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Buchi neri e informazione.pdf - Nardelli

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L’<strong>informazione</strong> che cade nei buchi <strong>neri</strong> è persa?<br />

Michele <strong>Nardelli</strong><br />

“I buchi <strong>neri</strong> non hanno peli”. Con questa affermazione il fisico John Wheeler<br />

puntualizzò una proprietà molto importante dell’orizzonte degli eventi di un buco<br />

nero (ricordiamo che l’orizzonte degli eventi è una superficie di là della quale nulla<br />

può sfuggire alla singolarità di un buco nero). Con il termine “peli” intendeva<br />

caratteristiche osservabili come “gobbe” o altre irregolarità. L’orizzonte di un buco<br />

nero è liscio come una palla da biliardo, anzi molto di più. Quando si forma un buco<br />

nero, l’orizzonte si stabilizza rapidamente nella forma di una sfera perfettamente<br />

regolare e liscia ed a parte la massa e la velocità di rotazione, ogni buco nero è uguale<br />

a qualunque altro.<br />

Aggiunger un bit (unità fondamentale di <strong>informazione</strong>) di <strong>informazione</strong> fa crescere la<br />

superficie dell’orizzonte degli eventi di un buco nero di un’unità di Planck di area,<br />

cioè di una lunghezza di Planck al quadrato. Immaginiamo di costruire il buco nero<br />

un bit alla volta. Ogni volta che aggiungiamo un bit di <strong>informazione</strong> l’area<br />

dell’orizzonte degli eventi aumenta di un’unità di Planck. Quando il buco nero è<br />

finito, l’area del suo orizzonte sarà uguale al numero totale di bit di <strong>informazione</strong><br />

nascosti nel buco nero. Quindi il fisico Jacob Bekenstein arrivò al seguente risultato:<br />

l’entropia (misura dell’<strong>informazione</strong> nascosta) di un buco nero, misurata in bit, è<br />

proporzionale all’area del suo orizzonte degli eventi misurata in unità di Planck.<br />

L’intuizione più grande del celebre fisico Stephen Hawking è che i buchi <strong>neri</strong> non<br />

solo hanno un’entropia, come ipotizzato correttamente da Bekenstein, ma anche una<br />

temperatura.<br />

Usando la matematica della teoria quantistica dei campi, Hawking calcolò che la<br />

perturbazione delle fluttuazioni del vuoto causata dalla presenza del buco nero fa sì<br />

che vengano emessi fotoni, esattamente come se il buco nero fosse un corpo nero<br />

caldo. Questi fotoni vengono chiamati radiazione di Hawking. Hawking riuscì a<br />

calcolare esattamente la temperatura e, procedendo a ritroso, l’entropia del buco nero.<br />

Bekenstein si era limitato ad affermare che l’entropia era proporzionale all’area<br />

dell’orizzonte degli eventi misurata in unità di Planck. Stando ai calcoli di Hawking,<br />

l’entropia di un buco nero è esattamente un quarto dell’area dell’orizzonte misurata in<br />

unità di Planck. La formula ricavata da Hawking per la temperatura di un buco nero è<br />

la seguente:<br />

3<br />

1 c h<br />

T = × 2<br />

16π<br />

GMk<br />

8<br />

−11<br />

dove c = 3× 10 (velocità della luce), G = 6,<br />

7 × 10 (costante gravitazionale di<br />

−34<br />

−23<br />

Newton), h = 7 × 10 (costante di Planck) e k = 1,<br />

4 × 10 (costante di Boltzmann).<br />

Nella formula di Hawking la massa del buco nero è a denominatore. Questo significa<br />

che più grande è la massa più il buco nero è freddo e, viceversa, più piccola è la<br />

1


massa più il buco nero è caldo. Proviamo ad applicare la formula al caso di una stella<br />

con una massa cinque volte più grande del Sole che si contrae formando un buco<br />

nero. La sua massa, in chilogrammi, sarebbe:<br />

31<br />

M = 10 .<br />

Attraverso la formula di Hawking troviamo che la temperatura del buco nero è di<br />

circa 10 -8 gradi Kelvin (K), che è una temperatura molto bassa.<br />

Quando un buco nero emette radiazione di Hawking ed evapora, man mano che la<br />

massa decresce ed il buco nero si contrae, la temperatura aumenta. Con il passare del<br />

tempo il buco nero diviene caldo. Arrivato alla massa di Planck avrà una temperatura<br />

di 10 32 gradi. È interessante notare che l’unica volta che un qualunque punto<br />

dell’universo è mai stato vicino a temperature del genere è stata all’inizio del Big<br />

Bang. Il calcolo di Hawking che dimostrava l’evaporazione dei buchi <strong>neri</strong>, fu l’inizio<br />

di una grande rivoluzione scientifica che avrebbe riguardato le questioni più<br />

profonde: la natura dello spazio e del tempo, il significato delle particelle elementari<br />

ed il mistero dell’origine dell’universo.<br />

Cosa accade all’<strong>informazione</strong> caduta in precedenza nel buco nero quando questo<br />

evapora? L. Susskind e G. ‘t Hooft erano sicuri che ciascun bit di <strong>informazione</strong> è<br />

trasferito nei fotoni e nelle altre particelle che portano via l’energia del buco nero. In<br />

altre parole, l’<strong>informazione</strong> è “immagazzinata” nelle tante particelle che costituiscono<br />

la radiazione di Hawking. Inoltre essi erano giunti ad un’altra importante<br />

conclusione: il mondo tridimensionale dell’esperienza comune – l’universo pieno di<br />

galassie, stelle e pianeti – è un ologramma, un’immagine della realtà codificata su<br />

una lontana superficie bidimensionale. Questa nuova legge della fisica, chiamata<br />

principio olografico, afferma che tutto ciò che è contenuto in una data regione<br />

spaziale può essere descritto da bit di <strong>informazione</strong> confinati sul bordo della regione<br />

stessa. Il mondo sarebbe quindi diviso in pixel, e tutta l’<strong>informazione</strong> è<br />

immagazzinata sul confine dello spazio.<br />

Partiamo da una regione di spazio sferica, individuata da un immaginario bordo<br />

matematico. La regione contiene della materia. La cosa più pesante che si può far<br />

entrare nella regione è un buco nero il cui orizzonte coincida con il bordo. Esiste un<br />

limite sul numero di bit di <strong>informazione</strong> contenuti nella materia?<br />

Immaginiamo adesso un “guscio” sferico materiale, fatto quindi di vera materia, che<br />

contenga l’intera regione. Essendo fatto di materia, il guscio ha una massa ed esso<br />

può essere compresso fino ad entrare perfettamente nella sfera. Aggiustando la massa<br />

del guscio, con questo procedimento possiamo arrivare ad avere un orizzonte degli<br />

eventi che coincida perfettamente con il bordo della regione sferica di partenza.<br />

La materia con cui siamo partiti aveva una certa quantità iniziale di entropia –<br />

<strong>informazione</strong> nascosta – di cui non abbiamo specificato il valore. Ma non c’è alcun<br />

dubbio sull’entropia finale; è l’entropia del buco nero, cioè la sua area espressa in<br />

unità di Planck. Per il secondo principio della termodinamica, l’entropia del nostro<br />

sistema non può che aumentare. Dunque l’entropia del buco nero finale deve essere<br />

maggiore di quella della materia originaria. Mettendo insieme il tutto, abbiamo<br />

2


dimostrato il seguente fatto: il massimo numero di bit di <strong>informazione</strong> che possono<br />

stare in una data regione spaziale è uguale al numero di pixel planckiani in cui si può<br />

suddividere l’area della superficie di confine. Implicitamente ciò significa che esiste<br />

una “descrizione al contorno” di tutto ciò che ha luogo dentro la regione di spazio<br />

considerata: la superficie del confine è un ologramma dell’interno tridimensionale.<br />

Naturalmente ciò di cui si sta parlando non è un normale ologramma ma un foglio di<br />

pixel planckiani. Inoltre questo nuovo tipo di ologramma può cambiare nel tempo e si<br />

tratta di un “ologramma quantistico”. Esso tremola e balugina con l’indeterminazione<br />

di un sistema quantistico, in modo che anche l’immagine tridimensionale abbia i<br />

tremori quantistici. Tutto è fatto di bit che si muovono secondo complicati moti<br />

quantistici, ma se guardiamo questi bit nel dettaglio scopriamo che sono situati<br />

lontano da noi, ai confini più remoti dello spazio.<br />

La teoria delle stringhe è intrinsecamente una teoria olografica che descrive un<br />

universo “a pixel”.<br />

Le stringhe fortemente eccitate sono in media più grandi delle loro controparti allo<br />

stato fondamentale; l’energia supplementare le sbatacchia e le stira facendole<br />

allungare. Se si potesse bombardare una stringa con sufficiente energia, questa si<br />

“gonfierebbe” fino a divenire una specie di matassa intricata e violentemente<br />

fluttuante. E non c’è limite alle dimensioni che potrebbe raggiungere: con altra<br />

energia, la stringa potrebbe essere eccitata e dilatata fino ad assumere qualunque<br />

diametro. C’è tuttavia un modo in cui queste stringhe immensamente eccitate si<br />

realizzano in natura: i buchi <strong>neri</strong>, anche quelli giganteschi che si trovano al centro<br />

delle galassie. Questi, secondo l’interpretazione fatta dalla teoria delle stringhe, sono<br />

enormi, ingarbugliate stringhe “monster”.<br />

Le stringhe emettono ed assorbono altre stringhe. Prendiamo il caso delle stringhe<br />

chiuse. Oltre a tremare con un moto di punto zero, una stringa quantistica può<br />

dividersi in due. La stringa ondeggia formando una sorta di increspatura fino a<br />

quando non appare un’appendice. La stringa è ora pronta per dividersi, emettendo<br />

una piccola parte di sé stessa. Anche l’opposto è possibile: una piccola stringa che ne<br />

incontra una più grande può venire assorbita con il processo inverso.<br />

I gravitoni (i quanti della gravità) sono piccoli anelli di stringa che sciamano attorno<br />

alle stringhe più grandi e formano un condensato che riproduce molto fedelmente gli<br />

effetti di un campo gravitazionale.<br />

I teorici delle stringhe sostengono che “la bella, elegante, coerente e solida<br />

matematica della teoria delle stringhe conduce al sorprendente, incredibile, fantastico<br />

fatto delle forze gravitazionali, e dunque deve essere vera”. La teoria delle stringhe è<br />

un laboratorio matematico coerente in cui è possibile mettere alla prova varie idee su<br />

come coniugare gravità e meccanica quantistica. La teoria delle stringhe è la migliore<br />

guida matematica che abbiamo per orientarci verso i principi ultimi della gravità<br />

quantistica.<br />

Dato l’emergere della gravità nella teoria delle stringhe, è possibile supporre che<br />

raggruppando un numero sufficiente di stringhe massive si formi un buco nero.<br />

Cominciamo con il pensare che una particella sia un microscopico elastico di gomma<br />

non molto più grande di una lunghezza di Planck. Un elastico, se viene pizzicato,<br />

3


comincerà ad ondeggiare e vibrare; se non ci fosse attrito tra i vari segmenti di<br />

gomma, la vibrazione andrebbe avanti in eterno. Fornire energia ad una stringa la fa<br />

oscillare ancor più violentemente, talvolta al punto da farla somigliare ad una<br />

gigantesca matassa violentemente fluttuante. Queste oscillazioni sono dette<br />

fluttuazioni termiche, ed aggiungono “vera” energia alla stringa. Ma non<br />

dimentichiamo i tremori quantistici. Anche se ad un sistema togliamo tutta la sua<br />

energia, lasciandolo nello stato fondamentale, i tremori non spariscono<br />

completamente.<br />

Adesso immaginiamo un aereo (chiamiamolo l’”aeroplano di Alice”) dotato di un<br />

nuovo tipo di elica “composita”: all’estremità di ogni pala d’elica è situato un nuovo<br />

mozzo con attaccate nuove pale “di secondo livello”. Queste ruotano molto più<br />

velocemente di quelle originali – diciamo dieci volte tanto. Quando si cominciano a<br />

vedere le pale di primo livello, quelle di secondo livello sono ancora invisibili. Se<br />

l’elica continua a rallentare, ad un certo punto compaiono anche le pale di secondo<br />

livello; ancora una volta, la struttura sembra ingrandirsi. Un terzo livello di pale è<br />

attaccato alle estremità delle pale di secondo livello, e ruota dieci volte più veloce di<br />

queste ultime. Ci vorrà dunque un ulteriore rallentamento, ma dopo un certo tempo<br />

l’elica composita sembrerà di nuovo allargarsi su un’area ancora maggiore. L’aereo<br />

di Alice non si ferma a tre livelli: la successione delle sue eliche prosegue<br />

indefinitamente e, man mano che queste rallentano, una parte sempre più grande<br />

dell’insieme diviene visibile, crescendo fino a proporzioni enormi. Ma a meno che<br />

l’elica non si fermi del tutto, ad un dato istante se ne può vedere solo un numero<br />

finito di livelli.<br />

Mandiamo adesso Alice con il suo aeroplano diritta dentro un buco nero. Che cosa<br />

vedrà Bob (l’osservatore esterno)? All’esterno il propulsore sembrerà rallentare: ad<br />

un certo punto apparirà l’elica di primo livello, e successivamente una porzione<br />

sempre maggiore dell’intero macchinario che, di livello in livello, si allargherà fino a<br />

ricoprire l’intero orizzonte degli eventi. Ma cosa vedrebbe Alice, viaggiando assieme<br />

all’elica? Niente di particolarmente insolito. Se guardasse verso l’elica, questa<br />

continuerebbe ad essere troppo veloce perché lei o la sua videocamera possano<br />

percepirla. Vedrebbe quello che vediamo noi quando guardiamo un’elica girare<br />

velocemente, ossia solo il mozzo centrale.<br />

Immaginiamo adesso che, mentre cade verso l’orizzonte degli eventi, Alice tenga lo<br />

sguardo fisso su un atomo vicino che sta anch’esso precipitando. L’atomo ha un<br />

aspetto perfettamente normale, anche quando oltrepassa l’orizzonte. I suoi elettroni<br />

continuano a girare attorno al nucleo al solito passo, e l’atomo nel suo complesso non<br />

sembra più grande di un qualunque altro atomo.<br />

Bob (l’osservatore esterno), invece, vede l’atomo rallentare man mano che si avvicina<br />

all’orizzonte; allo stesso tempo le fluttuazioni termiche lo smembrano completamente<br />

e lo spalmano su una superficie di area crescente. L’atomo sembra somigliare ad un<br />

aeroplano di Alice in miniatura. (Notiamo con grande interesse come tale<br />

rappresentazione – l’aereo di alice ad eliche “composite” e l’atomo che si<br />

avvicina all’orizzonte degli eventi – siano delle forme frattali, basata quindi sul<br />

numero aureo Φ = ( 5 + 1)<br />

/ 2 ).<br />

4


Le particelle descritte dalla teoria delle stringhe – gli anelli di corda elastica in linea<br />

di principio minuscoli – sono esattamente come le eliche composite. Una particella<br />

elementare sembra quasi puntiforme: pensiamola come il mozzo dell’elica. Ora<br />

aumentiamo la velocità dell’otturatore di una ipotetica macchina fotografica fino ad<br />

ottenere un tempo di posa di poco superiore alla durata di Planck. L’immagine<br />

comincia a mostrarci che la particella è in realtà una cordicella. Aumentiamo<br />

ulteriormente la velocità dell’otturatore. Quel che vediamo è che ogni porzione della<br />

stringa fluttua e vibra, di modo che la nuova immagine appare più ingarbugliata ed<br />

estesa. Ma tale processo si ripete: ogni “ricciolo”, ogni “curva” della stringa si rivela<br />

composto di altri “riccioli” e ghirigori che oscillano ogni volta più rapidamente.<br />

(Anche qui notiamo la caratteristica a “frattale” insita in tale rappresentazione,<br />

e quindi la connessione con il numero aureo Φ ).<br />

Che cosa vede Bob (l’osservatore esterno) quando guarda una particella di questo<br />

tipo cadere verso l’orizzonte degli eventi? All’inizio il moto oscillatorio è troppo<br />

rapido per essere visibile, e l’unica cosa visibile è il minuscolo “mozzo” al centro.<br />

Ma ben presto la natura particolare del tempo in prossimità dell’orizzonte comincia a<br />

farsi sentire, e il moto della stringa appare sempre più rallentato. Bob vede porzioni<br />

sempre più estese della struttura oscillante esattamente come accadeva con l’elica<br />

composita di Alice. Man mano che il tempo passa, diventano visibili oscillazioni<br />

sempre più rapide, e la stringa sembra allargarsi e spandersi sull’intera superficie<br />

dell’orizzonte degli eventi. E se invece stiamo cadendo assieme alla particella? In<br />

questo caso il tempo si comporta normalmente. La fluttuazioni ad alta frequenza<br />

rimangono ad alta frequenza, ben al di fuori della portata della nostra macchina<br />

fotografica: come nel caso dell’aereo di Alice, vediamo soltanto la minuscola parte<br />

centrale.<br />

L’“immagine” fornita dalla teoria delle stringhe assomiglia di più all’aeroplano di<br />

Alice. Man mano che le cose rallentano, diventa visibile una quantità sempre<br />

maggiore di “eliche”; queste occupano una regione di spazio sempre più vasta, di<br />

modo che l’intera struttura complessa si espande. È inoltre importante ricordare che<br />

le stringhe, come qualunque altra cosa, hanno anch’esse i tremori quantistici, ma a<br />

modo loro. Come l’aereo di Alice, le stringhe vibrano a molte frequenze diverse e la<br />

maggior parte delle vibrazioni sono troppo rapide per essere rivelabili.<br />

Secondo la proposta di G. ‘t Hooft: lo spettro di particelle non finisce alla massa di<br />

Planck. Continua con masse indefinitamente grandi che prendono la forma di buchi<br />

<strong>neri</strong>. I buchi <strong>neri</strong>, come accade per le particelle ordinarie, possono assumere solo<br />

valori discreti di massa. Questi valori permessi diventano tuttavia talmente densi e<br />

fitti, al di sopra della massa di Planck, da costituire praticamente una banda sfumata.<br />

Secondo la congettura di ‘t Hooft, molto probabilmente lo spettro delle eccitazioni di<br />

stringa sfuma in quello dei buchi <strong>neri</strong> più o meno in corrispondenza della massa di<br />

Planck, ma senza una separazione netta.<br />

Supponiamo adesso che il fotone sia una cordicella e “scuotiamolo” o “colpiamolo”<br />

con altre stringhe. Proprio come un piccolo elastico, il fotone comincerebbe a<br />

“vibrare”, “ruotare” ed “allungarsi”. Se gli si fornisce abbastanza energia, comincerà<br />

a somigliare ad un gigantesco “garbuglio”, un “gomitolo” di filo. In questo caso non<br />

5


si tratta di tremori quantistici, ma di tremori termici. Queste cordicelle aggrovigliate<br />

ed eccitate somigliano molto a buchi <strong>neri</strong>: questi, infatti, possono essere in realtà<br />

nient’altro che giganteschi gomitoli di spago (stringa) casualmente intrecciati.<br />

La massa di una stringa lunga ed intricata può diminuire per azione della gravità e<br />

non risultare più proporzionale alla lunghezza, una volta che si tiene conto<br />

correttamente degli effetti gravitazionali. Il gigantesco gomitolo di corda può<br />

contrarsi in una sfera sempre più compatta: il gomitolo rimpicciolito avrebbe anche<br />

una massa più piccola di quella di partenza.<br />

Quindi, la massa ed il raggio del gomitolo cambiano, ma che ne è dell’entropia?<br />

L’entropia è precisamente ciò che non varia. Se un sistema viene modificato<br />

lentamente, la sua energia può cambiare (in genere cambia), ma la sua entropia<br />

rimane esattamente la stessa. Questo teorema, basilare tanto in meccanica classica<br />

quanto in meccanica quantistica, si chiama teorema adiabatico.<br />

Prendiamo un grosso garbuglio di stringhe e cominciamo con annullare la gravità.<br />

Senza gravità la stringa non somiglia ad un buco nero, ma ha un’entropia ed una<br />

massa. Ora aumentiamo lentamente l’intensità della forza di gravità. I vari segmenti<br />

di stringa iniziano ad attrarsi vicendevolmente, ed il gomitolo di stringa si comprime.<br />

Continuiamo ad aumentare la gravità finchè la stringa diventa tanto compatta da<br />

formare un buco nero: la massa ed il raggio si sono ridotti, ma l’entropia è rimasta<br />

invariata. Contraendosi e trasformandosi in un buco nero il gomitolo di stringa<br />

cambia massa esattamente nel modo giusto, portando entropia e massa nella giusta<br />

relazione: entropia ∝ massa 2 (l’entropia è proporzionale al quadrato della massa di<br />

un buco nero).<br />

L’immagine dell’orizzonte degli eventi che emerge è quindi un groviglio di stringa<br />

appiattito sull’orizzonte della gravità. Ma le fluttuazioni quantiche fanno sì che<br />

alcune porzioni di stringa sporgano un poco, e questi pezzettini rappresentano gli<br />

atomi d’orizzonte. Un osservatore esterno vedrebbe pezzetti di stringa, ciascuno con<br />

le due estremità saldamente fissate all’orizzonte. Nel linguaggio della teoria delle<br />

stringhe, gli atomi d’orizzonte sono stringhe aperte (dotate di estremità) attaccate ad<br />

una sorta di membrana. Questi pezzetti di stringa possono sganciarsi dall’orizzonte, e<br />

questo spiegherebbe l’irraggiamento e l’evaporazione di un buco nero. Quindi John<br />

Wheeler si sbagliava: i buchi <strong>neri</strong> sono ricoperti di peli, cioè caratteristiche<br />

osservabili come “gobbe” o altre irregolarità (in questo caso i pezzettini di stringa<br />

attaccati alla membrana).<br />

Le stringhe fondamentali possono attraversarsi a vicenda. Quando le stringhe si<br />

toccano può anche accadere che, invece di attraversarsi, le due stringhe possono<br />

“ricombinarsi”. Quale delle due possibilità si verifica quando si incrociano le<br />

stringhe? A volte una, a volte l’altra. Le stringhe potrebbero attraversarsi il 90% dei<br />

casi, e ricombinarsi il rimanente 10%. La probabilità di ricombinazione è detta<br />

costante di accoppiamento delle stringhe.<br />

Adesso concentriamoci su una piccola porzione di stringa sporgente dall’orizzonte di<br />

un buco nero. Il segmento di stringa è ritorto, e due pezzi stanno per incrociarsi: il<br />

90% delle volte si attraverseranno senza che accada nulla, ma nel 10% dei casi la<br />

stringa si ricombina. Quando questo accade, si verifica un fenomeno nuovo: si libera<br />

6


un piccolo anello di stringa. Quel pezzettino di stringa chiusa è una particella (un<br />

fotone, un gravitone, o una qualunque altra particella). Essendo all’esterno del buco<br />

nero, ha la possibilità di sfuggire; quando questo accade, il buco nero perde un po’ di<br />

energia. Ecco come la teoria delle stringhe spiega la radiazione di Hawking.<br />

La parola brana è un’invenzione della teoria delle stringhe; tale termine deriva da<br />

membrana, parola di uso comune con cui si indica una superficie bidimensionale che<br />

si può deformare e stirare. Una D-brana (dove D sta per Dirichlet) non è una brana<br />

qualsiasi, ma ha una proprietà molto speciale, cioè il fatto che su di essa possono<br />

giacere le estremità delle stringhe fondamentali. Prendiamo il caso di una D0-brana.<br />

La D significa che si tratta di una D-brana, lo zero significa che non ha dimensioni.<br />

Una D0-brana è quindi una particella su cui possono terminare le stringhe<br />

fondamentali. Le D1-brane sono spesso chiamate D-stringhe. Questo perché la D1brana,<br />

essendo filiforme, è essa stessa una specie di stringa, anche se non deve essere<br />

confusa con le stringhe fondamentali. Tipicamente le D-stringhe sono molto più<br />

pesanti delle stringhe fondamentali. Esistono potenti simmetrie matematiche,<br />

chiamate dualità, che collegano le stringhe fondamentali alle D-stringhe. Queste<br />

dualità rivestono ruoli importanti in molti settori della matematica pura. Le D2-brane<br />

sono membrane simili a fogli di gomma, a parte il fatto che su di esse possono<br />

terminare le stringhe fondamentali.<br />

Nel 1996 i due teorici di stringa Cumrun Vafa ed Andrew Strominger, combinando<br />

stringhe e D-brane riuscirono a costruire un buco nero estremale con un orizzonte<br />

degli eventi di grandi dimensioni ed inequivocabilmente classico. In quanto oggetto<br />

macroscopico classico, l’orizzonte avrebbe risentito in maniera trascurabile delle<br />

fluttuazioni quantistiche. La teoria delle stringhe avrebbe fatto bene a trovare la<br />

quantità di <strong>informazione</strong> nascosta implicata dalla formula di Hawking, senza ambigui<br />

fattori o segni di proporzionalità. Il punto di partenza era un certo numero di D5brane<br />

espanse in cinque delle sei direzioni compatte dello spazio. Immerse in queste<br />

D5-brane i due fisici avvolsero un gran numero di D1-brane attorno ad una delle<br />

direzioni compatte. Quindi aggiunsero stringhe con entrambe le estremità attaccate<br />

alle D-brane. Ancora una volta, i pezzetti di stringa aperti rappresentavano gli atomi<br />

d’orizzonte che contengono l’entropia. Strominger a Vafa per prima cosa annullarono<br />

la gravità e le altre forze. Senza queste è possibile calcolare esattamente quanta<br />

entropia è immagazzinata nelle fluttuazioni delle stringhe aperte. Il passo successivo<br />

fu quello di risolvere le equazioni di campo di Einstein per questo tipo di buco nero<br />

estremale. Strominger e Vafa trovarono che l’area dell’orizzonte e l’entropia non<br />

erano semplicemente proporzionali: l’<strong>informazione</strong> nascosta nei fili guizzanti<br />

attaccati alle brane concordava esattamente con la formula di Hawking.<br />

Gli altri due teorici di stringa Callan e Maldacena, riuscirono ad usare la teoria delle<br />

stringhe per calcolare il tasso di evaporazione dei buchi <strong>neri</strong> quasi estremali. La<br />

spiegazione fornita dalla teoria delle stringhe al processo di evaporazione è<br />

affascinante. Quando due increspature che si muovono in direzioni opposte si<br />

scontrano, formano una singola increspatura più grande. Una volta che questa si è<br />

formata, nulla le impedisce di staccarsi (ecco l’evaporazione in termini di stringhe).<br />

Callan e Maldacena avevano calcolato in dettaglio il tasso di evaporazione ed il loro<br />

7


isultato era perfettamente in accordo con il metodo di Hawking. Ma c’era una<br />

differenza fondamentale: Callan e Maldacena avevano usato soltanto i metodi<br />

convenzionali della meccanica quantistica e, come è noto, la meccanica quantistica<br />

ha un elemento di aleatorietà intrinseca, ma proibisce la perdita di <strong>informazione</strong>.<br />

Pertanto non vi era alcuna possibilità che si perdesse <strong>informazione</strong> durante il<br />

processo di evaporazione. L’entropia di un buco nero si poteva spiegare con<br />

l’<strong>informazione</strong> immagazzinata in increspature di stringhe: i buchi <strong>neri</strong> potevano<br />

essere visti come “contenitori” in grado di immagazzinare <strong>informazione</strong> recuperabile.<br />

Lo spazio AdS (Anti de Sitter) è curvo e la curvatura è negativa. La famosa incisione<br />

di Escher Limite del cerchio IV (vedi immagine in alto) è una “mappa” di uno spazio<br />

a curvatura negativa che mostra esattamente come apparirebbe una fetta<br />

bidimensionale di uno spazio AdS. Come si può notare, le figure si alternano senza<br />

fine, sfumando in un bordo frattale infinito (anche qui, quindi, è presente il numero<br />

aureo Φ ). Ora aggiungiamo il tempo e mettiamo tutto insieme in una figura che<br />

rappresenta uno spazio anti de Sitter. Mettiamo il tempo lungo l’asse verticale.<br />

Ciascuna sezione orizzontale rappresenta lo spazio ordinario ad un particolare istante.<br />

L’Ads si può quindi pensare come un’infinita sequenza di sottili fettine di spazio che,<br />

impilate una sull’altra, formano un continuo spaziotemporale di forma cilindrica.<br />

Immaginiamo adesso di zoomare su una regione prossima al bordo della figura in alto<br />

e di farne un ingrandimento tale da far apparire il bordo quasi rettilineo. Se<br />

8


semplifichiamo l’immagine sostituendo le figure scure con quadrati, l’immagine<br />

diventa una specie di reticolo fatto di quadrati sempre più piccoli man mano che ci si<br />

avvicina al bordo frattale infinito. Possiamo immaginare l’AdS come un “muro”<br />

infinito di mattoni quadrati: scendendo lungo il muro, ad ogni nuovo strato la<br />

larghezza dei mattoni raddoppia.<br />

Nel 1997, il teorico delle stringhe Maldacena sostenne che due mondi matematici che<br />

sembrano del tutto diversi sono in realtà esattamente uguali. Uno ha quattro<br />

dimensioni spaziali ed una temporale (4 + 1), mentre l’altro è (3 + 1)-dimensionale,<br />

come il mondo a cui siamo abituati. Maldacena affermò che la QCD (cromodinamica<br />

quantistica, una teoria dei campi) piatta è “duale” ad un universo anti de Sitter (3 +<br />

1)-dimensionale. Inoltre, in questo mondo tridimensionale materia ed energia<br />

esercitano forze gravitazionali: in altre parole, un mondo a (2 + 1) dimensioni che<br />

include la QCD ma non la gravità è equivalente ad un universo a (3 + 1) dimensioni<br />

con gravità. Come può essere? Tutto sta nella distorsione dello spazio anti de Sitter,<br />

che fa sembrare gli oggetti vicini al bordo più piccoli di quelli nelle regioni più<br />

interne dello spazio. Le descrizioni duali di Maldacena erano una realizzazione del<br />

principio olografico: tutto ciò che accade all’interno dello spazio anti de Sitter “è un<br />

ologramma, un’immagine della realtà codificata su una lontana superficie<br />

bidimensionale”. Un mondo tridimensionale con gravità è equivalente ad un<br />

ologramma quantistico situato sul bordo dello spazio stesso. Il fisico teorico Edward<br />

Witten collegò la scoperta di Maldacena al principio olografico scrivendo il suo<br />

articolo “spazi anti de Sitter ed olografia”.<br />

Lo spazio anti de Sitter è come una “lattina di minestrone”. Le sezioni orizzontali<br />

della lattina rappresentano lo spazio, mentre l’asse verticale rappresenta il tempo.<br />

L’etichetta all’esterno della lattina è il bordo, mentre l’interno rappresenta lo spaziotempo<br />

vero e proprio. Lo spazio AdS puro è una lattina vuota, che può essere resa più<br />

interessante riempiendola di “minestrone” – ossia materia ed energia. Witten spiegò<br />

che, ammassando abbastanza materia ed energia nella lattina, è possibile creare un<br />

buco nero. L’esistenza di un buco nero nel “minestrone” deve avere un equivalente<br />

sull’ologramma al bordo, ma che cosa? Nella sua “teoria di bordo” Witten sostiene<br />

che il buco nero nel “minestrone” è equivalente ad un “fluido caldo” di particelle<br />

elementari – essenzialmente gluoni. Ora, la teoria dei campi è un caso particolare di<br />

meccanica quantistica, ed in meccanica quantistica l’<strong>informazione</strong> non viene mai<br />

distrutta. I teorici delle stringhe capirono immediatamente che Maldacena e Witten<br />

avevano dimostrato senza ombra di dubbio che non è possibile far sparire<br />

<strong>informazione</strong> dietro l’orizzonte di un buco nero.<br />

Maldacena aveva scoperto che due diverse teorie matematiche sono in realtà la stessa<br />

– sono teorie “duali”. Una è la teoria delle stringhe, con tanto di gravitoni e buchi<br />

<strong>neri</strong>, seppure in uno spazio anti de Sitter (4 + 1)-dimensionale. Tutto ciò che accade<br />

nello spazio AdS è completamente descrivibile per mezzo di una teoria che ha una<br />

dimensione spaziale in meno. Dato che Maldacena è partito da quattro dimensioni<br />

spaziali, la teoria olografica duale ne ha soltanto tre. Il duale olografico è<br />

matematicamente molto simile alla cromodinamica quantistica (QCD), la teoria dei<br />

quark, degli adroni e dei nuclei.<br />

9


Quindi:<br />

Gravità quantistica in AdS ↔ QCD.<br />

L’interesse maggiore del risultato di Maldacena era il fatto che confermasse il<br />

principio olografico e gettasse luce sul funzionamento della gravità quantistica.<br />

Riprendiamo in considerazione l’AdS, visto da un punto molto vicino al bordo:<br />

chiameremo questo bordo UV-brana. La UV-brana è quindi una superficie vicina al<br />

bordo. (Ritorniamo nuovamente all’immagine dell’AdS come un “muro” infinito di<br />

mattoni quadrati: scendendo lungo il muro, ad ogni nuovo strato la larghezza dei<br />

mattoni raddoppia. Ricordiamo, inoltre, che il bordo è un “bordo frattale infinito”).<br />

Immaginiamo di allontanarci dalla UV-brana e dirigerci verso l’interno dove i<br />

quadrati si allargano e gli orologi rallentano indefinitamente. Gli oggetti che in<br />

prossimità della UV-brana sono piccoli e veloci diventano grandi e lenti quando ci<br />

addentriamo nello spazio AdS. Ma l’AdS non è la cosa più adatta per descrivere la<br />

QCD. Chiamiamo questo spazio anti de Sitter modificato Q-spazio. Come l’AdS, il<br />

Q-spazio ha una UV-brana dove le cose rimpiccioliscono ed accelerano ma,<br />

diversamente dall’AdS, possiede anche un secondo bordo, chiamato IR-brana. La IRbrana<br />

è una specie di barriera impenetrabile dove i quadrati raggiungono la loro<br />

estensione massima. Immaginiamo di mettere una stringa quantistica in un Q-spazio,<br />

dapprima in prossimità della UV-brana. Essa apparirà minuscola – forse con diametro<br />

paragonabile alla lunghezza di Planck – e rapidamente vibrante. Ma se la stessa<br />

particella (stringa) viene spostata verso la IR-brana sembrerà ingrandirsi, come se<br />

fosse proiettata su uno schermo che si allontana. Ora prendiamo in considerazione le<br />

vibrazioni. Queste costituiscono una sorta di “orologio” che, accelererà avvicinandosi<br />

all’UV-brana, e rallenterà quando si muove verso la IR-brana. Una stringa in<br />

vicinanza della IR-brana non solo apparirà come un’enorme gigantografia della<br />

propria versione miniaturizzata UV, ma oscillerà anche molto più lentamente di<br />

quest’ultima. Se le particelle ultrapiccole (alla scala di Planck) della teoria delle<br />

stringhe “vivono” in prossimità della UV-brana e le loro versioni ingigantite – gli<br />

adroni (particelle strettamente parenti del nucleo atomico: protoni, neutroni, mesoni e<br />

glueball. Gli adroni sono costituiti da quark e gluoni) – vivono nei pressi della IRbrana,<br />

quanto distano esattamente le une dalle altre? Secondo la figura prima<br />

riportata, per andare dagli oggetti planckiani agli adroni bisogna scendere di circa 66<br />

quadrati. Ma ricordando che ogni “gradino” è alto il doppio del precedente,<br />

raddoppiare 66 volte corrisponde grosso modo ad un’espansione di un fattore 10 20 .<br />

Il punto di vista più eccitante, è che le stringhe nucleari e quelle fondamentali sono<br />

davvero gli stessi oggetti, visti attraverso una “lente” che ne distorce l’immagine e ne<br />

rallenta il moto. Secondo questo modo di vedere, quando una particella (o stringa) si<br />

trova in vicinanza della UV-brana appare piccola, energetica e rapidamente<br />

oscillante: ha l’aspetto di una stringa fondamentale, si comporta come una stringa<br />

fondamentale, dunque deve essere una stringa fondamentale. Una stringa chiusa<br />

situata in prossimità della UV-brana, ad esempio, sarebbe un gravitone. (Notiamo<br />

che una stringa chiusa ha grosso modo una forma “circolare”, quindi in essa è<br />

10


insito π che per la semplice relazione arccosφ = 0,2879π è connesso con il numero<br />

aureo. Inoltre le vibrazioni emettono “frequenze” in ottimo accordo con gli<br />

esponenti del numero aureo). Ma la stessa stringa, se si avvicina alla IR-brana,<br />

rallenta e si espande. Da tutti i punti di vista si comporta come una glueball (adrone<br />

costitutito solo da gluoni). In questa interpretazione il gravitone e la glueball sono<br />

esattamente lo stesso oggetto, situato in punti diversi del fascio di brane. (Quindi, un<br />

bosone – il gravitone – ed un fermione – la glueball – sono in corrispondenza<br />

biunivoca, cioè dall’uno si ottiene l’altro e viceversa, secondo la relazione<br />

fondamentale del modello Palumbo-<strong>Nardelli</strong> (P-N):<br />

( G G ) f ( φ)<br />

26<br />

−∫ d x<br />

⎡ R 1 μρ νσ<br />

g<br />

⎢<br />

− − g g Tr<br />

⎣ 16πG<br />

8<br />

μν ρσ<br />

1 μν ⎤<br />

− g ∂ μφ∂νφ<br />

⎥<br />

=<br />

2 ⎦<br />

∞<br />

1<br />

= ∫ 2<br />

2κ<br />

0 10<br />

2<br />

− Φ ⎡<br />

2<br />

10 1/<br />

2 2<br />

μ 1 ~ κ10<br />

∫ d x − G e ⎢R<br />

+ 4∂<br />

μΦ∂<br />

Φ − H 3 − Tr 2 ν<br />

⎣<br />

2 g10<br />

2<br />

( ) ( F2<br />

)<br />

Anche questa interpretazione, quindi, rafforza e convalida il modello P-N che<br />

lega le stringhe bosoniche a quelle fermioniche, e la connessione con il numero<br />

aureo, insito in tale formula ).<br />

Immaginiamo una coppia di gravitoni (stringhe vicine alla UV-brana) in procinto di<br />

entrare in collisione. Se hanno energia sufficiente, quando si incontrano nei pressi<br />

della UV-brana si formerà un piccolo buco nero: un ammasso di energia incollato alla<br />

UV-brana. I bit di <strong>informazione</strong> che ne costituiscono l’orizzonte degli eventi hanno<br />

dimensioni planckiane. Ma pensiamo ora di sostituire i due gravitoni con due nuclei<br />

(in prossimità della IR-brana) e di farli collidere. Qui si fa sentire la potenza della<br />

dualità. Da una parte possiamo immaginare la versione quadridimensionale del<br />

processo, in cui due oggetti collidono e formano un buco nero. Questa volta il buco<br />

nero sarà vicino alla IR-brana e di dimensioni maggiori di quello che si era formato<br />

nei pressi della UV-brana. Ma possiamo vedere il processo anche dal punto di vista<br />

tridimensionale. In questo caso, due adroni o due nuclei collidono e formano un<br />

ammasso di quark e gluoni. L’energia della collisione sta insieme e forma una specie<br />

di goccia di fluido definito brodo caldo di quark. Esso ha alcune proprietà di fluidità<br />

molto sorprendenti che ricordano, guarda caso, l’orizzonte degli eventi di un buco<br />

nero. Si è scoperto che la viscosità del brodo caldo di quark è incredibilmente bassa.<br />

(A rigore, ad essere piccola è la viscosità divisa per l’entropia del fluido). Il brodo di<br />

quark è il fluido meno viscoso conosciuto dalla scienza. Ora, esiste in natura qualcosa<br />

di viscosità così bassa da rivaleggiare con il brodo di quark? Esiste. L’orizzonte degli<br />

eventi di un buco nero, quando viene perturbato, si comporta come un fluido. Per<br />

esempio, se un buco nero piccolo cade in un buco nero più grande, crea un<br />

rigonfiamento temporaneo sull’orizzonte. Il rigonfiamento poi si espande sulla<br />

superficie proprio come accade nel caso di un fluido viscoso. Quando i teorici delle<br />

stringhe cominciarono a sospettare un legame tra i buchi <strong>neri</strong> e le collisioni nucleari<br />

(le implicazioni del principio olografico sulle proprietà viscose del brodo di quark) si<br />

resero conto che il brodo di quark è la cosa che più somiglia all’orizzonte degli eventi<br />

di un buco nero. Che ne è alla fine della goccia di fluido? Come per un buco nero,<br />

anch’essa finisce con l’evaporare in una varietà di particelle tra cui nucleoni, mesoni,<br />

11<br />

⎤<br />

⎥ .<br />


elettroni e neutrini. Ricordando che in meccanica quantistica l’<strong>informazione</strong> non<br />

viene mai distrutta, non vi è più alcun dubbio che non è possibile far sparire<br />

<strong>informazione</strong> dietro l’orizzonte di un buco nero. Il buco nero, quindi, evapora in una<br />

varietà di particelle, ma l’<strong>informazione</strong> “si conserva” pur se in un'altra forma. La<br />

viscosità e l’evaporazione sono solo due delle tante proprietà che il brodo di quark ha<br />

in comune con l’orizzonte degli eventi.<br />

La gravità trova il suo pieno compimento nei buchi <strong>neri</strong>. I buchi <strong>neri</strong> non sono<br />

semplicemente stelle molto dense: sono piuttosto giganteschi serbatoi di<br />

<strong>informazione</strong>, in cui i bit sono fittamente stipati. È di questo che si occupa in ultima<br />

analisi la gravità quantistica: <strong>informazione</strong> ed entropia fittamente stipate.<br />

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