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FOGLIO-GIORNALINO CRISTIANO EVANGELICO ... - Il Ritorno

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PERIODICO <strong>CRISTIANO</strong> <strong>EVANGELICO</strong> INDIPENDENTE<br />

INTERCONFESSIONALE GRATUITO ESPANSIONISTA PER L’APERTURA<br />

MENTALE E SPIRITUALE A CUI TUTTI POSSONO PARTECIPARE<br />

SOMMARIO:<br />

IL RITORNO<br />

A cura di Renzo e Carmela Ronca della "Piccola Iniziativa Cristiana”<br />

c.p.39 – 01019 - Vetralla (VT) - tel. 0339-2608825 – e-mail: ritorno@usa.net<br />

Pubblicato anche in internet, sul sito http://members.xoom.it/enoc<br />

12 marzo 2000 - n. 4 - (quasi) mensile<br />

_____________________________________________________________<br />

Due chiacchiere del giornalaio: Ora posso riposare tranquillo<br />

RELIGIONE:<br />

LA VERITA’ CI PARLA DENTRO SENZA SUONO DI PAROLE<br />

RELIGIONE E SILENZIO<br />

IL VERO GIUBILEO<br />

RIFLESSIONI RELIGIOSE DI VITA CONIUGALE<br />

SALMO DI PENTIMENTO<br />

PSICOLOGIA:<br />

LA FAME DI CAREZZE<br />

DEPRESSIONE: L'INCAPACITÀ DI ESSERE FELICI (prima parte)<br />

PSICOLOGIA E SPIRITUALITÀ<br />

L'INCAPACITÀ DI ELABORARE IL LUTTO (seconda parte)<br />

POESIE: A. Achmatova e poi Flavio, Alberto B., Lucy<br />

SpazioAperto: confronti fraterni, avvisi, trafiletti, confutazioni, posta, ecc<br />

__________________________________________


Due chiacchiere dal giornalaio: Come sapete, dall’altra parte della strada, qui di<br />

fronte, vi è un edicola in cui acquisto “IL RITORNO”. Mentre lo metto sottobraccio scambio due<br />

parole col giornalaio. Veramente fino ad oggi ho parlato io, e lui ha ascoltato i miei commenti fin<br />

troppo seri e lamentosi; ma oggi mi ha confessato che ha passato anche lui un brutto periodo e ve<br />

ne vorrei parlare. Cerchiamo di avere pazienza, con lui: sopportiamolo un pochino mentre<br />

prendiamo il giornale… tanto, tra poco saremo a casa sul divano a leggere il resto in santa pace.<br />

Mi diceva che finalmente può stare tranquillo, chissà perché. Sentiamo. Poi ritornerò a salutarvi.<br />

Ora posso riposare tranquillo<br />

“Glielo confesso, ero tanto preoccupato; guardavo la tv tutte le sere mi chiedevo con ansia: ma come mai il Vaticano<br />

non chiede ancora perdono di qualche cosa? Se dimenticavo di vedere il telegiornale passavo una notte difficile e<br />

appena arrivavo in edicola aspettavo il quotidiano e lo leggevo tutto d’un fiato: è stato chiesto perdono o non è ancora<br />

stato chiesto? Non vi dico il nervoso… Come mai tanto ritardo? Eppure ormai ci eravamo abituati alle scuse televisive<br />

che uscivano con regolarità… Non riuscivo più a concentrarmi.. l’attesa era troppo spasmodica… Pensi che sbagliavo<br />

anche a dare il resto… poi… ecco! Finalmente! Ieri la notizia! E’ stata convocata un’affollata conferenza stampa nello<br />

Stato Vaticano in cui si prepara il terreno per le prossime scuse tra una settimana. Ci saranno luci, riflettori, tamburi,<br />

riprese, collegamenti in mondovisione… la statua della pietà… aspetti le dico l’ora in cui si chiederà perdono… l’ho<br />

segnata qui da qualche parte.. Come dice? -<strong>Il</strong> pentimento è uno stato interiore tra l’uomo e Dio che va vissuto con<br />

dignità riservatezza e silenzio, senza telecamere?- Ma che c’entra il pentimento? Io non ne capisco, so solo che sono<br />

arrivate le scuse, finalmente e tutti siamo più tranquilli. –Ci sono fatti più importanti al mondo- lei dice? Davvero? E<br />

cosa? Io vedo sempre la TV e in TV si parla sempre di questo perciò questo deve essere l’importante, non le pare? -<br />

Scuse intorno a che cosa- dice? E che importa? So solo che ora posso riposare tranquillo per qualche mese. E non si<br />

faccia tante domande, metta questa notizia in prima pagina, vedrà che anche i lettori del suo “<strong>Ritorno</strong>” saranno più<br />

tranquilli.”<br />

Ho accontentato il nostro amico giornalaio e messa la notizia in prima pagina, Ora che anche voi<br />

sapete la notizia, siete più tranquilli? Io? Beh, a dire la verità, io invece comincio a preoccuparmi.<br />

Pensate infatti che succederebbe se ogni chiesa che si sente in dovere di fare in continuazione il<br />

pubblico “mea culpa” mettesse in opera un così grande bombardamento dei “media”! Non parlo<br />

ovviamente solo della Chiesa Cattolica, anche se le riconosco un primato in queste<br />

“videoesposizioni” (del resto ci ha sempre tenuto ai primati), ma anche alle altre chiese di tutto il<br />

mondo. Pensate che succederebbe se queste altre chiese scoprissero anche che dietro l’apparente<br />

umiltà del “videovangelo” si nasconde una grande crescita economica e d’immagine! Ve<br />

l’immaginate? Farebbero a gomitate per trasmettere le loro scuse! “Aspetta devo scusarmi io, tu<br />

l’hai già fatto ieri, ed era l’ora del massimo ascolto, adesso tocca a me non devi monopolizzare il<br />

traffico; siamo in epoca ecumenica!” “..quanti milioni di persone hanno sentito le tue scuse? Ah, le<br />

mie erano di più: io sono più santo di te!”. Ci sarebbero accaparramenti di spazi televisivi anche<br />

sui telegiornali: immaginate una catastrofe mondiale come sta succedendo in Africa… ecco<br />

migliaia di persone morte… qualche superstite vuole parlare... ma.. stop! Un’interruzione! Fermi<br />

tutti, c’è la chiesa tal dei tali che deve chiedere scusa perché nel 1200 pronunciò quella parola con<br />

l’accento sbagliato! <strong>Il</strong> resto può aspettare. Forse ha ragione l’amico giornalaio quando dice che<br />

l’importante è quello che si trasmette di più e non ciò che è vero.<br />

Amici, comunque vi ricordo l’uso del telecomando; un potere non da poco.<br />

(Renzo Ronca)


RELIGIONE<br />

LA VERITA’ CI PARLA DENTRO SENZA SUONO DI PAROLE<br />

(da “Imitazione di Cristo” opera ascetica anonima- Libro III “La vita interiore” cap. II)<br />

1. « Parla, Signore, il tuo servo ti ascolta » (1 Re III,10) « lo sono il tuo servo, dammi intelligenza<br />

affinché io comprenda i tuoi insegnamenti» (Salmo CXVIII, 125) Fa' che il mio cuore si volga alle<br />

tue parole, stillino su me come rugiada. I figli di Israele usavano dire a Mosè: « Tu parla a noi, e ti<br />

ascolteremo ma non ci parli il Signore, che forse ne morremmo » (Esodo XX, 19) No, no, Signore,<br />

non così io ti voglio pregare; ma, con il profeta Samuele, in umile desiderio preferisco dire: «Parla,<br />

Signore, il tuo servo ti ascolta ». Non mi parli Mosè o alcun altro Profeta: Tu invece parlami, o<br />

Signore Iddio inspiratore e illuminatore dei Profeti; perché Tu da solo, senza il loro consenso, puoi<br />

penetrare tutto il mio spirito; essi, senza Te, non conseguiranno nulla.<br />

2. Possono, sì, dar suono di parole, non nutrimento di spirito: elegante è il loro parlare; ma se Tu<br />

taci non riscalda il cuore: linguaggio letterale il loro, ma Tu ne schiudi l'intelligenza; presentano<br />

misteri, ma Tu dài la chiave per intenderli; espongono precetti, ma Tu dài modo di eseguirli;<br />

mostrano la via, ma Tu aiuti a camminare. Essi operano soltanto sull'esteriore, ma Tu ammaestri e<br />

illumini i cuori. Essi irrigano alla superficie, ma Tu doni la fecondità. Essi tuonano con parole, e Tu<br />

fai intendere le cose udite.<br />

3. Non mi parli dunque Mosè; ma Tu, mio Dio e mio Signore, Tu, eterna verità, parlami; ché non ne<br />

debba morire e rimanere senza frutto se, ammaestrato solo esteriormente, non venissi acceso nel<br />

mio interno. E non mi sia motivo di condanna l'aver udita la tua parola e non averla messa in<br />

pratica; l'averla conosciuta ma non amata; creduta e non osservata.<br />

Parla dunque, o Signore: ecco il tuo servo ti ascolta, perché « Tu hai parole di vita eterna ». Parlami<br />

per un po' di sollievo all'anima mia, per la riforma di tutta la mia vita, a gloria, a lode, a perpetuo<br />

onore tuo.<br />

RELIGIONE E SILENZIO<br />

(Trovai questo scritto in un sito internet che sarebbe doveroso citare, ma non lo segnai subito ed<br />

ora non riesco più ritrovarlo; chiedo scusa allo scrittore; spero di rintracciarlo in seguito)<br />

Religione è ricerca di un rapporto speciale con Dio, mediante la preghiera, la meditazione, lo studio,<br />

la predicazione, il culto e il culto silenzioso. Talora essa produce rituali suggestivi, usati in comune<br />

per creare un'atmosfera adatta ad elevare ed a rientrare in sé. V'è chi non potrebbe fare a meno di<br />

tali forme di culto. Ma quando la forma prende il posto della meditazione, o la condiziona; quando<br />

la parola dell'uomo prevale sullo spirito; quando la parola delle Sacre Scritture viene usata in modo<br />

abusivo; quando le Scritture vengono usate contro qualcuno, per distruggere o emergere e non per<br />

costruire - non siamo più in presenza di una religione genuina. L'uomo usando colori e suoni e<br />

forme e movimenti ed altri doni di Dio con l'illusione di creare con le proprie forze una scala al<br />

paradiso può, involontariamente e in buona fede, creare invece una barriera invisibile fra l'umanità e<br />

Dio stesso. <strong>Il</strong> Culto Silenzioso è un modo per escludere in partenza il rischio che forme liturgiche<br />

inventate dall'uomo si frappongano fra la creatura e il suo Creatore, impedendole di trovare la luce<br />

della scintilla divina che ha in sé. Ma anche qui, il culto comunitario silenzioso non è il solo<br />

momento in cui la ricerca della luce divina, che il ritrovato rapporto con lo Spirito di Cristo può<br />

riaccendere, si può portare avanti. Anche fuori del culto comunitario, il silenzio può come la<br />

preghiera, diventare un ponte fra la solitudine dell'uomo e Dio, permettendo alla prima di<br />

trasformarsi in strumento di elevazione spirituale. Una volta creato un nuovo rapporto con lo


Spirito, è molto facile che la vita quotidiana sia del continuo trasformata in qualcosa di interessante<br />

e positivo, come la testimonianza, l'azione di solidarietà, in modi prima impensabili, con i nemici di<br />

ieri, con spirito ecumenico, interreligioso, interrazziale, interculturale. Dovunque, nell'atmosfera di<br />

pace spirituale e sociale, di equilibrio e di equanimità che il culto silenzioso - comunitario o<br />

solitario - induce, Dio, che non ha mai abbandonato alcuna delle Sue creature, fa a Suo modo<br />

sentire la Sua voce. (Livorno 7.4.1987)<br />

IL VERO GIUBILEO (da un opuscolo delle Chiese Cristiane Evangeliche “Assemblee di Dio<br />

in Italia”)<br />

Roma nel 2000 sarà meta di pellegrinaggio per milioni di persone provenienti da tutto il mondo. La mole di<br />

lavori pubblici volti a rendere la città in grado di accogliere un così straordinario afflusso di devoti dà l'idea<br />

dell'importanza di tale avvenimento. Questo turbinio di preparativi, ben pubblicizzati, sta quasi facendo<br />

passare in secondo piano le ragioni vere che hanno indotto le massime autorità cattolico-romane ad indire un<br />

Giubileo e, soprattutto, la legittimità biblica di questa manifestazione religiosa internazionale.<br />

IL GIUBILEO CATTOLICO ROMANO: Un’importante enciclopedia italiana descrive così il<br />

Giubileo: “Per i cattolici, anno (detto anche anno santo) in cui gode di speciali indulgenze e<br />

privilegi spirituali chiunque compia particolari pratiche di pietà, tra le quali il viaggio a Roma e la<br />

visita alle quattro grandi basiliche della cristianità (San Giovanni in Laterano, San Pietro in<br />

Vaticano, Santa Maria Maggiore e San Paolo fuori le mura)". <strong>Il</strong> primo Giubileo fu indetto nel 1300<br />

da Bonifacio VIII, il papa inviso a Dante. La ricorrenza doveva celebrarsi ogni cento anni e serviva<br />

"per aumentare il numero dei pellegrini che visitavano Roma". Fu Clemente VI a stabilire che, a<br />

partire dal 1350, vi fosse un Giubileo ogni cinquant'anni, rifacendosi all'anno giubilare biblico il<br />

quale veniva indetto, appunto, ogni mezzo secolo. Urbano VI lo istituì ogni trentatré anni e Paolo <strong>Il</strong><br />

ogni venticinque. Oltre a questi Giubilei ordinari, ve ne sono stati di straordinari come quello, ad<br />

esempio, del 1933 per il diciannovesimo centenario della morte di Gesù Cristo e quello del 1966 per<br />

la conclusione del Concilio Vaticano II.<br />

IL GIUBILEO EBRAICO: Rivolgiamoci alla Bibbia per comprendere cosa realmente si<br />

intendeva nell’Antico Testamento per Giubileo. Quello ebraico era costituito dall'anno dello Yobel,<br />

cioè del suono del corno, infatti questo strumento veniva suonato per annunciare il giubileo (Lev.<br />

25:8-55). Era quello l'anno della liberazione, l'anno della grazia. Secondo la legge mosaica ogni<br />

settimo anno doveva essere considerato sabatico (Lev. 25:1-7), anche la terra doveva "avere il suo<br />

tempo di riposo consacrato al Signore", in questo periodo non si seminava e non si raccoglieva.<br />

Quanto cresceva spontaneamente era proprietà comune del povero, dello straniero e degli animali.<br />

Questa norma non soltanto serviva a rinvigorire la terra, ma insegnava al popolo la realtà della<br />

provvidenziale potenza e presenza di Dio, affinché fosse istruito per porre la propria, totale fiducia<br />

in Dio. Dopo sette settimane di anni, cioè 49 anni, il cinquantesimo era proclamato "anno<br />

giubilare", cioè l'anno della redenzione universale. Tutti i prigionieri ottenevano la libertà, gli<br />

schiavi erano dichiarati liberi, ai debitori veniva annullato ogni debito. Ogni eredità era di nuovo<br />

riconsegnata all'erede originario. Tutti potevano raccogliere liberamente ed utilizzare i frutti che la<br />

terra produceva spontaneamente. Le proprietà, che erano state per qualsiasi ragione alienate durante<br />

i quarantanove anni precedenti, dovevano ritornare al proprietario iniziale, perché Dio ricordava al<br />

popolo che “La terra è mia e voi state da me come stranieri ed ospiti" (Lev. 25:23). Dio è il Signore<br />

del creato e l'uomo ne è soltanto l'amministratore ed il possessore temporaneo. Alcuni studiosi<br />

della Scrittura hanno considerato il versetto dell'Evangelo, "Date e vi sarà dato; vi sarà versata in<br />

seno buona misura, pigiata, scossa e traboccante" (Luca 6:38) come un indizio che il ministerio<br />

pubblico del Signore sia iniziato in un anno giubilare. Indubbiamente possiamo affermare che le<br />

parole di Isaia 61:1,2, che Gesù lesse nella sinagoga di Nazareth, "lo Spirito del Signore è sopra di


me; perciò mi ha unto per evangelizzare i poveri; mi ha mandato ad annunciare la liberazione ai<br />

prigionieri, e ai ciechi il ricupero della vista; a rimettere in libertà gli oppressi, e a proclamare l'anno<br />

accettevole del Signore" (Luca 4:18,19) provano che il Giubileo ebraico aveva il valore tipico<br />

della dispensazione della Grazia.<br />

IL GIUBILEO <strong>CRISTIANO</strong> Gesù con la sua venuta non ha certo inaugurato un anno giubilare,<br />

ma, come Lui stesso affermò nella sinagoga di Nazareth, l'anno accettevolo del Signore: un'epoca<br />

gloriosa di Grazia. Infatti è scritto: "Io ti ho esaudito nel tempo favorevole e ti ho soccorso nel<br />

gíomo della salvezza. Eccolo ora il tempo favorevole; eccolo ora il giorno della salvezza" (11 Cor.<br />

6:2). il riscatto della terra è sostituito dalla redenzione dell'uomo, anch'esso fragile argilla. L’opera<br />

di espiazione compiuta da Cristo, infatti, garantisce la liberazione dell'anima da ogni laccio e da<br />

ogni oppressione. <strong>Il</strong> Signore dichiarò sulla croce: "Tutto è compiuto". <strong>Il</strong> valore della Sua opera non<br />

può essere limitato a tenipi, stagioni o anni. Viviamo dunque nella dispensazione della Grazia<br />

universale di Dio acquistata dall’opera perfetta che Cristo ha compiuto sul Calvario. Questo è il<br />

vero anno del Giubileo, l'anno accettevole del Signore, il tempo favorevole, il giorno della salvezza.<br />

Le limitazioni e le regole umane non possono ridurre il valore di questa illimitata opera di grazia di<br />

Cristo. Molto più di semplici indulgenze, il Salvatore ha donato "al popolo conoscenza della<br />

salvezza mediante il perdono dei loro peccati, grazie ai sentimenti di misericordia del nostro Dìo per<br />

i quali l'Aurora dall'alto ci visiterà" Egli ha visitato l'umanità “per risplendere su quelli che<br />

giacciono in tenebre e in ombra di morte, per guidare i nostri passi verso la via della pace” (Luca<br />

1:77-79). Soltanto il ministerio, la morte, la risurrezione e l'ascensione di Gesù garantiscono il<br />

perdono dei peccati, che costituivano il grande debito che avevamo con Dio e che ci aveva costretti<br />

in schiavitù. Oggi, nel tempo della Grazia, per mezzo dell’opera di Gesù e dell'azione dello Spirito<br />

Santo, abbiamo piena libertà: "<strong>Il</strong> peccato non vi signoreggerà più" (Rom. 6:14), “perché la legge<br />

dello Spirito della vita in Cristo Gesù mi ha liberato dalla legge del peccato e della morte” (Rom.<br />

8:2). Perché "secondo il disegno eterno che egli (Dio) ha attuato mediante il nostro Signore Gesù<br />

Cristo,... abbiamo la libertà di accostarci a Dio con piena fiducia, mediante la fede in lui"<br />

(Ef.3:11,12). <strong>Il</strong> vero Giubileo cristiano non è un periodo limitato e occasionale, ma si protrae fino al<br />

giorno del glorioso ritorno di Gesù Cristo per tutti coloro, che ponendo la propria fiducia nella Sua<br />

perfetta opera redentrice, Lo accettano come Salvatore e Signore. Vi è un pellegrinaggio che dura<br />

tutta un'esistenza e si snoda lungo le strade della vita, alla ricerca della verità e dell'appagamento<br />

interiore. Questo viaggio per molti versi penoso, che tutti gli uomini intraprendono fin dall'età della<br />

ragione, è fatto anche di tappe religiose. Dio però ha preparato per l'umanità qualcosa di diverso. Se<br />

per gli antichi ebrei il segnale convenuto dell'inizio del Giubileo era il suono dei corno, oggi un<br />

suono nuovo e forte giunge ad ogni uomo: "Cristo è morto per i nostri peccati" (1 Cor. 15:3).<br />

Questo è l'Evangelo della grazia. Oggi come allora è sufficiente credere nell'annuncio di liberazione<br />

e redenzione. Lo schiavo ebreo al suono del corno era già libero e nessuno avrebbe potuto<br />

impedirlo. Crediamo alla liberazione che Cristo ha già ottenuto per noi ed istantaneamente ne<br />

godremo i meravigliosi frutti di salvezza, pace e libertà: "Credi nel Signore Gesù, e sarai salvato tu<br />

e la casa tua” (Atti 16:31).<br />

Riflessioni religiose di vita coniugale (di Renzo e Carmela)<br />

Come la maggior parte delle coppie che vivono insieme da molti anni anche noi abbiamo avuto<br />

periodi difficili. Non siamo più bravi né meno bravi di altri, tuttavia il Signore ci ha aiutati molto a<br />

superare le nostre tempeste personali e di coppia e pensiamo che qualche considerazione in merito<br />

potrebbe essere utile. Riporto argomenti di cui ogni tanto parliamo.


1) «Perciò l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due diverranno una<br />

sola carne».(Efes. 5:31; anche Mar 10:7 e Gen 2:24)<br />

a) Ciò che abbiamo imparato per noi stessi, singolarmente, va applicato anche nella coppia. Quando<br />

uno sta bene, sta bene anche l’altro; se uno sta male sta male anche l’altro; volenti o nolenti le vite<br />

si uniscono e i destini si incrociano. Chi ci vive accanto diventa il nostro “alter ego”. Non è sempre<br />

piacevole eppure è un grande dono. Prendiamo una persona con molti difetti, come me: io sono uno<br />

che giudica molto se stesso; mi sono sempre trattato in maniera severa, pretendendo moltissimo,<br />

anzi troppo. Nel momento che vivo con una moglie, vedo su di lei il frutto di quello che sono in<br />

eccesso e in difetto. In questo caso istintivamente riverserò su di lei il mio rigore, i giudizi continui,<br />

diverrò uno che rimprovera sempre, uno che soffoca ed inibisce ogni attività. Tratterò la mia<br />

compagna esattamente come tratto me stesso (e forse come io stesso ero stato trattato<br />

nell’infanzia). Inevitabilmente riverserò queste brutte cose anche sul mio prossimo. Abbiamo una<br />

grande opportunità nel vivere insieme: il poterci correggere. “Nessuno infatti ebbe mai in odio la<br />

sua carne, ma la nutre e la cura teneramente, come anche il Signore fa con la chiesa”(Efesini 5:29)<br />

“La propria carne” dunque, se collegate questo versetto con quello sopra, non siamo solo noi stessi,<br />

ma anche il marito o la moglie che vivono con noi; e per estensione lo è anche la nostra comunità,<br />

la nostra chiesa, il prossimo… vedete dunque quanto sia importante imparare a correggersi.<br />

b) Altro punto di riflessione è quel “lascerà suo padre e sua madre..” molti di quelli che ci<br />

contattano vivono matrimoni in cui il legame coi genitori non finisce mai e crea inevitabilmente<br />

grossi problemi alla famiglia. Mi diceva un avvocato che il 90 per cento dei divorzi è motivato da<br />

interferenze dei genitori nella vita matrimoniale dei figli. Genitori che non vogliono lasciare i figli o<br />

figli che non vogliono separarsi dai genitori. Comunque sia il fenomeno è più vasto di quello che<br />

sembra; ed è destinato, pare, ad aumentare. L’indipendenza della coppia è importante, non ci può<br />

essere una vera nuova famiglia senza la libertà di poter decidere (e perché no, anche sbagliare)<br />

autonomamente.<br />

2) “Poiché l'Eterno, il DIO d'Israele, dice che egli odia il divorzio e chi copre di violenza la sua<br />

veste», dice l'Eterno degli eserciti. Badate dunque al vostro spirito e non comportatevi<br />

perfidamente.” (Malachia 2:16). Toccherò solo di sfuggita questo tema che abbiamo reso una<br />

guerra tra chiese e tra partiti, lasciando alle coscienze di ciascuno motivate dalle specifiche<br />

esperienze di coppia la decisione in merito al divorzio; tuttavia, pure se tra i meno adatti a parlare<br />

(io stesso sono uno divorziato e risposato), vorrei sottolineare un comportamento di coppia che va<br />

molto di moda in questi tempi: non si lascia la moglie o il marito, sarebbe troppo complicato, si<br />

preferisce mantenere una facciata “perbene” e vivere un amore nuovo, o più amori, in maniera<br />

ambigua, con mille autogiustificazioni. I motivi possono essere diversi: interesse economico, sensi<br />

di colpa religiosi, responsabilità morale verso i figli… non entro in merito. <strong>Il</strong> punto che vorrei<br />

sottolineare è che, comunque sia, chi ci sta davanti, quell’uomo o quella donna con cui siamo<br />

sposati o con cui comunque viviamo insieme, raffigura anche una persona che ci sta dentro.<br />

Possiamo ignorarlo, ma è così. A volte il Signore ci mette davanti, raffigurati in un marito o in una<br />

moglie, gli aspetti peggiori di noi stessi che non vogliamo accettare. Inutile scappare. Avere il<br />

coraggio di affrontarli, secondo il mio modestissimo parere, è sempre un bene. In ogni caso. Si<br />

affronterà un crisi forse, ma poi se ne uscirà con chiarezza e coerenza; qualsiasi decisione si prenda.<br />

<strong>Il</strong> rischio? Affrontare la crisi, capire tutto e poi… tornare come prima.<br />

3) “Quando lo spirito immondo esce da un uomo, vaga per luoghi aridi, cercando riposo; e, non<br />

trovandone, dice: "Ritornerò nella mia casa dalla quale sono uscito". E, se quando torna, la trova<br />

spazzata e adorna, allora va e prende con sé sette altri spiriti peggiori di lui, ed essi entrano là e vi<br />

abitano; e l'ultima condizione di quell'uomo diviene peggiore della prima»”. (Lc 11:24-26)


E’ difficile, ci vogliono anni per trovare accordi, armonie. Quando si trova il giusto ritmo è molto<br />

bello e ci si sente forti. Ma attenzione è una formazione giovane, on ancora provata dall’esperienza.<br />

Questo strato leggero, può reggere alle difficoltà chiamiamole “di routine”, ma non è ancora<br />

abbastanza resistente per grossi ostacoli. Non bisogna mai dimenticare dunque, che i cambiamenti<br />

sono lenti, hanno bisogno di tempo per radicarsi. Non aspettiamoci troppo da noi stessi; vigiliamo<br />

attentamente per non ricadere nelle trappole passate. Non lasciamoci più coinvolgere troppo<br />

dall’emotività del passato. Certe ferite non si rimarginano subito ma richiedono una continua<br />

presenza del Signore che le guarisce. Inoltre, proprio come diceva mia moglie, ricordiamo pure certi<br />

aspetti del passato se tornano alla mente, anche aspetti dolorosi, ma senza odio; scegliendo momenti<br />

e tempi adatti per parlarne. “E, detto questo, mostrò loro le sue mani e il costato. I discepoli<br />

dunque, vedendo il Signore, si rallegrarono.” (Giovanni 20:20) Certe ferite siano dunque solo il<br />

segno di riconoscimento, il ricordo che contraddistingue la vittoria e non la sconfitta: Gesù il<br />

Risorto mostra le ferite come un vincitore, anche noi rivedremo le nostre ferite di coppia come<br />

vincitori per i meriti di Gesù.<br />

Salmo di pentimento Collaborazione col gruppo evangelico UZZIEL (vedi indirizzi in<br />

“Spazioaperto”):<br />

O Signore elevo a te la mia voce ed il mio grido disperato. \ I peccati che gravano su me sono<br />

talmente pesanti che non ho più le forze \ per portarli. Ho paura, tanta paura di cadere e non potermi<br />

più rialzare. \ Sento un forte dolore dentro me che mi soffoca, distruggendomi lentamente…. \ E' il<br />

dolore di averti lontano da me che mi fa stare così male, e la rabbia \ di non poter far nulla di fronte<br />

a questo muro che si erge dinanzi a me. \ O Signore adesso che non riesco più a scorgere il tuo<br />

sguardo, adesso che \ non ti sento vicino al mio cuore, proprio adesso comprendo la mia inutilità \ e<br />

la miseria. Vedo la mia vita avvolta nelle tenebre più fitte, nei miei \ giorni non ci sarà nessun<br />

raggio di sole che li illuminerà col suo chiarore, \ il mio cuore prima o poi si consumerà dal dolore,<br />

tutto questo accadrà se tu non sarai con me. \ No mio Dio, non voglio vivere la mia vita nelle<br />

tenebre più profonde, non voglio ritrovarmi col cuore distrutto dal dolore no mio Dio non voglio! \<br />

Eppure sono così tante le volte che ti ho deluso, sono tanti i dolori che ti ho dato, sono tante le volte<br />

che ti ho disubbidito, sono tanti ma tanti gli errori che ho fatto. \ Ora che sono nella miseria mi<br />

rendo conto che tu sei il mio tutto: l'aria senza la quale potrei vivere, l'acqua senza la quale non<br />

potrei dissetarmi, il pane senza il quale non potrei saziarmi…. Ti amo Gesù \ con tutta me stessa, so<br />

di avere sbagliato, ma ti prego perdonami, cancella tutti i miei peccati e annulla i miei pensieri \ TI<br />

PREGO NON LASCIARMI DA SOLA MIO DIO HO BISOGNO DI TE!<br />

PSICOLOGIA<br />

LA FAME DI CAREZZE E DI STRUTTURAZIONE DEL TEMPO Frammento da “Nati<br />

per vincere” di M. James e D. Jongeward – Analisi Transazionale con esercizi di Gestalt; cap.III<br />

“Se tu mi tocchi con dolcezza e tenerezza, se tu mi guardi e mi sorridi, se qualche volta prima di parlare mi<br />

ascolti, io crescerò, crescerò veramente” (Bradley, 9 anni)<br />

Ognuno di noi ha bisogno di essere toccato e di essere riconosciuto dagli altri. Tutti abbiamo bisogno di fare<br />

qualcosa del tempo che corre fra la nostra nascita e la nostra morte. Berne ha denominato "fame" queste<br />

esigenze biologiche e psicologiche. La fame di essere toccati e riconosciuti può essere appagata con le<br />

carezze: queste sono « qualsiasi atto che implichi il riconoscimento della presenza dell'altro ». Possono<br />

essere date carezze in forma di reale contatto fisico o qualche forma simbolica di riconoscimento come uno


una parola, un gesto o una qualsiasi azione che significhi “so che ci sei". La fame di carezze spesso è<br />

determinante per l'uso che una persona fa del proprio tempo. Si possono, per esempio passare minuti, ore o<br />

una vita intera cercando carezze in molti modi, anche ricorrendo ai giochi psicologici; oppure trascorrere<br />

minuti, ore o una vita intera cercando di evitare carezze, rinchiusi in se stessi.<br />

DEPRESSIONE: L'INCAPACITÀ DI ESSERE FELICI.<br />

Dott. Luigi Di Giuseppe psicologo, Psicoterapeuta - Responsabile Unità Operativa di Riabilitazione<br />

Psicologica Casa di Cura Villa Pini d'Abruzzo – Chieti (Prima parte)<br />

http://www.psicoline.it/prodotto_servizio/depressione<br />

Se una mattina svegliandovi vi sentite a disagio, se l'idea di dare inizio alla giornata vi provoca<br />

malessere, se la prospettiva di andare in ufficio e di affrontare la routine quotidiana vi suscita un senso<br />

di nausea o di rifiuto, può darsi che stiate vivendo un sentimento di depressione.Ma può anche darsi<br />

che siate all‘inizio di un episodio depressivo che potrebbe causarvi un considerevole fastidio.<strong>Il</strong> modo<br />

empirico per stabilire in quale di delle due situazioni vi trovate può essere quello di chiedervi se vi<br />

piacerebbe piantare tutto per andare da qualche parte, a Parigi o alle Seychelles, oppure, più<br />

semplicemente, da qualche amico in un‘altra città.Se la vostra risposta sarà : "Magari!", con un senso<br />

di sollievo, è probabile che il vostro sia un semplice, anche se noioso, ”Sentimento Depressivo". Ma se<br />

la risposta fosse: È inutile o: Non me ne importa niente, tanto non cambierebbe nulla, allora è<br />

probabile che siate all‘inizio di ”episodio di depressione".Molte persone soffrono in questo modo<br />

giorno dopo giorno per tutta la vita, immerse in un grigiore permanente che nei casi peggiori può<br />

trapassare nella completa oscurità. Sono imprigionate nel ”buco nero" della depressione.Chi soffre<br />

così sa bene che c'è qualcosa in lui che non va ma non è detto che chiami questa condizione malattia.<br />

E chi mai, in fondo, considera la semplice stanchezza, apatia, tristezza e irritazione? Malgrado tutta<br />

l'opera di divulgazione psichiatrica le malattie fisiche continuano ad essere accettate più di quelle<br />

psichiche. Ciò vale anche per la depressione, che presenta agli occhi della gente un'immagine molto<br />

peggiore in confronto alle malattie somatiche.In una società dove giovinezza, forma fisica, salute ed<br />

efficienza occupano i posti più alti nella scala dei valori, la depressione rappresenta una grossa<br />

minaccia. Nè cambia nulla il fatto che anche persone famose e di successo come Abramo Lincon,<br />

Winston Churchill, Ernest Hemingway, Marilyn Monroe, abbiano dovuto lottare con la depressione.<br />

Ed è anche per questo motivo, per questa discriminazione, che molti depressi raccolgono tutte le loro<br />

forze per cercare di mantenere all‘esterno una apparenza di normalità.Cercano disperatamente<br />

spiegazioni plausibili del loro stato: una volta è la cattiva stagione (la pioggia in fondo deprime anche<br />

gli altri), una volta il raffreddore, un'altra è che hanno dormito male o hanno mangiato qualcosa di<br />

guasto, oppure hanno litigato col principale. E quando poi non sanno più a che cosa appigliarsi,<br />

dichiarano di essere pessimisti per natura. Ma qualunque sia la scappatoia trovata, lo scopo è sempre<br />

lo stesso: illudersi che in fondo non sia nulla.Grazie a questa capacità di autoinganno i casi non troppo<br />

gravi di depressione risultano invisibili al mondo esterno. Nel paziente invece si svolge una lotta<br />

ininterrotta, una lotta con se stesso per la sopravvivenza. C'è l‘insonnia o un bisogno accresciuto di<br />

sonno, irrequietezza ed irritabilità, pensieri suicidi. Alcuni aumentano di peso, altri dimagriscono a<br />

vista d‘occhio. Si perde la capacità di concentrazione, mentre scompare anche il desiderio sessuale. In<br />

molti casi a tutto questo si aggiungono dolori cronici, che a volte prendono il sopravvento tanto da<br />

occultare completamente i sintomi depressivi.<strong>Il</strong> medico di famiglia si trova di fronte a pazienti che<br />

lamentano cefalee, disturbi digestivi, dolori gastrici o sintomi cardiaci, senza che i trattamenti consueti<br />

diano alcun risultato (cosa che non può sorprendere dato che il problema vero rimane irrisolto).In<br />

questi casi si parla di depressione larvata. <strong>Il</strong> 90% di questi pazienti si aspetta un aiuto dalla medicina<br />

generale e comincia così un pellegrinaggio da un medico all'altro, che spesso si trascina per anni. Su<br />

scala mondiale, secondo le stime dell‘Organizzazione Mondiale della Sanità, dal 3 al 5% della<br />

popolazione è colpito da depressione cronica, per un totale di 120-200 milioni di casi. Altri studi


epidemiologici mostrano un chiaro aumento dell‘incidenza di questa malattia ma alcuni specialisti<br />

mettono in dubbio che l'aumento osservabile dell'incidenza sia da attribuire ad una crescita effettiva<br />

della malattia ed imputano il fenomeno anzitutto al miglioramento delle diagnosi, alla maggior<br />

conoscenza di questi disturbi nella popolazione generale e all'introduzione, verso la metà degli anni<br />

50, dei farmaci antidepressivi. Infatti, solo quando si dispone di cognizioni sufficienti e trattamenti<br />

adeguati la diagnosi diventa possibile e corretta. C'è un'altra ragione che può spiegare l‘aumento dei<br />

casi riconosciuti di depressione. È infatti opinione comune che questa sia diventata un ”pezzo forte"<br />

nel repertorio delle malattie mentali, tanto da indurre qualcuno a parlare di malattia epocale. Per la sua<br />

frequenza la depressione è stata chiamata anche il ”raffreddore" della psichiatria. Seppure il paragone<br />

non rende giustizia alla gravità di questa malattia, ci sono tuttavia dei parallelismi: come dal<br />

raffreddore anche dalla depressione nessuno può dirsi veramente al riparo. Colpisce uomini e donne,<br />

giovani e vecchi, abitanti di nazioni industrializzate e di paesi in via di sviluppo. Vale la pena di aprire<br />

a questo punto una veloce parentesi per chiarire concretamente CHI DIVENTA DEPRESSO<br />

dividendo la popolazione in quattro grandi categorie: Sesso, Età, Stato civile e classe sociale. Sesso :<br />

Non c‘è ricerca o rassegna da cui non risulti che sono sopratutto le donne a soffrire di depressione.<br />

Come regola empirica vale questa: su tre pazienti, due sono donne. Per questo dato di fatto è stata<br />

avanzata una grande quantità di spiegazioni ed ipotesi, fra cui spesso anche l‘idea che le donne siano<br />

più pronte a chiedere aiuto rivolgendosi ad uno specialista. Questa tesi è contraddetta da alcuni studi<br />

in cui non ci si è limitati a considerare i pazienti già in trattamento. Allo stesso modo è solo una<br />

congettura che le donne siano più reattive allo stress o vivano un maggior numero di eventi come<br />

esperienze stressanti. D‘altra parte, sottoponendo donne e uomini ad uno stress altrettanto intenso le<br />

donne denunciano sintomi più chiari. Forse le donne ammettono i sintomi più facilmente degli uomini,<br />

che magari minimizzano il problema o lo combattono con l‘alcol. Altre spiegazioni puntano sul<br />

diverso regime ormonale (dopo il parto ed in menopausa le donne sono particolarmente esposte alla<br />

depressione), sulla discriminazione sociale delle donne, sui conflitti di ruolo e sulla mancanza di<br />

potere in una società dominata dai valori maschili. Età : Le ricerche più recenti sono unanimi nel<br />

segnalare un aumento delle forme depressive nei giovani. In particolare la fascia di età compresa dai<br />

18 ai 44 anni sembra essere più colpita che negli anni passati. Anche qui emergono differenze fra i<br />

sessi : fra le donne l‘incidenza è maggiore prima dei 35 anni mentre fra gli uomini la fascia di età più<br />

colpita è quella fra i 55 ed i 70 anni. Stato civile : Su questo punto le ricerche disponibili presentano<br />

una graduatoria chiara ed univoca : l‘incidenza delle depressioni è minima fra gli uomini sposati,<br />

seguiti dalle donne sposate e poi, nell‘ordine, dalle nubili o vedove, dai celibi, vedovi o separati. <strong>Il</strong><br />

gruppo più esposto è quello dele separate o divorziate. Classe sociale : Le depressioni insorgono più<br />

spesso nelle classi sociali inferiori. L‘idea che la depressione sia una malattia ”di lusso" che interessa<br />

sopratutto i gruppi socialmente privilegiati è un grande pregiudizio. Tornando al nostro discorso<br />

precedente possiamo affermare che chiunque può, in qualunque momento, cadere in depressione. A<br />

volte si tratta di una singola fase isolata che non si ripete più a volte invece la depressione diventa una<br />

compagna costante. Quanto più sono numerose le persone che incorrono in stati depressivi tanto più<br />

pressante diventa la domanda sulle cause della malattia. Ma purtroppo risposte certe ed univoche in<br />

merito non è ancora possibile averne. Negli ultimi tempi è aumentata moltissimo la conoscenza nel<br />

campo della neurofisiologia, anche grazie all‘enorme mole di ricerche che sono state condotte nel<br />

frattempo e, grazie a ciò, è possibile aiutare molti più pazienti e molto più efficacemente ma, anche se<br />

qualcuno ha creduto che questa fosse la strada maestra per arrivare ad una risposta risolutiva in tempi<br />

brevissimi, ancora una volta non è possibile affermare che esistono risposte certe ed univoche in<br />

merito. <strong>Il</strong> celebre psichiatra e psicoanalista francese Daniel Widlöcher afferma che ”Ogni progresso<br />

del nostro sapere solleva sempre più domande nuove di quante risposte ci dia". Anche se le certezze<br />

sono ancora scarse abbiamo nel frattempo una gran quantità di ricerche genetiche, biologiche e<br />

psicologiche che offrono approcci molto promettenti. Generalizzando al massimo si può dire che<br />

fattori genetici e ambientali collaborano in misura diversa nello sviluppo e nel decorso delle<br />

depressioni ed inoltre dipende dalla forma di esse la preminenza di alcuni fattori piuttosto che di altri.<br />

A seconda delle cause ipotizzate la depressione va sotto nomi diversi. Nel DSM III, il manuale


diagnostico e statistico delle malattie mentali adottato dalla Associazione degli Psichiatri americani,<br />

entro la categoria generale delle ”turbe affettive" si distinguono gli episodi maniacali, gli episodi<br />

depressivi (le cosiddette forme unipolari) e la malattia bipolare con fasi maniacali e depressive. Sotto<br />

il nome di ”altre turbe affettive aspecifiche" sono rubricate la ciclotimia e la nevrosi depressiva. La<br />

differenza tra sentimento depressivo ed episodio depressivo di cui abbiamo parlato all‘inizio,<br />

corrisponde, in un certo senso, a quella che, nei manuali di psichiatria e di psicologia clinica, distingue<br />

la ”depressione esogena" dalla ”depressione endogena". Le depressioni endogene sono le più gravi ed<br />

hanno presumibilmente origine somatica mentre le depressioni psicogene, dette anche reattive o<br />

esogene, sono condizionate dall‘ambiente, cioè scatenate sopratutto da esperienze stressanti. Quindi le<br />

cause della depressione reattiva vanno ricercate all‘esterno, presumibilmente in un eccesso di<br />

stimolazioni sgradevoli o in un senso di stanchezza nei confronti della pressione esercitata dagli eventi<br />

ambientali. La soluzione, in questo caso, sarebbe nel trovare il modo di rallentare la pressione<br />

stimolatoria o, meglio ancora, nel modificarla agendo sull‘ambiente. Si potrebbe tentare di farcela da<br />

soli oppure sarebbe preferibile ricorrere all‘ausilio di uno psicoterapeuta esperto che sarebbe<br />

certamente di aiuto. La depressione endogena invece, come detto prima, nasce dentro di noi e<br />

l‘ambiente non c‘entra quasi per nulla. È per qualcosa che ci è capitato e che ha mutato il nostro modo<br />

di sentire o di essere che l‘idea di sottrarsi alla stimolazione ambientale non è di alcun conforto: il<br />

male è dentro e dovunque si vada lo si porta dietro. Esistono almeno due modalità per affrontare il<br />

problema della depressione, una interpretativa, l‘altra esplicativa. La prima, quella interpretativa,<br />

considera la depressione come un sentimento costituito da sensazioni spiacevoli associate ad<br />

immagini. Si tratterebbe di uno stato d‘animo, di un modo di sentire che rivela l‘esistenza di un<br />

conflitto emotivo. Non è la depressione che va curata ma il conflitto emotivo che la genera, affermano<br />

i sostenitori di questo modo di vedere. La seconda, quella esplicativa, ne pone l‘origine in uno<br />

squilibrio metabolico e nell‘alterazione biochimica cerebrale. Secondo questo diverso modo di<br />

intendere sia la depressione sia le altre turbe mentali dipendono dall‘alterazione dell‘equilibrio<br />

chimico che produrrebbe rappresentazioni mentali e costruzioni ideative anomale. Esaminiamo, anche<br />

se rapidamente, entrambe le ipotesi,per poi cercare di concludere il nostro discorso con alcune<br />

indicazioni terapeutiche. (continua)<br />

PSICOLOGIA E SPIRITUALITÀ<br />

Dott. Massimo Rinaldi Psicologo, psicoterapeuta Roma<br />

(http://www.psicoline.it/prodotto_servizio/Psicologia_e_spiritualita)<br />

<strong>Il</strong> rapporto tra psicologia e spiritualità è oggi molto diverso di quanto non fosse fino a cento anni fa,<br />

quando la psicologia era una figlia, pure poco illustre, della filosofia. La psicologia come scienza<br />

nasce quando, nella seconda metà del secolo scorso, nelle università di alcuni paesi occidentali<br />

vennero fondati dei "laboratori di psicologia", in cui si iniziò a studiare la psicologia umana secondo i<br />

metodi delle scienze naturali e venne abbandonato il legame con il metodo della speculazione<br />

filosofica. Viene celebrato come data di nascita della psicologia scientifica l’anno 1879, nel quale W.<br />

Wundt fondò il primo di questi laboratori presso l’università di Lipsia. Purtroppo, la corrente di<br />

pensiero più orientata in senso positivistico ritenne di celebrare contemporaneamente anche un<br />

funerale: quello del legame tra psicologia e filosofia, gettando via con ciò ogni conquista e ogni<br />

riflessione che non fossero figlie del nuovo metodo. La spiritualità, con ciò, diveniva un vezzo, un<br />

lusso superfluo, dannoso anzi per il rigore della ricerca scientifica. Almeno fino a quando – potrebbe<br />

dire un positivista convinto e ironico – qualcuno non riuscirà a misurare il volume di Dio, o lo<br />

spessore dello spirito umano. Tuttavia, anche il positivismo è una filosofia; credere di poter creare una<br />

psicologia puramente scientifica è un atto ingenuo se non presuntuoso. Proprio perché lo spirito<br />

umano non è assoggettabile al metodo delle scienze naturali, nello studio dell’uomo e della sua psiche<br />

il momento della interpretazione speculativa ha una parte importantissima, e i dati delle scoperte<br />

scientifiche non bastano a comprendere l’uomo, ma solo sue parti, sue dinamiche, suoi meccanismi


psichici. La filosofia, gettata via dalla finestra del rigore scientifico, rientra dalla porta della<br />

interpretazione dei dati della ricerca. Per comprendere appieno l’uomo, non basta studiare le sue<br />

emozioni, gli istinti, la memoria, la percezione, i sentimenti e così via: occorre considerare tutto ciò e<br />

quant’altro egli esprime, l’intera gamma dei comportamenti esteriori e interiori, e solo nella sintesi<br />

complessiva avremo finalmente dinanzi a noi la sua essenza, il suo essere reale. Ci sono funzioni<br />

psichiche, come l’immaginazione o il pensiero creativo, che un tempo venivano chiamate attività<br />

spirituali. Sarebbe bene continuare a chiamarle così. Ad onore della psicoanalisi e dei suoi fondatori,<br />

nelle diverse correnti (Freud, Jung, Adler in primis), va sottolineato che essa fu sostanzialmente esente<br />

da errori così marchiani circa la comprensione dell’essere umano. Lo zelo metodologico della<br />

psicologia scientifica non contagiò il movimento psicoanalitico. Nonostante gli errori dovuti al suo<br />

riduzionismo sessuale, derivante dalla eccessiva importanza attribuita da Freud all’aspetto sessuale<br />

della vita psichica, la psicoanalisi ebbe sempre come riferimento l’essere umano nella sua realtà<br />

interiore, sia pure interpretandola monoideisticamente nel senso della libido sessuale. Nella odierna<br />

pratica della psicoterapia, le linee di tendenza di allora si sono confermate, e vi troviamo quindi<br />

impostazioni diverse, in linea con le loro origini. Inoltre, nuove scuole sono nate e anch’esse si<br />

differenziano notevolmente tra loro in ordine alla filosofia sottesa, materialista o spiritualista. Nelle<br />

impostazioni delle scuole junghiana, frankliana e steineriana, in particolare, la dimensione spirituale<br />

dell’essere umano viene non solo accettata, ma anche messa in risalto e considerata come il vero luogo<br />

interiore, imprescindibile anche per lo stesso intervento psicoterapeutico. Queste tre diverse<br />

impostazioni sono di fatto imparentate se non simili, poiché tutte rispettano la natura complessa<br />

dell'essere umano, la profondità della sua esperienza interiore, la varietà delle sue esigenze e dei suoi<br />

bisogni. Nessuna di esse riconduce ad una teoria riduttiva le diverse spinte pulsionali, riconoscendo<br />

esse piuttosto una gerarchia dei bisogni, nella quale la base è formata dalle pulsioni legate alle funzioni<br />

corporee, e la cima dai bisogni dello spirito umano. La psicologia accademica attuale continua ad<br />

inseguire risultati di vario genere, purché scientificamente testati, ma non più a costo di negare la<br />

realtà della psiche; infatti, in molte scuole universitarie gli orizzonti si sono ampliati e, per così dire,<br />

umanizzati. L'evento della riunione tra le varie linee di tendenza, che si vorrebbe avvenisse in una<br />

scienza matura, è però ancora lungi da venire, e di fatto l’ipoteca materialista derivante dal<br />

positivismo selvaggio si contrappone ancora pesantemente al riconoscimento scientifico della<br />

dimensione spirituale dell’essere umano. Questo appare come un pesante controsenso, poiché la<br />

psicologia più delle altre scienze umane avrebbe potuto e dovuto essere anche una base per la<br />

fondazione di una scienza dello spirito, capace di donare basi scientifiche alle verità affermate da<br />

quelle concezioni filosofiche che sempre, nel corso dei secoli precedenti, avevano individuato nella<br />

psiche umana un elemento di contatto e di passaggio tra il mondo divino e quello terreno. Ciò<br />

nonostante, l'esistenza di correnti non materialiste all'interno del mare magnum della psicologia<br />

contemporanea testimonia l'insopprimibilità dell'impulso spiritualista, ossia l'impossibilità di mettere a<br />

tacere la coscienza profonda della realtà interiore dell'essere umano.<br />

L'incapacità di elaborare il lutto come conseguenza di un inadeguato<br />

apprendimento della gestione delle emozioni (seconda ed ultima parte)<br />

by Dr. Paolo Roccato -Medico Psicoterapeuta Psicoanalista - read at the Conference "L'esperienza depressiva tra<br />

sofferenza e conflittualità" held in San Maurizio Canavese (Torino) on December the 1st, 1995] [da una pagina del Centro<br />

Torinese di Psicoanalisi ]<br />

Bene. Noi nasciamo con degli schemi innati specie-specifici (cioè legati al patrimonio genetico<br />

della specie) che ci rendono possibili i vari modi di gestire le nostre emozioni; ma, per riuscire poi a<br />

metterli in atto, abbiamo la necessità di un apprendimento selettivo specifico. Apprendimento che<br />

rientra nel grande insieme di fenomeni evolutivi che potremmo chiamare "apprendimento<br />

relazionale". <strong>Il</strong> risultato sarà che non tutti i modi di cui abbiamo gli schemi innati in dotazione<br />

saranno da noi sviluppati, ma solo quelli che avremo potuto strutturare nello specifico


apprendimento relazionale. Tali modi risentiranno in modo decisivo delle esperienze reali che<br />

abbiamo potuto fare nel nostro reale ambiente umano. Essi saranno, perciò, profondamente<br />

influenzati dai portati antropologicoculturali del nostro ambiente di vita e dalle caratteristiche<br />

personali e dalle intenzioni (consce e soprattutto inconsce) di coloro con cui ci siamo trovati<br />

impegnati nelle relazioni fondanti di base. Vale la pena aggiungere che i modi di gestire ogni<br />

singola emozione non sono infiniti: sono molti, ma in numero finito. E sono riconoscibili e<br />

descrivibili. E possono, con maggiore o minore difficoltà a seconda delle esperienze passate e delle<br />

capacità del soggetto, essere appresi anche dall'adulto. Ma tale apprendimento non può realizzarsi<br />

se non all'interno di esperienze relazionali significative, nelle quali è più importante ciò che il<br />

partner è e fa, che non ciò che egli dice. Tutte le emozioni, anche quelle di piacere, esigono di<br />

essere gestite dal soggetto. Ma non sempre il compito è possibile. Vi sono esperienze di<br />

disperazione così estreme che non sono elaborabili, quali quelle di molti sopravvissuti ai campi di<br />

sterminio nazifascisti. Si veda, in proposito, fra i molti, il bel libro Le candele della memoria di<br />

DINA WARDI, (WARDI DINA (1992), Nossé ha-chotàn. Dialòg im béné hadò hashenì leshohà,<br />

trad. it di EMANUELE BEERI e TANIA GARGIULO: Le "candele della memoria". I figli dei<br />

sopravvissuti all'Olocausto: traumi, angosce, terapia, Sansoni, Milano 1993)che, studiando<br />

la strutturazione della patologia mentale e i percorsi terapeutici dei figli dei sopravvissuti ai Lager,<br />

mostra come l'impossibilità genitoriale induca nei figli un'incapacità di gestire le emozioni. Ma<br />

come succede che impariamo a gestire le emozioni? E, soprattutto, come succede che non<br />

impariamo? <strong>Il</strong> problema non è solo teorico, dato che sempre più spesso nella pratica clinica ci<br />

dobbiamo occupare di persone che presentano una sorta di "analfabetismo emozionale": non sanno<br />

riconoscere le emozioni, non sanno che farsene, vivono come emozionalmente "appiattiti" non per<br />

repressione o inibizione emotiva, ma per mancato o incongruo apprendimento. Sono molti i modi in<br />

cui da bambini apprendiamo a gestire le emozioni, ma quelli più importanti, quelli decisivi sono<br />

direttamente connessi con le modalità relazionali proposteci dalle persone che di noi si occupano e<br />

con lo spazio relazionale che si viene a definire nella concretezza delle interazioni fra loro e noi. Per<br />

prima cosa, dunque, apprendiamo a creare un sufficiente, adeguato "spazio mentale", che possa<br />

contenere anche l'emozione (con tutti i suoi portati, soprattutto cognitivi) che stiamo realmente<br />

sperimentando (Mi riferisco all'esperienza reale concreta dell'emozione)nella<br />

concretezza del singolo episodio di vita. Questo spazio mentale è funzione diretta dello spazio<br />

relazionale che troviamo disponibile nell'episodio di vita in questione. É una specie di<br />

"interiorizzazione" dello spazio relazionale. <strong>Il</strong> processo di "interiorizzazione" dello spazio<br />

relazionale è uno degli elementi fra i più importanti della strutturazione del Sé. <strong>Il</strong> bambino può<br />

riconoscere, tollerare e contenere una particolare emozione solo se trova riconoscimento, tolleranza<br />

e contenimento della medesima emozione nelle relazioni reali attuali in cui si trova impegnato. E<br />

così facendo, in un fittissimo gioco interazionale con l'ambiente umano reale con cui egli è in<br />

relazione (la "madreambiente" di WINNICOTT) il bambino attivamente struttura anche la<br />

percezione di sé come di uno che sta vivendo quell'emozione e che la sta contenendo. Ed è la<br />

percezione di sé nell'esercizio di funzioni (soprattutto relazionali) quella che realizza ogni<br />

strutturazione di sé. E se il bambino si trova in un ambiente umano sistematicamente e<br />

ripetitivamente sordo o cieco rispetto a determinate emozioni, non potrà far altro che divenire a<br />

propria volta sordo o cieco rispetto a tali emozioni. Si creeranno, così, come dei "buchi" nelle<br />

capacità di esperire aspetti vitali della propria esistenza. L' "analfabetismo emozionale", cui prima<br />

accennavo, ne è un tragico esempio. Potremo chiamare "livello di risonanza" nell'interazione quel<br />

livello che è implicato in questi fenomeni. Ma esso non è l'unico. Possiamo individuare altri livelli<br />

nell'interazione, fra i quali credo sia particolarmente importante quello che potremo chiamare<br />

"livello di interdizione / consenso". Ed è quello che è implicato allorché il bambino si trova in un<br />

ambiente umano che sistematicamente, ripetitivamente e rigidamente impedirà in modo attivo la<br />

percezione, la gestione e l'integrazione delle emozioni. Parimenti, possiamo individuare un "livello<br />

di immissione di modalità" nell'interazione: inevitabilmente, momento per momento, la madre<br />

immetterà nell'interazione (per quel che qui interessa) le proprie modalità di gestione delle


emozioni, e il bambino sarà costretto, nell'interazione adattativa, a tenerne conto; e alla fin fine egli<br />

non potrà fare altro che prendere quei modi, rielaborarli come può e sa, e farli propri, riuscendo solo<br />

in parte a modificarli per renderli più adeguati alla globalità di sé. Potrà salvare solo il salvabile del<br />

proprio vero sentire e della propria esperienza reale: del proprio "veroSé", in definitiva. Perché si<br />

realizzino guasti così gravi e così danneggianti sulla qualità della vita è necessario che gli<br />

atteggiamenti parentali inadeguati siano ripetitivi nel tempo in modo rigido e sistematico: è difficile<br />

(anche se è possibile) che sia in gioco un isolato, singolo episodio traumatico. A questo punto credo<br />

vi sia chiaro che tra le mancate elaborazioni del lutto che incontriamo nella pratica clinica ve ne<br />

sono alcune (molte, io credo) connesse a reali incapacità per un inadeguato apprendimento della<br />

gestione delle emozioni. Che fare, in questi casi? Una specie di "doposcuola", in cui insegnamo alla<br />

gente come possono essere gestite le emozioni in generale e il dolore depressivo in particolare?<br />

Certo: sarebbe un metodo abbastanza semplice e socialmente economico. Ma non funzionerebbe,<br />

purtroppo, perché questo tipo di apprendimento può realizzarsi soltanto nell'esperienza che può<br />

essere fatta nel vivo di una relazione intensa e rispettosa della separatezza tra i partner. In una<br />

relazione psicoterapeutica adeguata. Nella nostra cultura, se uno soffre di un dolore fisico perché,<br />

poniamo, si è rotto una caviglia, è ritenuto normale e ovvio che ricorra all'ortopedico e al<br />

fisioterapista, che lo aiutino a favorire l'aggiustarsi della frattura e che lo accompagnino nella<br />

ripresa funzionale. Ma se, invece, soffre di un dolore mentale perché gli eventi della vita gli hanno<br />

strappato qualcosa di buono, se, cioè, patisce di un dolore depressivo, sarà purtroppo difficile che<br />

senta ragionevole ricorrere a uno psicoterapeuta, che lo accompagni nel processo di elaborazione<br />

del lutto. E se vi ricorrerà, lo farà solo quando gli aggiustamenti che avrà strutturato si saranno<br />

rivelati particolarmente pesanti per le sue condizioni di vita. E questo non aiuta né lui né il suo<br />

terapeuta. Che fare, allora? Ecco, ogni volta che ci imbattiamo in un dolore depressivo (cosa che<br />

nella pratica clinica è frequentissima), varrà la pena che teniamo presente la necessità del paziente<br />

di gestire il proprio dolore. Sarà importante osservare e riconoscere quali modi usa per gestirlo,<br />

dandogli il tempo per sperimentarsi. Dargli spazio, senza mai negare il dolore (con battute, per<br />

esempio, minimizzanti, come troppo spesso si vede fare a mo' d'incoraggiamento), ma<br />

riconoscendolo pienamente e cogliendone (e mostrandogli) la sensatezza. E se non c'è spazio,<br />

bisogna crearlo. Attivamente. É lo spazio relazionale, infatti, quello che verrà utilizzato dal paziente<br />

per costruire nel mondo interno un proprio spazio mentale per il contenimento e l'elaborazione delle<br />

emozioni. Fondamentale, dunque, è accettare, con genuina partecipazione, le espressioni del dolore<br />

e le richieste di aiuto nel gestirlo. Spesso, già solo la nostra partecipazione paziente e consapevole,<br />

se non è recitata, consente al paziente di percepire lo spazio adeguato che gli permette di cercare<br />

vari, differenziati modi di gestione del proprio dolore. E la nostra accettazione del suo dolore gli<br />

testimonia che esso può essere pienamente riconosciuto, che se ne può parlare, che c'è la possibilità<br />

che si crei uno spazio (mentale in noi, relazionale tra noi e lui, e quindi anche mentale in lui) in cui<br />

tale dolore può "trovare il suo posto", può essere vissuto e può rendersi accessibile all'integrazione.<br />

E qui vale la pena ricordare ancora una volta che le prediche non servono a molto: quello che conta<br />

è ciò che noi effettivamente siamo e il nostro reale modo di approcciare il dolore in generale, e<br />

quello specifico dolore in particolare. Nell'apprendimento di nuove modalità di gestione del dolore<br />

e nel consolidamento delle antiche, il paziente utilizzerà i nostri modi veri, quelli che davvero noi<br />

conosciamo e davvero utilizziamo. Questo è uno dei motivi per cui è necessario che noi, che ci<br />

occupiamo di altri, siamo bene analizzati. Ma é molto importante anche ciò che bisogna non fare.<br />

Prima di tutto bisogna non confondere le cose, pensando che sia "patologico" il dolore mentale<br />

depressivo, o che lo sia l'esigenza assolutamente vitale di elaborarlo e di gestirlo. Non è il dolore di<br />

per sé che deve essere annullato, né, tanto meno, lo sono i tentativi di metabolizzarlo. <strong>Il</strong> paziente, al<br />

contrario, deve essere aiutato a riconoscere il dolore per quello che è. Ma, proprio per consentire al<br />

paziente di trovare i modi per lui più adeguati di gestire il dolore, è fondamentale non cercar di<br />

abbreviare il suo percorso di elaborazione del lutto. Particolarmente dannose sono le istigazioni alla<br />

maniacalità, alla negazione, cioè, del dolore attraverso la negazione dei bisogni di attaccamento e di<br />

dipendenza, accecati dall'eccitazione e dall'attività. Sul finire, come esempio di cosa non fare, vorrei


citarvi il caso di una giovane signora, che perse in circostanze tragiche la propria bambina di undici<br />

anni. In preda a una specie di attonito smarrimento, sull'orlo della disperazione, si rivolse a uno<br />

specialista, che le disse: "Signora! Questo é il momento di avere coraggio. Lei è una donna<br />

coraggiosa. Io lo so. E se Lei sarà coraggiosa, ce la farà a dimenticare. Ma se Lei sarà doppiamente<br />

coraggiosa, se prenderà il coraggio a due mani, farà un altro figlio, e tutto andrà a posto!". E così<br />

fece, la sventurata, esponendo se stessa e il figlio a portare per sempre i segni di un lutto mai<br />

compiuto. <strong>Il</strong> quale figlio, inconsapevole della "missione segreta" che gli era stata affidata (essere<br />

colui che doveva esentare la madre dall'elaborazione del lutto), una volta divenuto adulto divenne<br />

pediatra, come a salvare retroattivamente la sorellina morta. E, forse, come ad occuparsi di sé<br />

bambino in via mediata. Questo è un esempio di pseudoaiuto, che, a uno sguardo superficiale, ha<br />

tutta l'apparenza del successo terapeutico, ma che, inibendo attivamente l'elaborazione del lutto,<br />

favorisce scissioni e mortificazioni di sé, anziché integrazioni. In questo modo, una parte della<br />

signora morì con la bambina e non poté forse più essere da lei recuperata, e una parte del figlio<br />

forse non nacque mai. In ogni caso, entrambi (non solo la madre, ma anche il figlio) si sono trovati<br />

costretti ad affrontare un carico emotivo eccezionalmente grande.<br />

Se queste mie parole saranno servite a favorire una vostra maggiore attenzione verso l'assoluta<br />

necessità che i pazienti (e le persone in generale) hanno di essere rispettati ed eventualmente aiutati<br />

nel riconoscere e nel gestire il proprio dolore depressivo, anziché nel cercare di annullarlo, potrò<br />

essere soddisfatto. E se poi vi sarete resi conto dell'importanza di questo per la prevenzione<br />

primaria sia sulle persone interessate sia sui loro discendenti, potrò essere davvero contento.<br />

POESIE<br />

Ringraziamo il nostro giovane amico Flavio che ci segue da diverso tempo e che ora ci ha inviato<br />

una bella poesia: IL SOLE E LA LUNA (di Flavio)<br />

Oggi a te faccio culto o capo supremo, o Dio, / risalgo il fiume dalle acque di uno dei tuoi raggi / a<br />

te che imbrunisci i volti pallidi e stanchi delle stagioni fredde e malate. / O sposa del sole, / volando<br />

come un’aquila si può vedere il mondo, / il sottofondo di questo bicchiere che è ricolmo di follia, / e<br />

della nostra vita che non hanno una direzione, un senso, una certezza su cui planare come un’aquila<br />

nel vento. / Ruggendo come un leone si può essere fieri, / chi sa di queste nostre somatiche giornate<br />

/ di quotidiana solitudine e paura di vivere e morire.<br />

IL PETTIROSSO (DI Alberto Bonifazi)<br />

<strong>Il</strong> pettirosso mi viene vicino e mi guarda. Vorrei avere una speranza. Ma nessuno si cura di me.<br />

Anche da piccolo c’era violenza e dolore. Vorrei avere una speranza. Ed è tutto talmente lontano da<br />

me che non so nemmeno cosa sperare. Vola via piccolo amico, non illudermi ancora.<br />

SOLITUDINE di Lucy (http://digilander.iol.it/lucysoft/solitudine.htm)<br />

Guardo il cielo, \ nuvole sopra di me, \ e un fulmine, timido, \ ogni tanto, ne squarcia la serenità. \<br />

Lucciole, nel mio prato, in cerca d’amore. \ I miei pensieri, lontani, \ lucciole; in un mondo diverso.<br />

\ La luna, crea un’oasi accanto a sé: \ allontana le minacciose nubi, formando \ un piccolo paradiso<br />

di ritrovata felicità. \ Un profumo, passa, \ e porta con sé un mio ricordo. \ Me l’ha rubato, ora è


suo: \ io non lo voglio più. \ Una goccia, silenziosa, \ cerca un posto dove \ cadere, l’arido terreno \<br />

la respinge, solo il mio viso l’accoglie. \ Un alito di vento, mi invita a ballare, \ se avessi due anime,<br />

dimenticherei la tristezza \ e andrei; ma sono sola, e disperata.<br />

STRINSI LE MANI di Anna Achmatova (http://www.clarence.com/home/molteni/poesie)<br />

Strinsi le mani sotto il velo oscuro... / "Perché oggi sei pallida?" / Perché d'agra tristezza / l'ho<br />

abbeverato fino ad ubriacarlo. / Come dimenticare? Uscì vacillando, / sulla bocca una smorfia di<br />

dolore... / Corsi senza sfiorare la ringhiera, / corsi dietro di lui fino al portone. / Soffocando, gridai:<br />

"E' stato tutto uno scherzo. Muoio se te ne vai". / Lui sorrise calmo, crudele / e mi disse: "Non<br />

startene al vento".<br />

Achmatova, Anna Pseudonimo di Anna Andreevna Gorenko (Bolšoj Fontan, Odessa 1888 - Mosca 1966), poetessa lirica russa. Fu,<br />

insieme a Osip Mandel'štam, la principale esponente dell'acmeismo, che, fiorito agli inizi del Novecento in opposizione al<br />

simbolismo, proponeva un linguaggio concreto, oggettuale, di identificazione fra cosa e parola. <strong>Il</strong> programma del movimento trovò<br />

piena espressione nelle prime raccolte di liriche – Sera (1912), Rosario (1914) e Stormo bianco (1917) – dove l'Achmatova riuscì a<br />

tradurre il proprio mondo intimo in immagini vive e tangibili. Sebbene nelle opere successive, come Anno domini MCMXXI (1922), i<br />

versi si colorino di patriottismo, i critici sovietici condannarono la poesia dell'Achmatova perché troppo estetizzante e attenta al dato<br />

personale. <strong>Il</strong> silenzio che seguì la censura durò fino al 1940, quando uscirono i versi del Salice. L'opera Requiem (1935-1940),<br />

elegia per i prigionieri di Stalin, fu pubblicata in Unione Sovietica soltanto nel 1987. Appartiene agli ultimi anni della sua vita,<br />

sebbene la composizione fosse iniziata nel 1942, il Poema senza eroe (1962), dagli accenti autobiografici (Enc. Encarta)<br />

SpazioAperto<br />

confronti fraterni, avvisi, trafiletti, confutazioni, posta, ecc<br />

(Ricordiamo che il contenuto di ogni inserzione è sotto la diretta<br />

responsabilità di chi lo firma)<br />

1) Nuovo aggiornamento del Sito: Mio Dio Salvami<br />

Per tenere fissa l'attenzione sull'amore di Gesù. La parola di Dio di ogni giorno, musica<br />

Sacra, la Bibbia CEI, il Catechismo della Chiesa Cattolica, Encicliche, lettere Pastorali<br />

ed altro ancora. http://users.iol.it/dursom/<br />

Gesù é il Signore! Alleluja! Mio Dio Salvami<br />

2) PA.C.E. Patto Cristiano Esteso - La “riforma” per il “risveglio”.<br />

Noi di PATTO <strong>CRISTIANO</strong> ESTESO abbiamo considerato gli impegni programmatici del centrosinistra<br />

riguardo alle classi sociali e ne sosteniamo l'indirizzo; abbiamo valutato i programmi del<br />

centro-destra per quel che concerne la riorganizzazione dello Stato, il federalismo, il liberalismo, il<br />

liberismo e li condividiamo. Ma il nostro primo pensiero politico non può che essere rivolto alla<br />

dignità dell'uomo, il quale, nei due sistemi citati, spesso corre il rischio di sparire nella dimensione<br />

di un numero, venendo così a perdere il bene di un'immagine divina - unitamente a quello della<br />

libertà e dell’amministrazione della proprietà (che ha legittimamente conquistato). Per PA.C.E.<br />

portare l’interesse primario sulla dignità dell'uomo è un obbiettivo di estrema rilevanza, poiché solo


nel totale rispetto della dignità nella quale l'uomo è nato - e che un vero stato di diritto dovrebbe<br />

conservare - si può giungere ad un reale ed armonico equilibrio relazionale sia a livello<br />

interpersonale - tra individuo e individuo - sia a livello sociale - tra cittadino e istituzioni - idoneo a<br />

consentire un proficuo sviluppo del sistema politico, economico e culturale della Nazione. La critica<br />

di PA.C.E. alle attuali realtà politiche è quindi rivolta al persistente svilimento del singolo cittadino<br />

e della dignità che riveste, considerato che spesso viene reso parte di un gruppo, di una classe, di un<br />

insieme, nel quale perde la propria individualità e viene ridotto al significato di una entità numerica,<br />

con la quale si fanno conti, somme, prodotti e differenze, nonché divisioni e separazioni, con<br />

esclusivo ed evidente vantaggio di chi preferisce, per il proprio utile, gestire numeri e manipolare<br />

cifre, anziché considerare il prossimo come fratello e cooperare con lui, con pari diritti, al<br />

conseguimento del bene comune ed alla prosperità del nostro Paese. Speriamo e preghiamo di<br />

ricevere collaborazione e segnalazioni di strategie e consigli idonei ad affermare i principi biblici<br />

nella nostra società. Per servirti servendoLo: Gilberto PERRI<br />

PA.C.E. PATTO <strong>CRISTIANO</strong> ESTESO<br />

e-mail: paceitrc@tin.it / sito web: www.peace.it<br />

4) AVVISO DELLA “PICCOLA INIZIATIVA CRISTIANA”: ATTENZIONE!<br />

Vi è un falso volontario della P.I.C. che usando il nostro nome e i nostri annunci persegue<br />

scopi personali di carattere immorale. E’ stato con noi l’estate scorsa per circa un mese, ma appena<br />

fu manifesta la sua tendenza che nulla aveva a che vedere col volontariato e con le cose del Signore<br />

fu subito allontanato. Recentemente abbiamo scoperto due siti a nome “Piccola inziativa Cristiana”<br />

con annunci nostri, a cui però rispondeva lui con varie e-mail, telefoni e cellulare privato facendolo<br />

passare per “telefonino amico”. Gli è stato intimato di smettere e sembra che li abbia chiusi, dopo<br />

un esposto ai Carabinieri. Agisce nella zona di Cosenza, a Lamezia Terme. Raccomandiamo tutti di<br />

stare alla larga e comunichiamo che la Piccola Iniziativa Cristiana non ha sedi staccate. Se trovate<br />

altri falsi siti comunicatecelo, ve ne saremo grati. Grazie. La redazione.<br />

5) AVVISO UZZIEL<br />

Carissimi Fratelli Pace. Vi mando il mio nuovo indirizzo web.Vi ricordo che all'interno del sito si<br />

Può scaricare il programma della Bibbia freeware. nuovo sito: http://uzziel.tsx.org; altri siti:<br />

http://utenti.tripod.it/UZZIEL/index.html; http://members.xoom.it/Uzziel/;<br />

http://digilander.iol.it/UZZIEL/; uzziel@tin.it; infosettecase@sicilyonline.it;<br />

Dio vi benedica con amore Cristiano: Settecase Antonio Via Vito La Mantia,63 - 90138 Palermo<br />

6) AVVISO BUTINDARO<br />

Fratello Renzo, grazia e pace a te da Dio nostro Padre e dal Signore Gesù Cristo. Desideriamo farti<br />

sapere che abbiamo aperto un altro sito in Internet (in realtà si tratta di 3 siti collegati tra loro per un<br />

totale di circa 130 MB di spazio occupato) in cui abbiamo messo la Sacra Bibbia (versione<br />

Riveduta) e una Concordanza o Chiave Biblica (compilata sulla versione Riveduta). Per ciò che<br />

concerne la Bibbia essa è stata suddivisa in libri (il libro dei Salmi però è stato a sua volta suddiviso<br />

in parti a motivo della sua particolare lunghezza) e i links all'interno di ogni file sono sia ai<br />

singoli capitoli che ai singoli versetti (per un totale di oltre 32.000 links). Per ciò che concerne<br />

invece la Concordanza essa contiene quasi 393.000 occorrenze e oltre 29.100 voci (per ognuna delle<br />

voci c'è un link). L'indirizzo di questo nuovo sito (il sito base per intenderci) è<br />

http://butindaro.interfree.it/ e il suo nome è 'LA SACRA BIBBIA E LA CONCORDANZA ON<br />

LINE'. Con la viva speranza che anche questo sito ti sia utile ti salutiamo nel Signore.<br />

La grazia di Dio sia con te. Butindaro Giacinto e <strong>Il</strong>luminato

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