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CANTA NAPOLI - Egea Distribution

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12 Mondomix.com / MUSICA<br />

Martin Carthy<br />

Il re del folk inglese<br />

di Giancarlo Susanna<br />

Il secondo folk revival inglese, letteralmente esploso nella<br />

seconda metà degli anni ’60, ha dimostrato come non solo<br />

fosse possibile riprendere la tradizione in modo corretto e<br />

credibile, ma anche scrivere canzoni nuove usando quel<br />

linguaggio poetico e musicale. Forse qualche intellettuale<br />

conservatore considerò con sufficienza cantautori come<br />

Nick Drake, John Martyn, Allan Taylor e Sandy Denny o<br />

gruppi come i Pentangle e i Fairport Convention, ma quello<br />

che questi giovani musicisti facevano non era poi così<br />

distante dal lavoro prezioso del grande (e severo) padre del<br />

folk revival britannico Ewan MaColl, che nel 1973 aveva<br />

vinto il prestigioso premio Ivor Novello con la sua The<br />

First Time I Ever Saw Your Face. È quasi inutile ricordare<br />

quanto fosse difficile in quegli anni seguire tutto quel che<br />

accadeva oltremanica, ma il fascino di certi dischi – da<br />

Liege & Lief dei Fairport a Basket of Light dei Pentangle,<br />

per citarne appena un paio - era troppo forte per chi aveva<br />

avuto l’occasione di scoprirli.<br />

La scoperta<br />

Il primo album di Martin Carthy che acquistai è un’antologia<br />

della serie This is… della Philips. Si intitola The Bonny<br />

Black Hare and Other Songs e sulla copertina c’è un bel<br />

disegno della bella lepre nera protagonista dell’omonima<br />

canzone. Lo trovai nel ‘74 nell’unico negozio romano che<br />

all’epoca aveva dischi d’importazione. Qualche mese<br />

dopo partii per il mio primo viaggio a Londra e fu all’ombra<br />

della Roundhouse, a Camden, in uno dei tanti club che<br />

all’epoca richiamavano piccole schiere di appassionati,<br />

che assistetti a un suo concerto. Carthy era già una<br />

star del folk revival. Famoso per una lunga e brillante<br />

collaborazione con il violinista Dave Swarbrick e per la<br />

sua decisiva presenza nei primi Steeleye Span, aveva la<br />

dote più importante dei performer solitari: il carisma. Fu<br />

preceduto dai “residents” del club e tenne un concerto<br />

bellissimo. Mi colpì non solo per la voce e per lo stile<br />

chitarristico, ma anche perché utilizzò un diapason per<br />

accordare la sua Martin e per prendere l’intonazione giusta<br />

nei pezzi solo vocali. In Italia non avevo mai visto e sentito<br />

niente del genere. Noi non avevamo nessuno che fosse in<br />

grado di riproporre la tradizione in un modo tanto efficace.<br />

Due anni dopo lo rividi, sempre a Londra: la serata fu<br />

aperta come consuetudine dai “residents”, ma prima del<br />

set di Carthy cantarono anche i Watersons, il quartetto<br />

solo vocale formato da Mike Waterson e dalle sue sorelle<br />

Lal e Norma, cui si aggiunse, al posto di John Harrison, lo<br />

stesso Carthy.<br />

La carriera<br />

Nato il 21 maggio del 1941 a Hatfield, nell’Hertfordshire,<br />

Carthy cominciò a coltivare il suo amore per la musica<br />

cantando nel coro della scuola e studiando pianoforte e<br />

trombone. Come molti giovani inglesi (compresi i Beatles),<br />

Carthy fu contagiato dalla moda dello skiffle e mentre<br />

lavorava come stage manager per alcune compagnie<br />

teatrali fece le sue prime esperienze come chitarrista nei<br />

club dell’area di Londra. Fu un concerto di Sam Larner,<br />

un anziano pescatore e folksinger di Norfolk, a spingerlo<br />

verso il revival. Da allora la sua vicenda artistica non ha<br />

conosciuto soste.<br />

Con i Thameside Four e in duo con il prodigioso Dave<br />

Swarbrick, con gli Steeleye Span (in cui suonava anche la<br />

chitarra elettrica) e la Albion Country Band, con i Watersons,<br />

10 PRIMAVERA 2011<br />

i fenomenali Brass Monkey (insieme a John Kirkpatrick) e<br />

i Waterson Carthy (essenzialmente un trio con la moglie<br />

Norma Waterson e la figlia Eliza Carthy), Martin ha lasciato<br />

un segno indelebile nel “suono” inglese.<br />

Già ai tempi del duo con Swarbrick e dei suoi dischi da<br />

solo – Carthy è un chitarrista dallo stile inconfondibile,<br />

percussivo ed essenziale – la sua musica aveva influenzato<br />

personaggi immensamente più noti di lui come Bob Dylan<br />

e Paul Simon. Con quest’ultimo, che si era appropriato<br />

senza mai dichiararlo dell’arrangiamento di Scarborough<br />

Fair, ha avuto una controversia durata decenni e conclusa<br />

con una rappacificazione solo in tempi recenti. Nominato<br />

dalla Regina Elisabetta “Member of the British Empire”,<br />

Martin Carthy è giustamente considerato come uno dei più<br />

importanti e influenti folksinger della sua generazione.<br />

Online www.watersoncarthy.com<br />

Martin Carthy<br />

Signs of Life<br />

Topic, 1998<br />

Waterson Carthy<br />

Common Tongue<br />

Topic, 1997<br />

Brass Monkey<br />

Sound & Rumour<br />

Topic, 1998<br />

Martin Carthy<br />

The Carthy Chronicles<br />

Box antologico di 4 cd, Free Reed, 2001<br />

Il giorno di Natale avrebbe compiuto sessantotto anni<br />

ma il destino ha voluto che la vita del cantante flamenco<br />

Enrique Morente si fermasse prima. Alla notizia della sua<br />

scomparsa, lo scorso tredici dicembre, una profonda<br />

commozione ha attraversato in lungo e in largo la Penisola<br />

Iberica. Basti leggere i titoli dei principali quotidiani<br />

spagnoli: l’ultimo poeta flamenco titolava El Mundo, morte<br />

di uno sciamano per El Pais, o il cantante che rinnovò il<br />

flamenco per il quotidiano Publico. Ma è a Granada che il<br />

tributo popolare al suo illustre cittadino è diventato pianto<br />

collettivo con oltre seimila persone accorse alla camera<br />

ardente in un susseguirsi di amici, di vicini di casa, di<br />

parenti e di colleghi di una vita andati a salutare per l’ultima<br />

volta il maestro. Quando la figlia Estrella, su versi di Lorca,<br />

ha intonato l’ultimo saluto recitando Il pianto della chitarra,<br />

un brivido ha scosso l’intera sala.<br />

L'apprendistato<br />

La sua storia artistica ha inizio presto, quando appena<br />

quindicenne viaggia a Madrid facendo da apripista a<br />

tanti altri artisti, da Camaron a Paco de Lucia, alle sorelle<br />

Utrera, soltanto per citarne alcuni. Nel fermento musicale<br />

e artistico della capitale Enrique muoverà i primi passi da<br />

interprete e conoscerà i maestri del tempo Don Antonio<br />

Chacón e Pepe de la Matrona.<br />

Più ancora delle sue innate qualità, del registro vocale<br />

e della capacità di affinare il canto, sarà la curiosità e il<br />

desiderio di imparare e di esplorare nuove strade a offrire<br />

la chiave del successo al cantante granadino. A differenza<br />

della spontanea e vulcanica bravura di Camaron, Enrique<br />

Morente sarà sempre un artista dedito alla ricerca e al<br />

perfezionamento quasi maniacale della propria opera.<br />

iL successo<br />

Il successo non tarda ad arrivare. Già nel 1964 viaggia a<br />

New York e Washington, l’anno successivo è in tournée<br />

europea; ingaggiato presso i prestigiosi tablaos Zambra<br />

e Caffé de Chinitas si guadagna l’ammirazione di un<br />

pubblico esperto ed esigente. Con il primo premio al<br />

Festival di Malaga e la pubblicazione del primo album,<br />

Cante flamenco, arriva anche la notorietà al grande<br />

pubblico. Gli anni successivi saranno caratterizzati dal<br />

sodalizio musicale con il chitarrista Manolo Sanlucar che<br />

gli consentirà di qualificare maggiormente la propria opera<br />

e lo porterà a concepire ambiziosi spettacoli dal vivo<br />

come Andalucia hoy nel 1981 o il monumentale El loco<br />

romantico basato sul Chisciotte de la Mancha presentato<br />

a Granada nel 1988. Gli anni novanta si apriranno con<br />

la pubblicazione di Misa flamenca, prima di una serie di<br />

opere dedicate al conterraneo Federico Garcia Lorca.<br />

Profili<br />

Enrique Morente<br />

l’ultimo profeta flamenco<br />

S c o m p a r s o a l l ’ e t à d i 6 7 a n n i u n o d e i m a s s i m i e s p o n e n t i<br />

della canzone andalusa<br />

di David Valderrama<br />

10 PRIMAVERA 2011<br />

13<br />

iL maestro<br />

Insieme ai tanti successi personali non va dimenticato<br />

il grande impegno profuso dall’artista in favore della<br />

diffusione del flamenco a livello internazionale e del<br />

sostegno ai giovani talenti. La sua naturale curiosità l’ha<br />

condotto a esplorare e spingere il flamenco dove nessuno<br />

aveva mai osato. E l’ha fatto non per compiacere se stesso<br />

ma perché convinto e della versatilità e della necessità<br />

di aggiornare il flamenco al proprio tempo. Ad esempio,<br />

Morente è arrivato a tentare esperimenti stravaganti come<br />

suonare con la rock band underground dei Sonic Youth o a<br />

promuovere incontri con musicisti africani e latinoamericani.<br />

D’altronde, al costante impegno per la ricerca artistica ha<br />

sempre affiancato una forte propensione alla ribellione. In<br />

un’occasione andò a cantare a Parigi nella sede dell’allora<br />

esiliato partito comunista spagnolo, anni dopo accettò di<br />

cantare di fronte al re Juan Carlos e gli dedicò una canzone<br />

repubblicana.<br />

L’ultima intervista rilasciata al settimanale Vanity Fair, poco<br />

prima di morire, è un commuovente ritratto di Enrique e<br />

di sua figlia, la cantante Estrella Morente, vera erede del<br />

cantante andaluso. La morte di Enrique Morente giunge<br />

a meno di un mese dal riconoscimento del flamenco,<br />

da parte dell’UNESCO, quale Patrimonio Culturale<br />

Immateriale dell’Umanità. Un bel congedo per un artista<br />

che a quest’arte ha dedicato la vita.<br />

Online www.enriquemorente.com<br />

Cante flamenco<br />

Hispavox<br />

Omega<br />

Acqua<br />

Homaje a D. Antonio Chacon<br />

Emi

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