Pier Francesco Grasselli Strada libera - Centro di Documentazione ...
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<strong>Pier</strong> <strong>Francesco</strong> <strong>Grasselli</strong><br />
<strong>Strada</strong> <strong>libera</strong><br />
"I vostri figli non sono i vostri figli. (...)<br />
Vengono attraverso <strong>di</strong> voi, ma non da voi,<br />
e benchè stiano con voi, tuttavia non vi appartengono.<br />
Voi potete dar loro il vostro amore,<br />
ma non i vostri pensieri,<br />
poichè essi hanno i propri pensieri. (...)<br />
Voi potete sforzarvi <strong>di</strong> essere come loro,<br />
ma non cercate <strong>di</strong> renderli simili a voi."<br />
Kahlil Gibran<br />
"Il Profeta"
PARTE PRIMA
Quando ero piccolo ed ero alto meno <strong>di</strong> un metro, pensavo che la mia città<br />
fosse immensa. Crescendo e <strong>di</strong>ventando più alto, la città non mi sembrò più<br />
sconfinata, ma abbastanza grande e adatta alle mie esigenze. Quando raggiunsi la<br />
maggiore età e <strong>di</strong>ventai ancora più alto, la città mi stava già un poco stretta.<br />
E anche ora che ho smesso <strong>di</strong> crescere in altezza, il processo continua e la<br />
città mi sembra ogni giorno più piccola. Così ho scoperto che non è una questione<br />
<strong>di</strong> misure, ma piuttosto <strong>di</strong> ampiezza <strong>di</strong> vedute. Man mano che i miei<br />
orizzonti si allargano, ciò che mi circonda si rimpicciolisce. Di conseguenza,<br />
aumenta la voglia <strong>di</strong> partire. Non ci posso fare niente. Forse per questo le<br />
persone <strong>di</strong> mentalità più chiusa sono spesso e volentieri anche le più<br />
sedentarie.<br />
Una sera me ne stavo in un bar della mia città e <strong>di</strong>ssi a un amico che me ne<br />
sarei andato alla prima occasione e lui se ne uscì con questa frase:<br />
- Non fraintendermi, a me piace viaggiare, ma la mia vita è qui.<br />
Io sono affezionato alla città in cui sono nato, ma che mi venga un colpo<br />
se intendo star lì tutta la vita. E invece molti miei amici hanno già messo<br />
ra<strong>di</strong>ci. Ed è tragico, secondo me, mettere ra<strong>di</strong>ci a vent'anni.<br />
Quella stessa sera, mi misi in pie<strong>di</strong> davanti al mappamondo e puntai il <strong>di</strong>to<br />
sulla mia città. E' una cosa che tutti dovrebbero fare, prima o poi. Tutti<br />
quelli che <strong>di</strong>cono “la mia vita è qui” e che si sentono in dovere <strong>di</strong> restare in<br />
un determinato posto solo perchè è lì che sono nati.<br />
- E tu vuoi restare qui tutta la vita? Non lo ve<strong>di</strong> quanto è grande il<br />
mondo?<br />
Mi venne in mente una frase che avevo letto in un libro <strong>di</strong> Chatwin:<br />
“Yahvèh <strong>di</strong>ede la terra ai suoi figli perchè vi errassero.”
I<br />
Me ne stavo tutto solo sul pontile <strong>di</strong> Forte Dei Marmi, una tiepida serata<br />
<strong>di</strong> metà luglio. Il cielo era tutt'uno col mare nell'immensa massa scura della<br />
notte, e il riflesso della luna sull'acqua sembrava tracciare una strada al <strong>di</strong><br />
sopra dei flutti.<br />
Fumando, arrivai fino in fondo al pontile, là dove tirava un bel venticello<br />
perchè si era meno riparati. Portai la sigaretta alle labbra, ma mi accorsi che<br />
non tirava più. Una folata più forte delle altre aveva staccato la brace e<br />
l'aveva fatta cadere chissà dove nelle scure profon<strong>di</strong>tà del mare. Buttai in<br />
terra il resto della sigaretta.<br />
Mi guardai intorno, nel buio della notte e del mare: a destra il faro <strong>di</strong><br />
Spezia ammiccava da lontano; a sinistra il faro <strong>di</strong> Viareggio faceva lo stesso,<br />
apparendo e scomparendo nella notte.<br />
Certi giorni era dura, certi giorni avevo voglia <strong>di</strong> prendere la mia vita,<br />
appallottolarla come avrei fatto con un pezzo <strong>di</strong> carta straccia e buttarla nel<br />
cestino.<br />
Il vento mi scompigliava i capelli e me li faceva cadere davanti agli occhi.<br />
Ora che ci penso, dovevo avere l'aria scema <strong>di</strong> quei cani che hanno il pelo<br />
davanti al muso e sembra non ci vedano un accidente. Tutt'a un tratto mi stancai<br />
<strong>di</strong> stare lì e mi incamminai lungo il pontile verso la terra ferma.<br />
La motocicletta era parcheggiata sul marciapiede.<br />
Slegai il casco e me lo misi in testa, montai in sella e accesi il motore.<br />
Era un Aprilia Pegaso del '95, ma l'avreste detta nuova <strong>di</strong> pacca, per via che<br />
non aveva neanche un graffio. Me l'aveva venduta mio cugino, e mi aveva fatto un<br />
buon prezzo.<br />
La prima volta che ero montato su quella motocicletta avevo avuto una fifa<br />
matta: il 650 è un motore potente e io ero abituato al 125, così non ero del<br />
tutto sicuro <strong>di</strong> saperla portare, ma avevo fatto pratica e ora me la cavavo bene.<br />
Era una buona moto per viaggiare, e io l'avevo attrezzata con due capienti borse<br />
ai lati.<br />
Inserii la prima e mi mossi. Andai a farmi una birra al Bulldog.<br />
Lasciai la moto davanti all'ingresso, or<strong>di</strong>nai una me<strong>di</strong>a chiara e mi sedetti<br />
a uno dei tavoli. Era l'estate del '99. Di lì a pochi giorni, sarei partito.<br />
L'idea era <strong>di</strong> fare una settimana in Croazia e una settimana a Budapest.<br />
Era il primo vero viaggio che facevo su una motocicletta. Era tutto pronto:<br />
l'Aprilia era stata messa a punto; i sol<strong>di</strong> bene o male li avevo messi insieme;<br />
Diego, uno degli amici con cui dovevo partire, aveva finito <strong>di</strong> reimmatricolare<br />
la sua moto, un CB Honda della stessa mia cilindrata; avevamo entrambi i<br />
passaporti vali<strong>di</strong> e Diego si era fatto prestare una tenda da utilizzare in caso<br />
<strong>di</strong> emergenza. Altri amici ci aspettavano in Croazia.<br />
Avrei passato una notte in città e poi, tempo permettendo, sarei partito.<br />
Non volevo ridurmi a fare le vacanze con i miei genitori. A ventun'anni uno non<br />
può fare le vacanze con i suoi. E poi Forte dei Marmi aveva il gusto insipido<br />
del "già visto". Erano anni che andavo là d'estate e, per quanto potessi essere<br />
affezionato a certi posti, avevo smania <strong>di</strong> vederne altri.<br />
Tamburellai le <strong>di</strong>ta sul legno del tavolo. Tutt'a un tratto non vedevo l'ora<br />
<strong>di</strong> togliermi <strong>di</strong> lì. Non dal Bulldog, <strong>di</strong>co, ma dal Forte, come lo chiamano i<br />
locali. Non sapevo cosa mi aveva preso, solo non mi andava <strong>di</strong> stare nei posti<br />
che conoscevo a mena<strong>di</strong>to. Avevo voglia <strong>di</strong> andare da qualche altra parte, da<br />
qualsiasi altra parte. Pensai al viaggio che mi aspettava. Era lì. Dovevo solo<br />
andargli incontro.
II<br />
Il venti <strong>di</strong> Luglio mi svegliai presto nella casa <strong>di</strong> città, feci una rapida<br />
doccia, mi vestii, mi caricai sulle spalle le borse da viaggio, infilai in tasca<br />
i documenti, le chiavi, e via.<br />
Scesi in garage e sistemai le borse facendo passare le cinghie sotto la<br />
sella della motocicletta. Non erano borse orginali, e avevo dovuto rivestirle <strong>di</strong><br />
materiale isolante per far sì che non si fondessero al calore delle marmitte;<br />
avevo preso quelle perchè costavano molto meno e avevano più o meno la stessa<br />
capienza delle borse originali.<br />
Montai in sella, mi assicurai <strong>di</strong> aver inserito la folle e avviai il motore.<br />
Infilai i guanti e il casco intanto che la moto si scaldava. Indossavo una<br />
comunissima t-shirt bianca sotto il giubbotto <strong>di</strong> pelle da motociclista; jeans<br />
grigi imbottiti alle ginocchia mi fasciavano le gambe; ai pie<strong>di</strong> avevo un paio <strong>di</strong><br />
robusti anfibi neri e quello sinistro era scolorito nel punto in cui veniva a<br />
contatto con il pedale del cambio della motocicletta.<br />
Nelle borse avevo messo pantaloni e magliette <strong>di</strong> ricambio, una quantità<br />
sufficiente <strong>di</strong> calzini e <strong>di</strong> boxer, una latta <strong>di</strong> olio per il motore, una carta<br />
stradale dell'Italia del nord, una della Slovenia, una più dettagliata della<br />
Croazia e una dell'Ungheria, un libro <strong>di</strong> Hemingway preso in prestito nella<br />
biblioteca della mia città, un coltello da scout e il mio beautycase.<br />
Controllai <strong>di</strong> avere l'astuccio con i documenti e la mia agenda nella tasca<br />
interna del giubbotto. Inforcai gli occhiali da sole e affrontai la rampa del<br />
garage.<br />
La giornata era limpida e luce del sole mi abbagliò mentre uscivo dal buio<br />
pesto del garage sotterraneo. Fermai la moto davanti a casa <strong>di</strong> Diego e <strong>di</strong>e<strong>di</strong> una<br />
gran sgasata. La Honda era in giar<strong>di</strong>no, già completamente attrezzata. La tenda<br />
era legata alla motocicletta con i ganci elastici.<br />
Diego uscì con il suo giubbotto nero in goretex e i guanti <strong>di</strong> pelle tagliati.<br />
Era biondo, più basso <strong>di</strong> me. Fece un sorriso entusiasta e mise in spalla<br />
uno zaino. - Tu non hai uno zaino? - domandò.<br />
- No, solo le borse.<br />
Lui aveva le borse strapiene e lo zaino gonfio come un pallone. A suo<br />
tempo, gli avevo sconsigliato <strong>di</strong> portare uno zaino, specie in un viaggio lungo,<br />
ma lui era a posto così e non mi andava <strong>di</strong> stare a <strong>di</strong>scutere.<br />
- Gli altri? - domandai.<br />
- Arrivano.<br />
U<strong>di</strong>i lo sgasare <strong>di</strong> altre motociclette. Mi voltai e vi<strong>di</strong> Jacopo e Max davanti<br />
al cancello.<br />
Jacopo smontò e ci raggiunse. - Pronti?<br />
- Da ore, - <strong>di</strong>ssi.<br />
Jacopo era un ragazzone alto e ben piazzato, legatissimo agli amici e buono<br />
come il pane, ma maledettamente suscettibile quando si metteva a bere. Una volta<br />
l'avevo visto fare a botte con sei ragazzi e scrollarseli <strong>di</strong> dosso uno per uno<br />
senza sforzo. Era una forza della natura, e una volta mi aveva persino<br />
spalleggiato in una lite. Sotto il sedere aveva una specie <strong>di</strong> reattore; il tipo<br />
<strong>di</strong> moto che, se ci lasci sotto una gamba, puoi <strong>di</strong>re ad<strong>di</strong>o alla gamba.<br />
Max era più basso e tarchiato <strong>di</strong> Jacopo. Guidava una Ducati Monster nero<br />
antracite, naked leggenda <strong>di</strong> quell'anno.<br />
Montammo in sella. Avviati i motori <strong>di</strong> tutte le motociclette, il fragore fu<br />
assordante.<br />
Eravamo vicini al casello dell'autostrada, quando ci capitò <strong>di</strong> assistere a<br />
una scena che non avremmo <strong>di</strong>menticato con facilità.<br />
Stavamo passando davanti a una casa <strong>di</strong> cura per malati <strong>di</strong> mente, un casermone<br />
squallido circondato da un'alta recinzione metallica.<br />
Seduto sui gra<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> cemento, c'era questo tizio. Era quasi calvo e aveva<br />
l'aria un po' dello sfigato. Guardava fisso per terra, senza parlare con nessuno<br />
degli altri picchiati. Faceva un po' pena, così lasciato a sè stesso.<br />
A sentire il fragore delle motociclette, l'ometto alza la testa e ci inquadra.<br />
Noi quattro facciamo un figurone con gli occhiali da sole, i giubbotti
colorati e le motociclette in assetto da viaggio, e a me <strong>di</strong>spiace <strong>di</strong> farci<br />
vedere così giovani, liberi e sfaccendati, quando lui avrà per lo meno il doppio<br />
dei nostri anni, è minacciato dalla calvizie ed è costretto a vivere in un posto<br />
pieno così <strong>di</strong> suonati. Mi <strong>di</strong>spiace sul serio, ma cosa posso farci?<br />
E tutt'a un tratto non si mette a strillare: - EHI', ASPETTATE! VOGLIO<br />
VENIRE CON VOI! ASPETTATE! VOGLIO VENIRE CON VOI! - Grida, salta e si sbraccia<br />
attirando l'attenzione <strong>di</strong> tutti. - FERMA!!! VOGLIO VENIRE CON VOI!!! FERMA!!!<br />
VOGLIO VENIRE CON VOI!!!- Non la smette più. Non guarda più nemmeno noi, si<br />
rivolge <strong>di</strong>rettamente al Padreterno. Urla al cielo tutta la sua rabbia, tutta la<br />
sua <strong>di</strong>sperazione. Mostra il pugno alle nuvole, batte i pie<strong>di</strong> per terra, tira<br />
calci alla rete metallica.<br />
Tornai a guardare la strada. Nessuno della truppa fiatava più. Il punto è<br />
che dappertutto si fa un gran parlare <strong>di</strong> libertà. A scuola ti <strong>di</strong>cono un milione<br />
<strong>di</strong> cose sul fatto che sei libero e su tutto quello che segue. E invece la<br />
faccenda è semplicissima: se sei libero puoi andare in giro e fare quello che ti<br />
pare e piace; se non lo sei non puoi. Fine della storia. Non c'è poi tanto da<br />
capire.<br />
La moto più veloce era quella <strong>di</strong> Jacopo, uno ZZR Kavasaki a cui nessuno<br />
stava davanti. Max lo seguiva a <strong>di</strong>stanza ravvicinata sul suo Ducati Monster nero<br />
antracite. Poi venivo io sulla mia Aprilia e Diego sulla sua Honda.<br />
Viaggiammo in autostrada con Jacopo che faceva da capobranco e teneva una<br />
velocità accettabile per tutte le motociclette.<br />
Vicino a Padova, Diego mi si affiancò e <strong>di</strong>ede due colpetti al serbatoio con<br />
il palmo della mano. Doveva fare benzina. Passai alla testa del gruppo e svoltai<br />
alla prima stazione <strong>di</strong> servizio.<br />
- Si va via spe<strong>di</strong>ti, - <strong>di</strong>sse Jacopo.<br />
- Io sono già stravolto, - <strong>di</strong>sse Diego, - datemi da bere, - ed entrò nell'autogrill.<br />
Scambiammo le prime impressioni <strong>di</strong> viaggio e fumammo una paglia seduti sul<br />
bordo <strong>di</strong> una fioriera. Le moto cuocevano al sole.<br />
- Vado a cambiare l'acqua al pesce, - <strong>di</strong>sse Jacopo avviandosi alla toilette.<br />
- Ti seguo, - <strong>di</strong>sse Max.<br />
Diego uscì dall'autogrill con una lattina <strong>di</strong> birra. Ne scolò la metà e me<br />
la passò. Ne presi un sorso. Era ghiacciata.<br />
Si avvicinò una donna sui trent'anni. Sulla testa aveva un foulard a fiori<br />
e indossava un paio <strong>di</strong> pantaloni da lavoro e una fruit senza scritte. A tracolla<br />
aveva uno zaino e in mano dei libri.<br />
- Ciao, ragazzi.<br />
Diego salutò cor<strong>di</strong>almente. Io non avevo in simpatia quelli che ti avvicinavano<br />
in autogrill: il più delle volte provavano a rifilarti qualche stupidata.<br />
- Di dove siete? - domandò.<br />
- Reggio Emilia, - rispose Diego.<br />
- Ci sono stata, sapete? - <strong>di</strong>sse la donna.<br />
- Non è un gran posto, - intervenni io.<br />
- Meglio <strong>di</strong> molti altri.<br />
Mi piacque, quella risposta.<br />
- Sono del centro culturale Hare Krishna dell'Albettone...<br />
- Hare Krishna, dai, non pensavo esistessero sul serio. Dimmi, dov'è che<br />
state? - la interruppe Diego.<br />
- Abbiamo questo centro vicino a Vicenza... guarda, è qui.<br />
Tirò fuori dallo zaino una specie <strong>di</strong> biglietto da visita con su la mappa<br />
della zona e gli in<strong>di</strong>cò il punto esatto.<br />
- E cosa fate laggiù?<br />
- Oh, me<strong>di</strong>tazione, soprattutto Yoga... e stampiamo dei libri.<br />
- Tu <strong>di</strong> dove sei?<br />
- Di Genova.<br />
- E cosa fai nella vita?<br />
- Mi sono <strong>di</strong>plomata in ragioneria, se è questo che vuoi sapere, ma non ero<br />
contenta della vita che facevo. Volevo andare in In<strong>di</strong>a. Poi ho letto per caso un<br />
libro Hare Krishna e mi sono interessata. Un giorno sono andata a curiosare in
uno dei loro centri, e mi sono accorta <strong>di</strong> aver trovato quello che da anni stavo<br />
cercando.<br />
- Da quanto tempo sei un'Hare Krishna?<br />
- Tre anni.<br />
- E adesso sei contenta?<br />
- Sì.<br />
- Buon per te.<br />
Diego le offì un sorso <strong>di</strong> birra.<br />
- No, grazie. Non bevo, - <strong>di</strong>sse la donna.<br />
- E scommetto che non mangi carne.<br />
- Indovinato.<br />
- E non fai nemmeno sesso?<br />
Lanciai a Diego un'occhiataccia. In fin dei conti non avevamo tutta questa<br />
confidenza. Ma la donna non se la prese.<br />
Tutt'a un tratto ebbi <strong>di</strong> lei un'impressione molto positiva. La <strong>di</strong>ffidenza<br />
che sentivo era svanita. Anzi, quella situazione cominciava a piacermi. Ce ne<br />
stavamo a parlare con questa Hare Krishna mai vista nè conosciuta come dei<br />
perfetti avventurieri.<br />
- Credete nella reincarnazione, vero? - domandò Diego.<br />
- Si chiama trasmigrazione delle anime ed è uno dei motivi per cui non<br />
mangiamo carne.<br />
- Capisco.<br />
- Hai mai dei momenti <strong>di</strong> deja-vù? Hai mai la sensazione d'essere già stato<br />
in determinati posti, anche se in effetti non ci sei mai stato?<br />
- Non mi è mai capitato, - <strong>di</strong>sse Diego.<br />
La donna si voltò verso <strong>di</strong> me.<br />
- E tu?<br />
- Ogni tanto, - <strong>di</strong>ssi.<br />
- Ecco, quello è segno che li hai visitati in un'altra vita.<br />
L'Hare Krishna rovistò ancora nello zainetto e questa volta tirò fuori un<br />
sacchetto <strong>di</strong> carta. Lo aprì e ce lo porse.<br />
- Volete assaggiare dei biscotti?<br />
Diego ne prese subito uno. Io lo imitai per pura cortesia. Dal colore li<br />
avresti detti al cioccolato, e invece, dopo che li avemmo addentati, la donna ci<br />
<strong>di</strong>sse che erano ottenuti con un vegetale dal gusto simile al cioccolato. In<br />
realtà col cioccolato non avevano niente da spartire.<br />
- Non sono granchè, - <strong>di</strong>sse Diego.<br />
- Questione d'abitu<strong>di</strong>ne.<br />
- Il cioccolato vero è meglio, - e si sciacquò la bocca con un sorso <strong>di</strong><br />
birra. - Fammi vedere uno <strong>di</strong> quei libri.<br />
L'Hare Krishna gliene mise in mano uno. S'intitolava “Il Sentiero Della<br />
Perfezione”.<br />
- Questi li stampiamo noi, - <strong>di</strong>sse la donna.<br />
Stava per chiederci <strong>di</strong> comprarlo, ma Diego la prese in contropiede:<br />
- Purtroppo non abbiamo molti sol<strong>di</strong>, sai com'è. Non possiamo comperarlo.<br />
Vorrei solo darci un'occhiata.<br />
- Fa niente, visto che siete dei ragazzi simpatici questo ve lo regalo -<br />
<strong>di</strong>sse la donna.<br />
- No, dai, - protestai.<br />
- A buon rendere, - <strong>di</strong>sse Diego infilando il libro nello zaino.<br />
Era stata molto gentile... Io però ero in ansia. Non volevo trovarmi da un<br />
giorno all'altro a mangiare verdura e a praticare lo yoga. E' che sono sempre<br />
stato un tipo impressionabile.<br />
Jacopo e Max erano usciti dal bagno e si stavano rimettendo i caschi e i<br />
guanti.<br />
- Datevi una mossa! - gridò Jacopo.<br />
- Vi lascio il biglietto da visita del centro, - <strong>di</strong>sse la donna, - c'è<br />
anche la carta stradale. Un giorno o l'altro venite a trovarci. Saremo felici <strong>di</strong><br />
offrirvi un pasto.<br />
- Vegetariano?<br />
- Ovviamente.<br />
- Non mancheremo, - <strong>di</strong>sse Diego montando sulla Honda - grazie ancora per il<br />
libro, ciao!
Jacopo montò in sella, accese il motore e sgasò potentemente. La Kavasaki<br />
balzò sulla corsia <strong>di</strong> immissione e l'istante successivo l'avevo già perso <strong>di</strong><br />
vista.<br />
Una mezz'ora per Mestre, un'altra ora e mezzo per Trieste ed eccoci fuori<br />
dall'Italia. Entrando in Slovenia, notammo un sensibile calo del traffico.<br />
Jacopo staccò le mani dal manubrio per un secondo e fece il segno del timeout.<br />
Ci fermammo nel primo posto. E il primo posto era il Caffè del Moro. Lì<br />
assaporammo la gioia <strong>di</strong> scendere dalle moto e <strong>di</strong> appoggiare la schiena allo<br />
schienale delle se<strong>di</strong>e, e dopo quasi cinque ore <strong>di</strong> viaggio, state sicuri, non è<br />
una gioia piccola.<br />
Ci facemmo quattro caffè pagando in Lire anzichè in moneta slovena. Io mi<br />
levai il giubbotto, duro e pesante per le protezioni, e mi stirai ben bene. Fu<br />
come stare in Para<strong>di</strong>so. Viaggiare in moto è una cosa magnifica, ma può essere<br />
molto faticoso.<br />
- Cazzo, ho la schiena rotta... mi sa che è stato un errore prendere lo<br />
zaino, - mi <strong>di</strong>sse Diego a un certo punto.<br />
- Non te lo volevo <strong>di</strong>re.<br />
Sorseggiò il caffè, poi <strong>di</strong>sse: - Che ne <strong>di</strong>ci, potremmo andarci davvero a<br />
trovare gli Hare Krishna, una volta o l'altra?<br />
- Ve<strong>di</strong>amo.<br />
- Quella donna era simpatica, no?<br />
- Direi <strong>di</strong> sì. Ma i biscotti facevano cagare.<br />
La sosta durò venti minuti.<br />
Ripartimmo nella brutale canicola degli ultimi giorni <strong>di</strong> Luglio e cavalcammo<br />
sull'asfalto che scottava, mantenendo una buona andatura, seguendo prima<br />
le in<strong>di</strong>cazioni per Capo<strong>di</strong>stria e poi quelle per Pola. Destinazione, un paese <strong>di</strong><br />
nome Sisan, nelle vicinanze <strong>di</strong> Pola. I ragazzi erano già là da qualche giorno.<br />
Ugo e Remo stavano facendo l'inter-rail e sarebbero arrivati in serata.<br />
Fra Slovenia e Croazia, ci fermammo al Duty Free Shop a fare scorta <strong>di</strong><br />
sigarette e in breve tempo passammo sopra il gran ponte <strong>di</strong> ferro che si trova<br />
sulla strada per Pola. Andammo verso sud, verso quella che era la punta estrema<br />
dell'Istria, sudando nei nostri giubbotti, fermandoci <strong>di</strong> tanto in tanto a fumare<br />
una paglia seduti sul guard-rail o a prendere fiato all'ombra <strong>di</strong> una casa, fino<br />
a che il sole non scomparve a ovest e ci lasciò in pace.<br />
A Pola domandammo la via per Sisan e arrivammo che erano le nove passate.<br />
Di Ugo e <strong>di</strong> Remo non si avevano notizie. Qualcuno li dava per <strong>di</strong>spersi. Gli<br />
altri erano tutti lì e fu una grande rimpatriata.<br />
La casa apparteneva a un uomo chiamato Bruno Ognjenovic. Bruno era sulla<br />
quarantina e aveva lineamenti slavi.<br />
- Zdravo, - <strong>di</strong>sse alzando la mano in segno <strong>di</strong> saluto.<br />
- Salve, - <strong>di</strong>ssi.<br />
- Avete viaggiato bene?<br />
- Benissimo.<br />
Bruno ci mostrò l'alloggio. Si trattava <strong>di</strong> un capanno degli attrezzi riadattato<br />
a dormitorio. Tre letti a castello in tre metri per tre, senza elettricità<br />
nè acqua corrente. E andava bene se alla prima folata <strong>di</strong> vento non volava<br />
via il tetto.<br />
Di positivo, c'era che Bruno chiedeva sessanta carte a notte per quella<br />
sistemazione <strong>di</strong> fortuna. Questo significava che, se avessimo trovato Ugo e Remo,<br />
avremmo speso solamente <strong>di</strong>eci carte a notte. E pur <strong>di</strong> spender poco ci si<br />
adattava a tutto.<br />
C'era anche una tettoia sotto la quale potevamo mettere le moto, così da<br />
tenerle all'ombra e al riparo dalla pioggia. Ed era importante la buona salute<br />
<strong>di</strong> quelle cavalcature.<br />
L'appartamento dei ragazzi era un casino. Nel cucinotto erano accatastate<br />
scatole e scatole <strong>di</strong> pasta asciutta, grissini, casse <strong>di</strong> birra e altri generi<br />
alimentari. Pile <strong>di</strong> piatti incrostati <strong>di</strong> pomodoro aspettavano inutilmente <strong>di</strong> essere<br />
lavati. Avanzi <strong>di</strong> cibo intasavano lo scarico del lavello. Un grumo <strong>di</strong> pasta<br />
ad<strong>di</strong>rittura pendeva dal soffitto... nessuno si spiegava come fosse arrivato fino<br />
lì. Il frigorifero conteneva barattoli <strong>di</strong> sugo mezzi pieni, carne in scatola,<br />
lattine <strong>di</strong> birra, bottiglie <strong>di</strong> vino senza tappo e, miracolosamente ancora<br />
intatta, una bottiglia <strong>di</strong> vodka alla pesca. Il mistero <strong>di</strong> quella bottiglia fu<br />
presto risolto. La vodka era da aprire solo nel caso in cui i ragazzi avessero
invitato in appartamento delle ragazze. Le intenzioni non sono <strong>di</strong>fficile da<br />
intuire.<br />
Le valigie giacevano aperte sul pavimento delle camere da letto. Maglie e<br />
calzoni erano appesi alle ante <strong>di</strong> tutti gli arma<strong>di</strong>. Il bagno poi era uno<br />
scandalo. Ce ne era uno solo e doveva bastare per tutti, ma l'odore <strong>di</strong> umido era<br />
soffocante e le piastrelle erano nere dallo sporco. E c'erano peli dappertutto:<br />
nel lavello, nella vasca... ne trovai uno persino nel contenitore degli<br />
spazzolini da denti!<br />
Il principale centro turistico era Medulin, un paese nelle vicinanze. Lì<br />
c'erano il Summer Club e l'Aquarius (si scrive proprio così), i due locali <strong>di</strong><br />
punta delle nostre notti istriane.<br />
Cenammo in un grill sul mare. Or<strong>di</strong>nammo cevapcici e pivo . A fine pasto,<br />
chiamammo il cameriere e or<strong>di</strong>nammo cinque bicchieri <strong>di</strong> sljivovica. Il cameriere<br />
tornò con gli alcolici e <strong>di</strong>sse che quelli erano offerti dal ristorante. Facemmo<br />
un brin<strong>di</strong>si alla salute del ristorante e andammo al Summer Club. I ragazzi erano<br />
già sul posto e si stavano de<strong>di</strong>cando alle ragazze.<br />
Tra l'altro, Luglio era il mese migliore per andare là, perchè quella parte<br />
dell'Istria era affollata <strong>di</strong> stranieri, e soprattutto <strong>di</strong> straniere: olandesi,<br />
svedesi, slovacche, tedesche, norvegesi e chi più ne ha più ne metta. Con la<br />
storia del campeggio, in fatto <strong>di</strong> ragazze Medulin aveva un ben <strong>di</strong> Dio che<br />
neanche lo sapete. In Agosto peggiorava perchè gli stranieri se ne andavano e il<br />
camping si riempiva <strong>di</strong> italiani.<br />
Tra tutti, comunque, io ero quello che si dava da fare <strong>di</strong> meno. E quella<br />
sera, sarà stata la stanchezza, incollai il sedere alla se<strong>di</strong>a e restai a<br />
guardare. E poi, parliamoci chiaro, non avevo voglia <strong>di</strong> darmi da fare per degli<br />
accidenti <strong>di</strong> storielle estive. Se capitava era una cosa, ma <strong>di</strong> mettermi sotto<br />
non ne avevo voglia.<br />
La mia filosofia era mooolto <strong>di</strong>scutibile, a detta degli altri. Loro si dannavano<br />
come matti a conoscere ragazze e portarle in spiaggia. Okay, io la<br />
chiamo spiaggia, ma in realtà era solo un mucchio <strong>di</strong> sassi o una banchina <strong>di</strong><br />
cemento perchè, lì dove eravamo, non ce n'erano <strong>di</strong> spiaggie con la sabbia. Lì<br />
c'erano solo degli scogli. Il mare era bellissimo, per carità. Mancava la<br />
sabbia.<br />
E come ho detto, rimorchiare era un gioco da ragazzi, anche perchè le ragazze<br />
erano in vacanza e avevano voglia <strong>di</strong> <strong>di</strong>vertirsi. E c'è da <strong>di</strong>re che lì il<br />
mito dell'italiano era ancora vivo e vegeto.<br />
A una certa ora trovammo Ugo e Remo. Si aggiravano spaesati nei <strong>di</strong>ntorni<br />
del campeggio. Erano entrambi in assetto da inter-rail: sudatissimi nelle loro<br />
t-shirts e con in spalla gli zaini con il telaio e i sacchi a pelo arrotolati in<br />
cima. Pantaloni coloniali al ginocchio e sandali anatomici ai pie<strong>di</strong> completavano<br />
le loro <strong>di</strong>vise da avventurieri ferroviari.<br />
Furono pacche sulle spalle e gesti <strong>di</strong> benvenuto. I ragazzi erano esausti ma<br />
contenti <strong>di</strong> vederci e non mancarono <strong>di</strong> raccontarci un mucchio <strong>di</strong> aneddoti<br />
<strong>di</strong>vertenti sul viaggio in treno. Dissero che a Pola avevano sbagliato corriera<br />
ed erano finiti lì.<br />
Alla fine andammo a dormire e crollammo tutti come dei sassi.
III<br />
Quando mi svegliai, in appartamento non c'era acqua e non ci si poteva<br />
lavare. Bruno <strong>di</strong>sse che era un guasto temporaneo e che presto l'acqua sarebbe<br />
tornata. Io e Diego pensammo <strong>di</strong> fare un salto a Lisgnan a cambiare sol<strong>di</strong> in<br />
Kune, la moneta locale, e a comperare dell'acqua per bagnarci la gola.<br />
C'è sempre un certo senso <strong>di</strong> <strong>di</strong>sagio da superare quando sei da poco in un<br />
paese straniero, e questo <strong>di</strong>sagio si fa sentire <strong>di</strong> più se il paese in questione<br />
è più povero <strong>di</strong> quello da cui provieni. A Sisan questo senso è inizialmente<br />
forte: le case sono basse e hanno un'apparenza piuttosto misera, le strade sono<br />
malmesse e <strong>di</strong>sseminate <strong>di</strong> sterco. L'asfalto poi non ne parliamo, liscio e<br />
sciupato com'è. Si sgomma con niente e bisogna andare piano per non cadere.<br />
Visto che l'asfalto era quello che era, io non andavo molto forte, e Diego<br />
mi staccava in continuazione.<br />
- Perchè vai così piano? - domandò quando ci fermammo davanti all'ufficio<br />
<strong>di</strong> cambio.<br />
- Non mi fido <strong>di</strong> questo asfalto... è scivoloso.<br />
Diego alzò gli occhi come a <strong>di</strong>re sei scarso.<br />
Chi non è mai caduto si fida dell'asfalto, qualunque esso sia. Io ero caduto<br />
e avevo imparato a tenere conto delle con<strong>di</strong>zioni della strada.<br />
Entrammo nell'ufficio e cambiammo le Lire in Kune. Andammo in un<br />
supermercato lì vicino e comperammo acqua, succo d'arancia, meren<strong>di</strong>ne, biscotti<br />
e, cosa fondamentale, carta igenica.<br />
- Vai avanti tu, - <strong>di</strong>sse Diego.<br />
- Chè?<br />
- Be', sai com'è, prima mi è venuto il male al collo a furia <strong>di</strong> guardare<br />
nello specchietto.<br />
- Non fare il furbo, - <strong>di</strong>ssi.<br />
In quel periodo Pola era invasa dai motociclisti. Tutti i bikers che incontravamo<br />
ci salutavano e <strong>di</strong> solito lo facevano alzando un <strong>di</strong>to o una mano o<br />
facendo un cenno del capo. Bruno parlò <strong>di</strong> un motoraduno della durata <strong>di</strong> tre<br />
giorni, organizzato a Pola a partire dal trenta <strong>di</strong> Luglio. Diego, Jacopo e Max<br />
volevano andarci a tutti i costi. Io, più che altro, ero curioso. Non ero mai<br />
stato a un motoraduno e Diego ne parlava come <strong>di</strong> un evento eccezionale.<br />
Imparai ben presto che esiste una sorta <strong>di</strong> cavalleria tra motociclisti, una<br />
serie <strong>di</strong> gentilezze che va al <strong>di</strong> là del semplice saluto. Una volta sbagliai<br />
strada, allora accostai per fare inversione. Caso vuole mi trovassi nel bel<br />
mezzo <strong>di</strong> un lungo rettilineo, con un traffico incre<strong>di</strong>bile in entrambi i sensi <strong>di</strong><br />
marcia. In parole povere, fare inversione era un casino. Bene, vedendomi in<br />
<strong>di</strong>fficoltà, un motociclista che passava <strong>di</strong> lì si fermò <strong>di</strong> traverso in mezzo alla<br />
strada, in modo da bloccare il flusso delle macchine, e mi permise <strong>di</strong> passare.<br />
Capite quello che voglio <strong>di</strong>re? I motociclisti si aiutano l'un l'altro per il<br />
semplice fatto che hanno la stessa passione. E questa è una cosa a <strong>di</strong>r poco<br />
nobile.<br />
La settimana passò in fretta. Di giorno si stava al mare o si giocava a beach-volley<br />
nel campo <strong>di</strong>etro l'hotel Belvedere. Di sera si andava al Summer Club.<br />
Facemmo amicizia con un gruppo <strong>di</strong> ragazze croate, una più carina dell'altra, ma<br />
l'unico che combinò qualcosa fu Remo, e fu la roba <strong>di</strong> una sera e via.<br />
Una sera, dopo esser stati in <strong>di</strong>scoteca, io e Diego facemmo il giro della<br />
baia in moto. Era una notte chiarissima e la luna illuminava a giorno il mare e<br />
la campagna. A momenti non c'era neanche bisogno <strong>di</strong> tenere accesi i fari. A<br />
Pomer trovammo un piccolo molo tranquillo, ci sedemmo sul bordo con le gambe<br />
penzoloni e fumammo una sigaretta molto poetica con il rumore delle barche che<br />
dondolavano sull'acqua. Dal punto in cui eravamo si vedevano i due campanili<br />
illuminati della chiesa <strong>di</strong> Medulin, e c'era un'atmosfera da film. Era un posto<br />
molto bello e facemmo la solenne promessa <strong>di</strong> portar lì delle ragazze, prima<br />
della fine della vacanza.<br />
- Non importa se combineremo qualcosa oppure no, basta che le portiamo qui,<br />
- <strong>di</strong>ssi.<br />
- Andata.
Albeggiava quando tornammo sui nostri passi. Ripassammo per Medulin,<br />
Lisgnan e Sisan. Mettendoci a letto, sentimmo il gallo cantare.<br />
Ecco, stavo per <strong>di</strong>menticare il nostro più acerrimo nemico. Quel benedetto<br />
gallo non stava mai zitto. E non è che cantasse una volta e poi stop. Magari.<br />
Quello se ne usciva col suo "chicchiricchì" <strong>di</strong> continuo. Da farci venir voglia<br />
<strong>di</strong> tirargli il collo, giuro. Sarà che non eravamo abituati alla vita <strong>di</strong><br />
campagna, ma quel pennuto era davvero insopportabile.<br />
Tutte le notti la stessa storia. Avevo quasi chiuso gli occhi e...<br />
- Chicchiricchì!!!<br />
Un salto alto così.<br />
Allora io mi tiravo su e sbirciavo nel letto <strong>di</strong> sotto, e c'era Diego con<br />
gli occhi sbarrati.<br />
- Lo secchi tu o lo secco io? - mi faceva.<br />
- Dopo Bruno s'incazza.<br />
(silenzio per un paio <strong>di</strong> minuti)<br />
- Chicchiricchì!!!<br />
- Io gli tiro il collo.<br />
- Dopo Bruno s'incazza.<br />
- E si scazza.<br />
Così tutte le notti, che poi erano mattine, visto che tornavamo sempre a<br />
luce fatta.
IV<br />
La sera del trenta andammo a questo benedetto motoraduno. Aveva luogo a<br />
Pola, in un grande spiazzo su per una strada non asfaltata. Era organizzato da<br />
un gruppo chiamato "The Company of Snakes" ed erano presenti motociclisti da<br />
tutta Europa.<br />
Tra l'altro, l'ingresso costava un occhio. Ti allacciavano al polso un<br />
braccialetto <strong>di</strong> riconoscimento arancione che, se ben ricordo, Diego non si levò<br />
che a fine vacanza.<br />
Dentro era pieno così <strong>di</strong> moto e c'erano bands che suonavano musica rock e<br />
tendoni in cui <strong>di</strong>stribuivano birra, panini, pollo arrosto e patate fritte. Si<br />
vedevano le motociclette più assurde e stravaganti, scherzi <strong>di</strong> natura a tre<br />
ruote, chopper con lunghe forcelle e manubri inguidabili, moto da esposizione<br />
più che da uso pratico.<br />
Era presente la fauna dei motociclisti al completo. Il motociclista da custom,<br />
una pancia così, gilè <strong>di</strong> pelle, barba più o meno lunga, se ne stava sulla<br />
panca a bere birra. Il motociclista da strada, più sobrio, spesso in tuta<br />
Dainese, se ne andava in giro con il casco sottobraccio.<br />
Un sacco <strong>di</strong> esaltati facevano lo slalom tra i birilli e sgasavano e facevano<br />
i botti con le marmitte e poi bevevano birra e si facevano un hamburgher e<br />
bevevano ancora birra e sgasavano e bevevano ancora birra.... Un tizio su un CBR<br />
900 faceva delle fiammate lunghe un metro, giuro!<br />
E in mezzo a quest'orgia <strong>di</strong> carne e motori c'era questo toro meccanico...<br />
sì, come in quel film con John Travolta... e tutti quelli che provavano a starci<br />
sopra venivano scaraventati qua e là. Anche Diego ci salì, ma fu <strong>di</strong>sarcionato in<br />
meno <strong>di</strong> un secondo e prese una botta che gli fa male ancora adesso.<br />
Fu lì che un motociclista mi fece un <strong>di</strong>scorso che vale la pena <strong>di</strong> riportare.<br />
Stavo <strong>di</strong>cendo che la mia Aprilia non reggeva il confronto con la sua<br />
Harley <strong>di</strong> grossa cilindrata. E lui <strong>di</strong>sse una cosa che rimarrà negli annali:<br />
- Il biker non è nella moto che hai - e mi puntò l'in<strong>di</strong>ce contro il petto -<br />
...il biker è quì dentro.<br />
Quando lo <strong>di</strong>ssi a Diego lo mandai in orgasmo. Me la menò per giorni con<br />
quella storia che il biker ce l'hai dentro, e ancora oggi ogni tanto salta<br />
fuori.<br />
Al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> tutto, un motoraduno non è questa gran cosa. Quello durava tre<br />
giorni: dopo tre ore io ne avevo abbastanza e avevo fretta <strong>di</strong> andare. Del resto,<br />
sentire rombi allucinanti e scoppi da brivido stanca alla svelta.<br />
Diego <strong>di</strong>ce che io e lui abbiamo un modo <strong>di</strong>verso <strong>di</strong> vivere la motocicletta<br />
solamente perchè a me non piace tanto come a lui andare ai motoraduni e fare<br />
rumore ai semafori e piegare in curva fino a toccare le staffe. Ed è vero, a me<br />
piace andare su due ruote, ma non conosco tante altre marche <strong>di</strong> moto oltre la<br />
mia, del motore so poco o niente e non mi interessa fare rumore ai semafori o<br />
piegare in curva fino a toccare le staffe. E, se proprio volete saperlo, non mi<br />
interessa neanche far parte <strong>di</strong> una banda <strong>di</strong> motociclisti. No, neanche <strong>di</strong> una <strong>di</strong><br />
quelle col nome cazzuto tipo "White Snake", "Twin Horns" o "Dark Lion". Ben<br />
inteso che non ho nulla contro i giubbotti con le toppe e i nomi delle bande.
V<br />
La mattina seguente mi alzai quando gli altri erano ancora tutti a letto e<br />
andai a fare colazione a Medulin. Me ne andai senza <strong>di</strong>re niente a nessuno. Io<br />
sono fatto così, se sto a lungo con altre persone, poi devo starmene per conto<br />
mio.<br />
Entrai in una gelateria con i tavolini <strong>di</strong> fuori, a due passi dal campeggio.<br />
Mi sedetti su una delle se<strong>di</strong>e <strong>di</strong> vimini e or<strong>di</strong>nai kava espresso.<br />
- Dobro, - <strong>di</strong>sse il cameriere.<br />
Il caffè non era male, anche se ne avevo assaggiati <strong>di</strong> migliori. Tirai<br />
fuori <strong>di</strong> tasca il libro che avevo portato con me e lo aprii. Era Festa Mobile,<br />
del mio <strong>di</strong>o, Ernest Hemingway. Cominciai a leggere dal punto in cui ero arrivato.<br />
Quel libro parlava <strong>di</strong> Parigi e dei tempi in cui il vecchio Hem abitava<br />
sopra una segheria in Rue Notre-Dame-des-Champs e tirava a campare. Io non ero<br />
mai stato a Parigi e leggere quel libro mi aveva fatto venire voglia <strong>di</strong> andarci.<br />
Era scritto bene e c'era molto da imparare.<br />
Restai lì una mezz'ora, poi me ne andai a fare due passi nel campeggio.<br />
Passai davanti a un fruttivendolo. Per una settimana non avevo mangiato altro<br />
che schifezze e spesi cinque Kune per un paio <strong>di</strong> pesche noci che addentai strada<br />
facendo.<br />
Tornai a Sisan. I ragazzi si erano svegliati da poco. Remo se ne stava seduto<br />
al sole, a torso nudo. Sedetti vicino a lui con il libro sulle ginocchia.<br />
- Dove si stato? - domandò, accendendosi una sigaretta.<br />
- A fare colazione.<br />
- Cos'è che stai leggendo?<br />
Gli passai il vecchio Hem e nello sfogliarlo lui fece cadere per terra il<br />
segnalibro.<br />
- Bravo, - <strong>di</strong>ssi.<br />
- Scusa, - fece lui, e lo reinserì in un punto a caso del libro.<br />
- Ti piace Hemingway? - domandai.<br />
- Ho letto solo Il Vecchio e il Mare...<br />
- E ti è piaciuto?<br />
- Non tanto.<br />
- Come mai?<br />
- Parla troppo <strong>di</strong> pesca e troppo poco <strong>di</strong> prugna.<br />
- Oh...<br />
- Tu leggi molto, vero?<br />
- Abbastanza.<br />
- Sei un intellettuale.<br />
- Me ne guardo bene.<br />
Mi porse il vecchio Hem. Vi<strong>di</strong> che c'era della cenere sulla copertina del<br />
libro. Ce l'aveva fatta cadere involontariamente. Che mancanza <strong>di</strong> rispetto!<br />
Sciccare sul vecchio Hem!<br />
Mi venne l'idea <strong>di</strong> dare la sveglia a Ugo, che ancora dormiva, ma l'aria nel<br />
capanno era irrespirabile. Mettete quattro bestioni a dormire in una stanza poco<br />
arieggiata e vedrete l'odore che vien fuori...<br />
Mi tappai il naso con le <strong>di</strong>ta e uscii a tutta velocità da quella camera a<br />
gas.
VI<br />
Eravamo al Summer Club, tutta la banda.<br />
- Hai visto quella ragazza là in fondo? - <strong>di</strong>sse Diego.<br />
- Carina, - <strong>di</strong>ssi.<br />
- Ti guarda o sbaglio?<br />
Annuii.<br />
- Pensi <strong>di</strong> andare?<br />
- Mi tenta.<br />
Carina era carina. E non dava l'idea <strong>di</strong> una facile. Per quello mi piaceva.<br />
Di solito non mi butto allo sbaraglio, ma in qualche modo avevo capito che<br />
quella era la ragazza giusta per me. Così andai a parlarci.<br />
Fu un gancio impacciato, il mio. Le feci tutta quella serie <strong>di</strong> domande del<br />
cavolo che fanno i ragazzini alle prime armi. "Come ti chiami?", "da dove<br />
vieni?" e così via. La comunicazione era resa <strong>di</strong>fficile dal fatto che lei era<br />
ungherese e quasi non parlava l'inglese. E tu passa <strong>di</strong>rettamente ai fatti, <strong>di</strong>rete<br />
voi. Be', come ho già detto, non sono poi così spigliato in fatto <strong>di</strong> ragazze.<br />
Si chiamava Adrienne e aveva capelli castani lunghi fino al mento. Le<br />
domandai se aveva voglia <strong>di</strong> fare un giro in motocicletta. - Later, - <strong>di</strong>sse.<br />
Penso avesse bisogno <strong>di</strong> consultarsi con un'amica. Tornai a sedermi con i miei<br />
amici.<br />
Cinque minuti più tar<strong>di</strong> sentii qualcuno battermi la mano sulla spalla. Mi<br />
voltai e vi<strong>di</strong> Adrienne in pie<strong>di</strong> alle mie spalle.<br />
- Come on! - <strong>di</strong>sse.<br />
Mi alzai, la presi per mano e mi avviai verso l'uscita. Uscimmo dal Summer<br />
Club. Adrienne si avvicinò alla motocicletta, si piegò sul cruscotto e lesse la<br />
velocità massima, che era segnata ai duecento all'ora.<br />
- Wow! - esclamò.<br />
Le feci indossare il mio giubbotto e la aiutai a salire. Come sentì il<br />
rombo del motore, Adrienne prese paura. Da quello che capii, non era mai salita<br />
su una motocicletta. Difatti, ogni volta che accelleravo, si copriva gli occhi e<br />
gridava “SLOW! SLOW! SLOW! ” e si stringeva a me. Io le <strong>di</strong>cevo <strong>di</strong> stare<br />
tranquilla, ma non ero sicuro che mi capisse. Staccai un attimo la mano sinistra<br />
dal manubrio per avvolgerla alla sua, ma lei mi fece segno <strong>di</strong> rimetterla al suo<br />
posto, che così sì era più tranquilla.<br />
La portai al piccolo molo tranquillo che avevamo scoperto io e Diego durante<br />
la nostra escursione notturna, mantenendo così la promessa <strong>di</strong> portarci una<br />
ragazza. Fermai la moto sulla banchina <strong>di</strong> cemento e feci scendere Adrienne. La<br />
presi <strong>di</strong> nuovo per mano e camminai con lei sulla passerella <strong>di</strong> legno. Molte<br />
piccole barche a remi e a motore erano ormeggiate ai lati del molo. Mi chinai,<br />
ne tirai una verso <strong>di</strong> noi e feci cenno ad Adrienne <strong>di</strong> salirci. Lei rise piano e<br />
con un saltello salì sulla barca; io la seguii, ma fui più impacciato e quasi<br />
cad<strong>di</strong> nell'acqua.<br />
Era una bella notte chiara e un fresco vento notturno ci spettinava i capelli.<br />
Sedemmo nella barca fianco a fianco e cominciammo a parlare. Era una<br />
comica, perchè lei mi faceva lunghi <strong>di</strong>scorsi in ungherese e tutte le volte che<br />
chiedevo cosa aveva detto rispondeva “semmi”, che vuol <strong>di</strong>re “niente” nella sua<br />
lingua. Le rare volte che ci capivamo invece annuiva e <strong>di</strong>ceva “igen”, “sì” in<br />
ungherese.<br />
Adrienne aveva <strong>di</strong>ciassette anni, stava in campeggio con i suoi genitori e<br />
nella vita voleva fare la cantante. E Adrienne aveva la voce più bella che si<br />
possa immaginare. Dolce, femminile, armoniosa. Mi piaceva sentirla parlare,<br />
anche se non capivo quello che <strong>di</strong>ceva.<br />
Presi coraggio e feci per baciarla, ma lei si scostò. Allora mi scoraggiai<br />
e, per quella sera, non la sfiorai più con un <strong>di</strong>to. Ecco il mio guaio, mi<br />
scoraggio facilmente. Basta un niente a farmi perdere la fiducia in me stesso. I<br />
miei amici sono dei bulldozer. Sia come sia, loro insistono fino a che la ragazza<br />
o li scaccia in malo modo o cede e ci sta. Io non insisto più <strong>di</strong> tanto, e<br />
per questa ragione mi gioco un sacco <strong>di</strong> occasioni.
Adrienne guardò l'orologio e <strong>di</strong>sse che doveva tornare in campeggio. La<br />
riportai in<strong>di</strong>etro senza fare storie e fissai un appuntamento per le due del<br />
pomeriggio seguente.<br />
Quando tornai al Summer Club, mi attendeva la cruciale domanda:<br />
- Te la sei fatta? - Remo mi fissava con occhi inquisitori.<br />
Gli mandai un bacio via aria e <strong>di</strong>ssi: - No, caro.<br />
Lui mi definì omosessuale e se ne andò verso il bar. Alzai le spalle e accesi<br />
una sigaretta. Non avevo voglia <strong>di</strong> spiegargli che era stata una gran serata<br />
lo stesso e che il resto non importava.<br />
E, detto fra noi, credo che non avrebbe nemmeno capito.
VII<br />
Mi alzai prestissimo, il mattino seguente. Indossai una t-shirt nera e i<br />
miei soliti jeans. Avevo comperato uno stock <strong>di</strong> quelle t-shirts sotto una<br />
bancarella del mercato. Stavano in poco spazio e potevo comprimerle nella borsa<br />
senza aver paura che si spiegazzassero. E così in Croazia avevo da mettermi<br />
indosso <strong>di</strong>eci magliette e poco altro. I ragazzi mi pigliavano in giro e <strong>di</strong>cevano<br />
che non mi cambiavo mai. E invece mi cambiavo. Solo che mi vestivo sempre allo<br />
stesso modo.<br />
Lasciai il capanno. Non avevo idea <strong>di</strong> che ore fossero, visto che non porto<br />
l'orologio. Ma non ce l'avrei fatta a stare a letto un minuto <strong>di</strong> più. La storia<br />
dell'appuntamento con Adrienne mi aveva messo addosso una grande agitazione.<br />
Vedete, io sono il ragazzo più tranquillo del mondo, ma se c'è <strong>di</strong> mezzo una<br />
ragazza vado fuori <strong>di</strong> testa. Divento nervoso da far schifo e faccio tutto alla<br />
rovescia.<br />
Alle due meno un quarto ero a Medulin. L'appuntamento era nel parcheggio<br />
davanti al Summer Club. Fermai la moto e restai ad aspettare sotto il sole.<br />
Domandai l’ora a un passante. Le due e un quarto. Aspettai. Il sole picchiava da<br />
far spavento. Domandai l’ora a un altro passante. Le due e mezza. Aspettai<br />
ancora. Alle tre meno <strong>di</strong>eci persi la speranza e andai al mare a Lisgnan.<br />
- Ti ha tirato il pacco? - chiese Remo vedendomi arrivare.<br />
- Tu cosa ne <strong>di</strong>ci?<br />
- In fondo è meglio così.<br />
- Cosa vuoi <strong>di</strong>re?<br />
- An<strong>di</strong>amo, una ragazza come quella è capacissima <strong>di</strong> farti innamorare. E non<br />
è il caso, visto che partite tutti e due domani.<br />
- Dov'è il problema?<br />
- Hai ragione, scusa. Che stupido sono. Puoi andarla a trovare in Ungheria...<br />
<strong>di</strong>ciamo ogni fine settimana... - mi punzecchiò.<br />
- Certo che posso. Se una mi piace e sta al Polo Nord, giuro che vado a<br />
trovarla al Polo Nord, - <strong>di</strong>ssi.<br />
E in quel momento lo pensai sul serio. Pensai che avrei potuto avere una<br />
storia seria con Adrienne. Pensai ad<strong>di</strong>rittura che avrei potuto sposarla e a<br />
farla venire in Italia. A quei tempi ero pieno <strong>di</strong> illusioni.<br />
- Non <strong>di</strong>re assur<strong>di</strong>tà, - <strong>di</strong>sse Remo. Mogli e buoi dei paesi tuoi, questo era<br />
il suo motto.<br />
Cambiai argomento: - Dove sono gli altri?<br />
- Sono andati alla spiaggia dei nu<strong>di</strong>sti.<br />
- Come mai non ci sei andato anche tu?<br />
- Oh, si vedono solo delle vecchie flaccide.<br />
- Già.<br />
- Che si fa oggi pomeriggio?<br />
- Possiamo andare a Pola a vedere l'Arena.<br />
Mi tirai su gli occhiali da sole e lo guardai negli occhi: - E' lontana la<br />
spiaggia dei nu<strong>di</strong>sti?<br />
- Sta qui a due passi.<br />
- An<strong>di</strong>amo.
VIII<br />
Quella sera fu Adrienne a venire da me. Era stata a pranzo a Pola con i<br />
genitori e non ce l'aveva fatta a venire all'appuntamento. Le domandai se voleva<br />
fare una passeggiata e lei <strong>di</strong>sse <strong>di</strong> sì. Arrivammo fino al campeggio e ci sedemmo<br />
in riva al mare. Tentai <strong>di</strong> baciarla, ma lei si scostò come la sera prima.<br />
Ci rimasi male, a <strong>di</strong>re la verità. E mi feci mille domande. Perchè era lì<br />
con me se non voleva baciarmi? Perchè era venuta a scusarsi <strong>di</strong> non esser venuta<br />
all'appuntamento se non le interessavo?<br />
Tornammo al Summer Club. Adrienne andò ballare con le sue amiche e io mi<br />
sedetti con i miei amici. Non ci capivo più niente, ma decisi <strong>di</strong> fare un ultimo<br />
tentativo. Aspettai che Adrienne uscisse dalla pista, poi la presi per mano e la<br />
portai sulla terrazza. Mi fermai nell'angolo meno illuminato e tentai <strong>di</strong><br />
baciarla per l'ennesima volta. Si scostò, ma con meno convinzione. Forza e<br />
coraggio, mi <strong>di</strong>ssi, e riprovai. Cercai le sue labbra, facendole scorrere le mani<br />
sui fianchi, e questa volta vi<strong>di</strong> le sue palpebre abbassarsi e sentii le sue<br />
labbra che sfioravano le mie e poi, dolcemente, si schiudevano. Allora mi fu<br />
tutto chiaro. Adrienne era una <strong>di</strong> quelle ragazze che <strong>di</strong>cono no ma che in fondo<br />
vogliono che tu vada avanti. Bastava insistere un poco.<br />
Andammo a fare un giro in motocicletta. C'erano tre gran<strong>di</strong> alberghi sul<br />
mare e ciascuno aveva il suo lungomare. Arrivammo su quello dell'Hotel Belvedere<br />
e sedemmo l'uno accanto all'altra. Adrienne continuava a parlare in ungherese e<br />
tutte le volte che le chiedevo cosa stava <strong>di</strong>cendo rispondeva “semmi”. E io le<br />
davo il gomito e ridevo. Mi aveva insegnato una frase, “szèp vagy”, che vuol<br />
<strong>di</strong>re “sei bella” in ungherese, e voleva che gliela ripetessi <strong>di</strong> continuo.<br />
Eravamo immersi nel silenzio e tutt'a un tratto Adrienne in<strong>di</strong>cò l'orologio<br />
con aria contrariata.<br />
- Szèp vagy, - <strong>di</strong>ssi.<br />
Adrienne affondò il viso nel mio collo e mi lasciò un souvenir.<br />
A un certo punto la guardai negli occhi e <strong>di</strong>ssi: - Mi piacerebbe avere una<br />
ragazza come te, in Italia. - Lo <strong>di</strong>ssi in italiano, in modo da non farmi capire.<br />
E dopo quello non le <strong>di</strong>ssi più niente. La strinsi forte, ma non cercai <strong>di</strong> forzarla<br />
a fare cose che non si sentiva <strong>di</strong> fare.<br />
Tutto era perfetto e quella notte io non potevo chiedere nient'altro. Ma<br />
quella notte era anche la nostra ultima notte insieme e mi sentivo triste. Avrei<br />
voluto stare con lei fino al mattino, vedere sorgere il sole e poi baciarla<br />
nella luce incerta dell'alba, ma Adrienne aveva dei genitori che la aspettavano<br />
in campeggio e aveva detto che sarebbe stata <strong>di</strong> ritorno per le due e non voleva<br />
<strong>di</strong>subbi<strong>di</strong>re perchè era una brava ragazza. Il mio problema è proprio questo: mi<br />
piacciono solo le brave ragazze. Brave e serie. Mai che me ne piaccia una poco<br />
seria.<br />
Quando venne il momento ci alzammo in pie<strong>di</strong> e tornammo in moto al<br />
campeggio.<br />
- Isten, olasz, - <strong>di</strong>sse Adrienne.<br />
- Isten, magyar, - <strong>di</strong>ssi.<br />
Un minuto più tar<strong>di</strong> era tutto finito e Adrienne era sparita fra le tende<br />
del campeggio.<br />
E, percorrendo il tratto verso casa, chissà come non riuscivo a essere felice.<br />
E per quale motivo non ero felice? Avevo ottenuto quello che volevo, no?<br />
Sì, e la bellezza <strong>di</strong> quella serata era il peso più grande che portavo dentro. Il<br />
senso della per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> qualcosa era più forte della sod<strong>di</strong>sfazione <strong>di</strong> averla<br />
baciata.<br />
Gli altri stavano dormendo. Entrai nel capanno senza far rumore. Quando<br />
andai a letto la tristezza aumentò. E io mi girai nel letto, mi girai verso il<br />
muro, infilai la testa sotto il cuscino per non farmi sentire dagli amici, e<br />
piansi.
IX<br />
Il giorno seguente controllai <strong>di</strong> non aver lasciato niente nel capanno e<br />
assicurai le borse alla motocicletta. Indossai la solita t-shirt bianca e i<br />
jeans imbottiti alle ginocchia. Poi andai a salutare i ragazzi, che sarebbero<br />
tornati in città il giorno seguente. Remo e Ugo avrebbero continuato l'interrail.<br />
Noi quattro avremmo proseguito per Budapest.<br />
- Devo fare una cosa, - <strong>di</strong>ssi a Diego, - impiegherò una ventina <strong>di</strong> minuti.<br />
Andai al campeggio <strong>di</strong> Medulin. Volevo salutare Adrienne. Quando però<br />
arrivai nel posto in cui il giorno prima si trovava il suo camper, non vi<strong>di</strong> nè<br />
lei, nè il camper, nè i suoi genitori. Erano partiti. Non c'era più niente che<br />
mi trattenesse in Croazia, a parte qualche fotografia e un mucchio <strong>di</strong> bei ricor<strong>di</strong>.<br />
Tempo <strong>di</strong> ingrassare le catene, <strong>di</strong> controllare i livelli dell'olio delle motociclette,<br />
<strong>di</strong> posizionare le carte stradali sulle borse da serbatoio e <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>are<br />
il percorso da seguire, la nostra rombante carovana si rimise in viaggio.<br />
Eravamo stracarichi con le borse e i bauletti e la tenda legata alla moto<br />
<strong>di</strong> Diego con i ganci elastici. Ora stavo io in testa e gli altri mi seguivano.<br />
Fermammo a Pola a fare il pieno <strong>di</strong> benzina e lasciammo la città passando sotto<br />
l'Arena e prendendo la strada per Rijeka, l'antica Fiume degli italiani.<br />
Erano le un<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> mattina e la giornata si faceva più calda. Avremmo<br />
voluto partire presto, ma la notte precedente era stata l'ultima notte a Medulin<br />
e avevamo fatto confusione fino a tar<strong>di</strong>. Io stesso ero stravolto e avevo alle<br />
spalle sì e no cinque ore <strong>di</strong> sonno, ma il vento in faccia mi svegliava e il<br />
caffè ristretto che avevo bevuto cominciava a fare effetto.<br />
Jacopo indossava una maglia nera con le maniche tagliate e guidava la sua<br />
Kavasaki mettendo in mostra i tatuaggi che aveva sulle braccia. Ne aveva <strong>di</strong><br />
molto belli e vistosi. Sul braccio destro aveva un lupo e un in<strong>di</strong>ano e sul<br />
braccio sinistro aveva un dragone. Le motociclette facevamo un gran rumore e,<br />
quando ci fermavamo ai semafori, la gente ci guardava a bocca splancata. Ma a<br />
fermarci ai semafori faceva troppo caldo e noi sudavamo nei giubbotti e dovevamo<br />
muoverci e prendere aria.<br />
Uscimmo nella campagna <strong>di</strong> Pola e Diego mi in<strong>di</strong>cò il cielo terso. Io staccai<br />
la mano dal manubrio e unii il pollice e l'in<strong>di</strong>ce e <strong>di</strong>ssi: - E' andata bene, è<br />
una giornata magnifica!<br />
Attraversammo una serie <strong>di</strong> villaggi sperduti nella campagna, dalle case<br />
basse e grigie. Mi accorsi che il senso <strong>di</strong> desolazione che provavo all'inizio<br />
del soggiorno era svanito. Mi ero affezionato ai paesaggi della Croazia e mi<br />
<strong>di</strong>spiaceva lasciarli. Ero giunto ad apprezzare la natura incontaminata che prima<br />
avevo scambiato per desolazione o mancanza <strong>di</strong> civiltà.<br />
Arrivederci Pola, alla prossima estate.<br />
Uscimmo dall'Istria. Le strade erano buone e si andava via bene. A un certo<br />
punto entrammo in un lungo tunnel a pagamento. Le moto facevano un baccano<br />
infernale là dentro. La luce era debole e io dovetti abbassarmi gli occhiali da<br />
sole sulla punta del naso per vederci qualcosa.<br />
Appena usciti dal tunnel, ci trovammo sulla destra l'azzurro golfo del<br />
Quarnaro, cinto da tutte le parti. Eravamo quasi a Rijeka. Un'ora più tar<strong>di</strong><br />
tagliavamo verso l'interno su un'autostrada spaziosa che ci permetteva <strong>di</strong> tenere<br />
un'andatura sostenuta. Salimmo in montagna e fu <strong>di</strong> nuovo strada normale e<br />
trafficata. Diminuimmo la velocità seguendo le in<strong>di</strong>cazioni per Zagabria. Ai lati<br />
avevamo boschi fitti <strong>di</strong> alberi e paesi. Faceva fresco e ora, anche se ci<br />
fermavamo ai semafori, non sudavamo più. Le motociclette rispondevano magnificamente<br />
e guidare era rilassante.<br />
Arrivati a Zagabria, andammo verso la stazione ferroviaria e fermammo le<br />
motociclette davanti a un albergo. L'uomo alla reception consultò il registro e<br />
scosse la testa. Non volevamo avere tempi da rispettare e non avevamo fatto<br />
prenotazioni. Trovammo posto all'Hotel Center. Lasciammo le moto davanti<br />
all'albergo e domandammo al portiere <strong>di</strong> tenerle d'occhio mentre occupavamo la<br />
stanza. Poi tornammo giù a chiudere le moto e a mettere insieme una mancia per<br />
il portiere.
Restammo in stanza a riposare e poi camminammo verso il centro passando per<br />
tre piazze larghe e malinconiche fino alle insegne luminose <strong>di</strong> Piazza Josipa<br />
Jelacica. Cenammo e poi andammo a farci un'ultima birra in uno dei pub della<br />
Tkalciceva.
X<br />
L'indomani lasciammo Zagabria e andammo verso Varaz<strong>di</strong>n e il confine con<br />
l'Ungheria. In dogana ci controllarono i passaporti e annotarono i nostri numeri<br />
<strong>di</strong> targa, non so per quale motivo.<br />
Dal confine in avanti viaggiammo nella campagna ungherese tra campi<br />
coltivati e dolcissime colline, e poi su uno stradone <strong>di</strong>ritto e pianeggiante che<br />
pareva un immenso viale, con i busti rigi<strong>di</strong> per fare fronte alle correnti d'aria<br />
che in quel tratto erano molto forti.<br />
Viaggiammo su questo stradone ombreggiato dagli alberi fino a quando non<br />
uscimmo dai boschi e avemmo improvvisamente il lago Balaton sulla sinistra. Nei<br />
punti in cui non c'erano alberi il vento era talmente forte da spostare la<br />
motocicletta. Sentii che l'aria mi spingeva verso destra e dovetti <strong>di</strong>minuire la<br />
velocità e stare basso con il busto sul serbatoio e tenere una presa salda sul<br />
manubrio.<br />
Decidemmo <strong>di</strong> fare una sosta e andammo a fumare una sigaretta sulla riva del<br />
lago. L'avevamo davanti, il mare degli ungheresi. Era molto vasto e non se ne<br />
vedeva la fine. In quel momento il sole era coperto e le acque del lago erano<br />
grige, opache e poco invitanti. Una ragazzina ci fotografò in pie<strong>di</strong> sulla riva,<br />
uno <strong>di</strong> fianco all'altro, con i capelli agitati dal vento e i volti provati.<br />
Venne una bella foto, quando il rullino fu fatto sviluppare.<br />
- Tira una bella aria, eh? - <strong>di</strong>sse Jacopo.<br />
- Dio santo, a momenti finivo fuori strada! - <strong>di</strong>ssi.<br />
- Tieni ben stretto il manubrio.<br />
Diego era sdraiato per terra.<br />
- Ehì, tutto a posto? - domandai.<br />
- Sì, ho solo mal <strong>di</strong> testa.<br />
- Colpa del vento.<br />
- Può darsi.<br />
- Te la senti <strong>di</strong> continuare?<br />
- Certo, per chi mi hai preso?<br />
- Scusa tanto.<br />
Eravamo appena ripartiti e non eravamo ancora arrivati alla città <strong>di</strong> Siòfok<br />
che Diego sorpassò tutti, mettendosi in testa alla colonna e accostando subito<br />
dopo sulla destra. Noi pure accostammo e Diego si sfilò il casco con aria<br />
sofferente.<br />
- Sto male, - <strong>di</strong>sse.<br />
- Sul serio?<br />
- Sì.<br />
- Hai la febbre?<br />
- Non so, può darsi.<br />
- Sentigli la fronte, - <strong>di</strong>sse Max.<br />
Gli toccai la fronte con il palmo della mano. - Scotta, - <strong>di</strong>ssi.<br />
- Quanto manca a Budapest? - domandò Jacopo.<br />
- Centosessanta chilometri, più o meno.<br />
- Te la senti <strong>di</strong> proseguire? - domandai a Diego.<br />
- Mi fa male la testa e ho i brivi<strong>di</strong>. Mi <strong>di</strong>spiace, ragazzi.<br />
- Ha preso freddo, - <strong>di</strong>sse Max.<br />
- Mi sembra <strong>di</strong> poter svenire da un momento all'altro, - si lamentò Diego. -<br />
Vi <strong>di</strong>spiace se ci fermiamo nel primo posto?<br />
- Okay, per oggi basta così, - <strong>di</strong>ssi. - Ci si ferma nel primo posto. Vuol<br />
<strong>di</strong>re che saremo a Budapest con un giorno <strong>di</strong> ritardo, non casca il mondo.<br />
- Dobro, - <strong>di</strong>sse Jacopo.<br />
Affittammo per quattromila fiorini ungheresi un bungalow sul lago in mezzo<br />
a una specie <strong>di</strong> campeggio. Diego andò dritto a letto; fummo io e Max a portare i<br />
suoi bagagli in stanza. Volevamo che si rimettesse e che fosse in forma per<br />
poter ripartire l'indomani sul presto.<br />
Quella sera gli altri andarono a letto alle un<strong>di</strong>ci. Io non avevo sonno,<br />
così comperai una bottiglia <strong>di</strong> birra nel bar del campeggio e andai a berla in<br />
riva al lago. La riva era poco illuminata e si vedevano le luci delle case<br />
dall'altra parte del lago. Si vedevano molte stelle e restai a guardarle sor-
seggiando la birra. Pensai a quella sera in cui ero con Adrienne sulla spiaggia<br />
dell'hotel Belvedere. Era impossibile non pensare a lei e non essere triste in<br />
una notte come quella.
XI<br />
La mattina seguente fui svegliato dal trambusto dei ragazzi. Jacopo si<br />
stava mettendo i pantaloni e Max si faceva la barba. Diego era già in pie<strong>di</strong> e<br />
stava chiudendo le zip alle valigie.<br />
Saranno state le sette <strong>di</strong> mattina. Mi vestii, uscii e andai a vedere se il<br />
bar del campeggio a quell'ora era già aperto. C'era aria <strong>di</strong> prima mattina e il<br />
campeggio era silenzioso. Entrai nel bar e mi avvicinai al banco. Una ragazza<br />
stava facendo le pulizie. Mi feci preparare il caffè e portai la tazza a uno dei<br />
tavoli. Era una mattinata fresca e grigia e mi sedetti dentro il bar invece che<br />
fuori per non prendere freddo. Ero seduto con la tivù accesa e un programma<br />
ungherese <strong>di</strong> cui non capivo una sillaba. Era piacevole bere il caffè e fumare<br />
una sigaretta in un bar in cui non c'era nessun'altro oltre a me.<br />
Finiti caffè e sigaretta, pagai alla ragazza duecento fiorini e tornai al<br />
bungalow. I ragazzi erano quasi pronti e stavano sistemando la roba sulle<br />
motociclette. A Diego quella notte <strong>di</strong> sonno aveva fatto bene.<br />
- Come stai? - domandai.<br />
- Da <strong>di</strong>o.<br />
- Ci hai fatto prendere uno spavento.<br />
- Ieri ero uno straccio. Dimmi, quanto c'è <strong>di</strong> qui a Buda?<br />
- Centosessanta chilometri.<br />
- E <strong>di</strong> qui a Pest?<br />
- Oggi sei ad<strong>di</strong>rittura spiritoso.<br />
- Centosessanta chilometri <strong>di</strong> strada normale?<br />
- Secondo la carta stradale dovremmo avere una sessantina <strong>di</strong> chilometri <strong>di</strong><br />
strada normale fino a Siòfok e poi un centinaio <strong>di</strong> chilometri <strong>di</strong> autostrada fino<br />
a Budapest.<br />
- Uno scherzo.<br />
- Staremo a vedere.<br />
Ci rimettemmo in viaggio e costeggiammo il Balaton da sud per tutta la sua<br />
lunghezza. Le acque del lago erano ver<strong>di</strong> e misteriose nella foschia del mattino.<br />
Mi avevano detto che durante i mesi più fred<strong>di</strong> dell'inverno il lago gelava e<br />
<strong>di</strong>ventava una pista <strong>di</strong> pattinaggio e avrei voluto vedere con i miei occhi<br />
quell'immensa <strong>di</strong>stesa <strong>di</strong> ghiaccio. Ogni tanto giravo la testa a sinistra per<br />
vedere l'acqua e le montagne azzurre <strong>di</strong>etro il lago e pensavo che forse nella<br />
mia vita non mi sarebbe più capitato <strong>di</strong> vedere quel posto.<br />
Ma lungo il Balaton c'era un gran traffico e non potevi permetterti <strong>di</strong><br />
staccare gli occhi dalla strada più <strong>di</strong> un momento. Era un'unica colonna <strong>di</strong><br />
automobili e <strong>di</strong> camion in entrambi i sensi <strong>di</strong> marcia. Le targhe erano tutte<br />
ungheresi e tedesche, anche se i tedeschi avevano le macchine più belle. Gli<br />
automobilisti, ad ogni modo, erano civili e rispettavano i motociclisti facendosi<br />
da parte e permettendoci <strong>di</strong> viaggiare a cavallo delle due corsie.<br />
Jacopo avanzava con il faro acceso e apriva la strada e noi gli stavamo in<br />
scia.<br />
Il cielo andava schiarendosi. Arrivammo a Siòfok e ci buttammo in autostrada<br />
con la lancetta del tachimetro bloccata sui centoquaranta chilometri<br />
orari. Ora viaggiavamo in aperta campagna e Budapest non era lontana.<br />
Incontrammo due italiani <strong>di</strong> Genova in una stazione <strong>di</strong> servizio a cinquanta<br />
chilometri dalla nostra destinazione. Viaggiavano su due Gilera 350. Le loro<br />
moto erano meno potenti e più sottili delle nostre, ed erano stracariche <strong>di</strong><br />
bagagli.<br />
- Dove siete <strong>di</strong>retti? - domandai.<br />
- Facciamo tappa a Budapest, domani an<strong>di</strong>amo in Romania. Vogliamo vedere la<br />
Transilvania, - <strong>di</strong>sse quello più alto.<br />
- Non vi fermate a visitare la città?<br />
- Ci siamo già stati, l'anno scorso. Voi dove siete <strong>di</strong>retti?<br />
- Noi restiamo a Budapest qualche giorno. Poi an<strong>di</strong>amo in Austria.<br />
- L'Austria è cara. Preferiamo la Romania.<br />
- Non avete tutti i torti.<br />
- Attenti, quando siete a Budapest.<br />
- Attenti a cosa?
- A tutto. Cercano <strong>di</strong> fregare i turisti in tutti i mo<strong>di</strong>. Fate chiamare i<br />
taxi dalla reception dell'albergo. Evitate <strong>di</strong> penderli per strada. Ce ne sono <strong>di</strong><br />
quelli che si fermano in un vicolo e vi chiedono sol<strong>di</strong>. E se girate in moto<br />
vedete <strong>di</strong> tenervi sempre sulle strade principali.<br />
- Per quale ragione?<br />
- Un mio amico è capitato su una strada deserta, e sai cosa è successo? Ha<br />
visto una macchina in mezzo alla strada e si è dovuto fermare. Sono scesi due<br />
uomini e gli hanno detto "la motocicletta la pren<strong>di</strong>amo noi, tu vai via che è<br />
meglio per te".<br />
- Okay, solo strade principali.<br />
- E taxi chiamati dall'albergo.<br />
- Okay.<br />
- Non è una città pericolosa, se si usa un minimo <strong>di</strong> prudenza.<br />
- Grazie dei ragguagli, ragazzi. Siete stati davvero gentili.<br />
- Di niente. Non vogliamo che i nostri connazionali finiscano nei guai.<br />
- Buon viaggio.<br />
- Buon viaggio a voi.<br />
Ero pieno <strong>di</strong> ammirazione per quei ragazzi. Facevano quel viaggio su dei 350<br />
e si vedeva che avevano alle spalle dell'esperienza. Avevamo avuto fortuna a<br />
incontrarli.<br />
Vicino all'autogrill c'era un ristorante con una terrazza su un lago. Decidemmo<br />
<strong>di</strong> mangiare qualcosa lì. Il cielo era azzurro ed era uscito il sole e<br />
mentre mangiavamo potevamo tenere d'occhio le motociclette e allo stesso tempo<br />
guardare il lago con le sue isole ver<strong>di</strong> in mezzo all'acqua dello stesso colore<br />
del cielo. Si vedevano le case sulla riva opposta e l'orizzonte era basso e<br />
privo <strong>di</strong> montagne.<br />
- Che ne pensate <strong>di</strong> quei due? - chiese Max.<br />
- Fanno tutto quel giro su dei 350, hanno coraggio, - <strong>di</strong>sse Jacopo.<br />
- E poi ci hanno detto delle cose che non sapevamo, - <strong>di</strong>ssi.<br />
- Sei preoccupato?<br />
- Non tanto. Basterà essere prudenti.<br />
Nel primo pomeriggio riprendemmo l'autostrada e passammo dall'aperta<br />
campagna alle prime case <strong>di</strong> Budapest. Poi si videro le colline <strong>di</strong> fronte a noi e<br />
l'autostrada fece una curva e ci catapultò tra le gran<strong>di</strong> insegne della<br />
periferia. Seguimmo le in<strong>di</strong>cazioni centrum e in men che non si <strong>di</strong>ca trovammo un<br />
albergo.<br />
Era ottimo, in stile inglese, e si trovava a Buda, a un chilometro da Ponte<br />
Elisabetta. Nella stanza i letti erano tre e ne mancava uno. Quelli dell'albergo<br />
avevano risolto il problema appoggiando un materasso sul pavimento.<br />
Il materasso spettò a me.<br />
Facemmo la doccia a turno e ci sdraiammo sui letti con il ventilatore al<br />
massimo e la tivù accesa sul canale che trasmette i video musicali.<br />
Diego si alzò in mutande e prese dal frigobar un mignon <strong>di</strong> champagne. -<br />
Brin<strong>di</strong>amo? - domandò.<br />
- Con piacere, - <strong>di</strong>ssi.<br />
Trovammo due bicchieri, versammo lo champagne e lo bevemmo a piccoli sorsi<br />
guardando la tivù. La voce e il corpo erano quelli <strong>di</strong> Jennifer Lopez e noi non<br />
ascoltavamo tanto la canzone quanto guardavamo la cantante, e ci <strong>di</strong>spiaceva <strong>di</strong><br />
non avere un televisore più grande.<br />
- Non ho nessuna voglia <strong>di</strong> visitare Budapest. Che ne <strong>di</strong>ci <strong>di</strong> restare qui a<br />
bere tutto quello che c'è nel frigobar? - esclamò Diego.<br />
- E' un'idea geniale.<br />
Jacopo uscì dalla doccia e si fece sulla soglia in accappatoio.<br />
- Ragazzi, stasera non possiamo usare le moto, - <strong>di</strong>sse.<br />
- Come sarebbe? - chiese Diego.<br />
- Se ci ferma la polizia sono guai. Qui il tasso <strong>di</strong> alcool tollerato è zero<br />
virgola zero per cento.<br />
- E' una stupidata e gli ungheresi sono degli esagerati.<br />
- Sì, ma è così.<br />
- Tu cosa <strong>di</strong>ci <strong>di</strong> fare? - <strong>di</strong>sse rivolto a me.<br />
- Non rischierei, - <strong>di</strong>ssi.<br />
- Allora pren<strong>di</strong>amo un taxi.
- Conviene.<br />
- Bisogna fare attenzione con i taxi. Avete sentito cos'hanno detto quei<br />
ragazzi. Cercano <strong>di</strong> fregarti.<br />
- Ci penso io, - <strong>di</strong>ssi.<br />
Quando fummo vestiti, scesi alla reception e domandai al portiere <strong>di</strong><br />
chiamare un taxi. - Quanti siete? - domandò in inglese.<br />
- Cinque.<br />
Il portiere fece una telefonata e parlò in ungherese e l'unica parola che<br />
capii fu semmi. Voleva <strong>di</strong>re niente, me l'aveva detto Adrienne in Croazia. Il<br />
portiere lasciò la telefonata in sospeso e <strong>di</strong>sse: - Non hanno taxi per cinque<br />
persone a <strong>di</strong>sposizione. Ne devo chimare due.<br />
- Va bene.<br />
Riprese in mano la cornetta e <strong>di</strong>sse qualcos'altro nella sua lingua.<br />
- Saranno qui tra pochi minuti.<br />
Avevamo il nome <strong>di</strong> un locale. Remo era stato a Budapest e ce ne aveva<br />
parlato.<br />
- Quanto costerà andare al Fat Mo's? - domandai al portiere.<br />
- Al massimo mille fiorini.<br />
- Grazie.<br />
Gli lasciai una mancia e chiamai i miei amici. Uscimmo fuori e accesi una<br />
sigaretta mentre aspettavamo i taxi. Le due vetture arrivarono quasi subito e io<br />
mi avvicinai al finestrino <strong>di</strong> uno dei conducenti. - Quanto vuole per portarci al<br />
Fat Mo's? - domandai.<br />
- Duemila fiorini.<br />
- In albergo hanno detto mille al massimo.<br />
- D'accordo.<br />
Salimmo in macchina. Mi sedetti con Jacopo e Max nel taxi che stava<br />
davanti. Diego e mio fratello in quello che stava <strong>di</strong>etro. Notai il grosso coltello<br />
serramanico che il tassista teneva nel vano sotto il freno a mano.<br />
I taxi fecero inversione, andarono verso l'altra parte della città e attraversarono<br />
il Duna per Ponte Elisabetta.<br />
- Quello è il mio, - <strong>di</strong>sse Max mentre attraversavamo il ponte, in<strong>di</strong>cando<br />
uno dei gran<strong>di</strong> battelli con musi simili a pescigatti.<br />
- Giura! Credevo che il tuo fosse quello là! - <strong>di</strong>ssi in<strong>di</strong>candone un'altro.<br />
Eravamo allegri e avevamo voglia <strong>di</strong> scherzare.<br />
Giunti a Pest, i taxi svoltarono in una serie <strong>di</strong> viuzze e si fermarono davanti<br />
al Fat Mo's. Era un bel pub ricavato da una cantina con stampe appese ai<br />
muri e se<strong>di</strong>li <strong>di</strong> legno.<br />
I tavoli erano tutti occupati ma avemmo un colpo <strong>di</strong> fortuna: una coppia si<br />
alzò e ne liberò uno. Sedemmo e aspettammo che il cameriere venisse a prendere<br />
le or<strong>di</strong>nazioni. La musica era buona - stava girando un pezzo dei Cure - e il<br />
volume non era tale da ostacolare la conversazione. Or<strong>di</strong>nammo birra chiara per<br />
tutti.<br />
- Sta prendendo bene, - <strong>di</strong>sse Jacopo.<br />
- Anche a me.<br />
Eravamo allegri e contenti <strong>di</strong> essere lì e la birra prendeva bene per forza<br />
<strong>di</strong> cose. Ne or<strong>di</strong>nammo altre cinque. Nella saletta in fondo al locale avevano cominciato<br />
a ballare. Lasciammo il tavolo e ci facemmo largo nello stretto<br />
passaggio tra il lungo bancone e i separè alla volta della pista da ballo.<br />
Adesso facevano musica anni ottanta. Ma la pista era troppo affollata per i miei<br />
gusti e non ci restai molto. Mi allontanai e guardai i miei amici ballare.<br />
Max mi venne vicino: - Non balli?<br />
- Non sono abbastanza ubriaco.<br />
- Ti capisco.<br />
Uscimmo dal Fat Mo's e camminammo verso il centro della città. Passeggiammo<br />
lungo Vàci utca con i suoi bei negozi e ci fermammo in uno dei bei caffè <strong>di</strong><br />
Vorosmarty tèr a bere la terza birra della serata. Ma quando ci alzammo per<br />
pagare il conto ci sfilarono dai portafogli mille fiorini a testa perchè eravamo<br />
in centro e perchè eravamo italiani. Mille fiorini per una birra, contro i<br />
trecentocinquanta che avevamo speso al Fat Mo's. E questo era il centro <strong>di</strong><br />
Budapest: una trappola per turisti.
La strada più elegante del centro era senza dubbio la Vàci Utca e <strong>di</strong> notte<br />
era frequentata da bellissime ragazze vestite con pantaloni attillati e scollature<br />
mozzafiato.<br />
Vi<strong>di</strong> una sventola dai capelli rossi, con indosso un paio <strong>di</strong> pantaloni<br />
attillati al ginocchio. Era tutta curve, e in trasparenza i pantaloni lasciavano<br />
intravedere un tanga. Passeggiava avanti e in<strong>di</strong>etro con una bionda meno<br />
appariscente.<br />
- Hallo, come ti chiami? - domandai.<br />
- Erzsebèt.<br />
- Dove state andando?<br />
La rossa si strinse nelle spalle.<br />
- Volete venire a bere qualcosa con noi?<br />
Lei <strong>di</strong>sse qualcosa in ungherese all'amica.<br />
- Igen, - <strong>di</strong>sse. - Yes, - si corresse.<br />
Una volta fatte le presentazioni, ci avviammo e passammo accanto a un bar<br />
con i tavoli all'aperto.<br />
- Ci mettiamo là?<br />
- No, non mi piace quel posto, - <strong>di</strong>sse la rossa.<br />
Continuammo a camminare fino a quando non vedemmo un altro posto sulla<br />
sinistra.<br />
- Che ne <strong>di</strong>te <strong>di</strong> andare là?<br />
- No, lì non si sta bene.<br />
- Allora dove?<br />
- Seguitemi.<br />
La sventola dai capelli rossi andò avanti, svoltò in una via poco illuminata<br />
e si fermò davanti a un locale.<br />
- An<strong>di</strong>amo qui.<br />
- Va bene.<br />
Entrammo e sedemmo. Le luci erano soffuse e altre ragazze sedevano ai<br />
tavoli con uomini <strong>di</strong> mezza età. Max aveva cominciato a parlare con l'altra ragazza.<br />
Imme<strong>di</strong>atamente arrivò la cameriera e prese le or<strong>di</strong>nazioni. Noi quattro<br />
or<strong>di</strong>nammo della birra e le ragazze presero due calici <strong>di</strong> champagne.<br />
- Da dove vieni? - mi domandò la rossa.<br />
- Italia.<br />
- Stu<strong>di</strong> o lavori?<br />
- Lavoro, - <strong>di</strong>ssi, e non mentivo dal momento che, anche se non avevo ancora<br />
pubblicato nulla, consideravo la scrittura un lavoro a tempo pieno.<br />
- Di dove siete voi due? - domandò Jacopo.<br />
- Di Budapest, - <strong>di</strong>sse Erzsebèt.<br />
- E cosa fate la sera?<br />
- An<strong>di</strong>amo in giro.<br />
- Non avete il ragazzo?<br />
- No. I ragazzi ungheresi sono antipatici. Preferiamo quelli italiani.<br />
- Gli italiani sono simpatici?<br />
- Molto.<br />
Jacopo si rivolse a me in italiano: - Sono tutti simpatici con una che ha<br />
due tette così.<br />
Erzsebèt si irritò. Le dava fasti<strong>di</strong>o che parlassimo in italiano.<br />
- Tette? Cosa vuol <strong>di</strong>re tette? - domandò in inglese.<br />
- Niente, - <strong>di</strong>ssi.<br />
- Tette sono queste! - <strong>di</strong>sse Jacopo allungando una mano e toccandogliele.<br />
La ragazza si ritrasse e lo sgridò. - Ehì! - <strong>di</strong>sse. Poi fu come se rammentasse<br />
<strong>di</strong> dover essere simpatica. - Sciocco! - <strong>di</strong>sse, e prese a ridere sguaiatamente.<br />
Avevamo bevuto tutto quello che ci avevano portato e la cameriera venne a<br />
chiedere se volevamo qualcos'altro.<br />
- Posso prendere un'altro drink? - domandò la rossa.<br />
- Va bene.<br />
- Posso anch'io? - domandò l'altra ragazza.<br />
- Va bene.<br />
Or<strong>di</strong>narono altri due calici <strong>di</strong> champagne.<br />
- Che genere <strong>di</strong> musica ti piace? - mi domandò Erzsebèt.<br />
- Rock.
Guardai Max. Stava parlando con l'altra ragazza. - Che genere <strong>di</strong> musica ti<br />
piace? - gli aveva chiesto lei usando le stesse parole che Erzsebèt aveva appena<br />
usato con me. Continuai a parlare con la mia ragazza restando in ascolto. Le<br />
conversazioni erano identiche. Le due ragazze seguivano gli stessi schemi. C'era<br />
qualcosa sotto.<br />
Fin dal primo momento avevo avuto il dubbio che fossero puttane e ora ne<br />
ero quasi certo. Il locale in cui ci avevano portati era un locale <strong>di</strong> puttane. E<br />
loro si comportavano come puttane. Non erano lì perchè ci trovavano simpatici.<br />
Aspettavano qualcosa, ma cosa? Forse aspettavano <strong>di</strong> essere portate in albergo.<br />
Forse aspettavano che mettessimo le cose in chiaro. Forse aspettavano il momento<br />
giusto per parlare <strong>di</strong> sol<strong>di</strong>. La rossa era tutta curve e sembrava fatta apposta<br />
per quello.<br />
- An<strong>di</strong>amo? - <strong>di</strong>ssi mezz'ora più tar<strong>di</strong>.<br />
- Sì, - <strong>di</strong>sse Erzsebèt.<br />
Ci alzammo e andammo alla cassa. La cassiera fece il conto e in<strong>di</strong>cò la<br />
cifra sulla ricevuta. Lessi: cinquemilasettecento fiorini.<br />
- Oh, è andata bene, - <strong>di</strong>ssi a Max.<br />
Mettemmo insieme i sol<strong>di</strong> e li allungammo alla cassiera. Quella scosse la<br />
testa e in<strong>di</strong>cò <strong>di</strong> nuovo la cifra. Capii.<br />
- Sono cinquantasettemila fiorini, ragazzi.<br />
- Non voltarti, - <strong>di</strong>sse Jacopo. Due gorilla si erano avvicinati e stavano<br />
in pie<strong>di</strong> <strong>di</strong>etro <strong>di</strong> noi.<br />
- Stanno a vedere che non facciamo i furbi, vero? - <strong>di</strong>ssi.<br />
- Temo <strong>di</strong> sì, - <strong>di</strong>sse Jacopo.<br />
Onestamente non pensavo che avessimo con noi tutti quei sol<strong>di</strong>. Tirammo<br />
fuori tutti i fiorni che avevamo in tasca. Non bastavano. Io mi ero portato<br />
<strong>di</strong>etro anche un biglietto da centomila Lire. Imprecai e misi sul piatto anche<br />
quello. Ora sì.<br />
Uscimmo. Le due ragazze aspettavano a braccia conserte. Quando videro che<br />
avevamo pagato cominciarono a camminare <strong>di</strong> passo svelto.<br />
- Ehì, Erzsebèt...<br />
La rossa si voltò e <strong>di</strong>sse: - Dobbiamo andare adesso.<br />
Ero senza parole: ci avevano fatto spendere un capitale e ora se la svignavano.<br />
Ero arrabbiato e volevo <strong>di</strong>re qualcosa <strong>di</strong> crudele, così le seguii e<br />
presi Erzsebèt per un braccio.<br />
- Va bene, - <strong>di</strong>ssi in inglese - ma sappi che una puttana è molto meglio <strong>di</strong><br />
te.<br />
- Okay, bye bye, - <strong>di</strong>sse lei con noncuranza. E se ne andarono.<br />
- Ci hanno preso per i fondelli, - <strong>di</strong>sse Max.<br />
- Già.<br />
- Si vede che prendono la percentuale sulle consumazioni.<br />
- Si vede <strong>di</strong> sì.<br />
- Cosa le hai detto?<br />
- Le ho detto che una puttana è molto meglio <strong>di</strong> lei.<br />
- Ci è rimasta male, almeno?<br />
- Ci puoi giurare, - mentii.<br />
- Siamo stati degli stupi<strong>di</strong>.<br />
- Non lo potevamo immaginare.<br />
- Sì, invece.<br />
- Quelle sono molto peggio delle puttane, quelle sono ruffiane...<br />
- Hai ragione. Cosa facciamo adesso?<br />
- A me è passata la voglia <strong>di</strong> <strong>di</strong>vertirmi.<br />
- An<strong>di</strong>amo in albergo.<br />
- Va bene.<br />
- Bel modo <strong>di</strong> cominciare il soggiorno.<br />
- Non pensiamoci più.<br />
- Sarà meglio.<br />
Passammo <strong>di</strong> nuovo per Vàci utca. Le ruffiane erano ancora lì, in attesa <strong>di</strong><br />
altri polli da spennare. E non erano le sole. Tutta la via ne era piena. Solo<br />
ora ce ne rendevamo conto.<br />
Non ci erano rimasti più nemmeno i sol<strong>di</strong> per il taxi e dovemmo tornare in<br />
albergo a pie<strong>di</strong>. Attraversammo Ponte Elisabetta nella quiete della notte. Il
ponte era bianco e illuminato e il Duna era silenzioso con il riflesso dei<br />
lampioni sull'acqua e i suoi battelli-pescigatti addormentati.<br />
Camminando, alzai gli occhi e vi<strong>di</strong> la statua <strong>di</strong> San Gherardo a braccia<br />
aperte sul monte e più in alto le luci della cittadella e la statua della Liberazione<br />
in<strong>di</strong>stinta nel cielo. E a destra vi<strong>di</strong> le luci dell'altro ponte e la mole<br />
pesante della fortezza <strong>di</strong> Buda, più scura della notte stessa. E pensai che era<br />
un peccato che in una città bella come Budapest accadessero cose come quelle e<br />
che i mezzi fossero così subdoli e che le autorità facessero finta <strong>di</strong> niente. Ma<br />
era inutile stare a piangere sul latte versato e mi sforzai <strong>di</strong> non pensarci più.
XII<br />
La prima cosa che feci, quella mattina, fu scendere alla reception e farmi<br />
dare una pianta della città. Feci colazione nella sala ristorante al piano terra<br />
e, prima <strong>di</strong> tornare in appartamento, uscii nel cortile interno dell'albergo,<br />
dove avevamo parcheggiato le motociclette, e guardai il cielo. Era terso e il<br />
sole sbatteva violentemente sull'asfalto e sulle automobili ferme. Era una buona<br />
giornata per visitare la città e tutt'a un tratto ne avevo una voglia matta.<br />
Presi l'ascensore e salii al secondo piano. Gli altri si erano alzati.<br />
- Pronti?<br />
- Per cosa? - domandò Diego.<br />
- Per visitare Budapest.<br />
- Dammi un minuto.<br />
Indossai calzoni corti mentre Diego si lavava la faccia. Jacopo mi passò<br />
accanto e <strong>di</strong>sse: - Vado a scaldare la moto.<br />
- Bene.<br />
Jacopo uscì dalla stanza, seguito da mio fratello e da Max. Diego mi lasciò<br />
libero il bagno, in modo che potessi lavarmi i denti e legarmi i capelli.<br />
Inforcai gli occhiali da sole e afferrai il casco sentendo il fragore delle<br />
motociclette che si scaldavano giù nel cortile. Lasciai la stanza e raggiunsi<br />
gli altri. Il portiere era uscito e stava <strong>di</strong>cendo qualcosa a Max.<br />
- Non capisco cosa vuole, - <strong>di</strong>sse Max.<br />
- Sta <strong>di</strong>cendo <strong>di</strong> fare meno rumore, - <strong>di</strong>ssi.<br />
Misi in moto la mia Aprilia, suonai il campanello della reception e feci<br />
aprire il cancello elettrico. Uscimmo in strada uno per uno e ci immettemmo<br />
nella Hegyalja utca. Prima <strong>di</strong> arrivare a Ponte Elisabetta, prendemmo il lungofiume<br />
verso la parte nord della città.<br />
Andavamo piano e a destra vedevamo la riva <strong>di</strong> Pest dall'altra parte del<br />
Duna. Superammo il Ponte delle Catene e il maestoso e<strong>di</strong>ficio del Parlamento.<br />
Dopo Ponte Margherita, la riva <strong>di</strong> Pest non si vide più e si vide solamente il<br />
fitto fogliame della Margitsziget. Tirammo dritto fino a Ponte Arpàd e sul ponte<br />
prendemmo lo svincolo e arrivammo sull'isola. Lasciammo le moto in uno spiazzo e<br />
ci avviammo a pie<strong>di</strong>.<br />
La Margitsziget era un grande parco, meravigliosamente tranquillo, fitto <strong>di</strong><br />
rigogliosa vegetazione e <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> alberi ombrosi. Passeggiammo vicino alla<br />
chiesa delle Domenicane e ci sdraiammo sotto le fronde <strong>di</strong> un albero. Più tar<strong>di</strong><br />
tornammo alle motociclette e uscimmo <strong>di</strong> nuovo su Ponte Arpàd. Svoltando nella<br />
trafficata Vàci utca, arrivammo a Nyugati tèr e <strong>di</strong> lì fino all'Oktogon. Poi<br />
dovemmo fare un giro molto complicato per immetterci in Viale Andràssy.<br />
I gran<strong>di</strong> viali <strong>di</strong> Budapest, simili ai boulevardes <strong>di</strong> Parigi, erano belli da<br />
percorrere in motocicletta. Seguimmo Viale Andràssy verso Piazza degli Eroi e<br />
vedemmo la statua del principe Arpàd a cavallo e le statue dei capi delle tribù<br />
d'Ungheria farsi sempre più gran<strong>di</strong>. Quando fummo nella grande piazza aperta,<br />
vedemmo le statue erigersi davanti a noi in tutta la loro forza.<br />
- Sembra una piazza fascista, - <strong>di</strong>sse Diego.<br />
Tornammo in<strong>di</strong>etro immettendoci <strong>di</strong> nuovo in Viale Andràssy, svoltando a<br />
sinistra e arrivando su Ponte Elisabetta. Attraversammo il ponte con il sole che<br />
calava su Buda e San Gherardo in pie<strong>di</strong> sopra la cascata.<br />
- San Gherardo ha la faccia arrabbiata, non ti sembra? - <strong>di</strong>sse Diego mentre<br />
prendevamo l'aperitivo al bar dell'albergo.<br />
- E ti meravigli? Con la fine che ha fatto... - <strong>di</strong>ssi.<br />
- Che fine ha fatto?<br />
- Ve<strong>di</strong>, lui è venuto in Ungheria con le migliori intenzioni. Voleva convertire<br />
la gente. E quelli l'hanno preso, l'hanno messo in una botte piena <strong>di</strong><br />
chio<strong>di</strong> e l'hanno fatto rotolare giù da monte Gellèrt.<br />
- Dopo però l'hanno fatto santo.<br />
- Secondo me avrebbe preferito morire <strong>di</strong> vecchiaia e non esser fatto santo.<br />
- Forse hai ragione.
XIII<br />
La notte passò senza gran<strong>di</strong> avvenimenti. Il giorno successivo mi svegliai<br />
pieno <strong>di</strong> energia. Non avevo voglia <strong>di</strong> usare la motocicletta e non avevo voglia<br />
<strong>di</strong> stare con i miei amici. Volevo visitare Budapest a pie<strong>di</strong>, con calma e senza<br />
dover rendere conto a nessuno. Ogni tanto ho bisogno <strong>di</strong> farmi i fatti miei, ve<br />
l'ho detto.<br />
Era una magnifica giornata e lasciai l'albergo subito dopo colazione.<br />
Camminai verso il quartiere della fortezza e arrancai su per la scalinata a zig<br />
zag che porta al Vàr. Fu una bella scarpinata fin lassù. Faceva un gran caldo e<br />
avevo il fiato corto. Dalla terrazza della fortezza si aveva una bella visuale<br />
del Duna e <strong>di</strong> Ponte delle Catene. A destra, sulla riva <strong>di</strong> Pest, si vedeva il<br />
Palazzo del Parlamento in tutta la sua maestà e a sinistra il boscoso Monte<br />
Gellèrt.<br />
Un'altra strada si snodava in ampie curve sotto le mura del Vàr sino alla<br />
riva del Duna e ai due leoni <strong>di</strong> pietra <strong>di</strong> Ponte delle Catene. Era il primo ponte<br />
costruito tra Buda e Pest, ed era anche il più bello.<br />
Attraversai il ponte e giunsi a Pest, nella parte più mondana della città.<br />
Vi<strong>di</strong> una graziosa ragazza bionda, la seguii fino a Vorosmarty tèr e la persi <strong>di</strong><br />
vista nella folla. Andai a sedermi in uno dei gran<strong>di</strong> caffè della piazza e<br />
or<strong>di</strong>nai una spremuta d'arancia.<br />
Nulla accadde quel giorno e nulla accadde nei giorni che seguirono. Una<br />
mattina, sul presto, lasciammo Budapest con la sensazione <strong>di</strong> averci passato<br />
troppo tempo. Il fatto è che in estate è facile confondere il viaggio con la<br />
vacanza. Ciò che dovevamo sempre tenere a mente è che non stavamo affatto<br />
facendo una vacanza, stavamo facendo un viaggio.
XIV<br />
Lasciammo la città e scendemmo nel Kisalfold, la vasta depressione del nord<br />
ovest del paese. Attraversammo il ponte sul fiume Raba, uno degli affluenti del<br />
Duna, entrammo in Austria e prendemmo la strada per Linz. Corremmo lungo un<br />
tratto <strong>di</strong> autostrada in mezzo ai monti e andammo verso Salisburgo.<br />
Avevamo intenzione <strong>di</strong> coprire la <strong>di</strong>stanza che separava Budapest da Salisburgo<br />
in una sola giornata. Ora, i chilometri fatti <strong>di</strong> mattina quasi non si<br />
sentono e per questo conviene partire presto, ma quelli fatti <strong>di</strong> pomeriggio si<br />
sentono molto e soprattutto si sentono quelli fatti nelle ore più calde della<br />
giornata. Messi in pericolo dai colpi <strong>di</strong> sonno, verso le cinque <strong>di</strong> quel pomeriggio<br />
ci rassegnammo quin<strong>di</strong> a fare una sosta in un area-parcheggio sull'autostrada.<br />
Schiacciammo un pisolino stesi su un fazzoletto d'erba all'ombra<br />
<strong>di</strong> una quercia. Ne avevamo bisogno, fidatevi. Un'ora più tar<strong>di</strong> ripartimmo.<br />
Ci fermammo a fare benzina e l'uomo del <strong>di</strong>stributore <strong>di</strong>sse che a Salisbugo<br />
aveva luogo il Festival <strong>di</strong> Mozart. Non doveva essere semplice trovare una<br />
sistemazione. Così, sette chilometri prima della città, uscimmo dall'autostrada<br />
e prendemmo la strada normale con la speranza <strong>di</strong> trovare una stanza. Il cartello<br />
zimmer era affisso a una casa. Fermammo le motociclette, e io entrai a chiedere<br />
se era <strong>di</strong>sponibile una camera e quanto costava. Era un albergo a gestione familiare<br />
e un uomo <strong>di</strong> mezza età che parlava italiano con accento austriaco mi<br />
mostrò due stanze comunicanti e mi segnò il prezzo in scellini su un foglio <strong>di</strong><br />
carta. Feci due conti. Onesto, pensai. Tornai dagli altri e <strong>di</strong>ssi che era tutto<br />
sistemato.<br />
Staccai le borse dalla motocicletta e le trasportai al piano superiore. Al<br />
termine <strong>di</strong> una giornata <strong>di</strong> viaggio faceva piacere avere una bella stanza in cui<br />
stare e avere la possibilità <strong>di</strong> fare colazione la mattina prima <strong>di</strong> ripartire.<br />
Quel giorno avevamo percorso quasi seicento chilometri e avevamo un gran bisogno<br />
<strong>di</strong> riposare.<br />
Diego si era già buttato a letto. Io prima volevo fare una doccia. Mi levai<br />
il giubbotto da motociclista e lo appesi allo schienale <strong>di</strong> una se<strong>di</strong>a. Sfilai la<br />
maglia umida <strong>di</strong> sudore e la gettai in terra. Entrai in bagno a torso nudo. Sulla<br />
faccia avevo i segni della stanchezza e mi sentivo indolenzito. Mi spogliai e mi<br />
buttai sotto la doccia. Mi asciugai e andai a collaudare il letto. Esultai: <strong>di</strong><br />
sicuro era più confortevole del materasso su cui avevo dormito a Budapest.<br />
Quella sera ci mettemmo in moto con tanto <strong>di</strong> guanti e <strong>di</strong> giubbotti <strong>di</strong><br />
pelle. Faceva fresco e l'aria era fragrante <strong>di</strong> montagna. La strada scendeva<br />
verso la città.<br />
Dopo una curva, ecco apparire le luci <strong>di</strong> Salisburgo. Alle nove camminavamo<br />
lungo la Getreidegaffe in cerca <strong>di</strong> un pub. Salisburgo mi piacque fin da subito.<br />
Pareva un posto più tranquillo <strong>di</strong> Budapest. Le strade ispiravano più fiducia e<br />
la gente era più rassicurante e le ragazze erano ragazze normali e non ruffiane.<br />
Entrammo in un pub. La birra era buona, una chiara corposa e poco gassata<br />
spillata nel modo giusto. Eravamo alla fine del viaggio e io pensai che presto<br />
sarei tornato in città. E cosa mi aspettava là? Un bel niente.<br />
Da un momento all'altro mi sentivo depresso. Non poteva essere tutto lì.<br />
Non poteva ridursi tutto a farsi una birra e una sigaretta in un locale qualsiasi.<br />
Doveva esserci qualcos'altro. Doveva esserci qualcosa <strong>di</strong> più importante.<br />
Doveva esserci qualcosa per cui valesse la pena si alzarsi la mattina. E invece<br />
no. La notte mi stava davanti, vuota e senza senso. E sapevo che dopo quella<br />
birra ci sarebbe stata un'altra birra e dopo quella sigaretta un'altra<br />
sigaretta, fino a quando me ne sarei andato a dormire. E il sonno avrebbe<br />
cancellato tutto fino al giorno successivo.
XV<br />
L'indomani ritornammo in Italia per il passo del Brennero.<br />
Quella sera andai nella piazza in cui ci incontriamo <strong>di</strong> solito e fu molto<br />
deprimente vedere i quattro gatti rimasti in città, apatici e scoraggiati com'erano,<br />
seduti sui gra<strong>di</strong>ni della chiesa a suonare la chitarra.<br />
Quella era la mia città. Città poi. Era una parola grossa. In realtà essa<br />
non sarebbe mai stata più <strong>di</strong> un grande paese. Anche se aveva aperto il Mc<br />
Donald. Anche se la gente si ostinava a chiamare grattacielo una certa palazzina<br />
<strong>di</strong> do<strong>di</strong>ci piani sulla Via Emilia.<br />
Decisi che non sarei rimasto in città un giorno <strong>di</strong> più. Mica volevo sprecare<br />
il fiore dei miei anni lì. Ma scherziamo? Il giorno seguente me ne sarei<br />
andato in montagna, a Cortina. Oh sì, l'estate non era finita. E poi cosa voleva<br />
<strong>di</strong>re l'estate? Si poteva viaggiare solo d'estate? No <strong>di</strong> certo. Anche l'autunno<br />
andava bene. E se pensate che fossi <strong>di</strong>sposto a passare un altro inverno in mezzo<br />
alla nebbia vi sbagliate <strong>di</strong> grosso.
XVI<br />
Non fu un gran viaggio.<br />
In autostrada incontrai numerose colonne e le superai sulla corsia<br />
d'emergenza. L'afa era insopportabile. Mi fermai in autogrill, parcheggiai la<br />
moto all'ombra e comperai una <strong>di</strong> quelle bibite con i sali minerali. Ero <strong>di</strong>sidratato<br />
e mi sembrava <strong>di</strong> svenire. Sedetti all'ombra, scolai la bibita fino all'ultima<br />
goccia, fumai una delle West che avevo comperato in Croazia e andai in<br />
bagno.<br />
Da Mestre in poi la strada fu sgombra ed io tirai la quinta fino a 150<br />
Km/h. Le curve rendevano <strong>di</strong>vertente il percorso. Uscito dall'autostrada, mi<br />
fermai una sola volta a fare benzina a un Self Service della IP. Passai da<br />
Longarone e girai la testa per vedere la <strong>di</strong>ga del Vaiònt, incassata nella<br />
montagna. Notai che quelle nella parte bassa del paese erano tutte costruzioni<br />
recenti.<br />
Entrai nella valle del Cadore e proseguii verso Cortina senza fretta, piegando<br />
in curva e rallegrandomi per il fresco dell'aumento <strong>di</strong> altitu<strong>di</strong>ne. Dopo<br />
tutta quell'afa, quel fresco era un vero toccasana. Mi sentii subito meglio.<br />
L'aria aveva l'odore dei pini e la sentivi nei polmoni. Era come se per la<br />
prima volta stessi respirando veramente. Il paesaggio contribuiva a farmi stare<br />
meglio. Non più oceani <strong>di</strong> macchine e fabbriche, solo boschi e prati<br />
verdeggianti.<br />
Non ci ho mai saputo fare con le descrizioni dei paesaggi. Sba<strong>di</strong>glio sempre<br />
in grande stile quando ne leggo una. Non mi <strong>di</strong>lungherò quin<strong>di</strong> nella descrizione<br />
<strong>di</strong> un paesaggio che il lettore farebbe bene a vedere dal vivo.<br />
Era quasi scuro quando affrontai la salita <strong>di</strong> Chiave e giunsi a casa. I<br />
pini, i fienili <strong>di</strong> legno, le case col tetto spiovente, tutto era come lo ricordavo.<br />
Arrivai al tramonto, quando la luce scende obliqua sulle Dolomiti e le<br />
screzia <strong>di</strong> giallo, e tra la parte in ombra e quella al sole si crea un delizioso<br />
contrasto.<br />
Mio nonno aveva comprato la casa nel dopoguerra e aveva fatto un affare<br />
perchè Cortina era <strong>di</strong>venuta una località sempre più rinomata <strong>di</strong> anno in anno, ed<br />
era ancora rinomata, anche se da tempo aveva cominciato ad accogliere gente<br />
molto ricca e poco educata - quelli che mio nonno chiamava cafoni - e si era<br />
trasformata in una località <strong>di</strong> villeggiatura affollata e costosa.<br />
Smontai e mi guardai intorno. I panconi <strong>di</strong> legno, le fioriere scavate nei<br />
tronchi, il lume sulla porta. Aprii la porta ed entrai. I soprammobili non erano<br />
stati spostati <strong>di</strong> un millimetro. Tutto era lì dov'era sempre stato. La statua <strong>di</strong><br />
gesso <strong>di</strong> Napoleone, i fiori secchi, le stampe, i quadri e le gran<strong>di</strong> candele<br />
rosse. Tutto era in or<strong>di</strong>ne e trasmetteva intimità e protezione.<br />
Sganciai le borse dalla motocicletta e le portai dentro. Sistemai la roba<br />
un po' ovunque. In cucina c'era del caffè ancora sigillato. Aprii la bombola del<br />
gas, preparai la moca e la misi sul fuoco. Niente è meglio <strong>di</strong> un caffè caldo per<br />
metterti a tuo agio e rilassarti dopo un viaggio. Non è che fossi poi tanto<br />
stanco... ma non è obbligatorio essere stanchi morti per potersi rilassare.<br />
Il tempo non prometteva niente <strong>di</strong> buono. Il cielo era nuvoloso e stava<br />
piovigginando. Quella sera scesi in paese e rimbalzai tra il Clipper e il Bar<br />
dello Sport, sotto una pioggia non torrenziale ma costante, in cerca <strong>di</strong> amici.<br />
Johannes avrebbe dovuto essere già lì, <strong>Pier</strong>o non si era fatto sentire e Andrea<br />
non lo sentivo da tre mesi. Passai in tutti i nostri punti <strong>di</strong> ritrovo abituali,<br />
ma non trovai nessuno. Che ne so, forse la pioggia li aveva tenuti in casa.<br />
Pensai <strong>di</strong> fare una telefonata, ma non mi andava <strong>di</strong> cercare una cabina<br />
telefonica, in tasca non avevo sol<strong>di</strong> spicci e tutt'a un tratto m'era venuta su<br />
una tristezza del <strong>di</strong>avolo. Capii subito il perchè. Mi ero messo a pensare ad<br />
Adrienne e a quella sera del giro in moto a Pomer.<br />
Allora entrai da Emma e presi un Pomier, ossia una grappa alla mela verde,<br />
e fui contento <strong>di</strong> scoprire che il sapore non era cambiato. Non servì però a<br />
mandar via la malinconia, e anche dopo che ne ebbi bevuti un paio il ricordo <strong>di</strong><br />
Adrienne era ancora lì a farmi sospirare.<br />
Comperai quattro bottiglie <strong>di</strong> birra al doppio malto. Tornai a casa, mi sedetti<br />
sul <strong>di</strong>vano con i pie<strong>di</strong> sul panchetto e stappai la prima. Mentre bevevo,
cominciai a leggere un libro che avevo preso a prestito nella biblioteca della<br />
mia città, il giorno che ero stato là. Era Tristessa, <strong>di</strong> Kerouac. Okay. Parte<br />
Prima: “Tremante e Casto”. Si leggeva bene, il vecchio Kerouac. E man mano che<br />
l'alcool entrava in circolo si leggeva sempre meglio. Più bevevo più avevo<br />
l'impressione <strong>di</strong> comprendere i concetti talvolta astrusi del vecchio Jack. A<br />
meno <strong>di</strong> un sorso dalla fine della terza birra le lettere cominciarono a ballare<br />
la Makarena. Andai avanti per un poco, poi le palpebre mi si abbassarono.
XVII<br />
Andai alla finestra e vi<strong>di</strong> che pioveva ancora, così me ne tornai a letto.<br />
Cenai in pizzeria, andai al Clipper e li trovai tutti lì. Johannes, <strong>Pier</strong>o e<br />
Andrea. Li salutai, mi sedetti e or<strong>di</strong>nai un caffè.<br />
- Che programmi ci sono stasera? - mi informai.<br />
- Area? - <strong>di</strong>sse <strong>Pier</strong>o guardando gli altri in cerca <strong>di</strong> conferma.<br />
L'Area era la <strong>di</strong>scoteca più "in" <strong>di</strong> Cortina. L'ingresso costava trentacinque<br />
carte <strong>di</strong> venerdì, quaranta <strong>di</strong> sabato. C'ero stato, una volta. Le figlie <strong>di</strong><br />
papà se la tiravano a livelli astronomici. Del resto, una ragazza <strong>di</strong>sposta a<br />
spedere quaranta carte per una serata in <strong>di</strong>scoteca è matematico che se la tira<br />
come una regina.<br />
Non avevo tutta questa voglia <strong>di</strong> andarci, ma sapevo che se fossi andato a<br />
casa mi sarei messo a pensare ad Adrienne e mi sarei buttato giù <strong>di</strong> morale.<br />
- A che ora? - domandai.<br />
- Mezzanotte l'una. Tu vieni?<br />
- Non lo so.<br />
Ci andai, ovviamente.<br />
E, ovviamente, me ne pentii.<br />
All'ingresso, vi<strong>di</strong> una scena agghiacciante. Un figlio <strong>di</strong> papà stava cercando<br />
<strong>di</strong> convincere il cassiere a fargli pagare <strong>di</strong> meno.<br />
- Senti, non è che mi faresti il biglietto ridotto? - stava <strong>di</strong>cendo.<br />
Notare che tra il biglietto normale e quello ridotto c'era una <strong>di</strong>fferenza<br />
<strong>di</strong> <strong>di</strong>ecimilalire.<br />
- Ce l'hai la riduzione?<br />
- No.<br />
- Allora non posso.<br />
- Avanti, fammi il favore.<br />
- Non posso, or<strong>di</strong>ni superiori.<br />
- Avanti, a te non cambia niente...<br />
- Non <strong>di</strong>pende da me. Davvero.<br />
- Avanti...<br />
A un certo punto il cassiere si stancò <strong>di</strong> <strong>di</strong>scutere. Gli porse il biglietto<br />
ridotto e <strong>di</strong>sse: - E va be'... pren<strong>di</strong>.<br />
Sentite cosa fece quell'altro: aprì il portafoglio, tirò fuori una banconota<br />
da cinquecentomilalire e pagò con quella! Dico, cinquecento carte!<br />
- Non ho moneta, mi <strong>di</strong>spiace, - si giustificò.<br />
Il cassiere incassò il biglietto e gli <strong>di</strong>ede il resto <strong>di</strong> quattrocentosettantacinquemila<br />
esatte, ma lasciatemi <strong>di</strong>re che lo guardò molto molto male.<br />
E niente. Se non lo sapete, Cortina ha delle cose così tristi che la metà<br />
basta.<br />
Feci anch'io il biglietto ed entrai. Rimasi a guardare la gente dalla balaustra.<br />
I miei anfibi impolverati si facevano notare tra tutte quelle scarpe<br />
lucide. E un'altra cosa, lì in mezzo ero l'unico a non avere la camicia. Non che<br />
mi <strong>di</strong>spiacesse <strong>di</strong>fferenziarmi un poco, tanto più che non era la gente che faceva<br />
per me. Sì, insomma, io avevo la mia compagnia. Non ci tenevo a far comunella<br />
con gli altri.<br />
Una ragazza mi venne incontro. Indossava un abito <strong>di</strong> paillettes rosse.<br />
Niente <strong>di</strong> speciale, lei. Il tipo <strong>di</strong> ragazza che vestita normale passa inosservata.<br />
- Ciao, gioooiaaa! - esclamò. - Come stai? - Beveva Cointreau e si dava<br />
arie da gran <strong>di</strong>va.<br />
- Bene, tu? - <strong>di</strong>ssi.<br />
- Benissimo, gioia. Benissimo.<br />
- Ti piace venire qui? - domandai.<br />
- Oh sì, gioia. Questo posto è spaziale. Spa-zia-le.<br />
- Dici?
- Sì, gioia. Ieri sera sono stata alla festa campestre, ma è stata la prima<br />
e ultima volta.<br />
- Come mai?<br />
- E' stato orrendo, gioia, or-re-ndo. Intanto, c'era della gentaglia. E poi<br />
tutti mi guardavano in un modo. Uno ad<strong>di</strong>rittura mi ha presa per un braccio e mi<br />
ha chiesto se andavo via con lui...<br />
- Ad<strong>di</strong>rittura! - <strong>di</strong>ssi.<br />
- Sì, gioia, sì. Io l'ho mandato subito a quel paese.<br />
- Hai fatto proprio bene.<br />
- Dimmi, tu cosa fai la sera, gioia? - domandò.<br />
- Di solito vado alla festa campestre, - <strong>di</strong>ssi orgogliosamente.<br />
- Ma dai?<br />
- Cosa ci vuoi fare.<br />
- E sei uno <strong>di</strong> quelli che guardano le ragazze in quel modo?<br />
- Eh sì.<br />
- Non l'avrei mai detto. E le pren<strong>di</strong> anche per un braccio?<br />
- Mi piacerebbe, ma non ne ho il coraggio.<br />
- Se è così, buona sera.<br />
Si voltò e se ne andò. Evidentemente si sentiva presa per i fondelli.<br />
Camminai verso il bar.<br />
Erano tutte ragazze così là dentro. E quando trovavano uno carino l'unica<br />
cosa che riuscivano a fare era guardarlo con aria <strong>di</strong> schifo come a <strong>di</strong>re - ma che<br />
razza <strong>di</strong> bamboccio sei? - E questa era la loro tattica. Non vedere per essere<br />
viste. La più ipocrita delle tattiche in assoluto.<br />
Ero appoggiato al bancone e cercavo <strong>di</strong> attirare l'attenzione della barista,<br />
quando Johannes mi si avvicinò. - Hai combinato? - domandò.<br />
- Macchè.<br />
- E quella ragazza?<br />
- Non fa per me.<br />
- Be', <strong>di</strong>amoci da fare.<br />
- Prendo la birra e ti raggiungo.<br />
- Andata.<br />
Ma quella sera non avrei combinato niente. Ero l'unica anima lugubre della<br />
<strong>di</strong>scoteca. L'unico sguardo scuro. L'unico passo annoiato. Gli unici occhi<br />
ostili. Io ero tutte queste cose. E gli altri erano la festa del venerdì notte.<br />
Invece <strong>di</strong> raggiungere Johannes, che stava parlando con due ragazze, andai<br />
alla balaustra. Johannes stava a Bolzano, era il classico tedesco biondo-occhi<br />
azzurri. Ci sapeva fare con le ragazze. Io non ci sapevo fare tanto come lui.<br />
E poi non mi fidavo tanto a fare ganci in <strong>di</strong>scoteca. Devi stare molto attento.<br />
Se abbor<strong>di</strong> una ragazza in <strong>di</strong>scoteca, te la devi scegliere veramente<br />
bella. Se ne abbor<strong>di</strong> una decente, il giorno dopo, senza il trucco, ti sembrerà<br />
brutta. Se ne abbor<strong>di</strong> una carina, il giorno dopo, senza il trucco, ti sembrerà<br />
decente. E solo se ne abbor<strong>di</strong> una veramente bella, il giorno dopo, senza il<br />
trucco, ti sembrerà ancora carina. Vi <strong>di</strong>co questo perchè, complici le luci<br />
stroboscopiche, il trucco e l'abbigliamento provocante, mi è capitato <strong>di</strong><br />
prendere dei granchi. Anzi, degli scorfani.<br />
Vicino a me c'era questo tipo. Non eravamo in confidenza, ma tutte le volte<br />
che mi vedeva mi faceva le feste come un cagnolino. Camicia Polo, capello<br />
pettinato all'in<strong>di</strong>etro con il burro, occhiali <strong>di</strong> tendenza. Mi venne incontro<br />
muovendosi a tempo <strong>di</strong> musica.<br />
- Ciao, grande! - <strong>di</strong>sse.<br />
Diffidate da quelli che vi salutano <strong>di</strong>cendo Ciao, grande!. Appena possono,<br />
vi incastrano.<br />
- Cosa fai? Non balli? - <strong>di</strong>sse.<br />
- Non ne ho voglia.<br />
- Com'è che così spento?<br />
- Non lo so.<br />
Poi cominciò a darmi manate sulla spalla. Una cosa che non sopporto assolutamente.<br />
- Sai qual'è il tuo problema, vecchio? - <strong>di</strong>sse - Tu non ti sai <strong>di</strong>vertire!<br />
- Se lo <strong>di</strong>ci tu.<br />
Lui sì che si sapeva <strong>di</strong>vertire invece. Ballava la house music facendo tutte<br />
le mosse. Ce la metteva proprio tutta.
- Ma quanto hai bevuto? - gli domandai, vedendo che era abbastanza avanti.<br />
- Un Orange-vodka, - <strong>di</strong>sse.<br />
- Lo reggi da <strong>di</strong>o.<br />
- Modestamente.<br />
- Sei sempre il numero uno! - <strong>di</strong>sse avvicinando il palmo per battere il<br />
cinque.<br />
- Tu invece mi fai schifo, - avrei voluto <strong>di</strong>rgli. E invece sapete cos'ho<br />
fatto? Gli ho battuto quel suo cazzo <strong>di</strong> cinque. Palmo contro palmo. Ci teneva<br />
tanto, poverino. Non riesco a essere cattivo con quelli come lui.<br />
Si voltò e se ne andò verso la scala. Sempre muovendosi a tempo <strong>di</strong> musica,<br />
è chiaro.<br />
Rimasi un poco alla balaustra, poi mi spostai su un <strong>di</strong>vanetto, dove c'era<br />
<strong>Pier</strong>o in stato catatonico. - Come la ve<strong>di</strong>? - mi chiese.<br />
- Male, - <strong>di</strong>ssi.<br />
- Anch'io, se non gli avessi dato trentacinque sacchi me ne andrei al volo?<br />
- Tanto ormai glieli hai dati, cosa ti frena?<br />
- Lo so, però...<br />
Ecco una cosa che con tutta la buona volontà non riesco a capire. Hai<br />
sputtanato dei sol<strong>di</strong> per romperti la fava. E allora perchè non te ne vai? Devi<br />
per forza rompertela fino in fondo? Boh, giuro che non la capisco.<br />
- Io vado.<br />
Lo salutai e me ne andai a casa.
XVIII<br />
La canzone era Kiss me, dei Six Pence None The Richer, e noi ce ne stavamo<br />
al Clipper, al solito tavolo sotto il Taxi-Bob, incerti se trasferirci da Emma<br />
per una grappa o all'osteria per una birra.<br />
- Serata tranquilla, - <strong>di</strong>sse Johannes.<br />
- Noiosa, vuoi <strong>di</strong>re, - <strong>di</strong>ssi.<br />
- Vuoi una sigaretta? - domandò, e se ne accese una.<br />
- No, fumo troppo in questo periodo.<br />
- Ho notato.<br />
- Se ci pensi qui non si fa altro che bere, mangiare, fumare e dormire.<br />
- Una vita sana, - <strong>di</strong>sse in uno sba<strong>di</strong>glio. - Cosa stiamo a fare a Cortina?<br />
Non lo so.<br />
- Dicono sia un bel posto. La Perla delle Dolomiti, la chiamano.<br />
- Oh, per la vita che facciamo...<br />
Era vero. Per la vita che facevamo Cortina non valeva niente. O meglio,<br />
valeva tanto come qualsiasi altro posto. Non si faceva altro che bere e fumare e<br />
passare da un bar all'altro. Gente <strong>di</strong> quella che piaceva a me ce n'era proprio<br />
poca: figli <strong>di</strong> papà, supercafoni... voi scherzate ma la canzone <strong>di</strong> Piotta è <strong>di</strong><br />
un realismo agghiacciante! Erano anni che andavo a Cortina e avevo avuto modo <strong>di</strong><br />
conoscere le giovani leve. Non c'era niente <strong>di</strong>etro le camicie Polo, i cappellini<br />
Nike e gli occhiali Ray-ban. Erano tutti belli, abbronzati e pieni <strong>di</strong> sol<strong>di</strong>, ma<br />
non erano molto <strong>di</strong>versi dai manichini che vedevi nella vetrina della Cooperativa.<br />
Oltretutto faceva un freddo allucinante. Pareva d'essere in <strong>di</strong>cembre, anzichè<br />
nel pieno dell'estate. L'unica cosa buona è che mi stavo facendo una<br />
cultura straor<strong>di</strong>naria in fatto <strong>di</strong> cocktails. Tra i vari Cuba Libre, Spritz e<br />
Gin Lemon li avevo provati tutti.<br />
Credo d'essere arrivato a o<strong>di</strong>are Cortina, dopo due settimane <strong>di</strong> quella<br />
vita. Il maltempo che non finiva mai, la monotonia <strong>di</strong> quelle giornate, l'apatia<br />
<strong>di</strong> quelle serate. So solo che a un certo punto non ne potevo più <strong>di</strong> stare là.<br />
Mi sarebbe piaciuto andare a Parigi. Volevo andarci da quando avevo letto<br />
quel libro <strong>di</strong> Hemingway, Festa Mobile. Un gran libro, tra le altre cose. Fu così<br />
che decisi <strong>di</strong> andarci. Tempo <strong>di</strong> far dare una controllata alla motocicletta, e<br />
via.<br />
- Tra qualche giorno parto, - <strong>di</strong>ssi a Johannes.<br />
- Quando l'hai deciso?<br />
- In questo istante.<br />
- E dove vai?<br />
- Parigi.<br />
- Davvero?<br />
- Sì.<br />
- E come? In aereo?<br />
- In moto.<br />
Sgranò gli occhi come a <strong>di</strong>re ho davanti un folle e <strong>di</strong>sse: - So che ne sei<br />
capace, quin<strong>di</strong> non ti <strong>di</strong>co niente, ma è lunghetta da qui a Parigi.<br />
- Se tutto va bene in due giorni sarò là.<br />
- Dovrai fare tappa da qualche parte.<br />
- Questo è poco ma sicuro.<br />
- Con chi vai?<br />
- Solo.<br />
- Hai della voglia.<br />
- Per quale motivo?<br />
- Non cre<strong>di</strong> che ti annoierai a morte se vai là da solo. Parigi è una città<br />
splen<strong>di</strong>da, ma è da visitare in compagnia.<br />
- Conosci il motto chi non sta bene con sè stesso non sta bene con<br />
nessuno, se proprio vuoi saperlo credo che non mi annoierò affatto.<br />
- Se è così che la pensi.<br />
- E poi, se una sera sono triste, posso sempre fare un giro a Pigalle, no?<br />
- Il quartiere erotico?<br />
- Esatto.
- Arriverai a conoscerlo bene.<br />
Lo mandai in quel posto. Poi <strong>di</strong>ssi: - Ti <strong>di</strong>co cosa farò. Prenderò una<br />
stanza in albergo, inviterò una bella parigina e... be', lavora <strong>di</strong> fantasia.<br />
- Tu lavori troppo <strong>di</strong> fantasia, secondo me.<br />
- Chi ti <strong>di</strong>ce che non troverò la mia Sophie Marceau?<br />
- Te lo auguro.<br />
- Me la offri ora, quella sigaretta?<br />
Johannes tirò fuori il pacchetto, lo battè sul tavolo un paio <strong>di</strong> volte per<br />
farne uscire una e me lo porse.
XIX<br />
Sbrigai gli ultimi preparativi. Comperai una cartina <strong>di</strong> Parigi e alcuni<br />
pezzi <strong>di</strong> ricambio. Il meccanico mi aveva consigliato <strong>di</strong> portare con me una<br />
candela <strong>di</strong> riserva, dei morsetti, un filo della frizione e uno spray lubrificante<br />
da spruzzare sulla catena quando era troppo secca. Tutta roba che portava<br />
via spazio al mio bagaglio, ma era bene averla <strong>di</strong>etro.<br />
La mattina del ventotto <strong>di</strong> agosto andai alla finestra. Uno spicchio <strong>di</strong><br />
sole si era affacciato tra i nuvoloni scuri. Mi misi a fare il tifo. E il sole<br />
non si fece desiderare. Nel giro <strong>di</strong> <strong>di</strong>eci minuti si fece largo tra gli o<strong>di</strong>osi<br />
grigioni <strong>di</strong> fumo e inondò il paese con i suoi raggi.<br />
In bagno c'era una bilancia che usai per pesare le borse e far sì che il<br />
carico fosse ben <strong>di</strong>stribuito sulla motocicletta. Indossai la mia tenuta da viaggio.<br />
Andai in garage e accesi la motocicletta. Lasciai andare il motore fino a<br />
che l'acqua non si riscaldò e la lancetta si spostò sui cinquanta gra<strong>di</strong>. Poi la<br />
portai fuori e sistemai il carico.<br />
Quando chiusi casa e lanciai un ultimo sguardo alle montagne e al paese che<br />
tenevano in grembo, vi<strong>di</strong> com'era bella Cortina sotto il sole. Gli altri giorni<br />
m'era parsa bigia e triste, perchè anche il mio animo era bigio e triste. Ma<br />
forse quel giorno mi pareva così bella solo perchè la stavo lasciando.<br />
E così mi misi in viaggio. Ero euforico. Pensate che cantavo. Cantavo,<br />
giuro. "Fly Away", <strong>di</strong> Lenny Kravitz. E poi anche "Born To Be Wild", degli<br />
Steppenwolf. Ero contento <strong>di</strong> fare quel viaggio. Non avevo tanto in mente la mia<br />
destinazione, quanto il viaggio che stavo per fare. Ma ci pensate? Potevo andare<br />
dove volevo e fare quello che volevo. Avevo la libertà, quella vera. Allora non<br />
me ne rendevo conto, ma avevo più libertà <strong>di</strong> quanta ne avrei mai posseduta in<br />
tutta la mia vita.<br />
Superai Dobbiaco, andai fino a Bressanone e lì entrai in autostrada. Mi<br />
dava sod<strong>di</strong>sfazione incrociare un altro motociclista e salutarlo. E qui c'è da<br />
<strong>di</strong>re una cosa. Di solito non sono mai io il primo a salutare. Sono gli altri che<br />
lo fanno e io rispondo per non essere scortese. Quel giorno però era <strong>di</strong>verso.<br />
Ero <strong>di</strong> buon umore e avevo voglia <strong>di</strong> salutare tutti. Eh sì, quel giorno facevo<br />
parte della Tribù dei Motociclisti!<br />
Dopo il passo del Brennero il tempo peggiorò <strong>di</strong> brutto. Il cielo inscuriva<br />
a vista d'occhio. A Innsbruck fui colto da un acquazzone che non mi lasciò altra<br />
scelta se non quella <strong>di</strong> sostare sotto la tettoia <strong>di</strong> una stazione <strong>di</strong> servizio. Ne<br />
approfittai per fare il pieno alla moto e per chiedere in<strong>di</strong>cazioni sulla strada<br />
da prendere. Dovevo andare verso Landeck, e poi dovevo passare dall'Austria alla<br />
Svizzera seguendo il percorso più <strong>di</strong>retto. Mentre aspettavo che spiovesse,<br />
offrii una sigaretta all'uomo della pompa <strong>di</strong> benzina. Quello se l'accese proprio<br />
davanti al cartello <strong>di</strong> "vietato fumare", fregandosene altamente. Sotto i pie<strong>di</strong><br />
aveva una chiazza scura <strong>di</strong> benzina versata, e continuava a farci cadere la<br />
cenere sopra. Un bell'incosciente.<br />
Venti minuti dopo la pioggia <strong>di</strong>minuì d'intensità. Io mi rimisi in moto,<br />
sperando <strong>di</strong> lasciarmi l'acquazzone alle spalle. E così fu. Una trentina <strong>di</strong><br />
chilometri da Innsbruck, forse meno, il cielo riprese colore e il sole tornò a<br />
farsi vedere. Allo stesso tempo io ricominciai a sentirmi entusiasta del<br />
viaggio.<br />
Avevo i jeans umi<strong>di</strong> per via dell'acqua che avevo preso prima <strong>di</strong> trovare<br />
riparo alla stazione <strong>di</strong> servizio, ma quando sei su una moto in movimento, col<br />
vento e tutto quanto, ci metti un attimo ad asciugarti. E <strong>di</strong>fatti in men che non<br />
si <strong>di</strong>ca i miei jeans erano asciutti e sul mio giubbotto <strong>di</strong> pelle non cera più<br />
neanche una goccia d'acqua.<br />
Per le sette fui a Zurigo. Decisi che come primo giorno era abbastanza.<br />
Uscii dall'autostrada ed entrai in città. Arrivai davanti alla stazione e chiesi<br />
a un tassista <strong>di</strong> in<strong>di</strong>carmi un buon albergo. Lui mi in<strong>di</strong>cò un hotel pieno <strong>di</strong><br />
ban<strong>di</strong>ere proprio <strong>di</strong> fronte a dov'eravamo.<br />
- Penso che sia troppo caro per me, - <strong>di</strong>ssi in inglese.<br />
Allora ci intendemmo. Il tassista sorrise e mi fornì in<strong>di</strong>cazioni per altri<br />
due alberghi più alla mano. Lo ringraziai, cominciai a girare a vuoto e, ov-
viamente, non riuscii a raggiungere nessuno degli alberghi che mi aveva<br />
in<strong>di</strong>cato.<br />
Mi detti da fare da solo.<br />
L'hotel Central aveva il garage ma chiedeva più <strong>di</strong> trecentocinquanta<br />
Franchi per notte e, <strong>di</strong>ciamocelo, era fuori dalla mia portata. Altri due hotel<br />
più economici non avevano posto.<br />
Con il quarto mi andò bene. Alla reception ci stava una vecchia signora<br />
dall'aria affabile. Avreste detto che le piacevano gli italiani. Mi offrì una<br />
camera con bagno esterno, senza la doccia, a ottanta Franchi. Accettai, anche<br />
perchè ero esausto.<br />
Sembra incre<strong>di</strong>bile ma mi avevano stancato <strong>di</strong> più tutte quelle ricerche per<br />
trovare l'albergo, che il viaggio in moto da Cortina a Zurigo. Muoversi in una<br />
città che non conosci, in mezzo al traffico, dovendo chiedere continuamente<br />
in<strong>di</strong>cazioni ai passanti, può essere davvero stancante.<br />
E come ho detto, accettai la camera. La doccia se la poteva anche tenere.<br />
Tornai fuori a chiudere la motocicletta e poi salii a vedere la stanza. Era una<br />
bella stanza. C'era un lavan<strong>di</strong>no, e anche un televisore.<br />
Mi <strong>di</strong>e<strong>di</strong> una sommaria lavata, indossai abiti civili e in un batter d'occhio<br />
fui <strong>di</strong> nuovo alla reception. Avevo un certo appetito. Pagai quel che c'era da<br />
pagare e firmai quel che c'era da firmare. La vecchia signora <strong>di</strong>sse che negli<br />
ottanta Franchi era compresa la colazione. Ottimo.<br />
Mi incaminai per le vie <strong>di</strong> Zurigo. Non prima, però, <strong>di</strong> aver avuto il buon<br />
senso <strong>di</strong> legare la moto a un lampione con la catena che mi ero portato <strong>di</strong>etro.<br />
Avevo comperato quella catena per sentirmi più tranquillo nel caso avessi<br />
dovuto lasciare la moto in strada, perchè, come sapete, fidarsi è bene, non<br />
fidarsi è meglio.<br />
Tra l'altro, la via dell'albergo, che si chiamava "Basilea", era piena <strong>di</strong><br />
prostitute. Ce ne erano due che battevano proprio sotto il lampione a cui avevo<br />
legato la moto. - Dà fasti<strong>di</strong>o? - domandai.<br />
Lo domandai in italiano, perchè non sapevo come si <strong>di</strong>ceva "dare fasti<strong>di</strong>o"<br />
in inglese. Le prostitute non capivano la mia lingua e credevano volessi<br />
qualcos'altro. Rifiutai cortesemente e porsi loro il pacchetto <strong>di</strong> West. Ne<br />
presero una a testa. Tirai fuori l'accen<strong>di</strong>no e gliele accesi. Credo <strong>di</strong> aver<br />
fatto buona impressione. A <strong>di</strong>re la verità fui gentile anche per via della moto.<br />
Non è che avessi paura che me la graffiassero o peggio... però, se mi prendevano<br />
in simpatia, tanto meglio.<br />
Salutai e me ne andai per la mia strada. Zurigo era una città allegra e<br />
piena <strong>di</strong> movimento. Era un mercoledì, se non ricordo male, e la Niederdorf<br />
Strasse era piena <strong>di</strong> posti in cui mangiare qualcosa senza spendere troppo. Alla<br />
fine entrai in un Pub e or<strong>di</strong>nai un toast e una birra chiara. Sedetti a uno dei<br />
tavoli che davano sulla strada e nell'attesa fumai una paglia. E va beh, due<br />
paglie. Tre e non se ne parla più. Che volete che vi <strong>di</strong>ca? E' facile darci<br />
dentro col fumo quando hai come unica compagnia le sigarette.<br />
Il toast bastò a saziarmi. Non avevo molta fame, e mi ero già fatto un<br />
tramezzino in autogrill. Così, bevuta la birra, decisi <strong>di</strong> fare due passi. Attraversai<br />
il fiume e all'altezza della stazione girai a sinistra in Bahnhof<br />
Strasse. Passai davanti al Planet Hollywood. Ce n'era uno anche lì. Io ero<br />
entrato una volta in quello <strong>di</strong> Roma e avevo sputtanato un casino <strong>di</strong> sol<strong>di</strong> per<br />
vedere spezzoni <strong>di</strong> film e foto <strong>di</strong> <strong>di</strong>vi <strong>di</strong> Hollywood.<br />
Continuai a camminare, mentre un tram sferragliava sulle rotaie col suo<br />
carico <strong>di</strong> fantasmi. Tornai dall'altra parte del fiume ed entrai in un locale con<br />
l'insegna “girls-girls-girls”. Dentro c'era questo gran tocco <strong>di</strong> bionda che<br />
stava facendo lo spogliarello. Acchiappai una lista da uno dei tavoli e detti<br />
un'occhiata ai prezzi, ma erano da bancarotta. Allora, tenendo la lista in mano<br />
come se stessi per decidere cosa or<strong>di</strong>nare, me ne restai lì a guardare a scrocco.<br />
Da mandarti al manicomio, lei. Alta, slanciata, con tanto <strong>di</strong> soprabito in<br />
pelle, guanti e stivali. Camminò avanti e in<strong>di</strong>etro e si sfilò i guanti. Poi si<br />
girò <strong>di</strong> spalle e lasciò cadere a terra il soprabito. Sotto, era in mutande <strong>di</strong><br />
pizzo e reggiseno. Si piegò in avanti e offrì alla libido pubblica un culo <strong>di</strong><br />
quelli che ve<strong>di</strong> una volta nella vita. Le mutan<strong>di</strong>ne erano a <strong>di</strong>r poco succinte e<br />
lasciavano scoperta una buona quantità <strong>di</strong> pelo. Andò a sedersi su una se<strong>di</strong>a,<br />
<strong>di</strong>varicò le gambe e si levò gli stivali, prima uno, poi l'altro. Sganciò il<br />
reggicalze, se lo fece passare tra le cosce e prese a strofinarselo laggiù.
Penso che in quel momento ciascuno dei presenti avrebbe dato un braccio per essere<br />
in quel filo <strong>di</strong> nylon...<br />
Dovevo avere l'aria piuttosto allupata, perchè una donna che a occhio e<br />
croce doveva essere la padrona mi squadrò molto molto male, e non solo, mi venne<br />
vicino e <strong>di</strong>sse: - It's interesting?<br />
Finsi <strong>di</strong> non capire la lingua, anche se in realtà avevo capito benissimo<br />
cosa aveva detto.<br />
E lei: - What do you want to drink?<br />
Le domandai quanto costava una birra. Lei me lo <strong>di</strong>sse, trenta Franchi<br />
Svizzeri. E, siccome non mi andava <strong>di</strong> darle tutti quei sol<strong>di</strong>, le mollai uno dei<br />
miei sorrisi più <strong>di</strong>plomatici e <strong>di</strong>ssi: - I return later.<br />
Dopo<strong>di</strong>chè mi voltai e tagliai l'angolo.
XX<br />
Quella notte quasi non riuscii a chiudere occhio. Ero molto agitato. Dalla<br />
finestra non riuscivo a vedere la motocicletta e avevo paura che me la rubassero.<br />
Dormii due ore sì e no.<br />
Mi alzai dal letto un quarto alle sei. Feci i bagagli, mi vestii, scesi<br />
alla reception e domandai a che ora era servita la colazione. Alla reception ora<br />
c'era un uomo sui trent'anni, cor<strong>di</strong>ale ma stupito <strong>di</strong> vedermi in pie<strong>di</strong> a quell'ora.<br />
Disse che cominciavano a servire la colazione alle sette. Andai a vedere<br />
se la moto c'era ancora e sì, era ancora lì.<br />
Tornai in camera e accesi la tivù. Andavano in onda le previsioni del<br />
tempo. Su Parigi mettevano il sole. Ottimo. Alle sette in punto scesi e feci<br />
colazione. Mi rimpinzai <strong>di</strong> brioches, caffèlatte, uova sode, pane e prosciutto,<br />
yogurt e cereali. Buttai giù tutto senza pensare. Mia madre non si stanca mai <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>rmi che non fa bene buttare tutta quella roba alla rinfusa nello stomaco, ma<br />
io me ne infischio. Arriverà il giorno in cui starò veramente male, e allora mi<br />
darò una regolata.<br />
A proposito <strong>di</strong> mia madre, bisognava che mi facessi sentire, almeno per<br />
<strong>di</strong>rle che ero vivo. In quel momento però non ne avevo voglia. Le avrei telefonato<br />
quella sera, da Parigi.<br />
Ripartii.<br />
Seguii le in<strong>di</strong>cazioni per Basilea e arrivai fin lì senza problemi. Nel centro<br />
della città feci confusione con le strade. Me lo si può perdonare se pensate<br />
che Basilea si trova al limitare della Svizzera, al confine con la Francia da<br />
una parte e la Germania dall'altra. Non impiegai più <strong>di</strong> quin<strong>di</strong>ci minuti a<br />
ritrovare la bussola e in breve arrivai sulla strada che conduceva a Mulhouse e<br />
alla Francia.<br />
In dogana non batterono ciglio. Semplicemente mi fecero un cenno del capo e<br />
mi lasciarono passare. Un'ora più tar<strong>di</strong> ero sull'autostrada che mi avrebbe<br />
portato a Parigi. Ce l'avevo davanti, la scritta "Paris 540 km", e quel numero<br />
sembrava non <strong>di</strong>minuire mai.<br />
Era una bella giornata e c'era poco traffico, ma quella parte della<br />
Francia, così pianeggiante, era percorsa da correnti d'aria così forti che mi<br />
sballonzolavano <strong>di</strong> qua e <strong>di</strong> là. Certe folate quasi mi facevano sbandare. Per<br />
questa ragione mi tenevo sui 130/140 km/h, senza tirare la motocicletta come<br />
avrei fatto in con<strong>di</strong>zioni normali.<br />
Sostai in un'area <strong>di</strong> servizio, e mi sa tanto d'aver fatto colpo sulla cassiera,<br />
perchè, quando scambiai i sol<strong>di</strong> per la macchinetta del caffè, la bella<br />
francesina guardò affascinata prima me e poi il mio giubbotto nero e alla fine<br />
la moto che avevo <strong>di</strong> fuori, con le borse e tutto, e scommetto che si domandò<br />
“chissà da dove viene questo ragazzo?” Mi avrà scambiato per spagnolo... o forse<br />
m'avrà giustamente preso per italiano, vedendo che non riuscivo a far funzionare<br />
la macchinetta del caffè. Dovetti chiedere come si faceva al tizio che avevo<br />
accanto. E comunque, quando me ne andai, la cassiera mi guardò <strong>di</strong> nuovo dalla<br />
sua finestrella e mi fece sentire un vero viaggiatore solitario alla Jack<br />
Kerouac.<br />
E finalmente il conto alla rovescia dei chilometri che mancavano a Parigi<br />
cominciò a calare. Si erano fatte le sei <strong>di</strong> pomeriggio, e io avevo la schiena a<br />
pezzi. E non solo. Il mio fondoschiena chiedeva pietà e le mie orecchie soffrivano<br />
sotto il peso del casco. Ma mancavano meno <strong>di</strong> duecento chilometri alla<br />
mia destinazione e non potevo fermarmi.<br />
L'assenza <strong>di</strong> sonno <strong>di</strong> quella notte si faceva sentire, e nemmeno il caffè<br />
serviva più a tenermi su <strong>di</strong> giri. La stanchezza <strong>di</strong> quel giorno, sommata a quella<br />
del giorno prima, mi faceva sperare <strong>di</strong> arrivare presto. Non sapevo quanto ancora<br />
avrei potuto resistere.<br />
E poi, tutt'a un tratto, eccomi alle porte <strong>di</strong> Parigi, tanto che mi venne il<br />
dubbio d'essermi assopito e d'aver percorso gran parte dei chilometri in trance.<br />
E come accade sempre, quando sono praticamente arrivato, ecco che la<br />
stanchezza se ne va tutta d'un colpo, ecco che mi tornano le energie e mi sento<br />
pronto per lo sprint finale.
Entrare a Parigi era una scocciatura per via degli ingorghi e <strong>di</strong> tutto il<br />
resto, ma io avevo la fortuna <strong>di</strong> essere in motocicletta e riuscivo a muovermi<br />
con relativa agilità.<br />
Una delle prime immagini <strong>di</strong> Parigi che mi vengono in mente è il grattacielo<br />
con l'insegna della Kenwood, assai poco poetico, date le aspettative... ma io<br />
l'avevo vista svettare nel mare <strong>di</strong> tetti, inconfon<strong>di</strong>bile nonostante l'avessi<br />
vista solo in cartolina... Come chi? Lei, la Tour Eiffel, prova che ero davvero<br />
a Parigi e non in una qualsiasi squallida metropoli!<br />
Riuscii a raggiungere il Quartiere Latino. Dopo un paio <strong>di</strong> buchi nell'acqua,<br />
trovai un buon albergo a due stelle in rue Saint-Andrè-des-Arts. Era<br />
l'hotel Eugènie, e sarebbe stato il mio albergo per tutto il soggiorno a Parigi.<br />
Alla reception stava un asiatico. Non mi fece firmare niente. Mi lasciò mettere<br />
la moto nel cortile interno e mi <strong>di</strong>ede le chiavi della stanza 209.<br />
Entrai in camera e mi buttai sotto la doccia. Ero in un bagno <strong>di</strong> sudore.<br />
Poi mi sdraiai sul letto e andai giù come un sasso. Ero stanco morto.<br />
Dormii un paio d'ore. Mi svegliai e vi<strong>di</strong> che s'era fatto buio. Mi vestii e<br />
feci per uscire. Appena chiusa la porta, ricordai che dovevo chiamare mia madre.<br />
Tornai in camera e composi il numero per le chiamate a carico del destinatario.<br />
Squillava.<br />
- Pronto?<br />
- Ciao, ma'. Tutto a posto, sono a Parigi.<br />
- Meno male. Sapessi quant'ero in pena. Hai trovato l'albergo?<br />
- Certo.<br />
- Dammi il nome e il numero <strong>di</strong> telefono, così posso chiamarti se ho bisogno.<br />
Il nome lo <strong>di</strong>ssi giusto. Il numero, ovviamente, lo dettai sbagliato. Altrimenti<br />
quella era capace <strong>di</strong> telefonarmi <strong>di</strong>eci volte al giorno.<br />
- Non sei stanco dopo due giorni <strong>di</strong> moto?<br />
Non ero stanco, ero a pezzi.<br />
- Non tanto, - <strong>di</strong>ssi.<br />
- Fai controllare le gomme, prima <strong>di</strong> tornare in<strong>di</strong>etro, che se te ne scoppia<br />
una in autostrada ti ammazzi.<br />
- Mamma... - <strong>di</strong>ssi, tastandomi le parti basse.<br />
- Non saresti mica il primo, cosa cre<strong>di</strong>?<br />
- Mamma, per favore basta così.<br />
- E va bene, ma mi raccomando una cosa.<br />
- Cosa?<br />
- La sera copriti bene che lì fa freddo.<br />
Notate che a Parigi in quel periodo c'era un caldo da girare nu<strong>di</strong> per<br />
strada.<br />
- Va bene, - <strong>di</strong>ssi.<br />
- E un'altra cosa, quando ti sie<strong>di</strong> sul water, metti sempre la carta igenica<br />
sull'asse, che i francesi non sono mica puliti come noi...<br />
- Mamma...<br />
- E ve<strong>di</strong> <strong>di</strong> farti sentire un po' più spesso.<br />
- Va bene. Ora devo andare. Non sai la fame che ho. Dai un bacio alla<br />
piccola da parte mia. Ciao.<br />
La piccola era poi mia sorella <strong>di</strong> <strong>di</strong>eci anni.<br />
- Non fare stupidate. Ciao.<br />
Riattaccai e uscii.<br />
La mia prima passeggiata per Parigi mi portò sotto la mole spettrale <strong>di</strong><br />
Notre-Dame, pallida dominatrice della notte, e poi <strong>di</strong> nuovo nel Quartiere Latino<br />
attraverso le Petit-Pont, lungo Rue Danton, fino a un grazioso bistrot <strong>di</strong><br />
Boulevard St-Germain. Fu breve, come prima passeggiata, anche perchè non avevo<br />
molta voglia <strong>di</strong> camminare. E poi non ci vedevo più dalla fame.<br />
Mi sedetti in questo bistrot e or<strong>di</strong>nai un'entrecote con patate e una birra.<br />
Dopo mangiato camminai ancora un poco. Arrivai sull'altro lato della Senna,<br />
attraversando l'Ile de la Citè per Boulevard Du Palais, voltandomi per ammirare<br />
la sagoma sinistra della Conciergerie. Avevo in mente tante <strong>di</strong> quelle cose.<br />
Volevo vedere il Louvre, volevo passeggiare sotto la Torre Eiffel, volevo<br />
prendere da bere alla Closerie des Lilas e volevo vedere la casa <strong>di</strong> Hemingway al<br />
113 <strong>di</strong> Rue Notre-Dame-des-Champs. E, quando ho troppe cose da fare, va a finire<br />
che non faccio un bel niente. Difatti me ne tornai in albergo. Mi <strong>di</strong>spiaceva
sciupare la mia prima notte parigina, ma, credetemi, ero <strong>di</strong>strutto. Il giorno<br />
dopo avrei avuto il tempo e le energie <strong>di</strong> far tutto.
XXI<br />
Quella mattina andai alla finestra e vi<strong>di</strong> che c'era il sole. Infilai calzoncini<br />
corti e maglietta e scesi in strada. Era veramente fantastica, come<br />
giornata. Mi fermai nel caffè che c'è nella piazzetta in cui sbuca Rue Saint-<br />
Andrè-des-Arts, “La Gentilhommière”, lo stesso caffè in cui, come scoprii più<br />
tar<strong>di</strong>, era stato Jack Kerouac quando era andato a Parigi in cerca delle proprie<br />
origini.<br />
Per ventun Franchi feci colazione con caffè e croissant. Una colazione da<br />
gran signore. Mi sedetti fuori e annusai il buon aroma del caffè caldo, prima <strong>di</strong><br />
berlo.<br />
Poi mi spostai dall'altra parte del fiume, passando per l'Ile de la Citè, e<br />
passeggiai sul lungo Senna, con i ven<strong>di</strong>tori <strong>di</strong> libri usati che aprivano e<br />
chiudevano i loro scrigni nella luce <strong>di</strong> mezzogiorno. Lì hanno questi grossi<br />
bauli assicurati al muretto con barre <strong>di</strong> ferro e chiusi con dei lucchetti, così<br />
non devono fare la fatica <strong>di</strong> portarsi <strong>di</strong>etro la merce.<br />
Mica stupi<strong>di</strong>, i francesi.<br />
Vendevano <strong>di</strong> tutto: stampe, <strong>di</strong>segni e <strong>di</strong>pinti della Parigi dei nostri<br />
nonni, locan<strong>di</strong>ne cinematografiche, tra cui quella <strong>di</strong> “Les Temps Modernes” con<br />
Charles Chaplin, e altre mille cose.<br />
E, dall'altra parte della strada, i caffè <strong>di</strong> oggi con gli ombrelloni rossi<br />
della Coca-Cola, affumicati dallo smog delle automobili.<br />
E già vedevo l'angolo del Palais du Louvre.<br />
Comperai una bottiglia d'acqua minerale al bar <strong>di</strong> fronte e girai tutta<br />
mattina per il museo. Guardai un sacco <strong>di</strong> quadri e mi levai lo sfizio <strong>di</strong> vedere<br />
“La Gioconda” dal vivo. Di lì me la feci a pie<strong>di</strong> per tutti i Champs-Elysèes fino<br />
a quell'affarone <strong>di</strong> arco, e poi tirai giù per una delle gran<strong>di</strong> avenue fin sotto<br />
la Torre Eiffel e mi feci un altro bel pezzo <strong>di</strong> strada per tornare al Quartiere<br />
Latino e al mio albergo.<br />
Insomma, in un solo pomeriggio mi ero visto una bella fetta <strong>di</strong> Parigi. Non<br />
sapevo con esattezza quanti chilometri avessi percorso, ma dovevano essere<br />
proprio tanti. I pie<strong>di</strong>, praticamente non li sentivo più.<br />
L'asiatico alla reception mi guardò gli anfibi bianchi <strong>di</strong> polvere e domandò:<br />
- Champs-Elysèes?<br />
- Oh, yeah, - risposi.<br />
Sorrise e tornò ai suoi affari.<br />
Me ne andai in camera. Ero sfatto. Tutto il giorno non avevo fatto altro<br />
che camminare. Levarmi gli anfibi fu un sollievo enorme. Non feci in tempo a<br />
stendermi sul letto che mi addormentai.<br />
Quella sera uscii in moto. Avevo appena finito <strong>di</strong> cenare in una brasserie<br />
<strong>di</strong> Montmartre e stavo percorrendo Boulevard des Italiens in cerca <strong>di</strong> un buon<br />
locale, o più semplicemente <strong>di</strong> qualcosa da fare, quando u<strong>di</strong>i un gran fragore <strong>di</strong><br />
motori e <strong>di</strong> clacson.<br />
Mi voltai e vi<strong>di</strong> un branco motociclisti scalmanati procedere nella mia<br />
stessa <strong>di</strong>rezione. Erano proprio tanti. Una sfilata che non finiva più. Mi fermai<br />
a lato della strada per lasciarli passare. Incre<strong>di</strong>bile il rumore che facevano:<br />
clacson, rombi esagerati, scoppi dagli scarichi...<br />
Accesi la moto e mi accodai alla parata. Li seguii lungo Boulevard<br />
Montmartre in questo pazzo giro per Parigi, e poi sempre dritto fino a Place de<br />
la Republique, senza fare caso al colore dei semafori. Funzionava così: una<br />
volta passato il primo, passavano anche tutti gli altri.<br />
A un certo punto mi affiancai a uno <strong>di</strong> loro e tirai su la visiera del casco<br />
per farmi sentire meglio: - Where are you going? -<br />
- Bastiglia!!! - mi urlò nelle orecchie.<br />
Da Place de la Republique prendemmo Boulevard du Temple, con la gente sul<br />
ciglio della strada che applau<strong>di</strong>va e salutava. Il fragore dei motori era<br />
assordante. Vi <strong>di</strong>co solo che, per dare spettacolo, un malato <strong>di</strong> mente fece metà<br />
del giro in impennata!
In Place de la Bastille, vi<strong>di</strong> che tutti si fermavano intorno alla colonna e<br />
spengnevano i motori. Mi fermai anch'io. Levai il casco e tirai fuori le paglie<br />
dalla tasca del giubbotto. Erano quasi tutte targhe francesi, ma c'era anche<br />
qualche altro outsider, oltre a me. E comunque non è gente che si fa dei<br />
problemi, come ho già detto. Basta che hai una moto, e sei dei loro.<br />
Mi venne incontro il motociclista a cui avevo parlato poco prima. Avrà<br />
avuto trentacinque quarant'anni. Mi rivolse la parola in inglese.<br />
- Ho visto la targa... Non sei Francese.<br />
- Sono italiano.<br />
Gli offrii una sigaretta. La prese e se la fece accendere.<br />
- Sei venuto in moto dall'Italia?<br />
- Sì.<br />
- Io sono stato a Roma, due anni fa'. E' una città molto bella. Per certi<br />
versi somiglia a Parigi.<br />
- Lo credo, - <strong>di</strong>ssi - le ha fondate lo stesso popolo.<br />
- Un grande popolo. Tu abiti vicino a Roma?<br />
- No, io sto nel nord dell'Italia.<br />
- Com'è che sei solo stasera?<br />
- Io viaggio da solo.<br />
- Ne hai <strong>di</strong> coraggio.<br />
Disse che era <strong>di</strong> Reims, e che si fermava a Parigi un paio <strong>di</strong> giorni a casa<br />
<strong>di</strong> sua moglie. Mi pare <strong>di</strong> aver capito che fossero <strong>di</strong>vorziati. Disse anche che<br />
facevo bene a viaggiare e che la mia era l'età ideale per farlo.<br />
Intanto il grosso dei motociclisti stava sfollando. Il raduno era finito.<br />
La gente si <strong>di</strong>sperdeva. Salutai il motociclista e levai le tende.<br />
Continuai il tour da solo.<br />
Infilai Rue de St-Antoine, che presto <strong>di</strong>ventò Rue de Rivolì, e la percorsi<br />
fino in fondo. Proseguii lungo l'Avenue-des-Champs-Elysèes, girai intorno all'<br />
Arco <strong>di</strong> Trionfo e presi l'Avenue d'Iena, attraversai il ponte e arrivai con la<br />
moto fin sotto la Torre Eiffel.<br />
Mi sedetti su una delle panchine e accesi una sigaretta. Restai lì a fumare,<br />
alzando lo sguardo all'imponenza della torre. Era uno spettacolo, tutta<br />
illuminata. Circa alla metà della sua altezza c'era un pannello elettronico con<br />
su i giorni che mancavano al duemila. Non ricordo quanti fossero e non mi va <strong>di</strong><br />
fare i calcoli. Ma speravo che quella data portasse fortuna anche a me. Dio, se<br />
lo speravo. Il mio primo romanzo era già stato spe<strong>di</strong>to all'e<strong>di</strong>tore <strong>di</strong> turno.<br />
Fosse stata la volta buona.<br />
Mi tornarono in mente le parole del motociclista. - Ne hai <strong>di</strong> coraggio, -<br />
aveva detto. E <strong>di</strong> colpo mi resi conto <strong>di</strong> averlo avuto davvero, del coraggio.<br />
Insomma, ero lì, no? La solitu<strong>di</strong>ne non mi aveva fermato. Un anno prima non avrei<br />
neanche preso in considerazione l'idea <strong>di</strong> un viaggio in moto da solo. Ma, nel<br />
giro <strong>di</strong> un anno, uno fa in tempo a cambiare. E c'è chi cambia da così a così.<br />
Ed ecco un momento che avevo sempre solo sognato. Io, la mia moto, la Torre<br />
Eiffel e la magia della notte parigina. Non mi sembrava vero. E in quel momento,<br />
signori miei, mi sentii davvero felice. E non solo felice. Anche in gamba, se<br />
permettete.<br />
Tornai in albergo e fumai l'ultima paglia della giornata, seduto sul davanzale.<br />
Da basso, in Rue Saint-Andrè-es-Arts, si abbassavano le serrande, e<br />
voci sconosciute si davano la buonanotte.
XXII<br />
Il giorno dopo visitai Notre-Dame. E chi se la immaginava così bella?<br />
L'intera storia <strong>di</strong> Francia era passata sotto le sue navate. E si vedeva. Dio, se<br />
si vedeva.<br />
Era la più bella cosa <strong>di</strong> Parigi, per me. Pensai <strong>di</strong> comperare un poster <strong>di</strong><br />
Notre-Dame by night da portare a mia sorella piccola. Le piaceva un sacco il<br />
cartone animato <strong>di</strong> Walt Disney, e l'avrei fatta contenta. Però non sapevo dove<br />
metterlo, e nelle borse della moto sarebbe arrivato tutto spiegazzato. Perciò<br />
lasciai perdere.<br />
Uscii da Notre-Dame e passai dall'Ile de la Citè all'Ile St-Louis attraverso<br />
Pont St-Louis. Mi sedetti a quel piccolo caffè che c'è appena al <strong>di</strong> là del<br />
ponte, quello con i tavolini fuori, e guardai la gente.<br />
Fu in quel caffè che ebbi una conversazione molto interessante. C'era un<br />
tizio seduto al tavolo <strong>di</strong> fianco al mio. Io avevo or<strong>di</strong>nato da un pezzo e temevo<br />
se ne fossero <strong>di</strong>menticati. Quest'uomo, trent'anni ben portati, attaccò bottone.<br />
Devo fare una precisazione prima <strong>di</strong> ripetere il <strong>di</strong>alogo che seguì. Nel<br />
corso <strong>di</strong> una conversazione in italiano, come ben sapete, c'è da precisare se il<br />
tono è informale, e ci si dà del “Tu”, oppure se il tono è formale, e ci si dà<br />
del “Lei”. Come anche sapete, nel corso <strong>di</strong> una conversazione in Inglese, questa<br />
<strong>di</strong>stinzione non esiste: si usa la persona “you”, e buonanotte al secchio.<br />
Perciò, se nel precedente <strong>di</strong>alogo con il motociclista ho usato un tono<br />
informale, in quello che seguirà ne ho usato uno formale, perchè sono abbastanza<br />
certo, da come conosco le persone, che, in una conversazione in italiano, il<br />
primo mi avrebbe dato del “Tu”, e il secondo mi avrebbe dato del “Lei”.<br />
In ogni caso, questo attaccò bottone.<br />
- Le conviene domandare. Oggi il personale è piuttosto sbadato, - <strong>di</strong>sse,<br />
vedendo che il mio caffè non arrivava.<br />
- Forse ha ragione, - <strong>di</strong>ssi, e con un cenno attirai l'attenzione del cameriere.<br />
Quello si battè il palmo della mano sulla fronte e mi fece intendere che<br />
aveva <strong>di</strong>menticato la mia or<strong>di</strong>nazione. Dunque il mio vicino <strong>di</strong> tavolo aveva<br />
ragione.<br />
- Il suo inglese è ottimo, - <strong>di</strong>ssi, - lei non è francese, vero?<br />
- E invece sì. Abito qui a Parigi.<br />
Fui sorpreso da quella risposta. Non avevo incontrato molti francesi che<br />
parlassero l'inglese fino ad allora. E neanche uno che parlasse un inglese<br />
corretto come il suo.<br />
- In tal caso ancora complimenti. Non ci sono molti francesi che parlano<br />
l'inglese bene come lei.<br />
- Oh, non l'avrei certo imparato, non fosse stato per il mio lavoro, -<br />
<strong>di</strong>sse con noncuranza.<br />
- Di cosa si occupa? - domandai.<br />
- Opero in una grande azienda. - Dal tono in cui lo <strong>di</strong>sse capii che non<br />
aveva voglia <strong>di</strong> parlare <strong>di</strong> quello.<br />
- Non trova anche lei che i Francesi conoscano poco l'inglese?<br />
- E si può dar loro torto?<br />
- Cosa vuole <strong>di</strong>re?<br />
- Dico che i Francesi hanno il compito <strong>di</strong> <strong>di</strong>fendere la loro cultura.<br />
- Difenderla da chi?<br />
- Dalla gente come lei. Dai turisti.<br />
Non voleva essere offensivo. Solo <strong>di</strong>re le cose come stavano. Apprezzai la<br />
naturalezza che mostrava nell'esporre le proprie idee. Era anche una questione<br />
<strong>di</strong> stile. A leggere queste cose su un libro, si <strong>di</strong>rebbe che non gli ero<br />
simpatico. A essere là, invece, e a vedere quest'uomo con il sorriso amichevole<br />
e i mo<strong>di</strong> educati, si capiva subito che le sue non erano intenzioni offensive.<br />
Tutto ciò che desiderava, come me del resto, era un po' <strong>di</strong> onesta conversazione.<br />
- Ma i turisti sono la fortuna <strong>di</strong> Parigi, - protestai.<br />
- E' vero, e questo i francesi lo sanno molto bene. Perciò ci sono così<br />
tanti locali.<br />
- Così tanti locali costosi, - lo corressi.
- Già, e quin<strong>di</strong> badano <strong>di</strong> essere amichevoli, ma mantengono le <strong>di</strong>stanze.<br />
- Però questo è in<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> una mentalità chiusa, - <strong>di</strong>ssi.<br />
- Solo perchè non fanno comunella con i turisti? No, mio caro. Fanno bene a<br />
<strong>di</strong>fendere la cultura francese. Ha bisogno <strong>di</strong> essere <strong>di</strong>fesa. Si guar<strong>di</strong> intorno.<br />
Con quanti autentici parigini ha avuto occasione <strong>di</strong> parlare da quando è arrivato<br />
qui?<br />
La risposta che mi uscì <strong>di</strong> bocca fu: - Solo uno. Lei.<br />
E non cre<strong>di</strong>ate che lo <strong>di</strong>cessi per compiacerlo.<br />
- Capisce cosa voglio <strong>di</strong>re? Prenda Parigi, è così piena <strong>di</strong> gente <strong>di</strong> altre<br />
razze e nazionalità che sembra scoppiare. L'hanno commercializzata così tanto<br />
che ha cambiato faccia. Che fine ha fatto la Montmartre <strong>di</strong> un tempo? Che ne è<br />
stato dei tempi in cui Van Gogh <strong>di</strong>pingeva i suoi tetti? E Pigalle? Che ne è<br />
stato della Pigalle <strong>di</strong> Maupassant? Che ne è stato della Pigalle <strong>di</strong> Manet, Degas,<br />
Renoir e Pissarrò? Glielo <strong>di</strong>co io che ne è stato. Ne hanno fatto un quartiere<br />
rosso. Vada là, vedrà solo night-clubs e sexy shops. Per non parlare della<br />
Montparnasse <strong>di</strong> Hemingway e <strong>di</strong> Fitzgerald... anche quella oramai esiste solo nel<br />
ricordo.<br />
Confesso <strong>di</strong> esser rimasto spiazzato, <strong>di</strong> fronte a quell'arringa, anche se<br />
devo ammettere che mi faceva molto piacere parlare con una persona intelligente<br />
e loquace, una volta tanto.<br />
- Ma Hemingway non era francese, era americano, - <strong>di</strong>ssi.<br />
- Sì, ma amava la Parigi dei francesi.<br />
- E adesso <strong>di</strong> chi è Parigi? - domandai.<br />
- Oh, <strong>di</strong> un sacco <strong>di</strong> gente.<br />
Sorrise, e concluse così: - Mi <strong>di</strong>a retta, i francesi fanno solo bene a <strong>di</strong>fendere<br />
la loro cultura. Sono anche troppo buoni, secondo me. Io la <strong>di</strong>fenderei<br />
con il fucile. - Poi ci salutammo. Fu molto gentile e insistette per offrirmi il<br />
caffè.<br />
E così mi incamminai nella Parigi dei nostri giorni. Volevo vedere l'Ile<br />
St-Louis, così presi Rue St-Louis en l'Ile e la percorsi fin oltre la chiesa,<br />
poi svoltai a sinistra in Quai d'Anjou e mi fermai davanti all'Hotel de Lauzun,<br />
dove visse per qualche tempo il poeta maledetto Charles Baudelaire, in un'epoca<br />
<strong>di</strong> bohème <strong>di</strong> cui ancora oggi si sente il sapore.<br />
A proposito, Baudelaire scrisse nel 1859: “La vecchia Parigi non c'è più.”<br />
E ci aveva preso. Chissà, forse intendeva proprio quello che mi aveva detto quel<br />
francese.<br />
Comunque, l'Ile de St-Louis era l'unico quartiere dove non si riscontrava<br />
questo deca<strong>di</strong>mento commerciale. La volgarità non aveva ancora toccato quella<br />
parte della città. Lì l'atmosfera era tranquilla e le strade ombreggiate. Gli<br />
e<strong>di</strong>fici erano curati e simili uno all'altro, senza gli sbalzi d'effetto voluti<br />
per stupire l'occhio pigro del turista. E poi c'erano le acque della Senna a far<br />
da confine tra l'isola e quell'altro fiume, quello dei veicoli in transito dall'una<br />
e dall'altra parte.<br />
Eh già, se mi fosse concessa un'ultima occhiata <strong>di</strong> Parigi, io vorrei vedere<br />
Notre-Dame, ma, se mi fosse concessa un'ultima passeggiata per Parigi,<br />
sceglierei l'Ile St-Louis. Al cento per cento.<br />
Non ne ero sicuro, ma avevo il sospetto che alla Closerie des Lilas mi<br />
avessero snobbato, <strong>di</strong> brutto anche. Il cameriere mi aveva squadrato da capo a<br />
pie<strong>di</strong> e aveva detto che non erano <strong>di</strong>sponibili tavoli prima <strong>di</strong> tre quarti d'ora.<br />
Eppure qualche tavolo libero c'era, lo so perchè l'avevo visto.<br />
Ai tempi <strong>di</strong> Hemingway doveva essere un posto alla mano, ora era un locale<br />
chic con i camerieri in livrea, frequentato da signori in giacca e cravatta e<br />
signore in abito da sera. Qualcosa mi <strong>di</strong>ce che è stato proprio il vecchio Hem a<br />
dargli tanto lustro.<br />
Sia come sia, scelsi un posto più alla mano. Seguii Boulevard Montparnasse<br />
fino a un onesto Hippo-Malin, dove, senza fare storie, mi servirono<br />
un'entrecote&pommes de terre à l'eau che era la fine del mondo. Presi persino il
dolce, una crèpe al cioccolato che me la ricordo ancora tanto era buona. Dite se<br />
non sono un gran signore.<br />
A pancia piena, tornai verso il Quartiere Latino, passando davanti alla<br />
Closerie des Lilas e facendo le pernacchie da <strong>di</strong>etro il vetro.<br />
Sto scherzando, se non l'avete capito.<br />
E girai, girai, girai la Parigi dei nostri giorni fino a spezzarmi le<br />
gambe, la brace accesa della mia sigaretta che ondeggiava nelle vetrine, in una<br />
caminata sciolta da tre boccali <strong>di</strong> birra.<br />
E tra i ven<strong>di</strong>tori <strong>di</strong> souvenires, le bottegucce, i bistros e le brasseries,<br />
la mia solitu<strong>di</strong>ne nemmeno si notava.<br />
E nelle vie affollate del Quartiere Latino, in quelle strade infestate dai<br />
turisti - quelli con le macchine fotografiche e le piantine sottomano - strade<br />
lampeggianti <strong>di</strong> insegne al neon e fari d'automobile, riconoscevo la Parigi<br />
romantica dei poeti.
XXIII<br />
Non avete idea <strong>di</strong> quante cose ci siano da fare in una città come Parigi.<br />
Non è solo una metropoli. E' una scoperta continua. Le strade sono gran<strong>di</strong> e<br />
sembrano non avere mai fine. Ecco cos'è Parigi: una città inesauribile.<br />
Di giorno camminavo con in tasca il mio taccuino, che <strong>di</strong>ventava sempre più<br />
prezioso via via che vi apponevo le mie annotazioni. Avrei preferito perdere la<br />
moto, il bagaglio e tutti i documenti, piuttosto che smarrire quel taccuino.<br />
Quel taccuino era la cosa più preziosa che avevo, perchè racchiudeva, in<br />
embrione, il mio nuovo romanzo. Ogni tanto mi prendeva l'ansia d'averlo lasciato<br />
in qualche posto. Allora mi tastavo la tasca, sentendone il peso e il volume<br />
sotto lo strato <strong>di</strong> tessuto, e mi tranquillizzavo.<br />
La notte facevo ruggire il motore della motocicletta su e giù per i boulevardes<br />
e le gran<strong>di</strong> avenues, girando in lungo e in largo la città, imparandone<br />
rapidamente la fisionomia.<br />
Li sapevo far durare io, i sol<strong>di</strong>. E non mi facevo mancare niente. Mica ero<br />
tirchio. Nient'affatto. Ero soltanto oculato. C'è una bella <strong>di</strong>fferenza. Tirchio<br />
è un attributo spregiativo; oculato è sinonimo <strong>di</strong> intelligente. Non avrei mai<br />
speso sol<strong>di</strong> in cartoline o stupidaggini del genere. I ricor<strong>di</strong> li avevo dentro.<br />
Non avevo bisogno <strong>di</strong> cimelii. Avevo un buon albergo, e la sera non mi facevo mai<br />
mancare una succulenta bistecca. La mattina mi alzavo sempre tar<strong>di</strong> e mi bastava<br />
la colazione. Ma quelle lunghe passeggiate mi mettevano addosso una gran fame, e<br />
a volte mi vedevo costretto a spuntini saltuari nelle creperie e nei forni <strong>di</strong><br />
Parigi.<br />
Tutto sommato, me la cavavo bene.<br />
Furono giorni <strong>di</strong> magnifica solitu<strong>di</strong>ne e <strong>di</strong> interminabili passeggiate,<br />
giorni <strong>di</strong> vagheggiamenti nella malinconica poesia <strong>di</strong> una città <strong>di</strong>venuta leggenda.<br />
Restai a Parigi due settimane. Alla fine mi erano rimasti i sol<strong>di</strong> contati<br />
per una notte in albergo a Nizza o in qualche altro posto sulla via del ritorno,<br />
e basta.<br />
Avrei potuto telefonare e chiedere ai miei genitori <strong>di</strong> fare un versamento<br />
sul mio conto corrente, in modo da potermi permettere uno o due spuntini in più.<br />
Avrei anche potuto far così. E il bello è che i miei genitori l'avrebbero fatto,<br />
se glielo avessi chiesto. Mi avrebbero versato un po' <strong>di</strong> sol<strong>di</strong> sul conto e sarei<br />
stato a posto. A giu<strong>di</strong>care da quant'erano preoccupati, scommetto che avrebbero<br />
fatto qualunque cosa. Ma ero stato io a voler fare quel viaggio e io, in un modo<br />
o nell'altro, dovevo uscirne fuori. Troppo comodo chiedere aiuto a mamma e papà.<br />
La sera prima della partenza or<strong>di</strong>nai l'ultima entrecote del mio soggiorno<br />
parigino, e la <strong>di</strong>vorai fino all'ultimo boccone. Inghiottii anche le parti nodose<br />
della carne, quelle che in genere scarto, e pelai la patata lessa che mi avevano<br />
servito <strong>di</strong> contorno stando ben attento a lasciar fuori solo la buccia. Il giorno<br />
dopo sarei partito, un po' affamato ma orgoglioso della mia presa <strong>di</strong> posizione.<br />
Quella sera mi accadde una cosa molto molto strana.<br />
Come ho già detto, era la mia ultima sera. E stavo per commettere un errore<br />
imperdonabile. Stavo per andarmene da Parigi senza prima aver visto La Basilica<br />
del Sacro Cuore. Me ne avevano parlato così bene che dovevo per forza andare a<br />
vederla. Così in pratica vinsi la pigrizia che mi coglie sempre quando sono<br />
vicino alla partenza e tirai fuori la moto. Attraversai L'Ile de la Citè, presi<br />
Boulevard de Sebastopol fino in fondo e girai a sinistra in Boulevard de<br />
Magenta. Di lì andai a naso.<br />
La Basilica sorgeva sopra una collina. C'era ad<strong>di</strong>rittura una funicolare che<br />
portava la gente su e giù. Bastò seguire le strade in salita, e ci arrivai alla<br />
svelta. Sui gra<strong>di</strong>ni della scalinata c'erano dei ragazzi che suonavano la<br />
chitarra. La notte era magnifica, e quella chiesa era davvero uno spettacolo.<br />
Non come Notre-Dame, ma quasi. Diciamo che erano “al fotofinish”.<br />
Poi mi presi su e me ne andai. Volevo fare un ultimo giro per Montmartre.<br />
Una volta sceso dalla collina, mi persi <strong>di</strong> brutto in tutte quelle viuzze. Non<br />
sapevo più dove ero finito. A un certo punto mi infilai in una stretta Rue de<br />
non so cosa, e rallentai fino a fermarmi, perchè un taxi era fermo in mezzo alla<br />
strada. A giu<strong>di</strong>care da quel poco che riuscivo a vedere dal lunotto, una ragazza<br />
bionda era seduta sul se<strong>di</strong>le posteriore.
Immaginai che stesse pagando la corsa al tassista e aspettai che scendesse<br />
e che il taxi ripartisse. Ma la ragazza non scendeva e il taxi non si muoveva.<br />
Visto che la cosa andava per le lunghe, lampeggiai per far sì che non aprisse la<br />
portiera e passai nello spazio tra il taxi e il marciapiede. Mentre passavo,<br />
lanciai un'occhiata dentro il taxi.<br />
Fu allora che accadde. Una strana, indescrivibile sensazione d'aver già<br />
vissuto quella situazione. La via, il taxi, la ragazza. Tutto sapeva <strong>di</strong> già visto.<br />
E non era una sensazione all'acqua <strong>di</strong> rose, anzi. Era fortissima. Non so se<br />
vi è mai capitato <strong>di</strong> avere un deja-vu, può darsi <strong>di</strong> sì. Ecco, moltiplicatelo per<br />
cento e avrete quello che provai io quella sera.<br />
Ma non me ne capacitai subito. La sensazione c'era, ed era forte, ma il mio<br />
lato razionale tendeva a non considerarla. E <strong>di</strong>fatti, quando <strong>di</strong>venni cosciente<br />
del fatto, avevo già oltrepassato il taxi e avevo svoltato a destra in una via<br />
ancora più stretta. Poi mi ero fermato. La razionalità mi aveva spinto a tirare<br />
fuori la pianta <strong>di</strong> Parigi, agendo in modo da farmi riacquistare il senso<br />
dell'orientamento. Scoprii, però, che non riuscivo a concentrarmi. Quella<br />
sensazione non se ne andava. Non riuscivo a pensare ad altro che alla ragazza<br />
seduta nel taxi. E il bello è che non l'avevo neanche vista bene in viso; o meglio,<br />
l'avevo vista, ma, anche sforzandomi, non ero in grado <strong>di</strong> ricostruire i<br />
suoi lineamenti. Dovevo a tutti i costi sapere chi era.<br />
Che fare a quel punto? Dar retta all'istinto e cercare <strong>di</strong> sapere <strong>di</strong> chi si<br />
trattava? O impugnare la razionalità come un'arma per uscire dal grottesco <strong>di</strong><br />
quella situazione? Quello che feci sbalordì anche me stesso. Ripiegai in fretta<br />
la pianta <strong>di</strong> Parigi e me la cacciai in tasca. Poi, messa momentaneamente da<br />
parte la razionalità, accesi la moto, feci il giro dell'isolato e tornai sulla<br />
via <strong>di</strong> prima. Impiegai più o meno cinque minuti a fare tutto questo. E,<br />
purtroppo, quando arrivai là, il taxi era sparito, e della ragazza misteriosa<br />
non c'era più traccia.<br />
Restai lì qualche minuto, riflettendo su quello che provavo. Avevo visto<br />
quella ragazza solo per un istante, attraverso il finestrino, e in me era scattato<br />
qualcosa, come se tra noi ci fosse un legame particolare. Chissà se anche<br />
in lei era scattato questo qualcosa?<br />
Se pensate che quella sera io avessi alzato il gomito, vi sbagliate <strong>di</strong><br />
grosso. Non avevo molti sol<strong>di</strong> e non avevo bevuto neanche la mia solita birra. E<br />
poi, voglio <strong>di</strong>re, ci vuole un motivo per far sì che uno torni in<strong>di</strong>etro a cercare<br />
una persona mai vista nè conosciuta.<br />
Quando tornai sui miei passi avevo ancora in corpo quella strana sensazione.<br />
Se ne stava andando pian piano. Tornai in albergo e ci pensai ancora su,<br />
ma non venni a capo <strong>di</strong> niente. Non riuscivo a spiegarmi quel fortissimo senso <strong>di</strong><br />
deja-vu, e nemmeno il gesto irrazionale <strong>di</strong> tornare a vedere chi fosse quella<br />
ragazza. Ma <strong>di</strong> sicuro quella sera era accaduto qualcosa. Cosa sarebbe successo<br />
se fossi tornato in<strong>di</strong>etro subito? Cosa sarebbe successo se avessi incontrato<br />
quella ragazza? La mia vita avrebbe avuto una svolta?<br />
Quella notte rimasi a lungo a guardare le stelle dalla finestra della mia<br />
stanza. Me ne stavo lì a fumare e, nel silenzio, sentivo il leggero sfrigolare<br />
della brace, ogni volta che tiravo. Mi chiedo come mai molte persone facciano<br />
finta <strong>di</strong> non vederlo, il cielo. Forse perchè non lo capiscono, e allora lo<br />
escludono dai loro pensieri. Queste persone vedono solo quello che hanno<br />
davanti. E invece la verità non è soltanto quella che possiamo toccare con<br />
mano. Anzi, io penso che la verità non l'abbiamo davanti, ma sopra. Sopra <strong>di</strong> noi<br />
ci sono leggi che sovrastano quelle che ci stanno davanti. Sono leggi che non<br />
conosciamo, e che per questo ten<strong>di</strong>amo a non considerare. Sono le leggi del<br />
soprannaturale.<br />
Io ci credo, sapete?
XXIV<br />
Non avevo capito che razza <strong>di</strong> gesto facessero i motociclisti francesi col<br />
piede quando ti superavano. Me l'ero chiesto più <strong>di</strong> una volta. Poi, genio come<br />
nessuno, ci sono arrivato. Salutavano. Non toglievano le mani dal manubrio per<br />
farlo. Distendevano solo la gamba e spostavano il piede destro in fuori.<br />
Stavo sfrecciando sull'autostrada che da Parigi scende nel sud della<br />
Francia, passando per Orlèans, Bourges, Clermont-Ferrand, St-Etienne eccetera.<br />
La sera prima avevo guardato le previsioni del tempo. Mettevano pioggia su<br />
Parigi e a sud <strong>di</strong> Parigi. Quand'ero partito il cielo era grigio, ma non un<br />
grigio da pioggia, non so se mi spiego. In quel momento però avevo la netta<br />
percezione del maltempo imminente. Il cielo si rannuvolava. La luce stava<br />
calando. La perturbazione era davanti a me. Le stavo andando incontro.<br />
Velocizzai l'andatura. Speravo <strong>di</strong> oltrepassare la perturbazione,<br />
che era già in fase critica, prima del <strong>di</strong>luvio. E, incre<strong>di</strong>bile ma vero, ce la<br />
feci. A una me<strong>di</strong>a <strong>di</strong> 150 Km/h superai il banco <strong>di</strong> nubi in una mezz'ora.<br />
Non ero stanco, ma dovevo fermarmi perchè la mia cavalcatura aveva sete, e<br />
il suo nitrito era la spia gialla della riserva. Deviai dunque nella prima area<br />
<strong>di</strong> servizio, la abbeverai a dovere, e la lasciai riposare all'ombra <strong>di</strong> un albero<br />
per una quin<strong>di</strong>cina <strong>di</strong> minuti, intanto che anch'io mi <strong>di</strong>ssetavo.<br />
Ne approfittai per scrostare la visiera del casco, che nel frattempo si era<br />
trasformata in un mosaico splatter <strong>di</strong> mosche e moscerini spiaccicati. Vi risparmio<br />
i particolari più truculenti.<br />
Poco più avanti <strong>di</strong> Clermont, un cartello mi avvertì che ero entrato nel sud<br />
della Francia. Stavo andando verso St-Etienne. Una ventina <strong>di</strong> minuti dopo l'aria<br />
si fece <strong>di</strong> colpo fredda, e il sole scomparve ancora, questa volta sotto<br />
un'impenetrabile barriera <strong>di</strong> nubi color piombo.<br />
Le prime gocce mi colsero preparato. Avevo <strong>di</strong>minuito la velocità perchè non<br />
volevo correre rischi, in caso <strong>di</strong> strada bagnata. Il grosso del temporale arrivò<br />
subito dopo, e io continuai ad andare avanti eroicamente con i jeans zuppi e gli<br />
anfibi pieni d'acqua, strofinando <strong>di</strong> tanto in tanto il dorso del guanto sulla<br />
visiera per vederci qualcosa.<br />
Quando sopraggiunse anche la gran<strong>di</strong>ne non potei fare a meno <strong>di</strong> fermarmi<br />
sotto un cavalcavia e aspettare che il cielo la smettesse <strong>di</strong> tirar sassi.<br />
Lasciai la moto sulla corsia d'emergenza, il più a destra possibile, e mi sedetti<br />
sul guard-rail. Ero fra<strong>di</strong>cio e avevo <strong>di</strong> quei brivi<strong>di</strong>... Il mio giubbotto<br />
teneva bene l'aria, ma per il freddo non era il massimo.<br />
Pensai <strong>di</strong> scaldarmi con una paglia, ma feci l'errore <strong>di</strong> prendere in mano<br />
l'accen<strong>di</strong>no senza togliermi i guanti. Così facendo la pietrina si bagnò e ad<strong>di</strong>o.<br />
Feci un paio <strong>di</strong> tentativi, poi misi via le sigarette e inveii pesantemente<br />
contro l'accen<strong>di</strong>no.<br />
Aprii la borsa <strong>di</strong> destra, tirai fuori il maglione <strong>di</strong> lana e me lo misi indosso.<br />
Poi mi venne in mente una cosa. Ma sì, ricordavo <strong>di</strong> averlo preso.<br />
Cominciai a frugare nella borsa. Doveva essere lì. E infatti eccolo. Era uno <strong>di</strong><br />
quei ri<strong>di</strong>coli impermeabili gialli <strong>di</strong> nylon che danno ai soci dell'A.C.I., quelli<br />
che si ripiegano tipo k-way e occupano poco spazio. Ri<strong>di</strong>coli fin che volete, ma<br />
utilissimi in circostanze come quelle. Lo indossai sopra il giubbotto e, siccome<br />
il giorno prima avevo buttato via la cintura, scambiandola per la corda <strong>di</strong> un<br />
sacchetto dell'immon<strong>di</strong>zia, mi sfilai la cintura dai pantaloni e la adoperai per<br />
stringermi l'impermeabile attorno alla vita.<br />
Fate conto, un cielo nero come un tubo <strong>di</strong> scappamento, una gran<strong>di</strong>ne<br />
bestiale, la motocicletta ferma sotto un cavalcavia in un punto imprecisato del<br />
tratto autostradale Clermont-Ferrand-St-Etienne, nel sud della Francia... e il<br />
sottoscritto, con addosso un ri<strong>di</strong>colo impermeabile giallo dell'A.C.I., con i<br />
jeans zuppi, gli anfibi fra<strong>di</strong>ci e la visiera del casco punteggiata <strong>di</strong> minuscole<br />
goccioline trasparenti... il sottoscritto, seduto sul guard-rail, che si caccia<br />
la mano in tasca per recuperare paglie e accen<strong>di</strong>no e scopre che la pietrina si è<br />
bagnata e la fiamma non vien su, e non può nemmeno riscaldarsi con una paglia<br />
mentre ai bor<strong>di</strong> del cavalcavia vengon giù le cascate del Niagara e le macchine<br />
gli sfrecciano accanto, inondandolo <strong>di</strong> spruzzi.<br />
Che situazione, eh?
Quando smise <strong>di</strong> gran<strong>di</strong>nare e la pioggia si attenuò un poco, ripartii, col<br />
mio impermeabile giallo canarino che svolazzava da tutte le parti. Tra parentesi,<br />
quell'affare mi copriva ben poco, ma se non altro mi rendeva visibile<br />
agli altri veicoli. E lo credo. Dovevo essere un pugno in un occhio.<br />
Dopo <strong>di</strong>eci minuti non pioveva quasi più. Fu allora che lo vi<strong>di</strong>.<br />
Dall'altra parte dell'autostrada, nelle corsie <strong>di</strong> senso opposto. Prima soltanto<br />
il confuso lampeggio dei mezzi d'emergenza. Poi, sempre più chiari, i<br />
segni del fatto. La motocicletta rovesciata sull'asfalto. I pezzi della carena<br />
sparsi per terra. Gli uomini del soccorso che se ne stavano lì con le mani in<br />
mano. E, alla fine, lui.<br />
Aveva indosso un giubbotto da motociclista simile al mio. Nero, con le<br />
strisce rosse sulle maniche. Lo vi<strong>di</strong> lì, a ridosso dello spartitraffico, in una<br />
posizione strana, quasi innaturale, il casco ancora in testa, con quella crepa<br />
gocciolante.<br />
Passai in velocità e non ebbi il tempo <strong>di</strong> vedere tutto, ma, a giu<strong>di</strong>care dal<br />
sangue, quel poveraccio era andato all'altro mondo.<br />
Ripresi a guardare la strada. Una roba strana, quella che provavo. Nè tristezza,<br />
nè malinconia, forse perchè non lo conoscevo. Solo un gran senso <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>sagio, uno schifo per la morte. E paura anche, tanta paura <strong>di</strong> fare la stessa<br />
fine.<br />
Rallentai e mi spostai sulla corsia <strong>di</strong> destra. Volevo farmi il segno della<br />
croce, ma avevo paura <strong>di</strong> staccare le mani dal manubrio. Allora <strong>di</strong>ssi una<br />
preghiera per lui, l'Eterno Riposo. E ne <strong>di</strong>ssi un'altra per me, l'Angelo <strong>di</strong> Dio.<br />
Sotto le goccioline mobili della visiera, la strada andava avanti dritta.<br />
Ci vuole della testa, ad andare in moto. Ma ci vuole anche molta fortuna. Forse<br />
più fortuna che altro.<br />
E dopo quello non riuscii a pensare più a nient'altro. Accellerai <strong>di</strong> nuovo,<br />
il corpo proiettato in avanti e tutt'uno con la motocicletta, come per lasciami<br />
alle spalle quell'immagine. Che credete? L'avevo provata anch'io quella sensazione.<br />
Non te lo aspetti, e quando succede non ci cre<strong>di</strong>. Poi, quando la moto<br />
sbatte per terra, ti ren<strong>di</strong> conto che sta succedendo davvero. E hai finito <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>vertirti. A me è andata bene. Me la sono cavata con una slogatura e un paio <strong>di</strong><br />
cicatrici che non andranno mai via. Ma ricordo bene quella sensazione. E'<br />
brutto, quando succede, anche se poi non ti fai niente.<br />
Mi fermai in un'area <strong>di</strong> servizio poco più avanti e ripensai a tutto davanti<br />
a una tazza <strong>di</strong> caffè caldo. Non riuscivo a levarmi dalla testa l'immagine della<br />
motocicletta rovesciata. Mi abbandonai sullo schienale. Dopo un inferno come<br />
quello, sfilarsi l'elmetto e posare il fondoschiena su qualcosa che non è la<br />
sella della moto è, date retta, una gioia non da poco.<br />
Consultai la carta della Francia e mi resi conto che non sarei mai arrivato<br />
fino a Nizza. Dopo un<strong>di</strong>ci ore <strong>di</strong> motocicletta avevo la schiena rotta. Oltretutto,<br />
la temperatura era scesa <strong>di</strong> brutto e faceva un freddo cane. Dovevo fare<br />
una cosa. Trovare una città non troppo grande, una città in cui non avrei avuto<br />
problemi a trovare un albergo e a <strong>di</strong>stricarmi con le strade, e passare lì la<br />
notte. Avevo bisogno <strong>di</strong> riposare. Era stata una pessima giornata.<br />
Valence sembrava il posto giusto. Distava una cinquantina <strong>di</strong> chilometri dal<br />
punto in cui mi trovavo, e potevo arrivarci in meno <strong>di</strong> mezz'ora. E Valence sia,<br />
pensai riponendo la carta nella borsa.<br />
Il cielo si stava tingendo <strong>di</strong> rosso, e la stazione <strong>di</strong> servizio era silenziosa,<br />
solo una ra<strong>di</strong>o sintonizzata sul giornale-ra<strong>di</strong>o francese, e il rumore<br />
della pompa <strong>di</strong> benzina in funzione. Prima <strong>di</strong> ripartire, controllai lo stato dei<br />
pneumatici. Di colpo avevo paura che mi scoppiasse una gomma, come aveva detto<br />
mia madre.<br />
In quell'ultima mezz'ora <strong>di</strong> viaggio andò tutto per il verso giusto. Entrai<br />
a Valence e trovai una singola all'Hotel Continental. Mi misi dei vestiti<br />
asciutti. I calzini erano così zuppi che li dovetti strizzare nel lavello. Mangiai<br />
un boccone in una brasserie lì vicino e feci due passi. Ma, Valence, non la<br />
girai molto. Tornai quasi subito in albergo e mi infilai sotto le coperte. Avevo<br />
preso molta acqua durante la giornata e sentivo <strong>di</strong> avere qualche linea <strong>di</strong><br />
febbre. Non dovevo strapazzarmi, perchè il giorno successivo avrei dovuto fare<br />
un altro bel pezzo <strong>di</strong> strada.
XXV<br />
La mattina seguente ero guarito e riposato. Speravo non piovesse. Avevo<br />
ancora molta strada da fare e la pioggia mi avrebbe rallentato. Andai alla<br />
finestra e vi<strong>di</strong> che c'era il sole.<br />
Mi vestii e scesi a fare colazione. C'erano croissant, caffè, pane, burro e<br />
marmellata. La televisione era accesa su Eurosport e andava in onda una gara <strong>di</strong><br />
motociclismo. Non sapevo <strong>di</strong> che gara si trattasse, ma c'erano due italiani in<br />
testa, al primo posto Capirossi, e al secondo Valentino Rossi. Il sole veniva<br />
dentro dalla porta spalancata, e io mi sentivo orgoglioso <strong>di</strong> essere italiano.<br />
Quella colazione mi rimise in forze. Era una giornata magnifica e ogni<br />
motociclista non poteva che essere <strong>di</strong> buon umore. Non ne incontrai uno che non<br />
salutasse con un sorriso grande così sulle labbra. Io stesso ero entusiasta. In<br />
un giorno come quello non c'era niente <strong>di</strong> meglio da fare che viaggiare. Così<br />
avevo voglia <strong>di</strong> tornare a casa, ma allo stesso tempo non avrei mai rinunciato a<br />
quella giornata <strong>di</strong> viaggio.<br />
Scesi fino a Orange e poi presi per la Costa Azzurra in <strong>di</strong>rezione dell'Italia.<br />
Superai Aix-en-Provence, Cannes, Nizza, Monte-Carlo e San Remo. Fu molto<br />
bella quella parte del percorso, con il mare che restava sulla destra.<br />
Andai spe<strong>di</strong>to. Partendo da Valence per le <strong>di</strong>eci <strong>di</strong> mattina, per le quattro<br />
<strong>di</strong> pomeriggio fui <strong>di</strong> nuovo sulle strade italiane. Festeggiai il mio ritorno in<br />
patria con una rustichella comperata nel primo autogrill. Feci pipì e scaricai<br />
anche un po' <strong>di</strong> roba solida. Un anno prima, me la sarei tenuta stretta fino a<br />
casa. Un anno prima, non l'avrei mai fatta nel bagno <strong>di</strong> un autogrill. Non ero<br />
più così <strong>di</strong>fficile. Ora sarei stato capace <strong>di</strong> farla anche in un parco giochi per<br />
bambini, in pieno giorno e con tutte le mamme che guardavano.<br />
Con i Franchi c'ero stato giusto. Me ne erano avanzati solo cinque. Li<br />
avrei dati a mia sorella piccola. Sapete, va matta per le monete, specie per<br />
quelle straniere. Sapete, fa collezione.<br />
Fu un'altra bella tirata. Quando arrivai a Reggio puzzavo come non so cosa,<br />
gli attributi mi si erano rattrapiti per le vibrazioni e le gambe quasi non ce<br />
la facevano a reggere i centocinquanta chili e passa della motocicletta. Al<br />
casello domandai che ore erano. Nove e mezza. Be', non costava niente fare un<br />
salto.<br />
Tirai giù per il Corso fino a Piazza del Cristo, ed ecco là i miei amici, a<br />
far la spola come al solito tra il bar e la panca della femata bus. Diego mi<br />
venne incontro.<br />
- Ti davamo per <strong>di</strong>sperso, - <strong>di</strong>sse.<br />
- Ma dai!<br />
- Da dove salti fuori?<br />
- Parigi.<br />
- Nooo... quanto ci hai messo?<br />
- Due giorni <strong>di</strong> viaggio.<br />
- Sarai sfatto.<br />
- Più o meno.<br />
- C'è una festa all'Adrenaline, ci vieni?<br />
- Perchè no?<br />
Già, perchè no? In fondo vengo solo da due giorni <strong>di</strong> motocicletta. Guardatemi<br />
qua, sono fresco come una rosa. Coglione che non sono altro.<br />
E così, quella sera, stipato in una <strong>di</strong>scoteca che più che una <strong>di</strong>scoteca era<br />
un forno crematorio, <strong>di</strong>eci carte d'ingresso, niente consumazione, ritrovai il<br />
gusto della Reggio che conoscevo. Mi beccai pure una bruciatura <strong>di</strong> sigaretta in<br />
pieno mento. Il classico testa <strong>di</strong> cazzo che allarga le braccia con la paglia in<br />
mano.<br />
Alla fine era meglio se andavo a letto.
XXVI<br />
La sera successiva era il tre<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> settembre. Io e Diego parlammo a<br />
quattr'occhi.<br />
- Toglimi una curiosità, non sei morto <strong>di</strong> solitu<strong>di</strong>ne? - mi domandò, riferendosi<br />
al mio viaggio a Parigi.<br />
- Ho scoperto che la solitu<strong>di</strong>ne non pesa, quando coincide con la libertà <strong>di</strong><br />
fare quello che vuoi.<br />
- E com'è stato camminare sulle orme della generation perdue?<br />
- Oh, una gran cosa... - <strong>di</strong>ssi.<br />
- Tu senti <strong>di</strong> far parte <strong>di</strong> quella generazione?<br />
- Macchè, io piuttosto faccio parte della generation du Mc Donald...<br />
Diego sorrise: - E' stata un'esperienza positiva?<br />
- Certo.<br />
- Se deci<strong>di</strong> <strong>di</strong> rifarla, <strong>di</strong>mmelo. Mi piacerebbe venire con te.<br />
- Non sarebbe più un viaggio in solitu<strong>di</strong>ne.<br />
- Già, sarebbe un viaggio in allegria.<br />
- Ci farò un pensiero, - <strong>di</strong>ssi.<br />
Il nostro bar era un posto <strong>di</strong> tutto rispetto. Pareti tappezzate <strong>di</strong> locan<strong>di</strong>ne<br />
cinematografiche e foto inneggianti il classico binomio donne&motori:<br />
conturbanti fanciulle sdraiate in pose oscene e provocanti sui cofani <strong>di</strong><br />
splen<strong>di</strong>de autovetture. Nel retro c'era lo stanzino dove per un anno ero andato<br />
tutte le mattine a scrivere, senza dare noia a nessuno, con i miei che credevano<br />
andassi all'università. Poi mi avevano sgamato e avevo avuto dei guai, ma <strong>di</strong><br />
questo non mi va <strong>di</strong> parlare.<br />
E insomma ci si incontrava lì tutti i giorni verso le sette, per un aperitivo.<br />
Ci si piazzava davanti alla porta a fumare e a guardare la gente. C'era<br />
Carlo B., altro giovane scrittore con cui per anni avevo con<strong>di</strong>viso sogni e<br />
aspirazioni, e quel capellone spiantato <strong>di</strong> Remo, chitarra alla mano, e poi<br />
quell'altro gran<strong>di</strong>ssimo patriota <strong>di</strong> Diego, che s'era deciso tutto da solo a<br />
risanare il debito pubblico dell'Italia, a furia <strong>di</strong> pagare multe per eccesso <strong>di</strong><br />
velocità.<br />
A parte tutto, eravamo una ghenga mica da scherzare. E ce ne stavamo lì,<br />
davanti al bar, a tirare le ore in lungo e a spettegolare, prendere per i fondelli<br />
questo, sputtanare a morte quest'altro. Il modo più pratico <strong>di</strong> annoiarsi<br />
senza darlo a vedere.<br />
E se pensate che io fossi a posto così non avete capito niente. A suo tempo<br />
avevo fatto un giuramento a me stesso, e cioè che non avrei passato un inverno<br />
<strong>di</strong> più in quella città. E già mi stava tornando la voglia <strong>di</strong> partire e <strong>di</strong><br />
togliermi da lì.<br />
Okay, lì c'erano tutti i miei amici, la mia famiglia e quella trottola <strong>di</strong><br />
mia sorella piccola. Volevo un mondo <strong>di</strong> bene a tutti. Ma non bastava. Ci voleva<br />
dell'altro. Avevo smania <strong>di</strong> partire. Per dove ancora non sapevo, ma partire<br />
quello sì, quello era chiaro come il sole.
XXVII<br />
Un amico <strong>di</strong> famiglia possedeva un appartamento sfitto a Roma e aveva detto<br />
più <strong>di</strong> una volta che le chiavi erano a mia <strong>di</strong>sposizione. Avevo in mente <strong>di</strong><br />
andare là e cominciare a scrivere il nuovo romanzo. Negli ultimi tempi avevo<br />
raccolto un sacco <strong>di</strong> materiale e non vedevo l'ora <strong>di</strong> mettermi al lavoro.<br />
Rime<strong>di</strong>ai un lavoretto in una pizzeria a domicilio, orario dalle sei alle<br />
un<strong>di</strong>ci. Mi facevano portare le pizze a casa della gente. Quelli della pizzeria<br />
mi davano una cassa termica da attaccare sul portapacchi del mio vecchio 103,<br />
per far sì che le pizze arrivassero a destinazione ancora calde. Facevo<br />
cinquanta carte a sera. Con le mance anche <strong>di</strong> più. Per l'inizio <strong>di</strong> ottobre avevo<br />
messo insieme una sommetta che mi avrebbe permesso <strong>di</strong> fare i miei como<strong>di</strong> a Roma<br />
per qualche tempo.<br />
Il viaggio fu una bazzecola a confronto <strong>di</strong> quello per Parigi. Arrivai a<br />
destinazione in meno <strong>di</strong> quattro ore. Il pezzo più duro fu quello dall'uscita del<br />
casello a Trastevere, il quartiere <strong>di</strong> Roma dove si trovava l'appartamento che<br />
avrei abitato. Il traffico era indomabile. Vigeva la legge del più forte.<br />
L'unica cosa che importava era andare. Non dovevi rallentare per nessun motivo.<br />
C'era un ritmo da seguire nel fare lo slalom tra le macchine, schivare,<br />
inchiodare e poi ripartire subito, pena gli strombazzamenti selvaggi degli<br />
automobilisti romani. Alla fine però ce la feci ad arrivare al numero 47 <strong>di</strong><br />
Vicolo del Cinque. Pensate che mi ero stancato più a fare quell'ultimo tratto in<br />
mezzo al traffico, che tutto l'autostrada da Reggio a Roma.<br />
L'appartamento era al terzo piano. Non c'era l'ascensore e mi dovevo fare<br />
tre rampe <strong>di</strong> scale. C'era un cucinotto, un bagno con la doccia e una stanza poco<br />
luminosa con un <strong>di</strong>vano letto, ma il pezzo forte era il salotto: solo quello era<br />
grande come tutto quanto il resto della casa. Era arredato con due como<strong>di</strong> <strong>di</strong>vani<br />
marroni, una specchiera antica, una libreria che conteneva esclusivamente testi<br />
<strong>di</strong> Agata Christie e <strong>di</strong> George Simenon, e un elegante trumeau <strong>di</strong> mogano.<br />
Creai un angolo scrittura davanti alla finestra del salotto. Se<strong>di</strong>a, comò,<br />
computer e una pila <strong>di</strong> appunti che non finiva più. Feci la spesa e riempii il<br />
frigorifero <strong>di</strong> birre al doppio malto. Mi rifornii anche <strong>di</strong> carne in scatola. Ero<br />
fatto così, potevo andare avanti per giorni e giorni, mangiando solo carne in<br />
scatola.<br />
La mia giornata tipo era più o meno questa. La mattina mi alzavo tar<strong>di</strong>,<br />
<strong>di</strong>ciamo per le <strong>di</strong>eci o le un<strong>di</strong>ci, mi facevo il caffè e me ne stavo a scrivere<br />
davanti alla finestra fin verso l'una. Quando sentivo le serrande <strong>di</strong> Vicolo del<br />
Cinque che si abbassavano e dalle altre finestre mi arrivavano i rumori delle<br />
stoviglie e le voci compassate dei TG, staccavo e me ne andavo a zonzo.<br />
Dovevo per forza uscire dopo che avevo scritto. Di pomeriggio, era troppo<br />
dura stare chiuso in casa. Alle volte me ne andavo all'Orto Botanico, che stava<br />
proprio <strong>di</strong>etro casa mia. E mi portavo da leggere. Spesso quel libro <strong>di</strong><br />
Steinbeck, quello in cui lui va in giro per l'America in furgone. Sensazionale,<br />
quel libro. Intelligente e ben scritto. Era uno dei pochi libri che avevo letto<br />
più <strong>di</strong> una volta.<br />
Comunque sia, andavo lì a leggere. E' un gran posto, quello. Ci sono anche<br />
le palme, non so se rendo l'idea. E io mi sedevo sempre in quella piazzetta dove<br />
c'è la fontana. Dio, se mi piacevano le palme, con quei tronchi alti alti e<br />
quelle fronde come le chiome delle rockstars degli anni '80. Quando c'era il<br />
sole era d'un bello che non vi immaginate. Ti pareva d'essere in un para<strong>di</strong>so<br />
esotico.<br />
Ma all'Orto Botanico bisognava pagare l'ingresso e, se non avevo sol<strong>di</strong> in<br />
tasca, me ne andavo al parco del Gianicolo. Anche lì era molto bello. Passeggiavo<br />
fino alla statua <strong>di</strong> Garibal<strong>di</strong> a cavallo, con l'incisione Roma o Morte.<br />
Garibal<strong>di</strong> è molto macho in quella statua. E se ti sporgevi a guardare oltre il<br />
muretto, sotto vedevi la piattaforma da cui tutti i giorni, alle do<strong>di</strong>ci in<br />
punto, sparava il cannone. Il pavimento <strong>di</strong> casa ballava come se ci fosse il<br />
terremoto solo a camminarci sopra. A mezzogiorno poi avevi l'impressione che dovesse<br />
venir giù tutto il palazzo. Un boato che non vi <strong>di</strong>co. E la casa che<br />
vibrava tutta. C'era da farsi venire un infarto, se te ne stavi un attimo sulle<br />
tue. E io lo stramale<strong>di</strong>cevo ogni volta, quel cannone.
Era una vita da fannullone, la mia. Ma, dopo che avevo scritto, mi sentivo<br />
in <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> fare il fannullone fino al giorno dopo. Verso sera tornavo a casa,<br />
mi stappavo una birra e mi spapparacchiavo in poltrona. Me ne stavo lì ad<br />
ascoltare le canzoni <strong>di</strong> Ven<strong>di</strong>tti e a pensare. Riesce facile pensare, quando sei<br />
solo.<br />
Così pensavo alla mia famiglia e <strong>di</strong>ventavo malinconico. Pensavo ai miei<br />
amici e <strong>di</strong>ventavo malinconico. Pensavo al mio futuro e <strong>di</strong>ventavo malinconico. Il<br />
sottofondo non aiutava per niente. Era il Ven<strong>di</strong>tti <strong>di</strong> Compagno <strong>di</strong> scuola, Lilli,<br />
Notte prima degli esami, Stella e Roma capoccia.<br />
Ma la mia non era una solitu<strong>di</strong>ne senza speranza. I sogni erano lì, nella<br />
stanza con me, a riempire la mia solitu<strong>di</strong>ne, a renderla eroica. I sogni erano<br />
piacevoli, ma a piccole dosi. Se mi perdevo troppo a pensare alla gloria e alla<br />
fama che mi aspettavano <strong>di</strong>etro l'angolo, andava a finire che non scrivevo più. E<br />
questo era un gran male. L'impulso a scrivere non doveva aver niente a che fare<br />
con la fama e con la gloria. Quelle non erano importanti. L'impulso a scrivere<br />
doveva essere sincero e <strong>di</strong>sinteressato. Per questo motivo i sogni erano, in un<br />
certo senso, pericolosi.
XXVIII<br />
Tenevo la moto in un garage non tanto <strong>di</strong>stante da casa, ma <strong>di</strong> giorno<br />
evitavo <strong>di</strong> usarla. O<strong>di</strong>avo il traffico <strong>di</strong> Roma. Era anarchia totale. Frenesia <strong>di</strong><br />
movimento. Manovre da arresto. Per non parlare delle ore <strong>di</strong> punta. Conveniva<br />
andare a pie<strong>di</strong>.<br />
La notte era un'altra cosa. Non correvi il rischio <strong>di</strong> stare incolonnato per<br />
ore. Il traffico scorreva fluido. La notte era il momento migliore per muoversi<br />
e io tiravo fuori la moto dal garage e me ne andavo ai Parioli, in Piazza<br />
Euclide. Avevo alcuni amici, ai Parioli, tutti pieni <strong>di</strong> sol<strong>di</strong>. Piazza Euclide<br />
era il ritrovo dei giovani bene della capitale. Tipo il Clipper <strong>di</strong> Cortina.<br />
Anzi, devo <strong>di</strong>re che certe facce le avevo già viste proprio lì. Figli <strong>di</strong> papà,<br />
che altro potevano essere.<br />
In ogni caso, in Piazza Euclide, la vita non mancava. Di Venerdì e <strong>di</strong> sabato<br />
c'era così tanta gente che le macchine ostruivano la strada. A intervalli i<br />
poliziotti passavano e sgomberavano la zona a suon <strong>di</strong> multe. Allora c'era un<br />
fuggi fuggi generale. La gente si faceva un paio <strong>di</strong> giri intorno alla piazza,<br />
fino a quando i poliziotti non se ne andavano, e poi ritornava a ostruire la<br />
strada. Ed è così che funziona tutto a Roma.<br />
Se non andavo ai Parioli, me ne stavo in Trastevere. Era un bel quartiere,<br />
quello. C'era movimento, giorno e notte. E per forza. C'erano tanti <strong>di</strong> quei<br />
ristoranti che non ne avete un'idea. Locali da ballare mica tanti. Soprattutto<br />
ristoranti. Le vie erano tutte un su e giù, e andarci in moto era una gioia per<br />
le parti basse. Roba da farsi davvero del male.<br />
E poi c'era quel locale, l'Accademia, molto carino, dove facevano un filetto<br />
<strong>di</strong> manzo con la rucola che era la fine del mondo. E anche la cameriera era<br />
la fine del mondo. Ci andavo spesso, per tutte e due le ragioni.<br />
La sera facevo sempre la mia bella passeggiata per Trastevere. Vedevo in<br />
giro <strong>di</strong> tutto: turisti, artisti, fattoni, madonnari, suonatori <strong>di</strong> strada... e un<br />
sacco <strong>di</strong> poveracci che chiedevano l'elemosina. Dappertutto c'erano donne che<br />
tendevano la mano e ripetevano “signoooreee...” o “signoooraaa...” in tono<br />
supplichevole, bambine accucciate per terra con davanti un sottovaso e un<br />
biglietto con su scritto “Ho fame”.<br />
A volte mi chiedevo se era giusto. Perchè a me tutto e a loro niente? E la<br />
risposta era “no, non è giusto un cazzo”. Forse per quello non riuscivo a<br />
mandarli a quel paese senza poi sentirmi in colpa. Forse per quello, se avevo<br />
mille lire in tasca, non facevo fatica a dargliele, anche se il tizio che avevo<br />
accanto storceva il naso e <strong>di</strong>ceva: - Se ne tornino a casa loro.<br />
Piazza <strong>di</strong> Santa Maria in Trastevere o, come la chiamavo io, Piazza dei<br />
Tossici <strong>di</strong> Santa Maria in Trastevere, era il ritrovo degli scoppiati della zona.<br />
Se ne stavano tutti lì, sui gra<strong>di</strong>ni della fontana, a bere e a fumare. A pensarci<br />
bene facevano le stesse cose che facevo io a casa, solo che non avevano un<br />
tetto.<br />
Ne vedevo, ogni volta che passavo <strong>di</strong> lì, <strong>di</strong> barboni con la pancia <strong>di</strong> fuori,<br />
le braccia tatuate e la bottiglia in mano. La notte alcuni la passavano lì, con<br />
dei cartoni a mo' <strong>di</strong> coperte, in mezzo alle bottiglie vuote e ai mozziconi <strong>di</strong><br />
sigaretta. Altri invece frequentavano quell'altra fontana, quella <strong>di</strong> Piazza<br />
Trilussa. Quasi tutti venivano a scroccarti una sigaretta. Se ce l'avevo, io<br />
gliela davo. Mica facevo lo stronzo.<br />
Una volta ci parlai pure, con uno <strong>di</strong> questi. Se non ricordo male proprio in<br />
Piazza Trilussa. Aveva addosso un paio <strong>di</strong> pantaloni sbia<strong>di</strong>ti da far paura, una<br />
casacca militare tutta sfilacciata e un basco nero sulla testa. Per non parlare<br />
della cera che aveva. Capello decolorato, pallore cadaverico, pirsing alla<br />
narice.<br />
Un nosferatu <strong>di</strong> vent'anni.<br />
Mi trovai faccia a faccia con questo in<strong>di</strong>viduo agghiacciante, e per un attimo<br />
temetti <strong>di</strong> vederlo tirar fuori un coltello. E invece questo reclamava a<br />
gran voce una sigaretta. Ebbi il buon gusto <strong>di</strong> dargliela senza fare storie.<br />
- Vuoi dell'erba? - mi chiese.<br />
- No, grazie.<br />
- Se la vuoi ti faccio un buon prezzo.
- No, sul serio.<br />
- Quanti anni hai?<br />
- Ventidue.<br />
- Ce l'hai un lavoro?<br />
- Sì e no...<br />
- Che vuoi <strong>di</strong>re?<br />
Ma sì, via, glielo potevo anche <strong>di</strong>re: - Scrivo racconti...<br />
Mi fece un gran sorriso: - No, dai, sei uno scrittore?<br />
- Non affermato.<br />
- Be', non conta. Senti, se vuoi ti racconto la storia della mia vita, così<br />
tu la scrivi e <strong>di</strong>ventiamo famosi. Che ne <strong>di</strong>ci, eh?<br />
Stavo per <strong>di</strong>rgli che non scrivevo storie dell'orrore, quando lo vi<strong>di</strong> tirare<br />
fuori una cartina. Capii a che cosa gli serviva quella sigaretta.<br />
Lui sedette sui gra<strong>di</strong>ni della fontana e, con la massima naturalezza, arrotolò<br />
uno spinello. - Vuoi un tiro? - domandò, vedendo che lo osservavo.<br />
Non avevo mai fumato dell'erba e <strong>di</strong>ssi <strong>di</strong> no. Quando ebbe finito <strong>di</strong> far su,<br />
mi chiese <strong>di</strong> dargli da accendere. L'eau de cannabis cominciò a spandersi<br />
nell'aria. Nessuno <strong>di</strong> quelli che erano seduti lì fece una piega.<br />
- Sicuro che non vuoi un tiro?<br />
Scossi la testa.<br />
- Dicono che quella roba ti brucia le cellule del cervello, - Non so per<br />
quale ragione lo <strong>di</strong>ssi. Mi sentii molto sfigato, dopo.<br />
Lui fece un tiro e <strong>di</strong>sse: - Una potatina, ogni tanto, fa bene.<br />
Mi rimase impressa, quella frase. Bella filosofia.<br />
- E' il guaio delle droghe, - <strong>di</strong>ssi.<br />
Lui si stupì nel sentirmi usare la parola droghe. - Oh, ma questa non è una<br />
droga, - <strong>di</strong>sse con lo sguardo più innocente <strong>di</strong> questa terra.<br />
- E che cos'è?<br />
- Un passatempo.<br />
- Se lo <strong>di</strong>ci tu.<br />
- Tu quanti ne hai, <strong>di</strong> anni? - domandai.<br />
- Due meno <strong>di</strong> te.<br />
- E ce l'hai un lavoro?<br />
Mosse le labbra in un mezzo sorriso, e <strong>di</strong>sse: - A te cosa sembra?<br />
- Che ne so...<br />
- E' da un anno che non faccio una sega.<br />
- Prima che facevi?<br />
- Lavoravo in magazzino.<br />
- E adesso come fai a mantenerti?<br />
- I miei mi passano un mensile.<br />
- Di', non ti piaceva quel lavoro?<br />
- Lo o<strong>di</strong>avo.<br />
Ci fu un attimo <strong>di</strong> silenzio.<br />
- Sai com'è, se hai solo la terza me<strong>di</strong>a non vai molto avanti, - <strong>di</strong>sse con<br />
una rassegnazione che non mi piacque affatto.<br />
- E perchè non hai continuato a stu<strong>di</strong>are?<br />
- Non me ne è mai fregato un cazzo.<br />
Abbassai gli occhi senza <strong>di</strong>re niente.<br />
- Ho lavorato dai se<strong>di</strong>ci ai venti, poi non ho più fatto una sega.<br />
- E come riempi il tuo tempo? - mi venne naturale chiedere.<br />
- Oh, il modo <strong>di</strong> riempirlo lo trovi. Tranquillo. Ho degli amici. Comperiamo<br />
tre etti <strong>di</strong> erba la settimana. Ce li facciamo fuori e chissenefrega.<br />
“Chissenefrega”, se ci pensate quella parola riassumeva tutta la sua vita.<br />
Fai per qualche anno un lavoro <strong>di</strong> merda. Un giorno ti svegli e ti chie<strong>di</strong> “be', è<br />
tutto qui?” e <strong>di</strong> colpo ci molli. Smetti <strong>di</strong> lottare. Ti fai delle gran canne per<br />
riempire il vuoto che hai dentro, e butti via tutto.<br />
Sentirlo parlare mi aveva tirato giù da morire. Mi chiese un'altra paglia.<br />
Gliela <strong>di</strong>e<strong>di</strong>. Poi inventai una scusa e me ne andai.<br />
Lo rivi<strong>di</strong> un'altra volta, quel ragazzo. Se ne andava barcollando per le vie<br />
<strong>di</strong> Trastevere nei suoi vestiti stracciolenti. E aveva uno sguardo da “Ventimila<br />
Leghe sotto i Mari”, non so se mi spiego. Mi sa che se li era sparati da solo,<br />
quei tre etti che <strong>di</strong>ceva. Poi non l'ho visto più. Non so che fine abbia fatto.
XXIX<br />
La mia permanenza a Roma aveva anche uno scopo secondario. Dovevo sapere<br />
qual'era il fontanone <strong>di</strong> cui parlava Ven<strong>di</strong>tti in quella canzone. Mi fermavo nei<br />
pub e chiedevo in giro.<br />
Il proprietario <strong>di</strong> un pub <strong>di</strong> Campo <strong>di</strong> Fiori <strong>di</strong>sse:<br />
- Secondo te non lo so? E' il fontanone del Gianicolo.<br />
Un altro tizio, che incontrai in una birreria <strong>di</strong> Trastevere, invece <strong>di</strong>sse:<br />
- E' la Fontana <strong>di</strong> Trevi. Te lo <strong>di</strong>co io. Sto a Roma da quando son nato.<br />
E tutti e due avevano l'aria d'esserne sicuri al cento per cento.<br />
Cioè, mettetevi d'accordo.<br />
La mia passeggiata notturna preferita andava da Trastevere a Piazza <strong>di</strong><br />
Spagna. Prima <strong>di</strong> tutto andavo in quel bar <strong>di</strong> Piazza Trilussa a comperare le<br />
paglie, fondamentali, e poi facevo la mia bella passeggiata.<br />
Andavo <strong>di</strong> là del Tevere per Ponte Sisto e <strong>di</strong> notte era molto bello, perchè<br />
si vedeva il cupolone <strong>di</strong> San Pietro tutto illuminato. Tiravo dritto in Via dei<br />
Pettinari e giravo a sinistra per Campo dei Fiori. Lì c'erano un sacco <strong>di</strong> pub. E<br />
anche un sacco <strong>di</strong> ragazze, se è per quello. Io però non ero un campione a<br />
rimorchiare nei pub. Ogni tanto fissavo una cameriera indaffarata, o guardavo<br />
una ragazza che mi veniva incontro, e magari anche lei ricambiava lo sguardo, ma<br />
nel momento in cui avrei dovuto parlare me ne stavo zitto, e la ragazza<br />
continuava a camminare e faceva finta <strong>di</strong> niente.<br />
Da Campo dei Fiori mi muovevo verso Piazza Navona. Anche lì si vedevano<br />
molte ragazze, ma facevano quasi tutte parte <strong>di</strong> gruppi numerosi o <strong>di</strong><br />
scolaresche, e perciò erano <strong>di</strong>fficili da avvicinare. Passavo davanti al Pantheon,<br />
attraversavo Via del Corso e arrivavo alla Fontana <strong>di</strong> Trevi. La cosa bella<br />
era sentire lo scroscio dell'acqua, che si faceva più forte e <strong>di</strong>stinto man mano<br />
che ti avvicinavi. Da credere che ci fosse una cascata appena <strong>di</strong>etro l'angolo.<br />
In quei paraggi c'era sempre pieno così <strong>di</strong> gente. Quasi tutti turisti intenti<br />
a lanciare monete nell'acqua. Io non ci ho mai lanciato neanche cento<br />
lire, forse per quello non ero ancora uno scrittore affermato.<br />
Di lì andavo in Via del Tritone, e poco più avanti giravo a sinistra in Via<br />
dei due Macelli, che portava per <strong>di</strong>rettissima a Piazza <strong>di</strong> Spagna. E lì Roma dava<br />
il meglio <strong>di</strong> sè. Tutte le sere, su quella scalinata, c'era una folla <strong>di</strong> ragazzi<br />
e ragazze <strong>di</strong> tutte le età e <strong>di</strong> tutte le nazionalità. Qualcuno suonava la<br />
chitarra. Qualcuno passava in giro una bottiglia. Ecco cosa mi piaceva <strong>di</strong> Roma.<br />
La vita che c'era. Nella mia città te la sognavi una cosa così. Nella mia città<br />
c'era da morire <strong>di</strong> noia. Lì c'era sempre gente.<br />
Arrivavo in cima a quella montagna <strong>di</strong> scalini, mi sedevo e fumavo una<br />
paglia. Non stavo mai lì molto. Quando avevo finito <strong>di</strong> fumare, tornavo al mio<br />
appartamento <strong>di</strong> Vicolo del Cinque e mi mettevo il cuore in pace pensando che al<br />
mondo <strong>di</strong> donne ce n'erano fin che ne volevo.<br />
Un bel cretino, eh?
XXX<br />
A circa due settimane dal mio trasferimento, ricevetti una telefonata da<br />
Johannes. Disse che sarebbe presto venuto a Roma a trovarmi. Ne fui felicissimo.<br />
Vivere da solo era bello, ma cominciavo a sentire il bisogno <strong>di</strong> avere amici per<br />
casa. Avere amici per casa era sempre bello. Era bello perchè al mattino potevo<br />
scrivere e, dopo, avevo qualcuno con cui parlare. Dopo che avevo scritto, se non<br />
avevo compagnia, mi veniva la malinconia. Ero contento, fin che scrivevo, ma<br />
quando smettevo mi sentivo triste e dovevo per forza uscire e fare due passi per<br />
<strong>di</strong>strarmi. Se avevo amici per casa ero contento <strong>di</strong> smettere <strong>di</strong> scrivere, perchè<br />
dopo mi sarei <strong>di</strong>vertito.<br />
Johannes arrivò all'improvviso. Una mattina stavo scrivendo e sentii<br />
suonare il campanello. Non ricevevo molte visite, così mi affacciai alla finestra<br />
per vedere chi era. Il mio amico tedesco se ne stava con l'orecchio<br />
attaccato al citofono. Fui contento <strong>di</strong> sospendere la scrittura. Non avevo<br />
combinato molto, ma fui contento lo stesso. Andai ad aprire e lo aiutai a<br />
portare quella valigia più grossa <strong>di</strong> lui su per le scale. Lo sistemai sul <strong>di</strong>vano<br />
del soggiorno.<br />
Quella sera andammo in quel pub <strong>di</strong> Campo dei Fiori, "The Drunken Ship".<br />
Roma era sottosopra in quel periodo e Campo dei Fiori era tutta un cantiere per<br />
via dei lavori che stavano facendo in vista del Giubileo. La statua <strong>di</strong> Giordano<br />
Bruno era tutta bianca. Gente però ce n'era.<br />
Sedemmo nel pub e cominciammo a darci <strong>di</strong> birra. Gli raccontai cosa avevo<br />
fatto a Parigi e come me la cavavo lì a Roma. Avevo veramente bisogno <strong>di</strong> parlare<br />
con qualcuno. E con un amico era meglio. Gli parlai degli sforzi che mi avevano<br />
premesso <strong>di</strong> capire cosa volevo fare della mia vita e degli sforzi che mi avevano<br />
permesso <strong>di</strong> farlo davvero.<br />
- Come l'ha presa tuo padre quando gli hai detto che vuoi fare lo scrittore?<br />
- domandò.<br />
- All'inizio si è messo a ridere, poi, quando ha visto che facevo sul serio,<br />
si è arrabbiato, adesso si è rassegnato.<br />
Ed era proprio così. Ormai mio padre si era rassegnato. Sapevo che mi<br />
considerava uno con la testa dappertutto meno che sulle spalle. Me l'aveva detto<br />
in faccia, una volta. E sapevo anche che un giorno l'avrei costretto a<br />
ricredersi.<br />
Johannes mi parlò <strong>di</strong> com'era la vita in collegio. Mi <strong>di</strong>sse anche un mucchio<br />
<strong>di</strong> cose su <strong>di</strong> sè, ma non so se ha piacere che ne parli, perciò non <strong>di</strong>rò più <strong>di</strong><br />
questo.<br />
Parlavamo con naturalezza, senza sforzarci <strong>di</strong> essere simpatici uno all'altro.<br />
Ci avvicinammo molto, quella sera, e io scoprii finalmente che gran persona<br />
era quel ragazzo. Vi <strong>di</strong>co solo che finimmo a parlare <strong>di</strong> filosofia, Kant e<br />
Shopenhauer.<br />
Quando tornammo a casa, gli lasciai leggere qualcosa <strong>di</strong> mio. Non è una cosa<br />
che lascio fare a tutti. Lascio leggere i miei scritti soltanto agli amici più<br />
cari e alle ragazze su cui voglio fare colpo. Ora, Johannes è <strong>di</strong> certo un bel<br />
ragazzo, ma non volevo fare colpo su <strong>di</strong> lui. Perciò gli lasciai leggere le mie<br />
cose per la prima ragione e cioè che eravamo molto amici.<br />
- Adesso ho l'impressione <strong>di</strong> conoscerti veramente, - <strong>di</strong>sse alla fine.<br />
Disse che scrivevo molto bene e che, a suo giu<strong>di</strong>zio, ero maturo per la<br />
pubblicazione. Non credo lo <strong>di</strong>cesse per compiacermi. Johannes non è il tipo che<br />
<strong>di</strong>ce una cosa se non la pensa veramente. Credo piuttosto che non s'intendesse<br />
molto <strong>di</strong> letteratura, e che i miei scritti <strong>di</strong> allora gli piacessero più che<br />
altro perchè non avesse metri <strong>di</strong> paragone.<br />
In ogni caso, i suoi incoraggiamenti mi furono gra<strong>di</strong>ti. Del resto è logico<br />
che ciascuno creda a quello che vuole credere, e non troverete mai uno scrittore<br />
che non sia fermamente convinto del buon gusto e dell'intelligenza <strong>di</strong> chi elogia<br />
la sua opera.<br />
Ricordo che, quando ero più giovane, mi iscrissi un anno al DAMS <strong>di</strong><br />
Bologna. Una volta andai a un laboratorio <strong>di</strong> scrittura e non mi piacque per<br />
niente. Mi deprimevo da matti se un altro scriveva una frase davvero bella. Mi<br />
sembrava che fossero tutti più bravi <strong>di</strong> me.
Poi un tizio mi <strong>di</strong>sse una cosa: - Chiunque può scrivere una frase davvero<br />
bella, ma pochi sanno scrivere un romanzo anche solo decente.<br />
Ci pensai ed era proprio così. Quanta gente conoscevo che aveva cominciato<br />
a scrivere un romanzo e poi aveva piantato lì? Tanta. Nessuno può pretendere <strong>di</strong><br />
scrivere un romanzo, se non ha mai preso in mano una penna. Non si <strong>di</strong>venta<br />
scrittori da un giorno all'altro. Il talento è una cosa, la costanza un'altra.<br />
Bisogna averli tutti e due. Mi feci coraggio e cominciai a scrivere tutti i<br />
giorni.
XXXI<br />
Quell'anno il passaggio dall'estate all'autunno fu brusco. Me ne stavo sul<br />
Gianicolo con in mano quel libro <strong>di</strong> Steinbeck, un pomeriggio come tanti, e a un<br />
certo punto mi resi conto che la t-shirt non bastava più. Era quasi metà ottobre<br />
e l'aria era fresca e pungente. Da quel giorno in poi, la temperatura non fece<br />
altro che scendere. La sera bisognava coprirsi e, a volte, mi veniva voglia <strong>di</strong><br />
bere un whisky solo per riscaldarmi.<br />
Anche la bellezza <strong>di</strong> Roma risentiva del freddo. I pub avevano levato le<br />
<strong>di</strong>stese <strong>di</strong> tavoli all'aperto e dentro erano così affollati che faticavi a<br />
entrarci. Essendo abituato al clima del nord, per me quello non era freddo, ma<br />
fresco. Inoltre, non avendo altro mezzo a <strong>di</strong>sposizione, mi muovevo in<br />
motocicletta a qualunque temperatura.<br />
Ma dopo la partenza <strong>di</strong> Johannes il freddo si fece sentire <strong>di</strong> più. Fu molto<br />
triste essere <strong>di</strong> nuovo solo. E fu ancora più triste quando ebbi terminato la<br />
stesura della prima parte del romanzo. La noia s'impadronì delle mie giornate.<br />
Non potevo più scrivere per il semplice fatto che non avevo più nulla da<br />
scrivere, e avevo bisogno <strong>di</strong> una pausa prima <strong>di</strong> cominciare il lavoro <strong>di</strong><br />
revisione.<br />
Certe sere me ne andavo al Trinity College, un pub che stava dalle parti<br />
del Pantheon, solo per farmi un Whisky Sour con un po' <strong>di</strong> gente attorno. Era un<br />
buon posto per bere e il miglior posto in cui andare se non avevi compagnia.<br />
Una sera entrai al Trinity e mi sedetti a uno dei tavoli. Come al solito,<br />
or<strong>di</strong>nai un Whisky Sour. La birra non bastava più, a quell'ora ci voleva qualcosa<br />
<strong>di</strong> più forte per combattere la solitu<strong>di</strong>ne. A un certo punto mi venne in mente un<br />
titolo per il nuovo romanzo: “Diario <strong>di</strong> un giovane iniziato all'alcolismo e al<br />
tabagismo”. Lo scartai. Era uno schifo <strong>di</strong> titolo. Brindai a me stesso e scolai<br />
l'ultimo sorso.<br />
Era il mio compleanno.<br />
Più tar<strong>di</strong>, quella stessa notte, me ne stavo seduto a gambe incrociate sulla<br />
moquette, a fumare una paglia dopo l'altra e ad ascoltare le canzoni del buon<br />
vecchio Ven<strong>di</strong>tti. La solitu<strong>di</strong>ne e l'autunno avevano stretto un'alleanza per<br />
farmi sentire ancora più a terra. Nell'agenda avevo qualche numero <strong>di</strong> telefono,<br />
ma non c'era nessuno, lì a Roma, che desiderassi veramente vedere.<br />
Mi sentivo perso e dopo un po' che ero lì suonò il telefono. Risposi al<br />
primo squillo. Era mia sorella piccola. Mi faceva gli auguri. Chiedeva come<br />
stavo, cosa stavo facendo e quando tornavo. Sentire la sua voce sciolse<br />
qualcosa, e dovetti tagliar corto la telefonata. Dissi: - Ciao, ciao, devo scappare,<br />
saluta mamma e papà... - E, un attimo dopo aver messo giù la cornetta, le<br />
prime lacrime erano già cadute.<br />
Le volevo un bene dell'anima. E volevo un bene dell'anima anche ai miei<br />
geniori. E vi sbagliate se credete che non morissi dalla voglia <strong>di</strong> rivederli. Ma<br />
non potevo tornare. E sapete perchè non potevo tornare? Perchè ero sicuro che,<br />
se fossi tornato, non sarei più andato via.
PARTE SECONDA
I<br />
Non ero ancora pronto a tagliare tutti i ponti.<br />
Restai a Roma fino alla fine <strong>di</strong> novembre. Quando la solitu<strong>di</strong>ne e la nostalgia<br />
si fecero intollerabili, decisi <strong>di</strong> far ritorno a casa.<br />
Era una giornata grigia e fredda, e non vi<strong>di</strong> altri motociclisti lungo l'autostrada.<br />
Viaggiavo verso nord, e avevo la sensazione che la temperatura si<br />
abbassasse <strong>di</strong> un grado ogni chilometro. Avevo addosso due paia <strong>di</strong> guanti e uno<br />
strato <strong>di</strong> maglioni <strong>di</strong> lana sotto il giubbotto. Malgrado questo, il viaggio fu un<br />
travaglio non in<strong>di</strong>fferente. Gli automobilisti mi guardavano e ringraziavano il<br />
cielo <strong>di</strong> non essere nei miei panni. Mi guardavano con un misto <strong>di</strong> compassione e<br />
ammirazione. Mi guardavano tagliare l'aria gelida, chino sul manubrio della<br />
motocicletta, e son certo che pensavano: “Chissà chi è quel pazzo...”<br />
Feci un paio <strong>di</strong> soste per evitare l'assideramento, senza mai fermarmi a<br />
lungo. Avevo fretta <strong>di</strong> tornare a casa. Avevo fretta <strong>di</strong> abbracciare il termosifone.<br />
E sì, avevo anche fretta <strong>di</strong> vedere i miei genitori. Tenevo i 130 km/h e<br />
andavo avanti senza mai girare la testa per guardare ciò che mi stava intorno.<br />
Facevo come i cavalli da corsa, che corrono con i paraocchi per non farsi<br />
<strong>di</strong>strarre da niente e da nessuno. C'era l'autostrada, <strong>di</strong>ritta e anonima. E c'era<br />
il tempo che mi separava da casa. Nient'altro. Sarebbe stato lo stesso<br />
percorrere un tunnel sotterraneo da Roma a Reggio, senza vedere niente a destra<br />
e a sinistra, a parte una nuda parete <strong>di</strong> roccia. Questa volta mi interessava<br />
arrivare, non mi interessava viaggiare. Di conseguenza, il mio viaggio era una<br />
questione <strong>di</strong> tempo, e non <strong>di</strong> spazio.<br />
Non avevo avvertito nessuno del mio ritorno e mi sforzavo <strong>di</strong> immaginare che<br />
faccia avrebbero fatto i miei vedendomi varcare la soglia <strong>di</strong> casa. Mia madre si<br />
sarebbe messa a piangere, e mia sorella piccola si sarebbe fatta baciare senza<br />
sgattaiolare via come fa <strong>di</strong> solito. Mio fratello avrebbe detto: “Ciao,<br />
coglione!” ; e mio padre avrebbe esclamato: “Era ora!” , ma il calore del suo<br />
sorriso avrebbe tra<strong>di</strong>to la sua commozione. Mia madre mi avrebbe guardato a<br />
lungo, come per capacitarsi dei miei cambiamenti, e alla fine avrebbe detto la<br />
cosa che <strong>di</strong>ce tutte le volte che non mi vede da tempo: “Mi ero <strong>di</strong>menticata <strong>di</strong><br />
te, credevo <strong>di</strong> avere solo due figli”. Allora io le avrei dato un bacio sulla<br />
guancia, cosa che faccio solamente quando torno da un lungo viaggio.<br />
Avremmo cenato tutti insieme. Poi sarei andato dai miei amici e avrei<br />
raccontato quello che mi era capitato a Roma. E, una volta tanto, mi sarei<br />
sentito un po' importante.<br />
Tutto sarebbe tornato alla normalità e la solitu<strong>di</strong>ne, forse, se ne sarebbe<br />
andata.<br />
Tutto andò come previsto. Le cose andarono esattamente come avevo<br />
immaginato, eccetto una: mia sorella piccola vide il pizzo che mi ero fatto<br />
crescere e non si fece baciare.<br />
Si parlò a lungo e, almeno per quella sera, sia mia madre che mio padre<br />
fecero molta attenzione a non trattarmi come un bambino.
II<br />
Fu molto bello, per qualche giorno, rivedere la mia famiglia e i miei<br />
amici, ritornare al calore della loro compagnia con le membra intirizzite da<br />
tanta solitu<strong>di</strong>ne.<br />
Le giornate presero a scorrere con la facilità <strong>di</strong> sempre. Nei primi tempi<br />
fu piacevole. Ben presto però mi resi conto che l'illusione <strong>di</strong> rivivere il passato<br />
non bastava più. Dopo la permanenza a Roma, la mia città era ancora più<br />
piccola <strong>di</strong> com'era quando l'avevo lasciata. Io mi sentivo cambiato e nulla,<br />
intorno a me, era cambiato. Io ero cresciuto e nulla, intorno a me, era<br />
cresciuto. Fu così che maturai un nuova lampante certezza: non ero <strong>di</strong> ritorno da<br />
un viaggio, ne stavo facendo uno in quel momento.<br />
Era proprio così. La mia casa non era quella, non più. Ero in città solo in<br />
visita, in attesa <strong>di</strong> partire per un altro viaggio. Se all'inizio la mia mentalità<br />
e quella dei miei genitori scorrevano su binari paralleli, con il passare<br />
del tempo i miei binari erano mutati sempre più d'angolazione, al punto che ora<br />
scorrevano in <strong>di</strong>rezione opposta.<br />
I soprammobili. Per me erano inutili. Mia madre invece li amava alla<br />
follia, e spessissimo c'erano oggetti da spolverare e tappeti da lavare. Mia<br />
madre si lamentava della fatica che faceva a tenere in or<strong>di</strong>ne tutto, e io le<br />
chiedevo ma chi te lo fa fare?<br />
L'argenteria. I miei la tenevano in casa al solo scopo <strong>di</strong> pulirla e <strong>di</strong> aver<br />
paura che la rubassero i ladri. Fosse stato per me, mi sarei sbarazzato <strong>di</strong><br />
tutta l'argenteria e avrei utilizzato il denaro per fare dei viaggi. Ero più che<br />
mai <strong>di</strong>sposto a barattare le cose per le esperienze.<br />
Il colmo però lo raggiungevano con i posaceneri. Avevamo la casa piena <strong>di</strong><br />
posaceneri <strong>di</strong> tutte le taglie e <strong>di</strong> tutte le forme, ma mia madre voleva che facessi<br />
cadere la cenere in un vecchio piattino sbeccato, perchè i posaceneri<br />
erano belli e non andavano rovinati. Secondo me non aveva senso. Un oggetto che<br />
non assolveva il suo compito, andava tenuto per cosa? Per essere continuamente<br />
spolverato e, mio Dio, per bellezza. Nella casa in cui un giorno avrei abitato<br />
non ci sarebbe stato nessun oggetto troppo bello per essere usato.<br />
Mio nonno e mia nonna manifestavano questa tendenza a conservare le cose a<br />
scapito <strong>di</strong> tutto, anche del loro stesso <strong>di</strong>sagio, ancora <strong>di</strong> più che mio padre e<br />
mia madre. Non lo so, forse la ragione era che loro avevano vissuto i tempi duri<br />
della guerra ed erano stati abituati a tenere da conto le cose, mentre io avevo<br />
sempre avuto tutto senza sforzo.<br />
Una <strong>di</strong>scussione fu fatta il giorno dei morti, quando io mi rifiutai <strong>di</strong><br />
andare al cimitero. Mio padre si arrabbiò. Fino ad allora c'ero andato per<br />
abitu<strong>di</strong>ne, per far piacere a lui e per farmi vedere dalla gente, mai per esigenze<br />
spirituali. Quel giorno era tra<strong>di</strong>zione andare al cimitero, e allora ci si<br />
doveva andare. Ma cos'è la tra<strong>di</strong>zione senza la convinzione? Un atto vuoto e<br />
senza significato. Io non ero mai andato al cimitero con convinzione, perciò<br />
decisi <strong>di</strong> non andarci più. Anche se era il giorno dei morti. Anche se avrei dato<br />
un <strong>di</strong>spiacere a mio padre.<br />
Sapevo che si trattava <strong>di</strong> superare tante piccole barriere, una per volta,<br />
con pazienza. Tutte le cose che avevo vergogna o paura <strong>di</strong> fare erano in realtà<br />
barriere. Tutte queste cose, poco per volta, mi sforzavo <strong>di</strong> farle e, così<br />
facendo, ne trovavo altre più avanti, e mi sforzavo <strong>di</strong> fare anche quelle. Mi<br />
accorgevo che, ogni volta che facevo una cosa che avevo paura o vergogna <strong>di</strong><br />
fare, la barriera era superata e il limite era spostato più avanti. In questo<br />
modo le cose che non avevo il coraggio <strong>di</strong> fare erano sempre meno, e ogni giorno<br />
io ero più libero, ogni giorno ero più me stesso, ogni giorno ero più potente.
III<br />
Alla tivù avevano detto che erano in arrivo i sette giorni più fred<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />
tutto l'inverno. Mia nonna la chiamava la settimana della merla. Quando ero<br />
bambino, mi aveva raccontato che i merli, all'inizio, erano bianchi come<br />
colombi, e che un anno, l'ultima settimana <strong>di</strong> gennaio, aveva fatto così freddo<br />
che una merla, costretta a trovare riparo nella cappa <strong>di</strong> un camino, si era tinta<br />
<strong>di</strong> fuliggine le piume. Quella merla aveva dato alla luce i primi merli neri, e<br />
da quel giorno tutti i merli erano neri come fuliggine.<br />
Ad ogni modo, non se ne poteva più <strong>di</strong> tutto quel freddo e l'idea che la<br />
temperatura potesse scendere ancora bastava a tenermi chiuso in casa col morale<br />
a terra. Pensai a uno scherzo, quando Ugo entrò a casa mia, <strong>di</strong>cendo che era<br />
appena stato in agenzia e che a Madrid al momento c'erano quin<strong>di</strong>ci gra<strong>di</strong>.<br />
- Pren<strong>di</strong> su uno zaino, si starà via una settimana giusta giusta... Sbrigati,<br />
Remo sarà qui a momenti. La macchina è già calda.<br />
Erano le <strong>di</strong>eci <strong>di</strong> mattina e non mi lasciò nemmeno il tempo <strong>di</strong> farmi il<br />
caffè. Mi aiutò a mettere un paio <strong>di</strong> cose nello zaino. Dimenticai metà della<br />
roba e, senza avere il tempo <strong>di</strong> pensare, mi ritrovai nella 106 <strong>di</strong> Remo, sull'autostrada.<br />
Questo confermò una mia teoria: quando si organizza un viaggio con largo<br />
anticipo, per un motivo o per l'altro si finisce per non partire; quando non lo<br />
si organizza affatto e da un momento all'altro si decide <strong>di</strong> fare il viaggio,<br />
allora si finisce quasi sempre per partire. Forse la ragione è che non si ha il<br />
tempo <strong>di</strong> pensare e <strong>di</strong> farsi prendere dalla pigrizia.<br />
Tre ore dopo stavo percorrendo l'autostrada lungo la Costa Azzurra. Nell'autora<strong>di</strong>o,<br />
Crossroad <strong>di</strong> Bon Jovi. Stavo andando incontro al caldo e al sole <strong>di</strong><br />
Spagna, anche se solo per una settimana, e mi sentivo leggero e spensierato.<br />
Guardavo il mare da <strong>di</strong>etro il finestrino della 106 e capivo perchè avevano dato<br />
quel nome alla costa.<br />
Oltrepassammo i Pirenei a notte fatta. Entrammo in terra spagnola e arrivammo<br />
fino a Barcellona. Per quel giorno poteva bastare. Passammo in rassegna<br />
due alberghi, entrambi sulla Rambla, il viale più animato della città. Il primo<br />
era un posto carino e più che <strong>di</strong>gnitoso, con tende rosse alle finestre, il<br />
secondo semplicemente squallido. La <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> prezzo era minima e io ero a<br />
favore del primo, ma gli altri avevano già deciso: quello che costava meno era<br />
il migliore e in quello si doveva andare. Fu così che andammo nel secondo.<br />
Occupai subito il letto che stava più vicino alla finestra, in modo da poterla<br />
aprire se i miei amici si mettevano a fumare. Fumo anch'io, ma se c'è una<br />
cosa che detesto è andare a dormire con l'odore <strong>di</strong> fumo in camera da letto. Loro<br />
fumavano <strong>di</strong> continuo, e io aprivo <strong>di</strong> continuo. Era una guerra tutte le volte:<br />
non appena accendevano le sigarette, io spalancavo la finestra per cambiare<br />
l'aria e loro si lamentavano della corrente d'aria e <strong>di</strong>cevano che si stavano<br />
ammalando a causa mia. - Allora smettetela <strong>di</strong> fumare in camera! - <strong>di</strong>cevo, ma<br />
loro non smettevano ed erano più che mai <strong>di</strong>sposti ad ammalarsi pur <strong>di</strong> dare<br />
fasti<strong>di</strong>o al sottoscritto.<br />
Dalla stanza telefonai a casa.<br />
- Dove sei finito? - chiese mia madre.<br />
- Sono a Barcellona.<br />
- Eeehhh???<br />
- Sono a Barcellona.<br />
- Stai scherzando?<br />
- No.<br />
- Disgraziato!<br />
Quella sera gironzolammo per Barcellona. Seguendo la Rambla arrivammo a<br />
Placa Portal de la Pau, dove c'è il monumento a Cristoforo Colombo, e<br />
all'immenso complesso del Maremagnum. Festeggiammo il primo giorno <strong>di</strong> viaggio<br />
pagando un giro <strong>di</strong> tequila a testa.
IV<br />
Per cominciare bene una giornata, ho bisogno dei miei riti del mattino. La<br />
tazza fumante <strong>di</strong> caffè. Il primo tiro <strong>di</strong> sigaretta (più simile a un colpo <strong>di</strong><br />
tosse che a un tiro <strong>di</strong> sigaretta). E una finestra per tenere sotto controllo la<br />
situazione meteorologica.<br />
Bevevo il caffè amaro guardando con gratitu<strong>di</strong>ne la giornata <strong>di</strong> sole che mi<br />
aspettava. Dalla vetrata della sala dell'albergo vedevo il viavai <strong>di</strong> gente sotto<br />
i platani della Rambla. Mi appoggiai allo schienale della se<strong>di</strong>a e pensai: eccola<br />
qui, una nuova città da esplorare, da scoprire pian piano, da imparare e da<br />
amare; una nuova città in cui camminare, in cui curiosare, in cui ricominciare a<br />
vivere con entusiasmo; una nuova città che può stupire e persino incantare.<br />
Era la mia prima volta in Spagna e l'emozione <strong>di</strong> dover ripartire da zero,<br />
<strong>di</strong> aver tante cose da vedere e da imparare era un fiume in piena dentro <strong>di</strong> me.<br />
Ebbi la tentazione <strong>di</strong> cominciare da solo l'esplorazione <strong>di</strong> Barcellona, ma pensai<br />
che sarebbe stato gentile aspettare i miei amici. Aspettai quasi un'ora. Stavo<br />
per spazientirmi, quando li vi<strong>di</strong> nella hall.<br />
- An<strong>di</strong>amo? - <strong>di</strong>ssi.<br />
- Oh sì, an<strong>di</strong>amo a fare spese, - <strong>di</strong>sse Remo.<br />
I miei amici volevano trovare dell'hashish. Remo era già stato a Barcellona<br />
e <strong>di</strong>ceva <strong>di</strong> conoscere una piazzetta in cui la spacciavano. Ci guidò fino lì e in<br />
men che non si <strong>di</strong>ca fummo avvicinati da un uomo con una cuffia in testa. L'uomo<br />
con la cuffia gli rifilò una quantità minima <strong>di</strong> fumo a un prezzo esagerato.<br />
Tornammo in albergo. I due volevano provare subito la merce. E qui viene il<br />
bello: quello che doveva essere hashish <strong>di</strong> altissima qualità, a un più attento<br />
esame in camera, si rivelò una banalissima stecca <strong>di</strong> liquirizia secca!<br />
Tornammo nella piazzetta in cerca del truffatore. Strano a <strong>di</strong>rsi, quello<br />
era sparito. Un uomo dall'aria malandata e poco rassicurante avvicinò Remo. Al<br />
termine <strong>di</strong> una veloce contrattazione, si fece seguire in una calle stretta e<br />
misera. Invece <strong>di</strong> aspettarlo in un luogo affollato, i miei due amici seguivano<br />
lo spacciatore. E io seguivo loro. L'uomo dall'aria malandata e poco<br />
rassicurante entrò in una caffetteria marocchina e <strong>di</strong>sse ai due <strong>di</strong> aspettarlo.<br />
Non appena sparì dentro il locale, parlai chiaro ai miei amici. Insomma, non ci<br />
voleva un genio a capire che, se quello tornava con due o tre dei suoi, poteva<br />
svuotare le tasche con facilità a tutti e tre. Mica la volevano capire. Si<br />
ostinavano a star lì, aspettando che il tizio arrivasse con la merce. Allora mi<br />
arrabbiai sul serio. Dissi che eravamo a Barcellona e che invece <strong>di</strong> visitare la<br />
città avevamo perso mezza giornata a cercare la loro dannatissima hashish. E,<br />
siccome quelli <strong>di</strong> tagliare l'angolo proprio non ne volevano sapere, me ne andai<br />
via da solo.<br />
- Ci ve<strong>di</strong>amo stasera in albergo, - <strong>di</strong>ssi.<br />
Camminare nel sole <strong>di</strong> una bella giornata servì a mandar via l'arrabbiatura.<br />
Andai a vedere la cattedrale gotica, percorsi la Rambla fino a Placa de<br />
Catalunya e proseguii lungo il Passeig de Gràcia. Camminai per un eternità<br />
costeggiando palazzi principeschi e passando accanto all'assurda facciata <strong>di</strong><br />
Casa Batllò. L'aveva fatta Gaudì. Un tipo piuttosto schizzato, a quanto mi<br />
sembra <strong>di</strong> capire.<br />
Pranzai e poi presi l'autobus turistico e salii a Parc Guell. Anche quello<br />
l'aveva progettato Gaudì. Era un posto strano, quasi magico, dalla cui sommità<br />
si vedeva tutta Barcellona. E al crepuscolo, guardando la striscia indefinita<br />
del mare nel punto in cui si congiungeva col cielo, mi venne in mente quel verso<br />
<strong>di</strong> Rimbaud, quello che fa:<br />
Elle est retrouvèe!<br />
Quoi? l'èternitè.<br />
C'est la mer melèe<br />
Au soleil.<br />
E pensai che vedere un tramonto sulla costa occidentale mi avrebbe fatto<br />
capire cosa intendeva Rimbaud.
Più tar<strong>di</strong>, in albergo, venni a sapere che i miei amici erano stati rapinati<br />
dal tizio dall'aria malandata e poco rassicurante. Lo spacciatore era tornato<br />
con un gingillo serramanico in pugno e si era fatto consegnare le poche Pesetas<br />
che avevano in tasca.
V<br />
Il giorno seguente si doveva partire. Di buon mattino andammo a vedere la<br />
Sagrada Familia. Non era ancora finita, ma era uno spettacolo lo stesso. Era<br />
perfetta per un film dell'orrore. Vedere per credere.<br />
Montammo in macchina e lasciammo Barcellona. Salutammo il mare passando<br />
sotto i bastioni della città. Attraversammo il meri<strong>di</strong>ano <strong>di</strong> Greenwich cantando<br />
“how long how long will I slide / separate my side” assieme ai Red Hot Chili<br />
Peppers. Uscimmo dalla Catalogna e ci addentrammo nell'entroterra spagnolo<br />
attraverso il brullo paesaggio della Meseta e dei pàramos.<br />
Era una soleggiata giornata <strong>di</strong> fine gennaio, la Meseta si stendeva a<br />
per<strong>di</strong>ta d'occhio in tutte le <strong>di</strong>rezioni e noi salimmo verso il cuore dell'altopiano<br />
fra piccoli canyon e greggi <strong>di</strong> pecore che rompevano la monotonia del<br />
paesaggio. Guidai da Barcellona a Madrid, prima sull'Autopista de Nord-Est e poi<br />
sull'Autovìa de Aragòn, superando gli autotreni in velocità e tirando al massimo<br />
la modesta cilindrata della 106. Entrammo nella capitale che aveva appena fatto<br />
buio e trovammo una camera in ostello a Puerta del Sol, che è proprio il centro<br />
<strong>di</strong> Madrid e <strong>di</strong> tutta la Spagna e lì c'è il chilometro zero delle strade<br />
nazionali.<br />
La camera andava bene. Il resto dell'ostello era un cantiere perchè stavano<br />
imbiancando i muri. Ne approfittammo per tirar giù il prezzo e alla fine pagammo<br />
per quattro notti quello che avremmo pagato per una sola notte in qualsiasi<br />
altro posto.<br />
In fondo alla stanza, casualmente accanto al mio letto, c'era un finestrone<br />
con un piccolo balcone e in strada esattamente sotto c'erano due grossi cassonetti<br />
dell'immon<strong>di</strong>zia scoperti. Non avevamo bisogno <strong>di</strong> uscire per eliminare i<br />
nostri rifiuti. Bastava che ci sporgessimo un poco e facessimo centro dal<br />
balconcino. Questa como<strong>di</strong>tà compensava abbondantemente il leggero aroma <strong>di</strong><br />
immon<strong>di</strong>zia che entrava nella stanza quando il finestrone era spalancato.<br />
Andò tutto a meraviglia e per le nove stavamo mangiando paella in una<br />
taberna nei pressi <strong>di</strong> Plaza Mayor.<br />
Se volevo visitare la città, dovevo andare in giro per conto mio. I miei<br />
amici non facevano altro che cercare erba da fumare e chiudersi nelle sale<br />
giochi. Il fatto <strong>di</strong> avere priorità <strong>di</strong>fferenti dava origine a spiacevoli screzi.<br />
Avrei anche potuto portare pazienza e seguirli nelle piazzette desolate e nelle<br />
sale giochi <strong>di</strong> Madrid, aspettando che venissero con me a visitare la città, ma<br />
così facendo avrei finito con l'arrabbiarmi e avrei passato le giornate tenendo<br />
il muso. Non dovevamo stare insieme per forza . Se io volevo fare una cosa e<br />
loro volevano farne un'altra, potevamo benissimo separarci. Così il giorno dopo<br />
me ne andai per conto mio. Andai a vedere la Cattedrale e visitai quella<br />
catapecchia da morti <strong>di</strong> fame che è Palacio Real.<br />
Rivi<strong>di</strong> Ugo e Remo quella sera. Parlammo delle rispettive giornate ed<br />
entrammo in tutte le cervezerie e i pub <strong>di</strong> Plaza St. Ana e <strong>di</strong>ntorni. Ballammo<br />
musica latina e bevemmo tequila. Barcollammo gioiosi per le vie della capitale,<br />
importunando chicas e camminando volontariamente in mezzo alla strada per<br />
rallentare i taxi. In tutta onestà, non so ancora come riuscimmo a tornare in<br />
ostello.<br />
Mi svegliai con un gran mal <strong>di</strong> testa. Colpa <strong>di</strong> tutta quella tequila. Ugo e<br />
Remo non ne volevano sapere <strong>di</strong> alzarsi dal letto.<br />
Tanto per cambiare, uscii da solo. Visitai il Prado, soprattutto per i <strong>di</strong>pinti<br />
<strong>di</strong> Goya <strong>di</strong> cui avevo sentito parlare e che volevo vedere da un pezzo.<br />
Sempre al Prado, attaccai bottone con due simpatiche catalane appassionate <strong>di</strong><br />
arte e passai tutta la giornata con loro. Insieme andammo al <strong>Centro</strong> de Arte<br />
Reina Sofìa e guardammo le opere strampalate <strong>di</strong> quei due suonati <strong>di</strong> Dalì e <strong>di</strong><br />
Picasso.<br />
Pranzammo alle tre del pomeriggio in un posto carino ma troppo turistico<br />
per i miei gusti. Attaccate al muro c'erano le teste <strong>di</strong> alcuni tori uccisi in<br />
corrida e c'erano le foto in bianco e nero <strong>di</strong> toreri famosi e <strong>di</strong> Hemingway e
Cheguevara che assistevano alle corride. Nessuna delle due ragazze sapeva<br />
l'inglese, così io parlavo in italiano e loro mi rispondevano in catalano. Ci si<br />
intendeva abbastanza, perchè il catalano somiglia molto all'italiano. I capelli<br />
mi erano cresciuti tanto da farci la coda e una delle due <strong>di</strong>sse che avevo l'aria<br />
<strong>di</strong> un torero.<br />
Erano gli ultimi giorni <strong>di</strong> Gennaio e a Madrid il sole era caldo come nella<br />
mia città in primavera. Era piacevole pensare al freddo che faceva a casa,<br />
mentre io ero lì, a far la siesta al Parque del Buen Retiro con due calientes<br />
senoritas. In barba ai miei amici che poltrivano in ostello. Tra l'altro, avevo<br />
attaccato bottone chiedendo una sigaretta, nonostante avessi il pacchetto pieno<br />
nella tasca dei calzoni, e dovetti tenerlo ben nascosto per tutto il tempo.<br />
La mattina <strong>di</strong> domenica rinunciai in partenza a svegliare i miei due compagni<br />
<strong>di</strong> viaggio. Era una bella giornata e per <strong>di</strong> più era la mia ultima giornata<br />
a Madrid: non volevo passarla in ostello. Uscii e mi riscaldai al sole <strong>di</strong> Plaza<br />
Mayor, gremita per il mercato <strong>di</strong> monete e francobolli, poi camminai lungo Calle<br />
de Toledo e me ne andai curiosando tra i banchetti del Rastro, un mercato simile<br />
a quello <strong>di</strong> Porta Portese a Roma, ma non vi<strong>di</strong> niente <strong>di</strong> interessante e non comperai<br />
nulla. E se è per quello, non è che volessi a tutti i costi comperare<br />
qualcosa.<br />
Godetti quell'ultima giornata passeggiando indolente per la vecchia Madrid<br />
e fumando mezzo pacchetto <strong>di</strong> paglie ispaniche Fortuna.
VI<br />
L'indomani tirai giù dal letto i miei amici per le nove. Usai un sistema<br />
piuttosto drastico: accesi la tivù a tutto volume e spalancai la finestra. Una<br />
gelida corrente mattutina investì la stanza - insieme a un gradevole aroma <strong>di</strong><br />
immon<strong>di</strong>zia - attirandomi pesanti invettive da parte dei due.<br />
Facemmo colazione al volo. I miei amici scrissero e imbucarono le cartoline.<br />
Il conto dell'ostello era stato pagato il giorno prima, perchè la proprietaria<br />
non si fidava e aveva paura che ce la svignassimo durante la notte. E<br />
non aveva tutti i torti. Devo ammettere che ci era passato per la testa. I sol<strong>di</strong><br />
cominciavano a scarseggiare e ormai ci accapigliavamo per cento lire o poco più<br />
<strong>di</strong> resto alla cassa del tabaccaio o del caffè.<br />
Hemingway aveva scritto <strong>di</strong> San Sebastiano. I piani erano <strong>di</strong> arrivare fino<br />
lì e decidere se fermarci una notte o proseguire verso l'Italia.<br />
Non l'avevo mai visto l'oceano. Avevo visto il mare e mi avevano detto che<br />
la <strong>di</strong>fferenza era che nell'oceano le correnti erano più forti, ma volevo vederlo<br />
con i miei occhi.<br />
Alle <strong>di</strong>eci e mezzo <strong>di</strong> mattina eravamo lanciati sulla <strong>Strada</strong> National n.1,<br />
che va a Burgos, o se preferite l'Autovìa del Norte, che va verso l'oceano.<br />
Hasta pronto, Madrid.<br />
La temperatura massima <strong>di</strong> San Sebastiano, l'avevano detto le previsioni del<br />
tempo, era <strong>di</strong> venti gra<strong>di</strong>. Allettati da questa promessa, attraversammo per la<br />
seconda volta in pochi giorni la Meseta, con i suoi paesaggi tutti pietra e<br />
terra brulla e ciuffi ver<strong>di</strong> qua e là. Sopra la testa un incoraggiante cielo<br />
azzurro, appena chiazzato <strong>di</strong> nuvole color panna.<br />
Guidai per quattrocentocinquanta chilometri attraverso la Castiglia, alle<br />
due <strong>di</strong> pomeriggio entrai nei Paesi Baschi e prima delle tre a Donostia-San<br />
Sebastiàn.<br />
Non fu <strong>di</strong>fficile trovare la concha. Scendemmo in spiaggia e camminammo<br />
scalzi sulla sabbia, bagnandoci i pie<strong>di</strong> nell'oceano, respirando a pieni polmoni<br />
l'aria odorosa <strong>di</strong> salmastro. Poi risalimmo e passeggiammo nel porto, osservando<br />
i gabbiani che planavano a pelo d'acqua e si azzuffavano per un pesce e le donne<br />
che sotto i porticati riparavano le reti dei pescatori. Se alzavi lo sguardo,<br />
potevi vedere la statua <strong>di</strong> San Sebastiano, in cima a monte Urgull, immobile nel<br />
vento e screziata <strong>di</strong> sole. L'aria era tiepida e i colori della baia erano quelli<br />
sgargianti <strong>di</strong> un quadro <strong>di</strong> Goya. I gabbiani ti parlavano all'orecchio, ti<br />
parlavano della libertà e <strong>di</strong> terre lontane, del sole caldo e degli spazi aperti<br />
del cielo, ti parlavano <strong>di</strong> tutto questo e noi sentivamo <strong>di</strong> conoscerlo davvero,<br />
ora che anche noi avevamo imparato a volare e avevamo in bocca il sapore della<br />
libertà, nelle narici l'odore dell'acqua salmastra e nelle orecchie l'ih-ih <strong>di</strong><br />
quegli uccelli.<br />
Lasciai i miei amici a mangiare pesce e a bere sidro in un ristorante del<br />
porto. Me ne andai sulla cima <strong>di</strong> monte Urgull e guardai l'oceano fuori dalla<br />
concha, ne respirai la vastità mentre la luce si faceva più fioca e una rosea<br />
foschia rendeva in<strong>di</strong>stinto l'orizzonte. Dal punto in cui mi trovavo non era<br />
possibile vedere “la mer melèe au soleil” e il sole stava già calando <strong>di</strong>etro le<br />
case dall'altra parte della baia. E così vi<strong>di</strong> le luci <strong>di</strong> San Sebastiàn che si<br />
accendevano e agghindavano la città, i lampioni color arancio che si specchiavano<br />
nelle acque della concha, gli ultimi gabbiani che sorvolavano il porto.<br />
Ma si era fatto tar<strong>di</strong> e i miei amici erano decisi a tornare in Italia. Mi<br />
sarebbe piaciuto rimanere lì una notte, ma non potevo trattenerli a forza.<br />
Viaggiammo tutta la notte guidando a turno, tenendoci su con Nevermind dei<br />
Nirvana e con i soliti Red Hot. Come al solito, c'era chi si faceva una paglia<br />
senza aprire il finestrino, chi sbriciolava e riduceva la macchina un porcile e<br />
chi elargiva consigli sulla strada da prendere, consigli che risultavano<br />
inevitabilmente sbagliati o superflui.<br />
Guidai per altri cinquecento chilometri da San Sebastiàn a Montpellier, poi<br />
cedetti il volante a Ugo e mi sdraiai sul se<strong>di</strong>le posteriore con lo zaino <strong>di</strong> Remo<br />
a mo' <strong>di</strong> cuscino e il mio giubbotto a mo' <strong>di</strong> coperta. Non mi sono mai fidato
della guida degli altri, ma in tutta la giornata avevo guidato per quasi mille<br />
chilometri ed ero stanco morto. E non mi piaceva la guida sciolta <strong>di</strong> Ugo, che se<br />
teneva un <strong>di</strong>to sul volante era già tanto, ma gli occhi mi si chiudevano dalla<br />
stanchezza e andò a finire che mi sdraiai <strong>di</strong>etro e pensai “che Dio ce la man<strong>di</strong><br />
buona”.<br />
Più o meno alle sette <strong>di</strong> mattina mi aspettavo che il cielo esplodesse in<br />
un'aurora sfolgorante e che un sole abbagliante e ci desse il benvenuto in<br />
Italia. Invece l'inizio del nuovo giorno fu molto deludente: il cielo si limitò<br />
a sbia<strong>di</strong>rsi un poco e il sole non si fece neanche vedere. Eravamo <strong>di</strong> nuovo in<br />
mezzo alla nebbia. Eravamo a casa.
VII<br />
Gli alberi erano spogli e i tronchi palli<strong>di</strong> e il sole freddo e <strong>di</strong>stante. Le<br />
sere d'inverno si stava in bar e poi, <strong>di</strong> regola, si finiva a guardare un film.<br />
Diego aveva un appartamento sgombro al terzo piano, e in pratica ne avevamo<br />
fatto il nostro rifugio. Lui ci aveva messo questo scassone <strong>di</strong> televisore anni<br />
trenta, io ci avevo portato un Panasonic anti<strong>di</strong>luviano che tenevo a fare la<br />
muffa in campagna, e voilà... ecco a voi le cinèmatographe. Ce ne stavamo lassù<br />
a guardare Amici miei, Easy Rider, Gioventù Bruciata e una vasta gamma <strong>di</strong> film a<br />
luci rosse.<br />
La noia però era in agguato e mi saltò addosso come un animale malato. Mi<br />
morse e mi attaccò la sua malattia. E allora sapete cosa feci? Cominciai a<br />
fumare spinelli a tutto spiano. Prima per curiosità e poi per abitu<strong>di</strong>ne. Presi<br />
l'abitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> passare da certi tipi in stazione prima <strong>di</strong> andare in bar.<br />
E, nel buio <strong>di</strong> quell'inverno, sognavo una nuova partenza.
VIII<br />
Il viaggio successivo non arrivò prima <strong>di</strong> marzo ed ebbe come meta Amsterdam.<br />
Un lavoretto part-time come corriere, mi aveva permesso <strong>di</strong> mettere da<br />
parte i sol<strong>di</strong>. Purtroppo la stagione era troppo acerba per andare via in moto,<br />
così optammo per l'Ibiza <strong>di</strong> Diego.<br />
Tra le altre cose, il giorno prima della partenza Diego si accorse che gli<br />
antinebbia non funzionavano.<br />
- Gli antinebbia sono kaputt, - <strong>di</strong>sse.<br />
- L'autora<strong>di</strong>o in che con<strong>di</strong>zioni è?<br />
- Oh, quello è a posto.<br />
- Allora nessun problema.<br />
Che volete che vi <strong>di</strong>ca? Senza antinebbia si può anche viaggiare, senza<br />
autora<strong>di</strong>o non se ne parla.<br />
Eravamo in quattro. Io, Diego, Ugo e Remo. La vigilia della partenza si<br />
fece un salto al <strong>di</strong>scount e ci si rifornì <strong>di</strong> roba da mangiare e da bere. Comperammo<br />
pancarrè, salumi, birre, succhi <strong>di</strong> frutta e porcherie varie. Io anticipai<br />
un sacco <strong>di</strong> sol<strong>di</strong> che, ovviamente, non mi tornarono mai in<strong>di</strong>etro. Il<br />
viaggio lo si economizzava fino all'osso, siccome andavamo via in quattro e si<br />
<strong>di</strong>videva per benzina e ticket autostradali.<br />
Completati i preparativi, non restò che informare i miei genitori.<br />
Mio padre mi seccò il minimo in<strong>di</strong>spensabile: - Ce ne hai sempre una!<br />
Cos'hai, un baco nel culo?<br />
- Si vede <strong>di</strong> sì, pa', - <strong>di</strong>ssi.<br />
Il vero problema fu <strong>di</strong>rlo a mia madre.<br />
- Io vado ad Amsterdam, - scan<strong>di</strong>i risoluto a tavola.<br />
Mia madre sbiancò tutto d'un colpo. Aveva <strong>di</strong> Amsterdam un'idea come della<br />
Sodoma del 2000, e il pensiero che suo figlio potesse trovarsi in un simile<br />
luogo <strong>di</strong> per<strong>di</strong>zione la spaventava a morte. Non appena si fu ripresa dallo shock,<br />
aprì il rubinetto delle sue paranoie:<br />
- Attento, che magari i tuoi amici fanno i furbi in dogana e vi mettono in<br />
galera!<br />
Primo tocco scaramantico <strong>di</strong> bonbon.<br />
- Attento, che i tuoi amici vanno come dei matti e vi ammazzate in autostrada!<br />
Secondo tocco scaramantico <strong>di</strong> bonbon.<br />
- Attento, che là rapiscono i turisti e li usano per il traffico degli organi!<br />
Terzo tocco scaramantico <strong>di</strong> bonon.<br />
- Falla finita, ma', - <strong>di</strong>ssi.<br />
Ci volle una buona dose <strong>di</strong> balle per metterla tranquilla e convincerla che<br />
non stavo andando incontro alla morte. Mica glielo potevo <strong>di</strong>re che Amsterdam è<br />
la capitale del <strong>di</strong>vertimento, e che lì droghe leggere e prostituzione sono<br />
legalizzate. Macchè scherziamo. Mica la volevo stroncare nei suoi anni migliori.
IX<br />
I ragazzi mi passarono a prendere alle nove. L'Italia se la fece Diego<br />
tutta d'un fiato. Poi fu il mio turno al volante e guidai da un confine all'altro<br />
della Svizzera. Ero ultraprudente e mi tenevo sotto i limiti <strong>di</strong> velocità.<br />
- Se vuoi ci mettiamo a spingere, - <strong>di</strong>sse Ugo.<br />
Procedemmo a velocità <strong>di</strong> crociera tra i paesaggi da plastico ferroviario<br />
della Svizzera. Ascoltammo tutto il repertorio dei Nirvana e cominciammo con<br />
Springsteen. Quando cominciai a sentire la stanchezza, Ugo mi <strong>di</strong>ede il cambio.<br />
Stavamo sfrecciando sull' E 35 che attraversa la Germania da sud a nord. Si<br />
<strong>di</strong>ceva "quando arriviamo facciamo qua, facciamo là" e si facevano mille progetti<br />
fantascientifici, tipo visitare i mitici quartieri a luci rosse e sballare al<br />
coffeeshop. Chi non lo ha provato <strong>di</strong> persona non può immaginare i picchi <strong>di</strong><br />
euforia e cameratismo che si toccano nel corso <strong>di</strong> viaggi come questo.<br />
L'Ibiza ruggiva e macinava chilometri, e noi tenevamo alto il mito dell'<br />
italiano con la cappa <strong>di</strong> fumo, la I <strong>di</strong> Italia semiscollata e i pie<strong>di</strong> <strong>di</strong> Ugo sul<br />
cruscotto, tutti presi a dare la paga alle altre macchine, fare ciao alle scolaresche<br />
sui pullman e gettare cartacce fuori dal finestrino.<br />
Aneddoto spassoso, il camionista che suona e slampeggia e mette fuori il<br />
braccio per farci vedere l'Amaretto <strong>di</strong> Saronno. Che idolo! Solo lui valeva tutto<br />
il viaggio.<br />
Di tanto in tanto si sostava in autogrill per fare un goccio <strong>di</strong> accadueò,<br />
assicurarci una stecca <strong>di</strong> Marlboro al mentolo, sgranchirci gli arti inferiori e<br />
darci una scossa col coffee.<br />
Che strana sensazione viaggiare su un autostrada futuristico illuminato da<br />
file interminabili <strong>di</strong> lampioni gialli, con i quadranti arancio del cruscotto che<br />
brillano nella penombra della nostra piccola astronave e la mitica "Highway 29"<br />
<strong>di</strong> Springsteen nell'aria... Dalle nove <strong>di</strong> mattina alle <strong>di</strong>eci <strong>di</strong> sera non avevamo<br />
visto altro che autostrada, e tutt'a un tratto eccolo lì, il tanto sospirato<br />
cartello "AMSTERDAM"!<br />
- E fatta gente! - <strong>di</strong>sse qualcuno.<br />
- Ne abbiamo macinati <strong>di</strong> chilometri oggi, eh?<br />
Entrammo in città. Sfibrati dal viaggio, per quella sera avevamo solo<br />
voglia <strong>di</strong> un letto comodo. Unico inconveniente, non avevamo prenotato. Dalle<br />
<strong>di</strong>eci alle due <strong>di</strong> notte non facemmo altro che cercare <strong>di</strong> rime<strong>di</strong>are uno straccio<br />
<strong>di</strong> albergo o zimmer, ma era sabato e la città era presa d'asse<strong>di</strong>o dai turisti.<br />
Tutti gli hotel avevano fuori i cartelli “Full” e noi non sapevamo più che pesci<br />
pigliare.<br />
Alla fine, presi dalla <strong>di</strong>sperazione, ci facemmo una ronfata laida in macchina,<br />
una ronfata <strong>di</strong> cinque ore sì e no rannicchiati in posizione fetale, con<br />
l'aria che si faceva via via più irrespirabile a causa dei peti e del sudore<br />
rappreso. Non potevamo nemmeno aprire i finestrini, per via del freddo - ad<br />
Amsterdam a marzo è come a Reggio in <strong>di</strong>cembre! - e quando, la mattina seguente,<br />
aprimmo la portiera, fu come scoperchiare la tomba <strong>di</strong> Tutankhamon.<br />
Ci svegliammo che albeggiava con la spina dorsale a fisarmonica e la carne<br />
greve alle gambe, con i crampi ai polpacci e i brivi<strong>di</strong> <strong>di</strong> freddo. Per non<br />
parlare degli aliti killer e dell'odore pestilenziale che stagnava nell'abitacolo.<br />
A intervalli, Diego accendeva il riscaldamento della macchina per non farci<br />
perire assiderati, e in questo modo si tirò alla bell'e meglio fin verso le<br />
nove. A quel punto andammo all'ufficio turistico in stazione e trovammo un<br />
albergo.<br />
Alleluja.<br />
Lasciammo l'Ibiza in un parcheggio sotterraneo e ci precipitammo sul posto,<br />
ma la camera non era ancora pronta. Non potevamo fare altro che sederci ed<br />
aspettare. Quando alla fine prendemmo possesso della stanza, eravamo prossimi al<br />
crollo fisico.<br />
Sfatto, mi lasciai cadere sul letto e chiusi gli occhi.
Verso le otto <strong>di</strong> sera fu dato il via ufficiale al soggiorno. Per la cronaca,<br />
l'Hotel si chiamava “De Korenaer” e dava sulla Damrak, la strada che<br />
porta alla stazione. Ci costava in Fiorini l'equivalente <strong>di</strong> quarantamilalire a<br />
notte, e andava più che bene, dal momento che si trattava <strong>di</strong> una camera a<br />
quattro letti, pulitissima, con tanto <strong>di</strong> bagno, doccia e televisore, e il prezzo<br />
includeva anche un breakfast esagerato, nella migliore tra<strong>di</strong>zione olandese.<br />
Dopo una doccia e una dormita, scendemmo in strada e prendemmo la Damrak<br />
fino a Piazza Dam, poi ci infilammo in una via tutta insegne e seguimmo il corso<br />
<strong>di</strong> uno dei canali fino al famigerato Quartiere Rosso. Una notte <strong>di</strong> merda, ad<br />
Amsterdam, con una pioggerella fina fina che ti increspava i capelli, l'umi<strong>di</strong>tà<br />
che veniva su dai canali e una siberia che a momenti mi ricoverano.<br />
Gli altri decisero <strong>di</strong> spararsi subito in un coffeeshop, con la ferma intenzione<br />
<strong>di</strong> rimuovere chimicamente gli sbattimenti del trasferimento.<br />
Fu così che entrammo nel mitico “The Bulldog”. Una ripida scaletta metteva in<br />
comunicazione <strong>di</strong>retta una delle viuzze del Quartiere Rosso e il locale.<br />
Scendemmo i gra<strong>di</strong>ni ed entrammo in una saletta seminterrata con i separè <strong>di</strong><br />
legno, le luci soffuse, una cappa <strong>di</strong> fumo che non finiva più e sei o sette<br />
sguar<strong>di</strong> straniti dall'erba. Le pareti erano tappezzate <strong>di</strong> banconote straniere e<br />
caricature della razza canina da cui prende il nome il locale, più alcuni articoli<br />
<strong>di</strong> giornale relativi a un certo raid che la polizia avrebbe effettuato ai<br />
danni della catena nel lontano '87.<br />
In un angolo, <strong>di</strong>etro il banco, c'era un tizio con le braccia ricoperte <strong>di</strong><br />
tatuaggi, e accanto una vetrina contenente le più astruse qualità <strong>di</strong> erba: Nepal,<br />
White Widow, Space Chocolate, Afgaan e chi più ne ha più ne metta.<br />
Investimmo cinquanta Fiorini, che vuol <strong>di</strong>re due bustine, e ci stanziammo in<br />
uno dei separè. Diego tirò fuori il kit (carte, filtro a S preconfezionato e<br />
paglie) e fece su la prima tromba della vacanza col sottofondo memorabile <strong>di</strong> Jim<br />
Morrison che ululava Riders on the Storm su The Box . Stese una cartina sul<br />
tavolo, posizionò il filtro e sbriciolò la ganja con i polpastrelli. Aprì una<br />
sigaretta, mischiò il tabacco, cominciò a rollare e in quattro e quattr'otto<br />
confezionò un joint pesissimo, <strong>di</strong> quelli che ti mandano in orbita dopo i primi<br />
due tiri. Accese e inspirò profondamente: l'odore dell'erba saturò l'aria.<br />
Fu allora che scoprimmo il vero odore della ganja, ben <strong>di</strong>verso dal pallido<br />
surrogato che ti rifilano in quel <strong>di</strong> Reggio. Diego passò la canna a Ugo e a<br />
Remo. Poi venne il mio turno. La portai alla bocca, inspirai e sentii bruciare.<br />
Presi a tossire come non so cosa. Mi venivano giù i lacrimoni e la truppa se la<br />
rideva sotto i baffi. Mi bagnai la gola con un sorso <strong>di</strong> chiara. Riprovai e andò<br />
meglio. All'inizio mi sentii un po' stor<strong>di</strong>to, <strong>di</strong> lì in poi fui in pace col mondo<br />
e ascoltai la musica celestiale dei Doors con sulle labbra un sorriso più o meno<br />
simile a quello <strong>di</strong> Siddharta l'Illuminato.<br />
Sotto l'effetto dalla leggendaria White Widow, ci perdemmo in assur<strong>di</strong><br />
sproloqui a sfondo sessuale. Diego dondolava la testa, fissando la fiamma della<br />
candela.<br />
Riguadagnato un ego meno <strong>di</strong>latato e più delimitato, levammo le tende e<br />
visitammo il Quartiere Rosso. Basti pensare a un intreccio <strong>di</strong> viuzze, ponti e<br />
canali pieni zeppi <strong>di</strong> sexy shops, musei dell'erotismo, night club, peep show e<br />
femmine in vetrina. Le prostitute attiravano la clientela con mosse da Cleopatra<br />
e sorrisi che parlavano chiaro. Dietro ogni vetrina c'era una piccola stanza <strong>di</strong><br />
cui si poteva comperare l'intimità. Erano sud<strong>di</strong>vise per zone: c'era la zona<br />
delle nere, quella delle orientali e quella delle bianche. Certi vicoli erano<br />
talmente angusti che una persona larga <strong>di</strong> spalle faticava a passarci.<br />
Tempo cinque minuti sfociò tutto in un arrapamento collettivo, e c'era già<br />
chi <strong>di</strong>ceva - io vado, chemmifrèga! - Non sbagliava mia madre a chiamare<br />
Amsterdam “La Sodoma del 2000”! E' davvero “La Città della Tentazione”!<br />
Io stavo quasi per andarci, con una <strong>di</strong> queste. Avevo sulla punta della<br />
lingua la parola “blow job” e cinquanta Fiorini in mano, quando una paranoia mi<br />
fece cambiare idea. E' una fissa che ho da quando ho scoperto che certe ragazze<br />
fanno certe cose. La domanda è “e se per caso lei stringesse i denti?” Ti devi<br />
fidare proprio <strong>di</strong> una per darle in bocca il tuo articolo, no? Bene, quella volta<br />
la mia mente deviata partorì la visione rivoltante <strong>di</strong> una bocca sanguinolenta da<br />
cui pendeva un bacherozzo monco.<br />
Il mio bacherozzo monco.
Così, alla fine, lasciai perdere.<br />
Scivolando a tarda notte lungo il corso dei canali, mi consolai osservando<br />
l'architettura delle case <strong>di</strong> Amsterdam, costruite una a ridosso dell'altra, con<br />
la carrucola per i traslochi nel sottotetto.<br />
Alle quattro ancora camminavamo sulla Damrak, schierati come una squadra <strong>di</strong><br />
football, assaporando il silenzio delle ore piccole. Un vento artico spazzava la<br />
strada e, tornando verso l'albergo, io mi stringevo nel bavero del giubbotto <strong>di</strong><br />
pelle e mi alitavo sulle mani per tenerle calde.
X<br />
I ragazzi sonnecchiarono beati fino alle due <strong>di</strong> pomeriggio. All'alba delle<br />
nove io mi svegliai e scesi a fare colazione.<br />
Il ristorante dell'albergo aveva una vetrata che dava sulla strada e mi sistemai<br />
proprio lì davanti. Mi piaceva guardare la gente che passava, mentre<br />
mangiavo. Mi servirono una tazza <strong>di</strong> caffèlatte. Poi c'era il buffet. Mangiai<br />
tutto quello che mi riuscì <strong>di</strong> mangiare, e anche quando non ebbi più appetito,<br />
continuai a mandar giù pane tostato, uova sode e salumi. Il motivo era che<br />
volevo far fruttare al massimo i Fiorini investiti nell'albergo.<br />
Alle due si svegliarono anche gli altri e si prepararono a uscire con lentezza<br />
esasperante. Dico così perchè ci mettevano delle ore a farsi belli. Il mio<br />
tran tran giornaliero invece era ridotto al minimo. Semplicemente mi alzavo, mi<br />
levavo l'Asics ginnica che usavo da pigiama e mi infilavo nei vestiti del giorno<br />
prima.<br />
Avevo portato con me un solo zaino con dentro tre paia <strong>di</strong> mutande, tre <strong>di</strong><br />
calze, tre maglie <strong>di</strong> lana, un maglione a collo alto, un paio <strong>di</strong> pantaloni<br />
militari con i tasconi e lo spazzolino da denti. Di scarpe ne avevo solo un<br />
paio: anfibiazzi consunti ma ancora soli<strong>di</strong>. Per il sapone e il dentifricio andavo<br />
a scrocco. Devo ammettere che l'igene non è il mio forte. Mia madre <strong>di</strong>ce<br />
che la gente per bene fa la doccia tutti i giorni. Io ne farò una ogni tre<br />
giorni se va bene.<br />
Detto questo è detto tutto. Dopo un caffè al bar dell'albergo, uscimmo,<br />
arrivammo a Piazza Dam e imboccammo la Kalverstraat. Lì i miei amici presero a<br />
fermarsi in ogni singolo bazar, attirati dal fascino esotico delle magliette<br />
“enjoint Amsterdam” e dai poster <strong>di</strong>ssacranti della Monna Lisa col cannone e da<br />
tutta una serie <strong>di</strong> trovate commerciali che personalmente reputo indegne.<br />
Il centro <strong>di</strong> Amsterdam è commercializzato in pieno stile europeo: si incontra<br />
gente <strong>di</strong> tutte le razze e gli olandesi purosangue si contano sulla punta<br />
delle <strong>di</strong>ta. Tutto, dai negozi <strong>di</strong> souvenires agli alberghetti low budget, è<br />
ideato apposta per spillare sol<strong>di</strong> ai turisti. Non fatevi ingannare: la vera<br />
Amsterdam è fuori. Una decina <strong>di</strong> minuti a pie<strong>di</strong>, forse meno, e sei nell'Amsterdam<br />
degli olandesi: lì puoi comperarti un croissant senza pagarlo a<br />
peso d'oro, lì puoi permetterti una bistecca al ristorante, al posto del solito<br />
panino da Mc Donald.<br />
Una cosa che mi lasciò a bocca aperta, fu il numero inverosimile <strong>di</strong> biciclette.<br />
Accanto al traffico automobilistico, ce ne era uno ad<strong>di</strong>rittura più<br />
denso, ed era appunto quello ciclistico. Quattor<strong>di</strong>ci milioni <strong>di</strong> abitanti su due<br />
ruote. Sbalor<strong>di</strong>tivo. Le piste ciclabili erano dappertutto, costeggiavano le<br />
strade e i marciapie<strong>di</strong>. Ne avevo viste persino <strong>di</strong> quelle a due sensi <strong>di</strong> marcia,<br />
con tanto <strong>di</strong> strisce <strong>di</strong>pinte per terra.<br />
E il traffico, non solo quello delle biciclette, era or<strong>di</strong>nato e silenzioso.<br />
Una volta vi<strong>di</strong> un camioncino fermarsi in una delle vie che costeggiano i canali<br />
per scaricare della roba. La strada era stretta e imme<strong>di</strong>atamente si formò una<br />
colonna <strong>di</strong> macchine che non finiva più. Be', nessuno suonò il clacson, nessuno<br />
protestò. Tutti aspettarono che il camioncino scaricasse quello che doveva<br />
scaricare senza dare segni <strong>di</strong> impazienza. Dite quello che volete, ma per me<br />
questa è civiltà.<br />
Purtroppo il Van Gogh Museum, meta <strong>di</strong> quel nostro pomeriggio, era chiuso.<br />
Fu un vero peccato, perchè Van Gogh era uno dei pochi pittori che mi piacevano<br />
sul serio.<br />
Tornammo in<strong>di</strong>etro. I ragazzi salirono in albergo per riposarsi e prepararsi<br />
alla sera. Io feci ancora due passi. Dalla stazione, andando verso la casa <strong>di</strong><br />
Rembrandt e la zona est della città, camminai lungo canali più gran<strong>di</strong> <strong>di</strong> quelli<br />
del centro e vi<strong>di</strong> molte case galleggianti. Non potevo fare a meno <strong>di</strong> guardarle<br />
affascinato. Un giorno mi sarei ritirato in una <strong>di</strong> quelle <strong>di</strong>more. Un giorno<br />
avrei abbandonato il mondo per trovare rifugio in un eremo galleggiante. Ma<br />
allora avevo ventidue anni e il mondo era la mia casa.
Notte voleva <strong>di</strong>re aggirarci nel Quartiere Rosso con la riserva <strong>di</strong> sol<strong>di</strong><br />
d'emergenza nello stivale, visitare i peep-show e gli altri luoghi <strong>di</strong> per<strong>di</strong>zione,<br />
prendere il rancho da Mc Donald e il Kabab nei chioschi lungo la strada.<br />
Al calar del sole la poesia della città svaniva e le insegne luminose dei<br />
locali facevano del centro una sorta <strong>di</strong> trasgressivo lunapark.<br />
I turisti erano una razza cannibale. Si riversavano a frotte nelle viuzze, saturando<br />
l'aria <strong>di</strong> lingue e parlate <strong>di</strong>fferenti, mettendo a ferro e a fuoco la<br />
città.<br />
Di spacciatori, ce n'era uno ogni due passi. Ti proponevano sballi poderosi<br />
a prezzi stracciati. Non erano invadenti, però. Non insistevano, se <strong>di</strong>cevi no.<br />
Ma erano talmente tanti che dovevi <strong>di</strong>re no a ogni piè sospinto.<br />
La seconda sera ci ritrovammo in un vicolo squallido persino per un<br />
quartiere rosso. Un tizio dall'aria poco raccomandabile se ne stava in pie<strong>di</strong><br />
davanti all'ingresso <strong>di</strong> un Night. Il lavoro <strong>di</strong> questo tizio consisteva nel<br />
tirare gente dentro il Night. Se dai noi ci sono i buttafuori, ad Amsterdam ci<br />
sono i buttadentro.<br />
- Italiani? - domandò.<br />
- Sì, - rispose Ugo.<br />
E quello si mise a decantare le meraviglie del locale: - Belle fiche...<br />
chiavare veramente... vedere per credere.<br />
- Quanto? - tagliò corto Ugo.<br />
- Intero cinquanta... voi venticinque - Era la vecchia palla del prezzo <strong>di</strong>mezzato.<br />
L'avevano usata tutti i buttadentro in cui ci eravamo imbattuti.<br />
Senza neanche consultarci, Ugo <strong>di</strong>sse: - Affare fatto, tutti e quattro.<br />
Calamitati dalla scritta luminosa REAL FUCKING, entrammo in una saletta<br />
allestita alla maniera <strong>di</strong> una chiesa, con tanto <strong>di</strong> banchi e palco a forma <strong>di</strong><br />
altare. Lo spettacolo consisteva in un vero e proprio rapporto sessuale. La<br />
trama era la seguente: un tizio vestito da pirata <strong>libera</strong>va dalla prigionia una<br />
tizia, la quale poi lo ricompensava a modo suo. Ma la recitazione era scadente.<br />
Mai vista una fingere più spudoratamente. I movimenti erano meccanici, le<br />
espressioni posticce. Non solo la performance mancò <strong>di</strong> eccitarmi, ma mi lasciò<br />
fin nauseato. Quello non era sesso. Non c'era nulla <strong>di</strong> sexy. C'era l'atto, nudo<br />
e crudo, e basta.
XI<br />
Alla lunga il fumo e il porno stancano. Una notte tornai in albergo prima<br />
degli altri. Reduce dell'ennesima serata <strong>di</strong> eccessi, cappottai sul letto chiedendomi<br />
quali cicatrici alla fine dei conti mi aveva lasciato quel viaggio. Mi<br />
sentivo addosso una solitu<strong>di</strong>ne quasi mortale. Amsterdam non era più "la città<br />
dei sogni", ma una fredda inospitale giungla <strong>di</strong> per<strong>di</strong>zione. Erba e donne in<br />
vetrina. Tutto lì? Per quelle cose avevo straziato il cuore <strong>di</strong> mia madre? Per<br />
quelle cose mi ero fatto più <strong>di</strong> mille chilometri <strong>di</strong> macchina?<br />
E ripensando alla casa <strong>di</strong> città, al tavolo <strong>di</strong> cucina in cui tante volte<br />
avevo cenato con la mia famiglia, a mio padre, austero ma dal cuore d'oro, a mia<br />
madre, ipertesa e ipersensibile, e a mia sorella piccola, <strong>di</strong>spettosa ma sincera,<br />
mi sentii un po' come il figliol pro<strong>di</strong>go della parabola. E, per un istante, le<br />
paranoiche raccomandazioni <strong>di</strong> quella donna si trasformarono nelle tenere<br />
attenzioni <strong>di</strong> una madre apprensiva. E, per un istante, chiusi gli occhi e sognai<br />
<strong>di</strong> essere a casa.<br />
Restammo ad Amsterdam quattro giorni. Devo <strong>di</strong>re che i contorni dei miei<br />
ricor<strong>di</strong> non sono poi così marcati. Molti particolari sfumano, rimossi per via<br />
chimica. I flash che rapprendono sono sfocati come gli scatti <strong>di</strong> una Kodak Fun<br />
in movimento, <strong>di</strong>storti come le note <strong>di</strong> una chitarra elettrica. Ho ricostruito la<br />
realtà dei fatti soprattutto grazie agli appunti che ho preso sul momento.<br />
Il quinto giorno in teoria si parte.<br />
In teoria. Perchè, con uno scimpanzè <strong>di</strong> quaranta chili che ti balla sulla<br />
testa, è dura alzarsi dal letto, è dura prendersi su, bagagli e tutto, e mettersi<br />
al volante.<br />
Lasciammo la città a mezzogiorno, con il proposito <strong>di</strong> fare un'unica tirata.<br />
Turni e poche storie.<br />
Nell'ultimo tratto, fecero delle storie alla dogana italiana.<br />
- Dove siete stati? - domandò uno dei funzionari.<br />
- Amsterdam, - <strong>di</strong>sse Diego con un sorriso estatico.<br />
L'uomo ispezionò con lo sguardo l'interno dell'Ibiza. Il suoi occhi si soffermarono<br />
sul santino <strong>di</strong> Bob Marley, penzolante dallo specchietto.<br />
- Scendete, prendo il cane, - <strong>di</strong>sse in stile Robocop.<br />
Meno male che avevamo avuto il buon senso <strong>di</strong> dare una pulita alla macchina,<br />
prima <strong>di</strong> lasciare Amsterdam, perchè quello sguinzagliò sul serio il Commissario<br />
Rex e gli fece fiutare per benino tutta la tappezzeria. Non contento, smontò<br />
alcuni pezzi del cruscotto, controllò sotto la tela del cambio e nell'incavo fra<br />
i se<strong>di</strong>li. Poi chiamò un collega e ci fece la perquisizione totale del bagaglio.<br />
- Va be', stavolta vi è andata bene, - <strong>di</strong>sse.<br />
Noi reincastrammo il bagaglio nel <strong>di</strong><strong>di</strong>etro dell'Ibiza e ce ne andammo in<br />
tutta fretta. Avevamo perso un sacco <strong>di</strong> tempo. E volete saperne una bella? Tre o<br />
quattro chilometri dopo il confine, Diego cominciò a ridere a crepapelle, si<br />
cacciò una mano nei pantaloni e ci sbattè in faccia una bustina <strong>di</strong> plastica da<br />
venticinque Fiorini <strong>di</strong> White Widow! Aveva tenuto all'oscuro tutti.<br />
Da Chiasso a Reggio viaggiammo tranquilli, tanto il bello era andato.<br />
Emozionammo il reimpatrio con uno dei primi album del vecchio Augusto. Noma<strong>di</strong>,<br />
tanto per intenderci. Roba da farti drizzare i capelli. E in gola avevamo tutti<br />
un magone così.<br />
Fummo a Reggio con tutto comodo per le un<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> venerdì mattina.<br />
Mia madre era nera perchè non avevo mai telefonato. Mio padre era un muro <strong>di</strong><br />
silenzio. Io ero a pezzi e mi buttai a letto. Alle quattro <strong>di</strong> pomeriggio mi<br />
svegliai, preparai il caffè e cominciai a rior<strong>di</strong>nare questi appunti.
XII<br />
A pochi giorni dal mio ritorno da Amsterdam, vi fu un fatto che mi fece<br />
riflettere. Incontrai per strada una mia vecchia fiamma, una ragazza che mi era<br />
sempre piaciuta e che non avevo mai avuto il coraggio <strong>di</strong> avvicinare. Pensai <strong>di</strong><br />
chiederle <strong>di</strong> uscire ma, quando fui in pie<strong>di</strong> davanti a lei, fui colto da<br />
un'improvvisa agitazione e non riuscii a mettere in fila due parole.<br />
In seguito mi feci mille domande. Cos'era successo? Un attimo prima ero<br />
<strong>di</strong>sinvolto e sicuro <strong>di</strong> me e un attimo dopo non riuscivo a mettere in fila due<br />
parole. Credevo <strong>di</strong> non essere più un ragazzino, credevo <strong>di</strong> essere cambiato, e<br />
invece? Come mai non ero riuscito a parlare con naturalezza? Per un momento fui<br />
assalito dal dubbio <strong>di</strong> non essere cambiato affatto, poi capii. Quello che mi<br />
aveva colpito era uno dei tanti fantasmi del passato. Insomma, quella ragazza mi<br />
piaceva sin da quando ero un ragazzino timido e non mi attentavo a rivolgerle la<br />
parola. Il fantasma <strong>di</strong> quell'antica soggezione era ancora vivo e mi teneva<br />
ancorato a quei tempi. Sì, con lei ero ancora il ragazzino impacciato <strong>di</strong> un<br />
tempo. Non ero me stesso. I fantasmi del passato erano molti, e mi tenevano<br />
bloccato in una <strong>di</strong>mensione <strong>di</strong> me stesso che non mi apparteneva più.<br />
Se ci pensate è così: nel corso del tempo noi abbiamo adottato degli atteggiamenti<br />
nei confronti degli altri e gli altri hanno adottato degli atteggiamenti<br />
nei nostri confronti.<br />
Un viaggio è sempre <strong>libera</strong>torio. Quando partiamo, ci lasciamo alle spalle<br />
gli altri e gli atteggiamenti che gli altri hanno adottato nei nostri confronti<br />
e gli atteggiamenti che noi abbiamo adottato nei confronti degli altri.<br />
Sostituiamo al nostro habitat un nuovo habitat in cui nessun atteggiamento è<br />
ancora stato adottato.<br />
In questo modo noi siamo liberi <strong>di</strong> adottare atteggiamenti che sono la <strong>di</strong>retta<br />
conseguenza <strong>di</strong> quello che gli altri sono e non <strong>di</strong> quello che gli altri<br />
sono stati. E gli altri sono liberi <strong>di</strong> adottare atteggiamenti che sono la<br />
<strong>di</strong>retta conseguenza <strong>di</strong> quello che siamo e non <strong>di</strong> quello che siamo stati.<br />
Ve<strong>di</strong>amo quin<strong>di</strong> le persone come sono e non come siamo abituati a vederle. E<br />
siamo visti come siamo e non come siamo abituati a essere visti.<br />
Ciascuno <strong>di</strong> noi è più attuale, quando è in viaggio. Per questa ragione,<br />
ogni volta che torniamo, ci sentiamo <strong>di</strong>versi. E sentiamo che gli altri non lo<br />
capiscono, che l'immagine che gli altri hanno <strong>di</strong> noi non è cambiata <strong>di</strong> un<br />
virgola. Anche se noi siamo effettivamente cambiati.<br />
Un giorno avrei dovuto affrontare i fantasmi del mio passato. Tutti devono<br />
farlo, prima o poi. Ma non ero ancora pronto, quell'incontro ne era la prova. E<br />
comunque, già l'aver capito che quei fantasmi esistevano e che un giorno avrei<br />
dovuto affrontarli, era il primo passo per sconfiggerli.<br />
Ora avevo bisogno <strong>di</strong> uscire dalla loro portata, per capire chi ero veramente.<br />
Avevo bisogno <strong>di</strong> partire <strong>di</strong> nuovo. Le trasferte in Spagna e ad Amsterdam<br />
erano state due simpatiche parentesi, ma non avevano placato la mia sete. Un<br />
evasione <strong>di</strong> pochi giorni non bastava più. Avevo bisogno <strong>di</strong> un viaggio a tempo<br />
indeterminato, <strong>di</strong> una libertà più duratura e definitiva.<br />
E un bel giorno aprii la finestra e non rabbrivi<strong>di</strong>i come al solito. Mi voltai<br />
in<strong>di</strong>etro e l'inverno era già lontano. Mi accorsi con stupore <strong>di</strong> non conservare<br />
alcun ricordo <strong>di</strong> quel periodo, a parte uno sfumato senso <strong>di</strong> desolazione<br />
generale.<br />
Quel giorno non feci colazione, mi vestii in fretta e uscii. La campagna<br />
aveva preso colore. I prati erano sfavillanti e un vento tiepido scuoteva le<br />
fronde degli alberi e si portava via quel che restava dell'inverno. Il sole non<br />
era più così <strong>di</strong>stante e io andai in garage e levai il telo cerato che copriva la<br />
motocicletta. Girai la chiave nell'accensione e la mia cavalcatura lanciò il suo<br />
nitrito pronto e aggressivo. La portai fuori. Non persi tempo a pulirla o a<br />
lucidarla. Non volevo perdere neanche un istante <strong>di</strong> quel primo sole <strong>di</strong> primavera.<br />
Quella giornata era un regalo che Dio aveva fatto a me, e non volevo<br />
sprecarla. Indossai il giubbotto, montai in sella e pestai il piede sul pedale<br />
del cambio.
Uscii dal garage e presi velocità sulla provinciale. Fu esaltante scoprire<br />
che cavalcare la motocicletta mi dava ancora quel senso <strong>di</strong> esaltazione, quasi <strong>di</strong><br />
onnipotenza. Tirai la marcia e sentii quel rombo lì, fra le mie gambe, in tutta<br />
la sua rabbia. Era come cavalcare un tuono, essere in grado <strong>di</strong> <strong>di</strong>rigerlo e <strong>di</strong><br />
comandarlo. Sentivo rinascere l'entusiasmo per la vita. Di colpo i miei sensi si<br />
erano svegliati e si erano fatti acuti. Il ruggito del motore spezzava il<br />
silenzio della campagna appena desta. Cavalcai in collina, su strade poco<br />
frequentate. Lasciai sfogare la mia cavalcatura, da troppo tempo chiusa in un<br />
garage, così come lasciai sfogare la mia indole, da troppo tempo sottomessa<br />
all'inverno. E lo sfondo <strong>di</strong> tutto questo erano campi dai colori ra<strong>di</strong>osi, filari<br />
<strong>di</strong> alberi nutriti dal sole e foglie nuove.<br />
Attraversai le piazze desolate <strong>di</strong> alcuni paesi della provincia, facendo<br />
ruggire il motore, sfrecciando come un proiettile, avido <strong>di</strong> quell'ebbrezza. E le<br />
persone si voltavano e scuotevano il capo e pensavano che ero pericoloso e non<br />
sapevano quanto ero vivo.
XIII<br />
Un pomeriggio andai a trovare Diego. Se ne stava sul <strong>di</strong>vano a fare cerchi<br />
<strong>di</strong> fumo con la sigaretta e a riempire i cruciverba.<br />
- Cos'hai fatto oggi? - gli domandai.<br />
- Cruciverba.<br />
- E ieri?<br />
- Cruciverba.<br />
- Hai una vita avventurosa.<br />
- Ho voglia <strong>di</strong> andare via, - <strong>di</strong>sse posando il giornale dei cruciverba sul<br />
tavolo.<br />
- Dillo a me.<br />
- Che ne <strong>di</strong>ci <strong>di</strong> prendere le moto e <strong>di</strong> andarcene via? Che ne <strong>di</strong>ci <strong>di</strong> fare<br />
un bel viaggio? - <strong>di</strong>ssi.<br />
- Verrei cento volte, ma con Gaia come faccio?<br />
Diego aveva la ragazza in città, e non c'è niente che ti incateni a un<br />
posto come una ragazza che ti piace.<br />
- Piantala qui per un poco. Avanti, hai bisogno <strong>di</strong> cambiare aria.<br />
- Eh già, poi lei pianta me e io che faccio?<br />
- Te le tiri.<br />
- Mica bello.<br />
Gli lessi negli occhi che non sarebbe mai venuto con me. Gli sarebbe<br />
piaciuto, ma non sarebbe mai venuto.<br />
- E poi ho un esame domenica prossima... ne ho <strong>di</strong> cose da fare... non ne<br />
hai un'idea...<br />
Impegni, ragazza... le ragioni che impe<strong>di</strong>vano a Diego <strong>di</strong> partire erano i<br />
mille lacci invisibili che ci legano al luogo in cui viviamo. Gli amici, l'università,<br />
il lavoro, la ragazza... Abbiamo l'impressione <strong>di</strong> essere liberi, ma in<br />
realtà non lo siamo. Siamo cani alla catena. Siamo trattati bene, ma non<br />
possiamo andare via, perchè queste che non si vedono sono catene più forti e<br />
resistenti <strong>di</strong> quelle <strong>di</strong> ferro, e <strong>di</strong> gran lunga più <strong>di</strong>fficili da spezzare.<br />
Ci sono due mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> <strong>libera</strong>rsi <strong>di</strong> questi lacci, due tipi <strong>di</strong> partenze: uno<br />
repentino e violento, simile a uno strappo improvviso, il colpo <strong>di</strong> testa <strong>di</strong> chi<br />
non ne può più e <strong>di</strong> punto in bianco decide <strong>di</strong> partire e lo fa senza fermarsi<br />
davanti a nulla; l'altro modo è <strong>di</strong> farlo pian piano, sciogliendo un laccio per<br />
volta. Così avevo fatto io. Per me il <strong>di</strong>sancoraggio era stato graduale: l'avevo<br />
attuato lasciando l'università, sforzandomi <strong>di</strong> evitare legami sentimentali. L'ho<br />
detto e lo ripeto: non c'è niente che ti leghi a un posto come una ragazza che<br />
ti piace. Alla fine ce l'avevo fatta, ma ogni momento che trascorrevo nella mia<br />
città c'era il pericolo che i lacci si tornassero a stringere e che la città mi<br />
facesse <strong>di</strong> nuovo prigioniero. Ed era una dura lotta con me stesso. L'ideale<br />
sotto questo punto <strong>di</strong> vista sarebbe stato non restare mai troppo a lungo nello<br />
stesso posto, ma questa è una cosa che quasi nessuno è in grado <strong>di</strong> fare.<br />
Tempo fa ho letto il libro <strong>di</strong> un uomo che aveva questa stessa necessità <strong>di</strong><br />
spostamenti e la appagava andando in giro per l'America, ma costui era uno<br />
scrittore, un cantore <strong>di</strong> questa stessa teoria <strong>di</strong> libertà, che a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> me<br />
la realizzò in tutti i momenti della vita.<br />
Quell'uomo si chiamava Jack Kerouac e il suo libro è “Sulla <strong>Strada</strong>”.<br />
Le settimane passavano senza lasciare traccia. I miei amici stu<strong>di</strong>avano e<br />
passavano ore davanti ai videogiochi. Io li o<strong>di</strong>avo, i videogiochi. Cos'è, la<br />
vita non è un gioco abbastanza <strong>di</strong>vertente? La realtà è così deludente che c'è<br />
bisogno <strong>di</strong> rimpiazzarla con una realtà virtuale? Per me la vita era l'unico<br />
gioco a cui valeva la pena <strong>di</strong> giocare, l'unico gioco in cui valeva davvero la<br />
pena <strong>di</strong> uscire vincitore.<br />
Ero annoiato. E del resto cos'è la noia, se non un campanello d'allarme,<br />
una spia che ti avverte che stai sprecando il tuo tempo? Avevo bisogno <strong>di</strong> andar<br />
via. Una sera, assorto nell'ascolto della versione DeGregoriana <strong>di</strong> Vita<br />
Spericolata, mi domandai dov'ero l'ultima volta che mi ero sentito felice. Mi<br />
venne in mente quella sera sotto la Torre Eiffel, quando ero solo, un poco<br />
malinconico, ma contento e fiero <strong>di</strong> me stesso. Seduto su quella panchina mi ero
sentito felice, o almeno così mi sembrava adesso. E capii che dovevo rifarlo.<br />
Dovevo ripartire. Dovevo riprovare quel senso <strong>di</strong> libertà.<br />
Cominciò a delinearsi nella mia mente l'idea <strong>di</strong> una partenza più definitiva,<br />
l'idea <strong>di</strong> un viaggio senza una meta precisa, o meglio la cui meta era il<br />
viaggio stesso, il girovagare in sè. Avevo un itinerario abbastanza sommario del<br />
mio viaggio. Volevo arrivare a Gibilterra, attraversare lo stretto e visitare<br />
Tangeri, seguire la costa del Portogallo e vedere “la mer melèe au soleil”.<br />
Avevo mo<strong>di</strong>ficato l'equipaggiamento in base a quello che avevo imparato nel<br />
corso delle mie precedenti esperienze <strong>di</strong> viaggio. Avevo montato un bauletto<br />
sulla motocicletta. Ci avrei messo dentro uno zaino e una volta arrivato a<br />
Gibilterra avrei lasciato la moto in un garage, me lo sarei caricato sulle<br />
spalle e avrei visitato Tangeri. Avevo comperato un paio <strong>di</strong> pantaloni <strong>di</strong> pelle<br />
per limitare le vibrazioni alle parti basse. E da qualche mese avevo cominciato<br />
ad andare in palestra tutti i giorni per essere in forma al momento della partenza.
XIV<br />
E sul più bello arrivò lei, la più stretta catena che la città mi avesse<br />
mai messo al collo.<br />
Si chiamava Giulia ed era una bella ragazza dai capelli rossi, con un fisico<br />
snello e sodo scolpito dall'aerobica e dalla ginnastica. Mi innamorai <strong>di</strong><br />
lei. Rimandai la partenza per tre volte <strong>di</strong> fila. Non sapevo cosa mi era saltato<br />
in mente quando avevo deciso <strong>di</strong> fare quel viaggio. Tutt'a un tratto mi sembrava<br />
una per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> tempo.<br />
Eh sì, si era creata una tenerezza, e questa tenerezza mi aveva sottratto<br />
la voglia <strong>di</strong> partire. Ma dentro <strong>di</strong> me c'era qualcosa che resisteva, una<br />
scintilla che tutto l'amore che provavo per Giulia non avrebbe mai potuto<br />
estinguere, un debito verso me stesso, o meglio verso quel me stesso che avevo<br />
conosciuto durante il viaggio a Parigi. Giorno per giorno quella scintilla<br />
crebbe, fino a <strong>di</strong>ventare incen<strong>di</strong>o. Le giornate si allungavano e la stagione si<br />
faceva ogni giorno più mite. Io avevo voglia <strong>di</strong> partire, ma volevo anche stare<br />
con Giulia e non potevo mettere insieme le due cose. Da una parte, avevo paura<br />
<strong>di</strong> perderla; dall'altra, avevo una gran fame <strong>di</strong> vita e non me la sentivo <strong>di</strong><br />
fermarmi. L'esigenza <strong>di</strong> una libertà totale e incon<strong>di</strong>zionata era <strong>di</strong>ventata la mia<br />
malattia e mi obbligava a separarmi da lei.<br />
Fu lei a lasciarmi, ma io penso, forse inconsciamente, <strong>di</strong> aver fatto in<br />
modo che mi lasciasse. Non avrebbe avuto senso andare via con il pensiero fisso<br />
<strong>di</strong> lei che mi aspettava. Non avrebbe avuto senso partire e allo stesso tempo<br />
aver voglia <strong>di</strong> tornare in<strong>di</strong>etro. Il viaggio sarebbe stato un fallimento sin<br />
dall'inizio.<br />
Litigammo per un motivo stupi<strong>di</strong>ssimo e Giulia <strong>di</strong>sse che la storia tra noi<br />
era finita. Non tentai <strong>di</strong> farle cambiare idea. Ora che quella catena era spezzata,<br />
ero libero <strong>di</strong> partire. Decisi <strong>di</strong> non perdere tempo e <strong>di</strong> farlo il giorno<br />
seguente.
XV<br />
Alla vigilia <strong>di</strong> ogni viaggio, tutte le ansie e le esitazioni che hai dentro<br />
si concentrano in quelle cinque o sei ore che precedono la partenza.<br />
Mi svegliai nel bel mezzo della notte e non presi più sonno. Gibilterra mi<br />
sembrava così lontana, il viaggio così faticoso.<br />
Quella mattina mi sforzai <strong>di</strong> non dar retta ai dubbi dell'ultima ora, infilai<br />
i vecchi anfibi sfatti da girovago, cacciai il passaporto nella tasca del<br />
giubbotto, presi armi e bagagli e andai a salutare mia madre. Ero rassegnato,<br />
come se si trattasse <strong>di</strong> uno spiacevole dovere anzichè <strong>di</strong> un viaggio <strong>di</strong> piacere.<br />
La motocicletta si accese al primo colpo.<br />
A <strong>di</strong>spetto delle ansie <strong>di</strong> poco prima, quel rombo riportò la situazione a un<br />
clima <strong>di</strong> spensieratezza. Partii. Presi l'autostrada. Presto vi<strong>di</strong> tutto in una<br />
luce <strong>di</strong>versa e seppi d'aver fatto la cosa giusta, che la vita è una sola e non<br />
la si può sprecare a Reggio nell’Emilia.<br />
Era una giornata soleggiata e io mi sentivo bene e sentivo che le preocupazioni<br />
<strong>di</strong>minuivano man mano che aumentavano i chilometri che mettevo tra me e<br />
la mia città. Divenni euforico. Tanto che lanciai un grido da cow-boy, giuro.<br />
Stupii persino me stesso. Ero <strong>di</strong> nuovo libero, affidato a me stesso. Ero <strong>di</strong><br />
nuovo un cavaliere errante in sella al suo cavallo. Finalmente ero vivo per<br />
qualcosa.<br />
Era la domenica <strong>di</strong> Pasqua e nei primi cento chilometri <strong>di</strong> autostrada penso<br />
<strong>di</strong> avere incontrato una decina <strong>di</strong> automobili a <strong>di</strong>re tanto. Fa un effetto strano<br />
vedere le strade così vuote. L'impressione è che si stia sbagliando strada.<br />
Bisogna <strong>di</strong>rlo: il traffico, se non altro, è rassicurante.<br />
Ero solo e davanti a me c'era questo stradone, <strong>di</strong>ritto e maestoso, questa<br />
spettacolare <strong>di</strong>stesa <strong>di</strong> cemento che il riflesso del sole faceva sembrare bagnata.<br />
Andai in <strong>di</strong>rezione Parma, poi presi per La Spezia e mi lanciai sull'Autostrada<br />
della Cisa. A un certo punto sbagliai strada per davvero e non<br />
andai verso Genova ma uscii dall'autostrada e andai verso La Spezia. Il mio<br />
problema è che quando so <strong>di</strong> aver sbagliato strada non mi fermo e torno in<strong>di</strong>etro.<br />
Spero sempre che la <strong>di</strong>rezione non sia sbagliata del tutto e cerco <strong>di</strong><br />
ricongiungermi alla strada che dovevo prendere in origine. E' questione <strong>di</strong><br />
orgoglio, penso, o <strong>di</strong> ottusità. In questo modo perdo del gran tempo e non risolvo<br />
nulla, perchè non trovo mai altre strade e, quando decido <strong>di</strong> fermarmi e <strong>di</strong><br />
tornare in<strong>di</strong>etro, mi tocca fare un sacco <strong>di</strong> chilometri in più <strong>di</strong> quelli che<br />
avrei fatto se mi fossi fermato subito. E anche quella volta vagai inutilmente<br />
per La Spezia in cerca <strong>di</strong> un'in<strong>di</strong>cazione, non ne trovai e alla fine rientrai in<br />
autostrada e andai in <strong>di</strong>rezione Genova.<br />
Ero quasi arrivato a Ventimiglia quando mi fermai in un'area <strong>di</strong> servizio<br />
per fare il pieno <strong>di</strong> benzina alla motocicletta. Ne approfittai per farmi un<br />
caffè. Poi uscii a fumare una paglia. Stava cominciando a scendere una pioggia<br />
molto fine.<br />
Appena al <strong>di</strong> là del confine con la Francia cominciò a <strong>di</strong>luviare. Decisi <strong>di</strong><br />
uscire dall'autostrada. Oltretutto, la strada bagnata non è mai una buona<br />
compagna per un motociclista. Andai verso Monte-Carlo. Non avevo mai visto il<br />
principato e avevo la mezza idea <strong>di</strong> visitarlo. Se avessi trovato un buon<br />
albergo, avrei anche potuto passare lì la notte. Scesi lungo una serie <strong>di</strong><br />
tornanti e dopo il primo scivolone, che fortunatamente non ebbe conseguenze,<br />
imparai a dosare la velocità.<br />
Visitai il centro <strong>di</strong> Monte-Carlo, ma non mi fermai da nessuna parte. Troppi<br />
superalberghi con ban<strong>di</strong>ere sventolanti e Rolls Royce davanti all'ingresso,<br />
soprattutto nelle vicinanze del Casinò. Se entri in uno <strong>di</strong> questi alberghi<br />
vestito da motociclista, l'uomo alla reception ti guarda dall'alto in basso e sa<br />
già che non puoi permetterti una camera. Lo sa senza aver bisogno <strong>di</strong> sapere chi<br />
sei o da dove vieni o <strong>di</strong> chi sei figlio. Mi è capitato, sapete? E lasciatemi<br />
<strong>di</strong>re che questo è il genere <strong>di</strong> albergo in cui non metterei piede per tutto l'oro<br />
del mondo.<br />
Seguii le in<strong>di</strong>cazioni per Nizza e lì cominciai a cercare una sistemazione.<br />
Fermai la moto davanti a un hotel a tre stelle ed entrai.
- Bon soir.<br />
- Bon soir, monsieur - <strong>di</strong>sse la ragazza seduta alla reception.<br />
Dio, come mi piaceva essere chiamato monsieur. Mi sarebbe piaciuto essere a<br />
letto con una ragazza francese ed essere chiamato monsieur nell'attimo più<br />
ardente.<br />
- Avete una singola per stanotte? - domandai in inglese.<br />
La ragazza quasi si mise a ridere. Poi mi guardò facendomi sentire molto<br />
molto ingenuo e <strong>di</strong>sse: - Stasera non c'è una stanza <strong>libera</strong> <strong>di</strong> qui a Cannes.<br />
- Ne siamo sicuri?<br />
- Oui.<br />
Anche oui mi faceva molto sesso. Diciamo che tutta la lingua francese mi<br />
faceva quell'effetto.<br />
Salutai e uscii. Mi sentivo preso per i fondelli. Era la domenica <strong>di</strong> Pasqua,<br />
okay, ma era possibile che non vi fosse una stanza <strong>libera</strong> <strong>di</strong> lì a Cannes?<br />
Non mi persi d'animo ed entrai in altri alberghi. Non c'era un buco libero. Ero<br />
fregato. I miei genitori mi avevano sconsigliato <strong>di</strong> partire quel giorno proprio<br />
per via delle <strong>di</strong>fficoltà che avrei incontrato nel trovare l'albergo. E come al<br />
solito io non avevo dato retta ai loro consigli. Il fatto è che i miei fanno<br />
ogni volta le ipotesi più assurde e iettatorie... e purtroppo finiscono sempre<br />
per aver ragione.<br />
Tentai la sorte in una decina <strong>di</strong> alberghi, e ogni volta ricevetti la stessa<br />
risposta. Alla fine, sconsolato, guidai tra le luci volgari delle insegne della<br />
Promenade des Anglais verso Antibes e Cannes. Sul lungomare c'erano pizzerie e<br />
ristoranti dai nomi italiani. Vedevo gli stessi fast-food, le stesse catene <strong>di</strong><br />
negozi che avevamo in Italia. Mi sembrava <strong>di</strong> non essermi mosso per niente.<br />
Quanto lontano sarei dovuto andare per trovare qualcosa <strong>di</strong> veramente <strong>di</strong>verso?<br />
Le onde si frangevano sulla spiaggia, non aveva ancora smesso <strong>di</strong> piovere e<br />
tirava un vento gelido sul lungomare <strong>di</strong> Cannes. Erano le <strong>di</strong>eci passate e mi ero<br />
rassegnato a passare la notte su una panchina della spiaggia. Entrai<br />
nell'ennesimo albergo, già sapendo quello che mi avrebbero detto. Ma un<br />
sant'uomo alla reception ebbe compassione e prese a fare telefonate a tutti gli<br />
alberghi della città chiedendo se era <strong>di</strong>sponibile una camera. Dopo su per giù un<br />
milione <strong>di</strong> tentativi, trovò la stanza e mi spiegò come si arrivava all'hotel in<br />
questione. Lo ringraziai e, pensando che se lo aspettasse, feci per lasciargli<br />
la mancia, ma quello tornò alla svelta al suo posto e mi fece intendere che non<br />
avrebbe accettato mance da me. Si vede che ho proprio l'aria del morto <strong>di</strong> fame,<br />
mi venne da pensare. Lo ringraziai nuovamente e me ne andai pensando che le<br />
persone gentili e <strong>di</strong>sinteressate non sono ancora una razza del tutto estinta.<br />
Era uno <strong>di</strong> quei gran<strong>di</strong> alberghi anonimi molto lussuosi e molto cari. La<br />
camera era spaziosa e il letto a una piazza e mezza era comodo. Sistemai la mia<br />
roba, mi rilassai e mi lavai, poi uscii e andai a mangiare qualcosa.<br />
Cannes era così piena <strong>di</strong> italiani che avevo l'impressione <strong>di</strong> essere ancora<br />
in Italia. Ovunque andassi, lo spettro della mia lingua mi perseguitava. Entrai<br />
in un ristorante e or<strong>di</strong>nai il mio solito menù da viaggio, entrecote&pommes à<br />
l'eau.<br />
Camminai verso il Palais des Festivals e pensai al motivo che mi aveva<br />
spinto a partire e mi domandai se davvero avevo fatto la cosa giusta. Per un<br />
attimo ne dubitai e rivi<strong>di</strong> la mia città e la ragazza che avevo perso ed ebbi<br />
l'impressione che la mia fuga non avesse senso. Poi pensai al mio sogno <strong>di</strong><br />
scrivere un libro e vi<strong>di</strong> il mio viaggio in una luce nuova.<br />
Quando entrai in camera ero sereno e speranzoso. Non accesi la tivù, mi<br />
stesi sul letto e tirai fuori l'Antologia <strong>di</strong> Spoon River. Mi piaceva da matti<br />
quel libro. Non era come gli altri libri <strong>di</strong> poesie che avevo letto. Le poesie<br />
erano quasi tutte <strong>di</strong>rette, chiare, comprensibili. Pensavo che questo fosse<br />
dovuto al fatto che Edgar Lee Masters era un avvocato, e un avvocato deve farsi<br />
intendere da chi lo ascolta. Non so, forse era destino che il segnalibro si<br />
trovasse in quel punto del libro. Fatto sta che lessi una poesia che mi lasciò a<br />
bocca aperta e che si adattava alla perfezione al mio stato d'animo.<br />
George Gray<br />
Molte volte ho osservato<br />
il marmo che hanno scolpito per me -
un vascello con una vela ammainata<br />
alla fonda in un porto.<br />
In verità ciò non rappresenta la mia destinazione<br />
ma la mia vita.<br />
Perchè mi fu offerto l'amore e io<br />
fuggii i suoi <strong>di</strong>singanni;<br />
il dolore bussò alla mia porta, ma ebbi paura;<br />
mi chiamò l'ambizione, ma le opportunità mi hanno<br />
terrorizzato.<br />
Eppure continuavo a desiderare<br />
<strong>di</strong> dare un significato alla mia vita.<br />
E ora io so che bisogna alzare le vele<br />
e prendere i venti del destino<br />
dovunque conducano il vascello.<br />
Dare un significato alla propria vita<br />
può finire in follia,<br />
ma la vita senza significato è la tortura<br />
del senza requie e vago desiderio -<br />
essa è un vascello che smania per il mare<br />
e ne ha paura.<br />
Era una poesia splen<strong>di</strong>da e io capivo cosa aveva voluto <strong>di</strong>re Edgar Lee<br />
Masters quando l'aveva scritta. Lessi altre quattro o cinque poesie senza trovarne<br />
nessuna bella come quella, poi mi addormentai.
XVI<br />
La mattina seguente, in tutta calma, mi alzai, scesi al pianoterra e feci<br />
colazione. Il conto dell'albergo fu salatissimo, e pensai che dopotutto sarebbe<br />
stato meglio se avessi passato la notte sopra una panchina della spiaggia.<br />
Tornai in camera e feci ad<strong>di</strong>rittura la doccia. Non ne avevo davvero bisogno,<br />
ma pensai che nei giorni a venire non mi sarebbe capitato tanto spesso <strong>di</strong><br />
avere a <strong>di</strong>sposizione un bagno lindo e profumato come quello, così mi levai il<br />
pensiero. Mi deodorai e mi rasai. Usai la spazzola per <strong>di</strong>stricare i no<strong>di</strong> che<br />
avevano fatto i miei capelli e fu una sofferenza più unica che rara. Alla fine<br />
mi guardai allo specchio e mi trovai, modestamente, in forma smagliante.<br />
L'autostrada mi aveva stufato così decisi per quel giorno <strong>di</strong> non riprenderla<br />
e <strong>di</strong> seguire la strada lungo la costa. Fu così che per la prima volta vedetti<br />
la Costa Azzurra. Ero passato <strong>di</strong> lì per ben due volte negli ultimi tempi<br />
ma non l'avevo mai vista veramente perchè ero in autostrada e l'autostrada è<br />
comodo e <strong>di</strong>retto ma anche molto monotono. Sulla sinistra si susseguirono per un<br />
pezzo spiagge affollate <strong>di</strong> bagnanti, poi la strada prese a serpeggiare sul<br />
massiccio dell'Esterel. Tenevo un'andatura tranquilla e mi prendevo il tempo <strong>di</strong><br />
vedere le cose. I profili violenti delle rochers rouges conferivano al paesaggio<br />
sembianze infernali. Il contrasto tra il blu intenso del mare e il rosso delle<br />
rocce era qualcosa <strong>di</strong> fenomenale.<br />
Più avanti il paesaggio era nuovamente mutato, ora era verdeggiante e<br />
boscoso. Ero ormai quasi a Tolona. E a Tolona ebbi un problema. Sentii il rumore<br />
<strong>di</strong> uno strappo e vi<strong>di</strong> nello specchietto la mia biancheria sparsa sull'asfalto.<br />
Una delle borse laterali della motocicletta si era scucita! Imprecai e mi fermai<br />
a lato della strada. Feci una decina <strong>di</strong> metri a pie<strong>di</strong> e raccolsi quello che<br />
avevo perso. Cercai quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> infilarlo <strong>di</strong> nuovo nella borsa ma quella era<br />
scucita per metà e non c'era verso. Allora mi venne un'idea. Insieme agli<br />
attrezzi della motocicletta avevo portato con me anche un rotolo <strong>di</strong> nastro<br />
isolante spesso e robusto. Era quello che ci voleva. Ficcai la mia biancheria<br />
nella borsa e cominciai a darci <strong>di</strong> nastro isolante. Consumai quasi tutto il<br />
rotolo, e se il risultato che ottenni non fu il massimo dal punto <strong>di</strong> vista<br />
estetico, state sicuri che fu un ottimo rime<strong>di</strong>o dal punto <strong>di</strong> vista pratico.<br />
Tutt'a un tratto mi sentii pieno <strong>di</strong> risorse. Insomma, avevo risolto il problema.<br />
Cosa importava se era un problema da poco?<br />
Decisi <strong>di</strong> fermarmi a Marsiglia. Non ebbi alcun problema a trovare l'albergo.<br />
Il giorno seguente la gente avrebbe ricominciato a lavorare. Solo io non<br />
avevo niente da fare. E se pensate che per questo mi sentissi in colpa siete<br />
fuori strada.
XVII<br />
L'auberge de jeunesse era al secondo piano <strong>di</strong> una palazzina grigia, a due<br />
passi dal porto. Non era il Grand Hotel, ma il denaro andava tenuto da conto e<br />
ne avevo speso molto quella notte a Cannes. Gli appartamenti agli altri piani<br />
erano affittati a uomini e donne <strong>di</strong> colore.<br />
I dormitori erano due, quello maschile e quello femminile. Il mio letto si<br />
trovava in una sala spoglia insieme ad altri nove letti. La sala era ampia e<br />
aveva due termosifoni; questi ultimi erano fred<strong>di</strong> e, anche se fossero stati<br />
bollenti, non sarebbero riusciti a riscaldarla tutta.<br />
Cenai, quin<strong>di</strong> mi concessi una romantica passeggiata con me stesso lungo il<br />
porto, una vera e propria foresta <strong>di</strong> alberi e scafi. Passeggiai osservando la<br />
sterminata <strong>di</strong>stesa <strong>di</strong> barche, alzando <strong>di</strong> tanto in tanto lo sguardo alla basilica<br />
<strong>di</strong> Notre-Dame de la Garde e alla mole massiccia <strong>di</strong> Fort Saint-Nicolas, che<br />
sorvegliava la città dall'alto. E Marsiglia aveva bisogno <strong>di</strong> essere sorvegliata.<br />
Era sempre stata una città irrequieta, animata da spiriti altrettanto<br />
irrequieti. Era stato Luigi XIV a far costruire Fort Saint-Nicolas sul lato opposto<br />
a Fort Saint-Jean e a dare l'or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> non puntare i cannoni della fortezza<br />
verso il mare, ma verso la terra ferma.<br />
Tornai in ostello. Un uomo era steso su uno dei letti. Era sulla trentina,<br />
aveva indosso una t-shirt e un paio <strong>di</strong> scarpe da ginnastica dalla suola quasi<br />
del tutto consumata. A giu<strong>di</strong>care dalla barba, folta e ispida, e dalla sacca <strong>di</strong><br />
tela consunta posata ai pie<strong>di</strong> del letto, aveva l'aria del vagabondo.<br />
Andai a letto, presi sonno e sognai. Nel sogno, me ne stavo seduto al<br />
tavolo della cucina, insieme alla mia famiglia. Mia madre portava in tavola un<br />
abbondante piatto <strong>di</strong> pasta asciutta. Tutti erano allegri e mangiavano <strong>di</strong> gusto.<br />
Io avevo la sensazione che ci fosse qualcosa <strong>di</strong> sbagliato. Non avrei dovuto<br />
essere lì, ma da un'altra parte.<br />
Mi svegliai e osservai il dormitorio nella penombra. Il passaggio dal sogno<br />
all'insignificante squallore <strong>di</strong> quella sala mi fece sentire più solo che mai. Mi<br />
girai nel letto, strinsi il lenzuolo nelle mani e mi lasciai prendere dalla<br />
malinconia. Mi appisolai quando ormai albeggiava.<br />
Non fu il sole a svegliarmi, ma le urla <strong>di</strong> una donna al piano superiore. Mi<br />
stropicciai gli occhi e mi tirai a sedere. Feci per andare in bagno a darmi una<br />
lavata, ma non appena posai i pie<strong>di</strong> sul freddo pavimento dell'ostello mi resi<br />
conto che gli anfibi non erano dove li avevo lasciati. Mi sporsi e guardai sotto<br />
il letto. Non erano nemmeno lì. Cercai <strong>di</strong> farmi venire in mente dove li avevo<br />
cacciati e rivolsi uno sguardo al mio compagno <strong>di</strong> stanza: il letto era sfatto e<br />
dell'uomo non c'era più traccia.<br />
Imprecai a bassa voce e camminai scalzo sul pavimento gelido. Ai pie<strong>di</strong><br />
dell'altro letto c'erano le scarpe che avevo visto ai pie<strong>di</strong> del vagabondo. Erano<br />
tenute insieme a forza <strong>di</strong> nastro adesivo e puzzavano da far schifo.<br />
Seguendo un impulso improvviso, tornai al mio letto e controllai che non<br />
mancasse altro. Nelle borse era tutto a posto e il passaporto era ancora nella<br />
tasca del giubbotto.<br />
Dovevo rime<strong>di</strong>are al più presto un altro paio <strong>di</strong> scarpe, ma non potevo<br />
arrivare scalzo fino al negozio.<br />
C'era una sola cosa da fare. Indossai una maglia e dei jeans, mi avvicinai<br />
al letto sfatto del vagabondo e questa volta mi sedetti. Guardai le scarpe da<br />
ginnastica tenute insieme dal nastro adesivo e mi resi conto <strong>di</strong> non provare<br />
rabbia verso l'uomo che mi aveva rubato gli anfibi. Chiunque calzasse scarpe<br />
come quelle aveva il sacrosanto <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> rubare le scarpe a chi si poteva<br />
permettere <strong>di</strong> acquistarne un altro paio.<br />
Le scarpe erano <strong>di</strong> un paio <strong>di</strong> numeri più strette delle mie e faticai a<br />
infilarle. Quando alla fine ce la feci, entrambe le scarpe ebbero un ce<strong>di</strong>mento<br />
sul davanti e dalle loro punte sfasciate fecero capolino le mie <strong>di</strong>ta dei pie<strong>di</strong>.<br />
Mossi le <strong>di</strong>ta. I miei pollici andarono su e giù. Tutt'a un tratto non la smettevo<br />
più <strong>di</strong> ridere.<br />
Lasciai la stanza e u<strong>di</strong>i la voce <strong>di</strong> una ragazza nell'atrio dell'ostello.
- Le chauffage ne marche pas.<br />
Mi affrettai in quella <strong>di</strong>rezione. Una ragazza si stava lamentando con il<br />
portiere. Era ben fatta, e aveva la parlata che hanno tutte le ragazze francesi.<br />
Un pigolio, più che una parlata, con quella erre che mi fa <strong>di</strong>ventare matto.<br />
Mi schiarii la gola. La ragazza si voltò, abbassò gli occhi e osservò le<br />
scarpe da ginnastica sfasciate da cui spuntavano le mie <strong>di</strong>ta dei pie<strong>di</strong>.<br />
- Quelle èlègance , - sbottò con un'alzata <strong>di</strong> sopracciglia.<br />
Rosso dalla vergogna, tentai in tutti i mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> spiegare che quelle scarpe<br />
non erano mie, e mi pentii amaramente <strong>di</strong> non aver mai prestato attenzione alle<br />
lezioni <strong>di</strong> francese, ai tempi del Liceo. La ragazza ascoltò con attenzione e<br />
spiegò la situazione al portiere. Questi si <strong>di</strong>chiarò <strong>di</strong>spiaciuto, ma dalla<br />
perplessità che usò nello scuotere il capo intuii che episo<strong>di</strong> come quello erano<br />
all'or<strong>di</strong>ne del giorno.<br />
Il portiere in<strong>di</strong>cò alla ragazza la via per raggiungere un negozio <strong>di</strong><br />
scarpe. - Mercì beucoup. Ajoustez le cheuffage, - <strong>di</strong>sse lei. Rivolta a me,<br />
aggiunse: - Allons, monsieur.<br />
- Elise, - si presentò quando fummo all'aperto.<br />
Ci avviammo insieme al negozio <strong>di</strong> scarpe. Elise era pratica delle strade <strong>di</strong><br />
Marsiglia: mi faceva piacere che avesse preso a cuore il mio problema.<br />
Le lacune che avevo nella lingua francese non mi consentivano <strong>di</strong> esprimermi<br />
con naturalezza e mi costringevano a pronunciare frasi lente e sgrammaticate.<br />
Non avrei importunato Elise a lungo, se non avessi letto nei suoi occhi una<br />
sorta <strong>di</strong> <strong>di</strong>vertito entusiasmo. Non era infasti<strong>di</strong>ta dalla necessità <strong>di</strong> ripetere a<br />
più riprese gli stessi concetti, mostrava anzi gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>sponibilità e simpatia.<br />
Davanti al negozio <strong>di</strong> scarpe mi domandò cosa ero venuto a fare in Francia.<br />
Dissi che stavo viaggiando per scrivere un romanzo e dovetti mimare l'atto dello<br />
scrivere per far sì che capisse a cosa mi riferivo.<br />
Entrammo nel negozio. Andai a sedermi su una poltroncina e mi levai le<br />
scarpe da ginnastica sfasciate. Avevo bisogno <strong>di</strong> un paio <strong>di</strong> scarpe robuste.<br />
- Quel est votre pointure? - domandò il commesso.<br />
Lo guardai senza capire. Elise prese in mano una scarpa a caso e mi in<strong>di</strong>cò<br />
il numero sotto la suola.<br />
- Quarante-sept , - <strong>di</strong>ssi titubante.<br />
Il commesso mi mostrò un paio <strong>di</strong> stivaletti neri con la cerniera. Seguirono<br />
un paio <strong>di</strong> scarponi da montagna, un paio <strong>di</strong> anfibi simili a quelli che usava la<br />
polizia, con i cinturini sul davanti, e un paio <strong>di</strong> anfibi classici, con i lacci.<br />
Giu<strong>di</strong>cai questi ultimi adatti e li acquistai.<br />
Uscii dal negozio con ai pie<strong>di</strong> il mio nuovo paio <strong>di</strong> anfibi e mi sentii<br />
subito meglio. Stai attento a non fartele portar via un'altra volta, <strong>di</strong>ssi a me<br />
stesso.<br />
Guardai Elise con gratitu<strong>di</strong>ne. Lei sorrise. Aveva un viso rotondo e solare,<br />
il genere <strong>di</strong> viso che sembra fatto apposta per sorridere. Solo allora mi resi<br />
conto <strong>di</strong> quanto fosse bella e mi domandai cosa <strong>di</strong>avolo facesse in un ostello<br />
della gioventù, sola per giunta. La flori<strong>di</strong>tà del suo seno, unita al naturale<br />
sex-appeal della lingua, la rendeva irresistibile. Io la desideravo allo stesso<br />
modo in cui si desidera una qualsiasi bella ragazza.<br />
Pranzammo in una brasserie. Elise or<strong>di</strong>nò una consommè e io una cote de<br />
boeuf. Le domandai per quale ragione era a Marsiglia. Elise <strong>di</strong>sse <strong>di</strong> avere<br />
appuntamento con il suo fidanzato che stu<strong>di</strong>ava in Italia e che sarebbe arrivato<br />
quella sera da Firenze. Elise stravedeva per Firenze e rimase sconcertata quando<br />
<strong>di</strong>ssi che non avevo mai messo piede nella città degli Uffizi.<br />
Le parole della ragazza bastarono a mandar via dalla mia mente tutti quei<br />
pensieri. Adesso era chiaro che Elise non aveva alcuna intenzione nei miei<br />
riguar<strong>di</strong>.<br />
Passammo una la giornata insieme e il mio francese migliorò <strong>di</strong> più in<br />
quella giornata che in tutti gli anni del Liceo.<br />
Tornammo all'auberge e venne il momento <strong>di</strong> separarsi. Elise mi baciò su una<br />
guancia e io pensai che forse non l'avrei più rivista e provai una grande<br />
malinconia. Se nel corso della giornata avevo avvertito una sorta <strong>di</strong> fasti<strong>di</strong>o,<br />
ogni volta che il fidanzato <strong>di</strong> Elise veniva nominato, in quel momento sentivo<br />
una vera e propria gelosia. Pensai alla notte d'amore che spettava a lui e alla<br />
notte <strong>di</strong> solitu<strong>di</strong>ne che spettava a me, un'altra notte in quella gelida stanza<br />
d'ostello in compagnia <strong>di</strong> ladri e vagabon<strong>di</strong>, e per un istante mi pentii <strong>di</strong> non
essere partito quel giorno e <strong>di</strong> aver passato la giornata insieme a Elise. Ma mi<br />
resi conto imme<strong>di</strong>atamente che si trattava <strong>di</strong> un pensiero stupido e dettato dalla<br />
gelosia. La compagnia <strong>di</strong> quella ragazza mi aveva fatto bene e un'altra notte in<br />
ostello non era poi la fine del mondo.<br />
Tirai un sospiro rassegnato, ricambiai il bacio e mi ritirai.<br />
Quando si fece sera, lasciai l'ostello e risalii per un breve tratto La Canebière.<br />
Entrai in un bistrot, ma non mangiai quasi niente. Non avevo appetito,<br />
avevo voglia <strong>di</strong> bere. Or<strong>di</strong>nai una birra. E un'altra. E un'altra ancora. Quando<br />
mi sentii piacevolmente ubriaco, tornai all'auberge.<br />
Mi buttai a letto senza levarmi i vestiti nè gli anfibi. Dormii male e in<br />
ogni caso dormii sì e no due ore. Più o meno alle quattro del mattino mi<br />
svegliai, spalancai gli occhi e non mi mossi.<br />
Era stato un rumore a destarmi, ma che tipo <strong>di</strong> rumore? Schiusi le labbra e<br />
restai in ascolto. U<strong>di</strong>i un cigolio e vi<strong>di</strong> la porta del corridoio aprirsi<br />
lentamente. Restai immobile. La porta si era aperta del tutto e una sagoma scura<br />
era sgattaiolata furtivamente nella stanza. Male<strong>di</strong>ssi la mia ingenuità. Si<br />
trattava quasi certamente della persona che mi aveva rubato le scarpe. Ora<br />
tornava per compiere un altro furto. Che stupido ero stato a non essermene<br />
andato!<br />
La sagoma avanzò nella penombra. Non mi sentivo pronto ad affrontare un<br />
uomo e pensai vigliaccamente che forse mi conveniva fare finta <strong>di</strong> dormire e<br />
lasciarmi derubare invece <strong>di</strong> ingaggiare una lotta. Avrei voluto urlare e<br />
chiamare aiuto, ma la mia voce se ne era andata via insieme al mio coraggio. Non<br />
osavo muovere un muscolo e temevo che, se mi fossi mosso, colui che era entrato<br />
nella stanza si sarebbe avventato su <strong>di</strong> me e non mi avrebbe lasciato scampo.<br />
Tutto accadde in un attimo e in quell'attimo fui paralizzato dalla paura e non<br />
potei far nulla. Con un balzo la sagoma misteriosa piombò su <strong>di</strong> me. Mani abili<br />
mi <strong>libera</strong>vano dagli abiti, a cominciare dagli stivali nuovi. Possibile che<br />
intendesse portarmi via tutto ciò che avevo indosso, compresi gli abiti che<br />
indossavo? Fui investito da una nuova ondata <strong>di</strong> panico nel momento in cui due<br />
mani gelide si posarono sulla mia schiena, e pensai a una forma <strong>di</strong> violenza<br />
ancora peggiore.<br />
- Dèshabillez-vous.<br />
Nel giro <strong>di</strong> un istante tutto mutò. Quel peso su <strong>di</strong> me <strong>di</strong>ventò un dolce peso<br />
e quel tocco ostile <strong>di</strong>ventò un tocco gentile.<br />
- Es-tu effrayè? - <strong>di</strong>sse Elise.<br />
Mi ero preso un bello spavento e non trovai le parole per rispondere alla<br />
ragazza nella sua lingua.<br />
Elise mi accarezzò la fronte imperlata <strong>di</strong> sudore.<br />
- Dèshabillez-vous, - ripetè dolcemente.<br />
Mi stava <strong>di</strong>cendo <strong>di</strong> spogliarmi. Ne fui ben contento e in un attimo mi levai<br />
i vestiti. La ragazza si fece scivolare lungo i fianchi la camicia da notte che<br />
aveva indosso. Istintivamente sfiorai con i palmi delle mani le morbide<br />
roton<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> lei. Vi<strong>di</strong> il capo della ragazza abbassarsi e sentii la sua lingua<br />
umida sulla pelle. Fremendo <strong>di</strong> impazienza, scivolai su <strong>di</strong> lei.<br />
Gli oui e gli acuti gemiti che in un paio <strong>di</strong> momenti la ragazza non potè<br />
fare a meno <strong>di</strong> emettere non attirarono l'attenzione <strong>di</strong> nessuno. Quando tutto fu<br />
concluso, crollai esausto sulla ragazza. Ansimava ancora e le tremavano le<br />
gambe. Ebbi un attimo <strong>di</strong> smarrimento quando Elise si infilò la camicia da notte.<br />
Nel buio, sentii lo sfioramento delle sue labbra sulla fronte.<br />
- Merci, au revoir .<br />
Il lenzuolo si sollevò e io mi resi conto <strong>di</strong> essere solo nel letto. Non<br />
passò molto tempo che mi addormentai.<br />
Mi svegliai molto tar<strong>di</strong>, la mattina seguente. Avevo avuto tutto il tempo <strong>di</strong><br />
riprendermi dalle fatiche della nottata e mi sentivo tutt'altra persona.<br />
Ero euforico, e fui euforico anche dopo che il portiere mi ebbe detto che<br />
la signorina Elise aveva lasciato l'ostello. L'avventura <strong>di</strong> quella notte non era<br />
stata altro che il primo dolcissimo frutto che l'albero della vita mi aveva<br />
fatto cadere fra le mani, e avrei potuto cogliere dall'albero molti altri<br />
frutti.
Mi lavai e mi vestii. Allacciai gli anfibi nuovi - quegli anfibi che avrebbero<br />
sempre conservato il ricordo <strong>di</strong> Elise - e lasciai baldanzoso l'ostello<br />
della gioventù. L'ansia e la malinconia erano svanite e la vita mi sorrideva. Oh<br />
sì, la vita era un gioco meraviglioso che io ero smanioso <strong>di</strong> cominciare.
XVIII<br />
“AUTOROUTE 7 TRAFFIC FLUID” <strong>di</strong>ceva l'insegna autostradale mentre lasciavo<br />
Marsiglia e mi <strong>di</strong>rigevo verso Arles e Nimes. Saranno state più o meno le due <strong>di</strong><br />
pomeriggio.<br />
Avevo perso tempo per sostituire le borse da viaggio della moto. Non<br />
potevo continuare il viaggio con una borsa tenuta insieme dal nastro isolante,<br />
così a Marsiglia mi ero recato in un negozio <strong>di</strong> accessori per motociclette e le<br />
avevo sostituite. Avevo impiegato più <strong>di</strong> un'ora nella scelta delle borse e nella<br />
ri<strong>di</strong>stribuzione del carico ma alla fine avevo fatto un buon lavoro.<br />
Sfrecciai sul gran ponte <strong>di</strong> cemento che sorvola letteralmente la città <strong>di</strong><br />
Martigues, vi<strong>di</strong> <strong>di</strong> nuovo il mare sulla sinistra e poco dopo stavo correndo<br />
attraverso una pianura, un immenso prato con vegetazione bassa e cavalli al<br />
pascolo.<br />
Superato Montpellier, vi<strong>di</strong> un banco <strong>di</strong> nubi all'orizzonte. Lo vi<strong>di</strong> avvicinarsi<br />
sempre <strong>di</strong> più fino a che non gli fui sotto. Il banco si frappose tra me e<br />
il sole. La luce <strong>di</strong>minuì e l'aria si fece gelida. Rabbrivi<strong>di</strong>i nel mio giubbotto<br />
<strong>di</strong> pelle e mi fermai nella prima stazione <strong>di</strong> servizio per indossare il maglione.<br />
Ero fermo a questa stazione della Shell e mi venne in mente che non avevo<br />
toccato cibo in tutto il giorno. Avevo altri pensieri in testa e me ne ero<br />
semplicemente <strong>di</strong>menticato. Comperai due <strong>di</strong> quei tramezzini che vendono in confezioni<br />
sigillate negli autogrill francesi e li feci fuori in quattro e quattr'otto.<br />
Intanto il cielo aveva assunto il colore che ha la carta stagnola nel lato<br />
in cui è opaca. Ancora non pioveva ma l'atmosfera era sospesa e avevo l'impressione<br />
che da un momento all'altro dovesse venir giù l'ira <strong>di</strong> Dio. Guardai il<br />
cielo nella <strong>di</strong>rezione in cui stavo andando e vi<strong>di</strong> che era più chiaro. Che fare?<br />
In questi casi penso sia meglio stringere i denti e andare avanti. Se si ha<br />
fortuna si supera il banco <strong>di</strong> nubi senza prendere acqua. Se si ha sfortuna ci si<br />
bagna. E che sarà mai? La pioggia può entrarti nei vestiti, ma quando arriva<br />
alla pelle si ferma, <strong>di</strong>co bene? Be', quel giorno ebbi fortuna.<br />
Ero a centottanta chilometri da Barcellona quando scorsi i Pirenei, pallide<br />
ombre nella foschia dell'orizzonte, poi sempre più vicini e misteriosi e fitti<br />
<strong>di</strong> vegetazione, fino alla frontiera con la Spagna.<br />
Come mi piace la Spagna! Mi piace la terra, mi piace la gente, mi piace la<br />
lingua. Le sue parole hanno tutte un suono giocoso. Ditemi se una parola come<br />
autopistas non vi ricorda una <strong>di</strong> quelle piste elettriche che hanno i bambini! O<br />
se un saluto come hola non vi fa sbellicare dalle risate!<br />
- Hola! - <strong>di</strong>sse appunto il casellante. Mi si aprì il cuore.<br />
Mi ero messo in testa <strong>di</strong> arrivare fino a Barcellona e ci arrivai. Tar<strong>di</strong>, ma<br />
ci arrivai. Avevo fatto della gran strada quel giorno e avevo intenzione <strong>di</strong><br />
trovare un buon albergo, ma come al solito non avevo fatto i conti con la<br />
realtà. Barcellona è una città dal turismo frenetico e perenne e gli alberghi<br />
erano ancora tutti pieni. Avevo già fatto un grande sforzo per arrivare fino lì<br />
e non avevo voglia <strong>di</strong> proseguire; oltretutto erano le <strong>di</strong>eci passate. La mia<br />
ricerca <strong>di</strong> una stanza <strong>di</strong>venne <strong>di</strong>sperata. Entrai in tutti gli alberghi a tre<br />
stelle, poi in quelli a due stelle e alla fine anche negli ostelli. Nessuno<br />
aveva un buco libero. Ero partito con l'idea <strong>di</strong> trovarmi un albergo da signore,<br />
ma più passava il tempo più io abbassavo le pretese. Alle un<strong>di</strong>ci e mezza ero<br />
stanco, accaldato e ansioso, e avrei accettato qualunque sistemazione. A<br />
mezzanotte la mia o<strong>di</strong>ssea ebbe termine. Entrai in una pensione e un uomo mi<br />
<strong>di</strong>sse che aveva solamente una camera doppia a <strong>di</strong>sposizione. La presi al volo.<br />
La stanza era stretta, con le tubature che correvano lungo il soffitto e<br />
l'intonaco del muro scrostato. Il letto era poco più che a una piazza e io ero<br />
curioso <strong>di</strong> sapere come avrebbero fatto due persone a starci, a meno che non si<br />
trattasse <strong>di</strong> due nani. Ma ero troppo stanco per mettermi a questionare con il<br />
proprietario, e probabilmente non avrei questionato anche se non fossi stato<br />
così stanco. Legai la moto e pagai in anticipo la camera, poi uscii e cenai in<br />
un piccolo ristorante accanto alla pensione.
All'una <strong>di</strong> notte camminavo sulla Rambla in <strong>di</strong>rezione del porto e vedevo gli<br />
stessi mimi, gli stessi turisti e le stesse prostitute che avevo visto l'ultima<br />
volta che ero stato lì.<br />
Non avevo niente da fare, e andai al Maremagnum, quell'immenso complesso <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>scoteche che c'è dalle parti del porto. Dei ragazzi <strong>di</strong>stribuivano tessere 2x1.<br />
Vale a <strong>di</strong>re che, se pagavi la prima consumazione, la seconda era gratuita. Salii<br />
in una delle <strong>di</strong>scoteche del secondo piano e pagai ben tre bicchieri <strong>di</strong> tequila.<br />
In questo modo ne scolai sei.<br />
Avevo visto bellissime ragazze al Maremagnum, e mi era salita una grande<br />
eccitazione. Stavo tornando in ostello, e sulla Rambla c'erano le solite<br />
prostitute. Una <strong>di</strong> esse attirò la mia attenzione.<br />
- Blow-job? - <strong>di</strong>sse.<br />
La guardai. Quasi non mi reggevo in pie<strong>di</strong>. Annuii.<br />
Il vicolo era stretto e la prostituta faceva quello che era pagata per fare<br />
con <strong>di</strong>ligenza. Tenevo i pantaloni a mezza coscia e stavo con la schiena appoggiata<br />
al muro lercio del vicolo. Era una mulatta, stava in ginocchio davanti<br />
a me. Doveva darsi da fare, visto tutto quello che avevo bevuto. Del resto, non<br />
avrei avuto il coraggio <strong>di</strong> avvicinarmi a lei senza prima aver bevuto.<br />
Ogni volta che lei si dava per vinta e smetteva <strong>di</strong> fare quello che era pagata<br />
per fare, io le mettevo in mano altre Pesetas e le <strong>di</strong>cevo <strong>di</strong> continuare.<br />
- Upstairs, - <strong>di</strong>sse la mulatta quando le misi in mano l'ennesima banconota.<br />
- Okay, - <strong>di</strong>ssi.<br />
Mi tirai su i pantaloni e li abbottonai, poi la seguii in fondo al vicolo.<br />
La mulatta infilò la porta <strong>di</strong> uno dei tetri casamenti del quartiere, camminò<br />
lungo un corridoio polveroso e su per tre rampe <strong>di</strong> scale oltremodo ripide.<br />
Giunse davanti a una porta, tirò fuori dalla borsetta una chiave sciolta, l'aprì<br />
e mi fece cenno <strong>di</strong> entrare. Oltrepassai la soglia e u<strong>di</strong>i la porta cigolare sui<br />
car<strong>di</strong>ni e chiudersi con un tonfo.<br />
Mi guardai intorno. L'intonaco pendeva sotto forma <strong>di</strong> croste semistaccate<br />
dalle pareti e a tratti giaceva in briciole sul pavimento. La sala aveva sì<br />
un'aria sporca e malandata, ma aveva una grande attrattiva su <strong>di</strong> me. Insomma,<br />
ero un ragazzo <strong>di</strong> buona famiglia e fino a quel momento avevo frequentato<br />
ambienti puliti, quasi asettici, e mi ero tenuto lontano da quelli degradati; ma<br />
la mia personalità celava una forte <strong>di</strong>sposizione al piacere anche nei suoi<br />
aspetti più sor<strong>di</strong><strong>di</strong> e selvaggi. Così quell'ambiente eccitava, per così <strong>di</strong>re, il<br />
mio senso del peccato. Sapevo <strong>di</strong> essere fuori posto e sapevo <strong>di</strong> essere sul punto<br />
<strong>di</strong> infrangere un <strong>di</strong>vieto categorico, e tuttavia questo stimolava la mia<br />
curiosità e accendeva i miei sensi.<br />
La mulatta aveva labbra gonfie e carnose. Non era alta, ma aveva forme<br />
sfacciate e possedeva la femminilità volgare delle donne <strong>di</strong> strada. Mi condusse<br />
in un'altra stanza, meno ampia della precedente, sul pavimento della quale stava<br />
un materasso nudo. Mi <strong>di</strong>sse <strong>di</strong> sdraiarmi e <strong>di</strong> lasciare che lei mi spogliasse e<br />
riprendesse da dove si era interrotta. Stavo sdraiato sulla schiena e tenevo le<br />
mani <strong>di</strong>etro la nuca. Guardavo il soffitto, ma il soffitto girava e girava e non<br />
stava mai fermo.<br />
Avevo bevuto davvero tanto e non si poteva far niente. Così a un certo<br />
punto la mulatta scosse la testa e <strong>di</strong>sse:<br />
- Nothing to do, you are drunk tonight.<br />
Improvvisamente mi alzai in pie<strong>di</strong>, mi abbottonai, mi incamminai in fretta<br />
verso la porta. La stanza girava ancora, ma arrivai in fondo alle scale senza<br />
farmi del male.<br />
Tornai alla pensione in preda a una grande agitazione. Entrai in bagno, mi<br />
spogliai e per prima cosa mi lavai con estrema cura le parti intime. Mi buttai<br />
sul letto. Mi girava la testa e avevo il vomito. Dovetti andare in bagno,<br />
mettermi un <strong>di</strong>to in gola e buttare fuori tutto per poter stare in posizione<br />
orizzontale. Il letto poi era corto e fui costretto dormire con i pie<strong>di</strong> incastrati<br />
nel telaio <strong>di</strong> metallo. Ma dormire è una parola troppo grossa. Mi<br />
svegliai ripetutamente nel bel mezzo della notte perchè, ogni volta che qualcuno<br />
usava il bagno al piano <strong>di</strong> sopra, le tubature facevano un baccano infernale.
XIX<br />
Il mattino seguente avevo una cera da nosferatu.<br />
Non potevo più stare a Barcellona e decisi <strong>di</strong> partire subito. Contavo <strong>di</strong><br />
arrivare fino a Valencia. Presi l'autopista e pensai <strong>di</strong> aver sbagliato strada<br />
quando vi<strong>di</strong> i monti sia a destra che a sinistra, mentre mi aspettavo <strong>di</strong> avere il<br />
mare a sinistra. In realtà non avevo sbagliato strada, me ne resi conto presto,<br />
e stavo attraversando la Cor<strong>di</strong>llera Catalana.<br />
Viaggiai per circa duecento chilometri quando si accese la spia della riserva.<br />
Si accese per spegnersi subito. Non avevo nessuna voglia <strong>di</strong> perdere<br />
tempo. La segnaletica dava la prima stazione <strong>di</strong> servizio a un chilometro <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>stanza e quella successiva a trentacinque chilometri. Decisi che mi sarei<br />
fermato nell'area successiva.<br />
Un paio <strong>di</strong> chilometri dopo la prima stazione, la spia si accese in modo<br />
permanente.<br />
- Merda! - esclamai.<br />
Non avevo tenuto conto del fatto che la motocicletta consumava <strong>di</strong> più alle<br />
velocità elevate. Ora correvo il rischio <strong>di</strong> rimanere a secco.<br />
Incrociai le <strong>di</strong>ta e andai avanti. Mi trovavo su un tratto <strong>di</strong> autostrada in<br />
leggera salita quando il motore si spense. Dio no, pensai, e tentai <strong>di</strong> riaccenderlo<br />
in movimento. Niente da fare. Mi spostai sulla corsia <strong>di</strong> emergenza,<br />
inserii la folle e con la spinta che avevo riuscii portare la moto oltre la<br />
salita e giù per la <strong>di</strong>scesa fino a un tratto <strong>di</strong> autostrada pianeggiante. La moto<br />
andò sempre più piano, fino a fermarsi.<br />
Ecco fatto, avevo finito la benzina ed ero fermo sulla corsia <strong>di</strong> emergenza<br />
dell'autostrada sotto il sole delle due <strong>di</strong> pomeriggio. Faceva molto caldo e non<br />
sapevo cosa fare. Anzi, lo sapevo. E lo feci. Scesi dalla motocicletta, levai il<br />
casco e il giubbotto, li posai sulla sella e cominciai a spingere.<br />
I camion e le automobili mi sfrecciavano accanto in<strong>di</strong>fferenti. Non avevo<br />
tenuto il conto dei chilometri, ma speravo che la stazione <strong>di</strong> servizio non fosse<br />
lontana. Il sole picchiava e il sudore mi appiccicava la maglietta alla pelle.<br />
Era faticoso spingere la motocicletta. Io guardavo avanti e pregavo <strong>di</strong> scorgere<br />
la stazione <strong>di</strong> servizio, oasi in quel deserto d'asfalto. Penso <strong>di</strong> averne avuto<br />
il miraggio, a un certo momento. Ebbi l'impressione <strong>di</strong> vedere l'insegna gialla<br />
<strong>di</strong> una stazione in lontananza, ma i contorni erano sfocati e quella che avevo<br />
scambiato per un'insegna si rivelò alla fine la carcassa semi<strong>di</strong>strutta <strong>di</strong> un<br />
camioncino abbandonato al <strong>di</strong> là del guard-rail.<br />
Pensai <strong>di</strong> utilizzare un telefono s.o.s. per chiedere aiuto o per farmi portare<br />
una tanica <strong>di</strong> benzina. Poi pensai che la stazione era a due passi e che mi<br />
sarebbe bastato spingere la moto per un altro breve tratto per risolvere il<br />
problema. Così continuai. Lo sforzo era sempre maggiore e ormai era mezz'ora che<br />
spingevo la motocicletta su quel dannato autostrada. Pensai <strong>di</strong> aprire il<br />
serbatoio per vedere se era davvero vuoto. Poi pensai che se il motore si era<br />
spento doveva esserci una ragione e la ragione era che avevo esaurito la benzina<br />
e quin<strong>di</strong> era inutile controllare. Spinsi ancora. Sudavo e avevo il fiato corto.<br />
Ancora un poco e perdevo i sensi. Già mi vedevo bocconi su quella striscia<br />
d'asfalto. Già vedevo i titoli sui giornali:<br />
Tragica fine per un ragazzo italiano <strong>di</strong> ventidue anni, <strong>di</strong>sidratato su un<br />
tratto <strong>di</strong> autostrada spagnolo mentre cercava <strong>di</strong> spingere la sua motocicletta<br />
alla più vicina stazione <strong>di</strong> servizio.<br />
Vi<strong>di</strong> una casa a una cinquantina <strong>di</strong> metri dall'autostrada. Appoggiai la moto<br />
al cavalletto e scavalcai il guard-rail. L'intenzione era <strong>di</strong> raggiungere la casa<br />
e chiedere della benzina. Ero pronto a pagarla. Di là del guard-rail l'erba era<br />
alta e io mi misi a camminarci in mezzo. Vi<strong>di</strong> che la casa era recintata dal filo<br />
spinato. Mi avvicinai, avvolsi i pugni attorno al filo nei punti in cui non<br />
aveva le spine e feci per scavalcare, ma era troppo alto e mi punsi una gamba.<br />
La casa era lì ma non la potevo ragiungere. Che fare? Pensai <strong>di</strong> mettermi a<br />
urlare per attirare l'attenzione, ma alla fine non lo feci. Mi avviai attraverso<br />
l'erba alta verso l'autostrada. Scavalcai <strong>di</strong> nuovo il guard-rail e ricominciai a
spingere. Poi, anche se pensavo fosse inutile, decisi <strong>di</strong> controllare se davvero<br />
nel serbatoio non c'era più benzina. Aprii il coperchio, avvicinai l'orecchio e<br />
spostai la moto a destra e a sinistra per sentire se c'era del liquido. U<strong>di</strong>i un<br />
debole sciacquio. Allora la benzina non era esaurita del tutto!<br />
Chiusi il coperchio e provai ad accendere il motore. Si accese! Ringraziai<br />
Dio. Era probabile che la moto si fosse semplicemente surriscaldata. Oppure che<br />
la benzina nel serbatoio fosse poca e che, percorrendo il tratto in salita,<br />
avesse smesso per un momento <strong>di</strong> arrivare al motore. Chi lo sa. Fatto sta che<br />
avevo spinto inutilmente la motocicletta per un'ora sotto il sole. E mi ero<br />
punto una gamba con del filo spinato per niente. Mi sentii molto stupido, ma fui<br />
contento <strong>di</strong> poter ripartire. In realtà mancavano ancora sette chilometri alla<br />
stazione <strong>di</strong> servizio più vicina. Non l'avrei mai raggiunta spingendo la<br />
motocicletta.<br />
Entrai in autogrill, comperai una bottiglia <strong>di</strong> Gatorade e andai a sedermi<br />
all'ombra. Ero in un bagno <strong>di</strong> sudore e la scolai tutta d'un fiato. Restai lì<br />
un'ora e poi andai a fare il pieno <strong>di</strong> benzina e ripartii.<br />
Arrivai a Valencia a metà del pomeriggio. Era una giornata grigia e una<br />
triste aria <strong>di</strong> desolazione permeava la campagna della Huerta e la periferia<br />
della città. Palazzoni dalle tinte sbia<strong>di</strong>te si profilavano contro un cielo dello<br />
stesso colore dell'asfalto. Anche il mare, in quella cornice, pareva sbia<strong>di</strong>to e<br />
senza senso.<br />
Entrai a Valencia e seguii i cartelli centro ciudad e quando arrivai in<br />
Plaza del Ayuntamiento presi una stanza all'Hotel Venecia. Una buona stanza a un<br />
buon prezzo, niente da <strong>di</strong>re.<br />
Alle sei in punto ero nella vasca da bagno con in bocca una sigaretta al<br />
mentolo e ascoltavo Perfect day <strong>di</strong> Lou Reed e Everything is broken <strong>di</strong> Dylan e<br />
Angie degli Stones con il walkman. Avevo ancora un sacco <strong>di</strong> strada da fare.<br />
Avrei attraversato lo stretto <strong>di</strong> Gibilterra e avrei messo piede in Africa, ci<br />
pensate? Avrei visitato Ceuta e Tangeri. E poi avrei proseguito il mio viaggio<br />
lungo la costa del Portogallo! E ancora verso il nord, a vedere la Bretagna e la<br />
Norman<strong>di</strong>a! Chissà dove sarei arrivato!<br />
Dopo il bagno, mi stesi sul letto e accesi la tivù. C'era la versione spagnola<br />
de “La Ruota della Fortuna”. Spensi la tivù, andai alla finestra e guardai<br />
fuori. Vi<strong>di</strong> il Burgher King sull'altro lato della piazza. Per la miseria, ero a<br />
Valencia e vedevo le stesse cose che avevo visto in qualsiasi altra città<br />
d'Europa. Stessi giochi a premi. Stessi fast-food. Stesse gran<strong>di</strong> catene <strong>di</strong> negozi<br />
e <strong>di</strong> ristornati. Le città europee erano tutte simili. Okay, a Parigi c'era<br />
la Torre Eiffel, a Londra il Big Ben e a Roma il Colosseo, ma al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> questo<br />
la <strong>di</strong>versità si notava sempre meno. La globalizzazione si stava lentamente<br />
traducendo nella per<strong>di</strong>ta d'identità delle città. L'impressione era che un posto<br />
valesse l'altro. Città che avevano rappresentato il carattere specifico dei<br />
popoli si stavano trasformando in città senza volto. Avevo voglia <strong>di</strong> vedere<br />
qualcosa <strong>di</strong> <strong>di</strong>verso. Forse a Tangeri avrei trovato quello che cercavo.<br />
Verso le <strong>di</strong>eci scesi alla reception e ritirai il passaporto; l'avevo lasciato<br />
alla <strong>di</strong>rezione dell'albergo in modo che tirasse giù i miei dati. Attraversai<br />
a pie<strong>di</strong> Plaza del Ayuntamiento, con la fontana che sprizzava acqua, le<br />
palme e gli alti e bei palazzi, poi camminai sotto i lampioni della Carrer de<br />
Sant Vincent Màrtir, passando davanti all'Iglesia de Sant Martin, fino a Plaza<br />
de la Reina e alla cattedrale.<br />
Davanti alla cattedrale incontrai due ragazzi italiani. Mi <strong>di</strong>ssero <strong>di</strong> essere<br />
in Erasmus e mi invitarono ad andare in un locale che si chiamava Black<br />
Note. Mi spiegarono come andarci e mi <strong>di</strong>ssero <strong>di</strong> essere là per mezzanotte.<br />
Cenai in un ristorante francese. A <strong>di</strong>re la verità, volevo mangiare Paella<br />
Valenciana, ma quando mi resi conto che mi trovavo in un ristorante francese ero<br />
già seduto a tavola e il cameriere stava per prendermi l'or<strong>di</strong>nazione. Così<br />
mangiai la solita entrecote. Non ho molta fantasia, lo so.<br />
A mezzanotte andai al Black Note. Il bar era affollato come Dio sa cosa;<br />
non muovevi un muscolo senza urtare qualcuno. Un vago odore <strong>di</strong> erba insaporiva<br />
l'aria e suonatori <strong>di</strong> bongo menavano violenti colpi sui loro strumenti.<br />
Il barista era indaffaratissimo a servire studenti universitari <strong>di</strong> ogni nazionalità<br />
che stavano vivendo quello che in seguito avrebbero definito il<br />
periodo più bello della loro vita. Conquistai il mio spazio vitale nella ressa a<br />
suon <strong>di</strong> gomitate e or<strong>di</strong>nai un whisky.
I due ragazzi italiani arrivarono in leggero ritardo e mi presentarono una<br />
quantità <strong>di</strong> gente.<br />
- Domani sera una ragazza dà una festa d'ad<strong>di</strong>o. Sei invitato anche tu, -<br />
<strong>di</strong>sse uno dei due.<br />
- Volentieri.<br />
Una breve permanenza a Valencia non mi avrebbe fatto male.<br />
E poi, lo ammetto, avevo bisogno <strong>di</strong> compagnia.
XX<br />
Quando mi alzai c’era il sole e così me ne andai alla Playa de las Arenas e<br />
mi stesi al sole <strong>di</strong> una spiaggia <strong>di</strong> palme e <strong>di</strong> ombrelloni con la copertura <strong>di</strong><br />
paglia. Avevo <strong>di</strong>menticato la sensazione che dà la sabbia tiepida sotto la<br />
schiena, la capacità che hanno i granelli <strong>di</strong> infilarsi dappertutto. Avevo<br />
<strong>di</strong>menticato quanto si sta bene al sole e quanto si ha freddo quando una nuvola<br />
lo nasconde e si viene investiti da una folata <strong>di</strong> vento. Mi rilassai, quel<br />
giorno, ma il mio i<strong>di</strong>llio era destinato a durare poco.<br />
Stavo tornando all'albergo seguendo l'Avenida del Puerto...<br />
...forse andavo troppo veloce<br />
...forse non avevo visto che il semaforo era rosso.<br />
... fatto sta che frenai bruscamente. La ruota davanti se ne andò per conto<br />
suo, la motocicletta si sbilanciò, si inclinò tutta da una parte e sbattè per<br />
terra. La macchina che mi seguiva inchiodò e le gomme stridettero sull'asfalto<br />
liscio e consumato dell'avenida. Avvertivo un dolore <strong>di</strong>ffuso al ginocchio e alla<br />
caviglia e sentivo l'asfalto duro sotto la schiena. Il peso della motocicletta<br />
mi schiacciava la gamba sinistra e non potevo muovermi.<br />
Il motore era ancora acceso e la ruota posteriore girava a vuoto. Ebbi la<br />
luci<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> allungare un braccio e <strong>di</strong> premere il bottone che bloccava il flusso<br />
<strong>di</strong> corrente. La ruota smise <strong>di</strong> girare.<br />
Più <strong>di</strong> un'automobile si era fermata. Un uomo mi tirò via la moto dalle<br />
gambe e la spinse a lato della strada.<br />
Il dolore era forte e non ero sicuro <strong>di</strong> riuscire a camminare. L'uomo che<br />
aveva spostato la motocicletta mi tese la mano e mi aiutò ad alzarmi. Per un<br />
attimo restai in pie<strong>di</strong>, aggrappato al suo braccio. Non appena mi lasciò, le<br />
gambe mi si piegarono e crollai a terra.<br />
L'uomo si chinò su <strong>di</strong> me. - No se mueva, - <strong>di</strong>sse. - Hay que llevarlo al<br />
hospital, llamen una ambulancia!<br />
Restai a terra. A un tratto u<strong>di</strong>i le sirene dell'ambulanza. L'uomo che mi<br />
aveva aiutato mi consegnò le chiavi della motocicletta e mi in<strong>di</strong>cò il punto in<br />
cui si trovava.<br />
Due infermieri mi misero su una lettiga e mi tirarono dentro l'ambulanza.<br />
Il veicolo partì a sirene spiegate. In Pronto Soccorso, un'infermiera mi levò i<br />
pantaloni, spinse la lettiga lungo un corridoio e mi portò a fare una ra<strong>di</strong>ografia.<br />
La gamba sinistra mi faceva male e non riuscivo a muoverla.<br />
Quando furono pronte le lastre, un giovane dottore le esaminò e mi tastò la<br />
gamba. Il ginocchio sinistro era gonfio, e la caviglia non era in con<strong>di</strong>zioni<br />
migliori.<br />
- Le duele a usted aquì? - domandò.<br />
- Eh? - <strong>di</strong>ssi.<br />
- Dolor?<br />
- Sì, sì.<br />
Il dottore <strong>di</strong>sse qualcosa all'infermiera, che uscì dalla stanza.<br />
- De dònde eres? - domandò.<br />
- Italia, - <strong>di</strong>ssi.<br />
- Accidente de trànsito?<br />
- Sì.<br />
- Automòvil?<br />
- Moto.<br />
- Oh, motocicleta, - <strong>di</strong>sse.<br />
L'infermiera tornò. Teneva in mano una siringa enorme.<br />
- Oh, oh, - pensai.<br />
- Esto es para extraer el sangre de la ro<strong>di</strong>lla, - <strong>di</strong>sse il dottore.<br />
Non gli prestai attenzione, il mio sguardo era fisso sulla siringa. Non mi<br />
erano mai piaciuti gli aghi. E l'infermiera stava applicando a quella siringa un<br />
ago spesso quanto una matita.
Strinsi i denti e <strong>di</strong>stolsi lo sguardo quando il dottore me lo infilò nel<br />
ginocchio. Sentii una puntura, spostai lo sguardo sulla siringa e la vi<strong>di</strong> riempirsi<br />
<strong>di</strong> sangue.<br />
Quando il dottore estrasse l'ago, il ginocchio si era già un po' sgonfiato<br />
e non mi faceva più così male.<br />
Il dottore parlò in spagnolo all'infermiera. Mi portarono a fare un'altra<br />
ra<strong>di</strong>ografia.<br />
Tre ore più tar<strong>di</strong> stavo su una se<strong>di</strong>a a rotelle e l'infermiera mi spingeva<br />
fuori dal pronto soccorso. Mi avevano succhiato mezzo bicchiere <strong>di</strong> sangue dal<br />
ginocchio sinistro e mi avevano ingessato dalla caviglia fino all'inguine.<br />
Perfetto.<br />
Tornai in albergo.<br />
Il portiere mi vide entrare con la stampella e scosse la testa.<br />
- Mala suerte, - commentò.<br />
Gli lasciai la mancia e lo pregai <strong>di</strong> fare portare la moto in un'officina e<br />
<strong>di</strong> prenotare un volo <strong>di</strong>retto a Milano o a Bologna, il giorno seguente.<br />
Quella sera non andai alla festa. Rimasi nella stanza 321 dell'Hotel Venecia<br />
e mi feci portare una pizza e tre birre. Non avevo appetito, così mangiai<br />
soltanto metà della pizza. Scolai le birre una dopo l'altra, davanti alla tivù.<br />
Erano secoli che non passavo una serata davanti alla tivù. Guardavo uno stupido<br />
film in spagnolo e pensavo che il mio viaggio finiva lì. Niente Gibilterra.<br />
Niente Tangeri. Niente “la mer melèe au soleil”. Tornavo a casa con la coda fra<br />
le gambe.<br />
Mi veniva da ridere, giuro.<br />
FINE<br />
Salve<br />
Cevapcici: carne. Pivo: birra.<br />
Bene<br />
Piano! Piano! Piano!<br />
Ad<strong>di</strong>o, italiano.<br />
Ad<strong>di</strong>o, ungherese.<br />
è interessante?<br />
Da bere cosa prende?<br />
ritorno dopo.<br />
Dove state andando?<br />
E’ ritrovata! / Cosa? L’eternità. / E’ il mare unito / Al sole.<br />
Il riscaldamento non funziona.<br />
Che eleganza!<br />
Molte grazie, aggiusti il riscaldamento (...) an<strong>di</strong>amo, signore.<br />
Qual’è il suo numero <strong>di</strong> scarpe?<br />
Quarantasette<br />
Spogliati.<br />
Ti ho spaventato?<br />
Grazie, arrivederci<br />
Di sopra.<br />
Niente da fare, sei ubriaco stanotte.<br />
<strong>Centro</strong> città<br />
Non si muova (...) Bisogna portarlo all’ospedale, chiamate un’ambulanza!<br />
Le fa male qui?<br />
Da dove vieni?<br />
Incidente <strong>di</strong> traffico?<br />
Automobile?<br />
Questo serve a tirar fuori il sangue dal ginocchio.<br />
Malasorte.
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