</strong> confina da<br />
tramontana.” 527<br />
“A levante le sono i Po<strong>la</strong>cchi e gli Ungheri, e<br />
di verso il Danubio l’Austria, che <strong>la</strong><br />
fronteggia da mezzo giorno. Il paese è meno<br />
aspro che <strong>la</strong> Boemia, ed abbonda ne’ tempi<br />
nostri di buono vino e molto grano. Gli<br />
uomini sono armigeri e naturalmente certo<br />
feroci, ma <strong>la</strong>droni e assassini, che per tutto<br />
certo rompono le strade, e non concedono lo<br />
andare su per le terre loro se non a chi è<br />
armato e più forte che non sono essi. Le città<br />
principali sono Volograd…” 529<br />
“…Sylva Ercynia, undique cincta,<br />
“Quadi autem et Marcomanni sub Morobando<br />
regem, Silesiam et Moraviam tenuere, a quo<br />
Moraviam dictam aribitrantur.” 528<br />
“Moravia trans Danubium iacet: cui ad<br />
orientem Hungari, Polonique regnum<br />
possident, Morava disiuncti amne, qui nomen<br />
regioni dedit: occidentem Solem Bohemi<br />
excipiunt: Austriales Meridiem:<br />
Septentrionale <strong>la</strong>tus Slesitae occupant. Ager<br />
vini frumentique ferax. Gens rapinis assueta:<br />
nulli tutum iter nisi armato potentiorique<br />
praebet. […]Caput regni civitas<br />
Volegradensis.” 530<br />
Tuttavia, che fin dalle prime pagine, il canonico <strong>la</strong>urenziano associ strettamente idea<br />
d’Europa ed identità cristiana viene confermato dal<strong>la</strong> partecipazione nello scontro boemocarolingio<br />
degli Ungheri. È Arnolfo a chiedere l’aiuto dei discendenti di Atti<strong>la</strong>, per ottenere<br />
sicura vittoria su Suembaldo, restituendoli al<strong>la</strong> politica attiva sullo scenario europeo, dopo che<br />
Carlo Magno li aveva sconfitti e sottomessi. Al di là del successo immediato, il Giambul<strong>la</strong>ri<br />
giudica <strong>la</strong> decisione del sovrano franco un gravissimo errore, sottolineando <strong>la</strong> pericolosità<br />
degli Unni anche attraverso <strong>la</strong> notizia del<strong>la</strong> loro presunta provenienza da Nembrot:<br />
“ancora che da se stessi descrivino <strong>la</strong> genealogia e l’origine loro sino da Unnor figliolo del<br />
superbo Nembrot del<strong>la</strong> Torre, da’ l quale dicono che fu Atti<strong>la</strong> il trentacinquesimo, non <strong>la</strong><br />
possono però dimostrare sì chiara e apertamente, che e’egli sia aggiustato fede. Per <strong>la</strong> qual<br />
cosa, posto da parte tutte le antiche memorie loro, diciamo con gli altri scrittori, che circa il<br />
trecentesimo settantatreesimo anno del<strong>la</strong> Salute uscì questa generazione, incognita allora,<br />
fuori del<strong>la</strong> palude Meotida…ed in guisa di una tempesta da violentissimi venti spinta,<br />
percosse, abbattè e distrusse tutte le nazioni e genti vicine” 531 .<br />
525 Antonii Bonfinii Rerum ungaricarum decades tres, nunc demum industria Martini Brenneri Bistriciensis<br />
Transsylvani in lucem aeditae, antehac nunquam excusae. Quibus accesserunt cronologia Pannonum a Noah<br />
usque hac tempora, et coronis Hi<strong>storia</strong>e Ungaricae diversorum Auctorum, Basileae ex Roberti Vuinter officina,<br />
anno MDXLIII; d’ora in poi Rerum ungaricarum.<br />
526 Sul quale vedi <strong>la</strong> re<strong>la</strong>tiva voce Bonfini Antonio di G. Rill in DBI, vol. XII, Roma, 1970, pp. 28-30.<br />
527 Storia, cit., passo cit. a p. 10-11.<br />
528 Rerum ungaricarum, cit., passo riportato a p. 26d1, in proposito cfr. anche Storia, cit., <strong>la</strong> nota sul Buonfino a<br />
p. 11.<br />
529 Storia, passo riportato a p. 11.<br />
530 Hi<strong>storia</strong> Bohemica, cit., passo cit. a p. 139m4.<br />
531 Storia, cit., passo cit. alle pp. 12-13.<br />
89
Egli ricava questa terribile genealogia, (pur manifestando forti dubbi sul<strong>la</strong> sua veridicità) dal<br />
Buonfino 532 , storico ufficiale del<strong>la</strong> corte di Mattia Corvino e poi di Ladis<strong>la</strong>o II. Vista <strong>la</strong><br />
storiografia celebrativa del<strong>la</strong> figura di Mattia Corvino prodotta dal Buonfino, 533 <strong>la</strong> menzione<br />
del Giambul<strong>la</strong>ri, al di là dei dubbi palesati sul<strong>la</strong> attendibilità di questa fonte, testimoniano<br />
del<strong>la</strong> considerazione attribuita al ruolo recitato dagli Ungheri nel<strong>la</strong> <strong>storia</strong> europea. Non manca<br />
inoltre un riferimento all’epoca contemporanea che sottolinea il totale capovolgimento del<br />
ruolo di questo popolo nel<strong>la</strong> <strong>storia</strong> europea rispetto all’alto Medio Evo “perché questa<br />
ferocissima gente era stata eletta da Dio a castigare un tempo i Cristiani, e a difendere poi il<br />
cristianesimo dagl’insulti degli Ottomani…” 534 .<br />
Ancora una volta, emerge l’importanza dell’elemento cristiano nel<strong>la</strong> caratterizzazione del<strong>la</strong><br />
coscienza europea e nel richiamo all’Europa cinquecentesca non è troppo difficile scorgere<br />
una sorta di stretta contiguità tra gli Ungheri del Medioevo e gli ottomani del XVI secolo,<br />
terribili e costanti minacce per l’Europa cristiana.<br />
Sull’origine e sulle gesta degli Unni culminate nell’incontro tra Atti<strong>la</strong> e Leone I, il<br />
Giambul<strong>la</strong>ri si avvale di alcuni passi del De Sarmatia…del po<strong>la</strong>cco Mattia di Miechow 535<br />
stampato per <strong>la</strong> <strong>prima</strong> volta a Cracovia nel 1517. Anche questo canonico po<strong>la</strong>cco, umanista e<br />
storico, <strong>la</strong>ureatosi in medicina a Padova nel 1485 poi medico al<strong>la</strong> corte di Sigismondo I,<br />
svolge nel rinnovamento delle conoscenze geografiche del<strong>la</strong> <strong>prima</strong> metà del secolo XVI un<br />
ruolo significativo. Il suo contributo fa luce sul<strong>la</strong> Sarmazia, regione praticamente negletta<br />
dagli studi e dagli aggiornamenti in materia geografica fin dall’antichità, sia per <strong>la</strong> scarsità dei<br />
rapporti economici intercorsi con l’Europa, sia per le difficoltà poste all’ammissione degli<br />
stranieri. Il Miechow inoltre, è il primo a negare, in contrasto con l’auctoritas tolemaica,<br />
l’esistenza delle grandi catene montuose dei monti Ripei e degli Iperborei. Muenster segue i<br />
suoi studi per realizzare <strong>la</strong> <strong>prima</strong> rappresentazione cartografica del<strong>la</strong> Sarmazia nel 1538 536 e<br />
utilizza <strong>la</strong> sua cronaca storica del<strong>la</strong> Polonia nell’ampliamento del<strong>la</strong> Cosmographia 537 . Lo<br />
stesso Giambul<strong>la</strong>ri, del resto, in un altro passaggio del<strong>la</strong> lezione del 1541, dimostra piena<br />
consapevolezza del<strong>la</strong> novità miechowiana sui monti Rifei, dai quali erroneamente Tolomeo<br />
faceva nascere il fiume Volga. Dichiara infatti:<br />
“…<strong>la</strong>sciamo stare …i sempre nevosi monti Rifei, donde aveva origine <strong>la</strong> Tana e tanti altri<br />
celebratissimi fiumi dell’Europa; i quali monti, non so<strong>la</strong>mente non si trovano a’ tempi nostri,<br />
dove essi gli dicono, ma e in nessun altro luogo ancora, fuor delle carte de’ libri loro, per<br />
quanto affermano tutti i moderni, e Michele da Micou, nel<strong>la</strong> sua Sarmazia fedelmente lo<br />
testimonia.” 538<br />
532 Rerum ungaricarum, cit., a p. 27d2 in cui leggiamo: “Nonnulli quidam, nescio quid ex Hebraeorum i<strong>storia</strong><br />
hallucinantes, a Magog filio Iaphet, Scytas promanasse scribunt: quin ex Hunorem et Magorem Nembroti filios,<br />
Unnorum fuisse progenitores. Nos autem vetera monumenta nimia auctoritate pollentia, etiam in errore sectari,<br />
quam cum his, (dum licet) bene sentire maluimus.” Ivi, inoltre sull’essere Atti<strong>la</strong> nipote di Nembroth cfr.<br />
Michaelis Ritii Neapolitani de regibus ungariae liber primus, a p. 1bb2: “Atti<strong>la</strong>, filius Bendecuci, nepos<br />
Nembroth…”.<br />
533 A proposito del<strong>la</strong> permanenza al<strong>la</strong> corte ungherese e delle Rerum Ungaricarum…vedi Bonfini Antonio, cit.,<br />
pp. 29-30 e soprattutto E. Cochrane, Hi<strong>storia</strong>ns and Historiography, cit., pp. 345-349.<br />
534 Storia, cit., passo a p. 16.<br />
535 Mathiae a Michov De Sarmatia Asiana atque Europea liber duo in Novus Orbis, cit., pp. 483s2-531Y2, e<br />
anche in Ominum gentium mores, cit., pp. 313xxII-393ccIV.<br />
536 Vedi M. Mi<strong>la</strong>nesi, Tolomeo sostituito, cit., pp. 160-163 e 230-232.<br />
537 In proposito vedi <strong>la</strong> lettera inviata dal Muenster a Stanis<strong>la</strong>o Laski il 6 Aprile 1548: “Legi chronicam vestri<br />
regni, quod Mathias Miechoviensis satis diligenter conscripsit plurimumque adiutus sum in vestri regni<br />
descriptione.” In S. Muenster, Briefe, cit., lettera alle pp. 131-138, passo riportato a p. 132.<br />
538 Del sito e del<strong>la</strong> forma del Purgatorio, cit., passo a p. 7.<br />
90
Il passaggio del Miechow spiega l’ingresso degli Unni in Europa con <strong>la</strong> rigidità del clima<br />
del<strong>la</strong> regione del<strong>la</strong> Scizia, evidentemente antitetica per caratteristiche e risorse al<strong>la</strong> florida e<br />
invitante Europa:<br />
“Mattia…da Micou…dice che lontano a<br />
Moscovia, città principalissima de’ Moscoviti,<br />
circa a duemi<strong>la</strong> miglia tra settentrione e<br />
levante, giace <strong>la</strong> freddissima regione Iura,<br />
terminata dallo Oceano di Tramontana. Da <strong>la</strong><br />
quale partendosi già una moltitudine copiosa<br />
di popoli, e per campagne grandissime contro<br />
al mezzodì camminando, pervenne dopo il<br />
lungo viaggio in su quel paese de’ Gotti, dove<br />
sono a dì nostri i Tartari Zavolensi, e,<br />
cacciatigli dell’antica possessione, vi si<br />
fermarono lungo tempo. Quivi multiplicati<br />
infinitamente, udendo da alcuni cacciatori,<br />
che seguitando una cervia erano passati nel<strong>la</strong><br />
Sarmazia del<strong>la</strong> Europa, che il paese era molto<br />
più fertile e di una aria assai più benigna,<br />
ragunatisi ad uno volere, con esercito quasi<br />
infinito passate le fiumare grossissime…e<br />
combatterono contro ai Sarmati e contro ai<br />
Rossi, e perseguitando i loro antichi nimici<br />
Gotti, e’ gli soggiogarono finalmente in<br />
Rascia, in Servia ed in Romania, a chiamarle<br />
pe’ nomi d’oggi, perché negli antichi tempi<br />
greci e romani erano quest provincie <strong>la</strong> Misia<br />
e <strong>la</strong> Tracia. Condottisi poi finalmente in<br />
Pannonia…e allettati quivi dal vino e dal<strong>la</strong><br />
grassezza di quel paese, se le presero per <strong>la</strong><br />
loro stanza, e cacciati o spenti gli abitatori, vi<br />
fermarono le sedie loro. E perchè l’esercito<br />
de’ Romani, sotto Tetrico e sotto Macrino<br />
generali…gravemente li molestava; appicatisi<br />
con esso a dura battaglia…dove Tetrico restò<br />
ferito e Macrino spento di vita…” 539<br />
“Iuhri de Iuhra terra Scythiae<br />
septentrionalissima et frigidissima, iuxta<br />
oceanum septentrionis, a Moscovia civitate<br />
Moscorum ad orientem et septentrionem<br />
quingentis miliaribus magnis germanicis<br />
distante, ascenderunt et venerunt per terram<br />
p<strong>la</strong>nam ad meridiem in regionem Gothorum<br />
in Scythia ubi nunc Tartari Zahadaienses seu<br />
Zavolehenses degunt, presseruntque sui<br />
moltitudine et eiecerunt Gothos de Gotha in<br />
Sarmatia. Quumque coaluissent, et pene in<br />
infinitum moltiplicati fuissent, audientes a<br />
venatoribus, qui cervam sequentes transierant<br />
flumina Volhae et Tanais, quod esset terra<br />
Sarmatarum Europae fertilior et aure<br />
mitioris, coacervatim praefata flumina<br />
transnatates, Sarmatas et Rutenos<br />
conflixerunt, Gothosque insequentes cum eis<br />
in Mysia et Thracia bel<strong>la</strong>runt, et eos<br />
superarunt : intrantesque Pannoniam solo<br />
vino et regionis ubertate delectati mansionem<br />
in ea fixerunt : Maternum et Detricum<br />
capitaneos Romanorum cum eorum gentibus<br />
aggressi conflixerunt et Materno occiso<br />
Detricum in fugam verterunt…” 540 .<br />
Di nuovo, pertanto, il fattore fisico-climatico contribuisce a delineare frontiere e<br />
contrapposizioni storico-spirituali definendo ulteriormente i limiti ed i caratteri dell’Europa,<br />
secondo quel<strong>la</strong> commistione tra vecchio e nuovo che caratterizza <strong>la</strong> fase cinquecentesca degli<br />
studi geografici e le considerazioni del Giambul<strong>la</strong>ri.<br />
Riecheggiano infatti, nel passo tratto dal De Sarmatia, le posizioni formu<strong>la</strong>te nell’ambito<br />
del<strong>la</strong> geografia greca sul<strong>la</strong> predominanza del carattere bellico nei popoli che provengono da<br />
regioni caratterizzate da un clima rigido 541 proprio come <strong>la</strong> “freddissima” Scizia. Partico<strong>la</strong>re<br />
che accentua, da un <strong>la</strong>to <strong>la</strong> pericolosità ed il rilievo del<strong>la</strong> minaccia costituita a livello militare<br />
dagli Ungheri per <strong>la</strong> Res publica christiana, dall’altro per opposizione richiama e sottolinea <strong>la</strong><br />
differenza rispetto al<strong>la</strong> “temperata” Europa.<br />
539 Storia, cit., passo alle pp. 13-14.<br />
540 De Sarmatia, cit., passo cit. in Novus Orbis, passo cit. a p. 505u1.<br />
541 In proposito cfr. C. Curcio, Europa. Storia di un’idea, cit., in partico<strong>la</strong>re pp. 61-62.<br />
91
Inoltre, è appena il caso di segna<strong>la</strong>re, nel lungo passaggio in questione, anche un riferimento<br />
di natura geografica tratto dall’edizione munsteriana del<strong>la</strong> Geographia tolemaica a proposito<br />
del Volga:<br />
“Volga, da Tolomeo Rha, e da’ Tartari<br />
chiamata Edil, e <strong>la</strong> Tana dai medesimi detta<br />
Don…”<br />
“Rha flu. Ostia Volga…a Tartaris Edel<br />
nuncupatus…” 542 […]”fluvio Tanai, Don<br />
flumen hodie appe<strong>la</strong>ntur a Tartaris…” 543<br />
Il racconto delle terribili campagne di saccheggio compiute dagli Unni sotto <strong>la</strong> guida di<br />
Atti<strong>la</strong> e il ripiegamento seguito al<strong>la</strong> sua morte in Asia fino al secondo ritorno in Pannonia si<br />
ispira a varie fonti 544 .<br />
Poi il canonico ricorre all’umanista alsaziano Beato Renano, non <strong>prima</strong> però di aver citato<br />
quattro diverse fonti in poche righe: Jordanes 545 , Procopio 546 , Agazia 547 , e Zonara 548 . Autori,<br />
peraltro ben presenti al Renano che accorpa Jordanes, Procopio e Agazia in una raccolta sulle<br />
popo<strong>la</strong>zioni barbare nell’edizione basileese curata per Giovanni Hervagio nel 1531 549 . Un<br />
<strong>la</strong>voro nel quale si esprime pienamente lo spirito nazionalistico e antiromano che anima<br />
l’impegno letterario e intellettuale dell’alsaziano a partire dal<strong>la</strong> fine del secondo decennio del<br />
XVI secolo. Nel 1514, dopo i primi anni del Cinquecento trascorsi a Parigi come studente<br />
dove viene influenzato culturalmente da Lefebvre d’Etaples e dal suo circolo, Renano va a<br />
Basilea e si lega profondamente al connubio formato da Erasmo e da Johann Froben. Dal<br />
1520, infatti, il Renano interrompe definitivamente l’edizione di testi di umanisti italiani<br />
appartenenti al<strong>la</strong> tradizione del neop<strong>la</strong>tonismo fiorentino e di autori del misticismo medievale,<br />
dedicandosi a edizioni di evidente impronta germanica per pubblicare sotto l’influsso<br />
erasmiano, Tertulliano in chiave antisco<strong>la</strong>stica. Il nazionalismo del Renano inquadrato<br />
comunque nel<strong>la</strong> dimensione imperiale germanica, si salda anche fino al 1525 con l’adesione<br />
alle istanze propugnate da Lutero in chiave antiromana e antipontificia 550 .<br />
Nel<strong>la</strong> raccolta suddetta, <strong>la</strong> prospettiva del Renano emerge chiaramente fin dal<strong>la</strong> lettera<br />
dedicatoria del 16 settembre indirizzata a Bonifacio Amerbach, in cui pone con forza<br />
l’esigenza di riscoprire <strong>la</strong> <strong>storia</strong> e le gesta dei popoli barbari che hanno determinato il crollo<br />
dell’impero romano e <strong>la</strong> trans<strong>la</strong>tio imperii in Germania nel Medioevo. Secondo l’umanista<br />
alsaziano, gli autori storici proposti, costituiscono lo strumento più adeguato per divulgare e<br />
mettere in risalto questo cambiamento epocale che è al<strong>la</strong> radice del<strong>la</strong> realtà imperiale europea<br />
del XVI secolo:<br />
“Non aliam ob causam, vir carissime, minus a Germanis nostris lectas hactenus Procopij<br />
hi<strong>storia</strong>s crediderim, quas ille de Gotthorum Vandalorumque bellis in Italia alibique gestis<br />
scripsit, iam olim Latine versas, nisi quod persuasum fuit omnibus, Gotthos praesertim,<br />
Scythas extitisse. Quae res fecit, ut nos obliti carminis Homerici…in externarum gentium<br />
542 Geographia vetus et nova, cit., passo a p. 94h5.<br />
543 Ivi, passo a p. 41d3.<br />
544 Storia d’Europa, cit., pp. 14-16. Passaggi per i quali probabilmente il Giambul<strong>la</strong>ri attinge anche se non in<br />
maniera letterale dai Commentaria, cit., del Maffei in partico<strong>la</strong>re p. 88p4. In proposito cfr. anche <strong>la</strong> nota di<br />
commento del<strong>la</strong> Marangoni al passaggio 107-114 a p. 16.<br />
545 A. Potthast, Wegweiser durch die Geschichtswerke des Europaischen mitte<strong>la</strong>lters, cit., Vol. I, pp. 682-683.<br />
546 Ivi, su Procopio vedi Vol. II, pp. 938-940.<br />
547 Ivi su Agazia vedi, Vol. I, pp. 25-26.<br />
548 Ivi su Zonara vedi Vol. II, p. 1126.<br />
549 Procopii Caesariensis de rebus Gothorum, persarum, ac vandalorum libri VII, una cum alij mediorum<br />
temporum historicis, quorum catalogum sequens indicabit pagina. His omnibus accessit rerum copiossimus<br />
index, Basileae ex officina Hervagii mense septembri, anno MDXXXI.<br />
550 J. D’Amico, Beatus Rhenanus and Italian Humanism, in Renaissance Humanism: Foundations, Forms, and<br />
Legacy, ed Albert Rabil, Jr., vol. I, Phi<strong>la</strong>delphia, University of Pennsylvania Press, 1988, pp. 237-260 ora anche<br />
in J. D’Amico, Roman and German Humanism, cit., stessa numerazione di pagine; inoltre, cfr. id., Hulrich von<br />
Hutten and Beatus Rhenanus, cit., pp. 25-33.<br />
92
historijs duntaxat versemur, quum tamen domi habeamus quod admiremur, quodque non<br />
solum cognitione, verumentiam imitatione dignum alicubi videri queat. Nostri enim sunt<br />
Gotthorum, Vandalorum, Francorumque Triumphi. Nobis gloriae sunt illroum in c<strong>la</strong>rissimis<br />
Romanorum provincijs, atque adeo Italia ac ipsa Roma regina urbium cunctarum costituta,<br />
quorum tamen hodie nullum supersit praeterquam Francicum, ut fortunatissimi semper domi<br />
forisque et extitere veteres Franci. Non quod probem, ut ingenue verum fatear, urbium<br />
incendia, direptiones, eversiones, agrorumque devastationes, sive quibus hoc genus victoriae<br />
non contigunt: quis enim cordatus huiusmodi insanias non detestatur sed quia vulgo<br />
commendari ista scimus, unde nobilitas omnis petamur. Et invero non perinde exacte gentium<br />
origines hic autor, homo videlicet Graecus edisserit, ut quae sub Iustiniano Caesare<br />
praecipue gesta ab illis fuere, bel<strong>la</strong> commemorat, contentus docuisse quid tum quidem factum<br />
sit. […]” 551<br />
Atteggiamenti e suggestioni certamente congeniali o quantomeno vicine al<strong>la</strong> linea del<br />
canonico <strong>la</strong>urenziano che cita rapidamente gli autori inclusi nel<strong>la</strong> raccolta del Renano<br />
riguardo al<strong>la</strong> questione del<strong>la</strong> seconda venuta in Pannonia degli Ungheri 552 , per poi rinviare<br />
esplicitamente ai Rerum Germanicarum libri tres 553 dell’umanista alsaziano. Renano, opera<br />
dagli intenti filo-imperiali. La lettera nuncupatoria indirizzata in questo caso al re Ferdinando<br />
fratello di Carlo V, ribadisce l’intenzione di diffondere <strong>la</strong> conoscenza dell’ascesa storica<br />
compiuta dalle genti germaniche durante il Medioevo in seguito al crollo dell’impero romano.<br />
La necessità di quest’attività divulgativa nasce del resto all’ignoranza che alberga invece<br />
551 Ivi, Beatus Rhenanus Bonifacio Amerbachio iureconsulto s.d., Schlettstadt 17 Aug. 1531, p. a2-a3, passo<br />
citato a p. a2 in proposito cfr. Die Amerbachkorrespondenz, Basel: ver<strong>la</strong>g des Universitatsbibliothek, 1942-1983,<br />
X voll., in partico<strong>la</strong>re IV vol., Die Briefe aus den Jahren 1531-1536, 1953, p. 61.<br />
552 Storia, alle pp. 18-19 leggiamo: “Questo vogliamo noi che sia detto secondo <strong>la</strong> opinione del<strong>la</strong> maggior parte<br />
degli scrittori, e de’ <strong>la</strong>tini massimamente; perché, quanto a quello che noi ne crediamo, impossibile certamente<br />
ci pare e del tutto male verisimile, che gli Unni venissero <strong>la</strong> seconda volta in Pannonia, in quei tempi che<br />
costoro dicono, se già non furono popoli nuovi. Perché cento cinquant’anni avanti a quel secolo, troviamo che<br />
Mauricio imperatore greco ebbe guerre grandissime con gli Aviri o Avari, che e’ si chiamino; i quali secondo<br />
Zonara e gli altri Greci, e secondo Iornando Gotto, sono Unni essi ancora; e non dico Unni di Asia, de’ quali<br />
abbiamo si varii popoli in Procopio ed in Agazio…”.<br />
A proposito del riferimento a Jordanes in Procopii Caesariensis de rebus Gothorum, cit., cfr. Iornandis de<br />
origine actuque getarum liber, pp. 593dd3-641hh3, in partico<strong>la</strong>re p. 597dd4 dove leggiamo: “Hinc iam Hunni<br />
quasi fortissimarum gentium foecundissimus cespes, in bisariam populorum rabiem pullu<strong>la</strong>runt. Nam alij<br />
Aulziagri, alij Aviri nuncupant, qui tamen fedes habent diversas.”<br />
Ivi, per il rinvio a Procopio, cfr. Procopii de bello persico liber primus, Raphaele Vo<strong>la</strong>terrano interprete, pp.<br />
225u1-307c4, in partico<strong>la</strong>re nel liber primus , p. 227u1 in cui si dichiara: “Sunt enim Euthalitae Hunnicum genus<br />
reliquis Hunnis nequaquam vicini neque ad eos pertinentes, sed Persis propinqui Boream versus, quorum civitas<br />
Gorga nomine in Persidis confinibus saepe cum colonis de ipsis finibus pugnat. Nec ut reliqui Hunni nomades<br />
sunt vitam agentes pastoralem, sed optimam iam pridem incolunt regionem. Hi nunquam in Romeorum terram<br />
nisi cum Persarum exercitu sunt ingressi, solique Hunnorum albi sunt, neque item foedi adspectu, neque ferarum<br />
modo ut illi victitantes, sed sub uno degentes principe inter se, et cum vicinis ius phasque colunt aeque ac<br />
Romani et alij omnes…”. Peraltro, segnaliamo che <strong>la</strong> traduzione delle istorie di Procopio fatta dal Maffei con<br />
riguardo ai due libri De bello persarum e ai due libri De bello vandalico riproposta integralmente dal Renano era<br />
stata edita precedentemente nel 1509 a Roma: Procopii De bello Persico. Impressum per magister Eucharium<br />
Silber alias Franck…,1509 Nonis Martio.<br />
Per Agatia in Procopii Caesariensis de rebus Gothorum, in Agathius de Bello Gothorum et aliis peregrinis<br />
historiis, per Christoforum Persona Romanorum, priorem sanctae Balbinae, e greco in Latinum traductus, pp.<br />
385k1-512v4, in partico<strong>la</strong>re p. 498t3 in cui leggiamo: “Hunni quondam circa <strong>la</strong>cum Maeotidem loca incoluere in<br />
Arcutrum potius versi, ut Barbarorum caetere nationes, que quod infra Imaum montem Asiam insident, hi omnes<br />
et Scythe et Hunni vocitabantur, seorsum tamen et per generationes: nam partim Cotriguri appe<strong>la</strong>ntur, partim<br />
Ultizuri, partim Burgundi, partim alias utcumque patrium illis est gentibus et consuetum denominari. Hi itaque<br />
Hunni longo post tempore in Europam subito traiecerunt …”<br />
553 Beati Renani selestadiensis rerum germanicarum libri tres. Adiecta est in calce episto<strong>la</strong> ad D. Philippum<br />
Puchaimerum, de locijs Plinij per St. Aquaeum attactis, ubi mendae quaedameiusdem autoris emacu<strong>la</strong>ntur,<br />
antehac non a quoquam animadversae, Basi<strong>la</strong>re, in officina frobeniana, anno M. D. XXXI; d’ora in poi Rerum<br />
Germanicarum.<br />
93
proprio su quel periodo rispetto invece al<strong>la</strong> perfetta conoscenza delle fonti e del<strong>la</strong><br />
dominazione romana. 554<br />
Il passaggio del<strong>la</strong> Storia che si sofferma sugli enormi tesori tolti da Carlo Magno agli<br />
Ungheri e trasferiti al<strong>la</strong> Chiesa di Magonza, trae ispirazione dalle Rerum Germanicarum:<br />
Ma Unni del<strong>la</strong> Europa, che abitavano <strong>la</strong><br />
Rascia e <strong>la</strong> Servia, e predavano tutta <strong>la</strong><br />
Tracia, e massimamente sotto il re Caccano,<br />
da altri detto Caiano. Il quale quanto fusse<br />
potent e ricco lo dimostrano le molte rotte<br />
date allo imperio greco, ed i saccheggiamenti<br />
e le correrie così spesse sino alle stesse mura<br />
di Costantinopoli; ma molto più i tesori<br />
grandissimi e le spoglie sì preziose che trasse<br />
il gran Carlo Magno del<strong>la</strong> Ungheria. Le quali<br />
di quanta valuta fussero, assai chiaramente si<br />
può comprendere dalle ricchezze quasi<br />
incredibili del<strong>la</strong> Chiesa Maguntina, descritte<br />
non so<strong>la</strong>mente nelle antichissime croniche di<br />
quel<strong>la</strong> città, ma e nel secondo del<strong>la</strong> Germania<br />
dallo accorto e dotto Renano. 555<br />
Constantiensi sedi praedia sua et tributum<br />
sive vectigal quod in vico Colmariensi dotis<br />
nomine possidebat, liberaliter <strong>la</strong>rgita est<br />
Berthrada regina. Cuius filus Carolus<br />
cognomento Magnus veterum beneficentiam<br />
longe vicit. Nam quun octavo demum anno<br />
bellum Hunnicum perfecisset, Thesauris<br />
Caiani principis potius, quos ea gens id<br />
temporis in Pannonia habitans, ex toto orbe<br />
spoliato convexerat, nec unquam opimiorem<br />
praedam nactos Francos legimus, in primis<br />
pium exstimavit episcopalibus coenobijs, et<br />
caeteris monasterijs bonam acquisitarum<br />
opum partem decidere. Hinc ille divitiae<br />
templi Magonciacensis, ubi crux ex auro<br />
solido fuit nomine Benna pondere mille et<br />
ducentarum marcarum, cui versiculus<br />
huiusmodi inscriptus visebatur. Auri<br />
sexcentas habet haec crux aurea libras 556 .<br />
Lo stesso discorso vale per <strong>la</strong> sconfitta che Carlo infligge agli Ungari:<br />
554 Ivi, Invictissimo Caesari Ferdinando Bohemiae Ungariaeque regi etc. Beatus Rhenanus s. d., pp. 3-4aII, in<br />
cui il Renano denuncia l’ignoranza delle origini geografico-storiche delle popo<strong>la</strong>zioni germaniche: “Nam quis<br />
non e trivio populorum regionumque nomina crepat, Germanos, Alemannos, Francos, Saxones, Suevos,<br />
Helvetios, Germaniam superiorem, et inferiorem, Germaniam magnam, Franciam, Alemanniam, Sueviam,<br />
Baioariam. Quod si roget quispiam, unde et quando natae sint hae gentium et provinciarum appe<strong>la</strong>tiones, hic<br />
vero paucos reperias qui possint hisce de rebus exacte differire. Et tamen, ut ingenue quod verissimum est<br />
fateamur, nisi haec quis teneat nescio quo cum fructu legendis historijs sit vacaturus. Hoc vero mirum, quod in<br />
Romana antiquitate cognoscenda diligentissimi sumus, in media aut etiam vetustiori que ad nos maxime pertinet,<br />
negligenter cessamus.[…]Quae me res movit maxime princeps, ut post meum nuper ex Augusta reditum, rogatu<br />
quorundam amicorum, de provincijs Romanis quae a sinistra Rheni fluminis, a dextra Danubij ripa contra<br />
veterem Germaniam victores orbis possederunt, et il<strong>la</strong>rum statuquo videlicet gubernatae sint modo praesertim<br />
sub posterioribus imperatoribus, qui videlicet Costantinum illum magnum insecuti sunt, aliquid annotarem<br />
adiutus libro vetusto qui Praefecturas Romanas eius seculi recenset: tum ut stilo prosequerer queadmodum il<strong>la</strong>e<br />
provinciae sint col<strong>la</strong>benti iam imperio Occidentali non a Francis modo, sed et ab Alemannis sive Suevis,<br />
Marcomannis, Nariscis, ac Quadis occupatae. Proinde populorum istorum emigrationes, et mutatas in ipsa ante<br />
Germania veteri fedes quas nos demigrationes vocamus, quantum nobis possibile fuit, explicuimus. Nec ullos<br />
esse suspicor quibus hic <strong>la</strong>bor meus non futurus sit utilissimus, nam doctissimos etiam viros quoties de<br />
Provincijs incidit sermo video caecutire, adeo nullum faciunt discrimen inter/ veterem il<strong>la</strong>m Germaniam, et ea<br />
quae posterius est occupata. Hinc Hermo<strong>la</strong>us apud Plinium de veteri Germania loquentem pro Moeno Aenum<br />
legi posse putat, non hoc facturus si animadvertisset Germaniae fluvium Aenum esse non posse qui Noricum<br />
provinciam a Rhetia distinguat. Itaque quantum momenti sit al<strong>la</strong>tura, haec mea lucubratio studiosis hi<strong>storia</strong>rum<br />
non est facile dictu, plurimum enim erret necesse est, qui provincias a veteri Germania discernere nesciat.<br />
Equidem hinc ille veterum error manavit putantium Varum Quintilium cum legionibus romanis apud Augustam<br />
esse caesum, qui in Teutoburgiensi saltu trans Rhenum in veteri Germania, vincente Arminio occubuit. Quod si<br />
scissent Rhetiam <strong>prima</strong>m in cuius sine sita est Augusta, Romanorum fuisse provinciam, nemo hoc dicturus<br />
fuerat. Siquidem costat Varum in Germania trucidatum, at Rhetia ad Germaniam ad temporis minime<br />
pertinebat, Romanis obediens. Iam litem il<strong>la</strong>m…quae olim inter civem meum Iacobum Vuimpheligium et<br />
Murnarum me puero viguit, de Galliae Germaniae terminis, promptum sit hinc rescindere.”<br />
555 Storia, cit., passo a p. 19.<br />
556 Rerum germanicarum, cit., passo cit. a p. 93m3, liber secundus.<br />
94
Questa pessima usanza di predare i vicini<br />
d’intorno si mantenne ostinatamente sino ai<br />
tempi di Carlo Magno. Il quale(come si vede<br />
nello Uspergense) soggiogò finalmente ed<br />
oppresse questa indomita nazione, e <strong>la</strong> spense<br />
quasi del tutto <strong>la</strong>sciandovi so<strong>la</strong>mente gli<br />
Ugheri o Ungheri 557 , una cioè di quelle molte<br />
nazioni che vi addussero gli Unni di Scozia,<br />
come vedere si può nel Renano: e questi<br />
ancora che e’ non paressino da fare<br />
nocumento o danno a’ vicini, per esser <strong>la</strong><br />
maggior parte pastori o <strong>la</strong>voratori, chiuse<br />
egli nientedimanco di serraglio fortissimo, e<br />
d’uno argine molto gagliardo da Ponente e<br />
da Mezzogiorno, acciochè secondo <strong>la</strong> vecchia<br />
usanza, non uscissero a predare e guastare <strong>la</strong><br />
Germania tutta e <strong>la</strong> Francia. Stettero così<br />
adunque lunga stagione rinchiusi e guardati<br />
nel serraglio forte e difficile di quelle<br />
montagne asprissime, che Marcellino, per<br />
quanto accenna il dotto Renano, chiama i<br />
Chiostri de’ Svecuni. E vi sarebbono forse<br />
ancor oggi, se <strong>la</strong> rigorosità severa di Arnolfo<br />
non gli avesse aperta <strong>la</strong> strada molto più<br />
ca<strong>la</strong>mitosa e nociva poi al<strong>la</strong> Italia, al<strong>la</strong><br />
Francia e al<strong>la</strong> Germania, che non fu allora a’<br />
Moravi. Contro i quali volendosi pur valere il<br />
predetto principe senza altrimenti<br />
considerare ciò che potesse avvenire poi,<br />
mandò segretamente alcuni più fidati a<br />
sapere da gli Ungari, se e’ volessino venire in<br />
aiuto a <strong>la</strong> guerra ch’ egli avea presa.” 558<br />
Hunnos qui et Avares, extructis novem Hagis<br />
hoc est in circulis in Pannonia habitanteis<br />
octennali bello Carolus Magnum edomuit,<br />
exciditque prorsus. Horum vero nationem<br />
unam cui Ugrorum et Ungarorum nomen,<br />
nam multos secum a Scythia populos<br />
eduxerant Hunni, velut nihil nocituram illis<br />
extinctis, submovit tantum, et vallo quodam<br />
obstruxit. Verum quum Arnulfus Caesar<br />
bellum gereret adversus Zuentenbaldum<br />
Maravanensium Sc<strong>la</strong>vinorum principem, in<br />
Care periculus fscturus quem admodum<br />
Graecis est in proverbio, submotam istam<br />
Hunnicarum reliquiarum gentem quae tot<br />
annis quieverat, in subsidium referatis<br />
aditibus evocat. Et victoriam quidem de<br />
Zuentenbaldum reportavit Ungarorum<br />
auxilijs, sed quem hostem regnare<br />
praestitisset, illis non excitis. Siquidem post<br />
eam imperatori navatam operam, rursum ad<br />
depopu<strong>la</strong>ndum orbem animati maiorum<br />
suorum exemplo, et iam viae patebant,<br />
assiduis vastationibus, Baioariam,<br />
Alemanniam Saxoniam et utramque Franciam<br />
exhauserunt, in Pannonia secunda fixis<br />
sedibus, donec divus Henricus Aug. Eius<br />
nominis secundus, regi ferocissimae nationis<br />
fororem Gise<strong>la</strong>m in matrimonium collocaret,<br />
Christianis Sacris prius initiato, cui Stephani<br />
vocabulum inditum. Porrò fuerant submoti<br />
intra angustias quasdam, quales erant<br />
angustiae Thracias dirimentes et Daciam,<br />
quarum Marcellinus meminit libro vigesimo<br />
septimo. Ubi quidam sic conantur legere,<br />
Cuius in summitate occidentali, montibus<br />
praeruptae densitatis, Verorum patescunt<br />
angustiae, Thracias dirimentes et Daciam.<br />
Talia quoque fuerunt c<strong>la</strong>ustra Sveucunnorum<br />
557 In proposito il Giambul<strong>la</strong>ri rinvia esplicitamente al Chronicum abbatis Urspergensis, continens hi<strong>storia</strong>m<br />
rerum memorabilium, a nino Assyriorum rege ad tempora Friderici II Romanorum imperatoris, et<br />
Germanicarum Imperatorum res praec<strong>la</strong>re ac fortiter pro salute publica gestas, bona fide ab autore conscriptas,<br />
complectens: Diligenter per Eruditum quondam virum et hi<strong>storia</strong>rum peritissimum recognitum, et beneficio<br />
veterum manu scriptorum exemp<strong>la</strong>riorum ab infinitis mendis repurgatum. Paraleipomena rerum memorabilium,<br />
a Friderico II, usque ad Carolum V. Augustum, hoc est, ab anno domini MCCXXX usque ad annum MDXXXVII,<br />
ex probatioribus qui habentur scriptoribus in arctum coacta, et hi<strong>storia</strong>e Abbatis Urspergensis per eundem<br />
studiosum annexa, Argentorati apud Cratonem Mylium, mense martio, MDXXXVIII, dove a p. CLXXVIIp5<br />
leggiamo a proposito del<strong>la</strong> vittoria di Carlo: “Ad has ergo muntiones per cc. et eo amplius annos, qualescunque<br />
omnium Occidentalium divitias congregantes, cum et Gothi et Vuandaliquietem hominum pertubarent, orbem<br />
occiduum pene vacuum dimiserunt. Quos cum invictissimus Carolus in annis octo ita perdomuit, ut de eis<br />
minimas quidam reliquias rimanere permiserit. ” (d’ora in poi Chronicon…Uspergensis). Pagina nel<strong>la</strong> quale di<br />
seguito abbiamo un diretto rinvio al secondo libro delle Rerum Germanicarum, cit., del Renano sui tesori portati<br />
da Carlo a Magonza.<br />
558 P. Giambul<strong>la</strong>ri, Storia, cit., passo riportato alle pp. 19-20.<br />
95
apud eundem autorem, aut eadem fortassis.<br />
Inde C<strong>la</strong>ustrini dicti.” 559<br />
Giambul<strong>la</strong>ri sposa dunque l’interpretazione di Renano secondo cui Carlo chiude un vaso di<br />
Pandora colpevolmente riaperto da Arnolfo. che provoca una fal<strong>la</strong> di estrema gravità per<br />
l’Europa cristiana come dimostrano le rapine e le devastazioni compiute dagli Ungheri sul suo<br />
territorio. L’impero romano-germanico ripiomba a causa degli inetti discendenti di Carlo<br />
Magno e in partico<strong>la</strong>re di Arnolfo in uno stadio di profonda decadenza. Egli, non riesce<br />
minimamente a valutare al di là del vantaggio immediato ottenuto contro i Moravi, infatti,<br />
come nel lungo periodo agli Ungheri “avesse aperta <strong>la</strong> strada molto più ca<strong>la</strong>mitosa e nociva<br />
poi al<strong>la</strong> Italia, al<strong>la</strong> Francia e al<strong>la</strong> Germania, che el<strong>la</strong> non fu allora a’ Moravi.” 560<br />
Nel lungo passaggio in questione, che celebra il valore di Carlo Magno, il Giambul<strong>la</strong>ri<br />
indica, accanto al Renano, un’altra fonte medievale del XIII secolo: il Chronicon<br />
Universale…di Konrad Liectnaw, abbate del monastero di Ursperg da cui il soprannome di<br />
“Uspergense”. Si tratta di una fonte non meno significativa per l’umanesimo tedesco in chiave<br />
antiromana ed in funzione celebrativa del<strong>la</strong> trans<strong>la</strong>tio imperii al<strong>la</strong> Germania. Il Chronicon<br />
dell’Uspergense, viene, infatti, utilizzato nel<strong>la</strong> lotta protestante contro Roma ed edito in <strong>la</strong>tino<br />
nel 1537 dall’alsaziano Caspar Hedio, riformato, professore all’università di Strasburgo,<br />
convinto assertore, fin dall’inizio del<strong>la</strong> Riforma, del<strong>la</strong> funzionalità del<strong>la</strong> <strong>storia</strong> per<br />
l’affermazione del<strong>la</strong> vera fede 561 . Basta vedere in questo senso come lo stesso Hedio<br />
nell’edizione del testo dell’anno successivo, aggiunga un’ampia integrazione storica che va da<br />
Federico II all’anno 1537, nel pieno dell’impero di Carlo V, dal<strong>la</strong> linea chiaramente<br />
antiromana, composta da Crato Mylio 562 .<br />
Le forze primordiali liberate dal<strong>la</strong> avventatezza di Arnolfo, ricominciano immediatamente a<br />
razziare, rapinare e saccheggiare senza freno o esitazione alcuna. Pertanto, gli uomini di<br />
Arnolfo per evitare il peggio, dice il Giambul<strong>la</strong>ri:<br />
“gli discostarono a lor potere da il paese abitato, guidandoli o per le selve o per luoghi<br />
inculti e deserti: il che non era molto difficile, per trovarsi allora <strong>la</strong> Germania in quel<strong>la</strong><br />
559 Rerum Germanicarum, liber I, passo cit. a p. 77k3.<br />
560 P. Giambul<strong>la</strong>ri, Storia, cit., passo a p. 20.<br />
561 Sull’abate di Ursperg cfr. U. Chevalier, Répertoire, cit.,vol. I, pp. 1268-1269 e Potthast, Repertorium<br />
fontium hi<strong>storia</strong>e Medii Aevi, cfr. inoltre sul<strong>la</strong> sua ampia utilizzazione in campo protestante rinviamo a P.<br />
Polman, L’élèment Historique dans <strong>la</strong> Controverse religieuse du XVIè Siècle, Gembloux imprimerie J. Duculot,<br />
éditeur, 1932, in partico<strong>la</strong>re pp. 187 e 189, 202, 204, 206, 211; cfr. in tal senso anche L. Perini, La vita e i tempi<br />
di Pietro Perna, Edizioni di <strong>storia</strong> e letteratura, Roma, 2002, in partico<strong>la</strong>re pp. 200 e 202.<br />
562 Chronicum abbatis Urspegensis, cit., nei Paraleipomena, cit., dove è sufficiente guardare <strong>la</strong> denuncia del<strong>la</strong><br />
corruzione del<strong>la</strong> Chiesa romana sotto il pontificato di Leone X, a p. CLVIIIo3, rispetto al quale le parole spese<br />
su Adriano VI sui suoi tentativi di riforma sul<strong>la</strong> denuncia sincera dei mali del<strong>la</strong> Chiesa suonano ben differenti<br />
nel<strong>la</strong> valutazione dell’autore a pp. CLXIo4 e CLXIIIIo5, <strong>la</strong> denuncia dei gravami a cui Roma sottopone <strong>la</strong><br />
Germania alle pp. CLXIo4-CLXIIo4 oppure gli apprezzamenti spesi per <strong>la</strong> versione erasmiana del nuovo<br />
testamento del 1516 a p. CLIX, ma soprattutto l’ampio elogio indirizzato all’opera di Reuchlin in re<strong>la</strong>zione al<strong>la</strong><br />
menzione del<strong>la</strong> sua morte a p. CLXXIIIp4: “Anno Domini MDXXVIII, Egregius ille trilinguis eruditionis<br />
Phoenix, Iohannes Reuchlin vita defunctus est, relicta posteris honestissimi nominis immortali memoria. Dum<br />
viveret, et benefactis nomen suum immortalitati consecraret, obstrepentes habuit aves aliquot albis et nigris :<br />
picas dicere possis, cristam gestantes vertice, rostris et unguibus aduncis, ventre prominente. Cuius viri<br />
memoria studiosis et eruditis ob hoc debet esse sacrosancta, quod quemadmodum amator humani generis Deus<br />
donum linguarum, ut olim per spiritum sanctum Apostolis ad evangelii praedicationem contulit : ita in hoc<br />
novissimo tempore cum vellet Germaniae misereri, et ad agnitionem veritatis adducere, per Iohannem<br />
Reuchlinum electum famulum suum mundo revovarit. Idem efficiat, ut omnibus linguis omnes ubique praedicent<br />
gloriam filij Dei, ut confundantur lingue Pseudapostolorum, qui Dei gloriam obscurare nituntur, dum suam<br />
student attollere. ” L’edizione in questione subisce infatti <strong>la</strong> condanna dell’indice veneziano del 1554, in<br />
proposito rinviamo a Index des livres interdite. Directeur J. M. De Bujanda, Géneve, Droz, 1985-2002, XI voll.,<br />
vol. III, Index de Venise 1549 Venise et Mi<strong>la</strong>n 1554, Centre d’études de <strong>la</strong> Renaissance, éditions de l’Université<br />
de Sherbrooke, librarie Droz, 1987, p. 106.<br />
96
salvatichezza rigida che di lei scrive Cornelio Tacito, e non in questa frequenzia abitata e<br />
culta che si vede ne’ tempi nostri.” 563<br />
Queste parole richiamano evidentemente al<strong>la</strong> dimensione storica contemporanea<br />
esprimendo un giudizio chiaramente elogiativo del<strong>la</strong> Germania attuale e del suo grado di<br />
civilizzazione. Molto significativa in tal senso è l’allusione diretta al De situ, moribus, et<br />
populis Germaniae libellus di Cornelio Tacito, noto appunto come Germania, al<strong>la</strong><br />
rappresentazione fisica ed all’assenza di urbanizzazione di questa regione formu<strong>la</strong>te dallo<br />
storico romano nel<strong>la</strong> <strong>prima</strong> parte del suo scritto 564 .<br />
Il trattatello dello scrittore <strong>la</strong>tino è estremamente apprezzato dagli umanisti tedeschi che ne<br />
ripropongono molti passaggi a supporto del nazionalismo culturale germanico. Conferma<br />
significativa in proposito è il fatto che Beato Renano curi ben due edizioni del<strong>la</strong> sua<br />
Germania, quel<strong>la</strong> del 1519 e quel<strong>la</strong> lionese del 1542 stampata da Sebastian Griphius 565 .<br />
In realtà gli umanisti tedeschi considerano Tacito, secondo due tendenze, una celebrativa,<br />
l’altra fortemente critica. Da una parte, infatti, apprezzano lo storico romano perché fornisce<br />
un’immagine altamente positiva dello spirito libero, autonomo, valoroso e semplice dei<br />
Germani, in contrapposizione al<strong>la</strong> corruzione del<strong>la</strong> società e al<strong>la</strong> decadenza dell’impero<br />
romano. Dall’altra però essi ritengono ormmai inattuale e non più esistente <strong>la</strong> Germania<br />
primitiva, ricoperta di selve, priva di campi coltivati e città descritta da Tacito. La realtà<br />
tedesca del XVI° secolo, infatti, presenta un alto grado di civilizzazione, sviluppo urbano ed<br />
economico e costituisce il fulcro del<strong>la</strong> struttura imperiale e dell’identità europea.<br />
Pertanto, l’umanesimo tedesco valuta Tacito sotto una duplice luce, lo elogia per aver<br />
intuito le potenzialità e <strong>la</strong> predisposizione al <strong>prima</strong>to imperiale dei germani, ma critica quando<br />
evidenzia <strong>la</strong> primitività dei germani 566 . Posizione che, come risulta dal precedente passo,<br />
Giambul<strong>la</strong>ri sottoscrive pienamente e a cui perviene probabilmente proprio dal<strong>la</strong> lettura del<strong>la</strong><br />
Geographia tolemaica munsteriana. Nell’annotazione al capitolo V del primo libro dell’opera,<br />
Muenster, infatti, insiste sul nesso profondo che unisce <strong>storia</strong> e geografia (quest’ultima<br />
validamente fondata solo se supportata dal<strong>la</strong> consapevolezza dei mutamenti e del divenire<br />
storico 567 ), e si riferisce proprio all’inattualità del<strong>la</strong> rappresentazione tacitiana del<strong>la</strong> Germania:<br />
563 Storia, cit., passo a p. 22.<br />
564 Infatti <strong>la</strong> <strong>prima</strong> parte del trattatello tacitiano si occupa delle caratteristiche fisiche del territorio del<strong>la</strong><br />
Germania e degli usi dei popoli Germani. In partico<strong>la</strong>re i passi sul<strong>la</strong> selvatichezza del<strong>la</strong> Germania richiamati dal<br />
Giambul<strong>la</strong>ri “Terra etsi aliquanto specie differt, in universum tamen aut sylvis horrida aut paludibus foeda,<br />
humidior quam Gallias, ventosior quam Noricum ac Pannoniam aspicit; satis ferax, frugiferarum arborum<br />
ipatiens, pecorum fecunda, sed plerumque improcera”. A proposito del<strong>la</strong> mancanza di urbanizzazione<br />
Germanica: “Nul<strong>la</strong>s Germanorum populis urbes habitari satis notum est, ne pati quidem inter se iunctas sedes.<br />
Colunt discreti ac diversi, ut fons, ut campus, ut nemus p<strong>la</strong>cuit. Vicos locant non in nostrum morem connexis et<br />
cohaerentibus aedificiis. Suam quisque domum spatio circundat, sive adversus casus ignis remedium, sive<br />
inscitia aedificandi.[…]”. Passi che troviamo nel De situ, moribus, populis Germaniae libellus in P. Cornelii<br />
Taciti equitis ro. Ab excessu Augusti. Annalium libri sedecim, ex castigatione Aemylij Ferretti, Beati Renani,<br />
Alciati, ac Beroaldi, Lugduni apud Sebastianum Gryphium, 1542 (sul Grypius si rinvia al cap. I nota ), pp.<br />
621q7-644s2, rispettivamente alle pp. 623q8 e alle pp. 628r2-629r3. Ivi, sul<strong>la</strong> selvatichezza del<strong>la</strong> Germania cfr.<br />
anche p. 621q7: “Quis porrò praeter periculum horridi et ignoti maris, Asia, aut Africa, aut Italia relicta,<br />
Germaniam peteret? Informem terris, asperam coelo, tristem cultu aspectumque, nisi si patria est.”<br />
565 Per l’edizione del 1519 rinviamo a J. F. D’Amico, Hutten and Rhenanus, cit., p. 26, riguardo all’edizione del<br />
1542 vedi supra <strong>la</strong> nota precedente. Inoltre, sul<strong>la</strong> recezione di Cornelio Tacito in epoca moderna rinviamo a La<br />
Fortuna di Tacito dal sec. XV ad oggi, Atti del colloquio di Urbino, 9-11 ottobre 1978, a cura di Franco Gori e<br />
Cesare Questa, in “Studi Urbinati”, 1979 in partico<strong>la</strong>re Anna Maria Battista, La ‘Germania di Tacito nel<strong>la</strong><br />
Francia illuminista’, pp. 93-133. Sull’edizioni tacitiane curate dal Renano cfr. anche ivi Josè Ruysschaert, Juste<br />
Lipse, éditeur de Tacite, pp. 47-61, in partico<strong>la</strong>re p. 50; sull’importanza di Tacito per l’umanesimo ed il<br />
nazionalismo tedesco cfr. R. Romeo, Idea e coscienza di nazione, cit., p. 17.<br />
566 Sul<strong>la</strong> valenza politica antiromana di Tacito e sul<strong>la</strong> trasformazione del<strong>la</strong> Germania rispetto ai suoi tempi vedi<br />
P. Laurens, Rome et <strong>la</strong> Germanie chez les poètes humanistes allemands in L’Humanisme allemand, cit., pp. 339-<br />
355.<br />
567 Il capitolo si intito<strong>la</strong>: “Quod Historiis novissimis magis sit adhaerendum, propter mutationes, quae per<br />
tempora accidunt in terra”, in Geographia universalis vetus et nova, cit., p. 13a3.<br />
97
“[…]Et quamquam terra semper maneat eadem atque in eadem forma et dispositione,<br />
quaedam denique regna ac territoria hodie sic sese habeant ut olim, nihilo minus temporis<br />
successu grandes sunt mutationes in ipsis regnis, territorijs, populis et civitatibus. Delentur<br />
enim nonnunquam regna aut transferruntur, exurguntque nova, sic multae nationes in unam<br />
contrahuntur, aut una in plures segregatur, solitudines sunt habitabiles , et habitabilis<br />
redigitur in solitudinem. Insignia remora exciduntur et sunt habitatio hominum, civitasque,<br />
magnae abolentur et exoriuntur aliae. Ubi est hodie florentissimum illud Macedoniae<br />
regnum…ubi denique Roma cum suo imperio ? Et e diverso videmus, quomodo solitaria il<strong>la</strong>,<br />
et ut Taciti utar verbis, squalida et tristis coelo Germania, a Ptolemaei temporibus creverit in<br />
cultissimam terram, innumeras habens regiones, urbes et populos.” 568<br />
Parole peraltro che confermano ulteriormente il significato e <strong>la</strong> funzione dinamica attribuita<br />
al<strong>la</strong> geografia dagli umanisti del XVI secolo e dallo stesso Giambul<strong>la</strong>ri. Prospettiva che poi,<br />
nel Muenster, riferimento essenziale del canonico <strong>la</strong>urenziano, si svolge chiaramente e<br />
costantemente al servizio del<strong>la</strong> dimensione imperiale filotedesca. Muenster esalta <strong>la</strong> forte ed<br />
evoluta Germania attuale, in ideale continuità con quel<strong>la</strong> tacitiana per <strong>la</strong> capacità di resistere<br />
all’Impero romano e mantenere <strong>la</strong> propria libertà, ma in rottura con essa per l’alto grado di<br />
civiltà raggiunto, fin dal primo paragrafo del<strong>la</strong> sua Germaniae…Descriptio 569 del 1530 570 .<br />
Quel trattatello inaugura un percorso culminato dal Muenster nel<strong>la</strong> monumentale<br />
Cosmographia 571 , dedicata significativamente per metà al<strong>la</strong> so<strong>la</strong> Germania, fulcro e perno<br />
dell’impero. L’itinerario munsteriano si inquadra in un’orientamento introdotto<br />
nell’umanesimo tedesco da Konrad Celtis al<strong>la</strong> fine del Quattrocento. Umanista dell’università<br />
di Vienna, il Celtis sponsorizza, in evidente spirito di competizione verso l’Umanesimo<br />
italiano, il compimento del<strong>la</strong> trans<strong>la</strong>tio delle arti e delle lettere in Germania come<br />
conseguenza dell’avvenuta trans<strong>la</strong>tio imperii politica 572 .<br />
Peraltro, il Celtis sviluppa <strong>la</strong> sua linea patriottica prendendo spunto anche da un autore<br />
come Pio II, che trasferisce nel<strong>la</strong> realtà contemporanea l’elemento del<strong>la</strong> libertà politica<br />
germanica alle città libere tedesche in antitesi al<strong>la</strong> situazione italiana, ricavato da Tacito 573 .<br />
Proprio a Pio II si richiama Giambul<strong>la</strong>ri, una volta descritto lo scontro tra Arnolfo e<br />
Suembaldo. L’autore in realtà propone preliminarmente al<strong>la</strong> battaglia le re<strong>la</strong>tive orazioni dei<br />
due sovrani alle truppe. Discorsi inventati in omaggio ad canone che <strong>la</strong> storiografia<br />
umanistica attinge da quel<strong>la</strong> c<strong>la</strong>ssica, allo scopo di chiarire, generalmente, i moventi<br />
psicologici sottesi al verificarsi degli eventi, oppure i pro e i contra una certa risoluzione o un<br />
alternativa di azione 574 . Giambul<strong>la</strong>ri nel caso specifico, vuole mostrare <strong>la</strong> sproporzione delle<br />
forze in campo a svantaggio di Suembaldo, 575 che tuttavia non desiste dal<strong>la</strong> battaglia e viene<br />
facilmente sconfitto.<br />
568 Ivi, passo a p. 14a4.<br />
569 Germaniae atque aliarum regionum, quae ad imperium usque Costantinopolitanum protenduntur,<br />
descriptio, per Sebastianum Muensterum ex Historicis atque Cosmographis, pro tabu<strong>la</strong> Nico<strong>la</strong>ei Cuse<br />
intelligenza excerpta. Item eiusdem tabu<strong>la</strong>e Canon. MDXXX.<br />
570 Ivi, pp. 3a2-9b1.<br />
571 Nel<strong>la</strong> quale ennesima conferma del profondo nesso stabilito dal Muenster tra geografia cosmografia e <strong>storia</strong><br />
si ricava nel<strong>la</strong> lettera nuncupatoria del marzo 1550 indirizzata a Carlo V che introduce l’edizione basileese del<strong>la</strong><br />
Cosmografia, cit., pagine non numerate.<br />
572 In proposito rinviamo a J. Ridé, Un grand projet patriotique: Germania illustrata, in L’Humanisme<br />
allemand, cit., pp. 99-111, in partico<strong>la</strong>re pp. 99-101 e 107; sul nazionalismo dell’impegno culturale del Celtis<br />
vedi anche A History of the University in Europe, Cambridge University Press, 1996, II voll., in partico<strong>la</strong>re vol.<br />
II, Universities in Early Modern Europe (!500-1800), edited by H. De Ridder-Symoens, p. 32.<br />
573 A proposito di Celtis e Pio II vedi J. Ridé, Un grand projet patriotique, cit., pp. 101-102, inoltre sul<br />
tacitismo di Enea Silvio rinviamo a G. Costa, Le antichità germaniche, cit., pp. 31-39 e infine a P. Laurens,<br />
Rome et <strong>la</strong> Germanie, cit., p. 348.<br />
574 In proposito vedi F. Gilbert, Machiavelli e Guicciardini, cit.,p. 181.<br />
575 Storia d’Europa, cit., pp. 22-31.<br />
98
A questo punto, il canonico <strong>la</strong>urenziano per raccontare l’ultimo scorcio del<strong>la</strong> vita di<br />
Suembaldo propone letteralmente il passaggio di Pio II:<br />
“Suembaldo, poi che egli ebbe tentato più e<br />
più volte…di salvare il tutto o il parte delle<br />
sue genti…avvedutosi pure che tutto era tempo<br />
perduto, si appartò finalmente dal<strong>la</strong> sconfitta,<br />
e trovandosi tutto solo, si ritrasse in una gran<br />
selva: nel<strong>la</strong> quale disperatosi in tutto d’ogni<br />
grandezza di questo mondo, abbandonato il<br />
cavallo e spogliatosi tutte l’armi, come<br />
semplice viandante se n’andò molti giorni<br />
errando”[…]<br />
“Terminate così le cose…Arnolfo con le sue<br />
genti se ne passò nel<strong>la</strong> Moravia; dove…fece re<br />
di quel<strong>la</strong> provincia il figliuolo di<br />
Suembaldo[…]Suembaldo, nel<strong>la</strong> grandissima<br />
Selva Ercinia, divenuto fuggiasco e povero, e<br />
cibandosi di erbe e di pomi, dopo alcune<br />
giornate si incontrò in tre eremiti, con i quali<br />
accompagnatosi egli per quarto, senza<br />
altrimenti manifestarsi, pacientissimamente<br />
sostenne tutto lo insulto del<strong>la</strong> fortuna fino<br />
all’ultimo dì del<strong>la</strong> morte. Al<strong>la</strong> quale<br />
sentendosi egli molto vicino, chiamati a sé i<br />
compagni suoi, tutto giocondo disse così: “Voi<br />
non avete sin qui saputo, amici e fratelli miei,<br />
chi io mi sia e donde vuntuo. Sappiate che io<br />
sono Suembaldo re de’ Moravi, che in una<br />
battaglia grandissima, rotto e vinto da Arnolfo<br />
re di Germania, me ne venni al<strong>la</strong> solitudine.<br />
Ed avendo esperimentato in me lungamente <strong>la</strong><br />
inquieta vita de’ grandi e <strong>la</strong> quietissima de’<br />
privati, lietoe contento muoio al presente nel<strong>la</strong><br />
solinga e romita casa di questa santa selva<br />
dolcissima; al<strong>la</strong> tranquillità del<strong>la</strong> quale non si<br />
avvicina in maniera alcuna, qual si voglia real<br />
grandezza o bonaccia del<strong>la</strong> fortuna. Qui<br />
almeno il sonno sicuro fa parere saporite le<br />
radici strane delle erbe, e dolci l’acque delle<br />
fontane: quivi i pericoli e le cure sempre fanno<br />
amarissimo il vino e’ l cibo. E tutto quel che<br />
vissi nel regno, fu piuttosto morte che vita.<br />
Sepeliretemi in questo luogo, e andandovene<br />
al mio figliuolo, se per sorte e’ fusse ancor<br />
vivo, gli direte tutto il successo. Perdonatemi<br />
fratelli miei, e pregate per me il Signore, che<br />
non riconti a peccato quel che ho fatto.”<br />
Questo appena potette esprimere di maniera<br />
che e’ fusse inteso, ed andonne a quell’altra<br />
576 Storia, cit., passi cit. a p. 30 e 31-32.<br />
577 Hi<strong>storia</strong> Bohemica, cit., passaggi riportati alle pp. 139-140m4.<br />
“…commisso praelio, cum suos cadere<br />
animadvertisset, c<strong>la</strong>m sese pugnae subtraxit:<br />
atque ut erat mutata veste, incognitus<br />
salutem fuga quaesivit. Cumque ad montem<br />
venisset, cui Sembri nomen est, abiectis<br />
armis, equo dimisso, pedibus iter fecit, et<br />
tamquam viator inops vastissimam ingressus<br />
eremum, tamdiu pomis arborum, atque<br />
herbarum radicibus vitam sustentavit, donec<br />
tres Eremi cultores obvios habuit: quibus<br />
sese adiungens, usque ad exstremum vitae<br />
perseveravit incognitus, patienter ac sedato<br />
animo incomoda queque ferens. Ubi vero<br />
obitus affuit: accersitis eremitis : Nondum,<br />
inquit, quis fuerim novistis. Rex ego<br />
Moravorum praelio victus, ad vos confugi, et<br />
regiam vitam, et privatam, expertus morior.<br />
Nul<strong>la</strong> regni fortuna est tranquil<strong>la</strong>tati eremi<br />
praeficienda. Hic securus somnus, dulces<br />
herbarum radices, atque undas efficit: ibi<br />
curae atque perico<strong>la</strong> nullum cibum, nullum<br />
potum non amarum reddunt. Quod vitae mihi<br />
fata dederunt apud vos felix pergi: in regno<br />
quicquid eius transactum est, mors verius<br />
quam vita fuit. Sepelite me hic postquam<br />
anima corpus liquerit: Moraviamque deinde<br />
petentes, filio meo, si hic vivit, haec nunciate.<br />
Atque his dictis vita excessit. Arnolphus<br />
interea victoria potitus regunm Moraviae<br />
Svatocopij filio, quem de sacro fonte<br />
levaverat, possidendum reliquit. Is ab<br />
eremitis eductus de fortuna patris… ” 577<br />
99
vita. E i romiti, come e’ voleva, manifestando<br />
tutto a’l figliuolo, fecero chiara <strong>la</strong> morte<br />
sua.” 576<br />
Concluso il racconto delle vicende di Suembaldo, Giambul<strong>la</strong>ri si volge al<strong>la</strong> Francia<br />
costituitasi ormai in regno separato dal<strong>la</strong> Germania e coinvolta da un profondo contrasto<br />
interno provocato dall’arrivo dei Normanni. Per introdurre il problema il canonico<br />
<strong>la</strong>urenziano si sofferma sul luogo d’origine del popolo normanno: <strong>la</strong> Scandinavia. Il passaggio<br />
dedicato a tale regione appare estremamente indicativo, sia per <strong>la</strong> fonte da cui viene ricavata<br />
<strong>la</strong> sua <strong>prima</strong> parte, sia per <strong>la</strong> tesi qui espressa. Giambul<strong>la</strong>ri ricorre, infatti, per <strong>la</strong> descrizione<br />
del<strong>la</strong> regione scandinava al<strong>la</strong> Cosmographia muensteriana:<br />
“Giace dunque nello Oceano del<strong>la</strong><br />
Germania…una grandissima quasi che iso<strong>la</strong>,<br />
comunemente detta Scon<strong>la</strong>ndia, e Scondonia<br />
da qualc’un altro, cioè amena e piacevole<br />
Dania, ma Scandia e Scandinavia da Plinio.<br />
La quale secondo il Munstero, si ha<br />
guadagnato questo nome da <strong>la</strong> comodità de’<br />
porti, da <strong>la</strong> fertilità del paese e da <strong>la</strong> somma<br />
abbondanza non so<strong>la</strong>mente de’ pesci e de<br />
selvaggiumi, ma delle ricche miniere dell’oro,<br />
dell’argento, del rame e del piombo, le quali<br />
tutte copiosamente in lei si ritrovano, e da<br />
così <strong>la</strong>rghe vene vi abbondano, che per tanti e<br />
tanti secoli sino a dì nostri non sono<br />
mancati.” 578<br />
“Multis igitur a scriptoribus nominibus<br />
compel<strong>la</strong>tur, Scondia, Scondermachia,<br />
Schondonia, id est, amena Dania. Plinius<br />
aliquo loco Scandiam et alio Scandinaviam<br />
nominavit, sed mansit illi Schondiae nomen,<br />
quod pulchritudinem significat, quondam<br />
coeli beneficio, telluris obsequio, portuum et<br />
emporiorum commoditate, maritimis opibus,<br />
<strong>la</strong>cuum et flumine piscatione, venatione<br />
nobilum ferarum, auri, argenti, aeris, et<br />
plumbi inexhaustis venis, oppidorum<br />
frequentia, civilibus institutis, nulli cedit<br />
beatae regioni.” 579<br />
Oltre a questa già significativa menzione, anche le considerazioni successive appaiono<br />
chiaramente funzionali a sostenere <strong>la</strong> matrice germanica dell’Europa sorta dalle ceneri<br />
dell’impero romano. L’autore registra <strong>la</strong> grande quantità di popoli fuoriusciti dal<strong>la</strong><br />
Scandinavia e insediatisi nel resto d’Europa dove hanno successivamente costituito l’origine<br />
di molti altri popoli e nazioni europee, sul<strong>la</strong> falsariga dei Germaniae exegeos volumina<br />
duodecima di Franz Irenicus 580 nei seguenti termini:<br />
“più volte ha mandato fuori dagli amplissimi suoi confini, eserciti quasi infiniti e<br />
moltitudini senza numero: cioè gli A<strong>la</strong>ni, gli Schiavoni, da’ quali sono Boemi e Pol<strong>la</strong>cchi; i<br />
Suedi che ci hanno dato i Normanni e Bolgari; i Teifali, i Rugi, gli Eruli, i Gotti, i Gepidi, i<br />
Longobardi, i Turciligni, i Cimerii, i Cimbri oggi Dani, i Vandali, i Bavari; e tante altre<br />
famose genti, quante nel<strong>la</strong> faticosa Germania sua <strong>la</strong>rgamente ne dimostra lo Irenico.” 581<br />
Giambul<strong>la</strong>ri sposa dunque <strong>la</strong> tesi dal<strong>la</strong> Scandinavia vagina gentium, formu<strong>la</strong>ta inizialmente<br />
da Giordane e ripresa anche dal Muenster nel<strong>la</strong> sua Cosmographia, applicandole poi lo<br />
578 Storia, cit., passo alle pp. 33-34.<br />
579 Cosmographiae universalis, cit., liber IV, passo riportato a p. 814hh7, passo che peraltro risulta identico<br />
nel<strong>la</strong> Schondia, cit., a p. LXXXVI.<br />
580 Germaniae exegeseos volumina duodecima Francisco Irenico ettelingiacensi exarata. Eiusdem oratio<br />
protreptica, in amorem Germaniae, cum praesentis operis excusatione, ad illustriss. Principis Pa<strong>la</strong>tini Electoris<br />
Cancel<strong>la</strong>rium Florentium de Pheningen, utriusque censure Doctorem. Urbis Norimbergae descriptio, Conrado<br />
Celte narratore, Norimbergae 1518.<br />
581 Storia, cit., passo a p. 34.<br />
100
schema formu<strong>la</strong>to dall’Irenico nel primo libro del<strong>la</strong> sua opera. 582 Passaggio ulteriormente<br />
indicativo delle implicazioni del<strong>la</strong> disciplina geografica nel discorso storico del Giambul<strong>la</strong>ri e<br />
del<strong>la</strong> sua chiara intenzione di ritrovare le radici dell’Europa moderna nell’elemento<br />
germanico.<br />
Al pari degli altri autori di area tedesca già incontrati, anche l’Irenicus si propone, attraverso<br />
i suoi Exegeos, di far luce sul<strong>la</strong> <strong>storia</strong> tedesca e di celebrare <strong>la</strong> centralità del<strong>la</strong> Germania nel<strong>la</strong><br />
realtà europea. Le sue intenzioni, già esplicitate nel<strong>la</strong> lettera noncupatoria, indirizzata<br />
dall’autore a Ludovico <strong>la</strong>ngravio del Pa<strong>la</strong>tinato e a Federico duca di Sassonia 583 sono rese<br />
ancora più manifeste dal<strong>la</strong> nazionalistica Oratio protreptica eiusdem in amorem Germaniae…<br />
posta al<strong>la</strong> fine degli Exegeos 584 .<br />
Inoltre l’orientamento filogermanico di quest’opera viene sottolineato, sia dalle parole di<br />
elogio che il norimberghese Willibald Pirchkeimer rivolge nei confronti del <strong>la</strong>voro<br />
dell’Irenicus 585 , sia dal<strong>la</strong> riproposizione del<strong>la</strong> Urbis Norimbergae descriptio di Konrad<br />
Celtis 586 .<br />
Dimostrata l’origine scandinava del popolo normanno, il Giambul<strong>la</strong>ri ne racconta lo<br />
stanziamento in Francia sotto <strong>la</strong> guida del conte Rollone e, dopo una fase di guerra con <strong>la</strong><br />
corona francese, <strong>la</strong> pacificazione sancita dal<strong>la</strong> conversione al cristianesimo e dal<br />
riconoscimento del vincolo di vassal<strong>la</strong>ggio ad essa, in cambio del possesso del<strong>la</strong> Normandia.<br />
Il canonico <strong>la</strong>urenziano si ispira in proposito all’Hi<strong>storia</strong> Anglica di Polidoro Virgilio 587 .<br />
Umanista, originario di Urbino, chiamato al<strong>la</strong> corte d’Inghilterra, (dove rimane anche dopo<br />
l’emanazione dell’Atto di Supremazia) dal vescovo italiano di Hereford, presto apprezzato da<br />
Tommaso Moro e John Colet, Polidoro nel<strong>la</strong> sua Hi<strong>storia</strong> Anglica dedicata ad Enrico VIII,<br />
esalta <strong>la</strong> stabilità politica garantita all’Inghilterra dal<strong>la</strong> dinastia Tudor, rispetto al<strong>la</strong> nefasta<br />
epoca dei conflitti di Lancaster e York 588 . La sua <strong>storia</strong> stampata nel 1534 a Basilea dal Bebel<br />
582 Lo schema si trova a p. XXId3, mentre per <strong>la</strong> germanicità di queste popo<strong>la</strong>zioni vedi pp. XXd2-XXIId4. A<br />
p. XXd2, ad esempio l’Irenicus scrive: “Omnes illos pene fuisse Germanos…ut Saxones, Cimbros, Dacos.” Sul<strong>la</strong><br />
tesi in questione e sul<strong>la</strong> sua ripresa da parte del Muenster e dell’Irenico vedi G. Costa, Le antichità germaniche,<br />
cit., pp. 57-58 e C. Vasoli, A proposito del<strong>la</strong> Storia d’Europa, cit., p. 637.<br />
583 Ivi, Illustirissimis principibus, Ludovico sacratiss. Imperii electori antesignano, ac Foederico. Rheni<br />
Pa<strong>la</strong>tinis, Baviariaque ducibus ampliss. Franciscus Irenicus Ettelingia censis, Collegii divae Katherinae<br />
Heidelberg. Moderator foelicitatem optat, pp. z1-z5.<br />
584 Oratio protreptica eiusdem in amorem germaniae, cum excusatione praesentis operis, ad illustrissimi<br />
principi Pa<strong>la</strong>tini Electoris Cancel<strong>la</strong>rium Florentium de Phenningen, utriusque censurae Doctorem, pp.<br />
CCXXIIq4-CCXXXr6. Sul cui significato nazionalistico, che porta l’Irenico a smarrire ogni barlume di senso<br />
critico, rinviamo a J. Ridé, Un grand projet patriotique, cit., in partico<strong>la</strong>re p. 106.<br />
585 Ivi, Bilibaldus Pirckheimer Francisco Irenico S. D., p. z5 infatti leggiamo: “Quoque Germaniam tuam et<br />
quidem auctam in lucem prodire scribis, <strong>la</strong>udo. Quis enim non <strong>la</strong>udaret, cum priscorum germanorum facta il<strong>la</strong><br />
praec<strong>la</strong>ra, et quae hucusque tamquam sub oblivionis quadam caligine obruta delituere, celebrari videret.<br />
Quamvis enim Germania tot tacque fortissimas procreavit gentes, ac passim per terrarum orbem tacque<br />
colonias emiserit, non solum gloria militari ac rerum magnitudine reliquas superaverint nationes, et Roman<br />
ipsam quamvis rerum dominam subiugaverint ac ceperint, Romanum denique imperium virtute ac viribus sibi<br />
vendicaverint. Ut obiter alia magnifica preteream gesta. Neminem tamen hucusque sortita estque eam (ut par<br />
est) dignis extulisset praeconiis.[…]Proinde et si tua reprehensione non carebunt (nam ille te mendacii, alter<br />
erroris arguet, ille rerum seriem aliam cupiet, hic styli humilitatem contemnet) nemo tamen bonus <strong>la</strong>borem<br />
tantum ob patriae amorem susceptum non <strong>la</strong>udabit…”.<br />
586 Ivi, di seguito al<strong>la</strong> Oratio protreptica, senza numerazione di pagine. A proposito delle implicazioni<br />
nazionalistiche del<strong>la</strong> celebrazione di Norimberga condotta dal Celtis cfr. J. Ridé, Un grand projet patriotique,<br />
cit., in partico<strong>la</strong>re p. 104.<br />
587 Polydori Vergilii urbinatis anglicae hi<strong>storia</strong>e libri XXVI, Basileae, apud Io. Bebelium anno MDXXXIIII,<br />
d’ora in poi Anglicae hi<strong>storia</strong>e.<br />
588 Vedi <strong>la</strong> voce Polidoro Virgilio di Brian P. Copenhaver in Contemporaries of Erasmus, cit., III vol., 1987,<br />
pp. 397-399 e soprattutto sulle sue fonti, suo metodo e sulle sue posizioni storiografiche E. Cochrane, Hi<strong>storia</strong>ns<br />
and Historiography, cit., pp. 345 e 347-349.<br />
101
è introdotta dal Grynaues con un brevissimo avviso ai lettori 589 che precede <strong>la</strong> lettera<br />
noncupatoria del Virgilio al sovrano inglese 590 .<br />
Scrive abbastanza estesamente il Giambul<strong>la</strong>ri dall’Hi<strong>storia</strong> Anglica:<br />
“Rollone…se ne passò con lo esercito al<strong>la</strong><br />
vicina parte di Francia…ed occupato quasi<br />
ogni cosa, da’l golfo di Sam Malò sino al<strong>la</strong><br />
fiumara di Senna, da gli antichi già detta<br />
Sequana, su per <strong>la</strong> detta riviera se ne venne<br />
sino a Roano. A questa città fermatosi,<br />
accampò; e dimoratovi qualche tempo, non si<br />
movendo alcuno a soccorer<strong>la</strong>, finalmente <strong>la</strong><br />
ottenne a patti. Insignoritosi dunque di così<br />
grossa e ricca città, non volle andare<br />
corseggiando più oltre per <strong>la</strong> marina; ma<br />
volse l’animo a farsi grande; e confidatosi di<br />
potere assai facilmente occupare il regno di<br />
Francia, rispetto al<strong>la</strong> grandissima<br />
commodità che a sì fatta impresa gli davano<br />
le tre navigabili fiumare, Senna, l’Era, e<br />
Garonna, mandò a casa per nuove genti. Le<br />
quali venute gagliardamente, inviò una<br />
grossa armata su per <strong>la</strong> Era ed uno esercito<br />
copioso per il paese circumvicino, e cominciò<br />
a scorrere il tutto, con uccisioni e prede<br />
grandissime, ardendo ed atterando senza<br />
rispetto tutto ciò che a suoi nimici potesse<br />
fare in qualunche modo o utile o comodo.<br />
Carlo, secondo il credere comune del<strong>la</strong><br />
maggior parte degli scrittori, per cognome<br />
chiamato Semplice, in questi tempi re del<strong>la</strong><br />
Francia, uomo piuttosto da chiamare benigno<br />
e rimesso, che armigero ed animoso,<br />
mandando imbasciadori a Rollone, gli chiese<br />
tregua per tre mesi, ed ottenne<strong>la</strong><br />
agevolmente, per avere bisogno il Normanno<br />
di riposare alquanto lo esercito e di<br />
rinfrescarlo di nuove genti. Ma non <strong>prima</strong><br />
el<strong>la</strong> venne el<strong>la</strong> a fine, che Rollone, uscito in<br />
campagna, assediò <strong>la</strong> città di Parigie<br />
combattel<strong>la</strong> gagliardamente; ed arebbe<strong>la</strong><br />
forse ottenuta, se non che i cittadini, avvisati<br />
del soccorso che veniva in aiuto loro con il<br />
duca Riccardo di Borgogna ed Ebalo conte di<br />
Poittiers, uscendo alle spalle a’ Normanni,<br />
“Hinc igitur Rollo…in Galliam transmisit, in<br />
eaque primo Celticae partem popu<strong>la</strong>ndo<br />
occupavit, quae ad littus Oceani Gallici, citra<br />
Sequanam flumen, pertinet: deinde cactus<br />
Sequanae commoditatem, Rothomagum usque<br />
civitatem adverso flumine pervenit, urbemque<br />
oppugnare aggressus est, quam cives ad<br />
estremum cum auxilia frustra diu<br />
expectassent, sibi rebusque suis timentes,<br />
ultro tradiderunt.[…]Potitus ea urbe Rollo, ad<br />
finitima loca occupanda, animum intendit,<br />
ratus huic rei maturandae maxime conducere,<br />
quod tres flivij navigabiles, Sequana, Ligeris,<br />
et Garumna, sibi usui esse possent. Itaque<br />
comparato quammaximo potuit exercitu,<br />
instructaque c<strong>la</strong>sse, pars per Ligerim amnem,<br />
pars itinere terrestri profecti, omnem Galliam<br />
praedabundi ingenti terrore ac caede<br />
complent. Rollo ad vexandos hoc pacto hostes<br />
maiore in dies singulos coacto numero ex<br />
finitimis, qui ad ipsum confugiebant,<br />
quoquoversum armatos dimittit. Omnes vici<br />
atque omnia aedificia quae quisque<br />
conspexerat, incendebantur, praedaque ex<br />
omnibus locis abigebatur, cum Carolus<br />
Galliae rex cognomento Simplex, vir certe<br />
integritate vitae, non item militaris disciplinae<br />
gloria praestans, ratus se posse ferum hostis<br />
aninum potius bonis monitis, quam armis<br />
mitigare, misit legatos a a Rollone trium<br />
mensium inducias petitum. Quae res quondam<br />
Daco ibidem peropportuna erat, quippe qui<br />
militem suum a tantis <strong>la</strong>boribus reficere<br />
cupiebat, neutiquam negata. Itaque datae sunt<br />
in tris menses induciae Gallo, quae statim ut<br />
exierunt, Rollo copijs in aciem eductis,<br />
Carnutes armis invadit, ad eorumque oppidum<br />
oppugnandum aggreditur: quod ubi obsidione<br />
cinxit, Ricardus Burgundionum (ij quondam<br />
Sequani appel<strong>la</strong>ti sunt) dux cum magna<br />
militum manu, obsessis ausilio venit, ilicoque<br />
589 Anglicae hi<strong>storia</strong>e, ivi Simon Grynaeus lectori, dove leggiamo: “Anglia Bistondo semper gens inclita Marte<br />
quanta, quibusque, animis nongentos mille per annos gesserit, imperium firmans adamante revincto, Intulerit<br />
quoties vicinis gentibus arma, seu procul eiecit popu<strong>la</strong>ntem finibus hostem, Seu domuit saevos immania col<strong>la</strong><br />
Tyrannos, Maxima Magnanimum Polydorus facta virorum praec<strong>la</strong>re <strong>la</strong>tia primis carit omnia bucca.”<br />
590 Ivi, pp. 2a2-3a2, Ad invictissimum Angliae, Franciae, Hyberniaeque Regem, fidei defensorem, Henrycum,<br />
nominis eius octavuum, Polydori Vergilij Urbinatis in Anglicam Hi<strong>storia</strong>m suam praefatio, mense Augusto<br />
MDXXXIII. Lettera in cui si pone in evidenza <strong>la</strong> funzione esternatrice del<strong>la</strong> <strong>storia</strong>.<br />
102
che si erano volti a nuovi nimici, non lo<br />
avessino rotto e scacciato con grave danno<br />
del<strong>la</strong> sua gente. Rollone esasperato di questa<br />
rotta, cime <strong>prima</strong> potette accorre le forze,<br />
comandò a tutti i soldati, che non<br />
perdonassero né ad età né a sesso, né a<br />
luoghi sacri o profani; ma amazzasino ogni<br />
uno, predassero il tutto, ed abrucciassero e<br />
distruggessero ciò che venisse loro a le mani.<br />
La qual cosa eseguendo coloro, e molto più<br />
che e’ non aveva detto, e rovinando e<br />
spianando il tutto, Carlo, stimo<strong>la</strong>to da’ suoi<br />
baroni ad opporsi a tanto esterminio, non<br />
confidandosi di potere ostare con <strong>la</strong> forza,<br />
cercò nuovamente accordo con i vittoriosi<br />
nimici suoi. E convenutosi finalmente che<br />
Rollone si facesse Cristiano, e togliendo per<br />
moglie Gil<strong>la</strong> figliuo<strong>la</strong> di esso Carlo, avesse<br />
per dota <strong>la</strong> Brettagna e <strong>la</strong> Normandia, con<br />
obligo d’un piccolo censo da pagarsi ogni<br />
anno in futuro al<strong>la</strong> Corona di Francia in<br />
cognizione e testimonianza del dominio<br />
ottenuto non per arme ma per amore; fermò<br />
<strong>la</strong> pace e <strong>la</strong> parente<strong>la</strong>. Battezzatosi dunque<br />
Rollone, e chiamandosi da indi innanzi<br />
Ruberto, per i conte Ruberto di Poitiers che<br />
lo aveva tenuto a battesimo, mutando nome al<br />
paese ancora, chiamò Normandia tutto quello<br />
che si chiamava <strong>prima</strong> Neustria. Scrivono<br />
però alcuni altri, e con essi Polidoro<br />
Vergilio, che <strong>la</strong> moglie di Rollone non fu<br />
Gil<strong>la</strong> di Carlo il Semplice, ma Ope figliuo<strong>la</strong><br />
di Beringhiero conte di Beauvoi; <strong>la</strong> quale gli<br />
partorì Guglielmo…e che Gil<strong>la</strong> predetta non<br />
fu <strong>la</strong> figlio<strong>la</strong> di Carlo, ma di Lottario, e<br />
moglie non di Rollone, ma di quello<br />
Gottifredo…” 591<br />
591 Storia, cit., passo alle pp. 36-37.<br />
592 Anglicae hi<strong>storia</strong>e, cit., passi riportati alle pp. 98i2-100i3.<br />
hostes adoritur. Qua re ab oppidanis cognita,<br />
collectis animorum viribus, omnes<br />
praecedente loco signiferi, antistite…in hostes<br />
erumpunt. Non sustinuit irrumpentium<br />
impetum Dacus, qui non sine magna suorum<br />
strage, in fugam versus, ad locum haud procul<br />
confugit, ibique ira et furore accensus, suos<br />
quamcelerrime potuit, ex dissipato cursu<br />
coegit, ac mox in omnes pars erumpens<br />
militibus imperavit, caedam atque<br />
popu<strong>la</strong>tiones in hostes facerent. Illi partem<br />
spe praedae, partim odio exagitati, rapendo,<br />
caedendoque truculentissime in miseros<br />
Gallos saeviebant, neque aetati, neque sexui<br />
parcentes, quin deorum temp<strong>la</strong>, privatasque<br />
domos crudelissime inf<strong>la</strong>mmarent. Hoc pacto<br />
barbari divinaque foedabant. Contra interim<br />
Franci regem suum vituperabant, quod tardus<br />
et iners esset, atque vim repellendam minime<br />
omnium curaret: cum ipse Carolus qui longe<br />
magis Dei optimi maximi ausilio, quam armis<br />
confidabant, quippe videbat plus nimio<br />
hostium vires invaluisse, quam ut tuto ijs<br />
resistere possit, legatos iterum ad Rollonem<br />
misit[…]Quare abito mature concilio,<br />
Carolus demum Rollone congressus ei filiam<br />
locavit, simulque dedit filie dotis nomine, eam<br />
Celticae partem, quae id temporis Neustria<br />
fuit, ad citerioremque Britanniam pertinebat.<br />
Rollo receptam Normandiam<br />
dixit…[…]Rollo[…]a Francione episcopo<br />
Rothomagensium sit baptismatis <strong>la</strong>vacro<br />
admotus, ac Robertus appe<strong>la</strong>tus, a Roberto<br />
Pictonum comite, quem recepti ab se sacri<br />
testem adhibuerat. Sunt qui scribant<br />
Normanos iussos esse annum vectigal pendere<br />
Francorum regibus, ut Neustriae dominis, ne<br />
terra bello quaesita crederetur, sed Caroli<br />
concessu adepta.[…]Quare tradunt Rollonem<br />
se cum suis Normanis iunxisse, ac sedes eo<br />
loci firmasse, Carolo Simplice Francis<br />
imperante: at neque Aegidiam filiam Simplicis<br />
fuisse, sed Lotharij regis, quam ipse Crassus<br />
Gotthofredo Normannorum regi collocavit.<br />
Quae nempe res erronem praebuit, ut<br />
scriptores illi auspicati sint eam nupsisse<br />
Rolloni, quem pa<strong>la</strong>m est duxisse matrimonium<br />
Opem Berengarij Bellovacorumque comitis<br />
filiam.[…]Rollonem Gulielmus filius ex Ope<br />
genitus secutus est…” 592<br />
103
Meritano appena di essere sottolineate le modalità di ingresso di un nuovo popolo dentro <strong>la</strong><br />
vicenda europea, a conferma delle precedenti considerazioni, ancora una volta costituite<br />
dall’incontro tra elemento germanico e adesione al cristianesimo.<br />
Maggiore attenzione invece va dedicata all’identità di Gottifredo e Rollone, respinta dal<br />
Polidoro. In proposito il canonico <strong>la</strong>urenziano apre una parentesi in cui presenta fonti<br />
favorevoli e contrarie. Al di là dell’esito del<strong>la</strong> questione, su cui il Giambul<strong>la</strong>ri non prende<br />
nettamente posizione <strong>la</strong>sciando libero giudizio al lettore “perché in tanta diversità di scrittori<br />
male si può discernere il vero” 593 , è interessante ricordare le fonti menzionate. Favorevoli a<br />
quest’identità il Volterrano già da noi incontrato, e due nuove fonti del<strong>la</strong> Storia: il francese<br />
Robert Gaguin e Collenuccio da Pesaro.<br />
Gaguin, uno dei primi umanisti francesi, scrive un Compendium de …gestis francorum 594 a<br />
supporto dell’origine troiana del<strong>la</strong> monarchia francese, secondo <strong>la</strong> mitica discendenza dei<br />
Galli da Noè, per legittimare <strong>la</strong> vocazione universale del<strong>la</strong> sua missione politica e<br />
spirituale 595 . La formazione di un nazionalismo culturale non privo di crescenti implicazioni<br />
politiche per quanto circoscritto alle èlite intelletuali ed ai ceti dirigenti costituisce del resto<br />
un dato comune alle grandi monarchie occidentali 596 . La consapevolezza che Giambul<strong>la</strong>ri<br />
dimostra in questo senso, è un’ulteriore indizio del<strong>la</strong> rilevanza attribuita nel<strong>la</strong> Storia ai motivi<br />
ed alle suggestioni dei nascenti partico<strong>la</strong>rismi politici.<br />
L’altro autore ricordato il Collennuccio, già citato nel Gello, impegnato come ambasciatore<br />
del duca di Ferrara, compone un Compendio de le istorie del regno di Napoli di tendenza<br />
filoghibellina. L’umanista pesarese, infatti, idealizza <strong>la</strong> figura di Federico II e pone in cattiva<br />
luce gli Angioini e l’ingerenza temporale del<strong>la</strong> chiesa romana nel<strong>la</strong> <strong>storia</strong><br />
napoletana.Collenuccio, del resto, ha un contatto diretto con il mondo tedesco quando viene<br />
inviato dal duca di Ferrara in missione diplomatica presso l’imperatore Massimiliano I nel<br />
1500 e nel suo compendio si serve anche di diverse fonti tedesche del Medio Evo oltre alle<br />
fonti c<strong>la</strong>ssiche 597 .<br />
Tra le fonti citate che negano l’identità tra Rollone e Gottifredo, oltre ai già incontrati<br />
Reginone e Uspergense, il Giambul<strong>la</strong>ri menziona anche Ottone vescovo di Frisinga indicato<br />
come “Frisigense”, vissuto nel XII° secolo. Ottone inizia una <strong>storia</strong> che narra le gesta di<br />
Federico Barbarossa, completata dopo <strong>la</strong> sua morte (1158) dal Rahewin 598 . Anche Ottone<br />
rientra nel novero degli autori medievali recuperati dall’umanesimo tedesco secondo l’istanza<br />
nazionalista e antiromana. È del resto un convinto assertore del<strong>la</strong> Trans<strong>la</strong>tio imperii nel<br />
mondo tedesco attraverso Carlo Magno, e parteggia chiaramente per il Barbarossa nei<br />
continui dissidii che sorgono con i pontefici romani. Conferma indiretta in proposito appare<br />
anche l’edizione dello scritto ottoniano curata nel 1515 dal Celtis 599 .<br />
Soprattutto, però è interessante rilevare l’esclusione di una fonte indicata invece nel codice<br />
autografo dove il Giambul<strong>la</strong>ri, a proposito di una ipotetica retrodatazione del<strong>la</strong> pace conclusa<br />
da Rollone all’880, scrive:<br />
593 Storia, cit., passo a p. 38.<br />
594 Compendium Roberti Ganguini supra Francorum gestis, impressit…Thilmannus Kerver in inclito<br />
Parisiorum gymnasio, 1507, in cui a proposito di Gil<strong>la</strong> leggiamo in Fo. LXXIII1: “Rollo Gil<strong>la</strong>m caroli filiam<br />
uxorem recipit et in dotem neustriam.”<br />
595 Sul<strong>la</strong> storiografia del Gaguin cfr. The New Cambridge Medieval History, cit., vol. VII, c.1415-1500, edited<br />
by Cristopher Al<strong>la</strong>mand, 2000, p. 427, vedi inoltre E. Cochrane, Hi<strong>storia</strong>ns and Historiography, cit., pp. 321,<br />
332, 346.<br />
596 R. Romeo, Idea e coscienza di nazione, cit., pp. 16-17.<br />
597 Su Pandolfo Collenuccio oltre al<strong>la</strong> re<strong>la</strong>tiva voce su DBI, rinviamo a E. Cochrane, Hi<strong>storia</strong>ns and<br />
Historiography, cit., pp. 155-157 e 342.<br />
598 Su Ottone vedi U. Chevalier, Répertoire des sources historiques, cit., II vol., pp. 3459-3460.<br />
599<br />
Sul<strong>la</strong> storiografia ottoniana vedi J. D’Amico, Hutten and Renanus, cit., in partico<strong>la</strong>re pp. 6-7; cfr. anche G.<br />
Costa, Le antichità germaniche, cit., pp. 32-33 e 41.<br />
104
“che el<strong>la</strong> fussi con Carlo Grasso, imperatore e re del<strong>la</strong> Francia, come recita il Vilfelingio,<br />
nel<strong>la</strong> sua brevissima epitome; et conseguentemente qualche anno <strong>prima</strong>: questo brevemente<br />
ho voluto notare non per biasimo degli scrittori: ma per mostrare il vero del<strong>la</strong> cosa, con <strong>la</strong><br />
testimonianza del tempo, e di questi autori germani, venuti in luce, non è molti anni.” 600<br />
Si tratta di Jacob Wimpheling autore dell’Epitome Germanorum… 601 contenuta proprio in<br />
quel<strong>la</strong> silloge basileese edita nel 1532 che comprende tanti autori di area tedesca o comunque<br />
di propensione filo-imperiale a cui evidentemente si riferisce l’indicazione complessiva sulle<br />
fonti germaniche formu<strong>la</strong>ta dal canonico <strong>la</strong>urenziano nell’autografo.<br />
Dunque passaggio che costituisce una traccia significativa, per quanto soppressa nel testo a<br />
stampa, sia dell’utilizzazione non superficiale né una tantum di questa raccolta ben presente<br />
nel prosieguo del<strong>la</strong> Storia, sia dell’attendibilità dal Giambul<strong>la</strong>ri attribuita al<strong>la</strong> storiografia<br />
tedesca.<br />
Inoltre, questa citazione, documenta che tra le letture del Giambul<strong>la</strong>ri va annoverata anche<br />
l’Epitome del Wimpheling. Altro autore impegnato ad esaltare <strong>la</strong> germanicità imperiale in una<br />
duplice chiave, appunto universale-imperiale e localistico-nazionale. Fin dal<strong>la</strong> lettera<br />
noncupatoria dell’epitome l’umanista alsaziano rivendica <strong>la</strong> germanicità di Strasburgo,<br />
fondandosi sugli stessi autori <strong>la</strong>tini. Le puntate antiromane e il rifiuto di ogni attribuzione a<br />
Strasburgo di matrici storico-culturali galliche si inscrivono pienamente all’interno delle<br />
coordinate prevalenti (e che approfondiremo nel caso del Renano) dell’umanesimo tedesco 602 .<br />
Risolte temporaneamente le questioni francesi, il Giambul<strong>la</strong>ri rivolge <strong>la</strong> sua attenzione<br />
sull’altra regno nato dal<strong>la</strong> scissione dell’impero: l’Italia. Fa il suo ingresso nel<strong>la</strong> Storia<br />
d’Europa Liutprando da Cremona vissuto nel X secolo. Testimone diretto degli avvenimenti<br />
che racconta nelle sue opere storiche, Liutprando, dopo un primo periodo come segretario al<strong>la</strong><br />
600 Magliab., Cod. 111, cit., passo a p. 16.<br />
601 Epitome germanorum, opera Iacobi Vumphelingii selestadiensis et quorum contexta, ac nuper per eruditum<br />
quondam recognita, in Vuitichindi Saxonis Rerum, cit., pp. 315-380.<br />
602 Ivi, a p. 315-316d2 Iacobus Vuimphelingius Thomae Vuolphio Iuniori, pontificììs iuris interpreti, summo<br />
amico, in data VIII, Kalend. Octobris, MDII in cui l’autore che riprende e porta a termine l’opera iniziata da<br />
Sebastianum Murrhonem morto <strong>prima</strong> del suo compimento, indica a chiare lettere il suo intento celebrativo nei<br />
confronti dell’elemento imperiale germanico di cui Strasburgo, pur stando nel<strong>la</strong> parte gallica, rientra a pieno<br />
titolo “sed etiam ut omnes Germani in hac epitome antiquitates Germaniae videant, vitam nostratium<br />
imperatorum legant, Germanorumque <strong>la</strong>udes, ingenium, bel<strong>la</strong>, triumphos, artium, inventionem, nobilitatem,<br />
fidem, constantiam, et veracitatem ediscant: atque ut his brevibus ansam praebeamus studiosae posteritati, quo<br />
maiora indies studeant adijcere, et amplioribus rerum incrementis Germanorum <strong>la</strong>udes cumu<strong>la</strong>re. Verum a<br />
Germanicis <strong>la</strong>udibus Argentinam unde tibi: et Selestadium, unde mihi origo est, caeterasque civitates ex hoc<br />
Rheni littore Galliam versus sitas, nolumus exclusum iri, quoniam eas ab Octaviani aetate, Svetonio teste,<br />
Germani inhabitarunt: unde et Germaniae nomen meruere. Et Plinius et Cornelius Tacitus…inter Germaniae<br />
fines il<strong>la</strong>s dinumerant. Ecclesian quoque Romana, inter Germaniae metropoles Maguntinam, Treverensem, et<br />
Agrippinam collocavit. Quumque summus pontifex legatos a <strong>la</strong>tere ad Germaniam mittit, in his patriae quoque<br />
nostrae civitatibus munus legationis suae illi exercerent: quod nisi Germaniae pars essent, quas legati ad<br />
Germaniam missi dispensationes, indulgentias ac beneficiorumque provisiones in eis administrant, irritae<br />
viderentur et inanes: nam et ad Galliam alij a nostris mittintur legati, qui in nostris civitatibus partes suas<br />
nequaquam explent. Adde quod ipse Carolus Burgundiae dux, Maximiliani regis socer, ad principes electores<br />
perscripsit, sese et Germanum esse et dici velle: cuius tamen terrae in hoc Rheni littore sitae fuerunt, imo<br />
ipsarum civitatum et pagorum antiquissima nomina Germanicum sonant, et minime Gallicum. Et si vel Caroli<br />
magni, aut filiorum nepotumque quorum aetate, hicumquam Galli habitavissent, versatum fuisset et hic<br />
proculdubio Gallicum idioma. At ubi nam inveniuntur ul<strong>la</strong> Gallicae lingua vestigia? Ubi libri Gallici? Ubi<br />
monumenta? Ubi episto<strong>la</strong>e? Ubi epitaphia? Ubi literae contractuum rerum urbanatum et civilium aut seudorum,<br />
sicut a septingentis et octingentis annis Latinae et Germanicae lingua apud nos monumenta reperiunt. Nec mihi<br />
persuaderi potest optimos Svevie duces, qui cathedralem apud Spiras ecclesiam quique coenobium divae Fidis in<br />
patria mea Selestadio fundarunt et locupletaverunt, magnificas il<strong>la</strong>s impensas, paternamque substantiam in<br />
Galliam traducere, ac inter Gallos profundere voluisse. Glorietur ergo ille mendicus b<strong>la</strong>ttero, qui nostram<br />
Germaniam atque famam discerpit, se et suum patrem a Gallis descendisse. Nos mi charissime Thoma<br />
gloriabimur a maioribus nostris Germanis procesisse… ”.<br />
Sul significativo per quanto embrionale valore nazionale dell’Epitome di Wimpheling cfr. P. Merlin, La forza e<br />
<strong>la</strong> fede, cit., p. 65.<br />
105
corte di Berengario II, si trasferisce in pianta stabile al<strong>la</strong> corte di Ottone I di cui resta al<br />
servizio con il ruolo di consigliere e ambasciatore anche dopo il conferimento nel 962 del<br />
vescovato di Cremona. 603 .<br />
Costante nel<strong>la</strong> Storia, specialmente in re<strong>la</strong>zione alle vicende italiane sarà il ricorso<br />
all’Antopodosis 604 . La rilevanza dell’Antopodosis per il Giambul<strong>la</strong>ri, del resto viene posta in<br />
rilievo dal Kirner anche in re<strong>la</strong>zione al progetto originario del<strong>la</strong> Storia che doveva ricoprire lo<br />
stesso arco storico affrontato da Liutprando. L’Antopodosis del resto, sottolinea ancora il<br />
Kirner, è una <strong>storia</strong> d’Europa ma pone al suo centro l’Italia, mentre il Giambul<strong>la</strong>ri sceglie <strong>la</strong><br />
Germania come perno del<strong>la</strong> sua opera 605 . D’altra parte, Liutprando scrive le sue opere storiche<br />
quale devoto servitore del<strong>la</strong> casa di Sassonia, dunque secondo una prospettiva vicina a quel<strong>la</strong><br />
propugnata dal canonico <strong>la</strong>urenziano. In partico<strong>la</strong>re <strong>la</strong> genesi dell’Antopodosis si lega<br />
all’estromissione di Liutprando dal<strong>la</strong> corte di Berengario II al ritorno dal<strong>la</strong> missione a<br />
Bisanzio nel 950. Infatti, come rive<strong>la</strong> lo stesso titolo dell’opera, Liutprando intende restituire<br />
il male ingiustamente ricevuto da Berengario, senza dimenticare peraltro lo stimolo a<br />
comporre un’opera su imperatori e re di tutta Europa derminato da un suo incontro a<br />
Francoforte col vescovo spagnolo ambasciatore del califfo di Cordoba nel 956. La<br />
preponderanza del motivo polemico, comunque, è confermata anche dal<strong>la</strong> conclusione<br />
dell’Antopodosis che viene volutamente troncata dall’autore per alludere all’interruziona del<br />
suo ruolo politico presso Berengario II 606 .<br />
La <strong>storia</strong>, pertanto, negli scritti di Liutprando, diviene racconto del<strong>la</strong> memoria ed assume<br />
una dimensione contemporanea che sfocia spesso nell’autobiografico. Significativo in questo<br />
senso è anche l’abbandono del<strong>la</strong> schema annalistico e del modello di una <strong>storia</strong> universale<br />
applicati invece da Reginone, inscrivibile nel<strong>la</strong> nuova tendenza di sviluppo dell’aspetto<br />
letterario e memorialistico del<strong>la</strong> narrazione storica del X secolo. Il consapevole venir meno di<br />
ogni pretesa di oggettività si traduce nelle pagine di Liutprando in una crudezza sconosciuta<br />
al<strong>la</strong> storiografia carolingia. Elemento che comunque non inficia <strong>la</strong> presenza di una concezione<br />
complessiva del<strong>la</strong> <strong>storia</strong> dominata e rego<strong>la</strong>ta dal<strong>la</strong> violenza, dall’astuzia e dal<strong>la</strong> smania di<br />
potere nei rapporti personali e politici piuttosto che dal<strong>la</strong> nobiltà dello spirito e delle grandi<br />
gesta umane o dall’ispirazione e dal<strong>la</strong> guida divina. La concezione del<strong>la</strong> <strong>storia</strong> di Liutprando è<br />
sostanzialmente antiepica e <strong>la</strong> sua scrittura costituisce una sorta di presa di coscienza<br />
dell’irrazionalità del divenire storico 607 .<br />
Lo vediamo proprio nel<strong>la</strong> questione che provoca i contrasti e le difficoltà del<strong>la</strong> situazione<br />
italiana: <strong>la</strong> successione al trono francese. Infatti, in seguito al<strong>la</strong> divisione dei regni, mentre<br />
Arnolfo combatte in Moravia, Guido di Spoleto e Berengario I, si accordano per salire il<br />
primo sul trono francese, il secondo su quello italiano. Guido ha <strong>la</strong> possibilità di arrivare al<br />
trono di Francia grazie al<strong>la</strong> minore età, sette anni, di Carlo il Semplice, figlio di Carlo il Calvo<br />
603 Su Liutprando da Cremona e sul<strong>la</strong> sua opera storica complessiva rinviamo a Liutprando da Cremona, Italia<br />
e Bisanzio alle soglie dell’anno mille, a cura di Massimo Oldoni e Pierangelo Ariatta, Novara, Europia, 1987, in<br />
particolre cfr. l’Introduzione critica di Massimo Oldoni, pp. 7-35 e a Tutte le opere (<strong>la</strong> restituzione, le gesta di<br />
Ottone I, La re<strong>la</strong>zione di un’ambasceria a Costantinopoli 891-969) di Liutprando da Cremona, a cura di<br />
Alessandro Cutolo, Mi<strong>la</strong>no, Bompiani, 1945 vedi in special modo l’introduzione del curatore, pp. 7-43 e id.,<br />
Introduzione a Tre cronache medievali. Vite di Carlo Magno, Berengario II, Federico Barbarossa (742-1168),<br />
Mi<strong>la</strong>no, Bompiani, 1943, pp. 9-29, in partico<strong>la</strong>re pp. 16-24; inoltre cfr. anche Repertorium fontium hi<strong>storia</strong>e<br />
medii aevi, primum ab Augusto Potthast digestum nunc cura collegii historicorum e pluribus nationibus<br />
emendatum et auctum, Romae, MCMXCVII, apud Instituto storico italiano per il Medio Evo, in partico<strong>la</strong>re vol.<br />
VII, pp. 306-309.<br />
604 In proposito rinviamo a G. Costa, Le antichità germaniche, cit., p. 56 e soprattutto a G. Kirner, Sul<strong>la</strong> <strong>storia</strong><br />
d’Europa, cit., pp. 8-9 e 13-18.<br />
605 G. Kirner, Sul<strong>la</strong> <strong>storia</strong> d’Europa, cit., in partico<strong>la</strong>re p. 14.<br />
606 Sui motivi di composizione dell’Antopodosis e in partico<strong>la</strong>re sul<strong>la</strong> forza dell’intento polemico dell’autore<br />
vedi in Liutprando da Cremona, cit., nell’Introduzione, cit., pp. 9-13 e 16-27; cfr. inoltre Tutte le opere, cit.,<br />
nell’introduzione, cit., pp. 9-11.<br />
607 Vedi New Cambridge Medieval History, cit., vol. III, pp.206-207, inoltre cfr. anche Letteratura <strong>la</strong>tina e<br />
medievale, cit., pp. 167-169.<br />
106
e legittimo re francese 608 . Tuttavia, i nobili francesi assegnano il trono d’oltralpe al reggente<br />
del regno: il conte Oddone. La motivazione ufficiale di questa decisione viene indicata nel<strong>la</strong><br />
minaccia normanna ma il Giambul<strong>la</strong>ri propone anche una motivazione alternativa ricavata da<br />
Liutprando. Dal<strong>la</strong> sua Antopodosis, del resto, letta nell’edizione basileese del 1532 stampata<br />
da Hervagius 609 (quel<strong>la</strong> in cui si trova anche l’Epitome di Wimpheling) il canonico<br />
<strong>la</strong>urenziano trae il racconto del tradimento consumato da Guido nei confronti di Berengario a<br />
cui decide di strappare militarmente <strong>la</strong> corona d’Italia appena ottenuta:<br />
“<strong>la</strong>onde i predetti duoi principi…convennero<br />
che Berengario occupasse il regno di Italia, e<br />
Guido…si coronasse di Francia…Partitosi<br />
dunque da Roma Guido, e condottosi già oltre<br />
a’ monti: scontrò gli oratori franzesi, che li<br />
par<strong>la</strong>rono in questa guisa:<br />
“La necessità…ha costretto i vostri<br />
Franzesi,[…]vedendo il pericolo sì da vicino,<br />
e <strong>la</strong> V. E. tanto lontana, giudicando che ogni<br />
minima di<strong>la</strong>zione grandemente potesse<br />
nuocere, elessero finalmente a cotanto grado<br />
il nobilissimo conte… Oddone.” […] 610<br />
Così dissero gli ambasciatori. Ma Liutprando<br />
da Pavia, assegnando un’altra cagione del<br />
non essere stato accettato Guido al regno di<br />
Francia, dice che essendo egli già vicino al<strong>la</strong><br />
città di Metz città del<strong>la</strong> Lotteringhia, e<br />
mandando avanti il suo vivandiere a<br />
provvedere il vitto reale, e ordinandogli il<br />
Vescovo del<strong>la</strong> città assai numero di vivande,<br />
come costumano sempre i Francesi, colui che<br />
molto più pensava forse a se stesso che al suo<br />
signore disse al vescovo “se mi è donato pure<br />
un cavallo, io farò che il re Guido starà<br />
contento al<strong>la</strong> terza parte di questa roba.” Il<br />
vescovo udita questa proposta e turbatosene<br />
gravemente, disse, non esser cosa da<br />
sopportarsi che e’ fusse mai re di Francia chi<br />
si contentava d’una vil cena di dieci scudi. Il<br />
che tra gli altri signori divulgatosi,<br />
disprezzando essi il continente vivere di<br />
Guido, si gittarono tutti a Oddone, e lo<br />
coronarono, come è detto. Guido, trovandosi<br />
in un tempo medesimo escluso di duoi reami,<br />
cioè dello Italico, già <strong>la</strong>sciato al re<br />
“Vuido…Roma profectus est, et absque<br />
Francorum consilio totius Franciae<br />
unctionem suscepit imperij. Franci itaque<br />
Odonem, quoniam Vuido aberat, regem<br />
constituunt. Berengarius vero Vuidonis<br />
consilio, queadmodum ei iure iurando<br />
promiserat, Italici regni suscepit imperium.<br />
Vuido aut Franciam petit. Quumque<br />
Burgundionum regna transiens, Franciam<br />
quam Romanam dicunt ingredi vellet,<br />
Francorum nuncij ei occurunt, se redire<br />
nunciantes, eoque longa expectatione<br />
fatigati, dum sine rege esse diutius non<br />
possent, Odonem cunctis petentibus<br />
elegerunt. Fertur aut hac occasione Francos<br />
Vuidonem regem sibi non assumpsisse. Nam<br />
dum ad Metensem venturus esset urbem,<br />
quae potentissima in regno Lotharij c<strong>la</strong>ret,<br />
praemisit dapiferum suum qui alimenta illi<br />
more regio praepararet. Metensis vero<br />
episcopus, dum cibaria ei multa secundum<br />
Francorum consuetudinem ministraret,<br />
huiusmodi responsa a dapifero suscepit. Si<br />
equum saltem mihi dederis, faciam ut tertia<br />
obsonij huius parte sit rex Vuido contentus.<br />
Quod episcopus audiens: Non decet, inquit,<br />
talem super nos regnate regem, qui decem<br />
drachmis vile sibi obsonius praeparat.<br />
Sicque factum est, ut Vuidonem desererent,<br />
Odonem autem eligerent. Francorum igitur<br />
legationibus non parum rex Vuido<br />
perturbatus, nonnullis coepit cogitationibus<br />
aestuare, tam ex Italico regno Berengario<br />
iure iurando promisso, quam ex Francorum,<br />
praesertim quod penitus illud se non posse<br />
608 Storia d’Europa, cit., p. 40 in cui leggiamo a testimonianza del<strong>la</strong> volontà dell’autore di evidenziare <strong>la</strong><br />
decadenza carolingia, <strong>la</strong> ripetizione di fatti già menzionati in una valutazione più complessiva e negativa :<br />
“Successe ancora <strong>la</strong> coronazione e deposizione di Carlo il Grasso nel<strong>la</strong> Germania, e <strong>la</strong> sublimazione di Arnolfo<br />
da noi detta su nel principio. Le quali cose indebolirono tanto lo Imperio, che <strong>la</strong> Francia appartatasi in tutto da<br />
<strong>la</strong> Germania, si restò sotto Oddone tutore del pupillo con que’ travagli che ni diremo, e <strong>la</strong> Italia rimase sciolta,<br />
senza freno o governo alcuno.”<br />
609 Liuthprandi Ticinensis ecclesiae levitae, rerum ab Europae Imperatoribus ac regibus gestarum, hi<strong>storia</strong>e in<br />
Vuitichindi saxonis, cit., pp. 218t1-314d1.<br />
610 Il discorso degli ambasciatori francesi in risposta alle pretese avanzate da Guido al trono di Francia è<br />
fittiziamente introdotto dal Giambul<strong>la</strong>ri.<br />
107
Berengario, e del Francese, che se n’aveva<br />
creato un altro, dop un lungo contrasto tra sé<br />
medesimo, si risolvette pur finalmente a voler<br />
più tosto mancar di fè, che di regno; e non<br />
potendo sforzar <strong>la</strong> Francia, dove non aveva<br />
gente da guerra nè giusto titolo da<br />
insegnorirsene non essendo de’l sangue regio,<br />
se ne tornò a giornate grandi, e più segreto<br />
che fu possibile, a lo antico ducato suo. Quivi,<br />
con somma prestezza, posto insieme uno<br />
esercito de’ suoi Spoletini e Camerinensi, e<br />
degli altri che sotto speranza di guadagnare si<br />
arrecarono a suo servizio, uscì gagliardo in su<br />
<strong>la</strong> campagna a <strong>la</strong> volta di Berengario; il quale<br />
con quelle genti che aver potette in tumulto sì<br />
repentino, venutoli incontro su’l fiume<br />
Trebbia, cinque miglia presso a Piacenza, fu a<br />
giornata con esso lui. La battaglia fu<br />
sanguinosa, e da l’una e da l’altra parte<br />
morirono molti; ma pur Guido restò vincente.<br />
Berengario, non avendo per questo perduto lo<br />
animo, rifatto subitamente esercito nuovo,<br />
ancora che di gente assai manco pratico che<br />
<strong>la</strong> <strong>prima</strong>, ne’ <strong>la</strong>rghissimi campi di Brescia<br />
ritornò fra non molti giorni a battaglia contro<br />
di Guido. Ma per <strong>la</strong> contraria fortuna sua,…fu<br />
…rotto e cacciato…Laonde…ritiratosi in<br />
luogo salvo, mandò per soccorso nel<strong>la</strong><br />
Germania a’l potentissimo re Arnolfo… ” 611<br />
sciverat adipisci. Inter utraque autem<br />
aestimationem quoniam Francorum rex esse<br />
nequibat, frangere quod Berengario fecerat<br />
iusiurandum deliberat: collectoque prout<br />
potuit exercitu, traxerat sane et a Francis<br />
quandam affinitatis lineam. Italiam que<br />
concite ingressus, Camerinos et Spoletinos<br />
fiducialiter ut propinquos adijt. Berengarij<br />
etiam partibus faventes, ut infidos<br />
pecuniarium gratia acquirit: itaque<br />
Berengario bellum parat. Copijs denique<br />
utraque ex parte collectis, iuxta flumine<br />
Terviam, qui quinque a P<strong>la</strong>centia miliarijs<br />
distat, civile bellum parant, in quo quum<br />
partibus ex utrisque caderent multi,<br />
Berengarius fugam petijt tiumphum Vuido<br />
obtinuit. Nec mora, diebus paucis<br />
interpositis, collecta Berengarius<br />
multitudine, in Brixiae <strong>la</strong>tissimos campos<br />
Vuidoni bellum parat: ubi quum maxima<br />
strages fieret, fuga sese Berengarius<br />
liberavit.<br />
Berengarius Arnulfum in auxilium<br />
pollicitationibus pellicit in Guidonem, qui<br />
quum alteram fluvij ripam teneret...” 612<br />
A causa dei rovesci militari subiti da Guido, Berengario è costretto chiedere aiuto ad<br />
Arnolfo. Anche in questo frangente, Giambul<strong>la</strong>ri fa pronunciare agli ambasciatori del re<br />
d’Italia un discorso fittizio. Elemento che indica l’importanza del momento in questione.<br />
Infatti, a più riprese viene posta in risalto l’esigenza di uno stretto rapporto tra Italia e Impero,<br />
con <strong>la</strong> funzionale e netta subalternità del<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong> all’autorità cesarea germanica, secondo <strong>la</strong><br />
trans<strong>la</strong>tio imperii realizzata da Carlo Magno:<br />
“Così nacque il regno di Italia, così lo fondò Carlo Magno, non per emolo mai dello<br />
Imperio, né per grado che avesse a nuocerli; ma solo perché <strong>la</strong> Maestà Imperiale, dovunche<br />
el<strong>la</strong> si ritrovasse, avesse in quel<strong>la</strong> provincia un luogo tenente potentissimo, un ministro<br />
fidatissimo ed uno esecutore paratissimo in tutte le cose che occorressimo, per servizio,<br />
comodo o utile del<strong>la</strong> sacra santa corona Augusta.” 613<br />
Anzi, proprio a rafforzare l’imprescindibilità di questo connubio, Guido viene accusato di<br />
ambire al<strong>la</strong> corona augustea. Colpire l’Italia, significa dunque minare l’assetto imperiale<br />
stesso nel<strong>la</strong> sua più intima essenza e solidità:<br />
“Per questo, per questo solo, invittissimo Cesare, si trova ora l’Italia in tumulto; per questo<br />
conturba Guido <strong>la</strong> sua santa pace, sollieva i popoli, assalta le terre, e le campagne tinge di<br />
611 Storia, cit., passi riportati alle pp. 40-43.<br />
612 Liuthprandi, cit., passo alle pp. 226t5-227t6.<br />
613 Storia, cit., passo a p. 44.<br />
108
sangue: per questo, co’l ferro e co’l fuoco perseguita egli il fidelissimo Berengario. Il quale<br />
da così fiero nimico assalito improvvisamente, se bene ha due volte ceduto allo impeto, e<br />
sottratto sé dal<strong>la</strong> forza, non ricorre però ad altri, né ad altri dimanda aiuto, che a voi solo,<br />
Cesare invitto.” 614<br />
Passaggi dunque che se letti in filigrana esprimono chiaramente <strong>la</strong> line afiloasburgica del<br />
Giambul<strong>la</strong>ri, indirettamente rafforzata anche dal profilo geografico del<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong> italiana<br />
tracciato, dopo aver dato notizia, sul<strong>la</strong> falsariga di Liutprando, del<strong>la</strong> decisione di Arnolfo di<br />
intervenire inviando in Italia il figlio Suembaldo:<br />
“…Arnolfo[…]mandò al<strong>la</strong> volta d’Italia un<br />
suo figliuolo naturale, che per averlo tenuto a<br />
battesimo lo scacciato re de’ Moravi, si<br />
chiamava egli ancora Suembaldo, e con lui<br />
una grossa massa di esercito, che si condusse<br />
fino a Pavia.” 615<br />
“Huius p<strong>la</strong>ne tantae promissionis gratia<br />
accitus rex Arnulfus filium suum<br />
Zuventebaldum quem ex concubina genuerat,<br />
valido cum exercitu, huius in auxilium dirigit,<br />
veneruntque pariter omni sub densitate<br />
Papiam. ” 616<br />
In proposito Giambul<strong>la</strong>ri ricorre all’Italia illustrata 617 dell’umanista forlivese F<strong>la</strong>vio<br />
Biondo 618 , utilizzando<strong>la</strong> però in modo limitato. L’umanista forlivese, del resto, considera il<br />
MedioEvo (che va dal sacco di Roma compiuto dai Vandali nel 410 d. C., al 1410) un<br />
millennio di completo dissolvimento politico-culturale e respinge decisamente l’idea del<strong>la</strong><br />
trans<strong>la</strong>tio imperii in Germania, e non crede al<strong>la</strong> sua sopravvivenza moderna. Il suo tentativo<br />
di recuperare una sorta di ideale continuità storico-culturale tra <strong>la</strong> rinascita politico-culturale<br />
prodotta dall’Umanesimo italiano e <strong>la</strong> grandezza imperiale rispetto al<strong>la</strong> terribile cesura<br />
rappresentata dal Medioevo, in appoggio al<strong>la</strong> politica perseguita dal pontefice Eugenio IV,<br />
non può certamente trovare d’accordo il Giambul<strong>la</strong>ri.<br />
Peraltro, nonostante le sue posizioni generali, il Biondo con <strong>la</strong> sua celebrazione italica<br />
influenza profondamente molti umanisti tedeschi come il Celtis che, per <strong>la</strong> sua Germania<br />
illustrata, ne ricava molte suggestioni pur sviluppandole evidentemente in tutt’altra<br />
direzione 619 .<br />
Giambul<strong>la</strong>ri dunque ne accoglie solo le notazioni geografiche e <strong>la</strong> celebrazione del glorioso<br />
passato italico ma secondo una prospettiva sostanzialmente capovolta, in quanto privata di<br />
ogni speranza o velleità di risurrezione politica attinente all’età presente, venti<strong>la</strong>ta invece dal<br />
Biondo. Infatti, il canonico <strong>la</strong>urenziano, proposte alcune notazioni geografiche:<br />
“Giace dunque <strong>la</strong> Italia, come una foglia<br />
quasi di quercia, tra il levante del<strong>la</strong> vernata e<br />
il mezzo giorno; e da tre bande cinta dal<br />
mare, Adriatico, Ionio, e il Tirreno, confina<br />
solo…a tramontana con <strong>la</strong> Germania,<br />
“Unde Italia…duerno folio adsimilis mari<br />
genuino maxima parte cingitur: quod ab<br />
oriente Adriatico…et a meridie occasuque<br />
Tyrrheno…abluitur, qua vero in<br />
septentrionem vergit, montes altissimi alpes<br />
614 Ivi, passo a p. 45.<br />
615 Ibidem.<br />
616 Liuthprandi, cit., passo a p. 227t6.<br />
617 B<strong>la</strong>ndii F<strong>la</strong>vii forliviensis de Roma Triumphante libri X, Romae instauratae libri III, Italia illustrata,<br />
Hi<strong>storia</strong>rum ab inclinato Romanorum imperio Deca III, Basileae 1531.<br />
618 Sul quale rinviamo preliminarmente al<strong>la</strong> voce Biondo F<strong>la</strong>vio, di R. Fubini, in DBI, vol. X, Roma, 1968, pp.<br />
536-559.<br />
619 Sul<strong>la</strong> storiografia di F<strong>la</strong>vio Biondo si rinvia a E. Cochrane, Historans and Historiography, cit., pp. 36-40,<br />
cfr. inoltre G. Costa, Le antichità germaniche, cit., pp. 19-31 e p. 44; inoltre sul sostegno fornito dal Biondo al<strong>la</strong><br />
politica di Eugenio IV cfr. anche E. Marino, Eugenio IV e <strong>la</strong> storiografia di F<strong>la</strong>vio Biondo, in “Memorie<br />
Domenicane”, 1973 (IV), pp. 241-287, in partico<strong>la</strong>re vedi pp. 252-270 e sull’influenza esercitata in seno<br />
all’umanesimo tedesco e su Konrad Celtis vedi J. Ridè, Un grand projet patriotique, cit., cfr. in partico<strong>la</strong>re pp.<br />
101 e 105-109.<br />
109
mediante però le montagne altissime ed<br />
aspre, che (secondo che pone il Biondo)<br />
francescamente si chiamano Alpi. La sua<br />
lunghezza maggiore da’l Varo fiumara del<strong>la</strong><br />
Provenza, insino a Reggio di Ca<strong>la</strong>bria,<br />
secondo i moderni scrittori, è<br />
novecentoventicinque miglia; ancorché il<br />
Biondo e il Volterrano, seguendo in ciò gli<br />
autori antichi, <strong>la</strong> ponghino da Saluzzo ad<br />
Otranto, passando però da Capua, quasi<br />
cento miglia più lunga. E <strong>la</strong> <strong>la</strong>rghezza dove è<br />
più ampia, cioè da’l predetto fiume Varo sino<br />
al<strong>la</strong> riva dell’Arsia, modernamente chiamata<br />
Limino, che a levante <strong>la</strong> divide da gli<br />
Schiavoni, andando per le radici sempre delle<br />
Alpi, è cinquecento e settanta miglia; se bene<br />
in tutto il restante non arriva mai a dugento;<br />
ma il giro, o vogliamo dire circuito o<br />
accerchiamento dei liti suoi, trapassa di poca<br />
cosa dumi<strong>la</strong> cinquecento e cinquanta miglia.<br />
Divide<strong>la</strong> per lo lungo tutta il continovato<br />
monte Apenino, il quale, come <strong>la</strong> spina quasi<br />
ne’ pesci, partendosi da’l capo di quel<strong>la</strong><br />
vicino a Nizza e a’l fiume Varo in su ‘l mare<br />
di sotto, se ne va dirittamente quasi in<br />
Ancona, come se e’ volesse passare nel mare<br />
Adriatico. Ma non però si conduce a quello;<br />
anzi rivoltandosi quindi, e ritirandosi verso il<br />
mezzo, se ne va insino a’l Faro di<br />
Messina…” 620<br />
lingua Gallica a celsitudine dicti…Longitudo<br />
eius ab alpino sinu praetoriae Augustae ad<br />
Hydruntum decies centena viginti milia<br />
extenditur: <strong>la</strong>titudoubi est amplior a Varo ad<br />
Arsiam quingenta, et quadraginta: et circa<br />
urbem Romam ab ostijs Aterni nunc piscariae<br />
in hadriaticum defluentis, ad tiberina ostia<br />
centum et vigintisex milia, totusque ambitus a<br />
Varo ad Arsiam tricies centena et insuper<br />
triginta octomilia complectitur. Habet Italia<br />
dorsum et seu in piscibus esse videmus a<br />
capite in infimam partem spine formam,<br />
Appeninum, qui mons ex alpibus qua ab<br />
infero mari recedunt oriundus, cum recto<br />
propemodum cursu Anconae<br />
urbi…appropinquavit, in mare superum ferri<br />
et ibi finiri videtur. Et tamen inde rursus ab<br />
eo mari recedens per mediam Italiam in<br />
brutios ac siculum fretum fertur.” 621<br />
riporta le lodi rivolte all’Italia nel I secolo dopo Cristo, cioè nel<strong>la</strong> fase di massimo splendore<br />
imperiale del<strong>la</strong> <strong>storia</strong> romana, da autori come Virgilio e Plinio “il vecchio”, registrate dal<br />
Biondo. Il canonico <strong>la</strong>urenziano rimarca in questo modo, quasi in implicita polemica con <strong>la</strong><br />
grandezza romano-papale fuse idealmente nel<strong>la</strong> prospettiva del Biondo, che pure il suo Gello<br />
ha trattato dell’origine del<strong>la</strong> <strong>storia</strong> italiana:<br />
“Questa bel<strong>la</strong> e ricca provincia, sì celebrata<br />
dagli scrittori e da Virgilio, e da Plinio<br />
massimamente, non ha bisogno delle mie lodi<br />
né ch’io racconti le doti sue …avendo già<br />
dimostrato l’antichissima origine sua nel mio<br />
Gello… ” 622<br />
“Italiam descrivere exarsi, Provinciarum<br />
orbis <strong>prima</strong>riam a <strong>la</strong>udibus suis inciper<br />
debemus, quod quidem pro amp<strong>la</strong> parataque<br />
materia tam faciliter quam libenter<br />
fecissimus, ab eximio poeta Virgilio et post a<br />
Plinio Veronense.” 623<br />
D’altra parte, <strong>la</strong> menzione del Gello appare significativa, sia perchè a livello temporale<br />
indica che nel<strong>la</strong> composizione del<strong>la</strong> Storia ci troviamo oltre il 1546, sia in quanto sottolinea<br />
esplicitamente un diretto nesso storiografico istituito tra questa e il Gello.<br />
620 Storia, cit., passo alle pp. 46-47.<br />
621 Italia illustrata, cit., passo alle p. 293bb3.<br />
622 Storia, cit., passo a p. 47.<br />
623 Italia illustrata, cit., passo a p. 294bb3.<br />
110
Il motivo del<strong>la</strong> presente decadenza italiana si esplicita ulteriormente nel successivo<br />
passaggio che evidenzia il grande decremento urbano verificatosi rispetto al periodo<br />
imperiale, <strong>la</strong> cui floridezza anche urbana per contrasto viene documentata attraverso il<br />
giudizio di Eliano, autore del II secolo d. C.. Nonostante il Giambul<strong>la</strong>ri richiami<br />
esplicitamente il Biondo, sembra essersi basato a livello di col<strong>la</strong>zione piuttosto ad un passo<br />
dei Commentarii 624 del Volterrano:<br />
“Dirò ben so<strong>la</strong>mente questo con Eliano, che<br />
e’ non fu mai regione alcuna sì frequentata di<br />
abitatori, per <strong>la</strong> fertilità de’l terreno, per<br />
l’abbandonza delle acque, per <strong>la</strong> comodità<br />
dei porti, per <strong>la</strong> mansuetudine degli uomini e<br />
per <strong>la</strong> benignità de gli ingegni, che di gran<br />
lunga non ceda a questa. Nel<strong>la</strong> quale<br />
(secondo che’ dice) furono anticamente mille<br />
cento sessantasei città; se bene Iginio le pone<br />
settecento, e il Biondo afferma che nel suo<br />
tempo non passavano cento sessant’otto. Il<br />
che è verissimo indizio delle ca<strong>la</strong>mità che el<strong>la</strong><br />
ha sostenuto: con ciò sia che, armando el<strong>la</strong><br />
già per se so<strong>la</strong>, senza le genti di là da Po, in<br />
uno de’ tumulti Gallici, ottantami<strong>la</strong> cavalli e<br />
settecentomi<strong>la</strong> pedoni, se <strong>la</strong> unissimo ora<br />
tutta insieme, non ne farebbe pur forse il<br />
terzo.[…] A’ Romani, che lungamente <strong>la</strong><br />
dominarono, successero i Visegotti; a costoro<br />
gli Unni; a gli Unni gli Eruli; a gli Eruli gli<br />
Ostrogoti; a questi i Greci, ed a’ Greci i Re<br />
Longobardi, che <strong>la</strong> divisero in quattro ducee,<br />
Frigoli, Toscana, Spuleto e Benevento; non<br />
contando in esse Pavia, che era capo di tutto<br />
il regno. Abbattuti, anzi pur soggiogati questi<br />
ultimi dal vittoriosissimo Carlo Magno, si<br />
ridivise il dominio del<strong>la</strong> male arrivata Italia<br />
tra i duoi imperj orientale e Occidentale…” 625<br />
“Aelianus quoque de varia i<strong>storia</strong> sic ait,<br />
Italiam multi incoluere, nec ul<strong>la</strong> magis terra<br />
frequentata, quod ob terrae foecunditatem,<br />
aquarum adfluentiam, maris commoditatem,<br />
portuum dispositionem, praeterea hominum<br />
mansuetudinem, civiumque humanitatem,<br />
caeteris regionibus antecel<strong>la</strong>t. Fuereque<br />
antiquitus in ea civitates mille centum<br />
sexaginta sex: haec ille. Hyginus autem eas<br />
septingentas tantum fuisse scribit. Plinius<br />
adeo frequentem, ut nunciato Gallico tumultu,<br />
so<strong>la</strong> exteris aut transpadanis octuaginta<br />
equitum peditum vero septigenta milia<br />
armaverit. 626 […]Ad recentiora veniam: cum<br />
subiugata a Romanis sociorum nomine<br />
degnata est[…]. Deinde variarum gentium<br />
barbari, Eruli, Hunni, Gothi, Avari,<br />
Longobardi, Saraceni, Pannonij<br />
irruere…Expulsis Gothis Exarchus regebat<br />
Italiam, postremo Longobardi rerum potiti, in<br />
quatuor ducatus eam divisere: Foroiulij,<br />
Hetruriae, Beneventi, Spoleti, Ticini, ubi<br />
etiam regia costituta, usque ad Carolm<br />
Magnum qui primum tempore res coepit<br />
resipiscere.” 627<br />
624 Commentariorum urbanorum Raphaelis vo<strong>la</strong>terrani, octo et triginta libri, accuratius quam antehac excusi,<br />
cum duplici eorundem indice secundum Tomos collecto. Item Oeconomicus Xenophontis, ab eodem <strong>la</strong>tio<br />
donatus, Basileae, in officina frobeniana, Anno MDXXX.<br />
625 Storia, passo alle pp. 47-48.<br />
626 Passaggio molto simile quello del Giambul<strong>la</strong>ri a questo del Maffei in Commentariorum, cit., a p. 29e5 fino a<br />
questo punto, peraltro simile a quello del Biondo, anche se, il passo di quest’ultimo presenta un ordine inverso, e<br />
numeri sulle città complessive leggermente diversi rispetto a quelli presentati dal Volterrano, i quali coincidono<br />
perfettamente invece con quelli del Giambul<strong>la</strong>ri, che ha probabilmente seguito in modo prevalente il Maffei.<br />
Infatti, leggiamo nell’Italia illustrata, cit., a p. 294bb3: “Nunciato gallico tumultu so<strong>la</strong>m sine auxilijs ex tenorum<br />
atque tunc sine ullis transpadanis, equitum triginta, peditum octaginta milia armasse. Nostra vero huius<br />
temporis Italia…non dubitamus quin difficile sit futurum si tertiam quis partem conatus fuerit ita<br />
armare…Quanta autem sit facta locorum mutatio hinc etiam apparet, quod Iginius de urbibus Italiane<br />
scripsit…Septingentas fuisse Italie civitates. Nos vero nunc Romanae ecclesiae stilum secuti facta per singu<strong>la</strong>s<br />
regiones diligenti enumeratione sexaginta quatuor supra ducentas tantummodo inverimus…”.<br />
627 Ibidem.<br />
111
Del resto, Il motivo del<strong>la</strong> decadenza italiana, nonostante un’ottica prevalentemente<br />
romanocentrica per quanto assai critica verso <strong>la</strong> mondazzazione del<strong>la</strong> chiesa moderna, è ben<br />
presente in tutta l’ opera storiografica del Volterrano. 628<br />
Pertanto <strong>la</strong> raffigurazione del<strong>la</strong> situazione italiana conferma <strong>la</strong> posizione filoasburgica del<br />
Giambul<strong>la</strong>ri, come conferma inequivocabilmente il seguente periodo non privo di echi<br />
danteschi e direttamente allusivo all’Europa cinquecentesca:<br />
“La predetta divisione si mantenne poi lungamente, e sin quasi a’ tempi che noi scriviamo.<br />
Ne’ quali <strong>la</strong> bellissima Donna delle provincie, divenuta preda a cotanti barbari che<br />
successivamente ci hanno regnato, mercè del<strong>la</strong> folle discordia de’ suoi figliuoli, sempre è<br />
giaciuta nelle miserie, e vi si giace fino a di’ nostri.” 629<br />
Risuonano appunto le parole pronunciate da Sordello da Goito sul<strong>la</strong> condizione italiana, nel<br />
sesto canto del Purgatorio 630 . Ulteriore non trascurabile traccia del ghibellinismo del<br />
Giambul<strong>la</strong>ri, visto il luogo dantesco scelto. In ognuna delle tre cantiche infatti, il sesto canto<br />
rappresenta il luogo deputato all’espressione delle concezioni politiche del poeta. Dante<br />
d’altra parte, come noto a tutti, attraverso l’invettiva dell’illustre mantovano, evidenzia lo<br />
stato di asservimento e corruzione che ha contaminato l’Italia, vittima delle lotte intestine e<br />
priva dell’ordine garantito dal<strong>la</strong> presenza e dal<strong>la</strong> forza dell’autorità imperiale 631 , in perfetta<br />
consonanza con le tesi sostenute fino a questo punto dal canonico <strong>la</strong>urenziano.<br />
Esaurito questo quadro storico-politico sul<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong>, il Giambul<strong>la</strong>ri ritorna allo scontro tra<br />
Berengario e Guido, a cui partecipa anche il figlio di Arnolfo che attraversa le Alpi. Tuttavia i<br />
combattimenti non hanno l’esito sperato e Suembaldo ripara al di là delle Alpi insieme a<br />
Berengario <strong>la</strong>sciando Guido padrone del campo, secondo quanto Giambul<strong>la</strong>ri riporta sul<strong>la</strong><br />
scorta di Liutprando:<br />
“…il re Guido, e co’ pali ascosi nel<strong>la</strong> acqua e<br />
con le genti in su <strong>la</strong> riviera, aveva munito in<br />
guisa il Tesino, che <strong>la</strong> forza non ci aveva<br />
luogo…essendo massimamente assai manco<br />
pericoloso lo intrattenersi, che lo arrischiarsi<br />
ad una giornata. Stettero adunque gli eserciti<br />
a riscontro l’uno dell’altro circa a tre<br />
settimane o meglio, senz amai venire alle<br />
mani, salvo piccole scaramucce. Con le quali<br />
tentandosi pure qualche volta, accadde che<br />
nu cavagliero bavaro de lo esercito di<br />
Suembaldo, assuefattosi a chiamare ogni<br />
giorno gli Italiani poltroni e dappochi nel<br />
maneggiare i cavalli da guerra, per non aver<br />
trovato chi sino a quivi gli rispondesse, si<br />
aveva preso molto più animo che le sue forze<br />
non comportavano: per il che presumendo<br />
“Vuido vero ita fluviolum qui Papiam alluit,<br />
Verva( o verua) volum nomine, tam<br />
sudibusque exercitu munierat, quatenus<br />
altera alteram ipso medio discurrente, pars<br />
partem oppugnare nequiret. Unus et<br />
vicesimus dies transierat, quum sicut<br />
praediximus, altera pars alteri noceri non<br />
posset, et Baioariorum unus quotidie<br />
agminibus exprobans Italorum, imbelles eos,<br />
atque equitandi inscios c<strong>la</strong>mabat. Ad<br />
augumentum etiam dedecoris inter eos<br />
prosilijt, hastamque uni ex manu excussit,<br />
sicque <strong>la</strong>etus in suorum castra repedavit.<br />
Hubaldus igit Bonifacij pater, qui post nostro<br />
tempore Camerinorum et Spoletinorum extitit<br />
marchio, tantum gentis suae cupiens dedecus<br />
vindicare, clypeo accepto, obviam mox<br />
628 In proposito rinviamo a J. D’Amico, Papal History and Curial Reform in Renaissance. Raffaele Maffei’s<br />
Brevis Hi<strong>storia</strong> of Julius II and Leo X, in Archivium Hi<strong>storia</strong>e Pontificiae 18, Roma, 1980, pp. 157-210 ora con<br />
<strong>la</strong> stessa numerazione in id., Roman and German Humanism, inoltre cfr. E. Cochrane, Hi<strong>storia</strong>ns and<br />
Historiography, cit., pp. 49-50.<br />
629 Storia, cit., p. 49.<br />
630 D. Alighieri, La Divina Commedia. Purgatorio, cit., passo alle pp. 64-65, versi 76-78, inoltre su Sordello da<br />
Goito, ivi, cfr. <strong>la</strong> nota 74 alle pp. 63-64.<br />
631 Ivi, in proposito cfr. le note 76-78, vedi inoltre sul<strong>la</strong> politicità del sesto canto del Purgatorio soprattutto in<br />
re<strong>la</strong>zione al sesto canto del Paradiso, G. Arnaldi, Il canto di Giustiniano, in “La Cultura”, II, 2002, pp. 211-220,<br />
in partico<strong>la</strong>re pp. 218-220.<br />
112
molto di sé medesimo, fece impeto un dì ne gli<br />
Spuletini de’l re Guido, e tolto l’asta di mano<br />
a uno, si tornò salvo a <strong>la</strong> banda sua. Di<br />
questo atto gloriandosi i Bavari sopra a<br />
modo, e con essi tutto lo esercito di<br />
Suembaldo, e dispregiandone gli Italiani, non<br />
potè sopportarlo Ubaldo, padre di quel<br />
Bonifazio, che negli anni seguenti fu fatto<br />
marchese di Camerino, anzi, per recuperare<br />
lo onore del<strong>la</strong> Italia, imbracciato lo scudo e<br />
sospinto il cavallo nel fiume chiamò il Bavaro<br />
ad alta voci, e drizzossi al<strong>la</strong> volta sua. Il<br />
Bavaro, da l’altra banda, superbo de lo onore<br />
acquistato, lo ricevette in su <strong>la</strong> riva, e<br />
correndoli subito incontro; quando fu vicino<br />
a’l colpirlo, volse le redini al suo cavallo;<br />
non per paura già che egli avesse né per altro<br />
sinistro sopravvenutogli, ma perché tenendosi<br />
buon maestro di questo gioco, voleva ferire lo<br />
avversario senza pericolo di sé medesimo,<br />
pensandosi che nel maneggiare il cavallo a<br />
più bande, e nello scherzarli quasi d’intorno<br />
con infiniti ruote e ritrosi, gli venisse fatto<br />
una volta di potergli colpire le spalle. Ma<br />
Ubaldo, che deliberatamente correva per<br />
combattere da cavaliero e non per gioco di<br />
armeggeria, sollecitando il suo con gli sproni,<br />
anzi cacciandolo con maggior fretta che<br />
quell’altro non si pensava, gli fu così tosto<br />
addosso con <strong>la</strong> punta del<strong>la</strong> sua <strong>la</strong>ncia, che<br />
avanti che e’ si volgesse, gli passò per le reni<br />
il cuore; e racquistato il cavallo di quello, se<br />
lo tirò dietro nel<strong>la</strong> fiumara, dove <strong>la</strong>sciando il<br />
cavaliere morto, ritornò lieto con <strong>la</strong> vittoria, e<br />
con gran festa fu ricevuto. Questa<br />
battaglia…acrebbe tanto lo ardire e <strong>la</strong><br />
audacia nello esercito del re Guido e ne tolse<br />
tanto a’ nimici, che i Germani, consigliatisi<br />
tra loro medesimi, accettate non so che<br />
paghe, se ne tornarono al di là da l’Alpi, e<br />
Berengario con esso loro.” 632<br />
praedicto Baioario tendit. Is aut triumphi<br />
praeteriti non solum non imemor, sed eo<br />
cactus audacior, seu de victoria iam secutus<br />
hunc contra properat <strong>la</strong>etus.Coepitque equum<br />
modo impetu vehementi dimittere, strictis<br />
modo habenis retrahere. Memoratus vero<br />
Hubaldus rectam eum coepit adire. Quum in<br />
eo esset, ut mutuis se figeret vulneribus, more<br />
solito Baioarius equo versili varios flexosque<br />
per anfractus coepit discurrere, quatenus<br />
argumentis possit Hubaldum decipere. Verum<br />
quum hac terga verteret, ut mox Hubaldum ex<br />
adverso percuteret, equus cui Hubaldus<br />
insederet, vehementer calcaribus tunditur, et<br />
per scapu<strong>la</strong>s antequam reverti posset,<br />
Baioarius <strong>la</strong>ncea ad cor usque perforatur.<br />
Hubaldus igitur freno Baioarij preripiens<br />
equum, ipsum in medio fluvioli alveo exutum<br />
homine reddidit: sicque suorum iniuriae ultor<br />
de triumpho ad suos redijt hi<strong>la</strong>rior. Hoc sane<br />
factum non mediocrem Baioarijs terrorem,<br />
Italicis audaciam intulit. Inito quippe Baioarij<br />
consilio, nonullisque Zuventebaldus a<br />
Vuidone argenti acceptis ponderibus in<br />
propria remeavit. Igitur Berengarius dum ubi<br />
prospera inimico, sibi adversa, prospiceret,<br />
cum Zuvetembaldo pariter Arnulfi regis adijt<br />
potentiam, orans ac pollicens, ut si ipsum<br />
adiuvaret, se totam Italiam, ut ante<br />
promiserat, ditioni eius suppositurum.” 633<br />
Berengario, oltrepassate le Alpi, anche per sollecitare un nuovo e più deciso intervento di<br />
Arnolfo nello scacchiere italiano, trova tuttavia, l’imperatore impegnato a intervenire nelle<br />
continue crisi provocate dall’elemento aristocratico nel regno di Francia. Risulta, pertanto,<br />
ulterioremente avvalorato il giudizio negativo di Reginone sul<strong>la</strong> scissione dell’impero in regni<br />
autonomi in cui prevalgono i contrasti e i partico<strong>la</strong>rismi dei ceti aristocratici e sul<strong>la</strong><br />
insostituibilità del<strong>la</strong> funzione di un’autorità imperiale effettiva. Infatti, il Giambul<strong>la</strong>ri, ricorre<br />
proprio all’abate di Prums, per raccontare <strong>la</strong> fase principale del<strong>la</strong> crisi francese innescata dal<strong>la</strong><br />
ribellione del nipote di Oddone e che vede l’intervento del tutto infruttuoso di Arnolfo, in<br />
632 Storia, cit., passo alle pp. 50-51.<br />
633 Liuthprandi, cit., passo alle pp. 227-228t6.<br />
113
precedenza incapace di sconfiggere definitivamente un altro insorto: il duca di Borgogna,<br />
Ridolfo, aspirante al titolo di re del<strong>la</strong> Lotaringia 634 :<br />
“Erasi in questi tempi medesimi ribel<strong>la</strong>to dal<br />
re Oddone il conte Gualtieri suo nipote, e gli<br />
aveva tolta per furto <strong>la</strong> città di<br />
Lione…Laonde venutosi Oddone a lo<br />
assedio…i cittadini che non amavano punto<br />
<strong>la</strong> guerra, diedero liberamente sé e <strong>la</strong> terra a<br />
lo arbitrio di esso re. Ed egli…non fece<br />
novitade alcuna a persona, salve che al suo<br />
nipote Gualtieri, al quale per deliberazione<br />
del Consiglio regio, fece pubblicamente<br />
tagliare <strong>la</strong> testa. Il che fatto, se ne andò…in<br />
Guascogna contra il conte Rannolfo, ed<br />
alcuni altri signori che non volevano stare<br />
sotto di lui. Ma non potette già<br />
espugnarli…anzi ve gli fu per tradimento<br />
nel<strong>la</strong> Badia di San Sisto ucciso il conte<br />
Megingando, amatissimo nepote suo. E <strong>la</strong><br />
maggior parte de’ principi, sollevati dallo<br />
arcivescovo Falcone e da’ conti Eriberto e<br />
Pipino, alzarono per re del<strong>la</strong> Francia Carlo<br />
il Semplice ancora pupillo, nato di Lodovico<br />
Balbo e del<strong>la</strong> regina Ade<strong>la</strong>ide dopo <strong>la</strong> morte<br />
del re suo padre[…]Arnolfo, tra tanti tumulti,<br />
venutosene nel<strong>la</strong> Baviera, e dato al suo<br />
Suembaldo molte cose de’l morto conte<br />
Megingando, passò il Reno e visitò <strong>la</strong> città<br />
del<strong>la</strong> Lottaringhia; e il re Oddone, insieme<br />
con il gran Conestabile, che era il conte<br />
Ruberto Parigino, suo fratello, levatosi di<br />
Guascogna, venne subito contra il pupillo,<br />
cioè contra il giovanetto re Carlo. Il quale<br />
non potendo da sé difendersi, ricorse a lo<br />
Imperadore, che teneva dieta a Vormazia; e<br />
con presenti e con prieghi impetrò finalmente<br />
da esso Cesare <strong>la</strong> confermazione del regno di<br />
Francia, e che e’ fusse commesso ai vescovi<br />
ed a’ Baroni vicini al<strong>la</strong> Mosa, che aiutassero<br />
<strong>la</strong> parte sua, e, introducendolo nel regno<br />
armato, solennemente lo coronassino. Ma<br />
non ebbe effetto <strong>la</strong> cosa, perché Oddone<br />
fortificatosi in su <strong>la</strong> Senna con le sue genti,<br />
vietò a tutti il passare avanti; e que’ principi<br />
che avevano a coronare il giovane Carlo,<br />
vedendo il re Oddone potentissimo a fare<br />
giornata se avessero voluto passare per<br />
forza…ma differendo tutta <strong>la</strong> impresa ad<br />
“…Vulthuarius comes, nepos Ottonis<br />
regis…adversus regem cum consilio<br />
quorundam rebellionis arma levavit, et<br />
Lugdumum tum ingressus, omni amisu regie<br />
potestati contra ire nitit. Quod cum Otto<br />
cognovisset, civitatem obsidione cinxit, quam<br />
absque mora in deditionem recepit . Deinde<br />
omnibus primoribus, qui tunc ibi aderat,<br />
adiudicantibus eundem Vulthuarium decol<strong>la</strong>ri<br />
iussit, eo quod in conventu publico contra<br />
regime, et dominum suum g<strong>la</strong>dium<br />
evaginasset. Post haec in Aquitaniam<br />
proficiscitur, contra Rannolfum…et alios<br />
nonullos, qui eius imperijs obtemperare<br />
renuebant…Item eodem anno…Megingandus<br />
Comes, Nepos supradicti Ottonis regis, dolo<br />
interfectus est…in monasterio Sancti<br />
Xysti[…]Francorum principes per maxima<br />
parte ab eo deficiunt, et agentibus Falcone<br />
archiepiscopo, Heriberto et Pippino<br />
comitibus, in Remorum civitate Carolus filus<br />
Ludovico ex Adelheide regina ut supra<br />
meminus natus, in regnum elevatur.<br />
Anno domi. Incarnationis DCCCXVIII<br />
Arnolfus Baioriam egressus Franckfurt venit,<br />
et Rhenum Transiens civitates quae in regno<br />
Lotharij sunt ex maxima parte circuivit, in quo<br />
itinere ingentia dona illi ab episcopis ob<strong>la</strong>ta<br />
sunt.<br />
Otto compositis rebus in Aquitania, in<br />
Francia revertitur, et cum Rodeberto fratre<br />
Carolum fugat, defectores<br />
persequitur[…]Carolus vires Ottonis ferre<br />
non valens, patrocinia Arnolfi supplex<br />
exposcit. Aestivo siquidem tempore, iam<br />
dictus rex conventum publicum Vuormatia<br />
civitate celebravit ubi Carolus venit, et<br />
Arnolfum magnis muneribus sibi conciliat,<br />
regumque quod usurpaverat, ex eius manu<br />
percoepit. Iussum est etiam ut episcopi et<br />
comites, qui circa Mosam residebant, illi<br />
auxilium ferrent, et eum in regnum inducentes,<br />
in sede regia inthoniserant. Sed neutrum<br />
horum illi quicque profuit. Denique Otto rex<br />
audiens cum exercitu super ripam Axani<br />
fluminis sedit, et copias Arnolfi intrare in<br />
634 In proposito vedi Storia, cit., p. 52. Inoltre, ivi, <strong>la</strong> definizione del<strong>la</strong> Lottaringhia “(<strong>la</strong> quale, secondo il<br />
Ganguino, contiene ed abbraccia in sè quasi l’una e l’altra Borgogna, I Brabanzoni, I Gheldresi, il ducato di<br />
Gule e di Cleves, con ciò che è tra <strong>la</strong> Mosa e il Reno)” è ricavata da R. Gaguin, Compendium, cit., Fo. LXVIk2.<br />
114
un’altra volta…si tornarono a’ loro<br />
Stati.Carlo…si ritrasse nel<strong>la</strong> Borgogna; e,<br />
come Oddone si fu ritornato a Parigi, assaltò<br />
di nuovo <strong>la</strong> Francia…con le correrie e con le<br />
arsioni, con le quali attese quanto e’ potette a<br />
guastare le cose degli avversari…” 635<br />
regnum nul<strong>la</strong>tenus permisit. Duces regis<br />
cernentes Ottonem viriliter paratum ad<br />
pugnam, ab eo declinaverunt et ad propria<br />
reversi sunt.<br />
Carolus autem in Burgundiam secessit, et<br />
Ottone Parisius reverente, rursus regni fines<br />
occupat Ottonis fideles infectatus, alternatim<br />
exutraque parte multi pereunt, ingens malicia,<br />
innumerabiles rapinae, et assiduae praedae<br />
fiunt.” 636<br />
A questo punto, Arnolfo, compiuta <strong>la</strong> sua vana mediazione in Francia, scende in Italia ad<br />
affrontare Guido. Giambul<strong>la</strong>ri recupera come fonte principale Liutprando:<br />
“Arnolfo, uno anno di poi, che fu lo<br />
ottocentonovantaquattro del<strong>la</strong> Salute,<br />
desideroso pure del<strong>la</strong> Italia, e sollecitatone da<br />
Berengario, ragunò un gagliardo esercito;<br />
co’l quale…sceso in Italia, onoratamente fu<br />
ricevuto da’ Veronesi, amicissimi sempre di<br />
Berengario. Per il che…se ne andò con le<br />
genti a Bergamo, città in que’ tempi molto<br />
munita, e di non poca importanza certo, per<br />
nu fiore di soldati eletti collocativi e […] vi<br />
entrò per viva forza; e per dare spavento alle<br />
altre città. Il Conte che non seppe morire con<br />
l’armi né accompagnare i suoi cittadini,<br />
menato prigione ad Arnolfo con l’abito e<br />
l’insegne sue più solenni, fu da lui per<br />
dispregio fatto impiccare per <strong>la</strong> go<strong>la</strong> a un<br />
albero fuori delle mura…e dirimpetto quasi<br />
al<strong>la</strong> porta. La qual cosa fu di tanto orrore e<br />
spavento negli animi dei Lombardi e di tutto il<br />
resto d’Italia, che da indi avanti non fu più chi<br />
avesse ardire…di aspettare che e’ gli<br />
ricercasse: anzi, mandati gli ambasciatori, se<br />
li diedero quasi a gara. Ed i Mi<strong>la</strong>nesi e<br />
Pavesi…primi ed avanti ad ogni altro si<br />
offersero pronti e parati alle voglie e comandi<br />
suoi. Mandò egli dunque a Mi<strong>la</strong>no, per difesa<br />
e guardia di quello, il duca Ottone di<br />
Sassonia, genero suo e padre di quello Arrigo<br />
che successe poi nello Imperio dopo <strong>la</strong> stirpe<br />
di Carlo Magno; ed esso con tutto il resto<br />
delle sue genti se ne andò diritto a Pavia…<br />
” 637 .<br />
635 Ivi, passo alle pp. 53-54.<br />
636 Reginonis…annales, passo alle pp. 46i2-47i3.<br />
637 Storia, cit., passo alle pp. 54-56.<br />
638 Liuthprandi, cit., passo a p. 228t6.<br />
“Qui tantae promissionis gratia excitus<br />
coopijs collectis, cominus Italiam adit. Cui<br />
Berengarius, ut promissionis gratia suae<br />
daret fidem credulitatis, arrabonem clypeum<br />
portat. Susceptus itaque a Veronensibus, ad<br />
urbem proficiscitur Pergamum, ubi dum<br />
firmissima loci munitioni confisi, imo decenti<br />
homines ei occurere nollent, castrametatus<br />
ibidem belli fortitudine urbem capit, inco<strong>la</strong>s<br />
iugu<strong>la</strong>t, trucidat. Civitatis etiam comitem<br />
Ambrosium nomine, cum balteo et armillis,<br />
caeterisque preciosis indumentis suspendi<br />
ante portae ianuam fecit. Quod factum,<br />
caeteris omnibus urbibus, cunctisque<br />
principibus terrorem non parvum attulit.<br />
Quicumque enim hoc audierat, utraque auris<br />
eius tinniebat. Medio<strong>la</strong>nensis igitur atque<br />
Ticinienses hac fama perterriti, eius non ausi<br />
sunt praesto<strong>la</strong>ri adventum : verum praemissa<br />
legatione, iussioni suae se obtemperaturos<br />
esse promittunt. Othonem itaque Saxonum<br />
potentissimum ducem huius gloriosissimi<br />
atque invictissimi regis Othonis qui nunc<br />
usque superest, et feliciter regnat, avuum<br />
Medio<strong>la</strong>num dirigit gratia defensionis, recta<br />
ipse Ticinum petit.” 638<br />
115
Passaggio nel quale, peraltro, va segna<strong>la</strong>ta per <strong>la</strong> linea sostenuta nel<strong>la</strong> Storia <strong>la</strong> notazione<br />
sul<strong>la</strong> tras<strong>la</strong>zione dell’autorità imperiale dal<strong>la</strong> stirpe di Carlo Magno ai duchi di Sassonia,<br />
aggiunta dal Giambul<strong>la</strong>ri al testo del<strong>la</strong> sua fonte d’ispirazione.<br />
Inoltre, riguardo al legame, già riscontrato, tra Gello e Storia d’Europa, di qualche interesse<br />
appare anche <strong>la</strong> parentesi svolta, in re<strong>la</strong>zione all’arrivo di Arnolfo a Bergamo, sull’origine<br />
tedesca del<strong>la</strong> città e sul significato del suo nome ricavati dal già menzionato Renano:<br />
“Questa città, per quanto mostra il dotto<br />
Renano, fu edificata già da Germani,<br />
cinquecento ottanta anni o circa avanti <strong>la</strong><br />
nostra Salute, regnando in Roma Tarquinio<br />
Prisco: chè allora vennero questi in Italia,<br />
guidati dal duca Etitovio; e, fermatisi ad<br />
abitare a’ piè delle Alpi che serrano <strong>la</strong><br />
Magna, vi edificarono Verona e Brescia fuori<br />
d’ogni dubio, e Bergamo stesso ancora, se lo<br />
indizio del nome è vero. Perché Berg in<br />
lingua germana significa monte…” 639 .<br />
“Germani in Italiam cispadanam, ubi nunc<br />
Brixia ac Verona urbes sunt. Luius ab urbe<br />
condita lib. V de Belloveso locutus Ambitati<br />
Celtarum regis ex forore nepote, qui beneficio<br />
fortium in Italiam ingentibus peditum<br />
equitumque copijs profectus, Medio<strong>la</strong>nium<br />
condiderat, Alia subinde manus Germanorum,<br />
inquit, Etytovio duce vestigia priorum secuta,<br />
eodem saltu favente Beloveso quum<br />
transcendisset Alpeis, ubi nunc Brixia ac<br />
Verona urbes sunt, locos tenuere Libui,<br />
confidunt. Hoc facto Prisco Tarquinio Romae<br />
regnante, aut non diu post. Ab hijs tum<br />
conditum Bergomum. Nam Berg Germanis<br />
montem significat.” 640<br />
Il riferimento a Tarquinio Prisco, sovrano etrusco che governa Roma, sottolinea<br />
storicamente <strong>la</strong> priorità-superiorità etrusco-toscana sul<strong>la</strong> tradizione romana congiunta<br />
all’elemento germanico già presente all’interno del<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong>, richiamando evidentemente i<br />
motivi espressi nel Gello, e documentando anche per questa via <strong>la</strong> sostanziale continuità di<br />
suggestioni che animano le diverse opere del Giambul<strong>la</strong>ri.<br />
A questo punto, Arnolfo varca nuovamente le Alpi allo scopo di far assegnare <strong>la</strong> corona<br />
del<strong>la</strong> Lotaringia al figlio Suembaldo secondo il racconto di Reginone:<br />
“Arnolfo, arrivato a Vormazia, tenne dieta<br />
solennemente, e con tutti i Baroni maggiori<br />
tentò di dare al suo Suembaldo il reame di<br />
Lottaringhia. Ma non se ne contentando molti<br />
de’ Grandi…dette a Lodovico<br />
Bosone…alcune di quelle città che possedeva<br />
il discacciato re di Borgogna. Ma vana fu<br />
certo <strong>la</strong> donagione, perché Lodovico non<br />
potette già mai con ogni forza ed industria<br />
sua a trarle di mano a esso<br />
Ridolfo[…]ritornato nuovamente a Vormazia,<br />
avendo già medicato gli animi de’ suoi<br />
Baroni e recatigli al<strong>la</strong> voglia sua, coronò il<br />
suo figliuolo Suembaldo de’l reame di<br />
Lottaringhia con lo universale consenso di<br />
tutti, e a Oddone Re di Francia, il quale<br />
personalmente e con molti doni era venuto a<br />
questa dieta, concesse tutto quello perché egli<br />
639 Storia, cit., passo alle pp. 54-55.<br />
640 Rerum Germanicarum, cit., passo rip. a p. 21c3.<br />
641 Storia, cit., passo alle pp. 56-57.<br />
“Post Vuormatiam venit, inique p<strong>la</strong>citum<br />
tenuit, volens Zundibolch filium suum regno<br />
Lotharij praeficere, sed minime optimates<br />
praedicti regni, ea vice assensum<br />
praebuerunt. Soluto conventu cum ad<br />
Loraham idem princeps venisset, Ludovico<br />
filio Bosonis…quasdam civitates cum<br />
adiacentibus pagis, quos Ruodolfus tenebat,<br />
dedit. Sed et hoc ei in vacuum cessit, quia eas<br />
nullo modo de potestate Rodulfi erigere<br />
praevaluit.[…]Anno dominicae incarnationis<br />
DCCCXCV[…]Arnolfus Vuormatiam venit,<br />
ibiqe optimatibus ex omnibus regnis suae<br />
ditioni subditis sibi occurentibus, conventum<br />
publicum celebravit, in quo conventu omnibus<br />
assentientibus, atque col<strong>la</strong>udantibus<br />
Zundibolch filium Lotharii prefecit.<br />
In eodem p<strong>la</strong>cito Otto rex cum magnis<br />
116
era comparso quivi non ostante che poco<br />
durasse poi l’amicizia. Con ciò sia che,<br />
l’anno medesimo, sotto nome di aiutare Carlo<br />
Semplice, passasse in Francia il re<br />
Suembaldo con esercito assai copioso, ed<br />
assediasse <strong>la</strong> città di Lione, e combattessi<strong>la</strong><br />
molti giorni, ancora che in vano e senza frutto<br />
alcuno; perché, udito che Oddone veniva a<br />
soccorer<strong>la</strong>, si ritrasse nel regno suo, senza<br />
altrimenti volere vederlo.<br />
Così divisa Regino le azioni di Arnolfo<br />
Cesare da <strong>la</strong> sua venuta in Italia nello<br />
ottocentonovantaquattro sino a l’anno<br />
ottocentonavantasei, nel quale dice che ei<br />
tornò di nuovo in Italia e che e’ prese<br />
Roma…” 641<br />
muneribus ad Arnolfum venit, a quo<br />
honorifice susceptus est, omnibusque<br />
impetratis pro quibus venerat. […]<br />
Eodem anno Zundibolch collecto immenso<br />
exercitu, cupiens amplificare terminos regni<br />
sui, quasi Carolo adversus Ottonem auxilium<br />
<strong>la</strong>turus, Lugdunum depraedatum venit, et<br />
civitatem obsidione cinxit, sed minime eam<br />
caper potuti, quamvis multis diebus summis<br />
viribus certatim dimicatum esset. Audiens<br />
autem Ottonem cum exercitu advenire…cum<br />
omnibus copijs recessit, et in propria regna se<br />
recepit.[…]Anno dominicae incarnationis<br />
DCCCXCVI Arnolfus secondo Italiam<br />
ingressus, Romam venit, et urbem<br />
Romanam…coepit.” 642<br />
Per le vicende del<strong>la</strong> campagna d’Italia dell’imperatore, Giambul<strong>la</strong>ri ritorna a Liutprando,<br />
dal quale ricava notizia del<strong>la</strong> richiesta di aiuto inviatagli dal pontefice Formoso, osteggiato<br />
dal<strong>la</strong> plebe romana a causa del<strong>la</strong> sua controversa elezione, dal<strong>la</strong> fazione che sostiene<br />
l’antipapa Sergio:<br />
“non potendo il re Guido altrimenti fare<br />
resistenzia alle vittoriose genti di Arnolfo, si<br />
ritrasse nei monti del<strong>la</strong> Umbria fuggendo<br />
sempre da’ suoi nimici;…Arnolfo, invitato da<br />
papa Formoso, in questo mentre n’andò a<br />
Roma per difesa di Santa Chiesa e in favore<br />
del predetto Papa, contro i Romani che lo<br />
noiavano già fuori di modo per inicizia<br />
contratta seco sino dal principio del suo<br />
papato; per quello che appresso<br />
racconteremo. Dopo <strong>la</strong> morte di Stefano<br />
quinto… che fu il centododicesimo papa dopo<br />
San Pietro, e morì l’anno<br />
ottocentonavantadue del<strong>la</strong> salute, furono<br />
concorrenti a’l pontificato Sergio Romano, e<br />
Formoso vescovo di Porto; ma ottenne<br />
Formoso, perché trovandosi <strong>la</strong> setta sua più<br />
gagliarda e di numero forse maggiore,<br />
cacciando con tumulto non piccolo e Sergio<br />
stesso e coloro che lo favorivano, pose avanti<br />
a lo altare Formoso, e per forza fe’<br />
consagrarlo.” 643<br />
“Denique Vuido huius impetum ferre non<br />
valens, Camerinum Spoletumque versus<br />
fugere coepit. […]Hoc in tempore Formosus<br />
papa religiosissimus a Romanis vehementer<br />
afflictabat, cuius et hortatu rex Arnulfus<br />
Romam advenerat, in cuius ingressu<br />
ulciscendo papae iniuriam multos<br />
Romanorum principes obviam sibi<br />
properantes, decol<strong>la</strong>ri praecepit. Causa<br />
autem simultatis inter Formosum papa et<br />
Romanos haec fuit. Formosi praedecessore<br />
defuncto, Sergius quidam Romanae ecclesiae<br />
diaconus erat, quem Romanoeum pars<br />
quaedam papam sibi elegerat. Quaedam vero<br />
pars non infima nominatum Formosum<br />
portuensis civitatis episcopum pro vera<br />
religione divinarumque scripturarum et<br />
doctrinarum scienta papam sibi fieri anhe<strong>la</strong>t.<br />
Nam dum in eo esset, ut Sergius apostolorum<br />
vicarius ordinari debuisset, ea qua Formosi<br />
partibus favebat pars, cum non mediocri<br />
tumultu et iniuria Sergium ab altari expulit,<br />
et Formosum papam constituit. ” 644<br />
Arnolfo, allettato dall’offerta pontifica del<strong>la</strong> corona imperiale e al<strong>la</strong>rmato dall’alleanza<br />
stabilita tra Guido e <strong>la</strong> plebe romana che ha preso il controllo di Roma, decide di aiutare<br />
Formoso. Nelle pagine del<strong>la</strong> presa di Roma da parte germanica emerge in modo emblematico<br />
642 Reginonis…annales, cit., passo alle pp. 47i3-48i4.<br />
643 Storia, cit., passo a p. 57.<br />
644 Liuthprandi, passo alle pp. 228t6-229u1.<br />
117
l’orientamento ghibellino del canonico <strong>la</strong>urenziano. Fondamentale in tal senso, è il discorso<br />
rivolto da Arnolfo alle sue truppe <strong>prima</strong> del<strong>la</strong> battaglia che sviluppa chiaramente il concetto<br />
del<strong>la</strong> trans<strong>la</strong>tio imperii. In virtù dell’eredità raccolta dai Romani, i Franchi si identificano con<br />
essi e con il compito di difendere il papato contro i suoi nemici, gli alleati di Guido, definiti in<br />
senso spregiativo “romaneschi”. Infatti, Arnolfo dice:<br />
“…il sentirsi troppo colpevoli contra il santissimo Formoso Papa, e congiurati certo con<br />
Guido e con gli altri nimici nostri gli conduce a proibirne <strong>la</strong> terra nostra, a negare a noi<br />
l’acqua ed il fuoco, e ad armarsi per contrastarne: come se Annibale cartaginese, non lo<br />
Imperatore dei romani; i mimicissimi Gotti, non gli amicissimi Franchi; il f<strong>la</strong>gello e terrore<br />
del mondo Atti<strong>la</strong>, e non il vendicatore e il pacificatore dello Imperio Arnolfo, si presentasse<br />
alle mura loro.” 645<br />
I Franchi e i Sassoni sono gli autentici eredi e continuatori dell’impero, in antitesi ai<br />
romaneschi. Arnolfo infatti, per evidenziare <strong>la</strong> pochezza dei nemici, e incitare i suoi, afferma:<br />
“Non abbiamo a combattere co’ Fabi, con gli Scipioni, co’ Cesari, o con gli altri virtuosi e<br />
illustri spiriti del<strong>la</strong> santissima Roma antica, terrore del mondo e vincitrice dello universo; ma<br />
con il moderno miscuglio d’una turba vile ed infame, e ragunata a l’ombra sottile di quelle<br />
disonorate mura espugnate da A<strong>la</strong>rico, penetrate da Genserico, abbattute da Toti<strong>la</strong> e odiate<br />
dallo universo.” 646<br />
Anche questo passaggio evidenzia il significato storico del<strong>la</strong> Trans<strong>la</strong>tio, necessitata dal<strong>la</strong><br />
decadenza romana e dalle conquiste barbariche di Roma, percepite in ben altro modo dal<br />
Giambul<strong>la</strong>ri rispetto al Biondo.<br />
Lo stesso racconto del<strong>la</strong> presa di Roma da parte delle truppe di Arnolfo, <strong>la</strong>rgamente ispirato<br />
da Liutprando, sottolinea il contrasto tra l’ardimento e il valore degli assalitori, e <strong>la</strong> mancanza<br />
di ogni volontà di resistenza dei difensori:<br />
“Appena aveva finito Arnolfo le predette<br />
parole, che le genti sue unitamente per<br />
tutto…tutte liete e tutte animose, a’ l cenno<br />
dato dagli istrumenti, s’inviarono verso le<br />
mura…Con ciò sia che, levatasi a quelle grida<br />
una lepre avanti a’ piè de’ Todeschi e<br />
correndo verso le mura…le genti in su le<br />
mura…dubitando di sé medesime, si voltarono<br />
subito in fuga…abbandonando e<br />
inconsideratamente <strong>la</strong> difesa del<strong>la</strong><br />
muraglia…Gli Imperiali…ammontate le selle<br />
dei loro cavalli…salirono su per quelle; e<br />
ca<strong>la</strong>tisi da l’altra parte con una trave trovata<br />
quivi, gittarono per terra <strong>la</strong> porta; ed aperto<br />
in questa maniera a tutto lo esercito, corsero e<br />
saccheggiarono <strong>la</strong> città Leonina, con ciò che<br />
era di qua dal Tevere.” 647<br />
“His heroes dictis animos accensi vitam<br />
aviditate contemnunt. Clypeis denique<br />
cratibusque catervatim operti muros adire<br />
contendunt. Plurima etiam bellorum<br />
paraverant instrumenta, quum inter agendum<br />
populo considerante contigit lepusculum<br />
c<strong>la</strong>more eius exterritum urbem versus fugere.<br />
Quem dum populus exercitusque, ut assolte,<br />
impetu vehementi sequerent, Romani putantes<br />
se impugnari, de muro sese proijciunt. Quod<br />
populos cernens sagmatibus fellisque quibus<br />
equis insederent, iuxta murum proiectis, per<br />
eorum acervuum muros ascendunt. Populi<br />
vero pars quaedam, accepta mox trabe<br />
quinquaginta pedum procera longitudine,<br />
portam quatiunt, et Romam quam Leoniam<br />
dicunt, in qua beati Petri apostolorum<br />
principis preciosum corpus quiescit, vi<br />
capiunt. Caeteri qui trans Tyberim erant, hoc<br />
645 Storia, cit., passo alle pp. 58-59.<br />
646 Ivi, passo a p. 59 cfr. in Liuthprandi, cit., il passo a p. 228t6: “Non Pompeius adest, non Iulius ille beatus,<br />
Qui nostros domuit proavos mucrone feroces.”<br />
647 Storia, cit., passo alle pp. 59-60.<br />
118
timore compulsi, huius dominatui col<strong>la</strong><br />
submittunt.” 648<br />
Inoltre, difficilmente all’interno di questo svolgimento sembra casuale <strong>la</strong> parentesi spesa a<br />
inserire <strong>la</strong> presa di Roma di Arnolfo in un elenco formato da ben quattro precedenti storici:<br />
“Così dunque fu presa Roma <strong>la</strong> quinta volta da’ Germani, senza quel<strong>la</strong> de’ Galli Senoni,<br />
che fu anni trecentonovanta avanti <strong>la</strong> incarnazione del figliuol di Dio: con ciò sia che sotto il<br />
re A<strong>la</strong>rico <strong>la</strong> presero e saccheggiarono i Visegotti, negli anni quattrocentodieci di Gesù<br />
Cristo; sotto Genserico i Vandali, che pur sono Germani, nel Quattrocentocinquantasei; sotto<br />
Odoacro, che <strong>la</strong> tenne quattordici anni, gli Eruli, i Rugi e i Turcilinghi, circa il<br />
quattrocentosettantacinque; sotto Toti<strong>la</strong> gli Ostrogoti, che <strong>la</strong> abbruciarono e <strong>la</strong> disfecero<br />
circa il cinquecentoquarantotto; e finalmente sotto di Arnolfo, i Franchi ed i Sassoni…” 649<br />
In realtà l’autore, così facendo, riconduce anche le precedenti devastazioni compiute dai<br />
barbari ai danni dell’impero romano, nell’ambito del<strong>la</strong> logica storica del<strong>la</strong> Trans<strong>la</strong>tio imperii.<br />
È del tutto evidente a questo punto, <strong>la</strong> ben diversa percezione delle invasioni barbariche che<br />
sussiste tra il Giambul<strong>la</strong>ri e gran parte dell’umanesimo italiano. L’inondazione semplicemente<br />
ed esclusivamente distruttrice descritta dal Biondo, nel<strong>la</strong> prospettiva del canonico <strong>la</strong>urenziano<br />
corrisponde ad una ben precisa missione storica di rifondazione imperiale sul<strong>la</strong> base del<strong>la</strong><br />
fusione tra elemento germanico e cristiano.<br />
D’altra parte, come accennato, il processo di formazione dell’identità europea nel<strong>la</strong> Storia si<br />
svolge anche attraverso <strong>la</strong> chiara affermazione di una specificità e di un’alterità rispetto al<strong>la</strong><br />
realtà bizantina dell’impero d’Oriente. Una distinzione già esplicitata, del resto, nel<strong>la</strong> <strong>prima</strong><br />
pagina del<strong>la</strong> Storia nelle considerazioni formu<strong>la</strong>te dal Giambul<strong>la</strong>ri sul<strong>la</strong> decisione di<br />
Costantino che abbandona Roma, ponendo le premesse del<strong>la</strong> successiva formazione del Sacro<br />
Romano Impero.<br />
Abbastanza indicativa in questo senso appare <strong>la</strong> scelta di Liutprando insieme a Jordanes<br />
quale fonte delle vicende bizantine. Liutprando, infatti, è fortemente critico verso l’impero<br />
bizantino che contrasta gli interessi ottoniani. Contrapposizione politica che in tutte le opere<br />
di Liutprando, soprattutto nel<strong>la</strong> Re<strong>la</strong>tio de legatione Costantinopolitana, si traduce anche in<br />
una delineazione del carattere e del<strong>la</strong> civiltà orientale in termini di netta inferiorità rispetto a<br />
quel<strong>la</strong> germanico-cristiana. 650<br />
Giambul<strong>la</strong>ri, che conosce anche <strong>la</strong> Re<strong>la</strong>tio…Costantinopolitana 651 , mostra <strong>la</strong> sua sostanziale<br />
convergenza con <strong>la</strong> prospettiva di Lutprando, proponendo letteralmente dall’Antoposis <strong>la</strong><br />
<strong>storia</strong> di Basilio padre dell’attuale imperatore d’oriente, Leone V:<br />
“…Basilio di Macedonia, che da <strong>la</strong> fortuna,<br />
per mostrarci quello che essa possa, fu<br />
condotto a’l seggio di Augusto. Con ciò sia<br />
che, partitosi da casa sua per <strong>la</strong> fame, e<br />
condottosi ancora giovanetto in<br />
“Basilius Imperator Augustus avus huius,<br />
Macedonia humili fuerat prosapia<br />
oriundus, descenditque<br />
Costantinopolim…quod est paupertatis<br />
iugo, ut quidam serviret abbati. Igitur<br />
648 Liuthprandi, cit., passo alle pp. 228t6-229u1.<br />
649 Storia, cit., passo a p. 60.<br />
650 In proposito vedi in Liutprando da Cremona, cit., Introduzione, cit., pp. 31-35 e in Tutte le opere, cit.,<br />
introduzione, cit., pp. 30-43; cfr. inoltre AA. VV., Storia d’Europa, voll. V, Torino, Einaudi, 1994, in<br />
partico<strong>la</strong>re, vol. III a cura di Gherardo Ortalli, pp. 27-28 e 1147-1148. Sul<strong>la</strong> dicotomia occidente-oriente in<br />
Liutprando cfr. anche C. Curcio, Europa. Storia di un’idea, cit., pp. 118-119.<br />
651 Storia, a p. 456, peraltro in linea con il giudizio espresso da Liutprando in questa re<strong>la</strong>zione, il Giambul<strong>la</strong>ri<br />
afferma: “Accompagnatosi dunque Liutprando co’ sopraddetti, fra brevi giorni se ne andò per mare a<br />
Costantinopoli; dove ricevuto onoratamente, ma con giuochi, più tosto da bagattelle, che da maestà o grandezza<br />
d’imperatore, non si vede altrimenti in quel tanto che abbiamo di lui che fine avesse <strong>la</strong> legazione. Per <strong>la</strong> qual<br />
cosa, <strong>la</strong>sciando a parte ed esso e le leggerezze di quel<strong>la</strong> corte <strong>la</strong>rgamente da lui descritte…”.<br />
119
Costantinopoli, essendo e vilissimo e<br />
poverissimo, si acconciò con un Padre<br />
Abate…Veniva talora a questa Badia lo<br />
imperatore Michele…e vedendo più volte<br />
Basilio intorno a lo Abate, giudicandolo<br />
manieroso, e da maneggi di più<br />
importanzia che non erano quelli de’l<br />
Convento, chiese a lo Abate che gli lo<br />
concedesse. E come persona avvistata ed<br />
assai graziosa, fattolo suo cameriere, gli<br />
diede fra breve tanto e tanta riputazione,<br />
che in tutta <strong>la</strong> corte greca non era altro<br />
maggiore di lui. Ma…<strong>la</strong> fortuna…fece che<br />
Michele predetto (secondo che di lui scrive<br />
Liutprando) conoscendosi per alcuna<br />
partico<strong>la</strong>re infermità sua venire alle volte sì<br />
furioso, che e’ comandava che e’ fusse<br />
ucciso qualcuno, de’l quale, uscito poi<br />
del<strong>la</strong> furia, dimandava come di vivo, e<br />
dolevasi che e’ fusse stato ammazzato; per<br />
ovviare…pose legge ai ministri suoi, che<br />
nelle commessioni del<strong>la</strong> morte, non<br />
eseguissero lo imperio suo, ma serbassero<br />
prigione il così dannato sino ad un<br />
termine…dentro al quale uccidendolo ne<br />
andasse <strong>la</strong> testa loro…Con ciò sia che<br />
avendo fatto più volte il medesimo scherzo<br />
a Basilio, esso, dubitando che per<br />
istigazione de gli emoli suoi non si facesse<br />
un tratto vero…fattosi nemico del suo<br />
signore, gli tolse violentemente <strong>la</strong> vita…ed<br />
occupato senza resistenza alcuna lo<br />
Imperio, lo possedette…” 652<br />
imperatoris Michael qui tunc temporis<br />
erat, quum orationis gratia ad<br />
monasterium istud in quo hic ministrabat<br />
descenderet, vidit hunc forma prae<br />
caeteris egregia, accitumque ad se<br />
abbatem rogavit, ut se donaret hoc<br />
puero. Quem suscipiens in pa<strong>la</strong>tio<br />
cubicu<strong>la</strong>rij donavit officio. Tantae<br />
denique post paululum potestatis<br />
effectus, ut alter ab omnibus Imperator<br />
sit appel<strong>la</strong>tus.<br />
Verum quia onnipotens duos servos suos<br />
iuste visitat, quacunque vult censura,<br />
hunc imperatorem Michaelem sanae<br />
mentis ad tempus non esse permiserat, ut<br />
quo eum gravius premeret in infimis, eo<br />
misericordius remuneraret in summis.<br />
Nam, ut fert, huius tempore passionis,<br />
fami<strong>la</strong>res etiam capitis iusserat damnari<br />
sententiam. Hoc igitur terrore quos<br />
damnati iuserrat servabant. Sed quum<br />
hoc saepius et iterum Basilio faceret,<br />
huiusmodi a sis obsequentibus, pro<br />
nephas, accepit consilium, ne forte<br />
insana regis iussio aliquando ex<br />
industria a te non diligentbus, imo odio<br />
habentibus impleat, eum tu potius<br />
occidito, atque imperalia sceptra<br />
suscipito. ” 653<br />
Passaggio nel quale, emergono diversi dati non propriamente edificanti, dal profilo umano<br />
dell’imperatore Michele all’evidenza conferita al<strong>la</strong> spiegazione del significato dell’appel<strong>la</strong>tivo<br />
“porfirigeneto”, attraverso <strong>la</strong> fortunata ascesa al trono bizantino del padre di Leone, Basilio.<br />
La stessa incapacità bizantina di fronteggiare <strong>la</strong> minaccia musulmana e contenere<br />
l’espansionismo militare saraceno appare abbastanza significativa in questo senso.<br />
Insufficienza, cui viene implicitamente confrontata <strong>la</strong> ben diversa attitudine dei veneziani, in<br />
grado di liberare dopo alcuni anni l’Italia meridionale dai saraceni, tanto da essere premiati da<br />
Basilio. 654<br />
Inoltre, <strong>la</strong> presentazione del pericolo saraceno consente al Giambul<strong>la</strong>ri di introdurre nel<strong>la</strong><br />
<strong>storia</strong> le vicende del<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong> iberica, quasi tutta assoggettata dal<strong>la</strong> furia conquistatrice<br />
musulmana, sul<strong>la</strong> base dei Commentarii del Volterrano. L’opera del Maffei rappresenta <strong>la</strong><br />
fonte principale ma non esclusiva del<strong>la</strong> guerra tra sovrani spagnoli e Saraceni del primo libro<br />
del<strong>la</strong> Storia. La Crònica general di Diego de Valera, integra il Sabellico con l’episodio del<br />
652 Ivi, passo a pp. 61-62.<br />
653 Liuthprandi, cit., passo alle pp. 220t2-221t3.<br />
654 Storia, cit., vedi pp. 63-64.<br />
120
pa<strong>la</strong>zzo di Toledo, dove Roderico prende conoscenza del<strong>la</strong> predizione del<strong>la</strong> rovinosa<br />
invasione saracena 655 .<br />
Il Volterrano è, d’altra parte, quale umanista di Curia, estremamente sensibile al<strong>la</strong> minaccia<br />
costituita dall’espansione saracena 656 :<br />
“Roderico, l’ultimo re dei Gotti che<br />
possedesse in pace <strong>la</strong> Spagna, dopo <strong>la</strong><br />
vittoria avuta contro ad Utizza suo zio, che<br />
già gli aveva accecato il padre, e spogliatolo<br />
di tutto il regno; rivoltatosi a l’ozio e piaceri,<br />
sforzò, secondo alcuni, <strong>la</strong> figliuo<strong>la</strong>, e,<br />
secondo alcuni altri, <strong>la</strong> moglie del conte<br />
Giuliano, principe o governatore del paese<br />
intorno allo Stretto. Del<strong>la</strong> quale ingiuria<br />
giustamente sdegnato il Conte chiamò<br />
secretamente i Mori del<strong>la</strong> Africa, e condusseli<br />
nel<strong>la</strong> Spagna con tanta celerità, che nessuno<br />
si accorse del tratto.[…] l’anno<br />
settecentoquattordici del<strong>la</strong> Salute, sotto<br />
Muzza capitano di Miramomelino, per lo<br />
stretto di Zibeltaro[…]ed andò <strong>la</strong> cosa in<br />
maniera, che, morendovi tra qua e là in due<br />
anni…settecentomi<strong>la</strong> persone, occuparono<br />
finalmente i Mori tutta <strong>la</strong> Spagna, eccetto<br />
Pastiglia <strong>la</strong> Nuova, <strong>la</strong> quale e per <strong>la</strong> naturale<br />
fortezza del sito, e per <strong>la</strong> invitta virtù di<br />
Pe<strong>la</strong>gio, zio dello ucciso re Roderico, si<br />
difese gagliardamente da qualunque assalto<br />
moresco. Pe<strong>la</strong>gio dunche, fattosi quivi forte,<br />
non so<strong>la</strong>mente difese il non occupato, ma<br />
recuperò molte volte qualche cosetta del già<br />
perduto. Successero poi a costui…Alfonso<br />
terzo, per cognome chiamato Magno,<br />
cominciò a regnare…nello ottocento<br />
trentasettesimo del<strong>la</strong> Salute…costui trionfò<br />
molte volte de’ Saracini, e ricuperò nel<strong>la</strong><br />
Lusitania…Viseo e Colimbrica. Predò più<br />
volte i Guasconi e i Navarresi che erano<br />
suggetti de’ Mori, e fu il primo che edificasse<br />
tempio a San Iacopo. Ma tutte queste egregie<br />
virtù macchiò egli con <strong>la</strong> crudeltà, facendo<br />
accecare quattro suoi fratrelli, che se li erano<br />
levati contra. Dicono che a costui scrisse<br />
Papa Giovanni ottavo: “Giovanni servo dei<br />
servi di Dio, ad Alfonso re cristianissimo,” ed<br />
argomentano da questo scritto…che il Re di<br />
quel<strong>la</strong> provincia sia veramente il Re<br />
“Is igitur Rodericus tres annos regnavit, cuius<br />
foeda libido finem attulit Gothorum non tam<br />
generi quam pacifico imperio, Saracenis<br />
impervenientibus, nam cum filiam cuiusdam<br />
Iuliani praefecti, qui Tingitanam<br />
administrabat provinciam, vitiasset, dolor<br />
domesticus patrem ad ultionem sollicitavit,<br />
loci fretum commoditate. Quare Iulianus c<strong>la</strong>m<br />
ex Africa Saracenos evocat. Qui anno<br />
salutatis DCCXIIII duce Muza misso a<br />
Miramomelino eorum tunc rege, per angustias<br />
Herculei freti ingresso, biennij spatio omnem<br />
fere Hispaniam occupant, praeter Astures<br />
natura loci munitos. In quo temporis spacio<br />
dicuntur ad DCC hominum milia in eo bello<br />
utrinque absumpta.[…]Pe<strong>la</strong>gius igitur<br />
Roderico fra tris filio succesit. Asturiam se<br />
recepit. Astures enim et Cal<strong>la</strong>eci montibus et<br />
natura loci muniti tantum incolumes<br />
permanere…regnavit bellum gerendo, multa<br />
etiam recuperando psu<strong>la</strong>tim effecit, ut afflicta<br />
gens, aliquantulum resipiscere videretur.<br />
Hanc sedem posteri Castel<strong>la</strong>m novam<br />
vocavere, veteris differenti quae circa<br />
Cordubam et Hispalim fuerat. Sic em Hispani<br />
regiam et munitum locum<br />
appe<strong>la</strong>nt.[…]Alfonsus III, cognomento<br />
magnus rem suscepit paternam anno<br />
DCCCXXXIII. De Saraceni saepe<br />
triumphavit, civitates Lusitaniae Colimbricam<br />
et Viseum recuperaverit. Vascones<br />
Navarrosque qui tunc a Saracenis<br />
dominabantur saepe depopo<strong>la</strong>tus. Hac tamen<br />
opera egregia domestica crudelitate foedavit,<br />
quatuor eius fratribus qui in eum<br />
conspiraverant evulvis oculis[…]Hunc etiam<br />
Alfonsum […]templum Sancti Iacobi primum<br />
excitasse…ad eum in super Io. VIII, scripsisse<br />
IO. Servus servorum dei, Alfonso regi<br />
Christianissimo, ex cuius autoritate…Garsius<br />
natumaiorem paternam assecutus, Arabum<br />
regem Aio<strong>la</strong>m in bello cepit, cuius spolia<br />
655 Sulle fonti spagnole del<strong>la</strong> Storia, cit., rinviamo a E. Mele, Le fonti spagnole del<strong>la</strong> “Storia dell’Europa” del<br />
Giambul<strong>la</strong>ri in “Giornale critico del<strong>la</strong> letteratura italiana”, LIX, 1912, pp. 359-374, in partico<strong>la</strong>re per le fonti del<br />
I libro vedi pp. 359-364, dove peraltro <strong>la</strong> col<strong>la</strong>zione rispetto all’opera del Maffei è compiuta solo per alcuni dei<br />
vari passaggi attinti ivi dal Giambul<strong>la</strong>ri.<br />
656 In proposito cfr. J. D’Amico, Papal History and Curial Reform, cit., in partico<strong>la</strong>re pp. 178-179.<br />
121
cristianissimo. Successe poi…il primogenito<br />
suo Don Garsia, e regnò anni tre so<strong>la</strong>mente;<br />
ne’ quali corse e predò <strong>la</strong> terra de’ Mori, e<br />
combattè contra il re Ajol<strong>la</strong>s, il quale rimase<br />
rotto e prigione[…]Garsia, ritornando<br />
vittorioso, adornò de le spoglie de’ suoi<br />
nemici <strong>la</strong> chiesa di Oviedo; nel<strong>la</strong> quale fu egli<br />
poi sotterrato onoratamente…l’anno del terzo<br />
de’l regno suo. Al re Don Garsia successe il<br />
fratello Ordogno, secondo…e’ fu vinto da<br />
Abdera re de’ Mori, e perdè nel<strong>la</strong> rotta…il<br />
vescovo di Astorga, che fu, per dispetto di<br />
Ordogno, martirizzato da essi Mori.<br />
Ritornato dunque Ordogno a Leone…fece<br />
chiamare a sé quattro conti castigliani…che<br />
non avevano voluto combattere; e sotto <strong>la</strong> fè<br />
del salvacondotto, fece a tutti tagliare <strong>la</strong><br />
testa. De <strong>la</strong> qual cosa adiratisi i Castigliani,<br />
si ribel<strong>la</strong>rono subitamente, e crearono duoi<br />
giudici che…ministrassino buona<br />
giustizia…donde ebbero <strong>la</strong> origine quelli che<br />
regnarono poi in Pastiglia…e successe a lui<br />
il figliuolo don Alfonso quarto, che<br />
…venutogli zelo di religione, rinunziò il<br />
regno a Don Ramiro…” 657<br />
Ovetensis templi Tholo suspendit, ubi et<br />
sepultus est, cum regnasset annos<br />
tres…Ordonius II Garsiae fratri successit.<br />
Legionense Templum aedificijs ac donis<br />
ornavit, adversus Saracenisinfeliciter<br />
dimicavit, captis in bello nonnulis<br />
praesulibus, inter quos Asturicensis etiam<br />
martyrio affectus, iussu Abderae regis eorum.<br />
Post haec Ordonius quatuor Castel<strong>la</strong>e<br />
comites qui bellum id decretaverunt, iussos ad<br />
se venire, et incolumes fore pollicitus, nefari<br />
mandavit. Ob quam perfidiam Castel<strong>la</strong>ni, qui<br />
tunc Legionensi suberant regi, rebel<strong>la</strong>verunt,<br />
factisque inter se magistratibus ac iudicibus,<br />
rem ipsi administrabant. E quibus postea<br />
reges descenderunt[…]Alfonsus quatuor, sese<br />
regno sponte abdicato, monachum egit<br />
surrogato fratre Romiro…” 658 .<br />
Il canonico <strong>la</strong>urenziano riprende <strong>la</strong> vicenda principale del<strong>la</strong> guerra in Italia dal<strong>la</strong> quale esce<br />
di scena Arnolfo che a causa dell’inganno archittettato dal<strong>la</strong> moglie di Guido, varca le Alpi.<br />
Berengario <strong>la</strong>sciato solo deve riparare a Verona, come apprendiamo da Liutprando:<br />
“…durando lo assedio di Fermo, e non<br />
vedendo più <strong>la</strong> Reina rimedio alcuno di non<br />
venir alle mani degl’imperiali, tenne<br />
segretamente trattato con uno intimo<br />
servitore di Arnolfo, e per grossa quantità di<br />
danari lo indusse a dar da bere allo<br />
Imperatore una bevanda…non mortifera<br />
però, ma (secondo che el<strong>la</strong> affermava)<br />
mitigativa e diminutiva del<strong>la</strong> rigorosa<br />
severità di quello, e provocativa del<strong>la</strong><br />
benignità e del<strong>la</strong> clemenzia che a lei erano si<br />
necessarie.Costui, s enon per malignità, per<br />
isciochezza almeno, persuaso dal fal<strong>la</strong>ce dir<br />
del<strong>la</strong> donna, veduto per esperienza che <strong>la</strong><br />
bevanda non faceva nocumento alcuno a chi<br />
<strong>la</strong> bevve in presentia sua, ancora che vi<br />
corresse spazio d’un’ora, e non considerando<br />
che e’ poteva essere preparato co’l defensivo<br />
contra <strong>la</strong> forza del beveraggio; presa <strong>la</strong><br />
657 Storia, cit., passo alle pp. 65-67.<br />
658 Commentarii, cit., passo a p. 9b3, lib. II.<br />
“Quumque Vuidonis uxor magnis undique<br />
angustiis premeretur, et evadendi spes illi<br />
omnis negaretur, causas morti regiae viperina<br />
coepit callidate exquirere. Accitum nanque ad<br />
se quendam Arnulfi regis familiarissimum<br />
magnis eum muneribus rogat, ut se adiuvet.<br />
Qui quum se non aliter posse testaretur, nisi<br />
civitatem domini sui traderet ditioni: il<strong>la</strong><br />
etiam atque etiam magna auri pondera non<br />
solum pollicens, verum in praesentiarum<br />
tribuens, orat, ut quodam loculo ab ea sibi<br />
col<strong>la</strong>to dominum suum regem potaret: quod<br />
non periculis mortis daret, sed mentis<br />
feritatem mulceret. Quae etiam suis ut fidem<br />
dictis praeberet, ante illius praesentiam hoc<br />
unum suorum potat servorum. Qui unius<br />
horae spatio conspectu huius astans, sanus<br />
abscessit. Verum veridicam Maronis illius<br />
sententiam in medium proferamus. Quid non<br />
122
opportunità, <strong>la</strong> diè bere allo Imperatore. Il<br />
quale dal<strong>la</strong> virtù di quel<strong>la</strong> occupato, assalito<br />
subitamente da fiero sonno, si<br />
addormentò…sì fattamente…Ed avvegnachè<br />
tutto lo esercito con grida e romori<br />
grandissimi si sforzasse torlo dal sonno, e che<br />
esso per gli strepiti e per <strong>la</strong> violenza di chi lo<br />
toccava, aprisse talvolta gli occhi e <strong>la</strong> bocca;<br />
non potette però mai né vegghiare né par<strong>la</strong>re,<br />
se non in confuso..La qual cosa vedendo i<br />
maggiori dello esercito…levatisi da lo<br />
assedio, si dirizzarono verso <strong>la</strong> Germania;<br />
perseguitati nientedimanco sempre da<br />
Guido…Arnolfo uscito pure finalmente de’l<br />
lungo sonno e de lo stupore[…]per<br />
assicurarsi dello Stato d’Italia, deliberò di<br />
accecare Berengario, e di occupargli tutte le<br />
terre. Ma Berengario, avveritone cautamente<br />
da chi lo amava, essendo già notte, e<br />
ritrovandosi famigliarmente nel<strong>la</strong> camera<br />
dello Imperatore, non aspettò altrimenti che il<br />
disegno si colorisse; anzi, accomandato ad un<br />
altro un lume che aveva in mano…fintamente<br />
si uscì di camera, e[…]Dirizzatosi dunque<br />
al<strong>la</strong> sua favorita Verona…si rivolse…a farsi<br />
forte il più che e’ poteva, ed a chiudere i<br />
passi delle Alpi con <strong>la</strong> più fidata e fiorita<br />
gente che e’ potette mettere insieme. La qaul<br />
cosa come <strong>prima</strong> si udì …tolse tanto di<br />
credito…allo Imperatore, che nello esercito<br />
che egli aveva non rimase altro che<br />
tramontani. Co’ i quali…fra brevi giorni<br />
giunse a Pavia; e vi si vide in grave pericolo,<br />
perché tumultuando quel<strong>la</strong> città, vi furono<br />
uccisi tanti de’ suoi, che e’ se ne em<strong>pier</strong>ono<br />
tutte le fogne. Lande risolutosi per lo meglio<br />
a tornarsi nel<strong>la</strong> Germania, non potendo<br />
passare per Trento, si dirizzò a <strong>la</strong> volta del<br />
Piemonte per andarsene per quelle altre Alpi.<br />
Arrivato dunche ad Ivrea, ribel<strong>la</strong>tali poco<br />
avanti da Anscario marchese di quel<strong>la</strong>…giurò<br />
di non partirsi già mai di quivi, sino a tanto<br />
che i cittadini non gli davano preso il<br />
Marchese. La qual cosa intendendo<br />
Anscario…uscitosi de <strong>la</strong> terra segretamente,<br />
si nascose in alcune grotte molto ce<strong>la</strong>te, a<br />
cagione che i suoi cittadini potessino<br />
liberamente giurare che Anscario non era<br />
nel<strong>la</strong> città. Il quale giuramento accettando lo<br />
Imperatore, per le montagne…se ne tornò ne’<br />
659 Storia, passo alle pp. 70-72.<br />
660 Liuthprandi, cit., passo alle pp. 230u1-232u2.<br />
mortalia pectora cogis. Auri sacra fames.<br />
Sumptum namque letale poculum festinus regi<br />
propinat. Quo accepto, tanta hunc confestim<br />
somni virus invasit, ut totius exercitus strepitu<br />
triduo excitatus vigi<strong>la</strong>re nequiret. Fertur aut<br />
quoniam dum familiares hunc, modo strepitu,<br />
modo tactu inquietarent, apertis oculis nil<br />
sentire, Positus tamen in mentis excessu<br />
mugitum reddere, non verba aedere<br />
videbatur. Huius autem rei actio repedare<br />
omnes compulit, non pugnare.[…]Denique<br />
redeuntem Arnulfum regem cum magna<br />
moltitudine, pau<strong>la</strong>tim rex Vuido persequitur.<br />
Quumque Arnulfus Bardonis montem<br />
conscenderet ibi quorum consilio definivit<br />
quatenus Berengarium lumine privaret, sicque<br />
securus Italiam obtineret. Cognaturum vero<br />
Berengarij unus qui non parva Arnulfo regi<br />
familiaritatis gratia inhaerebat, huius<br />
consilium ut agnovit, absque mora<br />
Berengario patefecit, qui mox ut sensit,<br />
lucerna, quam ante Arnulfi regis praesentiam<br />
tenebat, alij tradita fugit, atque Veronam<br />
percitus venit. Omnes extunc Italienses<br />
Arnulfum floccipendere, nihil habere, unde<br />
quum Ticinum veniret, non modica orta est in<br />
civitate seditio, tantaque istic strages<br />
exercitus facta est, ut cryptae civitatis, quas<br />
alio nomine cloacas dicunt, implerentur<br />
horum cadaveribus. Quod Arnulfus cernens<br />
quondam per Veronam non potuit, per<br />
Hannibalis viam quam Bardum dicunt, et<br />
montem Iovis, repedare disposuit. Quumque<br />
Iporegiam pervenisset. Anscarius marchio<br />
istic aderta, cuius exhortatu civitas<br />
rebel<strong>la</strong>bat. Verum hic Arnulfus iureiurando<br />
promiserat, nunquam se a loco eodem<br />
discessurum quam praesentiae suae<br />
repraesentarent Anscarium. Is autem ut erat<br />
homo formidolosus valde, ei omnino similis<br />
qui a Marone canitur, <strong>la</strong>rgus opum, lingua<br />
melior, sed frigida bello dextra, de castello<br />
exiit, et iuxta murum civitatis in cavernum<br />
petrarum <strong>la</strong>tuit. Hoc eo fecit, quatenus licite<br />
possent regi Arnulfo iureiurando satisfacere<br />
Anscarium in urbe non esse. Itaque<br />
iusiurandum istud accepit rex, atque iter quod<br />
coeperat peragens abijt.” 660<br />
123
suoi paesi.” 659<br />
In queste nuove condizioni, al<strong>la</strong> morte di Formoso, Sergio, che può contare anche sul<br />
sostegno del marchese di Toscana, Adalberto, ottiene <strong>la</strong> tiara pontificia. Come mostra <strong>la</strong><br />
col<strong>la</strong>zione, i fatti inerenti al ritorno di Sergio, il Giambul<strong>la</strong>ri li ricava da Liutprando. Vista <strong>la</strong><br />
fonte, chiaramente avversa in tutte le sue opere al<strong>la</strong> curia romana 661 , e considerato il contegno<br />
antimperiale del<strong>la</strong> politica di Sergio, naturalmente <strong>la</strong> sua caratterizzazione appare totalmente<br />
negativa. Dunque si conferma ulteriormente l’orientamento filoghibellino del Giambul<strong>la</strong>ri e <strong>la</strong><br />
fondatezza delle considerazioni del Di Stefano. Nel passaggio in questione, affiora anche un<br />
implicito confronto tra <strong>la</strong> santità di Formoso, papa filo-imperiale e il diabolico Sergio,<br />
pontefice antimperiale, che si risolve a tutto vantaggio del primo naturalmente:<br />
“Papa Formoso dopo <strong>la</strong> partita di Arnolfo…si<br />
morì nello ottocento novantasette, e dopo doi<br />
giorni del<strong>la</strong> sua morte, fu creato in iscambio<br />
suo Bonifacio sesto di nazione toscano, che<br />
tenne il pontificato so<strong>la</strong>mente trentasei giorni;<br />
perché Sergio, del quale ragionammo poco di<br />
sopra, fuggitosi per <strong>la</strong> coronazione di<br />
Formoso a’l signore Alberto Ricco, marchese<br />
potentissimo del<strong>la</strong> Toscana, subito che udì<br />
Arnolfo partito d’Italia e Formoso morto, se<br />
ne venne diritto a Roma, e co’l favore del<br />
predetto Alberto, cacciato via Bonifazio,<br />
ricuperò il perduto seggio. Nel quale non<br />
come Vicario di Gesù Cristo, ma come tiranno<br />
crudelissimo, desideroso di vendicarsi, fece<br />
dissotterrare il morto Formoso, e vestito di<br />
tutti i sommi ornamenti pontificali, lo fece<br />
porre a sedere nel<strong>la</strong> cattedra come se egli<br />
ancora fusse vivo, e…cominciò a dirgli:<br />
“Quale è <strong>la</strong> cagione che, essendo tu vescovo<br />
Portuense, abbandonata <strong>la</strong> sedia tua,<br />
usurpasti ambiziosamente <strong>la</strong> Romana,<br />
principessa e madre di tutte le<br />
altre?”…vituperosamente lo fe’ spogliare di<br />
tutto lo abiot sacerdotale, e tagliateli quelle<br />
dita che tengono l’ostia sagrata, fece il resto<br />
gettare nel Tevere. Appresso privando tutti<br />
coloro che da esso avevano avuto gli Ordini<br />
sacri, non volle che potessero esercitargli, se<br />
nuovamente non si ordinavano. Il che quanto<br />
e’ facesse a ragione (poi che non si appartiene<br />
a me giudicarlo), veggasi da lo esempio de’<br />
Santi Apostoli; i quali dopo il tradimento fatto<br />
da Giuda…non ordinarono però mai che i<br />
benedetti o mondati da lui, venissero,<br />
nuovamente a ribenedirse; considerando, e<br />
prudentemente, che <strong>la</strong> benedizione del<br />
“Descenditque Sergius in Thusciam,<br />
quatenus Adelberti potentissimi marchionis<br />
auxilio iuvaretur: quod et factum est. Nam<br />
Formoso defuncto, atque Arnulfo in propria<br />
reverso: is qui post mortem Formosi papa<br />
constitutus est, expellitur, Sergiusque papa<br />
per Adelbetum constituitur. Quo costituto, ut<br />
impius doctrinarumque sanctarum inscius,<br />
Formosum ex sepulchro extrahere, atque in<br />
sedem Romani pontificatus sacerdotalibus<br />
indumentis indutum collocare praecepit. Cui<br />
et ait, Quum Portuensis esses episcopus, quur<br />
ambitionis spiritu romanam universalem<br />
sedem usurpasti: His expletis sacratis mox<br />
exutum vestimentis, digitisque tribus abscisis,<br />
in Tyberim iactare praecepit, cunctosque<br />
quos ipse ordinaverat, gradu proprio<br />
depositos iterum ordinavit. Quod quam male<br />
egerit pater sanctissime, in hoc<br />
animadvertere poteris, quondam et hi qui a<br />
Iuda domini nostri Iesu Christi proditore ante<br />
proditionem salutem seu benedictionem<br />
apostolicam perceperant, ea post<br />
proditionem proprijque corporis<br />
suspensionem minime sunt privati, nisi quos<br />
improba sorte defoedarant f<strong>la</strong>gitia.<br />
Benedictio siquidem quae ministris Christi<br />
impenditur, non per eum qui videtur, sed qui<br />
non videtur sacerdotem infunditur. Neque<br />
enim qui rigat est aliquid, neque qui p<strong>la</strong>ntat,<br />
sed qui incrementus dat deus. Quantae autem<br />
autoritatis, quantaeque religionis papa<br />
Formosus fuerit, hinc colligere possumus,<br />
quoniam dum a piscatoribus postmodum<br />
esset inventus, atque ad beati Petri<br />
apostolorum principis ecclesiam deportatus,<br />
sanctorum quaedam imagines hunc in loculo<br />
661 In proposito rinviamo a Liutprando da Cremona, cit., Introduzione, cit., pp. 9-11, 28-29 e 33 e Tutte le<br />
opere, cit., Introduzione, cit., pp. 23-24.<br />
124
Pontefice non opera in virtù di quell’uomo<br />
visibile che pone o annaffia le piante, ma in<br />
quel<strong>la</strong> del Creatore invisibile, che le fa<br />
crescere a suo piacere. […]ed assai<br />
chiaramente si mostrò poi <strong>la</strong> innocenzia e <strong>la</strong><br />
bontà sua, quando ritrovato il suo corpo da<br />
pescatori, e portato di notte in San Pietro, le<br />
imagini dipinte in chiesa…si inchinarono a<br />
onorarlo.” 662<br />
positum venerabiliter salutarant. ” 663<br />
Senza trascurare, che a rimarcare <strong>la</strong> fondatezza del giudizio negativo su Sergio in<br />
riferimento ai misfatti da lui compiuti sul cadavere di Formoso, il Giambul<strong>la</strong>ri riafferma a<br />
chiare lettere nel secondo libro del<strong>la</strong> Storia <strong>la</strong> piena attendibilità dello storico longobardo.<br />
Liutprando, infatti, diversamente da quanto sostenuto da altre fonti citate dal canonico, nega<br />
che Sergio III, successore di Stefano VI, sia stato autore di analoghi strazii sul corpo senza<br />
vita di Formoso 664 .<br />
Del resto, l’interesse non secondario nutrito dal Giambul<strong>la</strong>ri per le vicende del<strong>la</strong> curia<br />
romana viene confermato dal<strong>la</strong> nuova parentesi dedicata ai successori di Stefano VI, <strong>la</strong> quale<br />
propone l’immagine di una Curia turbolenta e instabile, vittima dei malumori e delle pressioni<br />
esercitate dalle opposte fazioni. Infatti, <strong>la</strong> questione aperta da Stefano VI con <strong>la</strong> condanna post<br />
mortem di Formoso, vede Giovanni X che invece si pronuncia a favore del defunto pontefice<br />
col ricorso ad un concilio a Ravenna, costretto a fuggire da Roma per una vera e propria<br />
sedizione popo<strong>la</strong>re. La col<strong>la</strong>zione indica una notevole vicinanza alle Vitae Pontificum del<br />
P<strong>la</strong>tina 665 :<br />
“…al papato di Stefano sesto, che durò<br />
so<strong>la</strong>mente quindici mesi, successe papa<br />
Romano, che non visse tre mesi intieri, ne’<br />
quali annullò e cassò le azioni di Stefano. Il<br />
che approvò medesimamente il suo<br />
successore Teodoro secondo, ancora che e’ si<br />
morisse fra venti giorni. Ed al papato di<br />
Teodoro successe Giovanni nono, cittadino<br />
romano, il quale riassumendo <strong>la</strong> causa di<br />
Formoso, venne in tanta disgrazia del<br />
popolo, che e’ fu costretto a fuggir di Roma.<br />
Per il che andatosene a Ravenna, e ragunato<br />
quivi un Concilio di settantaquattro Vescovi,<br />
dannò tutte le azioni di Stefano e approvò<br />
quelle di Formoso, dichiarando che male<br />
avesse fatto a Stefano a riordinare<br />
nuovamente quelli che Formoso avea<br />
ordinato. Visse costui nel papato due anni e<br />
quindici giorni, senza <strong>la</strong>sciare altra memoria<br />
“Ad Stephanum redeo, qui pontificatus sui<br />
anno primo, mense terbio moritur[…]<br />
Romanus ubi pontificatum inijt, Stephani<br />
pontificis decreta et acta statim improbat<br />
abrogatque[…]in qua tertio pontificatus sui<br />
mense demoritur. Thedorus<br />
secundus…Formosi acta restituit […]At<br />
Theodorus vigesimo pontificatus sui die<br />
moritur.<br />
Ioannes decimus, patria Romanus, pontifex<br />
creatus, Formosi causam in integrum statum<br />
restituit, adversante magna populi Romani<br />
parte, qua ex re tanta seditio orta est, ut<br />
paulum admodum ab iusto parelio abfuerit. Is<br />
autem Ravennam profectus, IIII et LXX<br />
episcoporum abito conventu, et a Stephanum<br />
factum, qui censuit eos iterum ordinandos<br />
esse, quos Formosus ad sacros ordines<br />
asciverat.[…]Ioannes autem pontificatus sui<br />
662 Storia, cit., passo alle pp. 72-74.<br />
663 Liuthprandi, cit., passo alle pp. 229u1-230u1.<br />
664 Nel<strong>la</strong> Storia, cit., infatti, leggiamo a p. 117: “atteso massimamente che Liutprando, vivo in que’ tempi, e che<br />
diligentemente racconta <strong>la</strong> <strong>prima</strong> offesa fatta a quel corpo, non avrebbe taciuto in maniera alcuna questa<br />
seconda, tanto pubblica e tanto maggiore di quel<strong>la</strong>.”<br />
665 Hi<strong>storia</strong> B. P<strong>la</strong>tinae de vitis pontificum romanorum A. D. N. Cristo usque ad Paulum II venetum, Papam<br />
longe quam antea emendatior, doctissimarumque annotationum onuphrii Panvinij accessione nunc illustrior<br />
reddita…, Coloniae, apud Maternum Chorinum, MDLXXIIII (d’ora in poi Hi<strong>storia</strong>…de vitis pontificum).<br />
125
de’ casi suoi, che di avere suscitata e<br />
rinnovata <strong>la</strong> quasichè estinta sedizione.” 666<br />
anno secondo, die decimo quinto<br />
moriens…” 667<br />
Anche se fonte di parte curiale, il P<strong>la</strong>tina presenta indubbiamente, una prospettiva critica e<br />
artico<strong>la</strong>ta del<strong>la</strong> <strong>storia</strong> pontificia. Egli, infatti, intende recuperare nel<strong>la</strong> sua composizione <strong>la</strong><br />
tradizionale forma biografico-agiografica del Liber Pontificalis, secondo i rinnovati criteri<br />
del<strong>la</strong> storiografia. umanistica 668 . Tuttavia, non va esclusa <strong>la</strong> consultazione per questo<br />
passaggio dell’opera di un altro autore, in seguito esplicitamente indicato e utilizzato quale<br />
fonte del<strong>la</strong> Storia: il Chronicon di Giovanni Carione 669 .<br />
Le propensioni politiche dell’astronomo e matematico Carione, infatti, sono connesse ad<br />
una posizione religiosa luterana secondo quanto traspare dal<strong>la</strong> lettera noncupatoria del 1531<br />
rivolta al principe del Brandeburgo 670 , che evidenzia chiaramente i motivi antiromani<br />
dell’opera, ricavabili anche dal<strong>la</strong> lode dei principi di Brandeburgo a cominciare da Alberto<br />
che ha seco<strong>la</strong>rizzato il principato e optato nel 1525 per <strong>la</strong> riforma luterana:<br />
“Maiores enim C. T. videlicet Marchio Albertus Princeps Elector, qui in Historijs optimo<br />
iure Germanicus Achilles appe<strong>la</strong>tur, non minorem <strong>la</strong>udem hinc meruit, que eloquentiae studio<br />
prae caeteris excelluit, quoque tot bel<strong>la</strong> summa cum <strong>la</strong>ude et foelicitate pro Romano impio<br />
gessit ac confecit. Et ea quidem virtus quasi haereditaria successione ad avum Marchionem<br />
Iachimum Marchionem Ioannem, deinde ad C. T. patrem Marchionem Ioachinum Principem<br />
electorem adhaec in patruum C. T. Marchionem et electorem Archiepiscopum Moguntinum,<br />
singu<strong>la</strong>ri quadam ac divina gratia pervenit, et iam in C. T. praeter alias heroicas virtutes<br />
haud vulgariter lucet ac se ostendit. ” 671<br />
In questa direzione, non va dimenticato che l’opera del Carione <strong>prima</strong> del<strong>la</strong> pubblicazione<br />
viene rivista da Me<strong>la</strong>ntone che ne accentua i motivi protestanti e <strong>la</strong> linea filoimperiale,<br />
estendendone in seguito l’ampiezza e <strong>la</strong> cronologia storica fino all’età di Carlo V 672 .<br />
Nel Chronicon si esalta il valore esemp<strong>la</strong>re del<strong>la</strong> <strong>storia</strong> quale irrinunciabile strumento<br />
educativo per il potere politico che ha precisi e improcrastinabili doveri etici e religiosi 673 .<br />
666 Storia, passo alle pp. 74-75.<br />
667 Hi<strong>storia</strong>…de vitis pontificum, cit., passo alle pp. 130L5-131L6.<br />
668 Sull’educazione umanistica del P<strong>la</strong>tina e sul<strong>la</strong> sua storiografia nell’ambito di quel<strong>la</strong> curiale rinviamo a E.<br />
Cochrane, Hi<strong>storia</strong>ns and Historiography, cit., pp. 43 e 53-58, e a M. Miglio, Storiografia pontificia del<br />
Quattrocento, Bologna, Patron, 1975, in partico<strong>la</strong>re pp. 16-17, 27, 29-30, 113, cfr. inoltre J. D’Amico, Papal<br />
History and Curial Reform, cit., p. 161.<br />
669 Cronica Ioannis Carionis conversa ex Germanico in Latinum a doctissimo viro Hermanno Bono et ab<br />
autore diligenter recognita, Ha<strong>la</strong>e Suevorum ex officina Petri Brubachij, Anno MDXXXVII, mense Septembri,<br />
ivi a p. 207cc7 leggiamo: “Post Bonifacium 6 factus est Papa Stephanus sextus, hic rescidit et damnavit omnes<br />
ordinationes Formosi. Stephanum secutus est 117 Papa Romani successor fuit 118 Papa Theodorus secundus.<br />
Post Theodorus secundus factus est Papa Ioannes decimus, hic reiectas a Stephano sexto ordinationes Formosi<br />
iterum recepit, et approbavit.” Su questa indicazione cfr. <strong>la</strong> nota del<strong>la</strong> Marangoni al passaggio 1-16 in Storia,<br />
cit., p. 75 dove si ipotizza anche una ispirazione dai Commentarii del Volterrano, che sui successori di Stefano<br />
VI scrive alle pp. 252t6-253t6: “Romanus patria romanus…sedit mens. III, Stephani acta infirmavit. Theodorus<br />
II sedit dies XXX. Formosi acta in integrum restituit. Ioannes IX. Romanus, sedit an. II. Dies XV”.<br />
670 Ivi, Illustrissimo principi ac Domino Ioachimo Marchioni Brandenburgensi, Duci Stetinensi, Pomeraniae,<br />
Cassubiorum ac Vandalorum, Burgravio Norinbergensi, et Rugiade Principi, Domino suo clementissimo, pp.<br />
2a2-3a3.<br />
671 Ivi, passo a p. 3a3.<br />
672 Sul<strong>la</strong> storiografia del Carione e sugli influssi me<strong>la</strong>ntoniani rinviamo a Irena Backus, Historical Method and<br />
Confessional Identity in the Era of the Reformation (1378-1615), Brill: Leiden-Boston, 2003, in partico<strong>la</strong>re pp.<br />
327-338; cfr. inoltre D. Cantimori, Umanesimo e luteranesimo di fronte al<strong>la</strong> Sco<strong>la</strong>stica, in “Rivista di Studi<br />
Germanici”, II, 1937, pp. 417-438, ora in id.,Umanesimo e religione nel Rinascimento, Torino, Einaudi, 1975,<br />
pp. 88-111, in partico<strong>la</strong>re p. 97 e nota n. 12, e ivi, pp. 286-287 e L. Perini, La vita e i Tempi di Pietro Perna, cit.,<br />
p. 199; cfr. inoltre E. Cochrane, Hi<strong>storia</strong>ns and Historiography, cit., pp. 385-386.<br />
673 Con esplicita conseguente condanna del<strong>la</strong> separazione tra morale individuale e azione politica a p. 4a4-5a5:<br />
“Caeterum duplex est ratio iusticiae, quae necessaria est cuius: altera enim politica est et externa: altera vero<br />
126
Dunque si afferma secondo <strong>la</strong> prospettiva luterana, <strong>la</strong> funzione di spada del<strong>la</strong> volontà divina<br />
attribuita all’autorità seco<strong>la</strong>re che in essa trova <strong>la</strong> sua più profonda giustificazione:<br />
“Atque hoc modo reputabit secum pii hominis animus huiusmodi prec<strong>la</strong>ra facta, et<br />
vindictas, Dei opus esse, et discet ex illis timere Deum, utpote quod Tyranni atrociter puniti<br />
sunt, iuxta sententiam il<strong>la</strong>m: Qui g<strong>la</strong>dium sumit, hoc est, qui sine mandato usurpat sibi ius<br />
vindicandi, is g<strong>la</strong>dio peribit. Contra vero videre etiam licet, a Deo servati bonos Principes et<br />
defendi. Atque hoc ipsum gentes quoque animadverterunt, qui nitantur Principes Deorum<br />
praesidio.” 674<br />
Compito pienamente e felicemente svolto dall’impero germanico e dei suoi principi<br />
elettori che hanno preservato <strong>la</strong> maestà dell’impero romano:<br />
“Et ad huic imperii honorem et fastigium evexit(elegit) his postremis temporibus Germanos<br />
Deus prae populis reliquis. Nam quanquidem diminutum nonnihil sit imperium Romanum<br />
hodie (Deo enim, ut vaticinatum est, visum ita fuit, ut decrescerent tandem mundi<br />
monarchiae) tamen maiestas permanet apud imperium Romanum, et nemo regum est, qui non<br />
oculos suos in hoc regunm convertat. Proinde quanquidem non aequ semper potentes<br />
habeamus imperatores, tamen providente sic Deo, tanta subinde potentia contingit Caesar<br />
aliquis, ut sublimitas imperii conservetur. Idque propter religionem et concordiam omnium<br />
nationum retinenda. Et debent merito Germaniae principes, et imprimis principes imperii<br />
Electores hunc honorem, suum magni aestimare, quod sublimitatem hanc divinitus<br />
commissam habent ad religionem, ius et pacem publicam retinendam. ” 675<br />
Carione, infatti, sul<strong>la</strong> base del<strong>la</strong> profezia di Elia che divide <strong>la</strong> <strong>storia</strong> umana in quattro grandi<br />
epoche contrassegnate dalle monarchie assira, persiana, greca e nell’ultima fase che inizia con<br />
<strong>la</strong> venuta di Cristo, appunto romana e soprattutto tedesca, è convinto fautore del<strong>la</strong> trans<strong>la</strong>tio<br />
imperii 676 . Egli contrappone <strong>la</strong> realtà provvidenzialmente legittimata dell’impero tedesco al<strong>la</strong><br />
mondanizzazione del papato romano:<br />
“Caeterum quo pacto post natum Christum mutationem coeperit Romana Monarchia, et<br />
eius successio ad Germanos pervenerit, propterea et de origine Mahumetici regni,et quomodo<br />
Papatus externae potentiae augumentum acceperit, ea omnia in hac tertia parte<br />
indicabimus.” 677<br />
de fide et timore Dei. Utriusque nobis exemp<strong>la</strong> in historiis proponuntur. Atque ut primum de civilibus moribus<br />
dicamus, debent Principes, atque adeo omnes qui rebus magnis gerendis praesunt, ea potissimum exemp<strong>la</strong> et<br />
gesta considerare, quibus moneri possunt, quomodo ipsi foeliciter versari queant in republica administranda,<br />
ponenda ob oculos sunt exemp<strong>la</strong> Principum et Regum, discendumque est ex illis, qua potissimum ratione,<br />
quibusque officiis sint usi, in imperiis gubernandis, quod praeter publicam utilitatem nihil spectarint, quod in<br />
iusticia tuenda fuerint solliciti, quod acerrime vindicarint iniurias, quodque non levi de causa bellum<br />
susceperint, sed eos dissimu<strong>la</strong>tione iniuriarum pacem saepe retinuisse. Contra vero in adversis animo praesenti<br />
et infracto fuisse, omni humanitate et clementia usos esse erga bonos, studuisse denique imperia sua<br />
munitionibus ac potentia, religionis cultu et bonis moribus reddere meliora. In Tyrannorum exemplis diversum<br />
observabunt, illorum exitus ca<strong>la</strong>mitosos fuisse, et propter crudelitatem perniciosos eventus, et commutationes in<br />
republica exiciales accidisse. Sic ob Tyrannidem constat Pharaonem perijsse, et simili de causa Romani Reges<br />
exacti sunt. Et perdiderunt saepe se mutuo Principes ob superbiam, ob invidiam, ob odium nonnunque ex re<br />
nihili contractum. ”<br />
674 Ivi, passo a p. 7a7 nel preambolo che precede il primo libro, De usu lectionis hi<strong>storia</strong>rum, pp. 3a3-8a8. Sul<strong>la</strong><br />
concezione del<strong>la</strong> <strong>storia</strong> in Me<strong>la</strong>ntone e nel Chronicon e sul<strong>la</strong> sua irrinunciabile funzione per i governanti,<br />
rinviamo a I. Backus, Historical Method and Confessional Identity, cit., pp. 328-329.<br />
675 Ivi, passo a p. 11b3.<br />
676 Ivi, vedi pp. 9b1-12bb4.<br />
677 Ivi, passo a p. 12b4.<br />
127
Anche nel Chronicon riscontriamo del resto, <strong>la</strong> caratterizzazione tirannica dell’antipapa<br />
Sergio e l’elencazione delle cinque conquiste germaniche di Roma, compresa quel<strong>la</strong> di<br />
Arnolfo 678 , insieme al<strong>la</strong> delegittimazione del<strong>la</strong> base stessa del dominio temporale del papato<br />
poi costituito materialmente da Pipino il Breve con le concessioni del 754 e 756 re<strong>la</strong>tive<br />
all’esarcato di Ravenna: <strong>la</strong> donazione di Costantino 679 .<br />
Tornando al conflitto italiano, Berengario, morto Guido, deve fronteggiare il figlio<br />
Lamberto:<br />
“...si accompagnò <strong>la</strong> morte di Guido; il quale<br />
nel<strong>la</strong> partita di Arnolfo, avendolo<br />
perseguitato sino su’l Taro, amma<strong>la</strong>tosi<br />
gravemente, se ne andò fra giorni brevissimi<br />
a dar conto de’ suoi spergiuri. La qual cosa<br />
udendo il re Berengario, venne subitamente a<br />
Pavia, e senza contrasto alcuno di persona<br />
ottenne pur finalmente il tanto già combattuto<br />
regno, ancora che per poco tempo. Con ciò<br />
sia che gli amici ed i favoriti del morto Guido<br />
temendo che il re Berengario non vendicasse<br />
troppo aspramente sopra di loro gli sdegni e<br />
le ingiurie sue, accostatisi a Lamberto<br />
figliuolo di Guido, pubblicamente, come vero<br />
successore di suo padre, lo coronarono re<br />
del<strong>la</strong> Italia. Costui…fu volentieri veduto dai<br />
popoli…Lande, ragunato assai buono<br />
esercito, e indirizzatosi verso Pavia,<br />
Berengario, che non aveva gente da stargli a<br />
petto, si ritirò dolente a Verona, città statagli<br />
sempre amica e deditissima al nome suo…” 680<br />
.<br />
“Sicut enim prefati sumus, dum redeuntem<br />
Arnulfum rex Vuido evestigio sequeretur,<br />
iuxta fluvium Tarum defunctus est, Cuius<br />
obitum Berengarius ut audivit, venit festinus<br />
Papiam, regnumque potenter obtinuit: fideles<br />
vero fautoresque Vuidonis, veriti ne ab eis<br />
il<strong>la</strong>tam Berengarius ulcisceretur iniuriam, et<br />
quia semper Italienses geminis uti dominis<br />
volunt, quatenus alterius terrore coerceant,<br />
Vuidonis regis defunti filium nomine<br />
Lamthbertum elegantem iuvenem adhuc<br />
ephebum minusque bellicosum regem<br />
constituunt. Coepit denique hunc populus<br />
adire, Berengarium deserere. Quum<br />
Berengarius Lanthberto cum esercito magno<br />
Papiam tendenti, copiarum paucitate<br />
occurrere non auderet, Veronam petijt,<br />
isticque securus degit.” 681<br />
Dunque come documenta il precedente passo, un altro fattore che alimenta il perpetuarsi<br />
del<strong>la</strong> guerra risiede nell’avversione del<strong>la</strong> feudalità italiana all’affermazione definitiva di un<br />
sovrano. Infatti, nel momento in cui Lamberto sembra sul punto di prevalere definitivamente<br />
su Berengario, dopo il fallito tentativo del duca di Mi<strong>la</strong>no Manfredi, <strong>la</strong> feudalità capeggiata<br />
dal potente marchese di Toscana Adalberto e dal conte Aldobrando si ribel<strong>la</strong>:<br />
678 Ivi, a proposito di Formoso e Sergio leggiamo sempre a p. 207cc7: “Post Stephanum quintum factus est<br />
Papa 114 Formosus. Iterum tum ingens dissidium fuit Romae de electione, nam et Sergius simul pontifex creatus<br />
est, sed pulso Sergio a fautoribus Formosi, adscitus est Caesar a Formoso in Italiam, ut ea occasione Papatum<br />
retineret. Etenim profugerat in Galliam Sergius, et moliebat praesidio Gallorum pontificatum consequi.<br />
Caeterum post annos aliquot pontifex factus est defuncto Formoso, et maiorem, que debuisset pro pontificia<br />
mansuetudine, Tyrannidem et insolentiam exercuit. Effossum Formosi cadaver degradari mandavit, et capite<br />
truncatum in Tybri fluvium cum summa ignominia abiici. Scribunt Sergium hunc p<strong>la</strong>ne incultum, et<br />
nul<strong>la</strong>…eruditione fuisse, id quoque crudelia eius facta satis arguunt. Formoso successit Papa 115 Bonifacius<br />
sextus.” Ivi, inoltre sulle quattro prese di Roma precedenti a quel<strong>la</strong> di Arnolfo leggiamo alle pp. 174y6-175y7:<br />
“Capta est itaque urbs Roma quater a Gotthis et Vandalis intra centum triginta novem annos, primum ab<br />
Alricho sub Honoris. Anno Christi 412. Deinde a Gensericho Vandalo Marciani temporibus. Anno Christi 456.<br />
Tercio a Gotthos rege Toti<strong>la</strong>, et haec ipsa oppressio urbis Romae gravissima olim fuit, nam capta simul et exusta<br />
est anno Iustiniani primo et vicesimo. Anno vero post conditam urbem millesimo et trecentesimo. Anno Christi<br />
548. Quarto in tercio anno, post hanc devastationem. Anno Christi 551.” pp. 174y6-175y7 e sul<strong>la</strong> conquista di<br />
Roma ad opera di Arnolfo pp. 206cc6-207cc7: “Postea ubi ux Spoletanus Vuido per tumultum Caesar esset<br />
creatus, in Italiam profectus Arnolfus magna vi Romam cepit, et a Formoso pontifice maximo coronatus.”<br />
679 In proposito si rinvia a I. Backus, Historical Method and Confessional Identity, cit., in partico<strong>la</strong>re pp. 331-<br />
334.<br />
680 Storia, cit., passo a p. 74.<br />
681 Liuthprandi, cit., passo a p. 232u2.<br />
128
“La parte in questo mentre del re Lamberto,<br />
cioè quelli stessi signori lombardi che lo<br />
avevano chiamato al regno, non<br />
contentandosi molto de <strong>la</strong> severità di esso<br />
Lamberto, cominciò a rivolgersi a Berengario,<br />
ed a desiderarlo grandemente chiamandolo<br />
a’l regno…contra Lamberto…cominciarono<br />
pure a scoprirsi alcuni de’ capi lombardi,<br />
ribel<strong>la</strong>ndosi apertamente, sotto quel<strong>la</strong><br />
speranza che avevano del soccorso di<br />
Berengario. Ed il primo…fu il conte di<br />
Mi<strong>la</strong>no…detto Manfredi. Costui…senza<br />
rispetto d’avere il proprio figliuolo a’ servizi<br />
del re Lamberto, e senza considerazione delle<br />
forze sue, molestando e predando i luoghi<br />
vicini che si tenevano per esso re, cadde<br />
improvvisamente in uno agguato de’ suoi<br />
nimici; dove restando rotto e prigione, fu<br />
condotto davanti al Re; e per sentenzia di<br />
quello condannato a dover morire, gli<br />
fu…pubblicamente tagliato il capo. Il che<br />
spaventò di maniera gli animi tutti de’<br />
sollevati, che volentieri stettero in pace. Ma il<br />
ricco marchese Alberto, ed il conte<br />
Aldobrando, che…erano pure di quel numero<br />
che bramava rivoluzione, avendo<br />
segretamente ragunato le genti in diversi<br />
luoghi del<strong>la</strong> Toscana, <strong>la</strong> quale ubbidiva tutta<br />
al marchese Alberto, unitele tutte insieme…si<br />
drizzarono contro a Pavia…” 682<br />
“Non post multo vero temporis Lantbhertus<br />
rex quum esset vir severus, principibus gravis<br />
est visus. Unde et legatos Veronam dirigunt,<br />
et regem Berengarium ad se venire,<br />
Lantbhertum vero expellere petunt.<br />
Maginfrendus praetera Medio<strong>la</strong>nensis urbis<br />
comes quinquennio huic rebellis extiterat, qui<br />
non solum urbem in qua rebellis erat,<br />
Medio<strong>la</strong>num scilicet defenderet, verum et<br />
vicina curcumquaque Lanthberto loca<br />
servientia depopu<strong>la</strong>bant. Quod factum rex<br />
non passus abire inultum, psalmographicum<br />
illud persaepe ruminans: quum accepero<br />
tempus, ego iustitias iudicabo. Nam post<br />
paululum capitis hunc iussereat damnari<br />
sententia. Qua res terrorem cunctis<br />
Italiensibus non minimum incussit. Denique<br />
hoc eodem tempore Adalbertus illustris<br />
Thuscorum marchio atque Hildebrandus<br />
praepotens comes huic nisi sunt rebel<strong>la</strong>re.<br />
Tantae quippe Adelbertus erat potentiae, ut<br />
inter omnes Italiae principes solus ipse<br />
cognomento diceretur Dives. Huic erat uxor<br />
nomine Berta, Hugonis post nostro tempore<br />
regis mater: cuius instinctu tam nepharia<br />
coepit ipse facinora. Nam collecto exercitu,<br />
cum Hildebrando comite constanter Papiam<br />
tendere festinat.” 683<br />
Al<strong>la</strong> fine Lamberto viene ucciso dal figlio del conte Manfredi, Ugo. Berengario può<br />
riappacificarsi con tutta <strong>la</strong> feudalità italica come riproposto sul<strong>la</strong> base dell’Antoposis dal<br />
Giambul<strong>la</strong>ri:<br />
“avanti che il re Lamberto sapesse nul<strong>la</strong> di<br />
questo esercito, si era egli già condotto in sul<br />
Taro…ed a piè di quel monte che…si chiamò<br />
l’Alpe di Bardone…Quivi dunque trovandosi<br />
questa gente, corse lo avviso al Re del<strong>la</strong><br />
venuta di tale esercito; ed egli, trovandosi<br />
allora in caccia per sorte, senza altrimenti<br />
fare ragunata, si mosse subito a rincontrar<strong>la</strong><br />
con forse cento dei suoi soldati, che erano<br />
quel giorno con esso lui. Con questi<br />
venutosene a Piacenza con gran prestezza,<br />
intese che i suoi nimici erano al Borgo a San<br />
Donnino…chiamato così per esservi in somma<br />
682 Storia, cit., passo alle pp. 75-76.<br />
683 Liuthprandi, cit., p. 232u2.<br />
“Lantberthus interea rex harum rerum<br />
inscius, in Marino iam aliquantis diebus<br />
venationi vacabat. Quumque Adalbertus<br />
marchio et Hildebrandus comes cum diverso<br />
et invalido Thuscorum exercito Bardonis<br />
montem transirent, Lanthberto regi medio in<br />
nemore venanti ut sese res habuerat,<br />
nunciatur. Is vero sicut erat animi constans,<br />
viribusque potens, suos non passus est<br />
milites praesto<strong>la</strong>ri, sed collectis quos secum<br />
habebat centum fere militibus, cursu praepeti<br />
eis occurrere festinabat. Iam P<strong>la</strong>centiam<br />
venerat, quum iuxta fluvium Sesterrionem ad<br />
129
venerazione il corpo del beato martire<br />
Donnino, e che senza guardia, senza ascolte e<br />
senza ordine alcuno di milizia, alloggiavano<br />
con più sicurtà, che se e’ fussero in casa loro.<br />
Per <strong>la</strong> qual cosa avvicinatosi loro, il più che e’<br />
potette segretamente, ed assaltatigli a <strong>la</strong><br />
improvvisa su’l primo sonno, agevolmente gli<br />
mise in rotta. Bene è il vero che e’ non fu<br />
molta <strong>la</strong> uccisione; perché, pigliato il<br />
marchese Alberto, che tra certi asini si era<br />
fuggito in una stalletta, ed avuti prigioni a<br />
man salva tutti i capi di quello esercito<br />
(eccetto però il conte Aldobrando, che si fuggì<br />
al primo romore), non si curò altrimenti il Re<br />
di fare uccidere que’ che fuggivano,<br />
giudicando, come era il vero che tutti fossero<br />
de’l popolo suo. Mandati dunque i presi a<br />
Pavia, e ritiratosi egli a Marinco, dove<br />
attendeva <strong>prima</strong> al<strong>la</strong> caccia, si tornò al solito<br />
spasso, fino a tanto che fra i Baroni si potesse<br />
deliberare quello che si avesse da fare di<br />
coloro che aveva<br />
presi[…]Dilettandosi…questo re assai de <strong>la</strong><br />
caccia, accadde che, trovandosi un<br />
giorno…appartato in quel<strong>la</strong> da tutti gli altri,<br />
fuori che so<strong>la</strong>mente da un suo creato, di chi<br />
egli molto si fidava, sopraffatto dal sonno e<br />
dal<strong>la</strong> fatica, si ose a dormire in su l’erba, e<br />
commesse a quel giovane suo favorito che<br />
dovesse guardarlo fin che esso alquanto si<br />
riposava. Ugo (che così aveva nome colui, ed<br />
era figliolo di quel conte Manfredi, che per <strong>la</strong><br />
ribellione sua poco avanti perse <strong>la</strong> testa),<br />
vedevdo che il Re dormiva profondamente, e<br />
ricordandosi molto più del<strong>la</strong> fresca morte del<br />
padre, che de’ benefizii infiniti ricevuti da esso<br />
Re, co’l quale sempre si era allevato, deliberò<br />
di torgli <strong>la</strong> vita. Ma, per farlo in maniera tale<br />
che non ci fusse per lui pericolo, non lo volle<br />
ferire co’l ferro; anzi, tolto un ramo assai<br />
grave, e percossolo con tutta sua forza tra il<br />
capo e il collo, non so<strong>la</strong>mente lo ammazzò con<br />
poca fatica, ma con ogni sicurtà sua. Perché<br />
adattato il morto in maniera, che e’ paresse<br />
caduto giù da’l cavallo, verisimilmente fu poi<br />
creduto da coloro che in questa guisa lo<br />
ritrovarono, che e’ si avesse fiaccato il collo<br />
per <strong>la</strong> gran forza del<strong>la</strong> caduta. E sarebbesi<br />
universalmente creduto sempre di poi così, se<br />
Ugo stesso nel<strong>la</strong> grandezza de’ Berengari non<br />
684 Storia, cit., passo alle pp. 76-78.<br />
685 Liuthprandi, cit., passo alle pp. 232u2-234u4.<br />
Burgum in quo sanctissimi et preciosi<br />
martyris Dominaci corpus positum<br />
veneratur, castra metasse nunciant.<br />
Ignorantes igitur quid superventura nox<br />
pareret, temulenti post nonnul<strong>la</strong> inutilia,…,<br />
id est, cantilenas, somno sese dedere,<br />
stertere: nauseam alij sumptus intemperantia<br />
facere. Rex igitur animi ferox, tum ingenio<br />
callens, in ipso eos noctis conticinio<br />
opprimit, dormientes ferit, oscitantes iugu<strong>la</strong>t.<br />
Ventum est denique ad illos qui ductores<br />
huius exercitus erant. Quumque eis non ex<br />
multitudine alius, sed rex ipse praec<strong>la</strong>ri<br />
huius facinoris nuncius esset, non solum<br />
pugnandi, sed et fugiendi terror ipse abstulit<br />
facultatem. Verum Hildebrandus fuga<br />
e<strong>la</strong>psus, Adelbertum intra animalium<br />
praesepe <strong>la</strong>titantem dereliquit: qui dum<br />
repertus, atque ante regis praesentiam<br />
ductus esset[…]His ita gestis, rex<br />
Lanthbertus iterum praesato in loco Marino<br />
venatioribus occupatur, quo ab omnium<br />
principum decreto quid super captis<br />
agendum esse deliberaret. Sed o utinam<br />
venatio haec feras caperet, non reges.<br />
[…]Maginfredus Medio<strong>la</strong>nensis urbis comes,<br />
cuius superius paulo fecimus mntionem, dum<br />
pro scelere in Rempub. Atque in regem<br />
commisso capitis iudicio damnaretur,<br />
unicum possessionis vicarium Hugonem<br />
filium dereliquit. Quem dum Lanthbertus rex<br />
tum forma egregia, tum animi audacia<br />
nonnullos superare videret: non paruum pro<br />
patris mortem dolorem col<strong>la</strong>tis visus est<br />
beneficijs mulcere quamplurimis. Unde et<br />
eum prae caeteris familiaritatis dilexerat<br />
privilegio. Factum est autem dum<br />
Lanthbertus rex nominato loco Marinco<br />
venatur…huc illucque cunctis ut moris est<br />
discurrentibus, hoc cum uno scilicet Hugone<br />
ipsum solum modo inibi remansisse.<br />
Quumque rex aprum in transitu<br />
praesto<strong>la</strong>retur, diuque multum remorante<br />
longa expectatione <strong>la</strong>ssaretur, paululum sese<br />
quieti dedit, vigiliae custodiam huic infido<br />
quasi fido commitens. Absentibus igitur<br />
cunctis, Hugonis mens custodis, imo<br />
proditoris atque carnificis col<strong>la</strong>torum<br />
beneficiorum immemor, plurimum patris<br />
mortem animo coepit revolvere: […]Verum<br />
130
avesse scoperto il vero. Ucciso così<br />
miseramente il giovane re Lamberto, non<br />
avendo i Principi dove gittarsi, o dubitando di<br />
non far peggio, richiamarono il r eBerengario.<br />
Il quale, ritornato a’l perduto regno, liberando<br />
il marchese Alberto con tutti i prigioni di<br />
Pavia, dopo infinite carezze fatte a ciascuno,<br />
ed al Marchese massimamente presentati ed<br />
onorati quanto e’ poteva, gli rimandò agli<br />
Stati loro.” 684<br />
con anime toto virium, ligno non modico<br />
collum fregit. G<strong>la</strong>dio quippe ferire timuit, ne<br />
peccati eius autorem res eum manifesta<br />
probaret. Eo nacque mens perversa ita egit,<br />
ut non g<strong>la</strong>dij cicatrix, sed ligni manifesta<br />
collisio, haec reperientibus fidem daret equo<br />
cecidisse, collique fractione hominem<br />
exivisse. Latuitque res per annos<br />
quamplurimos: sed dum processu temporis<br />
Berengarius rex nullosibi resistente, regn<br />
viriliter obtineret, ipse restus proprij sictu<br />
fuerat autor, extitit et proditor.[…]His itaque<br />
gestis quum Beregarius ampliori ac pristina<br />
dignitate regia honoraret, Adalbertus<br />
marchio et caeteri ad propria<br />
destinantur.” 685<br />
Il nuovo equilibrio, tuttavia, viene scosso immediatamente dall’entrata in scena di Lodovico<br />
Bosone di Borgogna, che in seguito al<strong>la</strong> rottura tra Alberto di Toscana e Berengario, rivendica<br />
il regno d’Italia. Guido prevale facilmente su Berengario e viene incoronato re d’Italia e<br />
imperatore dal pontefice nell’898. Epilogo che costituisce un’ulteriore dimostrazione del caos<br />
permanente provocato dal mutevole orientamento del<strong>la</strong> feudalità italica in una realtà ormai<br />
priva di un’autorità riconosciuta e accettata da tutti.<br />
Peraltro, si conferma il ruolo fondamentale giocato dal marchese di Toscana nel determinare<br />
l’esito delle lotte per <strong>la</strong> corona italiana. Rilevanza posta in evidenza sul<strong>la</strong> falsariga di<br />
Liutprando in contrasto con il basso profilo di Ludovico di Borgogna:<br />
“Dopo <strong>la</strong> morte del re Lamberto, certi Principi<br />
de’ Lombardi che non si contentavano di<br />
Berengario, unitisi co’l marchese Alberto di<br />
Ivrea, figliuolo di Anscario detto di sopra, e<br />
genero di esso Berengario, ma occulto nimico<br />
suo; sollecitarono tanto con lettere e con<br />
ambasciate Lodovico Bosone di Borgogna, che<br />
e’ lo indussero finalmente a venire armato in<br />
Italia, a pigliare il regno di quel<strong>la</strong>, e<br />
coronarsene Imperatore, come discendente di<br />
Carlo Magno.[…]Per il che, parendoli avere<br />
assai giusto titolo a’l regno d’Italia, se ne<br />
venne volenteroso a le promesse de’ collegati,<br />
e di Alberto massimamente, come di persona<br />
più segna<strong>la</strong>ta. Con ciò sia che egli è quello<br />
Alberto di chi si cantava ne’ tempi<br />
suoi…Alberto poca chioma, lunga spada e<br />
corta fede. E pure, nel<strong>la</strong> gioventù sua, era<br />
stato umanissimo sempre e costumatissimo, e<br />
di tanta liberalità, che se nel ritornare da <strong>la</strong><br />
caccia si incontrava a sorte in un povero, non<br />
avendo altrimenti che dargli, si levava il corno<br />
da collo, ed ancora che riccamente adornato<br />
di catene e fibbie d’oro, lo donava a quel<br />
Dum haec aguntur, pene omnes Ludovicum<br />
quondam Burgundionum genitum prosapia,<br />
nuncijs directis invitant ut ad se veniat,<br />
regnumque Berengario auserat, sibi<br />
obtineat: huius vero tam turpis scleris autor<br />
Adalbertus Iporegiae civitatis marchio erat,<br />
cui et idem Berengarium filiam suam nomine<br />
Gisi<strong>la</strong>m coniugio copu<strong>la</strong>verat, ex qua filium<br />
genuerat, cui et avi sui vocabulum dederat.<br />
Iste est, inquam, iste Berengarius ille, cuius<br />
immensitate Tyrannidis tota nunc luget<br />
Italia, cuiusque lenocinio a quibuscunque<br />
gentibus premitur non iuvaret[…]Praeterea<br />
idem Albertus, quod bonis monibus<br />
cavendum est, nequaquam sui similis fuit.<br />
Nam dum servente aetate iuvenilem duceret<br />
vitam, mirae humanitatis, miraeque<br />
sanctitatis fuit, adeo sane, ut si ei a<br />
venatione redeunti pauper occurreret,<br />
aliudque non esset quod illi praestare posset,<br />
cornu protinus quod collo eius sibulis aureis<br />
dependebat, sine di<strong>la</strong>zione concederet,<br />
rursumque ab eodem quanti aestimabat<br />
acquireret. Tam dirae autem postmodum<br />
131
poverello, ricomperando poi da esso per quel<br />
tanto che e’ lo pregiava. Fidandosi dunque<br />
Lodovico in su <strong>la</strong> riputazione di costui e degli<br />
altri confederati, venne velocemente in Italia;<br />
ma con esercito male gagliardo,<br />
persuadendosi follemente che i collegati<br />
fussero in ordine con tante genti, che <strong>la</strong> sua<br />
quasi fusse soperchia. Il che successe tutto<br />
l’opposito; perché sapendo <strong>la</strong> sua venuta il re<br />
Berengario, fattosi forte co’l marchese Alberto<br />
del<strong>la</strong> Toscana, avanti che i collegati fossero<br />
uniti, gli uscì contra in su <strong>la</strong> campagna, ed<br />
uscì sì grosso di gente ed in luogo tale,<br />
che…conoscendosi Lodovico assai inferiore,<br />
come abbandonato già da Lombardi non volle<br />
più tentare <strong>la</strong> fortuna: anzi, cercata <strong>la</strong> pace<br />
con Berengario, ed ottenuta<strong>la</strong> agevolmente,<br />
giurò (secondo <strong>la</strong> forma de’ capitoli fatti) con<br />
un sacramento fortissimo, di non ritornare mai<br />
più a <strong>la</strong> impresa d’Italia[…]Ma non istette<br />
molto in cervello; con ciò sia che, nata poco di<br />
poi certa dissensione tra Berengario ed<br />
Alberto Ricco, i medesimi Signori lombardi,<br />
collegatisi con Alberto, mandarono<br />
segretamente a richiamare Lodovico a’l regno,<br />
e con fortissimi sacramenti gli giurarono di<br />
essere con lui, e di fargliene avere corona.<br />
Persuaso dunque da essi, anzi pure dal<strong>la</strong> sua<br />
ambizione invitato, senza tenere altrimenti<br />
conto del<strong>la</strong> sua obbligata fede, ragunato uno<br />
esercito sgagliardissimo, se ne venne lieto in<br />
Italia; e, congiuntosi non so<strong>la</strong>mente co’<br />
Lombardi, ma co’ Toscani, se ne andò al<strong>la</strong><br />
volta di Berengario, il quale veggendo le forze<br />
di Lodovico…si ritirò nel<strong>la</strong> fedelissima sua<br />
Verona…Ma…Lodovico avvicinatosi con le<br />
sue genti, non so<strong>la</strong>mente lo cacciò di essa<br />
Verona, ma di tutto il resto<br />
d’Italia[…]Lodovico[…]visitando lo<br />
Stato…suo, se ne venne per <strong>la</strong> Toscana; ove<br />
dal ricco marchese Alberto sontuosamente fu<br />
ricevuto ed onorato fuori di maniera. Lande,<br />
veduto egli <strong>la</strong> milizia di esso Alberto, i<br />
servitori, gli arnesi, i cavalli, con il sontuoso<br />
vestire e <strong>la</strong> grossa spesa che e’ sosteneva,<br />
disse con alcuni dei suoi più fidati: Costui<br />
veramente si potrebbe chiamare più tosto re<br />
che marchese, non essendo egli punto minore<br />
di me, se non so<strong>la</strong>mente nel titolo. Queste<br />
parole tornate agli orecchi di Alberto, gli<br />
causarono tanto sospetto, che, e per questo e<br />
cactus est famae, ut huiusmodi vera de eo<br />
tam a maioribus quam a pueris cantio<br />
dicetur. Et quia sonorius est…Adelbertus<br />
comis curtis…quo signatur et dicitur longo<br />
eum uti ense, et minima fide. Huius itaque<br />
aliorumque ac nonnullorum Italiensium<br />
hortatu praefatus Ludovicus in Italiam venit.<br />
Cui mox Berengarius ut audivit, obviam<br />
venit. Quumque Ludovicus Berengario sibi<br />
obviam venienti, magnas adesse copias, sibi<br />
vero paucas cerneret, iureiurando ei hoc<br />
terrore compulsus promisit, ut si sese<br />
dimitteret, quibuscumque promissionibus<br />
accitus amplius in Italiam non veniret.<br />
Fecerat namque sibi Berengarius plurimis<br />
col<strong>la</strong>tis numeribus Adelbertum Thuscorum<br />
praepotentissimum marchionem valde<br />
fidelem, atque ideo Ludovicus tam facile est<br />
expulsus. Modica vero temporis trascursa<br />
intercapedine, rex Berengarius nominato<br />
Adalberto gravis est visus. Cui rei Berta<br />
coniunx sua, Hugonis regis qui nostro post<br />
tempore in Italia regnavit mater non modice<br />
fomitem ministravit. Unde factum est ut<br />
consulto eodem Adelberto marchione, caeteri<br />
Italienses principes propter eundem<br />
Lodovicum ut adveniret transmitterent. Qui<br />
cupiditate regnandi, dolitus iurisiurandi<br />
venit concitus in Italiam. Videus itaque<br />
Berengarius, quod Ludovicus tam ab<br />
Italiensium quam a Thuscorum susciperetur<br />
principibus, Veronam profectus est.<br />
Ludovicus vero cum Italiensibus eum<br />
prosegui non desistens, Verona etiam illum<br />
expulit, totumque regnum sibi viriliter<br />
subiugavit. His ita gestis, bonum visum est<br />
Ludovico, ut sicut circumcirca viderat<br />
Italiam, videret et Thusciam. Exiens denique<br />
Papia, proficiscitur Lucam, ubi decenter<br />
miroque paratu ab Adelberto suscipitur.<br />
Quumque Luvocius in domo Adelberti tot<br />
militum elgantes adesse copias cerneret,<br />
tantam etiam dignitatem, totque impensos<br />
prospiceret, invidiae zelo cactus suis<br />
c<strong>la</strong>uculum infit, hic rex potius quam marchio<br />
poterat appel<strong>la</strong>ri. In nullo quippe mihi est<br />
inferior, nisi solummodo nomine. Quae res<br />
Adelbertum <strong>la</strong>tere non potuit. Quod Berta ut<br />
erat mulier non incallida, audiens non solum<br />
virum suum ab eius fidelitate amovit,<br />
verumetiam caeteros Italiane principes ei<br />
132
per <strong>la</strong> continova istigazione e stimolo di Berta<br />
sua moglie, non so<strong>la</strong>mente si ritrasse da indi<br />
innanzi dal<strong>la</strong> fedeltà che a Lodovico aveva<br />
promessa, ma ne distolse anche <strong>la</strong> maggior<br />
parte di tutti gli altri Signori e Principi<br />
italiani…Lodovico non sapendo <strong>la</strong> ma<strong>la</strong><br />
volontà di Alberto e delgi altri, veduta <strong>la</strong><br />
Toscana a suo piacimento, si partì finalmente<br />
da Lucca, e tornossi a stare in Verona.” 686<br />
infideles effecit. Unde factum est, ut dum e<br />
Thuscia rediens, Veronam pergeret,<br />
degeretque ibidem, nihil haesitans, nihilque<br />
mali suspicans, Berengarius dato precio,<br />
custodes civitatis corruperit, collectisque<br />
viris fortissimis, in ipso noctis conticinio<br />
civitatem ingressus fuerit.” 687<br />
Tuttavia, al di là del<strong>la</strong> dipendenza letterale da Liutprando dimostrata in questa col<strong>la</strong>zione,<br />
l’autore tende ad accentuare ulteriormente il divario esistente tra le figure di Alberto e<br />
Ludovico, attraverso <strong>la</strong> giustificazione addotta da quest’ultimo per <strong>la</strong> sua discesa in Italia:<br />
l’essere legittimo discendente di Carlo Magno. Rivendicazione che, appunto, è assente<br />
nell’Antopodosis e che viene smontata in queste pagine dal Giambul<strong>la</strong>ri, grazie al<strong>la</strong> lezione<br />
insegnata agli altri principi italiani dall’esempio di Alberto. Quest’ultimo, infatti, in seguito<br />
al<strong>la</strong> scoperta dell’invidia dimostrata nei suoi confronti da Ludovico, dimostra:<br />
“loro, con lo esempio di sè medesimo, quanto fusse pericoloso lo aderire ad un forestiero,<br />
tanto barbaro che abbia invidia a’ sudditi suoi, e desideroso che e’ siano poveri per apparire<br />
sublime tra loro; non per <strong>la</strong> virtù, come i successori veri di Carlo Magno, ma per <strong>la</strong> roba e <strong>la</strong><br />
grandezza delle facoltà; le quali era egli forzato tòrre ad altrui, poiché e’ non le avea da sè<br />
medesimo.” 688<br />
Chi veramente sembra più vicino al<strong>la</strong> figura di Carlo Magno, pertanto è Alberto, quasi a<br />
sostenere una sorta di <strong>prima</strong>to Toscano nello scacchiere italiano, perfettamente in linea con <strong>la</strong><br />
prospettiva politica medicea del nostro canonico.<br />
Non meno agitata comunque del<strong>la</strong> situazione italiana appare quel<strong>la</strong> francese. Nonostante<br />
Oddone <strong>prima</strong> di morire attribuisca <strong>la</strong> corona francese a Carlo con unanime consenso del<strong>la</strong><br />
nobiltà francese, <strong>la</strong> pace dura poco, secondo quanto il Giambul<strong>la</strong>ri ricava da Reginone:<br />
“Oddone…il non legittimo re di Francia…il<br />
terzo dì di Gennaio nello ottocento<br />
novantotto, finalmente passò di vita[…]I<br />
Principi dopo le reali esequie di Oddone,<br />
sotterrato in San Dionigi, accordatisi al bene<br />
comune accettarono Carlo nel regno, e gli<br />
guurarono fedeltà e obbedienza…” 689<br />
“Anno dominicae incarnationis DCCCXCVIII<br />
Otto rex negritudine pulsat, et mense<br />
Ianuario, die tertio eiusdem mensis diem<br />
c<strong>la</strong>usit extremum, et apud sanctum Dionysium<br />
cum debito honore sepulturae mandatur.<br />
Principes in unum congregati, pari consilio et<br />
voluntate, Carolum super se constituunt.” 690<br />
Le pressioni dell’aristocrazia francese, infatti, costringono Carlo il Semplice a combattere il<br />
già menzionato Suembaldo responsabile di alcuni torti subiti dal duca Reginario e dal conte<br />
Odoro, in una guerra priva di ogni risultato e vantaggio tangibile:<br />
“Aveva il re Suembaldo tra i più intimi e cari<br />
suoi il duca Reginario, fedelissimo ed unico<br />
suo consigliere; ma…adiratosi con esso lui,<br />
lo privò di tutti gli onori e di quanto aveva<br />
nel regno suo, e lo bandì ad uscire di quello<br />
in termine di giorni quattordici, sotto pena<br />
del<strong>la</strong> persona. Reginario vedutosi così<br />
686 Storia, cit., pp. 80-82.<br />
“Zundibolch Reginarium ducem sibi<br />
fidatissimum, et unicum consiliarum, nescio<br />
cuius istinctu a se repulit, et honoribus,<br />
haereditatibus, quas in suo regno habebat,<br />
interdictis, eum extra regnum infra XIIII dies<br />
secedere iubet. Ille, adiuncto sibi Odoro<br />
comite, et quibusdam alijs cum mulieribus et<br />
133
vituperosamente cacciato dal signor suo, si<br />
collegò con il cote Odocro e con alcuni altri<br />
pochi amici di Suembaldo ed inviato le<br />
donne, i figliuoli e le robe al Castel Durfo e<br />
ridottivisi egli ancora,attese a munirsi in<br />
quello, avvenga che inespugnabile, rispetto a<br />
le paludi, a’ ritrosi e a le rivolte che<br />
d’intorno vi fa quel fiume. Suembaldo saputo<br />
questo, se ne andò con l’esercito a porvi il<br />
campo; ma veduta poi <strong>la</strong> difficoltà, anzi pure<br />
<strong>la</strong> impossibilità del<strong>la</strong> espugnazione, levatosi<br />
con poco onore da lo assedio, se ne tornò<br />
assai mal contento. Reginario con gli altri<br />
Signori predetti, andatisene a trovare Carlo il<br />
Semplice, lo condussero in Lottaringhia con<br />
esercito molto gagliardo. Suembaldo, sentito<br />
questo, ed accortosi più tardi de lo errore<br />
suo, si fuggì con pochi a’l sicuro; e mentre<br />
che Carlo con le sue genti se ne andò ad<br />
Acque e a Spira, egli passata <strong>la</strong> Mosa, e<br />
ragunati quei Baroni che gli osservarono <strong>la</strong><br />
fede, fece uno esercito ragionevole, e se ne<br />
venne contra il re Carlo, che partitosi a posta<br />
da Spira, si accostava per far giornata. La<br />
quale bene si sarebbe forse appiccata…se<br />
non che i Baroni dell’una e dell’altra<br />
parte…riconciliando i predetti duoi Re, e<br />
firmando una bel<strong>la</strong> pace, operarono che il re<br />
Carlo, ripassata <strong>la</strong> Mosa, si tornasse nel<br />
regno suo. Suembaldo…si rivolse ad<br />
espugnare Durfo, credendo di poter vincere<br />
agevolmente con <strong>la</strong> quantità dello<br />
esercito…ma conosciuto pur finalmente che<br />
tutto era perduto, comandò a’ suoi vescovi<br />
che scomunicassimo Reginario ed Odocro,<br />
con tutti bgli altri confederati…La qual cosa<br />
non volendo fare que’ Pre<strong>la</strong>ti…<strong>la</strong>sciò quello<br />
assedio inutile, e ritirassi a gli ultimi confini<br />
dello Stato suo…” 691<br />
parvulis, et omni supellectili in quondam<br />
tutissimum locum, qui Durfos dicitur intravit,<br />
ibique se communivit. Quod cum rex<br />
cognovisset, coadunato exercitu, castrum<br />
expugnare conatus, sed minime prevaluit<br />
propter paludes, et multiplices refusiones,<br />
quas in predicto loco Mosa fluvius facit. Rege<br />
ab obsidione recedente, presati comites<br />
Carolum adeunt, et eum cum exercitu in<br />
regnum introducunt. Zundibolch quamvis fero<br />
intelligens se circunventum, cum paucis fuga<br />
di<strong>la</strong>bitur. Carolus recto itinere Aquis venit,<br />
deinde Neumagum pererexit, interea<br />
Zundibolch ad Franconem episcopum venit, et<br />
cum omnibus suis secum adsumens, Mosam<br />
transijt, et ad Foriclimagos venit, ubi omnes<br />
proceres regni qui in illis partibus erant ad<br />
eum confluxerunt. Et ex desperatis itaque<br />
rebus, vires se recepisse cum gaudens,<br />
resumpta fiducia, contra emulum ad pugnam<br />
siciscitur. Carolum a Neumargo reversus,<br />
Pruniam venit, et inde adversus Zundibolch<br />
copias transfert sed appropinquantibus ex<br />
utraque parte exercitibus, nequequam pugna<br />
committitur, sed intercurrentibus legatis pax<br />
firmatur, sacramenta iurantur, Carolus<br />
transvadata Mosa, in suum regno<br />
regreditur.[…]Zundibolch demio cum exercitu<br />
ad Durfos venit, multitudinem totis viribus<br />
expugnare molitur. Sed cum minime conatus<br />
eius proficeret, Episcopus iubet ut<br />
Reginarium, Odacrum, et socios eorum<br />
anathemati sarent. Sed cum illi anathematis<br />
sententiam proferre recusarent, nimis<br />
exprobationibus et contumelijs utitur, et sic<br />
soluts obsidione, unusquisque ad propria<br />
redijt.” 692<br />
Il primo libro si chiude con il ritorno al<strong>la</strong> Germania dove si verifica <strong>la</strong> morte di Arnolfo,<br />
simbolo del<strong>la</strong> piena crisi del sistema imperiale:<br />
“circa confinia smemorati anni Arnolfus<br />
imperator migravit a speculo III. Kal.<br />
687 Liuthprandi, cit., passo alle pp. 244x2-245x3.<br />
688 Storia, cit., passo a p. 82.<br />
689 Ivi, passo a p. 78.<br />
690 Reginonis…annales, passo a p. 48i4.<br />
691 Storia, cit., passo alle pp. 79-80.<br />
692 Reginonis…annales, passo alle pp. 48i4-49i5.<br />
“Il quale nello ottocento novantesimo nono<br />
anno del<strong>la</strong> Salute, il vigesimo ottavo di<br />
134
Decembris, sepultusque est honorifice in<br />
Oddingas…” 693<br />
novembre…si morì miserabilmente in Ottinga<br />
di Baviera; ed onoratamente fu<br />
seppellito…” 694<br />
3. Libro secondo: Beato Renano, <strong>la</strong> nuova Germania e <strong>la</strong> Trans<strong>la</strong>tio imperii<br />
Sul<strong>la</strong> falsariga del<strong>la</strong> continuità del principio imperiale secondo <strong>la</strong> logica del<strong>la</strong> Trans<strong>la</strong>tio<br />
Imperii in Germania e al tempo stesso del motivo del<strong>la</strong> sua crisi storica secondo quanto<br />
abbiamo rilevato fino a questo punto del<strong>la</strong> Storia, non appare, pertanto, casuale che il secondo<br />
libro inizi con un profilo storico-geografico del<strong>la</strong> Germania.<br />
Ipotesi confermata anche dal fatto che il Renano sia <strong>la</strong> fonte principale delle numerose<br />
pagine dedicate a questa descrizione, integrato da un altra fonte: <strong>la</strong> Germaniae…explicatio 695<br />
del già citato Wilibald Pirchkeimer, amico e corrispondente sia del Renano, sia di Erasmo alle<br />
cui posizioni religiose a partire dal 1525, si avvicina, dopo gli iniziali entusiasmi per Hutten e<br />
Lutero 696 . Anche quest’opera si inscrive pienamente nel solco dell’esaltazione del <strong>prima</strong>to<br />
raggiunto dal<strong>la</strong> nazione germanica nel<strong>la</strong> realtà europea, inaugurata dal Celtis 697 .<br />
Nel<strong>la</strong> lettera dedicataria inviata all’arcivescovo di Colonia Hermann von Neuenahr 698 , il<br />
Pirchkeimer esprime in modo evidente, infatti, l’esigenza di trattare del<strong>la</strong> Germania negletta e<br />
dimenticata inspiegabilmente dagli stessi scrittori e geografi tedeschi 699 . I Germani, secondo il<br />
Pirchkeimer, hanno pensato più alle guerre che alle lettere. Diversamente i greci hanno<br />
raccontato soltanto favole sul loro conto 700 . I Romani invece, pur attenendosi in qualche modo<br />
al<strong>la</strong> verità storica come Tacito, hanno complessivamente minimizzato le gesta dei Germani e<br />
insieme ai Greci vengono stigmatizzati per gli enormi errori commessi in materia di<br />
cognizioni storico-geografiche, provocati comunque anche dallo sterminato e ininterotto<br />
andirivieni di popo<strong>la</strong>zioni. Scrive infatti il Pirchkeimer:<br />
“Romani vero, quondam ubique, fere propine studuerunt gloriae, non tam gesta sua<br />
maximis exulterunt <strong>la</strong>udibus, quam in comoda(forse è attaccato) a Germanis accepta callide<br />
texerunt. Quis enim eorum c<strong>la</strong>des a Carbone, seu L. Cassio, aut Scauro Aurelio, vel Servilio<br />
Coepione, sive M. Manlio acceptas exacte recenset, quas tamen brevissime Tacitus refert, et<br />
Caesar Cassium consulem occisum, exercitum vero eius pulsum esse nequaquam dissimu<strong>la</strong>t.<br />
693 Storia, cit., passo a p. 83.<br />
694 Reginonis…annales, cit., passo a p. 49i5.<br />
695 Germaniae ex variis scriptoribus perbrevis explicatio. Authore Bilibaldo Pirhkeymero Consiliario Cesareo,<br />
Augustae apud Hainricum Steiner, Norimbergae, Anno MDXXX in una cinquecentina pa<strong>la</strong>tina con scritti di<br />
autori varii in Biblioteca Vaticana, pp. 490a1-524e3; d’ora in poi indicata come Germaniae…explicatio.<br />
696 Willibald Pirchkeimer, cit., pp. 91-93.<br />
697 Cfr. in proposito J. Ridé, Un grand projet patriotique, cit., in partico<strong>la</strong>re p. 105.<br />
698 Ivi, Illustri ac generoso domino Herimanno Nevenario Comiti ac Praeposito Coloniensi et c. Bilibaldus<br />
Pyrchkeymerus S. D., Nurembergae Kalendis Iulij, MDXXX, p. 491a2. Su Hermannus de Weda (Hermann von<br />
Wied) arcivescovo di Colonia passato al luteranesimo nel 1543 si rinvia a C. Eubel-G. Van Gulik, Hierarchia<br />
Catholica Medii Aevi sive Summorum Pontificum, s.r.e. cardinalium, ecclesiarum, antistum series, 1898-1910,<br />
voll. X, in partico<strong>la</strong>re vol. III, Saeculum XVI ab anno 1503 complectens, 1910, p. 188.<br />
699 Ivi: “En tibi comes illustris Germaniam nostram in qua nil certius affirmo, quam quod nihil fere affirmo,<br />
attamen ansam fortassis tam tibi, quam eruditis reliquis praebuero, ut exactius, quam nos fecimus, Germaniam<br />
nostram illustrent. Quid enim absurduius, quam Germanos orbem descrivere universum, patriam tamen interim<br />
propriam nequaquam ex oblivionis vindicare barathro? ”.<br />
700 Ivi, a p. 492a3: “Admodum difficile est veteris Germaniae statum ac conditionem esplicare. Non solum ob<br />
priscorum scriptorum incuriam, sed quia fero tandem tota peragrata ac cognita est: etenim cum veteres<br />
Germani bellis potius, quam litteris operam impenderint, nil mirum, si res prec<strong>la</strong>re ab eis geste interciderint, aut<br />
minus fideliter a bexteris re<strong>la</strong>tae sint scriptoribus. Quid enim Graeci praeter fabu<strong>la</strong>s de Germania scripserunt?<br />
”.<br />
135
Quin et nul<strong>la</strong> praeterquam Paterculi nuper inventu extat i<strong>storia</strong>, quae Quintilij Varij cum<br />
legionibus internitionem explicat. Unde non ab re suspicari licet tam Plinij de bellis<br />
Germanicis libros, quam Cornelij ac aliorum scriptabas invidis esse soppressa, ne<br />
Germanorum gloria pl’s ut quo excelleret, accedit quod Romani et Greci scriptores ut<br />
plurimum ob ignorantiam locorum aberrarunt, non solum ij, qui nunquam ad Germaniam<br />
accesserunt, sed et qui res in il<strong>la</strong> gesserunt, cuius rei vel praecipuum documentum esse<br />
potest, quod Caesar flumen Scalde in Mosam influere scribit, ac Strabo Lupiam et Visurgim<br />
ad Amasium in unum deferri refert, accedit quod et nomina gentium, locorum ac civitatum,<br />
ubique; fere, ob pronunciationis difficultatem, depravata sunt et inversa. Demum vero<br />
universalis Germanorum transmigratio omnia confudit ac ita perturbavit, ut in quibusdam<br />
potius coniecturam sequi necesse est, quam quod aliquid certi asseri possit: nihilo minus<br />
tamen operam dabimus, ut brevissime, et si non omnia, at quaedam saltem loca tanquam e<br />
caecis eravamus tenebris, nil in hac re doctioribus praeiudicantes, sed libenter, ubi melius<br />
quam nos senserint, herbam porrigentes.” 701<br />
Istanze condivise dal Giambul<strong>la</strong>ri che motiva il ricorso al Renano nei seguenti termini:<br />
“porre un tratto questa provincia, e disegnar<strong>la</strong> con le parole, più distinta che sia possibile;<br />
si perché <strong>la</strong> Germania vecchia e <strong>la</strong> nuova, o vogliam dire <strong>la</strong> moderna, per il vero non sono<br />
tutte una; e sì ancora perché i diversi popoli, diversamente sopravenuti in diverse parti di<br />
quel<strong>la</strong>, in sì fatta maniera <strong>la</strong> hanno alterata e confusa tanto per tutto, che se non che i<br />
Germani stessi, e massimamente il giudicioso e dotto Renano, ce <strong>la</strong> hanno aperta e fatta<br />
palese, non si potrebbe assegnarne spanna, senza dubbio di grande errore.” 702<br />
L’autore ribadisce le profonde differenze intercorrenti tra Germania antica e attuale, e per <strong>la</strong><br />
<strong>prima</strong>, secondo quel duplice atteggiamento a cui corrisponde anche il riferimento costante a<br />
Tacito come auctoritas sul<strong>la</strong> Germania antica. In questo senso, infatti, secondo quanto emerge<br />
chiaramente dall’elenco dei popoli antichi del<strong>la</strong> Germania, e dal rinvio allo storico romano a<br />
proposito dei loro costumi, con cui il Giambul<strong>la</strong>ri inizia questo prospetto, <strong>la</strong> sua Germania<br />
costituisce un riferimento ineludibile 703 :<br />
“e che i popoli natii di quel<strong>la</strong>, o che<br />
anticamente l’hanno abitata, sono gli Angli,<br />
gli Angrivarii, gli Arii, gli Avioni, i Bastarni<br />
altrimenti Peucini, i Batavi, i Brutteri,i Burii,<br />
i Camavi, i Caninefeti, i Casuari, i Catti, i<br />
Cauci, i Cheruci, i Cimbri, i Dulgibini, gli<br />
Elisii, gli Eluconi, gli Ermondori, gli Estioni,<br />
gli Eudosi, i Fenni, i Fosi, i Frisi, i Gambrivi,<br />
i Gottini, i Gottoni, i Longobardi, i Lemonii, i<br />
Ligii, i Manimi, i Marcomanni, i Marsi, i<br />
Marsigni, i Mattiaci, i Naarvali, i Narici, i<br />
Nuitoni, gli Osi, i Peucini cioè Bastarni, i<br />
Quadi, i Reudigni, i Ruigi, i Semnoni, i Sitoni,<br />
i Svadi, i Svevi, i Svioni, i Tenteri, i Teutoni, i<br />
Vandali, i Varini, i Venedi, gli<br />
Usipeti…Questi così fatti popoli e genti, che<br />
“Teutones, Cimbri, Marsi, Gambrivij, Svevi,<br />
Vandali, Batavi, Caninesates, Mattaci, Catthi,<br />
Usipij, Tencteri, Bructeri, Chamavi,<br />
Angrivarij, Frisij, Chauci, Cherusci, Dosi,<br />
Semnones, Longobardi, Reudigni, Aviones,<br />
Anglij, Varini, Eudoses, Suardones,<br />
Nuithones, Hermunduri, Narici, Marcomanni,<br />
Quadi, Marsigni, Gothini, Osi, Burij, Lygii,<br />
Arij, Helvecones, Manimi, Elysij, Naharvali,<br />
Gothones, Rugij, Lemonij, Suiones, Aestiones,<br />
Sitones, Peuciai sive Bastarne, Fenni ac<br />
Venedi ex Cornelio Tacito.” 705<br />
701 Ivi, passo alle pp. 492a3.<br />
702 Storia, cit., passo a p. 87.<br />
703 In proposito cfr. De situ, moribus, populis Germaniae libellus in P. Cornelii Taciti…Annalium…, cit., in cui<br />
nel<strong>la</strong> seconda parte da p. 634r5 a p. 644s2 sono elencati e trattati tutti i popoli germanici; inoltre al riguardo cfr.<br />
G. Costa, Le antichità germaniche, cit., p. 61.<br />
136
del tutto son quasi spenti, che maniere e modi<br />
tenessero circa le loro azioni, si chiaramente<br />
lo scrive Cornelio Tacito, che non accade me<br />
ragionarne.” 704 .<br />
Anche se come abbiamo evidenziato in precedenza, Tacito, viene criticato nel momento in<br />
cui cristallizza <strong>la</strong> realtà del<strong>la</strong> Germania secondo una prospettiva arcaica incapace ormai di<br />
rappresentare <strong>la</strong> sua attuale configurazione, tuttavia proprio quel<strong>la</strong> condizione arcaica e<br />
incontaminata dei suoi popoli tanto idealizzata dallo storico romano, ne ha permesso<br />
l’affermazione ed il trionfo storico. Tacito, infatti, evidenzia lo spirito mai domo dei Germani<br />
che resistono strenuamente contro i Romani 706 . Scrive, infatti, il Giambul<strong>la</strong>ri, con implicita<br />
ma evidente allusione allo storico romano:<br />
“Per il che…dico so<strong>la</strong>mente quanto a <strong>la</strong><br />
i<strong>storia</strong>, che <strong>la</strong> antica o vecchia Germania,<br />
ancora che lungamente combattuta già dai<br />
Romani, e due volte in gran parte fatta<br />
soggetta, cioè da Augusto sino in su l’Albi e<br />
da Probo sino oltre al Neccaro…non istette<br />
però giammai lungamente né pacifica né<br />
sottoposta…” 707 .<br />
“Bis itaque Germaniae vetus redigi in formam<br />
provinciae coepit, semel sub Augusto<br />
provectis ad Albim usque Romanorum<br />
exercitibus, deinde ad Nicrum promoto limite<br />
Probi Caesaris principatu.” 708<br />
I Germani sconfiggono al<strong>la</strong> fine i romani e compiono <strong>la</strong> trans<strong>la</strong>tio imperii grazie a questo<br />
spirito incorrotto ed indomito. I miti tacitiani, agiscono come una sorta di spiegazione delle<br />
cause ultime del passaggio dal<strong>la</strong> vecchia al<strong>la</strong> nuova Germania, sebbene profondamente<br />
diversa. La nuova Germania, infatti, a livello geografico-storico è molto più estesa di quel<strong>la</strong><br />
antica perché nasce dall’acquisizione di dieci province che si situavano rispettivamente<br />
quattro a sinistra del Reno e sei a destra del Danubio, precedentemente amministrate dai<br />
Romani 709 . Nelle seguenti pagine il Giambul<strong>la</strong>ri elenca e descrive una per una queste province<br />
e <strong>la</strong> loro strutturazione romana fino alle trasformazioni provocate dalle vittorie germaniche,<br />
secondo una ripartizione chiaramente attinta dal Renano ma analoga anche nell’opera del<br />
Pirchkeimer 710 che parte dalle quattro province a sinistra del Reno:<br />
704 Storia, cit., passo alle pp. 87-90.<br />
705 Rerum, cit., passo a p. 6a3 e per gli usi e i costumi in stretta dipendenza da Tacito, ivi, p. 7a4 dove leggiamo:<br />
“Populi Germaniae veteris in summa libertate vixerunt. Ne tamen putes libertatem in anarchiam elisse, reges ex<br />
nobilitate quaeque natio, duces ex virtute sumebant ut scribit Tacitus. […]Adulteria severe puniebant. Noctes<br />
interdum epu<strong>la</strong>ndo transmittebant, non solum dies: nam diem, inquit Tacitus, noctemque continuar potando nulli<br />
probrum.”<br />
706 Vedi De situ, moribus, populis Germaniae libellus in P. Cornelii Taciti…Annalium, cit., alle pp. 638r7-<br />
639r8 in cui leggiamo “sescentesimum et quadragesimum annum urbs nostra agebat cum primum Cimbrorum<br />
audita sunt arma Caecilio Metello ac Papirio consulibus. Ex quo si ad alterum imperatoris Traiani consu<strong>la</strong>tum<br />
computemos, ducenti ferme et decem anni colliguntur: tam diu Germania vincitur. Medio tam longi aevi spatio<br />
multa in vicem damna. Non Samnis, non Poeni, non Hispaniae Gallieve, ne Parthi, quidam saepius admonuere:<br />
quippe regno Arsacis acrior est Germanorum libertas. Quid enim aliud nobis quam caedam Crassi, abisso et<br />
ipse Pacoro, infra ventidium deiectis Oriens obiecerit? At Germani Carbone et Cassio et Sauro Aurelio et<br />
Servilio Caepione Maximoque Mallio fusis vel captis quinque simul consu<strong>la</strong>ris exercitus populo Romano, Varum<br />
trisque cum eo legiones etiam Caesari abstulerunt, nec impune C. Marius in Italia, divus Iulius in Gallia,<br />
Drusus ac Nero et Germanicus in suis eos sedibus perculerunt. Max ingentes c. Caesaris minae in ludibriumi<br />
versae. Inde otium, donec occasione discordiae nostrae et civilium armorum expugnatis legionum hibernis etiam<br />
Gallias adfectavere ac rursus pulsi. Inde proximis temporibus triumphati magis quam victi sunt.”<br />
707 Storia, cit., p. 90.<br />
708 Rerum, cit., passo riportato a p. 9b1.<br />
709 G. Costa, Le antichità germaniche, cit., pp. 61-62.<br />
710 Nel Germaniae…explicatio, scrive infatti, <strong>prima</strong> di iniziare <strong>la</strong> descrizione regione per regione a p. 492a3-<br />
493a4: “Proinde licet scriptores plerunque Germaniam a Gallia per Rhenum flumen dividi asserant, constat<br />
137
“Le quali dieci provincie…erano queste: <strong>la</strong><br />
Massima de’ Sequani, lo Argentoratico, <strong>la</strong><br />
Germania <strong>prima</strong> e <strong>la</strong> Germania seconda,<br />
tutte quattro giù lungo il Reno in su <strong>la</strong><br />
sinistra riva, o vogliam ire dal <strong>la</strong>to de’ Galli.<br />
L’altre sei in su <strong>la</strong> destra mano del Danubio<br />
erano <strong>la</strong> Rezia <strong>prima</strong>, <strong>la</strong> seconda che è<br />
Vindelicia, il Norico, <strong>la</strong> Pannonia <strong>prima</strong>, <strong>la</strong><br />
Valeria che è Croazia e <strong>la</strong> Pannonia<br />
seconda.” 711<br />
“La Massima adunche de’ Sequani, che oggi<br />
è il Contado del<strong>la</strong> Borgogna abbracciava ne’<br />
suoi confini iSequani, gli Elvezii, i Raurici, <strong>la</strong><br />
diocesi tutta di Basilea con <strong>la</strong> Sungavia, e<br />
con luoghi vicini a Colmar<strong>la</strong>, sino al<strong>la</strong><br />
fiumara Eccembaco, <strong>la</strong> quale un miglio<br />
lontana da Selestad parte da questa lo<br />
Argentoratico. La sua città principale era in<br />
quei tempi Visontio, che oggi è Bisanzone; e<br />
vi abitava il governatore soggetto al prefetto<br />
pretorio de’ Galli, insieme col generale de’<br />
soldati; i quali accasati nel castello Olinone<br />
vicinissimo a dove oggi abbiamo Basilea,<br />
difendevano il passo del Reno a chi venisse<br />
del<strong>la</strong> Germania.” 712<br />
“Lo Argentoratico, allora tratto<br />
Argentoratense, e ne di’ nostri chiamato<br />
Alsazia, conteneva Argentorato che è<br />
Strasburg, Brocomago che è Brump, Elcebo<br />
che è Selestad, o molto certo vicino a quello,<br />
e quasi <strong>la</strong> maggior parte del<strong>la</strong> diocesi di<br />
Argentina. Il governatore e capo di questa<br />
provincia era il Conte di Argentorato,<br />
suggetto al generale di<br />
Magunzia[…]cominciò a chiamarsi Alsazia,<br />
dal fiume anticamente già chiamato Ello, ed<br />
“Provincia iuxta Rhenum. Provinciae<br />
Romanorum, veterem Germaniam attingentes<br />
sunt, maxima Sequanorum, Tractus<br />
Argentoratensis, Germania <strong>prima</strong>, ac<br />
seconda. 713 […]Provinciae iuxta Danubium.<br />
Romanam Danubij ripam e regione<br />
Germaniae veteris attingebat Provinciae<br />
romanae, Rhetia <strong>prima</strong>, Rhetia seconda, sive<br />
Vindelicia, Pannonia <strong>prima</strong>, Valeria ac<br />
Pannonia secunda.” 714<br />
“Complectitur Maxima Sequanorum,<br />
Sequanos interiores, Helvetios, Rauricos,<br />
Sequanos exteriores sive cismontanos, ac, ut<br />
summatim dicam, totam dioecesim<br />
Basiliensem, hoc est, Sungaviam et loca<br />
Colmariae vicina usque ad fossam il<strong>la</strong>m<br />
terminalem Eccembachi rivi, ubi confinium est<br />
Maximae Sequanorum et Tractus<br />
Argentoratensis, uno milliario supra<br />
Selestadium[…]Utque iam olim…Visontionem<br />
caput habebat[…]apud Visontionem<br />
habitabat, viro spectabili Vicario septem<br />
provinciarum subiectus. Habebat haec quoque<br />
provincia suum ducem militarem,…Is apud<br />
Olinonem castellum…proxime Basileam,<br />
praesidium perpetuum habebat pro custodia<br />
limitis in Rheno contra Alemannos.” 715<br />
“Maximas Sequanorum excipit Tractus<br />
Argentoratensis…ijsdem propemodum finibus<br />
olim inclusus quibus nunc diocesis<br />
Argentoratensis circunscribitur[…]Continebat<br />
Argentorarum, Brocomagum, et<br />
Elcebum.[…]Argentoratensi tractui praeerat,<br />
ut arbitror, consu<strong>la</strong>ris Germaniae <strong>prima</strong>e,<br />
praeerat et Comes Argentoratensis,[..]Quem<br />
facile est coniectura non solum magistero<br />
peditum in praesenti quem et praesentalem<br />
vocant, sed ex Magunciacensi Duci,<br />
tamen Romanos eam quoque provinciam, quae ultra Rhenum est, <strong>prima</strong>m ac secundam adpel<strong>la</strong>sse Germaniam:<br />
quod profecto minime fecissent, si Germanis quicquid ultra Rhenum est, auferre voluissent, qui pridem ac ante<br />
Romanorum adventum in Galliam transierant, il<strong>la</strong>mque incolebant. Unde et lingua et legibus a Gallis, ut Caesar<br />
refert, differebant. Ab ea igitur Germaniae parte initium faciemus, quae ultra Danubium sita, et a Romani olim<br />
subacta est, indeque ad Rhenum inferiorem accedemus Germaniam demunque, ad Germaniam transgrediemur<br />
magnam. Verum sub initium hoc scire refert, Romanos Rhetiam, Vindeliciam et Noricum ab Augusti tempore<br />
usque ad Odoacris irruptionem, hoc est, per annos circiter quingentos possedisse, qui cum Italiam occupasset,<br />
omnes fere Romani nobis inco<strong>la</strong>s in Italiam reduxit, ne irruentibus Germanis cederent in praedam.”<br />
711 Storia, cit., passo alle pp. 90-91.<br />
712 Ivi, passo alle pp. 91-92.<br />
713 Rerum, cit., passo a p. 11b2.<br />
714 Rerum, cit., passo a p. 14b3.<br />
715 Rerum, cit., passo a p. 12b2.<br />
138
Illo da alcuni altri, che <strong>la</strong> divide quasi pe’l<br />
mezzo.” 716<br />
“La Germania <strong>prima</strong>, da alcuni detta<br />
superiore, posta tra lo Argentoratico e lo<br />
Obrunca, fiume che gli antichi dissero<br />
Mosel<strong>la</strong>, abbracciava tutto il paese dove ora<br />
si veggono Spira, Vormazia, Magonzia, Metz,<br />
Trier e buona parte di Lotteringia, a’ di<br />
nostri detta Loreno…Questa avvenga che<br />
fuori di Germania antica, fu chiamata con<br />
questo nome, rispetto agli abitatori, che per<br />
<strong>la</strong> maggior parte furono Germani; cioè i<br />
Mangioni, i Nemesi, i Triboli, i Treviri, i<br />
quali, molti secoli avanti a Cesare avendo<br />
passato il Reno, si erano accasati in su<br />
quel<strong>la</strong> riva e formatovi lo stato loro. Il<br />
governatore di questa sotto i Romani era il<br />
generale di Magonzia, il quale aveva sotto di<br />
sé undici capitani di soldati, alloggiati con le<br />
loro genti in diversi luoghi del<strong>la</strong> provincia,<br />
per guardare i passi del Reno, ancora che<br />
tutto poi fosse vano. Perché uditasi <strong>la</strong> morte<br />
di Aezio, fatto uccidere dal terzo<br />
Valentiniano, gli Alemanni non temendo più<br />
dei Romani, passando il Reno per viva forza,<br />
non so<strong>la</strong>mente uccisero e spensero gli<br />
eserciti e gli abitatori, ma disfatte le castel<strong>la</strong><br />
e le terre, e impadronitisi d’ogni cosa,<br />
annul<strong>la</strong>rono in essa ogni memoria e nome<br />
romano.” 718<br />
“La seconda Germania, da molti detta <strong>la</strong><br />
inferiore, cominciava dove Mosel<strong>la</strong> sbocca<br />
nel Reno, e distendendosi sino a l’Oceano,<br />
abbracciava ne’ suoi confini gli Ubii, oggi dì<br />
colonia Agrippina, i Tungri…e molti altri<br />
popoli che non accade specificarli.<br />
Governava<strong>la</strong> uno uomo conso<strong>la</strong>re, come<br />
ciascuna delle altre sei provincie del<strong>la</strong><br />
Gallia…” 721<br />
“…<strong>la</strong> Rezia; <strong>la</strong> quale, chiamata a dì nostri<br />
l’Alpi de’ Grigioni, o <strong>la</strong> Lega Grigia[…]Gli<br />
abitatori di questa erano i Reti stessi,<br />
anticamente stati Toscani, i Briganti, i<br />
716 Storia, cit., passo a p. 92.<br />
717 Rerum, cit., passo a p. 12b2.<br />
718 Storia, cit., passo a pp. 92-93.<br />
719 Rerum, cit., passoa p. 13 b3.<br />
720 Ivi, passo a p. 20c2.<br />
721 Storia, cit., passo a p. 93.<br />
722 Rerum, cit., passo a p. 14b3.<br />
consu<strong>la</strong>risque Germaniae <strong>prima</strong>e<br />
paruisse…Alsatia vulgo Provinciae nomen est,<br />
ab Alsa fluvio qui mediam interfluit, olim Elli<br />
nunc Il<strong>la</strong>e nomenc<strong>la</strong>tura celebratus.” 717<br />
“Hinc Germania <strong>prima</strong> quam elegantiores<br />
superiorem vocant, limitibus Argentoratensis<br />
dioeceos, Nemetensis, Borbetomagesis et<br />
Maguntiacentis, precipue finitur,<br />
Mediomatricos ac Treviros attingens.<br />
Siquidem hanc ad Obrincam amnem, hoc est,<br />
ad Mosel<strong>la</strong>e ripam quod Ptolomeaeus<br />
estendere videtur. Magnam itaque<br />
Lotharingiae partem olim<br />
complectebantur[…]Appel<strong>la</strong>ta Germania a<br />
Vangionibus, Nemetibus et Tribocis Germanis,<br />
qui in hanc Belgicae regionem a veteri<br />
Germania transito Rheno<br />
immigrarunt.[…]Germaniam <strong>prima</strong>m suus<br />
consu<strong>la</strong>ris quem arbitror Magonciaci sedem<br />
suam habuisse subditum vicario septem<br />
provinciarum. Dux certe limitum Rheni<br />
Magonciacensis est dictus, quod illic fortasse<br />
domicilium haberet. Huic parebant Praefecti<br />
militares undecim 719 […]Nam omnes hae<br />
provinciae a divi Augusti principatu Romanae<br />
ditionis fuerunt, donec sub Valentiniano tertio<br />
inclinatis Romani imperij rebus a Germanis e<br />
veteri inter Rhenum et Danubium Germania<br />
agminatim erumpentibus occuparentur, et<br />
prorsus germanici iuris fierent. ” 720<br />
“Sequitur Germania secunda sive inferior<br />
quae ripam Rheni finit. Habebat urbes<br />
maximas Ubiorum Agrippinam quae hodie est<br />
fiorentissima priscam magnificentiam opibus<br />
et magnitudine longe superans, et Tungrorum<br />
oppidum, […]Hac quoque rexit Consu<strong>la</strong>ris.<br />
Nam hae sex Galliarum provinciae<br />
guberanabantur a consu<strong>la</strong>ribus…” 722<br />
“Trans Danubium et etiam huius fontem a<br />
meridie statim occurit Rhetia quae in <strong>prima</strong>m<br />
et secundam dividitur…Prima Alpes etiam<br />
complectitur quas Grifonum vocant[…]Plinius<br />
139
Vennoneti, Runte, con una gran parte di quel<br />
paese che si chiama Rezia Atesina, o come i<br />
Tedeschi dicono Etschlender. Apparteneva<br />
questa provincia al<strong>la</strong> jurisdizione e dominio<br />
dello illustre Prefetto Pretorio del<strong>la</strong><br />
Italia…” 723 .<br />
La seconda Rezia:<br />
“Succede poi <strong>la</strong> seconda Retia, altrimenti<br />
Vindelizia; <strong>la</strong> quale ha per confini a ponente<br />
il Lico, a tramontana il Danubio, a levante lo<br />
Eno e a mezzogiorno le Alpi. E non è però<br />
tanto alpestre, ch’el<strong>la</strong> non s’al<strong>la</strong>rghi e non si<br />
distenda verso il Danubio[…]Queste due<br />
Rezie, <strong>prima</strong> e seconda vennero sotto a’<br />
Romani ne’ tempi di Cesare Augusto, domate<br />
per forza d’armi da i due suoi figliastri Druso<br />
e Tiberio: e vi si mantennero sotto<br />
l’amministrazione d’uno presidente suggetto<br />
allo illustre Prefetto pretorio d’Italia…” 725 .<br />
Il Norico:<br />
“Il Norico ha per confini a ponente lo Eno; a<br />
tramontana il Danubio; a levante le<br />
montagne di Calimbergo, a gli antichi già<br />
Monte Cezio del<strong>la</strong> Pannonia; e a<br />
mezzogiorno quel<strong>la</strong> parte dell’Austria che i<br />
moderni chiamano Corinzia.[…] Dividevasi il<br />
Norico in Ripense lungo il Danubio, e in<br />
Mediterraneo su verso l’Alpi. Venne suggetto<br />
a’ Romani sotto lo imperio di Augusto…” 728<br />
“che ultimamente è fatta Baviera.” 729<br />
La Pannonia <strong>prima</strong>:<br />
“Pannonia <strong>prima</strong>, da molti superiore e da’<br />
moderni nominata Austria, da ponente ha <strong>la</strong><br />
Baviera con le montagne di Calimbergo, da<br />
tramontana il Danubio, da levante Pannonia<br />
723 Storia, cit., passo a p. 94.<br />
724 Rerum, cit., passo alle pp. 14b3-15b4.<br />
725 Storia, cit., passo alle pp. 94-95.<br />
726 Germaniae… explicatio, cit., passo a p. 493a4.<br />
727 Rerum, cit., passo alle pp. 15-16b4.<br />
728 Storia, cit., passo a p. 95.<br />
729 Ibidem.<br />
730 Germaniae…explicatio, cit., passo a p. 494a5.<br />
731 Rerum, cit., passo a p. 16b4.<br />
732 Ibidem.<br />
libro tertio naturalis i<strong>storia</strong> Vennones inquit,<br />
Sarunetesque ortus Rheni amnis accolunt: sive<br />
quemadmodum ego legendum arbitror,<br />
Vennonetes, Runtetesque. Complectitur in<br />
super bonam partem eius regionis, quam<br />
<strong>la</strong>tine Rhetia Atesina dici potest. […]Rhetia<br />
<strong>prima</strong>…ad virum illustrem Praefectum<br />
praetorio Italiane pertinentes.” 724<br />
“Vindelicia adhaeret Rhetiae, vel potius illi<br />
inclusa est, terminatur autem ab ortu Flumine<br />
Aeno, a meridie Alpibus, ab occasu Lico<br />
fluvio, a Septentrionibus Danubio…” 726<br />
“Utraque Rhetia versus italiam alpestris est,<br />
ad Danubium p<strong>la</strong>nior.[…]Rhetiam secundam<br />
suus quoque praeses rexit, pertinebatque ad<br />
diocesim praefecti Praetorio Italiane. Iam<br />
inter duodecim Duces quos Romani in<br />
Occidente habebant…Porro de Rhetia<br />
vindeliciaque in provinciae forma redacta per<br />
Tiberium et Drusum iussu…” 727<br />
“Noricum incipit ab Aeno fluvio,<br />
protenditurque ad ortum Pannoniam usque,<br />
superiorem a meridie terminatur monte<br />
Carvanca, et Alpibus Noricis, ad Italiam<br />
usque; a Septentrionibus aut Danubio…” 730<br />
“Id sub Augusto factum est. Inter sex Illyrici<br />
provincias Noricum Mediterraneum, et<br />
Ripense Noricum annumerantur. Namduas<br />
faciunt Noricorum Provincias.” 731 “nunc vero<br />
inhabitant occasum versus Bavari.” 732<br />
“Pannonia superior. Pannonia terminatur ab<br />
occasu Norico: ab ortu vero. Pannonia<br />
inferiori, a meridie parte Istriae ac illyridis. A<br />
septentrionibus autem Danubio. Nunc vero<br />
140
seconda, che oggi si chiama Ungheria, e da<br />
mezzogiorno lo Illirico …Il presidente che <strong>la</strong><br />
governava sotto a’ Romani, teneva il quarto<br />
luogo tra tutti i governatori dello<br />
Illirico…” 733 .<br />
La Valeria:<br />
“Seguita <strong>la</strong> Valeria, parte certo del<strong>la</strong><br />
Pannonia, situata fra il Danubio e <strong>la</strong> Drava;<br />
e chiamata primieramente così ad onore di<br />
Valeria figliuo<strong>la</strong> dello imperadore<br />
Diocliziano, come nel diciannovesimo pone<br />
Marcellino. Questa aveva il suo presidente<br />
partico<strong>la</strong>re ed uno generale delle armi, con<br />
ventisei luoghi forti, dove per difesa del fiume<br />
stavano i soldati al<strong>la</strong> guardia. Perdessi<br />
nientedimanco sotto Valentiniano predetto: e,<br />
mutando signore o nome da indi innanzi fu<br />
poi Croazia.” 736<br />
La seconda Pannonia:<br />
“L’ultima delle sei provincie romane che<br />
lungo il Danubio fronteggiasse Germania<br />
antica, era <strong>la</strong> seconda Pannonia…Dividevasi<br />
nientedimanco in due, chiamandosi<br />
distintamente Sava o <strong>la</strong> Savia tutto ciò che di<br />
lei si truova tra <strong>la</strong> Sva fiume e il Danubio, e<br />
quell’altro resto resto Pannonia; avendo<br />
ciascuna il suo magistrato, cioè un correttore<br />
<strong>la</strong> Savia, ed un presidente <strong>la</strong> Pannonia.<br />
Avevano però fra loro a comune un Duca, il<br />
quale per difesa del<strong>la</strong> provincia, molestata<br />
quasi che sempre da gli assalti de’ Quadi e<br />
de’ Sarmati, teneva i soldati suoi in<br />
ventiquattro luoghi muniti: i nomi de’ quali,<br />
nel libro delle romane prefetture, e nel<strong>la</strong><br />
Germania del Renano, sino ad oggi possono<br />
vedersi.” 738<br />
il<strong>la</strong>m inhabitant Austriae populi.” 734<br />
“Habebat suum praesidem, Inter Illyrici<br />
provincias quartum obtinebat locum.” 735<br />
“Inter Danubium et Dravum Panoniae pars<br />
est Valeria, sic in honorem Valeriae<br />
Diocletiani filiae tum istituta tum<br />
cognominata quemadmodum Marcellinus<br />
memoriae prodidit. Croatia hodie vocant.<br />
Valeria ripensis appel<strong>la</strong>ta Praesidem habuit,<br />
et proprium ducem militarem…Is militares<br />
praefectos equitum et peditum hijs plerumque<br />
locis habuit.” 737<br />
“Ultima provinciarum que e regione veterem<br />
Germaniam spectant in Danubij ripa, est<br />
Pannonia seconda, cuius pars Savo flumini<br />
imminens Savia dicta est Romanis et<br />
Saviensis regio. […]Pannonia secunda<br />
praesidem suum habuit, Savia Correctorem,<br />
qui unicus per Pannoniam erat. […]Porrò<br />
dux Pannoniae secundae ripariensis sive<br />
Saviae praefectos militares oppidis diversis<br />
collocatos habebat…Haec locorum nomina<br />
quae hic et alibi retulimus, continet volumen<br />
de Praefecturis Romanis, elegantissimum<br />
antiquitatis monumentum. Porrò Pannoniam<br />
secundam et Saviam, Sarmatae et Quadi<br />
subinde rapinis exhauriebant et fatigabant<br />
obsidione…” 739<br />
Non è superfluo ravvisare nel procedimento del Renano l’influenza del metodo del Biondo<br />
anche se utilizzato per illustrare e celebrare <strong>la</strong> nascita storica del<strong>la</strong> nuova Germania 740 .<br />
733 Storia, cit., passo a p. 96.<br />
734 Germaniae…explicatio, cit., passo a p. 495a6.<br />
735 Rerum, cit., 17c1.<br />
736 Storia, cit., passo alle pp. 96-97.<br />
737 Rerum, cit., p. 17c1.<br />
738 Storia, cit., passo a p. 97.<br />
739 Rerum, cit., pp. 17-18c1.<br />
740 B. R. Reynolds, Latin Historiography, cit., in partico<strong>la</strong>re p. 32.<br />
141
Il Giambul<strong>la</strong>ri, infatti, ricorre all’autore alsaziano, debitore ancora una volta del<strong>la</strong> Germania<br />
tacitiana 741 , per spiegare l’origine storica del termine Germani, in re<strong>la</strong>zione all’espansione dei<br />
Teutoni nelle province galliche e quindi romane situate a sinistra del Reno:<br />
“Conviene adunque sapere, per trovarne <strong>la</strong><br />
verità, che il nome del<strong>la</strong> Germania (secondo<br />
che dice Tacito) non è ancora che, secondo il<br />
Renano, e’ sia pure avanti che Giulio Cesare<br />
molti secoli; con ciò sia che anticamente si<br />
chiamavano Teutoni; e chiamaronsi così<br />
lungamente, fino a tanto che una parte di<br />
loro, passato il Reno, entrarono in quel<strong>la</strong><br />
parte del<strong>la</strong> Gallia che fu poi Germania<br />
seconda, e vi fermarono le stanze loro. Questi<br />
partico<strong>la</strong>rmente furono i Tongri, oggi<br />
Brabanzani. A’ quali riuscendo felicemente <strong>la</strong><br />
fatta impresa, si aggiunsero molti compagni,<br />
che non volendo chiamarsi Tongri, né<br />
potendo senza <strong>la</strong> compagnia di que’ primi,<br />
aver nome per loro stessi, cercarono di porsi<br />
un nome onorevole, e che potesse confarsi a<br />
tutti; e trovato che nel<strong>la</strong> lingua loro tanto<br />
diceva German, quanto interamente o tutto<br />
virile, cominciarono a chiamarsi Germani;<br />
come aperto mostra il Renano.” 742<br />
“Ex Teutonibus qui primi trans Rhenum in<br />
Galliam migrarint, reperio fuisse Tungros.<br />
Eosque quum res successisset, tam egregium<br />
facinus suspicior novo tum vocabulo<br />
Germanos esse dictos. Nam Germanus<br />
Teutonica lingua prorsus virilem<br />
significat…Aque hoc Germanorum nomen est<br />
quod Tacitus ab ipsis Teutonibus inventum<br />
asserit, id est excogitatumet sibi inditum, nam<br />
cum victricis Tungrorum nationis peculiare<br />
vocabulum non omnibus comilitionibus<br />
fortassis usurpare liberet, proprium sibi<br />
nomen excogitarunt insignm audaciam<br />
exprimens, quo deinde Teutones omnes in<br />
patrijs adhuc sedibus agentes se p<strong>la</strong>usibiliter<br />
appel<strong>la</strong>runt. Itaque Tacito Germaniae<br />
vocabulum recens et nuper additum. Intellige<br />
recens si cum priscis illis Marsorum,<br />
Gambriviorum, Suevorumque appel<strong>la</strong>tionibus<br />
conferatur. Alioqui Germania nomen<br />
vetustissimum est et multis ante Iulium<br />
Caesarem seculis auditum. Porrò Tungri eo<br />
tractu consederent, ubi hodieque eius nominis<br />
oppidulum est, quae regio postea<br />
appel<strong>la</strong>tionem secundae Germaniae acquisivit<br />
pluribus videlicet Germanorum nationibus<br />
Tungrorumque exemplo transgressis. ” 743<br />
Anche il più recente nome di “Alemanni” è del resto collegato, dal Renano, al<strong>la</strong><br />
penetrazione e al<strong>la</strong> predazione delle terre romane che si trovano a meridione dell’Elba:<br />
“Così dunque abbiamo i Germani, da’ quali<br />
vennero poi gli A<strong>la</strong>manni. I quali, ancora che<br />
Teutoni, cioè Todeschi essi ancora, non sono<br />
però un popolo partico<strong>la</strong>re, ma una<br />
moltitudine varia e di genti e nazioni diverse<br />
raccolte in un corpo solo per andare a<br />
predare lo altrui; ed è il nome loro assai più<br />
moderno che quello de’ Germani. Con ciò sia<br />
(per quanto nel<strong>la</strong> vita di Proculo scrisse<br />
Vopisco) che nei tempi di esso Proculo, cioè<br />
ne gli anni duecentottantuno in circa, gli<br />
Alemanni, si chiamavano ancora Germani. E<br />
nientedimeno, il nome de gli A<strong>la</strong>manni si<br />
truova negli scrittori più di sessanta anni<br />
741 De situ, moribus, populis Germaniae libellus, cit., cfr. in partico<strong>la</strong>re p. 622q7.<br />
742 Storia, cit., passo alle pp. 98-99.<br />
743 Rerum, cit., p. 23c4.<br />
“Novum est Alemannorum nomen, et multo<br />
recentius quam Germanorum. Auditum autem<br />
est primum, ut suspicor, sub Probo Aug. Fl.<br />
Vopiscus in vita Proculi, nam Alemannos,<br />
inquit, qui tunc adhuc Germani dicebantur,<br />
non sine gloriae splendore contrivit. Cuius<br />
causa, quia Germanorum nomen usitatius<br />
erat, Alemannorum vero novuum et ignotius,<br />
praesertim Provincialibus. Itaque reperio<br />
longe antea Antoninum Caracal<strong>la</strong>m<br />
Alemannici cognomen usurpasse, quod<br />
Alemannorum gentes vicisset. Et C<strong>la</strong>udium<br />
Caesarem qui post Gallienum impavit legimus<br />
innumeras Alemannorum cohortes non procul<br />
142
<strong>prima</strong>; dicendo Elio Sparziano nel<strong>la</strong> vita di<br />
Caracal<strong>la</strong>, che morì nel duecentodiciotto, che<br />
scrivendosi egli già da se stesso Germanico,<br />
Partico, Arabico e A<strong>la</strong>mannico, perché aveva<br />
vinto gli A<strong>la</strong>manni, […]e scrivendo Sesto<br />
Aurelio, che C<strong>la</strong>udio secondo, combattendo<br />
non lungi dal <strong>la</strong>go di Garda con trecento<br />
Alemanni, uccise di loro tanto numero che <strong>la</strong><br />
menade a gran pena si potette ritrarre a casa.<br />
Dalle quali testimonianze manifestamente si<br />
vede che il nome de gli A<strong>la</strong>manni era molte<br />
decine avanti a quel tempo che Vopisco ci<br />
afferma che essi A<strong>la</strong>manni si chiamavano<br />
ancora Germani, cioè che non avevano<br />
ancora <strong>la</strong>sciato in tutto il primo cognome per<br />
il secondo che da loro si avevano formato:<br />
chiamandosi (come dice il Renano)<br />
A<strong>la</strong>manni, cioè combattenti per ispavento<br />
degli avversari, nel<strong>la</strong> maniera (dice egli) che<br />
fecero a’ tempi nostri, nel<strong>la</strong> Magna bassa<br />
quelle compagnie di soldati, che per<br />
maggiore terrore delle genti nominarono se<br />
stessi Diavoli. Furono dunque gli A<strong>la</strong>manni<br />
(come dice Agatia, con l’autorità di Asinio<br />
Quadrato, diligentissimo scrittore delle cose<br />
germaniche) una moltitudine ragunaticcia,<br />
raccolta insieme di vari popoli e compagine<br />
di soldati predatori, uscite per <strong>la</strong> maggior<br />
parte de’ Svevi di là dallo Albi, e di altre<br />
nazioni più lontane, che volendo passare e<br />
fare correrie e prede in su quello dei romani,<br />
ad imitazione di que’ primi che i Teutoni si<br />
erano voluti chiamare Germani, nominarono<br />
se stessi A<strong>la</strong>manni per ispavento de’ loro<br />
nemici.” 744<br />
Benaco <strong>la</strong>cu contudisse. Huius vocabuli<br />
etymologiam rectius explicat Asinius<br />
Quadratus, qui apud Agathiam, collectitiam<br />
gentem fuisse testatur, quam rem ipsum<br />
nomen praeserat. […]Enimvero suspicor<br />
quum Germani illi Septentrionales ex magna<br />
parte Svevi Transalbiani cum aliquot<br />
ulterioribus nationibus, mutare sedes et<br />
opportuniora ad depraedandas Romanorum<br />
provincias occupare loca constituissent, nam<br />
illic prae multitudine potentissimorum<br />
populorum, hinc Francorum, illinc, Svevorum,<br />
Quadorum et Marcomannorum vix ullus<br />
incursioni patebat aditus, imitati priores<br />
Germanos, qui transito Rheno primi sibi hoc<br />
nominis indiderunt, et ipsi novo vocabulo se<br />
Alemannos appel<strong>la</strong>runt, glorioso quidem<br />
nomine sed formidabili consanguineis populis<br />
ac miseris provincialibus, nempe quod<br />
fortissimi bel<strong>la</strong>tores essent et viri omnes. Nam<br />
haec est huius vocis germana interpretatio.<br />
Afferam huius rei simile exemplum. Nostra<br />
aetate militum manus in inferiori Germania se<br />
diabolos appe<strong>la</strong>runt, ad incutiendum terrorem<br />
ijs adversum quos mittebantur.[…]Non aliter<br />
ambitiosum hoc vocabulum collectae<br />
Germanorum genti fortunamque novam<br />
tentaturae p<strong>la</strong>cuit.” 745<br />
Una descrizione geografico-storica, pertanto, volta a mettere in risalto il dinamico<br />
espansionismo dei popoli tedeschi, perfettamente funzionale all’affermazione del concetto di<br />
Trans<strong>la</strong>tio imperii dai romani ai Germani che, svolta una parentesi sul Danubio, viene<br />
chiaramente rafforzata attraverso l’asserzione dell’origine germanica dei Franchi 746 :<br />
“Nasce, dunque, il Danubio nel<strong>la</strong> Svevia da<br />
uno non so se dire me lo debbia monte, non<br />
essenso eccelso né erto, o più tosto elevato<br />
colle, piacevole e di <strong>la</strong>rghe pascione<br />
abbondante, da’ Germani chiamato Abnoda o<br />
Abnova, che tutto è uno, dal quale piglia<br />
l’acqua il cognome, come pone Marziano<br />
Cappel<strong>la</strong>, e de’ moderni il dotto Renano,<br />
744 Storia, cit., passo alle pp. 99-101.<br />
745 Rerum, cit., pp. 40e4-41f1.<br />
746 G. Costa, Le antichità germaniche, cit., pp. 62-63.<br />
“Martianus Capel<strong>la</strong> satis innuit Danubium a<br />
monte Abnova ubi fontem habet, nomen<br />
invenisse, quum inquit, Hister fluvius ortus in<br />
Germania de cacumine montis ad novem<br />
sexaginta amnes assumens, etiam Danubius<br />
vocitatur. Tu scribe, de cacumine montis<br />
Abnovae, nam librarij vitium est. Nec<br />
curandum Abnoba scibatur an Abnova, pro b<br />
143
chiamandosi Danubio quasi venuta da<br />
Abnoba, o acqua di Abnova, usando molte<br />
volte i Germani <strong>la</strong> lettera d in vece di<br />
articolo, o per segno del genitivo. Ed è questa<br />
fonte sua tanto vicina a quel<strong>la</strong> del Reno, che<br />
alcuni, e C<strong>la</strong>udiano stesso con essi, hanno<br />
detto che e’ nasce in Rezia, e che el<strong>la</strong> è<br />
madre di tutti e due. La verità nientedimeno è<br />
sì fatta: che se ben da <strong>la</strong> fonte del Reno a<br />
questa non ha più spazio che quattro miglia,<br />
<strong>la</strong> roigine pure del Danubio è in Svezia, e non<br />
ne <strong>la</strong> Rezia; e che e’ nasce in principio<br />
piccolo, come tutte l’altre fiumare, non<br />
ostante che nelle mille dugento miglia che<br />
egli ha di corso, ricevendo in sé stesso<br />
sessanta fiumare grosse, poiché e’ si ha<br />
<strong>la</strong>sciato a sinistra dopo le spalle Franchi,<br />
Boemi, Moravi, Ungheri, Daci e Va<strong>la</strong>cchi, e a<br />
destra Svevi, Bavari, Austriani, Pannonj, con<br />
<strong>la</strong> Servia, Rascia e Bolgaria sì copioso di<br />
acque si percuote co’l mare maggiore, che<br />
ancora che secondo gli antichi con sette<br />
bocche, e secondo i moderni con sei,<br />
<strong>la</strong>rgamente vi si diffonda… ” 747 .<br />
enim uscimus usurpari. Germani D litera<br />
articuli loco addita dicebant Daunou prodie<br />
Abnau, Romani Danubium. Equidem<br />
Germanicum Abnovae vocabulum collem<br />
terrenum et campum pascuum quem nostrates<br />
augiam vocant, potius insinuat quam montem<br />
sylvosum. Et tali loco Danubij fons est.<br />
Proinde Tacitus molle et clementer aeditum<br />
montis Abnobae iugum asserit. Caeterum<br />
Herodotus ex civitate Pyrrhene Danubium<br />
fluere scribit et e Celtis.[…]Siquidem et<br />
Danubius fluvius inintio sumpto e Celtis et<br />
Pyrrhene civitate fluit, mediam secans<br />
Europam. Marcellinus libro XXII. Amnis vero<br />
Danubius, inquit, oriens prope Rauracos<br />
montes, limitibus Rheticis per <strong>la</strong>tiorem orbem<br />
protentus, ac sexaginta navigabileis pene<br />
recipiens fluvios, septem ostijs per hoc<br />
Scythicum <strong>la</strong>tus erumpit in mare. Haec ille.<br />
Tam propinquus autem fuit limiti Rhetiae<br />
Germaniae que Daubij fons, ut quidam<br />
dixerint Danubium oriri in Rhetia.<br />
C<strong>la</strong>udianus…” 748<br />
L’autore, infatti, respinge le fantasiose tesi sull’origine troiana dei Franchi, sostenendo<br />
invece il loro carattere di popolo germanico 749 , originariamente stanziato a stretto contatto con<br />
Cauci e Sassoni, secondo <strong>la</strong> tesi espressa dal Renano, (quardacaso concittadino del<br />
Wimpheling):<br />
747 Storia, cit., pp. 106-107.<br />
748 Rerum, cit., passo a p. 121q1.<br />
749 Storia, cit., vedi pp. 108-109.<br />
144
“Gli abitori non sono natii di questa<br />
provincia, comunemente detta Franconia, o<br />
Francia orientale, a differenza di quel<strong>la</strong> altra<br />
che propriamente si chiama Gallia; ma vi<br />
sono venuti d’altronde: cioè da Troia,<br />
secondo Unibaldo e tutti gli altri seguaci<br />
suoi; e secondo il Dotto Renano da lo oceano<br />
del<strong>la</strong> Germania, come dopo le novelle de’<br />
Monaci, raccolte con quel<strong>la</strong> più brevità che<br />
sarà possibile, ci sforzeremo fare<br />
manifesto.” 750<br />
“Tamen hic quando de Francis dicendum,<br />
commitere non potui, quin de origine<br />
nobilissimae gentis longe compertiora<br />
traderem quam a quoquam in hunc usque<br />
diem prodiga sciam. Nihil autem huc afferam<br />
quod non testimonijs autorem fide dignis sim<br />
comprobaturus. Neque enim Hunnibaldos et<br />
similes scriptores si dijs p<strong>la</strong>cet, sequar,<br />
quorum somnijs nihil inanius. Primum<br />
omnium, satis demirari nequeo veterum<br />
istorum licentiam, qui quoties de origine rei<br />
cuiuspiam parum constaret, statim ad fabu<strong>la</strong>s<br />
confugerint, fortassis in hoc Romanos et alias<br />
nationes imitati. Hinc est quod Francos nobis<br />
ex Troia deducunt, et de saepe mutatis horum<br />
sedibus atque extructa tandem Sicambria<br />
meras ineptias comminiscuntur. Nec mirum si<br />
rudibus illis seculis olim aussi sunt talia<br />
configere haud dubie monachi, nam praeter<br />
hos tum nemo norat literas.” 751<br />
In realtà è Johannes Thritemius a individuare erroneamente l’origine del<strong>la</strong> monarchia<br />
francese nel<strong>la</strong> radice troiana, fondandosi sulle tesi di Unibaldo, per supportare <strong>la</strong> precedenza<br />
storica dei Franchi rispetto ai romani e giustificare di conseguenza <strong>la</strong> vittoria di Carlo Magno<br />
su Roma e <strong>la</strong> trans<strong>la</strong>tio imperii ai Franchi 752 . Riguardo a questo autore abbastanza chiara<br />
appare <strong>la</strong> distanza del Giambul<strong>la</strong>ri:<br />
“E delle favole basti questo: vegnamo ora<br />
al<strong>la</strong> verità. Furono gli antichi Franchi,<br />
secondo che co’ buoni autori diligentemente<br />
mostra il Renano, popolo marittimo del<strong>la</strong><br />
antica e vera Germania, a’ confini de’<br />
Sassoni e Cauci.” 753<br />
“Igit Franci maritimus populus fuit, Oceani<br />
septentrionalis littus colens iuxta Chaucos ut<br />
arbitror Saxones. ” 754<br />
Pertanto, sebbene il Tritemio accolga come legittimo il passaggio dell’autorità imperiale dai<br />
Carolingi ai Germanici, il Giambul<strong>la</strong>ri mostra di non assecondare eccessivamente <strong>la</strong> sua<br />
esaltazione del<strong>la</strong> monarchia francese. Del resto, in linea con le posizioni del Gello e con <strong>la</strong><br />
stessa logica del<strong>la</strong> Storia, i riferimenti a Carlo Magno sono piuttosto brevi e fugaci atti a<br />
rappresentare il permanere di un’idea, quel<strong>la</strong> imperiale, che altrove rinascerà compiutamente e<br />
concretamente ma secondo basi statuali. Anche per questo si capisce bene <strong>la</strong> vicinanza al<br />
Renano che respinge le leggende di Unibaldo, evita ogni discussione sulle prerogative<br />
imperiali di Carlo Magno e individua nei re Sassoni gli alfieri dello sviluppo del<strong>la</strong> libertà<br />
germanica, dopo il declino dei Carolingi 755 . Il mito del<strong>la</strong> origine troiana del<strong>la</strong> monarchia<br />
francese, infatti, assume accanto all’altra tradizione del Rex Christianissimus che accompagna<br />
con annessi poteri taumaturgici <strong>la</strong> figura dei re di Francia una valenza di chiaro sostegno alle<br />
pretese francesi al trono imperiale. Rivendicazioni che risalgono addirittura ai tempi di Dante,<br />
750 Storia, cit., p. 108.<br />
751 Rerum, cit., passo a p. 29d3.<br />
752 Rinviamo a B. R. Reynolds, Latin Historiography, cit., p. 30.<br />
753 Storia, cit., passo cit. a p. 109.<br />
754 Rerum, cit., passo a p. 29d3.<br />
755 B. R. Reynolds, Latin Historiography, cit., pp. 32-33.<br />
145
e che traggono nuova linfa dallo scontro cinquecentesco tra Valois e Asburgo 756 . Linea<br />
sviluppata anche dal Postel in direzione francese in antitesi, come ampiamente visto, rispetto,<br />
al<strong>la</strong> prospettiva germanica filoasburgica sostenuta dal Giambul<strong>la</strong>ri. Divergenza, confermato<br />
del resto, anche riguardo a Paolo Emilio. Mentre il Giambul<strong>la</strong>ri lo utilizza come fonte del<strong>la</strong><br />
Storia, il visionario francese lo reputa inattendibile, in quanto demolisce <strong>la</strong> radice troiana del<strong>la</strong><br />
monarchia francese 757 . Questo discrimine peraltro non impedisce comunque al Giambul<strong>la</strong>ri il<br />
ricorso per <strong>la</strong> <strong>storia</strong> francese al Gaguin, già menzionato, convinto assertore del<strong>la</strong> matrice<br />
troiana del<strong>la</strong> monarchia francese 758 .<br />
La sconfessione del mito dell’origine troiana del<strong>la</strong> monarchia francese, espressa in questo<br />
passaggio, conferma pertanto ulteriormente che il senso complessivo del<strong>la</strong> Storia d’Europa<br />
risiede nel<strong>la</strong> giustificazione del<strong>la</strong> trans<strong>la</strong>tio imperii nel mondo tedesco. In tal senso anche<br />
l’assimi<strong>la</strong>zione dei Franchi a Cauci e Sassoni appare tutt’altro che casuale. I Cauci, infatti,<br />
primeggiano tra le tante tribù germaniche descritte da Tacito, esplicitamente richiamato in<br />
proposito dal nostro canonico, i Sassoni raccoglieranno dai Franchi <strong>la</strong> guida dell’impero una<br />
volta esaurito il ruolo direttivo dei carolingi discendenti di Carlo Magno. Nel<strong>la</strong> Storia,<br />
pertanto, il Giambul<strong>la</strong>ri scrive, in chiave evidentemente celebrativa del<strong>la</strong> matrice germanica di<br />
queste tribù:<br />
“La grandezza dei quali volendoci dimostrare Plinio, non disse i Cauci semplicemente, ma<br />
le genti (cioè nazioni diverse) de’ Cauci; e Cornelio Tacito, accennando questo medesimo,<br />
dice che i Cauci non so<strong>la</strong>mente posseggono uno spazio immenso di territorio, ma che e’ lo<br />
empiono ancora per tutto. Di questi dunque uscirono i Franchi; e da principio furono pirati,<br />
come i Sassoni loro vicini; corseggiando le maremme tutte di Gallia.” 759<br />
L’importanza del punto e <strong>la</strong> centralità del problema nel<strong>la</strong> riflessione storico-letteraria del<br />
nostro canonico è percepibile anche da una lettera scritta a Vincenzio Borghini il 7 marzo<br />
1548 concernente <strong>la</strong> legge salica e ripuana, nel<strong>la</strong> quale ancora una volta è dato scorgere <strong>la</strong><br />
conoscenza ed il non fortuito rapporto con <strong>la</strong> letteratura storica tedesca medievale e<br />
umanistica, attraverso <strong>la</strong> quale viene ancora tributato un grande rilievo al<strong>la</strong> trans<strong>la</strong>tio imperii<br />
nelle mani dei sassoni e all’origine germanica e non troiana dei francesi secondo le tesi del<br />
Renano:<br />
“Scrive Eginardo nel<strong>la</strong> vita di Carlo Magno queste parole:<br />
“Post susceptum imperiale nomen, quam adverteret multa legibus populi sui deesse, etiam<br />
Franci duas habent leges plurimis in locis valde diversas, cogitavit que deerant, addere; et<br />
756 In proposito rinviamo a Frances A. Yates, L’idea di monarchia in Francia in Charles Quint et l’ideè d’<br />
empire, in Fétes et cérimonies au temps de Charles Quint, a cura di J. Jacquot, Centre nationale de <strong>la</strong> recherche<br />
scientifique, Paris, 1960, ora in Astrea. L’idea di Impero nel Cinquecento, cit., pp. 147-152, in partico<strong>la</strong>re p. 147.<br />
757 In proposito rinviamo a C<strong>la</strong>ude-Gilbert Dubois, Celtes et Gaulois, cit., p. 63; cfr. inoltre il De rebus gestis<br />
Francorum, cit., a p. 2aII dove leggiamo : “Franci se Troia oriundos, esse contendunt. Ea capta, incensaque,<br />
nobilissimam civium manum, quos ferrum hostium ignisque non absumpsisset, duce Francione ad Maeotin<br />
paludem se contulisse: nec procul ab ea urbem condidisse: quam ad Valentiniam usque Caesarem Valientiniani<br />
filium incoluerint: ab eo primum honore auctos , ac in decem annos immunitate donatos, quod rebel<strong>la</strong>ntes<br />
A<strong>la</strong>nos in ditionem nominis Romani redegissent: deinde cum circumacto eo temporis spacio ad vectigal<br />
pensitandum revocarentur, imperiumque detrectaret, sedibus pulsos, Duce Marcomiro in eam Germaniae<br />
regionem quae nunc Franconia est, concessisse.”<br />
758 De origine Francorum, cit., cfr. fol. IIbIII in cui leggiamo: “Franci at pleraque aliae nationes a troianis<br />
praediisse gloriant. Quibus ob raptam a Paride Helenam in exilium actis …ad Meotydem <strong>la</strong>cum que Tanais<br />
influit, proxime A<strong>la</strong>nos frazione duce consedit. Ubi ex noie ducis appel<strong>la</strong>tione suscepta: sycambria sibi non<br />
mediocrem urbem panoniis finitimam exstruxerunt[…]”.<br />
759 Vedi nota 359.<br />
146
discrepantia unire: prava quoque ac perperam pro<strong>la</strong>ta corrigere. Sed in iis nihil aliud ad eo<br />
factum est, quam quod pauca capitu<strong>la</strong>, et ea imperfecta legibus addidit.” 760<br />
Riferimento importante anche perché <strong>la</strong> biografia di Eginardo viene proposta proprio nel<strong>la</strong><br />
silloge basileese del 1532 a testimoniare <strong>la</strong> continuità degli interessi del Giambul<strong>la</strong>ri in<br />
proposito e l’assidua riflessione del canonico <strong>la</strong>urenziano sulle tematiche imperiali e sul<br />
rilevante ruolo giocato nelle sue considerazioni dal testo in questione. La lettera infatti<br />
continua con <strong>la</strong> citazione del libricino composto dal conte di Huenara anch’esso presente nel<strong>la</strong><br />
suddetta silloge:<br />
“Et hermanno conte di Huenara, in quel libretto che egli scrive a lo Imperatore Carlo V. De<br />
<strong>la</strong> origine e de le sedie prime de Franchi, a questo proposito dice così:<br />
“Duas francos habuisse leges, ipsorum authores testantur salicam atque Ripuariam; quibus<br />
nullus Regum ante Carolum magnum adijcere quicque temptavit. Ea quum apud ipsos plurimi<br />
semper momenti habitae sint; ac in <strong>la</strong>tinam linguam posterioribus saeculis trans<strong>la</strong>tae<br />
reperiantur; eo maiorem adversarijs autoritatem prestabunt.<br />
Il che dice perché con alcuni vocaboli che sono in quelle vuol provare che i Franchi<br />
anticamente sono Germani. Et per questo ancora soggiugne poco di sotto:<br />
“Quod si quis dicere velit Ripuariam legem, solis Ripuarijs fuisse promulgatam; qui<br />
francores quidem socij, non de eadem gente erant: opponam illi salicam quae proculdubio<br />
antiquissima fuit; secundum quam indicare solebant Franci.” 761<br />
La stessa dedica rivolta dallo Huenara a Carlo V insieme al fatto che il suo autore vi<br />
intraprende una sistematica demolizione delle tesi troiane di Hunibaldo, documentano<br />
ulteriormente del<strong>la</strong> linea filogermanica e antifrancese del testo e ci confortano ulteriormente<br />
sull’orientamento assunto dal Giambul<strong>la</strong>ri nel<strong>la</strong> Storia 762 .<br />
Poi nel prosieguo del<strong>la</strong> lettera, riguardo al<strong>la</strong> distinzione tra Franchi e Sassoni, il Giambul<strong>la</strong>ri<br />
chiama in causa il Renano che evidenzia come <strong>la</strong> legge salica penalizzi fortemente questi<br />
ultimi:<br />
760 Vita et gesta Caroli cognomento Magni, Francorum regis fortissimi, et Germaniae suae illustratoris,<br />
autorisque optime meriti, per Eginhartum, illius quandoque alumnum atque scribam adiuratum, Germanum<br />
conscripta in Vitichindi Saxonis Rerum, cit., pp. 107i6-125L3, il passo citato dal Giambul<strong>la</strong>ri nel<strong>la</strong> missiva si<br />
trova a p. 121L1.<br />
761 Eiusdem Hermanni comitis nuenarii brevis narratio de origine et sedibus priscorum francorum in Vitichindi<br />
Saxonis rerum, cit., pp. 99i2-107i6. In realtà alle pp. 99i2-102i3 si trova <strong>la</strong> lettera dedicataria Invictiss. et<br />
clementiss. Ro. Im. Carolo austriaco…Hermannus a Nuenare, sacri imperij Germanici Comes, perpetuam<br />
felicitatem, ex Colonia Calendis Februarij. I passi citati nell’episto<strong>la</strong> si trovano nel<strong>la</strong> seconda parte del breve<br />
scritto, rispettivamente, alle pp. 105-106i5.<br />
762 Così infatti lo Huenara inizia alle pp. 102i3-103i4 il suo scritto: “De origine et sedibus Francorum<br />
pirusquam in Gallias eruperint, eorum qui hactenus eius gentis hi<strong>storia</strong>m scripserunt, nemo satis fideliter<br />
accurateque tractasse videt. Quidem enim antiquiores, que seculum illud infelicissimum esset, ad fabu<strong>la</strong>s<br />
plerunque, p<strong>la</strong>psi sunt: quoniam delectum non habebant. Nec sine bonarum literarum cognitione de rebus<br />
hi<strong>storia</strong>e exactum poterant, perferre iudicum. Fuerunt enim inter eos qui a troiano excidio Francorum<br />
deducerent gentem, idque tam aperte astruentes, ut etiam regum nomina adscriberet, nescio quid graecanicae,<br />
proprietatis subolentia. His omnibus prior ansam dedit Hunibaldus, quem vixisse putant non multo post Thedosij<br />
imp. tempora : licet mihi non multo fidei faciat autor tam fabulosos et barbarus: quem quum multis ex causis,<br />
tum vel maxime ob id suppositium putaverim, que Theodosij vel Gratiani temporibus nondum adeo<br />
degeneraverat in extrema barbariem Latinus sermo, ut tam abiecto stylo scribere potuisset. Praeterea quum,<br />
sicut ipse testatur, tam vehemens tunc Francorum in Ro. odium vigeret, ut multis in locis ne vestigia quidam Ro.<br />
Relinquenda putaverint, quo illorum memoriam extirpare e Germania atque Gallia possent, mihi verisimile non<br />
videtur, Hunibaldum ea ipsa lingua gentis suae hi<strong>storia</strong>m tradere voluisse, quam tam acriter, insectabantur<br />
omnes, sed opinor studiosum aliquem nonnul<strong>la</strong> ex Hunibaldo collegisse, eaque suo more sine ordine, sine<br />
sudicio sic in volutine redegisse, quemadmodum nunc apud quosdam habentur.[…] ”.<br />
147
“Il Beato Renano ancora nel II libro delle cose di Germania, ragionando de lo stato de <strong>la</strong><br />
Gallia et del<strong>la</strong> Germania, sotto i re imperatori franchi, dice<br />
ipsi franchi nunc salicam legem, nunc romanam, nunc Gombetam praeferebant. Salici<br />
Franci maius privilegium habebant. Nam hii solidum xii denararium pro multa solvebant. Si<br />
Frisius aut saxo offendisset Salicum Francum, XL. denararium solido multabatur. 763<br />
Del resto, nonostante l’attribuzione storico-geografica del fiume Sa<strong>la</strong> al<strong>la</strong> Germania,<br />
attraverso il ricorso a Paolo Emilio ed all’Irenico, Giambul<strong>la</strong>ri riconduce evidentemente <strong>la</strong><br />
legge Salica ai Franchi:<br />
Ma perché <strong>la</strong> tal legge si chiami salica, avvertite che sa<strong>la</strong> è una fiumana del<strong>la</strong> Germania<br />
per <strong>la</strong> quale penetrando (come dice Strabone) Druso nel Brutten, soggiogò quel<strong>la</strong> nazione; et<br />
morissi poi finalmente in questo paese medesimo, tra <strong>la</strong> Sa<strong>la</strong> e l’Albi fiumare notissime del<strong>la</strong><br />
Germania,: et però dice Paolo Emilio nel secondo libro delle istorie di Francia,<br />
“A sa<strong>la</strong> flumine salios francos inizio distos sunt qui tradant: atque inde salicam legem<br />
noncupatam. 764<br />
Et nello VIII, nel<strong>la</strong> vita di Filippo lungo, il medesimo Emilio:<br />
“Caeteri Francorum proceres defendebant, ius regni Franciae, virorum tantum, non et<br />
mulierum esse; legis salicae verba haec identidem recitantes: in terram salicam, mulieres ne<br />
succedant: terram salicam Regnum, Franciamque, interpretabantur. Salicorum Francorum<br />
gentem fuisse Ammianus Marcellinus refert:<br />
Il medesimo ancora non molto di sotto:<br />
“Utriusque tempestatis inclinationem passos Francos: cetera potius ius divina humanaque<br />
dissimu<strong>la</strong>ri, silerique quorum legem salicam abrogari 765<br />
Ma come i Ribuarij, o i Ripuarij non siano Franchi ma compagni dei Franchi, Advertite che<br />
lo Irenico nel<strong>la</strong> sua Germania nel libro XII dice così:<br />
“Ribuaria, Lociis saxonie est. Saxones et quorum Ribuaria nomine Tellus. Huius loci<br />
Geb<strong>la</strong>cense et alii mentionem fecerunt.<br />
Così da distinguere pur nel comune ceppo germanico Franchi e Sassoni nel sottolineare<br />
piuttosto <strong>la</strong> trans<strong>la</strong>tio imperii dai Franchi ai Sassoni invece che dai Romani ai Germanici,<br />
visto che i ripuarii coincidono con i Sassoni così da confermare l’accordo col Renano,<br />
marcando una certa distanza con lo Huenara 766 :<br />
“Erano adunque i Ribuarij sassoni e non Franchi. Ma perché lo Imperio nel tempo del<br />
conte Ugo e del<strong>la</strong> madre era già trasferito ne’ Sassoni, i monasterij di quel<strong>la</strong>…che assegnate,<br />
volendo mostrare che non contraffacevano per quello atto alle leggi imperiali, dicevano,<br />
763 Rerum, cit., passo a p. 90m1.<br />
764 Pauli Aemylii Veronensis, historici c<strong>la</strong>rissimi, de rebus gestis Francorum, ad christianissimum Galliarum<br />
Regem Franciscum Valesium, eius nominis primus, libri Decem, Parisiis imprimebat Michael Vascosanus sibi et<br />
Galeotto a Prato, MDXLIIII, (d’ora in poi de rebus gestis Francorum), passo a p. 45f5, lib. II.<br />
765 Ivi, lib. VIII, passo a p. 178zIII.<br />
766 Il quale peraltro già nel<strong>la</strong> lettera dedicatoria a Carlo V: Invictissimo et clementissimo Imp. Carolo Austriaco,<br />
eius nominis v. Hispaniarum, Pannoniae, Da<strong>la</strong>mtiae, Siciliaeque regi longe potentissimo, Hermannus a<br />
Nuenare, sacri Imperii Germanici Comes, perpetuam felicitatem, ivi, pp. 99i2-102i3, esalta <strong>la</strong> Trans<strong>la</strong>tio imperii<br />
dal mondo <strong>la</strong>tino a quello franco-germanico e distingue Franchi e Galli, al riguardo vedi il seguente passo alle<br />
pp. 100i2-101i3: “Haec Galliam tripartitam toties a nostris maioribus oppugnatam, tandem omni ex parte<br />
perdomuit, ipsiusque non modicam partem in hanc nationem transp<strong>la</strong>ntavit, ut ab alpibus, unde Rhenus effundit,<br />
usque ad occiduum oceanum Germanici iuris sit, quod Gallia prius Belgica dicebat. Reliquum autem Galliae de<br />
suo nomine Franciam appel<strong>la</strong>ri etiam hoc tempore videmus: unde constat Gallorum non tam victores quam<br />
exstinctos fuisse. Haec denique Ro. Imperium tanto tempore toti terrarum orbi non formidabile solum, sed etiam<br />
onerosum, brevi tempore contrivit, ipsamque Italiam victricem quondam gentium victoris ferre iugum compulit.<br />
Sic Germanorum virtuti cedere coacti sunt Romani, quos neque ferocia Annibalis cum tota Africa neque potentia<br />
Antiochi cum sua Asia, nec Pyrrhus, quamvis Graeciae esset imperator, frangere potuerunt.[…]”.<br />
148
legge…salica et Rebuaria, che è <strong>la</strong> Salica quanto agli ordinamenti de’ Franchi: et <strong>la</strong><br />
Robuaria quanto a quegli de’ Sassoni, rispetto ad Arrigo primo et ai tre Ottoni suoi<br />
discendenti che furono Sassoni tutti e quattro.<br />
Questo è quanto per hora ho da dirvi del<strong>la</strong> legge salica et robuaria: se altro me ne verrà<br />
per le mani ve ne farò parte. Et il simile sarete contento fare voi ancora, circa le più antiche<br />
memorie, de Privilegii et di altre scritture, pertinenti a <strong>la</strong> vita di Firenze o del dominio di<br />
quel<strong>la</strong>, che per il vero ogni notizia che se ne habbia; mi fia carissima.” 767<br />
Del resto, il Giambul<strong>la</strong>ri, nel<strong>la</strong> evidente fedeltà al Renano confermata anche tornando sul<br />
testo, non può che evidenziare chiaramente l’alterità di Galli e Franchi, in accordo anche con<br />
il Huenara e soffermandosi sulle lotte di questi ultimi contro Roma:<br />
“Di questi dunque uscirono i Franchi; e da<br />
principio furono pirati…E venedone ancora<br />
bene spesso per <strong>la</strong> fiumara del Reno dentro<br />
al<strong>la</strong> seconda Germania a predar<strong>la</strong> e correr<strong>la</strong><br />
tutta. De <strong>la</strong> quale cacciati per forza d’arme da<br />
lo imperatore Costantio padre di Costantino, e<br />
ripinti di là dal Reno, circa il<br />
dugentonavantaquattresimo anno del<strong>la</strong> Salute,<br />
non restarono però per questo di ritornare a<br />
predar<strong>la</strong> sotto Diocliziano; come aperto<br />
mostra Eutropio, oltre a tanti panegiristi,<br />
quanti scrissero in quel<strong>la</strong> età lodando ed<br />
esaltando que’ principi de lo havere liberato<br />
<strong>la</strong> Batavia, che oggi dì è O<strong>la</strong>nda, da <strong>la</strong><br />
violenza de’ Franchi, e restituito all’Imperio i<br />
confini e termini suoi; e Costantio<br />
massimamente, che fu capo di quel<strong>la</strong> impresa.<br />
Lodarono eziandio Costantino suo figliuolo<br />
per aver non so<strong>la</strong>mente abbattuti i Franchi,<br />
che erano tornati pure a predare, ma preso<br />
ancora Ascario e Ragaiso, duoi re di questo<br />
popolo indomito, e per ispavento di tutti gli<br />
altri, dopo diversi tormenti orribili, avergli<br />
messi nel teatro pubblico ad essere stracciati e<br />
smembratida le ferocissime bestie quivi<br />
condotte per questo effetto.” 768<br />
767 Lettera nel manoscritto Memorie e opere, cit., pp. 23-24.<br />
768 Storia, cit., p.109-110.<br />
769 Rerum, cit., passo a p. 30d3.<br />
770 Ivi, cit., p. 31d4.<br />
“ Proinde facile est videre videre quae nam<br />
proprie Francorum sedes fuerint et quidem<br />
avitae : siquidem non frustra addit<br />
Panegyristes, ex origine sui, sive ex originis<br />
suae sedibus, nempe tractus littoralis Oceani<br />
Germanici. Hinc quum in Galliam itinere<br />
pedestri incursare libuisset, praecipue<br />
Bataviam per Chaucos et Frisios infestabant,<br />
et extremae Galliae.[…]Aut haec ipsa, inquit,<br />
quae modo desinit esse Barbaria, non magis<br />
feritate Francorum velut hausta desederat,<br />
quam si eam circumfusa flumina et mare<br />
alluens operuisset. Id praecipue factum sub<br />
Costantio patrem Costantini. Bataviae<br />
liberationem omnes Panegyristae Con stantio<br />
ferunt acceptam, quorum unus ad<br />
Maximianum et Costantinum orans sic<br />
Costantij patris meminit. Multa ille, inquit,<br />
Francorum milia, qui Bataviam<br />
aliasque…Rhenum Terras invaserant,<br />
interfecit, depulit, abduxit. 769 […]Sed et<br />
Eutropius in Diocletiano refert Francos et<br />
Saxonas mare Gallicum infestasse. Per haec,<br />
inquit, tempora etiam Carausius, qui<br />
vilissime natus, in Serenae militiate ordine<br />
famam egregiam fuerat consecutus, quum<br />
apud Bonomiam per tractum Belgicae et<br />
Aremoricae, pacandum mare accepisset,<br />
quod Franci et Saxones infestabant…” 770<br />
[…] Itaque Constantinus adhuc adulescens<br />
patrem imitatus, Francos depellere est<br />
aggressus, et affuit fortuna. Siquidem duos<br />
Francorum reges cepit, Ascarichum et<br />
Ragaysum qui primi sunt quorum apud<br />
idoneos autores fiat mentio, nec illorum vitae<br />
149
pepercit, sed in terrorem Francorum, diris<br />
excruciatos supplicijs trucidari iussit. ” 771<br />
Affrontato il nodo del<strong>la</strong> derivazione dei Franchi, all’interno dell’ampia digressione storicogeografica<br />
sui popoli germanici, il Giambul<strong>la</strong>ri, ritorna sul problema con cui si apre l’azione<br />
del<strong>la</strong> <strong>storia</strong> a causa del<strong>la</strong> superficialità di Arnolfo: gli Ungheri. Essi infatti, invadono <strong>la</strong><br />
Germania, depredando<strong>la</strong> davanti agli occhi del nuovo imperatore Ludovico, del tutto<br />
impotente. La situazione, inoltre, è aggravata dalle contese interne all’aristocrazia germanica,<br />
ulteriore spia del malessere dell’impero. Ancora Reginone, attento ad evidenziare il<br />
permanente stato di guerra interno all’aristocrazia imperiale, è il riferimento del<br />
Giambul<strong>la</strong>ri 772 .<br />
Intanto in Italia, Berengario entra a Verona e trionfa su Ludovico Bosone recuperando il<br />
regno d’Italia:<br />
“…e presentatosi di notte fino a le mura<br />
secondo l’ordine posto <strong>prima</strong> con alcuni<br />
cittadini suoi amici che lo avevano fatto<br />
venire, fu ricevuto subito dentro con le genti<br />
che aveva seco. Ed egli non dando sosta<br />
alcuna o indugio a colorire il disegno suo,<br />
dirizzatosi al monte ed a le abitazioni del<strong>la</strong><br />
chiesa di San Pietro, dove, e per <strong>la</strong> bellezza<br />
del luogo e per maggior suo comodo, abitava<br />
il re Lodovico, <strong>prima</strong> che i nemici appena il<br />
sentissero, si impadronì per forza del tutto.<br />
Lodovico, udito lo strepito e vedutosi senza<br />
difesa, ce<strong>la</strong>tissimamente si fuggì in chiesa, e<br />
tacitamente vi si nascose di maniera che e’<br />
non fu né conosciuto né visto se non<br />
so<strong>la</strong>mente da uno de’ soldati di Berengario.<br />
Costui, dubitando e temendo che Lodovico<br />
non fusse ucciso se da gli altri fusse trovato,<br />
cercò di assicurarsi con Berengario de <strong>la</strong> vita<br />
almeno del prigione; e per questo andatone a<br />
lui…”Poi che Iddio vi ama tanto, che e’ vi ha<br />
fatto signore del vostro avversario, ben dovete<br />
voi ancora, per amor suo vincendo l’ire e gli<br />
sdegni vostri, usare di quel<strong>la</strong> clemenza, che<br />
da lui stesso ci è comandata”. Berengario,<br />
come persona savia ed astuta, si accorse a<br />
queste parole che ei sapeva il nascoso; e per<br />
farglielo confessare amorevolmente: “Credi<br />
tu però…uomo di poco giudicio, che io vogilia<br />
uccidere quel re che Dio ha dato nelle mie<br />
mani? Or non debbo io molto più imitare il<br />
santissimo David, che potendo con ogni<br />
sicurtà uccidere Saulle suo avversario, lo<br />
<strong>la</strong>sciò libero e in santa pace, non perché e’<br />
non potesse farne a suo modo, ma perché gli<br />
771 Ivi, cit., passo a p. 32d4.<br />
772 Storia, cit., pp. 111-114, e soprattutto nota sul passaggio 256-263 a p.111.<br />
“In huius vero collis summitate preciosi<br />
operis ecclesia est fabbricata, et in honore<br />
beatissimi Petri apostolorum principis<br />
consacrata, ubi et pro amoenitatem ecclesiae,<br />
locique munitionem Ludovicus manebat.<br />
Berengarius denique, ut prefati sumus noctu<br />
civitatem ingressus, c<strong>la</strong>m Ludovico suis cum<br />
miltibus pontem pertransiens, in ipso aurorae<br />
crepusculo hunc usque advenit. Qui c<strong>la</strong>more<br />
strepituque militum excitatus sciscitat quid<br />
esset, in ecclesiam fugit, nullusque eum<br />
praeter Berengarij militum unum ubi esset<br />
agnovit. Qui misericordia motus, noluit hunc<br />
prodere, sed ce<strong>la</strong>re. Timens vero idem, ne ab<br />
alijs repertus proderetur, vitaque multaret.<br />
Berengarius adijt, eumque ita convenit,<br />
Quandoquidem tanti deus te habuit, ut tuum<br />
proprias in manus traderet hostem, debes et<br />
te eius monita, imo precepta magnifacere :<br />
infit enim, Estote misericordes, sicut et pa.<br />
Ve. Mi. Est. Nolite iudicare, et non<br />
iudicabimini: nolite condemnare, et non<br />
condemnabimini. Intellexit itaque<br />
Berengarius, ut vir non incallidus, hunc quo<br />
ipse <strong>la</strong>teret scire locum, eumque hac<br />
sophistica responsione decepit. Putas ne me<br />
insulse quem mihi domius tradidit hominem<br />
imo regem velle occidere? Numquid et David<br />
sanctus regem Saulem a deo sibi in manus<br />
traditum servavit, non quod uccidere?<br />
Nunquid et David sanctus regem Saulem a<br />
deo sibi in manus traditum servavit, non quod<br />
uccidere non potuit, sed quia non voluit? His<br />
sermonibus miles inclinatus locum ostendit,<br />
in quem confugerat Ludovicus. Qui captus, et<br />
150
piacque conservarlo?[…]Il soldato persuaso<br />
da questo dire…insegnò subito a Beregario<br />
dove fusse il re Lodovico. Berengario…fattolo<br />
venire al suo cospetto, gli parlò in questa<br />
maniera: “Fino a quanto tu vorraiperò, o<br />
Lodovico, senza fede, usare ma<strong>la</strong>mente quel<strong>la</strong><br />
benignità e quel<strong>la</strong> pazienza che abbiamo<br />
avuto verso di te? Potrai tu giammai denegare<br />
di non essere stato altra volta in podestà<br />
nostra[…]Or non mi giurasti tu allora<br />
spontaneamente…di non tornare più<br />
nell’Italia, o noiarmi lo stato mio?[…]per non<br />
mancare de <strong>la</strong> mia promessa a colui che mi ti<br />
insegnò, ti concedo e ti do <strong>la</strong> vita…eccetto che<br />
gli occhi, perché questi voglio a Verona…”<br />
Così disse allora Berengario…comandò che<br />
gli fussero tratti gli occhi: il che fu eseguito<br />
subito…Berengario…si rimase re del<strong>la</strong><br />
Italia…” 773<br />
ante Berengarij praesantiam ductus,<br />
huiusmodi a Berengario sermonibus<br />
increpatur. Quousque tandem abutere<br />
Ludovice patientia nostra ? Num inficiari<br />
potes te illo tempore meijs praesidijs, mea<br />
diligentia circumclusum, comovere etiam<br />
contra non potuisse, meque misericordia<br />
inclinatum, quae tibi nul<strong>la</strong> debebatur, te<br />
dimisisse? Sensisti ne inquam te periurum in<br />
istis esse victum? Confirmasti sane mihi<br />
teipsum nunque Italiam ingressurum. Vitam<br />
tibi sicut ei qui te mihi prodidit promiserat,<br />
concedo: oculos vero tibi auferri non solum<br />
iubeo sed compello. His dictis Ludovicus<br />
lumine privatur, et Brengarius regno<br />
potit.” 774<br />
Il Giambul<strong>la</strong>ri, torna, però a trattare degli Ungheri, chiamati in causa, quasi in una specu<strong>la</strong>re<br />
corrispondenza con Arnolfo, da Leone V imperatore orientale per fronteggiare le violenze e <strong>la</strong><br />
guerra intrapresa dai Bulgari capeggiati dal loro capo Simeone. Nonostante <strong>la</strong> loro<br />
conversione al cristianesimo, essi costituiscono una terribile spina nel fianco dell’impero<br />
bizantino, avendo ottenuto da Costantino IV il possesso delle due Misie terre dalle quali come<br />
l’autore precisa “ancora che molestati poi molte volte da gli altri imperatori che successero,<br />
non furono però cacciati giamai, o rimossi…anzi sempre si stettero dove a dì nostri si stanno<br />
ancora.” 775<br />
Prima del racconto sullo scontro tra Leone ed i Bulgari viene ribadito sul<strong>la</strong> base del passo<br />
dell’Irenico già incontrato <strong>la</strong> provenienza dei Bulgari dal<strong>la</strong> Scandia e <strong>la</strong> loro origine<br />
germanica. Fonte privilegiata del dissidio bizantino-bulgaro in cui Leone chiede l’intervento<br />
degli Ungheri, i quali poi si rivolgono al<strong>la</strong> predazione del<strong>la</strong> nostra peniso<strong>la</strong>. Il racconto del<br />
Giambul<strong>la</strong>ri riceve evidente linfa da Liutprando:<br />
“Gli Unghieri predato e corso tutti i paesi<br />
detti di sopra, arrivando a confini del<strong>la</strong> Italia,<br />
avanti che entrassero in quel<strong>la</strong>, mandarono<br />
alcuni de’ loro che, fingendosi d’altra<br />
nazione, considerassino copertamente <strong>la</strong><br />
qualità del paese e <strong>la</strong> materia e forze di<br />
quello, e ne recassero notizia intera. Costoro<br />
considerando il tutto con diligenza e<br />
squadrato bene ogni cosa, ritornati alle genti<br />
loro, riferirono pubblicamente, il paese<br />
ricchissimo e abbondantissimo, con città<br />
grandi e forti, con castel<strong>la</strong> quasi infinite; ma<br />
si copioso di abitatori, che a loro non pareva<br />
a proposito il tentarlo con quello esercito:<br />
perché se bene per esperienza non si sapeva<br />
773 Ivi, passo alle pp. 114-115.<br />
774 Liuthprandi, cit., passo alle pp. 245x3-246x3.<br />
775 Storia, cit., passo a p. 118.<br />
“Nam Bulgarorum gentem atque Graecorum<br />
tributariam fecerant, ne quid inexpertum his<br />
esset, quae sub meridiano atque sub orientali<br />
degerent climate nationes visere fatagunt:<br />
immenso taque innumerabilique exercitu<br />
miseram petunt Italiam. Quumque iuxta<br />
fluvium Brennam defixis tentorialis, imo<br />
centonibus, triduo exploratoribus directis qui<br />
terrae situm gentisque multitudinem seu<br />
raritatem considerarent, repedantibus nuncijs<br />
huiusmodi responsa suspiciunt. P<strong>la</strong>nicies<br />
haec nonnullis plena colonis, uno et cernitis<br />
ex <strong>la</strong>tere montibus asperrimis atque fertilibus,<br />
altero mari cingitur Adriatico: oppida vero<br />
tum nonnul<strong>la</strong>, tum munitissima: gentis<br />
151
se <strong>la</strong> gente veduta era armigera ed animosa, o<br />
pure timida e mercantile, e’ si vedeva<br />
nientedimeno sì popoloso tutto il paese, che il<br />
meglio era tornare a casa; dove mettendo<br />
insieme più gente, ed esercitando quel<strong>la</strong><br />
vernata <strong>la</strong> gioventù in su l’armi, potrebbono a<br />
<strong>prima</strong>vera venirvi sì gagliardi e tanto<br />
provvisti, che non arebbono di che temere;<br />
anzi col numero e tcon <strong>la</strong> fierezza<br />
sapventerebbono tanto i nimici, che non<br />
ardirebbono pure di aspettare, non che di<br />
opporsi armati resistere. Al<strong>la</strong> moltitudine<br />
piacque il consiglio, e così chi <strong>la</strong> guidava.<br />
Laonde, senza intromettersi ad altra impresa,<br />
si tornarono in Ungheria; e, secondo l’ordine<br />
posto, attesero tutto quel verno ad esercitare i<br />
giovani, a fornirsi di archi e di frecce, ed a<br />
prepararsi copiosamente di tutte le cose a<br />
loro necessarie, per venire a acotanta<br />
impresa. Alo entrare nel mese di aprile,<br />
uscirono in su <strong>la</strong> campagna, e con esercito<br />
innumerabile, per <strong>la</strong> solita strada de’<br />
Barbari, cioè per <strong>la</strong> via del Frigoli (porta<br />
piacevolissima, <strong>la</strong>sciata aperta da <strong>la</strong> natura<br />
per gastigare le colpe d’Italia), se ne vennero<br />
senza contrasto, non so<strong>la</strong>mente a <strong>la</strong> già<br />
spianata Aquileia. Ma a Padova e a Verona, e<br />
finalmente sino a Pavia. Berengario, udendo<br />
come e venivano, e meravigliandosi…di<br />
questa nuova gente, del<strong>la</strong> quale sapeva<br />
appena il nome, fece subito dare a le armi in<br />
Toscana, in Lazio, in Umbria, in Romagna e<br />
per tutta <strong>la</strong> Lombardia; e così posto insieme<br />
un esercito per tre volte maggiore che lo<br />
unghero, ne andò subito contro al<br />
nemico.[…] 776 Di maniera che vedendosi egli<br />
tanto gagliardo in su <strong>la</strong> campagna, si<br />
prometteva il trionfo certissimo: ed<br />
attribuendo molto più al<strong>la</strong> virtù delle genti<br />
sue che a Dio, non so<strong>la</strong>mente cercava lo aiuto<br />
vero, ma né in parte lo umano ancora. Con<br />
ciò sia che, ritiratosi con alquanti famigliari<br />
in uno castelletto vicino…attendeva molto più<br />
a diletti suoi, che a <strong>la</strong> cura di tanto esercito.<br />
Gli Ungheri veggendosi a petto, una<br />
quanque ignoretur imbecillitas aut fortitudo,<br />
immensa tamen conspicitur multitudo. Neque<br />
enim hanc tam paucis copijs invadere<br />
hortamur: verum quum nonnul<strong>la</strong>e sint res<br />
quae nos pugnare compel<strong>la</strong>nt, triumphus<br />
scilicet assuetus, animi fortitudo, pugnandi<br />
scientia, opes paesertim quorum desiderium<br />
fatigamur, que hic tot insunt, quot toto in orbe<br />
nec vidimus nec videre speravimus: nobis<br />
tamen consultis, neque enim longum<br />
arduumve remeandi iter est, quod decem<br />
potest et eo minus diebus perfici, revertamur<br />
quatenus vere omnibus gentis nostre collectis<br />
fortissime redeamus, sitque his tum in<br />
fortitudine, tum nostra in moltitudine terror.<br />
Nec mora, his auditis, ad propria revertuntur,<br />
totamque hyemis asperitatem in fabricandis<br />
armis, in acuendis spiculis, in docendis<br />
iuvenibus belli notitiam ducunt. Sol necdum<br />
piscis signum deserens, arietis occupabat,<br />
quum immenso atque immumerabili exercitu<br />
collecto Italiam petunt. Aquileiam et Veronam<br />
pertranseunt munitissimas civitates, et<br />
Ticinum quae nunc alio excellentiori<br />
vocabolo Papia vocatur, nullis resistentibus<br />
veniunt. Rex igitur Berengarius tam<br />
praec<strong>la</strong>rum novumque facinus satis mirari<br />
non potuit: antehac enim neque nomen gentis<br />
huius audierat. Italorum igitur Thuscorum,<br />
Volscorum, Camerinorum, Spoletinorum<br />
quosdam libris, slios nuncijs directis, omnes<br />
tamen in unum venire praecepit, factusque est<br />
exercitus triplo Hungarorum<br />
validior.[…]Quumque sibi Berengarius tot<br />
adesse copias cerneret, superbie spiritu<br />
inf<strong>la</strong>tus, magisque triumphum de hostibus<br />
moltitudini suae quam Deo tribuens, solus<br />
cum paucis quodam in oppidulo degens,<br />
volutati operam dabat. Quid igitur? Tantam<br />
mox ut Hungari contemp<strong>la</strong>ti multitudinem<br />
animo costernati, quid facerent, deliberare<br />
non poterant praeliari penitus formidabant,<br />
fugere omnino nequibant: verum inter<br />
utramque hanc aestuationem fugere magis<br />
quam praeliari iuvat: persequentibus<br />
776 È un dato che l’autore ricava basandosi ancora su Liutprando citato direttamente a confutare le stime svolte<br />
da altri autori grazie ancora al<strong>la</strong> sua vicinanza agli eventi, in una precisazione che interrompe <strong>la</strong> col<strong>la</strong>zione<br />
Storia, cit., p. 26: Gli scrittori da cento anni in qua, dicono che il re Berengario si oppose a costoro con<br />
quindicimi<strong>la</strong> cavalli so<strong>la</strong>mente; il che non pare appena credibile: ma Liutprando, che scrisse pochi anni dopo, e<br />
dice che <strong>la</strong> moltitudine degli Ungheri era quasi infinita, dice ancora che lo esercito di Berengario fu tre volte<br />
maggiore di quel<strong>la</strong>.”<br />
777 Storia, cit., passo alle pp. 125-131.<br />
778 Liuthprandi, cit., pp.237u5-240u6.<br />
152
moltitudine tanto grande…cominciarono a<br />
mancare di animo, e a non sapere troppo<br />
bene che partito dovessimo prendere, non<br />
volendo combattere a di svantaggio sì<br />
manifesto, e potendosi male ritrarre per le<br />
tante fiumare che si avevano <strong>la</strong>sciato dopo.<br />
Giudicarono nientedimeno che assai meglio<br />
fusse il fuggirsi: per il che diloggiati una<br />
notte senza rumore, si condussero fino in su<br />
l’Adda <strong>prima</strong> che i nostri li racquistassero.<br />
Nel passare l’Adda con troppa fretta ve ne<br />
affogarono quantità grande…Veggendosi<br />
adunque a sì mal partito, mandarono<br />
ambasciatori a’ Cristiani ad offerire di<br />
<strong>la</strong>sciare <strong>la</strong> preda, e rifare ogni danno dato, se<br />
e’ volevano <strong>la</strong>sciargli andare…Ma le genti di<br />
Berengario, che già pensavano molto più a le<br />
funi e a le catene da legare i prigioni, che a le<br />
armi da conquistargli, negarono tutti gli<br />
accordi, e…gli ingiuriarono acerbamente. Gli<br />
Ungheri, mal contenti de <strong>la</strong> risposta,<br />
ripigliarono il partito primo, e fuggendo come<br />
e’ potevano, si condussero presso a Verona.<br />
Ma raggiunti in quel<strong>la</strong> campagna dal<strong>la</strong><br />
cavalleria de’ Lombardi, cominciarono a<br />
scarammuciare...ed ebbero sempre vantaggio<br />
gli Ungheri mentre i Lombardi non<br />
ingrossarono; ma come le moltitudine<br />
sopraggiunse, ritornarono a marciare via, e i<br />
nostri pure a seguirgli. Pervenuti dunque a <strong>la</strong><br />
Brenta, e passata<strong>la</strong> prestamente, si trovarono<br />
tanto stracchi, e si spedati e <strong>la</strong>ssi i cavalli,<br />
che, disperatisi del fuggire, si fermarono su <strong>la</strong><br />
fiumara. A <strong>la</strong> quale arrivati i Lombardi, e<br />
fermati gli alloggiamenti, divisi so<strong>la</strong>mente dal<br />
fiume, mandarono gli Ungheri nuovamente a<br />
cercare un altro partito; cioè di <strong>la</strong>sciare<br />
liberamente tutti i prigioni, le robe, l’armi, i<br />
cavalli, riserbatone so<strong>la</strong>mente uno per uomo<br />
da potersi tornare a casa; e di obbligarsi a<br />
non tornare mai più in Italia durante <strong>la</strong> vita<br />
loro, dandone per sicurtà tanti statichi, quanti<br />
i Lombardi stessi volevano, pure che ellino<br />
acconsentissero di <strong>la</strong>sciarneli andare in pace.<br />
Ma gli orgogliosi Cristiani, insuperbiti vie più<br />
che <strong>prima</strong>, non accettarono i prieghi loro, e<br />
non volsero accordo alcuno. Gli Ungheri,<br />
tornati gli ambasciatori, e uditosi<br />
apertamente che non bisognava sperare<br />
accordo, disperatisi di ogni cosa e del<strong>la</strong> vita<br />
principalmente, si ragunarono tutti insieme, e<br />
cominciarono a consigliarsi insieme come<br />
Christianis, Abduam fluvium natando ita ut<br />
nimia festinatione plurimi submergerentur,<br />
transeunt. Hungari denique consilio non malo<br />
accepto per internuncios Christianos rogant,<br />
quatenus preda omni cum lucro reddita ipsi<br />
incolumes remeare possent. Quam petitionem<br />
Cristiani funditus abdicantes, his proh dolor<br />
insultabant, potius que vincu<strong>la</strong> quibus<br />
Hungari vincirentur, quam arma quibus<br />
necarentur exquirunt. Quumque pagani<br />
Christianorum animos hoc pacto mulcere<br />
nequirent, vetus rati consilium melius, coepta<br />
sese liberare fuga satagunt, sic que fuggendo<br />
in Veronenses campos perveniunt.<br />
Christianorum primi horum iam novissimos<br />
insequuntur, sit que eodem pugnae<br />
praeludium, in quo victoria habuere pagani:<br />
validiore vero propinquante exercitu fugae<br />
non immemores, coeptum iter percurrunt.<br />
Veneruntque Christico<strong>la</strong>e cum idolo<strong>la</strong>tris<br />
iuxta fluvium Brennam: equi enim nimium<br />
defatigati fugiendi copiam negabat(nt?)<br />
Hungaris. Simul igitur utraeque acies<br />
convenere, memorati tantummodo fluvij alveo<br />
separatae. Hungari denique nimio terrore<br />
coacti, omnem supellectilem, captivos, arma<br />
omnia, equos, singulis tamen quibus cum<br />
remeare possent retentis dare promittunt: hoc<br />
praeterea in honorem suae petitionis<br />
adiungunt, ut si vita tantum comite datis<br />
omnibus illos remeare permitterent, se<br />
nunquam Italiam amplius ingressuros filijs<br />
suis obsidibus datis. Verum heu Cristiani<br />
superbiae tumore decepti, minis paganos ceu<br />
iam victos insequuntur, eisque continuo<br />
huiusmodi apologiam remitttunt. Si<br />
contraditum nobis, praesertim a contraditis<br />
iamque canibus mortuis munus reciperemus,<br />
foedusque aliquod iniremus, insanos capite<br />
non sanus iuret Orestes. […]Hac igitur<br />
legatione Hungari desperantes, collectis in<br />
unum fortissimis, tali sese mutuo sermone<br />
so<strong>la</strong>ntur. Si haec quae in praesentiarum<br />
cernitur, luce perdita, nihil est, quod deterius<br />
provenire possit hominibus, et quia locus<br />
precij nullus, fugiendi spes omnis ab<strong>la</strong>ta,<br />
col<strong>la</strong> submittere mori est, quid verendum est<br />
nobis te<strong>la</strong> inter ipsa ruere, morte mortem<br />
inferre? Numquid non fortunae et non<br />
rimbecillitati casus deputandus noster?<br />
Viriliter enim pugnando soccumbere, non est<br />
mori, sed vivere. Hanc famam<br />
153
fusse da governar<strong>la</strong>. Era per avventura tra<br />
loro un soldato assai bene di tempo, molto<br />
pratico nelle guerre, e molto famoso per le<br />
vittorie. Costui, veggendo tacere i capi<br />
maggiori, e che nessuno ardiva risolver<strong>la</strong>,<br />
salito in luogo eminente, e rivoltosi due o tre<br />
volte con gli occhi per ogni banda, cominciò<br />
a par<strong>la</strong>re in questa maniera:<br />
dove, dove sono fuggiti al presente, valorosi<br />
compagni miei quelle rare vostre virtù,<br />
ferocità, fortezza e audacia, co’l dipregio<br />
stesso del<strong>la</strong> morte, le quali fino al giorno<br />
presente con somma gloria di tutta Scizia, vi<br />
hanno alzati sopra alle stelle?[…]Dove sono<br />
quegli animi eccelsi, che per farsi immortali<br />
al mondo, soggiogarono <strong>la</strong> Pannonia, <strong>la</strong><br />
Tracia, <strong>la</strong> Macedonia, <strong>la</strong> Schiavonia, <strong>la</strong><br />
Germania, <strong>la</strong> Gallia, e quel<strong>la</strong> istessa Italia,<br />
dove noi, loro figliuoli, pensiamo ora solo<br />
fuggire, o a darci forse prigioni con vergogna<br />
vie più che eterna? […]è possibile che i<br />
maggiori nostri ci <strong>la</strong>sciassero tante province,<br />
tante vittorie, tanti trofei; e che noi vogliamo<br />
<strong>la</strong>sciare a chi verrà dopo noi tanta vergogna,<br />
cotanto obbrobrio sì sempiterno? […]Non<br />
<strong>la</strong>sciarono seguir più oltre, né aspettarono<br />
più argomento a ripigliare il furore usato: ma<br />
tutti ugualmente e da ogni banda, riscaldati<br />
già dal<strong>la</strong> rabbia antica…guadata <strong>la</strong> fiumara,<br />
furono <strong>prima</strong> dentro agli alloggiamenti de’<br />
loro nimici, che le guardie se ne<br />
accorgessero. Quivi, trovando il tutto<br />
sprovvisto, e ciascun dedito a’ suoi piaceri,<br />
cominciarono si fatta strage, anzi più tosto<br />
macello orribile, che ben presto furono al di<br />
sopra, non solo per <strong>la</strong> fierezza loro…ma<br />
perché gli Italiani, al solito loro (dice<br />
Liutprando) poco amici l’uno dell’altro, non<br />
soccorrevano i loro vicini[…]La uccisione fu<br />
grandissima, sì per esser grande lo esercito, e<br />
sì per lo sdegno immortale degli Ungheri. I<br />
quali ricordandosi iratamente come poco<br />
avanti non avevano voluto i cristiani<br />
accordarsi a le cose giuste, non accettavano<br />
priego alcuno, né avevano misericordia di<br />
qualità, di sesso, di età, ma tutto mettevano a<br />
filo di spada. Appresso non contenti de <strong>la</strong><br />
vittoria e di avere spento il nemico si<br />
voltarono i di seguenti a predare il paese<br />
intorno…” 777<br />
tantam…haereditatem ut a patribus nostris<br />
accepimus, etiam relinquamus haeredibus.<br />
Nobis debemus, nobis saltem credere expertis,<br />
qui copiarum paucitate nonnunquam<br />
plurimus stravimus. Invalidae p<strong>la</strong>ebis sane<br />
congregatio plurima ad caedem tantum est<br />
exposita. Sed et fugientem saepissime mars<br />
perimit: dimicantem fortiter protegit. Hi enim<br />
qui nobis supplicantibus non miserentur,<br />
ignorant, neque mente percipiunt, quia<br />
vincere quidam bonum est, supervincere<br />
nimis invidiosum. Hac itaque exhortatione<br />
utcunque animos recreati, tres in partes<br />
insidias disponunt, recta ipsi fluvium<br />
transeundo hostes in medios ruunt.<br />
Christianorum enim plurimi longa propter<br />
internuncios expectatione defatigati, per<br />
castra ut cibo recrearentur descenderant,<br />
quos tanta Hungari celeritate confoderunt, ut<br />
in gu<strong>la</strong> cibum transfigerent, alijs quibusdam<br />
fugam equis negarent ab<strong>la</strong>tis. Eoque illos<br />
lvius perimebant, quod sine equis eos esse<br />
conspexerant. Ad augmentum sane perditionis<br />
Christianorum non parva inter eos erat<br />
discordia. Nonnulli Hungaris non solum<br />
pugnam non inferebant, sed ut proximi<br />
caderent anhe<strong>la</strong>bant, atque hoc ipsi perversi<br />
perverse fecerant, quatenus dum proximi<br />
caderent, soli ipsi liberius quasi regnarent.<br />
Qui dum proximorum necessitatibus<br />
subvenire negligunt, eorumque necem<br />
diligunt, ipsi propriam incurrunt. Fugiunt<br />
itaque Christiani, saeviuntque pagani, qui<br />
prius p<strong>la</strong>care muneribus nequibant,<br />
supplicantibus postmodum parcere<br />
nesciebant. Interfectis denique fugatisque<br />
Christianis, omnia Hungari regni loca,<br />
saeviendo percurrunt. ” 778<br />
154
Certamente all’interno del<strong>la</strong> generale ispirazione fornita da Liutprando invocato<br />
direttamente nel passaggio in questione dall’autore per ben due volte, e recuperato in modo<br />
estremamente accurato come dimostra <strong>la</strong> col<strong>la</strong>zione, non vanno trascurati i passaggi in cui il<br />
Giambul<strong>la</strong>ri arrichisce notevolmente le valutazioni del<strong>la</strong> sua fonte accentuandone<br />
notevolmente l’impatto e <strong>la</strong> forza dei concetti espressi dal<strong>la</strong> sua fonte. Una dinamica già<br />
utilizzata per evidenziare l’esempio e l’azione di Alberto che offre una lezione al<strong>la</strong> nobiltà<br />
italiana a indicare forse che l’eccessivo gusto per <strong>la</strong> descrizione del Giambul<strong>la</strong>ri non è<br />
determinato da motivazioni esclusivamente estetico-letterarie. Significativi in tal senso<br />
appaiono l’orazione fatta dal soldato unghero e soprattutto l’ampio passaggio sul<strong>la</strong> divisione<br />
degli italiani. Elementi tutti già chiaramente connotati in Liutprando col quale si rive<strong>la</strong> una<br />
sostanziale identità di giudizio ma che vengono utlteriormente amplificati sul<strong>la</strong> base dei due<br />
motivi centrali di questo passaggio, uno più generale, l’altro più partico<strong>la</strong>re. Da un <strong>la</strong>to,<br />
infatti, emerge l’arroganza e <strong>la</strong> superficialità di Berengario e dei Cristiani che soccombono<br />
per <strong>la</strong> loro leggerezza nonostante <strong>la</strong> schiacciante superiorità militare che a lungo annichi<strong>la</strong><br />
anche moralmente gli Ungheri. Dall’altro, il motivo delle colpe italiane rinvenibile nel<strong>la</strong><br />
strutturale divisione italica che viene trattato dal Giambul<strong>la</strong>ri fin dal primo libro dell’opera<br />
come abbiamo visto nel<strong>la</strong> presa di Roma da parte di Arnolfo. Del resto in proposito, non può<br />
ignorarsi neanche <strong>la</strong> considerazione posta tra parentesi nell’ampio passo citato a proposito del<br />
Frigoli da cui gli Ungheri penetrano in Italia che richiama esplicitamente queste valutazioni.<br />
Responsabilità indirettamente sottolineate e aggravate dall’evidenza attribuita al<strong>la</strong> ferocia con<br />
cui gli Ungheri predano l’Italia e l’intero orbe cristiano 779 .<br />
Rispetto a queste coordinate, risalta ancora di più <strong>la</strong> netta affermazione che contrariamente a<br />
Berengario, invece Venezia consegue contro gli Ungheri riportata dal Giambul<strong>la</strong>ri sul<strong>la</strong><br />
falsariga del Sabellico, a conferma di una propensione favorevole al<strong>la</strong> Serenissima 780 . Svolta<br />
una parentesi spagno<strong>la</strong> incentrata sul<strong>la</strong> minaccia esercitata dai Mori, verso <strong>la</strong> Res publica<br />
christiana, l’obiettivo si sposta decisamente sul<strong>la</strong> situazione tedesca ed in partico<strong>la</strong>re sul<strong>la</strong><br />
Sassonia, pienamente coinvolta nel gorgo di distruzione generato dagli Ungheri che vengono<br />
chiamati contro di essa dagli infedeli schiavoni.<br />
L’autore, introduce una fonte ad hoc, sul<strong>la</strong> <strong>storia</strong> di questa regione nevralgica dell’Impero<br />
come vedremo specialmente nel prosieguo: Widukindo abate di Corvay 781 autore del Saxonis<br />
Rerum 782 . Nel codice autografo differentemente rispetto al<strong>la</strong> lezione a stampa Widukindo<br />
veniva menzionato direttamente addirittura a p. 5 come rilevato dal Kirner, invece ancora in<br />
queste pagine possiamo desumere l’utilizzazione di questo autore soltanto dal<strong>la</strong> col<strong>la</strong>zione e<br />
non da una citazoine diretta:<br />
“E per questo, convenuti segretamente con gli<br />
Unghieri, pure allora tornati d’Italia li<br />
condussero nel<strong>la</strong> Sassonia, senza altrimenti<br />
considerare, che per caare uno occhio al<br />
vicino, li cavavano a sé tutti duoi. Gli<br />
Ungheri…predarono e guastarono il<br />
tutto…Ma quando non vi trovarono più da<br />
rubare…per <strong>la</strong> via del<strong>la</strong> Dalmazia se ne<br />
tornavano già lieti a casa quando scontrati in<br />
uno altro esercito de’ loro medesimi che<br />
“Praedictus igit exercitus Ungarorum a<br />
Sc<strong>la</strong>vis conductus multa strage in Saxonia<br />
facta, et infinita capta praeda, in Dalmatiam<br />
reversi, obvium invenerunt alium exercitum<br />
Ungarorum, qui comminati sunt bellum<br />
inferre amicis eorum, eo que auxilia eorum<br />
sprevissent, dum illos ad tantam praedam<br />
duxissent. Unde factum est ut secondo<br />
vastarent Saxonia ab Ungaris, et priori<br />
exercitu in Dalmatia secundu expectante,<br />
779 L’attenzione del Giambul<strong>la</strong>ri, viene attestata anche dal ricorso a Buonfino nel<strong>la</strong> descrizione delle razzie<br />
italiane degli Ungheri citato proprio in Storia, cit., a p. 131.<br />
780 Ivi, pp. 132-135, in partico<strong>la</strong>re sul<strong>la</strong> citazione del Sabellico p. 133 e re<strong>la</strong>tiva nota del<strong>la</strong> Marangoni.<br />
781 Sul quale vedi <strong>la</strong> voce Witichind in Répertoire des sources historiques, cit., II vol., pp. 4783-4784.<br />
782 Vuitichindi Saxonis Rerum ab Henrico et Ottone I impp. Gestarum Libri III, unam cum alijs quibusdam<br />
raris et antehac non lectis diversorum autorum historijs, ab Anno salutatis DCCC usque ad praesentem aetatem:<br />
quorum catalogus proxima patebit pagina Huc accessit rerum scitu dignarum copiosus index, Basileae apud Io.<br />
Hervagium, mense Martio, anno MDXXXII; d’ora in poi Vuitichindi.<br />
155
venivano pre a predare…<strong>la</strong>sciando <strong>la</strong><br />
Da<strong>la</strong>mzia tanto diminuita e sì consumata di<br />
vettovaglie, che i popoli furono costretti<br />
<strong>la</strong>sciare quello anno il paese voto, e cercarsi<br />
il vitto per il mondo, non essendo restato a<br />
casa da potersi mantenere vivo.” 783<br />
ipsa quoque in tantam penuriae miseriam<br />
ducta sit, ut alijs nationibus eo anno relicto<br />
proprio solo pro annona servirent.” 784<br />
Peraltro, <strong>la</strong> fonte dominante in fatto di vicende tedesche e specificamente sassoni torna ad<br />
essere come nel<strong>la</strong> <strong>prima</strong> parte del II libro del<strong>la</strong> Storia d’Europa Beato Renano fedelmente<br />
seguito dal Giambul<strong>la</strong>ri anche a proposito dell’origine dei Sassoni e delle loro vicende<br />
storiche:<br />
“Dico seguitando il dotto Renano, che i<br />
Sassoni, da Tacito non nominati, ma da<br />
Tolomeo sì, furono popoli ferocissimi del<br />
mare di Germania, cioè o degli estremi liti di<br />
quel<strong>la</strong> vicini a’ Franchi, o piuttosto usciti<br />
delle Isole: e che e’ furono pirati, come in<br />
Sidonio si può vedere, ed avanti a lui in<br />
Eutropio, che descrivendo le cose dello<br />
imperadore Diocleziano, dice così: “In questi<br />
tempi medesimi usurpò <strong>la</strong> porpora imperiale<br />
Carausio, che vilissimamente nato, ma<br />
famosissimo per <strong>la</strong> milizia, avendo avuto <strong>la</strong><br />
cura per tutta <strong>la</strong> Piccardia e <strong>la</strong> Fiandra di<br />
tener sicuro lo Oceano, corseggiato da’<br />
Franchi e da’ Sassoni”…” 785<br />
“Saxonum non meminit Cornelius Tacitus<br />
sicut nec Francorum quod incelebres essent et<br />
oscuri, meminit Ptolomeus…Acco<strong>la</strong>sque maris<br />
Germanici partim fuisse docet, sed potissimum<br />
insu<strong>la</strong>res. Recenset enim Saxonum insu<strong>la</strong>s,<br />
itaque Franci vicini fuere, eosdem mores et<br />
instituta sequentes. Piratae Franci quod supra<br />
docuimus, piratae et Saxones. Traditum enim<br />
est in Historiis Carausium quondam tractui<br />
Belgicae et Armoricae tendo praefuisse, quod<br />
Franci et Saxones maritimas Galliorum oras<br />
infestarent Diocletiano principe.” 786<br />
Sassoni che diversamente dagli incontenibili assalti all’impero romano di Franchi ed<br />
Alemanni l’imperatore Valentiniano riesce almeno in un primo tempo a contenere:<br />
“Questi vedendo che i Franchi e che gli<br />
A<strong>la</strong>manni, entrati nelle provincie romane,<br />
arrichivano di quelle prede, e bramando far<br />
così essi ancora, si preparavano a venir via;<br />
quando lo Imperatore Valentiniano, primo di<br />
questo nome, affronatili gagliardamente ne’<br />
confini de’ Franchi, in sì fatta maniera gli<br />
oppresse, che volentieri stettero in dietro.<br />
Anzi, indirizzati a que’ paesi che <strong>la</strong>sciarono<br />
voti i Svevi e gli altri popoli armigeri che<br />
passarono con gli Alemanni, fermarono le<br />
sedie lungo l’Albi, ed a quelle parti del<strong>la</strong><br />
Franconia dove sono i Vestfali adesso; e così<br />
vennero primieramente dalle isole a <strong>la</strong><br />
terraferma, e dai liti dentro fra terra. Ma<br />
“Porro quum Saxones stimu<strong>la</strong>ret aemu<strong>la</strong>tio<br />
quippe qui viderent Francos Alemannosque<br />
mutatis sedibus, cotidianis Provinciarum<br />
praedis ditari, decreverunt et ipsi in Romanos<br />
fines incursionem facere, sed praevenire<br />
Valentinianus qui in Francorum finibus eos<br />
obtrivit priusquam Rhenum transirent, mirum<br />
ni volentibus adiuvantibusque Francio, ut qui<br />
soli cuperent invadere Galliam absque socijs<br />
Saxonibus. …Valentinianus, Saxones, gentem<br />
in Oceani littoribus et paludibus invijs sitam,<br />
virtute atque agi<strong>la</strong>tate terribile, in Romanos<br />
fines eruptionem mditantem, in Francorum<br />
finibus oppressit. Porrò Saxones sic repulsi,<br />
vacuas suevorum et aliorum nationum quae se<br />
783 Storia, cit., pp. 139-140, dove ancora una volta ivi le parole non riportate amplificano nei toni <strong>la</strong> descrizione<br />
del<strong>la</strong> crudeltà degli Ungheri rispetto a Widukindo dal quale comunque <strong>la</strong> dipendenza del passo in questione<br />
appare piuttosto evidente.<br />
784 Vuitichindi, cit., passo cit. a p. 10a5.<br />
785 Storia, cit., passo a p. 141.<br />
786 Rerum Germanicarum, cit., passo cit. a p. 53g3.<br />
156
poiché, dopo <strong>la</strong> morte di Aezio, sotto<br />
Valentiniano terzo, si impadronirono i<br />
Franchi di tutta <strong>la</strong> Gallia bellica e del<strong>la</strong><br />
seconda Germania, i Sassoni, al<strong>la</strong>rgando i<br />
primi confini, occuparono essi ancora in<br />
qualche parte il terreno de’ Franchi e de’<br />
Camavi; quello cioè dove sono ora gli<br />
Vestuali.” 787<br />
Alemannis demigrnatibus pridem<br />
coniunxerant, sedes ad Albim occupant, et ad<br />
Rhenum vergentem regionem ubi hodie est<br />
Vuestphalia proxime Francos, ex insulis in<br />
continentem et ex ora litorali in terras<br />
interiores effusi. Postea quum Valentiniano<br />
terbio post Etij mortem Franci Belgicam<br />
utramque et Germaniam secundam sui iuris<br />
fecissent, Saxones etiam partim Francorum et<br />
Chamauorum loca invaserunt, ub nunc sunt<br />
Vuestuali.” 788<br />
Tuttavia, <strong>la</strong> penetrazione franca al tempo di Valentiniano III, permette anche l’espansione<br />
dei sassoni non più contenuti dall’argine romano e che tuttavia, si trovano a questo punto<br />
inevitabilmente coinvolti in un epico conflitto per <strong>la</strong> supremazia con gli stessi Franchi che<br />
prevalgono definitivamente soltanto con le vittorie di Carlo Magno che battezza questo<br />
popolo, come Giambul<strong>la</strong>ri riferisce sul<strong>la</strong> scorta del Renano. Elementi strettamente legati<br />
all’idea centrale fin qui sviluppata dal canonico <strong>la</strong>urenziano e decisamente confermata nel<strong>la</strong><br />
missiva del 48’ al Borghini sul<strong>la</strong> trans<strong>la</strong>tio imperii ai Sassoni:<br />
“Combatterono appresso molti anni coi<br />
Franchi stessi, quando suggetti e quando<br />
rubelli, come sotto a Lottario primo, sotto al<br />
secondo, sotto Martello, sotto Pipino, e<br />
finalmente sotto il gran Carlo. Il quale<br />
interamente domando questa indomita<br />
nazione, dopo molte ribellioni cavò di<br />
Sassonia dieci mi<strong>la</strong> uomini con le mogli e co’<br />
figliuoli, e gli pose in Brabante ed in Fiandra<br />
perché abitassero quelle provincie, o fussero<br />
parte invece ddi statichi. Abbattè eziandio e<br />
ridusse in cenere lo idolo di questa gente<br />
chiamato Irmensul, e gli fece cristiani,<br />
battezzando il valorosissimo duca loro<br />
Vittichindo, il quale, per mantenere <strong>la</strong><br />
religione dei passati suoi e per difendere <strong>la</strong><br />
libertà, trentatré anni continovi aveva<br />
sostenuta <strong>la</strong> guerra con grandissimi danni e<br />
dati e ricevuti. Costui finalmente, divenutoli<br />
pure amico e suggetto, e da lui tenuto a<br />
battesimo, condottosi all’ora estrema, <strong>la</strong>sciò<br />
lo stato a Uiberto suo figliuolo.” 789<br />
787 Storia, cit., passo alle pp. 141-142.<br />
788 Rerum Germanicarum, cit., passo a p. 54g3-55g4.<br />
789 Storia, cit., passo a p. 142.<br />
“Cum hac gente Franci multis saeculis bel<strong>la</strong><br />
gesserunt. Luitharius Hildeberti frater,<br />
Ludeuvichi F. domitos a se Saxones, quum<br />
promissum tributum, id erat quingentorum<br />
boum, non persolverent, bello repetens,<br />
absque gloria sed non absque damno,<br />
Suessionem redijt. In hos quum aliquot<br />
temporum interval<strong>la</strong>, Dagobertus alterius<br />
Luitharij F. movisset, transito Rheno, comissa<br />
pugna grave vulnus accepit in capite<br />
animosus adolescenses, sed tamen evasit. Ea<br />
re pater Luitharius accepta filio suppetias<br />
venit. Berchtoldum Saxonum principem<br />
obtruncat in fuga comprehensum, et penetrata<br />
regione, vastatisque cunctis, mares pueros<br />
omnies occidit, quos g<strong>la</strong>dio suo reperit<br />
longioreis. Sub Carolo Martello rebel<strong>la</strong>runt.<br />
Pipinus eos huc adegit, ut singulis quibusque<br />
annis trecentos equos velut tributum<br />
penderent. Sed edomandae gentis vera <strong>la</strong>us<br />
Carolo Magno Pipini F. reservabatur. Is<br />
tandem XXXIII anno hoc bellum confecit, quo<br />
nullum neque difficilius neque longius<br />
unquam a Francis gestum est. Transtulit<br />
decem milia Saxonum cum uxoribus et liberis<br />
in Germaniam inferiorem, hoc est in<br />
F<strong>la</strong>ndriam et Brabantiam ex magna parte.<br />
Columnam vero ligneam il<strong>la</strong>m quam sub divo<br />
positam gentiler adorabant, evertit, Irminsul<br />
157
ab illis appel<strong>la</strong>batur. Et Vuitkindus Saxonum<br />
princeps Crhistianam pietatem professus est,<br />
susceptore Carolo Aug. Salutaribus aquis<br />
ablutus, plebe ducis exemplum haud segniter<br />
aemu<strong>la</strong>nte.” 790<br />
Anche nel<strong>la</strong> costruzione di quest’ampia parentesi storica sui Sassoni si ripropone<br />
puntualmente il motivo del<strong>la</strong> trans<strong>la</strong>tio imperii con una ulteriore evidente allusione al<br />
passaggio dai Franchi agli Ottoni del<strong>la</strong> sovranità imperiale nel riferimento a Ottone duca di<br />
Sassonia sotto l’imperio di Arnolfo. Ottone, infatti, padre di Arrigo che sarà il primo<br />
imperatore del<strong>la</strong> casa di Sassonia, viene esaltato al<strong>la</strong> stregua di un imperatore, secondo<br />
Giambul<strong>la</strong>ri scrive sul<strong>la</strong> falsariga di Vitichindo (piuttosto che di Beato Renano) stando al<strong>la</strong><br />
col<strong>la</strong>zione:<br />
“A Viberto successe Bruno, mediante però<br />
Gualberto maggior fratello, che si morse<br />
senza figliuoli; ed a Bruno poi Ludolfo, padre<br />
di Bruno, di Tanquardo e di quello Ottone che<br />
fu padre di Arrigo primo. Morto dunque<br />
Tanquardo e Bruno, il quale con <strong>la</strong> nobiltà di<br />
Sassonia fu per <strong>la</strong> fede ucciso con tutto lo<br />
esercito, da’ Normanni dove oggi si chiama<br />
Eobestorpo, successe Ottone al ducato. Il<br />
quale ancora che egli avesse lo imperatore<br />
per superiore, fu nientedimanco di tanta<br />
riputazione, che Arnolfo padre di Lodovico lo<br />
scelse per genero suo, e gli diè per moglie<br />
Lucarda, e per nuora tolse Matelda, sorel<strong>la</strong> di<br />
esso Ottone, maritando<strong>la</strong> a Lodovico. E tutta<br />
questa grandezza venne ad Ottone per <strong>la</strong><br />
bontà, per <strong>la</strong> prudenzia e per <strong>la</strong> virtù che egli<br />
aveva mostrato sempre, e massimamente<br />
nel<strong>la</strong> milizia.” 791<br />
“Ultimus vero Carolorum apud orientales<br />
Francos imperantium Lothovicus ex Arnulpho<br />
fratruele Caroli, huius Lotharij regis proavi,<br />
natus erat. Qui quum accepisset uxorem<br />
nomine Liudgardam, sororem Brunonis ac<br />
magni ducis Ottonis, non multis post haec<br />
vixerat annis. Horum pater Liudolphus, qui<br />
Romam profectus transtulit reliquias beati<br />
Innocentij pape. Ex quibus Bruno quum<br />
ducatum administraret totius Saxoniae, duxit<br />
exercitum contra Danos, et inundatione<br />
repentina…” 792<br />
A questo punto il nostro canonico <strong>la</strong>scia <strong>la</strong> Sassonia e Renano per trattare del<strong>la</strong> <strong>storia</strong><br />
inglese sul<strong>la</strong> scorta di Polidoro Virgilio. Tuttavia, i Sassoni rimangono protagonisti visto che<br />
il racconto del Giambul<strong>la</strong>ri concerne <strong>la</strong> dominazione dell’iso<strong>la</strong> assunta dagli Angli che<br />
costituiscono appunto una delle tante tribù di matrice sassone menzionate e descritte dal<br />
Renano 793 . Il nome Inghilterra è sostanzialmente un portato di questa affermazione politicomilitare<br />
che affonda le sue radici storiche nell’epoca illustrata dal<strong>la</strong> Storia d’Europa come<br />
mostra il racconto del Giambul<strong>la</strong>ri che prende le mosse dal<strong>la</strong> collocazione storico-geografica<br />
dello scenario degli eventi in questione. Come vediamo dal<strong>la</strong> col<strong>la</strong>zione se piuttosto chiara<br />
risulta l’ipsirazione tratta da Polidoro, i passaggi che hanno ispirato <strong>la</strong> complessiva e unitaria<br />
descrizione dell’iso<strong>la</strong> e delle sue parti sono tratte da punti diversi dell’Hi<strong>storia</strong> Anglica anche<br />
se tutti compresi nel primo libro dell’opera polidoriana:<br />
“La Inghilterra, iso<strong>la</strong>, dunque, notissima nel<br />
mare Gallico e di Germania…ha…da<br />
790 Rerum Germanicarum, cit., passo a p. 89m1.<br />
791 Storia, cit., pp. 142-143.<br />
792 Vuitichindi, cit., passo a p. 9a5.<br />
793 Vedi Storia, cit., p. 143.<br />
“Britannia omnis…insu<strong>la</strong> in Oceano contra<br />
Gallicum littus posita, dividitur in partes<br />
158
mezzogiorno <strong>la</strong> Francia…Dividesi<br />
ordinariamente in quattro generazioni: Angli,<br />
Scoti, Uvali e Cornovagliesi. Questi ultimi,<br />
che sono <strong>la</strong> fronte del<strong>la</strong> iso<strong>la</strong>, guardano<br />
contro al<strong>la</strong> Francia, e sono divisi da gli Angli<br />
mediante il fiume Tamigia, e da gli Uvali<br />
mediante <strong>la</strong> riviera Sabrina, modernamente<br />
detta Severne. Gli Angli oppositi al<strong>la</strong><br />
Germania, tra i Cornovalesi, gli Scoti e gli<br />
Uvali, hanno per confine <strong>la</strong> Tueda o Tuesa da<br />
tramontana, <strong>la</strong> Sabrina da occidente e <strong>la</strong><br />
Tamigia da mezzogiorno. Gli Scoti parte da<br />
tutti gli altri <strong>la</strong> Tuesa verso Levante, un seno<br />
di mare a ponente, e nel mezzo i monti<br />
Orduloci, che a’ moderni sono Cheviet. Gli<br />
Uvali, che sono quasi come in una iso<strong>la</strong> per<br />
avere il mare d’ogn’intorno, eccetto che da<br />
levante, dove nasce il grossissimo fiume<br />
Sabrina, sono distinti da tutti gli altri<br />
mediante il fiume predetto ed alcune<br />
montagne piccole. La lunghezza di tutta<br />
l’iso<strong>la</strong> da Totonesia di Cornovaglia sino a<br />
Catanesia di Scozia, è circa a miglia<br />
ottocento, e <strong>la</strong> <strong>la</strong>rghezza da Meneva di<br />
Uvaglia (altrimenti San Davit) sino in<br />
Dorobernio, circa a miglia trecento. Il giro<br />
poi, o vogliamo dire il circuito di tutta<br />
insieme, secondo <strong>la</strong> misura di Polidoro, non<br />
abbraccia duemi<strong>la</strong> miglia, come già <strong>la</strong><br />
descrisse Cesare, ma so<strong>la</strong>mente mille<br />
ottocento.” 794<br />
quatuor: quorum unam incolunt Angli, aliam<br />
Scoti, tertiam Vualli, quartam Cornubiensis.<br />
[…]Cornubia, <strong>prima</strong>m insu<strong>la</strong>e partem<br />
continent, quae ad meridiem vergens, inter<br />
Thamesim et mare intercedit[…]Hanc autem<br />
Angliam <strong>prima</strong>m Britanniae partem ab ortu et<br />
austro, Oceanus: ab occidente sole, Vualliae<br />
et Cornubiae fines: a septentrione, Tueda<br />
lumen, quod flumen discriminat Anglos ab<br />
Scotis, terminat. […]Scotia altera Britanniae<br />
pars a Grampio olim monte incipiebat, ad<br />
extremum limitem in septentrionem<br />
producta…ad Tuedam Flumen, interdum ad<br />
Tinam usque patebat[…]Secondum<br />
Tuedam…Anglorum Scotorumque regni<br />
terminum. Hanc a Northumbria ultima<br />
Angliae regione, quae ad oceanum spectat<br />
Germanicum, Tueda separet, cuius princeps<br />
oppidum est Bervicum…Hoc quondam<br />
Ordolucarum oppidum fuisse dixerim. Ab<br />
occidente vero Scotiae limes aliquando<br />
Cumbria fuit…inter has duas regiones mons<br />
Cheviota interius eminet. 795 […] Vuallia tertia<br />
pars insu<strong>la</strong>e iuxta umbilicum Angliae, ad<br />
<strong>la</strong>evam iacet, quae instar finus, quasi<br />
peninsu<strong>la</strong> intra Oceanum, excurrit, a quo<br />
circunquaque cingitur, praterque ab ortu, ubi<br />
Sabrina flumine terminatur, quod Vuallos ab<br />
Anglis separat. 796 […]omnem insu<strong>la</strong>e<br />
longitudinem recta linea metiuntur, dicuntque<br />
esse DCCC milliariorum, sicut <strong>la</strong>titudo ex<br />
Meneva sive Fano David, usque ad pagum,<br />
quem Hyermuthum vocant[…]ita circuitus<br />
omnis insu<strong>la</strong>e constat non amplius octies<br />
decies centenis millibus passuum, atque sic<br />
minus ducentis milliarijs, quam Caesar<br />
supputarat.[…]” 797<br />
Analisi geografico-fisica complessiva che come vediamo richiama <strong>la</strong> pluralità delle regioni<br />
inglesi al<strong>la</strong> quale, il Giambul<strong>la</strong>ri fa seguire una corrispondente informazione delle diversità di<br />
popoli e identità culturali e politiche che si sono succedute sull’iso<strong>la</strong> con <strong>la</strong> chiamata da parte<br />
dei Britanni degli Angli, vista l’incapacità del vallo di Adriano di difenderli contro <strong>la</strong> ferocia<br />
di Pitti e Scoti, una volta partiti i Romani. Questi ultimi, infatti, sono costretti a tornare sul<br />
continente per <strong>la</strong> guerra provocata da Atti<strong>la</strong> in Francia e <strong>la</strong>sciano incustodito il muro.<br />
Pertanto, ancora una volta l’elemento barbaro che erediterà il diritto imperiale viene posto in<br />
grande risalto secondo un evidente contrappunto con i detentori del<strong>la</strong> dignità imperiale, i<br />
romani, il cui dominio presenta falle continue e profonde. Viene ribadito attraverso <strong>la</strong><br />
794 Ivi, passo alle pp. 143-144.<br />
795 Anglicae hi<strong>storia</strong>e, cit., pp. 3a3-5a4, lib. I.<br />
796 Ivi, passo a p. 8a5, lib. I.<br />
797 Ivi, p. 10a6, lib. I, poco dopo nel<strong>la</strong> stessa pagina viene menzionato in proposito anche Tacito.<br />
159
selezione di un passo tutt’altro che breve un dato costante del<strong>la</strong> Storia che esalta una tribù dei<br />
sassoni:<br />
“I primi che <strong>la</strong> abitassero, cioè i Bretoni o<br />
Albionesi, che l’uno e l’altro nome ebbe<br />
l’iso<strong>la</strong>, sono gli Uvali certamente, i quali<br />
certamente come scrivono Gilda e Beda e<br />
Polidoro ne’ tempi nostri, espugnati e cacciati<br />
di tutto il resto, si ridussero nel<strong>la</strong> quasi che<br />
iso<strong>la</strong>, che di sopra assegnammo loro; e per<br />
essere quel sito forte di monti, paludi e luoghi<br />
salvatici, vi si sono mantenuti sempre. E’<br />
perché e’ par<strong>la</strong>no <strong>la</strong> antiqua lingua natia, gli<br />
Anglesi venutivi di Sassonia li chiamarono<br />
al<strong>la</strong> germanica, Uvali, cioè forestieri e di<br />
lingua diversa da <strong>la</strong> loro, perché non<br />
intendevano <strong>la</strong> loro favel<strong>la</strong>.[…]I Cornovalesi<br />
per quel tanto che scrive Cesare, venuti<br />
appoco appoco de <strong>la</strong> Francia a predare<br />
quel<strong>la</strong> fronte del<strong>la</strong> iso<strong>la</strong> che gli è vicina,<br />
entrando nelle maremme, e cominciandole ad<br />
occupare quando in un luogo e quando in un<br />
altro, vi si rimasero finalmente e vi sono<br />
infino al dì d’oggi. I Siluri, oggi estinti,<br />
mostra Tacito nel suo Agrico<strong>la</strong>, che vi<br />
venissero già di Spagna, e arguiscelo da molti<br />
segni, che io non replico ora altrimenti, non<br />
potendo per via di quegli sapere quando e’ vi<br />
siano venuti. Il che non interviene delle altre<br />
nazioni forestiere, Pitti, Scoti ed Anglesi: con<br />
ciò sia che que’ primi l’anno ottantasettesimo<br />
dopo <strong>la</strong> natività di Gesù Cristo, si fermarono<br />
ad abitar<strong>la</strong> con questa occasione.<br />
Roderico…uscito con molte navi di Scizia, per<br />
andare corseggiando l’Oceano, pervenuto<br />
con esse in Ibernia, dove allora si stavano gli<br />
Scoti, venuti essi ancora per molti anni avanti<br />
pure del<strong>la</strong> Scizia, ricercò di potervisi fermare<br />
per istanza, con le genti che aveva seco. Gli<br />
Scoti che non potevano cacciargli e ricevere<br />
non gli volevano, conoscendoli troppi, ed<br />
armati, e poveri, si scusarono con <strong>la</strong><br />
strettezza di quel paese mal capace appena di<br />
loro; e da un’altra banda, mostrandosi<br />
desiderosi del ben essere di questi antichi<br />
parenti suoi, insegnarono loro <strong>la</strong> Inghilterra,<br />
dicendo come el<strong>la</strong> era vicina, abbondante,<br />
ricca, molto grande e per <strong>la</strong> maggior parte<br />
disabitata. Il che dicevano gli Scoti de <strong>la</strong><br />
parte di Tramontana, dove l’armi romane non<br />
avevano luogo né nome. Confortarongli<br />
“In Hanc Britannos illos, qui post amissam<br />
patriam caedibus superfuerant, se ad<br />
extremum recepisse memorie proditum est,<br />
illicque partim montium, partim sylvestrium<br />
locorum ac paludum, quibus ea regio maxime<br />
constat, pertugio, tutas sedes sibi locasse,<br />
quas etiam nunc tenent. Hanc terram deinde<br />
Angli Vualliam, et ipsos Britannos eius<br />
inco<strong>la</strong>s homines Vuallos dixerunt: nam apud<br />
Germanos Vuallsman, significatur<br />
peregrinus, inco<strong>la</strong>, hospes, dvena homo, hoc<br />
est, qui aliam a Germanis habeat linguam:<br />
Vuall enim eorum lingua vocatur<br />
externus 799 […]In so<strong>la</strong> hac insu<strong>la</strong>e parte,<br />
etiam ad hoc tempus perdurat natio<br />
Britannorum, quae a principio ex Galljis<br />
advecta insu<strong>la</strong>m occuparat, si illis credimus,<br />
qui…ex Armoricis civitatibus primos<br />
Britanniae habitatores esse<br />
oriundos. 800 […]Hanc olim maritimam oram<br />
Silures <strong>la</strong>te tenuisse, testat Plinius libro<br />
quarto, cum de Hybernia loquitur, ita<br />
scribens: Super eam haec sita abest<br />
brevissimo transitu a Silurum gentem XX<br />
milia passum. 801 […]Sed Pictos undecunque<br />
dictos, satis constat populos Scytiae fuisse.<br />
Itaque ij duce Rodorico, mults navibus<br />
praedebundi oceanum ingressi, in Hyberniam<br />
insu<strong>la</strong>m pervenere, ubi novas sedes a Scotis<br />
sibi petiverunt: nam Scoti qui a Scytis etiam<br />
originem traxerant, quamquam aliam ipsi, ut<br />
infra ostendetur, inventam volunt, tum eam<br />
insu<strong>la</strong>m tenebant : qui cum in rem suam haud<br />
fore ducerent, gentem bellicosam et inopem in<br />
insu<strong>la</strong>m admittere, charitatem simu<strong>la</strong>ntes,<br />
locisque anugustiam excusantes, docuerunt,<br />
haud abesse procul Britanniam, insu<strong>la</strong>m<br />
magnam simulque opulentissimam, atque<br />
incolis fere carentem : hortatique sunt, ut<br />
il<strong>la</strong>m peterent : quibus pariter operam suam<br />
polliciti. Picti, quos magis praedae, quam<br />
imperij cupiditas solicitabat, nihil contantes,<br />
insu<strong>la</strong>m versus navigant : in quam primum<br />
de<strong>la</strong>ti, aquilonalem eius partem occupant, ubi<br />
deinde raros conspicientes inco<strong>la</strong>s, praedam<br />
agere, incursiones facere, longius vagari<br />
incipiunt. Quod confestim Britannorum<br />
principes animadvertentes, armato milite<br />
160
adunche a fare questa mpresa, e si offersero<br />
di essere con loro. I Pitti, molto più vaghi<br />
del<strong>la</strong> roba che che del dominio, se ne<br />
andarono al<strong>la</strong> parte loro accennata, e<br />
pervenuti nel<strong>la</strong> iso<strong>la</strong> da <strong>la</strong> banda di<br />
tramontana, fermarono quivi gli<br />
alloggiamenti, e se <strong>la</strong> presero per loro stanza.<br />
Veggendo appresso gli abitatori molto rari,<br />
cominciarono a fare correrie, ed a predare il<br />
più che e’ potevano, assicurandosi ad<br />
al<strong>la</strong>rgarsi molto più che non conveniva. Per<br />
<strong>la</strong> qual cosa i maggiori dell’iso<strong>la</strong>, ragunata<br />
una banda gagliarda, gli assalirono a lo<br />
improvviso, e uccisane <strong>la</strong> maggior parte<br />
insieme con Roderico, ricacciorno gli <strong>la</strong>tri<br />
alle selve, ed a quel<strong>la</strong> ultima punta di<br />
tramontana che si chiama <strong>la</strong> Catanesia.<br />
I Pitti, fuggiascamente quivi raccoltisi, senza<br />
più molestare altrui, ebbero di grazia potere<br />
starsi. Riposatisi dunque qualche anno, e<br />
parendo loro star bene, desiderarono<br />
perpetuarsi. Ma veggendosi senza donne,<br />
mandarono ambasciatori in fra terra a<br />
pregare gli iso<strong>la</strong>ni di imparentarsi con esso<br />
loro. Di che facendosi beffe i Britanni, che<br />
così allora si chiamavano, e negando<br />
apertissimamente di volere questa parente<strong>la</strong>, i<br />
Pitti, ancora che fieramente sdegnati del<strong>la</strong><br />
risposta, dissimu<strong>la</strong>rono il mal concetto,<br />
riserbandosi <strong>la</strong> vendetta a quando più<br />
vedessero il comodo. E per avere da<br />
moltiplicare, mandarono in Ibernia a gli<br />
Scoti, ricercandoli di quel medesimo che<br />
negarono loro i Britanni. Consentirono a ciò<br />
gli Scoti, ma con questa condizione: che<br />
sempremai che tra’ Pitti mancasse il legittimo<br />
successore dello Stato, succedessero in ciò le<br />
donne. Il che promesso e giurato<br />
solennemente, si mantenne poi lungo<br />
tempo.[…]Erano già nello Imperio Teodosio e<br />
Valentiniano, quando Fergusio, il primo re<br />
che gli Scoti avessero…partitosi da <strong>la</strong> Ibernia<br />
con una banda grossa di gente, se ne venne a<br />
quel<strong>la</strong> parte del<strong>la</strong> Inghilterra dov’è oggi il<br />
regno di Scozia. Quivi fermatosi per istanza, e<br />
cominciato a moltiplicare, <strong>la</strong>sciò per<br />
successore del regno Reutare suo nipote, che<br />
da Beda è chiamato Reuda. A costui successe<br />
Eugenio, che’ venuto co’ Pitti a battaglia, fu<br />
rotto e morto da essi con tanta perdita delle<br />
sue genti, che, disperatisi, i vivi di potervisi<br />
obviam ierunt, ac Pictos, ut sit, sine metu in<br />
agris pa<strong>la</strong>ntes raptim adorti, eorum duce<br />
interfecto, primo praelio vicerunt. Picti qui<br />
acceptae p<strong>la</strong>gae superfuere, sese in extremam<br />
insu<strong>la</strong>e partem, quam tempestate nostra<br />
Cathanesiam dicunt, receperunt : quos longo<br />
post tempore, tradunt tenuisse quicquid<br />
terrarum a muro,opere Romanorum<br />
praec<strong>la</strong>ro, de quo alibi dicemus, usque ad<br />
Grampium montem, ad otum magis vergens,<br />
pertinebat. Atque Picti, per hunc modum, in<br />
ea parte insu<strong>la</strong>e rerum potiti sunt. Et haec<br />
gens ex advenis, alera est, quae post<br />
Romanos, Britanniam adivertit, in eaque<br />
regnum obtinuerit, qui fuit annus saltatis<br />
LXXXVII. Picti ex infelici suorum exitu,<br />
<strong>la</strong>etam fortunam consecuti gaudebant,quod in<br />
Britannia demum terra sedes firmassent : sed<br />
facile(m) prospiciebant futurum, ut genus<br />
suum penuria mulierum…non ultra hominis<br />
aetatem duraret : quippe quibus nec domi<br />
spes prolis, nec cum finitimis adhuc connubia<br />
essent : tum ex communi consilio, legatos ad<br />
Britannos mittunt, societatem connubiumque<br />
novo populo petitum. Legatio gravatissime<br />
audita est, adeo simul omnes spernebant,<br />
simul negabant sanguinem ac genus cum<br />
externis miscere. Id etsi Picti aegre tulerunt,<br />
inuriam tamen alias ulciscendam iudicantes,<br />
ad Scotos in Hyberniam mittunt,. Illi mulieres<br />
in matrimonium ea conditione dederunt, ut<br />
quoties de creando rege, deficiente genere,<br />
discrimen oriretur, tum ex prosapia foeminei<br />
sexus, regem dicerent : id quod apud Pictos<br />
semper deinceps servatum constat. 802 […]Fuit<br />
is annus decimus sextus, cum Thedosius<br />
princeps cum Valentiniano Augusto amiate<br />
suae filio, inperare coepit, salutatis vro<br />
humanae CCCCXLIII.<br />
Interea…deinde ex hybernia in Brytanniam<br />
profecta, sedes in insu<strong>la</strong> collocarti. Huius<br />
autem Scotorum manus dux, velut autor est<br />
Bedas, fuit Reuda. At Scotici Annales tradunt<br />
multo ante Reudam, Ferugusium in<br />
Britanniam venisse, dedisseque agmini signa<br />
rubrum leonem, quibus nunc reges ututntur,<br />
et ob res feliciter gestas, primum omnium a<br />
sua gente regem esse dictum, ac illi postea<br />
Reutherem nepotem, quem Bedas Reudam<br />
vocat, successisse, regnique fines <strong>la</strong>te<br />
propagasse. 803 […]Secuti sunt reges apud<br />
161
mantenere, abbandonata l’iso<strong>la</strong> in tutto, se ne<br />
fuggirono a diverse parti. Ma, cominciando<br />
non dopo molto a temere i Pitti i Romani,<br />
richiamarono gli Scoti di Norvegia e di<br />
Ibernia; e restituito loro il paese, si<br />
collegarono con esso loro. Tornarono dunque<br />
gli Scoti…e sotto al re Eugenio secondo,<br />
figliuolo del secondo Fergusio, in compagnia<br />
de’ confederati, cominciarono a correre<br />
l’iso<strong>la</strong>, ed a guastar<strong>la</strong> sì fattamente, che Aezio<br />
capitano de’ Romani, fu forzato a mandare di<br />
Francia uno esercito ragionevole a difesa de<br />
gli iso<strong>la</strong>ni. Questo raffrenò in gran parte le<br />
prede e le correrie de gli Scoti; ma non in<br />
tanto però, che apertamente non si vedesse<br />
che, se i Romani per avventura se ne<br />
partivano, tornerebbono gli Scoti e’ Pitti a lo<br />
esterminio di essi Britanni. Ed a questi<br />
volendo ovviare per quanto e’ potevano, i<br />
soldati di Aezio tirarono dal levante a’l<br />
ponente del<strong>la</strong> iso<strong>la</strong> un gagliardissimo<br />
bastione tra i confini britanni, che terminava<br />
da levante in su ‘l fiume Tina, e in su Lesca da<br />
occidente, come scrive Gilda Britanno;<br />
avvenga che molti autori e moderni e antichi<br />
assegnino questa impresa allo imperatore<br />
Adriano, e tutto il resto quasi a Severo. Ma<br />
questo non fu bastante a salvargli poi da gl<br />
insulti, ancora che lo murassimo di calcina e<br />
pietre grandissime. Perché ritornati i romani<br />
in Francia per <strong>la</strong> orribilissima guerra<br />
d’Atti<strong>la</strong>, gli Scoti, dal<strong>la</strong> ferocità naturale<br />
eccitati, rompendo il muro grossissimo, che<br />
non aveva chi il difendesse, penetrati nel<br />
cuore del<strong>la</strong> iso<strong>la</strong>, si fattamente <strong>la</strong><br />
conquassarono co’l ferro, con gli strazi e co’l<br />
fuoco, che i male arrivati Britanni, disperatisi<br />
d’ogni altro aiuto, furono stretti a chiamare<br />
gli Angli (popoli, come io diceva, del<strong>la</strong><br />
Sassonia), che sotto mercede ed a prezzo gli<br />
venissero a mantenere. Vennero dunque gli<br />
Angli lo anno del<strong>la</strong> salute<br />
quattrocentoquarantanove; e sotto Engisto<br />
loro capitano, ch alcuni altri fan Vortigerno,<br />
ottenute molte vittorie contro a gli Scoti,<br />
riempirono i paesani d’una buona e ferma<br />
speranza di dovere liberarsi affatto dal<strong>la</strong> noia<br />
di questa gente. Ma poco durò <strong>la</strong> falsa<br />
bonaccia, perché gli Angli desiderosi di<br />
impadronirsi di tutta questa iso<strong>la</strong>, che piaceva<br />
loro sommamente, attendevano solo ad<br />
Scotos, Eugenius primus, et Fergusius<br />
secundus. Eugenius commisso cum Pictis, qui<br />
id temporis in Romanorum fide erant, praelio,<br />
interficitur. Quare Scoti disperata iam salute,<br />
aliquo terrarum concessuri, protinus alij alio<br />
ex insu<strong>la</strong> fugerunt. Post annos tris et<br />
quadraginta, Scoti exules a Pictis, quibus<br />
Romana potentia iam formidolosa erat,<br />
partim ex Hybernia, partim ex Norvegia, ad<br />
pristinas sedes evocati, duce Fergusio<br />
rediere. Fergusio successit Eugenius filius. Is<br />
facto cum Pictis foedere, ita Britannos<br />
premere coepit 804 ,[…]Aetius fatigatus<br />
commotusque precibus Britannorum qui<br />
adhuc in fide erant, legionem unam illis ex<br />
Gallia ausilio misit. Sunt Picti et Scoti varijs<br />
inde c<strong>la</strong>dibus ab Aetianis affecti, resque<br />
Britannica per bono coepit esse loco. Et ne<br />
deinceps ea quies ab hostibus turbaret, visum<br />
est ducibus legionarijs peropportunum, ut<br />
murus…construeretur inter Romanam<br />
provinciam, et Pictorum fines : id quod, teste<br />
Gilda, factum est : verum cum caespitibus<br />
magisque <strong>la</strong>pidibus esset aedificatus, haud<br />
satis firmus postea ab hostium impetu fuit.<br />
Atque tum ille demum murus confectus est ab<br />
Aetianis ducibus, non ab Hadriano, neque a<br />
Severo Imperatore, sicut nonnulli falso<br />
memoriae prodiderunt, si Gildae autori<br />
Britanno credimus. Quiescebat Britannia<br />
unius legionis presidio, cum Burgundionibus<br />
Galliam vexantibus, Aetius suos ex insu<strong>la</strong><br />
necessario revocavit…Scoti post legionarium<br />
militum dicscessum, cum Pictis confestim in<br />
res Britannicas invadunt, greges armentorum,<br />
ac reliqui pecoris abducunt, agros ferro et<br />
igne popu<strong>la</strong>ntur. 805 […]subito enim<br />
barbarorum impetu miseri Britanni rursus<br />
opprimunt, atque eo ca<strong>la</strong>mitatis adducti, ut<br />
urgente fato, coacti sint ad perniciem suam<br />
accersere in insu<strong>la</strong>m Saxones Anglos,<br />
hominem quidem maxime omnium<br />
valentes[...]Atque ita missi sunt in<br />
Germaniam quamprimum, qui illos ad opem<br />
ferendam, pecunijs, donis, promissis<br />
tentarent, hortarentur, allicerent, ac demum<br />
ausilio venire non negantes, in Britanniam<br />
protinus ducerent. Saxones post acceptum<br />
nuncium, ut qui stipendij faciundi avidi erant,<br />
delecta fortissimorum iuvenum manu, in<br />
navesque imposita, Hengisto et Horso, ij<br />
162
ingrossarsi, chiamando ogni dì genti nuove da<br />
casa loro, e sotto colore del<strong>la</strong> guerra facendo<br />
venire ed armi e soldati. Ma quando parve<br />
loro essere tanti che e’ non avessero di che<br />
temere, accordatisi occultamente con gli Scoti<br />
e co’ Pitti, e levato il romore come defraudati<br />
delle lor paghe, si rivolsero contro a’<br />
Britanni, e con uccisione e strage infinita, e<br />
con rovina di ferro e fuoco, e’ gli cacciarono<br />
fuori del paese; ed impadronitisi d’ogni cosa,<br />
mutando il nome del<strong>la</strong> iso<strong>la</strong> di Britannia <strong>la</strong><br />
fecero Anglia, da’ moderni detta Inghilterra;<br />
e <strong>la</strong> divisero in sette regni senza <strong>la</strong><br />
Scozia[…]” 798<br />
fratres erant, ducibus, insu<strong>la</strong>m confestim<br />
cursu petiverunt. Fuit is annus salutis<br />
humanae CCCCXLIX. 806 […]Angli quorum<br />
bene nagnus in insu<strong>la</strong> numerus erat, nam<br />
formicarum ritu, continuo cursu, eo<br />
commeabant, gens inops et vehemens, ac non<br />
modo Cantium, sed bonam insu<strong>la</strong>e partem,<br />
quae ad Scotiam pertinet, ad occidentemque<br />
solem spectat, iam occuparant, rati tempus<br />
esse, cum tentando esset belli fortuna,<br />
primum cum Scotis et pictis foedus faciunt,<br />
deinde ad unum pene temporis punctum, in<br />
Britannos perfidiose arma vertunt,<br />
perindeque saeviunt, ac si offensionem non<br />
utique beneficium ab eis accepissent.<br />
Britanni…qui ut omnino infirmi fusi, caesi,<br />
profligatique sunt, et impraesentia omni<br />
disperata armorum ope, ut pecudes dispersae,<br />
alij alios duces secuti, se in loca devia, in<br />
sylvas, in paludes abdiderunt.[…]Tum<br />
Saxones perinde quasi rerum iam potiti,<br />
speciatim in principes debacchantur, ut illis<br />
domitis, perditisque, facilius in totius insu<strong>la</strong>e<br />
possessionem venirent, quod solum auebant.<br />
807 […]Tum demum Angli Saxones totius<br />
insu<strong>la</strong>e praeter Scotiam, et loca, quae Picti<br />
habebant, imperio potiti, eam inter se, sicut<br />
infra ostendetur, partiti sunt, et illud quidam<br />
non communi consilio, aut certa ratione<br />
factum est, sed prout fortissimus quisque sibi<br />
partem aliquam terrae vindicare potuerat, in<br />
ea suum principatum instituit. Britannis vero<br />
qui patriae excidium evaserant, portio insu<strong>la</strong>e<br />
data est, quae ad occidentem Hanc deinde<br />
Angli Vualliam, et Britannos eius inco<strong>la</strong>s<br />
Vuallos dixerunt, quia Germani, omnes<br />
externos, qui aliam habeant linguam,<br />
sermone patrio, vocant Vuallsmen, id est,<br />
alienos homines, pro quibus insu<strong>la</strong>e<br />
dominatum iam adepti habebant eos<br />
Britannos, qui caedibus superfuerant. 808<br />
Dall’affermazione degli Angli che tradiscono l’accordo stipu<strong>la</strong>to con i Britanni e<br />
conquistano l’iso<strong>la</strong>, il canonico <strong>la</strong>urenziano opera un salto storico-logico di diversi secoli per<br />
narrare le vicende dell’iso<strong>la</strong> sotto il re Adovardo costretto a fronteggiare tra i diversi nemici,<br />
soprattutto i temibili Dani. Eventi contemporanei all’arco temporale svolto dal<strong>la</strong> Storia come<br />
vediamo:<br />
798 Storia, cit., passo alle pp. 145-148.<br />
799 Hi<strong>storia</strong>e Anglicae, cit., p. 8a5, lib. I.<br />
800 Ivi, p. 9a6.<br />
801 Ivi, p. 6a4, lib. I.<br />
163
“Divisato sin qui e <strong>la</strong> iso<strong>la</strong> e gli abitatori , ci<br />
rimane a contare le istorie di que’ tempi che<br />
noi scriviamo. Laonde, cominciandoci da’l<br />
valoroso Alvredo, da alcuni chiamato<br />
Alfredo, coronato da papa Adriano II, l’anno<br />
ottocentosettantadue del<strong>la</strong> salute, diciamo di<br />
lui brevemente, che e regnò ventotto anni; ne’<br />
quali combattè più volte co’ Dani, da<br />
Polidoro chiamati Daci, che apportati nel<strong>la</strong><br />
iso<strong>la</strong>, avevano tolto a Bertolfo il regno di<br />
Mercia, predato i Nortumbri, ed ucciso<br />
Edemondo re di quel<strong>la</strong> parte del<strong>la</strong> iso<strong>la</strong>, che<br />
<strong>prima</strong> è percossa dal Sole. Ed avvenga che<br />
molte volte si trovasse egli pure al disotto con<br />
questa ferocissima gente, de <strong>la</strong> quale a tempo<br />
e luogo ragioneremo, aiutandosi<br />
nientedimanco gagliardamente, gli condusse<br />
pure al<strong>la</strong> fine in tanto esterminio, che parte<br />
abbandonando <strong>la</strong> impresa, ritornarono a casa<br />
loro, e parte se ne fecero cristiani; e di questi<br />
ultimifu quel Gormo, che Alvredo fece col<br />
tempo re de’ Nortumbri. Finite le guerre in<br />
questa maniera, eidifcò monasteri e chiese<br />
sontuosissime, e dotolle di gran ricchezze.<br />
Fondò in Ossonia lo studio pubblico, e<br />
condusse molti uomini singo<strong>la</strong>ri. Fece leggi<br />
santissime…Ebbe di Etelviva sua donna duoi<br />
figliuoli maschi; Adovardo il vecchio…e<br />
Adevoldo…e tre figliuole, Elfreda, Etelgera<br />
ed Etelvida; <strong>la</strong> <strong>prima</strong> delle quali maritata ad<br />
un principe grande nel<strong>la</strong> Mercia, condattasi a<br />
provare i dolori del parto, mai più volle<br />
potere sentirgli, affermando che egli era<br />
pazzia estrema il dare opera ad un piacere<br />
che seco apporta pena sì grande.<br />
Lo anno dunque del<strong>la</strong> salute novecentouno,<br />
morendosi il re Alvredo, successe Adovardo<br />
suo primogenito; il quale coronato<br />
solennemente, regnò anni<br />
ventiquattro[…]Adunque, giudicando<br />
Adovardo prudentemente che <strong>la</strong> <strong>prima</strong> cosa<br />
gli bisognasse assicurarsi bene de lo stato,<br />
cominciò subito e ocn molta sollecitudine a<br />
restaurare le forza del regno, munire i luoghi<br />
più deboli, rivedere le fortezze, visitare le<br />
802 Ivi, pp. 35-36d2, lib. II.<br />
803 Ivi, passo alle pp. 49-50e2, lib. III.<br />
804 Ivi, passo a p. 51e3, lib. III.<br />
805 Ivi, passo alle pp. 48e1-49e2, lib. III<br />
806 Ivi, passo a p. 52e3, lib. III.<br />
807 Ivi, passo a p. 55e5 lib. III.<br />
808 Ivi, passo a p. 59f1 lib. III.<br />
Alvredus rerum potitus, primo quoque<br />
tempore, voti causa, Romam profectus est, ubi<br />
regiae coronae honore ab Hadriano Secondo<br />
Romano pontifice rursus honestatur. Qui fuit<br />
annus salutatis DCCCLXXII…non quieverunt<br />
interim Daci, qui primum Merciam ingressi,<br />
Bertulphum regem imperio<br />
spoliarunt…deinde Northumbros adorti…et<br />
interfecto Edmundo illorum rege…ac iis ita<br />
superatis Gunthormum unum ex suis ducibus<br />
regem constituerunt 810 […]habent enim<br />
coenobia magnifico apparatu<br />
constructa…muneribus opulentissima<br />
[…]Certat nominis celebritate cum hoc<br />
Oxoniensi gymnasio, accademia, quae<br />
Cantabrigiae apprime floret[…] tulit<br />
sanctissimas leges[…] Suscepit ex Ethleviva<br />
uxore, filios mares Edovardum cognomento<br />
Seniorem, et Adelvodum: foeminas tris,<br />
Elfredam, Ethelgeram, sue Elginam, et<br />
Etheluitham. Elfreda locata fuit quidam<br />
Ethelredo inter Mercios principi viro, accepta<br />
Merciae parte, dotis nomine. Haec venerae<br />
voluptatis spernendae valde memorabile<br />
edidit exemplum: a viro enim gravidata, cum<br />
pariendo vehementer <strong>la</strong>borasset, postea eius<br />
rei memor, perpetuo viri complexum<br />
abhorruit, dictitans stultissimum esse,<br />
eiusmodi volutati indulgere, aut operam dare,<br />
quae tantum doloris factura esset, Alvredus<br />
provecta iam aetate, levi morbo tentatus<br />
testamentum fecit, quo Edovardum filium<br />
instituit haeredem 811 […]Successit Alvredo<br />
Edovardus filius…quem Athelredus<br />
Cantuariensis archiebiscopus more maiorum<br />
coronavit, anno a natali Christi DCCCCI.<br />
[…]Edovardus inito principatu, cuncta sibi e<br />
Repubblica, a rimo facienda existimans, loca<br />
omnia praesidijs munire, urbes quas hostibus<br />
adversum se opportunissimas fore ducit,<br />
singu<strong>la</strong>s obire, suorum atque hostium res<br />
pariter attendere, barbarorum insidias<br />
antevenire, magno studio maturat, ut hoc<br />
pacto suos bellis continuis assuetos partim in<br />
officio, atque fide teneat, partim ne ijdem<br />
164
città che fronteggiavano co’ suoi nimici,<br />
rifornirle, affortificarle, riordinare <strong>la</strong> milizia,<br />
esercitar<strong>la</strong>, considerare le forze degl<br />
iavversarii, bi<strong>la</strong>nciarle con le sue, e<br />
antivedere in maniera tutto ciò che per lui<br />
faceva, che i Dani, signori allora di<br />
Nortumbria, cioè del reame di Nordgales…e<br />
di quel<strong>la</strong> parte di iso<strong>la</strong> che è volta verso<br />
levante, ancora che avidissimi di<br />
guerreggiarlo, non ebbero occasione alcuna<br />
da muoversi né da scoprirsi contro di lui: e<br />
nientedimeno, con tutta questa sua diligenzia,<br />
non potette egli vietare che Costantino re di<br />
Scozia non molestasse i confini del regno,<br />
predando ed ardendo tutto quel che gli era<br />
più comodo. Bene è vero che trovandosi<br />
Adovardo in su l’armi, riparò subito a questo<br />
insulto; perché affrontatosi con lo Scoto, non<br />
so<strong>la</strong>mente lo ruppe lo volse in fuga, ma gli<br />
uccise tanti de’ suoi, che egli ebbe di grazia<br />
di fare <strong>la</strong> pace, rispetto a lo avere perduto<br />
nel<strong>la</strong> giornata <strong>la</strong> maggior parte delle sue<br />
forze.[…]pacificatosi con lo<br />
Scoto…sopraggiunse tanto improvviso e tanto<br />
gagliardo sopra degli Uvali che volentieri<br />
stettero in pace; e senza trarre altrimenti<br />
spada, si accordarono a ciò che e’ volle: il<br />
che venne molto a proposito; perché i Dani,<br />
signori ancora di Norgales…sopportando mal<br />
volentieri che Adovardo venisse grande, e non<br />
avendo animo di manometterlo con l’armi<br />
loro so<strong>la</strong>mente, istigarono tanto Adevoldo,<br />
fratello minore di Adovardo, giovane<br />
ambizioso e cupidissimo di dominare, che<br />
adunato subitamente un uno esercito di tutti<br />
que’ che e’ potette avere, con lo aiuto di essi<br />
Dani cominciò a correre il regno. Ma<br />
Adovardo, non manco presto a difendere che<br />
Adevoldo fusse a l’offendere, uscitoli incontro<br />
armato, non so<strong>la</strong>mente fermò <strong>la</strong> furia, ma lo<br />
messe in tanta paura, che, abbandonate le<br />
genti, procacciò di fuggirsi a’ Dani. Ma<br />
seguitato da Adovardo con tanta celerità che<br />
e’ si disperò di di potere andarvi, rivolse i<br />
passi a’l mare di Germania; ed imbarcatosi<br />
con gran prestezza, se ne passò al<strong>la</strong> terra<br />
ferma. Quivi, posatosi quasi un anno, per<br />
rinnovare <strong>la</strong> guerra <strong>la</strong>sciata, se ne andò per<br />
809 Storia, cit., passo alle pp. 149-152.<br />
810 Hi<strong>storia</strong>e anglicae, cit., passo a p. 96i1, lib. V.<br />
811 Ivi, passo alle pp. 103-104i5, lib. V.<br />
812 Ivi, passo alle pp. 105-106i6, lib. VI.<br />
remoto metu, <strong>la</strong>tius licentiusque effusi ab<br />
hostibus de improvviso op<strong>prima</strong>ntur, atque ita<br />
ipsis Dacis in primis novitatis avidis, qui id<br />
temporis Northumbris et orientalibus Anglis<br />
dominabantur, occasio movendi belli modis<br />
omnibus adimeretur. Veruntatem huic studio<br />
bellum Scoticum subito praevertendum fuit,<br />
quod Constantinus rex continenter Anglicos<br />
fines vexabat. Edovardus primo quoque<br />
tempore bellum ei intulit, quod multa utrinque<br />
caede gestum est: sed Scotus maioribus<br />
affectus incommodis, non invitus ab armis<br />
discessit, pace ab Anglo impetrata.<br />
Edovardus post haec, Vuallos vacil<strong>la</strong>ntes ad<br />
sanitatem reduxit, totamque Merciam, ut infra<br />
dicetur, post obitum Elfredae sororis suae<br />
recepit: nec eo tamen pacto hostium insidias<br />
ritardare, in otiove esse potuit: enimvero<br />
Daci qui tum in Northumbria erant,<br />
permoleste ferentes res Anglicas in dies<br />
singulos crescere, subito bellum moliuntur: et<br />
quoniam ipsi illud movere non audebant,<br />
idcirco alieni armis odium explere nituntur.<br />
Itaque ad Adelvoldum iuvenem Edovardi<br />
fratrem suapte natura regnandi avidum c<strong>la</strong>m<br />
adeunt, solicitantque, admontes tempus<br />
idoneum esse, quo facile possit, si modo velit,<br />
regnum espulso fratre obtinere[…]His<br />
monitis…perpulerunt, ut…in regnum fratris,<br />
ac confestim comparato exercitu, hostiliter<br />
illud invaserit. Sed rex cum nihilo segnius<br />
iniuriae obviam ivisset, tum inops consilij, ut<br />
qui omnia temere fecerat, metuque perculsus,<br />
fugae se dedit, ac ad Dacos in Northumbriam<br />
se recipere contendit, ut ab illis adiutus<br />
praelium conserte. Quod ubi rex novit, tanta<br />
celeritate est insecutus, ut iuvenis omittere<br />
incoeptum iter, ac ad mare tendere, indeque<br />
transmarinas partes petere cactus sit: ubi vix<br />
annum moratus, inde ad Northumbros belli<br />
innovandi causa redijt. Hunc Daci qui<br />
Edovardum metuebant, perbenigne<br />
acceperunt, ducemque belli sibi constituere.<br />
Adelvoldus accepto imperio, plenus irarum<br />
adversus fratrem, ingenti vi armorum eius<br />
regni fines ingreditur, cuncta ferro igneque<br />
vastantibus Dacis: et in Merciam conversus<br />
pariter dat omnia praedae: post haec, alio<br />
165
mare a’ Nortumbri. Costoro, che temevano<br />
già di Adovardo, lo riceverono benignamente;<br />
e, fattolo generale delle genti loro, vennero<br />
seco in su <strong>la</strong> campagna. Adelvoldo pieno di<br />
rabbia contro al fratello, entrato ne’ suoi<br />
confini, arde e guasta tutto il paese, e<br />
saccheggia dove egli arriva. Né contento a<br />
predare i confini soli, fa il medesimo nel<strong>la</strong><br />
Mercia…Quindi rivoltosi a mezzogiorno, e<br />
passato il fiume Tamigia, si condusse a<br />
Basingstocco; dove improvvisamente<br />
assaltato dallo esercito di Adovardo, e<br />
combattendo da disperato, finalmente restò<br />
ucciso. La battaglia fu sanguinosa, e morivvi<br />
di molta gente: né per <strong>la</strong> morte del generale<br />
cessò punto o mancò <strong>la</strong> zuffa. Perché se bene<br />
l avevano fatto coloro capo di tutto lo esercito<br />
per consumare gli Inghilesi con gli Inghilesi,<br />
avevano nientedimeno capitani<br />
partico<strong>la</strong>ri…ed a questi soli ubbidivano…E<br />
costoro…mantenevano <strong>la</strong> pugna in<br />
modo…che dopo un lungo combattimento, gli<br />
Inghilesi al fine si straccarono;<br />
e…abbandonarono il campo a’ nemici. Né gli<br />
seguitarono altrimenti i Dani; anzi stracchi<br />
de <strong>la</strong> battaglia, ancora che vincitori,<br />
cercarono di avere <strong>la</strong> pace. La quale<br />
nientedimanco non volle altrimenti fare<br />
Adovardo, per tenergli con più timore; e<br />
concesse loro una tregua… ” 809<br />
versum contendens, Thamesim transit, ac<br />
usque ad pagum, quem vocant<br />
Basyngstochum, crudeliter omnem regionem<br />
popu<strong>la</strong>tur. Rex contra instructa acie, fit hosti<br />
ita furenti obviam, quem soluto agmine<br />
venientem magno impetu adoritur. Certatum<br />
est eo loci summis utriusque partis viribus:<br />
fuit atrox pungna, ac diu anceps, multis<br />
utrinque cadentibus. Adelvoldus in primis<br />
inter hostes fortiter praelians occubuit, cuius<br />
ob interitum, nihil tamen paelium a Dacis est<br />
intermissum, quippe qui suos habebant duces,<br />
quorum virtutibus freti, Adelvoldo summam<br />
imperij tradidere, quo Anglus suis ipsius<br />
armis confceretur. Dum sic aliquandiu<br />
a<strong>la</strong>criter pugnatur, postremo regij milites<br />
victi terga vertunt. Daci vero longo fessi<br />
certamine, non modo a persequendo facile<br />
desistunt, sed praeter spem eo parelio<br />
superiores, bello deinceps abstinendum<br />
ducentes, pacem a rege petunt: quibus<br />
Edovardus ut maiori sit terrori, non pacem,<br />
sed inducias dat.” 812<br />
Dunque una presenza sassone che si irradia anche oltre <strong>la</strong> Manica a livello storicogeografico<br />
a cui il Giambul<strong>la</strong>ri concede uno spazio consistente a ulteriore legittimazione del<strong>la</strong><br />
trans<strong>la</strong>tio imperii indirettamente sostenuta ancora nel<strong>la</strong> conclusione del secondo libro del<strong>la</strong><br />
Storia nel giudizio generale formu<strong>la</strong>to su Lodovico imperatore tedesco che muore nel 911:<br />
“senza figliuoli, e senza altra memoria o nome, che di essere stato mal fortunato, e di aver<br />
<strong>la</strong>sciato andar male il paese del<strong>la</strong> Moravia, occupato dopo <strong>la</strong> morte del figliuolo del re<br />
Suembaldo, e dagli Ungheri eda’Polloni, ed in gran parte ancora dai Boemi…” 813 .<br />
4. Libro terzo: <strong>la</strong> trans<strong>la</strong>tio imperii al mondo tedesco, da Corrado di Franconia ad<br />
Arrigo di Sassonia<br />
L’apertura del terzo libro del<strong>la</strong> Storia che descrive l’elezione del duca Ottone di Sassonia al<br />
soglio imperiale segue secondo un procedimento coerente le premesse storico-geografiche<br />
poste a favore dei Sassoni nel secondo libro in contrapposizione al<strong>la</strong> denuncia del<strong>la</strong> decadenza<br />
franco-carolingia che domina il primo libro. Giambul<strong>la</strong>ri non rimarca soltanto che Ludovico è<br />
l’ultimo esponente del<strong>la</strong> dinastia carolingia che assume <strong>la</strong> corona imperiale ma evidenzia<br />
anche come <strong>la</strong> sua elezione inauguri una consuetudine mantenuta poi per il suo successore<br />
813 Storia, cit., passo alle pp. 152-153.<br />
166
Ottone, <strong>la</strong> mancanza dell’investitura papale. La designazione imperiale si connota quale<br />
momento essenzialmente ed esclusivamente tedesco:<br />
“Dopo <strong>la</strong> morte di Lodovico, che senza <strong>la</strong> benedizione papale, e senza esser venuto mai<br />
nel<strong>la</strong> Italia, se ne passò a gli antichi padri, essendo mancato in lui <strong>la</strong> vera stirpe di Carlo<br />
Magno; i grandi tutti del<strong>la</strong> Germania adunatisi a far nuovo principe, e convenuti insieme più<br />
volte, eleggevano unitamente e d’accordo Ottone duca di Sassonia…” 814 .<br />
Parole in cui ancora percepiamo una critica ai carolingi e specificamente a Ludovico per il<br />
legame totalmente spezzato tra Italia e Germania a causa dell’incapacità degli eredi di Carlo a<br />
cominciare dagli errori commessi da Arnolfo.<br />
Peraltro, Ottone propone al suo posto Corrado di Franconia <strong>la</strong> cui elezione però non<br />
conferisce all’impero maggiore stabilità. Infatti gà indicative in questo senso appaiono le<br />
brevi notazioni che l’autore dedica preliminarmente al periodo di governo di Corrado del<br />
quale dice:<br />
“fu coronato in Germania nel novecentododici, e non venne di qua da’ monti, sì per <strong>la</strong><br />
brevità del<strong>la</strong> vita, e sì per le molte guerre che gli occorsero di là dall’Alpi.” 815<br />
Guerre determinate oltre che dal costante problema ungherese dall’instabilità interna<br />
dell’impero prodotta dai dissidi dei suoi principi e aggravata dal<strong>la</strong> morte di Ottone che segue<br />
di pochissimo l’elezione di Corrado 816 . In realtà motivo di contrasto reale assume proprio <strong>la</strong><br />
<strong>prima</strong>zia esercitata dal<strong>la</strong> casa di Sassonia, già sottolineata nell’altro libro e di nuovo rimarcata<br />
all’inizio di questo:<br />
“I maggior principi del<strong>la</strong> Germania erano in<br />
questi tempi Arnolfo duca di Baviera,<br />
Burcardo duca di Svevia, Giselberto duca di<br />
Lotteringhia, Eberardo conte de’ Franchi e<br />
fratello di esso Currado; e tra tutti il più<br />
reputato e di molto maggior potentia, Arrigo<br />
duca de’ Sassoni e de’ Turingi…” 817<br />
“Hac autem tempestate Ludovicus rex<br />
moritur, Conradus ergo Francorum ex genere<br />
oriundus, vir strenuus, bellorumque exercitio<br />
doctus, rex cunctis a populis ordinatur. Sub<br />
quo potentissimi principes Arnoldus in<br />
Baioaria, Burcardus in Svevia, Everhardus<br />
comes potentissimus in Francia, Giselbertus<br />
dux in Lothoringia erant. Quos inter Henricus<br />
Saxonum et Thuringorum dux praepotens<br />
c<strong>la</strong>rebat.” 818<br />
Una egemonia mal digerita da Corrado che teme Arrigo di Sassonia, figlio di Ottone quale<br />
potenziale leader di una sommossa di principi contro <strong>la</strong> sua autorità. Pertanto, coadiuvato da<br />
Attone arcivescovo di Magonza, già precedentemente introdotto in chiave negativa per<br />
l’inganno perpetrato ai danni di Adalberto, Corrado cerca di liberarsi con un inganno dello<br />
scomodo Arrigo. Il fallimento di Attone e Corrado viene raccontato sul<strong>la</strong> falsariga di<br />
Widukindo come mostra chiaramente <strong>la</strong> col<strong>la</strong>zione specialmente per quanto riguarda le parti<br />
dialogate come puntualmente rilevato già dal<strong>la</strong> Marangoni. Diversamente il Giambul<strong>la</strong>ri<br />
arrichisce i passi narrativi tratti da Liutprando secondo un procedimento utilizzato anche in<br />
seguito. All’interno di questa rie<strong>la</strong>borazione, spicca soprattutto il collegamento diretto istituito<br />
dal canonico <strong>la</strong>urenziano tra <strong>la</strong> salvezza di Arrigo e del casato di Sassonia ed il disegno del<strong>la</strong><br />
volontà divina che condurrà poi quest’ultimo al trono imperiale. Una sottolineatura che non ci<br />
814 Ivi, passo a p. 157.<br />
815 Ivi, passo a p. 158.<br />
816 Ibidem.<br />
817 Ivi, passo cit. alle pp. 158-159.<br />
818 Liuthprandi, cit., passo a p. 240u6.<br />
167
sembra affiori in termini analoghi nei corrispondenti passi di Widukindo e che in re<strong>la</strong>zione a<br />
tutta l’analisi da noi condotta fin’ora ed ai motivi essenziali del prosieguo del<strong>la</strong> Storia va<br />
menzionata:<br />
“sì per <strong>la</strong> memoria di Ottone suo padre, che<br />
aveva fatto lo imperatore, e governatolo<br />
quando e’ visse; e si ancora per <strong>la</strong> somma<br />
virtù che manifestamente in lui si scoprivano.<br />
De le quali Currado, che ben sapeva di avere<br />
poco amici tutti gli altri principi detti,<br />
sospettando non poco…non volle che il duca<br />
Arrigo redasse tutta quel<strong>la</strong> autorità e quel<strong>la</strong><br />
potenzia che era stata di Ottone suo padre. Ma<br />
perché i Sassoni fieramente si conturbarono di<br />
questo fatto, desiderando di mitigarli,<br />
cominciò a par<strong>la</strong>re di Arrigo molto<br />
onoratamente, e a lodarlo quanto e’ poteva;<br />
promettendo volere accrescergli onore e<br />
stato…Coloro nientedimanco poco attendendo<br />
alle fal<strong>la</strong>ci promesse finte, confortavano il<br />
duca loro, se lo Imperatore amorevolmente<br />
non consentiva a consegnargli ciò che<br />
giustamente se li aspettava, che egli a forza e<br />
per suo dispetto se ne pigliasse quanto e’<br />
voleva.[…]Le quali cose considerando<br />
Currado, e veggendo stare i Sassoni a<br />
l’erta…giudicò in fra sé medesimo convenire<br />
al bisogno suo…levarsi al tutto dinanzi<br />
Arrigo. Ma non gli parendo da romper guerra,<br />
e massime ad un armato che aveva più gente e<br />
più pratica nel<strong>la</strong> milizia, ricorse al<br />
generabilissimo padre arcivescovo Atone…e<br />
gli aperse il bisogno suo, e quanto in questo<br />
desiderasse. Attone, al solito suo, per<br />
condurre il duca a <strong>la</strong> mazza, cominciò a<br />
intrinsecarsi con esso lui, e a mostrarglisi<br />
tutto suo, e in segno di grande amore<br />
artatamente faceva fare una ricchissima<br />
col<strong>la</strong>na d’oro per donar<strong>la</strong> poi ad Arrigo<br />
quando più gli fosse a proposito.<br />
[…] 819 Lavoratasi <strong>la</strong> col<strong>la</strong>na in casa stessa<br />
dello arcivescovo; ed egli molte volte era<br />
solito andarsi a starsi con quel maestro, e aver<br />
per un passatempo il vedergnene <strong>la</strong>vorare.<br />
Avvenne dunque una volta che[…] 820 sospirò<br />
profondissimamente senza vedersene <strong>la</strong><br />
cagione. Il maestro di ciò ammirato, lo<br />
“Igitur pater patriae et magno duce Ottone<br />
defuncto, illustri et magnifico filio Henrico<br />
totius Saxoniae ipse reliquit ducatum. Quum<br />
aut ei essent et alij filij, Thancmarus et<br />
Luitolfus, ante patrem suum obierunt. Rex<br />
autem Cunradus quum saepe expertus esset<br />
virtutem novi ducis, veritus est ei tradere<br />
omnem potestatem patris. Quo factu est ut<br />
indignationem incurreret totius exercitus<br />
Saxonici : ficte tamen pro <strong>la</strong>ude et gloria<br />
optimi ducis plura locutus, promisit se<br />
maiora sibi daturum, et honore magno<br />
glorificanturum. Saxones vero huiuscemodi<br />
simu<strong>la</strong>tionibus non attendebant, sed<br />
suadebant duci suo, ut si honore paterno eum<br />
nollet sponte honorare, rege invito quae<br />
vollet obtinere posset. Rex autem videns<br />
vultum Saxonum erga se solito austeriorem,<br />
nec posse publico bello eorum ducem<br />
contenere, suppetente illi fortium militu<br />
manu, exercitus quoque innumera<br />
multitudine, egit ut quoque modo interficere<br />
dolo. Ad hocque negocium habens, ut fertur,<br />
maxime idoneum Mogociacae sedis<br />
episcopum, nomine Hattonem.[…]Hac igitur<br />
perfidia quid nequius? Attamen uno capite<br />
caeso, multorum capita populorum salvant?<br />
Et quid melius eo consilio, quo discordia<br />
dissolveretur, et pax redderetur? Ea itaque<br />
varietate virum nobis proprie a summa<br />
clementia concessum aggressus est, fecitque<br />
ei torquem auream fabricari, et invitavit ad<br />
convivium, quo magnis ab eo muneribus<br />
honoraretur. Interea pontifex opus<br />
considerandi gratia ingreditur ad aurificem:<br />
et visa torque ingemuisse fertur. Gemitus<br />
causam aurifex interrogat. Cui respondit :<br />
qua optimi viri, et sibi charissimi, scilicet<br />
Henrici sanguine il<strong>la</strong> torques deberet<br />
intingui. Aurifex audita silentio texit, et opere<br />
perfecto traditoque, missionem petit et<br />
accipit : et obvians duci eunti adea negocia,<br />
indicavit ei quae audivit. Ipse autem<br />
819 Storia, cit., a questo punto a p. 160 il Giambul<strong>la</strong>ri asserisce: “Ma non permesse il giusto signore, il quale<br />
tirava Arrigo a lo Imperio, che lo scellerato disegno si conducesse a’l proposto fine, e scoperselo in questa<br />
guisa.”<br />
820 Ivi, l’autore aggiunge: “entrato un dì tutto solo a vedere <strong>la</strong> col<strong>la</strong>na, già condotta assai bene avanti, e<br />
lodata<strong>la</strong> assai con lo orefice…”.<br />
168
dimandò amorevolmente perché tanto di cuore<br />
sospirasse. Attone,<br />
[…] 821 confidandosi…“Sospiro, (disse) perché<br />
questa col<strong>la</strong>na sarà presto bagnata co’l<br />
sangue del maggiore amico che io abbia.”<br />
Stettesi cheto l’orefice a questo dire, e avendo<br />
già inteso <strong>prima</strong> a chi si avesse a dare <strong>la</strong><br />
col<strong>la</strong>na, conobbe subitamente chi dovesse<br />
morire con essa. Attese dunque al<strong>la</strong> opera sua<br />
senza dimostrazione alcuna, e quando el<strong>la</strong> fu<br />
finita… se ne andò, come <strong>prima</strong> potette farlo,<br />
trovare esso duca Arrigo, e rive<strong>la</strong>ndogli<br />
quanto avesse e visto e udito…Era per<br />
avventura quel<strong>la</strong> stessa mattina venuto un<br />
mandato del santo padre a convitare esso<br />
Arrigo ad un banchetto con lo Arcivescovo,<br />
quando egli, per lo avviso del buono orefice,<br />
sospettoso di questo invito… “Direte (disse) a<br />
monsignor lo Arcivescovo, che Arrigo non ha<br />
il collo punto più duro che si avesse già il<br />
duca Alberto, e che noi abbiamo giudicato<br />
molto più a nostro proposito lo starci a casa, e<br />
provvedere al servizio suo, che aggravarlo di<br />
tanta spesa.” Quindi rivolto a gli uomini suoi,<br />
comandò che i soldati si apparecchiassero, e<br />
che a lo Arcivescovo di Magunzia subitamente<br />
fusse levato ciò che e’ teneva nel<strong>la</strong> Turinghia e<br />
nel<strong>la</strong> Sassonia. Oltre di questa indirizzatosi a<br />
danni di Burgardo e Bardone, amici e parenti<br />
del re Currado, li ridusse in breve a tale<br />
termine con gli incendi e con le rapine, che e’<br />
furono mal grado loro forzati a fuggirsi via, e<br />
<strong>la</strong>sciare le robe e gli Stati, che si divisero poi<br />
per Arrigo tra’ soldati e amici suoi.[…]” 822<br />
vehementer iratus, vocat legatum pontificis,<br />
qui iampridem aderat invitandi eum gratia :<br />
Vade, inquit, dic Hattoni, quia durius collum<br />
non gerit Henricus quam Adalbertus : et quia<br />
melius rati sumus domi sedere, et de eius<br />
servtitio tractare, quam comitatus nostri<br />
multitudine modo eum gravare : et statim<br />
omnia quae iuris ipsius erant in omni<br />
Saxonia vel Thuringorum terra occupavit.<br />
Burghardum quoque et Bardonem, quorum<br />
alter gener regis erat, in tantum afflixit, et<br />
bellis frequentibus contrivit, ut terra<br />
cederent, eorumque omnem possessionem sui<br />
militibus divideret. Hatto autem videns fuis<br />
calliditatibus finem impositum, nimia tristitia<br />
ac morbo pariter non post multos dies<br />
confectus interijt. Fuere etiam qui dicerent<br />
quia fulmine coeli tactus, eoque ictus<br />
dissolutus post tertium diem defecisset.” 823<br />
Parimenti da Widukindo, Giambul<strong>la</strong>ri ricava anche <strong>la</strong> vicenda del<strong>la</strong> spedizione del fratello<br />
dell’imperatore Eberardo in terra sassone. Corrado infatti è alle prese con <strong>la</strong> ribellione del<br />
duca di Baviera Arnolfo. La spedizione di Eberardo non consegue gli obiettivi sperati grazie<br />
all’abilità dell’ambasciatore sassone Dietmaro:<br />
Currado…mandò Eberardo suo fratello con<br />
una banda molto gagliarda a predare e<br />
guastare il paese attorno del<br />
duca;[…]Eberardo, avviatosi contra<br />
Eresburgo, città di Sassonia, vi era già vicino<br />
ad un miglio, bravando e minacciando<br />
superbamente, e dolendosi in un certo modo<br />
di non poter quasi vedere i Sassoni, almanco<br />
Rex autem misit fratrem cum exercitu in<br />
Saxoniam, eam devastandam. Qui appropians<br />
urbs, quae dicit Heresburg, superbe loquutum<br />
tradunt : qua nihil ei maiori curae esset,<br />
quam que Saxones pro muris se ostendere<br />
non auderet, quo cum eis dimicare potuisset.<br />
Adhuc fermo in ore eius erat, et ecce Saxones<br />
ei occurrerunt miliario ab urbe, et inito<br />
821 Ivi, nel testo del<strong>la</strong> Storia leggiamo un non trascurabile “come fu <strong>la</strong> voglia di Dio…”.<br />
822 Ivi, passo cit., alle pp. 159-162.<br />
823 Vuitichindi, cit., passo alle pp. 10a5-12a6. Inoltre, cfr. Chronicum…Uspergensis, cit., dove questo passaggio<br />
è praticamente identico alle pp. CCVIs1-CCVIIs2.<br />
169
su per le mura e tra’ merli, per castigargli de<br />
lo error loro; quando improvvisamente<br />
affrontato da essi, e venuto a battaglia<br />
sanguinosissima dopo una lunga contesa, e<br />
dopo <strong>la</strong> morte del glorioso padre arcivescovo<br />
Attone, che <strong>la</strong>sciò <strong>la</strong> pelle in questo conflitto,<br />
fu sforzato pur finalmente a mostrar le spalle<br />
a’ nemici, e, con <strong>la</strong> perdita delle genti e di<br />
tutto il fardaggio loro, fuggirsi nel<strong>la</strong><br />
Franconia, ed appena campò <strong>la</strong> vita. La<br />
uccisione fu sì grande, e de’ Franchi<br />
massimamente, che per i gioco<strong>la</strong>ri e buffoni<br />
molte volte poi si cantava: “Dove è così<br />
inferno, che riceva tanti Franchi?” Currado,<br />
udita <strong>la</strong> rotta del suo fratello, abbandonò <strong>la</strong><br />
Svevia, e, con quel<strong>la</strong> più gente che aver<br />
potette, a un tratto se ne tornò in Sassonia.<br />
Quivi accampatosi a Gruona, città dove<br />
allora si trovava Arrigo, mandò certi uomini<br />
suoi a dirgli, che se e’ si arrendeva<br />
liberamente, lo troverebbe suo buon amico e<br />
non avversario, come forse si dava a<br />
intendere. Sopragiunse a questa l’mbasciatore<br />
Dietmaro Sassone, vicino de’ Pruteni, uomo<br />
esercitatissimo nelle guerre, di gran consiglio<br />
e di molta sagacità; e senza aspettare<br />
altrimenti che Arrigo rispondesse, o che<br />
gl’imbasciadori seguitassero più avanti, così<br />
polveroso com’era de’l cavalcare, disse al<br />
Duca sì altamente che ciascuno lo poteva<br />
intendere: “Dove volete voi, signor duca, che<br />
si alloggi lo esercito che io ho menato?” Il<br />
che diceva egli fintamente, non avendo seco<br />
altro esercito che cinque persone sole. Arrigo,<br />
il quale, per non si trovar fornito di gente,<br />
disegnava quasi di arrendersi, udite queste<br />
parole dimandò subito quanta gente avesse<br />
condotta. E Dietmaro sagacissimo, con gran<br />
prontezza rispose: “Trenta insigne”. La qual<br />
cosa credendo Arrigo, si rivolse agli<br />
mbasciatori, e disse che non voleva in<br />
maniera alcuna darsi in mano a’ nimici suoi,<br />
ma difendersi valorosamente sino a <strong>la</strong> morte,<br />
per mantenersi con quel dominio che gli<br />
aveva <strong>la</strong>sciato il padre. Gl’imbasciadori,<br />
ingannati essi ancora da le finte parole di<br />
Dietmaro, ritornati in campo a Currado, lo<br />
avvisarono del nuovo esercito sopravvenuto al<br />
suo avversario, e lo messero in tanto sospetto,<br />
certamine tantam caede Francos multati sunt,<br />
ut a mimis dec<strong>la</strong>maret, ubi tantus ille infernus<br />
esset, qui tantam multitudinem caesorum<br />
capere posset. Frater aut regis Everhardus<br />
liberatus a timore absentiae Saxonum, nam<br />
eos praesentes vidit, et ab ipsis turpiter<br />
fugatus discessit. Audiens autem rex male<br />
pugnatum a fratre, congregata omni virtute<br />
Francorum, perrexit ad requirendum<br />
Henricum. Quem compertum in praesidio<br />
urbis quae dicitur Grona, tentavit illud<br />
oppugnare praesidium. Et missa legatione<br />
pro spontanea dedizione, spondet se per hoc<br />
sibi amicum affuturum, non hostem<br />
experturum, Huic legazioni intervenit<br />
Thiatmarus ab oriente, vir disciplinae<br />
militaris peritissimus, varius consilioque<br />
magnus, et qui calliditate ingenij multos<br />
mortales superaret. Hic supveniens legatis<br />
regis presentibus interrogat, ub vellet<br />
exercitum castrametari. At ille iam suasus<br />
cedere Francis, accepit fiduciam, audiens de<br />
exercitu, credens ita esse. Thiatmarus vero<br />
ficte loquebatur : cum quinque enim<br />
tantummodo viris venerat. De numero aut<br />
legionum sciscitate duce, ad triginta fere<br />
legiones se, perducere posse respondit: et ita<br />
delusi legati regressi sunt ad regem. Vicit<br />
vero eos calliditate sua Thiatmarus, quos ipse<br />
dux ferro vincere non potuit Henricus. Nam<br />
ante lucanum relictis castris Franci<br />
unusquisque redijt in sua.” 825<br />
824 Ivi, passo cit., alle pp. 159-162.<br />
825 Vuitichindi, cit., passo alle pp. 10a5-12a6, cfr. ancora le parole quasi coincidenti nel<br />
Chronicum…Uspergensis, cit., a p. CCVIIs2.<br />
170
che diloggiato <strong>la</strong> notte con tutta <strong>la</strong> gente, il<br />
più segretamente che fu possibile, s ene tornò<br />
nel paese suo. E così vinse Dietmaro con le<br />
parole quel principe potentissimo, che lo<br />
assediato suo duca Arrigo non poteva batter<br />
con l’armi.” 824<br />
Diversamente dai continui insuccessi del<strong>la</strong> parte imperiale, invece i Sassoni passano da un<br />
successo all’altro. Una volta respinto l’assedio di Eberardo, tocca ai danesi, puniti per le loro<br />
continue scorrerie piratesche. La digressione sul<strong>la</strong> loro collocazione geografica e sui loro<br />
trascorsi storici il Giambul<strong>la</strong>ri <strong>la</strong> ricava dal<strong>la</strong> medievale Danorum i<strong>storia</strong>e 826 di Saxo<br />
Grammatico 827 :<br />
“<strong>la</strong> Dania…non è so<strong>la</strong>mente <strong>la</strong> Juzia, cioè<br />
quel<strong>la</strong> punta del<strong>la</strong> Germania che da’l fiume<br />
Eidora, termine comune a lei ed ai Sassoni,<br />
si distende nel mar germanico verso <strong>la</strong><br />
Scandia ed è quello stesso luogo dove gli<br />
antichi posero i Cimbri; ma contiene ancra<br />
in se stessa <strong>la</strong> Fionia, <strong>la</strong> Se<strong>la</strong>ndia, <strong>la</strong> Scania<br />
ed alcune altre isolette circonvicine: <strong>la</strong><br />
qualità delle quali, siccome è variata molto e<br />
distinta l’una da l’altra…tutta questa si<br />
chiama oggi Danimarca, e che i termini o<br />
confini suoi sono <strong>la</strong> Sassonia quanto a <strong>la</strong><br />
Juzia, e quanto a’l resto l’onda marina. La<br />
quale circondando questo regno quasi per<br />
tutto, lo divide ancora in più parti, dove con<br />
distanzie non molto piccole, e dove con brevi<br />
e stretti canali, secondo che i seni si<br />
ingolfano fra <strong>la</strong> terra, e gli scogli o capi si<br />
al<strong>la</strong>rgano fra quel mar che lo chiude<br />
intorno.[…]La Fionia è molto copiosa di ciò<br />
che diletta i sensi mortali, ed è amenissima<br />
sopra ogni altra: ma <strong>la</strong> Scania è di pesci sì<br />
abbondante, che ne golfi e ridotti suoi<br />
(secondo che afferma Sasso) oltre il<br />
pigliarsene con le mani quel<strong>la</strong> quantità che<br />
l’uom vuole senza aiuto di reti d’altro, a<br />
ma<strong>la</strong> pena possono le navi aprirsi tal volta <strong>la</strong><br />
via coi remi per andare a’l viaggio loro;<br />
tanto fuor d’ogni credere ve ne abbonda <strong>la</strong><br />
moltitudine.[…]come apertamente si vede in<br />
Sasso…e massime nel<strong>la</strong> vita di Regnero…che<br />
ancora giovanetto roppe ed uccise il re di<br />
Svezia, che aveva ammazzato Sivardo re di<br />
Norvegia…vinse gli Scani e quelli di<br />
“Ex his Iutia…que sicut positione prior, ita<br />
situ porrectior Theutoniae finibus admovetur.<br />
A cuius complexu fluminis Eydori<br />
interrivatione discreta, cum alquanto<br />
<strong>la</strong>titudinis escremento, septentrionem versus in<br />
Norici freti littus excurrit. […]Huius itaque<br />
regionis estima, partim soli alterius confinio<br />
limitanta, partim propinqui maris fluctibus<br />
includunt. Interna vero circonfusus ambit<br />
Oceanus, qui sinuosis interstitiorum<br />
anfractibus, nunc in angustias freti<br />
contractioris evadens, nunc in <strong>la</strong>titudinem sinu<br />
diffusiore procurrens, complures insu<strong>la</strong>s<br />
creat.[…]Fionia…cospicua necessariarum<br />
rerum ubertate <strong>la</strong>udanda: quae insu<strong>la</strong><br />
amoenitate cunctas nostrae regionis<br />
provincias antecedens…Scaniae…optimam<br />
praedae magnitudinem quotannis piscantium<br />
retibus adigere soliti. Tanta siquidem sinus<br />
omnis piscium frequentia repleri consuevit, ut<br />
interdum impacta navigia vix remigij con<br />
amen eripiat. Nec iam praeda artis<br />
instrumento, sed semplici mani officio<br />
capiatur. 829 […]Regnerus in regnum succedit,<br />
quo tempore rex Suetiae Fro, interfecto<br />
Norvagiensum rege Syvardo, 830 […]Iuti gens<br />
insolens Scanis in societatem contractis…<br />
obritivit… 831 […]arma in Britanniam erexit,<br />
regemque eius…pugna perstrictum occidit.<br />
Inde Scotiae ac Petiae insu<strong>la</strong>rumque quas<br />
australes vel meridianas vocat, ducibus<br />
interfectis, Syvardo ac Rathbartho filijs vacuas<br />
gubernatore provincias in potestatem addixit.<br />
Norvagiam quoque principe suo violenter<br />
826 Saxonis Grammatici Danorum hi<strong>storia</strong>e libri XVI, trecentis ab hinc annis conscripti, tanta dictionis<br />
elegantia, rerumque getarum varietate, ut cum omni vetustate contendere optimo iure videri possint. Accessit<br />
rerum memorabilium Index locupletissimum, Basileae apud Io. Bebelium, Anno MDXXXIIII; d’ora in poi<br />
Danorum hi<strong>storia</strong>e.<br />
827 Sul quale, cfr. Répertoires des sources historiques, cit., vol. II, pp. 4163-4164.<br />
171
Juzia…che se gli erano ribel<strong>la</strong>ti; saccheggiò<br />
<strong>la</strong> Bretagna, ed uccise il re di quel<strong>la</strong>: passò<br />
in Iscozia e nelle isole da Mezzogiorno, ove<br />
morti o cacciati i veri signori, pose al<br />
governo di quelle Sivardo e Ratbarto suoi<br />
figliuoli: cacciò ancora di Norvegia il<br />
signore naturale, e insieme con tutte quelle<br />
isole, che i Romani chiamarono Orcade, <strong>la</strong><br />
dette ad un altro suo figliuolo detto Frilevo.<br />
Vinse e cacciò Araldo suo emolo, fatto re da’<br />
nemici suoi e constrinselo a fuggirsi nel<strong>la</strong><br />
Germania. Passò in Svezia contro il re Sorlo,<br />
per vendicare i figliuoli di Eroddo: né<br />
so<strong>la</strong>mente lo vinse in duello di quattro contra<br />
di otto, ma e in battaglia campale di esercito<br />
contro ad esercito; ed ucciselo finalmente,<br />
con tutte le genti che erano per lui. Combattè<br />
eziandio gli Sciti e contro a Ruteni, e di tutti<br />
acquistò vittoria. Superò i Finni, trionfò de’<br />
Biarmesi: e ne’ più vivi sassi de’ maggiori<br />
monti fece intagliare memorie gloriosissime<br />
delle infinite vittorie sue. In questo mentre,<br />
Ubbo suo figliuolo non legittimo gli ribellò<br />
Svezia e Se<strong>la</strong>ndia, ma con infelice successo,<br />
restando e vinto e prigione del padre; il<br />
quale nientedimeno gli perdonò poco dopo lo<br />
errore commesso, e <strong>la</strong> pena che e’ meritava.<br />
Appresso, venutogli nuova che Dassone,<br />
figliuolo del re di Ponto, gli aveva ad<br />
inganno tolto Svezia, e ucciso Vitserco suo<br />
figliuolo che di quel<strong>la</strong> aveva il governo,<br />
rifatto lo esercito si tornò di nuovo in Svezia;<br />
dove rotto e preso Dassone, e tenutolo alcuni<br />
giorni in sua podestà, lo liberò<br />
graziosamente, e sotto non grave tributo gli<br />
concesse il predetto regno. Ebbe ancora<br />
tante altre chiare vittorie…ma tutte finirono<br />
miseramente. Con ciò sia che, a lo estremo di<br />
quelle caduto nelle mani de’ nemici suoi, fu<br />
da essi aperto nel petto, e, così vivo, dato a<br />
pascere aspidi e vipere con le viscere sue più<br />
intime e più vitali. La qual cosa rapportata<br />
a’ figliuoli in Dania, fu cagione che,<br />
ragunato infinito esercito, se ne venissero in<br />
quel<strong>la</strong> parte del<strong>la</strong> Inghilterra, dove El<strong>la</strong> in<br />
exutam Fridlevo parere praecepit, eundemque<br />
Orchadibus proprio duce defectis praeferre<br />
curavit. Interea Danorum quidam<br />
pertinacioris erga Regnerum odij obstinatis ad<br />
rebel<strong>la</strong>ndum animis Haraldi quondam profugi<br />
partibus advoluti, prostratam Tiranni<br />
fortunam attollere conati sunt. Qua demeritate<br />
insolentissimos belli civilis adversum regem<br />
spiritus excitaverunt, externisque liberum<br />
domesticis implicuere periculis. Ad quos<br />
costringendos Regnerus cum insu<strong>la</strong>rium<br />
Danorum c<strong>la</strong>sse profectus, rebellium agmen<br />
elisit, Haraldumque superati exercitus ducem<br />
fuga in Germaniam actum, honorem improbe<br />
partum impudenter abijcere<br />
compulit.[…]Cumque Regnerus oneratis<br />
tributo Saxonibus de morte Heroddi certum e<br />
Suetia nuncium accepisset, liberosque suos<br />
Sorli suffecti regis calumnia avitis bonis<br />
exutos cognosceret…Suetia petijt. Cui<br />
occurens cum exercitu Sorlus, publice ac<br />
privatim dimicandi opzione facta, singu<strong>la</strong>rem<br />
degligenti conflictum…cum septena filiorum<br />
manu ex provocatione pugnaturum admovit.<br />
Cum quibus Regnerus tribus filijs in<br />
certaminis societatem assumptis, utroque<br />
exercitu inspectante congeressus, agone victor<br />
excessit.[…]Qua victoria Regnerus omnis<br />
periculi superandi fiduciam nactus, Sorlum<br />
cum universis quas ductaverat copijs<br />
impetitum occidit. […]Scithae…eodem obtriti<br />
discrimine referentur…Ruthenorum<br />
rex…formidolosa Regneri arma fuga<br />
praecurrere maturavit. 832 […]ubi Biarmorum<br />
rege interfecto, Finnorum vero fugato,<br />
Regnerus saxis rerum gestarum apices prae se<br />
ferentbus, hisdemque superne locatis,<br />
aeternum victoriae suae monimentum affixit.<br />
Interea Ubbo…abiecta paterni respectus<br />
verecondia, capiti suo regium arrogavit<br />
insigne[…]Ubbonemque pristinae gratiae<br />
redditurum paterna charitate complectens,<br />
traiecta in Rusciam c<strong>la</strong>sse, comprehensum<br />
Daxon, catenarumque poena coercitus, apud<br />
Utgarthiam custodiae relegavit. Siquidem tunc<br />
828 Storia, cit., pp. 163-165.<br />
829 Danorum hi<strong>storia</strong>e, cit., passo a p. 2a2 nel<strong>la</strong> Saxonis Grammatici sia<strong>la</strong>ndici viri eloquentissimi, in gesta<br />
danorum praefatio, da p. 1a a p.3a3.<br />
830 Ivi, passo a p. 84o6.<br />
831 Ivi, p.85p1.<br />
832 Ivi, p. 86p2.<br />
833 Ivi, p. 87p3.<br />
834 Ivi, p. 88p4.<br />
172
maniera si disusata aveva ucciso il misero<br />
vecchio. La onde, con battaglia orribile e<br />
fiera, avendolo e vinto e preso, non contenti<br />
a morte ordinaria e semplice, miserabilmente<br />
lo <strong>la</strong>cerarono appoco dappoco, e per<br />
maggior dispregio poi lo insa<strong>la</strong>rono. Il che<br />
fatto, <strong>la</strong>sciato al governo di quello stato<br />
Agnero ed Ubbo loro fratelli, se ne<br />
tronarono in Dania Sivardo e Ivaro. ” 828<br />
Regnerum adversus charissimi filii<br />
interfectorem, clementissima animi<br />
moderatione usum esse constatabat, cum ad<br />
concupitae ultionis satietatem exilium fontis,<br />
que necem sufficere<br />
maluit. 833 […]Comprehensus enim atque in<br />
carcerem coniectus, noxios artus colubris<br />
consumendos advertit, atque ex viscerum<br />
suorum fibris tristem viperis alimoniam<br />
praebuit. 834 […]”<br />
Esaurita l’ampia parentesi sui Dani, il canonico <strong>la</strong>urenziano torna ai problemi dell’attualità<br />
derivati dal<strong>la</strong> ribellione di Arnolfo di Baviera che alleato degli Ungheri ne favorisce le discese<br />
e le razzie in Stiria, Carinzia e Carnia descritte sotto il profilo storico-geografico attraverso il<br />
ricorso a Pio II. Successivamente razziano <strong>la</strong> Bulgaria e di nuovo <strong>la</strong> Germania e l’Alsazia<br />
anche perché osserva l’autore:<br />
“non durarono certo molta fatica, e per non essere allora munito il paese di tante grosse e<br />
belle città, e di tante castel<strong>la</strong> e fortezze, quante a’ nostri tempi vi sono. Con ciò sia che <strong>la</strong><br />
frequenza del<strong>la</strong> Germania non ebbe tanto <strong>la</strong> origine sua da Carlo Magno, e da’ discendenti,<br />
quanto da gli Ottoni, da gli Arrighi e da’ Federighi, come ampiamente mostra lo Irenico; e<br />
dal timore delle prede, incendi e rapine che vi facevano gli Ungheri ogni anno, correndo<strong>la</strong><br />
tutta a loro piacimento, e quando più tornava lor bene per non esservi altro che ville e<br />
borghi, senza cittadi o castel<strong>la</strong> grosse che potessero tenergli a freno. Il che avveniva<br />
certamente per mantenervisi ancora in parte quel<strong>la</strong> salvatica rigidità e salvatichezza rigida e<br />
fiera, che si legge in Cornelio Tacito.” 835<br />
Un’altra considerazione estremamente indicativa del<strong>la</strong> prospettiva filo-tedesca e<br />
specificamente ottoniana che permea <strong>la</strong> Storia sotto diversi punti di vista. In primo luogo <strong>la</strong><br />
fonte di riferimento indicata dal Giambul<strong>la</strong>ri stesso nell’Irenicus. In secondo luogo il richiamo<br />
positivo al<strong>la</strong> moderna civiltà urbana europea e tedesca già presentato dall’autore nel primo<br />
libro del<strong>la</strong> Storia a pagina 22 proprio in collegamento a Tacito 836 . Un elogio dunque non<br />
occasionale né iso<strong>la</strong>to che inoltre evidenzia in questo punto un forte contrasto con <strong>la</strong> realtà<br />
<strong>la</strong>sciata da Carlo Magno e soprattutto dai suoi inadeguati successori.<br />
Gli Ottoni, pertanto, sono gli autentici padri fondatori del<strong>la</strong> moderna civiltà europea poi<br />
edificata anche dagli altri imperatori tedeschi, non i carolingi. Appare evidente, anche da<br />
questo passaggio <strong>la</strong> valenza contemporaneistica del disegno storiografico del Giambul<strong>la</strong>ri in<br />
cui passato e presente sembrano avere più di un contatto del tutto fortuito. Anche perché <strong>la</strong><br />
devastazione soltanto parziale di Basilea compiuta dagli Ungheri appena usciti dall’Alsazia<br />
consente all’autore una celebrazione del<strong>la</strong> sua ricchezza e bellezza contemporanea correl<strong>la</strong>ta<br />
ad una digressione sul<strong>la</strong> sua <strong>storia</strong> e sul suo sviluppo attinta dal Renano. Anche se il<br />
Giambul<strong>la</strong>ri rispetto al<strong>la</strong> prosa del Renano cambia l’ordine dei passaggi in questione<br />
mantenendone però inalterata <strong>la</strong> logica e <strong>la</strong> sostanza. Una sostanza che come le parole del<br />
Renano attestano par<strong>la</strong> tedesco, in perfetta linea con quanto sinora riscontrato e sostenuto.<br />
Nel<strong>la</strong> riproposizione del<strong>la</strong> nascita e del<strong>la</strong> <strong>storia</strong> del<strong>la</strong> città come narrate dal Renano,<br />
Giambul<strong>la</strong>ri aggiunge secondo quanto risulta dal confronto due espliciti elogi al<strong>la</strong> Basilea<br />
contemporanea, che accentuano ulteriormente <strong>la</strong> già positiva immagine offerta nel racconto<br />
del<strong>la</strong> sua crescita e dal<strong>la</strong> sua floridezza. Dal Renano. Basilea dunque, emblema dei progressi,<br />
del<strong>la</strong> forza dello splendore dell’Europa imperiale germanica contemporanea, nonché città<br />
835 Storia, cit., passo alle pp. 171-172.<br />
836 Vedi supra alle cap. II <strong>prima</strong> parte pp. 38-39.<br />
173
simbolo dell’umanesimo europeo di stampo erasmiano di cui ovviamente il Renano è<br />
esponente e fautore:<br />
“Spogliata e guasta <strong>la</strong> Alsazia, si<br />
accamparono a Basilea; città oggi veramente<br />
ricca e magnifica, ma che allora veniva suso,<br />
e cominciava alquanto a distendersi. Con ciò<br />
sia che, dopo <strong>la</strong> inondazione generale de gli<br />
alemanni da noi detta nell’altro libro,<br />
essendo già abbattuta e distrutta Augusta de’<br />
Raurici, le nuove genti de <strong>la</strong> vecchia<br />
Germania usicte non cercarono più di rifar<strong>la</strong>,<br />
come luogo da loro odiato, ed in oltre non<br />
tanto comodo a’l condurvi le robe quanto il<br />
lito vicino al fiume: ma fermatesi lungo due<br />
torri vecchie, edifizi forse romani, in su lo<br />
stesso passo del Reno, e che ancora a dì<br />
nostri vivono, l’una in capo del ponte, l’altra<br />
poco lontana deputata a l’uso del sale, donde<br />
pare che el<strong>la</strong> abbia il cognome, cominciarono<br />
dappoco dappoco a farvi delle casette,<br />
primieramente da barcaruoli e da<br />
albergatori, e nello ultimo da mercanti, che<br />
d’ogni luogo vi concorrevano. E in questa<br />
maniera, perduta ed estinta in tutto non che<br />
<strong>la</strong> stanza di Augusta, ma <strong>la</strong> memoria, gli<br />
uomini a questo nuovo ricetto moltiplicando,<br />
e tirandovi tutto il buono che di altronde<br />
cavare potevano, lo augumentarono sì<br />
fattamente, che di semplice borgo divenuto<br />
<strong>prima</strong> castello, indi terra ed appresso città<br />
grossissima, si mostra oggi tanto magnifico e<br />
così bello, che molti si pensano il nome di<br />
Basilea cioè Reale, esser dato a questa città o<br />
dal<strong>la</strong> nobiltà e magnificenza degli edifizii, o<br />
da Arrigo re che, secondo il credere di<br />
alcuni, anticamente le diè principio; avvenga<br />
che l’una e l’altra etimologia non sia vera,<br />
essendo el<strong>la</strong> Passilea, e non Basilea, da’l<br />
passaggio quivi del<strong>la</strong> acqua, e non da’l re o<br />
da’l regno, come aperto mostra il Renano.” 837<br />
“Ego longe aliam opinionem de Basilea<br />
habeo. Nam puto Basileam dictam…non quod<br />
a rege Henrico condita sit, sed a traiectu<br />
quem lingua Romanensis, hoc est Gallica<br />
passim, vocat. Unde etiam Bassel<strong>la</strong><br />
Mosel<strong>la</strong>nica quam vulgo Passel appel<strong>la</strong>mus,<br />
sibi nomen vendicavit, ut sit dicta Basilea<br />
quasi Passilea. Traiectum esse enim hoc loco<br />
fuisse verisimile est etiamdum stante Augusta,<br />
quod hic propter vallem per quam torrens e<br />
Birsa ductus fluit, ripa sit humilior, et ob<br />
multas causas ad transitum aptissima, apud<br />
Augustam autem prorsus abrupta. Proinde<br />
consentaneum est hic transmittere solitos<br />
quibus cum Rauricis res esset, ut<br />
Germanorum, Tacito teste, et dubio procul<br />
postea Alemannorum, in ripa tantum<br />
commercium. Huc facit, quod in Olinone<br />
perpetuum praesidium habebat Dux Sequanici<br />
tractus, non tam ob defensionem provinciae,<br />
quam ad tuendum istum precipue traiectum,<br />
ad quem locus ille recta respondet, Antiquam<br />
vil<strong>la</strong>m exiguum viculum attingens, et nunc<br />
prorsus sylvescens/ retento tamen nomine. Et<br />
quia munimento opus habebat traiectus<br />
adversum Germanos, et mox Alemmannos,<br />
ideo duo propugnace<strong>la</strong> erexere Romani,<br />
quorum fundamentis turres istas duas<br />
impositas credo quas hodie videmus, alteram<br />
in capite pontis, alteram paulo inferius a sale<br />
hodie nomen habentem quod in ea asservatur.<br />
Iam post triumphabundam il<strong>la</strong>m<br />
Alemannorum in Galliam immigrationem,<br />
primum domus utrinque edificate sunt<br />
navicu<strong>la</strong>riorumque et pandochiorum, initium<br />
futurae duobus oppidis. Mox vero locus<br />
frequentior coepit, ut etiam mercatores illic<br />
habitarent, nm circa omnis generis hominum<br />
turba confluire solet.” 838<br />
Comunque nonostante <strong>la</strong> furia ungara e l’incendio, <strong>la</strong> città non riceve un danno irreparabile<br />
secondo quanto Giambul<strong>la</strong>ri ricava dall’opera di un altro autore del XVI secolo di origine e<br />
cultura germanica, il De Germanorum <strong>prima</strong> origine, moribus, institutis…di Hulderic<br />
Mutius 839 . La stessa attenzione posta dal canonico <strong>la</strong>urenziano al destino del<strong>la</strong> città che riesce<br />
837 Storia, cit., passo alle pp. 172-173.<br />
838 Rerum Germanicarum, cit., passo alle pp. 138s1-139s2.<br />
839 De Germanorum <strong>prima</strong> origine, moribus, institutis, legibus et memorabilibus pace et bello gestis omnibus<br />
omnium seculorum usque ad mensem Augustum anni trigesimi noni supra millesimum quingentesimum, libri<br />
Chronici XXXI ex probatioribus Germanicis scriptoribus in Latinam linguam trans<strong>la</strong>ti, autore H. Mutio,<br />
174
a sopravvivere e a riprendersi rapidamente dall’espugnazione ungara costituisce un ulteriore<br />
segnale del partico<strong>la</strong>re rilievo che questi passaggi assumono nell’economia del<strong>la</strong> Storia.<br />
Senza contare il fatto che <strong>la</strong> fonte di riferimento del Giambul<strong>la</strong>ri, il Muzio ha una chiara<br />
propensione germanica già manifestata nel<strong>la</strong> lettera noncupatoria. L’autore tedesco dichiara di<br />
voler perseguire con il suo scritto un intento chiarificatore delle imprese e del<strong>la</strong> grandezza<br />
germanica messe in ombra dalle carenze riscontrate nelle fonti greco-<strong>la</strong>tine. Anche questo<br />
autore è mosso da una pulsione celebrativa che lo porta al<strong>la</strong> traduzione in <strong>la</strong>tino delle qualità e<br />
delle gesta di questo popolo registrate in lingua tedesca dagli autori germanici 840 .<br />
Sul<strong>la</strong> falsariga del Muzio scrive il Giambul<strong>la</strong>ri:<br />
“Era adunche in su’l crescere, quando gli<br />
Ungheri, espugnata<strong>la</strong> per viva forza, <strong>la</strong><br />
spogliarono e de le robe e de gli abitanti, e<br />
attaccato il fuoco in più luoghi, <strong>la</strong><br />
abbandonarono per deso<strong>la</strong>ta. Ma non ebbe<br />
effetto il nimico pensiero di quelli; perché il<br />
fuoco dopo <strong>la</strong> lor partita, venendo manco per<br />
sé medesimo, non le fece notabil danno.<br />
Entrati appresso nel<strong>la</strong> Lottaringhia, in parte<br />
oggi detta Loreno, corsero <strong>la</strong> maggior parte<br />
di quel paese atterrando co’l ferro e co’l<br />
fuoco tuttociò che e’ trovarono debole. Il che<br />
fecero ancora in Francia, secondo che scrive<br />
il Muzio…” 841<br />
“Ex Svevia vertuntur in Rauracorum agrum<br />
ubi Basileam, quae urbs felicissime crescebat,<br />
vastatam et direptam incendunt, sed<br />
discendentibus hostibus ignis exstinctus est,<br />
neque multum dedit damni. Inde progressi in<br />
Lotharingiam pervenerunt, in cuius agris<br />
nullum aedificium erectum passi sunt omnia<br />
solo aequant.” 842<br />
Rispetto al<strong>la</strong> buona condizione generale di Basilea, molto diversa appare invece <strong>la</strong><br />
situazione del<strong>la</strong> Francia guastata dagli Ungheri e dalle malversazioni dei baroni sulle rendite<br />
dei vescovadi e dagli appettiti del duca Ruberto che cappeggia il malcontento nobiliare contro<br />
il debole governo di Carlo Il Semplice, come il Giambul<strong>la</strong>ri riferisce traendo prevalentemente<br />
ispirazione da Paolo Emilio:<br />
“Era per questi tempi una pessima<br />
consuetudine in tutto il regno di Francia, con<br />
i principi secu<strong>la</strong>ri, chiamando se stessi Abati,<br />
si pigliavano, quasi come in un feudo, le<br />
badie più grasse e migliori; e dando ai<br />
monaci ed a agli abati veri, da loro chiamati<br />
Decani, so<strong>la</strong>mente il vittoe ‘l vestito, si<br />
appropriavano tutte l’entrate…e le<br />
consumavano…ne’ soldati[…]Ma Carlo<br />
ragunato un concilio, dichiarò che le cose de’<br />
vescovadi non si potessero toccare, ma<br />
fussino interamente sacre e appartate…e<br />
desiderava di fare il medesimo di quelle de’<br />
“Summi proceres profani locupletissimorum<br />
cenobio rum opes beneficio Regum<br />
acceperant, ac monachis tantum in sumptum<br />
suppeditabant quantum necessarius usus<br />
postu<strong>la</strong>bat: ex eisque ipsi deligebant, qui non<br />
Abba (nam sibi nomen velut amplissimum<br />
arrogabat) sed decurio vocitaretur. Permultas<br />
aetates is mos tenuerat 844 . Iam Episcoporum<br />
iura invadebant. Simplex, coacto concilio,<br />
divitias Pontificum sanctas esse constituit.<br />
Coenobiorum libertas sanciri nondum<br />
poterat, quod eorum facultatibus Robertus<br />
magister equitum ac Hugo fratres militem<br />
Basileae apud Henricum Petrum, mense augusto, Anno MDXXXIX; d’ora in poi De Germanorum <strong>prima</strong><br />
origine.<br />
840 Ivi, Eustathio Quercetano summo Philosopho et medico H. Mutius, dove leggiamo: “et cum lingua notitiam<br />
rerum consequendi gratia diligenter meliores autores qui Germanorum res gestas Germanice scripserunt,<br />
conquirebas, in quibus ubi olfecisti, pro tuo exquisito iudicio, multa prec<strong>la</strong>ra esse et digna quae ad Graecos et<br />
Latinos transmittantur, rogabas me ut memorabilium ea quae aut omnino non, aut certe non tam bona fide<br />
neque tam c<strong>la</strong>re essent apud Latinos, transferrem in linguam Romanam.”<br />
841 Storia, cit., passo a p. 173.<br />
842 De Germanorum <strong>prima</strong> origine, cit., lib. XII, passo a p. 100n2.<br />
175
monasteri; ma <strong>la</strong> forza di chi le aveva già<br />
occupate, non <strong>la</strong>sciò toccare questa parte,<br />
perché Ugo e Ruberto, che avevano in mano<br />
<strong>la</strong> milizia, <strong>la</strong> pascevano di queste entrate.<br />
[…]Queste e le altre malevolenze del re<br />
considerando il duca Ruberto…cominciò con<br />
alcuni suoi a tracciare di levare il reame a<br />
Carlo…” 843<br />
alebat, ac iam cum factionis suae hominibus<br />
occupare Regni ius contendebant.” 845<br />
Nel<strong>la</strong> lotta che si svolge tra Carlo e Ruberto si conferma ulteriormente <strong>la</strong> centralità di Arrigo<br />
di Sassonia che mantiene rapporti leali con Carlo il Semplice e rifiuta di aderire al<strong>la</strong> congiura<br />
nonostante le offerte di Giselberto, secondo quanto ricavato da un lungo passo di Ekkerardo:<br />
“Arrigo duca di Sassonia, ancora che non<br />
suggetto né obbligato, era venuto<br />
amichevolmente a <strong>la</strong> città di Aquisgrana ad<br />
una dieta del re Carlo; e aspettando già<br />
quattro giorni (come il duca Ruberto e molti<br />
altri) avanti a <strong>la</strong> camera di esso Carlo, o di<br />
essere intromesso là dentro o che il re si<br />
<strong>la</strong>sciasse vedere fuori, non so<strong>la</strong>mente non fu<br />
ammesso al<strong>la</strong> sua presenzia, ma né gli fu<br />
risposto eziandio ad ambasciata che fusse<br />
fatta. La qual cosa vedendo Arrigo, e<br />
dispiacendoli fieramente si partì senza altra<br />
licenzia; e rivoltosi a circostanti, disse in<br />
modo che e ‘ fu sentito: “O che Aganone<br />
regnerà qualche volta con Carlo; o che Carlo<br />
con Aganone qualche volta rovineranno.” Di<br />
questa partita di Arrigo si turbò ma<strong>la</strong>mente<br />
Carlo; e conoscendo avere fatto male, mandò<br />
subito dopo lui Erineo arcivescovo Redense a<br />
fare infinite scuse, e a pregarlo con ogni in<br />
stanzia che e’ dovesse tornarea<br />
corte…Arrigo, per <strong>la</strong> benigna natura sua,<br />
<strong>la</strong>sciò persuadersi dallo arcivescovo; e<br />
tornato a <strong>la</strong> corte fu onoratamente ricevuto<br />
da esso Carlo, ed ebbelo da indi innanzi<br />
quanto e’ volle familiare. A tutte queste male<br />
disposizioni si aggiunse per ma<strong>la</strong> sorte lo<br />
incitamento di Giselberto duca del<br />
Loreno[…]Dopo <strong>la</strong> morte del padre…il duca<br />
Regenero, avendo ottenuto egli lo stato che fu<br />
del padre, insuperbitone più del dover eper <strong>la</strong><br />
ma<strong>la</strong> natura sua, cominciò a cercare di<br />
nuocere; ma, come giovane e male accorto,<br />
“Est autem alius quidam Historiographus,<br />
tempora Caroli huius, cuius prae manibus<br />
habemus[…]Et post pauca : interea<br />
Galliarum urbibus ac oppidis firmiter<br />
obtentis, cum paschalis solennitas immineret,<br />
Aquisgrani pa<strong>la</strong>tio sese rex recipit. Huc ex<br />
omni Gallia principes confluunt: huc etiam<br />
mediocres multo favore veniunt: adsunt et<br />
duces, ex Saxonia quidem Heinricus, ex Gallia<br />
Rupertus. Quotidie secus sores regij cubicoli<br />
manent: quotidie eggressum regis a<br />
penetralibus au<strong>la</strong>e presto<strong>la</strong>ntur. Cum vero<br />
nullum eis a rege responsum per dies quatuor<br />
daret, Henricus id molestissimus ferens,<br />
dixisse fertur, aut Haganonem quandoque<br />
cum Carolo regnaturum, aut Carolum eum<br />
haganone ad rerum mediocritatem<br />
deventururum, indignansque inconsulto<br />
discessit. Quod rex moleste ferens, eum<br />
revocare cupiebat, et pro hacte<br />
metropolitanum Remensium Herineum<br />
dirigebat. Cuius lutulenta et amica oratione<br />
persuasus dux Heinricus, ad regem redit,<br />
multoque ambitionis honore ante eum<br />
admissus, in praecipuo gratiae loco<br />
familiarissime recipitur.<br />
Hac tempestate Regenherus vir nobilis,<br />
partium Caroli fidissimus tutor, finem vitae<br />
accepit, cuius exequijs Carolus interfuit:<br />
hisque peractis, Giseberto eius filio iam<br />
adulto, paternum honorem coram principibus,<br />
qui confluxerant, liberalissime contulit. Hic<br />
cum esset opibus et genere inclytus…satis<br />
843 Storia, cit., passo a p. 174.<br />
844 A questo passo allude il Giambul<strong>la</strong>ri quando richiama esplicitamente <strong>la</strong> diversa indicazione sull’inizio del<br />
fenomeno del Gaguin a p. 174 dove dichiara: “E se noi crediamo al Ganguino, gli autori ed inventori di così<br />
fatta usanza furono il predetto duca Ruberto ed Ugo il grande, altrimenti Parisiense, ancora che il par<strong>la</strong>re di<br />
Paolo Emilio accenni l’origine un poco più lontana.”<br />
845 De rebus gestis Francorum, cit., passo a p. 60hIIII.<br />
176
non <strong>la</strong> seppe guidare in modo che e’ non<br />
fusse tosto scoperto. Di questa malignità sua<br />
adiratosi Carlo…con prestezza fece uno<br />
esercito, e se ne venne contro al Loreno; dove<br />
non bastando <strong>la</strong> vista a’ popoli di<br />
contrapporsegli apertamente, si ritirarono<br />
per le città e per gli altri luoghi sicuri. Ma,<br />
Carlo, e col non offendergli, e con le<br />
promesse libere e <strong>la</strong>rghe, di <strong>la</strong>sciargli in quel<br />
modo medesimo che elli stavano sino allora,<br />
gli rassicurò di maniera, che non so<strong>la</strong>mente<br />
gli condusse a <strong>la</strong> voglia sua, ma gli armò<br />
contro di Giselberto. Il quale ritiratosi in<br />
Arburgo, castello fortissimo, che da una<br />
banda ha <strong>la</strong> Mosa, dall’altra il Gulo, fiumare<br />
amendue non minime, e da tutto il restante<br />
precipizii e balzi grandissimi, aspettava pur<br />
di vedere che espediente pigliasse il re,<br />
credendosi risolutamente che e’ dovesse<br />
tornarsi a casa. Ma veduto poi assediarsi e<br />
per acqua e per terra, e che ogni di si<br />
combatteva il castello e si stringeva di giorno<br />
in giorno; deliberò di non aspettare,<br />
giudicando molto più sicuro ogni altro<br />
partito che il venire a le mani di Carlo.<br />
Ca<strong>la</strong>tosi dunque una notte giù da le mura, e<br />
passato il fiume notando, si condusse al Reno<br />
finalmente con duoi compagni soli, e se<br />
n’andò in Sassonia a’l suocero; dove qualche<br />
anno stette in esilio…Arburgo, dopo <strong>la</strong><br />
partita di Giselberto, subitamente si diede al<br />
re; ed egl inisignoritosi…di tutto lo stato di<br />
Giselberto…E nientedimeno, dopo qualche<br />
anno ad in stanzia del duca Arrigo di<br />
Sassonia, perdonò Carlo a Giselberto, e<br />
ricevettelo nel<strong>la</strong> sua grazia; ma con questa<br />
condizione, che di tutto lo stato suo,<br />
distribuito dal re, come è detto, e’ non<br />
riavesse per allora se non quelle sole cose<br />
che si trovassino essere vacate per <strong>la</strong> morte<br />
de donatarii; e de’l resto aspettasse <strong>la</strong><br />
vacazione, perché il re non voleva in maniera<br />
alcuna rivocare le grazie, o annul<strong>la</strong>re quelle<br />
cose che aveva fatte. Accettò Giselberto <strong>la</strong><br />
condizione, e riebbe Traetto, Gulo,<br />
Caprimonte ed alcune altre città che si<br />
trovarono senza signori; e di quelle preso il<br />
possesso, cominciò a combattere or con<br />
questo or con quello possessore delle cose<br />
sue, tanto che finalmente a poco a poco<br />
846 Storia, cit., passo alle pp. 176-177.<br />
847 Chronicum…Uspergensis, cit., passo alle pp. CCXs3-CCXIs4.<br />
beatis, in nimiam prae insolentia temeritatem<br />
praeceps ferebatur, multaque pro abiectione<br />
regis moliebatur. Quo agnito Carolus a<br />
Celtica cum exercitu rediens, cum bellum<br />
pararet inferre Belgis, quorum dux erat<br />
Giselbertus, Belgae mox non in aperto cum<br />
Giselberto nisi sunt resistere, sed oppidijs ac<br />
municipijs sese recludunt propere. Ad quos<br />
rex legatos dirigens, promisit eis se omnia<br />
donaturum, si ad se confluerent, quae a<br />
Gisilberto prius in beneficio haberent. Quo<br />
capti mox ad regem per Sacramenta redeunt,<br />
et contra Giselbertum pariter confurgunt. Ille<br />
vero in oppido Harburg, quod hinc Mosa, et<br />
inde Gullo fluvijs val<strong>la</strong>tur, alias autem<br />
immani hiatu, multoque horrore veprium<br />
tutissimum videbatur, cum paucis tunc<br />
c<strong>la</strong>udebatur. Huc rex cum copijs properat<br />
obsidinem locat hinc et inde navalem, alias<br />
vero equestrem. Et cum violentius instaret,<br />
Giselbertus c<strong>la</strong>m per murum di<strong>la</strong>psus, fluvium<br />
enatando transmeavit, et cum duobus<br />
clientibus Rhenum, exu<strong>la</strong>turus, pertransiens,<br />
annis aliquot apud socerum suum Heinricum<br />
patrimonio exu<strong>la</strong>vit. Oppidani vero absque<br />
duce relicti, se subdiderant regi. Evoluto<br />
autem tempore, Heinricus egit apud regem, ut<br />
Giselbertus reciperetur in gratiam: ea tamen<br />
conditione, ut beneficijs, quae ipsi insolenter<br />
deduxerat, quaeque rex faventibus sibi postea<br />
contulerat, quamdiu possessores eorum<br />
viverent, careret, ea vero, quorum possessores<br />
per annos exilij sui excesserant, regis<br />
miseratione reciperet. Recepit itaque<br />
Traiectum, Iupi<strong>la</strong>m…Capremontem, quae a<br />
defunctis derelicta vacabant, caeteros vero<br />
qui sua habebant, ingenti cede vexabat, donec<br />
omnia sua recipiebat. Postea multa contra<br />
regem machinans, socerum adijt, ac plurimum<br />
regi adhaerere dissuasit, Celticam so<strong>la</strong>m regi<br />
sufficere posse afferens, Belgicam vero atque<br />
Germaniam rege alio plurimum indigere,<br />
unde ut ipse dux Heinricus creari rex non<br />
abnueret, multiplici permovebat suasione.<br />
Heinricus vero cum illicita eum suadere<br />
adverteret, dictis suadentis admodum restitit,<br />
et ut a nefarijs quiesceret, crebro<br />
admonuit.” 847<br />
177
iebbe tutto.Né diventò amico di Carlo…ma<br />
inimico capitalissimo…e veggendo non esser<br />
tale che ei potesse levargli il regno, tentò<br />
primieramente il suocero suo…mostrandogli<br />
<strong>la</strong> comodità che e’ ne aveva…ma ricusando<br />
fare questa cosa il buon duca Arrigo, e<br />
dannando<strong>la</strong> come ingiusta ed iniqua…” 846<br />
L’atteggiamento tenuto da Arrigo risponde ancora una volta ad una precisa istanza<br />
provvidenziale che determina <strong>la</strong> sconfitta di Roberto, nonostante <strong>la</strong> pochezza di Carlo.<br />
Quest’ultimo infatti è il legittimo erede di Carlo Magno. Tuttavia, traspare evidente <strong>la</strong><br />
disistima che circonda Carlo il Semplice nel<strong>la</strong> Storia vista l’enfasi con cui si sottolinea <strong>la</strong> ben<br />
diversa energia con cui Roberto conduce le sue truppe. I suoi soldati del resto vengono<br />
motivati in chiave antigermanica quale baluardo contro le aspirazioni di egemonia sui francogalli<br />
imputate ad Arrigo che sostiene Carlo. Notazione che evidenzia ulteriormente, sia <strong>la</strong><br />
preponderanza sassone, sia questo doppio piano imperiale e nazionale su cui si muove<br />
l’Europa. Un binario in cui evidentemente il Giambul<strong>la</strong>ri attribuisce preponderanza<br />
all’elemento germanico. Tutti motivi che il nostro trae chiaramente da Paolo Emilio, anche se<br />
in parte ampliati e rie<strong>la</strong>borati o proposti in un ordine diverso. Roberto pronuncia nel<strong>la</strong> Storia<br />
un discorso per spronare i suoi soldati, e <strong>la</strong> sua morte letta quale espressione di un decreto<br />
divino, viene nel testo dell’Emilio associata strettamente al<strong>la</strong> morte del vescovo Erineo che<br />
l’aveva incoronato re di Francia pochi giorni <strong>prima</strong>, morte invece non menzionata dal<br />
Giambul<strong>la</strong>ri:<br />
“Carlo, udito il nuovo tumulto…se ne venne in<br />
su <strong>la</strong> campagna, e con quel<strong>la</strong> gente che aveva,<br />
che erano per <strong>la</strong> maggior parte Fiamminghi e<br />
Todeschi, uscì gagliardo contro a Ruberto<br />
(poco avanti gran conestabile, ed allora da<br />
Erineo arcivescovo Remense<br />
solennissimamente coronato re), co’l quale<br />
erano tutti que’ Gallie que’ Franchi che non<br />
volevano sopportare in maniera alcuna che <strong>la</strong><br />
Francia avesse ad essere soggetta ad Arriigo<br />
ed al<strong>la</strong> Germania, come affermavano<br />
pubblicamente i nimici di esso Carlo, che egli<br />
aveva deliberato di sottometter<strong>la</strong>. Venutisi,<br />
dunque, a petto questi duoi eserciti vicino a<br />
Soisson di Ciampagne, città dagli antichi già<br />
detta Augusta Vessonum, subitamente furo a<br />
battaglia: perché <strong>la</strong> gente di Carlo, <strong>la</strong> quale,<br />
rispetto a <strong>la</strong> troppo rimessa e fredda natura<br />
del re, secondo Paulo Emilio, non aveva si<br />
può dir, capo, essendo ciascuno de’ soldati<br />
suoi e capitano e confortatore di sé medesimo,<br />
impetuosssimamente vi dette dentro. Il che<br />
fece <strong>la</strong> parte avversa, concitata dallo esempio<br />
e dalle belle parole di esso Ruberto,[…]Così<br />
diceva Ruberto; e ancora che <strong>la</strong> virtù sua, <strong>la</strong><br />
memoria di Oddone suo fratello, <strong>la</strong> morte<br />
dello avolo per difesa già del<strong>la</strong> Francia, <strong>la</strong><br />
“Franciae quoque domestica bel<strong>la</strong>, quorum<br />
consilia diu coacta fuerant, erupere. In<br />
Fulconis locum suffectus fuerat Hereus<br />
pontifex Rhemorum, non alienus a Roberti<br />
causa. Simplex ferox erat, quod Lotharingiam<br />
amissam tanto ex intervallo Francis<br />
recuperasset. Id summae gloriae gloriae<br />
ducebat, militique Lotaringo succinctus<br />
erat…Henricum Othonis Saxonum<br />
ducis…cum Franco Rege foedus icit, eique<br />
poscenti Germanorum copias auxilio misit<br />
contra adversariorum factionem:<br />
Germanisque magis quam suis sese credebat<br />
commitebatque Simplex. Ea res novam<br />
f<strong>la</strong>mmam invidiae apud Francos illi conf<strong>la</strong>vit,<br />
auxitque eam mox quod credebatur in<br />
animum induxisse, se Franciamque Henrico<br />
…subiicere, ne bello a Germanis vexaretur,<br />
sed eorum auxiliis, si opus esset, iuvaretur. Id<br />
vero universa prope Francorum nobilitas onn<br />
ferens, ad aemulum Regni Robertum studia<br />
viresque inclinavit. Consensu hominum<br />
permotus Herueus, eum inunxit. Miraculo<br />
mortalibus fuit quod die tertio ab ea<br />
inunctione obiit Archiepiscopus. Omen in<br />
Robertum vertit. Seulfus suffectus in<br />
Suessionum finibus in aciem descensum.<br />
178
solenne coronazione ancor fresca, e, quello<br />
che molto più stimavano coloro, il voler<br />
difendere <strong>la</strong> patria da <strong>la</strong> servitù che il re<br />
Carlo le procacciava, lo facessero<br />
sommamente degno di onore e di riverenzia,<br />
non però moveva egli molto i soldati suoi:<br />
perché vedendosi incontro il legittimo e giusto<br />
re, coronato <strong>prima</strong> che nato, ed uscito per<br />
dritta linea non so<strong>la</strong>mente di padre re, ma di<br />
tanti avoli imperatori, ed una ultima quasi<br />
reliquia di Carlo Magno, non potevano,<br />
ancora che per le false calunnie mortalmente<br />
lo disamassero, non temere e non reverire <strong>la</strong><br />
sua maestà. Per <strong>la</strong> qual cosa vedendosi<br />
Ruberto far poco frutto con le parole…<br />
cominciò tra primi, a far pruove maravigliose<br />
di sua persona, abbattendo, uccidendo…che<br />
bene avrebbe forse rivolti in fuga gli<br />
avversari o nimici suoi, se <strong>la</strong> divina giustizia,<br />
che punire lo volle de gli spergiuri, non gli<br />
avesse guidato e condotto a l’elmo uno<br />
incontro di <strong>la</strong>ncia…e per morto lo pose in<br />
terra.[…]Finita <strong>la</strong> sanguinosa<br />
giornata[…]Carlo, non capace per avventura<br />
di tanta felicità, non seppe usar <strong>la</strong> fortuna<br />
sua: perché non apprezzando forse il nimico,<br />
che si debbe sempre stimare, no attese a<br />
seguire avanti, ed a spigner con l’armi, quelli<br />
avversarii che e’ non poteva più guadagnarsi<br />
con le carezze…Anzi, voltosi tutto a mandar<br />
lettere ed ambasciatori a più gagliardi de<br />
nimici suoi, gli invitava e gli confortava…a<br />
quietarsi e vivere in pace[…]e dove, se e’<br />
fusse stato d’altra natura, assicurava questa<br />
vittoria a’ suoi discendenti il regno di<br />
Francia…” 848<br />
Pugnatum ut de Regnum par erat, cum pro<br />
Simplice F<strong>la</strong>ndri, Lotaringi, germani<br />
praeliarentur, pro Ruberto nuper Magistro<br />
equitum, nunc novo Rege, qui Francorum<br />
aegerrime ferebant Franciam a Germania,<br />
cui leges dedisset, iura petere. Cum altera<br />
pars sub Simplicis Regis signis, velut Duce<br />
careret, sibi quisque Dux adhortatorque erat,<br />
nec alterius imperium expectabat. Altera<br />
nimis ardentem Ducem habebat, et magis<br />
recentii Regii nominis quam vitae memorem.<br />
Maiestas in utroque sancta : in <strong>la</strong>tero, quod<br />
ante rex fuisset quam natus, quod patre ac tot<br />
maioribus augustos ortus, quod una esset<br />
reliqua Caroli Magni agnata soboles.<br />
Alterum commendabat recens sacrum, sua<br />
virtus, Odonis fratris memoria, avi mors pro<br />
Francorum rebus obita, ac causa belli in<br />
vulgo iactata, libertas, nomenque Francorum<br />
hactenus gentibus nobilissimum, ne Germanis<br />
Regibus, ne Augustis exteris serviret. Nec<br />
tunc fortuna Franciae rem ambiguam<br />
decrevit. Altera acies perpaucis militum<br />
desideratis, novum Regem suum dum<br />
acerrime ante signa pugnat, circumventum,<br />
amisit: alterius caedes ingens militum facta,<br />
Semplice Regi incolumi, qui unus petebatur.<br />
Id exitio Semplici fuit, quod sub<strong>la</strong>to aemulo,<br />
cum non haberent hostes pro quo Rege<br />
pugnarent, in morem victi animum demisit,<br />
quem potius bello vicisse videri velle<br />
oportuisset: oratoresque aliquanto post ad<br />
hostes, Hebertumque hostium principem misit<br />
prope supplices, ac alteros ad Henricum<br />
Germanorum Regem, qui Lotaringiam ei<br />
redderent, novaque auxilia peterent. […]” 849<br />
L’aperta condanna dell’atteggiamento di Carlo il Semplice prosegue nel<strong>la</strong> pagina seguente<br />
del<strong>la</strong> Storia attraverso un giudizio che Giambul<strong>la</strong>ri estende dal singolo a tutti i successori di<br />
Carlo Magno, a rimarcare, appunto, il proprio orientamento non certo filo-francese, dando<br />
piena evidenza all’estrema decadenza che colpisce <strong>la</strong> stirpe carolingia nei successori di Carlo<br />
Magno:<br />
“Ed è certo che di tutte le cose nostre avviene il medesimo che di noi stessi; i quali, dopo il<br />
nostro nascere al mondo, ancora che ei si consumi sempre il migliore, andiamo in un certo<br />
modo e crescendo e augumentando sino al mezzo del<strong>la</strong> età nostra; ed appresso<br />
apertissimamente già logorandoci e sminuendo, ci risolviamo poi finalmente in polvere e<br />
vento. E le cose nostre nascendo il più delle volte da’ principj deboli e bassi, si sollevano e<br />
ingagliardiscono appoco appoco; ma come ele sono al sommo dello arco,<br />
irreparabilissimamente danno <strong>la</strong> volta, e col tempo mancano in tutto. Il che per non cercar<br />
848 Storia, cit., passo alle pp.178-181.<br />
179
gli esempi di fuori, manifestissimamente si vide nel<strong>la</strong> stirpe di questo Carlo: essendo stato in<br />
Pipino il Grosso prudenza grande e molto valore; in Carlo Martello una invitta virtù eroica:<br />
nel re Pipino una quasi divinità; e in Carlo meritatamente chiamato Magno, uno animo<br />
capacissimo del<strong>la</strong> terra tutta e del cielo. E qui si ferma il colmo dello arco. Perché Ludovico<br />
Pio fu minore assai di suo padre; e Carlo Calvo più vicino ancora al<strong>la</strong> lode che al biasimo; il<br />
Balbo non si vede appena che e’ fusse vivo; e nel Semplice sopraddetto mancò veramente in<br />
tutto il valore…” 850<br />
A questo punto, l’autore ritorna ai conflitti in corso tra gli Anglo-Sassoni, gli altri popoli<br />
britannici e i Dani, tutt’altro che p<strong>la</strong>cati nonostante <strong>la</strong> tregua conclusa da Adovardo e che<br />
hanno impedito di sostenere fattivamente Carlo il Semplice. Il decisivo scontro con i Dani e<br />
l’immagine di un’Inghilterra finalmente pacificata e rinnovata dal suo sovrano sotto il profilo<br />
religioso e legis<strong>la</strong>tivo sono attinti da Polidoro Virgilio, sebbene Giambul<strong>la</strong>ri rispetto al testo<br />
di partenza, attui un’inversione, posticipando <strong>la</strong> vicenda di Egina moglie del re e madre di<br />
Adelstano, rispetto ai provvedimenti assunti in materia religiosa da Adovardo e al<strong>la</strong> piena<br />
sintonia raggiunta col pontefice dopo l’iniziale distanza:<br />
“Perché durante <strong>la</strong> tregua…i Dani che<br />
malvolentieri <strong>la</strong> osservavano, non per voglia<br />
ma per forza stavano in pace, non potendo<br />
uscire in campagna per <strong>la</strong> gran carestia del<br />
vivere; e attendevano segretamente a<br />
procacciarsi nuovi compagni, ed a<br />
provvedersi il più che e’ potevano di ciò che<br />
loro pareva a proposito, per al maturare delle<br />
biade potere da capo rifare <strong>la</strong> guerra. La qual<br />
ma<strong>la</strong> disposizione conoscendo il re Adovardo,<br />
non aspettò che e’ fussino i primi; anzi<br />
entrato in Nortumbria con esercito molto<br />
grosso, dette il guasto a tutto il contado; e<br />
predando ed ardendo il paese, gli costrinse a<br />
stare in cervello, e ad avere di grazia <strong>la</strong> pace.<br />
E sollecitò Adovardo, quanto e’ poteva,<br />
sapendo per veri avvisi <strong>la</strong> guerrabche da una<br />
altra parte del<strong>la</strong> iso<strong>la</strong> gagliardamente gli<br />
apparecchiava Erico, il re di quegli Angli che<br />
si chiamano Orientali…con ciò sia che costui<br />
come Dano, marrito a o di tutti gli<br />
Anglesi, attendeva segretamente a marrito<br />
donde e’ poteva Normanni e Dani di nuovo, e<br />
a fornirsi bene di soldati, per potere<br />
cacciandone gli Angli, insignorirsi di tutta<br />
l’iso<strong>la</strong>. Ma facendo le cose nell’ultimo troppo<br />
scoperte senza prudenzia alcuna, Adovardo<br />
che lo sapeva, pacificatosi co’ Nortumbri, ed<br />
avuti da loro gli statichi, se ne venne nel<br />
regno di Erico; e guastandoli non so<strong>la</strong>mente<br />
le ricolte…lo costrinse a fare <strong>la</strong> giornata. La<br />
quale fu a’ Dani molto dannosa:<br />
perché…Erico, superato e rivolto in fuga, non<br />
849 De rebus gestis Francorum, cit., passo a p. 61hV.<br />
850 Storia, cit., passi alle pp. 178-181.<br />
“Interea frumentum propter siccitatem,<br />
angustius provenerat, id quod in causa fuit,<br />
cur ne statim inducie a Daco vio<strong>la</strong>tae sint, qui<br />
tamen interim quietis impatiens solicitabat<br />
finitimos ad bellum faciendum, cum ijs<br />
secreta consilia continenter conferendo. Cui<br />
futuro periculo Edovardus obviam eundum<br />
ratus, repente in Northumbros movit,<br />
popu<strong>la</strong>toque agro, tot damna intulit, ut inde<br />
ultro in officio permanserint. Imminebat<br />
praeterea ex altera parte bellum ab illis, qui<br />
Orientalibus Anglis praeerant, quorum rex<br />
erat Ericus. Is Angelico nomini infectissimus,<br />
alios Dacos in societatem belli adducere<br />
secreto studebat, quo iunctis armis, simul<br />
Anglorum opes uno tempore tererent.<br />
Caeterum cum omnia ab eo temere fierent,<br />
interim Edovardus eius insidias praeveniens,<br />
fines regni ingressus, agrum multo<br />
crudelissime devastat. Dacus qui iam suos in<br />
armis habebat, ira pariter atque ulciscendi<br />
cupiditate ardens, preceps in hostem fertur.<br />
Ita pugnam ferociter conferunt, quae ut a<br />
Daco temere inita, ita exitu ca<strong>la</strong>mitosa fuit,<br />
post tetram suorum eadem. Ericus nullo fere<br />
negozio victus fugatusque est, quem mox ob<br />
eam odiosam, funestamque p<strong>la</strong>gam acceptam,<br />
crudelius solito imperantem ipsi Orientales<br />
Angli saevo dominatu irritati interfecerunt.<br />
Nec perinde illis hoc factum bono fuit, ut fore<br />
putarant, quando brevi post tempore viribus<br />
debilitati, in Edovardi potestatem venire<br />
compulsi sunt. […]Edovardus Orientalium<br />
180
potendo sfogare <strong>la</strong> rabbia ne’ suoi nimici, <strong>la</strong><br />
rivolse ne’ suoi suggetti, contro a’ quali<br />
crudelissimamente portandosi, fu da loro<br />
finalmente ucciso. Il che fu <strong>la</strong> rovina loro, e <strong>la</strong><br />
deso<strong>la</strong>zione di quel regno, ridusse fra poco<br />
tempo tutta <strong>la</strong> Mercia in sua potestà: perché,<br />
essendo mancato di vita il suo cognato<br />
Eltelredo signore de Merci, senza aver<br />
<strong>la</strong>sciato figliuoli, Elfreda moglie di quello e<br />
sorel<strong>la</strong> di Adovardo, dopo lo aver governato<br />
un pezzo i suoi popoli con gran giustizia,<br />
<strong>la</strong>sciò il tutto al re Adovardo. Il quale dopo<br />
questo legato, impadronitosi di tutto il<br />
restante de’ Merci, fu il primo re di<br />
Inghilterra che i sette regni de gli Angli<br />
riducesse in un corpo solo, eccetto però<br />
quel<strong>la</strong> parte che rimase ancora a’ Nortumbri.<br />
Pacificato…tutto il reame, il re Adovardo si<br />
rivolse a fare nuove leggi: le quali se ben<br />
furono utili e sante, furono levate pure da’<br />
Normanni…Edificò eziandio <strong>la</strong> rocca di<br />
Betfordia, fortissima per <strong>la</strong> natura del luogo e<br />
per <strong>la</strong> maniera del<strong>la</strong> muraglia. Rivolsesi<br />
ancora al<strong>la</strong> cura del<strong>la</strong> religione, non tanto<br />
per voglia sua, quanto per le minacce di papa<br />
Giovanni Decimo: il quale sapendo che <strong>la</strong><br />
religione cristiana raffredava sinistramente<br />
fra gli Inglesi occidentali per non vi essere<br />
vescovo alcuno che mostrasse <strong>la</strong> via d’Iddio,<br />
e che questo avveniva per <strong>la</strong> marrito a del<br />
re, che datosi tutto al<strong>la</strong> guerra, non so<strong>la</strong>mente<br />
non procurava che le chiese avessero i<br />
vescovi, ma impediva eziandio i sacerdoti da<br />
<strong>la</strong> esecuzione dello ufizio loro; sapendo, dico,<br />
questi disordini, si turbò gravemente, come al<br />
grado suo si apsettava, ed aspramente con le<br />
lettere ne riprese il re, minacciandolo se e’<br />
non faceva tornare i vescovi a le lor chiese,<br />
che dichiarerebbe scomunicato e nimico del<strong>la</strong><br />
santissima religione e lui stesso e tutto il<br />
regno. De <strong>la</strong> qual cosa vergognandosi il re<br />
fortemente, operò con Plermondo arcivescovo<br />
di Canterbeia, che raccolto un concilio<br />
provinciale, rassettasse il culto divino, e<br />
creando que’ vescovi che mancavano, li<br />
mandasse a le chiese loro. Il che<br />
pienissimamente eseguito… volle che lo<br />
arcivescovo andasse a Roma a scusarlo col<br />
santo Padre…e così fu fatto. Appresso,<br />
mancatagli già <strong>la</strong> primiera donna, de’ <strong>la</strong><br />
851 Storia, cit., passo alle pp. 182-184.<br />
852 Anglicae Hi<strong>storia</strong>e, cit., passo alle pp. 107-108k1, lib. VI.<br />
Anglorum regno potitus, Merciai deinde<br />
omnem in suam potestatem redegit: vita enim<br />
funto Ethelredo, qui Mercijs praefuerat, sine<br />
liberis, Elfreda eius uxor non minus iuste<br />
quam prudenter aliquot annos Merciai rexit:<br />
qua morta, Edovardus Merciai reliquam<br />
recepit. Per hunc demum modum, is rex fines<br />
regni ita propagavit, ut iam preter Scotiam,<br />
totius insu<strong>la</strong>e imperium obtineret, licet penes<br />
Dacos, in Northumbria, aliquid adhuc<br />
ditionis esset. […]Edovardus ad extremum<br />
pacato iam regno, le gibus condendis maxime<br />
studuit, quae etsi salutares erant, apud<br />
posteriores tamen facile antiquatae sunt.<br />
Construxit arcem prope Bedfordiam, opere et<br />
loci munitissimam. Genuit ex Edgina puel<strong>la</strong><br />
forma eleganti, filium nomine Adelstanum,<br />
qui eius successor fuit. Est opere praecium, si<br />
statis vulgo facere volumus, qui prodigijs<br />
delectatur, apposite subijcere praesagium,<br />
quo Edgina puel<strong>la</strong> spem conceperat, gignendi<br />
filium, qui quandoque esset regnaturus:<br />
somniavit enim ex utero suo lunam exortam,<br />
quae totam Angliam pleno lumine illustraret.<br />
Id quod cum quidam matronae narrasset, il<strong>la</strong><br />
non aspernata somnium, quod postea eventu<br />
mirabili extitit, puel<strong>la</strong>e obscuris natae<br />
parentibus, bonis educandi moribus curam<br />
suscepit. Hanc itaque iam viro maturam<br />
Edovardus cum forte vil<strong>la</strong>m quandam animi<br />
causa peteret, conspicatus, eiusque repente<br />
forma captus compressit, ex qua, ut dictum<br />
est, Adelstanum genuit. Item ex Elfreda uxore<br />
postmodum liberos virilis sexus suscepit<br />
Etheluardum et Eduinum, qui statim post eius<br />
obitum, vita excesserunt : foeminas<br />
vero…Edgina seu Elgina locata est Carolo<br />
Semplici francorum regi, et Editha Sithrico<br />
northumbrorum regulo. Sustulit Edovardus ex<br />
altera uxore nomine Edgina filios duos,<br />
Edmundum, et Eldredum, qui deinceps post<br />
Adelstanum regnarunt. Per idem temporis,<br />
Christiana pietas multum apud Occiduos<br />
Anglos frigescebat, quia nullius in ea regione<br />
erat episcopus, qui populum doceret, eiusque<br />
rei culpa in rege residebat, quod per eum, qui<br />
magis bello, quam rei divinae inserviret, non<br />
liceret sacerdotibus suo ufficio fungi. Qua re<br />
Ioannes decimus pontifex Romanus valde<br />
commotus, per literas Edovardum vehementer<br />
181
quale ebbe due figliuoli…e sei figliuole, che<br />
l’una fu moglie di Carlo il Semplice e un’altra<br />
di Aitrico re de’ Nortumbri; si ammogliò <strong>la</strong><br />
seconda volta, e generò Emondo e Eldredo,<br />
che regnarono dopo Adelstano[…]Egina,<br />
fanciul<strong>la</strong> povera e di condizione molto bassa,<br />
ma bel<strong>la</strong> e tenera ancora di età, sognò che dal<br />
corpo suo nasceva una luna, <strong>la</strong> quale piena di<br />
luce, illuminava tutta Inghilterra. Il che<br />
narrando el<strong>la</strong> semplicemente ad una matrona,<br />
colei non si facendo beffe de’l sogno, si<br />
dispose insegnarle costumi buoni e maniere<br />
nobili e grandi…allevando<strong>la</strong> dunque con<br />
questi modi, accadde che essendo <strong>la</strong> fanciul<strong>la</strong><br />
già da marito ì, e bellissima fra tutte l’altre, il<br />
re Adovardo trovandosi un di in su <strong>la</strong> caccia<br />
marrito da cacciatori, capitò per sorte a <strong>la</strong><br />
vil<strong>la</strong> dove el<strong>la</strong> stava; e veduta<strong>la</strong>, e piaciutagli<br />
sommamente, se ne accese fuori di misura.<br />
Per il che arrecata<strong>la</strong> a’ suoi piaceri ne<br />
acquistò il detto Adelstano.” 851<br />
castigavit, minatusque est, se illum unam cum<br />
populo, religionis hostem denunciarunt, nisi<br />
mature accersiret episcopos, qui pristinam<br />
religionis disciplinam servandam curarent.<br />
Quod ubi rex intellexit, negligentiam risarcire<br />
studens, ita egit cum Pleimundo Cantuariensi<br />
archiepiscopo, qui Athelredo post annum<br />
quam sedere coeperet decimumoctavum, vita<br />
funto, paulo ante successarat, ut ille<br />
conventum fecerit, in quo plures episcopi<br />
creati sunt, qui dioceses regerent. Postea<br />
Pleimundus vir doctrina et vitae integritate<br />
c<strong>la</strong>rus, facti purgandi causa Romam<br />
profectus, pontificem p<strong>la</strong>cavit.” 852<br />
Nelle pagine successive l’autore cambia decisamente scenario storico e geografico<br />
ritornando all’impero d’oriente. Tuttavia, il canonico <strong>la</strong>urenziano si dilunga sulle vicende<br />
bizantine nel<strong>la</strong> misura in cui esse spiegano le dinamiche politico-militari europee e<br />
precipuamente italiane in re<strong>la</strong>zione al problema saraceno. La stessa ampia digressione sui<br />
successori di Leone V, in cui Bisanzio viene di nuovo rappresentata in versione non idilliaca,<br />
quale corte degli intrighi è funzionale in questo senso a dimostrare l’impotenza e <strong>la</strong> debolezza<br />
dell’Impero d’Oriente. Impero ma<strong>la</strong>mente governato da Alessandro successore di Leone, tutto<br />
intento ai piaceri del<strong>la</strong> carne e intenzionato ad estromettere l’infante Costantino dal trono.<br />
Progetto quest’ultimo che non si realizza, sia per lo scoppio del<strong>la</strong> guerra con i Bulgari, sia per<br />
<strong>la</strong> morte di Alessandro provocata dai suoi eccessi. Costantino, tuttavia, recupera solo per<br />
breve tempo il potere imperiale <strong>prima</strong> del nuovo accantonamento subito ad opera di Romano<br />
Lacapeno 853 divenuto ammiraglio del<strong>la</strong> flotta imperiale in modo del tutto fortuito come risulta<br />
dal racconto del<strong>la</strong> sua ascesa tratto da Liutprando:<br />
“Questo ammiraglio, per quanto ne gli<br />
scrittori se ne vegga, aveva nome Romano<br />
Lacapeno, ed era nato in Armenia d’una stirpe<br />
si bassa e vile e, oltre a questo cotanto<br />
povera[…]<strong>la</strong> fortuna…lo fece con altre ciurme<br />
venire a servizio delle galee sotto Leone<br />
Filosofo…Dove portandosi molto bene per lo<br />
ufizio che aveva a fare, e mostrandosi ardito e<br />
di ingegno, venne in grazia al suo capitano, e<br />
per quello agl ialtri maggiori e finalmente allo<br />
imperatore…Durando <strong>la</strong> guerra co’ Saracini,<br />
fu inviato costui di notte e segretamente a<br />
scoprire il nimico esercito…e nello andare a<br />
questa faccenda, mentre che egli attraversava<br />
853 Storia, cit., vedi pp. 184-190.<br />
“Imperante quoque Leone Costantini huius<br />
genitore, Romanus Imperator quanquam…id<br />
est, pauper, ab monibus tamen…id est, utilis<br />
habebat. Erat autem ex mediocribus ipsis qui<br />
navali pugna stipendia ab Imperatore<br />
acceperant. Qui quum sapieus et iterum…in<br />
pugna nonnul<strong>la</strong>, id est, utilia faceret, a sibi<br />
praeposito adeo honoratus est, ut primus<br />
navium fieri mereretur. Quadam autem<br />
nocte, dum Saracenos exploratum abiret,<br />
essetque in eodem loco palus, atque<br />
harundinetum non modicum, contigit leonem<br />
ferocissimum ex harundineto profilire,<br />
cervorumque multitudinem in paludem<br />
182
un pantano pieno di cannucce selvatiche, sentì<br />
uno strepito grande causato da un leone, che<br />
seguendo un branco di cervi per voglia di<br />
cibarsi, gli aveva cacciati in quel<strong>la</strong> palude.<br />
Ma Romano che non sapeva o vedeva questo,<br />
si immaginò che i nimici fussino là dentro per<br />
fare una imboscata, o qualch’altra astuzia di<br />
guerra. La onde tornato con celeritate a <strong>la</strong><br />
armata, e fattisi dare alcuni compagni, e una<br />
maniera di fuoco il quale abbrucia dentro<br />
nel<strong>la</strong> acqua e non si spegne se non con lo<br />
aceto solo, tacitamente lo condusse tra quelle<br />
canne, ed attaccatolo dove più gli parse a<br />
proposito si ridusse a <strong>la</strong> sua galea. Ritornato<br />
di poi…<strong>la</strong> seguente mattina per vedere se<br />
trovavano cosa alcuna da poterne fare<br />
conghiettura, vide come tutto il pantano era<br />
arso, eccetto che in luogo solo, dove non si era<br />
condotto il fuoco per avere forse il vento<br />
contrario. Per il che, dispostosi di vedere se<br />
colà dentro fusse qualcosa, impugnata <strong>la</strong><br />
spada, e con <strong>la</strong> cappa in su’l braccio,<br />
ragionando co’ suoi compagni, si accostò al<br />
luogo predetto. Era per avventura tra queste<br />
canne il leone che noi dicemmo, il quale non<br />
avendo forse altrimenti potuto fuggire il fuoco,<br />
si era ridotto dove non era giunta <strong>la</strong> fiamma,<br />
ed acceccato quivi dal fumo, vi si stava tutto<br />
rabbioso: ma sentendo par<strong>la</strong>r costoro, si gittò<br />
al suono del<strong>la</strong> voce. I compagni di Romano,<br />
veduto questo animale, subitamente fuggirono<br />
tutti, ma egli…gittata <strong>la</strong> cappa tra le branche<br />
al<strong>la</strong> fiera, e svoltatosi un po’ per un canto a<br />
darle <strong>la</strong> via, le tirò con <strong>la</strong> spada sì fattamente<br />
alle giunture di dietro, che non potendo il<br />
leone più reggersi, rimase a sedere in terra.<br />
La qual cosa vedendo i compagni, che se ne<br />
erano <strong>prima</strong> fuggiti, tornarono a finire di<br />
ucciderlo. E raccontando poi il tutto in nave,<br />
dove portarono il leone con loro, celebrarono<br />
sì fattamente <strong>la</strong> virtù di Romano, che lo<br />
imperadore non so<strong>la</strong>mente gli fece donativi<br />
grandi, e gli dette condotta ed onori non<br />
piccoli, ma sentendosi venire a morte, e<br />
<strong>la</strong>sciando il figliuolo ancor tenero al<strong>la</strong> tute<strong>la</strong><br />
di Alessandro, volle che tutta l’armata di mare<br />
fusse in arbitrio di costui solo: e così lo fece<br />
grande ammiraglio…persuadendosi…che non<br />
dovesse bramare lo imperio, anzi guardarlo<br />
854 Ivi, passo alle pp. 190-192.<br />
855 Liuthprandi, cit., passo alle pp. 260y4-261y5.<br />
856 Ivi, passo alle pp. 263-264y6.<br />
demergere, unumque eorum capere, sicque<br />
rabiem ventris mitigare…Id est, Romanus<br />
autem eorundem sonitum audiens, timuit<br />
valde. Putavit enim multitudinem<br />
Saracenorum esse, qui conspectum se fraude<br />
aliqua vellent perimere. Mane autem primo<br />
exurgens quuum diligentissime omnia<br />
consideraret, conspectis vestigijs, id est,<br />
confestim quid hoc esset agnovit. Leone<br />
itaque in harundineto acervuus harundinibus<br />
plenus, in quem leo confugiens, illo ab igne<br />
est salutatus. Ventus quippe contraria ex<br />
parte f<strong>la</strong>ns, ignem ne ad acervuum usque<br />
perveniret amovit. Romanus praeterea post<br />
ignis extinctionem, uno tantum cum assec<strong>la</strong><br />
ensem solum dextera, sinistra autem pallium<br />
gestans, locum omnem peregrans lustrat, si<br />
forte os ex eo vel signum aliquod reperiret.<br />
Iam vero quum in eo esset, ut nihil inveniens<br />
repedaret, quid hoc monstri esset quod<br />
acervus ille sit ab igne salvatus, studuit<br />
visere. Quumque duo prope assisteret,<br />
secumque rebus ex nonnullis fabu<strong>la</strong>rent, leo<br />
hos tantum audivit, quoniamquidem ob<br />
caligantes oculos…id est, ob fumus videre<br />
non potuit. Volens igitur leo animi sui<br />
feritatem quam ab igne coceperat, in hos<br />
evomere, saltu rapidissimo quam illorum<br />
voces audierat, inter eos prosilijt. Romanus<br />
vero, non ut suus assec<strong>la</strong> pavitans, sed ea<br />
potius mente consistens, ut etsi fractus,<br />
caderet orbis, impavidum ruinae ferirent,<br />
pallium quod manu gestabat, inter brachia<br />
misit. Quod dum pro nomine leo discerperet,<br />
Romanus hunc a tergo totis viribus inter<br />
clunium iuncturas ense percussit. Qui<br />
dissociatis divisisque cruribus quia stare non<br />
poterat, penitus cecidit. Leone igit interfecto,<br />
Romanus seminecem assec<strong>la</strong>m suum solo<br />
stratum eminus vidit, quem et vocare voce<br />
praecipua coepit. Sed quum nullum daret<br />
omnino responsum, idem Romanus propter<br />
eum astitit, pedesque pulsans, surge, inquit,<br />
miser. Qui confurgens prae admiratione dum<br />
leonis immanitatem conspiceret, non habuit<br />
ultra spiritum. Stupebant autem omnes de<br />
isto Romano haec audientes. Unde factum<br />
est, ut tam pro caeteris quam pro praec<strong>la</strong>ro<br />
hoc praesenti facinore non multo post a<br />
183
per Costantino, ed essergli fidelissimo<br />
sempremai per <strong>la</strong> mercè che gli aveva fatta.<br />
Ma Romano…dimenticatosi lo obbligo suo,<br />
fece coronare Cesare non solo sè medesimo,<br />
ma <strong>la</strong> moglie e tre suoi figliuoli, Cristofano,<br />
Stefano e Costantino; e di maniera seppe<br />
aiutarsi, che e’ fu quasi che imperaodore, anzi<br />
che egli usurpò lo stato al suo genero.” 854<br />
Leone Imperatore tanto donaret honore, ut<br />
omnes naves ipsius essent in manibus,<br />
eiusque iussionibus obedirent.[…]Leo<br />
denique Graecorum pijssimus<br />
Imperator…regni sui haeredem, Alexandrum<br />
fratrem germanum, unicumque filium<br />
Constantinum, qui nunc usque superest, et<br />
feliciter regnat, parvulum, …et infantem<br />
dereliquit. 855 […]Denique Romano<br />
imperatore costituto, Christophorum quem<br />
ante imperij dignitate habuerat, Imperatorem<br />
constituit. Post impij vero sui ordinationem<br />
uxor eius filium ei peperit nomine<br />
Stephanum. Rursus concepto foetu alium ei<br />
peperit nomine Constantinum. Quos omnes<br />
imperatores constituens, contra ius fasque et<br />
secum Christophorum primogenitum domino<br />
suo Imperatori Comnstantino porphyrogenito<br />
praeposuit…” 856<br />
Del resto, il negativo profilo di Romano, viene ulteriormente confermato dal<strong>la</strong> disastrosa<br />
condotta di guerra con i Saraceni in terreno asiatico. Questione “de <strong>la</strong> quale non ragiono<br />
altrimenti, per esser successa in Asia, cioè fuori di tutti i confini e termini a’ quali si al<strong>la</strong>rga<br />
<strong>la</strong> i<strong>storia</strong> nostra…” dichiara il Giambul<strong>la</strong>ri che ne evidenzia esclusivamente le tragiche<br />
ripercussioni propagatesi in Italia. Infatti, Romano spopo<strong>la</strong> Ca<strong>la</strong>bria e Puglia per ingrandire<br />
un esercito, poi distrutto dai Saraceni, provocando <strong>la</strong> ribellione delle due regioni contro<br />
Romano che chiama in suo soccorso addiritura il re dei Mori:<br />
“Venuta <strong>la</strong> pessima nuova di Ca<strong>la</strong>vria e per<br />
tutta <strong>la</strong> Puglia, oltre allo avere portato<br />
unversqalmente dolori e pianti per <strong>la</strong> morte di<br />
tante genti, el<strong>la</strong> vi recò eziandio sì grave<br />
sdegno contro a Romano, governatore dell<br />
oImperio greco, che facendosi beffe di lui…si<br />
ribel<strong>la</strong>rono finalmente, e non volsero più<br />
ubbidirlo. Romano turbato, di questa cosa,<br />
tentò con dolci parole di ridurli a lo antico<br />
giogo; ma veduto di perder tempo con<br />
lusinghe, e di non gli potere forzare con<br />
esercito, rispetto a <strong>la</strong> guerra d’Asia, scrisse ni<br />
Africa a’ l re de’ Mori, che per servizio suo<br />
volesse passare in Italia con tanto esercito<br />
che gli ricuperasse Puglia e Ca<strong>la</strong>vria, con<br />
questo che tutta <strong>la</strong> roba fosse de’ Mori, e <strong>la</strong><br />
terra so<strong>la</strong> de’ Greci. Il Moro, cupidissimo di<br />
guadagno, e nimicissmo de’ Cristiani, non<br />
apsettò farsi pregare. Anzi, adunata quel<strong>la</strong><br />
più gente che potette mettere insieme, se ne<br />
venne per mare in Ca<strong>la</strong>vria[…]arrivati i Mori<br />
in Italia, non so<strong>la</strong>mente predarono <strong>la</strong><br />
C<strong>la</strong>varia e <strong>la</strong> Puglia, vote (come si disse) di<br />
“Romanus (ut <strong>la</strong>tius sumus dicturi) cum<br />
Costantino qui nunc usque superest, leonis<br />
imp. Filio Costantinopolitanum regebat<br />
imperium. Et sicut fieri assolet, primo quo<br />
Romanus suscepit imperium anno, nonnu<strong>la</strong>e<br />
ei gentes, praesertim…, hoc est, orientales,<br />
visae sunt rebel<strong>la</strong>re. Factum est aut dum Imp.<br />
Exercitum ad espugnandas eas transmitteret.<br />
Apuliam et Ca<strong>la</strong>briam binas regiones quae ei<br />
tunc temporis serviebant, huic rebel<strong>la</strong>sse.<br />
Quumque Imp. Maximis orientem versus<br />
copijs directis exercitus huc multitudinem<br />
destinare non posset : rogavit primo ut sui<br />
fidelitatem pristinam sponte redirent. Qui<br />
quum renuerent, atque hoc se facturos minime<br />
dicerent, ad Aprhicanum mox Imp. Dirigit<br />
regem, eum precio rogans ut se adiuvet,<br />
virtutisque eius auxilio Apuliam sibi atque<br />
Ca<strong>la</strong>briam subdat. Hac ex legatione rex<br />
Aphricanus accitus, innumerabilis ratibus<br />
copias in Ca<strong>la</strong>briam Apuliamque direxit,<br />
binasque has regiones Imperatoris dominati<br />
potentissime subdidit. Sed dum processu<br />
184
gioventù, ma tutta <strong>la</strong> terra ferma che è tra le<br />
due marine, da <strong>la</strong> punta di Otranto insino a <strong>la</strong><br />
Campagna romana; e…si impadronirono<br />
d’ogni cosa…” 857<br />
temporis has regiones dimitterent, Romam<br />
versus aicem gyraverunt, montemque<br />
Garelianum maxima pro tuitione sibi<br />
vendicaverunt, multasque munitissimas<br />
civitates debel<strong>la</strong>ntes vi ceperunt.” 858<br />
La pressione e le incursioni dei Mori appaiono inarrestabili e si rive<strong>la</strong>no una continua fonte<br />
di problemi e turbamento per <strong>la</strong> peniso<strong>la</strong>, tanto da determinare l’alleanza tra il pontefice<br />
Giovanni X di Tausignano ed il principe di Capua. Un’alleanza che il Giambul<strong>la</strong>ri racconta<br />
sul<strong>la</strong> falsariga di Liutprando dopo aver sostanzialmente smentito sul piano delle fonti<br />
l’esistenza ed il tragico epilogo di un altro accordo nato in funzione antimoresca, tra il<br />
suddetto pontefice ed il marchese Alberigo di Toscana. Giambul<strong>la</strong>ri, infatti, contesta sul piano<br />
delle fonti che una volta vinti i Mori, Alberigo sarebbe stato cacciato da Roma dal pontefice e<br />
avrebbe chiamato gli Ungheri per vendicarsi di Giovanni X, opponendo alle versioni di<br />
P<strong>la</strong>tina e Biondo le asserzioni di Liutprando per le quali rinvia al IV libro del<strong>la</strong> sua Storia<br />
d’Europa. Inoltre, sotto il profilo squisitamente logico, il canonico sottolinea anche come il<br />
marchese di Toscana non avrebbe avuto certo bisogno del supporto militare degli Ungheri per<br />
prendere Roma e il pontefice 859 . Considerazioni che testimoniano ulteriormente, rispetto ai<br />
passi dedicati al marchese di Toscana Adalberto nel I libro, l’importanza non secondaria<br />
attribuita a questa regione.<br />
L’alleanza invece documentata appunto da Liutprando, elimina <strong>la</strong> presenza dei Mori<br />
dall’Italia. Nondimeno l’assetto del<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong> viene turbato da una nuova congiura ordita ai<br />
danni di Berengario che chiama in suo aiuto gli Ungheri, come Giambul<strong>la</strong>ri riporta<br />
attenendosi fedelmente per entrambe le vicende a Liutprando:<br />
“papa Giovanni predetto, collegatosi con<br />
Landolfo di Benvenuto, principe di Capua, e<br />
per consiglio suo mandato in Costantinopoli<br />
a chiedere soccorso a Romano per sanare il<br />
male ch’egli aveva fatto, ragunò un gagliardo<br />
esercito di Spuletini, Camerinesi, Toschi e<br />
Romani, e de genti che mandò il Greco, e<br />
personalmente andò a combattergli; e dopo<br />
una sanguinosa battaglia finalmente gli volse<br />
in fuga. Ma non potette già espugnargli,<br />
perché ritiratisi su nel monte, dal<strong>la</strong> naturale<br />
fortezza di quello aiutati, si difesero<br />
gagliardamente. I Greci, tenendosi più<br />
ingiuriati da questi Mori che nessuna delle<br />
altre nazioni, rispetto a lo essere stati traditi e<br />
spogliati del loro dominio, fermatisi a piè del<br />
monte, e dove era <strong>la</strong> salita manco difficile<br />
fabbricato un castello, vi tennero poi lo<br />
assedio sì lungamente…che i Mori o di fame<br />
o di ferro vi si morirono interamente, e si<br />
diedero prigioni e schiavi. E così finì questa<br />
peste.<br />
In questi tempi medesimi, o non molto avanti,<br />
essendo venuto a mancare il ricco marchese<br />
857 Storia, cit., passo a p. 194.<br />
858 Liuthprandi, cit., p. 247x4.<br />
859 Storia, cit., pp. 195-197.<br />
“Ioanne itaque…papa costituto, Landolfus vir<br />
quidam strenuus bellorum exercitio doctus,<br />
Benventanorum et Capuanorum omnium<br />
princeps c<strong>la</strong>rebat…Quod princeps ut audivit,<br />
papam per internuncios ita convenit[…]His<br />
auditis, papa confestim nuncios<br />
Costantinopolim dirigit, suppliciter<br />
Imperatoris auxilia sibi dare<br />
deposcens[…]Affuit et papa Ioannes cum<br />
Landolfo pariter Beneventanorum principe<br />
potentissimo, Camerinis etiam atque<br />
Spoletinis. Horrida denique inter eos pugna<br />
exoritur. Verum dum Christianorum partem<br />
Poeni praevalere conspicerent, in Gareliani<br />
montis summitatem confugiunt, angustasque<br />
tantum vias defendere moliuntur. Ex parte<br />
vero il<strong>la</strong> qua difficilior erat ascensus,<br />
Poenisque ad fugiendum aptior: Graeci<br />
castrum die il<strong>la</strong> constituunt, in quo residentes,<br />
Poenos ne fugerent observabant, quotidieque<br />
oppugnantes non mediocriter trucidabant.<br />
[…]Hoc in tempore Adelbertus thuscorum<br />
potens marchio morit. Filusque eius Vuido s<br />
Berengario rege marchio patris loco<br />
185
Alberto, signore di tutta Toscana, successe<br />
nel luogo suo il marchese Guido, suo<br />
primogenito, e fu confermato da’l re<br />
Berengario: ancora che pochi mesi di poi lo<br />
facesse prigione in Mantova, insieme con <strong>la</strong><br />
madre sua donna Berta, e tenesselo qualche<br />
tempo per levargli forse il dominio, come<br />
pare che accenni Liutprando. Ma, qualunque<br />
se ne fusse <strong>la</strong> causa, chèe non <strong>la</strong> ho vista<br />
specificata, lo ri<strong>la</strong>ssò finalmente libero, senza<br />
torli nul<strong>la</strong> de’l suo;[…]essendosi<br />
massimamente scoperto che il marchese<br />
Alberto di Ivrea, per lo addietro stato suo<br />
genero, e Oderico pa<strong>la</strong>tino, insieme con il<br />
conte Gilberto e messer Lamberto<br />
arcivescovo di Mi<strong>la</strong>no, macchinavano di<br />
ribel<strong>la</strong>rsi per <strong>la</strong> cagione che…Il Conte<br />
Oderico pa<strong>la</strong>tino, per alcuno demerito suo<br />
trovandosi in carcere di Berengario,fu dato<br />
da lui a guardia al predetto messer Lamberto;<br />
il quale, per avere speso eccessivamente in<br />
ottenere lo arcivescovado da Berengario,<br />
desideroso di riaversi e insanguinarsi, avuta<br />
<strong>la</strong> occasione del prigione, convenne con esso<br />
lui, che barattato le catene di ferro ad oro,<br />
ebbe i danari che e’ volse, e <strong>la</strong>sciassi fuggire<br />
il conte. Appresso, chiedendo poi Berengario<br />
il prigione, rispose questo santo arcivescovo,<br />
che non gli e lo poteva rendere senza grave<br />
suo pregiudizio, cadendo nel<strong>la</strong> irregu<strong>la</strong>rità<br />
qualunche religioso consentisse o intervenisse<br />
in alcuna cosa dove l’uomo perdesse <strong>la</strong> vita,<br />
come <strong>la</strong> perderebbe il conte Oderico se e’<br />
venisse nelle sue mani. Berengario adiratosi<br />
di questa cosa, ancora che ei mostrasse di<br />
non curar<strong>la</strong>, non seppe tanto dissimu<strong>la</strong>re il<br />
nascoso pensiero dello animo, che lo<br />
arcivescovo, o epr alcuni segni veduti o per <strong>la</strong><br />
ma<strong>la</strong> coscienza sua, non cominciasse a<br />
temere di lui, e non bramasse di assicurarsi.<br />
Ma non conoscendovi modo più certo che il<br />
levargli di mano lo scettro, convenne<br />
segretamente co’ principi sopraddetti, che si<br />
mandasse in Borgogna a Ridolfo figliuolo del<br />
duca Riccardo, ad offrirgli il regno d’Italia,<br />
quando egl isi disponesse a venire a<br />
cacciarne il re Berengario. Maneggiandosi<br />
dunque questo trattato tra i predetti signori,<br />
accadde che trovandosi trovandosi il<br />
marchese Alberto di Ivrea, Oderico e Gilberto<br />
860 Storia, cit., passo alle pp. 198-200.<br />
861 Liuthprandi, cit., passo alle pp. 249x4-251x5.<br />
constituit. Berta aut eius uxor cum guidone<br />
filio, post mariti obitum minoris non facta est<br />
que vir suus potentie. Quae tum calliditate et<br />
muneribus, tum hymenei exercitio dulcis,<br />
nonullos sibi fideles effecerat. Unde contigit<br />
ut dum paulo post a Berengario simul cum<br />
filio caperetur, et Mantue in custodia<br />
teneretur, suas civitates et castel<strong>la</strong> omnia<br />
Berengario minime reddiderit, sed firmiter<br />
tenuerit, eamque postmodum de custodia<br />
simul cum filio liberarit.[…]His temporibus<br />
idem Adelbertus gener regius, Iporegiae<br />
civitatis marchio, atque Oldericus pa<strong>la</strong>tij<br />
comes, qui ex suevorum sanguine duxerat<br />
originem, necnon et Gilebertus praedives<br />
comes, et strenuus Lanthbertus etiam<br />
Medio<strong>la</strong>nen. Archiepiscopus, nonnulique alij<br />
principes Italiae Berengario rebelles<br />
extiterant. Causa autem rebellionsi hec fuit,<br />
dum Lanthbertus defuncto antecessore suo<br />
Medio<strong>la</strong>nens. Archiepiscopus ordinari<br />
debuisset, non parvam ab eo rex Berengarius<br />
contra sanctorum instituta patrum accepit<br />
pecuniam, quantam cubicu<strong>la</strong>rij, quantam<br />
hostiarij, quantam pavonarij, ipsi etiam<br />
altilium custodes accipere deberent.<br />
Lanthbertus igitur archipraesu<strong>la</strong>tus amore<br />
vehementer animatus, quecumque rex<br />
posceret, quanto cum dolore tribueret ex hoc<br />
intelligere poteris, quod subsequens lectio<br />
dec<strong>la</strong>rabit. Oldericum pa<strong>la</strong>tij comitem, quem<br />
praediximus, vinctum tunc Brengarius<br />
tenebat. Quumque Lanthbertum<br />
archipiscopum constiueret, Oldericum ei<br />
donec quid de eo sgeret deliberaret,<br />
commendavit. Is autem pecuniae multae quam<br />
pro episcopatu erogarat, non immemor, hoc<br />
cum pacto coepit de eius infidelitate<br />
discutere. Paucis denique interpositis diebus,<br />
rex Berengarius nuncijs directis, Oldericum<br />
ad se venire praecipit. Quos ironica hac<br />
responsione convenisse non dubium est.<br />
Sacerdotis officio penitus carere debeo, si<br />
iugu<strong>la</strong>ndum quempiam in manus alicuius<br />
travidero. Intellexerunt itaque nuncij hunc<br />
publicem rebel<strong>la</strong>sse, quem a rege sibi<br />
traditum absque eius licentia noverant<br />
dimisisse. Qui regressi protinus ad regem,<br />
Terentianum illud pro responsione dederunt.<br />
Huic commendes si quis tecte curatum<br />
186
conti, con alcuni seguaci loro, nel<strong>la</strong><br />
montagna di Brescia a ragionare de’ modi e<br />
de’l quando, sopravvennero a caso a Verona,<br />
dove era allotta il re Berengario, Dursatto e<br />
Bugatto, due signorotti degl iUngheri<br />
amicissimi suoi, co alcune compagnie di<br />
soldati che andavano a buscare preda ove si<br />
avessero veduto il comodo. Berengario<br />
amorevolmente gli ricevette, e dopo molti<br />
ragionamenti, narrò loro <strong>la</strong> congiura che<br />
facevano i suoi nemici, e pregogli con grande<br />
in stanzia che se, e’ lo amavano, lo<br />
vendicassero di alcuni di quelli che, in un<br />
monte vicino, quivi a cinquanta miglia,<br />
procuravano di torgli il regno. Gli Ungheri<br />
udito questo, amando quel re sommamente e<br />
desiderando di guadagnare, fattosi dare<br />
buone guide se ne andarono subito al monte,<br />
non per <strong>la</strong> visa ordinaria, ma per montagne<br />
asprissime e per luoghi disabitati; e vi<br />
giunsero sì d’improvviso e con impeto così<br />
fatto, che gli avversarii del re non ebbero<br />
spazio di pigliar l’armi, non che di mettersi a<br />
<strong>la</strong> difesa. Furono adunque uccisi <strong>la</strong> maggior<br />
parte: e con essi il conte Oderico, il quale<br />
non volle arrendersi mai: molti ancora fatti<br />
prigioni; tra quali furono Gilberto conte e il<br />
marchese Alberto, che per <strong>la</strong> sagacità ed<br />
astuzia sua agevolment euscì loro di mano.<br />
Con ciò sia che, veduto venire i nimici dsa<br />
tante bande che non si era modo a salvarsi,<br />
gittando lungi da sé tutte le cose che potevano<br />
in maniera alcuna dimostrare <strong>la</strong> grandezza<br />
sua, si rivestì d’uno abito vile, e <strong>la</strong>sciassi<br />
pigliare da gli Ungheri. Da quali poi<br />
dimandato vpoi chi e’ fosse, rispose che era<br />
povero fante d’un capo di squadra, e che<br />
aveva alcuni parenti in Calcinaia, castelletto<br />
vicino a quivi; dove, se e’ volevano menarlo,<br />
farebbe ricomperarsi da loro per quel<strong>la</strong><br />
taglia che patissero le sue facoltà. E così<br />
menato al castello , e non conosciuto<br />
altrimenti, fu venduto per piccolo pregio ad<br />
un degli stessi soldati suoi, che, fingendosi<br />
suo parente, lo riscosse per quello che e’<br />
volle col mostrare di non estimarlo. Ma<br />
Gilberto conosciuto da gli Ungheri, battuto e<br />
spogliato, fu condotto a Verona, e presentato<br />
al re Berengario. A piè del quale gittatosi<br />
subitamente, ancora che e’ movesse <strong>la</strong> sa<strong>la</strong> a<br />
riso co’l mostrare quel<strong>la</strong> parte, inchinandosi,<br />
che si debbono tenere coperte…commosse<br />
velis.[…]Quo tempore Rodulfus rex<br />
superbissimus Burgundionibus<br />
imperabat.[…]Igitur Italienses nuncijs<br />
directis hunc ad se venire, Berengarium vero<br />
expellere petunt. Inter agendum autem<br />
contigit Hungaros Veronam his ignorantibus<br />
advenisse, quorum duo reges Dursac et Bugat<br />
amicissimi Berengario fuerant. Adelbertus<br />
denique marchio atqeu Oldericus comes<br />
pa<strong>la</strong>tij, Gilebertus etiam comes, pluresque alij<br />
dum in montem Brixiniae civitatis, quae<br />
quinquaginta militarijs a Verona distat,<br />
conventico<strong>la</strong> ob Berengarij deiectionem<br />
haberet: rogavit Berengarius Hungaros, ut si<br />
se amarent, super inimicos suos irruerent. Hi,<br />
vero, ut erant necis avidi, bel<strong>la</strong>ndi cupidi, a<br />
Berengario mox praeduce accepto, per<br />
ignotas vias a tergo hos usuqe adveniunt,<br />
tantaque illos celeritate confodiunt, ut nec<br />
induendi sumendi ve arma spatium haberent.<br />
Captis igitur caesisque multis Oldericus<br />
pa<strong>la</strong>tij comes, qui se viriliter defenderat,<br />
occidit. Adelbertus autem marchio et<br />
Gilebertus vivi capiuntur. Verum Adalbertus<br />
ut erat vir non bellicosus, sed sagacitatis<br />
mirae nimiaeque callidatis, dum irruere<br />
Hungaros undique cerneret, essetque illi<br />
omnis spes fugiendi ab<strong>la</strong>ta, baltheum,<br />
armil<strong>la</strong>sque aureas, omnemque preciosum<br />
apparatum proiecit, vilibusque se militis<br />
induit vestimentis, ne ab Hungaris quis esset<br />
dignoscerentur. Captus igit sciscitatusque<br />
quis esset, militis cuiusdam militem se esse<br />
respondit. Rogavitque se ad vicinum<br />
castellum duci vocabolo Calcinaria, in quo<br />
parentes qui eum redimerent, se habere<br />
asserebat. Ductus igitur, quia non agnitus,<br />
vilissimo precio comparatur. Emit autem<br />
illum suus ipsius miles nomine Leo.<br />
[…]Gilebertus autem quia agnitus f<strong>la</strong>gel<strong>la</strong>t,<br />
vinctus seminudusque ante Berengarij regis<br />
praesentiam ducitur, Enimvero dum ante eum<br />
sine femoralibus curta indutus endromade<br />
ductus regis ad pedes concitus caderet,<br />
genitalium ostensione membrorum ad risum<br />
omnes commovit. Rex aut, ut erat pietatis<br />
amator, misericordia, que ei nul<strong>la</strong> debebat,<br />
inclinatus ei non ut populus optavit, malum<br />
pro malo reddidit: verum confestim lotum,<br />
optimisque vestibus indutum, abire permisit.<br />
Cui et ait, insiurandum a te nullum exigo,<br />
fidei tuae te ispum committo. Si male contra<br />
187
pure esso re a tanta compassione, che, fattol<br />
olevare su e vestito onoratamente,<br />
incontamente lo fece libero; e senza voler da<br />
lui né obbligo né sacramento, lo <strong>la</strong>sciò nello<br />
arbitrio suo, dicendogli: “Io non ti voglio<br />
stringere a nul<strong>la</strong>: fa di te a tuo piacimento,<br />
ricordandoti sempre, che se tu farai male in<br />
verso di me, tu ne arai al<strong>la</strong> fine a dar conto a<br />
quel Giudice sommo e vero che vede sempre<br />
tutte le cose.” …Con ciò sia che stimu<strong>la</strong>to dal<br />
marchese Alberto di Ivrea e da gli altri<br />
nemici di Berengario, si trasferì<br />
personalmente in Borgogna a’l duca Ridolfo,<br />
ad invitarlo al regno d’Italia.” 860<br />
me egeris, rationem te scias deo redditurum.<br />
Hunc denique Adelbertus, caeterique qui cum<br />
illo rebelles extiterant, accepti immemorem<br />
beneficij ad Rodulfum ut adveniat dirigunt.<br />
[…]” 861<br />
In re<strong>la</strong>zione all’invito indirizzato a Ridolfo duca di Borgogna ad intervenire nel<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong><br />
contro Berengario, <strong>prima</strong> di raccontare le fasi dello scontro, il Giambul<strong>la</strong>ri spiega l’origine del<br />
nome di Borgognoni avvalendosi principalmente del Renano e si dilunga su alcuni<br />
avvenimenti del<strong>la</strong> loro <strong>storia</strong>, chiaramente corre<strong>la</strong>ti all’ultimo periodo dell’impero romano ed<br />
al suo crollo:<br />
“E per questo diciamo, che e’ par certo assai<br />
verisimile il nome di Borgognoni essere più<br />
antico di Tiberio o di Cesare (come ha notato<br />
bene il Renano), e però non venire da’ borghi<br />
come già si credette Orosio. Poiché Plinio<br />
annovera i Borgognoni, da <strong>la</strong>tini detti<br />
Burgundiones , per una parte di Vandali tra li<br />
estremi e ultimi popoli di tramontana. Ma<br />
perché non ce n’è certezza ne lume, bastici<br />
che questa gente (come in Mamertino<br />
panegirista si legge), cacciata da’ Gotti, per<br />
forza d’arme fuori de gli antichi paesi suoi,<br />
penetrando tra gli A<strong>la</strong>manni a loro dispetto e<br />
con molto sangue, si fermò ad abitare nel<br />
terreno di quegli, dove oggi si dice Pfalzia<br />
(altrimenti Pa<strong>la</strong>tinato), da Ammiano<br />
Marcellino detta Pa<strong>la</strong>s, ovvero Capel<strong>la</strong>tium, e<br />
quivi continuamente poi si mantenne sino al<br />
quattrocento decimoquinto anno del<strong>la</strong> nostra<br />
salute.” 862<br />
“Plinios Burgundiones primi Germanorum<br />
generis, hoc est Vandalici facit, eos inter<br />
ultimos Septentrionis populos referens, ut<br />
p<strong>la</strong>ne vetustius nomen arbitrer, quam quod<br />
primum Caesaris Tyberijque aetate natum sit,<br />
a Burgis hoc est casrellis limitum, quam<br />
opinionem secutus Orosius innumeros qui<br />
subscriberent reperit. Agathias Graecus<br />
author Burguziones vocat, et Gotici generis<br />
esse tradit nimirum propter vicinitatem. Autor<br />
est Mamertinus Panegyrista Burgundiones<br />
penitus a Gothis excisos, Alemannorum agros<br />
invitis illis proinde non citra sanguinem<br />
occupasse, qui oppresssis antea ausilio venire<br />
voluerint. Caeterum ignoraturi eramus quem<br />
nam Alemaniae tractum invasissent<br />
Burgundiones, nisi Marcellinus hanc rem<br />
explicasset.” 863<br />
Dopo <strong>la</strong> parentesi sull’origine dei borgognoni tratta dal Renano Giambul<strong>la</strong>ri recupera<br />
decisamente Liutprando per narrare le manovre di Ridolfo sollecitate dalle richieste dei nobili<br />
lombardi e il complotto ordito da F<strong>la</strong>mberto per assassinare Berengario, successivamente<br />
vendicato da Milone. Il Giambul<strong>la</strong>ri che trae partico<strong>la</strong>ri ed espressioni da Liutprando, tuttavia,<br />
accentua ulteriormente <strong>la</strong> tragicità e l’ingiustizia del<strong>la</strong> morte di Berengario nei passaggi<br />
dedicati al<strong>la</strong> falsità di F<strong>la</strong>mberto. Prima però di intraprendere il racconto del<strong>la</strong> discesa in Italia<br />
di Ridolfo, Giambul<strong>la</strong>ri fa pronunciare una lunga orazione a Gilberto per vincere le ultime<br />
862 Storia, cit., passo a p. 201.<br />
863 Rerum Germanicarum, cit., passo a p. 52g2.<br />
188
esistenze del duca di Borgogna che finalmente parte senza ulteriori indugi 864 , e di seguito,<br />
dice:<br />
“Postosi dunque in viaggio, fra bervi giorni si<br />
presento sì gagliardo in su <strong>la</strong> campagna di<br />
Lombardia, che ribel<strong>la</strong>ndosi i Lombardi a<br />
gara come ad impresa più che sicura, non<br />
rimase al re Berengario se non so<strong>la</strong>mente <strong>la</strong><br />
sua Verona: dentro a <strong>la</strong> quale ritirandosi egli<br />
al solito suo, <strong>la</strong>sciò libero allo avversario<br />
tutto il resto del suo reame. Ridolfo, senza<br />
colpo di spada, coronato re del<strong>la</strong> Italia, dopo<br />
tre anni del regno suo cominciò a venire a<br />
noia…Là onde i sudditi suoi…rivoltandosi a<br />
Berengario, e tornando sotto al suo giogo,<br />
moltiplicarono si fattamente in favore di<br />
quello, che <strong>la</strong> metà di tutto quel regno era già<br />
dal<strong>la</strong> parte sua, quando egli con esercito<br />
assai ben grosso uscito in su <strong>la</strong> campagna per<br />
non perdere <strong>la</strong> occasione, se ne venne contro<br />
a Paicenza dodici miglia, appiccato fiera<br />
battaglia con le genti del Borgognone,<br />
combattè con tanta prudenza e con tanto<br />
valore, che e’ lo roppe per viva forza, e ocn<br />
uccisione grandissima lo cacciò di su <strong>la</strong><br />
campagna. Ma <strong>la</strong> fortuna, che altrimenti<br />
aveva ordinato, gli rapì di mano <strong>la</strong> vittoria, e<br />
lo condusse in fondo al<strong>la</strong> ruota in questa<br />
maniera.<br />
Aveva non molto avanti maritato Ridolfo una<br />
sua sorel<strong>la</strong>, detta Gualdraba, a Bonifazio<br />
marchese di Camerino…Pe ril che Bonifazio,<br />
come vero cognato, avendo raccolto insieme<br />
una banda grossa di Spuletini e Camerinesi,<br />
insieme con un conte Gherardo, no espresso<br />
altrimenti ne gli scrittori, veniva a’l soccorso<br />
del re Ridolfo; ma non con tanta prestezza,<br />
che e’ si trovasse nel<strong>la</strong> giornata se non dopo<br />
<strong>la</strong> rotta, de’ Borgognoni e vittoria di<br />
Berengario. Vero è che e’ non giunse però<br />
tanto tardi, che ogni cosa fusse finita, ma<br />
giunse quando lo esercito di Ridolfo era tutto<br />
rivolto in fuga, e le genti di Berengario, senz<br />
aordine e senza modo, saccheggiando le tende<br />
inimiche, erano tutte volte al<strong>la</strong> preda. Veduto<br />
dunque il grave disordine, e trovandosi le<br />
genti fresche, dette drento animosamente e<br />
con impeto sì furioso, che i nimici, non<br />
potendo altrimenti unirsi, furono costretti a<br />
volgere le spalle. Da l’altra banda le genti di<br />
864 Storia, cit., pp. 203-205.<br />
“Profectus itaque eodem Gilibertus ante<br />
triginta dies in Italiam eum adventate coegit.<br />
Qui susceptus ab omnibus nil Berengario ex<br />
omni regno praeter Veronam dimisit,<br />
totumque tenuit per triennium viriliter<br />
regnum.<br />
Quum duodecim sibimetipsi horis hoc<br />
p<strong>la</strong>ceat, displiceat hoc, modo diligat illud,<br />
mox aspernetur, qui fieri potest, ut omnibus<br />
semper aequinamiter p<strong>la</strong>ceat? Igitur intra<br />
triennium iste rex Rodulfus quibusdam bonus,<br />
alijs gravis est visus. Unde factum est, ut<br />
totius regni media pars populi Rodulfum,<br />
media Berengarium vellet. Parant itaque<br />
civile bellum non modicum : et quoniam<br />
P<strong>la</strong>centinae civitatis episcopus Vuido<br />
Berengarij partibus favebat, duodecim longe<br />
a P<strong>la</strong>centia miliarijs iuxta Florentio<strong>la</strong>m<br />
bellum parant. Tum perquam horrida pugna<br />
oritur civilis et atra, heu quater ante<br />
Kalendas Sextilis tamen ipse Dum parat<br />
horrendos radios emittere phebus, Buccina<br />
martis adest, gnato pater ipse perennem,<br />
Infert interitum, perimitque patrem genitura.<br />
Proh dolor acer avus letum parat ecce nipoti.<br />
Sternendus per eum, furijs pulsatus ab atris,<br />
Fratrem qui fodit, fratrem fodit eminus alter.<br />
Berengarius ipse ruit medios rex percitus<br />
hostes et properat fertur ceu coelo fulgur ab<br />
alto. Dum coquit arentes cancri grave fidus<br />
aristas: non aliter dirus miserum rex ipse<br />
Rodulfus, deijcit innocuum striato mucrone<br />
popellum.[…]Dederat Rodulfus Vualdradam<br />
sororem suam tam forma que sapientia quae<br />
nunc usque superest, hoestam matronam,<br />
coniugem Bonifacio comiti potentissimo, qui<br />
nostro empore Camerinorum ac Spoletinorum<br />
extitit marchio. Hic collecta moltitudine, cum<br />
Gariardo comite Rodulfo regi in auxilium<br />
veniebat, atque ut erat vir tam callidus quam<br />
aaudax, mqaluit potius in insidijs positus cum<br />
suis rei exitum expectare, quam primum belli<br />
impetum sustinere. Iam Rodulfi pene omnes<br />
milites fugerant, et Berengarij dato victoriae<br />
signo colligere spolia satagebant: quum<br />
Bonifacius atque Gariardus subito ex insidijs<br />
properantes, hos tanto levius, quanto<br />
189
Ridolfo, udito il nuovo rumore e veduto il<br />
soccorso grande, ripigliarono le forze e<br />
l’animo, e ritornati contro a’ nimici, con<br />
uccisione non picco<strong>la</strong> li cacciarono de <strong>la</strong><br />
campagna e di tutti gli alloggiamenti, senza<br />
<strong>la</strong>ssargli mai rifar testa. E andò questo giuoco<br />
del<strong>la</strong> fortuna tanto contrari al cominciamento<br />
che Ridolfo vinto del tutto, ne rimase al tutto<br />
vincente; e Berengario, che aveva vinto, non<br />
so<strong>la</strong>mente perdè <strong>la</strong> giornata e lo esercito, ma<br />
<strong>la</strong> riputazione ancora e tutto lo stato. Con ciò<br />
sia che i Lombardi, veduto il fine di questa<br />
battaglia e <strong>la</strong> ca<strong>la</strong>mità del re Berengario,<br />
disperatisi d’ogni aiuto, per salute di sé<br />
medesimi abbandonaronotutti il perdente, e<br />
accostaronsi al vincitore; eccetto però <strong>la</strong> città<br />
di Verona, dove fuggendo il re Berengario,<br />
salvò <strong>la</strong> vita per quel<strong>la</strong> volta, con alcune<br />
poche persone che fuggirono con esso lui.<br />
Ridolfo, impadronito in questa maniera di<br />
tutto il regno, con lo esercito vincitore si<br />
ridusse lieto a Pavia. Quivi, premiati i soldati<br />
suoi e licenziatili appresso benignamente, non<br />
dimorò molti mesi poi; chè…ragunò i baroni<br />
maggiori, e con parole assai amorevoli e<br />
brevi conchiuse loro, che poi per <strong>la</strong> grazia<br />
divina e mediante <strong>la</strong> virtù loro aveva<br />
guadagnato il regno d’Italia<br />
e…desiderava…per rivedere il dominio<br />
antico, trasferirsi fino in Borgogna; e per<br />
questo pregava tutti, che…gli conservassero<br />
quello stato[…]In tanta pace e quiete, i<br />
Veronesi, che per esser tra loro<br />
Berengario…cominciaron a mancare di<br />
quello amore e di quel<strong>la</strong> fede che avevano<br />
sempre portata al predetto re;…ma<br />
bramavano ancora di ucciderlo; se non tutti<br />
universalmente, almeno una buona parte<br />
persuasa a cosa sì brutta da uno de’ loro<br />
cittadini chiamato F<strong>la</strong>mberto, compare del re<br />
Berengario, che gli tenne a battesimo un suo<br />
figliuolo. Costui…il re…fattolo venire a’l<br />
cospetto suo l’ultimo giorno del<strong>la</strong> sua vita,<br />
con maniera dolce e benigna cominciò a<br />
dirgli così: “Se e’ non fussero tante e sì<br />
potenti e gagliarde le cagioni dello amore tra<br />
noi, potremmo forse e con gran ragione<br />
dubitare de <strong>la</strong> fede tua calunniata appresso di<br />
noi da diverse persone, che tutte affermano<br />
come tu cerchi torne <strong>la</strong> vita. […]A cagione<br />
865 Storia, cit., passo alle pp. 205-210.<br />
866 Liuthprandi, cit., passo alle pp. 252x6-254y1.<br />
inopinatius fauciabant (o sauciabant o<br />
sauciabat). Pepercerat Gariardus nonnullis,<br />
hasta eos et non ferro percutiens, Bonifacius<br />
nulli parcens immensam fecerat stragem.<br />
Signum itaque victoriae Bonifacius ceperat,<br />
conveniuntque qui ex Rodulfi parte<br />
confugerant, persequentesque Berengaricos<br />
fugam illos inire cogebant. Berengarius vero<br />
in incognitum a domino Veronae perrexit<br />
asylum. Tanta quippe tunc interfectorum<br />
strages facta est, ut militum usque hodie<br />
permagna raritas habeatur. His ita peractis,<br />
regnum sibi rex Rodulfus potentissime<br />
subiugavit, Papiamque concite veniens,<br />
congregatisque omnibus, quoniam inquit,<br />
superni muneris <strong>la</strong>rgitate mihi contigit<br />
devictis hostibus regni solium adipisci: nunc<br />
cordi est meum vestrae regnum fidei<br />
commendare, Burgundiamque patriam<br />
veterem visere. Cui mox Italienses, si bonum<br />
tibi, inquiunt, videtur, praesto sumus. Igitur<br />
post Rodulfi regis abscessum, malo<br />
Veronenses accepto consilio, vite Berengarij<br />
insidiari moliuntur: quod Berengarium non<br />
<strong>la</strong>tuit: autor autem ac repertor tam saevi<br />
facinoris F<strong>la</strong>mbertus quidam erat, quem sibi,<br />
quoniam ex sacrosancto fonte filium eius<br />
susceperat, compatrem rex effecerat. Pridie<br />
vero quam pateretur, eundem ad se<br />
F<strong>la</strong>mbertum venire praecipit. Cui et ait.<br />
[…]Si mihi tecum hactenus non et multae et<br />
iustae causae amoris essent, et quonquo<br />
modo quae dicuntur credi possent, insidiari te<br />
vitae meae aiunt: sed non ego credulus illis.<br />
Meminisse autem te volo, quantaecunque tibi<br />
accesiones et fortunae et dignitatis fuerunt,<br />
eas te non potuisse nisi meis beneficijs<br />
consequi. Unde et hoc animo in nos esse<br />
debes, ut dignitas mea in amore atque<br />
fidelitate tua conquiescat. Neque vero<br />
cuiquam salutem ac fortunas suas tantae<br />
curae fuisse unquam puto, quantae mihi fuit<br />
honos tuus. In quo mea omnia studia, omnem<br />
operam, curam, industriam, cogitatinem<br />
omnem fixi. Unum hoc sic habeto. Si a te mihi<br />
servatam fidem intellexero, non mihi tam mea<br />
salus chara, quam pietas in referenda gratia<br />
iocunda. His espletis, aureum non parvi<br />
ponderis poculum rex ei porrexit atque<br />
subiunxit: Amoris salutatisque meae causa<br />
190
che, sebbene tu hai potuto in parte conoscere<br />
l’animo nostro verso di te ne’ molti e<br />
singo<strong>la</strong>ri benefizi (e sia detto senza<br />
rimprovero) che ti abbiamo fatti sin qui,<br />
conoscendolo da ora innanzi molto più chiaro<br />
da <strong>la</strong> maniera che teco usiamo in accusa<br />
cotanto grave, tu raddoppi e moltiplichi in<br />
infinito quello amore che tu ci hai portato; e<br />
lo dimostri in siffatta guisa, che<br />
manifestamente apparisca a tutti quanto<br />
l’onore e <strong>la</strong> grandezza mostra sicuramente<br />
può riposarsi nel<strong>la</strong> fede e nello amor tuo. E<br />
renditi certo, che, trovandoti quale speriamo,<br />
non ci sarà tanto cara <strong>la</strong> propria salute<br />
nostra, quant gioconda <strong>la</strong> gratitudine che<br />
vedremo in te, e <strong>la</strong> scambievole benevolentia<br />
che potremo dire di avere conosciuto.” Indi,<br />
fatto venir da bere, e portogli di sua mano<br />
una ricchissima coppa d’oro, assaggiata<br />
<strong>prima</strong> da lui: “Bevi…con esso meco in<br />
testimonianza dello amor nostro; e serbando<br />
per te <strong>la</strong> coppa con quel<strong>la</strong> benivolentia che io<br />
te <strong>la</strong> dono, ricordati del<strong>la</strong> carità che facciamo<br />
insieme, e che il tuo legittimo re e compare<br />
dorme sicuro in su <strong>la</strong> tua fede”: Lo scellerato<br />
F<strong>la</strong>mberto[…]andò a conchiudere il<br />
tradimento: e…sollecitò i compagni tanto, che<br />
<strong>la</strong> notte seguente vennero armati dove lo<br />
innocentissimo re, senza guardia alcuna, tutto<br />
sicuro si riposava, al<strong>la</strong>to a <strong>la</strong> stessa chiesa<br />
dove fu preso il re Lodovico; essendo solito<br />
levarsi <strong>la</strong> notte a <strong>la</strong> ora di mattutino, ed<br />
entrare co’ religiosi a lodare il suo Creatore.<br />
Il che eseguendo ancora quel<strong>la</strong> notte al solito<br />
suo, giunse F<strong>la</strong>mberto co’ suoi seguaci: i<br />
quali, per essere non pochi, facendo pure<br />
qualche strepito, venne il re su <strong>la</strong> porta a<br />
vedere che cosa era questa. Veduto, dunque,<br />
cotanti armati e F<strong>la</strong>mberto con esso loro, lo<br />
dimandò che cosa e’ cercavano a quel<strong>la</strong> ora e<br />
in quel<strong>la</strong> guisa. Il traditore, per cavarlo fuori<br />
de <strong>la</strong> chiesa, avvicinatosi più a lui “State…di<br />
buona voglia: questi sono amici e servitori<br />
vostri, che sapendo che voi siete qua su senza<br />
guardia alcuna, per lo amore che vi portano,<br />
sono venuti armati da voi per guardia e<br />
sicurtà vostra; apparecchiati se maligintade<br />
alcuna apparisse, a combattere contro a<br />
ciascuno che pensasse volervi offendere: e<br />
però sarà bene che voi meco gli conosciate, e<br />
riceviateli allegramente”. Il re da queste<br />
parole ingannato, uscì lieto verso di loro; ed<br />
quod continetur bibito, quod continet habeto.<br />
Vere autem et absque ambiguitate post potum<br />
introivit in illum sathanas. Beneficij quippe<br />
praesentis et praeteriti immemor insomnem<br />
il<strong>la</strong>m in regis necem populos instigando<br />
pertulit noctem. Rex autem nocte il<strong>la</strong><br />
quemadmodum et solitus erat, iuxta ecclesiam<br />
non in domo quae defendi potest, sed in<br />
tuguriolo quodam manebat amoenissimo. Sed<br />
et custodes nocte eadem non posuerat, nihil<br />
suspicans mali.[…]Se primum quatiens<br />
strepit Gallus…Hic rex ecclesiam petit, ac<br />
<strong>la</strong>udes domino canit. F<strong>la</strong>mbertus properans<br />
vo<strong>la</strong>t, Quo enim multa simul manus: ut regem<br />
perimat bonum. Rex corum (o eorum) vigil<br />
inscius audit dum strepitum, nihil formidans<br />
properat citus Hoc quid visere sit, videt<br />
Armatas militum manus. F<strong>la</strong>mbertum vocat<br />
eminus. Quid turbae est ait: en bone vir quid<br />
nunc quid populus cupit armatas referens<br />
manus ? Respondit vereare nil. Te non ut<br />
perimat ruit. Sed pugnare libens cupit hac<br />
cum parte tuum petit mox quae tollere<br />
spiritum. Deceptus properat fide rex hac, in<br />
medios simul tunc captus male ducitur : a<br />
tergo hunc ferit impius Romphaea: cadit heu<br />
pius, Felicemque suum deo commendat pie<br />
spiritum. Denique quam innocentem<br />
sanguinem suderit, quamque perverse<br />
perversi egerint, nobis reticentibus <strong>la</strong>pis ante<br />
cuiusdam ecclesiae ianuam positus<br />
sanguinem eius cunctis transeuntibus<br />
ostendens insinuat. Nullo quippe delibitus<br />
aspersusque liquore discedit. Nutrierat sibi<br />
rex Berengarius familiariter <strong>la</strong>utemque<br />
iuvenem, imo heroem quondam, Milonem<br />
nomine, memoria satis ac <strong>la</strong>uda dignum.<br />
Cuius si rex fretus consilijs esset, fortunas<br />
sibi omnes non tantum adversari sentivisset,<br />
nisi quia forte et hoc divinae providentiae<br />
consilium fuit, ut aliter fieri non posset. Is<br />
sane nocte eadem qua rex Berengarius<br />
deceptus est, adhibitis sibi copijs, nocturnas<br />
ei vigiliarum custodias voluit exhibere. Rex<br />
vero promissionibus F<strong>la</strong>mberti deceptus,<br />
Milonem se non solum custodire non sivit,<br />
verum etiam atque etiam vehmenter<br />
prohibuit. Milo autem sicut vir fidelis et<br />
rictus, ac beneficij sibi a rege col<strong>la</strong>ti non<br />
immemor, quem defendere quia defuit, non<br />
potuit, cito acriter vindicare curavit. Tertia<br />
quippe post regis necem die, F<strong>la</strong>mbertum<br />
191
entrando sicuramente tra essi per<br />
dimenticarsi con tutti e per ringraziarli…lo<br />
scellerato F<strong>la</strong>mberto fattoli strada, lo <strong>la</strong>sciò<br />
trapassare avanti, e rivoltoseli poi a le spalle,<br />
con uno partigianone…lo passò da reni a ‘l<br />
petto, e così gli tolse <strong>la</strong> vita. Ma quanto e’<br />
morisse innocentemente…lo dimostra ancora<br />
una pietra bagnata dal sangue suo, che<br />
avvenga che <strong>la</strong>vata infinite volte, non ha mai<br />
<strong>la</strong>sciato <strong>la</strong> macchia[…]Seguita <strong>la</strong> morte del<br />
re, un valoroso giovane e nobile, per nome<br />
detto Milone, allevato da esso r, che non<br />
soleva <strong>la</strong>sciarlo mai, non essendosi trovato a<br />
<strong>la</strong> fine sua, rispetto a lo averlo egli mandato<br />
<strong>la</strong> stessa notte ad altri servigi, si dispose di<br />
vendicarlo. Convenutosi adunque con alcuni<br />
suoi fidatissimi, <strong>la</strong> terza notte seguente pose le<br />
mani addosso a F<strong>la</strong>mberto , e alcuni di quegli<br />
altri che erano stati capi con lui ad uccidere il<br />
suo signore; e, con vituperio grandissimo,<br />
tutti quanti fece appiccargli. Indi levatosi su<br />
<strong>la</strong> parte e gli amici del morto re, crearono<br />
esso Milone conte di Verona; ed egli con lo<br />
aiuto loro cacciati e spenti tutti i nimici, <strong>la</strong><br />
mantenne con somma pace e tranquillità…” 865<br />
eique in tam nephario scelere conniventes, vi<br />
captos, suspendio vitam finire praecepit.<br />
Fuerunt sane in hoc viro nonnul<strong>la</strong>e<br />
perfectaeque virtutes, quae deo propitio suis<br />
in locis vita comite silentio non tegent.” 866<br />
Il terzo libro, si chiude in Germania con un evento capitale nel<strong>la</strong> logica del<strong>la</strong> Storia.<br />
Corrado infatti, prossimo al<strong>la</strong> morte designa quale suo successore al trono imperiale Arrigo di<br />
Sassonia. Si completa <strong>la</strong> trans<strong>la</strong>zione dell’autorità imperiale che l’autore come abbiamo<br />
cercato di evidenziare, prepara fin dall’esordio del<strong>la</strong> sua <strong>storia</strong>. Come già notato in<br />
precedenza, anche in questo frangente il canonico <strong>la</strong>urenziano associa profondamente<br />
l’investitura imperiale di Arrigo con <strong>la</strong> volontà divina. Certamente in questi termini si<br />
esprimono già le fonti seguite dal Giambul<strong>la</strong>ri in tale punto, Liutprando e Vitichindo.<br />
Tuttavia, costante appare <strong>la</strong> sottolineatura del connubio tra volontà divina e assunzione del<strong>la</strong><br />
missione imperiale da parte del<strong>la</strong> casa di Sassonia anche nelle pagine precedenti del<strong>la</strong> Storia.<br />
Inoltre, come del resto già sottolineato altrove, pur riprendendo spunti offerti dalle due fonti<br />
medievali, l’autore li arrichisce e li svolge in una tonalità ed una prospettiva più marcata ed<br />
esplicita. Senza dimenticare il discorso pronunciato da Corrado sul giudizio divino a cui lui<br />
verrà sottoposto dopo <strong>la</strong> sua morte che non presente nelle due fonti menzionate contribuisce<br />
ulteriormente a sottolineare <strong>la</strong> preponderanza del divino nelle scelte e negli avvenimenti che<br />
portano all’attribuzione del<strong>la</strong> dignità imperiale al<strong>la</strong> casa di Sassonia. Corrado <strong>prima</strong> di<br />
raccomandare ai principi tedeschi di vivere in pace e di eleggere Arrigo, svolge alcune<br />
considerazioni non prive di nodi teologici abbozzati forse non inconsapevolmente dal<br />
Giambul<strong>la</strong>ri almeno nel primo periodo quando si par<strong>la</strong> dei meriti di Cristo e del<strong>la</strong> mancanza di<br />
meriti umani nei seguenti termini:<br />
“Eccovi, amici carissimi, colui che voi faceste già vostro re, condotto oramai a quel passo,<br />
che terminando le miserie e gli affanni umani, lietamente conduce i savi a’l felice e beato<br />
regno che, per divina bontà, non per merito nostro alcuno, co’l santo sangue di Gesù Cristo<br />
sì <strong>la</strong>rgamente n’è preparato.” 867<br />
867 Cfr. con Benedetto da Mantova, Il beneficio di Cristo. Con le versioni del secolo XVI. Documenti e<br />
testimonianze, a cura di Salvatore Caponetto, Firenze-Chicago, Sansoni editore, 1972, a p. 25 in cui leggiamo<br />
192
Nel prosieguo poi si tocca <strong>la</strong> questione dell’onniscienza divina quando Corrado par<strong>la</strong> del<br />
giudizio divino a cui verrà sottoposto dopo <strong>la</strong> morte fisica:<br />
“Venuto è quello ultimo tempo che, rendendo il terreno al<strong>la</strong> terra, debbe Currado, partir da<br />
voi per andarsene ignudo e solo, nel<strong>la</strong> guisa che e’ venne a’ l mondo, a render conto a quel<br />
giusto Giudice che il tutto vede <strong>prima</strong> che e’ sia, no che poi fatto lo abbiamo: e perché né <strong>la</strong><br />
nobiltà né <strong>la</strong> virtù né <strong>la</strong> forza non possono in maniera alcuna vietare o differire che non si<br />
faccia questo viaggio, <strong>prima</strong> che io mi diparta da voi, avendovi amato in vita, voglio amarvi<br />
ancora nel<strong>la</strong> morte. E per questo, co’l maggiore studio che io so e posso, amorevolmente vi<br />
esorto, dolcemente vi priego ed instantissimamente vi gravo, che ricordandovi ciò che noi<br />
siamo, posposti gli affetti vili delle cose caduche e vane, volgiate l’animo a’l Creatore…Al<br />
quale non potendo noi crescer gloria o giovargli in maniera alcuna, perché egli è beatissimo<br />
per sé medesimo, dobbiamo sempre per amor suo, eziandio con sinistro nostro, procacciare<br />
giovamento al prossimo in ciò che si può, per essere membra di Gesù Cristo. Il quale nello<br />
orribil giudizio(secondo che e’ ci ha predetto) ne dirà poi, tutto quello che avete fatto a uno<br />
di questi miei minimi lo avete fatto a me stesso.” 868<br />
Valutazioni comunque propedeutiche alle successive esortazioni per <strong>la</strong> salute dell’impero<br />
rivolte ai principi tedeschi:<br />
“confortovi a vivere in pace…vi priego che <strong>la</strong><br />
cupidità non vi tiri, non vi alletti l’ambizione<br />
e non vi accechi <strong>la</strong> vanagloria. Anzi, se voi mi<br />
aggiustate fede, e conoscete ciò che richiede<br />
il tempo presente, eleggete uniti e in accordo<br />
per vostro re del<strong>la</strong> Germania, il<br />
prudentissimo Arrigo duca di Sassonia e<br />
Turingia: fatelo signor vostro, e ad esso date<br />
il governo e il dominio intero del tutto;<br />
perché egli è veramente savio, sommamente<br />
giusto, e di tanto valore nelle armi, che e’<br />
merita non so<strong>la</strong>mente avere <strong>la</strong> Germania, ma<br />
lo imperio di tutto il mondo.” 869<br />
ed al fratello:<br />
“che se bene voi avete gli eserciti e <strong>la</strong><br />
comodità di poterne fare, avete le cittadi, gli<br />
amici, l’armi, l’animo e le insigne reali, con<br />
tutto quello che a imperdore s’appartiene; voi<br />
non avete quel<strong>la</strong> fortuna, quel<strong>la</strong> prosperità,<br />
quel consenso de’ cieli e volere di Dio, che<br />
“Septimo denique regni sui anno, vocationis<br />
suae ad domini tempus agnovit. Quumque<br />
memoratos principes se adire fecisset,<br />
solummodo Henrico non praesente. Ita<br />
convenit. Ex corruptione ab incorruptione, ex<br />
mortalitate ad immortalitatem vocationis mea<br />
agnosco, et ut cernitis praesto est: proinde<br />
pacem et concordiamque vos sectari etiam<br />
atque etiam rogo. Me hominem exeunte nul<strong>la</strong><br />
vos regnandi cupiditas titillet, nul<strong>la</strong><br />
praesidendi ambitio inf<strong>la</strong>mmet. Henricum<br />
Saxonum et Thuringorum ducem<br />
prudentissimum regem eligite, dominum<br />
constituite. Is enim est et scientia pollens, et<br />
iustae severitatis censura abundans.” 870<br />
“Sunt nobis frater copiae exercitus<br />
congregandi atque ducendi: sunt urbes et<br />
arma cum regalijs insignijs, et omne quod<br />
decus regium deposcit, praeter fortunam<br />
atque mores. Fortuna frater cum nobilissimis<br />
moribus Henrico cedit, rerum publicarum<br />
“seguitiamo…<strong>la</strong> verità che c’insegna san Paulo, e diamo tutta <strong>la</strong> gloria del<strong>la</strong> nostra giustificazione al<strong>la</strong><br />
misericordia di Dio e ai meriti del suo figliuolo, il quale col sangue suo ci ha liberati dallo Imperio del<strong>la</strong> Legge<br />
e dal<strong>la</strong> tirannide del peccato e del<strong>la</strong> morte, e ci ha condotti nel regno di Dio per donarci eterna felicità.”<br />
868 Storia, cit., passo alle pp. 211-212.<br />
869 Ivi, cit., passo a p. 212.<br />
870 Luithprandi, cit., passoalle pp. 240u6-241x1; inoltre cfr. il passo sostanzialmente analogo in<br />
Chronicum…Uspergensis, cit., p. CCVIIs2.<br />
193
guidano e conducono Arrigo a reggere lo<br />
imperio. Piacciavi, di grazia…consentire al<strong>la</strong><br />
voglia nostra, a cagione che pacificandosi<br />
così con Arrigo, possiate lieto e sicuramente<br />
godervi il non mediocre stato che<br />
ordinariamente vi si appartiene[…]Vogliate,<br />
adunque, farvelo amico, presentandogli <strong>la</strong><br />
corona e tutte le altre insegne che degli altri<br />
imperatori passati ci restano, che provarlo<br />
per avversario, contrastandogli quello che o<br />
presto o tardi gli è riservato.[…]Qui<br />
rompendogli il par<strong>la</strong>re Eberardo, per non<br />
<strong>la</strong>sciarlo affaticare tanto<br />
rispose[…]interamente si era disposto a<br />
consentire[…]Currado, liberatosi da questa<br />
cura, posposto e abbandonato ogni altro<br />
pensiero, si diede a quel<strong>la</strong> altra vita: e dopo<br />
non molti giorni cirstianissimanente morendo,<br />
fu sotterrato con somma pompa nel monastero<br />
Fuldense, o…in Vilinaburgo, con molte<br />
<strong>la</strong>crime di tutti i Franchi.” 871<br />
“Eberardo…avendo avvisato <strong>prima</strong> del tutto<br />
Arrigo, se ne andò in persona a trovarlo…I<br />
principi…adunatisi tutti a Fritz<strong>la</strong>ria, città<br />
del<strong>la</strong> diocesi maguntina…approvarono e<br />
confirmarono Arrigo re de’ Germani[…]et<br />
offrendogli lo arcivescovo Maguntino di<br />
coronarlo solennemente, secondo l’usanza de’<br />
re passati: “Basti (rispose Arrigo) che per <strong>la</strong><br />
grazia di Dio e benignità di voi altri sono<br />
stato alzato a quel grado che nessuno de’ miei<br />
ebbe mai; del resto ci riputiamo noi<br />
indegni.[…]” 872<br />
secus Saxones summa est. Sumptis igitur his<br />
insignijs, <strong>la</strong>ncea sacra, armillis aureis, cum<br />
c<strong>la</strong>myde, et veterum g<strong>la</strong>dio regum, ac<br />
diademate, ito ad Henricum, facito pacem<br />
cum eo, ut eum foederatum possis habere in<br />
perpetuum. Quid enim necesse est ut cadat<br />
populus Francorum tecum coram eo? Ipse<br />
enim vere rex erit et imperator multorum<br />
populorum. His dictis frater <strong>la</strong>crymans se<br />
consentire respondit. Post haec autem ipse<br />
rex moritur, vir fortis et potens, domi<br />
militiaeque optimus, <strong>la</strong>rgitate serenus, et<br />
monium virtutum insignijs c<strong>la</strong>rus :<br />
sepeliturque in civitate sua Quidelingaburg,<br />
cum moerore ac <strong>la</strong>crymis omnium<br />
Francorum. (Ut ergo rex imperarat<br />
Everhardus adijt Henricum, seque cum<br />
omnibus thesauris illi tradidit, pacem fecit,<br />
amicitiam promeruit, quam fideliter<br />
familiariterque usque in finem obtinuit.<br />
Deinde congregatis principibus et natu<br />
maioribus exercitus Francorum in loco qui<br />
dicit Fridifleri, designavit eum regem coram<br />
omni populo Francorum atque Saxonum. 873<br />
Quumque ei offerretur unctio cum diademate<br />
a summo pontifice, qui eo tempore Herigenus<br />
erat, non sprevit, nec tamen suscepit : Satis,<br />
inquiens, mihi est, ut prae maioribus meis rex<br />
dicar et designer, divina annuente gratia ac<br />
vestra pietate : penes meliores vero nobis<br />
unctio et diadema sit : tanto honore nos<br />
indignos arbitramur. P<strong>la</strong>cuit itaque sermo<br />
iste coram universa multitudine, et dextris<br />
coelum levatis, nomen novi regis cum<br />
c<strong>la</strong>more valido salutantes frequentabant.)<br />
” 874<br />
871 Storia, cit., passo alle pp. 213-215.<br />
872 Ivi, p. 219, questo passo che in realtà coincide con <strong>la</strong> parte tra parentesi risultante dal<strong>la</strong> col<strong>la</strong>zione,<br />
appartiene al IV libro del<strong>la</strong> Storia d’Europa ma costituisce in realtà a livello logico un unico momento con <strong>la</strong><br />
conclusione del III libro.<br />
873 Fino a questo punto il passo in questione corrisponde in Chronicum…Urspergensis, cit., pp. CCVII-<br />
CCVIIIs2.<br />
874 Vitichindi, cit., passo alle pp. 12a5-13b1.<br />
194
Capitolo III<br />
La Storia d’Europa e alcuni confronti con <strong>la</strong> storiografia coeva<br />
1. Paolo Giovio<br />
Le considerazioni svolte sul<strong>la</strong> Storia d’Europa del Giambul<strong>la</strong>ri necessitano di un’ulteriore<br />
verifica condotta sulle trattazioni di <strong>storia</strong> europea o universale di autori coevi al canonico<br />
<strong>la</strong>urenziano. Confronto utile ad approfondire e sottolineare le peculiarità ed il significato<br />
politico del disegno storiografico del Giambul<strong>la</strong>ri. Secondo un criterio temporale, seguiamo in<br />
primo luogo <strong>la</strong> Hi<strong>storia</strong> sui temporis di Paolo Giovio 875 , pubblicata a Firenze nel 1550 dal<br />
Torrentino dopo una composizione prolungatasi per più di un trentennio, con re<strong>la</strong>tiva<br />
precedente circo<strong>la</strong>zione delle sue parti manoscritte ad opera del suo autore. La <strong>prima</strong> edizione<br />
del<strong>la</strong> Hi<strong>storia</strong> segue il definitivo distacco del Giovio dall’ambiente del<strong>la</strong> Curia romana<br />
consumatosi nel 1548, provocato dal<strong>la</strong> non corresponsione di una pensione e dal<strong>la</strong> mancata<br />
nomina episcopale al<strong>la</strong> diocesi di Como da parte di Paolo III. Giovio, pertanto, si trasferisce a<br />
Firenze dove Cosimo lo accoglie a braccia aperte. Sotto <strong>la</strong> tute<strong>la</strong> del casato dell’attuale duca<br />
di Firenze, del resto, <strong>prima</strong> al servizio di Leone X e Clemente VII, nonchè in stretto rapporto<br />
con Ippolito de’ Medici, si è svolta tutta <strong>la</strong> carriera curiale del Giovio 876 . Ora, ormai venuto<br />
meno il più che trentennale rapporto con <strong>la</strong> Roma pontificia, Cosimo offre al Giovio l’agio<br />
economico negatogli dal Farnese e <strong>la</strong> possibilità di pubblicare attraverso <strong>la</strong> stamperia del<br />
Torrentino <strong>la</strong> sua Hi<strong>storia</strong>. Immediatamente tradotta in volgare nel biennio 1551-1553 da<br />
Ludovico Domenichi, stretto col<strong>la</strong>boratore dello stampatore ducale e amico del Giovio, in due<br />
volumi 877 , nel<strong>la</strong> versione di riferimento al<strong>la</strong> nostra analisi. Un testo pertanto, stampato grazie<br />
al patronato mediceo del duca ampiamente celebrato dal Giovio. Cosimo, infatti, viene<br />
caratterizzato nel ruolo di pacificatore e ordinatore che mette fine alle pluriseco<strong>la</strong>ri lotte<br />
intestine al<strong>la</strong> città di Firenze, trattate nelle Istorie Fiorentine del Machiavelli. Infatti, i<br />
fiorentini simili per carattere ai Greci dai quali derivano, hanno intrapreso un corso rovinoso<br />
per <strong>la</strong> città arrestato soltanto dal casato dei Medici che “quasi per ispatio di cento anni,<br />
avendo<strong>la</strong> confermata con utilissime leggi, con singo<strong>la</strong>r gloria l’hanno…accresciuta; et<br />
acciocché nul<strong>la</strong> mancasse al<strong>la</strong> suprema felicità di quel<strong>la</strong> bellissima città sovragiunse Papa<br />
Leone per beneficio dal cielo venuto al mondo; et Clemente ancor che differente da lui per<br />
costumi.” 878 Cosimo subentrato ad Alessandro vittima del tirannicidio di Lorenzino, vincendo<br />
i fuoriusciti a Montemurlo, è riuscito a garantire <strong>la</strong> sopravvivenza e l’autonomia dello stato<br />
fiorentino salvandolo in modo definitivo dai pericoli causati in passato dal temporaneo trionfo<br />
degli umori popo<strong>la</strong>ri nel 1494 e nel biennio 1528-1530 dell’ultima repubblica fiorentina 879 .<br />
La tendenza palesemente medicea delle pagine gioviane su questi avvenimenti capitali del<strong>la</strong><br />
<strong>storia</strong> fiorentina, non sarebbe sfuggita al<strong>la</strong> critica di molti esponenti del repubblicanesimo<br />
cittadino: dall’ex fuoriuscito Benedetto Varchi, agli esuli Giambattista Busini e Donato<br />
Giannotti a Federigo degli Alberti 880 . Comunque le considerazioni dello storico comasco oltre<br />
875 Vedi <strong>la</strong> re<strong>la</strong>tiva voce Giovio Paolo di Zimmermann Price T. C., in DBI, vol. LVI, pp. 430-440, E. Cochrane,<br />
Hi<strong>storia</strong>ns and Historiography, cit., pp. 366-377 e soprattutto id., Paolo Giovio: The Hi<strong>storia</strong>n and the Crisis of<br />
Sixteenth Century, Princeton, University Press, Princeton 1995.<br />
876 Giovio Paolo, cit., pp. 430-432 .<br />
877 La <strong>prima</strong> et seconda parte dell’Historie del suo tempo di Mons. Paolo Giovio vescovo di Nocera tradotte<br />
per M. Ludovico Domeniche, in Fiorenza, MDLI-MDLIII, Torrentino.<br />
878 Ivi, libro XXV, seconda parte, rinviamo alle pp. 34e1-35e2.<br />
879 Zimmermann, Paolo Giovio, cit., vedi in partico<strong>la</strong>re pp. 256-258.<br />
880 Zimmermann, Paolo Giovio, cit., pp. 263-264 e E. Cochrane, Hi<strong>storia</strong>ns and Historiography, cit., pp. 374-<br />
375. In proposito inoltre, cfr. anche E. Cochrane, Paolo Giovio e <strong>la</strong> Storiografia del Cinquecento in Paolo<br />
195
che dal<strong>la</strong> gratitudine personale nei confronti di Cosimo, nascono anche dal sincero<br />
apprezzamento del<strong>la</strong> capacità cosimiana di garantire l’autonomia e <strong>la</strong> forza dello stato<br />
fiorentino e dal<strong>la</strong> convinzione che <strong>la</strong> vita del<strong>la</strong> repubblica fiorentina costituisca un serio<br />
ostacolo al ristabilimento del<strong>la</strong> libertà d’Italia. Del resto, <strong>la</strong> predilezione per il regime<br />
principesco viene da lontano nel mondo gioviano, dall’impressione in lui suscitata<br />
dall’esempio sforzesco di fine Quattrocento, che aveva chiaramente superato <strong>la</strong> dimensione<br />
dell’Italia comunale ormai anacronistica e incapace di superare il settarismo delle fazioni.<br />
Questo è il problema cruciale del Giovio storico degli avvenimenti contemporanei che a<br />
livello europeo decidono il destino e l’assetto del<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong> italiana sul declinare del<br />
quattrocento. Il suo sguardo come ha sottolineato, il Dionisotti 881 , recupera una prospettiva<br />
europea a livello spaziale paragonabile a quel<strong>la</strong> del Piccolomini. Il Giovio, libero dalle<br />
angustie di una prospettiva municipale o di lunga durata come quel<strong>la</strong> esemplificata dal<br />
Biondo, in virtù del suo status di umanista del<strong>la</strong> Curia pontificia, è in grado di percepire e di<br />
indagare storicamente l’incidenza preponderante esercitata dall’Europa sul<strong>la</strong> crisi italiana nel<br />
periodo che va dal 1494 al 1544 882 . Date che riguardano appunto lo svolgimento del conflitto<br />
franco-asburgico in Italia iniziato con <strong>la</strong> discesa nel<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong> di Carlo VIII e<br />
temporaneamente sospeso dal<strong>la</strong> pace di Crepy del 1544. Lo scontro in atto, infatti, assume una<br />
valenza europea e mondiale come l’autore chiarisce fin dalle prime battute delle sue Hi<strong>storia</strong>e:<br />
“Era allora tutto il mondo in pace e in riposo… e soprattutto l’Italia…quando in quel<strong>la</strong><br />
s’accese una guerra maggiore e più terribile d’assai che l’openione degli uomini non era: <strong>la</strong><br />
qual guerra dapoi in spatio di pochi anni travagliò non pure tutta l’Europa, ma le lontane<br />
parti anchora dell’Asia e dell’Aphrica volgendo sottosopra in ogni luogo o ruinando gli<br />
imperii delle chiarissime nationi […]talche in cinquant’anni, ne quali si conferisce tutta<br />
l’hi<strong>storia</strong>, Marte et Fortuna pare che non habbiano <strong>la</strong>sciato libera parte alcuna del mondo<br />
afflitto da tante ruine”.<br />
Una condizione di decomposizione e conflitto, in realtà iniziata, con <strong>la</strong> caduta dell’impero<br />
romano e <strong>la</strong> fine del<strong>la</strong> pax universale da esso instaurata e garantita a livello mondiale. I<br />
barbari infatti, seppur capaci di abbattere l’impero, non riescono certo a sostituirlo a livello di<br />
stabilità politica ed equilibrio generale. Gli organismi politici barbari hanno durata breve,<br />
l’Europa costituisce ormai un terreno di scontro continuo tra pretendenti di ogni tipo,<br />
coinvolta in guerre locali e intestine. Scrive infatti il Giovio:<br />
“dapoi che <strong>la</strong> potenza degli imperatori restò spenta, <strong>la</strong> quale avendo già levato, via tutti i<br />
re, aveva ridotto ogni cosa all’ubbidienza d’un solo, essendosi tutti i più feroci popoli per <strong>la</strong><br />
memoria dell’antica libertà ribel<strong>la</strong>ti, il mobilissimo imperio battuto e <strong>la</strong>cerato hor da uno et<br />
hor da un altro furor di barbari s’andò dividendo in regni piccioli, et signoria di molti.<br />
Diventarono poi le cose de’ Gothi grandemente illustri, i quali per parer di vendicare<br />
l’ingiurie di tutto il mondo, con crudel rabbia ruinando l’honorate memorie del<strong>la</strong> virtù e<br />
grandezza romana, assisoli fra tutti gli altri popoli trimpharono del popolo vincitore del<br />
mondo. Atti<strong>la</strong> anch’egli imperatore degli Hunni…<strong>la</strong>sciò singo<strong>la</strong>r memoria delle cose da lui<br />
fatte[…]furon parimente illustri…l’arme de’ Tartari…ma non durarono poi lungo tempo gli<br />
imperii de Gothi, de gli Hunni, o de Francesi, o de’ Tartari nelle terre altrui. Perciochè si<br />
come da principio quelle guerre avevano avuto terribili et repentine furie, così non molto<br />
dapoi, non essendo fondate sopra stabili forze in breve spatio di tempo invecchiarono. Et<br />
guerreggiarsi poi con alquanto minor crudeltà fino al<strong>la</strong> memoria de’ nostri padri…che<br />
Giovio. Il Rinascimento e <strong>la</strong> memoria. Atti del convegno (Como 3-5 Giugno 1983), Raccolta storica pubblicata<br />
dal<strong>la</strong> Società storica Comense, vol. XVII, Como, 1985, pp. 19-30, in partico<strong>la</strong>re pp. 19-21.<br />
881 C. Dionisotti, Medio Evo barbarico e Cinquecento italiano, cit..<br />
882 Ivi, vedi in partico<strong>la</strong>re pp. 425-428.<br />
196
mentre alcune nationi dopo i lunghi travagli delle guerre, godevano l’acquistata pace, l’altre,<br />
che poco dianzi s’erano riposate, s’infiammavano di guerre o straniere o civili.”<br />
Risuona pertanto, in questo excursus introduttivo al<strong>la</strong> narrazione vera e propria, un topos<br />
del<strong>la</strong> idealizzazione del modello romano e del<strong>la</strong> sua insuperabilità, tipico dell’umanesimo<br />
italiano. In tal senso significativo è anche il punto di discontinuità al permamente stato di<br />
guerra che coinvolge i diversi stati: il 1494. Quest’anno rappresenta il momento di piena<br />
fioritura del<strong>la</strong> civiltà umanistica italiana e di massima stabilità e autonomia politica degli stati<br />
del<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong> e secondo le parole gioviane, di quel<strong>la</strong> pace generalizzata “quale dopo Augusto<br />
non si ricordava nessuna età degli antichi” 883 , istantaneamente e definitivamente interrotta<br />
dal<strong>la</strong> discesa di Carlo VIII. Anche il Giambul<strong>la</strong>ri, iniziando <strong>la</strong> sua narrazione dall’887, anno<br />
in cui si determina <strong>la</strong> divisione dell’Impero in regni autonomi, mette in risalto lo stato di<br />
decadenza in cui versa, confermato del resto anche dalle continue guerre interne ai ceti<br />
aristocratici del continente. Tuttavia, come abbiamo visto, oltre al<strong>la</strong> tradizione dell’impero<br />
romano che rimane sullo sfondo, è soprattutto <strong>la</strong> rifondazione cristiana dell’impero compiuta<br />
dai Sassoni il vero modello a cui rapportare <strong>la</strong> corruzione attuale e le speranze di renovatio<br />
riposte in Carlo V 884 . D’altronde, anche il Giovio, auspica per buona parte delle Hi<strong>storia</strong>e, che<br />
l’imperatore asburgico compia <strong>la</strong> pacificazione dell’Europa cristiana e guidi una crociata<br />
contro il grande nemico turco. Questa propensione filoimperiale emerge anche dal modo in<br />
cui lo storico comasco sottolinea inequivocabilmente le responsabilità francesi nel conflitto<br />
con gli Asburgo, fin dal ritratto non partico<strong>la</strong>rmente positivo di Carlo VIII:<br />
“il quale benché ne di mano, ne di consiglio non valesse molto; nondimeno come appresso<br />
diremo giovanetto di ventitré anni, fondatosi nelle forze d’un grandissimo e ricco regno,<br />
turbò <strong>la</strong> pace in Italia, e con l’armi e con l’ardire illustrò grandemente le cose di Francia,<br />
che a noi erano oscure.”<br />
Una personalità, raffigurata in tutto il suo giovanile e impetuoso ardire, le cui ambizioni<br />
sono favorite da un regno potente. Diversamente da Massimiliano le cui notevoli qualità, non<br />
sono sostenute da un regno altrettanto potente e coeso. Infatti, nel<strong>la</strong> frammentaria e varia<br />
realtà dell’impero germanico “le vere ricchezze erano appresso delle terre franche, le quali<br />
collegate insieme, e accompagnate le forze loro fanno il numero di settanta città grosse, et di<br />
comune consenso invincibili difendono <strong>la</strong> libertà loro.”<br />
In questo senso è significativo, che il Giovio individui nel<strong>la</strong> frustrazione di Francesco I per<br />
<strong>la</strong> legittima elezione imperiale di Carlo V <strong>la</strong> causa <strong>prima</strong> del<strong>la</strong> ripresa delle ostilità franco<br />
asburgiche, e commenti <strong>la</strong> successione a Massimiliano nei seguenti termini:<br />
“Succesegli nello Stato Carlo suo nipote figliuolo di Filippo, senza alcun dubbio,<br />
potentissimo fra tutti gli altri imperatori, per <strong>la</strong> grandezza de’ regni di Spagna, et di Napoli; i<br />
quali per eredità gli erano toccati. Costui poco da poi nell’elettione de l’imperatore, <strong>la</strong> quale<br />
secondo il solito si faceva in <strong>la</strong> Magna, hebbe per competitore Francesco re di Francia, il<br />
quale s’era fondato su <strong>la</strong> speranza d’haver a corrompere gli elettori con denari; ma non gli<br />
riuscì il suo disegno, perché i baroni tedeschi s’accordarono insieme per conservar l’honor<br />
pubblico del<strong>la</strong> natione. Et ciò fu cagione di quel grande odio preso, il qual si scoperse poi fra<br />
loro, nascendone mortal guerra.” 885<br />
Carlo V, viene considerato a lungo dall’autore <strong>la</strong> figura capace di pacificare e stabilizzare <strong>la</strong><br />
situazione italiana ed europea. Giovio, aderisce al<strong>la</strong> linea perseguita dal Gattinara, ed è<br />
883 Ivi, <strong>prima</strong> parte,cit., libro I, passi cit. alle pp. 1a1-3a2.<br />
884 Vedi infra cap. II, paragrafo II e ssg..<br />
885 Ivi, seconda parte, cit., libro XIX, passo cit. a p. 2a1.<br />
197
fautore dell’accordo imperiale-pontificio a livello italiano ed europeo come unico antidoto<br />
all’impasse dei conflitti in atto. Pertanto, egli, vede negativamente <strong>la</strong> politica filofrancese di<br />
Clemente VII, mentre celebra nel<strong>la</strong> pace di Bologna il raggiungimento dell’auspicata<br />
concordia tra papa e imperatore 886 , chiaramente sottolineata nel<strong>la</strong> descrizione del loro<br />
incontro:<br />
“Et nel mezzo sopra una altissima sedia v’era il Papa con <strong>la</strong> mitera in capo, ch’aspettava<br />
l’imperatore. Il quale havendo tolti in sua compagnia so<strong>la</strong>mente i più nobili baroni…su per<br />
gli scaglioni fu accompagnato da due cardinali. Et come egli comparve, così subito tutti gli<br />
occhi si rivolsero a guardare i due grandissimi signori del mondo.” 887<br />
Del resto, <strong>la</strong> fiducia del Giovio nel giudizio dell’imperatore sembra essere premiata dal<strong>la</strong><br />
restituzione del ducato di Mi<strong>la</strong>no a Francesco Sforza, compiuta da Carlo V per stabilizzare<br />
l’assetto italiano e garantire <strong>la</strong> pacificazione del<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong>. Giovio esalta <strong>la</strong> lungimiranza<br />
dell’imperatore che smentisce decisamente i sospetti di diversi esponenti del<strong>la</strong> Curia<br />
sull’ambizione di assoluto dominio del sovrano asburgico. L’autore, infatti, afferma a<br />
proposito del<strong>la</strong> buona fede imperiale che “tanta era l’altezza del giudicio di Cesare, tanta <strong>la</strong><br />
religione del suo temperatissimo animo, et tanto finalmente il desiderio del<strong>la</strong> pace e del<strong>la</strong><br />
concordia…” 888 . Pertanto, l’incoronazione imperiale di Clemente VII consacra Carlo V come<br />
degno depositario e prosecutore del<strong>la</strong> tradizione e del<strong>la</strong> grandezza imperiale romana:<br />
“Ora <strong>la</strong> somma del<strong>la</strong> solennità fu questa, che’l Papa di sua mano diede l’insegne<br />
dell’Imperio Romano all’Imperatore. Fatta dunque sempre oration solenne il Papa<br />
essendogli egli inginocchiato davanti, gli diede lo scettro d’oro…col quale religiosamente<br />
comandasse alle genti: et <strong>la</strong> spada ignuda con <strong>la</strong> quale perseguitasse i nimici del nome<br />
Christiano…” 889 .<br />
La positiva risoluzione imperiale di Bologna si aggiunge al<strong>la</strong> buona notizia del<strong>la</strong> fuga di<br />
Solimano e degli ottomani da Vienna fino a quel momento cinta d’assedio 890 . L’anno<br />
successivo, tuttavia, Solimano occupa <strong>la</strong> Serbia, mentre Carlo è impegnato nel<strong>la</strong> dieta di<br />
Ratisbona a risolvere le controversie scoppiate con i principi territoriali dell’Impero<br />
germanico intenzionati ad affermare <strong>la</strong> loro autonomia politica dall’autorità imperiale.<br />
Opposizione trasversale alle spaccature religiose che vanno dal Langravio d’Assia al Duca di<br />
Sassonia, che usano l’eresia luterana per fini politici, al<strong>la</strong> stessa cattolica Baviera che osteggia<br />
<strong>la</strong> forza del<strong>la</strong> casa d’Asburgo. Scrive, infatti, il Giovio:<br />
“Havendo l’imperatore pacificata l’Italia…se ne venne a Ratisbona su’l Danubio, dove per<br />
molte cagioni, specialmente per guarire gl’animi de’ Luterani, era comandata una dieta di<br />
tutta <strong>la</strong> Magna; percioche in quel tempo era molto <strong>la</strong>cerata <strong>la</strong> religion christiana nelle città<br />
celeberrime; et perciò molti popoli divisi in parti guerreggiavano insieme, tal che mentre <strong>la</strong><br />
Magna fiorita d’armi, di ricchezze e d’ingegni attendeva agli errori pazzi, essendo tutta in<br />
discordia, et avendo interrotta l’autorità del<strong>la</strong> religione, parea, ch’el<strong>la</strong> fosse per ricevere una<br />
gravissima ferita; et ciò massimamente perché il veleno di quel<strong>la</strong> horribil peste era entrato<br />
negli animi de’ grandi, i quali empia, et arrogantemente difendevano quelle opinioni. Tra<br />
questi erano il signor Federigo duca di Sassonia et Filippo Langravio d’Assia contrarij<br />
886 Zimmermann, Paolo Giovio, cit., pp. 73-76, 79-86 e 94 a proposito del dissenso dal<strong>la</strong> politica francese di<br />
Clemente VII, e sul favore per Carlo V e <strong>la</strong> convergenza con <strong>la</strong> politica del Gattinara pp. 78, 95 e 107.<br />
887 Ivi, libro XXVII, passo cit. a p. 182.<br />
888 Ivi, al riguardo cfr. pp. 185aa1-187aa2 e passo cit. a p. 185aa1, in proposito vedi anche Zimmermann, Paolo<br />
Giovio, cit., pp. 108-109 e 111-112.<br />
889 Ivi, in proposito passo a p. 194bbII.<br />
890 Ivi, p.185Aa1.<br />
198
all’Imperatore Carlo et al re Ferdinando, et nimici vecchi del<strong>la</strong> casa d’Austria; lo stato, et<br />
dignità del<strong>la</strong> qual casa esse pensavano, che molto s’havesse a scemare et indebolire con quel<br />
travaglio del<strong>la</strong> religione. Et anco il Signor Guglielmo Duca di Baviera, il quale…aveva<br />
aspirato all’Imperio, non potea sopportare di buon animo che’l re Ferdinando nel<strong>la</strong> elettione<br />
passata…fosse stato eletto re de’ Romani.” 891<br />
Proprio l’urgenza ottomana, costringe Carlo a rinviare <strong>la</strong> soluzione del problema luterano,<br />
per approntare una resistenza comune con i dissidenti tedeschi, contro Solimano. Il Giovio, è<br />
chiaramente favorevole al<strong>la</strong> decisione di Carlo V, di cui esalta il ruolo di difensore e autentico<br />
leader del<strong>la</strong> cristianità europea in questo difficile momento 892 , pur mantenendo una totale<br />
avversione verso l’eresia luterana e gli obiettivi antimperiali dei principi territoriali. Egli,<br />
infatti, estraneo al partito carafiano, nonostante le sue amicizie e frequentazioni spirituali, e <strong>la</strong><br />
consapevolezza degli eccessi e degli errori del<strong>la</strong> Curia, si pone comunque in una posizione di<br />
sostanziale di difesa del<strong>la</strong> tradizione ecclesiastica 893 .<br />
Molto diversa pertanto appare <strong>la</strong> valutazione e <strong>la</strong> percezione dell’impero germanico<br />
nell’ottica antiprotestante gioviana rispetto a quel<strong>la</strong> sviluppata dal Giambul<strong>la</strong>ri. Nel<strong>la</strong> Storia<br />
d’Europa, infatti, proprio quel<strong>la</strong> che alcuni secoli dopo sarebbe diventata <strong>la</strong> cul<strong>la</strong> del<br />
luteranesimo, diviene restauratrice del significato dell’istituto imperiale profondamente<br />
indebolito dagli inadeguati successori di Carlo Magno. Il canonico di S. Lorenzo, pone nel<strong>la</strong><br />
trans<strong>la</strong>tio del titolo imperiale al<strong>la</strong> dinastia di Arrigo e di suo figlio Ottone il grande di<br />
Sassonia, <strong>la</strong> rinascita del<strong>la</strong> forza politica e militare dell’istituzione imperiale chiaramente<br />
sostenuta da un disegno provvidenzialistico. Arrigo, infatti, mette fine ai dissidi interni<br />
all’Impero, sedando <strong>la</strong> ribellione del<strong>la</strong> Baviera e pacificando più in generale l’Europa<br />
cristiana. Inoltre, svolge il ruolo di puntello del<strong>la</strong> stabilità del regno franco, e agisce per <strong>la</strong><br />
tute<strong>la</strong> e addirittura per <strong>la</strong> diffusione del credo cristiano. In tal senso sono significative le<br />
vittorie su Boemi, Borussi e Danesi con re<strong>la</strong>tiva evangelizzazione di quei popoli e territori,<br />
ma soprattutto l’affermazione riportata contro gli Ungheri nel 934 894 . Questi ultimi, molto più<br />
dei Saraceni, costituiscono come detto, il corrispettivo del pericolo ottomano nell’Europa del<br />
Cinquecento.<br />
Soltanto <strong>la</strong> dinastia sassone, infatti, riesce a sanare nuovamente questo vulnus aperto<br />
nell’Europa cristiana dal<strong>la</strong> legerezza dei successori di Carlo Magno, in primis da Arnolfo. Per<br />
capire <strong>la</strong> centralità del problema costituito dagli Ungheri basta, del resto, vedere le tantissime<br />
pagine dedicate alle loro razzie e devastazioni. Inoltre, a proposito del<strong>la</strong> grande vittoria di<br />
Arrigo, è significativo il ricorso al Chronicon del Carione, in maniera opposta a quel<strong>la</strong><br />
utilizzata dal Giovio. Quest’ultimo, infatti, ricava dal Carione notizie attinenti allo scontro<br />
avvenuto tra i principi territoriali per l’elezione di Ludovico il Bavero nel 1314. Le pagine<br />
gioviane danno un’immagine dell’impero germanico inequivocabilmente caratterizzata dal<strong>la</strong><br />
divisione e dal prevalere di interessi politici di corto respiro. Diversamente, il Giambul<strong>la</strong>ri ne<br />
fornisce un’immagine positiva e provvidenzialmente giustificata, secondo quel<strong>la</strong> linea di<br />
vicinanza ai principi del<strong>la</strong> Lega di Smalcalda sostenuta negli anni quaranta da Cosimo in<br />
funzione antifarnesiana. Il duca del resto, non avrebbe abbandonato il sostegno alle diffuse<br />
tendenze eterodosse del<strong>la</strong> sua corte e dell’Accademia anche durante il corso degli anni<br />
Cinquanta 895 . Il ritratto di Ottone I quale sovrano completamente rivolto al rafforzamento<br />
del<strong>la</strong> res publica christiana che emerge dal racconto delle sue imprese, del resto, è<br />
891 Ivi, libro XXX, passo a pp. 328ss4-329tt1.<br />
892 Ivi, vedi pp. 330tt1-333tt2.<br />
893 Sulle amicizie e <strong>la</strong> posizione nel seno del cattolicesimo cfr. Zimmermann, Paolo Giovio, cit., pp. 149-150,<br />
208-209 e 216-217, inoltre, sul<strong>la</strong> sua ortodossia, cfr. anche C. Dionisotti, Medio Evo barbarico, cit., p. 426.<br />
894 Storia, cit., si rinvia ai libri IV e V, pp. 219-352, in partico<strong>la</strong>re sul<strong>la</strong> grande vittoria ottenuta contro gli<br />
Ungheri con l’esplicito rinvio al Chronicon…Carionis, cit., a p. 327 in cui il Giambul<strong>la</strong>ri scrive “essendo rimasi<br />
morti sul<strong>la</strong> campagna, come si vede nel Carione, quaranta migliai d’Ungheri, con poco danno degli<br />
Alemanni[…]”.<br />
895 In proposito rinviamo a M. Firpo, Gli affreschi, cit., pp. 313-393.<br />
199
emblematico dell’alterità delle prospettive del Giambul<strong>la</strong>ri rispetto a quelle gioviane. Basti<br />
pensare al<strong>la</strong> congiura capeggiata da Giselberto ed Eberardo fallita senza grande spargimento<br />
di sangue e sofferenza dei popoli dell’impero, e al ruolo di garante del<strong>la</strong> corona francese di<br />
Ludovico assunto dall’imperatore. Tutte le azioni ottoniane sono improntate al<strong>la</strong> fede cristiana<br />
più profonda come nel caso in cui rifiuta di attribuire una diocesi ad un suo conte quale<br />
pagamento per il suo sostegno in armi e uomini. L’imperatore infatti, non vuole che il potere<br />
seco<strong>la</strong>re sfrutti impropriamente delle risorse adibite al<strong>la</strong> sfera ed alle necessità spirituali.<br />
In realtà, <strong>la</strong> propensione dello storico comasco per Carlo V non è incondizionata. Essa<br />
riposa nel<strong>la</strong> convinzione che Carlo V, sia l’unica figura in grado di garantire <strong>la</strong> libertà d’Italia<br />
e di rafforzare l’Europa cristiana, in armonia con il pontefice. Al<strong>la</strong> visione universale<br />
dell’umanista di Curia, Giovio aggiunge anche una non trascurabile componente di<br />
patriottismo italico, venato di nostalgia di quel meraviglioso periodo di stabilità vissuto dal<strong>la</strong><br />
peniso<strong>la</strong> nel<strong>la</strong> seconda metà del XV secolo fino al<strong>la</strong> discesa di Carlo VIII. In tal senso appare<br />
significativo lo sdegno e l’orrore espresso nelle Hi<strong>storia</strong>e a proposito del sacco di Roma. Il<br />
vescovo di Nocera non tollera in alcun modo le scelleratezze perpetrate dai Barbari e mette<br />
sul banco degli imputati un filoimperiale come il Colonna, seppur con delle attenuanti 896 , e<br />
soprattutto il Borbone. Quest’ultimo, infatti, comandante in capo dell’esercito imperiale, ha<br />
diretto le truppe all’assalto di Roma, nonostante il rinnovato accordo raggiunto tra Clemente e<br />
Carlo V:<br />
“L’animo tutto si raccapriccia a volere raccontare le miserie e’ tormenti de Barbari, i quali<br />
essi adoprarono nell’infelice popolo già vincitore di tutte le nationi. Perché queste cose ne<br />
raccontare, ne udir si possono senza molte <strong>la</strong>grime; tal che quel<strong>la</strong> santissima città potè molto<br />
ben conoscere, come Iddio era contrario in tutto al<strong>la</strong> salute sua; se i Santi Avocati di Roma,<br />
anchor che con vano conforto, volendo <strong>la</strong> loro divinità farne notabil vendetta, non havessero<br />
fatto sacrificio di quel traditore, et crudelissimo assassino nell’entrar proprio nel<strong>la</strong> città<br />
presa. Perciocché Borbone si morì, mentre che con <strong>la</strong> scellerata mano egli appoggiava <strong>la</strong><br />
sca<strong>la</strong> alle mura…” 897 .<br />
Anche a proposito del passaggio per Roma di Carlo V nel 1535, Giovio non manca di<br />
stigmatizzare <strong>la</strong> ferocia dimostrata dalle truppe imperiali a danno del<strong>la</strong> capitale del<br />
cristianesimo universale e del<strong>la</strong> sua popo<strong>la</strong>zione nel 1527 898 . D’altro canto, nel passo delle<br />
Hi<strong>storia</strong>e in cui viene data notizia del<strong>la</strong> morte di Clemente VII, il giudizio gioviano sul<br />
pontefice defunto non è partico<strong>la</strong>rmente positivo, e allude criticamente alle sue scelte francesi<br />
e al sacco 899 , registrando invece in ben altro modo <strong>la</strong> successiva convergenza con Carlo V:<br />
“Questo huomo, il quale per altro era veramente accortissimo, et havea esperienza di<br />
grandissime cose, havea imparato a pubblicare l’ultime risoluzioni dell’animo suo, e a<br />
terminare i suoi disegni, con poco chiaro ed espedito spirito, si come importò allora<br />
grandemente <strong>la</strong> salute di tutti, quando consigliandosi lui noi ruinammo tutti vituperosamente<br />
896 Sul Colonna vedi Zimmermann, Paolo Giovio, cit., pp. 85-86.<br />
897 Ivi, al riguardo cfr. libro XXIV, pp. 21-22c3, in partico<strong>la</strong>re passo riportato a p. 22c3.<br />
898 Ivi, libro XXXV, a p. 561a1, leggiamo: “l’imperatore partito da Napoli…entrò in Roma…Haveva menato<br />
seco per presidio una legione di soldati vecchi Spagnoli et settecento uomini d’arme, et ciò con minor allegrezza<br />
del popolo; perciochè molti riconoscevano ancora quei medesimi terribili volti de soldati, i quali rinnovavano in<br />
loro <strong>la</strong> memoria del sacco fresco, et di tutti i supplicii, che havevan patito, e accrescevasi anchora <strong>la</strong> noia e’l<br />
dispiacer loro, perché Papa Paolo con esempio nuovo aveva messo una taglia a tutti i collegii de mercanti et de<br />
gli artefici; et ciò per honorar molto con importuna spesa gl’Imperiali, de quali essi havevan ricevuto ingiurie et<br />
danni grandissimi.”<br />
899 Zimmermann, Paolo Giovio, cit., pp. 134-135; sulle scelte politiche di Clemente VII cfr. anche L. Pastor,<br />
Storia dei Papi dal<strong>la</strong> fine del Medio Evo, Roma, Desclèe e C. Editori pontifici, 1955-1964 (ristampa), XVII<br />
voll., in partico<strong>la</strong>re vol. IV, parte II: Storia dei Papi dal<strong>la</strong> fine del Medio Evo: Adriano II e Clemente VII, 1956,<br />
pp. 198-275, 353-364.<br />
200
d’una ruina poco men che prevista. Ma in questo luogo parmi et veramente ch’e si deve<br />
scusarlo, essendo egli precipitato in quelle miserie con non minor viltà de suoi capitani, che<br />
tradimento de nimici, poi ch’egli poi con eccellente consiglio, felicemente derivato dal<strong>la</strong><br />
illustre equità dell’Imperatore, acquistò <strong>la</strong> pace, et liberò gran parte dell’Italia dal<strong>la</strong><br />
dolorosa stranezza de’ soldati spagnoli.” 900<br />
Giambul<strong>la</strong>ri, invece, riporta ai lettori in tutt’altro modo il sacco di Roma compiuto da<br />
Arnolfo. In quel caso, infatti, l’azione imperiale è volta a sostenere il papato, riaffermando le<br />
ragioni del legittimo Formoso contro il malvagio antipapa Sergio. La presa di Roma non<br />
offende un sacro e immutato <strong>prima</strong>to, perso ben <strong>prima</strong> dell’ingresso di Arnolfo nel<strong>la</strong> città. I<br />
continuatori del<strong>la</strong> Romanitas, ormai secondo l’ottica del<strong>la</strong> res publica christiana sono i popoli<br />
germanici. Del resto, in tal senso, va registrato anche il ruolo marginale interpretato dai<br />
pontefici nel<strong>la</strong> Storia d’Europa rispetto al<strong>la</strong> predominanza del ruolo attribuito all’autorità<br />
imperiale in re<strong>la</strong>zione al<strong>la</strong> sua funzione e legittimazione cristiana. Proprio nel<strong>la</strong> richiesta di<br />
aiuto formu<strong>la</strong>ta ad Arnolfo, si sancisce un nesso di dipendenza e subordinazione del destino<br />
del<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong> e del papato dal potere imperiale. Rapporto che appare analogamente stabilito<br />
dal Giovio nell’incoronazione di Bologna.<br />
Tuttavia, mentre incrol<strong>la</strong>bile è <strong>la</strong> fede ghibellina del Giambul<strong>la</strong>ri, ed evidente l’esaltazione<br />
dell’operato degli imperatori del<strong>la</strong> casa di Sassonia, <strong>la</strong> fiducia gioviana in Carlo V invece, si<br />
appanna notevolmente sul finire degli anni Trenta nel momento di comporre l’ultima parte<br />
delle Hi<strong>storia</strong>e, quando le sue decisioni contrastano decisamente con gli obiettivi <strong>prima</strong>ri<br />
del<strong>la</strong> cristianità.<br />
Giovio, in realtà, appare sempre più esasperato e logorato dal<strong>la</strong> perenne conflittualità che<br />
alberga tra i principi cristiani e favorisce grandemente i disegni di Solimano 901 . Nonostante i<br />
buoni tentativi di accordo promossi energicamente dal nuovo pontefice Paolo III Farnese, di<br />
cui comunque l’autore non tace certo le interessate mire nepotistiche 902 .<br />
Se Giovio pertanto stigmatizza l’alleanza di Francesco I con gli Ottomani in funzione<br />
antimperiale, parimenti non condivide le chiusure di Carlo V a trovare un vero e duraturo<br />
accordo con il monarca francese. L’imperatore, infatti, si rifiuta di concedere a Francesco I<br />
Mi<strong>la</strong>no, limitandosi a proporgli l’acquisizione del<strong>la</strong> Fiandra 903 che come scrive il Giovio:<br />
“era…molto lontana dall’utile del Re di Francia, ma comoda all’imperatore, il quale<br />
voleva esser veduto desideroso del<strong>la</strong> pace publica…Et queste cose erano tenute tanto segrete<br />
dall’imperatore, che non le voleva comunicare col Cardinal Farnese legato…<strong>la</strong> qual cosa a<br />
gli uomini, di giudicio parea che fosse indegna di nobile e religioso principe” 904 .<br />
Senza contare l’atteggiamento conciliativo dell’imperatore verso i principi territoriali che<br />
aderiscono al<strong>la</strong> Riforma Luterana, del cui sostegno ha bisogno per affrontare e sconfiggere<br />
definitivamente <strong>la</strong> Francia ed affermare in modo sempre più incisivo il suo <strong>prima</strong>to in Europa.<br />
900 Ivi, libro XXXII, passo alle 424Ggg4-425Hhh1.<br />
901 Zimmermann, Paolo Giovio, cit., pp. 152-153.<br />
902 In proposito ad esempio, ivi, Libro XXXIV , vedi il giudizio gioviano espresso a p. 493Qqq3: “Esso Paolo in<br />
governar <strong>la</strong> Chiesa, con certo illustre temperamento in apparenza di diverse virtù, manteneva talmente insieme<br />
il nome di Pontefice et di principe, che in ogni suo consiglio si vedeva una singo<strong>la</strong>r pietà, et nondimeno<br />
mostrava una volontà chiara di far grandi i suoi. Perciochè per <strong>la</strong> <strong>prima</strong> cosa, quello ch’era in ciò di<br />
grandissima importanza, mostrava di non volere essere di questa o di quel<strong>la</strong> parte, ma comun padre di tutti. Et<br />
perciò non si poteva egli punto persuadere, che volesse rinovare quel<strong>la</strong> lega, che s’era fatta in Bologna…per<br />
difendere <strong>la</strong> pace d’Italia, ma chiaramente per tener fuora Francesi, aspettando egli dall’uno e l’altro qualche<br />
dono degno del<strong>la</strong> sua fortuna.” Inoltre, sul nepotismo di Paolo III, cfr. Zimmermann, Paolo Giovio, cit., p. 156.<br />
Inoltre sul<strong>la</strong> politica del pontefice cfr. L. Pastor, Storia dei Papi, cit., in partico<strong>la</strong>re vol. V, Storia dei Papi nel<br />
periodo del<strong>la</strong> riforma e restaurazione cattolica: Paolo III, 1959, pp. 432-482.<br />
903 Al riguardo vedi Zimmerann, Paolo Giovio, cit., pp. 153, 167-168 e 172.<br />
904 Hi<strong>storia</strong>e, libro XXXIX, passo a p. 768Cc4.<br />
201
Egli, ancora all’insaputa del legato pontificio, organizza ad Hagenau nel 1540 905 una dieta <strong>la</strong><br />
cui segretezza fa domandare all’autore “che cosa si poteva egli felicemente consigliare, ne<br />
deliberare…senza l’auttorità del Papa? Il quale dovea esser supremo arbitro et diffinitore di<br />
quelle cose.” 906<br />
Pertanto, Giovio quasi capovolge l’iniziale immagine di Carlo all’interno del<strong>la</strong> sua crescente<br />
disillusione per le profonde responsabilità dei principi cristiani. Carlo, infatti, non assicura<br />
l’equilibrio e <strong>la</strong> libertà d’Italia nè complessivamente quel<strong>la</strong> dell’Europa cristiana. Basta<br />
vedere in tal senso <strong>la</strong> poca fiducia che Giovio ripone nei colloqui di Nizza e poi nel<strong>la</strong> stessa<br />
pace di Crepy 907 .<br />
Il giudizio sull’operato di Carlo V è al<strong>la</strong> fine delle Hi<strong>storia</strong>e, sostanzialmente e<br />
complessivamente negativo. L’imperatore, infatti, è stato incapace, sia di assicurare <strong>la</strong> libertà<br />
d’Italia, favorendo esclusivamente il proprio dominio assoluto sul<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong> attraverso <strong>la</strong><br />
diretta acquisizione di Mi<strong>la</strong>no, sia gli obiettivi di unità e crociata indicati dal cattolicesimo<br />
universale romano.<br />
Pertanto, le Hi<strong>storia</strong>e finiscono per essere una denuncia piena di delusione e sconforto. Ben<br />
altro è il messaggio conclusivo del<strong>la</strong> Storia del Giambul<strong>la</strong>ri, attenta a esaltare <strong>la</strong> rifioritura<br />
dell’Impero sotto l’egida del<strong>la</strong> Sassonia, secondo un sentire ghibellino evidentemente lontano<br />
dal<strong>la</strong> nostalgia per l’equilibrio italiano del<strong>la</strong> seconda metà del quattrocento. Giambul<strong>la</strong>ri<br />
sostiene <strong>la</strong> politica di accordo con il mondo protestante perseguita da Carlo V fino a<br />
Muehlberg, secondo quel<strong>la</strong> linea antiromana chiaramente manifestata dalle numerose fonti<br />
tedesche del<strong>la</strong> Storia d’Europa, evidentemente inaccettabile per Giovio, al di là del<strong>la</strong> comune<br />
propensione filo-cosimiana. Inoltre differenze tra i due, emergono anche all’interno del<br />
comune ripudio delle lotte delle fazioni fiorentine. Giovio, infatti, recupera il Machiavelli<br />
delle Historie fiorentinae, e non <strong>la</strong> posizione dantesca invece totalmente condivisa e<br />
riproposta dal Giambul<strong>la</strong>ri nel Gello, confermando inoltre <strong>la</strong> tesi del<strong>la</strong> ricostruzione di Firenze<br />
ad opera di Carlo Magno, decisamente negata invece dal canonico <strong>la</strong>urenziano 908 .<br />
2. Cosimo Bartoli<br />
Percettibilmente debitrice dell’influsso gioviano sarebbe stata invece <strong>la</strong> linea storiografica di<br />
Cosimo Bartoli, sia ne La vita di Federigo Barbarossa stampata dal Torrentino nel 1559 909 ,<br />
sia nei Discorsi Historici Universali pubblicati a Venezia nel 1569 910 dallo stampatore di<br />
origine senese Francesco de’ Franceschi 911 . Il Bartoli, per scrivere <strong>la</strong> sua biografia del<br />
Barbarossa, attinge direttamente al profilo tracciatone negli Elogia dal Giovio 912 . Certamente<br />
come rileva <strong>la</strong> Bryce sul<strong>la</strong> biografia bartoliana incide anche l’influenza culturale del<br />
Giambul<strong>la</strong>ri. Il Bartoli, infatti, affronta <strong>la</strong> biografia di uno dei personaggi di cui il Giambul<strong>la</strong>ri<br />
avrebbe probabilmente trattato nel<strong>la</strong> sua Hi<strong>storia</strong> d’Europa se avesse potuto portar<strong>la</strong> secondo<br />
i suoi propositi fino al<strong>la</strong> conclusione del XIII secolo. Inoltre, l’influenza del canonico<br />
<strong>la</strong>urenziano, è indicata indirettamente anche dall’uso di alcune delle fonti del<strong>la</strong> biografia<br />
bartoliana: Ottone di Frisinga, l’Irenicus, il Krantio. Tuttavia, il contesto in cui il Bartoli<br />
905 Zimmermann, Paolo Giovio, pp. 194-195.<br />
906 Vedi nota n. 30.<br />
907 Zimmermann, Paolo Giovio, pp. 153-154,197 e 199.<br />
908 In proposito vedi supra cap. I.<br />
909 La vita di Federigo Barbarossa, imperatore romano, di Messer Cosimo Bartoli. Allo illustrissimo et ecc. S.<br />
il S. Cosimo De Medici, duca di Firenze, et di Siena, in Firenze, appresso M. Lorenzo Torrentino, MDLIX.<br />
910 Discorsi historici universali di Cosimo Bartoli gentiluomo, et accademico fiorentino, In Venetia, appresso<br />
Francesco de’ Franceschi Senese, 1569.<br />
911 Sul quale rinviamo a De Franceschi Francesco, voce di L. Baldacchini, in DBI, vol. XXXVI, 1988, pp. 30-<br />
35 e soprattutto in Dizionario de Tipografi e degli editori italiani, cit., <strong>la</strong> voce Franceschi, Francesco de ed<br />
eredi, cit., pp. 450-453.<br />
912 J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., p. 247.<br />
202
inserisce queste fonti appare ben diverso da quello allestito dal Giambul<strong>la</strong>ri. Infatti, sebbene<br />
del tutto preponderante sia, specie nel primo e in parte nel secondo libro del<strong>la</strong> Vita, <strong>la</strong><br />
dipendenza dal profilo biografico dell’imperatore intrapreso da Ottone di Frisinga e<br />
continuato dal Rahewin 913 , fin dalle prime battute l’opera bartoliana <strong>la</strong>scia trape<strong>la</strong>re una linea<br />
non propriamente filoimperiale. Basta considerare come l’autore dichiari che il contrasto tra<br />
Guelfi e Ghibellini tedeschi abbia ”più volte disturbato <strong>la</strong> quiete dello Imperio, et mandato<br />
sottosopra <strong>la</strong> Germania; ne haveva questo veleno nociuto so<strong>la</strong>mente oltre a monti, ma sceso<br />
ancora in Italia aveva divisi non so<strong>la</strong>mente i popoli, et i cittadini d’una medesima terra…et<br />
da que tempi in qua ha tanto nociuto” augurandosi “che i discendenti nostri non habbino a<br />
vedere quel che in questi tempi ho veduto io, cosa certamente disdicevole, non pure a<br />
cristiani, ma a qual si voglia sorte di Barbari.” 914<br />
Valutazione che sottolinea in modo negativo il rapporto tra realtà politica italiana e tedesca,<br />
e gli influssi del<strong>la</strong> seconda sul<strong>la</strong> <strong>prima</strong>, con un evidente riferimento al presente, che avrebbe<br />
trovato conferma e sviluppo nel prosieguo dell’opera. Dunque una linea antimperiale che<br />
appare in qualche modo sostenuta anche dal ricorso al Biondo quale fonte esplicitamente<br />
menzionata a proposito dell’incoronazione imperiale di Federigo. 915 Una scelta mai fatta dal<br />
Giambul<strong>la</strong>ri nel descrivere le incoronazioni degli imperatori tedeschi nel<strong>la</strong> Storia, nonostante<br />
l’impiego altrove effettuato del Biondo. Inoltre, quest’incoronazione assume nell’economia<br />
del<strong>la</strong> vita bartoliana una rilevanza non episodica come dimostra nel secondo libro lo sdegno<br />
suscitato al<strong>la</strong> corte di Federigo dal<strong>la</strong> lettera papale consegnata da due alti pre<strong>la</strong>ti nel punto in<br />
cui ricorda <strong>la</strong> subordinazione dell’imperatore al potere spirituale del pontefice, chiaramente<br />
derivato dalle modalità dell’incoronazione imperiale:<br />
“Ma Federigo…e tutta <strong>la</strong> sua corte…come quegli che essendo Oltramontani, non possono<br />
sentire né sofferire paro<strong>la</strong> alcuna, per <strong>la</strong> quale si habbia a vedere, che gli Imperatori<br />
acquistino, o autorità o reputazione, o dignità alcuna dal<strong>la</strong> coronazione de’ Papi; né<br />
intendono questo atto del<strong>la</strong> Coronazione se non come una Cerimonia, che detti Papi sieno<br />
obligati di fare, si adirarono grandemente quando sentirono nominare <strong>la</strong> incoronazione come<br />
benefizio ricevuto dai Papi…”<br />
Pertanto, prosegue il Bartoli:<br />
“parendo loro che quel<strong>la</strong> so<strong>la</strong> paro<strong>la</strong> del<strong>la</strong> lettera del papa fusse molto piena d’arroganzia,<br />
et che derogassi assai al<strong>la</strong> Maestà dell’Imperio, hebbono varii ragionamenti non molto<br />
piacevoli…” 916 .<br />
Questione del resto, che non si esaurisce poi con <strong>la</strong> temporanea pacificazione imperialpontificia,<br />
rive<strong>la</strong>ndosi in tutta <strong>la</strong> sua gravità con l’ascesa al soglio pontificio del cardinal<br />
Ro<strong>la</strong>ndo nominato Alessandro III. Federigo, infatti, gli oppone l’antipapa Ottaviano perché,<br />
come riferisce l’autore, Alessandro è “persona ecclesiastica, et da saper mantener il credito,<br />
et <strong>la</strong> riputazion de <strong>la</strong> sedia apostolica.” 917 È abbastanza evidente <strong>la</strong> vicinanza del Bartoli alle<br />
ragioni del papato, anche perché nell’intreccio dell’opera difendere quelle posizioni significa<br />
anche tute<strong>la</strong>re <strong>la</strong> libertà d’Italia. I comuni capeggiati da Mi<strong>la</strong>no, infatti, si alleano con<br />
Alessandro, contro Federigo. Come suggerisce <strong>la</strong> Bryce, nel<strong>la</strong> descrizione di questo conflitto,<br />
l’autore sviluppa pienamente una prospettiva patriottica di stampo antiimperiale. Basta<br />
vedere, in tal senso che le fonti che raccontano <strong>la</strong> strenua resistenza di Mi<strong>la</strong>no all’imperatore,<br />
fino al<strong>la</strong> distruzione del 1558 con i re<strong>la</strong>tivi soprusi dei ministri imperiali, <strong>la</strong> sua ricostruzione<br />
913 Ivi, sul contributo e l’influenza di Giambul<strong>la</strong>ri e in generale sulle fonti del<strong>la</strong> biografia bartoliana.<br />
914 La vita, cit., passo alle pp. 41-42d1.<br />
915 Ivi, p. 76e7, in proposito cfr, inoltre J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., pp. 244 e 245.<br />
916 Ivi, passi alle pp. 105-106h2.<br />
917 Ivi, passo alle pp. 177-178m2.<br />
203
e <strong>la</strong> definitiva imperiale a Legnano, sono Donato Bossio e Bernardino Corio. 918 Fonti, di<br />
stampo umanistico, chiaramente celebrative delle gesta di Mi<strong>la</strong>no, schierate contro<br />
l’ingerenza imperiale in Italia e a favore dell’autonomia politico-militare di Mi<strong>la</strong>no.<br />
Analogo discorso vale per l’incontro tra Federigo e Alessandro a Venezia per <strong>la</strong> pace del<br />
1177 e per <strong>la</strong> riconciliazione tra Papa e imperatore. Momento il cui ricordo, appare di per sé<br />
significativo in re<strong>la</strong>zione al<strong>la</strong> mitizzazione compiutane dal<strong>la</strong> storiografia veneta, che lo<br />
identifica come una tappa decisiva del<strong>la</strong> evoluzione storico-politica veneziana e del<strong>la</strong> sua<br />
autonomizzazione dall’impero. Momento descritto sul<strong>la</strong> base dei resoconti del Sabellico, del<br />
Corio e del Meru<strong>la</strong> 919 . Certo, il Bartoli, riporta anche le critiche di quest’ultimo al<strong>la</strong><br />
ricostruzione del Sabellico a proposito del<strong>la</strong> sconfitta marittima inferta dai veneziani ad<br />
Ottone figlio di Federigo. Il Meru<strong>la</strong>, infatti, sostiene che Ottone non sia esistito e che Federigo<br />
abbia svolto operazioni militari esclusivamente via terra. Riguardo all’esistenza di Ottone,<br />
sul<strong>la</strong> quale peraltro anche il Sabellico appare contradditorio, il Bartoli ricorre a tre fonti<br />
tedesche per documentare <strong>la</strong> storicità del personaggio: l’Irenicus, l’abbate Uspergense, il<br />
Nauclero 920 . Fonti pertanto, usate ben diversamente rispetto al Giambul<strong>la</strong>ri, per supportare <strong>la</strong><br />
tesi del<strong>la</strong> sconfitta navale dell’Impero, attraverso <strong>la</strong> certificazione dell’esistenza storica del<br />
figlio del Barbarossa 921 . A proposito del<strong>la</strong> seconda obiezione, il Bartoli riporta invece <strong>la</strong><br />
posizione espressa da Bernardino Corio che conferma <strong>la</strong> sconfitta marittima di Ottone.<br />
Comunque, l’autore in perfetta coerenza con <strong>la</strong> sua pulsione patriottica a favore delle libertà<br />
d’Italia, è soprattutto interessato a certificare e celebrare il contributo veneziano a questa<br />
riconciliazione tra pontefice ed imperatore. Conclude infatti che:<br />
“le diverse oppenioni di costoro convengono tutte in questo; che questa riconciliazione<br />
seguisse in Venezia, et che Sebastiano Ciano doge in quel tempo ne avessi con tutta <strong>la</strong> città<br />
sua lode grandissima…” 922 .<br />
Tuttavia, a proposito di questo riavvicinamento, ricorre ancora al<strong>la</strong> penna del Corio 923 .<br />
Come vediamo pertanto, in questo passaggio, evidentemente le fonti tedesche utilizzate<br />
chiaramente, sono le stesse consultate dal Giambul<strong>la</strong>ri nel<strong>la</strong> sua Storia ma con ben diversa<br />
frequenza e conseguente valorizzazione.<br />
Il Bartoli comunque si avvale significativamente del supporto di autori germanici,o ltre che<br />
per certificare l’esistenza del figlio di Federigo, del resto anche per comprovare il mancato<br />
sostegno del duca di Sassonia, Arrigo, al<strong>la</strong> spedizione decisiva dell’imperatore contro i<br />
Comuni che lo avrebbe visto sconfitto a Legnano. Leggiamo, infatti:<br />
918 Ivi, cfr. pp. 192n1-235p6. Inoltre, sul<strong>la</strong> prospettiva patriottica bartoliana in re<strong>la</strong>zione all’utilizzo del Corio e<br />
del Bossi, vedi J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., p. 245-246. Sui due storici cfr. anche le voci Bernardino Corio di<br />
F. Petrucci, in DBI, vol. XXIX, Roma, 1983, pp. 75-78, e ivi, <strong>la</strong> voce Bossi Donato di S. Peyronel, vol. XIII,<br />
Roma, 1971, pp. 298-299.<br />
919 Rinviamo sul<strong>la</strong> storiografia umanistica celebrativa di Mi<strong>la</strong>no e Venezia nel loro progresso storico-politico e<br />
nel<strong>la</strong> raggiunta autonomia dall’Impero, con partico<strong>la</strong>re attenzione al Corio e al<strong>la</strong> valenza del<strong>la</strong> pace del 1177 a N.<br />
Rubinstein, Il Medio Evo, cit., pp. 437-443; inoltre da ultimo, sul<strong>la</strong> storiografia veneziana sui suoi miti e sul<br />
modo di presentarli con partico<strong>la</strong>re attenzione proprio al nodo storico-politico del 1177 vedi Filippo de Vivo,<br />
Venetian Power in the Adriatic in “Journal of the History of Ideas, vol. 64, n. 2, 2003, pp. 159-176, in partico<strong>la</strong>re<br />
vedi pp. 159-163.<br />
920 Sull’uso di queste fonti nel punto in questione cfr. anche J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., p. 246.<br />
921 Non va trascurato in tal senso come il Bartoli accompagni <strong>la</strong> citazione di un’altra fonte comune al<br />
Giambul<strong>la</strong>ri, Alberto Krantio, e del fatto da lui riferito a p. 157k8, con le seguenti parole: “<strong>la</strong> qual cosa voglio<br />
che da me sia accennata piuttosto che a pieno descritta, come quello che non prestando molta fede al detto<br />
Scrittore <strong>la</strong>scerò a chi legge il poterne fare a suo modo giudizio.” In proposito cfr. anche J. Bryce, Cosimo<br />
Bartoli, p. 245.<br />
922 Ivi, passo a p. 233p5.<br />
923 Ivi, cfr. pp. 233p5-235p6.<br />
204
“ne mi par da <strong>la</strong>sciare qui indietro, quel che l’abbate Uspergense, et il Mutio raccontano<br />
cioè, che mentre Federigo era all’assedio di Alessandria, egli fu abbandonato d’Arrigo duca<br />
di Sassogna, il quale presa <strong>la</strong> scusa d’esser vecchio, si che Federigo stava co suoi nel<strong>la</strong><br />
contumacia de <strong>la</strong> escommunicatione, et maledizione del Papa, sotto pretesto di religione, se<br />
ne andava in Germania, ancora che alcuni credessino piuttosto che secretamente egli fusse<br />
stato corrotto acciò per via di denari, et che Federigo gli andò dietro…pregandolo…di non lo<br />
abbandonare in tanta necessità[…]Et che sua maiestà fu quasi forzata a far questo, perché<br />
con il duca Arrigo se ne andavano <strong>la</strong> maggior parte de suoi soldati, i quali invero erano il<br />
nervo ed il meglio delle forze imperiali…” 924 .<br />
Rispetto all’esaltazione del ruolo di Venezia e Mi<strong>la</strong>no nel<strong>la</strong> tute<strong>la</strong> dell’autonomia italiana,<br />
appare invece in secondo piano Firenze pur menzionata in più di un’occasione dall’autore.<br />
Del resto, <strong>la</strong> tesi tradizionalmente sostenuta dal Vil<strong>la</strong>ni e dal Machiavelli di uno sviluppo<br />
politico e storico avviatosi a Firenze successivamente al 1250, sembra implicitamente<br />
condivisa anche nel<strong>la</strong> biografia bartoliana. Firenze viene, in effetti, menzionata sempre in<br />
stretta re<strong>la</strong>zione col potere imperiale. I nobili del<strong>la</strong> città, infatti, vengono in un primo<br />
momento privati dall’imperatore del controllo delle mura, poi riconsegnate loro in seguito al<br />
valoroso comportamento di molti fiorentini a sostegno del<strong>la</strong> conquista di Gerusalemme.<br />
Leggiamo, infatti che il Barbarossa “si transferì in Firenze, nel qual luogo fu riverito, et<br />
onorato grandemente, ma rammaricandosi i Nobili di questa città, che il governo pubblico di<br />
essa, gli aveva privati delle terre et Dominio già loro, e delle loro Contee et Signori” e “privò<br />
<strong>la</strong> città del dominio infino su le mura, rendendole a conti e marchesi, come attenenti<br />
all’Imperio, il che fece ancora delle altre città di Toscana…”. Diversamente, in seguito al<br />
soccorso fiorentino a Gerusalemme “restituì di poi loro dieci miglia di contado attorno alle<br />
mura, quale dicemmo che aveva loro tolto, e reso a Baroni et Nobili.” 925<br />
Una posizione quindi di totale dipendenza dal potere imperiale, anche se tra le righe trape<strong>la</strong><br />
il malcontento e <strong>la</strong> volontà di emancipazione da questa condizione di subordinazione, che<br />
richiama al<strong>la</strong> mente, senza neanche un eccessivo sforzo d’immaginazione, <strong>la</strong> vicenda delle<br />
fortezze cedute da Cosimo a Carlo V nel 1537 e riacquistate nel 1543 926 .<br />
Del resto, <strong>la</strong> considerazione iniziale sul disordine italo-germanico con <strong>la</strong> sua allusione al<strong>la</strong><br />
contemporaneità, <strong>la</strong>scia trasparire un’attenzione al momento storico presente, al<strong>la</strong> luce del<br />
quale potrebbe rileggersi il significato complessivo del<strong>la</strong> biografia del Barbarossa. In primo<br />
luogo, nel<strong>la</strong> caratterizzazione ambivalente del sovrano germanico, ambizioso e potente, si<br />
potrebbe ravvisare, sul<strong>la</strong> scorta di un’ipotesi abbozzata dal<strong>la</strong> Bryce 927 , una sorta di maschera<br />
di Carlo V e del potere asburgico.<br />
In effetti, questa congettura appare almeno parzialmente supportata anche dal<strong>la</strong> dedica del<br />
manoscritto <strong>la</strong>tino del<strong>la</strong> biografia rivolta al cardinale Alessandro Farnese in data 6 marzo<br />
1556, come apprendiamo da una lettera inviatagli dal preposto di S. Giovanni il giorno<br />
successivo, quando ancora le sorti delle guerre in Italia non sono state definite. Senza dubbio,<br />
924 Ivi, passo a p. 222m8-223p1.<br />
925 Ivi, passi alle pp. 246q4 e 254r4. Sui quali cfr. anche J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., p. 247.<br />
926 Sul<strong>la</strong> questione delle fortezze a livello complessivo, naturalmente rinviamo ancora una volta a G. Spini,<br />
Cosimo I, cit.; inoltre cfr. R. Cantagalli, Cosimo I de’ Medici granduca di Toscana, Mi<strong>la</strong>no, Mursia, 1985, in<br />
partico<strong>la</strong>re pp. 49 e 143.<br />
927 J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., vedi p. 249 dove però il parallelo è affermato a proposito dell’incontro tra<br />
Federigo e Alessandro III a Venezia del 1177 in analogia con l’incoronazione di Carlo V da parte di Clemente<br />
VII a Bologna nel 1530. Anche se, in contraddizione con il senso dell’incoronazione di Bologna favorevole al<br />
predominio imperiale, l’incontro del 1177 nelle pagine del Bartoli, sul<strong>la</strong> base delle fonti usate, come afferma <strong>la</strong><br />
stessa Bryce, rappresenta una Canossa per l’imperatore. Pertanto, ci sembra più p<strong>la</strong>usibile individuare come<br />
possibile riferimento al<strong>la</strong> contemporaneità in re<strong>la</strong>zione al complessivo orientamento bartoliano, un’implicita<br />
allusione al conflitto ispano-pontificio e al<strong>la</strong> guerra di Siena in corso nel momento in cui l’autore completa il<br />
manoscritto nel<strong>la</strong> versione <strong>la</strong>tina, quando ancora il predominio asburgico sull’Italia non è assoluto. Situazione<br />
certamente più vicina al<strong>la</strong> battaglia di Legnano rispetto al<strong>la</strong> situazione definitasi con Cateau-Cambrésis come <strong>la</strong><br />
stessa Bryce osserva nel<strong>la</strong> pagina seguente.<br />
205
<strong>la</strong> lettera si riferisce esclusivamente alle fatiche letterarie che il Bartoli fa pervenire al<br />
cardinale, attraverso Stefano del Bufalo analogamente ad un’altra lettera del 1567 re<strong>la</strong>tiva ai<br />
suoi Discorsi historici 928 . Tuttavia, non va trascurata <strong>la</strong> partico<strong>la</strong>rità del<strong>la</strong> situazione politica<br />
italiana al momento del<strong>la</strong> lettera del marzo 1556, quando nonostante gli imperiali tengano<br />
Siena da oltre un anno, Paolo IV ed Enrico II sono ben lungi, dall’arrendersi al<strong>la</strong> forza<br />
asburgica. Soltanto a luglio dell’anno successivo, infatti, Cosimo acquisirà Siena dopo che<br />
Filippo II aveva trattato anche con Carlo Carafa per assegnargli eventualmente <strong>la</strong> repubblica.<br />
Tanto più che lo scontro ispano-pontificio si chiude definitivamente ancora più in là, nel<br />
settembre, con <strong>la</strong> pace di Cave che sancisce l’egemonia imperiale nel<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong> 929 . Inoltre,<br />
non va dimenticato il significativo ruolo avuto dal Farnese, sia nell’elezione papale del<br />
Carafa, sia nel<strong>la</strong> costruzione del nutrito schieramento antimperiale, composto da esuli<br />
napoletani e fiorentini accolti a Roma, anche se, successivamente, tra settembre e agosto<br />
aderisce apertamente al<strong>la</strong> fazione filo-imperiale 930 . D’altronde, non va trascurato in questo<br />
senso <strong>la</strong> dedica del<strong>la</strong> traduzione del De conso<strong>la</strong>tione philosophiae di Boezio che il Bartoli<br />
indirizza in data 1 gennaio 1551 ad uno dei capi del<strong>la</strong> rivolta napoletana antimperiale del<br />
1547, il principe di Salerno, Ferrante Sanseverino. Dedica scritta dunque <strong>prima</strong> che il principe<br />
di Salerno venisse dichiarato ribelle dal viceré di Napoli, ma resa pubblica nel<strong>la</strong> stampa<br />
torrentiniana del<strong>la</strong> traduzione del 1552, successivamente al<strong>la</strong> condanna e al<strong>la</strong> fuga del<br />
Sanseverino 931 .<br />
Esule in Francia dove aderisce al calvinismo, poi il Sanseverino aderirà all’invito di Carlo<br />
Carafa nell’estate del 1557 accorrendo a Roma, per offrire il suo contributo al<strong>la</strong> lotta<br />
antispagno<strong>la</strong> 932 .<br />
Del resto, <strong>la</strong> difficoltà di ascrivere <strong>la</strong> prospettiva bartoliana ad un’opzione filo-imperiale<br />
viene alimentata anche dal ruolo giocato nel<strong>la</strong> biografia del Barbarossa dal<strong>la</strong> Sassonia. Non<br />
dimentichiamo, infatti, che Federigo <strong>prima</strong> di essere sconfitto a Legnano subisce <strong>la</strong> defezione<br />
del duca di Sassonia e delle sue fortissime truppe. Il peso del<strong>la</strong> Sassonia, sembra confermato<br />
anche da altri episodi come il contrasto nato con l’Austria per il possesso del<strong>la</strong> Baviera<br />
concessa poi dall’imperatore al<strong>la</strong> <strong>prima</strong>, di cui si par<strong>la</strong> nel <strong>prima</strong> libro del<strong>la</strong> Vita 933 . Duca di<br />
Sassonia che però proprio in ragione del mancato sostegno alle mire del Barbarossa subisce<br />
un destino analogo a quello che colpisce il duca di Sassonia Giovanni Federico dopo <strong>la</strong><br />
sconfitta di Muhlberg: perdita del ducato e del<strong>la</strong> dignità imperiale 934 . Se letta, in chiave<br />
allusiva del<strong>la</strong> contemporaneità <strong>la</strong> Vita potrebbe alludere all’alleanza venti<strong>la</strong>ta tra Paolo IV e<br />
un principe protestante come Alberto di Brandeburgo in funzione antispagno<strong>la</strong> proprio nel<br />
corso del 1556? 935<br />
928 Le lettere inviate da Firenze in data 7 marzo 1556 e 14 giugno 1567 da Cosimo Bartoli al card. Alessandro<br />
Farnese si trovano in Lettere d’uomini illustri conservate in Parma nel regio Archivio dello Stato, a cura di<br />
Amadio Ronchini, Parma, 1853, II voll., in partico<strong>la</strong>re vol. I, a pp. 597-599, in proposito rinviamo a J. Bryce,<br />
Cosimo Bartoli, cit., pp. 241 nota 1 e 251-252 e 282.<br />
929<br />
Sul<strong>la</strong> guerra di Siena rinviamo a R. Cantagalli, La guerra di Siena (1552-1559): i termini del<strong>la</strong> questione<br />
senese nel<strong>la</strong> lotta tra Francia ed Asburgo ed il suo risolversi nell’ambito del Principato mediceo, Siena:<br />
Accademia degli Intronati, 1962, e id., Cosimo I,cit., pp. 177-236. Cfr. inoltre, Storia d’Italia, diretta da G.<br />
Ga<strong>la</strong>sso, Torino, Utet, 1979-1995, voll. XXIV, in partico<strong>la</strong>re vol. XIII, tomo I, F. Diaz, Il granducato di<br />
Toscana, Utet, Torino, 1989 (<strong>prima</strong> edizione 1976), in partico<strong>la</strong>re pp. 109-127, vedi inoltre Firpo, Gli Affreschi,<br />
cit., pp. 379-393.<br />
930 In proposito rinviamo a L. Pastor, Storia dei Papi, cit., in partico<strong>la</strong>re vol. VI: Storia dei Papi nel periodo<br />
del<strong>la</strong> riforma e restaurazione cattolica: Giulio III, Marcello II, Paolo IV, 1963, pp. 344-346 e 364-421, e<br />
soprattutto A. Aubert, Paolo IV. Politica, Inquisizione e storiografia, Firenze, Le Lettere, 1999, (II ediz.), pp. 58-<br />
63, e id. voce in Enciclopedia dei Papi, Treccani, Roma, 2000, pp. 128-142 in partico<strong>la</strong>re pp. 135 e ssg.; inoltre<br />
cfr. <strong>la</strong> voce Farnese Alessandro di C. Robertson, in DBI, Vol. XLV, Roma, 1995, pp. 52-70, in partico<strong>la</strong>re vedi<br />
p. 60.<br />
931 In proposito rinviamo a J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., in partico<strong>la</strong>re p. 173.<br />
932 A. Aubert, Paolo IV, cit., pp. 66-67.<br />
933 Sul<strong>la</strong> pacificazione vedi La vita, cit., pp. 95-96g1.<br />
934 Ivi, sul<strong>la</strong> vendetta del Barbarossa, pp. 235p7-240q1.<br />
935 A. Aubert, Paolo IV, cit., in partico<strong>la</strong>re p. 52.<br />
206
In ogni caso, notazioni non certo favorevoli al centralismo imperiale del Barbarossa,<br />
severamente punito a Legnano. Del resto, <strong>la</strong> possibilità di caricare il testo di possibili allusioni<br />
ad altri piani, al di là delle frequentazioni certificate con personaggi come il Farnese ed il<br />
principe di Salerno, va ponderata e ridimensionata in re<strong>la</strong>zione al<strong>la</strong> condizione medicea del<br />
Bartoli e all’avallo ducale al<strong>la</strong> stampa del<strong>la</strong> Vita da parte del Torrentino, nonostante le<br />
perplessità esposte sul<strong>la</strong> dedica del manoscritto <strong>la</strong>tino. Senza dimenticare, che i rinvii al<strong>la</strong><br />
Sassonia, sono coerenti con il tenore “evangelico” delle lezioni dantesche tenute dal Bartoli<br />
negli anni Quaranta, ribadito, pur con le dovute cautele, nel testo a stampa dei Ragionamenti<br />
Accademici del 1567 936 .<br />
Comunque, questi orientamenti bartoliani consentono forse di capire perché il preposto di S.<br />
Giovanni si adoperi per <strong>la</strong> stampa del<strong>la</strong> Storia d’Europa, pubblicata da Francesco de<br />
Franceschi, di origini senesi, attivo per quasi un quarantennio come stampatore nel<strong>la</strong> città<br />
<strong>la</strong>gunare occupa senza dubbio un ruolo considerevole nell’ambito dell’editoria veneziana,<br />
come attesta anche <strong>la</strong> sua costante partecipazione al<strong>la</strong> vita del<strong>la</strong> corporazione dei “libreri,<br />
stampatori e ligadori” veneziani. Infatti, all’interno del<strong>la</strong> corporazione svolge diversi incarichi<br />
e mansioni istituzionali in modo reiterato a partire dal 1572. Il fatto che il suo catalogo<br />
editoriale in cui figurano più di duecento edizioni, abbia un taglio prevalentemente rivolto al<strong>la</strong><br />
pubblicistica professionale e specialistica, ai testi di carattere tecnico-scientifico, medicina,<br />
matematica, architettura, botanica, astronomia, meteorologia, fisica, arte e scienza militare,<br />
teoria musicale e diritto, fa risaltare maggiormente <strong>la</strong> stampa del<strong>la</strong> Storia del Giambul<strong>la</strong>ri del<br />
1566. Una partico<strong>la</strong>rità, che probabilmente oltre che sul<strong>la</strong> base delle sollecitazioni bartoliane,<br />
di cui il Franceschi aveva pubblicato un’opera di metrologia nel 1564, e ristampato un<br />
volgarizzamento l’anno successivo 937 , si spiega proprio con <strong>la</strong> impostazione filo-tedesca e<br />
antiromana del<strong>la</strong> Storia d’Europa. In questo senso, come già rilevato, ricordiamo che lo<br />
stampatore veneziano subisce due processi del S. Uffizio, per <strong>la</strong> detenzione di libri proibiti<br />
rinvenuti in un suo magazzino nel 1571, e nel 1599 per aver importato dal<strong>la</strong> Germania, in<br />
società con G. B. Ciotti, Roberto Meietti e i Sessa alcune opere messe all’Indice, tra cui <strong>la</strong><br />
sesta centuria di Magdeburgo. 938<br />
Tre anni dopo <strong>la</strong> stampa dell’opera del canonico fiorentino, sempre dal Franceschi vengono<br />
pubblicati i Discorsi historici universali del Bartoli.<br />
Certo, nello scritto bartoliano a causa del<strong>la</strong> frammentarietà, causata dal<strong>la</strong> differenza di<br />
argomenti e fatti narrati, difficilmente è individuabile una linea unitaria e complessiva che<br />
congiunga tra loro questi discorsi. Infatti, se l’autore sceglie di partire dai fatti per addivenire<br />
a giudizi più generali, tuttavia, come rileva <strong>la</strong> Bryce, <strong>la</strong> smisurata quantità delle vicende<br />
riportate produce un evidente squilibrio con l’esigenza del<strong>la</strong> riflessione storiografica. Limiti<br />
oggettivi del resto, già osservati da Furio Diaz, molto severo sul valore dei Discorsi bartoliani<br />
protesi a magnificare il principato cosimiano, anche se in modo a volte mascherato dietro un<br />
inconsistente moralismo retorico 939 . Indubbiamente, l’esaltazione del regime istituito da<br />
Cosimo e l’idealizzazione del duca assunto a figura paradigmatica, costituiscono, come<br />
936 In proposito cfr. A. D’Alessandro, I Ragionamenti di C. Bartoli in “Annali dell’istituto di filosofia. II,<br />
Firenze, Olschki, 1980, pp. 53-109; inoltre, P. Simoncelli, Evangelismo italiano, cit., in partico<strong>la</strong>re pp. 369-372 e<br />
da ultimo M. Firpo, Gli affreschi, cit., pp. 180-183.<br />
J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., pp. 254-280 e M. Firpo, Gli affreschi, cit., pp. 180-183.<br />
937 Del modo di misurare e il volgarizzamento in fiorentino del De re Aedificatoria di Leon Battista Alberti,<br />
pubblicato presso Torrentino nel 1550, per i quali rinviamo a J. Bryce, Cosimo Bartoli, pp. 180-183 e 186-192.<br />
938 Rinviamo al<strong>la</strong> voce Franceschi Francesco de, cit., in partico<strong>la</strong>re pp. 450-452.<br />
939 In proposito rinviamo a F. Diaz, Il Granducato di Toscana, cit., in partico<strong>la</strong>re pp. 209-213 e id., L’idea di<br />
una nuova élite sociale negli istorici e trattatisti del principato in Firenze e <strong>la</strong> Toscana dei Medici nell’Europa<br />
del ‘500, (Raccolta degli atti del convegno tenutosi a Firenze dal 9 al 14 maggio 1980), Firenze, Olschki, 1983,<br />
III voll., nel II vol., pp. 665-681, in partico<strong>la</strong>re cfr. pp. 672-673. Cfr,. inoltre M. Firpo, Gli affreschi, cit., pp.<br />
179-180.<br />
207
osserva anche <strong>la</strong> Bryce, il motivo dominante dell’opera, nel<strong>la</strong> quale viene adombrata anche se<br />
in modo incompleto <strong>la</strong> teorizzazione del principato assoluto 940 .<br />
In questa direzione è emblematico del resto anche, l’ampio richiamo alle pagine gioviane<br />
sulle vicende dell’ultima repubblica fiorentina. Oltre all’implicito consenso riservato dal<br />
Bartoli al<strong>la</strong> moderazione del Capponi 941 , il giudizio sull’ostinato e distruttivo radicalismo<br />
del<strong>la</strong> fazione antiottimata del Carducci, viene ricalcato sul XXVII libro delle Hi<strong>storia</strong>e del<br />
Giovio 942 . Dal libro XXXVIII del Giovio, del resto, il Bartoli recupera il resoconto del<strong>la</strong><br />
vittoria di Cosimo contro gli esuli a Montemurlo 943 . Passaggio fortemente vituperato dagli ex<br />
fuoriusciti e significativamente recuperato dal prevosto di S. Giovanni a conferma del<strong>la</strong> sua<br />
ammirazione per lo storico comasco, e del<strong>la</strong> sua propensione medicea. Estremamente evidente<br />
anche dalle reiterate lodi delle gesta di Cosimo nel<strong>la</strong> guerra di Siena, al<strong>la</strong> quale è costretto a<br />
intervenire per <strong>la</strong> minaccia costituita dall’arrivo di Piero Strozzi, al suo legittimo ducato,<br />
acquisito attraverso l’elezione dei cittadini fiorentini 944 .<br />
Tuttavia, <strong>la</strong> mancata applicazione di un rigoroso metodo filologico alle fonti e l’ipoteca<br />
medicea per quanto profonda non possono esaurire l’analisi e <strong>la</strong> riflessione sul testo<br />
bartoliano, come ha rilevato il Vasoli, temperando parzialmente <strong>la</strong> negatività del giudizio<br />
espresso dal Diaz 945 . Il Vasoli, infatti, individua nei paradigmi del Bartoli l’esigenza di andare<br />
oltre <strong>la</strong> giustificazione tout court del<strong>la</strong> realtà del principato, attraverso <strong>la</strong> proposta di un<br />
modello di principe in cui accanto all’elemento machiavelliano si scorge <strong>la</strong> non spenta eco<br />
del<strong>la</strong> erasmiana Institutio principis christiani, anche in re<strong>la</strong>zione alle letture di testi<br />
dell’evangelismo italiano effettuate dal preposto di S. Giovanni. Una prospettiva non priva di<br />
una componente idealistica, secondo il Vasoli, non meramente assimi<strong>la</strong>bile al conformismo<br />
controriformato trionfante, capace di tratteggiare l’ideale di un principe magnanimo,<br />
clemente, pacifico ma risoluto in caso di guerra, in grado di mantenere i patti conclusi. Un<br />
principe, pertanto, che assicuri <strong>la</strong> sicurezza e <strong>la</strong> stabilità dell’organismo politico, coadiuvato<br />
nello svolgimento delle sue funzioni dal consiglio del ceto di intellettuali che si sviluppa con<br />
l’istituzione ed il consolidamento del principato 946 .<br />
Ritornando alle fonti, rileviamo come <strong>la</strong> presenza gioviana nei Discorsi vada al di là del<strong>la</strong><br />
propensione medicea, rial<strong>la</strong>cciandosi anche nel segno di una certa continuità al<strong>la</strong> precedente<br />
storiografia bartoliana. Il preposto di S. Giovanni, infatti, ricorre più volte allo storico<br />
comasco per descrivere <strong>la</strong> difficile situazione in cui versa l’Europa, di<strong>la</strong>niata dal<strong>la</strong> lotta dei<br />
principi cristiani animati dal<strong>la</strong> cieca ambizione e insensibili alle priorità del<strong>la</strong> Res publica<br />
christiana. Ad esempio, il Bartoli recupera il passaggio gioviano sullo sconsiderato attacco di<br />
Carlo V ai Francesi a Torino dopo l’impresa di Tunisi. 947 Riprende, dal XXXIX libro del<strong>la</strong><br />
Hi<strong>storia</strong>, l’episodio in cui Carlo offre <strong>la</strong> Fiandra e non Mi<strong>la</strong>no a Francesco I che lo aveva<br />
accolto con grande liberalità, illudendosi sulle sue reali intenzioni, anche perché raggirato<br />
940 J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., p. 281, 293 e 301, in proposito cfr. anche <strong>la</strong> dedica dell’opera indirizzata al<br />
duca il I ottobre 1568 e il giudizio sulle gravi carenze dello scritto bartoliano, espresso da F. Diaz, Il Granducato<br />
di Toscana, cit., pp. 209-213.<br />
941 Sul quale vedi P. Simoncelli, Evangelismo italiano, cit., p. 414, in partico<strong>la</strong>re nota n. 241.<br />
942 Ivi, p. 36e2, cfr. inoltre in proposito a ulteriore conferma anche pp. 78k3-81L1. Senza trascurare che ivi, alle<br />
pp. 36e2-37e3 viene ricavata dal capitolo XIX del<strong>la</strong> Storia d’Italia del Guicciardini una valutazione<br />
sostanzialmente positiva del moderatismo del Capponi rispetto al radicalismo degli Arrabbiati. Sull’impiego<br />
dell’opera guicciardiniana vedi infra. Cfr. anche al riguardo J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., pp. 292-293.<br />
943 Ivi, cfr. pp. 173-174y3.<br />
944 Ivi, in partico<strong>la</strong>re vedi pp. 83-84L2. Inoltre, sul<strong>la</strong> capacità militari o meglio sul<strong>la</strong> rapidità, l’accortezza ed il<br />
tempismo delle risoluzioni di Cosimo vedi pp. 201-202Cc1e p. 173y3, e pp. 277-278mm3 in proposito inoltre,<br />
cfr. J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., pp. 295-296.<br />
945 In proposito rinviamo all’intervento di C. Vasoli, Osservazioni sui “Discorsi historici universali” di Cosimo<br />
Bartoli in Firenze e <strong>la</strong> Toscana dei Medici, cit., vol. II, pp. 727-738.<br />
946 Ivi, e inoltre vedi supra <strong>la</strong> nota 71.<br />
947 Ivi, p.9b1, pp. 198bb3-199bb4 e pp. 218ee1-219ee2.<br />
208
dalle assicurazioni dei ministri imperiali 948 . Né tra<strong>la</strong>scia di commentare sempre sul<strong>la</strong> falsariga<br />
del XL libro gioviano, il fallimento dell’impresa di Algieri, già percepibile nel<strong>la</strong> preparazione<br />
del<strong>la</strong> spedizione 949 . Inoltre dallo stesso libro, in un altro dei suoi discorsi, ricava <strong>la</strong><br />
considerazione formu<strong>la</strong>ta dal Giovio sul<strong>la</strong> perdita dell’Ungheria da parte di Ferdinando<br />
d’Asburgo, scrivendo:<br />
“Ma quale maggiore chiarezza si può havere che <strong>la</strong> discordia di Cristiani sia <strong>la</strong> rovina<br />
loro, et <strong>la</strong> grandezza del Turco? Che quel<strong>la</strong> che per tanti et tanti anni, con tante spese, con<br />
tanti apparati di guerre, con tante stragi, rovine, et incendij, con tanto spargimento di<br />
sangue, sacchi, et su versione et rovine di tante città, si è veduta continovare si lungo tempo,<br />
in fra Carlo quinto imperatore et Francesco re di Francia?” 950<br />
Tutti passi significativamente tratti dall’ultima parte delle Hi<strong>storia</strong>e gioviane, in cui il<br />
pessimismo sui destini del<strong>la</strong> cristianità europea prende decisamente il sopravvento e si incrina<br />
profondamente <strong>la</strong> fiducia precedentemente riposta in Carlo V come garante del<strong>la</strong> sicurezza<br />
del<strong>la</strong> Res publica christiana. Una selezione quel<strong>la</strong> compiuta dal Bartoli che si ricollega al<strong>la</strong><br />
prospettiva non certo filoimperiale e pro Asburgo del<strong>la</strong> biografia di Federigo. Sebbene nel<strong>la</strong><br />
stessa pagina dei Discorsi che denuncia <strong>la</strong> discordia dei principi cristiani vi sia, poco più<br />
avanti, un passo connesso al<strong>la</strong> realtà storico-politica attuale in cui soltanto Filippo II e<br />
l’imperatore cercano realmente di neutralizzare il pericolo turco:<br />
“Ma mentre che addormentati in un profondo letargo, molti che potrebbono, non vogliono<br />
attendere al comune bene, <strong>la</strong>sciando solo allo Imperadore et a Filippo re di Spagna gli<br />
intrighi delle guerre Turchesche, attendono alle cose loro proprie et particu<strong>la</strong>ri, non si<br />
svegliando per il publico bene, contro al comune nimico non si accorgono, che quando pure<br />
accadessi, il che non piaccia a Dio, che si abbassasse in qualche modo <strong>la</strong> possanza di casa<br />
d’Austria, ne nascerebbe subito <strong>la</strong> manifestissima rovina loro… ”. 951<br />
Presa d’atto delle delicatissime frontiere mediterranee e balcaniche dell’Europa cristiana,<br />
piuttosto che avallo positivo o elogio dell’egemonia spagno<strong>la</strong> in Italia. Infatti, al di là del<strong>la</strong><br />
singo<strong>la</strong> notazione che indica piuttosto un rimprovero ad un impegno collettivo disatteso da<br />
molti principi europei e <strong>la</strong> necessità del<strong>la</strong> funzione storica degli Asburgo come antemurale<br />
del<strong>la</strong> cristianità 952 , <strong>la</strong> questione del<strong>la</strong> libertà d’Italia è ripresa in molteplici occasioni nei<br />
Discorsi, e fatto salvo il ben diverso momento storico, rispetto al<strong>la</strong> biografia di Federigo, in<br />
termini piuttosto simili.<br />
In questa direzione appare estremamente rilevante il ricorso al<strong>la</strong> Storia d’Italia di Francesco<br />
Guicciardini. Il Bartoli, infatti, ricava dal primo libro del<strong>la</strong> Storia d’Italia, <strong>la</strong> valutazione delle<br />
nefaste conseguenze derivate all’Italia dai timori di Ludovico Sforza, criticato nuovamente in<br />
altri due passaggi 953 , che hanno provocato <strong>la</strong> discesa nel<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong> di Carlo VIII. Inoltre,<br />
ripropone il giudizio del fautore del<strong>la</strong> politica antimperiale del<strong>la</strong> Lega di Cognac 954 ,<br />
sull’incapacità del conte Rangone di fermare le truppe imperiali ed evitare lo scempio del<strong>la</strong><br />
capitale universale del cattolicesimo, sconvolta dal sacco di Roma. Il conte purtroppo “si<br />
<strong>la</strong>sciò sfuggire di mano <strong>la</strong> maggiore e più bel<strong>la</strong> occasione…nel<strong>la</strong> quale non pure liberava<br />
948 Ivi, a p. 305-306qq1 leggiamo: “Francesco Re di Francia volle usare et usò veramente grandissima<br />
liberalità, con Carlo V, nel riceverlo in Francia…”.<br />
949 Ivi, p. 82l1.<br />
950 Ivi, pp. 256ii4-257kk1.<br />
951 Ivi, p. 257kk1.<br />
952 Al riguardo rinviamo a J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., pp. 298-299.<br />
953 Ivi, pp. 57-58h1 e 270LL4.<br />
954 Ivi, cfr. pp. 27-28d2. Riguardo al<strong>la</strong> centralità del 1494 anche nel<strong>la</strong> storiografia guicciardiniana cfr., oltre a F.<br />
Gilbert, Machiavelli, cit., pp. 260-262, anche G. M. Barbuto, La politica dopo <strong>la</strong> tempesta. Ordine e crisi nel<br />
pensiero di Francesco Guicciardini, Napoli, Liguori, 2003, in partico<strong>la</strong>re pp. 111-112, 115 e 123.<br />
209
Roma et un Papa con tutta <strong>la</strong> corte et <strong>la</strong> città insieme ma tutta <strong>la</strong> Italia dalle armi et dalle<br />
insolentie Tedesche et Spagnole.” 955 Al<strong>la</strong> sua inettitudine fanno da contraltare nelle pagine<br />
bartoliane le notazioni sul padre di Cosimo, Giovanni delle Bande Nere, valoroso condottiero<br />
fedele al<strong>la</strong> causa del<strong>la</strong> libertà italica e al<strong>la</strong> lega di Cognac 956 .<br />
La rilevanza del sacco di Roma, del resto, viene confermata anche da un altro passaggio<br />
attinto questa volta dal XXIV libro del<strong>la</strong> Hi<strong>storia</strong> gioviana certo non tenero verso gli autori<br />
del misfatto perpetrato contro <strong>la</strong> capitale del cattolicesimo. Bartoli, sul<strong>la</strong> falsariga gioviana,<br />
allude significativamente alle responsabilità di Clemente VII e all’evitabilità del<strong>la</strong> catastrofe<br />
se si fossero tempestivamente attaccate le truppe del Borbone ormai sfinite e male armate:<br />
“Et quale altra causa fu quel<strong>la</strong> che rovinò al tempo di Papa Clemente Roma, se non il<br />
fidarsi troppo delle promesse del viceré? Et <strong>la</strong> astutia degli Imperiali in non si <strong>la</strong>sciar mai<br />
intendere, et massimo Borbone il quale con quel suo esercito spogliato di artiglierie et<br />
d’armi, affamato, et quasi al certo rovinato, sarebbe indubitamente stato distrutto se chi era a<br />
capo del<strong>la</strong> Lega avessi voluto raggiungerlo in Roma il giorno dipoi, et vincere gloriosamente<br />
i vincitori.” 957<br />
Inoltre, spesso nei Discorsi traspare l’insofferenza dell’autore per <strong>la</strong> presenza di armate<br />
straniere, in primo luogo spagnole e tedesche, in Italia, come quando Carlo ordina agli italiani<br />
guidati dal cardinale Ippolito de’ Medici di rimanere a guardia di Vienna appena difesa<br />
dall’attacco turco, e l’autore sul<strong>la</strong> falsariga del XXX libro del Giovio critica <strong>la</strong> decisione<br />
imperiale dichiarando che “non pareva ragionevole che in Italia avessero a tornare i Tedeschi<br />
e gli Spagnoli, et essi Italiani rimanere in Ungheria, considerato il pericolo del<strong>la</strong> Italia, se<br />
essa rimaneva spogliata di tanti Signori, di tanti capitani et di tanti soldati veterani,<br />
rimanendo in preda alle voglie de gli Spagnoli et de Tedeschi…” 958 .<br />
Gli stessi apprezzamenti negativi espressi sul governo del Mendoza a Siena, fortemente<br />
indiziato tra le righe di non secondarie responsabilità nel<strong>la</strong> ribellione del<strong>la</strong> città al giogo<br />
imperiale ci forniscono ulteriori conferme in questa direzione. 959 Peraltro, <strong>la</strong> valutazione in<br />
questione, si ricollega al<strong>la</strong> volontà di mettere in cattiva luce <strong>la</strong> gestione imperiale del<strong>la</strong><br />
situazione senese e l’errore commesso da Carlo nell’affidare <strong>la</strong> città al Mendoza, facendo<br />
risaltare per contrasto l’importanza dell’intervento di Cosimo, chiave del successo imperiale e<br />
del<strong>la</strong> stabilità del<strong>la</strong> situazione italiana. Scrive infatti l’autore:<br />
“Haveva Carlo Quinto imperatore per suo ambasciatore in Roma Don Diego di Mendoza, il<br />
quale per alcuni accidenti trasferitosi a Siena, si impadronì totalmente di quel<strong>la</strong> città; ma in<br />
breve tempo, mediante i tristi portamenti suoi, et de suoi ministri, che non avevano rispetto<br />
alcuno ne al<strong>la</strong> salute, ne al<strong>la</strong> utilità di quel<strong>la</strong> città, si accorse del<strong>la</strong> sua poca prudentia;<br />
perciochè ribel<strong>la</strong>tosele Siena, et chiamati in suo soccorso i Francesi, tolse grandemente di<br />
riputazione in Italia all’Imperio, et intrigò l’imperatore in una grave, et pericolosa guerra,<br />
al<strong>la</strong> quale non bastaron le forze imperiali a por fine, senza i danari il valore et <strong>la</strong> prudenzia<br />
del duca Cosimo de’ Medici.” 960 .<br />
Del resto, questa idealizzazione del duca di Firenze va inquadrata nel<strong>la</strong> politica sempre più<br />
autonoma e dinamica che Cosimo svolge, pur nel formale allineamento a Filippo II, nello<br />
958 Ivi, passo a p. 281nn1.<br />
955 Ivi, passo a p. 115p2.<br />
956 Ivi, cfr. pp. 136r4-137s1, sull’impiego del<strong>la</strong> Storia d’Italia rinviamo a J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., p. 282.<br />
957 Ivi, passo a p. 230ff3.<br />
959 Ivi, passo a p. 83L2: “avendo Don Diego…preso a governare <strong>la</strong> città di Siena, e per gli suoi mal consigliati<br />
ordini, come quello che andava più tosto dietro ad una vana gloriosa ambizione, che ad alcun modo di ben<br />
reggere i popoli, perduta <strong>la</strong> obbedientia e <strong>la</strong> devozione di quello stato…”<br />
960 Ivi, a p. 272nn4.<br />
210
scacchiere italiano, facendosi forte anche del ricostituito connubio con Roma, non certo ben<br />
visto dal sovrano spagnolo.<br />
Dall’intesa con Roma, sarebbe arrivato, infatti, il titolo granducale con grave disappunto del<br />
sovrano spagnolo e dell’imperatore, peraltro impegnato in questo periodo, sia nel<strong>la</strong><br />
ricompattazione interna dell’impero dopo <strong>la</strong> pace di Augusta, sia nel terribile scontro con gli<br />
ottomani 961 .<br />
Tuttavia, se Cosimo da un <strong>la</strong>to è il principe nuovo subentrato secondo <strong>la</strong> ciclica successione<br />
delle forme di governo propugnata da Aristotele, Polibio e Machiavelli a rifondare <strong>la</strong> forza e<br />
<strong>la</strong> coerenza del corpo politico disfatto dal col<strong>la</strong>sso del<strong>la</strong> repubblica fiorentina, dall’altro non<br />
corrisponde al<strong>la</strong> figura invocata dal Machiavelli nell’ultimo capitolo del Principe per<br />
restaurare <strong>la</strong> libertà italica. Quel<strong>la</strong> speranza, infatti, è definitivamente tramontata anche se il<br />
Bartoli <strong>la</strong> richiama esplicitamente quando, prendendo spunto dall’instabilità degli stati<br />
italiani, afferma:<br />
“non avendo avuto l’Italia un capo solo, che <strong>la</strong> habbi saputa governare: ma per por fine a<br />
questo ragionamento non mi distenderò in addurre altri esempi che sarebbono infiniti quelli<br />
che si potrebbono mettere a campo ne io lo poteri fare senza mio gran dispiacere, sapendo<br />
che tutta <strong>la</strong> disunione et tutte le rovine, che sono accadute ne’ tempi passati al<strong>la</strong> detta Italia,<br />
sono occorse dal non havere el<strong>la</strong> havuto, un capo solo, che <strong>la</strong> guidi et dallo essere chiamato<br />
per le passioni de Principi particu<strong>la</strong>ri di quel<strong>la</strong>, hor questo Re, hor questo altro, che con le<br />
armi forestieri hanno purtroppo crudelmente afflitta e tormentata <strong>la</strong> detta Italia senza che<br />
el<strong>la</strong> habbia mai potuto ripigliare quel vigore, o quelle forze, o quel modo di reggersi con il<br />
quale già al tempo de’ Romani seppe pure et vincere et reggere tutto il mondo con infinita<br />
sua lode e gloria.” 962<br />
È una considerazione tuttavia, evidentemente rivolta ad una dimensione di speranze<br />
esaurite, anche se <strong>la</strong> partecipazione e il pathos dell’autore sono fuori discussione. Indizio<br />
ulteriore di una non infondata continuità di motivi tra i Discorsi e <strong>la</strong> precedente Vita, anche se<br />
sviluppata dall’autore in una ben diversa condizione storico-politica del<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong>. 963<br />
Infatti, <strong>la</strong> priorità assoluta nei Discorsi historici bartoliani consiste soprattutto nel<strong>la</strong> tute<strong>la</strong> e<br />
nel<strong>la</strong> conservazione dell’ordinamento politico, nel<strong>la</strong> necessità di ottenere pace e ordine dopo<br />
decenni di guerre e crisi politiche. Significativo in tal senso il diverso modo in cui rispetto<br />
allo scritto del 1559 viene percepito e configurato il mito veneziano. Nel<strong>la</strong> biografia del<br />
Barbarossa, Venezia era rappresentata in chiave di ascesa e dinamismo politico, perno del<strong>la</strong><br />
vittoria militare sull’imperatore e delle conseguenti trattative politiche del<strong>la</strong> “Canossa” del<br />
1177.<br />
Ora invece, il mito del<strong>la</strong> città <strong>la</strong>gunare, proposto esclusivamente sul<strong>la</strong> base del Bembo e del<br />
Sabellico, viene celebrato in re<strong>la</strong>zione al<strong>la</strong> solidità dell’edificio politico ed istituzionale<br />
veneziano che “già per mille cento quaranta anni o più ha saputo talmente reggersi, e<br />
mantenersi che el<strong>la</strong> non si è mai data in preda al potere, o al<strong>la</strong> forza del vento del vulgo o<br />
del<strong>la</strong> plebe…” 964 . Non è casuale, che il Bartoli, in questa direzione, diversamente dal Giovio,<br />
961 In proposito rinviamo a Diaz, Il Granducato, cit., pp. 183-190, inoltre R. Cantagalli, Cosimo I, cit., in<br />
partico<strong>la</strong>re pp. 237-294, e M. Firpo, Gli affreschi, cit., pp. 393-404, infine cfr. anche per il nuovo corso del<br />
rapporto mediceo-pontificio e sui contrasti con <strong>la</strong> Spagna, L. Pastor, Storia dei Papi, cit., in partico<strong>la</strong>re vol. VII:<br />
Pio IV(1559-1564), pp. 508-548 e vol. VIII: Pio V(1566-1572), 1964, pp. 263-313.<br />
962 C. Bartoli, Discorsi historici, cit., passo a p. 275.<br />
963 In proposito rinviamo a J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., pp. 292, 294-295 e 297-298; cfr. inoltre C. Vasoli,<br />
Osservazioni, cit., p. 738, R. Albertini, Firenze dal<strong>la</strong> repubblica al principato, cit., pp. 291-292, in partico<strong>la</strong>re<br />
nota 4. Inoltre sull’ultimo capitolo del Principe cfr. F. Gilbert, Machiavelli, cit., pp. 209-222.<br />
964 C. Bartoli, Discorsi historici, cit., passo a p. 39e4; inoltre sul<strong>la</strong> <strong>storia</strong> politica veneziana si rinvia a Wiliam J.<br />
Bouwsma, Venice and the Defense of Republican Liberty. Renaissance Values in the Age of the Counter<br />
Reformation, Berkeley and Los Angeles: University of California press, 1968, in partico<strong>la</strong>re sugli eventi del<br />
1177, pp. 55-56.<br />
211
scagioni l’azione del Giannotti 965 dall’accusa di aver agito, in veste di segretario dei dieci di<br />
guerra, durante l’ultima repubblica fiorentina, contro gli interessi del popolo fiorentino,<br />
seguendo le direttive degli Arrabiati 966 . Il Giannotti, infatti, è un noto sostenitore del<strong>la</strong><br />
armonia del sistema misto veneziano e del mito del<strong>la</strong> città <strong>la</strong>gunare. 967<br />
La costante preoccupazione per <strong>la</strong> stabilità dei regimi politici è del resto testimoniata anche<br />
dal modo in cui l’autore affronta il tema delle congiure, stigmatizzate per le motivazioni degli<br />
attori coinvolti e per gli esiti comunque controproducenti. Nei Discorsi il Bartoli, offre un<br />
accurato elenco delle congiure attuate e fallite contro i Medici e si avvale sull’argomento del<br />
contributo machiavelliano, anche se abbandona l’oggettività con cui il segretario fiorentino ne<br />
par<strong>la</strong>va nei suoi Discorsi. 968<br />
Sul valore del<strong>la</strong> religione per <strong>la</strong> stabilità di un regime politico, invece il Bartoli recupera<br />
integralmente <strong>la</strong> lezione machiavelliana. La religione, infatti, costituisce un fattore di<br />
aggregazione e coesione del corpo politico, irrinunciabile e viene pertanto valutata in chiave<br />
eminentemente politica 969 . In questa direzione va inquadrato il giudizio dell’autore, ricavato<br />
dal Guicciardini, sugli enormi danni prodotti da Enrico VIII a tutto il regno con le sue scelte<br />
religiose e politiche:<br />
“Anzi fece tal danno a tutto il suo Regno, che non solo andò fluttuando a tempi suoi, ma<br />
anchora oggi che sono già passati trentasei anni da quel motivo, non ha mai presa forma di<br />
buon governo; sollevandosi ora gli eretici, ora i Cattolici, con infinita spesa travagli o<br />
spargimento di sangue; accomodandosi a Re, et alle Regine che sono successe, hor l’una hor<br />
l’altre, di queste religioni senza che quel Regno habbi potuto sperare quiete o cosa stabile,<br />
secondo che sarebbe necessario, onde si vede pur troppo manifesto, che le soverchie voglie<br />
de’ Principi inducon i lor popoli e i lor Regni a manifesta rovina.” 970<br />
Comunque, fatte salve le priorità del nuovo momento storico e il diverso approccio generale<br />
dei Discorsi rispetto al<strong>la</strong> Vita del Barbarossa, l’attenzione tutt’altro che spenta dell’autore al<strong>la</strong><br />
libertà d’Italia e <strong>la</strong> contrarietà al<strong>la</strong> presenza straniera e imperiale nel<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong> confermano <strong>la</strong><br />
persistente divergenza con le linee prevalenti del<strong>la</strong> Storia d’Europa. Il Bartoli, infatti,<br />
continua a negare decisamente il binomio tra Italia e Germania, e l’implicita corre<strong>la</strong>zione tra<br />
Asburgo e peniso<strong>la</strong> italiana, sostenuti invece dal Giambul<strong>la</strong>ri. Emblematico in questo senso, è<br />
il passo dedicato al<strong>la</strong> discesa nel<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong> di Carlo il Bavaro, dipinto come un uomo<br />
posseduto dall’avidità, che conculca <strong>la</strong> libertà e l’autonomia di Mi<strong>la</strong>no, strappando<strong>la</strong> per un<br />
certo periodo a Galeazzo Visconti, proprio sul<strong>la</strong> falsariga del profilo biografico di Galeazzo<br />
Visconti composto dal Giovio . Del resto, Ludovico era stato oggetto dell’attenzione<br />
gioviana anche nelle Hi<strong>storia</strong>e come accennato, riguardo agli insanabili conflitti interni<br />
all’impero germanico.<br />
971<br />
Infine, un altro elemento indicativo del<strong>la</strong> posizione bartoliana, emerge dai passaggi dei<br />
Discorsi che affrontano <strong>la</strong> questione degli scontri tra Guelfi e Ghibellini a Firenze, sul<strong>la</strong> base<br />
dei resoconti di Leonardo Bruni. Il Bartoli esprime chiaramente <strong>la</strong> sua linea antighibellina<br />
descrivendo l’episodio dell’uccisione di Messer Buondelmonte Buondelmonti, già da lui<br />
965 Su Donato Giannotti cfr. <strong>la</strong> re<strong>la</strong>tiva voce Giannotti Donato, in DBI, vol. LIV, pp. 527-533; cfr. inoltre G.<br />
Cadoni, l’Utopia repubblicana di Donato Giannotti, Mi<strong>la</strong>no, Giuffrè, 1978.<br />
966 Ivi, p. 80k4.<br />
967 In proposito rinviamo a C: Vasoli, Osservazioni, cit., pp. 732-733, J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., pp. 290-<br />
291 e 293, inoltre a proposito del mito veneziano in Donato Giannotti, vedi F. Gilbert, Machiavelli, cit., pp. 145-<br />
157 e R. Albertini, Firenze dal<strong>la</strong> repubblica al principato, cit., pp. 145-166.<br />
968 In proposito rinviamo a J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., pp. 281 e 285-286.<br />
969 Sul punto in questione vedi C. Vasoli, Osservazioni, cit., pp. 737-738 e J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., p.<br />
299.<br />
970 Discorsi universali, cit., passo a p. 271qLl4.<br />
971 Ivi, pp. 85-86l3.<br />
212
accontato nel<strong>la</strong> orazione funebre del Giambul<strong>la</strong>ri 972 . Nel resoconto dei Discorsi, infatti,<br />
l’autore emette una decisa condanna a carico dei capi ghibellini: gli Uberti e Lamberti,<br />
colpevoli di una giustizia sommaria ottenuta con un’azione extralegale, compiuta da privati 973 .<br />
Ancora da Leonardo Bruni, il Bartoli attinge il racconto sul<strong>la</strong> volontà del<strong>la</strong> fazione ghibellina,<br />
istigata da Senesi e Pisani nell’incontro di Empoli, di distruggere Firenze, e impedita soltanto<br />
dal<strong>la</strong> fermezza e dall’autorità di Farinata degli Uberti 974 .<br />
In conclusione pertanto, <strong>la</strong> storiografia bartoliana risente profondamente dell’influenza<br />
gioviana, mentre presenta una certa distanza rispetto al<strong>la</strong> propensione ghibellina del<br />
Giambul<strong>la</strong>ri.<br />
3. Giro<strong>la</strong>mo Bardi e Lodovico Guicciardini<br />
Queste divergenze, del resto, non sarebbero venute meno ne Le età del mondo<br />
cronologiche 975 …(di qualche anno successive ai Discorsi bartoliani) composta da Giro<strong>la</strong>mo<br />
Bardi anche lui fiorentino, appartenente al noto e illustre casato già ricco e potente intorno<br />
all’XI secolo, che avrebbe dato al<strong>la</strong> Repubblica fiorentina il primo priore del<strong>la</strong> sua <strong>storia</strong> nel<br />
1282. Il Bardi, nato intorno al 1544 diviene monaco camaldolese a Santa Maria degli Angeli<br />
di Firenze dedicandosi essenzialmente agli studi, con partico<strong>la</strong>re attenzione appunto al<strong>la</strong> <strong>storia</strong><br />
sacra e profana. Tuttavia, non trascorre molto tempo che <strong>la</strong>sciato l’abito di San Romoaldo, si<br />
trasferisca a Venezia, vivendoci molti anni come prete seco<strong>la</strong>re. Nel<strong>la</strong> città <strong>la</strong>gunare l’8<br />
febbraio 1593 il Bardi viene eletto piovano del<strong>la</strong> Chiesa dei SS. Matteo e Samuele morendo<br />
circa un anno dopo, il 28 marzo del 1594 976 . Il suo interesse cronologico testimoniato anche<br />
dal<strong>la</strong> composizione de Le vite di tutti i Santi, brevemente descritte per tutti i giorni<br />
dell’Anno… 977 non avrebbe mancato di suscitare apprezzamenti di diversi contemporanei tra i<br />
quali spicca certamente l’elogio formu<strong>la</strong>to dal Sansovino nel<strong>la</strong> sua Cronologia universale del<br />
mondo, accanto a quelli del Possevino, di Guido Grandi, di Agostino Fortunio, e nel secolo<br />
972 In proposito, rinviamo al capitolo I.<br />
973 Ivi, passo a p. 183z4.<br />
974 Ivi, cfr. p. 67i2 in altri punti come a p. 274mm1 l’autore, per gli scontri tra guelfi e ghibellini, rinvia al<br />
Machiavelli, Giovanni Vil<strong>la</strong>ni e Matteo Palmieri; in proposito cfr. anche J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., p. 284.<br />
975 Le età del mondo chronologiche, nelle quali dal<strong>la</strong> creatione di Adamo, fino all’anno MDXXXI di Christo,<br />
brevemente si racconta <strong>la</strong> origine di tutte le Genti, il principio di tutte le Monarchie, di tutti i Regni,<br />
Repubbliche et Principati, La salutifera incarnatione di Christo, con <strong>la</strong> successione de’ Sommi Pontefici romani,<br />
La creatione de’ Patriarchi, Le Congregationi de’ Religiosi, Le Militie de’ Cavalieri, i Concili universali et<br />
nazionali, Le Heresie, i Schismi, Le Congiure, Paci, Ribellioni, Guerre, et Prodigii, <strong>la</strong> denominatione di tutti gli<br />
Huomini in ogni professione illustri. Con <strong>la</strong> partico<strong>la</strong>r narratione delle dette cose successe d’anno in anno, nel<br />
mondo, Fatte da Giro<strong>la</strong>mo Bardi Fiorentino, con privilegio, in Venetia, appresso i Giunti, MDLXXX.<br />
976 Per l’abbandono dell’abito camaldolese vedi F<strong>la</strong>minio Cornaro, Ecclesiae Venetae et Torcel<strong>la</strong>nae antiquis<br />
monumentisnunc etiam primum editis illustratae ac in decades distributae, Venetiis, G. B. Pasquali, 1749 in<br />
partico<strong>la</strong>re, Appendix novissima, a p. 349. L’uscita dall’ordine camaldolese viene ignorata da G. Fontanini,<br />
Biblioteca dell’eloquenza italiana di monsignor Giusto Fontanini…con le annotazioni del signor Apostolo Zeno<br />
istorico e poetacesareo cittadino veneziano, II tomi, Venezia, MDCCLIII, presso G. B. Pasquali, (sul quale cfr.<br />
<strong>la</strong> voce Giusto Fontanini di D. Busolini in DBI, vol. XLVIII, Roma, 1997, pp. 747-752) che critica aspramente il<br />
Bardi per non avere menzionato nel titolo delle sue opere il suo istituto religioso tomo II, p. 288 ivi, sul punto in<br />
questione il camaldolese viene difeso da Apostolo Zeno. Inoltre vedi ancora Cornaro, Appendix, cit., p. 396 sul<br />
giorno del<strong>la</strong> morte. Negri in Storia, cit. sostiene erroneamente che Bardi sia morto a Firenze nel monastero di S.<br />
Maria degli Angeli a Firenze. Sul<strong>la</strong> morte a Venezia dove fu parroco cfr. anche Filippo Brocchi, Collezione<br />
alfabetica di uomini e donne illustri del<strong>la</strong> Toscana dagli scorsi secoli fino al<strong>la</strong> metà del XIX compi<strong>la</strong>ta da F. B. e<br />
G. B., Firenze, Tipografia Bonducciana, 1852, p. 38.<br />
977 Le vite di tutti i Santi, brevemente descritte per tutti i giorni dell’Anno; ovvero Martirologio Romano,<br />
riordinato conforme all’uso del nuovo Calendario Gregoriano; tradotto dal<strong>la</strong> lingua <strong>la</strong>tina nel<strong>la</strong> volgare da<br />
Giro<strong>la</strong>mo Bardi, in Venetia presso Bernardo Giunti 1585 in Negri, Storia, cit..<br />
213
successivo dell’astronomo gesuita Giambattista Riccioli 978 e di Iacopo Gaddi 979 , fino alle<br />
critiche settecentesche di Giusto Fontanini 980 . Valutazioni peraltro ascrivibili ad uno scritto<br />
coevo e molto simile a Le età che esce quasi contemporaneamente per lo stesso editore nel<br />
medesimo anno intito<strong>la</strong>to: Chronologia universale 981 . La Cronologia viene stampata soltanto<br />
qualche mese dopo Le età e viene dedicata al granduca Francesco De’ Medici, destinatario già<br />
due anni <strong>prima</strong> di una versione incompleta dell’opera 982 . Gli eventi storici raccontati secondo<br />
<strong>la</strong> modalità annalistica sono preceduti da una sorta di introduzione complessiva di natura<br />
978 Sul quale rinviamo a livello biografico e riguardo alle sue opere astronomiche orientate in chiave<br />
anticopernicana a Luigi Ughi, Dizionario storico degli uomini illustri ferraresi: nel<strong>la</strong> pietà, nelle arti, e nelle<br />
scienze con le loro opere o fatti principali compi<strong>la</strong>to da[…]Luigi Ughi ferrarese, Ferrara, Rinaldi, 1804, II tomi,<br />
in partico<strong>la</strong>re tomo II, p. 285 e Joucher Christian G., Adelung, Allgemeines Gelehrten- Lexikon. Fortsetzungen<br />
und Erganzungen von H. W. Rotermund, Leipzig,: Gleditsch [et al.] 1784-1897, 7 bde, in partico<strong>la</strong>re bd. 6. , p.<br />
156.<br />
979 Cfr. <strong>la</strong> re<strong>la</strong>tiva voce Gaddi Jacopo di F. Tarzia in DBI, vol. LI, 1998, Roma, pp. 159-160.<br />
980 Nel<strong>la</strong> edizione accresciuta Del<strong>la</strong> eloquenza italiana di monsignor Giusto Fontanini arcivescovo d’Ancira<br />
libri tre…, in Roma nel<strong>la</strong> stamperia di Rocco Bernabò, MDCCXXXVI, il Fontanini scrive infatti a p. 632-633<br />
ricordando il Martirologio del Bardi, del<strong>la</strong> Chronologia: “e ci è il Martirologio romano, volgarizzato parimente<br />
da Giro<strong>la</strong>mo de Bardi camaldolese, autor pure di una vasta Cronologia universale, che però ha <strong>la</strong> disgrazia di<br />
essere abbandonata, come tessuta all’uso di chi non ha in bocca altro, che nuovi sistemi, che poi sono cose<br />
comuni, e altrettanto vane, quanto fondate in aria, e che in oggi non serve più incomodarsi a seguire, e molto<br />
meno ostinarsi a difendere in hac luce literarum, come fanno quelli, i quali per avversione al<strong>la</strong> verità<br />
conosciuta, non hanno scrupolo d’ingegnarsi a dar per vere le cose false, e le false per vere.”<br />
981 Il titolo perfettamente identico diverge nel<strong>la</strong> <strong>prima</strong> parte dove inizia come Cronologia universale, titolo col<br />
quale <strong>la</strong> indichiamo d’ora in poi per distinguer<strong>la</strong> da Le età. Peraltro un diretto riferimento al<strong>la</strong> sua prossima<br />
uscita si rinviene a p. 124 de Le età riguardo ai mesi in cui entrano in carica i consoli “Ma avendone lungamente<br />
par<strong>la</strong>to nel<strong>la</strong> mia Hi<strong>storia</strong> universale, et nel<strong>la</strong> cronologia, che fra pochi giorni verrà in luce…”.<br />
982 Ivi, “Al serenissimo Don Franceso De Medici Granduca di Toscana mio Signore”, Di Venetia alli XXV. Di<br />
Novembre MDLXXXI in cui a testimonianza dei precedenti rapporti col Gran Duca a proposito dello scritto in<br />
questione e del lungo <strong>la</strong>voro sotteso al<strong>la</strong> preparazione di questa fatica letteraria leggiamo: “La onde dovendo<br />
dopo tante fatiche, et dopo tanti anni finalmente pubblicare al mondo <strong>la</strong> mia presente Universal Chronologia,<br />
parte del<strong>la</strong> quale già due anni sono fu da me, inviata al<strong>la</strong> altezza vostra serenissima…”. Peraltro ulteriori e più<br />
accurate notizie sul<strong>la</strong> gestazione del<strong>la</strong> Cronologia si trovano nel Proemio che segue <strong>la</strong> dedica al Gran duca.<br />
Infatti l’autore, dopo una premessa generale sul<strong>la</strong> preminenza del<strong>la</strong> <strong>storia</strong> su tutte le altre scienze come maestra<br />
di vita il cui apprendimento è assolutamente propedeutico per l’attività politica, racconta che l’idea di compor<strong>la</strong> è<br />
nata “considerando anticamente Eusebio et a nostri tempi Giovanni Lucido, Honofrio Panvinio, Carlo Sigonio,<br />
Gherardo Mercatore, et altri, si indussero a fare una certa sorte di Hi<strong>storia</strong> utilissima et necessaria, cavata<br />
dal<strong>la</strong> Chronica, detta comunemente da loro Chronicon, o Cronologia, che non vuol dire altro che ragione di<br />
tempo…al<strong>la</strong> quale invenzione di Eusebio, avendo i detti autori aggiunte molte cose, l’hanno ridotta con <strong>la</strong><br />
industria loro in tale stato, che non par che gli si possa desiderare maggior chiarezza, Del<strong>la</strong> qual sorte di<br />
Hi<strong>storia</strong>, io compiacendomi molto, et perciò desiderando che il Mondo ne avesse una molto più partico<strong>la</strong>re di<br />
quel<strong>la</strong> che i detti Auttori, nonostante che ciò difficilissima mi fusse, risolvei di fare <strong>la</strong> presente Cronologia…”<br />
nell’”anno mille cinquecento settanta tre nel<strong>la</strong> città di Venezia et quivi praticando con diversi huomini di lettere,<br />
un giorno fra gli altri par<strong>la</strong>ndosi delle Historie et del<strong>la</strong> confusione de tempi, che in molti historici si vede fui<br />
dopo molti pareri essortato da alcuni et fra gli alti da Tomaso Porchachi, di fare ad mitatione di Eusebio ma<br />
con maggior distintione et con più capi partico<strong>la</strong>ri, una Cronologia universale[…]Et perciò in presenza di<br />
Tomaso Porchachi et di Aldo Manutio…fattone un publico instromento scritto di mia propria mano et<br />
autenticato da Giro<strong>la</strong>mo Savino publico notaio di Venetia, come appare con <strong>la</strong> casa de Giunti, cominciai a<br />
metter mano il primo di Giugno, al<strong>la</strong> presente Cronologia essendomi ritirato…nel<strong>la</strong> Badia del<strong>la</strong> Follina…dove<br />
diedi fine al<strong>la</strong> presente fatica l’anno medesimo, per tutto il mese di Dicembre, essendomi in questo mentre<br />
gravemente infermato, si che più volte fui in procinto di morire…et dopo varii accidenti occorsi l’anno mille<br />
cinquecento settantacinque a stampar<strong>la</strong>, Al che mentre si attendeva, avendosi cominciata in Venezia a sentire <strong>la</strong><br />
peste, interessasi l’opera, si stette fino a tutto l’anno mille cinquecento settantaotto a principiar<strong>la</strong>, nel qual anno<br />
fino al presente tempo, essendo occorsi varii accidenti, si è pure dato fine al<strong>la</strong> opera di fogli ottocento…”.<br />
Inoltre, nel<strong>la</strong> presente leggiamo anche un richiamo in conclusione ad altre opere stampate come le Età, cit., in<br />
via di pubblicazione o mai pubblicate come <strong>la</strong> famigerata Hi<strong>storia</strong> universale (del<strong>la</strong> cui esistenza manoscritta dà<br />
notizia soltanto il Negri, Storia, cit.,) : “Presento<strong>la</strong> adunque, a voi curiosi lettori, promettendovi che si come<br />
pochi mesi fa pubblicai a vostro beneficio, il Sommario et le Età cronologiche, che fra pochi mesi, io vi<br />
presenterò anco Gli Annali de Veneziani, le vite de Sommi Pontefici Romani. Due trattati uno del<strong>la</strong> venuta di<br />
Alessandro terzo Pontefice a Venezia, et l’altro, che gli Elettori dello imperio siano instituiti dal<strong>la</strong> Chiesa<br />
Romana et una Hi<strong>storia</strong> universale partita in più Tomi…”.<br />
214
storico-geografica sull’origine delle genti delle diverse regioni del mondo: I Discorsi<br />
Cronologici 983 . Questo preambolo che precede <strong>la</strong> vera e propria esposizione storica aperta<br />
dal<strong>la</strong> creazione di Adamo, costituisce <strong>la</strong> <strong>prima</strong> parte dell’opera in una divisione complessiva<br />
di quattro fasi in cui <strong>la</strong> seconda parte si arresta all’anno zero 984 <strong>la</strong> terza va dal<strong>la</strong> nascita di<br />
Cristo fino al 994 985 , <strong>la</strong> quarta arriva al 1580 986 . L’oggetto storico del<strong>la</strong> Chronologia coincide<br />
con quello de Le età in cui l’arco temporale affrontato sempre secondo lo stile annalistico e <strong>la</strong><br />
divisione in quattro parti è esattamente lo stesso. Tuttavia, accanto a questa notevole affinità,<br />
vi sono differenze che vanno dal<strong>la</strong> dedica dell’opera ad alcuni elementi concernenti <strong>la</strong> stessa<br />
impostazione generale dei due scritti.<br />
Ne le Età del mondo infatti vi sono quattro dediche diverse, una per ognuna delle quattro<br />
parti in cui l’opera è suddivisa. La <strong>prima</strong> parte dello scritto bardiano che va dal<strong>la</strong> creazione di<br />
Adamo al<strong>la</strong> nascita di Cristo viene dedicata a Lionardo Mozzanigo, <strong>la</strong> seconda che arriva fino<br />
al 1095 a Giro<strong>la</strong>mo Zeno, <strong>la</strong> terza che giunge al 1493 a Giovanni Mozzanigo, <strong>la</strong> quarta e<br />
ultima che si ferma al 1580 ad Angiolo Strozzi 987 . Un fiorentino dedicatario del<strong>la</strong> quarta parte<br />
interrompe il monopolio veneziano delle prime tre, sebbene si tratti comunque di un<br />
fiorentino collegato all’ambiente del<strong>la</strong> Serenissima per i rapporti intercorsi tra due membri<br />
del<strong>la</strong> sua famiglia ed i tre gentiluomini veneziani menzionati nelle prime tre dediche durante<br />
un periodo di permanenza nel<strong>la</strong> città <strong>la</strong>gunare 988 .<br />
Pertanto, <strong>la</strong> partizione delle quattro fasi dell’opera si po<strong>la</strong>rizza su punti di discontinuità<br />
storica diversa oltre ad essere quantitativamente una narrazione più ampia e accurata. Nel<strong>la</strong><br />
sua quarta parte inerente al<strong>la</strong> <strong>storia</strong> che va dal 1494 in avanti, infatti, se lo stile annalistico<br />
viene conservato a livello formale, nel<strong>la</strong> sostanza ogni evento storico viene descritto con<br />
notevole accuratezza e inserito in un quadro complessivo difficile da ricavare nel<strong>la</strong> centrifuga<br />
polverizzazione delle prime tre fasi de Le età come nel costante schematismo del<strong>la</strong><br />
Chronologia. Tuttavia, l’ispirazione identica delle due opere è chiaramente delineata oltre che<br />
dagli elementi enucleati, anche dall’equivalenza delle fonti utilizzate. Pertanto, per <strong>la</strong> nostra<br />
analisi e per un raffronto con <strong>la</strong> Storia d’Europa riteniamo utile considerare Le età come<br />
scritto più profondamente capace di illuminare le prospettive storiografiche bardiane<br />
integrandole però con <strong>la</strong> più sintetica Cronologia, frutto di una gestazione sostanzialmente<br />
unitaria, al pari di un altro <strong>la</strong>voro precedente ad entrambi: Sommario Cronologico dal<strong>la</strong><br />
creazione d’Adamo, fino all’anno di Cristo 1578…pubblicato sempre dai Giunti nel 1579 e<br />
dedicato al granduca Francesco de’ Medici. La cui maggiore schematicità e brevità indica <strong>la</strong><br />
sua natura di <strong>la</strong>voro preparatorio al<strong>la</strong> pubblicazione de Le età e al<strong>la</strong> Chronologia 989 .<br />
983 Ivi, pp. 1-64.<br />
984 Ivi, pp. 1-270.<br />
985 Ivi, pp. 1-265.<br />
986 Ivi, pp. 266-515.<br />
987 Ivi, Al c<strong>la</strong>rissimo signore Lionardo Mozzanigo del c<strong>la</strong>rissimo signor Niccolò, dedica datata 12 luglio 1581;<br />
Al c<strong>la</strong>rissimo signore Giro<strong>la</strong>mo Zeno del c<strong>la</strong>rissimo signor Simone; Ivi, Al c<strong>la</strong>rissimo signor Giovanni<br />
Mozzanigo, del carissimo signor Marcantonio; Al molto illustre et generoso signore Angiolo Strozzi.<br />
988 Ivi, leggiamo: “Il gentilissimo Signor Pirro suo fratello; el virtuosissimo Signor Giovambattista Strozzi<br />
parente e amicissimo sudo, che mentre furono a Venenzia più d’una volta trattarono domesticamente con loro<br />
restandoli non meno obligati al valore, al<strong>la</strong> bontà, et al<strong>la</strong> cortesia di ciascuno di essi…”. Il Negri, Storia, cit.,<br />
diversamente rileva una dedica nell’edizione del 1581 al granduca Francesco e una lettera ai lettori in cui<br />
l’autore asserisce di aver composto l’opera in sette mesi e rinvia al<strong>la</strong> prossima pubblicazione degli Annali de’<br />
Veneziani in realtà mai avvenuta.<br />
989 Sommario cronologico, nel quale dal<strong>la</strong> creatione di Adamo fino all’anno MDLXXVIIII di Cristo.<br />
Brevemente si racconta <strong>la</strong> origine di tutte le Genti, il Principio di tutte le Monarchie, di tutti i Regni, le<br />
Repubbliche, et Principati, <strong>la</strong> Salutifera incarnatione di Cristo, con <strong>la</strong> successione de’ Sommi Pontefici<br />
Romani…, Di Venetia appresso i Giunti 1579, d’ora in poi Sommario, con dedica “Di Venetia alli 6 di Giugno”<br />
indirizzata “al serenissimo Don Francesco de’ Medici gran duca di Toscana”; in proposito cfr. anche Negri,<br />
Storia, cit. e Enrico Narducci, Giunte all’opera “Gli scrittori d’Italia” del conte Gemmaria Mazzuchelli tratte<br />
dal<strong>la</strong> biblioteca Alessandrina, Roma, Salviucci, 1884. Chiaramente il Sommario costituisce una sorta di fase<br />
intermedia dell’opera successiva come evidenzia sia <strong>la</strong> lunghezza di circa 200 pagine (non numerate dall’autore)<br />
inclusi gli ampi e circostanziati elenchi di fonti (posti al<strong>la</strong> fine del<strong>la</strong> <strong>prima</strong> e del<strong>la</strong> terza e ultima parte in cui è<br />
215
Ne Le età l’autore propone lo schema delle quattro monarchie e delle sei età del mondo.<br />
Centrale in questa divisione delle epoche storiche <strong>la</strong> nascita di Cristo che inaugura <strong>la</strong> sesta ed<br />
ultima età 990 , <strong>la</strong> cui preminenza rispetto alle precedenti viene confermata anche dallo spazio<br />
maggioritario complessivamente dedicatogli dal Bardi. Le prime cinque età anche a livello<br />
logico, infatti, costituiscono una sorta di preambolo che copre soltanto <strong>la</strong> <strong>prima</strong> parte<br />
dell’opera. Certo, oltre al<strong>la</strong> presenza dello schema delle sei età, <strong>la</strong> ripartizione in quattro parti<br />
de Le età indica evidentemente <strong>la</strong> compresenza di ulteriori significative fratture storiche oltre<br />
al<strong>la</strong> nascita di Cristo, nel caratterizzare il senso complessivo degli eventi narrati. Il 1096<br />
infatti, offre un radicale cambiamento di scenario e di priorità. Si passa dallo scontro interno<br />
al<strong>la</strong> Res publica christiana tra papato e impero nelle persone del pontefice Urbano II<br />
successore di Gregorio VII e dell’imperatore Enrico IV, all’improrogabile esigenza dell’orbe<br />
cristiano, di organizzare una crociata contro i maomettani 991 . Il 1494 poi, è un punto di<br />
discontinuità ampiamente proposto dal<strong>la</strong> storiografia umanistica e si pone evidentemente<br />
come un punto partico<strong>la</strong>rmente delicato e carico di valenze per chi scrive di <strong>storia</strong> negli stati<br />
italiani come indica del resto il fatto che <strong>la</strong> narrazione storica bardiana che va dal 1494 al<br />
1580 occupi più del<strong>la</strong> metà del<strong>la</strong> lunghezza complessiva dell’opera 992 .<br />
Un primo punto di distanza con <strong>la</strong> Storia d’Europa che solo indirettamente ma non meno<br />
significativamente richiama <strong>la</strong> contemporaneità storico-politica. Peraltro, visto il punto di<br />
partenza cronologico de Le età dal<strong>la</strong> creazione di Adamo, l’esame dei due autori attraverso le<br />
fonti selezionate e le loro modalità d’impiego, può estendersi anche al Gello del Giambul<strong>la</strong>ri.<br />
Il trattatello del canonico <strong>la</strong>urenziano presenta del resto, oltre al<strong>la</strong> valenza linguistica un<br />
significato storico-politico non trascurabile esplicitamente indicato dal Giambul<strong>la</strong>ri, come<br />
visto, nel<strong>la</strong> sua Storia d’Europa.<br />
In proposito si percepisce, nonostante un certo grado di analogia tra le fonti utilizzate nel<br />
Gello e quelle del<strong>la</strong> <strong>prima</strong> parte delle Età del mondo certificato da testi dell’antico testamento<br />
(in partico<strong>la</strong>re <strong>la</strong> Genesi, l’Esodo, e i Giudici, libro dei Re), da Beroso, Lucido, Diodoro<br />
Siculo, Giuseppe F<strong>la</strong>vio, Orosio, Eusebio, Cassiodoro, Esdra, Tucidide, Senofonte, Herodoto,<br />
Plutarco, Dionisio, Livio, Giustino, Florio, Polibio, Appiano, Svetonio, ed altri e nonostante<br />
l’utilizzazione del<strong>la</strong> del<strong>la</strong> cronologia ebraica, 993 un certo grado di differenza nell’impostazione<br />
generale 994 .<br />
Risulta evidente come lo schema delle quattro età imperiali che ha al suo centro <strong>la</strong> fase<br />
dell’impero romano applicato dal Bardi come vedremo, sia assente nel Gello anche tenuto<br />
conto dell’ambito fiorentino e toscano dell’opera. D’altra parte il Giambul<strong>la</strong>ri respinge nel suo<br />
trattatello <strong>la</strong> realtà del<strong>la</strong> cultura greco-romana e <strong>la</strong> derivazione del<strong>la</strong> moderna Etruria da quel<strong>la</strong><br />
radice ideale e politica. Quel<strong>la</strong> tradizione viene aggirata e subordinata ad una precedente e<br />
divisa l’opera; <strong>la</strong> <strong>prima</strong> parte che va dal<strong>la</strong> creazione di Adamo al<strong>la</strong> nascita di Cristo , <strong>la</strong> seconda che va fino al<br />
1076 a p. 88, <strong>la</strong> terza che arriva al 1578, a p. 198), nonché il procedere telegrafico anno per anno mantenuto<br />
anche per gli anni più vicini al 1578 e che invece verrà progressivamente abbandonato nei resoconti degli anni<br />
più vicini al 1580 nell’opera pubblicata nel 1581 dove <strong>la</strong> contemporaneità assumerà un peso assolutamente<br />
predominante specialmente con riguardo al periodo 1560-1580 a livello quantitativo.<br />
990 Riguardo al<strong>la</strong> schema del<strong>la</strong> periodizzazione delle sei età e delle quattro monarchie con attenzione anche al<strong>la</strong><br />
storiografia del XV e XVI secolo rinviamo a G. Falco, La polemica sul Medio Evo, cit., pp. 29-41.<br />
991 Ivi, pp. 375-379.<br />
992 Infatti, questa che corrisponde esattamente al<strong>la</strong> quarta parte in cui è divisa l’opera, va da p. 761 a p. 2221.<br />
993 L’adozione bardiana del<strong>la</strong> cronologia Ebraica da parte del Bardi viene confermata esplicitamente dall’autore<br />
nel<strong>la</strong> Cronologia nel<strong>la</strong> parte iniziale dell’avviso al lettore a cui segue <strong>la</strong> seconda parte dell’opera: “Essendo<br />
pervenuti dopo così lunga narratione de Siti, et delle origini, et de costumi, et delle Forze de’ Tanti Regni,<br />
Repubbliche et Principati, che in varii tempi sono stati veduti nel Mondo; al<strong>la</strong> partico<strong>la</strong>r dimostrazione delle<br />
cose successe, sopputate da noi con l’autorrità de’ migliori Chronologi, conforme al calcolo de gli Hebrei per le<br />
seguenti tavole…”.<br />
994 Sulle fonti sia antiche che coeve è senza dubbio più accurato e completo rispetto all’elenco de Le età, cit.,<br />
sia quelli contenuti nel Sommario, cit., sia quelli del<strong>la</strong> Chronologia, uno che precede <strong>la</strong> sua <strong>prima</strong> parte, uno<br />
posto al<strong>la</strong> fine dell’ultima parte dell’opera, un altro nel preambolo al<strong>la</strong> seconda parte dello scritto Al Lettore. A<br />
proposito di un completo elenco delle fonti del<strong>la</strong> <strong>storia</strong> antica rinviamo al Sommario pp. 31-32 al<strong>la</strong> fine del<strong>la</strong><br />
<strong>prima</strong> parte.<br />
216
incontrovertibile matrice ed eredità costituita dall’aramaico e dal sostrato storico attinto dalle<br />
opere linguistiche e dal<strong>la</strong> traduzione eterodossa del<strong>la</strong> Bibbia di Sebastian Muenster.<br />
Diversamente, il discorso del Bardi culmina nel<strong>la</strong> nascita di Cristo sotto l’impero di<br />
Augusto nel momento in cui il mondo rego<strong>la</strong>to e unito secondo i dettami del<strong>la</strong> pax romana è<br />
finalmente in una condizione di ordine e serenità. Certamente all’interno del<strong>la</strong> successione dei<br />
quattro imperii: Assiro, persiano, greco-macedone, romano quest’ultimo costituisce il fulcro<br />
del<strong>la</strong> <strong>prima</strong> fase del<strong>la</strong> narrazione bardiana anche a livello quantitativo 995 .<br />
Inoltre ulteriore segnale del<strong>la</strong> possibile distanza dalle prospettive aramaiche del<br />
Giambul<strong>la</strong>ri, lo fornisce <strong>la</strong> notazione del<strong>la</strong> rifondazione di Firenze da parte di Carlo Magno<br />
nell’802, tratta probabilmente secondo <strong>la</strong> indicazione delle fonti al<strong>la</strong> fine del<strong>la</strong> pagina dal<strong>la</strong><br />
Chronica del Palmieri 996 .<br />
Peraltro anche nel<strong>la</strong> Storia d’Europa al<strong>la</strong> evidente centralità del concetto e del<strong>la</strong> tradizione<br />
imperiale non corrisponde un’esplicita e chiara adesione allo schema dei quattro imperi.<br />
Senza dubbio il Giambul<strong>la</strong>ri ricorre ad autori che condividono quello schema come ad<br />
esempio il Carione, tuttavia non dedica molto spazio o rilievo al<strong>la</strong> successione degli imperi<br />
precedenti al<strong>la</strong> rinascita ottoniana. Nel<strong>la</strong> <strong>prima</strong> parte del<strong>la</strong> Storia soltanto un fuggevole cenno<br />
viene speso per <strong>la</strong> restaurazione di Carlo Magno momento felice ma irrimediabilmente<br />
concluso nell’attualità, segnata dal<strong>la</strong> decadenza dell’impero e dal debole e inefficace governo<br />
dei discendenti del grande sovrano carolingio. Ben altro spazio e preminenza rispetto a Carlo<br />
Magno, il Giambul<strong>la</strong>ri attribuisce ad Arrigo di Sassonia e soprattutto ad Ottone I, come detto,<br />
una predilezione dal chiaro significato politico.<br />
Il Bardi invece concede uno spazio sostanzialmente equivalente a questi sovrani ed in<br />
partico<strong>la</strong>re a Carlo Magno e ad Ottone I 997 . Certamente non manca di riferire tutte le gesta di<br />
Arrigo ed Ottone I e lo sforzo di pacificazione e compattamento compiuto all’interno<br />
dell’impero da entrambi, ma senza quel<strong>la</strong> partecipazione e giustificazione provvidenziale<br />
manifestamente percepibile invece nel<strong>la</strong> Storia d’Europa. Anzi, l’aureo<strong>la</strong> di tutore e<br />
pacificatore del<strong>la</strong> Res publica christiana conferita dal Giambul<strong>la</strong>ri ad Ottone viene<br />
sostanzialmente meno nel Bardi. Lo storico camaldolese evidenzia esclusivamente lo sforzo<br />
di pacificazione e compattamento politico-militare del<strong>la</strong> Germania intrapreso con alterna<br />
fortuna da Arrigo e dal figlio Ottone. Infatti, a proposito di Arrigo scrive:<br />
“Henrico accomodò le difficoltà de’ Germani”<br />
tracciando poi un bi<strong>la</strong>ncio abbastanza <strong>la</strong>pidario, anche se positivo, del lungo regno di<br />
Ottone I:<br />
“Ottone fu Imperatore dopo Henrico, avendo preso lo Imperio del 936 di Christo, e tenutolo<br />
anni 36 mesi 10 giorni 6 il quale pacificatosi co’ nimici, procurò <strong>la</strong> salute del<strong>la</strong><br />
Germania.” 998<br />
Ancora in maniera piuttosto sbrigativa dopo alcune pagine torna direttamente sul figlio di<br />
Arrigo rilevando che “Ottone superò gli Sc<strong>la</strong>vi, e domò i ribelli, procurando indarno di<br />
quietare lo Imperio.” 999 Mentre sul<strong>la</strong> falsariga di Liutprando il Bardi stigmatizza l’agire di<br />
Berengario che “travagliava <strong>la</strong> Italia” 1000 . Tuttavia, sono notazioni che si perdono all’interno<br />
di una narrazione frammentata in mille rivoli, fatti e scenari che sembrano trovare una loro<br />
995 La <strong>storia</strong> di Roma infatti nel<strong>la</strong> <strong>prima</strong> parte dell’opera va da p. 124 a 343 con <strong>la</strong> quale si esaurisce il racconto<br />
del<strong>la</strong> quinta età.<br />
996 Ivi, Nelle quali dal<strong>la</strong> incarnatione di Christo, fino all’anno MXCVI, p. 247bb4 in cui leggiamo: “Carlo fece<br />
molte leggi nuove, et restaurò Firenze.”.<br />
997 Ivi, sul primo vedi pp. 238-252, sul secondo pp. 298-313.<br />
998 Ivi, passi riportati alle pp. 291 e 298.<br />
999 Ivi, p. 307.<br />
1000 Ivi, p. 308 e in precedenza anche p. 287: “La Italia era travagliata da Berengario”.<br />
217
cifra unitaria soltanto nell’impressione di un continuo contrasto interno all’Impero e all’Italia.<br />
Indubbiamente, anche il procedimento annalistico, peraltro praticato nel<strong>la</strong> storiografia<br />
veneziana, ostaco<strong>la</strong> oggettivamente <strong>la</strong> decrittazione del<strong>la</strong> sua inclinazione ove essa sia<br />
presente 1001 . Vedremo in proposito però come facilmente il Bardi a dispetto dello stile<br />
generale utilizzato nell’opera saprà segna<strong>la</strong>re in modo netto <strong>la</strong> propria posizione in altri<br />
momenti. Comunque <strong>la</strong> stessa polverizzazione del<strong>la</strong> narrazione in diversi e giustapposti teatri<br />
di per sé denuncia già implicitamente <strong>la</strong> mancanza di categorie e idealità unificanti.<br />
Inoltre, sebbene il Bardi menzioni il trasferimento del diritto di elezione imperiale compiuto<br />
dal Papa Gregorio V durante il regno di Ottone III, suo nipote, ai sette grandi elettori tedeschi,<br />
dopo <strong>la</strong> vittoria definitiva riportata contro Crescentio che aveva per anni tiranneggiato Roma e<br />
l’Italia 1002 , ne mantiene ben fermo il carattere di pura e semplice concessione papale ribadita<br />
in più di un’occasione 1003 . Specificazione che ridimensiona fortemente <strong>la</strong> portata di una<br />
possibile propensione filoimperiale bardiana, anche se l’agire politico di Ottone III istituisce<br />
una chiara dipendenza del<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong> dalle risoluzioni imperiali, meno lontana dal<strong>la</strong><br />
prospettiva generale del canonico <strong>la</strong>urenziano. Del resto, anche <strong>la</strong> valutazione del<strong>la</strong> donazione<br />
di Costantino non suona molto ghibellina:<br />
“Costantino riedificata <strong>la</strong> nuova Roma trasferì lo scettro Imperiale da Roma in quel<strong>la</strong>,<br />
donando al<strong>la</strong> Chiesa molti privilegij…” 1004 .<br />
Tanto più che molte delle fonti utilizzate dall’ex camaldolese per ricostruire le vicende<br />
storiche medievali pur coincidendo con quelle consultate dal Giambul<strong>la</strong>ri sono usate in modo<br />
diverso nel tracciare una valutazione complessiva del<strong>la</strong> tras<strong>la</strong>zione dell’impero al mondo<br />
germanico. Le fonti in questione appartengono al medioevo tedesco e all’umanesimo italiano<br />
e vengono utilizzate anche nel<strong>la</strong> Storia d’Europa: Liutprando, Reginone, l’abbate Uspergense,<br />
Widukindo oltre a Zonara per gli svolgimenti bizantini, Procopio, il Biondo, Paolo Emilio,<br />
Enea Silvio Piccolomini, il Renano dei Germania libri Tres, l’Irenico dei Duodecima<br />
volumina…, il Munster del<strong>la</strong> Cosmographia, Hulderico Muzio, Erasmo Stel<strong>la</strong>. Anzi il Bardi,<br />
che si procurava le fonti di autori germanici nel veneziano Fondaco dei Tedeschi 1005 , ricorre<br />
anche ad altre fonti del mondo germanico non compulsate dal canonico <strong>la</strong>urenziano: <strong>la</strong><br />
Cronica di Sassonia, <strong>la</strong> Cronica di Colonia, <strong>la</strong> Cronica di Norimberga, Giovanni Nauclero,<br />
l’Aventino, l’Epitome del<strong>la</strong> Germania del Wimpheling e ancora altri scrittori di cronache<br />
tedesche 1006 .<br />
1001 Sul<strong>la</strong> storiografia veneziana nel XVI secolo cfr. G. Cozzi, “Pubblica storiografia” veneziana del ‘500 in<br />
“Bollettino dell’Istituto di Storia del<strong>la</strong> Società e dello Stato”, V-VII, 1963-64, pp. 215-294; ora in id., Ambiente<br />
veneziano, ambiente veneto. Saggi su politica, società, cultura nel<strong>la</strong> Repubblica di Venezia in età moderna,<br />
Venezia, Marsilio, 1997, pp. 13-86, in partico<strong>la</strong>re sul<strong>la</strong> utilizzazione dello stile annalistico nel Bembo pp. 29-31.<br />
1002 In proposito pp. 324-325; inoltre sulle divisioni e l’oppressione determinata da Crescentio vedi più<br />
diffusamente le pp. 318-325 in partico<strong>la</strong>re p. 319 in cui leggiamo: “Roma era tiranneggiata da Crescentio, di<br />
maniera, che <strong>la</strong> Italia era tutta in arme.”<br />
1003 Ivi, cfr anche p. 2210.<br />
1004 Ivi, passo a p. 93.<br />
1005 In proposito cfr. E. Cochrane, Hi<strong>storia</strong>ns and Historiography, cit., p.; cfr inoltre, in generale sul fondaco<br />
dei Tedeschi H. Simonsfeld, Der Fondaco dei Tedeschi in Venedig und die Deutsch-Venetianischen<br />
Handelsbeziehungen, Stuttgart. Ver<strong>la</strong>g der J. G. Cotta’schen buchhandlung, 1887.<br />
1006 Per queste indicazioni rinviamo all’elenco del<strong>la</strong> Cronologia universale, cit., più completo ed esauriente dei<br />
riferimenti sulle fonti contenuti ne Le età dove i nomi del Renano, del Muenster, del Muzio, dell’Irenico<br />
mancano. In realtà l’elenco più completo è quello contenuto nel Sommario al<strong>la</strong> fine del<strong>la</strong> <strong>prima</strong> parte, in<br />
partico<strong>la</strong>re p. 32 che ricorda anche il nome dell’Irenicus assente nel re<strong>la</strong>tivo elenco del<strong>la</strong> Cronologia universale.<br />
Ivi, il ricorso al Muenster viene rammentato in due elenchi parziali tra gli “Historici che par<strong>la</strong>no de Germani” e<br />
nel novero degli “Historici Corografi universali da quali si son cavate molte cose aspettante a questo<br />
sommario”. In realtà se ci atteniamo anche all’altro elenco del Sommario posto al<strong>la</strong> fine dell’ultima parte<br />
dell’opera, pp. 198-200, le fonti in comune con il Giambul<strong>la</strong>ri di ambito germanico e filoimperiale o re<strong>la</strong>tive al<br />
mondo scandinavo aumentano ulteriormente attraverso <strong>la</strong> menzione di Wudukindo, del Krantio, di O<strong>la</strong>o Magno,<br />
Erasmo Stel<strong>la</strong>, Sasso Grammatico, il Cuspiniano in proposito vedi soprattutto pp. 199-200.<br />
218
Basta pensare al modo in cui sebbene entrambi gli autori ricorrano a Widukindo, il Bardi<br />
come abbiamo visto riporti freddamente e rapidamente <strong>la</strong> notizia dell’ascesa imperiale di<br />
Ottone I che assume invece in Giambul<strong>la</strong>ri una rilevanza ed una centralità testimoniata dal<strong>la</strong><br />
accurata descrizione del<strong>la</strong> sua incoronazione. Altra conferma in questa direzione <strong>la</strong> offre <strong>la</strong><br />
trattazione bardiana all’interno del<strong>la</strong> lotta per le investiture del<strong>la</strong> figura di Enrico IV. Quel<strong>la</strong><br />
sorta di fascinazione che è percepibile nel ritratto che dell’imperatore svevo offre <strong>la</strong> Chronica<br />
di Nauclero 1007 esaltandone, al di là del<strong>la</strong> condanna per le persecuzioni inflitte al<strong>la</strong> Chiesa, le<br />
eccezionali qualità personali e militari del principe malconsigliato da cattivi ministri 1008 ,<br />
appare del tutto assente nel<strong>la</strong> caratterizzazione del Bardi. Il camaldolese, infatti, scrive che<br />
Enrico “colmo di ogni vitio nefando, non tra<strong>la</strong>sciava ne luogo, ne occasione di far male, e<br />
al<strong>la</strong> Chiesa, e a Baroni.” 1009 Già nelle pagine precedenti l’autore aveva evidenziato a<br />
proposito dell’inizio del conflitto tra papato e impero negli anni 1161-1162 che “Henrico si<br />
dichiarò nemico del<strong>la</strong> Chiesa” contrapponendo al legittimo pontefice Niccolò II l’antipapa<br />
Cadolo e che a seguito del<strong>la</strong> sconfitta dell’antipapa “era tutto veleno contra il pontefice” 1010 .<br />
Inoltre, nonostante l’accordo raggiunto nel 1164, l’autore evidenzia come già nel 1168<br />
“Henrico diventò insolentissimo, travagliando continovamente <strong>la</strong> Chiesa, et i principali del<strong>la</strong><br />
Germania.” 1011<br />
In ben due punti pertanto viene rafforzata <strong>la</strong> negatività del<strong>la</strong> figura dell’imperatore svevo<br />
nocivo al<strong>la</strong> Chiesa e al<strong>la</strong> stabilità dell’equilibrio politico dell’impero, nel cui seno deve<br />
fronteggiare <strong>la</strong> ribellione del<strong>la</strong> Baviera e del<strong>la</strong> Sassonia 1012 .<br />
Ulteriore conferma in questa direzione, l’autore <strong>la</strong> fornisce nel passo inerente il 1076 in cui<br />
gli elettori imperiali insorgono al<strong>la</strong> pretesa di Enrico di eleggere personalmente il pontefice<br />
attraverso <strong>la</strong> convocazione di due “conciliaboli”. Scrive infatti l’autore:<br />
“Era talmente cresciuta ne’ fautori dello scelerato Imperatore <strong>la</strong> perfidia, che adunati due<br />
conciliaboli, uno in Pavia, et uno in Vormatia, terminarono, che lo Imperatore potesse<br />
eleggere il Papa, et creare i Vescovi. Il che talmente sdegnò gli Elettori, che intimarono <strong>la</strong><br />
Dieta per l’anno seguente, avendo fra tanto Gregorio celebrato il terzo Sinodo in Laterano,<br />
nel quale fu scomunicato Henrico Imperatore. […]I Principi di Alemagna fecero una dieta<br />
contra Imperatore, il quale non cessando di travagliare <strong>la</strong> Chiesa fu di nuovo scomunicato,<br />
essendo in questo mezzo vinto da’ Sassoni, che lo travagliavano.” 1013<br />
1007 Iohannis Naucleri praepositi tubingen. Chronica, succinctim copraehendentia res memorabiles seculorum<br />
omnium ac gentium, ab initio mundi usque ad annum Christi nati MCCCCC. Cum Auctario Nico<strong>la</strong>j Bselij ab<br />
anno Domini M. D. I. in annum M.D. XIIII. Et Appendice nova, cursim memorante res interim gestas, ab anno<br />
videlicet M. D. XV. Usque in annum presentem, qui est post Christum natum M. D. XLIIII. Rhapsodis partim D.<br />
Cunrado Tigemanno, partim Bartho<strong>la</strong>maeo Laurente …, Coloniae ex officina Petri Quentel anno Christi nati<br />
MDXLIIII.<br />
1008 Scrive infatti a p. 696 in re<strong>la</strong>zione al<strong>la</strong> sua ascesa al trono: “Anno divini 1057…Henrico III defuncto, fili<br />
eius Henricus admodum puer succedens, regnare coepit. Fuit aut hic Henricus ore facundus, ingenio acer,<br />
elemosynis <strong>la</strong>rgus, in re militari fortunatissim, nam sexagesies col<strong>la</strong>tis signis dimicavit, et licet malor ducto<br />
consilio, fuerit sancte Romanae ecclesiae persecutor[…]”, (sul<strong>la</strong> problematica convivenza in Nauclero di<br />
devozione cattolica e propensione imperiale causata dal suo patriottismo tedesco evidente nell’ammirazione<br />
espressa per <strong>la</strong> figura di Enrico IV cfr. inoltre G. Falco, La polemica sul Medio Evo, cit., pp. 63-68)<br />
diversamente il Bardi commenta il medesimo evento del<strong>la</strong> sua ascesa al trono nei seguenti termini a p. 350:<br />
“Henrico quarto fu imperatore di Occidente, havendo preso lo Imperio del1056 et tenutolo anni 49, mesi 10,<br />
giorni 3, essendo morto nel fin di questo il padre. La Germania era tutta in arme…”.<br />
1009 Ivi, p. 358. Concetto il cui senso viene reiterato in almeno altri due passi, a p. 353: “Henrico si dichiarò<br />
nimico del<strong>la</strong> Chiesa…”.<br />
1010<br />
Passi riportati ivi, alle pp. 353 e 354.<br />
1011<br />
Ivi, passo a p. 357.<br />
1012 Ivi, in proposito cfr. pp. 359-360.<br />
1013 Ivi, passo a p. 362. In proposito confronta a titolo esemplificativo <strong>la</strong> profonda analogia del<strong>la</strong> valutazione<br />
svolta dall’autore nel Sommario, cit., a p. 33 che apre appunto significativamente <strong>la</strong> seconda delle tre parti in cui<br />
viene divisa l’opera.<br />
219
Le pagine seguenti che esauriscono <strong>la</strong> seconda parte dell’opera continuano sul<strong>la</strong> falsariga<br />
dei due motivi dominanti in questo scontro Papato-impero, del<strong>la</strong> ingiustificabile persecuzione<br />
imperiale al<strong>la</strong> Chiesa 1014 e dei conseguenti disagi provocati anche al<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong> italica, del<strong>la</strong><br />
sollevazione militare e del malcontento degli Elettori di Baviera e Sassonia 1015 . Appare non<br />
meno significativo che nel pieno del contrasto tra Papato ed Impero l’autore ponga uno stacco<br />
netto nel 1096 che apre <strong>la</strong> terza parte de Le età e vede Urbano II propugnare con successo<br />
l’unità dei principi cristiani per com<strong>pier</strong>e una crociata, nonostante le resistenze di Enrico IV.<br />
Il Bardi infatti, sottolinea che “quantunque lo scismatico Imperatore Henrico, facesse ogni<br />
opera per deviare si Santa Impresa, non fu però mai possibile di rimuovere l’animo de’<br />
Fedeli da si Santo pensiero, onde avendo tutti dopo l’essortationi del Santo Pontefice, con<br />
lieto ap<strong>la</strong>uso, gridato Iddio, voler così, si sottoscrissero…molti Principi grandi di diverse<br />
parti di Occidente…”. 1016<br />
Pertanto, <strong>la</strong> salvaguardia spirituale dell’Europa cristiana nel<strong>la</strong> concezione bardiana viene<br />
chiaramente riconosciuta al pontefice mentre nel<strong>la</strong> Storia d’Europa i veri tutori del<strong>la</strong><br />
Respublica christiana sono gli imperatori del<strong>la</strong> casa di Sassonia.<br />
Il contrasto tra Chiesa e Papato comunque, nonostante l’intermezzo del<strong>la</strong> crociata, non si<br />
p<strong>la</strong>ca fino al 1122 e si ripropone in termini non troppo dissimili con il Barbarossa che al pari<br />
di Enrico IV danneggia <strong>la</strong> Chiesa e l’Italia 1017 . Punto tutt’altro che trascurabile per i segnali<br />
abbastanza univoci sull’alterità del Bardi rispetto al<strong>la</strong> linea espressa dal Giambul<strong>la</strong>ri e su un<br />
suo possibile accostamento invece alle pulsioni bartoliane nel riscoprire le realtà municipali<br />
italiane in funzione delle tanto agognate libertà d’Italia con partico<strong>la</strong>re attenzione ancora una<br />
volta al mito di Venezia. In questa direzione va collocata l’ampia digressione dell’autore sul<strong>la</strong><br />
vittoria navale veneziana ottenuta contro il figlio del Barbarossa nell’ambito dell’ultima<br />
fallimentare spedizione dell’imperatore contro i Comuni italiani. La rilevanza del passaggio è<br />
segna<strong>la</strong>ta anche a livello testuale dal venir meno a livello sostanziale dal telegrafico procedere<br />
annalistico. L’episodio in questione ed il conseguente incontro veneziano tra pontefice e<br />
imperatore occupano, infatti, ben tre pagine de Le età 1018 . In questo passaggio l’autore si<br />
dichiara apertamente stupito del diffuso scetticismo che circonda il concreto verificarsi di<br />
questi due avvenimenti, chiaramente documentati dalle stesse fonti tedesche e annuncia <strong>la</strong><br />
pubblicazione di un’opera focalizzata sul<strong>la</strong> certificazione dell’effettivo svolgimento di quel<strong>la</strong><br />
grande battaglia:<br />
“certo che io resto molto meravigliato, che ritrovandosi molti historici di Alemagna, che<br />
confessando liberamente raccontano questa giornata, da alcuni trascuratamente venga<br />
taciuto, anzi espressamente negato, il fatto d’arme essere stato a Pirano, sotto <strong>la</strong> scorta del<br />
Doge Sebastiano Ziani, per il Papa, et di Ottone figliuolo di Federigo, per il padre:<br />
conciosia, che chiaramente si veda, che non potendo essere stato altrimenti, che come<br />
abbiamo raccontato noi nell’anno innanzi, et che gli Historici Tedeschi in più d’un luogo<br />
narrano, non so perché si taccia, o si niega da coloro, che per erudizione di dottrina, et per<br />
altre parte riguardevoli lo doverebbeno espressamente dire: ma avendone a parte fatto di ciò<br />
un lungo trattato, dove lungamente n più d’un luogo, et con infinite auttorità ho dimostro <strong>la</strong><br />
verità di questo fatto, tra<strong>la</strong>sciando ogn’altra cosa quivi mi riserbo a dimostrare quanto chi<br />
1014 Molto più problematico sul punto Nauclero, che in proposito in definitiva accusa il Papato di aver<br />
rivendicato una potestà temporale che non le apparteneva abrogando i diritti storici assunti dall’impero in<br />
materia di nomina di papi e di assegnazione di abbazie e vescovadi, senza dimenticare <strong>la</strong> sostanziale<br />
sconfessione delle conseguenze del<strong>la</strong> donazione di Costantino, tutti punti sui quali rinviamo a G. Falco, La<br />
polemica sul Medio Evo, cit., in partico<strong>la</strong>re pp. 66-67.<br />
1015 Sul<strong>la</strong> conflittualità interna all’impero e sullo scontro con <strong>la</strong> Chiesa rinviamo alle pp. 363-376; peraltro<br />
successivamente <strong>la</strong> Sassonia rimane solitaria a capeggiare <strong>la</strong> ribellione antimperiale per <strong>la</strong> sopravvenuta<br />
pacificazione tra l’imperatore ed il duca di Baviera sul<strong>la</strong> quale cfr. in partico<strong>la</strong>re p. 376.<br />
1016 Ivi, passo a p. 377.<br />
1017 In proposito vedi p. 437-438.<br />
1018 Ivi, vedi pp. 451-453.<br />
220
negando erri <strong>la</strong> presente Hi<strong>storia</strong> conforme alle scritture de’ Veneziani, il quale dopo queste<br />
nostre età si vedrà pubblicamente…” 1019<br />
Si tratta del<strong>la</strong> Vittoria navale ottenuta dal<strong>la</strong> Repubblica venetiana contra Ottone figliuolo di<br />
Federico primo imperatore…pubblicata da Francesco Ziletti nel 1584 1020 il cui intento<br />
celebrativo emerge in modo evidente già nel<strong>la</strong> dedica rivolta dall’autore in data 13 gennaio<br />
1583 al Doge ed al Consiglio dei dieci 1021 . Il Bardi infatti mette <strong>la</strong> sua documentazione a<br />
disposizione di una nuova rappresentazione pittorica del<strong>la</strong> battaglia, visto che quel<strong>la</strong> che si<br />
trovava nel<strong>la</strong> Sa<strong>la</strong> del Maggior Consiglio a pa<strong>la</strong>zzo ducale è andata distrutta in un<br />
incendio 1022 . Intento celebrativo non disgiunto dal<strong>la</strong> volontà di replicare a “coloro che”<br />
nonostante “l’erudizion di dottrina” negano l’effettivo svolgimento del<strong>la</strong> battaglia e cercano<br />
di sminuire il ruolo veneziano nelle vicende del 1177. Come rilevato da Tommaso de Vivo,<br />
tra i detrattori delle prerogative e dei meriti storici veneziani va annoverato senza dubbio<br />
Carlo Sigonio assertore in pieno clima di Controriforma dell’esigenza pontificia di affermare<br />
il <strong>prima</strong>to romano sul<strong>la</strong> cristianità con partico<strong>la</strong>re riguardo alle realtà politiche concorrenti<br />
del<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong>. Il Bardi inaugura <strong>la</strong> tendenza veneziana a documentare le prerogative politiche<br />
del<strong>la</strong> Serenissima attraverso l’evidenza delle fonti scritte e delle immagini, poi perseguita<br />
anche da altri storici veneziani memori delle istanze bardiane e partico<strong>la</strong>rmente sensibili agli<br />
attacchi di parte romana o asburgica specie nei momenti in cui a livello direttamente politicomilitare<br />
le fortune e le prerogative veneziane sono profondamente minacciate. In questo senso<br />
non va trascurato che proprio <strong>la</strong> sua Vittoria navale venga ripubblicata nel 1619 a cura di<br />
Antonio Pinelli nel momento di massima intensità dello scontro ispano-veneziano<br />
nell’Adriatico 1023 .<br />
Inoltre, allo scritto del 1584 il Bardi fa seguire <strong>la</strong> Dichiaratione di tutte le Storie che si<br />
contengono ne’ quadri posti nuovamente nelle sale dello Scrutinio, e del Gran Consiglio del<br />
Pa<strong>la</strong>gio ducale…del 1587. Opera quest’ultima celebrativa non soltanto del<strong>la</strong> battaglia del<br />
1019 Ivi, passo alle pp. 452-453. Nel precedente Sommario, cit., aveva portato a sostegno dell’effettivo<br />
svolgimento del<strong>la</strong> battaglia a p. 108 il Corio ed il Sabellico oltre ai “brevi del<strong>la</strong> Rep. di Venezia, veduti da me…”<br />
ed in cui si rinvia a quanto “di ciò abbastanza detto nel<strong>la</strong> mia i<strong>storia</strong> universale, che dopo <strong>la</strong> Cronologia verrà<br />
in luce…”.<br />
1020 Vittoria navale ottenuta dal<strong>la</strong> repubblica venetiana contra Ottone, figliolo di Federico primo imperatore.<br />
Per <strong>la</strong> restituzione di Alessandro Terzo, Pontefice massimo venuto a Venetia. Descritta da Giro<strong>la</strong>mo Bardi<br />
fiorentino, in Venetia appresso Francesco Ziletti MDLXXXIIII. Sul<strong>la</strong> vittoria navale del 1177 e sul<strong>la</strong> sua<br />
rilevanza nel<strong>la</strong> iconografia e nel<strong>la</strong> mitologia veneziana cfr. anche P. Ulvioni, Cultura politica e cultura religiosa<br />
a Venezia nel secondo Cinquecento. Un bi<strong>la</strong>ncio, in “Archivio storico italiano”, 1983, CXLI, pp. 591-651, p.<br />
612.<br />
1021 Ivi, infatti il Bardi si rivolge “Al Serenissimo doge di Venetia Nicolò da Ponte et alli illustrissimi et<br />
eccellentissimi Signori Capi del Consiglio dei Dieci” (Su Nicolò da Ponte cfr. <strong>la</strong> re<strong>la</strong>tiva voce Da Ponte Nicolò<br />
di G. Gullino in DBI, vol. XXXII, Roma 1986, pp. 723-728) non va dimenticato inoltre, che proprio un anno<br />
<strong>prima</strong> che quest’opera vada in stampa, il Bardi manifesti <strong>la</strong> sua pulsione veneziana attraverso <strong>la</strong> pubblicazione di<br />
un altro intervento letterario Delle cose notabili del<strong>la</strong> città di Venetia, Libri II…, in Venetia, presso gli eredi di<br />
Luigi Valvassori, et Giovan Domenico Micheli, MDLXXXIII.<br />
1022 Ivi, il Bardi scrive: “Havendosi a rinnovare nel<strong>la</strong> Sa<strong>la</strong> del maggior Consiglio le Historie, che<br />
rappresentavano le nobilissime pitture di Giovan Bellino, et di molti altri pittori illustri, consumate questi anni<br />
adietro dallo incendio, nelle quali si conteneva <strong>la</strong> venuta di Alessandro…et <strong>la</strong> Illustre vittoria ottenuta da quel<strong>la</strong><br />
illustrissima Repubblica…”.<br />
1023 Rinviamo a Tommaso de Vivo, Venetian Power, cit., sull’edizione secentesca del<strong>la</strong> Vittoria navale e<br />
soprattutto sulle caratteristiche del<strong>la</strong> storiografia Bardiana pp. 165-170, ivi, inoltre a proposito del<strong>la</strong> sua<br />
incidenza nel<strong>la</strong> storiografia veneziana successiva fino ai cambiamenti di impostazione determinati dal Sarpi e per<br />
le differenze con quest’ultimo vedi pp. 171-176. Inoltre, sul<strong>la</strong> storiografia di Sigonio, cfr. G. Costa, Le antichità<br />
germaniche, cit., che esalta Giustiniano come vendicatore del<strong>la</strong> romanità oppressa dall’elemento germanico,<br />
mettendo in evidenza <strong>la</strong> positività di quest’ultimo soltanto in re<strong>la</strong>zione al<strong>la</strong> sua integrazione nel<strong>la</strong> Koinè grecoromana<br />
e cattolica come nel caso dei Longobardi <strong>la</strong> cui opera economico-legis<strong>la</strong>tiva è direttamente corre<strong>la</strong>ta con<br />
<strong>la</strong> conversione al cattolicesimo, o di Teodorico ostrogoto che garantisce <strong>la</strong> Chiesa cattolica e consolida <strong>la</strong> civiltà<br />
romana a livello politico e di restaurazione degli antichi monumenti, mentre d’altra parte minimizza i danni<br />
arrecati a Roma dal sacco perpetrato da A<strong>la</strong>rico e dai Visigoti nel 410 d. C., in partico<strong>la</strong>re pp. 79-85.<br />
221
1177 ma di tutte le grandi battaglie del<strong>la</strong> <strong>storia</strong> veneziana e dello sforzo ormai ultimato di<br />
rappresentarle a Pa<strong>la</strong>zzo ducale, secondo l’ideazione formu<strong>la</strong>ta dai due senatori veneziani<br />
Jacopo Contarini e Jacopo Marcello, esposta a livello letterario dal Bardi. 1024<br />
Dunque una forte pulsione veneziana quel<strong>la</strong> del<strong>la</strong> storiografia bardiana che viene alimentata<br />
anche dal motivo pontificio e antimperiale precedentemente evidenziato. Nel<strong>la</strong> Vittoria navale<br />
infatti l’autore sostiene nuovamente il potere temporale dei papi in base al<strong>la</strong> donazione di<br />
Costantino e alle prerogative concesse da Carlo Magno e Ludovico il Pio al<strong>la</strong> Chiesa romana,<br />
con <strong>la</strong> conseguente denuncia del<strong>la</strong> vio<strong>la</strong>zione di esse compiute da Enrico IV e V 1025 .<br />
D’altra parte il Bardi conferisce il massimo rilievo al ruolo che <strong>la</strong> Serenissima svolge a<br />
tute<strong>la</strong>, sia delle prerogative pontifice e del<strong>la</strong> libertà italiana nei confronti del<strong>la</strong> minaccia dei<br />
mori, sia delle ragioni del<strong>la</strong> cristianità, come esemplificato dal contributo veneziano offerto<br />
nel<strong>la</strong> <strong>prima</strong> crociata 1026 . Quest’impressione del resto viene supportata anche dal passaggio de<br />
Le età in cui Giulio II “cominciò a condiscendere al<strong>la</strong> restituzione del<strong>la</strong> loro<br />
grandezza…facendo ogni opera che quel<strong>la</strong> Repubblica ornamento dell’antica libertà d’Italia,<br />
1024 Dichiaratione di tutte le Storie che si contengono ne’ quadri posti nuovamente nelle Sale dello Scrutinio, et<br />
del Gran Consiglio del Pa<strong>la</strong>gio ducale del<strong>la</strong> Sereniss. Repubblica di Venezia, nel<strong>la</strong> quale si ha piena<br />
intelligenza delle più segna<strong>la</strong>te vittorie conseguite di varie nazioni del mondo da Veneziani. In Venezia per<br />
Felice Valgrisi 1587, opera poi edita per Altobello Salicato nel 1602, 1606 e 1660. Al riguardo rinviamo a G.<br />
Mazzucchelli, Gli scrittori d’Italia: notizie storiche, e critiche intorno alle vite, e agli scritti dei letterati italiani<br />
di Giammaria Mazzuchelli bresciano, Brescia: Bossini 1753-1763, vol. II, parte <strong>prima</strong>, p. 178. L’edizione del<br />
1587 è dedicata dal Bardi in data 19 dicembre 1586 a Giovanni Cornaro, il cui casato viene celebrato per le<br />
imprese compiute in favore del<strong>la</strong> Repubblica veneziana, in primo luogo <strong>la</strong> donazione di Cipro effettuata<br />
dall’avo<strong>la</strong> di Giovanni, Caterina Cornaro a Venezia puntualmente poi menzionata alle pp. 55, 59-60 dell’opera.<br />
Inoltre sul<strong>la</strong> trasposizione letteraria di quanto proposto per le pitture dal Contarini e dal Marcelli vedi l’esplicito<br />
riferimento dell’autore alle pp. 63-64. Cfr. inoltre sul<strong>la</strong> nuova iconografia di Pa<strong>la</strong>zzo Ducale per quanto riguarda<br />
<strong>la</strong> ritrattistica dogale in AA.VV., I dogi, a cura di G. Benzoni, Mi<strong>la</strong>no, Electa, 1982, il saggio di Giandomenico<br />
Romanelli, Ritrattistica dogale: ombre immagini e volti, pp. 125-162, a p. 133 e soprattutto, sul contributo<br />
artistico del Tintoretto, P. Ulvioni, Cultura politica e cultura religiosa, cit., pp. 609-612 e ancora sullo scritto<br />
bardiano in questione anche G. Cozzi, “Storiografia veneziana”, cit., pp. 75-76, in partico<strong>la</strong>re <strong>la</strong> nota n. 107 a p.<br />
76. Inoltre, sull’iniziativa bardiana e sul suo significato, cfr. anche Wiliam J. Bouwsma, Venice, cit., pp. 224-227<br />
e sul valore delle immagini come fonte storica secondo <strong>la</strong> prospettiva bardiana cfr. Tommaso de Vivo, Venetian<br />
Power, cit., a p. 169.<br />
1025 Ivi, leggiamo infatti in linea con quanto osservato ne Le età…alle pp. 4a2-5a3 che “Che essendo stata <strong>la</strong><br />
Chiesa, et <strong>la</strong> dignità pontificale nell’Età più antiche, dal<strong>la</strong> Religiosa pietà, et liberalità, di molti imperatori<br />
Romani grandemente essaltata, et aggrandita, et principalmente da Costantino il Magno, Carlo il Grande, et<br />
Lodovico il Pio; si che oltre <strong>la</strong> plenaria et assoluta autorità spirituale, che si estendeva in ogni parte<br />
dell’universo, possedeva anco con giusti titoli, et con vere ragioni <strong>la</strong> Città di Roma, il Latio…il<br />
Piceno…l’Umbria….<strong>la</strong> Romagna…parte di Lombardia et Toscana…Ma essendo poi nata secondo <strong>la</strong> diversità<br />
de tempi, diversa disposizione verso <strong>la</strong> Chiesa, et de Pontefici Romani, ne gli animi de gli altri imperatori, che a<br />
quelli succederono, et in partico<strong>la</strong>re al quarto, et al quinto Arrigho; i quali veduto quanto <strong>la</strong> maestà dello<br />
Imperio si fosse ridotta in stato di gran lunga disuguale al<strong>la</strong> grandezza di <strong>prima</strong>; non tra<strong>la</strong>sciarono cosa<br />
intentata, quantunque violenta, per aggiudicarsi li stati temporali; che santa Chiesa, con giuste ragioni riteneva<br />
ne sopradetti luoghi d’Italia, calpestando anco l’auttorità spirituale, che nvio<strong>la</strong>bilmente se gli aspettava in tutte<br />
le parti dell’Universo; perciochè ritrovandosi per <strong>la</strong> diversità de gli accidenti molte delle Provincie del<strong>la</strong><br />
medesima Germania smembrate dal sacro Impero de loro predecessori…il che tollerandosi mal volentieri da’<br />
soprannominati Cesari…senza alcun rispetto empiamente confuse le cose sacre et le profane; perturbarono con<br />
con inusitata asprezza <strong>la</strong> quiete, et lo stato de’ sommi Pontefici…”.<br />
1026 Ivi, alle pp. 2a1-3a2 riguardo all’invincibilità veneziana sul mare leggiamo: “Ma quello che <strong>la</strong> resero più<br />
raguardevole, et veneranda, fu l’essere stati i veneziani in gran parte cagione, che i cristiani di Ponente, nel<br />
passaggio che fece Gofredo in terra santa, s’impadronissero e recuperassero di mano de gli infedeli di Soria il<br />
sacrosanto sepolcro di Cristo.[…]Ma ne qui fermandosi l’armi de’ Veneziani, anzi impiegandosi ogni giorno più<br />
a beneficio de fedeli; fecero quasi che nel medesimo tempo, l’istesso contra i Mori d’Africa, et di Barbaria; i<br />
quali perturbando con le armate loro le riviere d’Italia incenerirono molti luoghi del Mare inferiore, scorrendo<br />
fino al<strong>la</strong> Città di Roma, con grave pericolo et evidente danno de gl’Ita<strong>la</strong>ni, et de Pontefici Romani in<br />
partico<strong>la</strong>re[…]Conciosia, che rotti e fugati più d’una volta i Mori, liberarono tutta l’Italia, et massimamente i<br />
Pontefici dal<strong>la</strong> violenza di quelli[…]Da quali beneficij indotti gli Italiani, non solo onorarono universalmente<br />
tutti i Veneziani; ma gli Ottoni Imperatori di quei tempi, et i Pontefici primi, donatigli molte preminenze,<br />
riconoscendo <strong>la</strong> salvezza loro dalle religiose armi de’ Veneziani, di comun consenso gli chiamarono Difensori et<br />
propugnacolo del<strong>la</strong> Christiana religione ”.<br />
222
non fosse depressa dall’autorità et dal<strong>la</strong> forza de’ Barbari…” 1027 dopo che in precedenza<br />
aveva capeggiato l’attacco generalizzato contro i cittadini del<strong>la</strong> Serenissima agendo lui stesso<br />
come evidenzia l’autore “con le armi temporali…”. Valutazione ni cui non è difficile<br />
percepire una critica per quanto indiretta all’operato del pontefice nel momento in cui cerca di<br />
costringere all’impotenza Venezia, l’unico insostituibile baluardo delle libertà italiane e<br />
papali. L’errore di Giulio II viene del resto rimarcato dal repentino cambiamento che <strong>la</strong> sua<br />
precedente politica subisce 1028 .<br />
La stessa dedica del<strong>la</strong> Vittoria navale indirizzata al doge Niccolò da Ponte ed al Consiglio<br />
dei Dieci indica <strong>la</strong> necessità di esaminare attentamente <strong>la</strong> consistenza ed il rapporto tra le<br />
pulsioni veneziana e pontificia proposte dal Bardi 1029 . Il giudizio espresso dall’ex camaldolese<br />
ne Le età sul<strong>la</strong> politica decisamente non filocuriale nè filospagno<strong>la</strong> perseguita dal da Ponte,<br />
durante il cui dogato (1578-1585) il partito dei giovani inizia a prevalere in seno al patriziato<br />
veneziano sull’indirizzo più b<strong>la</strong>ndo e accondiscendente verso Spagna e Papato dei<br />
“vecchi” 1030 , infatti, rappresenta un nodo importante, come vedremo, per ponderare appieno le<br />
linee salienti del<strong>la</strong> storiografia bardiana.<br />
Fin’ora comunque <strong>la</strong> componente antimperiale dell’autore pienamente assodata, riceve<br />
ulteriore conferma nel modo in cui le fonti tedesche vengono private di credibilità perché<br />
attribuiscono erroneamente <strong>la</strong> morte di Enrico VII all’avvelenamento dei fiorentini 1031 .<br />
Non meno rilevante appare in questa direzione il ritratto negativo di Lodovico il Bavaro<br />
colpevole di esercitare <strong>la</strong> dignità imperiale, ottenuta con <strong>la</strong> designazione degli elettori, contro<br />
l’autorità del pontefice. Ludovico perseguita <strong>la</strong> Chiesa e viene più volte scomunicato dai<br />
pontefici anche perché colpevole del<strong>la</strong> generale confusione, divisione e distruzione che<br />
colpisce <strong>la</strong> Germania 1032 .<br />
Questi motivi antimperiali e contemporaneamente filoveneziani e filopapali pertanto,<br />
confermano una certa vicinanza con <strong>la</strong> prospettiva del<strong>la</strong> storiografia bartoliana ancora più<br />
evidente se scorriamo le fonti del<strong>la</strong> quarta ed ultima parte dell’opera, prevalentemente<br />
riconducibili all’ambito dell’umanesimo italiano e in gran parte coincidenti con quelle<br />
consultate anche dal preposto di S. Giovanni: Giovio, il Tarcagnota, Surio, Corio,<br />
Machiavelli, Buonfino, Giovanni Vil<strong>la</strong>ni ed i già menzionati Collenuccio, Palmieri, Paolo<br />
Emilio, Enea Silvio. Senza dimenticare, però per il Bardi anche le fonti principali attinte per<br />
le storie nazionali: Bel<strong>la</strong>io ed Tile prevalentemente per <strong>la</strong> Francia, Lillio ed Lesleo per<br />
1027 Le età, cit., passo a p. 847.<br />
1028 Ivi, passo cit. a p. 845 inoltre sull’attacco generalizzato a Venezia cfr. pp. 844-846.<br />
1029 Vedi supra p. 24 e nota n. 157. Inoltre sul<strong>la</strong> crescente rilevanza effettiva del Consiglio dei Dieci nel governo<br />
del<strong>la</strong> Serenissima secondo un processo di oligarchizzazione che depotenzia e svuota nel<strong>la</strong> pratica le competenze<br />
e le prerogative del Senato veneziano cfr. in AA.VV., I dogi, cit., il saggio di G. Benzoni, A proposito del doge,<br />
cit., pp. 45-72, in partico<strong>la</strong>re pp. 62-63.<br />
1030 Sul<strong>la</strong> formazione culturale, sugli orientamenti anticuriali e sulle propensioni politiche del Da Ponte e dei<br />
“giovani” e sul<strong>la</strong> sua elezione al dogado rinviamo a A. Stel<strong>la</strong>, Chiesa e Stato nelle re<strong>la</strong>zioni dei nunzi pontifici a<br />
Venezia. Ricerche sul giurisdizionalismo veneziano dal XVI al XVIII secolo, Città del Vaticano, 1964, pp. 12-16;<br />
cfr. anche in AA. VV., I dogi, cit., il saggio di Ugo Tucci, I meccanismi dell’elezione dogale, pp. 107-124, in<br />
partico<strong>la</strong>re p.122. Sul continuo contrasto del Da Ponte con le rivendicazioni romane in fatto di prerogative<br />
ecclesiastiche e di indici dei libri proibiti a detrimento del<strong>la</strong> autonomia del<strong>la</strong> Serenissima e del<strong>la</strong> tute<strong>la</strong> dei suoi<br />
interessi cfr. P. F. Glendler, L’inquisizione romana e l’editoria a Venezia 1540-1605 (traduzione italiana di<br />
Antonel<strong>la</strong> Barzazi dell’americano The Roman Inquisition and the Venetian Press 1540-1605, Princeton<br />
Univeristy Press, 1977), Roma, Il Veltro, 1983, pp. 70 e 74, 233, 244, 249, 287 e 335; cfr. inoltre<br />
sull’orientamento dei giovani P. Ulvioni, Cultura politica e cultura religiosa, cit., in partico<strong>la</strong>re pp. 615-616, e<br />
soprattutto G. Cozzi, La società veneziana del Rinascimento in un’opera di Paolo Paruta: “Del<strong>la</strong> perfettione<br />
del<strong>la</strong> vita politica”in “Atti del<strong>la</strong> deputazione di Storia Patria per le Venezie”, a. 1961, pp. 13-47, ora in id.,<br />
Ambiente veneziano, ambiente veneto, cit., pp. 155-183, in partico<strong>la</strong>re vedi pp. 175-181 e 183.<br />
1031 Le età, cit., p. 591 dove leggiamo: “Henrico ritiratosi dallo assedio di Firenze, morì a Buonconto del<br />
Sanese, di suo male, e non come dicono gli Historici Germani, di veleno procuratogli da’ Fiorentini, avendo<br />
<strong>prima</strong> fatto parentado con Federigo di Sicilia.”<br />
1032 In proposito ivi, cfr. pp. 592-619 e a titolo esemplificativo <strong>la</strong> seguente considerazione dell’autore a p. 614:<br />
“La Germania era tutta in arme, et parzialità per <strong>la</strong> empietà di Lodovico.”<br />
223
l’Inghilterra e <strong>la</strong> Scozia, Tarassa per <strong>la</strong> Spagna. Fonti peraltro abbandonate a partire dal 1561<br />
quando l’autore prosegue il suo sommario secondo <strong>la</strong> diretta osservazione dei fatti storici<br />
narrati o attraverso <strong>la</strong> testimonianza di osservatori in <strong>prima</strong> persona degli stessi, sul<strong>la</strong> falsariga<br />
del metodo applicato dal Giovio nelle sue Hi<strong>storia</strong>e 1033 .<br />
Inequivocabile appare in questa ultima parte dell’opera <strong>la</strong> condanna dell’eresia protestante<br />
fin dal suo capostipite Lutero del quale l’autore si occupa anche per il periodo precedente il<br />
1517 con un breve profilo biografico in cui scrive che il monaco sassone:<br />
“passato a Roma, e quivi nel mille cinquecento e otto, avuta una sentenza contra, sene<br />
ritornò sdegnato in Germania, dove nel<strong>la</strong> medesima città di Vertimberga…cominciò negli<br />
anni avvenire nelle dispute, a traviare dal<strong>la</strong> Santa Fede, disputando, et tenendo opinioni in<br />
ogni parte detestabili.” 1034<br />
Condanna, peraltro, rivolta anche al<strong>la</strong> “nefanda dottrina” di Zwingli 1035 , al<strong>la</strong> setta<br />
anabattista 1036 , a Calvino 1037 fino al palese apprezzamento per <strong>la</strong> morte di peste occorsa in<br />
Inghilterra nel 1551 ad un altro alfiere del<strong>la</strong> riforma protestante: Martin Bucero, di seguito<br />
al<strong>la</strong> notizia dell’azione di proselitismo svolta in Prussia da Andrea Hosiander:<br />
“nuovo Heresiarca uscito dal<strong>la</strong> diabolica setta di Luthero in campo con nuovi dogmi<br />
scandalosi, et ripieni dì incredibile impietà, attribuendo all’huomo prerogative degne del<strong>la</strong><br />
sua scelleratezza…” 1038 .<br />
Né sfugge all’autore <strong>la</strong> profonda connessione del problema del<strong>la</strong> dissidenza religiosa con <strong>la</strong><br />
dissidenza politica innanzitutto a proposito del<strong>la</strong> situazione interna all’impero germanico.<br />
Collegamento, peraltro già presente nel Giovio e nello stesso Bartoli e che diviene per l’ex<br />
camaldolese un ulteriore puntello al principio del<strong>la</strong> subordinazione dell’Impero al papato<br />
affermata anche per l’epoca contemporanea (non solo medievale) in antitesi alle asserzioni di<br />
Lutero che sostiene invece “<strong>la</strong> Germania et lo Imperio non esser sottoposti al<strong>la</strong> maestà<br />
Papale, ma doverseli con ogni potere resistere, allegando il Pontefice, et il Clero esser<br />
soggetti dello Imperio denegando in tutto e per tutto al<strong>la</strong> ragione Pontificia…” 1039 In questa<br />
direzione, d’altra parte assume un ben preciso significato il giudizio finale espresso su Carlo<br />
V certamente influenzato dall’istanza gioviana, ma addirittura più severo perché imperniato<br />
oltre che sul sacco del 1527, su un evento escluso dal<strong>la</strong> narrazione storica del comasco: <strong>la</strong><br />
grande affermazione imperiale del 1547’ a Muehlberg. L’immagine dell’imperatore infatti,<br />
viene grandemente offuscata, dalle atrocità del sacco di Roma del 1527 commesse dai suoi<br />
ministri 1040 e soprattutto dall’imperdonabile e inspiegabile politica di conciliazione con i<br />
principi protestanti, perché successiva al<strong>la</strong> vittoria di Muehlberg, espressa dall’interim di<br />
Augusta 1041 . I travagli degli ultimi anni del suo impero, pertanto, sono percepiti dall’autore<br />
1033 Ivi, oltre all’elenco delle fonti che si trova al<strong>la</strong> fine del<strong>la</strong> narrazione inerente al singolo anno vi è una<br />
parziale ricapito<strong>la</strong>zione delle fonti italiane e straniere utilizzate che lo integra a p. 1562 con <strong>la</strong> citazione dl<br />
Tarcagnota e <strong>la</strong> precisazione sui due Guicciardini e precede al<strong>la</strong> pagina seguente, (p.1563), l’annuncio bardiano<br />
del diverso modo di reperire i fatti storici narrati a partire dal 1561.<br />
1034 Ivi, passo a p. 943, cfr. inoltre, a titolo esclusivamente esemplificativo, vista <strong>la</strong> frequenza di notazioni<br />
offerte in proposito dall’autore, anche le pp. 973-974.<br />
1035 Ivi, passo a p. 1081.<br />
1036 Ivi, p. 1137.<br />
1037 Ivi, p. 1417 o, in termini ancora più evidenti, a p. 1448 sul<strong>la</strong> diffusione del calvinismo in Francia..<br />
1038 Ivi, passo a p. 1335.<br />
1039 Ivi, p. 959.<br />
1040 Sacco ampiamente descritto alle pp. 1066-1067.<br />
1041 Ivi, rinviamo complessivamente alle pp. 1521-1523, in partico<strong>la</strong>re a p. 1522 dove leggiamo che Carlo V<br />
“havendo permesso, che con inusitata immanità fosse da suoi avari ministri ingannato, et con tante ingiurie<br />
vilmente schernito il Sommo Pontefice Romano Clemente Settimo, supremo vicario di Cristo, né meno avesse<br />
assentito per le impenitenti domande de’ Germani, al pestifero Interim, certa cosa è che ei sarebbe stato<br />
224
come una meritata e sacrosanta punizione divina per questa decisione che ha gravi<br />
ripercussioni per <strong>la</strong> diffusione dell’eresia anche fuori dai confini imperiali e precipuamente in<br />
Inghilterra:<br />
“<strong>la</strong> concessione a’ Germani dello scandaloso Interim (se ben fatto da lui con buona<br />
intenzione) che fece stupendo meravigliare ciascuno, non si sapendo <strong>la</strong> cagione, poiché<br />
vittorioso de suoi ribelli, avendo in mano <strong>la</strong> spada del<strong>la</strong> Giustizia, pareva che fosse in potere<br />
suo lo sradicare…le scandalose zizzanie dell’heretica gravità, che contaminata quel<strong>la</strong><br />
Cattolica provincia, si di<strong>la</strong>tarono tanto oltre, che infettata <strong>la</strong> Inghilterra, hanno poco meno<br />
che ridotto il rimanente in estrema rovina, et miseria, onde non fu gran maraviglia, se per<br />
giusto decreto di Dio, negli ultimi anni del suo Imperio, provò con tanta acerbità di ria<br />
fortuna tanti travagli, avendo non solo poco <strong>prima</strong> sentita <strong>la</strong> seconda ribellione de’ Germani,<br />
eccitati dal duca Mauritio favorito grandemente da lui, ma perturbato dal<strong>la</strong> sollevatione de’<br />
Sanesi, si vidde torre molte città inpiamente, et nel<strong>la</strong> Fiandra, et quello che più lo accorò,<br />
vidde su gli occhi propij <strong>la</strong> rovina del suo florido esercito a Metz, et fu travagliato da tante<br />
noiose infermità, che finalmente ultimata <strong>la</strong> vita in Spagna, terminò il lungo corso del<strong>la</strong> sua<br />
vita ” 1042 .<br />
Il contrasto tra il corso felice di gran parte del regno di Carlo e l’ultima problematica fase<br />
del suo impero trova del resto eco e in parte spunto viste le coincidenze letterali, in un’altra<br />
fonte fiorentina de Le età connotata in senso antiasburgico: i Commentarii…delle cose più<br />
memorabili seguite in Europa specialmente in questi Paesi Bassi…di Lodovico<br />
Guicciardini 1043 . In quest’opera infatti, dedicata al duca Cosimo e pubblicata in <strong>prima</strong><br />
edizione veneziana nel 1566 dall’inquieto stampatore Domenico Farri 1044 , <strong>la</strong> menzione delle<br />
vittorie e dei celebri prigionieri dell’imperatore risulta identica a quel<strong>la</strong> de Le età:<br />
“Hebbe un perpetuo corso di felicità, intanto<br />
che oltre al grandissimo Imperio ch’ei<br />
dominava, et alle molte illustri vittorie<br />
conseguite, come <strong>la</strong> gran giornata di Pavia,<br />
“Hebbe insino a penultimi anni, <strong>la</strong> Fortuna<br />
quasi sempre prospera, in tanto che oltre al<br />
grandissimo Imperio, oltre a molte<br />
precarissime vittorie da lei concedutegli come<br />
reputato il maggiore di qualunque altro degli Imperatori Tedeschi: ma lo havere <strong>la</strong>sciato, spinto dal<strong>la</strong> propria<br />
passione, et da una certa vana, ambizione, che era in lui, che <strong>la</strong> città santa di Roma…fosse dalle fetide mani<br />
degli empii suoi soldati con tanta inaspettata barbarie vio<strong>la</strong>ta, in gran parte venne a denigrare quello splendore<br />
di caritevole pietà, che nel principio del suo Principato, con tanta sua gloria, et app<strong>la</strong>uso acquistato si aveva, et<br />
ciò tanto più lo rese nel<strong>la</strong> memoria de’ posteri degno di eterno basimo…”.<br />
1042 Ivi, passo a p. 1523.<br />
1043 Per le re<strong>la</strong>tive notizie biografiche su Lodovico Guicciardini rinviamo al<strong>la</strong> voce di D. Aristodemo,<br />
Guicciardini Lodovico in DBI, vol. LXI, Roma, 2003, pp. 121-127 e a Paolo Guicciardini, Il ritratto vasariano<br />
di Luigi Guicciardini. Contributo per <strong>la</strong> iconografia fiorentina all’avvento di Cosimo I, Firenze, L’Arte del<strong>la</strong><br />
stampa, 1942, in partico<strong>la</strong>re pp. 25-27; cfr. inoltre Zambrini Francesco, Cenni biografici intorno ai letterati<br />
illustri italiani: o breve memoria di quelli che co’ loro scritti illustrarono l’Italico idioma, Faenza: Montanari e<br />
Marabini, 1837, p. 315 e soprattutto a Inghirami Francesco, Storia del<strong>la</strong> Toscana, tomo XIII, 1844, p. 164 e a<br />
Melchiorre Roberti, Il Belgio descritto da un fiorentino del Cinquecento, Firenze, Regia deputazione di <strong>storia</strong><br />
patria, 1915, pp. 3-14; Casati Giovanni, Dizionario degli scrittori d’Italia dalle origini fino ai viventi, Mi<strong>la</strong>no,<br />
Ghir<strong>la</strong>nda, III voll., 1925-1934, III vol., p. 55 e Imperatori Ugo E., Dizionario degli italiani all’estero: dal sec.<br />
XIII sino ad oggi, Genova: Emigrante, 1956, p. 361.<br />
1044 Commentarii di Lodovico Guicciardini Delle cose più memorabili seguite in Europa specialmente in questi<br />
paesi Bassi, dal<strong>la</strong> pace di Cambrai, del MDXXIX, infino a tutto l’anno MDLX, libri tre. Al Gran Duca di<br />
Fiorenza et di Siena. In Vinegia appresso Domenico Farri, 1566 (sull’editore rinviamo al<strong>la</strong> voce Farri,<br />
Giovanni, Domenico, Onofrio e Giovanni Antonio di Marcello Brusegan in Dizionario dei Tipografi, cit., pp.<br />
424-428 in partico<strong>la</strong>re sul<strong>la</strong> sua attività da quando assume nel 1550 e fino al 1603, rispetto ai fratelli Giovanni e<br />
Giovanni Pietro, <strong>la</strong> tito<strong>la</strong>rità del<strong>la</strong> bottega creata dal padre Cristoforo quindi nel pieno del<strong>la</strong> crisi dell’editoria che<br />
coinvolge Venezia nel<strong>la</strong> seconda metà del XVI secolo, sul<strong>la</strong> scarsa partecipazione al<strong>la</strong> vita dell’Arte dei ligadori<br />
e stampatori veneziani e all’interesse suscitato negli “Esecutori contro <strong>la</strong> bestemmia” e nel “Sant’Uffizio”, vedi<br />
in partico<strong>la</strong>re ivi, pp. 424-427). La lettera dedicatoria ovviamente rivolta a Cosimo viene inviata da Anversa in<br />
data 1 gennaio 1965.<br />
225
<strong>la</strong> miserabil presa di Roma, <strong>la</strong> grave e<br />
pericolosa ribellione di Germania, hebbe<br />
anco prigioni i Re Francesco di Francia, et<br />
Arrigo di Navarra, il Sommo pontefice<br />
Clemente VII, i Duchi Carlo di Cleves, et<br />
Gian Federigo di Sassonia et di Brunswich,<br />
Filippo Langravio di Hassia, con molti altri<br />
Principi segna<strong>la</strong>ti[…]” 1045<br />
<strong>la</strong> gran giornata di Pavia, <strong>la</strong> miserabil presa<br />
di Roma,…<strong>la</strong> meravigliosa ribellione di<br />
Alemagna, el<strong>la</strong> gli diede anco prigioni, quasi<br />
tutti i suoi avversarij, come Francesco I, Re<br />
di Francia, Henrico re di Navarra, Clemente<br />
Settimo, Pontefice Romano, Guglielmo, Duca<br />
di Cleves, Giovanfederigo, duca di Sassonia,<br />
Ernesto Duca di Brunswich, Filippo,<br />
Langrave d’Hessia, et altri Principi et<br />
signori.” 1046<br />
Nondimeno anche le negative vicende politico-militari iniziate con <strong>la</strong> ribellione di Maurizio<br />
di Sassonia fino al<strong>la</strong> morte fisica del grande sovrano sono riferite in maniera analoga;<br />
leggiamo infatti nei Commentarii:<br />
“Ma in questi suoi ultimi tempi, pareva del<strong>la</strong> medesima Fortuna molto abbandonato,<br />
peroche egli vidde, et gustò molte cose d’amaro sapore, come <strong>la</strong> ribellione d’A<strong>la</strong>magna, <strong>la</strong><br />
ribellione dello Stato di Siena, <strong>la</strong> perdita di diverse terre nel Piemonte, <strong>la</strong> perdita di più terre,<br />
et sue, et dell’Imperio in queste bande, <strong>la</strong> rovina del suo esercito a Metz: et poi tante gravi et<br />
continue ma<strong>la</strong>ttie che presto il condussero a morte.” 1047<br />
Anche <strong>la</strong> col<strong>la</strong>zione concernente le vicende di Cristiano di Danimarca ci conforta<br />
sull’indirizzo sostanzialmente antiasburgico fin qui rilevato:<br />
“Nel qual tempo Christierno Re di<br />
Danimarca, di Norvegia, et di Svetia, che per<br />
le sue orrende crudeltà usate verso i suoi<br />
popoli, onde era avvenuto, ch’ei per tema di<br />
loro se ne era fuggito, del Regno insino<br />
l’anno 1523, trovandosi già tanto tempo esule<br />
in questi paesi dello Imperatore suo cognato<br />
(conciosia ch’egli aveva per moglie Isabel<strong>la</strong><br />
sua sorel<strong>la</strong>) fatta finalmente con molte<br />
difficultà un’armata per mare, andò per<br />
tentare <strong>la</strong> recuperatione del suo Imperio: nel<br />
quale, cioè in Danimarca, et in Norvegia, i<br />
popoli fuggito lui, avevano chiamato, et eletto<br />
per re Federigo Duca d’Olsatia suo Zio: et in<br />
Svetia, circa due anni appresso ribel<strong>la</strong>tisi,<br />
avevano creato per Re Gustavo del<strong>la</strong> famiglia<br />
de gli Henrichi. Contra quelli adunque<br />
spingendosi Christierno, et arrivato in quei<br />
Mari, perseguitato dal<strong>la</strong> fortuna, o più tosto<br />
da’ suoi horribili peccati, avendo fatto<br />
l’armata naufragio, et perduti molti de’ suoi<br />
soldati, fu facilmente rotto et fatto prigione da<br />
1045 Le età, cit., passo cit. a p. 1522.<br />
1046 Commentarii, cit., passo a p. 134i3.<br />
1047 Ibidem, cfr. con ultimo capoverso del passo a p. 29 del presente capitolo.<br />
“In questo tempo Christierno Re di<br />
Danimarca, di Norvegia, et di Svetia, il quale<br />
temendo per le orrende crudeltà, et inumanità<br />
usate, l’ira dei suoi popoli, et qualche<br />
soprastante movimento, s’era fuggito dal<br />
Regno insino l’anno MDLXXIII. Trovandosi<br />
già tanto tempo esule in questi paesi<br />
dell’imperatore suo cognato ( conciosia che<br />
egli aveva per moglie Isabel<strong>la</strong> sua sorel<strong>la</strong>)<br />
fatta finalmente con molte difficoltà<br />
un’armata per mare, andò per recuperare <strong>la</strong><br />
ricperatione del suo Imperio: nel quale, ciè in<br />
Danimarca, et in Norvegia, i popoli fuggito<br />
lui, avevano chiamato, et eletto per re<br />
Federigo Duca d’Olsatia suo zio: et in Svetta<br />
circa due anni appresso ribel<strong>la</strong>tisi, avevano<br />
creato per Re Gustavo del<strong>la</strong> famiglia degli<br />
Henrichi. Or arrivato Christierno in quei<br />
mari, perseguitato dal<strong>la</strong> Fortuna, o piuttosto<br />
da suoi horribili peccati, avendo fatto<br />
l’armata naufragio et perduti molti de suoi<br />
soldati, fu facilmente rotto, et fatto prigione<br />
226
Federigo, il quale poi insino al<strong>la</strong> morte lo<br />
ritenne meritatamente in carcere…” 1048<br />
dalli avversarij onde poi insino al<strong>la</strong> morte fu<br />
meritatamente custodito in carcere.” 1049<br />
A proposito del Guicciardini inoltre non va trascurato l’arresto subito nei Paesi Bassi dove<br />
vive dal 1550 al 1589 anno del<strong>la</strong> sua morte, ad opera del Duca d’Alba. L’Inghirami ne<br />
individua <strong>la</strong> causa nelle parole di biasimo rivolte all’indirizzo del Duca nelle Memorie…sopra<br />
quanto avvenne in Savoia 1050 . Invece, Roberti, e successivamente Paolo Guicciardini che<br />
evidenziano l’iniziale amicizia con il Duca D’Alba e <strong>la</strong> buona accoglienza ricevuta al<strong>la</strong> corte<br />
spagno<strong>la</strong> di Anversa, addebitano l’arresto sul<strong>la</strong> falsariga del<strong>la</strong> testimonianza del De Thou al<strong>la</strong><br />
proposta fatta al governatore spagnolo di abolire le tasse del<strong>la</strong> quaresima in quanto non<br />
conformi alle “nuove tendenze religiose di quei tempi”. Proposta verbale in difesa di artigiani<br />
e commercianti addirittura accompagnata da una formu<strong>la</strong>zione scritta all’interno del crescente<br />
e diffuso malcontento provocato dalle decisioni del duca d’Alba che arresta il Guicciardini nel<br />
1567 1051 .<br />
Rispetto all’indubbia convergenza in direzione antiasburgica non possono tra<strong>la</strong>sciarsi alcuni<br />
motivi di differenziazione tra i due storici. Nello stesso giudizio concernente Carlo V, sopra<br />
riportato, infatti, dove il Guicciardini par<strong>la</strong> come vediamo di “Fortuna” il Bardi interpreta i<br />
travagli imperiali come conseguenza del<strong>la</strong> punizione divina che sanziona le nefaste scelte<br />
imperiali del Sacco di Roma e dell’Interim di Augusta del 1548. Viceversa, nel Guicciardini<br />
<strong>la</strong> notizia dell’ Interim viene riportata in modo del tutto neutro 1052 e manca <strong>la</strong> volontà punitiva<br />
bardiana verso i protestanti. Non va trascurato in questo senso a livello biografico un altro<br />
arresto di cui Lodovico è vittima nel maggio 1569 a Bruxelles su denuncia del Sant’Uffizio<br />
per re<strong>la</strong>zioni con i protestanti 1053 . Nei Commentarii inoltre l’autore tributa un chiaro elogio<br />
all’irenico Erasmo 1054 , e soprattutto interpreta <strong>la</strong> disgrazia di Carlo V come <strong>la</strong> conseguenza<br />
dell’indomita lotta per <strong>la</strong> libertà che vede protagoniste le città franche dell’Impero germanico<br />
quelle cioè “che riconoscendo in certi pagamenti determinati, l’autorità dell’Imperio, si<br />
governano in tutte l’altre cose per se medesime: non intente ad ampliare il loro territorio, ma<br />
a conservare <strong>la</strong> propria libertà” 1055 . Emblema del<strong>la</strong> resistenza al centralismo asburgico è<br />
Magdeburgo perché durante l’assedio che subisce per ordine dell’imperatore ad opera di<br />
Maurizio di Sassonia, quest’ultimo si risolve all’alleanza con <strong>la</strong> Francia e concede al<strong>la</strong> città un<br />
accordo che ne salvaguardi l’autonomia politico-religiosa, come apprendiamo dal<br />
Guicciardini:<br />
“Essendo restata ostinatamente <strong>la</strong> città di Maidemburgo, una delle terre franche di<br />
Germania…senza voler accordar con Cesare…et l’imperadore vi mandò un esercito, sotto il<br />
1048 Le età, cit., passo alle pp. 1133-1134; cfr. come anche in precedenza l’ex camaldolese riferendo<br />
dell’organizzazione del regno effettuata da Federico, una volta sventata <strong>la</strong> minaccia costituita dal tentativo<br />
militare di Cristiano del 1523 dichiari: “fra tanto dato nuova forma al governo del<strong>la</strong> Dania, e perciò fatte molte<br />
provisioni, si stabilì nel Regno, preparando contro il Barbaro Tiranno molte genti, in caso che ritornasse ad<br />
assalirlo.” A p. 1001.<br />
1049 Ivi, a p. 11a6. Inoltre sul<strong>la</strong> positività dell’opinione dell’autore su Federico in antitesi a Cristiano cfr. anche<br />
le parole spese sul<strong>la</strong> morte del re danese a p. 15a8: “Nel principio dell’anno MDXXXV morì Federico Re di<br />
Danimarca, principe benigno et giusto, a cui successe il figliolo Cristiano degno veramente del padre.”<br />
1050 F. Inghirami, Storia del<strong>la</strong> Toscana, cit., dove viene avanzata l’ipotesi secondo <strong>la</strong> quale il Guicciardini fu<br />
allontanato da Firenze a causa di alcuni nemici interni al<strong>la</strong> corte medicea.<br />
1051 Paolo Guicciardini, Il ritratto vasariano, cit., pp. 126-127 e Melchiorre Roberti, Il Belgio, cit., pp. 5-6, e in<br />
partico<strong>la</strong>re passo virgolettato a p. 6.<br />
1052 Ivi, p. 61d7.<br />
1053 Paolo Guicciardini, Il ritratto vasariano, cit., p. 27.<br />
1054 Ivi, passo a p. 21b3 sul<strong>la</strong> sua morte: “Del mese di Luglio morì a Basilea Desiderio Erasmo Rotteradamo<br />
Ho<strong>la</strong>ndese, d’età intorno a settanta anni, huomo di tanta letteratura, et di esquisita dottrina in tutte le scienze,<br />
che all’età sua (come si vede per infinite sue opere e movimenti) non hebbe forse pari, degno veramente d’esser<br />
agguagliato a gli Heroi, et d’esser celebrato da ciascuno.”<br />
1055 Ivi, passo cit. a p. 54d3.<br />
227
governo del Duca Mauritio di Sassonia, per ridur<strong>la</strong> con l’arme all’ubbidienza imperiale. Il<br />
quale Mauritio statovi col campo molti mesi attorno, fece diverse attioni militari…ma<br />
rispondendogli quelli di dentro…non si veniva al<strong>la</strong> conclusione. In questo tanto essendo<br />
sollecitato Mauritio dai figluioli del Langrave, di mantener <strong>la</strong> promessa di far restituire il<br />
padre loro…in libertà…egli ne pregava…Cesare…Imperò non se ne risolvendo ancora sua<br />
maestà i Francesi compresi questi humori operarono che…essi Mauritio dall’amicitia di<br />
Cesare segretamente alienarono: et seco et con altri Alemanni fecero…più stretta<br />
congiuntione…Mauritio finse ultimamente nel mese di Novembre di far un accordo con quel<strong>la</strong><br />
città, assai onorato et utile in apparenza per l’Imperatore, ma in effetto benché copertamente,<br />
fu tale che <strong>la</strong> Religione Luterana, di che era <strong>la</strong> questione, et <strong>la</strong> libertà del<strong>la</strong> terra non furono<br />
alterate. La onde i Maidemburghesi quando si scoperse poi il secreto di questo accordo per<br />
tutta l’Alemagna, n’acquistarono honore et grado, n’acquistarono honore et grado, parendo<br />
a ciascuno, che essendo eglino stati i soli in quel<strong>la</strong> Provincia, a contendere con un tanto<br />
Imperatore armato, et vittorioso, avessero dato grandissimo esempio di fortezza et di<br />
costanza, a tenersi più d’un anno, come fecero et al<strong>la</strong> fine ottenere condizioni donde fusse poi<br />
proceduto, che tutta <strong>la</strong> Germania nel<strong>la</strong> pristina libertà si fusse agevolmente vendicata. Et nel<br />
vero, chi considera bene all’impresa di questa terra, dette <strong>la</strong> volta <strong>la</strong> buona fortuna di<br />
Cesare.” 1056<br />
Muehlberg dove peraltro, come sottolinea il Guicciardini l’imperatore ha prevalso grazie al<br />
suo valore sulle numerose forze del<strong>la</strong> Lega Smalcaldica, ha costituito soltanto una parentesi,<br />
<strong>prima</strong> del completo fallimento dei suoi propositi accentratori. 1057<br />
Nel Bardi, invece <strong>la</strong> notizia dell’assedio a Magdeburgo è riferita senza enfasi, e appare del<br />
tutto secondaria e ininfluente nel determinare l’orientamento antimperiale di Maurizio. L’ex<br />
camaldolese individua le ragioni del mutamento di alleanze di Maurizio, da una parte<br />
nell’avversione per le risoluzioni adottate al concilio di Trento, dall’altra all’avvilimento<br />
provocato dal mancato adempimento all’impegno assunto da Carlo V di liberare il Langravio<br />
d’Assia 1058 . In definitiva, il nesso tra dissenso politico e religioso ben presente ad entrambi,<br />
viene giudicato con accento diverso a proposito del<strong>la</strong> Germania, in una luce sostanzialmente<br />
positiva dal Guicciardini e negativa dal Bardi, nel quale i motivi antiasburgico e<br />
antiprotestante coincidono. Evidente invece risulta <strong>la</strong> propensione filo-tedesca del<br />
Guicciardini, pienamente espressa nel<strong>la</strong> sua opera maggiore di carattere storico-geografico: <strong>la</strong><br />
Descrittione…di tutti i paesi Bassi altrimenti detti Germania inferiore… 1059 . Già <strong>la</strong> dedica<br />
indirizzata a Filippo II in data 20 ottobre 1566 sembra in qualche modo alludere al<strong>la</strong> difficile<br />
fase attraversata dai Paesi Bassi in re<strong>la</strong>zione al<strong>la</strong> decisa centralizzazione perseguita dal<br />
sovrano spagnolo in contrasto con <strong>la</strong> <strong>storia</strong>, le istituzioni e le esigenze di quei popoli.<br />
L’assenza fisica diventa tra le righe anche motivo di distanza spirituale e chiusura mentale<br />
alle priorità dei Paesi Bassi e al valore di quelle terre:<br />
1056 Ivi, pp. 68e2-69e3, anno 1551.<br />
1057 Ivi, pp. 53d3-55d4.<br />
1058 Le età, cit., alle pp. 1329-1330 infatti leggiamo: “Fra il qual tempo Cesare publicò molti editti contra gli<br />
Heretici nel<strong>la</strong> nuova Dieta fatta in Augusta…al<strong>la</strong> qual Dieta Mauritio Duca di Sassonia non vuolse intervenire,<br />
ma mandati i suoi procuratori protestò a Cesare di non volere accettare il Concilio che tuttavia, si seguitava a<br />
Trento, se i teologi del<strong>la</strong> confessione Augustana non avevano <strong>la</strong> istessa autorità di diffinire le cose del<strong>la</strong><br />
religione, come il Concilio. Del che grandemente commossosi Cesare si preparò per diffendersi dalle arme di<br />
quel Duca, che di già si era mosso con le sue genti contro <strong>la</strong> città di Madesburgo[…]richiesto Cesare…a<br />
ri<strong>la</strong>sciare il Langravio, costantemente lo denegò, allegando no essere obligato…poiche conforme alle<br />
obligationi, non erano stati interamente osservati gli ordini, et i capitoli, che concernevano le cose del<strong>la</strong><br />
religione: di che sdegnatisi quei Principi fecero nuova unione fra loro…”.<br />
1059 Descrittione di M. Lodovico Guicciardini patrizio fiorentino, di tutti i Paesi Bassi, altrimenti detti<br />
Germania inferiore. Con più carte di Geographia del paese, e col ritratto naturale di più terre principali, al gran<br />
Re cattolico Filippo d’Austria, in Anversa, MDLXVII, appresso Guglielmo Silvio.<br />
228
“Io haro finito forse a tempo…questa mia descrittione, per poter mandare nelle presenti<br />
occasioni…un ritratto al naturale di questi suoi bellissimi, et nobilissimi paesi Bassi,<br />
acciochè el<strong>la</strong> riveduto, et riconosciuto a parte a parte per iscritto, et in pittura, un membro<br />
tanto importante di tutto il suo Imperio, s’accenda di desiderio, di tornar quanto <strong>prima</strong> a<br />
rivederlo, et esaminarlo effettualmente in propria forma, et natura; si come per molte cause,<br />
et ragioni, richiede, et ricerca tutta <strong>la</strong> Provincia.” 1060<br />
Infatti, fin dalle prime pagine <strong>la</strong> Descrittione è funzionale, da un <strong>la</strong>to ad esaltare i Paesi<br />
Bassi come <strong>la</strong> parte più civile e progredita a livello economico, urbano, artistico, politico del<strong>la</strong><br />
Gallia Belgica, dall’altro a rimarcare l’origine germanica del suo popolo. L’autore ricorre in<br />
questo senso soprattutto a Cesare che nega <strong>la</strong> provenienza gallica dei Fiamminghi, e a Tacito<br />
che certifica anche a livello linguistico <strong>la</strong> matrice tedesca delle genti fiamminghe.<br />
Derivazione, del resto, sostenuta per costumi e leggi anche con l’ausilio del cosmografo coevo<br />
Gemma Frisio. Il Guicciardini inoltre, sul<strong>la</strong> falsariga tacitiana ripropone quel nesso tra vigoria<br />
fisica e militare e spirito di libertà ed autonomia propri delle stirpi germaniche in rapporto ai<br />
Fiamminghi. In questa direzione celebrativa <strong>la</strong> geografia svolge pienamente il suo compito<br />
attraverso una panoramica estremamente positiva dei caratteri, delle risorse naturali e delle<br />
attività economiche svolte nelle Fiandre. 1061 La centralità ed il <strong>prima</strong>to dell’elemento<br />
germanico evidenziate indirettamente attraverso questo celebrativo prospetto geograficostorico<br />
dei Paesi Bassi, richiama fortemente il Giambul<strong>la</strong>ri piuttosto che le età bardiane. Né<br />
va tra<strong>la</strong>sciato in questo senso, il collegamento di tipo artistico che l’autore del<strong>la</strong> Descrittione<br />
stabilisce direttamente con <strong>la</strong> peniso<strong>la</strong> a proposito del<strong>la</strong> diretta filiazione del<strong>la</strong> grande arte<br />
fiamminga del Cinquecento dal<strong>la</strong> tradizione e dal genio italico 1062 . Apparentamento<br />
probabilmente non avulso da istanze almeno <strong>la</strong>tamente o nascostamente politiche.<br />
Certo, rispetto al<strong>la</strong> Storia d’Europa <strong>la</strong> prospettiva guicciardiniana si caratterizza in chiave<br />
anticentralistica e cittadina, attenta ad esaltare il pluralismo del<strong>la</strong> forma costituzionale dei<br />
Paesi Bassi e le sue prerogative di autonomia dal<strong>la</strong> monarchia asburgica. In questo senso non<br />
va trascurato l’accostamento del sistema istituzionale e politico dei Paesi Bassi<br />
all’organizzazione propria dello stato francese, sia riguardo alle strutture governative, sia in<br />
materia di attribuzione di benefici ecclesiastici soltanto formalmente conferiti dal pontefice. Il<br />
Guicciardini giudica l’assetto politico francese quale “governo veramente ottimo, et<br />
approvato da tutti gli uomini” rimarcandone <strong>la</strong> continuità “essendo passati più di mille anni,<br />
che dura in quel reame, senza variazione alcuna” 1063 . Inoltre, si conferma nell’analisi delle<br />
istituzioni politiche l’attenzione attribuita al livello locale e all’elemento cittadino che<br />
costituisce l’autentico perno del<strong>la</strong> evoluta civiltà o<strong>la</strong>ndese come attesta in modo esemp<strong>la</strong>re il<br />
caso del<strong>la</strong> città di Anversa. Fulcro a livello politico ed economico del<strong>la</strong> realtà o<strong>la</strong>ndese,<br />
Anversa è nonostante <strong>la</strong> sua soggezione formale all’impero, una repubblica, autonoma nel<strong>la</strong><br />
sostanza che risponde all’ideale polibiano del governo misto. Infatti scrive il Guicciardini:<br />
“ha…per suo signore, et Principe il duca di Brabante, come Marchese del Sacro Imperio,<br />
ma con tanti e tali privilegi obtenuti ab antico, che el<strong>la</strong> come da per se (salvo sempre il iure<br />
et superiorità del Principe) quasi a modo di città libera, et di Repubblica si regge e si<br />
governa. Anzi questo è un modo a mio giudizio poco differente, se fusse pero totalmente<br />
osservato, da <strong>la</strong> forma, che da Polibio…al<strong>la</strong> vera e felice Repubblica, perché vuole che el<strong>la</strong><br />
sia mesco<strong>la</strong>ta de tre stati Monarchia, Aristocratia, et Democrazia, dove il Principe ritenga il<br />
suo imperio, gli ottimati <strong>la</strong> loro autorità, et il popolo <strong>la</strong> potestà et l’armi. Questo è quel<br />
temperamento, che mantenne molti secoli <strong>la</strong> Repubblica de Lacedemoni, questo è quel<br />
1060 Al Gran Re cattolico[…]D’Anversa alli XX d’Ottobre MDLXVI.<br />
1061 Ivi, pp. 3b2-28d2 inoltre, a proposito del carattere germanico dei Fiamminghi e degli autori attraverso cui il<br />
Guicciardini lo certifica cfr. le considerazioni di G. Costa, Le antichità germaniche, cit., pp. 65-76.<br />
1062 Melchiorre Roberti, Il Belgio, cit., vedi in partico<strong>la</strong>re pp. 8-10.<br />
1063 Ivi, p. 32d4.<br />
229
temperamento, che ha lungamente mantenuto, et manterrà felice (a Dio piacendo) <strong>la</strong> città<br />
d’Anversa…” 1064 .<br />
Del resto, non vanno dimenticati proprio a giustificazione del<strong>la</strong> prevalenza del motivo<br />
cittadino nel<strong>la</strong> Descrittione due elementi, uno più strettamente inerente l’opera stessa, l’altro<br />
di tipo biografico. La pubblicazione e le numerose ristampe dell’opera beneficiano delle<br />
sovvenzioni del figlio di Filippo II Don Carlos e dei contributi di Leida, Utrecht e Anversa<br />
che conferisce al Guicciardini addirittura una pensione. Ludovico figlio di Jacopo fratello del<br />
più noto Francesco, nato nell’agosto 1521 emigra a ventisei anni da Firenze, sia per ragioni di<br />
mercatura, sia probabilmente a causa del passato antimediceo del padre unico tra i fratelli ad<br />
avversare i Medici <strong>prima</strong> e durante l’assedio di Firenze. Da quel momento Ludovico inizia<br />
una peregrinazione da Lione a Bruges ed Anversa nel tentativo con i vari Guicciardini dediti<br />
in questi centri al<strong>la</strong> mercatura di intraprendere con successo l’attività per poi dedicarsi dopo<br />
un sostanziale fallimento, all’attività letteraria con ben altri risultati 1065 .<br />
Al di là di questi elementi, comunque i motivi di autonomia pluriseco<strong>la</strong>re e <strong>prima</strong>to di<br />
Anversa sono ulteriormente ribaditi anche nel breve discorso…delle cause del<strong>la</strong> grandezza di<br />
Anversa 1066 e perfettamente in linea con <strong>la</strong> preminenza assegnata alle città franche<br />
dell’Impero nei Commentarii. 1067<br />
Posizioni che sono in parte convergenti con quelle bardiane almeno nel<strong>la</strong> loro valenza<br />
antiimperiale come vedremo più avanti (e quindi in antitesi rispetto al<strong>la</strong> Storia d’Europa),<br />
anche in re<strong>la</strong>zione alle valutazioni che l’ex camaldolese svolge sul<strong>la</strong> situazione dell’impero<br />
d’occidente (al di là del timido tentativo di salvare le apparenze), nelle pagine conclusive<br />
dell’opera che seguono gli eventi del 1580 e costituiscono una sorta di sintetica panoramica<br />
finale sui diversi stati del continente e sui loro governi. Giudizi finali ricchi di spunti<br />
significativi, sia per quanto concerne <strong>la</strong> limitata autonomia offerta all’idea imperiale<br />
dall’autore, sia ancora con specifica attenzione al<strong>la</strong> situazione tedesca 1068 .<br />
Il Bardi infatti afferma a sostanziale ed esplicito svuotamento del valore e del significato<br />
dello schema delle sei età che “pochi sono stati quei popoli, et quelle nationi, che non<br />
habbino più di una volta provate gravi e perniciose revolutioni; poiché nel<strong>la</strong> <strong>prima</strong> età,<br />
prevaluti alle altre genti gli Assirij, continovorono per lungo spatio di tempo…ma essendo<br />
superati da’ Persi, et questi da Greci, et i Greci da Romani…Né qui finendo <strong>la</strong> instabile<br />
alteratione, i medesimi Romani, che più degli altri, per <strong>la</strong> forma del governo parevano<br />
doversi perpetuare, soprapresi <strong>prima</strong> dalle guerre civili, et perciò ridottisi in molte difficoltà,<br />
passarono poco appresso, sotto il grave dominio de’ Cesari, dipendendo dallo arbitrio, et dal<br />
valore di un solo; <strong>la</strong> qual sorte di Dominio, apportati seco mille strani accidenti…non<br />
havendo mai durato molto lo Imperio in una stirpe so<strong>la</strong>; finalmente divisosi, fu ridotto, e da<br />
gli Heruli, et da Goti, e da’ Vandali, e da Longobardi in termini gravi, et pericolosi;<br />
conciosia che depredato et dal<strong>la</strong> barbarie di quelli e dal<strong>la</strong> ambitione de’ proprii abitatori,<br />
<strong>la</strong>cerato e guasto, si è andato a poco a poco reducendo in istato di gran lunga differente da<br />
quello che egli era; di maniera che estintosi lo imperio de’ Greci dalle armi degli Infedeli…et<br />
finalmente caduto sotto <strong>la</strong> tirannide de Turchi; essendo restato in Occidente più tosto<br />
l’apparenza, et <strong>la</strong> immagine dello Imperio, che <strong>la</strong> esistenza di questo. ” 1069<br />
1064 Ivi, su Anversa complessivamente pp. 62i4-126q4 e passo riportato a p. 90n4. Inoltre sull’esaltazione del<strong>la</strong><br />
città nell’opera in questione cfr. Melchiorre Roberti, Il Belgio, cit., pp. 11-13.<br />
1065 Paolo Guicciardini, Il ritratto vasariano, cit., pp. 25-26.<br />
1066 Questo Discorso di M. Ludovico Guicciardini delle cause del<strong>la</strong> grandezza di Anversa viene pubblicato nei<br />
Tre discorsi appartenenti al<strong>la</strong> grandezza delle città. L’uno di M. Ludovico Guicciardini. L’altro di M. C<strong>la</strong>udio<br />
Tolomei. Il terzo di M. Giovanni Botero. Raccolti da Messer Giovanni Martinelli, in Roma, appresso Giovanni<br />
Martinelli MDLXXXVIII, alle pp. 5aa3-8aa4.<br />
1067 Ivi, a p. 8aa4 l’autore dichiara “che se tu ne cavi Parigi, non troverai di qua da monti terra più ricca, ne più<br />
potente di lei. Onde per più vie somministra favore, e vigor grande a tutti questi paesi Bassi.”.<br />
1068 Ivi, pp. 2204-2221.<br />
1069 Ivi, passo cit. alle pp. 2205-2206.<br />
230
Non soltanto, <strong>la</strong> forza storico-politica di questo schema sembra scolorirsi nel presente ma<br />
addirittura ne viene sottilmente sminuito il valore in termini assoluti nel momento in cui si<br />
addebita <strong>la</strong> nascita dell’impero romano, che costituiva nell’immaginario europeo paradigma<br />
esemp<strong>la</strong>re dell’ideale imperiale, all’irrimediabile crisi del<strong>la</strong> Roma repubblicana sconvolta<br />
dalle guerre civili.<br />
Corol<strong>la</strong>rio generale che trova puntuale riscontro nel<strong>la</strong> caratterizzazione dell’impero<br />
germanico nel segno dell’impotenza del potere centrale di Rodolfo II rispetto ai principi<br />
territoriali, in sostanziale continuità col giudizio formu<strong>la</strong>to sull’ultimo periodo dell’impero di<br />
Carlo V, vista <strong>la</strong> costante equazione tra debolezza del potere politico e trionfo dell’eresia<br />
(peraltro con allusione in questo caso anche a Inghilterra e Paesi Bassi). Scrive il Bardi che in<br />
Germania si trova “<strong>la</strong> dignità imperiale, donata a questa natione da Gregorio V di questo<br />
nome; del<strong>la</strong> quale essendo oggidì Capo Ridolfo di tal nome secondo…riservandosi le ragioni<br />
del comandare, et le vere ricchezze di questa Regione appresso i Principi partico<strong>la</strong>ri, et<br />
appresso le terre Franche, le quali unitesi in numero di sessanta insieme, diffendono contro<br />
ciascuno <strong>la</strong> libertà loro, in modo, che a’ Cesari poco o nul<strong>la</strong> rimane, da gli stati ereditarij<br />
impoi in questa Provincia; nel<strong>la</strong> quale sono anco mancati gli huomini grandi, et famosi nelle<br />
lettere e nelle armi, poiché immersi nelle false dottrine, hanno rivolti tutti i loro pensieri alle<br />
proprie sodisfattioni sensuali, avvenendo a questi lo istesso, che al<strong>la</strong> Inghilterra, e al<strong>la</strong><br />
Fiandra, che è di mesco<strong>la</strong>re nelle fatiche loro qualche opinione contraria al vero, e<br />
contraddicente alle determinazioni di Santa Chiesa; <strong>la</strong> onde non volendo far mentione de gli<br />
huomini famosi, che vi si ritrovano, per tema di non lodare qualch’uno di dottrina, che fosse<br />
Heretico di opinione et di operazioni, farò al suo luogo poi mentione tra gli uomini illustri, di<br />
alcuni uomini di quei paesi, eccellenti in qualche professione.” 1070<br />
Dove chiaramente l’elemento costituito dalle città franche rimarcato per <strong>la</strong> sua consistenza<br />
di realtà economico-politica autonoma all’interno dell’assetto imperiale, diversamente che nel<br />
Guicciardini, viene però mal visto in quanto corrosivo e antitetico rispetto all’effettiva<br />
preponderanza ed efficacia del potere centrale e formale dell’imperatore.<br />
Dunque un Bardi fortemente critico anche sull’operato degli Asburgo d’Austria a cui Carlo<br />
V assegna <strong>la</strong> potestà imperiale in seguito al<strong>la</strong> divisione dei suoi domini, che svaluta<br />
ulteriormente <strong>la</strong> realtà imperiale contemporanea. La sua attenzione verso gli sviluppi imperiali<br />
più recenti viene segna<strong>la</strong>ta anche dalle vite di Ferdinando primo e Massimiliano II che<br />
compone per <strong>la</strong> nuova edizione del<strong>la</strong> traduzione di Lodovico Dolce delle Vite degli imperatori<br />
romani composte da Pedro Mexia. Rispetto a Le età nel<strong>la</strong> rapida biografia dell’imperatore<br />
Ferdinando i fatti come l’Interim e <strong>la</strong> successiva ribellione del duca Maurizio di Sassonia a<br />
Carlo V sono riportati in modo però molto più asettico e neutro anche se ferma resta <strong>la</strong><br />
condanna dell’eresia luterana e del<strong>la</strong> ribellione dei principi territoriali tedeschi all’autorità<br />
imperiale 1071 .<br />
1070 Ivi, passo alle pp. 2210-2211.<br />
1071 Vite di tutti gl’Imperatori romani, composte in lingua spagnuo<strong>la</strong> da Pietro Messia, et da M. Lodovico<br />
Dolce nuovamente tradotte et ampliate. Alle quali da Giro<strong>la</strong>mo Bardi monaco camaldolese sono state in questa<br />
quinta impressione aggiunte le vite di Ferdinando I et di Massimiliano II imperatori, in Venezia, appresso<br />
Alessandro Griffio 1578, <strong>la</strong> parte aggiunta dal Bardi va da p. 531 a 547. La dedica del Bardi si rivolge ad<br />
“Alessandro Calini gentiluomo bresciano. Di Venetia addì 28 Aprile 1578”. A proposito dell’Interim del 1548<br />
infatti leggiamo a p. 539: “sopravvenne l’anno MDXLVIII, nel mezo del quale, hauto dopo molti ragionamenti<br />
un sinodo in Augusta insieme all’Imperatore, furono pubblicate le quindici costituzioni aspettanti al<strong>la</strong> Religione,<br />
con patto espresso da osservarsi fino al<strong>la</strong> Resolutione del Concilio di Trento, La qual provisione fu chiamata<br />
INTERIM” e del<strong>la</strong> successiva ribellione di Mauritio di Sassonia a p. 541 “per <strong>la</strong> guerra avvenuta in Germania<br />
tra l’Imperadore suo fratello et Mauiritio duca di Sassonia.” Sul<strong>la</strong> costante stigmatizzazione dell’eresia luterana<br />
e del<strong>la</strong> ribellione dei principi tedeschi all’autorità imperiale cfr. p. 536 e ancora 539. Inoltre gli espliciti rinvii ad<br />
una successiva i<strong>storia</strong> universale (diversa dal<strong>la</strong> Cronologia per il numero dei tomi che sarebbero dovuti essere<br />
16 e non 2, ma di cui ci ragguaglia soltanto il Negri, Storia, cit., dicendo peraltro che è rimasta manoscritta e non<br />
indicandone comunque l’ubicazione) a <strong>la</strong>tere delle pagine con annesse indicazioni di fonti come ad esempio alle<br />
pp. 536 dove si nominano il Roseo ed il Giovio, a p. 539 ancora Roseo ed il Surio ci confortano, al di là del<strong>la</strong><br />
231
Del resto, vanno tenute presenti, sia <strong>la</strong> diversa ampiezza e il differente grado di organicità<br />
tra Le età e le due piccole biografie imperiali pubblicate ben tre anni <strong>prima</strong>, sia <strong>la</strong> mancanza<br />
in queste ultime di una compiuta valutazione dell’operato di Carlo V.<br />
Ne Le età, in netto contrasto con il tenore delle parole spese per Carlo V, saltano subito agli<br />
occhi gli elogi rivolti a Filippo II per le sue qualità individuali e per <strong>la</strong> sua potenza, basata su<br />
risorse molto più effettive di quelle a disposizione degli Asburgo d’Austria e notevolmente<br />
rafforzata dal<strong>la</strong> recente acquisizione del Portogallo:<br />
“è reputato essere Principe fra gli altri potentissimo, et formidabile, le cui forze quando<br />
fossero unite insieme, sarebbono di infinito terrore al mondo, ma separate, et tutte fra se<br />
diverse di costumi, di abiti, di aria di Cielo, et di Clima, sono anco così mal disposte verso il<br />
proprio Principe, dinegando obbedire a’ ministri di lui, onde già molti anni vinendo sempre<br />
in guerra, hanno destrutti i proprii paesi, come dalle cose descritte si può vedere. Questo<br />
Principe adunque, et per <strong>la</strong> grandezza degli stati, et per <strong>la</strong> moltitudine delle forze,<br />
potentissimo di tutti i Principi Christiani, vien comunemente reputato il contrappeso delle<br />
forze de’ Turchi, et <strong>la</strong> principal diffesa de’ Fedeli; et avendo nuovamente aggiunto a proprii<br />
Regni quello di Portogallo, cresciute con <strong>la</strong> reputazione le forze, si ha acquistato appresso<br />
ciascuno opinione di valore, et di bontà singo<strong>la</strong>re, avendo ridotta tutta <strong>la</strong> Spagna sotto il<br />
dominio di lui; et a Portoghesi fatte quelle essentioni, et agevolezze, che gli sono state<br />
possibili. Et se bene l’avaritia insaziabile, <strong>la</strong> sfrenata libidine, et <strong>la</strong> crudeltà più che barbara<br />
di alcuni de’ suoi, lo hanno reso odioso a ‘ proprij sudditi, di tutte le province, et sospetto a’<br />
Principi christiani, temendo, che non si voglia insignorire delli stati altrui: Tuttavia<br />
piacevolissimo di sua natura, et di animo grato, và con molta sollecitudine procurando di<br />
sincerare ciò non nascere da lui, ma dal<strong>la</strong> colpa di coloro, che dovrebbono conforme al<strong>la</strong> sua<br />
buona intenzione, eseguire i voleri, et le deliberazioni di lui, non havendo mai altro in mente,<br />
né in pensiero, che assicurare il mondo di contentarsi di, tutto ciò, che debitamente se gli<br />
aspetta. Questi avendo appresso di se uomini in ogni attiene singo<strong>la</strong>ri, ha nel<strong>la</strong> Spagna molti<br />
pre<strong>la</strong>ti et per <strong>la</strong> dottrina et per <strong>la</strong> bontà esemp<strong>la</strong>ri, de’ quali al presente sono gli Arcivescovi<br />
di Toledo, et di Siviglia, di Granata di Valencia, et di Hispa<strong>la</strong>, con molti vescovi, come di<br />
Sa<strong>la</strong>manca, di Corduba, et il Bracarense, con molti altri pre<strong>la</strong>ti minori…de’capitani più<br />
celebri il Duca d’Alva, il Marchese di Aiamot, Don Sancio di Au<strong>la</strong>, senza molti altri capitani<br />
illustri d’Italia, che in varii luoghi lo servono, oltre a gli uomini di stato, come il cardinal<br />
Spinosa, et altri molti che per brevità non si nominano. ” 1072<br />
Questo quadro per quanto celebrativo presenta tuttavia due possibili fattori di<br />
contraddizione interna. Da una parte l’odio nutrito dai sudditi dei tanti domini asburgici verso<br />
Filippo II a causa delle malversazioni di ministri corrotti ed incapaci, dall’altra il sospetto che<br />
il figlio di Carlo V agisca non tanto per <strong>la</strong> difesa dell’Europa cristiana contro il nemico<br />
ottomano quanto per soddisfare <strong>la</strong> propria ambizione di potenza. Problemi del resto appena<br />
suggeriti in chiusura d’opera ma già affiorati in alcuni punti specifici dello scritto bardiano. In<br />
proposito ci sembra interessante il riferimento al Duca d’Alba fatto in re<strong>la</strong>zione a due eventi<br />
di indubbia importanza quali <strong>la</strong> guerra ispano-pontificia del 1556-1557 e l’insurrezione dei<br />
Paesi Bassi.<br />
A proposito dell’ultima parte delle guerre d’Italia certamente non è del tutto semplice e<br />
immediato definire il ruolo assegnato al Duca d’Alba a causa delle fonti impiegate<br />
dall’autore. Il Bardi, infatti, ricorre a Mambrino Roseo, al Tarcagnota ed a Onofrio Panvinio,<br />
ricchi di ripensamenti e sfumature nel<strong>la</strong> valutazione degli eventi concernenti <strong>la</strong> figura di Paolo<br />
distinzione tra <strong>la</strong> Cronologia e l’ipotetica Storia universale, viste le fonti ravvisate nel<strong>la</strong> <strong>prima</strong>, di una<br />
sostanziale continuità tra Le età e queste due biografie per <strong>la</strong> quale vedi infra p. seguente.<br />
1072 Ivi, passo alle pp. 2208-2209<br />
232
IV ed <strong>la</strong> guerra ispano-pontificia del 1556-1557 1073 . In realtà l’autore, come dimostra il<br />
confronto filologico e le sue stesse indicazioni sulle fonti 1074 attinge copiosamente alle<br />
aggiunte del Roseo al Delle Historie del mondo…del Tarcagnota 1075 . Queste aggiunte<br />
costituiscono un passo indietro almeno parziale rispetto all’indirizzo filocarafiano del<strong>la</strong><br />
precedente Prosecuzione del Compendio delle storie del Regno di Napoli del Collenuccio,<br />
nel<strong>la</strong> direzione dell’orientamento più marcatamente filospagnolo del Tarcagnota, peraltro<br />
mediato nelle pagine bardiane dall’influenza dell’ultimo rifacimento del<strong>la</strong> biografia di Paolo<br />
IV compiuto dal Panvinio nel 1568 1076 .<br />
D’altra parte, sul<strong>la</strong> falsariga del Delle Istorie viene registrato il clima di sospetto suscitato<br />
dal pontefice con gli arresti dei funzionari e dei sostenitori asburgici comminati dal Papa, <strong>la</strong><br />
confisca del feudo dei Colonna, l’influenza a Roma dell’esule fiorentino Pietro Strozzi, il<br />
radicato odio antiasburgico di Paolo IV, l’ambasceria in Francia del Carafa, <strong>la</strong> fortificazione<br />
di Roma e l’arruo<strong>la</strong>mento di soldati. Tuttavia l’autore non manca di sottolineare <strong>la</strong> reciprocità<br />
del sospetto alimentato anche dal contegno del Duca d’Alba 1077 che nei fatti rende inevitabile<br />
un conflitto, che nessuna delle due parti intimamente avrebbe voluto, con <strong>la</strong> marcia su<br />
Paliano 1078 , come traspare dalle parole bardiane:<br />
“Da i quali andamenti si fece giudicio, che ciascuna delle parti, non pensando di muoversi<br />
guerra, si provvedessero per sospetto l’un dell’altro, ma gli effetti, che si videro poi di havere<br />
il Vice Re, che fu il primo a muoversi, levò cotal dubbio dal<strong>la</strong> mente de gli uomini…” 1079 .<br />
In questa direzione non va trascurato d’altra parte come l’autore riferisca le parole di<br />
Regnard, ambasciatore spagnolo al<strong>la</strong> corte di Francia, che risponde alle <strong>la</strong>mentele di Enrico II<br />
per <strong>la</strong> rottura del<strong>la</strong> tregua compiuta dal<strong>la</strong> Spagna sostenendo “che ciò non era avvenuto per<br />
consentimento di esso Re Filippo suo Signore, che ne aveva avuto dispiacere, et aveva scritto<br />
al Duca d’Alva, che si togliesse dal<strong>la</strong> impresa” e di seguito, alle ulteriori obiezioni del<br />
sovrano francese sul<strong>la</strong> ben diversa sostanza del<strong>la</strong> situazione reale l’ambasciatore spagnolo<br />
“detestando l’ostinazione del Duca D’Alva, affermava e replicava, che dal suo Re gli era di<br />
nuovo stato scritto, che dovesse <strong>la</strong>sciare l’armi, né molestare in conto alcuno lo Stato<br />
ecclesiastico, restituendo quel che aveva tolto.” 1080 Senza contare l’insincera proposta di<br />
1073 Ivi, rinviamo alle pp. 1562 e 2196. Inoltre sul<strong>la</strong> loro storiografia e sui capovolgimenti prospettici che<br />
assume se del caso rinviamo a A. Aubert, Paolo IV, cit., in partico<strong>la</strong>re pp. 163-194.<br />
1074 Il Bardi ricorre Historie del Mondo…1562 del Tarcagnota ma aggiornate fino a includere gli eventi del<strong>la</strong><br />
guerra ispano-pontificia dallo stesso Roseo, ma in una prospettiva anti-carafiana (rispondente peraltro all’ottica<br />
del Tarcagnota ed all’indirizzo del nuovo pontificato di Pio IV) come confermato nel Sommario a p. 200 dove il<br />
Bardi diversamente da Le età specifica a proposito degli “Historici universali” di utilizzare “Giovanni<br />
Tarcagnotta ed il Roseo che scrivono dal principio del mondo fino al 1558”. Sulle linee storiografiche dei due<br />
storici rinviamo a A. Aubert, Paolo IV, cit., pp. 189-194.<br />
1075 Delle Historie del mondo, Parte terza. Aggiunte da M. Mambrino Roseo da Fabriano alle Historie di M.<br />
Giovanni Tarcagnota…in Vinegia, MDXCII, appresso i Giunti (d’ora in poi Delle Historie).<br />
1076 Hi<strong>storia</strong> B. P<strong>la</strong>tinae De vitis Pontificum Romanorum, A. D. N. Iesu Christo Usque ad Paulum II. Venetum,<br />
Papam longe quam antea emendatior, doctissimarumque annotationum Onuphriy Panvinij accessione nunc<br />
illustrior reddita. Cui Eiusdem Onuhrji Accurata atque fideli opera, reliquorum quoque Pontificum vitae, usque<br />
ad Pium V. Pontificem Max. nunc recens adiuncta sunt. Inoltre a proposito dell’evoluzione del<strong>la</strong> posizione<br />
storiografica del Roseo vedi A. Aubert, Paolo IV, cit., pp. 189-194.<br />
1077 Le età, vedi pp. 1419-1423 e cfr. Delle Historie, cit., pp. 512-515; inoltre in proposito cfr. A. Aubert, Paolo<br />
IV, cit., p. 192.<br />
1078 Sul<strong>la</strong> linea storiografica del Roseo durante il pontificato carafiano rinviamo ad A. Aubert, Paolo IV, cit., pp.<br />
189-191, in partico<strong>la</strong>re sulle responsabilità del Duca d’Alba, p. 193.<br />
1079 Le età, cit., passo alle pp. 1423-1424, cfr. con Delle historie a p. 519: “Il duca d’Alva avendo le sue genti in<br />
punto….se ne venne nel mese di settembre a San Germano, e dopo l’haver preso Pontecorvo, che fu principio<br />
del<strong>la</strong> Guerra…”..<br />
1080 Ivi, rinviamo alle pp. 1442-1443, passi cit. a p. 1443; cfr. Delle Historie a p. 525-526: “Dicono, che gli<br />
aveva l’ambasciator risposto, che non era stato di consentimento del Re suo, il quale ne aveva avuto dispiacere,<br />
et che aveva scritto al Duca d’Alva, che si togliesse da quel<strong>la</strong> impresa. …Regnard…di nuovo detestando<br />
233
cessazione delle ostilità formu<strong>la</strong>ta dal Duca al Papa nel momento in cui si trova ben dentro al<br />
territorio dello stato pontificio, e non pone come precondizione doverosa ad ogni trattativa, il<br />
proprio ritiro dal territorio pontificio invaso ed occupato al momento.<br />
La volontà di pacificazione e di conciliazione manifestate dal Duca, pertanto, costituiscono,<br />
esclusivamente una facciata dietro al<strong>la</strong> quale si nasconde perfino l’intenzione di deporre Paolo<br />
IV ed eleggere un nuovo pontefice, punita con <strong>la</strong> scomunica al Duca quale “scismatico in<br />
voler dare un altro Papa al<strong>la</strong> Chiesa…” 1081 .<br />
Lo stesso soccorso recato ai Colonna eretici nonché parimenti scomunicati ha costituito una<br />
palese e sprezzante contravvenzione del<strong>la</strong> “sentenza del Sommo Vicario di Cristo, <strong>la</strong> quale da<br />
ciascun Cristiano, o giusta o ingiusta, deve sempre esser temuta…” 1082 Contemporaneamente<br />
poi, il Bardi ricorda il divieto di Paolo IV al<strong>la</strong> partecipazione del cardinal Carafa all’incontro<br />
di Grottaferrata con il duca per cercare un’intesa generale e giustifica in termini assai vaghi <strong>la</strong><br />
sua chiusura “o…che temesse di qualche inganno, o pure per altra cagione…” 1083 . Del resto,<br />
si sottolinea come nel momento in cui Filippo II “mostrando per suoi agenti, segni di<br />
umanità, et di umiltà verso il Papa, il che fu <strong>la</strong> principal cagione che le cose del<strong>la</strong> pace si<br />
venissero disponendo a quel fine che si desiderava” 1084 Paolo IV, svaniti i timori di un<br />
accordo lesivo dell’onore ed del prestigio del<strong>la</strong> Chiesa di Roma, cambi atteggiamento a<br />
dimostrazione del<strong>la</strong> sua buona fede. Una chiarezza di fondo da parte pontificia ulteriormente<br />
comprovata poi, una volta trovato l’accordo tra Papato e Spagna dall’impegno profuso per<br />
favorire l’intesa franco-spagno<strong>la</strong> 1085 .<br />
L’immagine in linea con il ritratto di Papa ze<strong>la</strong>nte del<strong>la</strong> religione e del<strong>la</strong> sfera spirituale<br />
avulso dalle questioni temporali e dal<strong>la</strong> guerra provocata sostanzialmente dai suoi parenti,<br />
campione del<strong>la</strong> Controriforma viene del resto certificata nel giudizio bardiano sul<strong>la</strong> sua morte:<br />
“Conciosia che ze<strong>la</strong>ntissimo dell’honore di Dio, rinovata con maggior diligenza, et con più<br />
conveniente severità <strong>la</strong> Santa Inquisitione, contra coloro, che si aderivano al<strong>la</strong> Heretica<br />
pravità, haveva severissimamente fatti castigare tutti coloro, che erano stati trovati colpevoli<br />
di così nefande opinioni, generando gran terrore in tutti i suoi sudditi, i quali avvezzi a vivere<br />
con più licenza, che non si richiedeva allo stato loro…lo tassavano di molte cose,<br />
rimproverando come per partico<strong>la</strong>re difetto de suoi più intimi, lo stato del<strong>la</strong> Chiesa aveva<br />
patito una guerra tanto pericolosa, che se i nemici non avessero avuto tanto rispetto al<strong>la</strong><br />
Maestà Pontificale, sarebbono incorsi nello istesso infortunio, che ne’ tempi di Clemente VII<br />
l’ostinatione del Duca d’Alva, affermava e replicava, che dal suo Re, gli era stato nuovamente scritto, che<br />
dovesse <strong>la</strong>sciar quell’armi, né molestasse in conto alcuno lo stato del<strong>la</strong> Chiesa, anzi restituisse il mal tolto.”<br />
1081 Ivi, passo a p.1435; cfr. inoltre pp. 1432 e soprattutto sul<strong>la</strong> volontà del duca d’Alba di sostituire a Paolo IV<br />
un altro pontefice p. 1434. In proposito cfr. il passo Delle Historie, cit., a p. 521 dove i timori scatenati<br />
dall’avanzata del Duca d’Alba sono evidenti: “La presa di questi luoghi apportò gran spavento in Roma; perché<br />
molti, che si avevano pensato, che fosse <strong>la</strong> guerra del Duca d’Alva più tosto difensiva, che offensiva, et che<br />
avesse armato per difendersi…e sospettarono, che avesse avuto ordine…di usurparsi quelle terre, ma il Duca<br />
d’Alva volendo mostrare, che non le pigliava per ritenerle per il suo Re, ma per aver partico<strong>la</strong>r gara co’l Papa,<br />
che minacciava torgli il Regno, faceva dipinger nelle porte dei luoghi che veniva pigliando, l’arme del sacro<br />
Collegio, protestando di tenerle ad instanza di esso, e per il Papa futuro.”<br />
1082 Ivi, passo a p. 1432, cfr. Delle Historie, cit., a p. 520 dove il Papa rispondendo all’accusa del Duca d’Alba<br />
di aver dato ricetto ai nemici di Cesare replica che lui: “non solo aveva dato ricetto a suoi ribelli, ma a<br />
scomunicati, et interdetti, sprezzava <strong>la</strong> sententia del pastore che giusta o ingiusta deve esser temuta.”<br />
1083 Ivi, vedi pp. 1435-1436.<br />
1084 Ivi, passo a p. 1479.<br />
1085 Ivi, cfr. pp. 1485-1486 cfr. ancora Delle Historie, cit., a p. 563: “Il Re Filippo dopo l’aver ottenuta <strong>la</strong> bel<strong>la</strong><br />
vittoria di San Quintino, scrisse lettere al<strong>la</strong> Signoria di Vinetia, dandole nuova di quel<strong>la</strong> felice vittoria, e<br />
soggiungendo, che con tutto ciò egli non voleva perseverare nel<strong>la</strong> guerra contra <strong>la</strong> Chiesa, e che molto<br />
desiderava, che fosse composta, e quietata, pregando<strong>la</strong> che quando fra <strong>la</strong> Chiesa, et il Duca d’Alva suo generale<br />
fosse stata qualche controversia nel venire al<strong>la</strong> pace, el<strong>la</strong> avesse voluto entrar nel mezzo per troncar<strong>la</strong>, perchè<br />
egli in lei rimetteva ogni differenza[…]Molti Cardinali in questo tempo, che si erano sempre adoperati, et<br />
avevano al Papa persuasa <strong>la</strong> pace, al<strong>la</strong> quale non mostrava egli essere renitente, quando vi avesse veduta<br />
servata <strong>la</strong> reputazione del<strong>la</strong> Chiesa…”<br />
234
si era incorso. Tali erano le querele del popolo Romano verso <strong>la</strong> persona del morto Pontefice<br />
Paolo quarto: Pontefice se gli si leva l’impeto, et <strong>la</strong> colera, che era naturalmente in lui, di<br />
somma bontà, pietà, et Religione Cattolica…” 1086<br />
Anche se evidentemente non si tace del temperamento iracondo di Paolo IV né dell’odio e<br />
del<strong>la</strong> paura che <strong>la</strong> sua azione riformatrice ed inquisitoriale suscita. Elementi chiaramente<br />
enucleati e sviluppati nel Delle istorie. Fatto che conferma ancora una volta ed esplicitamente<br />
il costante richiamo a quelle pagine, fatto salvo il ben diversi accenti bardiani. Infatti, se nel<br />
Delle Istorie si parte da questi sentimenti connessi al<strong>la</strong> lotta all’eresia per concludere col<br />
dubbio amletico se Paolo IV sia stato uomo “di buona volontà o maligna” ne Le età l’accento<br />
viene posto come vediamo sul<strong>la</strong> immoralità e poca religione dei sudditi del pontefice 1087 . Il<br />
Bardi, complessivamente fa sua l’immagine di Paolo IV campione del cattolicesimo, avulso<br />
da ogni responsabilità diretta nel<strong>la</strong> guerra contro <strong>la</strong> Spagna di cui vengono incolpati i nipoti<br />
sul<strong>la</strong> falsariga dell’ultimo Panvinio e del<strong>la</strong> linea processuale impostata contro i Carafa da Pio<br />
IV 1088 .<br />
Prospettiva che trova riscontro anche nel<strong>la</strong> menzionata vita di Ferdinando che è in realtà<br />
precedente di ben tre anni al<strong>la</strong> pubblicazione del<strong>la</strong> Cronologia. Biografia nel<strong>la</strong> quale il Bardi<br />
elogia anche il ruolo svolto da Ferdinando nelle vesti di pacificatore tra Paolo IV e Filippo II<br />
nei seguenti termini:<br />
“s’intromesse tra Filippo e’l Papa, che per consiglio del cardinal Caraffa suo nepote<br />
guerreggiava, con quel Re, che gl’indusse a far pace, con contento universale di tutti i<br />
Principi Cristiani.”<br />
Paolo IV anche qui alfiere del<strong>la</strong> pace generale dell’Europa come documenta il p<strong>la</strong>uso<br />
comminato per l’intesa raggiunta tra Filippo II ed Enrico II ancora con il contributo di<br />
Ferdinando:<br />
“Ferdinando fece ogni opera che Filippo si pacificasse con Arrigo Re di Francia…La qual<br />
pace pubblicata per tutta <strong>la</strong> Cristianità fu grandemente lodata da Paolo IV…”.<br />
Tra le righe tuttavia l’autore <strong>la</strong>scia affiorare degli nidizi che contraddicono questo generale<br />
clima di ritrovato idillio dell’Europa cristiana e insinuano alcune ombre anche sul<strong>la</strong> asserita<br />
felicità di Paolo IV. In primo luogo Ferdinando deve attendere <strong>la</strong> morte del pontefice<br />
napoletano e l’elezione di Pio IV per ottenere <strong>la</strong> sanzione papale al<strong>la</strong> nomina già ottenuta<br />
dagli elettori imperiali. In secondo luogo si ricordano le spaccature del conc<strong>la</strong>ve che ha<br />
elevato al<strong>la</strong> tiara Angelo de’ Medici al<strong>la</strong> fine di un lungo scontro interno, elemento presente<br />
anche nel Roseo 1089 e nei Commentarii del Guicciardini. Lodovico in realtà assume una<br />
1086 Ivi, pp. 1538-1539.<br />
1087 Delle Historie, cit., pp. 609-611, in partico<strong>la</strong>re alle pp. 610-611 leggiamo: “Fu questo Pontefice nell’attioni<br />
del suo governo così vario, che <strong>la</strong>sciò il mondo dubbioso nel giudizio del<strong>la</strong> sua vita, se era stato uomo retto, e di<br />
buona volontà, o pure maligno, quantunque il popolo Romano sdegnato lo reputasse senza dubbio cattivo.”<br />
1088 Sul<strong>la</strong> prospettiva panviniana del<strong>la</strong> biografia di Paolo IV del 1568 rinviamo a A. Aubert, Paolo IV, cit., pp.<br />
175-180.<br />
1089 La vita di tutti gli imperatori romani, cit., passi e riferimenti al<strong>la</strong> mancata sanzione di Paolo IV all’elezione<br />
di Ferdinando a p. 542 poi sancita da Pio IV, <strong>la</strong> cui meritoria opera di riapertura e conclusione del Concilio di<br />
Trento viene celebrata nel<strong>la</strong> pagina seguente. Sui contrasti interni al conc<strong>la</strong>ve ne Le età vedi pp. 1542-1543 in<br />
cui leggiamo: “Intanto, cioè dopo <strong>la</strong> morte del sopraddetto Pontefice Paolo quarto, si erano rinchiusi i<br />
Cardinali nel Conc<strong>la</strong>vi, per fare <strong>la</strong> nuova elettione, per infino nel sesto dì di Settembre passato, dove per le<br />
molte emu<strong>la</strong>zioni, che erano fra loro, stettero appresso quattro mesi, senza fare resolutione di cosa tanto<br />
importanti, finalmente <strong>la</strong> notte del<strong>la</strong> natività di nostro signore, elessero concordemente al Pontificato, il<br />
Cardinal Giovanni de’ Medici…Principe letterato, et apparente di buona qualità, come presto diede manifesto<br />
segno, il quale facendo nel principio del suo Pontificato, fra le altre cose, <strong>la</strong> restituzione di Paliano, et del<br />
restante suo stato a Marco Antonio Colonna, chiamò poi come si dirà, il Concilio.” momento di riapertura del<br />
235
posizione più univoca rispetto all’ex camaldolese e nell’insieme di segno opposto in quanto<br />
incentrata sulle esclusive responsabilità di Paolo IV e dei suoi parenti nel provocare e<br />
alimentare il conflitto, sul<strong>la</strong> buona e generosa disponibilità di Filippo II e del Duca d’Alba<br />
verso il pontefice, sui rilievi all’eccessivo rigore inquisitoriale di Papa Carafa, sugli elogi a<br />
Pio IV 1090 .<br />
concilio “Il Pontefice Pio, considerato il perturbatissimo stato del<strong>la</strong> religione, non pretermettendo l’occasione,<br />
che ne porgeva <strong>la</strong> pace universale, intimò…con gran soddisfazione di molti Principi, <strong>la</strong> continovazione del<br />
Concilio Generale, il quale per causa delle guerre, per molti anni si era intermesso…” vedi ne Le età, p. 1555 e<br />
su tutti i suddetti elementi cfr. anche il Sommario a p. 193. Sul Roseo vedi nel Delle istorie, cit., sul conc<strong>la</strong>ve che<br />
elegge Pio IV, p. 613 dove leggiamo: “Durò tutto questo conc<strong>la</strong>ve, che alcuni cardinali vi s’infermarono a<br />
morte…Fu finalmente assunto al Pontificato <strong>la</strong> notte dopo quel<strong>la</strong> di Natale di quest’anno Gian Angelo<br />
Cardinale de’ Medici, huomo letterato, et d’integra vita, con grande app<strong>la</strong>uso del popolo…”. Inoltre,<br />
l’attenzione al<strong>la</strong> mancata conferma papale a Ferdinando poi concessa da Pio IV e al lungo conc<strong>la</strong>ve che lo<br />
designa al<strong>la</strong> tiara si trova in un’altra opera del Tarcagnota Del sito, et lodi del<strong>la</strong> città di Napoli con una breve<br />
i<strong>storia</strong> de re suoi, et delle cose più degne altrove ne medesimi tempi avenute di Giovanni Tarchagnota di Gaeta,<br />
Appresso Giovanni Maria Scoto, MDLXVI, in Napoli, in partico<strong>la</strong>re pp. 168-169.<br />
1090 Nei Commentarii infatti a p.. 103g4 l’autore indica piuttosto chiaramente le consapevoli<br />
responsabilità romane nel conflitto:”Ma già in questo mezzo per varie cagioni, et<br />
principalmente perché il pontefice aveva spogliato Marcantonio Colonna di Paliano, et del<br />
resto del suo stato con maggiori disegni, si roppe guerra tra esso Pontefice e questo re.”;<br />
evidenzia poi l’ostinazione di Paolo IV che non intende accettare le oneste condizioni<br />
offertegli da Marcantonio Colonna e dal Duca d’Alba dopo S. Quintino (battaglia che segna<br />
secondo l’autore l’inizio del declino francese e in cui mette in risalto il risolutivo contributo<br />
militare apportato dai Borgognoni all’affermazione asburgica in proposito vedi ivi pp. 106g6-<br />
109g7 e 111g8) “di maniera che non volendo l’ostinato pontefice accettare honeste<br />
condizioni, risolverono d’andar sollecitamente all’improviso, a capito<strong>la</strong>re con l’armi<br />
Roma…” Soltanto nel momento in cui il duca di Guisa riceve l’ordine di Francesco II di<br />
tornare in patria il pontefice è costretto ad avviare le trattative di pace (ivi p. 114h1) e a p.<br />
115h2 il Guicciardini chiosa sull’accordo di Cave nei seguenti termini: “Di maniera che il<br />
Papa provocatore del<strong>la</strong> guerra, et vinto, ottenne per bontà del Re, quelle condizioni che se<br />
fusse stato provocato, et vincitore appena harebbe potuto ottenere.”<br />
Del resto il giudizio sul<strong>la</strong> morte di Paolo IV del Guicciardini a p. 144i8 è perfettamente in<br />
linea con i passi precedenti e costituisce un ulteriore segnale del diverso atteggiamento verso<br />
<strong>la</strong> politica inquisitoriale carafiana rispetto al Bardi: “terminò <strong>la</strong> vita sua in Roma, il Sommo<br />
Pontefice Paolo IV. Con grandissima letizia del popolo romano, et di tutti i suoi sudditi.<br />
Perché oltre a che egli sotto ombra di religione, una strettissima et pericolosissima<br />
inquisitione contra l’heresie, aveva introdotta, tutti i suoi popoli nel suo Pontificato et per le<br />
guerre et per altri gravami, et pessimi governi de suoi parenti, sommamente avevano patito.”<br />
Invece, <strong>la</strong> narrazione del<strong>la</strong> difficoltosa elezione di Pio IV e il giudizio positivo sul<strong>la</strong> sua figura che troviamo a<br />
p. 145k1: “Dopoi <strong>la</strong> morte del sopradetto Pontefice Paulo IV. S’erano rinchiusi nel conc<strong>la</strong>ve per fare <strong>la</strong> nuova<br />
elettione insino il sesto dì di Settembre. Dove per le loro malvagie emu<strong>la</strong>zioni, et discordie, ben presso a quattro<br />
mesi, senza far risolutione di cosa tanto imoportante dimorarono. Pur finalmente <strong>la</strong> notte del<strong>la</strong> Natività del<br />
nostro Signore, elessero concordemente al Pontificato, il Cardinal Giovann’Agnolo de’ Medici da Mi<strong>la</strong>no,<br />
fratello del marchese di Marignano, d’età intorno a sessantadue anni, il quale si fece chiamare Pio IV. Principe<br />
letterato, et apparente di buone qualità, come presto ne diede manifesto segnale, facendo fra le altre cose<br />
restituzione di Paliano, et del restante del suo al signor Marcant’Antonio Colonna” coincidono in maniera<br />
letterale al passaggio de Le età, cit., alle pp. 1542-1543 al pari dell’apprezzamento guicciardiniano per <strong>la</strong><br />
riapertura del concilio operata da Pio IV a p. 154k5: “Al principio di Dicembre, il Pontefice Pio, considerato il<br />
perturbatissimo stato del<strong>la</strong> religione, non pretermettendo <strong>la</strong> bel<strong>la</strong> occasione, che ne porgeva <strong>la</strong> pace universale,<br />
intimò generalmente per tutto con gran sadisfattione di molti Principi et popoli, <strong>la</strong> continuatione del Concilio<br />
Generale…” che ritroviamo identica ne Le età, cit., a p. 1555, su questi due passaggi bardiani vedi supra nota n.<br />
223.<br />
Inoltre, ancora in direzione anticarafiana nel Guicciardini va ricordata <strong>la</strong> valutazione positiva di Marcello II<br />
che contrasta con le critiche rivolte all’indirizzo di Giulio III a p. 94f7 dei Commentarii dove leggiamo: “Passò<br />
di questa vita il Pontefice Giulio III. Principe letterato, et capace d’ogni grado, ma negligente, et molto involto<br />
ne suoi piaceri. Così…fu poi eletto al pontificato Marcello[…]Et veramente che <strong>la</strong> sua morte dolse oltra modo a<br />
236
Ne Le età, tuttavia, pur nel<strong>la</strong> complessiva continuità con <strong>la</strong> biografia di Ferdinando<br />
evidenziata, il Bardi opera nel<strong>la</strong> <strong>prima</strong> un cambiamento di estrema rilevanza attribuendo il<br />
ruolo di pacificatrice del conflitto ispano-pontificio a Venezia. L’autore mette in grande<br />
risalto lo sforzo veneziano, peraltro supportato successivamente anche da Cosimo I 1091 , per <strong>la</strong><br />
pacificazione tra Spagna e Papato 1092 . In questa direzione è emblematico di un indiretto<br />
dissenso antispagnolo il fatto che <strong>la</strong> Serenissima nel<strong>la</strong> sua volontà di pacificazione sia<br />
comunque più vicina al<strong>la</strong> Santa Sede vista l’aggressione portata dal Duca d’Alba allo stato<br />
pontificio:<br />
“avendo i Veneziani…veduta <strong>la</strong> guerra mossa dal Duca d’Alva al Papa, mandati<br />
ambasciatori al Re Filippo, pregandolo a far levare il Duca d’Alva da quel<strong>la</strong> impresa,<br />
mostrandogli, che quando non lo facesse, non poteva quel Senato far di meno di non pigliare<br />
l’armi in diffensione di Santa Chiesa, fecero ogni loro potere per ridurre l’una parte, et<br />
l’altra al<strong>la</strong> pace.” 1093<br />
L’impegno veneziano per <strong>la</strong> pace è dimostrato inoltre dal rifiuto di aderire militarmente ad<br />
una delle parti, nonostante le numerose avances di cui sia il Papato che <strong>la</strong> Spagna <strong>la</strong> fanno<br />
oggetto. I veneziani sono, infatti, vanamente sollecitati a partecipare al conflitto, sia dal<br />
cardinal Carafa in una missione diplomatica nel<strong>la</strong> città <strong>la</strong>gunare ufficialmente volta a favorire<br />
<strong>la</strong> pace, sia da Filippo II che promette ai veneziani in caso di intervento le terre del duca di<br />
Ferrara 1094 . Soltanto in seguito al<strong>la</strong> battaglia di S. Quintino si determina in direzione del<strong>la</strong><br />
pacificazione uno stretto collegamento tra Filippo ed i Veneziani, <strong>la</strong> cui costanza 1095 nel<br />
ricercare l’accordo generale, congiunta con l’impegno cosimiano, viene premiata come il<br />
Bardi asserisce: “maneggiandosi con somma prudenza, et dal Duca di Firenze, et da’<br />
Veneziani <strong>la</strong> pratica del<strong>la</strong> pace, fu col mezzo loro conclusa, avendo ciascuno di loro, oltre<br />
infinite persone: perché egli era Principe assai letterato, et dava intenzione et grande speranza a gli uomini, di<br />
voler riordinare, et ricorreggere <strong>la</strong> disordinata, e scorretta Corte Romana, capo del<strong>la</strong> Chiesa universale, per<br />
poter più facilmente raddrizzare le sue membra.”<br />
1091 Il Bardi infatti sottolinea come il Duca di Firenze non attacchi lo stato pontificio scrivendo a p. 1451:<br />
Cosimo non interviene contro lo stato pontificio nonostante i timori papali: “ma saputosi poi, che quel Duca non<br />
si moveva, né faceva moto alcuno a’ danni di quel<strong>la</strong> città, fu di gran contento al<strong>la</strong> corte, et al Pontefice<br />
massime, che rimase di lui interamente soddisfatto, onde gli venne a pigliare affettione avendo…inteso…che egli<br />
non era per partirsi dal<strong>la</strong> devozione del<strong>la</strong> Chiesa, né era per nuocergli in conto alcuno, non ostante gli obblighi<br />
che aveva allo imperatore.”<br />
1092 Il primo passo in proposito ne Le età, cit., si trova a p. 1446 a proposito dell’impegno speso in questa<br />
direzione dal nuovo doge Lorenzo Priuli in sintonia con il Senato.<br />
1093 Ivi, passo riportato alle pp. 1452-1453.<br />
1094 Ivi, in proposito rinviamo rispettivamente a p. 1454 dove leggiamo “Intanto il cardinal Caraffa mandato<br />
Legato a Venezia dopo questa tregua, per eccitare quel Senato contra il re di Spagna, avendo dato voce di<br />
andarvi per accomodare <strong>la</strong> pace…” e alle pp. 1459-1460: “Intanto Filippo sdegnatosi oltre modo contra il Duca<br />
di Ferrara, mandò <strong>prima</strong> a dolersene con i Veneziani, invitandogli a prendere l’armi contra di lui, collegandosi<br />
seco, promettendogli di dargli in preda le terre del Duca, che si acquistassero…ma il Senato Veneziano, lento di<br />
sua natura nelle resolutioni di imprendere nuova guerra, essendo massimamente quel Duca grato al Dominio,<br />
non accettò <strong>la</strong> offerta, ma ben si mosse con ogni sollecitudine a tentare di procurare lo accordo fra questi<br />
Principi…”.<br />
1095 La febbrile attività del Senato e degli ambasciatori veneziani per <strong>la</strong> pace è ribadita ivi, anche alle pp. 1467-<br />
1468. In proposito cfr. anche Del sito et lodi del<strong>la</strong> città di Napoli, cit., sul ruolo dei veneziani nelle trattative di<br />
pace p. 166 dove il Tarcagnota par<strong>la</strong> del loro impegno per <strong>la</strong> pace ulteriormente stimo<strong>la</strong>to da Filippo II in seguito<br />
al<strong>la</strong> battaglia di S. Quintino: “Onde essendo più volte da molti cardinali, et da gli Oratori Veneziani stato col<br />
Papa, ragionato di Pace, si incominciò con queste nove a stringere <strong>la</strong> prattica; tanto più che il Re Filippo non<br />
essendo punto per queste vittorie gonfio, mandava di nuovo umilmente ad offerire per mezzo de Veneziani <strong>la</strong><br />
pace.” A livello complessivo come detto, le posizioni del Bardi e del Tarcagnota non possono assimi<strong>la</strong>rsi, visto il<br />
risalto dato da quest’ultimo al<strong>la</strong> sincera volontà di pace dimostrata dal Duca d’Alba ad un Paolo IV renitente a p.<br />
165, al<strong>la</strong> collera e ai sospetti di Paolo IV che indica come cause scatenanti del conflitto perché portano il<br />
pontefice all’arresto dei filoasburgici, al<strong>la</strong> scomunica dei Colonna, al<strong>la</strong> confisca e al<strong>la</strong> fortificazione di Paliano<br />
pp. 164-165. In proposito cfr. Aubert, Paolo IV, cit., pp. 193-194.<br />
237
allo Ambasciatore ordinario, che avevano in Roma, mandatovi un loro Secretario di<br />
nuovo…” 1096 .<br />
Un insieme di elementi che, oltre a riaffermare il partico<strong>la</strong>re legame tra Venezia e S. Sede,<br />
esprime tuttavia anche un primo segnale del<strong>la</strong> contiguità dell’autore con <strong>la</strong> linea politica<br />
propugnata da Nicolò da Ponte fin dal 1556 all’interno del Senato del<strong>la</strong> Serenissima. Il Da<br />
Ponte, infatti, sostiene l’improrogabile necessità del ritiro del duca d’Alba dal territorio<br />
pontificio e di una pace che freni l’incontenibile e pericolosissima minaccia portata<br />
dall’egemonia spagno<strong>la</strong> alle libertà d’Italia 1097 .<br />
Del resto, <strong>la</strong> critica bardiana al<strong>la</strong> politica spagno<strong>la</strong> affiora anche nel giudizio inerente <strong>la</strong><br />
pacificazione generale del 1559 che non elimina le fratture politico-religiose europee<br />
aggravate anzi ulteriormente dall’ultima fase dello scontro tra Asburgo e Valois in quanto:<br />
“Imperoche, i Principi istessi, et i sudditi loro medesimi, si ritrovavano in grandissima<br />
difficoltà, mediante una guerra così lunga, poiché da così evidente danno gli Heretici, che si<br />
servivano delle occasioni, di<strong>la</strong>tavano in infinito le discordie loro, facendo ne’ medesimi<br />
campi di ambedue gran progresso…” 1098<br />
La pace non dissolve magicamente i disagi socio-economici ed il malcontento provocato dai<br />
lunghi anni di guerra, e favorisce <strong>la</strong> diffusione ed il pullu<strong>la</strong>re dell’eresia. Il quadro europeo<br />
viene turbato da molti fattori in questo senso: dall’ascesa al trono di Elisabetta che restaura<br />
anglicanesimo in Inghilterra, dal<strong>la</strong> diffusione del calvinismo scozzese, dal<strong>la</strong> morte di Enrico<br />
II, dall’eresia che Filippo II deve sgominare fin dentro <strong>la</strong> Spagna. Tutti fattori ampiamente<br />
analizzati dall’autore in queste pagine sul<strong>la</strong> falsariga dei Commentarii del Guicciardini,<br />
secondo una chiara coincidenza filologica, che conferma <strong>la</strong> generale convergenza<br />
storiografica 1099 .<br />
Inoltre, un’altra spia del dissenso bardiano può scorgersi anche quando l’ex camaldolese<br />
tratta dell’insurrezione delle Province Unite con riguardo alle considerazioni svolte sul ruolo<br />
giocato in quel frangente dal Duca d’Alba.<br />
Indubbiamente il Bardi non è favorevole alle ragioni dei calvinisti, né al contegno dei nobili<br />
guidati dal principe d’Orange che disubbidendo al<strong>la</strong> reggente di Filippo II Isabel<strong>la</strong> Farnese<br />
mostrano <strong>la</strong> loro avversione al sovrano spagnolo e rendono necessario l’invio del Duca<br />
d’Alba 1100 . Tuttavia, l’autore non condivide <strong>la</strong> condotta del Duca che ignora completamente<br />
gli inviti di Isabel<strong>la</strong> ad agire con caute<strong>la</strong> perché “gli Spagnoli, in quelle parti…erano molto<br />
odiati” 1101 e procede con una politica del pugno di ferro che sconcerta i Fiamminghi 1102 . La<br />
negatività del giudizio bardiano, del resto, traspare abbastanza chiaramente nel racconto del<strong>la</strong><br />
statua che il Duca d’Alba si fa edificare ad Anversa per ricordare <strong>la</strong> sconfitta dei nobili ribelli.<br />
Episodio narrato dall’autore nel momento in cui annuncia <strong>la</strong> decisione di Filippo II di<br />
richiamarlo dalle Fiandre per sopraggiunti motivi d’età. Notizia partico<strong>la</strong>rmente gradita ai<br />
Fiamminghi perché riferisce il Bardi:<br />
1096 Ivi, passo a p. 1482. Il contributo veneziano sarà ricordato nuovamente a p. 1525.<br />
1097 In proposito rinviamo a A. Stel<strong>la</strong>, Chiesa e Stato, cit., in partico<strong>la</strong>re p. 13, cfr. inoltre Da Ponte Nicolò, cit.,<br />
in partico<strong>la</strong>re p. 726.<br />
1098 Le età, cit., passo a p. 1532.<br />
1099 Ci riferiamo alle pp. 1532-1540 de Le età che corrispondono perfettamente alle pp. 139-144 dei<br />
Commentarii, cit., tranne che sul giudizio concernente Paolo IV.<br />
1100 A proposito del<strong>la</strong> ribellione rinviamo ne Le età alle pp. 1671-1679 e soprattutto sull’impossibilità di<br />
giungere ad un accordo tra Isabel<strong>la</strong> e gli insorti pp. 1691-1698, in partico<strong>la</strong>re p. 1698 dove leggiamo: “che il<br />
Principe di Oranges, et gli altri Capi…mettendo ogni cosa sottosopra, non volevano ubbidire a quel che<br />
Madama comandava.”<br />
1101 Ivi, passo a p. 1699.<br />
1102 Ivi, alle pp. 1699-1700 leggiamo: “Queste cose così fatte dal Duca, misero gran spavento negli animi de’<br />
Fiamminghi, i quali non aspettavano, che con tanta rigidezza si procedesse contra di loro…”<br />
238
“non amavano molto il Duca d’Alva, che se ben molti lo conoscevano essere huomo giusto,<br />
et geloso dell’honore et utile del suo Re, lo reputavano troppo severo et vendicativo delle<br />
ingiurie, et di poca pietà; oltra che lo tassavano d’avaritia insaziabile, et di crudeltà più che<br />
barbara; essendo anco augumentato lo sdegno delle genti, per aversi, a perpetua sua<br />
memoria, castigata <strong>la</strong> congiura del Principe d’Oranges, de i Conti di Agamont, et de’ loro<br />
seguaci, quali con <strong>la</strong> morte, et quali con l’esilio, fatto dirizzare <strong>la</strong> sua statua di bronzo nel<br />
castello di Anversa, che aveva l’Oranges, il Conte di Orno, e quel di Agamont, sotto i piedi; il<br />
che era in generale a tutti spiaciuto: ma partico<strong>la</strong>rmente a’ parenti et amici loro, et nel<br />
secreto lo biasimavano, tassandolo di superbo et di ambizioso; poi che i Principi cristiani più<br />
potenti, quanto più erano in grandezza costituiti, sempre più avevano fuggito quel<strong>la</strong> iattanza<br />
di farsi essi levare statue, per le vittorie grandi, che ottenessero contra i Cristiani ribelli<br />
soggiogati da loro, allegando lo esempio di Carlo Quinto Imperatore, che nel debel<strong>la</strong>re il<br />
Duca di Sassonia et il Langravio, non aveva usato simil grandezza, contentandosi solo di<br />
avergli castigati.” 1103<br />
L’ingiustificabile megalomania del Duca d’Alba ha addirittura superato i potenziali eccessi<br />
di un imperatore del<strong>la</strong> grandezza (per quanto criticato dall’autore), di Carlo V!<br />
L’avversione antispagno<strong>la</strong> dell’autore, tuttavia, non si limita al solo Duca ma ricomprende<br />
lo stesso Filippo anche se in modo allusivo e coperto, in quanto coautore dell’indirizzo<br />
centralizzatore e autoritario <strong>la</strong> cosiddetta “castiglianizzazione” impresso al<strong>la</strong> politica spagno<strong>la</strong><br />
e attuato in modo deciso nei Paesi Bassi dal Duca. Del resto, le stesse notazioni dell’autore<br />
sul<strong>la</strong> ferocia dimostrata dagli spagnoli nel saccheggio di Anversa del 1576 testimoniano di<br />
una posizione complessiva o comunque tutt’altro che transeunte o circoscritta al solo Duca<br />
d’Alba. 1104 In questa direzione è illuminante anche <strong>la</strong> dichiarazione formu<strong>la</strong>ta dai fiamminghi<br />
nel<strong>la</strong> finzione letteraria sui motivi del<strong>la</strong> ribellione. Essi “non avevano prese le armi in mano<br />
per ribel<strong>la</strong>rsi dal Re, e dal<strong>la</strong> casa d’Austria, ma per non potere più sopportare <strong>la</strong> tirannide<br />
degli Spagnoli, che con inaudita avarizia avevano espi<strong>la</strong>to in modo il paese, che eternamente<br />
se ne risentirebbe…” che suona almeno <strong>la</strong>tamente critica e richiama idealmente le<br />
considerazioni sul sacco di Roma 1105 .<br />
Una serie di indizi dunque che denotano una certa distanza del Bardi dalle direttrici del<strong>la</strong><br />
politica spagno<strong>la</strong> anche se espressa cautamente vista l’ipoteca, irrimediabilmente posta, sulle<br />
libertà italiane dall’egemonia spagno<strong>la</strong> nel momento in cui l’ex camaldolese scrive.<br />
D’altra parte, un’ulteriore verifica in questa direzione, <strong>la</strong> fornisce il modo in cui l’autore<br />
tratta dei rapporti che intercorrono tra gli Asburgo di Spagna e di Austria e <strong>la</strong> Serenissima a<br />
proposito del<strong>la</strong> minaccia costituita dall’impero ottomano. Al riguardo costituiscono una sorta<br />
di cartina di tornasole, sia <strong>la</strong> costituzione del<strong>la</strong> lega che sconfigge gli ottomani a Lepanto, sia<br />
<strong>la</strong> successiva pace separata conclusa dai veneziani con il nemico turco 1106 .<br />
In vista del<strong>la</strong> futura Lega e di Lepanto il Bardi ribadisce a chiare lettere a distanza di poche<br />
pagine, l’insostituibile ruolo del<strong>la</strong> Serenissima di antemurale del<strong>la</strong> cristianità. L’autore infatti<br />
mette in risalto in re<strong>la</strong>zione al<strong>la</strong> montante minaccia militare turca che preme su Zara il grande<br />
soccorso di uomini e soldati che da ogni parte del<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong> accorrono nel<strong>la</strong> Serenissima per<br />
sostener<strong>la</strong> nel<strong>la</strong> lotta antiottomana “non restando (dal<strong>la</strong> dignità pontificia in poi) in Italia,<br />
altro dell’antica gloria, et del<strong>la</strong> grandezza del Senato Romano, che <strong>la</strong> Rep. di Venezia, veniva<br />
universalmente da tutti tenuta <strong>la</strong> reputazione d’Italia, et il propugnacolo del<br />
1103 Ivi, sui motivi d’ufficiali del<strong>la</strong> sostituzione e per il passo sull’edificazione del<strong>la</strong> statua vedi p. 1991.<br />
1104 Ivi, leggiamo a p. 2113: “gli Spagnoli…scorsa <strong>la</strong> città di Anversa, <strong>la</strong> depredarono tutta, riportandone un<br />
grosso bottino , avendo con inaudita crudeltà, senza perdonare né a sesso, né ad età, fatto indicibil stragge<br />
dentro delle case…”<br />
1105 Ivi, passo a p. 2139.<br />
1106 In proposito vedi infra pp. 42-44 e cfr. F. Chabod, Venezia nel<strong>la</strong> politica italiana del Cinquecento, in La<br />
civiltà veneziana del Rinascimento, G. C. Sansoni, Firenze, 1938, pp. 27-55 ora id., Scritti sul Rinascimento,<br />
Torino, Einaudi, 1967, pp. 663-683, in partico<strong>la</strong>re pp. 677-678.<br />
239
Cristianesimo…” 1107 . Il passo citato, assume in realtà una valenza ulteriore di celebrazione e<br />
legittimazione del <strong>prima</strong>to italiano di Venezia quale erede del<strong>la</strong> grandezza romana identificata<br />
però con il suo Senato invece che con il potere imperiale, assumendo in questo modo anche<br />
una valenza antimperiale e antiasburgica. In questa direzione del resto, vanno anche le<br />
considerazioni svolte nel<strong>la</strong> conclusione de Le età sul trapasso dal<strong>la</strong> Repubblica all’impero<br />
nel<strong>la</strong> <strong>storia</strong> romana e sul<strong>la</strong> debolezza dell’eredità asburgica 1108 oltre alle non poche pagine<br />
dedicate al<strong>la</strong> <strong>storia</strong> repubblicana romana all’interno dell’opera 1109 . Al<strong>la</strong> luce di questi elementi<br />
favorevoli alle prerogative politiche del<strong>la</strong> componente aristocratica non appare casuale allora<br />
lo stesso interesse dimostrato dal Bardi per Tacito. I suoi Annali, infatti, oltre a costituire una<br />
delle fonti de Le età 1110 sono oggetto, nel<strong>la</strong> traduzione di Giorgio Dati 1111 , di una nuova<br />
edizione del 1598 curata proprio dal camaldolese anche se stampata postuma 1112 . La stessa<br />
traduzione del Dati esule era nata del resto dal desiderio di ritornare a Firenze ed esprimeva<br />
l’accettazione del regime cosimiano capace di conciliare il potere centrale e <strong>la</strong> libertà dei<br />
cittadini diversamente dal precedente regime di Alessandro de’ Medici 1113 . Elementi che sono<br />
in linea con <strong>la</strong> luce sostanzialmente positiva in cui il Bardi valuta ne Le età il Regime<br />
cosimiano. A parte l’evidenza data dall’autore all’impegno profuso anche da Cosimo per<br />
sanare il conflitto scoppiato tra Spagna e Papato nel 1556-57 sono indicative anche le<br />
considerazioni svolte sul<strong>la</strong> condotta del duca fiorentino nel<strong>la</strong> guerra di Siena. L’autore che<br />
1107 Ivi, passo a p. 1876.<br />
1108 Vedi supra pp. 27-28.<br />
1109 Ivi, complessivamente pp. 124-328, in cui sono emblematiche le notazioni a p. 297 su Sil<strong>la</strong> che “si dichiarò<br />
dittatore, et riformò a sua voglia <strong>la</strong> Repubblica, levando <strong>la</strong> potestà a tribuni del<strong>la</strong> Plebe, et crescendo il numero<br />
de’ Pontefici, di maniera che Roma pareva più tosto Imperio d’un solo, che unione di molti,…” e Giulio Cesare<br />
rispettivamente a p. 317 “Usurpatosi violentemente Cesare <strong>la</strong> suprema autorità del<strong>la</strong> Repubblica, et ridotti tutti i<br />
negotii in se stesso…procurò d’esser creato Re del<strong>la</strong> Repubblica il qual nome odiosissimo appresso a Romani,<br />
cagionò che molti…cospirarono di levargli insidiosamente <strong>la</strong> vita…” molto diverso il contegno tenuto a parole<br />
verso Ottaviano Augusto con il quale a p. 328 si addiviene in modo definitivo all’impero, in virtù proprio del<br />
formale rispetto da questi sempre manifestato al Senato, infatti in proposito ivi l’autore rimarca come, in seguito<br />
all’uccisione di Cesare, Antonio “indusse il popolo al<strong>la</strong> divisione, parte del quale favorendo il Senato et Ottavio,<br />
che s’era unito con Cicerone nimicissiom d’Antonio, et parte seguitandoli, <strong>la</strong> Repubblica si ridusse in malissimo<br />
termini di confusione…” e molto diverso è il tono a proposito dell’assunzione all’impero di Ottaviano rispetto<br />
alle notazioni di Cesare a p. 328: “Fu il primo imperatore legittimo del<strong>la</strong> Repubblica Romana[…] et ordinata <strong>la</strong><br />
Repubblica senza alterare molto l’ordine antico, tenne lo imperio per 43 anni…”.<br />
1110 Ma vedi per <strong>la</strong> maggiore precisione il Sommario dove a p. 199 leggiamo: “Cornelio Tacito, ne suoi Annali,<br />
che sono da Augusto fino a Nerva in 16 libri.”<br />
1111 Sul quale rinviamo al<strong>la</strong> voce Dati Giorgio di C. Giamb<strong>la</strong>nco, in DBI, vol. XXXIII, Roma, 1987, pp. 29-31.<br />
1112 La dedicatoria del Bardi rivolta all’abate di S. Tommaso di Torcello, il Trevisani, in Gli annali di Cornelio<br />
Tacito cavalier romano de’ fatti, e guerre de’ Romani così civili, come esterne: seguite dal<strong>la</strong> morte di Cesare<br />
Augusto, per fino all’imperio di Vespasiano;…da Giorgio Dati fiorentino nuovamente tradotti di <strong>la</strong>tino in lingua<br />
toscana, in Venetia, appresso Giovanni Alberti (sul quale rinviamo al<strong>la</strong> voce Alberti Giovanni di Alessandro<br />
Scarsel<strong>la</strong> in Dizionario dei tipografi, cit., pp. 11-13), 1598(contiene anche le Hi<strong>storia</strong>e), (traduzione del Dati<br />
pubblicata postuma per <strong>la</strong> <strong>prima</strong> volta nel 1563 e sul<strong>la</strong> quale vedi P. Simoncelli, Il cavaliere dimezzato. Paolo<br />
del Rosso “fiorentino e letterato”, Mi<strong>la</strong>no, Franco Angeli, 1992, pp. 161-162 in partico<strong>la</strong>re nota n. 17) reca<br />
tuttavia <strong>la</strong> data del 16 febbraio 1583 e alludendo probabilmente al<strong>la</strong> vita di Ferdinando I, dice “Dovendosi di<br />
nuovo pubblicare al modo le vite degli imperatori Romani, (egli) vi aveva aggiunte molte cose”. In proposito cfr.<br />
La biblioteca degli autori Greci e <strong>la</strong>tini volgarizzati, vol. XXXV, raccolta Calogerana, p. 426 e Francesco<br />
Inghirami, Storia del<strong>la</strong> Toscana, cit., Tomo XII, p. 154.<br />
Certo nel<strong>la</strong> traduzione del Dati il rapido ritratto tacitiano del principato augusteo si pone in termini<br />
sostanzialmente diversi da quanto riscontrato ne Le età, Augusto infatti viene descritto non come conservatore<br />
(secondo l’immagine avvalorata dal Bardi ne Le età) quanto piuttosto quale instauratore di un nuovo ordine che<br />
mette nell’angolo e svuota delle proprie prerogative il Senato anche se in modo graduale a p. 2a1: “cominciò<br />
appoco dappoco ad innalzarsi, tirando a sé le faccende del Senato, quelle de’ Magistrati, e insieme l’autorità<br />
delle leggi: non vi essendo più nessuno che gli si opponesse: conciosia che tutti i più potenti, et animosi cittadini<br />
parte in guerra, parte nel<strong>la</strong> proscrizione spenti si ritrovassero. Il rimanente de’ nobili gli aveva d’onori, e di<br />
facoltà accresciuti, secondochè eglino al servire più pronti si dimostravano. Lande ritrovandosi eglino per <strong>la</strong><br />
novità delle cose di buon grado, et riputazione, amavano meglio godersi <strong>la</strong> sicurezza dello stato presente, che<br />
cercare, con lor pericolo di riassumere il reggimento antico.”<br />
1113 Dati Giorgio, cit., vedi p. 30 e soprattutto P. Simoncelli, Il cavaliere dimezzato.<br />
240
sottolinea <strong>la</strong> tirannide perpetrata in precedenza sul<strong>la</strong> città dal Mendoza sordo agli avvertimenti<br />
sinceri e lungimiranti di Cosimo sulle manovre francesi per indurre Siena a ribel<strong>la</strong>rsi e sul<br />
malcontento del<strong>la</strong> cittadinanza 1114 rimarca, infatti, <strong>la</strong> clemenza usata dal duca fiorentino ai<br />
senesi 1115 e giustifica pienamente <strong>la</strong> concessione del<strong>la</strong> città a Cosimo decisa da Filippo II<br />
“poiché con le proprie forze, se bene con il suo aiuto lo aveva con lunga guerra<br />
acquistato…” 1116<br />
Soprattutto riprova del<strong>la</strong> buona disposizione verso il Duca Cosimo appare l’attenzione posta<br />
dal Bardi sull’attribuzione nel 1569 del titolo granducale da parte di Pio V. Una rilevanza<br />
inequivocabilmente condita di umori antiasburgici in linea del resto con gli altri spunti de Le<br />
età già evidenziati. L’autore, infatti, riportata <strong>la</strong> notizia del<strong>la</strong> risoluzione pontificia 1117<br />
riprende poi <strong>la</strong> questione a proposito del<strong>la</strong> corona di cui il papa cinge Pio V a Roma in seguito<br />
all’accettazione dell’investitura del titolo granducale, dilungandosi sulle pressioni asburgiche<br />
volte a impedire questa cerimonia. L’ambasciatore imperiale oppone al<strong>la</strong> decisione pontificia<br />
l’assenza di una potestà papale nel<strong>la</strong> fattispecie specifica ed esercita nel contempo numerose<br />
pressioni su Cosimo per farlo desistere dal<strong>la</strong> partecipazione al<strong>la</strong> cerimonia in questione, anche<br />
se vanamente. Scrive il Bardi che l’ambasciatore imperiale saputo dei preparativi in atto:<br />
“ne aveva…dato avviso a Cesare, et poco appresso aveva con molta persuasione tentato di<br />
distorrre il Gran Duca da cotale dimostrazione, dicendogli, che irritandosi contra <strong>la</strong>’nimo di<br />
Cesare, et de gli altri Principi dello Imperio, darebbe ma<strong>la</strong> sattisfattione di se stesso a quel<strong>la</strong><br />
Corte…promettendogl allo incontro…che Cesare lo avrebbe investito, conferendogli il titolo<br />
di Grande, con amplissimi privilegij. A cui risposto il Gran Duca, che essendo Principe, che<br />
non riconoscendo lo stato suo di Firenze da altri che da Dio, et da suoi cittadini, non doveva,<br />
né di ragione poteva rifiutare qualsi fosse forte di gratia, che il Pontefice, come Principe<br />
Supremo di tutti gli altri, in casa del quale lui si trovava, gli avesse voluto fare. Dalle quali<br />
parole comprendendo lo Ambasciatore <strong>la</strong> intenzione del Gran Duca…né fece umilmente<br />
protesto al Pontefice, dicendogli non potersi dal<strong>la</strong> santità di lui conferire honori, et titoli, o<br />
dignità, se non ne propij vassali. Al che risposto con gravità Pontificia il Pontefice Pio,<br />
sarere di poter fare legittimamente tal coronatione, et conoscer molto bene quanto se gli<br />
convenisse in quel luogo, poiche anco Cesare istesso, non si poteva denominare col titolo di<br />
Augusto, se non dopo che fosse stato coronato di mano dello stesso Pontefice del<strong>la</strong> stessa<br />
Corona Imperiale…” 1118 .<br />
Cosimo del resto, sostiene convintamente di fronte al pontefice <strong>la</strong> necessità di addivenire ad<br />
una Lega fondata sull’intesa veneto-spagno<strong>la</strong> che supporti <strong>la</strong> Serenissima fulcro del<strong>la</strong><br />
1114 Le età, dove in realtà le <strong>la</strong>mentele del contegno del Mendoza sono rivolte allo stesso imperatore soggetto<br />
pertanto ad un’ulteriore implicito rilievo negativo del Bardi in questo modo. A p. 1354 leggiamo infatti:<br />
“perciochè più di una volta quere<strong>la</strong>tisi con lo imperatore de’ mali portamenti di Diego Mendozza lo ro<br />
Governatore per lo Imperio, né essendo mai stati uditi, si risolverono fomentati come fu fama, da’ ministri di<br />
Francia, e da’ nimici di Cosimo di scacciare…gli Spagnoli, donde ne nacque <strong>la</strong> propria rovina. I sanesi<br />
adunque passati secretamente sotto <strong>la</strong> devozione del Re di Francia…tramarano di scacciare del<strong>la</strong> città i ministri<br />
di Cesare, che troppo severamente gli tiranneggiavano, il che pervenuto alle orecchie del duca Cosimo, ne<br />
avvertì come interessato dell’amicizia di Cesare, Diego Mendozza, il quale…non solo disprezzò i ricordi di quel<br />
principe, ma rifiutò ancora gli aiuti, che gli offerse quel duca…”.<br />
1115 Ivi, a p. 1446: “il Duca Cosimo…continovava l’assedio di Monte Alcino, per scacciare totalmente i<br />
Francesi di Toscana, il che finalmente gli venne fatto, giovandogli molto <strong>la</strong> clemenza dimostrata a Senesi del<strong>la</strong><br />
città…onde acquistatasi <strong>la</strong> gratia loro, indusse i medesimi a rendersegli.”<br />
1116 Ivi, passo a p. 1473.<br />
1117 Le età, passo a p. 1786.<br />
1118 Ivi, passo riportato alle pp. 1911-1912, ma per l’arrivo del<strong>la</strong> bol<strong>la</strong> papale con il titolo granducale a Firenze<br />
il successivo viaggio a Roma di Cosimo e dopo il superamento delle resistenze imperiali l’incoronazione papale<br />
cfr. complessivamente ivi le pp. 1909-1913, una serie di elementi e di momenti chiaramente assenti nel<br />
Sommario dove <strong>la</strong> cerimonia è riportata a p. 194 in quattro righe, in cui comunque si ribadisce l’assoluta potestà<br />
pontificia nel dare titoli.<br />
241
esistenza cristiana, in funzione antiturca, a ulteriore suggello del<strong>la</strong> volontà dell’autore di<br />
accostare per interessi e linee di azione politica le due grandi realtà politiche italiane. 1119<br />
Anche in seguito al<strong>la</strong> grande vittoria di Lepanto, magnificata dall’autore secondo una<br />
mitologia del<strong>la</strong> epicità del<strong>la</strong> battaglia e del valoroso contributo di sangue offerto dai<br />
veneziani 1120 , con <strong>la</strong> nascita delle prime crepe nell’alleanza asburgico-veneziana alimentate<br />
anche dal<strong>la</strong> tutt’altro che spenta forza ottomana 1121 , Cosimo ricorda agli Spagnoli di rispettare<br />
i patti sottoscritti “essortando…al<strong>la</strong> osservanza delle cose convenute, giurate et promesse…”.<br />
In realtà gli avvertimenti del Gran Duca e <strong>la</strong> capacità spagno<strong>la</strong> di valorizzare l’insostituibile<br />
contributo veneziano in funzione antiturca, risultano tardivi per <strong>la</strong> già conclusa pace separata<br />
veneto-turca 1122 . Del resto, il Bardi poche pagine <strong>prima</strong> aveva sottolineato le gravi<br />
inadempienze compiute dagli spagnoli che avevano praticamente obbligato Venezia a<br />
risolversi in questa direzione:<br />
“Conciosia che vedendo i Veneziani, quanto gli Spagnoli fossero proceduti lentamente negli<br />
apparati del<strong>la</strong> guerra, che erano apsettanti alle parti loro, et come più tosto pareva che<br />
ambissero <strong>la</strong> desso<strong>la</strong>tione del<strong>la</strong> Rep. che altrimenti, tra<strong>la</strong>sciata <strong>la</strong> tanta sollecitudine di<br />
armare, avevano imposto al Barbaro, che trattasse con ogni miglior conditione <strong>la</strong> pace tra <strong>la</strong><br />
Rep. et il Turco, allegando se essere esposti a desiderare <strong>la</strong> pace per molti respetti, ma in<br />
partico<strong>la</strong>re per essere necessariamente astretti a far spese maggiori delle forze loro[…]Si<br />
aggiungeva poi a tutte queste difficoltà, che le forze del Turco erano cresciute in modo, che<br />
non haveriano potuto i Veneziani da se stessi farli resistenza, et aspettare i tardi aiuti de’<br />
confederati non gli metteva conto; perché in quel mezzo, che essi fossero giunti, haveriano<br />
potuto et essi , et tutta Italia insieme havere tal danno dal Turco, che non haveriano potuto<br />
mai più darvi rimedio.[…]Per queste, et altre onestissime ragioni, si risolse quel Senato di<br />
volere far pace con Selimo, <strong>prima</strong> che per <strong>la</strong> tardanz adegli aiuti forestieri, andassero tutte le<br />
cose in rovina…” 1123 .<br />
Inequivocabili i termini di giustificazione del<strong>la</strong> decisione veneziana da parte del Bardi che<br />
conferma <strong>la</strong> sua propensione antispagno<strong>la</strong> e mostra pertanto come già prospettato, una<br />
sostanziale convergenza con tutte le fasi del<strong>la</strong> politica veneziana sostenute in <strong>prima</strong> battuta da<br />
Niccolò da Ponte e dal Consiglio dei Dieci, dal<strong>la</strong> stipu<strong>la</strong>zione del<strong>la</strong> Lega Santa al<strong>la</strong><br />
1119 In proposito ivi a p. 1911 leggiamo come Cosimo “dimostrò al Pontefice…quanto fosse necessario per lo<br />
interesse comune del Cristianesimo, et del<strong>la</strong> Italia massime, che si ponesse ogni studio in fare che <strong>la</strong> Lega<br />
avesse fine tra <strong>la</strong> Chiesa, et il Re di Spagna, et <strong>la</strong> Rep. di Venezia, poiché ogni picciol danno , che intervenisse a<br />
quel<strong>la</strong> Repubblica, era di grandissimo detrimento al<strong>la</strong> Cristianità, et al<strong>la</strong> Italia in Partico<strong>la</strong>re…”. Inoltre dopo<br />
<strong>la</strong> formazione del<strong>la</strong> Lega dopo lo scontro di Lepanto l’autore ricorda in modo elogiativo l’invio granducale di<br />
alcune galee a sostegno del<strong>la</strong> Lega veneziano-sapgno<strong>la</strong> alle pp. 1989-1990<br />
1120 Ivi, in proposito rinviamo alle pp. 1959-1980.<br />
1121 In proposito, ivi, vedi p. 2027 dove Venezia fatica lungamente a convincere gli Spagnoli ad unire le forze<br />
navali per attaccare nuovamente i Turchi che si stavano rinforzando e martel<strong>la</strong>vano le isole veneziane sottolinea<br />
infatti l’autore: “Nel che ritrovando anco qualche durezza, finalmente dopo molte cavillose consulte, con gran<br />
biasimo del<strong>la</strong> militia de nostri tempi, permisero gli spagnoli che col Soranzo si partissero da Messina, venti<br />
delle loro galere sottili…”. Del resto anche nel<strong>la</strong> narrazione concernente <strong>la</strong> formazione del<strong>la</strong> Lega del 1538 con<br />
Carlo V il Bardi aveva ricordato i sospetti veneziani sul<strong>la</strong> buona fede dell’imperatore a cui era seguito l’inizio<br />
delle trattative con Solimano quando il Doria torna con il suo esercito in Italia “onde vennero poi a sospettare<br />
piùi soldati veneziani, che il Doria veramente per ordine di Cesare nonavesse voluto combattere, per <strong>la</strong>sciare i<br />
veneziani in continova guerra col turco, et vedere il mal loro[…] essendo entrato nel pensiero de Veneziani, che<br />
<strong>la</strong> tardanza del Doria, et il non aver voluto combattere in così bel<strong>la</strong> occasione, non fosse stata fatto per altro,<br />
che per cupidigia di annichi<strong>la</strong>re le forze del<strong>la</strong> Rep. per poter<strong>la</strong> più facilmente deprimere.” alle pp. 1201-1202<br />
sul<strong>la</strong> pace cfr. ivi p.1218 a cui segue <strong>la</strong> rotta di Carlo V ad Alfieri a p. 1219-1291 dove i suoi errori costati molte<br />
vittime tra gli italiani a p. 1221 sono messi in evidenza dal<strong>la</strong> seguente considerazione “Andrea Doria che aveva<br />
di quest’impresa (come huomo di mare) disconsigliato molto lo Imperatore…”. Sui motivi di divisione con gli<br />
spagnoli sia nel 1537-40 sia nel 1570-1573 cfr. F. Chabod, Venezia nel<strong>la</strong> politica italiana del Cinquecento, cit.<br />
1122 Ivi, Passo a p. 2047.<br />
1123 Ivi, passo alle pp. 2040-2041.<br />
242
conclusione del<strong>la</strong> Pace separata. Adesione decisamente confermata dal racconto<br />
dell’ambasciata dello stesso Da Ponte a Roma per spiegare al pontefice Gregorio XIII le<br />
ragioni veneziane. Motivazioni ribadite dal<strong>la</strong> successiva spiegazione del doge Mozanigo che<br />
giustifica, sia <strong>la</strong> scelta di creare <strong>la</strong> Lega, sia l’uscita dall’alleanza per i troppi e smisurati<br />
sacrifici sostenuti da Venezia rispetto agli altri confederati, i cui ritardi avevano compromesso<br />
tutti i vantaggi acquisiti a Lepanto 1124 . Partico<strong>la</strong>rmente significativo per il tono celebrativo del<br />
resoconto del<strong>la</strong> missione romana del Da Ponte rafforzato dall’antitesi tra <strong>la</strong> vecchiaia fisica<br />
del patrizio veneziano e <strong>la</strong> velocità fisica e <strong>la</strong> capacità persuasiva con cui compie <strong>la</strong> propria<br />
missione:<br />
“Onde fu subito ispedito dal Senato, Nicolò da Ponte, vecchio di ottanta quattro anni, che<br />
andasse ambasciatore al Papa per informarlo delle cagioni, che lo avevano sforzato a fare<br />
questa pace con il Turco; et scusandosi esso per <strong>la</strong> vecchiezza era male atto a fare questo<br />
viaggio, gli fu dal Senato replicato, che si voleva che a ogni modo egli andasse, perché non<br />
potevano trovare, chi meglio di lui potesse, o sapesse servire al<strong>la</strong> sua Patria, in negozio di<br />
tanta importanza, et perché il Pontefice sdegnato, non solo non voleva ascoltare lo<br />
ambasciatore ordinario di Venezia, ma pareva anco ch’ei non volesse ch’egli stesse più in<br />
Roma; due giorni dopo <strong>la</strong> ellettione si partì il Ponte da Venezia, con somma prestezza (che<br />
saria stato difficile ad un gagliardo giovine, non che a un vecchio di quel<strong>la</strong> età) in sei giorni<br />
corse meglio di trecento miglia, e giunto a Roma…con una grave, et copiosa, et chiara<br />
oratione ragguagliò talmente il pontefice del<strong>la</strong> necessità, che aveva astretta quel<strong>la</strong><br />
Repubblica a fare quel<strong>la</strong> pace, che non so<strong>la</strong>mente acquietò con le vive ragioni l’animo<br />
alterato del Papa, ma lo mosse anco a <strong>la</strong>udare <strong>la</strong> fatta pace, come necessaria al<strong>la</strong> salute e<br />
al<strong>la</strong> conservatione del<strong>la</strong> Repubblica.” 1125<br />
Dunque una serie di indizi che ci confortano ulteriormente sul<strong>la</strong> forte propensione veneziana<br />
del Bardi secondo una venatura chiaramente antiasburgica al di là dei continui elogi rivolti a<br />
Filippo II anche in chiusura d’opera. Pertanto non sorprende l’evidenza data all’accesso al<strong>la</strong><br />
carica di doge del Da Ponte nel 1578 che “ritrovate le cose del<strong>la</strong> città in somma pace, attese a<br />
conservarle in cotal stato” 1126 e soprattutto il tributo celebrativo speso per lui e per tutto il<br />
patriziato veneziano nelle pagine conclusive dell’Opera dove <strong>la</strong> panoramica di personaggi<br />
veneziani di rilievo occupa uno spazio aasolutamente prevalente rispetto a quello dedicato<br />
agli altri organismi politici europei. Il Bardi ribadisce <strong>la</strong> celebrazione del mito di Venezia<br />
modello inarrivabile di libertà e prudenza politica attraverso il viver civile del suo popolo e <strong>la</strong><br />
prudenza politica del suo patriziato, insostituibile propugnacolo delle libertà italiche.<br />
Asserisce, infatti l’autore che:<br />
“passando oramai in Italia diremo, potentissimi di tutti gli altri ritrovarvisi i Veneziani, i<br />
quali per lo splendore delle cose fatte da’ loro maggiori, et per <strong>la</strong> moltitudine de gli uomini di<br />
alto affare, che vi sono stati in ogni tempo, vengono comunemente reputati l’ornamento et il<br />
propugnacolo d’Italia. Questi regnato per lungo spatio di tempo in forma Rep.…avendo in<br />
Italia e fuori uno Stato floridissimo, et copioso di tutti i comodi. Et si come di prudenza Civile<br />
eccedono tutti gli altri popoli del mondo; essendo gravi di consiglio, nel<strong>la</strong> fortuna avversa<br />
costanti, et nel<strong>la</strong> prospera moderati, hanno comunemente tutti uno incredibile, et uniforme<br />
desiderio di mantenere <strong>la</strong> propria libertà, che già mille e poco meno di dugento anni sono,<br />
liberatisi dal<strong>la</strong> crudeltà de’ Barbari settentrionali, che inondarono l’Italia, si hanno sempre<br />
1124 Ivi, pp. 2042-2043.<br />
1125 Ivi, passo riportato a p. 2043, sul<strong>la</strong> missione del Da Ponte cfr. anche Sommario a p. 197 in cui l’autore dice<br />
che i “veneziani…dimostrarono colPapa mediante <strong>la</strong> desterità di Paolo Thiepolo, et di Nicolò Da Ponte<br />
Ambasciatori del<strong>la</strong> loro Rep. le cagioni che <strong>la</strong> indussero a far pace.”<br />
1126 Ivi, passo a p. 2181. Ivi, infatti l’elogio complessivo dell’ex camaldolese si protrae nelle pp. 2212-2215 e<br />
riprende nelle pp. 1217-1222, passo riportato alle pp. 2212-2213.<br />
243
conservati liberi: La onde vestendo con gli abiti lunghi, dicono liberamente il parere loro in<br />
Senato, istudiandosi ogni uno di intendere, et di valere nel<strong>la</strong> cognizione de governi di stato, et<br />
di qui è avvenuto, che si sono sempre ritrovati, et tuttavia si ritrovano fra loro molti uomini<br />
riguardevoli de’ quali intorno al governo di stato sono fra tutti reputati singo<strong>la</strong>ri: Nicolò da<br />
Ponte al presente Doge del<strong>la</strong> Rep. il quale et con il mezzo del<strong>la</strong> prudenza civile, et con <strong>la</strong><br />
propria vrtù, asceso con un perpetuo corso di felicità al più supremo honore del<strong>la</strong> Repubblica<br />
è dotato di cognizione, et d’intelligenza di lettere filosofiche…” 1127 .<br />
Del resto, un ultimo aspetto non trascurabile del<strong>la</strong> narrazione bardiana, stante <strong>la</strong> recisa<br />
condanna dell’eresia ugonotta in Francia e dei re<strong>la</strong>tivi conflitti religiosi in atto, riguarda il<br />
modo in cui attraverso alcuni elementi traspaia quasi un anelito di ottimismo sulle vicende<br />
transalpine collegato all’ascesa al trono di Enrico III. Oltre al<strong>la</strong> descrizione del<strong>la</strong> fastosa e<br />
cordiale accoglienza veneziana per il passaggio del sovrano che torna in Francia per prendere<br />
<strong>la</strong> corona dopo aver rinunciato al trono po<strong>la</strong>cco 1128 , significativo è il giudizio finale espresso<br />
dal Bardi sul<strong>la</strong> situazione francese e su Enrico III:<br />
“Signoreggia nel<strong>la</strong> Francia Arrigo di tal nome terzo, il quale se bene né di senno, né di<br />
consiglio non par che vaglia molto, essendo immerso so<strong>la</strong>mente ne’ piaceri: tuttavia ne tempi<br />
addietro mentre era Duca d’Angiò, fatte alcune attioni illustri, si acquistò <strong>la</strong> gratia di tutti, et<br />
fu in opinione comunemente di ogni uno di essere principe di alto affare, et di molta prudenza<br />
dotato. Questi inviluppato in tutto quel Reame in diverse revolutioni, et travagli, non ha mai<br />
sentito altro che molestie[…]Tuttavia retto fra tante difficoltà dal prudente consiglio del<strong>la</strong><br />
madre, del Duca di Numera, et di molti altri Signori, è andato a poco a poco rimovendo molte<br />
di quelle difficoltà, che <strong>prima</strong> lo circonvenivano, avendo appresso di sé molti uomini<br />
singo<strong>la</strong>ri, come il marescial di Araz de’ Gondi di Firenze, Filippo Strozzi, il Duca di<br />
Nivers…” 1129<br />
Certamente non è un giudizio apologetico e tuttavia, si sorge <strong>la</strong> speranza di un superamento<br />
delle divisioni che invece ancora a lungo avrebbero travagliato <strong>la</strong> <strong>storia</strong> e <strong>la</strong> vita francese.<br />
Inoltre, non può sfuggire l’elogio al partito fiorentino legato fortemente al<strong>la</strong> madre di Enrico<br />
III, Caterina de’ Medici che nelle speranze dell’autore potrebbe guidare il sovrano ed i destini<br />
del<strong>la</strong> Francia verso quel<strong>la</strong> ricomposizione e quel rafforzamento tanto necessari in ambito<br />
europeo per controbi<strong>la</strong>nciare <strong>la</strong> soverchiante egemonia spagno<strong>la</strong>. La citazione di questi nomi,<br />
nell’ultimo ventennio del XVI secolo, tuttavia, non comporta più automaticamente una cifra<br />
avversa al Granduca di Firenze e non solo per i passi tutt’altro che antimedicei de Le età.<br />
Infatti, proprio l’antimachiavellismo di stampo francese funzionale a delegittimare eticamente<br />
l’immagine del partito fiorentino a corte per indebolirne il potere e l’influenza e trovare un<br />
capro espiatorio delle difficoltà interne, indicando proprio nel Gondi e nel<strong>la</strong> regina madre gli<br />
artefici del<strong>la</strong> strage di S. Bartolomeo, produce un effetto di ricompattamento in chiave<br />
difensiva contro gli attacchi all’elemento fiorentino in quanto tale, che accantona <strong>la</strong><br />
pregiudiziale del regime politico vigente a Firenze 1130 . Pertanto, una storiografia bardiana<br />
1127 Ivi, infatti l’elogio complessivo dell’ex camaldolese si protrae nelle pp. 2212-2215 e riprende nelle pp.<br />
1217-1222, passo riportato alle pp. 2212-2213.<br />
1128 Ivi, sul<strong>la</strong> visita di Enrico III a Venezia nel 1574, pp. 2062-2063 in partico<strong>la</strong>re a p. 2063 leggiamo sul<strong>la</strong><br />
sensazione suscitata dall’apparizione del re francese: “partitosi se ne passò poi in Francia; avendo ripiena <strong>la</strong><br />
città di Venezia, et tutti gli altri luoghi di molto contento.”<br />
1129 Ivi, passo alle p. 2209-2210.<br />
1130 In questo senso, si spiega anche <strong>la</strong> menzione di Iacopo Corbinelli tra i grandi intellettuali legati al Gran<br />
Duca Francesco nekll’ambito del<strong>la</strong> lode rivolta a quest’ultimo ivi nelle pagine 2216-2217 dove leggiamo: “si<br />
vede oggidì in Italia con molta potenza Francesco de’ Medici Gran Duca di Toscana, il quale dominando con<br />
titolo di grnade, le Rep. di Firenze, di Siena, et DI Pisa…è reputato fra tutti gli altri Principi d’Italia, et per <strong>la</strong><br />
grandezza dello Stato, et per <strong>la</strong> copia delle genti, et per <strong>la</strong> moltitudine de’ denari, di molta autorità, et di molto<br />
valore.Questi…ha appresso di sé molti uomini grandi…Guido Guidi, Francesco Buonamico, Pietro Rucel<strong>la</strong>i,<br />
244
assai lontana dalle propensioni teutoniche sostenute nel<strong>la</strong> Storia D’Europa su una falsariga<br />
per molti aspetti analoga a quel<strong>la</strong> bartoliana. Motivo sostanziale che come accennato avvicina<br />
molto di più <strong>la</strong> storiografia di Lodovico Guicciardini a quel<strong>la</strong> del canonico <strong>la</strong>urenziano.<br />
4. Natale de’ Conti<br />
La linea di sostanziale almeno formalmente ineccepibile condivisione del<strong>la</strong> Controriforma e<br />
dell’egemonia spagno<strong>la</strong> nel<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong> sarebbe stata riproposta con ben altra veemenza e<br />
uni<strong>la</strong>teralità rispetto alle oscil<strong>la</strong>zioni bardiane nell’opera di un altro storico, romano di origini,<br />
ma veneziano d’adozione Natale De’ Conti 1131 : Hi<strong>storia</strong>e sui temporis 1132 . L’autore rintraccia<br />
in Paolo Giovio il suo principale riferimento a livello, sia di arco storico, sia di priorità<br />
problematiche fin dal<strong>la</strong> <strong>prima</strong> pagina del<strong>la</strong> sua opera. Infatti, <strong>la</strong> narrazione storica contiana<br />
parte proprio dal periodo di pace tra Spagna e Francia seguito al trattato di Crepy punto nel<br />
quale si interrompono le Hi<strong>storia</strong>e gioviane 1133 . Al di là del risultato raggiunto rispetto al<br />
modello di riferimento anche il De Conti sceglie quale asse portante delle dinamiche storicopolitiche<br />
continentali in atto, il permanente conflitto franco-asburgico soltanto<br />
temporaneamente sopito a cui si intersecano <strong>la</strong> guerra smalcaldica e l’ultima fase delle guerre<br />
d’Italia. Sui contrasti confessionali che <strong>la</strong>cerano l’impero germanico evidente appare <strong>la</strong><br />
condanna dell’eresia protestante e del<strong>la</strong> ribellione dei principi smalcaldici dei quali comunque<br />
il Conti sottolinea <strong>la</strong> notevole forza militare peraltro in linea con le notazioni gioviane 1134 .<br />
L’autore mette in primo piano le chiare ambizioni politiche che animano il <strong>la</strong>ngravio d’Assia<br />
e Giovan Federico di Sassonia, sostenuto anche dal<strong>la</strong> tradizione degli imperatori del<strong>la</strong> casa di<br />
Sassonia:<br />
“His tot populorum urbiumque; Smalcaldicae foederationis auxilijs e<strong>la</strong>ti Philippus<br />
Lantgravius et Federicus Saxonum Dux, Principes nobilitate, potentia, autoritate praestantes,<br />
ut qui sibi viderentur ita plurimum posse suos terminos di<strong>la</strong>tare, sua fortuna minime contenti,<br />
ad maiora aspirare incipiunt. Visum est autem optime consuli rebus tam potentis<br />
foederationis, si imperium etiam ad novam il<strong>la</strong>m religionem detorquerent, ut non solum<br />
potentia, sed etima dignitate Imperatoria foederationem insignirent. Ad illud consiluim<br />
capiendum incitabat Federicum veterum Imperatorum suae familiae recordatio; cum duo<br />
Henrici, tres Otthones, et nuper Lotarius atque Adulphus in memoriam veniebant, ad quos<br />
omnes e sua familia imperium fuerat de<strong>la</strong>tum. Confirmabant vero in ea sententia preter<br />
federatos multae etiam cum externis principibus amicitiae, et affinitates. Atque ut manifestius<br />
belli Germanici magnitudo appareat, et quantae fuerat difficultatis Germaniam vincere, quae<br />
Paolo Mini…Iacopo Corbinelli, Borghini, Silvano Razzi, Adriano Adriani…Scipione Ammirato, Giovambattista<br />
Strozzi il Giovane…” altrimenti incomprensibile in quanto il Corbinelli esule antimediceo al<strong>la</strong> corte di Francia da<br />
molti anni in proposito rinviamo a P. Simoncelli, La lingua di Adamo, cit., ivi in partico<strong>la</strong>re III capitolo.<br />
1131 In proposito rinviamo al<strong>la</strong> re<strong>la</strong>tiva voce Conti Natale di R. Ricciardi in DBI, vol. XXVIII, Roma, 1983, pp.<br />
454-457, in partico<strong>la</strong>re sulle origini del De Conti, p. 454.<br />
1132 Natalis Comitis Universa Hi<strong>storia</strong>e sui temporis libri triginta. Ab anno salutatis nostrae 1545. usque ad<br />
annum 1581. Cum duobus Indicibus Laurentij Gotij civis Veneti: Altero Antiquorum et recentium nominum<br />
variorum locorum…, Venetiis, Apud Damianum Zenarum, MDLXXXI.<br />
1133 Ivi, a p. 1: “Nos igitur his ita cognitis, dabimus operam pro viribus, ut ea cognoscantur, que gesta sunt<br />
ubique gentium, ab iis temporibus et rebus gestis incipientes, quae scripta Pauli Iovij attigerunt:<br />
persequemurque ad ea usque tempora[…]Gallia itaque, omnis, et Italia, et reliquiae orbis terrae provinciae,<br />
gentes, imperia, suavissima tranquillitate perfruebantur, cum pax inter duos potentissimos Christianorum<br />
principes fuisset composita…”<br />
1134 Ivi, passo alle pp. 5-6 in cui si par<strong>la</strong> del<strong>la</strong> risoluzione dell’imperatore a produrre il massimo sforzo bellico:<br />
“atque um multa esssent, quae ab huiusmodi provincia Caesaris animum possent revocare, deterreque a tanta<br />
mole bellorum, coniuratorum esimia opulentia scilicet, excellens observantia rei disciplinaeque militaris,<br />
peditum et equitum armatorum ingens numerus…”<br />
245
non nisi suis armis posse superari; quippe quod he una provincia multo plures exercitus<br />
Romanorum profligasse dicatur…” 1135<br />
Il Conti è consapevole che <strong>la</strong> Germania costituisca il fulcro dell’impero, come dimostra<br />
anche <strong>la</strong> successiva descrizione geografico-economica volta ad evidenziarne <strong>la</strong> ricchezza di<br />
metalli, il florido sviluppo urbano, il gran numero di città libere 1136 . Dato sancito anche<br />
storicamente dal<strong>la</strong> trans<strong>la</strong>tio del diritto di elezione imperiale attribuito dai pontefici ai principi<br />
tedeschi al tempo di Ottone III 1137 , in controtendenza rispetto al<strong>la</strong> posizione espressa in merito<br />
dal Bardi. Tuttavia, entrambi gli storici, indicano <strong>la</strong> responsabilità protestante nel provocare <strong>la</strong><br />
guerra con Carlo V. I principi territoriali tedechi, infatti, agiscono in f<strong>la</strong>grante vio<strong>la</strong>zione delle<br />
leggi fondamentali dell’impero e per non subire il bando imperiale punizione giuridicamente<br />
necessitata per i reati commessi, assaltano gli amici dell’imperatore 1138 .<br />
Tuttavia, <strong>la</strong> potenza militare smalcaldica non si accompagna ad una pari capacità strategica<br />
di afferrare le occasioni propizie non sfruttate dal titubante Langravio d’Assia che non ha il<br />
coraggio di attaccare l’imperatore 1139 . Di contro a questa reiterata mancanza di risoluzione e<br />
capacità tattico-militare emerge <strong>la</strong> grandezza di Carlo V, chiaramente protetto dal<strong>la</strong> volontà<br />
divina che sancisce <strong>la</strong> sconfitta delle soverchianti forze tedesche, in primo luogo sassoni:<br />
“Enimvero mirabile fuit illud, quod Caesar non modo tam confusas, et fluctuantes res<br />
Germanicas composuerit, verum etiam quod illud fecerit intra tam breve spatium, ut<br />
incredibile prope videri possit, cum tantae vires in illum insurgerent, quantas vix ul<strong>la</strong> humana<br />
potentia multis annis potuisset infringere et profecto adversus alias omnes vires Christianas<br />
potuissent, resistere, siquis voluisset adversus tantam federationem iniqua arma importare,<br />
sed ubi quis contra aequitatem legesque pugnat, Deum habet adversarium plerunque, cuius<br />
potentiae qui exercitus, quae c<strong>la</strong>sses, qui armati, quae astra, qui imperatores possent<br />
resistere? Nam et Roma orbis terrae prope domina tanti esse duxit Rhenum transire, ut cum<br />
Iulius Caesar id fecissset, supplicationes Diis immortalibus decretae sint, et Carolus<br />
cognomento Magnus appel<strong>la</strong>tus triginta annos asumpsit in perdomanda Saxonia, cum<br />
Carolus quintus eius nominis imperator universam Germaniam intra quindecim mensium<br />
spatium subiugaverit.” 1140<br />
Appare ancora una volta più <strong>la</strong>mpante pertanto l’eccentricità del<strong>la</strong> prospettiva del<br />
Giambul<strong>la</strong>ri che assume <strong>la</strong> tradizione imperiale del<strong>la</strong> casa di Sassonia come fulcro del<strong>la</strong> sua<br />
storiografia mentre il Conti condannando le mire di egemonia imperiale del duca di Sassonia,<br />
colpisce proprio quel<strong>la</strong> stessa tradizione imperiale su cui il Duca fonda le proprie<br />
1135 Ivi, passo cit.a p. 3.<br />
1136 Ivi, p. 3-4.<br />
1137 Ivi, a p. 4 leggiamo: “Nam facultas eligendi Imperatoris ex Italia primum in Germaniam tras<strong>la</strong>ta est a<br />
Gregorio Quinto Pontifie Maximo, cum fuisset expulsus a Romanis anno salutatis nostrae quarto post<br />
noningentos et octaginta: quem postea Ottho in Italiam cum exercitu transgressus sedi apostolicae restituit. Ea<br />
de causa pontifex Germanus per arma Germanica in imperium restitus consulente etiam ipso Ottone faultatem<br />
erigendi imperatoris Romanis ereptam ad suos Germanos transtulit.”<br />
1138 Ivi, cfr. p. 5: “et quoniam multa contra leges imperatorias patriasque commissisent, neglecta Augusti<br />
Imperatoris autoritate, Philippus Lantgravius et Federicus hostes imperj iudicarentur, iisque; indiceretur<br />
imperatorium exilium. Nam Caesar quamvis egre ferebat contemptum imperii, et catholice religionis per eam<br />
provinciam magis ac magis in dies serpere, firmioresque radices agere, quae superioribus temporibus tanta<br />
observantia iustitiam, ac pietatem coluisset, tamen cum modo Pannonicis, modo Numidicis bellis distraheretur,<br />
neque tunc quidem rem il<strong>la</strong>m aggressus esset, nisi vel post exilium acrius odium exarsisset, multaque damna<br />
cesariensis amicis fuissent il<strong>la</strong>ta, ac neque ab imperatoriis quidem urbibus sibi temperatum fuisset.”<br />
1139 Ivi, p. 13: “Philippus ob imperitiam rei militaris tam opportunam invadendi hostis facultate praetermittens<br />
postea inductus est in summas difficultates cum rerum omnium iactura. Non enim in colligendis magnis<br />
exercitibus solum, aut in comparandis c<strong>la</strong>ssibus, aut castris in putissimo loco legendis, et muniendis consistit<br />
virtus imperatoria, sed multo magis in arripiendis opportunitatibus, quae sese offerunt rei praec<strong>la</strong>re gerendae.”<br />
1140 Ivi, p. 57, cfr. inoltre sul<strong>la</strong> protezione divina di cui gode Carlo V p. 25.<br />
246
ivendicazioni. Giambul<strong>la</strong>ri infatti, nel<strong>la</strong> sua prospettiva filoasburgica, appare quantomeno<br />
favorevole ad un compromesso tra principi protestanti e imperatore come osservato. Carlo V<br />
invece viene collocato nelle parole del De Conti al di sopra di Cesare e Carlo Magno, proprio<br />
in virtù del<strong>la</strong> protezione divina che ne guida le azioni ed il successo contro quei Sassoni che<br />
gli altri due personaggi ben più a lungo avevano dovuto fronteggiare e combattere. Sassoni<br />
che vengono nel De Conti proposti in una prospettiva perfettamente capovolta rispetto al<strong>la</strong><br />
Storia d’Europa dove sono caratterizzati quali beneficiari del<strong>la</strong> provvidenza divina e<br />
principali attuatori dei suoi disegni.<br />
Peraltro, sul modo di considerare Carlo V, il Conti marca una netta differenza anche<br />
rispetto al Bardi. Differenza inoltre, che sembra avvalorata dal consenso che l’autore offre<br />
all’interim di Augusta promosso da Carlo V nel 1548, almeno riguardo alle intenzioni<br />
dell’atto, e dal giudizio espresso su Paolo IV e <strong>la</strong> guerra contro <strong>la</strong> Spagna, integralmente<br />
ricalcato sui teoremi del processo ai nipoti del pontefice napoletano da Pio IV. L’Interim<br />
viene letto come provvedimento temporaneo, comunque adottato nell’ottica del pieno<br />
ristabilimento del cattolicesimo, possibile soltanto attraverso il pieno espletamento dell’opera<br />
conciliare 1141 .<br />
A proposito di Paolo IV cadono le oscil<strong>la</strong>zioni e le sfumature bardiane, ed emerge<br />
l’immagine di un Carafa papa santissimo nel<strong>la</strong> sfera spirituale, e tuttavia iracondo e testardo a<br />
causa del<strong>la</strong> sua veneranda età. Sobil<strong>la</strong>to dal nipote, sospetta ingiustamente di Filippo ed agisce<br />
quasi in maniera tirannica a Roma. Avulso dal campo temporale, Paolo IV prende in questo<br />
ambito decisioni sostanzialmente fal<strong>la</strong>ci, fino a determinare lo scoppio del<strong>la</strong> guerra contro<br />
Filippo II del tutto incolpevole e ben disposto verso il pontefice, su istigazione dei nipoti 1142 .<br />
Questi ultimi pertanto giustamente sono poi scacciati dal pontefice da Roma e, dopo <strong>la</strong> sua<br />
morte, condannati nel processo intentato da Pio IV 1143 . Condanna pienamente condivisa<br />
dall’autore come si evince dal puntuale elenco dei torti compiuti dai Carafa, dal<strong>la</strong> difesa del<strong>la</strong><br />
decisione di Pio IV (nonostante contravvenga in questo modo alle garanzie loro promesse<br />
durante il conc<strong>la</strong>ve che lo avrebbe designato al soglio pontificio) 1144 e dal<strong>la</strong> considerazione<br />
sul<strong>la</strong> riabilitazione di Pio V, che non mette in discussione in nessun modo <strong>la</strong> sostanziale<br />
veridicità del verdetto del precedente pontefice:<br />
1141 Ivi, a p. 61 “In Augustanis comitiis, quoniam il<strong>la</strong> instituta fuerant a Caesare, ut col<strong>la</strong>psa religio in<br />
Germania instauraretur profligarenturque; hereses, multa pertractata sunt ad cultum divinum pertinentia, atque<br />
quoniam nullo pacto inter se de iis rebus convenire poterant, quidam Caesar perscripsit quae servanda censeret,<br />
quaedam concessit, donec de illis fieret concilij decretum, atque hanc formu<strong>la</strong>m Interim appel<strong>la</strong>runt.”<br />
1142 Ivi, leggiamo a p. 199: ”quare monebant ut sibi cavaret ab Hispana faccione, hec tametsi videbantur esse<br />
viro sapienti non negligenda, tamen non debebant esse tanti, ut incognita causa statim ad maximorum regum<br />
inimicitiam suscipiendam possent impellere, et ad privatos cives sunt tqnquam columnae principum<br />
sublimitatem suis humeris sustinentes, sed etiam quia vix est atrocis tyrannidis quavis minima suspicione, que<br />
nul<strong>la</strong> probabili causa fulciatur, ita commoveri, ut ad exitium internecionemque civium, et honestarum<br />
familiarum infamiam procedatur. Haec autem contingebant, quia Pontifici falso persuasum fuerat, quod<br />
Philippus rex et ipsum, et Carafam purpuratum per nonnullos Neapolitanos Garzie opera interfici curaret, atque<br />
Nannio Abbati viro Apulo caput amputatum est, quod venenum dictus est paravisse, cum esset cubicu<strong>la</strong>rius<br />
secretus, nam Mattheus stendardus Pontifici nepos nuntiaverat se venenum in inferiore culina Pontificis<br />
reperisse, enimvero cum multi viri sapientes Pontificium ipsum ab ea falso suscepta opinione deducete<br />
conarentur, vellentque demonstrare hanc esse apertissimam nonnullorumque malitiam, et calunniam, quia<br />
Philippus optime esset affectus erga dignitatem Pontificiam, neque esset quidpiam, vel c<strong>la</strong>m, vel pa<strong>la</strong>m nul<strong>la</strong><br />
presertim accepta inuria moliturus, nunquam ab il<strong>la</strong> opinione dimoveri potuit, est enim id sive naturae vitio<br />
insitum plerisque senibus, sive consuetudine quibusdam confirmatum, sive ex imperia rerum, ut, ubi esacerbati<br />
fuerint, vel aliquam opinionem, sue bonam, seu ma<strong>la</strong>m imbiberint, nullis omnino rationibus dimoveantur. Illud<br />
vero contingit plerunque imperitis rerum humanarum, qui pertinaciam ac temeritatem pro constantia<br />
complectuntur his accedabat, quod Ponifex natura esset iracundus, ac pene imp<strong>la</strong>cabilis hisce suspicionibus<br />
commotus iubet nonnul<strong>la</strong>s peditum cohortes con scribi ad sui corporis custodiam…”<br />
1143 Ivi, sui delitti compiuti dai Carafa e sul<strong>la</strong> loro caciata a cui si contrappone <strong>la</strong> santità dei provvedimenti<br />
adottati dal Pontefice in campo spirituale in materia inquisitoriale e libraria, vedi pp. 261-264 e 269-270 e 274.<br />
1144 Ivi, sul<strong>la</strong> condanna e sull’esecuzione p. 274 e sul<strong>la</strong> difesa del<strong>la</strong> risoluzione di Pio IV in partico<strong>la</strong>re l’autore<br />
ivi scrive: “Sed tamen ita sit divino instituto ut homicidarum ultores inopinantes inveniant, atque malorum<br />
hominum ma<strong>la</strong> munera in ipsos <strong>la</strong>rgitore convertantur.”<br />
247
“condemnationem Carafarum rescindit. Revocat quae adversus illos a Pio Quarto facta<br />
fuerant, iubet Carafica insignia erigi, ubi fuerant devastata, imperata revocationem fieri<br />
sententiae et condemnationis, sed ex ea parte tantum qua videbatur infamia in innocentes aut<br />
posteros redundare…” 1145 .<br />
Tuttavia, nel seguito, <strong>la</strong> beatificazione di Carlo V viene sminuita dai sospetti nutriti dai<br />
principi tedeschi che <strong>la</strong> mancata liberazione del <strong>la</strong>ngravio d’Assia e il tentativo di far eleggere<br />
Filippo come imperatore del Sacro Romano Impero in base al<strong>la</strong> auspicata remissione del<strong>la</strong><br />
corona di Re dei Romani da parte di Ferdinando, siano dettati dal<strong>la</strong> smodata ambizione di<br />
Carlo piuttosto che dal<strong>la</strong> sua convinzione religiosa 1146 . In secondo luogo, nonostante gli elogi<br />
rivolti a Filippo, è indicativa <strong>la</strong> giustificazione del<strong>la</strong> pace separata contratta dai Veneziani con<br />
gli Ottomani nel 1573, provocata appunto dall’ambiguità spagnole e dal<strong>la</strong> preoccupazione che<br />
Venezia si rafforzi nel Levante minando in qualche modo l’ampiezza dell’egemonia spagno<strong>la</strong><br />
in Italia e nel Mediterraneo 1147 .<br />
Peraltro, nel<strong>la</strong> versione <strong>la</strong>tina non abbiamo riscontrato alcuni passi che presentano una<br />
valenza antispagno<strong>la</strong> non del tutto repressa che invece troviamo nel<strong>la</strong> volgarizzazione del<br />
1589 svolta da Giovan Carlo Saraceni che contiene anche tre libri in più 1148 . Egli, oltre a<br />
completare l’opera del De Conti con “opportune postille…e due copiosissime tavole” come<br />
scrive nel<strong>la</strong> dedica del<strong>la</strong> sua traduzione al senatore Jacopo Soranzo, opera alcune integrazioni<br />
tutt’altro che accessorie, le quali alterano <strong>la</strong> prevalente neutralità e <strong>la</strong> pianezza contiana 1149 . In<br />
partico<strong>la</strong>re il racconto dell’episodio del<strong>la</strong> morte di Don Carlos posto dopo l’incipit del libro<br />
XIX sugli arresti di Strael e del consigliere del duca d’Agamonte ad opera del duca d’Alba nel<br />
De Conti, viene preceduto nel Saraceni da una digressione sui delitti perpetrati dai tiranni per<br />
perpetuare e garantire il loro arbitrio. Come non leggere un’allusione ad un coinvolgimento<br />
diretto di Filippo nel<strong>la</strong> morte del figlio raccontata nel<strong>la</strong> pagina seguente? 1150<br />
Tanto più che il Saraceni di seguito alle considerazioni sulle nefandezze dei tiranni constata<br />
l’importanza del compito dello storico che risiede proprio nel rive<strong>la</strong>re e preservare memoria di<br />
1145 Ivi, passo riportato a p. 347.<br />
1146 Ivi, passo a p. 99 dove l’autore evidenzia il disve<strong>la</strong>mento del vero animo con cui Carlo aveva condotto <strong>la</strong><br />
guerra smalcaldica sotto pretesto di una motivazione di tipo esclusivamente religiosa, una smodtqa ambizione di<br />
imperio assoluto sull’impero germanico.<br />
1147 Ivi, cfr. pp. 512-513 con l’ambasceria del Da Ponte da Gregorio XIII illustrata in modo analogo a quanto<br />
fatto dal Bardi a p. 513, con <strong>la</strong> sottolineatura del<strong>la</strong> grande abilità nell’occasione dimostrata dal Da Ponte e<br />
sull’atteggiamento filoveneziano dell’autore riguardo al<strong>la</strong> guerra cipriota vedi Natale de’ Conti, cit., pp. 455-<br />
456.<br />
1148 Delle historie de suoi tempi di Natale de’ Conti. Parte <strong>prima</strong> e seconda. Di <strong>la</strong>tino in volgare nuovamente<br />
tradotta da M. Giovan Carlo Saraceni, in Venetia appresso Damian Zenaro, 1589.<br />
1149 Ivi, All’Illustrissimo et eccellentissimo il Signor Iacopo Soranzo…In Vinegia il primo di Gennaio<br />
MDLXXXIX. In proposito vedi Conti Natale, cit., a p. 456 e soprattutto A. Guillon in Biographie universelle, IX,<br />
Paris, 1854, pp. 121-122 e in generale F. L. Schoell, Etudes sur l’humanisme continental à <strong>la</strong> fin de <strong>la</strong><br />
Renaissance, Paris, 1926.<br />
1150 Ivi, parte seconda, cit., a p. 1-2 leggiamo: “Grave invero e molesta cosa mi pare, che gran parte de i<br />
Tiranni a benep<strong>la</strong>cito suo già cercarono non solo signoreggiare le facoltà e le vite de i privati, ma imporre<br />
etiandio leggi a l par<strong>la</strong>re, e quasi a i pensieri interni: né solo per capriccio più tosto che per ragione, voltarono<br />
sossopra il mondo: ma volsero ancora, che i loro errori, come chiarissime virtù, fossero da i popoli pregiati e<br />
celebrati; chiamando <strong>la</strong> ferigna crudeltà, giustizia regia; l’avaritia, prudenza di raccogliere e risparmiare il<br />
danaro per mantenere gl’imperij; <strong>la</strong> superbia, decoro e ritirata sopreminenza; <strong>la</strong> intemperanza, liberalità verso<br />
gli inferiori; <strong>la</strong> timidità caute<strong>la</strong>, e considerata circospettione; <strong>la</strong> sfrenata ingordigia di comandare grandezza<br />
d’animo ch’ad alte cose aspiri; i parricidij poi e le nefande uccisioni de i figliuoli, de i fratelli, de i propinqui,<br />
sicurezza di dominare; ed in somma il dispregio delle leggi divine et humane, ragione di Stato, e conservatione<br />
de i regni; quasi non possino i regni per giustizia e bontà del Principe mantenersi: e si recano a grandissima<br />
ingiuria l’udire a dire quelle cose che, che non s’arrrossiscono di fare.” con cui cfr. Natalis Comitis<br />
Hi<strong>storia</strong>rum, cit., a p. 400.<br />
248
queste scelleratezze in modo da indicare chiaramente ai capi di governo come non si deve<br />
agire 1151 .<br />
Passaggio ancora più significativo se consideriamo che apre il libro in cui viene narrato<br />
l’odio crescente e generalizzato che il duca d’Alba genera con <strong>la</strong> sua ferocia e rigidità nei<br />
Paesi Bassi, in piena convergenza questa volta con il testo in <strong>la</strong>tino del De Conti 1152 . Pertanto<br />
in questo senso, rinveniamo una forte analogia con <strong>la</strong> prospettiva bardiana quando<br />
l’atteggiamento del Duca d’Alba appare smisurato anche rispetto alle risoluzioni prese in<br />
precedenza da Carlo V quando non uccide Giovan Federico di Sassonia 1153 . Certo, sul punto<br />
specifico, l’elogio contiano al<strong>la</strong> moderazione dimostrata da Carlo segna ancora<br />
un’allontananmento dal Bardi più critico come detto verso l’imperatore. Peraltro, <strong>la</strong><br />
convergenza complessiva tra i due storici è confermata anche dal diverso e positivo giudizio<br />
dato sulle risoluzioni prese nell’impero da Ferdinando II capace di mantenere, nonostante le<br />
forti tensioni confessionali che coinvolgono tutti gli stati europei, dai Paesi Bassi al<strong>la</strong> Francia,<br />
<strong>la</strong> pace con i principi elettori agendo evidentemente da pom<strong>pier</strong>e 1154 . Del resto, ulteriori e<br />
quindi non occasionali accenti antispagnoli il De Conti li offre nel libro XXIV quando spiega<br />
<strong>la</strong> sostituzione del Duca d’Alba nelle Fiandre in base ai pessimi risultati prodotti dal suo<br />
governo:<br />
“Philippus quia res parum feliciter succederent Albano Duci, qui per nimiam severitatem<br />
irritaverat potius, quam exstinxerat ul<strong>la</strong> ex parte incendia Bellorum Belgicorum, censet eum<br />
esse ex illis finibus revocandum, quod semper maiora odia in eum succrescerent…” 1155<br />
La sostituzione del Duca tuttavia, non cambia in una situazione generale, in cui gli Spagnoli<br />
hanno perpetratato nel tempo un regime di ruberie e prepotenze via via crescenti, che per<br />
quanto parzialmente giustificate anche dai bisogni di cassa di Filippo II, hanno condotto il<br />
popolo fiammingo al<strong>la</strong> ribellione aperta contro il sovrano spagnolo. Del resto, anche <strong>la</strong><br />
successiva descrizione dei Paesi Bassi, delle qualità positive dei suoi abitanti originari e del<br />
sistema di governo vigente piuttosto ampia e tutt’altro che negativa sembra accentuare le<br />
responsabilità spagnole nell’attuale situazione di generale e incontrol<strong>la</strong>to caos in cui versa <strong>la</strong><br />
realtà o<strong>la</strong>ndese 1156 .<br />
La cifra unitaria di questa storiografia dell’ultima parte del XVI secolo, comunque, peraltro<br />
già individuabile nel Giovio e nel Bartoli, consiste nel rapporto sinal<strong>la</strong>gmatico tra questione<br />
religiosa e situazione politica come consapevolmente manifestato dal De Conti in più di un<br />
1151 Ivi, leggiamo: “Onde scatrurendo parecchi principi dell’età passata d’infiniti errori (che poco curano gli<br />
uomini da bene le false maldicenze) allora da ogn’infamia si reputavano quasi liberi e sicuri, se gl’historici non<br />
scoprissero al mondo le loro poltronerie, et odiose operazioni: perciò con severissimi editti imposero, che si<br />
ripurgassero le historie dal raccontare i falli de’ Prencipiall’altrui cura dissegnati. Ma quanto più lodevol freno<br />
sarebbe a richiamare quelli, che le città governano e signoreggiano, da tutti i malvagi pensieri, l’infamia di<br />
spietati e rei tiranni: <strong>la</strong> quale so<strong>la</strong> può da ogni scelerità so<strong>la</strong> ritardarci? […]Imperochè non è l’hi<strong>storia</strong><br />
ritrovata per adu<strong>la</strong>re, o quasi una mercantia di vanità e di bugie, o ridutto de circo<strong>la</strong>tori o Zarettoni: ma si ben<br />
come specchio del<strong>la</strong> vita humana, e vivace esemp<strong>la</strong>re del<strong>la</strong> virtù et de vitii, per informare gli huomini al viver<br />
giusto e prudente al dispetto degli tiranni; i quali non volendo il rinfacimento delle loro vergogne udire, han<br />
cercato in molti modi di occultarle.”<br />
1152 Cfr. Natalis Comitis universae hi<strong>storia</strong>e, cit., pp. 406-417 e 2-23.<br />
1153 Ivi, p. 413.<br />
1154 Ivi, p. 419 dove leggiamo : “in Germaniam vero maxima semina perturbationum excitabatur nisi Caesari<br />
prudentia ill<strong>la</strong> statim oppressiset…”.<br />
1155 Ivi, passo a p. 530.<br />
1156 Ivi, p. 531, in partico<strong>la</strong>re sulle violenze degli spagnoli l’autore scrive: “At regio Belgarum interea non multo<br />
feliciore fortuna fruebatur, cum aliae urbes modo intestinis armis propter dissensionem de religione vexarentur,<br />
modo affligerentur ab exteris, mutuasque rapinas, incursiones, caedes, incendia, popu<strong>la</strong>tiones paterentur,<br />
aliaeque; variis modis vexarentur, perferrentque multa atrocia praesertim ab Hispanis copiis. Nam cum multa<br />
stipendia deberentur Hispanis a Philippo Rege ob exhaustum regium erarium per diuturnitatem bellorum<br />
multorum annorum ex ordine assiduorum, ceptum est <strong>la</strong>borare summa inopia rei pecuniariae in illis<br />
regionis.[…]”.<br />
249
punto delle sue Hi<strong>storia</strong>rum. L’autore infatti, prendendo spunto dai conflitti religiosi scoppiati<br />
in Francia osserva a proposito delle guerre:<br />
“Nam nunquam fere so<strong>la</strong> religio fuit causa bellorum, sed vel liberior et amplior vivendi<br />
licentia expetita per simu<strong>la</strong>tionem religionis, vel immoderata libido dominandi, vel aliqua res<br />
huiusmodi mortales incitavit ad arma hostiliter suscipienda adversus resistentes, cum<br />
turpitudo desiderii, et illegittima apperentia rerum parum honestarum, aut simu<strong>la</strong>tione<br />
defendendae religionis, aut alicuius causae honestioris contegatur, quo multi et fautores<br />
inveniantur, et confluant adiutores, quia manifestam turpitudinem pauci ad modum<br />
complectuntur.” 1157<br />
Valutazione a cui consegue in modo evidente il corol<strong>la</strong>rio esposto dopo alcune pagine con<br />
riguardo al<strong>la</strong> situazione tedesca per cui <strong>la</strong> conformità del<strong>la</strong> religione è funzionale al<strong>la</strong> stabilità<br />
degli stati 1158 .<br />
Certo nel De Conti vi è una pronunciata pulsione controriformata che difficilmente<br />
possiamo ritrovare nel Giovio o nel Bartoli come dimostrano anche le veementi critiche<br />
rivolte al cardinal Madruzzo 1159 . Tuttavia, il vero punto di incontro, superiore anche al<strong>la</strong><br />
discriminante dell’ortodossia, come dimostrato anche dalle notevoli critiche rivolte al modo di<br />
condurre <strong>la</strong> crisi dei Paesi Bassi da parte spagno<strong>la</strong>, risiede nel modo in cui le problematiche<br />
religiose si affrontano a livello politico. Il piano religioso anche nel De Conti, si interseca<br />
strettamente con <strong>la</strong> sfera politica e con le idealità proprie del suo ambito secondo una<br />
prospettiva non favorevole al<strong>la</strong> Spagna ed essenzialmente filoveneziana.<br />
Di fondo, quindi, abbiamo rilevato nel<strong>la</strong> sostanza negli storici coevi e successivi del<br />
Giambul<strong>la</strong>ri motivi essenzialmente di carattere politico dietro alle stesse istanze religiose<br />
espresse, condizionate peraltro dall’ineludibile impatto del<strong>la</strong> Controriforma. Domina<br />
comunque, anche se secondo ango<strong>la</strong>zioni differenti il tema del<strong>la</strong> libertà politica italica.<br />
5. Jacques-Auguste de Thou<br />
Questo tentativo di percorso finalizzato a contestualizzare <strong>la</strong> prospettiva storiografica del<br />
Giambul<strong>la</strong>ri evidenziandone le peculiarità ed i possibili motivi di convergenza e divergenza<br />
con il panorama storiografico coevo o di poco successivo, si concluderà con Jacques De<br />
Thou 1160 che scrive le Hi<strong>storia</strong>rum sui temporis… 1161 tra <strong>la</strong> fine del XVI e i primi anni del<br />
XVII secolo.<br />
La lettera dedicataria indirizzata dal Buckley, curatore dell’edizione settecentesca inglese, al<br />
re Giorgio II, risulta già chiarificatrice dell’indirizzo perseguito dal De Thou, attraverso un<br />
parallelo istituito con <strong>la</strong> missiva scritta ad Enrico di Navarra dallo storico francese. Buckley<br />
1157 Ivi, passo a p. 237.<br />
1158 Ivi, a p. 258 leggiamo: “Nam religionis cum ceteris Christianis coniunctio et communitas plurimum facere<br />
proponebatur non solum ad divinas, sed etiam ad humanas vires coniungendas…”.<br />
1159 Conti Natale, cit., p. 456.<br />
1160 Sul quale rinviamo a C. Vivanti, Lotta politica e pace religiosa in Francia fra Cinque e Seicento, Torino,<br />
Einaudi, 1963 in partico<strong>la</strong>re ivi, nel<strong>la</strong> Parte seconda, La formazione e l’opera storiografica di Jacques Auguste<br />
de Thou, pp. 292-324, cfr. inoltre, <strong>la</strong> voce Thou (Jacques Auguste de) in Nouvelle Biographie Gènerale depuis<br />
les temps les plus reculès jusq’a nos jours…, publièe par MM. Firmin Didot Frères, Tome Quarante=Cinquième,<br />
Paris, MDCCCLXVI, pp. 255-262<br />
1161 Consultiamo l’opera storica del De Thou nell’editio princeps: quel<strong>la</strong> inglese del<strong>la</strong> <strong>prima</strong> metà del<br />
Settecento: Jac. Augusti Thuani hi<strong>storia</strong>rum sui temporis, Londini Excudi curavit Samuel Buckley,<br />
MDCCXXXIII. Riguardo a tutte le edizioni delle Hi<strong>storia</strong>rum… e in partico<strong>la</strong>re a quel<strong>la</strong> londinese rinviamo a S.<br />
Kinser, The works of Jacques-Auguste de Thou, The Hague, 1966, in partico<strong>la</strong>re pp. 6-166, in proposito cfr. A.<br />
Soman, The London Edition of De Thou’s History: A Critique of some well-documented Legenda in<br />
“Renaissance Quarterly”, vol. XXIV, n.1, 1971, pp. 1-12, inoltre id., De Thou and the Index. Letters from<br />
Christophe Dupuy (1603-1607), Genève, Droz, 1972.<br />
250
infatti, prendendo spunto dal<strong>la</strong> celebrazione del re di Navarra, divenuto re di Francia secondo<br />
un chiaro disegno divino volto a pacificare quel regno 1162 , si <strong>la</strong>ncia in un lungo elogio di<br />
Giorgio II e del suo governo. Così facendo, tuttavia, lo stampatore inglese compie un evidente<br />
salto logico e storico-temporale rispetto al De Thou, nel momento in cui ne riprende il<br />
memorabile giudizio sul<strong>la</strong> casa di Orange per celebrarne meriti ben successivi al<strong>la</strong> vita del<br />
francese. Meriti appunto, individuati dal Buckley, nel<strong>la</strong> restaurazione del<strong>la</strong> monarchia in<br />
Inghilterra attraverso <strong>la</strong> “gloriosa rivoluzione” del 1688 con cui si preparano i felici destini<br />
monarchici di Giorgio II di Hannover 1163<br />
Dunque De Thou viene riletto, secondo una prospettiva anglofi<strong>la</strong> in cui si ricorda<br />
emblematicamente <strong>la</strong> lotta per <strong>la</strong> libertà politica del continente che gli o<strong>la</strong>ndesi conducono nel<br />
nome del<strong>la</strong> Riforma <strong>prima</strong> contro gli Asburgo, poi nei confronti dei Borbone:<br />
“cuius rei omen faustissimum iam nunc ex eo capimus, quod illustrissimi Principis<br />
arausionensis precibus generose pariter ac prudenter annuens, filiam natu maximam, regiam<br />
virginem regiisque tha<strong>la</strong>mis ad prime dignam, uxorem illi destinaris. Cum et ipse Aloisia<br />
magni illius Gulielmo primi Arausuniensis filiam ortum ducas, et Domus tua lege a Gulielmo<br />
tertio, magno illo reipeublicae nostrae iam periturae sospitatore, cum omnium regni Ordinum<br />
consensu <strong>la</strong>ta, ad imperium Britannicum evecta est; nullum hoc illustrius magni gratique<br />
animi indicium dare poteras, quam quod principem ex hac nobilissima heroum gente tibi in<br />
generum accipere non dedigneris. Hae felices nuptiae te ad omnes il<strong>la</strong>s rationes, quibus et<br />
religio reformata et Europae libertas optime conserventur, animum attentissime advertere<br />
p<strong>la</strong>ne monstrant. Memorabile illud Thuani de illustrissima hac Arausionensi familia judicium,<br />
quod ante annos centum et viginti tulit, vaticinium merito censeri possit ; cum intra unius<br />
saeculi spatium in eadem gloriosa religionis et libertatis causa, contra praepotentem<br />
dominationem primo domus Austriacae, dein Borboniae, tuenda, idque iis temporibus, cum<br />
opibus copiisque maxime florerent, bis spledide fuerit adimpletum.” 1164 .<br />
Buckley celebra cioè il regime inglese, sia per <strong>la</strong> sua libertà politica inscindibilmente legata<br />
al protestantesimo, sia per i meriti del<strong>la</strong> politica dell’equilibrio capace di contenere <strong>la</strong> volontà<br />
di potenza del re Sole 1165 . Come evidenziato da Alfred Soman, del resto, l’editore inglese<br />
tende a rappresentare lo storico francese quale uomo dell’Illuminismo in lotta mortale con il<br />
suo secolo 1166 .<br />
Nel De Thou, invece, evidentemente, l’elogio delle libertà o<strong>la</strong>ndesi e del<strong>la</strong> ribellione dei<br />
Paesi Bassi risponde a ben altra linea, antiasburgica e precipuamente antispagno<strong>la</strong>.<br />
In questo senso del resto, fin dal<strong>la</strong> prefazione, lo storico francese distingue chiaramente il<br />
ramo asburgico austriaco e <strong>la</strong> situazione germanica dal centralismo di marca casigliana. La<br />
figura di Ferdinando e di suo figlio Massimiliano, infatti, e le scelte prese in direzione del<strong>la</strong><br />
conciliazione politico-religiosa per superare lo stato di generale conflittualità civile e militare<br />
creato da Carlo V, ricevono dallo storico francese una certa considerazione:<br />
1162 Ivi, Serenissimo potentissimoque Magnae Britannie regi, Georgico II in data VII Kal. Jan. A. D.<br />
MDCCXXXIII dove leggiamo alle pp. I-II: “Henrico quarto Galliarum regi Hi<strong>storia</strong>m suam dicavit Thaunus,<br />
quod magnum illum principem iis ornatum virtutibus perspexerit, quae regiis honoribus dignissimum, muneribus<br />
officiisque ex omni parte parem redderent; et ad solium divini numinis auspiciis evctum existimarit, ut rem<br />
Gallorum publicam ex turbata et distracta pacatam florentemque faceret.” In proposito verifica <strong>la</strong> dedica<br />
originaria del De Thou al Christianissimo Franc. Et Navar. Regi Henrico IV riportata ivi alle pp. 1-19 e indicata<br />
come auctoris praefatio in cui leggiamo a p. 1: “…te presertim rege, qui raro Dei beneficio, profligatis<br />
rebellionum monstris et extincto factionum fomite, pacem Gallia reddidisti, et cum pace duas res insociabileis<br />
aliis creditas miscuisti, libertatem et principatum.”<br />
1163 L’elogio degli Orange è svolto ivi, nel VI tomo a p. 374.<br />
1164 Ivi, alle pp. VI-VII.<br />
1165 ivi, pp. VII-VIII.<br />
1166 A. Soman, The London edition, cit., in partico<strong>la</strong>re pp. 1-2 e 8.<br />
251
“Id vidit Ferdinandus sapientissimus princeps, qui bellis longe maximis ac periculosissimis<br />
sub Carolo V fratre in Gernamania exercitatus, cum experientia didicisset, coepta armis<br />
adversus Protestanteis hactenus male cessisse, postquam felicibus auspiciis imperium inivit,<br />
religionis pacem solemni decreto sanxit; quam repetitis vicibus semper postea confirmavit. Et<br />
cum videret melius per amica colloquia religionis negotium procedere, eiusque rei aliquoties<br />
sub fratre indictis Ratisponae et Wormatiae olim conventinbus periculum fecisset, paulo ante<br />
mortem post peractum Tridenti concilium Protestantibus, qui ad illud non venerant,<br />
satisfacere cupiens,novum rursus cum iis colloquium ex Maximiliani filii prudentissimi<br />
principis consilio instituere voluit; ad idque Georgium Cassandrum virum doctum et<br />
moderatum delegit, qui cum adversae partis pastoribus controversa Augustanae confessionis<br />
capita amice retractaret. Sed adversa viri optimi valetudo, et utriusque accelerata mors,<br />
fructum ex eo speratum Germaniam invidit. Idem Germanorum exemplo postea Poloni<br />
otimates in sua repubblica statuerunt.” 1167<br />
Anche <strong>la</strong> Polonia copia l’assetto raggiunto in Germania, sebbene <strong>la</strong> prematura morte di<br />
Giorgio Cassander abbia impedito di acquisire intese ancor più profonde 1168 .<br />
De Thou, appare pertanto fin dalle prime battute delle Hi<strong>storia</strong>rum, visti i tragici risultati che<br />
<strong>la</strong> linea repressiva ha provocato in Francia, convinto sostenitore del<strong>la</strong> politica di<br />
conciliazione:<br />
“Sed quando hunc sermonem semel ingressus sum, ut verbo expediam, dicam ingenue, nam<br />
sub te licet, bellum non esse legitimum modum tollendae ex ecclesia scissurae: Protestanteis<br />
quippe apud nos, qui per pacem numero et auctoritate in dies minuebantur, inter arma ac<br />
dissensiones semper crevisse; et, sive praepostero relgionis ardore, sive ambitione ac rerum<br />
novandarum studio, a nostris longe perniciosissimo errore peccatum esse, qui bellum<br />
internecinum contra Protestanteis saepius susceptum ac compositum, toties, infaustis Galline<br />
auspiciis, magno religionis ipsius periculo, renovarunt.” 1169<br />
L’uso del<strong>la</strong> forza, infatti, <strong>la</strong>cera il tessuto politico-spirituale del corpo politico come<br />
documentato anche dall’invio del Duca d’Alba nei Paesi Bassi che ha messo a ferro e fuoco<br />
quelle province sostituendo ma<strong>la</strong>mente Margherita 1170 . Indubbiamente, a questa tendenza<br />
distruttiva e controproducente, si oppone <strong>la</strong> linea politica di accordo con i protestanti,<br />
perseguita da Enrico IV, dopo <strong>la</strong> vittoria militare, attraverso l’editto di Nantes nel<strong>la</strong> cui<br />
preparazione svolge un ruolo non secondario proprio De Thou. 1171<br />
La piena sintonia di questa introduzione con l’orientamento politico di Enrico IV, d’altra<br />
parte, trova <strong>la</strong>mpante conferma nel<strong>la</strong> decisione reale di diffonder<strong>la</strong> attraverso <strong>la</strong> pubblicazione<br />
in un opuscolo a parte, tradotta in francese dal riformato Jean Hotman, a indicare le finalità<br />
conciliative ed ireniche dell’iniziativa, segna<strong>la</strong>te da Corrado Vivanti. Prospettive pienamente<br />
condivise dal De Thou, che nell’operare del sovrano individua l’unica efficace e definitiva<br />
cura per rimuovere ogni ulteriore rischio di <strong>la</strong>cerazione del corpo civile-religioso statuale,<br />
1167 Ivi, Auctoris praefatio, cit., pp. 7-8.<br />
1168 Al riguardo cfr. C. Vivanti, Lotta politica e pace religiosa, cit., p. 322.<br />
1169 Hi<strong>storia</strong>rum sui temporis, cit., in Auctoris praefatio, passo a p. 8.<br />
1170 Ivi, Auctoris praefatio, cit., a p. 9 dove leggiamo: “tum et Albanus cum potenti exercitu in Belgium missus,<br />
qui, abdicata Margaritae Parmensi, quae cum summa moderatione provincias il<strong>la</strong>s administraverat, auctoritate,<br />
ferro et f<strong>la</strong>mmis omnia miscuit, arces ubique destruxit, libertatem insolitis vectigalibus ad belli subsidia<br />
impositis <strong>la</strong>befactavit, et civitates opulentas infracta libertate quasi praevalida corpora cibo subtracto ad<br />
maciem adduxit…”.<br />
1171 Ivi, Auctoris praefatio, cit., vedi pp. 11-14. Inoltre sul<strong>la</strong> partecipazione in <strong>prima</strong> persona del De Thou al<strong>la</strong><br />
politica di concordia con gli Ugonotti di Enrico tanto da essere il negoziatore per conto del re dell’editto di<br />
Nantes vedi Thou (Jacques Auguste De), cit., p. 258 e soprattutto C. Vivanti, Formazione e opera storiografica<br />
di Jacques-Auguste de Thou, cit., pp. 311-312 e 322.<br />
252
secondo un’indirizzo in cui sfera politica e religiosa si coniugano inscindibilmente nel<strong>la</strong><br />
logica del gallicanesimo.<br />
Proprio i circoli vicini allo storico francese e<strong>la</strong>borano l’ideologia monarchica gallicana e<br />
irenica che supporta il nuovo sovrano e <strong>la</strong> sua azione interna ed internazionale 1172 .<br />
Dimensioni, quel<strong>la</strong> politica e religiosa in cui le assonanze con il Giambul<strong>la</strong>ri non mancano.<br />
L’elemento ghibellino, infatti, costituisce un punto d’incontro estremamente profondo tra i<br />
due letterati. A fine Cinquecento e all’inizio del Seicento, del resto, il pensiero ghibellino è<br />
tutt’altro che dissolto o comunque in posizioni di debolezza nel panorama spirituale europeo,<br />
pur rimodu<strong>la</strong>ndosi diversamente a seconda dello Stato, dei circoli culturali di riferimento e<br />
delle forze in campo in lotta per l’egemonia europea 1173 .<br />
In Francia, superata <strong>la</strong> terribile crisi delle guerre di religione, Enrico IV viene celebrato in<br />
una chiave ghibellina esemplificata dal mito dell’Ercole Gallico. Ideologia che è funzionale<br />
al<strong>la</strong> riaffermazione del<strong>la</strong> dignità del potere regale dopo gli scossoni subiti dall’istituto<br />
monarchico ad opera delle guerre civili e delle teorie monarcomache da un <strong>la</strong>to, ed esprime<br />
una volontà di renovatio imperii a livello europeo strettamente connessa all’affermazione<br />
dell’egemonia francese sul continente europeo dall’altro. Suggestioni a cui corrispondono, a<br />
livello diplomatico, diversi progetti e più di un passo da parte di Enrico IV verso quel titolo<br />
imperiale tutt’altro che svalutato. 1174<br />
Tendenze ghibelline, chiaramente presenti nelle Hi<strong>storia</strong>rum fin dalle prime pagine, dove<br />
De Thou conferisce ai Galli un chiaro <strong>prima</strong>to all’interno dell’impero romano, certificato<br />
dal<strong>la</strong> capacità di mantenere inalterato, anche dal momento in cui sono sconfitti da Cesare, <strong>la</strong><br />
propria libertà:<br />
“vix decennio a fiorentissimo Romanorum duce C. Caesare in fidem accepti aut bello domiti<br />
sunt: nam et inter eos Hedui et Sequani amici populi Romani et Arverni fratres appel<strong>la</strong>ti sunt:<br />
sub iisque nominibus Gallia, quandiu imperium stetit, libertatem quadammodo retinuit…”. 1175<br />
Primato del tutto funzionale ad affermare nell’ambito delle stirpi germaniche, una volta<br />
attestato lo stretto legame intercorrente tra Galli e Germani per <strong>la</strong> derivazione del<strong>la</strong> stirpe<br />
germanica dei Baiori del<strong>la</strong> Vindelicia, dai Boiori Galli secondo l’ auctoritas tacitiana, il<br />
diritto gallico all’imperio europeo, secondo una logica non molto distante da quel<strong>la</strong><br />
postelliana. Le prerogative franco-galliche, d’altra parte, sono storicamente testimoniate dal<strong>la</strong><br />
restaurazione dell’impero d’Occidente e dal<strong>la</strong> guida così assunta sul<strong>la</strong> nuova Europa scaturita<br />
dal crollo di Roma, attraverso <strong>la</strong> dominazione del<strong>la</strong> componente normanna in Inghilterra e<br />
nell’Italia meridionale. Questa affermazione del<strong>la</strong> leadership imperiale gallica, inoltre, viene<br />
confermata da imperatori del calibro di Enrico IV e Federico II. Senza trascurare, poi l’ipotesi<br />
secondo cui i Veneti stessi deriverebbero dai Galli 1176 . La Serenissima, del resto, è il primo<br />
1172 C. Vivanti, Lotta politica e pace religiosa, pp. 292-293 e 308-311.<br />
1173 In proposito F. Yates, Astrea, cit., e C. Vivanti, Henry IV, the Gallic Hercules in “Journal of the Warburg<br />
and Courtauld and Institutes”, 30, 1967 ora in id., Incontri con <strong>la</strong> <strong>storia</strong>, cit., pp. 265-291, in partico<strong>la</strong>re pp. 269-<br />
270.<br />
1174 C. Vivanti, Lotte politiche e religiose, cit., nel<strong>la</strong> parte <strong>prima</strong>: Il mito dell’Ercole Gallico e gli ideali<br />
monarchici di renovatio pp. 74-132 in partico<strong>la</strong>re pp. 74-89; cfr. inoltre id., Henry IV, cit..<br />
1175 Hi<strong>storia</strong>rum, cit., lib. I, passo a p. 11.<br />
1176 Ivi, lib. I, pp. 11-12 dove leggiamo in chiave fortemente apologetica: “De Gallis quid attinet dicere, quos<br />
ab omni aetate <strong>la</strong>udis bellicae, et justitiae fama apud exteros c<strong>la</strong>risse constat, saepe se popolosa gente in vicinas<br />
et longiquas regiones estendente, saepe etiam afflictis principis et eorum salutarem opem implorantibus<br />
humaniter praebito auxilio?[…]Fidem faciunt et sparsae tot ubique terrarum Gallici nominis coloniae. Nam et<br />
major et melior Italiae pars de Cisalpinae Galliae nomine appel<strong>la</strong>tur. Et si ambitiosa et fabulosa Romanorum<br />
ad res Illiacas origines suas referentium commenta rejiciamus, quis dubitat, quin Veneti non ab Henetis<br />
Paph<strong>la</strong>gonibus, sed a Venetis, ut et Straboni videtur, in Armorica nostra sitis originem ducant ? Neque enim<br />
Caesari fides tribuenda est, qui hos ab illis nomen sumpsisse nul<strong>la</strong> verisimili ratione scripsit. Quorsum enim il<strong>la</strong><br />
Senonum, Boiorum, Cenomanorum, atque adeo Insubrum nomina in Italia pertinent, nisi ut intelligamus Gollos<br />
olim haec loca tenuisse, et ad tradendam posteris originis suae memoriam de suo nomine appel<strong>la</strong>sse ? Jam ad<br />
253
stato a riconoscere <strong>la</strong> legittimità del potere monarchico di Enrico IV in cui vede l’unico<br />
effettivo contrappeso capace in Italia di contrastare <strong>la</strong> soffocante egemonia spagno<strong>la</strong> e <strong>la</strong><br />
Controriforma cattolica. Del resto, Venezia, costituisce, proprio per questa linea antispagno<strong>la</strong><br />
e per <strong>la</strong> volontà di rendersi autonoma dall’ingerenza del<strong>la</strong> Santa sede chiaramente manifestata<br />
nel<strong>la</strong> questione dell’Interdetto, una freccia irrinunciabile all’arco di Enrico IV per scardinare<br />
l’egemonia spagno<strong>la</strong> in Italia 1177 .<br />
D’altra parte, suggerire questa sorta di legame tra Francia e Venezia, non appare certo molto<br />
distante dal<strong>la</strong> re<strong>la</strong>zione che il Giambul<strong>la</strong>ri ha determinato nel<strong>la</strong> Storia d’Europa tra Germania<br />
ed Italia. L’esigenza dell’asse privilegiato rimane invariata anche se è chiaro che <strong>la</strong> potenza di<br />
riferimento è costituita dai Borbone e non dagli Asburgo. Ma, come in quegli apprezzamenti<br />
al ramo austriaco si ce<strong>la</strong>va un atto d’accusa agli strumenti ed ai disegni applicati da Carlo V,<br />
qui nell’attacco al ramo spagnolo si vuole colpire <strong>la</strong> propensione universalistica mantenuta<br />
dopo il fallimento dell’imperatore borgognone, da Filippo II attraverso una politica fondata<br />
sulle posizioni del<strong>la</strong> Controriforma cattolica.<br />
In questa direzione, De Thou, non solo motiva l’ascesa sul trono imperiale degli Asburgo di<br />
Spagna con <strong>la</strong> decadenza delle fortune dei Galli 1178 (quindi acquisita fortuitamente), ma nel<strong>la</strong><br />
sostanza invalida lo stesso merito spagnolo nel<strong>la</strong> diffusione del cattolicesimo tra i popoli<br />
dell’America <strong>la</strong>tina recentemente scoperta. L’autore, infatti, interpreta l’azione spagno<strong>la</strong> quale<br />
strumento inconsapevole del<strong>la</strong> provvidenza divina che è in grado di trasformare anche le<br />
cattive intenzioni degli uomini in espressioni del<strong>la</strong> gloria di Dio. Ben altri, in verità, sono i<br />
motivi che hanno spinto scientemente gli spagnoli in America <strong>la</strong>tina “quod eventus docuit,<br />
illuc lucri potius et praedae quam pietatis causa profectos…” 1179<br />
Del resto, aggiunge De Thou, il fulcro dell’impero al di là del<strong>la</strong> sovranità asburgica, è<br />
costituito dalle tante realtà politiche che lo costituiscono. Quelle realtà con cui, non<br />
casualmente Ferdinando e Massimiliano devono scendere a compromessi e tra le quali<br />
naturalmente emerge <strong>la</strong> Sassonia, nelle prime pagine del secondo libro, in quanto appunto<br />
protagonista del<strong>la</strong> trans<strong>la</strong>tio imperii dai Franchi ai Germanici compiuta sotto gli Ottoni<br />
secondo quanto lo storico francese riferisce puntualmente:<br />
Germanos respice : none et Boiorum in Vindelicia, qui hodie Baiori sunt, ad Boios Gallos primordia retulit<br />
Tacitus? Quod ne minus vero consentaneum videatur, facit quod Caesar ipse scribit, fuisse aliquando tempus,<br />
quo Germanos Galli virtute superarent.[…]Demum Aetio,cuius apud Francos et Visigotos summa gratia et<br />
auctoritas erat, a Valentiniano occiso, pertaesa Romanorum Gallia protinus ab imperio deficit; ejectisque<br />
Aquitania Gothis, Franco-Gallorum regno sub Childerico et Clodoveo felicibus auspiciis apud nos coepit, circa<br />
annum salutatis CDLXXX; quod post dissolutionem imperii ad haec usqeu tempora omnium c<strong>la</strong>rissimum et<br />
florentissimum toto orbe cristiano fuit, ucm Faramundus avus antea XXX circiter annis inter Francos regnasset.<br />
Nam ex regnum nostrorum seconda familia prodiere Carolus Tudes sive Martellus, qui memorabili proelio<br />
Saracenos profligavit; Pipinus, qui Longobardos Italia ejecit, et Carolus, qui Romanum imperium primis in<br />
occidente fundavit, et regunm patris in Italia coeptum firmavit. Nec omitti debent Sicilia reges a Tancredo<br />
Normano ducti sub termia regum nostrorum familia; quorum genus rerum potium est usque ad Henrici VI<br />
Friderici Aenobardi filii tempora, qui Constantia Rogerii ultima filia uxore ducta in regnum successit. Ab eo<br />
Manfredus spurius, et Conradinus Friderici II imperatoris nepos orti: quibus rursus medio sub<strong>la</strong>tis Carolus<br />
Provinciae comes Ludovici IX frater Neapolitanum regnum quasi iure hereditario Gallis principibus debitum<br />
occupavit. Hac eadem Francia nostra repetis vicibus vicinae Britanniae reges dedit. Nam Gulielmus nothus<br />
Normanniae dux in Angliam cum delectis transmisit, et caeso Haraldo regnum occupavit circa annum Christi<br />
MLXVI.”<br />
1177 Sul riconoscimento veneziano a Enrico IV, sui rapporti franco-veneziani e sul<strong>la</strong> questione dell’interdetto si<br />
rinvia a Wiliam J. Bouswma, Venice and the defense of Republican Liberty, cit., pp. 246-247 e 339-482.<br />
1178 Ivi, leggiamo a p. 14 “ab eo siquidem Henrico isabel<strong>la</strong> genus duxit, quae Ferdinando Arragonio, de quo<br />
nunc fermo est, nupsit, Caroli V et Ferdinandi I imperatorum avo: sub quo pau<strong>la</strong>tim senescente Gallorum<br />
fortuna Hispanicum nomen adolevit; ut merito dici possit, ubi Galli desierunt, ibi rerum potiri Hispanos<br />
incepisse.”<br />
1179 Ivi, passi riportati a p. 14 cui segue ivi <strong>la</strong> considerazione finale che “nam ut plerumque in rebus humanis,<br />
sic et in religionis negozio precipue usu venire cernimus, ut Deus quae a corrupta et ma<strong>la</strong> voluntate nostra<br />
proficiscuntur, ad gloriam suam et in bonum vertat.”<br />
Sul<strong>la</strong> negatività del modo di gestire le colonie ed i sudditi dei regni degli Asburgo di Spagna vedi C. Vivanti,<br />
Lotta politica e pace religiosa in Francia, cit., p. 317.<br />
254
“Nam postquam imperium, quod in secunda regum nostrorum familia a Carolo Magno<br />
incepit, qui Galliam primum, dein Germaniam, ac totam fere Italiam tenuit, ad Germanos<br />
trans<strong>la</strong>tus est, omnes il<strong>la</strong>e provinciae in Italia et extra Italiam in limite nostro sub imperio<br />
occidentali et imperii Germanici legibus ordinatae sunt.”<br />
ricordando poi, come questa trans<strong>la</strong>tio sia permanente in virtù del trasferimento del potere<br />
di elezione imperiale ai principi territoriali tedeschi che Ottone III ottiene da Gregorio V dopo<br />
averlo liberato dalle persecuzioni di Crescenzio:<br />
“Trans<strong>la</strong>tum autem fuit imperium ad Germanos ab Othone I, Henrici Aucupis filio;<br />
mansitque in ejus familia usque ad Othonem III nepotem, qui veritus, ne imperium a patre et<br />
avo in Germania firmatum ad Italos aut etiam Graecos transferetur, legem tulit, qua scitum<br />
est, licere solis Germanis principibus imperatorem eligere. Id ut facilius Otho impetraret,<br />
cum Gregorio V Saxone sobrino suo, quem post ejectum Roma Crescentium et Johannem<br />
Graecum expulsum in sedem restituerat, posteris aeque damnosa ac ignominiosa pactione<br />
transegit, ut qui rex Romanorum deinceps crearetur, non prius imperator et Augustus<br />
haberetur, quam eum Romanorum pontifex inaugurasset. Ita Romanorum pontifex ab<br />
imperatoribus primum creari aut constitui solitus, arbitrium summi inter Christianos<br />
principatus costituendi pau<strong>la</strong>tim ad se traxit.” 1180<br />
Un riferimento dal chiaro sapore antiromano, volto a supportare appunto <strong>la</strong> definitiva<br />
autonomizzazione storica dell’autorità imperiale dal vincolo papale e dal<strong>la</strong> sua presunta<br />
superiorità, smentita in primo luogo nei fatti dall’aiuto richiesto all’imperatore. 1181 Del resto,<br />
celebrare <strong>la</strong> matrice tedesca dell’impero medievale, significa indirettamente sostenere, visto il<br />
legame istituito tra Galli e Germani, <strong>la</strong> candidatura Francese al<strong>la</strong> sua guida. Specialmente<br />
considerando il fatto che Enrico IV ha restaurato <strong>la</strong> forza francese rispetto al momento in cui<br />
<strong>la</strong> decadenza dei Galli aveva determinato <strong>la</strong> casuale ascesa imperiale degli Spagnoli.<br />
La stessa celebrazione del<strong>la</strong> libertà politica dell’impero fondato sul pluralismo politico dei<br />
principati seco<strong>la</strong>ri ed ecclesiastici e delle città libere, sul sistema delle diete e sul tribunale<br />
camerale, e garantita dal principio dell’elezione dei sette elettori imperiali, rientra<br />
nell’indirizzo filofrancese dell’autore:<br />
“Et quod magis admirabile est, cum ex diversis administrationum generibus constet, summa<br />
concordia ab eo tempore inter eos exstitit; nisi si quando semina dissensionum inter eos jacta<br />
sunt, quibus id effectum est, ut excusso imperii jugo, pontifices in Italia rerum potiti sint, et ad<br />
alias nationes atque adeo Germanos ipsos pau<strong>la</strong>tim pontificii nominis terror pervaserit, salva<br />
tamen et incolumi in Germania ad nostra usque tempora imperii maiestate.” 1182<br />
L’accento posto dal De Thou sull’imprescindibilità dei sette elettori quale architrave del<br />
sistema imperiale fornisce una piena giustificazione, sia del<strong>la</strong> Lega stretta tra Francesco I ed i<br />
principi tedeschi nel 1544, sia delle mire imperiali di Enrico IV. L’alleanza del 1544, infatti,<br />
nasce dall’illegale elezione quale re dei Romani di Ferdinando in quanto decisa da Carlo V<br />
senza consenso dei sette elettori imperiali in f<strong>la</strong>grante vio<strong>la</strong>zione del<strong>la</strong> Bol<strong>la</strong> d’oro del 1356:<br />
costituisce, significativamente il punto di partenza vero e proprio, in continuità e prosecuzione<br />
con <strong>la</strong> Hi<strong>storia</strong> gioviana:<br />
1180 Ivi, lib. II, passo a p. 52.<br />
1181 Il chiaro tenore antiromano del passo in questione riceve ulteriore conferma dal<strong>la</strong> censura che da<br />
inaugurasset viene effettuata sull’edizione parigina dell’opera Iac. Aug. Thuani Hi<strong>storia</strong>rum sui temporis. Pars<br />
I, Parisiis 1604, a p. 92.<br />
1182 Ivi, lib. II, passo a p. 55 e a proposito del<strong>la</strong> descrizione delle strutture politiche dell’impero vedi pp. 53-55.<br />
255
“Sed exorto Luthero, distractis principum et populorum animis, et quo sibi ac religionis,<br />
prospicerent diversas se in factionibus scindentibus, Carolus V tot successibus e<strong>la</strong>tus,<br />
arridente fortuna, occasionem arripuit imperii, cuius ipse pars erat, sibi suisque proprio iure<br />
asserendi: id sibi tot victorias spondere, atque adeo sibi deberi tum confidebat, tum vero et<br />
rem tentare honorificum et quodammodo necessarium existimabat. Nam cum aliquot ante<br />
annis, ut imperium in familia firmaret, Ferdinandum fratrem regem Romanorum Coloniae<br />
renunciasset, id septemviri et alii Germani principes, quod contra Carolinae constitutionis<br />
leges factum esse dicerent, magnopere improbabant, et sine septemvirorum consensu potuisse<br />
fieri negabant. Itaque et eo nomine Saxo, Hessius, Willemus et Ludovicus Baiori fratres<br />
libertatis Germanicae tuendae causa c<strong>la</strong>m foedus icerant cum Francisco…” 1183 .<br />
La fondamentale valenza di questo passaggio risulta del resto, anche dal fatto che questo<br />
evento costituisca il punto di partenza vero e proprio, in ideale continuità e prosecuzione con<br />
<strong>la</strong> Hi<strong>storia</strong> gioviana, del<strong>la</strong> narrazione storica del De Thou.<br />
Peraltro, all’interno del<strong>la</strong> comune centralità dell’ispirazione ghibellina potrebbe scorgersi<br />
una certa differenza tra Giambul<strong>la</strong>ri e De Thou proprio nell’attenzione attribuita dal secondo<br />
alle strutture partico<strong>la</strong>ri dell’Impero. Nel<strong>la</strong> Storia d’Europa infatti, l’ascesa imperiale del<strong>la</strong><br />
dinastia di Sassonia, comporta un evidente compattamento politico-militare, sia in termini di<br />
diminuita conflittualità interna, sia in chiave di esterna capacità di opposizione anti-ungherese<br />
e anti-saracena che, tuttavia, coesiste perfettamente con <strong>la</strong> molteplicità delle realtà statuali e<br />
politiche europee.<br />
Inoltre, nel<strong>la</strong> percezione dello storico francese non va trascurato il movente politico che pro<br />
Francia e pro Enrico IV lo porta ad accentuare fortemente il pluralismo tedesco per colpire<br />
implicitamente ogni velleità centralistica asburgica. In realtà, se l’Europa di Giambul<strong>la</strong>ri<br />
individua il suo fulcro con il filtro del<strong>la</strong> Sassonia in Carlo V, quel<strong>la</strong> dello storico francese<br />
riconosce una posizione ed in un ruolo pressoché specu<strong>la</strong>rmente identico a Enrico IV e al<strong>la</strong><br />
ricostituita potenza francese.<br />
D’altra parte, il ghibellinismo in De Thou, come visto, significa prospettiva antiromana cioè<br />
antipapale, sia a livello temporale, sia a livello spirituale. Nel<strong>la</strong> <strong>prima</strong> direzione appunto<br />
l’evidenza attribuita nelle Hi<strong>storia</strong>rum, all’acquisizione del diritto di elezione imperiale da<br />
parte tedesca senza più alcuna ingerenza romana, come segna<strong>la</strong>to, non ha bisogno di ulteriori<br />
commenti. A proposito del<strong>la</strong> questione spirituale, fin dal primo libro dell’opera, l’autore si<br />
esprime negativamente sui pontefici romani, come documenta ad esempio un lungo passaggio<br />
dedicato all’iniziativa delle indulgenze adottata da Leone X 1184 .<br />
Nel secondo libro all’interno del IX capitolo dove viene stimata <strong>la</strong> forza militare radunata<br />
dalle città e dai principi tedeschi del<strong>la</strong> Lega di Smalcalda si individua chiaramente nel<br />
Pontefice romano il vero sobil<strong>la</strong>tore e in ultima istanza l’autentico responsabile del contrasto<br />
in atto tra Carlo V e le membra del suo impero:<br />
1183 Ivi, passo a p. 55. Dove non passa inosservato l’accento posto dall’autore sul<strong>la</strong> fortuna di Carlo V e sul<strong>la</strong><br />
sua sensazione di onnipotenza che indirettamente allude ad una certa propensione all’arbitrio da parte<br />
dell’imperatore. Del resto, in proposito già nel primo libro a p. 24 in re<strong>la</strong>zione al<strong>la</strong> piena affermazione imperiale<br />
nel<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong> nel 1530 “arridente fortuna nul<strong>la</strong>m amplificandae potentiae occasionem praetermttens Caesar, ut<br />
imperium Germanicarum in familia firmaret, Ferdinandum fratrem Romanorum regem Coloniae renuntiandum<br />
curavit.”<br />
1184 Ivi, a p. 18 scrive: “Peccatum tum in sacris muneribus dispensandis admissum Leo Mox longe graviore<br />
cumu<strong>la</strong>vit: nam cum alioqui ad omnem licentiam sponte sua ferretur, Laurentii Pucii cardinalis, honimis turbidi,<br />
cui nimium tribuebat, impulsu, ut pecuniam ad immensos sumptus undique corrogaret, missis per omnia<br />
Cristiani orbis regna diplomatis omnium delictorum expiationem ac vitam aeternam pollicitus est, constituo<br />
pretio…quod licentiose nimis a pontificiis ministris passim atque in Germania precipue febat, ubi qui<br />
redimendam pecuniam Romae a pontifice conduxerant, per lustra et popinas quotidie sine pudore in aleae lusum<br />
ususque turpissimos potestatem extrahendi animas functoum ex igne espiatorio profundebant. Tunc exortus<br />
Martinus Lutherus[…].”<br />
256
“Et ille quidem, qui se pastorem, qui se agni pacifici vicarium profitetur, quos verbo Dei in<br />
pace debere debuerat, ferro et f<strong>la</strong>mmis atrociter exagitat : pontificem Romanum dico, qui tot<br />
turbarum auctor Caesarem prudentissimum alioqui et clementissimum principem ad arma<br />
contra nos capessanda suscitat, ut acceptam scilicer a Germanis, nam id vulgo jactantur, in<br />
urbe postremo capta et direpta duce Carolo Borbonico injuriam, eodem, cujus auspiciis il<strong>la</strong>ta<br />
est, ministro et vindice in infonteis ulciscatur. Quod etsi iniquissimum est, tamen patienter<br />
ferendum esset, quando nos falsam doctrinam amplecti passim b<strong>la</strong>terant, si nullum justius aut<br />
magis necessarum orbi Cristiano, et ipsius adeo cervicibus bellum immineret.” 1185<br />
Si tratta di una lunga orazione dell’inviato di Ulrich di Wittemberg, il cui tenore<br />
antipontificio viene rafforzato dall’allusione al<strong>la</strong> pressione ottomana che costituisce<br />
gravemente l’ultimo pensiero di chi si ritiene depositario del diritto di proteggere il gregge<br />
cristiano e si scaglia contro chi è sempre rimasto fedele all’imperatore ed al vincolo del<strong>la</strong> sua<br />
autorità 1186 , fino appunto all’esplicita e perentoria accusa di aver determinato <strong>la</strong> guerra nel<br />
seno dell’impero:<br />
“[Hac ratione] pontifex Caesarem ad bellum pa<strong>la</strong>m pro religione gerendum, omesso omni<br />
alio praetextu, obstrinxit, quod id ad dignitatem suam, et sacrae sedis ac concili auctoritatem<br />
summopere pertinere arbitraretur. Cum ergo disssimu<strong>la</strong>tioni amplius locus non esset, Caesar<br />
publico diplomate Saxonem et Hessum proscribit…” 1187<br />
Non possiamo ancora una volta che sottolineare una certa vicinanza con <strong>la</strong> Storia del<br />
Giambul<strong>la</strong>ri. La casata di Sassonia, infatti, riceve un impero di<strong>la</strong>niato dai conflitti interni,<br />
dallo smarrimento del<strong>la</strong> propria identità cristiana rappresentata in modo assolutamente<br />
inadeguato da figure come Stefano VI, e deve riportarlo a nuova vita sprirituale e politica. È<br />
certamente indicativo in questo senso, del resto, il carattere provvidenziale delle decisioni<br />
degli Ottoni, che agiscono in base ad una vera e propria missione divina.<br />
Allo stesso modo De Thou, a supporto delle mire imperiali di Enrico IV delinea il ruolo<br />
francese fin dall’alleanza con i principi di Smalcalda. Le ragioni di disgregazione dell’unità<br />
imperiale e cristiana sono addebitate al papa e a Carlo V. D’altra parte, ulteriore indiretta<br />
conferma dell’orientamento dello storico francese emerge dal tributo conferito a Francesco I<br />
in occasione del<strong>la</strong> sua morte secondo i registri usuali atti ad esaltarne il ruolo di mecenate<br />
delle Lettere e dello sviluppo del<strong>la</strong> cultura umanistica a livello nazionale ed europeo. Un<br />
canone consueto di esaltazione delle aspirazioni egemoniche a livello continentale del<strong>la</strong><br />
monarchia francese che risulta dunque indice significativo del<strong>la</strong> posizione sostenuta dal de<br />
Thou 1188 . Del resto, <strong>la</strong> celebrazione del grande antagonista di Carlo V, costituisce un ulteriore<br />
titolo storico di legittimazione delle aspirazioni imperiali antiasburgiche nutrite da Enrico IV.<br />
1185 Ivi, passo alle pp. 63-64.<br />
1186 Ivi, p. 64: “Nunc cum quotidie Turcam cum potentissimo exercitu in Pannoniam discendere afferatur,<br />
jamque et Paestae et Budae prafectos frequenteis delectus habere, quid aliud cogitare illum putemus, qui sibi<br />
cristiani gregis custodiam arrogat, quam belli tam justi curam omettere, ut lupis ovile incustoditum prodat, et<br />
ipse lupis saevior miseras oveis, a quo sibi potius caveant, anxias membratim discerpat? Quid enim meruimus,<br />
qui ipso religione et libertate tot annos oppressa foedus percussimus?<br />
1187 Ivi, passo a p. 70.<br />
1188 Ivi, a p. 105-106 leggiamo: “Inter omneis tanti principis <strong>la</strong>udes, quae ex iis, quae jam diximus, intelligi<br />
possunt, merito haec primum locum obtinet, quod literas et literatos immense dilexerit[…]Ex huius consilio<br />
postea professores linguae Sacrae, Graecae, et Latinae, philosophiae item, medicicnae et mathematicarum<br />
disciplinarum instituit, qui attributis pro tempore amplissimis stipendiis Lutetiae in ludo Cameracensi publice<br />
praelegerent. Horum ope discussis ignorantiae tenebris, lux literis, et per literas veritati in Gallia, atque adeo<br />
tota Europa, restituta est: ut cum alii principes ambitiosi aliunde conqusitis vanam gloriam acupentur, ipse<br />
parens literarum appe<strong>la</strong>ri meruerit.[…] ”.<br />
Sulle prerogative avanzate a proposito del<strong>la</strong> dignità imperiale da Francesco I cfr. P. Merlin, La forza e <strong>la</strong> fede,<br />
cit., p. 166.<br />
257
D’altra parte, soltanto <strong>la</strong> nuova Francia del Borbone, ha l’effettiva capacità di ri<strong>la</strong>nciare i<br />
destini di un’Europa cristiana coesa e politicamente unificata nel segno di un ideale imperiale<br />
realmente condiviso ed attivo. Come chiaramente visto, per quanto Ferdinando e<br />
Massimiliano abbiano agito in discontinuità con <strong>la</strong> linea di Carlo V, non hanno raggiunto<br />
risultati del tutto positivi.<br />
Enrico investito dal<strong>la</strong> provvidenza del trono di Francia, pacificatore dei conflitti interni si<br />
pone come modello e guida del<strong>la</strong> rinascita europea nel segno di una riacquisita unità politicospirituale<br />
del suo stato.<br />
Del resto proprio le mancanze romane accrescono i doveri del<strong>la</strong> sua missione sotto il profilo<br />
spirituale. In questo senso, è emblematica <strong>la</strong> condanna dei risultati raggiunti dal concilio<br />
tridentino del tutto negativo e controproducente verso quelle istanze ireniche fortemente<br />
sostenute dallo storico francese 1189 .<br />
D’altra parte, non casualmente diverso appare il giudizio sull’Interim di Augusta che pur<br />
nelle sue insufficienze, tuttavia, rappresenta un piccolo passo nel<strong>la</strong> direzione irenica, e<br />
comunque si pone quale evidente reazione al<strong>la</strong> linea intransigente perseguita da Paolo III,<br />
emblematicamente suggel<strong>la</strong>ta dallo spostamento del concilio da Trento a Bologna, secondo<br />
pretestuose giustificazioni “causa obtendebatur, quod aer minus illic esset salubris…” 1190 .<br />
Paolo III del resto già ampiamente deplorato dallo storico francese per i continui rinvii<br />
opposti al<strong>la</strong> riunione del concilio Tridentino viene considerato molto negativamente nel<br />
giudizio finale sti<strong>la</strong>to dal De Thou 1191 .<br />
Tutti elementi questi, funzionali nel libro seguente a presentare e giustificare l’Interim di<br />
Augusta determinato in primo luogo dalle resistenze pontifice a ritornare a Trento, nonostante<br />
le proteste imperiali. Lo stesso Pole viene coinvolto nel<strong>la</strong> linea pontificia, quasi costretto a<br />
rifarsi una verginità ideologico-politica rispetto al<strong>la</strong> ben diversa linea di cui è <strong>la</strong>tore nel<br />
collegio cardinalizio e nel concilio, attraverso <strong>la</strong> composizione di uno scritto che difende le<br />
ragioni papali contro le richieste imperiali:<br />
“Haec eo scripto continebantur, cuius auctorem fuisse Reginaldum Polum, unum ex<br />
delegatis illis judicibus praecipuae et dignitatis et doctrinae inter cardinaleis, scribit in eius<br />
vita Lud. Becatellus archiepiscopus Racusinus; deplorando sane tanti viri conditione, cui<br />
nocesse fuerit, ut sectarii mali suspicionem, cuius falso insimu<strong>la</strong>batur, purgaret, pontifici in<br />
ea causa, in qua minime illum sincere versari sciret, industriam suam elocare.” 1192<br />
Pertanto, nel<strong>la</strong> prospettiva dell’autore appare del tutto comprensibile che l’imperatore<br />
conosciuto il tenore dello scritto pontificio consegnatogli dal Mendoza e anzi <strong>prima</strong> di<br />
conoscerlo decida che quest’ultimo avrebbe capeggiato <strong>la</strong> conciliazione foriera del<strong>la</strong><br />
conclusione dell’Interim di Augusta 1193 .<br />
Del resto, a voler togliere ogni possibile anche minimo merito dell’imperatore nel<strong>la</strong> politica<br />
che conduce all’Interim, De Thou sottolinea <strong>la</strong> politica feroce e insensata condotta da Carlo V<br />
1189 In proposito C. Vivanti, Lotta politica e pace religiosa in Francia, cit., pp. 317-321.<br />
1190 Hi<strong>storia</strong>rum sui temporis, p. 156.<br />
1191 Ivi a p. 212, il De Thou si esprime nel seguente modo sul pontefice di casa Farnese: “Vir fuit prudentiae<br />
summae ac moderationis…sed qui, plus justo privatis charitatibus indulgens, existimationis suae ac Reipublicae<br />
Christianae periculum parvi fecerit, dum quorum ambizioni ac libidini satisfaceret.[…]calumniose Caesarem et<br />
Galliae regem incusasset, quod hic cum Protestantibus, ille cum Anglo amicitiam coluisset, cum ipse cum Turco<br />
Alexandri VI exemplo occultum commercium habuisset; quod denique in consiliis capiendis ac ceteris rebus fuit<br />
semper astrologos…consuluisset.”<br />
Inoltre sui rinvii del<strong>la</strong> riunione del Tridentino cfr. C. Vivanti, Lotte politiche e pace religiosa, cit., p. 313.<br />
1192 Ivi, p. 171.<br />
1193 Ivi p. 171 leggiamo: “Caesar, cardinali Tridentino iam Augustam reverso, cum ex Mendozae literis, etiam<br />
antequam scriptum illud in eius manus venisset, exiguam spem esse de concilio instaurando cognovisset, rem ad<br />
Imperii ordines…detulerat, negotiamque Mendozae dedisse dixerat, ut, si pontifex in sententia perseveraret,<br />
concilium vitii pa<strong>la</strong>m argueret: quod etsi non omnem de concilio spem praeciderat, tamen, quia longior mora<br />
interponeretur, existimare e re publica esse, ut interim via aliqua conciliationis ineatur…”.<br />
258
dopo l’affermazione di Muehlberg. L’imperatore, infatti, agisce secondo un intendimento<br />
tutt’altro che conciliativo, in perfetta aderenza al<strong>la</strong> linea violenta e repressiva del duca d’Alba:<br />
“Hunc victoriae fortuna Caesaris virtutem et prudentiam adjuvante partae defuit animus,<br />
qui ea moderate et sapienter uti sciret. Nam cum nec mens Caesar esset, nec vires, ut tot<br />
urbes, populos principes, quos insolita felicitatem in ordinem coegerat, vi et praesidiis tenere<br />
et Germaniae rempublicam in regnum hereditarium trasformare posset, reliquum erat, ut<br />
humanitate et clementia maiestatem et existimationem tueretur. Verum cum super ea re<br />
variarent Castaldi et Albani sententiae, Caesar, corrupto tot prosperis successibus sudicio,<br />
potius Albano, qui severitate fructum victoriae conservari debere sentiebat, assensus est;<br />
traductisque per totam Germaniam et Belgium integro biennio injuriose captivis, sub<br />
Hispaniarum, quod invidiam augebat, custodia, non triumphum ex victoria, sed<br />
truculentissimum odium ex triumpho reportavit.” 1194<br />
Pertanto, è piuttosto <strong>la</strong> ancor maggiore cecità e intransigenza dimostrata da Roma rispetto a<br />
Carlo V a creare le premesse dell’Interim.<br />
Nonostante <strong>la</strong> discriminante costituita dal<strong>la</strong> valutazione di Carlo V, pertanto, i due storici si<br />
muovono secondo suggestioni molto simili anche sotto il profilo religioso. Istanze in entrambi<br />
i casi che sono strettamente legate all’umanesimo cristiano di stampo erasmiano, all’irenismo,<br />
al<strong>la</strong> conciliazione, all’apertura. In questa direzione emblematico il tributo espresso al<strong>la</strong> fine<br />
del terzo libro delle Hi<strong>storia</strong>rum tra i vari umanisti italiani e tedeschi, a Beato Renano in<br />
collegamento con Erasmo 1195 .<br />
Quel Beato Renano che come evidenziato, è fonte centrale del<strong>la</strong> Storia D’Europa,<br />
funzionale al<strong>la</strong> rappresentazione del<strong>la</strong> nuova Germania, su cui rinasce l’impero ottoniano e si<br />
p<strong>la</strong>sma l’Europa germanico-cristiana che secoli dopo, nell’epoca storica del Giambul<strong>la</strong>ri sotto<br />
l’egida di Carlo V detiene <strong>la</strong> leadership politico-spirituale del continente e incarna<br />
quell’ideale imperiale-universale impropriamente rivendicato quale monopolio del<strong>la</strong> Chiesa di<br />
Roma. L’imperatore, infatti, secondo <strong>la</strong> prospettiva formu<strong>la</strong>ta dal partito erasmiano presente<br />
al<strong>la</strong> corte asburgica ha il ruolo di arbitro e riformatore del<strong>la</strong> Chiesa corrotta e ma<strong>la</strong>ta 1196 .<br />
Quando il Giambul<strong>la</strong>ri scrive <strong>la</strong> Storia d’Europa il concilio è <strong>la</strong> prospettiva attesa per <strong>la</strong><br />
riforma e <strong>la</strong> renovatio cristiana del<strong>la</strong> società europea; dopo alcuni decenni De Thou auspica<br />
una stagione di conciliazione tra riformati e cattolici francesi realizzata dal sovrano secondo le<br />
istanza gallicane che si ponga quale modello e avvio di una stagione di rinnovamento<br />
spirituale di dimensione continentale.<br />
Del resto, <strong>la</strong> convergenza irenica tra i due storici, emerge anche in re<strong>la</strong>zione alle parole di<br />
elogio spese dal De Thou che riprende il giudizio di Ludovico Beccadelli, sul cardinal Pole<br />
leader di quel partito valdesiano orientato in seno al<strong>la</strong> Curia romana verso il compromesso<br />
dottrinale con i protestanti in linea con l’indirizzo di compromesso politico capeggiato nel<strong>la</strong><br />
corte asburgica dal partito erasmiano. Né quest’elogio appare iso<strong>la</strong>to visto che il De Thou si<br />
1194 Ivi, passo alle pp. 154-155.<br />
1195 Ivi, p. 121-122 in partico<strong>la</strong>re sul Renano, il Carlostadio ed il Peutinger leggiamo: “Nec multo post XIII Kal.<br />
Jun. Beatus Renanus Selestadiensis annum agens LXII “Argentinae, cum e balneis rediret, moritur; vir in<br />
humanioribus literis, antiquitate et pia doctrina exercitatissimus, ingenio miti, ut qui in cogitatione de<br />
constituenda ex omnium consensu in religione concordia consenuerit ; summus Des. Erasmi observator, qui<br />
eandem viam in his turbis instituit. Huius etiam anni initio…matura mors Joannem Schonerum<br />
Carolostadiensem iam septusagenarium Norimbergae nobis eripuit, ubi ille domicilium fixerat, astronomiae,<br />
quam post Regiomontanum opere illo egregio resolutarum tabu<strong>la</strong>rum maxime illustravit, scientia insignem, et<br />
il<strong>la</strong> in primis, quae ex positu astrorum de cuiusque fortunis judicium fert[…]Exeunte anno…Conradus<br />
Peutingerus….vir ut natalibus, sic digitate c<strong>la</strong>rus, et cuius memoriam tabu<strong>la</strong> Peutingeriana postea a M. Velsero<br />
edita apud doctos renovavit.”<br />
In proposito inoltre cfr. C. Vivanti, Lotta politica e pace religiosa in Francia, cit., p. 316.<br />
1196 Cfr. P. Merlin, La forza e <strong>la</strong> fede, cit., pp. 162-163.<br />
259
produce in una vera e propria esaltazione di un altro grande esponente del partito curiale<br />
valdesiano filo-imperiale: il cardinale Cristoforo Madruzzo 1197 .<br />
Certamente trascorsi tanti anni, conclusosi il concilio all’insegna del<strong>la</strong> Controriforma, quei<br />
motivi erano ripresi in antitesi a Carlo V e a quel<strong>la</strong> stagione conciliare che avrebbe dovuto<br />
negli auspici originarii esserne lo strumento e l’attuazione. Lo storico francese, pertanto,<br />
propone l’apertura di un nuovo concilio capace finalmente di rispondere alle attese di<br />
riconciliazione e di rinnovamento generali.<br />
Del resto, se de Thou tra le sue fonti annovera Sleidano 1198 e Buchanan che appartengono<br />
comunque al mondo riformato, Giambul<strong>la</strong>ri non meno significativamente propone tra le sue<br />
fonti del<strong>la</strong> Storia d’Europa Muenster, Ziegler, Huldericus Mutius, Carione.<br />
Cambiano gli attori dunque, ma <strong>la</strong> linea ispiratrice dei due storici, volta ad associare<br />
profondamente sfera politica e ambito religioso, è tutt’altro che distante.<br />
In conclusione questo rapido confronto con le Hi<strong>storia</strong>rum del De Thou ci conforta<br />
ulteriormente a proposito delle linee ghibelline ed ireniche del<strong>la</strong> Storia d’Europa in chiave<br />
filo-germanica, a conferma evidententemente dell’interesse con cui vanno valutate e<br />
considerate le posizioni del canonico <strong>la</strong>urenziano, all’interno del<strong>la</strong> riflessione e del dibattito<br />
sul<strong>la</strong> genesi e sull’evoluzione dell’idea d’Europa.<br />
1197 In proposito si rinvia a P. Simoncelli, Il caso Reginald Pole. Eresia e santità nelle polemiche religiose del<br />
Cinquecento, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1977, pp. 239-240.<br />
1198 Hi<strong>storia</strong>rum sui temporis, cit., su Giovanni Sleidano, l’autore manifesta <strong>la</strong> sua stima all’interno del testo nel<br />
rinvio al suo racconto del<strong>la</strong> cerimonia di incoronazione di Enrico II a Reims, sul<strong>la</strong> quale il De Thou sceglie di<br />
non dilungarsi. Inoltre a p. 114 leggiamo nei due periodi con cui inizia il capitolo XII del terzo libro: “Inde<br />
Durocortorum Remorum VI Kal. Sextil. venit, ut ibi more majorum inauguraretur. Cuius ritus quoniam formu<strong>la</strong><br />
publice edita est, et alioqui a Joanne Sleidano diligentissimo rerum nostrarum observatore perscripta, de ea<br />
dicere supersedebo.” Passaggio che segue un riferimento al<strong>la</strong> sconfitta di Muhlberg su cui il De Thou promette<br />
di tornare (ivi infatti nel libro IV, vol. I, pp. 135-140) più ampiamente e al<strong>la</strong> cattura del duca di Sassonia<br />
comunicate ad Enrico dallì’ambasciatore di Carlo con una pungente considerazione sul ridicolo senso<br />
dell’ostentazione degli spagnoli ivi: “Sub id tempus, cum rex ad Cantiliam….venationibus se exerceret, per<br />
Caesaris legatum de pugna infeliciter a foederatis commissa, de qua postea dicemus, et Saxone duce capto<br />
certior fit, produca etiam inusitatae amplitudinis ocrea, quam Saxoni post pugnam detractam dicebant, ridiculo<br />
hispanicae ostentationis exemplo.” Senza dimenticare inoltre a proposito dello Sleidano che il suo nome viene<br />
menzionato nell’elenco delle fonti posto all’inizio di ogni libro, cfr. ad esempio quelli delle pp. 4 e 51.<br />
260
Bibliografia<br />
Manoscrittti<br />
Archivio di Stato di Firenze:<br />
Archivio delle decime<br />
Archivio Diplomatico fiorentino, spoglio di S. Maria Novel<strong>la</strong><br />
Mediceo avanti il Principato, filza 118, documento 250, lettera del 20 maggio 1524 di<br />
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Mediceo del Principato, filza 1176, inserto n. 3, c. 38, Cristiano Pagni a Pier<strong>francesco</strong> Riccio<br />
il 31 marzo 1550 da Pisa.<br />
Mediceo del Principato, filza 397, c. 15 Pier<strong>francesco</strong> Riccio a Cristiano Pagni il 1 aprile<br />
1550 da Firenze.<br />
Mediceo del Principato, filza 397, cc. 111-112 da Pier<strong>francesco</strong> Riccio a Cristiano Pagni il 5<br />
Aprile 1550.<br />
Mediceo del Principato, filza 397, cc. 172-174 Portio a Cosimo da Livorno 9 Aprile 1550<br />
Mediceo del Principato, volume n. 1171, inserto n. 1, Foglio n. 20, lettera inviata da Marzio<br />
Marzi de’ Medici Priore di S. Lorenzo a Pier Francesco Riccio preposto di Prato il 13 febbraio<br />
1543<br />
Biblioteca mediceo-<strong>la</strong>urenziana<br />
Cod. 1 dell’Archivio capito<strong>la</strong>re di S. Lorenzo, Libro dei partiti del Capitolo di S. Lorenzo,<br />
1516-1544.<br />
Cod. manoscritto 2317 dell’Archivio capito<strong>la</strong>re di S. Lorenzo<br />
Cod. mss. 2299, Libro dei Partiti del capitolo di S. Lorenzo 1544-1562.<br />
Cod. mss. 2479 Ricordi del Camerlingo di Sancto Lorenzo, dell’Archivio capito<strong>la</strong>re di S.<br />
Lorenzo<br />
mss 1155 in pergamena dell’Archivio capito<strong>la</strong>re di S. Lorenzo<br />
mss. in pergamena 1159 dell’Archivio capito<strong>la</strong>re di S. Lorenzo<br />
mss. in pergamena 1153 dell’Archivio capito<strong>la</strong>re di S. Lorenzo<br />
nelle pergamene dell’Archivio capito<strong>la</strong>re 1149 (10 maggio 1534)<br />
Biblioteca nazionale di Firenze<br />
Carte strozziane, c<strong>la</strong>sse XXV, 551, Carte e memorie varie di Vincenzo Borghini<br />
Cod. Magliabechiano 111, c<strong>la</strong>sse XXIV<br />
Cod. Magliabechiano 132, c<strong>la</strong>sse XXVI<br />
Cod. Magliabechiano 299, c<strong>la</strong>sse XXXVII<br />
Cod. Magliabechiano 391, cl. XXV<br />
Cod. Magliabechiano 395 cl. XX<br />
Cod. Magliabechiano 412 c<strong>la</strong>sse XXV<br />
Collezione genealogica Passerini. Indice delle famiglie nobili, (nel<strong>la</strong>) Giambul<strong>la</strong>ri, Passerini<br />
carta 158bis e L. Passerini-Illustrazione dell’”albero genealogico del<strong>la</strong> famiglia<br />
Giambul<strong>la</strong>ri”, carta n. 188.<br />
Repertorio numerico del Poligrafo Gargani (nel), carta Giacomo Giandolini 947, e carta<br />
Giamberti Gianfaldoni 948<br />
Biblioteca Riccardiana di Firenze<br />
ms. 2023<br />
ms. 2305<br />
261
Biblioteca corsiniana di Roma (Accademia dei Lincei)<br />
Priorista delle famiglie fiorentine, codice manoscritto n. 415<br />
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AA. VV., Letteratura italiana. Gli autori. Dizionario bio-bibliografico e indici, vol. I, a cura di<br />
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AA. VV., Letteratura <strong>la</strong>tina medievale (secoli VI-XV). Un manuale, a cura di C<strong>la</strong>udio<br />
Leonardi e di Ferruccio Bertini, Enzo Cecchini, Lucia Cesarini Martinelli, Peter Dronke, Peter<br />
Christian Jacobsen, Michael Lapidge, Emore Paoli, Giovanni Po<strong>la</strong>ra, Firenze, Sismel, 2002<br />
AA. VV., Lettere d’uomini illustri conservate in Parma nel regio Archivio dello Stato, a cura<br />
di Amadio Ronchini, Parma, 1853, II voll.<br />
AA. VV., Omnium gentium mores, leges et ritus, ex multis c<strong>la</strong>rissimimis rerum scriptoribus,<br />
a Ioanne Boemo Aubano Teutonico nuper collecti, et novis sine recogniti. Tribus libris<br />
absolutum opus, Aphricam, Asiam, et Europam describentibus. Accesit libellus de Regionibus<br />
Septentrionalibus, earumque Gentium ritibus, veterum Scriptorum saeculo fere incognitis, ex<br />
Iacobo Zieglero Geographo diligentiss. Necnon Mathiae a Michou de Sarmatia Asiana, atque<br />
Europea, libri duo. Non sine indice locupletissimo, Venetiis, MDXXXXII.<br />
AA. VV., Pietro Giordani nel II centenario dal<strong>la</strong> nascita, Atti del Convegno di studi,<br />
Piacenza, 16-18 marzo 1974, cassa di risparmio di Piacenza, 1974<br />
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nunc cura collegii historicorum e pluribus nationibus emendatum et auctum, Romae,<br />
MCMXCVII, apud Instituto storico italiano per il Medio Evo, Voll. I-IX/4, 1962-2003<br />
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AA. VV., Vocabo<strong>la</strong>rio degli Accademici del<strong>la</strong> Crusca, con tre indici delle voci, locuzioni, e<br />
proverbi Latini, e Greci, posti per entro l’Opera. Con privilegio del sommo pontefice, del Re<br />
Cattolico, del<strong>la</strong> Serenissima Repubblica di Venezia, e degli altri Principi, e Potentati d’Italia,<br />
e fuor d’Italia, del<strong>la</strong> Maestà Cesarea, del Re Cristianissimo…in Venetia, MDCXII, appresso<br />
Giovanni Alberti, 1612.<br />
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262
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Nuovamente corretto e copiosamente accresciuto… , In Firenze MDCXCI, nel<strong>la</strong> stamperia<br />
dell’Accademia del<strong>la</strong> Crusca, III voll.<br />
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Agazia, Agathius de Bello Gothorum et aliis peregrinis historiis, per Christoforum Persona<br />
Romanorum, priorem sanctae Balbinae, e greco in Latinum traductus in Procopii<br />
Caesariensis de rebus Gothorum, persarum, ac vandalorum libri VII, una cum alij mediorum<br />
temporum historicis, quorum catalogum sequens indicabit pagina. His omnibus accessit<br />
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Ammirato il giovane contrassegnate in carattere in corsivo, Firenze, per L. Marchini e G.<br />
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Luigi Valvassori, et Giovan Domenico Micheli, MDLXXXIII.<br />
Bardi G., Dichiaratione di tutte le Storie che si contengono ne’ quadri posti nuovamente nelle<br />
Sale dello Scrutinio, et del Gran Consiglio del Pa<strong>la</strong>gio ducale del<strong>la</strong> Sereniss. Repubblica di<br />
263
Venezia, nel<strong>la</strong> quale si ha piena intelligenza delle più segna<strong>la</strong>te vittorie conseguite di varie<br />
nazioni del mondo da Veneziani. In Venezia per Felice Valgrisi 1587<br />
Bardi G., Le età del mondo chronologiche, nelle quali dal<strong>la</strong> creatione di Adamo, fino all’anno<br />
MDXXXI di Christo, brevemente si racconta <strong>la</strong> origine di tutte le Genti, il principio di tutte le<br />
Monarchie, di tutti i Regni, Repubbliche et Principati, La salutifera incarnatione di Christo,<br />
con <strong>la</strong> successione de’ Sommi Pontefici romani, La creatione de’ Patriarchi, Le<br />
Congregationi de’ Religiosi, Le Militie de’ Cavalieri, i Concili universali et nazionali, Le<br />
Heresie, i Schismi, Le Congiure, Paci, ribellioni, Guerre, et Prodigii, <strong>la</strong> denominatione di<br />
tutti gli Huomini in ogni professione illustri. Con <strong>la</strong> partico<strong>la</strong>r narratione delle dette cose<br />
successe d’anno in anno, nel mondo, Fatte da Giro<strong>la</strong>mo Bardi Fiorentino, in Venetia,<br />
appresso i Giunti, MDLXXX.<br />
Bardi G., Le vite di tutti i Santi, brevemente descritte per tutti i giorni dell’Anno; ovvero<br />
Martirologio Romano, riordinato conforme all’uso del nuovo Calendario Gregoriano;<br />
tradotto dal<strong>la</strong> lingua <strong>la</strong>tina nel<strong>la</strong> volgare da Giro<strong>la</strong>mo Bardi, in Venetia presso Bernardo<br />
Giunti 1585.<br />
Bardi G., Sommario cronologico, nel quale dal<strong>la</strong> creatione di Adamo fino all’anno<br />
MDLXXVIIII di Cristo. Brevemente si racconta <strong>la</strong> origine di tutte le Genti, il Principio di<br />
tutte le Monarchie, di tutti i Regni, le Repubbliche, et Principati, <strong>la</strong> Salutifera incarnatione di<br />
Cristo, con <strong>la</strong> successione de’ Sommi Pontefici Romani…, Di Venetia appresso i Giunti 1579<br />
Bardi G., Vittoria navale ottenuta dal<strong>la</strong> repubblica venetiana contra Ottone, figliolo di<br />
Federico primo imperatore. Per <strong>la</strong> restituzione di Alessandro Terzo, Pontefice massimo<br />
venuto a Venetia. Descritta da Giro<strong>la</strong>mo Bardi fiorentino, in Venetia appresso Franceco<br />
Ziletti MDLXXXIIII.<br />
Bartoli C., Discorsi historici universali di Cosimo Bartoli gentiluomo, et accemico fiorentino,<br />
In Venetia, appresso Francesco de’ Franceschi Senese, 1569.<br />
Bartoli C., La vita di Federigo Barbarossa, imperatore romano, di Messer Cosimo Bartoli.<br />
Allo illustrissimo et ecc. S. il S. Cosimo De Medici, duca di Firenze, et di Siena, in Firenze,<br />
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Venezia e il suo mondo, a cura di Marion Leathers Kuntz, Firenze, Olschki, 1988<br />
Cecchi A., Il maggiordomo ducale Pier<strong>francesco</strong> Riccio e gli artisti del<strong>la</strong> corte medicea, in<br />
“Mitteilungen des Kunsthistorischen institutes in Florenz”, XII. Band – 1998 – Heft 1<br />
Celtis K., Oratio protreptica eiusdem in amorem germaniae, cum excusatione praesentis<br />
operis, ad illustrissimi principi Pa<strong>la</strong>tiniElectoris Cancel<strong>la</strong>rium Florentium de Phenningen,<br />
utriusque censurae Doctorem in Irenicus F., Germaniae exegeseos volumina duodecima<br />
Francisco Irenico ettelingiacensi exarata. Eiusdem oratio protreptica, in amorem Germaniae,<br />
cum praesentis operis excusatione, ad illustriss. Principis Pa<strong>la</strong>tini Electoris Cancel<strong>la</strong>rium<br />
Florentium de Pheningen, utriusque censure Doctorem. Urbis Norimbergae descriptio,<br />
Conrado Celte narratore, Norimbergae 1518<br />
Chabod F., Alcune questioni di terminologia: Stato, nazione, patria nel linguaggio del<br />
Cinquecento, in Chabod F., Alle origini dello Sato moderno, Università degli studi di Roma,<br />
facoltà di lettere e filosofia, anno accademico 1956-1957, Edizioni dell’Ateneo, Roma 1957<br />
Chabod F., L’idea di Europa. Prolusione al corso di Storia moderna nell’Università di Roma<br />
22 gennaio 1947 nel<strong>la</strong> “Rassegna d’Italia”, II, 1947, n. 4 e 5<br />
Chabod F., Nazione ed Europa nel pensiero dell’Ottocento in “Quaderni ACI, 6 (1951)<br />
Chabod F., Storia dell’idea d’Europa, a cura di Ernesto Sestan e Armando Saitta, Bari,<br />
Laterza, 1995, (<strong>prima</strong> edizione 1964)<br />
Chabod F., Venezia nel<strong>la</strong> politica italiana del Cinquecento, in La civiltà veneziana del<br />
Rinascimento, G. C. Sansoni, Firenze, 1938 1 Sul quale rinviamo al<strong>la</strong> voce Dati Giorgio<br />
Giamb<strong>la</strong>nco C., Dati Giorgio in DBI, vol. XXXIII, Roma, 1987<br />
Chevalier U., Répertoire des sources historiques du moyen age. Bio-bibliographie, Kraus<br />
reprint corporation, New York, New edition, printed in Germany, 1960, II voll. (<strong>prima</strong><br />
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Cipriani G., Il mito etrusco nel Rinascimento fiorentino, Firenze, Olschki, 1980<br />
Cochrane E., Paolo Giovio e <strong>la</strong> Storiografia del Cinquecento in Paolo Giovio. IL<br />
Rinascimento e <strong>la</strong> memoria. Atti del convegno (Como 3-5 Giugno 1983), Raccolta storica<br />
pubblicata dal<strong>la</strong> Società storica Comense, vol. XVII, Como, 1985<br />
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Conti Natale, Delle historie de suoi tempi di Natale de’ Conti. Parte <strong>prima</strong> e seconda. Di<br />
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Damian Zenaro, 1589.<br />
Conti Natale, Natalis Comitis Universa Hi<strong>storia</strong>e sui temporis libri triginta. Ab anno salutatis<br />
nostrae 1545. usque ad annum 1581. Cum duobus Indicibus Laurentij Gotij civis Veneti:<br />
Altero Antiquorum et recentium nominum variorum locorum…, Venetiis, Apud Damianum<br />
Zenarum, MDLXXXI.<br />
Copenhaver B. P., Polidoro Virgilio in Contemporaries of Erasmus, a cura di Bietnholz P. G.,<br />
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1961,<br />
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Curcio C., Europa. Storia di un’idea, Firenze, Vallecchi, 1958, II voll.<br />
Cutolo A., Introduzione in Liutprando, Tutte le opere (<strong>la</strong> restituzione, le gesta di Ottone I, La<br />
re<strong>la</strong>zione di un’ambasceria a Costantinopoli 891-969) di Liutprando da Cremona, a cura di<br />
Alessandro Cutolo, Mi<strong>la</strong>no, Bompiani, 1945<br />
Cutolo A., introduzione in Tre cronache medievali. Vite di Carlo Magno, Berengario II,<br />
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di Cosimo I de’ Medici, Firenze, Olschki, 1980<br />
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Del Beccaro F., Carrer Luiigi in DBI, vol. XX, Roma, 1977<br />
1<br />
Del<strong>la</strong> I<strong>storia</strong> d’Europa di Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri libri sette, a cura di Aurelio Gotti,<br />
Firenze, Felice Le Monnier, 1856<br />
Di Filippo Bareggi C., In nota al<strong>la</strong> politica culturale di Cosimo I: l’Accademia fiorentina in<br />
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Diaz F., Il granducato di Toscana, Utet, Torino, 1987, in Storia d’Italia, diretta da G.<br />
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Firenze dal 9 al 14 maggio 1980), Firenze, Olschki, 1983, III voll., nel II vol.<br />
Dionisotti C., Discorso introduttivo in Pietro Giordani nel II centenario del<strong>la</strong> nascita. Atti del<br />
Convegno di studi Piacenza, 16-18 marzo 1974<br />
Dionisotti C., Medio Evo barbarico e Cinquecento italiano, in “Lettere italiane”, XXIV, 1972<br />
Domonkos L., Willibald Pirckheimer in Contemporaries of Erasmus, III voll., 1985-1987,<br />
vol. III<br />
Dubois C-G., Le Dèveloppement Littèraire d’un mythe nazionaliste avec l’èdition critique<br />
d’un traitè inèdit de Guil<strong>la</strong>ume Postel De ce qui est premier pour reformer le monde, Paris,<br />
Vrin, 1972<br />
Eginardo, Vita et gesta Caroli cognomento Magni, Francorum regis fortissimi, et Germaniae<br />
suae illustratoris, autorisque optime meriti, per Eginhartum, illius quandoque alumnum atque<br />
scribam adiuratum, Germanum conscripta in Vitichindi Saxonis rerum ab Henrico et Ottone I<br />
impp. Gestarum libri III, unam cum alijs quibusdam raris et antehac non lectis diversorum<br />
autorum historijs, ab anno salutatis DCCC. usque ad praesentem aetatem: quorum catalogus<br />
patebit pagina Huc accessit rerum scitu dignarum copiosus index, Basileae, apud Io.<br />
Hervagium, mense martio, Anno MDXXXII<br />
Emilio P., Pauli Aemylii Veronensis, historici c<strong>la</strong>rissimi, de rebus gestis Francorum, ad<br />
christianissimum Galliarum Regem Franciscum Valesium, eius nominis primus, libri Decem,<br />
Parisiis imprimebat Michael Vascosanus sibi et Galeotto a Prato, MDXLIIII<br />
Felici L., Tra Riforma ed eresia. La giovinezza di Martin Borrhaus (1499-1528), Firenze,<br />
Olschki, 1995<br />
Firpo M., Gli affreschi di Pontormo a san Lorenzo. Eresia, politica e cultura nel<strong>la</strong> Firenze di<br />
Cosimo I, Torino, Einaudi, 1997<br />
Firpo M., Il Beneficio di Cristo e il concilio di Trento (1542-1546) in “Rivista di <strong>storia</strong> e<br />
letteratura religiosa”, 1995<br />
Firpo M.-Marcatto D., Il processo inquisitoriale del cardinal Giovanni Morone, VI voll.,<br />
Roma, Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea, 1981-1989<br />
F<strong>la</strong>minio C., Appendix novissima ad Ecclesiae Venetiae et Torcel<strong>la</strong>neae antiquis monumentis<br />
nunc etiam primum editis illustratae ac in decades distributae, Venetiis,<br />
Fontanini B., Il beneficio di Cristo. Con le versioni del secolo XVI. Documenti e<br />
testimonianze, a cura di Salvatore Caponetto, Firenze-Chicago, Sansoni editore, 1972.<br />
Fontanini G., Biblioteca dell’eloquenza italiana di monsignor Giusto Fontanini…con le<br />
annotazioni del signor Apostolo Zeno istorico e poetacesareo cittadino veneziano, II tomi,<br />
Venezia, MDCCLIII, presso Giambattista Pasquali<br />
Fontanini G., Del<strong>la</strong> eloquenza italiana di monsignor Giusto Fontanini arcivescovo d’Ancira<br />
libri tre…, in Roma nel<strong>la</strong> stamperia di Rocco Bernabò, MDCCXXXVI<br />
Forti F., Cacciaguida, Enciclopedia dantesca, Roma, 1970, V voll., vol. I<br />
Fragnito G., Fattore religioso e consolidamento del principato mediceo, in “Rivista di Storia<br />
religiosa”, vol. CXI, fascicolo I, gennaio 1999<br />
Fragnito G., Un pratese al<strong>la</strong> corte di Cosimo I. Riflessioni e materiali per un profilo di<br />
Pier<strong>francesco</strong> Riccio, in “Archivio di studi pratesi”, 1986<br />
Frangenberg T., Bartoli, Giambul<strong>la</strong>ri and the Prefaces to Vasari’s Lives (1550), in “Journal of<br />
the Warburg and Courtauld Institutes” LXV, the Warburg Institute University of London,<br />
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Fubini R., Biondo F<strong>la</strong>vio in DBI, vol. X, Roma, 1968<br />
Gaguin R., Compendium Roberti Ganguini supra Francorum gestis, impressit…Thilmannus<br />
Kerver in inclito Parisiorum gymnasio, 1507<br />
Gandi G., Le corporazioni dell’Antica Firenze. Prefazione dell’on. Ferruccio Lantini<br />
presidente del<strong>la</strong> confederazione naz. Fascista dei commercianti con gli stemmidelle arti e<br />
268
numerose illustrazioni di Firenze scomparsa, edito a cura del<strong>la</strong> confed. Naz. Fascista dei<br />
commercianti, 1928<br />
Garin E., L’Umanesimo italiano e <strong>la</strong> cultura ebraica, in Storia d’Italia, Annali, voll. I-XIX,<br />
Torino, Einaudi, 1978-2003, vol. XI, Gli ebrei in Italia, parte <strong>prima</strong>, 1996<br />
Gelli G. B., Capricci del bottaio, in Gelli G. B., Opere, a cura di Delmo Maestri, Torino, Utet,<br />
1976<br />
Gelli G. B., Dell’origine di Firenze. Introduzione, testo inedito e note a cura di A.<br />
D’Alessandro, “Atti e memorie dell’Accademia Toscana di Scienze e Lettere La<br />
Colombaria”, vol. XLIV, n. s., XXX, 1979<br />
Gelli G. B., Letture edite e inedite sopra <strong>la</strong> Commedia di Dante, a cura di C. Negroni, Firenze<br />
1887, II voll.<br />
Giambul<strong>la</strong>ri P. F., Commento sopra il I canto dell’Inferno di Pier Francesco Giambul<strong>la</strong>ri in<br />
Barbi M., Dante nel Cinquecento in “Annali del<strong>la</strong> R. Scuo<strong>la</strong> Normale Superiore di Pisa,<br />
c<strong>la</strong>sse di filosofia e filologia, 1890, vol. VII<br />
Giambul<strong>la</strong>ri P. F., Degl’influssi celesti. Terza lezione, nel conso<strong>la</strong>to di Carlo Lenzoni in P.<br />
Giambul<strong>la</strong>ri, Lezioni di messer Pier Francesco Giambul<strong>la</strong>ri aggiuntovi l’origine del<strong>la</strong> lingua<br />
fiorentina altrimenti il Gello dello stesso autore, Mi<strong>la</strong>no, per Giovanni Silvestri, 1827<br />
Giambul<strong>la</strong>ri P. F., Del<strong>la</strong> carità in Lettioni d’accademici fiorentini sopra Dante, Firenze, Doni,<br />
1547<br />
Giambul<strong>la</strong>ri P. F., Gello, a cura di Giuseppe degli Aromatari (pseudonimo Subasiano) nel<br />
tomo VI del<strong>la</strong> raccolta degli “Autori del ben par<strong>la</strong>re”, impressa in Venezia, nel<strong>la</strong> Salicata,<br />
1643, in tomi XIX<br />
Giambul<strong>la</strong>ri P. F., Hi<strong>storia</strong> dell'Europa, a cura di C. Bartoli, Venezia, 1566, appresso<br />
Francesco de Franceschi senese<br />
Giambul<strong>la</strong>ri P. F., Il Gello, per il Doni, in Fiorenza 1546<br />
Giambul<strong>la</strong>ri P. F., I<strong>storia</strong> d’Europa di Messer Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri dal DCCC al<br />
DCCCCXIII, Pisa, presso N. Capurro, co’ caratteri di F. Didot, 1822<br />
Giambul<strong>la</strong>ri P. F., I<strong>storia</strong> d’Europa di Messer Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri dal DCCC al<br />
DCCCCXIII, testo…di lingua , Mi<strong>la</strong>no, N. Bettoni, 1827<br />
Giambul<strong>la</strong>ri P. F., I<strong>storia</strong> d’Europa…dal DCCC al DCCCCXIII, Mi<strong>la</strong>no, casa editrice di M.<br />
Guigoni, 1873<br />
Giambul<strong>la</strong>ri P. F., I<strong>storia</strong> dell’Europa di Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri dal 800 al 919. Volume<br />
unico, a cura di Antonio Fontana, Mi<strong>la</strong>no, 1830<br />
Giambul<strong>la</strong>ri P. F., Lezioni di messer Pier Francesco Giambul<strong>la</strong>ri aggiuntovi l’origine del<strong>la</strong><br />
lingua fiorentina altrimenti il Gello dello stesso autore, Mi<strong>la</strong>no, per Giovanni Silvestri, 1827<br />
Giambul<strong>la</strong>ri P. F., Lezzioni di M. Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri, lette nel<strong>la</strong> Accademia<br />
fiorentina, Firenze, Torrentino, 1551<br />
Giambul<strong>la</strong>ri P. F., Narrazioni scelte dalle Istorie dell’Europa di Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri,<br />
ad uso delle scuole ginnasiali, con note del prof. Giuseppe Bonamici, Verona, Donato<br />
Tedeschi e figli editori, 1892<br />
Giambul<strong>la</strong>ri P. F., Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri accademico fior. De’l sito, Forma, et Misure,<br />
dello Inferno di Dante, in Firenze per Neri Dorte<strong>la</strong>ta, MDXLIIII<br />
Giambul<strong>la</strong>ri P. F., Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri Fiorentino, de <strong>la</strong> lingua che si par<strong>la</strong> et scrive in<br />
Firenze. Et uno Dialogo di Giovan Batista Gelli sopra <strong>la</strong> difficoltà dello ordinare detta<br />
lingua, in Firenze, Torrentino, 1552<br />
Giambul<strong>la</strong>ri P. F., Saggio di poesie edite e inedite di P. F. Giambul<strong>la</strong>ri, a cura di Domenico<br />
Moreni, nel<strong>la</strong> stamperia Magheri, Firenze, 1820.<br />
Giambul<strong>la</strong>ri P. F., Storia d’Europa, a cura di G. Marangoni, Mi<strong>la</strong>no, Val<strong>la</strong>rdi, 1910<br />
Giambul<strong>la</strong>ri P. F., Storia dell’Europa dal DCCC al DCCCCXIII, a cura di L. Carrer, Venezia,<br />
Tipi del Gondoliere, 1840<br />
Giambul<strong>la</strong>ri P. F., Storia dell’Europa dall’800 al 913, Napoli, tipografia del Tasso, 1832<br />
269
Giambul<strong>la</strong>ri P. F., Storia dell’Europa di Francesco Giambul<strong>la</strong>ri, con un discorso e copiose<br />
annotazioni di Gabriele di Stefano, terza edizione, II voll., Napoli, Gabriele Rondinelli<br />
editore, 1862 (<strong>prima</strong> edizione 1840).<br />
Gilbert F., Machiavelli e Guicciardini. Pensiero politico e storiografia a Firenze nel<br />
Cinquecento, Torino, Einaudi, 1970<br />
Giordani P., Opere, XIV voll., a cura di Antonio Gussalli, Mi<strong>la</strong>no, per Francesco Sanvito,<br />
1854-1863<br />
Giovio P., La <strong>prima</strong> et seconda parte dell’Historie del suo tempo di Mons. Paolo Giovio<br />
vescovo di Nocera tradotte per M. Ludovico Domenichi, in Fiorenza, MDLI-MDLIII,<br />
Torrentino.<br />
Giuseppe F., F<strong>la</strong>vii Iosephi antiquitatum Iudaicarum libri XX ad vetera exemp<strong>la</strong>ria diligenter<br />
recogniti…, Vaeneunt Luteciae Aedibus Iacobi Izeruer sub signo geminorum Pullorum in via<br />
divi Iacobi, MDXXXV<br />
Glendler P. F., L’inquisizione romana e l’editoria a Venezia 1540-1605 (traduzione italiana di<br />
Antonel<strong>la</strong> Barzazi dell’americano The Roman Inquisition and the Venetian Press 1540-1605,<br />
Princeton Univeristy Press, 1977), Roma, Il Veltro, 1983.<br />
Guarini E. F., Città e stato nel<strong>la</strong> storiografia fiorentina del Cinquecento, in AA. VV.,<br />
Storiografia repubblicana fiorentina (1494-1570), a cura di Jean Jacques Marchand e Jean-<br />
C<strong>la</strong>ude Zancarini, Firenze, Franco Cesati editore, 2003<br />
Guenther I. e Peter G. Bietenholz P. G. Jacob Ziegler in Contemporaries of Erasmus, 1985-<br />
1987, III voll.,. III vol.<br />
Guicciardini L., Commentarii di Lodovico Guicciardini Delle cose più memorabili seguite in<br />
Europa specialmente in questi paesi Bassi, dal<strong>la</strong> pace di Cambrai, del MDXXIX, infino a<br />
tutto l’anno MDLX, libri tre. Al Gran Duca di Fiorenza et di Siena. In Vinegia appresso<br />
Domenico Farri, 1566<br />
Guicciardini L., Descrittione di M. Lodovico Guicciardini patrizio fiorentino, di tutti i Paesi<br />
Bassi, altrimenti detti Germania inferiore. Con più carte di Geographia del paese, e col<br />
ritratto naturale di più terre principali, al gran Re cattolico Filippo d’Austria, in Anversa,<br />
MDLXVII, appresso Guglielmo Silvio<br />
Guicciardini L., Discorso di M. Ludovico Guicciardini delle cause del<strong>la</strong> grandezza di<br />
Anversa viene pubblicato nei Tre discorsi appartenenti al<strong>la</strong> grandezza delle città. L’uno di M.<br />
Ludovico Guicciardini. L’altro di M. C<strong>la</strong>udio Tolomei. Il terzo di M. Giovanni Botero.<br />
Raccolti da Messer Giovanni Martinelli, in Roma, appresso Giovanni Martinelli<br />
MDLXXXVIII<br />
Guicciardini P., Il ritratto vasariano di Luigi Guicciardini. Contributo per <strong>la</strong> iconografia<br />
fiorentina all’avvento di Cosimo I, Firenze, L’Arte del<strong>la</strong> stampa, 1942<br />
Guillon A., Thou de Auguste-Jacques in Biographie universelle, IX, Paris, 1854<br />
Gullino G., Da Ponte Nicolò in DBI, vol. XXXII, Roma 1986<br />
Heckethorn C. W., The Printers of Basle. In the XV and XVI Centuries. Their biographies,<br />
Printed Books and Devices, London, printed by unwin brothers at the Gresham press, 1897<br />
Holtzmann W:, Reginone di Prum in Enciclopedia italiana, Roma, istituto Treccani, 1949,<br />
vol. XXVIII<br />
Huenara H., Eiusdem Hermanni comitis nuenarii brevis narratio de origine et sedibus<br />
priscorum francorum in Vitichindi Saxonis rerum ab Henrico et Ottone I impp. Gestarum<br />
libri III, unam cum alijs quibusdam raris et antehac non lectis diversorum autorum historijs,<br />
ab anno salutatis DCCC. usque ad praesentem aetatem: quorum catalogus patebit pagina<br />
Huc accessit rerum scitu dignarum copiosus index, Basileae, apud Io. Hervagium, mense<br />
martio, Anno MDXXXII<br />
Il libro di Montaperti, a cura di Cesare Paoli in Documenti di Storia Italiana,, Firenze, presso<br />
G. P. Viesseux, coi tipi di M. Cellini e C. al<strong>la</strong> galileiana, 1889<br />
Imperatori U. E., Dizionario degli italiani all’estero: dal sec. XIII sino ad oggi, Genova:<br />
Emigrante,1956<br />
270
Inghirami F., Storia del<strong>la</strong> Toscana compi<strong>la</strong>ta ed in sette epoche distribuita da Francesco<br />
Inghirami, Fiesole, Poligrafica fieso<strong>la</strong>na, 1841-1844, XVI voll.<br />
Irenicus F., Germaniae exegeseos volumina duodecima Francisco Irenico ettelingiacensi<br />
exarata. Eiusdem oratio protreptica, in amorem Germaniae, cum praesentis operis<br />
excusatione, ad illustriss. Principis Pa<strong>la</strong>tini Electoris Cancel<strong>la</strong>rium Florentium de<br />
Pheningen, utriusque censure Doctorem. Urbis Norimbergae descriptio, Conrado Celte<br />
narratore, Norimbergae 1518<br />
I<strong>storia</strong> dell’Europa dall’800 al 913 di Messer Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri. Testo di lingua,<br />
Torino, L’Unione tipografico-editrice, 1861<br />
Jacquiot J., La medaille dans l’humanisme allemand in AA. VV., L’Humanisme Allemand<br />
1480-1540. Actes du XVIII colloque international de Tours, Paris, Vrin, 1979<br />
Jocher C. G./Adleung J. C., Allgemeines Gelehrten-Lexikon. Fortsetzungen und<br />
Erganzungen... von H. W. Rotermund, Leipzig: Gleditsch. 1784-1897, 7 Bde<br />
Jordanes, Iornandis de origine actuque getarum liber in Procopii Caesariensis de rebus<br />
Gothorum, persarum, ac vandalorum libri VII, una cum alij mediorum temporum historicis,<br />
quorum catalogum sequens indicabit pagina. His omnibus accessit rerum copiosissimus<br />
index, Basi<strong>la</strong>e ex officina Hervagii mense septembri, anno MDXXXI .<br />
Kindermann H., Teatro europeo del Rococò, in Sensibilità razionalismo nel Settecento,<br />
Firenze, 1967<br />
Kinser S., The Works of Jacques-Auguste de Thou, The Hague, 1966<br />
Kirner G., Sul<strong>la</strong> <strong>storia</strong> d’Europa di Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri, Pisa, Tipografia T. Nistri e C.,<br />
1889<br />
Kuntz M. L., Guil<strong>la</strong>ume Postel and the World state: Restitution and the Universal Monarchy<br />
in “History of European Ideas 4”, n. 3-4, Oxford, 1983<br />
Kuntz M. L., Guil<strong>la</strong>ume Postel Prophet of the Restitution of All Things. His Life and Thought,<br />
The Hague-Boston-London 1981<br />
Kuntz M. L., Venice, Mith and Utopian Thought in the Sixteenth Century: Bodin, Postel and<br />
the Virgin of Venice, Galliard (printers), Norfolk, 1999<br />
Laurens P., Rome et <strong>la</strong> Germanie chez les poètes humanistes allemands in AA. VV.,<br />
L’Humanisme Allemand 1480-1540. Actes du XVIII colloque international de Tours, Paris,<br />
Vrin, 1979<br />
Le Mollé R., Giorgio Vasari. L’homme des Médicis, Grasset, Paris, 1995<br />
Lenzoni C., In difesa del<strong>la</strong> lingua fiorentina e di Dante, Firenze, Torrentino, 1557<br />
Lictenau K., Chronicum abbatis Urspergensis, continens hi<strong>storia</strong>m rerum memorabilium, a<br />
nino Assyriorum rege ad tempora Friderici II Romanorum imperatoris, et Germanicarum<br />
Imperatorum res praec<strong>la</strong>re ac fortiter rpo salute publica gestas, bona fide ab autore<br />
conscriptas, complectens: Diligenter per Eruditum quondam virum et hi<strong>storia</strong>rum<br />
peritissimum recognitum, et beneficio veterum manu scriptorum exemp<strong>la</strong>riorum ab infintis<br />
mendis repurgatum. Paraleipomena rerum memorabilium, a Friderico II, usque ad Carolum<br />
V. Augustum, hoc est, ab anno domini MCCXXX usque ad annum MDXXXVII, ex<br />
probatioribus qui habentur scriptoribus in arctum coacta, et hi<strong>storia</strong>e Abbatis Urspergensis<br />
per eundem studiosum annexa, Argentorati apud Cratonem Mylium, mense martio,<br />
MDXXXVIII<br />
Linacre T., Thomae Linacri Britanni De emendata structura Latini sermonis libri sex. Cum<br />
Indice copiosissimo in eosdem, Seb. Gryphium excudebat, Lugduni, 1541<br />
Liutprando, Liuthprandi Ticinensis ecclesiae levitae, rerum ab Europae Imperatoribus ac<br />
regibus gestarum, hi<strong>storia</strong>e in Vuitichindi Saxonis Rerum ab Henrico et Ottone I impp.<br />
Gestarum Libri III, unam cum alijs quibusdam raris et antehac non lectis diversorum<br />
autorum historijs, ab Anno salutatis DCCC usque ad praesentem aetatem: quorum catalogus<br />
proxima patebit pagina Huc accessit rerum scitu dignarum copiosus index, Basileae apud Io.<br />
Hervagium, mense Martio, anno MDXXXII<br />
271
Lo Re S., Biografie e biografi di Benedetto Varchi, in “Archivio Storico Italiano”, anno<br />
CLVI, 1998, disp. IV<br />
Lo Re S., La Vita di Numa Pompilio di Ugolino Martelli. Tensioni e consenso<br />
nell’Accademia fiorentina (1542-1545), in “Bruniana e Campanelliana”, 2003<br />
Lopez R., La nascita dell’Europa scoli V-XIV, Torino, Einaudi, 1966 (traduzione di<br />
Naissance de l’Europe, Parigi, Armand Colin, 1962)<br />
Machiavelli N., Istorie fiorentine, in Opere di Niccolò Machiavelli, a cura di S. Bertelli, XI<br />
voll., Mi<strong>la</strong>no, Giovanni Salerno, 1979 (III vol.)<br />
Maffei G., Storia del<strong>la</strong> letteratura italiana del cavaliere Giuseppe Maffei, terza edizione<br />
originale nuovamente corretta dall’autore e riveduta da Pietro Thouar, II voll., Firenze, Le<br />
Monnier 1853, (1 edizione 1825)<br />
Maffei R., Commentariorum urbanorum Raphaelis vo<strong>la</strong>terrani, octo et triginta libri,<br />
accuratius quam antehac excusi, cum duplici eorundem indice secundum Tomos collecto.<br />
Item Oeconomicus Xenophontis, ab eodem <strong>la</strong>tio donatus, Basileae, in officina frobeniana,<br />
Anno MDXXX<br />
Maffei R., Commentariorum urbanorum Raphaelis vo<strong>la</strong>terrani, octo et triginta libri,<br />
accuratius quam antehac excusi, cum duplici eorundem indice secundum Tomos collecto.<br />
Item Oeconomicus Xenophontis, ab eodem <strong>la</strong>tio donatus, Basileae, in officina frobeniana,<br />
Anno MDXXX.<br />
Manselli R., Clemente V in Enciclopedia dantesca, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana,<br />
1970, V voll., vol. II<br />
Marangoni G., Prefazione in Giambul<strong>la</strong>ri P. F., Storia d’Europa, a cura di G. Marangoni,<br />
Mi<strong>la</strong>no, Val<strong>la</strong>rdi, 1910.<br />
Marconcini C., L’Accademia del<strong>la</strong> Crusca dalle origini al<strong>la</strong> <strong>prima</strong> edizione del vocabo<strong>la</strong>rio<br />
(1612), Pisa, tipografia Valenti, 1910.<br />
Marconi S., Giannotti Donato, in DBI, vol. LIV, Roma 2000<br />
Marino E., Eugenio IV e <strong>la</strong> storiografia di F<strong>la</strong>vio Biondo, in “Memorie Domenicane”, 1973<br />
(IV)<br />
Mattia da Micou, Mathiae a Michov De Sarmatia Asiana atque Europea liber duo in Novus<br />
orbis regionum ac insu<strong>la</strong>rum veteribus incognitarum, una cum tabu<strong>la</strong> cosmographca, et<br />
aliquot aliis consimilis argument libellis quorum omnium catalogus sequenti patebit pagina,<br />
Parisiis apud Galeotum a Prato, MDXXXII, VIII Novembris<br />
Mazzacurati G., Conflitti di culture nel Cinquecento, Napoli, Liguori, 1977.<br />
Mazzacurati G., Dante nell’Accademia fiorentina (1540-1560) (tra esegesi umanistica e<br />
razionalismo critico), in “Filologia e Letteratura”, Anno XIII, fasc. I<br />
Mazzuchelli G., Gli scrittori d’Italia: notizie storiche e critiche intorno alle vite, e agli scritti<br />
dei letterati italiani di Giammaria Mazzuchelli Bresciano, Brescia, Bossini, 1753-1763, II<br />
voll..<br />
Mele E., Le fonti spagnole del<strong>la</strong> “Storia dell’Europa” del Giambul<strong>la</strong>ri in “Giornale critico<br />
del<strong>la</strong> letteratura italiana”, LIX, 1912<br />
Menchi S. S., Erasmo in Italia 1520-1580, Torino, Bol<strong>la</strong>ti-Boringhieri, 1987<br />
Merlin P., La forza e <strong>la</strong> fede. Vita di Carlo V, Roma-Bari, Laterza, 2004<br />
Mexia P., Vite di tutti gl’Imperatori romani, composte in lingua spagnuo<strong>la</strong> da Pietro Messia,<br />
et da M. Lodovico Dolce nuovamente tradotte et ampliate.- Alle quali da Giro<strong>la</strong>mo Bardi<br />
monaco camaldolese sono state in questa quinta impressione aggiunte le vite di Ferdinando I<br />
et di Massimiliano II imperatori, in Venezia, appresso Alessandro Griffio 1578 Roseo M.,<br />
Delle Historie del mondo, Parte terza. Aggiunte da M. Mambrino Roseo da Fabriano alle<br />
Historie di M. Giovanni Tarcagnota…in Vinegia, MDXCII, appresso i Giunti.<br />
Miglio M., Storiografia pontificia del Quattrocento, Bologna, Patron, 1975<br />
Mi<strong>la</strong>nesi M., Il Tolomeo sostituito. Studi di <strong>storia</strong> delle conoscenze geografiche nel XVI<br />
secolo, Mi<strong>la</strong>no, Unicopli, 1984.<br />
Monsagrati G., Brighenti Pietro in DBI, vol. XIV, Roma, 1972<br />
272
Monsagrati G., Giordani Pietro in DBI, vol. LV, Roma, 2000<br />
Moreni D., Continuazione delle memorie istoriche dell'ambrosiana imperial basilica di S.<br />
Lorenzo in Firenze dal<strong>la</strong> erezione del<strong>la</strong> chiesa presente a tutto il regno mediceo, Firenze,<br />
1816, II tomi<br />
Mortara A., Notizie intorno al<strong>la</strong> vita ed alle opere di Pier Francesco Giambul<strong>la</strong>ri, in P. F.<br />
Giambul<strong>la</strong>ri, I<strong>storia</strong> dell’Europa, Torino, Utet, 1861<br />
Moyer A. E., Textualizing Florence: Fiorentine Studies in the Age of Cosimo I, University of<br />
Pennsylvania, 2003.<br />
Muenster S., Briefe Sebastian Muensters <strong>la</strong>teneische und deutsch, a cura di K. H.<br />
Burdmeister, C. H. Boehringer Sohn-Ingelheim Am Rhein, 1964<br />
Muenster S., Chaldaica Grammatica, antehac a nemine attentata, sed iam primum per<br />
Sebastianum Muensterium obscripta et aedita…[Colophon: Basileae, apud Io. Frobenium,<br />
anno 1527].<br />
Muenster S., Cosmographei Basel 1550, a cura di R. Oehme, Theatrum orbis terrarum Ltd.,<br />
Amsterdam 1968<br />
Muenster S., Cosmographiae universalis Lib. VI in quibus, iuxta certioris fidei scriptorum<br />
traditionem describuntur, omnium habitabilis orbis partium situs, propriaque dotes.<br />
Regionum Topographicae effigies. Terra ingenia, quibus fit ut tam differentes et varias<br />
species res, et animatas et inanimatas, ferat. Animalium peregrinorum naturae et picturae.<br />
Nobiliorum civitatum icones et descriptiones. Regnorum initia, incrementa et trans<strong>la</strong>tiones.<br />
Omnium gentium mores, leges, religio, res gestae, mutationes : Item regum et principum<br />
genalogiae, ex Henricii Petri officina, Basileae, 1552<br />
Muenster S., Dictionarium Hebraicum ex Rabinorum commentarijs collectum, adiectis iis<br />
chaldaicis vocabulis quorum in Bibliis et usus: ab autore Sebastiano non solum dermo<br />
locupletum, sed a multis passim mutatis emendatum, ut hac interpo<strong>la</strong>tione liber renatus<br />
videatur et p<strong>la</strong>ne novuus, Basileae apud Io. Froben, an. MDXXV, mense Novembre<br />
Muenster S., Ditionarium Chaldaicum, non tam ad chaldicos interpretes quoque Rabbinorum<br />
intelligenda commentaria necessarium: per Sebastianum Muensterum ex baal Aruch et Chal.<br />
Biblijs atque Hebraeorum peruschim congestum, Basileae apud Io. Fro. anno M. D. XXVII<br />
Muenster S., Germaniae atque aliarum regionum, quae ad imperium usque<br />
Costantinopolitanum protenduntur, descriptio, per Sebastianum Muensterum ex Historicis<br />
atque Cosmographis, pro tabu<strong>la</strong> Nico<strong>la</strong>ei Cuse intelligenza excerpta. Item eiusdem tabu<strong>la</strong>e<br />
Canon. MDXXX<br />
Muenster S., Hebraica Biblia p<strong>la</strong>neque nova Sebastiani Muensteri trans<strong>la</strong>tione, post omnei<br />
monium hactenus ubivis gentium evulgata, et quoad fieri potuit, hebraicae veritati<br />
conformata: adiectis insuper e Rabinorum commentarijs annotationibus haud poenitendis,<br />
pulchre et voces ambiguas et obscuriora quaequa elucidantibus, 2 voll., Basilea ex officina<br />
Babeliana, impendiis Michaelis Insingrinii et Henrici Petri, 1534.<br />
Muenster S., Kalendarium Hebraicum [Sebastiani Muensterii opera], ex Hebraeorum<br />
penetralibus iam recens in lucem aeditum: quod non tam hebraicae studiosis quam<br />
historiographis et astronomiae peritus subsernire poterit, Basileae, apud J. Frobenium, 1527<br />
Muenster S., S. Muensterii, Dictionarium Trilingue, Henricus Petrus Augusto, anno MDXXX<br />
Muenster S., Typi cosmographici et dec<strong>la</strong>ratio et usus, per Sebastianum Muensterum in<br />
Novus orbis regionum ac insu<strong>la</strong>rum veteribus incognitarum, una cum tabu<strong>la</strong> cosmographca,<br />
et aliquot aliis consimilis argument libellis quorum omnium catalogus sequenti patebit<br />
pagina, Parisiis apud Galeotum a Prato, MDXXXII, VIII Novembris<br />
Muratori L., Dissertazioni sopra le antichità italiane nel<strong>la</strong> dissertazione XXIII, Dell’origine o<br />
sia dell’etimologia delle voci italiane in Dal Muratori al Cesarotti. Opere di Lodovico<br />
Antonio Muratori, a cura di Giorgio Falco e Fiorenzo Forti, V tomi, Riccardo Ricciardi,<br />
Verona, 1978, nel tomo I<br />
Mutius H., De Germanorum <strong>prima</strong> origine, moribus, institutis, legibus et memorabilibus pace<br />
et bello gestis omnibus omnium seculorum usque ad mensem Augustum anni trigesimi noni<br />
273
supra millesimum quingentesimum, libri Chronici XXXI ex probatioribus Germanicis<br />
scriptoribus in Latinam linguam trans<strong>la</strong>ti, autore H. Mutio, Basileae apud Henricum Petrum,<br />
mense augusto, Anno MDXXXIX<br />
Narducci E., Giunte all’opera “Gli scrittori d’Italia” del conte Giammaria Mazzuchelli,<br />
tratte dal<strong>la</strong> Biblioteca Alessandrina, Roma, Salviucci, 1884<br />
Nauclerius J., Iohannis Naucleri praepositi tubingen. Chronica, succinctim copraehendentia<br />
res memorabiles seculorum omnium ac gentium, ab initio mundi usque ad annum Christi nati<br />
MCCCCC. Cum Auctario Nico<strong>la</strong>j Bselij ab anno Domini M. D. I. in annum M.D. XIIII. Et<br />
Appendice nova, cursim memorante res interim gestas, ab anno videlicet M. D. XV. Usque in<br />
annum presentem, qui est post Christum natum M. D. XLIIII. Rhapsodis partim D. Cunrado<br />
Tigemanno, partim Bartho<strong>la</strong>maeo Laurente…, Coloniae ex officina Petri Quentel anno Christi<br />
nati MDXLIIII.<br />
Negri G., I<strong>storia</strong> degli Scrittori fiorentini. La quale abbraccia intorno a duo mi<strong>la</strong> Autori, che<br />
negli ultimi cinque Secoli hanno illustrata co i loro scritti quel<strong>la</strong> nazione, in qualunque<br />
materia, et in qualunque Lingua, e Disciplina…, in Ferrara MDCCXXII, per Bernardino<br />
Pomatelli Stampatore vescovale<br />
Norchiati G., Trattato de' diphtonghi toscani, Venezia, Melchiorre Sessa, 1539<br />
Oldoni M., Introduzione critica in Liutprando da Cremona, Italia e Bisanzio alle soglie<br />
dell’anno mille, a cura di Massimo Oldoni e Pierangelo Ariatta, Novara, Europia, 1987<br />
P. Aquilon, La réception de l’Humanisme allemand a Paris a travers <strong>la</strong> production imprimèe:<br />
1480-1540, in AA. VV., L’Humanisme Allemand 1480-1540. Actes du XVIII colloque<br />
international de Tours, Paris, Vrin, 1979<br />
Pampaloni G., Gli Alighieri, Dante e il buon tempo antico. (Il canto XVI dell’Inferno) in AA.<br />
VV., Studi in onore di Arnaldo D’Addario, cit., III vol.<br />
Pastor L., Storia dei Papi dal<strong>la</strong> fine del Medio Evo, Roma, Desclèe e C. Editori pontifici,<br />
XVII voll., 1955-1964 (ristampa)<br />
Perini L., La vita e i tempi di Pietro Perna, Edizioni di <strong>storia</strong> e letteratura, Roma, 2002<br />
Petri Y., Gendere, Kabba<strong>la</strong>h, and the Reformation. The Mystical Theology of Guil<strong>la</strong>ume<br />
Postel (1510-1581), Leiden-Boston, Brill, 2004<br />
Petrucci F., Bernardino Corio in DBI, vol. XXIX, Roma, 1983<br />
Petrucci F., Cesarini Alessandro, in DBI, vol. XXIV, Roma, 1980<br />
Peyronel S., Bossi Donato in DBI vol. XIII, Roma, 1971<br />
Piccolomini E. S., Aenae Sylvii Hi<strong>storia</strong> Bohemica in Vitichindi Saxonis rerum ab Henrico et<br />
Ottone I impp. Gestarum libri III, unam cum alijs quibusdam raris et antehac non lectis<br />
diversorum autorum historijs, ab anno salutatis DCCC. usque ad praesentem aetatem:<br />
quorum catalogus patebit pagina Huc accessit rerum scitu dignarum copiosus index,<br />
Basileae, apud Io. Hervagium, mense martio, Anno MDXXXII<br />
Piccolomini E. S., Pii.II. pon. Max. Asiae Europaequae elegantissima descriptio, mira<br />
festivitate tum veterum, tum recentium res memoratu dignas complectens, maxime sub<br />
Federico III. Apud Europeos Chrstiani cum Turcis, Prutenis, Soldano, et caeteris hostibus<br />
fidei, tum etiam inter sese vario bellorum eventu commiserunt. Accessit Henrici G<strong>la</strong>reani,<br />
Helvetij, poetae <strong>la</strong>ureati compendiaria Asiae, Africae, Europaequae descriptio, Parisijs apud<br />
Galeotum a prato, ad <strong>prima</strong>m Pa<strong>la</strong>tij regij columnam, 1534<br />
Pignatti F., Bernardo Giambul<strong>la</strong>ri, in DBI, vol. LIV, Roma, 2000<br />
Pignatti F., Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri, in DBI, vol. LIV, Roma 2000<br />
Pinto G., Del<strong>la</strong> Bel<strong>la</strong> Giano in DBI, vol. XXXVI, Roma, 1988<br />
Pirchkeimer W., Germaniae ex variis scriptoribus perbrevis explicatio. Authore Bilibaldo<br />
Pirhkeymero Consiliario Cesareo, Augustae apud Hainricum Steiner, Norimbergae, Anno<br />
MDXXX<br />
P<strong>la</strong>isance M., Còme Ier ou le prince idéal dans le dédicaces et les traités des annés 1548-<br />
1552, in Jean Dufournet, Adelin Fiorato, Augustin Redondo, Le pouvoir monarchique et ses<br />
supports idéologiques : XIVème-XVIIème siècles, Publications de <strong>la</strong> Sorbonne Nouvelle, 1990<br />
274
P<strong>la</strong>isance M., Culture et politique à Florence de 1542 à 1551: Lasca et les Humidi aux prises<br />
avec l'Académie Florentine, in Les écrivains et le pouvoir en Italie à l'èpoque de <strong>la</strong><br />
Renaissance, vol. II, Universitè de <strong>la</strong> Sorbonne nouvelle, Paris 1974<br />
P<strong>la</strong>isance M., L’Accademia e il suo principe. Cultura e politica a Firenze al tempo di Cosimo<br />
I e di Francesco de’ Medici, Vecchiarelli editore, Roma, 2004<br />
P<strong>la</strong>isance M., Le accademie fiorentine negli anni ottanta del Cinquecento in Piero Gargiulo,<br />
Alessandro Magini, Stéphane Toussaint, éds., Neop<strong>la</strong>tonismo, musica, letteratura nel<br />
Rinascimento. I Bardi di Vernio e l’Accademia del<strong>la</strong> Crusca, Prato, “Cahiers Accademia”, I,<br />
2000<br />
P<strong>la</strong>isance M., Le retour à Florence de Doni: d’Alexandre à Còme in appendice al seminario<br />
“Una soma di libri”. L’edizione delle opere di Anton Francesco Doni (Pisa, Facoltà di lettere,<br />
ottobre 2002, curato da Gabriel<strong>la</strong> Albanese<br />
P<strong>la</strong>isance M., Les Dédicaces à Còme Ier: 1546-1550 in Charles Adelin Fiorato, Jean-C<strong>la</strong>ude<br />
Margolin, éds., L’écrivain face à son public en France et en Italie à <strong>la</strong> Renaissance, Paris,<br />
Vrin, 1989, pp. 173-187, ora in L’Accademia e il suo principe<br />
P<strong>la</strong>isance M., Une première affirmation de <strong>la</strong> politique culturelle de Còme Ier: <strong>la</strong><br />
transformation de l'académie des "humidi" en académie florentine (1540-1542) in AA.VV.,<br />
Les écrivains et le pouvoir en Italie à l’époque de <strong>la</strong> Renaissance, vol. I, Universitè de <strong>la</strong><br />
Sorbonne Nouvelle, Paris 1973<br />
P<strong>la</strong>tina B., Hi<strong>storia</strong> B. P<strong>la</strong>tinae de vitis pontificum romanorum A. D. N. Cristo usque ad<br />
Paulum II venetum, Papam longe quam antea emendatior, doctissimarumque annotationum<br />
onuphrii Panvinij accessione nunc illustrior reddita…, Coloniae, apud Maternum Chorinum,<br />
MDLXXIIII.<br />
P<strong>la</strong>tina., Hi<strong>storia</strong> B. P<strong>la</strong>tinae De vitis Ponitificum Romanorum, A. D. N. Iesu Christo Usque<br />
ad Paulum II. Venetum, Papam longe quam antea emendatior, doctissimarumque<br />
annotationum Onuphriy Panvinij accessione nunc illustrior reddita. Cui Eiusdem Onuhrji<br />
Accurata atque fideli opera, reliquorum quoque Pontificum vitae, usque ad Pium V.<br />
Pontificem Max. nunc recens adiuncta sunt.<br />
Polidoro V., Polydori Vergilii urbinatis anglicae hi<strong>storia</strong>e libri XXVI, Basileae, apud Io.<br />
Bebelium anno MDXXXIIII<br />
Polman P., L’élèment Historique dans <strong>la</strong> Controverse religieuse du XVIé Siècle, Gembloux<br />
imprimerie J. Duculot, éditeur, 1932<br />
Postel G. Linguarum duodecim characteribus differentium Alphabetum, introductio ac<br />
legendi modus longe facilimus. Linguarum nomina sequens proxime pagel<strong>la</strong> offeret,<br />
Guillielmi Postelli, Barentonii diligentia, Prostant Parisiis apud Dionysium Lescuier 1538<br />
Postel G., De Etruriae regionis, quae <strong>prima</strong> in orbe Europaeo habitata est, Originibus,<br />
Insittutis, Religione et Moribus, et in primis DE AUREI SAECULI DOCTRINA et vita<br />
praestantissima quae in divinationis sacrae usu posita est, Gulielmi postelli Commentatio,<br />
Florentiae, MDLI<br />
Postel G., Gulielmi Postelli Baren. Doleriensis de Originibus seu de Hebraicae linguae et<br />
gentis antiquitate, deque variarum linguarum affinitate, liber. In quo ab Hebraorum<br />
Chaldeorumve gente traductas in toto orbe Colonias Vocabuli Hebraici argumento,<br />
humanitatisque authorum testimono videbis: literas, leges, disciplinasque omnes inde ortas<br />
cognosces : communitatemque notiorum idiomatum aliquam cum Hebraismo esse, Prostant<br />
Parisiis : apud Dionysium lescuier, sub Porcelli signo e regione D. Hi<strong>la</strong>rii [Parigi] : excudebat<br />
Petrus Vidovaeus, vigesima septima Martijs 1538<br />
Potthast A., Wegweiser durch-die Geschichts Werke des europaischen mitte<strong>la</strong>lters bis 1500.<br />
Vollstandiges inhaltsverzeichniss zu Acta Sanctorum boll.- Bouquet- Migne- Mon. Germ.<br />
Hist.-Muratori- Rerum Britann. Scrpiptores, anhang quellenkunde fur die geschicte del<br />
europaischen staaten wahrend des mitte<strong>la</strong>lters, Berlin, W. Weber, 1896, Biblioteca Historica<br />
Medii Aevi, II voll.<br />
275
Procopio di Cesarea, Procopii Caesariensis de rebus Gothorum, persarum, ac vandalorum<br />
libri VII, una cum alij mediorum temporum historicis, quorum catalogum sequens indicabit<br />
pagina. His omnibus accessit rerum copiossimus index, Basileae ex officina Hervagii mense<br />
septembri, anno MDXXXI<br />
Procopio, Procopii Caesariensis de rebus Gothorum, persarum, ac vandalorum libri VII, una<br />
cum alij mediorum temporum historicis, quorum catalogum sequens indicabit pagina. His<br />
omnibus accessit rerum copiosissimus index, Basi<strong>la</strong>re ex officina Hervagii mense septembri,<br />
anno MDXXXI<br />
Procopio, Procopii de bello Persico. Impressum per magister Eucharium Silber alias<br />
Franck…, 1509, nonis Martio<br />
Prosperi A., Tra Evangelismo e Controriforma: G. M. G. (1495-1543), Roma, 1969<br />
Raffaele L., Una dotta spia dell’Austria, Roma, Tipografia operaia romana cooperativa, 1921<br />
Raimondi E., I lumi dell’erudizione. Saggi sul Settecento italiano, Mi<strong>la</strong>no, Vita e pensiero,<br />
1989<br />
Reginone di Prum, Reginonis monachi Prumiensis annales, non tam de Augustorum vitis,<br />
quam aliorum Germanorum gestis et docte et compendiose disserentes, ante sexigentos fere<br />
annos editi, Maguntiae mense augusto, Anno MDXXI, Ioannis Schoeffer<br />
Reynolds B. R., Latin Historiography: a Survey, 1400-1600, in “Studies in the Renaissance”,<br />
1955<br />
Rhenanus B., Beati Renani selestadiensis rerum germanicarum libri tres. Adiecta est in calce<br />
episto<strong>la</strong> ad D. Philippum Puchaimerum, de locijs Plinij per St. Aquaeum attactis, ubi mendae<br />
quaedameiusdem autoris emacu<strong>la</strong>ntur, antehac non a quoquam animadversae, Basi<strong>la</strong>re, in<br />
officina frobeniana, anno MDXXXI<br />
Ricci A., Lorenzo Torrentino and the Cultural Programme of Cosimo I de’ Medici in AA.<br />
VV., The Cultural Politics of Duke Cosimo I de’ Medici, edited by Konrad Eisenbichler,<br />
Aldershot, Ashgate, 2001<br />
Ricciardi R., Conti Natale in DBI, vol. XXVIII, Roma, 1983<br />
Ridè J., Un grand projet patriotique: Germania illustrata, in AA. VV., L’Humanisme<br />
Allemand 1480-1540. Actes du XVIII colloque international de Tours, Paris, Vrin, 1979<br />
Ridolfi R., La biblioteca del cardinale Niccolò Ridolfi, in “La Bibliofilia”, anno XXXI, 1929,<br />
maggio<br />
Rill G., Bonfini Antonio in DBI, Roma, 1970, vol . XII<br />
Ritter F., Histoire de l’imprimerie Alsacienne aux XVe et XVIe siècles, éditions F.- X. Le<br />
Roux, Strasbourg-Paris, 1955<br />
Roberti M., Il Belgio descritto da un fiorentino del Cinquecento, Firenze, Regia deputazione<br />
di <strong>storia</strong> patria, 1915<br />
Robertson C., Farnese Alessandro in DBI, vol. XLV, Roma, 1995<br />
Romanelli G., Ritrattistica dogale: ombre immagini e volti in AA.VV., I dogi, a cura di<br />
Benzoni G., Mi<strong>la</strong>no, Electa, 1982,<br />
Romeo R., Idea e coscienza di nazione fino al<strong>la</strong> <strong>prima</strong> guerra mondiale. Appunti, in “Clio”,<br />
1978, anno XIV, n.1 marzo<br />
Rotondò A., Carnesecchi Pietro, in DBI, Roma, vol. XX, 1977<br />
Rozzo U., La cultura italiana nelle edizioni lionesi di Sèbastiene Gryphe 1531-1541, in “LA<br />
Bibliofilia”, 1988, disp. II<br />
Rubinstein N., Il Medio Evo nel<strong>la</strong> storiografia italiana del Rinascimento, in “Lettere italiane”,<br />
24, 1972<br />
Ruysschaert J., Juste Lipse, éditeur de Tacite in La Fortuna di Tacito dal sec. XV ad oggi,<br />
Atti del colloquio di Urbino, 9-11 ottobre 1978, a cura di Franco Gori e Cesare Questa, in<br />
“Studi Urbinati”, 1979<br />
Sabellico M. A., Opera M. Antonii Coccii Sabellici in duos digesta tomos Rapsodiae<br />
Hi<strong>storia</strong>e enneadum XI, Quinque priores uno continentur, altero sex reliquiae cum D.<br />
Casparis Hedionis Historica synopsi, qua huius auctoris institum summa fide et diligentia ad<br />
276
annum MDXXVIII persequitur. His veluti una perpetuaque oratione res memorabiles ab orbe<br />
condito in praesens usque tempus gestae, ea perspicuitate narrantur, ut innumeri loci,<br />
obscuri apud reliquos historicos Basileae, ex officina Hervagiana, anno MDXXXVIII<br />
Salvini F., Fasti conso<strong>la</strong>ri dell’Accademia fiorentina di Salvino Salvini. Consolo del<strong>la</strong><br />
medesima e rettore genrale dello studio di Firenze. All’altezza reale del serenissimo Gio.<br />
Gastone gran principe di Toscana, in Firenze, 1717, nel<strong>la</strong> stamperia di S. A. R<br />
Santi P., Biblia, <strong>la</strong>tino. 1528. Pagnini. Biblia. Habes in hoc libro utriusque In strumenti<br />
novam tra<strong>la</strong>tionem aeditam a Sancte Pagnino, [ Lugduni, per A. du Ry, 1527].<br />
Sapori A., Una compagnia di Callima<strong>la</strong> ai primi del Trecento, Firenze, Olschki, 1932<br />
Saxo G., Saxonis Grammatici Danorum hi<strong>storia</strong>e libri XVI, trecentis ab hinc annis conscripti,<br />
tanta dictionis elegantia, rerumque getarum varietate, ut cum omni vetustate contendere<br />
optimo iure videri possint. Accessit rerum memorabilium Index locupletissimum, Basileae<br />
apud Io. Bebelium, Anno MDXXXIIII; d’ora in poi Danorum hi<strong>storia</strong>e.<br />
Scapecchi P., Una carta dell’esemp<strong>la</strong>re riminese delle Vite del Vasari con correzioni di<br />
Giambul<strong>la</strong>ri. Nuove indicazioni e proposte per <strong>la</strong> torrentiniana, in “Mitteilungen des<br />
Kunsthistorischen institutes in Florenz”, XII. Band – 1998 – Heft 1<br />
Scarsel<strong>la</strong> A., Alberti Giovanni in Dizionario de Tipografi e degli editori italiani. Il<br />
Cinquecento diretto da Marco Menato, Ennio Sandal, Giuseppina Zappel<strong>la</strong>, Editrice<br />
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Soman A., The London Edition of De Thou’s History: A Critique of some well-documented<br />
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Spini G., Il principato dei Medici e il sistema degli stati europei nel Cinquecento in Firenze e<br />
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Stel<strong>la</strong> A., Chiesa e Stato nelle re<strong>la</strong>zioni dei nunzi pontifici a Venezia. Ricerche sul<br />
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Tacito C., De situ, moribus, populis Germaniae libellus in P. Cornelii Taciti equitis ro. Ab<br />
excessu Augusti. Annalium libri sedecim, ex castigatione Aemylij Ferretti, Beati Renani,<br />
Alciati, ac Beroaldi, Lugduni apud Sebastianum Gryphium, 1542<br />
277
Tacito C., Gli annali di Cornelio Tacito cavalier romano de’ fatti, e guerre de’ Romani così<br />
civili, come esterne: seguite dal<strong>la</strong> morte di Cesare Augusto, per fino all’imperio di<br />
Vespasiano;…da Giorgio Dati fiorentino nuovamente tradotti di <strong>la</strong>tino in lingua toscana, in<br />
Venetia, appresso Giovanni Alberti, 1598<br />
Tarcagnota G., Del sito, et lodi del<strong>la</strong> città di Napoli con una breve i<strong>storia</strong> de re suoi, et delle<br />
cose più degne altrove ne medesimi tempi avenute di Giovanni Tarchagnota di Gaeta,<br />
Appresso Giovanni Maria Scoto, MDLXVI, in Napoli.<br />
Tarzia F., Gaddi Jacopo in DBI, vol. LI, 1998, Roma,.<br />
Tateo F., Coccio Macantonio detto Marcantonio Sabellico in DBI, vol. XXVI, Roma 1982<br />
Thou (Jacques Auguste de) in AA. VV., Nouvelle Biographie Gènerale depuis les temps les<br />
plus reculès jusq’a nos jours…, publièe par MM. Firmin Didot Frères, Tome<br />
Quarante=Cinquiéme, Paris, MDCCCLXVI<br />
Timpanaro S., Il Giordani e <strong>la</strong> questione del<strong>la</strong> lingua in AA. VV., Pietro Giordani nel II<br />
centenario dal<strong>la</strong> nascita, Atti del Convegno di studi, Piacenza, 16-18 marzo 1974, cassa di<br />
risparmio di Piacenza, 1974<br />
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Dall’anno MD fino all’anno MDCCC, Firenze, presso Molni, Landi e c., 1805-1813, IX<br />
tomi., (<strong>prima</strong> edizione Modena, 1772)<br />
Tolomeo, Geographia universalis vetus et nova complectens C<strong>la</strong>udii Ptolemaei alexandrini<br />
enarattionis libros VIII. Quorum primus nova trans<strong>la</strong>tione Pirkeimheri et accessione<br />
commentarioli illustrior quam hactenus fuerit, redditus est. Reliqui cum greco et alijs vetustis<br />
exemp<strong>la</strong>ribus col<strong>la</strong>ti, in infinitis fere locis castigatiores facti sunt. Addita sunt insuper<br />
Scholia, quibus exoleta urbium, montium, fluviorumque nomina ad nostri seculi morem<br />
exponentur. Succedunt tabu<strong>la</strong>e Ptolemaicae, opera Sebastiani Muensteri novo paratae modo.<br />
His adiectae sunt novae tabu<strong>la</strong>e, modernam orbis facies literis et pictura explicantes, inter<br />
quas quidam antehac Ptolomeo non fuerunt additae. Ultimo annexum est compendium<br />
geographicae descriptionis, in quo varij gentium et regionum ritus et mores explicantur.<br />
Praefixus est quoque universo operi index memorabilium popilorum, civitatum,<br />
fluviorum,montium, terrarum, <strong>la</strong>cuum et c., Basileae apud Henrichum Petrum mense martio<br />
anno MDXL<br />
Torcel<strong>la</strong>n G., Giornalismo e cultura illuministica nel Settecento veneto, in Settecento veneto,<br />
Torino 1969<br />
Tucci U., I meccanismi dell’elezione dogale in AA.VV., I dogi, a cura di Benzoni G., Mi<strong>la</strong>no,<br />
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<strong>prima</strong> edizione)<br />
Ughi L., Dizionario storico degli uomini illustri ferraresi: nel<strong>la</strong> pietà, nelle arti e nelle<br />
scienze con le loro opere o fatti principali compi<strong>la</strong>to da […]Luigi Ughi ferrarese, Ferrara,<br />
Rinaldi, 1804, II tomi.<br />
Ulvioni P., Cultura politica e cultura religiosa a Venezia nel secondo Cinquecento. Un<br />
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Va<strong>la</strong>cca C., La vita e le opere di Messer Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri, <strong>prima</strong> parte 1495-1541,<br />
Bitonto, Tipografia editrice N. Garofalo, 1898,<br />
Vallone A., Aspetti dell’esegesi dantesca nei secoli XVI e XVII attraverso testi inediti, Lecce,<br />
Milel<strong>la</strong>, 1966<br />
Vasari G., La vita di Miche<strong>la</strong>ngelo. Nelle redazioni del 1550 e del 1568, curata e commentata<br />
da Pao<strong>la</strong> Barocchi, V voll., Mi<strong>la</strong>no-Napoli, Ricciardi, 1962<br />
Vasari G., Le Vite de’ più eccellenti scultori, pittori e architettori nelle redazioni del 1550 e<br />
1568 testo a cura di Rosanna Bettarini, commento seco<strong>la</strong>re a cura di Pao<strong>la</strong> Barocchi, Firenze,<br />
Sansoni editore, 1966-1987, VIII voll.<br />
Vasina A., Calcoli Fulcieri Vasina in Enciclopedia dantesca, vol. I<br />
278
Vasoli C., A proposito del<strong>la</strong> Storia d’Europa del Giambul<strong>la</strong>ri, in “Nuova rivista storica”,<br />
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Vasoli C., Osservazioni sui “Discorsi historici universali” di Cosimo Bartoli in Firenze e <strong>la</strong><br />
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Verga M., Storie d’Europa. Secoli XVIII-XXI, Roma, Carocci, editore, 2004<br />
Vico G. B., Principj di Scienza Nuova d’intorno al<strong>la</strong> comun natura delle nazioni, in questa<br />
terza impressione dal medesimo autore in un gran numero di luoghi corretta, schiarita e<br />
notabilmente accresciuta 1744, in Vico G. B., Opere, a cura di Fausto Nicolini, Napoli,<br />
Riccardo Ricciardi, Verona, 1953<br />
Vil<strong>la</strong>ni G., Cronica di Giovanni Vil<strong>la</strong>ni a miglior lezione ridotta coll’aiuto de testi a penna,<br />
Firenze, per il Magheri, 1823-1825, VII tomi, in partico<strong>la</strong>re tomo II<br />
Vivanti C., Gli umanisti e le scoperte geografiche, in Il nuovo mondo nel<strong>la</strong> coscienza italiana<br />
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Vivanti C., Henry IV, the Gallic Hercules in “Journal of the Warburg and Courtauld and<br />
Institutes”, 30, 1967<br />
Vivanti C., I ”commentarii” di Pio II in Vivanti C., Incontri con <strong>la</strong> <strong>storia</strong>. Politica, cultura e<br />
società nell’Europa moderna, a cura di Miguel Gotor e Gabriele Pedullà, presentazione di<br />
Maurice Aymard, Torino, Seam, 2001<br />
Vivanti C., La formazione e l’opera storiografica di Jacques Auguste de Thou in id., Lotta<br />
politica e pace religiosa in Francia fra Cinque e Seicento, Torino, Einaudi, 1963<br />
Vocht D. H., History of the Foundation and Rise of the Collegium Trilingue Lovaniense,<br />
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2001<br />
Weill G., Vie et caractère de Guil<strong>la</strong>ume Postel, traduzione in francese di Francois Secret,<br />
Mi<strong>la</strong>no, Archè, 1987 (<strong>prima</strong> edizione 1967)<br />
Widukindo, Vuitichindi Saxonis Rerum ab Henrico et Ottone I impp. Gestarum Libri III,<br />
unam cum alijs quibusdam raris et antehac non lectis diversorum autorum historijs, ab Anno<br />
salutatis DCCC usque ad praesentem aetatem: quorum catalogus proxima patebit pagina<br />
Huc accessit rerum scitu dignarum copiosus index, Basileae apud Io. Hervagium, mense<br />
Martio, anno MDXXXII<br />
Wimpheling J., Epitome germanorum, opera Iacobi Vumphelingii selestadiensis et quorum<br />
contexta, ac nuper per eruditum quondam recognita, in Vuitichindi Saxonis Rerum ab<br />
Henrico et Ottone I impp. Gestarum Libri III, unam cum alijs quibusdam raris et antehac non<br />
lectis diversorum autorum historijs, ab Anno salutatis DCCC usque ad praesentem aetatem:<br />
quorum catalogus proxima patebit pagina Huc accessit rerum scitu dignarum copiosus index,<br />
Basileae apud Io. Hervagium, mense Martio, anno MDXXXII<br />
Yates F. A., Astrea. L’idea di Impero nel Cinquecento, Torino, Einaudi, 1978<br />
Yates F. A., L’idea di monarchia in Francia in Charles Quint et l’ideé d’ empire, in Fétes et<br />
cérimonies au temps de Charles Quint, a cura di J. Jacquot, Centre nationale de <strong>la</strong> recherche<br />
scientifique, Paris, 1960<br />
Zambelli P., Ba<strong>la</strong>mi Ferdinando (Ferrante Siciliano), in DBI, vol. V, Roma, 1963<br />
Zambrini F., Cenni biografici intorno ai letterati illustri italiani: o breve memorie di quelli<br />
che co’ loro scritti illustrarono l’Italico idioma [Zambrini Francesco ed.], Faenza: Montanari<br />
e Marabini, 1837<br />
Ziegler J., Syria ad Ptolomaici operis rationem. Praeterea Strabone, Plinio, et Antonio<br />
auctoribus locupletata. Palestina, iisdem auctoribus, Praeterea hi<strong>storia</strong> sacra, et Iosepho, et<br />
divo Hieronymo locupletata. Aegyptus, iisdem auctoribus. Praeterea Joanne Leone Arabe<br />
grammatico, secundum recentiorum locorum situm, illustrata. Schondia, tradita ab<br />
auctoribus, quin eius operis prologo memorantur. Holmiae, civitatis regie, Suetiae,<br />
279
deplorabilis excidijs per Christiernum Datiae cimbricae regem hi<strong>storia</strong>e. Regionum<br />
superiorum, singu<strong>la</strong>e tabu<strong>la</strong>e Geographicae, Argentorati apud Petrum Opilionem, MDXXXII<br />
Zimmermann P. T. C., Giovio Paolo in DBI, vol. LVI, Roma, 2001<br />
Zimmermann P. T.C., Paolo Giovio: The Hi<strong>storia</strong>n and The Crisis of Sixteenth Century,<br />
Princeton University Press, Princeton 1995.<br />
Zorzi F. G., Francisci Georgici Veneti minoritanae familiae De Harmonia mundi totius<br />
cantica tria, Venetiis in aedibus Bernardini De Vitalibus calchographi an. DMXXV, mense<br />
Septembre<br />
280