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Carlo Costanzelli<br />
LA LETTERA DI ZIA ROSITA<br />
·¤·<br />
1
1<br />
Il giorno in cui arrivò la <strong>lettera</strong> eravamo a pranzo da nonna Clemenza. C’eravamo tutti<br />
al gran completo: io, mamma, papà, zio Igles, zia <strong>Rosita</strong> e ovviamente la nonna.<br />
Papà arrivò in sala da pranzo scorrendo le varie buste: si trattava <strong>di</strong> semplici bollette e<br />
qualche pubblicità, fatta eccezione per la famigerata <strong>lettera</strong>. Era in<strong>di</strong>rizzata a zia <strong>Rosita</strong>,<br />
con il recapito scritto a macchina. Sembrava una <strong>lettera</strong> formale.<br />
In tavola ribolliva la zuppa <strong>di</strong> legumi che nonna Clemenza preparava ogni volta che ci<br />
riunivamo da lei per il pranzo. <strong>La</strong> preparava insieme alla zia ed erano capaci <strong>di</strong> trascor-<br />
rere una giornata intera sui fornelli, svegliandosi ad<strong>di</strong>rittura con una buona mezz’ora <strong>di</strong><br />
anticipo sulla norma.<br />
Il risultato era sod<strong>di</strong>sfacente, ma quel giorno la <strong>lettera</strong> catalizzò l’attenzione, rubando la<br />
scena alla gran<strong>di</strong>osa zuppa.<br />
“Chi può mai scrivermi?” si domandava la zia <strong>Rosita</strong>, rigirandosi la busta chiusa fra le<br />
mani, come se in tal modo ricevesse risposta.<br />
“<strong>La</strong> apra che siamo tutti curiosi” suggerì papà, che dava rigorosamente del lei alla zia,<br />
come del resto alla nonna. Le due erano sorelle.<br />
“Bah, puoi anche buttarla, fosse per me” borbottò lo zio Igles, scodellando una gran<br />
quantità <strong>di</strong> zuppa nel suo piatto. Era l’unico a non provare interesse per la <strong>lettera</strong>. “Sarà<br />
qualche azienda fantasma che vuole spillarti dei sol<strong>di</strong> a tra<strong>di</strong>mento, o, peggio, della<br />
pubblicità”. Si grattò la gola grassa e ispida, poi infornò la prima cucchiaiata.<br />
“Sempre negativo, Igles” sbuffò mamma, mentre con gli occhi controllava che fosse tut-<br />
to a posto in tavola. “Vado a prendere dell’altra acqua”.<br />
“Dai zia, aprila!” sbottai io, che fremevo <strong>di</strong> curiosità. A <strong>di</strong>re il vero, all’inizio non<br />
m’importava gran ché <strong>di</strong> quella <strong>lettera</strong>, ma tutto quel tergiversare non aveva fatto altro<br />
che instillarmi una gran voglia <strong>di</strong> scoprirne il contenuto.<br />
“E va bene, e va bene” <strong>di</strong>sse la zia, un po’ seccata. Nei suoi vestiti belli quarant’anni fa,<br />
sembrava sempre un po’ bisbetica.<br />
Prese il coltello e tagliò la busta, sfilandone una <strong>lettera</strong> sottile.<br />
In un primo momento aguzzò gli occhi, stringendo al massimo le palpebre, e si protras-<br />
se tutta verso il foglio che teneva fra le mani tremanti.<br />
“Allora?” chiesi, mentre papà era immobile, in attesa.<br />
“Non vedo niente, aspettate…” brontolò, inforcando gli occhiali enormi.<br />
2
Una volta sistemate le stanghette sopra le orecchie flosce, riprese a leggere.<br />
Pian piano, il suo volto rugoso si contorse in un’espressione rapita, mentre la bocca si<br />
schiudeva incredula e due <strong>di</strong>ta sfioravano le labbra. Tremava, ma avrei giurato che non<br />
si trattava del Parkinson, in quel caso.<br />
“Tutto a posto, zia?” <strong>di</strong>sse mamma, entrando <strong>di</strong> nuovo in sala da pranzo con l’acqua.<br />
“Clemenza!” sbottò d’un tratto zia <strong>Rosita</strong>, ma la voce le uscì smorzata. “Ti ricor<strong>di</strong> Ste-<br />
fano Gran<strong>di</strong>netti?”.<br />
“Quello che faceva l’aviatore?”, domandò la nonna, confusa.<br />
“Ma no!” ribatté la zia, col tono del professore che rimprovera l’alunno impreparato.<br />
“Quello era Stefano “Il Macinino”. Io <strong>di</strong>co Stefano Gran<strong>di</strong>netti, quello che aveva vissu-<br />
to in Argentina, che suonava nella banda a Scortichino”.<br />
“Ah! Quello che ti aveva chiesto <strong>di</strong> sposarlo!” gridò la nonna, che finalmente aveva ca-<br />
pito.<br />
<strong>La</strong> zia assunse un’espressione scocciata: “Sì, lui”.<br />
“Cosa ha fatto?”.<br />
<strong>Zia</strong> <strong>Rosita</strong> non rispose. Teneva ancora gli occhi sulla <strong>lettera</strong>. Ero certo d’intravedere una<br />
lacrima splendere <strong>di</strong>etro i suoi caleidoscopici occhiali.<br />
“È morto” <strong>di</strong>sse infine.<br />
“Od<strong>di</strong>o! Ma come?”.<br />
“Eh! Come, come, come! Che importa?! È morto, tutto qui”.<br />
Nella sala calò un silenzio agghiacciante, mentre la nonna, lentamente, si serviva dalla<br />
pentola.<br />
Con tono affettuoso, mamma ruppe quel momento così imbarazzante: “Chi ti scrive,<br />
zia?”.<br />
“È la nipote <strong>di</strong> Stefano, la figlia <strong>di</strong> sua sorella. Senti qui: nell’impossibilità <strong>di</strong> ignorare il<br />
grande amore che il nostro compianto Stefano ha riservato per lei sino all’ultimo istante<br />
terreno, riteniamo doveroso informala del suo decesso. Cor<strong>di</strong>ali saluti, Donatella. Ma ti<br />
ren<strong>di</strong> conto? Sembra una <strong>lettera</strong> della banca! Che scandalo”.<br />
<strong>Zia</strong> <strong>Rosita</strong> si tormentava il labbro inferiore con le <strong>di</strong>ta, incapace <strong>di</strong> tornare con lo sguar-<br />
do sulla <strong>lettera</strong>.<br />
“Ma zia, quell’uomo ti ha chiesto <strong>di</strong> sposarlo cinquant’anni fa, e fino alla morte ha con-<br />
tinuato ad amarti nonostante il tuo rifiuto?” obiettò mamma, che doveva essere<br />
all’oscuro <strong>di</strong> questa storia.<br />
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<strong>La</strong> zia alzò un <strong>di</strong>to, come per rimprovero, e <strong>di</strong>sse a voce alta: “Primo, non sono cin-<br />
quant’anni ma cinquantadue! Me lo ricordo bene, era il 19 aprile 1956: mi propose un<br />
matrimonio da principessa! Secondo, io non ho rifiutato: mi sono semplicemente presa<br />
del tempo per riflettere!”.<br />
“Accidenti, zia, cinquantadue anni!” <strong>di</strong>ssi io, trovando veramente assurda la cosa.<br />
“Taci tu, che non puoi capire alla tua età” mi rispose la zia, sistemandosi la giacchetta<br />
verde mosca.<br />
“Mah…” mormorai, rimestando la zuppa nel piatto.<br />
“Andrai al funerale?” domandò mamma.<br />
“C’è già stato: le esequie si sono già tenute in forma strettamente familiare, secondo le<br />
ultime volontà del defunto”.<br />
Seguirono ancora alcuni minuti <strong>di</strong> silenzio, poi zia <strong>Rosita</strong> si alzò da tavola e una volta<br />
ripiegata <strong>lettera</strong> s’incamminò verso le scale.<br />
“Ma dove vai? C’è il brasato, dopo!” obiettò la nonna, contrariata.<br />
“Mangiatevelo voi” replicò brusca la zia, prima <strong>di</strong> scomparire su per la rampa <strong>di</strong> scale.<br />
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2<br />
Qualche giorno dopo mi trovavo ancora a casa <strong>di</strong> nonna Clemenza.<br />
Ero nello stu<strong>di</strong>o del nonno, dove la luce del cortile filtrava appena attraverso le persiane<br />
e spessi strati <strong>di</strong> polvere imbiancavano la mobilia. Nonna non voleva permettere al sole<br />
<strong>di</strong> straziare quella quiete tombale, né all’acqua <strong>di</strong> portare via con sé i ricor<strong>di</strong> lasciati nel-<br />
la polvere. Tutto si era fermato nell’istante in cui il nonno se n’era andato via.<br />
Nonno Scipione aveva deciso <strong>di</strong> passare a miglior vita moltissimi anni ad<strong>di</strong>etro, senza<br />
darmi l’opportunità <strong>di</strong> conoscerlo. Avevo tre anni quando si era addormentato in cortile,<br />
sotto la grande magnolia scura, con la tazza <strong>di</strong> tè vuota sul tavolino e il sigaro spento in<br />
bocca. Amava tanto sedersi là e trascorrervi l’intero pomeriggio, leggendo brani latini, o<br />
greci, o l’ultima e<strong>di</strong>zione delle Poesie <strong>di</strong> Foscolo.<br />
Nonna mi raccontava che lo vedeva immobile, intento sul volume che aveva aperto fra<br />
le mani, che poi chiudeva per fissare il vuoto del cortile e sussurrare i versi che aveva<br />
appena finito <strong>di</strong> leggere. L’ultima volta, però, udì più <strong>di</strong> un mormorio: “Di vizi ricco e<br />
<strong>di</strong> virtù, do lode alla ragion, ma corro ove al cor piace: morte sol mi darà fama e ripo-<br />
so”. Furono le ultime parole che le sue secche labbra pronunciarono, prima <strong>di</strong> raffred-<br />
darsi.<br />
“Ti sarebbe piaciuto conoscerlo” concludeva sempre la nonna, asserendo che avevamo<br />
<strong>di</strong>verse cose in comune. Poi riprendeva ad occuparsi dei fornelli, o della pulizia del sog-<br />
giorno, e così io, non potendo sedermi accanto a lui all’ombra della magnolia, mi accon-<br />
tentavo <strong>di</strong> sfogliare i suoi vecchi libri, cercandolo là dove ero certo avesse lasciato una<br />
parte <strong>di</strong> sé.<br />
Quel giorno, tuttavia, un grosso tonfo mi <strong>di</strong>strasse. Veniva dal piano <strong>di</strong> sopra.<br />
Appoggiai sulla scrivania quei due o tre libri che avevo scelto e mi affacciai alla rampa<br />
<strong>di</strong> scale. <strong>La</strong> nonna era fuori, nel piccolo orto, a piantare il basilico.<br />
“<strong>Zia</strong>, tutto a posto?” chiesi forte.<br />
Non ebbi risposta.<br />
Salii le scale <strong>di</strong> soffice moquette, sbuffando un po’. Cosa stava combinando mai?<br />
“<strong>Zia</strong>!” <strong>di</strong>ssi, accostandomi alla porta della sua stanza. “Cosa stai facendo?”.<br />
“Niente!” ribatté zia <strong>Rosita</strong>, balzando alla porta come se avesse quarant’anni <strong>di</strong> meno.<br />
Si frappose fra me e la vista <strong>di</strong> quel che stava trafficando.<br />
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“Dovresti bussare, o chiamare, ragazzo, prima <strong>di</strong> entrare nella mia stanza” mi rimprove-<br />
rò. Si vedeva che il cuore le palpitava in gola.<br />
“Ti ho chiamato, ma tu non mi hai sentito, credo” obiettai io.<br />
“Sì, ancora questa storia! Ci sento benissimo, io, è inutile che tua madre <strong>di</strong>ca tanto!”<br />
brontolò la vecchia zia, sempre impegnata a nascondere l’oggetto del mistero.<br />
“Dai, zia, cosa stai facendo lì? Perché non vuoi che veda?”.<br />
“Non ti riguarda”.<br />
Mi sporsi con la testa.<br />
“Ehi!” sbottò lei, preoccupata.<br />
“Ma, perché stai preparando la valigia? Ma dove te ne vai?”.<br />
Al centro della camera, sul tappeto consunto, era aperta la vecchissima valigia <strong>di</strong> pelle<br />
della zia, forse un premio scolastico ricevuto in gioventù. Aveva già iniziato a riempirla<br />
con le sue camicette dalle tinte pallide, e sul letto c’erano altri vestiti in attesa d’essere<br />
sistemati.<br />
<strong>La</strong> zia sospirò, e tornò piccina: ormai non serviva più celare il suo segreto.<br />
“Mi prometti <strong>di</strong> non <strong>di</strong>re niente a Clemenza? E neanche ai tuoi genitori, per gloria <strong>di</strong><br />
Dio! E nemmeno a quel buono a nulla <strong>di</strong> Igles! Intesi?”.<br />
“Ehm… sì, certo” balbettai: la curiosità era tale da valere anche qualche promessa av-<br />
ventata.<br />
“Bene. Sie<strong>di</strong>ti qui, così intanto che mi dai una mano ti racconto”.<br />
“D’accordo” risposi, incapace <strong>di</strong> nascondere le mie perplessità.<br />
<strong>La</strong> zia si sedette, composta e or<strong>di</strong>nata, ed iniziò a raccontare: “Dunque, l’altro giorno ho<br />
ricevuto una <strong>lettera</strong>, in cui era scritto che un mio vecchio spasimante è morto…”.<br />
“<strong>Zia</strong>” la interruppi, cercando <strong>di</strong> essere delicato “C’ero anch’io…”.<br />
Lei mi guardò <strong>di</strong> sbieco, corrugando la fronte. “Mah, sarà” <strong>di</strong>sse, <strong>di</strong>ffidente, e riprese il<br />
suo <strong>di</strong>scorso: “Ad ogni modo, io non avevo rifiutato la corte del dottor Gran<strong>di</strong>netti, mi<br />
ero solo presa del tempo per pensarci”.<br />
<strong>La</strong> zia trasse un lungo sospiro, sfregandosi le ginocchia con le mani. <strong>La</strong> sottana <strong>di</strong> prin-<br />
cipe <strong>di</strong> Galles rimase perfettamente in piega. Era evidente che volesse <strong>di</strong>re qualcosa, ma<br />
prima doveva trovare le parole, o il coraggio.<br />
“Sai, non mi sono presa tutti questi anni semplicemente per vezzo” <strong>di</strong>sse infine. “C’era<br />
una ragione profonda che mi ha spinta a riflettere così a lungo”.<br />
Con tono affabile e col sorriso in faccia, le <strong>di</strong>ssi: “Non ho mai dubitato <strong>di</strong> questo, zia”.<br />
“Sarà meglio per te. Tua zia è una signorina assennata, ecco”.<br />
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Assunsi un’espressione che voleva chiedere: tutto questo come si ricollega alla valigia?<br />
“Giusto, adesso arrivo alla valigia. Ve<strong>di</strong>, la ragione per cui ho me<strong>di</strong>tato tutti questi anni<br />
si chiama Jorge Rivera: insegnante <strong>di</strong> tango argentino, fisico possente, capelli neri, on-<br />
dulati, sguardo profondo…” assunse un’aria trasognata, immaginando magari le braccia<br />
forti <strong>di</strong> questo Rivera stringerla in un ballo appassionato.<br />
Ero piuttosto stupito, ma a <strong>di</strong>re la verità quel racconto mi <strong>di</strong>vertiva parecchio. “Insom-<br />
ma, zia, cosa hai intenzione <strong>di</strong> fare?” chiesi.<br />
<strong>Zia</strong> <strong>Rosita</strong> fece una smorfia, come se avessi detto un’eresia.<br />
“Non sei mica tanto sveglio, ragazzo mio! Cosa dovrei fare, secondo te? Ho passato<br />
cinquant’anni senza decidermi fra Jorge e Stefano: adesso che uno è morto, rimane solo<br />
l’altro e non devo più scegliere!”.<br />
“Cosa?!” sbottai, incredulo.<br />
“Beh, che c’è <strong>di</strong> strano! Sono ancora in tempo per sposarmi!”.<br />
Non sapevo se mettermi a ridere o preoccuparmi seriamente.<br />
“Sto facendo le valigie per andare a trovare Jorge Rivera ed accettare la sua proposta <strong>di</strong><br />
matrimonio” sentenziò infine la zia, prendendo sulle ginocchia la borsetta <strong>di</strong> pelle nera.<br />
“<strong>Zia</strong>, ma sei impazzita? In Argentina? Ma sai quant’è lontano? E poi non sai lo spagno-<br />
lo! Come cre<strong>di</strong> <strong>di</strong> cavartela laggiù?” mi sembrava <strong>di</strong> essere in uno <strong>di</strong> quei sogni strambi<br />
che facevano la fortuna della nonna, quando si occupava <strong>di</strong> veggenza e oroscopi.<br />
“Ah, non ne imbrocchi una ragazzo! Jorge Rivera abita a Rimini, insegnava tango ar-<br />
gentino al centro ricreativo ed è i-ta-lia-no: si chiama Giorgio, ma per un tocco esotico,<br />
molto affascinante <strong>di</strong>rei, si è dato il nome d’arte”.<br />
Nascosi il volto fra le mani, lasciando che la mia testa dondolasse come un pendolo.<br />
“Parto domani sera, con il treno delle 19.47. Dirò a Clemenza che non mi sento molto<br />
bene e fingerò <strong>di</strong> andare a letto, mentre in realtà me ne andrò in stazione” mi spiegò zia<br />
<strong>Rosita</strong>.<br />
“Allora, sorvolando sull’assur<strong>di</strong>tà colossale della questione, che dovrebbe essere lam-<br />
pante ma invece pare che non lo sia… Perché non vuoi <strong>di</strong>re niente a nessuno?”.<br />
“Perché nessuno capirebbe! Siete tutti così irrazionali, voialtri!”.<br />
“Beh, senti chi parla” borbottai.<br />
“Ad ogni modo, ho preso la mia decisione. Domani parto. E non <strong>di</strong>re niente a nessuno,<br />
guai a te”.<br />
<strong>La</strong> zia apparve davvero inamovibile, e io mi domandai in segreto se avesse poi così tor-<br />
to. In fondo, l’amore non ha età…<br />
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“Puoi contare su <strong>di</strong> me, non <strong>di</strong>rò niente a nessuno” promisi dopo una breve pausa <strong>di</strong> si-<br />
lenzio. Ma ero dubbioso: se le fosse accaduto qualcosa? Rimini non sarà l’Argentina,<br />
ma una vecchietta come zia <strong>Rosita</strong> era una preda facile per qualsiasi malintenzionato.<br />
No, no, era troppo rischioso.<br />
“Senti zia, io capisco che tu voglia andare da Rivera, è assolutamente normale – cercai<br />
in tutto e per tutto <strong>di</strong> essere cre<strong>di</strong>bile nell’affermarlo – ma ve<strong>di</strong>, è rischioso che tu vada<br />
via da sola, senza <strong>di</strong>re niente a nessuno…”.<br />
<strong>La</strong> zia replicò inviperita: “Beh, cosa sono, una lattante? A ottant’anni non avrò la mia<br />
in<strong>di</strong>pendenza?”.<br />
“No, zia, davvero, io ti capisco ma non posso lasciarti andare”.<br />
“Guarda che me ne vado lo stesso”.<br />
<strong>Zia</strong> <strong>Rosita</strong> appariva piuttosto alterata, come se fosse stata toccata nell’orgoglio. Se ne<br />
stava rigida sul letto, con la borsetta fra le braccia e lo sguardo perso nel vuoto.<br />
Sospirai, alzandomi lentamente.<br />
“Non volevo essere brusco, zia, mi <strong>di</strong>spiace” le <strong>di</strong>ssi, quasi sottovoce. “Adesso ti lascio<br />
riflettere un po, eh?”.<br />
Mi avvicinai alla porta senza che la zia mi degnasse <strong>di</strong> uno sguardo. Non volevo assil-<br />
larla, probabilmente avrei ottenuto solo l’effetto contrario. Magari, dopo aver sbollito<br />
un po’, si sarebbe resa conto della follia.<br />
Che ingenuo che ero…<br />
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3<br />
Quella sera, a cena, non <strong>di</strong>ssi niente ai miei genitori riguardo alle intenzioni della zia.<br />
Un po’ perché una strana sensazione mi impe<strong>di</strong>va <strong>di</strong> farlo, ma specialmente perché i<br />
miei pensieri erano incentrati sulla festa a cui avrei partecipato.<br />
Era l’ultimo sabato <strong>di</strong> scuola e un mio amico aveva organizzato un party gigantesco a<br />
casa sua, in campagna, appena fuori dal paese. Alla festa erano formalmente invitati tut-<br />
ti gli studenti del liceo, ma era chiaro che molti altri si sarebbero imbucati, col risultato<br />
<strong>di</strong> generare un putiferio infernale.<br />
<strong>La</strong> ragione per cui non vedevo l’ora <strong>di</strong> andare alla festa non era contenuta in una botti-<br />
glia <strong>di</strong> birra, non bruciava sul barbecue e non rimbombava dallo stereo: la ragione per<br />
cui smaniavo aveva fantastici ricci castani e si chiamava Benedetta.<br />
Benedetta aveva la mia stessa età, a scuola era in un’altra sezione e da quando mi ero<br />
reso conto che dava un volto ai miei sogni non ero riuscito a <strong>di</strong>rle niente <strong>di</strong> più <strong>di</strong> ciao,<br />
quelle volte che la incontravo al mattino.<br />
“Ma stasera…” ripetevo a Giacomo, mentre lui finiva <strong>di</strong> prepararsi.<br />
“Stasera cosa?” replicava lui, canzonandomi. “Te lo <strong>di</strong>co io cosa farai stasera…”.<br />
Mi parlava dal bagno, con le mani impastate <strong>di</strong> gel mentre si sistemava i capelli chiari.<br />
Io seduto sul suo letto, giochicchiavo col portachiavi del Milan e ascoltavo seccato.<br />
“Stasera tu vai alla festa, la ve<strong>di</strong> e <strong>di</strong>ci: mi bevo un bicchiere e poi vado da lei. Alla fine<br />
bevi così tanti bicchieri che non la riconosci neanche più, e ti dobbiamo buttare sotto<br />
l’acqua fredda per farti riprendere. Alla fine, nel caso improbabile che si renda ad<strong>di</strong>rittu-<br />
ra conto <strong>di</strong> te, lo farà chiedendosi: ma chi è quello sfigato che si è ubriacato dopo<br />
mezz’ora? Ecco come andrà stasera” ridacchiò Giacomo.<br />
“Sì, sì, ri<strong>di</strong>. Che poi ride bene chi ride ultimo” replicai, ostentando determinazione.<br />
Giacomo era sempre stato più bravo <strong>di</strong> me con le ragazze, anche se ero convinto che<br />
romanzasse molto le sue avventure sentimentali per renderle più avvincenti. Eravamo in<br />
classe insieme dalla terza me<strong>di</strong>a, quando si era trasferito da noi, ed eravamo molto ami-<br />
ci. Era pieno <strong>di</strong> sé, ma aveva un cuore d’oro… sebbene s’impegnasse a far credere il<br />
contrario.<br />
Arrivammo alla festa puntuali, cioè non all’ora prefissata ma quando si era creato un<br />
po’ <strong>di</strong> movimento. Le fiaccole accese dappertutto attorno alla vecchia casa colonica le<br />
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davano un’aria esotica, mentre i tavoli sparpagliati per il cortile, un po’ sul selciato, un<br />
po’ <strong>di</strong> fianco al frutteto, raccoglievano già gruppetti <strong>di</strong> persone.<br />
<strong>La</strong> sera era soffice nel cielo tinto d’azzurro e <strong>di</strong> viola. Spirava un vento tiepido, mentre<br />
sull’odore pungente dell’erba tagliata <strong>di</strong> fresco già iniziavano a brillare le prime stelle.<br />
Entro una mezzora sarebbe calata la notte.<br />
“Ciao” ci sorprese la voce <strong>di</strong> Filippo, il padrone <strong>di</strong> casa. Aveva addosso una camicia<br />
bianca, <strong>di</strong> lino, con le maniche raccolte fino ai gomiti, e un paio <strong>di</strong> jeans.<br />
“Ciao” risposi, mentre Giacomo gli batteva il cinque.<br />
“Fra un po’ l’ambiente si popola, non preoccupatevi” ci assicurò Filippo, prima <strong>di</strong> la-<br />
sciarci per andare ad accogliere nuovi arrivati.<br />
Effettivamente, nell’arco <strong>di</strong> quaranta minuti il cortile si trasformò in una specie <strong>di</strong> for-<br />
micaio, dove le formiche si agitavano scosse dalla musica.<br />
Io, seduto attorno a un tavolino con Giacomo e tutti gli altri della compagnia, sentivo<br />
ormai <strong>di</strong>stanti i loro <strong>di</strong>scorsi, che non ricordo nemmeno più, e percepivo le canzoni<br />
mandate in onda come una lontana risacca. Cercavo Benedetta con lo sguardo, ruotando<br />
qua e là il capo, tentando <strong>di</strong> passare inosservato. Non la vedevo da nessuna parte.<br />
Sbuffai, mor<strong>di</strong>cchiando la cannuccia colorata del bicchiere.<br />
“Ehi, ma cosa fai ancora qui?” mi chiese ad un certo punto Giacomo, battendomi vigo-<br />
rosamente una manata sulla spalla. “Non ti sei ancora messo alla ricerca della tua preda,<br />
eh cacciatore?”.<br />
“Ah, stai zitto… Non riesco a vederla da nessuna parte” replicai io, senza troppi com-<br />
plimenti.<br />
Ad un tratto, però, mi parve d’intravederla alla luce <strong>di</strong> una lanterna che pendeva dal<br />
fianco del casolare.<br />
Era lei, lei <strong>di</strong> certo, vestita con un abitino nero, essenziale ed elegante. Passava <strong>di</strong> fianco<br />
al muro d’edera, <strong>di</strong> fianco alla cabina suono allestita alla meglio per l’occasione.<br />
“Io vado” sentenziai, senza muovere un passo.<br />
Rimasi rigido, pensando a quel che mi attendeva, mentre sentivo su <strong>di</strong> me lo sguardo i-<br />
ronico <strong>di</strong> Giacomo.<br />
“Vado, vado” aggiunsi, con decisione.<br />
“Non mi pare” commentò l’amico, con un sorriso lieve.<br />
Finalmente balzai in pie<strong>di</strong>, rovesciando accidentalmente la se<strong>di</strong>a.<br />
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Benedetta era là, accanto al mosaico lampeggiante della cabina suono. Quant’era armo-<br />
niosa la linea che <strong>di</strong>segnava col suo corpo snello, dalla mano che reggeva delicata il<br />
bicchiere fino alla caviglia destra, sollevata graziosamente. Passava con <strong>di</strong>ta <strong>di</strong> vento<br />
sulla chioma bionda, mentre muoveva il viso con fare suadente, e teneva fissi gli occhi.<br />
Effettivamente, troppo fissi…<br />
Di fronte a lei, maglietta nera e sorriso bianco, il deejay, con le cuffie calate sul collo e<br />
l’aria <strong>di</strong> chi è padrone del mondo perché ne controlla il sonoro.<br />
Parlavano e si guardavano, <strong>di</strong> tanto in tanto gli sguar<strong>di</strong> s’incrociavano, e spesso sorride-<br />
vano, anzi sempre, come se avessero quel sorriso marcato a fuoco in faccia.<br />
Ebbi un momento d’indecisione, poi mi risolsi a passare oltre e raggiungere il tavolo<br />
delle vivande. Mi versai un bicchiere <strong>di</strong> birra e mi sedetti sull’altalena che scendeva giù<br />
da un ramo. Oscillavo piano e bevevo piccoli sorsi, cercando <strong>di</strong> non ritrovarmi a fissare<br />
Benedetta e il suo adorato cavaliere. Eppure, il mio sguardo ricadeva sempre là. Non<br />
aveva occhi che per lui, <strong>di</strong> me non si sarebbe mai accorta. Che amarezza.<br />
<strong>La</strong>sciai che la bibita fresca scendesse giù. Non avevo alcuna intenzione <strong>di</strong> tornare dai<br />
miei amici: mi sarei sentito come Ulisse se il cavallo <strong>di</strong> Troia avesse fatto cilecca. Così<br />
rimasi lì, per conto mio: il caos che regnava attorno a me contribuiva a nascondermi, e<br />
potevo restare solo anche nel bel mezzo <strong>di</strong> una festa.<br />
Ad un tratto, però, una voce ruppe il muro che separava me dal mondo esterno, ricon-<br />
giungendo, almeno per un secondo, i due universi <strong>di</strong>stinti.<br />
“Ciao. Bella festa, no?” <strong>di</strong>sse la voce, femminile.<br />
Mi voltai e vi<strong>di</strong> una ragazza. Feci uno sforzo per ricordare chi fosse, ma mi resi conto<br />
che non l’avevo mai vista prima.<br />
Il mio smarrimento affiorò sicuramente in superficie, perché lei, ne sono certo, lo colse<br />
imme<strong>di</strong>atamente: “Mi chiamo Viola”, <strong>di</strong>sse sorridendo.<br />
Mi allungò la mano e io la strinsi; lei rimase immobile, come in attesa. Io ricambiavo il<br />
suo sguardo e tacevo, finché non mi sollecitò chiedendo: “E tu?”.<br />
Cad<strong>di</strong> improvvisamente dalle nuvole. Mi alzai dall’altalena <strong>di</strong>cendole il mio nome e le<br />
strinsi ancora e più vigorosamente la mano.<br />
“Mi chiamo Wagner” <strong>di</strong>ssi.<br />
“Wagner?!” esclamò lei, stupita.<br />
“Sì. Lo so che è un nome abbastanza insolito. Il fatto è che mio padre fa il <strong>di</strong>rettore<br />
d’orchestra e il suo preferito, il suo autentico mito, è Richard Wagner. Allora quando<br />
sono nato io, voleva onorarlo dandomi un nome che richiamasse quello del musicista.<br />
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Siccome Richard non piaceva a nessuno perché sembrava Richard Gere, e Riccardo non<br />
potevamo usarlo perché era il nome dell’ex <strong>di</strong> mia madre con cui era stata sette anni<br />
prima <strong>di</strong> conoscere mio padre, beh alla fine mi ha chiamato Wagner. <strong>La</strong> mia prozia, che<br />
è un po’ una vipera, non ha mai finito <strong>di</strong> biasimarlo per questa scelta. A mia madre non<br />
importava molto, invece, anzi un nome originale le piaceva così nessuno mi avrebbe da-<br />
to <strong>di</strong>minutivi…”.<br />
Viola mi guardava <strong>di</strong>vertita e solo allora mi resi conto <strong>di</strong> aver parlato molto a lungo e<br />
molto in fretta.<br />
“Sono abituato a raccontare questa storia, me la chiedono tutti” aggiunsi.<br />
Lei si mise a ridere, e risi anch’io.<br />
“Sei simpatico” mi <strong>di</strong>sse, con gli occhi ancora luci<strong>di</strong> per le risa.<br />
“Grazie”.<br />
Ci fu un momento <strong>di</strong> silenzio.<br />
“Che ci fai qui?” le domandai. Imme<strong>di</strong>atamente mi vergognai <strong>di</strong> una domanda così i<strong>di</strong>o-<br />
ta.<br />
Per fortuna, lei parve prenderla con simpatia e mi rispose: “Sono amica <strong>di</strong> Filippo, mi<br />
ha invitata lui”.<br />
“Ah, capisco… ehm, vuoi qualcosa da bere?” le chiesi, da buon cavaliere.<br />
“Sì, grazie” <strong>di</strong>sse lei, dando un’occhiata alle caraffe.<br />
Le riempii un bicchiere <strong>di</strong> analcolico alla frutta. Mentre versavo da bere, tornai a guar-<br />
dare Benedetta, così sorridente, così felice.<br />
Porsi il bicchiere a Viola, lanciando un’altra rapida occhiata verso la cabina suono.<br />
Viola mi guardò e mi punse: “Il deejay ti ha rovinato i piani?”.<br />
Io sussultai sorpreso, voltandomi e fingendo <strong>di</strong> non capire.<br />
“<strong>La</strong> ragazza. <strong>La</strong> guar<strong>di</strong> continuamente” spiegò lei, come se ce ne fosse bisogno.<br />
Negai nel modo più assoluto, un po’ con gli occhi sgranati, un po’ con dei “Ma dai, ma<br />
ti pare?” buttati alla rinfusa.<br />
Lei sorrise, capii che non l’aveva bevuta. Aveva uno sguardo sveglio, non la si poteva<br />
ingannare facilmente.<br />
Mi soffermai sulle iri<strong>di</strong> azzurre e sul sorriso, da cui traspariva un’ironia accattivante.<br />
Chissà, forse…<br />
Sebbene l’avvio non fosse stato dei migliori, la serata si rivelò meravigliosa. Il deejay<br />
aveva catturato Benedetta e le mie speranze <strong>di</strong> passare una serata in<strong>di</strong>menticabile si era-<br />
12
no <strong>di</strong>ssolte; da un angolo nascosto del giar<strong>di</strong>no però era spuntata Viola, giusto per ricor-<br />
darmi che la vita ha delle trame avvincenti e che ogni tanto ci si può sentire i personaggi<br />
<strong>di</strong> un telefilm. Pian piano Benedetta era sbia<strong>di</strong>ta dentro <strong>di</strong> me, mentre Viola fioriva<br />
sempre <strong>di</strong> più.<br />
Passammo insieme gran parte della serata e delle nostre chiacchiere, pare strano, non ri-<br />
cordo niente. Mi torna in mente soltanto la sensazione <strong>di</strong> serenità che mi regalava, e la<br />
sete <strong>di</strong> lei che cresceva man mano che tentavo <strong>di</strong> sedarla. Più il tempo con lei passava,<br />
più ne desideravo dell’altro. Ogni tanto la faceva ridere, e mi rendevo conto <strong>di</strong> essere<br />
buffo; questo, però, pareva piacerle.<br />
Alla spaghettata <strong>di</strong> mezzanotte, servita a un quarto all’una per problemi tecnici sui tem-<br />
pi <strong>di</strong> cottura della pasta, mi convinsi <strong>di</strong> volerla rivedere ancora.<br />
“Sabato sera ti andrebbe un film?” le chiesi, lottando con una forchettata <strong>di</strong> spaghetti ri-<br />
belli.<br />
Lei mi guardò, mordendosi il labbro inferiore: “Mi <strong>di</strong>spiace, verrei volentieri ma sono in<br />
vacanza! Parto domani mattina”.<br />
“Oh beh, fa niente” risposi, mascherando il macigno <strong>di</strong> delusione che mi era piombato<br />
addosso con un semplice sorriso ebete. “Vorrà <strong>di</strong>re che sarà per quando torni”.<br />
Lei <strong>di</strong>stolse un attimo lo sguardo.<br />
Tremai: c’era qualcosa <strong>di</strong> inquietante in tutto ciò.<br />
“Ve<strong>di</strong>, io non sono <strong>di</strong> qui. Abito a Bologna”.<br />
“Ah…” fu quanto mi uscì <strong>di</strong> bocca, mentre una dopo l’altra le corde vocali saltavano via<br />
come quelle <strong>di</strong> una vecchia chitarra. Rimasi impietrito, e s’impietrirono anche gli spa-<br />
ghetti che avevo nello stomaco.<br />
“Capisco, capisco” <strong>di</strong>ssi dopo qualche istante, riprendendo coscienza. “E dove vai <strong>di</strong><br />
bello domani?”.<br />
“A Rimini”.<br />
13
4<br />
“È un’idea folle! Un’autentica stupidaggine!” sbottò lo zio Igles, battendo il pugno sul<br />
tavolo.<br />
“Non è assolutamente vero!” ribatté zia <strong>Rosita</strong>, impettita come una gallinella arrabbiata.<br />
“Alla tua età, andarsene a Rimini per cercare un vecchio spasimante! Bah! Ti ren<strong>di</strong> con-<br />
to che magari quel tizio nel frattempo ha messo su famiglia, e <strong>di</strong> te si è scordato da qua-<br />
rant’anni abbondanti?!” gridò lo zio, rosso in volto, anzi tendente al viola.<br />
<strong>La</strong> zia abbassò lo sguardo. “Jorge non mi ha <strong>di</strong>menticata. Lo sento”.<br />
Appena prima che lo zio tornasse alla carica, mamma lo calmò con un gesto del braccio<br />
ed intervenne. “Senti, zia, prova a ragionare un attimo. Sono passati così tanti anni…<br />
Capisco che la morte <strong>di</strong> Gran<strong>di</strong>netti ti abbia un po’ scombussolata, ma devi calmarti e<br />
riflettere”.<br />
“Ho riflettuto abbastanza in quarant’anni! Se non posso neanche cercare Jorge, la mia<br />
vita non ha più senso”.<br />
<strong>La</strong> preoccupazione fece calare il silenzio sulla sala. Nonna Clemenza era silenziosa: a-<br />
veva preso i suoi tarocchi e se li passava fra le mani, fingendosi intenta nel suo operato.<br />
In realtà, faceva così per mascherare la sua apprensione.<br />
Lo zio bolliva ancora, mentre il papà e la mamma si scambiavano occhiate molto elo-<br />
quenti. Erano certi che gli anni avessero spento alla zia il lume della ragione.<br />
Un po’ timoroso, mi affacciai alla <strong>di</strong>scussione. “Secondo me, ha ragione la zia” <strong>di</strong>ssi,<br />
sollevando le spalle.<br />
Tutti puntarono gli occhi su <strong>di</strong> me, compresa zia <strong>Rosita</strong> stessa. Era più che stupefatti.<br />
“Tu sei giovane, ragazzo!” <strong>di</strong>sse lo zio Igles, quasi volendo giustificarmi per<br />
quell’affermazione, a parer suo, assurda.<br />
“Sarò pur giovane, però se la zia vuole incontrare questo Jorge, non possiamo mica im-<br />
pe<strong>di</strong>rle <strong>di</strong> farlo” insistetti, con maggior convinzione.<br />
“Capisco, però non mi sentirei tranquilla sapendola in giro per Rimini tutta sola” obiettò<br />
la mamma.<br />
“Ecco, voi mi accusate <strong>di</strong> essere vecchia! So ancora badare a me stessa, invece” grac-<br />
chiò la zia, in<strong>di</strong>spettita.<br />
14
“Ci vado io con lei” proposi, con un sorriso che voleva essere tanto convincente. “Sarà<br />
<strong>di</strong>vertente andare alla ricerca <strong>di</strong> questo ballerino. Intanto facciamo un giro al mare”.<br />
Lo zio borbottò qualcosa e uscì dalla stanza.<br />
I miei genitori si guardarono negli occhi. Era evidente che fossero incerti sul da farsi.<br />
“Ho <strong>di</strong>ciott’anni e la zia è perfettamente in gamba per la sua età”.<br />
“Ehi!”.<br />
“Scusa zia, voleva essere un complimento”.<br />
“E va bene” sentenziò infine mamma.<br />
“Sul serio?!” sbottammo assieme la zia ed io, increduli.<br />
“Sì, sì. Mi voglio fidare. In fondo, zia, la vita è la tua”.<br />
Nonna Clemenza ci lanciava rapide occhiate mentre mescolava le carte. Capii che ap-<br />
provava.<br />
“Allora zia, hai visto? Dovresti ringraziarmi” le sorrisi.<br />
“Lo farò, a tempo debito. Intanto, devi ancora aiutarmi a preparare la valigia”.<br />
“Certo. Poi controllo l’orario dei treni. Quando vuoi partire?”.<br />
“Domattina. Alle cinque”.<br />
Beh, non poteva andare proprio tutto alla perfezione…<br />
15
5<br />
Una delle ultime cose che mi sarei aspettato nella vita era che un giorno io e la zia Rosi-<br />
ta saremmo andati assieme alla ricerca dell’amore lungo la sensuale riviera romagnola.<br />
Alle cinque del mattino l’aria era fresca e la stazione semideserta. Una leggera aura az-<br />
zurra velava ancora i campi in lontananza, e i casolari seduti fra i rari pioppi. L’argine<br />
che zigzagava oltre il frumento era verde e lasciava spuntare soltanto i ciuffi più alti de-<br />
gli alberi in golena.<br />
Zio Igles, decisamente controvoglia, ci aveva accompagnati a prendere il treno. Durante<br />
il breve tragitto in macchina non aveva fatto altro che borbottare.<br />
Respirai una grande boccata d’aria: chissà se sarei riuscito a trovarla? Pensandoci un at-<br />
timo, non doveva essere un’impresa così <strong>di</strong>fficile: Filippo mi aveva dato il suo numero<br />
<strong>di</strong> telefono, sarebbe bastato chiamarla una volta arrivati e fissare un appuntamento. Ma<br />
questa semplicità apparente mi lasciava pieno <strong>di</strong> incertezze.<br />
<strong>La</strong> campanella interruppe i miei pensieri.<br />
“Oh, bene” <strong>di</strong>sse lo zio Igles, grattandosi la pancia. “Buon viaggio” aggiunse, e già si<br />
pregustava <strong>di</strong> tornare a dormire.<br />
“Grazie. Chiamiamo quando arriviamo” rispose la zia, senza lasciarsi andare ad alcun<br />
genere <strong>di</strong> effusioni o <strong>di</strong> commoventi saluti.<br />
“Ciao zio” <strong>di</strong>ssi, mentre caricavo entrambe le valigie sul treno.<br />
Un attimo dopo il treno partiva.<br />
Io ero seduto rivolto nel senso <strong>di</strong> marcia, mentre <strong>di</strong> fronte a me c’era la zia. I se<strong>di</strong>li ri-<br />
masti vuoti erano stati riempiti con zaini e giornali. <strong>La</strong> campagna scorreva veloce oltre<br />
il finestrino. Mi <strong>di</strong>spiaceva non vedere per un po’ i miei argini.<br />
Il vagone ospitava poche altre persone: un ragazzo sui venticinque, capellone e no-<br />
global, un’anziana coppia borghese, una ragazza impegnata a leggere Wilde e un cinese.<br />
Ero ancora un po’ assonnato e lasciavo che il mio sguardo oscillasse <strong>di</strong>stratto dal fine-<br />
strino agli altri passeggeri.<br />
Una volta oltrepassata la stazione <strong>di</strong> Bologna, riprendendomi dalla sonnolenza, incrociai<br />
lo sguardo <strong>di</strong> zia <strong>Rosita</strong> e trasalii.<br />
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“Tutto a posto, zia?” chiesi, incapace <strong>di</strong> nascondere un pizzico <strong>di</strong> inquietu<strong>di</strong>ne:<br />
l’anziana signora mi fissava infatti con occhi inquisitori, che pareva volessero penetrare<br />
i recessi più remoti <strong>di</strong> me.<br />
“Perché lo hai fatto?” mi chiese, algida.<br />
Sorrisi, cercando <strong>di</strong> <strong>di</strong>ssimulare il mio <strong>di</strong>sagio. “Fatto cosa?”.<br />
“Perché mi hai accompagnata? Insomma, sei stato il primo a criticare l’idea del mio<br />
viaggio, quando l’hai scoperto, e poi <strong>di</strong> colpo lo supporti con decisione e ti offri ad<strong>di</strong>rit-<br />
tura <strong>di</strong> accompagnarmi. Sarò pur vecchia, ma non sono ancora scema, grazie al Cielo!”.<br />
Onestamente, fu un colpo formidabile. Non me l’aspettavo affatto, mi colse terribilmen-<br />
te alla sprovvista.<br />
“Beh, sai zia…” balbettai, cercando <strong>di</strong> trovare una ragione plausibile. “Ho riflettuto<br />
molto sulla tua situazione e credo che sia sbagliato rinunciare senza tentare… Insomma,<br />
sei una persona adulta, devi decidere tu della tua vita… Se volevi metterti in cerca <strong>di</strong><br />
Rivera, nessuno poteva impe<strong>di</strong>rtelo. L’amore non ha età…”.<br />
<strong>La</strong> zia alzò un sopracciglio, sospettosa. Sospirò. Deglutì. Tacque.<br />
Dovevo essere abbastanza rosso in viso, perché mi avvampava un gran caldo dappertut-<br />
to. “Speriamo che c’abbia creduto…” <strong>di</strong>ssi fra me.<br />
Il resto del viaggio proseguì in silenzio.<br />
Gli scenari cambiarono e i passeggeri cambiarono: alcuni si aggiunsero mentre altri sce-<br />
sero. Salì un sole fra i più cal<strong>di</strong> <strong>di</strong> tutto giugno e pian piano l’aria <strong>di</strong>venne pesante.<br />
In un paio d’ore abbondante arrivammo alla stazione <strong>di</strong> Rimini.<br />
17
6<br />
Scendemmo dal treno, sospinti dalla calca sbuffante e sudaticcia che ribolliva ovunque.<br />
Il sole picchiava forte e le macchine e i pullman parcheggiati <strong>di</strong> fronte alla stazione ri-<br />
splendevano <strong>di</strong> luce. Inforcai gli occhiali da sole, strizzando più volte le palpebre. “Così<br />
va meglio…”.<br />
Anche la zia aveva il suo vecchissimo modello <strong>di</strong> occhiali, e sotto la fronte corrugata<br />
aguzzava la vista e lasciava che il suo sguardo tagliente filtrasse dalle lenti scure.<br />
“Dove an<strong>di</strong>amo adesso?” domandai alla zia.<br />
Ella non mi rispose: stava riflettendo sul da farsi e i meccanismi del suo stagionato ma<br />
ancora efficiente cervello erano palesemente in azione. Non osai interrompere la sua<br />
me<strong>di</strong>tazione: sapevo bene quanto fosse suscettibile in queste circostanze. Così attesi, ar-<br />
rostendomi per bene sull’asfalto bollente.<br />
Ad un tratto, la zia si voltò verso <strong>di</strong> me. Attraverso le lenti nere, l’ombra dei suoi occhi<br />
mi inquietò: mi fissava, non so <strong>di</strong>re se contrariata o commiserevole.<br />
“Mi pare chiara la nostra destinazione!” <strong>di</strong>sse sbuffando, “Siamo venuti qui in cerca <strong>di</strong><br />
Jorge Rivera, adesso iniziamo a cercarlo”.<br />
“Ovvio” commentai, annuendo.<br />
“Chiama un taxi” mi <strong>di</strong>sse con tono seccato, come un generale che impartisce or<strong>di</strong>ni ai<br />
subalterni. Stava razzolando come un piccolo castoro nella borsetta antica, in cerca <strong>di</strong><br />
una certa pastiglia per il capogiro.<br />
Mi affacciai al finestrino abbassato <strong>di</strong> un taxi: “Ci porta sul lungomare, per favore?”.<br />
“Certo. In quanti siete?”.<br />
“In due, io e quella signora là sul marciapiede”.<br />
“Bagagli?”.<br />
“Sì, due”.<br />
“Allora dovete pagare l’extra. Faccio manovra, un secondo solo”.<br />
Saltammo a bordo del taxi, una Ford Mondeo graffiata sul fianco; io ero <strong>di</strong>etro mentre<br />
la zia si era accomodata davanti perché soffriva il mal d’auto. Il tassista era un uomo<br />
robusto, con folti baffi, un berretto sudato e la maglietta bianca e rossa del Rimini presa<br />
alle bancarelle.<br />
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“Dove vi lascio?” chiese, mentre aspettava il verde <strong>di</strong> un semaforo, facendo tintinnare<br />
l’orologio d’imitazione.<br />
“Vicino al Grand Hotel, ho molta voglia <strong>di</strong> rivederlo” <strong>di</strong>sse la zia, con quell’aria da ra-<br />
gazzina mai sfiorita che sogna ancora il principe e legge fiabe. Non sapevo se preferirla<br />
così, come un can<strong>di</strong>to troppo dolce, o com’era <strong>di</strong> solito, burbera e <strong>di</strong>ffidente.<br />
Arrivammo a destinazione e toccò a me pagare il taxi. “Ti restituisco tutto quando arri-<br />
viamo in albergo” aveva detto la zia, più che altro per liquidarmi.<br />
Il Grand Hotel si stagliava alto ed elegante oltre gli alberi del parco.<br />
“Ah, che bellezza” <strong>di</strong>sse la zia sottovoce.<br />
“Ci fermiamo qui?” chiesi, ansioso <strong>di</strong> liberarmi del peso delle valigie.<br />
“No, no, troppo costoso… Una volta fu proprio Jorge a portarmi qui, a bere lo champa-<br />
gne e ridere. Era una notte <strong>di</strong> fine agosto, l’estate stava <strong>di</strong>ventando più fresca. Me lo ri-<br />
cordo come fosse ieri. Eravamo seduti all’aperto, proprio su quel tavolino laggiù” e in-<br />
<strong>di</strong>cò un punto oltre il cancello e il parco: era praticamente invisibile, ma per non delu-<br />
derla <strong>di</strong>ssi che lo vedevo perfettamente. “Or<strong>di</strong>nò una bottiglia e mi donò un braccialetto<br />
d’oro… Aspetta… Ecco, eccolo qui”. Estrasse il braccialetto e me lo mostrò.<br />
“Bello” <strong>di</strong>ssi.<br />
“Oh, certo, era un gran signore. Ricco <strong>di</strong> famiglia, forse meno <strong>di</strong> quel che faceva appari-<br />
re. Un uomo <strong>di</strong> gran classe, quella che coi sol<strong>di</strong> non si compra. Non so se mi capisci”.<br />
“Alla perfezione” risposi. Ero sempre stato affascinato dalla classe che non si compra,<br />
perché come tutte le doti innate era un tesoro inestimabile.<br />
“Passai una serata meravigliosa, ma ad un certo punto me ne andai” <strong>di</strong>sse la zia, e il ri-<br />
flesso della luce sugli occhiali si fece malinconico.<br />
“Perché?” domandai stupito.<br />
“Non lo so, forse era la paura, forse…” chinò lo sguardo verso il basso, senza più con-<br />
templare il Grand Hotel ed il tavolino seminascosto.<br />
Scese un silenzio che mi imbarazzò parecchio: temevo che, naufragando fra i ricor<strong>di</strong>, al-<br />
la zia scivolasse qualche lacrima. Sciocco che ero! <strong>La</strong> vegliarda si riprese subito da<br />
quello sbandamento sentimentale, prima che il suo lato sensibile potesse emergere dalla<br />
ruvida scorza.<br />
“Al <strong>di</strong>avolo questa nostalgia!” sbottò, scrollandosi <strong>di</strong> dosso i pensieri.<br />
Così, il mio generale tedesco si rimise subito in marcia, e io <strong>di</strong>etro, domandandomi co-<br />
me avrei mai fatto a scivolare via per ritrovare Viola.<br />
19
Dopo quella breve parentesi rivolta al passato, la zia aveva subito ripreso le re<strong>di</strong>ni della<br />
situazione. Dovevamo trovare un locale chiamato “Dancing Rivalta”.<br />
“Mi ricordo perfettamente dov’è” <strong>di</strong>sse la zia, con fare deciso. “Devi sapere che lì ho<br />
conosciuto il mio caro Jorge. Lui insegnava tango argentino e io prendevo lezioni. Poi<br />
un giorno è scoccata la scintilla: ci siamo ritrovati a ballare impetuosamente, <strong>di</strong>menti-<br />
candoci del corso, degli altri allievi, <strong>di</strong> tutto insomma. Comunque, bando alle ciance,<br />
muoviamoci”.<br />
<strong>La</strong> zia era convinta che sarebbe stato facile. “<strong>Zia</strong>” <strong>di</strong>ssi io, un po’ frenato dal timore <strong>di</strong><br />
una sua reazione collerica, “Cosa ti fa pensare che Jorge Rivera si trovi ancora lì, dopo<br />
cinquant’anni? Insomma, potrebbe essere in pensione, ecco. È probabile che non faccia<br />
più l’insegnante…”.<br />
“Ah, taci!” m’interruppe la zia, confermando i miei timori “Tu non lo conosci Jorge!<br />
Lui non è un semplice insegnante <strong>di</strong> ballo: lui é il ballo, qui a Rimini! Ama la danza più<br />
d’ogni altra cosa, è la passione della sua vita. Finché Dio non vorrà riprenderlo con sé,<br />
lui ballerà. Fino all’ultimo istante”.<br />
Detto questo, la zia continuò a fissarmi, aspra, come volendosi assicurare che avessi ben<br />
chiaro il concetto.<br />
Dopo un quarto d’ora <strong>di</strong> cammino, in prossimità del lungomare, la vegliarda si arrestò<br />
sotto l’insegna <strong>di</strong> un bar: “Il bar Otello! Ci siamo!”.<br />
Mi spiegò che in quel bar Jorge le aveva offerto una Coca-cola la prima volta che si era<br />
offerto <strong>di</strong> accompagnarla a casa. Lì <strong>di</strong> fronte doveva trovarsi il “Dancing Rivalta”.<br />
Mentre la zia, battagliera, cercava uno spiraglio nel fiume d’auto che scorreva senza so-<br />
sta, io dubbioso andavo oltre con lo sguardo. Non vedevo nulla che sembrasse una bale-<br />
ra.<br />
“Dai, attraversa!” mi urlò la zia. Miracolosamente un conducente si era fermato per la-<br />
sciar passare l’anziana signora (e il suo baldo nipote).<br />
“Sì, ma…” replicai io, incerto. Decisi <strong>di</strong> tenere le mie perplessità per dopo e insieme a<br />
zia <strong>Rosita</strong> attraversai la strada.<br />
“Bene, ci siamo” <strong>di</strong>sse la zia.<br />
Davanti a noi si estendevano, sabbiosi e assolati, due campi da beach volley.<br />
Sospirando mi asciugai la fronte; anche la zia era sorpresa: “Cosa ci fanno quelle reti<br />
appese lì?”.<br />
Tacqui e col mio tacere scese un silenzio imbarazzante. Bisognava ammetterlo: del<br />
“Dancing Rivalta” non era rimasta nemmeno l’ombra.<br />
20
<strong>La</strong> zia mosse qualche passo in <strong>di</strong>rezione del campo. Mi riempì <strong>di</strong> tristezza vederla bran-<br />
colare in quel luogo che il tempo le aveva fatto estraneo. Le sue scarpe lucide si muove-<br />
vano impacciate nella sabbia abituata alle infra<strong>di</strong>to, e improvvisamente mi resi conto <strong>di</strong><br />
quanto vecchia fosse la sua vecchia camiciola. Vi<strong>di</strong> tutta la sua sicurezza svanire <strong>di</strong> col-<br />
po.<br />
Prese dalla borsa un fazzoletto ricamato e si tamponò la fronte.<br />
Io stavo quattro passi in<strong>di</strong>etro, consapevole del marasma <strong>di</strong> sentimenti che le si era mos-<br />
so dentro. Vi<strong>di</strong> un gruppetto <strong>di</strong> ragazzi passare, uno aveva un pallone e gli altri parlava-<br />
no <strong>di</strong> ieri sera. Entrarono nel campo e quasi senza accorgersene incapparono nel fanta-<br />
sma <strong>di</strong> mia zia, che col piede tastava tristemente le dunette <strong>di</strong> sabbia, sperando <strong>di</strong> senti-<br />
re, un po’ più sotto, la superficie liscia della balera scomparsa.<br />
“Mi scusi, signora, vorremmo giocare…” <strong>di</strong>sse uno.<br />
“Su, su, il centro anziani chiude ora. Ci ve<strong>di</strong>amo domani” aggiunse un altro, credendosi<br />
<strong>di</strong>vertente.<br />
<strong>La</strong> zia si voltò, cercandomi con lo sguardo.<br />
Mi avvicinai e le presi le spalle. “Dobbiamo andare, zia, i ragazzi vogliono giocare a<br />
beach volley”.<br />
<strong>La</strong> zia annuì, allontanandosi dal campo.<br />
“Cos’è il bic vollei?”.<br />
“È come pallavolo, ma si gioca sulla sabbia”.<br />
21
7<br />
Quella sera mangiammo in un ristorante poco lontano dall’albergo in cui ci eravamo si-<br />
stemati. L’atmosfera era pacata: i tavoli sparsi per l’ampia veranda raccoglievano per lo<br />
più coppie <strong>di</strong> mezz’età o famiglie. A pochi passi, il mare ondeggiava piatto e la risacca<br />
teneva un ritmo lento sulla faccia degli scogli.<br />
Ci volle tempo e pazienza, ma alla fine la zia dovette arrendersi all’evidenza: la balera<br />
<strong>di</strong> Jorge era soltanto un ricordo degli Anni Cinquanta. Non esisteva più.<br />
L’amara scoperta aveva lasciato un gran silenzio fra noi: zia <strong>Rosita</strong> era immersa nei suoi<br />
pensieri, non le andava <strong>di</strong> parlare, e io, che avrei tanto voluto consolarla in qualche mo-<br />
do, non avevo idea <strong>di</strong> cosa <strong>di</strong>re oltre alle solite sciocche banalità.<br />
Probabilmente si stava accorgendo <strong>di</strong> quanto fosse vana la sua ricerca: il suo vecchio<br />
spasimante poteva trovarsi ovunque, anche in una clinica o al cimitero, e senza un reca-<br />
pito, senza un qualsiasi riferimento, cercarlo <strong>di</strong>ventava una missione impossibile.<br />
<strong>La</strong> malinconia del pomeriggio aveva allontanato i miei pensieri da Viola. Vedere la zia<br />
così <strong>di</strong> malumore aveva anzi innescato in me una serie <strong>di</strong> sensi <strong>di</strong> colpa: se non avessi<br />
supportato la sua folle intenzione <strong>di</strong> partire per Rimini, non sarebbe mai incappata nella<br />
delusione del campo da beach volley. Se soffriva era anche colpa mia.<br />
“A che cosa pensi?” mi chiese la zia.<br />
Alzai lo sguardo, sorpreso da quella domanda. “Mi <strong>di</strong>spiace per quello che è successo<br />
oggi”.<br />
“Non occorre che tu lo <strong>di</strong>ca, si vede molto bene. Ma <strong>di</strong>spiace <strong>di</strong> più a me, fidati” rispose<br />
la zia, sistemando il tovagliolo ben <strong>di</strong>steso sul tavolo.<br />
“Se vuoi che torniamo a casa, io ti capisco” le <strong>di</strong>ssi, cercando <strong>di</strong> essere comprensivo.<br />
“Tornare a casa?” sbottò lei, con un sobbalzo, “E per quale ragione?”.<br />
“Beh, credevo che…” balbettai, imbarazzato.<br />
“Credevi che cosa? Se anche il “Dancing Rivalta” è scomparso, non rinuncerò alla mia<br />
ricerca!”.<br />
Accidenti, non aveva per nulla realizzato che si era imbarcata in un’impresa folle: era<br />
soltanto <strong>di</strong>spiaciuta perché la balera che frequentava in gioventù aveva lasciato il posto<br />
a due campi da beach volley!<br />
22
“Troveremo Jorge anche se il suo locale non c’è più. Ho già in mente due o tre piste da<br />
seguire. Tu fidati <strong>di</strong> me” <strong>di</strong>sse, estraendo un foglio pieno <strong>di</strong> appunti.<br />
“Oh santo cielo!” esclamai fra me e me.<br />
In quel momento la cameriera arrivò con il risotto <strong>di</strong> pesce: emanava un buon odore.<br />
“Al <strong>di</strong>avolo” borbottò la zia, riponendo gli appunti nella borsetta, “Adesso mangiamo”.<br />
Sinceramente, la reazione così inaspettata <strong>di</strong> zia <strong>Rosita</strong> mi rinfrancò. Quando, quello<br />
stesso pomeriggio, l’avevo vista <strong>di</strong>sorientata e persa sulla sabbia, ero stato assalito da un<br />
gran manipolo <strong>di</strong> sensi <strong>di</strong> colpa. L’avevo condotta io fin lì, io l’avevo convinta che le<br />
sue strambe intenzioni fossero legittime e realizzabili, io l’avevo portata a scontrarsi con<br />
la realtà delle cose. Se sulla spiaggia si era inchinata all’autorità in<strong>di</strong>scussa del tempo,<br />
era stato a causa mia. Tutto questo soltanto per realizzare i miei scopi.<br />
In un primo momento, capire che non si era mai svegliata dal suo sogno assurdo mi a-<br />
veva lasciato interdetto, senza parole… D’accordo, averla sospinta verso un traguardo<br />
impossibile con lo scopo, quanto mai egoista, <strong>di</strong> ritrovare la ragazza a cui pensavo ogni<br />
istante era un gesto davvero riprovevole. Tuttavia, se la zia avesse continuato a vivere la<br />
sua favola, senza rendersi conto <strong>di</strong> come stavano realmente le cose, il senso <strong>di</strong> colpa si<br />
sarebbe fatto più leggero. Potevo ingannare la mia coscienza, farle credere che stavo<br />
dando agli ultimi anni della zia una nuova fresca giovinezza e che questo fosse un gesto<br />
pieno <strong>di</strong> generosità.<br />
Prima che questi ragionamenti s’infittissero, senza che io potessi più <strong>di</strong>stricarmi e rivol-<br />
tarli dal loro lato migliore, scorsi la rubrica del telefono e fissai la serie <strong>di</strong> numeri che<br />
sul piccolo schermo bianco seguiva il nome “Viola”.<br />
Perché aspettare? L’avrei chiamata quella sera stessa. Non c’era nulla per cui rimandare<br />
la telefonata. Ero lì, senza particolari programmi per la serata (la zia amava mettersi a<br />
letto abbastanza presto), perché perdere tempo?<br />
Tuttavia, mi ritrovai a rimescolare il risotto, pensando <strong>di</strong>stratto: “Intanto finisco la ce-<br />
na”. Riposi il telefono in tasca e non pensai più.<br />
Dopo il primo, arrivarono gamberoni per me e coda <strong>di</strong> rospo per la zia. Poi un sorbetto e<br />
il conto.<br />
“Mi sento spossata” affermò la zia, mentre passeggiavamo tornando in albergo. Disse<br />
proprio spossata, me lo ricordo bene. Si massaggiava la coscia con un mano.<br />
23
Arrivammo all’hotel e salimmo al primo piano. Avevamo due camere <strong>di</strong>stinte, ma af-<br />
fiancate.<br />
“Leggerò qualcosa, per prendere sonno” sospirò zia <strong>Rosita</strong>, agitando la chiave in cerca<br />
della serratura.<br />
“Io faccio ancora una passeggiata, zia; mi piace il mare, <strong>di</strong> sera” <strong>di</strong>ssi, riavvicinandomi<br />
alle scale.<br />
“Non fare tar<strong>di</strong>, e sta’ attento” borbottò lei, entrando.<br />
“Certo zia” la rassicurai.<br />
Sullo schermo del telefono comparve <strong>di</strong> nuovo quella serie <strong>di</strong> numeri, tutti lì in attesa<br />
che premessi il tasto verde.<br />
Erano le <strong>di</strong>eci meno cinque, stavo in pie<strong>di</strong> <strong>di</strong> fronte all’ingresso dell’albergo, nel viavai<br />
della sera. Mi guardai attorno: non era un buon posto per una chiamata così importante.<br />
Camminai per una ventina <strong>di</strong> minuti, raggiunsi il lungomare e mi sedetti.<br />
Accostai il cellulare all’orecchio, stringendo le labbra per la concentrazione.<br />
“Ciao Viola, sono quel ragazzo che hai conosciuto alla festa, da Filippo, due giorni fa.<br />
Sono capitato a Rimini questa sera, ti va se ci ve<strong>di</strong>amo?”.<br />
Rimasi in silenzio…<br />
“Ok, così può andare” mi <strong>di</strong>ssi, celando a me stesso la mia poca convinzione. “Adesso<br />
la chiamo davvero”.<br />
Mi risolsi che non sarei più riuscito a far nulla se non avessi fatto quella benedetta tele-<br />
fonata. Prima o poi avrei dovuto premere quel tasto e affrontarne le conseguenze. Al-<br />
trimenti il rimpianto mi avrebbe inseguito per tutta la vita; si aggiunga a questo che, ri-<br />
nunciando a chiamare Viola, tutta la folle gita sulla riviera avrebbe perso quel briciolo<br />
<strong>di</strong> senso che già non possedeva.<br />
Inspirai una gran quantità d’aria salmastra.<br />
Clic.<br />
“Pronto, ciao Viola… sono quel ragazzo, sai, quello della festa. <strong>La</strong> festa da Filippo, due<br />
giorni fa. Sono a Rimini, hai voglia <strong>di</strong> vederci?”.<br />
<strong>La</strong> prova era andata molto meglio, tuttavia lei <strong>di</strong>sse <strong>di</strong> ricordarsi.<br />
“Vederci adesso? Per me va bene”.<br />
“Sul serio?! Bene! Dove?” ero fuori <strong>di</strong> me dalla gioia.<br />
Mi in<strong>di</strong>cò un bar sul lungomare; in due minuti ero già là.<br />
24
Me ne stavo in grande attesa, dando <strong>di</strong> tanto in tanto un’occhiata al mare e alla gente,<br />
quando una cabriolet azzurra si fermò a pochi metri da me, tuonando <strong>di</strong> musica ad alto<br />
volume. <strong>La</strong> portiera si aprì e vi<strong>di</strong> scendere Viola.<br />
Era molto bella, coi capelli raccolti e indosso un vestito a calde fantasie sul cremisi. Si<br />
sistemò la borsetta e la frangetta che scendeva <strong>di</strong> lato, poi alzò lo sguardo e s’accorse <strong>di</strong><br />
me.<br />
“Ciao” mi <strong>di</strong>sse.<br />
“Ciao” sorrisi io, incapace <strong>di</strong> ignorare la macchina che faceva baccano a due passi da<br />
noi.<br />
“Loro sono miei amici. Salta su, an<strong>di</strong>amo in un locale. È carino” mi <strong>di</strong>sse Viola, sugge-<br />
rendomi con uno sguardo <strong>di</strong> seguirla.<br />
Credo che si leggesse ben chiaro che tutto ciò era per una sorpresa, e soprattutto era una<br />
deviazione non in<strong>di</strong>fferente dall’idea che mi ero fatto per quella serata. Pensavo che sa-<br />
remmo stati soltanto io e lei, per le vie del centro; immaginavo qualcosa <strong>di</strong> tranquillo…<br />
Invece la principessa mi era venuta a prendere su una carrozza munita <strong>di</strong> impianto da<br />
<strong>di</strong>scoteca, per finirci poi, in una <strong>di</strong>scoteca.<br />
Cercai <strong>di</strong> non pensarci, poteva rivelarsi una bella sorpresa.<br />
Salii in macchina sul se<strong>di</strong>le posteriore, dove c’erano Viola e un ragazzo grassoccio. Alla<br />
guida stava un bion<strong>di</strong>no, capelli acconciati a mo’ <strong>di</strong> samurai e pelle abbronzatissima; al<br />
suo fianco una ragazza mora con molti ricci.<br />
Mi fu riservato un ciao <strong>di</strong>stratto, mentre l’auto riprendeva a correre nella sua scia <strong>di</strong> note<br />
violente.<br />
Il locale era davvero intrigante: giar<strong>di</strong>ni sparsi e tavolini, bar posti sotto allegre capanne<br />
colorate, grossi <strong>di</strong>vani orientaleggianti, torce, lanterne e reti da pesca appese.<br />
Sopra un piccolo palco oltre un prato, colmi <strong>di</strong> luce contro lo sfondo buio del mare <strong>di</strong><br />
notte, un gruppo suonava dal vivo. Era un bel complesso, una cover band che guardava<br />
verso il Regno Unito e ci suonava i Travis, gli Oasis, i Coldplay.<br />
Ci sedemmo ad un tavolo vicino al palco, investito dalla chitarre e dalla voce del can-<br />
tante. Il bion<strong>di</strong>no conosceva alcuni ragazzi già seduti lì attorno e ci riunimmo tutti in-<br />
sieme.<br />
Essendo l’unico sconosciuto del gruppo, mi venivano rivolte poche parole e tanti sguar-<br />
<strong>di</strong>, timi<strong>di</strong> e curiosi. Io sorridevo, ma più che altro mi rintanavo nelle canzoni: quelle le<br />
conoscevo bene, a <strong>di</strong>fferenza delle persone che avevo attorno.<br />
25
Le chiacchiere e le risa (per battute che non riuscivo a capire) si mescolavano alla musi-<br />
ca.<br />
Viola era seduta accanto a me: rideva e scherzava con gli altri, facendo ondeggiare<br />
l’ombrellino dentro il suo cocktail, e ogni tanto mi guardava. Il suo sguardo irra<strong>di</strong>ava al-<br />
legria, ma molto spesso mi sorprendeva <strong>di</strong>stratto, e serio nell’ilarità generale.<br />
“È tutta gente che non conosci, questa” sorrideva. Buffo che si riferisse agli oggetti dei<br />
loro <strong>di</strong>scorsi, e non a loro stessi, che erano ugualmente sconosciuti per me. Anche Vio-<br />
la, nonostante mi avesse subito colpito, era praticamente un’estranea per me.<br />
Si voltava sorridente, e mi scuoteva, con gesto amichevole.<br />
No, non era la serata che mi ero aspettato. Avevo Viola lì, a un soffio da me, ma era<br />
come lontana chilometri e quei suoi amici, le loro battute, i loro <strong>di</strong>scorsi, me la tenevano<br />
a gran <strong>di</strong>stanza.<br />
Mi ritrovai sui miei pensieri, augurandomi che la zia fosse bella addormentata e non ve-<br />
nisse a bussare da me. Sapevo che avrei fatto molto tar<strong>di</strong>, ma al momento <strong>di</strong> scegliere<br />
avevo ascoltato quella voce che mi sospingeva a seguire Viola, ovunque ella mi avesse<br />
condotto.<br />
Era già un bel pezzo che stavo lì seduto, intervenendo <strong>di</strong> rado, quando riuscivo a sentire<br />
e a comprendere il <strong>di</strong>scorso; ad un certo punto sussurrai a Viola che andavo in bagno,<br />
poi mi alzai piano. Qualcuno mi osservò un secondo, mentre mi allontanavo, mescolan-<br />
domi alla folla.<br />
Uscii dal bagno e mi ritrovai restio a tornare al tavolo.<br />
Lì a destra c’era una scaletta <strong>di</strong> pietra che scendeva, voltando dove non potevo più scor-<br />
gerla.<br />
M’incamminai lungo gli scalini, vi<strong>di</strong> avvicinarsi a me la spiaggia. <strong>La</strong> musica arrivava<br />
ancora, ma filtrata dalla <strong>di</strong>stanza e soprattutto liberata dalle chiacchiere della gente in-<br />
torno. <strong>La</strong> luce del locale illuminava dall’alto quella che mi resi conto essere una grande<br />
palafitta sospesa sul mare.<br />
Tornai a guardare il mare, e la spiaggia. C’era una se<strong>di</strong>a sdraio <strong>di</strong>menticata sbilenca vi-<br />
cino al bagnasciuga, il quale brillava d’argento al ritmo delle onde. Mi coricai.<br />
<strong>La</strong> serata non va come dovrebbe, mi <strong>di</strong>ssi, scortando con gli occhi le luci <strong>di</strong><br />
un’imbarcazione fino al <strong>di</strong> là delle boe. Passò del tempo.<br />
Forse dovrei tornare là, far buon gioco a cattiva sorte, sperando comunque che, con un<br />
po’ <strong>di</strong> pazienza, la serata torni sui binari che voglio io. Ah, tornata! Per tornare in un<br />
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posto occorre esservi già stati: la serata era iniziata subito male, invece. Era così bello<br />
lì, vicino al mare.<br />
Controllai l’ora: mancava poco a mezzanotte.<br />
Decisi <strong>di</strong> tornare <strong>di</strong> sopra; se a quelli seduti al tavolo fosse sorta la curiosità e mi avesse-<br />
ro chiesto perché mai ero stato assente così a lungo, avrei risposto che avevo incontrato<br />
un mio vecchio amico al bancone del bar e mi ero perso in chiacchiere.<br />
Mi alzai, un po’ controvoglia, tastando con un filo d’irritazione gli abiti inumi<strong>di</strong>ti.<br />
Nel voltarmi, ebbi la sorpresa <strong>di</strong> una sagoma che scendeva le scalinate.<br />
I movimenti misurati mi <strong>di</strong>ssero che era donna, e il suo abito vivace aggiunse che si<br />
chiamava Viola. Avanzava sulla sabbia, davvero molto leggera, e la luce che da lontano<br />
sbiancava il suo volto rivelava un’espressione mista <strong>di</strong> dolcezza e contrarietà.<br />
“Ma dov’eri finito?” mi domandò, appena fu abbastanza vicina da non dover gridare.<br />
Un po’ imbarazzato, mi stropicciai la maglietta e risposi che la gente, il rumore, i <strong>di</strong>-<br />
scorsi… tutto mi aveva un po’ straniato.<br />
“Ti capisco. Si chiacchierava del più e del meno, <strong>di</strong> persone che non conosci. Mi <strong>di</strong>spia-<br />
ce avrei dovuto pensarci io…” <strong>di</strong>sse lei.<br />
Fui subito felice: avevo temuto che mi fossi giocato tutto con lei, facendole credere che<br />
non sapevo essere <strong>di</strong> buona compagnia, incapace <strong>di</strong> fare quattro chiacchiere, e che la se-<br />
rata a casa <strong>di</strong> Filippo fosse stata un’illusione. Invece lei comprendeva, comprendeva! la<br />
mia situazione!<br />
“Fa’ niente, va” risposi, cercando <strong>di</strong> lasciare leggeri i contorni <strong>di</strong> quella serata, “Sarà per<br />
la prossima volta”.<br />
In quel preciso istante, vi<strong>di</strong> un certo riverbero nei suoi occhi: più che stupore, era come<br />
la luce del pittore colto dall’ispirazione, del poeta sfiorato dalla musa. Ancora adesso<br />
quella luce invisibile, durata meno <strong>di</strong> piccolo istante, riesce a tenermi insonne;<br />
nell’interrogarmi su <strong>di</strong> essa, non finisco <strong>di</strong> domandarmi come meglio potrei descriverla,<br />
classificarla… e ancora mi sfugge!<br />
Non saprei proprio <strong>di</strong>re cosa sia quel riverbero, ma so che da quella notte spero sempre<br />
<strong>di</strong> vederlo e credo che vi sia celato un mistero veramente intrigante, ma che occorre<br />
mantenere insoluto perché conservi il suo fascino.<br />
Appena quella scintilla fu apparsa nei suoi occhi, Viola sorrise (anche sul suo sorriso si<br />
potrebbe <strong>di</strong>scutere e filosofare, senza riuscire ad acciuffarlo mai!) e mi <strong>di</strong>sse: “Prossima<br />
volta? Perché aspettare? C’è ancora tempo”.<br />
27
Rimasi immobile, come si rimane immobili <strong>di</strong> fronte a un grande colpo <strong>di</strong> scena, ad<br />
un’improvvisa deviazione che ti spiazza completamente. Mai avrei chiesto a quella sera-<br />
ta un’evoluzione simile, per come era iniziata.<br />
“Vieni con me” aggiunse, voltandosi.<br />
<strong>La</strong> seguii senza un fiato, trasportato da lei.<br />
Si tolse le scarpe e camminava a pie<strong>di</strong> nu<strong>di</strong> sulla sabbia.<br />
Arrivammo ad una gelateria, un chiosco floreale con un gran banco <strong>di</strong> gelati. Prima <strong>di</strong><br />
entrare calzò nuovamente le ballerine e con uno sguardo rapido controllò il vestito.<br />
“Mi piace questo posto. Adoro i fiori e il gelato è molto buono” <strong>di</strong>sse mentre sedevamo<br />
ad un tavolino.<br />
Non c’erano che pochi clienti; la maggior parte passava oltre attratta dalla grande festa<br />
poco <strong>di</strong>stante.<br />
Dopo un primo momento silenzioso, Viola mi fissò con sguardo profondo e mi doman-<br />
dò come mai fossi lì a Rimini, proprio quella sera.<br />
Cosa rispondere? Tentennai più d’un momento, incapace <strong>di</strong> decidere se raccontarle della<br />
zia e del ballerino, oppure se <strong>di</strong>rle che ero venuto lì per lei. In entrambi i casi non avrei<br />
mentito. Che fare? Decisi che la storia della prozia era così originale e avvincente che<br />
avrei potuto fare colpo narrandola.<br />
“Ve<strong>di</strong>, sono qui con la mia prozia. Ma non è una semplice vacanza: non immaginerai<br />
mai cosa l’ha spinta a venire qui” <strong>di</strong>ssi, cercando <strong>di</strong> creare suspense. Dopo un istante,<br />
calai la carta: “È in cerca <strong>di</strong> un uomo che cinquant’anni fa le aveva proposto <strong>di</strong> sposar-<br />
lo”.<br />
Viola mi guardava, un po’ incredula e po’ <strong>di</strong>vertita.<br />
“<strong>La</strong> mia prozia aveva ricevuto due proposte <strong>di</strong> matrimonio quand’era giovane e non si<br />
era mai decisa su quale delle due accettare. Erano entrambi uomini affascinanti, bei par-<br />
titi <strong>di</strong>ceva lei. Intanto gli anni passavano, lei invecchiava e tuttavia non si risolveva su<br />
chi sposare. Finché uno dei due, ancora in fedele e casta attesa, non è morto. Scomparsa<br />
l’alternativa, la prozia ha deciso <strong>di</strong> ritrovare il suo vecchio spasimante per concedergli la<br />
sua mano. Così siamo venuti qui a Rimini a cercarlo”.<br />
“Quando te la sei inventata questa?” rise Viola, cercando con lo sguardo la cameriera.<br />
“È la pura verità!” esclamai, temendo <strong>di</strong> non essere creduto.<br />
<strong>La</strong> ragazza tornò a fissarmi: “Sul serio?”.<br />
“Serissimo” affermai.<br />
28
Rise <strong>di</strong> nuovo: “Non avevo mai sentito una storia del genere. Tu l’aiuti nella sua ricer-<br />
ca?”.<br />
“Faccio quello che posso. Ma, onestamente, mi sembra abbastanza folle pensare che tut-<br />
to si concluda per il meglio. Per quanto ne sappiamo, quell’uomo potrebbe essere mor-<br />
to, oppure in una casa <strong>di</strong> riposo, oppure sposato! Non credo che anche lui abbia passato<br />
cinquant’anni ad attendere una donna che non si faceva più sentire…”.<br />
“Immagino che questo tu non l’abbia detto con la zia, vero?” domandò Viola, un filo<br />
pungente.<br />
“In effetti, no” risposi io, incapace <strong>di</strong> aggiungere altro.<br />
“<strong>La</strong>sci che viva nel suo sogno?”. Mi poneva domande affilate, ma lo faceva con tono<br />
bonario.<br />
Io la guardai negli occhi. “In realtà ho sfruttato le assurde intenzioni <strong>di</strong> mia zia per veni-<br />
re a Rimini ed incontrarti, siccome dalla sera della festa ho dormito pochi minuti e il re-<br />
sto del tempo l’ho speso pensando a te”. Con questa risposta avrei sicuramente creato<br />
un bel silenzio e un “Ooooh” stupefatto del pubblico.<br />
Pubblico non c’era, però, e io non ero l’attore che poteva permettersi tali uscite; così, ri-<br />
sposi con un banale e innocuo: “Sì, almeno per ora”. Di certo non sortì chissà quale ef-<br />
fetto e inoltre mi lasciò un piccolo rimpianto.<br />
Arrivò la cameriera e or<strong>di</strong>nammo due coppe con la frutta fresca.<br />
“Sai, stavo pensando che quell’uomo, quello che è morto, ha aspettato per cinquant’anni<br />
la risposta della sua amata. È incre<strong>di</strong>bile, se ci pensi bene”. Viola mescolava <strong>di</strong>stratta-<br />
mente il gelato con i pezzetti <strong>di</strong> frutta.<br />
“Voglio <strong>di</strong>re che se davvero non ha mai avuto un’altra donna, ma ha aspettato proprio<br />
tua zia per tutta la vita, ha trascorso l’intera esistenza sognando una sola donna, che per<br />
giunta non vedeva e non sentiva. È più che fedeltà questa”.<br />
“È amore” risposi prontamente, e andai assai fiero con me stesso <strong>di</strong> quella risposta.<br />
“Amore… Sai, ogni volta che ci penso mi sento strana: rimanere al fianco <strong>di</strong> una perso-<br />
na finché morte non vi separi e farlo perché hai solo lei nel cuore, e non per onorare un<br />
contratto matrimoniale. Essere così piena <strong>di</strong> lui da non lasciare spazio a nessun altro…<br />
Mi sembra così <strong>di</strong>fficile, non ci riuscirò mai” rifletté Viola, sollevando un cucchiaino <strong>di</strong><br />
gelato.<br />
“Non <strong>di</strong>re così. Credo che appaia <strong>di</strong>fficile finché non si conosce la persona giusta”.<br />
“Ah! Quella la incontri una volta sola nella vita, e solo se sei molto fortunato. Per que-<br />
sto sono poco speranzosa”.<br />
29
“Quin<strong>di</strong>, non sei mai stata innamorata” le <strong>di</strong>ssi.<br />
“Se l’amore vero è quello che dura per sempre, allora no, non lo sono mai stata. E tu?”.<br />
“Io? Io no, no. Al massimo posso <strong>di</strong>re che sia stata un’infatuazione, o in altre parole una<br />
svista… Storie che durano poco…”.<br />
“Cosa inten<strong>di</strong> con poco?” mi osservò lei, sorniona.<br />
“Una o due settimane al massimo… insomma, <strong>di</strong>eci giorni ecco” balbettai io, imbaraz-<br />
zato, mentre lei tornava a ridere.<br />
“Sei incre<strong>di</strong>bile” mi <strong>di</strong>sse, lasciandomi zitto e immobile come un pesce lesso.<br />
“Beh, grazie” risposi, abbozzando un sorriso che voleva essere <strong>di</strong>sinvolto.<br />
“Oh, figurati, te lo devo. Quanti ne conosco che vanno al mare con la prozia in cerca del<br />
suo spasimante perduto?”.<br />
“Pochi, suppongo”.<br />
“Uno: tu” e sorrise.<br />
<strong>La</strong>sciò scivolare la testa nel palmo della mano.<br />
“Sei stanca?” le domandai, ostentando un fare premuroso.<br />
“Un po’” rispose lei, alzando verso <strong>di</strong> me gli occhi, un po’ spenti ma sempre belli.<br />
“I tuoi amici ci riaccompagnano a casa?” le domandai.<br />
“Sì, anche se loro vorranno <strong>di</strong> certo star fuori ancora. Ma per me all’una scatta il copri-<br />
fuoco; devo <strong>di</strong>re che ho lottato un bel po’ per posticiparlo: fino a poco tempo fa dovevo<br />
rincasare per la mezza” mi <strong>di</strong>sse, mentre estraeva il cellulare.<br />
Inviò un messaggio a chissà chi, fatto sta che <strong>di</strong> lì a pochi minuti l’auto era lì; le offrii il<br />
gelato, poi prendemmo la strada <strong>di</strong> casa.<br />
Riuscii a salutarla soltanto in modo affrettato, senza poterle strappare un nuovo appun-<br />
tamento o un’altra frase da ricordare. Nell’auto la musica era alta, e gli amici avevano<br />
fretta <strong>di</strong> tornare in giro.<br />
“Buonanotte” le <strong>di</strong>ssi, ma la macchina già ripartiva e la musica si sentiva sempre più<br />
piano.<br />
30
8<br />
“Svegliati, su!” tuonava lontana una voce nell’in<strong>di</strong>stinto mondo che intravedevo appe-<br />
na.<br />
“Non avrai mica fatto tar<strong>di</strong>, ieri sera, vero?” insisteva la figura, agitandosi qua e là coi<br />
suoi tozzi tentacoli neri.<br />
Un rumore secco e della mia cara penombra più nulla: solo una luce violenta, che mi<br />
schiacciò gli occhi nella testa.<br />
Emisi un lamento cavernoso e in risposta u<strong>di</strong>i sbuffare con impazienza. Poi, la fati<strong>di</strong>ca<br />
frase: “Sono già le sette e mezza!”.<br />
Mi abbandonai ad un nuovo gemito, ancora più animalesco, e masticai una serie <strong>di</strong> paro-<br />
le congestionate e senza senso.<br />
Aprii gli occhi a fessura, incapace <strong>di</strong> reggere tutta quella luce, e borbottai: “Le sette e<br />
mezza?! È presto!…”.<br />
<strong>La</strong> zia, che era entrata (chissà come?) nella mia stanza, era già perfettamente abbigliata<br />
e pettinata, per non parlare poi del trucco.<br />
“Ti ricordo che non siamo venuti qui per dormire, né tantomeno in vacanza! Abbiamo<br />
un obiettivo e una tabella <strong>di</strong> marcia da rispettare” sventolò qualcosa <strong>di</strong> bianco, un foglio.<br />
“Tieni, ho fatto fare le fotocopie giù alla reception” <strong>di</strong>sse. Mi buttò addosso un plico <strong>di</strong><br />
fogli.<br />
Mi arresi e mi alzai seduto sul letto. Dopo essermi stropicciato gli occhi, misi a fuoco<br />
quel fascicolo.<br />
“Non ci credo! Hai scritto una lista completa <strong>di</strong> posti dove possiamo svolgere la ricer-<br />
ca!” esclamai esterrefatto.<br />
“Non solo. C’è anche la mappa della città con evidenziato il percorso e gli orari per le<br />
visite” si vantò la vegliarda, sfoderando un sorriso crudele.<br />
“Dammi un quarto d’ora per prepararmi” le <strong>di</strong>ssi tossicchiando, mentre strisciavo in ba-<br />
gno.<br />
“Ti aspetto nella hall. Bada bene che se ti rimetti a dormire…” lasciò volontariamente la<br />
frase in sospeso, per incutere in me un terrore ancora più gelido, e scomparve.<br />
31
Quella mattina toccammo <strong>di</strong>versi punti evidenziati, ma senza avere fortuna: <strong>di</strong> Jorge Ri-<br />
vera nemmeno l’ombra.<br />
“Perché qui i percorsi sono due?” domandai, puntando il <strong>di</strong>to sulla mappa.<br />
“Perché qui le nostre strade si <strong>di</strong>vidono. È un modo per guadagnare tempo” mi spiegò la<br />
zia; poi, con quel suo tono minaccioso, aggiunse: “Non significa che puoi scorrazzare<br />
liberamente per la spiaggia, questo lo sai vero? È molto importante che tu segua la sca-<br />
letta, sennò potremmo perdere per sempre la possibilità <strong>di</strong> trovare Jorge. Sei un ragazzo<br />
intelligente, mi fido <strong>di</strong> te, anche se sei un po’, come <strong>di</strong>re, svogliato… Non mi deludere”.<br />
Non ribattei: almeno mi aveva fatto un complimento!<br />
Mentre la zia si allontanava, io intrapresi il mio cammino.<br />
I primi due luoghi contrassegnati non portarono nulla <strong>di</strong> buono, mentre il terzo, il cosid-<br />
detto bar “Olympia”, pareva non esistere. Mi sforzai <strong>di</strong> cercarlo, ma dopo qualche minu-<br />
to decisi <strong>di</strong> chiedere in<strong>di</strong>cazioni.<br />
I turisti non lo conoscevano, sembrava davvero fosse un scherzo (per qualche minuto<br />
pensai ad un tranello della prozia), ma <strong>di</strong> colpo un ragazzo mi comparve <strong>di</strong> fronte.<br />
“Cerchi il bar Olympia, vero?” mi domandò.<br />
“Sì. Sai per caso dov’è? Qui nessuno lo conosce, chissà che posto è…”.<br />
“Io lo conosco: è <strong>di</strong> mio padre”.<br />
Mi sentii sprofondare: “Mi <strong>di</strong>spiace, non volevo… è solo che…” balbettai, cercando <strong>di</strong><br />
scusarmi.<br />
“Non fa niente” mi rassicurò il ragazzo, con aria sincera “In effetti il bar è poco popola-<br />
re, ma ha il suo fascino”.<br />
“Mi accompagni?”.<br />
“Certo. Per <strong>di</strong> qua. E comunque io sono Ettore” si presentò.<br />
“Piacere, Wagner”.<br />
“Piacere mio”. Fu il primo che non si stupì del mio nome.<br />
Il bar era nascosto fra gran<strong>di</strong> e<strong>di</strong>fici, con una piccola insegna <strong>di</strong> foggia antica e vetri co-<br />
lorati che proiettavano le loro tinte ocra e bordeaux sulle ten<strong>di</strong>ne.<br />
“Entra pure” mi <strong>di</strong>sse Ettore, e lo seguii.<br />
Nel locale regnava un silenzio alieno, nonostante fossero <strong>di</strong>versi i vecchi avventori pre-<br />
senti. C’era un’atmosfera particolare, come se si fosse appena avuta la notizia <strong>di</strong> un lut-<br />
to, oppure si fosse in trepida attesa per qualcosa <strong>di</strong> importante.<br />
32
Incerto sul da farsi, temporeggiai un po’, poi, curioso, domandai ad Ettore cosa stesse<br />
succedendo.<br />
Mi rispose con un cenno, suggerendomi <strong>di</strong> pazientare e far silenzio.<br />
Gli anziani al bancone e i tre che al tavolino avevano sospeso la partita <strong>di</strong> carte si scam-<br />
biavano occhiate interrogative e <strong>di</strong> tanto in tanto riservavano sguar<strong>di</strong> in<strong>di</strong>screti al tavoli-<br />
no più lontano.<br />
<strong>La</strong>ggiù, in penombra, sedevano due uomini. Uno era inquietante e tenebroso: carnagio-<br />
ne me<strong>di</strong>terranea, occhiali da sole e capelli selvaggi; l’altro era pallido, nervoso e con un<br />
principio <strong>di</strong> calvizie.<br />
Il tipo con gli occhiali ostentava una grande sicurezza, ma era serissimo.<br />
Lo u<strong>di</strong>i domandare, con voce bassa: “Voglio una consumazione gratis ogni venerdì, sa-<br />
bato e domenica per tutta la stagione estiva più un tavolo riservato, sempre a mia <strong>di</strong>spo-<br />
sizione”.<br />
Il suo interlocutore ticchettava con le <strong>di</strong>ta sul tavolino: “Certo, certo, questo è garantito.<br />
In più, se le cose vanno per il verso giusto, cinquanta euro <strong>di</strong> birra gratis”.<br />
“Mi sembra un’offerta ragionevole” <strong>di</strong>chiarò l’uomo tenebroso, guardando altrove.<br />
Un mormorio animò per un attimo i presenti.<br />
“E non <strong>di</strong>mentichi la foto” aggiunse l’ometto pallido, in<strong>di</strong>cando con un cenno del capo<br />
una parete tappezzata <strong>di</strong> poster e fotografie.<br />
“Di quella m’importa poco, glielo <strong>di</strong>co con sincerità. Non dovrebbe giu<strong>di</strong>carmi così va-<br />
naglorioso” ribatté l’altro, secco.<br />
“Oh, io? Mai. È un semplice riconoscimento” si affrettò a chiarire l’altro, temendo delle<br />
complicazioni. “Siamo d’accordo, allora?”.<br />
Ci fu un lungo istante <strong>di</strong> silenzio, durante il quale i vecchietti fecero gli spergiuri, qual-<br />
cuno ad<strong>di</strong>rittura il segno della croce; poi, finalmente, l’uomo con gli occhiali parlò:<br />
“Siamo d’accordo”.<br />
“Bene!” sorrise l’altro, cercando <strong>di</strong> darsi un contegno. Sprizzava gioia da tutti i pori.<br />
Con mano tremante gli porse un foglio e una penna.<br />
“Ecco, deve firmare qui” gli <strong>di</strong>sse.<br />
Quasi con fare teatrale, il tipo minaccioso si passò la penna fra le <strong>di</strong>ta, ritardando il<br />
momento della tanto attesa firma.<br />
Alla fine, con la sua grafia spezzettata, siglò il contratto.<br />
Sfoggiando un sorriso splen<strong>di</strong>do (e asciugandosi il sudore dalla fronte), l’ometto si alzò<br />
in pie<strong>di</strong> e così fece anche il tipo con gli occhiali, che si rivelò essere altissimo.<br />
33
Fra gli avventori del bar già si palpava la grande sod<strong>di</strong>sfazione e non mancavano sorrisi<br />
e strette <strong>di</strong> mano.<br />
“Amici miei” proclamò l’ometto, con voce ancora tremolante “Sono felicissimo <strong>di</strong> an-<br />
nunciarvi che Alex Greco è ufficialmente un giocatore del bar Olympia soccer!”.<br />
Mentre nel bar si stappavano le bottiglie migliori, io ero senza parole. Chi mai si sareb-<br />
be aspettato un simile finale?<br />
“Dai, bevi qualcosa!” mi <strong>di</strong>sse Ettore, porgendomi un aperitivo.<br />
Come <strong>di</strong>re <strong>di</strong> no? Così iniziai ad esultare anch’io, unendomi a quella bizzarra festa al<br />
bar Olympia.<br />
34
9<br />
Quando l’entusiasmo si fu un po’ mitigato (anche perché il grande Alex Greco se n’era<br />
ormai andato da un pezzo), chiesi a Ettore come si potesse scatenare tanta eccitazione<br />
attorno al quel tipo strano e alla squadra del bar.<br />
Prima che il ragazzo potesse rispondermi, irruppe l’ometto, che scoprii chiamarsi Fabri-<br />
zio ed essere il padre <strong>di</strong> Ettore, che esclamò: “Tipo strano? Ti <strong>di</strong>co soltanto un paio <strong>di</strong><br />
cose: classe 1977, un metro e ottantotto per ottanta chili, ha giocato nella primavera del<br />
Lecce; <strong>di</strong>eci anni <strong>di</strong> Serie D fra Toscana, <strong>La</strong>zio ed Emilia-Romagna. Ventinove goal<br />
nelle cinque passate e<strong>di</strong>zioni del torneo dei bar qui a Rimini, sempre con la maglia dei<br />
rivali del bar Centrale. È l’acquisto del secolo! Quest’anno si vince!”.<br />
Ero estasiato dalla parlantina e dalla foga <strong>di</strong> Fabrizio.<br />
“Il torneo è un momento importantissimo per lui” mi spiegò Ettore, quando suo padre si<br />
fu allontanato. “Non l’ha mai vinto una volta ed è <strong>di</strong>ventato il suo tormento. Pensa che<br />
fino a quattro anni fa non sapeva niente <strong>di</strong> calcio. Poi degli amici mi hanno convinto a<br />
mettere su una squadra e farci sponsorizzare dal nostro bar. Lui ha accettato, seppur<br />
controvoglia, ma pian piano la passione l’ha preso e adesso è a <strong>di</strong>r poco un maniaco”.<br />
“Quin<strong>di</strong> giochi anche tu nella squadra?”.<br />
“No, non più. Ho giocato i primi due anni, ma da quando ho smesso con il calcio, ho<br />
smesso anche con l’Olympia”.<br />
“Come mai hai lasciato?”.<br />
“Mi sono stancato, ho preferito de<strong>di</strong>carmi ad altro”.<br />
Sembrava un filo nostalgico Ettore, quando rievocava quei momenti, ma si capiva anche<br />
che era stata una decisione convinta.<br />
“Vuoi sapere <strong>di</strong> cosa mi occupo?” mi domandò.<br />
Effettivamente, mi aveva molto incuriosito, ma avevo evitato <strong>di</strong> chiederglielo perché<br />
non volevo sembrare troppo invadente.<br />
“Sì, d’accordo” risposi.<br />
Così, mi condusse oltre la porta che separava il bar dall’abitazione. Giungemmo in ca-<br />
mera sua, un luogo incre<strong>di</strong>bile.<br />
35
Oltre al letto con l’intelaiatura <strong>di</strong> ferro battuto, trovato quasi per caso in un mercato<br />
d’antichità, e alla lanterna scovata un mattino all’alba fra le alghe derelitte sulla riva, la<br />
camera <strong>di</strong> Ettore conservava una serie infinita <strong>di</strong> oggetti meravigliosi.<br />
Alle pareti erano addossate pile <strong>di</strong> libri, <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>nate e senza l’ombra d’uno scaffale: ave-<br />
vano come basi gran<strong>di</strong> enciclope<strong>di</strong>e fotografiche e libri d’arte, poi salendo pian piano si<br />
trovava narrativa, saggistica e filosofia, senza più un criterio d’or<strong>di</strong>namento.<br />
Sulla grande cassapanca <strong>di</strong> legno c’erano alcune candele e una grande ra<strong>di</strong>o fine Anni<br />
60.<br />
Ettore aprì i cassettoni e mi mostrò un buon numero <strong>di</strong> vecchi <strong>di</strong>schi in vinile, fumetti<br />
datati e anche qualche prezioso.<br />
“Ecco qua” <strong>di</strong>sse il ragazzo, con un breve cenno della mano.<br />
“È <strong>di</strong> questo allora che ti occupi: antichità!” <strong>di</strong>ssi io, colpito da quanti oggetti introvabili<br />
e bizzarri fossero racchiusi in quella piccola stanza.<br />
“Non proprio. Più che altro, cerco <strong>di</strong> scoprire le cose che sono cadute in <strong>di</strong>suso, per il<br />
passare del tempo, per la tecnologia. Sai, tutti guardano alle ultime novità, e anch’io ne<br />
sono attratto, però questi oggetti hanno un certo non so che”.<br />
Mi mostrò un ferro da stiro vecchissimo, <strong>di</strong> quelli che funzionavano con il carbone.<br />
“Ho provato ad usarlo, una volta, ma non è stato un gran successo” rise.<br />
<strong>La</strong> sua passione principale era la ra<strong>di</strong>o, che amava ascoltare la sera tar<strong>di</strong>.<br />
“<strong>La</strong> ra<strong>di</strong>o è <strong>di</strong>ventata il passatempo dei viaggiatori. <strong>La</strong> si ascolta in macchina e basta.<br />
Nessuno l’accende mai a casa, e credo che pochi l’abbiano ancora. Nelle case c’è la te-<br />
levisione. Ma la ra<strong>di</strong>o è <strong>di</strong>versa, è più creativa: quando raccontano le storie, devi imma-<br />
ginare tu i personaggi, le scene… un po’ come quando leggi. Lo stesso vale per le parti-<br />
te. Lì ti accorgi se il telecronista è davvero bravo. E poi ci sono tanti programmi interes-<br />
santi”.<br />
Io non avevo mai ascoltato la ra<strong>di</strong>o, nemmeno in macchina perché avevo i cd. L’unica<br />
cosa che sapevo venisse trasmessa per ra<strong>di</strong>o erano i notiziari sulla viabilità.<br />
I <strong>di</strong>scorsi <strong>di</strong> Ettore mi affascinavano parecchio.<br />
Mi mostrò un mappamondo con l’illuminazione interna e una raccolta <strong>di</strong> poster pubbli-<br />
citari della Coca-cola.<br />
“Sono tutte cose meravigliose” fu l’unico commento che riuscii a fare, tant’ero spaesato<br />
in mezzo a tanti articoli così insoliti. Interpretai tutto quanto avevo conosciuto come ap-<br />
partenente ad un mondo <strong>di</strong>verso dal mio, che mi incuriosiva ma allo stesso tempo mi<br />
metteva in soggezione. Ettore mi parve coltissimo, e molto probabilmente lo era.<br />
36
Il ragazzo, tuttavia, non sembrava rendersi conto del mio <strong>di</strong>sagio, né tantomeno dava<br />
l’impressione <strong>di</strong> volersi fregiare <strong>di</strong> tutti quei suoi hobby così ricercati. Era spontaneo e<br />
trovava gusto nel rendermi partecipe dei suoi passatempi; effettivamente, non dovevano<br />
esserci molti altri ragazzi che con<strong>di</strong>videvano le sue passioni: Andersen, il vinile, la ra-<br />
<strong>di</strong>o, Alan Ford, il teatro rinascimentale, la Pfm…<br />
Ero così assorto ed ammirato da quanto stavo osservando, che ricad<strong>di</strong> pesantemente nel-<br />
la realtà quando Ettore, sistemando il mappamondo, mi chiese perché cercassi il bar <strong>di</strong><br />
suo padre.<br />
“Accidenti!” esclamai. Die<strong>di</strong> un’occhiata all’ora e alla tabella <strong>di</strong> marcia: “Ho perso sol-<br />
tanto mezzora, posso ancora sistemare tutto” <strong>di</strong>ssi fra me.<br />
Ettore mi accompagnò <strong>di</strong> nuovo al bar. Chissà se Fabrizio avrebbe risolto i miei pro-<br />
blemi, dandomi finalmente notizie <strong>di</strong> Jorge Rivera.<br />
Una breve illusione: non l’aveva mai sentito nominare, né nella versione spagnola, né<br />
nell’originale italiano.<br />
“Grazie lo stesso” <strong>di</strong>ssi, avviandomi alla porta. “Auguri per il torneo!”.<br />
“Oh, speriamo!” <strong>di</strong>sse con serietà Fabrizio.<br />
“Dove vai così <strong>di</strong> corsa?” mi domandò Ettore, mentre già m’accostavo all’uscita.<br />
“Eh, una lunga storia! Ma davvero vorrei raccontartela, credo che ti piacerà; soltanto<br />
non ora, perché mia zia è simile ad un feroce comandante e non tollera ritar<strong>di</strong> e per<strong>di</strong>te<br />
<strong>di</strong> tempo” risposi.<br />
Ettore capì poco <strong>di</strong> quel che avevo detto, essendo le mie frasi confuse che alludevano a<br />
fatti e persone a lui sconosciute. Tuttavia parve interessato al racconto.<br />
“Passa <strong>di</strong> qui quando vuoi” mi <strong>di</strong>sse, sorridendo.<br />
“A presto allora” salutai, fiondandomi <strong>di</strong> nuovo nella mia delicata missione.<br />
37
10<br />
Ritrovai zia <strong>Rosita</strong> a pranzo, quando dovevo aggiornarla sull’esito delle “operazioni<br />
mattutine”.<br />
Aveva uno splen<strong>di</strong>do cappello <strong>di</strong> paglia a larghe falde, con un foulard fiorito che ogni<br />
tanto ondeggiava al vento. Vedendo che continuavo a fissare il suo copricapo, contorse<br />
le labbra e borbottò: “Se mi reputi maleducata perché indosso il cappello a tavola, ti<br />
faccio presente che siamo in riva al mare e che tira un certo vento! Non vorrei proprio<br />
rovinare la messa in piega!”.<br />
“Veramente, zia, guardavo il tuo cappello perché lo trovo incantevole” <strong>di</strong>ssi, senza ran-<br />
core per l’aci<strong>di</strong>tà della vecchina. “È nuovo?”.<br />
<strong>La</strong> zia sembrò leggermente imbarazzata, e non so <strong>di</strong>re se per il mio complimento o per<br />
la sua uscita inopportuna. “Sì, l’ho comprato in una boutique in centro” si limitò a ri-<br />
spondere.<br />
“Allora, hai trovato qualche buona in<strong>di</strong>cazione?” mi domandò poi, sfogliando il suo fa-<br />
scicolo.<br />
“No, assolutamente niente” <strong>di</strong>ssi io; temendo <strong>di</strong> aver usato un tono un po’ troppo drasti-<br />
co, aggiunsi prontamente: “Ma restano tanti punti ancora da visitare”. Non volevo che la<br />
zia si accorgesse della mia sfiducia nella ricerca.<br />
<strong>La</strong> zia riprese a parlare, come avesse ignorato le mie parole: “Sono passata da una vec-<br />
chia amica (l’unica amica dei vecchi tempi che ancora non ha ritrovato il buon Dio);<br />
purtroppo non era in casa, era dal me<strong>di</strong>co, però c’era sua figlia Tiziana. Mi ha detto <strong>di</strong><br />
ritornare nel pomeriggio. Vieni anche tu”.<br />
Non era un invito, ma un or<strong>di</strong>ne.<br />
“Chi è questa amica?” domandai, giusto perché non sapevo cos’altro <strong>di</strong>re.<br />
“Si chiama Fiammetta. Suo nonno era un nobile decaduto, un conte. Nonostante le ric-<br />
chezze <strong>di</strong> famiglia fossero state <strong>di</strong>lapidate dallo zio <strong>di</strong>sgraziato ancor prima che lei na-<br />
scesse, Fiammetta ha sempre sfoggiato una gran classe. D’altronde, quando il sangue è<br />
blu, c’è poco da <strong>di</strong>scutere”.<br />
“Interessante. Come se la passa adesso?”.<br />
38
“Non ne ho idea. Ci siamo scritti fino a che lei non se ne è andata a vivere in America.<br />
L’abbiamo invi<strong>di</strong>ata tutti. Aveva se<strong>di</strong>ci anni quando ha conosciuto Ernest, durante la<br />
guerra. Lui era <strong>di</strong> stanza in Italia. Si sono innamorati e il bel giovane, prima <strong>di</strong> tornare in<br />
patria, le ha promesso che un giorno sarebbe tornato e l’avrebbe portata via con sé. Nes-<br />
suno ci aveva creduto, soltanto lei sperava <strong>di</strong> vederlo tornare un giorno. Invece, quattor-<br />
<strong>di</strong>ci anni dopo, Ernest è tornato davvero e l’ha portata nel New Mexico. Aveva fatto<br />
carriera, il ragazzo, e si era costruito una bella fortuna. Peccato per la storia del cavallo,<br />
nell’86…”.<br />
“Storia del cavallo?”.<br />
“Sì. Ernest aveva un ranch coi cavalli e un bel giorno uno <strong>di</strong> questi si è imbizzarrito, ha<br />
sfondato il recinto e l’ha ammazzato. Un trage<strong>di</strong>a! Fiammetta non ha più superato quel<br />
dolore enorme, sono cose che gli anni non cancellano. Quando l’ho saputo, ho ripreso i<br />
contatti, ma pian piano le sue con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> salute andavano peggiorando e credo doves-<br />
se badare a cose più importanti che rispondere alle mie lettere. Povera anima. Pareva<br />
che il destino non facesse altro che sorriderle, e poi… Credo che nemmeno l’Alzheimer<br />
possa cancellare del tutto il suo dolore”.<br />
Detto questo, la zia rimescolò il cibo nel piatto e iniziò a mandar giù piccoli bocconi.<br />
Mi sentivo avvolto da una grande tristezza e quei tre gamberi che dal piatto mi fissava-<br />
no coi loro vacui occhi neri mi suscitarono ad<strong>di</strong>rittura pietà. Ai vecchi piace raccontare<br />
storie tragiche, ci provano un gusto perverso, come se nel profondo coltivassero un a-<br />
more illegale per malattie e lutti e le atmosfere cimiteriali fossero il loro pane quoti<strong>di</strong>a-<br />
no. Mi decisi a sgusciare i gamberi, mettendoci grande impegno. Dire che la visita alla<br />
povera donna mi incuteva una certa angoscia era un eufemismo.<br />
Dopo una lunga passeggiata, io e la zia arrivammo <strong>di</strong> fronte ad una casa molto <strong>di</strong>stinta,<br />
con un ampio giar<strong>di</strong>no nel quale la facevano da signore due gran<strong>di</strong> palme.<br />
<strong>Zia</strong> <strong>Rosita</strong> premette il campanello d’ottone, poi si mise in composta attesa. <strong>La</strong> porta del-<br />
la casa, ben visibile dal cancelletto, si schiuse un attimo dopo e comparve una donna<br />
non più giovane ma ancora molto bella. Immaginai che fosse la figlia dell’amica <strong>di</strong> zia<br />
<strong>Rosita</strong>.<br />
“Buon pomeriggio” sorrise. Nello stesso istante il cancello ebbe uno scatto metallico e<br />
s’aprì.<br />
39
Entrammo nel giar<strong>di</strong>no, mentre la padrona <strong>di</strong> casa ci accoglieva con un bel calore: “So-<br />
no molto contenta che sia venuta a trovare mia madre, ormai è rimasta sola. Questo ra-<br />
gazzo è suo nipote?”.<br />
“Sì, siamo qui a Rimini per alcune faccende, così ho pensato <strong>di</strong> venire a trovare Fiam-<br />
metta. Mi <strong>di</strong>ca, come si sente?”.<br />
“Insomma, non si può <strong>di</strong>re che le cose vadano bene. Oh, fisicamente si mantiene bene e<br />
non ha problemi a camminare. Ma la testa è un altro <strong>di</strong>scorso, purtroppo. È come se vi-<br />
vesse in un mondo tutto suo. Ormai non la seguo più quando parla: raggruppa pensieri<br />
<strong>di</strong>ssociati, cambia stato d’animo da un momento all’altro, senza preavviso, e pare sicura<br />
e tranquilla <strong>di</strong> quanto afferma”.<br />
“Mi <strong>di</strong>spiace tanto”.<br />
“È la vita, signora: cosa ci possiamo fare? Il me<strong>di</strong>co fa il possibile, più <strong>di</strong> così non sap-<br />
piamo cosa inventarci. Ad ogni modo, venga dentro. Mia madre è in salotto, ho provato<br />
a spiegarle che oggi avrebbe avuto una gra<strong>di</strong>tissima visita, ma non garantisco nulla”.<br />
<strong>La</strong> donna era molto solare e ra<strong>di</strong>osa, seppure il dolore emergesse dai suoi bei lineamenti<br />
che già il tempo tentava <strong>di</strong> sciupare. Ci condusse con gentilezza all’interno della casa,<br />
raffinata ed elegante, ma dal sapore <strong>di</strong> una vecchia fotografia dove il tempo si era fer-<br />
mato.<br />
Arrivammo in un grande salotto, dove la luce delle quattro entrava filtrata dalle vene-<br />
ziane calate. C’era un clima ovattato, quasi onirico, reso ancor più surreale dalla muta<br />
presenza <strong>di</strong> una creatura pallida e piccolina, raccolta su se stessa fra le braccia d’una<br />
grande poltrona <strong>di</strong> pelle.<br />
<strong>La</strong> vecchina suscitava da subito una grande tenerezza, sia per le <strong>di</strong>mensioni minute che<br />
la facevano apparire tanto fragile, sia per l’abbigliamento così curato e preciso nel can-<br />
dore della camicetta che le dava le sembianze dell’unica bambola al mondo che fosse<br />
invecchiata.<br />
Immobile, aveva un lieve sorriso sulle labbra baciate dal rossetto, mentre la cipria ab-<br />
bondante velava le guance grinzose. Dietro un paio <strong>di</strong> occhialini d’oro, gli occhietti sca-<br />
vati e spenti fissavano un punto imprecisato della finestra.<br />
“Mamma” sussurrò Tiziana, “è arrivata la signora <strong>Rosita</strong>, ricor<strong>di</strong>? Ti avevo detto che sa-<br />
rebbe passata a farti visita”.<br />
All’u<strong>di</strong>re quelle parole, la vecchietta girò piano la testa e alzò gli occhi.<br />
“<strong>La</strong> signora <strong>Rosita</strong>, te la ricor<strong>di</strong> vero?”.<br />
“Fiammetta!” <strong>di</strong>sse allora la zia, avvicinandosi a lei.<br />
40
Ella sorrise. “Fatto un buon viaggio?” le domandò con vivo interesse.<br />
“Oh, sì grazie” rispose prontamente la zia.<br />
“Sono proprio contenta che tu sia venuta qui. Vuoi una tazza <strong>di</strong> tè? Mi <strong>di</strong>spiace che a-<br />
desso Ernest sia al ranch, ma sono certa che se pazienterai un attimo, lo incontrerai. Non<br />
torna mai più tar<strong>di</strong> delle sei”.<br />
Ci fu un momento <strong>di</strong> grande imbarazzo.<br />
“Mamma, il papà non è al ranch, lo sai” <strong>di</strong>sse dolcemente Tiziana, posandole una mano<br />
sulla spalla.<br />
“Ah, hai ragione, che stupida! Faccio la figura della rimbambita! Purtroppo mio marito<br />
è morto anni fa” sospirò tristemente Fiammetta, abbassando lo sguardo.<br />
“Ma sie<strong>di</strong>ti, <strong>Rosita</strong>, sie<strong>di</strong>ti qui accanto a me”.<br />
<strong>La</strong> zia si accomodò sull’altra poltrona, mentre Tiziana andò in cucina a prendere qual-<br />
che bibita.<br />
Per un lungo istante ci fu un grande silenzio. Fiammetta fissava con un rinnovato sorriso<br />
la zia, che effettivamente non sapeva che <strong>di</strong>rle.<br />
Alla fine, la vecchina le batté la mano sul braccio e le chiese: “Fatto un buon viaggio?”.<br />
Leggermente a <strong>di</strong>sagio, la zia rispose nuovamente <strong>di</strong> sì.<br />
In quel momento, la signora Fiammetta sbuffò, strofinandosi una mano sulla fronte im-<br />
pomatata. “Com’è affollato questo posto!” borbottò.<br />
“Cara, ma siamo nel salotto <strong>di</strong> casa tua…” obiettò la zia, cercando <strong>di</strong> essere delicata.<br />
“Giusto. E chi è quel ragazzo?” domandò Fiammetta.<br />
“Questo è mio nipote. L’hanno chiamato Wagner, colpa <strong>di</strong> mio cognato”.<br />
Il tono della zia m’infastidì parecchio, ma finsi <strong>di</strong> non dar peso alla cosa.<br />
Fiammetta parve non aver ascoltato minimamente, ma continuava a guardare la zia.<br />
“Amica mia, devo chiederti un grosso piacere”.<br />
“Dimmi pure, lo sai che se posso lo faccio molto volentieri” rise.<br />
“Ti ricor<strong>di</strong> Jorge Rivera, l’insegnante <strong>di</strong> tango argentino? Ho bisogno <strong>di</strong> sapere dov’è,<br />
devo trovarlo” spiegò la zia.<br />
“Non ho mai sentito quel nome in vita mia” <strong>di</strong>chiarò la vecchina.<br />
Il quel momento, mi parve estremamente chiaro che il suo contributo alla ricerca non<br />
sarebbe stato affatto determinante. <strong>La</strong> sua memoria era piena <strong>di</strong> blackout, a malapena<br />
sapeva dov’era: come avrebbe potuto ricordarsi <strong>di</strong> un ballerino conosciuto cinquant’anni<br />
prima!<br />
41
<strong>La</strong> zia parve molto addolorata della risposta: Fiammetta era ormai l’ultima depositaria<br />
delle loro memorie giovanili, e con l’avanzare dell’Alzheimer quei momenti si andava-<br />
no cancellando. Quanto era sfuggito alla zia nel corso degli anni era ormai perso per<br />
sempre, non c’era una sola persona al mondo che conservasse quei ricor<strong>di</strong>.<br />
“Ho conosciuto Ernest durante la guerra” affermò la vecchina.<br />
<strong>La</strong> zia cercò il mio sguardo, ma io prontamente fuggii con gli occhi altrove.<br />
“Sicura che non hai più avuto notizie <strong>di</strong> Jorge Rivera? Sei venuta qui in villeggiatura<br />
tutte le estati dal 1951 fino ad oggi… è forse morto?”.<br />
Non l’avesse mai detto! Fiammetta iniziò a singhiozzare: “Morto! Era così un uomo af-<br />
fascinante, te lo invi<strong>di</strong>avamo un po’ tutte, sai?”.<br />
“Allora ti ricor<strong>di</strong> <strong>di</strong> lui!” sbottò la zia, con le palpitazioni. “Ma davvero è morto?!”.<br />
Fiammetta si asciugò le lacrime e si <strong>di</strong>ede <strong>di</strong> nuovo un certo contegno. “No, non credo.<br />
Sei tu che hai detto che è morto”.<br />
“Oh, no, no, io ti ho chiesto se è morto. Ma <strong>di</strong>mmi, sai per caso dove posso trovarlo?”.<br />
“L’ho visto ieri sera al “Dancing Rivalta”, che ballava con te. Dovresti saperlo. Mi hai<br />
anche detto che ti ha chiesto <strong>di</strong> sposarlo!” <strong>di</strong>sse Fiammetta, contrariata.<br />
“Ma non è stato ieri sera! È stato nel ’56!”le fece notare la zia.<br />
“Trent’anni prima che Ernest se ne andasse!” esclamò Fiammetta, <strong>di</strong> nuovo triste.<br />
“Esatto” si limitò a <strong>di</strong>re la zia, che ormai aveva perso le speranze.<br />
In quel momento, rientrò Tiziana con un vassoio e la limonata. “Eccomi qua, vi ho por-<br />
tato qualcosa da bere…”.<br />
“Ssssh!” fece Fiammetta, sorprendendoci tutti. “Adoro questa canzone!”.<br />
<strong>La</strong> sua frase rimase sospesa nel silenzio del salotto.<br />
“Era molto meglio quando si sentiva in spiaggia. Lì ci sono quelle pareti bianche, e i let-<br />
ti… Non è un posto che si ad<strong>di</strong>ce!”.<br />
“Di cosa stai parlando, Fiammetta?” domandò la zia.<br />
“Ssssh!” tuonò nuovamente la vecchina, e come se davvero u<strong>di</strong>sse la musica, iniziò a<br />
tamburellare piano le <strong>di</strong>ta sui braccioli della poltrona, dondolando il capo.<br />
Fu come se uscisse dalla realtà, perché non parlò più e non ci salutò nemmeno quando<br />
ce ne tornammo all’hotel, decisamente amareggiati.<br />
42
11<br />
Dalla ra<strong>di</strong>o arrivava vecchia musica, gracchiando talvolta.<br />
Ettore soppesò fra le mani una misteriosa sfera <strong>di</strong> pietra lucida: “Una storia strana” <strong>di</strong>sse<br />
con tono più <strong>di</strong>staccato del solito.<br />
“Sei <strong>di</strong>ventato una sorta <strong>di</strong> confessore. Ti ho raccontato <strong>di</strong> mia zia, <strong>di</strong> Jorge, <strong>di</strong> Viola e<br />
soprattutto ti ho espresso tutte le mie perplessità riguardo alla ricerca e riguardo, beh, a<br />
me!” gli <strong>di</strong>ssi, quasi implorandolo <strong>di</strong> essere misericor<strong>di</strong>oso e non giu<strong>di</strong>carmi.<br />
“C’è un solo motivo per cui il tribunale non ti condanna a <strong>di</strong>ecimila anni” <strong>di</strong>sse Ettore.<br />
“E sarebbe?”.<br />
“Hai permesso, non so quanto volontariamente (<strong>di</strong>rei poco), ad un’anziana signora <strong>di</strong><br />
coltivare i suoi sogni e trovare un senso ai suoi giorni”.<br />
“Ma s’illude! Ho lasciato che s’illudesse… tuttora lascio che continui nella sua illusio-<br />
ne!”.<br />
“Ecco, questo è il tuo vero peccato: scambiare i sogni con le illusioni, ritenere folle la<br />
recherche <strong>di</strong> tua prozia… è qui che ca<strong>di</strong>, Wagner. Il tuo grande errore è tutto qui. Ti<br />
senti in colpa con tua zia, ti preoccupi tanto perché hai sfruttato la sua avventura per<br />
rincorrere la tua innamorata, ma fin qui non hai <strong>di</strong> che biasimarti: cosa si può rimprove-<br />
rare a chi segue il cuore? D’accordo, sei stato un po’ bugiardo, ma c’era una donna <strong>di</strong><br />
mezzo, e con le donne le regole spesso vanno a farsi bene<strong>di</strong>re. Piuttosto, non essere<br />
troppo <strong>di</strong>silluso. In primis, non è detto che tua zia torni a casa a mani vuote: insomma,<br />
potrebbe trovarlo davvero il suo ballerino! E poi, se mai le cose dovessero andar male, è<br />
un eventualità da mettere in preventivo quando si rincorrono i sogni: si può cadere e far-<br />
si male. Ma intanto che corri, caro mio, vivi il doppio e dai un significato a<br />
quest’esistenza!”.<br />
Le parole <strong>di</strong> Ettore mi avevano lasciato interdetto: che cosa potevo aggiungere io, che<br />
d’improvviso mi sentivo ancora più misero, nonostante l’amico mi avesse illuminato? A<br />
stento avevo realizzato quel che mi aveva detto, figuriamoci commentare, completare o<br />
ad<strong>di</strong>rittura controbattere! Eppure sentivo che al <strong>di</strong> fuori <strong>di</strong> quella stanza, illuminata da<br />
lampade ad olio e candele cinesi, coi libri a far da pareti, le verità <strong>di</strong> Ettore sarebbero<br />
state buone soltanto dentro un libro. Era come se in quel luogo, a metà fra un tempio e<br />
43
un sogno, potessero prendere corpo pensieri altrimenti effimeri. Lì, mi <strong>di</strong>cevo, si traduce<br />
in realtà l’universo vagheggiato in cui le idee non si mutilano per scendere a compro-<br />
messi col mondo.<br />
Mi sentii strano e quella sensazione rafforzò le mie convinzioni: non avrei mai partorito<br />
congetture simili in un altro luogo, un luogo qualunque della mia quoti<strong>di</strong>anità. Per me la<br />
filosofia era una donna <strong>di</strong> spalle cui non badavo. Soltanto lì da Ettore lei si voltava e io<br />
volevo e potevo guardarla il volto.<br />
“Ci tieni molto a Viola?” mi domandò Ettore.<br />
“Tu cosa ne pensi? Sono venuto fin qui ingannando mia zia per lei!” risposi, e mi pare-<br />
va ovvio.<br />
L’amico si alzò, spense la ra<strong>di</strong>o e accese un bastoncino d’incenso.<br />
“Questo non mi dà la prova che tu ci tenga veramente. Il più delle volte, questi gran<strong>di</strong><br />
gesti d’amore si compiono per se stessi”.<br />
Non capivo.<br />
“Siamo povera gente, Wagner. Tutti. Soli nella nostra pelle ci sentiamo miserabili, è i-<br />
nutile fingere che non sia così. Per questo abbracciamo gran<strong>di</strong> ideali, compriamo mac-<br />
chine costose e facciamo gran<strong>di</strong> galà d’amore”.<br />
“Spiegati meglio”.<br />
“Chi si fa <strong>di</strong>scepolo <strong>di</strong> una grande verità, chi si circonda <strong>di</strong> SUV, ville e indumenti costo-<br />
si, chi corre nella notte per <strong>di</strong>re a una donna che la ama… non lo fa perché è saldo nel<br />
suo ideale, perché ha una grande passione per le macchine <strong>di</strong> lusso, perché quella donna<br />
è la sua anima affine. Il più delle volte lo fa perché senza un ideale che nobiliti il suo a-<br />
gire, senza gingilli sfarzosi che ne evidenzino il grasso patrimonio, senza un’impresa<br />
galante da raccontare prima agli amici e poi ai figli, si sente vuoto, povero dentro e <strong>di</strong><br />
poca importanza. Un vero uomo è quello che nudo allo specchio, si sente forte così<br />
com’è, per quello che c’è dentro alla sua testa”.<br />
Dal gran <strong>di</strong>scorso, estrapolai l’in<strong>di</strong>spensabile: “Dici che in realtà <strong>di</strong> Viola non<br />
m’importa?”.<br />
“Questo lo sai soltanto tu, ma non dare per scontato che averla seguita qui sia prova <strong>di</strong><br />
un grande amore”.<br />
“Te lo <strong>di</strong>co sinceramente, a volte non mi piaci” sorrisi.<br />
Stupito, Ettore mi chiese perché.<br />
“Perché mi mostri mille facce <strong>di</strong>verse della stessa cosa, e mi confondo e non so più cosa<br />
pensare!”.<br />
44
L’amico rise.<br />
“Più si cerca <strong>di</strong> far chiarezza, più emergono nuovi profili e si fa ancora più confusione.<br />
È grazie a questo tranello che i filosofi si <strong>di</strong>vertivano con le loro macchinazioni, dannati<br />
loro”.<br />
“Pensavo ti piacessero”.<br />
“Oh, mi fanno lo stesso effetto che io ho fatto a te col mio <strong>di</strong>scorso. Ma è un po’ come<br />
una droga, alla fine inizi ad analizzare ogni piccola cosa e non ne esci più. Ci complica-<br />
no la vita e sono soprattutto superbi; almeno io non ho mai detto <strong>di</strong> conoscere la verità<br />
assoluta. Anzi, penso che non ci sia nemmeno”.<br />
“Sei il primo drogato <strong>di</strong> filosofia che conosco”.<br />
“Ti brucia il cervello, questa roba” <strong>di</strong>sse, sventolando la “Critica della ragion pura”.<br />
Tacqui, fissando lo stoppino brillare alla base della sua fiamma.<br />
“Non preoccuparti, Wagner. Tua zia non soffrirà. Avrebbe sofferto se fosse rimasta a<br />
casa, rinunciando alla ricerca e considerandola assurda. Brutta cosa i rimpianti, meglio<br />
agire. E grazie a te ha avuto l’opportunità <strong>di</strong> farlo. Se credessi nel destino, <strong>di</strong>rei che Vio-<br />
la è comparsa perché tu venissi a Rimini permettendo alla prozia <strong>di</strong> ritrovare Jorge. Tut-<br />
tavia non ci credo e queste sono solo fantasie” sorrise Ettore.<br />
Sorrisi anch’io, sebbene qualcosa in quel <strong>di</strong>scorso mi turbasse. “Mi sento più tranquillo,<br />
adesso. Grazie”.<br />
“Figurarsi. Nessuno ha mai ascoltato così a lungo le mie stramberie”.<br />
“Fumi?” domandai all’amico, mentre osservavo un bel posacenere <strong>di</strong> coccio.<br />
“No, assolutamente. Non mi gonfierei mai i polmoni <strong>di</strong> quella robaccia. Quel posacene-<br />
re me l’hanno regalato, è un bell’oggetto”.<br />
Guardai l’orologio, che segnava le un<strong>di</strong>ci. Avevo una valigia <strong>di</strong> sonno arretrato e<br />
un’altra <strong>di</strong> pensieri attorno a Viola, all’amore e al futuro. Tuttavia, l’idea <strong>di</strong> andarmene<br />
da lì mi dava inquietu<strong>di</strong>ne: ero angosciato dal presentimento che una volta richiusa alle<br />
mie spalle la porta del bar Olympia, i <strong>di</strong>scorsi <strong>di</strong> Ettore e la sua profonda fiducia nei so-<br />
gni si sarebbero frantumati nella mia mente come una lastra <strong>di</strong> vetro sottile. Questa pro-<br />
spettiva mi doleva: avrei voluto riuscire a convincermi che forse la zia non era folle, e<br />
che probabilmente Viola era un pretesto per dare brio alla mia vita.<br />
Invece la zia continuava a sembrarmi un’illusa, la ricerca una strada impossibile, Viola<br />
il mio sogno più grande, la stanza <strong>di</strong> Ettore un’alcova <strong>di</strong> folli congetture che il mondo <strong>di</strong><br />
fuori avrebbe subito soffocato.<br />
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Sarebbe piaciuto anche a me credere in quelle bella verità, ma mentre camminavo verso<br />
l’hotel <strong>di</strong>menticai pian piano ogni parola <strong>di</strong> quella sera.<br />
“Ciao” <strong>di</strong>ssi al telefono.<br />
<strong>La</strong> voce <strong>di</strong> Viola mi rispose <strong>di</strong>stante, offuscata da un leggero fruscio.<br />
“Mi chiedevo quando ci saremmo rivisti”.<br />
“Non saprei” rispose lei, vaga, “Domani no, al massimo dopodomani”.<br />
“D’accordo. Poi ci sentiamo per decidere dove e quando”.<br />
“Va bene”.<br />
“Cosa mi racconti?”.<br />
“Niente <strong>di</strong> nuovo, tu?”.<br />
“Sto continuando la ricerca con la zia, ma fino ad ora abbiamo raccolto solo fallimenti”.<br />
“Mi <strong>di</strong>spiace”.<br />
“Sai, pare proprio una follia… Va bene, ci sentiamo dopodomani allora”.<br />
“Ok”.<br />
“Ciao”.<br />
“Ciao”.<br />
Ero steso nel letto con gli occhi spalancati sul buio.<br />
Riflettevo sulla telefonata avuta mezzora prima con Viola: scambi <strong>di</strong> parole fred<strong>di</strong> e po-<br />
veri <strong>di</strong> trasporto, con lei laconica e <strong>di</strong>stratta, io mortificato e ammutolito dal suo modo<br />
<strong>di</strong> fare scialbo.<br />
Non posso negare che ero un po’ sottosopra.<br />
Nel silenzio della mia camera d’albergo aleggiavano biechi presentimenti, come se la<br />
ragazza per cui avevo mentito e viaggiato stesse pian piano evaporando dalla mia vita.<br />
Considerando quest’idea mi sentivo impotente: la vedevo allontanarsi, voltarmi le spalle<br />
e farmi capire che ero stato una semplice comparsa nel suo cammino.<br />
Stetti immobile su questa paura, poi <strong>di</strong> colpo mi <strong>di</strong>e<strong>di</strong> uno scossone e ban<strong>di</strong>i ogni scioc-<br />
ca preoccupazione. Ricacciai lontano anche le <strong>di</strong>squisizioni <strong>di</strong> Ettore, che confuse e<br />
frammentarie avevano fatto capolino nella mia mente.<br />
L’avrei vista dopodomani, sarebbe bastato attendere un po’. A volte, il telefono sbia<strong>di</strong>-<br />
sce le voci.<br />
46
12<br />
Alle sette e mezza ero già in pie<strong>di</strong>, alle otto mi ero fatto la doccia ed ero pronto per ac-<br />
compagnare la zia. Stavo <strong>di</strong>ventando un bravo assistente, o meglio un buon subalterno<br />
del comandante.<br />
“Dove an<strong>di</strong>amo oggi?” domandai a zia <strong>Rosita</strong> mentre uscivamo dall’hotel.<br />
“Vedo che non hai letto il fascicolo…” mi rimproverò.<br />
“Effettivamente no” ammisi, incapace <strong>di</strong> accampare lì per lì una buona scusa.<br />
“An<strong>di</strong>amo nell’ultimo posto buono” <strong>di</strong>sse la zia, camminando spe<strong>di</strong>ta.<br />
“Come sarebbe a <strong>di</strong>re l’ultimo? Ci sono almeno altri cinque punti sul fascicolo” obiettai.<br />
“Ho approfon<strong>di</strong>to le ricerche: <strong>di</strong> quei cinque punti, tre sono da scartare causa forza<br />
maggiore (gli in<strong>di</strong>vidui <strong>di</strong> riferimento sono tutti altrove: uno a Catanzaro, uno in clinica<br />
psichiatrica e uno nel mondo dei più), mentre negli altri due confido molto poco” mi<br />
spiegò la zia, guardando sempre avanti.<br />
“Capisco” mormorai. <strong>La</strong> ricerca stava davvero giungendo al punto morto che avevo da<br />
sempre considerato inevitabile, e temuto. Chissà che la zia non si stesse davvero ren-<br />
dendo conto dell’assur<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> tutto il concerto? Probabilmente nel suo cuore si stava già<br />
abituando all’idea che Jorge Rivera sarebbe rimasto per sempre un suo antico preten-<br />
dente e nulla più.<br />
Aprii il fascicolo.<br />
“Non c’è scritto niente, qui, riguardo a stamattina” obiettai.<br />
“Infatti”.<br />
“Ma tu mi avevi rimproverato <strong>di</strong> non aver letto il fascicolo! Invece non c’è scritto nien-<br />
te!”.<br />
“Se tu l’avessi letto, l’avresti saputo”.<br />
<strong>La</strong> zia teneva spesso questi subdoli atteggiamenti e il più delle volte mi metteva in buca.<br />
“Quin<strong>di</strong> che si fa?”.<br />
“L’incontro <strong>di</strong> stamattina non era previsto. L’ho organizzato quando mi sono accorta<br />
che ormai gli altri punti <strong>di</strong> oggi erano da scartare. È la nostra ultima spiaggia, Wagner”.<br />
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Sicura come il grande pirata sulla nave che affonda, la zia sfidava le onde sempre più al-<br />
te e affamate del fallimento, tenendo gli occhi ben fissi sull’isola del tesoro, dove c’era<br />
un ballerino anziano.<br />
“Dobbiamo far visita alla cara Ines Celli” aggiunse.<br />
“E chi è mai questa donna?”.<br />
“Una donna che credevo non avrei rivisto mai più. Invece la vita è impreve<strong>di</strong>bile: ora<br />
come cinquant’anni fa, devo passare <strong>di</strong> nuovo da lei per raggiungere Jorge!” ringhiò la<br />
zia, a denti stretti.<br />
Il giar<strong>di</strong>no era una girandola infinita <strong>di</strong> fiori <strong>di</strong>fferenti, variegati nei colori e nelle <strong>di</strong>-<br />
mensioni. Pendevano da alte intelaiature <strong>di</strong> metallo, sorgevano dal suolo nero <strong>di</strong> compo-<br />
sta, ornavano finestre, porte, muretti e marciapie<strong>di</strong>. Come bolle <strong>di</strong> sapone, le ortensie<br />
azzurre circondavano la veranda, mentre gli oleandri si abbracciavano al cancellino ver-<br />
niciato <strong>di</strong> verde.<br />
Entrando, camminavo circospetto, quasi timoroso che tutta quella ridente flora nascon-<br />
desse un segreto mortale. Avevo come una vaga paura delle ampie corolle, che pareva-<br />
no guar<strong>di</strong>ani silenziosi pronti a farmi la pelle, al calar del sole.<br />
Mi sentivo osservato. So bene che è del tutto irrazionale e anche sciocco, eppure mi sen-<br />
tivo osservato.<br />
<strong>La</strong> zia non pareva proprio avere <strong>di</strong> questi problemi, anzi marciava a passo spe<strong>di</strong>to, bat-<br />
tendo forte a terra col tacco basso delle sue scarpe estive.<br />
Quando fummo quasi <strong>di</strong> fronte alla porta <strong>di</strong> casa, sollevata su tre gra<strong>di</strong>ni colorati <strong>di</strong> ge-<br />
rani, essa si aprì e comparve una donna vestita <strong>di</strong> colori sgargianti. Sulla sua bocca grin-<br />
zosa abbondava un rossetto color fuoco, mentre il collo flaccido era cinto d’una collana<br />
<strong>di</strong> finte perle, ciascuna <strong>di</strong> un <strong>di</strong>verso colore. L’abito <strong>di</strong> quella singolare vecchina era <strong>di</strong><br />
un giallo fluorescente, con tante fantasie floreali e multicolori, ma quello che mi stupì <strong>di</strong><br />
più, ancora più degli enormi occhiali da sole rosa shocking, fu la capigliatura. Di un a-<br />
rancio intensissimo, simile alle tute degli operai dell’Anas: capelli cotonati, gonfi e alti<br />
quasi due spanne sopra la fronte incipriata.<br />
“Buongiorno, <strong>Rosita</strong>” <strong>di</strong>sse la donna, rivelando la gialla dentatura.<br />
Il suo sorriso <strong>di</strong> circostanza era pieno d’astio.<br />
“Buongiorno, Ines” borbottò la zia, salendo gli scalini.<br />
“Entra pure” sorrise la donna, quando la vecchia <strong>Rosita</strong> aveva già varcato la soglia.<br />
48
“Vieni, vieni anche tu” aggiunse, rivolgendosi a me che ero rimasto impaurito a debita<br />
<strong>di</strong>stanza.<br />
Entrammo in quella casa piastrellata <strong>di</strong> giallo, con mobilia dei colori più <strong>di</strong>sparati, e ci<br />
accomodammo su un adorabile <strong>di</strong>vano <strong>di</strong> finta pelle viola.<br />
“A cosa devo la tua visita, <strong>Rosita</strong>?” domandò Ines, facendo sempre bella mostra del suo<br />
brutto e falso sorriso.<br />
“Lo sai bene, Ines. O almeno dovresti saperlo, sempre che l’età non ti abbia bruciato il<br />
cervello” gracchiò la zia, che certo non sapeva fingere cor<strong>di</strong>alità.<br />
“Vuoi sapere <strong>di</strong> Jorge, non è vero?” <strong>di</strong>sse allora la coloratissima vecchina, abbandonan-<br />
do finte gentilezze.<br />
“Dov’è?” chiese secca la prozia.<br />
“Che faccia tosta! Tu venirlo a chiedere a me!” gridò Ines, agitando le lunghe unghie<br />
ver<strong>di</strong>.<br />
“Non avrei mai pensato <strong>di</strong> farlo, te lo posso giurare. Sei l’ultima persona a cui mi sarei<br />
rivolta, ma non mi restava più scelta”.<br />
“Ah!” rise Ines, questa volta sinceramente, “Vedo che la tua ricerca non è andata molto<br />
bene, eh?”.<br />
“Fai poca ironia, arlecchino!” ribatté <strong>Rosita</strong>, corrugando il mento.<br />
Me ne stavo su una poltroncina rossa, guardando ora l’una ora l’altra contendente come<br />
si fa alle partite <strong>di</strong> tennis. Soltanto che lì le battute erano molto più insi<strong>di</strong>ose. Pensavo a<br />
come due vecchie serpi sapessero ancora mordere bene e formulavo ipotesi sul motivo<br />
del loro rancore.<br />
“Vuoi sapere dov’è andato Jorge? Lo vuoi sapere?!” gridò Ines, avvampando.<br />
<strong>Zia</strong> <strong>Rosita</strong> replicò: “Son qui per questo!” ma s’intravide nel suo tono <strong>di</strong> voce un soffio<br />
<strong>di</strong> paura: che gli fosse capitato qualcosa?<br />
“Jorge è… Non lo so dov’è!”.<br />
Quella frase pesò così tanto sulla stanza che la lasciò zitta per qualche lungo istante, e<br />
così persino la polvere che aleggiava nei raggi <strong>di</strong> luce sembrò essere più lenta.<br />
“Ma come?” chiese infine la zia, sporgendo il collo in avanti.<br />
“Come, come, come. Non c’è un come: non lo so e basta! Tu lo sai? No. Ecco, nemme-<br />
no io!” replicò Ines, agitando isterica le mani ossute.<br />
“Mi vuoi <strong>di</strong>re che hai perso ogni contatto? Mi pare strano, dato che Jorge non ti era af-<br />
fatto in<strong>di</strong>fferente…” insinuò zia <strong>Rosita</strong>.<br />
49
Da quelle parole intesi che fra la colorata Ines e l’insegnante <strong>di</strong> tango c’era stato qualco-<br />
sa. Ecco che si scorgeva la ragione dell’o<strong>di</strong>o reciproco.<br />
“Sono cambiate molte cose da quando tu hai smesso <strong>di</strong> venire qui” spiegò Ines, calman-<br />
dosi. “Non sei più venuta in vacanza qui dal 1956, fuggivi dalle attenzioni <strong>di</strong> Jorge<br />
e…”.<br />
“Ehi! Non fuggivo affatto da Jorge!” interruppe la zia, con l’in<strong>di</strong>ce alto.<br />
“Oh, buona questa! Perché mai non sei più tornata a Rimini allora? Erano anni che ve-<br />
nivi qui in villeggiatura, ci sarà stato pure un motivo, no?”.<br />
“Infatti. Non avevo più sol<strong>di</strong> per le vacanze, i miei genitori erano morti entrambi<br />
nell’arco <strong>di</strong> un inverno, io e mia sorella dovevamo darci da fare. Abbiamo avviato un<br />
negozio, dovevamo mantenerci. Poi lei si è sposata, io sono rimasta sola. Ho pensato<br />
molte volte <strong>di</strong> tornare, ma non lo potevo fare”.<br />
Ines era piuttosto imbarazzata: non si sarebbe aspettata <strong>di</strong> aver toccato un tasto tanto de-<br />
licato. “Ad ogni modo” riprese, “Jorge <strong>di</strong>ceva <strong>di</strong> amarti, e confidava <strong>di</strong> vederti tornare<br />
da lui, un giorno. Ma tu amavi anche quell’altro, non è vero? (la zia scosse il capo, ri-<br />
pensando all’altro uomo della sua vita, ora custo<strong>di</strong>to nel velluto d’una bara). Che<br />
t’importi o meno, fino a quando l’ho visto Jorge non faceva che parlare <strong>di</strong> te. Di me non<br />
si è mai curato, sebbene io abbia cercato <strong>di</strong> essere sempre al suo fianco… sebbene io<br />
non sia fuggita via in preda ai miei dubbi, chiedendomi se non fosse un altro l’uomo da<br />
sposare! L’amavo davvero!”.<br />
A quel punto, mi era chiaro il triangolo classico: lei, lui, l’altra. Ines moriva <strong>di</strong>etro a<br />
Jorge, che moriva <strong>di</strong>etro alla zia, che dell’amore non capiva un fico secco. Sulla mia<br />
poltroncina rossa, non sapevo se ridere, piangere, o desiderare <strong>di</strong> sparire.<br />
“E poi?” chiese la zia, che ancora temeva per il finale.<br />
“Poi col passare degli anni siamo cambiati, io mi sono rassegnata e ho spostato altrove<br />
le mie attenzioni, e ci siamo visti sempre meno, anche perché con gli stu<strong>di</strong> trascorrevo<br />
meno tempo qui rispetto a prima. Il “Dancing Rivalta” ha chiuso nel ’65. Ho perso len-<br />
tamente ogni notizia <strong>di</strong> lui, specialmente dopo il mio primo matrimonio. Ora, non ti so<br />
<strong>di</strong>re dove sia”.<br />
Il racconto <strong>di</strong> Ines era velato d’amarezza, in stridente contrasto coi vivaci colori del suo<br />
mondo bizzarro.<br />
Credo che per un istante, zia <strong>Rosita</strong> abbia visto nella vecchia rivale una versione alter-<br />
nativa <strong>di</strong> sé. Ines dopo qualche anno aveva smesso <strong>di</strong> sognare il ballerino, si era sposata<br />
con un uomo della sua città (anche la zia avrebbe potuto farlo, se avesse voluto) e aveva<br />
50
condotto un’esistenza abbastanza normale, in cui gli amori giovanili rimangono circo-<br />
scritti agli anni ver<strong>di</strong> e agli album <strong>di</strong> fotografie. Per zia <strong>Rosita</strong> quel sogno non si era mai<br />
spento, tanto che adesso, alla sua veneranda età, cercava ancora <strong>di</strong> viverlo, segno ine-<br />
quivocabile che non l’aveva mai abbandonato.<br />
Forse per un momento si sentì sciocca, svampita, ma ritengo che non sia durato molto.<br />
Quel che durò fu la tristezza <strong>di</strong> aver perso la speranza.<br />
“Ines era l’ultima spiaggia” ripeteva, uscendo dal giar<strong>di</strong>no fiorito. Voleva <strong>di</strong>re: non ri-<br />
troverò mai più il mio ballerino e non <strong>di</strong>rò mai a nessuno le parole “ti amo”. Morirò<br />
senza essermi mai sposata; me ne andrò con la rabbia per aver passato cinquant’anni fra<br />
dubbi e indecisioni, senza sapere neanche perché.<br />
“<strong>Zia</strong>, mi <strong>di</strong>spiace” le <strong>di</strong>cevo io, toccandole timidamente la spalla. Volevo <strong>di</strong>re: è anche<br />
un po’ colpa mia, che ho alimentato questo tuo folle sogno perché voglio mettermi con<br />
una ragazza <strong>di</strong> nome Viola. Non m’importa quello che <strong>di</strong>ce Ettore, un mio amico: per<br />
lui non ho sbagliato, perché ero innamorato e perché nessun sogno è folle. Eppure ve-<br />
derti soffrire così mi rattrista e forse saresti stata meglio senza il tuo sogno.<br />
Nessuno <strong>di</strong>sse tutto quello che pensava, quella volta. Il punto morto che avevo previsto<br />
sin dall’inizio era dunque arrivato. Una verità spiacevole, per quanto già prevista e ine-<br />
vitabile, è sempre dura da mandare giù. <strong>La</strong> zia non lo dava a vedere ma si sentiva vera-<br />
mente a terra. Sono certo che in quel mezzogiorno scorse mentalmente tutti i momenti<br />
passati con Jorge, rivisse tutte le sere in cui schivò le proposte <strong>di</strong> fidanzamento, cercò <strong>di</strong><br />
ricordare com’era vestito l’ultima volta che l’aveva visto.<br />
“Abbiamo l’albergo fino a domattina, Wagner. Adesso an<strong>di</strong>amocene a pranzare, anche<br />
se non ho affatto fame” <strong>di</strong>sse la zia, atona.<br />
Ci sedemmo al ristorante e or<strong>di</strong>nammo qualcosa.<br />
51
13<br />
“Pronto, Viola?”.<br />
“Ciao”.<br />
“Ciao. Allora stasera ci ve<strong>di</strong>amo?”.<br />
“Stasera? Non posso proprio, stasera, mi <strong>di</strong>spiace…”.<br />
“Come?! Ma ci eravamo sentiti l’altro ieri, ti ricor<strong>di</strong>? Mi avevi detto che oggi si sarem-<br />
mo visti”.<br />
“Il fatto è che fra un po’ parto, torno a casa. Ho passato solo qualche giorno qui a Rimi-<br />
ni, la settimana prossima vado a Santorini”.<br />
“Sul serio? Non me l’avevi detto!”.<br />
“Scusa, mi <strong>di</strong>spiace”.<br />
“Faccio in tempo a venirti a salutare?”.<br />
“Credo <strong>di</strong> sì…”.<br />
“Bene. Dove ti trovo?”.<br />
“All’hotel Adriatico”.<br />
“Allora fra un po’ vengo”.<br />
“D’accordo”.<br />
“A dopo, allora, ciao”.<br />
“Ciao”.<br />
52
14<br />
Anche a Rimini, in giugno, qualche volta capita la pioggia.<br />
Stavo uscendo dall’albergo, un quarto d’ora dopo quella telefonata così piena <strong>di</strong> brutti<br />
presentimenti, quando scoppiò un <strong>di</strong>luvio incre<strong>di</strong>bile. Le gocce <strong>di</strong> pioggia erano grosse<br />
e fitte e schioccavano come baci violenti sulle macchine, sull’asfalto e sul mare.<br />
Mi fermai sulla porta dell’hotel, contemplando il triste spettacolo. Lo scroscio era tanto<br />
intenso che schermava l’orizzonte e nascondeva il cielo.<br />
Dopo un primo momento <strong>di</strong> sfiducia, iniziai a male<strong>di</strong>re quel maltempo fuori luogo, che<br />
m’impe<strong>di</strong>va <strong>di</strong> raggiungere Viola. Il suo albergo era piuttosto lontano e sarei arrivato<br />
bagnato fra<strong>di</strong>cio, facendo la figura del poveraccio…<br />
Oppure no? Oppure sarebbe stato come in un film: l’avrei raggiunta inzuppato dalla te-<br />
sta ai pie<strong>di</strong>, <strong>di</strong>mostrandole quanto poco m’importasse dell’acquazzone e come invece<br />
non potessi <strong>di</strong>gerire l’idea <strong>di</strong> non rivederla più. Lei magari mi avrebbe guardato, a tratti<br />
stupita, a tratti impaurita, poi avrebbe capito cosa mi aveva spinto a fare quel gesto.<br />
Mentre me<strong>di</strong>tavo su questi pensieri, mi venne <strong>di</strong> nuovo in mente Ettore. “Un uomo che<br />
nella pioggia corre dalla sua amata spesso non lo fa perché è veramente innamorato <strong>di</strong><br />
quella donna, piuttosto per sentirsi davvero vivo e per dare un senso alla sua esistenza.<br />
Per costruirsi una storia da ricordare e da raccontare” <strong>di</strong>ceva lui, e forse non aveva tutti i<br />
torti.<br />
Forse me<strong>di</strong>tavo <strong>di</strong> gettarmi nel <strong>di</strong>luvio soltanto per fare della mia vita qualcosa <strong>di</strong> più<br />
simile ad un romanzo.<br />
Forse l’avrei fatto soltanto per me, e Viola era un semplice pretesto.<br />
Rimasi ancora sulla porta dell’albergo, nella più totale incertezza, da un lato temendo<br />
che ogni secondo perso a pensare sarebbe <strong>di</strong>ventato fatale, dall’altro ripetendomi che lei<br />
se ne sarebbe andata senza nemmeno avvisarmi.<br />
Intorno a me, la pioggia non accennava a smettere.<br />
“Non le importa <strong>di</strong> me” mi <strong>di</strong>ssi ad un certo punto.<br />
Rientrai in hotel, camminando piano perché c’era ancora una voce nel profondo che mi<br />
incitava ad andare fuori e correre forte.<br />
53
<strong>La</strong> ignorai e mi sdraiai in camera, cercando <strong>di</strong> convincermi che avevo fatto la cosa giu-<br />
sta.<br />
“I sogni saranno pur tutti giusti” <strong>di</strong>ssi, perché le parole <strong>di</strong> Ettore non smettevano <strong>di</strong> ron-<br />
zarmi in testa, “ma sono sicuro che è sbagliato spenderli per chi non li merita davvero”.<br />
Coricato in penombra, tenevo gli occhi aperti e coltivavo <strong>di</strong> nascosto da me stesso una<br />
fievole speranza: stringevo in mano il cellulare, bramando <strong>di</strong> vedervi brillare presto quel<br />
nome che intanto m’impegnavo a cancellare dalla mente.<br />
“Perché non sei rimasto a far compagnia a tua zia, Wagner? Sono sicuro che le saresti<br />
stato <strong>di</strong> grande aiuto” mi chiese Ettore, un po’ perplesso.<br />
“Mi ha detto che preferiva rimanere sola” mi giustificai.<br />
“Le persone lo <strong>di</strong>cono spesso, ma credo che non lo pensino mai”.<br />
“Sempre queste perle <strong>di</strong> saggezza, Ettore. Io non lo so. Mi ha chiesto <strong>di</strong> lasciarla riflette-<br />
re, dopo la cena, e io ho obbe<strong>di</strong>to. Guarda che ho insistito per farle compagnia, magari<br />
fare due passi. C’è anche fresco stasera, dopo che è piovuto”.<br />
“D’accordo, d’accordo” <strong>di</strong>sse lui.<br />
Imbracciò la chitarra e iniziò <strong>di</strong>strattamente ad accordarla.<br />
“Ci pensi sempre, vero?” mi domandò ad un certo punto, vedendo che i miei occhi se ne<br />
stavano chinati in basso, privi <strong>di</strong> vita.<br />
“Sì” risposi. “Non so se ho fatto la cosa giusta”.<br />
“Hai lasciato andare una ragazza per la quale avevi fatto i miracoli. È logico che ti senta<br />
giù <strong>di</strong> morale. Però non chiederti se hai fatto la cosa giusta. Pensa se tu fossi corso da lei<br />
e avessi preso tutta quell’acqua per sentirti salutare superficialmente, come un qualun-<br />
que amico conosciuto in vacanza e destinato al <strong>di</strong>menticatoio: saresti qui, triste come lo<br />
sei adesso, o forse <strong>di</strong> più perché avresti donato qualcosa <strong>di</strong> speciale ad una ragazza che<br />
non se lo meritava”.<br />
Sorrisi, accorgendomi che il saggio Ettore aveva confermato le mie riflessioni. Mi sentii<br />
profondo, perché mai avrei pensato <strong>di</strong> partorire congetture alla sua altezza.<br />
“Un giorno correrai sotto la pioggia e sarai felice, al traguardo” aggiunse l’amico.<br />
“Non esagerare, adesso. Ho bisogno <strong>di</strong> essere consolato, non illuso” sorrisi.<br />
“Tu sei proprio fissato con queste illusioni, eh? Che pessimista”.<br />
“Non <strong>di</strong>rmi che tu sei ottimista, invece?”.<br />
“Non si parla <strong>di</strong> ottimismo o pessimismo; io guardo il mondo e ne traggo le mie conclu-<br />
sioni”.<br />
54
“Senza coltivare gran<strong>di</strong> ideali, senza credere in una verità… Alla fine cosa ti resta?”.<br />
Ettore sorrise, riponendo la chitarra nella custo<strong>di</strong>a. “Ti ho influenzato troppo, amico<br />
mio, in questi giorni. Questo tuo lato nascosto mi inquieta. Comunque io credo in qual-<br />
cosa: credo che la vita vada vissuta nel modo più profondo, senza fuggire dalle <strong>di</strong>fficol-<br />
tà, senza trattenersi nella gioia. Penso che ognuno nasca con le sue ambizioni e che sia<br />
tenuto a realizzarle, o almeno a provarci. Anche se andrà tutto in polvere, un giorno”.<br />
“Pessimista”.<br />
“Io vivo il presente. Il futuro è degli dèi”.<br />
“Nemmeno Dio c’è, vero?” gli domandai.<br />
“Non credo” rispose lui, ma gli rimase fra i denti un’ombra <strong>di</strong> dubbio.<br />
In quel momento si udì bussare alla porta, che poi si aprì. Comparve Fabrizio in tuta da<br />
ginnastica.<br />
“Finito l’allenamento?” gli domandò Ettore.<br />
“Sì, sono entusiasta! Abbiamo una grande squadra, una grande squadra ti <strong>di</strong>co. Non ci<br />
ferma nessuno, quest’anno”.<br />
Sporco <strong>di</strong> fango, coi pochi capelli incollati alla fronte umida, era ra<strong>di</strong>oso.<br />
Fece per andarsene, poi tornò e mi <strong>di</strong>sse serenamente: “Mi avevi chiesto <strong>di</strong> quel Rivera,<br />
l’altro giorno? Al campo sportivo il custode mi ha detto che è all’ospedale, dev’essere<br />
caduto mentre ballava. Ad una certa età uno dovrebbe darsi una calmata, <strong>di</strong>co io. Co-<br />
munque non è niente <strong>di</strong> grave”.<br />
<strong>La</strong>nciai subito un’occhiata a Ettore, che ricambiò.<br />
“Non ci posso credere” balbettai, inebetito da quell’inattesa rivelazione.<br />
Il mio amico sorrise. “Ve<strong>di</strong>” mi <strong>di</strong>sse, con grande calma, “non era un sogno così assur-<br />
do”.<br />
In risposta sfoggiai solo un sorriso spaziale, salutai e mi fiondai verso l’albergo. Era<br />
tar<strong>di</strong> e sebbene ribollissi <strong>di</strong> gioia preferii lasciare che la zia dormisse, anche perché non<br />
avremmo potuto irrompere all’ospedale a mezzanotte.<br />
Mi misi a letto in preda ad un gran fermento e mi riuscì <strong>di</strong>fficile addormentarmi: ave-<br />
vamo trovato Jorge Rivera!<br />
55
15<br />
“Sveglia, sveglia!”. C’era eccitazione nell’aria.<br />
Un lamento stanco e poi: “Ma… che ore sono?”.<br />
“Le sei e mezza! Su, su, ci sono gran<strong>di</strong> novità!”.<br />
“Le sei e mezza?! È presto! Sei impazzito?!” si lamentò.<br />
“Ho gran<strong>di</strong> novità, gran<strong>di</strong> novità!” <strong>di</strong>ssi, scuotendo la zia che dormiva mummificata<br />
nelle coperte nonostante l’estate.<br />
“Come <strong>di</strong>avolo hai fatto ad entrare?” domandò lei, socchiudendo gli occhi e <strong>di</strong>menan-<br />
dosi un poco.<br />
“Su zia, alzati!”.<br />
“E va bene! E va bene! Adesso mi alzo! Tanto ormai mi hai fatto perdere il sonno, dan-<br />
nato ragazzo! Non capisci che è un brutto periodo?!” borbottava la zia, sfiorandosi i ca-<br />
pelli mentre si metteva a sedere.<br />
“Non lo è affatto, zia! Ho trovato Jorge Rivera!” <strong>di</strong>ssi tutto contento, splendendo come<br />
una stella.<br />
“Tu cosa?! E come?!... Dove?! Mio Dio, oh Cielo!” farfugliò la vecchia, agitandosi co-<br />
me una vecchia teiera in ebollizione.<br />
“È all’ospedale, ma non è niente <strong>di</strong> grave. Dai, preparati che an<strong>di</strong>amo. Ti aspetto nella<br />
hall”.<br />
“Guarda bene, Wagner!” mi <strong>di</strong>sse, con gli occhi a fessura e l’in<strong>di</strong>ce ben puntato “Se mi<br />
stai facendo uno scherzo, non t’immagini cosa ti faccio! Ti <strong>di</strong>seredo, ti tolgo il saluto, ti<br />
rinnego, ti…”.<br />
“Non è uno scherzo, zia” le <strong>di</strong>ssi. “E non puntarmi quel <strong>di</strong>to <strong>di</strong>ffidente che mi offendo<br />
sul serio!”.<br />
<strong>La</strong> zia rimase ammutolita, abbassò il <strong>di</strong>to e andò a prepararsi.<br />
“Bah, che persona!” commentai fra me. Sinceramente, però, ero tanto felice, così tanto<br />
da non aver pensato nemmeno per un attimo a Viola.<br />
Arrivammo all’ospedale in taxi. Mentre io tamburellavo le <strong>di</strong>ta sulla portiera, ansioso <strong>di</strong><br />
sapere se il lieto fine era a portata <strong>di</strong> mano, la zia cercava <strong>di</strong> mascherare la sua ansia ri-<br />
56
manendo immobile. Sforzo inutile, perché il suo stato d’eccitazione era evidentissimo.<br />
Di tanto in tanto si sistemava il trucco, dando qualche colpo <strong>di</strong> rossetto o imbiancandosi<br />
<strong>di</strong> cipria le guance; nel suo fare emergevano l’impazienza e la paura, smascherate dal<br />
tremolare delle mani e delle labbra.<br />
Entrammo nel grande e<strong>di</strong>ficio e cercammo la portineria.<br />
“Buongiorno” <strong>di</strong>ssi, affacciandomi alla portineria.<br />
“Buongiorno” rispose la giovane donna, alzando gli occhi da un plico <strong>di</strong> fogli, “posso<br />
esservi utile?”.<br />
“Sì grazie” risposi “Vorremmo far visita a Giorgio Rivera”.<br />
<strong>La</strong> zia si strofinava il mento con le <strong>di</strong>ta, tesa come mai l’avevo vista in vita mia, e per<br />
fortuna che c’ero io a chiedere informazioni perché sono certo che lei non sarebbe riu-<br />
scita a connettere due pensieri.<br />
“Giorgio Rivera. Dunque…” la ragazza <strong>di</strong>gitò qualche tasto al computer.<br />
“Allora?!” fece la zia, con voce da pulcino, dopo due secon<strong>di</strong> <strong>di</strong> attesa.<br />
<strong>La</strong> ragazza si girò un po’ perplessa, poi ci <strong>di</strong>sse: “Stanza 410, quarto piano. Siete paren-<br />
ti?”.<br />
Mentre già stavamo correndo alle scale, risposi: “Sì, mia zia è la sua fidanzata!”.<br />
Al secondo piano, saranno state le palpitazioni o l’età, la zia si fermò ansante: “Non ce<br />
la faccio, preferisco prendere l’ascensore!” mi <strong>di</strong>sse.<br />
Vedendola in quello stato, non ribattei e lascia che andasse a premere il pulsante. Io pe-<br />
rò continuai a pie<strong>di</strong>, preso da non so quale frenesia.<br />
Arrivai al quarto piano e vi<strong>di</strong> in lontananza la porta 410 aperta.<br />
“Magari la zia è già arrivata” ipotizzai.<br />
Mi accostai all’uscio e sbirciai dentro.<br />
C’era un letto bianco in cui giaceva un uomo. Aveva una gamba completamente inges-<br />
sata che penzolava in alto, ma sotto i folti baffi grigi sorrideva. <strong>La</strong> sua pelle era abbron-<br />
zata da una vita trascorsa in riva all’Adriatico, le sue rughe poche e profonde. Sulla testa<br />
una chioma grigia, ben pettinata. Quello che più mi stupì del suo volto erano gli occhi,<br />
perché li aveva rubati ad un ventenne.<br />
Accanto a lui stava una donna anziana, finemente vestita, che gli teneva la mano, e poco<br />
più in là un uomo sui cinquant’anni, con gli stessi lineamenti del ballerino e il medesi-<br />
mo connubio <strong>di</strong> freschezza e fascino che <strong>di</strong>stingueva il vecchio.<br />
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<strong>La</strong> donna pareva rimproverare Jorge con uno sguardo che tra<strong>di</strong>va un profondo affetto.<br />
L’uomo sui quaranta invece stava zitto e aveva un lieve sorriso.<br />
Rimasi immobile, aspettando. Cosa? Non lo sapevo.<br />
Vi<strong>di</strong> Jorge sollevarsi un poco per salutare i due, che evidentemente se ne stavano an-<br />
dando. <strong>La</strong> donna si chinò su <strong>di</strong> lui, lo baciò.<br />
Mi sentii precipitare.<br />
In quel momento, poco lontano nel corridoio, apparve la zia.<br />
<strong>La</strong> moglie e il figlio gli Jorge erano già usciti dalla stanza.<br />
Corsi incontro alla vecchia <strong>Rosita</strong>, le presi le braccia e la osservai. Che fare? Che <strong>di</strong>re?<br />
Proprio ora che sembrava andare tutto per il meglio.<br />
“Lo sapevo! Lo sapevo zia che era assurdo!” le <strong>di</strong>ssi, incapace <strong>di</strong> guardarla negli occhi.<br />
“Come si poteva pensare <strong>di</strong>…?! Oh, che sciocco io! Che sciocco! Avrei dovuto infor-<br />
marmi, avrei dovuto chiedere!”.<br />
“Ma che cosa stai tartagliando?!” gracchiò la zia, svincolandosi dalla mia presa.<br />
“Io non volevo che finisse così, te lo giuro! Ah!” continuai.<br />
“Wagner! Mi vuoi <strong>di</strong>re cosa accidenti è successo?!” tuonò la vegliarda, fulminandomi<br />
con lo sguardo.<br />
Sospirai, lasciando che l’agitazione cedesse il posto alla malinconia. “Ti ho portata qui,<br />
da Jorge, come volevi tu. Quello che però non sai è che lui… si insomma, è comprensi-<br />
bile ad un certo punto…”.<br />
“Wagner!!!”.<br />
“D’accordo, d’accordo. Jorge è sposato. E ha un figlio”.<br />
Ecco, l’avevo detto.<br />
In quel momento, il volto della zia fu solcato da rughe ancora più profonde, si spense ed<br />
iniziò pian piano a sgretolarsi come una forma <strong>di</strong> sabbia. Le sue braccia <strong>di</strong>vennero mol-<br />
li, i suoi abiti stracci, la schiena si curvò fin quasi a toccare terra.<br />
“Mi <strong>di</strong>spiace zia” sussurrai.<br />
Si accasciò tristemente su <strong>di</strong> una poltroncina, come un manichino da buttar via, e fissò il<br />
nulla.<br />
Mi sedetti al suo fianco, tenendole la mano.<br />
Non aveva la forza <strong>di</strong> parlare.<br />
“<strong>La</strong> ve<strong>di</strong> quella signora là, che parla con il me<strong>di</strong>co? È lei, la moglie. E l’uomo è il fi-<br />
glio”.<br />
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<strong>La</strong> zia si voltò, guardò la donna. Mi sorpresi <strong>di</strong> scorgere <strong>di</strong> nuovo una scintilla nei suoi<br />
occhi.<br />
Si strofinò via le lacrime, strinse le palpebre.<br />
“Quella là, <strong>di</strong>ci?”.<br />
“Sì”.<br />
In quel momento la donna si voltò.<br />
“Proprio lei” aggiunsi.<br />
<strong>La</strong> zia rimase a fissarla ancora pochi istanti, poi si voltò verso <strong>di</strong> me e fissò me. Io le ri-<br />
volsi uno sguardo interrogativo: “Che c’è?”.<br />
In risposta, mi <strong>di</strong>ede un ceffone incre<strong>di</strong>bile e scattò in pie<strong>di</strong>.<br />
“Quella è sua sorella!”.<br />
Rimasi <strong>di</strong> sasso, non so se per la rivelazione incre<strong>di</strong>bile o per lo schiaffo.<br />
“Oh, scusami tanto Wagner” mi <strong>di</strong>sse la zia, accarezzandomi. “Non so proprio cosa mi è<br />
preso”.<br />
Vedendo nuove lacrime affiorare nei suoi occhi (lacrime <strong>di</strong> gioia, questa volta), mi <strong>di</strong>-<br />
menticai <strong>di</strong> quel gesto dettato dall’inquietu<strong>di</strong>ne.<br />
Nel pianto allegro la zia sorrise e ad<strong>di</strong>rittura mi abbracciò, poi corse alla 410.<br />
Quello che avvenne poi, fu ciò che mai fino a quel giorno mi sarei aspettato: mentre io<br />
perdevo Viola, la zia ad ottant’anni trovava il suo amore.<br />
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16<br />
Sotto il sole pacato <strong>di</strong> settembre, l’attesa si faceva insostenibile.<br />
<strong>La</strong> calca <strong>di</strong> anziani attorno a me esultava e già cantava le prime canzoni. “Viva gli spo-<br />
si!” si u<strong>di</strong>va ripetere.<br />
Poi, finalmente, <strong>Rosita</strong> e Jorge comparvero sulla porta della cattedrale.<br />
Dalla massa festante partì un boato e piovve una tempesta <strong>di</strong> riso.<br />
“Auguri!” “Viva gli sposi!” “Urrà!”<br />
Correndo lenti come fanno i vecchi, i due innamorati raggiunsero la macchina che erano<br />
pieni <strong>di</strong> chicchi fino al midollo. Saltarono sulla vecchia ° <strong>di</strong> Jorge, riverniciata <strong>di</strong> blu.<br />
Oggi sposi.<br />
<strong>La</strong>sciandosi alle spalle le grida gioiose e un rombo del motore, l’auto si era già allonta-<br />
nata; il corteo si spostava verso il ristorante dove avevano organizzato il ricevimento; io<br />
rimanevo lì. L’emozione mi aveva fatto <strong>di</strong>menticare il caldo.<br />
Così, sono marito e moglie, mi <strong>di</strong>ssi, sorridendo. Farò fatica ad abituarmi all’idea!<br />
Mi allentai la cravatta, che ormai mi dava una certa noia. D’un tratto, sentii un braccio<br />
attorno alla spalla.<br />
“D’altronde, avevi ragione tu, Wagner, era del tutto assurdo sperare che tua zia trovasse<br />
il suo ballerino. A ottant’anni sarebbe meglio mettere da parte questi sogni, non cre-<br />
<strong>di</strong>?”.<br />
“Ma stai zitto Ettore!” ribattei, sorridendo all’ironia dell’amico.<br />
“Ve bene, va bene! Prendo la macchina e an<strong>di</strong>amo al ristorante” <strong>di</strong>sse lui, estraendo le<br />
chiavi.<br />
“Ok”.<br />
In quel momento tornai ad osservare la chiesa, le pozze <strong>di</strong> riso che imbiancavano il sa-<br />
grato come neve. Ero venuto a Rimini, tre mesi prima, con tutt’altre aspettative. Viola<br />
era stata capace <strong>di</strong> risvegliare in me un sentimento sopito, ma poi se n’era andata via per<br />
la sua strada senza salutare. Era sta lei la vera illusione. Dall’altra parte, invece, il sogno<br />
della vecchia zia, a cui nessuno dava cre<strong>di</strong>to (perché in fondo si sa, nessuno vive storie<br />
d’amore a ottant’anni…), si era realizzato.<br />
“E chissà adesso quando m’innamoro ancora…”.<br />
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Vi<strong>di</strong> un vecchietto che si era attardato in chiesa e che trotterellava alla macchina per an-<br />
dare al ricevimento.<br />
Sorrisi fra me: “Se non altro, ho ancora tempo”.<br />
Carlo Costanzelli<br />
30 8 08<br />
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