30.05.2013 Views

pier francesco giambullari e la prima storia d'europa - Padis

pier francesco giambullari e la prima storia d'europa - Padis

pier francesco giambullari e la prima storia d'europa - Padis

SHOW MORE
SHOW LESS

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

PIER FRANCESCO GIAMBULLARI E LA PRIMA STORIA D’EUROPA<br />

DELL’ETÀ MODERNA. RADICI POLITICO-RELIGIOSE DI UN’IDEA<br />

Francesco Vitali<br />

dottorato di ricerca in Storia del<strong>la</strong> formazione dell’Europa moderna. Culture nazionali e idea<br />

d’Europa (XVI Ciclo), dipartimento di studi politici, Facoltà di Scienze Politiche, Roma, La<br />

Sapienza<br />

coordinatore del dottorato professore Paolo Simoncelli<br />

commissione di discussione composta dal professore Eugenio Di Rienzo, professore Gaetano<br />

P<strong>la</strong>tania, professoressa Giovanna Motta (presidente)<br />

La tesi si focalizza sull’analisi dell’incompiuta Storia d’Europa composta da Pier Francesco<br />

Giambul<strong>la</strong>ri a partire dai primi anni quaranta del Cinquecento fino al<strong>la</strong> morte occorsa<br />

nell’agosto 1555, in re<strong>la</strong>zione al<strong>la</strong> sua parabo<strong>la</strong> politico-culturale. Un’esistenza vissuta<br />

costantemente nell’ambiente mediceo, come emblematicamente mostra il ruolo svolto nel<strong>la</strong><br />

fondazione dell’Accademia fiorentina e nell’impegno letterari speso a supporto del nascente<br />

assolutismo di Cosimo I e del<strong>la</strong> sua proiezione espansiva regionale. Le lezioni dantesche ma<br />

soprattutto il trattatello sull’origine di Firenze Il Gello, pubblicato nel 1546, attraverso le fonti<br />

letterarie e le tesi storico-linguistiche esposte, documentano un chiaro indirizzo ghibellino,<br />

filoimperiale, favorevole a Carlo V d’Asburgo, in linea, sia con le coordinate antifarnesiane<br />

del<strong>la</strong> politica estera cosimiana, sia con l’antica militanza ghibellina degli avi del Giambul<strong>la</strong>ri.<br />

L’incompiuta Storia d’Europa conferma pienamente questa tendenza filo-asburgica,<br />

celebrando non Carlo Magno, ma Ottone I quale restauratore del<strong>la</strong> forza politico-spirituale<br />

dell’idea imperiale e garante del<strong>la</strong> stabilità del<strong>la</strong> Res publica Christiana e dei regni che <strong>la</strong><br />

compongono.<br />

1


Pier Francesco Giambul<strong>la</strong>ri e <strong>la</strong> <strong>prima</strong> <strong>storia</strong> d’Europa dell’età moderna, radici politicoreligiose<br />

di un’idea<br />

Capitolo I Pier Francesco Giambul<strong>la</strong>ri letterato al servizio dei Medici<br />

1. La tradizione familiare ghibellina e il suo declino: Pier<strong>francesco</strong> cortigiano mediceo pag.<br />

3<br />

2. Accademico: le lezioni dantesche pag. 19<br />

3. Verso <strong>la</strong> <strong>storia</strong> d’Europa: Le fonti aramaiche pag. 31<br />

Capitolo II La <strong>storia</strong> d’Europa:<br />

1. La fortuna e motivi del<strong>la</strong> <strong>storia</strong> d’Europa pag. 64<br />

2. Libro primo: il lungo percorso dalle radici storico-geografiche all’instabilità dell’area<br />

imperiale pag. 77<br />

3. Libro secondo: Beato Renano, <strong>la</strong> nuova Germania e <strong>la</strong> Trans<strong>la</strong>tio imperii pag. 135<br />

4. Libro terzo: <strong>la</strong> trans<strong>la</strong>tio imperii al mondo tedesco, da Corrado di Franconia a Arrigo di<br />

Sassonia pag. 166<br />

Capitolo III La <strong>storia</strong> d’Europa e alcuni confronti con <strong>la</strong> storiografia coeva:<br />

1. Paolo Giovio pag. 195<br />

2. Cosimo Bartoli pag. 202<br />

3. Giro<strong>la</strong>mo Bardi e Lodovico Guicciardini pag. 213<br />

4. Natale de’ Conti pag. 245<br />

5. Jacques-Auguste de Thou pag. 250<br />

Bibliografia pag. 261<br />

2


Capitolo I<br />

Pier Francesco Giambul<strong>la</strong>ri letterato al servizio dei Medici<br />

1. La tradizione familiare ghibellina e il suo declino: Pier<strong>francesco</strong> cortigiano mediceo<br />

Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri nasce nel 1495 a Firenze dal matrimonio di Bernardo e Lucrezia<br />

di Luigi degli Stefani avvenuto nel 1485 1 , ultimo discendente di una famiglia dai trascorsi non<br />

certo trascurabili nel<strong>la</strong> <strong>storia</strong> cittadina del<strong>la</strong> seconda metà del tredicesimo secolo.<br />

Lo stemma del<strong>la</strong> famiglia è costituito da tre rose rosse su sfondo bianco, interval<strong>la</strong>te da un<br />

archipenzolo ossia una squadra nera 2 .<br />

Segnale dell’importanza del<strong>la</strong> famiglia e del<strong>la</strong> sua diretta partecipazione alle decisioni del<strong>la</strong><br />

vita politica cittadina già in tempi remoti, è fornita dal<strong>la</strong> sua inclusione nel<strong>la</strong> lista delle casate<br />

che per il sestiere di S. Pancrazio hanno <strong>la</strong> dignità per accedere al conso<strong>la</strong>to del comune<br />

fiorentino nel 1210 3 .<br />

Il nome Giambul<strong>la</strong>ri che qualifica l’intera casata deriva originariamente dal soprannome di<br />

“Giambul<strong>la</strong>rio” attribuito a Iacopo figlio di Ricevuto. La famiglia di fede politica<br />

accesamente ghibellina, raggiunge il suo massimo splendore e <strong>la</strong> sua più incisiva influenza<br />

politica durante <strong>la</strong> vita di Iacopo e dei suoi tre fratelli Filippo, Gianni e Bindo. Gianni è tra i<br />

consiglieri del comune quando il 6 settembre 1256 viene notificato il lodo del<strong>la</strong> pace sancita<br />

con i Pisani 4 . Bindo, invece “giudice o cavaliere” subisce nel 1268, in quanto ghibellino, <strong>la</strong><br />

condanna all’esilio. Filippo, inserito nel<strong>la</strong> lista degli ufficiali incaricati di “consegnare le<br />

caval<strong>la</strong>te” per <strong>la</strong> battaglia di Montaperti, <strong>la</strong>scia le insegne guelfe sotto cui milita, perché<br />

anche lui di fazione ghibellina. Dopo <strong>la</strong> sconfitta dei guelfi a Montaperti, può tornare a<br />

Firenze ed il 22 novembre 1260 viene inserito tra gli ambasciatori inviati ai senesi per<br />

ratificare il trattato di pace precedentemente sottoscritto 5 . Iacopo fa parte del consiglio del<br />

1 Su Bernardo e Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri cfr. in DBI, <strong>la</strong> voce di F. Pignatti, vol. LIV, Roma, 2000,<br />

rispettivamente pp. 306-308 e 308-312. In partico<strong>la</strong>re sul matrimonio di Bernardo cfr. p. 306 e il Repertorio<br />

numerico del Poligrafo Gargani (d’ora in poi Poligrafo Gargani che si trova nel<strong>la</strong> Biblioteca nazionale di<br />

Firenze; d’ora in poi BNF) nel<strong>la</strong> carta Giamberti Gianfaldoni 948 (d’ora in poi Gianfaldoni), schede numerate<br />

sui Giambul<strong>la</strong>ri 161-216, <strong>la</strong> scheda n. 169 in cui leggiamo: “Bernardo di Gio. Giambul<strong>la</strong>ri rigattiere Lucrezia di<br />

Luigi di Salvi Stefani nel 1485 al<strong>la</strong> gab. D 136 carta 122” con rinvio al Cod. Magliabechiano 211, c<strong>la</strong>sse XXVI<br />

(in BNF) carta 167. Comunque, a quanto riferisce il poligrafo Luigi Passerini, nelle carte del<strong>la</strong> Collezione<br />

genealogica Passerini, Indice delle famiglie nobili (BNF) sul<strong>la</strong> famiglia Giambul<strong>la</strong>ri, d’ora in avanti,<br />

Giambul<strong>la</strong>ri, Passerini, cit., carta 158bis, il Giambul<strong>la</strong>ri aveva un fratello Giovanni di cui si menziona<br />

esclusivamente <strong>la</strong> notizia del<strong>la</strong> morte avvenuta nel 1529.<br />

2 Sul<strong>la</strong> configurazione dello stemma vedi Poligrafo Gargani, cit., nel<strong>la</strong> carta Giacomo Giandolini 947 (d’ora in<br />

poi Giandolini), schede numerate sui Giambul<strong>la</strong>ri 168-221, in partico<strong>la</strong>re nel<strong>la</strong> scheda n. 168 con rinvio al Cod.<br />

2023 Riccardiano carta 49 (che si trova nel<strong>la</strong> Biblioteca Riccardiana di Firenze; d’ora in poi BRF) e nel<strong>la</strong> carta<br />

Gianfaldoni, cit., <strong>la</strong> scheda n. 161 con rinvio al Priorista manoscritto (nell’Archivio delle corporazioni Religiose<br />

di Firenze) Cod. 202 di Vallombrosa carta 585.<br />

3 Cod. Riccardiano 2305, (BRF) l’elenco “Delle famiglie che andavano in Firenze per i sestieri, e che sole<br />

potevano havere in casa il supremo honore del conso<strong>la</strong>to nell’anno 1210” alle pp. 1-11, i “Giambul<strong>la</strong>ri” sono<br />

menzionati a p. 9. Ivi sul<strong>la</strong> non trascurabile rilevanza dell’inclusione tra le famiglie che possono accedere al<br />

conso<strong>la</strong>to e sull’importanza del<strong>la</strong> carica in questione cfr. il passo del compositore del manoscritto: “…il quale<br />

era Magistrato e dignità suprema sopra i Priori ed altri officij, e così dentro al<strong>la</strong> città come fuora per il suo<br />

dominio comandavano…”.<br />

4 In questo senso cfr. anche l’elenco, ivi contenuto, dei componenti del consiglio cittadino che stipu<strong>la</strong> <strong>la</strong> pace<br />

del 1256 a p. 63: “Gianni Ricevuti” e “Iacobus f. Gianni”.<br />

5 In proposito vedi Giambul<strong>la</strong>ri, Passerini, cit., <strong>la</strong> carta n. 158bis, cit., (riproposta anche in C. Va<strong>la</strong>cca, La vita e<br />

le opere di Messer Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri, <strong>prima</strong> parte 1495-1541, Bitonto, Tipografia editrice N. Garofalo,<br />

1898, insieme a L. Passerini-Illustrazione dell’”albero genealogico del<strong>la</strong> famiglia Giambul<strong>la</strong>ri”, carta n. 188 alle<br />

pp. 125-133). In proposito cfr. anche Il libro di Montaperti pubblicato ad opera di Cesare Paoli in Documenti di<br />

Storia Italiana, pubblicati a cura del<strong>la</strong> Regia deputazione di Storia patria per le provincie di Toscana,<br />

dell’Umbria, e delle Marche, tomo IX, in Firenze, presso G. P. Viesseux, coi tipi di M. Cellini e C. al<strong>la</strong><br />

3


comune nel 1255 ed il 2 agosto ratifica un trattato con i senesi. Al momento del<strong>la</strong> battaglia di<br />

Montaperti, è iscritto tra gli ufficiali incaricati di “ordinare le caval<strong>la</strong>te” ma non si hanno<br />

notizie sicure sul<strong>la</strong> sua partecipazione allo scontro. Comunque, ghibellino al pari degli altri tre<br />

fratelli, torna trionfalmente in città dopo <strong>la</strong> battaglia. Tuttavia, il predominio ghibellino a<br />

Firenze termina in corrispondenza delle sconfitte di Manfredi a Benevento nel 1266 e di<br />

Corradino a Tagliacozzo nel 1268 6 . I guelfi, infatti, tornano in città e mettono al bando i<br />

ghibellini, anche se Iacopo e il figlio Lippo nonostante il provvedimento punitivo per <strong>la</strong> loro<br />

fazione, continuano a dimorare in città 7 .<br />

Raggiunta tra guelfi e ghibellini <strong>la</strong> pacificazione nel 1280, Iacopo accede al<strong>la</strong> carica di<br />

console dell’arte del<strong>la</strong> seta nel 1289 e priore delle arti nel 1293 per un bimestre a partire dal<br />

15 dicembre. Anche un altro membro del<strong>la</strong> famiglia, il figlio di Iacopo: Lippo, ottiene <strong>la</strong><br />

prestigiosa carica di priore delle arti con dieci anni di anticipo rispetto al<strong>la</strong> nomina paterna, il<br />

15 febbraio 1282. Iacopo verrà anche eletto capitano di S. Michele nel 1296 morendo nel<br />

1305 8 . Nomine entrambe estremamente significative in quanto collocano due membri del<strong>la</strong><br />

famiglia al vertice del sistema delle arti che costituisce il meccanismo di selezione e scelta<br />

del<strong>la</strong> rappresentanza politica cittadina, dal<strong>la</strong> quale è escluso chi non è iscritto ad un’arte.<br />

Soprattutto rilevante è <strong>la</strong> nomina di Lippo, vista <strong>la</strong> designazione di soli tre priori per bimestre,<br />

eleggibili all’interno delle sole tre arti maggiori, di Calima<strong>la</strong>, dei Cambiatori e del<strong>la</strong> Lana 9 .<br />

Diversamente <strong>la</strong> nomina di Iacopo avviene nel periodo delle rifome istituzionali di Giano<br />

Del<strong>la</strong> Bel<strong>la</strong> 10 che persegue, d’intesa col popolo minuto una politica antimagnatizia, ed estende<br />

<strong>la</strong> possibilità di essere eletti al priorato ai membri di altre tre arti nel 1293 e, successivamente<br />

a tutte le minori 11 .<br />

galileiana, 1889, p. 295 dove leggiamo: “Giambol<strong>la</strong>ius f. Ricevuti, pro se et Philippo eius fratre, consignavit<br />

unum equum pili nigri, consignatum eisdem Giambol<strong>la</strong>io et Philippo ad equitandum.” Sull’orientamento<br />

ghibellino del<strong>la</strong> famiglia Giambul<strong>la</strong>ri cfr. anche S. Salvini, Fasti conso<strong>la</strong>ri dell’accademia fiorentina di Salvino<br />

Salvini. Consolo del<strong>la</strong> medesima e rettore generale dello studio di Firenze. All’altezza reale del serenissimo Gio.<br />

Gastone gran principe di Toscana, in Firenze, MDCCXVII, nel<strong>la</strong> Stamperia di S.A.R., p. 67.<br />

6 Ibidem.<br />

7 Al riguardo vedi nel Poligrafo Gargani <strong>la</strong> carta Giandolini, al<strong>la</strong> scheda n. 187 leggiamo “Fra i Ghibellini del<br />

Sesto di S. Pancratio che, quantunque sbanditi, potevano nel 1268 dimorare in città: Giambul<strong>la</strong>rius et Filippus<br />

de domo de Giambul<strong>la</strong>ri” con rinvio al Saggio di poesie edite e inedite di P. F. Giambul<strong>la</strong>ri, a cura di Domenico<br />

Moreni, nel<strong>la</strong> stamperia Magheri, Firenze, 1820, in partico<strong>la</strong>re cfr. p. 48. Inoltre conferma indiretta di questo<br />

fatto <strong>la</strong> ricaviamo anche dal Cod. Magliabechiano 395, c<strong>la</strong>sse XXV, volume del manoscritto Zibaldone istorico<br />

di Filippo Del Migliore che nelle prime 64 carte fornisce un’elenco dei Ghibellini espulsi da Firenze in seguito ai<br />

rovesci subiti nel 1268, nel quale non risultano i nomi di Iacopo e Filippo.<br />

8 Giambul<strong>la</strong>ri, Passerini, cit., sul<strong>la</strong> importanza del<strong>la</strong> carica di capitano del popolo rinviamo a A. D’Addario,<br />

Alle origini dello Stato moderno in Italia. Il caso toscano, a cura di P. Simoncelli, Firenze, Le Lettere, 1998, in<br />

partico<strong>la</strong>re cfr. p. 34 e sulle nomine al priorato delle arti di Iacopo e Lippo di S. Pancrazio, cfr. anche il Segaloni,<br />

Priorista, tomo I, Cod. 2023 Riccardiano, cit., carta 49; inoltre nel Poligrafo Gargani nel<strong>la</strong> carta Gianfaldoni,<br />

cit., al<strong>la</strong> scheda 181 è registrata l’assunzione di Iacopo al<strong>la</strong> carica di sindaco di S. Michele insieme al figlio di<br />

Lippo: “Bindus q. Lippi Giambol<strong>la</strong>rii et Jacobus Giambul<strong>la</strong>rius q. Ricevuti pop. S. Mich. Ughi- sindici l’anno<br />

1297” secondo <strong>la</strong> carta 30 del libro G delle Provvisioni di Firenze con rinvio al Cod. 2305 Riccard., cit., carta<br />

173. Inoltre sulle due elezioni a priori delle arti di Iacopo e Lippo vedi il Priorista delle famiglie fiorentine,<br />

codice manoscritto n. 415 del<strong>la</strong> Biblioteca Corsiniana (Accademia dei Lincei), Roma, in partico<strong>la</strong>re p. 45.<br />

9 In proposito rinviamo a G. Gandi, Le corporazioni dell’Antica Firenze. Prefazione dell’on. Ferruccio Lantini<br />

presidente del<strong>la</strong> confederazione naz. Fascista dei commercianti con gli stemmi delle arti e numerose<br />

illustrazioni di Firenze scomparsa, edito a cura del<strong>la</strong> confed. Naz. Fascista dei commercianti, 1928, in<br />

partico<strong>la</strong>re pp. 13-15; inoltre sulle arti rinviamo anche a R. Davidsohn, Storia di Firenze, 1956-1965, Firenze,<br />

Sansoni, VIII voll., (traduzione di Geschichte von Florenz di Eugenio Dupré Thiesaider) n partico<strong>la</strong>re vol. IV, I<br />

primordi del<strong>la</strong> civiltà fiorentina, parte II. Industria, arti, commercio e finanze, pp. 221-347.<br />

10 Sul quale cfr. <strong>la</strong> voce redatta di G. Pinto in DBI, vol. XXXVI, Roma 1988, pp. 680-686.<br />

11 Vedi G. Gandi, Le corporazioni dell’antica Firenze, cit., pp. 15-18, inoltre cfr. nel<strong>la</strong> voce di G. Pinto, cit., pp.<br />

683-685.<br />

4


Ulteriore testimonianza di poco successiva del<strong>la</strong> importante posizione del<strong>la</strong> famiglia è<br />

costituita dall’iscrizione in veste di matricole dell’arte maggiore di Calima<strong>la</strong> di due figli di<br />

Lippo, Iacopo e Bernardo nel 1306 12 .<br />

Tuttavia, appena qualche anno dopo, <strong>la</strong> discesa in Italia di Arrigo VII nel 1310 provoca<br />

l’inizio del<strong>la</strong> parabo<strong>la</strong> discendente del<strong>la</strong> famiglia. Nonostante i danni subiti dal<strong>la</strong> casa di<br />

commercio posseduta da un altro figlio di Lippo: Lapo, ad Asti, per l’assedio posto al<strong>la</strong> città<br />

dall’imperatore, i Giambul<strong>la</strong>ri, esclusi dalle magistrature cittadine dal<strong>la</strong> riforma istituzionale<br />

compiuta da Baldo D’Aguglione nel 1311 a causa del loro antico ghibellinismo 13 , si schierano<br />

apertamente dal<strong>la</strong> parte di Arrigo VII 14 . L’infruttuoso assedio posto dall’imperatore a Firenze,<br />

determina <strong>la</strong> condanna all’esilio di molti membri del<strong>la</strong> famiglia e <strong>la</strong> confisca di tutti i suoi<br />

beni 15 . Al<strong>la</strong> perdita del prestigio e dell’onore cittadino, pertanto, si affianca il deperimento<br />

delle condizioni materiali del<strong>la</strong> famiglia di Pier<strong>francesco</strong>. I Giambul<strong>la</strong>ri, ancora benestanti nel<br />

1364 secondo il testamento redatto da Manfredi (figlio di Domenico, proprietario di banche e<br />

case a Rimini e a Forlì 16 , coniugato con Costanza di Filippo di Lando Ricevuto morto nel<br />

1372) 17 perderanno <strong>la</strong> loro ricchezza pochi anni dopo. La sorel<strong>la</strong> di Manfredi, Diana 18 morta<br />

12 Bernardo viene indicato tra i figli di Lippo insieme a Domenico in Poligrafo Gargani, cit., nel<strong>la</strong> carta n. 948<br />

Giamberti Gianfaldoni (d’ora in poi Gianfaldoni) al<strong>la</strong> scheda 170 in cui leggiamo: “8 gennaio 1316 Pagamenti<br />

fatti da Bernardo e Domenico fratelli e figli del fu (o suddetto) Lippo Giambul<strong>la</strong>ri ec. Rog. Bonaventura del fu<br />

monaco nota” con rinvio all’Archivio Diplomatico fiorentino, foglio delle carte di S. Spirito. Ivi, inoltre nelle<br />

schede 168 e 169 apprendiamo che Bernardo muore il 21 marzo 1362, con rinvio rispettivamente al Necrologio<br />

di S. Maria Novel<strong>la</strong>, alle Delizie degli eruditi toscani, IX, carta 137 e al<strong>la</strong> carta 26 del Sepoltuario di S. Maria<br />

Novel<strong>la</strong> e al Sepoltuario del Rosselli (in BNF). Inoltre sui due fratelli, in partico<strong>la</strong>re Bernardo cfr. anche il Cod.<br />

412 Magliabechiano, c<strong>la</strong>sse XXV, carta 15, Ferdinando Leopoldo del Migliore, Zibaldone Istorico : “Dom. et<br />

Bernardus. Johannis Bernardi de Giambul<strong>la</strong>rius pop. S. Michaelis, Bertelde testes”. Sul<strong>la</strong> preminenza all’interno<br />

del sistema delle arti di quel<strong>la</strong> di Callima<strong>la</strong> e sul suo funzionamento vedi R. Davidsohn, Storia di Firenze, cit.,<br />

pp. 251-266.<br />

Ivi, però nel<strong>la</strong> carta Gianfaldoni, cit., nel<strong>la</strong> scheda 191 si fa riferimento al<strong>la</strong> nomina di Bernardo e dell’altro suo<br />

fratello Iacopo, altro suo fratello, a matricole dell’arte di Callima<strong>la</strong> 11 marzo 1306. Leggiamo infatti: “Jacopus et<br />

Bernardus fratres et filiis q. Lippi Giambul<strong>la</strong>rii recepti sunt ad dictam artem et iuraverunt pro se ipsis et eorum<br />

filiis et descentibus et solverant”. Inoltre in A. Sapori, Una compagnia di Callima<strong>la</strong> ai primi del Trecento,<br />

Firenze, Olschki, 1932, abbiamo notizia dell’attività per conto del<strong>la</strong> compagnia di Bernardo e di Domenico<br />

(presumibilmente anche lui pertanto membro dell’arte) che affittano una cel<strong>la</strong> per vendere del vino nel 1320 p.<br />

198 e ancora sull’attività di Bernardo che con Tano Chiarissimi e compagni nel 1323 acquista dei panni alle pp.<br />

238 e 303.<br />

13 Ivi nel<strong>la</strong> carta Giandolini, cit., <strong>la</strong> scheda n. 171 in cui leggiamo “De domo de Giambol<strong>la</strong>ri et mingardonibus<br />

ghibellini del Sesto di S. Pancrazio nel 1268 eccettuati dal<strong>la</strong> riforma di M. Baldo D’Aguglione” (<strong>la</strong> riforma è<br />

evidentemente quel<strong>la</strong> del 1310 non del 1268). Informazione tratta dal Cod. 395 Magliabechiano, cit., c. 71 in cui<br />

troviamo l’elenco dei ghibellini colpiti dal<strong>la</strong> riforma d’Aguglione che fanno parte del popolo di S. Pancrazio. In<br />

proposito inoltre cfr. V. Borghini, Storia del<strong>la</strong> nobiltà fiorentina. Discorsi inediti o rari, a cura di J. R.<br />

Woodhouse, Pisa, Edizione Marlin, 1974, p. 236 che cita per il sesto di S. Pancrazio i “Giambu<strong>la</strong>ri e i<br />

Migardoni” tra gli “eccettuati Ghibellini e Bianchi 1311”.<br />

14 Sul quale cfr. <strong>la</strong> voce Enrico VII di Ovidio Capitani in Enciclopedia dantesca, Istituto del<strong>la</strong> Enciclopedia<br />

Italiana Treccani, Roma, 1970, V voll., ivi vol. II, pp. 682-688, in partico<strong>la</strong>re sul<strong>la</strong> sua discesa in Italia e sul<br />

finale fallimento dell’assedio posto a Firenze, pp. 682-684.<br />

15 Cfr. sulle due cacciate dei Giambul<strong>la</strong>ri in quanto ghibellini anche C. Lenzoni, Difesa del<strong>la</strong> lingua e di Dante,<br />

Firenze, Torrentino, 1556, p. 67 in cui leggiamo: “Come i ghibellini i Giambul<strong>la</strong>ri furono due volte cacciati e<br />

fatti ribelli e li furono arse e disfatte le case e le possessioni.” Inoltre, cfr. Giambul<strong>la</strong>ri, Passerini, cit., a<br />

proposito del danno economico arrecato al<strong>la</strong> florida casa di commercio di Asti posseduta da uno dei figli di<br />

Lippo, Lapo, dall’assedio posto a quel<strong>la</strong> città da Arrigo VII durante <strong>la</strong> sua discesa in Italia.<br />

16 La sua florida condizione economica è documentata anche nel<strong>la</strong> carta Gianfaldoni, cit., al<strong>la</strong> scheda 187 in cui<br />

leggiamo: “Manfredo del fu Domenico Giambol<strong>la</strong>ri del popolo di S. Maria Ughi, 31 maggio 1364, compratore”<br />

con rinvio all’Archivio Diplomatico fiorentino, spoglio delle carte di S. Maria Novel<strong>la</strong>. Domenico figlio di<br />

Lippo e di Bice (al riguardo Passerini,cit., carta 188) del quale nelle carte Giamberti-Gianfaldoni, cit., carta 179<br />

leggiamo “Dominicum Lippi Giambol<strong>la</strong>ri populi S. Mariae Ugonis- 4 marzo 1328 in iscrittura con rinvio a<br />

Iacopo Corbinelli, I<strong>storia</strong> de’ Gondi, parte II, p. XC. Inoltre, Passerini, cit., carta 188 individua <strong>la</strong> data del<strong>la</strong> sua<br />

morte nell’11 aprile 1358.<br />

17 Ivi, al<strong>la</strong> scheda 186 viene confermata <strong>la</strong> data del<strong>la</strong> sua morte. Viene riportata <strong>la</strong> scritta apposta sul suo<br />

sepolcro in S. Maria Novel<strong>la</strong> che dice: “Hoc est sepulcrum Manfredis Dominici de Giambul<strong>la</strong>ribus et suos. Qui<br />

obiit anno 1372…” in V. Rosselli, Sepoltuario, vol. II, p. 641, carta 48. Cfr. anche in proposito il Cod.<br />

5


nel 1377, sposa di Iacopo di Strozza Strozzi 19 , infatti, designerà il convento domenicano di S.<br />

Maria Novel<strong>la</strong>, erede del patrimonio familiare ricevendo, in segno di gratitudine, il privilegio<br />

per il capofamiglia di sedere al<strong>la</strong> mensa dei religiosi del convento “nel giorno dell’Ottava di<br />

San Tommaso d’Aquino”. Queste reciproche concessioni avrebbero sancito <strong>la</strong> fine del<br />

contrasto che da tempo divideva i domenicani di S. Maria Novel<strong>la</strong> e Diana a proposito di suo<br />

figlio Alessio. Questi, infatti, vestendo l’abito domenicano in età eccessivamente precoce,<br />

aveva suscitato il sospetto materno che <strong>la</strong> sua risoluzione fosse stata prodotta dalle pressioni<br />

dei conventuali interessati al<strong>la</strong> ricchezza del giovane fanciullo. Diana, pertanto, aveva fatto<br />

ritirare Alessio dal chiostro anche se poi quest’ultimo vi era tornato improntando <strong>la</strong> sua<br />

condotta a criteri esemp<strong>la</strong>ri, a dimostrazione del<strong>la</strong> coerente e sentita vocazione 20 . Al riguardo<br />

testimonia del lungo contenzioso sorto tra Diana ed i frati del convento <strong>la</strong> donazione al<strong>la</strong><br />

madre di Alessio che ne affida <strong>la</strong> procura ad alcuni frati di S. Maria Novel<strong>la</strong> suscitando così <strong>la</strong><br />

reazione di Diana che ottiene un lodo a suo favore contro ogni ingerenza esterna nell’uso dei<br />

suoi beni a pena di sanzioni pecuniarie:<br />

“1367, 19 Luglio…Donazione tra vivi di tutte le suppellettili, arnesi, masserizie, panni<strong>la</strong>ni,<br />

…e generalmente tutta <strong>la</strong> mobilia di qualunque spezie esistente nel<strong>la</strong> città di Firenze, del<br />

contado fatta da fra Alesssio del fu Iacopo di Strozza degli Strozzi Domenicano nel convento<br />

di S. Maria Novel<strong>la</strong> a donna Diana del fu Domenico Giambol<strong>la</strong>ri vedova di d. Iacopo sua<br />

madre. Fatta in d. convento Rogato Niccolò del fu Ugolino Jacopi… È riportato in seguito il<br />

mandato di procura del 3 maggio 1365 fatto da fra Giovanni di N: Giachinotti Priore e dai<br />

fratelli del Convento adunati capito<strong>la</strong>rmene in fra Iacopo…nei frati Uberto di Donato,<br />

Antonio di Navi, Miniato di Lapo, Antonio dimona, Stefano …ed in fra Iacopo Borghi.<br />

Magliabechiano 391, c<strong>la</strong>sse XXV, (che corrisponde al vol. I dello Zibaldone istorico, cit.,) al<strong>la</strong> sezione delle<br />

carte 271-375 “Mortuario antico di S. M. Novel<strong>la</strong> di Firenze del ordine de Predicatori o libro antico de Morti di<br />

S. M. Novel<strong>la</strong>”, in partico<strong>la</strong>re carta 278: “Ianuarius 1372 Manfredi Dominici de Giambul<strong>la</strong>ris di S. Michelis<br />

Ugonis cum habitu ordinis”. Inoltre, a proposito del<strong>la</strong> notizia del matrimonio con Costanza che morirà solo molti<br />

anni dopo il marito il 29 ottobre 1397, rinviamo all’albero genealogico nel<strong>la</strong> carta Passerini, cit., n. 188.<br />

18 In proposito cfr. Poligrafo Gargani, cit., nel<strong>la</strong> carta Giandolini, cit., al<strong>la</strong> scheda n. 183 in cui vengono<br />

menzionati quali figli di Domenico: Bernardo (del quale a proposito del figlio Angelo nel<strong>la</strong> carta Gianfaldoni,<br />

cit., scheda n. 164 apprendiamo: “Angelus q. Bernardi de Giambo<strong>la</strong>rijs S. M. Ugonis Telda q. D. Foresis de<br />

Falconerijs- nel 1359 in gab. E II carta 102…”), Francesco e Leonardo con rinvio a Manni Domenico,<br />

Zibaldone, manoscritto. Ivi, riguardo a Francesco rileviamo che ha due figlie Vittoria e Leonarda. Leggiamo<br />

infatti nel<strong>la</strong> scheda n. 180: “Vettoria di Franc: Dom. de Giambol<strong>la</strong>rij nel 1385 al<strong>la</strong> gab. col marito” che rinvia a<br />

V. Pani, Bartolomeo di Beltramo, p. 181, (in proposito cfr. anche Passerini, cit.,) e nel<strong>la</strong> scheda n. 181:<br />

“Leonarda di Francisci Dom. de Giambol<strong>la</strong>ribus- Nel 1392 al<strong>la</strong> gab,(el<strong>la</strong>) col marito, con rinvio a V. Pani,<br />

Nepo di M. Geri, p. 182. Inoltre, ivi riguardo al<strong>la</strong> sua morte nel<strong>la</strong> scheda n. 188 viene riportata l’iscrizione<br />

apposta sul<strong>la</strong> tomba di famiglia in S. Maria Novel<strong>la</strong> che ci informa dell’anno del<strong>la</strong> sua morte: “Hoc est<br />

sepulchrem Manfredij dominici de Giambul<strong>la</strong>ribus et sui. Qui obiit anno Dom. MCCCLXXII de Mense Decemb..<br />

”. Notizie pienamente confermate in Passerini, 165bis, dove l’elenco dei fratelli di “Francesco detto Riccio”<br />

conferma il matrimonio di Leonarda con “Leonardo di M. Niccolò ….1392 nipote di M. Geri dei Pazzi” e<br />

Vittoria “1385 Bartolomeo di Beltramo dei Pazzi” e comprende anche “Tommaso morto il 25 agosto 1382;<br />

Anastasia monaca in S. Giuliano[…]; Tita sposa di Amerigo dei Medici; Antonio morto il 7 luglio 1383” Oltre<br />

ivi naturalmente al già citato elenco dei fratelli di Manfredi di ben otto componenti.<br />

19 A proposito del matrimonio di Diana cfr. il Cod. Magliabechiano 132, c<strong>la</strong>sse XXVI, Ex libris Gabelle<br />

Contractorum vol. V dello Zibaldone, cit., nell’elenco c24, carta 157: “Diana uxor di Iacopo di Strozza degli<br />

Strozzi filia di Dom. De Giambul<strong>la</strong>ribus”. Inoltre dal Cod. Magliabechiano 299, c<strong>la</strong>sse XXXVII, Da diversi<br />

libri…dell’Atti (o arte) de Giudici e <strong>storia</strong> del<strong>la</strong> città di Firenze, dall’elenco degli atti compiuti entro l’11 marzo<br />

1359 nel<strong>la</strong> carta 128 apprendiamo che recettori del<strong>la</strong> dote di Diana sono tre dei suoi fratelli: Manfredi, Zanobi<br />

(sul quale vedi in Giamberti-Gianfaldoni, cit., carta 216: “Zanobi del fu Domenico Giambol<strong>la</strong>ri del popolo di S.<br />

Donato de’ Vecchi- 9 maggio 1361 venditore” con rinvio all’Archivio Diplomatico fiorentino: spoglio delle carte<br />

di S. Maria Novel<strong>la</strong>) e Bernardo.<br />

20 In proposito oltre a Giambul<strong>la</strong>ri, Passerini, cit.. dove inoltre viene specificato che lo stesso Pier<strong>francesco</strong><br />

esercita il privilegio concesso dai domenicani a Diana, quale capofamiglia e ultimo discendente dei Giambul<strong>la</strong>ri<br />

che si estinguono con <strong>la</strong> sua morte, (per <strong>la</strong> frase virgolettata e per <strong>la</strong> conclusione del<strong>la</strong> vicenda in questione<br />

rinviamo a F. Salvini, Fasti conso<strong>la</strong>ri, cit., in partico<strong>la</strong>re p. 70). Sull’estinzione dei Giambul<strong>la</strong>ri cfr. anche<br />

Poligrafo Gargani, cit., nel<strong>la</strong> carta Giandolini, cit., al<strong>la</strong> scheda 194.<br />

6


converso per compromettere qualunque lite fatto e non come il precedente segue dipoi il<br />

compromesso fatto nel dì 23 del 1367 del<strong>la</strong> predominata donna Diana autorizzata da Piero di<br />

Noto Michi del popolo di S. Pancrazio che…dal d. fra Iacopo del fu Borgo converso come<br />

procuratore di d. convento dall’altra parte in Francesco del fu Giunta di Borgo e chiamino lì<br />

Bagno Vetajolo del popolo di S. Maria Novel<strong>la</strong>, i quali col loro lodo del 28 se confermarono<br />

<strong>la</strong> donazione precedente: et condannarano i frati a pagare al<strong>la</strong> d. donna Diana fiorini 50<br />

ogni volta che i beni mobili donatile venissero evitti, ed ogni volta che i detti rati <strong>la</strong><br />

inquietassero nel possesso, o nell’uso o dei mobili medesimi. Fatto e rogato come i<br />

precedenti” 21<br />

Lo stemperamento delle precedenti tensioni si evince chiaramente dai successivi atti<br />

patrimoniali di Diana in primo luogo <strong>la</strong> donazione prevista nel ’73, fatto salvo l’usufrutto in<br />

re<strong>la</strong>zione al<strong>la</strong> sua morte:<br />

“1373 19 ottobre. Donna Diana del fu Domenico di Lippo Giambul<strong>la</strong>ri vedova di Iacopo di<br />

Strozza degli Strozzi del popolo di S. Maria Ughi autorizzata da[…] di Ridolfo da Prato<br />

Rettore del<strong>la</strong> Chiesa di S: M. Ughi suo…dono tra vivi a frate Alessio …suo figlio e di d. fu<br />

Iacopo tre di quattro parti per indiviso di un podere con torre, casa, nel popolo di S. Giorgio<br />

a calonica e di quattro pezzi di terra in d. popolo di d. calonica, riservatogli l’usufrutto sua<br />

vita natural durante, col patto che esso con quattro frati dei più vecchi sia obbligato dopo <strong>la</strong><br />

di lei morte distribuire il possesso dei d. beni ai poveri ed ai luoghi pii dentro l’anno, e<br />

mancando possa eseguire tal distribuzione il Priore degli Spedali di S. M. Nuova e de<br />

Pinzocheri del …ordine di S. Francesco, ed il priore di S: M. degli Angeli dentro il semestre<br />

dopo il detto anno, a non eseguendo tal distribuzione, sostituì nei detti beni gli Spedali di S.<br />

Gallo, di S. Maria del<strong>la</strong> Sca<strong>la</strong>, e di S. Maria Nuova” 22<br />

e soprattutto il testamento del ’77:<br />

“1377, 21 luglio. Testamento nuncupativo di donna Diana del fu Domenico di Lippo<br />

Giambul<strong>la</strong>ri vedova di Iacopo di Strozza Strozzi del popolo di S. Maria Ughi pel quale <strong>la</strong>sciò<br />

a frate Alessio di S. M. Novel<strong>la</strong> suo figlio sua vita natural durante l’usufrutto di un podere<br />

con casa nel popolo di S. Stefano …e dopo <strong>la</strong> di lei morte <strong>la</strong>sciò <strong>la</strong> proprietà a Manfredo,<br />

Francesco, Bernardo e Lionardo suoi fratelli germani e ai loro figli e discendenti per linea<br />

mascolina l’uno all’altro sostituendo per stirpi e non per capi coll’obbligo di pagare<br />

annualmente a suor Anastasia figlio<strong>la</strong> del detto Francesco vocato Riccio monaca nel<br />

Monastero di S. Giuliano a Monc(t)ajone fiorini 6 d’oro, fiorini 4 ai frati di S. M. Novel<strong>la</strong> per<br />

una pietanza nel giorno di S. Michele di Settembre, ed istituì erede universale il d. frate<br />

Alessio. Fatto in Fir. Rogato Michele del fu Aldobrando degli Albizzi di Fir. Giudice e<br />

notaio.” 23<br />

Confermato ancora da un altro documento:<br />

“1377, 17 settembre…Addizione del<strong>la</strong> eredità di Iacopo di Strozza Strozzi , e di donna<br />

Diana vedova del d. e medesima figlia del fu Domenico Giambol<strong>la</strong>ri, Genitori di frate<br />

Alessio, fatta da fra Iacopo di M. Tommaso Altoviti Priore e dai frati del Convento di S.<br />

Maria Novel<strong>la</strong> adunati capito<strong>la</strong>rmente, e mandato di procura in …Fra Angiolo Adimari, frate<br />

Alessio sud., frate Zanobi di maestro Francesco e fra Giovanni di…tutti di Firenze per<br />

21 Archivio di Stato di Firenze (d’ora in poi ASF), Archivio Diplomatico fiorentino, spoglio di S. Maria<br />

Novel<strong>la</strong>, carta 186.<br />

22 Ivi, carta 195.<br />

23 Ivi, carta 202.<br />

7


compi<strong>la</strong>re l’inventario dei Beni, allogarli, venderli, fatto in detto convento. Rog. Giustino del<br />

fu Giusto […]” 24<br />

Si pongono in questo modo le basi di un costante e duraturo legame con i domenicani di S.<br />

Maria Novel<strong>la</strong> testimoniato ad esempio dall’ingresso tra i domenicani di un altro membro<br />

del<strong>la</strong> famiglia Giambul<strong>la</strong>ri: Francesco 25 .<br />

Leonardo, altro fratello di Manfredi 26 finirà nel 1383 in prigione per debiti 27 e soltanto suo<br />

nipote e padre di Bernardo, l’orafo Piero 28 , reintegrerà il cognome dei Giambul<strong>la</strong>ri nei<br />

pubblici registri del<strong>la</strong> tassazione 29 . Anche l’orazione funebre preparata e letta in onore di<br />

Pier<strong>francesco</strong> da Cosimo Bartoli 30 suo amico, e membro come lui dell'Accademia fiorentina 31 ,<br />

si sofferma sul<strong>la</strong> celebre tradizione dei Giambul<strong>la</strong>ri:<br />

“La nobiltà del<strong>la</strong> casa dei Giambul<strong>la</strong>ri <strong>la</strong>rgamente in più e più luoghi delle historie nostre<br />

si legge; ma partico<strong>la</strong>rmente nel 1216, dopo il caso di messer Buondelmonte Buondelmonti<br />

questa famiglia, <strong>la</strong> quale aveva le case sue nel Sesto di S. Pancratio, presso a S. Maria Ughi<br />

era delle più potenti e nobili famiglie, che allora si ritrovassero al governo del<strong>la</strong> nostra<br />

Repubblica, e et se bene non abbiamo memoria di alcuno partico<strong>la</strong>re cittadino di essa, non ci<br />

debbe parere gran fatto, perciò che gli scrittori di quei tempi, come Ricordano Malespini, et<br />

alcuni altri senza nome, usavano più tosto nominare tutte le famiglie in generale, che alcuni<br />

di loro in partico<strong>la</strong>re, se non in qualche caso che fosse importato grandemente a tutta <strong>la</strong> città,<br />

bastici che nelle cose de Guelfi e Ghibellini, infra le famiglie che aderivano agli Imperatori,<br />

<strong>la</strong> famiglia de Gaimbul<strong>la</strong>ri non fu in fra le minime, ma in fra le più potentie principali…” 32 .<br />

24 Ivi, carta 203.<br />

25 Passerini, cit., 158bis, in cui leggiamo: “Francesco n. 1408 domenicano di S. Maria Novel<strong>la</strong> col nome di Fra<br />

Giovanni” figlio di Pietro l’orafo, certo in questo caso <strong>la</strong> vocazione religiosa potrebbe essere stata influenzata<br />

anche dalle ormai pessime condizioni economiche in cui versava <strong>la</strong> famiglia in proposito vedi di seguito.<br />

26 Al riguardo vedi supra <strong>la</strong> <strong>prima</strong> parte del<strong>la</strong> nota n. 19.<br />

27 In proposito, cfr. Poligrafo Gargani, cit., nel<strong>la</strong> carta Giandolini, cit., al<strong>la</strong> scheda 189 che offre conferma del<br />

successivo arresto, dicendo: “Lionardo di Domenico Giambol<strong>la</strong>ri- per gonf. Leon bianco nel 1382 debitore delle<br />

Prestanze” con rinvio all’Archivio delle Decime. Specchio de’ debitori delle Prestanze del 1382 carta 231. A<br />

proposito del<strong>la</strong> condizione economica di Leonardo nel 1382, ivi, ricaviamo un’altra notazione nel<strong>la</strong> scheda 190:<br />

“Leonardus vocatus Passamonte q. Dom. de Giambul<strong>la</strong>rius di Paolo figlio, erede- l’anno 1382 in gab. E 34<br />

carta 252” con rinvio al Cod. Magliabechiano 132, c<strong>la</strong>sse XXVI, carta 210 (in BNF). Inoltre, nel Passerini, cit.,<br />

carta 158bis ipotizza <strong>la</strong> motivazione del soprannome affibiato a Leonardo di Passamonte : “gli fu posto il<br />

soprannome di Passamonte, forse per avere passato gran parte del<strong>la</strong> vita mercanteggiando in straniere<br />

regioni.”<br />

28 Piero figlio dell’orafo Giovanni, sposato con Lisa di Simone di Cino Legnaiolo, da cui Piero sarebbe nato nel<br />

1406 e vissuto fino al 1457. Anche Giovanni viene sepolto in S. Maria Novel<strong>la</strong>; al riguardo cfr. Poligrafo<br />

Gargani, cit., nel<strong>la</strong> carta Giandolini, cit., al<strong>la</strong> scheda n. 182 in cui leggiamo: “Giovanni di Bernardo Giambol<strong>la</strong>ri<br />

popolo S. Lorenzo nel Carpaccio r. in S. Maria Novel<strong>la</strong> 31 Agosto 1430 “ con rinvio al Necrologio fiorentino del<br />

1424-1430 in ASF.<br />

29 Ibidem.<br />

30 Su Cosimo Bartoli oltre al<strong>la</strong> re<strong>la</strong>tiva voce di N. De B<strong>la</strong>si in DBI, vol. VI, Roma, 1964, pp. 561-563, cfr.<br />

soprattutto J.Bryce, Cosimo Bartoli (1503-1572). The Career of a Florentine Polymath, Genève, 1983.<br />

31 Ivi, a proposito del genere delle orazioni funebri degli accademici in generale e di quelle pronunciate dal<br />

Bartoli in partico<strong>la</strong>re, cfr. pp. 237-239.<br />

32 Orazione di Cosimo Bartoli, gentil'huomo et accademico fiorentino. Recitata pubblicamente nel<strong>la</strong><br />

Accademia fiorentina nelle esequie di Messer Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri, in P. Giambul<strong>la</strong>ri, Hi<strong>storia</strong><br />

dell'Europa, Venezia, 1566, a cura di C. Bartoli, appresso Francesco de Franceschi senese, pp. 161-166, passo<br />

cit. a p. 162. Sull’origine del<strong>la</strong> divisione tra Guelfi e Ghibellini rinviamo a R. Davidsohn, Storia di Firenze, cit.,<br />

vol. II, parte I, 1956 in partico<strong>la</strong>re pp. 61-66; cfr. anche Istorie fiorentine di Scipione Ammirato. Parte <strong>prima</strong> con<br />

l’aggiunte di Scipione Ammirato il giovane contrassegnate in carattere in corsivo, Firenze, per L. Marchini e G.<br />

Becherini, MDCCCXXIV-MDCCCXXVII, XI tomi, in partico<strong>la</strong>re, tomo I, libro I, pp. 173-175; N. Machiavelli,<br />

Istorie fiorentine, in Opere di Niccolò Machiavelli, a cura di S. Bertelli, XI voll., Mi<strong>la</strong>no, Giovanni Salerno,<br />

1979, in partico<strong>la</strong>re III vol. pp. 106-108.<br />

8


Nondimeno, l’accademico sottolinea il sopraggiunto disagio economico del<strong>la</strong> famiglia 33<br />

causato dai “travagli del<strong>la</strong> città nostra” 34 . Al tempo di Bernardo e Francesco, il casato ormai<br />

definitivamente impoverito sotto il profilo economico, si trova in un contesto fiorentino<br />

formalmente ancora repubblicano e sostanzialmente caratterizzato dal<strong>la</strong> signoria medicea<br />

interrotta, solo nel 1494-1512, dal<strong>la</strong> costituzione del<strong>la</strong> repubblica savonaroliano-soderiniana 35 .<br />

Bernardo figlio di Piero ed ultimo di sette fratelli 36 , notaio delle dogane dal 1516 37 e<br />

compositore di rime sacre e profane 38 , è strettamente legato all'ambiente mediceo. Apprezzato<br />

da Leone X, è anche in rapporti di profonda amicizia “quasi…stretta fratel<strong>la</strong>nza” con il duca<br />

Giuliano de' Medici 39 .<br />

Pier<strong>francesco</strong> vive all'interno del contesto mediceo <strong>la</strong> sua fanciullezza e vi matura <strong>la</strong> sua<br />

propensione agli studi letterari e linguistici. Bernardo, che voleva che Pier<strong>francesco</strong> divenisse<br />

mercante, aval<strong>la</strong> proprio su consiglio di Giuliano de’ Medici, <strong>la</strong> pulsione del figlio per gli<br />

studi letterari e per <strong>la</strong> poesia 40 .<br />

Del resto, l’ambiente mediceo, strutturatosi sul<strong>la</strong> falsariga di una vera e propria corte,<br />

costituisce il contesto ideale per supportare con i mezzi necessari e gli adeguati<br />

riconoscimenti <strong>la</strong> scelta di Pier<strong>francesco</strong>. Egli, infatti, svolge presso Alfonsina de’ Medici,<br />

vedova di Piero, dal 1511 al 1520, l'incarico di segretario 41 . Tuttavia, sia il fatto che<br />

Pier<strong>francesco</strong> non venga utilizzato in una commissione importante diversamente da altri<br />

segretari dei Medici, sia il poco tempo effettivamente trascorso a Firenze da Alfonsina che in<br />

questi anni si trova frequentemente a Roma per ottenere garanzie alle ambizioni del figlio,<br />

evidenziano <strong>la</strong> valenza in gran parte solo onorifica del suo incarico 42 . Nel frattempo, grazie<br />

all'interessamento di Alfonsina, Pier<strong>francesco</strong> ottiene nel 1515 il beneficio ecclesiastico di<br />

100 scudi collegato al rettorato del<strong>la</strong> chiesa di Careggi, e <strong>la</strong> rendita di 200 scudi l'anno<br />

connessa al<strong>la</strong> cappel<strong>la</strong> di S. Maria di Libbiano a Volterra proveniente dal ricavato delle cave<br />

di vetriolo e per concessione di Leone X una pensione in Spagna 43 di 300 scudi 44 , nonché i<br />

33 In questo senso non va trascurato che <strong>la</strong> famiglia Giambul<strong>la</strong>ri nel 1520 vive in una casa in via S. Gallo presso<br />

<strong>la</strong> chiesa di S. Basilio, di cui non è proprietaria e <strong>la</strong> cui disponibilità le viene attribuita nel 1519 dal capitolo di S.<br />

Lorenzo. Cfr. in proposito C. Va<strong>la</strong>cca, La vita e le opere, cit., pp. 9-11.<br />

34 Ibidem.<br />

35 Cfr. R. Albertini, Firenze dal<strong>la</strong> repubblica al principato. Storia e coscienza politica, Torino, Einaudi, 1995<br />

(ristampa del 1970), in partico<strong>la</strong>re pp. 3-44. Vedi inoltre A. D’Addario, Alle origini dello Stato moderno in<br />

Italia, cit., in partico<strong>la</strong>re cfr. pp. 29-112.<br />

36 Passerini, cit., carta 188 in cui troviamo con il nome di Bernardo <strong>la</strong> seguente lista di fratelli: “Francesco n.<br />

1441; Giro<strong>la</strong>mo n. 1450, Lessandra 1456-1472, sposa di Bartollomeo di Carlo Bongiovanni; Marietta n. 1453;<br />

Lisabetta n. 1464, sposa di Mico di Forese di Matteo del Forese; Manfredi n. 1456.”<br />

37 C. Va<strong>la</strong>cca, La vita e le opere, cit., p. 9.<br />

38 Riguardo ai <strong>la</strong>vori poetici e alle edizioni dei <strong>la</strong>vori poetici di Bernardo Giambul<strong>la</strong>ri cfr. Saggio di poesie edite<br />

e inedite di Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri, cit., in partico<strong>la</strong>re pp. 46-47 cfr. anche Letteratura italiana. Gli autori.<br />

Dizionario bio-bibliografico e indici, vol. I, A-G, p. 887 e <strong>la</strong> voce di F. Pignatti, Bernardo Giambul<strong>la</strong>ri, cit., pp.<br />

306-308.<br />

39 Sui legami tra Bernardo e l'ambiente mediceo cfr. anche C. Bartoli, Orazione, cit., p. 162.<br />

40 Oltre al già citato C. Bartoli, Orazione, cit., p. 162, in proposito cfr. P. F. Giambul<strong>la</strong>ri, Storia d’Europa, a<br />

cura di G. Marangoni, Mi<strong>la</strong>no, Val<strong>la</strong>rdi, 1910, <strong>la</strong> Prefazione di G. Marangoni, pp. V-LVII, in partico<strong>la</strong>re p. V.<br />

41 Ivi, sui rapporti tra Pier<strong>francesco</strong> e i Medici vedi pp. 162-163, inoltre cfr. anche <strong>la</strong> lettera dedicatoria scritta<br />

da Cosimo Bartoli a Cosimo I contenuta nel<strong>la</strong> Hi<strong>storia</strong> dell'Europa, cit., e <strong>la</strong> dedica a Francesco de' Medici<br />

(pagine non numerate) del Giambul<strong>la</strong>ri nel De <strong>la</strong> lingua che si par<strong>la</strong> e si scrive in Firenze, edita da L. Torrentino<br />

nel 1552.<br />

42 C. Va<strong>la</strong>cca, La vita e le opere, cit., pp. 15-22 in cui Va<strong>la</strong>cca dissente dal Bartoli sul tempo effettivo del<br />

segretariato di Pier<strong>francesco</strong> e sul<strong>la</strong> rilevanza delle sue mansioni.<br />

43 I tre benefici ricevuti da Pier<strong>francesco</strong> sono elencati dal Bartoli nell'Orazione a p. 163. Il Va<strong>la</strong>cca dimostra<br />

l'esistenza del<strong>la</strong> rendita di Volterra attraverso una lettera indirizzata dal Giambul<strong>la</strong>ri ad Alfonsina, da lui<br />

segna<strong>la</strong>ta in C. Va<strong>la</strong>cca, La vita e le opere, cit., alle pp. 22-23 e riproposta in nota 1. L’attribuzione del rettorato<br />

di Careggi è comprovata da una lettera del 20 maggio 1524 di Pier<strong>francesco</strong> riguardante l’emergenza del<strong>la</strong> peste<br />

ed il malcontento degli abitanti di Careggi per l'arrivo di persone contaminate. Scrive infatti il Giambul<strong>la</strong>ri:<br />

“Francesco mio caro il futuro abate di S. Pancrazio ha questa mattina fatto un bel servizio a tutto questo paese;<br />

e non ci sendo persona alcuna amma<strong>la</strong>ta [..] duol di capo, ha condotto qua su una schiera di ammorbati, nelle<br />

nostre case cioè in quelle che tengono di nostro, che essere in luogo rilevato non può trarre vento alcuno, che ne<br />

9


privilegi di famigliare e commensale continuo del pontefice. È sempre l'iniziativa del<strong>la</strong> madre<br />

del duca di Urbino che procura al Giambul<strong>la</strong>ri <strong>la</strong> nomina a canonico soprannumerario di S.<br />

Lorenzo anche se le resistenze del capitolo rendono necessario l'anno successivo, nel 1516,<br />

una bol<strong>la</strong> confermataria di Leone X ed una nuova deliberazione del capitolo 45 . In seguito, il<br />

31 luglio del 1527, durante l'ultima repubblica fiorentina Pier<strong>francesco</strong>, sotto il priorato di<br />

Francesco Campana, verrà eletto canonico rego<strong>la</strong>re in sostituzione di Baldassarre Bigazzi<br />

morto nel 1522 46 .<br />

Creatura di Cesare Riario arcivescovo di Pisa dal 1499 al 1518 47 , <strong>la</strong> cui famiglia è di<br />

tradizione antimedicea, e suo vicario generale nel<strong>la</strong> diocesi pisana, Francesco Campana viene<br />

eletto al priorato di S. Lorenzo il 22 novembre 1512 mantenendo questa funzione fino al<br />

momento del<strong>la</strong> morte, avvenuta nel giugno 1534. Successore del Campana al priorato è il<br />

mediceo Giovan Battista Figiovanni 48 posto in precedenza nel 1519, dal cardinale Giulio de’<br />

Medici a sovrintendere al<strong>la</strong> costruzione del<strong>la</strong> nuova sagrestia e del<strong>la</strong> biblioteca <strong>la</strong>urenziana a<br />

Miche<strong>la</strong>ngelo 49 . La conflittualità del rapporto tra Figiovanni e Miche<strong>la</strong>ngelo, spinge nel 1526,<br />

Giulio de’ Medici, ormai Clemente VII, ad assegnare <strong>la</strong> sovrintendenza dei <strong>la</strong>vori a Piero<br />

Buonaccorsi. Tuttavia, nel 1530 ritornati i Medici a Firenze, Figiovanni recupera <strong>la</strong> sua<br />

semini el fato loro in tutto il paese. Che questo sia a proposito a tener sano questo paese come desidera <strong>la</strong><br />

signoria di Nostro Signor forse mons. Di Cortona disegnandolo di rifugio se <strong>la</strong> moria stringessi costi, lo <strong>la</strong>scio<br />

considerare a ognuno: so ben questo che se e cittadini no havessino respecto ad essere costoro in futuro,<br />

andrebbono a ardere <strong>la</strong> casa con ciocchè vi è drento; io te l'ho voluto fare intendere, accioch'è volendo<br />

rimediare tu possa a tempo per parte di tutto questo popolo e mia ti priegho che tu ci ripari in quel miglior<br />

modo che ti pare.<br />

Careggi 20 maggio 1524<br />

Messer Paulo de Medici se ne levato su e credo che a quest'hora sia venuto costì a quello effetto; e se non è<br />

venuto, verrà absolutamente innanzi le XX ore che vedi quel che ti pare da fare.”<br />

La lettera in cui il canonico <strong>la</strong>urenziano allude al vescovo di Cortona che nel 1524 è il cardinale Silvio<br />

Passerini solitamente assente dal<strong>la</strong> diocesi e per il quale rinviamo a G. Cappelletti, Le chiese d'Italia dal<strong>la</strong> loro<br />

origine sino ai nostri giorni, vol. XVIII, Venezia si trova nel<strong>la</strong> filza 118 dell'Archivio mediceo avanti il<br />

Principato in ASF, ed è il documento 250. Vi è poi, oltre al<strong>la</strong> pensione in Spagna di cui par<strong>la</strong> soltanto il Bartoli,<br />

<strong>la</strong> nomina a “familiare e continuo commensale” del pontefice, operata da Leone X nei confronti del Giambul<strong>la</strong>ri<br />

sostenuta dal Salvini sul<strong>la</strong> base di una bol<strong>la</strong> non ritrovata dal Va<strong>la</strong>cca per <strong>la</strong> quale cfr. ancora id., La vita e le<br />

opere, cit., p. 24.<br />

44 Sull'ammontare del<strong>la</strong> pensione cfr. in DBI, <strong>la</strong> voce Giambul<strong>la</strong>ri Pier<strong>francesco</strong>, cit., in partico<strong>la</strong>re p. 308.<br />

45 C. Va<strong>la</strong>cca, La vita e le opere, cit., pp. 25-27.<br />

46 Ivi, p. 39, inoltre cfr. Appendice XIX-Atto di accettazione di Pier<strong>francesco</strong> a canonico di S. Lorenzo, pp.<br />

119-123. Inoltre, sui rapporti con Alfonsina e sui re<strong>la</strong>tivi benefici ricevuti fino al canonicato <strong>la</strong>urenziano, cfr.<br />

anche Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri. Nota introduttiva in Storici e politici fiorentini del Cinquecento, a cura di<br />

Ange<strong>la</strong> Baiocchi, testi a cura di Simone Albonico, Ricciardi editore Mi<strong>la</strong>no-Napoli, 1994, pp. 829-839, in<br />

partico<strong>la</strong>re p. 831.<br />

47 G. Cappelletti, Le chiese d'Italia dal<strong>la</strong> loro origine sino ai nostri giorni, Venezia, Giuseppe Antonelli, 1844-<br />

1870, XXI voll., in partico<strong>la</strong>re vol. XVI, 1861, p. 179.<br />

48 Sul quale vedi <strong>la</strong> voce di V. Arrighi, Figiovanni Giovan Battista, in DBI, vol. XLVII, Roma, 1997, pp. 557-<br />

558, in partico<strong>la</strong>re sul<strong>la</strong> sua posizione Medicea e sui vantaggi e benefici ottenuti grazie all’assunzione sul soglio<br />

pontificio di Giulio de’ Medici, cfr. p. 557. Inoltre, sul<strong>la</strong> sua vita a S. Lorenzo rinviamo al Cod. 1, Libro dei<br />

partiti del Capitolo di S. Lorenzo, 1516-1544, (consultabile nell’Archivio Capito<strong>la</strong>re di S. Lorenzo presso <strong>la</strong><br />

Biblioteca Laurenziana di Firenze; d’ora in poi BLF) in cui rileviamo innanzittutto dell’incarico dato al<br />

Figiovanni a p. 15: “Addì 27 maggio 1517[…]con 10 fave nere Chamarlingo del<strong>la</strong> scuo<strong>la</strong> dei chierici M.<br />

Giovambattista Figiovanni[…]” cui poco dopo rinunziò come leggiamo nel resoconto dell’8 luglio 1517 nel<strong>la</strong><br />

pagina seguente. Inoltre, ivi, a p. 137 si conferma <strong>la</strong> sua nomina a priore nel 1534 che <strong>la</strong>scia vacante un<br />

canonicato assunto dal mediceo Domenico Baglioni: “A dì 18 luglio 1534. Essendo coadunato il Capitolo…si<br />

accettò <strong>la</strong> nomina del nuovo canonico de Medici Me. Domenico di Biagio Baglioni in luogo del M. Baptista<br />

Figiovanni assumpto al priorato…”. Nomina del Baglioni avvenuta in base alle prerogative medicee su due<br />

canonicati <strong>la</strong>urenziani stabiliti dal<strong>la</strong> sede Apostolica per i quali vedi infra.<br />

49 Cfr. D. Moreni, Continuazione delle memorie istoriche dell’ambrosiana imperial basilica di S. Lorenzo in<br />

Firenze dal<strong>la</strong> erezione del<strong>la</strong> chiesa presente a tutto il regno mediceo, Firenze, 1816, in partico<strong>la</strong>re tomo I: pp.<br />

167, 170-171, 204-205, 291 e 293-294.<br />

10


precedente funzione ricevendo <strong>la</strong> nomina di provveditore. Riprende anche il suo rapporto con<br />

Miche<strong>la</strong>ngelo durato fino al<strong>la</strong> morte di Clemente VII nel 1534 50 .<br />

È proprio per conto dello stesso Figiovanni beneficiario delle distribuzioni del coro e del<strong>la</strong><br />

sagrestia per <strong>la</strong> costruzione del<strong>la</strong> biblioteca <strong>la</strong>urenziana che Pier<strong>francesco</strong>, camerlengo di S.<br />

Lorenzo dal 1 marzo 1530 in coppia con Miche<strong>la</strong>ngelo Biscioni per un periodo di 15 mesi 51 ,<br />

ringrazia il capitolo il 2 gennaio 1532. Nel frattempo, nel 1529, erano morti i suoi genitori e<br />

nello stesso anno aveva perso sia <strong>la</strong> rendita delle cave di vetriolo di Volterra a causa di una<br />

frana che le rendeva impraticabili, sia <strong>la</strong> pensione in Spagna 52 , conservando solo il rettorato<br />

del<strong>la</strong> chiesa di Careggi e <strong>la</strong> sua proprietà di Castello 53 .<br />

Diverse sono le notizie del camerlingato del Giambul<strong>la</strong>ri, che possiamo ricavare nei Ricordi<br />

del Camerlingo, scritte prevalentemente di sua mano 54 e dal<strong>la</strong> deliberazione del capitolo<br />

<strong>la</strong>urenziano del sabato 30 maggio 1545 che lo nomina tra gli “ufiziali”, affidandogli <strong>la</strong><br />

redazione e <strong>la</strong> cura del quaderno dei Ricordi per il 1545-1546 55 . I fatti in esso narrati<br />

pertinenti al<strong>la</strong> funzione del camerlingo responsabile del<strong>la</strong> gestione economica del<strong>la</strong> basilica,<br />

riguardano in prevalenza questioni economiche e finanziarie, affitti 56 , prestiti, alloggiamenti,<br />

debiti, saldi, spese, locazioni, poderi, rapporti con altre chiese 57 , incarichi.<br />

Dopo il suo camerlingato Pier<strong>francesco</strong> diviene, con Francesco di Dino 58 , sindaco<br />

dell’abbazia di S. Benedetto in Alpe 59 , mentre il Biscioni ricopre <strong>la</strong> carica di governatore<br />

50 Vedi inoltre a proposito del<strong>la</strong> costruzione del<strong>la</strong> <strong>la</strong>urenziana e del rapporto tra Figiovanni e Miche<strong>la</strong>ngelo V.<br />

Arrighi, Figiovanni, cit., p. 558 e soprattutto Il carteggio di Miche<strong>la</strong>ngelo. Edizione postuma di Giovanni Poggi,<br />

a cura di Pao<strong>la</strong> Barocchi e Renzo Ristori, Firenze, Sansoni, IV voll., 1965-1979, in partico<strong>la</strong>re voll. II-IV, ad<br />

indicem.<br />

51 D. Moreni, Continuazione, cit., tomo I: p. 204, in partico<strong>la</strong>re nota 1.<br />

52 Cfr., C. Bartoli, Orazione, cit., pp. 164-165.<br />

53 M. P<strong>la</strong>isance, Une première affirmation de <strong>la</strong> politique culturelle de Còme Ier: <strong>la</strong> transformation de<br />

l'académie des "humidi" en académie florentine (1540-1542) in AA.VV., Les écrivains et le pouvoir en Italie à<br />

l'époque de <strong>la</strong> Renaissance, vol. I, Universitè de <strong>la</strong> Sorbonne Nouvelle, Paris 1973, pp. 361-438, cfr. p. 405.<br />

54 Cod mss. 2479, Ricordi del Camerlingo di Sancto Lorenzo, Archivio Capito<strong>la</strong>re di San Lorenzo, BLF,<br />

(indicato da C. Va<strong>la</strong>cca, La vita e le opere, cit., a p. 39) che a pagina 3 annuncia il camerlingato del Giambul<strong>la</strong>ri<br />

e <strong>la</strong> prosecuzione da parte sua del<strong>la</strong> scrittura del quaderno: “Seguiterassi…Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri canonico e<br />

camarlingo per mesi quindici cominciati a dì primo marzo 1530 ad usanza fiorentina e da finirsi a dì 31 maggio<br />

1532”.<br />

55 Cod. mss. 2299, Libro dei Partiti del capitolo di S. Lorenzo 1544-1562, Archivio Capito<strong>la</strong>re di S. Lorenzo,<br />

BLF, in cui a p.2: “sabato a dì 30 maggio 1545 Citato il capitolo primo dì per l’altro: et ragunato solennemente<br />

il Reverendo sig. Priore con dieci canonici; elessero et vinsero per partito gli infrascritti ufiziali per lo anno<br />

futuro da cominciarsi a dì primo di Giugno 1545, et finire per tutto maggio 1546[…]Il libro de’ Ricordi a<br />

messer Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri.[…]”. Ivi, a p. 6 apprendiamo del<strong>la</strong> riconferma del Giambul<strong>la</strong>ri al<strong>la</strong> carica di<br />

ufficiale preposto al<strong>la</strong> cura del quaderno dei Ricordi anche per l’anno successivo “da cominciarsi addì primo di<br />

giugno 1546, et finirsi per tutto maggio 1547…”.<br />

56 Ricordi, cit., carta 3 leggiamo: “Ricordo come a di 16 decto messer Miche<strong>la</strong>ngelo Biscioni e messer<br />

Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri canonici e sindaci speciali a questo effetto, in nome di tutto il capitolo, et ad<br />

instantia di messer Giovanni…scemorono el fitto del poder di Baccio del<strong>la</strong> Campana spetiale che tiene da noi a<br />

linea masculina, reducendolo a ducati ventisei d’oro per annuo canone e fitto, stando in tutto e per tutto fermo el<br />

contratto fatto co sopradecto Baccio: accedente et consensu benep<strong>la</strong>cito sedis apostolica el quale infra sei mesi<br />

da hoggi si debbia cercar sobtener a spese tutte di decto…rogato per Giovanni Vanucci nostro cancelliere sotto<br />

dicto di.”<br />

57 Ivi per l’invio del<strong>la</strong> campana al<strong>la</strong> chiesa di S. Marco vecchio, carta 4: “Ricordo come il dì primo d’aprile<br />

1531 habbiamo mandato al<strong>la</strong> nostra chiesa di S. Marco vecchio <strong>la</strong> campanetta che stava in chiesa qui al<strong>la</strong><br />

vergine…per ordine del Capitolo…”<br />

58 Ivi, a proposito di Francesco Dino canonico soprannumerario tra il 4 giugno 1509 e il 25 luglio 1510,<br />

nominato canonico collegiale il 14 marzo 1513, scelto dal capitolo nell’agosto del 1516 per andare a Roma a<br />

complimentarsi con Leone X del<strong>la</strong> sua avvenuta elezione al soglio pontificio e successivamente eletto per<br />

completare le nuove costituzioni di S. Lorenzo ultimate nel 1552, cfr. nel tomo I, pp. 173 in partico<strong>la</strong>re nota n. 2,<br />

pp. 194-199 e pp. 325-326 e nel tomo II, pp. 288, 298, 303 e 320-321. Senza dimenticare <strong>la</strong> nomina a<br />

Camerlengo <strong>la</strong>urenziano a fianco di Nero Neroni per <strong>la</strong> quale rinviamo a Ricordi del camerlingato, cit., in<br />

partico<strong>la</strong>re p. 22: “Ricordo questo dì giugno 1533. Come messer Francesco Dini e messer Nerone Neroni sindaci<br />

e curatori del capitolo[…]” e l’assegnazione del Libro de’ Partiti, cit., per il 1545 quale ufficiale fatta dal<br />

capitolo <strong>la</strong>urenziano per <strong>la</strong> quale vd. supra nota 55.<br />

11


generale delle Romagne, come attesta il ricordo del 15 gennaio 1533 60 . Durante quest’anno il<br />

nostro canonico continua comunque a operare su mandato del capitolo ancora a fianco del<br />

Biscioni, 61 e in diversi frangenti con Nero Neroni 62 . Il Giambul<strong>la</strong>ri, è protagonista inoltre di<br />

una lite con un altro canonico <strong>la</strong>urenziano Giovanni Norchiati 63 , anche se chiara risulta <strong>la</strong> sua<br />

innocenza. Egli, infatti, subisce nel<strong>la</strong> sagrestia del<strong>la</strong> chiesa di fronte a diversi testimoni gli<br />

insulti del Norchiati, in seguito punito dal capitolo <strong>la</strong>urenziano, con l’esclusione dalle<br />

distribuzioni ordinarie e straordinarie per due mesi, e l’obbligo di officiare die noctuque dal 1<br />

al 16 aprile. Il Giambul<strong>la</strong>ri, tuttavia, perdona il Norchiati e tentato, vanamente, di sollevarlo<br />

Inoltre, vd. il riferimento al Dino formu<strong>la</strong>to nel<strong>la</strong> lettera inviata da Stefano Lunetti in Firenze a Miche<strong>la</strong>ngelo<br />

in Carrara del 20 aprile 1521 a proposito del<strong>la</strong> costruzione del<strong>la</strong> nuova cappel<strong>la</strong>: “Carissimo mio etc. Avvisovi<br />

come, avendo posto <strong>la</strong> basa del canto a l’entrata, come sapete, è stata vista da molti. Hanno infra loro auto<br />

molte dispute, in che modo abbia a stare l’entrata del<strong>la</strong> chapel<strong>la</strong>; ma oggi, venendoci Domenicho Boninsegni, al<br />

primo domandò di questa entrata, et subito messer Francescho di Dino rispose che si farebe chome nel<strong>la</strong><br />

vechia.” in Il carteggio di Miche<strong>la</strong>ngelo, cit., in partico<strong>la</strong>re, vol. II, pp. 288-289, passo riportato a p. 288.<br />

59 S. Benedetto in Alpe una delle due abbazie camaldolesi (l’altra è S. Stefano da Cinto<strong>la</strong> presso Vico Pisano)<br />

attribuite da Leone X al Figiovanni che ne sarebbe divenuto commendatorio riunendo in seguito S. Benedetto in<br />

Alpe al<strong>la</strong> mensa del capitolo di S. Lorenzo. In proposito vedi supra <strong>la</strong> nota 48. Cfr. inoltre D. Moreni,<br />

Continuazione, cit., tomo I, pp. 270-271 e in partico<strong>la</strong>re nota n. 1 a p. 271. A proposito dell’incarico di sindaco<br />

di S. Benedetto in Alpe svolto dal Giambul<strong>la</strong>ri oltre al<strong>la</strong> determinazione dei territori appartenenti al monastero di<br />

S. Benedetto in Alpe effettuata il 3 maggio 1532 con Francesco di Dino e i rappresentanti del coevo comune per<br />

il quale rinviamo al mss. in pergamena 1155, dell’Archivio capito<strong>la</strong>re di S. Lorenzo, BLF, cfr. soprattutto<br />

l’indice delle scritture inviate ai canonici <strong>la</strong>urenziani responsabili delle abbazie romanognole nel Cod. mss. 2317<br />

dell’Archivio capito<strong>la</strong>re di S. Lorenzo, BLF pp. 21-31. In partico<strong>la</strong>re, nel sottoelenco degli strumenti dati ai<br />

<strong>la</strong>urenziani per operare negli affari pertinenti alle abbazie romagnole a p. 27 rileviamo <strong>la</strong> procura attribuita nel<br />

1532 al Biscioni e al Giambul<strong>la</strong>ri “Procura…Biscionem et PetrumFranciscum Giambul<strong>la</strong>rium, cum facultate<br />

disponendi(ponendi ) litteras, quoque iter Capitulum nostrum…” e soprattutto p. 28 in cui <strong>la</strong> procura viene<br />

assegnata al nostro canonico per l’anno 1534 “Procura…Giambull. Romandio<strong>la</strong> 1534”, e nel successivo<br />

sottoelenco dei libri delle entrate e uscite inerenti le abbazie romagnole, a p. 29 l’attribuzione di un “liber<br />

provenctuum(o orum) abatiarum romandio<strong>la</strong>rum per Petrum Franciscum Giambul<strong>la</strong>rium 1533” e soprattutto a<br />

p. 30 con <strong>la</strong> mensione di un “Liber proventuum et expensarum, abbatiarum Roman. per Perfranciscus di<br />

Giambul<strong>la</strong>rijs ab anno 1532 usque 1554” a dimostrazione del suo persistente coinvolgimento nell’ambito di<br />

queste abbazie romagnole.<br />

60 Ricordi del camerlengo, cit., carta 19: “Ricordo quel dì 15 di Gennaio 1533 come Messer Miche<strong>la</strong>ngelo<br />

Biscioni nostro canonico e Ghovernator generale di tutta <strong>la</strong> nostra Romagna[…]”.<br />

61 Ivi, in partico<strong>la</strong>re p. 26: “Ricordo come questo dì di decto mese (30 ottobre 1533) Miche<strong>la</strong>ngelo Biscioni e<br />

messer Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri deputati dal capitolo a questo effetto come al libro de partiti B, accettarono<br />

Carlone di Giannone…per commesso del nostro capitolo insieme con messera Camil<strong>la</strong> sua donna[…]” e ancora<br />

a p. 33: “Ricordo come questo dì 10 di marzo messer Miche<strong>la</strong>ngelo Biscioni et messer Pier<strong>francesco</strong> syndaci del<br />

Capitolo a questo effetto allogharono in fitto perpetuo…il mulino di San Donato di Modigliani[…]”.<br />

62 Ivi, p. 34: “Ricordo questo dì 10 marzo 1534 come di sopradecto Messer Nerone Neroni, m. Pier<strong>francesco</strong><br />

Giambul<strong>la</strong>ri e mess. Domenico Baglioni nostri canonici per commissione del Capitolo, allogharono e<br />

concedereno in fitto perpetuo accedente benep<strong>la</strong>cito sedis apostolicae a Giovanni di Lolo di Francesco da<br />

Valdirio[…]” e ivi: “Ricordo come questo dì 5 aprile 1534 messer Nerone Neroni e m. Giambul<strong>la</strong>ri syndici del<br />

capitolo a questo effetto e in nome del Capitolo…comperarono…a Pieraccino…tutta <strong>la</strong> sua parte del poder di<br />

Cignano…”. Senza trascurare le azioni congiunte compiute in re<strong>la</strong>zione all’abbazia di S. Giovanni Acereta<br />

inclusa nel<strong>la</strong> mensa di S. Lorenzo per le quali rinviamo agli atti rogati nei mss. in pergamena dell’Archivio<br />

Capito<strong>la</strong>re di S. Lorenzo, BLF: il 1149 (10 maggio 1534) su una lite tra il rettore dell’abbazia suddetta e <strong>la</strong><br />

famiglia dei Cappelli a causa di un podere a Cignano risolta dal Giambul<strong>la</strong>ri e dal Neroni, il 1159 consistente<br />

nel<strong>la</strong> permuta con Giolo del fu Perugino di Biagio de Ragazis del canone da lui dovuto al<strong>la</strong> chiesa con un terreno<br />

nel comune di Acerata e il 1153 lo stesso giorno, (11 maggio 1534), <strong>la</strong> permuta di alcune terre di alcune terre,<br />

poste in Acerata nel<strong>la</strong> diocesi di Faenza con Michele del fu Guerra di Guido de Razzis. Inoltre cfr. anche il 1214<br />

su una somma di denaro ricevuta dal Giambul<strong>la</strong>ri dal <strong>la</strong>voratore del<strong>la</strong> metà di un podere contiguo all’abbazia di<br />

Acerata (11 settembre 1533).<br />

Inoltre, nei Ricordi, cit., ritroviamo un'altra volta il nome del nostro canonico a p. 50: “Ricordo come questo dì<br />

27 di luglio (del 1544) essere M. Nuccio Giocondi Camerlengo e messer Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri curato del<br />

Capitolo allogano a Raffaello di barto fornaio una bottega posta in borgo S. Lorenzo sotto <strong>la</strong> nostra casa[…]”.<br />

63 Sul Norchiati e sul suo canonicato in S. Lorenzo cfr. D. Moreni, Continuazione, cit., in partico<strong>la</strong>re, tomo II,<br />

pp. 146-147 e 150-151.<br />

12


dall’inflizione dal<strong>la</strong> pena diventa suo amico. 64 Indicativa del cambiamento dei rapporti tra i<br />

due è anche <strong>la</strong> comune nomina di ragionieri del Camerlengo nel 1534 e di “curaiuoli” di<br />

Domenico Baglioni camerlengo di Romagna l’anno successivo, nel quale il Giambul<strong>la</strong>ri<br />

mantiene anche <strong>la</strong> sua funzione di ragioniere.<br />

Il nostro canonico nel 1534, diviene inoltre scrivano del capitolo <strong>la</strong>urenziano secondo <strong>la</strong><br />

deliberazione capito<strong>la</strong>re del 27 maggio, che assegna gli uffici fino al giugno 1535 65 .<br />

Successivamente, nel 1545, oltre ad essere nominato ufficiale dal capitolo responsabile del<br />

quaderno dei Ricordi come abbiamo visto 66 , viene scelto anche come “mallevadore” insieme<br />

a Lodovico Epifani, del priore designato nuovo camerlengo in sostituzione del neoeletto<br />

Niccolò detto “giocondo”, defunto. 67<br />

L’anno successivo, il Giambul<strong>la</strong>ri si reca nuovamente nel<strong>la</strong> badia romagno<strong>la</strong> insieme al<br />

Neroni per conto del capitolo 68 . Per l’anno 1547-1548, viene confermata <strong>la</strong> sua responsabilità<br />

per il libro dei Ricordi con l’accezione di “soprastante del<strong>la</strong> (o al<strong>la</strong>) cera” 69 e pochi giorni<br />

dopo, è nuovamente nominato insieme al Neroni mallevadore del camerlengo per il nuovo<br />

anno 70 . L’anno seguente, invece, pur non rivestendo cariche partico<strong>la</strong>ri, il Giambul<strong>la</strong>ri viene<br />

64 Ivi, tomo II, p. 150 in cui si riferisce delle molteplici e ripetute ingiurie rivolte dal Norchiati al Giambul<strong>la</strong>ri<br />

al<strong>la</strong> presenza di vari testimoni nel<strong>la</strong> sagrestia di S. Lorenzo e delle conseguenti sanzioni stabilite dal capitolo nei<br />

suoi confronti per questo comportamento. In proposito cfr. anche <strong>la</strong> Prefazione, cit., di G. Marangoni, cit., p.<br />

VII.<br />

65 Vd. Cod. 1, cit., a p. 135-136: “Addì 27 marzo 1534[…]ragionieri del Camerlengo item che M.<br />

Pier<strong>francesco</strong>Giambul<strong>la</strong>rii et messer Giovanni Norchiati, rileghino il …al camarlingho dell’anno passato…” e a<br />

p. 141: “die XV maij 1535[…]Camarlingo il nostro reverendissimo priore Me. Giovanbaptista<br />

Figiovanni…Camarlingo di Romagna M. Domenico Baglioni,Curaiuoli M. Giambul<strong>la</strong>rii et Norchiato,<br />

Ragionieri M. Giro<strong>la</strong>mo et Giambul<strong>la</strong>rii…” confermata del resto anche dall’incarico ricevuto dal nostro<br />

ricordato che insieme a Domenico Baglioni recupera, su incarico del capitolo del 14 (Iulii), dal mugnaio<br />

Baldassare di leccone, i Mulini appartenenti a S. Benedetto in Alpe, a p. 142. Inoltre sul<strong>la</strong> nomina a scrivano del<br />

capitolo per il 1535 del Giamabul<strong>la</strong>ri leggiamo a p. 136: “Addì 27 marzo 1534[…] Item vinsono ne detti partiti<br />

che m. Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri tenga e libri del nostro capitolo ed sa<strong>la</strong>rio di lire ventotto per ogni anno[…]”<br />

C. Va<strong>la</strong>cca, La vita e le opere, cit., p. 40.<br />

66 In proposito vedi supra nota 55.<br />

67 In questo senso vedi Cod. 2299, cit., a p. 3: “ Mercoledì addì 12 agosto 1545 Ragunati insieme il S. Priore e<br />

canonici in sufficiente numero fu creato per solenne partito e vinto secondo gli ordini camerlengo nostro messer<br />

Reverendo Priore vescovo di Assisi chiamato, attesa <strong>la</strong> morte seguita di Messer Niccolò il giocondo allora<br />

camarlingo et quasi per tutto il tempo et doveva stare nell’offitio di Messer Niccolò cioè per infino a tutto<br />

maggio…1546.<br />

Et nel giorno medesimo dette per suoi mallevadori il creato camerlengo messer Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri et<br />

messer Lodovico Epifani i quali furono approvati per partito vinto et fu concesso al detto camarlingo il mandato<br />

et come è solito darsi alli altri camarlinghi. […]”.<br />

In base a questo incarico pertanto Giambul<strong>la</strong>ri deve intervenire nel<strong>la</strong> concessione del canonicato vacante per <strong>la</strong><br />

morte di Niccolò a Iacopo figlio di Francesco Aldobrandini “essendo vacato il canonicato del quale sono<br />

padroni gli Aldobrandini” che “domandarono che allui fusse conferito il detto canonicato vacante. Il che messo<br />

a partito fu vinto et per il priore nostro […] de prefati padroni nel canonicato predetto il detto Iacopo secondo<br />

<strong>la</strong> nostra antica consuetudine fu rogato Ser Giovanni Vannucci nota dell’arcivescovado di Firenze et<br />

successivamente fu commesso a messer Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri e messer Lodovico Epifani che dessino <strong>la</strong><br />

possessione corporale a quello in coro e a lui così nuovamente creato canonico il che mandando i prefati ad<br />

officho ne fu rogato ser Piero Epifani nota del vescovado di Firenze sotto detto dì.” come leggiamo a p. 4:”<br />

Incarico che, pur essendo nell’anno successivo riconfermato al camerlingato il Priore, non viene invece reiterato<br />

al Giambul<strong>la</strong>ri, in proposito rinviamo ivi, alle pp. 6-7.<br />

68 Ivi, p. 8: “Addì 30 di Agosto 1546[…]Et nel medesimo giorno fu data commissione a m. Neroni e m.<br />

Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri nostri canonici d’andare in Romagna a visitare le badie dal Capitolo nostro et<br />

ricevere un pagamento di certe terre vendute per il fattore nostro a… Antonio da Viorano et di più vendere un<br />

poveretto del<strong>la</strong> fontana bianca[…].”<br />

69 Ivi, p. 14: “Addì 27 maggio 1547…fatti altri ufiziali…per durare detti officii, tutto il seguente anno dal<br />

giorno 6 di Giugno fino addì 31 di maggio 1548[…]Soprastante del<strong>la</strong> cera m. Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri per il<br />

libro de ricordi”, ufficio che comunque non gli verrà reiterato per l’anno 1548-49 come apprendiamo dalle<br />

re<strong>la</strong>tive delibere del capitolo per le quali cfr. ivi, il resoconto del 17 maggio 1548 a p. 21 sugli ufficiali di S.<br />

Lorenzo per l’anno 1548-1549.<br />

70 Ivi, “Addì primo di giugno 1547 essendo congregato il capitolo nel luogo solito fu dato il mandato in forma<br />

al Reverendo Priore nostro Camerlingo per quest’anno et egli per suoi mallevadori dette secondo l’usanza M.<br />

13


segna<strong>la</strong>to, nel<strong>la</strong> riunione del<strong>la</strong> delibera come maestro del<strong>la</strong> scuo<strong>la</strong> dei chierici di Vincenzio da<br />

Cosenza 71 . Nel 1549, torna ad occuparsi del<strong>la</strong> redazione del quaderno dei Partiti 72 , ma riceve<br />

anche l’incarico di sistemare e rendere in buona forma <strong>la</strong>tina le nuove costituzioni<br />

<strong>la</strong>urenziane, insieme a Piero Truciolo 73 . Inoltre, viene anche stabilito che quando il canonicato<br />

del Giambul<strong>la</strong>ri dovesse divenire vacante andrebbe a Donato Valdambrini, secondo volontà<br />

ducale espressa dal segretario del duca Lelio Torelli, in base al patronato concesso dal<strong>la</strong> sede<br />

apostolica ai Medici su due canonicati del<strong>la</strong> Chiesa <strong>la</strong>urenziana 74 .<br />

Il Valdambrini, infatti, è menzionato tra i sostituti anche nel partito che distribuisce gli<br />

ufficii per l’anno seguente, che assegna nuovamente Giambul<strong>la</strong>ri al<strong>la</strong> redazione del libro dei<br />

Ricordi 75 , e pochi giorni dopo lo nomina, ancora a fianco di Nerone Neroni, mallevadore del<br />

nuovo camerlengo Piero Fetti 76 . Ma si conferma ulteriormente l’apprezzamento in cui il<br />

Nerone Neroni e m. Pier<strong>francesco</strong>Giambul<strong>la</strong>ri …canonici pronti et promettenti quali furono approvati per<br />

solenne partito di tutte le fave nere sotto el quale partito fu etiandio concesso il mandato come di sopra rogato<br />

del tutto ser Giovanni Vanucci nostro cancellier[…]”. Poco dopo, durante il suo mandato, verranno preparati da<br />

Domenico Baglioni e Antonio Petri su incarico del capitolo i nuovi statuti del Camerlengo e dei curaioli<br />

approvati il 25 agosto 1547; ivi, vedi pp. 16-17. Inoltre il 4 aprile 1548 Ludovico Epifani di difendere in causa <strong>la</strong><br />

situazione dei beni del<strong>la</strong> chiesa di S. Bartolommeo ascrivibili al possesso di S. Lorenzo secondo il contratto<br />

precedentemente pattuito dal Giambul<strong>la</strong>ri come leggiamo alle pp. 20-21: “Essendo ragunato il Capitolo…fu data<br />

Commissione a m. Ludovico Epifani…per seguire le ragioni del capitolo in iudicio et fuora sopra <strong>la</strong> chiesa di S.<br />

Bartolommeo concessa già…et si pretenda che il detto …ci osservi quel tanto et quel promesso per il contratto,<br />

del …fatto partito fu vinto …et…fu data commissione a m. Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri e m. Antonio Petri di<br />

riveder tutti i beni del capitolo dati a linea di livello e quelli che si possano con ragione ridurre in proprietà e<br />

possessione nostra o per un verso o per l’altro, singegnino di ridurli e per questo effetto possino ”.<br />

71 Ivi, p. 23: “Il capitolo ragunato…ha eletto per maestro del<strong>la</strong> scuo<strong>la</strong> di chierici messer Vincentio da Cosenza<br />

col solito sa<strong>la</strong>rio et obblighi con consenso degli operai come disse M. Pierfranc. Giambul<strong>la</strong>ri et che lo uffitio<br />

suo col sa<strong>la</strong>rio incominciassi …il presente mese o <strong>prima</strong> quando il maestro vecchio havessi di sgombro le sue<br />

cose…”.<br />

72 Ivi, a p. 30: “Mercoledì Addì 22 dimaggio 1549. Citato il capitolo…et solennemente ragunato…li<br />

Reverendissimi Canonici elessono et vinsono per partitogli infrascripti uffitiali per lo anno advenire da<br />

cominciarsi addì…di giugno 1549 et finirsi per tutto maggio 1550[…]Al libro de partiti Messer Pier<strong>francesco</strong><br />

Giambul<strong>la</strong>ri[…]in ridetta commissione detto dì a M. Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri che dessi un libro da cantore al<br />

maestro di scuo<strong>la</strong> per insegnar canto a chierici…”.<br />

73 Ivi, infatti, leggiamo in fondo a p. 32: “Giovedì a dì 30 detto (Gennaio 1549)[…]il medesimo giorno per<br />

partito di tutte fave nere fu dato per commissione a messer Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri, et a messer Piero<br />

Truciolo di acconciare le costituzioni e di rassettarle in buona forma in lingua <strong>la</strong>tina.”<br />

74 Ivi, a proposito del Giambul<strong>la</strong>ri vedi p. 31: “Mercoledì a dì 4 di settembre 1549…Messer Donato<br />

Valdambrini entrò in capitolo con Messer Giovanni Vannucci nostro cancelliere: et presentò le bolle el mandato<br />

et il processo dello accesso al canonicato di Messer Pierfranc. Giambul<strong>la</strong>ri, in qualunche modo e’ vacherà: et<br />

intimandole al capitolo domandò il consenso di quello. Messesi a partito presente Messer Taddeo di Bartolomeo<br />

Chiari, et Piero di Antonio…nostri cappel<strong>la</strong>ni, et con otto fave nere et due bianche fu accettata <strong>la</strong> Intimazione,<br />

offerto <strong>la</strong> obbedienza alle bolle per quando verrà il caso et prestato il Consenso come padroni, rogato di tutto<br />

Messer Giovanni Vannucci nostro Cancelliere che fece fede al capitolo de <strong>la</strong> licenzia di Messer Lelio…”.<br />

Inoltre, sul patronato mediceo, rinviamo in partico<strong>la</strong>re a p. 74.<br />

75 Ivi, p. 34: “Mercoledì a dì 14 di maggio 1550. Ragunato il capitolo…furono creati gli infrascritti ufficiali per<br />

uno anno prossimo futuro da cominciare il dì primo di Giugno 1550, et finire come segue et ciascuno con il<br />

solito emolumento[…]Appresso furono confermati gli infrascritti sostituti cioè Donato Valdambrini…” Il<br />

Valdambrini avrebbe ricevuto analoga conferma nel<strong>la</strong> risoluzione del capitolo per gli incarichi dell’anno<br />

successivo del 13 maggio 1551 per <strong>la</strong> quale rinviamo ivi a p. 46, con l’aggiunta, poco dopo, il 27 maggio, del<strong>la</strong><br />

nomina a cappel<strong>la</strong>no del Vicorato; leggiamo infatti a p. 47: “Mercoledì a dì 27 di maggio…il decto Capitolo<br />

avendo piena et certa notizia che <strong>la</strong> Cappel<strong>la</strong>nia di S. Giuliano et S. Francesco del<strong>la</strong> quael era rettore M.<br />

Bernardo Fumanti era vacata per renuntia fatta dal decto Bernardo in mano di N. S. pp. Iulio III…avendo<br />

ancora notizia che sua Santità li aveva conferita a M. Donato Valdambrini d’Arezzo però il detto Capitolo<br />

acconsentì a tal (col<strong>la</strong>rino?) et accettò per nuovo Cappel<strong>la</strong>no di decta Cappel<strong>la</strong>nia il prefato M. Donato, max.<br />

veggendone il Capitolo il consenso de padroni, et <strong>la</strong> licentia del maggiordomo M. Lelio Torelli auditor di S.<br />

E…”.<br />

76 Ibidem: “Mercoledì a dì 28….Messer Piero Fetti nuovo Camarlingo dette per suoi mallevadori per uno anno<br />

messer Nerone Neroni, et messer Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri presenti e consenzienti come appar per mano di<br />

Messer Giovanni Vannucci…”.<br />

14


capitolo tiene l’ordine e <strong>la</strong> scrittura del nostro canonico dal<strong>la</strong> richiesta di inventariare tutti i<br />

beni del convento e dare disciplina e chiarezza all’archivio 77 .<br />

L’anno successivo il Giambul<strong>la</strong>ri è curatore di Ludovico Epifani nuovo camerlengo e<br />

corista dei canonici, mansione quest’ultima conservata anche nel 1552 e nel 1553. 78 Il 5<br />

agosto 1551 insieme a Nerone Neroni è convocato anche nel<strong>la</strong> causa di affrancazione di<br />

Ottaviano de’ Medici 79 . Il Giambul<strong>la</strong>ri viene per l’ultima volta investito insieme al Neroni<br />

del<strong>la</strong> risoluzione del<strong>la</strong> causa concernente <strong>la</strong> Cappel<strong>la</strong> de’ Taddei il 9 dicembre 1552,<br />

ricompostasi in gennaio 80 .<br />

Tuttavia, per <strong>la</strong> partenza al servizio di Cosimo a Pisa del responsabile del quaderno dei<br />

Partiti recupera a partire dal 2 dicembre 1551, anche questa funzione 81 .<br />

Nominato corista 82 , circa un anno dopo, il 9 dicembre 1552 viene dotato dal capitolo di<br />

autorità nel<strong>la</strong> risoluzione in piena autonomia ancora al fianco di Nerone Neroni del<strong>la</strong> causa<br />

77 Ivi, a p. 38: “Mercoledì a dì 23 di luglio…per partito vinto di tutte fave nere fu data commessione a messer<br />

Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri et a Messer Anto. Potrei et a Messer Francesco di Dino che facessimo inventario di<br />

tutte le scritture di una casa per doversi tener conto con più ordine nel nostro Archivio, et non solo facessimo tal<br />

inventario ma seguitassimo etiamdio lo inventario et ordine di tutti li nostri beni altra volta cominciato dalli<br />

decti Messer Pierfranc. et Messer Anto. Petrei, con quanto inteso et sempre et li detti o ciascuno di loro in tal<br />

opera sarà occupato sia admesso come se egli fussi presente in chiesa.<br />

Il prefato capitolo…il dì decto…dette facoltà et amp<strong>la</strong> commessione alli predetti tre canonici, cioè M. Pierfranc.<br />

Giambul<strong>la</strong>ri, M. Ant. Petrei et M. France. Di Dino, che potessino far acconciare gli armarij casse et palchetti<br />

dello archivio, per più comoda conservatione delle dette nostre scritture, come più a proposito alli detti<br />

paresse…”<br />

78 Ivi, p. 46: “Mercoledì a dì 13 di maggio…furon creati gl’infrascritti ufficiali….Camerlingho Lodovico<br />

Epifani, Curaiuoli M. Pierfranc. Giamb. Et M. Piero da Volterra…Corista de’ Canonici M. Pierfranc.<br />

Giamb.[…]Appresso furon rifomati et raffermi gli infrascritti sostituti cioè Donato Valdambrini…”. Come<br />

curatore il Giambul<strong>la</strong>ri sarebbe stato investito del<strong>la</strong> seguente commissione: “Mercoledì alli 2 di settembre<br />

1551[...]fu data autorità a presenti curaiuoli M. Pierfranc. Giambul<strong>la</strong>ri et M. Piero Trucioli et al Camarlingho<br />

M. Lodovico Epifani che componghino assettino et finischino come parrà et piacirà a loro il negozio di M.<br />

Lorenzo d’Arezzo già nostro cappel<strong>la</strong>no a S. Marco vecchio datogli dal Cappel<strong>la</strong>no et vicario et tutto quello che<br />

i dicti col prefato M. Lorenzo converranno et determineranno…”. Sul<strong>la</strong> sua riconferma come corista dei<br />

canonici, inoltre, cfr. p. 54 e per l’anno che inizia nel giugno 1553 pp. 66-67, in partico<strong>la</strong>re p. 67.<br />

79 Ivi, alle pp. 48-49: “Addì 5 d’agosto Ragunato il capitolo…in persone nove et partito gli operai furon fatti<br />

sindachi et procuratori del capitolo. M. Nerone Neroni et M. Pierfranc. Giambul<strong>la</strong>ri a comparire innanzi a<br />

giudici Apostolici nel<strong>la</strong> causa del<strong>la</strong> Affrancatione di M. Ottavio de’ Medici et a ultimar<strong>la</strong> et finir<strong>la</strong> come appare<br />

per rogo di M. Giovanni Vannucci…”.<br />

80 In proposito per l’attribuzione dell’incarico a p. 61: “Venerdì addì 9 dicembre 1552[…] si dette libera autorità<br />

a M. Nerone Neroni, et M. Pierfranc. Giambul<strong>la</strong>rii che nel<strong>la</strong> causa del<strong>la</strong> cappel<strong>la</strong> de Taddei senza più altrimenti<br />

litigare convenissino con essi Taddei secondo che giudicassino esser conveniente et che tutto quello ne facessino<br />

come amorevoli di nostra casa, dal Capitolo senza eccettione sarebbe sempre approvato.” E ancora nel<strong>la</strong><br />

riunione del capitolo del 16 dicembre a p. 62: “si dette di nuovo autorità alli reverendi M. Nerone Neroni et a M.<br />

Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri che oltre al terminare et comporre <strong>la</strong> lite che ha il Capitolo con M. Francesco di<br />

Vincentio Taddei accettassimo ancora certo credito di scudi venti sul monte del Comune di Firenze,<br />

promettendo che tutto quello che li dua soprascritti Canonici facessino, sarebbe accettato per benissimo fatto.”<br />

E per <strong>la</strong> soluzione a p. 63: “Mercoledì addì 4 di Gennaio MDLII[…]si vinse un partito…per il quale<br />

confermandosi tutto quello che M. Neroni et M. Pierfranc. Giambul<strong>la</strong>ri havessino fatto nel<strong>la</strong> causa de Taddei, si<br />

accettò il credito di monte del Comune di Firenze che essi Taddei in perpetuo hanno adsegnato al nostro<br />

capitolo acciochè M. Francesco di Vincentio Taddei cappel<strong>la</strong>no del<strong>la</strong> Cappel<strong>la</strong> di S. Antonio in vita sua, o suo<br />

sostituto per tempi che si offitiassi, fussi admesso alle distribuzioni quotidiane del<strong>la</strong> messa nostra secondo<br />

l’usanza degli altri nostri Cappel<strong>la</strong>ni, siccome apparisce per un contratto rogato questo dì…nell’Arcivescovado<br />

di Firenze.”. Senza trascurare una missione affidata a lui e a Niccolò Rucel<strong>la</strong>i il 17 marzo 1552 ancora a sfondo<br />

economico-finanziario, inerente fitti e terre connesse al<strong>la</strong> Chiesa di Santa Musteo<strong>la</strong> nel<strong>la</strong> diocesi di Bologna per<br />

<strong>la</strong> quale rinviamo a p. 64.<br />

81 Ivi, p. 51: “Essendo il nostro Piero Truciolo trasferitosi a Pisa a servizio di S. Ecc. fu commesso<br />

pubblicamente in capitolo a me Pierfranc. Giambul<strong>la</strong>ri che io scrivessi i partiti che si facevano da qui innanzi in<br />

su quel libro, et così quegli che si erano fatti fino ad hora, che erano notati sopra un foglio. Et questa<br />

commissione mi fu data a dì 2 di Dicembre 1551.”<br />

82 Ivi, p. 54: “Gli officiali eletti…che hanno funzioni da incominciarsi adì primo di giugno et finire quattro<br />

maggio 1553…El corista dei canonici M. Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri…Et ragionieri a rivedere i conti a m.<br />

Ludovico Epifani vecchio camarlingo M. Nerone et m. Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri[…]”.<br />

15


del<strong>la</strong> cappel<strong>la</strong> dei Taddei 83 e nel marzo del 1553 incaricato di “dislogare et allogare le terre<br />

del<strong>la</strong> nostra Chiesa di Santa Musteo<strong>la</strong> nel<strong>la</strong> diocesi et con quelle condizioni<br />

che…giudicassino più a proposito[…]”. 84<br />

Confermato corista il 17 maggio 1553 85 , chiede al capitolo di pronunciarsi sul<strong>la</strong> conferma a<br />

Piero Trucioli da Volterra ora che era diventato priore e non più semplice canonico,<br />

ricevendone risposta affermativa 86 .<br />

Per l’anno seguente, il nostro ritorna all’incarico di “ceraiuolo” 87 . Funzione non<br />

riconfermata nel 1555, anno in cui il Giambul<strong>la</strong>ri non riceve alcuna funzione degli ufficiali<br />

del capitolo, morendo il 24 agosto con immediata trans<strong>la</strong>zione di canonicato e annesse<br />

condizioni a Donato di Valdambrini 88 .<br />

All’interno del convento inoltre il Giambul<strong>la</strong>ri, diviene il primo custode del<strong>la</strong> biblioteca<br />

<strong>la</strong>urenziana nel<strong>la</strong> cui costruzione come abbiamo visto era stato coinvolto con il Figiovanni.<br />

Testimonianza del conferimento di questa funzione sono i passaggi di due lettere inviate da<br />

Francesco Berni a Giovanni Francesco Bini 89 , nel testo delle quali compare appunto lo stesso<br />

Figiovanni 90 . Quest’ultimo, infatti, permette al Berni l’accesso nel<strong>la</strong> biblioteca per reperire i<br />

libri indicatigli dal Bini per conto di Clemente VII. Il Berni, riferendosi affettuosamente al<br />

provveditore del<strong>la</strong> Laurenziana 91 , scrive:<br />

“Il barba Figiovanni nostro mi ha mostro il capitolo che li scrivete in una lettera, che mi<br />

faccia favore ad entrare ed uscire del<strong>la</strong> libreria di S. Lorenzo, per far quelli servizii di N. S.<br />

re: al<strong>la</strong> cui santità sarete contento dire, che lunedì, al nome di Dio, sarò addosso al<br />

83 Ivi, a p. 61: “Detto dì per un partito unitamente vinto si dette libera autorità a m. Neroni de Neroni, et a me.<br />

Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri che nel<strong>la</strong> causa del<strong>la</strong> cappel<strong>la</strong> dei Taddei, senza più altrimenti litigare convenissimo<br />

con essi Taddei secondo che giudicassino essere conveniente et che tutto quello ne facessimo come amorevoli di<br />

nostra casa, da Capitolo senza eccettione sarebbe sempre approvato.” E ancora a p. 62 il 21 dicembre questa<br />

autorità viene riconfermata ai due: “Ragunato il nostro Capitolo…per partito di tutte fave nere si dette di nuovo<br />

autorità alli reverendi m. Neroni…et…Gambul<strong>la</strong>ri che oltre al terminare di comporre <strong>la</strong> lite che ha il capitolo<br />

con ser Francesco di Vincentio Taddei, accettassino ancora certo credito di venti denari sul monte del Comune<br />

di Firenze, promettendo che tutto quello che li dua soprascritti canonici facessimo, sarebbe accettato per<br />

benessimo fatto.”<br />

84 Ivi, p. 64, “Venerdì adì XVII di marzo MDLII (1553)”<br />

85 Ivi, p. 67.<br />

86 Ivi, p. 73: “A dì 25 d’ottobre 1553[…]Item…dal nostro Me. Pierfranc. Giambul<strong>la</strong>ri corista de nostri canonici<br />

fu domandato se egli doveva admettere a tutte le distribuzioni di nostra chiesa il predetto nostro signor Priore<br />

M. Piero da Volterra, siccome era solito admetterlo quando era Canonico, da tutti li congregati fu<br />

benignamente risposto a viva voce, che tutti erano contentissimi del prefato M. Piero godessi le solite exentioni<br />

già concessegli dall’Illustrissimo Duca nostro…”.<br />

87 Ivi, p. 78-79: “Mercoledì a dì XVI Maggio 1554…per uno anno proximo futuro da cominciare il dì primo di<br />

Giugno 1554[…]ceraiuolo M. Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri…”.<br />

88 Sugli ufficiali dell’anno in questione cfr. pp. 86-87. Inoltre per <strong>la</strong> trans<strong>la</strong>zione delle prerogative del<br />

Giambul<strong>la</strong>ri al Valdambrini leggiamo a p. 88: “A dì 25 agosto…per partito vinto con tutte fave nere M. Donato<br />

…Valdambrini per nostro canonico già posseduto da…M. Pierfranc. Giambul<strong>la</strong>ri per sua morte a licentia non<br />

di manco dell’Illu. S. Duca come per un soprascripto di Messer Lelio e tractone <strong>la</strong> bol<strong>la</strong> come amp<strong>la</strong>mente furno<br />

da tutto il capitolo viste et lette li fu concesso il possesso et lo stallo in coro et <strong>la</strong> voce in capitolo et <strong>la</strong><br />

costitutioni giurate promettendo ad observantia[…]” e nel<strong>la</strong> stessa pagina di seguito, nel<strong>la</strong> riunione del 28<br />

agosto, il capitolo assegna al Valdambrini <strong>la</strong> stanza occupata dal Giambul<strong>la</strong>ri.<br />

89 Sul quale rinviamo al<strong>la</strong> voce di G. Ballistreri, Giovanni Francesco Bini (Bino), in DBI, volume X, Roma<br />

1968, pp. 510-513.<br />

90 I testi delle lettere in questione, entrambe inviate da Francesco Berni a Francesco Giovanni Bini, da Firenze a<br />

Roma, rispettivamente il 28 marzo e il 12 aprile del 1534 si trovano in F. Berni, Rime poesie <strong>la</strong>tine e lettere edite<br />

e inedite ordinate e annotate per cura di Antonio Virgili aggiuntovi <strong>la</strong> Catrina, il Dialogo contra i poeti e il<br />

Commento al capitolo del<strong>la</strong> primiera, Firenze, successori Le Monnier, 1885, pp. 326-329.<br />

91 Il legame affettivo esistente tra il Figiovanni, il Bini e il Berni traspare chiaramente anche dal<strong>la</strong> precedente<br />

lettera del Berni a quest’ultimo del 14 gennaio 1534 in cui leggiamo: “M. Giovanni Battista Figiovanni vostro e<br />

mio, che dice che vi vuol tanto bene quanto presso che non dissi al<strong>la</strong> casa de’ Medici…” in F. Berni, Rime, cit.,<br />

pp. 324-326, passo riportato a p. 325.<br />

16


Giambul<strong>la</strong>ri, e caverò il marcio dell’uno e dell’altro negozio; dico del libro di filosofia, e<br />

dello Ippocrate.” 92<br />

Le ricerche condotte nel<strong>la</strong> <strong>la</strong>urenziana, tuttavia, nonostante l’impegno dello stesso custode,<br />

non danno buoni risultati, in base a quanto il Berni dichiara nel<strong>la</strong> successiva missiva:<br />

“che mi pare esser chiaro che noi non faremo mai niente quanto al ritrovare quelli<br />

quinterni scambiati nel libro, di che mi dette nota mastro Ferrando, perché oltre al<strong>la</strong><br />

diligenzia che ne feci io il primo dì, l’ha fatta parecchi dì al<strong>la</strong> fi<strong>la</strong> quel prete de’ Giambul<strong>la</strong>ri<br />

che è quivi custode, e ultimamente Piero Vettori, il qual mi risolve che è come cercar de<br />

funghi: pure non si <strong>la</strong>scia di per questo di far nuova diligenza, né si <strong>la</strong>scerà. Quanto al farlo<br />

riscrivere dall’archetipo, in caso che non si trovassimo, non bisogna pensare; perché siamo<br />

risoluti che tale libro non solo non v’è, ma non vi fu mai. Lo Ippocrate con lo Erotiano, che<br />

N. S.re mi disse e il signor Lascari 93 , dice il Giambul<strong>la</strong>ri ch’è un pezzo che il Guarino cavò di<br />

libraria e mandollo a Roma, né sa a chi; e conclude che non v’è. E anche di questo non<br />

bisogna far conto qua: cerchisi costà, e per cercarlo io vedrò d’avere dal detto quelle più<br />

conietture che potrò; ma fin adesso <strong>la</strong> cosa sta come voi intendete.” 94<br />

Secondo quanto emerge abbastanza chiaramente dal precedente passo <strong>la</strong> ricerca del Berni si<br />

comprende nelle sue finalità per <strong>la</strong> menzione del medico siciliano Ferrando e di Giovanni<br />

Lascari. Il medico siciliano non è altri che Ferdinando Ba<strong>la</strong>mi che, su incarico di Clemente<br />

VII, al momento del<strong>la</strong> missiva del Berni, si dedica al<strong>la</strong> traduzione in <strong>la</strong>tino del trattato di<br />

Galeno sull’anatomia: il De ossibus, per <strong>la</strong> quale i testi di Ippocrate e Erotiano sono passaggi<br />

obbligati. Parimenti imprescindibile, al <strong>la</strong>voro del medico siciliano è l’emendazione del testo<br />

originario greco di Galeno di cui si occupa Giovanni Lascari. Pertanto, il terzo libro a cui si<br />

allude nel<strong>la</strong> lettera è una versione del trattato galeniano in lingua originale greca necessario al<br />

Lascari per effettuare alcune verifiche. Del<strong>la</strong> traduzione, finalmente compiuta e stampata a<br />

Roma e del suo autore 95 , parlerà un’altra lettera inviata dal Berni a Carlo Gualteruzzi da Fano<br />

nel 1535: lettera indicativa anche dei rapporti e dei legami intrattenuti dal Berni con gli<br />

ambienti dell’evangelismo italiano, che era stato del resto nell’entourage del vescovo di<br />

Verona Gian Matteo Giberti 96 fino al<strong>la</strong> fine del 1532 97 .<br />

Inoltre, non va trascurato in questa direzione, oltre all’amicizia col Berni, il legame<br />

instauratosi tra il Bini ed il Sadoleto. Il Bini, infatti, entra nel<strong>la</strong> segreteria del Sadoleto nel<br />

1525 ottenendo da lui anche dopo il suo trasferimento a Carpentras sostegno e appoggio per<br />

acquisire benefici e riconoscimenti nell’ambito del<strong>la</strong> Curia. All’interno del<strong>la</strong> quale lo<br />

92 Ivi, lettera cit., passo riportato a p. 326.<br />

93 Giovanni Lascari che in questo periodo e fino al<strong>la</strong> sua morte occorsa nel 1535 è al servizio del Cardinale<br />

Niccolò Ridolfi a Roma, in proposito ai loro rapporti anche precedenti cfr. R. Ridolfi, La biblioteca del cardinale<br />

Niccolò Ridolfi, in “La Bibliofilia”, anno XXXI, 1929, maggio, pp. 173-193, in partico<strong>la</strong>re pp. 177-180; ivi<br />

inoltre cfr. anche riguardo all’aiuto fornito dal cardinale all’attività culturale di Pier Vettori e al<strong>la</strong> stima nutrita<br />

nei confronti del cardinale pp. 181-182.<br />

94 Berni, Rime, cit., lettera cit., passo riportato alle pp. 327-328.<br />

95 Riguardo a Ferdinando Ba<strong>la</strong>mio in precedenza medico di Leone X, dal 1530 protomedico pontificio e in<br />

seguito segretario del cardinale filomediceo Alessandro Cesarini (sul quale cfr. <strong>la</strong> voce di F. Petrucci, Cesarini<br />

Alessandro, in DBI, vol. XXIV, Roma, 1980, pp. 180-182) e al<strong>la</strong> sua traduzione rinviamo al<strong>la</strong> voce di P.<br />

Zambelli, Ba<strong>la</strong>mi Ferdinando (Ferrante Siciliano), in DBI, vol. V, Roma, 1963, pp. 307-308.<br />

96 Cfr. <strong>la</strong> voce di A. Turchini, Giberti Gian Matteo, in DBI, vol. LIV, cit., pp. 623-629, in partico<strong>la</strong>re sul Berni<br />

p. 626 e A. Prosperi, Tra Evangelismo e Controriforma: G. M. G. (1495-1543), Roma, 1969.<br />

97 Lettera inviata a Messer Carlo Gualteruzzo da Fano in Roma da Firenze 31 marzo 1535, in Berni, Rime, cit.,<br />

p. 341 in cui a proposito del siciliano medico Ferrando scrive: “Pregovi quando vi vien visto M. ro Ferrando<br />

siciliano medico, ringratiate S. S. per mia parte dell’opera che mi ha mandato a donare con tanta cortesia,<br />

ricordandosi di me che non è punto cambiato; et diteli che per quel poco iuditio che ho, mi par bellissima et<br />

degna delle sue lettere et del suo ingegno. Raccomandatemi a Mons. Di Carnesecchi a M. Giovanni del<strong>la</strong> Casa,<br />

et al Molza e voi amatemi.”<br />

17


vediamo, negli anni trenta alle dirette dipendenze dei protonotari apostolici, tra cui dal 1533 il<br />

Carnesecchi 98 . Impegnato a tenere i contatti con Firenze e con il Fiegiovanni, non solo per le<br />

questioni attinenti i libri menzionati nelle lettere del Berni sopraindicate, ma anche a<br />

comunicare <strong>la</strong> volontà pontificia riguardo al completamento del<strong>la</strong> Laurenziana, a sostegno<br />

delle richieste e delle esigenze espresse nel merito da Miche<strong>la</strong>ngelo e a fungere da filtro e<br />

collegamento tra l’artista e il Figiovanni in due occasioni 99 .<br />

Il Giambul<strong>la</strong>ri mantiene l’incarico di custode del<strong>la</strong> biblioteca del convento, fino al<strong>la</strong> sua<br />

morte. La continuità di questa funzione, infatti, viene confermata da alcune tracce sparse<br />

lungo gli anni. La <strong>prima</strong> concerne, come indica il biglietto scritto dal Giambul<strong>la</strong>ri a<br />

Pier<strong>francesco</strong> Riccio il 2 febbraio 1541, l’invio al fedele servitore di Cosimo di due<br />

manoscritti, uno di Plinio, l’altro di Cornelio Celso 100 . La seconda, riguarda alcuni libri<br />

detenuti dal cardinale Niccolò Ridolfi che sarebbero dovuti tornare con <strong>la</strong> sua morte al<strong>la</strong><br />

Laurenziana. Allo scopo, il nostro canonico viene incaricato di sti<strong>la</strong>re una nuova più accurata<br />

lista dei libri contenuti nel<strong>la</strong> biblioteca medicea, come conferma <strong>la</strong> lettera di Cristiano Pagni<br />

al Riccio del 31 marzo 1550:<br />

“[…]Ho hauto l’Indice del<strong>la</strong> libreria di S. Lorenzo, et s’è dato al Portio [Simone Porzio]<br />

per ordine di sua Ecc.a [Cosimo I] acciò lo riscontri con quello di [Niccolò] Ridolfi et come<br />

lo rihabia lo rimanderò al Giambul<strong>la</strong>ri [Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri]. A sua Ecc.a piace se ne<br />

debba fare un altro al netto in carta buona ma con maggior diligentia che non è fatto questo,<br />

distinguendo l’opere che sono in ciascun volume, come scriverò al Giambul<strong>la</strong>re quando gliel<br />

[glielo] rimanderò et sarà con V.S. per ordinarlo[…] 101<br />

Lettera a cui segue, <strong>la</strong> missiva del Riccio al Pagni del 1 aprile che, oltre a presentare allegate<br />

due epistole dell’ambasciatore di Cosimo I a Roma Averardo Serristori e di Benvenuto<br />

Cellini, attesta del<strong>la</strong> diligente esecuzione del compito assegnato al Giambul<strong>la</strong>ri, e del buon<br />

andamento dei <strong>la</strong>vori del<strong>la</strong> Laurenziana:<br />

“[…]L’indice per <strong>la</strong> libreria di S.o Lorenzo stato molto bene, scripto et annotato in quel<br />

modo che S. Ex. Ordina al [Pier<strong>francesco</strong>] Giambul<strong>la</strong>ri, et io gli adviserò perché si faccia<br />

una pulizia libro (o in pulizia libro o libri), <strong>la</strong> qual libreria, dico, del<strong>la</strong> stanza, si vien finendo<br />

con gran soddisfatione d’ognuno da giorni, e da infiniti forestieri che passano a visitare il<br />

loco, con lode infinita di sua Ex. […]” 102<br />

Il maggiordomo di Cosimo I, invia poi una parte dell’indice con <strong>la</strong> lettera del 5 Aprile<br />

inviata al Pagni 103 . Il Riccio scrive infatti:<br />

“In risposta di questa lettera di V. S. del 2 en <strong>la</strong> quale dico che sia usata e usa<br />

diligentia…l’esemp<strong>la</strong>re […]Mando con questa a V. S. il cominciato indice de libri qua del<strong>la</strong><br />

98 In proposito vedi <strong>la</strong> voce di A. Rotondò, Carnesecchi Pietro, in DBI, Roma, 1977, vol. XX, pp. 466-476.<br />

99 Cfr. in tal senso <strong>la</strong> lettera di Battista Figiovanni in Firenze a Miche<strong>la</strong>ngelo in Roma del 7 ottobre 1532, di<br />

Giovan Francesco Bini in Roma a Miche<strong>la</strong>ngelo in Firenze del 3 agosto 1533 e quel<strong>la</strong> di Sebastiano del Piombo<br />

in Roma a Miche<strong>la</strong>ngelo in Firenze del 23 agosto 1533 in Il carteggio di Miche<strong>la</strong>ngelo, cit., in partico<strong>la</strong>re vedi<br />

vol. III, p. 436, vol. IV, pp. 34-35 e pp. 44-45<br />

100 In proposito vedi A. Cecchi, Il maggiordomo ducale Pier<strong>francesco</strong> Riccio e gli artisti del<strong>la</strong> corte medicea,<br />

in “Mitteilungen des Kunsthistorischen institutes in Florenz”, XII. Band – 1998 – Heft 1, pp. 115-143, in<br />

partico<strong>la</strong>re p. 115.<br />

101 ASF, Mediceo del Principato (d’ora in poi MdP), filza 1176, inserto n. 3, c. 38, Cristiano Pagni a<br />

Pier<strong>francesco</strong> Riccio il 31 marzo 1550 da Pisa.<br />

102 ASF, MdP, filza 397, c. 15 Pier<strong>francesco</strong> Riccio a Cristiano Pagni il 1 aprile 1550 da Firenze.<br />

103 ASF, MdP, filza 397, cc. 111-112 da Pier<strong>francesco</strong> Riccio a Cristiano Pagni il 5 Aprile 1550.<br />

18


Libreria di S. Lorenzo, di Francesco Giambul<strong>la</strong>ri, è a punto a mezzo, per V. S. si degnerà<br />

ordinare[…]” 104<br />

Il 9 aprile poi il Portio invia al duca una lettera che dà notizia del riscontro compiuto<br />

sull’indice del<strong>la</strong> Laurenziana <strong>la</strong>mentando l’assenza nel<strong>la</strong> lista del Ridolfi di molti codici e libri<br />

che il cardinale avrebbe dovuto restituire al<strong>la</strong> biblioteca medicea 105 .<br />

Un’altra traccia dell’incarico svolto del Giambul<strong>la</strong>ri risale al 1552 e riguarda <strong>la</strong><br />

conservazione dei libri del<strong>la</strong> Laurenziana, messi a repentaglio da roditori e polvere, che<br />

destano <strong>la</strong> preoccupazione del capitolo <strong>la</strong>urenziano e le conseguenti contromisure indicate nel<br />

già citato libro dei partiti:<br />

“Mercoledì a dì 13 di settembre 1552…avuta consideratione, che i libri del<strong>la</strong> nostra<br />

mobilissima Libreria di San Lorenzo, anchorache in ogni tempo sieno stati benissimo<br />

custoditi, restarono alquanto offesi da sorci et simili animaletti, per salvezza di essi libri si<br />

vinse un partito con tutte fave nere che il reverendo Messer Pierfranc. Giambul<strong>la</strong>ri nostro<br />

Canonico et custode di detti libri, a sua elettione pigliassi un Chierico habile che dua volte, o<br />

una almeno ogni mese rivedessi et spolverassi detti libri, et al prefato Chierico per sua<br />

mercede fu dal Capitolo…lire dodici l’anno cioè soldi venti il mese.” 106<br />

In questi primi anni dopo il 1550 si registra <strong>la</strong> richiesta del Borghini concernente le opere di<br />

Origene 107 a cui il Giambul<strong>la</strong>ri risponde:<br />

“Origenis de omnibus sedibus veterorum Philosophorum<br />

Liber col<strong>la</strong>tus ex opibus Origenis, qui vocatur philocalia.<br />

Non ci abbiamo altre cose di Origene che le due segnate di sopra. Ne vi sia meraviglia se<br />

avete in fantasia altri titoli, il non ritrovarceli: perché questo è difetto dello indice vecchio,<br />

che in moltissimi luoghi si trova errato ne titoli. Habbiamolo con somma diligentia, et veduto<br />

minutissimamente ogni libro a carta a carta: et …i titoli falsi, ridotto il tutto al vero esser<br />

suo. Et come vi dico, di Origene tra greci et non ci abbiamo altro: et questo potrete vedere a<br />

vostra comodità in camera mia: ma volendo cavargli di qui vi bisogna <strong>la</strong> poliza di mano di<br />

Messer Lelio. Sempre al piacer vostro. Di S. Lorenzo il 24 di novembre 1551.<br />

2. Accademico: le lezioni dantesche<br />

Queste notazioni biografiche già sufficienti a testimoniare il legame tra Pier<strong>francesco</strong><br />

Giambul<strong>la</strong>ri e l’ambiente mediceo, ne costituiscono peraltro soltanto un aspetto. Il trascorrere<br />

dell’esistenza di Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri all’interno dell’entourage mediceo infatti risulta<br />

evidente anche in re<strong>la</strong>zione al<strong>la</strong> sua attività di letterato e di membro dell’Accademia<br />

fiorentina.<br />

In questa direzione <strong>la</strong> <strong>prima</strong> scrittura rilevante del Giambul<strong>la</strong>ri, al di là delle sue<br />

composizioni in versi non facilmente databili ma in gran parte limitate al periodo giovanile 108 ,<br />

104 Ivi, carta 111.<br />

105 ASF, MdP, filza 397, cc. 172-174 Portio a Cosimo da Livorno 9 Aprile 1550, riportata quasi integralmente<br />

in R. Ridolfi, La biblioteca, cit., e al<strong>la</strong> quale rinviamo sul testo e sul senso del<strong>la</strong> lettera nel<strong>la</strong> vicenda dei libri del<br />

cardinale, in partico<strong>la</strong>re vedi pp. 185 e 190-193.<br />

106 Cod. 2299, cit., passo riportato a p. 58.<br />

107 Carte strozziane, c<strong>la</strong>sse XXV, 551, Carte e memorie varie di Vincenzo Borghini si trovano in BNF a p. 45:<br />

“io vorrei da v. s. un singu<strong>la</strong>r piacer, che <strong>la</strong> si degnassi per un poco mente in su l’indice dei libri greci Sacri,<br />

delle opere di Origine sono costì nel<strong>la</strong> biblioteca: che me ne dessi un poco d’avviso che mi ricordo avervi letto<br />

sopra S. Pagolo…”<br />

19


è il celebrativo resoconto dei preparativi per le nozze di Cosimo I con Eleonora figlia del<br />

viceré di Toledo 109 , corredato anche dalle stanze e dai madrigali di Giambattista Gelli 110 del<br />

1539. Questo scritto d’occasione suggel<strong>la</strong> un evento essenziale per <strong>la</strong> sopravvivenza di<br />

Firenze come entità politica autonoma. Il matrimonio, infatti, preceduto dall’assegnazione<br />

imperiale del titolo ducale a Cosimo esclude definitivamente <strong>la</strong> trasformazione di Firenze in<br />

un governatorato spagnolo, anche se l’occupazione imperiale delle fortezze di Firenze e<br />

Livorno durata fino all'estate del 1543 limita fortemente l’indipendenza del potere ducale 111 .<br />

Più indicativo del<strong>la</strong> linea medicea del nostro appare il successivo ruolo svolto nell’ambito<br />

del<strong>la</strong> trasformazione del sodalizio privato degli Umidi in Accademia fiorentina, istituzione di<br />

stato, vera e propria emanazione del potere cosiminiano, funzionale al suo rafforzamento ed<br />

all’attuazione delle sue finalità, ampiamente illustrato dagli ormai c<strong>la</strong>ssici studi di Michel<br />

P<strong>la</strong>isance 112 .<br />

L’ingresso del Giambul<strong>la</strong>ri infatti, cooptato nel sodalizio degli Umidi (sorto il 1 novembre<br />

1540 in una riunione a casa di Giovanni Norchiati), insieme al suo amico anche lui mediceo<br />

Cosimo Bartoli il 25 dicembre, segna infatti l’inizio di quello che sarebbe stato un vero e<br />

proprio stravolgimento del gruppo raccoltosi intorno al<strong>la</strong> carismatica figura del Lasca, sotto il<br />

patronato di Giovanni Mazzuoli. In realtà, gli Umidi 113 , accolgono con favore l'ingresso dei<br />

due arroti, sia in vista di una facilitazione dei rapporti con il potere ducale 114 , sia per il valore<br />

aggiunto che le loro competenze linguistiche possono apportare allo sviluppo del<strong>la</strong> lingua.<br />

Competenze peraltro eccentriche quelle dei due arroti rispetto al<strong>la</strong> maggioranza degli Umidi,<br />

si rive<strong>la</strong>no più vicine soltanto agli interessi del già menzionato Giovanni Norchiati,<br />

(soprannominato il “<strong>la</strong>crimoso”) che predilige le problematiche connesse al vocabo<strong>la</strong>rio del<strong>la</strong><br />

lingua volgare rispetto al<strong>la</strong> poesia ed alle cognizioni euclidee. 115 Giambul<strong>la</strong>ri e Bartoli, d’altra<br />

108 Ivi, a questo proposito, cfr. pp. 34-35 in cui il Va<strong>la</strong>cca dissente, sia dal Gotti, sia dal Moreni sul<strong>la</strong><br />

limitazione del periodo di composizione delle rime al<strong>la</strong> gioventù e ipotizza il proseguimento di tale attività fino<br />

al 1544. Del<strong>la</strong> produzione in versi del Giambul<strong>la</strong>ri verranno pubblicati postumi i sei canti carnascialeschi nel<strong>la</strong><br />

raccolta: Tutti i trionfi, carri, mascherate [sic] o canti carnascialeschi andati per Firenze dal tempo del<br />

magnifico Lorenzo vecchio de Medici…infino a questo anno presente 1559, Firenze, L. Torrentino, 1559, del<strong>la</strong><br />

quale il “Lasca” (Anton Francesco Grazzini) sarà il curatore.<br />

109 Apparato et feste nelle nozze dello illustrissimo Signor Duca di Firenze et del<strong>la</strong> Duchessa sua Consorte, con<br />

le sue Stanze, Madrial, Commedia et intermedii in quel<strong>la</strong> recitati, Impressa in Fiorenza per Benedetto Giunta<br />

1539, sul quale cfr. Va<strong>la</strong>cca, La vita e le opere, cit., pp. 41-46 e G. Cipriani, Il mito etrusco nel rinascimento<br />

fiorentino, Firenze, Olschki, 1980, 75-79; inoltre su Eleonora cfr. <strong>la</strong> re<strong>la</strong>tiva voce Eleonora de Toledo di V.<br />

Arrighi, in DBI, vol. XLII, pp. 437-441 .<br />

110 Sul quale rinviamo preliminarmente a A. L. De Gaetano, Giambattista Gelli and the Florentine Academy:<br />

the Rebellion against Latin, 1976, Firenze, olschki, in partico<strong>la</strong>re pp. 37-39, inoltre cfr. G. Cipriani, Il mito<br />

etrusco, cit., in partico<strong>la</strong>re pp. 78-80 e Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri. Nota introduttiva, cit., pp. 830-831.<br />

111 In proposito A. D’Addario, Alle origini dello Stato moderno in Italia, cit., pp. 185-219, Giorgio Spini,<br />

Cosimo I e l’indipendenza del principato mediceo, Firenze, Vallecchi, 1980 (<strong>prima</strong> ediz., Firenze, Vallecchi<br />

1945), R. Von Albertini, Firenze dal<strong>la</strong> Repubblica al Principato, cit., pp. e M. Firpo, Gli affreschi di Pontormo<br />

a San Lorenzo. Eresia, politica e cultura nel<strong>la</strong> Firenze di Cosimo I, Torino, Einaudi, 1997, pp. 295-296.<br />

112 Cfr. R. Albertini, Firenze dal<strong>la</strong> Repubblica al Principato, cit., pp. 201-305, per tutto quello che concerne<br />

però l’Accademia fiorentina cfr. soprattutto M. P<strong>la</strong>isance, Une première affirmation, cit., e Id., Culture et<br />

politique à Florence de 1542 a 1551: Lasca et les Humidi aux prises avec l'Académie Florentine, in Les<br />

écrivains et le pouvoir en Italie à l'époque de <strong>la</strong> Renaissance, vol. II, Université de <strong>la</strong> Sorbonne nouvelle, Paris<br />

1974, pp. 149-242, entrambi ora in Id., L’Accademia e il suo principe. Cultura e politica a Firenze al tempo di<br />

Cosimo I e di Francesco de’ Medici, Vecchiarelli editore, Roma, 2004, rispettivamente alle pp. 29-122 e 123-<br />

234.<br />

113 Ivi, riguardo al<strong>la</strong> nascita e alle caratteristiche dell'Accademia degli Umidi, alle sue peculiarità ed ai suoi<br />

legami con l’Accademia degli Infiammati e alle re<strong>la</strong>zioni intercorrenti tra alcuni suoi esponenti e Benedetto<br />

Varchi cfr. M. P<strong>la</strong>isance, Une primière affirmation, cit., pp. 45-46 e 49, inoltre cfr. P. Simoncelli, La lingua di<br />

Adamo. Guil<strong>la</strong>ume Postel tra accademici e fuoriusciti fiorentini, Firenze, Olschki, 1984, p. 47, in partico<strong>la</strong>re<br />

nota 88; M. Firpo, Gli affreschi di Pontormo, cit., pp. 167-169, Ann E. Moyer, Textualizing Florence: Florentine<br />

Studies in the Age of Cosimo I, University of Pennsylvania, 2003, pp. 1-24, in partico<strong>la</strong>re pp. 2-3.<br />

114 Cfr. M. Firpo, Gli affreschi, cit., p. 169.<br />

115 D. Moreni, Continuazione, cit., cfr. tomo II, pp. 153-154 sul<strong>la</strong> stima del Norchiati verso il Giambul<strong>la</strong>ri il<br />

testo del<strong>la</strong> lettera dedicatoria dell'11 novembre 1538 del suo Trattato de' diphtonghi toscani del 1539, ma<br />

20


parte, come da ultimo ha sottolineato il D’Alessandro, pongono lo sviluppo del volgare al<br />

servizio del<strong>la</strong> divulgazione di un sapere enciclopedico in grado di superare gli steccati imposti<br />

dal <strong>la</strong>tino e capace di concedere ampio spazio e rilievo alle scienze tecniche e meccaniche, in<br />

evidente discontinuità con <strong>la</strong> priorità attribuita dagli Umidi al<strong>la</strong> poesia. I due arroti si<br />

muovono in base alle esigenze di consenso e legittimazione dello stato cosimiano e di<br />

efficienza del suo apparato tecnocratico, in linea con <strong>la</strong> profonda trasformazione in atto del<strong>la</strong><br />

figura del letterato nel<strong>la</strong> nuova condizione storico-politica fiorentina e italiana e del<strong>la</strong><br />

funzione del sapere strettamente connessa alle nuove possibilità del<strong>la</strong> sua divulgazione<br />

attraverso lo sviluppo del<strong>la</strong> stampa 116 .<br />

Istanze che si affermano con l’ingresso tra 15 e 20 gennaio di molti filomedicei e <strong>la</strong><br />

seguente riforma dell’11 febbraio 1542, compiuta dietro <strong>la</strong> regia del potere ducale, che<br />

costituisce formalmente l’Accademia fiorentina. Riforma nel<strong>la</strong> quale per <strong>la</strong> verità il P<strong>la</strong>isance<br />

sottolinea maggiormente il contributo preparatorio apportato da Cosimo Bartoli, rispetto al<br />

nostro, anche se Salvatore Lo Re in un recente saggio è tornato sul punto evidenziando<br />

l’intervento fondamentale fornito in fatto di riforme interne da un altro personaggio, anche lui<br />

strettamente legato al Giambul<strong>la</strong>ri, Carlo Lenzoni 117 .<br />

Tuttavia, l’egemonizzazione da parte ducale dell’Accademia vive fasi successive e si<br />

produce secondo dinamiche molteplici. Indubbiamente Giambul<strong>la</strong>ri, Lenzoni, Bartoli e<br />

Giambattista Gelli recitano in questa direzione un ruolo non trascurabile, che va però<br />

considerato secondo le proprie peculiarità e contraddizioni e comunque inquadrato rispetto<br />

alle istanze cosimiane con le quali, non necessariamente e in tutti i frangenti, è destinata a<br />

coincidere. Certamente il ruolo non secondario per l’acquisizione del pieno controllo<br />

dell’istituzione da parte ducale svolto dal gruppo del Giambul<strong>la</strong>ri nei primi anni di vita<br />

dell’Accademia è testimoniato dal<strong>la</strong> vittoriosa contrapposizione letteraria ed accademica<br />

sostenuta con gli Umidi coagu<strong>la</strong>ti attorno a Benedetto Varchi 118 , tornato dall’esilio nel 1543,<br />

che si conclude con <strong>la</strong> riforma del 4 marzo 1546 che l’anno seguente provoca l’espulsione<br />

degli Umidi contrari all’indirizzo mediceo e favorisce l’elezione al conso<strong>la</strong>to del Giambul<strong>la</strong>ri.<br />

Un conflitto (peraltro condito anche dalle accuse del Lenzoni al Varchi e l’arresto di<br />

quest’ultimo nel 1545 letterario) letterario che propone evidenti divaricazioni sul piano<br />

ortografico e linguistico, dalle chiare implicazioni politiche. Giambul<strong>la</strong>ri, infatti, autore<br />

insieme a Cosimo Bartoli delle criticate Regole per <strong>la</strong> pronunzia fiorentina pubblicate nel<br />

1544 sotto lo pseudonimo di Neri Dorte<strong>la</strong>ta 119 , comincia durante il conso<strong>la</strong>to di Benedetto<br />

Varchi nell’estate del 1545 il trattatello linguistico del Gello di impostazione chiaramente<br />

antibembesca. Nel suo scritto il Giambul<strong>la</strong>ri presenta le tesi aramaico-etrusche sul<strong>la</strong><br />

derivazione del toscano dal caldaico e sul<strong>la</strong> fondazione di Firenze da parte di Ercole Libio<br />

unificatore di tutta <strong>la</strong> Toscana, per sostenere <strong>la</strong> politica espansionistica a livello regionale di<br />

soprattutto sugli interessi letterari del Norchiati cfr. M. P<strong>la</strong>isance, Une première affirmation, cit., pp. 77-79 e 83<br />

e C<strong>la</strong>udia Di Filippo Bareggi, In nota al<strong>la</strong> politica culturale di Cosimo I: l’Accademia fiorentina in “Quaderni<br />

Storici”, 1973 maggio-agosto, n. 23, pp. 527-574, in partico<strong>la</strong>re pp. 531-532 e 536; cfr. inoltre C. Marconcini,<br />

L’Accademia del<strong>la</strong> Crusca dalle origini al<strong>la</strong> <strong>prima</strong> edizione del vocabo<strong>la</strong>rio (1612), Pisa, tipografia Valenti,<br />

1910, pp. 32-33. Cfr. inoltre sul Norchiati Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri. Nota introduttiva, cit., p. 832.<br />

116 Alessandro d’Alessandro, Cultura e politica nell’Accademia fiorentina: note alle lezioni su Dante di<br />

Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri in “Medioevo e Rinascimento”, ottobre 2002, pp. 217-240, in partico<strong>la</strong>re pp. 218-<br />

221; sulle profonde trasformazioni che coinvolgono gli intellettuali italiani nel XVI secolo cfr. anche G.<br />

Mazzacurati, Conflitti di culture nel Cinquecento, Napoli, Liguori, 1977, pp. 225-288, in partico<strong>la</strong>re<br />

sull’Accademia Fiorentina pp. 227-228 e 232, 249-251 e 273.<br />

117 Vedi M. P<strong>la</strong>isance, Une Première affirmation, cit., pp. 79-89 e Salvatore Lo Re, La Vita di Numa Pompilio<br />

di Ugolino Martelli. Tensioni e consenso nell’Accademia fiorentina (1542-1545), in “Bruniana e<br />

Campanelliana”, 2003, pp. 59-72, in partico<strong>la</strong>re vedi pp. 62-63.<br />

118 Sul quale rinviamo in primo luogo a S. Lo Re, Biografie e biografi di Benedetto Varchi, in “Archivio<br />

Storico Italiano”, anno CLVI, 1998, disp. IV, pp.671-736.<br />

119 M. P<strong>la</strong>isance, Culture et politique, cit., pp. 137 e 145 per le critiche del Varchi, cfr. inoltre I<strong>la</strong>ria Bonomi,<br />

Introduzione a Regole del<strong>la</strong> lingua fiorentina, cit., pp. XVII-XVIII, e Ann E. Moyer, Textualizing Florence, cit.,<br />

p. 7-9.<br />

21


Cosimo, novello Ercole. Il Gello riprende e approfondisce le tesi formu<strong>la</strong>te all’inizio del 1544<br />

dal Gelli, verso il quale il Giambul<strong>la</strong>ri riconosce già nel titolo del suo scritto il suo debito, nel<br />

manoscritto Dell’Origine di Firenze che sviluppa quanto già enucleato nell’ Egloga per il<br />

felicissimo giorno di 9 gennaio nel quale lo eccellentissimo Signor Cosimo fu fatto Duca di<br />

Firenze del 1542 120 .<br />

In alternativa all’immagine aramaica di conquistatore, Ugolino Martelli 121 altro ex<br />

infiammato, propone per il duca di Firenze, nello stesso 1545 nell’inedito sul<strong>la</strong> Vita di Numa<br />

Pompilio il modello del pacificatore, del moderato e giusto re romano 122 .<br />

Prospettive contrastanti che Cosimo nonostante accolga favorevolmente il Gello<br />

visionandolo durante <strong>la</strong> sua stesura e facendolo pubblicare nel 1546 dal primo stampatore<br />

ducale, Anton Francesco Doni, cerca di far convivere attraverso un’accorta politica di<br />

pubblicazioni e dediche per alimentare <strong>la</strong> propria immagine di giusto principe, protettore dei<br />

letterati, amante delle arti 123 .<br />

Senza dimenticare il momento di massima conflittualità vissuto nel biennio 45-46 con Paolo<br />

III costante minaccia al consolidamento dello stato fiorentino, Cosimo attua una politica volta<br />

ad utilizzare pienamente in chiave di consenso e rafforzamento dello stato il maggior numero<br />

possibile di intellettuali, pur all’interno del<strong>la</strong> progressiva normalizzazione dell’Accademia. Si<br />

muove pertanto in modo spregiudicato, variabile, multidirezionale 124 , come dimostra nel 1549<br />

<strong>la</strong> riedizione delle Prose del Bembo precedute da una dedica di Varchi, che già da due anni,<br />

stipendiato da Cosimo scrive <strong>la</strong> Storia fiorentina, e contemporaneamente l’uscita del<strong>la</strong><br />

seconda edizione del Gello del Giambul<strong>la</strong>ri sempre ad opera del nuovo stampatore ducale<br />

Lorenzo Torrentino 125 .<br />

Le posizioni linguistiche aramaiche del Giambul<strong>la</strong>ri, dopo l’allineamento accademico<br />

perdono rapidamente terreno presso <strong>la</strong> corte medicea 126 , senza contare che già dopo il<br />

trattatello manoscritto del 1544 il Gelli scioglie il loro tandem distanziandosi in maniera<br />

crescente dalle fantasiose tesi aramaiche fino a sconfessarle pienamente nel Dialogo o<br />

Ragionamento infra M. Cosimo Bartoli et Giovan Battista Gelli sopra le difficoltà del metter<br />

in Regole <strong>la</strong> nostra lingua. Quest’opera premessa al De <strong>la</strong> lingua che si par<strong>la</strong> e scrive in<br />

120 Sui conflitti tra medicei ed aramei nel periodo 1542-1547 vedi M. P<strong>la</strong>isance, Culture et politique, cit., pp.<br />

141-189 Cfr. inoltre P. Simoncelli, Evangelismo italiano del cinquecento. Questione religiosa e nicodemismo<br />

politico, Roma, Istituto storico per l'età moderna e contemporanea, 1979, pp. 351-356 e in partico<strong>la</strong>re sulle tesi<br />

aramee id., La lingua di Adamo, cit., pp. 18-26 e 34-40 , e M. Firpo, Gli affreschi, cit., pp. 171-174 e 268-284.<br />

121 Sul quale vedi V. Bramanti, Ritratto di Ugolino Martelli (1519-1592), “Schede umanistiche”, n. 2 (1999),<br />

pp. 5-53.<br />

122 Rinviamo a S. Lo Re, La Vita di Numa Pompilio, cit., in partico<strong>la</strong>re pp. 65-71.<br />

123 Sul<strong>la</strong> supervisione ducale del Gello vedi M. P<strong>la</strong>isance, Culture et politique, cit., p. 160. Sull’attività di<br />

Anton Francesco Doni come stampatore mediceo cfr. id., Le retour à Florence de Doni: d’Alexandre à Còme in<br />

appendice al seminario “Una soma di libri”. L’edizione delle opere di Anton Francesco Doni (Pisa, Facoltà di<br />

lettere, ottobre 2002, curato da Gabriel<strong>la</strong> Albanese, ora in L’Accademia e il suo principe, cit., pp. 405-417.<br />

Sull’artico<strong>la</strong>ta politica culturale di Cosimo cfr. ancora di M. P<strong>la</strong>isance, Les Dédicaces à Còme Ier: 1546-1550 in<br />

Charles Adelin Fiorato, Jean-C<strong>la</strong>ude Margolin, éds., L’ècrivain face à son public en France et en Italie à <strong>la</strong><br />

Renaissance, Paris, Vrin, 1989, pp. 173-187, ora in L’Accademia e il suo principe, cit., pp. 235-255 e Id., Còme<br />

Ier ou le prince idéal dans le dédicaces et les traités des annés 1548-1552, in Jean Dufournet, Adelin Fiorato,<br />

Augustin Redondo, Le pouvoir monarchique et ses supports idéologiques : XIVème-XVIIème siècles,<br />

Publications de <strong>la</strong> Sorbonne Nouvelle, 1990, pp. 53-63, ora ivi pp. 257-269.<br />

124 Ann E. Moyer, Textualing Florence, cit., pp. 1-2.<br />

125 In proposito rinviamo a M. P<strong>la</strong>isance, Les Dédicaces à Còme Ier, cit., pp. 249-251 e Ann E. Moyer,<br />

Textualing Florence, cit., p. 5. Inoltre sul Torrentino pseudonimo per Laurens Van der Bleeck rinviamo a A.<br />

Ricci, Lorenzo Torrentino and the Cultural Programme of Cosimo I de’ Medici in AA. VV., The Cultural<br />

Politics of Duke Cosimo I de’ Medici, edited by Konrad Eisenbichler, Aldershot, Ashgate, 2001, pp. 103-119,<br />

cfr. inoltre G. Bertoli, Contributo al<strong>la</strong> biografia di Lorenzo Torrentino stampatore ducale a Firenze (1547-1563)<br />

in AA. VV., Studi in onore di Arnaldo d’Addario, a cura di Luigi Borgia, Francesco de Luca, Paolo Viti,<br />

Raffael<strong>la</strong> Maria Zaccaria, Lecce, Conte editore, 1995, IV voll., II vol., pp. 657-664.<br />

126 M. P<strong>la</strong>isance, Còme Ier ou le prince idéal, cit., p. 259 e nota n. 7 e M. Firpo, Gli affreschi di Pontormo, cit.,<br />

p. 88 e nota n. 69.<br />

22


Firenze del Giambul<strong>la</strong>ri composta nel 1548 ma pubblicata nel 1552 127 , infatti contesta<br />

esplicitamente le posizioni linguistiche del canonico <strong>la</strong>urenziano all’indomani del fallimento<br />

delle due commissioni istituite in seno all’Accademia tra il 1550 ed il 1551 per stabilire le<br />

regole del<strong>la</strong> lingua fiorentina. Del resto, lo stesso Giambul<strong>la</strong>ri, già <strong>prima</strong> di questa sconfitta<br />

accademica delle tesi aramaiche, denota un’evoluzione delle sue posizioni nel De <strong>la</strong> lingua e<br />

nel<strong>la</strong> lezione dantesca tenuta nel 1548, ben diversa dalle precedenti caratterizzate da un<br />

impianto eminentemente neop<strong>la</strong>tonico-ermetico, mostra alcuni segnali di avvicinamento<br />

all’aristotelismo 128 .<br />

Tuttavia, <strong>la</strong> componente aramaica supporta ancora le finalità politico-culturali cosimiane<br />

nell’edizione torrentiniana delle Vite di Giorgio Vasari del 1550. 129 È noto infatti il ruolo che<br />

il Giambul<strong>la</strong>ri insieme al Bartoli ed al Lenzoni e accanto a Vincenzo Borghini, svolge<br />

nell’ultima fase preparatoria del<strong>la</strong> <strong>prima</strong> edizione di questo testo, <strong>la</strong> cui genesi peraltro è tutta<br />

interna all’ambiente farnesiano di Roma. In partico<strong>la</strong>re, sia il canonico <strong>la</strong>urenziano,<br />

responsabile dell’operazione nel suo complesso quale tramite tra editore e autore, sia il<br />

Bartoli, offrono il contributo più significativo per inscrivere l’opera nel quadro del <strong>prima</strong>to<br />

politico-culturale acquisito dal<strong>la</strong> Toscana grazie al principato cosimiano. 130 L’influenza del<br />

gruppo aramaico si percepisce, sia nel<strong>la</strong> divisione delle Vite strutturata originariamente<br />

secondo un criterio cronologico, in tre parti in base agli stili, sia nel proemio generale<br />

dell’opera chiaramente focalizzato sull’origine etrusca dell’arte e in gran parte composto dal<br />

Giambul<strong>la</strong>ri e dal Bartoli. Prospettiva sovrapposta e non perfettamente collimante con il fine<br />

principale manifestato dal Vasari, nel poscritto dell’opera composto con l’aiuto del Borghini,<br />

di raccontare le vite degli artisti piuttosto che di insegnare lo scrivere toscano nel poscritto<br />

dell’opera.<br />

Peraltro, proprio nel proemio generale fatta salva l’origine etrusca dell’arte, trape<strong>la</strong>no<br />

alcune differenze nei passaggi presumibilmente ascrivibili al Giambul<strong>la</strong>ri e al Bartoli.<br />

Quest’ultimo infatti manifesta un certo ondeggiamento sulle premesse caldaiche del<strong>la</strong><br />

fioritura artistica etrusco-toscana e comunque considera secondario il problema delle origini<br />

umane delle arti rispetto al ruolo preponderante attribuito in questo senso all’ispirazione<br />

divina diversamente dalle precise e doviziose coordinate storico-artistiche di tipo caldaicoetrusco<br />

fornite dal Giambul<strong>la</strong>ri. Comunque al di là di queste distinzioni, essi esercitano<br />

un’indubbia influenza anche nell’assunzione da parte delle Vite del<strong>la</strong> prospettiva ciclica che<br />

individua nell’epoca moderna seguita all’antichità ed al MedioEvo una rinascita delle arti<br />

culminante nell’apoteosi miche<strong>la</strong>ngiolesca che coincide con l’affermazione politica del<br />

principato cosimiano. 131<br />

127 Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri Fiorentino, de <strong>la</strong> lingua che si par<strong>la</strong> et scrive in Firenze. Et uno Dialogo di<br />

Giovan Batista Gelli sopra <strong>la</strong> difficoltà dello ordinare detta lingua, in Firenze, Con privilegio di Papa Iulio III,<br />

et Cosimo de Medici, Duca II di Fiorenza, Torrentino, 1552.<br />

128 P. Simoncelli, La lingua di Adamo, cit., pp. 78-79.<br />

129 G. Vasari, Le Vite de più eccellenti pittori scultori e architettori, 1550, Fiorenza, Torrentino, testo del<strong>la</strong><br />

<strong>prima</strong> edizione riproposta insieme a quel<strong>la</strong> giuntina del 1568 che può consultarsi in G. Vasari, Le Vite de’ più<br />

eccellenti scultori, pittori e architettori nelle redazioni del 1550 e 1568, testo a cura di Rosanna Bettarini,<br />

commento seco<strong>la</strong>re a cura di Pao<strong>la</strong> Barocchi, Firenze, Sansoni editore, VIII voll., 1966-1987 Sul Vasari<br />

rinviamo a Ro<strong>la</strong>nd Le Mollé, Giorgio Vasari. L’homme des Mèdicis, Grasset, Paris, 1995, in partico<strong>la</strong>re sulle<br />

Vite pp. 91-141, sull’edizione torentiniana pp. 91-111 e sul contributo del Giambul<strong>la</strong>ri pp 104-105.<br />

130 T. Frangenberg, Bartoli, Giambul<strong>la</strong>ri and the Prefaces to Vasari’s Lives (1550), in “Journal of the Warburg<br />

and Courtauld Institutes” LXV, the Warburg Institute University of London, 2002, pp. 244-258, sul<strong>la</strong><br />

responsabilità complessiva del Giambul<strong>la</strong>ri in partico<strong>la</strong>re vedi pp. 247 (nota n. 23) e 257. Inoltre al riguardo cfr.<br />

l’intervento di P. Scapecchi, Una carta dell’esemp<strong>la</strong>re riminese delle Vite del Vasari con correzioni di<br />

Giambul<strong>la</strong>ri. Nuove indicazioni e proposte per <strong>la</strong> torrentiniana, in “Mitteilungen des Kunsthistorischen institutes<br />

in Florenz”, numero cit., pp. 101-111 che, sul<strong>la</strong> base del ritrovamento fatto, ipotizza Giambul<strong>la</strong>ri essere stato in<br />

un primo momento il solo revisore di tutto il manoscritto vasariano sul quale in tipografia sarebbero in seguito<br />

intervenuti anche Vincenzo Borghini, Lenzoni, Bartoli e i correttori del Torrentino, al riguardo in partico<strong>la</strong>re cfr.<br />

p. 103.<br />

131 Ivi per queste distinzioni tra il Bartoli ed il Giambul<strong>la</strong>ri e per il diverso approccio del Vasari vedi pp. 249-<br />

258; inoltre sull’origine etrusca delle arti nel Le Vite cfr. P. Simoncelli, Jacopo da Pontormo e Pier<strong>francesco</strong><br />

23


Miche<strong>la</strong>ngelo è il destinatario del<strong>la</strong> dedica premessa al<strong>la</strong> Difesa del<strong>la</strong> lingua fiorentina e di<br />

Dante iniziata dal Lenzoni in risposta alle critiche del Bembo e del Tomitano all’Alighieri 132 ,<br />

e completata dal Giambul<strong>la</strong>ri per <strong>la</strong> morte del Lenzoni. In realtà però l’opera sarà pubblicata<br />

soltanto nel 1556 (quindi successivamente al<strong>la</strong> morte del Giambul<strong>la</strong>ri) a cura del Bartoli che<br />

vi manterrà comunque <strong>la</strong> dedica concordata originariamente dal Lenzoni e dal canonico<br />

<strong>la</strong>urenziano 133 . Dedica incentrata in chiave filomedicea sull’accostamento tra Miche<strong>la</strong>ngelo e<br />

Dante quali modelli inarrivabili nei campi artistico e letterario. Il Vasari puntualmente ne<br />

avrebbe riferito nel<strong>la</strong> rie<strong>la</strong>borazione del<strong>la</strong> vita di Miche<strong>la</strong>ngelo apparsa nell’edizione giuntina<br />

delle Vite del 1568 non menzionando però il nome del Giambul<strong>la</strong>ri, nonostante gli ampi<br />

meriti attribuiti al canonico <strong>la</strong>urenziano dal Bartoli nel<strong>la</strong> dedica a Cosimo a proposito del<strong>la</strong><br />

preparazione dell’opera 134 .<br />

Al di là di questo, <strong>la</strong> Difesa registra il definitivo distacco del Giambul<strong>la</strong>ri dalle posizioni<br />

linguistiche aramaiche accompagnata dal<strong>la</strong> costante propensione dantesca in chiave<br />

antibembesca. È una caratteristica comune a tutto il gruppo vicino al canonico <strong>la</strong>urenziano 135<br />

che a prescindere dal diverso grado di adesione alle tesi aramaiche considera Dante quale<br />

fulcro inamovibile del programma di esaltazione del volgare fiorentino perseguito da Cosimo<br />

con <strong>la</strong> fondazione dell’Accademia fiorentina 136 . A livello teoretico infatti <strong>la</strong> preferenza<br />

dantesca tributata nel Convivio al volgare rispetto al <strong>la</strong>tino legittima pienamente <strong>la</strong> sua<br />

valorizzazione quale lingua dotata di dignità letteraria. Sotto il profilo concreto Dante si pone<br />

attraverso <strong>la</strong> Divina Commedia, in antitesi ai pregiudizi bembeschi, quale modello linguistico<br />

di assoluta eccellenza ed emblema del sapere enciclopedico che Cosimo vuole diffondere a<br />

tutti i livelli sociali per rafforzare l’identità e l’efficienza del nuovo assetto politico toscano.<br />

Naturalmente l’opzione linguistica dantesca presenta anche degli immediati risvolti politici in<br />

chiave ghibellina e filo-imperiale nonché antiromana perfettamente in linea con le coordinate<br />

Riccio. Due appunti, in “Critica Storica”, 17, 1980, pp. 331-348 in partico<strong>la</strong>re p. 347 e id., Pontormo e <strong>la</strong> cultura<br />

fiorentina in “Archivio Storico italiano”, 1995, M. Firpo, Gli affreschi di Pontormo, cit., p. 89; cfr. inoltre G.<br />

Cipriani, Il mito etrusco, cit., p. 94.<br />

132 In proposito rinviamo a G. Mazzacurati, Conflitti di culture nel Cinquecento, Napoli, Liguori, 1977, in<br />

partico<strong>la</strong>re pp. 185-200; inoltre cfr. anche Michele Barbi, Dante nel Cinquecento in “Annali del<strong>la</strong> R. Scuo<strong>la</strong><br />

Normale Superiore di Pisa, c<strong>la</strong>sse di filosofia e filologia, 1890, vol. VII, pp. 1-407, in partico<strong>la</strong>re pp. 26-29.<br />

133 C. Lenzoni, In difesa del<strong>la</strong> lingua fiorentina e di Dante, Firenze, Torrentino, 1557.<br />

134 Ivi, il Bartoli a p. 3 scrive: “percioche se bene insieme con M. Pier<strong>francesco</strong> m’ero dopo <strong>la</strong> morte di Carlo,<br />

circa quelli non poco affaticato, avevo nondimeno <strong>la</strong>sciato a lui tutto il peso, et il carico di mandarli fuora” e G.<br />

Vasari, Le Vite, cit., vol. VI, passo in questione a pp. 91-92 in cui leggiamo: “si risolvè fuggirsi di Roma, e<br />

segretamente andò Miche<strong>la</strong>ngelo nelle montagne di Spu<strong>la</strong>to; dove egli visitando certi luoghi di romitori, nel<br />

qual tempo scrivendoli il Vasari e mandandogli una operetta che Carlo Lenzoni cittadino fiorentino al<strong>la</strong> morte<br />

sua aveva <strong>la</strong>sciata a Messer Cosimo Bartoli, che dovessi far<strong>la</strong> stampare e dirizzare a Miche<strong>la</strong>gnolo, finita che<br />

el<strong>la</strong> fu, in què di <strong>la</strong> mandò il Vasari a Miche<strong>la</strong>gnolo, che, ricevuta rispose così: “Messer Giorgio amico caro. Io<br />

ho ricevuto il libretto di Messer Cosimo che voi mi mandate, ed in questa sarà una di ringraziamento; pregovi<br />

che gliene diate, et a quel<strong>la</strong> mi raccomando. […]De’ 18 di settembre 1556”.”<br />

135 Ivi, infatti nel<strong>la</strong> <strong>prima</strong> parte composta dal Lenzoni leggiamo a p. 10 in un confronto tra Miche<strong>la</strong>ngelo e<br />

Raffaello svolto paralle<strong>la</strong>mente a quello instaurato tra Petrarca e Dante “L’uno e l’altro, è maestro perfetto: e<br />

sono di così diversa maniera come il Petrarca e Dante. E così come il Petrarca imparò da Dante e non lo<br />

superò, se bene fece divinamente; così Rafaello non ha superato M., se bene paion fatte in Paradiso le sue<br />

pitture.” Evidenziato in Giorgio Vasari, La vita di Miche<strong>la</strong>ngelo. Nelle redazioni del 1550 e del 1568, curata e<br />

commentata da Pao<strong>la</strong> Barocchi, 5 voll., Mi<strong>la</strong>no-Napoli, Ricciardi, 1962, vol. IV, pp. 1985-1986 in cui <strong>la</strong><br />

curatrice propone anche un passo delle lezioni dantesche del Gelli che celebra Dante e Miche<strong>la</strong>ngelo (per il quale<br />

si rinvia a G. B. Gelli, Letture edite e inedite sopra <strong>la</strong> Commedia di Dante, a cura di C. Negroni, Firenze, fratelli<br />

Bocca, 1887, II voll, in partico<strong>la</strong>re vedi vol. I, p. 330) e <strong>la</strong> dedica rivolta ne La Difesa, cit., pp. 5-6 dal<br />

Giambul<strong>la</strong>ri a Miche<strong>la</strong>ngelo, a testimoniare <strong>la</strong> compattezza del gruppo sul punto in questione.<br />

136 In proposito cfr. l’esplicito riferimento al<strong>la</strong> preparazione del<strong>la</strong> Difesa in funzione antibembesca formu<strong>la</strong>to<br />

dal Gelli nel ragionamento quarto dei Capricci del bottaio, in G. Gelli, Opere, a cura di Delmo Maestri, Torino,<br />

Utet, 1976, p. 187. Lenzoni invece richiama nel<strong>la</strong> Difesa, cit., i Capricci a p. 22.<br />

24


del<strong>la</strong> politica estera di Cosimo legato a Carlo V e schierato su posizioni nettamente<br />

antifarnesiane 137 .<br />

In questa direzione non va trascurata <strong>la</strong> presenza nelle lezioni accademiche dantesche degli<br />

anni Quaranta di numerosi e cospicui prestiti letterari tratti dal Beneficio di Cristo, per quanto<br />

filtrati da prudenti formule nicodemitiche come documentato da Paolo Simoncelli 138 . Il<br />

Beneficio sintesi dell’insegnamento e del magistero di Juan de Valdès, infatti, manifesto<br />

programmatico dell’a<strong>la</strong> degli “Spirituali” capeggiata da Reginald Pole e Giovanni Morone che<br />

vogliono raggiungere un accordo dottrinale con i protestanti sarebbe stato puntualmente e<br />

duramente sanzionato dal Concilio di Trento 139 . Testo, tuttavia, a lungo, considerato dal<strong>la</strong><br />

corte imperiale, che ancora nei conc<strong>la</strong>vi del 1549 e 1555 sostiene <strong>la</strong> candidatura al<strong>la</strong> tiara<br />

pontificia dei massimi esponenti del partito valdesiano, una p<strong>la</strong>usibile opzione per facilitare<br />

l’accordo politico con i principi tedeschi tanto agognato da Carlo V specialmente nel<strong>la</strong> <strong>prima</strong><br />

metà degli anni Quaranta. Linea conciliativa, avversata da Paolo III, che non casualmente<br />

trova notevole eco a Firenze nell’entourage del duca e tra i membri dell’accademia,<br />

indifferentemente dall’appartenenza o dal<strong>la</strong> vicinanza al gruppo degli aramei o degli Umidi e<br />

a prescindere dalle dispute accademiche in corso. Cosimo infatti, come documentato da<br />

Massimo Firpo, non appare semplicemente tollerante verso le diffuse suggestioni valdesiane<br />

di corte ed accademia ma svolge un ruolo direttivo nel<strong>la</strong> formu<strong>la</strong>zione di queste istanze<br />

culturali filo-imperiali e antiromane, commissionando gli affreschi di San Lorenzo negli anni<br />

1545-46 al Pontormo, secondo un programma iconografico approntato dal Varchi sul<strong>la</strong> base<br />

del Catechismo del Valdès 140 .<br />

Suggestioni a cui certamente non rimangono estranei gli aramei, nei loro interventi<br />

accademici e contributi letterari, chiaramente connotati anche da una forte componente<br />

p<strong>la</strong>tonica ed ermetico-cabalistica 141 . La quale d’altronde trova probabilmente un terreno fertile<br />

137 Mary Alexandra Watt, The Reception of Dante in the Time of Cosimo I in The Cultural Politics, cit., pp.<br />

121-134, in partico<strong>la</strong>re pp. 125-128; inoltre in generale sul<strong>la</strong> recezione di Dante nel Cinquecento cfr. A. Vallone,<br />

Aspetti dell’esegesi dantesca nei secoli XVI e XVII attraverso testi inediti, Lecce, Milel<strong>la</strong>, 1966 e soprattutto G.<br />

Mazzacurati, Dante nell’Accademia fiorentina (1540-1560) (tra esegesi umanistica e razionalismo critico), in<br />

“Filologia e Letteratura”, anno XIII, fasc. I, pp. 258-308; ivi inoltre cfr. S. Battaglia, Processo a Dante nel<br />

Cinquecento, pp. 1-23. Sullo sviluppo del volgare e sull’istanza enciclopedica cfr. inoltre anche M. Barbi, Dante<br />

nel Cinquecento, cit., pp. 180-186.<br />

138 In proposito rinviamo a P. Simoncelli, Evangelismo italiano, cit., in partico<strong>la</strong>re ivi cap. VI, Il “beneficio di<br />

Cristo” a Firenze: un’ipotesi su Riforma e nicodemismo politico nell’età di Cosimo I, pp. 330-420; cfr. inoltre<br />

M. Firpo, Gli affreschi, cit., pp. 175-246. e G. Fragnito, Fattore religioso e consolidamento del principato<br />

mediceo, in “Rivista di Storia religiosa”, vol. CXI, fascicolo I, gennaio 1999, pp. 235-250, in partico<strong>la</strong>re pp. 235-<br />

247.<br />

139 Al riguardo rinviamo a Il processo inquisitoriale del cardinal Giovanni Morone, a cura di M.Firpo-D.<br />

Marcatto, VI voll., Roma, Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea, 1981-1989, in partico<strong>la</strong>re<br />

vol. II, Il processo d’accusa e re<strong>la</strong>tiva bibliografia, 1984; cfr. inoltre anche M. Firpo, Il Beneficio di Cristo e il<br />

concilio di Trento (1542-1546), e <strong>la</strong> re<strong>la</strong>tiva bibliografia in “Rivista di <strong>storia</strong> e letteratura religiosa”, 1995, pp.<br />

45-71.<br />

140 M. Firpo, Gli affreschi, cit., in partico<strong>la</strong>re pp. 311-358; cfr. inoltre G. Fragnito, Fattore religioso e<br />

consolidamento del principato mediceo, in “Rivista di Storia religiosa”, vol. CXI, fascicolo I, gennaio 1999, pp.<br />

235-250, in partico<strong>la</strong>re pp. 235-247.<br />

141 P. Simoncelli, Evangelismo italiano, cit., pp. 364-375 e M. Firpo, Gli affreschi, cit., pp.<br />

179-192. Inoltre, vedi anche quello che il Gelli dice nel testo di una lezione dantesca sul<br />

quinto canto dell’Inferno, svolta proprio dal Gelli nel 1556 in veste di lettore ufficiale<br />

dell’Accademia per <strong>la</strong> materia dantesca. In questa lezione, infatti, il Gelli utilizza il versetto 7<br />

del Salmo L del profeta David “ecco in peccato oimè concetto fui, e mi accese al peccar <strong>la</strong><br />

madre mia” aggiungendo “che così tradusse il nostro diligentissimo Lenzoni, seguitando <strong>la</strong><br />

traduzione di alcuni moderni, <strong>la</strong> qual dove l’antica dice:<br />

“Et in peccatis concepit me mater mea”, ha “Et mater mea concepit me pronum ad malum, vel inclinatum ad<br />

peccandum“ che così dicono che dice <strong>la</strong> verità ebrea.” Riferendosi al<strong>la</strong> traduzione del Brucioli per il riferimento<br />

G. Gelli, Opere, cit., p. 241 e nota 49.<br />

25


a corte vista l’impostazione culturale di Eleonora di Toledo educata da Benvenida Abrabanel,<br />

imparentata con Isacco e Leone Ebreo, come segna<strong>la</strong>to da Giglio<strong>la</strong> Fragnito 142 .<br />

Da parte sua il Giambul<strong>la</strong>ri nel<strong>la</strong> seconda metà del 1542 durante il conso<strong>la</strong>to di Bernardo<br />

Segni espone un commento al XXVI canto del Paradiso dantesco tenuto in Accademia<br />

incentrato De <strong>la</strong> carità 143 , che presenta tracce del Beneficio di Cristo ed alcuni echi del<strong>la</strong><br />

tradizione begarda 144 . Inoltre, nel<strong>la</strong> successiva lezione Degli influssi celesti svolge<br />

un’argomentazione che complessivamente nega il libero arbitrio, pur attenuando il senso delle<br />

sue affermazioni con una formu<strong>la</strong> prudenziale quando afferma:<br />

“tutto quello che dal<strong>la</strong> celeste virtù è mosso a essere, non viene a caso, ma guidato e<br />

indirizzato dal<strong>la</strong> provvidenza di Dio, a quel fine stesso dove a lei piace che si conduca quasi<br />

freccia che, mediante l’arco che <strong>la</strong> pigne direttamente, corre al bersaglio dove primieramente<br />

l’indirizzò <strong>la</strong> volontà di chi <strong>la</strong> tirava.<br />

Sopra queste poche parole, volendo io ragionar con voi, <strong>la</strong>sciando a aparte <strong>la</strong> difficil e forse<br />

dannosa disputa del<strong>la</strong> predestinazione e del libero arbitrio, come cosa che a’ nostri maetri<br />

teologi interamente si appartenga, dirò quanto mi sia possibile, quale, donde e perché sia <strong>la</strong><br />

virtù ne’ corpi celesti, in qual maniera gli volga Dio, e in che modo egli influisca per questi,<br />

sapientissimamente governando tutto quello che ci offerisce e al<strong>la</strong> vista e all’intelletto. ” 145<br />

Procedimento peraltro non unico negli interventi degli accademici e utilizzato anche da altri<br />

con finalità evidentemente prudenziali e caute<strong>la</strong>tive 146 . Il sostanziale anche se cauto<br />

sbi<strong>la</strong>nciamento in favore del<strong>la</strong> predestinazione all’interno di questo commento è stato<br />

evidenziato dal D’Alessandro, che ha sottolineato a proposito di queste lezioni p<strong>la</strong>toniche del<br />

Giambul<strong>la</strong>ri e più in generale degli altri aramei, <strong>la</strong> diffusa ripresa di fonti del neop<strong>la</strong>tonismo<br />

ermetico rinascimentale del calibro di Cornelio Agrippa e Francesco Giorgio Veneto 147 le cui<br />

opere “erano già state gravemente sospettate di eresia dallo stesso Contarini, e che, negli<br />

anni successivi al Concilio di Trento, saranno drasticamente espurgate dai Censori del<strong>la</strong><br />

Congregazione dell’Indice.” 148<br />

Non priva di interesse in questa direzione appare anche <strong>la</strong> lezione dantesca del 1541 volta a<br />

definire l’esatta collocazione spaziale e <strong>la</strong> descrizione del Purgatorio dantesco 149 in cui oltre a<br />

utilizzare tra le sue fonti il geografo umanista erasmiano di fede protestante Jacob Ziegler 150 a<br />

supporto dell’esistenza dei poli e dell’abitabilità del<strong>la</strong> regione scandinava sconosciuta agli<br />

142 G. Fragnito, Arte e religione, cit., pp. 244-245.<br />

143 Del<strong>la</strong> carità in Lettioni d’accademici fiorentini sopra Dante, Firenze, Doni, 1547, pp. 53g3-68i2, (inoltre ivi<br />

alle pp. 82L1-96m4 Del sito del Purgatorio), poi in Lezioni di M. Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri, lette nel<strong>la</strong><br />

Accademia fiorentina, Firenze, Torrentino, 1551, pp. 42-84, ora in P. Giambul<strong>la</strong>ri, Lezioni di messer Pier<br />

Francesco Giambul<strong>la</strong>ri aggiuntovi l’origine del<strong>la</strong> lingua fiorentina altrimenti il Gello dello stesso autore,<br />

Mi<strong>la</strong>no, per Giovanni Silvestri, 1827, pp. 37-72.<br />

144 P. Simoncelli, Evangelismo italiano, cit., pp. 373-375; cfr. inoltre A. D’Alessandro, Cultura e politica<br />

nell’Accademia fiorentina, cit., p. 233.<br />

145 Degl’influssi celesti. Terza lezione, nel conso<strong>la</strong>to di Carlo Lenzoni in P. Giambul<strong>la</strong>ri, Lezioni, cit., pp. 73-<br />

105, in partico<strong>la</strong>re passo menzionato al<strong>la</strong> p. 76.<br />

146 Il Varchi ad esempio, proprio in un commento dantesco tenuto durante il suo conso<strong>la</strong>to (aprile-settembre<br />

1545) a proposito del tema del<strong>la</strong> predestinazione dice di rimettersi al pronunciamento teologi all’interno di<br />

un’argomentazione sviluppata però in tutt’altra direzione come documentato in P. Simoncelli, Evangelismo<br />

italiano, cit., pp. 341-344, in partico<strong>la</strong>re passo in questione a p. 343.<br />

147 Francisci Georgici Veneti minoritanae familiae De Harmonia mundi totius cantica tria, Venetiis in edibus<br />

Bernardini De Vitalibus calchographi an. DMXXV, mense Septembre.<br />

148 A. D’Alessandro, Cultura e politica nell’Accademia fiorentina, cit., in partico<strong>la</strong>re pp. 221, 230 e passo<br />

riportato a p. 240.<br />

149 Del sito del Purgatorio in Lezioni, cit., pp. 3-33.<br />

150 Ivi, pp. 12-13 in proposito vedi infra capitolo II, par. II, inoltre sull’orientamento filo-erasmiano e<br />

sull’orientamento protestante di Ziegler rinviamo a Silvana Seidel Menchi, Erasmo in Italia 1520-1580, Torino,<br />

Bol<strong>la</strong>ti-Boringhieri, 1987, in partico<strong>la</strong>re pp. 57-58 e 96; per <strong>la</strong> rilevanza dello Ziegler quale fonte del Giambul<strong>la</strong>ri<br />

vedi infra cap. III, par. I.<br />

26


antichi 151 , appare quantomeno curiosa l’allusione alle divergenze presenti tra i teologi a<br />

proposito del purgatorio delle anime dei defunti, cui peraltro non segue da parte dell’autore<br />

una presa di posizione univoca 152 :<br />

“Abitasi adunque <strong>la</strong> terra per tutto, e per tutto fa lume il sole. Il che ben dovette conoscere<br />

il Poeta nostro, avvegnachè per non contrapporsi all’opinione comune dell’età sua, non<br />

avendo come noi altri <strong>la</strong> esperienza in favore, non ardì forse manifestarlo con altro modo che<br />

col fingere in quell’altro emisfero il suo Purgatorio. Nel quale allegoricamente insegna egli<br />

mondarsi da’ vizi alle anime de’ viventi e non a quelle de’ morti; del Purgatorio delle quali<br />

tanto è ancora disparere tra’ sacri Dottori, che mal si puote sin qui assegnargli un luogo<br />

certo e determinato.” 153<br />

Non meno significativi, oltre alle lezioni, appaiano alcuni passaggi di altri contributi<br />

letterari su Dante, come il commento Del sito, forme e misure dello Inferno pubblicato dal<br />

Giambul<strong>la</strong>ri insieme al già menzionato Regole per <strong>la</strong> pronunzia fiorentina sotto lo<br />

pseudonimo di Neri Dorte<strong>la</strong>ta 154 . In questo trattatello infatti, i motivi del<strong>la</strong> persistente forza<br />

del<strong>la</strong> tradizione familiare ghibellina 155 si sposano con le esigenze di legittimazione del potere<br />

cosimiano. La politica culturale filo-dantesca sostenuta da Cosimo si spiega anche con<br />

l’esigenza di giustificare il proprio potere di stampo assolutistico, sul<strong>la</strong> base delle opere del<br />

grande fiorentino dal De Monarchia al<strong>la</strong> Commedia, giovandosi in questa direzione anche<br />

del<strong>la</strong> tesi del buon tempo antico di Firenze in opposizione al<strong>la</strong> storiografia repubblicana di<br />

stampo guelfo. 156<br />

Giambul<strong>la</strong>ri indubbiamente sostiene <strong>la</strong> tesi del buon tempo antico come testimonia<br />

l’identificazione di Firenze con <strong>la</strong> selva oscura da cui prende le mosse il viaggio dantesco<br />

nell’Inferno. Il canonico <strong>la</strong>urenziano individua nel<strong>la</strong> selva oscura una metafora del<strong>la</strong><br />

decadenza del<strong>la</strong> città provocata dalle contrapposizioni interne tra guelfi e ghibellini e dal<br />

prevalere dei primi. Significativo in questo senso è il racconto del<strong>la</strong> strage di fiorentini<br />

provocata dal podestà Fulcieri da Calboli 157 , di parte guelfa, nel 1302, che il Giambul<strong>la</strong>ri<br />

riferisce, sul<strong>la</strong> scorta dantesca, dopo aver illustrato il significato sotteso all’immagine del<strong>la</strong><br />

selva:<br />

“La selva nel<strong>la</strong> quale si ritruova Dante smarrito, non è altro che Firenze, Patria sua, <strong>la</strong><br />

quale metaforicamente chiama egli selva, non di Alberi, ma di persone che senza uso alcuno<br />

di ragione, o di intelletto vivono so<strong>la</strong>mente come le Piante. Il che acciochè duro non paia,<br />

ricordiamoci che nel canto IIII dello Inferno, ragionando egli de <strong>la</strong> moltitudine delle Anime,<br />

che nel Limbo riscontravano, dice<br />

Non <strong>la</strong>sciavam’ lo andar perch’e’ dicessi,<br />

Ma passavam’ <strong>la</strong> selva tutta via,<br />

La selva dico di spiriti spessi<br />

151 Ivi, pp. 12-13.<br />

152 Cfr. al riguardo A. D’Alessandro, Cultura e politica nell’Accademia fiorentina, cit., pp. 229-230.<br />

153 Ivi, passo a p. 16.<br />

154 Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri accademico fior. De’l sito, Forma, et Misure, dello Inferno di Dante, in Firenze<br />

per Neri Dorte<strong>la</strong>ta, MDXLIIII.<br />

155 Vedi supra: I par. del capitolo.<br />

156 Mary Alexandra Watt, The Reception of Dante in the Time of Cosimo I in The Cultural Politics, cit., pp.<br />

128-131; inoltre sul<strong>la</strong> tesi del buon tempo antico rinviamo a Guido Pampaloni, Gli Alighieri, Dante e il buon<br />

tempo antico. (Il canto XVI dell’Inferno) in AA. VV., Studi in onore di Arnaldo D’Addario, a cura di Luigi<br />

Borgia, Francesco De Luca, Paolo Viti, Raffael<strong>la</strong> Maria Zaccaria, Lecce, Conte editore, 1995, IV voll., nel III<br />

vol., pp. 437-453; cfr. infine Ch. T. Davis, Il buon tempo antico in “Florentine studies”, ed. N. Rubinstein,<br />

Londra, 1968, pp. 49-51.<br />

157 Cfr. <strong>la</strong> re<strong>la</strong>tiva voce Calcoli Fulcieri de di Augusto Vasina in Enciclopedia dantesca, cit., vol. I, pp. 761-<br />

762.<br />

27


Et che nel XIIII, del Purgatorio dove si predice l’uccisione et Macello, che de’ Cittadini<br />

fiorentini fece poi Fulcreri da Càlboli, quando e fu podestà di Firenze, l’anno MCCCII,<br />

soggiungendo finalmente <strong>la</strong> vituperosa partita di esso Fulcreri da <strong>la</strong> nostra Città, dice<br />

Sanguinoso esce de <strong>la</strong> triste Selva,<br />

Lascia<strong>la</strong> tal, che di quivi a mill’anni<br />

Nello stato <strong>prima</strong> non si rinselva.[…]La onde non da altro luogo, ma da <strong>la</strong> Città di Firenze<br />

comincia il poeta questo viaggio… ” 158<br />

Il buon tempo antico, del resto, anche nel<strong>la</strong> <strong>storia</strong> politica del suo casato appare<br />

irrimediabilmente concluso nei primi anni del XIV secolo, in partico<strong>la</strong>re per l’esclusione dal<br />

diritto di accesso alle cariche politiche subito nel 1311 e per il successivo inconcludente<br />

assedio posto da Arrigo VII a Firenze 159 .<br />

Del resto rappresentare una Firenze trecentesca di<strong>la</strong>niata dalle fazioni richiama<br />

evidentemente per contrasto, <strong>la</strong> nuova Firenze, finalmente pacificata da Cosimo I. Indizio<br />

dell’attualizzazione in chiave filocosimiana del commento, giunge oltre che dal<strong>la</strong> lettera<br />

dedicatoria al Duca dell’operetta 160 , anche dal passaggio che elenca le tipologie dei traditori<br />

descritte nell’Inferno dantesco in un crescendo di gravità che culmina in Bruto e Cassio<br />

considerati al<strong>la</strong> stregua di Lucifero in quanto tradiscono il corrispettivo di Gesù Cristo sul<strong>la</strong><br />

terra, l’imperatore, secondo un’interpretazione che sovverte sul punto <strong>la</strong> prospettiva di<br />

Cristoforo Landino, solitamente molto accreditato e seguito dal nostro 161 :<br />

“Et se alcuno mi dicesse ora; che adunque sono quelle altre, Caina, Antenora, et<br />

Tolommea? Risponderei, che a me pare che il nostro poeta ponga questi nomi per denotare le<br />

quattro spezie del tradimento, con le quali drittamente si fa contro a l’obbligo impostoci dal<strong>la</strong><br />

natura, di amare i Parenti, <strong>la</strong> Patria, quelli che ricevamo a <strong>la</strong> mensa nostra, et il nostro<br />

158 De’l Sito, cit., passo riportatano alle pp. 28b6-29b7; inoltre a proposito dei luoghi danteschi riferiti cfr.<br />

Dante Alighieri, La Divina Commedia, a cura di Natalino Sapegno, Firenze, La Nuova Italia, 1993 (<strong>prima</strong><br />

edizione 1955), III voll., in partico<strong>la</strong>re vol. I, Inferno, pp. 5-6 e 46; inoltre vol. II, Purgatorio, pp. 154-155.<br />

159 Vedi supra par. I p. 3.<br />

160 De’l sito, pp. 3-4a2, in partico<strong>la</strong>re a p. 4a2 leggiamo con evidente riferimento anche agli scontri in<br />

Accademia dove infatti il trattatello sulle Regole avrebbe provocato aspre critiche : “Priego dunque <strong>la</strong> E. V.<br />

Veriss. Fautrice di tutte le nobilissim. Scientie et Arti, come chiaramente ne ha dimostralo averle in tanti<br />

travagli del Mondo, ridotte nel tranquillo et sicur. Porto del suo celebratiss. Studio di Pisa; et lo haver’ dato<br />

ricetto nello Onorato Grembo del<strong>la</strong> sua Fiorentina Accademia ad ogni Musa desiderosa di par<strong>la</strong>re in questa<br />

Lingua i suoi bellissimi concetti, Che el<strong>la</strong> si degni qualunche egli si sia di accertarlo benignamente acciò che<br />

favorito da lei, vadìa fuori più sicuro da gli invidiosi morsi di coloro, che mai nul<strong>la</strong> faccendo, biasiman sempre:<br />

et al corrente animo mio si aggiunga il pungentissimo sperone di un tanto favore, a farmi più tosto dare in luce<br />

molti altri scritti sopra <strong>la</strong> Commedia di questo poeta; nel<strong>la</strong> quale già sono molti anni che io mi affatico…”<br />

161 De’l sito, cit., a proposito di questa discrepanza, rinviamo a M. Barbi, Dante nel Cinquecento, cit., che<br />

ricorda anche come il Landino non riconosca nel Veltro un personaggio imperiale ancora in contrasto con <strong>la</strong><br />

prospettiva del Giambul<strong>la</strong>ri, pp. 248-249, ma a p. 200 sottolinea che l’esposizione scritta sull’esemp<strong>la</strong>re aldino<br />

del<strong>la</strong> Commedia del 1502 storica ed allegorica del Giambul<strong>la</strong>ri è tratta pressoché interamente dal commento del<br />

Landino. Al riguardo, del resto, basta ricordare il modo in cui il Giambul<strong>la</strong>ri all’inizio del<strong>la</strong> lezione Del sito del<br />

Purgatorio, cit., alle pp. 4-5 elogi il commento del Landino capace di evidenziare <strong>la</strong> qualità di poeta teologo di<br />

Dante, nei seguenti termini: “che non poeta semplicemente, ma teologo eccellentissimo dai teologi stessi<br />

meritatamente possa esser detto; sì come ampiamente vi hanno mostrato tutti quegli elevati spiriti che sin qui<br />

l’hanno commentato. Tra’ quali, partico<strong>la</strong>rmente Benvenuto da Imo<strong>la</strong>, Francesco da Buti, e l’eccellente nostro<br />

Landino, oltre i diversi sensi allegorici, oltre le profonde specu<strong>la</strong>zioni, oltre le altissime specu<strong>la</strong>zioni, oltre le<br />

altissime contemp<strong>la</strong>zioni che in tutto questo Poema ci hanno scoperto, vi ci hanno ancora dimostrato tanta<br />

filosofia, tanta dottrina…che ingratissimi certamente saremmo noi da esser tenuti se alle così oneste fatiche loro<br />

non ci riconoscessimo più che obbligati.” Del resto di provenienza <strong>la</strong>indiniana, oltre che ficiniana e polizianesca,<br />

è <strong>la</strong> definizione di Dante quale poeta teologo fatta propria nel Cinquecento da più parti, non solo dal Giambul<strong>la</strong>ri<br />

e dal Gelli, ma anche tra gli altri da Vincenzo Borghini; in proposito rinviamo a G. Mazzacurati, Dante<br />

nell’Accademia fiorentina, cit., pp. 272-275 e id., Conflitti di culture, cit., pp. 218-223. Inoltre, per un<br />

inquadramento generale del<strong>la</strong> questione del poeta teologo, cfr. S. Battaglia, Introduzione al<strong>la</strong> teoria del poeta<br />

teologo, in “Cultura e scuo<strong>la</strong>”, XIII-XIV (gennaio-giugno 1965), pp. 72-86 e id., Teoria del poeta teologo in<br />

Esemp<strong>la</strong>rità e antagonismo nel pensiero di Dante, vol. II.<br />

28


proprio signore. La qual cosa chiaramente si dimostra ne’ nomi che a queste quattro spezie a<br />

posto lo autore. Imperochè nel primo luogo chiamato Caina, da Caino che uccise il fratello,<br />

pone so<strong>la</strong>mente quelli che hanno tradito i parenti loro. Nel secondo detto Antenora per<br />

Antenore che tradì <strong>la</strong> terra sua, pone chi ha tradito o <strong>la</strong> patria o <strong>la</strong> parte sua. Nel terzo detto<br />

Tolomea da Tolomeo di Abobo che in tavo<strong>la</strong> sua fece uccidere Simone Maccabeo che<br />

mangiava seco; pone chi sotto spezie di benefizio, o di servizio, ha ucciso tra i Cibi quelle<br />

persone che e’ fingeva di accarezzare. Nello ultimo detto Giudecca da Giuda che tradì Gesù<br />

Christo suo et nostro Signore pone egli nominatamente Lucifero et lui, che tradirono lo<br />

Imperatore immortale: et Bruto et Cassio che tradirono il Mortale.” 162<br />

Richiami e motivi tutt’altro che sporadici come testimonia il Giambul<strong>la</strong>ri stesso nel<strong>la</strong><br />

sudetta lettera dedicatoria quando a proposito dello studio del<strong>la</strong> Commedia dichiara “nel<strong>la</strong><br />

quale sono molti anni che m’affatico…” 163 . Parole, pienamente confermate dal<strong>la</strong> preparazione<br />

di un commento complessivo al<strong>la</strong> Commedia cui il canonico <strong>la</strong>urenziano attende già molti<br />

anni <strong>prima</strong> rispetto a questa pubblicazione. Indicazioni chiare in questo senso le fornisce<br />

Giovanni Norchiati nel<strong>la</strong> dedica del suo Trattato de Diptonghi toscani datata 15 agosto<br />

1538 164 . Il commento però, del<strong>la</strong> cui non sopita attesa nei circoli accademici fiorentini ci reca<br />

testimonianza una lettera inviata da Niccolò Martelli al Giambul<strong>la</strong>ri in data 1547, non sarebbe<br />

mai stato ultimato nè pubblicato. Secondo <strong>la</strong> testimonianza del Gelli a cui il Giambul<strong>la</strong>ri<br />

affida il manoscritto per aiutarlo nelle lezioni che dal 1553 in poi, svolge per un decennio fino<br />

al<strong>la</strong> morte, come commentatore ufficiale dell’Accademia per <strong>la</strong> materia dantesca, <strong>la</strong> fatica<br />

sarebbe giunta ai primi canti del Purgatorio. Gelli che, come traspare anche dal testo delle sue<br />

lezioni dimostra di essersene avvalso in diverse circostanze a dimostrazione del<strong>la</strong> solida intesa<br />

instaurata in tema dantesco col Giambul<strong>la</strong>ri al di là delle divergenze aramaiche, dichiara di<br />

non averlo pubblicato in ottemperanza alle ultime volontà del canonico <strong>la</strong>urenziano. Ulteriore<br />

indiretta conferma di questo connubio dantesco si riscontra anche nel campo pittorico<br />

nell’affresco del Cristo al limbo, episodio riferito nel canto XII dell’Inferno dantesco e<br />

menzionato anche nel De’l sito, dipinto nel 1552 dal Bronzino, allievo prediletto del<br />

Pontormo di cui conclude <strong>la</strong> fatica degli affreschi <strong>la</strong>urenziani non terminati dal maestro a<br />

causa del<strong>la</strong> morte 165 .<br />

Ritornando al commento del canonico <strong>la</strong>urenziano, che a detta del Gelli era preceduto anche<br />

da una vita di Dante composta dal Giambul<strong>la</strong>ri, Michele Barbi ne ha pubblicato a fine<br />

ottocento l’unica parte rimasta, re<strong>la</strong>tiva al primo canto dell’Inferno, successiva all’uscita De’l<br />

Sito al quale fa riferimento in due punti 166 .<br />

162 Passo cit., a p. 124h6 al riguardo cfr. Dante Alighieri, Inferno, canto XXXIV, pp. 377-385, in partico<strong>la</strong>re pp.<br />

378-382.<br />

163 Vedi supra nota 160.<br />

164 In proposito vedi supra p. 21 e soprattutto M. Barbi, Dante nel Cinquecento, cit., p. 196.<br />

165 Sull’affresco del Bronzino rinviamo a M. Firpo, Gli affreschi, cit., pp. 207-208 e riguardo al<strong>la</strong> discesa di<br />

Cristo al Limbo nel De’l sito, cit., pp. 30b7-31b8, Giambul<strong>la</strong>ri scrive:<br />

“Que versi che par<strong>la</strong>no de <strong>la</strong> Erta, non <strong>la</strong> pongono da’l Portone a’l Fiume, ma dentro a Cerchii dello Inferno: i<br />

quali perché cominciano al Limbo, non possono abbracciare cosa alcuna che non sia da’l fiume in là. Et che il<br />

Limbo sia il primo cerchio, lo specifica il Poeta stesso nel IIII Canto dello Inferno quando dice:<br />

“Così si mise, e così mi fe entrare<br />

Nel primo Cerchio, che l’abisso cigne.<br />

Et nel canto XII ancora ragionando del Terremoto, che rovinò lo inferno, descrivendo con bel<strong>la</strong> perifrasi <strong>la</strong><br />

venuta di Cristo al Limbo dice:<br />

“Ma certo poco pria, s’io ben discerno,<br />

Che venisse colui, che <strong>la</strong> gran preda<br />

Levò a Dite de’l Cerchio superno:<br />

Questa preda furono le Anime de santi Padri da Giesù Cristo tratte de’l Limbo, come è notissimo: il quale<br />

Limbo essendo il superno Cerchio dello inferno, viene come io dissi a essere il primo di verso <strong>la</strong> faccia del<strong>la</strong><br />

Terra.[…]”<br />

166 M. Barbi, Dante nel Cinquecento, cit., pp. 82-83 e 187-201, inoltre ivi il testo in questione trovato dal Barbi<br />

nelle due versioni fiorentina e veneta leggermente precedente, si trova in appendice, Commento sopra il I canto<br />

29


Rispetto a quest’ultimo, oltre a riproporre l’identificazione Firenze-selva oscura, sul<strong>la</strong> base<br />

dei medesimi luoghi danteschi già riferiti 167 , offre ulteriori spunti nel<strong>la</strong> direzione filoimperiale.<br />

Infatti, in re<strong>la</strong>zione al<strong>la</strong> lupa che vuole ricacciare il poeta nel<strong>la</strong> selva oscura e<br />

impedirgli l’ascesa al monte, Giambul<strong>la</strong>ri si dilunga per alcune pagine sul<strong>la</strong> profezia del<br />

veltro, sostenendone l’identificazione storica con Cangrande del<strong>la</strong> Sca<strong>la</strong> 168 , a proposito del<br />

quale ripropone le profetiche parole pronunciate da Cacciaguida 169 nei versi 70-93 del XVII<br />

canto del Paradiso sulle grandi imprese che compirà, rinviando poi ad ulteriori<br />

approfondimenti con le seguenti parole:<br />

“Il gran Veltro dunque fuor d’ogni dubbio è messer Cane del<strong>la</strong> Sca<strong>la</strong>, del quale si dirà<br />

quando tempo fia, attendendo per hora al<strong>la</strong> esposizione del nostro testo…”. 170<br />

Vediamo del resto che vengono riproposti dei versi, quelli del tradimento consumato nei<br />

confronti di Arrigo VII da Clemente V 171 , partico<strong>la</strong>rmente significativi nel<strong>la</strong> <strong>storia</strong> dei<br />

Giambul<strong>la</strong>ri. Cacciaguida inoltre, personaggio chiave del<strong>la</strong> rievocazione del buon tempo<br />

antico nei canti XV e XVI del Paradiso 172 , assume anche nel discorso ghibellino-filoimperiale<br />

(proprio in virtù del giudizio qui espresso su Cangrande) un ruolo significativo in quanto teso<br />

a sottolineare le grandi speranze di rafforzamento imperiale collegate al signore di Verona che<br />

viene designato come vicario imperiale da Arrigo VII durante <strong>la</strong> sua infruttuosa campagna<br />

militare italiana 173 .<br />

Del resto, in questa direzione, in precisa corrispondenza con l’elencazione dei traditori<br />

sviluppata nel De’l sito, Giambul<strong>la</strong>ri spiega le parole di Virgilio “nacqui adunche al tempo di<br />

Giulio Cesare, ancor che fussi tardi” nel seguente modo propedeutico all’elogio di quello che<br />

è il fondatore dell’impero romano:<br />

“non quanto a l’essere nato vicino al<strong>la</strong> morte di Cesare, perché nacque circa a anni XIV<br />

<strong>prima</strong> che Cesare morissi; ma tardi, quanto a veder esso Cesare trionfante. Il che forse finge<br />

Dante per haver egli osservato che Virgilio in tutte l’opere sue sommamente <strong>la</strong>uda Cesare, et<br />

però mostra che ei desiderassi di averlo veduto trionfare.”<br />

Cesare infatti pone le premesse per <strong>la</strong> rinascita dell’età dell’oro recuperata sotto Ottaviano<br />

Augusto, già dal Giambul<strong>la</strong>ri richiamato più volte nell’Apparato in re<strong>la</strong>zione al conferimento<br />

del titolo ducale a Cosimo I da parte di Carlo V 174 , e definito in questo frangente “felice et<br />

avventurato.” 175<br />

Elementi non trascurabili sebbene preliminarmente il canonico <strong>la</strong>urenziano sostenga di voler<br />

svolgere un’analisi meramente letterale <strong>la</strong>sciando ad altri il piano dell’interpretazione<br />

allegorica e del<strong>la</strong> specu<strong>la</strong>zione.<br />

Ora, a parte l’evidente quanto obbligata professsione di modestia esibita dal Giambul<strong>la</strong>ri,<br />

seppur esclusivamente letterale <strong>la</strong> spiegazione del senso dei versi danteschi non appare meno<br />

dell’Inferno di Pier Francesco Giambul<strong>la</strong>ri, pp. 365-407 e sui codici verificati dal Barbi vedi pp. 198-199.<br />

Infatti leggiamo ivi a p. 368 un evidente richiamo al De’l sito sul<strong>la</strong> datazione del<strong>la</strong> visione avuta da Dante: “resta<br />

adunque che <strong>la</strong> vision fusse nel giubileo del 1300 et nel<strong>la</strong> settimana santa…come <strong>la</strong>rgamente habbiamo provato<br />

nel nostro dialogo del sito et misure de l’Inferno.”<br />

167 Ivi, p. 369.<br />

168 Sul quale cfr. preliminarmente <strong>la</strong> voce di Giro<strong>la</strong>mo Arnaldi in Enciclopedia dantesca, cit., Vol. II, pp. 356-<br />

359.<br />

169 Ivi cfr. al<strong>la</strong> voce Cacciaguida di Fiorenzo Forti, vol. I, 733-739.<br />

170 Commento, cit., pp. 395-400, passi riportati alle pp. 396-397. Per i versi di Cacciaguida riportati dal<br />

Giambul<strong>la</strong>ri cfr. Dante Alighieri, Divina Commedia, cit., vol. III, Paradiso, pp. 222-223.<br />

171 Cfr. Clemente V di Raoul Manselli in Enciclopedia dantesca, cit., vol. II, pp. 39-40.<br />

172 G. Pampaloni, Gli Alighieri, Dante e il buon tempo antico, cit., pp. 437-440.<br />

173 Enrico VII, cit., in Enciclopedia dantesca, cit., vol. II, p. 684.<br />

174 Sui riferimenti ad Augusto vedi G. Cipriani, Il mito etrusco, cit., pp. 76-78.<br />

175 Commento sopra il I canto, cit., passi a p. 388.<br />

30


consapevole e rilevante 176 . Né il vincolo letterale ci sembra impedisca al Giambul<strong>la</strong>ri di<br />

caricare di significati e valenze i versi danteschi come quando in due frangenti cita Francesco<br />

Zorzi 177 e soprattutto nel caso delle parole pronunciate nel<strong>la</strong> finzione dantesca da Virgilio a<br />

proposito del<strong>la</strong> sua impossibilità per giusto decreto divino di andare in Paradiso, in cui<br />

emergono considerazioni tutt’altro che scontate sul tema del<strong>la</strong> predestinazione:<br />

“O felice colui: usa in questo luogo <strong>la</strong> figura che i Greci chiamano Epiphonema…<strong>la</strong> quale<br />

altro non è che uno accrescimento et amplificatione del<strong>la</strong> cosa narrata o lodata, soggiuntole<br />

nel<strong>la</strong> fine, come qui vedi che dice: o felice, o beato et bene avventurato, colui, quel tale, che<br />

ivi, in quel<strong>la</strong> città superna, elegge, deputa et predestina esso Dio ad habitar quivi, imperochè<br />

nessuno si elegge egli stesso al<strong>la</strong> eterna beatitudine, ma da Dio ivi è eletto per gratia, come<br />

altrove si dirà.” 178<br />

3. Le fonti aramaiche<br />

In re<strong>la</strong>zione al quadro fin qui delineato, appare interessante tornare sul Gello 179 del<br />

Giambul<strong>la</strong>ri, al di là delle brevemente ricordate posizioni linguistiche, in re<strong>la</strong>zione al sistema<br />

delle fonti che presiede al<strong>la</strong> sua composizione. In questa direzione merita indubbiamente<br />

attenzione il problematico rapporto instauratosi tra Gullielme Postel 180 e le posizioni<br />

aramaiche, ampiamente analizzato da Paolo Simoncelli. Una re<strong>la</strong>zione che in primo luogo<br />

appare differente se parliamo di Gelli e di Giambul<strong>la</strong>ri, al di là dei debiti riconosciuti da<br />

quest’ultimo nei confronti del trattattello sull’Origine di Firenze. Ben maggiore infatti risulta<br />

<strong>la</strong> dipendenza delle formu<strong>la</strong>zioni aramaiche gelliane dagli scritti postelliani di fine anni trenta<br />

rispetto al<strong>la</strong> più complessa e artico<strong>la</strong>ta inte<strong>la</strong>iatura del Gello del Giambul<strong>la</strong>ri filologicamente<br />

più solido e per più aspetti autonomo dall’orientamento del Postel.<br />

Il canonico <strong>la</strong>urenziano, infatti, chiama in soccorso il Postel in re<strong>la</strong>zione alle lotte<br />

accademiche sul<strong>la</strong> base di un passo di Ateneo che certifica <strong>la</strong> venuta del Noè biblico in<br />

Toscana sconosciuto allo stesso francese. La sua risposta appare comunque tardiva, visto che<br />

sarà contenuta nel De Etruriae...originibus stampato dal Torrentino nel 1551 181 , quindi a<br />

176 Ivi, a pp. 365-366 l’autore dice: “dico liberamente a ciascuno che io…scrivo…dichiarando et esponendo <strong>la</strong><br />

lettera di questo divin poema, <strong>la</strong> quale sin qui da molti de’ nostri poco stimata, come cosa a tutti notissima, et<br />

da’ forestieri non bene intesa, come ancora da quelli aliena, falsa cagione ha dato ad alcuni di men reputare<br />

questo Poeta…per farlo conoscere agli matori del<strong>la</strong> nostra lingua, <strong>la</strong> quale ampiamente in costui dimostra i<br />

tesori delle sue ricchezze, posposto ogni senso allegorico, mi ingegnerò so<strong>la</strong>mente far piano et aperto quel tanto<br />

che nel<strong>la</strong> sua breccia si contiene; confidandomi nel<strong>la</strong> benignità di chi legge, che servendosi di questi altri nelle<br />

altissime allegorie et profonde specu<strong>la</strong>zioni, piglierà gratamente quel tanto che volentieri gli si dona con <strong>la</strong> mia<br />

bassezza, con <strong>la</strong> quale, acciochè più tempo non si perda hor nelle scuse, vengo al<strong>la</strong> opera col nome di Dio.”; sul<br />

criterio utilizzato dal Giambul<strong>la</strong>ri vedi cosa dice il Barbi ivi a p. 202, criterio comunque abbandonato per offrire<br />

anche un’interpretazione allegorica nell’ulteriore e<strong>la</strong>borazione a noi non pervenuta ma posseduta e consultata dal<br />

Gelli per le sue lezioni; in proposito ivi, p. 200.<br />

177 Ivi, vedi pp. 380-381 e pp. 394-395.<br />

178 Ivi, passo a p. 403.<br />

179 P. Giambul<strong>la</strong>ri, Il Gello, per il Doni, in Fiorenza 1546, d’ora in poi cit. come Il Gello.<br />

180 Sul quale cfr. preliminarmente Wiliam J. Bouwsma, Concordia Mundi. The Career and Thought of<br />

Guil<strong>la</strong>ume Postel (1510-1581), Cambridge, Mass. 1957, Geroges Weill, Vie et caractère de Guil<strong>la</strong>ume Postel,<br />

traduzione in francese di Francois Secret, Mi<strong>la</strong>no, Archè, 1987 (<strong>prima</strong> edizione 1967); M. L. Kuntz, Guil<strong>la</strong>ume<br />

Postel Prophet of the Restitution of All Things. His life and Thought, The Hague-Boston-London 1981 e id.,<br />

Venice, Mith and Utopian Thought in the Sixteenth Century: Bodin, Postel and the Virgin of Venice, Galliard<br />

(printers), Norfolk, 1999; Guil<strong>la</strong>ume Postel 1581-1981. Actes du colloque International d’Avranches 5-9<br />

septembre 1981, Guy Trèdaniel, Paris, Edtions De La Maisnie, 1985 e Yvonne Petri, Gendere, Kabba<strong>la</strong>h, and<br />

the Reformation. The Mystical Theology of Guil<strong>la</strong>ume Postel (1510-1581), Leiden-Boston, Brill, 2004.<br />

181 De Etruriae regionis, quae <strong>prima</strong> in orbe Europaeo habitata est, Originibus, Institutis, Religione et<br />

Moribus, et in primis DE AUREI SAECULI DOCTRINA et vita praestantissima quae in divinationis sacrae usu<br />

posita est, Gulielmi postelli Commentatio, Florentiae, MDLI.<br />

31


conflitti accademici conclusi e, al di là dei grandi elogi tributati al Giambul<strong>la</strong>ri per il passo di<br />

Ateneo, piena di distinguo e presa di distanze dal Gello. 182<br />

Anche il D’Alessandro ha riscontrato <strong>la</strong> grande differenza intercorrente tra il De Etruriae ed<br />

il Gello, in re<strong>la</strong>zione al diverso modo di sviluppare le rispettive posizioni che si traduce anche<br />

in un differente modo in cui vengono utilizzate le affermazioni di Beroso Caldeo. Autorità<br />

assoluta nel caso di Postel, capace di integrare ed illuminare il testo biblico sotto il profilo<br />

storico e linguistico, viene utilizzato dal Giambul<strong>la</strong>ri con una prudenza ai limiti del<strong>la</strong> riserva<br />

tale da provocare <strong>la</strong> stigmatizzazione del visionario francese nel De Etruriae…. 183<br />

Altrove è necessario guardare in materia di fonti a proposito del Gello, come osserva Paolo<br />

Simoncelli che rileva l’influenza tutt’altro che marginale esercitata da Sebastian Muenster<br />

sulle asserzioni del canonico <strong>la</strong>urenziano. 184 Autore completamente estraneo al Dell’origine di<br />

Firenze 185 composto dal Gelli, il dotto ebraista tedesco, originario del Pa<strong>la</strong>tinato dove nasce<br />

nel 1488 presso Manz, è figura tutt’altro che trascurabile sotto il profilo religioso e culturale<br />

dell’Europa del Cinquecento. Nel 1505 si trasferisce ad Heidelberg ed entra nell’ordine<br />

francescano. In seguito, conduce dei brevi periodi di studio a Lovanio e nell’Università di<br />

Friburgo sotto il magistero di Gregor Reisch, secondo <strong>la</strong> testimonianza dell’orazione funebre<br />

di Schereckenfucs. Dal 1509 si trova nel monastero di Rufach, nell’alta Alsazia, e inizia a<br />

studiare l’ebraico sotto <strong>la</strong> guida di Konrad Pellikan da lui seguito anche a Pforzheim dove nel<br />

1512 viene ordinato sacerdote. Muenster seguirà Pellikan anche a Tubinga come professore di<br />

teologia e filosofia al<strong>la</strong> fine del 1514 dove rimarrà fino al 1518 divenendo allievo del<br />

matematico, astronomo, cartografo, geografo, Johann Stoffler 186 appassionato dalle sue<br />

lezioni di geografia e cartografia. Nel successivo biennio 1519-1520 Muenster risiede a<br />

Basilea dove <strong>la</strong>vora per l’editore Adam Petri, che segue ferventemente gli scritti di Lutero<br />

degli anni 1518-1520 e determina il suo primo contatto con <strong>la</strong> Riforma protestante 187 . Tornato<br />

nel 1521 ad Heidelberg vi insegna l’ebraico dal 1524 al 1529. In agosto si trasferisce<br />

definitivamente a Basilea, abbandona l’abito fratesco aderendo al<strong>la</strong> Riforma protestante, e nel<br />

1530 sposa Anna, vedova di Adam Petri, morto nel 1527 188 . A Basilea il Muenster, continua<br />

ad insegnare ebraico nel<strong>la</strong> locale università 189 ricoprendo anche, tra 1547 e 1548 <strong>la</strong> carica di<br />

rettore dell’ateneo, nel momento in cui ospita Lelio Socini allora di passaggio nel<strong>la</strong> città, e<br />

suo allievo di ebraico 190 . Inoltre, negli anni basileesi pubblica <strong>la</strong> maggior parte delle sue<br />

182 P. Simoncelli, La lingua di Adamo, cit., in partico<strong>la</strong>re pp. 9-96.<br />

183 Alessandro D’Alessandro, La scoperta di un passo di Ateneo nei rapporti tra Guil<strong>la</strong>ume Postel e<br />

Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri, in AA.VV., Postello, Venezia e il suo mondo, a cura di Marion Leathers Kuntz,<br />

Firenze, Olschki, 1988, pp. 261-279, in partico<strong>la</strong>re pp. 270-279.<br />

184 P. Simoncelli, La lingua di Adamo, cit., in partico<strong>la</strong>re sull’influenza muensteriana pp. 36-37, in partico<strong>la</strong>re<br />

note 58 e 59.<br />

185 Al riguardo rinviamo a G. B. Gelli, Dell’origine di Firenze. Introduzione, testo inedito e note a cura di A.<br />

D’Alessandro, “Atti e memorie dell’Accademia Toscana di Scienze e Lettere La Colombaria”, vol. XLIV, n. s.,<br />

XXX, 1979, pp. 61-122.<br />

186 Per un breve profilo del quale vedi <strong>la</strong> voce Johann Stoffler di Peter G. Bietenholz in Contemporaries of<br />

Erasmus. A Biographical Register of the Renaissance and Reformation, a cura di Peter G. Bietenholz,<br />

Toronto/Buffalo/London, University of Toronto Press, III Voll., 1985-1987, in partico<strong>la</strong>re III vol. 1987, pp. 288-<br />

289.<br />

187 A proposito del<strong>la</strong> biografia e delle edizioni di scritti luterani di Adam Petri vedi C. W. Heckethorn, The<br />

Printers of Basle. In the XV and XVI Centuries. Their biographies, printed books and devices, London, printed<br />

by unwin brothers at the Gresham press, 1897, pp. 143-153.<br />

188 Ivi, sull’anno del<strong>la</strong> morte di Adam Petri e sul matrimonio di Muenster con <strong>la</strong> sua vedova, cfr. p. 144.<br />

189 A proposito di Sébastian Muenster, cfr. K. H. Burdmeister, Briefe Sébastian Muensters <strong>la</strong>teneische und<br />

deutsch, C. H. Boehringer Sohn-Ingelheim Am Rhein, 1964, pp. 5-6 e in S. Muenster, Cosmographei Basel<br />

1550, Theatrum orbis terrarum Ltd., Amsterdam 1968, l’introduzione del curatore dell’opera R. Oehme, pp. V-<br />

XXVIII, in partico<strong>la</strong>re p. VI.<br />

190 Cfr. D. Cantimori, Eretici italiani del Cinquecento, a cura di A. Prosperi, Torino, Einaudi, 1992, p. 138 e L.<br />

Sozzini, Opere, edizione critica a cura di Antonio Rotondò, Firenze, Olschki, 1986, pp. 26-27, 32 in partico<strong>la</strong>re<br />

nota n. 41, p. 145 nota n. 11, e ivi le menzioni del Muenster presenti nel carteggio del Socini alle pp. 148-149,<br />

155, 170, 245.<br />

32


opere, grazie al sostegno di Heinrich Petri, suo figliastro, continuatore dell’attività editoriale<br />

paterna 191 .<br />

Sotto il profilo di possibili rapporti diretti del Muenster con l’ambiente fiorentino, possiamo<br />

registrare sul<strong>la</strong> base del suo carteggio, soltanto alcuni contatti italiani in re<strong>la</strong>zione al<strong>la</strong><br />

preparazione di una nuova edizione del<strong>la</strong> sua Cosmographia universalis. Questa nuova<br />

edizione che prevede non solo, rispetto al<strong>la</strong> <strong>prima</strong> del 1544 e alle successive in lingua<br />

tedesca 192 , l’aggiunta del<strong>la</strong> versione <strong>la</strong>tina ma anche un ampliamento realizzato con i<br />

contributi inviati dalle città e dalle nazioni interessate o comunque contattate, consistenti<br />

essenzialmente in descrizioni geografiche e pitture di luoghi e città, coinvolge anche Firenze,<br />

Roma e Venezia. Il Muenster, infatti, nel<strong>la</strong> lettera del 23 dicembre 1550 afferma: “Expecto<br />

quoque quaedam ex Italia” 193 , alludendo ai contributi su Firenze, Roma e Venezia previsti tra<br />

quelli già da lui pagati, concernenti un folto gruppo di città straniere già menzionati in una<br />

precedente episto<strong>la</strong> del 4 maggio 194 .<br />

Diversamente evidente, in un’analisi puntuale del testo del Giambul<strong>la</strong>ri risulta <strong>la</strong> presenza e<br />

<strong>la</strong> centralità del<strong>la</strong> Bibbia eterodossa che il Muenster traduce dall’ebraico in <strong>la</strong>tino, stampata a<br />

Basilea nel 1534 e ‘35. La sua impostazione protestante, emerge in modo abbastanza evidente<br />

già nel<strong>la</strong> premessa al primo tomo in cui l’autore si rivolge al “cristiano et pio lectori”,<br />

mettendo in risalto, il peccato originale di Adamo ed il conseguente stato di irrimediabile<br />

corruzione che ha colpito tutti gli uomini 195 . Sul<strong>la</strong> condizione di prostrazione umana causata<br />

dal peccato non sarebbe mancata, del resto, una notazione dello stesso Giambul<strong>la</strong>ri nel<strong>la</strong> già<br />

menzionata lezione dantesca sul<strong>la</strong> Carità del 1542:<br />

“Se io volessi qui entrare ad esporvi <strong>la</strong> cagione perché volesse l’eterno Padre che e’ morisse<br />

l’unigenito suo Figliuolo, piuttosto che perdonare assolutamente all’uomo il peccato suo,<br />

bisognerebbe certo allungarmi troppo. E però dirò so<strong>la</strong>mente che a maggior espressione di<br />

quello infinito amore che ci porta Dio, volle quel<strong>la</strong> sopra eminentissima carità che l’uomo da<br />

ogni felicità caduto, e miserabilissimamente sommerso nel baratro del peccato, si ristaurasse e<br />

si deducesse al<strong>la</strong> vera ed eterna felicità, riunendolo al suo Creatore. Ma perché non poteva<br />

l’uomo per sé stesso volgersi a Dio, non essendo <strong>la</strong> nostra natura di voltarci per noi medesimi,<br />

ma di esser volti, come dimostra il Pico nell’Ettaplo, mandò l’unigenito suo Figliuolo a<br />

vestirsi di questa carne e a morire in croce con el<strong>la</strong>, ciò che, <strong>la</strong>vandoci Gesù Cristo così dal<br />

191 Cfr. K. H. Burdmeister, Briefe Sebastian Muensters, cit., p. 7.<br />

192 Ivi, in proposito cfr. <strong>la</strong> lettera del 7 novembre 1544 inviata dal Muenster da Basilea ad Andreas Masius:<br />

“Audisti fortassis de mea Cosmographia, quam proximis nundinis Germanice evulgavi[…]”, in K. H.<br />

Burdmeister, pp. 88-89, passo cit. a p. 88. Inoltre, per un elenco completo delle edizioni nelle diverse lingue, in<br />

partico<strong>la</strong>re in tedesco e in <strong>la</strong>tino, vedi introduzione a S. Muenster, Cosmographei, cit., a p. XXVI.<br />

193 Ivi, cfr. <strong>la</strong> lettera del 23 dicembre 1550 a Ioachino Vadiano alle pp. 188-189, passo cit. a p. 188.<br />

194 Ivi, cfr. <strong>la</strong> lettera del 4 maggio 1550 inviata dal Muenster a Cornelio Gaudensio e Giorgio Cassandro p. 175,<br />

in partico<strong>la</strong>re: “Extranae civitates nostris sumptibus curantur, quales sunt Lutetia, Roma, Florentia, Cairum<br />

(quod iam sculpitur), Costantinopolis, Venetiae, Belgradum, Argiera, Ierosolyma etc..”<br />

Inoltre, a proposito del profilo biografico del Muenster e soprattutto del significativo contributo apportato al<strong>la</strong><br />

geografia con <strong>la</strong> sua Cosmographia cfr. Al<strong>la</strong> scoperta del mondo l’arte del<strong>la</strong> cartografia da Tolomeo a<br />

Mercatore, presentazione Francesco Sicilia, testi Mauro Bini, Ernesto Mi<strong>la</strong>no, Annalisa Battini, Laura<br />

Federzoni, Modena, Il Bulino, 2001, in partico<strong>la</strong>re ivi rinviamo a Annalisa Battini, Gli at<strong>la</strong>nti del cinquecento<br />

Mercatore e <strong>la</strong> cartografia moderna, pp. 189-200.<br />

195 Ivi, Cristiano et pio lectori Sebast. Muensterus s.d.., che inizia in questi termini “Etiamsi mortalis nostra<br />

natura, candide lector,varijs obnoxia facta sit malis, ex primi hominis peccato, multasque contraxerit <strong>la</strong>bes et<br />

corrupte<strong>la</strong>s, <strong>prima</strong>s tamen videtur tenere il<strong>la</strong> mentis nostrae instabilitas, atque animus sibi nunquam satis<br />

constans: quo malo etiam plerosque, qui columnae videbantur, in praecipitium ruisse esperti sumus. Siquidem<br />

postquam primis noster parens animum advertit deo…protinus illum peccantem et totam eius posteritatem haec<br />

consequuta est poena, ut in nul<strong>la</strong> re fluctuansque inter tentationum illectamenta, diu herere velit aut possit, quin<br />

ea aliquantisper perfruitus, atque ad fastidium satiatus, mox ad aliam et aliam aestuet, qua se ad horam quoque<br />

oblecte.” Passo cit. a p. a 4.<br />

33


peccato e dirizzandoci, o per meglio dire, tirandoci all’eterno Padre, unisse tutta <strong>la</strong> creatura<br />

col Creatore…” 196<br />

Notazione evidentemente tesa a marcare l’imprescindibilità del sacrificio di Cristo in linea<br />

con quanto osservato sulle tendenze ben presenti in ambito accademico.<br />

D’altra parte Muenster nel<strong>la</strong> sua introduzione punta il dito, all’interno del<strong>la</strong> generale<br />

corruzione umana, sugli Ebrei incapaci di riconoscere Cristo e sordi di fronte al messaggio<br />

scritturale formu<strong>la</strong>to dai profeti 197 . La loro proterva incapacità di comprendere <strong>la</strong> Scrittura<br />

denuncia emblematicamente l’analoga condizione del mondo cristiano favorita in primo luogo<br />

dalle versioni bibliche, errate e fuorvianti, divenute ormai patrimonio e tradizione del<strong>la</strong><br />

Chiesa romana. Al riguardo Muenster riferisce delle mancanze del<strong>la</strong> versione biblica dei<br />

Settanta, giustamente criticata ed emendata da S. Giro<strong>la</strong>mo, <strong>la</strong> cui vulgata tuttavia per quanto<br />

giudicata positivamente, presenta anch’essa alcune carenze opportunamente ravvisate, da<br />

Lutero, Reuchlin, Agostino Steuco, Santi Pagnino 198 .<br />

Una critica finalizzata (come si evince nel prosieguo del<strong>la</strong> nota munsteriana, che non manca<br />

di ricordare gli studi di ebraico intrapresi con il Pellikan) 199 all’elogio di Erasmo, modello<br />

196 De <strong>la</strong> carità, cit., passo alle pp. 68-69.<br />

197 Ivi: “Et Iudaei quidam vehementer videbantur ze<strong>la</strong>re pro domino exercituum, et pro domo dei, cum<br />

Christum eius fastidirent, et ad mortem usque persequerent: sed perversus fuit zelus ille, cum non fuerit<br />

secundum scientiam, sed procedebat ex odio rationem excaecante: unde furore magis in illum debacchati sunt,<br />

quam dei zelo. Et in hac pervicacia in hunc usque diem, misera il<strong>la</strong> gens usqueadeo obstinata manet, ut nullis<br />

prophetarum oraculis quantumlibet c<strong>la</strong>ris et apertis, nullis rationibus, sed neque minis et terroribus a<br />

praecipitio et ab errore reduci possit : id quod Isaias ante futurum praedixit : Impingua, inquiens, sive obstina<br />

cor populi huius, et aures eius aggrava, atque oculos eius obline, ne fortem videat oculis et c. Apud Ieremiam<br />

quoque magno in speciem zelo dicebat: templum domini, templum domini, templum domini, et tamen deus<br />

dicebat illis per eundem prophetam: Non habeatis fiduciam in verbis istis mendacibus. His similimi sunt, qui<br />

humanas constitutiones, veterum decreta, et inolitas consuetudines pluris faciunt, quam ipsa mandata dei,<br />

exco<strong>la</strong>ntes scilicet culicem, et gamentum glutienses. O perversum iudicium, et a Christiano pectore summopere<br />

arcendum. Et tamen qui eiusmodi sunt, audent dicere, se zelo dei moveri, etiam quando grassant et tyrannice<br />

saeviunt in proximi necem, ob vio<strong>la</strong>tam humanam constitutiuncu<strong>la</strong>m, cuius quidam observantia, nec tantillum<br />

meliorem reddit animum, aut eius provet salutem.”<br />

Inoltre, sul<strong>la</strong> inadeguatezza del<strong>la</strong> versione dei Settanta e sul giudizio positivo formu<strong>la</strong>to da Erasmo e<br />

dall’umanesimo europeo sul<strong>la</strong> funzione di correzione svolta dal<strong>la</strong> Vulgata rispetto ad essa, cfr. C. Asso, La<br />

teologia e <strong>la</strong> grammatica. La controversia tra Erasmo ed Edward Lee, Firenze, Olschki, 1993, in partico<strong>la</strong>re pp.<br />

60-62.<br />

198 Ivi, infatti: “Tali quoque zelo, aut potius invidia <strong>la</strong>borabant plurimi, divi Hieronymi temporibus, nullibi non<br />

insidias struentes viro sancto, non ob aliam causam quam quod opus pium et sanctum moliretur, nempe veteris<br />

instrumenti, synceriorem versionem. Videbat namque vir pius et doctus, Latinos vera et genuina legis atque<br />

prophetarum destitutos lecitone: nam Septuaginta interpretum aeditio, quae tunc ubique locorum recentissima<br />

erat, apud Graecos et Latinos, nedum perperam in plerisque locis versa fuit, verum et per scriptores atque<br />

sciolos plurimum corrupta, id quod et hodie facile patet conferenti aeditionem il<strong>la</strong>m iuxta Heb. Veritatem: ut<br />

interim taceam illos non admodum peritos fuisse Heb. Linguae, id quod vel inviti cogimur fateri, alioquin in<br />

plurimis locis non tamen foede <strong>la</strong>psi fuissent. Videbat inquam id Hiero, sicut et Aqui<strong>la</strong>, Symmachus, Thedotio,<br />

atque multi alji studiosi viri, et huiusmodi erroribus corrigendis animu adiecerunt, quisque pro virili sua:<br />

indignum rati, quod cum in omnibus rebus avesse debeat depravatio, sacri codices impuritatem admixtam<br />

haberent, qui tamen in primis illustrandi et extergendi erant, atque in nitorem suum vindicandi. Nec tamen sic<br />

omnia ad vivum resecarunt, quin posteri semper aliquid adhuc emendandum deprehenderint. Nam qui Heb.<br />

Linguam vel mediocriter est doctus, facile videbit, interpretem nostrum, quicumque tandem is fuerit, interdum<br />

non satis ocu<strong>la</strong>tum fuisse. Sensit id Nico<strong>la</strong>us Lyranus, Paulus Burgensis, Ioannes Reuchlinus, Santes Pagninus,<br />

Martinus Lutherus, et Augustinus Steuchus, etiamsi is plerumque se vidisse dissimulet .”<br />

199 Ivi : “Sed et Iudaei nostram in nonullis locis irrident aeditionem, dicentes eam Heb. Veritati non per omnia<br />

et ad amussim respondere. Advertimus et nos iam a vigenti annis, a tempore quod sub Conrado Pellicano<br />

fedelissimo praeceptore nostro hebraicari coepimus, <strong>la</strong>bes quasdam intolerabiles irrepsisse, non tam interpretis<br />

culpa quam scriptorum vitio. Et certe non est perpetuo ad haec conivendum. Quanquam verear, ne si quis<br />

diligentius il<strong>la</strong> conetur emendare, sicuti omnes pro domini verbo ze<strong>la</strong>re tenemur, totus contra illum commoveant<br />

orbis, excitentur tragoediae, c<strong>la</strong>ment omnes, vociferent, ingemiscant, et nemo moribus et vita tam alienus sit a<br />

Cristo, qui hic non ostentet se zelu gerere pro verbo domini, etiam si nunquam opere et veritate illud implere<br />

studuit. Qua in re si cum talibus expostu<strong>la</strong>re coeperimus, quaerentes quanam ratione sic insaniant, nihil habent<br />

34


dell’umanesimo filologico e punto di riferimento delle fatiche del Muenster. Erasmo, infatti,<br />

giganteggia nel<strong>la</strong> praefatio munsteriana per <strong>la</strong> lotta sostenuta contro gli errori del<strong>la</strong> Vulgata ed<br />

i difensori del<strong>la</strong> mendace tradizione del<strong>la</strong> Chiesa cattolica, gli “Sycophantorum” 200 .<br />

È un Erasmo certamente percepito secondo le potenzialità radicali del<strong>la</strong> sua versione del<br />

Nuovo Testamento e associato evidentemente dal Muenster alle istanze protestanti. Un<br />

Erasmo <strong>la</strong>rgamente interpretato secondo queste coordinate anche in Italia e tra gli altri proprio<br />

da Agostino Steuco da un <strong>la</strong>to convinto assertore dell’umanesimo di cui coglie le grandi<br />

potenzialità di penetrazione e diffusione popo<strong>la</strong>re, dall’altro timoroso delle imprevedibili<br />

conseguenze sociali del<strong>la</strong> nuova cultura 201 . Steuco appunto giudicato in modo ambivalente dal<br />

Muenster come conferma anche nel<strong>la</strong> prefazione al testo che segue <strong>la</strong> lettera al lettore 202 . Qui,<br />

infatti, il dotto ebraista, da un <strong>la</strong>to condivide i rilievi mossi dallo Steuco al<strong>la</strong> Vulgata di San<br />

Giro<strong>la</strong>mo, dall’altro denuncia le sue profonde <strong>la</strong>cune in fatto di conoscenza dell’ebraico 203 .<br />

Senza trascurare probabilmente che tra i Sycophantorum il Muenster comprenda il<br />

personaggio simbolo del<strong>la</strong> lotta condotta a Lovanio contro le istanze filologiche propugnate<br />

da Erasmo erasmiano con <strong>la</strong> fondazione del Collegium Trilingue: Edward Lee 204 .<br />

Muenster del resto è legato all’esperienza ed al metodo del Collegium Trilingue chiaramente<br />

strutturato dal procedimento filologico erasmiano, come documenta oltre a questa prefazione<br />

l’inclusione di molte delle sue opere a cominciare dal<strong>la</strong> Hebraica Biblia, poi utilizzate dal<br />

Giambul<strong>la</strong>ri nel Gello, nel programma di Studia humanitatis condotto dal Collegium per<br />

raggiungere una piena conoscenza del<strong>la</strong> lingua ebraica quale indispensabile strumento per<br />

l’acquisizione del pieno ed autentico significato dei Testi Sacri 205 . L’impegno munsteriano si<br />

quod respondeant, nisi quod per veteres communis il<strong>la</strong> aeditio sit probata. Tanta est enim vetustatis consuetudo,<br />

ut divi Hieronymi utar verbis, ut etiam consessa plerisque vitia p<strong>la</strong>ceant. ”<br />

200 Ivi, leggiamo: “Tanta est enim vetustatis consuetudo, ut divi Hieronymi utar verbis, ut etiam consessa<br />

plerisque vitia p<strong>la</strong>ceant. Nemo non novit, quantus tumultus superioribus annis excitatus fuerit contra Erasmus,<br />

quod corriere ausus fuerit, sic enim illi loquunt, sanctum Evangelium, et vio<strong>la</strong>re rem tam sanctam. Idem mihi<br />

eventurum scio, multorum calumnias haud oscure praevidens, qui in hoc theatrum ingiedi praesumpserim, et<br />

veteris testamenti novam tentarim versionem: etiamsi sciam me huius viri comparatione nihil esse. Sed so<strong>la</strong>t me<br />

id interim, quod sciam viros bonos et pios nihil agere absque iudicio. Sycophantarum est, nedum quae non<br />

legerunt damnare, verum et quae bene dicunt reprehendere. So<strong>la</strong>t etiam me conscientia mea, quod non in<br />

gloriam meam et veterum reprehensionem, quibus etiam maximadebemus gratiam, postquam id egerunt, quod<br />

preastare potuerunt, praesertim in tantalibrorum penuria, hunc subierim <strong>la</strong>borem, et quod aliud non<br />

deprompserim, quam quod Heb. Textum habere deprehendi, testibus Rabinorum commentarijs. ”.<br />

201 Sul radicalismo del<strong>la</strong> stessa lezione erasmiana e del<strong>la</strong> sua edizione del Nuovo Testamento del 1516, cfr. A.<br />

Aubert, Itinerari del<strong>la</strong> consapevolezza. Un progetto di ricerche ed una col<strong>la</strong>na di studi sul<strong>la</strong> crisi religiosa del<br />

Cinquecento, in “Archivio Storico Italiano”, CLIX, 2001, in partico<strong>la</strong>re, pp. 625-636. Sul<strong>la</strong> percezione in Italia<br />

di Erasmo secondo il binomio composto da Lutero si rinvia a Seidel Menchi, Erasmo in Italia, cit., in partico<strong>la</strong>re<br />

capitolo II, Erasmo luterano: una costruzione del<strong>la</strong> teologia italiana fra il 1520 ed il 1535, pp. 41-72 e con<br />

riguardo ad Agostino Steuco soprattutto pp. 54-55.<br />

202 Praefatio Sebast. Muensteri in vetum testamentum in Hebraica Biblia, cit., Tomo I, cit..<br />

203 Ivi: “Omitto alia loca quamplurima, in quibus inscitiam suam, quantum attinet ad Hebraeam linguam tam<br />

aperte prodidit, ut mirer quomodo in ea re ausus fuerit sibi tantam arrogare autoritatem, cui tam arcta in hac<br />

lingua fuit cognitio. Deinde quando dicit, inter aeditionem nostram et Hebraicam veritatem fere nul<strong>la</strong>m esse<br />

differentiam, imo aeditionem nostram absolutissimam: rursus miror hominem, quod sibi ipsitam parum constet,<br />

qui super pentateuchus in pluribus quam sexcentis locis carpit Hieronymum, quem vulgatae aeditionis asserit<br />

autorem.”<br />

204 Sul<strong>la</strong> disputa si rinvia a C. Asso, La teologia e <strong>la</strong> grammatica, cit. e A. Aubert, Itinerari del<strong>la</strong><br />

consapevolezza, cit..<br />

205 Sul<strong>la</strong> nascita e sul<strong>la</strong> <strong>storia</strong> del Collegium Trilingue rinviamo a Henry de Vocht, History of the Foundation<br />

and Rise of the Collegium Trilingue Lovaniense, Louvain, Librarie Universitaire, 1951-1955, 4 voll. e Storia<br />

d’Italia, Annali, voll. I-XIX, Torino, Einaudi, 1978-2003, vol. XI, Gli ebrei in Italia, parte <strong>prima</strong>, 1996, al<strong>la</strong> voce<br />

di E. Garin, L’Umanesimo italiano e <strong>la</strong> cultura ebraica, pp. 359-384, in partico<strong>la</strong>re p. 363. Inoltre sull’inclusione<br />

delle opere munsteriane tra i testi adottati al Collegium Trilingue vedi in AA. VV., L’Humanisme Allemand<br />

1480-1540. Actes du XVIII colloque international de Tours, Paris, Vrin, 1979, Pierre Aquilon, Appendice.<br />

Catalogue de l’exposition organisée a <strong>la</strong> bibliothèque municipale d’Orléans le 15 juillet 1975, pp. 607-676, in<br />

partico<strong>la</strong>re l’elenco :Le Collège Trilingue : manuels et éditions de textes l’hébreu (27-32), pp. 648-650 e sul<strong>la</strong><br />

Hebraica Biblia, cit., pp. 613 e 650.<br />

35


inquadra nel<strong>la</strong> generale ripresa degli studi ebraici inaugurata dall’umanesimo tedesco a inizio<br />

Cinquecento appunto dai suoi maestri Pellikan, Reuchlin e Elias Levita primo artefice di<br />

questa riscoperta del<strong>la</strong> lingua ebraica da parte dell’umanesimo tedesco e capace di esercitare<br />

una profonda influenza sull’esperienza del Collegium 206 . Una riscoperta, fortemente<br />

incentivata e caratterizzata, nello schieramento protestante, dal<strong>la</strong> tendenza a giovarsi<br />

dell’esegesi ebraica e del materiale antiquario offerto dal<strong>la</strong> letteratura rabbinica 207 .<br />

Non dimentichiamo poi in questa direzione filoerasmiana come <strong>la</strong> grammatica delle Regole<br />

del<strong>la</strong> lingua fiorentina del Giambul<strong>la</strong>ri mostri un fortissimo debito filologico nei confronti<br />

Del De emendata structura Latini sermonis… dell’erasmiano inglese Tommaso Linacrio che<br />

Giambul<strong>la</strong>ri consulta e utilizza riproducendone passaggi letterali e impostazione per ben<br />

cinque dei sette libri in cui divide <strong>la</strong> sua grammatica, traendoli da un’edizione anteriore il<br />

1543 ma posteriore al 1538, come indica I<strong>la</strong>ria Bonomi. Probabilmente, visto che <strong>la</strong> <strong>prima</strong><br />

edizione italiana del<strong>la</strong> grammatica del Linacrio è del 1557, ed il testo viene pressoché<br />

ignorato in Inghilterra, mentre beneficia di molte edizioni francesi e tedesche 208 , Giambul<strong>la</strong>ri<br />

consulta l’edizione lionese del 1541 curata da Me<strong>la</strong>ntone come del resto <strong>la</strong> successiva del<br />

1544, entrambe stampate dai torchi di Sebastian Grifo 209 . Grammatica cui lo stesso Postel<br />

riserva nel suo linguarum…del 1538, ben noto al Giambul<strong>la</strong>ri, un giudizio estremamente<br />

positivo. 210<br />

Pertanto, proprio in virtù delle tracce ireniche ed erasmiane già ravvisate peraltro nelle<br />

coeve lezioni dantesche del canonico <strong>la</strong>urenziano ci sembra opportuno analizzare e ponderare<br />

l’effettiva consistenza dell’influenza muensteriana nel Gello ripercorrendo i singoli passi in<br />

cui essa si rileva.<br />

Il Giambul<strong>la</strong>ri che nel<strong>la</strong> finzione dialogica in questa <strong>prima</strong> parte è ce<strong>la</strong>to sotto le vesti del<br />

Gello, ricorre fin dalle prime pagine del suo trattattello al<strong>la</strong> Hebraica Biblia, per fugare le<br />

perplessità esposte da Messer Curzio sull’effettiva durata di otto o novecento anni del<strong>la</strong> vita<br />

degli uomini vissuti <strong>prima</strong> del diluvio universale, risponde:<br />

“Ma che <strong>la</strong> vita loro fosse pur tanta, non so<strong>la</strong>mente si testifica per que’ tanti autori gentili<br />

che Iosefo adduce nel primo delle antichità. Ma <strong>la</strong> ragione ancora ce <strong>la</strong> insegna e Mosè<br />

stesso nel Genesi chiaramente ce lo dimostra. Conciosia che quanto al<strong>la</strong> ragione, <strong>la</strong> necessità<br />

di riempire il mondo; il bisogno di trovare le scienze e l’arti, che tutte nacquero di esperienza<br />

ricercavano vita lunghissima. Oltra che <strong>la</strong> gagliarda complessione di corpi si grandi, per se<br />

medesima gli conservava lungamente. Perché essendo tutti Giganti, cioè di statura senza<br />

comparatione maggiore che <strong>la</strong> nostra: tale era <strong>la</strong> quantità del<strong>la</strong> vita, quale il vigore e <strong>la</strong> forza<br />

206 Ivi, sull’influenza esercitata da Elias Levita, in partico<strong>la</strong>re su Sebastian Muenster vedi vol. II, The<br />

Development, pp. 118-122 e ancora ivi, vol. III, The Full Growth, pp. 160-162 a proposito dell’insegnamento di<br />

John Von Campen sul<strong>la</strong> carriera ivi , vedi anche pp. 158-160 e 163-208.<br />

207 Storia d’Italia, cit., Annali, cit., nel<strong>la</strong> voce di Fausto Parente, La Chiesa e il Talmud, pp. 521-644, in<br />

partico<strong>la</strong>re pp. 620-624.<br />

208 In proposito rinviamo a I<strong>la</strong>ria Bonomi, Introduzione, cit., a Regole del<strong>la</strong> lingua fiorentina, cit., pp.<br />

XXXVIII-XXXIX. Inoltre sul<strong>la</strong> considerazione di cui gode il Linacrio in ambito francese e tedesco vedi P.<br />

Aquilon, La réception de l’Humanisme allemand a Paris in L’Humanisme Allemand, cit., pp. 45-80, in<br />

partico<strong>la</strong>re pp. 51 e 57.<br />

209 Thomae Linacri Britanni De emendata structura Latini sermonis libri sex. Cum Indice copiosissimo in<br />

eosdem, Seb. Gryphium excudebat, Lugduni, 1541. Sul Gryphius si rinvia a U. Rozzo, La cultura italiana nelle<br />

edizioni lionesi di Sébastiene Gryphe 1531-1541, in “LA Bibliofilia”, 1988, disp. II, pp. 161-195, inoltre sul<strong>la</strong><br />

sua attività cfr. Peter G. Bietenholz, Basle and France in the Sixteenth Century. The Basle Humanists and<br />

Printers in their Contact with Francophone Culture, Genève, Droz, 1971, ad indicem.<br />

210 Linguarum duodecim characteribus differentium Alphabetum, introductio ac legendi modus longe<br />

facilimus. Linguarum nomina sequens proxime pagel<strong>la</strong> offeret, Guillielmi Postelli, Barentonii diligentia, Prostant<br />

Parisiis apud Dionysium Lescuier 1538, quando nel paragrafo intito<strong>la</strong>to Diviso Literarum Postel dice in termini<br />

elogiativi (pagine non numerate) “Syntaxim praec<strong>la</strong>rissima tradidit Thomas Linacrer Anglus. Tres orationis<br />

partes inflexionem syntaximn et quantitatem sub compendio apud Me<strong>la</strong>nchtonem reperies” .<br />

36


del corpo. Havevano ancora il ciel più benigno, <strong>la</strong> terra più sana, per non essere venuto il<br />

Diluvio; e cibavansi moderatamente il che prolunga molto <strong>la</strong> vita.” 211<br />

Passo che appare abbastanza vicino ai punti del VI capitolo del<strong>la</strong> Genesi dell’edizione<br />

muensteriana del<strong>la</strong> Bibbia concernenti <strong>la</strong> moltiplicazione del<strong>la</strong> popo<strong>la</strong>zione terrestre ed i<br />

Giganti:<br />

”Et factum est, quod coepit homo multiplicari in superficie terre[…]Gigantes vero fuerunt<br />

in terra in diebus illis…” 212<br />

Tuttavia, <strong>la</strong> vera e propria dipendenza dal<strong>la</strong> traduzione munsteriana si evince dal<strong>la</strong><br />

successiva spiegazione di Mosè, riferita dal Gello, attraverso <strong>la</strong> riproposizione volgarizzata di<br />

diversi passi muensteriani tratti in primo luogo dall’inizio del settimo capitolo del<strong>la</strong> Genesi a<br />

proposito del<strong>la</strong> collocazione temporale del diluvio universale in re<strong>la</strong>zione all’età del Noè<br />

biblico muensteriano:<br />

Gello: “Scrive Mosè nel Genesi al settimo<br />

capo…che il principio del Diluvio fu l’anno<br />

secentesimo del<strong>la</strong> vita di Noè, e <strong>la</strong> fine di<br />

quello nel secentesimo primo.” 213<br />

“Et erat Noah filius sexcentorum annorum: et<br />

diluvium acquorum fuit super terram…” 214<br />

E dal<strong>la</strong> dimostrazione dell’equivalenza degli anni prediluviani e di quelli contemporanei,<br />

effettuata dal Gello pur precisando che <strong>la</strong> maniera ebraica di computare un anno è partico<strong>la</strong>re<br />

e non univoca, sul<strong>la</strong> base di un’altra opera del Muenster, il Kalendarium Hebraicum 215 :<br />

211 Gello, cit., passo cit. a p. 8a.<br />

212 Biblia Hebraica, cit., vol. I, p. 5a5.<br />

213 Vedi nota 212.<br />

214 Biblia Hebraica, cit., passo cit., p. 6a6.<br />

215 Kalendarium Hebraicum [Sebastiani Muensterii opera], ex Hebraeorum penetralibus iam recens in lucem<br />

aeditum: quod non tam hebraicae studiosis quam historiographis et astronomiae peritus subsernire poterit,<br />

Basileae, apud J. Frobenium, 1527; inoltre vedi P. Aquilon, Catalogue, cit., pp. 612 e 649.<br />

37


Gello: “Et però aderite, che se bene gli anni<br />

sono di più sorti in diversi luoghi e di<br />

quantità diversissima; gli Hebrei gli anno di<br />

XII Lune, con alcuni giorni di più, che<br />

adattati alle regole loro, ragguagliano con<br />

l’anno so<strong>la</strong>re, ma non sempre in un modo<br />

medesimo; secondo ch’io ho ritratto dagli<br />

scritti <strong>la</strong>tini del Munstero Sopra il calendario<br />

degli Hebrei. Perciò che l’anno appresso di<br />

loro è di due sorti, Embolismico e Commune:<br />

e chiamano Embolismico quello che avanza e<br />

trascende l’anno comune d’ un mese intero.<br />

Et questo comune non è anche sempre a un<br />

modo: ma è di tre maniere; cioè pieno,<br />

mezzano e scemo. Le quali differentie…non<br />

sono però necessarie al nostro discorso.<br />

Perché io per esser inteso meglio, non voglio<br />

ragionare se non secondo l’anno commune<br />

pieno, che è di giorni CCCLV, cioè di XII<br />

mesi lunari: sette de’ quali hanno giorni XXX,<br />

e cinque XXIX: come da voi stesso potete<br />

vedere nel luogo predetto.” 216<br />

Kalendarium : “Longe alia ratione Hebraei<br />

suos computant annos et menses quam Latini.<br />

Nam habent annos et menses lunares, non<br />

so<strong>la</strong>res, ut <strong>la</strong>tini…Habent igitur Hebraei<br />

duplicem annum, videlicet communem…id est,<br />

annus p<strong>la</strong>nus et simplex : et embolismicus…id<br />

est, annus transitus habens, seu potius<br />

transcensum. Nam transcendit annum<br />

communem uno mense. Unde primus annus<br />

constat 12…mensibus: Secundus tredecim.<br />

” 217<br />

Distinzioni che comunque non impediscono al Gello <strong>la</strong> possibilità di sostenere <strong>la</strong> sostanziale<br />

vicinanza tra anno so<strong>la</strong>re e anno ebraico, che può ritornare alle vicende del Noè muensteriano<br />

in totale conformità ai capitoli settimo e ottavo del<strong>la</strong> Genesi del<strong>la</strong> Hebraica Biblia utilizzata<br />

per fugare i residuali dubbi del Curzio:<br />

216 Gello, cit., pp. 8a-9b.<br />

217 Kalendarium Hebraicum, cit., passo riportato a p. 42g1.<br />

38


Gello: “Dice dunque Mosè così. Nell’anno<br />

secentesimo del<strong>la</strong> vita di Noè, il<br />

diciassettesimo dì del secondo mese, si<br />

ruppero tutte le fonti dello abisso, e si<br />

apersero le cateratte del cielo e piovve<br />

quaranta di e quaranta notti sopra <strong>la</strong> terra.<br />

Et nel capo seguente, cioè nel ottavo<br />

soggiunse poi queste parole. Ricordatosi il<br />

Signore di Noè, e di tutti gli animali e<br />

giumenti che erano con lui nell’Arca, indusse<br />

il vento sopra <strong>la</strong> Terra, fermò <strong>la</strong> pioggia; e<br />

furono chiuse le fonti dello abisso e le<br />

cateratte del cielo. Et cominciarono l’acque a<br />

diminuirsi dopo cento cinquanta giorni.<br />

Posassi poi l’Arca ne’ monti di Armenia il<br />

venzettesmo di del settimo mese: ma l’acque<br />

andarono mancando infino al decimo mese.<br />

Et il di primo del mese decimo, apparirono le<br />

cime de’ monti. Dopo XXXX giorni poi<br />

aprendo Noè <strong>la</strong> finestrel<strong>la</strong>, che egli haveva<br />

fatto al<strong>la</strong> Arca, mandò fuori il Corbo: e tutto<br />

quel che seguita appresso, fin’ dove e dice.<br />

Dunque nel secentesimo primo anno di Noè, e<br />

il primo di del mese mancaron l’acque di su<br />

<strong>la</strong> Terra: et levò Noè il coperchio del<strong>la</strong> Arca,<br />

e vide rasciuttto il suolo del<strong>la</strong> Terra. Et il<br />

venzettesimo giorno del secondo mese fu <strong>la</strong><br />

terra secca per tutto. ” 218<br />

capitoli VII e VIII del<strong>la</strong> Genesi del<strong>la</strong><br />

Hebraica Biblia: “In anno sexcentesimo vite<br />

Noah, in mense secondo, decimaseptima die<br />

mensis, in ipsa die rupti sunt omnes fontes<br />

abissi, magnae; et fenestrae caeli apertae<br />

sunt. Et fuit pluvia super Terram quadraginta<br />

diebus et quadraginta noctibus. 219 […] Et<br />

recodatus est deus ipsius Noah et cuncti<br />

animantis, omnisque iumenti que erant secum<br />

in arca: et fecit transige deus ventum super<br />

terram, coelo. Et reversae sunt aquae de<br />

Terra, eundo et redeundo : imminutaeque<br />

sunt aquae a fine quinquagesimi et centesimi<br />

diei. Et requievit arca in mense septimo, in<br />

decimaseptima die mensis super montes<br />

Armeniae. Et aquae quidam erant euntes et<br />

decrescentes usque ad mensem decimum: in<br />

decimo <strong>prima</strong>que illus mensis, visa sunt<br />

cacumina montium. Factumque est a fine<br />

quadragesimi diei, et aperuit Noah finestram<br />

arcae quam fecerat. Et emisit corvuum […]<br />

Factumque est in primo et sexcentesimo anno,<br />

in primo et in <strong>prima</strong> illius mensis, exiccatae<br />

sunt aquae de Terra : et amovit Noah<br />

operculum arcae, viditque, et ecce exiccata<br />

erat superficies humi. Porrò in mense<br />

secundo, in vigesimaseptima die mensis<br />

exaruit Terra.” 220<br />

Il Gello pertanto, in base alle precedenti asserzioni, conclude: “Potendo voi primieramente<br />

vedere un anno intero dal 600 al 601; composto di XII mesi: de quali nominatamente vi sono,<br />

il primo, il settimo e il decimo: con quelle tante decine di giorni che seguono appresso: et i<br />

mesi anchora di XXX giorni trovandovisi partico<strong>la</strong>rmente nominato il primo, il<br />

diciassettesimo, e il venzettesimo del mese.” 221<br />

Tuttavia, Messer Curzio non pago delle sue dimostrazioni, gli domanda quali mesi Mosè<br />

chiami “secondi, settimi e decimi…”. Il Gello, allora si avvale nuovamente di uno specifico<br />

passo del Kalendarium:<br />

“Lunga è stata…ed è anchora <strong>la</strong> disputa tra<br />

gli Hebrei stessi, non che tra i nostri dove sia<br />

il principio dell’anno. Benché tutti dichino<br />

nello Equinottio. Perchè altri lo pigliano<br />

dal<strong>la</strong> <strong>prima</strong>vera secondo l’ordine che pose<br />

Mosè nello uscire de lo Egitto, e altri da<br />

l’Autunno: et ciascuno certamente con gran<br />

218 Gello, cit., p. 9b.<br />

219 Hebraica Biblia, cit., Genesi capitolo VII, passo a pp. 6a6-7b1.<br />

220 Ivi, Genesi capitolo VIII, passi riportati a p. 7b1.<br />

221 Gello, cit., pp. 9b1-10b1.<br />

222 Ivi, p. 10b1.<br />

“Proinde incipiunt annum suum a principio<br />

mensis Tisri, qui scilicet autumnali<br />

aequinoctio proximior est. Nam maior pars<br />

eorum putant mundum a deo creato in illo<br />

aequinoctio. Sed Moses Legisaltor, dum<br />

profisciscerenteur filij Iisrael de Aegypto,<br />

iussit mensem Nisan qui circa vernum cadit<br />

39


agioni .” 222 aequinoctium, primum appel<strong>la</strong>ri, quod in eo<br />

evassissent Aegyptiacam servitutem.” 223<br />

Considerazione che forse richiama indirettamente anche una delle note che si trovano al<strong>la</strong><br />

fine di ogni capitolo del<strong>la</strong> Hebraica Biblia a chiarimento e approfondimento di partico<strong>la</strong>ri<br />

termini ed elementi biblici, specificamente <strong>la</strong> c posta in calce al capitolo VII del<strong>la</strong> Genesi e<br />

concernente l’espressione “mense secondo” e le due modalità ebraiche di computare l’inizio<br />

dell’anno:<br />

“Dubium est apud Hebreos, num is mensis sit Marhesuan vel I<strong>la</strong>r. Nam statuunt duplex<br />

initium anni. In rebus prophanis inchoant annum a novilunio propinquiori equinoctio<br />

autunnali: et vocantur primus mensis Tisri, secundus Marhesuan, tertius Kislef et c.<br />

Pro Sacris vero exordiuntur annum ab incensione que vicinior et aequinoctio vernali, et<br />

vocatur primis mensis Nisan, secundus Itar, tertius Sivam et c.” 224<br />

Comunque il Gello, nonostante <strong>la</strong> persistente controversia a proposito dell’inizio dell’anno<br />

in atto con il Curzio, assegna <strong>la</strong> sua preferenza al<strong>la</strong> prospettiva profana, peraltro supportata,<br />

anch’essa da evidenti riferimenti ancora al<strong>la</strong> Hebraica Biblia e al Kalendarium:<br />

“Ma pure <strong>la</strong> comune opinione degli Hebrei e<br />

che e fia nello Autunno: essendo scritto nello<br />

Esodo al XXIII dove si comandono le tre<br />

solennità che ogni anno si debbono fare, et <strong>la</strong><br />

festa del<strong>la</strong> ricolta che è nel<strong>la</strong> fine dello anno,<br />

quando tu harai ragunato tutti i frutti del<br />

campo tuo.”<br />

“Chiamano dunque principio dello anno il<br />

mese di Tisri, che comincia il quinto dì del<br />

nostro settembre: e da quello contano i<br />

Giubilei e lo anno settimo: nel quale non è<br />

lecito seminare, ne ricorre, come aperto<br />

narra <strong>la</strong> Bibbia.” 226<br />

223 Kalendarium Hebraicum, cit., passo cit. a p. 43g2.<br />

224 Hebraica Biblia, cit., p. 7b1.<br />

capitolo XXIII Esodo: “Tribus vicibus<br />

celebrabis mihi festum in anno. Solemnitate<br />

azimorum custodies: septem diebus comedes<br />

azyma, quem admodum praecepi tibi, ideque<br />

tempore mensibus, quo maturescunt fruges: in<br />

illo enim egressi estis de Aegypto: et no<br />

videbunt facies meae inanes. Et festum messis<br />

primitivorum operis tui que seminaveris per<br />

annum (custodies) atque festum collectionis,<br />

quid est in exitu anni, cum collegeris opera<br />

tua de agro. Sex annis seminabis terram tuam<br />

et congregabis proventus eius. In septimo<br />

vero liberam dimittes atque deferas eam, ut<br />

comedant pauperes populi tui, et de residuo<br />

eorum comodante bestiae agri: sic quoque<br />

facies cum vinea tua et cum oliveto tuo.” 225<br />

Kalendarium: “Mensem igitur Tisri seu eius<br />

principium vocant…caput anni: ab eo<br />

deducunt temporum supputationes, et<br />

iubileum ac septimum annum deo dicatum ab<br />

eo incipiunt: ne si a Nisan inciperent, fructus<br />

quorum annorum perderent, quum messis<br />

anni sexti haberi non posset, nec seminari in<br />

anno septimo” 227<br />

40


Pertanto, conclude il Gello, rinviando per <strong>la</strong> collocazione cronologica dell’anno del diluvio<br />

rispetto al<strong>la</strong> creazione di Adamo ad un altro specifico punto dell’edizione munsteriana del<strong>la</strong><br />

Bibbia: “sicuramente possiamo dire che quel<strong>la</strong> vendicativa e mortifera pioggia cominciò il<br />

ventunesimo giorno di ottobre e secondo <strong>la</strong> testimonianza di Albumasar nel libro delle<br />

congiuntioni grandi, el<strong>la</strong> cominciò in venerdi sera, lo anno secondo Mosè 1656 da <strong>la</strong><br />

creatione di Adamo; come da voi stesso potete vedere, per gli anni de’ Padri scritti da Mosè<br />

nel quinto del Genesi. […] il di quinto di settembre si vide <strong>la</strong> terra tutta scoperta: et l’ultimo<br />

giorno di ottobre fu licentiado poi de l’Arca ogni uno. Questo è quanto io posso dirvi de lo<br />

anno Hebreo, de’l quale si serve Mosè, come avete udito di sopra et se io non vi dico<br />

partico<strong>la</strong>rmente i nomi di tutti i mesi, e <strong>la</strong> quantità di ciascuno: scusatemi per il non saper io<br />

quel<strong>la</strong> lingua; e per <strong>la</strong> difficoltà del<strong>la</strong> pronuntia loro: <strong>la</strong> quale (secondo il dire di Munster) è<br />

tutta caldea, imparata nel<strong>la</strong> Babilonica servitù: perché <strong>prima</strong> chiamavano i mesi da’l<br />

numero, e non da il nome; come avete potuto advertire nel testo del Genesi”. 228<br />

Una periodizzazione diluviana inoltre, che risulta perfettamente coincidente anche con<br />

quel<strong>la</strong> esposta nel Kalendarium Hebraicum nel quale leggiamo “Ab Adam usque ad diluvium<br />

anni mille sexcenti quinquaginta sex” 229 .<br />

Diversamente i mesi in cui si produce e si esaurisce progressivamente il diluvio, indicati nel<br />

Gello concordano con <strong>la</strong> nota a posta al margine del capitolo VIII del<strong>la</strong> Genesi muensteriana:<br />

Il settimo mese loro chiamato Nisan, che è di<br />

giorni XXX, comincia a di due di marzo e<br />

finisce lli XXXI. Per il che fe l’arca il XXVII<br />

di del settimo mese si posò ne’ monti di<br />

Armenia: sappiamo che ciò advenne il XXVII<br />

giorno di marzo. Il mese decimo che da loro è<br />

detto Tamun, comincia il XXX giorno del<br />

nostro maggio: e in tal di si scopersero le<br />

cime de monti, come di sopra disse Mosè, in<br />

caso però che quell’anno, fosse anno comune<br />

e pieno. De’l quale solo dissi voler par<strong>la</strong>re.<br />

Possiamo dunque conchiudere che <strong>la</strong> pioggia<br />

cominciata il ventunesimo giorno di ottobre,<br />

durò tutto il seguente Novembre senza mai<br />

restare: et che in capo a di cento cinquanta,<br />

che secondo l’anno predetto corrispondono al<br />

decimonono del nostro marzo, cominciarono<br />

a scemare l’aque: et che il trentesimo di<br />

maggio apparsero le cime de’ monti…” 230<br />

“Mense septimo. Qui scilicet est Sivan, si<br />

computer a Tisri. Et quamquam is sit octavus<br />

a Tifsri, tamen Scriptura hic numerat menses<br />

illos qui defluexerant ab eo tempore quo<br />

cohibita est pluvia, quod fuit in Kisleu.<br />

Decimo vero mense qui est…Iulio nostro et<br />

partim Augusto respondens, apparuerunt<br />

capita montium. Aben Esra ucro putat hunc<br />

decimum mensem fuisse…hoc est. Ianuarium,<br />

qui decimus fuit ab inizio diluvij. Et quod<br />

dicitur Noah aperuisse fenestram arcae post<br />

quadragesimum diem, intelligendum est<br />

postquam apparuerunt cacumina montium.<br />

Porrò montes Armeniae qui hoc<br />

comemorantur, apud Hebreos vocantur<br />

montes Ararabot. Onkelos vero chald.<br />

interpres vocat eos montes Cardu: qui<br />

fortasse sunt Montes Gordei, quos Ptolomeus<br />

in Armenia describit.“ 231<br />

Tuttavia, messer Curzio continua a contestare le affermazioni gelliane, sul<strong>la</strong> base delle<br />

stesse fonti presentate, Iosefo e Damasceno 232 , per negare l’unicità del diluvio universale e<br />

225 Hebraica Biblia, cit., vol. I, Esodo, cap. XXIII, pp. 73n1-74n2.<br />

226 Gello, cit., p. 10b1.<br />

227 Kalendarium Hebraicum, cit., passo cit. a p. 43g2.<br />

228 Gello, cit., pp. 10b1-11b2.<br />

229 Kalendarium Hebraicum, cit., passo cit., a p. 11c2.<br />

230 Gello, cit., pp. 10b1-11b2.<br />

231 Hebraica Biblia, cit., p. 8b2.<br />

232 Si tratta di F<strong>la</strong>vii Iosephi antiquitatum Iudaicarum libri XX ad vetera exemp<strong>la</strong>ria diligenter recogniti…,<br />

Vaeneunt Luteciae Aedibus Iacobi Izeruer sub signo geminorum Pullorum in via divi Iacobi, MDXXXV, che<br />

riguardo alle prove del passaggio in Armenia dell’Arca, (uno dei motivi del<strong>la</strong> contesa con il Curzio cfr. Gello,<br />

cit., pp. 11-12b2) a p. 7a4 dice: “Dicitur autem et navis eius quae in Armeniam venit, circa montem Chordieum<br />

41


sostenere lo svolgimento di numerosi diluvii nel corso del<strong>la</strong> <strong>storia</strong> umana, così da dimostrare<br />

l’impossibilità di sostenere <strong>la</strong> coincidenza storica delle figure di Noè e Ogigi Prisco Il Gello<br />

pertanto per ribattere questa argomentazione, chiama in aiuto, oltre allo stesso Iosefo, ancora<br />

il Muenster e non so<strong>la</strong>mente quello del<strong>la</strong> Hebraica Biblia 233 . Afferma infatti che “questo<br />

Ogigi Prisco sarà il medesimo che Noè: cognominato forse così dal verbo higid, che agli<br />

Aramei significa illustrare come nel Trilingue Munsteriano. Perché e illustrò egli il secol<br />

seguente di cio che era stato innanzi il diluvio; e de le Arti, e de le scientie: e fu illustre e<br />

celebratissimo in tutti i secoli da venire. La onde ben dice l’Annio, che e fu cognominato<br />

Ogigisan, cioè sacerdote sagro e illustre. Et che questo nome non sia greco, ma Arameo, lo<br />

mostra nel primo Iosefo, dicendo che Abraham habitò vicino ad Ebron, al <strong>la</strong>to del Leccio di<br />

Ogige. Il quale Ogige come pur adesso habbiamo mostrato è esso Noè, che anchora per<br />

sopranome fu chiamato Cielo e Iano…” 234 .<br />

Come vediamo, oltre all’utilizzazione di Annio da Viterbo, nonché di Iosefo 235 in direzione<br />

opposta all’impiego curziano, il Gello richiama un'altra opera munsteriana: il Dictionarium<br />

Trilingue del 1530 236 . Anche poco, del resto, Muenster risulta imprescindibile per asserire che<br />

Saturno sia figlio di Cielo e quindi di Noè che coincide con quest’ultimo. Di conseguenza<br />

Cam risulta essere figlio di Noè. Il Giambul<strong>la</strong>ri, tuttavia, ricorre anche ad altri autori pagani e<br />

c<strong>la</strong>ssici per dimostrare questa tesi, rifiutando invece possibili sostegni derivanti da Beroso 237 ,<br />

come accennato architrave invece delle posizioni aramaiche di Giambattista Gelli 238 . Dice,<br />

infatti, il canonico <strong>la</strong>urenziano che “Saturno… fosse figliuolo di Cielo, chiarissimamente lo<br />

mostrano tutti i poeti Greci e <strong>la</strong>tini […] Dimostralo medesimamente <strong>la</strong> scelerata impietà de’l<br />

castrar suo padre, come cantano tanti scrittori, e Mosè stesso nel nono del Genesi racconta;<br />

ma con parole più coperte.” 239<br />

Menzionate poi alcune notizie su Cam ricavate da Giovanni Lucido e Diodoro Siculo, il<br />

Gello ritorna all’episodio del<strong>la</strong> castrazione di Noè 240 sul<strong>la</strong> base del<strong>la</strong> versione muensteriana:<br />

“La onde, non senza cagione dice Mosè nel<br />

luogo predetto che svegliatosi Noè da’l vino,<br />

e intendendo cio che fatto gli haveva Cam suo<br />

minor figliuolo: maledicesse, non lui, ma<br />

Canaam figliuolo di quello: et lo fece schiavo<br />

di Sem et di Iafet.” 241<br />

“Et evigi<strong>la</strong>vit Noah a vino suo, et cognovit<br />

quae fecerat ei filius suus minor. Et ait:<br />

maledictus Chnaan, servus servorum erit<br />

fratribus suis. Dixitque : benedictus dominus<br />

deus Sem : et erit Chnaan illi in servum.” 242<br />

adhuc aliqua pars esse, et quosdam bitumen exinde tollere, quo maxime homines ad expiationes utuntur.” e a<br />

<strong>la</strong>to, in corrispondenza del precedente passaggio si legge “in Armenia Arca reliquas ostendi”. Inoltre, in<br />

proposito cfr. anche A. D’Alessandro, “Il Gello” di Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri mito e ideologia nel principato<br />

di Cosimo I, in La nascita del<strong>la</strong> Toscana. Dal Convegno di studi per il IV centenario del<strong>la</strong> morte di Cosimo I de’<br />

Medici, Firenze, Olschki, 1980, pp. 80-83.<br />

233 Gello, cit. pp. 11b2-12b2.<br />

234 Ivi, p.13b3.<br />

235 Antiquitatum Iudaicarum, cit., p. 13b1, dove leggiamo a conferma del fatto che Abramo abbia per un<br />

periodo abitato presso Ebron (in proposito cfr. Gello, cit., p. 13b3): “…ipse partem ab eo relictam, habitavit in<br />

civitate Ebron…”.<br />

236 S. Muensterii, Dictionarium Trilingue, Henricus Petrus Augusto, anno MDXXX, cfr. in partico<strong>la</strong>re p. 103.<br />

237 Gello, cit., pp. 13b3-14b3.<br />

238 In proposito rinviamo a P. Simoncelli, La lingua di Adamo, cit., pp. 35-36; cfr. inoltre A. D’Alessandro, “Il<br />

Gello”, cit., pp. 80-83.<br />

239 Gello, cit., p. 14b3.<br />

240 Ivi, pp. 14b3-15b4.<br />

241 Ivi, passo cit. a p. 15b4.<br />

242 Hebraica Biblia, cit., p. 8b2.<br />

42


Infine, ancora sul<strong>la</strong> figura di Cam-Saturno il Gello ripropone altri passaggi biblici<br />

munsteriani, dichiarando esplicitamente ad uno stupito Curzio, l’ispirazione talmudica delle<br />

sue citazioni scritturali 243 .<br />

“sempre da Mosè posto il secondo infra i tre<br />

primi figliuoli di Noè. Conciosia che e’dica<br />

nel VI del Genesi. Et generò Noè tre figliuoli,<br />

Sem, Cam e Iafet.” 244<br />

“Et nel VII. A <strong>la</strong> fine di quel giorno, entrò<br />

nell’Arca Noè, Sem, Cam, e Iafet suoi<br />

figliuoli, <strong>la</strong> moglie sua e le nuore.” 246<br />

“E nel principio del capo X. Queste sono le<br />

generationi de figliuoli di Noè, Sem, Cam,<br />

Iafet.” 248<br />

“Genuit vero Noah tres filios: Sem, Ham,<br />

Iapheth.” 245<br />

“Venitque Noah et filius eius et uxor eius et<br />

uxores filiorum eius secum ad arcam propter<br />

aquas diluvii.” 247<br />

“Haec sunt generationes filiorum Noah, Sem,<br />

Ham e Iapheth…” 249<br />

Il Gello, appagata <strong>la</strong> curiosità del Curzio sull’appel<strong>la</strong>tivo di Cielo attribuito a Noè, spiega il<br />

senso di un altro nominativo appartenente al personaggio biblico, quello di Iano, facendo<br />

propria <strong>la</strong> spiegazione esposta nel Trattattello dell’origine di Firenze dal Gelli secondo <strong>la</strong><br />

quale Iano in aramaico deriva “da Iain che…significa vino, e da No, che vuol dire<br />

famoso…cioè famoso e celebre per il vino: per esser’ egli stato il primo inventore di quello,<br />

come aperto narra Mosè nel sesto del Genesi: et il primo che insegnò coltivar le vigne in<br />

Italia…” 250 .<br />

In realtà, l’attribuzione dell’invenzione del vino a Noè nel<strong>la</strong> versione muensteriana si<br />

riscontra nel capitolo IX e non nel VI del<strong>la</strong> Genesi, dove è scritto:”Coepit Noah esse vir<br />

(cultor) terrae et p<strong>la</strong>ntavit vineam.” 251<br />

Tuttavia, il binomio Noè-Iano presupposto dell’identità di Noè con il Giano romano<br />

provoca le ulteriori obiezioni del Curzio che mette in dubbio <strong>la</strong> provenienza di Giano<br />

dall’Armenia, nonostante <strong>la</strong> precedente esplicazione linguistica sul<strong>la</strong> voce aramaica Iain.<br />

Allora, il Gello non potendosi avvalere di Lucido che si basa su Beroso 252 , per giustificare <strong>la</strong><br />

navigazione di Noè dal<strong>la</strong> “Mesopotamia, da gli Hebrei chiamata Aram: dove si moltiplicò<br />

<strong>prima</strong> <strong>la</strong> specie humana, in tanta abbondanza: che mestiero le fu di al<strong>la</strong>rgarsi negli altri<br />

paesi” al Lazio, ricorre ad Ateneo. Peraltro, subito dopo recupera lo stesso Lucido ma soltanto<br />

in quanto convergente con <strong>la</strong> logica del Noè biblico muensteriano, poiché colloca<br />

temporalmente <strong>la</strong> venuta noachica in Italia ”cento e otto anni dopo il diluvio<br />

generalissimo…” 253 .<br />

Risulta abbastanza evidente anche dall’impiego di Luciano, quanto rilevato dal<br />

D’Alessandro, sul<strong>la</strong> diversità del ruolo attribuito a Beroso, rispettivamente auctoritas<br />

imprescindibile nel De Etruriae postelliano dove integra e chiarisce l’autentico significato<br />

delle Sacre Scritture, utilizzato soltanto quando non contraddice il testo biblico munsteriano<br />

nel Gello 254 .<br />

243 Gello, cit., p. 15b4.<br />

244 Ibidem.<br />

245 Hebraica Biblia, cit., p. 6a6.<br />

246 Vedi nota 243.<br />

247 Ivi, p. 6a6.<br />

248 Gello, cit., p. 15b4.<br />

249 Hebraica Biblia, cit., p. 9b3.<br />

250 Gello, cit., p. 16b4.<br />

251 Hebraica Biblia, cit., p. 8b2.<br />

252 Gello, cit., pp. 17c1-18c1.<br />

253 Gello, pp. 17c1-18c1; inoltre sulle fonti in questione e sul loro utilizzo cfr. P. Simoncelli, La lingua di<br />

Adamo, cit., pp. 37-38, in partico<strong>la</strong>re su Ateneo ivi vedi nota n. 64.<br />

254 A. D’Alessandro, La scoperta di un passo di Ateneo, cit., pp. 270-279.<br />

43


Nel mirino del Giambul<strong>la</strong>ri cade poi anche Macrobio, il quale difformemente dal<strong>la</strong> Bibbia<br />

ritiene le due faccie del<strong>la</strong> medaglia del Giano bifronte, allusive del<strong>la</strong> prudenza di Noè mentre<br />

in realtà: “e volti del<strong>la</strong> sua impronta, significano che e vide il secolo dinanzi al diluvio; e<br />

hebbe verissima e piena cognizione di cio che era stato avanti a quello : e che e vide <strong>la</strong> nuova<br />

successione de gli uomini dopo il diluvio. Il che volendo che noi intendessimo chi primo fece<br />

quel<strong>la</strong> medaglia, vi aggiunse per rovescio <strong>la</strong> nave; cioè l’Arca stessa, dove egli salvò se<br />

medesimo, e noi come narrano le historie sante.” 255<br />

Del resto, anche in un’altra circostanza questa fonte si rive<strong>la</strong> inattendibile, quando<br />

attribuisce <strong>la</strong> nave del viaggio in Italia a Saturno Cretese, personaggio da cui sarebbe derivato<br />

il nome di Saturnia, perché ignaro del<strong>la</strong> “verità del<strong>la</strong> hi<strong>storia</strong>, che era solo appresso gli<br />

Hebrei”, e con lui Ovidio 256 . In realtà, il personaggio in questione, corrisponde al figlio di<br />

colui che Mosè chiama “Cus figliuolo di Cam, figliuolo di Noè: il quale Noè, o volete dirlo<br />

Iano, e benignamente lo ricevette; et lo fece signore di<strong>la</strong> dal Tevere di tutti que popoli, che<br />

dipoi si chiamaron Lazio.” 257 Si tratta di Sabazio, figliuolo di Cus, indicato nel<strong>la</strong> bibbia<br />

munsteriana al capitolo X del<strong>la</strong> Genesi come Sabtha 258 . Pertanto, il Gello conclude che “<strong>la</strong><br />

Italia è chiamata Saturnia, da Saturno Caspio che venne a Iano: et non dal Cretese, che<br />

comiciò a regnare CCCCLV anni dopo <strong>la</strong> morte di esso Iano.” 259<br />

Acc<strong>la</strong>rato il viaggio di Noè-Giano e di Sabazio in Italia, Curzio interroga il Gello riguardo<br />

al<strong>la</strong> successione dei re d’Italia da Iano fino ad Ercole. Il Gello, cita nuovamente tra le sue<br />

fonti: il Lucido e l’Annio. Sul<strong>la</strong> veridicità dei commenti di quest’ultimo, tuttavia, emergono<br />

ulteriori malce<strong>la</strong>te riserve, e <strong>la</strong> posizione gelliana appare estremamente cauta e prudente: “ma<br />

comunque…di tutta <strong>la</strong> hi<strong>storia</strong> ch’io dirò tra <strong>la</strong> venuta di Iano e quel<strong>la</strong> d’Ercole suo<br />

bisnipote, rimanga pure ogni credito appresso di chi <strong>la</strong> scrive: ch’io per me non ci voglio né<br />

honore, ne biasimo alcuno.” 260<br />

Diversamente riguardo agli umbri, primi abitanti del<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong>, il Gello propone <strong>la</strong><br />

tripartizione berosiana fondata sull’area di provenienza e su quel<strong>la</strong> di stanziamento 261 ,<br />

sostenendo poi che gli umbri “discesero da gli antichi Galli” i quali “non sono i Francesi, ma<br />

sono quegli stessi padri che si salvarono da’l diluvio. Dicendo l’Annio che i Galli sono così<br />

chiamati con antichissima voce Etrusca, Aramea, et Hebrea…” 262 . Inoltre, sulle origini degli<br />

umbri, il Giambul<strong>la</strong>ri offre ulteriori delucidazioni rifacendosi al dotto ebraista domenicano<br />

Santi Pagnini e richiamando un passo del libro di Isaia del<strong>la</strong> Hebraica Biblia, rispondendo<br />

che “Gal, come veder si può in Santi Pagnino 263 , significa l’onda marina, per lo aggiramento<br />

del moto suo: e Galim nel plurale, l’onde; dicendosi<br />

nel XXXXVIII d’Isaia, e <strong>la</strong> giustizia tua che<br />

Galim cioè come l’onde marine.” 264<br />

“tunc fuisset quasi fluvius pax tua, et iustitia<br />

tua sicut fluctus maris.” 265<br />

255 Gello, cit., pp. 18c1-19c2.<br />

256 Ivi, p. 19c2; inoltre sulle fonti in questione cfr. A. D’Alessandro, Il “Gello”, cit., p. 84.<br />

257 Gello, cit., p. 20c2.<br />

258 Hebraica Biblia, cit., p. 9b3.<br />

259 Gello, cit., p. 23c4.<br />

260 Ivi, p. 27d2.<br />

261 Ivi, pp. 27-28d2.<br />

262 Ivi, pp. 27d2-28d2.<br />

263 Biblia, <strong>la</strong>tino. 1528. Pagnini. Biblia. Habes in hoc libro utriusque Instrumenti novam tra<strong>la</strong>tionem aeditam a<br />

Sancte Pagnino, [Lugduni, per A. du Ry, 1527] nel<strong>la</strong> quale leggiamo “Et fuisset sicut flumen pax tua, et iustitia<br />

tua sicut fluct maris.”, fo. 236.<br />

264 Gello, cit., p. 28d2.<br />

265 Hebraica Biblia, cit., vol. II, passo cit. a p. 401FF6. Espressione quel<strong>la</strong> del “Quasi pluvius pax tua” che nel<br />

testo muensteriano è anche oggetto di una delle note marginali al capitolo XXXXVIII di Isaia, indicata con <strong>la</strong><br />

lettera h che motiva l’espressione in questione con le seguenti parole: “Hoc est, multa fuisset pax, sicut aquae<br />

fluvij plurimae sunt: et iustitia tua fuisset perpetua, sicut mare nunquam est sine fluctibus. Porrò per interiora<br />

maris quidam intelligunt <strong>la</strong>pillos maris alij pisces eius.”<br />

44


Puossi dunque inferire…che i Galli antichi fossero gli inondati, cioè Noè co’ figlioli, che si<br />

salvarono a gal<strong>la</strong> su per l’onde, nel<strong>la</strong> Arca del diluvio; et che gli Umbri fossero i figlioli di<br />

costoro…” 266<br />

Passaggio questo che merita qualche attenzione in quanto diverge con il corrispondente<br />

presente nel De Etruriae in cui manca <strong>la</strong> specificazione secondo cui gli antichi Galli che si<br />

salvano dal diluvio non sono in nessun modo collegabili ai francesi 267 . Una differenza che<br />

denuncia una profonda alterità di impostazione generale. Nel De Etruriae, infatti, dopo alcune<br />

pagine il visionario francese svolge un’ampia parentesi per associare strettamente, attraverso<br />

<strong>la</strong> paternità di Comero figlio di Iapeto e nipote di Noè, i Galli del diluvio, da cui derivano gli<br />

umbri, ai francesi in modo da legittimare le aspirazioni imperiali del<strong>la</strong> corona francese in<br />

re<strong>la</strong>zione al suo disegno profetico di restitutio politico-religiosa:<br />

“Quod Gallus sit dictus ex primogeniturae eius vocabulo potest cognosci. Eius enim<br />

primogenitus fuit Iapetus cuius rursum primogenitus fuit Gomerus primo post diluvium natus.<br />

Iosefus autem ait eos, qui suo seculo Galli seu Ga<strong>la</strong>thae nominabantur olim vocatos fuisse<br />

Gomeritas quos Gomer instituit. Berosus autem affirmat in ipsa Umbria eos qui erant ex<br />

posteritate Gomeri avito nomine vocatos fuisse a Iano Gallos. Quod si deprecemur viri<br />

authoritatem audiamus Romanos et in primis Catonem qui sic ait: venisse ex illis qui diluvio<br />

superstites fuerant ab Armenia Ianum in Italiam cum Gallis progenitoribus Umbrorum et c.<br />

Quare avitum nomen eorum qui fuerunt diluvio superstites, est Gallus. Fluctibusque ereptus,<br />

quod avitum nomen soli Gomeritarum familiare voluit dari Quam merito vero parens<br />

hominum sit dictus Gallus satis constat.” 268<br />

Inequivocabile conferma in questa direzione del resto, appare il passo contenuto nel<strong>la</strong> lunga<br />

lettera di risposta del Postel al Giambul<strong>la</strong>ri del 30 maggio 1549, posta in appendice al De<br />

Etruriae e volta a sostenere <strong>la</strong> veridicità intangibile di Beroso sul<strong>la</strong> cui base, scardina<br />

definitivamente l’identificazione di Galli e italiani per <strong>la</strong>sciare chiaramente il posto<br />

all’associazione tra Galli sopravvissuti al diluvio e francesi:<br />

“Quod autem multo minus corruperit Annius illud obstat, quod nul<strong>la</strong> ad eum inde<br />

commoditas pervenire poterat. Multo minus vero ad suae gentis gloriam. Cogitur enim velit<br />

nolitve quam vult esse in tota Italia, uti est, antiquisssimam Aboriginum et Ombrorum<br />

originem in Gallos diluvio superstites referre. Gallim enim fluctibus ereptos fluctuatosve<br />

sonat. Quare quum legerit apud Iosefum Gomeritas non tantum esse Italos Gallos, sed illos<br />

qui postea Celtae dicti sunt, fuisseque a Gomero institutos, qui fieri potuisset ut fingeret quod<br />

266 Vedi nota 264.<br />

267 De Etruriae regionis,cit., dove a p. 68iII leggiamo:<br />

“Positivo veritatis et Plinii hi<strong>storia</strong> et Graecorum fabu<strong>la</strong> oritur. Quod fuit aliquando diluvium generale, in quo<br />

praeter paucos superstites totum genus humanum et animantium fuit consumptum, ita ut fuerit nocesse totum<br />

gehnus hominum ab uno Deucalione et ab una Pyrrha reparari, et tandem ab ea familia eorum qui liberati sunt<br />

a Diluvio venere in italiam, eiusmodi homines qui in nominis sui ratione memoriam diluvii conservarent<br />

aeternam, sunt Ombri vel Umbri, quasi umbrii. Hoc autem nomen est a Graecis loco Ebraici et veri<br />

suppositum…Gal enim ut notavere qui de hac re iam ample scripserunt fluctum significat, et aquorum copiam.<br />

Unde Ombrii seu Umbrii olim vocabantur Gallum vel Gallim impluviati quos posteritas vocavit Gallos.”<br />

268 Ivi, p. 97-98n1. Sul sistema postelliano e sul<strong>la</strong> valenza filo-francese del significato da lui attribuito al<br />

termine Gallo rinviamo a C<strong>la</strong>ude-Gilbert Dubois, Le Développement Littéraire d’un mythe nazionaliste avec<br />

l’édition critique d’un traité inédit de Guil<strong>la</strong>ume Postel. De ce qui est premier pour reformer le monde, Paris,<br />

Vrin, 1972, pp. 54-84 in partico<strong>la</strong>re p. 63 e a Marion L. Kuntz, Guil<strong>la</strong>ume Postel and the World state: Restitution<br />

and the Universal Monarchy in “Hystory of European Ideas 4”, n. 3-4, Oxford, 1983, pp. 299-323 e 445-465 ora<br />

in id. Venice Myth and Utopian Thought, cit., rinviamo in partico<strong>la</strong>re al<strong>la</strong> Part II, pp. 445–465 e sul significato di<br />

Gallim a p. 447; inoltre sul ruolo provvidenziale attribuito al<strong>la</strong> corona francese nel disegno profetico postelliano<br />

cfr. anche P. Simoncelli, La lingua di Adamo, cit., in partico<strong>la</strong>re pp. 89-98, A. D’Alessandro, G. Postel e<br />

Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri, cit., in partico<strong>la</strong>re pp. 263-265, e Yvonne Petry, Gender, Kabba<strong>la</strong>h and the<br />

Reformation, cit., pp. 51-69.<br />

45


contra suum argumentum faceret? At vero ipsius Iosefi sententia de illo audienda est, libri<br />

primi cap. III ait Berosum de iis, quae circa diluvium contingerunt omnino consentanea Mosi<br />

dixisse. Hoc vero in primi libri epitomate c<strong>la</strong>rum sit in Beroso.” 269<br />

Tornando al Gello <strong>la</strong> centralità munsteriana viene confermata anche dal<strong>la</strong> strutturazione del<br />

racconto del<strong>la</strong> venuta di Giano in Italia e dal<strong>la</strong> successione dei re da lui originati fino ad<br />

Ercole Libio, attraverso riferimenti ed elementi proposti da questa fonte, strumentalmente<br />

impiegati per avvalorare le tesi linguistiche aramaiche. Infatti, nel momento in cui il Gello<br />

afferma riguardo al momento dell’arrivo di Noè in Italia che “Puossi ben’ dire, così al<strong>la</strong><br />

grossa aggiustando fede a Beroso, che ne l’anno 1765 de <strong>la</strong> creatione, e 109 da’l diluvio Noè<br />

venne in questi paesi, con Comero…et ci stette 33 anni…Et che nell’anno XXIV di questa sua<br />

stanza, cominciò Nembrot a regnare in Assiria, disegnar Babilonia, e fondare <strong>la</strong> torre” 270<br />

oltre a ripetere quello che aveva già tratto da Lucido, continua a seguire <strong>la</strong> cronologia biblica<br />

munsteriana. Stessa cosa avviene a proposito del regno di Oco Veio, successore di Noè<br />

tornato dopo 33 anni in Armenia e di Comero nipote di quest’ultimo che governa l’Italia per<br />

58 anni, durante il cui regno “nel XXIIII anno suo, nacque in Caldea il padre di Abramo” 271<br />

con l’ennesimo riferimento biblico 272 . Ulteriore conferma del<strong>la</strong> rilevanza per il Gello del<strong>la</strong><br />

Bibbia muensteriana, si ha con riguardo al passaggio sul ritorno in Italia di Noè, integralmente<br />

tratto dal<strong>la</strong> seconda parte del<strong>la</strong> nota c al capitolo XI del<strong>la</strong> Genesi, nel<strong>la</strong> versione dell’umanista<br />

tedesco, partendo da “annoverano”:<br />

“L’anno LXXII di Iano, cioè del<strong>la</strong> seconda<br />

venuta sua, che è il 340 da’l diluvio, fu fatta<br />

<strong>la</strong> divisione delle lingue, come nel Seder<br />

ho<strong>la</strong>nde de gli hebrei appare, benché altrove<br />

si dica 68 anni <strong>prima</strong>; cioè l’anno 272 dopo il<br />

diluvio. Ma io dico 340, perché Sebastiano<br />

Munstero sopra lo XI capo del Genesi dice<br />

queste parole.<br />

Annoverano gli Hebrei da’l diluvio, a <strong>la</strong><br />

divisione delle lingue, anni 340: il che potrà<br />

vedersi nel libro Seder ho<strong>la</strong>m; una parte del<br />

quale habbiamo noi pubblicata, col<br />

“Numerant autem Hebraei a diluvio usque ad<br />

divisionem linguarum, anno CCCXL. Videre<br />

id fusis licebit in libro Seder o<strong>la</strong>m, eius<br />

partem in Calendario Heb. Evulgavimus.<br />

269 Ivi, pp. 226fI-227fII che si trovano nel<strong>la</strong> lettera del Postel al Giambul<strong>la</strong>ri Viro Bono et Sapienti Petro<br />

Francisco Giambul<strong>la</strong>rio, inter aedis D. Laurentii mystas canonico et Accademico carissimo Fiorentino<br />

Gulielmus Postellus sacerdos imitationis apostolicae studiosus salutem, pp. 219-251 e precisamente all’interno<br />

del capitolo XLVIII, Quod sint Berosi Chaldei quae eius nomine circumferentur (in proposito cfr. D’Alessandro,<br />

G. Postel e Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri, cit., in partico<strong>la</strong>re pp. 272-274) propedeutico al diritto all’imperio<br />

universale dichiarato a chiare lettere all’interno dell’episto<strong>la</strong> postelliana nel capitolo successivo, Argomenta ex<br />

ipso Beroso petita. Quod sit impossibile quicquam illum in sua hi<strong>storia</strong> finxisse, in cui leggiamo alle pp. 232f4-<br />

233g1: “Quare ius aeterni imperii fore in domo Gomeri et eius patris impeti quem una secum in Europam duxit<br />

manifestissime demonstravit esse secundum patris universorum Noachi voluntatem[…]”.<br />

270 Gello, cit., p. 29d3.<br />

271 Ibidem.<br />

272 Hebraica Biblia, cit., cfr. in partico<strong>la</strong>re Genesi, capitolo XI, p. 10b4 in cui leggiamo infatti: “Et vixit Nahor<br />

vigintinovem annis et genuit Taerah.[…]Terah vero vixit septuaginta annis et genuit Abram…”.<br />

273 Kalendarium Hebraicum, cit., sul quale cfr. in proposito pp. 13c3 e 27e2, peraltro con indicazione anche<br />

dell’opinione che tra diluvio e divisione delle lingue intercorressero soltanto 272 anni a p. 13c3, dove leggiamo:<br />

“A diluvio usque ad divisionem, ducenti septuaginta duo anni. (con a fianco le parole “aliter 340”)”,<br />

puntualmente riproposta dal Giambul<strong>la</strong>ri che però afferma decisamente quel<strong>la</strong> dei 340 anni. Del resto, di seguito,<br />

al<strong>la</strong> precedente asserzione il Muenster scrive nel Kalendarium “A nativitate Abraham usque ad divisionem,<br />

quadraginta octo anni” che unita con <strong>la</strong> cronologia di p. 27e2 a proposito del<strong>la</strong> nascita di Abramo: “A diluvio ad<br />

Abraham, anni 292” è evidente sostegno al computo dei 340 anni, senza dimenticare il riferimento a Genesi 15<br />

nel<strong>la</strong> medesima pagina. (cfr. inoltre in tal senso ancora p. 13c3 <strong>la</strong> cronologia concernente Noè “quando venit<br />

diluvium, Noah fuit filius 600 annorum: vixitque post diluvium 350 annis.” ).<br />

46


Calendario degli Hebrei 273 . Et di qui si vede<br />

manifestamente: che Noè visse dieci anni<br />

dopo <strong>la</strong> confusione delle lingue. Et che<br />

essendo pur’ egli padre di tutto quel popolo<br />

non potette però raffrenare i tralignati<br />

figliuoli da <strong>la</strong> stolta prosuntione loro: con <strong>la</strong><br />

quale si sforzavano di farsi illustri, per lo<br />

edificio di si gran torre: ne i ribelli da’l<br />

precipitarsi nel<strong>la</strong> ido<strong>la</strong>tria: e da’l negare<br />

l’altissimo Dio.” 274<br />

Unde pater Noah vixisse decem annos post<br />

linguarum confusionem. Et cum totius illius<br />

populi esset pater, non potuit degeneres filios<br />

cohibere a stulta praesumtione, qua<br />

nitembantur celebrare nomen suum ingentis<br />

turris aedificio. Sed nec rebelles filios<br />

cohercere potuit, quin in pessimum ido<strong>la</strong>triae<br />

<strong>la</strong>berentum vitium, et deum negarent<br />

altissimum.“ 275<br />

Il Muenster pertanto rende possibile <strong>la</strong> concordanza tra teorie linguistiche del Giambul<strong>la</strong>ri e<br />

Convivio dantesco I, v, 9. Infatti, il canonico di S. Lorenzo può asserire che <strong>la</strong> confusione<br />

delle lingue si sia prodotta posteriormente al regno di Nembrot che iniziò <strong>la</strong> costruzione del<strong>la</strong><br />

torre di Babele ma morì <strong>prima</strong> che fosse completata, dopo 56 anni di regno, proprio grazie<br />

al<strong>la</strong> totale mancanza di indicazioni in proposito, nell’”infallibil scritto di Mosè” 276 .<br />

Periodizzazione che, tuttavia, non p<strong>la</strong>ca le perplessità di Curzio favorevole ad una ben diversa<br />

cronologia:<br />

“Voi mi dite una cosa…che io non l’ho più udita: e non so come el<strong>la</strong> si stia. Perché se <strong>la</strong><br />

confusione delle lingue fu fatta nel murare <strong>la</strong> Torre di Babel; e Nembrot murò <strong>la</strong> Torre; e non<br />

visse nel Regno più che anni 56: Io non mi so acconciare nello animo, come voi arrecchiate<br />

a’l 72 anno di Iano, che è il 1996 del mondo, quello che era stato <strong>prima</strong> 153 anni almeno;<br />

quando bene fosse stato l’ultimo anno di esso Nembrot.”<br />

Obiezione che in realtà poggia su una periodizzazione del<strong>la</strong> confusione delle lingue che per<br />

quanto profondamente diversa da quel<strong>la</strong> costruita nel Gello converge invece con quel<strong>la</strong><br />

esposta in un’altra opera muensteriana, anch’essa conosciuta dal Giambul<strong>la</strong>ri secondo quanto<br />

si evince chiaramente dal<strong>la</strong> p. 70 del Gello: <strong>la</strong> Chaldaica Grammatica 277 . Infatti, il Muenster<br />

in quest’ultima opera, edita nello stesso anno del Kalendarium Hebraicum, richiamato<br />

direttamente nel<strong>la</strong> lettera dedicatoria del<strong>la</strong> Gramatica 278 , individua l’inizio del<strong>la</strong> costruzione<br />

del<strong>la</strong> torre di Babele, nel 131° anno successivo al diluvio universale quando sorge il regno di<br />

Nembrot, attraverso <strong>la</strong> riproposizione del racconto di Beroso Caldeo:<br />

274 Gello, cit.,p. 30d3.<br />

275 Hebraica Biblia, cit., p. 10b4. La <strong>prima</strong> parte del<strong>la</strong> nota si sofferma sul<strong>la</strong> radice del termine “Babel” che<br />

“confundere et comiscere significat…”.<br />

276 Gello, cit., p. 30d3.<br />

277 Chaldaica Grammatica, antehac a nemine attentata, sed iam primum per Sébastianum Muensterium<br />

obscripta et aedita…[Colophon: Basileae, apud Io. Frobenium, anno 1527]. Quest’ultima non segna<strong>la</strong>ta tra i testi<br />

utilizzati nel Collegium Trilingue.<br />

278 Ivi, nel<strong>la</strong> lettera dedicatoria, leggiamo infatti: “Chaldaice autem linguae studium ob hanc potissimum<br />

suscepi causam, quod viderem non solum Danielem et Ezram ex magna parte Chaldaice Scriptos, verum et<br />

omnes Hebraeorum Biblicas interpretationes, vel omnino esse Chaldaicas, ut sunt Thargumin Onkeli, Ionathan,<br />

Vzielis et reliquorum, vel multo habere de Chaldaismo, ut sunt Rabbinorum peruschim seu commentarij: et in<br />

summa, quicquid ab Hebraeis iam longo tempore scriptum est, aeque resipit Chaldaismum atque Hebraismum:<br />

id quod cuique perspicuum esse poterit, qui vel mediocrem noticiam Hebraicae Bibliae assecutus sit, et in<br />

autorem aliquem Hebraeum inciderit. Testabitur id quoque Kalendarium Hebraicum a me iam aeditum, et brevi<br />

orbi suppeditandum.” In proposito cfr. una lettera inviata dal Munster a Beato Renano il 9 marzo 1526, da<br />

Heidelberg a Basilea in cui leggiamo: “[…]Cetrum per hiemen instantissime incubui Grammaticae Chaldaicae<br />

edendae atque eiusdem linguae dictionario. Atque utrumque est mihi denuo excribendum. Grammaticae<br />

principium mitto Basileam, non quod iam excudatur, sed ut ea, quae de linguarum affinitate a principio primi<br />

octernonis scribo, per te in forma elengatiorem redigantur, id quod homo doctus facile possit facere<br />

quemadmodum et iam saepenumero mihi et omnibus studiosis in hoc operam tuam praestitisti […]Epistu<strong>la</strong>m<br />

nondum adieci persuasus, ut eum dedicem Eberhardi, Ottonicae Silvae domini filio studiosssimo, ad quem post<br />

paschales ut arbitror vocandus sum ferias.[…].”<br />

47


“tradunt non modo literae humanae, verum et divinae, Chaldaeorum regionem non longe<br />

post desicccationem orbis ab aquis diluvij, in magnum et praecipuum Asiae excrevisse<br />

regnum. Nam scributur Genesis II. Quod filij Adam quum adhuc essent <strong>la</strong>bij unius,<br />

eorundemque sermonum, coeperint extruere civitatem et turrim magnam in ea, cuius culmen<br />

usque ad coeli altitudinem erigere moliebantur, quo scilicet deinceps aquarum facile<br />

declinare possent inundatiam. Quorum stultam praesumptionem deus non ferens, prius quam<br />

aedificium illud ingens ad umbilicum non perduceretur, tantam inter eos fecit linguae<br />

confusionem, ut nullus fere quid alius loqueretur intelligeret. Ob quem eventum et locus<br />

deinceps Babel ab omnibus vocatus est, quod tam Hebraeis quam Chaldaeis confusionem<br />

sonat. Illis itaque quibus nativa relicta erat lingua regionem il<strong>la</strong>m et patriam retinentibus,<br />

caeteri in universum dispersi sunt mundum. Huic scripturae loco alludens Berosus<br />

Babylonius antiquissimus Historiographus,quippe qui ante monarchiam Alexandri Magni in<br />

Chaldea floruit, in quarto libro ita loquitur: Quum post salutem humanam ab aquis, genus<br />

humanum in immensum esset multiplicatum, et ad comparandas novas fides necessitas<br />

compelleret, Ianus pater, qui et Noha, adhortatus est homines principes novas quaerere fedes,<br />

et edificare urbes. Quare Nimbrotus cum populo venit in campum Sennar, ubi designavit<br />

urbem, et fondavit maximam turrim, anno salutis ab aquis 131, quam deduxit ad altitudinem<br />

et magnitudinem montium, in signum atque monimentum quod primis in orbe terrarum est<br />

populus Babylonicus, et regnum regnorum dici debeat. Non tamen turrim ipsam complevit, et<br />

c. Haec Berosus gentilis. Scribit etiam quod multi libri in Chaldaica lingua post diluvium<br />

scripti fuerint, de disposizione mundi, de vaijs colorijs et urbibus quae fuerunt ante<br />

cataclismum . ” 279<br />

Sul<strong>la</strong> base di questa periodizzazione e considerata <strong>la</strong> durata complessiva del regno di<br />

Nembrot in 56 anni, <strong>la</strong> confusione delle lingue, avviene pertanto nel 187° anno successivo al<br />

diluvio universale, esattamente 153 anni <strong>prima</strong> del termine di 340 anni stabilito nel<br />

Kalendarium e nel<strong>la</strong> Biblia Hebraica 280 , in linea con le parole del Curzio.<br />

Quest’ultimo, tuttavia, pur ricorrendo anche a Giuseppe F<strong>la</strong>vio non può comunque evitare <strong>la</strong><br />

perentoria bocciatura del Gello:<br />

“Come gli Hebrei se l’acconcino…io non lo so: ma bene vi dico quello che io n’ho letto, e<br />

dove io l’ho letto, Pensivi chi lo scrive, che io non ne voglio ne honore, ne vergogna.<br />

Dicendone massimamente Iosefo Iudeo egli anchora in altra maniera, ma conforme forse al<br />

279 Chaldaica Grammatica, cit., p. 1b1-2b1.<br />

280 Prospettiva alternativa che il Muenster manterrà anche 25 anni dopo, nel<strong>la</strong> successiva Cosmographia<br />

universalis Lib. VI. In quibus, iuxta certioris fidei scriptorum traditionem describuntur, omnium habitabilis orbis<br />

partium situs, propriaeque dotes. Regionum Topogaphicae effigies. Terrae ingenia, quibus fit ut tam differentes<br />

et varias species res, et animatas et inanimatas, ferat animalium peregrinorum naturae et picturae. Nobiliorum<br />

civitatum icones et descriptiones. Regnorum initia, incrementa et trans<strong>la</strong>tiones. Omnium gentium mores, leges,<br />

religio, res gestae, mutationes : Item regum et principum genealogiae, ex Henricii Petri officina, Basileae, 1552.<br />

Ivi, nel libro V, alle pp. 1025-1026zz1 in cui si trova il paragrafo dedicato a “Babylonia et Chaldea” infatti,<br />

leggiamo:<br />

“Hac in regione iuxta Tigridem fluvium mox post diluvium coeperunt filij Adam extruere civitatem et turrim in<br />

ea, cuius cacumen erigeretur in coelum, subuexerunt autem, ut quidam scribunt altitudinem quinque millium,<br />

centum, septuaginta quatuor passuum: at deus praesumptionem illorum coerces, sine g<strong>la</strong>dio, peste aliove<br />

morbo, solius linguae, quae tunc unica fuit, confusione, illorum conatum impedivit, quare et locus ille deinceps<br />

ab eventu illo Babel fuit dictus. Sonat autem Babel mixturam. Mixta enim fuit <strong>prima</strong> et originalis Hebraica<br />

lingua, nedum dialectis et idiomatibus varijs[…]Homines itaquae unam et propriam intelligentes linguam,<br />

coadunati sub certo duce, peculiarem sibi vendicarunt in orbe terram. Puta Aegyptiace loquentes eam terram a<br />

cultoribus suis Aegyptus fuit vocata, Teutones Germaniam, Itali Italiam, secundum quod quisque populus a Iano<br />

summo patre, hoc est, a Noah, qui adhuc vivebat, terram acceperat sibi designatam. Apud paucissimos mansit<br />

lingua nativa nempe Hebraica, in ea scilicet famiglia qua descendit Abraham patriarcha, in cuius posteritate<br />

so<strong>la</strong>, sancta remansit lingua. Eos autem qui in Babylonia sive Chaldaica remanserunt, coegit Nimrod ad<br />

obedientiam suam, inchoavitque monarchiam <strong>prima</strong>m. Iosephus affirmat Nimrodum gigantem, principem fuisse<br />

eorum, qui turris aedificium moliebantur. Nimrodo successit Belus…”.<br />

48


vostro parere. Concio sia che nel primo delle antichità, ragionando de <strong>la</strong> Torre, e del<strong>la</strong><br />

confusione delle lingue egli scriva cosi.<br />

De <strong>la</strong> Babilonica Torre, e de le diverse voci de gli huomini fa mentione anchor <strong>la</strong> Sibil<strong>la</strong>,<br />

dicendo: Mentre che tutti gli huomini avevano un par<strong>la</strong>r’ solo; edificarono certi una Torre<br />

altissima, come per sca<strong>la</strong> da andare in Cielo: Ma gli Iddij atterrarono <strong>la</strong> Torre co’ venti; e a<br />

ciascuno di quegli uomini attribuirono proprio e partico<strong>la</strong>re linguaggio. Et però si chiamò <strong>la</strong><br />

Terra Babel. Ma ne per questo anchora si potrebbe però convincere, che <strong>la</strong> confusione fosse<br />

fatta sotto Nembrot; non lo dicendo massimamente lo infallibile scritto di Mose. Perché<br />

quanto maggiore fu quello edificio: tanto più tempo ci volse a farlo. Et se Nembrot fondò <strong>la</strong><br />

Torre, non avendo egli regnato più che anni 56; non potette veder<strong>la</strong> tanto alta che el<strong>la</strong><br />

meritasse di esser disfatta per mano degli Angeli.” 281<br />

Punto di vista, quello espresso dal canonico fiorentino sul<strong>la</strong> confusione delle lingue di<br />

evidente matrice aristotelica, che entra in contraddizione anche con <strong>la</strong> posizione di Guil<strong>la</strong>ume<br />

Postel espressa fin dagli scritti del<strong>la</strong> fine degli anni trenta per altri versi ispiratori<br />

dell’orientamento aramaico come detto del nostro canonico e soprattutto di Gian Battista<br />

Gelli, e precisamente il De originibus seu de Hebraicae linguae…pubblicato insieme al De<br />

linguarum duodecim… 282 . Il De Etruriae mantiene e approfondisce il punto<br />

dell’incorruttibilità del<strong>la</strong> lingua a ulteriore conferma delle profonde differenze di ispirazione<br />

che lo separano dallo scritto del Giambul<strong>la</strong>ri. Ultima manifestazione del resto, di un percorso<br />

ben chiaro già negli scritti del<strong>la</strong> <strong>prima</strong> metà degli anni Quaranta che registrano un corso di<br />

rapporti non certo positivi tra il Postel e Sebastian Muenster 283 . Ai rinvii espliciti e agli elogi<br />

rivolti al Muenster nei menzionati scritti del 1538, da cui traspare anche <strong>la</strong> consonante<br />

utilizzazione di Plinio e Beroso Caldeo come fonti delle fantasie aramaiche, <strong>la</strong> convergenza<br />

sull’identità di Noè e Giano, oltre al<strong>la</strong> condivisa prospettiva dell’unicità del<strong>la</strong> lingua da<br />

Adamo a Nembrot, rinvenibili nel<strong>la</strong> Chaldaica Grammatica munsteriana 284 , subentra, infatti,<br />

un profondo contrasto tra il visionario francese ed il dotto ebraista tedesco.<br />

281 P. Giambul<strong>la</strong>ri, Gello, cit., passo cit., a p. 31d4.<br />

282 Gulielmi Postelli Baren. Doleriensis de Originibus seu de Hebraicae linguae et gentis antiquitate, deque<br />

variarum linguarum affinitate, liber. In quo ab Hebraorum Chaldeorumve gente traductas in toto orbe Colonias<br />

Vocabuli Hebraici argumento, humanitatisque authorum testimono videbis: literas, leges, disciplinasque omnes<br />

inde ortas cognosces : communitatemque notiorum idiomatum aliquam cum Hebraismo esse, Prostant Parisiis :<br />

apud Dionysium lescuier, sub Porcelli signo e regione D. Hi<strong>la</strong>rii [Parigi] : excudebat Petrus Vidovaeus, vigesima<br />

septima Martijs 1538, legato ed editato insieme al De linguarum duodecim characteribus differentium, cit. ; sul<br />

De originibus cfr. inoltre Jean Ceard, Le “De Originibus” de Postel et <strong>la</strong> linguistique de son Temps in Postello,<br />

Venezia e il suo mondo, cit., pp. 19-43.<br />

283 Sul nodo dell’incorrutibilità del<strong>la</strong> lingua e delle divergenze sostanziali a livello linguistico ed ideologico,<br />

esistenti tra gli accademici fiorentini ed il Postel rinviamo nel suo complesso a P. Simoncelli, La lingua di<br />

Adamo, cit., e a proposito degli spunti forniti dal Postel per <strong>la</strong> formu<strong>la</strong>zione delle tesi aramaiche cfr., ivi, pp. 56-<br />

60.<br />

284 Nel De originibus, cit., Postel rinvia a p. E1 (pagine non numerate) a Santi Pagnino e al Muenster a<br />

proposito del “Omnes grammaticas linguas, precipue orientales, Hebraicae affines, locutiomne, signis aut<br />

vocibus esse” quando dice “Quia vero de Chaldaismo satis constat argumentum illi qui Aruch Hebraice<br />

scriptum, aut, Latine a Sancte Pagnino datum viderit seu Muensteri grammaticas introductiones Chald. Legerit,<br />

esse verissimum, il<strong>la</strong>m vocum affinitatem in Chaldaic. Ne sin tediosus obmittam.” Posizioni ribadite anche nel<br />

De linguarum duodecim characteribus differentium, cit., nel<strong>la</strong> Praefatio quando insieme al<strong>la</strong> diligente opera in<br />

ambito grammaticale per nomi e verbi ebraici di Elia Levita, viene ricordato il contributo muensteriano a<br />

proposito dei nomi e dei verbi <strong>la</strong>tini accompagnato dai nomi di Reuchlin, Campense, Santi Pagnino; leggiamo<br />

infatti a bIII (pagine non altimenti numerate): “Nomina ipsa et verba in tabulis habebis. Caetera ex ipsis<br />

gramatices authoribus tibi comparandis. Ex Hebraeis diligenter tractavit Rabi Mose Kimhi…Elias<br />

Germanus…Ex <strong>la</strong>tinis Reuchlinus, Sanctes Pagninus, Campensis, Munsterus diligenter tradiderunt.[…]” (in<br />

proposito cfr. Bouwsma, Concordia mundi, cit., alle pp. 57-58), inoltre ivi il Postel richiama direttamente <strong>la</strong><br />

grammatica chaldaica del Muenster in conclusione del capitoletto De lingua Chaldaica quando a cII afferma:<br />

“Haec satis erunt pro introductione. Caeterum grammatica nil differt ab ea, quam Muensterus tractavit, illic<br />

lectorem diligentem remittam.”<br />

49


La loro distanza, infatti, emerge pienamente nell’evidente risentimento espresso dal dotto<br />

ebraista tedesco in una lettera del 1544, per le critiche mosse dal francese al<strong>la</strong> traduzione<br />

dall’ebraico in <strong>la</strong>tino, del vangelo di Matteo realizzata nel 1537, e per le obiezioni re<strong>la</strong>tive alle<br />

prospettive linguistico-religiose munsteriane sul<strong>la</strong> cultura e <strong>la</strong> lingua ebraica 285 .<br />

Muenster che come documentano le successive pagine del Gello, ricche di rinvii al<strong>la</strong><br />

Hebraica Biblia, non sembra assolutamente risentire dei contrasti sorti col Postel nel<strong>la</strong><br />

percezione del canonico <strong>la</strong>urenziano. D’altra parte Giambul<strong>la</strong>ri ignora, difficile dire se<br />

volutamente o meno, gli scritti postelliani degli anni Quaranta.<br />

Appunto sul<strong>la</strong> base del<strong>la</strong> Genesi munsteriana il Giambul<strong>la</strong>ri scrive che, durante il<br />

diciottesimo anno di regno in Italia di Crano, figlio di Iano ormai morto, “uscì Abramo di<br />

Caldea con <strong>la</strong> gran promessa di Dio. Et lo XI anno di poi essendo egli già di 68 gli nacque<br />

Ismal non legittimo, che fu l’origine degli Arabi l’anno 42 di Crano, che è il centesimo di<br />

esso Abramo nacque il promesso figliuolo Isaac, unica e so<strong>la</strong> radice del popolo Hebreo, come<br />

ampiamente descrive Mosè.” 286<br />

Sono ben tre diversi passaggi testuali muensteriani a ispirare il canonico <strong>la</strong>urenziano in<br />

questo punto. In primo luogo, il capitolo XII sulle promesse divine ad Abramo. 287 In secondo<br />

In tal senso cfr. quello che Postel considera il giusto significato da attribuire a quanto Plinio scrive al cap. 56<br />

del settimo libro del<strong>la</strong> sua Hi<strong>storia</strong> naturalis al cap. 56, quando nel De originibus, cit., afferma a p. a4 (secondo<br />

<strong>la</strong> sequenza che nel testo si ferma ad a3 e ricomincia soltanto a b1): “Plinius ille…asserit tam antiquum fuisse<br />

Syris et Chaldeis literarum usum, ut multi illos aeternas apud illos putarint […]Hoc revera docet apertissimae<br />

primis et antiquissimis literis scriptiasse Hebreaos et Chaldaeos: nam iidem sunt qui et Assirij. et ante Heber, a<br />

quo dicti Hebraei sunt, erant unum cum Chaldaeis genus, ex quo genere elecuts est primo Abrahamus omnibus<br />

priscis authoribus celebris. Plinius etiam 5. lib. Cap. 12. confirmat praedictam sententiam, Ipsa gens Phoenicum<br />

(Phoenicibus, Syros universos de quibus ibi loquitur intelligit) in gloria magna, litterarum inventionis et<br />

syderum, navaliumque ac bellicarum artium fuit. ” con il passo muensteriano del<strong>la</strong> Grammatica a p. 2b1 che<br />

esprime un concetto analogo nel<strong>la</strong> sostanza: “Hinc quoque Plinius lib. 7, cap. 56 motus, arbitratur literas<br />

Assyrias et Babylonicas perpetuas fuisse. Nam regnum Babylonium non tam potentia quam scientia et sapientia,<br />

maxime matematica, semper floruit…”. Inoltre sull’identità stabilita tra Noè e Giano, sul<strong>la</strong> confusione delle<br />

lingue e sull’utilizzazione del<strong>la</strong> fonte berosiana cfr. il passo del<strong>la</strong> Grammatica citato e indicato nel<strong>la</strong> nota 279<br />

con i seguenti passi del De originibus a p. a4: “Noachus enim idem est qui et <strong>la</strong>tinis Iaunus a vini usu reperto<br />

(nam Hebraeis Iain vinum, significat)…” e a p. b4-c1: “Nemrod pene exiciderat…Is quasi vim nature afferre,<br />

cuius artem et potentiam ingenio humano effugere volebat cupiens. Secundum nomen suum divinae repugnans<br />

potentie, in nostram omnium perniciem, il<strong>la</strong>m, ad illuviam aquarum devitandam, excogitavit, ubi divina ostendit<br />

providentia,[…]Mutatum illic naturale idioma et primum a parente rerum nature deo concessum munus. Nomen<br />

turri et operi imperfecto Babel fuit[…]Opus ultione divina incompletum, absolutum fuit, non a Nino aut<br />

Semiramide, ut historici Graecorum falso omnes crediderunt, et scriptum reliquerunt, sed a Nebucadssener, qui<br />

anno Astyagis Medorum regis 9, Iudaeos captivos abduxit, cuius miranda quaedam opera in libro primo contra<br />

Apionem Gramaticum Iosephus ex Beroso Chaldeorum historiographo recitat, cui sententiae certe citius<br />

subscripsero quam universae Graecorum turbae. Regio tota a tam celebri urbe Babilloniae nomen apud omnes<br />

authores habuit. Alioqui terra Sennaar et Chaldea dicta est.” Passaggio peraltro da confrontare con le parole<br />

riguardanti il pieno espletamento del<strong>la</strong> punizione divina da parte di Nabucodonosor cfr. p. a3 del<strong>la</strong> lettera<br />

dedicatoria del<strong>la</strong> Grammatica munsteriana.<br />

285 In proposito, infatti, il Muenster scrive a Corrado Pellicano il 2 settembre 1544 da Basilea: “Quare scribis de<br />

Wilelmo Postello hactenus non vidi, sed nec hominis novi. Quae scripsi in annotationibus super Mattheum, ante<br />

me scripsit quoque Buccerus, praeter Hebraica, quae ex Nihazon et aliis rabinis adduxi. Damnarunt et antea, ut<br />

nosti, Lovanienses annotationes meas in Mattheum non ob aliam causam quam quod libri Luterani ad ea loca<br />

ferri non permittentur, ideo nesciunt fere, quid hodie nostris scribatur. At evangelium meum non putantur esse<br />

sospectum, ideo permissum fuit publice vendi quousquam invenerunt quaedam, quae teneras illorum aures<br />

offenderunt. Scripsi moderatius in vetus testamentum, ut etiam in Hispania inter quondam magni nominis<br />

certatum fuerit de me, quibusdam asserentibus me abiecisse cucullum, aliis autem constanter negantibus etc.<br />

Quod de Lutheranico furore scribis, nescio an sic intelligere debeam, quod ille furore suo debachatus in me<br />

fuerit aut quod in alios scrivere non possit sine furore.” Lettera riportata in Briefe Sebastian Muenster, pp. 77-<br />

79, passo cit. alle pp. 77-78, peraltro menzionato anche in F. Secret, Notes sur Guil<strong>la</strong>ume Postel, VII, Guil<strong>la</strong>ume<br />

Postel et Sébastian Muenster, in “Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance”, XXII, 1960, al quale rinviamo<br />

per il merito complessivo e per i punti salienti delle divergenze tra Postel e Muenster, cfr. in partico<strong>la</strong>re, pp. 377-<br />

380.<br />

286 Gello, cit.,passo cit. a p. 31d4.<br />

287 Hebraica Biblia, cit., p. 10b4.<br />

50


luogo il capitolo XVI concernente il concepimento di Ismael quando Abramo aveva non 68<br />

bensì 86 anni “Porrò Abram erat filius octaginta et sex annorum”. Di questo capitolo,<br />

Giambul<strong>la</strong>ri prende spunto per il passaggio testuale sugli Arabi e Ismael dal<strong>la</strong> nota marginale<br />

b che dice “Hebraice Ismael quod interpretantur, audiet deus. Fuit is homo, id est diligens<br />

solitudines et inhins feris capiendis. Vocant autem hodie Hebraei in commentarijs suis<br />

Ismaelitas, eos quos nos Saracenos vocamus qui scilicet sunt Aphri, Aegyptij, Arabes.” 288<br />

In ultimo, il capitolo XVII in cui Dio determina <strong>la</strong> nascita di Isacco quando Abramo ha già<br />

vissuto cento anni del<strong>la</strong> sua vita “Abraham…centum annorum…” 289 .<br />

La cronologia biblica munsteriana consente del resto al Gello, sia di documentare e definire<br />

temporalmente <strong>la</strong> priorità del<strong>la</strong> civiltà etrusca rispetto a quel<strong>la</strong> greca “per un tempo totale di<br />

141 anni, che parte proprio dai 33 anni di Iano.” 290 , senza trascurare un precedente<br />

riferimento al popo<strong>la</strong>mento, anch’esso posteriore di Spagna, Germania e Francia 291 , sia di<br />

spiegare l’origine di Firenze, fondata appunto da Ercole Libio figlio di Osiri secondo <strong>la</strong><br />

seguente argomentazione:<br />

“Questi dunque fu bisnipote di Noè, come testifica Mosè nel Genesi al X ponendolo per<br />

figliuolo di Misraim, che fu di Cam che fu di Noè. Ma perché voi potreste dirmi che ha che<br />

fare Misraim con Osiri; che havete messo per padre di Hercole? Advertite che oltra il Lucido<br />

e l’Annio che lo pongono per il medesimo: lo Egitto nelle Sacre lettere, sempre si chiama<br />

Misraim…il che arguisce certamente, che egli habbia tal’ nome da’l sopra detto figliuolo di<br />

Cam. La onde, se i nomi delle Provincie si pongono da le persone maggiori e di maggiori<br />

autorità: et il maggiore de figliuoli di Cam fu Osiri, unico signore di tutto lo Egitto come<br />

havete da Diodoro…Forza è che Misraim e’ Osiri sia un’medesimo…Di costui dunque<br />

nacque Leabim, o Luabim che è esso Libio che noi cerchiamo.” 292<br />

La successione da Cam fino a Ercole Libio, attraverso Osiri, trova riscontro positivo, come<br />

indicato dal Gello nel<strong>la</strong> Hebraica Biblia in cui è scritto:”Filij vero Ham: Cusch et Mizraijm<br />

[…] Porrò Mizraijm genuit Ludim et Enarnim et Lehabim…” 293 . Ercole Libio da non<br />

confondere con Ercole greco giunto in Italia ben 433 anni dopo <strong>la</strong> venuta del primo, pertanto,<br />

sconfitti i Giganti, riporta pace e stabilità nel<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong> e fa nascere Firenze con il taglio del<strong>la</strong><br />

Golfolina 294 .<br />

A questo punto del Gello, acquisita storicamente <strong>la</strong> fondazione di Firenze da parte del<br />

bisnipote di Noè-Giano, Giambul<strong>la</strong>ri abbandona i panni del Gelli ed entra in scena in <strong>prima</strong><br />

persona come interlocutore principale di messer Curzio per illustrare <strong>la</strong> conseguenza<br />

linguistica di questo quadro storico noachico: <strong>la</strong> derivazione dell’etrusco dall’arameo. In<br />

questa direzione il canonico <strong>la</strong>urenziano ricorre anche al<strong>la</strong> già menzionata Chaldaica<br />

Grammatica e in partico<strong>la</strong>re alle affinità, descritte nel primo capitolo dell’opera, rimaste dopo<br />

<strong>la</strong> confusione delle lingue tra l’ebraico e tutte le altre lingue in partico<strong>la</strong>r modo col caldeo con<br />

cui inizialmente l’ebraico coincideva 295 . Affinità che chiaramente il canonico <strong>la</strong>urenziano<br />

288 Ivi, passi cit. a p. 13c1.<br />

289 Ivi, p. 14c2. Cfr. inoltre, Kalendarium Hebraicum, “a nativitate Abraham usque ad nativitate Iizhak, centum<br />

anni. ” a p. 13c3.<br />

290 Gello, cit., p. 35e2<br />

291 Ivi, cfr. p. 29.<br />

292 Ivi, p. 36.<br />

293 Hebraica Biblia, cit., p. 9b3.<br />

294 Gello, cit., cfr. pp. 37e3-40e4.<br />

295 Ivi, pp. 8b4-9C1 nel capitolo intito<strong>la</strong>to “De affinitate et differentia linguarum Chald. Et Heb.”<br />

Leggiamo: “Ebraeam linguam omnibus priorem, sanctiorem, nobiliorem semper fuisse, neminem ignorare<br />

arbitror, qui vetus saltem legerit instrumentum. Interciderunt quidam teste divo Hieronymo ante multos annos<br />

literae eius linguae, quibus Iudaei ante Babylonicam usi sunt captivitate, inventaeque sunt aliae ab Ezra scriba<br />

et legis doctore post secondi templi instaurationem, quibus hodie utuntur Iudaei, invariata tamen sub utrisque<br />

characteribus lingua sacra, id quod indicant nomina Adam, Hava, Kain, Seth, Noah, Iizhac, Iacob, et alia (p.<br />

9c1) quamplurima, quorum interpretationem scriptura referens, linguam inconcussam mantisse manifeste<br />

demonstrat. Berosus quoque vetustus ille historiographus idem confirmat dum asserit Noham terram vocasse<br />

51


al<strong>la</strong>rga anche all’etrusco in linea con <strong>la</strong> tesi del<strong>la</strong> sua filiazione caldaico-aramea. Oltre alle<br />

asserzioni del Giambul<strong>la</strong>ri ”che l’antica Scrittura Etrusca, sia <strong>la</strong> medesima che <strong>la</strong> Aramea,<br />

facilmente comprender si puote, per le cose dette dal Gello. Perché se Iano è il medesimo che<br />

Noè, come io credo veramente; e come voi stesso lo acconsentite: verisimilmente pare da<br />

conchiudere, che avendo egli arrecato in Etruria le lettere; non potesse arrecarci altri modi,<br />

né altri caratteri, che quegli stessi che e ‘ si sapeva nel suo paese: Et che se gli Etrusci da lui<br />

solo lo appresero lo Scrivere: da lui solo dico, rispetto a Comero Gallo e agli altri venuti<br />

seco; Tutti pure usciti de’l medesimo stipite: Forza è che non apprendessero altra maniera<br />

che quel<strong>la</strong> stessa, che adotta ne havevano i padri loro.” fondate sul<strong>la</strong> identità di Noè e Giano<br />

già riscontrata nel<strong>la</strong> Chaldaica Grammatica munsteriana, tesi analoghe ad un passaggio di<br />

quest’ultima esprimono anche le successive parole del Giambul<strong>la</strong>ri, ovviamente tras<strong>la</strong>te al<strong>la</strong><br />

scrittura degli etruschi: “che scrivendo essi a’l contrario de’ <strong>la</strong>tini, cioè da destra a sinistra<br />

come gli Aramei: dimostrano assai chiaramente che di là presero questa scrittura.” 296 Del<br />

resto l’identico modo di scrittura dell’etrusco e dell’aramaico deriva secondo il Giambul<strong>la</strong>ri:<br />

“Non so<strong>la</strong>mente… da lo haverci arrecato Iano, questa maniera di scrivere: ma che <strong>la</strong><br />

Scrittura Caldea, Araba, Samaritana, e Hebrea, Originate da quello stesso paese che <strong>la</strong><br />

Etrusca: cioè di Aram, donde vennero i nostri antichi.” Il Curzio non condivide le<br />

osservazioni sul<strong>la</strong> scrittura formu<strong>la</strong>te dal Giambul<strong>la</strong>ri, e contesta l’origine degli Ebrei<br />

dall’Aram, in re<strong>la</strong>zione al<strong>la</strong> differenza linguistica tra l’ebraico ed il caldaico sostenuta sul<strong>la</strong><br />

base di quanto scrive Daniele sui fanciulli ebrei tenuti in schiavitù dagli Assirii, riferito nel<strong>la</strong><br />

Chaldaica Gramatica:<br />

“De’ Caldei soggiunse egli, non accada che<br />

io vi dimandi; per essere dello stesso paese<br />

che una lingua tanto diversa da <strong>la</strong> Caldea;<br />

che per quanto ne Scrive Daniello, i fanciulli<br />

ebrei condotti in servitù degli Assirij, furono<br />

dal Re mandati ad imparare <strong>la</strong> lingua<br />

Caldea: per potere essere in strutti nelle<br />

Scienze, et par<strong>la</strong>re nel cospetto del Re, che<br />

non intendeva <strong>la</strong> lingua Hebrea?” 297<br />

“Et si dicas Danielem cum socijs suis traditum<br />

cuidam praeposito discendi gratia<br />

Chaldaicam linguam et literas ut apud<br />

eundem cap. I legitur: non ergo suam in<br />

captivitate Iudaei deserverunt linguam,<br />

quandoquidem electi illi iuvenes speciali regis<br />

imperio istituti fuerint ad discendam il<strong>la</strong>m<br />

linguam. Respondeo: Daniel et socj sui cum<br />

Ioakim rege iam iuvenes de Hierusalem in<br />

Babyloniam tras<strong>la</strong>ti,Chaldaeorum utique<br />

linguam ignorabant, nec brevis il<strong>la</strong> cum<br />

Chaldeis consuetudo tam facile cognitam<br />

Aretinam, et ignem Estam: siquidem…est Hebraeis terra, et…ignis. Caeterum quum post diluvium genus<br />

humanum in immensum multiplicaretur, omnesque homines unius essent sermons, hoc est, omnes ea loquerentur<br />

lingua, quae postea Hebraica et Iudaica coepit vocari, concordique animo turrim niterentur extruere, quae coeli<br />

contingeret fastigium, deum sic aedificium illud impedivisse testatur scriptura, ut ab<strong>la</strong>ta nativa lingua, tot alias<br />

et tam diversas animis eorum inspiravit ut nullus fere quid alius loqueretur intelligeret. Dicit quidem scriptura<br />

deum confudisse et divisisse linguam eorum, hoc est, ex una multas ferisse, et tandem in varias dissecuisse, ut<br />

intelligas in omnes mundi linguas, aliquas saltem voces ex Hebreo fonte dimanasse.<br />

Sunt autem Syrorum, Assyriorum, Babyloniorum, Arabum, Moedorum, Persarum, et aliarum multarum<br />

orientalium nationum linguae, Hebrae maxime confines, et rursum Germanorum et aliorum occidentalium<br />

regioum linguae maxime diversae, tam et si non omnino Hebraicarum dictionum sint expertes. Et ut in summa<br />

dicam, quanto in il<strong>la</strong> Babylonica confusione gens quaeque remotius in terram deturpata est, tan/to minus<br />

convenit ei cum Hebraica lingua: et quo proprius consedit, hoc magis in semone participavit. Hinc est quod<br />

Chaldaeorum lingua prae caeteris omnibus Hebrae affinior est: imò Philo Iudaeus arbitrat Hebraeorum<br />

linguam non differire a Chal. hac motus ratione, atque Abraham fuerit ex Chaldaeis, a quo Heb. Lingua in<br />

omnes transmissa est posteros. Quem divus Hiero. Dan. I. redarguens ait: Quomodo igitur iubent pueri Hebraei,<br />

Daniel scilicet et socij sui, linguam doceri, quam iam noverant. […]”.<br />

296 Gello, cit., passi cit. a p.42f1, mentre nel<strong>la</strong> Chaldaica Grammatica leggiamo a proposito del<strong>la</strong> scrittura<br />

indiana a p. 13c3: “Scribitur autem ipsa et legitur a sinistra ad dextram, more Latinorum et Graecorum: et non a<br />

dextra ad sinistram, ut Arabes, Hebraei et Chaldaei facere consueverunt.”<br />

297 Ibidem. Inoltre ivi, cfr. a p. 44f2 sul racconto di Daniele: “E dunque verissimo il detto di Daniello, che que’<br />

putti imparassino Caldeo.”<br />

52


potuit eis conciliare linguam, quam tamen<br />

diuturnior convictus omnibus intelligibilem<br />

reddidit, maxime pueris, qui non sine<br />

miraculo, ut Quintilianus ait, multo citius et<br />

perfectiusque grandiores et natu incognitam<br />

addiscunt linguam.” 298<br />

Nonostante <strong>la</strong> citazione di Daniele, il Giambul<strong>la</strong>ri rimane comunque fermo nel sostenere <strong>la</strong><br />

provenienza degli Ebrei dall’Aram, avvalendosi nuovamente delle parole pronunciate da<br />

Mosè nel<strong>la</strong> Hebraica Biblia:<br />

“Perché quanto a l’originarsi gli Hebrei in<br />

Aram, noi l’habbiamo da’l nostro Mosè, che<br />

nel XII del Genesi dice che Dio disse ad<br />

Abramo:<br />

Esci dal<strong>la</strong> terra tua, e del<strong>la</strong> natione tua, e<br />

del<strong>la</strong> casa del padre tuo: Et vieni a <strong>la</strong> terra<br />

che ti mostrerò et quello che seguita fin dove<br />

il testo soggiunge.<br />

Uscì dunque Abramo come haveva<br />

comandatoli il Signore et andò Lotto con esso<br />

lui. Et haveva Abramo 75 anni, quando si<br />

partì di Aram, sin qui Mosè.” 299<br />

“Et dixit dominus ad Abram egredere de terra<br />

tua et de natione tua atque de domo patris tui,<br />

ad terram quam ostendam tibi […] Abiit<br />

itaque Abram sicut loquutus erat ad eum<br />

dominus, et ivit secum Lot: fuitque Abram<br />

filius quinque et septuaginta annorum dum<br />

egrederetur de Charan.” 300<br />

Parole a sostegno delle quali, per certificare <strong>la</strong> provenienza di Abramo dall’Aram, il<br />

Giambul<strong>la</strong>ri offre un’ulteriore delucidazione basata ancora sul testo biblico:<br />

“Ma se voi mi diceste hora che <strong>la</strong> <strong>prima</strong><br />

partita sua non fu di Aram; ma di Orcoa,<br />

chiamata nelle lettere Sacre Ur Caldeorum:<br />

de <strong>la</strong> quale egli uscì giovanetto co’l padre<br />

suo, come si vede nel Genesi a lo XI…e venne<br />

ad abitare in Aram. Et poi nel 75 anno del<strong>la</strong><br />

vita sua…si uscì di Aram, io vi replico che<br />

Orcoa (città dove e’ nacque, e donde<br />

giovanetto partì col padre, è terra del<strong>la</strong><br />

Caldea, come lo dicono le Sacre Scritture; e<br />

non tanto appartata dal<strong>la</strong> Mesopotamia che<br />

el<strong>la</strong> possa però variare <strong>la</strong> favel<strong>la</strong> d’una gran<br />

cosa…” 301<br />

Poi, a proposito del<strong>la</strong> città di Orcoa aggiunge:<br />

“Et tulit Taerah Abram filium suum…et<br />

egressi sunt pariter de Ur Chaldaeorum, ut<br />

irent in terram Chnaan: veneruntque usque<br />

Charan, et habitaverunt ibi. Fuerunt autem<br />

dies Terah, quinque anni et ducenti anni;<br />

mortuusque est Taerah in Charan.” 302<br />

298 Chaldaica Grammatica, cit., passo riportato alle pp. 4b2-5b3.<br />

299 Ivi, passo cit., pp. 42f1-43f2.<br />

300 Hebraica Biblia, cit., Genesi: capitolo XII, passo cit. a p. 10b4. Cfr. inoltre ancora <strong>la</strong> convergenza con <strong>la</strong><br />

cronologia proposta nel Kalendarium Hebraicum, “A tempore quo natus est Abraham, usque ad tempus quo<br />

<strong>prima</strong> vice exivit de Haran, anni 52. Et a tempore quo egressus est de Haran, ad tempus quando stetit inter<br />

partes, anni 18. Reversus autem in Haran, mansit ibi 5 anni: et inde rediens in terram Chnaan, fuit filius 75<br />

annorum. Hinc a nativitate Iizhac, 25 anni.” p. 27.<br />

301 Gello, cit., p. 43f2.<br />

302 Hebraica Biblia, cit., p.10b4. Cfr. identica cronologia nel Kalendarium, cit., “Taerah donec natus est<br />

Abraham pater noster, vixit annis septuaginta. Porrò anni vitae suae ducentiquinque.” a p. 13.<br />

53


“che essendo posta <strong>la</strong> da lo Eufrate, è pure el<strong>la</strong> anchora Aramea. Laonde non<br />

cangiandovisi <strong>la</strong> favel<strong>la</strong>, diremo che Abramo <strong>la</strong> par<strong>la</strong>sse per sua, e come sua propria: o si<br />

poco alterata, che male apparisse <strong>la</strong> differenza. Il che non gli advenne già poi; Quando<br />

partito di Aram, se ne venne tra’ Cananei: <strong>la</strong> lingua de’ quali, come fatta si fosse non<br />

sappiamo altrimenti; per haver<strong>la</strong> spenta gli hebrei, quando sotto <strong>la</strong> guida di Iosuè<br />

annul<strong>la</strong>rono quel<strong>la</strong> natione. Non fu dunque diversa <strong>la</strong> Caldea da <strong>la</strong> lingua Hebrea, quando <strong>la</strong><br />

Hebrea primieramente cominciò nel<strong>la</strong> casa e famiglia di Abramo: Ma andossi bene<br />

alterando, e cangiando tanto di tempo in tempo; come fanno anchora tutte l’altre: che nello<br />

spatio di 1349 anni, che sono tra il 75 di Abramo, e <strong>la</strong> rovina del tempio fatta da Caldei…el<strong>la</strong><br />

venne a essere tanto mutata; che fu mestiero imparare l’una e l’altra, a chi volle saperle<br />

amendue” 303 .<br />

Pertanto Giambul<strong>la</strong>ri sostiene l’iniziale coincidenza di ebraico e caldaico nel<strong>la</strong> famiglia di<br />

Abramo fino al<strong>la</strong> sua partenza dall’Aram, appoggiandosi al<strong>la</strong> stessa Grammatica munsteriana,<br />

nonostante <strong>la</strong> posizione certamente non aristotelica del dotto ebraista tedesco in materia<br />

linguistica. Scrive infatti:<br />

“Noverat igitur, ut alij verius sentiunt, Abraham duas linguas, Hebraeorum scilicet et Chal.<br />

Primam deus puram et inconfusam in Abrahami familia reliquit. Et quum ipse Abraham<br />

imperio divino de Ur Chaldaeorum, relicta omni cognatione sua, in terram Chanaan<br />

peregrinaturus veniret, usus est cum suis sacra lingua, caeteris propinquis et cognatis suis<br />

quos in Chaldea reliquit, Babyloniorum iam assuefactis linguae, et tandem involutis<br />

errore.” 304<br />

Passaggio che chiarisce l’opportuno valore da assegnare al<strong>la</strong> precedente menzione di<br />

Daniele in evidente antitesi con <strong>la</strong> posizione curziana tout court ancorata al<strong>la</strong> tesi del<strong>la</strong><br />

originaria separatezza delle lingue caldea ed ebraica.<br />

Del resto, <strong>la</strong> vicinanza tra Grammatica e Gello almeno a livello di tesi partico<strong>la</strong>re, sembra<br />

confortata anche a proposito del<strong>la</strong> non mutazione dei caratteri ebraici da parte di Esdra. Anche<br />

se abbastanza sorprendentemente il Giambul<strong>la</strong>ri omette a sostegno di questa tesi di<br />

menzionare il nome di Muenster, appoggiandosi invece ad una fonte che sostiene in proposito<br />

il contrario. Egli, infatti, dichiara:<br />

“De’ caratteri Hebrei non vo’ dire che non siano i veri: perché havendoli havuti da’l<br />

Cielo; ragionevolmente creder‘ si puote, che <strong>la</strong> stessa virtù che gli diede; quel<strong>la</strong> stessa ce li<br />

mantenga in tante rovine et mutazioni di cose che ha havuto quel<strong>la</strong> natione. Et se bene alcun’<br />

dice, che e’ sono da Esdra; e ne mostrano alfabeti più antichi, come il celeste, lo angelico,<br />

quello del passaggio del fiume, o quell’altro di Salomone, che nel<strong>la</strong> occulta filosofia di<br />

Agrippa si veggono: Advertisca pure chi lo dice; che ben’ possono essere gli alfabeti che e’<br />

dicono: Ma non può già esser vero, che <strong>la</strong> antica scrittura Hebrea sia stata mutata da Esdra;<br />

essendosi mantenuti i libri del<strong>la</strong> legge con tanta veneratione, quanto apertissimamente<br />

dimostra il giudizioso Bibliandro, negli ottimi Scrittori Hebrei.” 305<br />

303 Vedi nota n. 301.<br />

304 Grammatica Chaldaica, cit., passo cit. a p. 10c1.<br />

305 Gello, cit., 44f2, da confrontare con Chaldaica Grammatica, cit., alle pp. 8b4-9c1: Ebraeam linguam<br />

omnibus priorem, sanctiorem, nobiliorem semper fuisse, neminem ignorare arbitror, qui vetus saltem legerit<br />

instrumentum. Interciderunt quidam teste divo Hieronymo ante multos annos literae eius linguae, quibus Iudaei<br />

ante Babylonicam usi sunt captivitate, inventaeque sunt aliae ab Ezra scriba et legis doctore post secondi templi<br />

instaurationem, quibus hodie utuntur Iudaei, invariata tamen sub utrisque characteribus lingua sacra, id quod<br />

indicant nomina Adam, Hava, Kain, Seth, Noah, Iizhac, Iacob, et alia quamplurima, quorum interpretationem<br />

scriptura referens, linguam inconcussam mantisse manifeste demonstrat.” Ivi, cfr. inoltre p. 13c3: “Porrò quales<br />

ij sint characteres, non omnino certum est apud nos: quandoquidem Iudaei, etiam ante Hieronymi tempora,<br />

54


Theodor Bibliander in realtà appare in piena sintonia sul piano linguistico, col Postel degli<br />

anni Quaranta, sia sul<strong>la</strong> mutazione dei caratteri ebraici da parte di Esdra, sia sull’unicità del<strong>la</strong><br />

lingua fino a Nembrot per cui <strong>la</strong> sua menzione tradisce probabilmente un fraintendimento<br />

nel<strong>la</strong> consultazione del De Optimo genere Grammaticorum 306 da parte del Giambul<strong>la</strong>ri, che,<br />

infatti, mantiene costante il suo supporto al<strong>la</strong> tesi del<strong>la</strong> veridicità del Convivio dantesco. 307<br />

Al di là di questo, sancita in tal modo <strong>la</strong> derivazione dell’aramaico dall’etrusco, con il<br />

ricorso anche all’auctoritas di Tito Livio sul<strong>la</strong> precedenza storica del<strong>la</strong> civiltà etrusca rispetto<br />

a quel<strong>la</strong> <strong>la</strong>tina, rileviamo nel seguito del Gello il ricorso a riferimenti munsteriani atti a<br />

spiegare le peculiarità grammaticali del<strong>la</strong> lingua ebraica e a dimostrare il suo notevole<br />

influsso sul toscano. Anche se il Giambul<strong>la</strong>ri, ricordando che <strong>la</strong> lingua toscana è anche un<br />

composto di “Greco, Latino, todesco e Francese” 308 , non trascura <strong>la</strong> rilevanza di altre<br />

influenze storiche.<br />

Comunque, riguardo all’ebraico, il Giambul<strong>la</strong>ri ricorre ad un passo biblico su Sichen e al<strong>la</strong><br />

nota marginale g munsteriana sul comparativo, per spiegare teoricamente <strong>la</strong> mancanza del<br />

comparativo nel<strong>la</strong> lingua ebraica e <strong>la</strong> sua formazione attraverso l’aggettivo e <strong>la</strong> preposizione,<br />

affermando che gli ebrei:<br />

“non hanno… il comparativo: ma esprimono per lo adiettivo, e per <strong>la</strong> prepositione, come<br />

nel XXXIV del Genesi apertamente si può conoscere: perché ragionandovisi di Sichem, dice<br />

quel testo, vehunicbad mi col bet aviu; cioè, et era egli lo onorato di tutta <strong>la</strong> casa di suo<br />

padre. Il che osserviamo noi anchora, che non havendo se non 4 comparativi aggiugnendo<br />

agli altri nomi lo adverbio; più, diciamo il più bello di tutti, il più forte dell’esercito…” 309 .<br />

Passaggio in cui è letteralmente riportato il passaggio del testo muensteriano del<strong>la</strong> Genesi<br />

XXXIV su Sichen: “et erat honorabilior omnibus qui erant in domo patris sui.” 310 e si trae<br />

spunto dal<strong>la</strong> spiegazione di honorabilior contenuta nel<strong>la</strong> nota marginale che dice:<br />

“Constituunt Hebraei comparitivum, per adiectivum et praepositionem ab vel prae: ut,<br />

honoratus prae omnibus, id est, honorabilior omnibus: id quod nostri interpretes hic non<br />

adverterunt, qui hunc locum fic reddiderunt: erat inclytus in omni domo patris sui.” 311<br />

Il Giambul<strong>la</strong>ri si appoggia ancora al testo muensteriano per illustrare l’assenza del<br />

super<strong>la</strong>tivo nel<strong>la</strong> lingua ebraica. Essi, infatti:<br />

“non hanno super<strong>la</strong>tivo; ma esprimono con<br />

replicare due volte il positivo; come nel<br />

Genesi al VII si legge, ve ha main gabern<br />

meod meod al Arez, cioè, et le acque<br />

inondarono molto molto sopra <strong>la</strong> terra” 312<br />

“et acquae inundaverunt vehementissime<br />

super terram…” 313<br />

Chaldaicos libros Hebraicis consueverint scrivere characteribus, id quod in Danielis et Ezrae libris factum esse<br />

perspicuum est.”<br />

306 De optimo genere grammaticorum Hebraicorum commentarius Theodori Bibliandri, Basileae 1542.<br />

307 Riguardo al<strong>la</strong> convergenza delle prospettive di Bibliander con quelle postelliane riguardo a Esdra e<br />

all’unicità del<strong>la</strong> lingua da Adamo a Nembrot rinviamo a P. Simoncelli, La lingua di Adamo, cit., pp. 43-45.<br />

308 Gello, cit., cfr. pp. 48f4-51g2.<br />

309 Ivi, passo cit. a p. 52g2.<br />

310 Hebraica Biblia, cit., passo cit. a p. 33f3.<br />

311 Ivi, p. 34f4.<br />

312 Gello, cit., passo cit. a p. 52g2.<br />

313 Hebraica Biblia, cit., p. 7b1.<br />

55


E ancora, a proposito del<strong>la</strong> discordanza di numero tra verbo singo<strong>la</strong>re e sostantivo plurale di<br />

una cosa, prosegue e dice che gli aramei<br />

“uniscon…il numero singo<strong>la</strong>re del verbo, co’l<br />

plurale del<strong>la</strong> cosa, come nel XVIII capo del<strong>la</strong><br />

Genesi, dove Abramo dice a Dio, V<strong>la</strong>i ie Sc<br />

camiscim zadichim betoc ha hir, cioè, Forse è<br />

cinquanta giusti nel<strong>la</strong> città” 314<br />

“Fortasse sunt quinquaginta iusti intra<br />

civitatem…” 315<br />

Poco dopo, l’autore del Gello soffermatosi su pronomi e articoli in aramaico 316 , illustra il<br />

significato in lingua ebraica del<strong>la</strong> doppia negazione, spiegando che “le due negazioni<br />

continuate, non affermano appresso a gli Hebrei ma niegano maggiormente: come nel XIIII<br />

dello Esodo. Et dissero a Mosè, ha mi beli ben chevarim be mizraim, cioè, per che non erano<br />

forse no sepolture in Egitto. Il che in tutto e per tutto si osserva appresso di noi…” 317<br />

Sia, per <strong>la</strong> spiegazione generale, sia per l’esempio biblico rintracciamo il rinvio al<strong>la</strong> bibbia<br />

muensteriana. Infatti non solo vi è corrispondenza col passo <strong>la</strong>tino che dice: “Dixerunt autem<br />

ad Mosem: nunquid quia non erant sepulchra in Aegypto?” 318 ma, il passo medesimo è<br />

oggetto del<strong>la</strong> nota marginale c al capitolo che concerne il valore del<strong>la</strong> doppia negazione in<br />

aramaico e afferma nel<strong>la</strong> <strong>prima</strong> parte: “Non rarum est apud Hebraos, ut duae negationes mox<br />

sese consequantur, et tamen non efficiant unam affirmationem.” 319 Anche se non va<br />

dimenticato, il sostegno tratto per alcuni passaggi concernenti <strong>la</strong> lingua aramaica in queste<br />

pagine del Gello dall’ebraista Teseo Ambrogio 320 .<br />

Nel seguito del testo, il Giambul<strong>la</strong>ri elenca le numerose voci derivanti dall’aramaico che<br />

ancora permangono nel toscano moderno, appoggiandosi nuovamente, di fronte al<strong>la</strong><br />

diffidenza del Curzio, su alcune opere munsteriane secondo quel che desumiamo dal<br />

riferimento ai “Ditionarij stessi Caldei e Hebrei che si trovano oggi stampati: e sono<br />

composti da oltramontani, che non sanno <strong>la</strong> lingua nostra” e dal confronto dei passi in<br />

questione con i Dizionari muensteriani 321 . Dizionari citati in conclusione del<strong>la</strong> lunga<br />

elencazione esemplificativa del nesso di dipendenza del toscano dall’aramaico:<br />

“Diciamo noi adunque, Ambasciata, Imbasciadore e ambasceria, da Bascer, che a loro<br />

significa nuntiare 322 . Mezzo, e ammezzare, da Mezah, che è dividere in due parti uguali. Nodo<br />

e annodare, da Anad, che è innodare. Arra e innarrare, da Arah, che è pegno e impegnare.<br />

Assillo, da Sillon che è <strong>la</strong> spina. Avello, da Aval, che è piangere. Azzimato e azzimare, da<br />

Zamat che è quel ricciolino che rigettano le donne verso gli orecchi. Baca<strong>la</strong>re da bacal, che è<br />

314 Vedi supra nota n. 312.<br />

315 Hebraica Biblia, cit., passo a p. 15c3 dell’episodio biblico di Sodoma e Gomorra.<br />

316 Gello, cit., pp. 52g-53g3.<br />

317 Ivi, passo cit. a p. 53g3<br />

318 Hebraica Biblia, passo cit. a p. 65l5.<br />

319 Ivi, passo cit. a p. 65l5.<br />

320 In proposito rinviamo a P. Simoncelli, La lingua di Adamo, cit., p. 85, in partico<strong>la</strong>re nota n. 32, inoltre ivi,<br />

cfr. p. 44, in partico<strong>la</strong>re nota n. 81 sul<strong>la</strong> piena convergenza in materia linguistica del Teseo con Guil<strong>la</strong>ume<br />

Postel, in proposito cfr. anche Yvonne Petry, Gender, Kabba<strong>la</strong>h and the Reformation, cit., p. 32.<br />

321 Ditionarium Chaldaicum, non tam ad chaldicos interpretes quoque Rabbinorum intelligenda commentaria<br />

necessarium: per Sebastianum Muensterum ex baal Aruch et Chal. Biblijs atque Hebraeorum peruschim<br />

congestum, Basileae apud Io. Fro. anno M. D. XXVII, e Dictionarium Hebraicum ex Rabinorum commentarijs<br />

collectum, adiectis iis chaldaicis vocabulis quorum in Bibliis et usus: ab autore Sebastiano non solum dermo<br />

locupletum, sed a multis passim mutatis emendatum, ut hac interpo<strong>la</strong>tione liber renatus videatur et p<strong>la</strong>ne<br />

novuus, Basileae apud Io. Froben, an. MDXXV, mense Novemb.. entrambi segna<strong>la</strong>ti in P. Aquilon,<br />

Catalogue,cit., pp. 612 e 649.<br />

322 Cfr. Dictionarium Chaldaicum, cit., a p. 107: “…miscuit, conspersit: Exodi 29.”, cfr. inoltre ivi, p. 65:<br />

“Secundo significant nunciare. Inde…nuncius:…nunciatio: 3. Regum 2.” E Dictionarium Hebraicum, cit., a p.<br />

g6: “Evangelista, nuncius: I Regum 4…Nuncium: 2. Reg. decimo octavo…”.<br />

56


maestro e autore 323 . Bal<strong>la</strong>re, da Ba<strong>la</strong>l, che è mesco<strong>la</strong>re 324 . Bandire, da ban, che è fare<br />

intendere altrui le cose. Baratto e barattare, da Barath, che è contrattare per patto.<br />

Barbaglio, da Barbel, che è lo abbigliamento. Batto, battaglio, battaglia e batosta, da batas,<br />

che percuotere 325 . Bazza diciamo a giuoco, quando senza trionfo si piglia <strong>la</strong> carta dello<br />

adversario; da Baz che vuol dire predare, o da Bazah, che è spregiare e non istimare 326 .<br />

Bollicame, bollore e bollire, da Bul che significa pullu<strong>la</strong>re. Borro, burrone e burrato, da<br />

Bor, che e pozzo e fossa profonda 327 . Botte da Gabot che è vaso da vino. Bracco, il cane da<br />

levare le fiere, da Barac, che è far fuggire. Bua dicono i nostri fanciulli, da Buah, che è <strong>la</strong><br />

piaga 328 . Buccia, da Buz, che è <strong>la</strong> spoglia. Brigata, da Bergad, che è ragunamento di persone.<br />

Ca<strong>la</strong>ta, il ballo di molta fretta, da Ca<strong>la</strong>t, che è lo affretarsi. Ca<strong>la</strong>mita, <strong>la</strong> pietra che tira il<br />

ferro, da Ca<strong>la</strong>mis, che è <strong>la</strong> felce 329 . Calca, lo stiramento delle persone, da Chelca, che è<br />

l’opprimere 330 . Carbone, da Carbon, che <strong>la</strong> estrema e ultima siccita arsiccia 331 . Caruccio, e<br />

carrozza, da Caruz, carro piccolo. Castaldo, il governatore e administratore delle case<br />

grandi, da Castal, che è il dispensiere e distributore 332 . Catani, per i signorotti del paese, da<br />

Hetanim, che sono gli ottimati, e i principali del<strong>la</strong> città 333 . Cava e caverna, da Cavva, che è<br />

ricettacolo, cateratta e finestra 334 . Cavo, per canapo, da Cau, che è <strong>la</strong> funicel<strong>la</strong> 335 . Cera 336 ,<br />

per <strong>la</strong> presentia, quando il dabene si conosce a <strong>la</strong> cera sua, da Chiruz, che è quello stesso,<br />

che i Romani chiamavano indoles. Andare a <strong>la</strong> chicchera, cioè accattando, da chiccher, che<br />

significa investigazione e cercare 337 . Chiose dicono i nostri fanciulli, quelle monete di piombo<br />

con che e’giuocano, da Ghioser, che significa formare e spingere 338 ; perché da loro stessi se<br />

le formano e fingono a lor’piacere. Ciabatta, da hasciabat, che è impedimento. Cocca di<br />

strale, da Coca, che è carcere e chiudimento 339 . Come, da Chemo, che è il quemadmodum de’<br />

<strong>la</strong>tini, o da Chema, che il sicut 340 .Corbello, da Chirbel, che è vestire e involgere 341 . Cotta, da<br />

323 Cfr. Dictionarium Hebraicum, cit., a p.: “…Item…doctor, instructor, legis<strong>la</strong>tor: Psal. 84.”<br />

324 Cfr. a proposito di mesco<strong>la</strong>re Dictionarium Chaldaicum, cit., a p. 56: “…idem quod…miscuit: Ester I.”<br />

325 Ivi, riguardo a scuotere cfr. a p. 111: “…Triturare, escutere: Iudicum 8.”<br />

326 Ivi, cfr. p. 7 su Baz: “Primo significat calumniari, et rapere.”<br />

327 Riguardo al termine fossa cfr. Dictionarium Hebraicum, cit., p. g8: “…Idem quod… fovea, fossa, cisterna:<br />

Isaia. 30.”<br />

328 Ivi, sul<strong>la</strong> piaga dei fanciulli cfr. a p. d8 il seguente passo: “Digitus, p<strong>la</strong>ga…foem. gen. Isaiae decimo<br />

septimo.”<br />

329 Sul<strong>la</strong> felce, cfr. Dictionarium Chaldaicum, cit., a p. 2 “Alij putant esse instrumentum instar ca<strong>la</strong>mi ferrei ,<br />

quo ignis accenditur” e ivi, sul<strong>la</strong> ca<strong>la</strong>mita cfr. p. 4: ”Lapis[…]qui trahit ferrum…Hoc est, in lingua Germanica<br />

Augstein, vel Magnet.”<br />

330 Ivi, cfr. p. 111: “Secundo…significant calcare, conculcare: 3. Reg.2.”<br />

331 In proposito cfr. Dictionarium Hebraicum, cit., p. h5: “…Carbo, pruna, scintil<strong>la</strong>…” cfr. inoltre Dictionarium<br />

Chaldaicum, cit., a p. 87.<br />

332 Sul termine in questione cfr. Dictionarium Chaldaicum, cit., p. 8 riguardo a Gastaldo e governatore: “Primo<br />

idem est quod…mercede conduxit: Gen. 30, Inde…Isa. 21 et…Levit. 19.[…]Gubernator…Idem est<br />

quod…praefectus, praepositus.”<br />

333 Cfr. Dictionarium Hebraicum, cit., a p. c6 dove a proposito degli ottimati leggiamo: “Fortis, durus idem<br />

quod…in plural…optimates, magnates: Iob. 12[…]”. Cfr. inoltre Dictionarium Chaldaicum, cit., p. 112:<br />

“…Optimates, potentes, magnates: Dan. 3. ”<br />

334 Ivi, riguardo a Cavva cfr. pp. d8-e1 in cui “Idem quod…fenestra, cataracta: Hosee 13…Unde Isa. 24.<br />

cataractae coeli dicuntur aperiri, quando pluvia in magna copia descendit, quasi omnes fenestrae coeli apertae<br />

essent. Isa. 60. exponitur pro…fenestris.” Cfr. anche il Dictionarium Chaldaicum, cit., p. 61.<br />

335 Cfr. Dictionarium Chaldaicum, a p. 15: “Funis, instita: Iosue 2.” Inoltre cfr. Dictionarium Hebraicum, cit., a<br />

p. n4: “…Filum ,funiculum, vitta…Gen. 14.”<br />

336 In proposito cfr. Dictionarium Hebraicum, cit., p. k6: “…Cera: mas. gen. ut patet Psal. 22.”<br />

337 Cfr. Dictionarium Chaldaicum, cit., a p. 54: “…Secundo, quaerere, investigare: Iud. 14.”<br />

338 In proposito cfr. Dictionarium Hebraicum, cit., a p. s5: “…Formavit, finxit: Psal. 74. Et nota quod…proprie<br />

creare significant, hoc est, ex nihilo aliquid facere…”.<br />

339 Cfr. Dictionarium Chaldaicum, cit., a p. 29: “…Carcer, vincu<strong>la</strong>” e a p. 34: “…Ligavit: Iud. 16…Captivi,<br />

ibidem: et…Carcer: 3 Reg. 22.”<br />

340 Ivi, p. 16: “Quemadmodum: Prover. 23. qualiter, quomodo…”.<br />

341 Ivi sul Corbello cfr. p. 6 “Est…vestis quae cuti adheret, ut est interu<strong>la</strong>.”<br />

57


Cot, che vuol’ dir veste. Croscio d’acqua, da Ghescem, che è forte e impetuosa pioggia 342 .<br />

Danza per ballo, da Daz, che è far festa ed esultare. Dardo, che si <strong>la</strong>ncia, da Dardar, che è<br />

stimolo e spina 343 . Doga, di Botte, da Dogah, che è navicel<strong>la</strong> o scafa 344 . Ma come io vi diceva<br />

pure hora, questa materia non ha il suo luogo. Et però <strong>la</strong>sciamo<strong>la</strong> stare, che <strong>la</strong> copia sarebbe<br />

fastidio. Et se io discoressi per tutte le lettere, troppo tosto saremmo a’l mille. Ditemene<br />

rispose egli, anchora parecchi di gratia. Et io. Usiamo noi di rispondere, quando non<br />

habbiamo inteso bene, e? voce in tutto Aramea, che volendo essi anchora dir’, come? O che<br />

voi? Dicono, e? Fallito diciamo noi il Mercante, che non può comparire per debito, da Falit,<br />

che è fugitivo e fuggiasco. Fanti e fanteria, da efanti che è <strong>la</strong> torma de’ soldati 345 . Fetta di<br />

pane, o di altro, da Fat, che è il pezzo. Ga<strong>la</strong>, quel taglio che scopre il nascoso, da Ga<strong>la</strong>h, che<br />

rive<strong>la</strong>re e manifestare 346 . Garrire per riprendere, da Garar, che è sgridare. Gemma, per<br />

occhio di vite, da Zemah, che è germugliamento 347 . Gobbo, da goba, che è altezza e<br />

rilevamento 348 . Ma per contentarvi con più brevità, Sappiate che Etrusche voci sono queste.<br />

Insegna, iscerre, isgorbio. L’ago, <strong>la</strong>mpa da leccare. Lecco delle pallottole, che è quello che si<br />

tira innanzi per segno, da Isclic, che è <strong>la</strong>nciare e proporre. Lezij, lezzo. Lucco, veste, che da<br />

noi si porta <strong>la</strong> state. Macco, macu<strong>la</strong>to, ma<strong>la</strong>to, male per infermità 349 , Mana di danari,<br />

manico, marra, martello 350 , maschera, mattana, mazza, meschino, meschinità, micca,<br />

minchione, moccolo, motta, moscio, mozzare. Nacchera, nappo, nano, nastro, nave 351 ,<br />

nettare 352 , ninnare, nozze 353 , nocchiero, nuvolo. Orzo, ortica, osceno, hotta. Padule 354 , parete<br />

da uccel<strong>la</strong>re, passetto da misurare, passo e passare 355 . Pazzo, pe<strong>la</strong>go, pelo per fessura.<br />

Piccone, pollone, pu<strong>la</strong>. Rabbia per fame, Ragazzo, rame, ranno, rascia, razzo, razza, ricco,<br />

roba, rocca, romano di stadera, ruzzare. Sacco 356 , Saetta, Saettile, Saettalo, Salma,<br />

Sapone 357 , Sa<strong>la</strong>, Sargia, Scemo 358 , Schegge, Scia<strong>la</strong>re, Scialbare, Sciatto, Sciliva, scodel<strong>la</strong> 359 ,<br />

scuffia, senno, sensale, sere, sornacchio, spezzo, spillo, staccialo, strada, stufa 360 , succia 361 .<br />

Taccagno, taccagneria, taccone. Tamburo, tallo, tana, tanie, tarare, tasca, tenda, tentenno,<br />

tomaia, tonnina, toppa, toro, trama, tuffo. Vivaio, vizzo, uncino 362 , uscire 363 . Zacchera, zanna,<br />

342 In proposito cfr. Dictionarium Hebraicum, cit., p. i5: “Hinc…pluvia, imber: mas. gen. 3. Reg. 18.”<br />

343 Ivi, riguardo a dardo cfr. p. k7: “…Idem quod…stimulus, acus…”.<br />

344 Ivi, sul<strong>la</strong> navicel<strong>la</strong> cfr. p. i8: “…Piscatorium instrumentum, seu ut alij volunt navicu<strong>la</strong> parva, scapha: Amos<br />

4.”<br />

345 Ivi, cfr. p. h1-h2: “…Turma, cuneus, cohors militum, globus exercitus: Psal. 18. et Mich. 5. Kimhi<br />

exponit…coetum fortium, et Iob 25.”<br />

346 Ivi, al riguardo cfr. p. r4: “…Cognovit, scivit. Inde verbum Hiphil...notum fecit, ostendit, fecit scire: Psal.<br />

98.”<br />

347 Ivi, cfr. p. k7: “…Virens, viror, herba recens, germen viride: Isa. 15.”<br />

348 Ivi, riguardo al<strong>la</strong> voce gobbo cfr. p. g9: “…gibus, gibberosus: Lev. 21.”<br />

349 In proposito cfr. Dictionarium Chaldaicum, cit., a p. 104: “…Dolores, infirmitates.”<br />

350 Sul Martello, ivi cfr. p. 43: “…Malleus: Isa: 24.”<br />

351 Dictionarium Hebraicum, cit., cfr. a proposito del<strong>la</strong> nave p. d4 “item…navis, c<strong>la</strong>ssis […]”<br />

352 Ivi, su nettare cfr. p. i7: “…mel: mas. gen…”.<br />

353 Ivi, cfr. p. u2 “…Hinc…desponsatio, nuptiae: Ier. 2.”<br />

354 Riguardo al termine padule, ossia palude cfr. Dictionarium Chaldaicum, cit., p. 67: “…Primo est idem<br />

quod…stagnum, palus: Isaiae 14.”<br />

355 Ivi, sul passo cfr. p. 64: “…idem quod…passus, gressus.”<br />

356 Ivi, riguardo a Sacco cfr. p. 126: “…secondo…in lingua israelitica significat…Saccum.”.<br />

357 Ivi, riguardo al termine sapone cfr. a p. 11 il seguente passo “Idem quod…Nitrum, quo <strong>la</strong>vantur vestes,<br />

sapo.”<br />

358 Cfr. Dictionarium Hebraicum, cit., a p. b7: “…stultus, fatuus: Ier. 4…Inde…idem quod…stulticia: Proverb.<br />

26.”<br />

359 Sul termine scodel<strong>la</strong> cfr. Dictionarium Chaldaicum, cit., a p. 106: “…Idem quod…mensa, discus, scutel<strong>la</strong>.”<br />

360 Ivi, sul<strong>la</strong> stufa cfr. <strong>la</strong> voce a p. 3 nel passo che dice: “Alij dicunt quod sit…stufa, . aestuarium, seu<br />

Hypocaustum.”<br />

361 In proposito cfr. Dictionarium Hebraicum, cit. a p. r8: “…suxit: Isa. 60.”<br />

362 Ivi, sull’uncino cfr. p. b4, in partico<strong>la</strong>re “Significat circulum, hamum, uncinum, sive Kimhi exponit Isa. 58.<br />

ahenum, quod scilicet habet caput incurvatus…”.<br />

363 Ivi, cfr. p. s3: “…Exivit, egressus est…”.<br />

58


zavorra, bazzicare, zebe, zero, zipolo, ziro, zol<strong>la</strong>, zuffa 364 : con una quasi infinità di tante altre,<br />

che troppo vorrebbono di tempo, ad eser’ raccontate.” 365<br />

A questo punto, di fronte all’ampia certificazione del legame tra ebraico e aramaico, il<br />

Curzio si arrende e promette “che mai più non ardirò chiamare <strong>la</strong> lingua vostra una<br />

corruzione del<strong>la</strong> <strong>la</strong>tina…”. Tuttavia, <strong>la</strong> sua curiosità si sposta sull’influenza che lingue come<br />

il francese ed i tedesco hanno esercitato sul toscano con annesse voci toscane originate da<br />

loro 366 . Ovviamente gli interrogativi curziani offrono non accidentalmente il terreno per una<br />

rapida ma non meno significativa panoramica storico-politica sull’incidenza francese e<br />

tedesca sulle voci del<strong>la</strong> lingua toscana:<br />

“le Todesche ci sono inframmesse, non tanto da i Mercanti: quanto da que soldati tedeschi<br />

che tanto tempo ci praticarono, da Arrigo, infino a l’ultima cacciata de Ghibellini, che sono<br />

350 anni…<br />

Et si come ci addussero questi soldati…le voci todesche: così ci vennero anchora le francesi<br />

dagli Angioini, per que’ tanti Carli e Ruberti di Napoli; che impoverirono questa città.” 367<br />

Abbastanza chiaro appare il giudizio negativo sul dominio angioino a Napoli nel<strong>la</strong> direzione<br />

di un orientamento complessivo non certo filofrancese ulteriormente confermato poco dopo<br />

quando il canonico <strong>la</strong>urenziano scardina <strong>la</strong> tesi del<strong>la</strong> derivazione dello stile poetico e del<br />

sistema delle rime toscane dal provenzale, proposta dal Curzio, in base al<strong>la</strong> priorità temporale<br />

del<strong>la</strong> nascita del<strong>la</strong> forma orale del<strong>la</strong> poesia rispetto a quel<strong>la</strong> scritta. Precedenza testimoniata<br />

secondo il Giambul<strong>la</strong>ri in “Mosè e in Iob, come pruova Iosefo, e in David, e’ in tanti profeti,<br />

negli oracoli delle Sibille, in Esiodo, in Museo, in Homero”.<br />

A supporto del<strong>la</strong> sua argomentazione il canonico <strong>la</strong>urenziano ricorre al <strong>la</strong>voro dei<br />

grammatici per asserire <strong>la</strong> diversità delle misure dei versi, menzionando in questa occasione<br />

Muenster per sostenere l’autonomia del<strong>la</strong> poesia toscana dalle rime provenzali, con riguardo<br />

all’endecasil<strong>la</strong>bo e dice:<br />

“Et per trovarsi lo undici sil<strong>la</strong>bo non solo tra noi e tra’ Provenzali, ma tra Latini, tra i<br />

Greci e tra gli Hebrei anchora come havete da’l dotto Munstero nelle XVIII maniere de versi<br />

Hebraici.” 368<br />

In realtà <strong>la</strong> trattazione dei versi ebraici è riconducibile al Proemio sopra i Salmi di Agostino<br />

Steuco, confuso inavvertitamente col Muenster 369 .<br />

Al di là di questo, Lenzoni che nel<strong>la</strong> finzione dialogica si sostituisce al Giambul<strong>la</strong>ri, sul<strong>la</strong><br />

falsariga del<strong>la</strong> precedente parentesi storico-linguistica, sottolinea l’antecendenza cronologica<br />

dei rimatori del<strong>la</strong> scuo<strong>la</strong> poetica siciliana fiorita con Federico II, rispetto ai rimatori<br />

provenzali che “furono con il Conte Ramando Beringhieri; suocero di quel Carlo di Angiò,<br />

che occupando il Regno di Napoli, uccise il buon Re Manfredi, figliuolo di Federigo II.” 370<br />

Pertanto, l’origine del<strong>la</strong> poesia toscana è ravvisabile in quel<strong>la</strong> siciliana 371 , addirittura<br />

anteriormente a Federigo II, come “dimostra il sonetto di Agatone Drusi; letto non è molto<br />

nel<strong>la</strong> dottissima e virtuosissima Accademia degli Intronati.” 372<br />

364 Ivi, a proposito di zuffa cfr. a p. k2: “…idem quod…contentio, rixa, discordia: Ier. 15.”<br />

365 Gello, cit., passo cit. a pp. 55g3-57h1.<br />

366 Ivi, passo cit. a p. 57h1.<br />

367 Ivi, passo cit. a p. 59h2.<br />

368 Ivi, passi cit. a p. 60h2.<br />

369 Sull’indicazione di Steuco rinviamo a G. Marangoni, Prefazione al<strong>la</strong> Storia d’Europa, cit., in partico<strong>la</strong>re p.<br />

XVI.<br />

370 Ivi, passo cit. a p. 61h3.<br />

371 Ivi, cfr. pp. 62h3-64h4.<br />

372 Ivi, passo cit., a p. 62.<br />

59


Elementi dunque abbastanza chiari specie se ricollegati alle divergenze col Postel e al<br />

ricorso al supporto di riferimenti biblici e noachici munsteriani che riprende, una volta<br />

esaurita <strong>la</strong> parentesi sulle voci toscane derivate da francese e tedesco, a proposito del<strong>la</strong> radice<br />

aramaica dei nomi delle città toscane. Arezzo, ad esempio, non deriva il suo nome dal<strong>la</strong><br />

semina ordinata da Toti<strong>la</strong> nel luogo in cui precedentemente sorgeva Aurelia quanto piuttosto<br />

“perché Iano <strong>la</strong> chiamò Arezzo, da’l cognome del<strong>la</strong> donna sua Arezia, cioè Terra, <strong>la</strong> qual’<br />

Terra nelle Sacre Scritture si chiama Arez 373 ; dicendo Mosè nel principio del Genesi, Berescit<br />

Barah, elohim e ascianain, ve e Arez. Cioè nel principio creò Dio i Cieli e <strong>la</strong> Terra 374 . Fu<br />

adunque il nome di Arezzo, <strong>prima</strong> che Toti<strong>la</strong>, almanco 2580 anni; Perché tanti ne sono da <strong>la</strong><br />

seconda venuta di Iano, fino a Toti<strong>la</strong>…” 375 .<br />

Centrale fra le altre, è naturalmente <strong>la</strong> spiegazione aramaica del nome di Firenze, punto di<br />

snodo dell’ampio ordito noachico sviluppato fin dalle prime pagine del Gello, fornita dal<br />

Lenzoni:<br />

“Bastandomi…il poter dimostrare; che il vero nome del<strong>la</strong> mia Patria, non è Fluentia…Ma<br />

Florentia a Latini e Firenze a noi, da <strong>la</strong> insegna e da gli abitanti. Con cio sia che Fir in<br />

lingua aramea significa fiore, come appare nello VIII capo de Numeri nel<strong>la</strong> voce Fircah, cioè<br />

fior suo 376 : e nel Fircam cioè fior loro nel V cap. di Esaia 377 . Hen poi significa Gratia, come<br />

nel VI del Genesi, trovò Noè Hen (cioè gratia) davanti a Dio 378 . La onde congiunte insieme<br />

queste due voci, direbbono Fiore di Gratia o Fiore Gratioso. Et tale era veramente il<br />

bianchissimo Giglio, segno antichissimo de fiorentini.” 379<br />

Partico<strong>la</strong>re, questo del colore originario e autentico del giglio tutt’altro che insignificante, in<br />

quanto, determina <strong>la</strong> precisazione curziana che l’attuale colore del simbolo di Firenze è invece<br />

rosso e <strong>la</strong> seguente replica:<br />

“Sì ne tempi nostri…Ma non avanti <strong>la</strong> nimicissima divisione de’ Guelfi e de’ Ghibellini: che<br />

allhora lo rimutò <strong>la</strong> miserabile disavventura di questo popolo. Dicendo nel VI il Vil<strong>la</strong>no: Che<br />

i cittadini Guelfi, nel 1201, dove anticamente si portava il campo vermiglio, e il giglio<br />

Bianco; fecero per il contrario, il campo bianco e il giglio vermiglio. E i Ghibellini si<br />

ritennero <strong>la</strong> <strong>prima</strong> insegna.”<br />

Una replica, perfettamente funzionale, al<strong>la</strong> prospettiva politica germanica ghibellina<br />

filoasburgica e al mito del buon tempo antico, suggestioni ben presenti nel<strong>la</strong> produzione e<br />

negli intendimenti politico-letterari del Giambul<strong>la</strong>ri. A maggior ragione, vista <strong>la</strong> fonte in<br />

questione e <strong>la</strong> selezione compiuta dal canonico <strong>la</strong>urenziano che desta almeno qualche<br />

perplessità sul<strong>la</strong> casualità dell’errore nell’individuazione dell’anno di riferimento nel 1201<br />

invece che nel 1251. Vil<strong>la</strong>ni infatti, pur considerando nel<strong>la</strong> sua periodizzazione del<strong>la</strong> <strong>storia</strong><br />

fiorentina l’inizio dei conflitti cittadini del 1216, posticipa tuttavia, rispetto al<strong>la</strong> prospettiva<br />

dantesca e quindi all’orientamento del Giambul<strong>la</strong>ri <strong>la</strong> conclusione del buon tempo antico di<br />

cento anni dal<strong>la</strong> costituzione del primo popolo avvenuta nel 1250 in linea con il suo<br />

orientamento filo-guelfo. Nel<strong>la</strong> storiografia del Vil<strong>la</strong>ni, il 1250 che coincide con <strong>la</strong> morte di<br />

373 Cfr. in proposito anche <strong>la</strong> Chaldaica Grammatica a p. 9c1 dove leggiamo: “Berosus quoque vetustus ille<br />

historiographus idem confirmat dum asserit Noham terram vocasse Aretinam…”.<br />

374 Cfr. con Hebraica Biblia, cit., p. 1a1, il passo già da noi riportato di inizio del primo capitolo del<strong>la</strong> Genesi:<br />

“In principio creavit deus caelum et Terram.”<br />

375 Gello, cit., cfr. p. 65 e ivi, passo cit. a p. 66i1.<br />

376 Hebraica Biblia, cit., cfr. Numeri, cap. VIII, pp. 133z1-134z2.<br />

377 Ivi, cfr. Esaia, tomo II, cap. V, p. 369aa4.<br />

378 Ivi, cfr. p. 6a6 “Noah vero invenit gratiam in oculis domini.”<br />

379 Gello, cit., p. 68i2.<br />

60


Federico II e determina <strong>la</strong> fine del<strong>la</strong> egemonia imperiale sul<strong>la</strong> città e <strong>la</strong> nascita delle istituzioni<br />

comunali fiorentine appare un momento altamente positivo 380 .<br />

Diversamente in questo punto del Gello, al di là dei dubbi sull’indicazione dell’anno,<br />

l’estrapo<strong>la</strong>zione del Giambul<strong>la</strong>ri e <strong>la</strong> valutazione, testimoniano comunque l’impostazione<br />

filoghibellina del canonico <strong>la</strong>urenziano che sottolinea chiaramente come i ghibellini fiorentini<br />

siano i depositarii dell’autentico simbolo di Firenze con tanto di supporto dantesco 381 e in<br />

stretta consequenzialità con <strong>la</strong> spiegazione del significato del nome del<strong>la</strong> città viene formu<strong>la</strong>to<br />

sul<strong>la</strong> base del<strong>la</strong> versione biblica del’eterodosso tedesco Muenster.<br />

Dietro e oltre il piano linguistico, e le acc<strong>la</strong>rate finalità accademiche del trattattello, pertanto<br />

Giambul<strong>la</strong>ri fa trape<strong>la</strong>re anche in questo intervento una prospettiva sostanzialmente<br />

rispondente al<strong>la</strong> linea antiromana e filo-asburgica del<strong>la</strong> corte medicea 382 .<br />

Ipotesi confortata anche dal<strong>la</strong> prudente attesa cosimiana degli sviluppi del<strong>la</strong> situazione<br />

politico-religiosa e ai rapporti da lui intrattenuti nel biennio 1545-1546 con i principi<br />

protestanti, per arginare un’intesa troppo stretta tra Paolo III e Carlo V 383 .<br />

Senza dimenticare che il trattattello del Giambul<strong>la</strong>ri, viene approntato nell’estate del 1545, a<br />

ridosso dell’apertura del Concilio tanto a lungo invocato da parte asburgica e finalmente<br />

ottenuto nel marzo dello stesso anno. Concilio, <strong>la</strong> cui inaugurazione rinvigorisce le mai spente<br />

aspettative di concordia interne al<strong>la</strong> cristianità, secondo un orientamento di ampie prospettive<br />

non rigidamente e angustamente dottrinali proprie dello stesso Giambul<strong>la</strong>ri, visti i riferimenti<br />

culturali che esprime tanto nel Gello quanto nelle coeve lezioni dantesche 384 .<br />

Tornando al testo, infatti, Lenzoni, prosegue nel<strong>la</strong> spiegazione del nome Firenze in piena<br />

sintonia con <strong>la</strong> genealogia noachica, sostenendo che “il nome di Firenze è composto<br />

so<strong>la</strong>mente di due voci, cioè da Fir, che è fiore,…e di ez che vuol dire forte. Non perché dica<br />

380 Ivi, passo a p. 69i3. Il passo in questione, è tratto dalle Croniche del guelfo Giovanni Vil<strong>la</strong>ni morto nel 1348,<br />

ma cronologicamente e storicamente riguarda appunto <strong>la</strong> cacciata dei Ghibellini da Firenze compiuta, dopo <strong>la</strong><br />

vittoria conseguita contro Pistoia, dai guelfi ritornati dentro al<strong>la</strong> città in seguito al<strong>la</strong> morte di Federico II nel<br />

1250, e non nel 1201; leggiamo infatti in Cronica di Giovanni Vil<strong>la</strong>ni a miglior lezione ridotta coll’aiuto de testi<br />

a penna, Firenze, per il Magheri, 1823, tomo II, libro VI, cap. XLIII, alle pp. 65-66: “…le dette case de’<br />

ghibellini di Firenze furono cacciati e mandati fuori del<strong>la</strong> città per lo popolo di Firenze, il detto mese di Luglio<br />

1251. E cacciati i caporali de’ Ghibellini di Firenze, il popolo e gli Guelfi che dimoraro al<strong>la</strong> signoria di Firenze,<br />

si mutaro l’arme del comune di Firenze; e dove anticamente si portava il campo rosso e’l giglio bianco, si<br />

feciono per contrario il campo bianco e’l giglio rosso, e’ i ghibellini si ritennero <strong>la</strong> <strong>prima</strong> insegna, ma <strong>la</strong><br />

insegna antica del comune dimezzata bianca e rossa, cioè lo stendale ch’andava nell’osti in sul carroccio non si<br />

mutò mai.” Cfr. anche ivi, tomo I, libro V, cap. XL p. 261 “Nell’anno 1216…<strong>la</strong> ‘nsegna del comune di Firenze,<br />

il campo rosso e’l giglio bianco, fu <strong>la</strong> <strong>prima</strong> che si vide in su le mura di Damiata…” e ancora a proposito del<strong>la</strong><br />

morte dell’imperatore e del ritorno dei guelfi cfr, pp. 62-64. Sul<strong>la</strong> prospettiva guelfa del Vil<strong>la</strong>ni e sul<strong>la</strong> diversa<br />

prospettiva di periodizzazione del buon tempo antico rinviamo a N. Rubinstein, Il Medio Evo nel<strong>la</strong> storiografia<br />

italiana del Rinascimento, in “Lettere italiane”, 24, 1972, pp. 431-447; in partico<strong>la</strong>re pp. 434-436 e 444-446.<br />

Inoltre verifica Ch. T. Davis, Il buon tempo antico in Florentine Studies, ed. N. Rubinstein, Londra 1968, pp. 49-<br />

51.<br />

381 Ivi, nel<strong>la</strong> stessa pagina leggiamo infatti riguardo al mantenimento da parte dei Ghibellini dell’insegna<br />

originaria: “La qualcosa accennando il dottissimo Poeta nostro, induce il suo Cacciaguida nel XVI del Paradiso<br />

a dire così:<br />

“Con queste genti, vidi io, glorioso<br />

Et giusto il Popol’ suo tanto; che il Giglio<br />

Non era ad aste mai posto a ritroso:<br />

Né per division’ fatto vermiglio.”<br />

382 In questa direzione, ci sembra stranamente casuale, <strong>la</strong> vicinanza linguistica dei nomi di coloro i quali hanno<br />

dato il nome al popolo tedesco e a quello toscano. Il primo nasce posteriormente al secondo da “Tuisco Gigante,<br />

uno de figliuoli di Noè, nato dopo il diluvio: da’l quale dura anchor hoggi il nome Todesco, quasi Toesco, poco<br />

alterato da’l primo suono.” Che inizia a popo<strong>la</strong>re <strong>la</strong> Germania durante il quindicesimo anno di regno in Italia di<br />

Comero. L’altro, “quanto al nome Toscano…se lo ritiene da Tusco, figliuolo di Ercole Egittio, che successe al<br />

padre nel Regno… il 2291 de <strong>la</strong> creatione e 635 da il diluvio…”. Per i passi in questione cfr. Gello, cit.,<br />

rispettivamente alle pp. 29d3 e 48f4.<br />

383 Cfr. G. Fragnito, Un pratese al<strong>la</strong> corte di Cosimo I. Riflessioni e materiali per un profilo di Pier<strong>francesco</strong><br />

Riccio, in “Archivio di studi pratesi”, 1986, in partico<strong>la</strong>re pp. 42-45.<br />

384 Vedi supra, II paragrafo.<br />

61


Fior’forte…ma Fiore de forti, cioè de soldati di Hercole Egittio; posti qui ad habitare da<br />

Hercole stesso; come dianzi udiste dal Gello.” 385 Egli inoltre, recupera direttamente <strong>la</strong><br />

Chaldaica Grammatica munsteriana per giustificare nel passaggio da Firez a Firenze,<br />

l’aggiunta del<strong>la</strong> lettera n: “come lo n vi sia interposto, lo dichiara l’uso arameo, che lo<br />

chiama lettera servile: cioè non naturale, o fondamentale delle voci: ma aggiunta loro per<br />

comodità e servitio di quelle, talvolta di ripieno, e talvolta per uno uso sovrabbondante 386 ;<br />

come e quando e’dicono, IMBA, per IBA, cioè frutto…e ANTE per ATE, cioè Tu: come<br />

aperto mostra il Munstero nel<strong>la</strong> Gramatica de’ Caldei.” 387 Da cui, pertanto “aggiungendo lo<br />

e,…di Firenz, facciamo Firenze, fiore de forti, cioè de soldati d’Ercole Egittio. Il quale<br />

seccato il padule, <strong>la</strong>sciò i vecchi soldati a godersi questo bel piano…come provano<br />

apertamente le ragioni addotte dal Gello, da’l nome del Fiume; da <strong>la</strong> insegna sua; e da’l<br />

sigillo del Magistrato supremo di questa città, che ha sempre havuto <strong>la</strong> impronta di<br />

Hercole.” 388<br />

La insegna di Hercole, secondo quanto il Lenzoni chiarirà nei passaggi successivi, è il<br />

marzocco, il leone, simbolo del<strong>la</strong> Firenze repubblicana, riproposto in chiave aramaica con<br />

l’attribuzione di un significato del quale ancora una volta è evidente il debito nei confronti<br />

del<strong>la</strong> fonte muensteriana:<br />

“Mostramisi dunque <strong>la</strong> insegna d’Hercole nel Lione, perché egli uccise il Lione, vestissi di<br />

pelle di Lione; per cognome fu detto AR, e ARI, cioè Lione; al fiume nostro pose nome Arno,<br />

cioè Lion’ famoso…Aggiugnesi a tutto questo che e noi in memoria sua, Tegnamo anchora<br />

per Impresa il Lione, e chiamiamolo Marzocco: non perché questa voce a noi, o ad altri<br />

propriamente vaglia; Lione: Ma per mostrare che noi Siamo da Hercole. Conciosia che que’<br />

primi nostri…dovevano gridare, Mazoc, Mazoc, cioè fondator’ fondatore[…]tra i molti<br />

significati di questa voce Zoc, tanto suona el<strong>la</strong> in lingua Aramea, quanto a Latini,<br />

fondamento e sostenimento come ne Dittionarij del Munstero 389 .” 390<br />

Un debito, che va di pari passo nel precedente passaggio con <strong>la</strong> trasposizione di significato<br />

del termine marzocco, dalle sue originarie valenze repubblicane a valenze medicee.<br />

385 Ivi, passo cit. a 69i3.<br />

386 Cfr. Chaldaica Grammatica, cit., a p. 19d2 in cui leggiamo: “Et vocantur serviles, quod de dictionis essentia<br />

non sunt quando serviunt[…]. Constituunt atque syl<strong>la</strong>bae quaedam serviles ex his accidentarijs literis<br />

387 Gello, cit., passo cit. a p. 70.<br />

388 Ibidem.<br />

389 Su Zoc cfr. Dictionarium Hebraicum, cit., “…fundavit, fundamentum posuit: Psal. 89…Inde…fundamentum,<br />

basis…”. Inoltre, curioso è rilevare che nel<strong>la</strong> pressoché identica nuova edizione (<strong>la</strong> seconda) del Gello del 1549<br />

stampata dal Torrentino, viene aggiunto un ulteriore rimando al muensteriano Chaldaicum Dictionarium, quando<br />

leggiamo a proposito delle lettere etrusche scolpite su alcune medaglie ritrovate: “E che in alcune medaglie di<br />

quelle antichissime etrusche…dove da una banda si vede <strong>la</strong> testa di Iano con le due facce e dall’altro un delfino<br />

goffo e mal fatto a gal<strong>la</strong> in su l’acqua, manifestamente appariscono lettere etrusche nel suo d’intorno che dicono<br />

Orise<strong>la</strong> cioè libertà, secondo alcuni, che <strong>la</strong> interpretarono dal<strong>la</strong> voce ebrea Hhor, che significa libero.<br />

Avvegnachè, io seguitando come assai più antica <strong>la</strong> lingua caldea, intenda piuttosto Moneta di mio padre, da<br />

Hor che in quello idioma dice padre, e Je<strong>la</strong>, moneta di quattro denari, come nel dizionario caldeo del Muenstero<br />

agevolmente si può vedere.” In Lezioni di Messer Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri aggiuntovi l’origine del<strong>la</strong> lingua<br />

fiorentina altrimenti il Gello dello stesso autore, Mi<strong>la</strong>no, Giovanni Silvestri, 1827, passo cit., alle pp. 211-212.<br />

Una precedente edizione del Gello viene compiuta da Giuseppe degli Aromatari sotto il nome di Subasiano nel<br />

Tomo VI del<strong>la</strong> raccolta degli “Autori del ben par<strong>la</strong>re”, impressa in Venezia, nel<strong>la</strong> Salicata, 1643, in tomi XIX, in<br />

4, secondo quanto apprendiamo a p. 21 al<strong>la</strong> nota n. 6 del<strong>la</strong> I<strong>storia</strong> dell’Europa dall’800 al 913 di Messer Pier<br />

Francesco Giambul<strong>la</strong>ri, Torino, L’Unione tipografico-editrice, 1861. Dove si ricorda anche che le due edizioni<br />

del Gello del 1546 e del 1549 vengono citate dagli accademici del<strong>la</strong> Crusca nel loro Vocabo<strong>la</strong>rio (per ulteriori<br />

notizie riguardo al<strong>la</strong> recezione delle opere del Giambul<strong>la</strong>ri nei dizionari del<strong>la</strong> Crusca vedi infra capitolo III).<br />

390 Gello, cit., passo cit. a p. 71i4.<br />

391 La lettera inviata da Marzio Marzi de’ Medici Priore di S. Lorenzo a Pier Francesco Riccio preposto di Prato<br />

il 13 febbraio 1543 (che corrisponde per il calendario moderno al 1544) si trova in ASF, volume n. 1171, inserto<br />

n. 1, Foglio n. 20. Al riguardo e sul<strong>la</strong> questione del termine Marzocco cfr. A. D’Alessandro, Introduzione, cit.,<br />

pp. 62-63; cfr. inoltre P. Simoncelli, La lingua di Adamo, cit., pp. 21-22.<br />

62


Operazione peraltro, già avviata dal Gelli <strong>prima</strong> nell’Egloga a Cosimo, poi nel Dell’origine di<br />

Firenze inviato al Duca, come attesta <strong>la</strong> lettera mandata da Angelo de’ Marzi vescovo di<br />

Marsico e segretario di Cosimo I a Pier<strong>francesco</strong> Riccio in data 12 febbraio 1544, a cui viene<br />

allegata:<br />

“una lettera del Gello [Giambattista Gelli] dentrovi una del Giambul<strong>la</strong>ri per difinitione del<br />

Marzoccho. S. Ecc.tia [Cosimo I] m’ha comandato <strong>la</strong> mandi a V. S. R. perché lei <strong>la</strong> facci<br />

scrivere in quell’operetta del Gello, et a lui dirà che S. Ecc.tia l’ha havuta chara et quanto<br />

habbi commesso […]”. 391<br />

Pertanto, il Giambul<strong>la</strong>ri inserisce il suo contributo in merito al significato del termine<br />

Marzocco nel suo Gello in preparazione durante il 1544, dietro sollecitazione ducale.<br />

Del resto anche le ultime pagine del trattattello in cui viene smantel<strong>la</strong>ta <strong>la</strong> tesi del<strong>la</strong><br />

ricostruzione del<strong>la</strong> città ad opera di Carlo Magno confermano le propensioni medicee e<br />

filoghibelline del Giambul<strong>la</strong>ri 392 . Prospettiva nell’occasione sostenuta dal Curzio ma cara a<br />

tanta parte del<strong>la</strong> storiografia fiorentina dal Vil<strong>la</strong>ni, al Bruni, al Machiavelli, anche se secondo<br />

diverse sfumature e opzioni ideologiche 393 , <strong>la</strong> quale non può che trovare in disaccordo il<br />

canonico <strong>la</strong>urenziano. Essa infatti afferma l’antica e sedimentata propensione francofi<strong>la</strong> del<strong>la</strong><br />

città 394 , chiaramente inaccettabile per gli elementi fin’ora riscontrati agli occhi del canonico<br />

fiorentino che sembra guardare in direzione germanica o quantomeno asburgica.<br />

392 Gello, cit., cfr. pp. 76-78. Lo stesso Gelli ancora nel 1561 nel<strong>la</strong> Lettura sesta, lezione quinta in G. B. Gelli,<br />

Opere, cit., pp. 768-768 respinge <strong>la</strong> rifondazione carolingia del<strong>la</strong> città e <strong>la</strong> precedente distruzione attribuita dal<strong>la</strong><br />

tradizionale strogiorafia ad Atti<strong>la</strong> e a Toti<strong>la</strong>, in proposito si rinvia in partico<strong>la</strong>re alle pp. 773-776.<br />

393 In proposito rinviamo a N. Rubinstein, Il Medio Evo, cit.. Inoltre verifica Ch. T. Davis, Il buon tempo antico,<br />

cit., inoltre, riguardo al<strong>la</strong> prospettiva antimperiale del Bruni cfr. anche Frances A. Yates, Astrea. L’idea di<br />

Impero nel Cinquecento, Torino, Einaudi, 1978, in partico<strong>la</strong>re cfr. pp. 24-25.<br />

394 Sul<strong>la</strong> quale ivi, p. 445 e A. Aubert, Eterodossia e Controriforma nell’Italia del Cinquecento, Bari, Cacucci,<br />

2003, p. 10.<br />

63


Capitolo II<br />

1. La fortuna e motivi del<strong>la</strong> Storia d’Europa<br />

La Storia d’Europa e le sue fonti<br />

A più di trecento anni dal<strong>la</strong> scomparsa, una targa apposta nel chiostro del<strong>la</strong> chiesa di S.<br />

Lorenzo nel 1862, avrebbe reso omaggio a Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri quale autore del<strong>la</strong><br />

Storia d’Europa:<br />

Petrus Franciscus Giambu<strong>la</strong>rius<br />

canonicus basilicae <strong>la</strong>urentianae doctus sermones linguae ebraicae chaldaicae etruscae<br />

graecae <strong>la</strong>tinae nec non prec<strong>la</strong>ra doctrina et eruditione ornatus inter quae plura conscripsit<br />

longe eminet hi<strong>storia</strong>e europae ab anno DCCC ad MCC- in ea quippe fiorentini incorrupta<br />

sermonis integritas praelucet et narrationis mira iucunditas dulcissimusque candor sine<br />

satietate delectat- vir fuit sanctissimus castissimusque sacerdos et civis optimus atquenob<br />

virtutis opinionem iudicio principum et muneribus honestatus obiit sexagenarius gentis suae<br />

postremus anno MDLV. Cultores politioris humanitatis non incuriosi suorum memoriam vir<br />

praestantissimi titolo hoc vetustate senescere prohibueverunt.<br />

An. MDCCCLXII<br />

Segnale di un’avvenuta riscoperta dell’opera, sostanzialmente dimenticata sotto il profilo<br />

dell’interesse culturale e del<strong>la</strong> fortuna editoriale, seguito all’unica edizione cinquecentesca<br />

realizzata dallo stampatore veneziano di origini senesi Francesco De Franceschi 395 nel 1566<br />

dietro sollecitazione di Cosimo Bartoli 396 , e non più pubblicato fino al secolo XIX.<br />

Prima ed unica impressione cinquecentesca che nonostante sia supervisionata dal Bartoli<br />

che si trova stabilmente a Venezia dal 1562 quale agente mediceo in sostituzione di Pero<br />

Gelido fuggito a Lione 397 , presenta molti errori a partire dall’indicazione del periodo storico<br />

trattato contenuta nel titolo, dall’800 al 913 invece di quello effettivo dall’887 al 947.<br />

Confusione peraltro già denunciata dal Bartoli undici anni <strong>prima</strong> in conclusione<br />

dell’orazione funebre pronunciata per il Giambul<strong>la</strong>ri a Santa Maria Novel<strong>la</strong>, quando aveva<br />

sottolineato il carattere incompiuto dell’opera e l’intenzione di pubblicare “i più et più libri<br />

del<strong>la</strong> hi<strong>storia</strong> d’Europa, circa lo anno novecentesimo del<strong>la</strong> nostra salute, <strong>la</strong> quale egli con<br />

estrema diligentia, et meraviglioso giudizio aveva (cavando<strong>la</strong> dalle tenebre) messa in<br />

luce” 398 .<br />

Al di là di questo, nel<strong>la</strong> lettera dedicatoria dell’edizione veneziana del<strong>la</strong> Storia indirizzata a<br />

Cosimo, il Bartoli ribadisce l’elogio allo sforzo profuso dall’amico per comprendere un<br />

periodo oscuro e indecifrato in re<strong>la</strong>zione agli scrittori di storie secondo il consolidato motivo<br />

umanistico del valore esemp<strong>la</strong>re del<strong>la</strong> <strong>storia</strong>:<br />

395 Si rinvia preliminarmente al<strong>la</strong> voce De Franceschi Francesco, di L. Baldacchini, in DBI, vol. XXXVI,<br />

1988, pp. 30-35 e soprattutto a Dizionario de Tipografi e degli editori italiani. Il Cinquecento diretto da Marco<br />

Menato, Ennio Sandal, Giuseppina Zappel<strong>la</strong>, Editrice Bibliografica, Mi<strong>la</strong>no, 1997, in partico<strong>la</strong>re vedi vol. I: A-<br />

F, <strong>la</strong> voce Franceschi, Francesco de ed eredi, di Marcello Brusegan, pp. 450-453.<br />

396 Hi<strong>storia</strong> dell’Europa, cit..<br />

397 In proposito rinviamo a J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., per il periodo veneziano complessivo pp. 85-159, in<br />

partico<strong>la</strong>re per l’avvicendamento con Pero Gelido scappato a Lione ivi, pp. 85-86<br />

398 Ivi, p. 166.<br />

64


“quegli che hanno scritto le historie…ci hanno <strong>la</strong>sciata una viva memoria delle cose<br />

passate, per le quali non haremo notizia alcuna, mettendocele innanzi agli occhi in uno<br />

specchio, come se le vedessimo intervenire a tempi nostri. La qual cosa ci fa più accorti et più<br />

prudenti, in saperci risolvere, o di pigliare i partiti, o di schifare i pericoli, con gli esempi di<br />

altri[…]Del<strong>la</strong> qual sorte Scrittori se bene ce ne è pure assai buon numero, non è, però che<br />

delle azzioni occorse nel<strong>la</strong> Europa dalli anni 800 di nostra salute infino al 1200, non si<br />

desideri chi più <strong>la</strong>rgamente et distintamente le avessi scritte. Il che considerato già molti anni<br />

sono dal virtuoso Pier Francesco Giambul<strong>la</strong>ri, come desideroso di supplire a questo<br />

mancamento, avendo con sua non picco<strong>la</strong> spesa ragunati molti e molti Autori et <strong>la</strong>tini, et<br />

Grechi et Franzesi, et Todeschi, et Spagnoli, et Inghilesi et Italiani, et di altre nazioni, che<br />

sparsamente ragionavano delle cose di quei tempi, et assai confusamente, si deliberò con<br />

molta fatica et diligentia sua di mettere una hi<strong>storia</strong> ordinata insieme delle cose che in quei<br />

tempi occorsono…” 399<br />

Da questo momento in poi si verifica una sorta di schiacciamento del<strong>la</strong> dimensione storica<br />

del<strong>la</strong> produzione culturale del canonico <strong>la</strong>urenziano esclusivamente considerato quale<br />

grammatico e linguista. Le menzioni e gli apprezzamenti che pure <strong>la</strong> Storia d’Europa, riceve,<br />

a partire dal<strong>la</strong> seconda metà del Seicento, nei dizionari dell’Accademia del<strong>la</strong> Crusca<br />

rimangono limitati ad una valutazione linguistica e stilistica 400 .<br />

399 Ivi, Cosimo Bartoli, Allo illustris. Et eccellentiss. S. il S. Cosimo de Medici duca di Firenze e Siena…, Di<br />

Venetia, alli 12 di Settembre MDLXVI (pagine non numerate).<br />

400 In proposito cfr. Vocabo<strong>la</strong>rio degli accademici del<strong>la</strong> Crusca, in questa terza impressione Nuovamente<br />

corretto e copiosamente accresciuto…, in Firenze MDCXCI, nel<strong>la</strong> stamperia dell’Accademia del<strong>la</strong> Crusca, III<br />

voll., in partico<strong>la</strong>re all’interno del vol. I nell’elenco degli Autori moderni citati in difetto o confermazion degli<br />

antichi per dimostrazion dell’uso, o per qualch’altra occorrenza, a p. 32 “La <strong>storia</strong> dell’Europa del<br />

Giambul<strong>la</strong>ri”. Da notare nel<strong>la</strong> pagina precedente <strong>la</strong> menzione di Bernardo Giambul<strong>la</strong>ri insieme a Luca Pulci per<br />

il “Ciriffo Calvaneo”. Infatti nel tomo I degli Atti dell’Accademia del<strong>la</strong> Crusca, stampato in Firenze nel 1819,<br />

al<strong>la</strong> carta LXXIII si ricorda che il 20 settembre 1658, i deputati al<strong>la</strong> compi<strong>la</strong>zione del vocabo<strong>la</strong>rio stabiliscono di<br />

citare <strong>la</strong> Storia del Giambul<strong>la</strong>ri e ne affidano lo spoglio al dottor Simon Berti denominato lo Smunto come<br />

ricaviamo da A. Mortara, Notizie intorno al<strong>la</strong> vita ed alle opere di Pier Francesco Giambul<strong>la</strong>ri, cit., in I<strong>storia</strong><br />

dell’Europa dall’800 al 913 di Messer Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri, testo di lingua, Torino, l’Unione tipograficoeditrice,<br />

1861, a p. 35. (Anche nelle pagine precedenti, del resto, abbiamo ulteriori elementi che testimoniano del<br />

lungo tempo atteso dalle opere del canonico per un’effettiva recezione se non addirittura ne siano date<br />

segna<strong>la</strong>zioni erronee dal Tiraboschi come per il Del<strong>la</strong> lingua che si par<strong>la</strong> e scrive in Firenze per il quale ivi<br />

rinviamo alle pp. 28-29, oppure per le Lezzioni di M. Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri lette nell’Accademia fiorentina,<br />

cit., che possono essere state menzionate in qualche edizione del suddetto vocabo<strong>la</strong>rio come parte delle Prose<br />

fiorentine, Firenze, Tartini e Franchi, 1716-1731, voll. 17; in proposito vedi ivi, pp. 29-30. Notizia confermata<br />

anche dall’assenza del Giambul<strong>la</strong>ri negli elenchi di precedenti edizioni del suddetto dizionario come <strong>la</strong> <strong>prima</strong><br />

edizione veneziana secentesca Vocabo<strong>la</strong>rio degli Accademici del<strong>la</strong> Crusca, con tre indici delle voci, locuzioni, e<br />

proverbi Latini, e Greci, posti per entro l’Opera. Con privilegio del sommo pontefice, del Re Cattolico, del<strong>la</strong><br />

Serenissima Repubblica di Venezia, e degli altri Principi, e Potentati d’Italia, e fuor d’Italia, del<strong>la</strong> Maestà<br />

Cesarea, del Re Cristianissimo…in Venetia, MDCXII, appresso Giovanni Alberti, 1612 (sul<strong>la</strong> quale cfr. M.<br />

Sciarrini, “La Italia Natione”. Il sentimento nazionale italiano in età moderna, Mi<strong>la</strong>no, Franco Angeli, Roma,<br />

2004, in partico<strong>la</strong>re pp. 137-141) e parimenti nel<strong>la</strong> seconda impressione…, in Venezia, MDCXXIII, appresso<br />

Iacopo Sarzina.<br />

Anche nell’ottocentesco Vocabo<strong>la</strong>rio degli accademici del<strong>la</strong> Crusca, in Firenze, nel<strong>la</strong> tipografia galileiana di M.<br />

Cellini e c., (quinta impressione) 1863-1866, XII voll. sebbene ivi <strong>la</strong> Storia sia chiaramente richiamata ed<br />

indicata al vol. I a p. XLVIIIf4, vengono piuttosto valorizzati altri contributi del canonico <strong>la</strong>urenziano come<br />

vediamo nel vol. II, 1866, pp. 339-340 dove <strong>la</strong> voce cabalista contiene una definizione costituita dal<strong>la</strong> citazione<br />

tratta dal<strong>la</strong> dantesca lezione II in Lezioni…1551, cit., p. 47.<br />

Inoltre, sul<strong>la</strong> nascita dell’accademia del<strong>la</strong> Crusca cfr. M. P<strong>la</strong>isance, Le accademie fiorentine negli anni ottanta<br />

del Cinquecento in Piero Gargiulo, Alessandro Magini, Stéphane Toussaint, éds., Neop<strong>la</strong>tonismo, musica,<br />

letteratura nel Rinascimento. I Bardi di Vernio e l’Accademia del<strong>la</strong> Crusca, Prato, “Cahiers Accademia”, I,<br />

2000, pp. 31-39, ora in M. P<strong>la</strong>isance, L’Accademia e il suo principe, cit., pp. 363-374, in partico<strong>la</strong>re cfr. pp. 366-<br />

374.<br />

65


Nel corso del Settecento <strong>la</strong> situazione non muta sensibilmente come dimostrano i giudizi di<br />

Giambattista Vico 401 e Lodovico Antonio Muratori 402 , circoscritti alle posizioni aramaiche e<br />

al Gello del Giambul<strong>la</strong>ri.<br />

Soltanto verso <strong>la</strong> fine del Settecento Giro<strong>la</strong>mo Tiraboschi 403 torna sul contributo storico del<br />

Giambul<strong>la</strong>ri, elogiandone l’impegno profuso per “sceverare” tante fonti. Tuttavia, sul<strong>la</strong><br />

falsariga di Muratori, il Tiraboschi considera Carlo Sigonio un modello imprescindibile ed<br />

inarrivabile per lo studio e <strong>la</strong> comprensione dell’epoca medievale 404 , preferendolo al<br />

Giambul<strong>la</strong>ri anche perché capace di completare <strong>la</strong> narrazione storica dal IX al XIII secolo<br />

diversamente dal canonico <strong>la</strong>urenziano. 405<br />

Inoltre, il Tiraboschi pur apprezzando stilisticamente <strong>la</strong> Storia del Giambul<strong>la</strong>ri ne critica <strong>la</strong><br />

grammatica e l’ortografia, in linea con i rilievi già espressi da Apostolo Zeno. 406<br />

401 G. Vico, Principi di Scienza Nuova d’intorno al<strong>la</strong> comun natura delle nazioni, in questa terza impressione<br />

dal medesimo autore in un gran numero di luoghi corretta, schiarita e notabilmente accresciuta 1744, in G.<br />

Vico, Opere, a cura di Fausto Nicolini, Napoli, Riccardo Ricciardi, Verona, 1953, pp. 365-905, cfr. in partico<strong>la</strong>re<br />

pp. 472-473: “Questa dignità dà altresì i principi di scienza all’argomento di che scrisse il Giambul<strong>la</strong>ri: che <strong>la</strong><br />

lingua Toscana sia d’origine siriaca. La quale non potè provenire che dagli più antichi fenici, che furono i primi<br />

navigatori del mondo antico, come poco sopra n’abbiamo proposto una dignità…”<br />

402 Nelle Dissertazioni sopra le antichità italiane nel<strong>la</strong> dissertazione XXIII, Dell’origine o sia dell’etimologia<br />

delle voci italiane, leggiamo: “Sia a me permesso di dire mancar di molto in chi ha finquì ricercato onde sia<br />

nata buona copia de’ nostri vocaboli, imperciocchè troppo facilmente si persuasero uomini dotti che quasi tutte<br />

le voci italiane sieno derivate dal<strong>la</strong> lingua <strong>la</strong>tina o greca, nel li credo io ingannati. Ci sono altre nazioni presso<br />

le quali si dee cercare e si trova l’origine di non pochi de’ nostri vocaboli. Né migliore strada presero coloro<br />

che dedussero dal<strong>la</strong> provenzale non poche d’esse voci, e di bei sogni propose il Giambul<strong>la</strong>ri con cercarne <strong>la</strong><br />

miniera nel<strong>la</strong> lingua aramea. Ma noi molto men di quel che si crede abbiam preso dal greco linguaggio,<br />

pochissimo dagli Ebrei; e quei pochi vocaboli che dal<strong>la</strong> Provenza passarono in Italia furono bensì usati da<br />

qualche scrittore, ma non già adottati dal popolo.” In Dal Muratori al Cesarotti. Opere di Lodovico Antonio<br />

Muratori, a cura di Giorgio Falco e Fiorenzo Forti, V tomi, Riccardo Ricciardi, Verona, 1978, passo cit. in tomo<br />

I, parte I, p. 649.<br />

403 Storia del<strong>la</strong> Letteratura italiana del cav. Abate Giro<strong>la</strong>mo Tiraboschi. Dall’anno MD fino all’anno MDCCC,<br />

Firenze, presso Molni, Landi e c., 1805-1813, IX tomi., (<strong>prima</strong> edizione Modena, 1772), sul quale cfr. E.<br />

Raimondi, I lumi dell’erudizione. Saggi sul Settecento italiano, Mi<strong>la</strong>no, Vita e pensiero, 1989 e AA. VV.,<br />

Tiraboschi: miscel<strong>la</strong>nea di studi, a cura di Anna Rosa Venturi Barbolini, Modena, Biblioteca Estense<br />

Universitaria, 1997.<br />

404 In proposito, E. Raimondi, I lumi dell’erudizione, cit., in partico<strong>la</strong>re p. 135.<br />

405 Storia del<strong>la</strong> Letteratura italiana, cit., tomo VII, Dall’anno MD all’anno MDC, parte II, libro III, pp. 886-<br />

887 dove leggiamo con evidenti imprecisioni anche sull’anno di morte del Giambul<strong>la</strong>ri: “Più esatta e più utile<br />

sarebbe stata <strong>la</strong> <strong>storia</strong> di Pier Francesco Giambul<strong>la</strong>ri fiorentino, se avesse potuto condur<strong>la</strong> al<strong>la</strong> fine. Avea egli<br />

intrapreso a scrivere una Storia d’Europa, cominciando dal principio del IX secolo, e veggendo che le altre<br />

Storie finallora pubblicate erano o superficiali, o favolose, avea raccolto gran copia di scrittori antichi e<br />

moderni di qualunque nazione per confrontargli tra loro, e discutere i lor racconti. Ma egli, giunto al libro VII,<br />

cioè all’an. 913, finì di vivere in età d circa 69 anni nel 1563, e <strong>la</strong> sua <strong>storia</strong> non fu stampata che due anni<br />

appresso[…]A questi scrittori di <strong>storia</strong> generale altri ne aggiungerò a questo luogo, che benché prendessero ad<br />

argomento de’ loro racconti o le sole vicende italiane, o qualche parte di esse, perché nondimen trattenersi ne’<br />

tempi da noi più rimoti possono andar del pari co’ mentovati finora.[…]Ma queste opere e questi scrittori<br />

svaniscono innanzi all’immortale Siconio. Egli è il solo che fra <strong>la</strong> folta caligine de’ barbari secoli passeggia con<br />

piè sicuro e sparge luce per ogni parte.” In partico<strong>la</strong>re ivi, sul Sigonio vedi pp. 820-837.<br />

406 Ivi, tomo VII, cit., parte quarta, libro III, leggiamo alle pp. 1567-1568: “il primo fra’ Toscani a scrivere<br />

del<strong>la</strong> lingua italiana fu Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri di patria fiorentino, di cui già si è detto nel ragionare degli<br />

storici. Qui dunque ne rammenteremo solo il Gello…Volle il Giambul<strong>la</strong>ri persuaderci che <strong>la</strong> nostra lingua<br />

venisse dall’antica etrusca, e fosse accresciuta poi anche dall’ebraica e dall’aramea; e ognun può immaginare<br />

quai belle cose dovesse dire su tal proposito. Nondimeno ei dee aversi in conto di uno degli scrittori più<br />

benemeriti del<strong>la</strong> lingua italiana per <strong>la</strong> sceltezza delle voci e dell’espressioni. Non così riguardo al<strong>la</strong> grammatica<br />

e al<strong>la</strong> ortografia, nelle quali, come avverte Apostolo Zeno (l. c. p. 25), ei non è modello troppo degno<br />

d’imitazione, essendo a lui pure avvenuto ciò che secondo il can. Salvino Salvini…accadde talvolta ad altri<br />

Toscani, cioè ch’essi, fondati sul benefizio del Cielo, che donò loro il più gentil par<strong>la</strong>re d’Italia, trascurano i<br />

loro stessi beni, non osservando perfettamente l’esatta correzione, e non curandosi di aggiungere al<strong>la</strong> fertilità,<br />

per dir così, del lor terreno <strong>la</strong> necessaria cultura e a’ loro componimenti l’ultimo pulimento.”<br />

66


Peraltro, lo stesso Tiraboschi dimostra di aver letto tutt’altro che attentamente <strong>la</strong> Storia del<br />

Giambul<strong>la</strong>ri come non mancherà di rilevare il vero artefice del ri<strong>la</strong>ncio dell’opera del<br />

canonico <strong>la</strong>urenziano: Pietro Giordani 407 .<br />

Il celebre purista, infatti, elogia grandemente lo stile del<strong>la</strong> prosa del Giambul<strong>la</strong>ri<br />

definendolo un “mellifluo Erodoto”, capace di rieccheggiare <strong>la</strong> naturalità del<strong>la</strong> lingua italiana<br />

del Trecento e di riprodurre lo stile greco. Il Giordani fautore di una prospettiva linguistica<br />

non scevra da una volontà di rottura col modello educativo e culturale di matrice<br />

controriformista, esalta lo stile del canonico <strong>la</strong>urenziano per quel<strong>la</strong> naturalità che manca al<strong>la</strong><br />

prosa dei <strong>la</strong>tini, fondamentale invece sotto il profilo dell’apporto lessicale al<strong>la</strong> formazione<br />

del<strong>la</strong> nostra lingua. 408<br />

A parte questo, l’appel<strong>la</strong>tivo del Giordani si spiega, oltre che con una non improbabile<br />

allusione al<strong>la</strong> valenza di Erodoto come fonte del filone etrusco tanto caro al Giambul<strong>la</strong>ri 409 ,<br />

anche in re<strong>la</strong>zione al quadro storico che il canonico <strong>la</strong>urenziano voleva rappresentare. In<br />

un’altra delle sue lettere il Giordani afferma:<br />

“Se mai fu in Italia chi potesse rappresentarci Erodoto, o è questi, o altri non ne conosco.<br />

Che ampio e bel disegno di <strong>storia</strong> se <strong>la</strong> vita gli fosse bastata a colorirlo! E quanta fatica gli<br />

dovette costare poiché non erano ancora al mondo i <strong>la</strong>vori di Carlo Sigonio, a portar luce in<br />

que’ tre secoli tanto infelici e tenebrosi che furono dall’887 al 1200!” 410<br />

Un giudizio che si inquadra nel<strong>la</strong> generale riscoperta che il Romanticismo compie del<br />

Medio Evo in evidente opposizione al<strong>la</strong> sua prevalente ma non esclusiva liquidazione durante<br />

il secolo dei Lumi quale epoca storica di barbarie e oscurantismo, sul<strong>la</strong> falsariga di<br />

orientamenti interpretativi e schemi storiografici <strong>la</strong>rgamente attinti dall’Umanesimo.<br />

In proposito cfr. I<strong>storia</strong> dell’Europa dall’800 al 913 di Messer Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri. Testo di lingua,<br />

Torino, L’Unione tipografico-editrice, 1861 in cui si riferisce il parere del Tiraboschi con annessa confutazione<br />

delle deficienze grammaticali del Giambul<strong>la</strong>ri da lui denunciate, cfr. pp. 27-28.<br />

Inoltre su Apostolo Zeno rinviamo a Storia del<strong>la</strong> Letteratura, Fabbri, Mi<strong>la</strong>no 1967, ad indicem; H. Kindermann,<br />

Teatro europeo del Rococò, in Sensibilità razionalismo nel Settecento, Firenze, 1967; G. Torcel<strong>la</strong>n, Giornalismo<br />

e cultura illuministica nel Settecento veneto, in Settecento veneto, Torino 1969, ad indicem.<br />

407 Sul quale vedi <strong>la</strong> re<strong>la</strong>tiva voce Giordani Pietro di G. Monsagrati, su DBI, vol. LV, Roma, 2000, pp. 219-<br />

226, cfr. inoltre Pietro Giordani nel II centenario del<strong>la</strong> nascita. Atti del Convegno di studi, Piacenza, 16-18<br />

marzo 1974, cassa di risparmio di Piacenza, 1974, ivi, in partico<strong>la</strong>re per un sintetico e generale profilo di questa<br />

figura <strong>la</strong> re<strong>la</strong>zione introduttiva di Carlo Dionisotti, Discorso introduttivo, pp. 1-20. A proposito del<strong>la</strong><br />

stigmatizzazione delle inesattezze del Tiraboschi vedi in P. Giordani, Opere, XIV voll., a cura di Antonio<br />

Gussalli, Mi<strong>la</strong>no, per Francesco Sanvito, 1854-1863, ivi, vol. X, p. 426 in cui accusa il Tiraboschi addirittura di<br />

non aver letto l’opera del canonico <strong>la</strong>urenziano.<br />

Tuttavia, l’errore compiuto dal Tiraboschi nel definire l’arco cronologico dell’opera dall’800 al 913 sarebbe<br />

stato commesso anche in molte altre edizioni ottocentesche del<strong>la</strong> Storia d’Europa che d’altronde lo criticano per<br />

le indicazioni errate sul<strong>la</strong> confusione fatta nel<strong>la</strong> recezione delle opere del canonico nei Dizionari del<strong>la</strong> Crusca.<br />

Inoltre vedi supra nota 12 per l’edizione del 1861 e ancora I<strong>storia</strong> d’Europa…dal DCCC al DCCCCXIII,<br />

Mi<strong>la</strong>no, casa editrice di M. Guigoni, 1873, che ripropone le notizie del..Mortara, cit..<br />

408 P. Giordani, Opere, cit., a proposito del giudizio sul Giambul<strong>la</strong>ri, vedi <strong>la</strong> lettera inviata da Mi<strong>la</strong>no il 20<br />

maggio 1817 al Conte Pompeo del Toso a Vicenza, vol. IV, pp. 64-66, e soprattutto a p. 65 il passo in cui il<br />

Giordani esprime il giudizio sopra ricordato e <strong>la</strong>menta <strong>la</strong> scorrettezza dell’edizione cinquecentesca del<strong>la</strong> Storia<br />

d’Europa manifestando chiaramente il proposito di realizzarne una nuova edizione: “Ond’è ottimo ch’io non<br />

pensi al guadagno che niuno ne farei; ma solo al piacere degli studiosi, cercando di pubblicare qualche buon<br />

libro poco divulgato. Ho l’animo al Giambul<strong>la</strong>ri: ma pesami di non poter trovare qualche manoscritto, onde<br />

medicare alcun poco quell’unica stampa, dal<strong>la</strong> quale si spesso non si riesce di cavar senso. Ma vedremo; e si farà<br />

il meno male possibile. Certo quel<strong>la</strong> prosa mi pare un gran che: el<strong>la</strong> so<strong>la</strong> fra le italiane mi rende un poco del<br />

mellifluo Erodoto.” Sul<strong>la</strong> distinzione tra stile e lingua dei trecentisti in re<strong>la</strong>zione al <strong>la</strong>tino in chiave di rottura con<br />

<strong>la</strong> Controriforma rinviamo a Sebastiano Timpanaro, Il Giordani e <strong>la</strong> questione del<strong>la</strong> lingua in Pietro Giordani,<br />

cit., pp. 157-208, pp. 175-185, in partico<strong>la</strong>re nota 65 a p. 185; inoltre ivi, riguardo al giudizio espresso sul<br />

Giambul<strong>la</strong>ri cfr. <strong>la</strong> nota 43 a p. 176 e <strong>la</strong> nota n. 62 a p. 183.<br />

409 In proposito cfr. G. Cipriani, Il mito etrusco, cit., p. 33 in partico<strong>la</strong>re nota n. 68.<br />

410 Ivi, lettera del 1821 al tipografo Niccolò Bottoni, vol. X, pp. 423-427, passo cit. a p. 426.<br />

67


Una piena coscienza del Medio Evo, del resto, dopo gli sconvolgimenti rivoluzionari, viene<br />

percepita come irrinunciabile esigenza al fine di un pieno ristabilimento dello spirito e del<strong>la</strong><br />

coscienza identitaria europea. Un recupero naturalmente non puramente nostalgico e rivolto al<br />

passato come quello mistico proposto dal Novalis nell’ambito del<strong>la</strong> Restaurazione che rifiuta<br />

<strong>la</strong> Riforma protestante e <strong>la</strong> modernità, ma che sia capace di cogliere nel processo in atto<br />

dell’affermazione spirituale del principio nazionale non più limitato ad una sfera meramente<br />

etnico-linguistica, le imprescindibili origini romano-barbariche, nel<strong>la</strong> prospettiva avanzata tra<br />

gli altri, dal Guizot 411 .<br />

La riscoperta medievale poi, attraverso l’esaltazione del primordiale spirito libertario delle<br />

stirpi germaniche, gioca un ruolo estremamente importante nel rinvigorimento del mito del<strong>la</strong><br />

superiorità del<strong>la</strong> civiltà europea quale assetto politico-spirituale fondato sul<strong>la</strong> libertà, di cui<br />

primo antesignano anche se con riferimento ad un’Europa limitata al<strong>la</strong> Grecia era stato<br />

proprio Erodoto in antitesi al<strong>la</strong> tirannide orientale del mondo persiano. 412<br />

Pertanto, sul<strong>la</strong> base di queste suggestioni <strong>la</strong> Storia del Giambul<strong>la</strong>ri suscita nuova curiosità.<br />

Tanto più che il nostro canonico costruisce <strong>la</strong> propria narrazione delle vicende del continente<br />

su questo doppio binario, di unità spirituale e di molteplicità politico-storica, secondo quanto<br />

il Bartoli aveva detto del<strong>la</strong> raccolta e dell’uso delle fonti operato dal Giambul<strong>la</strong>ri.<br />

Fin dalle prime battute, come sottolinea Carlo Curcio, l’Europa descritta dal Giambul<strong>la</strong>ri<br />

appare come un “contenente” <strong>la</strong> cui <strong>storia</strong> “procede per nazioni e per paesi. La <strong>storia</strong><br />

d’Europa, per <strong>la</strong> <strong>prima</strong> volta, è <strong>storia</strong> dei popoli d’Europa, delle nazioni europee.” Spesso<br />

sembra imporsi quale criterio fondativo del<strong>la</strong> <strong>storia</strong> <strong>la</strong> geografia, ma poi riemerge il col<strong>la</strong>nte<br />

unitario spirituale costituito dal Cristianesimo, specie in re<strong>la</strong>zione ad invasioni esterne, ma<br />

sempre secondo questo duplice binario di unità molteplicità. Scrive infatti ancora il Curcio:<br />

“Non c’era nel<strong>la</strong> <strong>storia</strong> del Giambul<strong>la</strong>ri, <strong>la</strong> Cristianità, c’erano nazioni cristiane, c’erano<br />

Cristiani. Ecco, ancora un legame spirituale, il legame che teneva uniti i popoli del<br />

continente. Tale unione si notava soprattutto quando genti d’altre razze e d’altri continenti<br />

invadevano l’Europa[…]In Europa vi erano pel Giambul<strong>la</strong>ri, nazioni con caratteri, costumi,<br />

indirizzi politici ormai staccati ed evidenti. V’erano contrasti e guerre, altro segno<br />

dell’individualità di quelle nazioni. Entro quel ‘contenente’ non c’era armonia di spiriti.” 413<br />

Del resto, in questa direzione va tenuto presente sia l’anno di inizio del<strong>la</strong> narrazione del<strong>la</strong><br />

Storia, sia il momento storico in cui Giambul<strong>la</strong>ri si dedica al<strong>la</strong> sua composizione. La<br />

narrazione del canonico <strong>la</strong>urenziano parte significativamente dall’887, momento nel quale<br />

l’impero carolingio si sgreto<strong>la</strong> definitivamente nei tre regni autonomi di Francia, Germania ed<br />

411 Al riguardo rinviamo in primo luogo a Marcello Verga, Storie d’Europa. Secoli XVIII-XXI, Roma, Carocci<br />

editore, 2004, pp. 35-46 e F. Chabod, Storia dell’idea d’Europa, a cura di Ernesto Sestan e Armando Saitta,<br />

Bari, Laterza, 1995, (<strong>prima</strong> edizione 1964), pp. 104, 125-144 e 152-153; inoltre ivi, Appendice, pp. 161-171, in<br />

partico<strong>la</strong>re pp. 161-164 e ancora su Guizot, id., Nazione ed Europa nel pensiero dell’Ottocento in “Quaderni<br />

ACI”, 6 (1951) pp. 17-32, ora in id., Idea di Europa e politica dell’equilibrio, a cura di Luisa Azzolini, Bologna,<br />

Il Mulino, 1995, pp. 259-283, in partico<strong>la</strong>re pp. 269-276; inoltre, cfr. G. Ca<strong>la</strong>brò, L’idea di Europa di Chabod, in<br />

“La Cultura”, a. XLII, n. 2, agosto 2004, pp. 235-255, sul<strong>la</strong> riconsiderazione ottocentesca del periodo medievale<br />

pp. 237 e 239, 250-255, e C. Curcio, Europa. Storia di un’idea, Firenze, Vallecchi, 1958, II voll., pp. 502-503.<br />

Infine sull’Europa Medievale, cfr. anche Roberto Lopez, La nascita dell’Europa secoli V-XIV, Torino, Einaudi,<br />

1966 (traduzione di Naissance de l’Europe, Parigi, Armand Colin, 1962) cfr. AA.VV., Il Medioevo dagli<br />

orizzonti aperti, Atti del<strong>la</strong> giornata di studio per Roberto Lopez, Genova, 9 giugno 1987, Genova, cooperativa<br />

grafica, 1989.<br />

412 Su Erodoto, F. Chabod, Storia dell’idea d’Europa, cit., in partico<strong>la</strong>re pp. 23-24, e id., L’idea di Europa.<br />

Prolusione al corso di Storia moderna nell’Università di Roma 22 gennaio 1947 nel<strong>la</strong> “Rassegna d’Italia”, II,<br />

1947, n. 4, pp. 3-17, n.5 pp. 25-37, ora in Idea d’Europa e politica dell’equilibrio, cit., pp. 139-203, in<br />

partico<strong>la</strong>re pp. 142-143 e C. Curcio, Europa Storia di un’idea, cit., I vol., pp. 55-58; inoltre G. Ca<strong>la</strong>brò, L’idea di<br />

Europa di Chabod, cit., p. 236.<br />

413 C. Curcio, Europa <strong>storia</strong> di un’idea, cit., passi alle pp. 204-205.<br />

68


Italia con <strong>la</strong> deposizione di Carlo Il Grosso 414 . Inoltre, quando il Giambul<strong>la</strong>ri <strong>la</strong>vora al<strong>la</strong><br />

Storia 415 , siamo negli anni quaranta, (in partico<strong>la</strong>re cinque dei sette libri pervenutici nel<strong>la</strong><br />

versione del testo a stampa sono ultimati entro il 1547 416 ) fase in cui <strong>la</strong> cristianità europea<br />

appare gravemente <strong>la</strong>cerata dal dissidio tra protestanti e cattolici e dallo scontro militare tra<br />

Carlo V e <strong>la</strong> Lega di Smalcalda.<br />

Tuttavia, nel<strong>la</strong> Storia d’Europa il canonico <strong>la</strong>urenziano non si limita semplicemente a<br />

registrare queste profonde divisioni. Egli, infatti, sostiene con forza <strong>la</strong> permanenza del<br />

principio imperiale e <strong>la</strong> sua capacità di operare quale fattore essenziale dello sviluppo europeo<br />

a partire dal momento in cui si verifica <strong>la</strong> Trans<strong>la</strong>tio imperii dagli imperatori carolingi agli<br />

imperatori Sassoni, Arrigo e soprattutto suo figlio Ottone I. Certo ormai l’idea imperiale non è<br />

più figlia dell’ecumene romana e del<strong>la</strong> istanza universalistica del<strong>la</strong> cultura greco-romana, ma<br />

il prodotto dell’incontro e del<strong>la</strong> fusione tra le nuove stirpi germaniche e <strong>la</strong> cultura cristiana.<br />

Come vedremo, peraltro, il comune sostrato cristiano non interviene nel<strong>la</strong> Storia, soltanto<br />

saltuariamente in caso di attacco degli infedeli e barbari Ungheri o dei Saraceni a costituire un<br />

col<strong>la</strong>nte provvisorio e temporaneo. Gli imperatori sassoni, guidati dal<strong>la</strong> volontà e dal favore<br />

divino come l’autore sottolinea ripetutamente, svolgono una missione di guida morale e<br />

politica del<strong>la</strong> cristianità. Ruolo imperiale a cui corrisponde <strong>la</strong> marginalizzazione di Roma e<br />

molte volte <strong>la</strong> negativa rappresentazione dei pontefici medievali e delle loro azioni antitetiche<br />

all’imperatore e conseguentemente agli autentici interessi del<strong>la</strong> Res publica christiana.<br />

Pertanto lo scritto riprende <strong>la</strong> prospettiva filoghibellina e filoerasmiana rilevata negli altri<br />

interventi del Giambul<strong>la</strong>ri, <strong>la</strong> quale influenza profondamente <strong>la</strong> stessa concezione del potere<br />

imperiale di Carlo V 417 , per il tramite di Mercurino da Gattinara, pur non essendone l’unica<br />

componente. Il grande cancelliere dell’imperatore, del resto, e<strong>la</strong>bora una prospettiva imperiale<br />

sincretistica, basata sul<strong>la</strong> concezione medievale che privilegia l’elemento germanico, quel<strong>la</strong><br />

umanistica che rivendica <strong>la</strong> centralità di Roma e dell’Italia e quel<strong>la</strong> erasmiana che, in un<br />

panorama di Stati e principi indipendenti, trasferisce al concerto tra sovrani <strong>la</strong> tute<strong>la</strong> dei valori<br />

del<strong>la</strong> Res publica christiana.<br />

414 Sul periodo carolingio cfr. Nascita dell’Europa ed Europa carolingia: un’equazione da verificare, settimana<br />

di studio 19-25 aprile 1979, II voll., Centro Italiano di studi sull’alto medioevo, Spoleto, 1981.<br />

415 Fin da ora e per <strong>la</strong> successiva analisi delle fonti faremo riferimento al<strong>la</strong> I<strong>storia</strong> d’Europa, a cura di G.<br />

Marangoni, cit..<br />

416 La lezione a stampa infatti, nell’edizione I<strong>storia</strong> d’Europa, a cura di G. Marangoni, cit., cui facciamo<br />

riferimento fin da ora e per <strong>la</strong> successiva analisi sulle fonti, conferma che sicuramente cinque dei sette libri a noi<br />

complessivamente giunti, viene completata già nel 1547, attraverso un riferimento contenuto nel primo libro<br />

dove leggiamo a p. 11 a proposito delle città boeme “Le città principali sono Volograd, modernamente chiamata<br />

Olmic, e Bruna e Znoimia, dove mancò di vita lo imperatore Sigismondo, non sono oltre a cento dieci anni.” e<br />

due passi del quinto che alludono chiaramente all’anno in questione. Il primo riguarda all’interno del<strong>la</strong><br />

descrizione geografica del<strong>la</strong> Scandinavia, il fiume norvegese Mos:<br />

“E dentro fra terra ferma sono infinite fiumare e diversi <strong>la</strong>ghi, e uno fra gli altri chiamato Mos; nel quale,<br />

quando ca<strong>la</strong>mitade alcuna debbe venire in Norvegia, apparisce (dice il Landavo) un serpente grandissimo, co’l<br />

medesimo significato che le comete negli altri luoghi.[…]Fu veduto il serpente detto, non sono più che<br />

venticinque anni, cioè nel millecinquecentoventidue. E per quanto giudicaresi poteva per quello che appariva di<br />

lui sopra al<strong>la</strong> acqua, in maniera quasi di canapo che in sé stesso fusse raccolto, fu giudicato cinquanta cubiti; e<br />

ne seguì appresso <strong>la</strong> cacciata del re Cristierno, de <strong>la</strong> quale non si aspetta par<strong>la</strong>re a me, per esser fuori dei tempi<br />

ch’io scrivo.” passo cit., alle pp. 310-311 e il secondo all’interno del prospetto geografico del<strong>la</strong> Russia, a<br />

certificazione dell’autorità superiore esercitata dal patriarca di Costantinopoli sull’arcivescovo di Leopoli con<br />

riferimento al concilio di Costanza:<br />

“Il quale…riconosce per maggiore il patriarca di Costantinopoli, e a lui obbedisce in tutte le cose: come poco<br />

più di cento anni sono, potè vedersi pubblicamente nello ottavo sacrosanto concilio universale, celebrato nel<strong>la</strong><br />

nostra città per Eugenio quarto sommo pontefice, presente lo imperatore greco ed esso patriarca<br />

costantinopolitano, in compagnia di Isidoro, poi cardinale, ed allora arcivescovo universale di tutta <strong>la</strong><br />

Rossia…”., passo cit., alle pp. 331-332. Sul compimento dei primi cinque libri, cfr. G. Marangoni, Introduzione,<br />

cit., p. XXXI.<br />

417 Sul quale preliminarmente rinviamo a Pierpaolo Merlin, La forza e <strong>la</strong> fede. Vita di Carlo V, Roma-Bari,<br />

Laterza, 2004, e annessa bibliografia, pp. 399-406.<br />

69


Una prospettiva che, proprio attraverso il nesso prioritario che il Gattinara istituisce tra Italia<br />

e Germania, secondo <strong>la</strong> fusione di istanze dantesche e umanistiche 418 , si sposa evidentemente<br />

con <strong>la</strong> realtà imperiale delineata dal Giambul<strong>la</strong>ri in cui il rapporto instaurato tra autorità<br />

imperiale e regno d’Italia risulta molto stretto.<br />

Un’impostazione pertanto, quel<strong>la</strong> del canonico <strong>la</strong>urenziano, perfettamente funzionale al<strong>la</strong><br />

politica antiromana di Cosimo il quale, secondo quanto scrive Carlo Dionisotti, che<br />

suggerisce addirittura un’implicita identificazione nel<strong>la</strong> Storia d’Europa tra Ottone I di<br />

Sassonia e Carlo V , “mirava al granducato, ossia al vicariato imperiale sul<strong>la</strong> Toscana” 419 .<br />

Significativo in questa direzione è anche il cambiamento del progetto generale del<strong>la</strong> Storia<br />

rilevato da Giuseppe Kirner 420 sul<strong>la</strong> base del confronto tra l’edizione a stampa e l’unico<br />

parziale manoscritto autografo dell’opera da lui segna<strong>la</strong>to: il magliabechiano 111, c<strong>la</strong>sse<br />

XXIV. In questo codice che presenta il primo e una parte di quello che sarebbe diventato il<br />

secondo libro del<strong>la</strong> Storia d’Europa, il Giambul<strong>la</strong>ri annuncia il progetto originario di coprire<br />

un arco di 70 anni di accadimenti storici italiani ed europei, dall’incoronazione imperiale di<br />

Arnolfo (887) all’ascesa al regno d’Italia di Berengario II (957):<br />

“Ritornato adunche in Ponente l’imperio sotto il gran Carlo e suoi discendenti, e suscitatosi<br />

con esso in parte il quasi estinto valore antico, ne seguirono tosto quei frutti, che per essere<br />

manifestissimi nelle istorie, non accade a me replicargli; e ne successero appresso quei rari,<br />

anzi piuttosto insoliti effetti, che gran tempo stati nascosi, ci sforzeremo di recare in luce,<br />

cominciando a lo imperio di Arnolfo, dove tutti i nostri scrittori vorrebbono gli antichi più<br />

diligenti nelle cose almanco d’Italia per anni LXX o circa, molto male da quegli accennate, et<br />

(secondo che dicono) peggio descritte. Alle quali <strong>prima</strong> che altrimenti io ponga <strong>la</strong> mano,<br />

deliberandomi pure di narrare non le istorie sole d’Italia, ma quelle ancora d’Europa,<br />

conveniente e giusto mi pare…” 421<br />

Un programma dunque ricalcato sull’arco storico svolto dall’Antopodosis di Liutprando, che<br />

tuttavia viene modificato <strong>prima</strong> del 1547 come si evince nel testo a stampa che non riporta il<br />

passaggio riscontrato nel codice autografo e contiene nell’ultima pagina del quarto libro un<br />

rinvio a Ottone III e nel quinto due richiami a Ottone II 422 . Giambul<strong>la</strong>ri, pertanto, come rileva<br />

Kirner, <strong>prima</strong> vuole trattare il periodo in cui l’Italia ha re propri, poi anche <strong>la</strong> fase di dominio<br />

sul<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong> degli imperatori tedeschi 423 .<br />

Ulteriore conferma in questo senso, oltre al Bartoli, <strong>la</strong> fornisce il Gelli che in una sua<br />

lezione dantesca del 1558, sul X canto dell’Inferno, ricorda come <strong>la</strong> tesi sull’origine dei nomi<br />

di guelfi e ghibellini del Boccaccio venga confutata dal Giambul<strong>la</strong>ri che “dimostra…in quel<strong>la</strong><br />

I<strong>storia</strong> dal mille al mille e Trecento, ch’egli ha scritto, cavando<strong>la</strong> con grandissima diligenza<br />

da molti istoriografi esterni (perciòche ei non si trova scritto cosa alcuna o pochissimo di<br />

quei tempi da’ nostri italiani) non può esser in alcun modo vera” 424<br />

418 Ivi, sulle diverse componenti del<strong>la</strong> concezione imperiale di Carlo V sul<strong>la</strong> sua evoluzione in re<strong>la</strong>zione alle<br />

varie fasi storiche del suo impero fino al suo fallimento pp. 156-365 e in partico<strong>la</strong>re sull’influenza del Gattinara e<br />

sugli elementi del<strong>la</strong> sua prospettiva imperiale vedi pp. 156-180.<br />

419 C. Dionisotti, Medio Evo barbarico e Cinquecento italiano, in “Lettere italiane”, XXIV, 1972, pp. 421-430,<br />

in partico<strong>la</strong>re pp. 428-429 e passo cit. a p. 429.<br />

420 G. Kirner, Sul<strong>la</strong> <strong>storia</strong> d’Europa di Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri, Pisa, Tipografia T. Nistri e C., 1889, pp. 6-7.<br />

421 BNF, cod. Magliabechiano 111, c<strong>la</strong>sse XXIV, passo cit., alle pp. 3-4.<br />

422 Giambul<strong>la</strong>ri nel IV libro riferendosi ai “Borussi” dice che “quello che e’ facessero poi ne’ tempi del terzo<br />

Ottone…lo diremo ne’ luoghi suoi” Storia d’Europa, cit., passo cit. a p. 287, e nel V, <strong>prima</strong> promette di porre<br />

fine al<strong>la</strong> confusione spaziale e temporale prodotta da diverse fonti sul<strong>la</strong> <strong>storia</strong> boema quando storicamente<br />

arriverà “a’ tempi di Ottone secondo…”, passo cit. a p. 347, poi anticipa sul conto di Oderico principe di<br />

Boemia: “ed ebbene poi col tempo un figliuolo chiamato Bisetis<strong>la</strong>o, che fu genero di Ottone secondo, come a suo<br />

luogo racconteremo.”, p. 352.<br />

423 G. Kirner, Sul<strong>la</strong> <strong>storia</strong> d’Europa, cit., p. 6-12.<br />

424 Gelli, Letture edite ed inedite sopra <strong>la</strong> Commedia di Dante, cit., all’interno del<strong>la</strong> Lettura quinta sopra lo<br />

inferno fatta all’Accademia fiorentina nel conso<strong>la</strong>to di M. Francesco Cattani da Diacceto MDLVIII, pp. 573-<br />

70


Probabilmente, secondo quanto sostenuto dal<strong>la</strong> Marangoni, il Giambul<strong>la</strong>ri, dopo aver<br />

completato i primi cinque libri dell’opera intorno al 1547, nei restanti otto anni del<strong>la</strong> sua<br />

esistenza oltre ad aver composto il sesto e parte del settimo libro, redige anche degli appunti<br />

preparatori di quel<strong>la</strong> che sarebbe dovuta essere <strong>la</strong> prosecuzione del<strong>la</strong> Storia in base al nuovo<br />

progetto. Una continuazione mai realizzata per il sopraggiungere del<strong>la</strong> morte che non<br />

permette al canonico <strong>la</strong>urenziano di completare neanche il settimo libro dell’opera, rimasto in<br />

una fase di abbozzo 425 .<br />

Peraltro, in mancanza di elementi certi per il periodo 1547-1555, non può nemmeno<br />

escludersi del tutto l’ipotesi venti<strong>la</strong>ta da Kirner su un’interruzione del<strong>la</strong> scrittura dal 1547 al<br />

1555 quando prossimo al<strong>la</strong> morte il Giambul<strong>la</strong>ri avrebbe ripreso <strong>la</strong> Storia come <strong>la</strong>scerebbe<br />

supporre l’abbozzo del settimo libro 426 .<br />

Il<strong>la</strong>zione non del tutto priva di fondamento visto l’acuirsi proprio nel 1555 con l’elezione al<br />

soglio pontificio di Paolo IV in aprile (dunque pochi mesi <strong>prima</strong> del<strong>la</strong> morte del Giambul<strong>la</strong>ri<br />

avvenuta al<strong>la</strong> fine di agosto) dei contrasti tra papa e Cosimo, dopo il periodo certamente più<br />

disteso vissuto tra Firenze e Roma durante il pontificato di Giulio III (1550-1555) 427 .<br />

Forse proprio il cambiamento dei rapporti con <strong>la</strong> Santa Sede, che si registra con i pontificati<br />

di Pio IV (1559-1566) e Pio V (1566-1572) spiega il perché <strong>la</strong> Storia d’Europa sia l’unica<br />

opera del Giambul<strong>la</strong>ri non edita a Firenze. Cosimo, infatti, stringe col successore del Carafa,<br />

Michele Ghislieri Pio V, una salda intesa volta a conseguire il titolo granducale (poi<br />

riconosciutogli nel 1569) adottando, conseguentemente, una politica culturale e religiosa<br />

opposta rispetto agli orientamenti irenici e valdesiani sostenuti negli anni quaranta e<br />

cinquanta. Come sottolineato anche da Giorgio Spini, dal 1559 inizia una fase di vero e<br />

proprio sganciamento nei confronti del potere asburgico con cui peraltro i rapporti non erano<br />

mai stati facili 428 , che implica anche il ripudio del<strong>la</strong> precedente linea ghibellina e di testi come<br />

<strong>la</strong> Storia che <strong>la</strong> caldeggiavano. Una stagione si era ormai conclusa come documenta anche<br />

l’allontanamento definitivo dal<strong>la</strong> corte medicea del Tormentino, in seguito al<strong>la</strong> perdita del<br />

monopolio di stampatore ducale avvenuta nel 1560, pochi anni <strong>prima</strong> del<strong>la</strong> pubblicazione<br />

veneziana del<strong>la</strong> Storia 429 .<br />

691, nel<strong>la</strong> Lezione terza sul canto X di Farinata degli Uberti, pp. 603-617, vol. I, a p. 609. In proposito vedi G.<br />

Kirner, Sul<strong>la</strong> Storia d’Europa, cit., pp. 9-11; inoltre cfr. G. Marangoni, Introduzione, cit., alle pp. XXX-XXXIII<br />

e C. Vasoli, A proposito del<strong>la</strong> Storia d’Europa del Giambul<strong>la</strong>ri, in “Nuova rivista storica”, LXXVII (1993), pp.<br />

624-639, in partico<strong>la</strong>re p. 626.<br />

Inoltre a p. 609-610 leggiamo <strong>la</strong> spiegazione dei nomi guelfo e ghibellina tratta da Ottone Frisigense e poi<br />

ripresa altrove dal Bartoli a proposito del<strong>la</strong> nascita di Federigo Barbarossa che avrebbe dovuto conciliare le due<br />

fazioni (vedi infra cap. III), e l’origine per l’Italia di questo termine ben più tarda, che il Gelli sembra preferire<br />

(sebbene sembri oscil<strong>la</strong>re sul<strong>la</strong> veridicità di una delle due tesi al<strong>la</strong> fine, ha precedente confutato, attraverso il<br />

supporto di Giambul<strong>la</strong>ri, <strong>la</strong> tesi boccaccesca sull’origine dei nomi risalente addirittura al 1070 alle pp. 608-609) :<br />

“Queste son le parole di questo autore; e questo ch’egli scrive fu più di ottanta anni che questi nomi di Guelfi e<br />

Ghibellini si sentissero in Italia nominare; imperò che, secondo il Biondo e gli altri istoriografi di quei tempi, ei<br />

cominciarono a sentirsi in Italia circa al mille dugento quaranta. Sono adunque i Ghibellini e così si vede ancora<br />

oggi, quei del<strong>la</strong> casa e del<strong>la</strong> fazione imperiale; ed i Guelfi quei del<strong>la</strong> casa di Baviera e del<strong>la</strong> parte franzese. Ma o<br />

l’una o l’altra di queste origini che abbino avute queste parti, elle sono state perniziosissime a tutta Italia, e<br />

partico<strong>la</strong>rmente al<strong>la</strong> città nostra, e massimamente ne’ tempi del Poeta nostro, e poco avanti di quei di questo M.<br />

Farinata; il quale fu uno de’ capi principali di parte ghibellina.”<br />

425 In proposito G. Marangoni, Introduzione, cit., pp. XXXII-XXXIII.<br />

426 G. Kirner, Sul<strong>la</strong> <strong>storia</strong> d’Europa, cit., pp. 8-9.<br />

427 In proposito M. Firpo, Gli affreschi, cit., pp. 379-393.<br />

428 G. Spini, Il principato dei Medici e il sistema degli stati europei nel Cinquecento in Firenze e <strong>la</strong> Toscana dei<br />

Medici nell’europa del Cinquecento, Firenze, Olsckhi, 1983, III voll., vol. I, pp. 177-216, in partico<strong>la</strong>re cfr. pp.<br />

186-199.<br />

429 M. Firpo Gli affreschi, cit., pp. 393-407 e sul<strong>la</strong> fine del monopolio del Torrentino, che prende l’iniziativa di<br />

impiantare una stamperia a Mondovì nel ducato di Savoia nel 1562, si rinvia in partico<strong>la</strong>re a A. Ricci, Lorenzo<br />

Torrentino, cit., p. 108.<br />

71


Né meno significativo a supportare in qualche modo questa ipotesi è il fatto che lo<br />

stampatore pubblica <strong>la</strong> Storia d’Europa, Francesco de’ Franceschi, verrà processato per ben<br />

due volte a causa del<strong>la</strong> detenzione di libri proibiti, tra cui <strong>la</strong> sesta centuria di Magdeburgo 430 .<br />

Al di là di questo comunque, il fatto che il canonico <strong>la</strong>urenziano decida di ampliare il piano<br />

dell’opera conferma ulteriormente <strong>la</strong> sua propensione ghibellina in perfetta continuità con i<br />

suoi precedenti interventi letterari. È appena il caso di sottolineare come il Gelli richiami <strong>la</strong><br />

Storia d’Europa proprio in re<strong>la</strong>zione all’origine delle fazioni fiorentine di guelfi e ghibellini <strong>la</strong><br />

cui nascita appunto pone fine all’epoca del buon tempo antico, <strong>la</strong> cui durata coincide con<br />

l’arco di tempo che Giambul<strong>la</strong>ri intende secondo il suo ultimo progetto coprire storicamente.<br />

Tornando ai motivi di possibile interesse ottocentesco del<strong>la</strong> Storia, il Sacro romano impero,<br />

inoltre, pur nel<strong>la</strong> molteplicità degli organismi politici che lo compongono, trova un ulteriore<br />

motivo di specificità nell’indiretto quanto costante confronto che il Giambul<strong>la</strong>ri instaura con<br />

l’impero bizantino. Realtà bizantina che il Giambul<strong>la</strong>ri delinea negativamente rispetto al<strong>la</strong> pur<br />

movimentata e inquieta realtà europea, in quanto preda del<strong>la</strong> corruzione e dell’inettitudine dei<br />

suoi imperatori e delle ambigue figure del<strong>la</strong> sua corte 431 .<br />

Lo stesso fattore fisico-geografico integra, come vedremo, le linee interpretative accennate,<br />

difficilmente risultando un fattore neutro o comunque non corre<strong>la</strong>to alle prospettive e agli<br />

orientamenti presenti nel<strong>la</strong> Storia, funzionale cioè nel duplice binario del<strong>la</strong> comune civiltà<br />

europea e del<strong>la</strong> specificità e molteplicità delle sue realtà politiche.<br />

Pertanto, dato l’interesse che le caratteristiche del<strong>la</strong> Storia d’Europa suscitano nel panorama<br />

culturale italiano del XIX secolo, appare comprensibile l’intenzione del Giordani di<br />

diffondere il testo del Giambul<strong>la</strong>ri in una nuova edizione, finalmente depurata dei tanti errori<br />

riscontrati nell’unica stampa cinquecentesca e nel<strong>la</strong> <strong>prima</strong> scorretta stampa del XIX secolo,<br />

edita a Palermo nel 1818. Dopo aver vanamente proposto all’ex giacobino Pietro Brighenti 432<br />

una nuova pubblicazione 433 , del testo finalmente emendato dagli errori delle due uniche<br />

precedenti edizioni, ne cura personalmente l’edizione livornese del 1831 434 .<br />

430 In proposito vedi infra cap. III, pp. 11-12.<br />

431 Sull’antitesi tra Sacro romano impero e impero bizantino cfr. F. Chabod, Storia dell’idea d’Europa, cit., pp.<br />

38-43,<br />

432 Sul quale rinviamo al<strong>la</strong> voce Brighenti Pietro di G. Monsagrati, in DBI, vol. XIV, Roma, 1972, pp. 264-266,<br />

in partico<strong>la</strong>re sul<strong>la</strong> sua militanza giacobina anteriore al 1820, data dal<strong>la</strong> quale diviene informatore dell’Austria,<br />

cfr. pp. 264-265. Per <strong>la</strong> sua attività di spia del governo austriaco rinviamo in partico<strong>la</strong>re a L. Raffaele, Una dotta<br />

spia dell’Austria, Roma, Tipografia operaia romana cooperativa, 1921.<br />

433 In proposito vedi <strong>la</strong> lettera inviata dal Giordani al Brighenti il 22 febbraio 1822 a Bologna, ora in L.<br />

Raffaele, Una dotta spia, cit., pp. 14-16, in partico<strong>la</strong>re cfr. pp. 14-15.<br />

434 Nel frattempo, c’erano state almeno altre tre edizioni: quel<strong>la</strong> pisana (I<strong>storia</strong> d’Europa di Messer<br />

Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri dal DCCC al DCCCCXIII, Pisa, presso N. Capurro, co’ caratteri di F. Didot, 1822), e<br />

le due mi<strong>la</strong>nesi del 1827 (I<strong>storia</strong> d’Europa di Messer Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri dal DCCC al DCCCCXIII,<br />

testo…di lingua, Mi<strong>la</strong>no, N. Bettoni, 1827) e del 1830 (I<strong>storia</strong> dell’Europa di Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri dal<br />

800 al 919, a cura di Antonio Fontana, Mi<strong>la</strong>no, 1830, uscito nel<strong>la</strong> col<strong>la</strong>na del<strong>la</strong> “Biblioteca storica di tutte le<br />

nazioni”) che ripresentano esclusivamente un breve riassunto a livello critico delle notizie offerte dal Mortara le<br />

cui notazioni del resto costituiscono anche l’esclusivo apparato critico (anche se riproposte in modo integrale<br />

questa volta nell’edizione torinese del 1861, I<strong>storia</strong> dell’Europa dall’800 al 913, cit., (ivi, pp. 5-37). Oltre a<br />

quel<strong>la</strong> napoletana del 1832 in cui si replicava nel<strong>la</strong> premessa alle considerazioni formu<strong>la</strong>te da Giuseppe Maffei<br />

nel<strong>la</strong> sua Storia del<strong>la</strong> letteratura italiana del cavaliere Giuseppe Maffei, terza edizione originale nuovamente<br />

corretta dall’autore e riveduta da Pietro Thouar, II voll., Firenze, Le Monnier 1853, (1 edizione Mi<strong>la</strong>no, Società<br />

tipografica de’ c<strong>la</strong>ssici italiani 1825), a p. 409 del primo volume: “Pier Francesco Giambul<strong>la</strong>ri avea impreso a<br />

scrivere una Storia generale dell’Europa, incominciando dal nono secolo; ma giunto al libro VII, cioè all’anno<br />

913, finì di vivere. Egli era stato uno de’ fondatori del<strong>la</strong> fiorentina Accademia, e si era reso assai benemerito<br />

dell’italica favel<strong>la</strong> con un dialogo intito<strong>la</strong>to il Gello, ove tratta dell’origine del<strong>la</strong> medesima, e colle sue Lezioni,<br />

in alcuna delle quali illustra Dante, e nelle altre tratta vari argomenti. La sua Storia, come quel<strong>la</strong> che forma testo<br />

di lingua, fu spesse volte citata dagli Accademici del<strong>la</strong> Crusca; ma è scritta con poca critica e con minor<br />

filosofia, perché queste due scorte dello storico non avevano fatto nel secolo del Giambul<strong>la</strong>ri, molti progressi.”<br />

La forte negatività del<strong>la</strong> critica al Giambul<strong>la</strong>ri viene confermata anche dal successivo elogio dell’opera storica di<br />

Marcello Adriani<br />

72


Inoltre, <strong>la</strong> rinnovata fortuna editoriale del<strong>la</strong> Storia d’Europa interagisce marginalmente<br />

anche con motivi e posizioni collegate a vario titolo con il processo del Risorgimento italiano.<br />

In questa direzione sono indubbiamente indicative le considerazioni di Luigi Carrer critico<br />

letterario di sentimenti antiaustriaci e neoguelfi (almeno nel<strong>la</strong> <strong>prima</strong> fase dei moti<br />

rivoluzionari del 1848), curatore dell’edizione veneta del 1840 435 in cui, pur ignorando le<br />

correzioni apportate dal Giordani 436 , ribadisce il parallelo Giambul<strong>la</strong>ri-Erodoto 437 . Il Carrer,<br />

infatti, accomuna i due storici per <strong>la</strong> capacità, da un <strong>la</strong>to di discernere le favole dai fatti reali,<br />

dall’altro di costruire e control<strong>la</strong>re una complessa e ampia te<strong>la</strong> di accadimenti, variando<br />

opportunamente stile e lingua.<br />

Peraltro, proprio l’orientamento neoguelfo e le nostalgie per le glorie repubblicane di<br />

Venezia conducono il Carrer a considerazioni tutt’altro che positive, nonostante gli iniziali<br />

elogi sul Giambul<strong>la</strong>ri. Vista l’eccentricità del<strong>la</strong> Storia d’Europa rispetto all’ambito<br />

rigorosamente fiorentino delle altre opere del Giambul<strong>la</strong>ri, indica <strong>la</strong> causa <strong>prima</strong> del<strong>la</strong> sua<br />

composizione nel<strong>la</strong> volontà del canonico <strong>la</strong>urenziano di non scrivere una <strong>storia</strong> del<strong>la</strong> città che<br />

mettesse in cattiva luce i Medici suoi protettori:<br />

“Vuolsi ancora sommamente lodare quel<strong>la</strong> maniera sua riposata di racconto, senza<br />

accendersi troppo nelle passioni de’ personaggi di cui riferisce i fatti o i pensieri, non si però<br />

che non traspiri in qual parte pieghi <strong>la</strong> naturale bontà del suo animo. Chè in vero, quando<br />

anche tacessero del tutto i biografi, si comprenderebbe dal<strong>la</strong> lettura del<strong>la</strong> Storia essere stato<br />

buonissimo. E forse, mi sia condonata questa supposizione, dal pericolo di oltraggiare <strong>la</strong><br />

verità, o gravemente spiacere a’ suoi benefattori di fresco montati al<strong>la</strong> signoria di Firenze, fu<br />

indotto il Giambul<strong>la</strong>ri a comporre <strong>la</strong> <strong>storia</strong> generale ed antica d’Europa, anziché quel<strong>la</strong><br />

partico<strong>la</strong>re e più recente del<strong>la</strong> sua città. Mentre per altra parte, che sviscerato amatore ei si<br />

fosse di questa, il mostrò negli altri studi, cacciandosi per acquistar fama di reverenda<br />

antichità al<strong>la</strong> sua lingua fra le tenebrose controversie dell’arameo, e, con più utili ricerche,<br />

primo fra’ toscani diede ordine alle regole necessarie al<strong>la</strong> sua grammatica. Oltrechè vedeva<br />

essergli occupato il campo del<strong>la</strong> <strong>storia</strong> patria, da parecchi valenti contemporanei, investiti<br />

del<strong>la</strong> nobiltà dell’ufficio loro, e non frenati da riguardo alcuno di benefici, perché esuli e figli<br />

e congiunti d’esuli e di giustiziati. Per cui, se non vuolsi encomiare nello storico nostro <strong>la</strong><br />

435 F. Giambul<strong>la</strong>ri, Storia dell’Europa dal DCCC al DCCCCXIII, a cura di L. Carrer, Venezia, Tipi del<br />

Gondoliere, 1840; sul Carrer rinviamo al<strong>la</strong> voce Carrer Luigi di F. Del Beccaro, in DBI, vol. XX, Roma, 1977,<br />

pp. 730-734 e al<strong>la</strong> Nota biografica e critica in L. Carrer, Scritti Critici, Bari, Laterza, 1969, pp. 723-736; in<br />

partico<strong>la</strong>re sulle sue posizioni politiche pp. 726-727 e per le posizioni culturali di profonda commistione tra<br />

romanticismo e c<strong>la</strong>ssicismo 728-736, inoltre sul<strong>la</strong> non condivisione delle modalità con cui il Tiraboschi scrive <strong>la</strong><br />

sua Storia del<strong>la</strong> Letteratura italiana, cit., cfr. p. 725.<br />

436 Analoga linea si ravvisa nel Del<strong>la</strong> I<strong>storia</strong> d’Europa di Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri libri sette, a cura di<br />

Aurelio Gotti, Firenze, Felice Le Monnier, 1856, (in proposito inoltre cfr. P. Giordani, Opere, vol. X, vedi nota<br />

dell’editore fiorentino alle pp. 427-428) in cui il curatore fiorentino (sul quale vedi <strong>la</strong> voce Gotti Aurelio di C.<br />

Cinelli, in DBI, vol. LVIII, Roma, 2002, pp. 149-153) richiama direttamente le notazioni del Carrer e sottolinea<br />

l’attenzione con cui il Giambul<strong>la</strong>ri affronta nello stesso tempo il discorso storico e geografico, un elemento di<br />

chiara continuità con lo stile e le peculiarità dell’arte storica di Erodoto nell’Introduzione, Intorno a<br />

Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri ed al<strong>la</strong> sua i<strong>storia</strong>, in Del<strong>la</strong> I<strong>storia</strong> d’Europa, cit., pp. III-XL, in partico<strong>la</strong>re pp. IV e<br />

XXXIII-XL.<br />

Diversamente per <strong>la</strong> seconda edizione curata per <strong>la</strong> Le Monnier nel 1864 il Gotti si gioverà delle correzioni del<br />

Giordani precisate e risistemate nel 1856 da Antonio Gussalli; sul<strong>la</strong> vicenda rinviamo a Nota ai Testi in Storici e<br />

politici del Cinquecento, a cura di Angelo Baiocchi, testi a cura di Simone Albonico, Riccardo Ricciardi, Miano-<br />

Napoli, 1994, pp. 1091-1097, in partico<strong>la</strong>re pp. 1092-1093 e nota n. 1.<br />

437 Inoltre, sul<strong>la</strong> disparità dei giudizi che coinvolgono <strong>la</strong> Storia d’Europa vedi anche <strong>la</strong> confutazione del<br />

giudizio negativo formu<strong>la</strong>to nel Settecento da Giuseppe Maffei contenuta nel<strong>la</strong> nota introduttiva all’edizione<br />

napoletana dell’opera del Giambul<strong>la</strong>ri, Storia dell’Europa dall’800 al 913, Napoli, tipografia del Tasso, 1832,<br />

cfr. in partico<strong>la</strong>re le pp. 5-7.<br />

73


difficile franchezza, né manco gli son dovute le censure meritate da altri: il Nerli, a modo<br />

d’esempio e l’Ammirato.” 438<br />

Certo poi, il cortigiano di “difficile franchezza” viene preferito al Nardi per il distacco<br />

mostrato rispetto al<strong>la</strong> materia storica trattata e per <strong>la</strong> capacità di al<strong>la</strong>rgarne l’oggetto,<br />

diversamente dal<strong>la</strong> viva e diretta partecipazione dell’esule repubblicano, capace però proprio<br />

in virtù di queste condizioni di un approccio più immediato alle vicende narrate:<br />

“Le passioni e le mire che in questi veggionsi di già apertamente scoppiate con danni e<br />

scandali atroci, nel Giambul<strong>la</strong>ri sono, quasi direbbesi, tuttavia chiuse nel germe. Non ultima<br />

ancora è <strong>la</strong> brevità, molto desiderata in una raccolta che deve procedere entro limiti<br />

impreteribili. Ma sopra ogni altro motivo, mi piace ricordare l’imparzialità dello scrittore, <strong>la</strong><br />

quale non solo è da attribuire a al<strong>la</strong> volontà sua, quanto al<strong>la</strong> natura stessa delle materie<br />

trattate. Perché par<strong>la</strong>ndo egli di cose attinte da’ libri, non sentitasi nè poteva sentirsi agitato<br />

da què bollori, che pur si veggono anche di sottovia <strong>la</strong> onesta pacatezza del Nardi. Voglio io<br />

dire con questo che siano da preferire quegli storici che narrano cose non vedute co’ loro<br />

propri occhi; ovvero da censurare i contemporanei che le cose vedute non sanno raccontare<br />

senza una qualche mostra di commovimento interiore? Non punto: chè l’una cosa rende più<br />

ma<strong>la</strong>gevole <strong>la</strong> veracità, l’altra infonde calore nel giudizio.[…]Non pongo io già questa Storia<br />

d’innanzi agli studiosi con dire: ecco qui, come il Giambul<strong>la</strong>ri, voi pure scrivete le cose da<br />

altri imparate, meglio che quelle da voi stessi vedute: e lungi da restringervi col<strong>la</strong> narrazione<br />

ad una contrada, abbracciatele tutte; intendo invece tacitamente dir loro: avvezzatevi,<br />

coll’esempio del<strong>la</strong> serena tranquillità che questo storico potè serbare in cose che gli<br />

entrarono all’animo raffredandosi anticipatamente nell’intelletto, a mantenervi tranquilli in<br />

proposito ancora di ciò che colpì gli occhi vostri e aveste voi stessi tra mano; quando anche<br />

vi piaccia, con affettuoso riguardo ad una gente o ad un tempo in partico<strong>la</strong>re, limitar ad essi<br />

<strong>la</strong> vostra narrazione, non dimenticate le re<strong>la</strong>zioni che ogni anche minimo fatto ha col pieno<br />

degli umani accidenti.” 439<br />

Valutazioni di ben altro tenore troviamo invece nel<strong>la</strong> Storia d’Europa pubblicata a Napoli a<br />

cura di Gabriele di Stefano 440 . Nei suoi giudizi dell’edizione del 1862 (<strong>la</strong> <strong>prima</strong> risale al<br />

1840 441 ) risulta incondizionato, infatti, l’apprezzamento del Giambul<strong>la</strong>ri, sia sul<strong>la</strong> falsariga del<br />

parallelo con Erodoto, sia in polemica con gli errori commessi dal Tiraboschi. Di Stefano<br />

inoltre, stigmatizza <strong>la</strong> limitata valorizzazione del<strong>la</strong> produzione letteraria del Giambul<strong>la</strong>ri e in<br />

primo luogo del<strong>la</strong> Storia d’Europa, promossa dagli Accademici del<strong>la</strong> Crusca 442 .<br />

Ma soprattutto Di Stefano coglie <strong>la</strong> linea filoghibellina e anticuriale espressa dal<br />

Giambul<strong>la</strong>ri nel<strong>la</strong> sua Storia fin dalle prime battute, elogiando <strong>la</strong> profonda sincerità<br />

dell’animo del letterato fiorentino in quanto:<br />

“Ascritto com’egli era, al ministero del<strong>la</strong> Chiesa, pur non <strong>la</strong>scia di grandemente<br />

disapprovare le gesta di Sergio e di Formoso, e se non biasima, certo deplora <strong>la</strong> donazione di<br />

Costantino fatta a Silvestro. “ 443<br />

438 Ai lettori. Luigi Carrer in Storia dell’Europa, cit., pp. V- XIV, ora anche in id., Scritti critici, cit., pp. 156-<br />

162, ivi per le asserzioni del Carrer pp. 156-159, in partico<strong>la</strong>re passo cit. alle pp. 158-159. Inoltre, ivi, sulle<br />

propensioni favorevoli al<strong>la</strong> storiografia repubblicana del Carrer cfr. “Niccolò de’ Lapi”di Massimo d’Azeglio,<br />

pp. 386-397, in partico<strong>la</strong>re pp. 386-387.<br />

439 L. Carrer, Scritti critici, cit., passo alle pp. 160-161.<br />

440 Storia dell’Europa di Francesco Giambul<strong>la</strong>ri, con un discorso e copiose annotazioni di Gabriele di Stefano,<br />

terza edizione, II voll., Napoli, Gabriele Rondinelli editore, 1862 (<strong>prima</strong> edizione sempre a cura del di Stefano<br />

del 1840).<br />

441 In proposito cfr. Kirner, Sul<strong>la</strong> Storia d’Europa, cit., p. 5.<br />

442 Ivi, pp. 7-23, in partico<strong>la</strong>re sui punti in questione cfr. pp. 16-20.<br />

443 Ivi, passo cit., a p. 18, inoltre in proposito vedi infra par. II, p. 2.<br />

74


Agiscono evidentemente nel giudizio del Di Stefano suggestioni di ben altro tenore rispetto<br />

a quelle palesate dal Carrer, sia in re<strong>la</strong>zione al<strong>la</strong> diversa impostazione polito-culturale che ne<br />

caratterizza i giudizi, sia forse anche in re<strong>la</strong>zione al<strong>la</strong> recente unificazione politica italiana.<br />

Comunque al di là delle implicazioni contemporanee e delle diverse posizioni presenti<br />

nell’ambito risorgimentale, il giudizio del Di Stefano coglieva dati caratterizzanti del<strong>la</strong> linea<br />

storiografico-politica del canonico <strong>la</strong>urenziano trascurati invece dei commentatori positivisti<br />

abbastanza severi nel giudicare <strong>la</strong> qualità del<strong>la</strong> sua storiografia.<br />

Enrico Rosa curatore dell’edizione torinese del 1896, ad esempio, se apprezza il pregio<br />

stilistico del libro e ne elogia l’impiego sco<strong>la</strong>stico, denuncia però anche le sue carenze<br />

storiche, <strong>la</strong> mancanza di uno spirito critico solido e incisivo, <strong>la</strong> copiosa presenza di<br />

imprecisioni geografiche e storiche che le precedenti edizioni non hanno rettificato 444 .<br />

Di pochi anni successiva, un’altra opera (già menzionata) completamente dedicata<br />

all’analisi del<strong>la</strong> Storia d’Europa del Giambul<strong>la</strong>ri e delle sue fonti, di Giuseppe Kirner.<br />

Il Kirner, concentrato sull’analisi delle fonti del<strong>la</strong> Storia, pur apprezzando il <strong>la</strong>voro dotto ed<br />

erudito compiuto dal Giambul<strong>la</strong>ri che ricorre anche a discipline ausiliarie del<strong>la</strong> <strong>storia</strong> quali <strong>la</strong><br />

geografia e <strong>la</strong> cronologia per addivenire al<strong>la</strong> chiarezza degli eventi e dei loro tempi di<br />

svolgimento, rileva però i precisi limiti dell’opera sotto il profilo del valore storico.<br />

Giambul<strong>la</strong>ri troppo frequentemente, infatti, soggiace al gusto del<strong>la</strong> descrizione, immaginando<br />

i fatti ed i moventi dei personaggi che agiscono nel<strong>la</strong> Storia prendendo licenza dalle fonti che<br />

documentano e certificano i reali e concreti accadimenti 445 .<br />

La Marangoni infine nell’edizione del 1910, ritorna sul<strong>la</strong> falsariga del Kirner sull’uso<br />

spesso poco critico delle fonti e sull’incapacità, in più di un’occasione, di preferire <strong>la</strong> versione<br />

di una fonte sulle altre in re<strong>la</strong>zione ad un avvenimento controverso 446 .<br />

Anche il successivo intervento di Benedetto Croce si inserisce pienamente in questo<br />

ridimensionamento del valore e del significato del<strong>la</strong> Storia, negando al suo autore ogni<br />

possibile accostamento ad Erodoto e ravvisando nel suo scritto <strong>la</strong> mancanza di qualsiasi<br />

aff<strong>la</strong>to spirituale. Nonostante, infatti, il Croce riconosca <strong>la</strong> buona attitudine del Giambul<strong>la</strong>ri<br />

nel<strong>la</strong> raccolta e nel<strong>la</strong> scelta delle fonti, bol<strong>la</strong> <strong>la</strong> sua opera come un esercizio esclusivamente<br />

retorico. La Storia d’Europa è priva di pensiero storico e costituisce soltanto l’espressione<br />

dell’abilità del grammatico, del “linguaiolo”. In realtà <strong>la</strong> denuncia crociana del valore<br />

meramente retorico dell’opera del Giambul<strong>la</strong>ri vuole colpire il Giordani ed il suo criterio di<br />

valutazione esclusivamente formalistico del<strong>la</strong> letteratura che l’ha condotto colpevolmente a<br />

preferire il Giambul<strong>la</strong>ri al Machiavelli 447 .<br />

Il già citato intervento di Carlo Dionisotti, torna ad occuparsi dei problemi e delle questioni<br />

legate al<strong>la</strong> Storia d’Europa in una prospettiva attenta a definirne il rapporto con <strong>la</strong> precedente<br />

storiografia fiorentina e con l’umanesimo italiano. Quel<strong>la</strong> del Giambul<strong>la</strong>ri, sottolinea<br />

Dionisotti, è <strong>la</strong> <strong>prima</strong> <strong>storia</strong> d’Europa scritta in età moderna e costituisce frutto non<br />

accidentale di una parabo<strong>la</strong> di interessi e approcci storico-politici del<strong>la</strong> storiografia fiorentina<br />

che passa per Machiavelli e Guicciardini, secondo un chiaro ampliamento di prospettive nelle<br />

quali ricomprendere e collocare le vicende fiorentine ed italiane. La Storia d’Europa del<br />

444 Precedente di quattro anni all’edizione del Rosa, l’antologia di passi scelti ad uso delle scuole ginnasiali del<br />

professor Bonamici priva di nuovi apporti critici tranne che sotto il profilo linguistico: Narrazioni scelte dalle<br />

Istorie dell’Europa di Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri, ad uso delle scuole ginnasiali, con note del prof. Giuseppe<br />

Bonamici, Verona, Donato Tedeschi e figli editori, 1892.<br />

445 Ivi, rinviamo in partico<strong>la</strong>re alle pp. 36-39 e 41-42. Inoltre, ivi, sui contributi critici e le edizioni del<strong>la</strong> Storia<br />

d’Europa del Bartoli, del Masi, del Mortara, del Giordani, del Carrer, del Gotti, del Di Stefano e sulle edizioni<br />

del<strong>la</strong> Storia d’Europa connesse cfr. pp. 3-6.<br />

446 L. Marangoni, Prefazione, cit., in partico<strong>la</strong>re vedi pp. XLV-LII.<br />

447 B. Croce, Poeti e scrittori del pieno e del tardo Rinascimento, Bari, Laterza, 1945, in partico<strong>la</strong>re Vol. II, pp.<br />

56-64. Sul<strong>la</strong> preferenza del Giordani vedi inoltre P. Giordani, Opere, cit., Appendice, vol. XIV, pp. 433-436.<br />

75


Giambul<strong>la</strong>ri registra il definitivo superamento del<strong>la</strong> dimensione cittadina del vivere civile a<br />

vantaggio dello stato assoluto regionale inquadrato in una prospettiva continentale 448 .<br />

Certamente, <strong>la</strong> linea storiografica del<strong>la</strong> Storia costituisce coerente sviluppo del<strong>la</strong> tendenza di<br />

legittimazione dello stato regionale formu<strong>la</strong>ta nel Gello in opposizione a qualsiasi nostalgia<br />

per <strong>la</strong> dimensione comunale di tradizione guelfa.<br />

Passo peraltro ulteriore, rispetto al<strong>la</strong> stessa accettazione del principato e del<strong>la</strong> dimensione<br />

regionale toscana compiuta anche da altri esponenti coevi del<strong>la</strong> storiografia fiorentina come<br />

Bernardo Segni e Benedetto Varchi che tuttavia non cercano di e<strong>la</strong>borare un’idea complessiva<br />

ed unitaria del vecchio continente 449 .<br />

Tentativo invece esplicitamente intrapreso già nel titolo dal canonico <strong>la</strong>urenziano che, senza<br />

alcuna esitazione si distanzia nettamente dai retaggi dell’umanesimo civile fiorentino, in<br />

direzione dell’umanesimo tedesco come testimoniano le stesse fonti selezionate per <strong>la</strong> Storia<br />

d’Europa orientate, in gran parte, in direzione antiromana e antiitaliana 450 .<br />

Peraltro, <strong>la</strong> tendenza a leggere <strong>la</strong> proposta storica del Giambul<strong>la</strong>ri nell’ambito di un mero<br />

sfoggio di erudizione assolutamente avulso da ogni intendimento di tipo politico viene<br />

riproposto l’anno successivo all’intervento del Dionisotti, da Emanuel<strong>la</strong> Scarano. Una<br />

trattazione quel<strong>la</strong> del Giambul<strong>la</strong>ri sostanzialmente circoscritta ad una finalità di tipo letterario,<br />

priva di ogni partecipazione politica come indica il fatto che il canonico <strong>la</strong>urenziano<br />

abbandoni “addirittura il presente ed il vicino passato per volgersi ad epoche remote.” 451<br />

Diversamente dal<strong>la</strong> Scarano, Cesare Vasoli, sul<strong>la</strong> falsariga del Dionisotti, ha proposto di<br />

nuovo l’esigenza di una complessiva riconsiderazione del<strong>la</strong> Storia d’Europa. In partico<strong>la</strong>re,<br />

mettendo in discussione il giudizio crociano, Vasoli ha sollecitato, secondo un’ottica di più<br />

ampio respiro, ad interrogarsi sul disegno complessivo dell’opera in re<strong>la</strong>zione al resto del<strong>la</strong><br />

produzione letteraria del suo autore e al mondo culturale in cui Giambul<strong>la</strong>ri viveva 452 .<br />

Inoltre Vasoli ha ravvisato, nel<strong>la</strong> narrazione del canonico <strong>la</strong>urenziano, <strong>la</strong> continuità dell’idea<br />

imperiale e <strong>la</strong> sua storica concretizzazione nei popoli germanici dell’Europa centrosettentrionale<br />

e centro-orientale 453 .<br />

Dunque una parabo<strong>la</strong> storiografica artico<strong>la</strong>ta e controversa quel<strong>la</strong> del<strong>la</strong> Storia d’Europa al<strong>la</strong><br />

cui comprensione rispetto alle ipotesi ed alle linee di interpretazione abbozzate a questo punto<br />

appare certamente utile una verifica, almeno parziale sul testo e sulle fonti utilizzate.<br />

448 C. Dionisotti, Medio Evo barbarico e Cinquecento italiano, cit., p. 429.<br />

449 Sul<strong>la</strong> storiografia fiorentina cinquecentesca si rinvia a AA. VV., Storiografia repubblicana fiorentina (1494-<br />

1570), a cura di Jean Jacques Marchand e Jean-C<strong>la</strong>ude Zancarini, Firenze, Franco Cesati editore, 2003, e ivi, a<br />

proposito del definitivo superamento delle concezioni di stampo cittadino, vedi Elena Fasano Guarini, Città e<br />

stato nel<strong>la</strong> storiografia fiorentina del Cinquecento, pp. 283-307, in partico<strong>la</strong>re sulle prospettive di Varchi e<br />

Segni pp. 296-298 e 300-302.<br />

450 Vedi nota 54.<br />

451 Emanuel<strong>la</strong> Scarano Lugnani, Guicciardini e <strong>la</strong> crisi del Rinascimento, Roma-Bari, Laterza, 1973, pp. 144-<br />

146, passo cit. in partico<strong>la</strong>re a p. 144.<br />

452 C. Vasoli, A proposito del<strong>la</strong> Storia d’Europa del Giambul<strong>la</strong>ri, cit., pp. 625-631.<br />

453 Ivi, vedi pp. 626, 632 e 635.<br />

76


2. Libro primo: il lungo percorso dalle radici storico-geografiche all’instabilità dell’area<br />

imperiale<br />

Il primo capitolo del<strong>la</strong> Storia d’Europa, che fornisce <strong>la</strong> cornice del<strong>la</strong> narrazione storica<br />

successiva, attraverso <strong>la</strong> fissazione del<strong>la</strong> dimensione storica-cronologica di partenza e dello<br />

spazio geografico in cui i fatti si svolgeranno, inizia, soffermandosi sul crollo dell’impero<br />

romano d’occidente causato dalle decisioni di Costantino e sul<strong>la</strong> sua rifondazione carolingia.<br />

Un primo tangibile segnale del<strong>la</strong> prospettiva cui abbiamo accennato nel precedente paragrafo.<br />

Il crollo dell’impero romano, l’ingresso e <strong>la</strong> proliferazione dei barbari costituiscono i dati di<br />

partenza, i riferimenti imprescindibili dell’Europa che il Giambul<strong>la</strong>ri racconterà nel suo<br />

delinearsi. Le invasioni barbariche segnano, infatti, un momento di netta e definitiva cesura<br />

che chiude l’antichità e dissolve per sempre le istituzioni <strong>la</strong>tine, aprendo un’epoca di profonda<br />

irrequietezza e novità: quel<strong>la</strong> medievale 454 . Diverso rispetto all’atteggiamento generalmente<br />

diffuso nell’Umanesimo italiano il contegno di Giambul<strong>la</strong>ri. Egli, infatti, piuttosto che<br />

interpretare apocalitticamente le invasioni barbariche al<strong>la</strong> stregua di un ineludibile fato che<br />

distrugge improvvisamente un equilibrio perfetto ed ideale, quello del<strong>la</strong> civiltà romano-<strong>la</strong>tina,<br />

imputa proprio all’impero romano occidentale chiare responsabilità per il proprio crollo,<br />

riconducibili alle scelte di Costantino 455 :<br />

“La veneranda maestà dello Imperio, dal<strong>la</strong> invitta maestà di Cesare primieramente fondato<br />

in Roma, stabilito da Augusto…si mantenne in somma grandezza ed in reverenzia dello<br />

universo, sino a tanto che Costantino, di che sempre si debbe <strong>la</strong> bel<strong>la</strong> Italia dolere (parlo<br />

come istorico mondano, perché considerando le grazie che ebbe Costantino, fu opera dello<br />

Spirito Santo tale mutazione, con <strong>la</strong>sciar Roma a Cristo nel suo vicario Silvestro), invaghitosi<br />

delle antiche rovine di Tracia, per fondare una terra nuova negli estremi liti del<strong>la</strong> Europa,<br />

abbandonò <strong>la</strong> universal regina del mondo, e preponendo i paesi strani a’ domestici, i servi a<br />

signori, i vili e incogniti rivi al celebratissimo Tevere, e <strong>la</strong> ambiziosa volontà sua alle vestigie<br />

santissime di quelli spiriti virtuosi che avevano condotto Roma a ‘l supremo de’ sommi onori,<br />

transferì <strong>la</strong> sedia in Bisanzio, ed agli ultimi confini del<strong>la</strong> Grecia se ne portò tutto quello che<br />

<strong>la</strong> già gloriosa Roma, con tanta virtù e con si onorate fatiche, lungamente aveva acquistato. Il<br />

che di quanto danno fusse al<strong>la</strong> rovina dello Occidente; assai chiaro ce lo dimostrano i tanti<br />

diluvii delle barbare nazioni, che non so<strong>la</strong>mente inondarono nel<strong>la</strong> Europa, ma e nell’Africa<br />

ancora, con sommo danno dello universo, e massimamente dello Imperio stesso romano.” 456<br />

In questo passaggio, il canonico <strong>la</strong>urenziano pone l’accento sul<strong>la</strong> rovina provocata<br />

all’Occidente dal crollo dell’autorità imperiale rispetto ai vantaggi determinati dal nuovo<br />

rilievo assunto dal<strong>la</strong> Chiesa di Roma che si inserisce in questo vuoto di potere. In proposito è<br />

interessante registrare l’assenza di questa parentesi nell’unica versione del testo manoscritto<br />

del<strong>la</strong> Storia d’Europa pervenutaci, costitutita come detto dall’autografo magliabechiano<br />

trovato dal Kirner 457 . Parentesi che smussa il sapore ghibellino del testo originario, nel quale<br />

<strong>la</strong> realtà prodotta in Europa occidentale e in Italia dal<strong>la</strong> posizione predominante acquisita dal<strong>la</strong><br />

Chiesa di Roma, non viene registrata positivamente. Non si può neanche escludere mancando<br />

nel codice autografo, pur nel<strong>la</strong> scarsità di elementi a nostra disposizione, che queste parole<br />

siano state predisposte per <strong>la</strong> versione a stampa in epoca successiva al<strong>la</strong> morte del<br />

Giambul<strong>la</strong>ri.<br />

454 Vedi G. Costa, Le antichità germaniche nel<strong>la</strong> cultura italiana da Machiavelli a Vico, Bibliopolis, Napoli,<br />

1977, sul<strong>la</strong> prospettiva umanistica in generale cfr. pp. 44 e 55-56 e sul<strong>la</strong> percezione delle invasioni barbare<br />

espressa del Giambul<strong>la</strong>ri, ivi, vedi. le pp. 55-56.<br />

455 Al riguardo cfr. C. Vasoli, A proposito del<strong>la</strong> <strong>storia</strong> d’Europa del Giambul<strong>la</strong>ri, cit., p. 635.<br />

456 Storia d’Europa, cit., passo cit., alle pp. 3-4.<br />

457 Cod. Magl. 111, cit., cfr. p. 1.<br />

77


Del loro evidente movente caute<strong>la</strong>tivo aveva par<strong>la</strong>to già il Di Stefano, sottolineando <strong>la</strong><br />

dissonanza del<strong>la</strong> parentesi in questione rispetto al tenore generale del testo a stampa 458 . La<br />

prospettiva complessiva del Giambul<strong>la</strong>ri, infatti, si delinea chiaramente nelle successive<br />

considerazioni nelle quali, recuperando l’armonia tra <strong>la</strong> prospettiva mondana e quel<strong>la</strong> divina,<br />

commenta favorevolmente <strong>la</strong> trans<strong>la</strong>tio imperii da Roma al mondo tedesco compiutasi con<br />

l’incoronazione da parte di Leone III, di Carlo Magno che restaura l’autorità imperiale,<br />

recando benefici effetti sull’Italia profondamente decaduta:<br />

“E fu tanto favorevole il Cielo a questa non manco santa che necessaria elezione del<br />

Sommo Pontefice, e <strong>la</strong> singo<strong>la</strong>re eccellenza di Carlo si ampiamente le corrispose con l’armi,<br />

con <strong>la</strong> prudenzia e con <strong>la</strong> bontà, che il perduto valore d’Italia, da cotanto esemplo eccitato,<br />

cominciò <strong>la</strong>rgamente a farsi conoscere…” 459<br />

In proposito il nostro riferisce l’attacco condotto contro i Mori in Africa dal conte del<strong>la</strong><br />

Corsica e dai conti toscani per costringerli ad abbandonare il territorio italico, avvenuto<br />

all’epoca del regno del figlio di Carlo Magno Ludovico, rifacendosi alle Enneades 460 di<br />

Marco Antonio Coccio Sabellico 461 . Umanista del<strong>la</strong> seconda metà del quattrocento e storico<br />

ufficiale del<strong>la</strong> repubblica veneta 462 , il Sabellico, cerca nelle Enneades di superare <strong>la</strong><br />

dimensione esclusivamente veneziana di tutta <strong>la</strong> sua produzione, dando vita ad una sorta di<br />

cronaca universale che ricomprenda, sempre in un’ottica filo-veneziana, le vicende <strong>la</strong>gunari in<br />

un ordito storico-geografico più ampio, che tuttavia risulta molto disordinato anche a causa<br />

dei tanti eventi e scenari illustrati 463 .<br />

Fin da queste prime battute, pertanto, l’autore stabilisce uno stretto rapporto tra svolgimenti<br />

franco-tedeschi e vicende italiane secondo un nesso di causalità e dipendenza molto indicativo<br />

del<strong>la</strong> preminenza e del<strong>la</strong> centralità dell’area tedesca confermato anche dal massiccio impiego<br />

di diverse fonti medievali di area o comunque di prospettiva germanica.<br />

L’azione vera e propria che, come detto comincia nell’887, con l’assunzione di Arnolfo di<br />

Carinzia al<strong>la</strong> maestà imperiale in luogo di suo zio Carlo il Grosso deposto si basa sul racconto<br />

462 In proposito cfr. F. Gilbert, Machiavelli e Guicciardini. Pensiero politico e storiografia a Firenze nel<br />

Cinquecento, Torino, Einaudi, 1970, in partico<strong>la</strong>re vedi pp. 187-188.<br />

458 Già il Di Stefano in proposito Storia dell’Europa, Torino, 1862, cit., a p. 18 nota: “Niente e a dire del<strong>la</strong><br />

ingenua veracità di cui è sparso tutto il racconto, che manifesta per nul<strong>la</strong> parziale l’animo di chi narra. Ascritto,<br />

com’egli era, al ministero del<strong>la</strong> Chiesa, pur non <strong>la</strong>scia di grandemente disapprovare le geste di Sergio e di<br />

Formoso, e se non biasima, certo deplora <strong>la</strong> donazione di Costantino fatta a Silvestro.” Sul quale ivi, vedi poi <strong>la</strong><br />

nota n.2 alle pp. 25-26 del libro primo in cui il Di Stefano nell’elogiare l’equilibrio e <strong>la</strong> chiarezza di questo lungo<br />

periodo iniziale, nell’evidenziarne <strong>la</strong> lunghezza pone l’accento proprio sul<strong>la</strong> considerazione tra parentesi.<br />

Secondo il suo parere infatti il Giambul<strong>la</strong>ri (ivi, p. 26) “avrebbe potuto bene fare un secondo periodo di questo<br />

concetto secondario: ma volendo e’ prontamente apprestare, per così dire, il rimedio al<strong>la</strong> ferita, non gli parve<br />

bene di <strong>la</strong>sciare per alcun intervallo nell’animo di qualche pio leggitore il molesto dubbio che avrebbero potuto<br />

ingenerare le parole di che sempre dolere si debbe <strong>la</strong> bel<strong>la</strong> Italia; e però soggiunse immantinenti <strong>la</strong> distinzione<br />

tra il risguardar le cose nel ben essere politico, e il considerarle più altamente ne providenziali fini del ben<br />

essere religioso.”<br />

459 Storia, passo alle pp. 4-5.<br />

460 Opera M. Antonii Coccii Sabellici in duos digesta tomos Rapsodiae Hi<strong>storia</strong>e enneadum XI, Quinque<br />

priores uno continentur, altero sex reliquiae cum D. Casparis Hedionis Historica synopsi, qua huius auctoris<br />

institum summa fide et diligentia ad annum MDXXVIII persequitur. His veluti una perpetuaque oratione res<br />

memorabiles ab orbe condito in praesens usque tempus gestae, ea perspicuitate narrantur, ut innumeri loci,<br />

obscuri apud reliquos historicos Basileae, ex officina Hervagiana, anno MDXXXVIII, il passo a cui rinvia il<br />

Giambul<strong>la</strong>ri si trova nel Tomo II, Enneades VIII, liber IX, pp. 459qqq2-460qqq2.<br />

461 Sul quale rinviamo al<strong>la</strong> voce Coccio Macantonio detto Marcantonio Sabellico, di F. Tateo, in DBI, vol.<br />

XXVI, Roma 1982, pp. 510-515.<br />

463 Sul<strong>la</strong> storiografia del Sabellico rinviamo a H. Cochrane, Hi<strong>storia</strong>ns and Historiography in the Italian<br />

Renaissance, The University of Chicago Press, Chicago-London, 1985, pp. 83-86, in partico<strong>la</strong>re sulle Enneades,<br />

pp. 85-86. Inoltre cfr. anche B. R. Reynolds, Latin Historiography: a Survey, 1400-1600, in “Studies in the<br />

Renaissance”, 1955, pp. 7-66, in partico<strong>la</strong>re pp. 15-16.<br />

78


di Reginone, abate di Prums 464 . Per trattare <strong>la</strong> deposizione di Carlo il Grosso, il Giambul<strong>la</strong>ri<br />

ricorre al Chronicon di <strong>storia</strong> universale di questo personaggio del nono secolo che si<br />

sofferma sulle vicende avvenuta tra <strong>la</strong> nascita di Cristo e il 906 dopo Cristo 465 , avvalendosi<br />

del<strong>la</strong> <strong>storia</strong> e delle fonti franche sviluppate secondo uno schema annalistico 466 . Al<strong>la</strong> morte di<br />

Reginone (915) il Chronicon viene continuato, per i successivi avvenimenti del decimo<br />

secolo, dal 907 al 967 dall’abate Adalberto di Weissemburg, primo arcivescovo di<br />

Magdeburgo anch’egli, fonte del<strong>la</strong> Storia d’Europa l’indicato come “augumentatore di<br />

Reginone” 467 .<br />

“trovandosi mal disposto del<strong>la</strong> persona, e<br />

del<strong>la</strong> mente non molto sano venne in tanto<br />

dispregio de’ suoi baroni che, <strong>la</strong>sciato ed<br />

abbandonato da tutti, in tre giorni si ritrovò<br />

non so<strong>la</strong>mente privato del<strong>la</strong> dignità e maestà<br />

imperiale, ma di chi pure lo servisse e gli<br />

ministrasse negli estremi bisogni suoi. E bene<br />

arebbe patito del vitto ancora, se in così<br />

orribile assalto del<strong>la</strong> fortuna, il vescovo<br />

Luilperto, con le private facultà sue non gli<br />

avesse somministrato da potersi mantenersi<br />

vivo. Carlo dunque, vedendosi in caso sì<br />

miserabile, mandò supplicando al nipote<br />

Arnolfo sublimato già nello Imperio, non di<br />

riavere le cose perdute o di esser vendicato di<br />

una ingiuria tanto importante, ma so<strong>la</strong>mente<br />

d’avere da vivere e da sostentarsi nelle<br />

miserie del<strong>la</strong> vecchiezza. La qual cosa<br />

concedendogli Arnolfo benignamente, gli<br />

assegnò in Germana certe rendite particu<strong>la</strong>ri,<br />

con le quali egli sopravvisse circa ad un anno<br />

per un esempio manifestissimo del<strong>la</strong> fortuna.<br />

La quale con una finta benignità esaltando a<br />

cotanta altezza Carlo, ancora giovane, sano<br />

ed onoratissimo; e, senza guerre e senza<br />

sudori, sublimandolo in tale maniera che di<br />

ricchezza, di potenzia, e di maestà non aveva<br />

da esser posposto a qual si voglia de’ re de’<br />

“Imperator corpore et animo coepit<br />

aegrotare…cernentes optimates<br />

regni…Arnolfum filium Carlomani ultro in<br />

regnum attrahunt…ita ut in triduo vix aliquis<br />

remaneret, qui ei saltem officia summovitatis<br />

impenderet, cibus tamen et potus ex Luidperti<br />

episcopi sumptibus administrabatur. Erat res<br />

spectaculo digna, et aestimatione sortis<br />

humane, rerum variegate miranda. Nam sicut<br />

ante seconda fortuna rebus ultra, quam<br />

arbitrari posset affluentibus,tot tantaque<br />

imperij regna sine <strong>la</strong>borum sudoribus, et<br />

certaminibus attraxerat, ita ut post magnum<br />

Carolum maiestate, protestate, divitijs, nulli<br />

regnum Francorum videretur esse<br />

postponendus. Ita nunc adversa velut in<br />

ostensione fragilitas humane deficiens, quae<br />

fortuna cumu<strong>la</strong>verat, cuncta inhoneste, in<br />

momento abstulit. Que prospero arridens<br />

successu, quondam gloriose attulerat. Mittit<br />

ergo ad Arnulfum ex imperatore effectus<br />

egenus, ex desperatis rebus non de imperij<br />

digitate sed de victo cotidiano cogitans,<br />

tantum alimentorum copiam ad subsidium<br />

vitae praesentis supplex<br />

exposcit[…]Miseranda rerum facies, videre<br />

imperatorem opulentissimum, non solum<br />

fortunae ornamentis destitutum, verum etiam<br />

464 Su Reginone vedi <strong>la</strong> re<strong>la</strong>tiva voce Reginone da Prum di Walter Holtzmann in Enciclopedia italiana, Roma,<br />

Istituto Treccani, 1949, vol. XXVIII, p. 1000. Cfr. inoltre A. Potthast, Wegweiser durch-die Geschichts Werke<br />

des europaischen mitte<strong>la</strong>lters bis 1500. Vollstandiges inhaltsverzeichniss zu Acta Sanctorum boll.- Bouquet-<br />

Migne- Mon. Germ. Hist.-Muratori- Rerum Britann. Scrpiptores, anhang quellenkunde fur die geschicte del<br />

europaischen staaten wahrend des mitte<strong>la</strong>lters, Berlin, W. Weber, 1896, Biblioteca Historica Medii Aevi, II vol.,<br />

p. 956 e in Ulysse Chevalier, Répertoire des sources historiques du moyen age. Bio-bibliographie, Kraus reprint<br />

corporation, New York, new edition, printed in Germany, 1960, 2 voll., (<strong>prima</strong> edizione 1905), in partico<strong>la</strong>re pp.<br />

3917-3918, vol. II.<br />

465 Reginonis monachi Prumiensis annales, non tam de Augustorum vitis, quam aliorum Germanorum gestis et<br />

docte et compendiose disserentes, ante sexigentos fere annos editi, Maguntiae mense augusto, Anno MDXXI,<br />

Ioannis Schoeffer; d’ora in poi Reginonis…annales.<br />

466 In proposito cfr. Letteratura <strong>la</strong>tina medievale (secoli VI-XV). Un manuale, a cura di C<strong>la</strong>udio Leonardi e di<br />

Ferruccio Bertini, Enzo Cecchini, Lucia Cesarini Martinelli, Peter Dronke, Peter Christian Jacobsen, Michael<br />

Lapidge, Emore Paoli, Giovanni Po<strong>la</strong>ra, Firenze, Sismel, 2002, in partico<strong>la</strong>re cfr. pp. 140 e 167.<br />

467 Sull’indicazione e utilizzazione delle due fonti rinviamo preliminarmente a L. Marangoni, Prefazione, cit., p.<br />

XXXV; cfr. inoltre G. Kirner, Sul<strong>la</strong> Storia, cit., pp. 18-19.<br />

79


Franchi; spogliandosi poi ad un tratto il sino<br />

a quivi mentito viso, lo depresse sì fattamente<br />

che senza manifesta violenza di genti strane,<br />

lo condusse vecchio, amma<strong>la</strong>to e solo a<br />

mendicare il vitto ed il vestito, ed a chiedere<br />

per Dio ai suoi assegnatamente quello che<br />

egli già con somma liberalità soleva dare<br />

agli strani.” 468<br />

humane opis egentem. Concessit autem<br />

Arnolfus rex nonnullos fiscos in Alemanna,<br />

unde ei alimonia preberetur, ipse vero<br />

compositis in Francia feliciter rebus in<br />

Baiovariam revertitur.” 469<br />

In questa <strong>prima</strong> scelta di Giambul<strong>la</strong>ri già emerge <strong>la</strong> vicinanza ad un contesto, quello degli<br />

umanisti tedeschi, che riprende con grande interesse lo studio dell’epoca medievale in chiave<br />

nazionalistica e antiromana con evidenti e non trascurabili implicazioni dottrinali e religiose a<br />

partire dal 1517. Si par<strong>la</strong> naturalmente di un nazionalismo di tipo culturale che a livello<br />

politico va comunque ricondotto nell’ambito del<strong>la</strong> concezione imperiale 470 , fortemente<br />

caratterizzata in chiave tedesca. Come osserva Rosario Romeo, infatti “sino al<strong>la</strong> seconda<br />

metà del XVIII secolo <strong>la</strong> cultura tedesca, nelle sue espressioni più alte e a livello delle masse<br />

popo<strong>la</strong>ri, rimase sostanzialmente una cultura priva del<strong>la</strong> dimensione politica del sentimento<br />

nazionale.” 471<br />

Gli umanisti tedeschi pertanto ritrovano in autori come Reginone <strong>la</strong> certificazione del ruolo<br />

giocato dalle stirpi germaniche nel<strong>la</strong> <strong>storia</strong> europea, e le ragioni del<strong>la</strong> propria identità e unità<br />

culturale 472 . Identità sviluppata in direzione antiromana come testimonia <strong>la</strong> lettera posta al<strong>la</strong><br />

fine del Chronicon di Reginone nell’edizione maguntina del 1521, indirizzata da Sebastianus<br />

de Rotenhan a Wolfang Fabricius Capitone 473 . Evidentemente polemico nei confronti del<br />

presente, infatti, risulta l’elogio del Rotenhan all’impegno e al<strong>la</strong> capacità mostrati da Regino<br />

nel<strong>la</strong> raccolta dei decreti ecclesiastiaci del<strong>la</strong> Germania dei suoi tempi in cui le diocesi<br />

metropolitane erano dirette da una giurisdizione autonoma e non dall’autoritario centralismo<br />

romano 474 .<br />

Mentre gli umanisti italiani considerano generalmente il medioevo come un’epoca di<br />

decadenza, rispetto al<strong>la</strong> realtà esemp<strong>la</strong>re rappresentata dall’impero romano, modello<br />

inarrivabile e punto di riferimento perenne anche nei tempi bui, nucleo essenziale del<strong>la</strong><br />

civilizzazione dei popoli barbari che sono stati romanizzati e conquistati dal<strong>la</strong> cultura greco<strong>la</strong>tina,<br />

Giambul<strong>la</strong>ri sposta decisamente punto d’osservazione e conclusioni. Il Medioevo<br />

468 Storia d’Europa, cit., passo alle pp. 5-6.<br />

469 Reginonis…annales, cit., passo riportato a p. 43h5, <strong>la</strong> col<strong>la</strong>zione dei passi di Regino e di quelli del<br />

Giambul<strong>la</strong>ri viene effettuata anche in L. Marangoni, Prefazione, cit., alle pp. LII e ivi, a p. 6 nel<strong>la</strong> nota di<br />

commento ai passaggi 79-80, anche se non in re<strong>la</strong>zione ad un’edizione cinquecentesca di Reginone, anzi molto<br />

posteriore all’epoca in cui il nostro canonico vive e consulta le fonti del<strong>la</strong> sua narrazione storica.<br />

470 Sul significato culturale del termine nazione e del nazionalismo nel XVI secolo rinviamo a F. Chabod,<br />

Alcune questioni di terminologia: Stato, nazione, patria nel linguaggio del Cinquecento, in id., Alle origini dello<br />

Stato moderno, Università degli studi di Roma, facoltà di lettere e filosofia, anno accademico 1956-1957,<br />

Edizioni dell’Ateneo, Roma 1957, pp. 3-86, ora in Id., Scritti sul Rinascimento, Einaudi, Torino, 1971, pp. 625-<br />

683, in partico<strong>la</strong>re cfr. pp. 653-655.<br />

471 R. Romeo, Idea e coscienza di nazione fino al<strong>la</strong> <strong>prima</strong> guerra mondiale. Appunti, in “Clio”, 1978, anno<br />

XIV, n.1 marzo, pp. 5-34, in partico<strong>la</strong>re pp. 17-18 e passo cit. a p. 17.<br />

472 John F. D’Amico, Ulrich von Hutten and Beatus Rhenanus as Medieval Hi<strong>storia</strong>ns and Religious<br />

Propagandists in the Early Reformation, in id., Roman and German Humanism, 1450-1550, edited by Paul F.<br />

Glendler, printed by Galliard, Great Yarmouth, Great Britain, 1993, pp. 3-33, in partico<strong>la</strong>re cfr. pp. 3-8 inoltre<br />

cfr. R. Romeo, Idea e coscienza di nazione, cit., p. 28.<br />

473 La lettera noncupatoria dell’opera è indirizzata dallo stesso Sebastianus de Rotenhan a Carlo V e si trova in<br />

Reginonis…annales, cit., alle pp. 2-3 con un finale rinvio al<strong>la</strong> lettera rivolta al Capitone: “Ad Reginonis<br />

propriorem agnitionem facientia, circa operis calcem deprehendes”.<br />

474 Ivi, leggiamo: “his temporibus etiam, quibus singu<strong>la</strong>e Metropoles separatis legibus, et Romanis<br />

pontificalibus haud prorsus quadrantibus dirigebantur, ecllesiastica Germaniae decreta non minus docte, quam<br />

<strong>la</strong>boriose congessit…”.<br />

80


secondo una percezione eccentrica rispetto all’orientamento degli umanisti italiani, merita per<br />

il Giambul<strong>la</strong>ri di essere conosciuto e valorizzato.<br />

Tornando al testo, il racconto del<strong>la</strong> fine di Carlo il Grosso è un primo indizio del processo di<br />

decadenza che coinvolge <strong>la</strong> dinastia carolingia traducendosi nel disfacimento subìto dal<strong>la</strong><br />

realtà imperiale.<br />

Reginone disapprova <strong>la</strong> scissione dell’impero nei tre regni separati di Germania, Italia e<br />

Francia, determinata dal<strong>la</strong> mancanza di un erede legittimo. Arnolfo, secondo l’abate di Prums,<br />

nonostante <strong>la</strong> propria illegittimità è il naturale signore dell’impero. Il rifiuto dell’autorità di<br />

Arnolfo che determina l’elezione nei singoli regni di sovrani tratti dalle rispettive aristocrazie,<br />

produce una serie di sanguinosi conflitti tra gli ottimati franchi. 475<br />

Tuttavia, <strong>prima</strong> di entrare nel vivo del racconto delle gesta di Arnolfo, dato anche il<br />

carattere introduttivo del capitolo in questione, il Giambul<strong>la</strong>ri offre un prospetto geografico<br />

del teatro europeo dei fatti storici. Curcio rileva come nel<strong>la</strong> Storia “<strong>la</strong> base del<strong>la</strong> <strong>storia</strong> è<br />

geografica. Ma ciononostante, sia pure inavvertitamente si nota che quel<strong>la</strong> base talvolta non<br />

regge. La <strong>storia</strong> può vincere <strong>la</strong> geografia, <strong>la</strong> dinamica dei popoli può dare senso e significato<br />

diverso ai confini tradizionali geografici” 476 .<br />

In realtà <strong>storia</strong> e geografia si integrano profondamente. Quest’ultima, difficilmente viene<br />

utilizzata in modo neutro, sia quale dato apparentemente fisso e oggettivato, sia quando<br />

diviene e si modifica in re<strong>la</strong>zione allo svolgimento storico, presenta profonde implicazioni<br />

culturali ed assume un ruolo del tutto funzionale al<strong>la</strong> narrazione storica ed ad suoi<br />

orientamenti.<br />

Corrado Vivanti, ha opportunamente sottolineato, sul<strong>la</strong> falsariga burckhardtiana, come<br />

l’Umanesimo fin dal suo inizio riproponga il nesso tra conoscenza geografica e studio del<strong>la</strong><br />

<strong>storia</strong>, di derivazione c<strong>la</strong>ssica, ponendo “le basi di una moderna geografia umana”<br />

Finchè non si verifica <strong>la</strong> separazione del<strong>la</strong> due discipline, pertanto “<strong>la</strong> dimensione spaziale<br />

non è solo <strong>la</strong> scena su cui si svolgono le varie vicende, ma è un elemento a sua volta investito<br />

dall’operatore umano.” 477<br />

All’interno di questa prospettiva si inquadrano anche gli interessi geografici del Giambul<strong>la</strong>ri<br />

certamente non secondarii vista <strong>la</strong> considerazione che mostra per geografia e cosmografia<br />

nel<strong>la</strong>, più volte citata, lezione dantesca del 20 novembre 1541 478 . In quell’occasione il<br />

canonico <strong>la</strong>urenziano, infatti, ricordata l’assoluta preminenza esercitata dal<strong>la</strong> teologia su tutte<br />

le altre scienze nel<strong>la</strong> Divina Commedia, sottolinea anche il valore non secondario attribuito da<br />

Dante all’astrologia, strettamente connessa al<strong>la</strong> cosmografia:<br />

“tra l’altre più belle e più necessarie scienze che in questo Divin Poema divinissimamente<br />

seminate si riconoscono, l’Astrologia veramente e <strong>la</strong> Cosmografia, tanto bene, con tanto<br />

ordine e sì propriamente per tutta quell’opera dove insieme e dove spartite, si veggono così<br />

ben tessute e intrecciate, che chi le considera attentamente, senza molta difficoltà vi ritrova<br />

quel<strong>la</strong> necessaria congiunzione delle due predette scienze, che da molti è cerca, da pochi<br />

conosciuta et da pochissimi sino ad oggi recata in luce” 479 .<br />

475 Sui cambiamenti prodotti storicamente dal<strong>la</strong> deposizione di Carlo il Grosso nell’impero e sul<strong>la</strong> posizione<br />

assuta riguardo agli eventi in questione da Reginone rinviamo a The New Cambridge Medieval History,<br />

Cambridge University Press, 1994-2000, voll. VII, nel vol. II, edited by Rosamond Mckitterick, 1995, vedi pp.<br />

138-139, e ivi, ancora sul processo di integrazione tra Carolingi e aristocratici e sul<strong>la</strong> lucida disamina di<br />

Reginone, cfr. p. 449. Inoltre riguardo al giudizio negativo del Giambul<strong>la</strong>ri sui successori di Carlo Magno vedi<br />

C. Vasoli, A proposito del<strong>la</strong> <strong>storia</strong> d’Europa, cit., p. 632.<br />

476 C. Curcio, Europa <strong>storia</strong> di un’idea, cit., I vol., p. 204.<br />

477 C. Vivanti, Gli umanisti e le scoperte geografiche, in Il nuovo mondo nel<strong>la</strong> coscienza italiana e tedesca del<br />

Cinquecento, a cura di A. Prosperi e W. Reinhard, Bologna 1992, pp. 327-349, ora in id., Incontri con <strong>la</strong> <strong>storia</strong>.<br />

Politica, cultura e società nell’Europa moderna, a cura di Miguel Gotor e Gabriele Pedullà, presentazione di<br />

Maurice Aymard, Torino, Seam, 2001, pp. 73-90, in partico<strong>la</strong>re passo cit., p. 74 e ivi, id., I ”commentarii” di Pio<br />

II, ( <strong>prima</strong> in “Studi Storici”, 26, 1985, pp. 443-462), pp. 51-73, passo cit., a p. 54.<br />

478 P. Giambul<strong>la</strong>ri, Del sito e del<strong>la</strong> forma del Purgatorio, cit..<br />

479 Ivi, passo a p. 5.<br />

81


La prospettiva neop<strong>la</strong>tonica, cui questa lezione va ascritta, valorizza specialmente nel<strong>la</strong><br />

<strong>prima</strong> metà del XVI secolo, <strong>la</strong> funzione di cosmografia e geografia quali strumenti di<br />

conoscenza dell’uomo e del creato, funzionali pertanto ad esprimere ed esaltare <strong>la</strong> perfezione<br />

e <strong>la</strong> grandezza divina.<br />

L’adesione del Giambul<strong>la</strong>ri a questi orientamenti viene confermata anche dai numerosi<br />

riferimenti agli esponenti del<strong>la</strong> cultura europea coeva che si dedicano agli studi cosmografici<br />

e geografici secondo quest’indirizzo, presenti nel<strong>la</strong> lezione 480 .<br />

D’altra parte, fin dalle prime battute del<strong>la</strong> Storia cosmografia e geografia, forniscono un<br />

supporto indispensabile al<strong>la</strong> trattazione storica nel<strong>la</strong> descrizione dell’Europa. Il dato fisicoclimatico<br />

insieme al<strong>la</strong> molteplicità e varietà dei caratteri presentati, contribuisce<br />

immediatamente a sancire <strong>la</strong> superiorità del<strong>la</strong> civiltà del continente europeo rispetto ad Asia<br />

ed Africa, nonostante <strong>la</strong> loro maggiore superficie:<br />

“La sua qualità, ragionandone generalmente, si può dire assai temperata, e di un’aria<br />

molto benigna; come chiaramente si può vedere da l’essere questa regione abbondantissima<br />

di biade, vini, frutte, carne, e di ciascuna altra cosa che al vivere è necessaria; copiosa<br />

d’uomini armigeri, e parimente di quegli ancora che esercitano l’agricoltura, e tutte l’altre<br />

arti che al ben vivere sono di momento: ricca di tutti i metalli, piena di cittadi ornatissime,<br />

dotata di fiumi, di <strong>la</strong>ghi, di selve, di campagne, di monti; ed in somma sì fattamente provista<br />

dal<strong>la</strong> benigna madre natura, che el<strong>la</strong> se bene è di corpo minore, sopravanza però di gran<br />

lunga ed eccede l’Africa e l’Asia in tutte le cose, cavandone so<strong>la</strong>mente gli odori e le<br />

gemme.” 481<br />

Parole nelle quali, non è difficile individuare l’influenza del pensiero geografico greco ed in<br />

partico<strong>la</strong>re di Strabone che proprio nel<strong>la</strong> condizione del clima temperato e nel<strong>la</strong> conseguente<br />

varietà di uomini, propensioni, risorse, che caratterizzava prevalentemente l’Europa,<br />

individuava le ragioni del suo <strong>prima</strong>to 482 .<br />

Il profilo del Giambul<strong>la</strong>ri, presenta anche una certa analogia concettuale con le descrizioni<br />

del continente europeo proposte da Sèbastian Muenster, di cui segue attentamente gli<br />

interventi in materia geografica, come documenta in primo luogo <strong>la</strong> suddetta lezione dantesca.<br />

Quando infatti, il Giambul<strong>la</strong>ri si propone di localizzare il Purgatorio ricorrendo alle coeve<br />

rivisitazioni e correzioni apportate al<strong>la</strong> geografia tolemaica dal<strong>la</strong> cosmografia europea in<br />

re<strong>la</strong>zione alle nuove scoperte geografiche 483 , dopo essersi scagliato contro l’opinione di greci<br />

e <strong>la</strong>tini che avevano negato l’esistenza degli antipodi e sostenuto conseguentemente <strong>la</strong> non<br />

abitabilità di alcune zone del mondo 484 , conclude, menzionando direttamente l’autore tedesco:<br />

480 In proposito vedi infra pagina seguente.<br />

481 Storia, cit., passo a p. 7, al riguardo cfr. C. Vasoli, A proposito del<strong>la</strong> <strong>storia</strong> d’Europa, cit., pp. 632-633.<br />

482 A proposito delle formu<strong>la</strong>zioni sul fattore fisico-climatico nel pensiero greco si rinvia a C. Curcio, Europa.<br />

Storia di un’idea, cit., I vol., pp. 54-67, in partico<strong>la</strong>re sul<strong>la</strong> posizione di Strabone p. 67.<br />

483 In proposito rinviamo a M. Mi<strong>la</strong>nesi, Il Tolomeo sostituito. Studi di <strong>storia</strong> delle conoscenze geografiche nel<br />

XVI secolo, Mi<strong>la</strong>no, Unicopli, 1984; e in AA. VV., Al<strong>la</strong> scoperta del mondo l’arte del<strong>la</strong> cartografia da Tolomeo<br />

a Mercatore, cit., a Gli at<strong>la</strong>nti del cinquecento Mercatore e <strong>la</strong> cartografia moderna, cit., pp. 171-239.<br />

484 Del sito e del<strong>la</strong> forma del Purgatorio, cit., a p. 7 il Giambul<strong>la</strong>ri infatti contesta vivacemente l’“invecchiata<br />

credenza di tanti scrittori e greci e <strong>la</strong>tini, che negando del tutto gli Antipodi, ci hanno posto questo mondo in<br />

una so<strong>la</strong> parte abitato, affermando più del dovere che i due estremi di quello sono <strong>la</strong> metà dell’anno vestiti di<br />

continue tenebre, ed hanno i freddi, tanto eccessivi, che <strong>la</strong> natura de’ viventi non gli può sopportare in guisa<br />

alcuna, e che <strong>la</strong> parte del mezzo è continuamente abbrucciata da un calore tanto intenso e da un ardore si<br />

smisurato che sofferir non lo puote vivente alcuno. Cose per quanto mostra l’esperienza, tutte false, tutte<br />

erronee, tutte bugie, nate dal<strong>la</strong> poca cognizione che gli antichi avevano del mondo, e dal<strong>la</strong> estrema leggerezza<br />

dei Greci, che nelle istorie loro troppo sicuramente posero in carta quelle cose che e’ non sapevano…”. In<br />

proposito vedi supra nel cap.I, p. 33.<br />

82


“non sappiamo noi per tanti che vivono che sotto l’equinoziale e nel<strong>la</strong> stessa lor zona<br />

torrida, non so<strong>la</strong>mente è abitazione comoda e atta al<strong>la</strong> vita umana, ma vi sono ancora gli<br />

ampissimi regni di Gambra, di Ginega, di Melli, di Orgvena, del Pretegianni, di Melinda, di<br />

Cei<strong>la</strong>n, di Calicut, di Sammotra, di Porne, e nel Nuovo Mondo una gran parte di essa<br />

America? Siccome per voi stessi potete vedere, ne’ Tolomei ultimamente messi in istampa da<br />

Sebastiano Muenstero…” 485<br />

Nel passo in questione, il canonico <strong>la</strong>urenziano richiama l’edizione basileese del<strong>la</strong><br />

Geographia di Tolomeo del 1540 che ripropone <strong>la</strong> traduzione <strong>la</strong>tina dell’umanista tedesco<br />

Willibald Pirckheimer del 1525, curata dal Muenster 486 . L’umanista tedesco inserisce<br />

annotazioni e postille al<strong>la</strong> fine di ogni capitolo e completa le rappresentazioni cartografiche<br />

tolemaiche correggendone le mancanze come nel caso del continente americano. In realtà, il<br />

testo offerto dal Muenster ricalca in gran parte quello e<strong>la</strong>borato dal Pirckheimer nel<strong>la</strong><br />

rivisitazione per <strong>la</strong> successiva edizione lionese del 1535 dei fratelli Trechsel, di Michele<br />

Serveto. Sotto lo pseudonimo di Vil<strong>la</strong>noviano, infatti, quest’ultimo compie un intervento<br />

tutt’altro che impersonale, documentato dalle copiose note esplicative aggiunte al<strong>la</strong> traduzione<br />

del Pirckheimer.<br />

Un sostanziale contributo innovativo rispetto all’edizione lionese, il Muenster lo fornisce<br />

soprattutto sotto il profilo cartografico delle nuove mappe e re<strong>la</strong>tivamente ai termini tecnici<br />

che introduce 487 , attenendosi per il resto al<strong>la</strong> rivisitazione del Serveto 488 .<br />

Muenster, allievo di Johann Stoffler 489 , uno dei maggiori fautori del rinnovamento<br />

astronomico europeo in chiave neop<strong>la</strong>tonica, pertanto offre il suo maggior contributo al<br />

rinnovamento degli studi in questo campo evidenziando le carenze del Tolomeo geografo<br />

rispetto ai grandi meriti del Tolomeo astronomo, come sottolineato da Marica Mi<strong>la</strong>nesi 490 .<br />

Una tendenza di riscoperta autentica del sapere antico e di rinnovamento non occasionale<br />

nell’Umanesimo tedesco come dimostra l’intenzione di recuperare tra gli altri, un Aristotele<br />

completamente purificato da retaggi del<strong>la</strong> Sco<strong>la</strong>stica, attraverso una traduzione<br />

filologicamente corretta delle sue opere in tedesco, avanzata da un altro allievo dello Stoffler,<br />

485 Ivi, passo alle pp. 7-8.<br />

486 Geographia universalis vetus et nova complectens C<strong>la</strong>udii Ptolemaei alexandrini enarattionis libros VIII.<br />

Quorum primus nova trans<strong>la</strong>tione Pirkeimheri et accessione commentarioli illustrior quam hactenus fuerit,<br />

redditus est. Reliqui cum greco et alijs vetustis exemp<strong>la</strong>ribus col<strong>la</strong>ti, in infinitis fere locis castigatiores facti sunt.<br />

Addita sunt insuper Scholia, quibus exoleta urbium, montium, fluviorumque nomina ad nostri seculi morem<br />

exponentur. Succedunt tabu<strong>la</strong>e Ptolemaicae, opera Sèbastiani Muensteri novo paratae modo. His adiectae sunt<br />

novae tabu<strong>la</strong>e, modernam orbis facies literis et pictura explicantes, inter quas quidam antehac Ptolomeo non<br />

fuerunt additae. Ultimo annexum est compendium geographicae descriptionis, in quo varij gentium et regionum<br />

ritus et mores explicantur. Praefixus est quoque universo operi index memorabilium popilorum, civitatum,<br />

fluviorum,montium, terrarum, <strong>la</strong>cuum et c., Basileae apud Henrichum Petrum, mense martio anno MDXL, nel<strong>la</strong><br />

quale risalta evidente lo scarto tra le due rappresentazioni geografiche del<strong>la</strong> terra con aggiunto in quel<strong>la</strong><br />

muensteriana il continente americano, <strong>la</strong> Scandinavia e l’Africa occidentale mancanti nel<strong>la</strong> tolemaica, poste in<br />

appendice all’ultimo libro del<strong>la</strong> Geographia Ptolemaica, l’ottavo; vedi pp. 159 e 163. Su questa e sulle succesive<br />

edizioni vedi i riferimenti in S. Muenster, Briefe, cit., ad indicem in partico<strong>la</strong>re sull’edizione del 1545 <strong>la</strong> lettera<br />

del Muenster al suo maestro Pellikan del 21 giugno, pp. 105-110 in cui sottolinea l’ulteriore aggiunta di nuove<br />

tavole: “Excudimus et iam terbio Cosmographiam Ptolemaei Latine cum aliquot novis tabu<strong>la</strong>e.” Passo a p. 105.<br />

Inoltre a proposito di Willibald Pirchkeim rinviamo a Willibald Pirckheimer voce di L. Domonkos in<br />

Contemporaries of Erasmus, cit., nel vol. III, 1987, pp. 89-95.<br />

487 Gli at<strong>la</strong>nti del cinquecento, cit., in partico<strong>la</strong>re pp. 183-190.<br />

488 In proposito ci sembra interessante segna<strong>la</strong>re come Muenster riproponga, del<strong>la</strong> revisione del Serveto, <strong>la</strong><br />

negativa valutazione sul<strong>la</strong> Spagna suscitando l’ampia controffensiva pubblicistica di Damiano De Goa, al<br />

riguardo si rinvia a Henry Vocht de, History of the Foundation and the Rise of the Collegium Trilingue<br />

Lovaniense, cit., vol. III, The Full Growth, pp. 64-67,<br />

489 Sul cui magistero e sul rilevante impatto suscitato sul neop<strong>la</strong>tonismo europeo rinviamo a L. Felici, Tra<br />

Riforma ed eresia. La giovinezza di Martin Borrhaus (1499-1528), cit., pp. 5-9.<br />

490 M. Mi<strong>la</strong>nesi, Il Tolomeo sostituito, cit., vedi pp. 18-19.<br />

83


Martin Borrhaus e poi trasformata in un formale progetto da Me<strong>la</strong>ntone a cui anche il<br />

Pirchkeimer avrebbe dovuto prendere parte 491 .<br />

Dunque un Giambul<strong>la</strong>ri, attento alle novità in campo astronomico, che probabilmente tiene<br />

conto del seguente passaggio del Tolomeo munsteriano, per il suo profilo d’Europa, vista<br />

l’identità concettuale e <strong>la</strong> somiglianza letterale che emerge dal confronto 492 , nonostante il<br />

diverso ordine logico osservato dai due autori:<br />

“L’Europa una delle tre principalissime parti<br />

del mondo[…]La sua qualità, ragionandone<br />

generalmente, si può dire assai temperata, e<br />

di un’aria molto benigna; come chiaramente<br />

si può vedere da l’essere questa regione<br />

abbondantissima di biade, vini, frutte, carne,<br />

e di ciascuna altra cosa che al vivere è<br />

necessaria; copiosa d’uomini armigeri, e<br />

parimente di quegli ancora che esercitano<br />

l’agricoltura, e tutte l’altre arti che al ben<br />

vivere sono di momento: ricca di tutti i<br />

metalli, piena di<br />

cittadi ornatissime, dotata di fiumi, di <strong>la</strong>ghi,<br />

di selve, di campagne, di monti; ed in somma<br />

sì fattamente provista dal<strong>la</strong> benigna madre<br />

natura, che el<strong>la</strong> se bene è di corpo minore,<br />

sopravanza però di gran lunga ed eccede<br />

l’Africa e l’Asia in tutte le cose, cavandone<br />

so<strong>la</strong>mente gli odori e le gemme. Questa,<br />

cominciandosi da ponente, contiene <strong>la</strong><br />

Spagna, <strong>la</strong> Francia, <strong>la</strong> Italia, <strong>la</strong> Germania, <strong>la</strong><br />

Ungheria, <strong>la</strong> Polonia, <strong>la</strong> Moscovita, <strong>la</strong><br />

Sarmazia, e di qua da’l Danubio <strong>la</strong><br />

Schiavonia, <strong>la</strong> Macedonia, <strong>la</strong> Grecia, <strong>la</strong><br />

Tracia, con molte isole…” 493<br />

“Haec una est tribus orbis partibus […]Sed<br />

quod in p<strong>la</strong>no est et naturalem habet<br />

temperiem[…]affert fructus optimos vitae<br />

necessarios, et metal<strong>la</strong> quaecumque usui<br />

necessaria sunt. Odores vero ad sacrificia<br />

necnon multi sumptus <strong>la</strong>pillos extrinsecus<br />

petit. Similiter pecudum mitium exhibet<br />

copiam, ac bestiarum ferarumque habet<br />

raritatem.[…]accipiuntque hae gentes aliqua<br />

inter se beneficia, dum aliae opem armis<br />

ferunt, aliae fructibus et artibusque morumque<br />

doctrina. Habet enim Europa multitudinem<br />

pugnacem, habet et que agros co<strong>la</strong>t, quaeque<br />

urbes contineat.[…] Est adeo amoena,<br />

pulcherrimisque urbibus, castris, vicis et pagis<br />

exornata, virtute denique populorum tam<br />

praestans, ut longe superet Asia aut<br />

Aphricam, quantumlibet il<strong>la</strong>e terrae sint<br />

maiores. […]Particu<strong>la</strong>ris pars <strong>prima</strong> ab<br />

occasu Hispania…Galliam…Post Italiam<br />

autem, quae ad ortum reliquia sunt Europae,<br />

bisariam dividuntur Istro flumine 494 …a<br />

sinistra reliquens Germaniam, Ungariam,<br />

Poloniam, Moscoviam et c. A dextra vero<br />

Illyricum, Dalmatiam, Thraciam,<br />

491 Sul progetto mai realizzato cfr. L. Felici, Eresia e giovinezza, cit., pp. 9-11.<br />

492 Molto lontano invece da una possibile corrispondenza ci sembra <strong>la</strong> fonte indicata dal<strong>la</strong> Marangoni in Storia<br />

d’Europa, cit., p. 6 in nota: Pii.II. pon. Max. Asiae Europaequae elegantissima descriptio, mira festivitate tum<br />

veterum, tum recentium res memoratu dignas complectens, maxime sub Federico III. Apud Europeos Christiani<br />

cum Turcis, Prutenis, Soldano, et caeteris hostibus fidei, tum etiam inter sese vario bellorum eventu<br />

commiserunt. Accessit Henrici G<strong>la</strong>reani, Helvetij, poetae <strong>la</strong>ureati compendiaria Asiae, Africae, Europaequae<br />

descriptio, Parisijs apud Galeotum a prato, ad <strong>prima</strong>m Pa<strong>la</strong>tij regij columnam, 1534, (in realtà <strong>la</strong> Marangoni cita<br />

l’edizione veneziana dell’opera del 1544) in cui leggiamo alle pp. 9-11: “Consensu omnium receptum est, totius<br />

habitabilis treis praecipuas esistere portiones, quorum pre magnitudine <strong>prima</strong> est Asia, secunda est Aphrica,<br />

tertia Europa. Asia coniungitur Aphricae (sicut Ptolomeao vosum est) per dorsum Arabile, quod mare nostrum<br />

ab Arabico finu disiungit. Nemo id negat, sed adijcit ille alio in loco, coniungi per terram incognitam quae<br />

indicum pe<strong>la</strong>gus circumplectitur. In qua sententia pene solus est. Omnes enim quos offendimus de situ orbis<br />

scribentes, mare indicum ad austrum et orientem fine terminis ponunt : et partem oceani esse volunt, sicut ab his<br />

traditum est, qui arabico finu in At<strong>la</strong>nticum mare, et ad columnas Herculis naviagarunt. Europae et Asiae<br />

coniunctio sit per dorsum quod inter paludem maeotim et Sarmaticum oceanum excurrit supra Tanais fluvij<br />

fontes. Aphrica nusquam, per sese Europae coheret, hinc freto Herculeo, illinc Asia interiacete discreta. Fuerunt<br />

qui ea ab Asia disiungere voluerunt, id terrae intercedere meditati, quod inter rubrum et nostrum pe<strong>la</strong>gus<br />

medium est: cuius <strong>la</strong>titudinem non amplius quod mille et quingentorum stadiorum esse dixerunt. […]Europa per<br />

Hispaniam, Italiam, et Peloponesum australior est, parallelum qui per Rhodum ducitur, attingens: in<br />

septentrionem per Germaniam et Norvegiam maxime protesa: quinto et sexto climate felix, ulterius non adeo<br />

benigna.”<br />

493 Storia, cit., p. 6.<br />

494 Altro modo di indicare il Danubio in proposito vedi Geographia vetus et nova, cit., p. 44.<br />

84


Macedoniam, reliquamque ultimam Graeciam.<br />

Praeiacent quoque Europae insu<strong>la</strong>e…” 495<br />

Peraltro, il passo muensteriano è molto vicino ad un altro brano del<strong>la</strong> sua celebre<br />

Cosmographiae Universalis 496 edita in tedesco nel 1544 e nel 1550 in <strong>la</strong>tino 497 , ben nota al<br />

Giambul<strong>la</strong>ri come vedremo. In realtà a ben guardare, nel<strong>la</strong> Cosmographia, l’umanista<br />

tedesco 498 offre quasi una ripetizione letterale di un passaggio tratto dall’opera Omnium<br />

gentium, mores, leges et ritus… 499 di Jacob Ziegler 500 editata nel 1542 a Venezia 501 . Il<br />

Muenster, del resto, ripone grande fiducia nelle conoscenze geografiche dello Ziegler come<br />

testimoniano alcuni passi delle sue lettere 502 e l’inclusione dell’astronomo nell’elenco delle<br />

fonti del<strong>la</strong> sua Cosmographiae nell’edizione del 1552 503 .<br />

495 Ivi, passo a p. 269.<br />

496 S. Muenster, Cosmographiae universalis lib. VI in quibus, iuxta certioris fidei scriptorum traditionem<br />

describuntur, omnium habitabilis orbis partium situs, propriaque dotes. Regionum Topographicae effigies.<br />

Terra ingenia, quibus fit ut tam differentes et varias species res, et animatas et inanimatas, ferat. Animalium<br />

peregrinorum naturae et picturae. Nobiliorum civitatum icones et descriptiones. Regnorum initia, incrementa et<br />

trans<strong>la</strong>tiones. Omnium gentium mores, leges, religio, res gestae, mutationes : Item regum et principum<br />

genalogiae, Basileae 1552.<br />

497 La Cosmographia, infatti, fino al 1550, anno del<strong>la</strong> <strong>prima</strong> edizione in lingua <strong>la</strong>tina, esiste solo in versione<br />

tedesca. Pertanto il Giambul<strong>la</strong>ri che <strong>la</strong> cita intorno al 1547 <strong>la</strong> consulta probabilmente in questa lingua. A parte <strong>la</strong><br />

remota possibilità che egli l’abbia vista in versione volgare. Ipotesi da verificare, considerato che una delle tre<br />

edizioni in volgare dell’opera munsteriana è stata realizzata dallo stampatore veneziano Thomasini in data non<br />

meglio precisata. Senza dubbio invece il Giambul<strong>la</strong>ri non ha consultato le altre due versioni volgari, una infatti<br />

viene stampata a Basilea nel 1558, l’altra nel 1575 a Colonia. Al riguardo rinviamo a R. Oehme, Introduction,<br />

cit., in S. Muenster, Cosmographie, cit., pp. XIV-XVIII. Inoltre, in proposito cfr. Gli At<strong>la</strong>nti del Cinquecento,<br />

cit., pp. 190-197.<br />

498 Cosmographiae universalis, cit., p. 40c4-41c5 “Est itaque Europa regio reliquis orbis partibus minor, sed<br />

populosissima, fertilissima atque cultissima, non cedens etiam Africae quantumuis ipsa longior et <strong>la</strong>tior sit<br />

Europa. Nam in Europa non inveniunt tam vastae solitudines, tam steriles arene, et tam ingens calor omnia<br />

exurens ut in Africa. Nullus est loco aut regio in Europa tam abiecta, in qua homines sibi non fecerint<br />

mansiones, et ubi vitae necessaria non commode sibi parare queant. Quantum autem Europae ipsius in p<strong>la</strong>no<br />

est, naturalemque habet temperiem, multum adiuvat ad ista, quandoquidem id quod est in felici regione<br />

pacificum omne est, et quod in tristi, pugnax et virile: accipiuntque hae gentes aliqua inter se beneficia. Aliae<br />

enim opem armis ferunt, aliae fructibus et artibus, morumque doctrina. Est ergo Europa ad pacem et a bellum<br />

sufficientissima sibi. Nam habet abundem multitudinem pugnacem, et quae agros co<strong>la</strong>t, et quae urbes contineat<br />

quoque. Excellit haec et fructus afferens optimos vitae necessarios, et metal<strong>la</strong> quaecumque usui sunt. Odores ad<br />

sacrificia, nec non multi sumptus <strong>la</strong>pillos ipsa extrinsecs petit. Similter pecudum exhibet mitium multarum<br />

copiam, at bestiarumque habet raritatem.”<br />

499 Omnium gentium mores, leges et ritus, ex multis c<strong>la</strong>rissimimis rerum scriptoribus, a Ioanne Boemo Aubano<br />

Teutonico nuper collecti, et novis sine recogniti. Tribus libris absolutum opus, Aphricam, Asiam, et Europam<br />

describentibus. Accesit libellus de Regionibus Septentrionalibus, earumque Gentium ritibus, veterum Scriptorum<br />

saeculo fere incognitis, ex Iacobo Zieglero Geographo diligentiss. Necnon Mathiae a Michou de Sarmatia<br />

Asiana, atque Europea, libri duo. Non sine indice locupletissimo, Venetiis, MDXXXXII.<br />

500 Sul quale vedi <strong>la</strong> voce Jacob Ziegler di Ilse Guenther e Peter G. Bietenholz in Contemporaries of Erasmus,<br />

cit., vol. III, 1987, pp. 474-476.<br />

501 Omnium gentium mores, leges et ritus, cit., liber III, pp. 150kIII-151kIIII: “Quantum autem Europae ipsius<br />

in p<strong>la</strong>no est, naturalemque habet temperiem, multum adiuvat ad ista, quandoquidem id quod est in felici regione<br />

pacificum omne est, et quod in tristi, pugnax et virile: accipiuntque hae gentes aliqua inter se beneficia. Aliae<br />

enim opem armis ferunt, aliae fructibus et artibus, morumque doctrina.[…] Ex hoc autem ad pacem et a bellum<br />

sufficientissima sibi. Etenim multitudinem pugnacem abunde habet, et quae agros co<strong>la</strong>t, et quae urbes quoque<br />

contineat. Excellit haec et fructus afferens optimos vitae necessarios, et metal<strong>la</strong> quaecumque usui sunt. Odores<br />

ad sacrificia, nec non multi sumptus <strong>la</strong>pillos ipsa extrinsecs petit.[…]Similiter pecudum exhibet mitium<br />

multarum copiam, at bestiarum ferarumque habet raritatem.”<br />

502 Nel<strong>la</strong> lettera inviata da Basilea a Giorgio il Normanno che gli ha scritto per conto di Gustavo Wasa “regis<br />

Suecorum, Gothorum” il 20 Agosto 1545, Muenster afferma: ”Gaudeo regi p<strong>la</strong>cuisse <strong>la</strong>borem meum. Quod<br />

queadam perperam scripsi de retrusioribus regni vestri gentibus atque de minera auri, ex cerebro meo non<br />

deprompsi, sed accepi vel ex O<strong>la</strong>o Magno vel ex Zieglero, qui ante me haec notarunt, sed eradam ubi ad tertiam<br />

editionem ventum fuerit.” In S. Muenster, Briefe, cit., pp. 112-120, passo riportato a p. 113, e ancora ivi, il 3<br />

gennaio 1548 a Matthias Erb “In summa aliud emp<strong>la</strong>strum huic vulneri adhiberi nequit, quam quod in tertia<br />

85


Il cosmografo bavarese viene chiamato in causa nel<strong>la</strong> lezione dantesca del Giambul<strong>la</strong>ri del<br />

’41, come accennato, quale principale sostenitore nel<strong>la</strong> sua Schondia 504 (poi riutilizzata dal<br />

canonico <strong>la</strong>urenziano anche nel<strong>la</strong> Storia) dell’esistenza e dell’abilità del<strong>la</strong> Scandinavia,<br />

sconosciuta a Tolomeo 505 .<br />

D’altra parte il Giambul<strong>la</strong>ri conosceva anche un altro passo muensteriano simile ai<br />

precedenti ma cronologicamente precedente a quello ziegleriano degli Omnium…mores che<br />

non sappiamo se sia stato da lui effettivamente letto. Il passaggio sicuramente letto, si trova,<br />

appunto, in uno scritto incluso nel<strong>la</strong> silloge basileese, curata dal canonico del duomo di<br />

Strasburgo Johann Huttich e stampata nel 1532 506 da Johann Hervagius 507 conosciuta dal<br />

canonico <strong>la</strong>urenziano 508 . Elemento che oltre a confermare <strong>la</strong> vicinanza del Giambul<strong>la</strong>ri a certi<br />

indirizzi neop<strong>la</strong>tonici in campo astronomico, offre ulteriori elementi del suo contatto con<br />

scritti di figure dell’umanesimo tedesco associate al<strong>la</strong> Riforma. Nel caso specifico (a parte<br />

naturalmente il Muenster) ci riferiamo all’umanista Simon Grynaeus chiamato a insegnare<br />

greco a Basilea nel 1529 dietro interessamento di Eco<strong>la</strong>mpadio e partito nel 1531 al<strong>la</strong> volta di<br />

Tubinga per riorganizzare <strong>la</strong> locale università e diffondere <strong>la</strong> Riforma su incarico di Hulrich<br />

del Wuttemberg 509 . Il Grynaeus infatti scrive l’introduzione 510 del<strong>la</strong> silloge, sviluppando il<br />

edizione, quam prope diem longe magnificentiorem adornabimus, haec ut mendacia explodemus, sicut et ex au<strong>la</strong><br />

regis Sueciae monitus sum, ut quaedam mutem, quae suppeditarunt Jacobus Zieglerus et O<strong>la</strong>us Magnus. Spero<br />

per haec p<strong>la</strong>cari commotum animum principis.”, pp. 127-130, passo riportato a p. 128 e infine ivi, nel gennaio<br />

1550 da Basilea a Gustavo Wasa “Quae de fiorentissimo tuae maiestatis regno hic scribo, ex recentioribus<br />

scriptoribus, maxime autem ex Krantio, Zieglero et O<strong>la</strong>o Magno desumpsi.”, lettera alle pp. 155-160, passo<br />

riportato a p. 157.<br />

503 Catalogus doctorum virorum, quorum scripsit et ope sumus usi et adiuti in hoc opere in Cosmographiae<br />

universalis, cit., che segue <strong>la</strong> lettera dedicataria a Carlo V e precede l’indice delle cose e dei fatti notabili.<br />

504 Syria ad Ptolomaici operis rationem. Praeterea Strabone, Plinio, et Antonio auctoribus locupletata.<br />

Palestina, iisdem auctoribus, Praeterea hi<strong>storia</strong> sacra, et Iosepho, et divo Hieronymo locupletata. Aegyptus,<br />

iisdem auctoribus. Praeterea Joanne Leone Arabe grammatico, secundum recentiorum locorum situm, illustrata.<br />

Schondia, tradita ab auctoribus, quin eius operis prologo memorantur. Holmiae, civitatis regie, Suetiae,<br />

deplorabilis excidijs per Christiernum Datiae cimbricae regem hi<strong>storia</strong>e. Regionum superiorum, singu<strong>la</strong>e<br />

tabu<strong>la</strong>e Geographicae, Argentorati apud Petrum Opilionem, MDXXXII.<br />

505 Del sito e del<strong>la</strong> forma del Purgatorio, cit., alle pp. 12-13 Giambul<strong>la</strong>ri chiama in causa <strong>la</strong> Scondia dello<br />

Ziegler: “Laonde in tutto il tempo predetto egli è certamente impossibile che ei non vi sia lume o che il freddo vi<br />

sia intollerabile né in Norvegia, né in Isvezia, dalle quali (come nel<strong>la</strong> Scondia del Zieglero si conosce), il<br />

novembre e il dicembre di ciascun anno si trova lontano il sole novantuno e novantadue gradi. E pur sono<br />

queste due province non so<strong>la</strong>mente abitate, ma frequentate, quanto sanno i vostri mercatanti, non che quelli<br />

del<strong>la</strong> Germania che continuamente vi fanno faccende. Molto più ancora è impossibile che ciò avvenga in tutto<br />

quel tempo che il sole sta ne’ segni settentrionali[…]Restaci dunque so<strong>la</strong>mente da dubitare di quel tempo che il<br />

sole sta ne’ segni meridionali, tempo (secondo gli antichi) di notte scurissima e continuata in tutte le parti vicine<br />

al polo. Il che sebbene è falsissimo per <strong>la</strong> testimonianza degli uomini di que’ dintorni che nel<strong>la</strong> morte di Adriano<br />

VI si trovarono in Roma, e per quel<strong>la</strong> del Zieglero sopra detto, che nel<strong>la</strong> Scondia sua, <strong>la</strong>rgamente e con gran<br />

dottrina, di ciò disputa, si riprova pure ancor falso per questa via.”.<br />

506 Novus orbis regionum ac insu<strong>la</strong>rum veteribus incognitarum, una cum tabu<strong>la</strong> cosmographca, et aliquot aliis<br />

consimilis argument libellis quorum omnium catalogus sequenti patebit pagina, Parisiis apud Galeotum a Prato,<br />

MDXXXII, VIII Novembris ivi, lo scritto Typi cosmographici et dec<strong>la</strong>ratio et usus, per Sebastianum<br />

Muensterum in Novus Orbis, cit., pp. 20-24 (numerazione aggiunta a mano in re<strong>la</strong>zione alle pagine precedenti<br />

dell’indice, mentre al<strong>la</strong> fine dello scritto munsteriano essa comincia da 1) in partico<strong>la</strong>re a proposito del prospetto<br />

dell’Europa il Muenster scrive a p. 21: “Haec Europa licet comparatione aliarum terrae partium sit parva, est<br />

tamen cultissima et populosissima, ut etiam in ea re excedat totam Africam, non obstante quod il<strong>la</strong> in triplo sit<br />

maior.[…]Habet multitudinem pugnacem, et quae agros co<strong>la</strong>t, et qaue urbes quoque ; contineat, Affert fructus<br />

optimos vitae necessarios, et metal<strong>la</strong> quaecumque usui sunt. Similter pecudum mitium exhibet copiam :<br />

bestiarum ferarumque habet raritatem. Odores et <strong>la</strong>pillos magni sumptus extrinsecus petit.”<br />

507 Sullo stampatore John Herwagen e sul<strong>la</strong> sua attività vedi C. W. Heckethorn, The Printers of Basle, cit., pp.<br />

117-120, 123-124, 172, 197 e sull’omonimo figlio anch’egli stampatore pp. 129-130.<br />

508 Sul<strong>la</strong> lettera dell’opera in re<strong>la</strong>zione ad altre fonti si rinvia a Storia, cit., p. 13 in partico<strong>la</strong>re nota critica del<strong>la</strong><br />

Marangoni sul<strong>la</strong> Sarmazia.<br />

509 Per queste ed altre notizie biografiche su Simon Grynaeus si rinvia a L. Felici, Tra riforma ed eresia, cit., in<br />

partico<strong>la</strong>re <strong>la</strong> nota 48 a p. 302 e F. Ritter, Histoire de l’imprimerie Alsacienne aux XVe et XVIe siècles, editions<br />

F.- X. Le Roux, Strasbourg-Paris, 1955 cfr. in partico<strong>la</strong>re nelle Appendices il profilo n. 369 a p. 562; inoltre cfr.<br />

86


confronto in materia geografica tra antichi e moderni, secondo quei termini neop<strong>la</strong>tonici e<br />

religiosi strettamente legati al<strong>la</strong> ricerca e all’interpretazione del dato scientifico. Pur<br />

sollecitando gli uomini ad ammirare <strong>la</strong> gloria di Dio manifestata dal<strong>la</strong> creazione, del<strong>la</strong> natura<br />

terrestre 511 , l’umanista tedesco nutre forti perplessità sul<strong>la</strong> capacità umana di contemp<strong>la</strong>re e<br />

comprendere <strong>la</strong> perfezione divina del creato, perchè:<br />

“Quamquam hoc totum naturae spectaculum, ex quo velut vivo libro condisci opifx ille<br />

rerum debebat, luculenter considerationi hominum offert sese…tamen ignava esse vitio et<br />

socordia hominum videtur, nec quicquam admirationis habere facies il<strong>la</strong> naturae, etque;<br />

incredibile memoratu, quam pauci mortales vel maiestate eius summa, vel variegate mirabili<br />

excitentur.”<br />

I pochi che contraddicono questa tendenza generale, grazie ai loro studi e alle ricerche<br />

scientifiche, sono i medici e gli esploratori. Tuttavia, è l’intervento del<strong>la</strong> provvidenza divina<br />

che differenzia questa minoranza dal resto dell’umanità:<br />

“Adversus hunc morbum hominum, omnis generis scriptores et inventores rerum, divina<br />

providentia veluti medicos commenta obiecit, qui imperitis et inertibus istis vim naturae<br />

eruerent, et tamquam in lucem proferrent, et per eam opificis admonerent.” 512<br />

In questo modo, al pari di quanto accade per le altre arti, le conoscenze tecniche e<br />

scientifiche acquisite dall’uomo non senza il risolutivo intervento divino, sono diffuse dal<strong>la</strong><br />

paro<strong>la</strong> scritta che permette <strong>la</strong> circo<strong>la</strong>zione delle scoperte e consente l’ulteriore possibilità di<br />

penetrare <strong>la</strong> bellezza e <strong>la</strong> complessa armonia del creato. 513 Discorso suffragato dall’imponente<br />

mole di scoperte geografiche avvenute nei primi tre decenni del sedicesimo secolo:<br />

“Degeneres homines qui ut naturae lucem, qua vivant et qua utuntur per omnia, nul<strong>la</strong>m<br />

vident, ita sapientiam inventa et mirabilium rerum auctores, idcirco quia es iam usu<br />

contriverunt, pro nihilo habent. Nobis autem secus in unaquaque re <strong>prima</strong> origo et fons<br />

pervestigandus. Neque vero vana videri vis naturae debet, tanto desiderio ad rerum<br />

cognitionem incensa, nec vulgare exemplum, Orbis partem nostro saeculo inventam esse<br />

tantam propemodum, quanta est Europa.” 514<br />

Svolta questa introduzione storico-geografica il Giambul<strong>la</strong>ri inizia il racconto dei fatti<br />

storici che si svolgono durante il regno di Arnolfo. L’imperatore è subito protagonista di una<br />

guerra con il re di Boemia Suembaldo. La <strong>prima</strong> fonte di riferimento per i fatti boemi è<br />

l’Hi<strong>storia</strong> Bohemica di Pio II, stampata a Basilea da Johann Hervagius in una raccolta di fonti<br />

prevalentemente tedesche molto utilizzate dal Giambul<strong>la</strong>ri per <strong>la</strong> Storia, come vedremo 515 . Lo<br />

J. Jacquiot, La medaille dans l’humanisme allemand in L’Humanisme allemand, cit., pp. 567-581, in partico<strong>la</strong>re<br />

pp. 569-570.<br />

510 Excellenti viro Georgio collimitio danstettero artis medicae et disciplinarum mathematicarum omnium<br />

facile principi, Simon Grynaeus, in Novus Orbis, cit., pagine non numerate.<br />

511 In proposito vedi anche M. Mi<strong>la</strong>nesi, Il Tolomeo sostituito, cit., pp. 39-40.<br />

512 Passi citati, Excellenti viro Georgico, cit..<br />

513 Ivi, infatti, il Grynaeus sostiene: “Ac ut artes caeteras, quae variae et multiplices sunt, aliam aliamque<br />

unaqueque naturae partem tactantes praeteream nunc, nul<strong>la</strong>e plus sibiipsis auctoritatis, vel naturae rerum<br />

admirationis, parant, quam quae coeli et terrae situ, quem il<strong>la</strong> et seorsum et quem inter sese habent,<br />

descripserunt…non absque certa et evidenti multarum et difficilium artium notizia constitutas. Quae postquam<br />

inventae non absque beneficentia Dei, et proditae literis fuerunt, rem prius impossibilem generi humano, ire non<br />

solum mente et cogitatione per coeli spatia, sed terram oculis circuire, et mundum perambu<strong>la</strong>re licebat.”<br />

514 Excellent viro, cit…<br />

515 Aenae Sylvii Hi<strong>storia</strong> Bohemica in Vitichindi Saxonis rerum ab Henrico et Ottone I impp. Gestarum libri III,<br />

unam cum alijs quibusdam raris et antehac non lectis diversorum autorum historijs, ab anno salutatis DCCC.<br />

usque ad praesentem aetatem: quorum catalogus patebit pagina Huc accessit rerum scitu dignarum copiosus<br />

87


stesso Pio II, del resto, dedica ampio spazio al<strong>la</strong> Germania nel<strong>la</strong> sua opera storica, esaltandone<br />

<strong>la</strong> centralità assunta nell’Europa moderna in seguito al<strong>la</strong> Tras<strong>la</strong>tio imperii. Tuttavia i meriti<br />

del<strong>la</strong> civilizzazione tedesca appartengono, secondo il celebre umanista, al<strong>la</strong> Chiesa. D’altra<br />

parte in un momento di sostanziale impotenza dell’autorità imperiale, Pio II attribuisce al<strong>la</strong><br />

Chiesa il ruolo guida del<strong>la</strong> Res publica christiana, e il compito di garantire <strong>la</strong> sua compattezza<br />

interna e <strong>la</strong> sua sicurezza esterna, anche a livello politico contro le aspirazioni egemoniche<br />

francesi 516 .<br />

L’Hi<strong>storia</strong> bohemica focalizzata in gran parte sul vulnus aperto nel<strong>la</strong> contemporaneità dal<strong>la</strong><br />

questione hussita che turba l’armonia interna dell’Europa cristiana, già fortemente minacciata<br />

ad oriente dal<strong>la</strong> pressione ottomana, va letta in questa direzione 517 .<br />

Del<strong>la</strong> prospettiva di Pio II, Giambul<strong>la</strong>ri certamente condivide l’individuazione del fulcro<br />

dell’idea d’Europa nell’elemento cristiano. L’adesione al cristianesimo costituisce il requisito<br />

essenziale di appartenenza al<strong>la</strong> realtà spirituale europea 518 ed al<strong>la</strong> sua forma politica, l’Impero.<br />

In questo senso è indicativo che il Giambul<strong>la</strong>ri sul<strong>la</strong> falsariga dell’Hi<strong>storia</strong> Boemica individui<br />

<strong>la</strong> causa del conflitto nel rifiuto di Suembaldo di pagare il tributo dovuto ad Arnolfo per il<br />

vincolo di soggezione all’impero sancito dall’episodio del battesimo di Suembaldo che segna<br />

l’ingresso dei Boemi nell’Europa crisitana:<br />

“…attendendo ad insignorirsi delle cose<br />

del<strong>la</strong> corona, trovò che Suembaldo re di<br />

Moravia, da Pio nel<strong>la</strong> i<strong>storia</strong> boemica<br />

nominato Svatocopio, non voleva pagare il<br />

censo, né riconoscere <strong>la</strong> soggezione che<br />

aveva il sopradetto regno allo imperio franco<br />

o germano.” 519<br />

“Era questo re Suembaldo, che fu il<br />

penultimo re de’ Moravi, pochi anni avanti<br />

fatto cristiano con una parte del regno suo, e<br />

battezzato da quel Cirillo apostolo de gli<br />

Schiavoni, che per comodità del<strong>la</strong> gregge sua<br />

impetrò dal<strong>la</strong> Santa sede romana di potere<br />

celebrare <strong>la</strong> messa in lingua schiavona, come<br />

racconta il secondo Pio.” 521<br />

“Svatocopius eo tempore Moravis imperabat<br />

Christianae religionis cultor: et dignus cuius<br />

memoriam ad posteros<br />

referamus.[…]Svatocopius regum penultimus,<br />

cum aliquandium feliceter regnasset, tandem<br />

Arnolpho imperatori tributum pendere<br />

recusans…” 520<br />

“…Cyrillum…qui baptizato quondam<br />

Svatacopio, Moravius Christiana crediderat:<br />

multasque alias Sc<strong>la</strong>vorum gentes ad fidem<br />

Christi converterat. Referunt, Cyrillum cum<br />

Romae ageret, Romano Pontifici supplicasse:<br />

ut Sc<strong>la</strong>vorum linguam, eius gentis hominibus,<br />

quam baptizaverat, rem divinam faciens, uti<br />

posset.” 522<br />

D’altro parte le digressioni del Giambul<strong>la</strong>ri costituiscono anche l’applicazione di un tipico<br />

procedimento del<strong>la</strong> storiografia umanistica attinto dalle storie c<strong>la</strong>ssiche che prevede,<br />

preliminarmente al racconto di un conflitto, un’informazione sul carattere e sul<strong>la</strong> <strong>storia</strong> dei<br />

popoli coinvolti 523 . Non può mancare inoltre, una descrizione geografica del<strong>la</strong> regione abitata<br />

dai Boemi: <strong>la</strong> Moravia. Malgrado in proposito il Giambul<strong>la</strong>ri ricorra ad altre due fonti: i<br />

Commentarii urbani di Maffei Raffaele detto il “Volterrano” 524 , riguardo ad una spiegazione<br />

index, Basileae, apud Io. Hervagium, mense martio, Anno MDXXXII, pp. 126l3-217t1; d’ora in poi Hi<strong>storia</strong><br />

Bohemica.<br />

516 In proposito si rinvia a C. Vivanti, “I commentarii” di Pio II, cit., in partico<strong>la</strong>re pp. 65-66 e 69-71.<br />

517 Sul<strong>la</strong> storiografia di Pio II e in partico<strong>la</strong>re sull’Hi<strong>storia</strong> bohemica, cit., rinviamo a E. Cochrane, Hi<strong>storia</strong>ns<br />

and Historiography, cit., pp. 44-47 e G. Costa, Le antichità germaniche, cit., pp. 43-44. Cfr. inoltre B. R.<br />

Reynolds, Latin Historiography, cit., pp. 12-14.<br />

518 In proposito cfr. C. Curcio, Europa. Storia di un’idea, cit., I vol., pp. in partico<strong>la</strong>re 180-181.<br />

519 Storia, cit., passo a p. 7.<br />

520 Hi<strong>storia</strong> Bohemica, cit., passo cit. a p. 139m4.<br />

521 Storia, cit., passo riportato a p. 8.<br />

522 Hi<strong>storia</strong> Bohemica, cit., passo riportato a p. 140m4.<br />

523 F. Gilbert, Machiavelli e Guicciardini, cit., pp. 180-181.<br />

524 Sul quale rinviamo a E. Cochrane, Hi<strong>storia</strong>ns and Historiography, cit., pp. 49-51.<br />

88


peraltro poco accreditata del nome del fiume Morava, e alle Rerum Hungaricorum Decades 525<br />

dell’umanista asco<strong>la</strong>no Antonio Buonfino 526 , Pio II, autore di accurate e ricche descrizioni<br />

geografiche delle regioni dell’Europa centro-orientale, rimane comunque il principale punto<br />

di riferimento del suo racconto:<br />

“Questa è <strong>la</strong> provincia del<strong>la</strong> Germania<br />

antica, nel<strong>la</strong> famosissima selva Ercinia:<br />

confinata a ponente da le montagne del<strong>la</strong><br />

Boemia e dal fiume Morava (dice Raffaello<br />

Volterrano), dal quale secondo molti, si<br />

chiama el<strong>la</strong> per questo nome, nonostante che<br />

il Buonfino lo derivi da Morobaudo re per lo<br />

addietro de’ Marcomanni, i quali abitarono<br />

questa e <strong>la</strong> Slesia, che <strong>la</strong> confina da<br />

tramontana.” 527<br />

“A levante le sono i Po<strong>la</strong>cchi e gli Ungheri, e<br />

di verso il Danubio l’Austria, che <strong>la</strong><br />

fronteggia da mezzo giorno. Il paese è meno<br />

aspro che <strong>la</strong> Boemia, ed abbonda ne’ tempi<br />

nostri di buono vino e molto grano. Gli<br />

uomini sono armigeri e naturalmente certo<br />

feroci, ma <strong>la</strong>droni e assassini, che per tutto<br />

certo rompono le strade, e non concedono lo<br />

andare su per le terre loro se non a chi è<br />

armato e più forte che non sono essi. Le città<br />

principali sono Volograd…” 529<br />

“…Sylva Ercynia, undique cincta,<br />

“Quadi autem et Marcomanni sub Morobando<br />

regem, Silesiam et Moraviam tenuere, a quo<br />

Moraviam dictam aribitrantur.” 528<br />

“Moravia trans Danubium iacet: cui ad<br />

orientem Hungari, Polonique regnum<br />

possident, Morava disiuncti amne, qui nomen<br />

regioni dedit: occidentem Solem Bohemi<br />

excipiunt: Austriales Meridiem:<br />

Septentrionale <strong>la</strong>tus Slesitae occupant. Ager<br />

vini frumentique ferax. Gens rapinis assueta:<br />

nulli tutum iter nisi armato potentiorique<br />

praebet. […]Caput regni civitas<br />

Volegradensis.” 530<br />

Tuttavia, che fin dalle prime pagine, il canonico <strong>la</strong>urenziano associ strettamente idea<br />

d’Europa ed identità cristiana viene confermato dal<strong>la</strong> partecipazione nello scontro boemocarolingio<br />

degli Ungheri. È Arnolfo a chiedere l’aiuto dei discendenti di Atti<strong>la</strong>, per ottenere<br />

sicura vittoria su Suembaldo, restituendoli al<strong>la</strong> politica attiva sullo scenario europeo, dopo che<br />

Carlo Magno li aveva sconfitti e sottomessi. Al di là del successo immediato, il Giambul<strong>la</strong>ri<br />

giudica <strong>la</strong> decisione del sovrano franco un gravissimo errore, sottolineando <strong>la</strong> pericolosità<br />

degli Unni anche attraverso <strong>la</strong> notizia del<strong>la</strong> loro presunta provenienza da Nembrot:<br />

“ancora che da se stessi descrivino <strong>la</strong> genealogia e l’origine loro sino da Unnor figliolo del<br />

superbo Nembrot del<strong>la</strong> Torre, da’ l quale dicono che fu Atti<strong>la</strong> il trentacinquesimo, non <strong>la</strong><br />

possono però dimostrare sì chiara e apertamente, che e’egli sia aggiustato fede. Per <strong>la</strong> qual<br />

cosa, posto da parte tutte le antiche memorie loro, diciamo con gli altri scrittori, che circa il<br />

trecentesimo settantatreesimo anno del<strong>la</strong> Salute uscì questa generazione, incognita allora,<br />

fuori del<strong>la</strong> palude Meotida…ed in guisa di una tempesta da violentissimi venti spinta,<br />

percosse, abbattè e distrusse tutte le nazioni e genti vicine” 531 .<br />

525 Antonii Bonfinii Rerum ungaricarum decades tres, nunc demum industria Martini Brenneri Bistriciensis<br />

Transsylvani in lucem aeditae, antehac nunquam excusae. Quibus accesserunt cronologia Pannonum a Noah<br />

usque hac tempora, et coronis Hi<strong>storia</strong>e Ungaricae diversorum Auctorum, Basileae ex Roberti Vuinter officina,<br />

anno MDXLIII; d’ora in poi Rerum ungaricarum.<br />

526 Sul quale vedi <strong>la</strong> re<strong>la</strong>tiva voce Bonfini Antonio di G. Rill in DBI, vol. XII, Roma, 1970, pp. 28-30.<br />

527 Storia, cit., passo cit. a p. 10-11.<br />

528 Rerum ungaricarum, cit., passo riportato a p. 26d1, in proposito cfr. anche Storia, cit., <strong>la</strong> nota sul Buonfino a<br />

p. 11.<br />

529 Storia, passo riportato a p. 11.<br />

530 Hi<strong>storia</strong> Bohemica, cit., passo cit. a p. 139m4.<br />

531 Storia, cit., passo cit. alle pp. 12-13.<br />

89


Egli ricava questa terribile genealogia, (pur manifestando forti dubbi sul<strong>la</strong> sua veridicità) dal<br />

Buonfino 532 , storico ufficiale del<strong>la</strong> corte di Mattia Corvino e poi di Ladis<strong>la</strong>o II. Vista <strong>la</strong><br />

storiografia celebrativa del<strong>la</strong> figura di Mattia Corvino prodotta dal Buonfino, 533 <strong>la</strong> menzione<br />

del Giambul<strong>la</strong>ri, al di là dei dubbi palesati sul<strong>la</strong> attendibilità di questa fonte, testimoniano<br />

del<strong>la</strong> considerazione attribuita al ruolo recitato dagli Ungheri nel<strong>la</strong> <strong>storia</strong> europea. Non manca<br />

inoltre un riferimento all’epoca contemporanea che sottolinea il totale capovolgimento del<br />

ruolo di questo popolo nel<strong>la</strong> <strong>storia</strong> europea rispetto all’alto Medio Evo “perché questa<br />

ferocissima gente era stata eletta da Dio a castigare un tempo i Cristiani, e a difendere poi il<br />

cristianesimo dagl’insulti degli Ottomani…” 534 .<br />

Ancora una volta, emerge l’importanza dell’elemento cristiano nel<strong>la</strong> caratterizzazione del<strong>la</strong><br />

coscienza europea e nel richiamo all’Europa cinquecentesca non è troppo difficile scorgere<br />

una sorta di stretta contiguità tra gli Ungheri del Medioevo e gli ottomani del XVI secolo,<br />

terribili e costanti minacce per l’Europa cristiana.<br />

Sull’origine e sulle gesta degli Unni culminate nell’incontro tra Atti<strong>la</strong> e Leone I, il<br />

Giambul<strong>la</strong>ri si avvale di alcuni passi del De Sarmatia…del po<strong>la</strong>cco Mattia di Miechow 535<br />

stampato per <strong>la</strong> <strong>prima</strong> volta a Cracovia nel 1517. Anche questo canonico po<strong>la</strong>cco, umanista e<br />

storico, <strong>la</strong>ureatosi in medicina a Padova nel 1485 poi medico al<strong>la</strong> corte di Sigismondo I,<br />

svolge nel rinnovamento delle conoscenze geografiche del<strong>la</strong> <strong>prima</strong> metà del secolo XVI un<br />

ruolo significativo. Il suo contributo fa luce sul<strong>la</strong> Sarmazia, regione praticamente negletta<br />

dagli studi e dagli aggiornamenti in materia geografica fin dall’antichità, sia per <strong>la</strong> scarsità dei<br />

rapporti economici intercorsi con l’Europa, sia per le difficoltà poste all’ammissione degli<br />

stranieri. Il Miechow inoltre, è il primo a negare, in contrasto con l’auctoritas tolemaica,<br />

l’esistenza delle grandi catene montuose dei monti Ripei e degli Iperborei. Muenster segue i<br />

suoi studi per realizzare <strong>la</strong> <strong>prima</strong> rappresentazione cartografica del<strong>la</strong> Sarmazia nel 1538 536 e<br />

utilizza <strong>la</strong> sua cronaca storica del<strong>la</strong> Polonia nell’ampliamento del<strong>la</strong> Cosmographia 537 . Lo<br />

stesso Giambul<strong>la</strong>ri, del resto, in un altro passaggio del<strong>la</strong> lezione del 1541, dimostra piena<br />

consapevolezza del<strong>la</strong> novità miechowiana sui monti Rifei, dai quali erroneamente Tolomeo<br />

faceva nascere il fiume Volga. Dichiara infatti:<br />

“…<strong>la</strong>sciamo stare …i sempre nevosi monti Rifei, donde aveva origine <strong>la</strong> Tana e tanti altri<br />

celebratissimi fiumi dell’Europa; i quali monti, non so<strong>la</strong>mente non si trovano a’ tempi nostri,<br />

dove essi gli dicono, ma e in nessun altro luogo ancora, fuor delle carte de’ libri loro, per<br />

quanto affermano tutti i moderni, e Michele da Micou, nel<strong>la</strong> sua Sarmazia fedelmente lo<br />

testimonia.” 538<br />

532 Rerum ungaricarum, cit., a p. 27d2 in cui leggiamo: “Nonnulli quidam, nescio quid ex Hebraeorum i<strong>storia</strong><br />

hallucinantes, a Magog filio Iaphet, Scytas promanasse scribunt: quin ex Hunorem et Magorem Nembroti filios,<br />

Unnorum fuisse progenitores. Nos autem vetera monumenta nimia auctoritate pollentia, etiam in errore sectari,<br />

quam cum his, (dum licet) bene sentire maluimus.” Ivi, inoltre sull’essere Atti<strong>la</strong> nipote di Nembroth cfr.<br />

Michaelis Ritii Neapolitani de regibus ungariae liber primus, a p. 1bb2: “Atti<strong>la</strong>, filius Bendecuci, nepos<br />

Nembroth…”.<br />

533 A proposito del<strong>la</strong> permanenza al<strong>la</strong> corte ungherese e delle Rerum Ungaricarum…vedi Bonfini Antonio, cit.,<br />

pp. 29-30 e soprattutto E. Cochrane, Hi<strong>storia</strong>ns and Historiography, cit., pp. 345-349.<br />

534 Storia, cit., passo a p. 16.<br />

535 Mathiae a Michov De Sarmatia Asiana atque Europea liber duo in Novus Orbis, cit., pp. 483s2-531Y2, e<br />

anche in Ominum gentium mores, cit., pp. 313xxII-393ccIV.<br />

536 Vedi M. Mi<strong>la</strong>nesi, Tolomeo sostituito, cit., pp. 160-163 e 230-232.<br />

537 In proposito vedi <strong>la</strong> lettera inviata dal Muenster a Stanis<strong>la</strong>o Laski il 6 Aprile 1548: “Legi chronicam vestri<br />

regni, quod Mathias Miechoviensis satis diligenter conscripsit plurimumque adiutus sum in vestri regni<br />

descriptione.” In S. Muenster, Briefe, cit., lettera alle pp. 131-138, passo riportato a p. 132.<br />

538 Del sito e del<strong>la</strong> forma del Purgatorio, cit., passo a p. 7.<br />

90


Il passaggio del Miechow spiega l’ingresso degli Unni in Europa con <strong>la</strong> rigidità del clima<br />

del<strong>la</strong> regione del<strong>la</strong> Scizia, evidentemente antitetica per caratteristiche e risorse al<strong>la</strong> florida e<br />

invitante Europa:<br />

“Mattia…da Micou…dice che lontano a<br />

Moscovia, città principalissima de’ Moscoviti,<br />

circa a duemi<strong>la</strong> miglia tra settentrione e<br />

levante, giace <strong>la</strong> freddissima regione Iura,<br />

terminata dallo Oceano di Tramontana. Da <strong>la</strong><br />

quale partendosi già una moltitudine copiosa<br />

di popoli, e per campagne grandissime contro<br />

al mezzodì camminando, pervenne dopo il<br />

lungo viaggio in su quel paese de’ Gotti, dove<br />

sono a dì nostri i Tartari Zavolensi, e,<br />

cacciatigli dell’antica possessione, vi si<br />

fermarono lungo tempo. Quivi multiplicati<br />

infinitamente, udendo da alcuni cacciatori,<br />

che seguitando una cervia erano passati nel<strong>la</strong><br />

Sarmazia del<strong>la</strong> Europa, che il paese era molto<br />

più fertile e di una aria assai più benigna,<br />

ragunatisi ad uno volere, con esercito quasi<br />

infinito passate le fiumare grossissime…e<br />

combatterono contro ai Sarmati e contro ai<br />

Rossi, e perseguitando i loro antichi nimici<br />

Gotti, e’ gli soggiogarono finalmente in<br />

Rascia, in Servia ed in Romania, a chiamarle<br />

pe’ nomi d’oggi, perché negli antichi tempi<br />

greci e romani erano quest provincie <strong>la</strong> Misia<br />

e <strong>la</strong> Tracia. Condottisi poi finalmente in<br />

Pannonia…e allettati quivi dal vino e dal<strong>la</strong><br />

grassezza di quel paese, se le presero per <strong>la</strong><br />

loro stanza, e cacciati o spenti gli abitatori, vi<br />

fermarono le sedie loro. E perchè l’esercito<br />

de’ Romani, sotto Tetrico e sotto Macrino<br />

generali…gravemente li molestava; appicatisi<br />

con esso a dura battaglia…dove Tetrico restò<br />

ferito e Macrino spento di vita…” 539<br />

“Iuhri de Iuhra terra Scythiae<br />

septentrionalissima et frigidissima, iuxta<br />

oceanum septentrionis, a Moscovia civitate<br />

Moscorum ad orientem et septentrionem<br />

quingentis miliaribus magnis germanicis<br />

distante, ascenderunt et venerunt per terram<br />

p<strong>la</strong>nam ad meridiem in regionem Gothorum<br />

in Scythia ubi nunc Tartari Zahadaienses seu<br />

Zavolehenses degunt, presseruntque sui<br />

moltitudine et eiecerunt Gothos de Gotha in<br />

Sarmatia. Quumque coaluissent, et pene in<br />

infinitum moltiplicati fuissent, audientes a<br />

venatoribus, qui cervam sequentes transierant<br />

flumina Volhae et Tanais, quod esset terra<br />

Sarmatarum Europae fertilior et aure<br />

mitioris, coacervatim praefata flumina<br />

transnatates, Sarmatas et Rutenos<br />

conflixerunt, Gothosque insequentes cum eis<br />

in Mysia et Thracia bel<strong>la</strong>runt, et eos<br />

superarunt : intrantesque Pannoniam solo<br />

vino et regionis ubertate delectati mansionem<br />

in ea fixerunt : Maternum et Detricum<br />

capitaneos Romanorum cum eorum gentibus<br />

aggressi conflixerunt et Materno occiso<br />

Detricum in fugam verterunt…” 540 .<br />

Di nuovo, pertanto, il fattore fisico-climatico contribuisce a delineare frontiere e<br />

contrapposizioni storico-spirituali definendo ulteriormente i limiti ed i caratteri dell’Europa,<br />

secondo quel<strong>la</strong> commistione tra vecchio e nuovo che caratterizza <strong>la</strong> fase cinquecentesca degli<br />

studi geografici e le considerazioni del Giambul<strong>la</strong>ri.<br />

Riecheggiano infatti, nel passo tratto dal De Sarmatia, le posizioni formu<strong>la</strong>te nell’ambito<br />

del<strong>la</strong> geografia greca sul<strong>la</strong> predominanza del carattere bellico nei popoli che provengono da<br />

regioni caratterizzate da un clima rigido 541 proprio come <strong>la</strong> “freddissima” Scizia. Partico<strong>la</strong>re<br />

che accentua, da un <strong>la</strong>to <strong>la</strong> pericolosità ed il rilievo del<strong>la</strong> minaccia costituita a livello militare<br />

dagli Ungheri per <strong>la</strong> Res publica christiana, dall’altro per opposizione richiama e sottolinea <strong>la</strong><br />

differenza rispetto al<strong>la</strong> “temperata” Europa.<br />

539 Storia, cit., passo alle pp. 13-14.<br />

540 De Sarmatia, cit., passo cit. in Novus Orbis, passo cit. a p. 505u1.<br />

541 In proposito cfr. C. Curcio, Europa. Storia di un’idea, cit., in partico<strong>la</strong>re pp. 61-62.<br />

91


Inoltre, è appena il caso di segna<strong>la</strong>re, nel lungo passaggio in questione, anche un riferimento<br />

di natura geografica tratto dall’edizione munsteriana del<strong>la</strong> Geographia tolemaica a proposito<br />

del Volga:<br />

“Volga, da Tolomeo Rha, e da’ Tartari<br />

chiamata Edil, e <strong>la</strong> Tana dai medesimi detta<br />

Don…”<br />

“Rha flu. Ostia Volga…a Tartaris Edel<br />

nuncupatus…” 542 […]”fluvio Tanai, Don<br />

flumen hodie appe<strong>la</strong>ntur a Tartaris…” 543<br />

Il racconto delle terribili campagne di saccheggio compiute dagli Unni sotto <strong>la</strong> guida di<br />

Atti<strong>la</strong> e il ripiegamento seguito al<strong>la</strong> sua morte in Asia fino al secondo ritorno in Pannonia si<br />

ispira a varie fonti 544 .<br />

Poi il canonico ricorre all’umanista alsaziano Beato Renano, non <strong>prima</strong> però di aver citato<br />

quattro diverse fonti in poche righe: Jordanes 545 , Procopio 546 , Agazia 547 , e Zonara 548 . Autori,<br />

peraltro ben presenti al Renano che accorpa Jordanes, Procopio e Agazia in una raccolta sulle<br />

popo<strong>la</strong>zioni barbare nell’edizione basileese curata per Giovanni Hervagio nel 1531 549 . Un<br />

<strong>la</strong>voro nel quale si esprime pienamente lo spirito nazionalistico e antiromano che anima<br />

l’impegno letterario e intellettuale dell’alsaziano a partire dal<strong>la</strong> fine del secondo decennio del<br />

XVI secolo. Nel 1514, dopo i primi anni del Cinquecento trascorsi a Parigi come studente<br />

dove viene influenzato culturalmente da Lefebvre d’Etaples e dal suo circolo, Renano va a<br />

Basilea e si lega profondamente al connubio formato da Erasmo e da Johann Froben. Dal<br />

1520, infatti, il Renano interrompe definitivamente l’edizione di testi di umanisti italiani<br />

appartenenti al<strong>la</strong> tradizione del neop<strong>la</strong>tonismo fiorentino e di autori del misticismo medievale,<br />

dedicandosi a edizioni di evidente impronta germanica per pubblicare sotto l’influsso<br />

erasmiano, Tertulliano in chiave antisco<strong>la</strong>stica. Il nazionalismo del Renano inquadrato<br />

comunque nel<strong>la</strong> dimensione imperiale germanica, si salda anche fino al 1525 con l’adesione<br />

alle istanze propugnate da Lutero in chiave antiromana e antipontificia 550 .<br />

Nel<strong>la</strong> raccolta suddetta, <strong>la</strong> prospettiva del Renano emerge chiaramente fin dal<strong>la</strong> lettera<br />

dedicatoria del 16 settembre indirizzata a Bonifacio Amerbach, in cui pone con forza<br />

l’esigenza di riscoprire <strong>la</strong> <strong>storia</strong> e le gesta dei popoli barbari che hanno determinato il crollo<br />

dell’impero romano e <strong>la</strong> trans<strong>la</strong>tio imperii in Germania nel Medioevo. Secondo l’umanista<br />

alsaziano, gli autori storici proposti, costituiscono lo strumento più adeguato per divulgare e<br />

mettere in risalto questo cambiamento epocale che è al<strong>la</strong> radice del<strong>la</strong> realtà imperiale europea<br />

del XVI secolo:<br />

“Non aliam ob causam, vir carissime, minus a Germanis nostris lectas hactenus Procopij<br />

hi<strong>storia</strong>s crediderim, quas ille de Gotthorum Vandalorumque bellis in Italia alibique gestis<br />

scripsit, iam olim Latine versas, nisi quod persuasum fuit omnibus, Gotthos praesertim,<br />

Scythas extitisse. Quae res fecit, ut nos obliti carminis Homerici…in externarum gentium<br />

542 Geographia vetus et nova, cit., passo a p. 94h5.<br />

543 Ivi, passo a p. 41d3.<br />

544 Storia d’Europa, cit., pp. 14-16. Passaggi per i quali probabilmente il Giambul<strong>la</strong>ri attinge anche se non in<br />

maniera letterale dai Commentaria, cit., del Maffei in partico<strong>la</strong>re p. 88p4. In proposito cfr. anche <strong>la</strong> nota di<br />

commento del<strong>la</strong> Marangoni al passaggio 107-114 a p. 16.<br />

545 A. Potthast, Wegweiser durch die Geschichtswerke des Europaischen mitte<strong>la</strong>lters, cit., Vol. I, pp. 682-683.<br />

546 Ivi, su Procopio vedi Vol. II, pp. 938-940.<br />

547 Ivi su Agazia vedi, Vol. I, pp. 25-26.<br />

548 Ivi su Zonara vedi Vol. II, p. 1126.<br />

549 Procopii Caesariensis de rebus Gothorum, persarum, ac vandalorum libri VII, una cum alij mediorum<br />

temporum historicis, quorum catalogum sequens indicabit pagina. His omnibus accessit rerum copiossimus<br />

index, Basileae ex officina Hervagii mense septembri, anno MDXXXI.<br />

550 J. D’Amico, Beatus Rhenanus and Italian Humanism, in Renaissance Humanism: Foundations, Forms, and<br />

Legacy, ed Albert Rabil, Jr., vol. I, Phi<strong>la</strong>delphia, University of Pennsylvania Press, 1988, pp. 237-260 ora anche<br />

in J. D’Amico, Roman and German Humanism, cit., stessa numerazione di pagine; inoltre, cfr. id., Hulrich von<br />

Hutten and Beatus Rhenanus, cit., pp. 25-33.<br />

92


historijs duntaxat versemur, quum tamen domi habeamus quod admiremur, quodque non<br />

solum cognitione, verumentiam imitatione dignum alicubi videri queat. Nostri enim sunt<br />

Gotthorum, Vandalorum, Francorumque Triumphi. Nobis gloriae sunt illroum in c<strong>la</strong>rissimis<br />

Romanorum provincijs, atque adeo Italia ac ipsa Roma regina urbium cunctarum costituta,<br />

quorum tamen hodie nullum supersit praeterquam Francicum, ut fortunatissimi semper domi<br />

forisque et extitere veteres Franci. Non quod probem, ut ingenue verum fatear, urbium<br />

incendia, direptiones, eversiones, agrorumque devastationes, sive quibus hoc genus victoriae<br />

non contigunt: quis enim cordatus huiusmodi insanias non detestatur sed quia vulgo<br />

commendari ista scimus, unde nobilitas omnis petamur. Et invero non perinde exacte gentium<br />

origines hic autor, homo videlicet Graecus edisserit, ut quae sub Iustiniano Caesare<br />

praecipue gesta ab illis fuere, bel<strong>la</strong> commemorat, contentus docuisse quid tum quidem factum<br />

sit. […]” 551<br />

Atteggiamenti e suggestioni certamente congeniali o quantomeno vicine al<strong>la</strong> linea del<br />

canonico <strong>la</strong>urenziano che cita rapidamente gli autori inclusi nel<strong>la</strong> raccolta del Renano<br />

riguardo al<strong>la</strong> questione del<strong>la</strong> seconda venuta in Pannonia degli Ungheri 552 , per poi rinviare<br />

esplicitamente ai Rerum Germanicarum libri tres 553 dell’umanista alsaziano. Renano, opera<br />

dagli intenti filo-imperiali. La lettera nuncupatoria indirizzata in questo caso al re Ferdinando<br />

fratello di Carlo V, ribadisce l’intenzione di diffondere <strong>la</strong> conoscenza dell’ascesa storica<br />

compiuta dalle genti germaniche durante il Medioevo in seguito al crollo dell’impero romano.<br />

La necessità di quest’attività divulgativa nasce del resto all’ignoranza che alberga invece<br />

551 Ivi, Beatus Rhenanus Bonifacio Amerbachio iureconsulto s.d., Schlettstadt 17 Aug. 1531, p. a2-a3, passo<br />

citato a p. a2 in proposito cfr. Die Amerbachkorrespondenz, Basel: ver<strong>la</strong>g des Universitatsbibliothek, 1942-1983,<br />

X voll., in partico<strong>la</strong>re IV vol., Die Briefe aus den Jahren 1531-1536, 1953, p. 61.<br />

552 Storia, alle pp. 18-19 leggiamo: “Questo vogliamo noi che sia detto secondo <strong>la</strong> opinione del<strong>la</strong> maggior parte<br />

degli scrittori, e de’ <strong>la</strong>tini massimamente; perché, quanto a quello che noi ne crediamo, impossibile certamente<br />

ci pare e del tutto male verisimile, che gli Unni venissero <strong>la</strong> seconda volta in Pannonia, in quei tempi che<br />

costoro dicono, se già non furono popoli nuovi. Perché cento cinquant’anni avanti a quel secolo, troviamo che<br />

Mauricio imperatore greco ebbe guerre grandissime con gli Aviri o Avari, che e’ si chiamino; i quali secondo<br />

Zonara e gli altri Greci, e secondo Iornando Gotto, sono Unni essi ancora; e non dico Unni di Asia, de’ quali<br />

abbiamo si varii popoli in Procopio ed in Agazio…”.<br />

A proposito del riferimento a Jordanes in Procopii Caesariensis de rebus Gothorum, cit., cfr. Iornandis de<br />

origine actuque getarum liber, pp. 593dd3-641hh3, in partico<strong>la</strong>re p. 597dd4 dove leggiamo: “Hinc iam Hunni<br />

quasi fortissimarum gentium foecundissimus cespes, in bisariam populorum rabiem pullu<strong>la</strong>runt. Nam alij<br />

Aulziagri, alij Aviri nuncupant, qui tamen fedes habent diversas.”<br />

Ivi, per il rinvio a Procopio, cfr. Procopii de bello persico liber primus, Raphaele Vo<strong>la</strong>terrano interprete, pp.<br />

225u1-307c4, in partico<strong>la</strong>re nel liber primus , p. 227u1 in cui si dichiara: “Sunt enim Euthalitae Hunnicum genus<br />

reliquis Hunnis nequaquam vicini neque ad eos pertinentes, sed Persis propinqui Boream versus, quorum civitas<br />

Gorga nomine in Persidis confinibus saepe cum colonis de ipsis finibus pugnat. Nec ut reliqui Hunni nomades<br />

sunt vitam agentes pastoralem, sed optimam iam pridem incolunt regionem. Hi nunquam in Romeorum terram<br />

nisi cum Persarum exercitu sunt ingressi, solique Hunnorum albi sunt, neque item foedi adspectu, neque ferarum<br />

modo ut illi victitantes, sed sub uno degentes principe inter se, et cum vicinis ius phasque colunt aeque ac<br />

Romani et alij omnes…”. Peraltro, segnaliamo che <strong>la</strong> traduzione delle istorie di Procopio fatta dal Maffei con<br />

riguardo ai due libri De bello persarum e ai due libri De bello vandalico riproposta integralmente dal Renano era<br />

stata edita precedentemente nel 1509 a Roma: Procopii De bello Persico. Impressum per magister Eucharium<br />

Silber alias Franck…,1509 Nonis Martio.<br />

Per Agatia in Procopii Caesariensis de rebus Gothorum, in Agathius de Bello Gothorum et aliis peregrinis<br />

historiis, per Christoforum Persona Romanorum, priorem sanctae Balbinae, e greco in Latinum traductus, pp.<br />

385k1-512v4, in partico<strong>la</strong>re p. 498t3 in cui leggiamo: “Hunni quondam circa <strong>la</strong>cum Maeotidem loca incoluere in<br />

Arcutrum potius versi, ut Barbarorum caetere nationes, que quod infra Imaum montem Asiam insident, hi omnes<br />

et Scythe et Hunni vocitabantur, seorsum tamen et per generationes: nam partim Cotriguri appe<strong>la</strong>ntur, partim<br />

Ultizuri, partim Burgundi, partim alias utcumque patrium illis est gentibus et consuetum denominari. Hi itaque<br />

Hunni longo post tempore in Europam subito traiecerunt …”<br />

553 Beati Renani selestadiensis rerum germanicarum libri tres. Adiecta est in calce episto<strong>la</strong> ad D. Philippum<br />

Puchaimerum, de locijs Plinij per St. Aquaeum attactis, ubi mendae quaedameiusdem autoris emacu<strong>la</strong>ntur,<br />

antehac non a quoquam animadversae, Basi<strong>la</strong>re, in officina frobeniana, anno M. D. XXXI; d’ora in poi Rerum<br />

Germanicarum.<br />

93


proprio su quel periodo rispetto invece al<strong>la</strong> perfetta conoscenza delle fonti e del<strong>la</strong><br />

dominazione romana. 554<br />

Il passaggio del<strong>la</strong> Storia che si sofferma sugli enormi tesori tolti da Carlo Magno agli<br />

Ungheri e trasferiti al<strong>la</strong> Chiesa di Magonza, trae ispirazione dalle Rerum Germanicarum:<br />

Ma Unni del<strong>la</strong> Europa, che abitavano <strong>la</strong><br />

Rascia e <strong>la</strong> Servia, e predavano tutta <strong>la</strong><br />

Tracia, e massimamente sotto il re Caccano,<br />

da altri detto Caiano. Il quale quanto fusse<br />

potent e ricco lo dimostrano le molte rotte<br />

date allo imperio greco, ed i saccheggiamenti<br />

e le correrie così spesse sino alle stesse mura<br />

di Costantinopoli; ma molto più i tesori<br />

grandissimi e le spoglie sì preziose che trasse<br />

il gran Carlo Magno del<strong>la</strong> Ungheria. Le quali<br />

di quanta valuta fussero, assai chiaramente si<br />

può comprendere dalle ricchezze quasi<br />

incredibili del<strong>la</strong> Chiesa Maguntina, descritte<br />

non so<strong>la</strong>mente nelle antichissime croniche di<br />

quel<strong>la</strong> città, ma e nel secondo del<strong>la</strong> Germania<br />

dallo accorto e dotto Renano. 555<br />

Constantiensi sedi praedia sua et tributum<br />

sive vectigal quod in vico Colmariensi dotis<br />

nomine possidebat, liberaliter <strong>la</strong>rgita est<br />

Berthrada regina. Cuius filus Carolus<br />

cognomento Magnus veterum beneficentiam<br />

longe vicit. Nam quun octavo demum anno<br />

bellum Hunnicum perfecisset, Thesauris<br />

Caiani principis potius, quos ea gens id<br />

temporis in Pannonia habitans, ex toto orbe<br />

spoliato convexerat, nec unquam opimiorem<br />

praedam nactos Francos legimus, in primis<br />

pium exstimavit episcopalibus coenobijs, et<br />

caeteris monasterijs bonam acquisitarum<br />

opum partem decidere. Hinc ille divitiae<br />

templi Magonciacensis, ubi crux ex auro<br />

solido fuit nomine Benna pondere mille et<br />

ducentarum marcarum, cui versiculus<br />

huiusmodi inscriptus visebatur. Auri<br />

sexcentas habet haec crux aurea libras 556 .<br />

Lo stesso discorso vale per <strong>la</strong> sconfitta che Carlo infligge agli Ungari:<br />

554 Ivi, Invictissimo Caesari Ferdinando Bohemiae Ungariaeque regi etc. Beatus Rhenanus s. d., pp. 3-4aII, in<br />

cui il Renano denuncia l’ignoranza delle origini geografico-storiche delle popo<strong>la</strong>zioni germaniche: “Nam quis<br />

non e trivio populorum regionumque nomina crepat, Germanos, Alemannos, Francos, Saxones, Suevos,<br />

Helvetios, Germaniam superiorem, et inferiorem, Germaniam magnam, Franciam, Alemanniam, Sueviam,<br />

Baioariam. Quod si roget quispiam, unde et quando natae sint hae gentium et provinciarum appe<strong>la</strong>tiones, hic<br />

vero paucos reperias qui possint hisce de rebus exacte differire. Et tamen, ut ingenue quod verissimum est<br />

fateamur, nisi haec quis teneat nescio quo cum fructu legendis historijs sit vacaturus. Hoc vero mirum, quod in<br />

Romana antiquitate cognoscenda diligentissimi sumus, in media aut etiam vetustiori que ad nos maxime pertinet,<br />

negligenter cessamus.[…]Quae me res movit maxime princeps, ut post meum nuper ex Augusta reditum, rogatu<br />

quorundam amicorum, de provincijs Romanis quae a sinistra Rheni fluminis, a dextra Danubij ripa contra<br />

veterem Germaniam victores orbis possederunt, et il<strong>la</strong>rum statuquo videlicet gubernatae sint modo praesertim<br />

sub posterioribus imperatoribus, qui videlicet Costantinum illum magnum insecuti sunt, aliquid annotarem<br />

adiutus libro vetusto qui Praefecturas Romanas eius seculi recenset: tum ut stilo prosequerer queadmodum il<strong>la</strong>e<br />

provinciae sint col<strong>la</strong>benti iam imperio Occidentali non a Francis modo, sed et ab Alemannis sive Suevis,<br />

Marcomannis, Nariscis, ac Quadis occupatae. Proinde populorum istorum emigrationes, et mutatas in ipsa ante<br />

Germania veteri fedes quas nos demigrationes vocamus, quantum nobis possibile fuit, explicuimus. Nec ullos<br />

esse suspicor quibus hic <strong>la</strong>bor meus non futurus sit utilissimus, nam doctissimos etiam viros quoties de<br />

Provincijs incidit sermo video caecutire, adeo nullum faciunt discrimen inter/ veterem il<strong>la</strong>m Germaniam, et ea<br />

quae posterius est occupata. Hinc Hermo<strong>la</strong>us apud Plinium de veteri Germania loquentem pro Moeno Aenum<br />

legi posse putat, non hoc facturus si animadvertisset Germaniae fluvium Aenum esse non posse qui Noricum<br />

provinciam a Rhetia distinguat. Itaque quantum momenti sit al<strong>la</strong>tura, haec mea lucubratio studiosis hi<strong>storia</strong>rum<br />

non est facile dictu, plurimum enim erret necesse est, qui provincias a veteri Germania discernere nesciat.<br />

Equidem hinc ille veterum error manavit putantium Varum Quintilium cum legionibus romanis apud Augustam<br />

esse caesum, qui in Teutoburgiensi saltu trans Rhenum in veteri Germania, vincente Arminio occubuit. Quod si<br />

scissent Rhetiam <strong>prima</strong>m in cuius sine sita est Augusta, Romanorum fuisse provinciam, nemo hoc dicturus<br />

fuerat. Siquidem costat Varum in Germania trucidatum, at Rhetia ad Germaniam ad temporis minime<br />

pertinebat, Romanis obediens. Iam litem il<strong>la</strong>m…quae olim inter civem meum Iacobum Vuimpheligium et<br />

Murnarum me puero viguit, de Galliae Germaniae terminis, promptum sit hinc rescindere.”<br />

555 Storia, cit., passo a p. 19.<br />

556 Rerum germanicarum, cit., passo cit. a p. 93m3, liber secundus.<br />

94


Questa pessima usanza di predare i vicini<br />

d’intorno si mantenne ostinatamente sino ai<br />

tempi di Carlo Magno. Il quale(come si vede<br />

nello Uspergense) soggiogò finalmente ed<br />

oppresse questa indomita nazione, e <strong>la</strong> spense<br />

quasi del tutto <strong>la</strong>sciandovi so<strong>la</strong>mente gli<br />

Ugheri o Ungheri 557 , una cioè di quelle molte<br />

nazioni che vi addussero gli Unni di Scozia,<br />

come vedere si può nel Renano: e questi<br />

ancora che e’ non paressino da fare<br />

nocumento o danno a’ vicini, per esser <strong>la</strong><br />

maggior parte pastori o <strong>la</strong>voratori, chiuse<br />

egli nientedimanco di serraglio fortissimo, e<br />

d’uno argine molto gagliardo da Ponente e<br />

da Mezzogiorno, acciochè secondo <strong>la</strong> vecchia<br />

usanza, non uscissero a predare e guastare <strong>la</strong><br />

Germania tutta e <strong>la</strong> Francia. Stettero così<br />

adunque lunga stagione rinchiusi e guardati<br />

nel serraglio forte e difficile di quelle<br />

montagne asprissime, che Marcellino, per<br />

quanto accenna il dotto Renano, chiama i<br />

Chiostri de’ Svecuni. E vi sarebbono forse<br />

ancor oggi, se <strong>la</strong> rigorosità severa di Arnolfo<br />

non gli avesse aperta <strong>la</strong> strada molto più<br />

ca<strong>la</strong>mitosa e nociva poi al<strong>la</strong> Italia, al<strong>la</strong><br />

Francia e al<strong>la</strong> Germania, che non fu allora a’<br />

Moravi. Contro i quali volendosi pur valere il<br />

predetto principe senza altrimenti<br />

considerare ciò che potesse avvenire poi,<br />

mandò segretamente alcuni più fidati a<br />

sapere da gli Ungari, se e’ volessino venire in<br />

aiuto a <strong>la</strong> guerra ch’ egli avea presa.” 558<br />

Hunnos qui et Avares, extructis novem Hagis<br />

hoc est in circulis in Pannonia habitanteis<br />

octennali bello Carolus Magnum edomuit,<br />

exciditque prorsus. Horum vero nationem<br />

unam cui Ugrorum et Ungarorum nomen,<br />

nam multos secum a Scythia populos<br />

eduxerant Hunni, velut nihil nocituram illis<br />

extinctis, submovit tantum, et vallo quodam<br />

obstruxit. Verum quum Arnulfus Caesar<br />

bellum gereret adversus Zuentenbaldum<br />

Maravanensium Sc<strong>la</strong>vinorum principem, in<br />

Care periculus fscturus quem admodum<br />

Graecis est in proverbio, submotam istam<br />

Hunnicarum reliquiarum gentem quae tot<br />

annis quieverat, in subsidium referatis<br />

aditibus evocat. Et victoriam quidem de<br />

Zuentenbaldum reportavit Ungarorum<br />

auxilijs, sed quem hostem regnare<br />

praestitisset, illis non excitis. Siquidem post<br />

eam imperatori navatam operam, rursum ad<br />

depopu<strong>la</strong>ndum orbem animati maiorum<br />

suorum exemplo, et iam viae patebant,<br />

assiduis vastationibus, Baioariam,<br />

Alemanniam Saxoniam et utramque Franciam<br />

exhauserunt, in Pannonia secunda fixis<br />

sedibus, donec divus Henricus Aug. Eius<br />

nominis secundus, regi ferocissimae nationis<br />

fororem Gise<strong>la</strong>m in matrimonium collocaret,<br />

Christianis Sacris prius initiato, cui Stephani<br />

vocabulum inditum. Porrò fuerant submoti<br />

intra angustias quasdam, quales erant<br />

angustiae Thracias dirimentes et Daciam,<br />

quarum Marcellinus meminit libro vigesimo<br />

septimo. Ubi quidam sic conantur legere,<br />

Cuius in summitate occidentali, montibus<br />

praeruptae densitatis, Verorum patescunt<br />

angustiae, Thracias dirimentes et Daciam.<br />

Talia quoque fuerunt c<strong>la</strong>ustra Sveucunnorum<br />

557 In proposito il Giambul<strong>la</strong>ri rinvia esplicitamente al Chronicum abbatis Urspergensis, continens hi<strong>storia</strong>m<br />

rerum memorabilium, a nino Assyriorum rege ad tempora Friderici II Romanorum imperatoris, et<br />

Germanicarum Imperatorum res praec<strong>la</strong>re ac fortiter pro salute publica gestas, bona fide ab autore conscriptas,<br />

complectens: Diligenter per Eruditum quondam virum et hi<strong>storia</strong>rum peritissimum recognitum, et beneficio<br />

veterum manu scriptorum exemp<strong>la</strong>riorum ab infinitis mendis repurgatum. Paraleipomena rerum memorabilium,<br />

a Friderico II, usque ad Carolum V. Augustum, hoc est, ab anno domini MCCXXX usque ad annum MDXXXVII,<br />

ex probatioribus qui habentur scriptoribus in arctum coacta, et hi<strong>storia</strong>e Abbatis Urspergensis per eundem<br />

studiosum annexa, Argentorati apud Cratonem Mylium, mense martio, MDXXXVIII, dove a p. CLXXVIIp5<br />

leggiamo a proposito del<strong>la</strong> vittoria di Carlo: “Ad has ergo muntiones per cc. et eo amplius annos, qualescunque<br />

omnium Occidentalium divitias congregantes, cum et Gothi et Vuandaliquietem hominum pertubarent, orbem<br />

occiduum pene vacuum dimiserunt. Quos cum invictissimus Carolus in annis octo ita perdomuit, ut de eis<br />

minimas quidam reliquias rimanere permiserit. ” (d’ora in poi Chronicon…Uspergensis). Pagina nel<strong>la</strong> quale di<br />

seguito abbiamo un diretto rinvio al secondo libro delle Rerum Germanicarum, cit., del Renano sui tesori portati<br />

da Carlo a Magonza.<br />

558 P. Giambul<strong>la</strong>ri, Storia, cit., passo riportato alle pp. 19-20.<br />

95


apud eundem autorem, aut eadem fortassis.<br />

Inde C<strong>la</strong>ustrini dicti.” 559<br />

Giambul<strong>la</strong>ri sposa dunque l’interpretazione di Renano secondo cui Carlo chiude un vaso di<br />

Pandora colpevolmente riaperto da Arnolfo. che provoca una fal<strong>la</strong> di estrema gravità per<br />

l’Europa cristiana come dimostrano le rapine e le devastazioni compiute dagli Ungheri sul suo<br />

territorio. L’impero romano-germanico ripiomba a causa degli inetti discendenti di Carlo<br />

Magno e in partico<strong>la</strong>re di Arnolfo in uno stadio di profonda decadenza. Egli, non riesce<br />

minimamente a valutare al di là del vantaggio immediato ottenuto contro i Moravi, infatti,<br />

come nel lungo periodo agli Ungheri “avesse aperta <strong>la</strong> strada molto più ca<strong>la</strong>mitosa e nociva<br />

poi al<strong>la</strong> Italia, al<strong>la</strong> Francia e al<strong>la</strong> Germania, che el<strong>la</strong> non fu allora a’ Moravi.” 560<br />

Nel lungo passaggio in questione, che celebra il valore di Carlo Magno, il Giambul<strong>la</strong>ri<br />

indica, accanto al Renano, un’altra fonte medievale del XIII secolo: il Chronicon<br />

Universale…di Konrad Liectnaw, abbate del monastero di Ursperg da cui il soprannome di<br />

“Uspergense”. Si tratta di una fonte non meno significativa per l’umanesimo tedesco in chiave<br />

antiromana ed in funzione celebrativa del<strong>la</strong> trans<strong>la</strong>tio imperii al<strong>la</strong> Germania. Il Chronicon<br />

dell’Uspergense, viene, infatti, utilizzato nel<strong>la</strong> lotta protestante contro Roma ed edito in <strong>la</strong>tino<br />

nel 1537 dall’alsaziano Caspar Hedio, riformato, professore all’università di Strasburgo,<br />

convinto assertore, fin dall’inizio del<strong>la</strong> Riforma, del<strong>la</strong> funzionalità del<strong>la</strong> <strong>storia</strong> per<br />

l’affermazione del<strong>la</strong> vera fede 561 . Basta vedere in questo senso come lo stesso Hedio<br />

nell’edizione del testo dell’anno successivo, aggiunga un’ampia integrazione storica che va da<br />

Federico II all’anno 1537, nel pieno dell’impero di Carlo V, dal<strong>la</strong> linea chiaramente<br />

antiromana, composta da Crato Mylio 562 .<br />

Le forze primordiali liberate dal<strong>la</strong> avventatezza di Arnolfo, ricominciano immediatamente a<br />

razziare, rapinare e saccheggiare senza freno o esitazione alcuna. Pertanto, gli uomini di<br />

Arnolfo per evitare il peggio, dice il Giambul<strong>la</strong>ri:<br />

“gli discostarono a lor potere da il paese abitato, guidandoli o per le selve o per luoghi<br />

inculti e deserti: il che non era molto difficile, per trovarsi allora <strong>la</strong> Germania in quel<strong>la</strong><br />

559 Rerum Germanicarum, liber I, passo cit. a p. 77k3.<br />

560 P. Giambul<strong>la</strong>ri, Storia, cit., passo a p. 20.<br />

561 Sull’abate di Ursperg cfr. U. Chevalier, Répertoire, cit.,vol. I, pp. 1268-1269 e Potthast, Repertorium<br />

fontium hi<strong>storia</strong>e Medii Aevi, cfr. inoltre sul<strong>la</strong> sua ampia utilizzazione in campo protestante rinviamo a P.<br />

Polman, L’élèment Historique dans <strong>la</strong> Controverse religieuse du XVIè Siècle, Gembloux imprimerie J. Duculot,<br />

éditeur, 1932, in partico<strong>la</strong>re pp. 187 e 189, 202, 204, 206, 211; cfr. in tal senso anche L. Perini, La vita e i tempi<br />

di Pietro Perna, Edizioni di <strong>storia</strong> e letteratura, Roma, 2002, in partico<strong>la</strong>re pp. 200 e 202.<br />

562 Chronicum abbatis Urspegensis, cit., nei Paraleipomena, cit., dove è sufficiente guardare <strong>la</strong> denuncia del<strong>la</strong><br />

corruzione del<strong>la</strong> Chiesa romana sotto il pontificato di Leone X, a p. CLVIIIo3, rispetto al quale le parole spese<br />

su Adriano VI sui suoi tentativi di riforma sul<strong>la</strong> denuncia sincera dei mali del<strong>la</strong> Chiesa suonano ben differenti<br />

nel<strong>la</strong> valutazione dell’autore a pp. CLXIo4 e CLXIIIIo5, <strong>la</strong> denuncia dei gravami a cui Roma sottopone <strong>la</strong><br />

Germania alle pp. CLXIo4-CLXIIo4 oppure gli apprezzamenti spesi per <strong>la</strong> versione erasmiana del nuovo<br />

testamento del 1516 a p. CLIX, ma soprattutto l’ampio elogio indirizzato all’opera di Reuchlin in re<strong>la</strong>zione al<strong>la</strong><br />

menzione del<strong>la</strong> sua morte a p. CLXXIIIp4: “Anno Domini MDXXVIII, Egregius ille trilinguis eruditionis<br />

Phoenix, Iohannes Reuchlin vita defunctus est, relicta posteris honestissimi nominis immortali memoria. Dum<br />

viveret, et benefactis nomen suum immortalitati consecraret, obstrepentes habuit aves aliquot albis et nigris :<br />

picas dicere possis, cristam gestantes vertice, rostris et unguibus aduncis, ventre prominente. Cuius viri<br />

memoria studiosis et eruditis ob hoc debet esse sacrosancta, quod quemadmodum amator humani generis Deus<br />

donum linguarum, ut olim per spiritum sanctum Apostolis ad evangelii praedicationem contulit : ita in hoc<br />

novissimo tempore cum vellet Germaniae misereri, et ad agnitionem veritatis adducere, per Iohannem<br />

Reuchlinum electum famulum suum mundo revovarit. Idem efficiat, ut omnibus linguis omnes ubique praedicent<br />

gloriam filij Dei, ut confundantur lingue Pseudapostolorum, qui Dei gloriam obscurare nituntur, dum suam<br />

student attollere. ” L’edizione in questione subisce infatti <strong>la</strong> condanna dell’indice veneziano del 1554, in<br />

proposito rinviamo a Index des livres interdite. Directeur J. M. De Bujanda, Géneve, Droz, 1985-2002, XI voll.,<br />

vol. III, Index de Venise 1549 Venise et Mi<strong>la</strong>n 1554, Centre d’études de <strong>la</strong> Renaissance, éditions de l’Université<br />

de Sherbrooke, librarie Droz, 1987, p. 106.<br />

96


salvatichezza rigida che di lei scrive Cornelio Tacito, e non in questa frequenzia abitata e<br />

culta che si vede ne’ tempi nostri.” 563<br />

Queste parole richiamano evidentemente al<strong>la</strong> dimensione storica contemporanea<br />

esprimendo un giudizio chiaramente elogiativo del<strong>la</strong> Germania attuale e del suo grado di<br />

civilizzazione. Molto significativa in tal senso è l’allusione diretta al De situ, moribus, et<br />

populis Germaniae libellus di Cornelio Tacito, noto appunto come Germania, al<strong>la</strong><br />

rappresentazione fisica ed all’assenza di urbanizzazione di questa regione formu<strong>la</strong>te dallo<br />

storico romano nel<strong>la</strong> <strong>prima</strong> parte del suo scritto 564 .<br />

Il trattatello dello scrittore <strong>la</strong>tino è estremamente apprezzato dagli umanisti tedeschi che ne<br />

ripropongono molti passaggi a supporto del nazionalismo culturale germanico. Conferma<br />

significativa in proposito è il fatto che Beato Renano curi ben due edizioni del<strong>la</strong> sua<br />

Germania, quel<strong>la</strong> del 1519 e quel<strong>la</strong> lionese del 1542 stampata da Sebastian Griphius 565 .<br />

In realtà gli umanisti tedeschi considerano Tacito, secondo due tendenze, una celebrativa,<br />

l’altra fortemente critica. Da una parte, infatti, apprezzano lo storico romano perché fornisce<br />

un’immagine altamente positiva dello spirito libero, autonomo, valoroso e semplice dei<br />

Germani, in contrapposizione al<strong>la</strong> corruzione del<strong>la</strong> società e al<strong>la</strong> decadenza dell’impero<br />

romano. Dall’altra però essi ritengono ormmai inattuale e non più esistente <strong>la</strong> Germania<br />

primitiva, ricoperta di selve, priva di campi coltivati e città descritta da Tacito. La realtà<br />

tedesca del XVI° secolo, infatti, presenta un alto grado di civilizzazione, sviluppo urbano ed<br />

economico e costituisce il fulcro del<strong>la</strong> struttura imperiale e dell’identità europea.<br />

Pertanto, l’umanesimo tedesco valuta Tacito sotto una duplice luce, lo elogia per aver<br />

intuito le potenzialità e <strong>la</strong> predisposizione al <strong>prima</strong>to imperiale dei germani, ma critica quando<br />

evidenzia <strong>la</strong> primitività dei germani 566 . Posizione che, come risulta dal precedente passo,<br />

Giambul<strong>la</strong>ri sottoscrive pienamente e a cui perviene probabilmente proprio dal<strong>la</strong> lettura del<strong>la</strong><br />

Geographia tolemaica munsteriana. Nell’annotazione al capitolo V del primo libro dell’opera,<br />

Muenster, infatti, insiste sul nesso profondo che unisce <strong>storia</strong> e geografia (quest’ultima<br />

validamente fondata solo se supportata dal<strong>la</strong> consapevolezza dei mutamenti e del divenire<br />

storico 567 ), e si riferisce proprio all’inattualità del<strong>la</strong> rappresentazione tacitiana del<strong>la</strong> Germania:<br />

563 Storia, cit., passo a p. 22.<br />

564 Infatti <strong>la</strong> <strong>prima</strong> parte del trattatello tacitiano si occupa delle caratteristiche fisiche del territorio del<strong>la</strong><br />

Germania e degli usi dei popoli Germani. In partico<strong>la</strong>re i passi sul<strong>la</strong> selvatichezza del<strong>la</strong> Germania richiamati dal<br />

Giambul<strong>la</strong>ri “Terra etsi aliquanto specie differt, in universum tamen aut sylvis horrida aut paludibus foeda,<br />

humidior quam Gallias, ventosior quam Noricum ac Pannoniam aspicit; satis ferax, frugiferarum arborum<br />

ipatiens, pecorum fecunda, sed plerumque improcera”. A proposito del<strong>la</strong> mancanza di urbanizzazione<br />

Germanica: “Nul<strong>la</strong>s Germanorum populis urbes habitari satis notum est, ne pati quidem inter se iunctas sedes.<br />

Colunt discreti ac diversi, ut fons, ut campus, ut nemus p<strong>la</strong>cuit. Vicos locant non in nostrum morem connexis et<br />

cohaerentibus aedificiis. Suam quisque domum spatio circundat, sive adversus casus ignis remedium, sive<br />

inscitia aedificandi.[…]”. Passi che troviamo nel De situ, moribus, populis Germaniae libellus in P. Cornelii<br />

Taciti equitis ro. Ab excessu Augusti. Annalium libri sedecim, ex castigatione Aemylij Ferretti, Beati Renani,<br />

Alciati, ac Beroaldi, Lugduni apud Sebastianum Gryphium, 1542 (sul Grypius si rinvia al cap. I nota ), pp.<br />

621q7-644s2, rispettivamente alle pp. 623q8 e alle pp. 628r2-629r3. Ivi, sul<strong>la</strong> selvatichezza del<strong>la</strong> Germania cfr.<br />

anche p. 621q7: “Quis porrò praeter periculum horridi et ignoti maris, Asia, aut Africa, aut Italia relicta,<br />

Germaniam peteret? Informem terris, asperam coelo, tristem cultu aspectumque, nisi si patria est.”<br />

565 Per l’edizione del 1519 rinviamo a J. F. D’Amico, Hutten and Rhenanus, cit., p. 26, riguardo all’edizione del<br />

1542 vedi supra <strong>la</strong> nota precedente. Inoltre, sul<strong>la</strong> recezione di Cornelio Tacito in epoca moderna rinviamo a La<br />

Fortuna di Tacito dal sec. XV ad oggi, Atti del colloquio di Urbino, 9-11 ottobre 1978, a cura di Franco Gori e<br />

Cesare Questa, in “Studi Urbinati”, 1979 in partico<strong>la</strong>re Anna Maria Battista, La ‘Germania di Tacito nel<strong>la</strong><br />

Francia illuminista’, pp. 93-133. Sull’edizioni tacitiane curate dal Renano cfr. anche ivi Josè Ruysschaert, Juste<br />

Lipse, éditeur de Tacite, pp. 47-61, in partico<strong>la</strong>re p. 50; sull’importanza di Tacito per l’umanesimo ed il<br />

nazionalismo tedesco cfr. R. Romeo, Idea e coscienza di nazione, cit., p. 17.<br />

566 Sul<strong>la</strong> valenza politica antiromana di Tacito e sul<strong>la</strong> trasformazione del<strong>la</strong> Germania rispetto ai suoi tempi vedi<br />

P. Laurens, Rome et <strong>la</strong> Germanie chez les poètes humanistes allemands in L’Humanisme allemand, cit., pp. 339-<br />

355.<br />

567 Il capitolo si intito<strong>la</strong>: “Quod Historiis novissimis magis sit adhaerendum, propter mutationes, quae per<br />

tempora accidunt in terra”, in Geographia universalis vetus et nova, cit., p. 13a3.<br />

97


“[…]Et quamquam terra semper maneat eadem atque in eadem forma et dispositione,<br />

quaedam denique regna ac territoria hodie sic sese habeant ut olim, nihilo minus temporis<br />

successu grandes sunt mutationes in ipsis regnis, territorijs, populis et civitatibus. Delentur<br />

enim nonnunquam regna aut transferruntur, exurguntque nova, sic multae nationes in unam<br />

contrahuntur, aut una in plures segregatur, solitudines sunt habitabiles , et habitabilis<br />

redigitur in solitudinem. Insignia remora exciduntur et sunt habitatio hominum, civitasque,<br />

magnae abolentur et exoriuntur aliae. Ubi est hodie florentissimum illud Macedoniae<br />

regnum…ubi denique Roma cum suo imperio ? Et e diverso videmus, quomodo solitaria il<strong>la</strong>,<br />

et ut Taciti utar verbis, squalida et tristis coelo Germania, a Ptolemaei temporibus creverit in<br />

cultissimam terram, innumeras habens regiones, urbes et populos.” 568<br />

Parole peraltro che confermano ulteriormente il significato e <strong>la</strong> funzione dinamica attribuita<br />

al<strong>la</strong> geografia dagli umanisti del XVI secolo e dallo stesso Giambul<strong>la</strong>ri. Prospettiva che poi,<br />

nel Muenster, riferimento essenziale del canonico <strong>la</strong>urenziano, si svolge chiaramente e<br />

costantemente al servizio del<strong>la</strong> dimensione imperiale filotedesca. Muenster esalta <strong>la</strong> forte ed<br />

evoluta Germania attuale, in ideale continuità con quel<strong>la</strong> tacitiana per <strong>la</strong> capacità di resistere<br />

all’Impero romano e mantenere <strong>la</strong> propria libertà, ma in rottura con essa per l’alto grado di<br />

civiltà raggiunto, fin dal primo paragrafo del<strong>la</strong> sua Germaniae…Descriptio 569 del 1530 570 .<br />

Quel trattatello inaugura un percorso culminato dal Muenster nel<strong>la</strong> monumentale<br />

Cosmographia 571 , dedicata significativamente per metà al<strong>la</strong> so<strong>la</strong> Germania, fulcro e perno<br />

dell’impero. L’itinerario munsteriano si inquadra in un’orientamento introdotto<br />

nell’umanesimo tedesco da Konrad Celtis al<strong>la</strong> fine del Quattrocento. Umanista dell’università<br />

di Vienna, il Celtis sponsorizza, in evidente spirito di competizione verso l’Umanesimo<br />

italiano, il compimento del<strong>la</strong> trans<strong>la</strong>tio delle arti e delle lettere in Germania come<br />

conseguenza dell’avvenuta trans<strong>la</strong>tio imperii politica 572 .<br />

Peraltro, il Celtis sviluppa <strong>la</strong> sua linea patriottica prendendo spunto anche da un autore<br />

come Pio II, che trasferisce nel<strong>la</strong> realtà contemporanea l’elemento del<strong>la</strong> libertà politica<br />

germanica alle città libere tedesche in antitesi al<strong>la</strong> situazione italiana, ricavato da Tacito 573 .<br />

Proprio a Pio II si richiama Giambul<strong>la</strong>ri, una volta descritto lo scontro tra Arnolfo e<br />

Suembaldo. L’autore in realtà propone preliminarmente al<strong>la</strong> battaglia le re<strong>la</strong>tive orazioni dei<br />

due sovrani alle truppe. Discorsi inventati in omaggio ad canone che <strong>la</strong> storiografia<br />

umanistica attinge da quel<strong>la</strong> c<strong>la</strong>ssica, allo scopo di chiarire, generalmente, i moventi<br />

psicologici sottesi al verificarsi degli eventi, oppure i pro e i contra una certa risoluzione o un<br />

alternativa di azione 574 . Giambul<strong>la</strong>ri nel caso specifico, vuole mostrare <strong>la</strong> sproporzione delle<br />

forze in campo a svantaggio di Suembaldo, 575 che tuttavia non desiste dal<strong>la</strong> battaglia e viene<br />

facilmente sconfitto.<br />

568 Ivi, passo a p. 14a4.<br />

569 Germaniae atque aliarum regionum, quae ad imperium usque Costantinopolitanum protenduntur,<br />

descriptio, per Sebastianum Muensterum ex Historicis atque Cosmographis, pro tabu<strong>la</strong> Nico<strong>la</strong>ei Cuse<br />

intelligenza excerpta. Item eiusdem tabu<strong>la</strong>e Canon. MDXXX.<br />

570 Ivi, pp. 3a2-9b1.<br />

571 Nel<strong>la</strong> quale ennesima conferma del profondo nesso stabilito dal Muenster tra geografia cosmografia e <strong>storia</strong><br />

si ricava nel<strong>la</strong> lettera nuncupatoria del marzo 1550 indirizzata a Carlo V che introduce l’edizione basileese del<strong>la</strong><br />

Cosmografia, cit., pagine non numerate.<br />

572 In proposito rinviamo a J. Ridé, Un grand projet patriotique: Germania illustrata, in L’Humanisme<br />

allemand, cit., pp. 99-111, in partico<strong>la</strong>re pp. 99-101 e 107; sul nazionalismo dell’impegno culturale del Celtis<br />

vedi anche A History of the University in Europe, Cambridge University Press, 1996, II voll., in partico<strong>la</strong>re vol.<br />

II, Universities in Early Modern Europe (!500-1800), edited by H. De Ridder-Symoens, p. 32.<br />

573 A proposito di Celtis e Pio II vedi J. Ridé, Un grand projet patriotique, cit., pp. 101-102, inoltre sul<br />

tacitismo di Enea Silvio rinviamo a G. Costa, Le antichità germaniche, cit., pp. 31-39 e infine a P. Laurens,<br />

Rome et <strong>la</strong> Germanie, cit., p. 348.<br />

574 In proposito vedi F. Gilbert, Machiavelli e Guicciardini, cit.,p. 181.<br />

575 Storia d’Europa, cit., pp. 22-31.<br />

98


A questo punto, il canonico <strong>la</strong>urenziano per raccontare l’ultimo scorcio del<strong>la</strong> vita di<br />

Suembaldo propone letteralmente il passaggio di Pio II:<br />

“Suembaldo, poi che egli ebbe tentato più e<br />

più volte…di salvare il tutto o il parte delle<br />

sue genti…avvedutosi pure che tutto era tempo<br />

perduto, si appartò finalmente dal<strong>la</strong> sconfitta,<br />

e trovandosi tutto solo, si ritrasse in una gran<br />

selva: nel<strong>la</strong> quale disperatosi in tutto d’ogni<br />

grandezza di questo mondo, abbandonato il<br />

cavallo e spogliatosi tutte l’armi, come<br />

semplice viandante se n’andò molti giorni<br />

errando”[…]<br />

“Terminate così le cose…Arnolfo con le sue<br />

genti se ne passò nel<strong>la</strong> Moravia; dove…fece re<br />

di quel<strong>la</strong> provincia il figliuolo di<br />

Suembaldo[…]Suembaldo, nel<strong>la</strong> grandissima<br />

Selva Ercinia, divenuto fuggiasco e povero, e<br />

cibandosi di erbe e di pomi, dopo alcune<br />

giornate si incontrò in tre eremiti, con i quali<br />

accompagnatosi egli per quarto, senza<br />

altrimenti manifestarsi, pacientissimamente<br />

sostenne tutto lo insulto del<strong>la</strong> fortuna fino<br />

all’ultimo dì del<strong>la</strong> morte. Al<strong>la</strong> quale<br />

sentendosi egli molto vicino, chiamati a sé i<br />

compagni suoi, tutto giocondo disse così: “Voi<br />

non avete sin qui saputo, amici e fratelli miei,<br />

chi io mi sia e donde vuntuo. Sappiate che io<br />

sono Suembaldo re de’ Moravi, che in una<br />

battaglia grandissima, rotto e vinto da Arnolfo<br />

re di Germania, me ne venni al<strong>la</strong> solitudine.<br />

Ed avendo esperimentato in me lungamente <strong>la</strong><br />

inquieta vita de’ grandi e <strong>la</strong> quietissima de’<br />

privati, lietoe contento muoio al presente nel<strong>la</strong><br />

solinga e romita casa di questa santa selva<br />

dolcissima; al<strong>la</strong> tranquillità del<strong>la</strong> quale non si<br />

avvicina in maniera alcuna, qual si voglia real<br />

grandezza o bonaccia del<strong>la</strong> fortuna. Qui<br />

almeno il sonno sicuro fa parere saporite le<br />

radici strane delle erbe, e dolci l’acque delle<br />

fontane: quivi i pericoli e le cure sempre fanno<br />

amarissimo il vino e’ l cibo. E tutto quel che<br />

vissi nel regno, fu piuttosto morte che vita.<br />

Sepeliretemi in questo luogo, e andandovene<br />

al mio figliuolo, se per sorte e’ fusse ancor<br />

vivo, gli direte tutto il successo. Perdonatemi<br />

fratelli miei, e pregate per me il Signore, che<br />

non riconti a peccato quel che ho fatto.”<br />

Questo appena potette esprimere di maniera<br />

che e’ fusse inteso, ed andonne a quell’altra<br />

576 Storia, cit., passi cit. a p. 30 e 31-32.<br />

577 Hi<strong>storia</strong> Bohemica, cit., passaggi riportati alle pp. 139-140m4.<br />

“…commisso praelio, cum suos cadere<br />

animadvertisset, c<strong>la</strong>m sese pugnae subtraxit:<br />

atque ut erat mutata veste, incognitus<br />

salutem fuga quaesivit. Cumque ad montem<br />

venisset, cui Sembri nomen est, abiectis<br />

armis, equo dimisso, pedibus iter fecit, et<br />

tamquam viator inops vastissimam ingressus<br />

eremum, tamdiu pomis arborum, atque<br />

herbarum radicibus vitam sustentavit, donec<br />

tres Eremi cultores obvios habuit: quibus<br />

sese adiungens, usque ad exstremum vitae<br />

perseveravit incognitus, patienter ac sedato<br />

animo incomoda queque ferens. Ubi vero<br />

obitus affuit: accersitis eremitis : Nondum,<br />

inquit, quis fuerim novistis. Rex ego<br />

Moravorum praelio victus, ad vos confugi, et<br />

regiam vitam, et privatam, expertus morior.<br />

Nul<strong>la</strong> regni fortuna est tranquil<strong>la</strong>tati eremi<br />

praeficienda. Hic securus somnus, dulces<br />

herbarum radices, atque undas efficit: ibi<br />

curae atque perico<strong>la</strong> nullum cibum, nullum<br />

potum non amarum reddunt. Quod vitae mihi<br />

fata dederunt apud vos felix pergi: in regno<br />

quicquid eius transactum est, mors verius<br />

quam vita fuit. Sepelite me hic postquam<br />

anima corpus liquerit: Moraviamque deinde<br />

petentes, filio meo, si hic vivit, haec nunciate.<br />

Atque his dictis vita excessit. Arnolphus<br />

interea victoria potitus regunm Moraviae<br />

Svatocopij filio, quem de sacro fonte<br />

levaverat, possidendum reliquit. Is ab<br />

eremitis eductus de fortuna patris… ” 577<br />

99


vita. E i romiti, come e’ voleva, manifestando<br />

tutto a’l figliuolo, fecero chiara <strong>la</strong> morte<br />

sua.” 576<br />

Concluso il racconto delle vicende di Suembaldo, Giambul<strong>la</strong>ri si volge al<strong>la</strong> Francia<br />

costituitasi ormai in regno separato dal<strong>la</strong> Germania e coinvolta da un profondo contrasto<br />

interno provocato dall’arrivo dei Normanni. Per introdurre il problema il canonico<br />

<strong>la</strong>urenziano si sofferma sul luogo d’origine del popolo normanno: <strong>la</strong> Scandinavia. Il passaggio<br />

dedicato a tale regione appare estremamente indicativo, sia per <strong>la</strong> fonte da cui viene ricavata<br />

<strong>la</strong> sua <strong>prima</strong> parte, sia per <strong>la</strong> tesi qui espressa. Giambul<strong>la</strong>ri ricorre, infatti, per <strong>la</strong> descrizione<br />

del<strong>la</strong> regione scandinava al<strong>la</strong> Cosmographia muensteriana:<br />

“Giace dunque nello Oceano del<strong>la</strong><br />

Germania…una grandissima quasi che iso<strong>la</strong>,<br />

comunemente detta Scon<strong>la</strong>ndia, e Scondonia<br />

da qualc’un altro, cioè amena e piacevole<br />

Dania, ma Scandia e Scandinavia da Plinio.<br />

La quale secondo il Munstero, si ha<br />

guadagnato questo nome da <strong>la</strong> comodità de’<br />

porti, da <strong>la</strong> fertilità del paese e da <strong>la</strong> somma<br />

abbondanza non so<strong>la</strong>mente de’ pesci e de<br />

selvaggiumi, ma delle ricche miniere dell’oro,<br />

dell’argento, del rame e del piombo, le quali<br />

tutte copiosamente in lei si ritrovano, e da<br />

così <strong>la</strong>rghe vene vi abbondano, che per tanti e<br />

tanti secoli sino a dì nostri non sono<br />

mancati.” 578<br />

“Multis igitur a scriptoribus nominibus<br />

compel<strong>la</strong>tur, Scondia, Scondermachia,<br />

Schondonia, id est, amena Dania. Plinius<br />

aliquo loco Scandiam et alio Scandinaviam<br />

nominavit, sed mansit illi Schondiae nomen,<br />

quod pulchritudinem significat, quondam<br />

coeli beneficio, telluris obsequio, portuum et<br />

emporiorum commoditate, maritimis opibus,<br />

<strong>la</strong>cuum et flumine piscatione, venatione<br />

nobilum ferarum, auri, argenti, aeris, et<br />

plumbi inexhaustis venis, oppidorum<br />

frequentia, civilibus institutis, nulli cedit<br />

beatae regioni.” 579<br />

Oltre a questa già significativa menzione, anche le considerazioni successive appaiono<br />

chiaramente funzionali a sostenere <strong>la</strong> matrice germanica dell’Europa sorta dalle ceneri<br />

dell’impero romano. L’autore registra <strong>la</strong> grande quantità di popoli fuoriusciti dal<strong>la</strong><br />

Scandinavia e insediatisi nel resto d’Europa dove hanno successivamente costituito l’origine<br />

di molti altri popoli e nazioni europee, sul<strong>la</strong> falsariga dei Germaniae exegeos volumina<br />

duodecima di Franz Irenicus 580 nei seguenti termini:<br />

“più volte ha mandato fuori dagli amplissimi suoi confini, eserciti quasi infiniti e<br />

moltitudini senza numero: cioè gli A<strong>la</strong>ni, gli Schiavoni, da’ quali sono Boemi e Pol<strong>la</strong>cchi; i<br />

Suedi che ci hanno dato i Normanni e Bolgari; i Teifali, i Rugi, gli Eruli, i Gotti, i Gepidi, i<br />

Longobardi, i Turciligni, i Cimerii, i Cimbri oggi Dani, i Vandali, i Bavari; e tante altre<br />

famose genti, quante nel<strong>la</strong> faticosa Germania sua <strong>la</strong>rgamente ne dimostra lo Irenico.” 581<br />

Giambul<strong>la</strong>ri sposa dunque <strong>la</strong> tesi dal<strong>la</strong> Scandinavia vagina gentium, formu<strong>la</strong>ta inizialmente<br />

da Giordane e ripresa anche dal Muenster nel<strong>la</strong> sua Cosmographia, applicandole poi lo<br />

578 Storia, cit., passo alle pp. 33-34.<br />

579 Cosmographiae universalis, cit., liber IV, passo riportato a p. 814hh7, passo che peraltro risulta identico<br />

nel<strong>la</strong> Schondia, cit., a p. LXXXVI.<br />

580 Germaniae exegeseos volumina duodecima Francisco Irenico ettelingiacensi exarata. Eiusdem oratio<br />

protreptica, in amorem Germaniae, cum praesentis operis excusatione, ad illustriss. Principis Pa<strong>la</strong>tini Electoris<br />

Cancel<strong>la</strong>rium Florentium de Pheningen, utriusque censure Doctorem. Urbis Norimbergae descriptio, Conrado<br />

Celte narratore, Norimbergae 1518.<br />

581 Storia, cit., passo a p. 34.<br />

100


schema formu<strong>la</strong>to dall’Irenico nel primo libro del<strong>la</strong> sua opera. 582 Passaggio ulteriormente<br />

indicativo delle implicazioni del<strong>la</strong> disciplina geografica nel discorso storico del Giambul<strong>la</strong>ri e<br />

del<strong>la</strong> sua chiara intenzione di ritrovare le radici dell’Europa moderna nell’elemento<br />

germanico.<br />

Al pari degli altri autori di area tedesca già incontrati, anche l’Irenicus si propone, attraverso<br />

i suoi Exegeos, di far luce sul<strong>la</strong> <strong>storia</strong> tedesca e di celebrare <strong>la</strong> centralità del<strong>la</strong> Germania nel<strong>la</strong><br />

realtà europea. Le sue intenzioni, già esplicitate nel<strong>la</strong> lettera noncupatoria, indirizzata<br />

dall’autore a Ludovico <strong>la</strong>ngravio del Pa<strong>la</strong>tinato e a Federico duca di Sassonia 583 sono rese<br />

ancora più manifeste dal<strong>la</strong> nazionalistica Oratio protreptica eiusdem in amorem Germaniae…<br />

posta al<strong>la</strong> fine degli Exegeos 584 .<br />

Inoltre l’orientamento filogermanico di quest’opera viene sottolineato, sia dalle parole di<br />

elogio che il norimberghese Willibald Pirchkeimer rivolge nei confronti del <strong>la</strong>voro<br />

dell’Irenicus 585 , sia dal<strong>la</strong> riproposizione del<strong>la</strong> Urbis Norimbergae descriptio di Konrad<br />

Celtis 586 .<br />

Dimostrata l’origine scandinava del popolo normanno, il Giambul<strong>la</strong>ri ne racconta lo<br />

stanziamento in Francia sotto <strong>la</strong> guida del conte Rollone e, dopo una fase di guerra con <strong>la</strong><br />

corona francese, <strong>la</strong> pacificazione sancita dal<strong>la</strong> conversione al cristianesimo e dal<br />

riconoscimento del vincolo di vassal<strong>la</strong>ggio ad essa, in cambio del possesso del<strong>la</strong> Normandia.<br />

Il canonico <strong>la</strong>urenziano si ispira in proposito all’Hi<strong>storia</strong> Anglica di Polidoro Virgilio 587 .<br />

Umanista, originario di Urbino, chiamato al<strong>la</strong> corte d’Inghilterra, (dove rimane anche dopo<br />

l’emanazione dell’Atto di Supremazia) dal vescovo italiano di Hereford, presto apprezzato da<br />

Tommaso Moro e John Colet, Polidoro nel<strong>la</strong> sua Hi<strong>storia</strong> Anglica dedicata ad Enrico VIII,<br />

esalta <strong>la</strong> stabilità politica garantita all’Inghilterra dal<strong>la</strong> dinastia Tudor, rispetto al<strong>la</strong> nefasta<br />

epoca dei conflitti di Lancaster e York 588 . La sua <strong>storia</strong> stampata nel 1534 a Basilea dal Bebel<br />

582 Lo schema si trova a p. XXId3, mentre per <strong>la</strong> germanicità di queste popo<strong>la</strong>zioni vedi pp. XXd2-XXIId4. A<br />

p. XXd2, ad esempio l’Irenicus scrive: “Omnes illos pene fuisse Germanos…ut Saxones, Cimbros, Dacos.” Sul<strong>la</strong><br />

tesi in questione e sul<strong>la</strong> sua ripresa da parte del Muenster e dell’Irenico vedi G. Costa, Le antichità germaniche,<br />

cit., pp. 57-58 e C. Vasoli, A proposito del<strong>la</strong> Storia d’Europa, cit., p. 637.<br />

583 Ivi, Illustirissimis principibus, Ludovico sacratiss. Imperii electori antesignano, ac Foederico. Rheni<br />

Pa<strong>la</strong>tinis, Baviariaque ducibus ampliss. Franciscus Irenicus Ettelingia censis, Collegii divae Katherinae<br />

Heidelberg. Moderator foelicitatem optat, pp. z1-z5.<br />

584 Oratio protreptica eiusdem in amorem germaniae, cum excusatione praesentis operis, ad illustrissimi<br />

principi Pa<strong>la</strong>tini Electoris Cancel<strong>la</strong>rium Florentium de Phenningen, utriusque censurae Doctorem, pp.<br />

CCXXIIq4-CCXXXr6. Sul cui significato nazionalistico, che porta l’Irenico a smarrire ogni barlume di senso<br />

critico, rinviamo a J. Ridé, Un grand projet patriotique, cit., in partico<strong>la</strong>re p. 106.<br />

585 Ivi, Bilibaldus Pirckheimer Francisco Irenico S. D., p. z5 infatti leggiamo: “Quoque Germaniam tuam et<br />

quidem auctam in lucem prodire scribis, <strong>la</strong>udo. Quis enim non <strong>la</strong>udaret, cum priscorum germanorum facta il<strong>la</strong><br />

praec<strong>la</strong>ra, et quae hucusque tamquam sub oblivionis quadam caligine obruta delituere, celebrari videret.<br />

Quamvis enim Germania tot tacque fortissimas procreavit gentes, ac passim per terrarum orbem tacque<br />

colonias emiserit, non solum gloria militari ac rerum magnitudine reliquas superaverint nationes, et Roman<br />

ipsam quamvis rerum dominam subiugaverint ac ceperint, Romanum denique imperium virtute ac viribus sibi<br />

vendicaverint. Ut obiter alia magnifica preteream gesta. Neminem tamen hucusque sortita estque eam (ut par<br />

est) dignis extulisset praeconiis.[…]Proinde et si tua reprehensione non carebunt (nam ille te mendacii, alter<br />

erroris arguet, ille rerum seriem aliam cupiet, hic styli humilitatem contemnet) nemo tamen bonus <strong>la</strong>borem<br />

tantum ob patriae amorem susceptum non <strong>la</strong>udabit…”.<br />

586 Ivi, di seguito al<strong>la</strong> Oratio protreptica, senza numerazione di pagine. A proposito delle implicazioni<br />

nazionalistiche del<strong>la</strong> celebrazione di Norimberga condotta dal Celtis cfr. J. Ridé, Un grand projet patriotique,<br />

cit., in partico<strong>la</strong>re p. 104.<br />

587 Polydori Vergilii urbinatis anglicae hi<strong>storia</strong>e libri XXVI, Basileae, apud Io. Bebelium anno MDXXXIIII,<br />

d’ora in poi Anglicae hi<strong>storia</strong>e.<br />

588 Vedi <strong>la</strong> voce Polidoro Virgilio di Brian P. Copenhaver in Contemporaries of Erasmus, cit., III vol., 1987,<br />

pp. 397-399 e soprattutto sulle sue fonti, suo metodo e sulle sue posizioni storiografiche E. Cochrane, Hi<strong>storia</strong>ns<br />

and Historiography, cit., pp. 345 e 347-349.<br />

101


è introdotta dal Grynaues con un brevissimo avviso ai lettori 589 che precede <strong>la</strong> lettera<br />

noncupatoria del Virgilio al sovrano inglese 590 .<br />

Scrive abbastanza estesamente il Giambul<strong>la</strong>ri dall’Hi<strong>storia</strong> Anglica:<br />

“Rollone…se ne passò con lo esercito al<strong>la</strong><br />

vicina parte di Francia…ed occupato quasi<br />

ogni cosa, da’l golfo di Sam Malò sino al<strong>la</strong><br />

fiumara di Senna, da gli antichi già detta<br />

Sequana, su per <strong>la</strong> detta riviera se ne venne<br />

sino a Roano. A questa città fermatosi,<br />

accampò; e dimoratovi qualche tempo, non si<br />

movendo alcuno a soccorer<strong>la</strong>, finalmente <strong>la</strong><br />

ottenne a patti. Insignoritosi dunque di così<br />

grossa e ricca città, non volle andare<br />

corseggiando più oltre per <strong>la</strong> marina; ma<br />

volse l’animo a farsi grande; e confidatosi di<br />

potere assai facilmente occupare il regno di<br />

Francia, rispetto al<strong>la</strong> grandissima<br />

commodità che a sì fatta impresa gli davano<br />

le tre navigabili fiumare, Senna, l’Era, e<br />

Garonna, mandò a casa per nuove genti. Le<br />

quali venute gagliardamente, inviò una<br />

grossa armata su per <strong>la</strong> Era ed uno esercito<br />

copioso per il paese circumvicino, e cominciò<br />

a scorrere il tutto, con uccisioni e prede<br />

grandissime, ardendo ed atterando senza<br />

rispetto tutto ciò che a suoi nimici potesse<br />

fare in qualunche modo o utile o comodo.<br />

Carlo, secondo il credere comune del<strong>la</strong><br />

maggior parte degli scrittori, per cognome<br />

chiamato Semplice, in questi tempi re del<strong>la</strong><br />

Francia, uomo piuttosto da chiamare benigno<br />

e rimesso, che armigero ed animoso,<br />

mandando imbasciadori a Rollone, gli chiese<br />

tregua per tre mesi, ed ottenne<strong>la</strong><br />

agevolmente, per avere bisogno il Normanno<br />

di riposare alquanto lo esercito e di<br />

rinfrescarlo di nuove genti. Ma non <strong>prima</strong><br />

el<strong>la</strong> venne el<strong>la</strong> a fine, che Rollone, uscito in<br />

campagna, assediò <strong>la</strong> città di Parigie<br />

combattel<strong>la</strong> gagliardamente; ed arebbe<strong>la</strong><br />

forse ottenuta, se non che i cittadini, avvisati<br />

del soccorso che veniva in aiuto loro con il<br />

duca Riccardo di Borgogna ed Ebalo conte di<br />

Poittiers, uscendo alle spalle a’ Normanni,<br />

“Hinc igitur Rollo…in Galliam transmisit, in<br />

eaque primo Celticae partem popu<strong>la</strong>ndo<br />

occupavit, quae ad littus Oceani Gallici, citra<br />

Sequanam flumen, pertinet: deinde cactus<br />

Sequanae commoditatem, Rothomagum usque<br />

civitatem adverso flumine pervenit, urbemque<br />

oppugnare aggressus est, quam cives ad<br />

estremum cum auxilia frustra diu<br />

expectassent, sibi rebusque suis timentes,<br />

ultro tradiderunt.[…]Potitus ea urbe Rollo, ad<br />

finitima loca occupanda, animum intendit,<br />

ratus huic rei maturandae maxime conducere,<br />

quod tres flivij navigabiles, Sequana, Ligeris,<br />

et Garumna, sibi usui esse possent. Itaque<br />

comparato quammaximo potuit exercitu,<br />

instructaque c<strong>la</strong>sse, pars per Ligerim amnem,<br />

pars itinere terrestri profecti, omnem Galliam<br />

praedabundi ingenti terrore ac caede<br />

complent. Rollo ad vexandos hoc pacto hostes<br />

maiore in dies singulos coacto numero ex<br />

finitimis, qui ad ipsum confugiebant,<br />

quoquoversum armatos dimittit. Omnes vici<br />

atque omnia aedificia quae quisque<br />

conspexerat, incendebantur, praedaque ex<br />

omnibus locis abigebatur, cum Carolus<br />

Galliae rex cognomento Simplex, vir certe<br />

integritate vitae, non item militaris disciplinae<br />

gloria praestans, ratus se posse ferum hostis<br />

aninum potius bonis monitis, quam armis<br />

mitigare, misit legatos a a Rollone trium<br />

mensium inducias petitum. Quae res quondam<br />

Daco ibidem peropportuna erat, quippe qui<br />

militem suum a tantis <strong>la</strong>boribus reficere<br />

cupiebat, neutiquam negata. Itaque datae sunt<br />

in tris menses induciae Gallo, quae statim ut<br />

exierunt, Rollo copijs in aciem eductis,<br />

Carnutes armis invadit, ad eorumque oppidum<br />

oppugnandum aggreditur: quod ubi obsidione<br />

cinxit, Ricardus Burgundionum (ij quondam<br />

Sequani appel<strong>la</strong>ti sunt) dux cum magna<br />

militum manu, obsessis ausilio venit, ilicoque<br />

589 Anglicae hi<strong>storia</strong>e, ivi Simon Grynaeus lectori, dove leggiamo: “Anglia Bistondo semper gens inclita Marte<br />

quanta, quibusque, animis nongentos mille per annos gesserit, imperium firmans adamante revincto, Intulerit<br />

quoties vicinis gentibus arma, seu procul eiecit popu<strong>la</strong>ntem finibus hostem, Seu domuit saevos immania col<strong>la</strong><br />

Tyrannos, Maxima Magnanimum Polydorus facta virorum praec<strong>la</strong>re <strong>la</strong>tia primis carit omnia bucca.”<br />

590 Ivi, pp. 2a2-3a2, Ad invictissimum Angliae, Franciae, Hyberniaeque Regem, fidei defensorem, Henrycum,<br />

nominis eius octavuum, Polydori Vergilij Urbinatis in Anglicam Hi<strong>storia</strong>m suam praefatio, mense Augusto<br />

MDXXXIII. Lettera in cui si pone in evidenza <strong>la</strong> funzione esternatrice del<strong>la</strong> <strong>storia</strong>.<br />

102


che si erano volti a nuovi nimici, non lo<br />

avessino rotto e scacciato con grave danno<br />

del<strong>la</strong> sua gente. Rollone esasperato di questa<br />

rotta, cime <strong>prima</strong> potette accorre le forze,<br />

comandò a tutti i soldati, che non<br />

perdonassero né ad età né a sesso, né a<br />

luoghi sacri o profani; ma amazzasino ogni<br />

uno, predassero il tutto, ed abrucciassero e<br />

distruggessero ciò che venisse loro a le mani.<br />

La qual cosa eseguendo coloro, e molto più<br />

che e’ non aveva detto, e rovinando e<br />

spianando il tutto, Carlo, stimo<strong>la</strong>to da’ suoi<br />

baroni ad opporsi a tanto esterminio, non<br />

confidandosi di potere ostare con <strong>la</strong> forza,<br />

cercò nuovamente accordo con i vittoriosi<br />

nimici suoi. E convenutosi finalmente che<br />

Rollone si facesse Cristiano, e togliendo per<br />

moglie Gil<strong>la</strong> figliuo<strong>la</strong> di esso Carlo, avesse<br />

per dota <strong>la</strong> Brettagna e <strong>la</strong> Normandia, con<br />

obligo d’un piccolo censo da pagarsi ogni<br />

anno in futuro al<strong>la</strong> Corona di Francia in<br />

cognizione e testimonianza del dominio<br />

ottenuto non per arme ma per amore; fermò<br />

<strong>la</strong> pace e <strong>la</strong> parente<strong>la</strong>. Battezzatosi dunque<br />

Rollone, e chiamandosi da indi innanzi<br />

Ruberto, per i conte Ruberto di Poitiers che<br />

lo aveva tenuto a battesimo, mutando nome al<br />

paese ancora, chiamò Normandia tutto quello<br />

che si chiamava <strong>prima</strong> Neustria. Scrivono<br />

però alcuni altri, e con essi Polidoro<br />

Vergilio, che <strong>la</strong> moglie di Rollone non fu<br />

Gil<strong>la</strong> di Carlo il Semplice, ma Ope figliuo<strong>la</strong><br />

di Beringhiero conte di Beauvoi; <strong>la</strong> quale gli<br />

partorì Guglielmo…e che Gil<strong>la</strong> predetta non<br />

fu <strong>la</strong> figlio<strong>la</strong> di Carlo, ma di Lottario, e<br />

moglie non di Rollone, ma di quello<br />

Gottifredo…” 591<br />

591 Storia, cit., passo alle pp. 36-37.<br />

592 Anglicae hi<strong>storia</strong>e, cit., passi riportati alle pp. 98i2-100i3.<br />

hostes adoritur. Qua re ab oppidanis cognita,<br />

collectis animorum viribus, omnes<br />

praecedente loco signiferi, antistite…in hostes<br />

erumpunt. Non sustinuit irrumpentium<br />

impetum Dacus, qui non sine magna suorum<br />

strage, in fugam versus, ad locum haud procul<br />

confugit, ibique ira et furore accensus, suos<br />

quamcelerrime potuit, ex dissipato cursu<br />

coegit, ac mox in omnes pars erumpens<br />

militibus imperavit, caedam atque<br />

popu<strong>la</strong>tiones in hostes facerent. Illi partem<br />

spe praedae, partim odio exagitati, rapendo,<br />

caedendoque truculentissime in miseros<br />

Gallos saeviebant, neque aetati, neque sexui<br />

parcentes, quin deorum temp<strong>la</strong>, privatasque<br />

domos crudelissime inf<strong>la</strong>mmarent. Hoc pacto<br />

barbari divinaque foedabant. Contra interim<br />

Franci regem suum vituperabant, quod tardus<br />

et iners esset, atque vim repellendam minime<br />

omnium curaret: cum ipse Carolus qui longe<br />

magis Dei optimi maximi ausilio, quam armis<br />

confidabant, quippe videbat plus nimio<br />

hostium vires invaluisse, quam ut tuto ijs<br />

resistere possit, legatos iterum ad Rollonem<br />

misit[…]Quare abito mature concilio,<br />

Carolus demum Rollone congressus ei filiam<br />

locavit, simulque dedit filie dotis nomine, eam<br />

Celticae partem, quae id temporis Neustria<br />

fuit, ad citerioremque Britanniam pertinebat.<br />

Rollo receptam Normandiam<br />

dixit…[…]Rollo[…]a Francione episcopo<br />

Rothomagensium sit baptismatis <strong>la</strong>vacro<br />

admotus, ac Robertus appe<strong>la</strong>tus, a Roberto<br />

Pictonum comite, quem recepti ab se sacri<br />

testem adhibuerat. Sunt qui scribant<br />

Normanos iussos esse annum vectigal pendere<br />

Francorum regibus, ut Neustriae dominis, ne<br />

terra bello quaesita crederetur, sed Caroli<br />

concessu adepta.[…]Quare tradunt Rollonem<br />

se cum suis Normanis iunxisse, ac sedes eo<br />

loci firmasse, Carolo Simplice Francis<br />

imperante: at neque Aegidiam filiam Simplicis<br />

fuisse, sed Lotharij regis, quam ipse Crassus<br />

Gotthofredo Normannorum regi collocavit.<br />

Quae nempe res erronem praebuit, ut<br />

scriptores illi auspicati sint eam nupsisse<br />

Rolloni, quem pa<strong>la</strong>m est duxisse matrimonium<br />

Opem Berengarij Bellovacorumque comitis<br />

filiam.[…]Rollonem Gulielmus filius ex Ope<br />

genitus secutus est…” 592<br />

103


Meritano appena di essere sottolineate le modalità di ingresso di un nuovo popolo dentro <strong>la</strong><br />

vicenda europea, a conferma delle precedenti considerazioni, ancora una volta costituite<br />

dall’incontro tra elemento germanico e adesione al cristianesimo.<br />

Maggiore attenzione invece va dedicata all’identità di Gottifredo e Rollone, respinta dal<br />

Polidoro. In proposito il canonico <strong>la</strong>urenziano apre una parentesi in cui presenta fonti<br />

favorevoli e contrarie. Al di là dell’esito del<strong>la</strong> questione, su cui il Giambul<strong>la</strong>ri non prende<br />

nettamente posizione <strong>la</strong>sciando libero giudizio al lettore “perché in tanta diversità di scrittori<br />

male si può discernere il vero” 593 , è interessante ricordare le fonti menzionate. Favorevoli a<br />

quest’identità il Volterrano già da noi incontrato, e due nuove fonti del<strong>la</strong> Storia: il francese<br />

Robert Gaguin e Collenuccio da Pesaro.<br />

Gaguin, uno dei primi umanisti francesi, scrive un Compendium de …gestis francorum 594 a<br />

supporto dell’origine troiana del<strong>la</strong> monarchia francese, secondo <strong>la</strong> mitica discendenza dei<br />

Galli da Noè, per legittimare <strong>la</strong> vocazione universale del<strong>la</strong> sua missione politica e<br />

spirituale 595 . La formazione di un nazionalismo culturale non privo di crescenti implicazioni<br />

politiche per quanto circoscritto alle èlite intelletuali ed ai ceti dirigenti costituisce del resto<br />

un dato comune alle grandi monarchie occidentali 596 . La consapevolezza che Giambul<strong>la</strong>ri<br />

dimostra in questo senso, è un’ulteriore indizio del<strong>la</strong> rilevanza attribuita nel<strong>la</strong> Storia ai motivi<br />

ed alle suggestioni dei nascenti partico<strong>la</strong>rismi politici.<br />

L’altro autore ricordato il Collennuccio, già citato nel Gello, impegnato come ambasciatore<br />

del duca di Ferrara, compone un Compendio de le istorie del regno di Napoli di tendenza<br />

filoghibellina. L’umanista pesarese, infatti, idealizza <strong>la</strong> figura di Federico II e pone in cattiva<br />

luce gli Angioini e l’ingerenza temporale del<strong>la</strong> chiesa romana nel<strong>la</strong> <strong>storia</strong><br />

napoletana.Collenuccio, del resto, ha un contatto diretto con il mondo tedesco quando viene<br />

inviato dal duca di Ferrara in missione diplomatica presso l’imperatore Massimiliano I nel<br />

1500 e nel suo compendio si serve anche di diverse fonti tedesche del Medio Evo oltre alle<br />

fonti c<strong>la</strong>ssiche 597 .<br />

Tra le fonti citate che negano l’identità tra Rollone e Gottifredo, oltre ai già incontrati<br />

Reginone e Uspergense, il Giambul<strong>la</strong>ri menziona anche Ottone vescovo di Frisinga indicato<br />

come “Frisigense”, vissuto nel XII° secolo. Ottone inizia una <strong>storia</strong> che narra le gesta di<br />

Federico Barbarossa, completata dopo <strong>la</strong> sua morte (1158) dal Rahewin 598 . Anche Ottone<br />

rientra nel novero degli autori medievali recuperati dall’umanesimo tedesco secondo l’istanza<br />

nazionalista e antiromana. È del resto un convinto assertore del<strong>la</strong> Trans<strong>la</strong>tio imperii nel<br />

mondo tedesco attraverso Carlo Magno, e parteggia chiaramente per il Barbarossa nei<br />

continui dissidii che sorgono con i pontefici romani. Conferma indiretta in proposito appare<br />

anche l’edizione dello scritto ottoniano curata nel 1515 dal Celtis 599 .<br />

Soprattutto, però è interessante rilevare l’esclusione di una fonte indicata invece nel codice<br />

autografo dove il Giambul<strong>la</strong>ri, a proposito di una ipotetica retrodatazione del<strong>la</strong> pace conclusa<br />

da Rollone all’880, scrive:<br />

593 Storia, cit., passo a p. 38.<br />

594 Compendium Roberti Ganguini supra Francorum gestis, impressit…Thilmannus Kerver in inclito<br />

Parisiorum gymnasio, 1507, in cui a proposito di Gil<strong>la</strong> leggiamo in Fo. LXXIII1: “Rollo Gil<strong>la</strong>m caroli filiam<br />

uxorem recipit et in dotem neustriam.”<br />

595 Sul<strong>la</strong> storiografia del Gaguin cfr. The New Cambridge Medieval History, cit., vol. VII, c.1415-1500, edited<br />

by Cristopher Al<strong>la</strong>mand, 2000, p. 427, vedi inoltre E. Cochrane, Hi<strong>storia</strong>ns and Historiography, cit., pp. 321,<br />

332, 346.<br />

596 R. Romeo, Idea e coscienza di nazione, cit., pp. 16-17.<br />

597 Su Pandolfo Collenuccio oltre al<strong>la</strong> re<strong>la</strong>tiva voce su DBI, rinviamo a E. Cochrane, Hi<strong>storia</strong>ns and<br />

Historiography, cit., pp. 155-157 e 342.<br />

598 Su Ottone vedi U. Chevalier, Répertoire des sources historiques, cit., II vol., pp. 3459-3460.<br />

599<br />

Sul<strong>la</strong> storiografia ottoniana vedi J. D’Amico, Hutten and Renanus, cit., in partico<strong>la</strong>re pp. 6-7; cfr. anche G.<br />

Costa, Le antichità germaniche, cit., pp. 32-33 e 41.<br />

104


“che el<strong>la</strong> fussi con Carlo Grasso, imperatore e re del<strong>la</strong> Francia, come recita il Vilfelingio,<br />

nel<strong>la</strong> sua brevissima epitome; et conseguentemente qualche anno <strong>prima</strong>: questo brevemente<br />

ho voluto notare non per biasimo degli scrittori: ma per mostrare il vero del<strong>la</strong> cosa, con <strong>la</strong><br />

testimonianza del tempo, e di questi autori germani, venuti in luce, non è molti anni.” 600<br />

Si tratta di Jacob Wimpheling autore dell’Epitome Germanorum… 601 contenuta proprio in<br />

quel<strong>la</strong> silloge basileese edita nel 1532 che comprende tanti autori di area tedesca o comunque<br />

di propensione filo-imperiale a cui evidentemente si riferisce l’indicazione complessiva sulle<br />

fonti germaniche formu<strong>la</strong>ta dal canonico <strong>la</strong>urenziano nell’autografo.<br />

Dunque passaggio che costituisce una traccia significativa, per quanto soppressa nel testo a<br />

stampa, sia dell’utilizzazione non superficiale né una tantum di questa raccolta ben presente<br />

nel prosieguo del<strong>la</strong> Storia, sia dell’attendibilità dal Giambul<strong>la</strong>ri attribuita al<strong>la</strong> storiografia<br />

tedesca.<br />

Inoltre, questa citazione, documenta che tra le letture del Giambul<strong>la</strong>ri va annoverata anche<br />

l’Epitome del Wimpheling. Altro autore impegnato ad esaltare <strong>la</strong> germanicità imperiale in una<br />

duplice chiave, appunto universale-imperiale e localistico-nazionale. Fin dal<strong>la</strong> lettera<br />

noncupatoria dell’epitome l’umanista alsaziano rivendica <strong>la</strong> germanicità di Strasburgo,<br />

fondandosi sugli stessi autori <strong>la</strong>tini. Le puntate antiromane e il rifiuto di ogni attribuzione a<br />

Strasburgo di matrici storico-culturali galliche si inscrivono pienamente all’interno delle<br />

coordinate prevalenti (e che approfondiremo nel caso del Renano) dell’umanesimo tedesco 602 .<br />

Risolte temporaneamente le questioni francesi, il Giambul<strong>la</strong>ri rivolge <strong>la</strong> sua attenzione<br />

sull’altra regno nato dal<strong>la</strong> scissione dell’impero: l’Italia. Fa il suo ingresso nel<strong>la</strong> Storia<br />

d’Europa Liutprando da Cremona vissuto nel X secolo. Testimone diretto degli avvenimenti<br />

che racconta nelle sue opere storiche, Liutprando, dopo un primo periodo come segretario al<strong>la</strong><br />

600 Magliab., Cod. 111, cit., passo a p. 16.<br />

601 Epitome germanorum, opera Iacobi Vumphelingii selestadiensis et quorum contexta, ac nuper per eruditum<br />

quondam recognita, in Vuitichindi Saxonis Rerum, cit., pp. 315-380.<br />

602 Ivi, a p. 315-316d2 Iacobus Vuimphelingius Thomae Vuolphio Iuniori, pontificììs iuris interpreti, summo<br />

amico, in data VIII, Kalend. Octobris, MDII in cui l’autore che riprende e porta a termine l’opera iniziata da<br />

Sebastianum Murrhonem morto <strong>prima</strong> del suo compimento, indica a chiare lettere il suo intento celebrativo nei<br />

confronti dell’elemento imperiale germanico di cui Strasburgo, pur stando nel<strong>la</strong> parte gallica, rientra a pieno<br />

titolo “sed etiam ut omnes Germani in hac epitome antiquitates Germaniae videant, vitam nostratium<br />

imperatorum legant, Germanorumque <strong>la</strong>udes, ingenium, bel<strong>la</strong>, triumphos, artium, inventionem, nobilitatem,<br />

fidem, constantiam, et veracitatem ediscant: atque ut his brevibus ansam praebeamus studiosae posteritati, quo<br />

maiora indies studeant adijcere, et amplioribus rerum incrementis Germanorum <strong>la</strong>udes cumu<strong>la</strong>re. Verum a<br />

Germanicis <strong>la</strong>udibus Argentinam unde tibi: et Selestadium, unde mihi origo est, caeterasque civitates ex hoc<br />

Rheni littore Galliam versus sitas, nolumus exclusum iri, quoniam eas ab Octaviani aetate, Svetonio teste,<br />

Germani inhabitarunt: unde et Germaniae nomen meruere. Et Plinius et Cornelius Tacitus…inter Germaniae<br />

fines il<strong>la</strong>s dinumerant. Ecclesian quoque Romana, inter Germaniae metropoles Maguntinam, Treverensem, et<br />

Agrippinam collocavit. Quumque summus pontifex legatos a <strong>la</strong>tere ad Germaniam mittit, in his patriae quoque<br />

nostrae civitatibus munus legationis suae illi exercerent: quod nisi Germaniae pars essent, quas legati ad<br />

Germaniam missi dispensationes, indulgentias ac beneficiorumque provisiones in eis administrant, irritae<br />

viderentur et inanes: nam et ad Galliam alij a nostris mittintur legati, qui in nostris civitatibus partes suas<br />

nequaquam explent. Adde quod ipse Carolus Burgundiae dux, Maximiliani regis socer, ad principes electores<br />

perscripsit, sese et Germanum esse et dici velle: cuius tamen terrae in hoc Rheni littore sitae fuerunt, imo<br />

ipsarum civitatum et pagorum antiquissima nomina Germanicum sonant, et minime Gallicum. Et si vel Caroli<br />

magni, aut filiorum nepotumque quorum aetate, hicumquam Galli habitavissent, versatum fuisset et hic<br />

proculdubio Gallicum idioma. At ubi nam inveniuntur ul<strong>la</strong> Gallicae lingua vestigia? Ubi libri Gallici? Ubi<br />

monumenta? Ubi episto<strong>la</strong>e? Ubi epitaphia? Ubi literae contractuum rerum urbanatum et civilium aut seudorum,<br />

sicut a septingentis et octingentis annis Latinae et Germanicae lingua apud nos monumenta reperiunt. Nec mihi<br />

persuaderi potest optimos Svevie duces, qui cathedralem apud Spiras ecclesiam quique coenobium divae Fidis in<br />

patria mea Selestadio fundarunt et locupletaverunt, magnificas il<strong>la</strong>s impensas, paternamque substantiam in<br />

Galliam traducere, ac inter Gallos profundere voluisse. Glorietur ergo ille mendicus b<strong>la</strong>ttero, qui nostram<br />

Germaniam atque famam discerpit, se et suum patrem a Gallis descendisse. Nos mi charissime Thoma<br />

gloriabimur a maioribus nostris Germanis procesisse… ”.<br />

Sul significativo per quanto embrionale valore nazionale dell’Epitome di Wimpheling cfr. P. Merlin, La forza e<br />

<strong>la</strong> fede, cit., p. 65.<br />

105


corte di Berengario II, si trasferisce in pianta stabile al<strong>la</strong> corte di Ottone I di cui resta al<br />

servizio con il ruolo di consigliere e ambasciatore anche dopo il conferimento nel 962 del<br />

vescovato di Cremona. 603 .<br />

Costante nel<strong>la</strong> Storia, specialmente in re<strong>la</strong>zione alle vicende italiane sarà il ricorso<br />

all’Antopodosis 604 . La rilevanza dell’Antopodosis per il Giambul<strong>la</strong>ri, del resto viene posta in<br />

rilievo dal Kirner anche in re<strong>la</strong>zione al progetto originario del<strong>la</strong> Storia che doveva ricoprire lo<br />

stesso arco storico affrontato da Liutprando. L’Antopodosis del resto, sottolinea ancora il<br />

Kirner, è una <strong>storia</strong> d’Europa ma pone al suo centro l’Italia, mentre il Giambul<strong>la</strong>ri sceglie <strong>la</strong><br />

Germania come perno del<strong>la</strong> sua opera 605 . D’altra parte, Liutprando scrive le sue opere storiche<br />

quale devoto servitore del<strong>la</strong> casa di Sassonia, dunque secondo una prospettiva vicina a quel<strong>la</strong><br />

propugnata dal canonico <strong>la</strong>urenziano. In partico<strong>la</strong>re <strong>la</strong> genesi dell’Antopodosis si lega<br />

all’estromissione di Liutprando dal<strong>la</strong> corte di Berengario II al ritorno dal<strong>la</strong> missione a<br />

Bisanzio nel 950. Infatti, come rive<strong>la</strong> lo stesso titolo dell’opera, Liutprando intende restituire<br />

il male ingiustamente ricevuto da Berengario, senza dimenticare peraltro lo stimolo a<br />

comporre un’opera su imperatori e re di tutta Europa derminato da un suo incontro a<br />

Francoforte col vescovo spagnolo ambasciatore del califfo di Cordoba nel 956. La<br />

preponderanza del motivo polemico, comunque, è confermata anche dal<strong>la</strong> conclusione<br />

dell’Antopodosis che viene volutamente troncata dall’autore per alludere all’interruziona del<br />

suo ruolo politico presso Berengario II 606 .<br />

La <strong>storia</strong>, pertanto, negli scritti di Liutprando, diviene racconto del<strong>la</strong> memoria ed assume<br />

una dimensione contemporanea che sfocia spesso nell’autobiografico. Significativo in questo<br />

senso è anche l’abbandono del<strong>la</strong> schema annalistico e del modello di una <strong>storia</strong> universale<br />

applicati invece da Reginone, inscrivibile nel<strong>la</strong> nuova tendenza di sviluppo dell’aspetto<br />

letterario e memorialistico del<strong>la</strong> narrazione storica del X secolo. Il consapevole venir meno di<br />

ogni pretesa di oggettività si traduce nelle pagine di Liutprando in una crudezza sconosciuta<br />

al<strong>la</strong> storiografia carolingia. Elemento che comunque non inficia <strong>la</strong> presenza di una concezione<br />

complessiva del<strong>la</strong> <strong>storia</strong> dominata e rego<strong>la</strong>ta dal<strong>la</strong> violenza, dall’astuzia e dal<strong>la</strong> smania di<br />

potere nei rapporti personali e politici piuttosto che dal<strong>la</strong> nobiltà dello spirito e delle grandi<br />

gesta umane o dall’ispirazione e dal<strong>la</strong> guida divina. La concezione del<strong>la</strong> <strong>storia</strong> di Liutprando è<br />

sostanzialmente antiepica e <strong>la</strong> sua scrittura costituisce una sorta di presa di coscienza<br />

dell’irrazionalità del divenire storico 607 .<br />

Lo vediamo proprio nel<strong>la</strong> questione che provoca i contrasti e le difficoltà del<strong>la</strong> situazione<br />

italiana: <strong>la</strong> successione al trono francese. Infatti, in seguito al<strong>la</strong> divisione dei regni, mentre<br />

Arnolfo combatte in Moravia, Guido di Spoleto e Berengario I, si accordano per salire il<br />

primo sul trono francese, il secondo su quello italiano. Guido ha <strong>la</strong> possibilità di arrivare al<br />

trono di Francia grazie al<strong>la</strong> minore età, sette anni, di Carlo il Semplice, figlio di Carlo il Calvo<br />

603 Su Liutprando da Cremona e sul<strong>la</strong> sua opera storica complessiva rinviamo a Liutprando da Cremona, Italia<br />

e Bisanzio alle soglie dell’anno mille, a cura di Massimo Oldoni e Pierangelo Ariatta, Novara, Europia, 1987, in<br />

particolre cfr. l’Introduzione critica di Massimo Oldoni, pp. 7-35 e a Tutte le opere (<strong>la</strong> restituzione, le gesta di<br />

Ottone I, La re<strong>la</strong>zione di un’ambasceria a Costantinopoli 891-969) di Liutprando da Cremona, a cura di<br />

Alessandro Cutolo, Mi<strong>la</strong>no, Bompiani, 1945 vedi in special modo l’introduzione del curatore, pp. 7-43 e id.,<br />

Introduzione a Tre cronache medievali. Vite di Carlo Magno, Berengario II, Federico Barbarossa (742-1168),<br />

Mi<strong>la</strong>no, Bompiani, 1943, pp. 9-29, in partico<strong>la</strong>re pp. 16-24; inoltre cfr. anche Repertorium fontium hi<strong>storia</strong>e<br />

medii aevi, primum ab Augusto Potthast digestum nunc cura collegii historicorum e pluribus nationibus<br />

emendatum et auctum, Romae, MCMXCVII, apud Instituto storico italiano per il Medio Evo, in partico<strong>la</strong>re vol.<br />

VII, pp. 306-309.<br />

604 In proposito rinviamo a G. Costa, Le antichità germaniche, cit., p. 56 e soprattutto a G. Kirner, Sul<strong>la</strong> <strong>storia</strong><br />

d’Europa, cit., pp. 8-9 e 13-18.<br />

605 G. Kirner, Sul<strong>la</strong> <strong>storia</strong> d’Europa, cit., in partico<strong>la</strong>re p. 14.<br />

606 Sui motivi di composizione dell’Antopodosis e in partico<strong>la</strong>re sul<strong>la</strong> forza dell’intento polemico dell’autore<br />

vedi in Liutprando da Cremona, cit., nell’Introduzione, cit., pp. 9-13 e 16-27; cfr. inoltre Tutte le opere, cit.,<br />

nell’introduzione, cit., pp. 9-11.<br />

607 Vedi New Cambridge Medieval History, cit., vol. III, pp.206-207, inoltre cfr. anche Letteratura <strong>la</strong>tina e<br />

medievale, cit., pp. 167-169.<br />

106


e legittimo re francese 608 . Tuttavia, i nobili francesi assegnano il trono d’oltralpe al reggente<br />

del regno: il conte Oddone. La motivazione ufficiale di questa decisione viene indicata nel<strong>la</strong><br />

minaccia normanna ma il Giambul<strong>la</strong>ri propone anche una motivazione alternativa ricavata da<br />

Liutprando. Dal<strong>la</strong> sua Antopodosis, del resto, letta nell’edizione basileese del 1532 stampata<br />

da Hervagius 609 (quel<strong>la</strong> in cui si trova anche l’Epitome di Wimpheling) il canonico<br />

<strong>la</strong>urenziano trae il racconto del tradimento consumato da Guido nei confronti di Berengario a<br />

cui decide di strappare militarmente <strong>la</strong> corona d’Italia appena ottenuta:<br />

“<strong>la</strong>onde i predetti duoi principi…convennero<br />

che Berengario occupasse il regno di Italia, e<br />

Guido…si coronasse di Francia…Partitosi<br />

dunque da Roma Guido, e condottosi già oltre<br />

a’ monti: scontrò gli oratori franzesi, che li<br />

par<strong>la</strong>rono in questa guisa:<br />

“La necessità…ha costretto i vostri<br />

Franzesi,[…]vedendo il pericolo sì da vicino,<br />

e <strong>la</strong> V. E. tanto lontana, giudicando che ogni<br />

minima di<strong>la</strong>zione grandemente potesse<br />

nuocere, elessero finalmente a cotanto grado<br />

il nobilissimo conte… Oddone.” […] 610<br />

Così dissero gli ambasciatori. Ma Liutprando<br />

da Pavia, assegnando un’altra cagione del<br />

non essere stato accettato Guido al regno di<br />

Francia, dice che essendo egli già vicino al<strong>la</strong><br />

città di Metz città del<strong>la</strong> Lotteringhia, e<br />

mandando avanti il suo vivandiere a<br />

provvedere il vitto reale, e ordinandogli il<br />

Vescovo del<strong>la</strong> città assai numero di vivande,<br />

come costumano sempre i Francesi, colui che<br />

molto più pensava forse a se stesso che al suo<br />

signore disse al vescovo “se mi è donato pure<br />

un cavallo, io farò che il re Guido starà<br />

contento al<strong>la</strong> terza parte di questa roba.” Il<br />

vescovo udita questa proposta e turbatosene<br />

gravemente, disse, non esser cosa da<br />

sopportarsi che e’ fusse mai re di Francia chi<br />

si contentava d’una vil cena di dieci scudi. Il<br />

che tra gli altri signori divulgatosi,<br />

disprezzando essi il continente vivere di<br />

Guido, si gittarono tutti a Oddone, e lo<br />

coronarono, come è detto. Guido, trovandosi<br />

in un tempo medesimo escluso di duoi reami,<br />

cioè dello Italico, già <strong>la</strong>sciato al re<br />

“Vuido…Roma profectus est, et absque<br />

Francorum consilio totius Franciae<br />

unctionem suscepit imperij. Franci itaque<br />

Odonem, quoniam Vuido aberat, regem<br />

constituunt. Berengarius vero Vuidonis<br />

consilio, queadmodum ei iure iurando<br />

promiserat, Italici regni suscepit imperium.<br />

Vuido aut Franciam petit. Quumque<br />

Burgundionum regna transiens, Franciam<br />

quam Romanam dicunt ingredi vellet,<br />

Francorum nuncij ei occurunt, se redire<br />

nunciantes, eoque longa expectatione<br />

fatigati, dum sine rege esse diutius non<br />

possent, Odonem cunctis petentibus<br />

elegerunt. Fertur aut hac occasione Francos<br />

Vuidonem regem sibi non assumpsisse. Nam<br />

dum ad Metensem venturus esset urbem,<br />

quae potentissima in regno Lotharij c<strong>la</strong>ret,<br />

praemisit dapiferum suum qui alimenta illi<br />

more regio praepararet. Metensis vero<br />

episcopus, dum cibaria ei multa secundum<br />

Francorum consuetudinem ministraret,<br />

huiusmodi responsa a dapifero suscepit. Si<br />

equum saltem mihi dederis, faciam ut tertia<br />

obsonij huius parte sit rex Vuido contentus.<br />

Quod episcopus audiens: Non decet, inquit,<br />

talem super nos regnate regem, qui decem<br />

drachmis vile sibi obsonius praeparat.<br />

Sicque factum est, ut Vuidonem desererent,<br />

Odonem autem eligerent. Francorum igitur<br />

legationibus non parum rex Vuido<br />

perturbatus, nonnullis coepit cogitationibus<br />

aestuare, tam ex Italico regno Berengario<br />

iure iurando promisso, quam ex Francorum,<br />

praesertim quod penitus illud se non posse<br />

608 Storia d’Europa, cit., p. 40 in cui leggiamo a testimonianza del<strong>la</strong> volontà dell’autore di evidenziare <strong>la</strong><br />

decadenza carolingia, <strong>la</strong> ripetizione di fatti già menzionati in una valutazione più complessiva e negativa :<br />

“Successe ancora <strong>la</strong> coronazione e deposizione di Carlo il Grasso nel<strong>la</strong> Germania, e <strong>la</strong> sublimazione di Arnolfo<br />

da noi detta su nel principio. Le quali cose indebolirono tanto lo Imperio, che <strong>la</strong> Francia appartatasi in tutto da<br />

<strong>la</strong> Germania, si restò sotto Oddone tutore del pupillo con que’ travagli che ni diremo, e <strong>la</strong> Italia rimase sciolta,<br />

senza freno o governo alcuno.”<br />

609 Liuthprandi Ticinensis ecclesiae levitae, rerum ab Europae Imperatoribus ac regibus gestarum, hi<strong>storia</strong>e in<br />

Vuitichindi saxonis, cit., pp. 218t1-314d1.<br />

610 Il discorso degli ambasciatori francesi in risposta alle pretese avanzate da Guido al trono di Francia è<br />

fittiziamente introdotto dal Giambul<strong>la</strong>ri.<br />

107


Berengario, e del Francese, che se n’aveva<br />

creato un altro, dop un lungo contrasto tra sé<br />

medesimo, si risolvette pur finalmente a voler<br />

più tosto mancar di fè, che di regno; e non<br />

potendo sforzar <strong>la</strong> Francia, dove non aveva<br />

gente da guerra nè giusto titolo da<br />

insegnorirsene non essendo de’l sangue regio,<br />

se ne tornò a giornate grandi, e più segreto<br />

che fu possibile, a lo antico ducato suo. Quivi,<br />

con somma prestezza, posto insieme uno<br />

esercito de’ suoi Spoletini e Camerinensi, e<br />

degli altri che sotto speranza di guadagnare si<br />

arrecarono a suo servizio, uscì gagliardo in su<br />

<strong>la</strong> campagna a <strong>la</strong> volta di Berengario; il quale<br />

con quelle genti che aver potette in tumulto sì<br />

repentino, venutoli incontro su’l fiume<br />

Trebbia, cinque miglia presso a Piacenza, fu a<br />

giornata con esso lui. La battaglia fu<br />

sanguinosa, e da l’una e da l’altra parte<br />

morirono molti; ma pur Guido restò vincente.<br />

Berengario, non avendo per questo perduto lo<br />

animo, rifatto subitamente esercito nuovo,<br />

ancora che di gente assai manco pratico che<br />

<strong>la</strong> <strong>prima</strong>, ne’ <strong>la</strong>rghissimi campi di Brescia<br />

ritornò fra non molti giorni a battaglia contro<br />

di Guido. Ma per <strong>la</strong> contraria fortuna sua,…fu<br />

…rotto e cacciato…Laonde…ritiratosi in<br />

luogo salvo, mandò per soccorso nel<strong>la</strong><br />

Germania a’l potentissimo re Arnolfo… ” 611<br />

sciverat adipisci. Inter utraque autem<br />

aestimationem quoniam Francorum rex esse<br />

nequibat, frangere quod Berengario fecerat<br />

iusiurandum deliberat: collectoque prout<br />

potuit exercitu, traxerat sane et a Francis<br />

quandam affinitatis lineam. Italiam que<br />

concite ingressus, Camerinos et Spoletinos<br />

fiducialiter ut propinquos adijt. Berengarij<br />

etiam partibus faventes, ut infidos<br />

pecuniarium gratia acquirit: itaque<br />

Berengario bellum parat. Copijs denique<br />

utraque ex parte collectis, iuxta flumine<br />

Terviam, qui quinque a P<strong>la</strong>centia miliarijs<br />

distat, civile bellum parant, in quo quum<br />

partibus ex utrisque caderent multi,<br />

Berengarius fugam petijt tiumphum Vuido<br />

obtinuit. Nec mora, diebus paucis<br />

interpositis, collecta Berengarius<br />

multitudine, in Brixiae <strong>la</strong>tissimos campos<br />

Vuidoni bellum parat: ubi quum maxima<br />

strages fieret, fuga sese Berengarius<br />

liberavit.<br />

Berengarius Arnulfum in auxilium<br />

pollicitationibus pellicit in Guidonem, qui<br />

quum alteram fluvij ripam teneret...” 612<br />

A causa dei rovesci militari subiti da Guido, Berengario è costretto chiedere aiuto ad<br />

Arnolfo. Anche in questo frangente, Giambul<strong>la</strong>ri fa pronunciare agli ambasciatori del re<br />

d’Italia un discorso fittizio. Elemento che indica l’importanza del momento in questione.<br />

Infatti, a più riprese viene posta in risalto l’esigenza di uno stretto rapporto tra Italia e Impero,<br />

con <strong>la</strong> funzionale e netta subalternità del<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong> all’autorità cesarea germanica, secondo <strong>la</strong><br />

trans<strong>la</strong>tio imperii realizzata da Carlo Magno:<br />

“Così nacque il regno di Italia, così lo fondò Carlo Magno, non per emolo mai dello<br />

Imperio, né per grado che avesse a nuocerli; ma solo perché <strong>la</strong> Maestà Imperiale, dovunche<br />

el<strong>la</strong> si ritrovasse, avesse in quel<strong>la</strong> provincia un luogo tenente potentissimo, un ministro<br />

fidatissimo ed uno esecutore paratissimo in tutte le cose che occorressimo, per servizio,<br />

comodo o utile del<strong>la</strong> sacra santa corona Augusta.” 613<br />

Anzi, proprio a rafforzare l’imprescindibilità di questo connubio, Guido viene accusato di<br />

ambire al<strong>la</strong> corona augustea. Colpire l’Italia, significa dunque minare l’assetto imperiale<br />

stesso nel<strong>la</strong> sua più intima essenza e solidità:<br />

“Per questo, per questo solo, invittissimo Cesare, si trova ora l’Italia in tumulto; per questo<br />

conturba Guido <strong>la</strong> sua santa pace, sollieva i popoli, assalta le terre, e le campagne tinge di<br />

611 Storia, cit., passi riportati alle pp. 40-43.<br />

612 Liuthprandi, cit., passo alle pp. 226t5-227t6.<br />

613 Storia, cit., passo a p. 44.<br />

108


sangue: per questo, co’l ferro e co’l fuoco perseguita egli il fidelissimo Berengario. Il quale<br />

da così fiero nimico assalito improvvisamente, se bene ha due volte ceduto allo impeto, e<br />

sottratto sé dal<strong>la</strong> forza, non ricorre però ad altri, né ad altri dimanda aiuto, che a voi solo,<br />

Cesare invitto.” 614<br />

Passaggi dunque che se letti in filigrana esprimono chiaramente <strong>la</strong> line afiloasburgica del<br />

Giambul<strong>la</strong>ri, indirettamente rafforzata anche dal profilo geografico del<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong> italiana<br />

tracciato, dopo aver dato notizia, sul<strong>la</strong> falsariga di Liutprando, del<strong>la</strong> decisione di Arnolfo di<br />

intervenire inviando in Italia il figlio Suembaldo:<br />

“…Arnolfo[…]mandò al<strong>la</strong> volta d’Italia un<br />

suo figliuolo naturale, che per averlo tenuto a<br />

battesimo lo scacciato re de’ Moravi, si<br />

chiamava egli ancora Suembaldo, e con lui<br />

una grossa massa di esercito, che si condusse<br />

fino a Pavia.” 615<br />

“Huius p<strong>la</strong>ne tantae promissionis gratia<br />

accitus rex Arnulfus filium suum<br />

Zuventebaldum quem ex concubina genuerat,<br />

valido cum exercitu, huius in auxilium dirigit,<br />

veneruntque pariter omni sub densitate<br />

Papiam. ” 616<br />

In proposito Giambul<strong>la</strong>ri ricorre all’Italia illustrata 617 dell’umanista forlivese F<strong>la</strong>vio<br />

Biondo 618 , utilizzando<strong>la</strong> però in modo limitato. L’umanista forlivese, del resto, considera il<br />

MedioEvo (che va dal sacco di Roma compiuto dai Vandali nel 410 d. C., al 1410) un<br />

millennio di completo dissolvimento politico-culturale e respinge decisamente l’idea del<strong>la</strong><br />

trans<strong>la</strong>tio imperii in Germania, e non crede al<strong>la</strong> sua sopravvivenza moderna. Il suo tentativo<br />

di recuperare una sorta di ideale continuità storico-culturale tra <strong>la</strong> rinascita politico-culturale<br />

prodotta dall’Umanesimo italiano e <strong>la</strong> grandezza imperiale rispetto al<strong>la</strong> terribile cesura<br />

rappresentata dal Medioevo, in appoggio al<strong>la</strong> politica perseguita dal pontefice Eugenio IV,<br />

non può certamente trovare d’accordo il Giambul<strong>la</strong>ri.<br />

Peraltro, nonostante le sue posizioni generali, il Biondo con <strong>la</strong> sua celebrazione italica<br />

influenza profondamente molti umanisti tedeschi come il Celtis che, per <strong>la</strong> sua Germania<br />

illustrata, ne ricava molte suggestioni pur sviluppandole evidentemente in tutt’altra<br />

direzione 619 .<br />

Giambul<strong>la</strong>ri dunque ne accoglie solo le notazioni geografiche e <strong>la</strong> celebrazione del glorioso<br />

passato italico ma secondo una prospettiva sostanzialmente capovolta, in quanto privata di<br />

ogni speranza o velleità di risurrezione politica attinente all’età presente, venti<strong>la</strong>ta invece dal<br />

Biondo. Infatti, il canonico <strong>la</strong>urenziano, proposte alcune notazioni geografiche:<br />

“Giace dunque <strong>la</strong> Italia, come una foglia<br />

quasi di quercia, tra il levante del<strong>la</strong> vernata e<br />

il mezzo giorno; e da tre bande cinta dal<br />

mare, Adriatico, Ionio, e il Tirreno, confina<br />

solo…a tramontana con <strong>la</strong> Germania,<br />

“Unde Italia…duerno folio adsimilis mari<br />

genuino maxima parte cingitur: quod ab<br />

oriente Adriatico…et a meridie occasuque<br />

Tyrrheno…abluitur, qua vero in<br />

septentrionem vergit, montes altissimi alpes<br />

614 Ivi, passo a p. 45.<br />

615 Ibidem.<br />

616 Liuthprandi, cit., passo a p. 227t6.<br />

617 B<strong>la</strong>ndii F<strong>la</strong>vii forliviensis de Roma Triumphante libri X, Romae instauratae libri III, Italia illustrata,<br />

Hi<strong>storia</strong>rum ab inclinato Romanorum imperio Deca III, Basileae 1531.<br />

618 Sul quale rinviamo preliminarmente al<strong>la</strong> voce Biondo F<strong>la</strong>vio, di R. Fubini, in DBI, vol. X, Roma, 1968, pp.<br />

536-559.<br />

619 Sul<strong>la</strong> storiografia di F<strong>la</strong>vio Biondo si rinvia a E. Cochrane, Historans and Historiography, cit., pp. 36-40,<br />

cfr. inoltre G. Costa, Le antichità germaniche, cit., pp. 19-31 e p. 44; inoltre sul sostegno fornito dal Biondo al<strong>la</strong><br />

politica di Eugenio IV cfr. anche E. Marino, Eugenio IV e <strong>la</strong> storiografia di F<strong>la</strong>vio Biondo, in “Memorie<br />

Domenicane”, 1973 (IV), pp. 241-287, in partico<strong>la</strong>re vedi pp. 252-270 e sull’influenza esercitata in seno<br />

all’umanesimo tedesco e su Konrad Celtis vedi J. Ridè, Un grand projet patriotique, cit., cfr. in partico<strong>la</strong>re pp.<br />

101 e 105-109.<br />

109


mediante però le montagne altissime ed<br />

aspre, che (secondo che pone il Biondo)<br />

francescamente si chiamano Alpi. La sua<br />

lunghezza maggiore da’l Varo fiumara del<strong>la</strong><br />

Provenza, insino a Reggio di Ca<strong>la</strong>bria,<br />

secondo i moderni scrittori, è<br />

novecentoventicinque miglia; ancorché il<br />

Biondo e il Volterrano, seguendo in ciò gli<br />

autori antichi, <strong>la</strong> ponghino da Saluzzo ad<br />

Otranto, passando però da Capua, quasi<br />

cento miglia più lunga. E <strong>la</strong> <strong>la</strong>rghezza dove è<br />

più ampia, cioè da’l predetto fiume Varo sino<br />

al<strong>la</strong> riva dell’Arsia, modernamente chiamata<br />

Limino, che a levante <strong>la</strong> divide da gli<br />

Schiavoni, andando per le radici sempre delle<br />

Alpi, è cinquecento e settanta miglia; se bene<br />

in tutto il restante non arriva mai a dugento;<br />

ma il giro, o vogliamo dire circuito o<br />

accerchiamento dei liti suoi, trapassa di poca<br />

cosa dumi<strong>la</strong> cinquecento e cinquanta miglia.<br />

Divide<strong>la</strong> per lo lungo tutta il continovato<br />

monte Apenino, il quale, come <strong>la</strong> spina quasi<br />

ne’ pesci, partendosi da’l capo di quel<strong>la</strong><br />

vicino a Nizza e a’l fiume Varo in su ‘l mare<br />

di sotto, se ne va dirittamente quasi in<br />

Ancona, come se e’ volesse passare nel mare<br />

Adriatico. Ma non però si conduce a quello;<br />

anzi rivoltandosi quindi, e ritirandosi verso il<br />

mezzo, se ne va insino a’l Faro di<br />

Messina…” 620<br />

lingua Gallica a celsitudine dicti…Longitudo<br />

eius ab alpino sinu praetoriae Augustae ad<br />

Hydruntum decies centena viginti milia<br />

extenditur: <strong>la</strong>titudoubi est amplior a Varo ad<br />

Arsiam quingenta, et quadraginta: et circa<br />

urbem Romam ab ostijs Aterni nunc piscariae<br />

in hadriaticum defluentis, ad tiberina ostia<br />

centum et vigintisex milia, totusque ambitus a<br />

Varo ad Arsiam tricies centena et insuper<br />

triginta octomilia complectitur. Habet Italia<br />

dorsum et seu in piscibus esse videmus a<br />

capite in infimam partem spine formam,<br />

Appeninum, qui mons ex alpibus qua ab<br />

infero mari recedunt oriundus, cum recto<br />

propemodum cursu Anconae<br />

urbi…appropinquavit, in mare superum ferri<br />

et ibi finiri videtur. Et tamen inde rursus ab<br />

eo mari recedens per mediam Italiam in<br />

brutios ac siculum fretum fertur.” 621<br />

riporta le lodi rivolte all’Italia nel I secolo dopo Cristo, cioè nel<strong>la</strong> fase di massimo splendore<br />

imperiale del<strong>la</strong> <strong>storia</strong> romana, da autori come Virgilio e Plinio “il vecchio”, registrate dal<br />

Biondo. Il canonico <strong>la</strong>urenziano rimarca in questo modo, quasi in implicita polemica con <strong>la</strong><br />

grandezza romano-papale fuse idealmente nel<strong>la</strong> prospettiva del Biondo, che pure il suo Gello<br />

ha trattato dell’origine del<strong>la</strong> <strong>storia</strong> italiana:<br />

“Questa bel<strong>la</strong> e ricca provincia, sì celebrata<br />

dagli scrittori e da Virgilio, e da Plinio<br />

massimamente, non ha bisogno delle mie lodi<br />

né ch’io racconti le doti sue …avendo già<br />

dimostrato l’antichissima origine sua nel mio<br />

Gello… ” 622<br />

“Italiam descrivere exarsi, Provinciarum<br />

orbis <strong>prima</strong>riam a <strong>la</strong>udibus suis inciper<br />

debemus, quod quidem pro amp<strong>la</strong> parataque<br />

materia tam faciliter quam libenter<br />

fecissimus, ab eximio poeta Virgilio et post a<br />

Plinio Veronense.” 623<br />

D’altra parte, <strong>la</strong> menzione del Gello appare significativa, sia perchè a livello temporale<br />

indica che nel<strong>la</strong> composizione del<strong>la</strong> Storia ci troviamo oltre il 1546, sia in quanto sottolinea<br />

esplicitamente un diretto nesso storiografico istituito tra questa e il Gello.<br />

620 Storia, cit., passo alle pp. 46-47.<br />

621 Italia illustrata, cit., passo alle p. 293bb3.<br />

622 Storia, cit., passo a p. 47.<br />

623 Italia illustrata, cit., passo a p. 294bb3.<br />

110


Il motivo del<strong>la</strong> presente decadenza italiana si esplicita ulteriormente nel successivo<br />

passaggio che evidenzia il grande decremento urbano verificatosi rispetto al periodo<br />

imperiale, <strong>la</strong> cui floridezza anche urbana per contrasto viene documentata attraverso il<br />

giudizio di Eliano, autore del II secolo d. C.. Nonostante il Giambul<strong>la</strong>ri richiami<br />

esplicitamente il Biondo, sembra essersi basato a livello di col<strong>la</strong>zione piuttosto ad un passo<br />

dei Commentarii 624 del Volterrano:<br />

“Dirò ben so<strong>la</strong>mente questo con Eliano, che<br />

e’ non fu mai regione alcuna sì frequentata di<br />

abitatori, per <strong>la</strong> fertilità de’l terreno, per<br />

l’abbandonza delle acque, per <strong>la</strong> comodità<br />

dei porti, per <strong>la</strong> mansuetudine degli uomini e<br />

per <strong>la</strong> benignità de gli ingegni, che di gran<br />

lunga non ceda a questa. Nel<strong>la</strong> quale<br />

(secondo che’ dice) furono anticamente mille<br />

cento sessantasei città; se bene Iginio le pone<br />

settecento, e il Biondo afferma che nel suo<br />

tempo non passavano cento sessant’otto. Il<br />

che è verissimo indizio delle ca<strong>la</strong>mità che el<strong>la</strong><br />

ha sostenuto: con ciò sia che, armando el<strong>la</strong><br />

già per se so<strong>la</strong>, senza le genti di là da Po, in<br />

uno de’ tumulti Gallici, ottantami<strong>la</strong> cavalli e<br />

settecentomi<strong>la</strong> pedoni, se <strong>la</strong> unissimo ora<br />

tutta insieme, non ne farebbe pur forse il<br />

terzo.[…] A’ Romani, che lungamente <strong>la</strong><br />

dominarono, successero i Visegotti; a costoro<br />

gli Unni; a gli Unni gli Eruli; a gli Eruli gli<br />

Ostrogoti; a questi i Greci, ed a’ Greci i Re<br />

Longobardi, che <strong>la</strong> divisero in quattro ducee,<br />

Frigoli, Toscana, Spuleto e Benevento; non<br />

contando in esse Pavia, che era capo di tutto<br />

il regno. Abbattuti, anzi pur soggiogati questi<br />

ultimi dal vittoriosissimo Carlo Magno, si<br />

ridivise il dominio del<strong>la</strong> male arrivata Italia<br />

tra i duoi imperj orientale e Occidentale…” 625<br />

“Aelianus quoque de varia i<strong>storia</strong> sic ait,<br />

Italiam multi incoluere, nec ul<strong>la</strong> magis terra<br />

frequentata, quod ob terrae foecunditatem,<br />

aquarum adfluentiam, maris commoditatem,<br />

portuum dispositionem, praeterea hominum<br />

mansuetudinem, civiumque humanitatem,<br />

caeteris regionibus antecel<strong>la</strong>t. Fuereque<br />

antiquitus in ea civitates mille centum<br />

sexaginta sex: haec ille. Hyginus autem eas<br />

septingentas tantum fuisse scribit. Plinius<br />

adeo frequentem, ut nunciato Gallico tumultu,<br />

so<strong>la</strong> exteris aut transpadanis octuaginta<br />

equitum peditum vero septigenta milia<br />

armaverit. 626 […]Ad recentiora veniam: cum<br />

subiugata a Romanis sociorum nomine<br />

degnata est[…]. Deinde variarum gentium<br />

barbari, Eruli, Hunni, Gothi, Avari,<br />

Longobardi, Saraceni, Pannonij<br />

irruere…Expulsis Gothis Exarchus regebat<br />

Italiam, postremo Longobardi rerum potiti, in<br />

quatuor ducatus eam divisere: Foroiulij,<br />

Hetruriae, Beneventi, Spoleti, Ticini, ubi<br />

etiam regia costituta, usque ad Carolm<br />

Magnum qui primum tempore res coepit<br />

resipiscere.” 627<br />

624 Commentariorum urbanorum Raphaelis vo<strong>la</strong>terrani, octo et triginta libri, accuratius quam antehac excusi,<br />

cum duplici eorundem indice secundum Tomos collecto. Item Oeconomicus Xenophontis, ab eodem <strong>la</strong>tio<br />

donatus, Basileae, in officina frobeniana, Anno MDXXX.<br />

625 Storia, passo alle pp. 47-48.<br />

626 Passaggio molto simile quello del Giambul<strong>la</strong>ri a questo del Maffei in Commentariorum, cit., a p. 29e5 fino a<br />

questo punto, peraltro simile a quello del Biondo, anche se, il passo di quest’ultimo presenta un ordine inverso, e<br />

numeri sulle città complessive leggermente diversi rispetto a quelli presentati dal Volterrano, i quali coincidono<br />

perfettamente invece con quelli del Giambul<strong>la</strong>ri, che ha probabilmente seguito in modo prevalente il Maffei.<br />

Infatti, leggiamo nell’Italia illustrata, cit., a p. 294bb3: “Nunciato gallico tumultu so<strong>la</strong>m sine auxilijs ex tenorum<br />

atque tunc sine ullis transpadanis, equitum triginta, peditum octaginta milia armasse. Nostra vero huius<br />

temporis Italia…non dubitamus quin difficile sit futurum si tertiam quis partem conatus fuerit ita<br />

armare…Quanta autem sit facta locorum mutatio hinc etiam apparet, quod Iginius de urbibus Italiane<br />

scripsit…Septingentas fuisse Italie civitates. Nos vero nunc Romanae ecclesiae stilum secuti facta per singu<strong>la</strong>s<br />

regiones diligenti enumeratione sexaginta quatuor supra ducentas tantummodo inverimus…”.<br />

627 Ibidem.<br />

111


Del resto, Il motivo del<strong>la</strong> decadenza italiana, nonostante un’ottica prevalentemente<br />

romanocentrica per quanto assai critica verso <strong>la</strong> mondazzazione del<strong>la</strong> chiesa moderna, è ben<br />

presente in tutta l’ opera storiografica del Volterrano. 628<br />

Pertanto <strong>la</strong> raffigurazione del<strong>la</strong> situazione italiana conferma <strong>la</strong> posizione filoasburgica del<br />

Giambul<strong>la</strong>ri, come conferma inequivocabilmente il seguente periodo non privo di echi<br />

danteschi e direttamente allusivo all’Europa cinquecentesca:<br />

“La predetta divisione si mantenne poi lungamente, e sin quasi a’ tempi che noi scriviamo.<br />

Ne’ quali <strong>la</strong> bellissima Donna delle provincie, divenuta preda a cotanti barbari che<br />

successivamente ci hanno regnato, mercè del<strong>la</strong> folle discordia de’ suoi figliuoli, sempre è<br />

giaciuta nelle miserie, e vi si giace fino a di’ nostri.” 629<br />

Risuonano appunto le parole pronunciate da Sordello da Goito sul<strong>la</strong> condizione italiana, nel<br />

sesto canto del Purgatorio 630 . Ulteriore non trascurabile traccia del ghibellinismo del<br />

Giambul<strong>la</strong>ri, visto il luogo dantesco scelto. In ognuna delle tre cantiche infatti, il sesto canto<br />

rappresenta il luogo deputato all’espressione delle concezioni politiche del poeta. Dante<br />

d’altra parte, come noto a tutti, attraverso l’invettiva dell’illustre mantovano, evidenzia lo<br />

stato di asservimento e corruzione che ha contaminato l’Italia, vittima delle lotte intestine e<br />

priva dell’ordine garantito dal<strong>la</strong> presenza e dal<strong>la</strong> forza dell’autorità imperiale 631 , in perfetta<br />

consonanza con le tesi sostenute fino a questo punto dal canonico <strong>la</strong>urenziano.<br />

Esaurito questo quadro storico-politico sul<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong>, il Giambul<strong>la</strong>ri ritorna allo scontro tra<br />

Berengario e Guido, a cui partecipa anche il figlio di Arnolfo che attraversa le Alpi. Tuttavia i<br />

combattimenti non hanno l’esito sperato e Suembaldo ripara al di là delle Alpi insieme a<br />

Berengario <strong>la</strong>sciando Guido padrone del campo, secondo quanto Giambul<strong>la</strong>ri riporta sul<strong>la</strong><br />

scorta di Liutprando:<br />

“…il re Guido, e co’ pali ascosi nel<strong>la</strong> acqua e<br />

con le genti in su <strong>la</strong> riviera, aveva munito in<br />

guisa il Tesino, che <strong>la</strong> forza non ci aveva<br />

luogo…essendo massimamente assai manco<br />

pericoloso lo intrattenersi, che lo arrischiarsi<br />

ad una giornata. Stettero adunque gli eserciti<br />

a riscontro l’uno dell’altro circa a tre<br />

settimane o meglio, senz amai venire alle<br />

mani, salvo piccole scaramucce. Con le quali<br />

tentandosi pure qualche volta, accadde che<br />

nu cavagliero bavaro de lo esercito di<br />

Suembaldo, assuefattosi a chiamare ogni<br />

giorno gli Italiani poltroni e dappochi nel<br />

maneggiare i cavalli da guerra, per non aver<br />

trovato chi sino a quivi gli rispondesse, si<br />

aveva preso molto più animo che le sue forze<br />

non comportavano: per il che presumendo<br />

“Vuido vero ita fluviolum qui Papiam alluit,<br />

Verva( o verua) volum nomine, tam<br />

sudibusque exercitu munierat, quatenus<br />

altera alteram ipso medio discurrente, pars<br />

partem oppugnare nequiret. Unus et<br />

vicesimus dies transierat, quum sicut<br />

praediximus, altera pars alteri noceri non<br />

posset, et Baioariorum unus quotidie<br />

agminibus exprobans Italorum, imbelles eos,<br />

atque equitandi inscios c<strong>la</strong>mabat. Ad<br />

augumentum etiam dedecoris inter eos<br />

prosilijt, hastamque uni ex manu excussit,<br />

sicque <strong>la</strong>etus in suorum castra repedavit.<br />

Hubaldus igit Bonifacij pater, qui post nostro<br />

tempore Camerinorum et Spoletinorum extitit<br />

marchio, tantum gentis suae cupiens dedecus<br />

vindicare, clypeo accepto, obviam mox<br />

628 In proposito rinviamo a J. D’Amico, Papal History and Curial Reform in Renaissance. Raffaele Maffei’s<br />

Brevis Hi<strong>storia</strong> of Julius II and Leo X, in Archivium Hi<strong>storia</strong>e Pontificiae 18, Roma, 1980, pp. 157-210 ora con<br />

<strong>la</strong> stessa numerazione in id., Roman and German Humanism, inoltre cfr. E. Cochrane, Hi<strong>storia</strong>ns and<br />

Historiography, cit., pp. 49-50.<br />

629 Storia, cit., p. 49.<br />

630 D. Alighieri, La Divina Commedia. Purgatorio, cit., passo alle pp. 64-65, versi 76-78, inoltre su Sordello da<br />

Goito, ivi, cfr. <strong>la</strong> nota 74 alle pp. 63-64.<br />

631 Ivi, in proposito cfr. le note 76-78, vedi inoltre sul<strong>la</strong> politicità del sesto canto del Purgatorio soprattutto in<br />

re<strong>la</strong>zione al sesto canto del Paradiso, G. Arnaldi, Il canto di Giustiniano, in “La Cultura”, II, 2002, pp. 211-220,<br />

in partico<strong>la</strong>re pp. 218-220.<br />

112


molto di sé medesimo, fece impeto un dì ne gli<br />

Spuletini de’l re Guido, e tolto l’asta di mano<br />

a uno, si tornò salvo a <strong>la</strong> banda sua. Di<br />

questo atto gloriandosi i Bavari sopra a<br />

modo, e con essi tutto lo esercito di<br />

Suembaldo, e dispregiandone gli Italiani, non<br />

potè sopportarlo Ubaldo, padre di quel<br />

Bonifazio, che negli anni seguenti fu fatto<br />

marchese di Camerino, anzi, per recuperare<br />

lo onore del<strong>la</strong> Italia, imbracciato lo scudo e<br />

sospinto il cavallo nel fiume chiamò il Bavaro<br />

ad alta voci, e drizzossi al<strong>la</strong> volta sua. Il<br />

Bavaro, da l’altra banda, superbo de lo onore<br />

acquistato, lo ricevette in su <strong>la</strong> riva, e<br />

correndoli subito incontro; quando fu vicino<br />

a’l colpirlo, volse le redini al suo cavallo;<br />

non per paura già che egli avesse né per altro<br />

sinistro sopravvenutogli, ma perché tenendosi<br />

buon maestro di questo gioco, voleva ferire lo<br />

avversario senza pericolo di sé medesimo,<br />

pensandosi che nel maneggiare il cavallo a<br />

più bande, e nello scherzarli quasi d’intorno<br />

con infiniti ruote e ritrosi, gli venisse fatto<br />

una volta di potergli colpire le spalle. Ma<br />

Ubaldo, che deliberatamente correva per<br />

combattere da cavaliero e non per gioco di<br />

armeggeria, sollecitando il suo con gli sproni,<br />

anzi cacciandolo con maggior fretta che<br />

quell’altro non si pensava, gli fu così tosto<br />

addosso con <strong>la</strong> punta del<strong>la</strong> sua <strong>la</strong>ncia, che<br />

avanti che e’ si volgesse, gli passò per le reni<br />

il cuore; e racquistato il cavallo di quello, se<br />

lo tirò dietro nel<strong>la</strong> fiumara, dove <strong>la</strong>sciando il<br />

cavaliere morto, ritornò lieto con <strong>la</strong> vittoria, e<br />

con gran festa fu ricevuto. Questa<br />

battaglia…acrebbe tanto lo ardire e <strong>la</strong><br />

audacia nello esercito del re Guido e ne tolse<br />

tanto a’ nimici, che i Germani, consigliatisi<br />

tra loro medesimi, accettate non so che<br />

paghe, se ne tornarono al di là da l’Alpi, e<br />

Berengario con esso loro.” 632<br />

praedicto Baioario tendit. Is aut triumphi<br />

praeteriti non solum non imemor, sed eo<br />

cactus audacior, seu de victoria iam secutus<br />

hunc contra properat <strong>la</strong>etus.Coepitque equum<br />

modo impetu vehementi dimittere, strictis<br />

modo habenis retrahere. Memoratus vero<br />

Hubaldus rectam eum coepit adire. Quum in<br />

eo esset, ut mutuis se figeret vulneribus, more<br />

solito Baioarius equo versili varios flexosque<br />

per anfractus coepit discurrere, quatenus<br />

argumentis possit Hubaldum decipere. Verum<br />

quum hac terga verteret, ut mox Hubaldum ex<br />

adverso percuteret, equus cui Hubaldus<br />

insederet, vehementer calcaribus tunditur, et<br />

per scapu<strong>la</strong>s antequam reverti posset,<br />

Baioarius <strong>la</strong>ncea ad cor usque perforatur.<br />

Hubaldus igitur freno Baioarij preripiens<br />

equum, ipsum in medio fluvioli alveo exutum<br />

homine reddidit: sicque suorum iniuriae ultor<br />

de triumpho ad suos redijt hi<strong>la</strong>rior. Hoc sane<br />

factum non mediocrem Baioarijs terrorem,<br />

Italicis audaciam intulit. Inito quippe Baioarij<br />

consilio, nonullisque Zuventebaldus a<br />

Vuidone argenti acceptis ponderibus in<br />

propria remeavit. Igitur Berengarius dum ubi<br />

prospera inimico, sibi adversa, prospiceret,<br />

cum Zuvetembaldo pariter Arnulfi regis adijt<br />

potentiam, orans ac pollicens, ut si ipsum<br />

adiuvaret, se totam Italiam, ut ante<br />

promiserat, ditioni eius suppositurum.” 633<br />

Berengario, oltrepassate le Alpi, anche per sollecitare un nuovo e più deciso intervento di<br />

Arnolfo nello scacchiere italiano, trova tuttavia, l’imperatore impegnato a intervenire nelle<br />

continue crisi provocate dall’elemento aristocratico nel regno di Francia. Risulta, pertanto,<br />

ulterioremente avvalorato il giudizio negativo di Reginone sul<strong>la</strong> scissione dell’impero in regni<br />

autonomi in cui prevalgono i contrasti e i partico<strong>la</strong>rismi dei ceti aristocratici e sul<strong>la</strong><br />

insostituibilità del<strong>la</strong> funzione di un’autorità imperiale effettiva. Infatti, il Giambul<strong>la</strong>ri, ricorre<br />

proprio all’abate di Prums, per raccontare <strong>la</strong> fase principale del<strong>la</strong> crisi francese innescata dal<strong>la</strong><br />

ribellione del nipote di Oddone e che vede l’intervento del tutto infruttuoso di Arnolfo, in<br />

632 Storia, cit., passo alle pp. 50-51.<br />

633 Liuthprandi, cit., passo alle pp. 227-228t6.<br />

113


precedenza incapace di sconfiggere definitivamente un altro insorto: il duca di Borgogna,<br />

Ridolfo, aspirante al titolo di re del<strong>la</strong> Lotaringia 634 :<br />

“Erasi in questi tempi medesimi ribel<strong>la</strong>to dal<br />

re Oddone il conte Gualtieri suo nipote, e gli<br />

aveva tolta per furto <strong>la</strong> città di<br />

Lione…Laonde venutosi Oddone a lo<br />

assedio…i cittadini che non amavano punto<br />

<strong>la</strong> guerra, diedero liberamente sé e <strong>la</strong> terra a<br />

lo arbitrio di esso re. Ed egli…non fece<br />

novitade alcuna a persona, salve che al suo<br />

nipote Gualtieri, al quale per deliberazione<br />

del Consiglio regio, fece pubblicamente<br />

tagliare <strong>la</strong> testa. Il che fatto, se ne andò…in<br />

Guascogna contra il conte Rannolfo, ed<br />

alcuni altri signori che non volevano stare<br />

sotto di lui. Ma non potette già<br />

espugnarli…anzi ve gli fu per tradimento<br />

nel<strong>la</strong> Badia di San Sisto ucciso il conte<br />

Megingando, amatissimo nepote suo. E <strong>la</strong><br />

maggior parte de’ principi, sollevati dallo<br />

arcivescovo Falcone e da’ conti Eriberto e<br />

Pipino, alzarono per re del<strong>la</strong> Francia Carlo<br />

il Semplice ancora pupillo, nato di Lodovico<br />

Balbo e del<strong>la</strong> regina Ade<strong>la</strong>ide dopo <strong>la</strong> morte<br />

del re suo padre[…]Arnolfo, tra tanti tumulti,<br />

venutosene nel<strong>la</strong> Baviera, e dato al suo<br />

Suembaldo molte cose de’l morto conte<br />

Megingando, passò il Reno e visitò <strong>la</strong> città<br />

del<strong>la</strong> Lottaringhia; e il re Oddone, insieme<br />

con il gran Conestabile, che era il conte<br />

Ruberto Parigino, suo fratello, levatosi di<br />

Guascogna, venne subito contra il pupillo,<br />

cioè contra il giovanetto re Carlo. Il quale<br />

non potendo da sé difendersi, ricorse a lo<br />

Imperadore, che teneva dieta a Vormazia; e<br />

con presenti e con prieghi impetrò finalmente<br />

da esso Cesare <strong>la</strong> confermazione del regno di<br />

Francia, e che e’ fusse commesso ai vescovi<br />

ed a’ Baroni vicini al<strong>la</strong> Mosa, che aiutassero<br />

<strong>la</strong> parte sua, e, introducendolo nel regno<br />

armato, solennemente lo coronassino. Ma<br />

non ebbe effetto <strong>la</strong> cosa, perché Oddone<br />

fortificatosi in su <strong>la</strong> Senna con le sue genti,<br />

vietò a tutti il passare avanti; e que’ principi<br />

che avevano a coronare il giovane Carlo,<br />

vedendo il re Oddone potentissimo a fare<br />

giornata se avessero voluto passare per<br />

forza…ma differendo tutta <strong>la</strong> impresa ad<br />

“…Vulthuarius comes, nepos Ottonis<br />

regis…adversus regem cum consilio<br />

quorundam rebellionis arma levavit, et<br />

Lugdumum tum ingressus, omni amisu regie<br />

potestati contra ire nitit. Quod cum Otto<br />

cognovisset, civitatem obsidione cinxit, quam<br />

absque mora in deditionem recepit . Deinde<br />

omnibus primoribus, qui tunc ibi aderat,<br />

adiudicantibus eundem Vulthuarium decol<strong>la</strong>ri<br />

iussit, eo quod in conventu publico contra<br />

regime, et dominum suum g<strong>la</strong>dium<br />

evaginasset. Post haec in Aquitaniam<br />

proficiscitur, contra Rannolfum…et alios<br />

nonullos, qui eius imperijs obtemperare<br />

renuebant…Item eodem anno…Megingandus<br />

Comes, Nepos supradicti Ottonis regis, dolo<br />

interfectus est…in monasterio Sancti<br />

Xysti[…]Francorum principes per maxima<br />

parte ab eo deficiunt, et agentibus Falcone<br />

archiepiscopo, Heriberto et Pippino<br />

comitibus, in Remorum civitate Carolus filus<br />

Ludovico ex Adelheide regina ut supra<br />

meminus natus, in regnum elevatur.<br />

Anno domi. Incarnationis DCCCXVIII<br />

Arnolfus Baioriam egressus Franckfurt venit,<br />

et Rhenum Transiens civitates quae in regno<br />

Lotharij sunt ex maxima parte circuivit, in quo<br />

itinere ingentia dona illi ab episcopis ob<strong>la</strong>ta<br />

sunt.<br />

Otto compositis rebus in Aquitania, in<br />

Francia revertitur, et cum Rodeberto fratre<br />

Carolum fugat, defectores<br />

persequitur[…]Carolus vires Ottonis ferre<br />

non valens, patrocinia Arnolfi supplex<br />

exposcit. Aestivo siquidem tempore, iam<br />

dictus rex conventum publicum Vuormatia<br />

civitate celebravit ubi Carolus venit, et<br />

Arnolfum magnis muneribus sibi conciliat,<br />

regumque quod usurpaverat, ex eius manu<br />

percoepit. Iussum est etiam ut episcopi et<br />

comites, qui circa Mosam residebant, illi<br />

auxilium ferrent, et eum in regnum inducentes,<br />

in sede regia inthoniserant. Sed neutrum<br />

horum illi quicque profuit. Denique Otto rex<br />

audiens cum exercitu super ripam Axani<br />

fluminis sedit, et copias Arnolfi intrare in<br />

634 In proposito vedi Storia, cit., p. 52. Inoltre, ivi, <strong>la</strong> definizione del<strong>la</strong> Lottaringhia “(<strong>la</strong> quale, secondo il<br />

Ganguino, contiene ed abbraccia in sè quasi l’una e l’altra Borgogna, I Brabanzoni, I Gheldresi, il ducato di<br />

Gule e di Cleves, con ciò che è tra <strong>la</strong> Mosa e il Reno)” è ricavata da R. Gaguin, Compendium, cit., Fo. LXVIk2.<br />

114


un’altra volta…si tornarono a’ loro<br />

Stati.Carlo…si ritrasse nel<strong>la</strong> Borgogna; e,<br />

come Oddone si fu ritornato a Parigi, assaltò<br />

di nuovo <strong>la</strong> Francia…con le correrie e con le<br />

arsioni, con le quali attese quanto e’ potette a<br />

guastare le cose degli avversari…” 635<br />

regnum nul<strong>la</strong>tenus permisit. Duces regis<br />

cernentes Ottonem viriliter paratum ad<br />

pugnam, ab eo declinaverunt et ad propria<br />

reversi sunt.<br />

Carolus autem in Burgundiam secessit, et<br />

Ottone Parisius reverente, rursus regni fines<br />

occupat Ottonis fideles infectatus, alternatim<br />

exutraque parte multi pereunt, ingens malicia,<br />

innumerabiles rapinae, et assiduae praedae<br />

fiunt.” 636<br />

A questo punto, Arnolfo, compiuta <strong>la</strong> sua vana mediazione in Francia, scende in Italia ad<br />

affrontare Guido. Giambul<strong>la</strong>ri recupera come fonte principale Liutprando:<br />

“Arnolfo, uno anno di poi, che fu lo<br />

ottocentonovantaquattro del<strong>la</strong> Salute,<br />

desideroso pure del<strong>la</strong> Italia, e sollecitatone da<br />

Berengario, ragunò un gagliardo esercito;<br />

co’l quale…sceso in Italia, onoratamente fu<br />

ricevuto da’ Veronesi, amicissimi sempre di<br />

Berengario. Per il che…se ne andò con le<br />

genti a Bergamo, città in que’ tempi molto<br />

munita, e di non poca importanza certo, per<br />

nu fiore di soldati eletti collocativi e […] vi<br />

entrò per viva forza; e per dare spavento alle<br />

altre città. Il Conte che non seppe morire con<br />

l’armi né accompagnare i suoi cittadini,<br />

menato prigione ad Arnolfo con l’abito e<br />

l’insegne sue più solenni, fu da lui per<br />

dispregio fatto impiccare per <strong>la</strong> go<strong>la</strong> a un<br />

albero fuori delle mura…e dirimpetto quasi<br />

al<strong>la</strong> porta. La qual cosa fu di tanto orrore e<br />

spavento negli animi dei Lombardi e di tutto il<br />

resto d’Italia, che da indi avanti non fu più chi<br />

avesse ardire…di aspettare che e’ gli<br />

ricercasse: anzi, mandati gli ambasciatori, se<br />

li diedero quasi a gara. Ed i Mi<strong>la</strong>nesi e<br />

Pavesi…primi ed avanti ad ogni altro si<br />

offersero pronti e parati alle voglie e comandi<br />

suoi. Mandò egli dunque a Mi<strong>la</strong>no, per difesa<br />

e guardia di quello, il duca Ottone di<br />

Sassonia, genero suo e padre di quello Arrigo<br />

che successe poi nello Imperio dopo <strong>la</strong> stirpe<br />

di Carlo Magno; ed esso con tutto il resto<br />

delle sue genti se ne andò diritto a Pavia…<br />

” 637 .<br />

635 Ivi, passo alle pp. 53-54.<br />

636 Reginonis…annales, passo alle pp. 46i2-47i3.<br />

637 Storia, cit., passo alle pp. 54-56.<br />

638 Liuthprandi, cit., passo a p. 228t6.<br />

“Qui tantae promissionis gratia excitus<br />

coopijs collectis, cominus Italiam adit. Cui<br />

Berengarius, ut promissionis gratia suae<br />

daret fidem credulitatis, arrabonem clypeum<br />

portat. Susceptus itaque a Veronensibus, ad<br />

urbem proficiscitur Pergamum, ubi dum<br />

firmissima loci munitioni confisi, imo decenti<br />

homines ei occurere nollent, castrametatus<br />

ibidem belli fortitudine urbem capit, inco<strong>la</strong>s<br />

iugu<strong>la</strong>t, trucidat. Civitatis etiam comitem<br />

Ambrosium nomine, cum balteo et armillis,<br />

caeterisque preciosis indumentis suspendi<br />

ante portae ianuam fecit. Quod factum,<br />

caeteris omnibus urbibus, cunctisque<br />

principibus terrorem non parvum attulit.<br />

Quicumque enim hoc audierat, utraque auris<br />

eius tinniebat. Medio<strong>la</strong>nensis igitur atque<br />

Ticinienses hac fama perterriti, eius non ausi<br />

sunt praesto<strong>la</strong>ri adventum : verum praemissa<br />

legatione, iussioni suae se obtemperaturos<br />

esse promittunt. Othonem itaque Saxonum<br />

potentissimum ducem huius gloriosissimi<br />

atque invictissimi regis Othonis qui nunc<br />

usque superest, et feliciter regnat, avuum<br />

Medio<strong>la</strong>num dirigit gratia defensionis, recta<br />

ipse Ticinum petit.” 638<br />

115


Passaggio nel quale, peraltro, va segna<strong>la</strong>ta per <strong>la</strong> linea sostenuta nel<strong>la</strong> Storia <strong>la</strong> notazione<br />

sul<strong>la</strong> tras<strong>la</strong>zione dell’autorità imperiale dal<strong>la</strong> stirpe di Carlo Magno ai duchi di Sassonia,<br />

aggiunta dal Giambul<strong>la</strong>ri al testo del<strong>la</strong> sua fonte d’ispirazione.<br />

Inoltre, riguardo al legame, già riscontrato, tra Gello e Storia d’Europa, di qualche interesse<br />

appare anche <strong>la</strong> parentesi svolta, in re<strong>la</strong>zione all’arrivo di Arnolfo a Bergamo, sull’origine<br />

tedesca del<strong>la</strong> città e sul significato del suo nome ricavati dal già menzionato Renano:<br />

“Questa città, per quanto mostra il dotto<br />

Renano, fu edificata già da Germani,<br />

cinquecento ottanta anni o circa avanti <strong>la</strong><br />

nostra Salute, regnando in Roma Tarquinio<br />

Prisco: chè allora vennero questi in Italia,<br />

guidati dal duca Etitovio; e, fermatisi ad<br />

abitare a’ piè delle Alpi che serrano <strong>la</strong><br />

Magna, vi edificarono Verona e Brescia fuori<br />

d’ogni dubio, e Bergamo stesso ancora, se lo<br />

indizio del nome è vero. Perché Berg in<br />

lingua germana significa monte…” 639 .<br />

“Germani in Italiam cispadanam, ubi nunc<br />

Brixia ac Verona urbes sunt. Luius ab urbe<br />

condita lib. V de Belloveso locutus Ambitati<br />

Celtarum regis ex forore nepote, qui beneficio<br />

fortium in Italiam ingentibus peditum<br />

equitumque copijs profectus, Medio<strong>la</strong>nium<br />

condiderat, Alia subinde manus Germanorum,<br />

inquit, Etytovio duce vestigia priorum secuta,<br />

eodem saltu favente Beloveso quum<br />

transcendisset Alpeis, ubi nunc Brixia ac<br />

Verona urbes sunt, locos tenuere Libui,<br />

confidunt. Hoc facto Prisco Tarquinio Romae<br />

regnante, aut non diu post. Ab hijs tum<br />

conditum Bergomum. Nam Berg Germanis<br />

montem significat.” 640<br />

Il riferimento a Tarquinio Prisco, sovrano etrusco che governa Roma, sottolinea<br />

storicamente <strong>la</strong> priorità-superiorità etrusco-toscana sul<strong>la</strong> tradizione romana congiunta<br />

all’elemento germanico già presente all’interno del<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong>, richiamando evidentemente i<br />

motivi espressi nel Gello, e documentando anche per questa via <strong>la</strong> sostanziale continuità di<br />

suggestioni che animano le diverse opere del Giambul<strong>la</strong>ri.<br />

A questo punto, Arnolfo varca nuovamente le Alpi allo scopo di far assegnare <strong>la</strong> corona<br />

del<strong>la</strong> Lotaringia al figlio Suembaldo secondo il racconto di Reginone:<br />

“Arnolfo, arrivato a Vormazia, tenne dieta<br />

solennemente, e con tutti i Baroni maggiori<br />

tentò di dare al suo Suembaldo il reame di<br />

Lottaringhia. Ma non se ne contentando molti<br />

de’ Grandi…dette a Lodovico<br />

Bosone…alcune di quelle città che possedeva<br />

il discacciato re di Borgogna. Ma vana fu<br />

certo <strong>la</strong> donagione, perché Lodovico non<br />

potette già mai con ogni forza ed industria<br />

sua a trarle di mano a esso<br />

Ridolfo[…]ritornato nuovamente a Vormazia,<br />

avendo già medicato gli animi de’ suoi<br />

Baroni e recatigli al<strong>la</strong> voglia sua, coronò il<br />

suo figliuolo Suembaldo de’l reame di<br />

Lottaringhia con lo universale consenso di<br />

tutti, e a Oddone Re di Francia, il quale<br />

personalmente e con molti doni era venuto a<br />

questa dieta, concesse tutto quello perché egli<br />

639 Storia, cit., passo alle pp. 54-55.<br />

640 Rerum Germanicarum, cit., passo rip. a p. 21c3.<br />

641 Storia, cit., passo alle pp. 56-57.<br />

“Post Vuormatiam venit, inique p<strong>la</strong>citum<br />

tenuit, volens Zundibolch filium suum regno<br />

Lotharij praeficere, sed minime optimates<br />

praedicti regni, ea vice assensum<br />

praebuerunt. Soluto conventu cum ad<br />

Loraham idem princeps venisset, Ludovico<br />

filio Bosonis…quasdam civitates cum<br />

adiacentibus pagis, quos Ruodolfus tenebat,<br />

dedit. Sed et hoc ei in vacuum cessit, quia eas<br />

nullo modo de potestate Rodulfi erigere<br />

praevaluit.[…]Anno dominicae incarnationis<br />

DCCCXCV[…]Arnolfus Vuormatiam venit,<br />

ibiqe optimatibus ex omnibus regnis suae<br />

ditioni subditis sibi occurentibus, conventum<br />

publicum celebravit, in quo conventu omnibus<br />

assentientibus, atque col<strong>la</strong>udantibus<br />

Zundibolch filium Lotharii prefecit.<br />

In eodem p<strong>la</strong>cito Otto rex cum magnis<br />

116


era comparso quivi non ostante che poco<br />

durasse poi l’amicizia. Con ciò sia che,<br />

l’anno medesimo, sotto nome di aiutare Carlo<br />

Semplice, passasse in Francia il re<br />

Suembaldo con esercito assai copioso, ed<br />

assediasse <strong>la</strong> città di Lione, e combattessi<strong>la</strong><br />

molti giorni, ancora che in vano e senza frutto<br />

alcuno; perché, udito che Oddone veniva a<br />

soccorer<strong>la</strong>, si ritrasse nel regno suo, senza<br />

altrimenti volere vederlo.<br />

Così divisa Regino le azioni di Arnolfo<br />

Cesare da <strong>la</strong> sua venuta in Italia nello<br />

ottocentonovantaquattro sino a l’anno<br />

ottocentonavantasei, nel quale dice che ei<br />

tornò di nuovo in Italia e che e’ prese<br />

Roma…” 641<br />

muneribus ad Arnolfum venit, a quo<br />

honorifice susceptus est, omnibusque<br />

impetratis pro quibus venerat. […]<br />

Eodem anno Zundibolch collecto immenso<br />

exercitu, cupiens amplificare terminos regni<br />

sui, quasi Carolo adversus Ottonem auxilium<br />

<strong>la</strong>turus, Lugdunum depraedatum venit, et<br />

civitatem obsidione cinxit, sed minime eam<br />

caper potuti, quamvis multis diebus summis<br />

viribus certatim dimicatum esset. Audiens<br />

autem Ottonem cum exercitu advenire…cum<br />

omnibus copijs recessit, et in propria regna se<br />

recepit.[…]Anno dominicae incarnationis<br />

DCCCXCVI Arnolfus secondo Italiam<br />

ingressus, Romam venit, et urbem<br />

Romanam…coepit.” 642<br />

Per le vicende del<strong>la</strong> campagna d’Italia dell’imperatore, Giambul<strong>la</strong>ri ritorna a Liutprando,<br />

dal quale ricava notizia del<strong>la</strong> richiesta di aiuto inviatagli dal pontefice Formoso, osteggiato<br />

dal<strong>la</strong> plebe romana a causa del<strong>la</strong> sua controversa elezione, dal<strong>la</strong> fazione che sostiene<br />

l’antipapa Sergio:<br />

“non potendo il re Guido altrimenti fare<br />

resistenzia alle vittoriose genti di Arnolfo, si<br />

ritrasse nei monti del<strong>la</strong> Umbria fuggendo<br />

sempre da’ suoi nimici;…Arnolfo, invitato da<br />

papa Formoso, in questo mentre n’andò a<br />

Roma per difesa di Santa Chiesa e in favore<br />

del predetto Papa, contro i Romani che lo<br />

noiavano già fuori di modo per inicizia<br />

contratta seco sino dal principio del suo<br />

papato; per quello che appresso<br />

racconteremo. Dopo <strong>la</strong> morte di Stefano<br />

quinto… che fu il centododicesimo papa dopo<br />

San Pietro, e morì l’anno<br />

ottocentonavantadue del<strong>la</strong> salute, furono<br />

concorrenti a’l pontificato Sergio Romano, e<br />

Formoso vescovo di Porto; ma ottenne<br />

Formoso, perché trovandosi <strong>la</strong> setta sua più<br />

gagliarda e di numero forse maggiore,<br />

cacciando con tumulto non piccolo e Sergio<br />

stesso e coloro che lo favorivano, pose avanti<br />

a lo altare Formoso, e per forza fe’<br />

consagrarlo.” 643<br />

“Denique Vuido huius impetum ferre non<br />

valens, Camerinum Spoletumque versus<br />

fugere coepit. […]Hoc in tempore Formosus<br />

papa religiosissimus a Romanis vehementer<br />

afflictabat, cuius et hortatu rex Arnulfus<br />

Romam advenerat, in cuius ingressu<br />

ulciscendo papae iniuriam multos<br />

Romanorum principes obviam sibi<br />

properantes, decol<strong>la</strong>ri praecepit. Causa<br />

autem simultatis inter Formosum papa et<br />

Romanos haec fuit. Formosi praedecessore<br />

defuncto, Sergius quidam Romanae ecclesiae<br />

diaconus erat, quem Romanoeum pars<br />

quaedam papam sibi elegerat. Quaedam vero<br />

pars non infima nominatum Formosum<br />

portuensis civitatis episcopum pro vera<br />

religione divinarumque scripturarum et<br />

doctrinarum scienta papam sibi fieri anhe<strong>la</strong>t.<br />

Nam dum in eo esset, ut Sergius apostolorum<br />

vicarius ordinari debuisset, ea qua Formosi<br />

partibus favebat pars, cum non mediocri<br />

tumultu et iniuria Sergium ab altari expulit,<br />

et Formosum papam constituit. ” 644<br />

Arnolfo, allettato dall’offerta pontifica del<strong>la</strong> corona imperiale e al<strong>la</strong>rmato dall’alleanza<br />

stabilita tra Guido e <strong>la</strong> plebe romana che ha preso il controllo di Roma, decide di aiutare<br />

Formoso. Nelle pagine del<strong>la</strong> presa di Roma da parte germanica emerge in modo emblematico<br />

642 Reginonis…annales, cit., passo alle pp. 47i3-48i4.<br />

643 Storia, cit., passo a p. 57.<br />

644 Liuthprandi, passo alle pp. 228t6-229u1.<br />

117


l’orientamento ghibellino del canonico <strong>la</strong>urenziano. Fondamentale in tal senso, è il discorso<br />

rivolto da Arnolfo alle sue truppe <strong>prima</strong> del<strong>la</strong> battaglia che sviluppa chiaramente il concetto<br />

del<strong>la</strong> trans<strong>la</strong>tio imperii. In virtù dell’eredità raccolta dai Romani, i Franchi si identificano con<br />

essi e con il compito di difendere il papato contro i suoi nemici, gli alleati di Guido, definiti in<br />

senso spregiativo “romaneschi”. Infatti, Arnolfo dice:<br />

“…il sentirsi troppo colpevoli contra il santissimo Formoso Papa, e congiurati certo con<br />

Guido e con gli altri nimici nostri gli conduce a proibirne <strong>la</strong> terra nostra, a negare a noi<br />

l’acqua ed il fuoco, e ad armarsi per contrastarne: come se Annibale cartaginese, non lo<br />

Imperatore dei romani; i mimicissimi Gotti, non gli amicissimi Franchi; il f<strong>la</strong>gello e terrore<br />

del mondo Atti<strong>la</strong>, e non il vendicatore e il pacificatore dello Imperio Arnolfo, si presentasse<br />

alle mura loro.” 645<br />

I Franchi e i Sassoni sono gli autentici eredi e continuatori dell’impero, in antitesi ai<br />

romaneschi. Arnolfo infatti, per evidenziare <strong>la</strong> pochezza dei nemici, e incitare i suoi, afferma:<br />

“Non abbiamo a combattere co’ Fabi, con gli Scipioni, co’ Cesari, o con gli altri virtuosi e<br />

illustri spiriti del<strong>la</strong> santissima Roma antica, terrore del mondo e vincitrice dello universo; ma<br />

con il moderno miscuglio d’una turba vile ed infame, e ragunata a l’ombra sottile di quelle<br />

disonorate mura espugnate da A<strong>la</strong>rico, penetrate da Genserico, abbattute da Toti<strong>la</strong> e odiate<br />

dallo universo.” 646<br />

Anche questo passaggio evidenzia il significato storico del<strong>la</strong> Trans<strong>la</strong>tio, necessitata dal<strong>la</strong><br />

decadenza romana e dalle conquiste barbariche di Roma, percepite in ben altro modo dal<br />

Giambul<strong>la</strong>ri rispetto al Biondo.<br />

Lo stesso racconto del<strong>la</strong> presa di Roma da parte delle truppe di Arnolfo, <strong>la</strong>rgamente ispirato<br />

da Liutprando, sottolinea il contrasto tra l’ardimento e il valore degli assalitori, e <strong>la</strong> mancanza<br />

di ogni volontà di resistenza dei difensori:<br />

“Appena aveva finito Arnolfo le predette<br />

parole, che le genti sue unitamente per<br />

tutto…tutte liete e tutte animose, a’ l cenno<br />

dato dagli istrumenti, s’inviarono verso le<br />

mura…Con ciò sia che, levatasi a quelle grida<br />

una lepre avanti a’ piè de’ Todeschi e<br />

correndo verso le mura…le genti in su le<br />

mura…dubitando di sé medesime, si voltarono<br />

subito in fuga…abbandonando e<br />

inconsideratamente <strong>la</strong> difesa del<strong>la</strong><br />

muraglia…Gli Imperiali…ammontate le selle<br />

dei loro cavalli…salirono su per quelle; e<br />

ca<strong>la</strong>tisi da l’altra parte con una trave trovata<br />

quivi, gittarono per terra <strong>la</strong> porta; ed aperto<br />

in questa maniera a tutto lo esercito, corsero e<br />

saccheggiarono <strong>la</strong> città Leonina, con ciò che<br />

era di qua dal Tevere.” 647<br />

“His heroes dictis animos accensi vitam<br />

aviditate contemnunt. Clypeis denique<br />

cratibusque catervatim operti muros adire<br />

contendunt. Plurima etiam bellorum<br />

paraverant instrumenta, quum inter agendum<br />

populo considerante contigit lepusculum<br />

c<strong>la</strong>more eius exterritum urbem versus fugere.<br />

Quem dum populus exercitusque, ut assolte,<br />

impetu vehementi sequerent, Romani putantes<br />

se impugnari, de muro sese proijciunt. Quod<br />

populos cernens sagmatibus fellisque quibus<br />

equis insederent, iuxta murum proiectis, per<br />

eorum acervuum muros ascendunt. Populi<br />

vero pars quaedam, accepta mox trabe<br />

quinquaginta pedum procera longitudine,<br />

portam quatiunt, et Romam quam Leoniam<br />

dicunt, in qua beati Petri apostolorum<br />

principis preciosum corpus quiescit, vi<br />

capiunt. Caeteri qui trans Tyberim erant, hoc<br />

645 Storia, cit., passo alle pp. 58-59.<br />

646 Ivi, passo a p. 59 cfr. in Liuthprandi, cit., il passo a p. 228t6: “Non Pompeius adest, non Iulius ille beatus,<br />

Qui nostros domuit proavos mucrone feroces.”<br />

647 Storia, cit., passo alle pp. 59-60.<br />

118


timore compulsi, huius dominatui col<strong>la</strong><br />

submittunt.” 648<br />

Inoltre, difficilmente all’interno di questo svolgimento sembra casuale <strong>la</strong> parentesi spesa a<br />

inserire <strong>la</strong> presa di Roma di Arnolfo in un elenco formato da ben quattro precedenti storici:<br />

“Così dunque fu presa Roma <strong>la</strong> quinta volta da’ Germani, senza quel<strong>la</strong> de’ Galli Senoni,<br />

che fu anni trecentonovanta avanti <strong>la</strong> incarnazione del figliuol di Dio: con ciò sia che sotto il<br />

re A<strong>la</strong>rico <strong>la</strong> presero e saccheggiarono i Visegotti, negli anni quattrocentodieci di Gesù<br />

Cristo; sotto Genserico i Vandali, che pur sono Germani, nel Quattrocentocinquantasei; sotto<br />

Odoacro, che <strong>la</strong> tenne quattordici anni, gli Eruli, i Rugi e i Turcilinghi, circa il<br />

quattrocentosettantacinque; sotto Toti<strong>la</strong> gli Ostrogoti, che <strong>la</strong> abbruciarono e <strong>la</strong> disfecero<br />

circa il cinquecentoquarantotto; e finalmente sotto di Arnolfo, i Franchi ed i Sassoni…” 649<br />

In realtà l’autore, così facendo, riconduce anche le precedenti devastazioni compiute dai<br />

barbari ai danni dell’impero romano, nell’ambito del<strong>la</strong> logica storica del<strong>la</strong> Trans<strong>la</strong>tio imperii.<br />

È del tutto evidente a questo punto, <strong>la</strong> ben diversa percezione delle invasioni barbariche che<br />

sussiste tra il Giambul<strong>la</strong>ri e gran parte dell’umanesimo italiano. L’inondazione semplicemente<br />

ed esclusivamente distruttrice descritta dal Biondo, nel<strong>la</strong> prospettiva del canonico <strong>la</strong>urenziano<br />

corrisponde ad una ben precisa missione storica di rifondazione imperiale sul<strong>la</strong> base del<strong>la</strong><br />

fusione tra elemento germanico e cristiano.<br />

D’altra parte, come accennato, il processo di formazione dell’identità europea nel<strong>la</strong> Storia si<br />

svolge anche attraverso <strong>la</strong> chiara affermazione di una specificità e di un’alterità rispetto al<strong>la</strong><br />

realtà bizantina dell’impero d’Oriente. Una distinzione già esplicitata, del resto, nel<strong>la</strong> <strong>prima</strong><br />

pagina del<strong>la</strong> Storia nelle considerazioni formu<strong>la</strong>te dal Giambul<strong>la</strong>ri sul<strong>la</strong> decisione di<br />

Costantino che abbandona Roma, ponendo le premesse del<strong>la</strong> successiva formazione del Sacro<br />

Romano Impero.<br />

Abbastanza indicativa in questo senso appare <strong>la</strong> scelta di Liutprando insieme a Jordanes<br />

quale fonte delle vicende bizantine. Liutprando, infatti, è fortemente critico verso l’impero<br />

bizantino che contrasta gli interessi ottoniani. Contrapposizione politica che in tutte le opere<br />

di Liutprando, soprattutto nel<strong>la</strong> Re<strong>la</strong>tio de legatione Costantinopolitana, si traduce anche in<br />

una delineazione del carattere e del<strong>la</strong> civiltà orientale in termini di netta inferiorità rispetto a<br />

quel<strong>la</strong> germanico-cristiana. 650<br />

Giambul<strong>la</strong>ri, che conosce anche <strong>la</strong> Re<strong>la</strong>tio…Costantinopolitana 651 , mostra <strong>la</strong> sua sostanziale<br />

convergenza con <strong>la</strong> prospettiva di Lutprando, proponendo letteralmente dall’Antoposis <strong>la</strong><br />

<strong>storia</strong> di Basilio padre dell’attuale imperatore d’oriente, Leone V:<br />

“…Basilio di Macedonia, che da <strong>la</strong> fortuna,<br />

per mostrarci quello che essa possa, fu<br />

condotto a’l seggio di Augusto. Con ciò sia<br />

che, partitosi da casa sua per <strong>la</strong> fame, e<br />

condottosi ancora giovanetto in<br />

“Basilius Imperator Augustus avus huius,<br />

Macedonia humili fuerat prosapia<br />

oriundus, descenditque<br />

Costantinopolim…quod est paupertatis<br />

iugo, ut quidam serviret abbati. Igitur<br />

648 Liuthprandi, cit., passo alle pp. 228t6-229u1.<br />

649 Storia, cit., passo a p. 60.<br />

650 In proposito vedi in Liutprando da Cremona, cit., Introduzione, cit., pp. 31-35 e in Tutte le opere, cit.,<br />

introduzione, cit., pp. 30-43; cfr. inoltre AA. VV., Storia d’Europa, voll. V, Torino, Einaudi, 1994, in<br />

partico<strong>la</strong>re, vol. III a cura di Gherardo Ortalli, pp. 27-28 e 1147-1148. Sul<strong>la</strong> dicotomia occidente-oriente in<br />

Liutprando cfr. anche C. Curcio, Europa. Storia di un’idea, cit., pp. 118-119.<br />

651 Storia, a p. 456, peraltro in linea con il giudizio espresso da Liutprando in questa re<strong>la</strong>zione, il Giambul<strong>la</strong>ri<br />

afferma: “Accompagnatosi dunque Liutprando co’ sopraddetti, fra brevi giorni se ne andò per mare a<br />

Costantinopoli; dove ricevuto onoratamente, ma con giuochi, più tosto da bagattelle, che da maestà o grandezza<br />

d’imperatore, non si vede altrimenti in quel tanto che abbiamo di lui che fine avesse <strong>la</strong> legazione. Per <strong>la</strong> qual<br />

cosa, <strong>la</strong>sciando a parte ed esso e le leggerezze di quel<strong>la</strong> corte <strong>la</strong>rgamente da lui descritte…”.<br />

119


Costantinopoli, essendo e vilissimo e<br />

poverissimo, si acconciò con un Padre<br />

Abate…Veniva talora a questa Badia lo<br />

imperatore Michele…e vedendo più volte<br />

Basilio intorno a lo Abate, giudicandolo<br />

manieroso, e da maneggi di più<br />

importanzia che non erano quelli de’l<br />

Convento, chiese a lo Abate che gli lo<br />

concedesse. E come persona avvistata ed<br />

assai graziosa, fattolo suo cameriere, gli<br />

diede fra breve tanto e tanta riputazione,<br />

che in tutta <strong>la</strong> corte greca non era altro<br />

maggiore di lui. Ma…<strong>la</strong> fortuna…fece che<br />

Michele predetto (secondo che di lui scrive<br />

Liutprando) conoscendosi per alcuna<br />

partico<strong>la</strong>re infermità sua venire alle volte sì<br />

furioso, che e’ comandava che e’ fusse<br />

ucciso qualcuno, de’l quale, uscito poi<br />

del<strong>la</strong> furia, dimandava come di vivo, e<br />

dolevasi che e’ fusse stato ammazzato; per<br />

ovviare…pose legge ai ministri suoi, che<br />

nelle commessioni del<strong>la</strong> morte, non<br />

eseguissero lo imperio suo, ma serbassero<br />

prigione il così dannato sino ad un<br />

termine…dentro al quale uccidendolo ne<br />

andasse <strong>la</strong> testa loro…Con ciò sia che<br />

avendo fatto più volte il medesimo scherzo<br />

a Basilio, esso, dubitando che per<br />

istigazione de gli emoli suoi non si facesse<br />

un tratto vero…fattosi nemico del suo<br />

signore, gli tolse violentemente <strong>la</strong> vita…ed<br />

occupato senza resistenza alcuna lo<br />

Imperio, lo possedette…” 652<br />

imperatoris Michael qui tunc temporis<br />

erat, quum orationis gratia ad<br />

monasterium istud in quo hic ministrabat<br />

descenderet, vidit hunc forma prae<br />

caeteris egregia, accitumque ad se<br />

abbatem rogavit, ut se donaret hoc<br />

puero. Quem suscipiens in pa<strong>la</strong>tio<br />

cubicu<strong>la</strong>rij donavit officio. Tantae<br />

denique post paululum potestatis<br />

effectus, ut alter ab omnibus Imperator<br />

sit appel<strong>la</strong>tus.<br />

Verum quia onnipotens duos servos suos<br />

iuste visitat, quacunque vult censura,<br />

hunc imperatorem Michaelem sanae<br />

mentis ad tempus non esse permiserat, ut<br />

quo eum gravius premeret in infimis, eo<br />

misericordius remuneraret in summis.<br />

Nam, ut fert, huius tempore passionis,<br />

fami<strong>la</strong>res etiam capitis iusserat damnari<br />

sententiam. Hoc igitur terrore quos<br />

damnati iuserrat servabant. Sed quum<br />

hoc saepius et iterum Basilio faceret,<br />

huiusmodi a sis obsequentibus, pro<br />

nephas, accepit consilium, ne forte<br />

insana regis iussio aliquando ex<br />

industria a te non diligentbus, imo odio<br />

habentibus impleat, eum tu potius<br />

occidito, atque imperalia sceptra<br />

suscipito. ” 653<br />

Passaggio nel quale, emergono diversi dati non propriamente edificanti, dal profilo umano<br />

dell’imperatore Michele all’evidenza conferita al<strong>la</strong> spiegazione del significato dell’appel<strong>la</strong>tivo<br />

“porfirigeneto”, attraverso <strong>la</strong> fortunata ascesa al trono bizantino del padre di Leone, Basilio.<br />

La stessa incapacità bizantina di fronteggiare <strong>la</strong> minaccia musulmana e contenere<br />

l’espansionismo militare saraceno appare abbastanza significativa in questo senso.<br />

Insufficienza, cui viene implicitamente confrontata <strong>la</strong> ben diversa attitudine dei veneziani, in<br />

grado di liberare dopo alcuni anni l’Italia meridionale dai saraceni, tanto da essere premiati da<br />

Basilio. 654<br />

Inoltre, <strong>la</strong> presentazione del pericolo saraceno consente al Giambul<strong>la</strong>ri di introdurre nel<strong>la</strong><br />

<strong>storia</strong> le vicende del<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong> iberica, quasi tutta assoggettata dal<strong>la</strong> furia conquistatrice<br />

musulmana, sul<strong>la</strong> base dei Commentarii del Volterrano. L’opera del Maffei rappresenta <strong>la</strong><br />

fonte principale ma non esclusiva del<strong>la</strong> guerra tra sovrani spagnoli e Saraceni del primo libro<br />

del<strong>la</strong> Storia. La Crònica general di Diego de Valera, integra il Sabellico con l’episodio del<br />

652 Ivi, passo a pp. 61-62.<br />

653 Liuthprandi, cit., passo alle pp. 220t2-221t3.<br />

654 Storia, cit., vedi pp. 63-64.<br />

120


pa<strong>la</strong>zzo di Toledo, dove Roderico prende conoscenza del<strong>la</strong> predizione del<strong>la</strong> rovinosa<br />

invasione saracena 655 .<br />

Il Volterrano è, d’altra parte, quale umanista di Curia, estremamente sensibile al<strong>la</strong> minaccia<br />

costituita dall’espansione saracena 656 :<br />

“Roderico, l’ultimo re dei Gotti che<br />

possedesse in pace <strong>la</strong> Spagna, dopo <strong>la</strong><br />

vittoria avuta contro ad Utizza suo zio, che<br />

già gli aveva accecato il padre, e spogliatolo<br />

di tutto il regno; rivoltatosi a l’ozio e piaceri,<br />

sforzò, secondo alcuni, <strong>la</strong> figliuo<strong>la</strong>, e,<br />

secondo alcuni altri, <strong>la</strong> moglie del conte<br />

Giuliano, principe o governatore del paese<br />

intorno allo Stretto. Del<strong>la</strong> quale ingiuria<br />

giustamente sdegnato il Conte chiamò<br />

secretamente i Mori del<strong>la</strong> Africa, e condusseli<br />

nel<strong>la</strong> Spagna con tanta celerità, che nessuno<br />

si accorse del tratto.[…] l’anno<br />

settecentoquattordici del<strong>la</strong> Salute, sotto<br />

Muzza capitano di Miramomelino, per lo<br />

stretto di Zibeltaro[…]ed andò <strong>la</strong> cosa in<br />

maniera, che, morendovi tra qua e là in due<br />

anni…settecentomi<strong>la</strong> persone, occuparono<br />

finalmente i Mori tutta <strong>la</strong> Spagna, eccetto<br />

Pastiglia <strong>la</strong> Nuova, <strong>la</strong> quale e per <strong>la</strong> naturale<br />

fortezza del sito, e per <strong>la</strong> invitta virtù di<br />

Pe<strong>la</strong>gio, zio dello ucciso re Roderico, si<br />

difese gagliardamente da qualunque assalto<br />

moresco. Pe<strong>la</strong>gio dunche, fattosi quivi forte,<br />

non so<strong>la</strong>mente difese il non occupato, ma<br />

recuperò molte volte qualche cosetta del già<br />

perduto. Successero poi a costui…Alfonso<br />

terzo, per cognome chiamato Magno,<br />

cominciò a regnare…nello ottocento<br />

trentasettesimo del<strong>la</strong> Salute…costui trionfò<br />

molte volte de’ Saracini, e ricuperò nel<strong>la</strong><br />

Lusitania…Viseo e Colimbrica. Predò più<br />

volte i Guasconi e i Navarresi che erano<br />

suggetti de’ Mori, e fu il primo che edificasse<br />

tempio a San Iacopo. Ma tutte queste egregie<br />

virtù macchiò egli con <strong>la</strong> crudeltà, facendo<br />

accecare quattro suoi fratrelli, che se li erano<br />

levati contra. Dicono che a costui scrisse<br />

Papa Giovanni ottavo: “Giovanni servo dei<br />

servi di Dio, ad Alfonso re cristianissimo,” ed<br />

argomentano da questo scritto…che il Re di<br />

quel<strong>la</strong> provincia sia veramente il Re<br />

“Is igitur Rodericus tres annos regnavit, cuius<br />

foeda libido finem attulit Gothorum non tam<br />

generi quam pacifico imperio, Saracenis<br />

impervenientibus, nam cum filiam cuiusdam<br />

Iuliani praefecti, qui Tingitanam<br />

administrabat provinciam, vitiasset, dolor<br />

domesticus patrem ad ultionem sollicitavit,<br />

loci fretum commoditate. Quare Iulianus c<strong>la</strong>m<br />

ex Africa Saracenos evocat. Qui anno<br />

salutatis DCCXIIII duce Muza misso a<br />

Miramomelino eorum tunc rege, per angustias<br />

Herculei freti ingresso, biennij spatio omnem<br />

fere Hispaniam occupant, praeter Astures<br />

natura loci munitos. In quo temporis spacio<br />

dicuntur ad DCC hominum milia in eo bello<br />

utrinque absumpta.[…]Pe<strong>la</strong>gius igitur<br />

Roderico fra tris filio succesit. Asturiam se<br />

recepit. Astures enim et Cal<strong>la</strong>eci montibus et<br />

natura loci muniti tantum incolumes<br />

permanere…regnavit bellum gerendo, multa<br />

etiam recuperando psu<strong>la</strong>tim effecit, ut afflicta<br />

gens, aliquantulum resipiscere videretur.<br />

Hanc sedem posteri Castel<strong>la</strong>m novam<br />

vocavere, veteris differenti quae circa<br />

Cordubam et Hispalim fuerat. Sic em Hispani<br />

regiam et munitum locum<br />

appe<strong>la</strong>nt.[…]Alfonsus III, cognomento<br />

magnus rem suscepit paternam anno<br />

DCCCXXXIII. De Saraceni saepe<br />

triumphavit, civitates Lusitaniae Colimbricam<br />

et Viseum recuperaverit. Vascones<br />

Navarrosque qui tunc a Saracenis<br />

dominabantur saepe depopo<strong>la</strong>tus. Hac tamen<br />

opera egregia domestica crudelitate foedavit,<br />

quatuor eius fratribus qui in eum<br />

conspiraverant evulvis oculis[…]Hunc etiam<br />

Alfonsum […]templum Sancti Iacobi primum<br />

excitasse…ad eum in super Io. VIII, scripsisse<br />

IO. Servus servorum dei, Alfonso regi<br />

Christianissimo, ex cuius autoritate…Garsius<br />

natumaiorem paternam assecutus, Arabum<br />

regem Aio<strong>la</strong>m in bello cepit, cuius spolia<br />

655 Sulle fonti spagnole del<strong>la</strong> Storia, cit., rinviamo a E. Mele, Le fonti spagnole del<strong>la</strong> “Storia dell’Europa” del<br />

Giambul<strong>la</strong>ri in “Giornale critico del<strong>la</strong> letteratura italiana”, LIX, 1912, pp. 359-374, in partico<strong>la</strong>re per le fonti del<br />

I libro vedi pp. 359-364, dove peraltro <strong>la</strong> col<strong>la</strong>zione rispetto all’opera del Maffei è compiuta solo per alcuni dei<br />

vari passaggi attinti ivi dal Giambul<strong>la</strong>ri.<br />

656 In proposito cfr. J. D’Amico, Papal History and Curial Reform, cit., in partico<strong>la</strong>re pp. 178-179.<br />

121


cristianissimo. Successe poi…il primogenito<br />

suo Don Garsia, e regnò anni tre so<strong>la</strong>mente;<br />

ne’ quali corse e predò <strong>la</strong> terra de’ Mori, e<br />

combattè contra il re Ajol<strong>la</strong>s, il quale rimase<br />

rotto e prigione[…]Garsia, ritornando<br />

vittorioso, adornò de le spoglie de’ suoi<br />

nemici <strong>la</strong> chiesa di Oviedo; nel<strong>la</strong> quale fu egli<br />

poi sotterrato onoratamente…l’anno del terzo<br />

de’l regno suo. Al re Don Garsia successe il<br />

fratello Ordogno, secondo…e’ fu vinto da<br />

Abdera re de’ Mori, e perdè nel<strong>la</strong> rotta…il<br />

vescovo di Astorga, che fu, per dispetto di<br />

Ordogno, martirizzato da essi Mori.<br />

Ritornato dunque Ordogno a Leone…fece<br />

chiamare a sé quattro conti castigliani…che<br />

non avevano voluto combattere; e sotto <strong>la</strong> fè<br />

del salvacondotto, fece a tutti tagliare <strong>la</strong><br />

testa. De <strong>la</strong> qual cosa adiratisi i Castigliani,<br />

si ribel<strong>la</strong>rono subitamente, e crearono duoi<br />

giudici che…ministrassino buona<br />

giustizia…donde ebbero <strong>la</strong> origine quelli che<br />

regnarono poi in Pastiglia…e successe a lui<br />

il figliuolo don Alfonso quarto, che<br />

…venutogli zelo di religione, rinunziò il<br />

regno a Don Ramiro…” 657<br />

Ovetensis templi Tholo suspendit, ubi et<br />

sepultus est, cum regnasset annos<br />

tres…Ordonius II Garsiae fratri successit.<br />

Legionense Templum aedificijs ac donis<br />

ornavit, adversus Saracenisinfeliciter<br />

dimicavit, captis in bello nonnulis<br />

praesulibus, inter quos Asturicensis etiam<br />

martyrio affectus, iussu Abderae regis eorum.<br />

Post haec Ordonius quatuor Castel<strong>la</strong>e<br />

comites qui bellum id decretaverunt, iussos ad<br />

se venire, et incolumes fore pollicitus, nefari<br />

mandavit. Ob quam perfidiam Castel<strong>la</strong>ni, qui<br />

tunc Legionensi suberant regi, rebel<strong>la</strong>verunt,<br />

factisque inter se magistratibus ac iudicibus,<br />

rem ipsi administrabant. E quibus postea<br />

reges descenderunt[…]Alfonsus quatuor, sese<br />

regno sponte abdicato, monachum egit<br />

surrogato fratre Romiro…” 658 .<br />

Il canonico <strong>la</strong>urenziano riprende <strong>la</strong> vicenda principale del<strong>la</strong> guerra in Italia dal<strong>la</strong> quale esce<br />

di scena Arnolfo che a causa dell’inganno archittettato dal<strong>la</strong> moglie di Guido, varca le Alpi.<br />

Berengario <strong>la</strong>sciato solo deve riparare a Verona, come apprendiamo da Liutprando:<br />

“…durando lo assedio di Fermo, e non<br />

vedendo più <strong>la</strong> Reina rimedio alcuno di non<br />

venir alle mani degl’imperiali, tenne<br />

segretamente trattato con uno intimo<br />

servitore di Arnolfo, e per grossa quantità di<br />

danari lo indusse a dar da bere allo<br />

Imperatore una bevanda…non mortifera<br />

però, ma (secondo che el<strong>la</strong> affermava)<br />

mitigativa e diminutiva del<strong>la</strong> rigorosa<br />

severità di quello, e provocativa del<strong>la</strong><br />

benignità e del<strong>la</strong> clemenzia che a lei erano si<br />

necessarie.Costui, s enon per malignità, per<br />

isciochezza almeno, persuaso dal fal<strong>la</strong>ce dir<br />

del<strong>la</strong> donna, veduto per esperienza che <strong>la</strong><br />

bevanda non faceva nocumento alcuno a chi<br />

<strong>la</strong> bevve in presentia sua, ancora che vi<br />

corresse spazio d’un’ora, e non considerando<br />

che e’ poteva essere preparato co’l defensivo<br />

contra <strong>la</strong> forza del beveraggio; presa <strong>la</strong><br />

657 Storia, cit., passo alle pp. 65-67.<br />

658 Commentarii, cit., passo a p. 9b3, lib. II.<br />

“Quumque Vuidonis uxor magnis undique<br />

angustiis premeretur, et evadendi spes illi<br />

omnis negaretur, causas morti regiae viperina<br />

coepit callidate exquirere. Accitum nanque ad<br />

se quendam Arnulfi regis familiarissimum<br />

magnis eum muneribus rogat, ut se adiuvet.<br />

Qui quum se non aliter posse testaretur, nisi<br />

civitatem domini sui traderet ditioni: il<strong>la</strong><br />

etiam atque etiam magna auri pondera non<br />

solum pollicens, verum in praesentiarum<br />

tribuens, orat, ut quodam loculo ab ea sibi<br />

col<strong>la</strong>to dominum suum regem potaret: quod<br />

non periculis mortis daret, sed mentis<br />

feritatem mulceret. Quae etiam suis ut fidem<br />

dictis praeberet, ante illius praesentiam hoc<br />

unum suorum potat servorum. Qui unius<br />

horae spatio conspectu huius astans, sanus<br />

abscessit. Verum veridicam Maronis illius<br />

sententiam in medium proferamus. Quid non<br />

122


opportunità, <strong>la</strong> diè bere allo Imperatore. Il<br />

quale dal<strong>la</strong> virtù di quel<strong>la</strong> occupato, assalito<br />

subitamente da fiero sonno, si<br />

addormentò…sì fattamente…Ed avvegnachè<br />

tutto lo esercito con grida e romori<br />

grandissimi si sforzasse torlo dal sonno, e che<br />

esso per gli strepiti e per <strong>la</strong> violenza di chi lo<br />

toccava, aprisse talvolta gli occhi e <strong>la</strong> bocca;<br />

non potette però mai né vegghiare né par<strong>la</strong>re,<br />

se non in confuso..La qual cosa vedendo i<br />

maggiori dello esercito…levatisi da lo<br />

assedio, si dirizzarono verso <strong>la</strong> Germania;<br />

perseguitati nientedimanco sempre da<br />

Guido…Arnolfo uscito pure finalmente de’l<br />

lungo sonno e de lo stupore[…]per<br />

assicurarsi dello Stato d’Italia, deliberò di<br />

accecare Berengario, e di occupargli tutte le<br />

terre. Ma Berengario, avveritone cautamente<br />

da chi lo amava, essendo già notte, e<br />

ritrovandosi famigliarmente nel<strong>la</strong> camera<br />

dello Imperatore, non aspettò altrimenti che il<br />

disegno si colorisse; anzi, accomandato ad un<br />

altro un lume che aveva in mano…fintamente<br />

si uscì di camera, e[…]Dirizzatosi dunque<br />

al<strong>la</strong> sua favorita Verona…si rivolse…a farsi<br />

forte il più che e’ poteva, ed a chiudere i<br />

passi delle Alpi con <strong>la</strong> più fidata e fiorita<br />

gente che e’ potette mettere insieme. La qaul<br />

cosa come <strong>prima</strong> si udì …tolse tanto di<br />

credito…allo Imperatore, che nello esercito<br />

che egli aveva non rimase altro che<br />

tramontani. Co’ i quali…fra brevi giorni<br />

giunse a Pavia; e vi si vide in grave pericolo,<br />

perché tumultuando quel<strong>la</strong> città, vi furono<br />

uccisi tanti de’ suoi, che e’ se ne em<strong>pier</strong>ono<br />

tutte le fogne. Lande risolutosi per lo meglio<br />

a tornarsi nel<strong>la</strong> Germania, non potendo<br />

passare per Trento, si dirizzò a <strong>la</strong> volta del<br />

Piemonte per andarsene per quelle altre Alpi.<br />

Arrivato dunche ad Ivrea, ribel<strong>la</strong>tali poco<br />

avanti da Anscario marchese di quel<strong>la</strong>…giurò<br />

di non partirsi già mai di quivi, sino a tanto<br />

che i cittadini non gli davano preso il<br />

Marchese. La qual cosa intendendo<br />

Anscario…uscitosi de <strong>la</strong> terra segretamente,<br />

si nascose in alcune grotte molto ce<strong>la</strong>te, a<br />

cagione che i suoi cittadini potessino<br />

liberamente giurare che Anscario non era<br />

nel<strong>la</strong> città. Il quale giuramento accettando lo<br />

Imperatore, per le montagne…se ne tornò ne’<br />

659 Storia, passo alle pp. 70-72.<br />

660 Liuthprandi, cit., passo alle pp. 230u1-232u2.<br />

mortalia pectora cogis. Auri sacra fames.<br />

Sumptum namque letale poculum festinus regi<br />

propinat. Quo accepto, tanta hunc confestim<br />

somni virus invasit, ut totius exercitus strepitu<br />

triduo excitatus vigi<strong>la</strong>re nequiret. Fertur aut<br />

quoniam dum familiares hunc, modo strepitu,<br />

modo tactu inquietarent, apertis oculis nil<br />

sentire, Positus tamen in mentis excessu<br />

mugitum reddere, non verba aedere<br />

videbatur. Huius autem rei actio repedare<br />

omnes compulit, non pugnare.[…]Denique<br />

redeuntem Arnulfum regem cum magna<br />

moltitudine, pau<strong>la</strong>tim rex Vuido persequitur.<br />

Quumque Arnulfus Bardonis montem<br />

conscenderet ibi quorum consilio definivit<br />

quatenus Berengarium lumine privaret, sicque<br />

securus Italiam obtineret. Cognaturum vero<br />

Berengarij unus qui non parva Arnulfo regi<br />

familiaritatis gratia inhaerebat, huius<br />

consilium ut agnovit, absque mora<br />

Berengario patefecit, qui mox ut sensit,<br />

lucerna, quam ante Arnulfi regis praesentiam<br />

tenebat, alij tradita fugit, atque Veronam<br />

percitus venit. Omnes extunc Italienses<br />

Arnulfum floccipendere, nihil habere, unde<br />

quum Ticinum veniret, non modica orta est in<br />

civitate seditio, tantaque istic strages<br />

exercitus facta est, ut cryptae civitatis, quas<br />

alio nomine cloacas dicunt, implerentur<br />

horum cadaveribus. Quod Arnulfus cernens<br />

quondam per Veronam non potuit, per<br />

Hannibalis viam quam Bardum dicunt, et<br />

montem Iovis, repedare disposuit. Quumque<br />

Iporegiam pervenisset. Anscarius marchio<br />

istic aderta, cuius exhortatu civitas<br />

rebel<strong>la</strong>bat. Verum hic Arnulfus iureiurando<br />

promiserat, nunquam se a loco eodem<br />

discessurum quam praesentiae suae<br />

repraesentarent Anscarium. Is autem ut erat<br />

homo formidolosus valde, ei omnino similis<br />

qui a Marone canitur, <strong>la</strong>rgus opum, lingua<br />

melior, sed frigida bello dextra, de castello<br />

exiit, et iuxta murum civitatis in cavernum<br />

petrarum <strong>la</strong>tuit. Hoc eo fecit, quatenus licite<br />

possent regi Arnulfo iureiurando satisfacere<br />

Anscarium in urbe non esse. Itaque<br />

iusiurandum istud accepit rex, atque iter quod<br />

coeperat peragens abijt.” 660<br />

123


suoi paesi.” 659<br />

In queste nuove condizioni, al<strong>la</strong> morte di Formoso, Sergio, che può contare anche sul<br />

sostegno del marchese di Toscana, Adalberto, ottiene <strong>la</strong> tiara pontificia. Come mostra <strong>la</strong><br />

col<strong>la</strong>zione, i fatti inerenti al ritorno di Sergio, il Giambul<strong>la</strong>ri li ricava da Liutprando. Vista <strong>la</strong><br />

fonte, chiaramente avversa in tutte le sue opere al<strong>la</strong> curia romana 661 , e considerato il contegno<br />

antimperiale del<strong>la</strong> politica di Sergio, naturalmente <strong>la</strong> sua caratterizzazione appare totalmente<br />

negativa. Dunque si conferma ulteriormente l’orientamento filoghibellino del Giambul<strong>la</strong>ri e <strong>la</strong><br />

fondatezza delle considerazioni del Di Stefano. Nel passaggio in questione, affiora anche un<br />

implicito confronto tra <strong>la</strong> santità di Formoso, papa filo-imperiale e il diabolico Sergio,<br />

pontefice antimperiale, che si risolve a tutto vantaggio del primo naturalmente:<br />

“Papa Formoso dopo <strong>la</strong> partita di Arnolfo…si<br />

morì nello ottocento novantasette, e dopo doi<br />

giorni del<strong>la</strong> sua morte, fu creato in iscambio<br />

suo Bonifacio sesto di nazione toscano, che<br />

tenne il pontificato so<strong>la</strong>mente trentasei giorni;<br />

perché Sergio, del quale ragionammo poco di<br />

sopra, fuggitosi per <strong>la</strong> coronazione di<br />

Formoso a’l signore Alberto Ricco, marchese<br />

potentissimo del<strong>la</strong> Toscana, subito che udì<br />

Arnolfo partito d’Italia e Formoso morto, se<br />

ne venne diritto a Roma, e co’l favore del<br />

predetto Alberto, cacciato via Bonifazio,<br />

ricuperò il perduto seggio. Nel quale non<br />

come Vicario di Gesù Cristo, ma come tiranno<br />

crudelissimo, desideroso di vendicarsi, fece<br />

dissotterrare il morto Formoso, e vestito di<br />

tutti i sommi ornamenti pontificali, lo fece<br />

porre a sedere nel<strong>la</strong> cattedra come se egli<br />

ancora fusse vivo, e…cominciò a dirgli:<br />

“Quale è <strong>la</strong> cagione che, essendo tu vescovo<br />

Portuense, abbandonata <strong>la</strong> sedia tua,<br />

usurpasti ambiziosamente <strong>la</strong> Romana,<br />

principessa e madre di tutte le<br />

altre?”…vituperosamente lo fe’ spogliare di<br />

tutto lo abiot sacerdotale, e tagliateli quelle<br />

dita che tengono l’ostia sagrata, fece il resto<br />

gettare nel Tevere. Appresso privando tutti<br />

coloro che da esso avevano avuto gli Ordini<br />

sacri, non volle che potessero esercitargli, se<br />

nuovamente non si ordinavano. Il che quanto<br />

e’ facesse a ragione (poi che non si appartiene<br />

a me giudicarlo), veggasi da lo esempio de’<br />

Santi Apostoli; i quali dopo il tradimento fatto<br />

da Giuda…non ordinarono però mai che i<br />

benedetti o mondati da lui, venissero,<br />

nuovamente a ribenedirse; considerando, e<br />

prudentemente, che <strong>la</strong> benedizione del<br />

“Descenditque Sergius in Thusciam,<br />

quatenus Adelberti potentissimi marchionis<br />

auxilio iuvaretur: quod et factum est. Nam<br />

Formoso defuncto, atque Arnulfo in propria<br />

reverso: is qui post mortem Formosi papa<br />

constitutus est, expellitur, Sergiusque papa<br />

per Adelbetum constituitur. Quo costituto, ut<br />

impius doctrinarumque sanctarum inscius,<br />

Formosum ex sepulchro extrahere, atque in<br />

sedem Romani pontificatus sacerdotalibus<br />

indumentis indutum collocare praecepit. Cui<br />

et ait, Quum Portuensis esses episcopus, quur<br />

ambitionis spiritu romanam universalem<br />

sedem usurpasti: His expletis sacratis mox<br />

exutum vestimentis, digitisque tribus abscisis,<br />

in Tyberim iactare praecepit, cunctosque<br />

quos ipse ordinaverat, gradu proprio<br />

depositos iterum ordinavit. Quod quam male<br />

egerit pater sanctissime, in hoc<br />

animadvertere poteris, quondam et hi qui a<br />

Iuda domini nostri Iesu Christi proditore ante<br />

proditionem salutem seu benedictionem<br />

apostolicam perceperant, ea post<br />

proditionem proprijque corporis<br />

suspensionem minime sunt privati, nisi quos<br />

improba sorte defoedarant f<strong>la</strong>gitia.<br />

Benedictio siquidem quae ministris Christi<br />

impenditur, non per eum qui videtur, sed qui<br />

non videtur sacerdotem infunditur. Neque<br />

enim qui rigat est aliquid, neque qui p<strong>la</strong>ntat,<br />

sed qui incrementus dat deus. Quantae autem<br />

autoritatis, quantaeque religionis papa<br />

Formosus fuerit, hinc colligere possumus,<br />

quoniam dum a piscatoribus postmodum<br />

esset inventus, atque ad beati Petri<br />

apostolorum principis ecclesiam deportatus,<br />

sanctorum quaedam imagines hunc in loculo<br />

661 In proposito rinviamo a Liutprando da Cremona, cit., Introduzione, cit., pp. 9-11, 28-29 e 33 e Tutte le<br />

opere, cit., Introduzione, cit., pp. 23-24.<br />

124


Pontefice non opera in virtù di quell’uomo<br />

visibile che pone o annaffia le piante, ma in<br />

quel<strong>la</strong> del Creatore invisibile, che le fa<br />

crescere a suo piacere. […]ed assai<br />

chiaramente si mostrò poi <strong>la</strong> innocenzia e <strong>la</strong><br />

bontà sua, quando ritrovato il suo corpo da<br />

pescatori, e portato di notte in San Pietro, le<br />

imagini dipinte in chiesa…si inchinarono a<br />

onorarlo.” 662<br />

positum venerabiliter salutarant. ” 663<br />

Senza trascurare, che a rimarcare <strong>la</strong> fondatezza del giudizio negativo su Sergio in<br />

riferimento ai misfatti da lui compiuti sul cadavere di Formoso, il Giambul<strong>la</strong>ri riafferma a<br />

chiare lettere nel secondo libro del<strong>la</strong> Storia <strong>la</strong> piena attendibilità dello storico longobardo.<br />

Liutprando, infatti, diversamente da quanto sostenuto da altre fonti citate dal canonico, nega<br />

che Sergio III, successore di Stefano VI, sia stato autore di analoghi strazii sul corpo senza<br />

vita di Formoso 664 .<br />

Del resto, l’interesse non secondario nutrito dal Giambul<strong>la</strong>ri per le vicende del<strong>la</strong> curia<br />

romana viene confermato dal<strong>la</strong> nuova parentesi dedicata ai successori di Stefano VI, <strong>la</strong> quale<br />

propone l’immagine di una Curia turbolenta e instabile, vittima dei malumori e delle pressioni<br />

esercitate dalle opposte fazioni. Infatti, <strong>la</strong> questione aperta da Stefano VI con <strong>la</strong> condanna post<br />

mortem di Formoso, vede Giovanni X che invece si pronuncia a favore del defunto pontefice<br />

col ricorso ad un concilio a Ravenna, costretto a fuggire da Roma per una vera e propria<br />

sedizione popo<strong>la</strong>re. La col<strong>la</strong>zione indica una notevole vicinanza alle Vitae Pontificum del<br />

P<strong>la</strong>tina 665 :<br />

“…al papato di Stefano sesto, che durò<br />

so<strong>la</strong>mente quindici mesi, successe papa<br />

Romano, che non visse tre mesi intieri, ne’<br />

quali annullò e cassò le azioni di Stefano. Il<br />

che approvò medesimamente il suo<br />

successore Teodoro secondo, ancora che e’ si<br />

morisse fra venti giorni. Ed al papato di<br />

Teodoro successe Giovanni nono, cittadino<br />

romano, il quale riassumendo <strong>la</strong> causa di<br />

Formoso, venne in tanta disgrazia del<br />

popolo, che e’ fu costretto a fuggir di Roma.<br />

Per il che andatosene a Ravenna, e ragunato<br />

quivi un Concilio di settantaquattro Vescovi,<br />

dannò tutte le azioni di Stefano e approvò<br />

quelle di Formoso, dichiarando che male<br />

avesse fatto a Stefano a riordinare<br />

nuovamente quelli che Formoso avea<br />

ordinato. Visse costui nel papato due anni e<br />

quindici giorni, senza <strong>la</strong>sciare altra memoria<br />

“Ad Stephanum redeo, qui pontificatus sui<br />

anno primo, mense terbio moritur[…]<br />

Romanus ubi pontificatum inijt, Stephani<br />

pontificis decreta et acta statim improbat<br />

abrogatque[…]in qua tertio pontificatus sui<br />

mense demoritur. Thedorus<br />

secundus…Formosi acta restituit […]At<br />

Theodorus vigesimo pontificatus sui die<br />

moritur.<br />

Ioannes decimus, patria Romanus, pontifex<br />

creatus, Formosi causam in integrum statum<br />

restituit, adversante magna populi Romani<br />

parte, qua ex re tanta seditio orta est, ut<br />

paulum admodum ab iusto parelio abfuerit. Is<br />

autem Ravennam profectus, IIII et LXX<br />

episcoporum abito conventu, et a Stephanum<br />

factum, qui censuit eos iterum ordinandos<br />

esse, quos Formosus ad sacros ordines<br />

asciverat.[…]Ioannes autem pontificatus sui<br />

662 Storia, cit., passo alle pp. 72-74.<br />

663 Liuthprandi, cit., passo alle pp. 229u1-230u1.<br />

664 Nel<strong>la</strong> Storia, cit., infatti, leggiamo a p. 117: “atteso massimamente che Liutprando, vivo in que’ tempi, e che<br />

diligentemente racconta <strong>la</strong> <strong>prima</strong> offesa fatta a quel corpo, non avrebbe taciuto in maniera alcuna questa<br />

seconda, tanto pubblica e tanto maggiore di quel<strong>la</strong>.”<br />

665 Hi<strong>storia</strong> B. P<strong>la</strong>tinae de vitis pontificum romanorum A. D. N. Cristo usque ad Paulum II venetum, Papam<br />

longe quam antea emendatior, doctissimarumque annotationum onuphrii Panvinij accessione nunc illustrior<br />

reddita…, Coloniae, apud Maternum Chorinum, MDLXXIIII (d’ora in poi Hi<strong>storia</strong>…de vitis pontificum).<br />

125


de’ casi suoi, che di avere suscitata e<br />

rinnovata <strong>la</strong> quasichè estinta sedizione.” 666<br />

anno secondo, die decimo quinto<br />

moriens…” 667<br />

Anche se fonte di parte curiale, il P<strong>la</strong>tina presenta indubbiamente, una prospettiva critica e<br />

artico<strong>la</strong>ta del<strong>la</strong> <strong>storia</strong> pontificia. Egli, infatti, intende recuperare nel<strong>la</strong> sua composizione <strong>la</strong><br />

tradizionale forma biografico-agiografica del Liber Pontificalis, secondo i rinnovati criteri<br />

del<strong>la</strong> storiografia. umanistica 668 . Tuttavia, non va esclusa <strong>la</strong> consultazione per questo<br />

passaggio dell’opera di un altro autore, in seguito esplicitamente indicato e utilizzato quale<br />

fonte del<strong>la</strong> Storia: il Chronicon di Giovanni Carione 669 .<br />

Le propensioni politiche dell’astronomo e matematico Carione, infatti, sono connesse ad<br />

una posizione religiosa luterana secondo quanto traspare dal<strong>la</strong> lettera noncupatoria del 1531<br />

rivolta al principe del Brandeburgo 670 , che evidenzia chiaramente i motivi antiromani<br />

dell’opera, ricavabili anche dal<strong>la</strong> lode dei principi di Brandeburgo a cominciare da Alberto<br />

che ha seco<strong>la</strong>rizzato il principato e optato nel 1525 per <strong>la</strong> riforma luterana:<br />

“Maiores enim C. T. videlicet Marchio Albertus Princeps Elector, qui in Historijs optimo<br />

iure Germanicus Achilles appe<strong>la</strong>tur, non minorem <strong>la</strong>udem hinc meruit, que eloquentiae studio<br />

prae caeteris excelluit, quoque tot bel<strong>la</strong> summa cum <strong>la</strong>ude et foelicitate pro Romano impio<br />

gessit ac confecit. Et ea quidem virtus quasi haereditaria successione ad avum Marchionem<br />

Iachimum Marchionem Ioannem, deinde ad C. T. patrem Marchionem Ioachinum Principem<br />

electorem adhaec in patruum C. T. Marchionem et electorem Archiepiscopum Moguntinum,<br />

singu<strong>la</strong>ri quadam ac divina gratia pervenit, et iam in C. T. praeter alias heroicas virtutes<br />

haud vulgariter lucet ac se ostendit. ” 671<br />

In questa direzione, non va dimenticato che l’opera del Carione <strong>prima</strong> del<strong>la</strong> pubblicazione<br />

viene rivista da Me<strong>la</strong>ntone che ne accentua i motivi protestanti e <strong>la</strong> linea filoimperiale,<br />

estendendone in seguito l’ampiezza e <strong>la</strong> cronologia storica fino all’età di Carlo V 672 .<br />

Nel Chronicon si esalta il valore esemp<strong>la</strong>re del<strong>la</strong> <strong>storia</strong> quale irrinunciabile strumento<br />

educativo per il potere politico che ha precisi e improcrastinabili doveri etici e religiosi 673 .<br />

666 Storia, passo alle pp. 74-75.<br />

667 Hi<strong>storia</strong>…de vitis pontificum, cit., passo alle pp. 130L5-131L6.<br />

668 Sull’educazione umanistica del P<strong>la</strong>tina e sul<strong>la</strong> sua storiografia nell’ambito di quel<strong>la</strong> curiale rinviamo a E.<br />

Cochrane, Hi<strong>storia</strong>ns and Historiography, cit., pp. 43 e 53-58, e a M. Miglio, Storiografia pontificia del<br />

Quattrocento, Bologna, Patron, 1975, in partico<strong>la</strong>re pp. 16-17, 27, 29-30, 113, cfr. inoltre J. D’Amico, Papal<br />

History and Curial Reform, cit., p. 161.<br />

669 Cronica Ioannis Carionis conversa ex Germanico in Latinum a doctissimo viro Hermanno Bono et ab<br />

autore diligenter recognita, Ha<strong>la</strong>e Suevorum ex officina Petri Brubachij, Anno MDXXXVII, mense Septembri,<br />

ivi a p. 207cc7 leggiamo: “Post Bonifacium 6 factus est Papa Stephanus sextus, hic rescidit et damnavit omnes<br />

ordinationes Formosi. Stephanum secutus est 117 Papa Romani successor fuit 118 Papa Theodorus secundus.<br />

Post Theodorus secundus factus est Papa Ioannes decimus, hic reiectas a Stephano sexto ordinationes Formosi<br />

iterum recepit, et approbavit.” Su questa indicazione cfr. <strong>la</strong> nota del<strong>la</strong> Marangoni al passaggio 1-16 in Storia,<br />

cit., p. 75 dove si ipotizza anche una ispirazione dai Commentarii del Volterrano, che sui successori di Stefano<br />

VI scrive alle pp. 252t6-253t6: “Romanus patria romanus…sedit mens. III, Stephani acta infirmavit. Theodorus<br />

II sedit dies XXX. Formosi acta in integrum restituit. Ioannes IX. Romanus, sedit an. II. Dies XV”.<br />

670 Ivi, Illustrissimo principi ac Domino Ioachimo Marchioni Brandenburgensi, Duci Stetinensi, Pomeraniae,<br />

Cassubiorum ac Vandalorum, Burgravio Norinbergensi, et Rugiade Principi, Domino suo clementissimo, pp.<br />

2a2-3a3.<br />

671 Ivi, passo a p. 3a3.<br />

672 Sul<strong>la</strong> storiografia del Carione e sugli influssi me<strong>la</strong>ntoniani rinviamo a Irena Backus, Historical Method and<br />

Confessional Identity in the Era of the Reformation (1378-1615), Brill: Leiden-Boston, 2003, in partico<strong>la</strong>re pp.<br />

327-338; cfr. inoltre D. Cantimori, Umanesimo e luteranesimo di fronte al<strong>la</strong> Sco<strong>la</strong>stica, in “Rivista di Studi<br />

Germanici”, II, 1937, pp. 417-438, ora in id.,Umanesimo e religione nel Rinascimento, Torino, Einaudi, 1975,<br />

pp. 88-111, in partico<strong>la</strong>re p. 97 e nota n. 12, e ivi, pp. 286-287 e L. Perini, La vita e i Tempi di Pietro Perna, cit.,<br />

p. 199; cfr. inoltre E. Cochrane, Hi<strong>storia</strong>ns and Historiography, cit., pp. 385-386.<br />

673 Con esplicita conseguente condanna del<strong>la</strong> separazione tra morale individuale e azione politica a p. 4a4-5a5:<br />

“Caeterum duplex est ratio iusticiae, quae necessaria est cuius: altera enim politica est et externa: altera vero<br />

126


Dunque si afferma secondo <strong>la</strong> prospettiva luterana, <strong>la</strong> funzione di spada del<strong>la</strong> volontà divina<br />

attribuita all’autorità seco<strong>la</strong>re che in essa trova <strong>la</strong> sua più profonda giustificazione:<br />

“Atque hoc modo reputabit secum pii hominis animus huiusmodi prec<strong>la</strong>ra facta, et<br />

vindictas, Dei opus esse, et discet ex illis timere Deum, utpote quod Tyranni atrociter puniti<br />

sunt, iuxta sententiam il<strong>la</strong>m: Qui g<strong>la</strong>dium sumit, hoc est, qui sine mandato usurpat sibi ius<br />

vindicandi, is g<strong>la</strong>dio peribit. Contra vero videre etiam licet, a Deo servati bonos Principes et<br />

defendi. Atque hoc ipsum gentes quoque animadverterunt, qui nitantur Principes Deorum<br />

praesidio.” 674<br />

Compito pienamente e felicemente svolto dall’impero germanico e dei suoi principi<br />

elettori che hanno preservato <strong>la</strong> maestà dell’impero romano:<br />

“Et ad huic imperii honorem et fastigium evexit(elegit) his postremis temporibus Germanos<br />

Deus prae populis reliquis. Nam quanquidem diminutum nonnihil sit imperium Romanum<br />

hodie (Deo enim, ut vaticinatum est, visum ita fuit, ut decrescerent tandem mundi<br />

monarchiae) tamen maiestas permanet apud imperium Romanum, et nemo regum est, qui non<br />

oculos suos in hoc regunm convertat. Proinde quanquidem non aequ semper potentes<br />

habeamus imperatores, tamen providente sic Deo, tanta subinde potentia contingit Caesar<br />

aliquis, ut sublimitas imperii conservetur. Idque propter religionem et concordiam omnium<br />

nationum retinenda. Et debent merito Germaniae principes, et imprimis principes imperii<br />

Electores hunc honorem, suum magni aestimare, quod sublimitatem hanc divinitus<br />

commissam habent ad religionem, ius et pacem publicam retinendam. ” 675<br />

Carione, infatti, sul<strong>la</strong> base del<strong>la</strong> profezia di Elia che divide <strong>la</strong> <strong>storia</strong> umana in quattro grandi<br />

epoche contrassegnate dalle monarchie assira, persiana, greca e nell’ultima fase che inizia con<br />

<strong>la</strong> venuta di Cristo, appunto romana e soprattutto tedesca, è convinto fautore del<strong>la</strong> trans<strong>la</strong>tio<br />

imperii 676 . Egli contrappone <strong>la</strong> realtà provvidenzialmente legittimata dell’impero tedesco al<strong>la</strong><br />

mondanizzazione del papato romano:<br />

“Caeterum quo pacto post natum Christum mutationem coeperit Romana Monarchia, et<br />

eius successio ad Germanos pervenerit, propterea et de origine Mahumetici regni,et quomodo<br />

Papatus externae potentiae augumentum acceperit, ea omnia in hac tertia parte<br />

indicabimus.” 677<br />

de fide et timore Dei. Utriusque nobis exemp<strong>la</strong> in historiis proponuntur. Atque ut primum de civilibus moribus<br />

dicamus, debent Principes, atque adeo omnes qui rebus magnis gerendis praesunt, ea potissimum exemp<strong>la</strong> et<br />

gesta considerare, quibus moneri possunt, quomodo ipsi foeliciter versari queant in republica administranda,<br />

ponenda ob oculos sunt exemp<strong>la</strong> Principum et Regum, discendumque est ex illis, qua potissimum ratione,<br />

quibusque officiis sint usi, in imperiis gubernandis, quod praeter publicam utilitatem nihil spectarint, quod in<br />

iusticia tuenda fuerint solliciti, quod acerrime vindicarint iniurias, quodque non levi de causa bellum<br />

susceperint, sed eos dissimu<strong>la</strong>tione iniuriarum pacem saepe retinuisse. Contra vero in adversis animo praesenti<br />

et infracto fuisse, omni humanitate et clementia usos esse erga bonos, studuisse denique imperia sua<br />

munitionibus ac potentia, religionis cultu et bonis moribus reddere meliora. In Tyrannorum exemplis diversum<br />

observabunt, illorum exitus ca<strong>la</strong>mitosos fuisse, et propter crudelitatem perniciosos eventus, et commutationes in<br />

republica exiciales accidisse. Sic ob Tyrannidem constat Pharaonem perijsse, et simili de causa Romani Reges<br />

exacti sunt. Et perdiderunt saepe se mutuo Principes ob superbiam, ob invidiam, ob odium nonnunque ex re<br />

nihili contractum. ”<br />

674 Ivi, passo a p. 7a7 nel preambolo che precede il primo libro, De usu lectionis hi<strong>storia</strong>rum, pp. 3a3-8a8. Sul<strong>la</strong><br />

concezione del<strong>la</strong> <strong>storia</strong> in Me<strong>la</strong>ntone e nel Chronicon e sul<strong>la</strong> sua irrinunciabile funzione per i governanti,<br />

rinviamo a I. Backus, Historical Method and Confessional Identity, cit., pp. 328-329.<br />

675 Ivi, passo a p. 11b3.<br />

676 Ivi, vedi pp. 9b1-12bb4.<br />

677 Ivi, passo a p. 12b4.<br />

127


Anche nel Chronicon riscontriamo del resto, <strong>la</strong> caratterizzazione tirannica dell’antipapa<br />

Sergio e l’elencazione delle cinque conquiste germaniche di Roma, compresa quel<strong>la</strong> di<br />

Arnolfo 678 , insieme al<strong>la</strong> delegittimazione del<strong>la</strong> base stessa del dominio temporale del papato<br />

poi costituito materialmente da Pipino il Breve con le concessioni del 754 e 756 re<strong>la</strong>tive<br />

all’esarcato di Ravenna: <strong>la</strong> donazione di Costantino 679 .<br />

Tornando al conflitto italiano, Berengario, morto Guido, deve fronteggiare il figlio<br />

Lamberto:<br />

“...si accompagnò <strong>la</strong> morte di Guido; il quale<br />

nel<strong>la</strong> partita di Arnolfo, avendolo<br />

perseguitato sino su’l Taro, amma<strong>la</strong>tosi<br />

gravemente, se ne andò fra giorni brevissimi<br />

a dar conto de’ suoi spergiuri. La qual cosa<br />

udendo il re Berengario, venne subitamente a<br />

Pavia, e senza contrasto alcuno di persona<br />

ottenne pur finalmente il tanto già combattuto<br />

regno, ancora che per poco tempo. Con ciò<br />

sia che gli amici ed i favoriti del morto Guido<br />

temendo che il re Berengario non vendicasse<br />

troppo aspramente sopra di loro gli sdegni e<br />

le ingiurie sue, accostatisi a Lamberto<br />

figliuolo di Guido, pubblicamente, come vero<br />

successore di suo padre, lo coronarono re<br />

del<strong>la</strong> Italia. Costui…fu volentieri veduto dai<br />

popoli…Lande, ragunato assai buono<br />

esercito, e indirizzatosi verso Pavia,<br />

Berengario, che non aveva gente da stargli a<br />

petto, si ritirò dolente a Verona, città statagli<br />

sempre amica e deditissima al nome suo…” 680<br />

.<br />

“Sicut enim prefati sumus, dum redeuntem<br />

Arnulfum rex Vuido evestigio sequeretur,<br />

iuxta fluvium Tarum defunctus est, Cuius<br />

obitum Berengarius ut audivit, venit festinus<br />

Papiam, regnumque potenter obtinuit: fideles<br />

vero fautoresque Vuidonis, veriti ne ab eis<br />

il<strong>la</strong>tam Berengarius ulcisceretur iniuriam, et<br />

quia semper Italienses geminis uti dominis<br />

volunt, quatenus alterius terrore coerceant,<br />

Vuidonis regis defunti filium nomine<br />

Lamthbertum elegantem iuvenem adhuc<br />

ephebum minusque bellicosum regem<br />

constituunt. Coepit denique hunc populus<br />

adire, Berengarium deserere. Quum<br />

Berengarius Lanthberto cum esercito magno<br />

Papiam tendenti, copiarum paucitate<br />

occurrere non auderet, Veronam petijt,<br />

isticque securus degit.” 681<br />

Dunque come documenta il precedente passo, un altro fattore che alimenta il perpetuarsi<br />

del<strong>la</strong> guerra risiede nell’avversione del<strong>la</strong> feudalità italiana all’affermazione definitiva di un<br />

sovrano. Infatti, nel momento in cui Lamberto sembra sul punto di prevalere definitivamente<br />

su Berengario, dopo il fallito tentativo del duca di Mi<strong>la</strong>no Manfredi, <strong>la</strong> feudalità capeggiata<br />

dal potente marchese di Toscana Adalberto e dal conte Aldobrando si ribel<strong>la</strong>:<br />

678 Ivi, a proposito di Formoso e Sergio leggiamo sempre a p. 207cc7: “Post Stephanum quintum factus est<br />

Papa 114 Formosus. Iterum tum ingens dissidium fuit Romae de electione, nam et Sergius simul pontifex creatus<br />

est, sed pulso Sergio a fautoribus Formosi, adscitus est Caesar a Formoso in Italiam, ut ea occasione Papatum<br />

retineret. Etenim profugerat in Galliam Sergius, et moliebat praesidio Gallorum pontificatum consequi.<br />

Caeterum post annos aliquot pontifex factus est defuncto Formoso, et maiorem, que debuisset pro pontificia<br />

mansuetudine, Tyrannidem et insolentiam exercuit. Effossum Formosi cadaver degradari mandavit, et capite<br />

truncatum in Tybri fluvium cum summa ignominia abiici. Scribunt Sergium hunc p<strong>la</strong>ne incultum, et<br />

nul<strong>la</strong>…eruditione fuisse, id quoque crudelia eius facta satis arguunt. Formoso successit Papa 115 Bonifacius<br />

sextus.” Ivi, inoltre sulle quattro prese di Roma precedenti a quel<strong>la</strong> di Arnolfo leggiamo alle pp. 174y6-175y7:<br />

“Capta est itaque urbs Roma quater a Gotthis et Vandalis intra centum triginta novem annos, primum ab<br />

Alricho sub Honoris. Anno Christi 412. Deinde a Gensericho Vandalo Marciani temporibus. Anno Christi 456.<br />

Tercio a Gotthos rege Toti<strong>la</strong>, et haec ipsa oppressio urbis Romae gravissima olim fuit, nam capta simul et exusta<br />

est anno Iustiniani primo et vicesimo. Anno vero post conditam urbem millesimo et trecentesimo. Anno Christi<br />

548. Quarto in tercio anno, post hanc devastationem. Anno Christi 551.” pp. 174y6-175y7 e sul<strong>la</strong> conquista di<br />

Roma ad opera di Arnolfo pp. 206cc6-207cc7: “Postea ubi ux Spoletanus Vuido per tumultum Caesar esset<br />

creatus, in Italiam profectus Arnolfus magna vi Romam cepit, et a Formoso pontifice maximo coronatus.”<br />

679 In proposito si rinvia a I. Backus, Historical Method and Confessional Identity, cit., in partico<strong>la</strong>re pp. 331-<br />

334.<br />

680 Storia, cit., passo a p. 74.<br />

681 Liuthprandi, cit., passo a p. 232u2.<br />

128


“La parte in questo mentre del re Lamberto,<br />

cioè quelli stessi signori lombardi che lo<br />

avevano chiamato al regno, non<br />

contentandosi molto de <strong>la</strong> severità di esso<br />

Lamberto, cominciò a rivolgersi a Berengario,<br />

ed a desiderarlo grandemente chiamandolo<br />

a’l regno…contra Lamberto…cominciarono<br />

pure a scoprirsi alcuni de’ capi lombardi,<br />

ribel<strong>la</strong>ndosi apertamente, sotto quel<strong>la</strong><br />

speranza che avevano del soccorso di<br />

Berengario. Ed il primo…fu il conte di<br />

Mi<strong>la</strong>no…detto Manfredi. Costui…senza<br />

rispetto d’avere il proprio figliuolo a’ servizi<br />

del re Lamberto, e senza considerazione delle<br />

forze sue, molestando e predando i luoghi<br />

vicini che si tenevano per esso re, cadde<br />

improvvisamente in uno agguato de’ suoi<br />

nimici; dove restando rotto e prigione, fu<br />

condotto davanti al Re; e per sentenzia di<br />

quello condannato a dover morire, gli<br />

fu…pubblicamente tagliato il capo. Il che<br />

spaventò di maniera gli animi tutti de’<br />

sollevati, che volentieri stettero in pace. Ma il<br />

ricco marchese Alberto, ed il conte<br />

Aldobrando, che…erano pure di quel numero<br />

che bramava rivoluzione, avendo<br />

segretamente ragunato le genti in diversi<br />

luoghi del<strong>la</strong> Toscana, <strong>la</strong> quale ubbidiva tutta<br />

al marchese Alberto, unitele tutte insieme…si<br />

drizzarono contro a Pavia…” 682<br />

“Non post multo vero temporis Lantbhertus<br />

rex quum esset vir severus, principibus gravis<br />

est visus. Unde et legatos Veronam dirigunt,<br />

et regem Berengarium ad se venire,<br />

Lantbhertum vero expellere petunt.<br />

Maginfrendus praetera Medio<strong>la</strong>nensis urbis<br />

comes quinquennio huic rebellis extiterat, qui<br />

non solum urbem in qua rebellis erat,<br />

Medio<strong>la</strong>num scilicet defenderet, verum et<br />

vicina curcumquaque Lanthberto loca<br />

servientia depopu<strong>la</strong>bant. Quod factum rex<br />

non passus abire inultum, psalmographicum<br />

illud persaepe ruminans: quum accepero<br />

tempus, ego iustitias iudicabo. Nam post<br />

paululum capitis hunc iussereat damnari<br />

sententia. Qua res terrorem cunctis<br />

Italiensibus non minimum incussit. Denique<br />

hoc eodem tempore Adalbertus illustris<br />

Thuscorum marchio atque Hildebrandus<br />

praepotens comes huic nisi sunt rebel<strong>la</strong>re.<br />

Tantae quippe Adelbertus erat potentiae, ut<br />

inter omnes Italiae principes solus ipse<br />

cognomento diceretur Dives. Huic erat uxor<br />

nomine Berta, Hugonis post nostro tempore<br />

regis mater: cuius instinctu tam nepharia<br />

coepit ipse facinora. Nam collecto exercitu,<br />

cum Hildebrando comite constanter Papiam<br />

tendere festinat.” 683<br />

Al<strong>la</strong> fine Lamberto viene ucciso dal figlio del conte Manfredi, Ugo. Berengario può<br />

riappacificarsi con tutta <strong>la</strong> feudalità italica come riproposto sul<strong>la</strong> base dell’Antoposis dal<br />

Giambul<strong>la</strong>ri:<br />

“avanti che il re Lamberto sapesse nul<strong>la</strong> di<br />

questo esercito, si era egli già condotto in sul<br />

Taro…ed a piè di quel monte che…si chiamò<br />

l’Alpe di Bardone…Quivi dunque trovandosi<br />

questa gente, corse lo avviso al Re del<strong>la</strong><br />

venuta di tale esercito; ed egli, trovandosi<br />

allora in caccia per sorte, senza altrimenti<br />

fare ragunata, si mosse subito a rincontrar<strong>la</strong><br />

con forse cento dei suoi soldati, che erano<br />

quel giorno con esso lui. Con questi<br />

venutosene a Piacenza con gran prestezza,<br />

intese che i suoi nimici erano al Borgo a San<br />

Donnino…chiamato così per esservi in somma<br />

682 Storia, cit., passo alle pp. 75-76.<br />

683 Liuthprandi, cit., p. 232u2.<br />

“Lantberthus interea rex harum rerum<br />

inscius, in Marino iam aliquantis diebus<br />

venationi vacabat. Quumque Adalbertus<br />

marchio et Hildebrandus comes cum diverso<br />

et invalido Thuscorum exercito Bardonis<br />

montem transirent, Lanthberto regi medio in<br />

nemore venanti ut sese res habuerat,<br />

nunciatur. Is vero sicut erat animi constans,<br />

viribusque potens, suos non passus est<br />

milites praesto<strong>la</strong>ri, sed collectis quos secum<br />

habebat centum fere militibus, cursu praepeti<br />

eis occurrere festinabat. Iam P<strong>la</strong>centiam<br />

venerat, quum iuxta fluvium Sesterrionem ad<br />

129


venerazione il corpo del beato martire<br />

Donnino, e che senza guardia, senza ascolte e<br />

senza ordine alcuno di milizia, alloggiavano<br />

con più sicurtà, che se e’ fussero in casa loro.<br />

Per <strong>la</strong> qual cosa avvicinatosi loro, il più che e’<br />

potette segretamente, ed assaltatigli a <strong>la</strong><br />

improvvisa su’l primo sonno, agevolmente gli<br />

mise in rotta. Bene è il vero che e’ non fu<br />

molta <strong>la</strong> uccisione; perché, pigliato il<br />

marchese Alberto, che tra certi asini si era<br />

fuggito in una stalletta, ed avuti prigioni a<br />

man salva tutti i capi di quello esercito<br />

(eccetto però il conte Aldobrando, che si fuggì<br />

al primo romore), non si curò altrimenti il Re<br />

di fare uccidere que’ che fuggivano,<br />

giudicando, come era il vero che tutti fossero<br />

de’l popolo suo. Mandati dunque i presi a<br />

Pavia, e ritiratosi egli a Marinco, dove<br />

attendeva <strong>prima</strong> al<strong>la</strong> caccia, si tornò al solito<br />

spasso, fino a tanto che fra i Baroni si potesse<br />

deliberare quello che si avesse da fare di<br />

coloro che aveva<br />

presi[…]Dilettandosi…questo re assai de <strong>la</strong><br />

caccia, accadde che, trovandosi un<br />

giorno…appartato in quel<strong>la</strong> da tutti gli altri,<br />

fuori che so<strong>la</strong>mente da un suo creato, di chi<br />

egli molto si fidava, sopraffatto dal sonno e<br />

dal<strong>la</strong> fatica, si ose a dormire in su l’erba, e<br />

commesse a quel giovane suo favorito che<br />

dovesse guardarlo fin che esso alquanto si<br />

riposava. Ugo (che così aveva nome colui, ed<br />

era figliolo di quel conte Manfredi, che per <strong>la</strong><br />

ribellione sua poco avanti perse <strong>la</strong> testa),<br />

vedevdo che il Re dormiva profondamente, e<br />

ricordandosi molto più del<strong>la</strong> fresca morte del<br />

padre, che de’ benefizii infiniti ricevuti da esso<br />

Re, co’l quale sempre si era allevato, deliberò<br />

di torgli <strong>la</strong> vita. Ma, per farlo in maniera tale<br />

che non ci fusse per lui pericolo, non lo volle<br />

ferire co’l ferro; anzi, tolto un ramo assai<br />

grave, e percossolo con tutta sua forza tra il<br />

capo e il collo, non so<strong>la</strong>mente lo ammazzò con<br />

poca fatica, ma con ogni sicurtà sua. Perché<br />

adattato il morto in maniera, che e’ paresse<br />

caduto giù da’l cavallo, verisimilmente fu poi<br />

creduto da coloro che in questa guisa lo<br />

ritrovarono, che e’ si avesse fiaccato il collo<br />

per <strong>la</strong> gran forza del<strong>la</strong> caduta. E sarebbesi<br />

universalmente creduto sempre di poi così, se<br />

Ugo stesso nel<strong>la</strong> grandezza de’ Berengari non<br />

684 Storia, cit., passo alle pp. 76-78.<br />

685 Liuthprandi, cit., passo alle pp. 232u2-234u4.<br />

Burgum in quo sanctissimi et preciosi<br />

martyris Dominaci corpus positum<br />

veneratur, castra metasse nunciant.<br />

Ignorantes igitur quid superventura nox<br />

pareret, temulenti post nonnul<strong>la</strong> inutilia,…,<br />

id est, cantilenas, somno sese dedere,<br />

stertere: nauseam alij sumptus intemperantia<br />

facere. Rex igitur animi ferox, tum ingenio<br />

callens, in ipso eos noctis conticinio<br />

opprimit, dormientes ferit, oscitantes iugu<strong>la</strong>t.<br />

Ventum est denique ad illos qui ductores<br />

huius exercitus erant. Quumque eis non ex<br />

multitudine alius, sed rex ipse praec<strong>la</strong>ri<br />

huius facinoris nuncius esset, non solum<br />

pugnandi, sed et fugiendi terror ipse abstulit<br />

facultatem. Verum Hildebrandus fuga<br />

e<strong>la</strong>psus, Adelbertum intra animalium<br />

praesepe <strong>la</strong>titantem dereliquit: qui dum<br />

repertus, atque ante regis praesentiam<br />

ductus esset[…]His ita gestis, rex<br />

Lanthbertus iterum praesato in loco Marino<br />

venatioribus occupatur, quo ab omnium<br />

principum decreto quid super captis<br />

agendum esse deliberaret. Sed o utinam<br />

venatio haec feras caperet, non reges.<br />

[…]Maginfredus Medio<strong>la</strong>nensis urbis comes,<br />

cuius superius paulo fecimus mntionem, dum<br />

pro scelere in Rempub. Atque in regem<br />

commisso capitis iudicio damnaretur,<br />

unicum possessionis vicarium Hugonem<br />

filium dereliquit. Quem dum Lanthbertus rex<br />

tum forma egregia, tum animi audacia<br />

nonnullos superare videret: non paruum pro<br />

patris mortem dolorem col<strong>la</strong>tis visus est<br />

beneficijs mulcere quamplurimis. Unde et<br />

eum prae caeteris familiaritatis dilexerat<br />

privilegio. Factum est autem dum<br />

Lanthbertus rex nominato loco Marinco<br />

venatur…huc illucque cunctis ut moris est<br />

discurrentibus, hoc cum uno scilicet Hugone<br />

ipsum solum modo inibi remansisse.<br />

Quumque rex aprum in transitu<br />

praesto<strong>la</strong>retur, diuque multum remorante<br />

longa expectatione <strong>la</strong>ssaretur, paululum sese<br />

quieti dedit, vigiliae custodiam huic infido<br />

quasi fido commitens. Absentibus igitur<br />

cunctis, Hugonis mens custodis, imo<br />

proditoris atque carnificis col<strong>la</strong>torum<br />

beneficiorum immemor, plurimum patris<br />

mortem animo coepit revolvere: […]Verum<br />

130


avesse scoperto il vero. Ucciso così<br />

miseramente il giovane re Lamberto, non<br />

avendo i Principi dove gittarsi, o dubitando di<br />

non far peggio, richiamarono il r eBerengario.<br />

Il quale, ritornato a’l perduto regno, liberando<br />

il marchese Alberto con tutti i prigioni di<br />

Pavia, dopo infinite carezze fatte a ciascuno,<br />

ed al Marchese massimamente presentati ed<br />

onorati quanto e’ poteva, gli rimandò agli<br />

Stati loro.” 684<br />

con anime toto virium, ligno non modico<br />

collum fregit. G<strong>la</strong>dio quippe ferire timuit, ne<br />

peccati eius autorem res eum manifesta<br />

probaret. Eo nacque mens perversa ita egit,<br />

ut non g<strong>la</strong>dij cicatrix, sed ligni manifesta<br />

collisio, haec reperientibus fidem daret equo<br />

cecidisse, collique fractione hominem<br />

exivisse. Latuitque res per annos<br />

quamplurimos: sed dum processu temporis<br />

Berengarius rex nullosibi resistente, regn<br />

viriliter obtineret, ipse restus proprij sictu<br />

fuerat autor, extitit et proditor.[…]His itaque<br />

gestis quum Beregarius ampliori ac pristina<br />

dignitate regia honoraret, Adalbertus<br />

marchio et caeteri ad propria<br />

destinantur.” 685<br />

Il nuovo equilibrio, tuttavia, viene scosso immediatamente dall’entrata in scena di Lodovico<br />

Bosone di Borgogna, che in seguito al<strong>la</strong> rottura tra Alberto di Toscana e Berengario, rivendica<br />

il regno d’Italia. Guido prevale facilmente su Berengario e viene incoronato re d’Italia e<br />

imperatore dal pontefice nell’898. Epilogo che costituisce un’ulteriore dimostrazione del caos<br />

permanente provocato dal mutevole orientamento del<strong>la</strong> feudalità italica in una realtà ormai<br />

priva di un’autorità riconosciuta e accettata da tutti.<br />

Peraltro, si conferma il ruolo fondamentale giocato dal marchese di Toscana nel determinare<br />

l’esito delle lotte per <strong>la</strong> corona italiana. Rilevanza posta in evidenza sul<strong>la</strong> falsariga di<br />

Liutprando in contrasto con il basso profilo di Ludovico di Borgogna:<br />

“Dopo <strong>la</strong> morte del re Lamberto, certi Principi<br />

de’ Lombardi che non si contentavano di<br />

Berengario, unitisi co’l marchese Alberto di<br />

Ivrea, figliuolo di Anscario detto di sopra, e<br />

genero di esso Berengario, ma occulto nimico<br />

suo; sollecitarono tanto con lettere e con<br />

ambasciate Lodovico Bosone di Borgogna, che<br />

e’ lo indussero finalmente a venire armato in<br />

Italia, a pigliare il regno di quel<strong>la</strong>, e<br />

coronarsene Imperatore, come discendente di<br />

Carlo Magno.[…]Per il che, parendoli avere<br />

assai giusto titolo a’l regno d’Italia, se ne<br />

venne volenteroso a le promesse de’ collegati,<br />

e di Alberto massimamente, come di persona<br />

più segna<strong>la</strong>ta. Con ciò sia che egli è quello<br />

Alberto di chi si cantava ne’ tempi<br />

suoi…Alberto poca chioma, lunga spada e<br />

corta fede. E pure, nel<strong>la</strong> gioventù sua, era<br />

stato umanissimo sempre e costumatissimo, e<br />

di tanta liberalità, che se nel ritornare da <strong>la</strong><br />

caccia si incontrava a sorte in un povero, non<br />

avendo altrimenti che dargli, si levava il corno<br />

da collo, ed ancora che riccamente adornato<br />

di catene e fibbie d’oro, lo donava a quel<br />

Dum haec aguntur, pene omnes Ludovicum<br />

quondam Burgundionum genitum prosapia,<br />

nuncijs directis invitant ut ad se veniat,<br />

regnumque Berengario auserat, sibi<br />

obtineat: huius vero tam turpis scleris autor<br />

Adalbertus Iporegiae civitatis marchio erat,<br />

cui et idem Berengarium filiam suam nomine<br />

Gisi<strong>la</strong>m coniugio copu<strong>la</strong>verat, ex qua filium<br />

genuerat, cui et avi sui vocabulum dederat.<br />

Iste est, inquam, iste Berengarius ille, cuius<br />

immensitate Tyrannidis tota nunc luget<br />

Italia, cuiusque lenocinio a quibuscunque<br />

gentibus premitur non iuvaret[…]Praeterea<br />

idem Albertus, quod bonis monibus<br />

cavendum est, nequaquam sui similis fuit.<br />

Nam dum servente aetate iuvenilem duceret<br />

vitam, mirae humanitatis, miraeque<br />

sanctitatis fuit, adeo sane, ut si ei a<br />

venatione redeunti pauper occurreret,<br />

aliudque non esset quod illi praestare posset,<br />

cornu protinus quod collo eius sibulis aureis<br />

dependebat, sine di<strong>la</strong>zione concederet,<br />

rursumque ab eodem quanti aestimabat<br />

acquireret. Tam dirae autem postmodum<br />

131


poverello, ricomperando poi da esso per quel<br />

tanto che e’ lo pregiava. Fidandosi dunque<br />

Lodovico in su <strong>la</strong> riputazione di costui e degli<br />

altri confederati, venne velocemente in Italia;<br />

ma con esercito male gagliardo,<br />

persuadendosi follemente che i collegati<br />

fussero in ordine con tante genti, che <strong>la</strong> sua<br />

quasi fusse soperchia. Il che successe tutto<br />

l’opposito; perché sapendo <strong>la</strong> sua venuta il re<br />

Berengario, fattosi forte co’l marchese Alberto<br />

del<strong>la</strong> Toscana, avanti che i collegati fossero<br />

uniti, gli uscì contra in su <strong>la</strong> campagna, ed<br />

uscì sì grosso di gente ed in luogo tale,<br />

che…conoscendosi Lodovico assai inferiore,<br />

come abbandonato già da Lombardi non volle<br />

più tentare <strong>la</strong> fortuna: anzi, cercata <strong>la</strong> pace<br />

con Berengario, ed ottenuta<strong>la</strong> agevolmente,<br />

giurò (secondo <strong>la</strong> forma de’ capitoli fatti) con<br />

un sacramento fortissimo, di non ritornare mai<br />

più a <strong>la</strong> impresa d’Italia[…]Ma non istette<br />

molto in cervello; con ciò sia che, nata poco di<br />

poi certa dissensione tra Berengario ed<br />

Alberto Ricco, i medesimi Signori lombardi,<br />

collegatisi con Alberto, mandarono<br />

segretamente a richiamare Lodovico a’l regno,<br />

e con fortissimi sacramenti gli giurarono di<br />

essere con lui, e di fargliene avere corona.<br />

Persuaso dunque da essi, anzi pure dal<strong>la</strong> sua<br />

ambizione invitato, senza tenere altrimenti<br />

conto del<strong>la</strong> sua obbligata fede, ragunato uno<br />

esercito sgagliardissimo, se ne venne lieto in<br />

Italia; e, congiuntosi non so<strong>la</strong>mente co’<br />

Lombardi, ma co’ Toscani, se ne andò al<strong>la</strong><br />

volta di Berengario, il quale veggendo le forze<br />

di Lodovico…si ritirò nel<strong>la</strong> fedelissima sua<br />

Verona…Ma…Lodovico avvicinatosi con le<br />

sue genti, non so<strong>la</strong>mente lo cacciò di essa<br />

Verona, ma di tutto il resto<br />

d’Italia[…]Lodovico[…]visitando lo<br />

Stato…suo, se ne venne per <strong>la</strong> Toscana; ove<br />

dal ricco marchese Alberto sontuosamente fu<br />

ricevuto ed onorato fuori di maniera. Lande,<br />

veduto egli <strong>la</strong> milizia di esso Alberto, i<br />

servitori, gli arnesi, i cavalli, con il sontuoso<br />

vestire e <strong>la</strong> grossa spesa che e’ sosteneva,<br />

disse con alcuni dei suoi più fidati: Costui<br />

veramente si potrebbe chiamare più tosto re<br />

che marchese, non essendo egli punto minore<br />

di me, se non so<strong>la</strong>mente nel titolo. Queste<br />

parole tornate agli orecchi di Alberto, gli<br />

causarono tanto sospetto, che, e per questo e<br />

cactus est famae, ut huiusmodi vera de eo<br />

tam a maioribus quam a pueris cantio<br />

dicetur. Et quia sonorius est…Adelbertus<br />

comis curtis…quo signatur et dicitur longo<br />

eum uti ense, et minima fide. Huius itaque<br />

aliorumque ac nonnullorum Italiensium<br />

hortatu praefatus Ludovicus in Italiam venit.<br />

Cui mox Berengarius ut audivit, obviam<br />

venit. Quumque Ludovicus Berengario sibi<br />

obviam venienti, magnas adesse copias, sibi<br />

vero paucas cerneret, iureiurando ei hoc<br />

terrore compulsus promisit, ut si sese<br />

dimitteret, quibuscumque promissionibus<br />

accitus amplius in Italiam non veniret.<br />

Fecerat namque sibi Berengarius plurimis<br />

col<strong>la</strong>tis numeribus Adelbertum Thuscorum<br />

praepotentissimum marchionem valde<br />

fidelem, atque ideo Ludovicus tam facile est<br />

expulsus. Modica vero temporis trascursa<br />

intercapedine, rex Berengarius nominato<br />

Adalberto gravis est visus. Cui rei Berta<br />

coniunx sua, Hugonis regis qui nostro post<br />

tempore in Italia regnavit mater non modice<br />

fomitem ministravit. Unde factum est ut<br />

consulto eodem Adelberto marchione, caeteri<br />

Italienses principes propter eundem<br />

Lodovicum ut adveniret transmitterent. Qui<br />

cupiditate regnandi, dolitus iurisiurandi<br />

venit concitus in Italiam. Videus itaque<br />

Berengarius, quod Ludovicus tam ab<br />

Italiensium quam a Thuscorum susciperetur<br />

principibus, Veronam profectus est.<br />

Ludovicus vero cum Italiensibus eum<br />

prosegui non desistens, Verona etiam illum<br />

expulit, totumque regnum sibi viriliter<br />

subiugavit. His ita gestis, bonum visum est<br />

Ludovico, ut sicut circumcirca viderat<br />

Italiam, videret et Thusciam. Exiens denique<br />

Papia, proficiscitur Lucam, ubi decenter<br />

miroque paratu ab Adelberto suscipitur.<br />

Quumque Luvocius in domo Adelberti tot<br />

militum elgantes adesse copias cerneret,<br />

tantam etiam dignitatem, totque impensos<br />

prospiceret, invidiae zelo cactus suis<br />

c<strong>la</strong>uculum infit, hic rex potius quam marchio<br />

poterat appel<strong>la</strong>ri. In nullo quippe mihi est<br />

inferior, nisi solummodo nomine. Quae res<br />

Adelbertum <strong>la</strong>tere non potuit. Quod Berta ut<br />

erat mulier non incallida, audiens non solum<br />

virum suum ab eius fidelitate amovit,<br />

verumetiam caeteros Italiane principes ei<br />

132


per <strong>la</strong> continova istigazione e stimolo di Berta<br />

sua moglie, non so<strong>la</strong>mente si ritrasse da indi<br />

innanzi dal<strong>la</strong> fedeltà che a Lodovico aveva<br />

promessa, ma ne distolse anche <strong>la</strong> maggior<br />

parte di tutti gli altri Signori e Principi<br />

italiani…Lodovico non sapendo <strong>la</strong> ma<strong>la</strong><br />

volontà di Alberto e delgi altri, veduta <strong>la</strong><br />

Toscana a suo piacimento, si partì finalmente<br />

da Lucca, e tornossi a stare in Verona.” 686<br />

infideles effecit. Unde factum est, ut dum e<br />

Thuscia rediens, Veronam pergeret,<br />

degeretque ibidem, nihil haesitans, nihilque<br />

mali suspicans, Berengarius dato precio,<br />

custodes civitatis corruperit, collectisque<br />

viris fortissimis, in ipso noctis conticinio<br />

civitatem ingressus fuerit.” 687<br />

Tuttavia, al di là del<strong>la</strong> dipendenza letterale da Liutprando dimostrata in questa col<strong>la</strong>zione,<br />

l’autore tende ad accentuare ulteriormente il divario esistente tra le figure di Alberto e<br />

Ludovico, attraverso <strong>la</strong> giustificazione addotta da quest’ultimo per <strong>la</strong> sua discesa in Italia:<br />

l’essere legittimo discendente di Carlo Magno. Rivendicazione che, appunto, è assente<br />

nell’Antopodosis e che viene smontata in queste pagine dal Giambul<strong>la</strong>ri, grazie al<strong>la</strong> lezione<br />

insegnata agli altri principi italiani dall’esempio di Alberto. Quest’ultimo, infatti, in seguito<br />

al<strong>la</strong> scoperta dell’invidia dimostrata nei suoi confronti da Ludovico, dimostra:<br />

“loro, con lo esempio di sè medesimo, quanto fusse pericoloso lo aderire ad un forestiero,<br />

tanto barbaro che abbia invidia a’ sudditi suoi, e desideroso che e’ siano poveri per apparire<br />

sublime tra loro; non per <strong>la</strong> virtù, come i successori veri di Carlo Magno, ma per <strong>la</strong> roba e <strong>la</strong><br />

grandezza delle facoltà; le quali era egli forzato tòrre ad altrui, poiché e’ non le avea da sè<br />

medesimo.” 688<br />

Chi veramente sembra più vicino al<strong>la</strong> figura di Carlo Magno, pertanto è Alberto, quasi a<br />

sostenere una sorta di <strong>prima</strong>to Toscano nello scacchiere italiano, perfettamente in linea con <strong>la</strong><br />

prospettiva politica medicea del nostro canonico.<br />

Non meno agitata comunque del<strong>la</strong> situazione italiana appare quel<strong>la</strong> francese. Nonostante<br />

Oddone <strong>prima</strong> di morire attribuisca <strong>la</strong> corona francese a Carlo con unanime consenso del<strong>la</strong><br />

nobiltà francese, <strong>la</strong> pace dura poco, secondo quanto il Giambul<strong>la</strong>ri ricava da Reginone:<br />

“Oddone…il non legittimo re di Francia…il<br />

terzo dì di Gennaio nello ottocento<br />

novantotto, finalmente passò di vita[…]I<br />

Principi dopo le reali esequie di Oddone,<br />

sotterrato in San Dionigi, accordatisi al bene<br />

comune accettarono Carlo nel regno, e gli<br />

guurarono fedeltà e obbedienza…” 689<br />

“Anno dominicae incarnationis DCCCXCVIII<br />

Otto rex negritudine pulsat, et mense<br />

Ianuario, die tertio eiusdem mensis diem<br />

c<strong>la</strong>usit extremum, et apud sanctum Dionysium<br />

cum debito honore sepulturae mandatur.<br />

Principes in unum congregati, pari consilio et<br />

voluntate, Carolum super se constituunt.” 690<br />

Le pressioni dell’aristocrazia francese, infatti, costringono Carlo il Semplice a combattere il<br />

già menzionato Suembaldo responsabile di alcuni torti subiti dal duca Reginario e dal conte<br />

Odoro, in una guerra priva di ogni risultato e vantaggio tangibile:<br />

“Aveva il re Suembaldo tra i più intimi e cari<br />

suoi il duca Reginario, fedelissimo ed unico<br />

suo consigliere; ma…adiratosi con esso lui,<br />

lo privò di tutti gli onori e di quanto aveva<br />

nel regno suo, e lo bandì ad uscire di quello<br />

in termine di giorni quattordici, sotto pena<br />

del<strong>la</strong> persona. Reginario vedutosi così<br />

686 Storia, cit., pp. 80-82.<br />

“Zundibolch Reginarium ducem sibi<br />

fidatissimum, et unicum consiliarum, nescio<br />

cuius istinctu a se repulit, et honoribus,<br />

haereditatibus, quas in suo regno habebat,<br />

interdictis, eum extra regnum infra XIIII dies<br />

secedere iubet. Ille, adiuncto sibi Odoro<br />

comite, et quibusdam alijs cum mulieribus et<br />

133


vituperosamente cacciato dal signor suo, si<br />

collegò con il cote Odocro e con alcuni altri<br />

pochi amici di Suembaldo ed inviato le<br />

donne, i figliuoli e le robe al Castel Durfo e<br />

ridottivisi egli ancora,attese a munirsi in<br />

quello, avvenga che inespugnabile, rispetto a<br />

le paludi, a’ ritrosi e a le rivolte che<br />

d’intorno vi fa quel fiume. Suembaldo saputo<br />

questo, se ne andò con l’esercito a porvi il<br />

campo; ma veduta poi <strong>la</strong> difficoltà, anzi pure<br />

<strong>la</strong> impossibilità del<strong>la</strong> espugnazione, levatosi<br />

con poco onore da lo assedio, se ne tornò<br />

assai mal contento. Reginario con gli altri<br />

Signori predetti, andatisene a trovare Carlo il<br />

Semplice, lo condussero in Lottaringhia con<br />

esercito molto gagliardo. Suembaldo, sentito<br />

questo, ed accortosi più tardi de lo errore<br />

suo, si fuggì con pochi a’l sicuro; e mentre<br />

che Carlo con le sue genti se ne andò ad<br />

Acque e a Spira, egli passata <strong>la</strong> Mosa, e<br />

ragunati quei Baroni che gli osservarono <strong>la</strong><br />

fede, fece uno esercito ragionevole, e se ne<br />

venne contra il re Carlo, che partitosi a posta<br />

da Spira, si accostava per far giornata. La<br />

quale bene si sarebbe forse appiccata…se<br />

non che i Baroni dell’una e dell’altra<br />

parte…riconciliando i predetti duoi Re, e<br />

firmando una bel<strong>la</strong> pace, operarono che il re<br />

Carlo, ripassata <strong>la</strong> Mosa, si tornasse nel<br />

regno suo. Suembaldo…si rivolse ad<br />

espugnare Durfo, credendo di poter vincere<br />

agevolmente con <strong>la</strong> quantità dello<br />

esercito…ma conosciuto pur finalmente che<br />

tutto era perduto, comandò a’ suoi vescovi<br />

che scomunicassimo Reginario ed Odocro,<br />

con tutti bgli altri confederati…La qual cosa<br />

non volendo fare que’ Pre<strong>la</strong>ti…<strong>la</strong>sciò quello<br />

assedio inutile, e ritirassi a gli ultimi confini<br />

dello Stato suo…” 691<br />

parvulis, et omni supellectili in quondam<br />

tutissimum locum, qui Durfos dicitur intravit,<br />

ibique se communivit. Quod cum rex<br />

cognovisset, coadunato exercitu, castrum<br />

expugnare conatus, sed minime prevaluit<br />

propter paludes, et multiplices refusiones,<br />

quas in predicto loco Mosa fluvius facit. Rege<br />

ab obsidione recedente, presati comites<br />

Carolum adeunt, et eum cum exercitu in<br />

regnum introducunt. Zundibolch quamvis fero<br />

intelligens se circunventum, cum paucis fuga<br />

di<strong>la</strong>bitur. Carolus recto itinere Aquis venit,<br />

deinde Neumagum pererexit, interea<br />

Zundibolch ad Franconem episcopum venit, et<br />

cum omnibus suis secum adsumens, Mosam<br />

transijt, et ad Foriclimagos venit, ubi omnes<br />

proceres regni qui in illis partibus erant ad<br />

eum confluxerunt. Et ex desperatis itaque<br />

rebus, vires se recepisse cum gaudens,<br />

resumpta fiducia, contra emulum ad pugnam<br />

siciscitur. Carolum a Neumargo reversus,<br />

Pruniam venit, et inde adversus Zundibolch<br />

copias transfert sed appropinquantibus ex<br />

utraque parte exercitibus, nequequam pugna<br />

committitur, sed intercurrentibus legatis pax<br />

firmatur, sacramenta iurantur, Carolus<br />

transvadata Mosa, in suum regno<br />

regreditur.[…]Zundibolch demio cum exercitu<br />

ad Durfos venit, multitudinem totis viribus<br />

expugnare molitur. Sed cum minime conatus<br />

eius proficeret, Episcopus iubet ut<br />

Reginarium, Odacrum, et socios eorum<br />

anathemati sarent. Sed cum illi anathematis<br />

sententiam proferre recusarent, nimis<br />

exprobationibus et contumelijs utitur, et sic<br />

soluts obsidione, unusquisque ad propria<br />

redijt.” 692<br />

Il primo libro si chiude con il ritorno al<strong>la</strong> Germania dove si verifica <strong>la</strong> morte di Arnolfo,<br />

simbolo del<strong>la</strong> piena crisi del sistema imperiale:<br />

“circa confinia smemorati anni Arnolfus<br />

imperator migravit a speculo III. Kal.<br />

687 Liuthprandi, cit., passo alle pp. 244x2-245x3.<br />

688 Storia, cit., passo a p. 82.<br />

689 Ivi, passo a p. 78.<br />

690 Reginonis…annales, passo a p. 48i4.<br />

691 Storia, cit., passo alle pp. 79-80.<br />

692 Reginonis…annales, passo alle pp. 48i4-49i5.<br />

“Il quale nello ottocento novantesimo nono<br />

anno del<strong>la</strong> Salute, il vigesimo ottavo di<br />

134


Decembris, sepultusque est honorifice in<br />

Oddingas…” 693<br />

novembre…si morì miserabilmente in Ottinga<br />

di Baviera; ed onoratamente fu<br />

seppellito…” 694<br />

3. Libro secondo: Beato Renano, <strong>la</strong> nuova Germania e <strong>la</strong> Trans<strong>la</strong>tio imperii<br />

Sul<strong>la</strong> falsariga del<strong>la</strong> continuità del principio imperiale secondo <strong>la</strong> logica del<strong>la</strong> Trans<strong>la</strong>tio<br />

Imperii in Germania e al tempo stesso del motivo del<strong>la</strong> sua crisi storica secondo quanto<br />

abbiamo rilevato fino a questo punto del<strong>la</strong> Storia, non appare, pertanto, casuale che il secondo<br />

libro inizi con un profilo storico-geografico del<strong>la</strong> Germania.<br />

Ipotesi confermata anche dal fatto che il Renano sia <strong>la</strong> fonte principale delle numerose<br />

pagine dedicate a questa descrizione, integrato da un altra fonte: <strong>la</strong> Germaniae…explicatio 695<br />

del già citato Wilibald Pirchkeimer, amico e corrispondente sia del Renano, sia di Erasmo alle<br />

cui posizioni religiose a partire dal 1525, si avvicina, dopo gli iniziali entusiasmi per Hutten e<br />

Lutero 696 . Anche quest’opera si inscrive pienamente nel solco dell’esaltazione del <strong>prima</strong>to<br />

raggiunto dal<strong>la</strong> nazione germanica nel<strong>la</strong> realtà europea, inaugurata dal Celtis 697 .<br />

Nel<strong>la</strong> lettera dedicataria inviata all’arcivescovo di Colonia Hermann von Neuenahr 698 , il<br />

Pirchkeimer esprime in modo evidente, infatti, l’esigenza di trattare del<strong>la</strong> Germania negletta e<br />

dimenticata inspiegabilmente dagli stessi scrittori e geografi tedeschi 699 . I Germani, secondo il<br />

Pirchkeimer, hanno pensato più alle guerre che alle lettere. Diversamente i greci hanno<br />

raccontato soltanto favole sul loro conto 700 . I Romani invece, pur attenendosi in qualche modo<br />

al<strong>la</strong> verità storica come Tacito, hanno complessivamente minimizzato le gesta dei Germani e<br />

insieme ai Greci vengono stigmatizzati per gli enormi errori commessi in materia di<br />

cognizioni storico-geografiche, provocati comunque anche dallo sterminato e ininterotto<br />

andirivieni di popo<strong>la</strong>zioni. Scrive infatti il Pirchkeimer:<br />

“Romani vero, quondam ubique, fere propine studuerunt gloriae, non tam gesta sua<br />

maximis exulterunt <strong>la</strong>udibus, quam in comoda(forse è attaccato) a Germanis accepta callide<br />

texerunt. Quis enim eorum c<strong>la</strong>des a Carbone, seu L. Cassio, aut Scauro Aurelio, vel Servilio<br />

Coepione, sive M. Manlio acceptas exacte recenset, quas tamen brevissime Tacitus refert, et<br />

Caesar Cassium consulem occisum, exercitum vero eius pulsum esse nequaquam dissimu<strong>la</strong>t.<br />

693 Storia, cit., passo a p. 83.<br />

694 Reginonis…annales, cit., passo a p. 49i5.<br />

695 Germaniae ex variis scriptoribus perbrevis explicatio. Authore Bilibaldo Pirhkeymero Consiliario Cesareo,<br />

Augustae apud Hainricum Steiner, Norimbergae, Anno MDXXX in una cinquecentina pa<strong>la</strong>tina con scritti di<br />

autori varii in Biblioteca Vaticana, pp. 490a1-524e3; d’ora in poi indicata come Germaniae…explicatio.<br />

696 Willibald Pirchkeimer, cit., pp. 91-93.<br />

697 Cfr. in proposito J. Ridé, Un grand projet patriotique, cit., in partico<strong>la</strong>re p. 105.<br />

698 Ivi, Illustri ac generoso domino Herimanno Nevenario Comiti ac Praeposito Coloniensi et c. Bilibaldus<br />

Pyrchkeymerus S. D., Nurembergae Kalendis Iulij, MDXXX, p. 491a2. Su Hermannus de Weda (Hermann von<br />

Wied) arcivescovo di Colonia passato al luteranesimo nel 1543 si rinvia a C. Eubel-G. Van Gulik, Hierarchia<br />

Catholica Medii Aevi sive Summorum Pontificum, s.r.e. cardinalium, ecclesiarum, antistum series, 1898-1910,<br />

voll. X, in partico<strong>la</strong>re vol. III, Saeculum XVI ab anno 1503 complectens, 1910, p. 188.<br />

699 Ivi: “En tibi comes illustris Germaniam nostram in qua nil certius affirmo, quam quod nihil fere affirmo,<br />

attamen ansam fortassis tam tibi, quam eruditis reliquis praebuero, ut exactius, quam nos fecimus, Germaniam<br />

nostram illustrent. Quid enim absurduius, quam Germanos orbem descrivere universum, patriam tamen interim<br />

propriam nequaquam ex oblivionis vindicare barathro? ”.<br />

700 Ivi, a p. 492a3: “Admodum difficile est veteris Germaniae statum ac conditionem esplicare. Non solum ob<br />

priscorum scriptorum incuriam, sed quia fero tandem tota peragrata ac cognita est: etenim cum veteres<br />

Germani bellis potius, quam litteris operam impenderint, nil mirum, si res prec<strong>la</strong>re ab eis geste interciderint, aut<br />

minus fideliter a bexteris re<strong>la</strong>tae sint scriptoribus. Quid enim Graeci praeter fabu<strong>la</strong>s de Germania scripserunt?<br />

”.<br />

135


Quin et nul<strong>la</strong> praeterquam Paterculi nuper inventu extat i<strong>storia</strong>, quae Quintilij Varij cum<br />

legionibus internitionem explicat. Unde non ab re suspicari licet tam Plinij de bellis<br />

Germanicis libros, quam Cornelij ac aliorum scriptabas invidis esse soppressa, ne<br />

Germanorum gloria pl’s ut quo excelleret, accedit quod Romani et Greci scriptores ut<br />

plurimum ob ignorantiam locorum aberrarunt, non solum ij, qui nunquam ad Germaniam<br />

accesserunt, sed et qui res in il<strong>la</strong> gesserunt, cuius rei vel praecipuum documentum esse<br />

potest, quod Caesar flumen Scalde in Mosam influere scribit, ac Strabo Lupiam et Visurgim<br />

ad Amasium in unum deferri refert, accedit quod et nomina gentium, locorum ac civitatum,<br />

ubique; fere, ob pronunciationis difficultatem, depravata sunt et inversa. Demum vero<br />

universalis Germanorum transmigratio omnia confudit ac ita perturbavit, ut in quibusdam<br />

potius coniecturam sequi necesse est, quam quod aliquid certi asseri possit: nihilo minus<br />

tamen operam dabimus, ut brevissime, et si non omnia, at quaedam saltem loca tanquam e<br />

caecis eravamus tenebris, nil in hac re doctioribus praeiudicantes, sed libenter, ubi melius<br />

quam nos senserint, herbam porrigentes.” 701<br />

Istanze condivise dal Giambul<strong>la</strong>ri che motiva il ricorso al Renano nei seguenti termini:<br />

“porre un tratto questa provincia, e disegnar<strong>la</strong> con le parole, più distinta che sia possibile;<br />

si perché <strong>la</strong> Germania vecchia e <strong>la</strong> nuova, o vogliam dire <strong>la</strong> moderna, per il vero non sono<br />

tutte una; e sì ancora perché i diversi popoli, diversamente sopravenuti in diverse parti di<br />

quel<strong>la</strong>, in sì fatta maniera <strong>la</strong> hanno alterata e confusa tanto per tutto, che se non che i<br />

Germani stessi, e massimamente il giudicioso e dotto Renano, ce <strong>la</strong> hanno aperta e fatta<br />

palese, non si potrebbe assegnarne spanna, senza dubbio di grande errore.” 702<br />

L’autore ribadisce le profonde differenze intercorrenti tra Germania antica e attuale, e per <strong>la</strong><br />

<strong>prima</strong>, secondo quel duplice atteggiamento a cui corrisponde anche il riferimento costante a<br />

Tacito come auctoritas sul<strong>la</strong> Germania antica. In questo senso, infatti, secondo quanto emerge<br />

chiaramente dall’elenco dei popoli antichi del<strong>la</strong> Germania, e dal rinvio allo storico romano a<br />

proposito dei loro costumi, con cui il Giambul<strong>la</strong>ri inizia questo prospetto, <strong>la</strong> sua Germania<br />

costituisce un riferimento ineludibile 703 :<br />

“e che i popoli natii di quel<strong>la</strong>, o che<br />

anticamente l’hanno abitata, sono gli Angli,<br />

gli Angrivarii, gli Arii, gli Avioni, i Bastarni<br />

altrimenti Peucini, i Batavi, i Brutteri,i Burii,<br />

i Camavi, i Caninefeti, i Casuari, i Catti, i<br />

Cauci, i Cheruci, i Cimbri, i Dulgibini, gli<br />

Elisii, gli Eluconi, gli Ermondori, gli Estioni,<br />

gli Eudosi, i Fenni, i Fosi, i Frisi, i Gambrivi,<br />

i Gottini, i Gottoni, i Longobardi, i Lemonii, i<br />

Ligii, i Manimi, i Marcomanni, i Marsi, i<br />

Marsigni, i Mattiaci, i Naarvali, i Narici, i<br />

Nuitoni, gli Osi, i Peucini cioè Bastarni, i<br />

Quadi, i Reudigni, i Ruigi, i Semnoni, i Sitoni,<br />

i Svadi, i Svevi, i Svioni, i Tenteri, i Teutoni, i<br />

Vandali, i Varini, i Venedi, gli<br />

Usipeti…Questi così fatti popoli e genti, che<br />

“Teutones, Cimbri, Marsi, Gambrivij, Svevi,<br />

Vandali, Batavi, Caninesates, Mattaci, Catthi,<br />

Usipij, Tencteri, Bructeri, Chamavi,<br />

Angrivarij, Frisij, Chauci, Cherusci, Dosi,<br />

Semnones, Longobardi, Reudigni, Aviones,<br />

Anglij, Varini, Eudoses, Suardones,<br />

Nuithones, Hermunduri, Narici, Marcomanni,<br />

Quadi, Marsigni, Gothini, Osi, Burij, Lygii,<br />

Arij, Helvecones, Manimi, Elysij, Naharvali,<br />

Gothones, Rugij, Lemonij, Suiones, Aestiones,<br />

Sitones, Peuciai sive Bastarne, Fenni ac<br />

Venedi ex Cornelio Tacito.” 705<br />

701 Ivi, passo alle pp. 492a3.<br />

702 Storia, cit., passo a p. 87.<br />

703 In proposito cfr. De situ, moribus, populis Germaniae libellus in P. Cornelii Taciti…Annalium…, cit., in cui<br />

nel<strong>la</strong> seconda parte da p. 634r5 a p. 644s2 sono elencati e trattati tutti i popoli germanici; inoltre al riguardo cfr.<br />

G. Costa, Le antichità germaniche, cit., p. 61.<br />

136


del tutto son quasi spenti, che maniere e modi<br />

tenessero circa le loro azioni, si chiaramente<br />

lo scrive Cornelio Tacito, che non accade me<br />

ragionarne.” 704 .<br />

Anche se come abbiamo evidenziato in precedenza, Tacito, viene criticato nel momento in<br />

cui cristallizza <strong>la</strong> realtà del<strong>la</strong> Germania secondo una prospettiva arcaica incapace ormai di<br />

rappresentare <strong>la</strong> sua attuale configurazione, tuttavia proprio quel<strong>la</strong> condizione arcaica e<br />

incontaminata dei suoi popoli tanto idealizzata dallo storico romano, ne ha permesso<br />

l’affermazione ed il trionfo storico. Tacito, infatti, evidenzia lo spirito mai domo dei Germani<br />

che resistono strenuamente contro i Romani 706 . Scrive, infatti, il Giambul<strong>la</strong>ri, con implicita<br />

ma evidente allusione allo storico romano:<br />

“Per il che…dico so<strong>la</strong>mente quanto a <strong>la</strong><br />

i<strong>storia</strong>, che <strong>la</strong> antica o vecchia Germania,<br />

ancora che lungamente combattuta già dai<br />

Romani, e due volte in gran parte fatta<br />

soggetta, cioè da Augusto sino in su l’Albi e<br />

da Probo sino oltre al Neccaro…non istette<br />

però giammai lungamente né pacifica né<br />

sottoposta…” 707 .<br />

“Bis itaque Germaniae vetus redigi in formam<br />

provinciae coepit, semel sub Augusto<br />

provectis ad Albim usque Romanorum<br />

exercitibus, deinde ad Nicrum promoto limite<br />

Probi Caesaris principatu.” 708<br />

I Germani sconfiggono al<strong>la</strong> fine i romani e compiono <strong>la</strong> trans<strong>la</strong>tio imperii grazie a questo<br />

spirito incorrotto ed indomito. I miti tacitiani, agiscono come una sorta di spiegazione delle<br />

cause ultime del passaggio dal<strong>la</strong> vecchia al<strong>la</strong> nuova Germania, sebbene profondamente<br />

diversa. La nuova Germania, infatti, a livello geografico-storico è molto più estesa di quel<strong>la</strong><br />

antica perché nasce dall’acquisizione di dieci province che si situavano rispettivamente<br />

quattro a sinistra del Reno e sei a destra del Danubio, precedentemente amministrate dai<br />

Romani 709 . Nelle seguenti pagine il Giambul<strong>la</strong>ri elenca e descrive una per una queste province<br />

e <strong>la</strong> loro strutturazione romana fino alle trasformazioni provocate dalle vittorie germaniche,<br />

secondo una ripartizione chiaramente attinta dal Renano ma analoga anche nell’opera del<br />

Pirchkeimer 710 che parte dalle quattro province a sinistra del Reno:<br />

704 Storia, cit., passo alle pp. 87-90.<br />

705 Rerum, cit., passo a p. 6a3 e per gli usi e i costumi in stretta dipendenza da Tacito, ivi, p. 7a4 dove leggiamo:<br />

“Populi Germaniae veteris in summa libertate vixerunt. Ne tamen putes libertatem in anarchiam elisse, reges ex<br />

nobilitate quaeque natio, duces ex virtute sumebant ut scribit Tacitus. […]Adulteria severe puniebant. Noctes<br />

interdum epu<strong>la</strong>ndo transmittebant, non solum dies: nam diem, inquit Tacitus, noctemque continuar potando nulli<br />

probrum.”<br />

706 Vedi De situ, moribus, populis Germaniae libellus in P. Cornelii Taciti…Annalium, cit., alle pp. 638r7-<br />

639r8 in cui leggiamo “sescentesimum et quadragesimum annum urbs nostra agebat cum primum Cimbrorum<br />

audita sunt arma Caecilio Metello ac Papirio consulibus. Ex quo si ad alterum imperatoris Traiani consu<strong>la</strong>tum<br />

computemos, ducenti ferme et decem anni colliguntur: tam diu Germania vincitur. Medio tam longi aevi spatio<br />

multa in vicem damna. Non Samnis, non Poeni, non Hispaniae Gallieve, ne Parthi, quidam saepius admonuere:<br />

quippe regno Arsacis acrior est Germanorum libertas. Quid enim aliud nobis quam caedam Crassi, abisso et<br />

ipse Pacoro, infra ventidium deiectis Oriens obiecerit? At Germani Carbone et Cassio et Sauro Aurelio et<br />

Servilio Caepione Maximoque Mallio fusis vel captis quinque simul consu<strong>la</strong>ris exercitus populo Romano, Varum<br />

trisque cum eo legiones etiam Caesari abstulerunt, nec impune C. Marius in Italia, divus Iulius in Gallia,<br />

Drusus ac Nero et Germanicus in suis eos sedibus perculerunt. Max ingentes c. Caesaris minae in ludibriumi<br />

versae. Inde otium, donec occasione discordiae nostrae et civilium armorum expugnatis legionum hibernis etiam<br />

Gallias adfectavere ac rursus pulsi. Inde proximis temporibus triumphati magis quam victi sunt.”<br />

707 Storia, cit., p. 90.<br />

708 Rerum, cit., passo riportato a p. 9b1.<br />

709 G. Costa, Le antichità germaniche, cit., pp. 61-62.<br />

710 Nel Germaniae…explicatio, scrive infatti, <strong>prima</strong> di iniziare <strong>la</strong> descrizione regione per regione a p. 492a3-<br />

493a4: “Proinde licet scriptores plerunque Germaniam a Gallia per Rhenum flumen dividi asserant, constat<br />

137


“Le quali dieci provincie…erano queste: <strong>la</strong><br />

Massima de’ Sequani, lo Argentoratico, <strong>la</strong><br />

Germania <strong>prima</strong> e <strong>la</strong> Germania seconda,<br />

tutte quattro giù lungo il Reno in su <strong>la</strong><br />

sinistra riva, o vogliam ire dal <strong>la</strong>to de’ Galli.<br />

L’altre sei in su <strong>la</strong> destra mano del Danubio<br />

erano <strong>la</strong> Rezia <strong>prima</strong>, <strong>la</strong> seconda che è<br />

Vindelicia, il Norico, <strong>la</strong> Pannonia <strong>prima</strong>, <strong>la</strong><br />

Valeria che è Croazia e <strong>la</strong> Pannonia<br />

seconda.” 711<br />

“La Massima adunche de’ Sequani, che oggi<br />

è il Contado del<strong>la</strong> Borgogna abbracciava ne’<br />

suoi confini iSequani, gli Elvezii, i Raurici, <strong>la</strong><br />

diocesi tutta di Basilea con <strong>la</strong> Sungavia, e<br />

con luoghi vicini a Colmar<strong>la</strong>, sino al<strong>la</strong><br />

fiumara Eccembaco, <strong>la</strong> quale un miglio<br />

lontana da Selestad parte da questa lo<br />

Argentoratico. La sua città principale era in<br />

quei tempi Visontio, che oggi è Bisanzone; e<br />

vi abitava il governatore soggetto al prefetto<br />

pretorio de’ Galli, insieme col generale de’<br />

soldati; i quali accasati nel castello Olinone<br />

vicinissimo a dove oggi abbiamo Basilea,<br />

difendevano il passo del Reno a chi venisse<br />

del<strong>la</strong> Germania.” 712<br />

“Lo Argentoratico, allora tratto<br />

Argentoratense, e ne di’ nostri chiamato<br />

Alsazia, conteneva Argentorato che è<br />

Strasburg, Brocomago che è Brump, Elcebo<br />

che è Selestad, o molto certo vicino a quello,<br />

e quasi <strong>la</strong> maggior parte del<strong>la</strong> diocesi di<br />

Argentina. Il governatore e capo di questa<br />

provincia era il Conte di Argentorato,<br />

suggetto al generale di<br />

Magunzia[…]cominciò a chiamarsi Alsazia,<br />

dal fiume anticamente già chiamato Ello, ed<br />

“Provincia iuxta Rhenum. Provinciae<br />

Romanorum, veterem Germaniam attingentes<br />

sunt, maxima Sequanorum, Tractus<br />

Argentoratensis, Germania <strong>prima</strong>, ac<br />

seconda. 713 […]Provinciae iuxta Danubium.<br />

Romanam Danubij ripam e regione<br />

Germaniae veteris attingebat Provinciae<br />

romanae, Rhetia <strong>prima</strong>, Rhetia seconda, sive<br />

Vindelicia, Pannonia <strong>prima</strong>, Valeria ac<br />

Pannonia secunda.” 714<br />

“Complectitur Maxima Sequanorum,<br />

Sequanos interiores, Helvetios, Rauricos,<br />

Sequanos exteriores sive cismontanos, ac, ut<br />

summatim dicam, totam dioecesim<br />

Basiliensem, hoc est, Sungaviam et loca<br />

Colmariae vicina usque ad fossam il<strong>la</strong>m<br />

terminalem Eccembachi rivi, ubi confinium est<br />

Maximae Sequanorum et Tractus<br />

Argentoratensis, uno milliario supra<br />

Selestadium[…]Utque iam olim…Visontionem<br />

caput habebat[…]apud Visontionem<br />

habitabat, viro spectabili Vicario septem<br />

provinciarum subiectus. Habebat haec quoque<br />

provincia suum ducem militarem,…Is apud<br />

Olinonem castellum…proxime Basileam,<br />

praesidium perpetuum habebat pro custodia<br />

limitis in Rheno contra Alemannos.” 715<br />

“Maximas Sequanorum excipit Tractus<br />

Argentoratensis…ijsdem propemodum finibus<br />

olim inclusus quibus nunc diocesis<br />

Argentoratensis circunscribitur[…]Continebat<br />

Argentorarum, Brocomagum, et<br />

Elcebum.[…]Argentoratensi tractui praeerat,<br />

ut arbitror, consu<strong>la</strong>ris Germaniae <strong>prima</strong>e,<br />

praeerat et Comes Argentoratensis,[..]Quem<br />

facile est coniectura non solum magistero<br />

peditum in praesenti quem et praesentalem<br />

vocant, sed ex Magunciacensi Duci,<br />

tamen Romanos eam quoque provinciam, quae ultra Rhenum est, <strong>prima</strong>m ac secundam adpel<strong>la</strong>sse Germaniam:<br />

quod profecto minime fecissent, si Germanis quicquid ultra Rhenum est, auferre voluissent, qui pridem ac ante<br />

Romanorum adventum in Galliam transierant, il<strong>la</strong>mque incolebant. Unde et lingua et legibus a Gallis, ut Caesar<br />

refert, differebant. Ab ea igitur Germaniae parte initium faciemus, quae ultra Danubium sita, et a Romani olim<br />

subacta est, indeque ad Rhenum inferiorem accedemus Germaniam demunque, ad Germaniam transgrediemur<br />

magnam. Verum sub initium hoc scire refert, Romanos Rhetiam, Vindeliciam et Noricum ab Augusti tempore<br />

usque ad Odoacris irruptionem, hoc est, per annos circiter quingentos possedisse, qui cum Italiam occupasset,<br />

omnes fere Romani nobis inco<strong>la</strong>s in Italiam reduxit, ne irruentibus Germanis cederent in praedam.”<br />

711 Storia, cit., passo alle pp. 90-91.<br />

712 Ivi, passo alle pp. 91-92.<br />

713 Rerum, cit., passo a p. 11b2.<br />

714 Rerum, cit., passo a p. 14b3.<br />

715 Rerum, cit., passo a p. 12b2.<br />

138


Illo da alcuni altri, che <strong>la</strong> divide quasi pe’l<br />

mezzo.” 716<br />

“La Germania <strong>prima</strong>, da alcuni detta<br />

superiore, posta tra lo Argentoratico e lo<br />

Obrunca, fiume che gli antichi dissero<br />

Mosel<strong>la</strong>, abbracciava tutto il paese dove ora<br />

si veggono Spira, Vormazia, Magonzia, Metz,<br />

Trier e buona parte di Lotteringia, a’ di<br />

nostri detta Loreno…Questa avvenga che<br />

fuori di Germania antica, fu chiamata con<br />

questo nome, rispetto agli abitatori, che per<br />

<strong>la</strong> maggior parte furono Germani; cioè i<br />

Mangioni, i Nemesi, i Triboli, i Treviri, i<br />

quali, molti secoli avanti a Cesare avendo<br />

passato il Reno, si erano accasati in su<br />

quel<strong>la</strong> riva e formatovi lo stato loro. Il<br />

governatore di questa sotto i Romani era il<br />

generale di Magonzia, il quale aveva sotto di<br />

sé undici capitani di soldati, alloggiati con le<br />

loro genti in diversi luoghi del<strong>la</strong> provincia,<br />

per guardare i passi del Reno, ancora che<br />

tutto poi fosse vano. Perché uditasi <strong>la</strong> morte<br />

di Aezio, fatto uccidere dal terzo<br />

Valentiniano, gli Alemanni non temendo più<br />

dei Romani, passando il Reno per viva forza,<br />

non so<strong>la</strong>mente uccisero e spensero gli<br />

eserciti e gli abitatori, ma disfatte le castel<strong>la</strong><br />

e le terre, e impadronitisi d’ogni cosa,<br />

annul<strong>la</strong>rono in essa ogni memoria e nome<br />

romano.” 718<br />

“La seconda Germania, da molti detta <strong>la</strong><br />

inferiore, cominciava dove Mosel<strong>la</strong> sbocca<br />

nel Reno, e distendendosi sino a l’Oceano,<br />

abbracciava ne’ suoi confini gli Ubii, oggi dì<br />

colonia Agrippina, i Tungri…e molti altri<br />

popoli che non accade specificarli.<br />

Governava<strong>la</strong> uno uomo conso<strong>la</strong>re, come<br />

ciascuna delle altre sei provincie del<strong>la</strong><br />

Gallia…” 721<br />

“…<strong>la</strong> Rezia; <strong>la</strong> quale, chiamata a dì nostri<br />

l’Alpi de’ Grigioni, o <strong>la</strong> Lega Grigia[…]Gli<br />

abitatori di questa erano i Reti stessi,<br />

anticamente stati Toscani, i Briganti, i<br />

716 Storia, cit., passo a p. 92.<br />

717 Rerum, cit., passo a p. 12b2.<br />

718 Storia, cit., passo a pp. 92-93.<br />

719 Rerum, cit., passoa p. 13 b3.<br />

720 Ivi, passo a p. 20c2.<br />

721 Storia, cit., passo a p. 93.<br />

722 Rerum, cit., passo a p. 14b3.<br />

consu<strong>la</strong>risque Germaniae <strong>prima</strong>e<br />

paruisse…Alsatia vulgo Provinciae nomen est,<br />

ab Alsa fluvio qui mediam interfluit, olim Elli<br />

nunc Il<strong>la</strong>e nomenc<strong>la</strong>tura celebratus.” 717<br />

“Hinc Germania <strong>prima</strong> quam elegantiores<br />

superiorem vocant, limitibus Argentoratensis<br />

dioeceos, Nemetensis, Borbetomagesis et<br />

Maguntiacentis, precipue finitur,<br />

Mediomatricos ac Treviros attingens.<br />

Siquidem hanc ad Obrincam amnem, hoc est,<br />

ad Mosel<strong>la</strong>e ripam quod Ptolomeaeus<br />

estendere videtur. Magnam itaque<br />

Lotharingiae partem olim<br />

complectebantur[…]Appel<strong>la</strong>ta Germania a<br />

Vangionibus, Nemetibus et Tribocis Germanis,<br />

qui in hanc Belgicae regionem a veteri<br />

Germania transito Rheno<br />

immigrarunt.[…]Germaniam <strong>prima</strong>m suus<br />

consu<strong>la</strong>ris quem arbitror Magonciaci sedem<br />

suam habuisse subditum vicario septem<br />

provinciarum. Dux certe limitum Rheni<br />

Magonciacensis est dictus, quod illic fortasse<br />

domicilium haberet. Huic parebant Praefecti<br />

militares undecim 719 […]Nam omnes hae<br />

provinciae a divi Augusti principatu Romanae<br />

ditionis fuerunt, donec sub Valentiniano tertio<br />

inclinatis Romani imperij rebus a Germanis e<br />

veteri inter Rhenum et Danubium Germania<br />

agminatim erumpentibus occuparentur, et<br />

prorsus germanici iuris fierent. ” 720<br />

“Sequitur Germania secunda sive inferior<br />

quae ripam Rheni finit. Habebat urbes<br />

maximas Ubiorum Agrippinam quae hodie est<br />

fiorentissima priscam magnificentiam opibus<br />

et magnitudine longe superans, et Tungrorum<br />

oppidum, […]Hac quoque rexit Consu<strong>la</strong>ris.<br />

Nam hae sex Galliarum provinciae<br />

guberanabantur a consu<strong>la</strong>ribus…” 722<br />

“Trans Danubium et etiam huius fontem a<br />

meridie statim occurit Rhetia quae in <strong>prima</strong>m<br />

et secundam dividitur…Prima Alpes etiam<br />

complectitur quas Grifonum vocant[…]Plinius<br />

139


Vennoneti, Runte, con una gran parte di quel<br />

paese che si chiama Rezia Atesina, o come i<br />

Tedeschi dicono Etschlender. Apparteneva<br />

questa provincia al<strong>la</strong> jurisdizione e dominio<br />

dello illustre Prefetto Pretorio del<strong>la</strong><br />

Italia…” 723 .<br />

La seconda Rezia:<br />

“Succede poi <strong>la</strong> seconda Retia, altrimenti<br />

Vindelizia; <strong>la</strong> quale ha per confini a ponente<br />

il Lico, a tramontana il Danubio, a levante lo<br />

Eno e a mezzogiorno le Alpi. E non è però<br />

tanto alpestre, ch’el<strong>la</strong> non s’al<strong>la</strong>rghi e non si<br />

distenda verso il Danubio[…]Queste due<br />

Rezie, <strong>prima</strong> e seconda vennero sotto a’<br />

Romani ne’ tempi di Cesare Augusto, domate<br />

per forza d’armi da i due suoi figliastri Druso<br />

e Tiberio: e vi si mantennero sotto<br />

l’amministrazione d’uno presidente suggetto<br />

allo illustre Prefetto pretorio d’Italia…” 725 .<br />

Il Norico:<br />

“Il Norico ha per confini a ponente lo Eno; a<br />

tramontana il Danubio; a levante le<br />

montagne di Calimbergo, a gli antichi già<br />

Monte Cezio del<strong>la</strong> Pannonia; e a<br />

mezzogiorno quel<strong>la</strong> parte dell’Austria che i<br />

moderni chiamano Corinzia.[…] Dividevasi il<br />

Norico in Ripense lungo il Danubio, e in<br />

Mediterraneo su verso l’Alpi. Venne suggetto<br />

a’ Romani sotto lo imperio di Augusto…” 728<br />

“che ultimamente è fatta Baviera.” 729<br />

La Pannonia <strong>prima</strong>:<br />

“Pannonia <strong>prima</strong>, da molti superiore e da’<br />

moderni nominata Austria, da ponente ha <strong>la</strong><br />

Baviera con le montagne di Calimbergo, da<br />

tramontana il Danubio, da levante Pannonia<br />

723 Storia, cit., passo a p. 94.<br />

724 Rerum, cit., passo alle pp. 14b3-15b4.<br />

725 Storia, cit., passo alle pp. 94-95.<br />

726 Germaniae… explicatio, cit., passo a p. 493a4.<br />

727 Rerum, cit., passo alle pp. 15-16b4.<br />

728 Storia, cit., passo a p. 95.<br />

729 Ibidem.<br />

730 Germaniae…explicatio, cit., passo a p. 494a5.<br />

731 Rerum, cit., passo a p. 16b4.<br />

732 Ibidem.<br />

libro tertio naturalis i<strong>storia</strong> Vennones inquit,<br />

Sarunetesque ortus Rheni amnis accolunt: sive<br />

quemadmodum ego legendum arbitror,<br />

Vennonetes, Runtetesque. Complectitur in<br />

super bonam partem eius regionis, quam<br />

<strong>la</strong>tine Rhetia Atesina dici potest. […]Rhetia<br />

<strong>prima</strong>…ad virum illustrem Praefectum<br />

praetorio Italiane pertinentes.” 724<br />

“Vindelicia adhaeret Rhetiae, vel potius illi<br />

inclusa est, terminatur autem ab ortu Flumine<br />

Aeno, a meridie Alpibus, ab occasu Lico<br />

fluvio, a Septentrionibus Danubio…” 726<br />

“Utraque Rhetia versus italiam alpestris est,<br />

ad Danubium p<strong>la</strong>nior.[…]Rhetiam secundam<br />

suus quoque praeses rexit, pertinebatque ad<br />

diocesim praefecti Praetorio Italiane. Iam<br />

inter duodecim Duces quos Romani in<br />

Occidente habebant…Porro de Rhetia<br />

vindeliciaque in provinciae forma redacta per<br />

Tiberium et Drusum iussu…” 727<br />

“Noricum incipit ab Aeno fluvio,<br />

protenditurque ad ortum Pannoniam usque,<br />

superiorem a meridie terminatur monte<br />

Carvanca, et Alpibus Noricis, ad Italiam<br />

usque; a Septentrionibus aut Danubio…” 730<br />

“Id sub Augusto factum est. Inter sex Illyrici<br />

provincias Noricum Mediterraneum, et<br />

Ripense Noricum annumerantur. Namduas<br />

faciunt Noricorum Provincias.” 731 “nunc vero<br />

inhabitant occasum versus Bavari.” 732<br />

“Pannonia superior. Pannonia terminatur ab<br />

occasu Norico: ab ortu vero. Pannonia<br />

inferiori, a meridie parte Istriae ac illyridis. A<br />

septentrionibus autem Danubio. Nunc vero<br />

140


seconda, che oggi si chiama Ungheria, e da<br />

mezzogiorno lo Illirico …Il presidente che <strong>la</strong><br />

governava sotto a’ Romani, teneva il quarto<br />

luogo tra tutti i governatori dello<br />

Illirico…” 733 .<br />

La Valeria:<br />

“Seguita <strong>la</strong> Valeria, parte certo del<strong>la</strong><br />

Pannonia, situata fra il Danubio e <strong>la</strong> Drava;<br />

e chiamata primieramente così ad onore di<br />

Valeria figliuo<strong>la</strong> dello imperadore<br />

Diocliziano, come nel diciannovesimo pone<br />

Marcellino. Questa aveva il suo presidente<br />

partico<strong>la</strong>re ed uno generale delle armi, con<br />

ventisei luoghi forti, dove per difesa del fiume<br />

stavano i soldati al<strong>la</strong> guardia. Perdessi<br />

nientedimanco sotto Valentiniano predetto: e,<br />

mutando signore o nome da indi innanzi fu<br />

poi Croazia.” 736<br />

La seconda Pannonia:<br />

“L’ultima delle sei provincie romane che<br />

lungo il Danubio fronteggiasse Germania<br />

antica, era <strong>la</strong> seconda Pannonia…Dividevasi<br />

nientedimanco in due, chiamandosi<br />

distintamente Sava o <strong>la</strong> Savia tutto ciò che di<br />

lei si truova tra <strong>la</strong> Sva fiume e il Danubio, e<br />

quell’altro resto resto Pannonia; avendo<br />

ciascuna il suo magistrato, cioè un correttore<br />

<strong>la</strong> Savia, ed un presidente <strong>la</strong> Pannonia.<br />

Avevano però fra loro a comune un Duca, il<br />

quale per difesa del<strong>la</strong> provincia, molestata<br />

quasi che sempre da gli assalti de’ Quadi e<br />

de’ Sarmati, teneva i soldati suoi in<br />

ventiquattro luoghi muniti: i nomi de’ quali,<br />

nel libro delle romane prefetture, e nel<strong>la</strong><br />

Germania del Renano, sino ad oggi possono<br />

vedersi.” 738<br />

il<strong>la</strong>m inhabitant Austriae populi.” 734<br />

“Habebat suum praesidem, Inter Illyrici<br />

provincias quartum obtinebat locum.” 735<br />

“Inter Danubium et Dravum Panoniae pars<br />

est Valeria, sic in honorem Valeriae<br />

Diocletiani filiae tum istituta tum<br />

cognominata quemadmodum Marcellinus<br />

memoriae prodidit. Croatia hodie vocant.<br />

Valeria ripensis appel<strong>la</strong>ta Praesidem habuit,<br />

et proprium ducem militarem…Is militares<br />

praefectos equitum et peditum hijs plerumque<br />

locis habuit.” 737<br />

“Ultima provinciarum que e regione veterem<br />

Germaniam spectant in Danubij ripa, est<br />

Pannonia seconda, cuius pars Savo flumini<br />

imminens Savia dicta est Romanis et<br />

Saviensis regio. […]Pannonia secunda<br />

praesidem suum habuit, Savia Correctorem,<br />

qui unicus per Pannoniam erat. […]Porrò<br />

dux Pannoniae secundae ripariensis sive<br />

Saviae praefectos militares oppidis diversis<br />

collocatos habebat…Haec locorum nomina<br />

quae hic et alibi retulimus, continet volumen<br />

de Praefecturis Romanis, elegantissimum<br />

antiquitatis monumentum. Porrò Pannoniam<br />

secundam et Saviam, Sarmatae et Quadi<br />

subinde rapinis exhauriebant et fatigabant<br />

obsidione…” 739<br />

Non è superfluo ravvisare nel procedimento del Renano l’influenza del metodo del Biondo<br />

anche se utilizzato per illustrare e celebrare <strong>la</strong> nascita storica del<strong>la</strong> nuova Germania 740 .<br />

733 Storia, cit., passo a p. 96.<br />

734 Germaniae…explicatio, cit., passo a p. 495a6.<br />

735 Rerum, cit., 17c1.<br />

736 Storia, cit., passo alle pp. 96-97.<br />

737 Rerum, cit., p. 17c1.<br />

738 Storia, cit., passo a p. 97.<br />

739 Rerum, cit., pp. 17-18c1.<br />

740 B. R. Reynolds, Latin Historiography, cit., in partico<strong>la</strong>re p. 32.<br />

141


Il Giambul<strong>la</strong>ri, infatti, ricorre all’autore alsaziano, debitore ancora una volta del<strong>la</strong> Germania<br />

tacitiana 741 , per spiegare l’origine storica del termine Germani, in re<strong>la</strong>zione all’espansione dei<br />

Teutoni nelle province galliche e quindi romane situate a sinistra del Reno:<br />

“Conviene adunque sapere, per trovarne <strong>la</strong><br />

verità, che il nome del<strong>la</strong> Germania (secondo<br />

che dice Tacito) non è ancora che, secondo il<br />

Renano, e’ sia pure avanti che Giulio Cesare<br />

molti secoli; con ciò sia che anticamente si<br />

chiamavano Teutoni; e chiamaronsi così<br />

lungamente, fino a tanto che una parte di<br />

loro, passato il Reno, entrarono in quel<strong>la</strong><br />

parte del<strong>la</strong> Gallia che fu poi Germania<br />

seconda, e vi fermarono le stanze loro. Questi<br />

partico<strong>la</strong>rmente furono i Tongri, oggi<br />

Brabanzani. A’ quali riuscendo felicemente <strong>la</strong><br />

fatta impresa, si aggiunsero molti compagni,<br />

che non volendo chiamarsi Tongri, né<br />

potendo senza <strong>la</strong> compagnia di que’ primi,<br />

aver nome per loro stessi, cercarono di porsi<br />

un nome onorevole, e che potesse confarsi a<br />

tutti; e trovato che nel<strong>la</strong> lingua loro tanto<br />

diceva German, quanto interamente o tutto<br />

virile, cominciarono a chiamarsi Germani;<br />

come aperto mostra il Renano.” 742<br />

“Ex Teutonibus qui primi trans Rhenum in<br />

Galliam migrarint, reperio fuisse Tungros.<br />

Eosque quum res successisset, tam egregium<br />

facinus suspicior novo tum vocabulo<br />

Germanos esse dictos. Nam Germanus<br />

Teutonica lingua prorsus virilem<br />

significat…Aque hoc Germanorum nomen est<br />

quod Tacitus ab ipsis Teutonibus inventum<br />

asserit, id est excogitatumet sibi inditum, nam<br />

cum victricis Tungrorum nationis peculiare<br />

vocabulum non omnibus comilitionibus<br />

fortassis usurpare liberet, proprium sibi<br />

nomen excogitarunt insignm audaciam<br />

exprimens, quo deinde Teutones omnes in<br />

patrijs adhuc sedibus agentes se p<strong>la</strong>usibiliter<br />

appel<strong>la</strong>runt. Itaque Tacito Germaniae<br />

vocabulum recens et nuper additum. Intellige<br />

recens si cum priscis illis Marsorum,<br />

Gambriviorum, Suevorumque appel<strong>la</strong>tionibus<br />

conferatur. Alioqui Germania nomen<br />

vetustissimum est et multis ante Iulium<br />

Caesarem seculis auditum. Porrò Tungri eo<br />

tractu consederent, ubi hodieque eius nominis<br />

oppidulum est, quae regio postea<br />

appel<strong>la</strong>tionem secundae Germaniae acquisivit<br />

pluribus videlicet Germanorum nationibus<br />

Tungrorumque exemplo transgressis. ” 743<br />

Anche il più recente nome di “Alemanni” è del resto collegato, dal Renano, al<strong>la</strong><br />

penetrazione e al<strong>la</strong> predazione delle terre romane che si trovano a meridione dell’Elba:<br />

“Così dunque abbiamo i Germani, da’ quali<br />

vennero poi gli A<strong>la</strong>manni. I quali, ancora che<br />

Teutoni, cioè Todeschi essi ancora, non sono<br />

però un popolo partico<strong>la</strong>re, ma una<br />

moltitudine varia e di genti e nazioni diverse<br />

raccolte in un corpo solo per andare a<br />

predare lo altrui; ed è il nome loro assai più<br />

moderno che quello de’ Germani. Con ciò sia<br />

(per quanto nel<strong>la</strong> vita di Proculo scrisse<br />

Vopisco) che nei tempi di esso Proculo, cioè<br />

ne gli anni duecentottantuno in circa, gli<br />

Alemanni, si chiamavano ancora Germani. E<br />

nientedimeno, il nome de gli A<strong>la</strong>manni si<br />

truova negli scrittori più di sessanta anni<br />

741 De situ, moribus, populis Germaniae libellus, cit., cfr. in partico<strong>la</strong>re p. 622q7.<br />

742 Storia, cit., passo alle pp. 98-99.<br />

743 Rerum, cit., p. 23c4.<br />

“Novum est Alemannorum nomen, et multo<br />

recentius quam Germanorum. Auditum autem<br />

est primum, ut suspicor, sub Probo Aug. Fl.<br />

Vopiscus in vita Proculi, nam Alemannos,<br />

inquit, qui tunc adhuc Germani dicebantur,<br />

non sine gloriae splendore contrivit. Cuius<br />

causa, quia Germanorum nomen usitatius<br />

erat, Alemannorum vero novuum et ignotius,<br />

praesertim Provincialibus. Itaque reperio<br />

longe antea Antoninum Caracal<strong>la</strong>m<br />

Alemannici cognomen usurpasse, quod<br />

Alemannorum gentes vicisset. Et C<strong>la</strong>udium<br />

Caesarem qui post Gallienum impavit legimus<br />

innumeras Alemannorum cohortes non procul<br />

142


<strong>prima</strong>; dicendo Elio Sparziano nel<strong>la</strong> vita di<br />

Caracal<strong>la</strong>, che morì nel duecentodiciotto, che<br />

scrivendosi egli già da se stesso Germanico,<br />

Partico, Arabico e A<strong>la</strong>mannico, perché aveva<br />

vinto gli A<strong>la</strong>manni, […]e scrivendo Sesto<br />

Aurelio, che C<strong>la</strong>udio secondo, combattendo<br />

non lungi dal <strong>la</strong>go di Garda con trecento<br />

Alemanni, uccise di loro tanto numero che <strong>la</strong><br />

menade a gran pena si potette ritrarre a casa.<br />

Dalle quali testimonianze manifestamente si<br />

vede che il nome de gli A<strong>la</strong>manni era molte<br />

decine avanti a quel tempo che Vopisco ci<br />

afferma che essi A<strong>la</strong>manni si chiamavano<br />

ancora Germani, cioè che non avevano<br />

ancora <strong>la</strong>sciato in tutto il primo cognome per<br />

il secondo che da loro si avevano formato:<br />

chiamandosi (come dice il Renano)<br />

A<strong>la</strong>manni, cioè combattenti per ispavento<br />

degli avversari, nel<strong>la</strong> maniera (dice egli) che<br />

fecero a’ tempi nostri, nel<strong>la</strong> Magna bassa<br />

quelle compagnie di soldati, che per<br />

maggiore terrore delle genti nominarono se<br />

stessi Diavoli. Furono dunque gli A<strong>la</strong>manni<br />

(come dice Agatia, con l’autorità di Asinio<br />

Quadrato, diligentissimo scrittore delle cose<br />

germaniche) una moltitudine ragunaticcia,<br />

raccolta insieme di vari popoli e compagine<br />

di soldati predatori, uscite per <strong>la</strong> maggior<br />

parte de’ Svevi di là dallo Albi, e di altre<br />

nazioni più lontane, che volendo passare e<br />

fare correrie e prede in su quello dei romani,<br />

ad imitazione di que’ primi che i Teutoni si<br />

erano voluti chiamare Germani, nominarono<br />

se stessi A<strong>la</strong>manni per ispavento de’ loro<br />

nemici.” 744<br />

Benaco <strong>la</strong>cu contudisse. Huius vocabuli<br />

etymologiam rectius explicat Asinius<br />

Quadratus, qui apud Agathiam, collectitiam<br />

gentem fuisse testatur, quam rem ipsum<br />

nomen praeserat. […]Enimvero suspicor<br />

quum Germani illi Septentrionales ex magna<br />

parte Svevi Transalbiani cum aliquot<br />

ulterioribus nationibus, mutare sedes et<br />

opportuniora ad depraedandas Romanorum<br />

provincias occupare loca constituissent, nam<br />

illic prae multitudine potentissimorum<br />

populorum, hinc Francorum, illinc, Svevorum,<br />

Quadorum et Marcomannorum vix ullus<br />

incursioni patebat aditus, imitati priores<br />

Germanos, qui transito Rheno primi sibi hoc<br />

nominis indiderunt, et ipsi novo vocabulo se<br />

Alemannos appel<strong>la</strong>runt, glorioso quidem<br />

nomine sed formidabili consanguineis populis<br />

ac miseris provincialibus, nempe quod<br />

fortissimi bel<strong>la</strong>tores essent et viri omnes. Nam<br />

haec est huius vocis germana interpretatio.<br />

Afferam huius rei simile exemplum. Nostra<br />

aetate militum manus in inferiori Germania se<br />

diabolos appe<strong>la</strong>runt, ad incutiendum terrorem<br />

ijs adversum quos mittebantur.[…]Non aliter<br />

ambitiosum hoc vocabulum collectae<br />

Germanorum genti fortunamque novam<br />

tentaturae p<strong>la</strong>cuit.” 745<br />

Una descrizione geografico-storica, pertanto, volta a mettere in risalto il dinamico<br />

espansionismo dei popoli tedeschi, perfettamente funzionale all’affermazione del concetto di<br />

Trans<strong>la</strong>tio imperii dai romani ai Germani che, svolta una parentesi sul Danubio, viene<br />

chiaramente rafforzata attraverso l’asserzione dell’origine germanica dei Franchi 746 :<br />

“Nasce, dunque, il Danubio nel<strong>la</strong> Svevia da<br />

uno non so se dire me lo debbia monte, non<br />

essenso eccelso né erto, o più tosto elevato<br />

colle, piacevole e di <strong>la</strong>rghe pascione<br />

abbondante, da’ Germani chiamato Abnoda o<br />

Abnova, che tutto è uno, dal quale piglia<br />

l’acqua il cognome, come pone Marziano<br />

Cappel<strong>la</strong>, e de’ moderni il dotto Renano,<br />

744 Storia, cit., passo alle pp. 99-101.<br />

745 Rerum, cit., pp. 40e4-41f1.<br />

746 G. Costa, Le antichità germaniche, cit., pp. 62-63.<br />

“Martianus Capel<strong>la</strong> satis innuit Danubium a<br />

monte Abnova ubi fontem habet, nomen<br />

invenisse, quum inquit, Hister fluvius ortus in<br />

Germania de cacumine montis ad novem<br />

sexaginta amnes assumens, etiam Danubius<br />

vocitatur. Tu scribe, de cacumine montis<br />

Abnovae, nam librarij vitium est. Nec<br />

curandum Abnoba scibatur an Abnova, pro b<br />

143


chiamandosi Danubio quasi venuta da<br />

Abnoba, o acqua di Abnova, usando molte<br />

volte i Germani <strong>la</strong> lettera d in vece di<br />

articolo, o per segno del genitivo. Ed è questa<br />

fonte sua tanto vicina a quel<strong>la</strong> del Reno, che<br />

alcuni, e C<strong>la</strong>udiano stesso con essi, hanno<br />

detto che e’ nasce in Rezia, e che el<strong>la</strong> è<br />

madre di tutti e due. La verità nientedimeno è<br />

sì fatta: che se ben da <strong>la</strong> fonte del Reno a<br />

questa non ha più spazio che quattro miglia,<br />

<strong>la</strong> roigine pure del Danubio è in Svezia, e non<br />

ne <strong>la</strong> Rezia; e che e’ nasce in principio<br />

piccolo, come tutte l’altre fiumare, non<br />

ostante che nelle mille dugento miglia che<br />

egli ha di corso, ricevendo in sé stesso<br />

sessanta fiumare grosse, poiché e’ si ha<br />

<strong>la</strong>sciato a sinistra dopo le spalle Franchi,<br />

Boemi, Moravi, Ungheri, Daci e Va<strong>la</strong>cchi, e a<br />

destra Svevi, Bavari, Austriani, Pannonj, con<br />

<strong>la</strong> Servia, Rascia e Bolgaria sì copioso di<br />

acque si percuote co’l mare maggiore, che<br />

ancora che secondo gli antichi con sette<br />

bocche, e secondo i moderni con sei,<br />

<strong>la</strong>rgamente vi si diffonda… ” 747 .<br />

enim uscimus usurpari. Germani D litera<br />

articuli loco addita dicebant Daunou prodie<br />

Abnau, Romani Danubium. Equidem<br />

Germanicum Abnovae vocabulum collem<br />

terrenum et campum pascuum quem nostrates<br />

augiam vocant, potius insinuat quam montem<br />

sylvosum. Et tali loco Danubij fons est.<br />

Proinde Tacitus molle et clementer aeditum<br />

montis Abnobae iugum asserit. Caeterum<br />

Herodotus ex civitate Pyrrhene Danubium<br />

fluere scribit et e Celtis.[…]Siquidem et<br />

Danubius fluvius inintio sumpto e Celtis et<br />

Pyrrhene civitate fluit, mediam secans<br />

Europam. Marcellinus libro XXII. Amnis vero<br />

Danubius, inquit, oriens prope Rauracos<br />

montes, limitibus Rheticis per <strong>la</strong>tiorem orbem<br />

protentus, ac sexaginta navigabileis pene<br />

recipiens fluvios, septem ostijs per hoc<br />

Scythicum <strong>la</strong>tus erumpit in mare. Haec ille.<br />

Tam propinquus autem fuit limiti Rhetiae<br />

Germaniae que Daubij fons, ut quidam<br />

dixerint Danubium oriri in Rhetia.<br />

C<strong>la</strong>udianus…” 748<br />

L’autore, infatti, respinge le fantasiose tesi sull’origine troiana dei Franchi, sostenendo<br />

invece il loro carattere di popolo germanico 749 , originariamente stanziato a stretto contatto con<br />

Cauci e Sassoni, secondo <strong>la</strong> tesi espressa dal Renano, (quardacaso concittadino del<br />

Wimpheling):<br />

747 Storia, cit., pp. 106-107.<br />

748 Rerum, cit., passo a p. 121q1.<br />

749 Storia, cit., vedi pp. 108-109.<br />

144


“Gli abitori non sono natii di questa<br />

provincia, comunemente detta Franconia, o<br />

Francia orientale, a differenza di quel<strong>la</strong> altra<br />

che propriamente si chiama Gallia; ma vi<br />

sono venuti d’altronde: cioè da Troia,<br />

secondo Unibaldo e tutti gli altri seguaci<br />

suoi; e secondo il Dotto Renano da lo oceano<br />

del<strong>la</strong> Germania, come dopo le novelle de’<br />

Monaci, raccolte con quel<strong>la</strong> più brevità che<br />

sarà possibile, ci sforzeremo fare<br />

manifesto.” 750<br />

“Tamen hic quando de Francis dicendum,<br />

commitere non potui, quin de origine<br />

nobilissimae gentis longe compertiora<br />

traderem quam a quoquam in hunc usque<br />

diem prodiga sciam. Nihil autem huc afferam<br />

quod non testimonijs autorem fide dignis sim<br />

comprobaturus. Neque enim Hunnibaldos et<br />

similes scriptores si dijs p<strong>la</strong>cet, sequar,<br />

quorum somnijs nihil inanius. Primum<br />

omnium, satis demirari nequeo veterum<br />

istorum licentiam, qui quoties de origine rei<br />

cuiuspiam parum constaret, statim ad fabu<strong>la</strong>s<br />

confugerint, fortassis in hoc Romanos et alias<br />

nationes imitati. Hinc est quod Francos nobis<br />

ex Troia deducunt, et de saepe mutatis horum<br />

sedibus atque extructa tandem Sicambria<br />

meras ineptias comminiscuntur. Nec mirum si<br />

rudibus illis seculis olim aussi sunt talia<br />

configere haud dubie monachi, nam praeter<br />

hos tum nemo norat literas.” 751<br />

In realtà è Johannes Thritemius a individuare erroneamente l’origine del<strong>la</strong> monarchia<br />

francese nel<strong>la</strong> radice troiana, fondandosi sulle tesi di Unibaldo, per supportare <strong>la</strong> precedenza<br />

storica dei Franchi rispetto ai romani e giustificare di conseguenza <strong>la</strong> vittoria di Carlo Magno<br />

su Roma e <strong>la</strong> trans<strong>la</strong>tio imperii ai Franchi 752 . Riguardo a questo autore abbastanza chiara<br />

appare <strong>la</strong> distanza del Giambul<strong>la</strong>ri:<br />

“E delle favole basti questo: vegnamo ora<br />

al<strong>la</strong> verità. Furono gli antichi Franchi,<br />

secondo che co’ buoni autori diligentemente<br />

mostra il Renano, popolo marittimo del<strong>la</strong><br />

antica e vera Germania, a’ confini de’<br />

Sassoni e Cauci.” 753<br />

“Igit Franci maritimus populus fuit, Oceani<br />

septentrionalis littus colens iuxta Chaucos ut<br />

arbitror Saxones. ” 754<br />

Pertanto, sebbene il Tritemio accolga come legittimo il passaggio dell’autorità imperiale dai<br />

Carolingi ai Germanici, il Giambul<strong>la</strong>ri mostra di non assecondare eccessivamente <strong>la</strong> sua<br />

esaltazione del<strong>la</strong> monarchia francese. Del resto, in linea con le posizioni del Gello e con <strong>la</strong><br />

stessa logica del<strong>la</strong> Storia, i riferimenti a Carlo Magno sono piuttosto brevi e fugaci atti a<br />

rappresentare il permanere di un’idea, quel<strong>la</strong> imperiale, che altrove rinascerà compiutamente e<br />

concretamente ma secondo basi statuali. Anche per questo si capisce bene <strong>la</strong> vicinanza al<br />

Renano che respinge le leggende di Unibaldo, evita ogni discussione sulle prerogative<br />

imperiali di Carlo Magno e individua nei re Sassoni gli alfieri dello sviluppo del<strong>la</strong> libertà<br />

germanica, dopo il declino dei Carolingi 755 . Il mito del<strong>la</strong> origine troiana del<strong>la</strong> monarchia<br />

francese, infatti, assume accanto all’altra tradizione del Rex Christianissimus che accompagna<br />

con annessi poteri taumaturgici <strong>la</strong> figura dei re di Francia una valenza di chiaro sostegno alle<br />

pretese francesi al trono imperiale. Rivendicazioni che risalgono addirittura ai tempi di Dante,<br />

750 Storia, cit., p. 108.<br />

751 Rerum, cit., passo a p. 29d3.<br />

752 Rinviamo a B. R. Reynolds, Latin Historiography, cit., p. 30.<br />

753 Storia, cit., passo cit. a p. 109.<br />

754 Rerum, cit., passo a p. 29d3.<br />

755 B. R. Reynolds, Latin Historiography, cit., pp. 32-33.<br />

145


e che traggono nuova linfa dallo scontro cinquecentesco tra Valois e Asburgo 756 . Linea<br />

sviluppata anche dal Postel in direzione francese in antitesi, come ampiamente visto, rispetto,<br />

al<strong>la</strong> prospettiva germanica filoasburgica sostenuta dal Giambul<strong>la</strong>ri. Divergenza, confermato<br />

del resto, anche riguardo a Paolo Emilio. Mentre il Giambul<strong>la</strong>ri lo utilizza come fonte del<strong>la</strong><br />

Storia, il visionario francese lo reputa inattendibile, in quanto demolisce <strong>la</strong> radice troiana del<strong>la</strong><br />

monarchia francese 757 . Questo discrimine peraltro non impedisce comunque al Giambul<strong>la</strong>ri il<br />

ricorso per <strong>la</strong> <strong>storia</strong> francese al Gaguin, già menzionato, convinto assertore del<strong>la</strong> matrice<br />

troiana del<strong>la</strong> monarchia francese 758 .<br />

La sconfessione del mito dell’origine troiana del<strong>la</strong> monarchia francese, espressa in questo<br />

passaggio, conferma pertanto ulteriormente che il senso complessivo del<strong>la</strong> Storia d’Europa<br />

risiede nel<strong>la</strong> giustificazione del<strong>la</strong> trans<strong>la</strong>tio imperii nel mondo tedesco. In tal senso anche<br />

l’assimi<strong>la</strong>zione dei Franchi a Cauci e Sassoni appare tutt’altro che casuale. I Cauci, infatti,<br />

primeggiano tra le tante tribù germaniche descritte da Tacito, esplicitamente richiamato in<br />

proposito dal nostro canonico, i Sassoni raccoglieranno dai Franchi <strong>la</strong> guida dell’impero una<br />

volta esaurito il ruolo direttivo dei carolingi discendenti di Carlo Magno. Nel<strong>la</strong> Storia,<br />

pertanto, il Giambul<strong>la</strong>ri scrive, in chiave evidentemente celebrativa del<strong>la</strong> matrice germanica di<br />

queste tribù:<br />

“La grandezza dei quali volendoci dimostrare Plinio, non disse i Cauci semplicemente, ma<br />

le genti (cioè nazioni diverse) de’ Cauci; e Cornelio Tacito, accennando questo medesimo,<br />

dice che i Cauci non so<strong>la</strong>mente posseggono uno spazio immenso di territorio, ma che e’ lo<br />

empiono ancora per tutto. Di questi dunque uscirono i Franchi; e da principio furono pirati,<br />

come i Sassoni loro vicini; corseggiando le maremme tutte di Gallia.” 759<br />

L’importanza del punto e <strong>la</strong> centralità del problema nel<strong>la</strong> riflessione storico-letteraria del<br />

nostro canonico è percepibile anche da una lettera scritta a Vincenzio Borghini il 7 marzo<br />

1548 concernente <strong>la</strong> legge salica e ripuana, nel<strong>la</strong> quale ancora una volta è dato scorgere <strong>la</strong><br />

conoscenza ed il non fortuito rapporto con <strong>la</strong> letteratura storica tedesca medievale e<br />

umanistica, attraverso <strong>la</strong> quale viene ancora tributato un grande rilievo al<strong>la</strong> trans<strong>la</strong>tio imperii<br />

nelle mani dei sassoni e all’origine germanica e non troiana dei francesi secondo le tesi del<br />

Renano:<br />

“Scrive Eginardo nel<strong>la</strong> vita di Carlo Magno queste parole:<br />

“Post susceptum imperiale nomen, quam adverteret multa legibus populi sui deesse, etiam<br />

Franci duas habent leges plurimis in locis valde diversas, cogitavit que deerant, addere; et<br />

756 In proposito rinviamo a Frances A. Yates, L’idea di monarchia in Francia in Charles Quint et l’ideè d’<br />

empire, in Fétes et cérimonies au temps de Charles Quint, a cura di J. Jacquot, Centre nationale de <strong>la</strong> recherche<br />

scientifique, Paris, 1960, ora in Astrea. L’idea di Impero nel Cinquecento, cit., pp. 147-152, in partico<strong>la</strong>re p. 147.<br />

757 In proposito rinviamo a C<strong>la</strong>ude-Gilbert Dubois, Celtes et Gaulois, cit., p. 63; cfr. inoltre il De rebus gestis<br />

Francorum, cit., a p. 2aII dove leggiamo : “Franci se Troia oriundos, esse contendunt. Ea capta, incensaque,<br />

nobilissimam civium manum, quos ferrum hostium ignisque non absumpsisset, duce Francione ad Maeotin<br />

paludem se contulisse: nec procul ab ea urbem condidisse: quam ad Valentiniam usque Caesarem Valientiniani<br />

filium incoluerint: ab eo primum honore auctos , ac in decem annos immunitate donatos, quod rebel<strong>la</strong>ntes<br />

A<strong>la</strong>nos in ditionem nominis Romani redegissent: deinde cum circumacto eo temporis spacio ad vectigal<br />

pensitandum revocarentur, imperiumque detrectaret, sedibus pulsos, Duce Marcomiro in eam Germaniae<br />

regionem quae nunc Franconia est, concessisse.”<br />

758 De origine Francorum, cit., cfr. fol. IIbIII in cui leggiamo: “Franci at pleraque aliae nationes a troianis<br />

praediisse gloriant. Quibus ob raptam a Paride Helenam in exilium actis …ad Meotydem <strong>la</strong>cum que Tanais<br />

influit, proxime A<strong>la</strong>nos frazione duce consedit. Ubi ex noie ducis appel<strong>la</strong>tione suscepta: sycambria sibi non<br />

mediocrem urbem panoniis finitimam exstruxerunt[…]”.<br />

759 Vedi nota 359.<br />

146


discrepantia unire: prava quoque ac perperam pro<strong>la</strong>ta corrigere. Sed in iis nihil aliud ad eo<br />

factum est, quam quod pauca capitu<strong>la</strong>, et ea imperfecta legibus addidit.” 760<br />

Riferimento importante anche perché <strong>la</strong> biografia di Eginardo viene proposta proprio nel<strong>la</strong><br />

silloge basileese del 1532 a testimoniare <strong>la</strong> continuità degli interessi del Giambul<strong>la</strong>ri in<br />

proposito e l’assidua riflessione del canonico <strong>la</strong>urenziano sulle tematiche imperiali e sul<br />

rilevante ruolo giocato nelle sue considerazioni dal testo in questione. La lettera infatti<br />

continua con <strong>la</strong> citazione del libricino composto dal conte di Huenara anch’esso presente nel<strong>la</strong><br />

suddetta silloge:<br />

“Et hermanno conte di Huenara, in quel libretto che egli scrive a lo Imperatore Carlo V. De<br />

<strong>la</strong> origine e de le sedie prime de Franchi, a questo proposito dice così:<br />

“Duas francos habuisse leges, ipsorum authores testantur salicam atque Ripuariam; quibus<br />

nullus Regum ante Carolum magnum adijcere quicque temptavit. Ea quum apud ipsos plurimi<br />

semper momenti habitae sint; ac in <strong>la</strong>tinam linguam posterioribus saeculis trans<strong>la</strong>tae<br />

reperiantur; eo maiorem adversarijs autoritatem prestabunt.<br />

Il che dice perché con alcuni vocaboli che sono in quelle vuol provare che i Franchi<br />

anticamente sono Germani. Et per questo ancora soggiugne poco di sotto:<br />

“Quod si quis dicere velit Ripuariam legem, solis Ripuarijs fuisse promulgatam; qui<br />

francores quidem socij, non de eadem gente erant: opponam illi salicam quae proculdubio<br />

antiquissima fuit; secundum quam indicare solebant Franci.” 761<br />

La stessa dedica rivolta dallo Huenara a Carlo V insieme al fatto che il suo autore vi<br />

intraprende una sistematica demolizione delle tesi troiane di Hunibaldo, documentano<br />

ulteriormente del<strong>la</strong> linea filogermanica e antifrancese del testo e ci confortano ulteriormente<br />

sull’orientamento assunto dal Giambul<strong>la</strong>ri nel<strong>la</strong> Storia 762 .<br />

Poi nel prosieguo del<strong>la</strong> lettera, riguardo al<strong>la</strong> distinzione tra Franchi e Sassoni, il Giambul<strong>la</strong>ri<br />

chiama in causa il Renano che evidenzia come <strong>la</strong> legge salica penalizzi fortemente questi<br />

ultimi:<br />

760 Vita et gesta Caroli cognomento Magni, Francorum regis fortissimi, et Germaniae suae illustratoris,<br />

autorisque optime meriti, per Eginhartum, illius quandoque alumnum atque scribam adiuratum, Germanum<br />

conscripta in Vitichindi Saxonis Rerum, cit., pp. 107i6-125L3, il passo citato dal Giambul<strong>la</strong>ri nel<strong>la</strong> missiva si<br />

trova a p. 121L1.<br />

761 Eiusdem Hermanni comitis nuenarii brevis narratio de origine et sedibus priscorum francorum in Vitichindi<br />

Saxonis rerum, cit., pp. 99i2-107i6. In realtà alle pp. 99i2-102i3 si trova <strong>la</strong> lettera dedicataria Invictiss. et<br />

clementiss. Ro. Im. Carolo austriaco…Hermannus a Nuenare, sacri imperij Germanici Comes, perpetuam<br />

felicitatem, ex Colonia Calendis Februarij. I passi citati nell’episto<strong>la</strong> si trovano nel<strong>la</strong> seconda parte del breve<br />

scritto, rispettivamente, alle pp. 105-106i5.<br />

762 Così infatti lo Huenara inizia alle pp. 102i3-103i4 il suo scritto: “De origine et sedibus Francorum<br />

pirusquam in Gallias eruperint, eorum qui hactenus eius gentis hi<strong>storia</strong>m scripserunt, nemo satis fideliter<br />

accurateque tractasse videt. Quidem enim antiquiores, que seculum illud infelicissimum esset, ad fabu<strong>la</strong>s<br />

plerunque, p<strong>la</strong>psi sunt: quoniam delectum non habebant. Nec sine bonarum literarum cognitione de rebus<br />

hi<strong>storia</strong>e exactum poterant, perferre iudicum. Fuerunt enim inter eos qui a troiano excidio Francorum<br />

deducerent gentem, idque tam aperte astruentes, ut etiam regum nomina adscriberet, nescio quid graecanicae,<br />

proprietatis subolentia. His omnibus prior ansam dedit Hunibaldus, quem vixisse putant non multo post Thedosij<br />

imp. tempora : licet mihi non multo fidei faciat autor tam fabulosos et barbarus: quem quum multis ex causis,<br />

tum vel maxime ob id suppositium putaverim, que Theodosij vel Gratiani temporibus nondum adeo<br />

degeneraverat in extrema barbariem Latinus sermo, ut tam abiecto stylo scribere potuisset. Praeterea quum,<br />

sicut ipse testatur, tam vehemens tunc Francorum in Ro. odium vigeret, ut multis in locis ne vestigia quidam Ro.<br />

Relinquenda putaverint, quo illorum memoriam extirpare e Germania atque Gallia possent, mihi verisimile non<br />

videtur, Hunibaldum ea ipsa lingua gentis suae hi<strong>storia</strong>m tradere voluisse, quam tam acriter, insectabantur<br />

omnes, sed opinor studiosum aliquem nonnul<strong>la</strong> ex Hunibaldo collegisse, eaque suo more sine ordine, sine<br />

sudicio sic in volutine redegisse, quemadmodum nunc apud quosdam habentur.[…] ”.<br />

147


“Il Beato Renano ancora nel II libro delle cose di Germania, ragionando de lo stato de <strong>la</strong><br />

Gallia et del<strong>la</strong> Germania, sotto i re imperatori franchi, dice<br />

ipsi franchi nunc salicam legem, nunc romanam, nunc Gombetam praeferebant. Salici<br />

Franci maius privilegium habebant. Nam hii solidum xii denararium pro multa solvebant. Si<br />

Frisius aut saxo offendisset Salicum Francum, XL. denararium solido multabatur. 763<br />

Del resto, nonostante l’attribuzione storico-geografica del fiume Sa<strong>la</strong> al<strong>la</strong> Germania,<br />

attraverso il ricorso a Paolo Emilio ed all’Irenico, Giambul<strong>la</strong>ri riconduce evidentemente <strong>la</strong><br />

legge Salica ai Franchi:<br />

Ma perché <strong>la</strong> tal legge si chiami salica, avvertite che sa<strong>la</strong> è una fiumana del<strong>la</strong> Germania<br />

per <strong>la</strong> quale penetrando (come dice Strabone) Druso nel Brutten, soggiogò quel<strong>la</strong> nazione; et<br />

morissi poi finalmente in questo paese medesimo, tra <strong>la</strong> Sa<strong>la</strong> e l’Albi fiumare notissime del<strong>la</strong><br />

Germania,: et però dice Paolo Emilio nel secondo libro delle istorie di Francia,<br />

“A sa<strong>la</strong> flumine salios francos inizio distos sunt qui tradant: atque inde salicam legem<br />

noncupatam. 764<br />

Et nello VIII, nel<strong>la</strong> vita di Filippo lungo, il medesimo Emilio:<br />

“Caeteri Francorum proceres defendebant, ius regni Franciae, virorum tantum, non et<br />

mulierum esse; legis salicae verba haec identidem recitantes: in terram salicam, mulieres ne<br />

succedant: terram salicam Regnum, Franciamque, interpretabantur. Salicorum Francorum<br />

gentem fuisse Ammianus Marcellinus refert:<br />

Il medesimo ancora non molto di sotto:<br />

“Utriusque tempestatis inclinationem passos Francos: cetera potius ius divina humanaque<br />

dissimu<strong>la</strong>ri, silerique quorum legem salicam abrogari 765<br />

Ma come i Ribuarij, o i Ripuarij non siano Franchi ma compagni dei Franchi, Advertite che<br />

lo Irenico nel<strong>la</strong> sua Germania nel libro XII dice così:<br />

“Ribuaria, Lociis saxonie est. Saxones et quorum Ribuaria nomine Tellus. Huius loci<br />

Geb<strong>la</strong>cense et alii mentionem fecerunt.<br />

Così da distinguere pur nel comune ceppo germanico Franchi e Sassoni nel sottolineare<br />

piuttosto <strong>la</strong> trans<strong>la</strong>tio imperii dai Franchi ai Sassoni invece che dai Romani ai Germanici,<br />

visto che i ripuarii coincidono con i Sassoni così da confermare l’accordo col Renano,<br />

marcando una certa distanza con lo Huenara 766 :<br />

“Erano adunque i Ribuarij sassoni e non Franchi. Ma perché lo Imperio nel tempo del<br />

conte Ugo e del<strong>la</strong> madre era già trasferito ne’ Sassoni, i monasterij di quel<strong>la</strong>…che assegnate,<br />

volendo mostrare che non contraffacevano per quello atto alle leggi imperiali, dicevano,<br />

763 Rerum, cit., passo a p. 90m1.<br />

764 Pauli Aemylii Veronensis, historici c<strong>la</strong>rissimi, de rebus gestis Francorum, ad christianissimum Galliarum<br />

Regem Franciscum Valesium, eius nominis primus, libri Decem, Parisiis imprimebat Michael Vascosanus sibi et<br />

Galeotto a Prato, MDXLIIII, (d’ora in poi de rebus gestis Francorum), passo a p. 45f5, lib. II.<br />

765 Ivi, lib. VIII, passo a p. 178zIII.<br />

766 Il quale peraltro già nel<strong>la</strong> lettera dedicatoria a Carlo V: Invictissimo et clementissimo Imp. Carolo Austriaco,<br />

eius nominis v. Hispaniarum, Pannoniae, Da<strong>la</strong>mtiae, Siciliaeque regi longe potentissimo, Hermannus a<br />

Nuenare, sacri Imperii Germanici Comes, perpetuam felicitatem, ivi, pp. 99i2-102i3, esalta <strong>la</strong> Trans<strong>la</strong>tio imperii<br />

dal mondo <strong>la</strong>tino a quello franco-germanico e distingue Franchi e Galli, al riguardo vedi il seguente passo alle<br />

pp. 100i2-101i3: “Haec Galliam tripartitam toties a nostris maioribus oppugnatam, tandem omni ex parte<br />

perdomuit, ipsiusque non modicam partem in hanc nationem transp<strong>la</strong>ntavit, ut ab alpibus, unde Rhenus effundit,<br />

usque ad occiduum oceanum Germanici iuris sit, quod Gallia prius Belgica dicebat. Reliquum autem Galliae de<br />

suo nomine Franciam appel<strong>la</strong>ri etiam hoc tempore videmus: unde constat Gallorum non tam victores quam<br />

exstinctos fuisse. Haec denique Ro. Imperium tanto tempore toti terrarum orbi non formidabile solum, sed etiam<br />

onerosum, brevi tempore contrivit, ipsamque Italiam victricem quondam gentium victoris ferre iugum compulit.<br />

Sic Germanorum virtuti cedere coacti sunt Romani, quos neque ferocia Annibalis cum tota Africa neque potentia<br />

Antiochi cum sua Asia, nec Pyrrhus, quamvis Graeciae esset imperator, frangere potuerunt.[…]”.<br />

148


legge…salica et Rebuaria, che è <strong>la</strong> Salica quanto agli ordinamenti de’ Franchi: et <strong>la</strong><br />

Robuaria quanto a quegli de’ Sassoni, rispetto ad Arrigo primo et ai tre Ottoni suoi<br />

discendenti che furono Sassoni tutti e quattro.<br />

Questo è quanto per hora ho da dirvi del<strong>la</strong> legge salica et robuaria: se altro me ne verrà<br />

per le mani ve ne farò parte. Et il simile sarete contento fare voi ancora, circa le più antiche<br />

memorie, de Privilegii et di altre scritture, pertinenti a <strong>la</strong> vita di Firenze o del dominio di<br />

quel<strong>la</strong>, che per il vero ogni notizia che se ne habbia; mi fia carissima.” 767<br />

Del resto, il Giambul<strong>la</strong>ri, nel<strong>la</strong> evidente fedeltà al Renano confermata anche tornando sul<br />

testo, non può che evidenziare chiaramente l’alterità di Galli e Franchi, in accordo anche con<br />

il Huenara e soffermandosi sulle lotte di questi ultimi contro Roma:<br />

“Di questi dunque uscirono i Franchi; e da<br />

principio furono pirati…E venedone ancora<br />

bene spesso per <strong>la</strong> fiumara del Reno dentro<br />

al<strong>la</strong> seconda Germania a predar<strong>la</strong> e correr<strong>la</strong><br />

tutta. De <strong>la</strong> quale cacciati per forza d’arme da<br />

lo imperatore Costantio padre di Costantino, e<br />

ripinti di là dal Reno, circa il<br />

dugentonavantaquattresimo anno del<strong>la</strong> Salute,<br />

non restarono però per questo di ritornare a<br />

predar<strong>la</strong> sotto Diocliziano; come aperto<br />

mostra Eutropio, oltre a tanti panegiristi,<br />

quanti scrissero in quel<strong>la</strong> età lodando ed<br />

esaltando que’ principi de lo havere liberato<br />

<strong>la</strong> Batavia, che oggi dì è O<strong>la</strong>nda, da <strong>la</strong><br />

violenza de’ Franchi, e restituito all’Imperio i<br />

confini e termini suoi; e Costantio<br />

massimamente, che fu capo di quel<strong>la</strong> impresa.<br />

Lodarono eziandio Costantino suo figliuolo<br />

per aver non so<strong>la</strong>mente abbattuti i Franchi,<br />

che erano tornati pure a predare, ma preso<br />

ancora Ascario e Ragaiso, duoi re di questo<br />

popolo indomito, e per ispavento di tutti gli<br />

altri, dopo diversi tormenti orribili, avergli<br />

messi nel teatro pubblico ad essere stracciati e<br />

smembratida le ferocissime bestie quivi<br />

condotte per questo effetto.” 768<br />

767 Lettera nel manoscritto Memorie e opere, cit., pp. 23-24.<br />

768 Storia, cit., p.109-110.<br />

769 Rerum, cit., passo a p. 30d3.<br />

770 Ivi, cit., p. 31d4.<br />

“ Proinde facile est videre videre quae nam<br />

proprie Francorum sedes fuerint et quidem<br />

avitae : siquidem non frustra addit<br />

Panegyristes, ex origine sui, sive ex originis<br />

suae sedibus, nempe tractus littoralis Oceani<br />

Germanici. Hinc quum in Galliam itinere<br />

pedestri incursare libuisset, praecipue<br />

Bataviam per Chaucos et Frisios infestabant,<br />

et extremae Galliae.[…]Aut haec ipsa, inquit,<br />

quae modo desinit esse Barbaria, non magis<br />

feritate Francorum velut hausta desederat,<br />

quam si eam circumfusa flumina et mare<br />

alluens operuisset. Id praecipue factum sub<br />

Costantio patrem Costantini. Bataviae<br />

liberationem omnes Panegyristae Con stantio<br />

ferunt acceptam, quorum unus ad<br />

Maximianum et Costantinum orans sic<br />

Costantij patris meminit. Multa ille, inquit,<br />

Francorum milia, qui Bataviam<br />

aliasque…Rhenum Terras invaserant,<br />

interfecit, depulit, abduxit. 769 […]Sed et<br />

Eutropius in Diocletiano refert Francos et<br />

Saxonas mare Gallicum infestasse. Per haec,<br />

inquit, tempora etiam Carausius, qui<br />

vilissime natus, in Serenae militiate ordine<br />

famam egregiam fuerat consecutus, quum<br />

apud Bonomiam per tractum Belgicae et<br />

Aremoricae, pacandum mare accepisset,<br />

quod Franci et Saxones infestabant…” 770<br />

[…] Itaque Constantinus adhuc adulescens<br />

patrem imitatus, Francos depellere est<br />

aggressus, et affuit fortuna. Siquidem duos<br />

Francorum reges cepit, Ascarichum et<br />

Ragaysum qui primi sunt quorum apud<br />

idoneos autores fiat mentio, nec illorum vitae<br />

149


pepercit, sed in terrorem Francorum, diris<br />

excruciatos supplicijs trucidari iussit. ” 771<br />

Affrontato il nodo del<strong>la</strong> derivazione dei Franchi, all’interno dell’ampia digressione storicogeografica<br />

sui popoli germanici, il Giambul<strong>la</strong>ri, ritorna sul problema con cui si apre l’azione<br />

del<strong>la</strong> <strong>storia</strong> a causa del<strong>la</strong> superficialità di Arnolfo: gli Ungheri. Essi infatti, invadono <strong>la</strong><br />

Germania, depredando<strong>la</strong> davanti agli occhi del nuovo imperatore Ludovico, del tutto<br />

impotente. La situazione, inoltre, è aggravata dalle contese interne all’aristocrazia germanica,<br />

ulteriore spia del malessere dell’impero. Ancora Reginone, attento ad evidenziare il<br />

permanente stato di guerra interno all’aristocrazia imperiale, è il riferimento del<br />

Giambul<strong>la</strong>ri 772 .<br />

Intanto in Italia, Berengario entra a Verona e trionfa su Ludovico Bosone recuperando il<br />

regno d’Italia:<br />

“…e presentatosi di notte fino a le mura<br />

secondo l’ordine posto <strong>prima</strong> con alcuni<br />

cittadini suoi amici che lo avevano fatto<br />

venire, fu ricevuto subito dentro con le genti<br />

che aveva seco. Ed egli non dando sosta<br />

alcuna o indugio a colorire il disegno suo,<br />

dirizzatosi al monte ed a le abitazioni del<strong>la</strong><br />

chiesa di San Pietro, dove, e per <strong>la</strong> bellezza<br />

del luogo e per maggior suo comodo, abitava<br />

il re Lodovico, <strong>prima</strong> che i nemici appena il<br />

sentissero, si impadronì per forza del tutto.<br />

Lodovico, udito lo strepito e vedutosi senza<br />

difesa, ce<strong>la</strong>tissimamente si fuggì in chiesa, e<br />

tacitamente vi si nascose di maniera che e’<br />

non fu né conosciuto né visto se non<br />

so<strong>la</strong>mente da uno de’ soldati di Berengario.<br />

Costui, dubitando e temendo che Lodovico<br />

non fusse ucciso se da gli altri fusse trovato,<br />

cercò di assicurarsi con Berengario de <strong>la</strong> vita<br />

almeno del prigione; e per questo andatone a<br />

lui…”Poi che Iddio vi ama tanto, che e’ vi ha<br />

fatto signore del vostro avversario, ben dovete<br />

voi ancora, per amor suo vincendo l’ire e gli<br />

sdegni vostri, usare di quel<strong>la</strong> clemenza, che<br />

da lui stesso ci è comandata”. Berengario,<br />

come persona savia ed astuta, si accorse a<br />

queste parole che ei sapeva il nascoso; e per<br />

farglielo confessare amorevolmente: “Credi<br />

tu però…uomo di poco giudicio, che io vogilia<br />

uccidere quel re che Dio ha dato nelle mie<br />

mani? Or non debbo io molto più imitare il<br />

santissimo David, che potendo con ogni<br />

sicurtà uccidere Saulle suo avversario, lo<br />

<strong>la</strong>sciò libero e in santa pace, non perché e’<br />

non potesse farne a suo modo, ma perché gli<br />

771 Ivi, cit., passo a p. 32d4.<br />

772 Storia, cit., pp. 111-114, e soprattutto nota sul passaggio 256-263 a p.111.<br />

“In huius vero collis summitate preciosi<br />

operis ecclesia est fabbricata, et in honore<br />

beatissimi Petri apostolorum principis<br />

consacrata, ubi et pro amoenitatem ecclesiae,<br />

locique munitionem Ludovicus manebat.<br />

Berengarius denique, ut prefati sumus noctu<br />

civitatem ingressus, c<strong>la</strong>m Ludovico suis cum<br />

miltibus pontem pertransiens, in ipso aurorae<br />

crepusculo hunc usque advenit. Qui c<strong>la</strong>more<br />

strepituque militum excitatus sciscitat quid<br />

esset, in ecclesiam fugit, nullusque eum<br />

praeter Berengarij militum unum ubi esset<br />

agnovit. Qui misericordia motus, noluit hunc<br />

prodere, sed ce<strong>la</strong>re. Timens vero idem, ne ab<br />

alijs repertus proderetur, vitaque multaret.<br />

Berengarius adijt, eumque ita convenit,<br />

Quandoquidem tanti deus te habuit, ut tuum<br />

proprias in manus traderet hostem, debes et<br />

te eius monita, imo precepta magnifacere :<br />

infit enim, Estote misericordes, sicut et pa.<br />

Ve. Mi. Est. Nolite iudicare, et non<br />

iudicabimini: nolite condemnare, et non<br />

condemnabimini. Intellexit itaque<br />

Berengarius, ut vir non incallidus, hunc quo<br />

ipse <strong>la</strong>teret scire locum, eumque hac<br />

sophistica responsione decepit. Putas ne me<br />

insulse quem mihi domius tradidit hominem<br />

imo regem velle occidere? Numquid et David<br />

sanctus regem Saulem a deo sibi in manus<br />

traditum servavit, non quod uccidere?<br />

Nunquid et David sanctus regem Saulem a<br />

deo sibi in manus traditum servavit, non quod<br />

uccidere non potuit, sed quia non voluit? His<br />

sermonibus miles inclinatus locum ostendit,<br />

in quem confugerat Ludovicus. Qui captus, et<br />

150


piacque conservarlo?[…]Il soldato persuaso<br />

da questo dire…insegnò subito a Beregario<br />

dove fusse il re Lodovico. Berengario…fattolo<br />

venire al suo cospetto, gli parlò in questa<br />

maniera: “Fino a quanto tu vorraiperò, o<br />

Lodovico, senza fede, usare ma<strong>la</strong>mente quel<strong>la</strong><br />

benignità e quel<strong>la</strong> pazienza che abbiamo<br />

avuto verso di te? Potrai tu giammai denegare<br />

di non essere stato altra volta in podestà<br />

nostra[…]Or non mi giurasti tu allora<br />

spontaneamente…di non tornare più<br />

nell’Italia, o noiarmi lo stato mio?[…]per non<br />

mancare de <strong>la</strong> mia promessa a colui che mi ti<br />

insegnò, ti concedo e ti do <strong>la</strong> vita…eccetto che<br />

gli occhi, perché questi voglio a Verona…”<br />

Così disse allora Berengario…comandò che<br />

gli fussero tratti gli occhi: il che fu eseguito<br />

subito…Berengario…si rimase re del<strong>la</strong><br />

Italia…” 773<br />

ante Berengarij praesantiam ductus,<br />

huiusmodi a Berengario sermonibus<br />

increpatur. Quousque tandem abutere<br />

Ludovice patientia nostra ? Num inficiari<br />

potes te illo tempore meijs praesidijs, mea<br />

diligentia circumclusum, comovere etiam<br />

contra non potuisse, meque misericordia<br />

inclinatum, quae tibi nul<strong>la</strong> debebatur, te<br />

dimisisse? Sensisti ne inquam te periurum in<br />

istis esse victum? Confirmasti sane mihi<br />

teipsum nunque Italiam ingressurum. Vitam<br />

tibi sicut ei qui te mihi prodidit promiserat,<br />

concedo: oculos vero tibi auferri non solum<br />

iubeo sed compello. His dictis Ludovicus<br />

lumine privatur, et Brengarius regno<br />

potit.” 774<br />

Il Giambul<strong>la</strong>ri, torna, però a trattare degli Ungheri, chiamati in causa, quasi in una specu<strong>la</strong>re<br />

corrispondenza con Arnolfo, da Leone V imperatore orientale per fronteggiare le violenze e <strong>la</strong><br />

guerra intrapresa dai Bulgari capeggiati dal loro capo Simeone. Nonostante <strong>la</strong> loro<br />

conversione al cristianesimo, essi costituiscono una terribile spina nel fianco dell’impero<br />

bizantino, avendo ottenuto da Costantino IV il possesso delle due Misie terre dalle quali come<br />

l’autore precisa “ancora che molestati poi molte volte da gli altri imperatori che successero,<br />

non furono però cacciati giamai, o rimossi…anzi sempre si stettero dove a dì nostri si stanno<br />

ancora.” 775<br />

Prima del racconto sullo scontro tra Leone ed i Bulgari viene ribadito sul<strong>la</strong> base del passo<br />

dell’Irenico già incontrato <strong>la</strong> provenienza dei Bulgari dal<strong>la</strong> Scandia e <strong>la</strong> loro origine<br />

germanica. Fonte privilegiata del dissidio bizantino-bulgaro in cui Leone chiede l’intervento<br />

degli Ungheri, i quali poi si rivolgono al<strong>la</strong> predazione del<strong>la</strong> nostra peniso<strong>la</strong>. Il racconto del<br />

Giambul<strong>la</strong>ri riceve evidente linfa da Liutprando:<br />

“Gli Unghieri predato e corso tutti i paesi<br />

detti di sopra, arrivando a confini del<strong>la</strong> Italia,<br />

avanti che entrassero in quel<strong>la</strong>, mandarono<br />

alcuni de’ loro che, fingendosi d’altra<br />

nazione, considerassino copertamente <strong>la</strong><br />

qualità del paese e <strong>la</strong> materia e forze di<br />

quello, e ne recassero notizia intera. Costoro<br />

considerando il tutto con diligenza e<br />

squadrato bene ogni cosa, ritornati alle genti<br />

loro, riferirono pubblicamente, il paese<br />

ricchissimo e abbondantissimo, con città<br />

grandi e forti, con castel<strong>la</strong> quasi infinite; ma<br />

si copioso di abitatori, che a loro non pareva<br />

a proposito il tentarlo con quello esercito:<br />

perché se bene per esperienza non si sapeva<br />

773 Ivi, passo alle pp. 114-115.<br />

774 Liuthprandi, cit., passo alle pp. 245x3-246x3.<br />

775 Storia, cit., passo a p. 118.<br />

“Nam Bulgarorum gentem atque Graecorum<br />

tributariam fecerant, ne quid inexpertum his<br />

esset, quae sub meridiano atque sub orientali<br />

degerent climate nationes visere fatagunt:<br />

immenso taque innumerabilique exercitu<br />

miseram petunt Italiam. Quumque iuxta<br />

fluvium Brennam defixis tentorialis, imo<br />

centonibus, triduo exploratoribus directis qui<br />

terrae situm gentisque multitudinem seu<br />

raritatem considerarent, repedantibus nuncijs<br />

huiusmodi responsa suspiciunt. P<strong>la</strong>nicies<br />

haec nonnullis plena colonis, uno et cernitis<br />

ex <strong>la</strong>tere montibus asperrimis atque fertilibus,<br />

altero mari cingitur Adriatico: oppida vero<br />

tum nonnul<strong>la</strong>, tum munitissima: gentis<br />

151


se <strong>la</strong> gente veduta era armigera ed animosa, o<br />

pure timida e mercantile, e’ si vedeva<br />

nientedimeno sì popoloso tutto il paese, che il<br />

meglio era tornare a casa; dove mettendo<br />

insieme più gente, ed esercitando quel<strong>la</strong><br />

vernata <strong>la</strong> gioventù in su l’armi, potrebbono a<br />

<strong>prima</strong>vera venirvi sì gagliardi e tanto<br />

provvisti, che non arebbono di che temere;<br />

anzi col numero e tcon <strong>la</strong> fierezza<br />

sapventerebbono tanto i nimici, che non<br />

ardirebbono pure di aspettare, non che di<br />

opporsi armati resistere. Al<strong>la</strong> moltitudine<br />

piacque il consiglio, e così chi <strong>la</strong> guidava.<br />

Laonde, senza intromettersi ad altra impresa,<br />

si tornarono in Ungheria; e, secondo l’ordine<br />

posto, attesero tutto quel verno ad esercitare i<br />

giovani, a fornirsi di archi e di frecce, ed a<br />

prepararsi copiosamente di tutte le cose a<br />

loro necessarie, per venire a acotanta<br />

impresa. Alo entrare nel mese di aprile,<br />

uscirono in su <strong>la</strong> campagna, e con esercito<br />

innumerabile, per <strong>la</strong> solita strada de’<br />

Barbari, cioè per <strong>la</strong> via del Frigoli (porta<br />

piacevolissima, <strong>la</strong>sciata aperta da <strong>la</strong> natura<br />

per gastigare le colpe d’Italia), se ne vennero<br />

senza contrasto, non so<strong>la</strong>mente a <strong>la</strong> già<br />

spianata Aquileia. Ma a Padova e a Verona, e<br />

finalmente sino a Pavia. Berengario, udendo<br />

come e venivano, e meravigliandosi…di<br />

questa nuova gente, del<strong>la</strong> quale sapeva<br />

appena il nome, fece subito dare a le armi in<br />

Toscana, in Lazio, in Umbria, in Romagna e<br />

per tutta <strong>la</strong> Lombardia; e così posto insieme<br />

un esercito per tre volte maggiore che lo<br />

unghero, ne andò subito contro al<br />

nemico.[…] 776 Di maniera che vedendosi egli<br />

tanto gagliardo in su <strong>la</strong> campagna, si<br />

prometteva il trionfo certissimo: ed<br />

attribuendo molto più al<strong>la</strong> virtù delle genti<br />

sue che a Dio, non so<strong>la</strong>mente cercava lo aiuto<br />

vero, ma né in parte lo umano ancora. Con<br />

ciò sia che, ritiratosi con alquanti famigliari<br />

in uno castelletto vicino…attendeva molto più<br />

a diletti suoi, che a <strong>la</strong> cura di tanto esercito.<br />

Gli Ungheri veggendosi a petto, una<br />

quanque ignoretur imbecillitas aut fortitudo,<br />

immensa tamen conspicitur multitudo. Neque<br />

enim hanc tam paucis copijs invadere<br />

hortamur: verum quum nonnul<strong>la</strong>e sint res<br />

quae nos pugnare compel<strong>la</strong>nt, triumphus<br />

scilicet assuetus, animi fortitudo, pugnandi<br />

scientia, opes paesertim quorum desiderium<br />

fatigamur, que hic tot insunt, quot toto in orbe<br />

nec vidimus nec videre speravimus: nobis<br />

tamen consultis, neque enim longum<br />

arduumve remeandi iter est, quod decem<br />

potest et eo minus diebus perfici, revertamur<br />

quatenus vere omnibus gentis nostre collectis<br />

fortissime redeamus, sitque his tum in<br />

fortitudine, tum nostra in moltitudine terror.<br />

Nec mora, his auditis, ad propria revertuntur,<br />

totamque hyemis asperitatem in fabricandis<br />

armis, in acuendis spiculis, in docendis<br />

iuvenibus belli notitiam ducunt. Sol necdum<br />

piscis signum deserens, arietis occupabat,<br />

quum immenso atque immumerabili exercitu<br />

collecto Italiam petunt. Aquileiam et Veronam<br />

pertranseunt munitissimas civitates, et<br />

Ticinum quae nunc alio excellentiori<br />

vocabolo Papia vocatur, nullis resistentibus<br />

veniunt. Rex igitur Berengarius tam<br />

praec<strong>la</strong>rum novumque facinus satis mirari<br />

non potuit: antehac enim neque nomen gentis<br />

huius audierat. Italorum igitur Thuscorum,<br />

Volscorum, Camerinorum, Spoletinorum<br />

quosdam libris, slios nuncijs directis, omnes<br />

tamen in unum venire praecepit, factusque est<br />

exercitus triplo Hungarorum<br />

validior.[…]Quumque sibi Berengarius tot<br />

adesse copias cerneret, superbie spiritu<br />

inf<strong>la</strong>tus, magisque triumphum de hostibus<br />

moltitudini suae quam Deo tribuens, solus<br />

cum paucis quodam in oppidulo degens,<br />

volutati operam dabat. Quid igitur? Tantam<br />

mox ut Hungari contemp<strong>la</strong>ti multitudinem<br />

animo costernati, quid facerent, deliberare<br />

non poterant praeliari penitus formidabant,<br />

fugere omnino nequibant: verum inter<br />

utramque hanc aestuationem fugere magis<br />

quam praeliari iuvat: persequentibus<br />

776 È un dato che l’autore ricava basandosi ancora su Liutprando citato direttamente a confutare le stime svolte<br />

da altri autori grazie ancora al<strong>la</strong> sua vicinanza agli eventi, in una precisazione che interrompe <strong>la</strong> col<strong>la</strong>zione<br />

Storia, cit., p. 26: Gli scrittori da cento anni in qua, dicono che il re Berengario si oppose a costoro con<br />

quindicimi<strong>la</strong> cavalli so<strong>la</strong>mente; il che non pare appena credibile: ma Liutprando, che scrisse pochi anni dopo, e<br />

dice che <strong>la</strong> moltitudine degli Ungheri era quasi infinita, dice ancora che lo esercito di Berengario fu tre volte<br />

maggiore di quel<strong>la</strong>.”<br />

777 Storia, cit., passo alle pp. 125-131.<br />

778 Liuthprandi, cit., pp.237u5-240u6.<br />

152


moltitudine tanto grande…cominciarono a<br />

mancare di animo, e a non sapere troppo<br />

bene che partito dovessimo prendere, non<br />

volendo combattere a di svantaggio sì<br />

manifesto, e potendosi male ritrarre per le<br />

tante fiumare che si avevano <strong>la</strong>sciato dopo.<br />

Giudicarono nientedimeno che assai meglio<br />

fusse il fuggirsi: per il che diloggiati una<br />

notte senza rumore, si condussero fino in su<br />

l’Adda <strong>prima</strong> che i nostri li racquistassero.<br />

Nel passare l’Adda con troppa fretta ve ne<br />

affogarono quantità grande…Veggendosi<br />

adunque a sì mal partito, mandarono<br />

ambasciatori a’ Cristiani ad offerire di<br />

<strong>la</strong>sciare <strong>la</strong> preda, e rifare ogni danno dato, se<br />

e’ volevano <strong>la</strong>sciargli andare…Ma le genti di<br />

Berengario, che già pensavano molto più a le<br />

funi e a le catene da legare i prigioni, che a le<br />

armi da conquistargli, negarono tutti gli<br />

accordi, e…gli ingiuriarono acerbamente. Gli<br />

Ungheri, mal contenti de <strong>la</strong> risposta,<br />

ripigliarono il partito primo, e fuggendo come<br />

e’ potevano, si condussero presso a Verona.<br />

Ma raggiunti in quel<strong>la</strong> campagna dal<strong>la</strong><br />

cavalleria de’ Lombardi, cominciarono a<br />

scarammuciare...ed ebbero sempre vantaggio<br />

gli Ungheri mentre i Lombardi non<br />

ingrossarono; ma come le moltitudine<br />

sopraggiunse, ritornarono a marciare via, e i<br />

nostri pure a seguirgli. Pervenuti dunque a <strong>la</strong><br />

Brenta, e passata<strong>la</strong> prestamente, si trovarono<br />

tanto stracchi, e si spedati e <strong>la</strong>ssi i cavalli,<br />

che, disperatisi del fuggire, si fermarono su <strong>la</strong><br />

fiumara. A <strong>la</strong> quale arrivati i Lombardi, e<br />

fermati gli alloggiamenti, divisi so<strong>la</strong>mente dal<br />

fiume, mandarono gli Ungheri nuovamente a<br />

cercare un altro partito; cioè di <strong>la</strong>sciare<br />

liberamente tutti i prigioni, le robe, l’armi, i<br />

cavalli, riserbatone so<strong>la</strong>mente uno per uomo<br />

da potersi tornare a casa; e di obbligarsi a<br />

non tornare mai più in Italia durante <strong>la</strong> vita<br />

loro, dandone per sicurtà tanti statichi, quanti<br />

i Lombardi stessi volevano, pure che ellino<br />

acconsentissero di <strong>la</strong>sciarneli andare in pace.<br />

Ma gli orgogliosi Cristiani, insuperbiti vie più<br />

che <strong>prima</strong>, non accettarono i prieghi loro, e<br />

non volsero accordo alcuno. Gli Ungheri,<br />

tornati gli ambasciatori, e uditosi<br />

apertamente che non bisognava sperare<br />

accordo, disperatisi di ogni cosa e del<strong>la</strong> vita<br />

principalmente, si ragunarono tutti insieme, e<br />

cominciarono a consigliarsi insieme come<br />

Christianis, Abduam fluvium natando ita ut<br />

nimia festinatione plurimi submergerentur,<br />

transeunt. Hungari denique consilio non malo<br />

accepto per internuncios Christianos rogant,<br />

quatenus preda omni cum lucro reddita ipsi<br />

incolumes remeare possent. Quam petitionem<br />

Cristiani funditus abdicantes, his proh dolor<br />

insultabant, potius que vincu<strong>la</strong> quibus<br />

Hungari vincirentur, quam arma quibus<br />

necarentur exquirunt. Quumque pagani<br />

Christianorum animos hoc pacto mulcere<br />

nequirent, vetus rati consilium melius, coepta<br />

sese liberare fuga satagunt, sic que fuggendo<br />

in Veronenses campos perveniunt.<br />

Christianorum primi horum iam novissimos<br />

insequuntur, sit que eodem pugnae<br />

praeludium, in quo victoria habuere pagani:<br />

validiore vero propinquante exercitu fugae<br />

non immemores, coeptum iter percurrunt.<br />

Veneruntque Christico<strong>la</strong>e cum idolo<strong>la</strong>tris<br />

iuxta fluvium Brennam: equi enim nimium<br />

defatigati fugiendi copiam negabat(nt?)<br />

Hungaris. Simul igitur utraeque acies<br />

convenere, memorati tantummodo fluvij alveo<br />

separatae. Hungari denique nimio terrore<br />

coacti, omnem supellectilem, captivos, arma<br />

omnia, equos, singulis tamen quibus cum<br />

remeare possent retentis dare promittunt: hoc<br />

praeterea in honorem suae petitionis<br />

adiungunt, ut si vita tantum comite datis<br />

omnibus illos remeare permitterent, se<br />

nunquam Italiam amplius ingressuros filijs<br />

suis obsidibus datis. Verum heu Cristiani<br />

superbiae tumore decepti, minis paganos ceu<br />

iam victos insequuntur, eisque continuo<br />

huiusmodi apologiam remitttunt. Si<br />

contraditum nobis, praesertim a contraditis<br />

iamque canibus mortuis munus reciperemus,<br />

foedusque aliquod iniremus, insanos capite<br />

non sanus iuret Orestes. […]Hac igitur<br />

legatione Hungari desperantes, collectis in<br />

unum fortissimis, tali sese mutuo sermone<br />

so<strong>la</strong>ntur. Si haec quae in praesentiarum<br />

cernitur, luce perdita, nihil est, quod deterius<br />

provenire possit hominibus, et quia locus<br />

precij nullus, fugiendi spes omnis ab<strong>la</strong>ta,<br />

col<strong>la</strong> submittere mori est, quid verendum est<br />

nobis te<strong>la</strong> inter ipsa ruere, morte mortem<br />

inferre? Numquid non fortunae et non<br />

rimbecillitati casus deputandus noster?<br />

Viriliter enim pugnando soccumbere, non est<br />

mori, sed vivere. Hanc famam<br />

153


fusse da governar<strong>la</strong>. Era per avventura tra<br />

loro un soldato assai bene di tempo, molto<br />

pratico nelle guerre, e molto famoso per le<br />

vittorie. Costui, veggendo tacere i capi<br />

maggiori, e che nessuno ardiva risolver<strong>la</strong>,<br />

salito in luogo eminente, e rivoltosi due o tre<br />

volte con gli occhi per ogni banda, cominciò<br />

a par<strong>la</strong>re in questa maniera:<br />

dove, dove sono fuggiti al presente, valorosi<br />

compagni miei quelle rare vostre virtù,<br />

ferocità, fortezza e audacia, co’l dipregio<br />

stesso del<strong>la</strong> morte, le quali fino al giorno<br />

presente con somma gloria di tutta Scizia, vi<br />

hanno alzati sopra alle stelle?[…]Dove sono<br />

quegli animi eccelsi, che per farsi immortali<br />

al mondo, soggiogarono <strong>la</strong> Pannonia, <strong>la</strong><br />

Tracia, <strong>la</strong> Macedonia, <strong>la</strong> Schiavonia, <strong>la</strong><br />

Germania, <strong>la</strong> Gallia, e quel<strong>la</strong> istessa Italia,<br />

dove noi, loro figliuoli, pensiamo ora solo<br />

fuggire, o a darci forse prigioni con vergogna<br />

vie più che eterna? […]è possibile che i<br />

maggiori nostri ci <strong>la</strong>sciassero tante province,<br />

tante vittorie, tanti trofei; e che noi vogliamo<br />

<strong>la</strong>sciare a chi verrà dopo noi tanta vergogna,<br />

cotanto obbrobrio sì sempiterno? […]Non<br />

<strong>la</strong>sciarono seguir più oltre, né aspettarono<br />

più argomento a ripigliare il furore usato: ma<br />

tutti ugualmente e da ogni banda, riscaldati<br />

già dal<strong>la</strong> rabbia antica…guadata <strong>la</strong> fiumara,<br />

furono <strong>prima</strong> dentro agli alloggiamenti de’<br />

loro nimici, che le guardie se ne<br />

accorgessero. Quivi, trovando il tutto<br />

sprovvisto, e ciascun dedito a’ suoi piaceri,<br />

cominciarono si fatta strage, anzi più tosto<br />

macello orribile, che ben presto furono al di<br />

sopra, non solo per <strong>la</strong> fierezza loro…ma<br />

perché gli Italiani, al solito loro (dice<br />

Liutprando) poco amici l’uno dell’altro, non<br />

soccorrevano i loro vicini[…]La uccisione fu<br />

grandissima, sì per esser grande lo esercito, e<br />

sì per lo sdegno immortale degli Ungheri. I<br />

quali ricordandosi iratamente come poco<br />

avanti non avevano voluto i cristiani<br />

accordarsi a le cose giuste, non accettavano<br />

priego alcuno, né avevano misericordia di<br />

qualità, di sesso, di età, ma tutto mettevano a<br />

filo di spada. Appresso non contenti de <strong>la</strong><br />

vittoria e di avere spento il nemico si<br />

voltarono i di seguenti a predare il paese<br />

intorno…” 777<br />

tantam…haereditatem ut a patribus nostris<br />

accepimus, etiam relinquamus haeredibus.<br />

Nobis debemus, nobis saltem credere expertis,<br />

qui copiarum paucitate nonnunquam<br />

plurimus stravimus. Invalidae p<strong>la</strong>ebis sane<br />

congregatio plurima ad caedem tantum est<br />

exposita. Sed et fugientem saepissime mars<br />

perimit: dimicantem fortiter protegit. Hi enim<br />

qui nobis supplicantibus non miserentur,<br />

ignorant, neque mente percipiunt, quia<br />

vincere quidam bonum est, supervincere<br />

nimis invidiosum. Hac itaque exhortatione<br />

utcunque animos recreati, tres in partes<br />

insidias disponunt, recta ipsi fluvium<br />

transeundo hostes in medios ruunt.<br />

Christianorum enim plurimi longa propter<br />

internuncios expectatione defatigati, per<br />

castra ut cibo recrearentur descenderant,<br />

quos tanta Hungari celeritate confoderunt, ut<br />

in gu<strong>la</strong> cibum transfigerent, alijs quibusdam<br />

fugam equis negarent ab<strong>la</strong>tis. Eoque illos<br />

lvius perimebant, quod sine equis eos esse<br />

conspexerant. Ad augmentum sane perditionis<br />

Christianorum non parva inter eos erat<br />

discordia. Nonnulli Hungaris non solum<br />

pugnam non inferebant, sed ut proximi<br />

caderent anhe<strong>la</strong>bant, atque hoc ipsi perversi<br />

perverse fecerant, quatenus dum proximi<br />

caderent, soli ipsi liberius quasi regnarent.<br />

Qui dum proximorum necessitatibus<br />

subvenire negligunt, eorumque necem<br />

diligunt, ipsi propriam incurrunt. Fugiunt<br />

itaque Christiani, saeviuntque pagani, qui<br />

prius p<strong>la</strong>care muneribus nequibant,<br />

supplicantibus postmodum parcere<br />

nesciebant. Interfectis denique fugatisque<br />

Christianis, omnia Hungari regni loca,<br />

saeviendo percurrunt. ” 778<br />

154


Certamente all’interno del<strong>la</strong> generale ispirazione fornita da Liutprando invocato<br />

direttamente nel passaggio in questione dall’autore per ben due volte, e recuperato in modo<br />

estremamente accurato come dimostra <strong>la</strong> col<strong>la</strong>zione, non vanno trascurati i passaggi in cui il<br />

Giambul<strong>la</strong>ri arrichisce notevolmente le valutazioni del<strong>la</strong> sua fonte accentuandone<br />

notevolmente l’impatto e <strong>la</strong> forza dei concetti espressi dal<strong>la</strong> sua fonte. Una dinamica già<br />

utilizzata per evidenziare l’esempio e l’azione di Alberto che offre una lezione al<strong>la</strong> nobiltà<br />

italiana a indicare forse che l’eccessivo gusto per <strong>la</strong> descrizione del Giambul<strong>la</strong>ri non è<br />

determinato da motivazioni esclusivamente estetico-letterarie. Significativi in tal senso<br />

appaiono l’orazione fatta dal soldato unghero e soprattutto l’ampio passaggio sul<strong>la</strong> divisione<br />

degli italiani. Elementi tutti già chiaramente connotati in Liutprando col quale si rive<strong>la</strong> una<br />

sostanziale identità di giudizio ma che vengono utlteriormente amplificati sul<strong>la</strong> base dei due<br />

motivi centrali di questo passaggio, uno più generale, l’altro più partico<strong>la</strong>re. Da un <strong>la</strong>to,<br />

infatti, emerge l’arroganza e <strong>la</strong> superficialità di Berengario e dei Cristiani che soccombono<br />

per <strong>la</strong> loro leggerezza nonostante <strong>la</strong> schiacciante superiorità militare che a lungo annichi<strong>la</strong><br />

anche moralmente gli Ungheri. Dall’altro, il motivo delle colpe italiane rinvenibile nel<strong>la</strong><br />

strutturale divisione italica che viene trattato dal Giambul<strong>la</strong>ri fin dal primo libro dell’opera<br />

come abbiamo visto nel<strong>la</strong> presa di Roma da parte di Arnolfo. Del resto in proposito, non può<br />

ignorarsi neanche <strong>la</strong> considerazione posta tra parentesi nell’ampio passo citato a proposito del<br />

Frigoli da cui gli Ungheri penetrano in Italia che richiama esplicitamente queste valutazioni.<br />

Responsabilità indirettamente sottolineate e aggravate dall’evidenza attribuita al<strong>la</strong> ferocia con<br />

cui gli Ungheri predano l’Italia e l’intero orbe cristiano 779 .<br />

Rispetto a queste coordinate, risalta ancora di più <strong>la</strong> netta affermazione che contrariamente a<br />

Berengario, invece Venezia consegue contro gli Ungheri riportata dal Giambul<strong>la</strong>ri sul<strong>la</strong><br />

falsariga del Sabellico, a conferma di una propensione favorevole al<strong>la</strong> Serenissima 780 . Svolta<br />

una parentesi spagno<strong>la</strong> incentrata sul<strong>la</strong> minaccia esercitata dai Mori, verso <strong>la</strong> Res publica<br />

christiana, l’obiettivo si sposta decisamente sul<strong>la</strong> situazione tedesca ed in partico<strong>la</strong>re sul<strong>la</strong><br />

Sassonia, pienamente coinvolta nel gorgo di distruzione generato dagli Ungheri che vengono<br />

chiamati contro di essa dagli infedeli schiavoni.<br />

L’autore, introduce una fonte ad hoc, sul<strong>la</strong> <strong>storia</strong> di questa regione nevralgica dell’Impero<br />

come vedremo specialmente nel prosieguo: Widukindo abate di Corvay 781 autore del Saxonis<br />

Rerum 782 . Nel codice autografo differentemente rispetto al<strong>la</strong> lezione a stampa Widukindo<br />

veniva menzionato direttamente addirittura a p. 5 come rilevato dal Kirner, invece ancora in<br />

queste pagine possiamo desumere l’utilizzazione di questo autore soltanto dal<strong>la</strong> col<strong>la</strong>zione e<br />

non da una citazoine diretta:<br />

“E per questo, convenuti segretamente con gli<br />

Unghieri, pure allora tornati d’Italia li<br />

condussero nel<strong>la</strong> Sassonia, senza altrimenti<br />

considerare, che per caare uno occhio al<br />

vicino, li cavavano a sé tutti duoi. Gli<br />

Ungheri…predarono e guastarono il<br />

tutto…Ma quando non vi trovarono più da<br />

rubare…per <strong>la</strong> via del<strong>la</strong> Dalmazia se ne<br />

tornavano già lieti a casa quando scontrati in<br />

uno altro esercito de’ loro medesimi che<br />

“Praedictus igit exercitus Ungarorum a<br />

Sc<strong>la</strong>vis conductus multa strage in Saxonia<br />

facta, et infinita capta praeda, in Dalmatiam<br />

reversi, obvium invenerunt alium exercitum<br />

Ungarorum, qui comminati sunt bellum<br />

inferre amicis eorum, eo que auxilia eorum<br />

sprevissent, dum illos ad tantam praedam<br />

duxissent. Unde factum est ut secondo<br />

vastarent Saxonia ab Ungaris, et priori<br />

exercitu in Dalmatia secundu expectante,<br />

779 L’attenzione del Giambul<strong>la</strong>ri, viene attestata anche dal ricorso a Buonfino nel<strong>la</strong> descrizione delle razzie<br />

italiane degli Ungheri citato proprio in Storia, cit., a p. 131.<br />

780 Ivi, pp. 132-135, in partico<strong>la</strong>re sul<strong>la</strong> citazione del Sabellico p. 133 e re<strong>la</strong>tiva nota del<strong>la</strong> Marangoni.<br />

781 Sul quale vedi <strong>la</strong> voce Witichind in Répertoire des sources historiques, cit., II vol., pp. 4783-4784.<br />

782 Vuitichindi Saxonis Rerum ab Henrico et Ottone I impp. Gestarum Libri III, unam cum alijs quibusdam<br />

raris et antehac non lectis diversorum autorum historijs, ab Anno salutatis DCCC usque ad praesentem aetatem:<br />

quorum catalogus proxima patebit pagina Huc accessit rerum scitu dignarum copiosus index, Basileae apud Io.<br />

Hervagium, mense Martio, anno MDXXXII; d’ora in poi Vuitichindi.<br />

155


venivano pre a predare…<strong>la</strong>sciando <strong>la</strong><br />

Da<strong>la</strong>mzia tanto diminuita e sì consumata di<br />

vettovaglie, che i popoli furono costretti<br />

<strong>la</strong>sciare quello anno il paese voto, e cercarsi<br />

il vitto per il mondo, non essendo restato a<br />

casa da potersi mantenere vivo.” 783<br />

ipsa quoque in tantam penuriae miseriam<br />

ducta sit, ut alijs nationibus eo anno relicto<br />

proprio solo pro annona servirent.” 784<br />

Peraltro, <strong>la</strong> fonte dominante in fatto di vicende tedesche e specificamente sassoni torna ad<br />

essere come nel<strong>la</strong> <strong>prima</strong> parte del II libro del<strong>la</strong> Storia d’Europa Beato Renano fedelmente<br />

seguito dal Giambul<strong>la</strong>ri anche a proposito dell’origine dei Sassoni e delle loro vicende<br />

storiche:<br />

“Dico seguitando il dotto Renano, che i<br />

Sassoni, da Tacito non nominati, ma da<br />

Tolomeo sì, furono popoli ferocissimi del<br />

mare di Germania, cioè o degli estremi liti di<br />

quel<strong>la</strong> vicini a’ Franchi, o piuttosto usciti<br />

delle Isole: e che e’ furono pirati, come in<br />

Sidonio si può vedere, ed avanti a lui in<br />

Eutropio, che descrivendo le cose dello<br />

imperadore Diocleziano, dice così: “In questi<br />

tempi medesimi usurpò <strong>la</strong> porpora imperiale<br />

Carausio, che vilissimamente nato, ma<br />

famosissimo per <strong>la</strong> milizia, avendo avuto <strong>la</strong><br />

cura per tutta <strong>la</strong> Piccardia e <strong>la</strong> Fiandra di<br />

tener sicuro lo Oceano, corseggiato da’<br />

Franchi e da’ Sassoni”…” 785<br />

“Saxonum non meminit Cornelius Tacitus<br />

sicut nec Francorum quod incelebres essent et<br />

oscuri, meminit Ptolomeus…Acco<strong>la</strong>sque maris<br />

Germanici partim fuisse docet, sed potissimum<br />

insu<strong>la</strong>res. Recenset enim Saxonum insu<strong>la</strong>s,<br />

itaque Franci vicini fuere, eosdem mores et<br />

instituta sequentes. Piratae Franci quod supra<br />

docuimus, piratae et Saxones. Traditum enim<br />

est in Historiis Carausium quondam tractui<br />

Belgicae et Armoricae tendo praefuisse, quod<br />

Franci et Saxones maritimas Galliorum oras<br />

infestarent Diocletiano principe.” 786<br />

Sassoni che diversamente dagli incontenibili assalti all’impero romano di Franchi ed<br />

Alemanni l’imperatore Valentiniano riesce almeno in un primo tempo a contenere:<br />

“Questi vedendo che i Franchi e che gli<br />

A<strong>la</strong>manni, entrati nelle provincie romane,<br />

arrichivano di quelle prede, e bramando far<br />

così essi ancora, si preparavano a venir via;<br />

quando lo Imperatore Valentiniano, primo di<br />

questo nome, affronatili gagliardamente ne’<br />

confini de’ Franchi, in sì fatta maniera gli<br />

oppresse, che volentieri stettero in dietro.<br />

Anzi, indirizzati a que’ paesi che <strong>la</strong>sciarono<br />

voti i Svevi e gli altri popoli armigeri che<br />

passarono con gli Alemanni, fermarono le<br />

sedie lungo l’Albi, ed a quelle parti del<strong>la</strong><br />

Franconia dove sono i Vestfali adesso; e così<br />

vennero primieramente dalle isole a <strong>la</strong><br />

terraferma, e dai liti dentro fra terra. Ma<br />

“Porro quum Saxones stimu<strong>la</strong>ret aemu<strong>la</strong>tio<br />

quippe qui viderent Francos Alemannosque<br />

mutatis sedibus, cotidianis Provinciarum<br />

praedis ditari, decreverunt et ipsi in Romanos<br />

fines incursionem facere, sed praevenire<br />

Valentinianus qui in Francorum finibus eos<br />

obtrivit priusquam Rhenum transirent, mirum<br />

ni volentibus adiuvantibusque Francio, ut qui<br />

soli cuperent invadere Galliam absque socijs<br />

Saxonibus. …Valentinianus, Saxones, gentem<br />

in Oceani littoribus et paludibus invijs sitam,<br />

virtute atque agi<strong>la</strong>tate terribile, in Romanos<br />

fines eruptionem mditantem, in Francorum<br />

finibus oppressit. Porrò Saxones sic repulsi,<br />

vacuas suevorum et aliorum nationum quae se<br />

783 Storia, cit., pp. 139-140, dove ancora una volta ivi le parole non riportate amplificano nei toni <strong>la</strong> descrizione<br />

del<strong>la</strong> crudeltà degli Ungheri rispetto a Widukindo dal quale comunque <strong>la</strong> dipendenza del passo in questione<br />

appare piuttosto evidente.<br />

784 Vuitichindi, cit., passo cit. a p. 10a5.<br />

785 Storia, cit., passo a p. 141.<br />

786 Rerum Germanicarum, cit., passo cit. a p. 53g3.<br />

156


poiché, dopo <strong>la</strong> morte di Aezio, sotto<br />

Valentiniano terzo, si impadronirono i<br />

Franchi di tutta <strong>la</strong> Gallia bellica e del<strong>la</strong><br />

seconda Germania, i Sassoni, al<strong>la</strong>rgando i<br />

primi confini, occuparono essi ancora in<br />

qualche parte il terreno de’ Franchi e de’<br />

Camavi; quello cioè dove sono ora gli<br />

Vestuali.” 787<br />

Alemannis demigrnatibus pridem<br />

coniunxerant, sedes ad Albim occupant, et ad<br />

Rhenum vergentem regionem ubi hodie est<br />

Vuestphalia proxime Francos, ex insulis in<br />

continentem et ex ora litorali in terras<br />

interiores effusi. Postea quum Valentiniano<br />

terbio post Etij mortem Franci Belgicam<br />

utramque et Germaniam secundam sui iuris<br />

fecissent, Saxones etiam partim Francorum et<br />

Chamauorum loca invaserunt, ub nunc sunt<br />

Vuestuali.” 788<br />

Tuttavia, <strong>la</strong> penetrazione franca al tempo di Valentiniano III, permette anche l’espansione<br />

dei sassoni non più contenuti dall’argine romano e che tuttavia, si trovano a questo punto<br />

inevitabilmente coinvolti in un epico conflitto per <strong>la</strong> supremazia con gli stessi Franchi che<br />

prevalgono definitivamente soltanto con le vittorie di Carlo Magno che battezza questo<br />

popolo, come Giambul<strong>la</strong>ri riferisce sul<strong>la</strong> scorta del Renano. Elementi strettamente legati<br />

all’idea centrale fin qui sviluppata dal canonico <strong>la</strong>urenziano e decisamente confermata nel<strong>la</strong><br />

missiva del 48’ al Borghini sul<strong>la</strong> trans<strong>la</strong>tio imperii ai Sassoni:<br />

“Combatterono appresso molti anni coi<br />

Franchi stessi, quando suggetti e quando<br />

rubelli, come sotto a Lottario primo, sotto al<br />

secondo, sotto Martello, sotto Pipino, e<br />

finalmente sotto il gran Carlo. Il quale<br />

interamente domando questa indomita<br />

nazione, dopo molte ribellioni cavò di<br />

Sassonia dieci mi<strong>la</strong> uomini con le mogli e co’<br />

figliuoli, e gli pose in Brabante ed in Fiandra<br />

perché abitassero quelle provincie, o fussero<br />

parte invece ddi statichi. Abbattè eziandio e<br />

ridusse in cenere lo idolo di questa gente<br />

chiamato Irmensul, e gli fece cristiani,<br />

battezzando il valorosissimo duca loro<br />

Vittichindo, il quale, per mantenere <strong>la</strong><br />

religione dei passati suoi e per difendere <strong>la</strong><br />

libertà, trentatré anni continovi aveva<br />

sostenuta <strong>la</strong> guerra con grandissimi danni e<br />

dati e ricevuti. Costui finalmente, divenutoli<br />

pure amico e suggetto, e da lui tenuto a<br />

battesimo, condottosi all’ora estrema, <strong>la</strong>sciò<br />

lo stato a Uiberto suo figliuolo.” 789<br />

787 Storia, cit., passo alle pp. 141-142.<br />

788 Rerum Germanicarum, cit., passo a p. 54g3-55g4.<br />

789 Storia, cit., passo a p. 142.<br />

“Cum hac gente Franci multis saeculis bel<strong>la</strong><br />

gesserunt. Luitharius Hildeberti frater,<br />

Ludeuvichi F. domitos a se Saxones, quum<br />

promissum tributum, id erat quingentorum<br />

boum, non persolverent, bello repetens,<br />

absque gloria sed non absque damno,<br />

Suessionem redijt. In hos quum aliquot<br />

temporum interval<strong>la</strong>, Dagobertus alterius<br />

Luitharij F. movisset, transito Rheno, comissa<br />

pugna grave vulnus accepit in capite<br />

animosus adolescenses, sed tamen evasit. Ea<br />

re pater Luitharius accepta filio suppetias<br />

venit. Berchtoldum Saxonum principem<br />

obtruncat in fuga comprehensum, et penetrata<br />

regione, vastatisque cunctis, mares pueros<br />

omnies occidit, quos g<strong>la</strong>dio suo reperit<br />

longioreis. Sub Carolo Martello rebel<strong>la</strong>runt.<br />

Pipinus eos huc adegit, ut singulis quibusque<br />

annis trecentos equos velut tributum<br />

penderent. Sed edomandae gentis vera <strong>la</strong>us<br />

Carolo Magno Pipini F. reservabatur. Is<br />

tandem XXXIII anno hoc bellum confecit, quo<br />

nullum neque difficilius neque longius<br />

unquam a Francis gestum est. Transtulit<br />

decem milia Saxonum cum uxoribus et liberis<br />

in Germaniam inferiorem, hoc est in<br />

F<strong>la</strong>ndriam et Brabantiam ex magna parte.<br />

Columnam vero ligneam il<strong>la</strong>m quam sub divo<br />

positam gentiler adorabant, evertit, Irminsul<br />

157


ab illis appel<strong>la</strong>batur. Et Vuitkindus Saxonum<br />

princeps Crhistianam pietatem professus est,<br />

susceptore Carolo Aug. Salutaribus aquis<br />

ablutus, plebe ducis exemplum haud segniter<br />

aemu<strong>la</strong>nte.” 790<br />

Anche nel<strong>la</strong> costruzione di quest’ampia parentesi storica sui Sassoni si ripropone<br />

puntualmente il motivo del<strong>la</strong> trans<strong>la</strong>tio imperii con una ulteriore evidente allusione al<br />

passaggio dai Franchi agli Ottoni del<strong>la</strong> sovranità imperiale nel riferimento a Ottone duca di<br />

Sassonia sotto l’imperio di Arnolfo. Ottone, infatti, padre di Arrigo che sarà il primo<br />

imperatore del<strong>la</strong> casa di Sassonia, viene esaltato al<strong>la</strong> stregua di un imperatore, secondo<br />

Giambul<strong>la</strong>ri scrive sul<strong>la</strong> falsariga di Vitichindo (piuttosto che di Beato Renano) stando al<strong>la</strong><br />

col<strong>la</strong>zione:<br />

“A Viberto successe Bruno, mediante però<br />

Gualberto maggior fratello, che si morse<br />

senza figliuoli; ed a Bruno poi Ludolfo, padre<br />

di Bruno, di Tanquardo e di quello Ottone che<br />

fu padre di Arrigo primo. Morto dunque<br />

Tanquardo e Bruno, il quale con <strong>la</strong> nobiltà di<br />

Sassonia fu per <strong>la</strong> fede ucciso con tutto lo<br />

esercito, da’ Normanni dove oggi si chiama<br />

Eobestorpo, successe Ottone al ducato. Il<br />

quale ancora che egli avesse lo imperatore<br />

per superiore, fu nientedimanco di tanta<br />

riputazione, che Arnolfo padre di Lodovico lo<br />

scelse per genero suo, e gli diè per moglie<br />

Lucarda, e per nuora tolse Matelda, sorel<strong>la</strong> di<br />

esso Ottone, maritando<strong>la</strong> a Lodovico. E tutta<br />

questa grandezza venne ad Ottone per <strong>la</strong><br />

bontà, per <strong>la</strong> prudenzia e per <strong>la</strong> virtù che egli<br />

aveva mostrato sempre, e massimamente<br />

nel<strong>la</strong> milizia.” 791<br />

“Ultimus vero Carolorum apud orientales<br />

Francos imperantium Lothovicus ex Arnulpho<br />

fratruele Caroli, huius Lotharij regis proavi,<br />

natus erat. Qui quum accepisset uxorem<br />

nomine Liudgardam, sororem Brunonis ac<br />

magni ducis Ottonis, non multis post haec<br />

vixerat annis. Horum pater Liudolphus, qui<br />

Romam profectus transtulit reliquias beati<br />

Innocentij pape. Ex quibus Bruno quum<br />

ducatum administraret totius Saxoniae, duxit<br />

exercitum contra Danos, et inundatione<br />

repentina…” 792<br />

A questo punto il nostro canonico <strong>la</strong>scia <strong>la</strong> Sassonia e Renano per trattare del<strong>la</strong> <strong>storia</strong><br />

inglese sul<strong>la</strong> scorta di Polidoro Virgilio. Tuttavia, i Sassoni rimangono protagonisti visto che<br />

il racconto del Giambul<strong>la</strong>ri concerne <strong>la</strong> dominazione dell’iso<strong>la</strong> assunta dagli Angli che<br />

costituiscono appunto una delle tante tribù di matrice sassone menzionate e descritte dal<br />

Renano 793 . Il nome Inghilterra è sostanzialmente un portato di questa affermazione politicomilitare<br />

che affonda le sue radici storiche nell’epoca illustrata dal<strong>la</strong> Storia d’Europa come<br />

mostra il racconto del Giambul<strong>la</strong>ri che prende le mosse dal<strong>la</strong> collocazione storico-geografica<br />

dello scenario degli eventi in questione. Come vediamo dal<strong>la</strong> col<strong>la</strong>zione se piuttosto chiara<br />

risulta l’ipsirazione tratta da Polidoro, i passaggi che hanno ispirato <strong>la</strong> complessiva e unitaria<br />

descrizione dell’iso<strong>la</strong> e delle sue parti sono tratte da punti diversi dell’Hi<strong>storia</strong> Anglica anche<br />

se tutti compresi nel primo libro dell’opera polidoriana:<br />

“La Inghilterra, iso<strong>la</strong>, dunque, notissima nel<br />

mare Gallico e di Germania…ha…da<br />

790 Rerum Germanicarum, cit., passo a p. 89m1.<br />

791 Storia, cit., pp. 142-143.<br />

792 Vuitichindi, cit., passo a p. 9a5.<br />

793 Vedi Storia, cit., p. 143.<br />

“Britannia omnis…insu<strong>la</strong> in Oceano contra<br />

Gallicum littus posita, dividitur in partes<br />

158


mezzogiorno <strong>la</strong> Francia…Dividesi<br />

ordinariamente in quattro generazioni: Angli,<br />

Scoti, Uvali e Cornovagliesi. Questi ultimi,<br />

che sono <strong>la</strong> fronte del<strong>la</strong> iso<strong>la</strong>, guardano<br />

contro al<strong>la</strong> Francia, e sono divisi da gli Angli<br />

mediante il fiume Tamigia, e da gli Uvali<br />

mediante <strong>la</strong> riviera Sabrina, modernamente<br />

detta Severne. Gli Angli oppositi al<strong>la</strong><br />

Germania, tra i Cornovalesi, gli Scoti e gli<br />

Uvali, hanno per confine <strong>la</strong> Tueda o Tuesa da<br />

tramontana, <strong>la</strong> Sabrina da occidente e <strong>la</strong><br />

Tamigia da mezzogiorno. Gli Scoti parte da<br />

tutti gli altri <strong>la</strong> Tuesa verso Levante, un seno<br />

di mare a ponente, e nel mezzo i monti<br />

Orduloci, che a’ moderni sono Cheviet. Gli<br />

Uvali, che sono quasi come in una iso<strong>la</strong> per<br />

avere il mare d’ogn’intorno, eccetto che da<br />

levante, dove nasce il grossissimo fiume<br />

Sabrina, sono distinti da tutti gli altri<br />

mediante il fiume predetto ed alcune<br />

montagne piccole. La lunghezza di tutta<br />

l’iso<strong>la</strong> da Totonesia di Cornovaglia sino a<br />

Catanesia di Scozia, è circa a miglia<br />

ottocento, e <strong>la</strong> <strong>la</strong>rghezza da Meneva di<br />

Uvaglia (altrimenti San Davit) sino in<br />

Dorobernio, circa a miglia trecento. Il giro<br />

poi, o vogliamo dire il circuito di tutta<br />

insieme, secondo <strong>la</strong> misura di Polidoro, non<br />

abbraccia duemi<strong>la</strong> miglia, come già <strong>la</strong><br />

descrisse Cesare, ma so<strong>la</strong>mente mille<br />

ottocento.” 794<br />

quatuor: quorum unam incolunt Angli, aliam<br />

Scoti, tertiam Vualli, quartam Cornubiensis.<br />

[…]Cornubia, <strong>prima</strong>m insu<strong>la</strong>e partem<br />

continent, quae ad meridiem vergens, inter<br />

Thamesim et mare intercedit[…]Hanc autem<br />

Angliam <strong>prima</strong>m Britanniae partem ab ortu et<br />

austro, Oceanus: ab occidente sole, Vualliae<br />

et Cornubiae fines: a septentrione, Tueda<br />

lumen, quod flumen discriminat Anglos ab<br />

Scotis, terminat. […]Scotia altera Britanniae<br />

pars a Grampio olim monte incipiebat, ad<br />

extremum limitem in septentrionem<br />

producta…ad Tuedam Flumen, interdum ad<br />

Tinam usque patebat[…]Secondum<br />

Tuedam…Anglorum Scotorumque regni<br />

terminum. Hanc a Northumbria ultima<br />

Angliae regione, quae ad oceanum spectat<br />

Germanicum, Tueda separet, cuius princeps<br />

oppidum est Bervicum…Hoc quondam<br />

Ordolucarum oppidum fuisse dixerim. Ab<br />

occidente vero Scotiae limes aliquando<br />

Cumbria fuit…inter has duas regiones mons<br />

Cheviota interius eminet. 795 […] Vuallia tertia<br />

pars insu<strong>la</strong>e iuxta umbilicum Angliae, ad<br />

<strong>la</strong>evam iacet, quae instar finus, quasi<br />

peninsu<strong>la</strong> intra Oceanum, excurrit, a quo<br />

circunquaque cingitur, praterque ab ortu, ubi<br />

Sabrina flumine terminatur, quod Vuallos ab<br />

Anglis separat. 796 […]omnem insu<strong>la</strong>e<br />

longitudinem recta linea metiuntur, dicuntque<br />

esse DCCC milliariorum, sicut <strong>la</strong>titudo ex<br />

Meneva sive Fano David, usque ad pagum,<br />

quem Hyermuthum vocant[…]ita circuitus<br />

omnis insu<strong>la</strong>e constat non amplius octies<br />

decies centenis millibus passuum, atque sic<br />

minus ducentis milliarijs, quam Caesar<br />

supputarat.[…]” 797<br />

Analisi geografico-fisica complessiva che come vediamo richiama <strong>la</strong> pluralità delle regioni<br />

inglesi al<strong>la</strong> quale, il Giambul<strong>la</strong>ri fa seguire una corrispondente informazione delle diversità di<br />

popoli e identità culturali e politiche che si sono succedute sull’iso<strong>la</strong> con <strong>la</strong> chiamata da parte<br />

dei Britanni degli Angli, vista l’incapacità del vallo di Adriano di difenderli contro <strong>la</strong> ferocia<br />

di Pitti e Scoti, una volta partiti i Romani. Questi ultimi, infatti, sono costretti a tornare sul<br />

continente per <strong>la</strong> guerra provocata da Atti<strong>la</strong> in Francia e <strong>la</strong>sciano incustodito il muro.<br />

Pertanto, ancora una volta l’elemento barbaro che erediterà il diritto imperiale viene posto in<br />

grande risalto secondo un evidente contrappunto con i detentori del<strong>la</strong> dignità imperiale, i<br />

romani, il cui dominio presenta falle continue e profonde. Viene ribadito attraverso <strong>la</strong><br />

794 Ivi, passo alle pp. 143-144.<br />

795 Anglicae hi<strong>storia</strong>e, cit., pp. 3a3-5a4, lib. I.<br />

796 Ivi, passo a p. 8a5, lib. I.<br />

797 Ivi, p. 10a6, lib. I, poco dopo nel<strong>la</strong> stessa pagina viene menzionato in proposito anche Tacito.<br />

159


selezione di un passo tutt’altro che breve un dato costante del<strong>la</strong> Storia che esalta una tribù dei<br />

sassoni:<br />

“I primi che <strong>la</strong> abitassero, cioè i Bretoni o<br />

Albionesi, che l’uno e l’altro nome ebbe<br />

l’iso<strong>la</strong>, sono gli Uvali certamente, i quali<br />

certamente come scrivono Gilda e Beda e<br />

Polidoro ne’ tempi nostri, espugnati e cacciati<br />

di tutto il resto, si ridussero nel<strong>la</strong> quasi che<br />

iso<strong>la</strong>, che di sopra assegnammo loro; e per<br />

essere quel sito forte di monti, paludi e luoghi<br />

salvatici, vi si sono mantenuti sempre. E’<br />

perché e’ par<strong>la</strong>no <strong>la</strong> antiqua lingua natia, gli<br />

Anglesi venutivi di Sassonia li chiamarono<br />

al<strong>la</strong> germanica, Uvali, cioè forestieri e di<br />

lingua diversa da <strong>la</strong> loro, perché non<br />

intendevano <strong>la</strong> loro favel<strong>la</strong>.[…]I Cornovalesi<br />

per quel tanto che scrive Cesare, venuti<br />

appoco appoco de <strong>la</strong> Francia a predare<br />

quel<strong>la</strong> fronte del<strong>la</strong> iso<strong>la</strong> che gli è vicina,<br />

entrando nelle maremme, e cominciandole ad<br />

occupare quando in un luogo e quando in un<br />

altro, vi si rimasero finalmente e vi sono<br />

infino al dì d’oggi. I Siluri, oggi estinti,<br />

mostra Tacito nel suo Agrico<strong>la</strong>, che vi<br />

venissero già di Spagna, e arguiscelo da molti<br />

segni, che io non replico ora altrimenti, non<br />

potendo per via di quegli sapere quando e’ vi<br />

siano venuti. Il che non interviene delle altre<br />

nazioni forestiere, Pitti, Scoti ed Anglesi: con<br />

ciò sia che que’ primi l’anno ottantasettesimo<br />

dopo <strong>la</strong> natività di Gesù Cristo, si fermarono<br />

ad abitar<strong>la</strong> con questa occasione.<br />

Roderico…uscito con molte navi di Scizia, per<br />

andare corseggiando l’Oceano, pervenuto<br />

con esse in Ibernia, dove allora si stavano gli<br />

Scoti, venuti essi ancora per molti anni avanti<br />

pure del<strong>la</strong> Scizia, ricercò di potervisi fermare<br />

per istanza, con le genti che aveva seco. Gli<br />

Scoti che non potevano cacciargli e ricevere<br />

non gli volevano, conoscendoli troppi, ed<br />

armati, e poveri, si scusarono con <strong>la</strong><br />

strettezza di quel paese mal capace appena di<br />

loro; e da un’altra banda, mostrandosi<br />

desiderosi del ben essere di questi antichi<br />

parenti suoi, insegnarono loro <strong>la</strong> Inghilterra,<br />

dicendo come el<strong>la</strong> era vicina, abbondante,<br />

ricca, molto grande e per <strong>la</strong> maggior parte<br />

disabitata. Il che dicevano gli Scoti de <strong>la</strong><br />

parte di Tramontana, dove l’armi romane non<br />

avevano luogo né nome. Confortarongli<br />

“In Hanc Britannos illos, qui post amissam<br />

patriam caedibus superfuerant, se ad<br />

extremum recepisse memorie proditum est,<br />

illicque partim montium, partim sylvestrium<br />

locorum ac paludum, quibus ea regio maxime<br />

constat, pertugio, tutas sedes sibi locasse,<br />

quas etiam nunc tenent. Hanc terram deinde<br />

Angli Vualliam, et ipsos Britannos eius<br />

inco<strong>la</strong>s homines Vuallos dixerunt: nam apud<br />

Germanos Vuallsman, significatur<br />

peregrinus, inco<strong>la</strong>, hospes, dvena homo, hoc<br />

est, qui aliam a Germanis habeat linguam:<br />

Vuall enim eorum lingua vocatur<br />

externus 799 […]In so<strong>la</strong> hac insu<strong>la</strong>e parte,<br />

etiam ad hoc tempus perdurat natio<br />

Britannorum, quae a principio ex Galljis<br />

advecta insu<strong>la</strong>m occuparat, si illis credimus,<br />

qui…ex Armoricis civitatibus primos<br />

Britanniae habitatores esse<br />

oriundos. 800 […]Hanc olim maritimam oram<br />

Silures <strong>la</strong>te tenuisse, testat Plinius libro<br />

quarto, cum de Hybernia loquitur, ita<br />

scribens: Super eam haec sita abest<br />

brevissimo transitu a Silurum gentem XX<br />

milia passum. 801 […]Sed Pictos undecunque<br />

dictos, satis constat populos Scytiae fuisse.<br />

Itaque ij duce Rodorico, mults navibus<br />

praedebundi oceanum ingressi, in Hyberniam<br />

insu<strong>la</strong>m pervenere, ubi novas sedes a Scotis<br />

sibi petiverunt: nam Scoti qui a Scytis etiam<br />

originem traxerant, quamquam aliam ipsi, ut<br />

infra ostendetur, inventam volunt, tum eam<br />

insu<strong>la</strong>m tenebant : qui cum in rem suam haud<br />

fore ducerent, gentem bellicosam et inopem in<br />

insu<strong>la</strong>m admittere, charitatem simu<strong>la</strong>ntes,<br />

locisque anugustiam excusantes, docuerunt,<br />

haud abesse procul Britanniam, insu<strong>la</strong>m<br />

magnam simulque opulentissimam, atque<br />

incolis fere carentem : hortatique sunt, ut<br />

il<strong>la</strong>m peterent : quibus pariter operam suam<br />

polliciti. Picti, quos magis praedae, quam<br />

imperij cupiditas solicitabat, nihil contantes,<br />

insu<strong>la</strong>m versus navigant : in quam primum<br />

de<strong>la</strong>ti, aquilonalem eius partem occupant, ubi<br />

deinde raros conspicientes inco<strong>la</strong>s, praedam<br />

agere, incursiones facere, longius vagari<br />

incipiunt. Quod confestim Britannorum<br />

principes animadvertentes, armato milite<br />

160


adunche a fare questa mpresa, e si offersero<br />

di essere con loro. I Pitti, molto più vaghi<br />

del<strong>la</strong> roba che che del dominio, se ne<br />

andarono al<strong>la</strong> parte loro accennata, e<br />

pervenuti nel<strong>la</strong> iso<strong>la</strong> da <strong>la</strong> banda di<br />

tramontana, fermarono quivi gli<br />

alloggiamenti, e se <strong>la</strong> presero per loro stanza.<br />

Veggendo appresso gli abitatori molto rari,<br />

cominciarono a fare correrie, ed a predare il<br />

più che e’ potevano, assicurandosi ad<br />

al<strong>la</strong>rgarsi molto più che non conveniva. Per<br />

<strong>la</strong> qual cosa i maggiori dell’iso<strong>la</strong>, ragunata<br />

una banda gagliarda, gli assalirono a lo<br />

improvviso, e uccisane <strong>la</strong> maggior parte<br />

insieme con Roderico, ricacciorno gli <strong>la</strong>tri<br />

alle selve, ed a quel<strong>la</strong> ultima punta di<br />

tramontana che si chiama <strong>la</strong> Catanesia.<br />

I Pitti, fuggiascamente quivi raccoltisi, senza<br />

più molestare altrui, ebbero di grazia potere<br />

starsi. Riposatisi dunque qualche anno, e<br />

parendo loro star bene, desiderarono<br />

perpetuarsi. Ma veggendosi senza donne,<br />

mandarono ambasciatori in fra terra a<br />

pregare gli iso<strong>la</strong>ni di imparentarsi con esso<br />

loro. Di che facendosi beffe i Britanni, che<br />

così allora si chiamavano, e negando<br />

apertissimamente di volere questa parente<strong>la</strong>, i<br />

Pitti, ancora che fieramente sdegnati del<strong>la</strong><br />

risposta, dissimu<strong>la</strong>rono il mal concetto,<br />

riserbandosi <strong>la</strong> vendetta a quando più<br />

vedessero il comodo. E per avere da<br />

moltiplicare, mandarono in Ibernia a gli<br />

Scoti, ricercandoli di quel medesimo che<br />

negarono loro i Britanni. Consentirono a ciò<br />

gli Scoti, ma con questa condizione: che<br />

sempremai che tra’ Pitti mancasse il legittimo<br />

successore dello Stato, succedessero in ciò le<br />

donne. Il che promesso e giurato<br />

solennemente, si mantenne poi lungo<br />

tempo.[…]Erano già nello Imperio Teodosio e<br />

Valentiniano, quando Fergusio, il primo re<br />

che gli Scoti avessero…partitosi da <strong>la</strong> Ibernia<br />

con una banda grossa di gente, se ne venne a<br />

quel<strong>la</strong> parte del<strong>la</strong> Inghilterra dov’è oggi il<br />

regno di Scozia. Quivi fermatosi per istanza, e<br />

cominciato a moltiplicare, <strong>la</strong>sciò per<br />

successore del regno Reutare suo nipote, che<br />

da Beda è chiamato Reuda. A costui successe<br />

Eugenio, che’ venuto co’ Pitti a battaglia, fu<br />

rotto e morto da essi con tanta perdita delle<br />

sue genti, che, disperatisi, i vivi di potervisi<br />

obviam ierunt, ac Pictos, ut sit, sine metu in<br />

agris pa<strong>la</strong>ntes raptim adorti, eorum duce<br />

interfecto, primo praelio vicerunt. Picti qui<br />

acceptae p<strong>la</strong>gae superfuere, sese in extremam<br />

insu<strong>la</strong>e partem, quam tempestate nostra<br />

Cathanesiam dicunt, receperunt : quos longo<br />

post tempore, tradunt tenuisse quicquid<br />

terrarum a muro,opere Romanorum<br />

praec<strong>la</strong>ro, de quo alibi dicemus, usque ad<br />

Grampium montem, ad otum magis vergens,<br />

pertinebat. Atque Picti, per hunc modum, in<br />

ea parte insu<strong>la</strong>e rerum potiti sunt. Et haec<br />

gens ex advenis, alera est, quae post<br />

Romanos, Britanniam adivertit, in eaque<br />

regnum obtinuerit, qui fuit annus saltatis<br />

LXXXVII. Picti ex infelici suorum exitu,<br />

<strong>la</strong>etam fortunam consecuti gaudebant,quod in<br />

Britannia demum terra sedes firmassent : sed<br />

facile(m) prospiciebant futurum, ut genus<br />

suum penuria mulierum…non ultra hominis<br />

aetatem duraret : quippe quibus nec domi<br />

spes prolis, nec cum finitimis adhuc connubia<br />

essent : tum ex communi consilio, legatos ad<br />

Britannos mittunt, societatem connubiumque<br />

novo populo petitum. Legatio gravatissime<br />

audita est, adeo simul omnes spernebant,<br />

simul negabant sanguinem ac genus cum<br />

externis miscere. Id etsi Picti aegre tulerunt,<br />

inuriam tamen alias ulciscendam iudicantes,<br />

ad Scotos in Hyberniam mittunt,. Illi mulieres<br />

in matrimonium ea conditione dederunt, ut<br />

quoties de creando rege, deficiente genere,<br />

discrimen oriretur, tum ex prosapia foeminei<br />

sexus, regem dicerent : id quod apud Pictos<br />

semper deinceps servatum constat. 802 […]Fuit<br />

is annus decimus sextus, cum Thedosius<br />

princeps cum Valentiniano Augusto amiate<br />

suae filio, inperare coepit, salutatis vro<br />

humanae CCCCXLIII.<br />

Interea…deinde ex hybernia in Brytanniam<br />

profecta, sedes in insu<strong>la</strong> collocarti. Huius<br />

autem Scotorum manus dux, velut autor est<br />

Bedas, fuit Reuda. At Scotici Annales tradunt<br />

multo ante Reudam, Ferugusium in<br />

Britanniam venisse, dedisseque agmini signa<br />

rubrum leonem, quibus nunc reges ututntur,<br />

et ob res feliciter gestas, primum omnium a<br />

sua gente regem esse dictum, ac illi postea<br />

Reutherem nepotem, quem Bedas Reudam<br />

vocat, successisse, regnique fines <strong>la</strong>te<br />

propagasse. 803 […]Secuti sunt reges apud<br />

161


mantenere, abbandonata l’iso<strong>la</strong> in tutto, se ne<br />

fuggirono a diverse parti. Ma, cominciando<br />

non dopo molto a temere i Pitti i Romani,<br />

richiamarono gli Scoti di Norvegia e di<br />

Ibernia; e restituito loro il paese, si<br />

collegarono con esso loro. Tornarono dunque<br />

gli Scoti…e sotto al re Eugenio secondo,<br />

figliuolo del secondo Fergusio, in compagnia<br />

de’ confederati, cominciarono a correre<br />

l’iso<strong>la</strong>, ed a guastar<strong>la</strong> sì fattamente, che Aezio<br />

capitano de’ Romani, fu forzato a mandare di<br />

Francia uno esercito ragionevole a difesa de<br />

gli iso<strong>la</strong>ni. Questo raffrenò in gran parte le<br />

prede e le correrie de gli Scoti; ma non in<br />

tanto però, che apertamente non si vedesse<br />

che, se i Romani per avventura se ne<br />

partivano, tornerebbono gli Scoti e’ Pitti a lo<br />

esterminio di essi Britanni. Ed a questi<br />

volendo ovviare per quanto e’ potevano, i<br />

soldati di Aezio tirarono dal levante a’l<br />

ponente del<strong>la</strong> iso<strong>la</strong> un gagliardissimo<br />

bastione tra i confini britanni, che terminava<br />

da levante in su ‘l fiume Tina, e in su Lesca da<br />

occidente, come scrive Gilda Britanno;<br />

avvenga che molti autori e moderni e antichi<br />

assegnino questa impresa allo imperatore<br />

Adriano, e tutto il resto quasi a Severo. Ma<br />

questo non fu bastante a salvargli poi da gl<br />

insulti, ancora che lo murassimo di calcina e<br />

pietre grandissime. Perché ritornati i romani<br />

in Francia per <strong>la</strong> orribilissima guerra<br />

d’Atti<strong>la</strong>, gli Scoti, dal<strong>la</strong> ferocità naturale<br />

eccitati, rompendo il muro grossissimo, che<br />

non aveva chi il difendesse, penetrati nel<br />

cuore del<strong>la</strong> iso<strong>la</strong>, si fattamente <strong>la</strong><br />

conquassarono co’l ferro, con gli strazi e co’l<br />

fuoco, che i male arrivati Britanni, disperatisi<br />

d’ogni altro aiuto, furono stretti a chiamare<br />

gli Angli (popoli, come io diceva, del<strong>la</strong><br />

Sassonia), che sotto mercede ed a prezzo gli<br />

venissero a mantenere. Vennero dunque gli<br />

Angli lo anno del<strong>la</strong> salute<br />

quattrocentoquarantanove; e sotto Engisto<br />

loro capitano, ch alcuni altri fan Vortigerno,<br />

ottenute molte vittorie contro a gli Scoti,<br />

riempirono i paesani d’una buona e ferma<br />

speranza di dovere liberarsi affatto dal<strong>la</strong> noia<br />

di questa gente. Ma poco durò <strong>la</strong> falsa<br />

bonaccia, perché gli Angli desiderosi di<br />

impadronirsi di tutta questa iso<strong>la</strong>, che piaceva<br />

loro sommamente, attendevano solo ad<br />

Scotos, Eugenius primus, et Fergusius<br />

secundus. Eugenius commisso cum Pictis, qui<br />

id temporis in Romanorum fide erant, praelio,<br />

interficitur. Quare Scoti disperata iam salute,<br />

aliquo terrarum concessuri, protinus alij alio<br />

ex insu<strong>la</strong> fugerunt. Post annos tris et<br />

quadraginta, Scoti exules a Pictis, quibus<br />

Romana potentia iam formidolosa erat,<br />

partim ex Hybernia, partim ex Norvegia, ad<br />

pristinas sedes evocati, duce Fergusio<br />

rediere. Fergusio successit Eugenius filius. Is<br />

facto cum Pictis foedere, ita Britannos<br />

premere coepit 804 ,[…]Aetius fatigatus<br />

commotusque precibus Britannorum qui<br />

adhuc in fide erant, legionem unam illis ex<br />

Gallia ausilio misit. Sunt Picti et Scoti varijs<br />

inde c<strong>la</strong>dibus ab Aetianis affecti, resque<br />

Britannica per bono coepit esse loco. Et ne<br />

deinceps ea quies ab hostibus turbaret, visum<br />

est ducibus legionarijs peropportunum, ut<br />

murus…construeretur inter Romanam<br />

provinciam, et Pictorum fines : id quod, teste<br />

Gilda, factum est : verum cum caespitibus<br />

magisque <strong>la</strong>pidibus esset aedificatus, haud<br />

satis firmus postea ab hostium impetu fuit.<br />

Atque tum ille demum murus confectus est ab<br />

Aetianis ducibus, non ab Hadriano, neque a<br />

Severo Imperatore, sicut nonnulli falso<br />

memoriae prodiderunt, si Gildae autori<br />

Britanno credimus. Quiescebat Britannia<br />

unius legionis presidio, cum Burgundionibus<br />

Galliam vexantibus, Aetius suos ex insu<strong>la</strong><br />

necessario revocavit…Scoti post legionarium<br />

militum dicscessum, cum Pictis confestim in<br />

res Britannicas invadunt, greges armentorum,<br />

ac reliqui pecoris abducunt, agros ferro et<br />

igne popu<strong>la</strong>ntur. 805 […]subito enim<br />

barbarorum impetu miseri Britanni rursus<br />

opprimunt, atque eo ca<strong>la</strong>mitatis adducti, ut<br />

urgente fato, coacti sint ad perniciem suam<br />

accersere in insu<strong>la</strong>m Saxones Anglos,<br />

hominem quidem maxime omnium<br />

valentes[...]Atque ita missi sunt in<br />

Germaniam quamprimum, qui illos ad opem<br />

ferendam, pecunijs, donis, promissis<br />

tentarent, hortarentur, allicerent, ac demum<br />

ausilio venire non negantes, in Britanniam<br />

protinus ducerent. Saxones post acceptum<br />

nuncium, ut qui stipendij faciundi avidi erant,<br />

delecta fortissimorum iuvenum manu, in<br />

navesque imposita, Hengisto et Horso, ij<br />

162


ingrossarsi, chiamando ogni dì genti nuove da<br />

casa loro, e sotto colore del<strong>la</strong> guerra facendo<br />

venire ed armi e soldati. Ma quando parve<br />

loro essere tanti che e’ non avessero di che<br />

temere, accordatisi occultamente con gli Scoti<br />

e co’ Pitti, e levato il romore come defraudati<br />

delle lor paghe, si rivolsero contro a’<br />

Britanni, e con uccisione e strage infinita, e<br />

con rovina di ferro e fuoco, e’ gli cacciarono<br />

fuori del paese; ed impadronitisi d’ogni cosa,<br />

mutando il nome del<strong>la</strong> iso<strong>la</strong> di Britannia <strong>la</strong><br />

fecero Anglia, da’ moderni detta Inghilterra;<br />

e <strong>la</strong> divisero in sette regni senza <strong>la</strong><br />

Scozia[…]” 798<br />

fratres erant, ducibus, insu<strong>la</strong>m confestim<br />

cursu petiverunt. Fuit is annus salutis<br />

humanae CCCCXLIX. 806 […]Angli quorum<br />

bene nagnus in insu<strong>la</strong> numerus erat, nam<br />

formicarum ritu, continuo cursu, eo<br />

commeabant, gens inops et vehemens, ac non<br />

modo Cantium, sed bonam insu<strong>la</strong>e partem,<br />

quae ad Scotiam pertinet, ad occidentemque<br />

solem spectat, iam occuparant, rati tempus<br />

esse, cum tentando esset belli fortuna,<br />

primum cum Scotis et pictis foedus faciunt,<br />

deinde ad unum pene temporis punctum, in<br />

Britannos perfidiose arma vertunt,<br />

perindeque saeviunt, ac si offensionem non<br />

utique beneficium ab eis accepissent.<br />

Britanni…qui ut omnino infirmi fusi, caesi,<br />

profligatique sunt, et impraesentia omni<br />

disperata armorum ope, ut pecudes dispersae,<br />

alij alios duces secuti, se in loca devia, in<br />

sylvas, in paludes abdiderunt.[…]Tum<br />

Saxones perinde quasi rerum iam potiti,<br />

speciatim in principes debacchantur, ut illis<br />

domitis, perditisque, facilius in totius insu<strong>la</strong>e<br />

possessionem venirent, quod solum auebant.<br />

807 […]Tum demum Angli Saxones totius<br />

insu<strong>la</strong>e praeter Scotiam, et loca, quae Picti<br />

habebant, imperio potiti, eam inter se, sicut<br />

infra ostendetur, partiti sunt, et illud quidam<br />

non communi consilio, aut certa ratione<br />

factum est, sed prout fortissimus quisque sibi<br />

partem aliquam terrae vindicare potuerat, in<br />

ea suum principatum instituit. Britannis vero<br />

qui patriae excidium evaserant, portio insu<strong>la</strong>e<br />

data est, quae ad occidentem Hanc deinde<br />

Angli Vualliam, et Britannos eius inco<strong>la</strong>s<br />

Vuallos dixerunt, quia Germani, omnes<br />

externos, qui aliam habeant linguam,<br />

sermone patrio, vocant Vuallsmen, id est,<br />

alienos homines, pro quibus insu<strong>la</strong>e<br />

dominatum iam adepti habebant eos<br />

Britannos, qui caedibus superfuerant. 808<br />

Dall’affermazione degli Angli che tradiscono l’accordo stipu<strong>la</strong>to con i Britanni e<br />

conquistano l’iso<strong>la</strong>, il canonico <strong>la</strong>urenziano opera un salto storico-logico di diversi secoli per<br />

narrare le vicende dell’iso<strong>la</strong> sotto il re Adovardo costretto a fronteggiare tra i diversi nemici,<br />

soprattutto i temibili Dani. Eventi contemporanei all’arco temporale svolto dal<strong>la</strong> Storia come<br />

vediamo:<br />

798 Storia, cit., passo alle pp. 145-148.<br />

799 Hi<strong>storia</strong>e Anglicae, cit., p. 8a5, lib. I.<br />

800 Ivi, p. 9a6.<br />

801 Ivi, p. 6a4, lib. I.<br />

163


“Divisato sin qui e <strong>la</strong> iso<strong>la</strong> e gli abitatori , ci<br />

rimane a contare le istorie di que’ tempi che<br />

noi scriviamo. Laonde, cominciandoci da’l<br />

valoroso Alvredo, da alcuni chiamato<br />

Alfredo, coronato da papa Adriano II, l’anno<br />

ottocentosettantadue del<strong>la</strong> salute, diciamo di<br />

lui brevemente, che e regnò ventotto anni; ne’<br />

quali combattè più volte co’ Dani, da<br />

Polidoro chiamati Daci, che apportati nel<strong>la</strong><br />

iso<strong>la</strong>, avevano tolto a Bertolfo il regno di<br />

Mercia, predato i Nortumbri, ed ucciso<br />

Edemondo re di quel<strong>la</strong> parte del<strong>la</strong> iso<strong>la</strong>, che<br />

<strong>prima</strong> è percossa dal Sole. Ed avvenga che<br />

molte volte si trovasse egli pure al disotto con<br />

questa ferocissima gente, de <strong>la</strong> quale a tempo<br />

e luogo ragioneremo, aiutandosi<br />

nientedimanco gagliardamente, gli condusse<br />

pure al<strong>la</strong> fine in tanto esterminio, che parte<br />

abbandonando <strong>la</strong> impresa, ritornarono a casa<br />

loro, e parte se ne fecero cristiani; e di questi<br />

ultimifu quel Gormo, che Alvredo fece col<br />

tempo re de’ Nortumbri. Finite le guerre in<br />

questa maniera, eidifcò monasteri e chiese<br />

sontuosissime, e dotolle di gran ricchezze.<br />

Fondò in Ossonia lo studio pubblico, e<br />

condusse molti uomini singo<strong>la</strong>ri. Fece leggi<br />

santissime…Ebbe di Etelviva sua donna duoi<br />

figliuoli maschi; Adovardo il vecchio…e<br />

Adevoldo…e tre figliuole, Elfreda, Etelgera<br />

ed Etelvida; <strong>la</strong> <strong>prima</strong> delle quali maritata ad<br />

un principe grande nel<strong>la</strong> Mercia, condattasi a<br />

provare i dolori del parto, mai più volle<br />

potere sentirgli, affermando che egli era<br />

pazzia estrema il dare opera ad un piacere<br />

che seco apporta pena sì grande.<br />

Lo anno dunque del<strong>la</strong> salute novecentouno,<br />

morendosi il re Alvredo, successe Adovardo<br />

suo primogenito; il quale coronato<br />

solennemente, regnò anni<br />

ventiquattro[…]Adunque, giudicando<br />

Adovardo prudentemente che <strong>la</strong> <strong>prima</strong> cosa<br />

gli bisognasse assicurarsi bene de lo stato,<br />

cominciò subito e ocn molta sollecitudine a<br />

restaurare le forza del regno, munire i luoghi<br />

più deboli, rivedere le fortezze, visitare le<br />

802 Ivi, pp. 35-36d2, lib. II.<br />

803 Ivi, passo alle pp. 49-50e2, lib. III.<br />

804 Ivi, passo a p. 51e3, lib. III.<br />

805 Ivi, passo alle pp. 48e1-49e2, lib. III<br />

806 Ivi, passo a p. 52e3, lib. III.<br />

807 Ivi, passo a p. 55e5 lib. III.<br />

808 Ivi, passo a p. 59f1 lib. III.<br />

Alvredus rerum potitus, primo quoque<br />

tempore, voti causa, Romam profectus est, ubi<br />

regiae coronae honore ab Hadriano Secondo<br />

Romano pontifice rursus honestatur. Qui fuit<br />

annus salutatis DCCCLXXII…non quieverunt<br />

interim Daci, qui primum Merciam ingressi,<br />

Bertulphum regem imperio<br />

spoliarunt…deinde Northumbros adorti…et<br />

interfecto Edmundo illorum rege…ac iis ita<br />

superatis Gunthormum unum ex suis ducibus<br />

regem constituerunt 810 […]habent enim<br />

coenobia magnifico apparatu<br />

constructa…muneribus opulentissima<br />

[…]Certat nominis celebritate cum hoc<br />

Oxoniensi gymnasio, accademia, quae<br />

Cantabrigiae apprime floret[…] tulit<br />

sanctissimas leges[…] Suscepit ex Ethleviva<br />

uxore, filios mares Edovardum cognomento<br />

Seniorem, et Adelvodum: foeminas tris,<br />

Elfredam, Ethelgeram, sue Elginam, et<br />

Etheluitham. Elfreda locata fuit quidam<br />

Ethelredo inter Mercios principi viro, accepta<br />

Merciae parte, dotis nomine. Haec venerae<br />

voluptatis spernendae valde memorabile<br />

edidit exemplum: a viro enim gravidata, cum<br />

pariendo vehementer <strong>la</strong>borasset, postea eius<br />

rei memor, perpetuo viri complexum<br />

abhorruit, dictitans stultissimum esse,<br />

eiusmodi volutati indulgere, aut operam dare,<br />

quae tantum doloris factura esset, Alvredus<br />

provecta iam aetate, levi morbo tentatus<br />

testamentum fecit, quo Edovardum filium<br />

instituit haeredem 811 […]Successit Alvredo<br />

Edovardus filius…quem Athelredus<br />

Cantuariensis archiebiscopus more maiorum<br />

coronavit, anno a natali Christi DCCCCI.<br />

[…]Edovardus inito principatu, cuncta sibi e<br />

Repubblica, a rimo facienda existimans, loca<br />

omnia praesidijs munire, urbes quas hostibus<br />

adversum se opportunissimas fore ducit,<br />

singu<strong>la</strong>s obire, suorum atque hostium res<br />

pariter attendere, barbarorum insidias<br />

antevenire, magno studio maturat, ut hoc<br />

pacto suos bellis continuis assuetos partim in<br />

officio, atque fide teneat, partim ne ijdem<br />

164


città che fronteggiavano co’ suoi nimici,<br />

rifornirle, affortificarle, riordinare <strong>la</strong> milizia,<br />

esercitar<strong>la</strong>, considerare le forze degl<br />

iavversarii, bi<strong>la</strong>nciarle con le sue, e<br />

antivedere in maniera tutto ciò che per lui<br />

faceva, che i Dani, signori allora di<br />

Nortumbria, cioè del reame di Nordgales…e<br />

di quel<strong>la</strong> parte di iso<strong>la</strong> che è volta verso<br />

levante, ancora che avidissimi di<br />

guerreggiarlo, non ebbero occasione alcuna<br />

da muoversi né da scoprirsi contro di lui: e<br />

nientedimeno, con tutta questa sua diligenzia,<br />

non potette egli vietare che Costantino re di<br />

Scozia non molestasse i confini del regno,<br />

predando ed ardendo tutto quel che gli era<br />

più comodo. Bene è vero che trovandosi<br />

Adovardo in su l’armi, riparò subito a questo<br />

insulto; perché affrontatosi con lo Scoto, non<br />

so<strong>la</strong>mente lo ruppe lo volse in fuga, ma gli<br />

uccise tanti de’ suoi, che egli ebbe di grazia<br />

di fare <strong>la</strong> pace, rispetto a lo avere perduto<br />

nel<strong>la</strong> giornata <strong>la</strong> maggior parte delle sue<br />

forze.[…]pacificatosi con lo<br />

Scoto…sopraggiunse tanto improvviso e tanto<br />

gagliardo sopra degli Uvali che volentieri<br />

stettero in pace; e senza trarre altrimenti<br />

spada, si accordarono a ciò che e’ volle: il<br />

che venne molto a proposito; perché i Dani,<br />

signori ancora di Norgales…sopportando mal<br />

volentieri che Adovardo venisse grande, e non<br />

avendo animo di manometterlo con l’armi<br />

loro so<strong>la</strong>mente, istigarono tanto Adevoldo,<br />

fratello minore di Adovardo, giovane<br />

ambizioso e cupidissimo di dominare, che<br />

adunato subitamente un uno esercito di tutti<br />

que’ che e’ potette avere, con lo aiuto di essi<br />

Dani cominciò a correre il regno. Ma<br />

Adovardo, non manco presto a difendere che<br />

Adevoldo fusse a l’offendere, uscitoli incontro<br />

armato, non so<strong>la</strong>mente fermò <strong>la</strong> furia, ma lo<br />

messe in tanta paura, che, abbandonate le<br />

genti, procacciò di fuggirsi a’ Dani. Ma<br />

seguitato da Adovardo con tanta celerità che<br />

e’ si disperò di di potere andarvi, rivolse i<br />

passi a’l mare di Germania; ed imbarcatosi<br />

con gran prestezza, se ne passò al<strong>la</strong> terra<br />

ferma. Quivi, posatosi quasi un anno, per<br />

rinnovare <strong>la</strong> guerra <strong>la</strong>sciata, se ne andò per<br />

809 Storia, cit., passo alle pp. 149-152.<br />

810 Hi<strong>storia</strong>e anglicae, cit., passo a p. 96i1, lib. V.<br />

811 Ivi, passo alle pp. 103-104i5, lib. V.<br />

812 Ivi, passo alle pp. 105-106i6, lib. VI.<br />

remoto metu, <strong>la</strong>tius licentiusque effusi ab<br />

hostibus de improvviso op<strong>prima</strong>ntur, atque ita<br />

ipsis Dacis in primis novitatis avidis, qui id<br />

temporis Northumbris et orientalibus Anglis<br />

dominabantur, occasio movendi belli modis<br />

omnibus adimeretur. Veruntatem huic studio<br />

bellum Scoticum subito praevertendum fuit,<br />

quod Constantinus rex continenter Anglicos<br />

fines vexabat. Edovardus primo quoque<br />

tempore bellum ei intulit, quod multa utrinque<br />

caede gestum est: sed Scotus maioribus<br />

affectus incommodis, non invitus ab armis<br />

discessit, pace ab Anglo impetrata.<br />

Edovardus post haec, Vuallos vacil<strong>la</strong>ntes ad<br />

sanitatem reduxit, totamque Merciam, ut infra<br />

dicetur, post obitum Elfredae sororis suae<br />

recepit: nec eo tamen pacto hostium insidias<br />

ritardare, in otiove esse potuit: enimvero<br />

Daci qui tum in Northumbria erant,<br />

permoleste ferentes res Anglicas in dies<br />

singulos crescere, subito bellum moliuntur: et<br />

quoniam ipsi illud movere non audebant,<br />

idcirco alieni armis odium explere nituntur.<br />

Itaque ad Adelvoldum iuvenem Edovardi<br />

fratrem suapte natura regnandi avidum c<strong>la</strong>m<br />

adeunt, solicitantque, admontes tempus<br />

idoneum esse, quo facile possit, si modo velit,<br />

regnum espulso fratre obtinere[…]His<br />

monitis…perpulerunt, ut…in regnum fratris,<br />

ac confestim comparato exercitu, hostiliter<br />

illud invaserit. Sed rex cum nihilo segnius<br />

iniuriae obviam ivisset, tum inops consilij, ut<br />

qui omnia temere fecerat, metuque perculsus,<br />

fugae se dedit, ac ad Dacos in Northumbriam<br />

se recipere contendit, ut ab illis adiutus<br />

praelium conserte. Quod ubi rex novit, tanta<br />

celeritate est insecutus, ut iuvenis omittere<br />

incoeptum iter, ac ad mare tendere, indeque<br />

transmarinas partes petere cactus sit: ubi vix<br />

annum moratus, inde ad Northumbros belli<br />

innovandi causa redijt. Hunc Daci qui<br />

Edovardum metuebant, perbenigne<br />

acceperunt, ducemque belli sibi constituere.<br />

Adelvoldus accepto imperio, plenus irarum<br />

adversus fratrem, ingenti vi armorum eius<br />

regni fines ingreditur, cuncta ferro igneque<br />

vastantibus Dacis: et in Merciam conversus<br />

pariter dat omnia praedae: post haec, alio<br />

165


mare a’ Nortumbri. Costoro, che temevano<br />

già di Adovardo, lo riceverono benignamente;<br />

e, fattolo generale delle genti loro, vennero<br />

seco in su <strong>la</strong> campagna. Adelvoldo pieno di<br />

rabbia contro al fratello, entrato ne’ suoi<br />

confini, arde e guasta tutto il paese, e<br />

saccheggia dove egli arriva. Né contento a<br />

predare i confini soli, fa il medesimo nel<strong>la</strong><br />

Mercia…Quindi rivoltosi a mezzogiorno, e<br />

passato il fiume Tamigia, si condusse a<br />

Basingstocco; dove improvvisamente<br />

assaltato dallo esercito di Adovardo, e<br />

combattendo da disperato, finalmente restò<br />

ucciso. La battaglia fu sanguinosa, e morivvi<br />

di molta gente: né per <strong>la</strong> morte del generale<br />

cessò punto o mancò <strong>la</strong> zuffa. Perché se bene<br />

l avevano fatto coloro capo di tutto lo esercito<br />

per consumare gli Inghilesi con gli Inghilesi,<br />

avevano nientedimeno capitani<br />

partico<strong>la</strong>ri…ed a questi soli ubbidivano…E<br />

costoro…mantenevano <strong>la</strong> pugna in<br />

modo…che dopo un lungo combattimento, gli<br />

Inghilesi al fine si straccarono;<br />

e…abbandonarono il campo a’ nemici. Né gli<br />

seguitarono altrimenti i Dani; anzi stracchi<br />

de <strong>la</strong> battaglia, ancora che vincitori,<br />

cercarono di avere <strong>la</strong> pace. La quale<br />

nientedimanco non volle altrimenti fare<br />

Adovardo, per tenergli con più timore; e<br />

concesse loro una tregua… ” 809<br />

versum contendens, Thamesim transit, ac<br />

usque ad pagum, quem vocant<br />

Basyngstochum, crudeliter omnem regionem<br />

popu<strong>la</strong>tur. Rex contra instructa acie, fit hosti<br />

ita furenti obviam, quem soluto agmine<br />

venientem magno impetu adoritur. Certatum<br />

est eo loci summis utriusque partis viribus:<br />

fuit atrox pungna, ac diu anceps, multis<br />

utrinque cadentibus. Adelvoldus in primis<br />

inter hostes fortiter praelians occubuit, cuius<br />

ob interitum, nihil tamen paelium a Dacis est<br />

intermissum, quippe qui suos habebant duces,<br />

quorum virtutibus freti, Adelvoldo summam<br />

imperij tradidere, quo Anglus suis ipsius<br />

armis confceretur. Dum sic aliquandiu<br />

a<strong>la</strong>criter pugnatur, postremo regij milites<br />

victi terga vertunt. Daci vero longo fessi<br />

certamine, non modo a persequendo facile<br />

desistunt, sed praeter spem eo parelio<br />

superiores, bello deinceps abstinendum<br />

ducentes, pacem a rege petunt: quibus<br />

Edovardus ut maiori sit terrori, non pacem,<br />

sed inducias dat.” 812<br />

Dunque una presenza sassone che si irradia anche oltre <strong>la</strong> Manica a livello storicogeografico<br />

a cui il Giambul<strong>la</strong>ri concede uno spazio consistente a ulteriore legittimazione del<strong>la</strong><br />

trans<strong>la</strong>tio imperii indirettamente sostenuta ancora nel<strong>la</strong> conclusione del secondo libro del<strong>la</strong><br />

Storia nel giudizio generale formu<strong>la</strong>to su Lodovico imperatore tedesco che muore nel 911:<br />

“senza figliuoli, e senza altra memoria o nome, che di essere stato mal fortunato, e di aver<br />

<strong>la</strong>sciato andar male il paese del<strong>la</strong> Moravia, occupato dopo <strong>la</strong> morte del figliuolo del re<br />

Suembaldo, e dagli Ungheri eda’Polloni, ed in gran parte ancora dai Boemi…” 813 .<br />

4. Libro terzo: <strong>la</strong> trans<strong>la</strong>tio imperii al mondo tedesco, da Corrado di Franconia ad<br />

Arrigo di Sassonia<br />

L’apertura del terzo libro del<strong>la</strong> Storia che descrive l’elezione del duca Ottone di Sassonia al<br />

soglio imperiale segue secondo un procedimento coerente le premesse storico-geografiche<br />

poste a favore dei Sassoni nel secondo libro in contrapposizione al<strong>la</strong> denuncia del<strong>la</strong> decadenza<br />

franco-carolingia che domina il primo libro. Giambul<strong>la</strong>ri non rimarca soltanto che Ludovico è<br />

l’ultimo esponente del<strong>la</strong> dinastia carolingia che assume <strong>la</strong> corona imperiale ma evidenzia<br />

anche come <strong>la</strong> sua elezione inauguri una consuetudine mantenuta poi per il suo successore<br />

813 Storia, cit., passo alle pp. 152-153.<br />

166


Ottone, <strong>la</strong> mancanza dell’investitura papale. La designazione imperiale si connota quale<br />

momento essenzialmente ed esclusivamente tedesco:<br />

“Dopo <strong>la</strong> morte di Lodovico, che senza <strong>la</strong> benedizione papale, e senza esser venuto mai<br />

nel<strong>la</strong> Italia, se ne passò a gli antichi padri, essendo mancato in lui <strong>la</strong> vera stirpe di Carlo<br />

Magno; i grandi tutti del<strong>la</strong> Germania adunatisi a far nuovo principe, e convenuti insieme più<br />

volte, eleggevano unitamente e d’accordo Ottone duca di Sassonia…” 814 .<br />

Parole in cui ancora percepiamo una critica ai carolingi e specificamente a Ludovico per il<br />

legame totalmente spezzato tra Italia e Germania a causa dell’incapacità degli eredi di Carlo a<br />

cominciare dagli errori commessi da Arnolfo.<br />

Peraltro, Ottone propone al suo posto Corrado di Franconia <strong>la</strong> cui elezione però non<br />

conferisce all’impero maggiore stabilità. Infatti gà indicative in questo senso appaiono le<br />

brevi notazioni che l’autore dedica preliminarmente al periodo di governo di Corrado del<br />

quale dice:<br />

“fu coronato in Germania nel novecentododici, e non venne di qua da’ monti, sì per <strong>la</strong><br />

brevità del<strong>la</strong> vita, e sì per le molte guerre che gli occorsero di là dall’Alpi.” 815<br />

Guerre determinate oltre che dal costante problema ungherese dall’instabilità interna<br />

dell’impero prodotta dai dissidi dei suoi principi e aggravata dal<strong>la</strong> morte di Ottone che segue<br />

di pochissimo l’elezione di Corrado 816 . In realtà motivo di contrasto reale assume proprio <strong>la</strong><br />

<strong>prima</strong>zia esercitata dal<strong>la</strong> casa di Sassonia, già sottolineata nell’altro libro e di nuovo rimarcata<br />

all’inizio di questo:<br />

“I maggior principi del<strong>la</strong> Germania erano in<br />

questi tempi Arnolfo duca di Baviera,<br />

Burcardo duca di Svevia, Giselberto duca di<br />

Lotteringhia, Eberardo conte de’ Franchi e<br />

fratello di esso Currado; e tra tutti il più<br />

reputato e di molto maggior potentia, Arrigo<br />

duca de’ Sassoni e de’ Turingi…” 817<br />

“Hac autem tempestate Ludovicus rex<br />

moritur, Conradus ergo Francorum ex genere<br />

oriundus, vir strenuus, bellorumque exercitio<br />

doctus, rex cunctis a populis ordinatur. Sub<br />

quo potentissimi principes Arnoldus in<br />

Baioaria, Burcardus in Svevia, Everhardus<br />

comes potentissimus in Francia, Giselbertus<br />

dux in Lothoringia erant. Quos inter Henricus<br />

Saxonum et Thuringorum dux praepotens<br />

c<strong>la</strong>rebat.” 818<br />

Una egemonia mal digerita da Corrado che teme Arrigo di Sassonia, figlio di Ottone quale<br />

potenziale leader di una sommossa di principi contro <strong>la</strong> sua autorità. Pertanto, coadiuvato da<br />

Attone arcivescovo di Magonza, già precedentemente introdotto in chiave negativa per<br />

l’inganno perpetrato ai danni di Adalberto, Corrado cerca di liberarsi con un inganno dello<br />

scomodo Arrigo. Il fallimento di Attone e Corrado viene raccontato sul<strong>la</strong> falsariga di<br />

Widukindo come mostra chiaramente <strong>la</strong> col<strong>la</strong>zione specialmente per quanto riguarda le parti<br />

dialogate come puntualmente rilevato già dal<strong>la</strong> Marangoni. Diversamente il Giambul<strong>la</strong>ri<br />

arrichisce i passi narrativi tratti da Liutprando secondo un procedimento utilizzato anche in<br />

seguito. All’interno di questa rie<strong>la</strong>borazione, spicca soprattutto il collegamento diretto istituito<br />

dal canonico <strong>la</strong>urenziano tra <strong>la</strong> salvezza di Arrigo e del casato di Sassonia ed il disegno del<strong>la</strong><br />

volontà divina che condurrà poi quest’ultimo al trono imperiale. Una sottolineatura che non ci<br />

814 Ivi, passo a p. 157.<br />

815 Ivi, passo a p. 158.<br />

816 Ibidem.<br />

817 Ivi, passo cit. alle pp. 158-159.<br />

818 Liuthprandi, cit., passo a p. 240u6.<br />

167


sembra affiori in termini analoghi nei corrispondenti passi di Widukindo e che in re<strong>la</strong>zione a<br />

tutta l’analisi da noi condotta fin’ora ed ai motivi essenziali del prosieguo del<strong>la</strong> Storia va<br />

menzionata:<br />

“sì per <strong>la</strong> memoria di Ottone suo padre, che<br />

aveva fatto lo imperatore, e governatolo<br />

quando e’ visse; e si ancora per <strong>la</strong> somma<br />

virtù che manifestamente in lui si scoprivano.<br />

De le quali Currado, che ben sapeva di avere<br />

poco amici tutti gli altri principi detti,<br />

sospettando non poco…non volle che il duca<br />

Arrigo redasse tutta quel<strong>la</strong> autorità e quel<strong>la</strong><br />

potenzia che era stata di Ottone suo padre. Ma<br />

perché i Sassoni fieramente si conturbarono di<br />

questo fatto, desiderando di mitigarli,<br />

cominciò a par<strong>la</strong>re di Arrigo molto<br />

onoratamente, e a lodarlo quanto e’ poteva;<br />

promettendo volere accrescergli onore e<br />

stato…Coloro nientedimanco poco attendendo<br />

alle fal<strong>la</strong>ci promesse finte, confortavano il<br />

duca loro, se lo Imperatore amorevolmente<br />

non consentiva a consegnargli ciò che<br />

giustamente se li aspettava, che egli a forza e<br />

per suo dispetto se ne pigliasse quanto e’<br />

voleva.[…]Le quali cose considerando<br />

Currado, e veggendo stare i Sassoni a<br />

l’erta…giudicò in fra sé medesimo convenire<br />

al bisogno suo…levarsi al tutto dinanzi<br />

Arrigo. Ma non gli parendo da romper guerra,<br />

e massime ad un armato che aveva più gente e<br />

più pratica nel<strong>la</strong> milizia, ricorse al<br />

generabilissimo padre arcivescovo Atone…e<br />

gli aperse il bisogno suo, e quanto in questo<br />

desiderasse. Attone, al solito suo, per<br />

condurre il duca a <strong>la</strong> mazza, cominciò a<br />

intrinsecarsi con esso lui, e a mostrarglisi<br />

tutto suo, e in segno di grande amore<br />

artatamente faceva fare una ricchissima<br />

col<strong>la</strong>na d’oro per donar<strong>la</strong> poi ad Arrigo<br />

quando più gli fosse a proposito.<br />

[…] 819 Lavoratasi <strong>la</strong> col<strong>la</strong>na in casa stessa<br />

dello arcivescovo; ed egli molte volte era<br />

solito andarsi a starsi con quel maestro, e aver<br />

per un passatempo il vedergnene <strong>la</strong>vorare.<br />

Avvenne dunque una volta che[…] 820 sospirò<br />

profondissimamente senza vedersene <strong>la</strong><br />

cagione. Il maestro di ciò ammirato, lo<br />

“Igitur pater patriae et magno duce Ottone<br />

defuncto, illustri et magnifico filio Henrico<br />

totius Saxoniae ipse reliquit ducatum. Quum<br />

aut ei essent et alij filij, Thancmarus et<br />

Luitolfus, ante patrem suum obierunt. Rex<br />

autem Cunradus quum saepe expertus esset<br />

virtutem novi ducis, veritus est ei tradere<br />

omnem potestatem patris. Quo factu est ut<br />

indignationem incurreret totius exercitus<br />

Saxonici : ficte tamen pro <strong>la</strong>ude et gloria<br />

optimi ducis plura locutus, promisit se<br />

maiora sibi daturum, et honore magno<br />

glorificanturum. Saxones vero huiuscemodi<br />

simu<strong>la</strong>tionibus non attendebant, sed<br />

suadebant duci suo, ut si honore paterno eum<br />

nollet sponte honorare, rege invito quae<br />

vollet obtinere posset. Rex autem videns<br />

vultum Saxonum erga se solito austeriorem,<br />

nec posse publico bello eorum ducem<br />

contenere, suppetente illi fortium militu<br />

manu, exercitus quoque innumera<br />

multitudine, egit ut quoque modo interficere<br />

dolo. Ad hocque negocium habens, ut fertur,<br />

maxime idoneum Mogociacae sedis<br />

episcopum, nomine Hattonem.[…]Hac igitur<br />

perfidia quid nequius? Attamen uno capite<br />

caeso, multorum capita populorum salvant?<br />

Et quid melius eo consilio, quo discordia<br />

dissolveretur, et pax redderetur? Ea itaque<br />

varietate virum nobis proprie a summa<br />

clementia concessum aggressus est, fecitque<br />

ei torquem auream fabricari, et invitavit ad<br />

convivium, quo magnis ab eo muneribus<br />

honoraretur. Interea pontifex opus<br />

considerandi gratia ingreditur ad aurificem:<br />

et visa torque ingemuisse fertur. Gemitus<br />

causam aurifex interrogat. Cui respondit :<br />

qua optimi viri, et sibi charissimi, scilicet<br />

Henrici sanguine il<strong>la</strong> torques deberet<br />

intingui. Aurifex audita silentio texit, et opere<br />

perfecto traditoque, missionem petit et<br />

accipit : et obvians duci eunti adea negocia,<br />

indicavit ei quae audivit. Ipse autem<br />

819 Storia, cit., a questo punto a p. 160 il Giambul<strong>la</strong>ri asserisce: “Ma non permesse il giusto signore, il quale<br />

tirava Arrigo a lo Imperio, che lo scellerato disegno si conducesse a’l proposto fine, e scoperselo in questa<br />

guisa.”<br />

820 Ivi, l’autore aggiunge: “entrato un dì tutto solo a vedere <strong>la</strong> col<strong>la</strong>na, già condotta assai bene avanti, e<br />

lodata<strong>la</strong> assai con lo orefice…”.<br />

168


dimandò amorevolmente perché tanto di cuore<br />

sospirasse. Attone,<br />

[…] 821 confidandosi…“Sospiro, (disse) perché<br />

questa col<strong>la</strong>na sarà presto bagnata co’l<br />

sangue del maggiore amico che io abbia.”<br />

Stettesi cheto l’orefice a questo dire, e avendo<br />

già inteso <strong>prima</strong> a chi si avesse a dare <strong>la</strong><br />

col<strong>la</strong>na, conobbe subitamente chi dovesse<br />

morire con essa. Attese dunque al<strong>la</strong> opera sua<br />

senza dimostrazione alcuna, e quando el<strong>la</strong> fu<br />

finita… se ne andò, come <strong>prima</strong> potette farlo,<br />

trovare esso duca Arrigo, e rive<strong>la</strong>ndogli<br />

quanto avesse e visto e udito…Era per<br />

avventura quel<strong>la</strong> stessa mattina venuto un<br />

mandato del santo padre a convitare esso<br />

Arrigo ad un banchetto con lo Arcivescovo,<br />

quando egli, per lo avviso del buono orefice,<br />

sospettoso di questo invito… “Direte (disse) a<br />

monsignor lo Arcivescovo, che Arrigo non ha<br />

il collo punto più duro che si avesse già il<br />

duca Alberto, e che noi abbiamo giudicato<br />

molto più a nostro proposito lo starci a casa, e<br />

provvedere al servizio suo, che aggravarlo di<br />

tanta spesa.” Quindi rivolto a gli uomini suoi,<br />

comandò che i soldati si apparecchiassero, e<br />

che a lo Arcivescovo di Magunzia subitamente<br />

fusse levato ciò che e’ teneva nel<strong>la</strong> Turinghia e<br />

nel<strong>la</strong> Sassonia. Oltre di questa indirizzatosi a<br />

danni di Burgardo e Bardone, amici e parenti<br />

del re Currado, li ridusse in breve a tale<br />

termine con gli incendi e con le rapine, che e’<br />

furono mal grado loro forzati a fuggirsi via, e<br />

<strong>la</strong>sciare le robe e gli Stati, che si divisero poi<br />

per Arrigo tra’ soldati e amici suoi.[…]” 822<br />

vehementer iratus, vocat legatum pontificis,<br />

qui iampridem aderat invitandi eum gratia :<br />

Vade, inquit, dic Hattoni, quia durius collum<br />

non gerit Henricus quam Adalbertus : et quia<br />

melius rati sumus domi sedere, et de eius<br />

servtitio tractare, quam comitatus nostri<br />

multitudine modo eum gravare : et statim<br />

omnia quae iuris ipsius erant in omni<br />

Saxonia vel Thuringorum terra occupavit.<br />

Burghardum quoque et Bardonem, quorum<br />

alter gener regis erat, in tantum afflixit, et<br />

bellis frequentibus contrivit, ut terra<br />

cederent, eorumque omnem possessionem sui<br />

militibus divideret. Hatto autem videns fuis<br />

calliditatibus finem impositum, nimia tristitia<br />

ac morbo pariter non post multos dies<br />

confectus interijt. Fuere etiam qui dicerent<br />

quia fulmine coeli tactus, eoque ictus<br />

dissolutus post tertium diem defecisset.” 823<br />

Parimenti da Widukindo, Giambul<strong>la</strong>ri ricava anche <strong>la</strong> vicenda del<strong>la</strong> spedizione del fratello<br />

dell’imperatore Eberardo in terra sassone. Corrado infatti è alle prese con <strong>la</strong> ribellione del<br />

duca di Baviera Arnolfo. La spedizione di Eberardo non consegue gli obiettivi sperati grazie<br />

all’abilità dell’ambasciatore sassone Dietmaro:<br />

Currado…mandò Eberardo suo fratello con<br />

una banda molto gagliarda a predare e<br />

guastare il paese attorno del<br />

duca;[…]Eberardo, avviatosi contra<br />

Eresburgo, città di Sassonia, vi era già vicino<br />

ad un miglio, bravando e minacciando<br />

superbamente, e dolendosi in un certo modo<br />

di non poter quasi vedere i Sassoni, almanco<br />

Rex autem misit fratrem cum exercitu in<br />

Saxoniam, eam devastandam. Qui appropians<br />

urbs, quae dicit Heresburg, superbe loquutum<br />

tradunt : qua nihil ei maiori curae esset,<br />

quam que Saxones pro muris se ostendere<br />

non auderet, quo cum eis dimicare potuisset.<br />

Adhuc fermo in ore eius erat, et ecce Saxones<br />

ei occurrerunt miliario ab urbe, et inito<br />

821 Ivi, nel testo del<strong>la</strong> Storia leggiamo un non trascurabile “come fu <strong>la</strong> voglia di Dio…”.<br />

822 Ivi, passo cit., alle pp. 159-162.<br />

823 Vuitichindi, cit., passo alle pp. 10a5-12a6. Inoltre, cfr. Chronicum…Uspergensis, cit., dove questo passaggio<br />

è praticamente identico alle pp. CCVIs1-CCVIIs2.<br />

169


su per le mura e tra’ merli, per castigargli de<br />

lo error loro; quando improvvisamente<br />

affrontato da essi, e venuto a battaglia<br />

sanguinosissima dopo una lunga contesa, e<br />

dopo <strong>la</strong> morte del glorioso padre arcivescovo<br />

Attone, che <strong>la</strong>sciò <strong>la</strong> pelle in questo conflitto,<br />

fu sforzato pur finalmente a mostrar le spalle<br />

a’ nemici, e, con <strong>la</strong> perdita delle genti e di<br />

tutto il fardaggio loro, fuggirsi nel<strong>la</strong><br />

Franconia, ed appena campò <strong>la</strong> vita. La<br />

uccisione fu sì grande, e de’ Franchi<br />

massimamente, che per i gioco<strong>la</strong>ri e buffoni<br />

molte volte poi si cantava: “Dove è così<br />

inferno, che riceva tanti Franchi?” Currado,<br />

udita <strong>la</strong> rotta del suo fratello, abbandonò <strong>la</strong><br />

Svevia, e, con quel<strong>la</strong> più gente che aver<br />

potette, a un tratto se ne tornò in Sassonia.<br />

Quivi accampatosi a Gruona, città dove<br />

allora si trovava Arrigo, mandò certi uomini<br />

suoi a dirgli, che se e’ si arrendeva<br />

liberamente, lo troverebbe suo buon amico e<br />

non avversario, come forse si dava a<br />

intendere. Sopragiunse a questa l’mbasciatore<br />

Dietmaro Sassone, vicino de’ Pruteni, uomo<br />

esercitatissimo nelle guerre, di gran consiglio<br />

e di molta sagacità; e senza aspettare<br />

altrimenti che Arrigo rispondesse, o che<br />

gl’imbasciadori seguitassero più avanti, così<br />

polveroso com’era de’l cavalcare, disse al<br />

Duca sì altamente che ciascuno lo poteva<br />

intendere: “Dove volete voi, signor duca, che<br />

si alloggi lo esercito che io ho menato?” Il<br />

che diceva egli fintamente, non avendo seco<br />

altro esercito che cinque persone sole. Arrigo,<br />

il quale, per non si trovar fornito di gente,<br />

disegnava quasi di arrendersi, udite queste<br />

parole dimandò subito quanta gente avesse<br />

condotta. E Dietmaro sagacissimo, con gran<br />

prontezza rispose: “Trenta insigne”. La qual<br />

cosa credendo Arrigo, si rivolse agli<br />

mbasciatori, e disse che non voleva in<br />

maniera alcuna darsi in mano a’ nimici suoi,<br />

ma difendersi valorosamente sino a <strong>la</strong> morte,<br />

per mantenersi con quel dominio che gli<br />

aveva <strong>la</strong>sciato il padre. Gl’imbasciadori,<br />

ingannati essi ancora da le finte parole di<br />

Dietmaro, ritornati in campo a Currado, lo<br />

avvisarono del nuovo esercito sopravvenuto al<br />

suo avversario, e lo messero in tanto sospetto,<br />

certamine tantam caede Francos multati sunt,<br />

ut a mimis dec<strong>la</strong>maret, ubi tantus ille infernus<br />

esset, qui tantam multitudinem caesorum<br />

capere posset. Frater aut regis Everhardus<br />

liberatus a timore absentiae Saxonum, nam<br />

eos praesentes vidit, et ab ipsis turpiter<br />

fugatus discessit. Audiens autem rex male<br />

pugnatum a fratre, congregata omni virtute<br />

Francorum, perrexit ad requirendum<br />

Henricum. Quem compertum in praesidio<br />

urbis quae dicitur Grona, tentavit illud<br />

oppugnare praesidium. Et missa legatione<br />

pro spontanea dedizione, spondet se per hoc<br />

sibi amicum affuturum, non hostem<br />

experturum, Huic legazioni intervenit<br />

Thiatmarus ab oriente, vir disciplinae<br />

militaris peritissimus, varius consilioque<br />

magnus, et qui calliditate ingenij multos<br />

mortales superaret. Hic supveniens legatis<br />

regis presentibus interrogat, ub vellet<br />

exercitum castrametari. At ille iam suasus<br />

cedere Francis, accepit fiduciam, audiens de<br />

exercitu, credens ita esse. Thiatmarus vero<br />

ficte loquebatur : cum quinque enim<br />

tantummodo viris venerat. De numero aut<br />

legionum sciscitate duce, ad triginta fere<br />

legiones se, perducere posse respondit: et ita<br />

delusi legati regressi sunt ad regem. Vicit<br />

vero eos calliditate sua Thiatmarus, quos ipse<br />

dux ferro vincere non potuit Henricus. Nam<br />

ante lucanum relictis castris Franci<br />

unusquisque redijt in sua.” 825<br />

824 Ivi, passo cit., alle pp. 159-162.<br />

825 Vuitichindi, cit., passo alle pp. 10a5-12a6, cfr. ancora le parole quasi coincidenti nel<br />

Chronicum…Uspergensis, cit., a p. CCVIIs2.<br />

170


che diloggiato <strong>la</strong> notte con tutta <strong>la</strong> gente, il<br />

più segretamente che fu possibile, s ene tornò<br />

nel paese suo. E così vinse Dietmaro con le<br />

parole quel principe potentissimo, che lo<br />

assediato suo duca Arrigo non poteva batter<br />

con l’armi.” 824<br />

Diversamente dai continui insuccessi del<strong>la</strong> parte imperiale, invece i Sassoni passano da un<br />

successo all’altro. Una volta respinto l’assedio di Eberardo, tocca ai danesi, puniti per le loro<br />

continue scorrerie piratesche. La digressione sul<strong>la</strong> loro collocazione geografica e sui loro<br />

trascorsi storici il Giambul<strong>la</strong>ri <strong>la</strong> ricava dal<strong>la</strong> medievale Danorum i<strong>storia</strong>e 826 di Saxo<br />

Grammatico 827 :<br />

“<strong>la</strong> Dania…non è so<strong>la</strong>mente <strong>la</strong> Juzia, cioè<br />

quel<strong>la</strong> punta del<strong>la</strong> Germania che da’l fiume<br />

Eidora, termine comune a lei ed ai Sassoni,<br />

si distende nel mar germanico verso <strong>la</strong><br />

Scandia ed è quello stesso luogo dove gli<br />

antichi posero i Cimbri; ma contiene ancra<br />

in se stessa <strong>la</strong> Fionia, <strong>la</strong> Se<strong>la</strong>ndia, <strong>la</strong> Scania<br />

ed alcune altre isolette circonvicine: <strong>la</strong><br />

qualità delle quali, siccome è variata molto e<br />

distinta l’una da l’altra…tutta questa si<br />

chiama oggi Danimarca, e che i termini o<br />

confini suoi sono <strong>la</strong> Sassonia quanto a <strong>la</strong><br />

Juzia, e quanto a’l resto l’onda marina. La<br />

quale circondando questo regno quasi per<br />

tutto, lo divide ancora in più parti, dove con<br />

distanzie non molto piccole, e dove con brevi<br />

e stretti canali, secondo che i seni si<br />

ingolfano fra <strong>la</strong> terra, e gli scogli o capi si<br />

al<strong>la</strong>rgano fra quel mar che lo chiude<br />

intorno.[…]La Fionia è molto copiosa di ciò<br />

che diletta i sensi mortali, ed è amenissima<br />

sopra ogni altra: ma <strong>la</strong> Scania è di pesci sì<br />

abbondante, che ne golfi e ridotti suoi<br />

(secondo che afferma Sasso) oltre il<br />

pigliarsene con le mani quel<strong>la</strong> quantità che<br />

l’uom vuole senza aiuto di reti d’altro, a<br />

ma<strong>la</strong> pena possono le navi aprirsi tal volta <strong>la</strong><br />

via coi remi per andare a’l viaggio loro;<br />

tanto fuor d’ogni credere ve ne abbonda <strong>la</strong><br />

moltitudine.[…]come apertamente si vede in<br />

Sasso…e massime nel<strong>la</strong> vita di Regnero…che<br />

ancora giovanetto roppe ed uccise il re di<br />

Svezia, che aveva ammazzato Sivardo re di<br />

Norvegia…vinse gli Scani e quelli di<br />

“Ex his Iutia…que sicut positione prior, ita<br />

situ porrectior Theutoniae finibus admovetur.<br />

A cuius complexu fluminis Eydori<br />

interrivatione discreta, cum alquanto<br />

<strong>la</strong>titudinis escremento, septentrionem versus in<br />

Norici freti littus excurrit. […]Huius itaque<br />

regionis estima, partim soli alterius confinio<br />

limitanta, partim propinqui maris fluctibus<br />

includunt. Interna vero circonfusus ambit<br />

Oceanus, qui sinuosis interstitiorum<br />

anfractibus, nunc in angustias freti<br />

contractioris evadens, nunc in <strong>la</strong>titudinem sinu<br />

diffusiore procurrens, complures insu<strong>la</strong>s<br />

creat.[…]Fionia…cospicua necessariarum<br />

rerum ubertate <strong>la</strong>udanda: quae insu<strong>la</strong><br />

amoenitate cunctas nostrae regionis<br />

provincias antecedens…Scaniae…optimam<br />

praedae magnitudinem quotannis piscantium<br />

retibus adigere soliti. Tanta siquidem sinus<br />

omnis piscium frequentia repleri consuevit, ut<br />

interdum impacta navigia vix remigij con<br />

amen eripiat. Nec iam praeda artis<br />

instrumento, sed semplici mani officio<br />

capiatur. 829 […]Regnerus in regnum succedit,<br />

quo tempore rex Suetiae Fro, interfecto<br />

Norvagiensum rege Syvardo, 830 […]Iuti gens<br />

insolens Scanis in societatem contractis…<br />

obritivit… 831 […]arma in Britanniam erexit,<br />

regemque eius…pugna perstrictum occidit.<br />

Inde Scotiae ac Petiae insu<strong>la</strong>rumque quas<br />

australes vel meridianas vocat, ducibus<br />

interfectis, Syvardo ac Rathbartho filijs vacuas<br />

gubernatore provincias in potestatem addixit.<br />

Norvagiam quoque principe suo violenter<br />

826 Saxonis Grammatici Danorum hi<strong>storia</strong>e libri XVI, trecentis ab hinc annis conscripti, tanta dictionis<br />

elegantia, rerumque getarum varietate, ut cum omni vetustate contendere optimo iure videri possint. Accessit<br />

rerum memorabilium Index locupletissimum, Basileae apud Io. Bebelium, Anno MDXXXIIII; d’ora in poi<br />

Danorum hi<strong>storia</strong>e.<br />

827 Sul quale, cfr. Répertoires des sources historiques, cit., vol. II, pp. 4163-4164.<br />

171


Juzia…che se gli erano ribel<strong>la</strong>ti; saccheggiò<br />

<strong>la</strong> Bretagna, ed uccise il re di quel<strong>la</strong>: passò<br />

in Iscozia e nelle isole da Mezzogiorno, ove<br />

morti o cacciati i veri signori, pose al<br />

governo di quelle Sivardo e Ratbarto suoi<br />

figliuoli: cacciò ancora di Norvegia il<br />

signore naturale, e insieme con tutte quelle<br />

isole, che i Romani chiamarono Orcade, <strong>la</strong><br />

dette ad un altro suo figliuolo detto Frilevo.<br />

Vinse e cacciò Araldo suo emolo, fatto re da’<br />

nemici suoi e constrinselo a fuggirsi nel<strong>la</strong><br />

Germania. Passò in Svezia contro il re Sorlo,<br />

per vendicare i figliuoli di Eroddo: né<br />

so<strong>la</strong>mente lo vinse in duello di quattro contra<br />

di otto, ma e in battaglia campale di esercito<br />

contro ad esercito; ed ucciselo finalmente,<br />

con tutte le genti che erano per lui. Combattè<br />

eziandio gli Sciti e contro a Ruteni, e di tutti<br />

acquistò vittoria. Superò i Finni, trionfò de’<br />

Biarmesi: e ne’ più vivi sassi de’ maggiori<br />

monti fece intagliare memorie gloriosissime<br />

delle infinite vittorie sue. In questo mentre,<br />

Ubbo suo figliuolo non legittimo gli ribellò<br />

Svezia e Se<strong>la</strong>ndia, ma con infelice successo,<br />

restando e vinto e prigione del padre; il<br />

quale nientedimeno gli perdonò poco dopo lo<br />

errore commesso, e <strong>la</strong> pena che e’ meritava.<br />

Appresso, venutogli nuova che Dassone,<br />

figliuolo del re di Ponto, gli aveva ad<br />

inganno tolto Svezia, e ucciso Vitserco suo<br />

figliuolo che di quel<strong>la</strong> aveva il governo,<br />

rifatto lo esercito si tornò di nuovo in Svezia;<br />

dove rotto e preso Dassone, e tenutolo alcuni<br />

giorni in sua podestà, lo liberò<br />

graziosamente, e sotto non grave tributo gli<br />

concesse il predetto regno. Ebbe ancora<br />

tante altre chiare vittorie…ma tutte finirono<br />

miseramente. Con ciò sia che, a lo estremo di<br />

quelle caduto nelle mani de’ nemici suoi, fu<br />

da essi aperto nel petto, e, così vivo, dato a<br />

pascere aspidi e vipere con le viscere sue più<br />

intime e più vitali. La qual cosa rapportata<br />

a’ figliuoli in Dania, fu cagione che,<br />

ragunato infinito esercito, se ne venissero in<br />

quel<strong>la</strong> parte del<strong>la</strong> Inghilterra, dove El<strong>la</strong> in<br />

exutam Fridlevo parere praecepit, eundemque<br />

Orchadibus proprio duce defectis praeferre<br />

curavit. Interea Danorum quidam<br />

pertinacioris erga Regnerum odij obstinatis ad<br />

rebel<strong>la</strong>ndum animis Haraldi quondam profugi<br />

partibus advoluti, prostratam Tiranni<br />

fortunam attollere conati sunt. Qua demeritate<br />

insolentissimos belli civilis adversum regem<br />

spiritus excitaverunt, externisque liberum<br />

domesticis implicuere periculis. Ad quos<br />

costringendos Regnerus cum insu<strong>la</strong>rium<br />

Danorum c<strong>la</strong>sse profectus, rebellium agmen<br />

elisit, Haraldumque superati exercitus ducem<br />

fuga in Germaniam actum, honorem improbe<br />

partum impudenter abijcere<br />

compulit.[…]Cumque Regnerus oneratis<br />

tributo Saxonibus de morte Heroddi certum e<br />

Suetia nuncium accepisset, liberosque suos<br />

Sorli suffecti regis calumnia avitis bonis<br />

exutos cognosceret…Suetia petijt. Cui<br />

occurens cum exercitu Sorlus, publice ac<br />

privatim dimicandi opzione facta, singu<strong>la</strong>rem<br />

degligenti conflictum…cum septena filiorum<br />

manu ex provocatione pugnaturum admovit.<br />

Cum quibus Regnerus tribus filijs in<br />

certaminis societatem assumptis, utroque<br />

exercitu inspectante congeressus, agone victor<br />

excessit.[…]Qua victoria Regnerus omnis<br />

periculi superandi fiduciam nactus, Sorlum<br />

cum universis quas ductaverat copijs<br />

impetitum occidit. […]Scithae…eodem obtriti<br />

discrimine referentur…Ruthenorum<br />

rex…formidolosa Regneri arma fuga<br />

praecurrere maturavit. 832 […]ubi Biarmorum<br />

rege interfecto, Finnorum vero fugato,<br />

Regnerus saxis rerum gestarum apices prae se<br />

ferentbus, hisdemque superne locatis,<br />

aeternum victoriae suae monimentum affixit.<br />

Interea Ubbo…abiecta paterni respectus<br />

verecondia, capiti suo regium arrogavit<br />

insigne[…]Ubbonemque pristinae gratiae<br />

redditurum paterna charitate complectens,<br />

traiecta in Rusciam c<strong>la</strong>sse, comprehensum<br />

Daxon, catenarumque poena coercitus, apud<br />

Utgarthiam custodiae relegavit. Siquidem tunc<br />

828 Storia, cit., pp. 163-165.<br />

829 Danorum hi<strong>storia</strong>e, cit., passo a p. 2a2 nel<strong>la</strong> Saxonis Grammatici sia<strong>la</strong>ndici viri eloquentissimi, in gesta<br />

danorum praefatio, da p. 1a a p.3a3.<br />

830 Ivi, passo a p. 84o6.<br />

831 Ivi, p.85p1.<br />

832 Ivi, p. 86p2.<br />

833 Ivi, p. 87p3.<br />

834 Ivi, p. 88p4.<br />

172


maniera si disusata aveva ucciso il misero<br />

vecchio. La onde, con battaglia orribile e<br />

fiera, avendolo e vinto e preso, non contenti<br />

a morte ordinaria e semplice, miserabilmente<br />

lo <strong>la</strong>cerarono appoco dappoco, e per<br />

maggior dispregio poi lo insa<strong>la</strong>rono. Il che<br />

fatto, <strong>la</strong>sciato al governo di quello stato<br />

Agnero ed Ubbo loro fratelli, se ne<br />

tronarono in Dania Sivardo e Ivaro. ” 828<br />

Regnerum adversus charissimi filii<br />

interfectorem, clementissima animi<br />

moderatione usum esse constatabat, cum ad<br />

concupitae ultionis satietatem exilium fontis,<br />

que necem sufficere<br />

maluit. 833 […]Comprehensus enim atque in<br />

carcerem coniectus, noxios artus colubris<br />

consumendos advertit, atque ex viscerum<br />

suorum fibris tristem viperis alimoniam<br />

praebuit. 834 […]”<br />

Esaurita l’ampia parentesi sui Dani, il canonico <strong>la</strong>urenziano torna ai problemi dell’attualità<br />

derivati dal<strong>la</strong> ribellione di Arnolfo di Baviera che alleato degli Ungheri ne favorisce le discese<br />

e le razzie in Stiria, Carinzia e Carnia descritte sotto il profilo storico-geografico attraverso il<br />

ricorso a Pio II. Successivamente razziano <strong>la</strong> Bulgaria e di nuovo <strong>la</strong> Germania e l’Alsazia<br />

anche perché osserva l’autore:<br />

“non durarono certo molta fatica, e per non essere allora munito il paese di tante grosse e<br />

belle città, e di tante castel<strong>la</strong> e fortezze, quante a’ nostri tempi vi sono. Con ciò sia che <strong>la</strong><br />

frequenza del<strong>la</strong> Germania non ebbe tanto <strong>la</strong> origine sua da Carlo Magno, e da’ discendenti,<br />

quanto da gli Ottoni, da gli Arrighi e da’ Federighi, come ampiamente mostra lo Irenico; e<br />

dal timore delle prede, incendi e rapine che vi facevano gli Ungheri ogni anno, correndo<strong>la</strong><br />

tutta a loro piacimento, e quando più tornava lor bene per non esservi altro che ville e<br />

borghi, senza cittadi o castel<strong>la</strong> grosse che potessero tenergli a freno. Il che avveniva<br />

certamente per mantenervisi ancora in parte quel<strong>la</strong> salvatica rigidità e salvatichezza rigida e<br />

fiera, che si legge in Cornelio Tacito.” 835<br />

Un’altra considerazione estremamente indicativa del<strong>la</strong> prospettiva filo-tedesca e<br />

specificamente ottoniana che permea <strong>la</strong> Storia sotto diversi punti di vista. In primo luogo <strong>la</strong><br />

fonte di riferimento indicata dal Giambul<strong>la</strong>ri stesso nell’Irenicus. In secondo luogo il richiamo<br />

positivo al<strong>la</strong> moderna civiltà urbana europea e tedesca già presentato dall’autore nel primo<br />

libro del<strong>la</strong> Storia a pagina 22 proprio in collegamento a Tacito 836 . Un elogio dunque non<br />

occasionale né iso<strong>la</strong>to che inoltre evidenzia in questo punto un forte contrasto con <strong>la</strong> realtà<br />

<strong>la</strong>sciata da Carlo Magno e soprattutto dai suoi inadeguati successori.<br />

Gli Ottoni, pertanto, sono gli autentici padri fondatori del<strong>la</strong> moderna civiltà europea poi<br />

edificata anche dagli altri imperatori tedeschi, non i carolingi. Appare evidente, anche da<br />

questo passaggio <strong>la</strong> valenza contemporaneistica del disegno storiografico del Giambul<strong>la</strong>ri in<br />

cui passato e presente sembrano avere più di un contatto del tutto fortuito. Anche perché <strong>la</strong><br />

devastazione soltanto parziale di Basilea compiuta dagli Ungheri appena usciti dall’Alsazia<br />

consente all’autore una celebrazione del<strong>la</strong> sua ricchezza e bellezza contemporanea correl<strong>la</strong>ta<br />

ad una digressione sul<strong>la</strong> sua <strong>storia</strong> e sul suo sviluppo attinta dal Renano. Anche se il<br />

Giambul<strong>la</strong>ri rispetto al<strong>la</strong> prosa del Renano cambia l’ordine dei passaggi in questione<br />

mantenendone però inalterata <strong>la</strong> logica e <strong>la</strong> sostanza. Una sostanza che come le parole del<br />

Renano attestano par<strong>la</strong> tedesco, in perfetta linea con quanto sinora riscontrato e sostenuto.<br />

Nel<strong>la</strong> riproposizione del<strong>la</strong> nascita e del<strong>la</strong> <strong>storia</strong> del<strong>la</strong> città come narrate dal Renano,<br />

Giambul<strong>la</strong>ri aggiunge secondo quanto risulta dal confronto due espliciti elogi al<strong>la</strong> Basilea<br />

contemporanea, che accentuano ulteriormente <strong>la</strong> già positiva immagine offerta nel racconto<br />

del<strong>la</strong> sua crescita e dal<strong>la</strong> sua floridezza. Dal Renano. Basilea dunque, emblema dei progressi,<br />

del<strong>la</strong> forza dello splendore dell’Europa imperiale germanica contemporanea, nonché città<br />

835 Storia, cit., passo alle pp. 171-172.<br />

836 Vedi supra alle cap. II <strong>prima</strong> parte pp. 38-39.<br />

173


simbolo dell’umanesimo europeo di stampo erasmiano di cui ovviamente il Renano è<br />

esponente e fautore:<br />

“Spogliata e guasta <strong>la</strong> Alsazia, si<br />

accamparono a Basilea; città oggi veramente<br />

ricca e magnifica, ma che allora veniva suso,<br />

e cominciava alquanto a distendersi. Con ciò<br />

sia che, dopo <strong>la</strong> inondazione generale de gli<br />

alemanni da noi detta nell’altro libro,<br />

essendo già abbattuta e distrutta Augusta de’<br />

Raurici, le nuove genti de <strong>la</strong> vecchia<br />

Germania usicte non cercarono più di rifar<strong>la</strong>,<br />

come luogo da loro odiato, ed in oltre non<br />

tanto comodo a’l condurvi le robe quanto il<br />

lito vicino al fiume: ma fermatesi lungo due<br />

torri vecchie, edifizi forse romani, in su lo<br />

stesso passo del Reno, e che ancora a dì<br />

nostri vivono, l’una in capo del ponte, l’altra<br />

poco lontana deputata a l’uso del sale, donde<br />

pare che el<strong>la</strong> abbia il cognome, cominciarono<br />

dappoco dappoco a farvi delle casette,<br />

primieramente da barcaruoli e da<br />

albergatori, e nello ultimo da mercanti, che<br />

d’ogni luogo vi concorrevano. E in questa<br />

maniera, perduta ed estinta in tutto non che<br />

<strong>la</strong> stanza di Augusta, ma <strong>la</strong> memoria, gli<br />

uomini a questo nuovo ricetto moltiplicando,<br />

e tirandovi tutto il buono che di altronde<br />

cavare potevano, lo augumentarono sì<br />

fattamente, che di semplice borgo divenuto<br />

<strong>prima</strong> castello, indi terra ed appresso città<br />

grossissima, si mostra oggi tanto magnifico e<br />

così bello, che molti si pensano il nome di<br />

Basilea cioè Reale, esser dato a questa città o<br />

dal<strong>la</strong> nobiltà e magnificenza degli edifizii, o<br />

da Arrigo re che, secondo il credere di<br />

alcuni, anticamente le diè principio; avvenga<br />

che l’una e l’altra etimologia non sia vera,<br />

essendo el<strong>la</strong> Passilea, e non Basilea, da’l<br />

passaggio quivi del<strong>la</strong> acqua, e non da’l re o<br />

da’l regno, come aperto mostra il Renano.” 837<br />

“Ego longe aliam opinionem de Basilea<br />

habeo. Nam puto Basileam dictam…non quod<br />

a rege Henrico condita sit, sed a traiectu<br />

quem lingua Romanensis, hoc est Gallica<br />

passim, vocat. Unde etiam Bassel<strong>la</strong><br />

Mosel<strong>la</strong>nica quam vulgo Passel appel<strong>la</strong>mus,<br />

sibi nomen vendicavit, ut sit dicta Basilea<br />

quasi Passilea. Traiectum esse enim hoc loco<br />

fuisse verisimile est etiamdum stante Augusta,<br />

quod hic propter vallem per quam torrens e<br />

Birsa ductus fluit, ripa sit humilior, et ob<br />

multas causas ad transitum aptissima, apud<br />

Augustam autem prorsus abrupta. Proinde<br />

consentaneum est hic transmittere solitos<br />

quibus cum Rauricis res esset, ut<br />

Germanorum, Tacito teste, et dubio procul<br />

postea Alemannorum, in ripa tantum<br />

commercium. Huc facit, quod in Olinone<br />

perpetuum praesidium habebat Dux Sequanici<br />

tractus, non tam ob defensionem provinciae,<br />

quam ad tuendum istum precipue traiectum,<br />

ad quem locus ille recta respondet, Antiquam<br />

vil<strong>la</strong>m exiguum viculum attingens, et nunc<br />

prorsus sylvescens/ retento tamen nomine. Et<br />

quia munimento opus habebat traiectus<br />

adversum Germanos, et mox Alemmannos,<br />

ideo duo propugnace<strong>la</strong> erexere Romani,<br />

quorum fundamentis turres istas duas<br />

impositas credo quas hodie videmus, alteram<br />

in capite pontis, alteram paulo inferius a sale<br />

hodie nomen habentem quod in ea asservatur.<br />

Iam post triumphabundam il<strong>la</strong>m<br />

Alemannorum in Galliam immigrationem,<br />

primum domus utrinque edificate sunt<br />

navicu<strong>la</strong>riorumque et pandochiorum, initium<br />

futurae duobus oppidis. Mox vero locus<br />

frequentior coepit, ut etiam mercatores illic<br />

habitarent, nm circa omnis generis hominum<br />

turba confluire solet.” 838<br />

Comunque nonostante <strong>la</strong> furia ungara e l’incendio, <strong>la</strong> città non riceve un danno irreparabile<br />

secondo quanto Giambul<strong>la</strong>ri ricava dall’opera di un altro autore del XVI secolo di origine e<br />

cultura germanica, il De Germanorum <strong>prima</strong> origine, moribus, institutis…di Hulderic<br />

Mutius 839 . La stessa attenzione posta dal canonico <strong>la</strong>urenziano al destino del<strong>la</strong> città che riesce<br />

837 Storia, cit., passo alle pp. 172-173.<br />

838 Rerum Germanicarum, cit., passo alle pp. 138s1-139s2.<br />

839 De Germanorum <strong>prima</strong> origine, moribus, institutis, legibus et memorabilibus pace et bello gestis omnibus<br />

omnium seculorum usque ad mensem Augustum anni trigesimi noni supra millesimum quingentesimum, libri<br />

Chronici XXXI ex probatioribus Germanicis scriptoribus in Latinam linguam trans<strong>la</strong>ti, autore H. Mutio,<br />

174


a sopravvivere e a riprendersi rapidamente dall’espugnazione ungara costituisce un ulteriore<br />

segnale del partico<strong>la</strong>re rilievo che questi passaggi assumono nell’economia del<strong>la</strong> Storia.<br />

Senza contare il fatto che <strong>la</strong> fonte di riferimento del Giambul<strong>la</strong>ri, il Muzio ha una chiara<br />

propensione germanica già manifestata nel<strong>la</strong> lettera noncupatoria. L’autore tedesco dichiara di<br />

voler perseguire con il suo scritto un intento chiarificatore delle imprese e del<strong>la</strong> grandezza<br />

germanica messe in ombra dalle carenze riscontrate nelle fonti greco-<strong>la</strong>tine. Anche questo<br />

autore è mosso da una pulsione celebrativa che lo porta al<strong>la</strong> traduzione in <strong>la</strong>tino delle qualità e<br />

delle gesta di questo popolo registrate in lingua tedesca dagli autori germanici 840 .<br />

Sul<strong>la</strong> falsariga del Muzio scrive il Giambul<strong>la</strong>ri:<br />

“Era adunche in su’l crescere, quando gli<br />

Ungheri, espugnata<strong>la</strong> per viva forza, <strong>la</strong><br />

spogliarono e de le robe e de gli abitanti, e<br />

attaccato il fuoco in più luoghi, <strong>la</strong><br />

abbandonarono per deso<strong>la</strong>ta. Ma non ebbe<br />

effetto il nimico pensiero di quelli; perché il<br />

fuoco dopo <strong>la</strong> lor partita, venendo manco per<br />

sé medesimo, non le fece notabil danno.<br />

Entrati appresso nel<strong>la</strong> Lottaringhia, in parte<br />

oggi detta Loreno, corsero <strong>la</strong> maggior parte<br />

di quel paese atterrando co’l ferro e co’l<br />

fuoco tuttociò che e’ trovarono debole. Il che<br />

fecero ancora in Francia, secondo che scrive<br />

il Muzio…” 841<br />

“Ex Svevia vertuntur in Rauracorum agrum<br />

ubi Basileam, quae urbs felicissime crescebat,<br />

vastatam et direptam incendunt, sed<br />

discendentibus hostibus ignis exstinctus est,<br />

neque multum dedit damni. Inde progressi in<br />

Lotharingiam pervenerunt, in cuius agris<br />

nullum aedificium erectum passi sunt omnia<br />

solo aequant.” 842<br />

Rispetto al<strong>la</strong> buona condizione generale di Basilea, molto diversa appare invece <strong>la</strong><br />

situazione del<strong>la</strong> Francia guastata dagli Ungheri e dalle malversazioni dei baroni sulle rendite<br />

dei vescovadi e dagli appettiti del duca Ruberto che cappeggia il malcontento nobiliare contro<br />

il debole governo di Carlo Il Semplice, come il Giambul<strong>la</strong>ri riferisce traendo prevalentemente<br />

ispirazione da Paolo Emilio:<br />

“Era per questi tempi una pessima<br />

consuetudine in tutto il regno di Francia, con<br />

i principi secu<strong>la</strong>ri, chiamando se stessi Abati,<br />

si pigliavano, quasi come in un feudo, le<br />

badie più grasse e migliori; e dando ai<br />

monaci ed a agli abati veri, da loro chiamati<br />

Decani, so<strong>la</strong>mente il vittoe ‘l vestito, si<br />

appropriavano tutte l’entrate…e le<br />

consumavano…ne’ soldati[…]Ma Carlo<br />

ragunato un concilio, dichiarò che le cose de’<br />

vescovadi non si potessero toccare, ma<br />

fussino interamente sacre e appartate…e<br />

desiderava di fare il medesimo di quelle de’<br />

“Summi proceres profani locupletissimorum<br />

cenobio rum opes beneficio Regum<br />

acceperant, ac monachis tantum in sumptum<br />

suppeditabant quantum necessarius usus<br />

postu<strong>la</strong>bat: ex eisque ipsi deligebant, qui non<br />

Abba (nam sibi nomen velut amplissimum<br />

arrogabat) sed decurio vocitaretur. Permultas<br />

aetates is mos tenuerat 844 . Iam Episcoporum<br />

iura invadebant. Simplex, coacto concilio,<br />

divitias Pontificum sanctas esse constituit.<br />

Coenobiorum libertas sanciri nondum<br />

poterat, quod eorum facultatibus Robertus<br />

magister equitum ac Hugo fratres militem<br />

Basileae apud Henricum Petrum, mense augusto, Anno MDXXXIX; d’ora in poi De Germanorum <strong>prima</strong><br />

origine.<br />

840 Ivi, Eustathio Quercetano summo Philosopho et medico H. Mutius, dove leggiamo: “et cum lingua notitiam<br />

rerum consequendi gratia diligenter meliores autores qui Germanorum res gestas Germanice scripserunt,<br />

conquirebas, in quibus ubi olfecisti, pro tuo exquisito iudicio, multa prec<strong>la</strong>ra esse et digna quae ad Graecos et<br />

Latinos transmittantur, rogabas me ut memorabilium ea quae aut omnino non, aut certe non tam bona fide<br />

neque tam c<strong>la</strong>re essent apud Latinos, transferrem in linguam Romanam.”<br />

841 Storia, cit., passo a p. 173.<br />

842 De Germanorum <strong>prima</strong> origine, cit., lib. XII, passo a p. 100n2.<br />

175


monasteri; ma <strong>la</strong> forza di chi le aveva già<br />

occupate, non <strong>la</strong>sciò toccare questa parte,<br />

perché Ugo e Ruberto, che avevano in mano<br />

<strong>la</strong> milizia, <strong>la</strong> pascevano di queste entrate.<br />

[…]Queste e le altre malevolenze del re<br />

considerando il duca Ruberto…cominciò con<br />

alcuni suoi a tracciare di levare il reame a<br />

Carlo…” 843<br />

alebat, ac iam cum factionis suae hominibus<br />

occupare Regni ius contendebant.” 845<br />

Nel<strong>la</strong> lotta che si svolge tra Carlo e Ruberto si conferma ulteriormente <strong>la</strong> centralità di Arrigo<br />

di Sassonia che mantiene rapporti leali con Carlo il Semplice e rifiuta di aderire al<strong>la</strong> congiura<br />

nonostante le offerte di Giselberto, secondo quanto ricavato da un lungo passo di Ekkerardo:<br />

“Arrigo duca di Sassonia, ancora che non<br />

suggetto né obbligato, era venuto<br />

amichevolmente a <strong>la</strong> città di Aquisgrana ad<br />

una dieta del re Carlo; e aspettando già<br />

quattro giorni (come il duca Ruberto e molti<br />

altri) avanti a <strong>la</strong> camera di esso Carlo, o di<br />

essere intromesso là dentro o che il re si<br />

<strong>la</strong>sciasse vedere fuori, non so<strong>la</strong>mente non fu<br />

ammesso al<strong>la</strong> sua presenzia, ma né gli fu<br />

risposto eziandio ad ambasciata che fusse<br />

fatta. La qual cosa vedendo Arrigo, e<br />

dispiacendoli fieramente si partì senza altra<br />

licenzia; e rivoltosi a circostanti, disse in<br />

modo che e ‘ fu sentito: “O che Aganone<br />

regnerà qualche volta con Carlo; o che Carlo<br />

con Aganone qualche volta rovineranno.” Di<br />

questa partita di Arrigo si turbò ma<strong>la</strong>mente<br />

Carlo; e conoscendo avere fatto male, mandò<br />

subito dopo lui Erineo arcivescovo Redense a<br />

fare infinite scuse, e a pregarlo con ogni in<br />

stanzia che e’ dovesse tornarea<br />

corte…Arrigo, per <strong>la</strong> benigna natura sua,<br />

<strong>la</strong>sciò persuadersi dallo arcivescovo; e<br />

tornato a <strong>la</strong> corte fu onoratamente ricevuto<br />

da esso Carlo, ed ebbelo da indi innanzi<br />

quanto e’ volle familiare. A tutte queste male<br />

disposizioni si aggiunse per ma<strong>la</strong> sorte lo<br />

incitamento di Giselberto duca del<br />

Loreno[…]Dopo <strong>la</strong> morte del padre…il duca<br />

Regenero, avendo ottenuto egli lo stato che fu<br />

del padre, insuperbitone più del dover eper <strong>la</strong><br />

ma<strong>la</strong> natura sua, cominciò a cercare di<br />

nuocere; ma, come giovane e male accorto,<br />

“Est autem alius quidam Historiographus,<br />

tempora Caroli huius, cuius prae manibus<br />

habemus[…]Et post pauca : interea<br />

Galliarum urbibus ac oppidis firmiter<br />

obtentis, cum paschalis solennitas immineret,<br />

Aquisgrani pa<strong>la</strong>tio sese rex recipit. Huc ex<br />

omni Gallia principes confluunt: huc etiam<br />

mediocres multo favore veniunt: adsunt et<br />

duces, ex Saxonia quidem Heinricus, ex Gallia<br />

Rupertus. Quotidie secus sores regij cubicoli<br />

manent: quotidie eggressum regis a<br />

penetralibus au<strong>la</strong>e presto<strong>la</strong>ntur. Cum vero<br />

nullum eis a rege responsum per dies quatuor<br />

daret, Henricus id molestissimus ferens,<br />

dixisse fertur, aut Haganonem quandoque<br />

cum Carolo regnaturum, aut Carolum eum<br />

haganone ad rerum mediocritatem<br />

deventururum, indignansque inconsulto<br />

discessit. Quod rex moleste ferens, eum<br />

revocare cupiebat, et pro hacte<br />

metropolitanum Remensium Herineum<br />

dirigebat. Cuius lutulenta et amica oratione<br />

persuasus dux Heinricus, ad regem redit,<br />

multoque ambitionis honore ante eum<br />

admissus, in praecipuo gratiae loco<br />

familiarissime recipitur.<br />

Hac tempestate Regenherus vir nobilis,<br />

partium Caroli fidissimus tutor, finem vitae<br />

accepit, cuius exequijs Carolus interfuit:<br />

hisque peractis, Giseberto eius filio iam<br />

adulto, paternum honorem coram principibus,<br />

qui confluxerant, liberalissime contulit. Hic<br />

cum esset opibus et genere inclytus…satis<br />

843 Storia, cit., passo a p. 174.<br />

844 A questo passo allude il Giambul<strong>la</strong>ri quando richiama esplicitamente <strong>la</strong> diversa indicazione sull’inizio del<br />

fenomeno del Gaguin a p. 174 dove dichiara: “E se noi crediamo al Ganguino, gli autori ed inventori di così<br />

fatta usanza furono il predetto duca Ruberto ed Ugo il grande, altrimenti Parisiense, ancora che il par<strong>la</strong>re di<br />

Paolo Emilio accenni l’origine un poco più lontana.”<br />

845 De rebus gestis Francorum, cit., passo a p. 60hIIII.<br />

176


non <strong>la</strong> seppe guidare in modo che e’ non<br />

fusse tosto scoperto. Di questa malignità sua<br />

adiratosi Carlo…con prestezza fece uno<br />

esercito, e se ne venne contro al Loreno; dove<br />

non bastando <strong>la</strong> vista a’ popoli di<br />

contrapporsegli apertamente, si ritirarono<br />

per le città e per gli altri luoghi sicuri. Ma,<br />

Carlo, e col non offendergli, e con le<br />

promesse libere e <strong>la</strong>rghe, di <strong>la</strong>sciargli in quel<br />

modo medesimo che elli stavano sino allora,<br />

gli rassicurò di maniera, che non so<strong>la</strong>mente<br />

gli condusse a <strong>la</strong> voglia sua, ma gli armò<br />

contro di Giselberto. Il quale ritiratosi in<br />

Arburgo, castello fortissimo, che da una<br />

banda ha <strong>la</strong> Mosa, dall’altra il Gulo, fiumare<br />

amendue non minime, e da tutto il restante<br />

precipizii e balzi grandissimi, aspettava pur<br />

di vedere che espediente pigliasse il re,<br />

credendosi risolutamente che e’ dovesse<br />

tornarsi a casa. Ma veduto poi assediarsi e<br />

per acqua e per terra, e che ogni di si<br />

combatteva il castello e si stringeva di giorno<br />

in giorno; deliberò di non aspettare,<br />

giudicando molto più sicuro ogni altro<br />

partito che il venire a le mani di Carlo.<br />

Ca<strong>la</strong>tosi dunque una notte giù da le mura, e<br />

passato il fiume notando, si condusse al Reno<br />

finalmente con duoi compagni soli, e se<br />

n’andò in Sassonia a’l suocero; dove qualche<br />

anno stette in esilio…Arburgo, dopo <strong>la</strong><br />

partita di Giselberto, subitamente si diede al<br />

re; ed egl inisignoritosi…di tutto lo stato di<br />

Giselberto…E nientedimeno, dopo qualche<br />

anno ad in stanzia del duca Arrigo di<br />

Sassonia, perdonò Carlo a Giselberto, e<br />

ricevettelo nel<strong>la</strong> sua grazia; ma con questa<br />

condizione, che di tutto lo stato suo,<br />

distribuito dal re, come è detto, e’ non<br />

riavesse per allora se non quelle sole cose<br />

che si trovassino essere vacate per <strong>la</strong> morte<br />

de donatarii; e de’l resto aspettasse <strong>la</strong><br />

vacazione, perché il re non voleva in maniera<br />

alcuna rivocare le grazie, o annul<strong>la</strong>re quelle<br />

cose che aveva fatte. Accettò Giselberto <strong>la</strong><br />

condizione, e riebbe Traetto, Gulo,<br />

Caprimonte ed alcune altre città che si<br />

trovarono senza signori; e di quelle preso il<br />

possesso, cominciò a combattere or con<br />

questo or con quello possessore delle cose<br />

sue, tanto che finalmente a poco a poco<br />

846 Storia, cit., passo alle pp. 176-177.<br />

847 Chronicum…Uspergensis, cit., passo alle pp. CCXs3-CCXIs4.<br />

beatis, in nimiam prae insolentia temeritatem<br />

praeceps ferebatur, multaque pro abiectione<br />

regis moliebatur. Quo agnito Carolus a<br />

Celtica cum exercitu rediens, cum bellum<br />

pararet inferre Belgis, quorum dux erat<br />

Giselbertus, Belgae mox non in aperto cum<br />

Giselberto nisi sunt resistere, sed oppidijs ac<br />

municipijs sese recludunt propere. Ad quos<br />

rex legatos dirigens, promisit eis se omnia<br />

donaturum, si ad se confluerent, quae a<br />

Gisilberto prius in beneficio haberent. Quo<br />

capti mox ad regem per Sacramenta redeunt,<br />

et contra Giselbertum pariter confurgunt. Ille<br />

vero in oppido Harburg, quod hinc Mosa, et<br />

inde Gullo fluvijs val<strong>la</strong>tur, alias autem<br />

immani hiatu, multoque horrore veprium<br />

tutissimum videbatur, cum paucis tunc<br />

c<strong>la</strong>udebatur. Huc rex cum copijs properat<br />

obsidinem locat hinc et inde navalem, alias<br />

vero equestrem. Et cum violentius instaret,<br />

Giselbertus c<strong>la</strong>m per murum di<strong>la</strong>psus, fluvium<br />

enatando transmeavit, et cum duobus<br />

clientibus Rhenum, exu<strong>la</strong>turus, pertransiens,<br />

annis aliquot apud socerum suum Heinricum<br />

patrimonio exu<strong>la</strong>vit. Oppidani vero absque<br />

duce relicti, se subdiderant regi. Evoluto<br />

autem tempore, Heinricus egit apud regem, ut<br />

Giselbertus reciperetur in gratiam: ea tamen<br />

conditione, ut beneficijs, quae ipsi insolenter<br />

deduxerat, quaeque rex faventibus sibi postea<br />

contulerat, quamdiu possessores eorum<br />

viverent, careret, ea vero, quorum possessores<br />

per annos exilij sui excesserant, regis<br />

miseratione reciperet. Recepit itaque<br />

Traiectum, Iupi<strong>la</strong>m…Capremontem, quae a<br />

defunctis derelicta vacabant, caeteros vero<br />

qui sua habebant, ingenti cede vexabat, donec<br />

omnia sua recipiebat. Postea multa contra<br />

regem machinans, socerum adijt, ac plurimum<br />

regi adhaerere dissuasit, Celticam so<strong>la</strong>m regi<br />

sufficere posse afferens, Belgicam vero atque<br />

Germaniam rege alio plurimum indigere,<br />

unde ut ipse dux Heinricus creari rex non<br />

abnueret, multiplici permovebat suasione.<br />

Heinricus vero cum illicita eum suadere<br />

adverteret, dictis suadentis admodum restitit,<br />

et ut a nefarijs quiesceret, crebro<br />

admonuit.” 847<br />

177


iebbe tutto.Né diventò amico di Carlo…ma<br />

inimico capitalissimo…e veggendo non esser<br />

tale che ei potesse levargli il regno, tentò<br />

primieramente il suocero suo…mostrandogli<br />

<strong>la</strong> comodità che e’ ne aveva…ma ricusando<br />

fare questa cosa il buon duca Arrigo, e<br />

dannando<strong>la</strong> come ingiusta ed iniqua…” 846<br />

L’atteggiamento tenuto da Arrigo risponde ancora una volta ad una precisa istanza<br />

provvidenziale che determina <strong>la</strong> sconfitta di Roberto, nonostante <strong>la</strong> pochezza di Carlo.<br />

Quest’ultimo infatti è il legittimo erede di Carlo Magno. Tuttavia, traspare evidente <strong>la</strong><br />

disistima che circonda Carlo il Semplice nel<strong>la</strong> Storia vista l’enfasi con cui si sottolinea <strong>la</strong> ben<br />

diversa energia con cui Roberto conduce le sue truppe. I suoi soldati del resto vengono<br />

motivati in chiave antigermanica quale baluardo contro le aspirazioni di egemonia sui francogalli<br />

imputate ad Arrigo che sostiene Carlo. Notazione che evidenzia ulteriormente, sia <strong>la</strong><br />

preponderanza sassone, sia questo doppio piano imperiale e nazionale su cui si muove<br />

l’Europa. Un binario in cui evidentemente il Giambul<strong>la</strong>ri attribuisce preponderanza<br />

all’elemento germanico. Tutti motivi che il nostro trae chiaramente da Paolo Emilio, anche se<br />

in parte ampliati e rie<strong>la</strong>borati o proposti in un ordine diverso. Roberto pronuncia nel<strong>la</strong> Storia<br />

un discorso per spronare i suoi soldati, e <strong>la</strong> sua morte letta quale espressione di un decreto<br />

divino, viene nel testo dell’Emilio associata strettamente al<strong>la</strong> morte del vescovo Erineo che<br />

l’aveva incoronato re di Francia pochi giorni <strong>prima</strong>, morte invece non menzionata dal<br />

Giambul<strong>la</strong>ri:<br />

“Carlo, udito il nuovo tumulto…se ne venne in<br />

su <strong>la</strong> campagna, e con quel<strong>la</strong> gente che aveva,<br />

che erano per <strong>la</strong> maggior parte Fiamminghi e<br />

Todeschi, uscì gagliardo contro a Ruberto<br />

(poco avanti gran conestabile, ed allora da<br />

Erineo arcivescovo Remense<br />

solennissimamente coronato re), co’l quale<br />

erano tutti que’ Gallie que’ Franchi che non<br />

volevano sopportare in maniera alcuna che <strong>la</strong><br />

Francia avesse ad essere soggetta ad Arriigo<br />

ed al<strong>la</strong> Germania, come affermavano<br />

pubblicamente i nimici di esso Carlo, che egli<br />

aveva deliberato di sottometter<strong>la</strong>. Venutisi,<br />

dunque, a petto questi duoi eserciti vicino a<br />

Soisson di Ciampagne, città dagli antichi già<br />

detta Augusta Vessonum, subitamente furo a<br />

battaglia: perché <strong>la</strong> gente di Carlo, <strong>la</strong> quale,<br />

rispetto a <strong>la</strong> troppo rimessa e fredda natura<br />

del re, secondo Paulo Emilio, non aveva si<br />

può dir, capo, essendo ciascuno de’ soldati<br />

suoi e capitano e confortatore di sé medesimo,<br />

impetuosssimamente vi dette dentro. Il che<br />

fece <strong>la</strong> parte avversa, concitata dallo esempio<br />

e dalle belle parole di esso Ruberto,[…]Così<br />

diceva Ruberto; e ancora che <strong>la</strong> virtù sua, <strong>la</strong><br />

memoria di Oddone suo fratello, <strong>la</strong> morte<br />

dello avolo per difesa già del<strong>la</strong> Francia, <strong>la</strong><br />

“Franciae quoque domestica bel<strong>la</strong>, quorum<br />

consilia diu coacta fuerant, erupere. In<br />

Fulconis locum suffectus fuerat Hereus<br />

pontifex Rhemorum, non alienus a Roberti<br />

causa. Simplex ferox erat, quod Lotharingiam<br />

amissam tanto ex intervallo Francis<br />

recuperasset. Id summae gloriae gloriae<br />

ducebat, militique Lotaringo succinctus<br />

erat…Henricum Othonis Saxonum<br />

ducis…cum Franco Rege foedus icit, eique<br />

poscenti Germanorum copias auxilio misit<br />

contra adversariorum factionem:<br />

Germanisque magis quam suis sese credebat<br />

commitebatque Simplex. Ea res novam<br />

f<strong>la</strong>mmam invidiae apud Francos illi conf<strong>la</strong>vit,<br />

auxitque eam mox quod credebatur in<br />

animum induxisse, se Franciamque Henrico<br />

…subiicere, ne bello a Germanis vexaretur,<br />

sed eorum auxiliis, si opus esset, iuvaretur. Id<br />

vero universa prope Francorum nobilitas onn<br />

ferens, ad aemulum Regni Robertum studia<br />

viresque inclinavit. Consensu hominum<br />

permotus Herueus, eum inunxit. Miraculo<br />

mortalibus fuit quod die tertio ab ea<br />

inunctione obiit Archiepiscopus. Omen in<br />

Robertum vertit. Seulfus suffectus in<br />

Suessionum finibus in aciem descensum.<br />

178


solenne coronazione ancor fresca, e, quello<br />

che molto più stimavano coloro, il voler<br />

difendere <strong>la</strong> patria da <strong>la</strong> servitù che il re<br />

Carlo le procacciava, lo facessero<br />

sommamente degno di onore e di riverenzia,<br />

non però moveva egli molto i soldati suoi:<br />

perché vedendosi incontro il legittimo e giusto<br />

re, coronato <strong>prima</strong> che nato, ed uscito per<br />

dritta linea non so<strong>la</strong>mente di padre re, ma di<br />

tanti avoli imperatori, ed una ultima quasi<br />

reliquia di Carlo Magno, non potevano,<br />

ancora che per le false calunnie mortalmente<br />

lo disamassero, non temere e non reverire <strong>la</strong><br />

sua maestà. Per <strong>la</strong> qual cosa vedendosi<br />

Ruberto far poco frutto con le parole…<br />

cominciò tra primi, a far pruove maravigliose<br />

di sua persona, abbattendo, uccidendo…che<br />

bene avrebbe forse rivolti in fuga gli<br />

avversari o nimici suoi, se <strong>la</strong> divina giustizia,<br />

che punire lo volle de gli spergiuri, non gli<br />

avesse guidato e condotto a l’elmo uno<br />

incontro di <strong>la</strong>ncia…e per morto lo pose in<br />

terra.[…]Finita <strong>la</strong> sanguinosa<br />

giornata[…]Carlo, non capace per avventura<br />

di tanta felicità, non seppe usar <strong>la</strong> fortuna<br />

sua: perché non apprezzando forse il nimico,<br />

che si debbe sempre stimare, no attese a<br />

seguire avanti, ed a spigner con l’armi, quelli<br />

avversarii che e’ non poteva più guadagnarsi<br />

con le carezze…Anzi, voltosi tutto a mandar<br />

lettere ed ambasciatori a più gagliardi de<br />

nimici suoi, gli invitava e gli confortava…a<br />

quietarsi e vivere in pace[…]e dove, se e’<br />

fusse stato d’altra natura, assicurava questa<br />

vittoria a’ suoi discendenti il regno di<br />

Francia…” 848<br />

Pugnatum ut de Regnum par erat, cum pro<br />

Simplice F<strong>la</strong>ndri, Lotaringi, germani<br />

praeliarentur, pro Ruberto nuper Magistro<br />

equitum, nunc novo Rege, qui Francorum<br />

aegerrime ferebant Franciam a Germania,<br />

cui leges dedisset, iura petere. Cum altera<br />

pars sub Simplicis Regis signis, velut Duce<br />

careret, sibi quisque Dux adhortatorque erat,<br />

nec alterius imperium expectabat. Altera<br />

nimis ardentem Ducem habebat, et magis<br />

recentii Regii nominis quam vitae memorem.<br />

Maiestas in utroque sancta : in <strong>la</strong>tero, quod<br />

ante rex fuisset quam natus, quod patre ac tot<br />

maioribus augustos ortus, quod una esset<br />

reliqua Caroli Magni agnata soboles.<br />

Alterum commendabat recens sacrum, sua<br />

virtus, Odonis fratris memoria, avi mors pro<br />

Francorum rebus obita, ac causa belli in<br />

vulgo iactata, libertas, nomenque Francorum<br />

hactenus gentibus nobilissimum, ne Germanis<br />

Regibus, ne Augustis exteris serviret. Nec<br />

tunc fortuna Franciae rem ambiguam<br />

decrevit. Altera acies perpaucis militum<br />

desideratis, novum Regem suum dum<br />

acerrime ante signa pugnat, circumventum,<br />

amisit: alterius caedes ingens militum facta,<br />

Semplice Regi incolumi, qui unus petebatur.<br />

Id exitio Semplici fuit, quod sub<strong>la</strong>to aemulo,<br />

cum non haberent hostes pro quo Rege<br />

pugnarent, in morem victi animum demisit,<br />

quem potius bello vicisse videri velle<br />

oportuisset: oratoresque aliquanto post ad<br />

hostes, Hebertumque hostium principem misit<br />

prope supplices, ac alteros ad Henricum<br />

Germanorum Regem, qui Lotaringiam ei<br />

redderent, novaque auxilia peterent. […]” 849<br />

L’aperta condanna dell’atteggiamento di Carlo il Semplice prosegue nel<strong>la</strong> pagina seguente<br />

del<strong>la</strong> Storia attraverso un giudizio che Giambul<strong>la</strong>ri estende dal singolo a tutti i successori di<br />

Carlo Magno, a rimarcare, appunto, il proprio orientamento non certo filo-francese, dando<br />

piena evidenza all’estrema decadenza che colpisce <strong>la</strong> stirpe carolingia nei successori di Carlo<br />

Magno:<br />

“Ed è certo che di tutte le cose nostre avviene il medesimo che di noi stessi; i quali, dopo il<br />

nostro nascere al mondo, ancora che ei si consumi sempre il migliore, andiamo in un certo<br />

modo e crescendo e augumentando sino al mezzo del<strong>la</strong> età nostra; ed appresso<br />

apertissimamente già logorandoci e sminuendo, ci risolviamo poi finalmente in polvere e<br />

vento. E le cose nostre nascendo il più delle volte da’ principj deboli e bassi, si sollevano e<br />

ingagliardiscono appoco appoco; ma come ele sono al sommo dello arco,<br />

irreparabilissimamente danno <strong>la</strong> volta, e col tempo mancano in tutto. Il che per non cercar<br />

848 Storia, cit., passo alle pp.178-181.<br />

179


gli esempi di fuori, manifestissimamente si vide nel<strong>la</strong> stirpe di questo Carlo: essendo stato in<br />

Pipino il Grosso prudenza grande e molto valore; in Carlo Martello una invitta virtù eroica:<br />

nel re Pipino una quasi divinità; e in Carlo meritatamente chiamato Magno, uno animo<br />

capacissimo del<strong>la</strong> terra tutta e del cielo. E qui si ferma il colmo dello arco. Perché Ludovico<br />

Pio fu minore assai di suo padre; e Carlo Calvo più vicino ancora al<strong>la</strong> lode che al biasimo; il<br />

Balbo non si vede appena che e’ fusse vivo; e nel Semplice sopraddetto mancò veramente in<br />

tutto il valore…” 850<br />

A questo punto, l’autore ritorna ai conflitti in corso tra gli Anglo-Sassoni, gli altri popoli<br />

britannici e i Dani, tutt’altro che p<strong>la</strong>cati nonostante <strong>la</strong> tregua conclusa da Adovardo e che<br />

hanno impedito di sostenere fattivamente Carlo il Semplice. Il decisivo scontro con i Dani e<br />

l’immagine di un’Inghilterra finalmente pacificata e rinnovata dal suo sovrano sotto il profilo<br />

religioso e legis<strong>la</strong>tivo sono attinti da Polidoro Virgilio, sebbene Giambul<strong>la</strong>ri rispetto al testo<br />

di partenza, attui un’inversione, posticipando <strong>la</strong> vicenda di Egina moglie del re e madre di<br />

Adelstano, rispetto ai provvedimenti assunti in materia religiosa da Adovardo e al<strong>la</strong> piena<br />

sintonia raggiunta col pontefice dopo l’iniziale distanza:<br />

“Perché durante <strong>la</strong> tregua…i Dani che<br />

malvolentieri <strong>la</strong> osservavano, non per voglia<br />

ma per forza stavano in pace, non potendo<br />

uscire in campagna per <strong>la</strong> gran carestia del<br />

vivere; e attendevano segretamente a<br />

procacciarsi nuovi compagni, ed a<br />

provvedersi il più che e’ potevano di ciò che<br />

loro pareva a proposito, per al maturare delle<br />

biade potere da capo rifare <strong>la</strong> guerra. La qual<br />

ma<strong>la</strong> disposizione conoscendo il re Adovardo,<br />

non aspettò che e’ fussino i primi; anzi<br />

entrato in Nortumbria con esercito molto<br />

grosso, dette il guasto a tutto il contado; e<br />

predando ed ardendo il paese, gli costrinse a<br />

stare in cervello, e ad avere di grazia <strong>la</strong> pace.<br />

E sollecitò Adovardo, quanto e’ poteva,<br />

sapendo per veri avvisi <strong>la</strong> guerrabche da una<br />

altra parte del<strong>la</strong> iso<strong>la</strong> gagliardamente gli<br />

apparecchiava Erico, il re di quegli Angli che<br />

si chiamano Orientali…con ciò sia che costui<br />

come Dano, marrito a o di tutti gli<br />

Anglesi, attendeva segretamente a marrito<br />

donde e’ poteva Normanni e Dani di nuovo, e<br />

a fornirsi bene di soldati, per potere<br />

cacciandone gli Angli, insignorirsi di tutta<br />

l’iso<strong>la</strong>. Ma facendo le cose nell’ultimo troppo<br />

scoperte senza prudenzia alcuna, Adovardo<br />

che lo sapeva, pacificatosi co’ Nortumbri, ed<br />

avuti da loro gli statichi, se ne venne nel<br />

regno di Erico; e guastandoli non so<strong>la</strong>mente<br />

le ricolte…lo costrinse a fare <strong>la</strong> giornata. La<br />

quale fu a’ Dani molto dannosa:<br />

perché…Erico, superato e rivolto in fuga, non<br />

849 De rebus gestis Francorum, cit., passo a p. 61hV.<br />

850 Storia, cit., passi alle pp. 178-181.<br />

“Interea frumentum propter siccitatem,<br />

angustius provenerat, id quod in causa fuit,<br />

cur ne statim inducie a Daco vio<strong>la</strong>tae sint, qui<br />

tamen interim quietis impatiens solicitabat<br />

finitimos ad bellum faciendum, cum ijs<br />

secreta consilia continenter conferendo. Cui<br />

futuro periculo Edovardus obviam eundum<br />

ratus, repente in Northumbros movit,<br />

popu<strong>la</strong>toque agro, tot damna intulit, ut inde<br />

ultro in officio permanserint. Imminebat<br />

praeterea ex altera parte bellum ab illis, qui<br />

Orientalibus Anglis praeerant, quorum rex<br />

erat Ericus. Is Angelico nomini infectissimus,<br />

alios Dacos in societatem belli adducere<br />

secreto studebat, quo iunctis armis, simul<br />

Anglorum opes uno tempore tererent.<br />

Caeterum cum omnia ab eo temere fierent,<br />

interim Edovardus eius insidias praeveniens,<br />

fines regni ingressus, agrum multo<br />

crudelissime devastat. Dacus qui iam suos in<br />

armis habebat, ira pariter atque ulciscendi<br />

cupiditate ardens, preceps in hostem fertur.<br />

Ita pugnam ferociter conferunt, quae ut a<br />

Daco temere inita, ita exitu ca<strong>la</strong>mitosa fuit,<br />

post tetram suorum eadem. Ericus nullo fere<br />

negozio victus fugatusque est, quem mox ob<br />

eam odiosam, funestamque p<strong>la</strong>gam acceptam,<br />

crudelius solito imperantem ipsi Orientales<br />

Angli saevo dominatu irritati interfecerunt.<br />

Nec perinde illis hoc factum bono fuit, ut fore<br />

putarant, quando brevi post tempore viribus<br />

debilitati, in Edovardi potestatem venire<br />

compulsi sunt. […]Edovardus Orientalium<br />

180


potendo sfogare <strong>la</strong> rabbia ne’ suoi nimici, <strong>la</strong><br />

rivolse ne’ suoi suggetti, contro a’ quali<br />

crudelissimamente portandosi, fu da loro<br />

finalmente ucciso. Il che fu <strong>la</strong> rovina loro, e <strong>la</strong><br />

deso<strong>la</strong>zione di quel regno, ridusse fra poco<br />

tempo tutta <strong>la</strong> Mercia in sua potestà: perché,<br />

essendo mancato di vita il suo cognato<br />

Eltelredo signore de Merci, senza aver<br />

<strong>la</strong>sciato figliuoli, Elfreda moglie di quello e<br />

sorel<strong>la</strong> di Adovardo, dopo lo aver governato<br />

un pezzo i suoi popoli con gran giustizia,<br />

<strong>la</strong>sciò il tutto al re Adovardo. Il quale dopo<br />

questo legato, impadronitosi di tutto il<br />

restante de’ Merci, fu il primo re di<br />

Inghilterra che i sette regni de gli Angli<br />

riducesse in un corpo solo, eccetto però<br />

quel<strong>la</strong> parte che rimase ancora a’ Nortumbri.<br />

Pacificato…tutto il reame, il re Adovardo si<br />

rivolse a fare nuove leggi: le quali se ben<br />

furono utili e sante, furono levate pure da’<br />

Normanni…Edificò eziandio <strong>la</strong> rocca di<br />

Betfordia, fortissima per <strong>la</strong> natura del luogo e<br />

per <strong>la</strong> maniera del<strong>la</strong> muraglia. Rivolsesi<br />

ancora al<strong>la</strong> cura del<strong>la</strong> religione, non tanto<br />

per voglia sua, quanto per le minacce di papa<br />

Giovanni Decimo: il quale sapendo che <strong>la</strong><br />

religione cristiana raffredava sinistramente<br />

fra gli Inglesi occidentali per non vi essere<br />

vescovo alcuno che mostrasse <strong>la</strong> via d’Iddio,<br />

e che questo avveniva per <strong>la</strong> marrito a del<br />

re, che datosi tutto al<strong>la</strong> guerra, non so<strong>la</strong>mente<br />

non procurava che le chiese avessero i<br />

vescovi, ma impediva eziandio i sacerdoti da<br />

<strong>la</strong> esecuzione dello ufizio loro; sapendo, dico,<br />

questi disordini, si turbò gravemente, come al<br />

grado suo si apsettava, ed aspramente con le<br />

lettere ne riprese il re, minacciandolo se e’<br />

non faceva tornare i vescovi a le lor chiese,<br />

che dichiarerebbe scomunicato e nimico del<strong>la</strong><br />

santissima religione e lui stesso e tutto il<br />

regno. De <strong>la</strong> qual cosa vergognandosi il re<br />

fortemente, operò con Plermondo arcivescovo<br />

di Canterbeia, che raccolto un concilio<br />

provinciale, rassettasse il culto divino, e<br />

creando que’ vescovi che mancavano, li<br />

mandasse a le chiese loro. Il che<br />

pienissimamente eseguito… volle che lo<br />

arcivescovo andasse a Roma a scusarlo col<br />

santo Padre…e così fu fatto. Appresso,<br />

mancatagli già <strong>la</strong> primiera donna, de’ <strong>la</strong><br />

851 Storia, cit., passo alle pp. 182-184.<br />

852 Anglicae Hi<strong>storia</strong>e, cit., passo alle pp. 107-108k1, lib. VI.<br />

Anglorum regno potitus, Merciai deinde<br />

omnem in suam potestatem redegit: vita enim<br />

funto Ethelredo, qui Mercijs praefuerat, sine<br />

liberis, Elfreda eius uxor non minus iuste<br />

quam prudenter aliquot annos Merciai rexit:<br />

qua morta, Edovardus Merciai reliquam<br />

recepit. Per hunc demum modum, is rex fines<br />

regni ita propagavit, ut iam preter Scotiam,<br />

totius insu<strong>la</strong>e imperium obtineret, licet penes<br />

Dacos, in Northumbria, aliquid adhuc<br />

ditionis esset. […]Edovardus ad extremum<br />

pacato iam regno, le gibus condendis maxime<br />

studuit, quae etsi salutares erant, apud<br />

posteriores tamen facile antiquatae sunt.<br />

Construxit arcem prope Bedfordiam, opere et<br />

loci munitissimam. Genuit ex Edgina puel<strong>la</strong><br />

forma eleganti, filium nomine Adelstanum,<br />

qui eius successor fuit. Est opere praecium, si<br />

statis vulgo facere volumus, qui prodigijs<br />

delectatur, apposite subijcere praesagium,<br />

quo Edgina puel<strong>la</strong> spem conceperat, gignendi<br />

filium, qui quandoque esset regnaturus:<br />

somniavit enim ex utero suo lunam exortam,<br />

quae totam Angliam pleno lumine illustraret.<br />

Id quod cum quidam matronae narrasset, il<strong>la</strong><br />

non aspernata somnium, quod postea eventu<br />

mirabili extitit, puel<strong>la</strong>e obscuris natae<br />

parentibus, bonis educandi moribus curam<br />

suscepit. Hanc itaque iam viro maturam<br />

Edovardus cum forte vil<strong>la</strong>m quandam animi<br />

causa peteret, conspicatus, eiusque repente<br />

forma captus compressit, ex qua, ut dictum<br />

est, Adelstanum genuit. Item ex Elfreda uxore<br />

postmodum liberos virilis sexus suscepit<br />

Etheluardum et Eduinum, qui statim post eius<br />

obitum, vita excesserunt : foeminas<br />

vero…Edgina seu Elgina locata est Carolo<br />

Semplici francorum regi, et Editha Sithrico<br />

northumbrorum regulo. Sustulit Edovardus ex<br />

altera uxore nomine Edgina filios duos,<br />

Edmundum, et Eldredum, qui deinceps post<br />

Adelstanum regnarunt. Per idem temporis,<br />

Christiana pietas multum apud Occiduos<br />

Anglos frigescebat, quia nullius in ea regione<br />

erat episcopus, qui populum doceret, eiusque<br />

rei culpa in rege residebat, quod per eum, qui<br />

magis bello, quam rei divinae inserviret, non<br />

liceret sacerdotibus suo ufficio fungi. Qua re<br />

Ioannes decimus pontifex Romanus valde<br />

commotus, per literas Edovardum vehementer<br />

181


quale ebbe due figliuoli…e sei figliuole, che<br />

l’una fu moglie di Carlo il Semplice e un’altra<br />

di Aitrico re de’ Nortumbri; si ammogliò <strong>la</strong><br />

seconda volta, e generò Emondo e Eldredo,<br />

che regnarono dopo Adelstano[…]Egina,<br />

fanciul<strong>la</strong> povera e di condizione molto bassa,<br />

ma bel<strong>la</strong> e tenera ancora di età, sognò che dal<br />

corpo suo nasceva una luna, <strong>la</strong> quale piena di<br />

luce, illuminava tutta Inghilterra. Il che<br />

narrando el<strong>la</strong> semplicemente ad una matrona,<br />

colei non si facendo beffe de’l sogno, si<br />

dispose insegnarle costumi buoni e maniere<br />

nobili e grandi…allevando<strong>la</strong> dunque con<br />

questi modi, accadde che essendo <strong>la</strong> fanciul<strong>la</strong><br />

già da marito ì, e bellissima fra tutte l’altre, il<br />

re Adovardo trovandosi un di in su <strong>la</strong> caccia<br />

marrito da cacciatori, capitò per sorte a <strong>la</strong><br />

vil<strong>la</strong> dove el<strong>la</strong> stava; e veduta<strong>la</strong>, e piaciutagli<br />

sommamente, se ne accese fuori di misura.<br />

Per il che arrecata<strong>la</strong> a’ suoi piaceri ne<br />

acquistò il detto Adelstano.” 851<br />

castigavit, minatusque est, se illum unam cum<br />

populo, religionis hostem denunciarunt, nisi<br />

mature accersiret episcopos, qui pristinam<br />

religionis disciplinam servandam curarent.<br />

Quod ubi rex intellexit, negligentiam risarcire<br />

studens, ita egit cum Pleimundo Cantuariensi<br />

archiepiscopo, qui Athelredo post annum<br />

quam sedere coeperet decimumoctavum, vita<br />

funto, paulo ante successarat, ut ille<br />

conventum fecerit, in quo plures episcopi<br />

creati sunt, qui dioceses regerent. Postea<br />

Pleimundus vir doctrina et vitae integritate<br />

c<strong>la</strong>rus, facti purgandi causa Romam<br />

profectus, pontificem p<strong>la</strong>cavit.” 852<br />

Nelle pagine successive l’autore cambia decisamente scenario storico e geografico<br />

ritornando all’impero d’oriente. Tuttavia, il canonico <strong>la</strong>urenziano si dilunga sulle vicende<br />

bizantine nel<strong>la</strong> misura in cui esse spiegano le dinamiche politico-militari europee e<br />

precipuamente italiane in re<strong>la</strong>zione al problema saraceno. La stessa ampia digressione sui<br />

successori di Leone V, in cui Bisanzio viene di nuovo rappresentata in versione non idilliaca,<br />

quale corte degli intrighi è funzionale in questo senso a dimostrare l’impotenza e <strong>la</strong> debolezza<br />

dell’Impero d’Oriente. Impero ma<strong>la</strong>mente governato da Alessandro successore di Leone, tutto<br />

intento ai piaceri del<strong>la</strong> carne e intenzionato ad estromettere l’infante Costantino dal trono.<br />

Progetto quest’ultimo che non si realizza, sia per lo scoppio del<strong>la</strong> guerra con i Bulgari, sia per<br />

<strong>la</strong> morte di Alessandro provocata dai suoi eccessi. Costantino, tuttavia, recupera solo per<br />

breve tempo il potere imperiale <strong>prima</strong> del nuovo accantonamento subito ad opera di Romano<br />

Lacapeno 853 divenuto ammiraglio del<strong>la</strong> flotta imperiale in modo del tutto fortuito come risulta<br />

dal racconto del<strong>la</strong> sua ascesa tratto da Liutprando:<br />

“Questo ammiraglio, per quanto ne gli<br />

scrittori se ne vegga, aveva nome Romano<br />

Lacapeno, ed era nato in Armenia d’una stirpe<br />

si bassa e vile e, oltre a questo cotanto<br />

povera[…]<strong>la</strong> fortuna…lo fece con altre ciurme<br />

venire a servizio delle galee sotto Leone<br />

Filosofo…Dove portandosi molto bene per lo<br />

ufizio che aveva a fare, e mostrandosi ardito e<br />

di ingegno, venne in grazia al suo capitano, e<br />

per quello agl ialtri maggiori e finalmente allo<br />

imperatore…Durando <strong>la</strong> guerra co’ Saracini,<br />

fu inviato costui di notte e segretamente a<br />

scoprire il nimico esercito…e nello andare a<br />

questa faccenda, mentre che egli attraversava<br />

853 Storia, cit., vedi pp. 184-190.<br />

“Imperante quoque Leone Costantini huius<br />

genitore, Romanus Imperator quanquam…id<br />

est, pauper, ab monibus tamen…id est, utilis<br />

habebat. Erat autem ex mediocribus ipsis qui<br />

navali pugna stipendia ab Imperatore<br />

acceperant. Qui quum sapieus et iterum…in<br />

pugna nonnul<strong>la</strong>, id est, utilia faceret, a sibi<br />

praeposito adeo honoratus est, ut primus<br />

navium fieri mereretur. Quadam autem<br />

nocte, dum Saracenos exploratum abiret,<br />

essetque in eodem loco palus, atque<br />

harundinetum non modicum, contigit leonem<br />

ferocissimum ex harundineto profilire,<br />

cervorumque multitudinem in paludem<br />

182


un pantano pieno di cannucce selvatiche, sentì<br />

uno strepito grande causato da un leone, che<br />

seguendo un branco di cervi per voglia di<br />

cibarsi, gli aveva cacciati in quel<strong>la</strong> palude.<br />

Ma Romano che non sapeva o vedeva questo,<br />

si immaginò che i nimici fussino là dentro per<br />

fare una imboscata, o qualch’altra astuzia di<br />

guerra. La onde tornato con celeritate a <strong>la</strong><br />

armata, e fattisi dare alcuni compagni, e una<br />

maniera di fuoco il quale abbrucia dentro<br />

nel<strong>la</strong> acqua e non si spegne se non con lo<br />

aceto solo, tacitamente lo condusse tra quelle<br />

canne, ed attaccatolo dove più gli parse a<br />

proposito si ridusse a <strong>la</strong> sua galea. Ritornato<br />

di poi…<strong>la</strong> seguente mattina per vedere se<br />

trovavano cosa alcuna da poterne fare<br />

conghiettura, vide come tutto il pantano era<br />

arso, eccetto che in luogo solo, dove non si era<br />

condotto il fuoco per avere forse il vento<br />

contrario. Per il che, dispostosi di vedere se<br />

colà dentro fusse qualcosa, impugnata <strong>la</strong><br />

spada, e con <strong>la</strong> cappa in su’l braccio,<br />

ragionando co’ suoi compagni, si accostò al<br />

luogo predetto. Era per avventura tra queste<br />

canne il leone che noi dicemmo, il quale non<br />

avendo forse altrimenti potuto fuggire il fuoco,<br />

si era ridotto dove non era giunta <strong>la</strong> fiamma,<br />

ed acceccato quivi dal fumo, vi si stava tutto<br />

rabbioso: ma sentendo par<strong>la</strong>r costoro, si gittò<br />

al suono del<strong>la</strong> voce. I compagni di Romano,<br />

veduto questo animale, subitamente fuggirono<br />

tutti, ma egli…gittata <strong>la</strong> cappa tra le branche<br />

al<strong>la</strong> fiera, e svoltatosi un po’ per un canto a<br />

darle <strong>la</strong> via, le tirò con <strong>la</strong> spada sì fattamente<br />

alle giunture di dietro, che non potendo il<br />

leone più reggersi, rimase a sedere in terra.<br />

La qual cosa vedendo i compagni, che se ne<br />

erano <strong>prima</strong> fuggiti, tornarono a finire di<br />

ucciderlo. E raccontando poi il tutto in nave,<br />

dove portarono il leone con loro, celebrarono<br />

sì fattamente <strong>la</strong> virtù di Romano, che lo<br />

imperadore non so<strong>la</strong>mente gli fece donativi<br />

grandi, e gli dette condotta ed onori non<br />

piccoli, ma sentendosi venire a morte, e<br />

<strong>la</strong>sciando il figliuolo ancor tenero al<strong>la</strong> tute<strong>la</strong><br />

di Alessandro, volle che tutta l’armata di mare<br />

fusse in arbitrio di costui solo: e così lo fece<br />

grande ammiraglio…persuadendosi…che non<br />

dovesse bramare lo imperio, anzi guardarlo<br />

854 Ivi, passo alle pp. 190-192.<br />

855 Liuthprandi, cit., passo alle pp. 260y4-261y5.<br />

856 Ivi, passo alle pp. 263-264y6.<br />

demergere, unumque eorum capere, sicque<br />

rabiem ventris mitigare…Id est, Romanus<br />

autem eorundem sonitum audiens, timuit<br />

valde. Putavit enim multitudinem<br />

Saracenorum esse, qui conspectum se fraude<br />

aliqua vellent perimere. Mane autem primo<br />

exurgens quuum diligentissime omnia<br />

consideraret, conspectis vestigijs, id est,<br />

confestim quid hoc esset agnovit. Leone<br />

itaque in harundineto acervuus harundinibus<br />

plenus, in quem leo confugiens, illo ab igne<br />

est salutatus. Ventus quippe contraria ex<br />

parte f<strong>la</strong>ns, ignem ne ad acervuum usque<br />

perveniret amovit. Romanus praeterea post<br />

ignis extinctionem, uno tantum cum assec<strong>la</strong><br />

ensem solum dextera, sinistra autem pallium<br />

gestans, locum omnem peregrans lustrat, si<br />

forte os ex eo vel signum aliquod reperiret.<br />

Iam vero quum in eo esset, ut nihil inveniens<br />

repedaret, quid hoc monstri esset quod<br />

acervus ille sit ab igne salvatus, studuit<br />

visere. Quumque duo prope assisteret,<br />

secumque rebus ex nonnullis fabu<strong>la</strong>rent, leo<br />

hos tantum audivit, quoniamquidem ob<br />

caligantes oculos…id est, ob fumus videre<br />

non potuit. Volens igitur leo animi sui<br />

feritatem quam ab igne coceperat, in hos<br />

evomere, saltu rapidissimo quam illorum<br />

voces audierat, inter eos prosilijt. Romanus<br />

vero, non ut suus assec<strong>la</strong> pavitans, sed ea<br />

potius mente consistens, ut etsi fractus,<br />

caderet orbis, impavidum ruinae ferirent,<br />

pallium quod manu gestabat, inter brachia<br />

misit. Quod dum pro nomine leo discerperet,<br />

Romanus hunc a tergo totis viribus inter<br />

clunium iuncturas ense percussit. Qui<br />

dissociatis divisisque cruribus quia stare non<br />

poterat, penitus cecidit. Leone igit interfecto,<br />

Romanus seminecem assec<strong>la</strong>m suum solo<br />

stratum eminus vidit, quem et vocare voce<br />

praecipua coepit. Sed quum nullum daret<br />

omnino responsum, idem Romanus propter<br />

eum astitit, pedesque pulsans, surge, inquit,<br />

miser. Qui confurgens prae admiratione dum<br />

leonis immanitatem conspiceret, non habuit<br />

ultra spiritum. Stupebant autem omnes de<br />

isto Romano haec audientes. Unde factum<br />

est, ut tam pro caeteris quam pro praec<strong>la</strong>ro<br />

hoc praesenti facinore non multo post a<br />

183


per Costantino, ed essergli fidelissimo<br />

sempremai per <strong>la</strong> mercè che gli aveva fatta.<br />

Ma Romano…dimenticatosi lo obbligo suo,<br />

fece coronare Cesare non solo sè medesimo,<br />

ma <strong>la</strong> moglie e tre suoi figliuoli, Cristofano,<br />

Stefano e Costantino; e di maniera seppe<br />

aiutarsi, che e’ fu quasi che imperaodore, anzi<br />

che egli usurpò lo stato al suo genero.” 854<br />

Leone Imperatore tanto donaret honore, ut<br />

omnes naves ipsius essent in manibus,<br />

eiusque iussionibus obedirent.[…]Leo<br />

denique Graecorum pijssimus<br />

Imperator…regni sui haeredem, Alexandrum<br />

fratrem germanum, unicumque filium<br />

Constantinum, qui nunc usque superest, et<br />

feliciter regnat, parvulum, …et infantem<br />

dereliquit. 855 […]Denique Romano<br />

imperatore costituto, Christophorum quem<br />

ante imperij dignitate habuerat, Imperatorem<br />

constituit. Post impij vero sui ordinationem<br />

uxor eius filium ei peperit nomine<br />

Stephanum. Rursus concepto foetu alium ei<br />

peperit nomine Constantinum. Quos omnes<br />

imperatores constituens, contra ius fasque et<br />

secum Christophorum primogenitum domino<br />

suo Imperatori Comnstantino porphyrogenito<br />

praeposuit…” 856<br />

Del resto, il negativo profilo di Romano, viene ulteriormente confermato dal<strong>la</strong> disastrosa<br />

condotta di guerra con i Saraceni in terreno asiatico. Questione “de <strong>la</strong> quale non ragiono<br />

altrimenti, per esser successa in Asia, cioè fuori di tutti i confini e termini a’ quali si al<strong>la</strong>rga<br />

<strong>la</strong> i<strong>storia</strong> nostra…” dichiara il Giambul<strong>la</strong>ri che ne evidenzia esclusivamente le tragiche<br />

ripercussioni propagatesi in Italia. Infatti, Romano spopo<strong>la</strong> Ca<strong>la</strong>bria e Puglia per ingrandire<br />

un esercito, poi distrutto dai Saraceni, provocando <strong>la</strong> ribellione delle due regioni contro<br />

Romano che chiama in suo soccorso addiritura il re dei Mori:<br />

“Venuta <strong>la</strong> pessima nuova di Ca<strong>la</strong>vria e per<br />

tutta <strong>la</strong> Puglia, oltre allo avere portato<br />

unversqalmente dolori e pianti per <strong>la</strong> morte di<br />

tante genti, el<strong>la</strong> vi recò eziandio sì grave<br />

sdegno contro a Romano, governatore dell<br />

oImperio greco, che facendosi beffe di lui…si<br />

ribel<strong>la</strong>rono finalmente, e non volsero più<br />

ubbidirlo. Romano turbato, di questa cosa,<br />

tentò con dolci parole di ridurli a lo antico<br />

giogo; ma veduto di perder tempo con<br />

lusinghe, e di non gli potere forzare con<br />

esercito, rispetto a <strong>la</strong> guerra d’Asia, scrisse ni<br />

Africa a’ l re de’ Mori, che per servizio suo<br />

volesse passare in Italia con tanto esercito<br />

che gli ricuperasse Puglia e Ca<strong>la</strong>vria, con<br />

questo che tutta <strong>la</strong> roba fosse de’ Mori, e <strong>la</strong><br />

terra so<strong>la</strong> de’ Greci. Il Moro, cupidissimo di<br />

guadagno, e nimicissmo de’ Cristiani, non<br />

apsettò farsi pregare. Anzi, adunata quel<strong>la</strong><br />

più gente che potette mettere insieme, se ne<br />

venne per mare in Ca<strong>la</strong>vria[…]arrivati i Mori<br />

in Italia, non so<strong>la</strong>mente predarono <strong>la</strong><br />

C<strong>la</strong>varia e <strong>la</strong> Puglia, vote (come si disse) di<br />

“Romanus (ut <strong>la</strong>tius sumus dicturi) cum<br />

Costantino qui nunc usque superest, leonis<br />

imp. Filio Costantinopolitanum regebat<br />

imperium. Et sicut fieri assolet, primo quo<br />

Romanus suscepit imperium anno, nonnu<strong>la</strong>e<br />

ei gentes, praesertim…, hoc est, orientales,<br />

visae sunt rebel<strong>la</strong>re. Factum est aut dum Imp.<br />

Exercitum ad espugnandas eas transmitteret.<br />

Apuliam et Ca<strong>la</strong>briam binas regiones quae ei<br />

tunc temporis serviebant, huic rebel<strong>la</strong>sse.<br />

Quumque Imp. Maximis orientem versus<br />

copijs directis exercitus huc multitudinem<br />

destinare non posset : rogavit primo ut sui<br />

fidelitatem pristinam sponte redirent. Qui<br />

quum renuerent, atque hoc se facturos minime<br />

dicerent, ad Aprhicanum mox Imp. Dirigit<br />

regem, eum precio rogans ut se adiuvet,<br />

virtutisque eius auxilio Apuliam sibi atque<br />

Ca<strong>la</strong>briam subdat. Hac ex legatione rex<br />

Aphricanus accitus, innumerabilis ratibus<br />

copias in Ca<strong>la</strong>briam Apuliamque direxit,<br />

binasque has regiones Imperatoris dominati<br />

potentissime subdidit. Sed dum processu<br />

184


gioventù, ma tutta <strong>la</strong> terra ferma che è tra le<br />

due marine, da <strong>la</strong> punta di Otranto insino a <strong>la</strong><br />

Campagna romana; e…si impadronirono<br />

d’ogni cosa…” 857<br />

temporis has regiones dimitterent, Romam<br />

versus aicem gyraverunt, montemque<br />

Garelianum maxima pro tuitione sibi<br />

vendicaverunt, multasque munitissimas<br />

civitates debel<strong>la</strong>ntes vi ceperunt.” 858<br />

La pressione e le incursioni dei Mori appaiono inarrestabili e si rive<strong>la</strong>no una continua fonte<br />

di problemi e turbamento per <strong>la</strong> peniso<strong>la</strong>, tanto da determinare l’alleanza tra il pontefice<br />

Giovanni X di Tausignano ed il principe di Capua. Un’alleanza che il Giambul<strong>la</strong>ri racconta<br />

sul<strong>la</strong> falsariga di Liutprando dopo aver sostanzialmente smentito sul piano delle fonti<br />

l’esistenza ed il tragico epilogo di un altro accordo nato in funzione antimoresca, tra il<br />

suddetto pontefice ed il marchese Alberigo di Toscana. Giambul<strong>la</strong>ri, infatti, contesta sul piano<br />

delle fonti che una volta vinti i Mori, Alberigo sarebbe stato cacciato da Roma dal pontefice e<br />

avrebbe chiamato gli Ungheri per vendicarsi di Giovanni X, opponendo alle versioni di<br />

P<strong>la</strong>tina e Biondo le asserzioni di Liutprando per le quali rinvia al IV libro del<strong>la</strong> sua Storia<br />

d’Europa. Inoltre, sotto il profilo squisitamente logico, il canonico sottolinea anche come il<br />

marchese di Toscana non avrebbe avuto certo bisogno del supporto militare degli Ungheri per<br />

prendere Roma e il pontefice 859 . Considerazioni che testimoniano ulteriormente, rispetto ai<br />

passi dedicati al marchese di Toscana Adalberto nel I libro, l’importanza non secondaria<br />

attribuita a questa regione.<br />

L’alleanza invece documentata appunto da Liutprando, elimina <strong>la</strong> presenza dei Mori<br />

dall’Italia. Nondimeno l’assetto del<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong> viene turbato da una nuova congiura ordita ai<br />

danni di Berengario che chiama in suo aiuto gli Ungheri, come Giambul<strong>la</strong>ri riporta<br />

attenendosi fedelmente per entrambe le vicende a Liutprando:<br />

“papa Giovanni predetto, collegatosi con<br />

Landolfo di Benvenuto, principe di Capua, e<br />

per consiglio suo mandato in Costantinopoli<br />

a chiedere soccorso a Romano per sanare il<br />

male ch’egli aveva fatto, ragunò un gagliardo<br />

esercito di Spuletini, Camerinesi, Toschi e<br />

Romani, e de genti che mandò il Greco, e<br />

personalmente andò a combattergli; e dopo<br />

una sanguinosa battaglia finalmente gli volse<br />

in fuga. Ma non potette già espugnargli,<br />

perché ritiratisi su nel monte, dal<strong>la</strong> naturale<br />

fortezza di quello aiutati, si difesero<br />

gagliardamente. I Greci, tenendosi più<br />

ingiuriati da questi Mori che nessuna delle<br />

altre nazioni, rispetto a lo essere stati traditi e<br />

spogliati del loro dominio, fermatisi a piè del<br />

monte, e dove era <strong>la</strong> salita manco difficile<br />

fabbricato un castello, vi tennero poi lo<br />

assedio sì lungamente…che i Mori o di fame<br />

o di ferro vi si morirono interamente, e si<br />

diedero prigioni e schiavi. E così finì questa<br />

peste.<br />

In questi tempi medesimi, o non molto avanti,<br />

essendo venuto a mancare il ricco marchese<br />

857 Storia, cit., passo a p. 194.<br />

858 Liuthprandi, cit., p. 247x4.<br />

859 Storia, cit., pp. 195-197.<br />

“Ioanne itaque…papa costituto, Landolfus vir<br />

quidam strenuus bellorum exercitio doctus,<br />

Benventanorum et Capuanorum omnium<br />

princeps c<strong>la</strong>rebat…Quod princeps ut audivit,<br />

papam per internuncios ita convenit[…]His<br />

auditis, papa confestim nuncios<br />

Costantinopolim dirigit, suppliciter<br />

Imperatoris auxilia sibi dare<br />

deposcens[…]Affuit et papa Ioannes cum<br />

Landolfo pariter Beneventanorum principe<br />

potentissimo, Camerinis etiam atque<br />

Spoletinis. Horrida denique inter eos pugna<br />

exoritur. Verum dum Christianorum partem<br />

Poeni praevalere conspicerent, in Gareliani<br />

montis summitatem confugiunt, angustasque<br />

tantum vias defendere moliuntur. Ex parte<br />

vero il<strong>la</strong> qua difficilior erat ascensus,<br />

Poenisque ad fugiendum aptior: Graeci<br />

castrum die il<strong>la</strong> constituunt, in quo residentes,<br />

Poenos ne fugerent observabant, quotidieque<br />

oppugnantes non mediocriter trucidabant.<br />

[…]Hoc in tempore Adelbertus thuscorum<br />

potens marchio morit. Filusque eius Vuido s<br />

Berengario rege marchio patris loco<br />

185


Alberto, signore di tutta Toscana, successe<br />

nel luogo suo il marchese Guido, suo<br />

primogenito, e fu confermato da’l re<br />

Berengario: ancora che pochi mesi di poi lo<br />

facesse prigione in Mantova, insieme con <strong>la</strong><br />

madre sua donna Berta, e tenesselo qualche<br />

tempo per levargli forse il dominio, come<br />

pare che accenni Liutprando. Ma, qualunque<br />

se ne fusse <strong>la</strong> causa, chèe non <strong>la</strong> ho vista<br />

specificata, lo ri<strong>la</strong>ssò finalmente libero, senza<br />

torli nul<strong>la</strong> de’l suo;[…]essendosi<br />

massimamente scoperto che il marchese<br />

Alberto di Ivrea, per lo addietro stato suo<br />

genero, e Oderico pa<strong>la</strong>tino, insieme con il<br />

conte Gilberto e messer Lamberto<br />

arcivescovo di Mi<strong>la</strong>no, macchinavano di<br />

ribel<strong>la</strong>rsi per <strong>la</strong> cagione che…Il Conte<br />

Oderico pa<strong>la</strong>tino, per alcuno demerito suo<br />

trovandosi in carcere di Berengario,fu dato<br />

da lui a guardia al predetto messer Lamberto;<br />

il quale, per avere speso eccessivamente in<br />

ottenere lo arcivescovado da Berengario,<br />

desideroso di riaversi e insanguinarsi, avuta<br />

<strong>la</strong> occasione del prigione, convenne con esso<br />

lui, che barattato le catene di ferro ad oro,<br />

ebbe i danari che e’ volse, e <strong>la</strong>sciassi fuggire<br />

il conte. Appresso, chiedendo poi Berengario<br />

il prigione, rispose questo santo arcivescovo,<br />

che non gli e lo poteva rendere senza grave<br />

suo pregiudizio, cadendo nel<strong>la</strong> irregu<strong>la</strong>rità<br />

qualunche religioso consentisse o intervenisse<br />

in alcuna cosa dove l’uomo perdesse <strong>la</strong> vita,<br />

come <strong>la</strong> perderebbe il conte Oderico se e’<br />

venisse nelle sue mani. Berengario adiratosi<br />

di questa cosa, ancora che ei mostrasse di<br />

non curar<strong>la</strong>, non seppe tanto dissimu<strong>la</strong>re il<br />

nascoso pensiero dello animo, che lo<br />

arcivescovo, o epr alcuni segni veduti o per <strong>la</strong><br />

ma<strong>la</strong> coscienza sua, non cominciasse a<br />

temere di lui, e non bramasse di assicurarsi.<br />

Ma non conoscendovi modo più certo che il<br />

levargli di mano lo scettro, convenne<br />

segretamente co’ principi sopraddetti, che si<br />

mandasse in Borgogna a Ridolfo figliuolo del<br />

duca Riccardo, ad offrirgli il regno d’Italia,<br />

quando egl isi disponesse a venire a<br />

cacciarne il re Berengario. Maneggiandosi<br />

dunque questo trattato tra i predetti signori,<br />

accadde che trovandosi trovandosi il<br />

marchese Alberto di Ivrea, Oderico e Gilberto<br />

860 Storia, cit., passo alle pp. 198-200.<br />

861 Liuthprandi, cit., passo alle pp. 249x4-251x5.<br />

constituit. Berta aut eius uxor cum guidone<br />

filio, post mariti obitum minoris non facta est<br />

que vir suus potentie. Quae tum calliditate et<br />

muneribus, tum hymenei exercitio dulcis,<br />

nonullos sibi fideles effecerat. Unde contigit<br />

ut dum paulo post a Berengario simul cum<br />

filio caperetur, et Mantue in custodia<br />

teneretur, suas civitates et castel<strong>la</strong> omnia<br />

Berengario minime reddiderit, sed firmiter<br />

tenuerit, eamque postmodum de custodia<br />

simul cum filio liberarit.[…]His temporibus<br />

idem Adelbertus gener regius, Iporegiae<br />

civitatis marchio, atque Oldericus pa<strong>la</strong>tij<br />

comes, qui ex suevorum sanguine duxerat<br />

originem, necnon et Gilebertus praedives<br />

comes, et strenuus Lanthbertus etiam<br />

Medio<strong>la</strong>nen. Archiepiscopus, nonnulique alij<br />

principes Italiae Berengario rebelles<br />

extiterant. Causa autem rebellionsi hec fuit,<br />

dum Lanthbertus defuncto antecessore suo<br />

Medio<strong>la</strong>nens. Archiepiscopus ordinari<br />

debuisset, non parvam ab eo rex Berengarius<br />

contra sanctorum instituta patrum accepit<br />

pecuniam, quantam cubicu<strong>la</strong>rij, quantam<br />

hostiarij, quantam pavonarij, ipsi etiam<br />

altilium custodes accipere deberent.<br />

Lanthbertus igitur archipraesu<strong>la</strong>tus amore<br />

vehementer animatus, quecumque rex<br />

posceret, quanto cum dolore tribueret ex hoc<br />

intelligere poteris, quod subsequens lectio<br />

dec<strong>la</strong>rabit. Oldericum pa<strong>la</strong>tij comitem, quem<br />

praediximus, vinctum tunc Brengarius<br />

tenebat. Quumque Lanthbertum<br />

archipiscopum constiueret, Oldericum ei<br />

donec quid de eo sgeret deliberaret,<br />

commendavit. Is autem pecuniae multae quam<br />

pro episcopatu erogarat, non immemor, hoc<br />

cum pacto coepit de eius infidelitate<br />

discutere. Paucis denique interpositis diebus,<br />

rex Berengarius nuncijs directis, Oldericum<br />

ad se venire praecipit. Quos ironica hac<br />

responsione convenisse non dubium est.<br />

Sacerdotis officio penitus carere debeo, si<br />

iugu<strong>la</strong>ndum quempiam in manus alicuius<br />

travidero. Intellexerunt itaque nuncij hunc<br />

publicem rebel<strong>la</strong>sse, quem a rege sibi<br />

traditum absque eius licentia noverant<br />

dimisisse. Qui regressi protinus ad regem,<br />

Terentianum illud pro responsione dederunt.<br />

Huic commendes si quis tecte curatum<br />

186


conti, con alcuni seguaci loro, nel<strong>la</strong><br />

montagna di Brescia a ragionare de’ modi e<br />

de’l quando, sopravvennero a caso a Verona,<br />

dove era allotta il re Berengario, Dursatto e<br />

Bugatto, due signorotti degl iUngheri<br />

amicissimi suoi, co alcune compagnie di<br />

soldati che andavano a buscare preda ove si<br />

avessero veduto il comodo. Berengario<br />

amorevolmente gli ricevette, e dopo molti<br />

ragionamenti, narrò loro <strong>la</strong> congiura che<br />

facevano i suoi nemici, e pregogli con grande<br />

in stanzia che se, e’ lo amavano, lo<br />

vendicassero di alcuni di quelli che, in un<br />

monte vicino, quivi a cinquanta miglia,<br />

procuravano di torgli il regno. Gli Ungheri<br />

udito questo, amando quel re sommamente e<br />

desiderando di guadagnare, fattosi dare<br />

buone guide se ne andarono subito al monte,<br />

non per <strong>la</strong> visa ordinaria, ma per montagne<br />

asprissime e per luoghi disabitati; e vi<br />

giunsero sì d’improvviso e con impeto così<br />

fatto, che gli avversarii del re non ebbero<br />

spazio di pigliar l’armi, non che di mettersi a<br />

<strong>la</strong> difesa. Furono adunque uccisi <strong>la</strong> maggior<br />

parte: e con essi il conte Oderico, il quale<br />

non volle arrendersi mai: molti ancora fatti<br />

prigioni; tra quali furono Gilberto conte e il<br />

marchese Alberto, che per <strong>la</strong> sagacità ed<br />

astuzia sua agevolment euscì loro di mano.<br />

Con ciò sia che, veduto venire i nimici dsa<br />

tante bande che non si era modo a salvarsi,<br />

gittando lungi da sé tutte le cose che potevano<br />

in maniera alcuna dimostrare <strong>la</strong> grandezza<br />

sua, si rivestì d’uno abito vile, e <strong>la</strong>sciassi<br />

pigliare da gli Ungheri. Da quali poi<br />

dimandato vpoi chi e’ fosse, rispose che era<br />

povero fante d’un capo di squadra, e che<br />

aveva alcuni parenti in Calcinaia, castelletto<br />

vicino a quivi; dove, se e’ volevano menarlo,<br />

farebbe ricomperarsi da loro per quel<strong>la</strong><br />

taglia che patissero le sue facoltà. E così<br />

menato al castello , e non conosciuto<br />

altrimenti, fu venduto per piccolo pregio ad<br />

un degli stessi soldati suoi, che, fingendosi<br />

suo parente, lo riscosse per quello che e’<br />

volle col mostrare di non estimarlo. Ma<br />

Gilberto conosciuto da gli Ungheri, battuto e<br />

spogliato, fu condotto a Verona, e presentato<br />

al re Berengario. A piè del quale gittatosi<br />

subitamente, ancora che e’ movesse <strong>la</strong> sa<strong>la</strong> a<br />

riso co’l mostrare quel<strong>la</strong> parte, inchinandosi,<br />

che si debbono tenere coperte…commosse<br />

velis.[…]Quo tempore Rodulfus rex<br />

superbissimus Burgundionibus<br />

imperabat.[…]Igitur Italienses nuncijs<br />

directis hunc ad se venire, Berengarium vero<br />

expellere petunt. Inter agendum autem<br />

contigit Hungaros Veronam his ignorantibus<br />

advenisse, quorum duo reges Dursac et Bugat<br />

amicissimi Berengario fuerant. Adelbertus<br />

denique marchio atqeu Oldericus comes<br />

pa<strong>la</strong>tij, Gilebertus etiam comes, pluresque alij<br />

dum in montem Brixiniae civitatis, quae<br />

quinquaginta militarijs a Verona distat,<br />

conventico<strong>la</strong> ob Berengarij deiectionem<br />

haberet: rogavit Berengarius Hungaros, ut si<br />

se amarent, super inimicos suos irruerent. Hi,<br />

vero, ut erant necis avidi, bel<strong>la</strong>ndi cupidi, a<br />

Berengario mox praeduce accepto, per<br />

ignotas vias a tergo hos usuqe adveniunt,<br />

tantaque illos celeritate confodiunt, ut nec<br />

induendi sumendi ve arma spatium haberent.<br />

Captis igitur caesisque multis Oldericus<br />

pa<strong>la</strong>tij comes, qui se viriliter defenderat,<br />

occidit. Adelbertus autem marchio et<br />

Gilebertus vivi capiuntur. Verum Adalbertus<br />

ut erat vir non bellicosus, sed sagacitatis<br />

mirae nimiaeque callidatis, dum irruere<br />

Hungaros undique cerneret, essetque illi<br />

omnis spes fugiendi ab<strong>la</strong>ta, baltheum,<br />

armil<strong>la</strong>sque aureas, omnemque preciosum<br />

apparatum proiecit, vilibusque se militis<br />

induit vestimentis, ne ab Hungaris quis esset<br />

dignoscerentur. Captus igit sciscitatusque<br />

quis esset, militis cuiusdam militem se esse<br />

respondit. Rogavitque se ad vicinum<br />

castellum duci vocabolo Calcinaria, in quo<br />

parentes qui eum redimerent, se habere<br />

asserebat. Ductus igitur, quia non agnitus,<br />

vilissimo precio comparatur. Emit autem<br />

illum suus ipsius miles nomine Leo.<br />

[…]Gilebertus autem quia agnitus f<strong>la</strong>gel<strong>la</strong>t,<br />

vinctus seminudusque ante Berengarij regis<br />

praesentiam ducitur, Enimvero dum ante eum<br />

sine femoralibus curta indutus endromade<br />

ductus regis ad pedes concitus caderet,<br />

genitalium ostensione membrorum ad risum<br />

omnes commovit. Rex aut, ut erat pietatis<br />

amator, misericordia, que ei nul<strong>la</strong> debebat,<br />

inclinatus ei non ut populus optavit, malum<br />

pro malo reddidit: verum confestim lotum,<br />

optimisque vestibus indutum, abire permisit.<br />

Cui et ait, insiurandum a te nullum exigo,<br />

fidei tuae te ispum committo. Si male contra<br />

187


pure esso re a tanta compassione, che, fattol<br />

olevare su e vestito onoratamente,<br />

incontamente lo fece libero; e senza voler da<br />

lui né obbligo né sacramento, lo <strong>la</strong>sciò nello<br />

arbitrio suo, dicendogli: “Io non ti voglio<br />

stringere a nul<strong>la</strong>: fa di te a tuo piacimento,<br />

ricordandoti sempre, che se tu farai male in<br />

verso di me, tu ne arai al<strong>la</strong> fine a dar conto a<br />

quel Giudice sommo e vero che vede sempre<br />

tutte le cose.” …Con ciò sia che stimu<strong>la</strong>to dal<br />

marchese Alberto di Ivrea e da gli altri<br />

nemici di Berengario, si trasferì<br />

personalmente in Borgogna a’l duca Ridolfo,<br />

ad invitarlo al regno d’Italia.” 860<br />

me egeris, rationem te scias deo redditurum.<br />

Hunc denique Adelbertus, caeterique qui cum<br />

illo rebelles extiterant, accepti immemorem<br />

beneficij ad Rodulfum ut adveniat dirigunt.<br />

[…]” 861<br />

In re<strong>la</strong>zione all’invito indirizzato a Ridolfo duca di Borgogna ad intervenire nel<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong><br />

contro Berengario, <strong>prima</strong> di raccontare le fasi dello scontro, il Giambul<strong>la</strong>ri spiega l’origine del<br />

nome di Borgognoni avvalendosi principalmente del Renano e si dilunga su alcuni<br />

avvenimenti del<strong>la</strong> loro <strong>storia</strong>, chiaramente corre<strong>la</strong>ti all’ultimo periodo dell’impero romano ed<br />

al suo crollo:<br />

“E per questo diciamo, che e’ par certo assai<br />

verisimile il nome di Borgognoni essere più<br />

antico di Tiberio o di Cesare (come ha notato<br />

bene il Renano), e però non venire da’ borghi<br />

come già si credette Orosio. Poiché Plinio<br />

annovera i Borgognoni, da <strong>la</strong>tini detti<br />

Burgundiones , per una parte di Vandali tra li<br />

estremi e ultimi popoli di tramontana. Ma<br />

perché non ce n’è certezza ne lume, bastici<br />

che questa gente (come in Mamertino<br />

panegirista si legge), cacciata da’ Gotti, per<br />

forza d’arme fuori de gli antichi paesi suoi,<br />

penetrando tra gli A<strong>la</strong>manni a loro dispetto e<br />

con molto sangue, si fermò ad abitare nel<br />

terreno di quegli, dove oggi si dice Pfalzia<br />

(altrimenti Pa<strong>la</strong>tinato), da Ammiano<br />

Marcellino detta Pa<strong>la</strong>s, ovvero Capel<strong>la</strong>tium, e<br />

quivi continuamente poi si mantenne sino al<br />

quattrocento decimoquinto anno del<strong>la</strong> nostra<br />

salute.” 862<br />

“Plinios Burgundiones primi Germanorum<br />

generis, hoc est Vandalici facit, eos inter<br />

ultimos Septentrionis populos referens, ut<br />

p<strong>la</strong>ne vetustius nomen arbitrer, quam quod<br />

primum Caesaris Tyberijque aetate natum sit,<br />

a Burgis hoc est casrellis limitum, quam<br />

opinionem secutus Orosius innumeros qui<br />

subscriberent reperit. Agathias Graecus<br />

author Burguziones vocat, et Gotici generis<br />

esse tradit nimirum propter vicinitatem. Autor<br />

est Mamertinus Panegyrista Burgundiones<br />

penitus a Gothis excisos, Alemannorum agros<br />

invitis illis proinde non citra sanguinem<br />

occupasse, qui oppresssis antea ausilio venire<br />

voluerint. Caeterum ignoraturi eramus quem<br />

nam Alemaniae tractum invasissent<br />

Burgundiones, nisi Marcellinus hanc rem<br />

explicasset.” 863<br />

Dopo <strong>la</strong> parentesi sull’origine dei borgognoni tratta dal Renano Giambul<strong>la</strong>ri recupera<br />

decisamente Liutprando per narrare le manovre di Ridolfo sollecitate dalle richieste dei nobili<br />

lombardi e il complotto ordito da F<strong>la</strong>mberto per assassinare Berengario, successivamente<br />

vendicato da Milone. Il Giambul<strong>la</strong>ri che trae partico<strong>la</strong>ri ed espressioni da Liutprando, tuttavia,<br />

accentua ulteriormente <strong>la</strong> tragicità e l’ingiustizia del<strong>la</strong> morte di Berengario nei passaggi<br />

dedicati al<strong>la</strong> falsità di F<strong>la</strong>mberto. Prima però di intraprendere il racconto del<strong>la</strong> discesa in Italia<br />

di Ridolfo, Giambul<strong>la</strong>ri fa pronunciare una lunga orazione a Gilberto per vincere le ultime<br />

862 Storia, cit., passo a p. 201.<br />

863 Rerum Germanicarum, cit., passo a p. 52g2.<br />

188


esistenze del duca di Borgogna che finalmente parte senza ulteriori indugi 864 , e di seguito,<br />

dice:<br />

“Postosi dunque in viaggio, fra bervi giorni si<br />

presento sì gagliardo in su <strong>la</strong> campagna di<br />

Lombardia, che ribel<strong>la</strong>ndosi i Lombardi a<br />

gara come ad impresa più che sicura, non<br />

rimase al re Berengario se non so<strong>la</strong>mente <strong>la</strong><br />

sua Verona: dentro a <strong>la</strong> quale ritirandosi egli<br />

al solito suo, <strong>la</strong>sciò libero allo avversario<br />

tutto il resto del suo reame. Ridolfo, senza<br />

colpo di spada, coronato re del<strong>la</strong> Italia, dopo<br />

tre anni del regno suo cominciò a venire a<br />

noia…Là onde i sudditi suoi…rivoltandosi a<br />

Berengario, e tornando sotto al suo giogo,<br />

moltiplicarono si fattamente in favore di<br />

quello, che <strong>la</strong> metà di tutto quel regno era già<br />

dal<strong>la</strong> parte sua, quando egli con esercito<br />

assai ben grosso uscito in su <strong>la</strong> campagna per<br />

non perdere <strong>la</strong> occasione, se ne venne contro<br />

a Paicenza dodici miglia, appiccato fiera<br />

battaglia con le genti del Borgognone,<br />

combattè con tanta prudenza e con tanto<br />

valore, che e’ lo roppe per viva forza, e ocn<br />

uccisione grandissima lo cacciò di su <strong>la</strong><br />

campagna. Ma <strong>la</strong> fortuna, che altrimenti<br />

aveva ordinato, gli rapì di mano <strong>la</strong> vittoria, e<br />

lo condusse in fondo al<strong>la</strong> ruota in questa<br />

maniera.<br />

Aveva non molto avanti maritato Ridolfo una<br />

sua sorel<strong>la</strong>, detta Gualdraba, a Bonifazio<br />

marchese di Camerino…Pe ril che Bonifazio,<br />

come vero cognato, avendo raccolto insieme<br />

una banda grossa di Spuletini e Camerinesi,<br />

insieme con un conte Gherardo, no espresso<br />

altrimenti ne gli scrittori, veniva a’l soccorso<br />

del re Ridolfo; ma non con tanta prestezza,<br />

che e’ si trovasse nel<strong>la</strong> giornata se non dopo<br />

<strong>la</strong> rotta, de’ Borgognoni e vittoria di<br />

Berengario. Vero è che e’ non giunse però<br />

tanto tardi, che ogni cosa fusse finita, ma<br />

giunse quando lo esercito di Ridolfo era tutto<br />

rivolto in fuga, e le genti di Berengario, senz<br />

aordine e senza modo, saccheggiando le tende<br />

inimiche, erano tutte volte al<strong>la</strong> preda. Veduto<br />

dunque il grave disordine, e trovandosi le<br />

genti fresche, dette drento animosamente e<br />

con impeto sì furioso, che i nimici, non<br />

potendo altrimenti unirsi, furono costretti a<br />

volgere le spalle. Da l’altra banda le genti di<br />

864 Storia, cit., pp. 203-205.<br />

“Profectus itaque eodem Gilibertus ante<br />

triginta dies in Italiam eum adventate coegit.<br />

Qui susceptus ab omnibus nil Berengario ex<br />

omni regno praeter Veronam dimisit,<br />

totumque tenuit per triennium viriliter<br />

regnum.<br />

Quum duodecim sibimetipsi horis hoc<br />

p<strong>la</strong>ceat, displiceat hoc, modo diligat illud,<br />

mox aspernetur, qui fieri potest, ut omnibus<br />

semper aequinamiter p<strong>la</strong>ceat? Igitur intra<br />

triennium iste rex Rodulfus quibusdam bonus,<br />

alijs gravis est visus. Unde factum est, ut<br />

totius regni media pars populi Rodulfum,<br />

media Berengarium vellet. Parant itaque<br />

civile bellum non modicum : et quoniam<br />

P<strong>la</strong>centinae civitatis episcopus Vuido<br />

Berengarij partibus favebat, duodecim longe<br />

a P<strong>la</strong>centia miliarijs iuxta Florentio<strong>la</strong>m<br />

bellum parant. Tum perquam horrida pugna<br />

oritur civilis et atra, heu quater ante<br />

Kalendas Sextilis tamen ipse Dum parat<br />

horrendos radios emittere phebus, Buccina<br />

martis adest, gnato pater ipse perennem,<br />

Infert interitum, perimitque patrem genitura.<br />

Proh dolor acer avus letum parat ecce nipoti.<br />

Sternendus per eum, furijs pulsatus ab atris,<br />

Fratrem qui fodit, fratrem fodit eminus alter.<br />

Berengarius ipse ruit medios rex percitus<br />

hostes et properat fertur ceu coelo fulgur ab<br />

alto. Dum coquit arentes cancri grave fidus<br />

aristas: non aliter dirus miserum rex ipse<br />

Rodulfus, deijcit innocuum striato mucrone<br />

popellum.[…]Dederat Rodulfus Vualdradam<br />

sororem suam tam forma que sapientia quae<br />

nunc usque superest, hoestam matronam,<br />

coniugem Bonifacio comiti potentissimo, qui<br />

nostro empore Camerinorum ac Spoletinorum<br />

extitit marchio. Hic collecta moltitudine, cum<br />

Gariardo comite Rodulfo regi in auxilium<br />

veniebat, atque ut erat vir tam callidus quam<br />

aaudax, mqaluit potius in insidijs positus cum<br />

suis rei exitum expectare, quam primum belli<br />

impetum sustinere. Iam Rodulfi pene omnes<br />

milites fugerant, et Berengarij dato victoriae<br />

signo colligere spolia satagebant: quum<br />

Bonifacius atque Gariardus subito ex insidijs<br />

properantes, hos tanto levius, quanto<br />

189


Ridolfo, udito il nuovo rumore e veduto il<br />

soccorso grande, ripigliarono le forze e<br />

l’animo, e ritornati contro a’ nimici, con<br />

uccisione non picco<strong>la</strong> li cacciarono de <strong>la</strong><br />

campagna e di tutti gli alloggiamenti, senza<br />

<strong>la</strong>ssargli mai rifar testa. E andò questo giuoco<br />

del<strong>la</strong> fortuna tanto contrari al cominciamento<br />

che Ridolfo vinto del tutto, ne rimase al tutto<br />

vincente; e Berengario, che aveva vinto, non<br />

so<strong>la</strong>mente perdè <strong>la</strong> giornata e lo esercito, ma<br />

<strong>la</strong> riputazione ancora e tutto lo stato. Con ciò<br />

sia che i Lombardi, veduto il fine di questa<br />

battaglia e <strong>la</strong> ca<strong>la</strong>mità del re Berengario,<br />

disperatisi d’ogni aiuto, per salute di sé<br />

medesimi abbandonaronotutti il perdente, e<br />

accostaronsi al vincitore; eccetto però <strong>la</strong> città<br />

di Verona, dove fuggendo il re Berengario,<br />

salvò <strong>la</strong> vita per quel<strong>la</strong> volta, con alcune<br />

poche persone che fuggirono con esso lui.<br />

Ridolfo, impadronito in questa maniera di<br />

tutto il regno, con lo esercito vincitore si<br />

ridusse lieto a Pavia. Quivi, premiati i soldati<br />

suoi e licenziatili appresso benignamente, non<br />

dimorò molti mesi poi; chè…ragunò i baroni<br />

maggiori, e con parole assai amorevoli e<br />

brevi conchiuse loro, che poi per <strong>la</strong> grazia<br />

divina e mediante <strong>la</strong> virtù loro aveva<br />

guadagnato il regno d’Italia<br />

e…desiderava…per rivedere il dominio<br />

antico, trasferirsi fino in Borgogna; e per<br />

questo pregava tutti, che…gli conservassero<br />

quello stato[…]In tanta pace e quiete, i<br />

Veronesi, che per esser tra loro<br />

Berengario…cominciaron a mancare di<br />

quello amore e di quel<strong>la</strong> fede che avevano<br />

sempre portata al predetto re;…ma<br />

bramavano ancora di ucciderlo; se non tutti<br />

universalmente, almeno una buona parte<br />

persuasa a cosa sì brutta da uno de’ loro<br />

cittadini chiamato F<strong>la</strong>mberto, compare del re<br />

Berengario, che gli tenne a battesimo un suo<br />

figliuolo. Costui…il re…fattolo venire a’l<br />

cospetto suo l’ultimo giorno del<strong>la</strong> sua vita,<br />

con maniera dolce e benigna cominciò a<br />

dirgli così: “Se e’ non fussero tante e sì<br />

potenti e gagliarde le cagioni dello amore tra<br />

noi, potremmo forse e con gran ragione<br />

dubitare de <strong>la</strong> fede tua calunniata appresso di<br />

noi da diverse persone, che tutte affermano<br />

come tu cerchi torne <strong>la</strong> vita. […]A cagione<br />

865 Storia, cit., passo alle pp. 205-210.<br />

866 Liuthprandi, cit., passo alle pp. 252x6-254y1.<br />

inopinatius fauciabant (o sauciabant o<br />

sauciabat). Pepercerat Gariardus nonnullis,<br />

hasta eos et non ferro percutiens, Bonifacius<br />

nulli parcens immensam fecerat stragem.<br />

Signum itaque victoriae Bonifacius ceperat,<br />

conveniuntque qui ex Rodulfi parte<br />

confugerant, persequentesque Berengaricos<br />

fugam illos inire cogebant. Berengarius vero<br />

in incognitum a domino Veronae perrexit<br />

asylum. Tanta quippe tunc interfectorum<br />

strages facta est, ut militum usque hodie<br />

permagna raritas habeatur. His ita peractis,<br />

regnum sibi rex Rodulfus potentissime<br />

subiugavit, Papiamque concite veniens,<br />

congregatisque omnibus, quoniam inquit,<br />

superni muneris <strong>la</strong>rgitate mihi contigit<br />

devictis hostibus regni solium adipisci: nunc<br />

cordi est meum vestrae regnum fidei<br />

commendare, Burgundiamque patriam<br />

veterem visere. Cui mox Italienses, si bonum<br />

tibi, inquiunt, videtur, praesto sumus. Igitur<br />

post Rodulfi regis abscessum, malo<br />

Veronenses accepto consilio, vite Berengarij<br />

insidiari moliuntur: quod Berengarium non<br />

<strong>la</strong>tuit: autor autem ac repertor tam saevi<br />

facinoris F<strong>la</strong>mbertus quidam erat, quem sibi,<br />

quoniam ex sacrosancto fonte filium eius<br />

susceperat, compatrem rex effecerat. Pridie<br />

vero quam pateretur, eundem ad se<br />

F<strong>la</strong>mbertum venire praecipit. Cui et ait.<br />

[…]Si mihi tecum hactenus non et multae et<br />

iustae causae amoris essent, et quonquo<br />

modo quae dicuntur credi possent, insidiari te<br />

vitae meae aiunt: sed non ego credulus illis.<br />

Meminisse autem te volo, quantaecunque tibi<br />

accesiones et fortunae et dignitatis fuerunt,<br />

eas te non potuisse nisi meis beneficijs<br />

consequi. Unde et hoc animo in nos esse<br />

debes, ut dignitas mea in amore atque<br />

fidelitate tua conquiescat. Neque vero<br />

cuiquam salutem ac fortunas suas tantae<br />

curae fuisse unquam puto, quantae mihi fuit<br />

honos tuus. In quo mea omnia studia, omnem<br />

operam, curam, industriam, cogitatinem<br />

omnem fixi. Unum hoc sic habeto. Si a te mihi<br />

servatam fidem intellexero, non mihi tam mea<br />

salus chara, quam pietas in referenda gratia<br />

iocunda. His espletis, aureum non parvi<br />

ponderis poculum rex ei porrexit atque<br />

subiunxit: Amoris salutatisque meae causa<br />

190


che, sebbene tu hai potuto in parte conoscere<br />

l’animo nostro verso di te ne’ molti e<br />

singo<strong>la</strong>ri benefizi (e sia detto senza<br />

rimprovero) che ti abbiamo fatti sin qui,<br />

conoscendolo da ora innanzi molto più chiaro<br />

da <strong>la</strong> maniera che teco usiamo in accusa<br />

cotanto grave, tu raddoppi e moltiplichi in<br />

infinito quello amore che tu ci hai portato; e<br />

lo dimostri in siffatta guisa, che<br />

manifestamente apparisca a tutti quanto<br />

l’onore e <strong>la</strong> grandezza mostra sicuramente<br />

può riposarsi nel<strong>la</strong> fede e nello amor tuo. E<br />

renditi certo, che, trovandoti quale speriamo,<br />

non ci sarà tanto cara <strong>la</strong> propria salute<br />

nostra, quant gioconda <strong>la</strong> gratitudine che<br />

vedremo in te, e <strong>la</strong> scambievole benevolentia<br />

che potremo dire di avere conosciuto.” Indi,<br />

fatto venir da bere, e portogli di sua mano<br />

una ricchissima coppa d’oro, assaggiata<br />

<strong>prima</strong> da lui: “Bevi…con esso meco in<br />

testimonianza dello amor nostro; e serbando<br />

per te <strong>la</strong> coppa con quel<strong>la</strong> benivolentia che io<br />

te <strong>la</strong> dono, ricordati del<strong>la</strong> carità che facciamo<br />

insieme, e che il tuo legittimo re e compare<br />

dorme sicuro in su <strong>la</strong> tua fede”: Lo scellerato<br />

F<strong>la</strong>mberto[…]andò a conchiudere il<br />

tradimento: e…sollecitò i compagni tanto, che<br />

<strong>la</strong> notte seguente vennero armati dove lo<br />

innocentissimo re, senza guardia alcuna, tutto<br />

sicuro si riposava, al<strong>la</strong>to a <strong>la</strong> stessa chiesa<br />

dove fu preso il re Lodovico; essendo solito<br />

levarsi <strong>la</strong> notte a <strong>la</strong> ora di mattutino, ed<br />

entrare co’ religiosi a lodare il suo Creatore.<br />

Il che eseguendo ancora quel<strong>la</strong> notte al solito<br />

suo, giunse F<strong>la</strong>mberto co’ suoi seguaci: i<br />

quali, per essere non pochi, facendo pure<br />

qualche strepito, venne il re su <strong>la</strong> porta a<br />

vedere che cosa era questa. Veduto, dunque,<br />

cotanti armati e F<strong>la</strong>mberto con esso loro, lo<br />

dimandò che cosa e’ cercavano a quel<strong>la</strong> ora e<br />

in quel<strong>la</strong> guisa. Il traditore, per cavarlo fuori<br />

de <strong>la</strong> chiesa, avvicinatosi più a lui “State…di<br />

buona voglia: questi sono amici e servitori<br />

vostri, che sapendo che voi siete qua su senza<br />

guardia alcuna, per lo amore che vi portano,<br />

sono venuti armati da voi per guardia e<br />

sicurtà vostra; apparecchiati se maligintade<br />

alcuna apparisse, a combattere contro a<br />

ciascuno che pensasse volervi offendere: e<br />

però sarà bene che voi meco gli conosciate, e<br />

riceviateli allegramente”. Il re da queste<br />

parole ingannato, uscì lieto verso di loro; ed<br />

quod continetur bibito, quod continet habeto.<br />

Vere autem et absque ambiguitate post potum<br />

introivit in illum sathanas. Beneficij quippe<br />

praesentis et praeteriti immemor insomnem<br />

il<strong>la</strong>m in regis necem populos instigando<br />

pertulit noctem. Rex autem nocte il<strong>la</strong><br />

quemadmodum et solitus erat, iuxta ecclesiam<br />

non in domo quae defendi potest, sed in<br />

tuguriolo quodam manebat amoenissimo. Sed<br />

et custodes nocte eadem non posuerat, nihil<br />

suspicans mali.[…]Se primum quatiens<br />

strepit Gallus…Hic rex ecclesiam petit, ac<br />

<strong>la</strong>udes domino canit. F<strong>la</strong>mbertus properans<br />

vo<strong>la</strong>t, Quo enim multa simul manus: ut regem<br />

perimat bonum. Rex corum (o eorum) vigil<br />

inscius audit dum strepitum, nihil formidans<br />

properat citus Hoc quid visere sit, videt<br />

Armatas militum manus. F<strong>la</strong>mbertum vocat<br />

eminus. Quid turbae est ait: en bone vir quid<br />

nunc quid populus cupit armatas referens<br />

manus ? Respondit vereare nil. Te non ut<br />

perimat ruit. Sed pugnare libens cupit hac<br />

cum parte tuum petit mox quae tollere<br />

spiritum. Deceptus properat fide rex hac, in<br />

medios simul tunc captus male ducitur : a<br />

tergo hunc ferit impius Romphaea: cadit heu<br />

pius, Felicemque suum deo commendat pie<br />

spiritum. Denique quam innocentem<br />

sanguinem suderit, quamque perverse<br />

perversi egerint, nobis reticentibus <strong>la</strong>pis ante<br />

cuiusdam ecclesiae ianuam positus<br />

sanguinem eius cunctis transeuntibus<br />

ostendens insinuat. Nullo quippe delibitus<br />

aspersusque liquore discedit. Nutrierat sibi<br />

rex Berengarius familiariter <strong>la</strong>utemque<br />

iuvenem, imo heroem quondam, Milonem<br />

nomine, memoria satis ac <strong>la</strong>uda dignum.<br />

Cuius si rex fretus consilijs esset, fortunas<br />

sibi omnes non tantum adversari sentivisset,<br />

nisi quia forte et hoc divinae providentiae<br />

consilium fuit, ut aliter fieri non posset. Is<br />

sane nocte eadem qua rex Berengarius<br />

deceptus est, adhibitis sibi copijs, nocturnas<br />

ei vigiliarum custodias voluit exhibere. Rex<br />

vero promissionibus F<strong>la</strong>mberti deceptus,<br />

Milonem se non solum custodire non sivit,<br />

verum etiam atque etiam vehmenter<br />

prohibuit. Milo autem sicut vir fidelis et<br />

rictus, ac beneficij sibi a rege col<strong>la</strong>ti non<br />

immemor, quem defendere quia defuit, non<br />

potuit, cito acriter vindicare curavit. Tertia<br />

quippe post regis necem die, F<strong>la</strong>mbertum<br />

191


entrando sicuramente tra essi per<br />

dimenticarsi con tutti e per ringraziarli…lo<br />

scellerato F<strong>la</strong>mberto fattoli strada, lo <strong>la</strong>sciò<br />

trapassare avanti, e rivoltoseli poi a le spalle,<br />

con uno partigianone…lo passò da reni a ‘l<br />

petto, e così gli tolse <strong>la</strong> vita. Ma quanto e’<br />

morisse innocentemente…lo dimostra ancora<br />

una pietra bagnata dal sangue suo, che<br />

avvenga che <strong>la</strong>vata infinite volte, non ha mai<br />

<strong>la</strong>sciato <strong>la</strong> macchia[…]Seguita <strong>la</strong> morte del<br />

re, un valoroso giovane e nobile, per nome<br />

detto Milone, allevato da esso r, che non<br />

soleva <strong>la</strong>sciarlo mai, non essendosi trovato a<br />

<strong>la</strong> fine sua, rispetto a lo averlo egli mandato<br />

<strong>la</strong> stessa notte ad altri servigi, si dispose di<br />

vendicarlo. Convenutosi adunque con alcuni<br />

suoi fidatissimi, <strong>la</strong> terza notte seguente pose le<br />

mani addosso a F<strong>la</strong>mberto , e alcuni di quegli<br />

altri che erano stati capi con lui ad uccidere il<br />

suo signore; e, con vituperio grandissimo,<br />

tutti quanti fece appiccargli. Indi levatosi su<br />

<strong>la</strong> parte e gli amici del morto re, crearono<br />

esso Milone conte di Verona; ed egli con lo<br />

aiuto loro cacciati e spenti tutti i nimici, <strong>la</strong><br />

mantenne con somma pace e tranquillità…” 865<br />

eique in tam nephario scelere conniventes, vi<br />

captos, suspendio vitam finire praecepit.<br />

Fuerunt sane in hoc viro nonnul<strong>la</strong>e<br />

perfectaeque virtutes, quae deo propitio suis<br />

in locis vita comite silentio non tegent.” 866<br />

Il terzo libro, si chiude in Germania con un evento capitale nel<strong>la</strong> logica del<strong>la</strong> Storia.<br />

Corrado infatti, prossimo al<strong>la</strong> morte designa quale suo successore al trono imperiale Arrigo di<br />

Sassonia. Si completa <strong>la</strong> trans<strong>la</strong>zione dell’autorità imperiale che l’autore come abbiamo<br />

cercato di evidenziare, prepara fin dall’esordio del<strong>la</strong> sua <strong>storia</strong>. Come già notato in<br />

precedenza, anche in questo frangente il canonico <strong>la</strong>urenziano associa profondamente<br />

l’investitura imperiale di Arrigo con <strong>la</strong> volontà divina. Certamente in questi termini si<br />

esprimono già le fonti seguite dal Giambul<strong>la</strong>ri in tale punto, Liutprando e Vitichindo.<br />

Tuttavia, costante appare <strong>la</strong> sottolineatura del connubio tra volontà divina e assunzione del<strong>la</strong><br />

missione imperiale da parte del<strong>la</strong> casa di Sassonia anche nelle pagine precedenti del<strong>la</strong> Storia.<br />

Inoltre, come del resto già sottolineato altrove, pur riprendendo spunti offerti dalle due fonti<br />

medievali, l’autore li arrichisce e li svolge in una tonalità ed una prospettiva più marcata ed<br />

esplicita. Senza dimenticare il discorso pronunciato da Corrado sul giudizio divino a cui lui<br />

verrà sottoposto dopo <strong>la</strong> sua morte che non presente nelle due fonti menzionate contribuisce<br />

ulteriormente a sottolineare <strong>la</strong> preponderanza del divino nelle scelte e negli avvenimenti che<br />

portano all’attribuzione del<strong>la</strong> dignità imperiale al<strong>la</strong> casa di Sassonia. Corrado <strong>prima</strong> di<br />

raccomandare ai principi tedeschi di vivere in pace e di eleggere Arrigo, svolge alcune<br />

considerazioni non prive di nodi teologici abbozzati forse non inconsapevolmente dal<br />

Giambul<strong>la</strong>ri almeno nel primo periodo quando si par<strong>la</strong> dei meriti di Cristo e del<strong>la</strong> mancanza di<br />

meriti umani nei seguenti termini:<br />

“Eccovi, amici carissimi, colui che voi faceste già vostro re, condotto oramai a quel passo,<br />

che terminando le miserie e gli affanni umani, lietamente conduce i savi a’l felice e beato<br />

regno che, per divina bontà, non per merito nostro alcuno, co’l santo sangue di Gesù Cristo<br />

sì <strong>la</strong>rgamente n’è preparato.” 867<br />

867 Cfr. con Benedetto da Mantova, Il beneficio di Cristo. Con le versioni del secolo XVI. Documenti e<br />

testimonianze, a cura di Salvatore Caponetto, Firenze-Chicago, Sansoni editore, 1972, a p. 25 in cui leggiamo<br />

192


Nel prosieguo poi si tocca <strong>la</strong> questione dell’onniscienza divina quando Corrado par<strong>la</strong> del<br />

giudizio divino a cui verrà sottoposto dopo <strong>la</strong> morte fisica:<br />

“Venuto è quello ultimo tempo che, rendendo il terreno al<strong>la</strong> terra, debbe Currado, partir da<br />

voi per andarsene ignudo e solo, nel<strong>la</strong> guisa che e’ venne a’ l mondo, a render conto a quel<br />

giusto Giudice che il tutto vede <strong>prima</strong> che e’ sia, no che poi fatto lo abbiamo: e perché né <strong>la</strong><br />

nobiltà né <strong>la</strong> virtù né <strong>la</strong> forza non possono in maniera alcuna vietare o differire che non si<br />

faccia questo viaggio, <strong>prima</strong> che io mi diparta da voi, avendovi amato in vita, voglio amarvi<br />

ancora nel<strong>la</strong> morte. E per questo, co’l maggiore studio che io so e posso, amorevolmente vi<br />

esorto, dolcemente vi priego ed instantissimamente vi gravo, che ricordandovi ciò che noi<br />

siamo, posposti gli affetti vili delle cose caduche e vane, volgiate l’animo a’l Creatore…Al<br />

quale non potendo noi crescer gloria o giovargli in maniera alcuna, perché egli è beatissimo<br />

per sé medesimo, dobbiamo sempre per amor suo, eziandio con sinistro nostro, procacciare<br />

giovamento al prossimo in ciò che si può, per essere membra di Gesù Cristo. Il quale nello<br />

orribil giudizio(secondo che e’ ci ha predetto) ne dirà poi, tutto quello che avete fatto a uno<br />

di questi miei minimi lo avete fatto a me stesso.” 868<br />

Valutazioni comunque propedeutiche alle successive esortazioni per <strong>la</strong> salute dell’impero<br />

rivolte ai principi tedeschi:<br />

“confortovi a vivere in pace…vi priego che <strong>la</strong><br />

cupidità non vi tiri, non vi alletti l’ambizione<br />

e non vi accechi <strong>la</strong> vanagloria. Anzi, se voi mi<br />

aggiustate fede, e conoscete ciò che richiede<br />

il tempo presente, eleggete uniti e in accordo<br />

per vostro re del<strong>la</strong> Germania, il<br />

prudentissimo Arrigo duca di Sassonia e<br />

Turingia: fatelo signor vostro, e ad esso date<br />

il governo e il dominio intero del tutto;<br />

perché egli è veramente savio, sommamente<br />

giusto, e di tanto valore nelle armi, che e’<br />

merita non so<strong>la</strong>mente avere <strong>la</strong> Germania, ma<br />

lo imperio di tutto il mondo.” 869<br />

ed al fratello:<br />

“che se bene voi avete gli eserciti e <strong>la</strong><br />

comodità di poterne fare, avete le cittadi, gli<br />

amici, l’armi, l’animo e le insigne reali, con<br />

tutto quello che a imperdore s’appartiene; voi<br />

non avete quel<strong>la</strong> fortuna, quel<strong>la</strong> prosperità,<br />

quel consenso de’ cieli e volere di Dio, che<br />

“Septimo denique regni sui anno, vocationis<br />

suae ad domini tempus agnovit. Quumque<br />

memoratos principes se adire fecisset,<br />

solummodo Henrico non praesente. Ita<br />

convenit. Ex corruptione ab incorruptione, ex<br />

mortalitate ad immortalitatem vocationis mea<br />

agnosco, et ut cernitis praesto est: proinde<br />

pacem et concordiamque vos sectari etiam<br />

atque etiam rogo. Me hominem exeunte nul<strong>la</strong><br />

vos regnandi cupiditas titillet, nul<strong>la</strong><br />

praesidendi ambitio inf<strong>la</strong>mmet. Henricum<br />

Saxonum et Thuringorum ducem<br />

prudentissimum regem eligite, dominum<br />

constituite. Is enim est et scientia pollens, et<br />

iustae severitatis censura abundans.” 870<br />

“Sunt nobis frater copiae exercitus<br />

congregandi atque ducendi: sunt urbes et<br />

arma cum regalijs insignijs, et omne quod<br />

decus regium deposcit, praeter fortunam<br />

atque mores. Fortuna frater cum nobilissimis<br />

moribus Henrico cedit, rerum publicarum<br />

“seguitiamo…<strong>la</strong> verità che c’insegna san Paulo, e diamo tutta <strong>la</strong> gloria del<strong>la</strong> nostra giustificazione al<strong>la</strong><br />

misericordia di Dio e ai meriti del suo figliuolo, il quale col sangue suo ci ha liberati dallo Imperio del<strong>la</strong> Legge<br />

e dal<strong>la</strong> tirannide del peccato e del<strong>la</strong> morte, e ci ha condotti nel regno di Dio per donarci eterna felicità.”<br />

868 Storia, cit., passo alle pp. 211-212.<br />

869 Ivi, cit., passo a p. 212.<br />

870 Luithprandi, cit., passoalle pp. 240u6-241x1; inoltre cfr. il passo sostanzialmente analogo in<br />

Chronicum…Uspergensis, cit., p. CCVIIs2.<br />

193


guidano e conducono Arrigo a reggere lo<br />

imperio. Piacciavi, di grazia…consentire al<strong>la</strong><br />

voglia nostra, a cagione che pacificandosi<br />

così con Arrigo, possiate lieto e sicuramente<br />

godervi il non mediocre stato che<br />

ordinariamente vi si appartiene[…]Vogliate,<br />

adunque, farvelo amico, presentandogli <strong>la</strong><br />

corona e tutte le altre insegne che degli altri<br />

imperatori passati ci restano, che provarlo<br />

per avversario, contrastandogli quello che o<br />

presto o tardi gli è riservato.[…]Qui<br />

rompendogli il par<strong>la</strong>re Eberardo, per non<br />

<strong>la</strong>sciarlo affaticare tanto<br />

rispose[…]interamente si era disposto a<br />

consentire[…]Currado, liberatosi da questa<br />

cura, posposto e abbandonato ogni altro<br />

pensiero, si diede a quel<strong>la</strong> altra vita: e dopo<br />

non molti giorni cirstianissimanente morendo,<br />

fu sotterrato con somma pompa nel monastero<br />

Fuldense, o…in Vilinaburgo, con molte<br />

<strong>la</strong>crime di tutti i Franchi.” 871<br />

“Eberardo…avendo avvisato <strong>prima</strong> del tutto<br />

Arrigo, se ne andò in persona a trovarlo…I<br />

principi…adunatisi tutti a Fritz<strong>la</strong>ria, città<br />

del<strong>la</strong> diocesi maguntina…approvarono e<br />

confirmarono Arrigo re de’ Germani[…]et<br />

offrendogli lo arcivescovo Maguntino di<br />

coronarlo solennemente, secondo l’usanza de’<br />

re passati: “Basti (rispose Arrigo) che per <strong>la</strong><br />

grazia di Dio e benignità di voi altri sono<br />

stato alzato a quel grado che nessuno de’ miei<br />

ebbe mai; del resto ci riputiamo noi<br />

indegni.[…]” 872<br />

secus Saxones summa est. Sumptis igitur his<br />

insignijs, <strong>la</strong>ncea sacra, armillis aureis, cum<br />

c<strong>la</strong>myde, et veterum g<strong>la</strong>dio regum, ac<br />

diademate, ito ad Henricum, facito pacem<br />

cum eo, ut eum foederatum possis habere in<br />

perpetuum. Quid enim necesse est ut cadat<br />

populus Francorum tecum coram eo? Ipse<br />

enim vere rex erit et imperator multorum<br />

populorum. His dictis frater <strong>la</strong>crymans se<br />

consentire respondit. Post haec autem ipse<br />

rex moritur, vir fortis et potens, domi<br />

militiaeque optimus, <strong>la</strong>rgitate serenus, et<br />

monium virtutum insignijs c<strong>la</strong>rus :<br />

sepeliturque in civitate sua Quidelingaburg,<br />

cum moerore ac <strong>la</strong>crymis omnium<br />

Francorum. (Ut ergo rex imperarat<br />

Everhardus adijt Henricum, seque cum<br />

omnibus thesauris illi tradidit, pacem fecit,<br />

amicitiam promeruit, quam fideliter<br />

familiariterque usque in finem obtinuit.<br />

Deinde congregatis principibus et natu<br />

maioribus exercitus Francorum in loco qui<br />

dicit Fridifleri, designavit eum regem coram<br />

omni populo Francorum atque Saxonum. 873<br />

Quumque ei offerretur unctio cum diademate<br />

a summo pontifice, qui eo tempore Herigenus<br />

erat, non sprevit, nec tamen suscepit : Satis,<br />

inquiens, mihi est, ut prae maioribus meis rex<br />

dicar et designer, divina annuente gratia ac<br />

vestra pietate : penes meliores vero nobis<br />

unctio et diadema sit : tanto honore nos<br />

indignos arbitramur. P<strong>la</strong>cuit itaque sermo<br />

iste coram universa multitudine, et dextris<br />

coelum levatis, nomen novi regis cum<br />

c<strong>la</strong>more valido salutantes frequentabant.)<br />

” 874<br />

871 Storia, cit., passo alle pp. 213-215.<br />

872 Ivi, p. 219, questo passo che in realtà coincide con <strong>la</strong> parte tra parentesi risultante dal<strong>la</strong> col<strong>la</strong>zione,<br />

appartiene al IV libro del<strong>la</strong> Storia d’Europa ma costituisce in realtà a livello logico un unico momento con <strong>la</strong><br />

conclusione del III libro.<br />

873 Fino a questo punto il passo in questione corrisponde in Chronicum…Urspergensis, cit., pp. CCVII-<br />

CCVIIIs2.<br />

874 Vitichindi, cit., passo alle pp. 12a5-13b1.<br />

194


Capitolo III<br />

La Storia d’Europa e alcuni confronti con <strong>la</strong> storiografia coeva<br />

1. Paolo Giovio<br />

Le considerazioni svolte sul<strong>la</strong> Storia d’Europa del Giambul<strong>la</strong>ri necessitano di un’ulteriore<br />

verifica condotta sulle trattazioni di <strong>storia</strong> europea o universale di autori coevi al canonico<br />

<strong>la</strong>urenziano. Confronto utile ad approfondire e sottolineare le peculiarità ed il significato<br />

politico del disegno storiografico del Giambul<strong>la</strong>ri. Secondo un criterio temporale, seguiamo in<br />

primo luogo <strong>la</strong> Hi<strong>storia</strong> sui temporis di Paolo Giovio 875 , pubblicata a Firenze nel 1550 dal<br />

Torrentino dopo una composizione prolungatasi per più di un trentennio, con re<strong>la</strong>tiva<br />

precedente circo<strong>la</strong>zione delle sue parti manoscritte ad opera del suo autore. La <strong>prima</strong> edizione<br />

del<strong>la</strong> Hi<strong>storia</strong> segue il definitivo distacco del Giovio dall’ambiente del<strong>la</strong> Curia romana<br />

consumatosi nel 1548, provocato dal<strong>la</strong> non corresponsione di una pensione e dal<strong>la</strong> mancata<br />

nomina episcopale al<strong>la</strong> diocesi di Como da parte di Paolo III. Giovio, pertanto, si trasferisce a<br />

Firenze dove Cosimo lo accoglie a braccia aperte. Sotto <strong>la</strong> tute<strong>la</strong> del casato dell’attuale duca<br />

di Firenze, del resto, <strong>prima</strong> al servizio di Leone X e Clemente VII, nonchè in stretto rapporto<br />

con Ippolito de’ Medici, si è svolta tutta <strong>la</strong> carriera curiale del Giovio 876 . Ora, ormai venuto<br />

meno il più che trentennale rapporto con <strong>la</strong> Roma pontificia, Cosimo offre al Giovio l’agio<br />

economico negatogli dal Farnese e <strong>la</strong> possibilità di pubblicare attraverso <strong>la</strong> stamperia del<br />

Torrentino <strong>la</strong> sua Hi<strong>storia</strong>. Immediatamente tradotta in volgare nel biennio 1551-1553 da<br />

Ludovico Domenichi, stretto col<strong>la</strong>boratore dello stampatore ducale e amico del Giovio, in due<br />

volumi 877 , nel<strong>la</strong> versione di riferimento al<strong>la</strong> nostra analisi. Un testo pertanto, stampato grazie<br />

al patronato mediceo del duca ampiamente celebrato dal Giovio. Cosimo, infatti, viene<br />

caratterizzato nel ruolo di pacificatore e ordinatore che mette fine alle pluriseco<strong>la</strong>ri lotte<br />

intestine al<strong>la</strong> città di Firenze, trattate nelle Istorie Fiorentine del Machiavelli. Infatti, i<br />

fiorentini simili per carattere ai Greci dai quali derivano, hanno intrapreso un corso rovinoso<br />

per <strong>la</strong> città arrestato soltanto dal casato dei Medici che “quasi per ispatio di cento anni,<br />

avendo<strong>la</strong> confermata con utilissime leggi, con singo<strong>la</strong>r gloria l’hanno…accresciuta; et<br />

acciocché nul<strong>la</strong> mancasse al<strong>la</strong> suprema felicità di quel<strong>la</strong> bellissima città sovragiunse Papa<br />

Leone per beneficio dal cielo venuto al mondo; et Clemente ancor che differente da lui per<br />

costumi.” 878 Cosimo subentrato ad Alessandro vittima del tirannicidio di Lorenzino, vincendo<br />

i fuoriusciti a Montemurlo, è riuscito a garantire <strong>la</strong> sopravvivenza e l’autonomia dello stato<br />

fiorentino salvandolo in modo definitivo dai pericoli causati in passato dal temporaneo trionfo<br />

degli umori popo<strong>la</strong>ri nel 1494 e nel biennio 1528-1530 dell’ultima repubblica fiorentina 879 .<br />

La tendenza palesemente medicea delle pagine gioviane su questi avvenimenti capitali del<strong>la</strong><br />

<strong>storia</strong> fiorentina, non sarebbe sfuggita al<strong>la</strong> critica di molti esponenti del repubblicanesimo<br />

cittadino: dall’ex fuoriuscito Benedetto Varchi, agli esuli Giambattista Busini e Donato<br />

Giannotti a Federigo degli Alberti 880 . Comunque le considerazioni dello storico comasco oltre<br />

875 Vedi <strong>la</strong> re<strong>la</strong>tiva voce Giovio Paolo di Zimmermann Price T. C., in DBI, vol. LVI, pp. 430-440, E. Cochrane,<br />

Hi<strong>storia</strong>ns and Historiography, cit., pp. 366-377 e soprattutto id., Paolo Giovio: The Hi<strong>storia</strong>n and the Crisis of<br />

Sixteenth Century, Princeton, University Press, Princeton 1995.<br />

876 Giovio Paolo, cit., pp. 430-432 .<br />

877 La <strong>prima</strong> et seconda parte dell’Historie del suo tempo di Mons. Paolo Giovio vescovo di Nocera tradotte<br />

per M. Ludovico Domeniche, in Fiorenza, MDLI-MDLIII, Torrentino.<br />

878 Ivi, libro XXV, seconda parte, rinviamo alle pp. 34e1-35e2.<br />

879 Zimmermann, Paolo Giovio, cit., vedi in partico<strong>la</strong>re pp. 256-258.<br />

880 Zimmermann, Paolo Giovio, cit., pp. 263-264 e E. Cochrane, Hi<strong>storia</strong>ns and Historiography, cit., pp. 374-<br />

375. In proposito inoltre, cfr. anche E. Cochrane, Paolo Giovio e <strong>la</strong> Storiografia del Cinquecento in Paolo<br />

195


che dal<strong>la</strong> gratitudine personale nei confronti di Cosimo, nascono anche dal sincero<br />

apprezzamento del<strong>la</strong> capacità cosimiana di garantire l’autonomia e <strong>la</strong> forza dello stato<br />

fiorentino e dal<strong>la</strong> convinzione che <strong>la</strong> vita del<strong>la</strong> repubblica fiorentina costituisca un serio<br />

ostacolo al ristabilimento del<strong>la</strong> libertà d’Italia. Del resto, <strong>la</strong> predilezione per il regime<br />

principesco viene da lontano nel mondo gioviano, dall’impressione in lui suscitata<br />

dall’esempio sforzesco di fine Quattrocento, che aveva chiaramente superato <strong>la</strong> dimensione<br />

dell’Italia comunale ormai anacronistica e incapace di superare il settarismo delle fazioni.<br />

Questo è il problema cruciale del Giovio storico degli avvenimenti contemporanei che a<br />

livello europeo decidono il destino e l’assetto del<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong> italiana sul declinare del<br />

quattrocento. Il suo sguardo come ha sottolineato, il Dionisotti 881 , recupera una prospettiva<br />

europea a livello spaziale paragonabile a quel<strong>la</strong> del Piccolomini. Il Giovio, libero dalle<br />

angustie di una prospettiva municipale o di lunga durata come quel<strong>la</strong> esemplificata dal<br />

Biondo, in virtù del suo status di umanista del<strong>la</strong> Curia pontificia, è in grado di percepire e di<br />

indagare storicamente l’incidenza preponderante esercitata dall’Europa sul<strong>la</strong> crisi italiana nel<br />

periodo che va dal 1494 al 1544 882 . Date che riguardano appunto lo svolgimento del conflitto<br />

franco-asburgico in Italia iniziato con <strong>la</strong> discesa nel<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong> di Carlo VIII e<br />

temporaneamente sospeso dal<strong>la</strong> pace di Crepy del 1544. Lo scontro in atto, infatti, assume una<br />

valenza europea e mondiale come l’autore chiarisce fin dalle prime battute delle sue Hi<strong>storia</strong>e:<br />

“Era allora tutto il mondo in pace e in riposo… e soprattutto l’Italia…quando in quel<strong>la</strong><br />

s’accese una guerra maggiore e più terribile d’assai che l’openione degli uomini non era: <strong>la</strong><br />

qual guerra dapoi in spatio di pochi anni travagliò non pure tutta l’Europa, ma le lontane<br />

parti anchora dell’Asia e dell’Aphrica volgendo sottosopra in ogni luogo o ruinando gli<br />

imperii delle chiarissime nationi […]talche in cinquant’anni, ne quali si conferisce tutta<br />

l’hi<strong>storia</strong>, Marte et Fortuna pare che non habbiano <strong>la</strong>sciato libera parte alcuna del mondo<br />

afflitto da tante ruine”.<br />

Una condizione di decomposizione e conflitto, in realtà iniziata, con <strong>la</strong> caduta dell’impero<br />

romano e <strong>la</strong> fine del<strong>la</strong> pax universale da esso instaurata e garantita a livello mondiale. I<br />

barbari infatti, seppur capaci di abbattere l’impero, non riescono certo a sostituirlo a livello di<br />

stabilità politica ed equilibrio generale. Gli organismi politici barbari hanno durata breve,<br />

l’Europa costituisce ormai un terreno di scontro continuo tra pretendenti di ogni tipo,<br />

coinvolta in guerre locali e intestine. Scrive infatti il Giovio:<br />

“dapoi che <strong>la</strong> potenza degli imperatori restò spenta, <strong>la</strong> quale avendo già levato, via tutti i<br />

re, aveva ridotto ogni cosa all’ubbidienza d’un solo, essendosi tutti i più feroci popoli per <strong>la</strong><br />

memoria dell’antica libertà ribel<strong>la</strong>ti, il mobilissimo imperio battuto e <strong>la</strong>cerato hor da uno et<br />

hor da un altro furor di barbari s’andò dividendo in regni piccioli, et signoria di molti.<br />

Diventarono poi le cose de’ Gothi grandemente illustri, i quali per parer di vendicare<br />

l’ingiurie di tutto il mondo, con crudel rabbia ruinando l’honorate memorie del<strong>la</strong> virtù e<br />

grandezza romana, assisoli fra tutti gli altri popoli trimpharono del popolo vincitore del<br />

mondo. Atti<strong>la</strong> anch’egli imperatore degli Hunni…<strong>la</strong>sciò singo<strong>la</strong>r memoria delle cose da lui<br />

fatte[…]furon parimente illustri…l’arme de’ Tartari…ma non durarono poi lungo tempo gli<br />

imperii de Gothi, de gli Hunni, o de Francesi, o de’ Tartari nelle terre altrui. Perciochè si<br />

come da principio quelle guerre avevano avuto terribili et repentine furie, così non molto<br />

dapoi, non essendo fondate sopra stabili forze in breve spatio di tempo invecchiarono. Et<br />

guerreggiarsi poi con alquanto minor crudeltà fino al<strong>la</strong> memoria de’ nostri padri…che<br />

Giovio. Il Rinascimento e <strong>la</strong> memoria. Atti del convegno (Como 3-5 Giugno 1983), Raccolta storica pubblicata<br />

dal<strong>la</strong> Società storica Comense, vol. XVII, Como, 1985, pp. 19-30, in partico<strong>la</strong>re pp. 19-21.<br />

881 C. Dionisotti, Medio Evo barbarico e Cinquecento italiano, cit..<br />

882 Ivi, vedi in partico<strong>la</strong>re pp. 425-428.<br />

196


mentre alcune nationi dopo i lunghi travagli delle guerre, godevano l’acquistata pace, l’altre,<br />

che poco dianzi s’erano riposate, s’infiammavano di guerre o straniere o civili.”<br />

Risuona pertanto, in questo excursus introduttivo al<strong>la</strong> narrazione vera e propria, un topos<br />

del<strong>la</strong> idealizzazione del modello romano e del<strong>la</strong> sua insuperabilità, tipico dell’umanesimo<br />

italiano. In tal senso significativo è anche il punto di discontinuità al permamente stato di<br />

guerra che coinvolge i diversi stati: il 1494. Quest’anno rappresenta il momento di piena<br />

fioritura del<strong>la</strong> civiltà umanistica italiana e di massima stabilità e autonomia politica degli stati<br />

del<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong> e secondo le parole gioviane, di quel<strong>la</strong> pace generalizzata “quale dopo Augusto<br />

non si ricordava nessuna età degli antichi” 883 , istantaneamente e definitivamente interrotta<br />

dal<strong>la</strong> discesa di Carlo VIII. Anche il Giambul<strong>la</strong>ri, iniziando <strong>la</strong> sua narrazione dall’887, anno<br />

in cui si determina <strong>la</strong> divisione dell’Impero in regni autonomi, mette in risalto lo stato di<br />

decadenza in cui versa, confermato del resto anche dalle continue guerre interne ai ceti<br />

aristocratici del continente. Tuttavia, come abbiamo visto, oltre al<strong>la</strong> tradizione dell’impero<br />

romano che rimane sullo sfondo, è soprattutto <strong>la</strong> rifondazione cristiana dell’impero compiuta<br />

dai Sassoni il vero modello a cui rapportare <strong>la</strong> corruzione attuale e le speranze di renovatio<br />

riposte in Carlo V 884 . D’altronde, anche il Giovio, auspica per buona parte delle Hi<strong>storia</strong>e, che<br />

l’imperatore asburgico compia <strong>la</strong> pacificazione dell’Europa cristiana e guidi una crociata<br />

contro il grande nemico turco. Questa propensione filoimperiale emerge anche dal modo in<br />

cui lo storico comasco sottolinea inequivocabilmente le responsabilità francesi nel conflitto<br />

con gli Asburgo, fin dal ritratto non partico<strong>la</strong>rmente positivo di Carlo VIII:<br />

“il quale benché ne di mano, ne di consiglio non valesse molto; nondimeno come appresso<br />

diremo giovanetto di ventitré anni, fondatosi nelle forze d’un grandissimo e ricco regno,<br />

turbò <strong>la</strong> pace in Italia, e con l’armi e con l’ardire illustrò grandemente le cose di Francia,<br />

che a noi erano oscure.”<br />

Una personalità, raffigurata in tutto il suo giovanile e impetuoso ardire, le cui ambizioni<br />

sono favorite da un regno potente. Diversamente da Massimiliano le cui notevoli qualità, non<br />

sono sostenute da un regno altrettanto potente e coeso. Infatti, nel<strong>la</strong> frammentaria e varia<br />

realtà dell’impero germanico “le vere ricchezze erano appresso delle terre franche, le quali<br />

collegate insieme, e accompagnate le forze loro fanno il numero di settanta città grosse, et di<br />

comune consenso invincibili difendono <strong>la</strong> libertà loro.”<br />

In questo senso è significativo, che il Giovio individui nel<strong>la</strong> frustrazione di Francesco I per<br />

<strong>la</strong> legittima elezione imperiale di Carlo V <strong>la</strong> causa <strong>prima</strong> del<strong>la</strong> ripresa delle ostilità franco<br />

asburgiche, e commenti <strong>la</strong> successione a Massimiliano nei seguenti termini:<br />

“Succesegli nello Stato Carlo suo nipote figliuolo di Filippo, senza alcun dubbio,<br />

potentissimo fra tutti gli altri imperatori, per <strong>la</strong> grandezza de’ regni di Spagna, et di Napoli; i<br />

quali per eredità gli erano toccati. Costui poco da poi nell’elettione de l’imperatore, <strong>la</strong> quale<br />

secondo il solito si faceva in <strong>la</strong> Magna, hebbe per competitore Francesco re di Francia, il<br />

quale s’era fondato su <strong>la</strong> speranza d’haver a corrompere gli elettori con denari; ma non gli<br />

riuscì il suo disegno, perché i baroni tedeschi s’accordarono insieme per conservar l’honor<br />

pubblico del<strong>la</strong> natione. Et ciò fu cagione di quel grande odio preso, il qual si scoperse poi fra<br />

loro, nascendone mortal guerra.” 885<br />

Carlo V, viene considerato a lungo dall’autore <strong>la</strong> figura capace di pacificare e stabilizzare <strong>la</strong><br />

situazione italiana ed europea. Giovio, aderisce al<strong>la</strong> linea perseguita dal Gattinara, ed è<br />

883 Ivi, <strong>prima</strong> parte,cit., libro I, passi cit. alle pp. 1a1-3a2.<br />

884 Vedi infra cap. II, paragrafo II e ssg..<br />

885 Ivi, seconda parte, cit., libro XIX, passo cit. a p. 2a1.<br />

197


fautore dell’accordo imperiale-pontificio a livello italiano ed europeo come unico antidoto<br />

all’impasse dei conflitti in atto. Pertanto, egli, vede negativamente <strong>la</strong> politica filofrancese di<br />

Clemente VII, mentre celebra nel<strong>la</strong> pace di Bologna il raggiungimento dell’auspicata<br />

concordia tra papa e imperatore 886 , chiaramente sottolineata nel<strong>la</strong> descrizione del loro<br />

incontro:<br />

“Et nel mezzo sopra una altissima sedia v’era il Papa con <strong>la</strong> mitera in capo, ch’aspettava<br />

l’imperatore. Il quale havendo tolti in sua compagnia so<strong>la</strong>mente i più nobili baroni…su per<br />

gli scaglioni fu accompagnato da due cardinali. Et come egli comparve, così subito tutti gli<br />

occhi si rivolsero a guardare i due grandissimi signori del mondo.” 887<br />

Del resto, <strong>la</strong> fiducia del Giovio nel giudizio dell’imperatore sembra essere premiata dal<strong>la</strong><br />

restituzione del ducato di Mi<strong>la</strong>no a Francesco Sforza, compiuta da Carlo V per stabilizzare<br />

l’assetto italiano e garantire <strong>la</strong> pacificazione del<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong>. Giovio esalta <strong>la</strong> lungimiranza<br />

dell’imperatore che smentisce decisamente i sospetti di diversi esponenti del<strong>la</strong> Curia<br />

sull’ambizione di assoluto dominio del sovrano asburgico. L’autore, infatti, afferma a<br />

proposito del<strong>la</strong> buona fede imperiale che “tanta era l’altezza del giudicio di Cesare, tanta <strong>la</strong><br />

religione del suo temperatissimo animo, et tanto finalmente il desiderio del<strong>la</strong> pace e del<strong>la</strong><br />

concordia…” 888 . Pertanto, l’incoronazione imperiale di Clemente VII consacra Carlo V come<br />

degno depositario e prosecutore del<strong>la</strong> tradizione e del<strong>la</strong> grandezza imperiale romana:<br />

“Ora <strong>la</strong> somma del<strong>la</strong> solennità fu questa, che’l Papa di sua mano diede l’insegne<br />

dell’Imperio Romano all’Imperatore. Fatta dunque sempre oration solenne il Papa<br />

essendogli egli inginocchiato davanti, gli diede lo scettro d’oro…col quale religiosamente<br />

comandasse alle genti: et <strong>la</strong> spada ignuda con <strong>la</strong> quale perseguitasse i nimici del nome<br />

Christiano…” 889 .<br />

La positiva risoluzione imperiale di Bologna si aggiunge al<strong>la</strong> buona notizia del<strong>la</strong> fuga di<br />

Solimano e degli ottomani da Vienna fino a quel momento cinta d’assedio 890 . L’anno<br />

successivo, tuttavia, Solimano occupa <strong>la</strong> Serbia, mentre Carlo è impegnato nel<strong>la</strong> dieta di<br />

Ratisbona a risolvere le controversie scoppiate con i principi territoriali dell’Impero<br />

germanico intenzionati ad affermare <strong>la</strong> loro autonomia politica dall’autorità imperiale.<br />

Opposizione trasversale alle spaccature religiose che vanno dal Langravio d’Assia al Duca di<br />

Sassonia, che usano l’eresia luterana per fini politici, al<strong>la</strong> stessa cattolica Baviera che osteggia<br />

<strong>la</strong> forza del<strong>la</strong> casa d’Asburgo. Scrive, infatti, il Giovio:<br />

“Havendo l’imperatore pacificata l’Italia…se ne venne a Ratisbona su’l Danubio, dove per<br />

molte cagioni, specialmente per guarire gl’animi de’ Luterani, era comandata una dieta di<br />

tutta <strong>la</strong> Magna; percioche in quel tempo era molto <strong>la</strong>cerata <strong>la</strong> religion christiana nelle città<br />

celeberrime; et perciò molti popoli divisi in parti guerreggiavano insieme, tal che mentre <strong>la</strong><br />

Magna fiorita d’armi, di ricchezze e d’ingegni attendeva agli errori pazzi, essendo tutta in<br />

discordia, et avendo interrotta l’autorità del<strong>la</strong> religione, parea, ch’el<strong>la</strong> fosse per ricevere una<br />

gravissima ferita; et ciò massimamente perché il veleno di quel<strong>la</strong> horribil peste era entrato<br />

negli animi de’ grandi, i quali empia, et arrogantemente difendevano quelle opinioni. Tra<br />

questi erano il signor Federigo duca di Sassonia et Filippo Langravio d’Assia contrarij<br />

886 Zimmermann, Paolo Giovio, cit., pp. 73-76, 79-86 e 94 a proposito del dissenso dal<strong>la</strong> politica francese di<br />

Clemente VII, e sul favore per Carlo V e <strong>la</strong> convergenza con <strong>la</strong> politica del Gattinara pp. 78, 95 e 107.<br />

887 Ivi, libro XXVII, passo cit. a p. 182.<br />

888 Ivi, al riguardo cfr. pp. 185aa1-187aa2 e passo cit. a p. 185aa1, in proposito vedi anche Zimmermann, Paolo<br />

Giovio, cit., pp. 108-109 e 111-112.<br />

889 Ivi, in proposito passo a p. 194bbII.<br />

890 Ivi, p.185Aa1.<br />

198


all’Imperatore Carlo et al re Ferdinando, et nimici vecchi del<strong>la</strong> casa d’Austria; lo stato, et<br />

dignità del<strong>la</strong> qual casa esse pensavano, che molto s’havesse a scemare et indebolire con quel<br />

travaglio del<strong>la</strong> religione. Et anco il Signor Guglielmo Duca di Baviera, il quale…aveva<br />

aspirato all’Imperio, non potea sopportare di buon animo che’l re Ferdinando nel<strong>la</strong> elettione<br />

passata…fosse stato eletto re de’ Romani.” 891<br />

Proprio l’urgenza ottomana, costringe Carlo a rinviare <strong>la</strong> soluzione del problema luterano,<br />

per approntare una resistenza comune con i dissidenti tedeschi, contro Solimano. Il Giovio, è<br />

chiaramente favorevole al<strong>la</strong> decisione di Carlo V, di cui esalta il ruolo di difensore e autentico<br />

leader del<strong>la</strong> cristianità europea in questo difficile momento 892 , pur mantenendo una totale<br />

avversione verso l’eresia luterana e gli obiettivi antimperiali dei principi territoriali. Egli,<br />

infatti, estraneo al partito carafiano, nonostante le sue amicizie e frequentazioni spirituali, e <strong>la</strong><br />

consapevolezza degli eccessi e degli errori del<strong>la</strong> Curia, si pone comunque in una posizione di<br />

sostanziale di difesa del<strong>la</strong> tradizione ecclesiastica 893 .<br />

Molto diversa pertanto appare <strong>la</strong> valutazione e <strong>la</strong> percezione dell’impero germanico<br />

nell’ottica antiprotestante gioviana rispetto a quel<strong>la</strong> sviluppata dal Giambul<strong>la</strong>ri. Nel<strong>la</strong> Storia<br />

d’Europa, infatti, proprio quel<strong>la</strong> che alcuni secoli dopo sarebbe diventata <strong>la</strong> cul<strong>la</strong> del<br />

luteranesimo, diviene restauratrice del significato dell’istituto imperiale profondamente<br />

indebolito dagli inadeguati successori di Carlo Magno. Il canonico di S. Lorenzo, pone nel<strong>la</strong><br />

trans<strong>la</strong>tio del titolo imperiale al<strong>la</strong> dinastia di Arrigo e di suo figlio Ottone il grande di<br />

Sassonia, <strong>la</strong> rinascita del<strong>la</strong> forza politica e militare dell’istituzione imperiale chiaramente<br />

sostenuta da un disegno provvidenzialistico. Arrigo, infatti, mette fine ai dissidi interni<br />

all’Impero, sedando <strong>la</strong> ribellione del<strong>la</strong> Baviera e pacificando più in generale l’Europa<br />

cristiana. Inoltre, svolge il ruolo di puntello del<strong>la</strong> stabilità del regno franco, e agisce per <strong>la</strong><br />

tute<strong>la</strong> e addirittura per <strong>la</strong> diffusione del credo cristiano. In tal senso sono significative le<br />

vittorie su Boemi, Borussi e Danesi con re<strong>la</strong>tiva evangelizzazione di quei popoli e territori,<br />

ma soprattutto l’affermazione riportata contro gli Ungheri nel 934 894 . Questi ultimi, molto più<br />

dei Saraceni, costituiscono come detto, il corrispettivo del pericolo ottomano nell’Europa del<br />

Cinquecento.<br />

Soltanto <strong>la</strong> dinastia sassone, infatti, riesce a sanare nuovamente questo vulnus aperto<br />

nell’Europa cristiana dal<strong>la</strong> legerezza dei successori di Carlo Magno, in primis da Arnolfo. Per<br />

capire <strong>la</strong> centralità del problema costituito dagli Ungheri basta, del resto, vedere le tantissime<br />

pagine dedicate alle loro razzie e devastazioni. Inoltre, a proposito del<strong>la</strong> grande vittoria di<br />

Arrigo, è significativo il ricorso al Chronicon del Carione, in maniera opposta a quel<strong>la</strong><br />

utilizzata dal Giovio. Quest’ultimo, infatti, ricava dal Carione notizie attinenti allo scontro<br />

avvenuto tra i principi territoriali per l’elezione di Ludovico il Bavero nel 1314. Le pagine<br />

gioviane danno un’immagine dell’impero germanico inequivocabilmente caratterizzata dal<strong>la</strong><br />

divisione e dal prevalere di interessi politici di corto respiro. Diversamente, il Giambul<strong>la</strong>ri ne<br />

fornisce un’immagine positiva e provvidenzialmente giustificata, secondo quel<strong>la</strong> linea di<br />

vicinanza ai principi del<strong>la</strong> Lega di Smalcalda sostenuta negli anni quaranta da Cosimo in<br />

funzione antifarnesiana. Il duca del resto, non avrebbe abbandonato il sostegno alle diffuse<br />

tendenze eterodosse del<strong>la</strong> sua corte e dell’Accademia anche durante il corso degli anni<br />

Cinquanta 895 . Il ritratto di Ottone I quale sovrano completamente rivolto al rafforzamento<br />

del<strong>la</strong> res publica christiana che emerge dal racconto delle sue imprese, del resto, è<br />

891 Ivi, libro XXX, passo a pp. 328ss4-329tt1.<br />

892 Ivi, vedi pp. 330tt1-333tt2.<br />

893 Sulle amicizie e <strong>la</strong> posizione nel seno del cattolicesimo cfr. Zimmermann, Paolo Giovio, cit., pp. 149-150,<br />

208-209 e 216-217, inoltre, sul<strong>la</strong> sua ortodossia, cfr. anche C. Dionisotti, Medio Evo barbarico, cit., p. 426.<br />

894 Storia, cit., si rinvia ai libri IV e V, pp. 219-352, in partico<strong>la</strong>re sul<strong>la</strong> grande vittoria ottenuta contro gli<br />

Ungheri con l’esplicito rinvio al Chronicon…Carionis, cit., a p. 327 in cui il Giambul<strong>la</strong>ri scrive “essendo rimasi<br />

morti sul<strong>la</strong> campagna, come si vede nel Carione, quaranta migliai d’Ungheri, con poco danno degli<br />

Alemanni[…]”.<br />

895 In proposito rinviamo a M. Firpo, Gli affreschi, cit., pp. 313-393.<br />

199


emblematico dell’alterità delle prospettive del Giambul<strong>la</strong>ri rispetto a quelle gioviane. Basti<br />

pensare al<strong>la</strong> congiura capeggiata da Giselberto ed Eberardo fallita senza grande spargimento<br />

di sangue e sofferenza dei popoli dell’impero, e al ruolo di garante del<strong>la</strong> corona francese di<br />

Ludovico assunto dall’imperatore. Tutte le azioni ottoniane sono improntate al<strong>la</strong> fede cristiana<br />

più profonda come nel caso in cui rifiuta di attribuire una diocesi ad un suo conte quale<br />

pagamento per il suo sostegno in armi e uomini. L’imperatore infatti, non vuole che il potere<br />

seco<strong>la</strong>re sfrutti impropriamente delle risorse adibite al<strong>la</strong> sfera ed alle necessità spirituali.<br />

In realtà, <strong>la</strong> propensione dello storico comasco per Carlo V non è incondizionata. Essa<br />

riposa nel<strong>la</strong> convinzione che Carlo V, sia l’unica figura in grado di garantire <strong>la</strong> libertà d’Italia<br />

e di rafforzare l’Europa cristiana, in armonia con il pontefice. Al<strong>la</strong> visione universale<br />

dell’umanista di Curia, Giovio aggiunge anche una non trascurabile componente di<br />

patriottismo italico, venato di nostalgia di quel meraviglioso periodo di stabilità vissuto dal<strong>la</strong><br />

peniso<strong>la</strong> nel<strong>la</strong> seconda metà del XV secolo fino al<strong>la</strong> discesa di Carlo VIII. In tal senso appare<br />

significativo lo sdegno e l’orrore espresso nelle Hi<strong>storia</strong>e a proposito del sacco di Roma. Il<br />

vescovo di Nocera non tollera in alcun modo le scelleratezze perpetrate dai Barbari e mette<br />

sul banco degli imputati un filoimperiale come il Colonna, seppur con delle attenuanti 896 , e<br />

soprattutto il Borbone. Quest’ultimo, infatti, comandante in capo dell’esercito imperiale, ha<br />

diretto le truppe all’assalto di Roma, nonostante il rinnovato accordo raggiunto tra Clemente e<br />

Carlo V:<br />

“L’animo tutto si raccapriccia a volere raccontare le miserie e’ tormenti de Barbari, i quali<br />

essi adoprarono nell’infelice popolo già vincitore di tutte le nationi. Perché queste cose ne<br />

raccontare, ne udir si possono senza molte <strong>la</strong>grime; tal che quel<strong>la</strong> santissima città potè molto<br />

ben conoscere, come Iddio era contrario in tutto al<strong>la</strong> salute sua; se i Santi Avocati di Roma,<br />

anchor che con vano conforto, volendo <strong>la</strong> loro divinità farne notabil vendetta, non havessero<br />

fatto sacrificio di quel traditore, et crudelissimo assassino nell’entrar proprio nel<strong>la</strong> città<br />

presa. Perciocché Borbone si morì, mentre che con <strong>la</strong> scellerata mano egli appoggiava <strong>la</strong><br />

sca<strong>la</strong> alle mura…” 897 .<br />

Anche a proposito del passaggio per Roma di Carlo V nel 1535, Giovio non manca di<br />

stigmatizzare <strong>la</strong> ferocia dimostrata dalle truppe imperiali a danno del<strong>la</strong> capitale del<br />

cristianesimo universale e del<strong>la</strong> sua popo<strong>la</strong>zione nel 1527 898 . D’altro canto, nel passo delle<br />

Hi<strong>storia</strong>e in cui viene data notizia del<strong>la</strong> morte di Clemente VII, il giudizio gioviano sul<br />

pontefice defunto non è partico<strong>la</strong>rmente positivo, e allude criticamente alle sue scelte francesi<br />

e al sacco 899 , registrando invece in ben altro modo <strong>la</strong> successiva convergenza con Carlo V:<br />

“Questo huomo, il quale per altro era veramente accortissimo, et havea esperienza di<br />

grandissime cose, havea imparato a pubblicare l’ultime risoluzioni dell’animo suo, e a<br />

terminare i suoi disegni, con poco chiaro ed espedito spirito, si come importò allora<br />

grandemente <strong>la</strong> salute di tutti, quando consigliandosi lui noi ruinammo tutti vituperosamente<br />

896 Sul Colonna vedi Zimmermann, Paolo Giovio, cit., pp. 85-86.<br />

897 Ivi, al riguardo cfr. libro XXIV, pp. 21-22c3, in partico<strong>la</strong>re passo riportato a p. 22c3.<br />

898 Ivi, libro XXXV, a p. 561a1, leggiamo: “l’imperatore partito da Napoli…entrò in Roma…Haveva menato<br />

seco per presidio una legione di soldati vecchi Spagnoli et settecento uomini d’arme, et ciò con minor allegrezza<br />

del popolo; perciochè molti riconoscevano ancora quei medesimi terribili volti de soldati, i quali rinnovavano in<br />

loro <strong>la</strong> memoria del sacco fresco, et di tutti i supplicii, che havevan patito, e accrescevasi anchora <strong>la</strong> noia e’l<br />

dispiacer loro, perché Papa Paolo con esempio nuovo aveva messo una taglia a tutti i collegii de mercanti et de<br />

gli artefici; et ciò per honorar molto con importuna spesa gl’Imperiali, de quali essi havevan ricevuto ingiurie et<br />

danni grandissimi.”<br />

899 Zimmermann, Paolo Giovio, cit., pp. 134-135; sulle scelte politiche di Clemente VII cfr. anche L. Pastor,<br />

Storia dei Papi dal<strong>la</strong> fine del Medio Evo, Roma, Desclèe e C. Editori pontifici, 1955-1964 (ristampa), XVII<br />

voll., in partico<strong>la</strong>re vol. IV, parte II: Storia dei Papi dal<strong>la</strong> fine del Medio Evo: Adriano II e Clemente VII, 1956,<br />

pp. 198-275, 353-364.<br />

200


d’una ruina poco men che prevista. Ma in questo luogo parmi et veramente ch’e si deve<br />

scusarlo, essendo egli precipitato in quelle miserie con non minor viltà de suoi capitani, che<br />

tradimento de nimici, poi ch’egli poi con eccellente consiglio, felicemente derivato dal<strong>la</strong><br />

illustre equità dell’Imperatore, acquistò <strong>la</strong> pace, et liberò gran parte dell’Italia dal<strong>la</strong><br />

dolorosa stranezza de’ soldati spagnoli.” 900<br />

Giambul<strong>la</strong>ri, invece, riporta ai lettori in tutt’altro modo il sacco di Roma compiuto da<br />

Arnolfo. In quel caso, infatti, l’azione imperiale è volta a sostenere il papato, riaffermando le<br />

ragioni del legittimo Formoso contro il malvagio antipapa Sergio. La presa di Roma non<br />

offende un sacro e immutato <strong>prima</strong>to, perso ben <strong>prima</strong> dell’ingresso di Arnolfo nel<strong>la</strong> città. I<br />

continuatori del<strong>la</strong> Romanitas, ormai secondo l’ottica del<strong>la</strong> res publica christiana sono i popoli<br />

germanici. Del resto, in tal senso, va registrato anche il ruolo marginale interpretato dai<br />

pontefici nel<strong>la</strong> Storia d’Europa rispetto al<strong>la</strong> predominanza del ruolo attribuito all’autorità<br />

imperiale in re<strong>la</strong>zione al<strong>la</strong> sua funzione e legittimazione cristiana. Proprio nel<strong>la</strong> richiesta di<br />

aiuto formu<strong>la</strong>ta ad Arnolfo, si sancisce un nesso di dipendenza e subordinazione del destino<br />

del<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong> e del papato dal potere imperiale. Rapporto che appare analogamente stabilito<br />

dal Giovio nell’incoronazione di Bologna.<br />

Tuttavia, mentre incrol<strong>la</strong>bile è <strong>la</strong> fede ghibellina del Giambul<strong>la</strong>ri, ed evidente l’esaltazione<br />

dell’operato degli imperatori del<strong>la</strong> casa di Sassonia, <strong>la</strong> fiducia gioviana in Carlo V invece, si<br />

appanna notevolmente sul finire degli anni Trenta nel momento di comporre l’ultima parte<br />

delle Hi<strong>storia</strong>e, quando le sue decisioni contrastano decisamente con gli obiettivi <strong>prima</strong>ri<br />

del<strong>la</strong> cristianità.<br />

Giovio, in realtà, appare sempre più esasperato e logorato dal<strong>la</strong> perenne conflittualità che<br />

alberga tra i principi cristiani e favorisce grandemente i disegni di Solimano 901 . Nonostante i<br />

buoni tentativi di accordo promossi energicamente dal nuovo pontefice Paolo III Farnese, di<br />

cui comunque l’autore non tace certo le interessate mire nepotistiche 902 .<br />

Se Giovio pertanto stigmatizza l’alleanza di Francesco I con gli Ottomani in funzione<br />

antimperiale, parimenti non condivide le chiusure di Carlo V a trovare un vero e duraturo<br />

accordo con il monarca francese. L’imperatore, infatti, si rifiuta di concedere a Francesco I<br />

Mi<strong>la</strong>no, limitandosi a proporgli l’acquisizione del<strong>la</strong> Fiandra 903 che come scrive il Giovio:<br />

“era…molto lontana dall’utile del Re di Francia, ma comoda all’imperatore, il quale<br />

voleva esser veduto desideroso del<strong>la</strong> pace publica…Et queste cose erano tenute tanto segrete<br />

dall’imperatore, che non le voleva comunicare col Cardinal Farnese legato…<strong>la</strong> qual cosa a<br />

gli uomini, di giudicio parea che fosse indegna di nobile e religioso principe” 904 .<br />

Senza contare l’atteggiamento conciliativo dell’imperatore verso i principi territoriali che<br />

aderiscono al<strong>la</strong> Riforma Luterana, del cui sostegno ha bisogno per affrontare e sconfiggere<br />

definitivamente <strong>la</strong> Francia ed affermare in modo sempre più incisivo il suo <strong>prima</strong>to in Europa.<br />

900 Ivi, libro XXXII, passo alle 424Ggg4-425Hhh1.<br />

901 Zimmermann, Paolo Giovio, cit., pp. 152-153.<br />

902 In proposito ad esempio, ivi, Libro XXXIV , vedi il giudizio gioviano espresso a p. 493Qqq3: “Esso Paolo in<br />

governar <strong>la</strong> Chiesa, con certo illustre temperamento in apparenza di diverse virtù, manteneva talmente insieme<br />

il nome di Pontefice et di principe, che in ogni suo consiglio si vedeva una singo<strong>la</strong>r pietà, et nondimeno<br />

mostrava una volontà chiara di far grandi i suoi. Perciochè per <strong>la</strong> <strong>prima</strong> cosa, quello ch’era in ciò di<br />

grandissima importanza, mostrava di non volere essere di questa o di quel<strong>la</strong> parte, ma comun padre di tutti. Et<br />

perciò non si poteva egli punto persuadere, che volesse rinovare quel<strong>la</strong> lega, che s’era fatta in Bologna…per<br />

difendere <strong>la</strong> pace d’Italia, ma chiaramente per tener fuora Francesi, aspettando egli dall’uno e l’altro qualche<br />

dono degno del<strong>la</strong> sua fortuna.” Inoltre, sul nepotismo di Paolo III, cfr. Zimmermann, Paolo Giovio, cit., p. 156.<br />

Inoltre sul<strong>la</strong> politica del pontefice cfr. L. Pastor, Storia dei Papi, cit., in partico<strong>la</strong>re vol. V, Storia dei Papi nel<br />

periodo del<strong>la</strong> riforma e restaurazione cattolica: Paolo III, 1959, pp. 432-482.<br />

903 Al riguardo vedi Zimmerann, Paolo Giovio, cit., pp. 153, 167-168 e 172.<br />

904 Hi<strong>storia</strong>e, libro XXXIX, passo a p. 768Cc4.<br />

201


Egli, ancora all’insaputa del legato pontificio, organizza ad Hagenau nel 1540 905 una dieta <strong>la</strong><br />

cui segretezza fa domandare all’autore “che cosa si poteva egli felicemente consigliare, ne<br />

deliberare…senza l’auttorità del Papa? Il quale dovea esser supremo arbitro et diffinitore di<br />

quelle cose.” 906<br />

Pertanto, Giovio quasi capovolge l’iniziale immagine di Carlo all’interno del<strong>la</strong> sua crescente<br />

disillusione per le profonde responsabilità dei principi cristiani. Carlo, infatti, non assicura<br />

l’equilibrio e <strong>la</strong> libertà d’Italia nè complessivamente quel<strong>la</strong> dell’Europa cristiana. Basta<br />

vedere in tal senso <strong>la</strong> poca fiducia che Giovio ripone nei colloqui di Nizza e poi nel<strong>la</strong> stessa<br />

pace di Crepy 907 .<br />

Il giudizio sull’operato di Carlo V è al<strong>la</strong> fine delle Hi<strong>storia</strong>e, sostanzialmente e<br />

complessivamente negativo. L’imperatore, infatti, è stato incapace, sia di assicurare <strong>la</strong> libertà<br />

d’Italia, favorendo esclusivamente il proprio dominio assoluto sul<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong> attraverso <strong>la</strong><br />

diretta acquisizione di Mi<strong>la</strong>no, sia gli obiettivi di unità e crociata indicati dal cattolicesimo<br />

universale romano.<br />

Pertanto, le Hi<strong>storia</strong>e finiscono per essere una denuncia piena di delusione e sconforto. Ben<br />

altro è il messaggio conclusivo del<strong>la</strong> Storia del Giambul<strong>la</strong>ri, attenta a esaltare <strong>la</strong> rifioritura<br />

dell’Impero sotto l’egida del<strong>la</strong> Sassonia, secondo un sentire ghibellino evidentemente lontano<br />

dal<strong>la</strong> nostalgia per l’equilibrio italiano del<strong>la</strong> seconda metà del quattrocento. Giambul<strong>la</strong>ri<br />

sostiene <strong>la</strong> politica di accordo con il mondo protestante perseguita da Carlo V fino a<br />

Muehlberg, secondo quel<strong>la</strong> linea antiromana chiaramente manifestata dalle numerose fonti<br />

tedesche del<strong>la</strong> Storia d’Europa, evidentemente inaccettabile per Giovio, al di là del<strong>la</strong> comune<br />

propensione filo-cosimiana. Inoltre differenze tra i due, emergono anche all’interno del<br />

comune ripudio delle lotte delle fazioni fiorentine. Giovio, infatti, recupera il Machiavelli<br />

delle Historie fiorentinae, e non <strong>la</strong> posizione dantesca invece totalmente condivisa e<br />

riproposta dal Giambul<strong>la</strong>ri nel Gello, confermando inoltre <strong>la</strong> tesi del<strong>la</strong> ricostruzione di Firenze<br />

ad opera di Carlo Magno, decisamente negata invece dal canonico <strong>la</strong>urenziano 908 .<br />

2. Cosimo Bartoli<br />

Percettibilmente debitrice dell’influsso gioviano sarebbe stata invece <strong>la</strong> linea storiografica di<br />

Cosimo Bartoli, sia ne La vita di Federigo Barbarossa stampata dal Torrentino nel 1559 909 ,<br />

sia nei Discorsi Historici Universali pubblicati a Venezia nel 1569 910 dallo stampatore di<br />

origine senese Francesco de’ Franceschi 911 . Il Bartoli, per scrivere <strong>la</strong> sua biografia del<br />

Barbarossa, attinge direttamente al profilo tracciatone negli Elogia dal Giovio 912 . Certamente<br />

come rileva <strong>la</strong> Bryce sul<strong>la</strong> biografia bartoliana incide anche l’influenza culturale del<br />

Giambul<strong>la</strong>ri. Il Bartoli, infatti, affronta <strong>la</strong> biografia di uno dei personaggi di cui il Giambul<strong>la</strong>ri<br />

avrebbe probabilmente trattato nel<strong>la</strong> sua Hi<strong>storia</strong> d’Europa se avesse potuto portar<strong>la</strong> secondo<br />

i suoi propositi fino al<strong>la</strong> conclusione del XIII secolo. Inoltre, l’influenza del canonico<br />

<strong>la</strong>urenziano, è indicata indirettamente anche dall’uso di alcune delle fonti del<strong>la</strong> biografia<br />

bartoliana: Ottone di Frisinga, l’Irenicus, il Krantio. Tuttavia, il contesto in cui il Bartoli<br />

905 Zimmermann, Paolo Giovio, pp. 194-195.<br />

906 Vedi nota n. 30.<br />

907 Zimmermann, Paolo Giovio, pp. 153-154,197 e 199.<br />

908 In proposito vedi supra cap. I.<br />

909 La vita di Federigo Barbarossa, imperatore romano, di Messer Cosimo Bartoli. Allo illustrissimo et ecc. S.<br />

il S. Cosimo De Medici, duca di Firenze, et di Siena, in Firenze, appresso M. Lorenzo Torrentino, MDLIX.<br />

910 Discorsi historici universali di Cosimo Bartoli gentiluomo, et accademico fiorentino, In Venetia, appresso<br />

Francesco de’ Franceschi Senese, 1569.<br />

911 Sul quale rinviamo a De Franceschi Francesco, voce di L. Baldacchini, in DBI, vol. XXXVI, 1988, pp. 30-<br />

35 e soprattutto in Dizionario de Tipografi e degli editori italiani, cit., <strong>la</strong> voce Franceschi, Francesco de ed<br />

eredi, cit., pp. 450-453.<br />

912 J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., p. 247.<br />

202


inserisce queste fonti appare ben diverso da quello allestito dal Giambul<strong>la</strong>ri. Infatti, sebbene<br />

del tutto preponderante sia, specie nel primo e in parte nel secondo libro del<strong>la</strong> Vita, <strong>la</strong><br />

dipendenza dal profilo biografico dell’imperatore intrapreso da Ottone di Frisinga e<br />

continuato dal Rahewin 913 , fin dalle prime battute l’opera bartoliana <strong>la</strong>scia trape<strong>la</strong>re una linea<br />

non propriamente filoimperiale. Basta considerare come l’autore dichiari che il contrasto tra<br />

Guelfi e Ghibellini tedeschi abbia ”più volte disturbato <strong>la</strong> quiete dello Imperio, et mandato<br />

sottosopra <strong>la</strong> Germania; ne haveva questo veleno nociuto so<strong>la</strong>mente oltre a monti, ma sceso<br />

ancora in Italia aveva divisi non so<strong>la</strong>mente i popoli, et i cittadini d’una medesima terra…et<br />

da que tempi in qua ha tanto nociuto” augurandosi “che i discendenti nostri non habbino a<br />

vedere quel che in questi tempi ho veduto io, cosa certamente disdicevole, non pure a<br />

cristiani, ma a qual si voglia sorte di Barbari.” 914<br />

Valutazione che sottolinea in modo negativo il rapporto tra realtà politica italiana e tedesca,<br />

e gli influssi del<strong>la</strong> seconda sul<strong>la</strong> <strong>prima</strong>, con un evidente riferimento al presente, che avrebbe<br />

trovato conferma e sviluppo nel prosieguo dell’opera. Dunque una linea antimperiale che<br />

appare in qualche modo sostenuta anche dal ricorso al Biondo quale fonte esplicitamente<br />

menzionata a proposito dell’incoronazione imperiale di Federigo. 915 Una scelta mai fatta dal<br />

Giambul<strong>la</strong>ri nel descrivere le incoronazioni degli imperatori tedeschi nel<strong>la</strong> Storia, nonostante<br />

l’impiego altrove effettuato del Biondo. Inoltre, quest’incoronazione assume nell’economia<br />

del<strong>la</strong> vita bartoliana una rilevanza non episodica come dimostra nel secondo libro lo sdegno<br />

suscitato al<strong>la</strong> corte di Federigo dal<strong>la</strong> lettera papale consegnata da due alti pre<strong>la</strong>ti nel punto in<br />

cui ricorda <strong>la</strong> subordinazione dell’imperatore al potere spirituale del pontefice, chiaramente<br />

derivato dalle modalità dell’incoronazione imperiale:<br />

“Ma Federigo…e tutta <strong>la</strong> sua corte…come quegli che essendo Oltramontani, non possono<br />

sentire né sofferire paro<strong>la</strong> alcuna, per <strong>la</strong> quale si habbia a vedere, che gli Imperatori<br />

acquistino, o autorità o reputazione, o dignità alcuna dal<strong>la</strong> coronazione de’ Papi; né<br />

intendono questo atto del<strong>la</strong> Coronazione se non come una Cerimonia, che detti Papi sieno<br />

obligati di fare, si adirarono grandemente quando sentirono nominare <strong>la</strong> incoronazione come<br />

benefizio ricevuto dai Papi…”<br />

Pertanto, prosegue il Bartoli:<br />

“parendo loro che quel<strong>la</strong> so<strong>la</strong> paro<strong>la</strong> del<strong>la</strong> lettera del papa fusse molto piena d’arroganzia,<br />

et che derogassi assai al<strong>la</strong> Maestà dell’Imperio, hebbono varii ragionamenti non molto<br />

piacevoli…” 916 .<br />

Questione del resto, che non si esaurisce poi con <strong>la</strong> temporanea pacificazione imperialpontificia,<br />

rive<strong>la</strong>ndosi in tutta <strong>la</strong> sua gravità con l’ascesa al soglio pontificio del cardinal<br />

Ro<strong>la</strong>ndo nominato Alessandro III. Federigo, infatti, gli oppone l’antipapa Ottaviano perché,<br />

come riferisce l’autore, Alessandro è “persona ecclesiastica, et da saper mantener il credito,<br />

et <strong>la</strong> riputazion de <strong>la</strong> sedia apostolica.” 917 È abbastanza evidente <strong>la</strong> vicinanza del Bartoli alle<br />

ragioni del papato, anche perché nell’intreccio dell’opera difendere quelle posizioni significa<br />

anche tute<strong>la</strong>re <strong>la</strong> libertà d’Italia. I comuni capeggiati da Mi<strong>la</strong>no, infatti, si alleano con<br />

Alessandro, contro Federigo. Come suggerisce <strong>la</strong> Bryce, nel<strong>la</strong> descrizione di questo conflitto,<br />

l’autore sviluppa pienamente una prospettiva patriottica di stampo antiimperiale. Basta<br />

vedere, in tal senso che le fonti che raccontano <strong>la</strong> strenua resistenza di Mi<strong>la</strong>no all’imperatore,<br />

fino al<strong>la</strong> distruzione del 1558 con i re<strong>la</strong>tivi soprusi dei ministri imperiali, <strong>la</strong> sua ricostruzione<br />

913 Ivi, sul contributo e l’influenza di Giambul<strong>la</strong>ri e in generale sulle fonti del<strong>la</strong> biografia bartoliana.<br />

914 La vita, cit., passo alle pp. 41-42d1.<br />

915 Ivi, p. 76e7, in proposito cfr, inoltre J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., pp. 244 e 245.<br />

916 Ivi, passi alle pp. 105-106h2.<br />

917 Ivi, passo alle pp. 177-178m2.<br />

203


e <strong>la</strong> definitiva imperiale a Legnano, sono Donato Bossio e Bernardino Corio. 918 Fonti, di<br />

stampo umanistico, chiaramente celebrative delle gesta di Mi<strong>la</strong>no, schierate contro<br />

l’ingerenza imperiale in Italia e a favore dell’autonomia politico-militare di Mi<strong>la</strong>no.<br />

Analogo discorso vale per l’incontro tra Federigo e Alessandro a Venezia per <strong>la</strong> pace del<br />

1177 e per <strong>la</strong> riconciliazione tra Papa e imperatore. Momento il cui ricordo, appare di per sé<br />

significativo in re<strong>la</strong>zione al<strong>la</strong> mitizzazione compiutane dal<strong>la</strong> storiografia veneta, che lo<br />

identifica come una tappa decisiva del<strong>la</strong> evoluzione storico-politica veneziana e del<strong>la</strong> sua<br />

autonomizzazione dall’impero. Momento descritto sul<strong>la</strong> base dei resoconti del Sabellico, del<br />

Corio e del Meru<strong>la</strong> 919 . Certo, il Bartoli, riporta anche le critiche di quest’ultimo al<strong>la</strong><br />

ricostruzione del Sabellico a proposito del<strong>la</strong> sconfitta marittima inferta dai veneziani ad<br />

Ottone figlio di Federigo. Il Meru<strong>la</strong>, infatti, sostiene che Ottone non sia esistito e che Federigo<br />

abbia svolto operazioni militari esclusivamente via terra. Riguardo all’esistenza di Ottone,<br />

sul<strong>la</strong> quale peraltro anche il Sabellico appare contradditorio, il Bartoli ricorre a tre fonti<br />

tedesche per documentare <strong>la</strong> storicità del personaggio: l’Irenicus, l’abbate Uspergense, il<br />

Nauclero 920 . Fonti pertanto, usate ben diversamente rispetto al Giambul<strong>la</strong>ri, per supportare <strong>la</strong><br />

tesi del<strong>la</strong> sconfitta navale dell’Impero, attraverso <strong>la</strong> certificazione dell’esistenza storica del<br />

figlio del Barbarossa 921 . A proposito del<strong>la</strong> seconda obiezione, il Bartoli riporta invece <strong>la</strong><br />

posizione espressa da Bernardino Corio che conferma <strong>la</strong> sconfitta marittima di Ottone.<br />

Comunque, l’autore in perfetta coerenza con <strong>la</strong> sua pulsione patriottica a favore delle libertà<br />

d’Italia, è soprattutto interessato a certificare e celebrare il contributo veneziano a questa<br />

riconciliazione tra pontefice ed imperatore. Conclude infatti che:<br />

“le diverse oppenioni di costoro convengono tutte in questo; che questa riconciliazione<br />

seguisse in Venezia, et che Sebastiano Ciano doge in quel tempo ne avessi con tutta <strong>la</strong> città<br />

sua lode grandissima…” 922 .<br />

Tuttavia, a proposito di questo riavvicinamento, ricorre ancora al<strong>la</strong> penna del Corio 923 .<br />

Come vediamo pertanto, in questo passaggio, evidentemente le fonti tedesche utilizzate<br />

chiaramente, sono le stesse consultate dal Giambul<strong>la</strong>ri nel<strong>la</strong> sua Storia ma con ben diversa<br />

frequenza e conseguente valorizzazione.<br />

Il Bartoli comunque si avvale significativamente del supporto di autori germanici,o ltre che<br />

per certificare l’esistenza del figlio di Federigo, del resto anche per comprovare il mancato<br />

sostegno del duca di Sassonia, Arrigo, al<strong>la</strong> spedizione decisiva dell’imperatore contro i<br />

Comuni che lo avrebbe visto sconfitto a Legnano. Leggiamo, infatti:<br />

918 Ivi, cfr. pp. 192n1-235p6. Inoltre, sul<strong>la</strong> prospettiva patriottica bartoliana in re<strong>la</strong>zione all’utilizzo del Corio e<br />

del Bossi, vedi J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., p. 245-246. Sui due storici cfr. anche le voci Bernardino Corio di<br />

F. Petrucci, in DBI, vol. XXIX, Roma, 1983, pp. 75-78, e ivi, <strong>la</strong> voce Bossi Donato di S. Peyronel, vol. XIII,<br />

Roma, 1971, pp. 298-299.<br />

919 Rinviamo sul<strong>la</strong> storiografia umanistica celebrativa di Mi<strong>la</strong>no e Venezia nel loro progresso storico-politico e<br />

nel<strong>la</strong> raggiunta autonomia dall’Impero, con partico<strong>la</strong>re attenzione al Corio e al<strong>la</strong> valenza del<strong>la</strong> pace del 1177 a N.<br />

Rubinstein, Il Medio Evo, cit., pp. 437-443; inoltre da ultimo, sul<strong>la</strong> storiografia veneziana sui suoi miti e sul<br />

modo di presentarli con partico<strong>la</strong>re attenzione proprio al nodo storico-politico del 1177 vedi Filippo de Vivo,<br />

Venetian Power in the Adriatic in “Journal of the History of Ideas, vol. 64, n. 2, 2003, pp. 159-176, in partico<strong>la</strong>re<br />

vedi pp. 159-163.<br />

920 Sull’uso di queste fonti nel punto in questione cfr. anche J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., p. 246.<br />

921 Non va trascurato in tal senso come il Bartoli accompagni <strong>la</strong> citazione di un’altra fonte comune al<br />

Giambul<strong>la</strong>ri, Alberto Krantio, e del fatto da lui riferito a p. 157k8, con le seguenti parole: “<strong>la</strong> qual cosa voglio<br />

che da me sia accennata piuttosto che a pieno descritta, come quello che non prestando molta fede al detto<br />

Scrittore <strong>la</strong>scerò a chi legge il poterne fare a suo modo giudizio.” In proposito cfr. anche J. Bryce, Cosimo<br />

Bartoli, p. 245.<br />

922 Ivi, passo a p. 233p5.<br />

923 Ivi, cfr. pp. 233p5-235p6.<br />

204


“ne mi par da <strong>la</strong>sciare qui indietro, quel che l’abbate Uspergense, et il Mutio raccontano<br />

cioè, che mentre Federigo era all’assedio di Alessandria, egli fu abbandonato d’Arrigo duca<br />

di Sassogna, il quale presa <strong>la</strong> scusa d’esser vecchio, si che Federigo stava co suoi nel<strong>la</strong><br />

contumacia de <strong>la</strong> escommunicatione, et maledizione del Papa, sotto pretesto di religione, se<br />

ne andava in Germania, ancora che alcuni credessino piuttosto che secretamente egli fusse<br />

stato corrotto acciò per via di denari, et che Federigo gli andò dietro…pregandolo…di non lo<br />

abbandonare in tanta necessità[…]Et che sua maiestà fu quasi forzata a far questo, perché<br />

con il duca Arrigo se ne andavano <strong>la</strong> maggior parte de suoi soldati, i quali invero erano il<br />

nervo ed il meglio delle forze imperiali…” 924 .<br />

Rispetto all’esaltazione del ruolo di Venezia e Mi<strong>la</strong>no nel<strong>la</strong> tute<strong>la</strong> dell’autonomia italiana,<br />

appare invece in secondo piano Firenze pur menzionata in più di un’occasione dall’autore.<br />

Del resto, <strong>la</strong> tesi tradizionalmente sostenuta dal Vil<strong>la</strong>ni e dal Machiavelli di uno sviluppo<br />

politico e storico avviatosi a Firenze successivamente al 1250, sembra implicitamente<br />

condivisa anche nel<strong>la</strong> biografia bartoliana. Firenze viene, in effetti, menzionata sempre in<br />

stretta re<strong>la</strong>zione col potere imperiale. I nobili del<strong>la</strong> città, infatti, vengono in un primo<br />

momento privati dall’imperatore del controllo delle mura, poi riconsegnate loro in seguito al<br />

valoroso comportamento di molti fiorentini a sostegno del<strong>la</strong> conquista di Gerusalemme.<br />

Leggiamo, infatti che il Barbarossa “si transferì in Firenze, nel qual luogo fu riverito, et<br />

onorato grandemente, ma rammaricandosi i Nobili di questa città, che il governo pubblico di<br />

essa, gli aveva privati delle terre et Dominio già loro, e delle loro Contee et Signori” e “privò<br />

<strong>la</strong> città del dominio infino su le mura, rendendole a conti e marchesi, come attenenti<br />

all’Imperio, il che fece ancora delle altre città di Toscana…”. Diversamente, in seguito al<br />

soccorso fiorentino a Gerusalemme “restituì di poi loro dieci miglia di contado attorno alle<br />

mura, quale dicemmo che aveva loro tolto, e reso a Baroni et Nobili.” 925<br />

Una posizione quindi di totale dipendenza dal potere imperiale, anche se tra le righe trape<strong>la</strong><br />

il malcontento e <strong>la</strong> volontà di emancipazione da questa condizione di subordinazione, che<br />

richiama al<strong>la</strong> mente, senza neanche un eccessivo sforzo d’immaginazione, <strong>la</strong> vicenda delle<br />

fortezze cedute da Cosimo a Carlo V nel 1537 e riacquistate nel 1543 926 .<br />

Del resto, <strong>la</strong> considerazione iniziale sul disordine italo-germanico con <strong>la</strong> sua allusione al<strong>la</strong><br />

contemporaneità, <strong>la</strong>scia trasparire un’attenzione al momento storico presente, al<strong>la</strong> luce del<br />

quale potrebbe rileggersi il significato complessivo del<strong>la</strong> biografia del Barbarossa. In primo<br />

luogo, nel<strong>la</strong> caratterizzazione ambivalente del sovrano germanico, ambizioso e potente, si<br />

potrebbe ravvisare, sul<strong>la</strong> scorta di un’ipotesi abbozzata dal<strong>la</strong> Bryce 927 , una sorta di maschera<br />

di Carlo V e del potere asburgico.<br />

In effetti, questa congettura appare almeno parzialmente supportata anche dal<strong>la</strong> dedica del<br />

manoscritto <strong>la</strong>tino del<strong>la</strong> biografia rivolta al cardinale Alessandro Farnese in data 6 marzo<br />

1556, come apprendiamo da una lettera inviatagli dal preposto di S. Giovanni il giorno<br />

successivo, quando ancora le sorti delle guerre in Italia non sono state definite. Senza dubbio,<br />

924 Ivi, passo a p. 222m8-223p1.<br />

925 Ivi, passi alle pp. 246q4 e 254r4. Sui quali cfr. anche J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., p. 247.<br />

926 Sul<strong>la</strong> questione delle fortezze a livello complessivo, naturalmente rinviamo ancora una volta a G. Spini,<br />

Cosimo I, cit.; inoltre cfr. R. Cantagalli, Cosimo I de’ Medici granduca di Toscana, Mi<strong>la</strong>no, Mursia, 1985, in<br />

partico<strong>la</strong>re pp. 49 e 143.<br />

927 J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., vedi p. 249 dove però il parallelo è affermato a proposito dell’incontro tra<br />

Federigo e Alessandro III a Venezia del 1177 in analogia con l’incoronazione di Carlo V da parte di Clemente<br />

VII a Bologna nel 1530. Anche se, in contraddizione con il senso dell’incoronazione di Bologna favorevole al<br />

predominio imperiale, l’incontro del 1177 nelle pagine del Bartoli, sul<strong>la</strong> base delle fonti usate, come afferma <strong>la</strong><br />

stessa Bryce, rappresenta una Canossa per l’imperatore. Pertanto, ci sembra più p<strong>la</strong>usibile individuare come<br />

possibile riferimento al<strong>la</strong> contemporaneità in re<strong>la</strong>zione al complessivo orientamento bartoliano, un’implicita<br />

allusione al conflitto ispano-pontificio e al<strong>la</strong> guerra di Siena in corso nel momento in cui l’autore completa il<br />

manoscritto nel<strong>la</strong> versione <strong>la</strong>tina, quando ancora il predominio asburgico sull’Italia non è assoluto. Situazione<br />

certamente più vicina al<strong>la</strong> battaglia di Legnano rispetto al<strong>la</strong> situazione definitasi con Cateau-Cambrésis come <strong>la</strong><br />

stessa Bryce osserva nel<strong>la</strong> pagina seguente.<br />

205


<strong>la</strong> lettera si riferisce esclusivamente alle fatiche letterarie che il Bartoli fa pervenire al<br />

cardinale, attraverso Stefano del Bufalo analogamente ad un’altra lettera del 1567 re<strong>la</strong>tiva ai<br />

suoi Discorsi historici 928 . Tuttavia, non va trascurata <strong>la</strong> partico<strong>la</strong>rità del<strong>la</strong> situazione politica<br />

italiana al momento del<strong>la</strong> lettera del marzo 1556, quando nonostante gli imperiali tengano<br />

Siena da oltre un anno, Paolo IV ed Enrico II sono ben lungi, dall’arrendersi al<strong>la</strong> forza<br />

asburgica. Soltanto a luglio dell’anno successivo, infatti, Cosimo acquisirà Siena dopo che<br />

Filippo II aveva trattato anche con Carlo Carafa per assegnargli eventualmente <strong>la</strong> repubblica.<br />

Tanto più che lo scontro ispano-pontificio si chiude definitivamente ancora più in là, nel<br />

settembre, con <strong>la</strong> pace di Cave che sancisce l’egemonia imperiale nel<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong> 929 . Inoltre,<br />

non va dimenticato il significativo ruolo avuto dal Farnese, sia nell’elezione papale del<br />

Carafa, sia nel<strong>la</strong> costruzione del nutrito schieramento antimperiale, composto da esuli<br />

napoletani e fiorentini accolti a Roma, anche se, successivamente, tra settembre e agosto<br />

aderisce apertamente al<strong>la</strong> fazione filo-imperiale 930 . D’altronde, non va trascurato in questo<br />

senso <strong>la</strong> dedica del<strong>la</strong> traduzione del De conso<strong>la</strong>tione philosophiae di Boezio che il Bartoli<br />

indirizza in data 1 gennaio 1551 ad uno dei capi del<strong>la</strong> rivolta napoletana antimperiale del<br />

1547, il principe di Salerno, Ferrante Sanseverino. Dedica scritta dunque <strong>prima</strong> che il principe<br />

di Salerno venisse dichiarato ribelle dal viceré di Napoli, ma resa pubblica nel<strong>la</strong> stampa<br />

torrentiniana del<strong>la</strong> traduzione del 1552, successivamente al<strong>la</strong> condanna e al<strong>la</strong> fuga del<br />

Sanseverino 931 .<br />

Esule in Francia dove aderisce al calvinismo, poi il Sanseverino aderirà all’invito di Carlo<br />

Carafa nell’estate del 1557 accorrendo a Roma, per offrire il suo contributo al<strong>la</strong> lotta<br />

antispagno<strong>la</strong> 932 .<br />

Del resto, <strong>la</strong> difficoltà di ascrivere <strong>la</strong> prospettiva bartoliana ad un’opzione filo-imperiale<br />

viene alimentata anche dal ruolo giocato nel<strong>la</strong> biografia del Barbarossa dal<strong>la</strong> Sassonia. Non<br />

dimentichiamo, infatti, che Federigo <strong>prima</strong> di essere sconfitto a Legnano subisce <strong>la</strong> defezione<br />

del duca di Sassonia e delle sue fortissime truppe. Il peso del<strong>la</strong> Sassonia, sembra confermato<br />

anche da altri episodi come il contrasto nato con l’Austria per il possesso del<strong>la</strong> Baviera<br />

concessa poi dall’imperatore al<strong>la</strong> <strong>prima</strong>, di cui si par<strong>la</strong> nel <strong>prima</strong> libro del<strong>la</strong> Vita 933 . Duca di<br />

Sassonia che però proprio in ragione del mancato sostegno alle mire del Barbarossa subisce<br />

un destino analogo a quello che colpisce il duca di Sassonia Giovanni Federico dopo <strong>la</strong><br />

sconfitta di Muhlberg: perdita del ducato e del<strong>la</strong> dignità imperiale 934 . Se letta, in chiave<br />

allusiva del<strong>la</strong> contemporaneità <strong>la</strong> Vita potrebbe alludere all’alleanza venti<strong>la</strong>ta tra Paolo IV e<br />

un principe protestante come Alberto di Brandeburgo in funzione antispagno<strong>la</strong> proprio nel<br />

corso del 1556? 935<br />

928 Le lettere inviate da Firenze in data 7 marzo 1556 e 14 giugno 1567 da Cosimo Bartoli al card. Alessandro<br />

Farnese si trovano in Lettere d’uomini illustri conservate in Parma nel regio Archivio dello Stato, a cura di<br />

Amadio Ronchini, Parma, 1853, II voll., in partico<strong>la</strong>re vol. I, a pp. 597-599, in proposito rinviamo a J. Bryce,<br />

Cosimo Bartoli, cit., pp. 241 nota 1 e 251-252 e 282.<br />

929<br />

Sul<strong>la</strong> guerra di Siena rinviamo a R. Cantagalli, La guerra di Siena (1552-1559): i termini del<strong>la</strong> questione<br />

senese nel<strong>la</strong> lotta tra Francia ed Asburgo ed il suo risolversi nell’ambito del Principato mediceo, Siena:<br />

Accademia degli Intronati, 1962, e id., Cosimo I,cit., pp. 177-236. Cfr. inoltre, Storia d’Italia, diretta da G.<br />

Ga<strong>la</strong>sso, Torino, Utet, 1979-1995, voll. XXIV, in partico<strong>la</strong>re vol. XIII, tomo I, F. Diaz, Il granducato di<br />

Toscana, Utet, Torino, 1989 (<strong>prima</strong> edizione 1976), in partico<strong>la</strong>re pp. 109-127, vedi inoltre Firpo, Gli Affreschi,<br />

cit., pp. 379-393.<br />

930 In proposito rinviamo a L. Pastor, Storia dei Papi, cit., in partico<strong>la</strong>re vol. VI: Storia dei Papi nel periodo<br />

del<strong>la</strong> riforma e restaurazione cattolica: Giulio III, Marcello II, Paolo IV, 1963, pp. 344-346 e 364-421, e<br />

soprattutto A. Aubert, Paolo IV. Politica, Inquisizione e storiografia, Firenze, Le Lettere, 1999, (II ediz.), pp. 58-<br />

63, e id. voce in Enciclopedia dei Papi, Treccani, Roma, 2000, pp. 128-142 in partico<strong>la</strong>re pp. 135 e ssg.; inoltre<br />

cfr. <strong>la</strong> voce Farnese Alessandro di C. Robertson, in DBI, Vol. XLV, Roma, 1995, pp. 52-70, in partico<strong>la</strong>re vedi<br />

p. 60.<br />

931 In proposito rinviamo a J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., in partico<strong>la</strong>re p. 173.<br />

932 A. Aubert, Paolo IV, cit., pp. 66-67.<br />

933 Sul<strong>la</strong> pacificazione vedi La vita, cit., pp. 95-96g1.<br />

934 Ivi, sul<strong>la</strong> vendetta del Barbarossa, pp. 235p7-240q1.<br />

935 A. Aubert, Paolo IV, cit., in partico<strong>la</strong>re p. 52.<br />

206


In ogni caso, notazioni non certo favorevoli al centralismo imperiale del Barbarossa,<br />

severamente punito a Legnano. Del resto, <strong>la</strong> possibilità di caricare il testo di possibili allusioni<br />

ad altri piani, al di là delle frequentazioni certificate con personaggi come il Farnese ed il<br />

principe di Salerno, va ponderata e ridimensionata in re<strong>la</strong>zione al<strong>la</strong> condizione medicea del<br />

Bartoli e all’avallo ducale al<strong>la</strong> stampa del<strong>la</strong> Vita da parte del Torrentino, nonostante le<br />

perplessità esposte sul<strong>la</strong> dedica del manoscritto <strong>la</strong>tino. Senza dimenticare, che i rinvii al<strong>la</strong><br />

Sassonia, sono coerenti con il tenore “evangelico” delle lezioni dantesche tenute dal Bartoli<br />

negli anni Quaranta, ribadito, pur con le dovute cautele, nel testo a stampa dei Ragionamenti<br />

Accademici del 1567 936 .<br />

Comunque, questi orientamenti bartoliani consentono forse di capire perché il preposto di S.<br />

Giovanni si adoperi per <strong>la</strong> stampa del<strong>la</strong> Storia d’Europa, pubblicata da Francesco de<br />

Franceschi, di origini senesi, attivo per quasi un quarantennio come stampatore nel<strong>la</strong> città<br />

<strong>la</strong>gunare occupa senza dubbio un ruolo considerevole nell’ambito dell’editoria veneziana,<br />

come attesta anche <strong>la</strong> sua costante partecipazione al<strong>la</strong> vita del<strong>la</strong> corporazione dei “libreri,<br />

stampatori e ligadori” veneziani. Infatti, all’interno del<strong>la</strong> corporazione svolge diversi incarichi<br />

e mansioni istituzionali in modo reiterato a partire dal 1572. Il fatto che il suo catalogo<br />

editoriale in cui figurano più di duecento edizioni, abbia un taglio prevalentemente rivolto al<strong>la</strong><br />

pubblicistica professionale e specialistica, ai testi di carattere tecnico-scientifico, medicina,<br />

matematica, architettura, botanica, astronomia, meteorologia, fisica, arte e scienza militare,<br />

teoria musicale e diritto, fa risaltare maggiormente <strong>la</strong> stampa del<strong>la</strong> Storia del Giambul<strong>la</strong>ri del<br />

1566. Una partico<strong>la</strong>rità, che probabilmente oltre che sul<strong>la</strong> base delle sollecitazioni bartoliane,<br />

di cui il Franceschi aveva pubblicato un’opera di metrologia nel 1564, e ristampato un<br />

volgarizzamento l’anno successivo 937 , si spiega proprio con <strong>la</strong> impostazione filo-tedesca e<br />

antiromana del<strong>la</strong> Storia d’Europa. In questo senso, come già rilevato, ricordiamo che lo<br />

stampatore veneziano subisce due processi del S. Uffizio, per <strong>la</strong> detenzione di libri proibiti<br />

rinvenuti in un suo magazzino nel 1571, e nel 1599 per aver importato dal<strong>la</strong> Germania, in<br />

società con G. B. Ciotti, Roberto Meietti e i Sessa alcune opere messe all’Indice, tra cui <strong>la</strong><br />

sesta centuria di Magdeburgo. 938<br />

Tre anni dopo <strong>la</strong> stampa dell’opera del canonico fiorentino, sempre dal Franceschi vengono<br />

pubblicati i Discorsi historici universali del Bartoli.<br />

Certo, nello scritto bartoliano a causa del<strong>la</strong> frammentarietà, causata dal<strong>la</strong> differenza di<br />

argomenti e fatti narrati, difficilmente è individuabile una linea unitaria e complessiva che<br />

congiunga tra loro questi discorsi. Infatti, se l’autore sceglie di partire dai fatti per addivenire<br />

a giudizi più generali, tuttavia, come rileva <strong>la</strong> Bryce, <strong>la</strong> smisurata quantità delle vicende<br />

riportate produce un evidente squilibrio con l’esigenza del<strong>la</strong> riflessione storiografica. Limiti<br />

oggettivi del resto, già osservati da Furio Diaz, molto severo sul valore dei Discorsi bartoliani<br />

protesi a magnificare il principato cosimiano, anche se in modo a volte mascherato dietro un<br />

inconsistente moralismo retorico 939 . Indubbiamente, l’esaltazione del regime istituito da<br />

Cosimo e l’idealizzazione del duca assunto a figura paradigmatica, costituiscono, come<br />

936 In proposito cfr. A. D’Alessandro, I Ragionamenti di C. Bartoli in “Annali dell’istituto di filosofia. II,<br />

Firenze, Olschki, 1980, pp. 53-109; inoltre, P. Simoncelli, Evangelismo italiano, cit., in partico<strong>la</strong>re pp. 369-372 e<br />

da ultimo M. Firpo, Gli affreschi, cit., pp. 180-183.<br />

J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., pp. 254-280 e M. Firpo, Gli affreschi, cit., pp. 180-183.<br />

937 Del modo di misurare e il volgarizzamento in fiorentino del De re Aedificatoria di Leon Battista Alberti,<br />

pubblicato presso Torrentino nel 1550, per i quali rinviamo a J. Bryce, Cosimo Bartoli, pp. 180-183 e 186-192.<br />

938 Rinviamo al<strong>la</strong> voce Franceschi Francesco de, cit., in partico<strong>la</strong>re pp. 450-452.<br />

939 In proposito rinviamo a F. Diaz, Il Granducato di Toscana, cit., in partico<strong>la</strong>re pp. 209-213 e id., L’idea di<br />

una nuova élite sociale negli istorici e trattatisti del principato in Firenze e <strong>la</strong> Toscana dei Medici nell’Europa<br />

del ‘500, (Raccolta degli atti del convegno tenutosi a Firenze dal 9 al 14 maggio 1980), Firenze, Olschki, 1983,<br />

III voll., nel II vol., pp. 665-681, in partico<strong>la</strong>re cfr. pp. 672-673. Cfr,. inoltre M. Firpo, Gli affreschi, cit., pp.<br />

179-180.<br />

207


osserva anche <strong>la</strong> Bryce, il motivo dominante dell’opera, nel<strong>la</strong> quale viene adombrata anche se<br />

in modo incompleto <strong>la</strong> teorizzazione del principato assoluto 940 .<br />

In questa direzione è emblematico del resto anche, l’ampio richiamo alle pagine gioviane<br />

sulle vicende dell’ultima repubblica fiorentina. Oltre all’implicito consenso riservato dal<br />

Bartoli al<strong>la</strong> moderazione del Capponi 941 , il giudizio sull’ostinato e distruttivo radicalismo<br />

del<strong>la</strong> fazione antiottimata del Carducci, viene ricalcato sul XXVII libro delle Hi<strong>storia</strong>e del<br />

Giovio 942 . Dal libro XXXVIII del Giovio, del resto, il Bartoli recupera il resoconto del<strong>la</strong><br />

vittoria di Cosimo contro gli esuli a Montemurlo 943 . Passaggio fortemente vituperato dagli ex<br />

fuoriusciti e significativamente recuperato dal prevosto di S. Giovanni a conferma del<strong>la</strong> sua<br />

ammirazione per lo storico comasco, e del<strong>la</strong> sua propensione medicea. Estremamente evidente<br />

anche dalle reiterate lodi delle gesta di Cosimo nel<strong>la</strong> guerra di Siena, al<strong>la</strong> quale è costretto a<br />

intervenire per <strong>la</strong> minaccia costituita dall’arrivo di Piero Strozzi, al suo legittimo ducato,<br />

acquisito attraverso l’elezione dei cittadini fiorentini 944 .<br />

Tuttavia, <strong>la</strong> mancata applicazione di un rigoroso metodo filologico alle fonti e l’ipoteca<br />

medicea per quanto profonda non possono esaurire l’analisi e <strong>la</strong> riflessione sul testo<br />

bartoliano, come ha rilevato il Vasoli, temperando parzialmente <strong>la</strong> negatività del giudizio<br />

espresso dal Diaz 945 . Il Vasoli, infatti, individua nei paradigmi del Bartoli l’esigenza di andare<br />

oltre <strong>la</strong> giustificazione tout court del<strong>la</strong> realtà del principato, attraverso <strong>la</strong> proposta di un<br />

modello di principe in cui accanto all’elemento machiavelliano si scorge <strong>la</strong> non spenta eco<br />

del<strong>la</strong> erasmiana Institutio principis christiani, anche in re<strong>la</strong>zione alle letture di testi<br />

dell’evangelismo italiano effettuate dal preposto di S. Giovanni. Una prospettiva non priva di<br />

una componente idealistica, secondo il Vasoli, non meramente assimi<strong>la</strong>bile al conformismo<br />

controriformato trionfante, capace di tratteggiare l’ideale di un principe magnanimo,<br />

clemente, pacifico ma risoluto in caso di guerra, in grado di mantenere i patti conclusi. Un<br />

principe, pertanto, che assicuri <strong>la</strong> sicurezza e <strong>la</strong> stabilità dell’organismo politico, coadiuvato<br />

nello svolgimento delle sue funzioni dal consiglio del ceto di intellettuali che si sviluppa con<br />

l’istituzione ed il consolidamento del principato 946 .<br />

Ritornando alle fonti, rileviamo come <strong>la</strong> presenza gioviana nei Discorsi vada al di là del<strong>la</strong><br />

propensione medicea, rial<strong>la</strong>cciandosi anche nel segno di una certa continuità al<strong>la</strong> precedente<br />

storiografia bartoliana. Il preposto di S. Giovanni, infatti, ricorre più volte allo storico<br />

comasco per descrivere <strong>la</strong> difficile situazione in cui versa l’Europa, di<strong>la</strong>niata dal<strong>la</strong> lotta dei<br />

principi cristiani animati dal<strong>la</strong> cieca ambizione e insensibili alle priorità del<strong>la</strong> Res publica<br />

christiana. Ad esempio, il Bartoli recupera il passaggio gioviano sullo sconsiderato attacco di<br />

Carlo V ai Francesi a Torino dopo l’impresa di Tunisi. 947 Riprende, dal XXXIX libro del<strong>la</strong><br />

Hi<strong>storia</strong>, l’episodio in cui Carlo offre <strong>la</strong> Fiandra e non Mi<strong>la</strong>no a Francesco I che lo aveva<br />

accolto con grande liberalità, illudendosi sulle sue reali intenzioni, anche perché raggirato<br />

940 J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., p. 281, 293 e 301, in proposito cfr. anche <strong>la</strong> dedica dell’opera indirizzata al<br />

duca il I ottobre 1568 e il giudizio sulle gravi carenze dello scritto bartoliano, espresso da F. Diaz, Il Granducato<br />

di Toscana, cit., pp. 209-213.<br />

941 Sul quale vedi P. Simoncelli, Evangelismo italiano, cit., p. 414, in partico<strong>la</strong>re nota n. 241.<br />

942 Ivi, p. 36e2, cfr. inoltre in proposito a ulteriore conferma anche pp. 78k3-81L1. Senza trascurare che ivi, alle<br />

pp. 36e2-37e3 viene ricavata dal capitolo XIX del<strong>la</strong> Storia d’Italia del Guicciardini una valutazione<br />

sostanzialmente positiva del moderatismo del Capponi rispetto al radicalismo degli Arrabbiati. Sull’impiego<br />

dell’opera guicciardiniana vedi infra. Cfr. anche al riguardo J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., pp. 292-293.<br />

943 Ivi, cfr. pp. 173-174y3.<br />

944 Ivi, in partico<strong>la</strong>re vedi pp. 83-84L2. Inoltre, sul<strong>la</strong> capacità militari o meglio sul<strong>la</strong> rapidità, l’accortezza ed il<br />

tempismo delle risoluzioni di Cosimo vedi pp. 201-202Cc1e p. 173y3, e pp. 277-278mm3 in proposito inoltre,<br />

cfr. J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., pp. 295-296.<br />

945 In proposito rinviamo all’intervento di C. Vasoli, Osservazioni sui “Discorsi historici universali” di Cosimo<br />

Bartoli in Firenze e <strong>la</strong> Toscana dei Medici, cit., vol. II, pp. 727-738.<br />

946 Ivi, e inoltre vedi supra <strong>la</strong> nota 71.<br />

947 Ivi, p.9b1, pp. 198bb3-199bb4 e pp. 218ee1-219ee2.<br />

208


dalle assicurazioni dei ministri imperiali 948 . Né tra<strong>la</strong>scia di commentare sempre sul<strong>la</strong> falsariga<br />

del XL libro gioviano, il fallimento dell’impresa di Algieri, già percepibile nel<strong>la</strong> preparazione<br />

del<strong>la</strong> spedizione 949 . Inoltre dallo stesso libro, in un altro dei suoi discorsi, ricava <strong>la</strong><br />

considerazione formu<strong>la</strong>ta dal Giovio sul<strong>la</strong> perdita dell’Ungheria da parte di Ferdinando<br />

d’Asburgo, scrivendo:<br />

“Ma quale maggiore chiarezza si può havere che <strong>la</strong> discordia di Cristiani sia <strong>la</strong> rovina<br />

loro, et <strong>la</strong> grandezza del Turco? Che quel<strong>la</strong> che per tanti et tanti anni, con tante spese, con<br />

tanti apparati di guerre, con tante stragi, rovine, et incendij, con tanto spargimento di<br />

sangue, sacchi, et su versione et rovine di tante città, si è veduta continovare si lungo tempo,<br />

in fra Carlo quinto imperatore et Francesco re di Francia?” 950<br />

Tutti passi significativamente tratti dall’ultima parte delle Hi<strong>storia</strong>e gioviane, in cui il<br />

pessimismo sui destini del<strong>la</strong> cristianità europea prende decisamente il sopravvento e si incrina<br />

profondamente <strong>la</strong> fiducia precedentemente riposta in Carlo V come garante del<strong>la</strong> sicurezza<br />

del<strong>la</strong> Res publica christiana. Una selezione quel<strong>la</strong> compiuta dal Bartoli che si ricollega al<strong>la</strong><br />

prospettiva non certo filoimperiale e pro Asburgo del<strong>la</strong> biografia di Federigo. Sebbene nel<strong>la</strong><br />

stessa pagina dei Discorsi che denuncia <strong>la</strong> discordia dei principi cristiani vi sia, poco più<br />

avanti, un passo connesso al<strong>la</strong> realtà storico-politica attuale in cui soltanto Filippo II e<br />

l’imperatore cercano realmente di neutralizzare il pericolo turco:<br />

“Ma mentre che addormentati in un profondo letargo, molti che potrebbono, non vogliono<br />

attendere al comune bene, <strong>la</strong>sciando solo allo Imperadore et a Filippo re di Spagna gli<br />

intrighi delle guerre Turchesche, attendono alle cose loro proprie et particu<strong>la</strong>ri, non si<br />

svegliando per il publico bene, contro al comune nimico non si accorgono, che quando pure<br />

accadessi, il che non piaccia a Dio, che si abbassasse in qualche modo <strong>la</strong> possanza di casa<br />

d’Austria, ne nascerebbe subito <strong>la</strong> manifestissima rovina loro… ”. 951<br />

Presa d’atto delle delicatissime frontiere mediterranee e balcaniche dell’Europa cristiana,<br />

piuttosto che avallo positivo o elogio dell’egemonia spagno<strong>la</strong> in Italia. Infatti, al di là del<strong>la</strong><br />

singo<strong>la</strong> notazione che indica piuttosto un rimprovero ad un impegno collettivo disatteso da<br />

molti principi europei e <strong>la</strong> necessità del<strong>la</strong> funzione storica degli Asburgo come antemurale<br />

del<strong>la</strong> cristianità 952 , <strong>la</strong> questione del<strong>la</strong> libertà d’Italia è ripresa in molteplici occasioni nei<br />

Discorsi, e fatto salvo il ben diverso momento storico, rispetto al<strong>la</strong> biografia di Federigo, in<br />

termini piuttosto simili.<br />

In questa direzione appare estremamente rilevante il ricorso al<strong>la</strong> Storia d’Italia di Francesco<br />

Guicciardini. Il Bartoli, infatti, ricava dal primo libro del<strong>la</strong> Storia d’Italia, <strong>la</strong> valutazione delle<br />

nefaste conseguenze derivate all’Italia dai timori di Ludovico Sforza, criticato nuovamente in<br />

altri due passaggi 953 , che hanno provocato <strong>la</strong> discesa nel<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong> di Carlo VIII. Inoltre,<br />

ripropone il giudizio del fautore del<strong>la</strong> politica antimperiale del<strong>la</strong> Lega di Cognac 954 ,<br />

sull’incapacità del conte Rangone di fermare le truppe imperiali ed evitare lo scempio del<strong>la</strong><br />

capitale universale del cattolicesimo, sconvolta dal sacco di Roma. Il conte purtroppo “si<br />

<strong>la</strong>sciò sfuggire di mano <strong>la</strong> maggiore e più bel<strong>la</strong> occasione…nel<strong>la</strong> quale non pure liberava<br />

948 Ivi, a p. 305-306qq1 leggiamo: “Francesco Re di Francia volle usare et usò veramente grandissima<br />

liberalità, con Carlo V, nel riceverlo in Francia…”.<br />

949 Ivi, p. 82l1.<br />

950 Ivi, pp. 256ii4-257kk1.<br />

951 Ivi, p. 257kk1.<br />

952 Al riguardo rinviamo a J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., pp. 298-299.<br />

953 Ivi, pp. 57-58h1 e 270LL4.<br />

954 Ivi, cfr. pp. 27-28d2. Riguardo al<strong>la</strong> centralità del 1494 anche nel<strong>la</strong> storiografia guicciardiniana cfr., oltre a F.<br />

Gilbert, Machiavelli, cit., pp. 260-262, anche G. M. Barbuto, La politica dopo <strong>la</strong> tempesta. Ordine e crisi nel<br />

pensiero di Francesco Guicciardini, Napoli, Liguori, 2003, in partico<strong>la</strong>re pp. 111-112, 115 e 123.<br />

209


Roma et un Papa con tutta <strong>la</strong> corte et <strong>la</strong> città insieme ma tutta <strong>la</strong> Italia dalle armi et dalle<br />

insolentie Tedesche et Spagnole.” 955 Al<strong>la</strong> sua inettitudine fanno da contraltare nelle pagine<br />

bartoliane le notazioni sul padre di Cosimo, Giovanni delle Bande Nere, valoroso condottiero<br />

fedele al<strong>la</strong> causa del<strong>la</strong> libertà italica e al<strong>la</strong> lega di Cognac 956 .<br />

La rilevanza del sacco di Roma, del resto, viene confermata anche da un altro passaggio<br />

attinto questa volta dal XXIV libro del<strong>la</strong> Hi<strong>storia</strong> gioviana certo non tenero verso gli autori<br />

del misfatto perpetrato contro <strong>la</strong> capitale del cattolicesimo. Bartoli, sul<strong>la</strong> falsariga gioviana,<br />

allude significativamente alle responsabilità di Clemente VII e all’evitabilità del<strong>la</strong> catastrofe<br />

se si fossero tempestivamente attaccate le truppe del Borbone ormai sfinite e male armate:<br />

“Et quale altra causa fu quel<strong>la</strong> che rovinò al tempo di Papa Clemente Roma, se non il<br />

fidarsi troppo delle promesse del viceré? Et <strong>la</strong> astutia degli Imperiali in non si <strong>la</strong>sciar mai<br />

intendere, et massimo Borbone il quale con quel suo esercito spogliato di artiglierie et<br />

d’armi, affamato, et quasi al certo rovinato, sarebbe indubitamente stato distrutto se chi era a<br />

capo del<strong>la</strong> Lega avessi voluto raggiungerlo in Roma il giorno dipoi, et vincere gloriosamente<br />

i vincitori.” 957<br />

Inoltre, spesso nei Discorsi traspare l’insofferenza dell’autore per <strong>la</strong> presenza di armate<br />

straniere, in primo luogo spagnole e tedesche, in Italia, come quando Carlo ordina agli italiani<br />

guidati dal cardinale Ippolito de’ Medici di rimanere a guardia di Vienna appena difesa<br />

dall’attacco turco, e l’autore sul<strong>la</strong> falsariga del XXX libro del Giovio critica <strong>la</strong> decisione<br />

imperiale dichiarando che “non pareva ragionevole che in Italia avessero a tornare i Tedeschi<br />

e gli Spagnoli, et essi Italiani rimanere in Ungheria, considerato il pericolo del<strong>la</strong> Italia, se<br />

essa rimaneva spogliata di tanti Signori, di tanti capitani et di tanti soldati veterani,<br />

rimanendo in preda alle voglie de gli Spagnoli et de Tedeschi…” 958 .<br />

Gli stessi apprezzamenti negativi espressi sul governo del Mendoza a Siena, fortemente<br />

indiziato tra le righe di non secondarie responsabilità nel<strong>la</strong> ribellione del<strong>la</strong> città al giogo<br />

imperiale ci forniscono ulteriori conferme in questa direzione. 959 Peraltro, <strong>la</strong> valutazione in<br />

questione, si ricollega al<strong>la</strong> volontà di mettere in cattiva luce <strong>la</strong> gestione imperiale del<strong>la</strong><br />

situazione senese e l’errore commesso da Carlo nell’affidare <strong>la</strong> città al Mendoza, facendo<br />

risaltare per contrasto l’importanza dell’intervento di Cosimo, chiave del successo imperiale e<br />

del<strong>la</strong> stabilità del<strong>la</strong> situazione italiana. Scrive infatti l’autore:<br />

“Haveva Carlo Quinto imperatore per suo ambasciatore in Roma Don Diego di Mendoza, il<br />

quale per alcuni accidenti trasferitosi a Siena, si impadronì totalmente di quel<strong>la</strong> città; ma in<br />

breve tempo, mediante i tristi portamenti suoi, et de suoi ministri, che non avevano rispetto<br />

alcuno ne al<strong>la</strong> salute, ne al<strong>la</strong> utilità di quel<strong>la</strong> città, si accorse del<strong>la</strong> sua poca prudentia;<br />

perciochè ribel<strong>la</strong>tosele Siena, et chiamati in suo soccorso i Francesi, tolse grandemente di<br />

riputazione in Italia all’Imperio, et intrigò l’imperatore in una grave, et pericolosa guerra,<br />

al<strong>la</strong> quale non bastaron le forze imperiali a por fine, senza i danari il valore et <strong>la</strong> prudenzia<br />

del duca Cosimo de’ Medici.” 960 .<br />

Del resto, questa idealizzazione del duca di Firenze va inquadrata nel<strong>la</strong> politica sempre più<br />

autonoma e dinamica che Cosimo svolge, pur nel formale allineamento a Filippo II, nello<br />

958 Ivi, passo a p. 281nn1.<br />

955 Ivi, passo a p. 115p2.<br />

956 Ivi, cfr. pp. 136r4-137s1, sull’impiego del<strong>la</strong> Storia d’Italia rinviamo a J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., p. 282.<br />

957 Ivi, passo a p. 230ff3.<br />

959 Ivi, passo a p. 83L2: “avendo Don Diego…preso a governare <strong>la</strong> città di Siena, e per gli suoi mal consigliati<br />

ordini, come quello che andava più tosto dietro ad una vana gloriosa ambizione, che ad alcun modo di ben<br />

reggere i popoli, perduta <strong>la</strong> obbedientia e <strong>la</strong> devozione di quello stato…”<br />

960 Ivi, a p. 272nn4.<br />

210


scacchiere italiano, facendosi forte anche del ricostituito connubio con Roma, non certo ben<br />

visto dal sovrano spagnolo.<br />

Dall’intesa con Roma, sarebbe arrivato, infatti, il titolo granducale con grave disappunto del<br />

sovrano spagnolo e dell’imperatore, peraltro impegnato in questo periodo, sia nel<strong>la</strong><br />

ricompattazione interna dell’impero dopo <strong>la</strong> pace di Augusta, sia nel terribile scontro con gli<br />

ottomani 961 .<br />

Tuttavia, se Cosimo da un <strong>la</strong>to è il principe nuovo subentrato secondo <strong>la</strong> ciclica successione<br />

delle forme di governo propugnata da Aristotele, Polibio e Machiavelli a rifondare <strong>la</strong> forza e<br />

<strong>la</strong> coerenza del corpo politico disfatto dal col<strong>la</strong>sso del<strong>la</strong> repubblica fiorentina, dall’altro non<br />

corrisponde al<strong>la</strong> figura invocata dal Machiavelli nell’ultimo capitolo del Principe per<br />

restaurare <strong>la</strong> libertà italica. Quel<strong>la</strong> speranza, infatti, è definitivamente tramontata anche se il<br />

Bartoli <strong>la</strong> richiama esplicitamente quando, prendendo spunto dall’instabilità degli stati<br />

italiani, afferma:<br />

“non avendo avuto l’Italia un capo solo, che <strong>la</strong> habbi saputa governare: ma per por fine a<br />

questo ragionamento non mi distenderò in addurre altri esempi che sarebbono infiniti quelli<br />

che si potrebbono mettere a campo ne io lo poteri fare senza mio gran dispiacere, sapendo<br />

che tutta <strong>la</strong> disunione et tutte le rovine, che sono accadute ne’ tempi passati al<strong>la</strong> detta Italia,<br />

sono occorse dal non havere el<strong>la</strong> havuto, un capo solo, che <strong>la</strong> guidi et dallo essere chiamato<br />

per le passioni de Principi particu<strong>la</strong>ri di quel<strong>la</strong>, hor questo Re, hor questo altro, che con le<br />

armi forestieri hanno purtroppo crudelmente afflitta e tormentata <strong>la</strong> detta Italia senza che<br />

el<strong>la</strong> habbia mai potuto ripigliare quel vigore, o quelle forze, o quel modo di reggersi con il<br />

quale già al tempo de’ Romani seppe pure et vincere et reggere tutto il mondo con infinita<br />

sua lode e gloria.” 962<br />

È una considerazione tuttavia, evidentemente rivolta ad una dimensione di speranze<br />

esaurite, anche se <strong>la</strong> partecipazione e il pathos dell’autore sono fuori discussione. Indizio<br />

ulteriore di una non infondata continuità di motivi tra i Discorsi e <strong>la</strong> precedente Vita, anche se<br />

sviluppata dall’autore in una ben diversa condizione storico-politica del<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong>. 963<br />

Infatti, <strong>la</strong> priorità assoluta nei Discorsi historici bartoliani consiste soprattutto nel<strong>la</strong> tute<strong>la</strong> e<br />

nel<strong>la</strong> conservazione dell’ordinamento politico, nel<strong>la</strong> necessità di ottenere pace e ordine dopo<br />

decenni di guerre e crisi politiche. Significativo in tal senso il diverso modo in cui rispetto<br />

allo scritto del 1559 viene percepito e configurato il mito veneziano. Nel<strong>la</strong> biografia del<br />

Barbarossa, Venezia era rappresentata in chiave di ascesa e dinamismo politico, perno del<strong>la</strong><br />

vittoria militare sull’imperatore e delle conseguenti trattative politiche del<strong>la</strong> “Canossa” del<br />

1177.<br />

Ora invece, il mito del<strong>la</strong> città <strong>la</strong>gunare, proposto esclusivamente sul<strong>la</strong> base del Bembo e del<br />

Sabellico, viene celebrato in re<strong>la</strong>zione al<strong>la</strong> solidità dell’edificio politico ed istituzionale<br />

veneziano che “già per mille cento quaranta anni o più ha saputo talmente reggersi, e<br />

mantenersi che el<strong>la</strong> non si è mai data in preda al potere, o al<strong>la</strong> forza del vento del vulgo o<br />

del<strong>la</strong> plebe…” 964 . Non è casuale, che il Bartoli, in questa direzione, diversamente dal Giovio,<br />

961 In proposito rinviamo a Diaz, Il Granducato, cit., pp. 183-190, inoltre R. Cantagalli, Cosimo I, cit., in<br />

partico<strong>la</strong>re pp. 237-294, e M. Firpo, Gli affreschi, cit., pp. 393-404, infine cfr. anche per il nuovo corso del<br />

rapporto mediceo-pontificio e sui contrasti con <strong>la</strong> Spagna, L. Pastor, Storia dei Papi, cit., in partico<strong>la</strong>re vol. VII:<br />

Pio IV(1559-1564), pp. 508-548 e vol. VIII: Pio V(1566-1572), 1964, pp. 263-313.<br />

962 C. Bartoli, Discorsi historici, cit., passo a p. 275.<br />

963 In proposito rinviamo a J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., pp. 292, 294-295 e 297-298; cfr. inoltre C. Vasoli,<br />

Osservazioni, cit., p. 738, R. Albertini, Firenze dal<strong>la</strong> repubblica al principato, cit., pp. 291-292, in partico<strong>la</strong>re<br />

nota 4. Inoltre sull’ultimo capitolo del Principe cfr. F. Gilbert, Machiavelli, cit., pp. 209-222.<br />

964 C. Bartoli, Discorsi historici, cit., passo a p. 39e4; inoltre sul<strong>la</strong> <strong>storia</strong> politica veneziana si rinvia a Wiliam J.<br />

Bouwsma, Venice and the Defense of Republican Liberty. Renaissance Values in the Age of the Counter<br />

Reformation, Berkeley and Los Angeles: University of California press, 1968, in partico<strong>la</strong>re sugli eventi del<br />

1177, pp. 55-56.<br />

211


scagioni l’azione del Giannotti 965 dall’accusa di aver agito, in veste di segretario dei dieci di<br />

guerra, durante l’ultima repubblica fiorentina, contro gli interessi del popolo fiorentino,<br />

seguendo le direttive degli Arrabiati 966 . Il Giannotti, infatti, è un noto sostenitore del<strong>la</strong><br />

armonia del sistema misto veneziano e del mito del<strong>la</strong> città <strong>la</strong>gunare. 967<br />

La costante preoccupazione per <strong>la</strong> stabilità dei regimi politici è del resto testimoniata anche<br />

dal modo in cui l’autore affronta il tema delle congiure, stigmatizzate per le motivazioni degli<br />

attori coinvolti e per gli esiti comunque controproducenti. Nei Discorsi il Bartoli, offre un<br />

accurato elenco delle congiure attuate e fallite contro i Medici e si avvale sull’argomento del<br />

contributo machiavelliano, anche se abbandona l’oggettività con cui il segretario fiorentino ne<br />

par<strong>la</strong>va nei suoi Discorsi. 968<br />

Sul valore del<strong>la</strong> religione per <strong>la</strong> stabilità di un regime politico, invece il Bartoli recupera<br />

integralmente <strong>la</strong> lezione machiavelliana. La religione, infatti, costituisce un fattore di<br />

aggregazione e coesione del corpo politico, irrinunciabile e viene pertanto valutata in chiave<br />

eminentemente politica 969 . In questa direzione va inquadrato il giudizio dell’autore, ricavato<br />

dal Guicciardini, sugli enormi danni prodotti da Enrico VIII a tutto il regno con le sue scelte<br />

religiose e politiche:<br />

“Anzi fece tal danno a tutto il suo Regno, che non solo andò fluttuando a tempi suoi, ma<br />

anchora oggi che sono già passati trentasei anni da quel motivo, non ha mai presa forma di<br />

buon governo; sollevandosi ora gli eretici, ora i Cattolici, con infinita spesa travagli o<br />

spargimento di sangue; accomodandosi a Re, et alle Regine che sono successe, hor l’una hor<br />

l’altre, di queste religioni senza che quel Regno habbi potuto sperare quiete o cosa stabile,<br />

secondo che sarebbe necessario, onde si vede pur troppo manifesto, che le soverchie voglie<br />

de’ Principi inducon i lor popoli e i lor Regni a manifesta rovina.” 970<br />

Comunque, fatte salve le priorità del nuovo momento storico e il diverso approccio generale<br />

dei Discorsi rispetto al<strong>la</strong> Vita del Barbarossa, l’attenzione tutt’altro che spenta dell’autore al<strong>la</strong><br />

libertà d’Italia e <strong>la</strong> contrarietà al<strong>la</strong> presenza straniera e imperiale nel<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong> confermano <strong>la</strong><br />

persistente divergenza con le linee prevalenti del<strong>la</strong> Storia d’Europa. Il Bartoli, infatti,<br />

continua a negare decisamente il binomio tra Italia e Germania, e l’implicita corre<strong>la</strong>zione tra<br />

Asburgo e peniso<strong>la</strong> italiana, sostenuti invece dal Giambul<strong>la</strong>ri. Emblematico in questo senso, è<br />

il passo dedicato al<strong>la</strong> discesa nel<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong> di Carlo il Bavaro, dipinto come un uomo<br />

posseduto dall’avidità, che conculca <strong>la</strong> libertà e l’autonomia di Mi<strong>la</strong>no, strappando<strong>la</strong> per un<br />

certo periodo a Galeazzo Visconti, proprio sul<strong>la</strong> falsariga del profilo biografico di Galeazzo<br />

Visconti composto dal Giovio . Del resto, Ludovico era stato oggetto dell’attenzione<br />

gioviana anche nelle Hi<strong>storia</strong>e come accennato, riguardo agli insanabili conflitti interni<br />

all’impero germanico.<br />

971<br />

Infine, un altro elemento indicativo del<strong>la</strong> posizione bartoliana, emerge dai passaggi dei<br />

Discorsi che affrontano <strong>la</strong> questione degli scontri tra Guelfi e Ghibellini a Firenze, sul<strong>la</strong> base<br />

dei resoconti di Leonardo Bruni. Il Bartoli esprime chiaramente <strong>la</strong> sua linea antighibellina<br />

descrivendo l’episodio dell’uccisione di Messer Buondelmonte Buondelmonti, già da lui<br />

965 Su Donato Giannotti cfr. <strong>la</strong> re<strong>la</strong>tiva voce Giannotti Donato, in DBI, vol. LIV, pp. 527-533; cfr. inoltre G.<br />

Cadoni, l’Utopia repubblicana di Donato Giannotti, Mi<strong>la</strong>no, Giuffrè, 1978.<br />

966 Ivi, p. 80k4.<br />

967 In proposito rinviamo a C: Vasoli, Osservazioni, cit., pp. 732-733, J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., pp. 290-<br />

291 e 293, inoltre a proposito del mito veneziano in Donato Giannotti, vedi F. Gilbert, Machiavelli, cit., pp. 145-<br />

157 e R. Albertini, Firenze dal<strong>la</strong> repubblica al principato, cit., pp. 145-166.<br />

968 In proposito rinviamo a J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., pp. 281 e 285-286.<br />

969 Sul punto in questione vedi C. Vasoli, Osservazioni, cit., pp. 737-738 e J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., p.<br />

299.<br />

970 Discorsi universali, cit., passo a p. 271qLl4.<br />

971 Ivi, pp. 85-86l3.<br />

212


accontato nel<strong>la</strong> orazione funebre del Giambul<strong>la</strong>ri 972 . Nel resoconto dei Discorsi, infatti,<br />

l’autore emette una decisa condanna a carico dei capi ghibellini: gli Uberti e Lamberti,<br />

colpevoli di una giustizia sommaria ottenuta con un’azione extralegale, compiuta da privati 973 .<br />

Ancora da Leonardo Bruni, il Bartoli attinge il racconto sul<strong>la</strong> volontà del<strong>la</strong> fazione ghibellina,<br />

istigata da Senesi e Pisani nell’incontro di Empoli, di distruggere Firenze, e impedita soltanto<br />

dal<strong>la</strong> fermezza e dall’autorità di Farinata degli Uberti 974 .<br />

In conclusione pertanto, <strong>la</strong> storiografia bartoliana risente profondamente dell’influenza<br />

gioviana, mentre presenta una certa distanza rispetto al<strong>la</strong> propensione ghibellina del<br />

Giambul<strong>la</strong>ri.<br />

3. Giro<strong>la</strong>mo Bardi e Lodovico Guicciardini<br />

Queste divergenze, del resto, non sarebbero venute meno ne Le età del mondo<br />

cronologiche 975 …(di qualche anno successive ai Discorsi bartoliani) composta da Giro<strong>la</strong>mo<br />

Bardi anche lui fiorentino, appartenente al noto e illustre casato già ricco e potente intorno<br />

all’XI secolo, che avrebbe dato al<strong>la</strong> Repubblica fiorentina il primo priore del<strong>la</strong> sua <strong>storia</strong> nel<br />

1282. Il Bardi, nato intorno al 1544 diviene monaco camaldolese a Santa Maria degli Angeli<br />

di Firenze dedicandosi essenzialmente agli studi, con partico<strong>la</strong>re attenzione appunto al<strong>la</strong> <strong>storia</strong><br />

sacra e profana. Tuttavia, non trascorre molto tempo che <strong>la</strong>sciato l’abito di San Romoaldo, si<br />

trasferisca a Venezia, vivendoci molti anni come prete seco<strong>la</strong>re. Nel<strong>la</strong> città <strong>la</strong>gunare l’8<br />

febbraio 1593 il Bardi viene eletto piovano del<strong>la</strong> Chiesa dei SS. Matteo e Samuele morendo<br />

circa un anno dopo, il 28 marzo del 1594 976 . Il suo interesse cronologico testimoniato anche<br />

dal<strong>la</strong> composizione de Le vite di tutti i Santi, brevemente descritte per tutti i giorni<br />

dell’Anno… 977 non avrebbe mancato di suscitare apprezzamenti di diversi contemporanei tra i<br />

quali spicca certamente l’elogio formu<strong>la</strong>to dal Sansovino nel<strong>la</strong> sua Cronologia universale del<br />

mondo, accanto a quelli del Possevino, di Guido Grandi, di Agostino Fortunio, e nel secolo<br />

972 In proposito, rinviamo al capitolo I.<br />

973 Ivi, passo a p. 183z4.<br />

974 Ivi, cfr. p. 67i2 in altri punti come a p. 274mm1 l’autore, per gli scontri tra guelfi e ghibellini, rinvia al<br />

Machiavelli, Giovanni Vil<strong>la</strong>ni e Matteo Palmieri; in proposito cfr. anche J. Bryce, Cosimo Bartoli, cit., p. 284.<br />

975 Le età del mondo chronologiche, nelle quali dal<strong>la</strong> creatione di Adamo, fino all’anno MDXXXI di Christo,<br />

brevemente si racconta <strong>la</strong> origine di tutte le Genti, il principio di tutte le Monarchie, di tutti i Regni,<br />

Repubbliche et Principati, La salutifera incarnatione di Christo, con <strong>la</strong> successione de’ Sommi Pontefici romani,<br />

La creatione de’ Patriarchi, Le Congregationi de’ Religiosi, Le Militie de’ Cavalieri, i Concili universali et<br />

nazionali, Le Heresie, i Schismi, Le Congiure, Paci, Ribellioni, Guerre, et Prodigii, <strong>la</strong> denominatione di tutti gli<br />

Huomini in ogni professione illustri. Con <strong>la</strong> partico<strong>la</strong>r narratione delle dette cose successe d’anno in anno, nel<br />

mondo, Fatte da Giro<strong>la</strong>mo Bardi Fiorentino, con privilegio, in Venetia, appresso i Giunti, MDLXXX.<br />

976 Per l’abbandono dell’abito camaldolese vedi F<strong>la</strong>minio Cornaro, Ecclesiae Venetae et Torcel<strong>la</strong>nae antiquis<br />

monumentisnunc etiam primum editis illustratae ac in decades distributae, Venetiis, G. B. Pasquali, 1749 in<br />

partico<strong>la</strong>re, Appendix novissima, a p. 349. L’uscita dall’ordine camaldolese viene ignorata da G. Fontanini,<br />

Biblioteca dell’eloquenza italiana di monsignor Giusto Fontanini…con le annotazioni del signor Apostolo Zeno<br />

istorico e poetacesareo cittadino veneziano, II tomi, Venezia, MDCCLIII, presso G. B. Pasquali, (sul quale cfr.<br />

<strong>la</strong> voce Giusto Fontanini di D. Busolini in DBI, vol. XLVIII, Roma, 1997, pp. 747-752) che critica aspramente il<br />

Bardi per non avere menzionato nel titolo delle sue opere il suo istituto religioso tomo II, p. 288 ivi, sul punto in<br />

questione il camaldolese viene difeso da Apostolo Zeno. Inoltre vedi ancora Cornaro, Appendix, cit., p. 396 sul<br />

giorno del<strong>la</strong> morte. Negri in Storia, cit. sostiene erroneamente che Bardi sia morto a Firenze nel monastero di S.<br />

Maria degli Angeli a Firenze. Sul<strong>la</strong> morte a Venezia dove fu parroco cfr. anche Filippo Brocchi, Collezione<br />

alfabetica di uomini e donne illustri del<strong>la</strong> Toscana dagli scorsi secoli fino al<strong>la</strong> metà del XIX compi<strong>la</strong>ta da F. B. e<br />

G. B., Firenze, Tipografia Bonducciana, 1852, p. 38.<br />

977 Le vite di tutti i Santi, brevemente descritte per tutti i giorni dell’Anno; ovvero Martirologio Romano,<br />

riordinato conforme all’uso del nuovo Calendario Gregoriano; tradotto dal<strong>la</strong> lingua <strong>la</strong>tina nel<strong>la</strong> volgare da<br />

Giro<strong>la</strong>mo Bardi, in Venetia presso Bernardo Giunti 1585 in Negri, Storia, cit..<br />

213


successivo dell’astronomo gesuita Giambattista Riccioli 978 e di Iacopo Gaddi 979 , fino alle<br />

critiche settecentesche di Giusto Fontanini 980 . Valutazioni peraltro ascrivibili ad uno scritto<br />

coevo e molto simile a Le età che esce quasi contemporaneamente per lo stesso editore nel<br />

medesimo anno intito<strong>la</strong>to: Chronologia universale 981 . La Cronologia viene stampata soltanto<br />

qualche mese dopo Le età e viene dedicata al granduca Francesco De’ Medici, destinatario già<br />

due anni <strong>prima</strong> di una versione incompleta dell’opera 982 . Gli eventi storici raccontati secondo<br />

<strong>la</strong> modalità annalistica sono preceduti da una sorta di introduzione complessiva di natura<br />

978 Sul quale rinviamo a livello biografico e riguardo alle sue opere astronomiche orientate in chiave<br />

anticopernicana a Luigi Ughi, Dizionario storico degli uomini illustri ferraresi: nel<strong>la</strong> pietà, nelle arti, e nelle<br />

scienze con le loro opere o fatti principali compi<strong>la</strong>to da[…]Luigi Ughi ferrarese, Ferrara, Rinaldi, 1804, II tomi,<br />

in partico<strong>la</strong>re tomo II, p. 285 e Joucher Christian G., Adelung, Allgemeines Gelehrten- Lexikon. Fortsetzungen<br />

und Erganzungen von H. W. Rotermund, Leipzig,: Gleditsch [et al.] 1784-1897, 7 bde, in partico<strong>la</strong>re bd. 6. , p.<br />

156.<br />

979 Cfr. <strong>la</strong> re<strong>la</strong>tiva voce Gaddi Jacopo di F. Tarzia in DBI, vol. LI, 1998, Roma, pp. 159-160.<br />

980 Nel<strong>la</strong> edizione accresciuta Del<strong>la</strong> eloquenza italiana di monsignor Giusto Fontanini arcivescovo d’Ancira<br />

libri tre…, in Roma nel<strong>la</strong> stamperia di Rocco Bernabò, MDCCXXXVI, il Fontanini scrive infatti a p. 632-633<br />

ricordando il Martirologio del Bardi, del<strong>la</strong> Chronologia: “e ci è il Martirologio romano, volgarizzato parimente<br />

da Giro<strong>la</strong>mo de Bardi camaldolese, autor pure di una vasta Cronologia universale, che però ha <strong>la</strong> disgrazia di<br />

essere abbandonata, come tessuta all’uso di chi non ha in bocca altro, che nuovi sistemi, che poi sono cose<br />

comuni, e altrettanto vane, quanto fondate in aria, e che in oggi non serve più incomodarsi a seguire, e molto<br />

meno ostinarsi a difendere in hac luce literarum, come fanno quelli, i quali per avversione al<strong>la</strong> verità<br />

conosciuta, non hanno scrupolo d’ingegnarsi a dar per vere le cose false, e le false per vere.”<br />

981 Il titolo perfettamente identico diverge nel<strong>la</strong> <strong>prima</strong> parte dove inizia come Cronologia universale, titolo col<br />

quale <strong>la</strong> indichiamo d’ora in poi per distinguer<strong>la</strong> da Le età. Peraltro un diretto riferimento al<strong>la</strong> sua prossima<br />

uscita si rinviene a p. 124 de Le età riguardo ai mesi in cui entrano in carica i consoli “Ma avendone lungamente<br />

par<strong>la</strong>to nel<strong>la</strong> mia Hi<strong>storia</strong> universale, et nel<strong>la</strong> cronologia, che fra pochi giorni verrà in luce…”.<br />

982 Ivi, “Al serenissimo Don Franceso De Medici Granduca di Toscana mio Signore”, Di Venetia alli XXV. Di<br />

Novembre MDLXXXI in cui a testimonianza dei precedenti rapporti col Gran Duca a proposito dello scritto in<br />

questione e del lungo <strong>la</strong>voro sotteso al<strong>la</strong> preparazione di questa fatica letteraria leggiamo: “La onde dovendo<br />

dopo tante fatiche, et dopo tanti anni finalmente pubblicare al mondo <strong>la</strong> mia presente Universal Chronologia,<br />

parte del<strong>la</strong> quale già due anni sono fu da me, inviata al<strong>la</strong> altezza vostra serenissima…”. Peraltro ulteriori e più<br />

accurate notizie sul<strong>la</strong> gestazione del<strong>la</strong> Cronologia si trovano nel Proemio che segue <strong>la</strong> dedica al Gran duca.<br />

Infatti l’autore, dopo una premessa generale sul<strong>la</strong> preminenza del<strong>la</strong> <strong>storia</strong> su tutte le altre scienze come maestra<br />

di vita il cui apprendimento è assolutamente propedeutico per l’attività politica, racconta che l’idea di compor<strong>la</strong> è<br />

nata “considerando anticamente Eusebio et a nostri tempi Giovanni Lucido, Honofrio Panvinio, Carlo Sigonio,<br />

Gherardo Mercatore, et altri, si indussero a fare una certa sorte di Hi<strong>storia</strong> utilissima et necessaria, cavata<br />

dal<strong>la</strong> Chronica, detta comunemente da loro Chronicon, o Cronologia, che non vuol dire altro che ragione di<br />

tempo…al<strong>la</strong> quale invenzione di Eusebio, avendo i detti autori aggiunte molte cose, l’hanno ridotta con <strong>la</strong><br />

industria loro in tale stato, che non par che gli si possa desiderare maggior chiarezza, Del<strong>la</strong> qual sorte di<br />

Hi<strong>storia</strong>, io compiacendomi molto, et perciò desiderando che il Mondo ne avesse una molto più partico<strong>la</strong>re di<br />

quel<strong>la</strong> che i detti Auttori, nonostante che ciò difficilissima mi fusse, risolvei di fare <strong>la</strong> presente Cronologia…”<br />

nell’”anno mille cinquecento settanta tre nel<strong>la</strong> città di Venezia et quivi praticando con diversi huomini di lettere,<br />

un giorno fra gli altri par<strong>la</strong>ndosi delle Historie et del<strong>la</strong> confusione de tempi, che in molti historici si vede fui<br />

dopo molti pareri essortato da alcuni et fra gli alti da Tomaso Porchachi, di fare ad mitatione di Eusebio ma<br />

con maggior distintione et con più capi partico<strong>la</strong>ri, una Cronologia universale[…]Et perciò in presenza di<br />

Tomaso Porchachi et di Aldo Manutio…fattone un publico instromento scritto di mia propria mano et<br />

autenticato da Giro<strong>la</strong>mo Savino publico notaio di Venetia, come appare con <strong>la</strong> casa de Giunti, cominciai a<br />

metter mano il primo di Giugno, al<strong>la</strong> presente Cronologia essendomi ritirato…nel<strong>la</strong> Badia del<strong>la</strong> Follina…dove<br />

diedi fine al<strong>la</strong> presente fatica l’anno medesimo, per tutto il mese di Dicembre, essendomi in questo mentre<br />

gravemente infermato, si che più volte fui in procinto di morire…et dopo varii accidenti occorsi l’anno mille<br />

cinquecento settantacinque a stampar<strong>la</strong>, Al che mentre si attendeva, avendosi cominciata in Venezia a sentire <strong>la</strong><br />

peste, interessasi l’opera, si stette fino a tutto l’anno mille cinquecento settantaotto a principiar<strong>la</strong>, nel qual anno<br />

fino al presente tempo, essendo occorsi varii accidenti, si è pure dato fine al<strong>la</strong> opera di fogli ottocento…”.<br />

Inoltre, nel<strong>la</strong> presente leggiamo anche un richiamo in conclusione ad altre opere stampate come le Età, cit., in<br />

via di pubblicazione o mai pubblicate come <strong>la</strong> famigerata Hi<strong>storia</strong> universale (del<strong>la</strong> cui esistenza manoscritta dà<br />

notizia soltanto il Negri, Storia, cit.,) : “Presento<strong>la</strong> adunque, a voi curiosi lettori, promettendovi che si come<br />

pochi mesi fa pubblicai a vostro beneficio, il Sommario et le Età cronologiche, che fra pochi mesi, io vi<br />

presenterò anco Gli Annali de Veneziani, le vite de Sommi Pontefici Romani. Due trattati uno del<strong>la</strong> venuta di<br />

Alessandro terzo Pontefice a Venezia, et l’altro, che gli Elettori dello imperio siano instituiti dal<strong>la</strong> Chiesa<br />

Romana et una Hi<strong>storia</strong> universale partita in più Tomi…”.<br />

214


storico-geografica sull’origine delle genti delle diverse regioni del mondo: I Discorsi<br />

Cronologici 983 . Questo preambolo che precede <strong>la</strong> vera e propria esposizione storica aperta<br />

dal<strong>la</strong> creazione di Adamo, costituisce <strong>la</strong> <strong>prima</strong> parte dell’opera in una divisione complessiva<br />

di quattro fasi in cui <strong>la</strong> seconda parte si arresta all’anno zero 984 <strong>la</strong> terza va dal<strong>la</strong> nascita di<br />

Cristo fino al 994 985 , <strong>la</strong> quarta arriva al 1580 986 . L’oggetto storico del<strong>la</strong> Chronologia coincide<br />

con quello de Le età in cui l’arco temporale affrontato sempre secondo lo stile annalistico e <strong>la</strong><br />

divisione in quattro parti è esattamente lo stesso. Tuttavia, accanto a questa notevole affinità,<br />

vi sono differenze che vanno dal<strong>la</strong> dedica dell’opera ad alcuni elementi concernenti <strong>la</strong> stessa<br />

impostazione generale dei due scritti.<br />

Ne le Età del mondo infatti vi sono quattro dediche diverse, una per ognuna delle quattro<br />

parti in cui l’opera è suddivisa. La <strong>prima</strong> parte dello scritto bardiano che va dal<strong>la</strong> creazione di<br />

Adamo al<strong>la</strong> nascita di Cristo viene dedicata a Lionardo Mozzanigo, <strong>la</strong> seconda che arriva fino<br />

al 1095 a Giro<strong>la</strong>mo Zeno, <strong>la</strong> terza che giunge al 1493 a Giovanni Mozzanigo, <strong>la</strong> quarta e<br />

ultima che si ferma al 1580 ad Angiolo Strozzi 987 . Un fiorentino dedicatario del<strong>la</strong> quarta parte<br />

interrompe il monopolio veneziano delle prime tre, sebbene si tratti comunque di un<br />

fiorentino collegato all’ambiente del<strong>la</strong> Serenissima per i rapporti intercorsi tra due membri<br />

del<strong>la</strong> sua famiglia ed i tre gentiluomini veneziani menzionati nelle prime tre dediche durante<br />

un periodo di permanenza nel<strong>la</strong> città <strong>la</strong>gunare 988 .<br />

Pertanto, <strong>la</strong> partizione delle quattro fasi dell’opera si po<strong>la</strong>rizza su punti di discontinuità<br />

storica diversa oltre ad essere quantitativamente una narrazione più ampia e accurata. Nel<strong>la</strong><br />

sua quarta parte inerente al<strong>la</strong> <strong>storia</strong> che va dal 1494 in avanti, infatti, se lo stile annalistico<br />

viene conservato a livello formale, nel<strong>la</strong> sostanza ogni evento storico viene descritto con<br />

notevole accuratezza e inserito in un quadro complessivo difficile da ricavare nel<strong>la</strong> centrifuga<br />

polverizzazione delle prime tre fasi de Le età come nel costante schematismo del<strong>la</strong><br />

Chronologia. Tuttavia, l’ispirazione identica delle due opere è chiaramente delineata oltre che<br />

dagli elementi enucleati, anche dall’equivalenza delle fonti utilizzate. Pertanto, per <strong>la</strong> nostra<br />

analisi e per un raffronto con <strong>la</strong> Storia d’Europa riteniamo utile considerare Le età come<br />

scritto più profondamente capace di illuminare le prospettive storiografiche bardiane<br />

integrandole però con <strong>la</strong> più sintetica Cronologia, frutto di una gestazione sostanzialmente<br />

unitaria, al pari di un altro <strong>la</strong>voro precedente ad entrambi: Sommario Cronologico dal<strong>la</strong><br />

creazione d’Adamo, fino all’anno di Cristo 1578…pubblicato sempre dai Giunti nel 1579 e<br />

dedicato al granduca Francesco de’ Medici. La cui maggiore schematicità e brevità indica <strong>la</strong><br />

sua natura di <strong>la</strong>voro preparatorio al<strong>la</strong> pubblicazione de Le età e al<strong>la</strong> Chronologia 989 .<br />

983 Ivi, pp. 1-64.<br />

984 Ivi, pp. 1-270.<br />

985 Ivi, pp. 1-265.<br />

986 Ivi, pp. 266-515.<br />

987 Ivi, Al c<strong>la</strong>rissimo signore Lionardo Mozzanigo del c<strong>la</strong>rissimo signor Niccolò, dedica datata 12 luglio 1581;<br />

Al c<strong>la</strong>rissimo signore Giro<strong>la</strong>mo Zeno del c<strong>la</strong>rissimo signor Simone; Ivi, Al c<strong>la</strong>rissimo signor Giovanni<br />

Mozzanigo, del carissimo signor Marcantonio; Al molto illustre et generoso signore Angiolo Strozzi.<br />

988 Ivi, leggiamo: “Il gentilissimo Signor Pirro suo fratello; el virtuosissimo Signor Giovambattista Strozzi<br />

parente e amicissimo sudo, che mentre furono a Venenzia più d’una volta trattarono domesticamente con loro<br />

restandoli non meno obligati al valore, al<strong>la</strong> bontà, et al<strong>la</strong> cortesia di ciascuno di essi…”. Il Negri, Storia, cit.,<br />

diversamente rileva una dedica nell’edizione del 1581 al granduca Francesco e una lettera ai lettori in cui<br />

l’autore asserisce di aver composto l’opera in sette mesi e rinvia al<strong>la</strong> prossima pubblicazione degli Annali de’<br />

Veneziani in realtà mai avvenuta.<br />

989 Sommario cronologico, nel quale dal<strong>la</strong> creatione di Adamo fino all’anno MDLXXVIIII di Cristo.<br />

Brevemente si racconta <strong>la</strong> origine di tutte le Genti, il Principio di tutte le Monarchie, di tutti i Regni, le<br />

Repubbliche, et Principati, <strong>la</strong> Salutifera incarnatione di Cristo, con <strong>la</strong> successione de’ Sommi Pontefici<br />

Romani…, Di Venetia appresso i Giunti 1579, d’ora in poi Sommario, con dedica “Di Venetia alli 6 di Giugno”<br />

indirizzata “al serenissimo Don Francesco de’ Medici gran duca di Toscana”; in proposito cfr. anche Negri,<br />

Storia, cit. e Enrico Narducci, Giunte all’opera “Gli scrittori d’Italia” del conte Gemmaria Mazzuchelli tratte<br />

dal<strong>la</strong> biblioteca Alessandrina, Roma, Salviucci, 1884. Chiaramente il Sommario costituisce una sorta di fase<br />

intermedia dell’opera successiva come evidenzia sia <strong>la</strong> lunghezza di circa 200 pagine (non numerate dall’autore)<br />

inclusi gli ampi e circostanziati elenchi di fonti (posti al<strong>la</strong> fine del<strong>la</strong> <strong>prima</strong> e del<strong>la</strong> terza e ultima parte in cui è<br />

215


Ne Le età l’autore propone lo schema delle quattro monarchie e delle sei età del mondo.<br />

Centrale in questa divisione delle epoche storiche <strong>la</strong> nascita di Cristo che inaugura <strong>la</strong> sesta ed<br />

ultima età 990 , <strong>la</strong> cui preminenza rispetto alle precedenti viene confermata anche dallo spazio<br />

maggioritario complessivamente dedicatogli dal Bardi. Le prime cinque età anche a livello<br />

logico, infatti, costituiscono una sorta di preambolo che copre soltanto <strong>la</strong> <strong>prima</strong> parte<br />

dell’opera. Certo, oltre al<strong>la</strong> presenza dello schema delle sei età, <strong>la</strong> ripartizione in quattro parti<br />

de Le età indica evidentemente <strong>la</strong> compresenza di ulteriori significative fratture storiche oltre<br />

al<strong>la</strong> nascita di Cristo, nel caratterizzare il senso complessivo degli eventi narrati. Il 1096<br />

infatti, offre un radicale cambiamento di scenario e di priorità. Si passa dallo scontro interno<br />

al<strong>la</strong> Res publica christiana tra papato e impero nelle persone del pontefice Urbano II<br />

successore di Gregorio VII e dell’imperatore Enrico IV, all’improrogabile esigenza dell’orbe<br />

cristiano, di organizzare una crociata contro i maomettani 991 . Il 1494 poi, è un punto di<br />

discontinuità ampiamente proposto dal<strong>la</strong> storiografia umanistica e si pone evidentemente<br />

come un punto partico<strong>la</strong>rmente delicato e carico di valenze per chi scrive di <strong>storia</strong> negli stati<br />

italiani come indica del resto il fatto che <strong>la</strong> narrazione storica bardiana che va dal 1494 al<br />

1580 occupi più del<strong>la</strong> metà del<strong>la</strong> lunghezza complessiva dell’opera 992 .<br />

Un primo punto di distanza con <strong>la</strong> Storia d’Europa che solo indirettamente ma non meno<br />

significativamente richiama <strong>la</strong> contemporaneità storico-politica. Peraltro, visto il punto di<br />

partenza cronologico de Le età dal<strong>la</strong> creazione di Adamo, l’esame dei due autori attraverso le<br />

fonti selezionate e le loro modalità d’impiego, può estendersi anche al Gello del Giambul<strong>la</strong>ri.<br />

Il trattatello del canonico <strong>la</strong>urenziano presenta del resto, oltre al<strong>la</strong> valenza linguistica un<br />

significato storico-politico non trascurabile esplicitamente indicato dal Giambul<strong>la</strong>ri, come<br />

visto, nel<strong>la</strong> sua Storia d’Europa.<br />

In proposito si percepisce, nonostante un certo grado di analogia tra le fonti utilizzate nel<br />

Gello e quelle del<strong>la</strong> <strong>prima</strong> parte delle Età del mondo certificato da testi dell’antico testamento<br />

(in partico<strong>la</strong>re <strong>la</strong> Genesi, l’Esodo, e i Giudici, libro dei Re), da Beroso, Lucido, Diodoro<br />

Siculo, Giuseppe F<strong>la</strong>vio, Orosio, Eusebio, Cassiodoro, Esdra, Tucidide, Senofonte, Herodoto,<br />

Plutarco, Dionisio, Livio, Giustino, Florio, Polibio, Appiano, Svetonio, ed altri e nonostante<br />

l’utilizzazione del<strong>la</strong> del<strong>la</strong> cronologia ebraica, 993 un certo grado di differenza nell’impostazione<br />

generale 994 .<br />

Risulta evidente come lo schema delle quattro età imperiali che ha al suo centro <strong>la</strong> fase<br />

dell’impero romano applicato dal Bardi come vedremo, sia assente nel Gello anche tenuto<br />

conto dell’ambito fiorentino e toscano dell’opera. D’altra parte il Giambul<strong>la</strong>ri respinge nel suo<br />

trattatello <strong>la</strong> realtà del<strong>la</strong> cultura greco-romana e <strong>la</strong> derivazione del<strong>la</strong> moderna Etruria da quel<strong>la</strong><br />

radice ideale e politica. Quel<strong>la</strong> tradizione viene aggirata e subordinata ad una precedente e<br />

divisa l’opera; <strong>la</strong> <strong>prima</strong> parte che va dal<strong>la</strong> creazione di Adamo al<strong>la</strong> nascita di Cristo , <strong>la</strong> seconda che va fino al<br />

1076 a p. 88, <strong>la</strong> terza che arriva al 1578, a p. 198), nonché il procedere telegrafico anno per anno mantenuto<br />

anche per gli anni più vicini al 1578 e che invece verrà progressivamente abbandonato nei resoconti degli anni<br />

più vicini al 1580 nell’opera pubblicata nel 1581 dove <strong>la</strong> contemporaneità assumerà un peso assolutamente<br />

predominante specialmente con riguardo al periodo 1560-1580 a livello quantitativo.<br />

990 Riguardo al<strong>la</strong> schema del<strong>la</strong> periodizzazione delle sei età e delle quattro monarchie con attenzione anche al<strong>la</strong><br />

storiografia del XV e XVI secolo rinviamo a G. Falco, La polemica sul Medio Evo, cit., pp. 29-41.<br />

991 Ivi, pp. 375-379.<br />

992 Infatti, questa che corrisponde esattamente al<strong>la</strong> quarta parte in cui è divisa l’opera, va da p. 761 a p. 2221.<br />

993 L’adozione bardiana del<strong>la</strong> cronologia Ebraica da parte del Bardi viene confermata esplicitamente dall’autore<br />

nel<strong>la</strong> Cronologia nel<strong>la</strong> parte iniziale dell’avviso al lettore a cui segue <strong>la</strong> seconda parte dell’opera: “Essendo<br />

pervenuti dopo così lunga narratione de Siti, et delle origini, et de costumi, et delle Forze de’ Tanti Regni,<br />

Repubbliche et Principati, che in varii tempi sono stati veduti nel Mondo; al<strong>la</strong> partico<strong>la</strong>r dimostrazione delle<br />

cose successe, sopputate da noi con l’autorrità de’ migliori Chronologi, conforme al calcolo de gli Hebrei per le<br />

seguenti tavole…”.<br />

994 Sulle fonti sia antiche che coeve è senza dubbio più accurato e completo rispetto all’elenco de Le età, cit.,<br />

sia quelli contenuti nel Sommario, cit., sia quelli del<strong>la</strong> Chronologia, uno che precede <strong>la</strong> sua <strong>prima</strong> parte, uno<br />

posto al<strong>la</strong> fine dell’ultima parte dell’opera, un altro nel preambolo al<strong>la</strong> seconda parte dello scritto Al Lettore. A<br />

proposito di un completo elenco delle fonti del<strong>la</strong> <strong>storia</strong> antica rinviamo al Sommario pp. 31-32 al<strong>la</strong> fine del<strong>la</strong><br />

<strong>prima</strong> parte.<br />

216


incontrovertibile matrice ed eredità costituita dall’aramaico e dal sostrato storico attinto dalle<br />

opere linguistiche e dal<strong>la</strong> traduzione eterodossa del<strong>la</strong> Bibbia di Sebastian Muenster.<br />

Diversamente, il discorso del Bardi culmina nel<strong>la</strong> nascita di Cristo sotto l’impero di<br />

Augusto nel momento in cui il mondo rego<strong>la</strong>to e unito secondo i dettami del<strong>la</strong> pax romana è<br />

finalmente in una condizione di ordine e serenità. Certamente all’interno del<strong>la</strong> successione dei<br />

quattro imperii: Assiro, persiano, greco-macedone, romano quest’ultimo costituisce il fulcro<br />

del<strong>la</strong> <strong>prima</strong> fase del<strong>la</strong> narrazione bardiana anche a livello quantitativo 995 .<br />

Inoltre ulteriore segnale del<strong>la</strong> possibile distanza dalle prospettive aramaiche del<br />

Giambul<strong>la</strong>ri, lo fornisce <strong>la</strong> notazione del<strong>la</strong> rifondazione di Firenze da parte di Carlo Magno<br />

nell’802, tratta probabilmente secondo <strong>la</strong> indicazione delle fonti al<strong>la</strong> fine del<strong>la</strong> pagina dal<strong>la</strong><br />

Chronica del Palmieri 996 .<br />

Peraltro anche nel<strong>la</strong> Storia d’Europa al<strong>la</strong> evidente centralità del concetto e del<strong>la</strong> tradizione<br />

imperiale non corrisponde un’esplicita e chiara adesione allo schema dei quattro imperi.<br />

Senza dubbio il Giambul<strong>la</strong>ri ricorre ad autori che condividono quello schema come ad<br />

esempio il Carione, tuttavia non dedica molto spazio o rilievo al<strong>la</strong> successione degli imperi<br />

precedenti al<strong>la</strong> rinascita ottoniana. Nel<strong>la</strong> <strong>prima</strong> parte del<strong>la</strong> Storia soltanto un fuggevole cenno<br />

viene speso per <strong>la</strong> restaurazione di Carlo Magno momento felice ma irrimediabilmente<br />

concluso nell’attualità, segnata dal<strong>la</strong> decadenza dell’impero e dal debole e inefficace governo<br />

dei discendenti del grande sovrano carolingio. Ben altro spazio e preminenza rispetto a Carlo<br />

Magno, il Giambul<strong>la</strong>ri attribuisce ad Arrigo di Sassonia e soprattutto ad Ottone I, come detto,<br />

una predilezione dal chiaro significato politico.<br />

Il Bardi invece concede uno spazio sostanzialmente equivalente a questi sovrani ed in<br />

partico<strong>la</strong>re a Carlo Magno e ad Ottone I 997 . Certamente non manca di riferire tutte le gesta di<br />

Arrigo ed Ottone I e lo sforzo di pacificazione e compattamento compiuto all’interno<br />

dell’impero da entrambi, ma senza quel<strong>la</strong> partecipazione e giustificazione provvidenziale<br />

manifestamente percepibile invece nel<strong>la</strong> Storia d’Europa. Anzi, l’aureo<strong>la</strong> di tutore e<br />

pacificatore del<strong>la</strong> Res publica christiana conferita dal Giambul<strong>la</strong>ri ad Ottone viene<br />

sostanzialmente meno nel Bardi. Lo storico camaldolese evidenzia esclusivamente lo sforzo<br />

di pacificazione e compattamento politico-militare del<strong>la</strong> Germania intrapreso con alterna<br />

fortuna da Arrigo e dal figlio Ottone. Infatti, a proposito di Arrigo scrive:<br />

“Henrico accomodò le difficoltà de’ Germani”<br />

tracciando poi un bi<strong>la</strong>ncio abbastanza <strong>la</strong>pidario, anche se positivo, del lungo regno di<br />

Ottone I:<br />

“Ottone fu Imperatore dopo Henrico, avendo preso lo Imperio del 936 di Christo, e tenutolo<br />

anni 36 mesi 10 giorni 6 il quale pacificatosi co’ nimici, procurò <strong>la</strong> salute del<strong>la</strong><br />

Germania.” 998<br />

Ancora in maniera piuttosto sbrigativa dopo alcune pagine torna direttamente sul figlio di<br />

Arrigo rilevando che “Ottone superò gli Sc<strong>la</strong>vi, e domò i ribelli, procurando indarno di<br />

quietare lo Imperio.” 999 Mentre sul<strong>la</strong> falsariga di Liutprando il Bardi stigmatizza l’agire di<br />

Berengario che “travagliava <strong>la</strong> Italia” 1000 . Tuttavia, sono notazioni che si perdono all’interno<br />

di una narrazione frammentata in mille rivoli, fatti e scenari che sembrano trovare una loro<br />

995 La <strong>storia</strong> di Roma infatti nel<strong>la</strong> <strong>prima</strong> parte dell’opera va da p. 124 a 343 con <strong>la</strong> quale si esaurisce il racconto<br />

del<strong>la</strong> quinta età.<br />

996 Ivi, Nelle quali dal<strong>la</strong> incarnatione di Christo, fino all’anno MXCVI, p. 247bb4 in cui leggiamo: “Carlo fece<br />

molte leggi nuove, et restaurò Firenze.”.<br />

997 Ivi, sul primo vedi pp. 238-252, sul secondo pp. 298-313.<br />

998 Ivi, passi riportati alle pp. 291 e 298.<br />

999 Ivi, p. 307.<br />

1000 Ivi, p. 308 e in precedenza anche p. 287: “La Italia era travagliata da Berengario”.<br />

217


cifra unitaria soltanto nell’impressione di un continuo contrasto interno all’Impero e all’Italia.<br />

Indubbiamente, anche il procedimento annalistico, peraltro praticato nel<strong>la</strong> storiografia<br />

veneziana, ostaco<strong>la</strong> oggettivamente <strong>la</strong> decrittazione del<strong>la</strong> sua inclinazione ove essa sia<br />

presente 1001 . Vedremo in proposito però come facilmente il Bardi a dispetto dello stile<br />

generale utilizzato nell’opera saprà segna<strong>la</strong>re in modo netto <strong>la</strong> propria posizione in altri<br />

momenti. Comunque <strong>la</strong> stessa polverizzazione del<strong>la</strong> narrazione in diversi e giustapposti teatri<br />

di per sé denuncia già implicitamente <strong>la</strong> mancanza di categorie e idealità unificanti.<br />

Inoltre, sebbene il Bardi menzioni il trasferimento del diritto di elezione imperiale compiuto<br />

dal Papa Gregorio V durante il regno di Ottone III, suo nipote, ai sette grandi elettori tedeschi,<br />

dopo <strong>la</strong> vittoria definitiva riportata contro Crescentio che aveva per anni tiranneggiato Roma e<br />

l’Italia 1002 , ne mantiene ben fermo il carattere di pura e semplice concessione papale ribadita<br />

in più di un’occasione 1003 . Specificazione che ridimensiona fortemente <strong>la</strong> portata di una<br />

possibile propensione filoimperiale bardiana, anche se l’agire politico di Ottone III istituisce<br />

una chiara dipendenza del<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong> dalle risoluzioni imperiali, meno lontana dal<strong>la</strong><br />

prospettiva generale del canonico <strong>la</strong>urenziano. Del resto, anche <strong>la</strong> valutazione del<strong>la</strong> donazione<br />

di Costantino non suona molto ghibellina:<br />

“Costantino riedificata <strong>la</strong> nuova Roma trasferì lo scettro Imperiale da Roma in quel<strong>la</strong>,<br />

donando al<strong>la</strong> Chiesa molti privilegij…” 1004 .<br />

Tanto più che molte delle fonti utilizzate dall’ex camaldolese per ricostruire le vicende<br />

storiche medievali pur coincidendo con quelle consultate dal Giambul<strong>la</strong>ri sono usate in modo<br />

diverso nel tracciare una valutazione complessiva del<strong>la</strong> tras<strong>la</strong>zione dell’impero al mondo<br />

germanico. Le fonti in questione appartengono al medioevo tedesco e all’umanesimo italiano<br />

e vengono utilizzate anche nel<strong>la</strong> Storia d’Europa: Liutprando, Reginone, l’abbate Uspergense,<br />

Widukindo oltre a Zonara per gli svolgimenti bizantini, Procopio, il Biondo, Paolo Emilio,<br />

Enea Silvio Piccolomini, il Renano dei Germania libri Tres, l’Irenico dei Duodecima<br />

volumina…, il Munster del<strong>la</strong> Cosmographia, Hulderico Muzio, Erasmo Stel<strong>la</strong>. Anzi il Bardi,<br />

che si procurava le fonti di autori germanici nel veneziano Fondaco dei Tedeschi 1005 , ricorre<br />

anche ad altre fonti del mondo germanico non compulsate dal canonico <strong>la</strong>urenziano: <strong>la</strong><br />

Cronica di Sassonia, <strong>la</strong> Cronica di Colonia, <strong>la</strong> Cronica di Norimberga, Giovanni Nauclero,<br />

l’Aventino, l’Epitome del<strong>la</strong> Germania del Wimpheling e ancora altri scrittori di cronache<br />

tedesche 1006 .<br />

1001 Sul<strong>la</strong> storiografia veneziana nel XVI secolo cfr. G. Cozzi, “Pubblica storiografia” veneziana del ‘500 in<br />

“Bollettino dell’Istituto di Storia del<strong>la</strong> Società e dello Stato”, V-VII, 1963-64, pp. 215-294; ora in id., Ambiente<br />

veneziano, ambiente veneto. Saggi su politica, società, cultura nel<strong>la</strong> Repubblica di Venezia in età moderna,<br />

Venezia, Marsilio, 1997, pp. 13-86, in partico<strong>la</strong>re sul<strong>la</strong> utilizzazione dello stile annalistico nel Bembo pp. 29-31.<br />

1002 In proposito pp. 324-325; inoltre sulle divisioni e l’oppressione determinata da Crescentio vedi più<br />

diffusamente le pp. 318-325 in partico<strong>la</strong>re p. 319 in cui leggiamo: “Roma era tiranneggiata da Crescentio, di<br />

maniera, che <strong>la</strong> Italia era tutta in arme.”<br />

1003 Ivi, cfr anche p. 2210.<br />

1004 Ivi, passo a p. 93.<br />

1005 In proposito cfr. E. Cochrane, Hi<strong>storia</strong>ns and Historiography, cit., p.; cfr inoltre, in generale sul fondaco<br />

dei Tedeschi H. Simonsfeld, Der Fondaco dei Tedeschi in Venedig und die Deutsch-Venetianischen<br />

Handelsbeziehungen, Stuttgart. Ver<strong>la</strong>g der J. G. Cotta’schen buchhandlung, 1887.<br />

1006 Per queste indicazioni rinviamo all’elenco del<strong>la</strong> Cronologia universale, cit., più completo ed esauriente dei<br />

riferimenti sulle fonti contenuti ne Le età dove i nomi del Renano, del Muenster, del Muzio, dell’Irenico<br />

mancano. In realtà l’elenco più completo è quello contenuto nel Sommario al<strong>la</strong> fine del<strong>la</strong> <strong>prima</strong> parte, in<br />

partico<strong>la</strong>re p. 32 che ricorda anche il nome dell’Irenicus assente nel re<strong>la</strong>tivo elenco del<strong>la</strong> Cronologia universale.<br />

Ivi, il ricorso al Muenster viene rammentato in due elenchi parziali tra gli “Historici che par<strong>la</strong>no de Germani” e<br />

nel novero degli “Historici Corografi universali da quali si son cavate molte cose aspettante a questo<br />

sommario”. In realtà se ci atteniamo anche all’altro elenco del Sommario posto al<strong>la</strong> fine dell’ultima parte<br />

dell’opera, pp. 198-200, le fonti in comune con il Giambul<strong>la</strong>ri di ambito germanico e filoimperiale o re<strong>la</strong>tive al<br />

mondo scandinavo aumentano ulteriormente attraverso <strong>la</strong> menzione di Wudukindo, del Krantio, di O<strong>la</strong>o Magno,<br />

Erasmo Stel<strong>la</strong>, Sasso Grammatico, il Cuspiniano in proposito vedi soprattutto pp. 199-200.<br />

218


Basta pensare al modo in cui sebbene entrambi gli autori ricorrano a Widukindo, il Bardi<br />

come abbiamo visto riporti freddamente e rapidamente <strong>la</strong> notizia dell’ascesa imperiale di<br />

Ottone I che assume invece in Giambul<strong>la</strong>ri una rilevanza ed una centralità testimoniata dal<strong>la</strong><br />

accurata descrizione del<strong>la</strong> sua incoronazione. Altra conferma in questa direzione <strong>la</strong> offre <strong>la</strong><br />

trattazione bardiana all’interno del<strong>la</strong> lotta per le investiture del<strong>la</strong> figura di Enrico IV. Quel<strong>la</strong><br />

sorta di fascinazione che è percepibile nel ritratto che dell’imperatore svevo offre <strong>la</strong> Chronica<br />

di Nauclero 1007 esaltandone, al di là del<strong>la</strong> condanna per le persecuzioni inflitte al<strong>la</strong> Chiesa, le<br />

eccezionali qualità personali e militari del principe malconsigliato da cattivi ministri 1008 ,<br />

appare del tutto assente nel<strong>la</strong> caratterizzazione del Bardi. Il camaldolese, infatti, scrive che<br />

Enrico “colmo di ogni vitio nefando, non tra<strong>la</strong>sciava ne luogo, ne occasione di far male, e<br />

al<strong>la</strong> Chiesa, e a Baroni.” 1009 Già nelle pagine precedenti l’autore aveva evidenziato a<br />

proposito dell’inizio del conflitto tra papato e impero negli anni 1161-1162 che “Henrico si<br />

dichiarò nemico del<strong>la</strong> Chiesa” contrapponendo al legittimo pontefice Niccolò II l’antipapa<br />

Cadolo e che a seguito del<strong>la</strong> sconfitta dell’antipapa “era tutto veleno contra il pontefice” 1010 .<br />

Inoltre, nonostante l’accordo raggiunto nel 1164, l’autore evidenzia come già nel 1168<br />

“Henrico diventò insolentissimo, travagliando continovamente <strong>la</strong> Chiesa, et i principali del<strong>la</strong><br />

Germania.” 1011<br />

In ben due punti pertanto viene rafforzata <strong>la</strong> negatività del<strong>la</strong> figura dell’imperatore svevo<br />

nocivo al<strong>la</strong> Chiesa e al<strong>la</strong> stabilità dell’equilibrio politico dell’impero, nel cui seno deve<br />

fronteggiare <strong>la</strong> ribellione del<strong>la</strong> Baviera e del<strong>la</strong> Sassonia 1012 .<br />

Ulteriore conferma in questa direzione, l’autore <strong>la</strong> fornisce nel passo inerente il 1076 in cui<br />

gli elettori imperiali insorgono al<strong>la</strong> pretesa di Enrico di eleggere personalmente il pontefice<br />

attraverso <strong>la</strong> convocazione di due “conciliaboli”. Scrive infatti l’autore:<br />

“Era talmente cresciuta ne’ fautori dello scelerato Imperatore <strong>la</strong> perfidia, che adunati due<br />

conciliaboli, uno in Pavia, et uno in Vormatia, terminarono, che lo Imperatore potesse<br />

eleggere il Papa, et creare i Vescovi. Il che talmente sdegnò gli Elettori, che intimarono <strong>la</strong><br />

Dieta per l’anno seguente, avendo fra tanto Gregorio celebrato il terzo Sinodo in Laterano,<br />

nel quale fu scomunicato Henrico Imperatore. […]I Principi di Alemagna fecero una dieta<br />

contra Imperatore, il quale non cessando di travagliare <strong>la</strong> Chiesa fu di nuovo scomunicato,<br />

essendo in questo mezzo vinto da’ Sassoni, che lo travagliavano.” 1013<br />

1007 Iohannis Naucleri praepositi tubingen. Chronica, succinctim copraehendentia res memorabiles seculorum<br />

omnium ac gentium, ab initio mundi usque ad annum Christi nati MCCCCC. Cum Auctario Nico<strong>la</strong>j Bselij ab<br />

anno Domini M. D. I. in annum M.D. XIIII. Et Appendice nova, cursim memorante res interim gestas, ab anno<br />

videlicet M. D. XV. Usque in annum presentem, qui est post Christum natum M. D. XLIIII. Rhapsodis partim D.<br />

Cunrado Tigemanno, partim Bartho<strong>la</strong>maeo Laurente …, Coloniae ex officina Petri Quentel anno Christi nati<br />

MDXLIIII.<br />

1008 Scrive infatti a p. 696 in re<strong>la</strong>zione al<strong>la</strong> sua ascesa al trono: “Anno divini 1057…Henrico III defuncto, fili<br />

eius Henricus admodum puer succedens, regnare coepit. Fuit aut hic Henricus ore facundus, ingenio acer,<br />

elemosynis <strong>la</strong>rgus, in re militari fortunatissim, nam sexagesies col<strong>la</strong>tis signis dimicavit, et licet malor ducto<br />

consilio, fuerit sancte Romanae ecclesiae persecutor[…]”, (sul<strong>la</strong> problematica convivenza in Nauclero di<br />

devozione cattolica e propensione imperiale causata dal suo patriottismo tedesco evidente nell’ammirazione<br />

espressa per <strong>la</strong> figura di Enrico IV cfr. inoltre G. Falco, La polemica sul Medio Evo, cit., pp. 63-68)<br />

diversamente il Bardi commenta il medesimo evento del<strong>la</strong> sua ascesa al trono nei seguenti termini a p. 350:<br />

“Henrico quarto fu imperatore di Occidente, havendo preso lo Imperio del1056 et tenutolo anni 49, mesi 10,<br />

giorni 3, essendo morto nel fin di questo il padre. La Germania era tutta in arme…”.<br />

1009 Ivi, p. 358. Concetto il cui senso viene reiterato in almeno altri due passi, a p. 353: “Henrico si dichiarò<br />

nimico del<strong>la</strong> Chiesa…”.<br />

1010<br />

Passi riportati ivi, alle pp. 353 e 354.<br />

1011<br />

Ivi, passo a p. 357.<br />

1012 Ivi, in proposito cfr. pp. 359-360.<br />

1013 Ivi, passo a p. 362. In proposito confronta a titolo esemplificativo <strong>la</strong> profonda analogia del<strong>la</strong> valutazione<br />

svolta dall’autore nel Sommario, cit., a p. 33 che apre appunto significativamente <strong>la</strong> seconda delle tre parti in cui<br />

viene divisa l’opera.<br />

219


Le pagine seguenti che esauriscono <strong>la</strong> seconda parte dell’opera continuano sul<strong>la</strong> falsariga<br />

dei due motivi dominanti in questo scontro Papato-impero, del<strong>la</strong> ingiustificabile persecuzione<br />

imperiale al<strong>la</strong> Chiesa 1014 e dei conseguenti disagi provocati anche al<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong> italica, del<strong>la</strong><br />

sollevazione militare e del malcontento degli Elettori di Baviera e Sassonia 1015 . Appare non<br />

meno significativo che nel pieno del contrasto tra Papato ed Impero l’autore ponga uno stacco<br />

netto nel 1096 che apre <strong>la</strong> terza parte de Le età e vede Urbano II propugnare con successo<br />

l’unità dei principi cristiani per com<strong>pier</strong>e una crociata, nonostante le resistenze di Enrico IV.<br />

Il Bardi infatti, sottolinea che “quantunque lo scismatico Imperatore Henrico, facesse ogni<br />

opera per deviare si Santa Impresa, non fu però mai possibile di rimuovere l’animo de’<br />

Fedeli da si Santo pensiero, onde avendo tutti dopo l’essortationi del Santo Pontefice, con<br />

lieto ap<strong>la</strong>uso, gridato Iddio, voler così, si sottoscrissero…molti Principi grandi di diverse<br />

parti di Occidente…”. 1016<br />

Pertanto, <strong>la</strong> salvaguardia spirituale dell’Europa cristiana nel<strong>la</strong> concezione bardiana viene<br />

chiaramente riconosciuta al pontefice mentre nel<strong>la</strong> Storia d’Europa i veri tutori del<strong>la</strong><br />

Respublica christiana sono gli imperatori del<strong>la</strong> casa di Sassonia.<br />

Il contrasto tra Chiesa e Papato comunque, nonostante l’intermezzo del<strong>la</strong> crociata, non si<br />

p<strong>la</strong>ca fino al 1122 e si ripropone in termini non troppo dissimili con il Barbarossa che al pari<br />

di Enrico IV danneggia <strong>la</strong> Chiesa e l’Italia 1017 . Punto tutt’altro che trascurabile per i segnali<br />

abbastanza univoci sull’alterità del Bardi rispetto al<strong>la</strong> linea espressa dal Giambul<strong>la</strong>ri e su un<br />

suo possibile accostamento invece alle pulsioni bartoliane nel riscoprire le realtà municipali<br />

italiane in funzione delle tanto agognate libertà d’Italia con partico<strong>la</strong>re attenzione ancora una<br />

volta al mito di Venezia. In questa direzione va collocata l’ampia digressione dell’autore sul<strong>la</strong><br />

vittoria navale veneziana ottenuta contro il figlio del Barbarossa nell’ambito dell’ultima<br />

fallimentare spedizione dell’imperatore contro i Comuni italiani. La rilevanza del passaggio è<br />

segna<strong>la</strong>ta anche a livello testuale dal venir meno a livello sostanziale dal telegrafico procedere<br />

annalistico. L’episodio in questione ed il conseguente incontro veneziano tra pontefice e<br />

imperatore occupano, infatti, ben tre pagine de Le età 1018 . In questo passaggio l’autore si<br />

dichiara apertamente stupito del diffuso scetticismo che circonda il concreto verificarsi di<br />

questi due avvenimenti, chiaramente documentati dalle stesse fonti tedesche e annuncia <strong>la</strong><br />

pubblicazione di un’opera focalizzata sul<strong>la</strong> certificazione dell’effettivo svolgimento di quel<strong>la</strong><br />

grande battaglia:<br />

“certo che io resto molto meravigliato, che ritrovandosi molti historici di Alemagna, che<br />

confessando liberamente raccontano questa giornata, da alcuni trascuratamente venga<br />

taciuto, anzi espressamente negato, il fatto d’arme essere stato a Pirano, sotto <strong>la</strong> scorta del<br />

Doge Sebastiano Ziani, per il Papa, et di Ottone figliuolo di Federigo, per il padre:<br />

conciosia, che chiaramente si veda, che non potendo essere stato altrimenti, che come<br />

abbiamo raccontato noi nell’anno innanzi, et che gli Historici Tedeschi in più d’un luogo<br />

narrano, non so perché si taccia, o si niega da coloro, che per erudizione di dottrina, et per<br />

altre parte riguardevoli lo doverebbeno espressamente dire: ma avendone a parte fatto di ciò<br />

un lungo trattato, dove lungamente n più d’un luogo, et con infinite auttorità ho dimostro <strong>la</strong><br />

verità di questo fatto, tra<strong>la</strong>sciando ogn’altra cosa quivi mi riserbo a dimostrare quanto chi<br />

1014 Molto più problematico sul punto Nauclero, che in proposito in definitiva accusa il Papato di aver<br />

rivendicato una potestà temporale che non le apparteneva abrogando i diritti storici assunti dall’impero in<br />

materia di nomina di papi e di assegnazione di abbazie e vescovadi, senza dimenticare <strong>la</strong> sostanziale<br />

sconfessione delle conseguenze del<strong>la</strong> donazione di Costantino, tutti punti sui quali rinviamo a G. Falco, La<br />

polemica sul Medio Evo, cit., in partico<strong>la</strong>re pp. 66-67.<br />

1015 Sul<strong>la</strong> conflittualità interna all’impero e sullo scontro con <strong>la</strong> Chiesa rinviamo alle pp. 363-376; peraltro<br />

successivamente <strong>la</strong> Sassonia rimane solitaria a capeggiare <strong>la</strong> ribellione antimperiale per <strong>la</strong> sopravvenuta<br />

pacificazione tra l’imperatore ed il duca di Baviera sul<strong>la</strong> quale cfr. in partico<strong>la</strong>re p. 376.<br />

1016 Ivi, passo a p. 377.<br />

1017 In proposito vedi p. 437-438.<br />

1018 Ivi, vedi pp. 451-453.<br />

220


negando erri <strong>la</strong> presente Hi<strong>storia</strong> conforme alle scritture de’ Veneziani, il quale dopo queste<br />

nostre età si vedrà pubblicamente…” 1019<br />

Si tratta del<strong>la</strong> Vittoria navale ottenuta dal<strong>la</strong> Repubblica venetiana contra Ottone figliuolo di<br />

Federico primo imperatore…pubblicata da Francesco Ziletti nel 1584 1020 il cui intento<br />

celebrativo emerge in modo evidente già nel<strong>la</strong> dedica rivolta dall’autore in data 13 gennaio<br />

1583 al Doge ed al Consiglio dei dieci 1021 . Il Bardi infatti mette <strong>la</strong> sua documentazione a<br />

disposizione di una nuova rappresentazione pittorica del<strong>la</strong> battaglia, visto che quel<strong>la</strong> che si<br />

trovava nel<strong>la</strong> Sa<strong>la</strong> del Maggior Consiglio a pa<strong>la</strong>zzo ducale è andata distrutta in un<br />

incendio 1022 . Intento celebrativo non disgiunto dal<strong>la</strong> volontà di replicare a “coloro che”<br />

nonostante “l’erudizion di dottrina” negano l’effettivo svolgimento del<strong>la</strong> battaglia e cercano<br />

di sminuire il ruolo veneziano nelle vicende del 1177. Come rilevato da Tommaso de Vivo,<br />

tra i detrattori delle prerogative e dei meriti storici veneziani va annoverato senza dubbio<br />

Carlo Sigonio assertore in pieno clima di Controriforma dell’esigenza pontificia di affermare<br />

il <strong>prima</strong>to romano sul<strong>la</strong> cristianità con partico<strong>la</strong>re riguardo alle realtà politiche concorrenti<br />

del<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong>. Il Bardi inaugura <strong>la</strong> tendenza veneziana a documentare le prerogative politiche<br />

del<strong>la</strong> Serenissima attraverso l’evidenza delle fonti scritte e delle immagini, poi perseguita<br />

anche da altri storici veneziani memori delle istanze bardiane e partico<strong>la</strong>rmente sensibili agli<br />

attacchi di parte romana o asburgica specie nei momenti in cui a livello direttamente politicomilitare<br />

le fortune e le prerogative veneziane sono profondamente minacciate. In questo senso<br />

non va trascurato che proprio <strong>la</strong> sua Vittoria navale venga ripubblicata nel 1619 a cura di<br />

Antonio Pinelli nel momento di massima intensità dello scontro ispano-veneziano<br />

nell’Adriatico 1023 .<br />

Inoltre, allo scritto del 1584 il Bardi fa seguire <strong>la</strong> Dichiaratione di tutte le Storie che si<br />

contengono ne’ quadri posti nuovamente nelle sale dello Scrutinio, e del Gran Consiglio del<br />

Pa<strong>la</strong>gio ducale…del 1587. Opera quest’ultima celebrativa non soltanto del<strong>la</strong> battaglia del<br />

1019 Ivi, passo alle pp. 452-453. Nel precedente Sommario, cit., aveva portato a sostegno dell’effettivo<br />

svolgimento del<strong>la</strong> battaglia a p. 108 il Corio ed il Sabellico oltre ai “brevi del<strong>la</strong> Rep. di Venezia, veduti da me…”<br />

ed in cui si rinvia a quanto “di ciò abbastanza detto nel<strong>la</strong> mia i<strong>storia</strong> universale, che dopo <strong>la</strong> Cronologia verrà<br />

in luce…”.<br />

1020 Vittoria navale ottenuta dal<strong>la</strong> repubblica venetiana contra Ottone, figliolo di Federico primo imperatore.<br />

Per <strong>la</strong> restituzione di Alessandro Terzo, Pontefice massimo venuto a Venetia. Descritta da Giro<strong>la</strong>mo Bardi<br />

fiorentino, in Venetia appresso Francesco Ziletti MDLXXXIIII. Sul<strong>la</strong> vittoria navale del 1177 e sul<strong>la</strong> sua<br />

rilevanza nel<strong>la</strong> iconografia e nel<strong>la</strong> mitologia veneziana cfr. anche P. Ulvioni, Cultura politica e cultura religiosa<br />

a Venezia nel secondo Cinquecento. Un bi<strong>la</strong>ncio, in “Archivio storico italiano”, 1983, CXLI, pp. 591-651, p.<br />

612.<br />

1021 Ivi, infatti il Bardi si rivolge “Al Serenissimo doge di Venetia Nicolò da Ponte et alli illustrissimi et<br />

eccellentissimi Signori Capi del Consiglio dei Dieci” (Su Nicolò da Ponte cfr. <strong>la</strong> re<strong>la</strong>tiva voce Da Ponte Nicolò<br />

di G. Gullino in DBI, vol. XXXII, Roma 1986, pp. 723-728) non va dimenticato inoltre, che proprio un anno<br />

<strong>prima</strong> che quest’opera vada in stampa, il Bardi manifesti <strong>la</strong> sua pulsione veneziana attraverso <strong>la</strong> pubblicazione di<br />

un altro intervento letterario Delle cose notabili del<strong>la</strong> città di Venetia, Libri II…, in Venetia, presso gli eredi di<br />

Luigi Valvassori, et Giovan Domenico Micheli, MDLXXXIII.<br />

1022 Ivi, il Bardi scrive: “Havendosi a rinnovare nel<strong>la</strong> Sa<strong>la</strong> del maggior Consiglio le Historie, che<br />

rappresentavano le nobilissime pitture di Giovan Bellino, et di molti altri pittori illustri, consumate questi anni<br />

adietro dallo incendio, nelle quali si conteneva <strong>la</strong> venuta di Alessandro…et <strong>la</strong> Illustre vittoria ottenuta da quel<strong>la</strong><br />

illustrissima Repubblica…”.<br />

1023 Rinviamo a Tommaso de Vivo, Venetian Power, cit., sull’edizione secentesca del<strong>la</strong> Vittoria navale e<br />

soprattutto sulle caratteristiche del<strong>la</strong> storiografia Bardiana pp. 165-170, ivi, inoltre a proposito del<strong>la</strong> sua<br />

incidenza nel<strong>la</strong> storiografia veneziana successiva fino ai cambiamenti di impostazione determinati dal Sarpi e per<br />

le differenze con quest’ultimo vedi pp. 171-176. Inoltre, sul<strong>la</strong> storiografia di Sigonio, cfr. G. Costa, Le antichità<br />

germaniche, cit., che esalta Giustiniano come vendicatore del<strong>la</strong> romanità oppressa dall’elemento germanico,<br />

mettendo in evidenza <strong>la</strong> positività di quest’ultimo soltanto in re<strong>la</strong>zione al<strong>la</strong> sua integrazione nel<strong>la</strong> Koinè grecoromana<br />

e cattolica come nel caso dei Longobardi <strong>la</strong> cui opera economico-legis<strong>la</strong>tiva è direttamente corre<strong>la</strong>ta con<br />

<strong>la</strong> conversione al cattolicesimo, o di Teodorico ostrogoto che garantisce <strong>la</strong> Chiesa cattolica e consolida <strong>la</strong> civiltà<br />

romana a livello politico e di restaurazione degli antichi monumenti, mentre d’altra parte minimizza i danni<br />

arrecati a Roma dal sacco perpetrato da A<strong>la</strong>rico e dai Visigoti nel 410 d. C., in partico<strong>la</strong>re pp. 79-85.<br />

221


1177 ma di tutte le grandi battaglie del<strong>la</strong> <strong>storia</strong> veneziana e dello sforzo ormai ultimato di<br />

rappresentarle a Pa<strong>la</strong>zzo ducale, secondo l’ideazione formu<strong>la</strong>ta dai due senatori veneziani<br />

Jacopo Contarini e Jacopo Marcello, esposta a livello letterario dal Bardi. 1024<br />

Dunque una forte pulsione veneziana quel<strong>la</strong> del<strong>la</strong> storiografia bardiana che viene alimentata<br />

anche dal motivo pontificio e antimperiale precedentemente evidenziato. Nel<strong>la</strong> Vittoria navale<br />

infatti l’autore sostiene nuovamente il potere temporale dei papi in base al<strong>la</strong> donazione di<br />

Costantino e alle prerogative concesse da Carlo Magno e Ludovico il Pio al<strong>la</strong> Chiesa romana,<br />

con <strong>la</strong> conseguente denuncia del<strong>la</strong> vio<strong>la</strong>zione di esse compiute da Enrico IV e V 1025 .<br />

D’altra parte il Bardi conferisce il massimo rilievo al ruolo che <strong>la</strong> Serenissima svolge a<br />

tute<strong>la</strong>, sia delle prerogative pontifice e del<strong>la</strong> libertà italiana nei confronti del<strong>la</strong> minaccia dei<br />

mori, sia delle ragioni del<strong>la</strong> cristianità, come esemplificato dal contributo veneziano offerto<br />

nel<strong>la</strong> <strong>prima</strong> crociata 1026 . Quest’impressione del resto viene supportata anche dal passaggio de<br />

Le età in cui Giulio II “cominciò a condiscendere al<strong>la</strong> restituzione del<strong>la</strong> loro<br />

grandezza…facendo ogni opera che quel<strong>la</strong> Repubblica ornamento dell’antica libertà d’Italia,<br />

1024 Dichiaratione di tutte le Storie che si contengono ne’ quadri posti nuovamente nelle Sale dello Scrutinio, et<br />

del Gran Consiglio del Pa<strong>la</strong>gio ducale del<strong>la</strong> Sereniss. Repubblica di Venezia, nel<strong>la</strong> quale si ha piena<br />

intelligenza delle più segna<strong>la</strong>te vittorie conseguite di varie nazioni del mondo da Veneziani. In Venezia per<br />

Felice Valgrisi 1587, opera poi edita per Altobello Salicato nel 1602, 1606 e 1660. Al riguardo rinviamo a G.<br />

Mazzucchelli, Gli scrittori d’Italia: notizie storiche, e critiche intorno alle vite, e agli scritti dei letterati italiani<br />

di Giammaria Mazzuchelli bresciano, Brescia: Bossini 1753-1763, vol. II, parte <strong>prima</strong>, p. 178. L’edizione del<br />

1587 è dedicata dal Bardi in data 19 dicembre 1586 a Giovanni Cornaro, il cui casato viene celebrato per le<br />

imprese compiute in favore del<strong>la</strong> Repubblica veneziana, in primo luogo <strong>la</strong> donazione di Cipro effettuata<br />

dall’avo<strong>la</strong> di Giovanni, Caterina Cornaro a Venezia puntualmente poi menzionata alle pp. 55, 59-60 dell’opera.<br />

Inoltre sul<strong>la</strong> trasposizione letteraria di quanto proposto per le pitture dal Contarini e dal Marcelli vedi l’esplicito<br />

riferimento dell’autore alle pp. 63-64. Cfr. inoltre sul<strong>la</strong> nuova iconografia di Pa<strong>la</strong>zzo Ducale per quanto riguarda<br />

<strong>la</strong> ritrattistica dogale in AA.VV., I dogi, a cura di G. Benzoni, Mi<strong>la</strong>no, Electa, 1982, il saggio di Giandomenico<br />

Romanelli, Ritrattistica dogale: ombre immagini e volti, pp. 125-162, a p. 133 e soprattutto, sul contributo<br />

artistico del Tintoretto, P. Ulvioni, Cultura politica e cultura religiosa, cit., pp. 609-612 e ancora sullo scritto<br />

bardiano in questione anche G. Cozzi, “Storiografia veneziana”, cit., pp. 75-76, in partico<strong>la</strong>re <strong>la</strong> nota n. 107 a p.<br />

76. Inoltre, sull’iniziativa bardiana e sul suo significato, cfr. anche Wiliam J. Bouwsma, Venice, cit., pp. 224-227<br />

e sul valore delle immagini come fonte storica secondo <strong>la</strong> prospettiva bardiana cfr. Tommaso de Vivo, Venetian<br />

Power, cit., a p. 169.<br />

1025 Ivi, leggiamo infatti in linea con quanto osservato ne Le età…alle pp. 4a2-5a3 che “Che essendo stata <strong>la</strong><br />

Chiesa, et <strong>la</strong> dignità pontificale nell’Età più antiche, dal<strong>la</strong> Religiosa pietà, et liberalità, di molti imperatori<br />

Romani grandemente essaltata, et aggrandita, et principalmente da Costantino il Magno, Carlo il Grande, et<br />

Lodovico il Pio; si che oltre <strong>la</strong> plenaria et assoluta autorità spirituale, che si estendeva in ogni parte<br />

dell’universo, possedeva anco con giusti titoli, et con vere ragioni <strong>la</strong> Città di Roma, il Latio…il<br />

Piceno…l’Umbria….<strong>la</strong> Romagna…parte di Lombardia et Toscana…Ma essendo poi nata secondo <strong>la</strong> diversità<br />

de tempi, diversa disposizione verso <strong>la</strong> Chiesa, et de Pontefici Romani, ne gli animi de gli altri imperatori, che a<br />

quelli succederono, et in partico<strong>la</strong>re al quarto, et al quinto Arrigho; i quali veduto quanto <strong>la</strong> maestà dello<br />

Imperio si fosse ridotta in stato di gran lunga disuguale al<strong>la</strong> grandezza di <strong>prima</strong>; non tra<strong>la</strong>sciarono cosa<br />

intentata, quantunque violenta, per aggiudicarsi li stati temporali; che santa Chiesa, con giuste ragioni riteneva<br />

ne sopradetti luoghi d’Italia, calpestando anco l’auttorità spirituale, che nvio<strong>la</strong>bilmente se gli aspettava in tutte<br />

le parti dell’Universo; perciochè ritrovandosi per <strong>la</strong> diversità de gli accidenti molte delle Provincie del<strong>la</strong><br />

medesima Germania smembrate dal sacro Impero de loro predecessori…il che tollerandosi mal volentieri da’<br />

soprannominati Cesari…senza alcun rispetto empiamente confuse le cose sacre et le profane; perturbarono con<br />

con inusitata asprezza <strong>la</strong> quiete, et lo stato de’ sommi Pontefici…”.<br />

1026 Ivi, alle pp. 2a1-3a2 riguardo all’invincibilità veneziana sul mare leggiamo: “Ma quello che <strong>la</strong> resero più<br />

raguardevole, et veneranda, fu l’essere stati i veneziani in gran parte cagione, che i cristiani di Ponente, nel<br />

passaggio che fece Gofredo in terra santa, s’impadronissero e recuperassero di mano de gli infedeli di Soria il<br />

sacrosanto sepolcro di Cristo.[…]Ma ne qui fermandosi l’armi de’ Veneziani, anzi impiegandosi ogni giorno più<br />

a beneficio de fedeli; fecero quasi che nel medesimo tempo, l’istesso contra i Mori d’Africa, et di Barbaria; i<br />

quali perturbando con le armate loro le riviere d’Italia incenerirono molti luoghi del Mare inferiore, scorrendo<br />

fino al<strong>la</strong> Città di Roma, con grave pericolo et evidente danno de gl’Ita<strong>la</strong>ni, et de Pontefici Romani in<br />

partico<strong>la</strong>re[…]Conciosia, che rotti e fugati più d’una volta i Mori, liberarono tutta l’Italia, et massimamente i<br />

Pontefici dal<strong>la</strong> violenza di quelli[…]Da quali beneficij indotti gli Italiani, non solo onorarono universalmente<br />

tutti i Veneziani; ma gli Ottoni Imperatori di quei tempi, et i Pontefici primi, donatigli molte preminenze,<br />

riconoscendo <strong>la</strong> salvezza loro dalle religiose armi de’ Veneziani, di comun consenso gli chiamarono Difensori et<br />

propugnacolo del<strong>la</strong> Christiana religione ”.<br />

222


non fosse depressa dall’autorità et dal<strong>la</strong> forza de’ Barbari…” 1027 dopo che in precedenza<br />

aveva capeggiato l’attacco generalizzato contro i cittadini del<strong>la</strong> Serenissima agendo lui stesso<br />

come evidenzia l’autore “con le armi temporali…”. Valutazione ni cui non è difficile<br />

percepire una critica per quanto indiretta all’operato del pontefice nel momento in cui cerca di<br />

costringere all’impotenza Venezia, l’unico insostituibile baluardo delle libertà italiane e<br />

papali. L’errore di Giulio II viene del resto rimarcato dal repentino cambiamento che <strong>la</strong> sua<br />

precedente politica subisce 1028 .<br />

La stessa dedica del<strong>la</strong> Vittoria navale indirizzata al doge Niccolò da Ponte ed al Consiglio<br />

dei Dieci indica <strong>la</strong> necessità di esaminare attentamente <strong>la</strong> consistenza ed il rapporto tra le<br />

pulsioni veneziana e pontificia proposte dal Bardi 1029 . Il giudizio espresso dall’ex camaldolese<br />

ne Le età sul<strong>la</strong> politica decisamente non filocuriale nè filospagno<strong>la</strong> perseguita dal da Ponte,<br />

durante il cui dogato (1578-1585) il partito dei giovani inizia a prevalere in seno al patriziato<br />

veneziano sull’indirizzo più b<strong>la</strong>ndo e accondiscendente verso Spagna e Papato dei<br />

“vecchi” 1030 , infatti, rappresenta un nodo importante, come vedremo, per ponderare appieno le<br />

linee salienti del<strong>la</strong> storiografia bardiana.<br />

Fin’ora comunque <strong>la</strong> componente antimperiale dell’autore pienamente assodata, riceve<br />

ulteriore conferma nel modo in cui le fonti tedesche vengono private di credibilità perché<br />

attribuiscono erroneamente <strong>la</strong> morte di Enrico VII all’avvelenamento dei fiorentini 1031 .<br />

Non meno rilevante appare in questa direzione il ritratto negativo di Lodovico il Bavaro<br />

colpevole di esercitare <strong>la</strong> dignità imperiale, ottenuta con <strong>la</strong> designazione degli elettori, contro<br />

l’autorità del pontefice. Ludovico perseguita <strong>la</strong> Chiesa e viene più volte scomunicato dai<br />

pontefici anche perché colpevole del<strong>la</strong> generale confusione, divisione e distruzione che<br />

colpisce <strong>la</strong> Germania 1032 .<br />

Questi motivi antimperiali e contemporaneamente filoveneziani e filopapali pertanto,<br />

confermano una certa vicinanza con <strong>la</strong> prospettiva del<strong>la</strong> storiografia bartoliana ancora più<br />

evidente se scorriamo le fonti del<strong>la</strong> quarta ed ultima parte dell’opera, prevalentemente<br />

riconducibili all’ambito dell’umanesimo italiano e in gran parte coincidenti con quelle<br />

consultate anche dal preposto di S. Giovanni: Giovio, il Tarcagnota, Surio, Corio,<br />

Machiavelli, Buonfino, Giovanni Vil<strong>la</strong>ni ed i già menzionati Collenuccio, Palmieri, Paolo<br />

Emilio, Enea Silvio. Senza dimenticare, però per il Bardi anche le fonti principali attinte per<br />

le storie nazionali: Bel<strong>la</strong>io ed Tile prevalentemente per <strong>la</strong> Francia, Lillio ed Lesleo per<br />

1027 Le età, cit., passo a p. 847.<br />

1028 Ivi, passo cit. a p. 845 inoltre sull’attacco generalizzato a Venezia cfr. pp. 844-846.<br />

1029 Vedi supra p. 24 e nota n. 157. Inoltre sul<strong>la</strong> crescente rilevanza effettiva del Consiglio dei Dieci nel governo<br />

del<strong>la</strong> Serenissima secondo un processo di oligarchizzazione che depotenzia e svuota nel<strong>la</strong> pratica le competenze<br />

e le prerogative del Senato veneziano cfr. in AA.VV., I dogi, cit., il saggio di G. Benzoni, A proposito del doge,<br />

cit., pp. 45-72, in partico<strong>la</strong>re pp. 62-63.<br />

1030 Sul<strong>la</strong> formazione culturale, sugli orientamenti anticuriali e sulle propensioni politiche del Da Ponte e dei<br />

“giovani” e sul<strong>la</strong> sua elezione al dogado rinviamo a A. Stel<strong>la</strong>, Chiesa e Stato nelle re<strong>la</strong>zioni dei nunzi pontifici a<br />

Venezia. Ricerche sul giurisdizionalismo veneziano dal XVI al XVIII secolo, Città del Vaticano, 1964, pp. 12-16;<br />

cfr. anche in AA. VV., I dogi, cit., il saggio di Ugo Tucci, I meccanismi dell’elezione dogale, pp. 107-124, in<br />

partico<strong>la</strong>re p.122. Sul continuo contrasto del Da Ponte con le rivendicazioni romane in fatto di prerogative<br />

ecclesiastiche e di indici dei libri proibiti a detrimento del<strong>la</strong> autonomia del<strong>la</strong> Serenissima e del<strong>la</strong> tute<strong>la</strong> dei suoi<br />

interessi cfr. P. F. Glendler, L’inquisizione romana e l’editoria a Venezia 1540-1605 (traduzione italiana di<br />

Antonel<strong>la</strong> Barzazi dell’americano The Roman Inquisition and the Venetian Press 1540-1605, Princeton<br />

Univeristy Press, 1977), Roma, Il Veltro, 1983, pp. 70 e 74, 233, 244, 249, 287 e 335; cfr. inoltre<br />

sull’orientamento dei giovani P. Ulvioni, Cultura politica e cultura religiosa, cit., in partico<strong>la</strong>re pp. 615-616, e<br />

soprattutto G. Cozzi, La società veneziana del Rinascimento in un’opera di Paolo Paruta: “Del<strong>la</strong> perfettione<br />

del<strong>la</strong> vita politica”in “Atti del<strong>la</strong> deputazione di Storia Patria per le Venezie”, a. 1961, pp. 13-47, ora in id.,<br />

Ambiente veneziano, ambiente veneto, cit., pp. 155-183, in partico<strong>la</strong>re vedi pp. 175-181 e 183.<br />

1031 Le età, cit., p. 591 dove leggiamo: “Henrico ritiratosi dallo assedio di Firenze, morì a Buonconto del<br />

Sanese, di suo male, e non come dicono gli Historici Germani, di veleno procuratogli da’ Fiorentini, avendo<br />

<strong>prima</strong> fatto parentado con Federigo di Sicilia.”<br />

1032 In proposito ivi, cfr. pp. 592-619 e a titolo esemplificativo <strong>la</strong> seguente considerazione dell’autore a p. 614:<br />

“La Germania era tutta in arme, et parzialità per <strong>la</strong> empietà di Lodovico.”<br />

223


l’Inghilterra e <strong>la</strong> Scozia, Tarassa per <strong>la</strong> Spagna. Fonti peraltro abbandonate a partire dal 1561<br />

quando l’autore prosegue il suo sommario secondo <strong>la</strong> diretta osservazione dei fatti storici<br />

narrati o attraverso <strong>la</strong> testimonianza di osservatori in <strong>prima</strong> persona degli stessi, sul<strong>la</strong> falsariga<br />

del metodo applicato dal Giovio nelle sue Hi<strong>storia</strong>e 1033 .<br />

Inequivocabile appare in questa ultima parte dell’opera <strong>la</strong> condanna dell’eresia protestante<br />

fin dal suo capostipite Lutero del quale l’autore si occupa anche per il periodo precedente il<br />

1517 con un breve profilo biografico in cui scrive che il monaco sassone:<br />

“passato a Roma, e quivi nel mille cinquecento e otto, avuta una sentenza contra, sene<br />

ritornò sdegnato in Germania, dove nel<strong>la</strong> medesima città di Vertimberga…cominciò negli<br />

anni avvenire nelle dispute, a traviare dal<strong>la</strong> Santa Fede, disputando, et tenendo opinioni in<br />

ogni parte detestabili.” 1034<br />

Condanna, peraltro, rivolta anche al<strong>la</strong> “nefanda dottrina” di Zwingli 1035 , al<strong>la</strong> setta<br />

anabattista 1036 , a Calvino 1037 fino al palese apprezzamento per <strong>la</strong> morte di peste occorsa in<br />

Inghilterra nel 1551 ad un altro alfiere del<strong>la</strong> riforma protestante: Martin Bucero, di seguito<br />

al<strong>la</strong> notizia dell’azione di proselitismo svolta in Prussia da Andrea Hosiander:<br />

“nuovo Heresiarca uscito dal<strong>la</strong> diabolica setta di Luthero in campo con nuovi dogmi<br />

scandalosi, et ripieni dì incredibile impietà, attribuendo all’huomo prerogative degne del<strong>la</strong><br />

sua scelleratezza…” 1038 .<br />

Né sfugge all’autore <strong>la</strong> profonda connessione del problema del<strong>la</strong> dissidenza religiosa con <strong>la</strong><br />

dissidenza politica innanzitutto a proposito del<strong>la</strong> situazione interna all’impero germanico.<br />

Collegamento, peraltro già presente nel Giovio e nello stesso Bartoli e che diviene per l’ex<br />

camaldolese un ulteriore puntello al principio del<strong>la</strong> subordinazione dell’Impero al papato<br />

affermata anche per l’epoca contemporanea (non solo medievale) in antitesi alle asserzioni di<br />

Lutero che sostiene invece “<strong>la</strong> Germania et lo Imperio non esser sottoposti al<strong>la</strong> maestà<br />

Papale, ma doverseli con ogni potere resistere, allegando il Pontefice, et il Clero esser<br />

soggetti dello Imperio denegando in tutto e per tutto al<strong>la</strong> ragione Pontificia…” 1039 In questa<br />

direzione, d’altra parte assume un ben preciso significato il giudizio finale espresso su Carlo<br />

V certamente influenzato dall’istanza gioviana, ma addirittura più severo perché imperniato<br />

oltre che sul sacco del 1527, su un evento escluso dal<strong>la</strong> narrazione storica del comasco: <strong>la</strong><br />

grande affermazione imperiale del 1547’ a Muehlberg. L’immagine dell’imperatore infatti,<br />

viene grandemente offuscata, dalle atrocità del sacco di Roma del 1527 commesse dai suoi<br />

ministri 1040 e soprattutto dall’imperdonabile e inspiegabile politica di conciliazione con i<br />

principi protestanti, perché successiva al<strong>la</strong> vittoria di Muehlberg, espressa dall’interim di<br />

Augusta 1041 . I travagli degli ultimi anni del suo impero, pertanto, sono percepiti dall’autore<br />

1033 Ivi, oltre all’elenco delle fonti che si trova al<strong>la</strong> fine del<strong>la</strong> narrazione inerente al singolo anno vi è una<br />

parziale ricapito<strong>la</strong>zione delle fonti italiane e straniere utilizzate che lo integra a p. 1562 con <strong>la</strong> citazione dl<br />

Tarcagnota e <strong>la</strong> precisazione sui due Guicciardini e precede al<strong>la</strong> pagina seguente, (p.1563), l’annuncio bardiano<br />

del diverso modo di reperire i fatti storici narrati a partire dal 1561.<br />

1034 Ivi, passo a p. 943, cfr. inoltre, a titolo esclusivamente esemplificativo, vista <strong>la</strong> frequenza di notazioni<br />

offerte in proposito dall’autore, anche le pp. 973-974.<br />

1035 Ivi, passo a p. 1081.<br />

1036 Ivi, p. 1137.<br />

1037 Ivi, p. 1417 o, in termini ancora più evidenti, a p. 1448 sul<strong>la</strong> diffusione del calvinismo in Francia..<br />

1038 Ivi, passo a p. 1335.<br />

1039 Ivi, p. 959.<br />

1040 Sacco ampiamente descritto alle pp. 1066-1067.<br />

1041 Ivi, rinviamo complessivamente alle pp. 1521-1523, in partico<strong>la</strong>re a p. 1522 dove leggiamo che Carlo V<br />

“havendo permesso, che con inusitata immanità fosse da suoi avari ministri ingannato, et con tante ingiurie<br />

vilmente schernito il Sommo Pontefice Romano Clemente Settimo, supremo vicario di Cristo, né meno avesse<br />

assentito per le impenitenti domande de’ Germani, al pestifero Interim, certa cosa è che ei sarebbe stato<br />

224


come una meritata e sacrosanta punizione divina per questa decisione che ha gravi<br />

ripercussioni per <strong>la</strong> diffusione dell’eresia anche fuori dai confini imperiali e precipuamente in<br />

Inghilterra:<br />

“<strong>la</strong> concessione a’ Germani dello scandaloso Interim (se ben fatto da lui con buona<br />

intenzione) che fece stupendo meravigliare ciascuno, non si sapendo <strong>la</strong> cagione, poiché<br />

vittorioso de suoi ribelli, avendo in mano <strong>la</strong> spada del<strong>la</strong> Giustizia, pareva che fosse in potere<br />

suo lo sradicare…le scandalose zizzanie dell’heretica gravità, che contaminata quel<strong>la</strong><br />

Cattolica provincia, si di<strong>la</strong>tarono tanto oltre, che infettata <strong>la</strong> Inghilterra, hanno poco meno<br />

che ridotto il rimanente in estrema rovina, et miseria, onde non fu gran maraviglia, se per<br />

giusto decreto di Dio, negli ultimi anni del suo Imperio, provò con tanta acerbità di ria<br />

fortuna tanti travagli, avendo non solo poco <strong>prima</strong> sentita <strong>la</strong> seconda ribellione de’ Germani,<br />

eccitati dal duca Mauritio favorito grandemente da lui, ma perturbato dal<strong>la</strong> sollevatione de’<br />

Sanesi, si vidde torre molte città inpiamente, et nel<strong>la</strong> Fiandra, et quello che più lo accorò,<br />

vidde su gli occhi propij <strong>la</strong> rovina del suo florido esercito a Metz, et fu travagliato da tante<br />

noiose infermità, che finalmente ultimata <strong>la</strong> vita in Spagna, terminò il lungo corso del<strong>la</strong> sua<br />

vita ” 1042 .<br />

Il contrasto tra il corso felice di gran parte del regno di Carlo e l’ultima problematica fase<br />

del suo impero trova del resto eco e in parte spunto viste le coincidenze letterali, in un’altra<br />

fonte fiorentina de Le età connotata in senso antiasburgico: i Commentarii…delle cose più<br />

memorabili seguite in Europa specialmente in questi Paesi Bassi…di Lodovico<br />

Guicciardini 1043 . In quest’opera infatti, dedicata al duca Cosimo e pubblicata in <strong>prima</strong><br />

edizione veneziana nel 1566 dall’inquieto stampatore Domenico Farri 1044 , <strong>la</strong> menzione delle<br />

vittorie e dei celebri prigionieri dell’imperatore risulta identica a quel<strong>la</strong> de Le età:<br />

“Hebbe un perpetuo corso di felicità, intanto<br />

che oltre al grandissimo Imperio ch’ei<br />

dominava, et alle molte illustri vittorie<br />

conseguite, come <strong>la</strong> gran giornata di Pavia,<br />

“Hebbe insino a penultimi anni, <strong>la</strong> Fortuna<br />

quasi sempre prospera, in tanto che oltre al<br />

grandissimo Imperio, oltre a molte<br />

precarissime vittorie da lei concedutegli come<br />

reputato il maggiore di qualunque altro degli Imperatori Tedeschi: ma lo havere <strong>la</strong>sciato, spinto dal<strong>la</strong> propria<br />

passione, et da una certa vana, ambizione, che era in lui, che <strong>la</strong> città santa di Roma…fosse dalle fetide mani<br />

degli empii suoi soldati con tanta inaspettata barbarie vio<strong>la</strong>ta, in gran parte venne a denigrare quello splendore<br />

di caritevole pietà, che nel principio del suo Principato, con tanta sua gloria, et app<strong>la</strong>uso acquistato si aveva, et<br />

ciò tanto più lo rese nel<strong>la</strong> memoria de’ posteri degno di eterno basimo…”.<br />

1042 Ivi, passo a p. 1523.<br />

1043 Per le re<strong>la</strong>tive notizie biografiche su Lodovico Guicciardini rinviamo al<strong>la</strong> voce di D. Aristodemo,<br />

Guicciardini Lodovico in DBI, vol. LXI, Roma, 2003, pp. 121-127 e a Paolo Guicciardini, Il ritratto vasariano<br />

di Luigi Guicciardini. Contributo per <strong>la</strong> iconografia fiorentina all’avvento di Cosimo I, Firenze, L’Arte del<strong>la</strong><br />

stampa, 1942, in partico<strong>la</strong>re pp. 25-27; cfr. inoltre Zambrini Francesco, Cenni biografici intorno ai letterati<br />

illustri italiani: o breve memoria di quelli che co’ loro scritti illustrarono l’Italico idioma, Faenza: Montanari e<br />

Marabini, 1837, p. 315 e soprattutto a Inghirami Francesco, Storia del<strong>la</strong> Toscana, tomo XIII, 1844, p. 164 e a<br />

Melchiorre Roberti, Il Belgio descritto da un fiorentino del Cinquecento, Firenze, Regia deputazione di <strong>storia</strong><br />

patria, 1915, pp. 3-14; Casati Giovanni, Dizionario degli scrittori d’Italia dalle origini fino ai viventi, Mi<strong>la</strong>no,<br />

Ghir<strong>la</strong>nda, III voll., 1925-1934, III vol., p. 55 e Imperatori Ugo E., Dizionario degli italiani all’estero: dal sec.<br />

XIII sino ad oggi, Genova: Emigrante, 1956, p. 361.<br />

1044 Commentarii di Lodovico Guicciardini Delle cose più memorabili seguite in Europa specialmente in questi<br />

paesi Bassi, dal<strong>la</strong> pace di Cambrai, del MDXXIX, infino a tutto l’anno MDLX, libri tre. Al Gran Duca di<br />

Fiorenza et di Siena. In Vinegia appresso Domenico Farri, 1566 (sull’editore rinviamo al<strong>la</strong> voce Farri,<br />

Giovanni, Domenico, Onofrio e Giovanni Antonio di Marcello Brusegan in Dizionario dei Tipografi, cit., pp.<br />

424-428 in partico<strong>la</strong>re sul<strong>la</strong> sua attività da quando assume nel 1550 e fino al 1603, rispetto ai fratelli Giovanni e<br />

Giovanni Pietro, <strong>la</strong> tito<strong>la</strong>rità del<strong>la</strong> bottega creata dal padre Cristoforo quindi nel pieno del<strong>la</strong> crisi dell’editoria che<br />

coinvolge Venezia nel<strong>la</strong> seconda metà del XVI secolo, sul<strong>la</strong> scarsa partecipazione al<strong>la</strong> vita dell’Arte dei ligadori<br />

e stampatori veneziani e all’interesse suscitato negli “Esecutori contro <strong>la</strong> bestemmia” e nel “Sant’Uffizio”, vedi<br />

in partico<strong>la</strong>re ivi, pp. 424-427). La lettera dedicatoria ovviamente rivolta a Cosimo viene inviata da Anversa in<br />

data 1 gennaio 1965.<br />

225


<strong>la</strong> miserabil presa di Roma, <strong>la</strong> grave e<br />

pericolosa ribellione di Germania, hebbe<br />

anco prigioni i Re Francesco di Francia, et<br />

Arrigo di Navarra, il Sommo pontefice<br />

Clemente VII, i Duchi Carlo di Cleves, et<br />

Gian Federigo di Sassonia et di Brunswich,<br />

Filippo Langravio di Hassia, con molti altri<br />

Principi segna<strong>la</strong>ti[…]” 1045<br />

<strong>la</strong> gran giornata di Pavia, <strong>la</strong> miserabil presa<br />

di Roma,…<strong>la</strong> meravigliosa ribellione di<br />

Alemagna, el<strong>la</strong> gli diede anco prigioni, quasi<br />

tutti i suoi avversarij, come Francesco I, Re<br />

di Francia, Henrico re di Navarra, Clemente<br />

Settimo, Pontefice Romano, Guglielmo, Duca<br />

di Cleves, Giovanfederigo, duca di Sassonia,<br />

Ernesto Duca di Brunswich, Filippo,<br />

Langrave d’Hessia, et altri Principi et<br />

signori.” 1046<br />

Nondimeno anche le negative vicende politico-militari iniziate con <strong>la</strong> ribellione di Maurizio<br />

di Sassonia fino al<strong>la</strong> morte fisica del grande sovrano sono riferite in maniera analoga;<br />

leggiamo infatti nei Commentarii:<br />

“Ma in questi suoi ultimi tempi, pareva del<strong>la</strong> medesima Fortuna molto abbandonato,<br />

peroche egli vidde, et gustò molte cose d’amaro sapore, come <strong>la</strong> ribellione d’A<strong>la</strong>magna, <strong>la</strong><br />

ribellione dello Stato di Siena, <strong>la</strong> perdita di diverse terre nel Piemonte, <strong>la</strong> perdita di più terre,<br />

et sue, et dell’Imperio in queste bande, <strong>la</strong> rovina del suo esercito a Metz: et poi tante gravi et<br />

continue ma<strong>la</strong>ttie che presto il condussero a morte.” 1047<br />

Anche <strong>la</strong> col<strong>la</strong>zione concernente le vicende di Cristiano di Danimarca ci conforta<br />

sull’indirizzo sostanzialmente antiasburgico fin qui rilevato:<br />

“Nel qual tempo Christierno Re di<br />

Danimarca, di Norvegia, et di Svetia, che per<br />

le sue orrende crudeltà usate verso i suoi<br />

popoli, onde era avvenuto, ch’ei per tema di<br />

loro se ne era fuggito, del Regno insino<br />

l’anno 1523, trovandosi già tanto tempo esule<br />

in questi paesi dello Imperatore suo cognato<br />

(conciosia ch’egli aveva per moglie Isabel<strong>la</strong><br />

sua sorel<strong>la</strong>) fatta finalmente con molte<br />

difficultà un’armata per mare, andò per<br />

tentare <strong>la</strong> recuperatione del suo Imperio: nel<br />

quale, cioè in Danimarca, et in Norvegia, i<br />

popoli fuggito lui, avevano chiamato, et eletto<br />

per re Federigo Duca d’Olsatia suo Zio: et in<br />

Svetia, circa due anni appresso ribel<strong>la</strong>tisi,<br />

avevano creato per Re Gustavo del<strong>la</strong> famiglia<br />

de gli Henrichi. Contra quelli adunque<br />

spingendosi Christierno, et arrivato in quei<br />

Mari, perseguitato dal<strong>la</strong> fortuna, o più tosto<br />

da’ suoi horribili peccati, avendo fatto<br />

l’armata naufragio, et perduti molti de’ suoi<br />

soldati, fu facilmente rotto et fatto prigione da<br />

1045 Le età, cit., passo cit. a p. 1522.<br />

1046 Commentarii, cit., passo a p. 134i3.<br />

1047 Ibidem, cfr. con ultimo capoverso del passo a p. 29 del presente capitolo.<br />

“In questo tempo Christierno Re di<br />

Danimarca, di Norvegia, et di Svetia, il quale<br />

temendo per le orrende crudeltà, et inumanità<br />

usate, l’ira dei suoi popoli, et qualche<br />

soprastante movimento, s’era fuggito dal<br />

Regno insino l’anno MDLXXIII. Trovandosi<br />

già tanto tempo esule in questi paesi<br />

dell’imperatore suo cognato ( conciosia che<br />

egli aveva per moglie Isabel<strong>la</strong> sua sorel<strong>la</strong>)<br />

fatta finalmente con molte difficoltà<br />

un’armata per mare, andò per recuperare <strong>la</strong><br />

ricperatione del suo Imperio: nel quale, ciè in<br />

Danimarca, et in Norvegia, i popoli fuggito<br />

lui, avevano chiamato, et eletto per re<br />

Federigo Duca d’Olsatia suo zio: et in Svetta<br />

circa due anni appresso ribel<strong>la</strong>tisi, avevano<br />

creato per Re Gustavo del<strong>la</strong> famiglia degli<br />

Henrichi. Or arrivato Christierno in quei<br />

mari, perseguitato dal<strong>la</strong> Fortuna, o piuttosto<br />

da suoi horribili peccati, avendo fatto<br />

l’armata naufragio et perduti molti de suoi<br />

soldati, fu facilmente rotto, et fatto prigione<br />

226


Federigo, il quale poi insino al<strong>la</strong> morte lo<br />

ritenne meritatamente in carcere…” 1048<br />

dalli avversarij onde poi insino al<strong>la</strong> morte fu<br />

meritatamente custodito in carcere.” 1049<br />

A proposito del Guicciardini inoltre non va trascurato l’arresto subito nei Paesi Bassi dove<br />

vive dal 1550 al 1589 anno del<strong>la</strong> sua morte, ad opera del Duca d’Alba. L’Inghirami ne<br />

individua <strong>la</strong> causa nelle parole di biasimo rivolte all’indirizzo del Duca nelle Memorie…sopra<br />

quanto avvenne in Savoia 1050 . Invece, Roberti, e successivamente Paolo Guicciardini che<br />

evidenziano l’iniziale amicizia con il Duca D’Alba e <strong>la</strong> buona accoglienza ricevuta al<strong>la</strong> corte<br />

spagno<strong>la</strong> di Anversa, addebitano l’arresto sul<strong>la</strong> falsariga del<strong>la</strong> testimonianza del De Thou al<strong>la</strong><br />

proposta fatta al governatore spagnolo di abolire le tasse del<strong>la</strong> quaresima in quanto non<br />

conformi alle “nuove tendenze religiose di quei tempi”. Proposta verbale in difesa di artigiani<br />

e commercianti addirittura accompagnata da una formu<strong>la</strong>zione scritta all’interno del crescente<br />

e diffuso malcontento provocato dalle decisioni del duca d’Alba che arresta il Guicciardini nel<br />

1567 1051 .<br />

Rispetto all’indubbia convergenza in direzione antiasburgica non possono tra<strong>la</strong>sciarsi alcuni<br />

motivi di differenziazione tra i due storici. Nello stesso giudizio concernente Carlo V, sopra<br />

riportato, infatti, dove il Guicciardini par<strong>la</strong> come vediamo di “Fortuna” il Bardi interpreta i<br />

travagli imperiali come conseguenza del<strong>la</strong> punizione divina che sanziona le nefaste scelte<br />

imperiali del Sacco di Roma e dell’Interim di Augusta del 1548. Viceversa, nel Guicciardini<br />

<strong>la</strong> notizia dell’ Interim viene riportata in modo del tutto neutro 1052 e manca <strong>la</strong> volontà punitiva<br />

bardiana verso i protestanti. Non va trascurato in questo senso a livello biografico un altro<br />

arresto di cui Lodovico è vittima nel maggio 1569 a Bruxelles su denuncia del Sant’Uffizio<br />

per re<strong>la</strong>zioni con i protestanti 1053 . Nei Commentarii inoltre l’autore tributa un chiaro elogio<br />

all’irenico Erasmo 1054 , e soprattutto interpreta <strong>la</strong> disgrazia di Carlo V come <strong>la</strong> conseguenza<br />

dell’indomita lotta per <strong>la</strong> libertà che vede protagoniste le città franche dell’Impero germanico<br />

quelle cioè “che riconoscendo in certi pagamenti determinati, l’autorità dell’Imperio, si<br />

governano in tutte l’altre cose per se medesime: non intente ad ampliare il loro territorio, ma<br />

a conservare <strong>la</strong> propria libertà” 1055 . Emblema del<strong>la</strong> resistenza al centralismo asburgico è<br />

Magdeburgo perché durante l’assedio che subisce per ordine dell’imperatore ad opera di<br />

Maurizio di Sassonia, quest’ultimo si risolve all’alleanza con <strong>la</strong> Francia e concede al<strong>la</strong> città un<br />

accordo che ne salvaguardi l’autonomia politico-religiosa, come apprendiamo dal<br />

Guicciardini:<br />

“Essendo restata ostinatamente <strong>la</strong> città di Maidemburgo, una delle terre franche di<br />

Germania…senza voler accordar con Cesare…et l’imperadore vi mandò un esercito, sotto il<br />

1048 Le età, cit., passo alle pp. 1133-1134; cfr. come anche in precedenza l’ex camaldolese riferendo<br />

dell’organizzazione del regno effettuata da Federico, una volta sventata <strong>la</strong> minaccia costituita dal tentativo<br />

militare di Cristiano del 1523 dichiari: “fra tanto dato nuova forma al governo del<strong>la</strong> Dania, e perciò fatte molte<br />

provisioni, si stabilì nel Regno, preparando contro il Barbaro Tiranno molte genti, in caso che ritornasse ad<br />

assalirlo.” A p. 1001.<br />

1049 Ivi, a p. 11a6. Inoltre sul<strong>la</strong> positività dell’opinione dell’autore su Federico in antitesi a Cristiano cfr. anche<br />

le parole spese sul<strong>la</strong> morte del re danese a p. 15a8: “Nel principio dell’anno MDXXXV morì Federico Re di<br />

Danimarca, principe benigno et giusto, a cui successe il figliolo Cristiano degno veramente del padre.”<br />

1050 F. Inghirami, Storia del<strong>la</strong> Toscana, cit., dove viene avanzata l’ipotesi secondo <strong>la</strong> quale il Guicciardini fu<br />

allontanato da Firenze a causa di alcuni nemici interni al<strong>la</strong> corte medicea.<br />

1051 Paolo Guicciardini, Il ritratto vasariano, cit., pp. 126-127 e Melchiorre Roberti, Il Belgio, cit., pp. 5-6, e in<br />

partico<strong>la</strong>re passo virgolettato a p. 6.<br />

1052 Ivi, p. 61d7.<br />

1053 Paolo Guicciardini, Il ritratto vasariano, cit., p. 27.<br />

1054 Ivi, passo a p. 21b3 sul<strong>la</strong> sua morte: “Del mese di Luglio morì a Basilea Desiderio Erasmo Rotteradamo<br />

Ho<strong>la</strong>ndese, d’età intorno a settanta anni, huomo di tanta letteratura, et di esquisita dottrina in tutte le scienze,<br />

che all’età sua (come si vede per infinite sue opere e movimenti) non hebbe forse pari, degno veramente d’esser<br />

agguagliato a gli Heroi, et d’esser celebrato da ciascuno.”<br />

1055 Ivi, passo cit. a p. 54d3.<br />

227


governo del Duca Mauritio di Sassonia, per ridur<strong>la</strong> con l’arme all’ubbidienza imperiale. Il<br />

quale Mauritio statovi col campo molti mesi attorno, fece diverse attioni militari…ma<br />

rispondendogli quelli di dentro…non si veniva al<strong>la</strong> conclusione. In questo tanto essendo<br />

sollecitato Mauritio dai figluioli del Langrave, di mantener <strong>la</strong> promessa di far restituire il<br />

padre loro…in libertà…egli ne pregava…Cesare…Imperò non se ne risolvendo ancora sua<br />

maestà i Francesi compresi questi humori operarono che…essi Mauritio dall’amicitia di<br />

Cesare segretamente alienarono: et seco et con altri Alemanni fecero…più stretta<br />

congiuntione…Mauritio finse ultimamente nel mese di Novembre di far un accordo con quel<strong>la</strong><br />

città, assai onorato et utile in apparenza per l’Imperatore, ma in effetto benché copertamente,<br />

fu tale che <strong>la</strong> Religione Luterana, di che era <strong>la</strong> questione, et <strong>la</strong> libertà del<strong>la</strong> terra non furono<br />

alterate. La onde i Maidemburghesi quando si scoperse poi il secreto di questo accordo per<br />

tutta l’Alemagna, n’acquistarono honore et grado, n’acquistarono honore et grado, parendo<br />

a ciascuno, che essendo eglino stati i soli in quel<strong>la</strong> Provincia, a contendere con un tanto<br />

Imperatore armato, et vittorioso, avessero dato grandissimo esempio di fortezza et di<br />

costanza, a tenersi più d’un anno, come fecero et al<strong>la</strong> fine ottenere condizioni donde fusse poi<br />

proceduto, che tutta <strong>la</strong> Germania nel<strong>la</strong> pristina libertà si fusse agevolmente vendicata. Et nel<br />

vero, chi considera bene all’impresa di questa terra, dette <strong>la</strong> volta <strong>la</strong> buona fortuna di<br />

Cesare.” 1056<br />

Muehlberg dove peraltro, come sottolinea il Guicciardini l’imperatore ha prevalso grazie al<br />

suo valore sulle numerose forze del<strong>la</strong> Lega Smalcaldica, ha costituito soltanto una parentesi,<br />

<strong>prima</strong> del completo fallimento dei suoi propositi accentratori. 1057<br />

Nel Bardi, invece <strong>la</strong> notizia dell’assedio a Magdeburgo è riferita senza enfasi, e appare del<br />

tutto secondaria e ininfluente nel determinare l’orientamento antimperiale di Maurizio. L’ex<br />

camaldolese individua le ragioni del mutamento di alleanze di Maurizio, da una parte<br />

nell’avversione per le risoluzioni adottate al concilio di Trento, dall’altra all’avvilimento<br />

provocato dal mancato adempimento all’impegno assunto da Carlo V di liberare il Langravio<br />

d’Assia 1058 . In definitiva, il nesso tra dissenso politico e religioso ben presente ad entrambi,<br />

viene giudicato con accento diverso a proposito del<strong>la</strong> Germania, in una luce sostanzialmente<br />

positiva dal Guicciardini e negativa dal Bardi, nel quale i motivi antiasburgico e<br />

antiprotestante coincidono. Evidente invece risulta <strong>la</strong> propensione filo-tedesca del<br />

Guicciardini, pienamente espressa nel<strong>la</strong> sua opera maggiore di carattere storico-geografico: <strong>la</strong><br />

Descrittione…di tutti i paesi Bassi altrimenti detti Germania inferiore… 1059 . Già <strong>la</strong> dedica<br />

indirizzata a Filippo II in data 20 ottobre 1566 sembra in qualche modo alludere al<strong>la</strong> difficile<br />

fase attraversata dai Paesi Bassi in re<strong>la</strong>zione al<strong>la</strong> decisa centralizzazione perseguita dal<br />

sovrano spagnolo in contrasto con <strong>la</strong> <strong>storia</strong>, le istituzioni e le esigenze di quei popoli.<br />

L’assenza fisica diventa tra le righe anche motivo di distanza spirituale e chiusura mentale<br />

alle priorità dei Paesi Bassi e al valore di quelle terre:<br />

1056 Ivi, pp. 68e2-69e3, anno 1551.<br />

1057 Ivi, pp. 53d3-55d4.<br />

1058 Le età, cit., alle pp. 1329-1330 infatti leggiamo: “Fra il qual tempo Cesare publicò molti editti contra gli<br />

Heretici nel<strong>la</strong> nuova Dieta fatta in Augusta…al<strong>la</strong> qual Dieta Mauritio Duca di Sassonia non vuolse intervenire,<br />

ma mandati i suoi procuratori protestò a Cesare di non volere accettare il Concilio che tuttavia, si seguitava a<br />

Trento, se i teologi del<strong>la</strong> confessione Augustana non avevano <strong>la</strong> istessa autorità di diffinire le cose del<strong>la</strong><br />

religione, come il Concilio. Del che grandemente commossosi Cesare si preparò per diffendersi dalle arme di<br />

quel Duca, che di già si era mosso con le sue genti contro <strong>la</strong> città di Madesburgo[…]richiesto Cesare…a<br />

ri<strong>la</strong>sciare il Langravio, costantemente lo denegò, allegando no essere obligato…poiche conforme alle<br />

obligationi, non erano stati interamente osservati gli ordini, et i capitoli, che concernevano le cose del<strong>la</strong><br />

religione: di che sdegnatisi quei Principi fecero nuova unione fra loro…”.<br />

1059 Descrittione di M. Lodovico Guicciardini patrizio fiorentino, di tutti i Paesi Bassi, altrimenti detti<br />

Germania inferiore. Con più carte di Geographia del paese, e col ritratto naturale di più terre principali, al gran<br />

Re cattolico Filippo d’Austria, in Anversa, MDLXVII, appresso Guglielmo Silvio.<br />

228


“Io haro finito forse a tempo…questa mia descrittione, per poter mandare nelle presenti<br />

occasioni…un ritratto al naturale di questi suoi bellissimi, et nobilissimi paesi Bassi,<br />

acciochè el<strong>la</strong> riveduto, et riconosciuto a parte a parte per iscritto, et in pittura, un membro<br />

tanto importante di tutto il suo Imperio, s’accenda di desiderio, di tornar quanto <strong>prima</strong> a<br />

rivederlo, et esaminarlo effettualmente in propria forma, et natura; si come per molte cause,<br />

et ragioni, richiede, et ricerca tutta <strong>la</strong> Provincia.” 1060<br />

Infatti, fin dalle prime pagine <strong>la</strong> Descrittione è funzionale, da un <strong>la</strong>to ad esaltare i Paesi<br />

Bassi come <strong>la</strong> parte più civile e progredita a livello economico, urbano, artistico, politico del<strong>la</strong><br />

Gallia Belgica, dall’altro a rimarcare l’origine germanica del suo popolo. L’autore ricorre in<br />

questo senso soprattutto a Cesare che nega <strong>la</strong> provenienza gallica dei Fiamminghi, e a Tacito<br />

che certifica anche a livello linguistico <strong>la</strong> matrice tedesca delle genti fiamminghe.<br />

Derivazione, del resto, sostenuta per costumi e leggi anche con l’ausilio del cosmografo coevo<br />

Gemma Frisio. Il Guicciardini inoltre, sul<strong>la</strong> falsariga tacitiana ripropone quel nesso tra vigoria<br />

fisica e militare e spirito di libertà ed autonomia propri delle stirpi germaniche in rapporto ai<br />

Fiamminghi. In questa direzione celebrativa <strong>la</strong> geografia svolge pienamente il suo compito<br />

attraverso una panoramica estremamente positiva dei caratteri, delle risorse naturali e delle<br />

attività economiche svolte nelle Fiandre. 1061 La centralità ed il <strong>prima</strong>to dell’elemento<br />

germanico evidenziate indirettamente attraverso questo celebrativo prospetto geograficostorico<br />

dei Paesi Bassi, richiama fortemente il Giambul<strong>la</strong>ri piuttosto che le età bardiane. Né<br />

va tra<strong>la</strong>sciato in questo senso, il collegamento di tipo artistico che l’autore del<strong>la</strong> Descrittione<br />

stabilisce direttamente con <strong>la</strong> peniso<strong>la</strong> a proposito del<strong>la</strong> diretta filiazione del<strong>la</strong> grande arte<br />

fiamminga del Cinquecento dal<strong>la</strong> tradizione e dal genio italico 1062 . Apparentamento<br />

probabilmente non avulso da istanze almeno <strong>la</strong>tamente o nascostamente politiche.<br />

Certo, rispetto al<strong>la</strong> Storia d’Europa <strong>la</strong> prospettiva guicciardiniana si caratterizza in chiave<br />

anticentralistica e cittadina, attenta ad esaltare il pluralismo del<strong>la</strong> forma costituzionale dei<br />

Paesi Bassi e le sue prerogative di autonomia dal<strong>la</strong> monarchia asburgica. In questo senso non<br />

va trascurato l’accostamento del sistema istituzionale e politico dei Paesi Bassi<br />

all’organizzazione propria dello stato francese, sia riguardo alle strutture governative, sia in<br />

materia di attribuzione di benefici ecclesiastici soltanto formalmente conferiti dal pontefice. Il<br />

Guicciardini giudica l’assetto politico francese quale “governo veramente ottimo, et<br />

approvato da tutti gli uomini” rimarcandone <strong>la</strong> continuità “essendo passati più di mille anni,<br />

che dura in quel reame, senza variazione alcuna” 1063 . Inoltre, si conferma nell’analisi delle<br />

istituzioni politiche l’attenzione attribuita al livello locale e all’elemento cittadino che<br />

costituisce l’autentico perno del<strong>la</strong> evoluta civiltà o<strong>la</strong>ndese come attesta in modo esemp<strong>la</strong>re il<br />

caso del<strong>la</strong> città di Anversa. Fulcro a livello politico ed economico del<strong>la</strong> realtà o<strong>la</strong>ndese,<br />

Anversa è nonostante <strong>la</strong> sua soggezione formale all’impero, una repubblica, autonoma nel<strong>la</strong><br />

sostanza che risponde all’ideale polibiano del governo misto. Infatti scrive il Guicciardini:<br />

“ha…per suo signore, et Principe il duca di Brabante, come Marchese del Sacro Imperio,<br />

ma con tanti e tali privilegi obtenuti ab antico, che el<strong>la</strong> come da per se (salvo sempre il iure<br />

et superiorità del Principe) quasi a modo di città libera, et di Repubblica si regge e si<br />

governa. Anzi questo è un modo a mio giudizio poco differente, se fusse pero totalmente<br />

osservato, da <strong>la</strong> forma, che da Polibio…al<strong>la</strong> vera e felice Repubblica, perché vuole che el<strong>la</strong><br />

sia mesco<strong>la</strong>ta de tre stati Monarchia, Aristocratia, et Democrazia, dove il Principe ritenga il<br />

suo imperio, gli ottimati <strong>la</strong> loro autorità, et il popolo <strong>la</strong> potestà et l’armi. Questo è quel<br />

temperamento, che mantenne molti secoli <strong>la</strong> Repubblica de Lacedemoni, questo è quel<br />

1060 Al Gran Re cattolico[…]D’Anversa alli XX d’Ottobre MDLXVI.<br />

1061 Ivi, pp. 3b2-28d2 inoltre, a proposito del carattere germanico dei Fiamminghi e degli autori attraverso cui il<br />

Guicciardini lo certifica cfr. le considerazioni di G. Costa, Le antichità germaniche, cit., pp. 65-76.<br />

1062 Melchiorre Roberti, Il Belgio, cit., vedi in partico<strong>la</strong>re pp. 8-10.<br />

1063 Ivi, p. 32d4.<br />

229


temperamento, che ha lungamente mantenuto, et manterrà felice (a Dio piacendo) <strong>la</strong> città<br />

d’Anversa…” 1064 .<br />

Del resto, non vanno dimenticati proprio a giustificazione del<strong>la</strong> prevalenza del motivo<br />

cittadino nel<strong>la</strong> Descrittione due elementi, uno più strettamente inerente l’opera stessa, l’altro<br />

di tipo biografico. La pubblicazione e le numerose ristampe dell’opera beneficiano delle<br />

sovvenzioni del figlio di Filippo II Don Carlos e dei contributi di Leida, Utrecht e Anversa<br />

che conferisce al Guicciardini addirittura una pensione. Ludovico figlio di Jacopo fratello del<br />

più noto Francesco, nato nell’agosto 1521 emigra a ventisei anni da Firenze, sia per ragioni di<br />

mercatura, sia probabilmente a causa del passato antimediceo del padre unico tra i fratelli ad<br />

avversare i Medici <strong>prima</strong> e durante l’assedio di Firenze. Da quel momento Ludovico inizia<br />

una peregrinazione da Lione a Bruges ed Anversa nel tentativo con i vari Guicciardini dediti<br />

in questi centri al<strong>la</strong> mercatura di intraprendere con successo l’attività per poi dedicarsi dopo<br />

un sostanziale fallimento, all’attività letteraria con ben altri risultati 1065 .<br />

Al di là di questi elementi, comunque i motivi di autonomia pluriseco<strong>la</strong>re e <strong>prima</strong>to di<br />

Anversa sono ulteriormente ribaditi anche nel breve discorso…delle cause del<strong>la</strong> grandezza di<br />

Anversa 1066 e perfettamente in linea con <strong>la</strong> preminenza assegnata alle città franche<br />

dell’Impero nei Commentarii. 1067<br />

Posizioni che sono in parte convergenti con quelle bardiane almeno nel<strong>la</strong> loro valenza<br />

antiimperiale come vedremo più avanti (e quindi in antitesi rispetto al<strong>la</strong> Storia d’Europa),<br />

anche in re<strong>la</strong>zione alle valutazioni che l’ex camaldolese svolge sul<strong>la</strong> situazione dell’impero<br />

d’occidente (al di là del timido tentativo di salvare le apparenze), nelle pagine conclusive<br />

dell’opera che seguono gli eventi del 1580 e costituiscono una sorta di sintetica panoramica<br />

finale sui diversi stati del continente e sui loro governi. Giudizi finali ricchi di spunti<br />

significativi, sia per quanto concerne <strong>la</strong> limitata autonomia offerta all’idea imperiale<br />

dall’autore, sia ancora con specifica attenzione al<strong>la</strong> situazione tedesca 1068 .<br />

Il Bardi infatti afferma a sostanziale ed esplicito svuotamento del valore e del significato<br />

dello schema delle sei età che “pochi sono stati quei popoli, et quelle nationi, che non<br />

habbino più di una volta provate gravi e perniciose revolutioni; poiché nel<strong>la</strong> <strong>prima</strong> età,<br />

prevaluti alle altre genti gli Assirij, continovorono per lungo spatio di tempo…ma essendo<br />

superati da’ Persi, et questi da Greci, et i Greci da Romani…Né qui finendo <strong>la</strong> instabile<br />

alteratione, i medesimi Romani, che più degli altri, per <strong>la</strong> forma del governo parevano<br />

doversi perpetuare, soprapresi <strong>prima</strong> dalle guerre civili, et perciò ridottisi in molte difficoltà,<br />

passarono poco appresso, sotto il grave dominio de’ Cesari, dipendendo dallo arbitrio, et dal<br />

valore di un solo; <strong>la</strong> qual sorte di Dominio, apportati seco mille strani accidenti…non<br />

havendo mai durato molto lo Imperio in una stirpe so<strong>la</strong>; finalmente divisosi, fu ridotto, e da<br />

gli Heruli, et da Goti, e da’ Vandali, e da Longobardi in termini gravi, et pericolosi;<br />

conciosia che depredato et dal<strong>la</strong> barbarie di quelli e dal<strong>la</strong> ambitione de’ proprii abitatori,<br />

<strong>la</strong>cerato e guasto, si è andato a poco a poco reducendo in istato di gran lunga differente da<br />

quello che egli era; di maniera che estintosi lo imperio de’ Greci dalle armi degli Infedeli…et<br />

finalmente caduto sotto <strong>la</strong> tirannide de Turchi; essendo restato in Occidente più tosto<br />

l’apparenza, et <strong>la</strong> immagine dello Imperio, che <strong>la</strong> esistenza di questo. ” 1069<br />

1064 Ivi, su Anversa complessivamente pp. 62i4-126q4 e passo riportato a p. 90n4. Inoltre sull’esaltazione del<strong>la</strong><br />

città nell’opera in questione cfr. Melchiorre Roberti, Il Belgio, cit., pp. 11-13.<br />

1065 Paolo Guicciardini, Il ritratto vasariano, cit., pp. 25-26.<br />

1066 Questo Discorso di M. Ludovico Guicciardini delle cause del<strong>la</strong> grandezza di Anversa viene pubblicato nei<br />

Tre discorsi appartenenti al<strong>la</strong> grandezza delle città. L’uno di M. Ludovico Guicciardini. L’altro di M. C<strong>la</strong>udio<br />

Tolomei. Il terzo di M. Giovanni Botero. Raccolti da Messer Giovanni Martinelli, in Roma, appresso Giovanni<br />

Martinelli MDLXXXVIII, alle pp. 5aa3-8aa4.<br />

1067 Ivi, a p. 8aa4 l’autore dichiara “che se tu ne cavi Parigi, non troverai di qua da monti terra più ricca, ne più<br />

potente di lei. Onde per più vie somministra favore, e vigor grande a tutti questi paesi Bassi.”.<br />

1068 Ivi, pp. 2204-2221.<br />

1069 Ivi, passo cit. alle pp. 2205-2206.<br />

230


Non soltanto, <strong>la</strong> forza storico-politica di questo schema sembra scolorirsi nel presente ma<br />

addirittura ne viene sottilmente sminuito il valore in termini assoluti nel momento in cui si<br />

addebita <strong>la</strong> nascita dell’impero romano, che costituiva nell’immaginario europeo paradigma<br />

esemp<strong>la</strong>re dell’ideale imperiale, all’irrimediabile crisi del<strong>la</strong> Roma repubblicana sconvolta<br />

dalle guerre civili.<br />

Corol<strong>la</strong>rio generale che trova puntuale riscontro nel<strong>la</strong> caratterizzazione dell’impero<br />

germanico nel segno dell’impotenza del potere centrale di Rodolfo II rispetto ai principi<br />

territoriali, in sostanziale continuità col giudizio formu<strong>la</strong>to sull’ultimo periodo dell’impero di<br />

Carlo V, vista <strong>la</strong> costante equazione tra debolezza del potere politico e trionfo dell’eresia<br />

(peraltro con allusione in questo caso anche a Inghilterra e Paesi Bassi). Scrive il Bardi che in<br />

Germania si trova “<strong>la</strong> dignità imperiale, donata a questa natione da Gregorio V di questo<br />

nome; del<strong>la</strong> quale essendo oggidì Capo Ridolfo di tal nome secondo…riservandosi le ragioni<br />

del comandare, et le vere ricchezze di questa Regione appresso i Principi partico<strong>la</strong>ri, et<br />

appresso le terre Franche, le quali unitesi in numero di sessanta insieme, diffendono contro<br />

ciascuno <strong>la</strong> libertà loro, in modo, che a’ Cesari poco o nul<strong>la</strong> rimane, da gli stati ereditarij<br />

impoi in questa Provincia; nel<strong>la</strong> quale sono anco mancati gli huomini grandi, et famosi nelle<br />

lettere e nelle armi, poiché immersi nelle false dottrine, hanno rivolti tutti i loro pensieri alle<br />

proprie sodisfattioni sensuali, avvenendo a questi lo istesso, che al<strong>la</strong> Inghilterra, e al<strong>la</strong><br />

Fiandra, che è di mesco<strong>la</strong>re nelle fatiche loro qualche opinione contraria al vero, e<br />

contraddicente alle determinazioni di Santa Chiesa; <strong>la</strong> onde non volendo far mentione de gli<br />

huomini famosi, che vi si ritrovano, per tema di non lodare qualch’uno di dottrina, che fosse<br />

Heretico di opinione et di operazioni, farò al suo luogo poi mentione tra gli uomini illustri, di<br />

alcuni uomini di quei paesi, eccellenti in qualche professione.” 1070<br />

Dove chiaramente l’elemento costituito dalle città franche rimarcato per <strong>la</strong> sua consistenza<br />

di realtà economico-politica autonoma all’interno dell’assetto imperiale, diversamente che nel<br />

Guicciardini, viene però mal visto in quanto corrosivo e antitetico rispetto all’effettiva<br />

preponderanza ed efficacia del potere centrale e formale dell’imperatore.<br />

Dunque un Bardi fortemente critico anche sull’operato degli Asburgo d’Austria a cui Carlo<br />

V assegna <strong>la</strong> potestà imperiale in seguito al<strong>la</strong> divisione dei suoi domini, che svaluta<br />

ulteriormente <strong>la</strong> realtà imperiale contemporanea. La sua attenzione verso gli sviluppi imperiali<br />

più recenti viene segna<strong>la</strong>ta anche dalle vite di Ferdinando primo e Massimiliano II che<br />

compone per <strong>la</strong> nuova edizione del<strong>la</strong> traduzione di Lodovico Dolce delle Vite degli imperatori<br />

romani composte da Pedro Mexia. Rispetto a Le età nel<strong>la</strong> rapida biografia dell’imperatore<br />

Ferdinando i fatti come l’Interim e <strong>la</strong> successiva ribellione del duca Maurizio di Sassonia a<br />

Carlo V sono riportati in modo però molto più asettico e neutro anche se ferma resta <strong>la</strong><br />

condanna dell’eresia luterana e del<strong>la</strong> ribellione dei principi territoriali tedeschi all’autorità<br />

imperiale 1071 .<br />

1070 Ivi, passo alle pp. 2210-2211.<br />

1071 Vite di tutti gl’Imperatori romani, composte in lingua spagnuo<strong>la</strong> da Pietro Messia, et da M. Lodovico<br />

Dolce nuovamente tradotte et ampliate. Alle quali da Giro<strong>la</strong>mo Bardi monaco camaldolese sono state in questa<br />

quinta impressione aggiunte le vite di Ferdinando I et di Massimiliano II imperatori, in Venezia, appresso<br />

Alessandro Griffio 1578, <strong>la</strong> parte aggiunta dal Bardi va da p. 531 a 547. La dedica del Bardi si rivolge ad<br />

“Alessandro Calini gentiluomo bresciano. Di Venetia addì 28 Aprile 1578”. A proposito dell’Interim del 1548<br />

infatti leggiamo a p. 539: “sopravvenne l’anno MDXLVIII, nel mezo del quale, hauto dopo molti ragionamenti<br />

un sinodo in Augusta insieme all’Imperatore, furono pubblicate le quindici costituzioni aspettanti al<strong>la</strong> Religione,<br />

con patto espresso da osservarsi fino al<strong>la</strong> Resolutione del Concilio di Trento, La qual provisione fu chiamata<br />

INTERIM” e del<strong>la</strong> successiva ribellione di Mauritio di Sassonia a p. 541 “per <strong>la</strong> guerra avvenuta in Germania<br />

tra l’Imperadore suo fratello et Mauiritio duca di Sassonia.” Sul<strong>la</strong> costante stigmatizzazione dell’eresia luterana<br />

e del<strong>la</strong> ribellione dei principi tedeschi all’autorità imperiale cfr. p. 536 e ancora 539. Inoltre gli espliciti rinvii ad<br />

una successiva i<strong>storia</strong> universale (diversa dal<strong>la</strong> Cronologia per il numero dei tomi che sarebbero dovuti essere<br />

16 e non 2, ma di cui ci ragguaglia soltanto il Negri, Storia, cit., dicendo peraltro che è rimasta manoscritta e non<br />

indicandone comunque l’ubicazione) a <strong>la</strong>tere delle pagine con annesse indicazioni di fonti come ad esempio alle<br />

pp. 536 dove si nominano il Roseo ed il Giovio, a p. 539 ancora Roseo ed il Surio ci confortano, al di là del<strong>la</strong><br />

231


Del resto, vanno tenute presenti, sia <strong>la</strong> diversa ampiezza e il differente grado di organicità<br />

tra Le età e le due piccole biografie imperiali pubblicate ben tre anni <strong>prima</strong>, sia <strong>la</strong> mancanza<br />

in queste ultime di una compiuta valutazione dell’operato di Carlo V.<br />

Ne Le età, in netto contrasto con il tenore delle parole spese per Carlo V, saltano subito agli<br />

occhi gli elogi rivolti a Filippo II per le sue qualità individuali e per <strong>la</strong> sua potenza, basata su<br />

risorse molto più effettive di quelle a disposizione degli Asburgo d’Austria e notevolmente<br />

rafforzata dal<strong>la</strong> recente acquisizione del Portogallo:<br />

“è reputato essere Principe fra gli altri potentissimo, et formidabile, le cui forze quando<br />

fossero unite insieme, sarebbono di infinito terrore al mondo, ma separate, et tutte fra se<br />

diverse di costumi, di abiti, di aria di Cielo, et di Clima, sono anco così mal disposte verso il<br />

proprio Principe, dinegando obbedire a’ ministri di lui, onde già molti anni vinendo sempre<br />

in guerra, hanno destrutti i proprii paesi, come dalle cose descritte si può vedere. Questo<br />

Principe adunque, et per <strong>la</strong> grandezza degli stati, et per <strong>la</strong> moltitudine delle forze,<br />

potentissimo di tutti i Principi Christiani, vien comunemente reputato il contrappeso delle<br />

forze de’ Turchi, et <strong>la</strong> principal diffesa de’ Fedeli; et avendo nuovamente aggiunto a proprii<br />

Regni quello di Portogallo, cresciute con <strong>la</strong> reputazione le forze, si ha acquistato appresso<br />

ciascuno opinione di valore, et di bontà singo<strong>la</strong>re, avendo ridotta tutta <strong>la</strong> Spagna sotto il<br />

dominio di lui; et a Portoghesi fatte quelle essentioni, et agevolezze, che gli sono state<br />

possibili. Et se bene l’avaritia insaziabile, <strong>la</strong> sfrenata libidine, et <strong>la</strong> crudeltà più che barbara<br />

di alcuni de’ suoi, lo hanno reso odioso a ‘ proprij sudditi, di tutte le province, et sospetto a’<br />

Principi christiani, temendo, che non si voglia insignorire delli stati altrui: Tuttavia<br />

piacevolissimo di sua natura, et di animo grato, và con molta sollecitudine procurando di<br />

sincerare ciò non nascere da lui, ma dal<strong>la</strong> colpa di coloro, che dovrebbono conforme al<strong>la</strong> sua<br />

buona intenzione, eseguire i voleri, et le deliberazioni di lui, non havendo mai altro in mente,<br />

né in pensiero, che assicurare il mondo di contentarsi di, tutto ciò, che debitamente se gli<br />

aspetta. Questi avendo appresso di se uomini in ogni attiene singo<strong>la</strong>ri, ha nel<strong>la</strong> Spagna molti<br />

pre<strong>la</strong>ti et per <strong>la</strong> dottrina et per <strong>la</strong> bontà esemp<strong>la</strong>ri, de’ quali al presente sono gli Arcivescovi<br />

di Toledo, et di Siviglia, di Granata di Valencia, et di Hispa<strong>la</strong>, con molti vescovi, come di<br />

Sa<strong>la</strong>manca, di Corduba, et il Bracarense, con molti altri pre<strong>la</strong>ti minori…de’capitani più<br />

celebri il Duca d’Alva, il Marchese di Aiamot, Don Sancio di Au<strong>la</strong>, senza molti altri capitani<br />

illustri d’Italia, che in varii luoghi lo servono, oltre a gli uomini di stato, come il cardinal<br />

Spinosa, et altri molti che per brevità non si nominano. ” 1072<br />

Questo quadro per quanto celebrativo presenta tuttavia due possibili fattori di<br />

contraddizione interna. Da una parte l’odio nutrito dai sudditi dei tanti domini asburgici verso<br />

Filippo II a causa delle malversazioni di ministri corrotti ed incapaci, dall’altra il sospetto che<br />

il figlio di Carlo V agisca non tanto per <strong>la</strong> difesa dell’Europa cristiana contro il nemico<br />

ottomano quanto per soddisfare <strong>la</strong> propria ambizione di potenza. Problemi del resto appena<br />

suggeriti in chiusura d’opera ma già affiorati in alcuni punti specifici dello scritto bardiano. In<br />

proposito ci sembra interessante il riferimento al Duca d’Alba fatto in re<strong>la</strong>zione a due eventi<br />

di indubbia importanza quali <strong>la</strong> guerra ispano-pontificia del 1556-1557 e l’insurrezione dei<br />

Paesi Bassi.<br />

A proposito dell’ultima parte delle guerre d’Italia certamente non è del tutto semplice e<br />

immediato definire il ruolo assegnato al Duca d’Alba a causa delle fonti impiegate<br />

dall’autore. Il Bardi, infatti, ricorre a Mambrino Roseo, al Tarcagnota ed a Onofrio Panvinio,<br />

ricchi di ripensamenti e sfumature nel<strong>la</strong> valutazione degli eventi concernenti <strong>la</strong> figura di Paolo<br />

distinzione tra <strong>la</strong> Cronologia e l’ipotetica Storia universale, viste le fonti ravvisate nel<strong>la</strong> <strong>prima</strong>, di una<br />

sostanziale continuità tra Le età e queste due biografie per <strong>la</strong> quale vedi infra p. seguente.<br />

1072 Ivi, passo alle pp. 2208-2209<br />

232


IV ed <strong>la</strong> guerra ispano-pontificia del 1556-1557 1073 . In realtà l’autore, come dimostra il<br />

confronto filologico e le sue stesse indicazioni sulle fonti 1074 attinge copiosamente alle<br />

aggiunte del Roseo al Delle Historie del mondo…del Tarcagnota 1075 . Queste aggiunte<br />

costituiscono un passo indietro almeno parziale rispetto all’indirizzo filocarafiano del<strong>la</strong><br />

precedente Prosecuzione del Compendio delle storie del Regno di Napoli del Collenuccio,<br />

nel<strong>la</strong> direzione dell’orientamento più marcatamente filospagnolo del Tarcagnota, peraltro<br />

mediato nelle pagine bardiane dall’influenza dell’ultimo rifacimento del<strong>la</strong> biografia di Paolo<br />

IV compiuto dal Panvinio nel 1568 1076 .<br />

D’altra parte, sul<strong>la</strong> falsariga del Delle Istorie viene registrato il clima di sospetto suscitato<br />

dal pontefice con gli arresti dei funzionari e dei sostenitori asburgici comminati dal Papa, <strong>la</strong><br />

confisca del feudo dei Colonna, l’influenza a Roma dell’esule fiorentino Pietro Strozzi, il<br />

radicato odio antiasburgico di Paolo IV, l’ambasceria in Francia del Carafa, <strong>la</strong> fortificazione<br />

di Roma e l’arruo<strong>la</strong>mento di soldati. Tuttavia l’autore non manca di sottolineare <strong>la</strong> reciprocità<br />

del sospetto alimentato anche dal contegno del Duca d’Alba 1077 che nei fatti rende inevitabile<br />

un conflitto, che nessuna delle due parti intimamente avrebbe voluto, con <strong>la</strong> marcia su<br />

Paliano 1078 , come traspare dalle parole bardiane:<br />

“Da i quali andamenti si fece giudicio, che ciascuna delle parti, non pensando di muoversi<br />

guerra, si provvedessero per sospetto l’un dell’altro, ma gli effetti, che si videro poi di havere<br />

il Vice Re, che fu il primo a muoversi, levò cotal dubbio dal<strong>la</strong> mente de gli uomini…” 1079 .<br />

In questa direzione non va trascurato d’altra parte come l’autore riferisca le parole di<br />

Regnard, ambasciatore spagnolo al<strong>la</strong> corte di Francia, che risponde alle <strong>la</strong>mentele di Enrico II<br />

per <strong>la</strong> rottura del<strong>la</strong> tregua compiuta dal<strong>la</strong> Spagna sostenendo “che ciò non era avvenuto per<br />

consentimento di esso Re Filippo suo Signore, che ne aveva avuto dispiacere, et aveva scritto<br />

al Duca d’Alva, che si togliesse dal<strong>la</strong> impresa” e di seguito, alle ulteriori obiezioni del<br />

sovrano francese sul<strong>la</strong> ben diversa sostanza del<strong>la</strong> situazione reale l’ambasciatore spagnolo<br />

“detestando l’ostinazione del Duca D’Alva, affermava e replicava, che dal suo Re gli era di<br />

nuovo stato scritto, che dovesse <strong>la</strong>sciare l’armi, né molestare in conto alcuno lo Stato<br />

ecclesiastico, restituendo quel che aveva tolto.” 1080 Senza contare l’insincera proposta di<br />

1073 Ivi, rinviamo alle pp. 1562 e 2196. Inoltre sul<strong>la</strong> loro storiografia e sui capovolgimenti prospettici che<br />

assume se del caso rinviamo a A. Aubert, Paolo IV, cit., in partico<strong>la</strong>re pp. 163-194.<br />

1074 Il Bardi ricorre Historie del Mondo…1562 del Tarcagnota ma aggiornate fino a includere gli eventi del<strong>la</strong><br />

guerra ispano-pontificia dallo stesso Roseo, ma in una prospettiva anti-carafiana (rispondente peraltro all’ottica<br />

del Tarcagnota ed all’indirizzo del nuovo pontificato di Pio IV) come confermato nel Sommario a p. 200 dove il<br />

Bardi diversamente da Le età specifica a proposito degli “Historici universali” di utilizzare “Giovanni<br />

Tarcagnotta ed il Roseo che scrivono dal principio del mondo fino al 1558”. Sulle linee storiografiche dei due<br />

storici rinviamo a A. Aubert, Paolo IV, cit., pp. 189-194.<br />

1075 Delle Historie del mondo, Parte terza. Aggiunte da M. Mambrino Roseo da Fabriano alle Historie di M.<br />

Giovanni Tarcagnota…in Vinegia, MDXCII, appresso i Giunti (d’ora in poi Delle Historie).<br />

1076 Hi<strong>storia</strong> B. P<strong>la</strong>tinae De vitis Pontificum Romanorum, A. D. N. Iesu Christo Usque ad Paulum II. Venetum,<br />

Papam longe quam antea emendatior, doctissimarumque annotationum Onuphriy Panvinij accessione nunc<br />

illustrior reddita. Cui Eiusdem Onuhrji Accurata atque fideli opera, reliquorum quoque Pontificum vitae, usque<br />

ad Pium V. Pontificem Max. nunc recens adiuncta sunt. Inoltre a proposito dell’evoluzione del<strong>la</strong> posizione<br />

storiografica del Roseo vedi A. Aubert, Paolo IV, cit., pp. 189-194.<br />

1077 Le età, vedi pp. 1419-1423 e cfr. Delle Historie, cit., pp. 512-515; inoltre in proposito cfr. A. Aubert, Paolo<br />

IV, cit., p. 192.<br />

1078 Sul<strong>la</strong> linea storiografica del Roseo durante il pontificato carafiano rinviamo ad A. Aubert, Paolo IV, cit., pp.<br />

189-191, in partico<strong>la</strong>re sulle responsabilità del Duca d’Alba, p. 193.<br />

1079 Le età, cit., passo alle pp. 1423-1424, cfr. con Delle historie a p. 519: “Il duca d’Alva avendo le sue genti in<br />

punto….se ne venne nel mese di settembre a San Germano, e dopo l’haver preso Pontecorvo, che fu principio<br />

del<strong>la</strong> Guerra…”..<br />

1080 Ivi, rinviamo alle pp. 1442-1443, passi cit. a p. 1443; cfr. Delle Historie a p. 525-526: “Dicono, che gli<br />

aveva l’ambasciator risposto, che non era stato di consentimento del Re suo, il quale ne aveva avuto dispiacere,<br />

et che aveva scritto al Duca d’Alva, che si togliesse da quel<strong>la</strong> impresa. …Regnard…di nuovo detestando<br />

233


cessazione delle ostilità formu<strong>la</strong>ta dal Duca al Papa nel momento in cui si trova ben dentro al<br />

territorio dello stato pontificio, e non pone come precondizione doverosa ad ogni trattativa, il<br />

proprio ritiro dal territorio pontificio invaso ed occupato al momento.<br />

La volontà di pacificazione e di conciliazione manifestate dal Duca, pertanto, costituiscono,<br />

esclusivamente una facciata dietro al<strong>la</strong> quale si nasconde perfino l’intenzione di deporre Paolo<br />

IV ed eleggere un nuovo pontefice, punita con <strong>la</strong> scomunica al Duca quale “scismatico in<br />

voler dare un altro Papa al<strong>la</strong> Chiesa…” 1081 .<br />

Lo stesso soccorso recato ai Colonna eretici nonché parimenti scomunicati ha costituito una<br />

palese e sprezzante contravvenzione del<strong>la</strong> “sentenza del Sommo Vicario di Cristo, <strong>la</strong> quale da<br />

ciascun Cristiano, o giusta o ingiusta, deve sempre esser temuta…” 1082 Contemporaneamente<br />

poi, il Bardi ricorda il divieto di Paolo IV al<strong>la</strong> partecipazione del cardinal Carafa all’incontro<br />

di Grottaferrata con il duca per cercare un’intesa generale e giustifica in termini assai vaghi <strong>la</strong><br />

sua chiusura “o…che temesse di qualche inganno, o pure per altra cagione…” 1083 . Del resto,<br />

si sottolinea come nel momento in cui Filippo II “mostrando per suoi agenti, segni di<br />

umanità, et di umiltà verso il Papa, il che fu <strong>la</strong> principal cagione che le cose del<strong>la</strong> pace si<br />

venissero disponendo a quel fine che si desiderava” 1084 Paolo IV, svaniti i timori di un<br />

accordo lesivo dell’onore ed del prestigio del<strong>la</strong> Chiesa di Roma, cambi atteggiamento a<br />

dimostrazione del<strong>la</strong> sua buona fede. Una chiarezza di fondo da parte pontificia ulteriormente<br />

comprovata poi, una volta trovato l’accordo tra Papato e Spagna dall’impegno profuso per<br />

favorire l’intesa franco-spagno<strong>la</strong> 1085 .<br />

L’immagine in linea con il ritratto di Papa ze<strong>la</strong>nte del<strong>la</strong> religione e del<strong>la</strong> sfera spirituale<br />

avulso dalle questioni temporali e dal<strong>la</strong> guerra provocata sostanzialmente dai suoi parenti,<br />

campione del<strong>la</strong> Controriforma viene del resto certificata nel giudizio bardiano sul<strong>la</strong> sua morte:<br />

“Conciosia che ze<strong>la</strong>ntissimo dell’honore di Dio, rinovata con maggior diligenza, et con più<br />

conveniente severità <strong>la</strong> Santa Inquisitione, contra coloro, che si aderivano al<strong>la</strong> Heretica<br />

pravità, haveva severissimamente fatti castigare tutti coloro, che erano stati trovati colpevoli<br />

di così nefande opinioni, generando gran terrore in tutti i suoi sudditi, i quali avvezzi a vivere<br />

con più licenza, che non si richiedeva allo stato loro…lo tassavano di molte cose,<br />

rimproverando come per partico<strong>la</strong>re difetto de suoi più intimi, lo stato del<strong>la</strong> Chiesa aveva<br />

patito una guerra tanto pericolosa, che se i nemici non avessero avuto tanto rispetto al<strong>la</strong><br />

Maestà Pontificale, sarebbono incorsi nello istesso infortunio, che ne’ tempi di Clemente VII<br />

l’ostinatione del Duca d’Alva, affermava e replicava, che dal suo Re, gli era stato nuovamente scritto, che<br />

dovesse <strong>la</strong>sciar quell’armi, né molestasse in conto alcuno lo stato del<strong>la</strong> Chiesa, anzi restituisse il mal tolto.”<br />

1081 Ivi, passo a p.1435; cfr. inoltre pp. 1432 e soprattutto sul<strong>la</strong> volontà del duca d’Alba di sostituire a Paolo IV<br />

un altro pontefice p. 1434. In proposito cfr. il passo Delle Historie, cit., a p. 521 dove i timori scatenati<br />

dall’avanzata del Duca d’Alba sono evidenti: “La presa di questi luoghi apportò gran spavento in Roma; perché<br />

molti, che si avevano pensato, che fosse <strong>la</strong> guerra del Duca d’Alva più tosto difensiva, che offensiva, et che<br />

avesse armato per difendersi…e sospettarono, che avesse avuto ordine…di usurparsi quelle terre, ma il Duca<br />

d’Alva volendo mostrare, che non le pigliava per ritenerle per il suo Re, ma per aver partico<strong>la</strong>r gara co’l Papa,<br />

che minacciava torgli il Regno, faceva dipinger nelle porte dei luoghi che veniva pigliando, l’arme del sacro<br />

Collegio, protestando di tenerle ad instanza di esso, e per il Papa futuro.”<br />

1082 Ivi, passo a p. 1432, cfr. Delle Historie, cit., a p. 520 dove il Papa rispondendo all’accusa del Duca d’Alba<br />

di aver dato ricetto ai nemici di Cesare replica che lui: “non solo aveva dato ricetto a suoi ribelli, ma a<br />

scomunicati, et interdetti, sprezzava <strong>la</strong> sententia del pastore che giusta o ingiusta deve esser temuta.”<br />

1083 Ivi, vedi pp. 1435-1436.<br />

1084 Ivi, passo a p. 1479.<br />

1085 Ivi, cfr. pp. 1485-1486 cfr. ancora Delle Historie, cit., a p. 563: “Il Re Filippo dopo l’aver ottenuta <strong>la</strong> bel<strong>la</strong><br />

vittoria di San Quintino, scrisse lettere al<strong>la</strong> Signoria di Vinetia, dandole nuova di quel<strong>la</strong> felice vittoria, e<br />

soggiungendo, che con tutto ciò egli non voleva perseverare nel<strong>la</strong> guerra contra <strong>la</strong> Chiesa, e che molto<br />

desiderava, che fosse composta, e quietata, pregando<strong>la</strong> che quando fra <strong>la</strong> Chiesa, et il Duca d’Alva suo generale<br />

fosse stata qualche controversia nel venire al<strong>la</strong> pace, el<strong>la</strong> avesse voluto entrar nel mezzo per troncar<strong>la</strong>, perchè<br />

egli in lei rimetteva ogni differenza[…]Molti Cardinali in questo tempo, che si erano sempre adoperati, et<br />

avevano al Papa persuasa <strong>la</strong> pace, al<strong>la</strong> quale non mostrava egli essere renitente, quando vi avesse veduta<br />

servata <strong>la</strong> reputazione del<strong>la</strong> Chiesa…”<br />

234


si era incorso. Tali erano le querele del popolo Romano verso <strong>la</strong> persona del morto Pontefice<br />

Paolo quarto: Pontefice se gli si leva l’impeto, et <strong>la</strong> colera, che era naturalmente in lui, di<br />

somma bontà, pietà, et Religione Cattolica…” 1086<br />

Anche se evidentemente non si tace del temperamento iracondo di Paolo IV né dell’odio e<br />

del<strong>la</strong> paura che <strong>la</strong> sua azione riformatrice ed inquisitoriale suscita. Elementi chiaramente<br />

enucleati e sviluppati nel Delle istorie. Fatto che conferma ancora una volta ed esplicitamente<br />

il costante richiamo a quelle pagine, fatto salvo il ben diversi accenti bardiani. Infatti, se nel<br />

Delle Istorie si parte da questi sentimenti connessi al<strong>la</strong> lotta all’eresia per concludere col<br />

dubbio amletico se Paolo IV sia stato uomo “di buona volontà o maligna” ne Le età l’accento<br />

viene posto come vediamo sul<strong>la</strong> immoralità e poca religione dei sudditi del pontefice 1087 . Il<br />

Bardi, complessivamente fa sua l’immagine di Paolo IV campione del cattolicesimo, avulso<br />

da ogni responsabilità diretta nel<strong>la</strong> guerra contro <strong>la</strong> Spagna di cui vengono incolpati i nipoti<br />

sul<strong>la</strong> falsariga dell’ultimo Panvinio e del<strong>la</strong> linea processuale impostata contro i Carafa da Pio<br />

IV 1088 .<br />

Prospettiva che trova riscontro anche nel<strong>la</strong> menzionata vita di Ferdinando che è in realtà<br />

precedente di ben tre anni al<strong>la</strong> pubblicazione del<strong>la</strong> Cronologia. Biografia nel<strong>la</strong> quale il Bardi<br />

elogia anche il ruolo svolto da Ferdinando nelle vesti di pacificatore tra Paolo IV e Filippo II<br />

nei seguenti termini:<br />

“s’intromesse tra Filippo e’l Papa, che per consiglio del cardinal Caraffa suo nepote<br />

guerreggiava, con quel Re, che gl’indusse a far pace, con contento universale di tutti i<br />

Principi Cristiani.”<br />

Paolo IV anche qui alfiere del<strong>la</strong> pace generale dell’Europa come documenta il p<strong>la</strong>uso<br />

comminato per l’intesa raggiunta tra Filippo II ed Enrico II ancora con il contributo di<br />

Ferdinando:<br />

“Ferdinando fece ogni opera che Filippo si pacificasse con Arrigo Re di Francia…La qual<br />

pace pubblicata per tutta <strong>la</strong> Cristianità fu grandemente lodata da Paolo IV…”.<br />

Tra le righe tuttavia l’autore <strong>la</strong>scia affiorare degli nidizi che contraddicono questo generale<br />

clima di ritrovato idillio dell’Europa cristiana e insinuano alcune ombre anche sul<strong>la</strong> asserita<br />

felicità di Paolo IV. In primo luogo Ferdinando deve attendere <strong>la</strong> morte del pontefice<br />

napoletano e l’elezione di Pio IV per ottenere <strong>la</strong> sanzione papale al<strong>la</strong> nomina già ottenuta<br />

dagli elettori imperiali. In secondo luogo si ricordano le spaccature del conc<strong>la</strong>ve che ha<br />

elevato al<strong>la</strong> tiara Angelo de’ Medici al<strong>la</strong> fine di un lungo scontro interno, elemento presente<br />

anche nel Roseo 1089 e nei Commentarii del Guicciardini. Lodovico in realtà assume una<br />

1086 Ivi, pp. 1538-1539.<br />

1087 Delle Historie, cit., pp. 609-611, in partico<strong>la</strong>re alle pp. 610-611 leggiamo: “Fu questo Pontefice nell’attioni<br />

del suo governo così vario, che <strong>la</strong>sciò il mondo dubbioso nel giudizio del<strong>la</strong> sua vita, se era stato uomo retto, e di<br />

buona volontà, o pure maligno, quantunque il popolo Romano sdegnato lo reputasse senza dubbio cattivo.”<br />

1088 Sul<strong>la</strong> prospettiva panviniana del<strong>la</strong> biografia di Paolo IV del 1568 rinviamo a A. Aubert, Paolo IV, cit., pp.<br />

175-180.<br />

1089 La vita di tutti gli imperatori romani, cit., passi e riferimenti al<strong>la</strong> mancata sanzione di Paolo IV all’elezione<br />

di Ferdinando a p. 542 poi sancita da Pio IV, <strong>la</strong> cui meritoria opera di riapertura e conclusione del Concilio di<br />

Trento viene celebrata nel<strong>la</strong> pagina seguente. Sui contrasti interni al conc<strong>la</strong>ve ne Le età vedi pp. 1542-1543 in<br />

cui leggiamo: “Intanto, cioè dopo <strong>la</strong> morte del sopraddetto Pontefice Paolo quarto, si erano rinchiusi i<br />

Cardinali nel Conc<strong>la</strong>vi, per fare <strong>la</strong> nuova elettione, per infino nel sesto dì di Settembre passato, dove per le<br />

molte emu<strong>la</strong>zioni, che erano fra loro, stettero appresso quattro mesi, senza fare resolutione di cosa tanto<br />

importanti, finalmente <strong>la</strong> notte del<strong>la</strong> natività di nostro signore, elessero concordemente al Pontificato, il<br />

Cardinal Giovanni de’ Medici…Principe letterato, et apparente di buona qualità, come presto diede manifesto<br />

segno, il quale facendo nel principio del suo Pontificato, fra le altre cose, <strong>la</strong> restituzione di Paliano, et del<br />

restante suo stato a Marco Antonio Colonna, chiamò poi come si dirà, il Concilio.” momento di riapertura del<br />

235


posizione più univoca rispetto all’ex camaldolese e nell’insieme di segno opposto in quanto<br />

incentrata sulle esclusive responsabilità di Paolo IV e dei suoi parenti nel provocare e<br />

alimentare il conflitto, sul<strong>la</strong> buona e generosa disponibilità di Filippo II e del Duca d’Alba<br />

verso il pontefice, sui rilievi all’eccessivo rigore inquisitoriale di Papa Carafa, sugli elogi a<br />

Pio IV 1090 .<br />

concilio “Il Pontefice Pio, considerato il perturbatissimo stato del<strong>la</strong> religione, non pretermettendo l’occasione,<br />

che ne porgeva <strong>la</strong> pace universale, intimò…con gran soddisfazione di molti Principi, <strong>la</strong> continovazione del<br />

Concilio Generale, il quale per causa delle guerre, per molti anni si era intermesso…” vedi ne Le età, p. 1555 e<br />

su tutti i suddetti elementi cfr. anche il Sommario a p. 193. Sul Roseo vedi nel Delle istorie, cit., sul conc<strong>la</strong>ve che<br />

elegge Pio IV, p. 613 dove leggiamo: “Durò tutto questo conc<strong>la</strong>ve, che alcuni cardinali vi s’infermarono a<br />

morte…Fu finalmente assunto al Pontificato <strong>la</strong> notte dopo quel<strong>la</strong> di Natale di quest’anno Gian Angelo<br />

Cardinale de’ Medici, huomo letterato, et d’integra vita, con grande app<strong>la</strong>uso del popolo…”. Inoltre,<br />

l’attenzione al<strong>la</strong> mancata conferma papale a Ferdinando poi concessa da Pio IV e al lungo conc<strong>la</strong>ve che lo<br />

designa al<strong>la</strong> tiara si trova in un’altra opera del Tarcagnota Del sito, et lodi del<strong>la</strong> città di Napoli con una breve<br />

i<strong>storia</strong> de re suoi, et delle cose più degne altrove ne medesimi tempi avenute di Giovanni Tarchagnota di Gaeta,<br />

Appresso Giovanni Maria Scoto, MDLXVI, in Napoli, in partico<strong>la</strong>re pp. 168-169.<br />

1090 Nei Commentarii infatti a p.. 103g4 l’autore indica piuttosto chiaramente le consapevoli<br />

responsabilità romane nel conflitto:”Ma già in questo mezzo per varie cagioni, et<br />

principalmente perché il pontefice aveva spogliato Marcantonio Colonna di Paliano, et del<br />

resto del suo stato con maggiori disegni, si roppe guerra tra esso Pontefice e questo re.”;<br />

evidenzia poi l’ostinazione di Paolo IV che non intende accettare le oneste condizioni<br />

offertegli da Marcantonio Colonna e dal Duca d’Alba dopo S. Quintino (battaglia che segna<br />

secondo l’autore l’inizio del declino francese e in cui mette in risalto il risolutivo contributo<br />

militare apportato dai Borgognoni all’affermazione asburgica in proposito vedi ivi pp. 106g6-<br />

109g7 e 111g8) “di maniera che non volendo l’ostinato pontefice accettare honeste<br />

condizioni, risolverono d’andar sollecitamente all’improviso, a capito<strong>la</strong>re con l’armi<br />

Roma…” Soltanto nel momento in cui il duca di Guisa riceve l’ordine di Francesco II di<br />

tornare in patria il pontefice è costretto ad avviare le trattative di pace (ivi p. 114h1) e a p.<br />

115h2 il Guicciardini chiosa sull’accordo di Cave nei seguenti termini: “Di maniera che il<br />

Papa provocatore del<strong>la</strong> guerra, et vinto, ottenne per bontà del Re, quelle condizioni che se<br />

fusse stato provocato, et vincitore appena harebbe potuto ottenere.”<br />

Del resto il giudizio sul<strong>la</strong> morte di Paolo IV del Guicciardini a p. 144i8 è perfettamente in<br />

linea con i passi precedenti e costituisce un ulteriore segnale del diverso atteggiamento verso<br />

<strong>la</strong> politica inquisitoriale carafiana rispetto al Bardi: “terminò <strong>la</strong> vita sua in Roma, il Sommo<br />

Pontefice Paolo IV. Con grandissima letizia del popolo romano, et di tutti i suoi sudditi.<br />

Perché oltre a che egli sotto ombra di religione, una strettissima et pericolosissima<br />

inquisitione contra l’heresie, aveva introdotta, tutti i suoi popoli nel suo Pontificato et per le<br />

guerre et per altri gravami, et pessimi governi de suoi parenti, sommamente avevano patito.”<br />

Invece, <strong>la</strong> narrazione del<strong>la</strong> difficoltosa elezione di Pio IV e il giudizio positivo sul<strong>la</strong> sua figura che troviamo a<br />

p. 145k1: “Dopoi <strong>la</strong> morte del sopradetto Pontefice Paulo IV. S’erano rinchiusi nel conc<strong>la</strong>ve per fare <strong>la</strong> nuova<br />

elettione insino il sesto dì di Settembre. Dove per le loro malvagie emu<strong>la</strong>zioni, et discordie, ben presso a quattro<br />

mesi, senza far risolutione di cosa tanto imoportante dimorarono. Pur finalmente <strong>la</strong> notte del<strong>la</strong> Natività del<br />

nostro Signore, elessero concordemente al Pontificato, il Cardinal Giovann’Agnolo de’ Medici da Mi<strong>la</strong>no,<br />

fratello del marchese di Marignano, d’età intorno a sessantadue anni, il quale si fece chiamare Pio IV. Principe<br />

letterato, et apparente di buone qualità, come presto ne diede manifesto segnale, facendo fra le altre cose<br />

restituzione di Paliano, et del restante del suo al signor Marcant’Antonio Colonna” coincidono in maniera<br />

letterale al passaggio de Le età, cit., alle pp. 1542-1543 al pari dell’apprezzamento guicciardiniano per <strong>la</strong><br />

riapertura del concilio operata da Pio IV a p. 154k5: “Al principio di Dicembre, il Pontefice Pio, considerato il<br />

perturbatissimo stato del<strong>la</strong> religione, non pretermettendo <strong>la</strong> bel<strong>la</strong> occasione, che ne porgeva <strong>la</strong> pace universale,<br />

intimò generalmente per tutto con gran sadisfattione di molti Principi et popoli, <strong>la</strong> continuatione del Concilio<br />

Generale…” che ritroviamo identica ne Le età, cit., a p. 1555, su questi due passaggi bardiani vedi supra nota n.<br />

223.<br />

Inoltre, ancora in direzione anticarafiana nel Guicciardini va ricordata <strong>la</strong> valutazione positiva di Marcello II<br />

che contrasta con le critiche rivolte all’indirizzo di Giulio III a p. 94f7 dei Commentarii dove leggiamo: “Passò<br />

di questa vita il Pontefice Giulio III. Principe letterato, et capace d’ogni grado, ma negligente, et molto involto<br />

ne suoi piaceri. Così…fu poi eletto al pontificato Marcello[…]Et veramente che <strong>la</strong> sua morte dolse oltra modo a<br />

236


Ne Le età, tuttavia, pur nel<strong>la</strong> complessiva continuità con <strong>la</strong> biografia di Ferdinando<br />

evidenziata, il Bardi opera nel<strong>la</strong> <strong>prima</strong> un cambiamento di estrema rilevanza attribuendo il<br />

ruolo di pacificatrice del conflitto ispano-pontificio a Venezia. L’autore mette in grande<br />

risalto lo sforzo veneziano, peraltro supportato successivamente anche da Cosimo I 1091 , per <strong>la</strong><br />

pacificazione tra Spagna e Papato 1092 . In questa direzione è emblematico di un indiretto<br />

dissenso antispagnolo il fatto che <strong>la</strong> Serenissima nel<strong>la</strong> sua volontà di pacificazione sia<br />

comunque più vicina al<strong>la</strong> Santa Sede vista l’aggressione portata dal Duca d’Alba allo stato<br />

pontificio:<br />

“avendo i Veneziani…veduta <strong>la</strong> guerra mossa dal Duca d’Alva al Papa, mandati<br />

ambasciatori al Re Filippo, pregandolo a far levare il Duca d’Alva da quel<strong>la</strong> impresa,<br />

mostrandogli, che quando non lo facesse, non poteva quel Senato far di meno di non pigliare<br />

l’armi in diffensione di Santa Chiesa, fecero ogni loro potere per ridurre l’una parte, et<br />

l’altra al<strong>la</strong> pace.” 1093<br />

L’impegno veneziano per <strong>la</strong> pace è dimostrato inoltre dal rifiuto di aderire militarmente ad<br />

una delle parti, nonostante le numerose avances di cui sia il Papato che <strong>la</strong> Spagna <strong>la</strong> fanno<br />

oggetto. I veneziani sono, infatti, vanamente sollecitati a partecipare al conflitto, sia dal<br />

cardinal Carafa in una missione diplomatica nel<strong>la</strong> città <strong>la</strong>gunare ufficialmente volta a favorire<br />

<strong>la</strong> pace, sia da Filippo II che promette ai veneziani in caso di intervento le terre del duca di<br />

Ferrara 1094 . Soltanto in seguito al<strong>la</strong> battaglia di S. Quintino si determina in direzione del<strong>la</strong><br />

pacificazione uno stretto collegamento tra Filippo ed i Veneziani, <strong>la</strong> cui costanza 1095 nel<br />

ricercare l’accordo generale, congiunta con l’impegno cosimiano, viene premiata come il<br />

Bardi asserisce: “maneggiandosi con somma prudenza, et dal Duca di Firenze, et da’<br />

Veneziani <strong>la</strong> pratica del<strong>la</strong> pace, fu col mezzo loro conclusa, avendo ciascuno di loro, oltre<br />

infinite persone: perché egli era Principe assai letterato, et dava intenzione et grande speranza a gli uomini, di<br />

voler riordinare, et ricorreggere <strong>la</strong> disordinata, e scorretta Corte Romana, capo del<strong>la</strong> Chiesa universale, per<br />

poter più facilmente raddrizzare le sue membra.”<br />

1091 Il Bardi infatti sottolinea come il Duca di Firenze non attacchi lo stato pontificio scrivendo a p. 1451:<br />

Cosimo non interviene contro lo stato pontificio nonostante i timori papali: “ma saputosi poi, che quel Duca non<br />

si moveva, né faceva moto alcuno a’ danni di quel<strong>la</strong> città, fu di gran contento al<strong>la</strong> corte, et al Pontefice<br />

massime, che rimase di lui interamente soddisfatto, onde gli venne a pigliare affettione avendo…inteso…che egli<br />

non era per partirsi dal<strong>la</strong> devozione del<strong>la</strong> Chiesa, né era per nuocergli in conto alcuno, non ostante gli obblighi<br />

che aveva allo imperatore.”<br />

1092 Il primo passo in proposito ne Le età, cit., si trova a p. 1446 a proposito dell’impegno speso in questa<br />

direzione dal nuovo doge Lorenzo Priuli in sintonia con il Senato.<br />

1093 Ivi, passo riportato alle pp. 1452-1453.<br />

1094 Ivi, in proposito rinviamo rispettivamente a p. 1454 dove leggiamo “Intanto il cardinal Caraffa mandato<br />

Legato a Venezia dopo questa tregua, per eccitare quel Senato contra il re di Spagna, avendo dato voce di<br />

andarvi per accomodare <strong>la</strong> pace…” e alle pp. 1459-1460: “Intanto Filippo sdegnatosi oltre modo contra il Duca<br />

di Ferrara, mandò <strong>prima</strong> a dolersene con i Veneziani, invitandogli a prendere l’armi contra di lui, collegandosi<br />

seco, promettendogli di dargli in preda le terre del Duca, che si acquistassero…ma il Senato Veneziano, lento di<br />

sua natura nelle resolutioni di imprendere nuova guerra, essendo massimamente quel Duca grato al Dominio,<br />

non accettò <strong>la</strong> offerta, ma ben si mosse con ogni sollecitudine a tentare di procurare lo accordo fra questi<br />

Principi…”.<br />

1095 La febbrile attività del Senato e degli ambasciatori veneziani per <strong>la</strong> pace è ribadita ivi, anche alle pp. 1467-<br />

1468. In proposito cfr. anche Del sito et lodi del<strong>la</strong> città di Napoli, cit., sul ruolo dei veneziani nelle trattative di<br />

pace p. 166 dove il Tarcagnota par<strong>la</strong> del loro impegno per <strong>la</strong> pace ulteriormente stimo<strong>la</strong>to da Filippo II in seguito<br />

al<strong>la</strong> battaglia di S. Quintino: “Onde essendo più volte da molti cardinali, et da gli Oratori Veneziani stato col<br />

Papa, ragionato di Pace, si incominciò con queste nove a stringere <strong>la</strong> prattica; tanto più che il Re Filippo non<br />

essendo punto per queste vittorie gonfio, mandava di nuovo umilmente ad offerire per mezzo de Veneziani <strong>la</strong><br />

pace.” A livello complessivo come detto, le posizioni del Bardi e del Tarcagnota non possono assimi<strong>la</strong>rsi, visto il<br />

risalto dato da quest’ultimo al<strong>la</strong> sincera volontà di pace dimostrata dal Duca d’Alba ad un Paolo IV renitente a p.<br />

165, al<strong>la</strong> collera e ai sospetti di Paolo IV che indica come cause scatenanti del conflitto perché portano il<br />

pontefice all’arresto dei filoasburgici, al<strong>la</strong> scomunica dei Colonna, al<strong>la</strong> confisca e al<strong>la</strong> fortificazione di Paliano<br />

pp. 164-165. In proposito cfr. Aubert, Paolo IV, cit., pp. 193-194.<br />

237


allo Ambasciatore ordinario, che avevano in Roma, mandatovi un loro Secretario di<br />

nuovo…” 1096 .<br />

Un insieme di elementi che, oltre a riaffermare il partico<strong>la</strong>re legame tra Venezia e S. Sede,<br />

esprime tuttavia anche un primo segnale del<strong>la</strong> contiguità dell’autore con <strong>la</strong> linea politica<br />

propugnata da Nicolò da Ponte fin dal 1556 all’interno del Senato del<strong>la</strong> Serenissima. Il Da<br />

Ponte, infatti, sostiene l’improrogabile necessità del ritiro del duca d’Alba dal territorio<br />

pontificio e di una pace che freni l’incontenibile e pericolosissima minaccia portata<br />

dall’egemonia spagno<strong>la</strong> alle libertà d’Italia 1097 .<br />

Del resto, <strong>la</strong> critica bardiana al<strong>la</strong> politica spagno<strong>la</strong> affiora anche nel giudizio inerente <strong>la</strong><br />

pacificazione generale del 1559 che non elimina le fratture politico-religiose europee<br />

aggravate anzi ulteriormente dall’ultima fase dello scontro tra Asburgo e Valois in quanto:<br />

“Imperoche, i Principi istessi, et i sudditi loro medesimi, si ritrovavano in grandissima<br />

difficoltà, mediante una guerra così lunga, poiché da così evidente danno gli Heretici, che si<br />

servivano delle occasioni, di<strong>la</strong>tavano in infinito le discordie loro, facendo ne’ medesimi<br />

campi di ambedue gran progresso…” 1098<br />

La pace non dissolve magicamente i disagi socio-economici ed il malcontento provocato dai<br />

lunghi anni di guerra, e favorisce <strong>la</strong> diffusione ed il pullu<strong>la</strong>re dell’eresia. Il quadro europeo<br />

viene turbato da molti fattori in questo senso: dall’ascesa al trono di Elisabetta che restaura<br />

anglicanesimo in Inghilterra, dal<strong>la</strong> diffusione del calvinismo scozzese, dal<strong>la</strong> morte di Enrico<br />

II, dall’eresia che Filippo II deve sgominare fin dentro <strong>la</strong> Spagna. Tutti fattori ampiamente<br />

analizzati dall’autore in queste pagine sul<strong>la</strong> falsariga dei Commentarii del Guicciardini,<br />

secondo una chiara coincidenza filologica, che conferma <strong>la</strong> generale convergenza<br />

storiografica 1099 .<br />

Inoltre, un’altra spia del dissenso bardiano può scorgersi anche quando l’ex camaldolese<br />

tratta dell’insurrezione delle Province Unite con riguardo alle considerazioni svolte sul ruolo<br />

giocato in quel frangente dal Duca d’Alba.<br />

Indubbiamente il Bardi non è favorevole alle ragioni dei calvinisti, né al contegno dei nobili<br />

guidati dal principe d’Orange che disubbidendo al<strong>la</strong> reggente di Filippo II Isabel<strong>la</strong> Farnese<br />

mostrano <strong>la</strong> loro avversione al sovrano spagnolo e rendono necessario l’invio del Duca<br />

d’Alba 1100 . Tuttavia, l’autore non condivide <strong>la</strong> condotta del Duca che ignora completamente<br />

gli inviti di Isabel<strong>la</strong> ad agire con caute<strong>la</strong> perché “gli Spagnoli, in quelle parti…erano molto<br />

odiati” 1101 e procede con una politica del pugno di ferro che sconcerta i Fiamminghi 1102 . La<br />

negatività del giudizio bardiano, del resto, traspare abbastanza chiaramente nel racconto del<strong>la</strong><br />

statua che il Duca d’Alba si fa edificare ad Anversa per ricordare <strong>la</strong> sconfitta dei nobili ribelli.<br />

Episodio narrato dall’autore nel momento in cui annuncia <strong>la</strong> decisione di Filippo II di<br />

richiamarlo dalle Fiandre per sopraggiunti motivi d’età. Notizia partico<strong>la</strong>rmente gradita ai<br />

Fiamminghi perché riferisce il Bardi:<br />

1096 Ivi, passo a p. 1482. Il contributo veneziano sarà ricordato nuovamente a p. 1525.<br />

1097 In proposito rinviamo a A. Stel<strong>la</strong>, Chiesa e Stato, cit., in partico<strong>la</strong>re p. 13, cfr. inoltre Da Ponte Nicolò, cit.,<br />

in partico<strong>la</strong>re p. 726.<br />

1098 Le età, cit., passo a p. 1532.<br />

1099 Ci riferiamo alle pp. 1532-1540 de Le età che corrispondono perfettamente alle pp. 139-144 dei<br />

Commentarii, cit., tranne che sul giudizio concernente Paolo IV.<br />

1100 A proposito del<strong>la</strong> ribellione rinviamo ne Le età alle pp. 1671-1679 e soprattutto sull’impossibilità di<br />

giungere ad un accordo tra Isabel<strong>la</strong> e gli insorti pp. 1691-1698, in partico<strong>la</strong>re p. 1698 dove leggiamo: “che il<br />

Principe di Oranges, et gli altri Capi…mettendo ogni cosa sottosopra, non volevano ubbidire a quel che<br />

Madama comandava.”<br />

1101 Ivi, passo a p. 1699.<br />

1102 Ivi, alle pp. 1699-1700 leggiamo: “Queste cose così fatte dal Duca, misero gran spavento negli animi de’<br />

Fiamminghi, i quali non aspettavano, che con tanta rigidezza si procedesse contra di loro…”<br />

238


“non amavano molto il Duca d’Alva, che se ben molti lo conoscevano essere huomo giusto,<br />

et geloso dell’honore et utile del suo Re, lo reputavano troppo severo et vendicativo delle<br />

ingiurie, et di poca pietà; oltra che lo tassavano d’avaritia insaziabile, et di crudeltà più che<br />

barbara; essendo anco augumentato lo sdegno delle genti, per aversi, a perpetua sua<br />

memoria, castigata <strong>la</strong> congiura del Principe d’Oranges, de i Conti di Agamont, et de’ loro<br />

seguaci, quali con <strong>la</strong> morte, et quali con l’esilio, fatto dirizzare <strong>la</strong> sua statua di bronzo nel<br />

castello di Anversa, che aveva l’Oranges, il Conte di Orno, e quel di Agamont, sotto i piedi; il<br />

che era in generale a tutti spiaciuto: ma partico<strong>la</strong>rmente a’ parenti et amici loro, et nel<br />

secreto lo biasimavano, tassandolo di superbo et di ambizioso; poi che i Principi cristiani più<br />

potenti, quanto più erano in grandezza costituiti, sempre più avevano fuggito quel<strong>la</strong> iattanza<br />

di farsi essi levare statue, per le vittorie grandi, che ottenessero contra i Cristiani ribelli<br />

soggiogati da loro, allegando lo esempio di Carlo Quinto Imperatore, che nel debel<strong>la</strong>re il<br />

Duca di Sassonia et il Langravio, non aveva usato simil grandezza, contentandosi solo di<br />

avergli castigati.” 1103<br />

L’ingiustificabile megalomania del Duca d’Alba ha addirittura superato i potenziali eccessi<br />

di un imperatore del<strong>la</strong> grandezza (per quanto criticato dall’autore), di Carlo V!<br />

L’avversione antispagno<strong>la</strong> dell’autore, tuttavia, non si limita al solo Duca ma ricomprende<br />

lo stesso Filippo anche se in modo allusivo e coperto, in quanto coautore dell’indirizzo<br />

centralizzatore e autoritario <strong>la</strong> cosiddetta “castiglianizzazione” impresso al<strong>la</strong> politica spagno<strong>la</strong><br />

e attuato in modo deciso nei Paesi Bassi dal Duca. Del resto, le stesse notazioni dell’autore<br />

sul<strong>la</strong> ferocia dimostrata dagli spagnoli nel saccheggio di Anversa del 1576 testimoniano di<br />

una posizione complessiva o comunque tutt’altro che transeunte o circoscritta al solo Duca<br />

d’Alba. 1104 In questa direzione è illuminante anche <strong>la</strong> dichiarazione formu<strong>la</strong>ta dai fiamminghi<br />

nel<strong>la</strong> finzione letteraria sui motivi del<strong>la</strong> ribellione. Essi “non avevano prese le armi in mano<br />

per ribel<strong>la</strong>rsi dal Re, e dal<strong>la</strong> casa d’Austria, ma per non potere più sopportare <strong>la</strong> tirannide<br />

degli Spagnoli, che con inaudita avarizia avevano espi<strong>la</strong>to in modo il paese, che eternamente<br />

se ne risentirebbe…” che suona almeno <strong>la</strong>tamente critica e richiama idealmente le<br />

considerazioni sul sacco di Roma 1105 .<br />

Una serie di indizi dunque che denotano una certa distanza del Bardi dalle direttrici del<strong>la</strong><br />

politica spagno<strong>la</strong> anche se espressa cautamente vista l’ipoteca, irrimediabilmente posta, sulle<br />

libertà italiane dall’egemonia spagno<strong>la</strong> nel momento in cui l’ex camaldolese scrive.<br />

D’altra parte, un’ulteriore verifica in questa direzione, <strong>la</strong> fornisce il modo in cui l’autore<br />

tratta dei rapporti che intercorrono tra gli Asburgo di Spagna e di Austria e <strong>la</strong> Serenissima a<br />

proposito del<strong>la</strong> minaccia costituita dall’impero ottomano. Al riguardo costituiscono una sorta<br />

di cartina di tornasole, sia <strong>la</strong> costituzione del<strong>la</strong> lega che sconfigge gli ottomani a Lepanto, sia<br />

<strong>la</strong> successiva pace separata conclusa dai veneziani con il nemico turco 1106 .<br />

In vista del<strong>la</strong> futura Lega e di Lepanto il Bardi ribadisce a chiare lettere a distanza di poche<br />

pagine, l’insostituibile ruolo del<strong>la</strong> Serenissima di antemurale del<strong>la</strong> cristianità. L’autore infatti<br />

mette in risalto in re<strong>la</strong>zione al<strong>la</strong> montante minaccia militare turca che preme su Zara il grande<br />

soccorso di uomini e soldati che da ogni parte del<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong> accorrono nel<strong>la</strong> Serenissima per<br />

sostener<strong>la</strong> nel<strong>la</strong> lotta antiottomana “non restando (dal<strong>la</strong> dignità pontificia in poi) in Italia,<br />

altro dell’antica gloria, et del<strong>la</strong> grandezza del Senato Romano, che <strong>la</strong> Rep. di Venezia, veniva<br />

universalmente da tutti tenuta <strong>la</strong> reputazione d’Italia, et il propugnacolo del<br />

1103 Ivi, sui motivi d’ufficiali del<strong>la</strong> sostituzione e per il passo sull’edificazione del<strong>la</strong> statua vedi p. 1991.<br />

1104 Ivi, leggiamo a p. 2113: “gli Spagnoli…scorsa <strong>la</strong> città di Anversa, <strong>la</strong> depredarono tutta, riportandone un<br />

grosso bottino , avendo con inaudita crudeltà, senza perdonare né a sesso, né ad età, fatto indicibil stragge<br />

dentro delle case…”<br />

1105 Ivi, passo a p. 2139.<br />

1106 In proposito vedi infra pp. 42-44 e cfr. F. Chabod, Venezia nel<strong>la</strong> politica italiana del Cinquecento, in La<br />

civiltà veneziana del Rinascimento, G. C. Sansoni, Firenze, 1938, pp. 27-55 ora id., Scritti sul Rinascimento,<br />

Torino, Einaudi, 1967, pp. 663-683, in partico<strong>la</strong>re pp. 677-678.<br />

239


Cristianesimo…” 1107 . Il passo citato, assume in realtà una valenza ulteriore di celebrazione e<br />

legittimazione del <strong>prima</strong>to italiano di Venezia quale erede del<strong>la</strong> grandezza romana identificata<br />

però con il suo Senato invece che con il potere imperiale, assumendo in questo modo anche<br />

una valenza antimperiale e antiasburgica. In questa direzione del resto, vanno anche le<br />

considerazioni svolte nel<strong>la</strong> conclusione de Le età sul trapasso dal<strong>la</strong> Repubblica all’impero<br />

nel<strong>la</strong> <strong>storia</strong> romana e sul<strong>la</strong> debolezza dell’eredità asburgica 1108 oltre alle non poche pagine<br />

dedicate al<strong>la</strong> <strong>storia</strong> repubblicana romana all’interno dell’opera 1109 . Al<strong>la</strong> luce di questi elementi<br />

favorevoli alle prerogative politiche del<strong>la</strong> componente aristocratica non appare casuale allora<br />

lo stesso interesse dimostrato dal Bardi per Tacito. I suoi Annali, infatti, oltre a costituire una<br />

delle fonti de Le età 1110 sono oggetto, nel<strong>la</strong> traduzione di Giorgio Dati 1111 , di una nuova<br />

edizione del 1598 curata proprio dal camaldolese anche se stampata postuma 1112 . La stessa<br />

traduzione del Dati esule era nata del resto dal desiderio di ritornare a Firenze ed esprimeva<br />

l’accettazione del regime cosimiano capace di conciliare il potere centrale e <strong>la</strong> libertà dei<br />

cittadini diversamente dal precedente regime di Alessandro de’ Medici 1113 . Elementi che sono<br />

in linea con <strong>la</strong> luce sostanzialmente positiva in cui il Bardi valuta ne Le età il Regime<br />

cosimiano. A parte l’evidenza data dall’autore all’impegno profuso anche da Cosimo per<br />

sanare il conflitto scoppiato tra Spagna e Papato nel 1556-57 sono indicative anche le<br />

considerazioni svolte sul<strong>la</strong> condotta del duca fiorentino nel<strong>la</strong> guerra di Siena. L’autore che<br />

1107 Ivi, passo a p. 1876.<br />

1108 Vedi supra pp. 27-28.<br />

1109 Ivi, complessivamente pp. 124-328, in cui sono emblematiche le notazioni a p. 297 su Sil<strong>la</strong> che “si dichiarò<br />

dittatore, et riformò a sua voglia <strong>la</strong> Repubblica, levando <strong>la</strong> potestà a tribuni del<strong>la</strong> Plebe, et crescendo il numero<br />

de’ Pontefici, di maniera che Roma pareva più tosto Imperio d’un solo, che unione di molti,…” e Giulio Cesare<br />

rispettivamente a p. 317 “Usurpatosi violentemente Cesare <strong>la</strong> suprema autorità del<strong>la</strong> Repubblica, et ridotti tutti i<br />

negotii in se stesso…procurò d’esser creato Re del<strong>la</strong> Repubblica il qual nome odiosissimo appresso a Romani,<br />

cagionò che molti…cospirarono di levargli insidiosamente <strong>la</strong> vita…” molto diverso il contegno tenuto a parole<br />

verso Ottaviano Augusto con il quale a p. 328 si addiviene in modo definitivo all’impero, in virtù proprio del<br />

formale rispetto da questi sempre manifestato al Senato, infatti in proposito ivi l’autore rimarca come, in seguito<br />

all’uccisione di Cesare, Antonio “indusse il popolo al<strong>la</strong> divisione, parte del quale favorendo il Senato et Ottavio,<br />

che s’era unito con Cicerone nimicissiom d’Antonio, et parte seguitandoli, <strong>la</strong> Repubblica si ridusse in malissimo<br />

termini di confusione…” e molto diverso è il tono a proposito dell’assunzione all’impero di Ottaviano rispetto<br />

alle notazioni di Cesare a p. 328: “Fu il primo imperatore legittimo del<strong>la</strong> Repubblica Romana[…] et ordinata <strong>la</strong><br />

Repubblica senza alterare molto l’ordine antico, tenne lo imperio per 43 anni…”.<br />

1110 Ma vedi per <strong>la</strong> maggiore precisione il Sommario dove a p. 199 leggiamo: “Cornelio Tacito, ne suoi Annali,<br />

che sono da Augusto fino a Nerva in 16 libri.”<br />

1111 Sul quale rinviamo al<strong>la</strong> voce Dati Giorgio di C. Giamb<strong>la</strong>nco, in DBI, vol. XXXIII, Roma, 1987, pp. 29-31.<br />

1112 La dedicatoria del Bardi rivolta all’abate di S. Tommaso di Torcello, il Trevisani, in Gli annali di Cornelio<br />

Tacito cavalier romano de’ fatti, e guerre de’ Romani così civili, come esterne: seguite dal<strong>la</strong> morte di Cesare<br />

Augusto, per fino all’imperio di Vespasiano;…da Giorgio Dati fiorentino nuovamente tradotti di <strong>la</strong>tino in lingua<br />

toscana, in Venetia, appresso Giovanni Alberti (sul quale rinviamo al<strong>la</strong> voce Alberti Giovanni di Alessandro<br />

Scarsel<strong>la</strong> in Dizionario dei tipografi, cit., pp. 11-13), 1598(contiene anche le Hi<strong>storia</strong>e), (traduzione del Dati<br />

pubblicata postuma per <strong>la</strong> <strong>prima</strong> volta nel 1563 e sul<strong>la</strong> quale vedi P. Simoncelli, Il cavaliere dimezzato. Paolo<br />

del Rosso “fiorentino e letterato”, Mi<strong>la</strong>no, Franco Angeli, 1992, pp. 161-162 in partico<strong>la</strong>re nota n. 17) reca<br />

tuttavia <strong>la</strong> data del 16 febbraio 1583 e alludendo probabilmente al<strong>la</strong> vita di Ferdinando I, dice “Dovendosi di<br />

nuovo pubblicare al modo le vite degli imperatori Romani, (egli) vi aveva aggiunte molte cose”. In proposito cfr.<br />

La biblioteca degli autori Greci e <strong>la</strong>tini volgarizzati, vol. XXXV, raccolta Calogerana, p. 426 e Francesco<br />

Inghirami, Storia del<strong>la</strong> Toscana, cit., Tomo XII, p. 154.<br />

Certo nel<strong>la</strong> traduzione del Dati il rapido ritratto tacitiano del principato augusteo si pone in termini<br />

sostanzialmente diversi da quanto riscontrato ne Le età, Augusto infatti viene descritto non come conservatore<br />

(secondo l’immagine avvalorata dal Bardi ne Le età) quanto piuttosto quale instauratore di un nuovo ordine che<br />

mette nell’angolo e svuota delle proprie prerogative il Senato anche se in modo graduale a p. 2a1: “cominciò<br />

appoco dappoco ad innalzarsi, tirando a sé le faccende del Senato, quelle de’ Magistrati, e insieme l’autorità<br />

delle leggi: non vi essendo più nessuno che gli si opponesse: conciosia che tutti i più potenti, et animosi cittadini<br />

parte in guerra, parte nel<strong>la</strong> proscrizione spenti si ritrovassero. Il rimanente de’ nobili gli aveva d’onori, e di<br />

facoltà accresciuti, secondochè eglino al servire più pronti si dimostravano. Lande ritrovandosi eglino per <strong>la</strong><br />

novità delle cose di buon grado, et riputazione, amavano meglio godersi <strong>la</strong> sicurezza dello stato presente, che<br />

cercare, con lor pericolo di riassumere il reggimento antico.”<br />

1113 Dati Giorgio, cit., vedi p. 30 e soprattutto P. Simoncelli, Il cavaliere dimezzato.<br />

240


sottolinea <strong>la</strong> tirannide perpetrata in precedenza sul<strong>la</strong> città dal Mendoza sordo agli avvertimenti<br />

sinceri e lungimiranti di Cosimo sulle manovre francesi per indurre Siena a ribel<strong>la</strong>rsi e sul<br />

malcontento del<strong>la</strong> cittadinanza 1114 rimarca, infatti, <strong>la</strong> clemenza usata dal duca fiorentino ai<br />

senesi 1115 e giustifica pienamente <strong>la</strong> concessione del<strong>la</strong> città a Cosimo decisa da Filippo II<br />

“poiché con le proprie forze, se bene con il suo aiuto lo aveva con lunga guerra<br />

acquistato…” 1116<br />

Soprattutto riprova del<strong>la</strong> buona disposizione verso il Duca Cosimo appare l’attenzione posta<br />

dal Bardi sull’attribuzione nel 1569 del titolo granducale da parte di Pio V. Una rilevanza<br />

inequivocabilmente condita di umori antiasburgici in linea del resto con gli altri spunti de Le<br />

età già evidenziati. L’autore, infatti, riportata <strong>la</strong> notizia del<strong>la</strong> risoluzione pontificia 1117<br />

riprende poi <strong>la</strong> questione a proposito del<strong>la</strong> corona di cui il papa cinge Pio V a Roma in seguito<br />

all’accettazione dell’investitura del titolo granducale, dilungandosi sulle pressioni asburgiche<br />

volte a impedire questa cerimonia. L’ambasciatore imperiale oppone al<strong>la</strong> decisione pontificia<br />

l’assenza di una potestà papale nel<strong>la</strong> fattispecie specifica ed esercita nel contempo numerose<br />

pressioni su Cosimo per farlo desistere dal<strong>la</strong> partecipazione al<strong>la</strong> cerimonia in questione, anche<br />

se vanamente. Scrive il Bardi che l’ambasciatore imperiale saputo dei preparativi in atto:<br />

“ne aveva…dato avviso a Cesare, et poco appresso aveva con molta persuasione tentato di<br />

distorrre il Gran Duca da cotale dimostrazione, dicendogli, che irritandosi contra <strong>la</strong>’nimo di<br />

Cesare, et de gli altri Principi dello Imperio, darebbe ma<strong>la</strong> sattisfattione di se stesso a quel<strong>la</strong><br />

Corte…promettendogl allo incontro…che Cesare lo avrebbe investito, conferendogli il titolo<br />

di Grande, con amplissimi privilegij. A cui risposto il Gran Duca, che essendo Principe, che<br />

non riconoscendo lo stato suo di Firenze da altri che da Dio, et da suoi cittadini, non doveva,<br />

né di ragione poteva rifiutare qualsi fosse forte di gratia, che il Pontefice, come Principe<br />

Supremo di tutti gli altri, in casa del quale lui si trovava, gli avesse voluto fare. Dalle quali<br />

parole comprendendo lo Ambasciatore <strong>la</strong> intenzione del Gran Duca…né fece umilmente<br />

protesto al Pontefice, dicendogli non potersi dal<strong>la</strong> santità di lui conferire honori, et titoli, o<br />

dignità, se non ne propij vassali. Al che risposto con gravità Pontificia il Pontefice Pio,<br />

sarere di poter fare legittimamente tal coronatione, et conoscer molto bene quanto se gli<br />

convenisse in quel luogo, poiche anco Cesare istesso, non si poteva denominare col titolo di<br />

Augusto, se non dopo che fosse stato coronato di mano dello stesso Pontefice del<strong>la</strong> stessa<br />

Corona Imperiale…” 1118 .<br />

Cosimo del resto, sostiene convintamente di fronte al pontefice <strong>la</strong> necessità di addivenire ad<br />

una Lega fondata sull’intesa veneto-spagno<strong>la</strong> che supporti <strong>la</strong> Serenissima fulcro del<strong>la</strong><br />

1114 Le età, dove in realtà le <strong>la</strong>mentele del contegno del Mendoza sono rivolte allo stesso imperatore soggetto<br />

pertanto ad un’ulteriore implicito rilievo negativo del Bardi in questo modo. A p. 1354 leggiamo infatti:<br />

“perciochè più di una volta quere<strong>la</strong>tisi con lo imperatore de’ mali portamenti di Diego Mendozza lo ro<br />

Governatore per lo Imperio, né essendo mai stati uditi, si risolverono fomentati come fu fama, da’ ministri di<br />

Francia, e da’ nimici di Cosimo di scacciare…gli Spagnoli, donde ne nacque <strong>la</strong> propria rovina. I sanesi<br />

adunque passati secretamente sotto <strong>la</strong> devozione del Re di Francia…tramarano di scacciare del<strong>la</strong> città i ministri<br />

di Cesare, che troppo severamente gli tiranneggiavano, il che pervenuto alle orecchie del duca Cosimo, ne<br />

avvertì come interessato dell’amicizia di Cesare, Diego Mendozza, il quale…non solo disprezzò i ricordi di quel<br />

principe, ma rifiutò ancora gli aiuti, che gli offerse quel duca…”.<br />

1115 Ivi, a p. 1446: “il Duca Cosimo…continovava l’assedio di Monte Alcino, per scacciare totalmente i<br />

Francesi di Toscana, il che finalmente gli venne fatto, giovandogli molto <strong>la</strong> clemenza dimostrata a Senesi del<strong>la</strong><br />

città…onde acquistatasi <strong>la</strong> gratia loro, indusse i medesimi a rendersegli.”<br />

1116 Ivi, passo a p. 1473.<br />

1117 Le età, passo a p. 1786.<br />

1118 Ivi, passo riportato alle pp. 1911-1912, ma per l’arrivo del<strong>la</strong> bol<strong>la</strong> papale con il titolo granducale a Firenze<br />

il successivo viaggio a Roma di Cosimo e dopo il superamento delle resistenze imperiali l’incoronazione papale<br />

cfr. complessivamente ivi le pp. 1909-1913, una serie di elementi e di momenti chiaramente assenti nel<br />

Sommario dove <strong>la</strong> cerimonia è riportata a p. 194 in quattro righe, in cui comunque si ribadisce l’assoluta potestà<br />

pontificia nel dare titoli.<br />

241


esistenza cristiana, in funzione antiturca, a ulteriore suggello del<strong>la</strong> volontà dell’autore di<br />

accostare per interessi e linee di azione politica le due grandi realtà politiche italiane. 1119<br />

Anche in seguito al<strong>la</strong> grande vittoria di Lepanto, magnificata dall’autore secondo una<br />

mitologia del<strong>la</strong> epicità del<strong>la</strong> battaglia e del valoroso contributo di sangue offerto dai<br />

veneziani 1120 , con <strong>la</strong> nascita delle prime crepe nell’alleanza asburgico-veneziana alimentate<br />

anche dal<strong>la</strong> tutt’altro che spenta forza ottomana 1121 , Cosimo ricorda agli Spagnoli di rispettare<br />

i patti sottoscritti “essortando…al<strong>la</strong> osservanza delle cose convenute, giurate et promesse…”.<br />

In realtà gli avvertimenti del Gran Duca e <strong>la</strong> capacità spagno<strong>la</strong> di valorizzare l’insostituibile<br />

contributo veneziano in funzione antiturca, risultano tardivi per <strong>la</strong> già conclusa pace separata<br />

veneto-turca 1122 . Del resto, il Bardi poche pagine <strong>prima</strong> aveva sottolineato le gravi<br />

inadempienze compiute dagli spagnoli che avevano praticamente obbligato Venezia a<br />

risolversi in questa direzione:<br />

“Conciosia che vedendo i Veneziani, quanto gli Spagnoli fossero proceduti lentamente negli<br />

apparati del<strong>la</strong> guerra, che erano apsettanti alle parti loro, et come più tosto pareva che<br />

ambissero <strong>la</strong> desso<strong>la</strong>tione del<strong>la</strong> Rep. che altrimenti, tra<strong>la</strong>sciata <strong>la</strong> tanta sollecitudine di<br />

armare, avevano imposto al Barbaro, che trattasse con ogni miglior conditione <strong>la</strong> pace tra <strong>la</strong><br />

Rep. et il Turco, allegando se essere esposti a desiderare <strong>la</strong> pace per molti respetti, ma in<br />

partico<strong>la</strong>re per essere necessariamente astretti a far spese maggiori delle forze loro[…]Si<br />

aggiungeva poi a tutte queste difficoltà, che le forze del Turco erano cresciute in modo, che<br />

non haveriano potuto i Veneziani da se stessi farli resistenza, et aspettare i tardi aiuti de’<br />

confederati non gli metteva conto; perché in quel mezzo, che essi fossero giunti, haveriano<br />

potuto et essi , et tutta Italia insieme havere tal danno dal Turco, che non haveriano potuto<br />

mai più darvi rimedio.[…]Per queste, et altre onestissime ragioni, si risolse quel Senato di<br />

volere far pace con Selimo, <strong>prima</strong> che per <strong>la</strong> tardanz adegli aiuti forestieri, andassero tutte le<br />

cose in rovina…” 1123 .<br />

Inequivocabili i termini di giustificazione del<strong>la</strong> decisione veneziana da parte del Bardi che<br />

conferma <strong>la</strong> sua propensione antispagno<strong>la</strong> e mostra pertanto come già prospettato, una<br />

sostanziale convergenza con tutte le fasi del<strong>la</strong> politica veneziana sostenute in <strong>prima</strong> battuta da<br />

Niccolò da Ponte e dal Consiglio dei Dieci, dal<strong>la</strong> stipu<strong>la</strong>zione del<strong>la</strong> Lega Santa al<strong>la</strong><br />

1119 In proposito ivi a p. 1911 leggiamo come Cosimo “dimostrò al Pontefice…quanto fosse necessario per lo<br />

interesse comune del Cristianesimo, et del<strong>la</strong> Italia massime, che si ponesse ogni studio in fare che <strong>la</strong> Lega<br />

avesse fine tra <strong>la</strong> Chiesa, et il Re di Spagna, et <strong>la</strong> Rep. di Venezia, poiché ogni picciol danno , che intervenisse a<br />

quel<strong>la</strong> Repubblica, era di grandissimo detrimento al<strong>la</strong> Cristianità, et al<strong>la</strong> Italia in Partico<strong>la</strong>re…”. Inoltre dopo<br />

<strong>la</strong> formazione del<strong>la</strong> Lega dopo lo scontro di Lepanto l’autore ricorda in modo elogiativo l’invio granducale di<br />

alcune galee a sostegno del<strong>la</strong> Lega veneziano-sapgno<strong>la</strong> alle pp. 1989-1990<br />

1120 Ivi, in proposito rinviamo alle pp. 1959-1980.<br />

1121 In proposito, ivi, vedi p. 2027 dove Venezia fatica lungamente a convincere gli Spagnoli ad unire le forze<br />

navali per attaccare nuovamente i Turchi che si stavano rinforzando e martel<strong>la</strong>vano le isole veneziane sottolinea<br />

infatti l’autore: “Nel che ritrovando anco qualche durezza, finalmente dopo molte cavillose consulte, con gran<br />

biasimo del<strong>la</strong> militia de nostri tempi, permisero gli spagnoli che col Soranzo si partissero da Messina, venti<br />

delle loro galere sottili…”. Del resto anche nel<strong>la</strong> narrazione concernente <strong>la</strong> formazione del<strong>la</strong> Lega del 1538 con<br />

Carlo V il Bardi aveva ricordato i sospetti veneziani sul<strong>la</strong> buona fede dell’imperatore a cui era seguito l’inizio<br />

delle trattative con Solimano quando il Doria torna con il suo esercito in Italia “onde vennero poi a sospettare<br />

piùi soldati veneziani, che il Doria veramente per ordine di Cesare nonavesse voluto combattere, per <strong>la</strong>sciare i<br />

veneziani in continova guerra col turco, et vedere il mal loro[…] essendo entrato nel pensiero de Veneziani, che<br />

<strong>la</strong> tardanza del Doria, et il non aver voluto combattere in così bel<strong>la</strong> occasione, non fosse stata fatto per altro,<br />

che per cupidigia di annichi<strong>la</strong>re le forze del<strong>la</strong> Rep. per poter<strong>la</strong> più facilmente deprimere.” alle pp. 1201-1202<br />

sul<strong>la</strong> pace cfr. ivi p.1218 a cui segue <strong>la</strong> rotta di Carlo V ad Alfieri a p. 1219-1291 dove i suoi errori costati molte<br />

vittime tra gli italiani a p. 1221 sono messi in evidenza dal<strong>la</strong> seguente considerazione “Andrea Doria che aveva<br />

di quest’impresa (come huomo di mare) disconsigliato molto lo Imperatore…”. Sui motivi di divisione con gli<br />

spagnoli sia nel 1537-40 sia nel 1570-1573 cfr. F. Chabod, Venezia nel<strong>la</strong> politica italiana del Cinquecento, cit.<br />

1122 Ivi, Passo a p. 2047.<br />

1123 Ivi, passo alle pp. 2040-2041.<br />

242


conclusione del<strong>la</strong> Pace separata. Adesione decisamente confermata dal racconto<br />

dell’ambasciata dello stesso Da Ponte a Roma per spiegare al pontefice Gregorio XIII le<br />

ragioni veneziane. Motivazioni ribadite dal<strong>la</strong> successiva spiegazione del doge Mozanigo che<br />

giustifica, sia <strong>la</strong> scelta di creare <strong>la</strong> Lega, sia l’uscita dall’alleanza per i troppi e smisurati<br />

sacrifici sostenuti da Venezia rispetto agli altri confederati, i cui ritardi avevano compromesso<br />

tutti i vantaggi acquisiti a Lepanto 1124 . Partico<strong>la</strong>rmente significativo per il tono celebrativo del<br />

resoconto del<strong>la</strong> missione romana del Da Ponte rafforzato dall’antitesi tra <strong>la</strong> vecchiaia fisica<br />

del patrizio veneziano e <strong>la</strong> velocità fisica e <strong>la</strong> capacità persuasiva con cui compie <strong>la</strong> propria<br />

missione:<br />

“Onde fu subito ispedito dal Senato, Nicolò da Ponte, vecchio di ottanta quattro anni, che<br />

andasse ambasciatore al Papa per informarlo delle cagioni, che lo avevano sforzato a fare<br />

questa pace con il Turco; et scusandosi esso per <strong>la</strong> vecchiezza era male atto a fare questo<br />

viaggio, gli fu dal Senato replicato, che si voleva che a ogni modo egli andasse, perché non<br />

potevano trovare, chi meglio di lui potesse, o sapesse servire al<strong>la</strong> sua Patria, in negozio di<br />

tanta importanza, et perché il Pontefice sdegnato, non solo non voleva ascoltare lo<br />

ambasciatore ordinario di Venezia, ma pareva anco ch’ei non volesse ch’egli stesse più in<br />

Roma; due giorni dopo <strong>la</strong> ellettione si partì il Ponte da Venezia, con somma prestezza (che<br />

saria stato difficile ad un gagliardo giovine, non che a un vecchio di quel<strong>la</strong> età) in sei giorni<br />

corse meglio di trecento miglia, e giunto a Roma…con una grave, et copiosa, et chiara<br />

oratione ragguagliò talmente il pontefice del<strong>la</strong> necessità, che aveva astretta quel<strong>la</strong><br />

Repubblica a fare quel<strong>la</strong> pace, che non so<strong>la</strong>mente acquietò con le vive ragioni l’animo<br />

alterato del Papa, ma lo mosse anco a <strong>la</strong>udare <strong>la</strong> fatta pace, come necessaria al<strong>la</strong> salute e<br />

al<strong>la</strong> conservatione del<strong>la</strong> Repubblica.” 1125<br />

Dunque una serie di indizi che ci confortano ulteriormente sul<strong>la</strong> forte propensione veneziana<br />

del Bardi secondo una venatura chiaramente antiasburgica al di là dei continui elogi rivolti a<br />

Filippo II anche in chiusura d’opera. Pertanto non sorprende l’evidenza data all’accesso al<strong>la</strong><br />

carica di doge del Da Ponte nel 1578 che “ritrovate le cose del<strong>la</strong> città in somma pace, attese a<br />

conservarle in cotal stato” 1126 e soprattutto il tributo celebrativo speso per lui e per tutto il<br />

patriziato veneziano nelle pagine conclusive dell’Opera dove <strong>la</strong> panoramica di personaggi<br />

veneziani di rilievo occupa uno spazio aasolutamente prevalente rispetto a quello dedicato<br />

agli altri organismi politici europei. Il Bardi ribadisce <strong>la</strong> celebrazione del mito di Venezia<br />

modello inarrivabile di libertà e prudenza politica attraverso il viver civile del suo popolo e <strong>la</strong><br />

prudenza politica del suo patriziato, insostituibile propugnacolo delle libertà italiche.<br />

Asserisce, infatti l’autore che:<br />

“passando oramai in Italia diremo, potentissimi di tutti gli altri ritrovarvisi i Veneziani, i<br />

quali per lo splendore delle cose fatte da’ loro maggiori, et per <strong>la</strong> moltitudine de gli uomini di<br />

alto affare, che vi sono stati in ogni tempo, vengono comunemente reputati l’ornamento et il<br />

propugnacolo d’Italia. Questi regnato per lungo spatio di tempo in forma Rep.…avendo in<br />

Italia e fuori uno Stato floridissimo, et copioso di tutti i comodi. Et si come di prudenza Civile<br />

eccedono tutti gli altri popoli del mondo; essendo gravi di consiglio, nel<strong>la</strong> fortuna avversa<br />

costanti, et nel<strong>la</strong> prospera moderati, hanno comunemente tutti uno incredibile, et uniforme<br />

desiderio di mantenere <strong>la</strong> propria libertà, che già mille e poco meno di dugento anni sono,<br />

liberatisi dal<strong>la</strong> crudeltà de’ Barbari settentrionali, che inondarono l’Italia, si hanno sempre<br />

1124 Ivi, pp. 2042-2043.<br />

1125 Ivi, passo riportato a p. 2043, sul<strong>la</strong> missione del Da Ponte cfr. anche Sommario a p. 197 in cui l’autore dice<br />

che i “veneziani…dimostrarono colPapa mediante <strong>la</strong> desterità di Paolo Thiepolo, et di Nicolò Da Ponte<br />

Ambasciatori del<strong>la</strong> loro Rep. le cagioni che <strong>la</strong> indussero a far pace.”<br />

1126 Ivi, passo a p. 2181. Ivi, infatti l’elogio complessivo dell’ex camaldolese si protrae nelle pp. 2212-2215 e<br />

riprende nelle pp. 1217-1222, passo riportato alle pp. 2212-2213.<br />

243


conservati liberi: La onde vestendo con gli abiti lunghi, dicono liberamente il parere loro in<br />

Senato, istudiandosi ogni uno di intendere, et di valere nel<strong>la</strong> cognizione de governi di stato, et<br />

di qui è avvenuto, che si sono sempre ritrovati, et tuttavia si ritrovano fra loro molti uomini<br />

riguardevoli de’ quali intorno al governo di stato sono fra tutti reputati singo<strong>la</strong>ri: Nicolò da<br />

Ponte al presente Doge del<strong>la</strong> Rep. il quale et con il mezzo del<strong>la</strong> prudenza civile, et con <strong>la</strong><br />

propria vrtù, asceso con un perpetuo corso di felicità al più supremo honore del<strong>la</strong> Repubblica<br />

è dotato di cognizione, et d’intelligenza di lettere filosofiche…” 1127 .<br />

Del resto, un ultimo aspetto non trascurabile del<strong>la</strong> narrazione bardiana, stante <strong>la</strong> recisa<br />

condanna dell’eresia ugonotta in Francia e dei re<strong>la</strong>tivi conflitti religiosi in atto, riguarda il<br />

modo in cui attraverso alcuni elementi traspaia quasi un anelito di ottimismo sulle vicende<br />

transalpine collegato all’ascesa al trono di Enrico III. Oltre al<strong>la</strong> descrizione del<strong>la</strong> fastosa e<br />

cordiale accoglienza veneziana per il passaggio del sovrano che torna in Francia per prendere<br />

<strong>la</strong> corona dopo aver rinunciato al trono po<strong>la</strong>cco 1128 , significativo è il giudizio finale espresso<br />

dal Bardi sul<strong>la</strong> situazione francese e su Enrico III:<br />

“Signoreggia nel<strong>la</strong> Francia Arrigo di tal nome terzo, il quale se bene né di senno, né di<br />

consiglio non par che vaglia molto, essendo immerso so<strong>la</strong>mente ne’ piaceri: tuttavia ne tempi<br />

addietro mentre era Duca d’Angiò, fatte alcune attioni illustri, si acquistò <strong>la</strong> gratia di tutti, et<br />

fu in opinione comunemente di ogni uno di essere principe di alto affare, et di molta prudenza<br />

dotato. Questi inviluppato in tutto quel Reame in diverse revolutioni, et travagli, non ha mai<br />

sentito altro che molestie[…]Tuttavia retto fra tante difficoltà dal prudente consiglio del<strong>la</strong><br />

madre, del Duca di Numera, et di molti altri Signori, è andato a poco a poco rimovendo molte<br />

di quelle difficoltà, che <strong>prima</strong> lo circonvenivano, avendo appresso di sé molti uomini<br />

singo<strong>la</strong>ri, come il marescial di Araz de’ Gondi di Firenze, Filippo Strozzi, il Duca di<br />

Nivers…” 1129<br />

Certamente non è un giudizio apologetico e tuttavia, si sorge <strong>la</strong> speranza di un superamento<br />

delle divisioni che invece ancora a lungo avrebbero travagliato <strong>la</strong> <strong>storia</strong> e <strong>la</strong> vita francese.<br />

Inoltre, non può sfuggire l’elogio al partito fiorentino legato fortemente al<strong>la</strong> madre di Enrico<br />

III, Caterina de’ Medici che nelle speranze dell’autore potrebbe guidare il sovrano ed i destini<br />

del<strong>la</strong> Francia verso quel<strong>la</strong> ricomposizione e quel rafforzamento tanto necessari in ambito<br />

europeo per controbi<strong>la</strong>nciare <strong>la</strong> soverchiante egemonia spagno<strong>la</strong>. La citazione di questi nomi,<br />

nell’ultimo ventennio del XVI secolo, tuttavia, non comporta più automaticamente una cifra<br />

avversa al Granduca di Firenze e non solo per i passi tutt’altro che antimedicei de Le età.<br />

Infatti, proprio l’antimachiavellismo di stampo francese funzionale a delegittimare eticamente<br />

l’immagine del partito fiorentino a corte per indebolirne il potere e l’influenza e trovare un<br />

capro espiatorio delle difficoltà interne, indicando proprio nel Gondi e nel<strong>la</strong> regina madre gli<br />

artefici del<strong>la</strong> strage di S. Bartolomeo, produce un effetto di ricompattamento in chiave<br />

difensiva contro gli attacchi all’elemento fiorentino in quanto tale, che accantona <strong>la</strong><br />

pregiudiziale del regime politico vigente a Firenze 1130 . Pertanto, una storiografia bardiana<br />

1127 Ivi, infatti l’elogio complessivo dell’ex camaldolese si protrae nelle pp. 2212-2215 e riprende nelle pp.<br />

1217-1222, passo riportato alle pp. 2212-2213.<br />

1128 Ivi, sul<strong>la</strong> visita di Enrico III a Venezia nel 1574, pp. 2062-2063 in partico<strong>la</strong>re a p. 2063 leggiamo sul<strong>la</strong><br />

sensazione suscitata dall’apparizione del re francese: “partitosi se ne passò poi in Francia; avendo ripiena <strong>la</strong><br />

città di Venezia, et tutti gli altri luoghi di molto contento.”<br />

1129 Ivi, passo alle p. 2209-2210.<br />

1130 In questo senso, si spiega anche <strong>la</strong> menzione di Iacopo Corbinelli tra i grandi intellettuali legati al Gran<br />

Duca Francesco nekll’ambito del<strong>la</strong> lode rivolta a quest’ultimo ivi nelle pagine 2216-2217 dove leggiamo: “si<br />

vede oggidì in Italia con molta potenza Francesco de’ Medici Gran Duca di Toscana, il quale dominando con<br />

titolo di grnade, le Rep. di Firenze, di Siena, et DI Pisa…è reputato fra tutti gli altri Principi d’Italia, et per <strong>la</strong><br />

grandezza dello Stato, et per <strong>la</strong> copia delle genti, et per <strong>la</strong> moltitudine de’ denari, di molta autorità, et di molto<br />

valore.Questi…ha appresso di sé molti uomini grandi…Guido Guidi, Francesco Buonamico, Pietro Rucel<strong>la</strong>i,<br />

244


assai lontana dalle propensioni teutoniche sostenute nel<strong>la</strong> Storia D’Europa su una falsariga<br />

per molti aspetti analoga a quel<strong>la</strong> bartoliana. Motivo sostanziale che come accennato avvicina<br />

molto di più <strong>la</strong> storiografia di Lodovico Guicciardini a quel<strong>la</strong> del canonico <strong>la</strong>urenziano.<br />

4. Natale de’ Conti<br />

La linea di sostanziale almeno formalmente ineccepibile condivisione del<strong>la</strong> Controriforma e<br />

dell’egemonia spagno<strong>la</strong> nel<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong> sarebbe stata riproposta con ben altra veemenza e<br />

uni<strong>la</strong>teralità rispetto alle oscil<strong>la</strong>zioni bardiane nell’opera di un altro storico, romano di origini,<br />

ma veneziano d’adozione Natale De’ Conti 1131 : Hi<strong>storia</strong>e sui temporis 1132 . L’autore rintraccia<br />

in Paolo Giovio il suo principale riferimento a livello, sia di arco storico, sia di priorità<br />

problematiche fin dal<strong>la</strong> <strong>prima</strong> pagina del<strong>la</strong> sua opera. Infatti, <strong>la</strong> narrazione storica contiana<br />

parte proprio dal periodo di pace tra Spagna e Francia seguito al trattato di Crepy punto nel<br />

quale si interrompono le Hi<strong>storia</strong>e gioviane 1133 . Al di là del risultato raggiunto rispetto al<br />

modello di riferimento anche il De Conti sceglie quale asse portante delle dinamiche storicopolitiche<br />

continentali in atto, il permanente conflitto franco-asburgico soltanto<br />

temporaneamente sopito a cui si intersecano <strong>la</strong> guerra smalcaldica e l’ultima fase delle guerre<br />

d’Italia. Sui contrasti confessionali che <strong>la</strong>cerano l’impero germanico evidente appare <strong>la</strong><br />

condanna dell’eresia protestante e del<strong>la</strong> ribellione dei principi smalcaldici dei quali comunque<br />

il Conti sottolinea <strong>la</strong> notevole forza militare peraltro in linea con le notazioni gioviane 1134 .<br />

L’autore mette in primo piano le chiare ambizioni politiche che animano il <strong>la</strong>ngravio d’Assia<br />

e Giovan Federico di Sassonia, sostenuto anche dal<strong>la</strong> tradizione degli imperatori del<strong>la</strong> casa di<br />

Sassonia:<br />

“His tot populorum urbiumque; Smalcaldicae foederationis auxilijs e<strong>la</strong>ti Philippus<br />

Lantgravius et Federicus Saxonum Dux, Principes nobilitate, potentia, autoritate praestantes,<br />

ut qui sibi viderentur ita plurimum posse suos terminos di<strong>la</strong>tare, sua fortuna minime contenti,<br />

ad maiora aspirare incipiunt. Visum est autem optime consuli rebus tam potentis<br />

foederationis, si imperium etiam ad novam il<strong>la</strong>m religionem detorquerent, ut non solum<br />

potentia, sed etima dignitate Imperatoria foederationem insignirent. Ad illud consiluim<br />

capiendum incitabat Federicum veterum Imperatorum suae familiae recordatio; cum duo<br />

Henrici, tres Otthones, et nuper Lotarius atque Adulphus in memoriam veniebant, ad quos<br />

omnes e sua familia imperium fuerat de<strong>la</strong>tum. Confirmabant vero in ea sententia preter<br />

federatos multae etiam cum externis principibus amicitiae, et affinitates. Atque ut manifestius<br />

belli Germanici magnitudo appareat, et quantae fuerat difficultatis Germaniam vincere, quae<br />

Paolo Mini…Iacopo Corbinelli, Borghini, Silvano Razzi, Adriano Adriani…Scipione Ammirato, Giovambattista<br />

Strozzi il Giovane…” altrimenti incomprensibile in quanto il Corbinelli esule antimediceo al<strong>la</strong> corte di Francia da<br />

molti anni in proposito rinviamo a P. Simoncelli, La lingua di Adamo, cit., ivi in partico<strong>la</strong>re III capitolo.<br />

1131 In proposito rinviamo al<strong>la</strong> re<strong>la</strong>tiva voce Conti Natale di R. Ricciardi in DBI, vol. XXVIII, Roma, 1983, pp.<br />

454-457, in partico<strong>la</strong>re sulle origini del De Conti, p. 454.<br />

1132 Natalis Comitis Universa Hi<strong>storia</strong>e sui temporis libri triginta. Ab anno salutatis nostrae 1545. usque ad<br />

annum 1581. Cum duobus Indicibus Laurentij Gotij civis Veneti: Altero Antiquorum et recentium nominum<br />

variorum locorum…, Venetiis, Apud Damianum Zenarum, MDLXXXI.<br />

1133 Ivi, a p. 1: “Nos igitur his ita cognitis, dabimus operam pro viribus, ut ea cognoscantur, que gesta sunt<br />

ubique gentium, ab iis temporibus et rebus gestis incipientes, quae scripta Pauli Iovij attigerunt:<br />

persequemurque ad ea usque tempora[…]Gallia itaque, omnis, et Italia, et reliquiae orbis terrae provinciae,<br />

gentes, imperia, suavissima tranquillitate perfruebantur, cum pax inter duos potentissimos Christianorum<br />

principes fuisset composita…”<br />

1134 Ivi, passo alle pp. 5-6 in cui si par<strong>la</strong> del<strong>la</strong> risoluzione dell’imperatore a produrre il massimo sforzo bellico:<br />

“atque um multa esssent, quae ab huiusmodi provincia Caesaris animum possent revocare, deterreque a tanta<br />

mole bellorum, coniuratorum esimia opulentia scilicet, excellens observantia rei disciplinaeque militaris,<br />

peditum et equitum armatorum ingens numerus…”<br />

245


non nisi suis armis posse superari; quippe quod he una provincia multo plures exercitus<br />

Romanorum profligasse dicatur…” 1135<br />

Il Conti è consapevole che <strong>la</strong> Germania costituisca il fulcro dell’impero, come dimostra<br />

anche <strong>la</strong> successiva descrizione geografico-economica volta ad evidenziarne <strong>la</strong> ricchezza di<br />

metalli, il florido sviluppo urbano, il gran numero di città libere 1136 . Dato sancito anche<br />

storicamente dal<strong>la</strong> trans<strong>la</strong>tio del diritto di elezione imperiale attribuito dai pontefici ai principi<br />

tedeschi al tempo di Ottone III 1137 , in controtendenza rispetto al<strong>la</strong> posizione espressa in merito<br />

dal Bardi. Tuttavia, entrambi gli storici, indicano <strong>la</strong> responsabilità protestante nel provocare <strong>la</strong><br />

guerra con Carlo V. I principi territoriali tedechi, infatti, agiscono in f<strong>la</strong>grante vio<strong>la</strong>zione delle<br />

leggi fondamentali dell’impero e per non subire il bando imperiale punizione giuridicamente<br />

necessitata per i reati commessi, assaltano gli amici dell’imperatore 1138 .<br />

Tuttavia, <strong>la</strong> potenza militare smalcaldica non si accompagna ad una pari capacità strategica<br />

di afferrare le occasioni propizie non sfruttate dal titubante Langravio d’Assia che non ha il<br />

coraggio di attaccare l’imperatore 1139 . Di contro a questa reiterata mancanza di risoluzione e<br />

capacità tattico-militare emerge <strong>la</strong> grandezza di Carlo V, chiaramente protetto dal<strong>la</strong> volontà<br />

divina che sancisce <strong>la</strong> sconfitta delle soverchianti forze tedesche, in primo luogo sassoni:<br />

“Enimvero mirabile fuit illud, quod Caesar non modo tam confusas, et fluctuantes res<br />

Germanicas composuerit, verum etiam quod illud fecerit intra tam breve spatium, ut<br />

incredibile prope videri possit, cum tantae vires in illum insurgerent, quantas vix ul<strong>la</strong> humana<br />

potentia multis annis potuisset infringere et profecto adversus alias omnes vires Christianas<br />

potuissent, resistere, siquis voluisset adversus tantam federationem iniqua arma importare,<br />

sed ubi quis contra aequitatem legesque pugnat, Deum habet adversarium plerunque, cuius<br />

potentiae qui exercitus, quae c<strong>la</strong>sses, qui armati, quae astra, qui imperatores possent<br />

resistere? Nam et Roma orbis terrae prope domina tanti esse duxit Rhenum transire, ut cum<br />

Iulius Caesar id fecissset, supplicationes Diis immortalibus decretae sint, et Carolus<br />

cognomento Magnus appel<strong>la</strong>tus triginta annos asumpsit in perdomanda Saxonia, cum<br />

Carolus quintus eius nominis imperator universam Germaniam intra quindecim mensium<br />

spatium subiugaverit.” 1140<br />

Appare ancora una volta più <strong>la</strong>mpante pertanto l’eccentricità del<strong>la</strong> prospettiva del<br />

Giambul<strong>la</strong>ri che assume <strong>la</strong> tradizione imperiale del<strong>la</strong> casa di Sassonia come fulcro del<strong>la</strong> sua<br />

storiografia mentre il Conti condannando le mire di egemonia imperiale del duca di Sassonia,<br />

colpisce proprio quel<strong>la</strong> stessa tradizione imperiale su cui il Duca fonda le proprie<br />

1135 Ivi, passo cit.a p. 3.<br />

1136 Ivi, p. 3-4.<br />

1137 Ivi, a p. 4 leggiamo: “Nam facultas eligendi Imperatoris ex Italia primum in Germaniam tras<strong>la</strong>ta est a<br />

Gregorio Quinto Pontifie Maximo, cum fuisset expulsus a Romanis anno salutatis nostrae quarto post<br />

noningentos et octaginta: quem postea Ottho in Italiam cum exercitu transgressus sedi apostolicae restituit. Ea<br />

de causa pontifex Germanus per arma Germanica in imperium restitus consulente etiam ipso Ottone faultatem<br />

erigendi imperatoris Romanis ereptam ad suos Germanos transtulit.”<br />

1138 Ivi, cfr. p. 5: “et quoniam multa contra leges imperatorias patriasque commissisent, neglecta Augusti<br />

Imperatoris autoritate, Philippus Lantgravius et Federicus hostes imperj iudicarentur, iisque; indiceretur<br />

imperatorium exilium. Nam Caesar quamvis egre ferebat contemptum imperii, et catholice religionis per eam<br />

provinciam magis ac magis in dies serpere, firmioresque radices agere, quae superioribus temporibus tanta<br />

observantia iustitiam, ac pietatem coluisset, tamen cum modo Pannonicis, modo Numidicis bellis distraheretur,<br />

neque tunc quidem rem il<strong>la</strong>m aggressus esset, nisi vel post exilium acrius odium exarsisset, multaque damna<br />

cesariensis amicis fuissent il<strong>la</strong>ta, ac neque ab imperatoriis quidem urbibus sibi temperatum fuisset.”<br />

1139 Ivi, p. 13: “Philippus ob imperitiam rei militaris tam opportunam invadendi hostis facultate praetermittens<br />

postea inductus est in summas difficultates cum rerum omnium iactura. Non enim in colligendis magnis<br />

exercitibus solum, aut in comparandis c<strong>la</strong>ssibus, aut castris in putissimo loco legendis, et muniendis consistit<br />

virtus imperatoria, sed multo magis in arripiendis opportunitatibus, quae sese offerunt rei praec<strong>la</strong>re gerendae.”<br />

1140 Ivi, p. 57, cfr. inoltre sul<strong>la</strong> protezione divina di cui gode Carlo V p. 25.<br />

246


ivendicazioni. Giambul<strong>la</strong>ri infatti, nel<strong>la</strong> sua prospettiva filoasburgica, appare quantomeno<br />

favorevole ad un compromesso tra principi protestanti e imperatore come osservato. Carlo V<br />

invece viene collocato nelle parole del De Conti al di sopra di Cesare e Carlo Magno, proprio<br />

in virtù del<strong>la</strong> protezione divina che ne guida le azioni ed il successo contro quei Sassoni che<br />

gli altri due personaggi ben più a lungo avevano dovuto fronteggiare e combattere. Sassoni<br />

che vengono nel De Conti proposti in una prospettiva perfettamente capovolta rispetto al<strong>la</strong><br />

Storia d’Europa dove sono caratterizzati quali beneficiari del<strong>la</strong> provvidenza divina e<br />

principali attuatori dei suoi disegni.<br />

Peraltro, sul modo di considerare Carlo V, il Conti marca una netta differenza anche<br />

rispetto al Bardi. Differenza inoltre, che sembra avvalorata dal consenso che l’autore offre<br />

all’interim di Augusta promosso da Carlo V nel 1548, almeno riguardo alle intenzioni<br />

dell’atto, e dal giudizio espresso su Paolo IV e <strong>la</strong> guerra contro <strong>la</strong> Spagna, integralmente<br />

ricalcato sui teoremi del processo ai nipoti del pontefice napoletano da Pio IV. L’Interim<br />

viene letto come provvedimento temporaneo, comunque adottato nell’ottica del pieno<br />

ristabilimento del cattolicesimo, possibile soltanto attraverso il pieno espletamento dell’opera<br />

conciliare 1141 .<br />

A proposito di Paolo IV cadono le oscil<strong>la</strong>zioni e le sfumature bardiane, ed emerge<br />

l’immagine di un Carafa papa santissimo nel<strong>la</strong> sfera spirituale, e tuttavia iracondo e testardo a<br />

causa del<strong>la</strong> sua veneranda età. Sobil<strong>la</strong>to dal nipote, sospetta ingiustamente di Filippo ed agisce<br />

quasi in maniera tirannica a Roma. Avulso dal campo temporale, Paolo IV prende in questo<br />

ambito decisioni sostanzialmente fal<strong>la</strong>ci, fino a determinare lo scoppio del<strong>la</strong> guerra contro<br />

Filippo II del tutto incolpevole e ben disposto verso il pontefice, su istigazione dei nipoti 1142 .<br />

Questi ultimi pertanto giustamente sono poi scacciati dal pontefice da Roma e, dopo <strong>la</strong> sua<br />

morte, condannati nel processo intentato da Pio IV 1143 . Condanna pienamente condivisa<br />

dall’autore come si evince dal puntuale elenco dei torti compiuti dai Carafa, dal<strong>la</strong> difesa del<strong>la</strong><br />

decisione di Pio IV (nonostante contravvenga in questo modo alle garanzie loro promesse<br />

durante il conc<strong>la</strong>ve che lo avrebbe designato al soglio pontificio) 1144 e dal<strong>la</strong> considerazione<br />

sul<strong>la</strong> riabilitazione di Pio V, che non mette in discussione in nessun modo <strong>la</strong> sostanziale<br />

veridicità del verdetto del precedente pontefice:<br />

1141 Ivi, a p. 61 “In Augustanis comitiis, quoniam il<strong>la</strong> instituta fuerant a Caesare, ut col<strong>la</strong>psa religio in<br />

Germania instauraretur profligarenturque; hereses, multa pertractata sunt ad cultum divinum pertinentia, atque<br />

quoniam nullo pacto inter se de iis rebus convenire poterant, quidam Caesar perscripsit quae servanda censeret,<br />

quaedam concessit, donec de illis fieret concilij decretum, atque hanc formu<strong>la</strong>m Interim appel<strong>la</strong>runt.”<br />

1142 Ivi, leggiamo a p. 199: ”quare monebant ut sibi cavaret ab Hispana faccione, hec tametsi videbantur esse<br />

viro sapienti non negligenda, tamen non debebant esse tanti, ut incognita causa statim ad maximorum regum<br />

inimicitiam suscipiendam possent impellere, et ad privatos cives sunt tqnquam columnae principum<br />

sublimitatem suis humeris sustinentes, sed etiam quia vix est atrocis tyrannidis quavis minima suspicione, que<br />

nul<strong>la</strong> probabili causa fulciatur, ita commoveri, ut ad exitium internecionemque civium, et honestarum<br />

familiarum infamiam procedatur. Haec autem contingebant, quia Pontifici falso persuasum fuerat, quod<br />

Philippus rex et ipsum, et Carafam purpuratum per nonnullos Neapolitanos Garzie opera interfici curaret, atque<br />

Nannio Abbati viro Apulo caput amputatum est, quod venenum dictus est paravisse, cum esset cubicu<strong>la</strong>rius<br />

secretus, nam Mattheus stendardus Pontifici nepos nuntiaverat se venenum in inferiore culina Pontificis<br />

reperisse, enimvero cum multi viri sapientes Pontificium ipsum ab ea falso suscepta opinione deducete<br />

conarentur, vellentque demonstrare hanc esse apertissimam nonnullorumque malitiam, et calunniam, quia<br />

Philippus optime esset affectus erga dignitatem Pontificiam, neque esset quidpiam, vel c<strong>la</strong>m, vel pa<strong>la</strong>m nul<strong>la</strong><br />

presertim accepta inuria moliturus, nunquam ab il<strong>la</strong> opinione dimoveri potuit, est enim id sive naturae vitio<br />

insitum plerisque senibus, sive consuetudine quibusdam confirmatum, sive ex imperia rerum, ut, ubi esacerbati<br />

fuerint, vel aliquam opinionem, sue bonam, seu ma<strong>la</strong>m imbiberint, nullis omnino rationibus dimoveantur. Illud<br />

vero contingit plerunque imperitis rerum humanarum, qui pertinaciam ac temeritatem pro constantia<br />

complectuntur his accedabat, quod Ponifex natura esset iracundus, ac pene imp<strong>la</strong>cabilis hisce suspicionibus<br />

commotus iubet nonnul<strong>la</strong>s peditum cohortes con scribi ad sui corporis custodiam…”<br />

1143 Ivi, sui delitti compiuti dai Carafa e sul<strong>la</strong> loro caciata a cui si contrappone <strong>la</strong> santità dei provvedimenti<br />

adottati dal Pontefice in campo spirituale in materia inquisitoriale e libraria, vedi pp. 261-264 e 269-270 e 274.<br />

1144 Ivi, sul<strong>la</strong> condanna e sull’esecuzione p. 274 e sul<strong>la</strong> difesa del<strong>la</strong> risoluzione di Pio IV in partico<strong>la</strong>re l’autore<br />

ivi scrive: “Sed tamen ita sit divino instituto ut homicidarum ultores inopinantes inveniant, atque malorum<br />

hominum ma<strong>la</strong> munera in ipsos <strong>la</strong>rgitore convertantur.”<br />

247


“condemnationem Carafarum rescindit. Revocat quae adversus illos a Pio Quarto facta<br />

fuerant, iubet Carafica insignia erigi, ubi fuerant devastata, imperata revocationem fieri<br />

sententiae et condemnationis, sed ex ea parte tantum qua videbatur infamia in innocentes aut<br />

posteros redundare…” 1145 .<br />

Tuttavia, nel seguito, <strong>la</strong> beatificazione di Carlo V viene sminuita dai sospetti nutriti dai<br />

principi tedeschi che <strong>la</strong> mancata liberazione del <strong>la</strong>ngravio d’Assia e il tentativo di far eleggere<br />

Filippo come imperatore del Sacro Romano Impero in base al<strong>la</strong> auspicata remissione del<strong>la</strong><br />

corona di Re dei Romani da parte di Ferdinando, siano dettati dal<strong>la</strong> smodata ambizione di<br />

Carlo piuttosto che dal<strong>la</strong> sua convinzione religiosa 1146 . In secondo luogo, nonostante gli elogi<br />

rivolti a Filippo, è indicativa <strong>la</strong> giustificazione del<strong>la</strong> pace separata contratta dai Veneziani con<br />

gli Ottomani nel 1573, provocata appunto dall’ambiguità spagnole e dal<strong>la</strong> preoccupazione che<br />

Venezia si rafforzi nel Levante minando in qualche modo l’ampiezza dell’egemonia spagno<strong>la</strong><br />

in Italia e nel Mediterraneo 1147 .<br />

Peraltro, nel<strong>la</strong> versione <strong>la</strong>tina non abbiamo riscontrato alcuni passi che presentano una<br />

valenza antispagno<strong>la</strong> non del tutto repressa che invece troviamo nel<strong>la</strong> volgarizzazione del<br />

1589 svolta da Giovan Carlo Saraceni che contiene anche tre libri in più 1148 . Egli, oltre a<br />

completare l’opera del De Conti con “opportune postille…e due copiosissime tavole” come<br />

scrive nel<strong>la</strong> dedica del<strong>la</strong> sua traduzione al senatore Jacopo Soranzo, opera alcune integrazioni<br />

tutt’altro che accessorie, le quali alterano <strong>la</strong> prevalente neutralità e <strong>la</strong> pianezza contiana 1149 . In<br />

partico<strong>la</strong>re il racconto dell’episodio del<strong>la</strong> morte di Don Carlos posto dopo l’incipit del libro<br />

XIX sugli arresti di Strael e del consigliere del duca d’Agamonte ad opera del duca d’Alba nel<br />

De Conti, viene preceduto nel Saraceni da una digressione sui delitti perpetrati dai tiranni per<br />

perpetuare e garantire il loro arbitrio. Come non leggere un’allusione ad un coinvolgimento<br />

diretto di Filippo nel<strong>la</strong> morte del figlio raccontata nel<strong>la</strong> pagina seguente? 1150<br />

Tanto più che il Saraceni di seguito alle considerazioni sulle nefandezze dei tiranni constata<br />

l’importanza del compito dello storico che risiede proprio nel rive<strong>la</strong>re e preservare memoria di<br />

1145 Ivi, passo riportato a p. 347.<br />

1146 Ivi, passo a p. 99 dove l’autore evidenzia il disve<strong>la</strong>mento del vero animo con cui Carlo aveva condotto <strong>la</strong><br />

guerra smalcaldica sotto pretesto di una motivazione di tipo esclusivamente religiosa, una smodtqa ambizione di<br />

imperio assoluto sull’impero germanico.<br />

1147 Ivi, cfr. pp. 512-513 con l’ambasceria del Da Ponte da Gregorio XIII illustrata in modo analogo a quanto<br />

fatto dal Bardi a p. 513, con <strong>la</strong> sottolineatura del<strong>la</strong> grande abilità nell’occasione dimostrata dal Da Ponte e<br />

sull’atteggiamento filoveneziano dell’autore riguardo al<strong>la</strong> guerra cipriota vedi Natale de’ Conti, cit., pp. 455-<br />

456.<br />

1148 Delle historie de suoi tempi di Natale de’ Conti. Parte <strong>prima</strong> e seconda. Di <strong>la</strong>tino in volgare nuovamente<br />

tradotta da M. Giovan Carlo Saraceni, in Venetia appresso Damian Zenaro, 1589.<br />

1149 Ivi, All’Illustrissimo et eccellentissimo il Signor Iacopo Soranzo…In Vinegia il primo di Gennaio<br />

MDLXXXIX. In proposito vedi Conti Natale, cit., a p. 456 e soprattutto A. Guillon in Biographie universelle, IX,<br />

Paris, 1854, pp. 121-122 e in generale F. L. Schoell, Etudes sur l’humanisme continental à <strong>la</strong> fin de <strong>la</strong><br />

Renaissance, Paris, 1926.<br />

1150 Ivi, parte seconda, cit., a p. 1-2 leggiamo: “Grave invero e molesta cosa mi pare, che gran parte de i<br />

Tiranni a benep<strong>la</strong>cito suo già cercarono non solo signoreggiare le facoltà e le vite de i privati, ma imporre<br />

etiandio leggi a l par<strong>la</strong>re, e quasi a i pensieri interni: né solo per capriccio più tosto che per ragione, voltarono<br />

sossopra il mondo: ma volsero ancora, che i loro errori, come chiarissime virtù, fossero da i popoli pregiati e<br />

celebrati; chiamando <strong>la</strong> ferigna crudeltà, giustizia regia; l’avaritia, prudenza di raccogliere e risparmiare il<br />

danaro per mantenere gl’imperij; <strong>la</strong> superbia, decoro e ritirata sopreminenza; <strong>la</strong> intemperanza, liberalità verso<br />

gli inferiori; <strong>la</strong> timidità caute<strong>la</strong>, e considerata circospettione; <strong>la</strong> sfrenata ingordigia di comandare grandezza<br />

d’animo ch’ad alte cose aspiri; i parricidij poi e le nefande uccisioni de i figliuoli, de i fratelli, de i propinqui,<br />

sicurezza di dominare; ed in somma il dispregio delle leggi divine et humane, ragione di Stato, e conservatione<br />

de i regni; quasi non possino i regni per giustizia e bontà del Principe mantenersi: e si recano a grandissima<br />

ingiuria l’udire a dire quelle cose che, che non s’arrrossiscono di fare.” con cui cfr. Natalis Comitis<br />

Hi<strong>storia</strong>rum, cit., a p. 400.<br />

248


queste scelleratezze in modo da indicare chiaramente ai capi di governo come non si deve<br />

agire 1151 .<br />

Passaggio ancora più significativo se consideriamo che apre il libro in cui viene narrato<br />

l’odio crescente e generalizzato che il duca d’Alba genera con <strong>la</strong> sua ferocia e rigidità nei<br />

Paesi Bassi, in piena convergenza questa volta con il testo in <strong>la</strong>tino del De Conti 1152 . Pertanto<br />

in questo senso, rinveniamo una forte analogia con <strong>la</strong> prospettiva bardiana quando<br />

l’atteggiamento del Duca d’Alba appare smisurato anche rispetto alle risoluzioni prese in<br />

precedenza da Carlo V quando non uccide Giovan Federico di Sassonia 1153 . Certo, sul punto<br />

specifico, l’elogio contiano al<strong>la</strong> moderazione dimostrata da Carlo segna ancora<br />

un’allontananmento dal Bardi più critico come detto verso l’imperatore. Peraltro, <strong>la</strong><br />

convergenza complessiva tra i due storici è confermata anche dal diverso e positivo giudizio<br />

dato sulle risoluzioni prese nell’impero da Ferdinando II capace di mantenere, nonostante le<br />

forti tensioni confessionali che coinvolgono tutti gli stati europei, dai Paesi Bassi al<strong>la</strong> Francia,<br />

<strong>la</strong> pace con i principi elettori agendo evidentemente da pom<strong>pier</strong>e 1154 . Del resto, ulteriori e<br />

quindi non occasionali accenti antispagnoli il De Conti li offre nel libro XXIV quando spiega<br />

<strong>la</strong> sostituzione del Duca d’Alba nelle Fiandre in base ai pessimi risultati prodotti dal suo<br />

governo:<br />

“Philippus quia res parum feliciter succederent Albano Duci, qui per nimiam severitatem<br />

irritaverat potius, quam exstinxerat ul<strong>la</strong> ex parte incendia Bellorum Belgicorum, censet eum<br />

esse ex illis finibus revocandum, quod semper maiora odia in eum succrescerent…” 1155<br />

La sostituzione del Duca tuttavia, non cambia in una situazione generale, in cui gli Spagnoli<br />

hanno perpetratato nel tempo un regime di ruberie e prepotenze via via crescenti, che per<br />

quanto parzialmente giustificate anche dai bisogni di cassa di Filippo II, hanno condotto il<br />

popolo fiammingo al<strong>la</strong> ribellione aperta contro il sovrano spagnolo. Del resto, anche <strong>la</strong><br />

successiva descrizione dei Paesi Bassi, delle qualità positive dei suoi abitanti originari e del<br />

sistema di governo vigente piuttosto ampia e tutt’altro che negativa sembra accentuare le<br />

responsabilità spagnole nell’attuale situazione di generale e incontrol<strong>la</strong>to caos in cui versa <strong>la</strong><br />

realtà o<strong>la</strong>ndese 1156 .<br />

La cifra unitaria di questa storiografia dell’ultima parte del XVI secolo, comunque, peraltro<br />

già individuabile nel Giovio e nel Bartoli, consiste nel rapporto sinal<strong>la</strong>gmatico tra questione<br />

religiosa e situazione politica come consapevolmente manifestato dal De Conti in più di un<br />

1151 Ivi, leggiamo: “Onde scatrurendo parecchi principi dell’età passata d’infiniti errori (che poco curano gli<br />

uomini da bene le false maldicenze) allora da ogn’infamia si reputavano quasi liberi e sicuri, se gl’historici non<br />

scoprissero al mondo le loro poltronerie, et odiose operazioni: perciò con severissimi editti imposero, che si<br />

ripurgassero le historie dal raccontare i falli de’ Prencipiall’altrui cura dissegnati. Ma quanto più lodevol freno<br />

sarebbe a richiamare quelli, che le città governano e signoreggiano, da tutti i malvagi pensieri, l’infamia di<br />

spietati e rei tiranni: <strong>la</strong> quale so<strong>la</strong> può da ogni scelerità so<strong>la</strong> ritardarci? […]Imperochè non è l’hi<strong>storia</strong><br />

ritrovata per adu<strong>la</strong>re, o quasi una mercantia di vanità e di bugie, o ridutto de circo<strong>la</strong>tori o Zarettoni: ma si ben<br />

come specchio del<strong>la</strong> vita humana, e vivace esemp<strong>la</strong>re del<strong>la</strong> virtù et de vitii, per informare gli huomini al viver<br />

giusto e prudente al dispetto degli tiranni; i quali non volendo il rinfacimento delle loro vergogne udire, han<br />

cercato in molti modi di occultarle.”<br />

1152 Cfr. Natalis Comitis universae hi<strong>storia</strong>e, cit., pp. 406-417 e 2-23.<br />

1153 Ivi, p. 413.<br />

1154 Ivi, p. 419 dove leggiamo : “in Germaniam vero maxima semina perturbationum excitabatur nisi Caesari<br />

prudentia ill<strong>la</strong> statim oppressiset…”.<br />

1155 Ivi, passo a p. 530.<br />

1156 Ivi, p. 531, in partico<strong>la</strong>re sulle violenze degli spagnoli l’autore scrive: “At regio Belgarum interea non multo<br />

feliciore fortuna fruebatur, cum aliae urbes modo intestinis armis propter dissensionem de religione vexarentur,<br />

modo affligerentur ab exteris, mutuasque rapinas, incursiones, caedes, incendia, popu<strong>la</strong>tiones paterentur,<br />

aliaeque; variis modis vexarentur, perferrentque multa atrocia praesertim ab Hispanis copiis. Nam cum multa<br />

stipendia deberentur Hispanis a Philippo Rege ob exhaustum regium erarium per diuturnitatem bellorum<br />

multorum annorum ex ordine assiduorum, ceptum est <strong>la</strong>borare summa inopia rei pecuniariae in illis<br />

regionis.[…]”.<br />

249


punto delle sue Hi<strong>storia</strong>rum. L’autore infatti, prendendo spunto dai conflitti religiosi scoppiati<br />

in Francia osserva a proposito delle guerre:<br />

“Nam nunquam fere so<strong>la</strong> religio fuit causa bellorum, sed vel liberior et amplior vivendi<br />

licentia expetita per simu<strong>la</strong>tionem religionis, vel immoderata libido dominandi, vel aliqua res<br />

huiusmodi mortales incitavit ad arma hostiliter suscipienda adversus resistentes, cum<br />

turpitudo desiderii, et illegittima apperentia rerum parum honestarum, aut simu<strong>la</strong>tione<br />

defendendae religionis, aut alicuius causae honestioris contegatur, quo multi et fautores<br />

inveniantur, et confluant adiutores, quia manifestam turpitudinem pauci ad modum<br />

complectuntur.” 1157<br />

Valutazione a cui consegue in modo evidente il corol<strong>la</strong>rio esposto dopo alcune pagine con<br />

riguardo al<strong>la</strong> situazione tedesca per cui <strong>la</strong> conformità del<strong>la</strong> religione è funzionale al<strong>la</strong> stabilità<br />

degli stati 1158 .<br />

Certo nel De Conti vi è una pronunciata pulsione controriformata che difficilmente<br />

possiamo ritrovare nel Giovio o nel Bartoli come dimostrano anche le veementi critiche<br />

rivolte al cardinal Madruzzo 1159 . Tuttavia, il vero punto di incontro, superiore anche al<strong>la</strong><br />

discriminante dell’ortodossia, come dimostrato anche dalle notevoli critiche rivolte al modo di<br />

condurre <strong>la</strong> crisi dei Paesi Bassi da parte spagno<strong>la</strong>, risiede nel modo in cui le problematiche<br />

religiose si affrontano a livello politico. Il piano religioso anche nel De Conti, si interseca<br />

strettamente con <strong>la</strong> sfera politica e con le idealità proprie del suo ambito secondo una<br />

prospettiva non favorevole al<strong>la</strong> Spagna ed essenzialmente filoveneziana.<br />

Di fondo, quindi, abbiamo rilevato nel<strong>la</strong> sostanza negli storici coevi e successivi del<br />

Giambul<strong>la</strong>ri motivi essenzialmente di carattere politico dietro alle stesse istanze religiose<br />

espresse, condizionate peraltro dall’ineludibile impatto del<strong>la</strong> Controriforma. Domina<br />

comunque, anche se secondo ango<strong>la</strong>zioni differenti il tema del<strong>la</strong> libertà politica italica.<br />

5. Jacques-Auguste de Thou<br />

Questo tentativo di percorso finalizzato a contestualizzare <strong>la</strong> prospettiva storiografica del<br />

Giambul<strong>la</strong>ri evidenziandone le peculiarità ed i possibili motivi di convergenza e divergenza<br />

con il panorama storiografico coevo o di poco successivo, si concluderà con Jacques De<br />

Thou 1160 che scrive le Hi<strong>storia</strong>rum sui temporis… 1161 tra <strong>la</strong> fine del XVI e i primi anni del<br />

XVII secolo.<br />

La lettera dedicataria indirizzata dal Buckley, curatore dell’edizione settecentesca inglese, al<br />

re Giorgio II, risulta già chiarificatrice dell’indirizzo perseguito dal De Thou, attraverso un<br />

parallelo istituito con <strong>la</strong> missiva scritta ad Enrico di Navarra dallo storico francese. Buckley<br />

1157 Ivi, passo a p. 237.<br />

1158 Ivi, a p. 258 leggiamo: “Nam religionis cum ceteris Christianis coniunctio et communitas plurimum facere<br />

proponebatur non solum ad divinas, sed etiam ad humanas vires coniungendas…”.<br />

1159 Conti Natale, cit., p. 456.<br />

1160 Sul quale rinviamo a C. Vivanti, Lotta politica e pace religiosa in Francia fra Cinque e Seicento, Torino,<br />

Einaudi, 1963 in partico<strong>la</strong>re ivi, nel<strong>la</strong> Parte seconda, La formazione e l’opera storiografica di Jacques Auguste<br />

de Thou, pp. 292-324, cfr. inoltre, <strong>la</strong> voce Thou (Jacques Auguste de) in Nouvelle Biographie Gènerale depuis<br />

les temps les plus reculès jusq’a nos jours…, publièe par MM. Firmin Didot Frères, Tome Quarante=Cinquième,<br />

Paris, MDCCCLXVI, pp. 255-262<br />

1161 Consultiamo l’opera storica del De Thou nell’editio princeps: quel<strong>la</strong> inglese del<strong>la</strong> <strong>prima</strong> metà del<br />

Settecento: Jac. Augusti Thuani hi<strong>storia</strong>rum sui temporis, Londini Excudi curavit Samuel Buckley,<br />

MDCCXXXIII. Riguardo a tutte le edizioni delle Hi<strong>storia</strong>rum… e in partico<strong>la</strong>re a quel<strong>la</strong> londinese rinviamo a S.<br />

Kinser, The works of Jacques-Auguste de Thou, The Hague, 1966, in partico<strong>la</strong>re pp. 6-166, in proposito cfr. A.<br />

Soman, The London Edition of De Thou’s History: A Critique of some well-documented Legenda in<br />

“Renaissance Quarterly”, vol. XXIV, n.1, 1971, pp. 1-12, inoltre id., De Thou and the Index. Letters from<br />

Christophe Dupuy (1603-1607), Genève, Droz, 1972.<br />

250


infatti, prendendo spunto dal<strong>la</strong> celebrazione del re di Navarra, divenuto re di Francia secondo<br />

un chiaro disegno divino volto a pacificare quel regno 1162 , si <strong>la</strong>ncia in un lungo elogio di<br />

Giorgio II e del suo governo. Così facendo, tuttavia, lo stampatore inglese compie un evidente<br />

salto logico e storico-temporale rispetto al De Thou, nel momento in cui ne riprende il<br />

memorabile giudizio sul<strong>la</strong> casa di Orange per celebrarne meriti ben successivi al<strong>la</strong> vita del<br />

francese. Meriti appunto, individuati dal Buckley, nel<strong>la</strong> restaurazione del<strong>la</strong> monarchia in<br />

Inghilterra attraverso <strong>la</strong> “gloriosa rivoluzione” del 1688 con cui si preparano i felici destini<br />

monarchici di Giorgio II di Hannover 1163<br />

Dunque De Thou viene riletto, secondo una prospettiva anglofi<strong>la</strong> in cui si ricorda<br />

emblematicamente <strong>la</strong> lotta per <strong>la</strong> libertà politica del continente che gli o<strong>la</strong>ndesi conducono nel<br />

nome del<strong>la</strong> Riforma <strong>prima</strong> contro gli Asburgo, poi nei confronti dei Borbone:<br />

“cuius rei omen faustissimum iam nunc ex eo capimus, quod illustrissimi Principis<br />

arausionensis precibus generose pariter ac prudenter annuens, filiam natu maximam, regiam<br />

virginem regiisque tha<strong>la</strong>mis ad prime dignam, uxorem illi destinaris. Cum et ipse Aloisia<br />

magni illius Gulielmo primi Arausuniensis filiam ortum ducas, et Domus tua lege a Gulielmo<br />

tertio, magno illo reipeublicae nostrae iam periturae sospitatore, cum omnium regni Ordinum<br />

consensu <strong>la</strong>ta, ad imperium Britannicum evecta est; nullum hoc illustrius magni gratique<br />

animi indicium dare poteras, quam quod principem ex hac nobilissima heroum gente tibi in<br />

generum accipere non dedigneris. Hae felices nuptiae te ad omnes il<strong>la</strong>s rationes, quibus et<br />

religio reformata et Europae libertas optime conserventur, animum attentissime advertere<br />

p<strong>la</strong>ne monstrant. Memorabile illud Thuani de illustrissima hac Arausionensi familia judicium,<br />

quod ante annos centum et viginti tulit, vaticinium merito censeri possit ; cum intra unius<br />

saeculi spatium in eadem gloriosa religionis et libertatis causa, contra praepotentem<br />

dominationem primo domus Austriacae, dein Borboniae, tuenda, idque iis temporibus, cum<br />

opibus copiisque maxime florerent, bis spledide fuerit adimpletum.” 1164 .<br />

Buckley celebra cioè il regime inglese, sia per <strong>la</strong> sua libertà politica inscindibilmente legata<br />

al protestantesimo, sia per i meriti del<strong>la</strong> politica dell’equilibrio capace di contenere <strong>la</strong> volontà<br />

di potenza del re Sole 1165 . Come evidenziato da Alfred Soman, del resto, l’editore inglese<br />

tende a rappresentare lo storico francese quale uomo dell’Illuminismo in lotta mortale con il<br />

suo secolo 1166 .<br />

Nel De Thou, invece, evidentemente, l’elogio delle libertà o<strong>la</strong>ndesi e del<strong>la</strong> ribellione dei<br />

Paesi Bassi risponde a ben altra linea, antiasburgica e precipuamente antispagno<strong>la</strong>.<br />

In questo senso del resto, fin dal<strong>la</strong> prefazione, lo storico francese distingue chiaramente il<br />

ramo asburgico austriaco e <strong>la</strong> situazione germanica dal centralismo di marca casigliana. La<br />

figura di Ferdinando e di suo figlio Massimiliano, infatti, e le scelte prese in direzione del<strong>la</strong><br />

conciliazione politico-religiosa per superare lo stato di generale conflittualità civile e militare<br />

creato da Carlo V, ricevono dallo storico francese una certa considerazione:<br />

1162 Ivi, Serenissimo potentissimoque Magnae Britannie regi, Georgico II in data VII Kal. Jan. A. D.<br />

MDCCXXXIII dove leggiamo alle pp. I-II: “Henrico quarto Galliarum regi Hi<strong>storia</strong>m suam dicavit Thaunus,<br />

quod magnum illum principem iis ornatum virtutibus perspexerit, quae regiis honoribus dignissimum, muneribus<br />

officiisque ex omni parte parem redderent; et ad solium divini numinis auspiciis evctum existimarit, ut rem<br />

Gallorum publicam ex turbata et distracta pacatam florentemque faceret.” In proposito verifica <strong>la</strong> dedica<br />

originaria del De Thou al Christianissimo Franc. Et Navar. Regi Henrico IV riportata ivi alle pp. 1-19 e indicata<br />

come auctoris praefatio in cui leggiamo a p. 1: “…te presertim rege, qui raro Dei beneficio, profligatis<br />

rebellionum monstris et extincto factionum fomite, pacem Gallia reddidisti, et cum pace duas res insociabileis<br />

aliis creditas miscuisti, libertatem et principatum.”<br />

1163 L’elogio degli Orange è svolto ivi, nel VI tomo a p. 374.<br />

1164 Ivi, alle pp. VI-VII.<br />

1165 ivi, pp. VII-VIII.<br />

1166 A. Soman, The London edition, cit., in partico<strong>la</strong>re pp. 1-2 e 8.<br />

251


“Id vidit Ferdinandus sapientissimus princeps, qui bellis longe maximis ac periculosissimis<br />

sub Carolo V fratre in Gernamania exercitatus, cum experientia didicisset, coepta armis<br />

adversus Protestanteis hactenus male cessisse, postquam felicibus auspiciis imperium inivit,<br />

religionis pacem solemni decreto sanxit; quam repetitis vicibus semper postea confirmavit. Et<br />

cum videret melius per amica colloquia religionis negotium procedere, eiusque rei aliquoties<br />

sub fratre indictis Ratisponae et Wormatiae olim conventinbus periculum fecisset, paulo ante<br />

mortem post peractum Tridenti concilium Protestantibus, qui ad illud non venerant,<br />

satisfacere cupiens,novum rursus cum iis colloquium ex Maximiliani filii prudentissimi<br />

principis consilio instituere voluit; ad idque Georgium Cassandrum virum doctum et<br />

moderatum delegit, qui cum adversae partis pastoribus controversa Augustanae confessionis<br />

capita amice retractaret. Sed adversa viri optimi valetudo, et utriusque accelerata mors,<br />

fructum ex eo speratum Germaniam invidit. Idem Germanorum exemplo postea Poloni<br />

otimates in sua repubblica statuerunt.” 1167<br />

Anche <strong>la</strong> Polonia copia l’assetto raggiunto in Germania, sebbene <strong>la</strong> prematura morte di<br />

Giorgio Cassander abbia impedito di acquisire intese ancor più profonde 1168 .<br />

De Thou, appare pertanto fin dalle prime battute delle Hi<strong>storia</strong>rum, visti i tragici risultati che<br />

<strong>la</strong> linea repressiva ha provocato in Francia, convinto sostenitore del<strong>la</strong> politica di<br />

conciliazione:<br />

“Sed quando hunc sermonem semel ingressus sum, ut verbo expediam, dicam ingenue, nam<br />

sub te licet, bellum non esse legitimum modum tollendae ex ecclesia scissurae: Protestanteis<br />

quippe apud nos, qui per pacem numero et auctoritate in dies minuebantur, inter arma ac<br />

dissensiones semper crevisse; et, sive praepostero relgionis ardore, sive ambitione ac rerum<br />

novandarum studio, a nostris longe perniciosissimo errore peccatum esse, qui bellum<br />

internecinum contra Protestanteis saepius susceptum ac compositum, toties, infaustis Galline<br />

auspiciis, magno religionis ipsius periculo, renovarunt.” 1169<br />

L’uso del<strong>la</strong> forza, infatti, <strong>la</strong>cera il tessuto politico-spirituale del corpo politico come<br />

documentato anche dall’invio del Duca d’Alba nei Paesi Bassi che ha messo a ferro e fuoco<br />

quelle province sostituendo ma<strong>la</strong>mente Margherita 1170 . Indubbiamente, a questa tendenza<br />

distruttiva e controproducente, si oppone <strong>la</strong> linea politica di accordo con i protestanti,<br />

perseguita da Enrico IV, dopo <strong>la</strong> vittoria militare, attraverso l’editto di Nantes nel<strong>la</strong> cui<br />

preparazione svolge un ruolo non secondario proprio De Thou. 1171<br />

La piena sintonia di questa introduzione con l’orientamento politico di Enrico IV, d’altra<br />

parte, trova <strong>la</strong>mpante conferma nel<strong>la</strong> decisione reale di diffonder<strong>la</strong> attraverso <strong>la</strong> pubblicazione<br />

in un opuscolo a parte, tradotta in francese dal riformato Jean Hotman, a indicare le finalità<br />

conciliative ed ireniche dell’iniziativa, segna<strong>la</strong>te da Corrado Vivanti. Prospettive pienamente<br />

condivise dal De Thou, che nell’operare del sovrano individua l’unica efficace e definitiva<br />

cura per rimuovere ogni ulteriore rischio di <strong>la</strong>cerazione del corpo civile-religioso statuale,<br />

1167 Ivi, Auctoris praefatio, cit., pp. 7-8.<br />

1168 Al riguardo cfr. C. Vivanti, Lotta politica e pace religiosa, cit., p. 322.<br />

1169 Hi<strong>storia</strong>rum sui temporis, cit., in Auctoris praefatio, passo a p. 8.<br />

1170 Ivi, Auctoris praefatio, cit., a p. 9 dove leggiamo: “tum et Albanus cum potenti exercitu in Belgium missus,<br />

qui, abdicata Margaritae Parmensi, quae cum summa moderatione provincias il<strong>la</strong>s administraverat, auctoritate,<br />

ferro et f<strong>la</strong>mmis omnia miscuit, arces ubique destruxit, libertatem insolitis vectigalibus ad belli subsidia<br />

impositis <strong>la</strong>befactavit, et civitates opulentas infracta libertate quasi praevalida corpora cibo subtracto ad<br />

maciem adduxit…”.<br />

1171 Ivi, Auctoris praefatio, cit., vedi pp. 11-14. Inoltre sul<strong>la</strong> partecipazione in <strong>prima</strong> persona del De Thou al<strong>la</strong><br />

politica di concordia con gli Ugonotti di Enrico tanto da essere il negoziatore per conto del re dell’editto di<br />

Nantes vedi Thou (Jacques Auguste De), cit., p. 258 e soprattutto C. Vivanti, Formazione e opera storiografica<br />

di Jacques-Auguste de Thou, cit., pp. 311-312 e 322.<br />

252


secondo un’indirizzo in cui sfera politica e religiosa si coniugano inscindibilmente nel<strong>la</strong><br />

logica del gallicanesimo.<br />

Proprio i circoli vicini allo storico francese e<strong>la</strong>borano l’ideologia monarchica gallicana e<br />

irenica che supporta il nuovo sovrano e <strong>la</strong> sua azione interna ed internazionale 1172 .<br />

Dimensioni, quel<strong>la</strong> politica e religiosa in cui le assonanze con il Giambul<strong>la</strong>ri non mancano.<br />

L’elemento ghibellino, infatti, costituisce un punto d’incontro estremamente profondo tra i<br />

due letterati. A fine Cinquecento e all’inizio del Seicento, del resto, il pensiero ghibellino è<br />

tutt’altro che dissolto o comunque in posizioni di debolezza nel panorama spirituale europeo,<br />

pur rimodu<strong>la</strong>ndosi diversamente a seconda dello Stato, dei circoli culturali di riferimento e<br />

delle forze in campo in lotta per l’egemonia europea 1173 .<br />

In Francia, superata <strong>la</strong> terribile crisi delle guerre di religione, Enrico IV viene celebrato in<br />

una chiave ghibellina esemplificata dal mito dell’Ercole Gallico. Ideologia che è funzionale<br />

al<strong>la</strong> riaffermazione del<strong>la</strong> dignità del potere regale dopo gli scossoni subiti dall’istituto<br />

monarchico ad opera delle guerre civili e delle teorie monarcomache da un <strong>la</strong>to, ed esprime<br />

una volontà di renovatio imperii a livello europeo strettamente connessa all’affermazione<br />

dell’egemonia francese sul continente europeo dall’altro. Suggestioni a cui corrispondono, a<br />

livello diplomatico, diversi progetti e più di un passo da parte di Enrico IV verso quel titolo<br />

imperiale tutt’altro che svalutato. 1174<br />

Tendenze ghibelline, chiaramente presenti nelle Hi<strong>storia</strong>rum fin dalle prime pagine, dove<br />

De Thou conferisce ai Galli un chiaro <strong>prima</strong>to all’interno dell’impero romano, certificato<br />

dal<strong>la</strong> capacità di mantenere inalterato, anche dal momento in cui sono sconfitti da Cesare, <strong>la</strong><br />

propria libertà:<br />

“vix decennio a fiorentissimo Romanorum duce C. Caesare in fidem accepti aut bello domiti<br />

sunt: nam et inter eos Hedui et Sequani amici populi Romani et Arverni fratres appel<strong>la</strong>ti sunt:<br />

sub iisque nominibus Gallia, quandiu imperium stetit, libertatem quadammodo retinuit…”. 1175<br />

Primato del tutto funzionale ad affermare nell’ambito delle stirpi germaniche, una volta<br />

attestato lo stretto legame intercorrente tra Galli e Germani per <strong>la</strong> derivazione del<strong>la</strong> stirpe<br />

germanica dei Baiori del<strong>la</strong> Vindelicia, dai Boiori Galli secondo l’ auctoritas tacitiana, il<br />

diritto gallico all’imperio europeo, secondo una logica non molto distante da quel<strong>la</strong><br />

postelliana. Le prerogative franco-galliche, d’altra parte, sono storicamente testimoniate dal<strong>la</strong><br />

restaurazione dell’impero d’Occidente e dal<strong>la</strong> guida così assunta sul<strong>la</strong> nuova Europa scaturita<br />

dal crollo di Roma, attraverso <strong>la</strong> dominazione del<strong>la</strong> componente normanna in Inghilterra e<br />

nell’Italia meridionale. Questa affermazione del<strong>la</strong> leadership imperiale gallica, inoltre, viene<br />

confermata da imperatori del calibro di Enrico IV e Federico II. Senza trascurare, poi l’ipotesi<br />

secondo cui i Veneti stessi deriverebbero dai Galli 1176 . La Serenissima, del resto, è il primo<br />

1172 C. Vivanti, Lotta politica e pace religiosa, pp. 292-293 e 308-311.<br />

1173 In proposito F. Yates, Astrea, cit., e C. Vivanti, Henry IV, the Gallic Hercules in “Journal of the Warburg<br />

and Courtauld and Institutes”, 30, 1967 ora in id., Incontri con <strong>la</strong> <strong>storia</strong>, cit., pp. 265-291, in partico<strong>la</strong>re pp. 269-<br />

270.<br />

1174 C. Vivanti, Lotte politiche e religiose, cit., nel<strong>la</strong> parte <strong>prima</strong>: Il mito dell’Ercole Gallico e gli ideali<br />

monarchici di renovatio pp. 74-132 in partico<strong>la</strong>re pp. 74-89; cfr. inoltre id., Henry IV, cit..<br />

1175 Hi<strong>storia</strong>rum, cit., lib. I, passo a p. 11.<br />

1176 Ivi, lib. I, pp. 11-12 dove leggiamo in chiave fortemente apologetica: “De Gallis quid attinet dicere, quos<br />

ab omni aetate <strong>la</strong>udis bellicae, et justitiae fama apud exteros c<strong>la</strong>risse constat, saepe se popolosa gente in vicinas<br />

et longiquas regiones estendente, saepe etiam afflictis principis et eorum salutarem opem implorantibus<br />

humaniter praebito auxilio?[…]Fidem faciunt et sparsae tot ubique terrarum Gallici nominis coloniae. Nam et<br />

major et melior Italiae pars de Cisalpinae Galliae nomine appel<strong>la</strong>tur. Et si ambitiosa et fabulosa Romanorum<br />

ad res Illiacas origines suas referentium commenta rejiciamus, quis dubitat, quin Veneti non ab Henetis<br />

Paph<strong>la</strong>gonibus, sed a Venetis, ut et Straboni videtur, in Armorica nostra sitis originem ducant ? Neque enim<br />

Caesari fides tribuenda est, qui hos ab illis nomen sumpsisse nul<strong>la</strong> verisimili ratione scripsit. Quorsum enim il<strong>la</strong><br />

Senonum, Boiorum, Cenomanorum, atque adeo Insubrum nomina in Italia pertinent, nisi ut intelligamus Gollos<br />

olim haec loca tenuisse, et ad tradendam posteris originis suae memoriam de suo nomine appel<strong>la</strong>sse ? Jam ad<br />

253


stato a riconoscere <strong>la</strong> legittimità del potere monarchico di Enrico IV in cui vede l’unico<br />

effettivo contrappeso capace in Italia di contrastare <strong>la</strong> soffocante egemonia spagno<strong>la</strong> e <strong>la</strong><br />

Controriforma cattolica. Del resto, Venezia, costituisce, proprio per questa linea antispagno<strong>la</strong><br />

e per <strong>la</strong> volontà di rendersi autonoma dall’ingerenza del<strong>la</strong> Santa sede chiaramente manifestata<br />

nel<strong>la</strong> questione dell’Interdetto, una freccia irrinunciabile all’arco di Enrico IV per scardinare<br />

l’egemonia spagno<strong>la</strong> in Italia 1177 .<br />

D’altra parte, suggerire questa sorta di legame tra Francia e Venezia, non appare certo molto<br />

distante dal<strong>la</strong> re<strong>la</strong>zione che il Giambul<strong>la</strong>ri ha determinato nel<strong>la</strong> Storia d’Europa tra Germania<br />

ed Italia. L’esigenza dell’asse privilegiato rimane invariata anche se è chiaro che <strong>la</strong> potenza di<br />

riferimento è costituita dai Borbone e non dagli Asburgo. Ma, come in quegli apprezzamenti<br />

al ramo austriaco si ce<strong>la</strong>va un atto d’accusa agli strumenti ed ai disegni applicati da Carlo V,<br />

qui nell’attacco al ramo spagnolo si vuole colpire <strong>la</strong> propensione universalistica mantenuta<br />

dopo il fallimento dell’imperatore borgognone, da Filippo II attraverso una politica fondata<br />

sulle posizioni del<strong>la</strong> Controriforma cattolica.<br />

In questa direzione, De Thou, non solo motiva l’ascesa sul trono imperiale degli Asburgo di<br />

Spagna con <strong>la</strong> decadenza delle fortune dei Galli 1178 (quindi acquisita fortuitamente), ma nel<strong>la</strong><br />

sostanza invalida lo stesso merito spagnolo nel<strong>la</strong> diffusione del cattolicesimo tra i popoli<br />

dell’America <strong>la</strong>tina recentemente scoperta. L’autore, infatti, interpreta l’azione spagno<strong>la</strong> quale<br />

strumento inconsapevole del<strong>la</strong> provvidenza divina che è in grado di trasformare anche le<br />

cattive intenzioni degli uomini in espressioni del<strong>la</strong> gloria di Dio. Ben altri, in verità, sono i<br />

motivi che hanno spinto scientemente gli spagnoli in America <strong>la</strong>tina “quod eventus docuit,<br />

illuc lucri potius et praedae quam pietatis causa profectos…” 1179<br />

Del resto, aggiunge De Thou, il fulcro dell’impero al di là del<strong>la</strong> sovranità asburgica, è<br />

costituito dalle tante realtà politiche che lo costituiscono. Quelle realtà con cui, non<br />

casualmente Ferdinando e Massimiliano devono scendere a compromessi e tra le quali<br />

naturalmente emerge <strong>la</strong> Sassonia, nelle prime pagine del secondo libro, in quanto appunto<br />

protagonista del<strong>la</strong> trans<strong>la</strong>tio imperii dai Franchi ai Germanici compiuta sotto gli Ottoni<br />

secondo quanto lo storico francese riferisce puntualmente:<br />

Germanos respice : none et Boiorum in Vindelicia, qui hodie Baiori sunt, ad Boios Gallos primordia retulit<br />

Tacitus? Quod ne minus vero consentaneum videatur, facit quod Caesar ipse scribit, fuisse aliquando tempus,<br />

quo Germanos Galli virtute superarent.[…]Demum Aetio,cuius apud Francos et Visigotos summa gratia et<br />

auctoritas erat, a Valentiniano occiso, pertaesa Romanorum Gallia protinus ab imperio deficit; ejectisque<br />

Aquitania Gothis, Franco-Gallorum regno sub Childerico et Clodoveo felicibus auspiciis apud nos coepit, circa<br />

annum salutatis CDLXXX; quod post dissolutionem imperii ad haec usqeu tempora omnium c<strong>la</strong>rissimum et<br />

florentissimum toto orbe cristiano fuit, ucm Faramundus avus antea XXX circiter annis inter Francos regnasset.<br />

Nam ex regnum nostrorum seconda familia prodiere Carolus Tudes sive Martellus, qui memorabili proelio<br />

Saracenos profligavit; Pipinus, qui Longobardos Italia ejecit, et Carolus, qui Romanum imperium primis in<br />

occidente fundavit, et regunm patris in Italia coeptum firmavit. Nec omitti debent Sicilia reges a Tancredo<br />

Normano ducti sub termia regum nostrorum familia; quorum genus rerum potium est usque ad Henrici VI<br />

Friderici Aenobardi filii tempora, qui Constantia Rogerii ultima filia uxore ducta in regnum successit. Ab eo<br />

Manfredus spurius, et Conradinus Friderici II imperatoris nepos orti: quibus rursus medio sub<strong>la</strong>tis Carolus<br />

Provinciae comes Ludovici IX frater Neapolitanum regnum quasi iure hereditario Gallis principibus debitum<br />

occupavit. Hac eadem Francia nostra repetis vicibus vicinae Britanniae reges dedit. Nam Gulielmus nothus<br />

Normanniae dux in Angliam cum delectis transmisit, et caeso Haraldo regnum occupavit circa annum Christi<br />

MLXVI.”<br />

1177 Sul riconoscimento veneziano a Enrico IV, sui rapporti franco-veneziani e sul<strong>la</strong> questione dell’interdetto si<br />

rinvia a Wiliam J. Bouswma, Venice and the defense of Republican Liberty, cit., pp. 246-247 e 339-482.<br />

1178 Ivi, leggiamo a p. 14 “ab eo siquidem Henrico isabel<strong>la</strong> genus duxit, quae Ferdinando Arragonio, de quo<br />

nunc fermo est, nupsit, Caroli V et Ferdinandi I imperatorum avo: sub quo pau<strong>la</strong>tim senescente Gallorum<br />

fortuna Hispanicum nomen adolevit; ut merito dici possit, ubi Galli desierunt, ibi rerum potiri Hispanos<br />

incepisse.”<br />

1179 Ivi, passi riportati a p. 14 cui segue ivi <strong>la</strong> considerazione finale che “nam ut plerumque in rebus humanis,<br />

sic et in religionis negozio precipue usu venire cernimus, ut Deus quae a corrupta et ma<strong>la</strong> voluntate nostra<br />

proficiscuntur, ad gloriam suam et in bonum vertat.”<br />

Sul<strong>la</strong> negatività del modo di gestire le colonie ed i sudditi dei regni degli Asburgo di Spagna vedi C. Vivanti,<br />

Lotta politica e pace religiosa in Francia, cit., p. 317.<br />

254


“Nam postquam imperium, quod in secunda regum nostrorum familia a Carolo Magno<br />

incepit, qui Galliam primum, dein Germaniam, ac totam fere Italiam tenuit, ad Germanos<br />

trans<strong>la</strong>tus est, omnes il<strong>la</strong>e provinciae in Italia et extra Italiam in limite nostro sub imperio<br />

occidentali et imperii Germanici legibus ordinatae sunt.”<br />

ricordando poi, come questa trans<strong>la</strong>tio sia permanente in virtù del trasferimento del potere<br />

di elezione imperiale ai principi territoriali tedeschi che Ottone III ottiene da Gregorio V dopo<br />

averlo liberato dalle persecuzioni di Crescenzio:<br />

“Trans<strong>la</strong>tum autem fuit imperium ad Germanos ab Othone I, Henrici Aucupis filio;<br />

mansitque in ejus familia usque ad Othonem III nepotem, qui veritus, ne imperium a patre et<br />

avo in Germania firmatum ad Italos aut etiam Graecos transferetur, legem tulit, qua scitum<br />

est, licere solis Germanis principibus imperatorem eligere. Id ut facilius Otho impetraret,<br />

cum Gregorio V Saxone sobrino suo, quem post ejectum Roma Crescentium et Johannem<br />

Graecum expulsum in sedem restituerat, posteris aeque damnosa ac ignominiosa pactione<br />

transegit, ut qui rex Romanorum deinceps crearetur, non prius imperator et Augustus<br />

haberetur, quam eum Romanorum pontifex inaugurasset. Ita Romanorum pontifex ab<br />

imperatoribus primum creari aut constitui solitus, arbitrium summi inter Christianos<br />

principatus costituendi pau<strong>la</strong>tim ad se traxit.” 1180<br />

Un riferimento dal chiaro sapore antiromano, volto a supportare appunto <strong>la</strong> definitiva<br />

autonomizzazione storica dell’autorità imperiale dal vincolo papale e dal<strong>la</strong> sua presunta<br />

superiorità, smentita in primo luogo nei fatti dall’aiuto richiesto all’imperatore. 1181 Del resto,<br />

celebrare <strong>la</strong> matrice tedesca dell’impero medievale, significa indirettamente sostenere, visto il<br />

legame istituito tra Galli e Germani, <strong>la</strong> candidatura Francese al<strong>la</strong> sua guida. Specialmente<br />

considerando il fatto che Enrico IV ha restaurato <strong>la</strong> forza francese rispetto al momento in cui<br />

<strong>la</strong> decadenza dei Galli aveva determinato <strong>la</strong> casuale ascesa imperiale degli Spagnoli.<br />

La stessa celebrazione del<strong>la</strong> libertà politica dell’impero fondato sul pluralismo politico dei<br />

principati seco<strong>la</strong>ri ed ecclesiastici e delle città libere, sul sistema delle diete e sul tribunale<br />

camerale, e garantita dal principio dell’elezione dei sette elettori imperiali, rientra<br />

nell’indirizzo filofrancese dell’autore:<br />

“Et quod magis admirabile est, cum ex diversis administrationum generibus constet, summa<br />

concordia ab eo tempore inter eos exstitit; nisi si quando semina dissensionum inter eos jacta<br />

sunt, quibus id effectum est, ut excusso imperii jugo, pontifices in Italia rerum potiti sint, et ad<br />

alias nationes atque adeo Germanos ipsos pau<strong>la</strong>tim pontificii nominis terror pervaserit, salva<br />

tamen et incolumi in Germania ad nostra usque tempora imperii maiestate.” 1182<br />

L’accento posto dal De Thou sull’imprescindibilità dei sette elettori quale architrave del<br />

sistema imperiale fornisce una piena giustificazione, sia del<strong>la</strong> Lega stretta tra Francesco I ed i<br />

principi tedeschi nel 1544, sia delle mire imperiali di Enrico IV. L’alleanza del 1544, infatti,<br />

nasce dall’illegale elezione quale re dei Romani di Ferdinando in quanto decisa da Carlo V<br />

senza consenso dei sette elettori imperiali in f<strong>la</strong>grante vio<strong>la</strong>zione del<strong>la</strong> Bol<strong>la</strong> d’oro del 1356:<br />

costituisce, significativamente il punto di partenza vero e proprio, in continuità e prosecuzione<br />

con <strong>la</strong> Hi<strong>storia</strong> gioviana:<br />

1180 Ivi, lib. II, passo a p. 52.<br />

1181 Il chiaro tenore antiromano del passo in questione riceve ulteriore conferma dal<strong>la</strong> censura che da<br />

inaugurasset viene effettuata sull’edizione parigina dell’opera Iac. Aug. Thuani Hi<strong>storia</strong>rum sui temporis. Pars<br />

I, Parisiis 1604, a p. 92.<br />

1182 Ivi, lib. II, passo a p. 55 e a proposito del<strong>la</strong> descrizione delle strutture politiche dell’impero vedi pp. 53-55.<br />

255


“Sed exorto Luthero, distractis principum et populorum animis, et quo sibi ac religionis,<br />

prospicerent diversas se in factionibus scindentibus, Carolus V tot successibus e<strong>la</strong>tus,<br />

arridente fortuna, occasionem arripuit imperii, cuius ipse pars erat, sibi suisque proprio iure<br />

asserendi: id sibi tot victorias spondere, atque adeo sibi deberi tum confidebat, tum vero et<br />

rem tentare honorificum et quodammodo necessarium existimabat. Nam cum aliquot ante<br />

annis, ut imperium in familia firmaret, Ferdinandum fratrem regem Romanorum Coloniae<br />

renunciasset, id septemviri et alii Germani principes, quod contra Carolinae constitutionis<br />

leges factum esse dicerent, magnopere improbabant, et sine septemvirorum consensu potuisse<br />

fieri negabant. Itaque et eo nomine Saxo, Hessius, Willemus et Ludovicus Baiori fratres<br />

libertatis Germanicae tuendae causa c<strong>la</strong>m foedus icerant cum Francisco…” 1183 .<br />

La fondamentale valenza di questo passaggio risulta del resto, anche dal fatto che questo<br />

evento costituisca il punto di partenza vero e proprio, in ideale continuità e prosecuzione con<br />

<strong>la</strong> Hi<strong>storia</strong> gioviana, del<strong>la</strong> narrazione storica del De Thou.<br />

Peraltro, all’interno del<strong>la</strong> comune centralità dell’ispirazione ghibellina potrebbe scorgersi<br />

una certa differenza tra Giambul<strong>la</strong>ri e De Thou proprio nell’attenzione attribuita dal secondo<br />

alle strutture partico<strong>la</strong>ri dell’Impero. Nel<strong>la</strong> Storia d’Europa infatti, l’ascesa imperiale del<strong>la</strong><br />

dinastia di Sassonia, comporta un evidente compattamento politico-militare, sia in termini di<br />

diminuita conflittualità interna, sia in chiave di esterna capacità di opposizione anti-ungherese<br />

e anti-saracena che, tuttavia, coesiste perfettamente con <strong>la</strong> molteplicità delle realtà statuali e<br />

politiche europee.<br />

Inoltre, nel<strong>la</strong> percezione dello storico francese non va trascurato il movente politico che pro<br />

Francia e pro Enrico IV lo porta ad accentuare fortemente il pluralismo tedesco per colpire<br />

implicitamente ogni velleità centralistica asburgica. In realtà, se l’Europa di Giambul<strong>la</strong>ri<br />

individua il suo fulcro con il filtro del<strong>la</strong> Sassonia in Carlo V, quel<strong>la</strong> dello storico francese<br />

riconosce una posizione ed in un ruolo pressoché specu<strong>la</strong>rmente identico a Enrico IV e al<strong>la</strong><br />

ricostituita potenza francese.<br />

D’altra parte, il ghibellinismo in De Thou, come visto, significa prospettiva antiromana cioè<br />

antipapale, sia a livello temporale, sia a livello spirituale. Nel<strong>la</strong> <strong>prima</strong> direzione appunto<br />

l’evidenza attribuita nelle Hi<strong>storia</strong>rum, all’acquisizione del diritto di elezione imperiale da<br />

parte tedesca senza più alcuna ingerenza romana, come segna<strong>la</strong>to, non ha bisogno di ulteriori<br />

commenti. A proposito del<strong>la</strong> questione spirituale, fin dal primo libro dell’opera, l’autore si<br />

esprime negativamente sui pontefici romani, come documenta ad esempio un lungo passaggio<br />

dedicato all’iniziativa delle indulgenze adottata da Leone X 1184 .<br />

Nel secondo libro all’interno del IX capitolo dove viene stimata <strong>la</strong> forza militare radunata<br />

dalle città e dai principi tedeschi del<strong>la</strong> Lega di Smalcalda si individua chiaramente nel<br />

Pontefice romano il vero sobil<strong>la</strong>tore e in ultima istanza l’autentico responsabile del contrasto<br />

in atto tra Carlo V e le membra del suo impero:<br />

1183 Ivi, passo a p. 55. Dove non passa inosservato l’accento posto dall’autore sul<strong>la</strong> fortuna di Carlo V e sul<strong>la</strong><br />

sua sensazione di onnipotenza che indirettamente allude ad una certa propensione all’arbitrio da parte<br />

dell’imperatore. Del resto, in proposito già nel primo libro a p. 24 in re<strong>la</strong>zione al<strong>la</strong> piena affermazione imperiale<br />

nel<strong>la</strong> peniso<strong>la</strong> nel 1530 “arridente fortuna nul<strong>la</strong>m amplificandae potentiae occasionem praetermttens Caesar, ut<br />

imperium Germanicarum in familia firmaret, Ferdinandum fratrem Romanorum regem Coloniae renuntiandum<br />

curavit.”<br />

1184 Ivi, a p. 18 scrive: “Peccatum tum in sacris muneribus dispensandis admissum Leo Mox longe graviore<br />

cumu<strong>la</strong>vit: nam cum alioqui ad omnem licentiam sponte sua ferretur, Laurentii Pucii cardinalis, honimis turbidi,<br />

cui nimium tribuebat, impulsu, ut pecuniam ad immensos sumptus undique corrogaret, missis per omnia<br />

Cristiani orbis regna diplomatis omnium delictorum expiationem ac vitam aeternam pollicitus est, constituo<br />

pretio…quod licentiose nimis a pontificiis ministris passim atque in Germania precipue febat, ubi qui<br />

redimendam pecuniam Romae a pontifice conduxerant, per lustra et popinas quotidie sine pudore in aleae lusum<br />

ususque turpissimos potestatem extrahendi animas functoum ex igne espiatorio profundebant. Tunc exortus<br />

Martinus Lutherus[…].”<br />

256


“Et ille quidem, qui se pastorem, qui se agni pacifici vicarium profitetur, quos verbo Dei in<br />

pace debere debuerat, ferro et f<strong>la</strong>mmis atrociter exagitat : pontificem Romanum dico, qui tot<br />

turbarum auctor Caesarem prudentissimum alioqui et clementissimum principem ad arma<br />

contra nos capessanda suscitat, ut acceptam scilicer a Germanis, nam id vulgo jactantur, in<br />

urbe postremo capta et direpta duce Carolo Borbonico injuriam, eodem, cujus auspiciis il<strong>la</strong>ta<br />

est, ministro et vindice in infonteis ulciscatur. Quod etsi iniquissimum est, tamen patienter<br />

ferendum esset, quando nos falsam doctrinam amplecti passim b<strong>la</strong>terant, si nullum justius aut<br />

magis necessarum orbi Cristiano, et ipsius adeo cervicibus bellum immineret.” 1185<br />

Si tratta di una lunga orazione dell’inviato di Ulrich di Wittemberg, il cui tenore<br />

antipontificio viene rafforzato dall’allusione al<strong>la</strong> pressione ottomana che costituisce<br />

gravemente l’ultimo pensiero di chi si ritiene depositario del diritto di proteggere il gregge<br />

cristiano e si scaglia contro chi è sempre rimasto fedele all’imperatore ed al vincolo del<strong>la</strong> sua<br />

autorità 1186 , fino appunto all’esplicita e perentoria accusa di aver determinato <strong>la</strong> guerra nel<br />

seno dell’impero:<br />

“[Hac ratione] pontifex Caesarem ad bellum pa<strong>la</strong>m pro religione gerendum, omesso omni<br />

alio praetextu, obstrinxit, quod id ad dignitatem suam, et sacrae sedis ac concili auctoritatem<br />

summopere pertinere arbitraretur. Cum ergo disssimu<strong>la</strong>tioni amplius locus non esset, Caesar<br />

publico diplomate Saxonem et Hessum proscribit…” 1187<br />

Non possiamo ancora una volta che sottolineare una certa vicinanza con <strong>la</strong> Storia del<br />

Giambul<strong>la</strong>ri. La casata di Sassonia, infatti, riceve un impero di<strong>la</strong>niato dai conflitti interni,<br />

dallo smarrimento del<strong>la</strong> propria identità cristiana rappresentata in modo assolutamente<br />

inadeguato da figure come Stefano VI, e deve riportarlo a nuova vita sprirituale e politica. È<br />

certamente indicativo in questo senso, del resto, il carattere provvidenziale delle decisioni<br />

degli Ottoni, che agiscono in base ad una vera e propria missione divina.<br />

Allo stesso modo De Thou, a supporto delle mire imperiali di Enrico IV delinea il ruolo<br />

francese fin dall’alleanza con i principi di Smalcalda. Le ragioni di disgregazione dell’unità<br />

imperiale e cristiana sono addebitate al papa e a Carlo V. D’altra parte, ulteriore indiretta<br />

conferma dell’orientamento dello storico francese emerge dal tributo conferito a Francesco I<br />

in occasione del<strong>la</strong> sua morte secondo i registri usuali atti ad esaltarne il ruolo di mecenate<br />

delle Lettere e dello sviluppo del<strong>la</strong> cultura umanistica a livello nazionale ed europeo. Un<br />

canone consueto di esaltazione delle aspirazioni egemoniche a livello continentale del<strong>la</strong><br />

monarchia francese che risulta dunque indice significativo del<strong>la</strong> posizione sostenuta dal de<br />

Thou 1188 . Del resto, <strong>la</strong> celebrazione del grande antagonista di Carlo V, costituisce un ulteriore<br />

titolo storico di legittimazione delle aspirazioni imperiali antiasburgiche nutrite da Enrico IV.<br />

1185 Ivi, passo alle pp. 63-64.<br />

1186 Ivi, p. 64: “Nunc cum quotidie Turcam cum potentissimo exercitu in Pannoniam discendere afferatur,<br />

jamque et Paestae et Budae prafectos frequenteis delectus habere, quid aliud cogitare illum putemus, qui sibi<br />

cristiani gregis custodiam arrogat, quam belli tam justi curam omettere, ut lupis ovile incustoditum prodat, et<br />

ipse lupis saevior miseras oveis, a quo sibi potius caveant, anxias membratim discerpat? Quid enim meruimus,<br />

qui ipso religione et libertate tot annos oppressa foedus percussimus?<br />

1187 Ivi, passo a p. 70.<br />

1188 Ivi, a p. 105-106 leggiamo: “Inter omneis tanti principis <strong>la</strong>udes, quae ex iis, quae jam diximus, intelligi<br />

possunt, merito haec primum locum obtinet, quod literas et literatos immense dilexerit[…]Ex huius consilio<br />

postea professores linguae Sacrae, Graecae, et Latinae, philosophiae item, medicicnae et mathematicarum<br />

disciplinarum instituit, qui attributis pro tempore amplissimis stipendiis Lutetiae in ludo Cameracensi publice<br />

praelegerent. Horum ope discussis ignorantiae tenebris, lux literis, et per literas veritati in Gallia, atque adeo<br />

tota Europa, restituta est: ut cum alii principes ambitiosi aliunde conqusitis vanam gloriam acupentur, ipse<br />

parens literarum appe<strong>la</strong>ri meruerit.[…] ”.<br />

Sulle prerogative avanzate a proposito del<strong>la</strong> dignità imperiale da Francesco I cfr. P. Merlin, La forza e <strong>la</strong> fede,<br />

cit., p. 166.<br />

257


D’altra parte, soltanto <strong>la</strong> nuova Francia del Borbone, ha l’effettiva capacità di ri<strong>la</strong>nciare i<br />

destini di un’Europa cristiana coesa e politicamente unificata nel segno di un ideale imperiale<br />

realmente condiviso ed attivo. Come chiaramente visto, per quanto Ferdinando e<br />

Massimiliano abbiano agito in discontinuità con <strong>la</strong> linea di Carlo V, non hanno raggiunto<br />

risultati del tutto positivi.<br />

Enrico investito dal<strong>la</strong> provvidenza del trono di Francia, pacificatore dei conflitti interni si<br />

pone come modello e guida del<strong>la</strong> rinascita europea nel segno di una riacquisita unità politicospirituale<br />

del suo stato.<br />

Del resto proprio le mancanze romane accrescono i doveri del<strong>la</strong> sua missione sotto il profilo<br />

spirituale. In questo senso, è emblematica <strong>la</strong> condanna dei risultati raggiunti dal concilio<br />

tridentino del tutto negativo e controproducente verso quelle istanze ireniche fortemente<br />

sostenute dallo storico francese 1189 .<br />

D’altra parte, non casualmente diverso appare il giudizio sull’Interim di Augusta che pur<br />

nelle sue insufficienze, tuttavia, rappresenta un piccolo passo nel<strong>la</strong> direzione irenica, e<br />

comunque si pone quale evidente reazione al<strong>la</strong> linea intransigente perseguita da Paolo III,<br />

emblematicamente suggel<strong>la</strong>ta dallo spostamento del concilio da Trento a Bologna, secondo<br />

pretestuose giustificazioni “causa obtendebatur, quod aer minus illic esset salubris…” 1190 .<br />

Paolo III del resto già ampiamente deplorato dallo storico francese per i continui rinvii<br />

opposti al<strong>la</strong> riunione del concilio Tridentino viene considerato molto negativamente nel<br />

giudizio finale sti<strong>la</strong>to dal De Thou 1191 .<br />

Tutti elementi questi, funzionali nel libro seguente a presentare e giustificare l’Interim di<br />

Augusta determinato in primo luogo dalle resistenze pontifice a ritornare a Trento, nonostante<br />

le proteste imperiali. Lo stesso Pole viene coinvolto nel<strong>la</strong> linea pontificia, quasi costretto a<br />

rifarsi una verginità ideologico-politica rispetto al<strong>la</strong> ben diversa linea di cui è <strong>la</strong>tore nel<br />

collegio cardinalizio e nel concilio, attraverso <strong>la</strong> composizione di uno scritto che difende le<br />

ragioni papali contro le richieste imperiali:<br />

“Haec eo scripto continebantur, cuius auctorem fuisse Reginaldum Polum, unum ex<br />

delegatis illis judicibus praecipuae et dignitatis et doctrinae inter cardinaleis, scribit in eius<br />

vita Lud. Becatellus archiepiscopus Racusinus; deplorando sane tanti viri conditione, cui<br />

nocesse fuerit, ut sectarii mali suspicionem, cuius falso insimu<strong>la</strong>batur, purgaret, pontifici in<br />

ea causa, in qua minime illum sincere versari sciret, industriam suam elocare.” 1192<br />

Pertanto, nel<strong>la</strong> prospettiva dell’autore appare del tutto comprensibile che l’imperatore<br />

conosciuto il tenore dello scritto pontificio consegnatogli dal Mendoza e anzi <strong>prima</strong> di<br />

conoscerlo decida che quest’ultimo avrebbe capeggiato <strong>la</strong> conciliazione foriera del<strong>la</strong><br />

conclusione dell’Interim di Augusta 1193 .<br />

Del resto, a voler togliere ogni possibile anche minimo merito dell’imperatore nel<strong>la</strong> politica<br />

che conduce all’Interim, De Thou sottolinea <strong>la</strong> politica feroce e insensata condotta da Carlo V<br />

1189 In proposito C. Vivanti, Lotta politica e pace religiosa in Francia, cit., pp. 317-321.<br />

1190 Hi<strong>storia</strong>rum sui temporis, p. 156.<br />

1191 Ivi a p. 212, il De Thou si esprime nel seguente modo sul pontefice di casa Farnese: “Vir fuit prudentiae<br />

summae ac moderationis…sed qui, plus justo privatis charitatibus indulgens, existimationis suae ac Reipublicae<br />

Christianae periculum parvi fecerit, dum quorum ambizioni ac libidini satisfaceret.[…]calumniose Caesarem et<br />

Galliae regem incusasset, quod hic cum Protestantibus, ille cum Anglo amicitiam coluisset, cum ipse cum Turco<br />

Alexandri VI exemplo occultum commercium habuisset; quod denique in consiliis capiendis ac ceteris rebus fuit<br />

semper astrologos…consuluisset.”<br />

Inoltre sui rinvii del<strong>la</strong> riunione del Tridentino cfr. C. Vivanti, Lotte politiche e pace religiosa, cit., p. 313.<br />

1192 Ivi, p. 171.<br />

1193 Ivi p. 171 leggiamo: “Caesar, cardinali Tridentino iam Augustam reverso, cum ex Mendozae literis, etiam<br />

antequam scriptum illud in eius manus venisset, exiguam spem esse de concilio instaurando cognovisset, rem ad<br />

Imperii ordines…detulerat, negotiamque Mendozae dedisse dixerat, ut, si pontifex in sententia perseveraret,<br />

concilium vitii pa<strong>la</strong>m argueret: quod etsi non omnem de concilio spem praeciderat, tamen, quia longior mora<br />

interponeretur, existimare e re publica esse, ut interim via aliqua conciliationis ineatur…”.<br />

258


dopo l’affermazione di Muehlberg. L’imperatore, infatti, agisce secondo un intendimento<br />

tutt’altro che conciliativo, in perfetta aderenza al<strong>la</strong> linea violenta e repressiva del duca d’Alba:<br />

“Hunc victoriae fortuna Caesaris virtutem et prudentiam adjuvante partae defuit animus,<br />

qui ea moderate et sapienter uti sciret. Nam cum nec mens Caesar esset, nec vires, ut tot<br />

urbes, populos principes, quos insolita felicitatem in ordinem coegerat, vi et praesidiis tenere<br />

et Germaniae rempublicam in regnum hereditarium trasformare posset, reliquum erat, ut<br />

humanitate et clementia maiestatem et existimationem tueretur. Verum cum super ea re<br />

variarent Castaldi et Albani sententiae, Caesar, corrupto tot prosperis successibus sudicio,<br />

potius Albano, qui severitate fructum victoriae conservari debere sentiebat, assensus est;<br />

traductisque per totam Germaniam et Belgium integro biennio injuriose captivis, sub<br />

Hispaniarum, quod invidiam augebat, custodia, non triumphum ex victoria, sed<br />

truculentissimum odium ex triumpho reportavit.” 1194<br />

Pertanto, è piuttosto <strong>la</strong> ancor maggiore cecità e intransigenza dimostrata da Roma rispetto a<br />

Carlo V a creare le premesse dell’Interim.<br />

Nonostante <strong>la</strong> discriminante costituita dal<strong>la</strong> valutazione di Carlo V, pertanto, i due storici si<br />

muovono secondo suggestioni molto simili anche sotto il profilo religioso. Istanze in entrambi<br />

i casi che sono strettamente legate all’umanesimo cristiano di stampo erasmiano, all’irenismo,<br />

al<strong>la</strong> conciliazione, all’apertura. In questa direzione emblematico il tributo espresso al<strong>la</strong> fine<br />

del terzo libro delle Hi<strong>storia</strong>rum tra i vari umanisti italiani e tedeschi, a Beato Renano in<br />

collegamento con Erasmo 1195 .<br />

Quel Beato Renano che come evidenziato, è fonte centrale del<strong>la</strong> Storia D’Europa,<br />

funzionale al<strong>la</strong> rappresentazione del<strong>la</strong> nuova Germania, su cui rinasce l’impero ottoniano e si<br />

p<strong>la</strong>sma l’Europa germanico-cristiana che secoli dopo, nell’epoca storica del Giambul<strong>la</strong>ri sotto<br />

l’egida di Carlo V detiene <strong>la</strong> leadership politico-spirituale del continente e incarna<br />

quell’ideale imperiale-universale impropriamente rivendicato quale monopolio del<strong>la</strong> Chiesa di<br />

Roma. L’imperatore, infatti, secondo <strong>la</strong> prospettiva formu<strong>la</strong>ta dal partito erasmiano presente<br />

al<strong>la</strong> corte asburgica ha il ruolo di arbitro e riformatore del<strong>la</strong> Chiesa corrotta e ma<strong>la</strong>ta 1196 .<br />

Quando il Giambul<strong>la</strong>ri scrive <strong>la</strong> Storia d’Europa il concilio è <strong>la</strong> prospettiva attesa per <strong>la</strong><br />

riforma e <strong>la</strong> renovatio cristiana del<strong>la</strong> società europea; dopo alcuni decenni De Thou auspica<br />

una stagione di conciliazione tra riformati e cattolici francesi realizzata dal sovrano secondo le<br />

istanza gallicane che si ponga quale modello e avvio di una stagione di rinnovamento<br />

spirituale di dimensione continentale.<br />

Del resto, <strong>la</strong> convergenza irenica tra i due storici, emerge anche in re<strong>la</strong>zione alle parole di<br />

elogio spese dal De Thou che riprende il giudizio di Ludovico Beccadelli, sul cardinal Pole<br />

leader di quel partito valdesiano orientato in seno al<strong>la</strong> Curia romana verso il compromesso<br />

dottrinale con i protestanti in linea con l’indirizzo di compromesso politico capeggiato nel<strong>la</strong><br />

corte asburgica dal partito erasmiano. Né quest’elogio appare iso<strong>la</strong>to visto che il De Thou si<br />

1194 Ivi, passo alle pp. 154-155.<br />

1195 Ivi, p. 121-122 in partico<strong>la</strong>re sul Renano, il Carlostadio ed il Peutinger leggiamo: “Nec multo post XIII Kal.<br />

Jun. Beatus Renanus Selestadiensis annum agens LXII “Argentinae, cum e balneis rediret, moritur; vir in<br />

humanioribus literis, antiquitate et pia doctrina exercitatissimus, ingenio miti, ut qui in cogitatione de<br />

constituenda ex omnium consensu in religione concordia consenuerit ; summus Des. Erasmi observator, qui<br />

eandem viam in his turbis instituit. Huius etiam anni initio…matura mors Joannem Schonerum<br />

Carolostadiensem iam septusagenarium Norimbergae nobis eripuit, ubi ille domicilium fixerat, astronomiae,<br />

quam post Regiomontanum opere illo egregio resolutarum tabu<strong>la</strong>rum maxime illustravit, scientia insignem, et<br />

il<strong>la</strong> in primis, quae ex positu astrorum de cuiusque fortunis judicium fert[…]Exeunte anno…Conradus<br />

Peutingerus….vir ut natalibus, sic digitate c<strong>la</strong>rus, et cuius memoriam tabu<strong>la</strong> Peutingeriana postea a M. Velsero<br />

edita apud doctos renovavit.”<br />

In proposito inoltre cfr. C. Vivanti, Lotta politica e pace religiosa in Francia, cit., p. 316.<br />

1196 Cfr. P. Merlin, La forza e <strong>la</strong> fede, cit., pp. 162-163.<br />

259


produce in una vera e propria esaltazione di un altro grande esponente del partito curiale<br />

valdesiano filo-imperiale: il cardinale Cristoforo Madruzzo 1197 .<br />

Certamente trascorsi tanti anni, conclusosi il concilio all’insegna del<strong>la</strong> Controriforma, quei<br />

motivi erano ripresi in antitesi a Carlo V e a quel<strong>la</strong> stagione conciliare che avrebbe dovuto<br />

negli auspici originarii esserne lo strumento e l’attuazione. Lo storico francese, pertanto,<br />

propone l’apertura di un nuovo concilio capace finalmente di rispondere alle attese di<br />

riconciliazione e di rinnovamento generali.<br />

Del resto, se de Thou tra le sue fonti annovera Sleidano 1198 e Buchanan che appartengono<br />

comunque al mondo riformato, Giambul<strong>la</strong>ri non meno significativamente propone tra le sue<br />

fonti del<strong>la</strong> Storia d’Europa Muenster, Ziegler, Huldericus Mutius, Carione.<br />

Cambiano gli attori dunque, ma <strong>la</strong> linea ispiratrice dei due storici, volta ad associare<br />

profondamente sfera politica e ambito religioso, è tutt’altro che distante.<br />

In conclusione questo rapido confronto con le Hi<strong>storia</strong>rum del De Thou ci conforta<br />

ulteriormente a proposito delle linee ghibelline ed ireniche del<strong>la</strong> Storia d’Europa in chiave<br />

filo-germanica, a conferma evidententemente dell’interesse con cui vanno valutate e<br />

considerate le posizioni del canonico <strong>la</strong>urenziano, all’interno del<strong>la</strong> riflessione e del dibattito<br />

sul<strong>la</strong> genesi e sull’evoluzione dell’idea d’Europa.<br />

1197 In proposito si rinvia a P. Simoncelli, Il caso Reginald Pole. Eresia e santità nelle polemiche religiose del<br />

Cinquecento, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1977, pp. 239-240.<br />

1198 Hi<strong>storia</strong>rum sui temporis, cit., su Giovanni Sleidano, l’autore manifesta <strong>la</strong> sua stima all’interno del testo nel<br />

rinvio al suo racconto del<strong>la</strong> cerimonia di incoronazione di Enrico II a Reims, sul<strong>la</strong> quale il De Thou sceglie di<br />

non dilungarsi. Inoltre a p. 114 leggiamo nei due periodi con cui inizia il capitolo XII del terzo libro: “Inde<br />

Durocortorum Remorum VI Kal. Sextil. venit, ut ibi more majorum inauguraretur. Cuius ritus quoniam formu<strong>la</strong><br />

publice edita est, et alioqui a Joanne Sleidano diligentissimo rerum nostrarum observatore perscripta, de ea<br />

dicere supersedebo.” Passaggio che segue un riferimento al<strong>la</strong> sconfitta di Muhlberg su cui il De Thou promette<br />

di tornare (ivi infatti nel libro IV, vol. I, pp. 135-140) più ampiamente e al<strong>la</strong> cattura del duca di Sassonia<br />

comunicate ad Enrico dallì’ambasciatore di Carlo con una pungente considerazione sul ridicolo senso<br />

dell’ostentazione degli spagnoli ivi: “Sub id tempus, cum rex ad Cantiliam….venationibus se exerceret, per<br />

Caesaris legatum de pugna infeliciter a foederatis commissa, de qua postea dicemus, et Saxone duce capto<br />

certior fit, produca etiam inusitatae amplitudinis ocrea, quam Saxoni post pugnam detractam dicebant, ridiculo<br />

hispanicae ostentationis exemplo.” Senza dimenticare inoltre a proposito dello Sleidano che il suo nome viene<br />

menzionato nell’elenco delle fonti posto all’inizio di ogni libro, cfr. ad esempio quelli delle pp. 4 e 51.<br />

260


Bibliografia<br />

Manoscrittti<br />

Archivio di Stato di Firenze:<br />

Archivio delle decime<br />

Archivio Diplomatico fiorentino, spoglio di S. Maria Novel<strong>la</strong><br />

Mediceo avanti il Principato, filza 118, documento 250, lettera del 20 maggio 1524 di<br />

Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri<br />

Mediceo del Principato, filza 1176, inserto n. 3, c. 38, Cristiano Pagni a Pier<strong>francesco</strong> Riccio<br />

il 31 marzo 1550 da Pisa.<br />

Mediceo del Principato, filza 397, c. 15 Pier<strong>francesco</strong> Riccio a Cristiano Pagni il 1 aprile<br />

1550 da Firenze.<br />

Mediceo del Principato, filza 397, cc. 111-112 da Pier<strong>francesco</strong> Riccio a Cristiano Pagni il 5<br />

Aprile 1550.<br />

Mediceo del Principato, filza 397, cc. 172-174 Portio a Cosimo da Livorno 9 Aprile 1550<br />

Mediceo del Principato, volume n. 1171, inserto n. 1, Foglio n. 20, lettera inviata da Marzio<br />

Marzi de’ Medici Priore di S. Lorenzo a Pier Francesco Riccio preposto di Prato il 13 febbraio<br />

1543<br />

Biblioteca mediceo-<strong>la</strong>urenziana<br />

Cod. 1 dell’Archivio capito<strong>la</strong>re di S. Lorenzo, Libro dei partiti del Capitolo di S. Lorenzo,<br />

1516-1544.<br />

Cod. manoscritto 2317 dell’Archivio capito<strong>la</strong>re di S. Lorenzo<br />

Cod. mss. 2299, Libro dei Partiti del capitolo di S. Lorenzo 1544-1562.<br />

Cod. mss. 2479 Ricordi del Camerlingo di Sancto Lorenzo, dell’Archivio capito<strong>la</strong>re di S.<br />

Lorenzo<br />

mss 1155 in pergamena dell’Archivio capito<strong>la</strong>re di S. Lorenzo<br />

mss. in pergamena 1159 dell’Archivio capito<strong>la</strong>re di S. Lorenzo<br />

mss. in pergamena 1153 dell’Archivio capito<strong>la</strong>re di S. Lorenzo<br />

nelle pergamene dell’Archivio capito<strong>la</strong>re 1149 (10 maggio 1534)<br />

Biblioteca nazionale di Firenze<br />

Carte strozziane, c<strong>la</strong>sse XXV, 551, Carte e memorie varie di Vincenzo Borghini<br />

Cod. Magliabechiano 111, c<strong>la</strong>sse XXIV<br />

Cod. Magliabechiano 132, c<strong>la</strong>sse XXVI<br />

Cod. Magliabechiano 299, c<strong>la</strong>sse XXXVII<br />

Cod. Magliabechiano 391, cl. XXV<br />

Cod. Magliabechiano 395 cl. XX<br />

Cod. Magliabechiano 412 c<strong>la</strong>sse XXV<br />

Collezione genealogica Passerini. Indice delle famiglie nobili, (nel<strong>la</strong>) Giambul<strong>la</strong>ri, Passerini<br />

carta 158bis e L. Passerini-Illustrazione dell’”albero genealogico del<strong>la</strong> famiglia<br />

Giambul<strong>la</strong>ri”, carta n. 188.<br />

Repertorio numerico del Poligrafo Gargani (nel), carta Giacomo Giandolini 947, e carta<br />

Giamberti Gianfaldoni 948<br />

Biblioteca Riccardiana di Firenze<br />

ms. 2023<br />

ms. 2305<br />

261


Biblioteca corsiniana di Roma (Accademia dei Lincei)<br />

Priorista delle famiglie fiorentine, codice manoscritto n. 415<br />

Bibliografia stampata<br />

AA. VV., (Vocabo<strong>la</strong>rio del<strong>la</strong> Crusca) seconda impressione…, in Venezia, MDCXXIII,<br />

Appresso Iacopo Sarzina.<br />

AA. VV., A History of the University in Europe, Cambridge Univeristy Press, 1992-2004, II<br />

vol., Universities in Early Modern Europe (!500-1800), edited by H. De Ridder-Symoens,<br />

1996<br />

AA. VV., Apparato et feste nelle nozze dello illustrissimo Signor Duca di Firenze et del<strong>la</strong><br />

Duchessa sua Consorte, con le sue Stanze, Madrigali, Commedia et intermedii in quel<strong>la</strong><br />

recitati, Impressa in Fiorenza per Benedetto Giunta 1539<br />

AA. VV., Guil<strong>la</strong>ume Postel 1581-1981. Actes du colloque International d’Avranches 5-9<br />

septembre 1981, Guy Trèdaniel, Paris, Edtions De La Maisnie, 1985<br />

AA. VV., Index de Venise 1549 Venise et Mi<strong>la</strong>n 1554 in Index des livres interdite, Directeur<br />

J. M. De Bujanda, Centre d’études de <strong>la</strong> Renaissance, éditions de l’Universitè de Sherbrooke,<br />

librarie Droz, XI, voll., 1985-2002, vol. III, 1987<br />

AA. VV., Letteratura italiana. Gli autori. Dizionario bio-bibliografico e indici, vol. I, a cura di<br />

Alberto Asor Rosa, Torino, Einaudi, 1990<br />

AA. VV., Letteratura <strong>la</strong>tina medievale (secoli VI-XV). Un manuale, a cura di C<strong>la</strong>udio<br />

Leonardi e di Ferruccio Bertini, Enzo Cecchini, Lucia Cesarini Martinelli, Peter Dronke, Peter<br />

Christian Jacobsen, Michael Lapidge, Emore Paoli, Giovanni Po<strong>la</strong>ra, Firenze, Sismel, 2002<br />

AA. VV., Lettere d’uomini illustri conservate in Parma nel regio Archivio dello Stato, a cura<br />

di Amadio Ronchini, Parma, 1853, II voll.<br />

AA. VV., Omnium gentium mores, leges et ritus, ex multis c<strong>la</strong>rissimimis rerum scriptoribus,<br />

a Ioanne Boemo Aubano Teutonico nuper collecti, et novis sine recogniti. Tribus libris<br />

absolutum opus, Aphricam, Asiam, et Europam describentibus. Accesit libellus de Regionibus<br />

Septentrionalibus, earumque Gentium ritibus, veterum Scriptorum saeculo fere incognitis, ex<br />

Iacobo Zieglero Geographo diligentiss. Necnon Mathiae a Michou de Sarmatia Asiana, atque<br />

Europea, libri duo. Non sine indice locupletissimo, Venetiis, MDXXXXII.<br />

AA. VV., Pietro Giordani nel II centenario dal<strong>la</strong> nascita, Atti del Convegno di studi,<br />

Piacenza, 16-18 marzo 1974, cassa di risparmio di Piacenza, 1974<br />

AA. VV., Prose fiorentine, Firenze, Tartini e Franchi, 1716-1731, voll. 17<br />

AA. VV., Repertorium fontium hi<strong>storia</strong>e medii aevi, primum ab Augusto Potthast digestum<br />

nunc cura collegii historicorum e pluribus nationibus emendatum et auctum, Romae,<br />

MCMXCVII, apud Instituto storico italiano per il Medio Evo, Voll. I-IX/4, 1962-2003<br />

AA. VV., Storia d’Europa, V voll., Torino, Einaudi, 1994,vol. III a cura di Gherardo Ortalli<br />

AA. VV., Storia del<strong>la</strong> Letteratura, Fabbri, Mi<strong>la</strong>no 1967<br />

AA. VV., The New Cambridge Medieval History, Cambridge, VII voll., 1994-2000<br />

AA. VV., Tiraboschi: miscel<strong>la</strong>nea di studi, a cura di Anna Rosa Venturi Barbolini, Modena,<br />

Biblioteca Estense Universitaria, 1997<br />

AA. VV., Tutti i trionfi, carri, mascherate [sic] o canti carnascialeschi andati per Firenze<br />

dal tempo del magnifico Lorenzo vecchio de Medici…infino a questo anno presente 1559, a<br />

cura del Lasca, Firenze, L. Torrentino, 1559.<br />

AA. VV., Vocabo<strong>la</strong>rio degli Accademici del<strong>la</strong> Crusca, con tre indici delle voci, locuzioni, e<br />

proverbi Latini, e Greci, posti per entro l’Opera. Con privilegio del sommo pontefice, del Re<br />

Cattolico, del<strong>la</strong> Serenissima Repubblica di Venezia, e degli altri Principi, e Potentati d’Italia,<br />

e fuor d’Italia, del<strong>la</strong> Maestà Cesarea, del Re Cristianissimo…in Venetia, MDCXII, appresso<br />

Giovanni Alberti, 1612.<br />

AA. VV., Vocabo<strong>la</strong>rio degli accademici del<strong>la</strong> Crusca, in Firenze, nel<strong>la</strong> tipografia galileiana<br />

di M. Cellini e c., (quinta impressione) 1863-1866, XII voll.<br />

262


AA. VV., Vocabo<strong>la</strong>rio degli accademici del<strong>la</strong> Crusca, in questa terza impressione<br />

Nuovamente corretto e copiosamente accresciuto… , In Firenze MDCXCI, nel<strong>la</strong> stamperia<br />

dell’Accademia del<strong>la</strong> Crusca, III voll.<br />

AA.VV., Il Medioevo dagli orizzonti aperti, Atti del<strong>la</strong> giornata di Studio per Roberto Lopez,<br />

Genova, 9 giugno 1987, Genova, cooperativa grafica, 1989.<br />

AA.VV., Nascita dell’Europa ed Europa carolingia: un’equazione da verificare, settimana di<br />

studio 19-25 aprile 1979, II voll., Centro Italiano di studi sull’alto medioevo, Spoleto, 1981.<br />

Agazia, Agathius de Bello Gothorum et aliis peregrinis historiis, per Christoforum Persona<br />

Romanorum, priorem sanctae Balbinae, e greco in Latinum traductus in Procopii<br />

Caesariensis de rebus Gothorum, persarum, ac vandalorum libri VII, una cum alij mediorum<br />

temporum historicis, quorum catalogum sequens indicabit pagina. His omnibus accessit<br />

rerum copiosissimus index, Basi<strong>la</strong>re ex officina Hervagii mense septembri, anno MDXXXI<br />

Albertini R., Firenze dal<strong>la</strong> repubblica al principato. Storia e coscienza politica, Torino,<br />

Einaudi, 1995 (ristampa del 1970)<br />

Albonico S., Nota ai Testi in Storici e politici del Cinquecento, a cura di Angelo Baiocchi,<br />

testi a cura di Simone Albonico, Riccardo Ricciardi, Miano-Napoli, 1994<br />

Albonico S., Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri. Nota introduttiva in Storici e politici fiorentini del<br />

Cinquecento, a cura di Ange<strong>la</strong> Baiocchi, Ricciardi editore Mi<strong>la</strong>no-Napoli, 1994<br />

Alighieri D., La Divina Commedia, a cura di Natalino Sapegno, Firenze, La Nuova Italia,<br />

1993 (<strong>prima</strong> edizione 1955), III voll.<br />

Amerbach B., Die Amerbachkorrespondenz, Basel: ver<strong>la</strong>g des Universitatsbibliothek, 1942-<br />

1983, X voll.<br />

Ammirato S., Istorie fiorentine di Scipione Ammirato. Parte <strong>prima</strong> con l’aggiunte di Scipione<br />

Ammirato il giovane contrassegnate in carattere in corsivo, Firenze, per L. Marchini e G.<br />

Becherini, 1824-1827, XI tomi.<br />

Aquilon P., Appendice. Catalogue de l’exposition organisée a <strong>la</strong> bibliothéque municipale<br />

d’Orléans le 15 juillet 1975 in AA. VV., L’Humanisme Allemand 1480-1540. Actes du XVIII<br />

colloque international de Tours, Paris, Vrin, 1979<br />

Aristodemo D., Guicciardini Lodovico in DBI, vol. LXI, Roma, 2003,<br />

Arnaldi G., Cangrande del<strong>la</strong> Sca<strong>la</strong> in Enciclopedia dantesca, Roma, Istituto<br />

dell’Enciclopedia Italiana, 1970, V voll., vol. II<br />

Arnaldi G., Il canto di Giustiniano, in “La Cultura”, II, 2002<br />

Arrighi V., Eleonora de Toledo, in DBI, vol. XLII,<br />

Arrighi V., Figiovanni Giovan Battista, in DBI, vol. XLVII, Roma, 1997<br />

Asso C., La teologia e <strong>la</strong> Grammatica. La controversia tra Erasmo ed Edward Lee, Firenze,<br />

Olschki, 1993<br />

Aubert A., Itinerari del<strong>la</strong> consapevolezza. Un progetto di ricerche ed una col<strong>la</strong>na di studi<br />

sul<strong>la</strong> crisi religiosa del Cinquecento, in “Archivio Storico Italiano”, CLIX, 2001<br />

Aubert, Paolo IV. Politica, Inquisizione e storiografia, Firenze, Le Lettere, 1999, (II ediz.)<br />

Backus I., Historical Method and Confessional Identity in the Era of the Reformation (1378-<br />

1615), Brill: Leiden-Boston, 2003<br />

Baldacchini L., De Franceschi Francesco, in DBI, vol. XXXVI, 1988<br />

Ballistreri G., Giovanni Francesco Bini (Bino), in DBI, vol. X, Roma 1968<br />

Barbi M., Dante nel Cinquecento in “Annali del<strong>la</strong> R. Scuo<strong>la</strong> Normale Superiore di Pisa,<br />

c<strong>la</strong>sse di filosofia e filologia, 1890, vol. VII<br />

Barbuto G. M., La politica dopo <strong>la</strong> tempesta. Ordine e crisi nel pensiero di Francesco<br />

Guicciardini, Napoli, Liguori, 2003<br />

Bardi G., Delle cose notabili del<strong>la</strong> città di Venetia, Libri II…, in Venetia, presso gli eredi di<br />

Luigi Valvassori, et Giovan Domenico Micheli, MDLXXXIII.<br />

Bardi G., Dichiaratione di tutte le Storie che si contengono ne’ quadri posti nuovamente nelle<br />

Sale dello Scrutinio, et del Gran Consiglio del Pa<strong>la</strong>gio ducale del<strong>la</strong> Sereniss. Repubblica di<br />

263


Venezia, nel<strong>la</strong> quale si ha piena intelligenza delle più segna<strong>la</strong>te vittorie conseguite di varie<br />

nazioni del mondo da Veneziani. In Venezia per Felice Valgrisi 1587<br />

Bardi G., Le età del mondo chronologiche, nelle quali dal<strong>la</strong> creatione di Adamo, fino all’anno<br />

MDXXXI di Christo, brevemente si racconta <strong>la</strong> origine di tutte le Genti, il principio di tutte le<br />

Monarchie, di tutti i Regni, Repubbliche et Principati, La salutifera incarnatione di Christo,<br />

con <strong>la</strong> successione de’ Sommi Pontefici romani, La creatione de’ Patriarchi, Le<br />

Congregationi de’ Religiosi, Le Militie de’ Cavalieri, i Concili universali et nazionali, Le<br />

Heresie, i Schismi, Le Congiure, Paci, ribellioni, Guerre, et Prodigii, <strong>la</strong> denominatione di<br />

tutti gli Huomini in ogni professione illustri. Con <strong>la</strong> partico<strong>la</strong>r narratione delle dette cose<br />

successe d’anno in anno, nel mondo, Fatte da Giro<strong>la</strong>mo Bardi Fiorentino, in Venetia,<br />

appresso i Giunti, MDLXXX.<br />

Bardi G., Le vite di tutti i Santi, brevemente descritte per tutti i giorni dell’Anno; ovvero<br />

Martirologio Romano, riordinato conforme all’uso del nuovo Calendario Gregoriano;<br />

tradotto dal<strong>la</strong> lingua <strong>la</strong>tina nel<strong>la</strong> volgare da Giro<strong>la</strong>mo Bardi, in Venetia presso Bernardo<br />

Giunti 1585.<br />

Bardi G., Sommario cronologico, nel quale dal<strong>la</strong> creatione di Adamo fino all’anno<br />

MDLXXVIIII di Cristo. Brevemente si racconta <strong>la</strong> origine di tutte le Genti, il Principio di<br />

tutte le Monarchie, di tutti i Regni, le Repubbliche, et Principati, <strong>la</strong> Salutifera incarnatione di<br />

Cristo, con <strong>la</strong> successione de’ Sommi Pontefici Romani…, Di Venetia appresso i Giunti 1579<br />

Bardi G., Vittoria navale ottenuta dal<strong>la</strong> repubblica venetiana contra Ottone, figliolo di<br />

Federico primo imperatore. Per <strong>la</strong> restituzione di Alessandro Terzo, Pontefice massimo<br />

venuto a Venetia. Descritta da Giro<strong>la</strong>mo Bardi fiorentino, in Venetia appresso Franceco<br />

Ziletti MDLXXXIIII.<br />

Bartoli C., Discorsi historici universali di Cosimo Bartoli gentiluomo, et accemico fiorentino,<br />

In Venetia, appresso Francesco de’ Franceschi Senese, 1569.<br />

Bartoli C., La vita di Federigo Barbarossa, imperatore romano, di Messer Cosimo Bartoli.<br />

Allo illustrissimo et ecc. S. il S. Cosimo De Medici, duca di Firenze, et di Siena, in Firenze,<br />

appresso M. Lorenzo Torrentino, MDLIX.<br />

Battaglia S., Introduzione al<strong>la</strong> teoria del poeta teologo, in “Cultura e scuo<strong>la</strong>”, XIII-XIV<br />

(gennaio-giugno 1965)<br />

Battaglia S., Processo a Dante nel Cinquecento, in “Filologia e Letteratura”, Anno XIII, fasc.<br />

I<br />

Battaglia S., Teoria del poeta teologo in Esemp<strong>la</strong>rità e antagonismo nel pensiero di Dante,<br />

vol. II<br />

Battini A., Gli at<strong>la</strong>nti del cinquecento Mercatore e <strong>la</strong> cartografia moderna, in Al<strong>la</strong> scoperta<br />

del mondo l’arte del<strong>la</strong> cartografia da Tolomeo a Mercatore, presentazione Francesco Sicilia,<br />

testi Mauro Bini, Ernesto Mi<strong>la</strong>no, Annalisa Battini, Laura Federzoni, Modena, Il Bulino, 2001<br />

Battista A. M., La ‘Germania di Tacito nel<strong>la</strong> Francia illuminista’ in La Fortuna di Tacito dal<br />

sec. XV ad oggi, Atti del colloquio di Urbino, 9-11 ottobre 1978, a cura di Franco Gori e<br />

Cesare Questa, in “Studi Urbinati”, 1979<br />

Benzoni G., A proposito del doge in AA.VV., I dogi, a cura di Benzoni G., Mi<strong>la</strong>no, Electa,<br />

1982,<br />

Berni F., Rime poesie <strong>la</strong>tine e lettere edite e inedite ordinate e annotate per cura di Antonio<br />

Virgili aggiuntovi <strong>la</strong> Catrina, il Dialogo contra i poeti e il Commento al capitolo del<strong>la</strong><br />

primiera, Firenze, successori Le Monnier, 1885<br />

Bertoli G., Contributo al<strong>la</strong> biografia di Lorenzo Torrentino stampatore ducale a Firenze<br />

(1547-1563) in AA. VV., Studi in onore di Arnaldo d’Addario, a cura di Luigi Borgia,<br />

Francesco de Luca, Paolo Viti, Raffael<strong>la</strong> Maria Zaccaria, Lecce, Conte editore, 1995, IV voll..<br />

Bibliander T., De optimo genere grammaticorum Hebraicorum commentarius Theodori<br />

Bibliandri, Basileae 1542<br />

Bietenholz P. G., Basle and France in the Sixteenth Century. The Basle Humanists and<br />

Printers in their Contact with Francophone Culture, Genève, Droz, 1971<br />

264


Bietenholz P. G., Johann Stoffler in Contemporaries of Erasmus. A Biographical Register of<br />

the Renaissance and Reformation, a cura di Peter G. Bietenholz, Toronto/Buffalo/London,<br />

University of Toronto Press, III Voll., 1985-1987, nel III vol.<br />

Biondo F., Blondii F<strong>la</strong>vii forliviensis de Roma Triumphante libri X, Romae instauratae libri<br />

III, Italia illustrata, Hi<strong>storia</strong>rum ab inclinato Romanorum imperio Deca III, Basileae 1531<br />

Bonfini A., Antonii Bonfinii Rerum ungaricarum decades tres, nunc demum industria martini<br />

Brenneri Bistriciensis Transsylvani in lucem aeditae, antehac nunquam excusae. Quibus<br />

accesserunt cronologia Pannonum a Noah usque hac tempora, et coronis Hi<strong>storia</strong>e<br />

Ungaricae diversorum Auctorum, Basileae ex Roberti Vuinter officina, anno MDXLIII<br />

Bonomi I., Introduzione a Giambul<strong>la</strong>ri P. F., Regole del<strong>la</strong> lingua fiorentina, Firenze,<br />

Accademia del<strong>la</strong> Crusca, 1986, pp. XVII-XVIII.<br />

Borghini V., Storia del<strong>la</strong> nobiltà fiorentina. Discorsi inediti o rari, a cura di J. R. Woodhouse,<br />

Pisa, Edizione Marlin, 1974<br />

Bouwsma W. J., Concordia Mundi. The Career and Thought of Guil<strong>la</strong>ume Postel (1510-<br />

1581), Cambridge, Mass. 1957<br />

Bouwsma W. J., Venice and the Defense of Republican Liberty. Renaissance Values in the<br />

Age of the Counter Reformation, Berkeley and Los Angeles: University of California press,<br />

1968<br />

Bramanti V., Ritratto di Ugolino Martelli (1519-1592), “Schede umanistiche”, n. 2 (1999)<br />

Brocchi F., Collezione alfabetica di uomini e donne illustri del<strong>la</strong> Toscana dagli scorsi secoli<br />

fino al<strong>la</strong> metà del XIX compi<strong>la</strong>ta da F. B. di G. B., Firenze, Tipografia Bonducciana, 1852<br />

Brusegan M., Farri, Giovanni, Domenico, Onofrio e Giovanni Antonio in Dizionario de<br />

Tipografi e degli editori italiani. Il Cinquecento diretto da Marco Menato, Ennio Sandal,<br />

Giuseppina Zappel<strong>la</strong>, Editrice Bibliografica, Mi<strong>la</strong>no, 1997, vol. I<br />

Brusegan M., Franceschi, Francesco de ed eredi in Dizionario de Tipografi e degli editori<br />

italiani. Il Cinquecento diretto da Marco Menato, Ennio Sandal, Giuseppina Zappel<strong>la</strong>,<br />

Editrice Bibliografica, Mi<strong>la</strong>no, 1997, vol. I<br />

Bryce J., Cosimo Bartoli (1503-1572). The Career of a Florentine Polymath, Genève, 1983<br />

Buonarroti M., Il carteggio di Miche<strong>la</strong>ngelo. Edizione postuma di Giovanni Poggi, a cura di<br />

Pao<strong>la</strong> Barocchi e Renzo Ristori, Firenze, Sansoni, IV voll., 1965-1979<br />

Busolini D. Giusto Fontanini in DBI, vol. XLVIII, Roma, 1997<br />

C. Bartoli, Del modo di misurare e il volgarizzamento in fiorentino del De re Aedificatoria di<br />

Leon Battista Alberti, pubblicato presso Torrentino nel 1550<br />

C. Eubel-G. Van Gulik, Hierarchia Catholica Medii Aevi sive Summorum Pontificum, s.r.e.<br />

cardinalium, ecclesiarum,antistum series, X voll., 1898-1910 in partico<strong>la</strong>re vol. III<br />

1 C. Vivanti, Il mito dell’Ercole Gallico e gli ideali monarchici di renovatio in Id., Lotte<br />

politiche e religiose in Francia fra Cinque e Seicento<br />

Cadoni G., l’Utopia repubblicana di Donato Giannotti, Mi<strong>la</strong>no, Giuffrè, 1978<br />

Ca<strong>la</strong>brò G., L’idea di Europa di Chabod, in “La Cultura”, a. XLII, n. 2, agosto 2004<br />

Cantagalli R., Cosimo I de’ Medici granduca di Toscana, Mi<strong>la</strong>no, Mursia,1985<br />

Cantagalli R., La guerra di Siena (1552-1559): i termini del<strong>la</strong> questione senese nel<strong>la</strong> lotta tra<br />

Francia ed Asburgo ed il suo risolversi nell’ambito del Principato mediceo, Siena:<br />

Accademia degli Intronati, 1962<br />

Cantimori D., Eretici italiani del Cinquecento, a cura di A. Prosperi, Torino, Einaudi, 1992<br />

Cantimori D., Umanesimo e luteranesimo di fronte al<strong>la</strong> Sco<strong>la</strong>stica, in “Rivista di Studi<br />

Germanici”, II, 1937<br />

Cantimori D., Umanesimo e religione nel Rinascimento, Torino, Einaudi, 1975<br />

Capitani O., Enrico VII in Enciclopedia dantesca, Istituto del<strong>la</strong> Enciclopedia Italiana Treccani,<br />

Roma, 1970, V voll., vol. II.<br />

Cappelletti G., Le chiese d'Italia dal<strong>la</strong> loro origine sino ai nostri giorni, Venezia, Giuseppe<br />

Antonelli, 1844-1870, XXI voll..<br />

265


Carion J., Cronica Ioannis Carionis conversa ex Germanico in Latinum a doctissimo viro<br />

Hermanno Bono et ab autore diligenter recognita, ha<strong>la</strong>e suevorum ex officina Petri<br />

Brubachij, Anno MDXXXVII, mense Septembri.<br />

Carrer L., Scritti critici, a cura di Giovanni Gambarin, Bari, Laterza, 1969<br />

Casati G., Dizionario degli scrittori d’Italia, vol. III, 1934<br />

Ceard J., Le “De Originibus” de Postel et <strong>la</strong> linguistique de son Temps in AA. VV., Postello,<br />

Venezia e il suo mondo, a cura di Marion Leathers Kuntz, Firenze, Olschki, 1988<br />

Cecchi A., Il maggiordomo ducale Pier<strong>francesco</strong> Riccio e gli artisti del<strong>la</strong> corte medicea, in<br />

“Mitteilungen des Kunsthistorischen institutes in Florenz”, XII. Band – 1998 – Heft 1<br />

Celtis K., Oratio protreptica eiusdem in amorem germaniae, cum excusatione praesentis<br />

operis, ad illustrissimi principi Pa<strong>la</strong>tiniElectoris Cancel<strong>la</strong>rium Florentium de Phenningen,<br />

utriusque censurae Doctorem in Irenicus F., Germaniae exegeseos volumina duodecima<br />

Francisco Irenico ettelingiacensi exarata. Eiusdem oratio protreptica, in amorem Germaniae,<br />

cum praesentis operis excusatione, ad illustriss. Principis Pa<strong>la</strong>tini Electoris Cancel<strong>la</strong>rium<br />

Florentium de Pheningen, utriusque censure Doctorem. Urbis Norimbergae descriptio,<br />

Conrado Celte narratore, Norimbergae 1518<br />

Chabod F., Alcune questioni di terminologia: Stato, nazione, patria nel linguaggio del<br />

Cinquecento, in Chabod F., Alle origini dello Sato moderno, Università degli studi di Roma,<br />

facoltà di lettere e filosofia, anno accademico 1956-1957, Edizioni dell’Ateneo, Roma 1957<br />

Chabod F., L’idea di Europa. Prolusione al corso di Storia moderna nell’Università di Roma<br />

22 gennaio 1947 nel<strong>la</strong> “Rassegna d’Italia”, II, 1947, n. 4 e 5<br />

Chabod F., Nazione ed Europa nel pensiero dell’Ottocento in “Quaderni ACI, 6 (1951)<br />

Chabod F., Storia dell’idea d’Europa, a cura di Ernesto Sestan e Armando Saitta, Bari,<br />

Laterza, 1995, (<strong>prima</strong> edizione 1964)<br />

Chabod F., Venezia nel<strong>la</strong> politica italiana del Cinquecento, in La civiltà veneziana del<br />

Rinascimento, G. C. Sansoni, Firenze, 1938 1 Sul quale rinviamo al<strong>la</strong> voce Dati Giorgio<br />

Giamb<strong>la</strong>nco C., Dati Giorgio in DBI, vol. XXXIII, Roma, 1987<br />

Chevalier U., Répertoire des sources historiques du moyen age. Bio-bibliographie, Kraus<br />

reprint corporation, New York, New edition, printed in Germany, 1960, II voll. (<strong>prima</strong><br />

edizione 1905)<br />

Cinelli C., Gotti Aurelio in DBI, vol. LVIII, Roma 2002<br />

Cipriani G., Il mito etrusco nel Rinascimento fiorentino, Firenze, Olschki, 1980<br />

Cochrane E., Paolo Giovio e <strong>la</strong> Storiografia del Cinquecento in Paolo Giovio. IL<br />

Rinascimento e <strong>la</strong> memoria. Atti del convegno (Como 3-5 Giugno 1983), Raccolta storica<br />

pubblicata dal<strong>la</strong> Società storica Comense, vol. XVII, Como, 1985<br />

Cochrane H., Hi<strong>storia</strong>ns and Historiography in the Italian Renaissance, The University of<br />

Chicago Press, Chicago- London, 1985<br />

Conti Natale, Delle historie de suoi tempi di Natale de’ Conti. Parte <strong>prima</strong> e seconda. Di<br />

<strong>la</strong>tino in volgare nuovamente tradotta da M. Giovan Carlo Saraceni, in Venetia appresso<br />

Damian Zenaro, 1589.<br />

Conti Natale, Natalis Comitis Universa Hi<strong>storia</strong>e sui temporis libri triginta. Ab anno salutatis<br />

nostrae 1545. usque ad annum 1581. Cum duobus Indicibus Laurentij Gotij civis Veneti:<br />

Altero Antiquorum et recentium nominum variorum locorum…, Venetiis, Apud Damianum<br />

Zenarum, MDLXXXI.<br />

Copenhaver B. P., Polidoro Virgilio in Contemporaries of Erasmus, a cura di Bietnholz P. G.,<br />

1985-1987, III vol., 1987<br />

Cornaro F., Appendix novissima ad Ecclesias Venetas et Torcel<strong>la</strong>., p. 349.<br />

Costa G., Le antichità germaniche nel<strong>la</strong> cultura italiana da Machiavelli a Vico, Bibliopolis,<br />

Napoli, 1977<br />

Cozzi G., “Pubblica storiografia” veneziana del ‘500 in “Bollettino dell’istituto di Storia<br />

del<strong>la</strong> Società e dello Stato”, V-VII, 1963-64<br />

266


Cozzi G., Ambiente veneziano, ambiente veneto. Saggi su politica, società, cultura nel<strong>la</strong><br />

Repubblica di Venezia in età moderna, Venezia, Marsilio, 1997<br />

Cozzi G., La società veneziana del Rinascimento in un’opera di Paolo Paruta: “Del<strong>la</strong><br />

perfettione del<strong>la</strong> vita politica”in “Atti del<strong>la</strong> deputazione di Storia Patria per le Venezie”, a.<br />

1961,<br />

Croce B., Poeti e scrittori del pieno e del tardo Rinascimento, Bari, Laterza, 1945, II voll.<br />

Curcio C., Europa. Storia di un’idea, Firenze, Vallecchi, 1958, II voll.<br />

Cutolo A., Introduzione in Liutprando, Tutte le opere (<strong>la</strong> restituzione, le gesta di Ottone I, La<br />

re<strong>la</strong>zione di un’ambasceria a Costantinopoli 891-969) di Liutprando da Cremona, a cura di<br />

Alessandro Cutolo, Mi<strong>la</strong>no, Bompiani, 1945<br />

Cutolo A., introduzione in Tre cronache medievali. Vite di Carlo Magno, Berengario II,<br />

Federico Barbarossa (742-1168), Mi<strong>la</strong>no, Bompiani, 1943<br />

D’Addario A., Alle origini dello Stato moderno in Italia. Il caso toscano, a cura di P.<br />

Simoncelli, Firenze, Le Lettere, 1998<br />

D’Alessandro A., “Il Gello” di Pierfranacesco Giambul<strong>la</strong>ri mito e ideologia nel principato di<br />

Cosimo I, in La nascita del<strong>la</strong> Toscana. Dal Convegno di studi per il IV centenario del<strong>la</strong> morte<br />

di Cosimo I de’ Medici, Firenze, Olschki, 1980<br />

D’Alessandro A., Cultura e politica nell’Accademia fiorentina: note alle lezioni su Dante di<br />

Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri in “Medioevo e Rinascimento”, ottobre 2002<br />

D’Alessandro A., I Ragionamenti di C. Bartoli in “Annali dell’istituto di filosofia. II, Firenze,<br />

Olschki, 1980<br />

D’Alessandro A., La scoperta di un passo di Ateneo nei rapporti tra Guil<strong>la</strong>ume Postel e<br />

Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri, in AA.VV., Postello, Venezia e il suo mondo, a cura di Marion<br />

Leathers Kuntz, Firenze, Olschki, 1988<br />

D’Amico J. F., Ulrich von Hutten and Beatus Rhenanus as Medieval Hi<strong>storia</strong>ns and Religious<br />

Propagandists in the Early Reformation, in D’Amico J. F., Roman and German Humanism,<br />

1450-1550, edited by Paul F. Glendler, printed by Galliard, Great Yarmouth, Great Britain,<br />

1993<br />

D’Amico J., Beatus Rhenanus and Italian Humanism, in Renaissance Humanism:<br />

Foundations, Forms, and Legacy, ed. Albert Rabil, Jr., vol. I, Phi<strong>la</strong>delphia, University of<br />

Pennsylvania Press, 1988<br />

D’Amico J., Papal history and Curial Reform in Renaissance. Raffaele Maffei’s Brevis<br />

Hi<strong>storia</strong> of Julius II and Leo X, in Archivium Hi<strong>storia</strong>e Pontificiae 18, Roma, 1980<br />

Davidsohn R., I primordi del<strong>la</strong> civiltà fiorentina, vol. IV, parte II. Industria, arti, commercio<br />

e finanze, Sansoni, Firenze di id., Storia di Firenze, Sansoni Firenze, 1956-1965, voll. VIII,<br />

(traduzione italiana di Geshichte von Florenz di Eugenio Dupré Thesaider).<br />

Davis T. Ch, Il buon tempo antico in “Florentine Studies”, ed. N. Rubinstein, Londra, 1968<br />

De B<strong>la</strong>si N., Cosimo Bartoli in DBI, vol. VI, Roma, 1964<br />

De Gaetano A. L., Giambattista Gelli and the Fiorentine Academy: the Rebellion against<br />

Latin, Firenze, Olschki, 1976<br />

De Thou J.-A, Jac. Augusti Thuani hi<strong>storia</strong>rum sui temporis, Londini Excudi curavit Samuel<br />

Buckley, MDCCXXXIII, VII tomi.<br />

De Thou J.-A., Iac. Aug. Thuani Hi<strong>storia</strong>rum sui temporis. Pars I, Parisiis 1604<br />

De Vivo Filippo, Venetian Power in the Adriatic in “Journal of the History of Ideas, vol. 64,<br />

no. 2, 2003<br />

Del Beccaro F., Carrer Luiigi in DBI, vol. XX, Roma, 1977<br />

1<br />

Del<strong>la</strong> I<strong>storia</strong> d’Europa di Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri libri sette, a cura di Aurelio Gotti,<br />

Firenze, Felice Le Monnier, 1856<br />

Di Filippo Bareggi C., In nota al<strong>la</strong> politica culturale di Cosimo I: l’Accademia fiorentina in<br />

“Quaderni Storici”, 1973, n. 23<br />

Diaz F., Il granducato di Toscana, Utet, Torino, 1987, in Storia d’Italia, diretta da G.<br />

Ga<strong>la</strong>sso, voll. XXIV, 1979-1995<br />

267


Diaz F., L’idea di una nuova élite sociale negli istorici e trattatisti del principato in Firenze e<br />

<strong>la</strong> Toscana dei Medici nell’Europa del ‘500, (Raccolta degli atti del convegno tenutosi a<br />

Firenze dal 9 al 14 maggio 1980), Firenze, Olschki, 1983, III voll., nel II vol.<br />

Dionisotti C., Discorso introduttivo in Pietro Giordani nel II centenario del<strong>la</strong> nascita. Atti del<br />

Convegno di studi Piacenza, 16-18 marzo 1974<br />

Dionisotti C., Medio Evo barbarico e Cinquecento italiano, in “Lettere italiane”, XXIV, 1972<br />

Domonkos L., Willibald Pirckheimer in Contemporaries of Erasmus, III voll., 1985-1987,<br />

vol. III<br />

Dubois C-G., Le Dèveloppement Littèraire d’un mythe nazionaliste avec l’èdition critique<br />

d’un traitè inèdit de Guil<strong>la</strong>ume Postel De ce qui est premier pour reformer le monde, Paris,<br />

Vrin, 1972<br />

Eginardo, Vita et gesta Caroli cognomento Magni, Francorum regis fortissimi, et Germaniae<br />

suae illustratoris, autorisque optime meriti, per Eginhartum, illius quandoque alumnum atque<br />

scribam adiuratum, Germanum conscripta in Vitichindi Saxonis rerum ab Henrico et Ottone I<br />

impp. Gestarum libri III, unam cum alijs quibusdam raris et antehac non lectis diversorum<br />

autorum historijs, ab anno salutatis DCCC. usque ad praesentem aetatem: quorum catalogus<br />

patebit pagina Huc accessit rerum scitu dignarum copiosus index, Basileae, apud Io.<br />

Hervagium, mense martio, Anno MDXXXII<br />

Emilio P., Pauli Aemylii Veronensis, historici c<strong>la</strong>rissimi, de rebus gestis Francorum, ad<br />

christianissimum Galliarum Regem Franciscum Valesium, eius nominis primus, libri Decem,<br />

Parisiis imprimebat Michael Vascosanus sibi et Galeotto a Prato, MDXLIIII<br />

Felici L., Tra Riforma ed eresia. La giovinezza di Martin Borrhaus (1499-1528), Firenze,<br />

Olschki, 1995<br />

Firpo M., Gli affreschi di Pontormo a san Lorenzo. Eresia, politica e cultura nel<strong>la</strong> Firenze di<br />

Cosimo I, Torino, Einaudi, 1997<br />

Firpo M., Il Beneficio di Cristo e il concilio di Trento (1542-1546) in “Rivista di <strong>storia</strong> e<br />

letteratura religiosa”, 1995<br />

Firpo M.-Marcatto D., Il processo inquisitoriale del cardinal Giovanni Morone, VI voll.,<br />

Roma, Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea, 1981-1989<br />

F<strong>la</strong>minio C., Appendix novissima ad Ecclesiae Venetiae et Torcel<strong>la</strong>neae antiquis monumentis<br />

nunc etiam primum editis illustratae ac in decades distributae, Venetiis,<br />

Fontanini B., Il beneficio di Cristo. Con le versioni del secolo XVI. Documenti e<br />

testimonianze, a cura di Salvatore Caponetto, Firenze-Chicago, Sansoni editore, 1972.<br />

Fontanini G., Biblioteca dell’eloquenza italiana di monsignor Giusto Fontanini…con le<br />

annotazioni del signor Apostolo Zeno istorico e poetacesareo cittadino veneziano, II tomi,<br />

Venezia, MDCCLIII, presso Giambattista Pasquali<br />

Fontanini G., Del<strong>la</strong> eloquenza italiana di monsignor Giusto Fontanini arcivescovo d’Ancira<br />

libri tre…, in Roma nel<strong>la</strong> stamperia di Rocco Bernabò, MDCCXXXVI<br />

Forti F., Cacciaguida, Enciclopedia dantesca, Roma, 1970, V voll., vol. I<br />

Fragnito G., Fattore religioso e consolidamento del principato mediceo, in “Rivista di Storia<br />

religiosa”, vol. CXI, fascicolo I, gennaio 1999<br />

Fragnito G., Un pratese al<strong>la</strong> corte di Cosimo I. Riflessioni e materiali per un profilo di<br />

Pier<strong>francesco</strong> Riccio, in “Archivio di studi pratesi”, 1986<br />

Frangenberg T., Bartoli, Giambul<strong>la</strong>ri and the Prefaces to Vasari’s Lives (1550), in “Journal of<br />

the Warburg and Courtauld Institutes” LXV, the Warburg Institute University of London,<br />

2002<br />

Fubini R., Biondo F<strong>la</strong>vio in DBI, vol. X, Roma, 1968<br />

Gaguin R., Compendium Roberti Ganguini supra Francorum gestis, impressit…Thilmannus<br />

Kerver in inclito Parisiorum gymnasio, 1507<br />

Gandi G., Le corporazioni dell’Antica Firenze. Prefazione dell’on. Ferruccio Lantini<br />

presidente del<strong>la</strong> confederazione naz. Fascista dei commercianti con gli stemmidelle arti e<br />

268


numerose illustrazioni di Firenze scomparsa, edito a cura del<strong>la</strong> confed. Naz. Fascista dei<br />

commercianti, 1928<br />

Garin E., L’Umanesimo italiano e <strong>la</strong> cultura ebraica, in Storia d’Italia, Annali, voll. I-XIX,<br />

Torino, Einaudi, 1978-2003, vol. XI, Gli ebrei in Italia, parte <strong>prima</strong>, 1996<br />

Gelli G. B., Capricci del bottaio, in Gelli G. B., Opere, a cura di Delmo Maestri, Torino, Utet,<br />

1976<br />

Gelli G. B., Dell’origine di Firenze. Introduzione, testo inedito e note a cura di A.<br />

D’Alessandro, “Atti e memorie dell’Accademia Toscana di Scienze e Lettere La<br />

Colombaria”, vol. XLIV, n. s., XXX, 1979<br />

Gelli G. B., Letture edite e inedite sopra <strong>la</strong> Commedia di Dante, a cura di C. Negroni, Firenze<br />

1887, II voll.<br />

Giambul<strong>la</strong>ri P. F., Commento sopra il I canto dell’Inferno di Pier Francesco Giambul<strong>la</strong>ri in<br />

Barbi M., Dante nel Cinquecento in “Annali del<strong>la</strong> R. Scuo<strong>la</strong> Normale Superiore di Pisa,<br />

c<strong>la</strong>sse di filosofia e filologia, 1890, vol. VII<br />

Giambul<strong>la</strong>ri P. F., Degl’influssi celesti. Terza lezione, nel conso<strong>la</strong>to di Carlo Lenzoni in P.<br />

Giambul<strong>la</strong>ri, Lezioni di messer Pier Francesco Giambul<strong>la</strong>ri aggiuntovi l’origine del<strong>la</strong> lingua<br />

fiorentina altrimenti il Gello dello stesso autore, Mi<strong>la</strong>no, per Giovanni Silvestri, 1827<br />

Giambul<strong>la</strong>ri P. F., Del<strong>la</strong> carità in Lettioni d’accademici fiorentini sopra Dante, Firenze, Doni,<br />

1547<br />

Giambul<strong>la</strong>ri P. F., Gello, a cura di Giuseppe degli Aromatari (pseudonimo Subasiano) nel<br />

tomo VI del<strong>la</strong> raccolta degli “Autori del ben par<strong>la</strong>re”, impressa in Venezia, nel<strong>la</strong> Salicata,<br />

1643, in tomi XIX<br />

Giambul<strong>la</strong>ri P. F., Hi<strong>storia</strong> dell'Europa, a cura di C. Bartoli, Venezia, 1566, appresso<br />

Francesco de Franceschi senese<br />

Giambul<strong>la</strong>ri P. F., Il Gello, per il Doni, in Fiorenza 1546<br />

Giambul<strong>la</strong>ri P. F., I<strong>storia</strong> d’Europa di Messer Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri dal DCCC al<br />

DCCCCXIII, Pisa, presso N. Capurro, co’ caratteri di F. Didot, 1822<br />

Giambul<strong>la</strong>ri P. F., I<strong>storia</strong> d’Europa di Messer Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri dal DCCC al<br />

DCCCCXIII, testo…di lingua , Mi<strong>la</strong>no, N. Bettoni, 1827<br />

Giambul<strong>la</strong>ri P. F., I<strong>storia</strong> d’Europa…dal DCCC al DCCCCXIII, Mi<strong>la</strong>no, casa editrice di M.<br />

Guigoni, 1873<br />

Giambul<strong>la</strong>ri P. F., I<strong>storia</strong> dell’Europa di Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri dal 800 al 919. Volume<br />

unico, a cura di Antonio Fontana, Mi<strong>la</strong>no, 1830<br />

Giambul<strong>la</strong>ri P. F., Lezioni di messer Pier Francesco Giambul<strong>la</strong>ri aggiuntovi l’origine del<strong>la</strong><br />

lingua fiorentina altrimenti il Gello dello stesso autore, Mi<strong>la</strong>no, per Giovanni Silvestri, 1827<br />

Giambul<strong>la</strong>ri P. F., Lezzioni di M. Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri, lette nel<strong>la</strong> Accademia<br />

fiorentina, Firenze, Torrentino, 1551<br />

Giambul<strong>la</strong>ri P. F., Narrazioni scelte dalle Istorie dell’Europa di Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri,<br />

ad uso delle scuole ginnasiali, con note del prof. Giuseppe Bonamici, Verona, Donato<br />

Tedeschi e figli editori, 1892<br />

Giambul<strong>la</strong>ri P. F., Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri accademico fior. De’l sito, Forma, et Misure,<br />

dello Inferno di Dante, in Firenze per Neri Dorte<strong>la</strong>ta, MDXLIIII<br />

Giambul<strong>la</strong>ri P. F., Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri Fiorentino, de <strong>la</strong> lingua che si par<strong>la</strong> et scrive in<br />

Firenze. Et uno Dialogo di Giovan Batista Gelli sopra <strong>la</strong> difficoltà dello ordinare detta<br />

lingua, in Firenze, Torrentino, 1552<br />

Giambul<strong>la</strong>ri P. F., Saggio di poesie edite e inedite di P. F. Giambul<strong>la</strong>ri, a cura di Domenico<br />

Moreni, nel<strong>la</strong> stamperia Magheri, Firenze, 1820.<br />

Giambul<strong>la</strong>ri P. F., Storia d’Europa, a cura di G. Marangoni, Mi<strong>la</strong>no, Val<strong>la</strong>rdi, 1910<br />

Giambul<strong>la</strong>ri P. F., Storia dell’Europa dal DCCC al DCCCCXIII, a cura di L. Carrer, Venezia,<br />

Tipi del Gondoliere, 1840<br />

Giambul<strong>la</strong>ri P. F., Storia dell’Europa dall’800 al 913, Napoli, tipografia del Tasso, 1832<br />

269


Giambul<strong>la</strong>ri P. F., Storia dell’Europa di Francesco Giambul<strong>la</strong>ri, con un discorso e copiose<br />

annotazioni di Gabriele di Stefano, terza edizione, II voll., Napoli, Gabriele Rondinelli<br />

editore, 1862 (<strong>prima</strong> edizione 1840).<br />

Gilbert F., Machiavelli e Guicciardini. Pensiero politico e storiografia a Firenze nel<br />

Cinquecento, Torino, Einaudi, 1970<br />

Giordani P., Opere, XIV voll., a cura di Antonio Gussalli, Mi<strong>la</strong>no, per Francesco Sanvito,<br />

1854-1863<br />

Giovio P., La <strong>prima</strong> et seconda parte dell’Historie del suo tempo di Mons. Paolo Giovio<br />

vescovo di Nocera tradotte per M. Ludovico Domenichi, in Fiorenza, MDLI-MDLIII,<br />

Torrentino.<br />

Giuseppe F., F<strong>la</strong>vii Iosephi antiquitatum Iudaicarum libri XX ad vetera exemp<strong>la</strong>ria diligenter<br />

recogniti…, Vaeneunt Luteciae Aedibus Iacobi Izeruer sub signo geminorum Pullorum in via<br />

divi Iacobi, MDXXXV<br />

Glendler P. F., L’inquisizione romana e l’editoria a Venezia 1540-1605 (traduzione italiana di<br />

Antonel<strong>la</strong> Barzazi dell’americano The Roman Inquisition and the Venetian Press 1540-1605,<br />

Princeton Univeristy Press, 1977), Roma, Il Veltro, 1983.<br />

Guarini E. F., Città e stato nel<strong>la</strong> storiografia fiorentina del Cinquecento, in AA. VV.,<br />

Storiografia repubblicana fiorentina (1494-1570), a cura di Jean Jacques Marchand e Jean-<br />

C<strong>la</strong>ude Zancarini, Firenze, Franco Cesati editore, 2003<br />

Guenther I. e Peter G. Bietenholz P. G. Jacob Ziegler in Contemporaries of Erasmus, 1985-<br />

1987, III voll.,. III vol.<br />

Guicciardini L., Commentarii di Lodovico Guicciardini Delle cose più memorabili seguite in<br />

Europa specialmente in questi paesi Bassi, dal<strong>la</strong> pace di Cambrai, del MDXXIX, infino a<br />

tutto l’anno MDLX, libri tre. Al Gran Duca di Fiorenza et di Siena. In Vinegia appresso<br />

Domenico Farri, 1566<br />

Guicciardini L., Descrittione di M. Lodovico Guicciardini patrizio fiorentino, di tutti i Paesi<br />

Bassi, altrimenti detti Germania inferiore. Con più carte di Geographia del paese, e col<br />

ritratto naturale di più terre principali, al gran Re cattolico Filippo d’Austria, in Anversa,<br />

MDLXVII, appresso Guglielmo Silvio<br />

Guicciardini L., Discorso di M. Ludovico Guicciardini delle cause del<strong>la</strong> grandezza di<br />

Anversa viene pubblicato nei Tre discorsi appartenenti al<strong>la</strong> grandezza delle città. L’uno di M.<br />

Ludovico Guicciardini. L’altro di M. C<strong>la</strong>udio Tolomei. Il terzo di M. Giovanni Botero.<br />

Raccolti da Messer Giovanni Martinelli, in Roma, appresso Giovanni Martinelli<br />

MDLXXXVIII<br />

Guicciardini P., Il ritratto vasariano di Luigi Guicciardini. Contributo per <strong>la</strong> iconografia<br />

fiorentina all’avvento di Cosimo I, Firenze, L’Arte del<strong>la</strong> stampa, 1942<br />

Guillon A., Thou de Auguste-Jacques in Biographie universelle, IX, Paris, 1854<br />

Gullino G., Da Ponte Nicolò in DBI, vol. XXXII, Roma 1986<br />

Heckethorn C. W., The Printers of Basle. In the XV and XVI Centuries. Their biographies,<br />

Printed Books and Devices, London, printed by unwin brothers at the Gresham press, 1897<br />

Holtzmann W:, Reginone di Prum in Enciclopedia italiana, Roma, istituto Treccani, 1949,<br />

vol. XXVIII<br />

Huenara H., Eiusdem Hermanni comitis nuenarii brevis narratio de origine et sedibus<br />

priscorum francorum in Vitichindi Saxonis rerum ab Henrico et Ottone I impp. Gestarum<br />

libri III, unam cum alijs quibusdam raris et antehac non lectis diversorum autorum historijs,<br />

ab anno salutatis DCCC. usque ad praesentem aetatem: quorum catalogus patebit pagina<br />

Huc accessit rerum scitu dignarum copiosus index, Basileae, apud Io. Hervagium, mense<br />

martio, Anno MDXXXII<br />

Il libro di Montaperti, a cura di Cesare Paoli in Documenti di Storia Italiana,, Firenze, presso<br />

G. P. Viesseux, coi tipi di M. Cellini e C. al<strong>la</strong> galileiana, 1889<br />

Imperatori U. E., Dizionario degli italiani all’estero: dal sec. XIII sino ad oggi, Genova:<br />

Emigrante,1956<br />

270


Inghirami F., Storia del<strong>la</strong> Toscana compi<strong>la</strong>ta ed in sette epoche distribuita da Francesco<br />

Inghirami, Fiesole, Poligrafica fieso<strong>la</strong>na, 1841-1844, XVI voll.<br />

Irenicus F., Germaniae exegeseos volumina duodecima Francisco Irenico ettelingiacensi<br />

exarata. Eiusdem oratio protreptica, in amorem Germaniae, cum praesentis operis<br />

excusatione, ad illustriss. Principis Pa<strong>la</strong>tini Electoris Cancel<strong>la</strong>rium Florentium de<br />

Pheningen, utriusque censure Doctorem. Urbis Norimbergae descriptio, Conrado Celte<br />

narratore, Norimbergae 1518<br />

I<strong>storia</strong> dell’Europa dall’800 al 913 di Messer Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri. Testo di lingua,<br />

Torino, L’Unione tipografico-editrice, 1861<br />

Jacquiot J., La medaille dans l’humanisme allemand in AA. VV., L’Humanisme Allemand<br />

1480-1540. Actes du XVIII colloque international de Tours, Paris, Vrin, 1979<br />

Jocher C. G./Adleung J. C., Allgemeines Gelehrten-Lexikon. Fortsetzungen und<br />

Erganzungen... von H. W. Rotermund, Leipzig: Gleditsch. 1784-1897, 7 Bde<br />

Jordanes, Iornandis de origine actuque getarum liber in Procopii Caesariensis de rebus<br />

Gothorum, persarum, ac vandalorum libri VII, una cum alij mediorum temporum historicis,<br />

quorum catalogum sequens indicabit pagina. His omnibus accessit rerum copiosissimus<br />

index, Basi<strong>la</strong>e ex officina Hervagii mense septembri, anno MDXXXI .<br />

Kindermann H., Teatro europeo del Rococò, in Sensibilità razionalismo nel Settecento,<br />

Firenze, 1967<br />

Kinser S., The Works of Jacques-Auguste de Thou, The Hague, 1966<br />

Kirner G., Sul<strong>la</strong> <strong>storia</strong> d’Europa di Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri, Pisa, Tipografia T. Nistri e C.,<br />

1889<br />

Kuntz M. L., Guil<strong>la</strong>ume Postel and the World state: Restitution and the Universal Monarchy<br />

in “History of European Ideas 4”, n. 3-4, Oxford, 1983<br />

Kuntz M. L., Guil<strong>la</strong>ume Postel Prophet of the Restitution of All Things. His Life and Thought,<br />

The Hague-Boston-London 1981<br />

Kuntz M. L., Venice, Mith and Utopian Thought in the Sixteenth Century: Bodin, Postel and<br />

the Virgin of Venice, Galliard (printers), Norfolk, 1999<br />

Laurens P., Rome et <strong>la</strong> Germanie chez les poètes humanistes allemands in AA. VV.,<br />

L’Humanisme Allemand 1480-1540. Actes du XVIII colloque international de Tours, Paris,<br />

Vrin, 1979<br />

Le Mollé R., Giorgio Vasari. L’homme des Médicis, Grasset, Paris, 1995<br />

Lenzoni C., In difesa del<strong>la</strong> lingua fiorentina e di Dante, Firenze, Torrentino, 1557<br />

Lictenau K., Chronicum abbatis Urspergensis, continens hi<strong>storia</strong>m rerum memorabilium, a<br />

nino Assyriorum rege ad tempora Friderici II Romanorum imperatoris, et Germanicarum<br />

Imperatorum res praec<strong>la</strong>re ac fortiter rpo salute publica gestas, bona fide ab autore<br />

conscriptas, complectens: Diligenter per Eruditum quondam virum et hi<strong>storia</strong>rum<br />

peritissimum recognitum, et beneficio veterum manu scriptorum exemp<strong>la</strong>riorum ab infintis<br />

mendis repurgatum. Paraleipomena rerum memorabilium, a Friderico II, usque ad Carolum<br />

V. Augustum, hoc est, ab anno domini MCCXXX usque ad annum MDXXXVII, ex<br />

probatioribus qui habentur scriptoribus in arctum coacta, et hi<strong>storia</strong>e Abbatis Urspergensis<br />

per eundem studiosum annexa, Argentorati apud Cratonem Mylium, mense martio,<br />

MDXXXVIII<br />

Linacre T., Thomae Linacri Britanni De emendata structura Latini sermonis libri sex. Cum<br />

Indice copiosissimo in eosdem, Seb. Gryphium excudebat, Lugduni, 1541<br />

Liutprando, Liuthprandi Ticinensis ecclesiae levitae, rerum ab Europae Imperatoribus ac<br />

regibus gestarum, hi<strong>storia</strong>e in Vuitichindi Saxonis Rerum ab Henrico et Ottone I impp.<br />

Gestarum Libri III, unam cum alijs quibusdam raris et antehac non lectis diversorum<br />

autorum historijs, ab Anno salutatis DCCC usque ad praesentem aetatem: quorum catalogus<br />

proxima patebit pagina Huc accessit rerum scitu dignarum copiosus index, Basileae apud Io.<br />

Hervagium, mense Martio, anno MDXXXII<br />

271


Lo Re S., Biografie e biografi di Benedetto Varchi, in “Archivio Storico Italiano”, anno<br />

CLVI, 1998, disp. IV<br />

Lo Re S., La Vita di Numa Pompilio di Ugolino Martelli. Tensioni e consenso<br />

nell’Accademia fiorentina (1542-1545), in “Bruniana e Campanelliana”, 2003<br />

Lopez R., La nascita dell’Europa scoli V-XIV, Torino, Einaudi, 1966 (traduzione di<br />

Naissance de l’Europe, Parigi, Armand Colin, 1962)<br />

Machiavelli N., Istorie fiorentine, in Opere di Niccolò Machiavelli, a cura di S. Bertelli, XI<br />

voll., Mi<strong>la</strong>no, Giovanni Salerno, 1979 (III vol.)<br />

Maffei G., Storia del<strong>la</strong> letteratura italiana del cavaliere Giuseppe Maffei, terza edizione<br />

originale nuovamente corretta dall’autore e riveduta da Pietro Thouar, II voll., Firenze, Le<br />

Monnier 1853, (1 edizione 1825)<br />

Maffei R., Commentariorum urbanorum Raphaelis vo<strong>la</strong>terrani, octo et triginta libri,<br />

accuratius quam antehac excusi, cum duplici eorundem indice secundum Tomos collecto.<br />

Item Oeconomicus Xenophontis, ab eodem <strong>la</strong>tio donatus, Basileae, in officina frobeniana,<br />

Anno MDXXX<br />

Maffei R., Commentariorum urbanorum Raphaelis vo<strong>la</strong>terrani, octo et triginta libri,<br />

accuratius quam antehac excusi, cum duplici eorundem indice secundum Tomos collecto.<br />

Item Oeconomicus Xenophontis, ab eodem <strong>la</strong>tio donatus, Basileae, in officina frobeniana,<br />

Anno MDXXX.<br />

Manselli R., Clemente V in Enciclopedia dantesca, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana,<br />

1970, V voll., vol. II<br />

Marangoni G., Prefazione in Giambul<strong>la</strong>ri P. F., Storia d’Europa, a cura di G. Marangoni,<br />

Mi<strong>la</strong>no, Val<strong>la</strong>rdi, 1910.<br />

Marconcini C., L’Accademia del<strong>la</strong> Crusca dalle origini al<strong>la</strong> <strong>prima</strong> edizione del vocabo<strong>la</strong>rio<br />

(1612), Pisa, tipografia Valenti, 1910.<br />

Marconi S., Giannotti Donato, in DBI, vol. LIV, Roma 2000<br />

Marino E., Eugenio IV e <strong>la</strong> storiografia di F<strong>la</strong>vio Biondo, in “Memorie Domenicane”, 1973<br />

(IV)<br />

Mattia da Micou, Mathiae a Michov De Sarmatia Asiana atque Europea liber duo in Novus<br />

orbis regionum ac insu<strong>la</strong>rum veteribus incognitarum, una cum tabu<strong>la</strong> cosmographca, et<br />

aliquot aliis consimilis argument libellis quorum omnium catalogus sequenti patebit pagina,<br />

Parisiis apud Galeotum a Prato, MDXXXII, VIII Novembris<br />

Mazzacurati G., Conflitti di culture nel Cinquecento, Napoli, Liguori, 1977.<br />

Mazzacurati G., Dante nell’Accademia fiorentina (1540-1560) (tra esegesi umanistica e<br />

razionalismo critico), in “Filologia e Letteratura”, Anno XIII, fasc. I<br />

Mazzuchelli G., Gli scrittori d’Italia: notizie storiche e critiche intorno alle vite, e agli scritti<br />

dei letterati italiani di Giammaria Mazzuchelli Bresciano, Brescia, Bossini, 1753-1763, II<br />

voll..<br />

Mele E., Le fonti spagnole del<strong>la</strong> “Storia dell’Europa” del Giambul<strong>la</strong>ri in “Giornale critico<br />

del<strong>la</strong> letteratura italiana”, LIX, 1912<br />

Menchi S. S., Erasmo in Italia 1520-1580, Torino, Bol<strong>la</strong>ti-Boringhieri, 1987<br />

Merlin P., La forza e <strong>la</strong> fede. Vita di Carlo V, Roma-Bari, Laterza, 2004<br />

Mexia P., Vite di tutti gl’Imperatori romani, composte in lingua spagnuo<strong>la</strong> da Pietro Messia,<br />

et da M. Lodovico Dolce nuovamente tradotte et ampliate.- Alle quali da Giro<strong>la</strong>mo Bardi<br />

monaco camaldolese sono state in questa quinta impressione aggiunte le vite di Ferdinando I<br />

et di Massimiliano II imperatori, in Venezia, appresso Alessandro Griffio 1578 Roseo M.,<br />

Delle Historie del mondo, Parte terza. Aggiunte da M. Mambrino Roseo da Fabriano alle<br />

Historie di M. Giovanni Tarcagnota…in Vinegia, MDXCII, appresso i Giunti.<br />

Miglio M., Storiografia pontificia del Quattrocento, Bologna, Patron, 1975<br />

Mi<strong>la</strong>nesi M., Il Tolomeo sostituito. Studi di <strong>storia</strong> delle conoscenze geografiche nel XVI<br />

secolo, Mi<strong>la</strong>no, Unicopli, 1984.<br />

Monsagrati G., Brighenti Pietro in DBI, vol. XIV, Roma, 1972<br />

272


Monsagrati G., Giordani Pietro in DBI, vol. LV, Roma, 2000<br />

Moreni D., Continuazione delle memorie istoriche dell'ambrosiana imperial basilica di S.<br />

Lorenzo in Firenze dal<strong>la</strong> erezione del<strong>la</strong> chiesa presente a tutto il regno mediceo, Firenze,<br />

1816, II tomi<br />

Mortara A., Notizie intorno al<strong>la</strong> vita ed alle opere di Pier Francesco Giambul<strong>la</strong>ri, in P. F.<br />

Giambul<strong>la</strong>ri, I<strong>storia</strong> dell’Europa, Torino, Utet, 1861<br />

Moyer A. E., Textualizing Florence: Fiorentine Studies in the Age of Cosimo I, University of<br />

Pennsylvania, 2003.<br />

Muenster S., Briefe Sebastian Muensters <strong>la</strong>teneische und deutsch, a cura di K. H.<br />

Burdmeister, C. H. Boehringer Sohn-Ingelheim Am Rhein, 1964<br />

Muenster S., Chaldaica Grammatica, antehac a nemine attentata, sed iam primum per<br />

Sebastianum Muensterium obscripta et aedita…[Colophon: Basileae, apud Io. Frobenium,<br />

anno 1527].<br />

Muenster S., Cosmographei Basel 1550, a cura di R. Oehme, Theatrum orbis terrarum Ltd.,<br />

Amsterdam 1968<br />

Muenster S., Cosmographiae universalis Lib. VI in quibus, iuxta certioris fidei scriptorum<br />

traditionem describuntur, omnium habitabilis orbis partium situs, propriaque dotes.<br />

Regionum Topographicae effigies. Terra ingenia, quibus fit ut tam differentes et varias<br />

species res, et animatas et inanimatas, ferat. Animalium peregrinorum naturae et picturae.<br />

Nobiliorum civitatum icones et descriptiones. Regnorum initia, incrementa et trans<strong>la</strong>tiones.<br />

Omnium gentium mores, leges, religio, res gestae, mutationes : Item regum et principum<br />

genalogiae, ex Henricii Petri officina, Basileae, 1552<br />

Muenster S., Dictionarium Hebraicum ex Rabinorum commentarijs collectum, adiectis iis<br />

chaldaicis vocabulis quorum in Bibliis et usus: ab autore Sebastiano non solum dermo<br />

locupletum, sed a multis passim mutatis emendatum, ut hac interpo<strong>la</strong>tione liber renatus<br />

videatur et p<strong>la</strong>ne novuus, Basileae apud Io. Froben, an. MDXXV, mense Novembre<br />

Muenster S., Ditionarium Chaldaicum, non tam ad chaldicos interpretes quoque Rabbinorum<br />

intelligenda commentaria necessarium: per Sebastianum Muensterum ex baal Aruch et Chal.<br />

Biblijs atque Hebraeorum peruschim congestum, Basileae apud Io. Fro. anno M. D. XXVII<br />

Muenster S., Germaniae atque aliarum regionum, quae ad imperium usque<br />

Costantinopolitanum protenduntur, descriptio, per Sebastianum Muensterum ex Historicis<br />

atque Cosmographis, pro tabu<strong>la</strong> Nico<strong>la</strong>ei Cuse intelligenza excerpta. Item eiusdem tabu<strong>la</strong>e<br />

Canon. MDXXX<br />

Muenster S., Hebraica Biblia p<strong>la</strong>neque nova Sebastiani Muensteri trans<strong>la</strong>tione, post omnei<br />

monium hactenus ubivis gentium evulgata, et quoad fieri potuit, hebraicae veritati<br />

conformata: adiectis insuper e Rabinorum commentarijs annotationibus haud poenitendis,<br />

pulchre et voces ambiguas et obscuriora quaequa elucidantibus, 2 voll., Basilea ex officina<br />

Babeliana, impendiis Michaelis Insingrinii et Henrici Petri, 1534.<br />

Muenster S., Kalendarium Hebraicum [Sebastiani Muensterii opera], ex Hebraeorum<br />

penetralibus iam recens in lucem aeditum: quod non tam hebraicae studiosis quam<br />

historiographis et astronomiae peritus subsernire poterit, Basileae, apud J. Frobenium, 1527<br />

Muenster S., S. Muensterii, Dictionarium Trilingue, Henricus Petrus Augusto, anno MDXXX<br />

Muenster S., Typi cosmographici et dec<strong>la</strong>ratio et usus, per Sebastianum Muensterum in<br />

Novus orbis regionum ac insu<strong>la</strong>rum veteribus incognitarum, una cum tabu<strong>la</strong> cosmographca,<br />

et aliquot aliis consimilis argument libellis quorum omnium catalogus sequenti patebit<br />

pagina, Parisiis apud Galeotum a Prato, MDXXXII, VIII Novembris<br />

Muratori L., Dissertazioni sopra le antichità italiane nel<strong>la</strong> dissertazione XXIII, Dell’origine o<br />

sia dell’etimologia delle voci italiane in Dal Muratori al Cesarotti. Opere di Lodovico<br />

Antonio Muratori, a cura di Giorgio Falco e Fiorenzo Forti, V tomi, Riccardo Ricciardi,<br />

Verona, 1978, nel tomo I<br />

Mutius H., De Germanorum <strong>prima</strong> origine, moribus, institutis, legibus et memorabilibus pace<br />

et bello gestis omnibus omnium seculorum usque ad mensem Augustum anni trigesimi noni<br />

273


supra millesimum quingentesimum, libri Chronici XXXI ex probatioribus Germanicis<br />

scriptoribus in Latinam linguam trans<strong>la</strong>ti, autore H. Mutio, Basileae apud Henricum Petrum,<br />

mense augusto, Anno MDXXXIX<br />

Narducci E., Giunte all’opera “Gli scrittori d’Italia” del conte Giammaria Mazzuchelli,<br />

tratte dal<strong>la</strong> Biblioteca Alessandrina, Roma, Salviucci, 1884<br />

Nauclerius J., Iohannis Naucleri praepositi tubingen. Chronica, succinctim copraehendentia<br />

res memorabiles seculorum omnium ac gentium, ab initio mundi usque ad annum Christi nati<br />

MCCCCC. Cum Auctario Nico<strong>la</strong>j Bselij ab anno Domini M. D. I. in annum M.D. XIIII. Et<br />

Appendice nova, cursim memorante res interim gestas, ab anno videlicet M. D. XV. Usque in<br />

annum presentem, qui est post Christum natum M. D. XLIIII. Rhapsodis partim D. Cunrado<br />

Tigemanno, partim Bartho<strong>la</strong>maeo Laurente…, Coloniae ex officina Petri Quentel anno Christi<br />

nati MDXLIIII.<br />

Negri G., I<strong>storia</strong> degli Scrittori fiorentini. La quale abbraccia intorno a duo mi<strong>la</strong> Autori, che<br />

negli ultimi cinque Secoli hanno illustrata co i loro scritti quel<strong>la</strong> nazione, in qualunque<br />

materia, et in qualunque Lingua, e Disciplina…, in Ferrara MDCCXXII, per Bernardino<br />

Pomatelli Stampatore vescovale<br />

Norchiati G., Trattato de' diphtonghi toscani, Venezia, Melchiorre Sessa, 1539<br />

Oldoni M., Introduzione critica in Liutprando da Cremona, Italia e Bisanzio alle soglie<br />

dell’anno mille, a cura di Massimo Oldoni e Pierangelo Ariatta, Novara, Europia, 1987<br />

P. Aquilon, La réception de l’Humanisme allemand a Paris a travers <strong>la</strong> production imprimèe:<br />

1480-1540, in AA. VV., L’Humanisme Allemand 1480-1540. Actes du XVIII colloque<br />

international de Tours, Paris, Vrin, 1979<br />

Pampaloni G., Gli Alighieri, Dante e il buon tempo antico. (Il canto XVI dell’Inferno) in AA.<br />

VV., Studi in onore di Arnaldo D’Addario, cit., III vol.<br />

Pastor L., Storia dei Papi dal<strong>la</strong> fine del Medio Evo, Roma, Desclèe e C. Editori pontifici,<br />

XVII voll., 1955-1964 (ristampa)<br />

Perini L., La vita e i tempi di Pietro Perna, Edizioni di <strong>storia</strong> e letteratura, Roma, 2002<br />

Petri Y., Gendere, Kabba<strong>la</strong>h, and the Reformation. The Mystical Theology of Guil<strong>la</strong>ume<br />

Postel (1510-1581), Leiden-Boston, Brill, 2004<br />

Petrucci F., Bernardino Corio in DBI, vol. XXIX, Roma, 1983<br />

Petrucci F., Cesarini Alessandro, in DBI, vol. XXIV, Roma, 1980<br />

Peyronel S., Bossi Donato in DBI vol. XIII, Roma, 1971<br />

Piccolomini E. S., Aenae Sylvii Hi<strong>storia</strong> Bohemica in Vitichindi Saxonis rerum ab Henrico et<br />

Ottone I impp. Gestarum libri III, unam cum alijs quibusdam raris et antehac non lectis<br />

diversorum autorum historijs, ab anno salutatis DCCC. usque ad praesentem aetatem:<br />

quorum catalogus patebit pagina Huc accessit rerum scitu dignarum copiosus index,<br />

Basileae, apud Io. Hervagium, mense martio, Anno MDXXXII<br />

Piccolomini E. S., Pii.II. pon. Max. Asiae Europaequae elegantissima descriptio, mira<br />

festivitate tum veterum, tum recentium res memoratu dignas complectens, maxime sub<br />

Federico III. Apud Europeos Chrstiani cum Turcis, Prutenis, Soldano, et caeteris hostibus<br />

fidei, tum etiam inter sese vario bellorum eventu commiserunt. Accessit Henrici G<strong>la</strong>reani,<br />

Helvetij, poetae <strong>la</strong>ureati compendiaria Asiae, Africae, Europaequae descriptio, Parisijs apud<br />

Galeotum a prato, ad <strong>prima</strong>m Pa<strong>la</strong>tij regij columnam, 1534<br />

Pignatti F., Bernardo Giambul<strong>la</strong>ri, in DBI, vol. LIV, Roma, 2000<br />

Pignatti F., Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri, in DBI, vol. LIV, Roma 2000<br />

Pinto G., Del<strong>la</strong> Bel<strong>la</strong> Giano in DBI, vol. XXXVI, Roma, 1988<br />

Pirchkeimer W., Germaniae ex variis scriptoribus perbrevis explicatio. Authore Bilibaldo<br />

Pirhkeymero Consiliario Cesareo, Augustae apud Hainricum Steiner, Norimbergae, Anno<br />

MDXXX<br />

P<strong>la</strong>isance M., Còme Ier ou le prince idéal dans le dédicaces et les traités des annés 1548-<br />

1552, in Jean Dufournet, Adelin Fiorato, Augustin Redondo, Le pouvoir monarchique et ses<br />

supports idéologiques : XIVème-XVIIème siècles, Publications de <strong>la</strong> Sorbonne Nouvelle, 1990<br />

274


P<strong>la</strong>isance M., Culture et politique à Florence de 1542 à 1551: Lasca et les Humidi aux prises<br />

avec l'Académie Florentine, in Les écrivains et le pouvoir en Italie à l'èpoque de <strong>la</strong><br />

Renaissance, vol. II, Universitè de <strong>la</strong> Sorbonne nouvelle, Paris 1974<br />

P<strong>la</strong>isance M., L’Accademia e il suo principe. Cultura e politica a Firenze al tempo di Cosimo<br />

I e di Francesco de’ Medici, Vecchiarelli editore, Roma, 2004<br />

P<strong>la</strong>isance M., Le accademie fiorentine negli anni ottanta del Cinquecento in Piero Gargiulo,<br />

Alessandro Magini, Stéphane Toussaint, éds., Neop<strong>la</strong>tonismo, musica, letteratura nel<br />

Rinascimento. I Bardi di Vernio e l’Accademia del<strong>la</strong> Crusca, Prato, “Cahiers Accademia”, I,<br />

2000<br />

P<strong>la</strong>isance M., Le retour à Florence de Doni: d’Alexandre à Còme in appendice al seminario<br />

“Una soma di libri”. L’edizione delle opere di Anton Francesco Doni (Pisa, Facoltà di lettere,<br />

ottobre 2002, curato da Gabriel<strong>la</strong> Albanese<br />

P<strong>la</strong>isance M., Les Dédicaces à Còme Ier: 1546-1550 in Charles Adelin Fiorato, Jean-C<strong>la</strong>ude<br />

Margolin, éds., L’écrivain face à son public en France et en Italie à <strong>la</strong> Renaissance, Paris,<br />

Vrin, 1989, pp. 173-187, ora in L’Accademia e il suo principe<br />

P<strong>la</strong>isance M., Une première affirmation de <strong>la</strong> politique culturelle de Còme Ier: <strong>la</strong><br />

transformation de l'académie des "humidi" en académie florentine (1540-1542) in AA.VV.,<br />

Les écrivains et le pouvoir en Italie à l’époque de <strong>la</strong> Renaissance, vol. I, Universitè de <strong>la</strong><br />

Sorbonne Nouvelle, Paris 1973<br />

P<strong>la</strong>tina B., Hi<strong>storia</strong> B. P<strong>la</strong>tinae de vitis pontificum romanorum A. D. N. Cristo usque ad<br />

Paulum II venetum, Papam longe quam antea emendatior, doctissimarumque annotationum<br />

onuphrii Panvinij accessione nunc illustrior reddita…, Coloniae, apud Maternum Chorinum,<br />

MDLXXIIII.<br />

P<strong>la</strong>tina., Hi<strong>storia</strong> B. P<strong>la</strong>tinae De vitis Ponitificum Romanorum, A. D. N. Iesu Christo Usque<br />

ad Paulum II. Venetum, Papam longe quam antea emendatior, doctissimarumque<br />

annotationum Onuphriy Panvinij accessione nunc illustrior reddita. Cui Eiusdem Onuhrji<br />

Accurata atque fideli opera, reliquorum quoque Pontificum vitae, usque ad Pium V.<br />

Pontificem Max. nunc recens adiuncta sunt.<br />

Polidoro V., Polydori Vergilii urbinatis anglicae hi<strong>storia</strong>e libri XXVI, Basileae, apud Io.<br />

Bebelium anno MDXXXIIII<br />

Polman P., L’élèment Historique dans <strong>la</strong> Controverse religieuse du XVIé Siècle, Gembloux<br />

imprimerie J. Duculot, éditeur, 1932<br />

Postel G. Linguarum duodecim characteribus differentium Alphabetum, introductio ac<br />

legendi modus longe facilimus. Linguarum nomina sequens proxime pagel<strong>la</strong> offeret,<br />

Guillielmi Postelli, Barentonii diligentia, Prostant Parisiis apud Dionysium Lescuier 1538<br />

Postel G., De Etruriae regionis, quae <strong>prima</strong> in orbe Europaeo habitata est, Originibus,<br />

Insittutis, Religione et Moribus, et in primis DE AUREI SAECULI DOCTRINA et vita<br />

praestantissima quae in divinationis sacrae usu posita est, Gulielmi postelli Commentatio,<br />

Florentiae, MDLI<br />

Postel G., Gulielmi Postelli Baren. Doleriensis de Originibus seu de Hebraicae linguae et<br />

gentis antiquitate, deque variarum linguarum affinitate, liber. In quo ab Hebraorum<br />

Chaldeorumve gente traductas in toto orbe Colonias Vocabuli Hebraici argumento,<br />

humanitatisque authorum testimono videbis: literas, leges, disciplinasque omnes inde ortas<br />

cognosces : communitatemque notiorum idiomatum aliquam cum Hebraismo esse, Prostant<br />

Parisiis : apud Dionysium lescuier, sub Porcelli signo e regione D. Hi<strong>la</strong>rii [Parigi] : excudebat<br />

Petrus Vidovaeus, vigesima septima Martijs 1538<br />

Potthast A., Wegweiser durch-die Geschichts Werke des europaischen mitte<strong>la</strong>lters bis 1500.<br />

Vollstandiges inhaltsverzeichniss zu Acta Sanctorum boll.- Bouquet- Migne- Mon. Germ.<br />

Hist.-Muratori- Rerum Britann. Scrpiptores, anhang quellenkunde fur die geschicte del<br />

europaischen staaten wahrend des mitte<strong>la</strong>lters, Berlin, W. Weber, 1896, Biblioteca Historica<br />

Medii Aevi, II voll.<br />

275


Procopio di Cesarea, Procopii Caesariensis de rebus Gothorum, persarum, ac vandalorum<br />

libri VII, una cum alij mediorum temporum historicis, quorum catalogum sequens indicabit<br />

pagina. His omnibus accessit rerum copiossimus index, Basileae ex officina Hervagii mense<br />

septembri, anno MDXXXI<br />

Procopio, Procopii Caesariensis de rebus Gothorum, persarum, ac vandalorum libri VII, una<br />

cum alij mediorum temporum historicis, quorum catalogum sequens indicabit pagina. His<br />

omnibus accessit rerum copiosissimus index, Basi<strong>la</strong>re ex officina Hervagii mense septembri,<br />

anno MDXXXI<br />

Procopio, Procopii de bello Persico. Impressum per magister Eucharium Silber alias<br />

Franck…, 1509, nonis Martio<br />

Prosperi A., Tra Evangelismo e Controriforma: G. M. G. (1495-1543), Roma, 1969<br />

Raffaele L., Una dotta spia dell’Austria, Roma, Tipografia operaia romana cooperativa, 1921<br />

Raimondi E., I lumi dell’erudizione. Saggi sul Settecento italiano, Mi<strong>la</strong>no, Vita e pensiero,<br />

1989<br />

Reginone di Prum, Reginonis monachi Prumiensis annales, non tam de Augustorum vitis,<br />

quam aliorum Germanorum gestis et docte et compendiose disserentes, ante sexigentos fere<br />

annos editi, Maguntiae mense augusto, Anno MDXXI, Ioannis Schoeffer<br />

Reynolds B. R., Latin Historiography: a Survey, 1400-1600, in “Studies in the Renaissance”,<br />

1955<br />

Rhenanus B., Beati Renani selestadiensis rerum germanicarum libri tres. Adiecta est in calce<br />

episto<strong>la</strong> ad D. Philippum Puchaimerum, de locijs Plinij per St. Aquaeum attactis, ubi mendae<br />

quaedameiusdem autoris emacu<strong>la</strong>ntur, antehac non a quoquam animadversae, Basi<strong>la</strong>re, in<br />

officina frobeniana, anno MDXXXI<br />

Ricci A., Lorenzo Torrentino and the Cultural Programme of Cosimo I de’ Medici in AA.<br />

VV., The Cultural Politics of Duke Cosimo I de’ Medici, edited by Konrad Eisenbichler,<br />

Aldershot, Ashgate, 2001<br />

Ricciardi R., Conti Natale in DBI, vol. XXVIII, Roma, 1983<br />

Ridè J., Un grand projet patriotique: Germania illustrata, in AA. VV., L’Humanisme<br />

Allemand 1480-1540. Actes du XVIII colloque international de Tours, Paris, Vrin, 1979<br />

Ridolfi R., La biblioteca del cardinale Niccolò Ridolfi, in “La Bibliofilia”, anno XXXI, 1929,<br />

maggio<br />

Rill G., Bonfini Antonio in DBI, Roma, 1970, vol . XII<br />

Ritter F., Histoire de l’imprimerie Alsacienne aux XVe et XVIe siècles, éditions F.- X. Le<br />

Roux, Strasbourg-Paris, 1955<br />

Roberti M., Il Belgio descritto da un fiorentino del Cinquecento, Firenze, Regia deputazione<br />

di <strong>storia</strong> patria, 1915<br />

Robertson C., Farnese Alessandro in DBI, vol. XLV, Roma, 1995<br />

Romanelli G., Ritrattistica dogale: ombre immagini e volti in AA.VV., I dogi, a cura di<br />

Benzoni G., Mi<strong>la</strong>no, Electa, 1982,<br />

Romeo R., Idea e coscienza di nazione fino al<strong>la</strong> <strong>prima</strong> guerra mondiale. Appunti, in “Clio”,<br />

1978, anno XIV, n.1 marzo<br />

Rotondò A., Carnesecchi Pietro, in DBI, Roma, vol. XX, 1977<br />

Rozzo U., La cultura italiana nelle edizioni lionesi di Sèbastiene Gryphe 1531-1541, in “LA<br />

Bibliofilia”, 1988, disp. II<br />

Rubinstein N., Il Medio Evo nel<strong>la</strong> storiografia italiana del Rinascimento, in “Lettere italiane”,<br />

24, 1972<br />

Ruysschaert J., Juste Lipse, éditeur de Tacite in La Fortuna di Tacito dal sec. XV ad oggi,<br />

Atti del colloquio di Urbino, 9-11 ottobre 1978, a cura di Franco Gori e Cesare Questa, in<br />

“Studi Urbinati”, 1979<br />

Sabellico M. A., Opera M. Antonii Coccii Sabellici in duos digesta tomos Rapsodiae<br />

Hi<strong>storia</strong>e enneadum XI, Quinque priores uno continentur, altero sex reliquiae cum D.<br />

Casparis Hedionis Historica synopsi, qua huius auctoris institum summa fide et diligentia ad<br />

276


annum MDXXVIII persequitur. His veluti una perpetuaque oratione res memorabiles ab orbe<br />

condito in praesens usque tempus gestae, ea perspicuitate narrantur, ut innumeri loci,<br />

obscuri apud reliquos historicos Basileae, ex officina Hervagiana, anno MDXXXVIII<br />

Salvini F., Fasti conso<strong>la</strong>ri dell’Accademia fiorentina di Salvino Salvini. Consolo del<strong>la</strong><br />

medesima e rettore genrale dello studio di Firenze. All’altezza reale del serenissimo Gio.<br />

Gastone gran principe di Toscana, in Firenze, 1717, nel<strong>la</strong> stamperia di S. A. R<br />

Santi P., Biblia, <strong>la</strong>tino. 1528. Pagnini. Biblia. Habes in hoc libro utriusque In strumenti<br />

novam tra<strong>la</strong>tionem aeditam a Sancte Pagnino, [ Lugduni, per A. du Ry, 1527].<br />

Sapori A., Una compagnia di Callima<strong>la</strong> ai primi del Trecento, Firenze, Olschki, 1932<br />

Saxo G., Saxonis Grammatici Danorum hi<strong>storia</strong>e libri XVI, trecentis ab hinc annis conscripti,<br />

tanta dictionis elegantia, rerumque getarum varietate, ut cum omni vetustate contendere<br />

optimo iure videri possint. Accessit rerum memorabilium Index locupletissimum, Basileae<br />

apud Io. Bebelium, Anno MDXXXIIII; d’ora in poi Danorum hi<strong>storia</strong>e.<br />

Scapecchi P., Una carta dell’esemp<strong>la</strong>re riminese delle Vite del Vasari con correzioni di<br />

Giambul<strong>la</strong>ri. Nuove indicazioni e proposte per <strong>la</strong> torrentiniana, in “Mitteilungen des<br />

Kunsthistorischen institutes in Florenz”, XII. Band – 1998 – Heft 1<br />

Scarsel<strong>la</strong> A., Alberti Giovanni in Dizionario de Tipografi e degli editori italiani. Il<br />

Cinquecento diretto da Marco Menato, Ennio Sandal, Giuseppina Zappel<strong>la</strong>, Editrice<br />

Bibliografica, Mi<strong>la</strong>no, 1997, vol. I<br />

Schoell F. L., Etudes sur l’humanisme continental à <strong>la</strong> fin de <strong>la</strong> Renaissance, Paris, 1926.<br />

Sciarrini M., “La Italia Natione”. Il sentimento nazionale italiano in età moderna, Mi<strong>la</strong>no,<br />

Franco Angeli, Roma, 2004<br />

Secret F., Notes sur Guil<strong>la</strong>ume Postel, VII, Guil<strong>la</strong>ume Postel et Sebastian Muenster, in<br />

“Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance”, XXII, 1960<br />

Simoncelli P., Evangelismo italiano del cinquecento. Questione religiosa e nicodemismo<br />

politico, Roma, Istituto storico per l'età moderna e contemporanea, 1979<br />

Simoncelli P., Il caso Reginald Pole. Eresia e santità nelle polemiche religiose del<br />

Cinquecento, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1977<br />

Simoncelli P., Il cavaliere dimezzato. Paolo del Rosso “fiorentino e letterato”, Mi<strong>la</strong>no,<br />

Franco Angeli, 1992<br />

Simoncelli P., Jacopo da Pontormo e Pier<strong>francesco</strong> Riccio. Due appunti, in “Critica Storica”,<br />

17, 1980<br />

Simoncelli P., La lingua di Adamo. Guil<strong>la</strong>ume Postel tra accademici e fuoriusciti fiorentini,<br />

Firenze, Olschki, 1984.<br />

Simoncelli P., Pontormo e <strong>la</strong> cultura fiorentina, in “Archivio Storico italiano”, anno CLIII,<br />

1995, disp. III.<br />

Simonsfeld H., Der Fondaco dei Tedeschi in Venedig und die Deutsch-Venetianischen<br />

Handelsbeziehungen, Stuttgart. Ver<strong>la</strong>g der J. G. Cotta’schen buchhandlung, 1887.<br />

Soman A., De Thou and the Index. Letters from Christophe Dupuy (1603-1607), Genève,<br />

Droz, 1972.<br />

Soman A., The London Edition of De Thou’s History: A Critique of some well-documented<br />

Legenda in “Renaissance Quarterly”, vol. XXIV, n.1, 1971<br />

Sozzini L., Opere, edizione critica a cura di Antonio Rotondò, Firenze, Olschki, 1986<br />

Spini G., Cosimo I e l’indipendenza del principato mediceo, Firenze, Vallecchi, 1980 (<strong>prima</strong><br />

ediz., Firenze, Vallecchi 1945)<br />

Spini G., Il principato dei Medici e il sistema degli stati europei nel Cinquecento in Firenze e<br />

<strong>la</strong> Toscana dei Medici nell’europa del Cinquecento, Firenze, Olsckhi, 1983, III voll., vol. I<br />

Stel<strong>la</strong> A., Chiesa e Stato nelle re<strong>la</strong>zioni dei nunzi pontifici a Venezia. Ricerche sul<br />

giurisdizionalismo veneziano dal XVI al XVIII secolo, Città del Vaticano, 1964<br />

Tacito C., De situ, moribus, populis Germaniae libellus in P. Cornelii Taciti equitis ro. Ab<br />

excessu Augusti. Annalium libri sedecim, ex castigatione Aemylij Ferretti, Beati Renani,<br />

Alciati, ac Beroaldi, Lugduni apud Sebastianum Gryphium, 1542<br />

277


Tacito C., Gli annali di Cornelio Tacito cavalier romano de’ fatti, e guerre de’ Romani così<br />

civili, come esterne: seguite dal<strong>la</strong> morte di Cesare Augusto, per fino all’imperio di<br />

Vespasiano;…da Giorgio Dati fiorentino nuovamente tradotti di <strong>la</strong>tino in lingua toscana, in<br />

Venetia, appresso Giovanni Alberti, 1598<br />

Tarcagnota G., Del sito, et lodi del<strong>la</strong> città di Napoli con una breve i<strong>storia</strong> de re suoi, et delle<br />

cose più degne altrove ne medesimi tempi avenute di Giovanni Tarchagnota di Gaeta,<br />

Appresso Giovanni Maria Scoto, MDLXVI, in Napoli.<br />

Tarzia F., Gaddi Jacopo in DBI, vol. LI, 1998, Roma,.<br />

Tateo F., Coccio Macantonio detto Marcantonio Sabellico in DBI, vol. XXVI, Roma 1982<br />

Thou (Jacques Auguste de) in AA. VV., Nouvelle Biographie Gènerale depuis les temps les<br />

plus reculès jusq’a nos jours…, publièe par MM. Firmin Didot Frères, Tome<br />

Quarante=Cinquiéme, Paris, MDCCCLXVI<br />

Timpanaro S., Il Giordani e <strong>la</strong> questione del<strong>la</strong> lingua in AA. VV., Pietro Giordani nel II<br />

centenario dal<strong>la</strong> nascita, Atti del Convegno di studi, Piacenza, 16-18 marzo 1974, cassa di<br />

risparmio di Piacenza, 1974<br />

Tiraboschi G., Storia del<strong>la</strong> Letteratura italiana del cav. Abate Giro<strong>la</strong>mo Tiraboschi.<br />

Dall’anno MD fino all’anno MDCCC, Firenze, presso Molni, Landi e c., 1805-1813, IX<br />

tomi., (<strong>prima</strong> edizione Modena, 1772)<br />

Tolomeo, Geographia universalis vetus et nova complectens C<strong>la</strong>udii Ptolemaei alexandrini<br />

enarattionis libros VIII. Quorum primus nova trans<strong>la</strong>tione Pirkeimheri et accessione<br />

commentarioli illustrior quam hactenus fuerit, redditus est. Reliqui cum greco et alijs vetustis<br />

exemp<strong>la</strong>ribus col<strong>la</strong>ti, in infinitis fere locis castigatiores facti sunt. Addita sunt insuper<br />

Scholia, quibus exoleta urbium, montium, fluviorumque nomina ad nostri seculi morem<br />

exponentur. Succedunt tabu<strong>la</strong>e Ptolemaicae, opera Sebastiani Muensteri novo paratae modo.<br />

His adiectae sunt novae tabu<strong>la</strong>e, modernam orbis facies literis et pictura explicantes, inter<br />

quas quidam antehac Ptolomeo non fuerunt additae. Ultimo annexum est compendium<br />

geographicae descriptionis, in quo varij gentium et regionum ritus et mores explicantur.<br />

Praefixus est quoque universo operi index memorabilium popilorum, civitatum,<br />

fluviorum,montium, terrarum, <strong>la</strong>cuum et c., Basileae apud Henrichum Petrum mense martio<br />

anno MDXL<br />

Torcel<strong>la</strong>n G., Giornalismo e cultura illuministica nel Settecento veneto, in Settecento veneto,<br />

Torino 1969<br />

Tucci U., I meccanismi dell’elezione dogale in AA.VV., I dogi, a cura di Benzoni G., Mi<strong>la</strong>no,<br />

Electa, 1982,<br />

Turchini A., Giberti Gian Matteo, in DBI, vol. LIV, Roma, 2000<br />

U. Chevalier, Otto di Frisinga in Rèpertoire des sources historiques, 1960, II vol. (1905<br />

<strong>prima</strong> edizione)<br />

Ughi L., Dizionario storico degli uomini illustri ferraresi: nel<strong>la</strong> pietà, nelle arti e nelle<br />

scienze con le loro opere o fatti principali compi<strong>la</strong>to da […]Luigi Ughi ferrarese, Ferrara,<br />

Rinaldi, 1804, II tomi.<br />

Ulvioni P., Cultura politica e cultura religiosa a Venezia nel secondo Cinquecento. Un<br />

bi<strong>la</strong>ncio, in “Archivio storico italiano”, 1983, CXLI<br />

Va<strong>la</strong>cca C., La vita e le opere di Messer Pier<strong>francesco</strong> Giambul<strong>la</strong>ri, <strong>prima</strong> parte 1495-1541,<br />

Bitonto, Tipografia editrice N. Garofalo, 1898,<br />

Vallone A., Aspetti dell’esegesi dantesca nei secoli XVI e XVII attraverso testi inediti, Lecce,<br />

Milel<strong>la</strong>, 1966<br />

Vasari G., La vita di Miche<strong>la</strong>ngelo. Nelle redazioni del 1550 e del 1568, curata e commentata<br />

da Pao<strong>la</strong> Barocchi, V voll., Mi<strong>la</strong>no-Napoli, Ricciardi, 1962<br />

Vasari G., Le Vite de’ più eccellenti scultori, pittori e architettori nelle redazioni del 1550 e<br />

1568 testo a cura di Rosanna Bettarini, commento seco<strong>la</strong>re a cura di Pao<strong>la</strong> Barocchi, Firenze,<br />

Sansoni editore, 1966-1987, VIII voll.<br />

Vasina A., Calcoli Fulcieri Vasina in Enciclopedia dantesca, vol. I<br />

278


Vasoli C., A proposito del<strong>la</strong> Storia d’Europa del Giambul<strong>la</strong>ri, in “Nuova rivista storica”,<br />

LXXVII (1993)<br />

Vasoli C., Osservazioni sui “Discorsi historici universali” di Cosimo Bartoli in Firenze e <strong>la</strong><br />

Toscana dei Medici<br />

Verga M., Storie d’Europa. Secoli XVIII-XXI, Roma, Carocci, editore, 2004<br />

Vico G. B., Principj di Scienza Nuova d’intorno al<strong>la</strong> comun natura delle nazioni, in questa<br />

terza impressione dal medesimo autore in un gran numero di luoghi corretta, schiarita e<br />

notabilmente accresciuta 1744, in Vico G. B., Opere, a cura di Fausto Nicolini, Napoli,<br />

Riccardo Ricciardi, Verona, 1953<br />

Vil<strong>la</strong>ni G., Cronica di Giovanni Vil<strong>la</strong>ni a miglior lezione ridotta coll’aiuto de testi a penna,<br />

Firenze, per il Magheri, 1823-1825, VII tomi, in partico<strong>la</strong>re tomo II<br />

Vivanti C., Gli umanisti e le scoperte geografiche, in Il nuovo mondo nel<strong>la</strong> coscienza italiana<br />

e tedesca del Cinquecento, a cura di A. Prosperi e W. Reinhard, Bologna 1992<br />

Vivanti C., Henry IV, the Gallic Hercules in “Journal of the Warburg and Courtauld and<br />

Institutes”, 30, 1967<br />

Vivanti C., I ”commentarii” di Pio II in Vivanti C., Incontri con <strong>la</strong> <strong>storia</strong>. Politica, cultura e<br />

società nell’Europa moderna, a cura di Miguel Gotor e Gabriele Pedullà, presentazione di<br />

Maurice Aymard, Torino, Seam, 2001<br />

Vivanti C., La formazione e l’opera storiografica di Jacques Auguste de Thou in id., Lotta<br />

politica e pace religiosa in Francia fra Cinque e Seicento, Torino, Einaudi, 1963<br />

Vocht D. H., History of the Foundation and Rise of the Collegium Trilingue Lovaniense,<br />

Louvain, Librarie Universitaire, 1951-1955, IV voll.<br />

Watt. M. A., The Reception of Dante in the Time of Cosimo I in AA. VV., The Cultural<br />

Politics of Duke Cosimo I de’ Medici, edited by Konrad Eisenbichler, Aldershot, Ashgate,<br />

2001<br />

Weill G., Vie et caractère de Guil<strong>la</strong>ume Postel, traduzione in francese di Francois Secret,<br />

Mi<strong>la</strong>no, Archè, 1987 (<strong>prima</strong> edizione 1967)<br />

Widukindo, Vuitichindi Saxonis Rerum ab Henrico et Ottone I impp. Gestarum Libri III,<br />

unam cum alijs quibusdam raris et antehac non lectis diversorum autorum historijs, ab Anno<br />

salutatis DCCC usque ad praesentem aetatem: quorum catalogus proxima patebit pagina<br />

Huc accessit rerum scitu dignarum copiosus index, Basileae apud Io. Hervagium, mense<br />

Martio, anno MDXXXII<br />

Wimpheling J., Epitome germanorum, opera Iacobi Vumphelingii selestadiensis et quorum<br />

contexta, ac nuper per eruditum quondam recognita, in Vuitichindi Saxonis Rerum ab<br />

Henrico et Ottone I impp. Gestarum Libri III, unam cum alijs quibusdam raris et antehac non<br />

lectis diversorum autorum historijs, ab Anno salutatis DCCC usque ad praesentem aetatem:<br />

quorum catalogus proxima patebit pagina Huc accessit rerum scitu dignarum copiosus index,<br />

Basileae apud Io. Hervagium, mense Martio, anno MDXXXII<br />

Yates F. A., Astrea. L’idea di Impero nel Cinquecento, Torino, Einaudi, 1978<br />

Yates F. A., L’idea di monarchia in Francia in Charles Quint et l’ideé d’ empire, in Fétes et<br />

cérimonies au temps de Charles Quint, a cura di J. Jacquot, Centre nationale de <strong>la</strong> recherche<br />

scientifique, Paris, 1960<br />

Zambelli P., Ba<strong>la</strong>mi Ferdinando (Ferrante Siciliano), in DBI, vol. V, Roma, 1963<br />

Zambrini F., Cenni biografici intorno ai letterati illustri italiani: o breve memorie di quelli<br />

che co’ loro scritti illustrarono l’Italico idioma [Zambrini Francesco ed.], Faenza: Montanari<br />

e Marabini, 1837<br />

Ziegler J., Syria ad Ptolomaici operis rationem. Praeterea Strabone, Plinio, et Antonio<br />

auctoribus locupletata. Palestina, iisdem auctoribus, Praeterea hi<strong>storia</strong> sacra, et Iosepho, et<br />

divo Hieronymo locupletata. Aegyptus, iisdem auctoribus. Praeterea Joanne Leone Arabe<br />

grammatico, secundum recentiorum locorum situm, illustrata. Schondia, tradita ab<br />

auctoribus, quin eius operis prologo memorantur. Holmiae, civitatis regie, Suetiae,<br />

279


deplorabilis excidijs per Christiernum Datiae cimbricae regem hi<strong>storia</strong>e. Regionum<br />

superiorum, singu<strong>la</strong>e tabu<strong>la</strong>e Geographicae, Argentorati apud Petrum Opilionem, MDXXXII<br />

Zimmermann P. T. C., Giovio Paolo in DBI, vol. LVI, Roma, 2001<br />

Zimmermann P. T.C., Paolo Giovio: The Hi<strong>storia</strong>n and The Crisis of Sixteenth Century,<br />

Princeton University Press, Princeton 1995.<br />

Zorzi F. G., Francisci Georgici Veneti minoritanae familiae De Harmonia mundi totius<br />

cantica tria, Venetiis in aedibus Bernardini De Vitalibus calchographi an. DMXXV, mense<br />

Septembre<br />

280

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!