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NEWS N. 24 - The Venice International Foundation

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[157-158] Impiraresse a Castello<br />

negli anni sessanta e, a destra, un<br />

fiore di conterie.<br />

Come lei stessa ha spiegato, per fare<br />

questi fiori si parte dalla s e s s o l a, antico<br />

contenitore di legno a forma di<br />

scatola, riempita di perle che le scaltre<br />

mani delle i m p i r a r e s s e con abile<br />

velocità infilano su fili di ferro sottili.<br />

All’inizio i lavori venivano fatti<br />

avvalendosi di incorniciature di ferro<br />

riempite orizzontalmente o verticalmente<br />

con fili di perle, sfumati nei<br />

colori, secondo i fiori prescelti. Con<br />

il passare del tempo, dalla metà circa<br />

dell’Ottocento, la lavorazione dei<br />

fiori viene semplificata, adottando un altro metodo. Si separano fin<br />

dall’inizio, lungo il filo, perle in numero esatto per l’a n i m a della foglia;<br />

poi a seconda della forma del petalo si dispone il filo in semicerchi<br />

concentrici a formare una spirale e si ferma<br />

sia nella parte alta che in quella bassa con<br />

uno o più giri, a seconda dell’effetto voluto,<br />

petalo dopo petalo, tono dopo tono.<br />

Composto il fiore, esso viene fissato<br />

allo stelo insetato su di un lungo<br />

ferro, così sboccia nel fiore voluto.<br />

Oggi la tradizione dei fiori di perle è<br />

tenuta in vita con successo dalla nipote di<br />

Nella, Giovanna Poggi Marchesi.<br />

Tavoli veneziani alle corti imperiali*<br />

ROBERTO DE FEO<br />

Alla caduta del dominio napoleonico la vice-capitale del<br />

Regno Italico, Venezia, con tutto il suo territorio, passava<br />

per la seconda volta alla corona austriaca. Il nuovo regime<br />

comportò ben pochi cambiamenti effettivi all’interno dell’assetto<br />

artistico locale, sovrinteso dall’Imperial Regia Accademia di Belle<br />

Arti. In laguna il gusto neoclassico, che già da qualche decennio<br />

aveva dettato la comune grammatica del mondo occidentale, si era<br />

imposto a fatica e solamente dagli ultimi anni del XVIII secolo, superando<br />

quella tenace corrente rococò che aveva dato al mondo veneziano<br />

la sua ultima splendida e autonoma stagione artistica, soprattutto<br />

grazie ai Tiepolo e alla loro scuola. I mutamenti politici<br />

in atto: la caduta della Serenissima per opera di Bonaparte nel<br />

1797, la prima dominazione austriaca (1797-1806), la successiva<br />

francese (1806-1814) e l’avvio del secondo governo asburgico videro<br />

essenzialmente un unico faro brillare, quasi sempre a distanza,<br />

sulle “Arti Sorelle”: Antonio Canova.<br />

Durante il secondo decennio dell’Ottocento, e oltre, Venezia<br />

versava in uno stato di depressione economica causata dai precedenti<br />

blocchi navali ed epidemie di peste e tifo che il nuovo governo<br />

del Regno Lombardo Veneto non era riuscito a risanare. È sulla<br />

base di queste premesse che il presidente dell’Accademia conte<br />

Leopoldo Cicognara, in occasione delle quarte nozze dell’imperatore<br />

Francesco I d’Austria con Carolina Augusta di Baviera nel novembre<br />

1816, chiese e ottenne di poter convertire il tributo richie-<br />

sto al territorio veneziano – diecimila<br />

zecchini – in commissioni<br />

di opere d’arte.<br />

L’iniziativa non avrebbe ottenuto<br />

esito positivo se anche Canova, con gesto munifico, non avesse<br />

fornito il marmo della Musa Polimnia. Cicognara ottenne, pure tramite<br />

Canova, che i migliori allievi e artisti dell’Accademia eseguissero<br />

una serie di opere allusive alle nozze e alla funzione di<br />

buon governo dei sovrani austriaci. Un volume in folio, edito nel<br />

1818 in due edizioni con tiratura limitata di 602 esemplari e intitolato<br />

Omaggio delle Provincie Venete alla Maestà di Carolina Augusta<br />

Imperatrice d’Austria, raccolse le incisioni tratte dalle opere.<br />

I manufatti dovevano servire per decorare l’appartamento della<br />

nuova sovrana alla Hofburg e comprendevano, oltre alla P o l i m n i a,<br />

pitture di Giovanni De Min, Francesco Hayez, Lattanzio Querena e<br />

di Liberal Cozza, vedute di Giuseppe Borsato e Roberto Roberti; le<br />

sculture Chirone ammaestra Achille di Rinaldo Rinaldi e il G i u r a<br />

mento di Annibale di Angelo Pizzi con la collaborazione di Bartolomeo<br />

Ferrari; due vasi ornamentali modellati, con leggere varianti,<br />

sul famoso antico Vaso Borghese; due are di Bartolomeo Ferrari ispirate<br />

alle due basi di candelabro del Museo Archeologico Nazionale<br />

di Venezia, già in collezione Grimani; lavori di oreficeria del vicentino<br />

Bartolomeo Bongiovanni. Chiudeva il cospicuo nucleo un sontuoso<br />

tavolo ideato da Borsato, presentato nell’O m a g g i o con queste<br />

parole: “Tavola di smalti e bronzi [...] Si limita il presente lavoro ad<br />

offrire sopra un piano di Smalti variamente lavorati e contesti ciò<br />

che rimane ancora di puramente indigeno della veneta arte vetraria:<br />

e piacerà riconoscere come possano imitarsi le preziose e peregrine<br />

produzioni della Natura e le più belle pietre ornamentali. Il diligente<br />

meccanismo della ruota pose ogni solerzia nella minutezza e<br />

precisione degli intagli di tali materie durissime; acciò più appariscente<br />

e decorativo riuscisse quest’omaggio veramente nazionale, la<br />

Toreutica e la Scultura vi hanno aggiunto col mezzo della fusione e<br />

del cesello i rilievi in bronzo, che sorreggono la tavola, prestandosi<br />

vicendevolmente soccorso le più nobili arti inventrici e le meccaniche<br />

discipline. Il lavoro di smalti e vetrificazioni è stato eseguito<br />

nelle Officine del Sig. Benedetto Barbaria di Venezia. L’ i n v e n z i o n e<br />

è del Sig. Giuseppe Borsato, Professore nella R. Accademia di Venezia;<br />

i bronzi fusi e cesellati sono opera del Sig. Bartolomeo Bongiovanni<br />

di Vicenza, e le meccaniche concessioni e l’insieme del Sig.<br />

Giacomo Bazzani di Venezia meccanista stipettaio”.<br />

Si deve a Giuseppe Dala l’incisione che illustrava il pezzo<br />

straordinario, riportandone l’esatta intitolazione: Tavola contesta di<br />

Smalti legati in oro e argento sorretta da un Tripode di Bronzi dorati.<br />

Una seconda versione, realizzata da<br />

Marco Comirato, fu inclusa nell’Ope -<br />

ra ornamentale, famoso volume apparso<br />

in due diverse edizioni nel<br />

1831 che raccoglieva il meglio della<br />

creatività decorativa di Borsato.<br />

Benché l’immagine sia stata ripro-<br />

dotta in numerosissime pubblicazioni<br />

sul mobile ottocentesco, il tavolo<br />

vero e proprio risultava disperso fino<br />

[159] Roberto Roberti, La corte<br />

austriaca al ponte di Rialto, 1817.<br />

[160] Incisione di Giuseppe Dala<br />

che raffigura il tavolo di Borsato.

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