Pier Francesco Grasselli Strada libera - Centro di Documentazione ...
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XXIII<br />
Non avete idea <strong>di</strong> quante cose ci siano da fare in una città come Parigi.<br />
Non è solo una metropoli. E' una scoperta continua. Le strade sono gran<strong>di</strong> e<br />
sembrano non avere mai fine. Ecco cos'è Parigi: una città inesauribile.<br />
Di giorno camminavo con in tasca il mio taccuino, che <strong>di</strong>ventava sempre più<br />
prezioso via via che vi apponevo le mie annotazioni. Avrei preferito perdere la<br />
moto, il bagaglio e tutti i documenti, piuttosto che smarrire quel taccuino.<br />
Quel taccuino era la cosa più preziosa che avevo, perchè racchiudeva, in<br />
embrione, il mio nuovo romanzo. Ogni tanto mi prendeva l'ansia d'averlo lasciato<br />
in qualche posto. Allora mi tastavo la tasca, sentendone il peso e il volume<br />
sotto lo strato <strong>di</strong> tessuto, e mi tranquillizzavo.<br />
La notte facevo ruggire il motore della motocicletta su e giù per i boulevardes<br />
e le gran<strong>di</strong> avenues, girando in lungo e in largo la città, imparandone<br />
rapidamente la fisionomia.<br />
Li sapevo far durare io, i sol<strong>di</strong>. E non mi facevo mancare niente. Mica ero<br />
tirchio. Nient'affatto. Ero soltanto oculato. C'è una bella <strong>di</strong>fferenza. Tirchio<br />
è un attributo spregiativo; oculato è sinonimo <strong>di</strong> intelligente. Non avrei mai<br />
speso sol<strong>di</strong> in cartoline o stupidaggini del genere. I ricor<strong>di</strong> li avevo dentro.<br />
Non avevo bisogno <strong>di</strong> cimelii. Avevo un buon albergo, e la sera non mi facevo mai<br />
mancare una succulenta bistecca. La mattina mi alzavo sempre tar<strong>di</strong> e mi bastava<br />
la colazione. Ma quelle lunghe passeggiate mi mettevano addosso una gran fame, e<br />
a volte mi vedevo costretto a spuntini saltuari nelle creperie e nei forni <strong>di</strong><br />
Parigi.<br />
Tutto sommato, me la cavavo bene.<br />
Furono giorni <strong>di</strong> magnifica solitu<strong>di</strong>ne e <strong>di</strong> interminabili passeggiate,<br />
giorni <strong>di</strong> vagheggiamenti nella malinconica poesia <strong>di</strong> una città <strong>di</strong>venuta leggenda.<br />
Restai a Parigi due settimane. Alla fine mi erano rimasti i sol<strong>di</strong> contati<br />
per una notte in albergo a Nizza o in qualche altro posto sulla via del ritorno,<br />
e basta.<br />
Avrei potuto telefonare e chiedere ai miei genitori <strong>di</strong> fare un versamento<br />
sul mio conto corrente, in modo da potermi permettere uno o due spuntini in più.<br />
Avrei anche potuto far così. E il bello è che i miei genitori l'avrebbero fatto,<br />
se glielo avessi chiesto. Mi avrebbero versato un po' <strong>di</strong> sol<strong>di</strong> sul conto e sarei<br />
stato a posto. A giu<strong>di</strong>care da quant'erano preoccupati, scommetto che avrebbero<br />
fatto qualunque cosa. Ma ero stato io a voler fare quel viaggio e io, in un modo<br />
o nell'altro, dovevo uscirne fuori. Troppo comodo chiedere aiuto a mamma e papà.<br />
La sera prima della partenza or<strong>di</strong>nai l'ultima entrecote del mio soggiorno<br />
parigino, e la <strong>di</strong>vorai fino all'ultimo boccone. Inghiottii anche le parti nodose<br />
della carne, quelle che in genere scarto, e pelai la patata lessa che mi avevano<br />
servito <strong>di</strong> contorno stando ben attento a lasciar fuori solo la buccia. Il giorno<br />
dopo sarei partito, un po' affamato ma orgoglioso della mia presa <strong>di</strong> posizione.<br />
Quella sera mi accadde una cosa molto molto strana.<br />
Come ho già detto, era la mia ultima sera. E stavo per commettere un errore<br />
imperdonabile. Stavo per andarmene da Parigi senza prima aver visto La Basilica<br />
del Sacro Cuore. Me ne avevano parlato così bene che dovevo per forza andare a<br />
vederla. Così in pratica vinsi la pigrizia che mi coglie sempre quando sono<br />
vicino alla partenza e tirai fuori la moto. Attraversai L'Ile de la Citè, presi<br />
Boulevard de Sebastopol fino in fondo e girai a sinistra in Boulevard de<br />
Magenta. Di lì andai a naso.<br />
La Basilica sorgeva sopra una collina. C'era ad<strong>di</strong>rittura una funicolare che<br />
portava la gente su e giù. Bastò seguire le strade in salita, e ci arrivai alla<br />
svelta. Sui gra<strong>di</strong>ni della scalinata c'erano dei ragazzi che suonavano la<br />
chitarra. La notte era magnifica, e quella chiesa era davvero uno spettacolo.<br />
Non come Notre-Dame, ma quasi. Diciamo che erano “al fotofinish”.<br />
Poi mi presi su e me ne andai. Volevo fare un ultimo giro per Montmartre.<br />
Una volta sceso dalla collina, mi persi <strong>di</strong> brutto in tutte quelle viuzze. Non<br />
sapevo più dove ero finito. A un certo punto mi infilai in una stretta Rue de<br />
non so cosa, e rallentai fino a fermarmi, perchè un taxi era fermo in mezzo alla<br />
strada. A giu<strong>di</strong>care da quel poco che riuscivo a vedere dal lunotto, una ragazza<br />
bionda era seduta sul se<strong>di</strong>le posteriore.