Giorgio Fiorese Per un Hub della conoscenza - Dipartimento di ...

Architettura, Città, Infrastrutture sociali_1
Giorgio Fiorese
Per un Hub della conoscenza
con arte & scienza declinate nel fare
(prima ipotesi di localizzazione
a Milano Bovisa)

ISBN 978-88387-4301-0
Copyright 2008 by Maggioli S.p.A.
É vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi
mezzo effettuata, anche ad uso interno e didattico, non
autorizzata.
Maggioli Editore è un marchio di Maggioli S.p.A.
Azienda con sistema qualità certificato ISO 9001:2000
47822 Santarcangelo di Romagna (RN) • Via del Carpino, 8
Tel. 0541/628111 • Fax 0541/622020
www.maggioli.it/servizioclienti
e-mail: servizio.clienti@maggioli.it
Diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e
di adattamento, totale o parziale con qualsiasi mezzo sono riservati per
tutti i Paesi.
Finito di stampare nel mese di luglio 2008
dalla Litografia Titanlito s.a.
Dogana (Repubblica di San Marino)

1
Noi procureremo in questo cantone d’Italia
e nei suoi confini e alle radici delle
Alpi e di quei monti che furono una volta
difficili a passarsi di ritenere con noi le
buone arti quantunque volessero fuggirsi
di là dai monti, ovvero di là dal mare.
Federico Borromeo
La Triennale è … un organismo unico
al mondo che caratterizza fortemente,
nel campo che le è proprio, la città di
Milano, dove l’industria e l’arte reciprocamente
si condizionano più che in
qualsiasi altro centro italiano.
Carlo Cavallotti e Giulia Veronesi, in Milano
com’è, 1962
Le fabbriche del design italiano sono
state concepite un po’ come università
del lavoro: un luogo dove fare esperimenti.
Francesca Picchi, in La fabbrica del
design, 2007
Students concentrating in molecular
biology or mechanical engineering will
be heartened to find that chemistry and
physics, not to speak of mathematics,
are all central to the idea of art-making.
Students who are first and foremost
interested in choreography, costume
design, screenwriting, printmaking, photography,
painting, or poetry, or indeed
any aspect of the creative or performing
arts, will discover that Princeton’s faculty
and facilities will be second to none.
The Lewis Center for the Arts, Princeton

Nota. Il volume comprende due parti distinte
(ciascuna delle quali con appendici) poiché
– in coerenza ad una tradizione di ricerca che
vede strettamente connessi progetto di architettura
e progetto di attività – mira ad individuare
sia le attività (Hub della conoscenza),
sia la prima ipotesi di localizzazione (Bovisa
Area dei Gasometri).
Le attività ipotizzate, pur essendosi arricchite
grazie a dialoghi e confronti, sono certamente
discutibili e abbisognano di verifiche ed
approfondimenti (si veda il Programma per
lo Studio di fattibilità in Appendice F). Ad
esempio, la presenza predominante del Politecnico
rispetto ad altre istituzioni è un limite
non voluto, che consegue esclusivamente
alle circostanze che hanno accompagnato lo
svolgimento del lavoro.
Si è cercato di dimostrare che Bovisa è una
localizzazione assai adatta; ovviamente,
questo non significa che sia l’unica possibile
(si rimanda ancora all’Appendice F).
I diversi spunti che hanno indotto il lavoro
sono facilmente rintracciabili nello svolgimento;
a questi va aggiunta la necessità di
argomentare le ipotesi di intervento da sottoporre
agli allievi per indirizzarli al progetto.
Copertina, grafica, impaginazione, collaborazione
alla redazione: Micaela Bordin.
Il volume scaturisce anche dal lavoro comune
con i colleghi docenti – Micaela Bordin, Ivan
Moia, Paola Sacconi, Armando Scaramuzzi
– e con gli allievi dei laboratori di Progettazione
dell’Architettura 2 (Facoltà di Architettura
Civile del Politecnico di Milano), aa.aa.
2006_07 e 2007_08.
Ringrazio quanti hanno voluto dialogare sui
contenuti.
In IReR, Istituto Regionale di Ricerca della
Lombardia: Adriano De Maio (presidente),
Alberto Brugnoli (direttore generale),
Alessandro Colombo (direttore di ricerca); il
Comitato Scientifico: Ezio Andreta, Francesco
Botturi, Luigi Campiglio, Giorgio Lunghini,
Alberto Martinelli, Giampaolo Parodi, Emilio
Scala, Carlo Secchi. Lorenza Violini.
In Politecnico: Giulio Ballio (rettore), Adriana
Baglioni (prorettore), Letizia Caruzzo, Pierluigi
Cerri, Alberto Cigada, Paolo Ciuccarelli,
Barbara Del Curto, Alfonso Fuggetta, Antonio
Longoni, Edie Miglio, Pietro Pedeferri, Alfio
Quarteroni.
Ferruccio Capelli (direttore Casa della Cultura),
Claudio Pantarotto (Istituto Mario Negri),
Andrea Parlangeli (giornalista di “Focus”),
Fiorella Pirola (gruppo di iniziativa “Bovisa-
Cultura”).
Ovviamente, l’autore è il solo responsabile di
imprecisioni, travisamenti, errori.
2
[alla pagina precedente:
La citazione di Borromeo
è tratta da G. Di Maio, in
“Hinterland” 4, luglio argosto
1978, pp. 30-35.
Testo di Princeton:
Gli allievi applicati nella
biologia molecolare o
nell’ingegneria meccanica si
rincuoreranno scoprendo la
centralità di chimica e fisica,
per non parlare di matematica,
nel fare artistico. Gli
allievi soprattutto interessati
a coreografia, costumi,
sceneggiatura, stampa
d’arte, fotografia, pittura o
poesia, oppure a qualunque
altro aspetto dell’attività
creativa o dello spettacolo,
scopriranno che i docenti e le
attrezzature di Princeton non
sono secondi a nessuno.
Nella foto: Barcone itinerante
sui corsi d’acqua lombardi,
anni Venti; sul cartello di
poppa si legge: “Cinematografo
natante. Il giornale del
contadino” (da Umanitaria.
Cento anni di solidarietà,
Charta, Milano 1993).]
Avrei voluto discutere questi
temi con Antonio Acuto
(1940-2004, fondatore della
Facoltà di Architettura Civile
di Bovisa) e Giorgio Binelli
(1926-2005, ingegnere del
futuro civile di Bovisa).

Parte 1°
Appendice A
Appendice B
Appendice C
Parte 2°
Appendice D
Appendice E
Appendice F
Per un Hub della conoscenza
con arte & scienza declinate nel fare
(con una prima ipotesi di
localizzazione a Milano Bovisa)
Giorgio Fiorese
Cinque presentazioni, 4
Giulio Ballio, Adriano De Maio, Ezio
Andreta, Beatrice Uguccioni e Enrico
Borg, Massimo Fortis
Sintesi degli argomenti, 8
Proposta di un Centro regionale
(Hub della conoscenza), 13
1.1 Diffusione (Primo ambito, di
carattere generale), 13
1.2 Invenzione (Secondo ambito, di
presentazione delle invenzioni), 20
Altri otto spunti per applicazioni
d’arte, design..., 29
Andrea Parlangeli
1.3 Applicazione (Terzo ambito, della
pratica di laboratorio, arti, design,
ecc.), 33
Dall’invenzione, l’impresa, 44
(Una case history: NanoSurfaces)
Alberto Cigada
Luoghi di suoni, 46
Angelo Petronella
Una prima ipotesi di localizzazione:
Bovisa, 49
2.1 Accessibilità e contesto fisico, 51
2.2 Cultura, 54
2.3 Presenze, 62
2.4 Spazi disponibili per Hub della
conoscenza, 73
L’Hub della conoscenza come
crocevia di due itinerari, 77
Progetti di docenti e allievi della
Facoltà di Architettura Civile del
Politecnico di Milano, 80
Programma per lo Studio di
fattibilità, 96
3

Cinque presentazioni
4
Giulio Ballio, Rettore Politecnico di Milano
Il volume propone che nella nostra Città venga
istituito un centro di diffusione e sperimentazione
di tematiche connesse ad arte e scienza. La novità
riguarda le finalità del centro, volto al “fare” oltre
che al “diffondere”; al farsi tramite (centro informativo
e di snodo) delle attività che già si svolgono
oltre che ad organizzarne nuove. Come fosse un
“hub”.
Che il nostro Paese debba avere, come obiettivo, il
continuo sviluppo di scienza e tecnologia, è – giustamente
– una convinzione largamente condivisa;
ma se, a volte, tale convinzione accompagna lo
“informare”, assai più raramente ci si occupa dello
“sperimentare”.
Il volume indica una linea che potrebbe promuovere
e nutrire un processo continuo di conoscenza e
sperimentazione e a questo fine ipotizza tre tipi di
iniziative.
Innanzitutto un’attività di diffusione, di conferenze;
se ne fanno già molte nella nostra Città, dentro
i nostri atenei e fuori. Si organizzano anche diverse
visite ai laboratori di ricerca (anche con “notti bianche”).
Il centro potrebbe integrare le attività che già
si svolgono e proporne di nuove, ad esempio nei
settori meno noti.
Poi si suggerisce di “dar voce” agli inventori, agli
innovatori in scienza e tecnologia; però, anche qui,
con una novità. Si propone che gli inventori si dispongano
a far sì che i loro ritrovati “inneschino”
altre invenzioni (di design, pittura e scultura, musica,
teatro) di giovani talenti, di neolaureati.
Mediante la terza iniziativa, l’autore auspica di riattivare
il proficuo scambio – tra capacità tecniche e
figuratività – che propiziò gli anni d’oro del nostro
design; ovvero, di rigenerare quella “fabbrica del
design” da cui, tra i Cinquanta e i Settanta, scaturirono
i molti prodotti che tuttora esibiscono utilità e
bellezza nelle nostre case e nei nostri uffici [nel volume
si citano Giulio Natta, nostro docente e Premio
Nobel per la chimica, e un suo allievo, Giulio
Castelli, che nel 1949 fondò una famosa “fabbrica
del design” che per prima sperimentò la plastica].
È poi necessario richiamare un fatto importante, in
cui questa proposta ben si colloca: nella primavera
2008, a Milano è stato assegnato Expo 2015. Giudico
questo avvenimento un’occasione unica per la
Città e la Regione, in particolare per i nostri atenei.
Expo può diventare il motore di aggregazione della
ricerca universitaria; può spingere i nostri ricerca-

tori a collaborare nell’ambito di vasti progetti, veri
e propri “progettipaese”.
La seconda parte del volume valuta la possibile localizzazione
dell’Hub della conoscenza a Bovisa,
la vera e propria “porta urbana” verso Expo e verso
il nuovo Polo Fieristico di Rho Pero. Credo sia superfluo
sottolineare qui l’importanza di Bovisa nel
contesto del Nord Italia: lo fa da decenni il nostro
Ateneo, continuando ad investire a Bovisa sia negli
insediamenti, sia nelle attività.
Adriano De Maio, Presidente IReR_Istituto Regionale
di Ricerca della Lombardia
La proposta che viene presentata è basata su quattro
idee-forza molto interessanti.
La prima consiste nel voler coniugare l’arte, la
scienza e la tecnologia. Troppo frequentemente i
tre aspetti sono considerati lontani l’uno dall’altro.
Talvolta si è disposti ad accettare un legame stretto
fra scienza e tecnologia, ma molto raramente se
ne vedono le connessioni con l’arte nelle sue svariate
forme. Al contrario, l’elemento unificante è
rappresentato dalla “bellezza” e dalla complessiva
“armonia”. Mostrare la connessione, ad esempio
fra l’evoluzione della tecnologia ed i corrispondenti
cambiamenti dell’arte è una delle finalità della
proposta.
Questa connessione può essere declinata in tre
modi.
Il primo consiste nel veder come i cambiamenti
tecnologici permettono l’espressione di nuove
forme d’arte; il secondo, nella necessità di nuove
tecnologie, perché alcune “forme espressive” dell’arte
possano concretizzarsi; il terzo, nel fatto che
evoluzioni scientifico-tecnologiche permettono di
“godere” l’arte più compiutamente. E tutto ciò può
essere verificato nelle differenti manifestazioni artistiche.
Senza sottovalutare che, molto spesso, la
valutazione sintetica di un nuovo “prodotto” della
scienza e della tecnologia può essere espressa appunto
dalla “bellezza”: è bella la dimostrazione di
un teorema matematico, così come un motore di
automobile o un ponte particolarmente ardito.
La seconda idea-forza è legata alla promozione
della cultura scientifica, a partire dalle scuole, in
connessione con una serie di altri interventi che si
prefiggono lo stesso scopo, quali ad esempio il meritorio
ruolo giocato dal Museo della Scienza e della
Tecnologia. La sempre maggiore scarsità di “vo-
5
cazioni” ad impegnarsi nello studio, a vari livelli,
di discipline scientifiche tecnologiche, non solo è
un dato noto ma è anche un aspetto non secondario
della ridotta crescita economica del nostro paese.
Non dobbiamo poi dimenticarci che, sebbene noi
si abbia enfatizzato, sbagliando, una separazione
delle “due culture”, proprio per il prevalere che
abbiamo dato alla cultura umanistica nel passato,
abbiamo sempre enfatizzato la necessità di una forte
base culturale umanistica anche nel campo della
formazione scientifico-tecnologica. Adesso non
solo non abbiamo risolto il dualismo precedente,
ma abbiamo anche sminuito la necessità – comune
a tutti – di una forte base culturale e di metodo. Qui
si intende, anche attraverso quanto detto al punto
precedente, di riproporre e potenziare la base comune,
oltre a promuovere le vocazioni scientifiche
e tecnologiche.
La terza idea-forza è che la sede naturale per portare
avanti la proposta sia Milano. Dovendo proporre
la figura storica più rappresentativa per Milano, che
la Città sente “sua”, non ci sarebbero dubbi: Leonardo
da Vinci.
Non è un caso: che la sua statua si collochi nella
piazza fra il Teatro alla Scala e la sede del Comune;
che a lui sia intestata sia la piazza dove ha la sede
centrale il Politecnico, sia il Museo della Scienza e
della Tecnologia; che qui vi sia l’Ultima Cena ed il
complesso dei Navigli, con le sue chiuse. La stretta
connessione, evidente, fra scienza, tecnologia ed
arte, a Milano è vissuta nei fatti, nella vita quotidiana;
non ha bisogno di spiegazioni.
La quarta idea-forza è rappresentata dall’ipotesi di
una collocazione fisica a Bovisa. Sono un poco imbarazzato
a parlare di questo aspetto, perché – nella
mia qualità prima di Prorettore e poi di Rettore del
Politecnico – lo sviluppo di Bovisa è sempre stato
un mio sogno. Approfitto di questa occasione per
rilanciare alcune idee di un progetto, abbandonato
forse improvvisamente.
La prima consiste nel rendersi conto che Milano è
“città d’acqua”, di corsi sia naturali (fiumi e torrenti),
sia artificiali; che questo suo profondo modo di
essere vada il più possibile restituito.
La seconda è l’utilizzo “artistico” dei gasometri: a
suo tempo era stato pensato un museo di arte contemporanea,
ora occorre forse avere altre idee.
La terza era di costituire una “città della musica”,
in cui, oltre a sottolineare i tre aspetti di connessione
fra arte, scienza e tecnologia, prendendo, delle
varie forme artistiche, la musica in quanto forse la

più caratterizzante Milano nel mondo (la Scala), si
pensava di rendere disponibile questa “città” come
sito per “fare musica” in modo non formale.
Al di là di questi sogni, la presenza di centri di
formazione e di ricerca, insieme ad una sede della
Triennale, è una concreta dimostrazione della
validità della proposta. Ma, prima di chiudere, mi
fa piacere ricordare l’incredibile successo di una
“scommessa” del Piccolo Teatro che propose, negli
allora depositi della Scala, la rappresentazione di
Infinities, derivata dal libro di John Barrow. L’affollamento
delle sere di rappresentazione dimostra
come si possa cambiare la vita di un quartiere, richiamare
giovani (e meno giovani) di ogni estrazione
e unire scienza ed arte.
Cos’altro aggiungere?
Ezio Andreta, Presidente Apre_Agenzia per la
Promozione della Ricerca Europea; Comitato
scientifico IReR
L’Europa e l’Italia in particolare hanno bisogno di
ritrovare la via di un nuovo sviluppo responsabile
e sostenibile, capace di coniugare competitività e
qualità di vita e di consolidare il modello ideale di
società, acquisito attraverso anni di lotte e conquiste
sociali.
Una visione di sviluppo a lungo termine, condivisa
da tutti gli europei, che pone l’uomo, l’ambiente e
la coesione sociale e regionale al centro del sistema
socioeconomico del nostro continente.
Una sfida difficile da affrontare, che implica cambiamenti
profondi nel modello economico, ormai
logoro e non più sostenibile.
La globalizzazione ha sottolineato, in alcuni casi
anche con toni drammatici, i limiti dell’approccio
quantitativo, di un sistema di produzione caratterizzato
da grandi consumi di risorse e trainato dai
costi.
La perdita di competitività, l’eccessivo consumo di
energia, l’inquinamento crescente e le morti bianche
sono alcuni dei costi che la società deve sostenere
per mantenere in vita questo sistema economico
inefficiente, giunto ormai al capolinea.
Il Paese ha bisogno di un cambiamento radicale,
che permetta di passare da una economia basata
sulle risorse ad una basata sulla conoscenza. Un
mutamento importante di architetture, che implica
una rivoluzione culturale profonda. Un nuovo
modo di pensare e di agire, di produrre e di orga-
6
nizzare l’impresa, di educare e formare le persone a
generare valore, ad affrontare e gestire,con successo,
la complessità.
Un processo lungo, che richiede tempo per creare
una nuova generazione di imprenditori, finanzieri,
ricercatori e cittadini.
Il progetto di Hub della Conoscenza si inserisce in
questa prospettiva di cambiamento. Creare a Milano
un centro d’iniziativa, aperto alle nuove idee,
alle nuove scoperte e tecnologie e a tutti, studenti
e cittadini, può contribuire a formare una nuova
cultura.
Il valore aggiunto del progetto è nell’approccio
mirante ad integrare discipline e saperi diversi e a
consentire a tutti i frequentatori del centro una cultura
più “universale”, idonea a capire e gestire la
globalizzazione.
Educare le nuove generazioni ad integrare arte e
scienza nel fare e agire quotidiano è certamente la
premessa necessaria per riscoprire e realizzare un
Nuovo Rinascimento.
Beatrice Uguccioni, Presidente
Enrico Borg, Presidente Commissione “Per la Città
della conoscenza”
Comune di Milano_Consiglio di Zona 9
Il progetto di creazione di un Centro Regionale della
conoscenza localizzato in Bovisa – che sia una
fucina di sperimentazione, un luogo di produzione
culturale dove scienza e arte s’incontrano – deve
necessariamente trovare una particolare attenzione
nei poteri pubblici locali.
Fin dal suo insediamento nel 2006, il Consiglio di
Zona 9 ha inteso aprirsi al dialogo con tutti i soggetti
che connotano con la propria presenza questo
ambito cittadino.
Pertanto era naturale che la nostra Commissione
cercasse un’interlocuzione con il Politecnico di
Bovisa, uno dei centri d’eccellenza di produzione
di sapere della Zona 9.
Da troppi anni Milano non si è dotata di una politica
culturale, in grado di valorizzare le potenzialità
di cui dispone, il suo straordinario patrimonio; questo
non consiste solo di grandi istituzioni – come
la Scala o il Piccolo Teatro – ma di innumerevoli
attività in campo artistico e scientifico.
Milano ha bisogno di una sua visione che guardi al
mondo, che sappia aprirsi al nuovo, che offra opportunità
ai giovani e a tutti coloro che vogliono

sperimentare, mettersi in gioco e mettere a disposizione
il loro talento e la loro conoscenza. A costoro
serve sapere quale tipo di politica culturale si ha in
mente e quali idee s’intende mettere in campo.
L’occasione offerta da Expo 2015 può essere la leva
di questa grande trasformazione, una trasformazione
insieme urbanistica e culturale. All’interno di
questa cornice si viene a collocare quindi questa
ambiziosa proposta. Un fulcro dell’innovazione
tecnologica e della sperimentazione artistica, un
hub della conoscenza – destinato agli studiosi, agli
operatori e ai milanesi in generale –ubicato a Bovisa,
luogo strategico per l’intera Lombardia grazie
alla grande accessibilità, alla presenza di importanti
insediamenti (Politecnico, Triennale, Istituto Mario
Negri), alla prossimità con il Nuovo Polo Fieristico
di Rho e ai potenziali nuovi insediamenti nell’Area
dei Gasometri.
Questa è l’idea di fondo di un progetto che vuole
ridisegnare il volto e l’anima della metropoli milanese.
Massimo Fortis, Direttore Dipartimento di Progettazione
dell’architettura, Politecnico di Milano
Bovisa, ancora una volta. Tra le aree restituite agli
usi civici dal processo di smantellamento dell’ingente
patrimonio industriale di Milano e dell’hinterland,
quella degli ex gasometri offre, perlomeno
sulla carta, le migliori premesse per configurare un
luogo urbano degno di una metropoli che guarda al
suo futuro.
La presenza del Politecnico quale attore protagonista
del processo di riconversione, ma soprattutto la
proposizione di un’idea guida – l’area della “goccia”
come città dei giovani e hub della conoscenza
– possono sedimentare in questa parte della città
attività di ricerca, forme educate dell’abitare e luoghi
della vita associata, la cui concezione e il cui
disegno siano frutto di una progettazione sapiente,
aspetti di sostenibilità energetica inclusi.
Un’occasione strategica di sperimentazione, si è
detto da più parti; ma basta la somma di contenuti
di per sé avanzati per dare vita a un progetto convincente,
capace di incidere sull’architettura della
città? Mi è capitato di sostenere, in una rivisitazione
critica del vecchio Accordo di Programma, che
– una volta venuta meno l’ipotesi della cittadella
universitaria, rinchiusa nella compiutezza della sua
trama filaretiana – un nuovo masterplan, sia pure
7
mutilato della sua componente universitaria e votato
al compromesso con le logiche di investimento
immobiliare, potrebbe in realtà preludere alla realizzazione
di un luogo di relazione e di scambio più
integrato nella vita della Città.
Il timore è semmai un altro: che la somma delle
mediazioni non conduca a una mortificazione del
valore rappresentativo dell’architettura e del suo
significato urbano o, per altro verso, a una versione
segnaletica e gestuale dell’idea portante.
Il lavoro condotto da Giorgio Fiorese e dal suo
gruppo di ricerca opera nella direzione di fondare
– su un’oculata strategia delle funzioni e sulla storia
sedimentata del territorio – le ragioni delle scelte
e delle forme insediative. Materiali e idee che si
aggiungono al corpo di analisi e di sperimentazioni
progettuali che i dipartimenti del Politecnico hanno
depositato nel corso degli anni. Un’altra tappa,
quest’ultima, di un lungo percorso di avvicinamento
che il gruppo di lavoro ha iniziato, da autentico
precursore, da oltre tre decenni, individuando nella
grande Bovisa un’occasione irripetibile per consolidare
una polarità decisiva entro un sistema più
ampio di relazioni territoriali che coinvolge l’intero
settore del nord-ovest Milano.

0.
Sintesi degli argomenti
0.1
Obiettivo: Si propone l’istituzione
di un centro regionale per
esporre /diffondere / sperimentare
temi inerenti a innovazione
scientifica e tecnologica, design,
arte
Integrando iniziative già avviate
nella nostra Città e nella nostra
Regione, il Centro dovrebbe svolgere:
- attività rivolte ad un gran numero
di utenti, anche con l’intento
di promuovere aggiornamento
continuo e di indirizzare gli allievi
liceali allo studio delle discipline
scientifiche;
- attività più specificamente destinate
ad allievi universitari e/o
diplomati/laureati.
In particolare – avvalendosi di
esperienze proprie all’ambito
artistico e all’ambito tecnicoscientifico
– il Centro dovrebbe
puntare allo sviluppo di arte, design
e musica, ( ma anche teatro
e architettura), senza ripetere attività
che già si svolgono in altre
istituzioni lombarde. Si tenteranno
nuovi approcci, sollecitando
la trasmissione di esperienze
promettenti e inducendo idee da
inediti accostamenti.
Al fine di chiarire, si è ritenuto
di esprimere tale intento tramite
spunti in grado di indurre un
lavoro propriamente inventivo;
gli spunti altro non sono se non
invenzioni / innovazioni di sei
personalità del campo scientifico:
Roberto Cingolani, Alfonso
Fuggetta, Antonio Longoni, Bruno
Murari, Pietro Pedeferri, Alfio
Quarteroni (qui citati a puro titolo
di esempio; come di esempio
sono le ulteriori otto invenzioni /
innovazioni illustrate).
8
Ci si immagina che, dalle lezioni
di tali (o altri, comparabili) maestri:
1. gli apprendisti designer
possano essere indotti ad innovare
in forma e possibilità d’uso,
proponendo originali manufatti;
2. gli apprendisti artisti possano
trarre ispirazione dall’infinitamente
piccolo, dai nuovi materiali,
dalle sbalorditive tonalità
coloristiche, ecc.
Infine, tecnologhi e musicisti potrebbero
collaborare nella creazione
di nuovi strumenti e (assieme
agli architetti) di “luoghi
sonori”.
Per tutte queste ragioni, si ritiene
che il Centro possa e debba riferire
la propria attività ad un contesto
internazionale.
0.2
Si illustra una prima ipotesi di
localizzazione (a Bovisa), qui
proposta per sei ragioni:
0.2.1
Centralità e grande accessibilità.
Bovisa è il ‘baricentro’ di
una Lombardia allargata a Novarese
e Piacentino. Infatti, è di
gran lunga il luogo lombardo più
accessibile con mezzi pubblici
per la concentrazione di stazioni
ferroviarie: Fnm e Fs a Bovisa
(entrambe con fermate Passante
ferroviario); Fs a Certosa (con il
Passante); Fs (con Alta Capacità
e Passante) e Linea 1 della Mm
al Nuovo Polo Fiera. È anche la
parte di Milano più prossima a
Malpensa, grazie alla ferrovia.
Un pannello della Mostra “Città.
Architettura e Società” (Biennale
di architettura, Venezia, autunno
2006) evidenziava come,
già oggi, Bovisa superi – per
accessibilità su mezzi pubblici
dal territorio lombardo – Piazza
Duomo. L’accessibilità ad ampio
raggio (europeo), indicava in 30
milioni il numero di persone che,
già oggi con il treno, possono

aggiungere Milano in meno di
4 ore; nel 2025, con il completamento
delle linee ad Alta capacità,
questo numero salirà a 80
milioni.
0.2.2
Attività presenti e operanti da
anni, attività in avvio o in programma.
Tra le presenti:
- i due insediamenti del Politecnico,
a est e a ovest dei binari Fnm,
con: mq 106.000; tre facoltà (Ingegneria
industriale, Architettura
e Design); oltre 12.000 tra allievi
e personale, docente e non.
- Triennale Bovisa (mq 2000, in
un prefabbricato temporaneo, che
potrebbe preludere ad un insediamento
stabile) cui si affianca
BaseB, che riutilizza gli spazi di
capannoni dismessi e risistemati
per mostre e come incubator per
attività della ‘nuova creatività’.
Entrambi i luoghi sono sorti grazie
ad EuroMilano;
- la sede di Telelombardia.
Dal 2007, il nuovo Istituto Farmacologico
Mario Negri (mq
24.000, 470 ricercatori).
Di prossima inaugurazione: due
ampliamenti dell’insediamento
ovest del Politecnico (mq
34.000).
La Domus Academy ha annunciato
l’interesse per una sede a
Bovisa.
Politecnico e Triennale già collaborano;
il Mario Negri intende
avviare collaborazioni con questi
due enti.
0.2.3
Attività dell’intorno di Bovisa,
già operanti o in programma.
Il Nuovo Polo Fiera Milano,
vicino al quale possiamo immaginare
Expo 2015, secondo
i programmi dell’aprile 2008;
il Sindaco Moratti ha affermato
che l’Expo dovrà configurarsi
come “le Olimpiadi di economia
e cultura”.
Più in generale, per quanto riguarda
la ‘arte’, una recente Ricerca
– commissionata da Cciaa
Milano e Fondazione Fiera Milano
– evidenzia una ‘direttrice
delle arti’, configurata da presenze
dislocate presso le stazioni
Fnm tra Milano Cadorna e Bollate.
Come conclusione della direttrice,
la Ricerca rilancia l’ipotesi
di ‘Polo didattico e di ricerca
del Restauro’ – in anni recenti
formulata da IReR e da Regione
Lombardia – da ubicare nel
Castellazzo di Bollate (luogo
storico-artistico tra i più notevoli
in Lombardia, in gran parte inutilizzato).
Da sottolineare che l’Esposizione
MiArt (importante ‘fiera-mercato’
dell’arte) si trasferirà dalla
sede urbana (di recente dismessa)
alla sede foranea, trascinando
un ‘fuori salone’ che non potrà
che coinvolgere sia le presenze
bovisasche, sia l’intera ‘direttrice
delle arti’. Inoltre, il tanto affollato
FuoriSalone di aprile – che
accompagna il Salone del Mobile
di Milano (in quel periodo, gli
abitanti della Città aumentano di
1/6) – dal 2008 ha dilagato anche
a Bovisa, occupando numerosi
spazi.
0.2.4
La presente Proposta prende
spunto anche:
- dai programmi dell’Amministrazione
comunale, proprietaria
di gran parte dell’Area dei
Gasometri, enunciati più volte
dall’Assessore Carlo Masseroli
(ad esempio, sul “Corriere della
Sera”, 28.8.2006, riassunti nel
titolo dell’articolo: Bovisa deve
diventare uno snodo europeo di
innovazione e ricerca, che traini
lo sviluppo italiano;
- dal Masterplan presentato dal
Politecnico il 21.3.2006 presso
9
l’Urban Center, siglato anche dal
Comune di Milano, che propone
‘La Città dei Giovani e della
Scienza’ – nonché il Museo del
Presente – da ubicare nell’Area
dei Gasometri.
0.2.5
Spazi disponibili per il Centro
Regionale. La realizzazione del
programma dell’Amministrazione
Comunale richiederà comunque
diversi anni; in attesa, conviene
avviare sperimentalmente
le attività, ad esempio in uno o
più dei fabbricati dismessi nell’Area
dei Gasometri, numerosi
dei quali vincolati come beni
storici, subito riattabili; nonché
in un prefabbricato temporaneo,
analogo a quello realizzato per
TBVS (Triennale Bovisa);
0.2.6
Non ultime per importanza sono
le qualità artistico-culturali (con
la cultura del fare) del luogo, ovvero
l’aura di tradizione produttiva,
culturale e figurativa
che lo identifica (il Presidente
della Triennale Rampello sostiene
che Bovisa ha “paesaggio in
memoria”). Oltre all’attivo ‘fare’
nell’industria e nella ricerca (dal
pioniere Luigi Candiani a Politecnico
e Mario Negri), va ricordato
che nell’ultimo mezzo
secolo su Bovisa hanno operato
decine di architetti, cineasti, fotografi,
pittori, poeti, scrittori,
teatranti. Per esemplificare, basti
qui citare otto ‘numi tutelari’, rimandando
alla inusitata ricchezza
figurativa del loro lavoro: Gabriele
Basilico, Luigi Bussolati,
Guido Canella, Jonathan Guaitamacchi,
John Hejduk, Ermanno
Olmi, Giovanni Testori, Ampelio
Tettamanti.

0.
Synthesis of subjects
0.1
Aim: We propose the institution
of a regional centre in order to
expose / to diffuse / to test
topics inherent to scientific and
technological innovation, design,
and art
By integrating projects already
under way in our City and Region,
the Centre will carry out:
- activities aimed to a great number
of users, also attempting to
promote non-stop updating and
starting secondary school students
in the study of scientific
disciplines;
- activities more specifically aimed
to university students and/or
to graduates.
In detail – by using practices peculiar
both to artistic and technical-scientific
areas – the Centre
will aim at the development
of art, design, and music, not
repeating activities already carried
out in other Lombard institutions.
The Centre will try new
approaches, by urging on the
transmission of promising experiences,
and inducing ideas from
original comparisons.
We think to express this aim by
some ideas we consider able
to induce a properly inventive
work; these ideas are nothing
but inventions/innovations by
six personalities of the scientific
field: Roberto Cingolani, Alfonso
Fuggetta, Antonio Longoni,
Bruno Murari, Pietro Pedeferri,
Alfio Quarteroni (cited here merely
as examples).
We think that, from the lessons
by those (or analogous) masters:
1. trainees designers could be
prompted to propose original
products, by innovating their forms
and the way they can be used;
10
2. trainees artists can take inspiration
from the infinitely small,
new materials, amazing colouristic
shades, etc.
Finally, technologists and musicians
could collaborate on the
creation of new instruments and
(together with architects) of “sonorous
places”.
For all these reasons, we think
that the Centre can and must refer
its own activity to an international
context.
0.2
We explain a first hypothesis of
localization (at Bovisa), here
proposed for six reasons:
0.2.1
Centralness and high accessibility.
Bovisa is the ‘barycentre’ of
Lombardy, extended to the provinces
of Novara and Piacenza.
Actually, it is by far the Lombard
most accessible place by public
transport, owing to a cluster of
railway stations: Fnm (Ferrovie
Nord Milano) and Fs (Ferrovie
dello Stato) at Bovisa (both with
Passante ferroviario [underground
railway link] stops); Fs
at Certosa (with Passante stop);
Fs (with High Speed and Passante)
and Line 1 of the
Mm (Milan subway) at the Nuovo
Polo Fiera Milano (Milan Fair
New Pole at Rho-Pero). Owing
to the railway, it is also the area
in Milan nearest to Malpensa
airport.
A panel of the Exhibition City.
Architecture and Society (Biennial
of architecture, Venice, fall
2006) emphasized that nowadays
accessibility by public transport
from the whole Lombardy is
greater at Bovisa than at Piazza
Duomo. With reference to widerange
(European) accessibility,
nowadays about 30 million people
can reach Milan by train in
less than 4 hours; in 2025, with

the completion of High Speed
lines, they will be more than 80
millions.
0.2.2
Current and operating activities;
started or scheduled activities.
Among current ones:
- the two premises of the Polytechnic,
east and west of the Fnm
rails, with: 106.000 m²; three
faculties (Industrial engineering,
Architecture, Design); more than
12.000 people comprising students
and staff.
- TBVS-Triennale Bovisa (2000
m², in a temporary prefabricated
building, possibly the foreshadowing
a permanent premise);
it is flanked by BaseB, a cultural
association re-using dismissed
industrial warehouses as
showrooms, and incubators of
‘new creativity’ activities. Both
these premises were built thanks
to EuroMilano, a real estate development
company.
- Telelombardia (a local TV station)
Headquarters.
Since 2007, the new headquarters
of Istituto Farmacologico
Mario Negri (24.000 m², 470 researchers).
Two extensions to western premises
of the Polytechnic will soon
be opened.
Domus Academy announced its
interest for some premises at Bovisa.
Triennale and Polytechnic are
already collaborating; the Mario
Negri Institute means to start
collaborations with these two institutions.
0.2.3
Operating or scheduled activities
in Bovisa surroundings. According
to April 2008 programs,
we can imagine Expo 2015 near
to the Fair New Pole. Mayor Moratti
asserted that the Expo will
have to emerge as “the Olym-
piad of economy and culture”.
More generally, about ‘art’, a
recent Research – commissioned
by Cciaa Milano (Milan Chamber
of Commerce) and Fondazione
Fiera Milano – emphasizes
a ‘predominant direction
for artistic activities’, shaped by
premises located near the Fnm
stations between Milan Cadorna
and Bollate.
As an ending of this predominant
direction, the Research revives
the hypothesis of a ‘Didactic and
research pole for restoration’ to
be located at the Castellazzo di
Bollate (a historical-artistic place
among the most remarkable in
Lombardy, now largely unused);
this hypothesis was formulated
by IReR and Lombardy Region
in recent years.
We must emphasize that the
MiArt Exhibition (an important
trade fair of the arts) will be
moved from its central, recently
dismissed premises to new premises
in the outskirts, and will
drag an ‘Off Show’ (FuoriSalone)
surely involving both the activities
at Bovisa and the whole
‘direction of the arts’. Moreover,
the very crowded FuoriSalone,
accompanying in april the Salone
del Mobile (the International
Furniture Fair of Milan ), since
2008 spreaded also at Bovisa,
where it occupied several spaces
0.2.4
Our Proposal takes its cue also
from:
- the programs of the City Council,
owner of a large part of the
Gasometers Area, as many times
expressed by councillor Carlo
Masseroli (e.g. in «Corriere della
sera», August 26 th 2006,
summarized in the article title:
Bovisa must become a European
hub for innovation and research,
driving Italian development);
11
- the Masterplan presented by
the Polytechnic on March 21 th
2006 at the Urban Centre, signed
also by the Municipality of Milan,
proposing a ‘Young People
and Sciences City’, to be located
in the Gasometers Area, together
with the Museum of the Present.
0.2.5
Spaces available for the Regional
Centre. However, the realization
of the program of the Municipality
will take several years;
while waiting, it is advisable to
start the activities
experimentally, for instance in
a temporary prefabricated building,
similar to the TBVS pavillion,
or in one or more of the
dismissed buildings in the Gasometers
Area. (Many of those buildings
are protected as historical
heritage, and they could be soon
restored.)
0.2.6
Last but not least, there are the
artistic-cultural qualities of
the place (with its ‘culture of
doing’), that is its aura of productive,
cultural and figurative
tradition (the President of the
Triennial Davide Rampello claims
that Bovisa has “landscape in
its memory”). Besides its active
‘doing’ in industry and research
(since the pioneer Luigi Candiani
to the Polytechnic and Mario
Negri Institute), we must remember
that in the last half century
dozens of architects, cinematographers,
photographers, painters,
poets, writers, dramatists
operated on Bovisa. In order to
exemplify, we cite only eight masters,
referring to the uncommon
figurative richness of their work:
Gabriele Basilico, Luigi Bussolati,
Guido Canella, Jonathan
Guaitamacchi, John Hejduk, Ermanno
Olmi, Giovanni Testori,
Ampelio Tettamanti.

Manifestazioni del Festival
della Scienza di Genova,
23.10-4.11.2007 (foto di Luca
Rosingana).
12

In coerenza con l’obiettivo, general-
mente condiviso, di promuovere lo
sviluppo di conoscenza e capacità
operative nei campi dell’innovazione
scientifica e tecnologica, della produ-
zione artistica e del design, lo studio
muove dall’ipotesi che sia utile istitui-
re un Centro Regionale deputato a:
Hub della conoscenza
Proposta di un Centro regionale con
arte & scienza declinate nel fare
- comunicare / diffondere tematiche
inerenti l’innovazione scientifica e
tecnologica, il design, le arti [Primo
ambito], per un ampio pubblico;
- presentare i risultati di innovazioni
e/o scoperte nei campi della tecnologia
e dei nuovi materiali [Secondo
ambito], necessariamente destinato
ad un pubblico meno ampio (selezionando
tra laureandi, neolaureati, dottorandi,
ecc.);
- predisporre laboratori / atelier (in
prima ipotesi di arte, design e musica)
atti a sperimentare il nuovo, con
l’apporto (nel doppio scambio) sia di
arte, sia di scienza e tecnologia [Terzo
ambito, selezionando tra le proposte
più interessanti / promettenti].
Peraltro, l’idea di questo Centro riprende,
aggiornandolo, un carattere
di Milano e Lombardia che ha inciso
profondamente nella nostra storia. È
un carattere che, icasticamente, si può
richiamare ricordando un brano dei
Promessi sposi, laddove si legge – a
proposito del Cardinal Federico – del
suo intento continuo nella ricerca e
nell’esercizio del meglio.
Non essendo storici della società lom-
13
barda, evochiamo i tre esempi che riteniamo
(tra) i più probanti di questa
gloriosa tradizione, augurandoci di
indurne la rigenerazione: è una tradizione
di pedagogia democratica e
operativa testimoniata dal Cardinal
Federico (l’Ambrosiana; la sua sintesi
di spiritualità cristiana, cultura laica
e impegno storico); dalla Società
di Incoraggiamento Arti e Mestieri
(propulsiva nell’acculturazione manifatturiera);
dalla Società Umanitaria
(case popolari, scuole, asili, attività
culturali, aiuto agli emigrati e molto
altro).
1.1 Diffusione
Il Primo ambito, di carattere più
generale, riguarda la comunicazione
a piccoli / grandi gruppi di temi
inerenti all’innovazione scientifica e
tecnologica, sia dal lato della divulgazione,
sia dell’approfondimento;
questa attività mirerà al più ampio
coinvolgimento di università e centri
di ricerca lombardi. In particolare,
punterà a suscitare idee per i laboratori
sperimentali, in particolare inducendo
/ suggerendo / promuovendo
sperimentazioni originali.
È utile far riferimento ad analoghe
iniziative che si svolgono in altre città.
Un recente volume (Festival 07-08.
Un anno di eventi culturali in Italia)
seleziona 500 festival che si svolgono
annualmente nel nostro Paese; di questi,
nove sono dedicati alle ‘Scienze’.
Tra questi nove, il più importante
sembra il Festival della Scienza di
Genova, selezionato dalla Commissione
Europea come una delle 10 best
practices nell’UE, in quanto esemplare
per organizzazione e attività. Nelle
tredici giornate dell’Edizione 2006
(la quarta) si sono svolti 48 mostre,
200 conferenze e incontri, 28 spetta-

Tre istituzioni e il loro passaggio di
testimone
Immagini e brevi note richiamano tre
istituzioni sorte a Milano negli ultimi
quattro secoli con un intento di utilità
perpetua [Manzoni sull’Ambrosiana],
connotando nel profondo l’anima della
Città. Sono istituzioni che, in diversi
modi e con diversi strumenti, hanno
mirato ad una pedagogia del fare, ad
una formazione ad un tempo morale e
produttiva, la più allargata, come scorta
e sussidio alla vita civile [Cattaneo].
Infine, con una sorta di “passaggio di
testimone”, ciascuna delle tre istituzioni
propiziò il sorgere o lo sviluppo di altre
istituzioni milanesi, fondamentali per lo
sviluppo culturale, artistico, scientifico,
produttivo: dall’Ambrosiana, Brera; dalla
Società di Incoraggiamento, il Politecnico;
dall’Umanitaria, la Triennale.
Frontespizio [nella pagina precedente]
e prima pagina di “Constitutiones
Collegii ac Bibliothecae Ambrosianae”
(1606?).
Per secoli, la Biblioteca Ambrosiana,
fondata nel 1607 (cui nel 1618 si
aggiunse l’Accademia, prima scuola
d’arte milanese), si è offerta come adatto
luogo operativo – fuor di ogni canonicità
corrente di luogo sacro e profano,
d’edificio pubblico o privato, di casa o
di tempio – per istruzione, consulenza,
selezione delle conoscenze, conservazione
e produzione attiva di un patrimonio
culturale che vi si viene raccogliendo da
tutto il mondo e da tutti i tempi, per essere
immesso utilmente nell’ambito dello
sforzo di ricostruzione “metropolitana”
di Milano [G. Di Maio, in “Hinterland”].
Di seguito si cita da una descrizione
di Gianfranco Ravasi [in S24h,
19.10.1997], per decenni Prefetto
dell’Ambrosiana: Federico volle l’Ambrosiana
come biblioteca ‘pubblica” nel
senso moderno del termine, preceduta
in questo soltanto dalla Bodleiana di
Oxford, sorta nel 1602 Giuseppe Antonio
Sassi, prefetto, nel Settecento, descriveva
con minuzia questo servizio pubblico.
«Tre uomini assistono continuamente
a servire il pubblico nel tempo che
resta aperta la biblioteca, portando
e riportando i libri a suo luogo... A
chiunque viene per studiare, la biblio-
14

15
teca somministra gratis carta, piume,
arena e inchiostro» [...] Concepita come
una biblioteca generale, che spaziava su
tutte le discipline, ... l’Ambrosiana aveva
quasi le caratteristiche di una università
degli studi, allora assente a Milano [...]
Nel progetto del Cardinale, la Pinacoteca
doveva essere non solo un’esposizione,
ma uno strumento didattico per
quell’Accademia del Disegno, articolata
nei corsi di pittura, scultura e architettura,
che sopravvisse fino al 1775, quando
il Governo austriaco la trasferì a Brera,
dando origine all’omonima attuale
Accademia. [...]
Nella Introduzione del volume di Lacaita
– dedicato a centocinquant’anni di storia
della Società di Incoraggiamento, la
cui copertina è qui riprodotta – si
legge: Dopo l’Unità d’Italia, la Società
di Incoraggiamento non solo riaffermò
pienamente la sua natura di «istituzione
privata produttrice di pubblici servizi»,
ma continuò a sviluppare in sintonia col
Politecnico (di cui fu l’anticipazione e
la culla) il ruolo di centro propulsivo di
cultura tecnologica e di tensione innovativi
[...] Esaminare la storia dell’istituzione
milanese vuoi dire ripercorrere
il processo che nell’arco di centocinquant’anni
ha portato Milano e le aree
vicine dalla proto-industrializzazione
alla grande industria, all’avvento del
terziario avanzato...
Va ricordato anche un brano di Carlo
Cattaneo, “relatore” della Società dal
1845 al 1848: Se li studi [...] si vogliono
scorta e sussidio alla vita civile, qual
cosa sarà più profittevole che il diffondere
la cognizione delle nuove verità e la
pratica delli utili ritrovamenti? [...] Dove
li uomini profondamente addottrinate
non fanno numero, non è agevole che
prevalgano i più sapiente consigli, perché
i gelosi e astuti interessi collegano
ben tosto i pregiudici e le passioni della
moltitudine, alla quale danno facilmente
che l’ inerzia è prudenza, e il disprezzo
degli studi è sodezza di pratica ragione.
[...] Epperò la mancanza in un popolo
di adeguate cognizioni produce nei fatti
giornalieri della vita o cieca fiducia o
eterna perplessità; o le cose hanno tristo
fine, o non hanno principio fuorché di
parole. Intanto li anni fuggono; le altre
nazioni, più avvedute o più docili si

cacciano innanzi; quella ch’era di lunga
mano la prima, vien raggiunta, poi superata,
poi l’intervallo si fa più manifesto”.
Il fotogramma tratto da Rocco e i suoi
fratelli di Luchino Visconti, 1960, in
cui un protagonista legge un manifesto
delle Scuole di Santa Marta (Società
di Incoraggiamento d’Arti e Mestieri),
è così descritto nella sceneggiatura:
Strada presso i Navigli. Esterno giorno
[...] Sul muricciolo vicino a Luca c’è un
pacchetto di libri di scuola ed alcuni
foglietti (avvisi di corsi serali) che Ciro
prende in mano e si mette a considerare
attentamente, mentre mastica il suo pasto
frugale. Luca: Ecco. Ti ho portato gli
avvisi dei corsi serali... Ma ci vuole la
licenza elementare per iscriversi... Ciro:
Beh? Io ce l’ho, no? [Visconti, Rocco e
i suoi fratelli, Cappelli, Bologna 1978,
p. 97].
Manifesto della Società Umanitaria, 15
settembre 1903 (la maestria dei due insegnanti,
il fabbro Mazzucotelli e l’ebanista
Quarti, è riconosciuta dagli storici
dell’architettura e delle arti applicate).
Prospero Moisé Loria – che nel 1892
promosse e finanziò l’istituzione – si
preoccupò soprattutto di impedire la
miseria futura fornendo al proletariato i
mezzi per inserirsi produttivamente nella
vita sociale, sapendo bastare a se stesso
e contando su capacità di mestiere che
gli avrebbero permesso di adempiere
a una sua funzione: un fatto, insomma,
di dignità umana. [Ettore Capriolo,
in Milano com’è, p. 666]. Tra le varie
attività e iniziative, qui è opportuno
ricordare, in sintonia con il manifesto: la
Prima Esposizione Regionale Lombarda
delle Arti Decoratine, 1919, svolta nella
sede della Società; cui seguì la Prima
Esposizione Biennale Internazionale
delle Arti Decorative,1923, organizzata
con i comuni di Milano e Monza e svolta
nella Villa Reale di Monza. Dopo la
Terza Biennale, 1927, la Mostra cambiò
nome, divenendo “Triennale”; dopo la
Quarta Triennale, Monza 1930, la Quinta
Triennale si aprì a Milano, nel Palazzo
progettato da Giovanni Muzio per
Giovanni Bernocchi.
16

coli e si sono attivati 58 laboratori; i
250 mila frequentanti si sono recati in
70 luoghi diversi, sia della Città, sia
di altri centri della Liguria (la quinta
Edizione, 2007, ha avuto analogo
successo e analogo numero di partecipanti).
La diversità programmatica tra queste
iniziative e la presente proposta
riguarda l’operatività, riassumibile
nella “declinazione nel fare”.
1.1.1 Digressione sul Festival della
Scienza di Genova
Tra i relatori delle quattro edizioni:
E. Alleva, P. Atkins, M. Augé, J. D.
Barrow, P. Bateson, E. Bellone, C.
Bernardini, R. Bodei, E. Boncinelli,
F. Capra, Luigi e Luca Cavalli Sforza,
J. P. Changeux, A. Cigada, P. Corsi,
T. De Mauro, R. De Monticelli, C.
Djerassi, M. Du Sautoy, A. Eckert, N.
Eldredge, C. Falco, A. Fuggetta, U.
Galimberti, G. Giorello, J. Gleick, B.
Greene, M. Hack, T. W. Hänsch, D.
Kahneman, S. Krotov, R. Laughlin,
S. Lloyd, J.-P. Luminet, D. Mainardi,
F. Malerba, B. Mandelbrot, J. V.
Narlikar, S. Natoli, S. B. Nuland, P.
Odifreddi, A. Oliverio, R. Penrose,
M. Piattelli Palmarini, L. Randall, C.
A. Redi, M. Rees, T. Regge, V. Shiva,
C. Sini, S. Smale, I. Tattersall, A. Varlamov,
S. Veca, U. Veronesi, E. Vrba,
A. Zeilinger, T.N. Wiesel, S. Zeki.
Il volume già citato [Festival 07-08.
Un anno di eventi culturali in Italia]
a pagina 110 così riassume l’edizione
2007: La parola chiave è ‘Curiosità’.
Il programma multidisciplinare – con
incontri con studiosi internazionali,
mostre interattive, fotografiche ed
artistiche, laboratori ludico-didattici
ed exhibit, spettacoli teatrali e proiezioni
cinematografiche – propone un
approccio di divulgazione basato sulla
trasversalità di eventi e argomenti.
Con un linguaggio adatto a tutti, alla
scoperta delle ultime frontiere della
ricerca scientifica e dei suoi legami
con la vita di tutti i giorni.
Questa proposta concerne una serie
di attività che si propone siano svolte
nella Città e nell’Hinterland di Milano,
in particolare, in una prima ipotesi,
a Bovisa. Dall’esperienza genovese
è quindi utile estrarre, oltre che
qualità e varietà (tematiche e disciplinari)
delle manifestazioni – peraltro
facilmente rintracciabili su internet
– una prima considerazione su qualità
e varietà degli spazi delle manifestazioni
(ugualmente importanti ai fini
del successo del Festival).
Dall’elenco dei luoghi emerge il gran
numero, la notevole diversità e l’articolata
dislocazione.
Partendo da Genova, i luoghi “implicitamente”
deputati sono: Gran parte
delle Facoltà universitarie, forse
tutte (laboratori / aule, magne e no);
Accademie (Ligustica / Nazionale di
Medicina); Osservatorio astronomico;
Diverse scuole medie superiori e
Istituti tecnici; Acquario; Ordine degli
Ingegneri.
Si passa poi ai luoghi “prettamente”
della Città, quasi tutti pubblici, che
si prestano alle manifestazioni: Palazzi
(Ducale / Rosso / del Principe
/ della Borsa); Logge; Teatri (Carlo
Felice / Duse / della Tosse / Politeama);
Musei; Gallerie; Casa Paganini;
Biblioteche; Commenda di Prè; Vari
Magazzini del Porto; Cinema.
A luoghi non pubblici: Librerie / Caffè
Museo / Caffè e Birrerie.
Alla Città dei bambini e dei ragazzi.
Passando al fuori Genova: Albenga
(Aeroporto / Cinema teatro Ambra);
Arenzano (Auditorium); Finale Ligure
(Museo Archeologico); Leca di
Albenga (Vivaio forestale); Quarto
(Badia benedettina); Recco (Sala polivalente);
Sanremo (Palafiori); Sestri
Ponente (Coop).
Questo elenco testimonia il carattere
pervasivo e l’organizzazione diffusa
e partecipata.
Infine, per superare le difficoltà logistiche,
nel 2007 è stato bandito il
reclutamento di 500 giovani tra ani-
17
“Corriere della Sera”,
05.10.2006 e 23.09.2006;
“E-Polis_Milano”
04.05.2007.
Alla pagina precedente:
“Il Sole-24ore_Domenicale”,
15.10.2006;
Volantino di “Made in
Tomorrow”.

Copertina di :
Mathias Schulenberg, La
nanotecnologia. Innovazione
per il mondo di domani,
Commissione Europea 2004
(prefazione di Ezio Andreta).
Alla pagina di fronte:
Pietro Pedeferri, Colorazione
su titanio: ‘Niello’ colore
su colore [da P. Pedeferri,
Titaniocromia (e altre cose),
interlinea edizioni, Varzi
1999].
matori e animatori scientifici, ai quali
si richiede: una grande passione per
la scienza e la divulgazione, una forte
motivazione, la capacità di rapportarsi
con il pubblico e di lavorare in
gruppo [“la Repubblica – Genova”,
15.4.2007]. Questo coinvolgimento
operativo di giovani, aspetto non
secondario del Festival, ha indotto
l’istituzione di “EASE – European
Academy for Scientific Explainers”,
una scuola che si svolge tra ottobre e
novembre, volta ad integrare le competenze
comunicative e relazionali di
giovani ricercatori e neolaureati e
promuovere la divulgazione scientifica
a livello internazionale.
Sono del tutto evidenti le utilità del
Festival che si aggiungono a quella
principale, introdurre al sapere scientifico.
Sono la Città e alcuni centri della
Regione ad offrirsi, ad accogliere i
‘forestieri’ e, ad avvicinare gli abitanti
ai loro luoghi, in particolare pubblici.
Quindi, il Festival come fattore di
coinvolgimento e crescita della Città
tutta e, in parte, della Regione.
1.1.2 Il Primo ambito non nascerebbe
dal nulla; infatti, a fronte di manifestazioni
nazionali (oltre a Genova,
sono da citare il Festival dell’Innovazione
di Roma e il Festival dell’editoria
scientifica di Trieste), a Milano si
svolgono (o si sono svolte) iniziative
assai importanti come:
- “Made in Tomorrow”, Triennale 14-
18.5.2007, a cura del Gruppo 2003:
“Quattro giorni di incontri tematici
internazionali, dal 15 al 18 maggio:
mostre, spettacoli teatrali, percorsi
di animazione per l’infanzia e lectio
magistralis”, oltre a diversi dibattiti
(lezioni di S. Garattini, T. Maccacaro,
A. Mantovani, G. Parisi).
Nonché iniziative più disarticolate,
come ad esempio:
- la ‘Notte Bianca’ dell’Università
Statale, dedicata alla ricerca sulle
cellule staminali (cfr. “Corriere della
Sera”, Milano, 23.9.2006);
18
- la ‘Giornata di Porte aperte dedicata
alle neuroscienze’, svolta all’Università
Vita e Salute del San Raffaele il
18.11.2006 (cfr. “la Repubblica”, Milano,
17.11.2006);
- i sei pomeriggi di ottobre 2006 dedicati
a teorie e scoperte scientifiche
svolti al Binario 21 della Stazione
Centrale, con la partecipazione di E.
Boncinelli, M. Casiraghi, S. Morini,
A. Moro, M. Motterlini, A. Sparzani,
N. Vassallo.
- più in generale, è da ricordare la
storica presenza del Museo Nazionale
della Scienza e della Tecnologia
“Leonardo da Vinci”, con le sue importanti
sezioni. Qui va almeno citata
la sezione più recente, dedicata alle
Materie Plastiche, inaugurata il 10
febbraio 2006. Con una “polimeroteca”
che consente il diretto contatto
con i numerosi materiali suddivisi in
oltre 40 grandi “famiglie”. Con il laboratorio
di Chimica e Materie Plastiche,
che nel giorno di inaugurazione
registrò la prenotazione di circa 600
classi (con 12mila studenti).
- nella PARTE 2° sono citate le iniziative,
promuovibili a Bovisa.
1.1.3 Importante il possibile ausilio
della cinematografia: sia nei contenuti
prettamente ‘scientifici’ (documentaristici),
sia in una versione più
spettacolare e coinvolgente, in grado
di sollecitare interessi, di propiziare
– se non indurre – ‘vocazioni’:
- “Vedere la scienza”, Spazio Oberdan,
che si svolge da dieci anni, è nata
a Milano da un’idea dell’Istituto di
Fisica Generale Applicata dell’Università
Statale, dell’Associazione
culturale Evariste Galois e dell’Istituto
Geymonat ed è cresciuta grazie
all’appoggio della Provincia di Milano;
oggi è diffusa in tutta Italia [M.
Merzagora, Scienza da vedere].
- altri due festival: “Milano doc Festival”,
Museo Scienza Tecnica, 12-
30.9.2006; “Vedere la scienza Festival”,
Univ.Statale, 16-17.11.2006.

Possible scheme for materials
engineering using
metal-binding peptides generated
by phage display
(courtesy Angela Belcher. Da
www.nature.com).
1.2 Invenzione
Il Secondo ambito dovrebbe presentare
i risultati di innovazioni e/o scoperte
nei campi di tecnologia e nuovi
materiali. Per questo, necessariamente,
dovrebbe essere destinato ad un
pubblico più selezionato.
Mentre del Primo ambito ci si può
avvalere e di esperienze già avviate e
ampiamente collaudate, in particolare
nel nostro Paese, per questo Ambito
occorre “provare e riprovare”.
Si ipotizza un’attività incentrata sulla
comunicazione / esposizione di risultati
/ ritrovati da cui i frequentanti dei
laboratori del Terzo ambito possano
dedurre / indurre idee per le proprie
sperimentazioni. In certi (tutti?) i casi
occorreranno (potrebbero occorrere)
mostre, brevi (o lunghi) corsi, in
modo da rendere possibile la ‘operabilità’
tecnico-artistica delle innovazioni
presentate.
Nel prosieguo dello studio, occorrerà
analizzare e confrontare altre esperienze,
del nostro e/o di altri paesi, di
simili o analoghe intenzioni.
Per ora, pare utile una digressione
sull’esperienza della “Fabbrica del
design” italiana dei passati decenni.
Infatti, obiettivo del Secondo ambito
è il porre le premesse per ‘ricostruire’,
in termini del tutto nuovi, il ruolo
ricoperto dalle ‘fabbriche del design
italiano’ nell’ultimo Dopoguerra
(‘fabbriche’ ubicate in gran parte, se
non esclusivamente, nell’intorno di
Milano).
Sintetizzando: ci si riferisce a quelle
descritte nel volume La fabbrica del
design [si veda più avanti, ai Paragrafi
1.3.3.1, e 1.3.3.2] che secondo
una curatrice del volume, Francesca
Picchi, vanno intese come università
del lavoro: un luogo dove fare esperimenti
[p. 19].
La vera questione è proprio questa:
riuscire a reinventare un luogo dove
20
fare esperimenti; cui le università, le
scuole e le imprese possano e debbano
partecipare, ma che non può essere
appannaggio solo loro.
Occorre quindi puntare a ricreare (in
modi necessariamente diversi) le condizioni
proprie dei decenni successivi
al Cinquanta; un laboratorio che
propizi il fecondo connubio (doppio
scambio) tra produttori-tecnologhi e
progettisti, tra inventività tecnica e
creazione artistica. Come sottolineato
da molti, questo connubio innescò,
con lo sviluppo, il successo del design
milanese, di cui ancora oggi gode
la nostra Città.
Attualmente, il doppio scambio è in
crisi (chi scrive non è certo in grado
di analizzare e argomentare adeguatamente
le cause di tale crisi).
Avvalendoci de La fabbrica del design
già citata, se ne riporta qui solo
una, ovvero l’allargamento dei mercati
e delle conseguenti maggiori necessità
finanziarie, col design che tende
ad orientarsi più verso il business
che verso la ricerca innovativa.
In generale:
- i produttori dovrebbero essere sollecitati
ad istituire un luogo di scambio
di conoscenze tecniche, con l’obiettivo
di indurre idee per nuovi prodotti
e consentire sperimentazioni.
Il loro vantaggio? Imparare, istruirsi
ed istruire i designer di domani [per
una esemplificazione, si rimanda ad
Appendice A, Lo sviluppo di una scoperta].
- i ricercatori, universitari e non, potrebbero
proporre novità, far intravedere
nuove tecniche e nuovi materiali
ai produttori;
- a designer e artefici si offrirebbero
occasioni di applicazione.

1.2.1 Sei inventori
Si riportano, di seguito – come esemplificazione
di un’ipotesi – la descrizione
di alcune invenzioni utili, ritenute
atte a sollecitare applicazioni
creative di laboratorio; a questo fine,
si citano le esperienze di sei inventori:
Roberto Cingolani, Alfonso Fuggetta,
Antonio Longoni, Bruno Murari, Pietro
Pedeferri, Alfio Quarteroni.
1.2.2 Roberto Cingolani (Reinventare
la natura)
Nell’elettronica organica il silicio
viene sostituito dal carbonio, mentre
nel campo dei semiconduttori – il
cuore dei PC – si sviluppano i nanotubi
di carbonio, cilindri il cui diametro
è al massimo di 10 nanometri
(ne entrano 100 mila nello spessore
di un capello). Per resistenza e conducibilità
elettrica rappresentano il
cavallo da tiro della nanotecnologia
e promettono la costruzione di circuiti
molto più piccoli di quelli attuali.
Il motivo è nella loro capacità di
trasportare correnti più elevate e di
creare interconnessioni più brevi tra
i transistor. Ma anche molte materie
plastiche possono diventare componenti
elettronici grazie alla possibilità
di «stampare» su di loro i circuiti. È
la «plastic electronic», con soluzioni
quasi pronte: schermi flessibili simili
a fogli di carta o circuiti integrabili
in materiali nei quali quelli tradizionali
non potrebbero essere usati, per
esempio per sistemi di identificazione
da sostituire ai codici a barre…
Le memorie, infine: la capacità di
manipolare la materia a queste dimensioni
permetterà una riduzione
drastica dello spazio occupato da
ogni bit. La tecnologia attuale dei
dischi rigidi magnetici sta raggiungendo
i limiti e così entra in campo
la possibilità di scaldare il materiale
prima di magnetizzare le informazioni…
I nanomateriali capaci di modificare
la propria struttura, immagaz-
zinando dati su mini-fili, potrebbero
mandare presto in pensione le chiavette
USB…
[da A. Bonanni, Addio chiavetta Usb, C’è il
filo intelligente. Anche l’Europa si lancia nel
business delle microparticelle di pochi miliardesimi
di metro. Elettronica organica, farmaci
personalizzati, vestiti mutanti:’’Nulla sarà
come prima’’, in “tutto scienze”, supplemento
de “La stampa”, 27.2.2008.]
La nanotecnologia è il limite dell’elemento
che tende a zero: anziché
fare lavorare l’edile con il mattone o
il meccanico con la vite, l’ingegnere
del nanotech ha a che fare con atomi
e molecole, con cui si sposta l’asse
dell’ingegneria stessa alla forma più
spinta. La definizione è di Roberto
Cingolani, fisico, uno dei maggiori
studiosi italiani di questo settore,
iperpubblicizzato eppure misterioso:
è il direttore scientifico dell’Istituto
Italiano di Tecnologia di Genova e il
fondatore del Laboratorio nazionale
di Nanotecnologie di Lecce.
GB. Professore, questa rivoluzione
come cambierà le nostre esistenze?
RC. La rivoluzione è prima di tutto
nel processo culturale. Se, invece di
copiare superficialmente le forme
della natura – come si è fatto finora
e come suggerisce l’esempio classico
dell’aereo a forma di uccello –, si
propongono schemi nuovi, si spalancano
scenari e possibilità mai viste.
Ma non è detto che la rivoluzione avvenga
domani.
GB. Un esempio delle nuove sfide all’immaginazione?
RC. Il più ovvio? I telefonini: da strumenti
per telefonare sono diventati
computer. Rappresentano il frutto di
un continuo processo di affinamento,
dato che si realizzano transistor sempre
più piccoli e potenti in ogni chip.
Teoricamente, seguendo il trend, si
dovrebbe arrivare a transistor di pochi
atomi…
GB. Ma si imita ancora la natura, o
no?
21

Pagina di fronte:
Antonio Longoni in azione
con lo spettrometro.
I due disegni riguardano il
Microspettrometro a raggi X
per rilevare mappe di distribuzione
di elementi chimici
in oggetti, con sopra: Schema
di principio dello strumento;
sotto: La scansione della
lama di un rasoio elettrico
rivela la distribuzione del Nichel
(a sinistra) e del Ferro
(a destra).
Lo Spinario, bronzo, capolavoro
della scultura greca del
V sec a.C. (Musei Capitolini,
Roma); il suo esame rivela
una diversa composizione
della lega nel capo e nel
corpo.
A pagina 24:
La Lupa Capitolina, bronzo
del V sec a.C. è opera di
artista etrusco (oppure
medioevale?); i gemelli sono
di Antonio Pollaiolo, sec XV
(Musei Capitolini, Roma); il
suo esame rivela una diversa
composizione della lega nelle
varie parti.
RC. Ci si aspetta che l’architettura
naturale sia più vantaggiosa di quella
artificiale e che in futuro la bioelettronica
affianchi quella inorganica;
ma è a quel punto che ci saranno i
margini per pensare ad altro e le architetture
successive, dopo il silicio e
i neuroni, sono da inventare.
GB. C’è chi ci ha già provato?
RC. Prendiamo la biomimesi. È noto
che il calcio, con il collagene, produce
le ossa, che possono essere un
femore o un incisivo. Lo stesso materiale
ha quindi funzionalità diverse,
determinate dal Dna. Utilizzando la
logica di replicazione dei meccanismi
naturali, si possono assemblare
il silicio o qualsiasi materiale, controllandone
forma, dimensione e caratteristiche
con un enorme cambio
di prospettiva.
GB. Lo spiega?
RC. Si sfrutta, appunto, un meccanismo
biologico per sintetizzare oggetti
che avranno forme o prestazioni diverse
dai modelli originali: si tratta
di scenari inediti che innanzitutto richiedono
fantasia e inventiva.
GB. In pratica che cosa significa?
RC. Se, fino a poco tempo fa, scimmiottavamo
Madre Natura, ora, operando
a livello ‘nano’, si può fare un
salto di qualità e produrre in modo
accelerato sistemi complessi che
l’evoluzione potrebbe invece elaborare
in milioni di anni. Il passo successivo
è superare l’evoluzione stessa,
impiegando queste tecnologie per
creare sistemi ancora più complessi
e strutturati, ovviamente ricordando
quanto insidiosi siano questi territori
e quanto sia fondamentale una
valutazione anche etica. Pensiamo
ai robot: già oggi sono antropomorfi,
tra qualche decennio sapranno perfettamente
interagire con noi e tra
qualche altro decennio potrebbero
acquisire prestazioni amplificate e
forme evolute di coscienza e apprendimento.
Significa che chi sa imitare
davvero la natura può andare oltre, e
22
in molti settori.
[da G. Beccaria, Sfida all’ultimo limite. È la
nostra fantasia. Cingolani, direttore dell’ITT:
“Non ci limiteremo a copiare la natura. La
prossima fase è superare le architetture dell’evoluzione
stessa”, in “tutto scienze”, cit.]
1.2.3 Alfonso Fuggetta (Lo ‘stilo
umano’ fa ridisegnare le interfacce
dei telefoni/PDA)
A ben vedere, nel corso degli ultimi
vent’anni il mondo dei computer non
è cambiato molto. Dopo che Alan
Kay inventò presso gli Xerox PARC
la prima workstation – dotata d’interfaccia
a finestre e mouse –, molti
prodotti si sono succeduti sul mercato,
senza che i paradigmi di fondo
siano sostanzialmente cambiati.
Con il Macintosh, Apple introdusse
i concetti sviluppati da Alan Kay in
forma commerciale.
Da utenti, abbiamo iniziato a conoscere
e utilizzare strumenti e concetti
come “scrivania”, “finestra”, “mouse”,
“cestino”. I nuovi prodotti che
si sono succeduti – come Windows
(nelle sue varie versioni, fino all’attuale
Vista) e come le nuove release
del sistema della Apple – benché abbiano
contribuito ad arricchire significativamente
grafica, usabilità e prestazioni,
non hanno apportato nulla
di sostanziale dal punto di vista del
paradigma complessivo di interazione
tra uomo e macchina.
Qualcosa si è iniziato a muovere
con la progressiva trasformazione
dei cellulari in computer personali e
portatili. Se all’inizio, infatti, un cellulare
era poco più di un telefono con
un’interfaccia utente molto limitata,
oggi ci troviamo di fronte a computer
mobili, in grado di replicare su scala
ridotta la stessa qualità e tipologia di
interfacce presenti sui personal computer.
Peraltro, i cellulari (o i moderni
PDA) hanno caratteristiche che li
differenziano in modo sostanziale
dai moderni computer: in primo

luogo, hanno dimensioni ridotte, sia
per quanto riguarda lo schermo, sia
per ciò che concerne la tastiera; in
secondo luogo, spesso devono essere
utilizzati con una sola mano (quando
si è in movimento o in condizioni di
luce non ottimale).
Questi due vincoli hanno stimolato
ricercatori e ingegneri a identificare
e inventare nuove forme di interazione
tra utente e cellulare/PDA. In
questo senso, il primo strumento inventato
è stato lo stilo, associato al
touch screen.
Ma la vera rivoluzione è avvenuta
con il nuovo iPhone della Apple, che
ha introdotto alcuni cambiamenti significativi.
In primo luogo, lo stilo è stato sostituito
dal dito, con tutte le conseguenze
del caso: in particolare, le interfacce
sono state ridisegnate per tenere conto
delle dimensioni fisiche dello “stilo
umano”. Lo schermo è di dimensioni
e qualità significativamente superiore
a quello dei più tradizionali telefoni/
PDA. Ma, soprattutto, si sono introdotte
nuove modalità di interazione
basate sul multitouch, proprio per
sfruttare l’uso delle dita nello svolgimento
di alcune operazioni chiave.
Da questo punto di vista, in un panorama
che era per lo più immobile,
l’iPhone costituisce una discontinuità.
È il segno che, in questi vent’anni,
da un lato si è progressivamente
accumulata una nuova sensibilità sul
fronte dei paradigmi di interazione
uomo/macchina e, dall’altro, le tecnologie
si sono evolute così significativamente
da permettere l’implementazione
su scala commerciale di
queste nuove idee e intuizioni.
Peraltro, neanche l’iPhone ha in
realtà scalfito alcuni concetti fondanti
introdotti da Alan Kay tanti anni
fa. Sull’iPhone sono presenti applicazioni
e documenti. I messaggi sono
organizzati in folders. Tutti concetti
noti. Certamente, sarà interessante
comprendere se e come la disponibilità
del Software Development Kit
creato da Apple renderà possibile
costruire nuove applicazioni e nuovi
paradigmi per questo innovativo dispositivo.
Ma l’arrivo dell’iPhone sembra abbia
in un qualche modo scosso le
acque. Ci sono nuovi progetti molto
innovativi che mettono in discussione
il paradigma di interfaccia utente
creato da Kay.
Per esempio, Giorgio De Michelis
(Università degli Studi di Milano-
Bicocca) ha recentemente lanciato
un progetto che tende a rivoluzionare
il concetto di interfaccia così
come l’abbiamo sempre concepita,
introducendo nuove metafore e concetti
che caratterizzano l’interazione
uomo macchina (Progetto ItsMe). Ma
anche progetti come Surface di Microsoft
altro non sono se non la realizzazione
pratica di nuove metafore
di interazione particolarmente avanzate,
che sembravano fino a qualche
tempo fa riservate solo a film di fantascienza
come Minority Report: ricordate
come Tom Cruise ricercava
sospetti e indizi con il suo computer
ad interfaccia tattile?
In realtà, l’intrecciarsi di una nuova
maturità dell’utenza – ormai avvezza
al paradigma a finestre classico –,
la disponibilità di nuove interfacce e
tecnologie, il grande sviluppo del design
e degli studi ergonomici, stanno
aprendo strade e ipotesi di lavoro che
si ritenevano ormai precluse.
Chi mai avrebbe immaginato che si
potesse mettere in discussione il mitico
Windows? Eppure sono sempre più
numerosi i segnali che indicano una
ripresa, significativa e non episodica,
degli studi e degli sviluppi nel settore
dei nuovi paradigmi di interazione
uomo/macchina. È un altro segnale
che, nel campo delle tecnologie nulla,
è perso e nulla può essere dato per
scontato. Creatività, design, nuovi
23

materiali, nuovi modelli e paradigmi
possono offrire a tutti la possibilità
di immaginare “cose nuove”, anche
laddove esistono leader di mercato
consolidati.
Non è questo un fatto assolutamente
affascinante e unico? Non è questa
un’opportunità molto interessante anche
per il nostro paese, le nostre imprese
e i nostri giovani ricercatori?
[Alfonso Fuggetta (1958) è professore ordinario
di Ingegneria Elettronica presso il Politecnico
di Milano, dove si è laureato nel 1982. Ha
svolto ricerche presso: l’Istituto Norvegese di
Scienza e Tecnologia (NTNU) di Trondheim;
la University of Colorado, Boulder; la University
of California, Irvine (UCI), presso la quale
è anche visiting professor. È Direttore Scientifico
del CEFRIEL, Centro del Politecnico di
Milano per la Ricerca e la Formazione in Ingegneria
dell’Informazione. Lo scritto è stato
parzialmente pubblicato in “nòva 24”, supplemento
de “Il Sole 24 ore”, 3.4.2008.]
1.2.4 Antonio Longoni (L’analisi
spettroscopica fa conoscere meglio
l’arte)
Antonio Longoni è professore ordinario
di Elettronica e responsabile del
Gruppo di ricerca sui Rivelatori di
Radiazione ed Elettronica Nucleare
(Dipartimento di Elettronica e Informazione,
Politecnico di Milano); si
occupa dello sviluppo della strumentazione
avanzata per lo studio dei
materiali basata sull’analisi spettroscopica
della fluorescenza X (XRF =
X-Ray Fluorescence spectroscopy).
Longoni – in un articolo pubblicato,
con Carlo Fiorini e Chiara Guazzoni,
sulla “Rivista del Politecnico” – spiega
che questa è una tecnica non-distruttiva,
che consente di identificare
gli elementi chimici presenti nel materiale;
per questo si presta all’analisi
di opere d’arte e materiali di interesse
storico e archeologico.
A questo fine, viene utilizzato un nuovo
tipo di rivelatore di radiazione,
nato per applicazioni nel campo della
fisica delle particelle elementari e
introdotto per la prima volta in stru-
24
menti per l’analisi dei Beni Culturali;
data la compattezza e le elevate
prestazioni che si possono ottenere,
è possibile svolgere queste analisi direttamente
sul campo.
(Tale rivelatore – denominato SDD,
Semiconductor Drift Detector – fu
ideato nel 1983 da Emilio Gatti, del
Politecnico, e da P. Rehak, del Brookhaven
National Laboratory, Usa).
L’analisi spettroscopica della fluorescenza
X – emessa da un materiale
eccitato da un’opportuna sorgente di
raggi X – consente l’identificazione
dei componenti chimici.
I fotoni X di fluorescenza emessi da
un atomo hanno, infatti, energie caratteristiche,
legate in maniera univoca
all’atomo che li emette. È anche
possibile, in opportune condizioni, determinare
quantitativamente la composizione
percentuale del matriale.
Uno spettrometro XRF è composto
essenzialmente da una sorgente di
eccitazione X; da un rivelatore di radiazione
capace di misurare l’energia
dei raggi X; da un sistema elettronico
per l’acquisizione e l’elaborazione
dei dati.
I rivelatori di radiazione X, classicamente
utilizzati per analisi XRF ad
alta risoluzione (ad esempio i rivelatori
in Silicio compensato con Litio),
devono essere raffreddati alla temperatura
dell’azoto liquido (circa 200
°C sotto lo zero).
Invece, è molto importante che il
SDD, al contrario, raggiunge elevate
risoluzioni spettroscopiche a temperature
prossime a quelle ambiente
(pochi gradi centigradi sotto lo zero);
è questo che ha permesso la realizzazione
di spettrometri di elevate prestazioni
analitiche, compatti e ideali
per analisi sul campo.
La foto mostra una versione recente
dello spettrometro durante alcune
fasi delle analisi effettuate sulla Lupa
Capitolina presso i Musei Capitolini

(Roma). Nella testa di misura, visibile
nella foto, sono compresi il tubo
radiogeno miniaturizzato, dotato di
collimatore e di laser di puntamento,
il rivelatore di radiazione con il relativo
sistema di raffreddamento, i circuiti
elettronici per la polarizzazione
del rivelatore e per l’amplificazione
dei segnali generati dallo stesso. Durante
l’analisi, la testa di misura viene
avvicinata ad una distanza di circa
1 cm dal campione. Il fascio collimato
di raggi X ha un diametro di circa
2 mm. La compattezza dello spettrometro
permette un agevole posizionamento
dello stesso anche in manufatti
di forma complessa. Il diagramma
mostra la composizione percentuale
della lega bronzea misurata nei punti
indicati nella figura stessa (è omessa
l’indicazione della percentuale di
Rame). Non sono evidenti brusche
variazioni della composizione della
lega. Cade quindi l’ipotesi di una
aggiunta, posteriore alla fusione originale
(supposta di epoca etrusca),
degli attributi femminili (secondo
alcuni operata in epoca romana per
esaltare i fondatori della città).
La simmetria verticale della nonomogeneità
della composizione della
lega è compatibile con un procedimento
di fusione dell’opera in posizione
eretta.
È in fase di sviluppo uno spettrometro
XRF progettato per determinare la
distribuzione spaziale degli elementi
chimici nel campione che si esamina.
A differenza di quanto accade con
i microscopi elettronici a scansione
(SEM), la misura avviene in aria
e non è necessario il prelievo di un
campione dal manufatto né la sua
metallizzazione.
L’analisi può pertanto essere non-distruttiva.
Viene utilizzato un nuovissimo rivelatore,
costituito da una matrice monolitica
di SDD disposti ad anello attorno
un foro realizzato nel Silicio. Il
fascio di eccitazione viene focalizzato
per mezzo di una lente policapillare
per raggi X e raggiunge il campione
attraversando il foro nel rivelatore.
L’area eccitata del campione ha un
diametro di meno di 100 μm.
La particolare struttura del sistema
di eccitazione e rivelazione consente
di effettuare – in tempi brevi e con
elevata risoluzione spaziale e spettroscopica
– scansioni dell’area interessata,
fornendo dettagliate immagini
della distribuzione spaziale degli elementi
chimici.
[da A. Longoni, C. Fiorini, C. Guazzoni, Spettrometri
XRF per analisi non distruttive nello
studio e conservazione dei Beni Culturali, in
“Politecnico, Rivista del Politecnico di Milano”
8, aprile 2004, monografico su “Beni Culturali
e Politecnico di Milano”, pp. 100-105.]
1.2.5 Bruno Murari (Il laboratorio
in un chip)
Bruno Murari è direttore dei Laboratori
di Ricerca della StMicroelectronics
(sede di Cornaredo). Il suo lavoro,
di progettazione e di direzione della
ricerca, è stato fondamentale per il
raggiungimento da parte della ST di
una posizione di leadership a livello
mondiale nel settore dei circuiti integrati
dedicati.
Alcune citazioni utili a configurare
l’interesse del suo contributo.
Da “Corriere Economia”, allegato
al “Corriere della Sera”, 10 giugno
2002:
Piccolissimo è meglio. Tre miliardi di
componenti elettronici su un chip di
un centimetro quadrato. È il record
di Bruno Murari, direttore della ricerca
di StMicroelectronics. Che ha
una nuova meta: il bioprocessore per
indagare nei misteri del Dna [articolo
di Umberto Torelli].
Da “Corriere della Sera”, 31 ottobre
2002:
Si chiama «Lab-on-chip» ed è un
laboratorio in miniatura racchiuso
in pochi millimetri di silicio per fare
l’analisi del Dna in meno di un quar-
25
One example of microfluidics:
the ST’s Lab-on-Chip for amplifying
and detecting DNA.

to d’ora. La società italo-francese
StMicroelectronics (StM), terzo produttore
mondiale di semiconduttori,
lo presenta oggi in anteprima mondiale
a Filadelfia. È una piccola rivoluzione.
Il nuovo chip è usa e getta,
veloce ed economico, caratteristiche
che permetteranno alla diagnostica
medica e alla ricerca farmaceutica
di abbreviare i tempi di analisi del
Dna e abbattere i costi. “Si potranno
individuare le malattie genetiche
direttamente in ambulatorio, senza i
ritardi dei laboratori e a prezzi molto
più bassi. O fare una valutazione in
tempo reale nel corso di un’operazione”,
dice Murari. [articolo di Giuliana
Ferraino].
Da “Elettronica News”, portale de “Il
Sole 24 Ore Business Media”, 25 ottobre
2007:
La prossima frontiera per noi è nei
biochip, che consentiranno di analizzare
le sequenze di DNA o di altre
molecole biologiche con un’efficacia
e una precisione un tempo impensabili.
Potranno realizzare apparecchi
diagnostici portatili, in grado di dare
un feedback immediato al medico sullo
stato di salute dei pazienti, anche
da remoto, grazie a dei sensori indossabili
in grado di trasmettere i dati
acquisiti in modalità wireless. Consentiranno
di curare molte patologie
a domicilio, con enormi vantaggi in
termini economici e di miglioramento
della qualità della vita [articolo di
Bruno Murari]
26
1.2.6 Pietro Pedeferri (Il titanio fotografa
i colori della luce)
Pietro Pedeferri è ordinario di “Corrosione
e protezione dei materiali”
presso la Facoltà di Ingegneria del
Politecnico di Milano. Dagli anni
Settanta ha sviluppato la colorazione
anodica del titanio (brevettandola).
Per descrivere nel modo più sintetico
il suo lavoro, si ricorre ad alcune
citazioni.
Si può iniziare dal racconto di Pedeferri
relativo al suo incontro con Bruno
Munari, da lui cercato perché era
certo che l’artista che aveva utilizzato
per le sue opere i giochi d’acqua, la
luce polarizzata e i materiali più diversi,
sarebbe stato interessato anche
ai colori e alle forme che il passaggio
di corrente, il movimento di liquidi e
il gioco di raggi di luce rifratti e riflessi
potevano produrre sulla superficie
di un metallo a quei tempi [1970]
quasi sconosciuto…
Quindi, gli mostrò come il titanio poteva
‘fotografare i colori della luce’,
cioè riproporre su una lastrina il miracolo
dell’aurora o dell’arcobaleno,
o ‘far vedere l’aria’, cioè svelare fenomeni
altrimenti invisibili.
La superficie del titanio, normalmente,
è ricoperta da un film protettivo, di
ossido di titanio, di pochi nanometri
di spessore (un nanometro = un milionesimo
di millimetro).
Mediante tecniche elettrolitiche di
anodizzazione, è possibile far accrescere
lo spessore dei film di ossido;
questo spessore (e, quindi, il colore)
dipende dal potenziale applicato.
Aumentando il potenziale da 0 a 140
volt, lo spessore cresce da 10 a 300
nanometri e la sequenza cromatica
che si ottiene è: giallo, porpora, blu,
azzurro, argento, giallo, rosa, violetto,
cobalto, verde, gialloverde, rosa,
verde, con un’infinità di sfumature
intermedie.
La tecnica sviluppata da Pedeferri
consente di ottenere colori di parti-

colare intensità e bellezza. Sono colori
di interferenza, originati dalle
sottili pellicole di ossido di titanio
che riflettono e rifrangono la luce.
Il rimando è ai colori iridescenti dei
film di olio sull’acqua, delle bolle di
sapone, delle piume di certi uccelli (il
pavone) o delle ali delle farfalle.
Riflettendo e rifrangendo la luce si
colora senza impiegare pigmenti.
La terza citazione (tratta, e qui riassunta,
da uno scritto di Giancarlo
Consonni) individua almeno quattro
filoni nel Pedeferri pittore elettrochimico:
1. da ‘op art’ vasarelyana, con
declinazioni evocative del decorativismo
klimtiano e dei viraggi alla
Warhol; 2. ‘orientale’, nella comunanza
del sentire avvertibile con la
grande arte della natura dei pittori cinesi
e giapponesi. Quindi, un’arte che
esplora albe e tramonti, nuvole, vapori,
onde…; 3. un filone collegato al
precedente, ma con echi ‘giorgioneschi’,
grazie ala luminosità del colore
attribuita a corpi opachi evocativi di
paesaggi terrestri o di altri pianeti; 4.
un filone con echi dell’informale, nel
quale (come notò Giulio Carlo Argan)
più che mai la materia pittorica è la
realtà stessa della propria esistenza.
[cfr. Titaniocromia, pp. 13-14, 21-22; Titanio
cromie, pp. 43-51, “Realtà Mapei”, 83, luglio
2007. Dal lavoro di Pedeferri è nata un’iniziativa
industriale, uno spin off, illustrato in Appendice
B: Dall’invenzione, l’impresa_Una case
history: NanoSurfaces, di Alberto Cigada.]
1.2.7 Alfio Quarteroni (Progettare
una barca veloce con la matematica)
Alfio Quarteroni, laureato in matematica
presso l’Università di Pavia nel
1975, è professore ordinario di Analisi
numerica presso il Politecnico di
Milano e l’École Polytechnique Federale
de Lausanne (Epfl). Ha ricoperto
importanti incarichi presso il CRS4 di
Cagliari e ha insegnato all’Università
Cattolica di Brescia e all’Università
del Minnesota. È membro dell’Accademia
Nazionale dei Lincei e dell’Istituto
Lombardo di Scienze e Lettere.
Ha una laurea honoris causa in
ingegneria navale dell’Università di
Trieste. Ha diretto importanti progetti
di ricerca europei ed è stato il responsabile
della simulazione fluidodinamica
e della modellistica matematica
per Alinghi, l’imbarcazione svizzera
vincitrice della Coppa America 2003
e 2007, che si è avvalsa della consulenza
scientifica dell’EPFL di Losanna.
Partecipa anche al progetto Solar-
Impulse per la progettazione di un
aereo a energia solare per il giro del
mondo promosso da Bertrand Piccard
nel 2004. Il suo gruppo di ricerca sta
dando importanti contributi alla modellistica
matematica e alla simulazione
numerica per il sistema cardiovascolare
umano [da Wikipedia].
Citiamo da un intervista di Desiderio
Poletto [tratta dal sito http://matematica.uni-bocconi.it,
a cura del gruppo
di ricerca Pristem, Università Bocconi
di Milano].
DP. Quanta e quale matematica c’è
dietro alla vittoria di Alinghi?
AQ. Il problema naturalmente è quello
di disegnare la barca in tutti i suoi
dettagli, da quelli più importanti a
quelli che possono apparire inessenziali.
La chiglia, ad esempio, deve corrispondere
in modo ottimale a quelle
che saranno le probabili condizioni
di regata. La forma delle vele deve
27
Nella pagina di fronte:
Caratteristiche del Titanio:
simbolo, numero e peso
atomico, configurazione elettronica,
ecc. (cfr. Wikipedia,
sub voce).
Schema illustrativo del
fenomeno dell’interferenza
prodotto dal film di ossido
alla superficie del titanio.
I raggi provenienti dalla
sorgente S, che vengono
riflessi dalla superficie
esterna del film di ossido e
dalla sottostante superficie
del titanio, raggiungono il
punto P dopo aver effettuato
percorsi diversi, per cui
risultano sfasati a seconda
dello spessore dell’ossido (se
L è il cristallino dell’occhio,
il punto P giace sulla retina)
[da B. Del Curto, M.P.
Pedeferri, V. Rognoli, Titanio
cromie, Epitesto, Milano
2004, p. 45].
Pietro Pedeferri, Colorazioni
su titanio: Apparenza ‘di
campo’; Omaggio a Bruno
Munari [da P. Pedeferri,
Titaniocromia (e altre cose),
interlinea edizioni, Varzi
1999].

essere ottimale, riguardo a quelle che
saranno le probabili condizioni del
vento. Occorre minimizzare la quantità
di resistenza sott’acqua e, invece,
massimizzare la spinta indotta dalle
vele. Occorre, insomma, analizzare
l’interazione dell’imbarcazione con
l’aria e l’acqua: avanzando, la barca
deve produrre onde più basse possibili
per evitare dispendio di energia,
a discapito della velocità.
Tutti questi obiettivi possono essere
avvicinati con misurazioni e test,
condotti su una barca prototipo in un
bacino artificiale. Ma bisognerebbe
fare molti tentativi e costruire molte
barche (per costruirne una ci vogliono
mesi). I problemi economici
sono evidenti. La simulazione in laboratorio
costa molto meno ed è più
efficace. È qui che entra in gioco la
matematica.
Il quadro generale è quello delle
equazioni della fluido-dinamica, le
equazioni di Navier-Stokes, che sono
le equazioni principe che descrivono
tutti i processi fluido-dinamici. La
peculiarità è stata quella di doverle
applicare contemporaneamente a un
contesto di tre situazioni diverse :
aerodinamica (legata alla parte vele);
idrodinamica (legata alla parte immersa
della barca); superficie libera
(quella che separa le due zone).
La prima difficoltà che abbiamo incontrato
è stata nella risoluzione delle
equazioni di Navier-Stokes. Queste
equazioni non si possono risolvere
esattamente, ma bisogna procedere
per via numerica. Per un’ottima risoluzione,
bisogna usare metodi sofisticati.
La soluzione numerica delle equazioni
di Navier-Stokes ci ha portato
a risolvere sistemi fra i dieci milioni
e i trentacinque milioni di equazioni,
ciascuna relativa ad una piccola porzione
del sistema fisico considerato.
Una seconda difficoltà è stata quella
legata ai moti di turbolenza, sia dell’acqua
dietro la chiglia e al bulbo,
28
che quella generata dall’interazione
del vento con le vele. Per studiare
questi effetti, bisogna studiare modelli
di turbolenza. Un altro momento
critico è stato il dover scegliere buoni
modelli di turbolenza, anche perché
questo ha comportato un’aggiunta di
equazioni.
Le equazioni della fluidodinamica
(Navier-Stokes) permettono di studiare
la conservazione della quantità
di moto e la conservazione della
massa. A queste equazioni, vanno aggiunte
quelle dello studio dell’energia
turbolenta e quelle del suo tasso
di variazione.
Altre difficoltà provenivano dalle
continue sollecitazioni del team di
Alinghi. Loro ci davano nuove configurazioni
geometriche ed il nostro
compito era allora duplice. Dovevamo
costruire un modello geometrico
della barca tramite il Cad (e questo
l’abbiamo ottenuto costruendo centinaia
di piccole superfici geometriche,
che abbiamo usato per descrivere lo
scafo e la chiglia). Successivamente,
siamo passati alla simulazione numerica.
DP. Le sono stati posti molti vincoli
nel suo lavoro?
AQ. No, i progetti della barca venivano
fatti da ingegneri molto preparati,
che avevano già un progetto definito.
Il mio contributo è stato quello
di usare simulazioni matematiche per
migliorare un modello che è quasi
perfetto e di portare la barca da un
livello ottimo ad un livello di eccellenza.
Attraverso il gran numero di
simulazioni numeriche fatte dal matematico,
nascono i suggerimenti che
poi fanno la differenza.
Se vogliamo fare delle considerazioni
di tipo macroscopico, possiamo dire
che non si lavora sulla x ma sulla delta
x. La x è un valore molto buono
di quella che è la soluzione finale.
Occorre tener conto che, se si migliorano
dell’1% le soluzioni dell’equazione,
si dà alla barca la possibilità di

arrivare al traguardo con 30 secondi
di vantaggio sull’avversario. Per ottenere
questi risultati, abbiamo dovuto
cercare e inventare equazioni molto
precise e raffinate, con algoritmi di
calcolo altrettanto veloci ed efficienti;
ciò ci ha permesso di simulare 100
configurazioni diverse di barche.
DP. Come si svolgeva concretamente
il vostro lavoro?
AQ. Come dicevo, i progettisti ci
mandavano sia il profilo completo
che le varie parti della barca. Noi
testavamo il tutto con questi computer,
che sono in grado di svolgere 100
miliardi di operazioni al secondo. Oltre
a tutti i dati legati al vento e alle
maree del golfo di Hauraki, dovevamo
tener conto anche della presenza
della barca concorrente che, con le
sue vele, influenzava l’aerodinamica
di Alinghi. Abbiamo provato diverse
soluzioni, sia per SUI 64 - la barca
che ha vinto la Coppa - sia per SUI
75 (che non ha mai gareggiato, pur
presentando le soluzioni più innovative).
DP. Alinghi è stato un successo …
AQ. La barca presentava un ottimo
mix delle tre caratteristiche che servono
per vincere la “Coppa America”:
la velocità, la leggerezza e la
resistenza, la manovrabilità (cioè la
capacità di cambiare assetto nel minor
tempo possibile).
29
Appendice A
Altri otto spunti per applicazioni
d’arte, design...
(Andrea Parlangeli, giornalista
di “Focus”)
Si ritiene che questi spunti possano
sollecitare / indurre applicazioni
utili, innovative in forma, tipologia,
estensione e facilitazione d’uso.
1. Mani nuove (ARTS Lab, Pisa)
Oggi, i robot chirurghi sono una
realtà e l’Italia è ai primi posti nel
mondo tra i produttori di questi tipi
di macchine. Come reali sono i micro
automi usati per sondare il corpo
umano e le protesi cibernetiche da
impiantare e connettere direttamente
al sistema nervoso.
Tra meno di un mese, i ricercatori
della Scuola Superiore Sant’Anna
e dell’Università di Pisa impianteranno
una mano a una persona
amputata. “La muoverà col pensiero
e, se tutto andrà nel verso giusto,
avrà anche sensazioni tattili”, spiega
Anna Maria Carrozza, direttore
della Scuo-la e tra le prime donne al
mondo impegnate nella robotica.
[da M. Gasperetti, 16.3.2008, www.corriere.it]
2. Aquiloni d’alta quota per l’energia
(Massimo Ippolito e Mario Milanese,
Politecnico di Torino)
Già oggi, nelle zone molto ventose,
l’energia eolica può essere più conveniente
del petrolio. Però, se si riuscisse
a sfruttare il vento che soffia
in quota (molto più intenso e regolare
che in superficie), il vantaggio
sarebbe ancora maggiore.
Un gruppo di ricercatori del Politecnico
di Torino, guidati da Massimo
Ippolito e Mario Milanese propongono
di realizzare un impianto azionato
da aquiloni che raccolgono il
vento anche a diversi km di quota,
con costi limitati e rendimenti elevatissimi.
L’idea è diventata un progetto europeo:
KiteGen. “Abbiamo realizzato
un prototipo che genera 25 kilowatt
a 800 m di quota” dice Ippolito. E
sono già in programma impian-

ti da 10 MW, capaci di alimentare
una piccola città, che prevedono il
decollo e il ritiro automatico degli
“aquiloni”, e un volo a 1.300 m con
una traiettoria controllata elettronicamente
a forma di “8”, che consente
il rendimento energetico più
efficiente. «Con questo impianto si
potrebbe produrre energia al costo
industriale di 25 €/MWh, contro gli
80 €/MWh del carbone» dice Ippolito.
Il vantaggio economico può migliorare
con impianti più grandi, in
cui molti “aquiloni” azionano una
grande turbina.
Megaturbina. «Con 200 aquiloni
che fanno girare una turbina con
diametro di 1,6 km alla velocità di
15 giri all’ora» spiega Ippolito «si
potrebbe generare 1 gigawatt». Cioè
l’equivalente di una centrale nucleare
di media potenza. Secondo Ippolito,
tecnicamente questo progetto è
realizzabile entro 3 anni.
[tratto da A. Parlangeli, “Focus” 190,
agosto 2008]
3. Robo-sciami (Dario Floreano,
Politecnico di Losanna)
Volano, nuotano o camminano compatti.
Si adattano all’ambiente nel
quale si trovano e, se occorre, si
attaccano l’uno all’altro per scavalcare
ostacoli, spostare le macerie e,
più in generale, aiutare nelle operazioni
di soccorso o nella costruzione
di insediamenti umani. Tutto ciò
è quanto ci si aspetta da una nuova
generazione di robot, costruiti per
raggiungere tutti insieme un solo
scopo, in maniera molto più efficace
di quanto potrebbe fare ogni singolo
androide, per quanto perfezionato.
Li stanno progettando in tutto il
mondo, ma soprattutto al Politecnico
di Losanna, dove un’équipe guidata
dall’italiano Dario Floreano
realizza robot capaci di collaborare
oppure di competere, ma anche di
evolversi adattandosi – come esseri
viventi – all’ambiente esterno. […]
Altri gruppi di ricerca studiano robot
che sono tutti in comunicazione
tra loro: invece di essere controllati
da un’unità centrale, o di muoversi
ognuno per conto proprio, questi robot
sono piuttosto controllati da una
swarm intelligence (intelligenza dello
sciame) collettiva. Rush Robinett,
dei Sandia National Laboratories
(Usa), per esempio, ha realizzato
una tecnica denominata swarming,
che permette a un gruppo di robot di
cercare un obiettivo (come uno sciatore
travolto da una valanga) nel
modo più efficace possibile. Come?
Confrontando una serie di regole,
reimpostate con le reciproche distanze,
calcolate istante per istante.
Sempre per svolgere operazioni di
salvataggio di questo tipo, il gruppo
di Floreano sta lavorando a un altro
progetto ancora: Swarmbot. “L’idea
è di creare un sistema robotico composto
da tanti elementi, ciascuno dei
quali si chiama S-bot, che possano
comunicare tra loro e anche attaccarsi
fisicamente l’uno all’altro, per
compiere missioni impossibili per il
singolo robot, come trasportare oggetti
molto grandi oppure scavalcare
buche nel terreno” dice Floreano.
“Questi sistemi potrebbero essere
usati per operazioni di salvataggio,
per esempio in caso di ricognizione
in un edificio crollato o dopo un incendio”.
[…]
[tratto da A. Parlangeli, “Focus” 129, luglio
2008]
4. Nanospider (University of California
e Università di Bologna)
È già da qualche giorno che si parla
di quel ‘mostro’ di Nanospider, la
nano macchina descritta su Science
del 19 marzo 2004 da Jovica D. Bladjic
e J. Fraser Stoddart, della University
of California, e da Vincenzo
Balzani, Alberto Credi e Serena Silvi
dell’Università di Bologna. Di Nanospider
si è detto tutto. È stato descritto
nella forma: un ragnetto con
tre gambe. È stato descritto nelle dimensioni:
pochi nanometri che devono
essere ingranditi milioni di volte
per assumere consistenze palpabili.
Ed è stato descritto nella forza: così
grande da permettergli di sollevare
tre miliardi di volte il suo peso.
S:M. Nanospider però non ‘serve’
ancora a nulla. Perché allora la sua
nascita ha fatto il giro del mondo,
calamitando l’attenzione di specialisti
e profani?
30
V.B. Perché Nanospider dimostra
che è possibile costruire e far funzionare
a comando una nanomacchina
artificiale. È la prima volta,
infatti, che l’ingegneria molecolare
riesce a progettare un’architettura
nanometrica complessa, dotata di
una piattaforma che può funzionare
da ascensore e di gambe che possono
svolgere la funzione di una pinza.
Certo siamo ancora lontani dall’efficienza
e dalla complessità delle
macchine naturali operanti in ciascuno
di noi, ma il nostro è un primo
passo …
S.M. In particolare, Nanospider che
scenario fa presagire?
V.B. Un cambiamento di rotta nella
corsa alla miniaturizzazione. Dal
modello top-down della fisica e dell’ingegneria,
che finora aveva consentito
di rimpicciolire componenti
di partenza di grosse dimensioni, si
passerà al modello bottom-up della
chimica, che permetterà invece di
costruire componenti di scala nanometrica
assemblando funzionalmente
le molecole, che sono le più
piccole entità della materia ad avere
una forma propria.
S.M. Una sorta di ingegneria molecolare,
insomma?
V.B. Esattamente. Si parte dalla
progettazione del design della nanomacchina,
poi si assemblano i
componenti e infine si studia il modo
di azionare il dispositivo, il che comporta
fornirgli energia e realizzare
un sistema di controllo.
[da un’intervista a V. Balzani, responsabile
del gruppo di ricerca italiano, di S.
Mini, www.magazine.unibo.it]
5. Dai gechi, tute da spidermen
(Nicola Pugno, Politecnico di Torino)
Negli ultimi anni, ha destato molto
interesse lo studio delle magiche
proprietà adesive dei gechi, piccoli
rettili dotati di zampe con cui camminano
senza sforzo in verticale e
perfino attaccarsi ad un appiglio durante
una caduta. La forza peso che
possono sopportare senza staccarsi
è di circa 40 kg.
Queste prestazioni sono possibili
grazie ai tanti micropeletti che

icoprono le loro zampe e che stabiliscono
legami di tipo elettrico
(detti “forze di Van der Waals”) con
le superfici con le quali vengono a
contatto. Legami debolissimi, ma,
nel caso dei gechi, interessano milioni
di ‘setole’, a loro volta divise in
migliaia di diramazione dette ‘spatole’,
centinaia di volte più sottili di
un capello. Le forze adesive delle
zampe dei gechi si riducono fino a
scomparire, se cambia l’inclinazione
della forza, ed è grazie a questa
proprietà che questi rettili riescono
a camminare, altrimenti rimarrebbero
incollati alle pareti! Le loro zampe,
per di più, non sono appiccicose
(non contengono sostanze adesive)
e si puliscono da sé, un po’ come fa
anche il fiore del loto: i micropeletti
rendono la superficie idrorepellente,
e questo consente all’acqua di scivolare
via, portando con sé lo sporco.
Negli ultimi anni sono stati dedicati
molti studi alla fisiologia dei gechi.
Alcuni mesi fa, un gruppo di ricercatori
della University of California
a Berkeley ha annunciato di aver
sviluppato un nastro adesivo dotato
di tanti micropeletti di plastica (polipropilene),
che mima le loro caratteristiche:
rimane attaccato a una
superficie se si tira nel piano di adesione
(per forze fino all’equivalente
di un peso di 100 grammi), mentre
si stacca facilmente se lo si solleva
in verticale. Le prestazioni possono
migliorare molto se si usano peletti
ancora più sottili, come i nanotubi di
carbonio, molecole centomila volte
più fini di un capello. Nicola Pugno,
docente al Politecnico di Torino, ha
calcolato che, con questi nuovi materiali,
in linea di principio si potrebbe
costruire una tuta da Spiderman, capace
di donare all’uomo le proprietà
miracolose dei gechi e forse perfino
qualcosa di più in termini di prestazioni
adesive.
L’unica differenza sarebbero i muscoli:
noi poveri umani, abituati a
camminare o ad andare in macchina,
per quanto tempo potremmo resistere
appollaiati sulla parete del
condominio o sul soffitto di casa?
[A. Parlangeli]
6. Colle ultraresistenti, ma removibili
(Dario Narducci, Università
Statale Milano Bicocca)
Per progettare nuove colle sempre
più avanzate, gli scienziati si ispirarsi
ai mitili e ai balani. Questi
animaletti marini – sono bivalvi i
primi, crostacei i secondi – hanno
l’abilità straordinaria di attaccarsi
con tenacia a superfici di ogni tipo:
roccia, legno, metalli… i balani, per
esempio, incrostano gli scafi delle
navi, peggiorandone le prestazioni e
facendo consumare più carburante.
Tanto che, per eliminarli, è necessario
ricorrere a solventi chimici inquinanti
o a fastidiosi metodi meccanici
che possono danneggiare lo scafo.
Colle di questo tipo sono interessanti
perché sono molto tenaci e resistenti
agli agenti chimici. Essendo di tipo
biologico, sono anche potenzialmente
adatte alla chirurgia, per “incollare”
le ferite senza lasciare evidenti
cicatrici. Anche in Italia si coltiva
questo campo di ricerca sui bioadesivi:
“Abbiamo appena avviato un
nuovo progetto in collaborazione
con il Dipartimento di bioscienze”
spiega Dario Narducci, chimico e
docente di scienze dei materiali all’Università
Milano Bicocca. “Studiamo
alcuni parassiti (vermi piatti
detti Monogenoidei) che hanno la
capacità di aderire sulle scaglie dei
pesci di grandi dimensioni e che
resistono alla corrente di un tonno
in corsa (70 km/h). E poi sono capaci
di staccarsi, con un solvente”.
L’idea è affascinante: permetterebbe
di realizzare apparecchi ortodontici
o protesi che si staccano quando non
servono più, mobili o arredi apparentemente
fissi ma che si possono
asportare se necessario.
[A. Parlangeli]
7. Bioplastica (Novamont)
Ha vinto il premio “European Inventor
of the Year 2007” (Commissione
UE e Ufficio Europeo dei Brevetti).
Tra gli utilizzi: vaschette per alimenti,
posate, piatti, bicchieri. Secondo
la Coldiretti, le bioplastiche potrebbero
evitare nell’Unione Europea la
dispersione nell’ambiente ogni anno
di un milione di tonnellate di plasti-
31
ca, ridurre di 1,4 milioni di tonnellate
le emissioni di anidride carbonica
e risparmiare 700.000 tonnellate
di petrolio, solo sostituendo i normali
sacchetti della spesa in plastica.
Nell’ottobre 2007, Novamont e
Coldiretti hanno sottoscritto un accordo
per una bioraffineria a Terni.
[www.ecoblog.it; www.ilsole24ore.com]
8. Tessuti evoluti (TexClubTec)
Se, per millenni, le proprietà di cotone
e lana – le fibre più utilizzate
– non sono mutate; nell’ultimo secolo,
sia grazie all’industrializzazione
e all’apparire delle fibre sintetiche,
sia grazie allo stimolo dei nuovi bisogni,
si è modificata profondamente
la concezione tradizionale relativa
alla realizzazione e all’utilizzo dei
prodotti tessili. Tale evoluzione è anche
dovuta a cambiamenti dello scenario
internazionale: la crescente
liberalizzazione delle importazioni,
la concorrenza aggressiva dei paesi
extraeuropei sui prodotti di facile
imitazione, la sempre più accentuata
delocalizzazione produttiva, la minore
incidenza dell’abbigliamento
sulle spese familiari provocano una
crisi strutturale sempre più drammatica
nel settore. Occorre quindi diversificare,
con prodotti di maggiore
contenuto tecnologico e con utilizzi
in settori diversi da abbigliamento
ed arredamento tradizionale. […]
Già sono sul mercato prodotti che:
riducono i rischi (antibatterici, antiacari,
antiodore, antifiamma, antisporco,
anti-UV, anti-onde elettromagnetiche,
ecc.); attivano funzioni
quali la termoregolazione corporea;
conferiscono nuovi effetti visivi;
esplicano un’azione cosmeto-medicale.
Senza dimenticare la frontiera
più avanzata, relativa all’abbigliamento
‘comunicante’, dotato cioè
di microrganismi informatici, per
un’integrazione globale con telefonia,
computer, controlli sanitari a distanza,
ecc. Si sta manifestando una
tendenza generalizzata verso tessuti
tecnici ad alte prestazioni, non solo
tesi a novità estetiche, ma per offrire
un forte valore aggiunto in termini di
funzionalità.
[A.Tempesti, 27.4.05, www.texclubtec.it]

32
Alcuni brevetti americani,
svizzeri, tedeschi, 1921-54
(da “Rassegna” 46, giugno
1991).
Alla pagina seguente:
Da “Il sole 24 ore”,
supplemento domenicale,
18.6.2006: “Un’aula della
scuola d’arte di Yale: gli
studenti sono incoraggiati a
integrare la pratica artistica
nel loro curriculum, a prescindere
dal loro indirizzo
accademico”.
Mostra degli elaborati degli
allievi universitari di
Princeton (iscritti nelle
diverse facoltà) sviluppati
presso il “Lewis Center for
the Arts” (dal sito internet).
Corso di disegno
dell’Università delle Arti
Decorative, fondata dalla
Società Umanitaria nel 1923
presso la Villa Reale di
Monza.

1.3 Applicazione
Il Terzo ambito istituisce laboratori
dedicati a:
- pratica artistica (con atelier allestiti
direttamente nell’Hub);
- sperimentazione nel design (con
l’Hub visto come luogo di scambio e
confronto, in diretto contatto con laboratori
situati altrove);
- sperimentazione nella musica, ma
anche nell’architettura nel teatro,...
L’offerta dovrebbe riguardare sia
neolaureati o dottorandi o dottori,
sia – in certi casi – gli stessi allievi
universitari (non del solo Politecnico)
che intendono sviluppare esperienze
artistiche anche al di fuori del loro
curriculum accademico.
Questa pratica è diffusa nelle università
Usa, come Yale e Princeton; in
particolare, in quest’ultima è attivo
The Lewis Center for the Arts – finanziato
da un generoso mecenate.
Nel sito internet si legge:
The Lewis Center for the Arts will
allow Princeton to fully engage with
a range of programs that integrate
the creative and performing arts into
a broad liberal arts education. The
Center will give a new focus and force
to the Programs in Creative Writing,
Theater and Dance, and Visual Arts,
as well as to Film and Video, Musical
Performance and to the Princeton
Atelier. […]
Students concentrating in molecular
biology or mechanical engineering
will be heartened to find that chemistry
and physics, not to speak of mathematics,
are all central to the idea
of art-making. Students who are first
and foremost interested in choreography,
costume design, screenwriting,
printmaking, photography, painting
or poetry, or indeed any aspect of
the creative or performing arts, will
discover that Princeton’s faculty and
facilities will be second to none. […]
33

Due parti dell’archivio, di
utensili e materiali, di Achille
Castiglioni (1918-2002):
Forbici scelte in base alla
forma, che dipende: o dal
materiale da tagliare, o
dall’uso, o dal materiale e
dalla tecnologia. Materiali
residui, scelti in base alla
loro espressività formale
del tutto casuale (lamiera
grecata, residuo di demolizioni;
sassi; radice; palafitta
romana; foglio di alluminio
accartocciato; residuo di
scolatura del crogiolo di
fusione; circuito stampato;
vertebra di umano). Da P.
Ferrari, Achille Castiglioni,
Electa, Milano 1984.
36
Courses are open to all students by
application and are generally offered
in both the fall and spring semesters.
Students receive general academic
credit for Atelier seminars and frequently
credit toward their work in
the programs in visual arts, creative
writing, music and theater and dance.
Non si propone qui di “imitare” questa
pratica, ma – piuttosto – di riattivare
ambiti nell’istruzione superiore
per la libera ricerca artistica, peculiare
componente della tradizione del
design milanese.
1.3.1 Digressione sulla Quinta Triennale,
1933
A questo fine, conviene citare origini
e ruolo storico della Triennale, in particolare
ricordando la Quinta Triennale,
la prima a svolgersi a Milano e
a realizzare un programma coerente
alla sua intestazione: Esposizione internazionale
delle arti decorative e
industriali moderne e dell’architettura
moderna.
Questa edizione è concepita, coordinata
e in gran parte allestita da Mario
Sironi, che dipinge anche Il lavoro,
un murale di 111 mq, e che coinvolge:
tra gli architetti Albini-Minoletti-Pagano,
Bottoni-Griffini, i Bbpr, Figini
e Pollini, Lingeri-Terragni-Mantero,
Portaluppi; tra gli artisti Cagli, Carrà,
De Chirico, Severini.
In un recente volume Elisabetta Longari
ricorda che la Mostra aveva come
intento principale il rilancio di un
connubio che appariva al momento di
difficile attuazione: quello tra l’architettura
e tutte le altre arti, sia quelle
ritenute ‘maggiori’, come pittura e
scultura, sia quella definite ‘minori’
o ‘applicate’.
Questo può essere inteso (è opportuno
intenderlo) come prodromo della
stagione degli anni Cinquanta e Sessanta,
con la definitiva maturazione
e affermazione del design italiano:
stagione che fu inaugurata nel 1954

dalla X Triennale che cercò di porre
l’accento, attraverso un interessante
congresso e una buona sezione, sul
problema attualissimo dell’estetica
industriale, ovvero dell’industrial
design [Carlo Cavallotti e Giulia Veronesi,
in Milano com’è, p. 905]. La
composizione della giunta esecutiva
(formata da tre artisti, Lucio Fontana,
Mario Radice e Attilio Rossi, e due
architetti, Carlo De Carli e Marco Zanuso)
preannuncia che, per un lungo
periodo, la Triennale sarebbe stata
ambito di proficuo scambio / confronto
/ collaborazione tra architetti-designer
e artisti.
A conferma dell’integrazione “artedesign”,
si cita qui lo incipit di un
recente volume di Manlio Brusatin
[Arte come design], dove l’autore
scrive: Stabilire se l’arte abbia dato
al design più della tecnica diventa
la scommessa di questo libro [p. 3].
In Premessa [p. IX], l’autore spiega
che nel volume Il tema del design italiano
viene ricondotto a una matrice
originaria artistico-artigianale e non
a quella manifatturiera e industriale,
che non rientra nella storia della formazione
e dello sviluppo delle qualità
italiane.
Questa ipotesi di lavoro trova la più
ampia e originale delle trattazioni
nelle pagine del volume. Viene ricostruita
una trama (dal bello all’utile e
dall’utile al bello) con protagonisti e
filoni spesso inediti; la matrice artistico-artigianale
induce a tralasciare
la trattazione di vicende che, comunemente,
le storie del design (italiano
e non) considerano come fondamentali,
ad esempio la parabola dell’Olivetti.
1.3.2 A cosa dovrebbe puntare il Terzo
ambito? A quale offerta formativa?
A quali tipi di sperimentazione?
Ci sembra evidente che dovrebbe costituirsi
come luogo della più ampia
libertà articolandosi in diversi indirizzi.
Ad esempio, nella pratica d’atelier
[Primo filone del Terzo ambito]
converrebbe indurre gli ‘allievi artisti’
ad applicarsi alle valenze espressive
dei materiali, sia tradizionali che
innovativi, privilegiando la diretta
manipolazione di questi.
A puro titolo di esempio, si richiamano
qui alcune esperienze che affrontano
direttamente tematiche inerenti
il peso, la grana, la consistenza, la
storia di diversi materiali (la loro ‘verità’):
- il lavoro di Alberto Burri, iniziato
con catrami e muffe, poi coi sacchi
(che lo resero famoso), i legni, le plastiche,
i ferri, il caolino dei cretti, il
cellotex;
- il lavoro di Richard Serra su acciaio,
consistenza della costruzione,
spazio;
- il lavoro di Jannis Kounellis sulla
‘messa in scena’ di diversi materiali
come stoffe, vetri, carbone, metallo,
legno, caffè, quarti di bue, coi loro
odori e la loro connotazione storica
(per esempio, nella Mostra Atto unico
presso la Fondazione Pomodoro, Milano,
24 settembre 2006 - 11 marzo
2007);
- ‘Sculture di linfa’, l’installazione di
Giuseppe Penone nel Padiglione italiano
della Biennale d’arte di Venezia
2007, dove sono state esibite le ‘forme
della natura’ e le loro metamorfosi
variazioni, con il cuoio che diviene
corteccia, le venature del marmo
estratte a bassorilievo, il rivolo di
resina di pino. Con la materialità, gli
odori.
- (va aggiunto che diverse esperienze,
comprese alcune qui sopra citate,
conseguono al pionierismo di Lucio
Fontana).
Questo indirizzo:
- reintroducendo un’esemplare applicazione
della manualità, ben si accompagnerebbe
alla pratica di studio
degli universitari, ormai “in preda”
alla apparente ineluttabilità della ‘deriva
informatica’ (per le implicazioni
37
Alle pagine 34 e 35:
Le immagini mirano ad
evocare l’ampia casistica del
rapporto diretto tra artefice
e materia, sia questa eterna
o meno.
Prima sequenza, dei quarti di
bue, con:
Francis Bacon (1909-92),
in una foto di John Deakin,
1952; una sua opera, Painting,
1946, olio e pastello su
tela, 197,8 x 132,1 [Bacon
affermava “Non c’è tensione
in un quadro se non c’è lotta
con l’oggetto”]; Quarti di
bue esposti nei primi giorni
della Mostra Atto unico di
Jannis Kounellis (Fondazione
Pomodoro, Milano, 24
settembre 2006 - 11 marzo
2007).
Seconda sequenza, degli
scultori al lavoro: Arturo
Martini (1889-1947); Lucio
Fontana (1899-1968); Pietro
Cascella (1921-2008); Henry
Moore (1898-1986); Gino
Cosentino (1916-2005) segue
la finitura di un suo bassorilievo
in cemento; Richard
Serra col crogiuolo e, di
fianco, il modello di una sua
opera; Arnaldo Pomodoro
prepara la controforma per
la fusione; Giuseppe Penone.

pedagogiche di fondo, si rimanda a
Henri Focillon, Elogio della mano);
- potrebbe privilegiare presenze esistenti
negli atenei lombardi, magari
anche non ‘istituzionalmente disciplinari’
e con una particolare attenzione
per i materiali innovativi. A puro titolo
di esempio, si citano (in quanto
direttamente conosciuti) tre docenti
del Politecnico: Pietro Pedeferri per
il titanio, Gianfranco Angelino per il
legno, il professore a contratto Loris
Ribolzi ancora per il legno.
Andrebbero affiancate mostre di lavori
che abbiano al centro l’impiego
di materiali diversi (soprattutto innovativi),
anche dei docenti già citati;
oppure di opere di artisti in cui la tematica
della ‘materialità’ sia particolarmente
importante; per fare un solo
esempio, lo scultore Gino Cosentino
(1916-2005), del quale il Politecnico
possiede tre sculture, ubicate nel Polo
di Bovisa La Masa, nella sua lunghissima
attività ha adoperato materiali
diversissimi, dai diversi tipi di marmi
e pietre al legno, al vetro, al metallo,
al cemento.
1.3.3 Queste ricerche si avvicinerebbero
al Laboratorio sperimentale
di design [Secondo filone del Terzo
ambito], per quanto concerne il design
dei materiali.
Il Laboratorio sperimentale di design
è il più problematico (ma il più
promettente); si colloca all’incrocio
tra gli ambiti citati, ‘attingendo’ sia
allo scientifico, sia all’artistico. Oltre
che avvalersi di risorse già richiamate
(come la grande accessibilità di Bovisa
e la disponibilità di spazi), può
contare sulla fama (sulla vera e propria
‘aura’) di cui gode Milano.
Il mito di Milano, ‘luogo privilegiato
del design contemporaneo’, originato
circa cinquant’anni fa, è qui evocato
da un testo, del 1998, di Alberto Seassaro,
fondatore e tuttora Preside della
Facoltà di Design.
Seassaro, dapprima cita il pellegrino
38
che, in città e metropoli lontane, anche
al di fuori dei percorsi consueti
di turismo e viaggio incontra spesso
‘frammenti dispersi’ di Milano, ovvero
segni ed oggetti che evocano inconfondibilmente
l’appartenenza a quel
particolare carattere metropolitano
che il design ha portato nel mondo.
E questa sensazione non è deformazione
professionale, né espressione
di campanilismo deteriore perché,
quando capita di parlare con gli operatori
del settore, Milano è davvero
descritta come luogo privilegiato del
design contemporaneo. Questo mito,
coltivato sugli echi delle ‘storiche’
triennali del design, del Compasso
d’oro, dei saloni del mobile e della
luce, delle miriadi di atelier, stuzzica
la ‘milanesità’ del pellegrino e accresce
l’orgoglio delle proprie origini
d’elezione.
1.3.3.1 È utile, se non doveroso, a
questo punto, avvalerci dello sforzo
di Giulio Castelli (1920-2006) che,
con acribia, rivisita criticamente la
formazione del mito; lo fa nel modo
migliore, sollecitando la parola di coloro
che non han mai scritto né parlato,
ovvero dei produttori, dei ‘fabbricatori
del design’.
Ne esce il volume La fabbrica del
design, con più di cinquanta interviste
ad altrettanti ‘produttori storici’,
quei produttori che – scrive Castelli
– da sempre trascurati dalle maglie
elastiche della critica … sono stati
spesso descritti quali attori comprimari
nelle storie degli oggetti, mentre
dei designer – mi sia concessa una
provocazione – credo si sia parlato
anche troppo.
Con pazienza, in dieci anni Castelli
ha saputo (e potuto) intervistarli per
l’autorevolezza conseguita e il prestigio
personale (laureatosi con Giulio
Natta al Politecnico, creò poi la Kartell,
industria all’avanguardia nell’impiego
delle materie plastiche e nello
sviluppo del design industriale).

Le interviste configurano un affresco
composito e sfaccettato; l’originale
connubio (doppio scambio) tra produttori
e progettisti, tra inventività
tecnica e creazione artistica è qui sotto
evocato per frammenti.
1.3.3.2 Citazioni sulle ragioni del
successo del design (in particolare
‘milanese’)
Branzi nota che la caratteristica del
designer italiano degli ‘anni d’oro’
è stata l’indipendenza dall’industria,
quindi con una cultura anche tecnica
acquisita in diversi modi, non nella
sola impresa con cui ha avuto modo
di collaborare.
Diverse le esperienze di altri paesi. In
Germania, il progettista ha teso (tende)
ad essere organico all’industria
(l’esempio della Braun); in Usa, sono
attivi solo studi grandi, che incorporano
tutte le conoscenze, anche quelle
più pertinenti alle industrie. In Usa,
ancora oggi: tu sviluppi il prodotto
all’interno del tuo studio, poi vai a
presentarlo a un’impresa [A. Citterio,
FbbrDesgn, 362].
Diversamente, il design italiano nasce
dall’interlocuzione tra progettista e
industriale realizzatore. Il designer da
solo non fa il prodotto, concorre con
l’azienda allo sviluppo del progetto.
È l’imprenditore che fa il prodotto,
nel momento in cui decide di avviare
la realizzazione del progetto [E. Perazza,
Magis, FbbrDesgn, 314].
Spesso (in episodi tra i più significativi)
l’idea arriva inducendo dall’innovazione
tecnologica l’invenzione
del nuovo prodotto. Si elencano di
seguito alcuni episodi tra i più dimostrativi:
- Giulio Castelli che collabora con
Giulio Natta e poi inventa l’industria
Kartell, la prima ad impiegare estesamente
il polipropilene negli oggetti e
nei mobili;
- Carlo Barassi (di Pirelli) che inventa
il Nastrocord;
- Marco Zanuso inventa un nuovo uso
per la gommapiuma, già presente in
alcune applicazioni: associata al Nastrocord,
viene impiegata nelle poltrone;
- il produttore Alias e il pvc speciale
‘a memoria di forma’ per la Spaghetti
Chair [R. Stauffacher, FbbrDesgn,
291];
- Pierino Busnelli che – notando lo
strano materiale di una bambolina
soffice – chiede a Bayer il poliuretano
per impiegarlo per la prima volta nell’arredo
[P. Cerri, FbbrDesgn, 362].
Quindi, il successo italiano dei decenni
scorsi era conseguenza di un
contesto culturale e produttivo assolutamente
particolare: l’attività della
Triennale, lo scambio con gli artisti,
lo stretto legame con i produttori-titolari
di piccole-medie industrie.
Infatti: Le fabbriche del design italiano
sono state concepite un po’ come
università del lavoro: un luogo in cui
fare esperimenti [F. Picchi, FbbrDesgn,
19]. Era una ‘università’ in cui
gli ambiti di sperimentazione erano
riassumibili nella triade del design:
materiali, tecnologia, tipologia [R.
Sarfatti, FbbrDesgn, 281]
Il ruolo fondamentale dell’imprenditore
e della capacità aziendale: La
tecnologia è in linea generale disponibile
sul mercato e, se lo è, è di
tutti, quindi non fa differenza, non dà
vantaggio, allora si livella a essere
un prerequisito, essenziale per stare
sul mercato. Quello che fa differenza
e dà vantaggio è la tecnica, che è la
capacità aziendale di far funzionare
la tecnologia, in quanto capitale intellettuale
proprio ed esclusivo dell’impresa
[E. Perazza, Magis, Fbbr-
Desgn, 318-9].
1.3.3.3 Digressione sull’attualità del
design
Il lavoro di Castelli è una preziosa testimonianza,
in un quadro che sta mutando.
Con la dimensione, le aziende
cambiano direzione e politica produttiva;
il connubio invenzione-produ-
39
Dettaglio del sistema d’incastro
della sedia Superleggera
(Gio Ponti, produzione
Cassina, 1957). In FbbrDesgn
(pp. 72-73), il falegname
Luigi Pozzoli racconta
“Nessun falegname di Cassina
credeva in quel progetto.
Prova e riprova, arrivammo
finalmente alla prima
versione, che era ancora più
leggera di quella realizzata.
Quindi Fausto Redaelli, il
capofalegname, cominciò a
studiarne gli incastri. Ponti
era molto esigente, stava
addosso al problema: era
l’unico modo per ottenere
quel risultato, perché in base
alle consuetudini di ogni
buon falegname era davvero
da pazzi pensare di fare quella
sedia tanto esile, con solo
quattro catene; non aveva
alcun senso”.

Vadász, Giradischi portatile
Mikiphone (aperto e chiuso),
in una scatola tonda nichelata
Ø 11,5, h 4 cm. Pubblicato
sull’Almanach d’architecture
moderne del 1925, fu lodato
da Le Corbusier, che lo definì
la concretizzazione della “essenza”
dell’Esprit Nouveau e
della “innovazione”.
Ettore Sottsass (1917-2007),
Meccanismo e carrozzeria
del supercalcolatore meccanico
Logos 27, Olivetti 1965.
zione deve necessariamente mutare
modi d’essere.
Un primo brano, di Vanni Pasca, lancia
l’allarme sulla possibile deriva
‘tecnico-estetica’ del nostro design;
dopo aver ricordato la piccola dimensione
delle aziende ‘design oriented’,
ricorda che il recente, e più rilevante,
fenomeno è stata l’acquisizione di
alcuni tra i marchi più noti da parte
di centrali finanziarie. Tale fenomeno
propone il rilancio del nostro design
quale componente del lusso a scala
internazionale, affiancando alla Ferrari
l’arredamento (ricordiamo che
l’estate 2007 ha visto la ‘penuria’
di champagne, simbolo ambito dai
nuovi ricchi della globalizzazione).
Pasca nota che, per molti economisti,
il fenomeno delle acquisizioni non è
preoccupante, perché può risolvere
il problema di fornire alle piccole industrie
italiane i capitali indispensabili
per agire su mercati globalizzati.
Ciò appare convincente. Ma resta
un problema nel modello del design
italiano: dalla fine della guerra
ad oggi, elemento centrale è stato il
rapporto tra designer e proprietario
dell’azienda. I proprietari di aziende
‘design oriented’ nel mondo dell’arredamento
sono stati personaggi che
non vivevano il design semplicemente
come un ‘plus’ commerciale, ma come
valore culturale e comportamentale,
tale da differenziare le loro aziende
e loro stessi dal resto della produzione.
In questo, trovavano un rapporto
particolare con il designer, che non
si limitava a disegnare l’oggetto, ma
diventava consulente globale dell’azienda
e del suo proprietario, che
solo all’architetto riconosceva una
dignità culturale tale da legittimare il
dialogo. Ciò è stato parte integrante
del modello del design italiano. L’acquisizione
da parte di società finanziarie,
sostituendo il proprietario con
una staff manageriale, potrebbe por
fine a questo tipo di rapporto: ciò, secondo
me, è pericoloso…
40
Un secondo brano, di Roberto Verganti,
riassume efficacemente la necessaria
libertà (dal mercato, dal senso
comune, dalla consuetudine) di cui
ha goduto il nostro design; una libertà
che va confermata.
Il design italiano deve il suo successo
alla capacità delle nostre imprese di
proporre prodotti radicalmente innovativi,
che sovvertono il significato
che le persone danno abitualmente
agli oggetti quotidiani, proponendo
linguaggi e valori simbolici inediti.
La radicalità dell’innovazione
nasce dall’incontro tra progettisti
business-unaware, cioè ignari delle
dinamiche del business e dei mercati
(anzi, del tutto disinteressati e spesso
in contrapposizione con esse) e
di imprenditori design-aware. Cioè
ben coscienti del valore del design
e in grado di riconoscere ciò che ha
sia valore progettuale innovativo
che potenziale economico. Rendere
i designer italiani troppo businessaware
significherebbe perdere la loro
capacità di immaginarsi il nuovo, di
andare oltre ai bisogni e alle logiche
immediate. Avremmo bravi progettisti
di miglioramenti incrementali, ma
perderemmo la nostra capacità di fare
salti radicali. Piuttosto, la storia del
design italiano ci dice che sono i manager
ad avvicinarsi alle logiche del
design, a comprenderne la radicalità,
a orientarla al business.
1.3.3.4 Il design si avvale di un’aura
attiva nell’attualità milanese, che è
dimostrata, tra l’altro:
- dal ruolo preminente assunto in
campo internazionale.
- dal successo dei quattro giorni di
Salone del Mobile più manifestazioni
del Fuori Salone.
- dalle sei scuole di Design operanti
in Città.
Diversi autori (tra i quali Vanni Pasca)
trattano di questi vantaggi. Su
questi argomenti, di seguito si riporta
un lungo stralcio da un articolo di

Luca Molinari: Milano, popolazione
residente 1.299.448 distribuita su
182 kmq, per una densità di 7139 /
kmq (la stessa percentuale è: a Roma
1987; a Berlino 3809; a Francoforte
2652) […]
Milano Salone del Mobile: in quattro
giorni arrivano in città 223.138 visitatori,
di cui 123.391 stranieri provenienti
da 146 paesi. La Fiera ospita
2578 espositori distribuiti su di una
superficie di 229.059 mq. […]
Le altre grandi manifestazioni internazionali,
a pari numero di giorni,
hanno portato: Smau 50.000 visitatori;
Milano Film Festival 80.000; Settimana
della Moda 2006 10.000.
Sono pochi gli eventi internazionali
che, nell’arco di quattro giorni, riescono
a portare in una metropoli una
popolazione nomade pari al 20% del
suo totale abitanti, dando contemporaneamente
la sensazione che ci siano
margini di crescita e di espansione.
Il Salone del Mobile di Milano è indubbiamente
un fenomeno economico,
sociale, culturale e di costume
che fa molto riflettere, soprattutto per
le dimensioni che ha preso progressivamente
in questo ultimo decennio
[…]
Il Fuori Salone esprime molto bene la
necessità della grande industria del
design italiano di trovare strategie
e modalità differenti per mettersi in
mostra e insieme generare tendenza,
combattendo una crisi strisciante di
competitività sui mercati internazionali.
Insieme, il Fuori Salone racconta
di un moto dal basso da parte delle
centinaia di realtà (tra progetto e
nuovo artigianato, ricerca sperimentale
e radicalità espressiva, nuovi
autori e scuole) che in questo salotto
buono non sono mai state rappresentate
né accolte, e che trovano in questo
scenario urbano un naturale set
d’espressione e di azione imprenditoriale
e creativa.
La città, involontariamente e senza
alcuna azione preordinata, ha saputo
raccogliere in questi dieci anni una
straordinaria spinta dal basso, che
ha ribaltato il punto di vista sul Salone,
al punto di vedere nella Fiera
le esposizioni “ufficiali” e nelle centinaia
di eventi esterni la vera realtà
da indagare e da guardare con attenzione,
per individuare sintomi e premonizioni
per il futuro.
Una spinta dal basso che si lega al
fatto che simbolicamente Milano è
ancora letta come la capitale del
design internazionale e rafforzata
dalla presenza, unica per lo scenario
internazionale, di un numero impressionante
di scuole specializzate – dal
Politecnico di Milano passando per
Naba, Domus Academy, Ied, Scuola
Politecnica di Design, Istituto Marangoni
– che determina la presenza
di centinaia di giovani studenti e autori,
i quali – dalle scuole – poi gravitano
intorno agli studi e alle agenzie
dei distretti del centro-nord Italia.
Il Fuori Salone ha quindi progressivamente
messo in scena la diffusione,
orizzontale e autogestita, di una
nuova economia della creatività, in
cui si sperimentano contemporaneamente
modalità di comunicazione
alternative, relazioni sociali inedite,
produzione limitate ma con caratteri
autonomi.
Insieme, il Salone è uscito dal recinto
e la Fiera si è sovrapposta alla città,
in un crescendo clamoroso.
Siamo passati lentamente dalle gallerie
e dagli spazi formalmente preposti
a tutti i luoghi che – per anomalia,
lateralità e particolarità – la città potesse
offrire.
Stazioni ferroviarie, piazze aperte,
fabbriche abbandonate, cortili residenziali,
serre e giardini, appartamenti
privati, chiese e scuole: tutto è
stato progressivamente assimilato dal
Fuori Salone, trasformando la città
in un set mondano e del nuovo gusto,
che ha abbattuto limiti e confini
in una sorta di “Grande Fratello del
design” su scala urbana, in cui eventi
41
Gino Colombini, Spremiagrumi
in polietilene a bassa
pressione, 1957, produzione
Kartell. Alcuni brevetti
americani, svizzeri, tedeschi,
1921-54 (da “Rassegna” 46,
giugno 1991).

e alti e bassi si mescolano, producendo
un’energia impressionante.
Il potere di questi eventi è stato quello
di rendere glamour un evento per
addetti ai lavori e, insieme, di offrire
un’immagine della città nuova, diversa
che conserva negli altri 360 giorni
dell’anno: aperta, solidale, ricca di
eventi, stimolante, trasversale, giovane.
[…]
I numeri in gioco sono ormai impressionanti
e sono rappresentati dagli
stessi eventi: il Salone del Mobile
ha definitivamente perso il controllo
di quello che avviene al di fuori e le
guide di Interni e Abitare, per quanto
dettagliate, non riescono a stare dietro
a tutto quello che avviene.
Tra l’altro, da quando lo scorso anno
il Salone del Mobile si è trasferito
nella nuova Fiera di Rho-Pero, si è
ancora più ampliato il divario fisico
e simbolico tra “dentro” e “fuori”
Salone, in una sorta di competizione
inedita tra due figli della stessa famiglia.
Produttori e aziende non possono
fare a meno di avere stand ufficiali
per compratori e clienti tradizionali
in Fiera ed un evento/spazio in città
per la stampa, i media e quel pubblico
fluido ma forse più influente in termini
di marketing e passa parola.
Ma, al di là della esibizione muscolare
di star dell’architettura portata
dalle grandi aziende a disegnar cucine
e lampade per far parlare i giornali,
credo che la forza del Fuori Salone
rimanga ancora in quegli spazi
magari poco comunicati, ma capaci
di accogliere giovani autori e piccole
aziende coraggiose, o in azioni come
Design pubblico e Bed sharing, ideate
da Esterni, che attiva nuove modalità
di incontro e scambio tra giovani
designer, oppure ancora nello storico
concorso Opos che da almeno quindici
anni racconta di un modo fresco
e civile di pensare e fare design.
Se il Fuori Salone utilizzasse sempre
meno Milano come sfondo, come
quinta televisiva per il passaggio
42
momentaneo di star e designer/veline,
e guardasse a questi spazi che
colonizza e usa anche come risorsa
per sperimentare, credo che allora si
potrebbe aprire una pagina inedita e
felice in quello che comunque rimane
uno dei laboratori urbani involontari
più interessanti sulla scena italiana e
internazionale contemporanea.
Dallo scritto di Molinari emerge un
plausibile contesto che non potrebbe
che arricchirsi dall’ipotesi qui formulata.
1.3.4 In prospettiva, un Terzo filone
del Terzo ambito potrebbe essere
dedicato a sperimentazioni in ambito
musicale, sia nella creazione di nuovi
strumenti, sia – soprattutto – nella relazione
tra suono e spazio.
Una delle possibilità più interessanti
– consentite dall’impiego di altoparlanti
combinati con sistemi di generazione
e elaborazione elettronica e
digitale del suono – è quella di creare
dei “luoghi sonori”. La musica diventa
un luogo da attraversare e un mezzo
per sperimentare dimensioni acustiche,
che rimandano alle modalità
in cui si verifica la percezione sonora
negli spazi urbani.
Acquista così particolare interesse
lo scambio – tra architetto e musicista
– degli strumenti teorici e tecnici
messi a punto per i rispettivi ambiti,
stimolando ulteriori sviluppi sia nelle
modalità di approccio alla dimensione
acustico/sonora, sia nella progettazione
di strumenti potenti come quelli
informatici (software e hardware dedicati).
Di questo scrive Angelo Petronella
in Appendice C.
Inoltre, va anche ricordato che, a fine
2006, Francesco Micheli annunciò
l’intenzione di aprire a Bovisa una
sede del Conservatorio di Milano,
istituzione che allora presiedeva; la
sede avrebbe dovuto essere dedicata
alla musica contemporanea ed elettronica
[cfr. L. Baldrighi, Triennale
raddoppia alla Bovisa. Dopo il Poli-

tecnico apriranno una sede in questa
zona il Mario Negri e il Conservatorio,
in “il Giornale”, 22.11.2006].
1.3.5 Infine, altri filoni ipotizzabili?
Ovviamente, nel teatro: nella Parte
seconda è illustrata – tra le presenze
di Bovisa – lo stabile già Deposito di
costumi e scenografie del Teatro alla
Scala. Anche se, purtroppo, è stato da
poco demolito, rimane di notevole
evidenza, nella storia recente, l’episodio
che lo ha visto “scenografia” di
un grande spettacolo di Luca Ronconi.
Uno spettacolo, peraltro, cui parteciparono
allievi del Politecnico.
Altro esempio, citato – sempre nella
Parte seconda – a proposito di Giovanni
Testori; per commemorarne
due anniversari (di nascita e morte),
nel 1998 Andrée Ruth Shammah, con
il Teatro Pierlombardo, mise in scena
brani dalla Gilda del Mac Mahon di
fianco al Ponte della Ghisolfa.
Si potrebbe continuare nell’evocazione
di spunti, tradizioni, memorie attive:
ad esempio, con i ripetuti omaggi
a Carlo Emilio Gadda, ingegnere
laureato del Politecnico, con la lettura
delle sue opere.
Quel che sembra contare di più, quindi,
è il rapporto tra rappresentazione e
genius loci, dando a quest’ultima locuzione
un significato tra i più ampi.
Forse, l’insistenza da parte di molti
del Politecnico (docenti e allievi;
allievi poi divenuti docenti) a perseguire
l’insediamento della propria
università qui, ha operato una sorta
di appropriazione: un’identificazione
con i luoghi
Note Parte 1°
Il brano è tratto dal Capitolo XXII dei Promessi
sposi, dedicato in gran parte al Cardinal
Federico Borromeo, che – secondo Alessandro
Manzoni – fu degli uomini rari in qualunque
tempo, che abbiano impiegato un ingegno
egregio, tutti i mezzi d’una grand’opulenza,
tutti i vantaggi d’una condizione privilegiata,
un intento continuo, nella ricerca e nell’esercizio
del meglio.
Note per Primo ambito
- Festival 07-08. Un anno di eventi culturali
in Italia, a cura di N. Labianca e R. Romano,
Morellini, Milano 2007, pp. 109-111.
- Per il Festival della Scienza di Genova, cfr. il
programma di 120 pagine dell’Edizione 2006
nel sito internet www.festivalscienza.it e i due
inserti de “Il Sole – 24 Ore”, 15 e 22.10.2006;
per l’Edizione 2007 l’inserto de “Il Sole
– 24 Ore”, 14.10.2007 e de “la Repubblica”,
16.10.2007.
- M. Merzagora, Scienza da vedere, Sironi, Milano
2006, p. 18.
Note per Terzo ambito
- H. Focillon, Vita delle forme, 1934, seguito
da Elogio della mano, 1943, Einaudi, Torino
1994.
- Aa. Vv., Milano com’è, Feltrinelli, Milano
1962, p. 903.
- G. Bosoni, La via italiana alle materie plastiche,
in “Rassegna” 14, giu.1983, monografico
Il disegno dei materiali industriali, pp.42-53.
- Emilio Renzi, La metropoli del design, in
Aa.Vv, Proteo a Milano, Quaderno monografico
de “Il ponte”, settembre 1999, pp. 55-72.
Lo scritto inizia così: Qual è il 20 settembre
di Milano capitale del design? Quando Milano
diventa la capitale del design italiano e internazionale?
E quale tipo di capitale è stata ed
è Milano, quali vicissitudini ha conosciuto nel
tempo, di quale impero, o regioni, è stata e resta
il centro?
Poi prosegue e, con una scansione per decenni
(dal Trenta al Novanta), dipana il percorso che
si è tentato di richiamare in queste pagine, per
argomentare la proposta dell’Hub; pur in una
sintesi serrata, la sequenza è precisa e circostanziata.
- V. Rognoli, M. Levi, Materiali per il design:
espressività e sensorialità, Polipress, Milano
2004.
- V. Pasca, Made in Italy è tema, in Made in
Italy. Il design degli italiani, Design press,
Roma 2005, pp. 48-57.
- Progetto Bovisa, Polipress, Milano 2006.
- L. Molinari, Miracle in Milan, in “Mousse” 8,
aprile 2007, p. 58.
- E. Longari, Sironi e la V Triennale di Milano,
Ilisso, Nuoro 2007.
- FbbrDesgn = La fabbrica del design. Conversazioni
con i protagonisti del design italiano, a
cura di G. Castelli, P. Antonelli, F. Picchi, Skira,
Milano 2007.
- M. Brusatin, Arte come design. Storia di due
storie, Einaudi, Torino 2007.
- R. Verganti, Commento all’intervento di Piero
Bassetti, in La cultura politecnica 2, a cura
di M. Bertoldini, Bruno Mondadori, Milano
2007, pp. 169-176.
43
Pieter Hendrikse, Q drum,
1993. Tanica di plastica che
contiene 50 litri e rotola;
agevola il trasporto d’acqua
nelle zone dove questa scarseggia,
ad esempio
nell’Africa sub sahariana.

Appendice B
Una case history: Nano-
Surfaces
(Alberto Cigada)
1.
Come spesso in questi casi, tutto è
partito da una tesi di laurea (era il
2002). La tesi era incentrata sullo
sviluppo di trattamenti di ossidazione
anodica del titanio (di tipo
“biomimetico”), per migliorare le
proprietà di osteointegrazione delle
protesi ortopediche non cementate e
degli impianti dentali osteointegrati.
I risultati delle prove chimico-fisiche
sono sembrati subito ottimi, per cui
– insieme a Roberto Chiesa e Gianni
Rondelli, che con me seguivano il
lavoro – abbiamo immediatamente
deciso di invitare il laureando (Enrico
Sandrini) a raggiungere, all’Università
di Brighton, Matteo Santin,
un “cervello in fuga” coinvolto nel
progetto, per realizzare prove con
cellule osteoblastiche e proteine, che
giocano un ruolo fondamentale nell’osteointegrazione
(allora a Milano
non era ancora stato attivato il Laboratorio
BioCel, che di queste prove
si occupa).
Anche i risultati delle prove “biologiche
in vitro” si sono rivelati ottimi.
Subito il nuovo trattamento di ossidazione
anodica “biomimetico” è
stato brevettato, con il supporto del
TTO (Technology Transfer Office)
del Politecnico.
Era però necessario decidere come
andare avanti.
Si poteva cercare un’azienda ortopedica
o odontoiatrica cui cedere
in esclusiva il brevetto, oppure ci si
poteva muovere in logica spin-off,
creando uno spin-off che si dotasse
di un impianto per l’ossidazione
anodica, in modo da realizzare il
trattamento per tutti i produttori interessati.
La scelta è caduta sullo spin-off (il
nome NanoSurfaces era già stato
ideato); questo aveva due caratteristiche
che lo rendevano diverso dagli
altri già avviati dal Politecnico:
- richiedeva un forte investimento
iniziale con rischio di impresa (un
capannone, l’impianto di ossidazione
anodica, maestranze, ecc.);
- avrebbe avuto necessità di svolgere
anche in seguito molta attività di
ricerca e sviluppo, soprattutto nella
prospettiva di meglio esplorare anche
altri possibili trattamenti basati
sulla ossidazione anodica, che avrebbero
richiesto uno stretto e continuo
rapporto con il Dipartimento (Chimica,
Materiali e Ingegneria Chimica
“Giulio Natta”).
Si è scelta, a inizio 2003, una strada
nuova per il Politecnico:
- trovare un partner industriale per
NanoSurfaces, disposto a farsi carico
di tutti gli investimenti e i rischi
industriali (nel caso specifico, la
Società SAMO spa di Cadriano di
Granarolo Emilia, Bologna, con una
quota sociale del 76%);
- coinvolgere come partner azionario
il Politecnico (con il 24% delle quote),
ma non singoli docenti;
- prevedere che una parte significativa
del fatturato di NanoSurfaces
(l’8%) fosse utilizzata ogni anno
per attivare contratti di ricerca con
il Politecnico, secondo le indicazioni
di un Comitato Scientifico costituito
per 4 membri su 5 da docenti del Politecnico
stesso.
Per finire la storia è però necessario
fare un passo indietro di più di 30
anni.
2.
Come quasi tutti al Politecnico sanno,
dagli anni ‘70 Pietro Pedeferri si
occupa di colorazione artistica del titanio,
utilizzando una tecnica di ossidazione
anodica (opportunamente da
lui modificata e integrata). Da poco
Pedeferri aveva deciso di brevettare
il trattamento di “colorazione” del titanio
mediante ossidazione anodica
ed il brevetto era ancora “libero”.
Altro aspetto fondamentale: l’impianto
di ossidazione anodica per
i trattamenti “biomimetici” poteva
anche realizzare i trattamenti di “colorazione”.
A metà 2003 sono riuscito a convincere
il Consiglio di Amministrazione
di NanoSurfaces, cui partecipo
in rappresentanza del Politecnico,
ad acquisire i diritti del trattamento
44
Pedeferri.
Coinvolgendo via via anche Gabriele
Fumagalli, Paolo Loati, MariaPia
Pedeferri, Barbara Del Curto, Valentina
Rognoli, Francesca Brunella,
ai primi due trattamenti se ne sono
aggiunti altri e NanoSurfaces ha iniziato
la sua avventura.
Nel corso del 2004 è stato portato a
compimento il trasferimento industriale
del processo di ossidazione
anodica del titanio, giungendo alla
progettazione e realizzazione dell’impianto
di ossidazione anodica.
Dai primi mesi del 2005 l’impianto
è operativo e l’attività commerciale
è oggi in pieno sviluppo.
Oggi NanoSurfaces è titolare di licenza
d’uso di sei trattamenti sviluppati
presso il Politecnico di Milano: Ti-
Color, BioRough, BioSpark,
EcoTi, TiCare, TiHard.
3. TiColor
Il titanio è un materiale molto poco
nobile nella scala termodinamica dei
potenziali, ossia ha una forte tendenza
ad ossidarsi, formando un film
di ossido di titanio dello spessore
di pochi nanometri, cui il materiale
deve la sua ottima resistenza alla
corrosione.
Il film, che si forma anche spontaneamente
all’aria, può essere facilmente
modificato tramite tecniche
– sia di tipo chimico, sia soprattutto
di tipo elettrochimico – che gli fanno
assumere alcune proprietà molto
particolari; ciò grazie ad una semplice
ma efficace tecnica, chiamata di
ossidazione anodica (o di anodizzazione).
L’effetto principale è l’aumento
dello spessore del film di ossido da
pochi nanometri ad alcune centinaia
di nanometri. Con l’aumento dello
spessore del film, si verifica un fenomeno
di interferenza ottica. I colori
di interferenza dipendono dallo spessore
del film, che a sua volta dipende
dal potenziale di anodizzazione.
Nostro obiettivo è stato il trasferimento
industriale di questo trattamento
per applicazioni nel campo
dell’architettura e del design.
4. BioRough
Nel settore dell’implantologia orale,
nell’ultimo decennio si è assistito ad

una vera rivoluzione del mercato, in
particolare in termini di superfici.
La sfida accolta dalle aziende è stata
quella di sviluppare superfici, più
che design protesici, che potessero
garantire una miglior osteointegrazione.
Il processo BioRough, sviluppato
nella fase di verifica in vivo del trattamento
biomimetico, è basato su un
doppio attacco chimico del titanio.
Il trattamento ha già trovato applicazione
nel settore dell’implantologia
dentale, dopo essere stato validato
in vivo presso gli Istituti Ortopedici
Rizzoli, dove si è dimostrata l’efficacia
del trattamento per favorire i
processi osteointegrativi.
Svariate migliaia sono gli impianti
dentali, trattati con questo metodo,
già impiantati.
5. BioSpark
Il trattamento “biomimetico” Bio-
Spark, sul quale è nato lo spinoff,
si basa su due trattamenti di
anodizzazione ad alto voltaggio, che
determinano rottura e risolidificazione
del film di ossido, formando un
film di alto spessore microporoso e
nanorugoso che contiene al suo interno
specie presenti nella soluzione
di anodizzazione (ioni calcio e ioni
fosfato). Ciò determina:
- chiaro aumento del potere mineralizzante,
cioè della tendenza a
favorire la precipitazione dell’idrossiapatite,
che rappresenta la fase mineralizzata
dell’osso umano;
- elevata e rapida differenziazione e
attivazione di cellule osteoblastiche,
che costituiscono la componente
biologica dell’osso;
- adsorbimento proteico selettivo,
con maggior adsorbimento di fibronectina
(proteina che facilita la deposizione
ossea) e minor adsorbimento
di albumina (che invece la ostacola)
rispetto al titanio non trattato;
- capacità di supportare più rapidi e
significativi processi osteogenetici;
- ottima capacità di osteointegrazione,
confermata da prove in vivo
eseguite presso l’Istituto Ortopedico
Rizzoli.
Il trattamento BioSpark è stato
scelto per la produzione di una nuova
linea di impianti dentali osteoin-
tegrati di elevate prestazioni; è oggi
in fase di sperimentazione clinica,
essendo prevista la promozione
commerciale all’inizio del 2006.
6. EcoTi
Il trattamento, ultimo ad essere sviluppato
e trasferito a NanoSurfaces,
consente la formazione di nanotubi
di titanio con struttura cristallina
anatasio, che hanno un forte effetto
fotocatalitico.
Una superficie così trattata è cioè in
grado – se illuminata dal sole o da
luci UV – di determinare l’ossidazione
degli ossidi di azoto, dell’ossido
di carbonio e di molti altri inquinanti
ambientali.
Il trattamento è molto interessante
per la realizzazione di rivestimenti
esterni di edifici pubblici, termovalorizzatori,
ecc. Ciò anche per il fatto
che questo tipo di trattamento può
essere realizzato sui pannelli compositi
per facciate ventilate precedentemente
citate.
7. TiCare
Con riferimento al settore biomedico,
è stato dimostrato che la presenza
di un ossido di titanio con struttura
cristallina nella forma anatasio è in
grado di ridurre significativamente
l’adesione batterica. Ciò può essere
di grande importanza per la finitura
di dispositivi utilizzati all’interno
del corpo umano (stent vascolari,
pace makers, mezzi di osteosintesi)
e per la realizzazione di piani di lavoro
operatori.
Il trattamento TiCare è al momento
utilizzato, in abbinamento con il
trattamento BioSpark, per la finitura
della parte transgengivale della
nuova linea di impianti dentali.
8. TiHard
Uno dei principali limiti del titanio è
la sua scarsa resistenza alla corrosione
per sfregamento. Per limitare questo
fenomeno (e migliorare anche le
proprietà antigrippaggio del titanio)
sono stati sviluppati trattamenti basati
sulla tecnica ASD, in grado di
creare un film di ossido di titanio di
spessore relativamente elevato, compatto
e ad accresciuta durezza superficiale,
in grado di migliorare tali
proprietà. L’ossido ad alto spessore
così ottenuto è anche caratterizzato
45
dal fatto di essere isolante elettrico.
Il trattamento TiHard è attualmente
utilizzato da Poggipolini,
un’azienda che produce componenti
e bulloneria automobilistica, ed
è fornito a case automobilistiche di
alto livello.
[da “Politecnico. Rivista del Politecnico
di Milano”, 9, ottobre 2005, pp.52-57.]

Appendice C
Luoghi di suoni
(Angelo Petronella)
Ogni giorno attraversiamo spazi intrisi
di vibrazioni sonore.
Ciò avviene sia che siamo all’aperto,
sia che ci troviamo all’interno della
nostra abitazione o di un edificio
pubblico.
Le differenze acustiche e di tipologia
sonora prodotta sono a volte vivide,
non solo nel confronto tra interno e
esterno, ma anche fra interni o fra
esterni.
Due esempi immediati: il suono di
un supermercato e il suono di un museo,
il suono di un giardino accanto
al quale scorre un’arteria stradale urbana
e il suono di un giardino in un
chiostro.
Inoltrandoci solo per qualche passo
in un ambito che prenda in considerazione
il suono in relazione alla
qualità della vita, avanziamo alcune
riflessioni.
Se ci si vuole ritemprare dopo l’attività
di una giornata, la scelta del
luogo in cui stare cadrà generalmente
sulla propria abitazione, la quale
costituisce un livello di protezione
dalla dimensione sonora esterna e
consente di immergersi in suoni piacevoli,
quali la voce di una persona
cara o la musica preferita per questo
specifico momento della giornata,
ma anche in entrambi. I suoni piacevoli
potrebbero anche conseguire
alle azioni: preparazione del cibo e
altre attività domestiche.
Da questo quadro si può dedurre che
l’effetto positivo che i suoni hanno
su di noi è strettamente connesso –
oltre che con la loro tipologia – con
la libertà di fare e muoversi seguendo
il nostro ritmo, la cui interruzione
e il cui condizionamento sono ridotti
al minimo, e, quando avvengono,
con cause ben accette.
Di conseguenza si pone una questione:
perché non dovrebbero trovarsi
fuori della propria abitazione luoghi
con habitat sonori che assecondino e
stimolino modi di stare?
Queste brevi e semplici considera-
zioni aprono vasti campi di investigazione
che implicano differenti
aree del sapere, che vanno dall’arte
all’architettura (quale suono-musica
in quale forma-colore-ambiente),
dall’acustica all’urbanistica (come
si lascia attraversare una città in
un percorso anche sonoro) e dalla
sociologia alla antropologia e alla
filosofia, con tutto quanto concerne
pratiche e esigenze relazionali connesse
alla qualità e al ritmo dell’attività
lavorativa e al contesto culturale
e economico.
Sound design urbano, Sound art
& architettura
Nel prendere in considerazione il
suono è possibile individuare una
linea forte nell’organizzazione della
vita quotidiana individuale e collettiva:
la mobilità.
Tutti compiamo tragitti più o meno
lunghi, per recarci in luoghi connessi
alle attività della nostra vita. Ciò implica
il necessario attraversamento
di spazi con caratteristiche acustiche
e presenze sonore potenzialmente
molto varie, ma in realtà molto
omogenee. L’omogeneità consegue
all’invadenza dei motori, a scoppio
o elettrici, veri colonizzatori acustici
del secolo scorso, che hanno allontanato
il ricordo di una città in cui
prevalga il suono delle voci umane,
del calpestio, dello sciabordio dell’acqua,
dello stormir di foglie.
Ora, senza insistere su elementi
sonori che richiamano condizioni
abitative comunque esistenti, credo
che nelle grandi aree urbane vadano
proposti luoghi con caratteri acustici
differenti, date da specificità architettoniche
che consentano percezioni
uditive altrettanto differenziate.
Per esempio, penso a un luogo all’aperto
nel quale il suono della voce
degli interlocutori sia particolarmente
presente (un misto tra labirinto e
giardino?), oppure a passaggi – non
coperti – che filtrino il più possibile
il suono del traffico automobilistico
e che costituiscano, per gli abitanti di
un quartiere, il collegamento con un
mercato, in un tragitto con i caratteri
di un luogo di incontro.
Penso a spazi per stare, nei quali la
46
socialità si coniughi con l’intimità,
che ‘suonino’ di una propria qualità
acustica, dove le presenze sonore
possano essere modificate da chi
vi accede, che consentano scorci e
sfondamenti profondi per l’udito e
per la vista.
Strumenti
Le precedenti considerazioni, appena
evocative delle tematiche toccate,
spingono alla proposta di costituire
un centro di ricerca e progettazione
che tenga conto della percezione del
suono nell’ambiente urbano; fondamentalmente,
dovrebbe includere le
esperienze del sound design, della
sound art e della progettazione architettonica,
con il confine tra percorsi
e ambiti di conoscenza permeabile e
disponibile a spostamenti. Esistono
esperienze in cui l’intervento architettonico
è progettato sulla base delle
caratteristiche e della valenza evocativa
di un habitat sonoro (ad esempio,
esperito dal progettista tramite il
supporto di un cd).
Un centro di ricerca e progettazione
con queste finalità deve disporre di
strumentazioni tecnologiche e conoscenze
per valutazioni che abbiano
come oggetto la dimensione sonora
della realtà urbana con tutta la complessità
che essa presenta. A tale scopo,
è fondamentale un laboratorio
con un impianto di diffusione sonora
multicanale per eseguire creazioni e
simulazioni di suoni e ambienti sonori.
Lo stesso impianto consentirebbe
l’esecuzione di brani di musica elettronica;
quindi, il laboratorio potrebbe
svolgere anche la funzione di auditorium
dedicato.
Il sistema di diffusione sonora dovrebbe
essere integrato da dispositivi
atti a predisporre gradi anche
complessi di interattività, affinché
la creazione-simulazione degli ambienti
sonori sia il più possibile dinamica
e il sound design esteso al
maggior numero possibile di campi
di applicazione.
Il tutto andrebbe installato in uno
spazio in cui si possa operare con il
massimo isolamento acustico.
Non può mancare un sistema di re-

gistrazione portatile che consenta
di acquisire le caratteristiche sonore
delle aree urbane, per averle disponibili
sia per la documentazione che
per analisi a fini progettuali.
Laddove esista da parte delle comunità
e delle amministrazioni la
volontà di promuovere progetti innovativi
e sostenibili – specialmente
in relazione alle periferie, spesso
edificate e abitate nella mancanza di
un senso della civitas e pertanto geneticamente
condannate al degrado, soprattutto
culturale, che conosciamo– ,
credo che la cooperazione tra sound
design, sound art-musica e architettura
possa contribuire al miglioramento
della qualità della vita urbana, in questa
fase di nuovo assestamento della
composizione sociale e dei processi di
produzione.
47
Letizia Caruzzo, Disegno
per la rappresentazione dell’Elettra
(musica di Angelo
Petronella) nell’Acusmonium.
Per lo spazio, un antro
di fogli giganti che lasciano
viste al buio (le anomalie
psichiche di Gadda); nasse
giganti intrappolano le fonti
sonore.

48
Luigi Bussolati, Gasometro
di Bovisa, 1998.
Alla pagina a fianco:
John Hejduk, Flight from the
Angel (da Bovisa, 1987).

La proposta è utile ai fini del futuro
sviluppo dell’Area dei Gasometri e,
nel suo intorno, di Expo 2015.
Lo Studio si propone di verificare la
possibilità di promuovere attività,
ascrivibili a tre ambiti, che muovano
dall’operativo, proponendo esperien-
ze da cui sia possibile indurre idee e
anche svilupparle.
Come già scritto nella Sintesi degli
argomenti iniziale, il Centro regio-
nale ipotizzato si avvantaggerebbe
dalla localizzazione a Bovisa; inoltre,
qui, potrebbe essere avviato in breve
tempo.
Bovisa
Una prima ipotesi di localizzazione
Dalla sperimentazione di attività che
si potrebbero avviare (come in un incubatore)
conseguirebbero indicazioni
sulla destinazione degli edifici da
realizzare nell’Area dei Gasometri,
nonché sulle loro caratteristiche (dimensionamento,
articolazione spaziale,
distribuzione).
Va anche ricordato il documento presentato
dal Politecnico il 21 marzo
2006 presso l’Urban Center: Parco
scientifico e “città per i giovani” a
Bovisa. Un Master Plan del Politec-
49
nico per una proposta di Programma
integrato di Intervento.
Il documento – predisposto da tre dipartimenti
(DiAp, Best, DPa) e siglato
dal Comune di Milano – tra l’altro
propone ‘La Città dei Giovani e della
Scienza’, nonché il Museo del Presente,
da ubicare a Bovisa, nell’Area
dei Gasometri.
Inoltre, si ricorda che, negli ultimi
anni, Cciaa Milano e Fondazione Fiera
Milano hanno commissionato al
DPa del Politecnico (responsabili De
Carli e Fiorese) due ricerche relative
all’individuazione delle possibili attività
e degli auspicabili insediamenti
indotti dal Nuovo Polo fieristico di
Rho Pero.
In particolare, le ricerche hanno proposto
attività e aree d’intervento del
tutto compatibili (in parte coincidenti)
con quelle contenute nella bozza di
proposta per Expo 2015.
Come già scritto, anche da questi due
studi ha preso spunto il presente lavoro.
La sperimentazione prevista dalla
presente proposta non potrebbe che
aiutare ad individuare le destinazioni
definitive da assegnare agli edifici di
Expo, al termine della manifestazione.
Infatti, è noto che il problema vero, in
questi casi, riguarda il “dopo”. Come
il caso di Siviglia, e di altre Expo,
insegna, anche spazi ed architetture
notevoli rischiano l’abbandono.
I sei-sette anni che mancano consentono
un buon rodaggio per avviare e
sperimentare l’attività di Hub della
conoscenza; ne potrebbero derivare
sue possibili derivazioni e/o espansioni.
La localizzazione nell’area Expo si avvantaggerebbe
dall’accessibilità che,
secondo i programmi, avrà nel 2015.
Ad una grande accessibilità su ferro,
analoga a quella di Bovisa, si aggiungerebbe
la vicinanza (40’) con Torino.

EXPO
50

2.1 Accessibilità e
contesto fisico
Sinteticamente, si tenta qui di contestualizzare
il recente ‘successo’ di
Bovisa e, quindi, le ‘attrazioni’ che vi
sono insediate, descritte di seguito.
Che tipo di ‘successo’?
L’essersi trasformata resistendo agli
stravolgimenti e alle omologazioni
che hanno investito diverse parti della
periferia milanese. Ci si riferisce
al processo – iniziato negli anni ’60
e fortemente accelerato nell’ultimo
Decennio – che ha riguardato soprattutto
le aree lasciate libere dai grandi
impianti produttivi (Pirelli Bicocca,
ex Om, ex Innocenti, ex Fina, ex Tecnomasio,
ecc.).
Queste aree – la gran parte delle quali
ubicate nella ‘corona’ compresa
tra Circonvallazione esterna (filobus
90/91) e confine comunale – sono
state oggetto di interventi che, alterandone
nel profondo fisionomia
e destinazione, non hanno puntato
ad una integrazione (pur nella fatale
differenziazione) con il tessuto circostante.
Di fatto, indipendentemente
dalla qualità dell’intervento edilizio,
queste aree sono state estraniate dalla
Città e ora ospitano residenze con più
o meno grossi supermercati, palazzi
per uffici, molto verde.
[Molti studiosi rimarcano il ruolo
di ‘suscitatore di vita urbana’ svolto
dalle grandi fabbriche e dalle aree a
prevalenza industriale (come Bovisa)
negli ultimi cento-centocinquant’anni;
suggeriscono che le città ora necessitano
di ‘infrastrutture sociali’,
volte a restaurare le occasioni di
scambio e convivenza civile; annoverano,
in queste nuove e necessarie
infrastrutture, le università, le grandi
strutture culturali anche attive sul
territorio (come le biblioteche o certi
centri teatrali).]
Al contrario, Bovisa è integrata nella
51

A pagina 50:
Expo 2015:
Visualizzazione del progetto
Expo (con relativa torre)
tratta dal sito del Comune di
Milano;
Da “Corriere della Sera”,
12.12.2006: Titolo e testo
riferiscono la presentazione
della Ricerca “Nuova
città Nuova fiera”, svolta per
Cciaa di Milano e Fondazione
Fiera Milano, a cura del
Politecnico di Milano_DPa:
De Carli e Fiorese responsabili;
Individuazione dell’area
Expo sulla cartografia elaborata
dalla Ricerca.
A pagina 51:
Bovisa: Veduta aerea, anni
Cinquanta; Individuazione
su Carta Tecnica di Milano;
Foto Zenitale, 1990.
Città, perché assai differenti sono le
peculiarità, passate ed attuali, del suo
insediamento, prima per la presenza
delle fabbriche, oggi soprattutto per
la presenza dell’università.
Paradossalmente, la crescita spontanea,
non pianificata, del quartiere
– dalla fondazione fino all’epoca delle
dismissioni industriali – non si è
interrotta. Numerosi edifici abbandonati
sono stati mantenuti e riconvertiti.
Evidentemente, qui non si intende
magnificare questo modo di crescere
(si constata e basta), un modo che
manifesta grandi contraddizioni, in
particolare nella rete stradale.
Comunque, poteva venir peggio un
quartiere che, dalla nascita ad oggi,
ha consentito (favorito) un’inusitata
ricchezza di presenze; questo in conseguenza
dei seguenti fattori:
- la già citata grande accessibilità,
data da due stazioni ferroviarie, Villapizzone
Ferrovie dello Stato e Bovisa
Ferrovie Nord Milano, quest’ultima
posta subito a sud della confluenza
dei due rami Fnm, diretti l’uno a
Como e a Varese e Laveno, l’altro ad
Asso. (In entrambe le stazioni, rifatte
negli ultimi anni, oltre ai treni di linea
fermano i treni delle linee S, metropolitana
comprensoriale; alla Stazione
delle Nord, ribattezzata Bovisa
Politecnico, ferma anche il Malpensa
Express.)
- per la ragione precedente, Bovisa
era ed è più accessibile da molti centri
del Nord Milano che da molte zone
periferiche e semiperiferiche della
Città. Appartiene più alla Regione
che al Capoluogo. Inoltre, per più di
un secolo, le ferrovie (soprattutto le
Fs) hanno trasportato le materie prime,
anche povere e anche da fuori
Italia, alimentando industrie di base
(chimica e gas), nonché produzioni
manifatturiere;
- la massiccia presenza di fabbriche
– in particolare legate a meccanica e
chimica (da cui le esalazioni) – che,
assieme alle difficoltà di accesso e
52
circolazione (dovute alla presenza
dei binari), per decenni ha mortificato
l’attrattività della zona (poche
abitazioni) e favorito l’insediamento
di funzioni povere, come i depositi
degli spedizionieri (lì vicino c’era la
Dogana);
- tra gli anni Settanta e Ottanta, mentre
molte industrie e l’Officina del
Gas chiudevano, studi e ricerche
della Facoltà di Architettura hanno
prospettato e propiziato l’espansione
di Politecnico a Bovisa. Il primo insediamento,
provvisorio, avvenne nel
1989;
- da allora si svilupparono (e continuano
a svilupparsi) diverse iniziative,
che hanno accompagnato e
accompagnano l’insediamento dell’Ateneo:
la sede di Telelombardia,
che si sta ampliando; la nuova sede
dell’Istituto farmacologico Mario
Negri; l’insediamento della Triennale;
più avanti si citano la Nuova Accademia
di Brera e altre sedi di manifestazioni
artistiche.
Il Politecnico dispone oggi di 105.000
mq di edifici, che saliranno a 140.000
con i due complessi in corso di realizzazione;
in questo momento, sono
10.500 gli allievi, i docenti e gli altri
dipendenti che gravitano su Bovisa,
dove sono insediati corsi di laurea e
dipartimenti sia delle facoltà di Architettura
che delle facoltà di Ingegneria.
Come già scritto, il Comune sta riavviando
l’iter per la trasformazione
dell’Area dei Gasometri.
Infine, non van dimenticati i luoghi
che – grazie ai trasporti su ferro
– sono facilmente e rapidamente
raggiungibili. In Appendice D se ne
citano alcuni; qui si vuol solo ricordare,
all’altro terminale milanese del
Passante ferroviario, la nuova Beic
(Biblioteca Europea di Informazione
e Cultura) promossa dalle due più
importanti università milanesi (Statale
e Politecnico) e perseguita per-

vicacemente, con grande passione, da
Antonio Padoa Schioppa. Sarebbe il
partner ideale per l’Hub della conoscenza,
da tutti i punti di vista; l’occasione
di Expo 2015 ne rende sempre
più possibile la realizzazione.
Nota
Si citano alcune delle molte pubblicazioni dedicate
a Bovisa, utili per capirne storia e caratteri:
- M. Deimichei e G. Fiorese (a cura di), MZ7
Milano zona 7 - Bovisa Dergano, Clup 1984
(2° ediz. Cusl 1993);
- “Lotus international”, n. 54, 1987, monografico
sui progetti su Bovisa e altri luoghi di Milano
esposti nella mostra della Triennale curata
da P. Nicolin;
- “qa. Quaderni del Dipartimento di Progettazione
dell’Architettura”, Politecnico di Mila-
Insediamenti del Politecnico
a Bovisa (al 2006)
1. Sede Bovisa sud (slp.
38.492 mq); 2. Sede Bovisa
est (slp. 67.182 mq); 3.
Recupero area ex Broggi
(slp. 26.089 mq), in corso di
realizzazione; 4. Recupero
area ex Origoni (slp. 8.200
mq), in corso di realizzazio-
ne; 5. Attrezzature sportive,
in corso di realizzazione;
6. Residenze universitarie
Palizzi (slp. 7.700 mq)
Nuovi insediamenti e trasformazioni
rilevanti
7. Area per residenze universitarie,
attualmente occupata
da Triennale Bovisa; 8.
Laboratori Accademia di
no, 11, dic.1990, monografico sul progetto del
nuovo polo predisposto da tre dipartimenti del
Politecnico;
- Aa. Vv., Milano tra luce e calore, Aem 1995;
- P. Caputo e G. Fiorese (a cura di), Politecnico
Bovisa. Progetti per l’area dei gasometri, Abitare
Segesta 1999, Catalogo della mostra della
Triennale dedicata ai progetti partecipanti al
Concorso internazionale.
- Un volume di efficace attualità, a cura di F.
Cognetti: Bovisa. Nuovi equilibri per un quartiere
in trasformazione, Polipress, Milano 2007
(con interviste ai promotori delle trasformazioni
e ai nuovi abitanti).
- Infine, è utile la parte monografica Una città
della scienza e per i giovani a Bovisa, a cura
di F. Infussi, A. Bruzzese e F. Cognetti in “Territorio.
Rivista trimestrale del Dipartimento di
Architettura e Pianificazione”, n.s., 40 (2007),
pp. 7-81, che riprende l’iniziativa, attuata nel
2006 dal Politecnico, qui più volte citata.
53
Belle Arti di Brera (progetto
abbandonato); 9. Nuova sede
Istituto di ricerche farmacologiche
Mario Negri; 10.
Piano integrato di intervento
(residenza-commercioattività
terziarie-funzioni
produttive), in progetto; 11.
Residenze universitarie in
progetto sull’area già dei
A pagina 54:
Mario Sironi (1885-1961):
Colosseo, 1938-40;
Il gasometro, 1944-45;
Periferia, 1920 (o 1922).
A pagina 55:
Ampelio Tettamanti (1914-
1961), Bovisa, s.d.
Ernesto Treccani (1920),
Fabbriche alla Bovisa, 1952.
Gabriele Basilico, via La
Masa, fine anni ’70.
depositi del Teatro alla Scala
(slp. 12.050 mq) in progetto;
12. Bodio Center (terziario,
2001); 13. Piano di Recupero
Urbano Palizzi, 2002 (residenza-verde
pubblico); 14.
Circolo Arci “La scighera”
(slp. 400 mq), 2006; 15. “The
Bag”, laboratori d’arte,
2004.

54
2.2 Cultura
Già nella Sintesi degli argomenti, posta
ad inizio volume, si è accennato
al senso del luogo, nonché all’aura
di tradizione produttiva, culturale
e figurativa che connota Bovisa. È
un’aura originata dal lavoro di molti
(otto sono citati sopra). Consideriamo
questo lavoro un patrimonio straordinario,
che sarebbe grave trascurare.
Oltre a sintetizzare i ‘perché’ di queste
attribuzioni di senso (indicando,
nel caso, i riferimenti per approfondire),
par d’uopo evocare, almeno episodicamente
e senza separarli, alcuni
tratti della cultura sorta direttamente
dal e nel quartiere, o a questo esplicitamente
connessa.
Attualmente, alla ricchezza culturale
conseguente alla presenza di tre facoltà
del Politecnico (di Architettura
Civile, di Design, di Ingegneria industriale)
e di molti dipartimenti, vanno
accostate le numerose e differenti
espressioni e manifestazioni artistiche
che, nell’ultimo secolo, hanno contribuito
ad una variegata ‘figurazione di
Bovisa’, ben individuabile nella tradizione
artistica lombarda.
Partendo dalla pittura, va citato Mario
Sironi, 1885-1961, che nei ‘Paesaggi
urbani’, dipinti dagli anni Dieci in poi,
ha per primo identificato figure, sintassi,
carature monumentali, colori, toni
della periferia industriale milanese (e
quindi di Bovisa, anche se non è detto
che la conoscesse, come invece conosceva
gasometri e fabbriche di Porta
Romana).
Ampelio Tettamanti, 1914-61, che
ritrasse ripetutamente fabbriche, atmosfere,
persone di Bovisa. Tra le
sue opere ricordiamo un grande disegno,
collocato in una sala della
Federazione milanese del Partito Comunista
Italiano, in via Volturno. In
primo piano è raffigurato un operaio
in tuta, fermo di fianco alla bicicletta,

che parla con la fidanzata; la coppia si
staglia su un paesaggio (ben più di un
semplice sfondo) composto da campi,
ciminiere e gasometri, al crepuscolo.
Dalla tasca della tuta sbuca la testata
de “L’unità”. Per decenni, e fino a
pochi anni fa, sotto il quadro si sono
svolte innumerevoli riunioni. Oltre
che per la passione raffigurante, l’importanza
di Tettamanti per Bovisa sta
nell’eredità che – per alcuni anni – la
Cooperativa di via Mercantini gestì:
infatti, l’entusiasmo di Tettamanti (e
L. Mazzari) aveva promosso un premio
di pittura, che dopo la sua morte
prematura gli fu intitolato; il Premio
ebbe nove edizioni e assunse importanza
perlomeno cittadina, delle giurie
facendo parte Salvatore Quasimodo
e Raffaele De Grada.
Occorre poi richiamare il Ciclo de ‘I
segreti di Milano’ che Giovanni Testori,
1923-93, pubblicò tra 1958 e
1961, di cui fanno parte Il Ponte della
Ghisolfa e La Gilda del Mac Mahon.
Per commemorare i due anniversari
di Testori, la sera del 12 maggio
1998, Andrée Ruth Shammah, con
il Teatro Pierlombardo, ha messo in
scena brani dalla Gilda di fianco al
Ponte della Ghisolfa, riportando ai
luoghi nominati le parole (e l’autore)
che li nominano. Pare il preludio alla
presenza, anche fisica, dei suoi libri e
manoscritti, di cui si scrive più avanti;
l’auspicio di un futuro di fecondità
culturale (il nume tutelare che sovrintende
alla scena dei suoi personaggi).
Con Rocco e i suoi fratelli,1960, Luchino
Visconti ha trasposto nel cinema
ambienti e personaggi del Ciclo. Il
muro di sostegno del Ponte e il fronte
della Scuola Rinnovata Pizzigoni, in
cui una scena è ambientata, sarebbero
stati, 38 anni dopo, il fondale della
rappresentazione di Shammah.
Il lavoro di molti fotografi, tra cui Gabriele
Basilico (Ritratti di fabbriche),
Giovanna Borgese, Virgilio Carnisio,
Paolo Monti, Francesco Radino, Laura
Salvati.
55

“Infinities” di John Barrow,
allestito da Luca Ronconi,
Piccolo Teatro di Milano negli
ex depositi (ora abbattuti)
del Teatro alla Scala, via
Baldinucci, Bovisa, 2002-03.
Alcune immagini dello
spettacolo; copertina di
“Teatro Mese”, febb. 2002;
Interni dei depositi ancora in
funzione.
Tre libri di Testori con le
copertine di Albe Steiner,
Feltrinelli, Milano 1958-61.
Da “Corriere della Sera” 28
Agosto 2006.
Fotogramma da “Rocco e
i suoi fratelli” di Luchino
Visconti (1960), ripreso
dal Ponte della Ghisolfa
con, sulla destra, il muro di
recinzione e l’edificio della
Scuola elementare Rinnovata
Pizzigoni (Amerigo Belloni,
1924).
56

59
MZ7_Milano zona 7 Bovisa
Dergano, a cura di G. Fiorese
e M. Deimichei, grafica
di B. Monguzzi, Comune di
Milano, 1984.
J. Hejduk, Bovisa (con un
saggio di J.R. Moneo),
Harvard University Graduate
School of Design-Rizzoli,
1987.

G. Canella, Il campus
filaretiano. Studio per il
Politecnico alla Bovisa, XVII
Triennale, Milano 1986.
A. Monestiroli, con M. Landsberger,
R. Neri, E. Rimoldi,
Progetto per il Politecnico
nell’area dei gasometri: La
piazza dei servizi collettivi e
della residenza temporanea,
1989.
Modello del Progetto per il
Politecnico nell’Area dei Gasometri,
1989. A. Monestiroli
(coordinatore), A. Acuto, E.
Battisti, S. Boeri, G. Canella,
S. Croce, S. Crotti, M. Baffa,
M. Grisotti, C. Macchi Cassia,
E. Mantero, M. Mocchi,
M. Molon, P. Nicolin, R.
Pugliese, R. Spagnolo, G.
Turchini, G. Grassi, E.
Varon. V. Viganò, F. Zanni,
C. Zucchi.
60
L’elegia di Ermanno Olmi (Il ragazzo
della Bovisa), nata come sceneggiatura
e poi non pervenuta alla realizzazione
cinematografica (ma poi trasformata in
romanzo e pubblicata in volume); Olmi
ha poi propiziato il cortometraggio Bovisa
’89. Postazione della memoria: I
luoghi di Christian, di E. Annese e R.
Monteleone.
Il film documentario di John Foot Ringhiera.
Storia di una casa (la sua),
dedicato ad un vecchio stabile popolare
affacciato sull’inizio del Ponte
della Ghisolfa, che si accompagna ai
suoi studi su Milano. Foot si divide tra
Londra (dove lavora e insegna presso
il Dipartimento di Italiano dello University
College) e Bovisa (dove sta la
sua famiglia). In particolare, in accompagnamento
al suo film, ha pubblicato
su internet il saggio Micro-history of a
House. Memory and Place on the Milanese
periphery, 1890-2000, che si avvale
– oltre che di un’ampia bibliografia
– anche delle ‘memorie di quartiere’
citate sopra (i riferimenti delle altre sue
numerose pubblicazioni sono facilmente
rintracciabili in internet).
La recente messa in scena di Infinities,
testo teatrale dello scienziato
John Barrow, che Luca Ronconi ha
allestito – sia nel 2002 che nel 2003,
coinvolgendo allievi del vicino Politecnico
– negli ex depositi di scene e
costumi del Teatro alla Scala.
Degli spazi per l’arte, come del lavoro
di Guaitamacchi e Bussolati, si
scrive nel paragrafo 2.3.6.
Su Bovisa e sull’Area dei Gasometri
– giustamente ritenuta decisiva
per Milano e Lombardia, più che per
Bovisa – sono stati però gli architettiinsegnanti
del Politecnico a proporre
e sperimentare con tenace determinazione;
in particolare, tanti progetti
di corso e molte tesi di laurea, applicandosi
al tema, ne hanno proposto le
possibili figurazioni.
Qui si richiama Guido Canella, sia
per l’attenzione pionieristica – che fin
dal 1973 gli fece proporre il riscatto

di quest’area senza tradirne i caratteri,
attraverso l’unione tra produzione
e ricerca -, sia per la pervicacia didattica.
Inoltre, Pierluigi Nicolin, per la Mostra
Le città immaginate_Nove progetti
per nove città (da lui diretta e
allestita in Triennale, 1987) inviò agli
architetti invitati ad esercitarsi su Bovisa
il volume Milano Zona 7_Bovisa
Dergano. Tra i destinatari ed invitati:
John Hejduk, 1929-2000, Preside
della Cooper Union di New York,
che – più che un progetto – approntò,
coi disegni, una drammaturgia per
figure, esposta in seguito ad Harvard.
Col suo lavoro, Hejduk rilevava la
profonda diversità tra l’Europa, dove
l’architettura e lo spazio urbano sono
sempre stati connessi, e il ‘fenomeno
americano’che è il prodotto del dividersi
dell’unità, del suo trasformarsi
in oggetti.
Si rimanda al Paragrafo 2.3.7 per
ricordare il lavoro di Salvatore Carrubba
e Alessandra Mottola Molfino
relativo al Museo del Presente, che
purtroppo non è stato ancora realizzato
e che il recente studio del Politecnico
ha ripreso (vedi a pag. 49).
Qui preme notare che quel lavoro è alla
base dell’istituzione di Triennale Bovisa,
promossa da Davide Rampello,
Presidente della Triennale. Sul tema
di questo Paragrafo, Rampello ha
scritto che Bovisa a differenza di altri
quartieri, ha paesaggio, e ‘paesaggio
in memoria’. Tanto trovo estraneità
alla Bicocca, dove non c’è più paesaggio,
mentre Bovisa è fatta di paesaggio!
Saranno i treni che passano,
li sento passare, vedo la presenza
molto calda e così vibrante dei gasometri.
Essendoci paesaggio c’è la
possibilità della memoria, perché la
forza del paesaggio è quella di poterlo
raccontare e farlo diventare memoria,
perché se una cosa si può raccontare
diventa memoria. La Bicocca
non si può raccontare, è gelida; la
Bovisa si può raccontare, questa è la
verità, e questo mi ha entusiasmato.
Santa Giulia come la racconti? Puoi
raccontare il grande vuoto di Garibaldi
Repubblica, quello lo racconti
perché ancora senti che è un’area
viva. [Cognetti Bovisa..., p. 115].
Nota
Alcuni ulteriori richiami, come testimonianza
della vivacità culturale del quartiere.
Nel 1995, presso la Biblioteca di via Baldinucci,
fu allestita la Mostra “Graffiti 1945-1985”,
dedicata a “Giornali, giornalini, giornaletti di
quartiere, scuole e fabbriche della Zona Dergano-Bovisa”,
a cura di A. Bartoli, L. Mazzari,
P. Signorino. La Mostra, e il relativo Catalogo,
schedavano trenta pubblicazioni, di differenti
tirature, periodicità, longevità. In quell’occasione,
si procedette alla ristampa di alcuni
numeri dei periodici più significativi. Tra i
responsabili o i collaboratori di molte delle
testate, ricorrente il nome di Luigi Mazzari,
che con passione e perseveranza agì per il suo
quartiere.
Di recente, sono stati pubblicati: P. Signorino,
A. Bartoli, Affori & Uniti va in città. Dergano -
Bovisa - Affori - Bruzzano. Studi storici, scritti,
immagini e testimonianze dirette del territorio,
Raccolto, Milano 2005; G. Borra, L’altro Politecnico.
El Mungus. La strada: scuola di vita,
EDB. Milano 2006 (sono le memorie della vita
svolta, nella prima metà del 900, dall’autore
e dalla sua famiglia, all’interno dei caseggiati
posti tra TBvs e Politecnico di via La Masa);
M.T. Arabo (a cura di), La Bovisa e la sua
scuola. Ottant’anni di storia e memorie, in
corso di stampa.
Per il Premio di pittura Ampelio Tettamanti si
veda U. Melotti, Cultura e partecipazione sociale
nella città in trasformazione, La culturale,
Milano 1966, pp. 318-321; L. Sarzi Amadè,
Milano fuori di mano, Mursia, Milano 1987,
pp. 135-136. Per l’opera, si veda: web.tiscali.
it/ampeliotettamanti/.
I primi progetti per l’Area dei Gasometri – sviluppati
nel 1985 dagli allievi di L. Caruzzo, M.
De Carli, D. Ferrazza, G. Fiorese – sono in: “il
moderno”, dic. 1986; “qa”, n.5, lug.1987;
“Gran Bazaar”, n.61, apri.1988.
Inoltre, si ricorda che:
- “Lotus” citato raccoglie progetti di G. Canella
e A. Acuto (che già dal 1974 affrontarono
per primi il tema ‘Politecnico a Bovisa’), G.
Grassi, G. Peichl nonché J. Hejduk.
- “qa” 11 citato raccoglie i progetti di A. Monestiroli
(anche coordinatore), G. Canella, A.
Acuto, E. Mantero, M. Baffa, M. Molon. R.
Pugliese, S. Croce, M. Grisotti, G. Turchini,
G. Grassi, E. Battisti, E. Varon. C. Zucchi, S.
Crotti, M. Mocchi, R. Spagnolo, F. Zanni, P.
Nicolin. V. Viganò, C. Macchi Cassia, S. Boeri.
61

Politecnico di Milano:
Nuova sede sull’area ex Origoni;
Nuova sede sull’area ex
Broggi; Nuova sede nell’ex
FBM di via La Masa.
Modello del Ponte sullo
Stretto di Messina, funzionale
alla verifica della stabilità
aeroelastica in Galleria del
vento; Schema della Galleria
del vento di via Lambruschini
2.3 Presenze
Elencando le presenze in questo Paragrafo,
occorre ribadire che il senso
della presente Proposta è di tendere al
più ampio coinvolgimento:
- di altri centri di ricerca;
- di altri centri lombardi;
- di altri centri non lombardi.
Qui, a titolo di esempio, si cita la collaborazione
più importante, con Torino,
poiché tra Milano e Torino sono
già in corso scambi e collaborazioni:
in occasione di Torino 2008 World
Design Capital; nel Festival autunnale
di Musica “MiTo”; nell’Alta Scuola
Politecnica, promossa e condotta da
alcuni anni dai politecnici di Milano e
Torino. È facile prevedere che queste,
e altre attività analoghe, si svilupperanno
prossimamente, quando sarà
a regime il collegamento ferroviario
ad Alta Capacità (in 40’ alla Stazione
del Polo Fieristico, a due fermate di
Linea S da Bovisa).
2.3.1 Politecnico con Facoltà di
Architettura Civile, Facoltà del
Design, Facoltà di Ingegneria Industriale
Nel 1989, su iniziativa dell’allora
Preside Cesare Stevan, alcuni corsi
della Facoltà di Architettura vennero
ospitati nei capannoni, da poco dismessi
e concessi in comodato d’uso,
della fabbrica meccanica Fmb, posta
subito sotto l’Area dei Gasometri e a
ovest della Stazione Fnm; si avviava
così l’insediamento del Politecnico a
Bovisa.
Nel 1994 è stato inaugurato il primo
insediamento nell’ex Stabilimento
della Ceretti & Tanfani, in via Durando
10 (a est della Stazione Fnm); il
complesso si è via via ampliato (oggi
ha raggiunto 38.500 mq di slp); attualmente
ospita due facoltà, di Architettura
Civile e di Design, con altre
attrezzature.
62
Esistono anche due spazi dedicati a
mostre, non solo legate alla didattica;
mostre dedicate al lavoro di architetti
italiani e stranieri, nonché all’opera
dei maestri e all’arte.
Queste esposizioni si avvalgono anche
di archivi, lì depositati, che custodiscono
i documenti del lavoro
di importanti esponenti della nostra
architettura moderna (Piero Bottoni,
Carlo De Carli, Elio Frisia, Gabriele
Mucchi).
Due segnalazione particolari per:
l’Archivio “Piero Bottoni Urbanistica
Architettura Design Arte”, attivo
dal 1983, ricchissimo di materiali,
vera miniera per gli studiosi (si veda
il sito bottoni.dpa.polimi.it); l’Archivio
Albe Steiner, attivo dal 2004,
che raccoglie l’opera di un maestro
riconosciuto della grafica italiana del
Novecento. Entrambi gli archivi son
presso il Dipartimento di Progettazione
dell’Architettura.
Oltre alle due facoltà citate, a Bovisa
– nella ex Fmb già citata e nella vicina
ex Ivi Ppg – è presente la sede principale
della Facoltà di Ingegneria Industriale,
che ha sede anche a Piacenza.
Qui sono presenti: i corsi di laurea (di
1° livello, la “laurea breve”) di Ingegneria
Aerospaziale, di Ingegneria
Energetica, di Ingegneria Meccanica;
i corsi di laurea specialistica (magistrale)
di Ingegneria Aeronautica, di
Ingegneria Energetica, di Ingegneria
Meccanica, di Ingegneria Spaziale.
Come si sa, le principali attività del
Politecnico, come quelle di altri atenei,
si incardinano su due tipi di organi
istituzionali: facoltà e dipartimenti.
Si sono citati, finora, le facoltà, deputate
alla didattica, le cui titolazioni
ben sintetizzano interessi e mandati
istituzionali. Ma, ai fini della tesi di
questa proposta, forse più importanti
sono gli organi deputati alla ricerca,
ovvero i dipartimenti, che – interse-

cando in modi assai vari e diversificati
le titolazioni di cui sopra – rendono
difficile la sintesi delle attività
(per questo si rimanda al sito web del
Politecnico).
Qui, ci si limita a richiamare sinteticamente
alcuni dei principali laboratori
ubicati a Bovisa.
In via Durando:
- i laboratori del Dipartimento Indaco
(Industrial Design, Arti, Comunicazione
e Moda): Luce & colore;
Modelli & prototipi; LabFoto, Laboratorio
di produzione dell’immagine;
Movie design Lab; Virtual prototyping
and reverse modeling; Ergonomia
e usabilità del prodotto industriale;
Allestimenti.
- di particolare rilevanza, ai fini di
questo studio, un centro promosso,
oltre che da Indaco, dal Dipartimento
di Chimica, Materiali e Ingegneria
chimica “Giulio Natta”: POLIteca.
Design Knowledge Centre. È un centro
di documentazione per il progetto,
dedicato a varie ed estese tematiche;
qui si sottolinea la presenza di MeD
MaterialieDesign, un archivio sui
materiali avviato nel 1999, che fornisce
informazioni su proprietà, tecnologie
di trasformazione e finitura
e possibilità applicative di materiali
tradizionali e innovativi.
- i laboratori del Dipartimento di Progettazione
dell’Architettura: Diagnostica
per la conservazione e il riuso
del costruito; Modellistica.
- Sicurezza dei trasporti, con crash e
crash verticale.
In via La Masa (dipartimenti di Ingegneria
Aerospaziale e di Meccanica):
- Galleria del vento, con potenza max
istallata di 1,5 MW e dimensioni
globali di 50 x 15 x 15 m. È dotata
di due camere: una di prova civile,
14 x 4 m e 18 m/s di velocità max;
l’altra di prova aeronautica, 4 x 4 m
e 60 m/s di velocità max (grazie alla
sua versatilità, tra l’altro ha verificato:
la resistenza al vento di vari ponti
e grattacieli; le azioni del vento su
63
Politecnico di Milano, Sede
di via Durando: Esterno e
Interno; Ceretti e Tanfani
(ora Sede del Politecnico),
anni Venti; Manifesto del
“Politecnico rete” 2, 1998,
con lo Spaccato assonometrico
dell’insediamento di
via Durando (G. Fiorese, A.
Scaramuzzi, M. Lomascolo).

Luna Rossa, la barca allestita per la
Coppa America).
- Laboratori di ricerca nel settore
energetico (Combustione; Turbomacchine;
Motori a combustione interna;
Propulsione aerospaziale).
- Laboratori di ricerca nel settore
meccanico (Resistenza di materiali
e strutture; Trasmissione di potenza
meccanica; Analisi dinamica delle
strutture; Ricerca su componenti ferroviari,
come assali, carrelli, pantografi).
- Laboratorio per lo studio dei materiali
innovativi.
- Laboratorio Hapre, Haptics & reverse
engineering e virtual prototyping
& augmented reality (con appropriati
strumenti, genera modelli geometrici
ed haptic di oggetti; si possono quindi
toccare vari tipi di materiali associati
agli oggetti, verificare caratteristiche
di superficie, quali rugosità, e proprietà
dei materiali, quali deformabilità).
Le sedi del Politecnico a Bovisa sono
frequentate da oltre 12.000 persone,
tra allievi, docenti e personale non
insegnante; attualmente, occupano
106.000 mq.
A ovest dei binari Fnm, sono in procinto
di essere inaugurati due ampliamenti
dell’insediamento ovest del
Politecnico (mq 45.000), con sedi per
i dipartimenti di Ingegneria Gestionale,
Ingegneria Energetica, Ingegneria
Meccanica, oltre ad aule per la didattica
ed una biblioteca.
Nota
- Sito internet del Politecnico di Milano;
- “Politecnico. Rivista del Politecnico di
Milano” n. 3, gen.2000, p. 18;
- Politecnico di Milano, Milano Bovisa. I
Grandi laboratori, s.d.;
- Politecnico di Milano, I Laboratori del
Politecnico di Milano, ottobre 2006;
- Bovisa Politecnico, in Euromilano, Progettare
la trasformazione, s.d.
- a MeD MaterialieDesign sopra citato, è
opportuno accostare Material ConneXion,
“il più grande centro di documentazione e
ricerca sui materiali innovativi, con sedi
a New York, Milano, Bangkok e Colonia”,
che seleziona dal mondo oltre 4000
materiali e processi produttivi innovativi.
Ha due sedi, una presso la Triennale di
Milano, l’altra in via Davanzati, a Bovisa
[cfr. “AL. Mensile di informazione degli
Architetti Lombardi” 3, marzo 2008, pp.
12-13].
2.3.2 Triennale Bovisa (Tbvs)
Inaugurata il 21.11.2006, è la nuova
sede della Triennale dedicata all’arte
contemporanea e alla contemporaneità.
È uno spazio di oltre 1400 mq
destinati ad esposizioni ed eventi, cui
si aggiungono altri 500 mq per la libreria,
la ristorazione e i servizi al
pubblico… nasce come il luogo dell’innovazione
e della creatività, un
territorio libero da condizionamenti
destinato soprattutto ai giovani,
dove realizzare grandi mostre di arte
contemporanea, concerti, rassegne
cinematografiche, attività culturali e
sociali.
Come ha scritto Biagi su “Abitare”, è
frutto di un impegno corale… che ha
coinvolto istituzioni locali e aziende,
confederate in una partnership volontaristica
in cui ciascuno ha fornito
gratuitamente risorse e competenze
secondo i rispettivi ruoli e spettanze.
Il tutto … per un esperimento destinato
a durare tre anni, prima che i
terreni messi a disposizione da Euro-
Milano in un’ottica di valorizzazione
immobiliare, vengano riassorbiti dai
programmi di sviluppo della medesima
società, che prevedono la realizzazione
di un nuovo Campus del Politecnico
con residenze e servizi per
studenti.
Nota
- Triennale Bvs, Manifesto inaugurale; M. Biagi,
Milano Triennale Bovisa, in “Abitare” 468,
gen. 2007, pp. 101-111.
65
Istituto Mario Negri:
“Corriere della Sera”,
28.04.2006; Vista e Prospettiva
della sede; Attrezzatura
per la ricerca.
Alla pagina di fronte:
Triennale Bovisa (Studio
Cerri): Fronte; Veduta;
Interno; Pianta.
“la Repubblica”, 19.11.2006.
Veduta di Base B (decoro di
Raymundo Sesma 2006).
Pubblicità di Blitz, via
Cosenz.
Veduta di The Bag Art
Factory, vie Guicciardi-Carnevale.

Fondazione Mondadori: Vista
della Sede; Copertina di
un’opera di Giovanni Testori.
2.3.3 Istituto di Ricerche Farmacologiche
Mario Negri (Irfmn)
È un’organizzazione scientifica che,
dal 1963, opera nel campo della ricerca
biomedica.
Avendo come scopo fondamentale il
“contribuire alla difesa della salute e
della vita umana”, l’ambito della sua
attività non può che essere vasto: “dal
livello molecolare fino all’uomo”.
Oltre che alla ricerca, l’Istituto si dedica
anche all’insegnamento (diplomi
regionali, PhD e dottorati di ricerca)
e alla diffusione della cultura scientifica
in campo biomedico. Intende
incrementare gli scambi culturali con
altri Istituti scientifici, in Italia e all’estero.
Dalla originaria sede di Quarto Oggiaro,
dal giugno 2007 l’Istituto si è
trasferito nei nuovi edifici di Bovisa
(24000 mq con 470 ricercatori).
Infine, importa qui citare un recente
volume – pubblicato in occasione della
inaugurazione di Triennale Bovisa
[Progetto Bovisa] – che raccoglie vari
contributi dedicati alle diverse presenze
che negli ultimi anni sono venute
ad arricchire questo parte di Città. Del
volume, è d’uopo ricordare lo scritto
del direttore Silvio Garattini, che presenta
– con l’attività dell’Irfmn – la
nuova sede, approntata per “aumentare
le potenzialità di ricerca”; lo scritto
si conclude così: L’attesa dell’Irfmn
è quella di poter realizzare sinergie
di ricerca soprattutto con il Politecnico
e con altri enti scientifici che si
insedieranno nella zona. Sono inoltre
attese sinergie nella formazione dei
giovani ricercatori, con particolare
riferimento ai candidati al PhD. La
presenza della Triennale rappresenterà
un punto d’incontro importante
per integrare formazione scientifica,
artistica e culturale.
66
2.3.4 Fondazione Arnoldo e Alberto
Mondadori
Da più di venticinque anni, la Fondazione
Arnoldo e Alberto Mondadori
opera attivamente per la conservazione
e la valorizzazione della memoria
del lavoro editoriale in Italia.
Da metà anni Novanta è diventata un
centro studi e ricerche sulla cultura
editoriale nel nostro paese, collegandosi
con un network di realtà analoghe
in Europa e nel mondo.
Dal 2000 è nella nuova sede di Villapizzone,
in via Riccione.
In particolare, ha il fine di conservare,
valorizzare e mettere a disposizione
del pubblico le storie personali e professionali
dei due editori e delle case
editrici da loro fondate (Mondadori e
Saggiatore); inoltre, per i programmi
di formazione e di ricerca, spesso
collabora con le università, in particolare
l’Università degli Studi di Milano
(Master in Redattore di editoria
libraria).
La documentazione dei fondi archivistici
copre l’arco cronologico 1844-
2005; comprende 24 fondi.
La biblioteca comprende i volumi
editi dalle due case editrici fino al
1980 (30.000 + 800), nonché – in
duplice copia – ogni volume uscito
dopo quell’anno. Inoltre, la biblioteca
comprende altri 25 fondi.
Si esemplifica qui il fondo, archivistico
e bibliotecario, di Giovanni Testori
– pertinente al presente lavoro – che
è così composto: 107 quaderni manoscritti
; 273 volumi di opere di Testori;
71 cartelle contenenti 5291 fogli
dattiloscritti e manoscritti; 4 quadernoni
contenenti un parziale inventario
autografo dei dipinti realizzati da Testori;
2 scatoloni e 2 buste contenenti
306 articoli a stampa di Testori e 605
articoli a stampa su Testori.
Nota
- www.fondazionemondadori.it

2.3.5 Telelombardia
Leggendo su Wikipedia, l’enciclopedia
libera, alcune notizie: Telelombardia
è una televisione regionale
della Lombardia; ha sede a Milano-
Bovisa, in via Colico.
Secondo i dati Auditel, è la televisione
regionale più seguita in Italia.
Nata nel 1974, in tempi “pionieristici”
per la TV commerciale, ha sempre
cercato di proporre una programmazione
“vicina” al cittadino lombardo.
Da qualche anno ha assorbito altre
due reti locali, Canale 6 e, dal 2004,
anche Antenna 3, storica emittente
lombarda.
2.3.6 Sala Pressione nell’Area dei
Gasometri (già attiva, attualmente
non utilizzata)
Nel luglio 1994, con la fine dei lavori
per la metanizzazione, l’Officina del
Gas di Bovisa cessò la produzione;
nello stesso tempo, l’Aem si impegnò
a mantenere viva la memoria storica
di questi luoghi e soprattutto la loro
‘anima, come ebbe a scrivere il Presidente
Enrico Cerrai nel Catalogo di
una Mostra di disegni.
Erano i disegni che Jonathan Guaitamacchi
aveva sviluppato ritraendo
gli impianti tecnologici dell’Area dei
Gasometri e che raffiguravano sia gli
interni (con gli intrichi meccanici)
che gli esterni (i paesaggi con le carcasse
arrugginite).
Questa Mostra fu allestita dall’Aem
nella ex Sala Pressione, ubicata a
fianco del gasometro più recente,
costruito nei primi anni Cinquanta e
da poco demolito (al suo posto verrà
realizzata una centrale di cogenerazione).
Come si vede dalle immagini,
nell’ex Sala Pressione sono tuttora
conservati tutti i macchinari originari.
Quindi, la scelta del luogo espositivo
fu più che giusta; i disegni ritraevano
parti del luogo dov’erano esposti,
inducendo così inedite rifrazioni tra
realtà e raffigurazioni.
Con oculato mecenatismo, l’Aem
67
Sala Pressione nell’Area dei
Gasometri, Bovisa, realizzata
negli anni Cinquanta: Vista
esterna, 2006; Interno subito
dopo l’inaugurazione.
L. Bussolati, Macchinari nell’Area
dei Gasometri, 1998.

La Centrale Montemartini,
Roma ridestinata a museo di
sculture antiche, 1997.
aveva indotto Guaitamacchi a frequentare
assiduamente e per un lungo
periodo il grande recinto dei gasometri;
grazie a questa ‘residenza’, l’artista
aveva prodotto numerosi ‘ritratti
al carboncino’ di grande dimensione
e di notevole efficacia.
Analogo invito, un anno dopo, fu
rivolto al fotografo Luigi Bussolati,
che ritrasse gli stessi e altri soggetti di
notte e col banco ottico, impiegando
luci ed accorgimenti (colori) altrettanto
efficaci.
Il suo lavoro, pur non avendo avuto
lo stesso riscontro (critico e pubblicistico)
di quello di Guaitamacchi, è di
analogo valore; entrambi ritraggono,
con mezzi differenti, lo stesso paesaggio.
Per ritrarli, Bussolati colloca impianti,
macchine, serbatoi, (isolati nell’ambiente
perché ormai orfani delle
tubature) in un set cinematografico;
sono scenari surreali e spaesanti, da
sogno, che paiono in attesa delle donne
di Paul Delvaux.
Disegni e foto furono poi esposti in
Triennale, nella Mostra ‘Politecnico
Bovisa. Progetti per l’area dei gasometri’,
1999; la stessa Mostra che
– come scrive Mottola Molfino nel
brano riportato nel Paragrafo successivo
– si rivelò utile per la proposta
del ‘Museo del Presente’.
Scrivendo, alla fine, di arte e sensazioni
da questa indotte, è opportuno
riportare un brano dal catalogo sopra
citato, scritto dallo storico e critico
Antonello Negri:
[…] Il modo in cui Guaitamacchi
cerca il suo dialogo con quello che
rimane dell’industria e delle sue forme
si direbbe in primo luogo fisico:
un sito come lo stabilimento del gas
alla Bovisa funziona oggi, per lui,
come la foresta di Fontainebleau per
i paesaggisti del 1830. Analogamente
a Theodore Rousseau e ai suoi amici,
che sprofondavano in un luogo capace
di suscitare il senso di una natura-
68
lità immutabile, da fermare sulla tela
secondo un’adesione mentale e fisica
alle sue suggestioni, Guaitamacchi si
lascia catturare dall’acquisita naturalità
del moderno. Ha spostato il suo
luogo di lavoro in un altro ‘tempio’,
in un’altra ‘foresta di simboli’, dove
diversi ‘piliers’ lasciano a loro volta
uscire, ogni tanto, delle confuse parole.
Per catturarle e cercare di tradurle
in forme da guardare con gli occhi,
bisogna passarci attraverso, coglierne
i dettagli e scoprirne gli intrecci;
oppure entrarci – letteralmente, come
nei boschi di Fontainebleau – e lasciare
che tutti i sensi, non soltanto la
vista, siano allertati dai gorghi messi
in movimento dal sublime di una modernità
già perduta. […]
La collocazione di opere d’arte in
ambienti carichi di una recente storia
produttiva, da questa molto connotati
nell’ambiente e nell’atmosfera, è stata
avviata a Roma, a partire dal 1997,
nella Centrale Montemartini (il primo
impianto pubblico che, nella Capitale,
produceva energia elettrica; sorse ad
inizio Novecento sulla via Ostiense).
L’edificio della Centrale, architettonicamente
pregevole (nella logica
della rappresentatività urbana degli
edifici pubblici dell’epoca), ospita
tuttora macchinari da decenni in disuso,
quali: due motori diesel, ciascuno
con un albero di 81 tonnellate, lungo
20 metri; una turbina e una caldaia,
entrambe voluminose ed entrambe a
vapore. Ai macchinari sono stati accostate
circa quattrocento sculture
antiche, rinvenute durante gli scavi
di fine Ottocento e degli anni Trenta
e che, poi, erano state collocate nei
Musei Capitolini.
L’allestimento della Collezione sottolinea
il dualismo tra le due logiche
del materiale esposto: l’utilitaria di
spazio e macchinari e l’aulica delle
opere d’arte, ovvero il contrasto tra
masse metalliche con lamiere e bulloni
e delicato modellato dei marmi
antichi.

69
Sala Pressione nell’Area dei
Gasometri, Bovisa, realizzata
negli anni Cinquanta:
L. Bussolati, Esterno, 1998;
J. Guaitamacchi, Mostra “Le
Macchine della Luce”: Disegni
e Allestimento, 1997.

Comune di Milano: Bovisa
Contemporary-Museo del
Presente (progetto Architecture
Studio, Parigi, e Studio
Brusa Pasquè, Varese):
Logo (Italo Lupi); Copertina
di “Milano Musei”, 3,
maggio 2001; Schema dei
flussi di circolazione; Fronti
e sezioni di progetto; Interno
di un gasometro
70

Nonostante abbia dimensioni più
ridotte ed un involucro edilizio puramente
utilitario (ma non per questo
meno dignitoso), Sala Pressione
possiede un’aura sicuramente non
inferiore alla Centrale Montemartini:
gode, come sopra si è argomentato, di
un’epica e di una cultura che connota
nel profondo la nostra identità. Carlo
Bertelli ha scritto che Guaitamacchi,
e altri nuovi pittori, si avvicinano a
questi colossi ormai morti con il rispetto
dovuto alle tombe degli eroi.
Sarebbe ingiusto non preservare questo
patrimonio unico.
Nota
- J. Guaitamacchi, Disegni. Le Macchine della
Luce, con scritti di C. Bertelli, E. Cerrai, A.
Negri, C. Stevan, Aem 1997;
- Manifesti di architettura, Manifesti di Politecnico
rete n. 3, Milano 1998;
- Politecnico Bovisa. Progetti per l’area dei
gasometri citato;
- Sculture di Roma antica. Collezioni dei Musei
Capitolini alla Centrale Montemartini, a cura
di M. Bertoletti, M. Cima, E. Talamo, Electa,
Milano 1997;
- sito internet www. centralemontemartini.it.
2.3.7 Museo del Presente (in programma,
sempre rimandato)
È in programma da oltre sette anni,
essendone stata prevista l’inaugurazione
nel 2000 (con l’Esposizione
di cui si scrive più avanti); all’uopo,
come consulente artistico del museo
in itinere, fu nominato Jean-Hubert
Martin, iniziatore e poi direttore del
Centre Pompidou e direttore o consulente
di diversi importanti istituzioni
d’arte (Biennale di Lione, Musei di
Parigi, Düsseldorf, Berna). Il Comune
stanziò tempestivamente i fondi per il
finanziamento, ma purtroppo l’appalto
dei lavori subì numerose traversie
e ritardi, per cui la realizzazione non
fu avviata.
Tuttavia, ancora nel fascicolo distribuito
dal Comune a tutte le famiglie
della Città nel dicembre 2005 (dal titolo
Abbiamo messo in comune la voglia
di fare dei milanesi), nella pagina
intitolata “Siamo una città delle culture:
I musei per il futuro”, si legge: I
gasometri della Bovisa, simbolo della
trasformazione della Milano industriale
di fine Ottocento, ospiteranno
invece il Museo del Presente.
Promotrice dell’iniziativa (con l’Assessore
alla Cultura Salvatore Carrubba)
è stata Alessandra Mottola
Molfino, allora direttore del Settore
Musei e Mostre dell’Assessorato Cultura
e Musei del Comune di Milano,
la quale ha ben sintetizzato gli intenti
di questa nuova istituzione, non separandoli
dall’occasione insediativa (di
fatto, connettendo l’insediamento del
nuovo Museo a quello del Politecnico
descritto precedentemente).
Scrive Mottola Molfino, nella prefazione
al Catalogo della grande Esposizione
‘Milano Europa 2000. Fine
secolo – I semi del futuro’, svolta al
Pac e alla Triennale da maggio a settembre
2001:
Per il suo nuovo museo, Milano ha …
privilegiato il legame con la propria
storia, con la rivoluzione industriale,
con la ‘città che sale’ (Boccioni
l’aveva già detto), con la memoria
del lavoro, con la periferia operaia.
Milano ha scelto di collocare la propria
Kunsthalle per l’arte contemporanea
nei gasometri e negli edifici archeo-industriali
della Bovisa […] Ha
scritto Giorgio Fiorese nel Catalogo
della Mostra (a cura del Politecnico)
sul Concorso internazionale per la
nuova Bovisa: “Per nessuno, oggi,
Bovisa è il luogo dei ‘vecchi ruderi
da abbattere’; si presenta piuttosto
come un vasto territorio, ad un tempo
fisico e intellettuale (abitato dal
mito), dove sperimentare nuovi modi
di studiare, produrre, abitare”. Dove
sperimentare dunque anche l’arte
contemporanea […] Nei gasometri
Aem e nei vicini edifici archeo-industriali
della Bovisa nascerà dunque
un agglomerato di spazi liberi e variati
nei quali ospitare mostre che
aggiornino il panorama dei giovani
71
Nella pagina seguente:
Nuova Sede dell’Accademia
di Belle Arti di Brera: Assonometria
(progetto di Luigi
Chiara); Titoli di articoli
tratti dalle pagine milanesi
di diversi quotidiani, genaio2004-gennaio2008.

artisti europei e delle opere di nuovissima
produzione o prodotte ad hoc
per questi spazi. Le mostre intitolate
‘Milano Europa’ – ricorrenti a scadenze
fissate (ogni cinque anni) e alle
quali partecipano venti paesi europei
(numero destinato a crescere) – non
prevedono sezioni nazionali, ma un
unico grande crogiolo nel quale gli
artisti sono mescolati e accostati per
affinità interne alle opere stesse […]
Prevedere la durata nel tempo di un
organismo museale così sperimentale
non è fattibile con i metri di giudizio
della museologia tradizionale. Difficile
dire che un tale museo potrà avere
durata secolare […]
Nota
Si rimanda a A. Mottola Molfino nella prefazione
al Catalogo dell’Esposizione Milano
Europa 2000. Fine secolo – I semi del futuro,
Electa, Milano 2001, pp. 14-16; “MIMU. Milano
musei”, 3, mag.2001, Comune di Milano.
Inoltre, di seguito si richiamano due recenti iniziative
bovisasche nel campo di arte e cultura.
1. Propiziata dalle due iniziative qui citate (la
prima, in Sala Pressione, importante, ma purtroppo
conclusa; la seconda, Museo del Presente,
ripetutamente annunciata ma mai avviata), a
Bovisa è attiva dal 2003 una ‘Art Factory’, The
Bag (Bovisa Art Gang). In un capannone restaurato
all’angolo tra via Guicciardi e via Carnevale
– già sede di una ditta di import-export
– si sono istallati e operano quindici giovani
artisti, quasi tutti ex allievi o allievi dell’Accademia
di Brera. Nel fascicolo che presenta la
Factory si legge che centrale appare il ruolo
dell’ambiente. Perché è solo con una grande
passione e una febbrile iniziativa che un vecchio
capannone della periferia industriale di
Milano poteva divenire un tale luogo d’unione.
Nella familiarità di un quotidiano impegno
quasi da bottega, l’edificio è stato lentamente
trasformato in un laboratorio…, una sorta di
factory warholiana atipica, dove i sedici artisti
… hanno cominciato a dipingere ognuno
in piena libertà, cercando di aprirsi alla città
stessa. [cfr. P. Cova, Bovisa Art Gang – the bag
– Art Factory, Milano 2005, p. 4; S. Conti, Bagarre
nel capannone, in “Giudizio universale”,
a.1°, n.2, mag.2005, p. 60.]
2. In un piccolo complesso industriale dismesso,
ubicato in via Lambruschini 36 (a poche
decine di metri dal Polo di Ingegneria e da
Sala Pressione) dalla primavera 2006 è attiva
la sede dell’Associazione Culturale ‘Zona Bovisa’,
cui partecipa anche Poli.Design, un consorzio
del Politecnico. La nuova sede mira ad
72
essere “nuovo punto di riferimento per la vita
sociale e culturale del quartiere” e ad ospitare,
con bassi canoni, atelier di artisti, grafici, designer,
musicisti. Il decoro degli edifici, progettato
da Raymundo Sesma, è stato eseguito in
occasione del MiArt, marzo 2006; non a caso è
stata adottata – nel logo e nel decoro – la figura
dei gasometri.
2.3.8 Nuova sede dell’Accademia
di Belle Arti di Brera (discussa per
anni, recentemente annullata)
Secondo i giornali (qui a fianco inseriti
con una scelta fatalmente incompleta)
è stata via via decisa, finanziata,
sospesa, ripresa, di nuovo sospesa.
Inizialmente, era prevista che sorgesse
in via Durando, di fronte all’ingresso
principale del complesso
del Politecnico che ospita le facoltà
di Architettura Civile e del Design;
però, ultimamente, la localizzazione
è stata dirottata in una caserma dismessa
in via Mascheroni.

2.4 Spazi disponibili
per Hub della
conoscenza
Come già scritto nella Sintesi iniziale,
le sedi ipotizzabili, adatte a queste
attività, sono molte, disposte tra le
due stazioni del Passante ferroviario,
Fs Villapizzone e Fnm Bovisa Politecnico.
Quindi, tutte facilmente accessibili
dagli altri capoluoghi e dai principali
centri regionali (nonché, ad esempio,
da quelli di Novarese e Piacentino) e
distanti poche centinaia di metri l’una
dall’altra, perciò raggiungibili pedonalmente.
Partendo dalle sedi di istituzioni già
attive, conviene citare:
- le diverse sedi del Politecnico, due
a est del tracciato delle Nord e tre a
ovest, potrebbero offrire – in particolare
nei periodi di sospensione didattica
– aule per conferenze e spazi
per laboratori, oltre che – ovviamente
– l’accesso ai propri laboratori (Galleria
del Vento; Crash-Sicurezza dei
veicoli; vari laboratori di meccanica;
modellistica e allestimenti di architettura);
- allo stesso modo, l’Istituto Farmacologico
Mario Negri ha un’importante
presenza di laboratori scientifici, nonché
due auditorium per conferenze;
- la Triennale, per il notevole spazio
mostre e per l’ampio esterno;
- BaseB, ubicata di fronte alla Triennale,
già ora sede di incubator per
attività della ‘nuova creatività’, ha
diversi spazi adatti a laboratori e mostre.
Per quanto riguarda i diversi fabbricati
dismessi nell’Area dei Gasometri,
quasi tutti vincolati come beni storici,
il più importante – potrebbe divenire
la sede principale di HUB DELLA CO-
NOSCENZA – è sicuramente l’ex Sala
pressione 2, di cui si è scritto diffusa-
mente in un Paragrafo precedente.
Facilmente riattabili, poi, ci sono:
- l’Officina meccanica; l’ex Sala
pressione n.1; i Magazzini; la Sala
contatori; l’ex Centrale termica, con
ciminiera.
- due capannoni dei Magazzini furono
già usati per le prime trasmissioni
televisive di Gad Lerner, che comprendevano
la presenza del pubblico;
sono quindi usufruibili (provvisoriamente)
per conferenze.
Due ultime osservazioni relative a :
- un possibile prefabbricato temporaneo,
in analogia con quanto realizzato
per Triennale Bovisa;
- gli ampi spazi della Stazione Fs di
Villapizzone, inutilizzati dall’inaugurazione.
73

(1) Parte del fronte dell’officina
meccanica;
(2) Fronti della Sala Pressione
n.1;
(5) Interno ed vista esterna
dei magazzini 1 e 2;
(3) Vista esterna dell’ex
Centrale termica.
74

4
2
1
75
3
5
(2) Fianco e Foto del fronte
della Sala Pressione n. 1;
Veduta aerea (foto S. Topuntoli)

Castellazzo
di Bollate
Collezione Borroni,
Bollate
Triennale, Bovisa
76
Politecnico, Bovisa
Triennale

Castellazzo di Bollate.
Interno collezione Borroni,
Bollate.
Triennale Bovisa.
Ex Ceretti e Tanfani (sede
facoltà di Architettura civile
e Design).
Ex FBM (sede Facoltà di
Ingegneria industriale).
Triennale Parco Sempione.
Appendice D
Hub della conoscenza
come crocevia di due
itinerari
All’interno del territorio del nord
ovest, viene quasi spontaneo considerare
Bovisa Hub della conoscenza
come la concretizzazione di un ideale
incrocio.
È l’incrocio tra due itinerari, ciascuno
dei quali pienamente rappresentativo
delle due ‘anime’ che nell’Hub
si confrontano e integrano, la scientifico-tecnologica
e l’artistica.
1. Itinerario di Ricerca e innovazione
lungo la direttrice ovest (Ferrovia
e Autostrada Milano-Torino)
Non può che partire da Bovisa, con la
Facoltà di Ingegneria Industriale del
Politecnico – e i suoi importanti laboratori
– e dall’Istituto Mario Negri
(entrambi sono già stati descritti).
La prima tappa è il nuovo Polo fieristico
di Rho Pero, foriero, come
pochi altri luoghi, di occasioni di
crescita, e il vicino insediamento
dell’Expo. Di quest’ultimo, occorre
fare in modo che, una volta spente le
luci della manifestazione, i fabbricati
– tutti? alcuni? – siano destinati ad
attività di ricerca e produzione (non
ripetendo errori ricorrenti in altre
manifestazioni analoghe: Expo di
Siviglia, allestito in magnifici padiglioni,
è ora un sito abbandonato).
Poi, verso sud ovest, a Settimo Milanese,
si incontrano gli insediamenti
Italtel e ST Microelectronics.
L’insediamento Italtel è da anni in
sofferenza, mentre ST Microelectronics
– con l’altra sede di Agrate
– “tiene” (un cenno alla sua attività
si ricava dal paragrafo dedicato alle
invenzioni di Bruno Murari, che da
decenni vi lavora).
Infine, risalendo verso nord, si incontrano
due altre importanti occasioni:
l’insediamento dell’Agip, di
futura dismissione; e il recupero e lo
sviluppo dello stabilimento già della
Bull, a Pregnana Milanese.
Nel volume che riassume la ricerca
77
DPa già più volte citata, sono illustrate
ipotesi e modalità di comportamento
atte a preludere alla destinazione
di buona parte di queste aree a
ricerca e innovazione.
Nota
- M. De Carli, G. Fiorese, M. Bordin, A.
Floris, Nuova città Nuova fiera. Trasformazioni
attendibili e desiderabili nell’intorno
territoriale del Nuovo Polo Fiera
Milano, Ricerca per la Cciaa di Milano
(Osservatorio dell’Indotto del Nuovo
Polo Fieristico) e per la Fondazione Fiera
Milano, a cura del Politecnico di Milano
(DPa: De Carli e Fiorese responsabili),
Cattaneo editore, Oggiono-Lecco 2006.
2. (sulla linea Fnm) Itinerario delle
Fabbriche delle arti, da Triennale
Cadorna (passando per Bovisa) a
Bollate
In alcuni centri collegati dalle Ferrovie
Nord (ramo Cadorna – Bovisa
– Saronno) sono in atto fenomeni
ed iniziative legate a diverse forme
d’arte, dall’architettura al design alle
arti visive, che ben si integrano con
quanto qui proposto.
Sono presenze che potrebbero interagire
positivamente:
− sia offrendo occasioni di scambi
culturali, propriamente da ‘centro
città’, poiché – grazie al loro insieme
e alla loro contiguità, sia fisica che
di interessi – configurano un contesto
territoriale foriero di promettenti
sinergie;
− sia con possibili scambi, in occasione
di manifestazioni come MiArt
e altre, ovvero ‘replicando’ il fenomeno
inarrestabile e imprevedibile
che si verifica ogni anno, nell’intorno
di via Tortona, in concomitanza
con il salone del Mobile;
− sia con l’iniziativa del Polo del Restauro,
proposto nel 2005 dalla Regione,
in seguito ad uno studio IReR;
una recente Ricerca – che Cciaa e
Fondazione Fiera hanno commissionato
al DPa – riprende questa
proposta, indicando il Castellazzo
di Bollate come la migliore tra le localizzazioni
possibili. (Ricordiamo
che, da sempre – nel nostro Paese,
ma in particolare nella nostra Regione
– lo studio dell’antico, legato alla

diretta operatività, è base imprescindibile
di molte esperienze artistiche,
se non della gran parte di esse.)
Elenchiamo ora quattro ‘attrazioni’
di questo itinerario, che vanno ad
aggiungersi a quelle illustrate nei
capitoli precedenti, con una sintetica
descrizione delle attività che vi si
svolgono o che è previsto (o auspicabile)
che vi si svolgano.
Nota
- Verso un Polo per la conservazione dei
beni culturali in Lombardia, Regione
Lombardia (Direzione Generale Culture,
Identità e Autonomie), marzo 2005.
2.1 Triennale di Milano
Già sopra si è scritto di questa istituzione
(in particolare della Quinta
Triennale, 1933), da cui è nata TBvs.
Per sintetizzarne la storia, è comodo
partire da un’inchiesta pubblicata
nel 1962, su La cultura nelle sue
strutture dal 1945 ad oggi, dove la
Triennale – con maggiore precisione
denominata ‘Esposizione Internazionale
delle arti decorative e industriali
moderne e dell’architettura moderna’
– viene definita “un organismo
unico al mondo che caratterizza fortemente,
nel campo che le è proprio,
la città di Milano, dove l’industria e
l’arte reciprocamente si condizionano
più che in qualsiasi altro centro
italiano.”
Nel volume, le descrizioni delle ‘dodici
mostre di cui è costituita la storia
della Triennale’ – dal 1923, anno di
nascita, allestite ogni tre anni – ben
argomentano il perché sia stata, per
decenni, un luogo deputato tra i più
importanti al mondo nell’esposizione
di fatti e prodotti legati all’architettura,
all’urbanistica e al design,
nonché nella promozione di interventi
architettonici (si pensi ai prototipi
di abitazione realizzati tra le due
guerre o al Quartiere QT8, edificato
nell’immediato Dopoguerra in concomitanza
con l’Ottava Triennale).
Da allora (e soprattutto negli ultimi
decenni) questo ruolo è stato assunto
anche da altre istituzioni, italiane
e non; ci riferiamo alla Biennale di
Architettura di Venezia, alle altre
mostre di architettura che con varia
periodicità si svolgono in diverse altre
città del mondo e alle numerose
collezioni di architettura e/o design
istituite nel mondo (anche per questo,
negli ultimi anni, la Triennale ha
diversificato le sue iniziative).
La Triennale è anche stata la prima
promotrice italiana del disegno di
mobili e arredi per la casa. Nata a
Monza nel 1923, in stretta connessione
con la realtà produttiva della
Brianza, dieci anni dopo fu trasferita
nel palazzo ubicato nel Parco
Sempione, progettato da Giovanni
Muzio e donato a Milano dal senatore
Giovanni Bernocchi. Sin dal
1940, con la Mostra internazionale
della produzione in serie, ha avviato
il tema del disegno industriale, sviluppandolo
nelle edizioni successive
con rassegne dedicate, nonché con il
Convegno internazionale del 1954.
Ospita regolarmente le edizioni del
premio ‘Compasso d’oro’ per il design.
Da alcuni decenni si occupa
anche di moda.
Più recentemente, con un serrato e
diversificato calendario di esposizioni,
la Triennale ha intrapreso iniziative
volte ad ampliare ulteriormente i
temi di interesse, occupandosi anche
di moda, comunicazione audiovisiva
nonché ritornando alle arti figurative
tout court (cfr. le recenti Mostre di
Andy Warhol e di Keith Haring); in
questo modo, ha ottenuto un notevole
successo di pubblico.
Inoltre, è da alcuni anni avviata la
costituzione del Museo del Design,
con relativa raccolta di opere e con
esposizioni periodiche su tematiche
particolari; ultimamente, il Museo è
stato inaugurato, con un importante
e spettacolare allestimento.
Di recente, ancora per opera della
Triennale, è stato inaugurato il Museo
Studio di Achille Castiglioni
(1918-2002); che si integra mirabilmente
con le iniziative qui proposte.
La sede è nello stesso studio di Foro
Bonaparte dove Castiglioni – che,
con il fratello Piergiacomo (scomparso
nel 1968), è stato uno dei maestri
indiscussi del design italiano– ha
lavorato per decenni.
78
Nota
- Aa. Vv., Milano com’è, Feltrinelli, Milano
1962, p. 903.
- A. Pansera, Storia e cronaca della
Triennale, Longanesi, Milano 1978;
- Triennale. Come è stata, come è, come
potrebbe essere, fascicolo monografico
di “Hinterland”, 11-12, sett.-dic.1979.
2.2 Bollate: La Collezione Borroni
di arte contemporanea
È stata avviata alla fine degli anni 70
per iniziativa dell’industriale Eugenio
Borroni, appassionato di arte e
collezionista. È esposta negli spazi
di un edificio che ospitava l’industria
di famiglia ed è visitabile da
un anno; con oltre 500 opere e con
la presenza di oltre 100 artisti, costituisce
sicuramente un’importante
raccolta, soprattutto dell’arte italiana
degli ultimi trent’anni
Nota
- C. Gatti, La vecchia filanda di Bollate
ora dà lavoro ai giovani artisti. Borroni:
così ho trasformato la mia fabbrica, in
“la Repubblica”, 16.3.2007;
- il sito www.fabbricaborroni.it.
2.3 Castellazzo di Bollate: Il Polo
didattico e di ricerca del Restauro
La proposta del nuovo Polo prende le
mosse dal presupposto che sia possibile
raccogliere le capacità teoricodidattiche
e, soprattutto, operative
presenti nel contesto regionale per
farle confluire nella formazione di
un nuovo Polo del Restauro, didattico
e di ricerca; obiettivo raggiungibile
grazie agli sforzi congiunti della
Regione Lombardia e delle università
lombarde interessate.
Il Castellazzo di Bollate offre le migliori
opportunità per ospitare il Polo
del Restauro.
Recentemente, la Camera di Commercio
di Milano ha proposto di avviare
la costituzione di un Comitato
promotore di questo Polo, in accordo
con la proprietà. Si ipotizza che,
nel medio periodo, nel Castellazzo
possano essere disponibili strutture
ed attrezzature necessarie sia per il
restauro, sia per la produzione artistica.
Nota
- Nuova città Nuova fiera, cit.

2.4 Castellazzo di Bollate: La Residenza
delle ‘Fabbriche delle arti’
Oggi, i musei d’arte contemporanea,
per ragioni legate al mercato dell’arte
e alla stessa circolazione delle
opere, faticano ad accrescere le loro
collezioni; alcuni tra essi tentano (o
praticano in modo continuativo) la
promozione diretta dell’arte, invitando
gli artisti a risiedere in località
adeguatamente attrezzate e quindi
a produrre opere. [In questo senso,
spunti sono ritrovabili in quanto
scritto sopra sia per le iniziative di
Aem, con le opere di Guaitamacchi
e Bussolati, sia per quelle di Mottola
Molfino, per la produzione delle
opere da esporre nel ‘Museo del Presente’]
Si può quindi ipotizzare che il Castellazzo
di Bollate e i suoi annessi
possano essere utilizzati per ospitare
artisti, invitati a risiedere per periodi
limitati all’interno della cornice storica
della villa (approntando a questo
fine una foresteria nell’ambito del
restauro del complesso); gli artisti
si avvantaggerebbero del contatto
diretto con i poli dell’arte posti sull’asta
delle Nord, fino alla Triennale
di Milano.
Tale iniziativa si inserirebbe non solo
in un sistema articolato (rafforzandolo)
ma riporterebbe lo stesso Castellazzo
al momento più vivo della
sua storia, rigenerando – in modi attuali
– lo storico mecenatismo degli
Arconati.
Nota
- Nuova città Nuova fiera, cit., p. 63.
79
Stabilimento Borroni, Sede
della Collezione, Bollate:
Esterno; Interno; Pianta.
De Carli, Fiorese, Bordin,
Floris, Nuova città Nuova fiera.
Ricerca per Cciaa Milano
e Fondazione Fiera Milano,
Cattaneo editore, Oggiono-
Lecco 2006.

Appendice E
Progetti di docenti e
allievi della Facoltà di
Architettura Civile del
Politecnico di Milano
Il tema di progetto ha riguardato gli
spazi per attività museali, culturali e
di elaborazione artistica da collocare
a Bovisa, nell’Area dei gasometri.
La compagine nord ovest del Comune
di Milano (Bovisa e il suo intorno)
è in profonda trasformazione.
Presenta sia aspetti positivi (oltre all’università,
e quindi ai giovani, nuove
recenti presenze, come Istituto
Mario Negri e Triennale); sia gravi
contraddizioni (come ci insegnano
i giornali, le ragioni del paesaggio
urbano sono sempre più imputabili
a logiche finanziarie e sempre meno
ad una committenza consapevole e
lungimirante).
Quindi, l’esperienza progettuale proposta
agli allievi non è stata confinata
nella pura formalizzazione di una
domanda comunque precostituita; al
80
contrario, gli allievi sono stati indirizzati
ad un progetto atto ad incidere
– in modo propositivo – su assetto
e trasformazioni di Città e territorio.
Il tema ha assunto l’ipotesi macrourbanistica
di Città Lombardia, volta a
incentivare i legami di scambio tra i
capoluoghi, fino a configurarli come
veri e propri legami di tipo urbano.
È un’ipotesi che presuppone un trasporto
di massa (il Servizio Ferroviario
Regionale, che si avvale del
Passante) confrontabile con una metropolitana
urbana per quanto con-

cerne la frequenza garantita, i tempi
di percorrenza e l’affidabilità.
Tale strategia consente una riorganizzazione
polarizzante dei grandi
sistemi funzionali lombardi, in particolare
dell’università.
Peraltro, il Politecnico – avviando la
strategia ‘a rete’ – ha inteso delocalizzare
nelle sedi regionali (di Lecco,
Como, Cremona, Mantova, Piacenza)
non ‘succursali della casa madre’,
ma poli autonomi, identificabili
per presenze e iniziative (didattiche
e di ricerca) uniche nell’Ateneo.
Legato a questa strategia, si sta sviluppando
l’insediamento di Bovisa
(il ‘centro’ di questo sistema), già
ora di grande accessibilità, dotato
di laboratori e luoghi di ricerca rari.
Quindi, potenzialmente, la strategia
del Politecnico si inserisce nella strategia
di Città Lombardia.
Queste considerazioni hanno permesso:
- di affrontare concretamente le questioni
del necessario rapporto dell’architettura
con la città;
- di cogliere appieno peso e caratura
81
della proposta insediativa;
- di lavorare sul tipo insediativo di
Hub della conoscenza, stagliandolo
sulle peculiarità dei luoghi e sui loro
auspicabili futuri.

Allievi:
Annalisa Borsini,
Marco Galli
a.a 2006-07
84

Allievi:
Leonardo Caliandro,
Ramona Cortini,
Linda Trappoloni
a.a 2006-07
85

Allievi:
Federico Moretti,
Simone Nebbia
a.a 2006-07
86

Allieve:
Michela Grossini,
Sara Signorini,
Chiara Villa
a.a 2006-07
87

Allieve:
Rachele Bonfanti,
Eliana Ciccopiedi,
Francesca Pozzi
a.a 2006-07
88

Allievi:
Chiara Elena Brenna,
Arianna Iemi
a.a 2006-07
Allievi:
Paolo Bugeia,
Elisa Selvetti
a.a 2006-07
89

Allieve:
Francesca Colombo,
Valeria Matteri,
Giulia Notaro
a.a. 2007-08
Allieve:
Sara Colombo,
Alice Tacchi,
Maria Zavagnin
a.a. 2007-08
90

Allievo:
Stefano Spreafico
a.a 2007-08
91

o;
3. infine, la parte sotto la grande piazza (verso sudest),
che offre l’occasione unica di confrontarsi coi due
grandi cilindri dei gasometri
Il primo esercizio (Armando Scaramuzzi) riduce notevolmente
l’area verde della grande piazza, che è invece
occupata con volumi ridotti, composti in tre grandi
isolati quadrati, che dan luogo ad un tessuto minuto,
atto ad incorporare con naturalezza gli storici edifici
industriali. I nuovi edifici ripropongono un paesaggio
produttivo fatto di capannoni con coperture a “shed” e
di profonde fughe prospettiche attraversate dalla linea
dei tram. L’area e il verde “tolti” dalla piazza vengono
ampiamente risarciti dall’intorno dei due gasometri (e
dell’area del terzo gasometro demolito), anche con i
vasti piani inclinati – coperti da tappeti erbosi – che
in parte rivestono edifici ipogei. Da questi spazi, sorta
di platee teatrali con alti spalti percorribili, è possibile
osservare le grandi figure delle preesistenze dell’ex of-
tazione di laboratorio (atelier della ricerca tecnologica,
incubator, archivi/depositi di prodotti e prototipi).
Non si sono indicati gli edifici per il museo piuttosto
che per l’università piuttosto che per gli istituti di ricerca,
perché le attività di ciascuna di queste istituzioni
può essere adeguatamente ospitata nei quattro ambiti
sopra descritti. Così facendo, le destinazioni sono state
semplificate e riportate alla base dei comportamenti e
dell’uso degli spazi.
Nell’ipotesi insediativa, la base di partenza è la tripartizione
dell’intera area:
1. al centro, la giacitura sudovest – nordest della grande
piazza verde, derivata dal progetto del Politecnico
del 1989 (cfr. pag. 63) e confermata nelle elaborazioni
del Politecnico del febbraio 2006;
2. sopra la grande piazza, e verso nordovest, una sequenza
di volumi (la Simulazione A sviluppata nello
Studio citato) che nelle due visualizzazioni è stato ripresa
a puro titolo indicativo, come semplice ingom-
Due visualizzazioni, sviluppate dal Gruppo docente
con Marcello Lomascolo, in occasione di questo volume
e della mostra in programma
Sono state assunte le stesse prescrizioni (destinazioni,
spazi, superfici) proposte agli allievi, che prescindono
in larga parte sia dai programmi insediativi (attualmente
in discussione), sia da alcuni dei termini indicati dallo
Studio citato in calce, ovvero dalle proprietà, dallo
stato dei suoli e dalle bonifiche previste. Sono visualizzazioni
riferibili ad un esercizio di composizione, piuttosto
che ad una proposta progettuale. L’insediamento
si organizza in quattro ambiti: 1. Atrio (con biglietteria-accoglienza,
bookshop, caffè-ristorante, nonché un
primo spazio espositivo); 2. Comunicazione (auditorium,
aule riunioni di differenti dimensioni, laboratori
didattici/interattivi per la scienza e la tecnologia, biblioteca-mediateca);
3. Atelier d’arte (galleria d’arte
- collezioni esposte per brevi/lunghi periodi, atelier
d’arte, archivi/depositi di opere d’arte); 4. Sperimen-
92
4
3
1
2

nord si impenna con una vasta gradonata; un lato di
quest’ultima traguarda l’accesso principale della Stazione
di Villapizzone, configurando così un lungo asse
di percorrenza.
zione – coi punti (i gasometri), con la croce o le croci
(delle strade) e con il grand’arco del terrapieno.
Quest’ultimo, peraltro, è decisivo per la “profondità di
campo” del paesaggio: delimita uno spazio (e quindi
contribuisce ad individuarlo), crea una linea di orizzonte
di una media distanza, che poi si confronta con
altre linee, magari non orizzontali, l’ultima delle quali
è dei monti (la più lontana).
Note
Parco scientifico e “città per i giovani” a Bovisa. Un Master
Plan del Politecnico per una proposta di Programma Integrato
di Intervento (a cura di Politecnico di Milano_Diap / Best /
Dpa, 14 febbraio 2006).
Cfr. anche G. Fiorese, Architettura per conoscere il mondo.
Per un bilancio di ricerca e didattica 1984-1999, in “qa -
Quaderni del Dipartimento di Progettazione dell’Architettura
del Politecnico di Milano”, n. 22, sett. 2000, pp. 88-99.
In questo esercizio viene confermata la tripartizione
dell’Area dei Gasometri. Come figura base, che sorregge
l’insieme, viene introdotto un pentagono, però
frammentato; ad un lato di questo, e a due brevi risvolti,
si appoggia l’edificio che mescola le presenze
dei grandi laboratori tecnologici con gli atelier d’arte
(magari di un’arte “fuori misura”, che lì si potrebbe
anche esporre). Questo edificio fa anche da fondale ai
due gasometri (uno dei quali potrebbe essere parzialmente
riutilizzato) e racchiude una piazza, che verso
ficina del gas, con lo sfondo della città e della corona
alpina.
È evidente che, come il precedente, questo secondo
esercizio (Marcello Lomascolo e Giorgio Fiorese)
intende misurarsi coi “pesi” delle figure presenti, che
rendono l’area dei gasometri un luogo compositivamente
tra i più identificabili.
Quali figure? I cilindroni (solo due; del terzo, demolito,
purtroppo rimane solo la traccia a terra); la gran curva
del rilevato ferroviario Fs; i binari della seconda ferrovia,
la Nord, che viene dal centro e ad un certo punto,
enorme ipsilon, si biforca e sottopassa la prima in due
punti; infine, a completare il paesaggio, il reticolo di
strade e la scacchiera dei già citati fabbricati industriali
(alcuni “archeologici”), da cui emerge la croce delle
strade principali, quasi un cardo e decumano.
Pensiamo che questa sintetica lettura abbia un senso
perché induce una (quasi spontanea) modulazione della
proposta in grado di agire – in coerenza o contraddi-
94

Appendice F
Programma per lo Studio
di fattibilità
(Marcello De Carli e Giorgio
Fiorese)
IReR (Istituto Regionale di Ricerca
della Lombardia)
Creazione di un Centro regionale
“Hub della conoscenza”
(con arte & scienza declinate nel
fare)
1. Premessa
1.1 Ipotesi di intervento
In coerenza con l’obiettivo, generalmente
condiviso, di promuovere
lo sviluppo della conoscenza e delle
capacità operative nei campi dell’innovazione
scientifico-tecnologica,
della produzione artistica e del design,
lo studio muove dall’ipotesi che
sia utile istituire un Centro regionale
(Hub della conoscenza) deputato a:
- comunicazione / diffusione di tematiche
inerenti l’innovazione scientifica
e tecnologica, il design, le arti;
- predisposizione di laboratori / atelier
per sperimentare il nuovo, con
l’apporto (nel doppio scambio) di
arte e scienza-tecnologia.
Anche avvalendosi di iniziative già
avviate a Milano e in Lombardia, il
Centro dovrebbe svolgere:
- attività rivolte a un vasto pubblico
di utenti, con l’intento: sia di orientare
l’aggiornamento delle competenze
di chi già opera nel mondo
del lavoro, a sostegno di processi di
educazione permanente; sia di offrire
agli allievi delle scuole secondarie
“panorami di interessi”, in vista delle
decisioni relative al proseguimento
degli studi;
- attività specificamente destinate ad
allievi universitari e/o a diplomati e
laureati.
Avvalendosi di esperienze proprie
ai due ambiti – l’artistico e il tecnico-scientifico
–, il Centro dovrebbe
puntare:
- a nuovi approcci operativi, presentando
esperienze promettenti ed
inducendo idee da inediti accostamenti;
- allo sviluppo di design, musica e
arte in generale, senza ripetere attività
che già si svolgono in altre istituzioni
lombarde.
Per queste ragioni (e per le facilitazioni
ubicazionali che dovrà avere)
si ritiene che il Centro possa e debba
riferire la propria attività ad un contesto
internazionale.
1.2 Attività di Hub della conoscenza
Lo Studio si propone di verificare la
possibilità di promuovere tre tipi attività,
destinate a:
- Comunicazione a piccoli e grandi
gruppi; con esposizioni dedicate a
scienza ed tecnologia;
- Atelier d’arte, con esposizioni e
mostre d’arte;
- Sperimentazione di laboratorio.
1.2.1
Primo ambito, di Comunicazione
a piccoli / grandi gruppi di temi
inerenti all’innovazione scientifico-
tecnologica, sia dal lato della divulgazione,
sia dell’approfondimento;
questa attività mirerà al più ampio
coinvolgimento di università e centri
di ricerca lombardi. In particolare,
punterà a suscitare idee per gli ambiti
applicativi, nell’intento di indurre
/ suggerire / promuovere sperimentazioni
originali.
1.2.2
Secondo ambito, di Presentazione
di innovazioni e/o scoperte inerenti
la tecnologia e i nuovi materiali.
1.2.3
Terzo ambito, con la predisposizione
di Laboratori / Atelier (in prima
ipotesi di arte, design e musica) atti a
sperimentare il nuovo, con l’apporto
(nel doppio scambio) sia di arte, sia
di scienza e tecnologia.
1.3 Spazi per le attività dell’Hub
della conoscenza
Le attività continuative o permanenti
(atelier, alcune attività di laboratorio)
devono svolgersi in edifici deputati a
questo scopo, ubicati in contesti territoriali
che:
- siano facilmente accessibili dalla
Regione;
- facilitino l’interscambio con altre
attività (istituzionali e private) deputate
alla conoscenza tecnico-scienti-
96
fica ed artistica (università, esposizioni,
centri di ricerca);
- abbiano un’elevata qualità urbana.
Le attività periodiche (comunicazioni,
esposizioni, ecc.) – nonché le
attività di laboratorio che richiedono
particolari lavorazioni – possono essere
ospitate anche in edifici esistenti
di altre istituzioni o di altri operatori
(università, Triennale, ecc.).
2. Programma
2.1 Finalità
La ricerca è finalizzata a:
a) valutare la fattibilità del progetto
“Creazione di un Centro regionale
(Hub della conoscenza)”, deputato a
svolgere le attività descritte al paragrafo
1.2, con:
-individuazione dei possibili promotori,
gestori, sponsor e attori;
-individuazione delle risorse mobilitabili:
risorse umane, risorse economiche,
luoghi deputati allo svolgimento
delle attività ed attrezzature.
b) programmare le azioni necessarie
per l’attuazione del progetto.
Lo Studio comporta anche la comunicazione
della proposta agli operatori
che sono potenzialmente interessati
alla sua attuazione. I risultati
dello studio saranno quindi sia conoscitivi,
sia operativi (coinvolgimento
degli operatori e verifica delle disponibilità).
2.2 Attività di ricerca
a) Sarà analizzata l’attività di organizzazioni
che in Italia e fuori Italia
operano nel settore della comunicazione,
della divulgazione e della
promozione della conoscenza tecnico-scientifica
ed artistica, con finalità
analoghe a quelle ipotizzate per
Hub della conoscenza.
b) Sarà analizzato e descritto il sistema
lombardo di comunicazione,
divulgazione e promozione della
conoscenza tecnico-scientifica ed
artistica.
c) Sarà descritto il ruolo attendibile
e possibile di Hub della conoscenza
all’interno del sistema lombardo
di comunicazione, divulgazione e
promozione della conoscenza tecnico-scientifica
e artistica, finalizzato
all’implementazione delle capacità

del sistema.
d) Saranno individuati i possibili
promotori, gestori, sponsor ed attori
di Hub della conoscenza, (università,
musei, Triennale, istituti di ricerca,
organizzazioni di imprese, ecc.).
e) Sarà verificata, con interviste, la
disponibilità dei potenziali promotori,
gestori, sponsor e attori. Le
interviste saranno finalizzate a definire,
in contraddittorio, l’interesse
al progetto, le possibili modalità di
partecipazione, i contributi tecnicoscientifici
e organizzativi possibili,
le condizioni necessarie per la partecipazione,
le procedure di partecipazione.
f) Saranno valutati i contesti territoriali
che offrono le maggiori opportunità
ubicazionali per lo svolgimento
delle attività di Hub della
conoscenza, tenendo conto della
loro accessibilità, della disponibilità
di spazi per attività permanenti, delle
sinergie con attività già insediate,
della qualità urbana e ambientale.
g) Saranno individuate le risorse
materiali disponibili (spazi e attrezzature),
con descrizione dei luoghi e
delle attrezzature e verifica della loro
disponibilità tecnica (in rapporto agli
usi in essere) e gestionale (in rapporto
alla proprietà). Le risorse territoriali
(edifici o spazi in edifici che
possono ospitare le attività previste)
saranno valutate tenendo conto delle
possibili sinergie offerte dalle diverse
alternative ubicazionali.
h) Sarà definito un modello di organizzazione
di Hub della conoscenza.
i) Sarà redatta una proposta esemplificativa
di programmazione degli
eventi nel primo triennio di attività
e di programmazione di attività periodiche.
l) Saranno stimate le risorse economiche
necessarie per istituire e gestire
Hub della conoscenza.
m) Saranno descritte le risorse economiche
attendibilmente mobilitabili
e le azioni necessarie per reperirle.
n) Sarà descritto il procedimento per
l’istituzione di Hub della conoscenza.
97

Giorgio Fiorese, 1942, nato e
laureato a Milano, dove insegna
Composizione architettonica presso
la Facoltà di Architettura Civile del
Politecnico.
Pubblicazioni recenti: Lecco. Paesaggi
della città (con M. Grandi),
Cattaneo editore, Oggiono-Lecco
2005; Nuova città Nuova fiera.
Trasformazioni attendibili e desiderabili
nell’intorno territoriale del
Nuovo Polo Fiera Milano (con M.
De Carli, M. Bordin, A. Floris), per
Cciaa Milano / Fondazione Fiera
Milano, Cattaneo editore, Oggiono-
Lecco, 2006; Sussidiario di architettura.
44 esempi per l’avviamento
al progetto, Araba Fenice Edizioni,
Boves (Cn) 2007.
In IReR (Istituto Regionale di
Ricerca della Lombardia) dal 1993
al 2004 è stato Consigliere di Amministrazione;
dal 2005 è membro
del Comitato Scientifico.
Si occupa di Bovisa dai primi anni
Settanta, sia nell’insegnamento e
nella ricerca universitaria, sia con
pubblicazioni e mostre, sia con
attività di interlocuzione con gli abitanti
e con le organizzazioni locali.
Scala a Banmethout,
Indocina (da E.N. Rogers,
Esperienza dell’architettura,
1932-57, Einaudi, Torino
1958, p. 61, con la didascalia
“La misura umana è uno
degli elementi primi del
fenomeno architettonico.
Essa permane negli esempi
più evoluti, come determinante
per la valutazione della
grandezza”. Fotografo non
indicato).
99