L'economia del calcio. Una prospettiva comparata Italia ... - Rdes.It
L'economia del calcio. Una prospettiva comparata Italia ... - Rdes.It
L'economia del calcio. Una prospettiva comparata Italia ... - Rdes.It
Create successful ePaper yourself
Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.
Università degli Studi di Napoli “Federico II”<br />
Facoltà di Sociologia<br />
CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN<br />
COMUNICAZIONE PUBBLICA SOCIALE E POLITICA<br />
Tesi di Laurea<br />
L’economia <strong>del</strong> <strong>calcio</strong><br />
<strong>Una</strong> <strong>prospettiva</strong> <strong>comparata</strong> <strong><strong>It</strong>alia</strong>-Inghilterra<br />
Relatore Candidato<br />
Prof. Gioacchino Roberto DI MAIO<br />
Enrico REBEGGIANI Matr. M15/15<br />
Anno Accademico 2010 – 2011
A mia madre, che ha fatto sì con enormi sacrifici che tutto ciò si realizzasse.<br />
A mia sorella, che in una mattina di settembre mi indicò la strada maestra ed è<br />
quotidianamente fonte di importanti consigli.<br />
A mia nonna, che tanto avrebbe voluto vivere questo giorno.<br />
Ad Alessandro, fondamentale per il supporto e le salutari strigliate garantitemi nei<br />
momenti di empasse.<br />
A Biagio, infallibile punto di riferimento in questo percorso universitario.<br />
A Francesca, sostegno prezioso in questi ultimi due anni <strong>del</strong>la mia vita.<br />
Al professor Rebeggiani, per la sapiente attenzione prestatami per la realizzazione di<br />
questo lavoro.
“Nino cammina che sembra un uomo<br />
con le scarpette di gomma dura,<br />
dodici anni e il cuore pieno di paura.<br />
Ma Nino non aver paura<br />
di sbagliare un <strong>calcio</strong> di rigore,<br />
non è mica da questi particolari<br />
che si giudica un giocatore,<br />
un giocatore lo vedi dal coraggio<br />
dall’altruismo e dalla fantasia...<br />
…Nino capì fin dal primo momento,<br />
l’allenatore sembrava contento,<br />
e allora mise il cuore dentro le scarpe<br />
e corse più veloce <strong>del</strong> vento,<br />
prese un pallone che sembrava stregato,<br />
accanto al piede rimaneva incollato,<br />
entrò nell'area, tirò senza guardare<br />
ed il portiere lo lasciò passare…<br />
…Il ragazzo si farà anche se ha le spalle strette<br />
quest’altr’anno giocherà<br />
con la maglia numero sette”.<br />
Francesco De Gregori – La leva calcistica <strong>del</strong>la classe ‘68
Introduzione 1<br />
1 – L’evoluzione istituzionale <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> professionistico in <strong><strong>It</strong>alia</strong><br />
1.1 Dal <strong>calcio</strong> fiorentino al football moderno 4<br />
1.2 Le Associazioni sportive e l’istituzionalizzazione <strong>del</strong> 1966 12<br />
1.3 La fine <strong>del</strong> protezionismo e la libera circolazione <strong>del</strong>la forza-lavoro 16<br />
1.4 La “Legge Anti-insolvenza” e il “Decreto Salva-Calcio” 18<br />
1.5 Lo scandalo <strong>del</strong> doping amministrativo e il “Lodo Petrucci” 21<br />
2 – I club ed il business: la squadra come un’azienda<br />
2.1 L’azienda <strong>calcio</strong> 25<br />
2.2 Le professioni chiave 36<br />
2.3 Incassi <strong>del</strong>le partite 41<br />
2.4 Diritti Media 43<br />
2.5 Le attività commerciali 46<br />
2.6 La Borsa 50<br />
2.7 Il mercato degli sponsor 55<br />
2.8 Le operazioni bianche e nere sul bilancio 60<br />
3 – Il marketing calcistico e la gestione <strong>del</strong> brand<br />
3.1 L’analisi <strong>del</strong>la domanda 73<br />
3.1.1 I tifosi 79<br />
3.1.2 Il Customer Relationship Management 80<br />
3.2 La concorrenza 81<br />
3.3 Le “4 P”: peculiarità <strong>del</strong>le società di <strong>calcio</strong> 84<br />
3.4 Gli stadi 89<br />
3.4.1 Il co-marketing e la cessione dei naming rights 92<br />
3.4.2 Le strategie di marketing mix 98<br />
3.5 Il brand 104<br />
3.6 Il merchandising 108<br />
3.7 La pubblicità 113<br />
3.8 Internet e direct marketing 115
4 – Il football britannico e le realtà italiane: analisi <strong>comparata</strong> di due mo<strong>del</strong>li<br />
contrapposti<br />
4.1 Le quattro leve di confronto di Bill Gerrard 118<br />
4.1.1 Le risorse di gioco 120<br />
4.1.2 Il management tecnico 124<br />
4.1.3 La tifoseria 127<br />
4.1.4 Il management societario 130<br />
4.2 Il brand <strong>del</strong> Manchester United 132<br />
4.2.1 Le principali operazioni sul marchio dei club italiani 141<br />
4.3 I jersey-sponsor nel Regno Unito 149<br />
4.3.1 Il mercato degli sponsor in <strong><strong>It</strong>alia</strong>: una rivoluzione in atto 152<br />
4.4 Il business degli stadi 156<br />
4.5 La ripartizione dei diritti tv 168<br />
5 – Appendice – Interviste ad alcuni esperti <strong>del</strong> settore<br />
Umberto Lago 171<br />
Alessandro Formisano 173<br />
Alessandro Prunesti 176<br />
Francesco Bof 180<br />
Gianfranco Teotino 182<br />
Conclusioni 185<br />
Bibliografia 192
Introduzione<br />
Era il lontano dicembre <strong>del</strong> 1995 quando chiesi in regalo, in occasione <strong>del</strong> Santo<br />
Natale, il Subbuteo, un gioco da tavolo che ha scritto pagine di storia in<strong>del</strong>ebili nella<br />
vita degli appassionati di <strong>calcio</strong> prima <strong>del</strong>l’avvento dei videogames. In<br />
quell’occasione scelsi anche la mia prima squadra in miniatura e, tra tante, la mia<br />
attenzione si rivolse verso il Manchester United, club inglese che, a differenza di<br />
tantissimi altri, riportava sulla propria divisa il marchio <strong>del</strong>l’allora proprio main<br />
sponsor, la Sharp Viewcam, azienda giapponese che produce dispositivi elettronici.<br />
Da allora ho alimentato di giorno in giorno la mia passione per il <strong>calcio</strong> e per i “Red<br />
Devils”, focalizzando il mio desiderio di apprendere non solo su ciò che accadeva o<br />
era accaduto in passato in campo, bensì anche su quegli aspetti che ai tifosi più<br />
superficiali potevano sembrare di contorno pur rivestendo in realtà un ruolo primario:<br />
eravamo entrati nell’epoca <strong>del</strong> <strong>calcio</strong>-business e dietro quel marchio Sharp si<br />
nascondevano dinamiche economiche inimmaginabili appena qualche anno prima,<br />
quando sulle divise campeggiavano esclusivamente i simboli <strong>del</strong>le squadre, le<br />
televisioni pubbliche trasmettevano solo le grandi competizioni internazionali senza<br />
corrispondere alcun ritorno economico alle varie federazioni, leghe e club, e i tifosi<br />
potevano recarsi allo stadio a prezzi ragionevoli vivendo la magia <strong>del</strong>la domenica<br />
calcistica incollati alla radiolina per conoscere i risultati degli altri incontri di<br />
giornata, allora disputati tutti in contemporanea senza anticipi o posticipi di sorta. Il<br />
flusso di denaro investito nel settore calcistico nell’ultimo ventennio ha causato una<br />
metamorfosi nelle modalità di conduzione gestionale <strong>del</strong>le società di <strong>calcio</strong>, le quali<br />
hanno dovuto abbinare alla gestione sportiva anche quella finanziaria e commerciale<br />
per poter competere sui nuovi mercati che si prospettavano all’orizzonte. Se in<br />
precedenza l’unica cosa importante per i club erano i risultati sul terreno di giuoco,<br />
ora fondamentali sono diventati anche quelli economici, patrimoniali e finanziari.<br />
Ciò vale soprattutto per le squadre che hanno deciso di quotare i propri titoli sui<br />
mercati regolamentati. Il <strong>calcio</strong> in quegli anni stava pian piano acquisendo una<br />
cultura d’impresa, trasformandosi in un elemento trainante per l’economia mondiale<br />
sfruttando la propria forte capacità di espansione anche in campo occupazionale. Un<br />
processo di trasformazione che è stato completato all’estero, in Inghilterra<br />
1
soprattutto, ma non in <strong><strong>It</strong>alia</strong>, dove i club restano ancor oggi ancorati a preistorici<br />
meccanismi che non massimizzano i reali profitti <strong>del</strong> mondo <strong>calcio</strong>, accontentandosi<br />
degli introiti classici.<br />
Il presente lavoro si inserisce nel filone di una serie di studi sulle caratteristiche<br />
strutturali, sui comportamenti degli attori organizzativi e sulle performance<br />
economiche <strong>del</strong> settore <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> professionistico, allo scopo di comprendere quali<br />
siano le maggiori fonti di ricavo <strong>del</strong>le aziende calcistiche, quali le strategie adottate<br />
in nome <strong>del</strong> business e quali i principali limiti che costringono l’<strong><strong>It</strong>alia</strong> a rincorrere<br />
quell’Inghilterra lontana anni luce e che, al di là di una notevole posizione debitoria<br />
assunta da diverse squadre al momento <strong>del</strong>l’acquisizione dei propri attuali proprietari<br />
in virtù di vari escamotage finanziari come il leveraged buy-out che nel 2005 ha<br />
permesso a Malcolm Glazer di acquisire proprio il Manchester United con fondi<br />
derivanti prevalentemente da un capitale di debito il cui rimborso è garantito dagli<br />
attivi patrimoniali <strong>del</strong>l’impresa acquisita ed è sostenuto dai cash flow da essa<br />
generati, assume sempre più i contorni di terra promessa sotto il profilo <strong>del</strong> profitto<br />
derivante dalle varie attività economiche.<br />
Per perseguire tale obiettivo, nei paragrafi iniziali si illustreranno dapprima le origini<br />
<strong>del</strong> <strong>calcio</strong> in <strong><strong>It</strong>alia</strong>, evidenziando poi le principali riforme a livello legislativo che<br />
hanno riguardato il settore calcistico italiano, in particolare quelle <strong>del</strong> 1966 e <strong>del</strong><br />
1981. In seguito saranno esposti i principali provvedimenti normativi che hanno<br />
avuto effetti diretti sulla gestione <strong>del</strong>le società calcistiche: dalla “Sentenza Bosman”<br />
al “Decreto spalma-perdite”, dalla “Legge anti-insolvenza” al “Decreto salva-<strong>calcio</strong>”.<br />
Il secondo capitolo verterà sugli aspetti gestionali e di bilancio tipici <strong>del</strong>le società di<br />
<strong>calcio</strong>. In apertura si argomenterà sulle motivazioni che possono condurre<br />
all’equazione società di <strong>calcio</strong> uguale impresa, dopodiché si affronterà il tema<br />
<strong>del</strong>l’economicità nelle società calcistiche, analizzando le attività economiche e le<br />
gestioni strategiche principalmente adottate dai club.<br />
Lo scopo <strong>del</strong> terzo capitolo sarà il <strong>del</strong>ineare due nuove fonti di ricavo cui le società<br />
di <strong>calcio</strong> possono attingere nel loro divenire gestionale: il marketing ed il<br />
merchandising. Il marketing calcistico sarà esaminato, partendo dall’analisi <strong>del</strong>la<br />
domanda sino a giungere, passando per le “4 P”, al management di uno stadio,<br />
considerato oggigiorno un elemento marketing oriented, sottolineando in particolare<br />
2
il ruolo e le relazioni che si instaurano tra i diversi attori coinvolti nella filiera<br />
commerciale.<br />
Il tema <strong>del</strong> merchandising sarà affrontato evidenziando, in primis, l’importanza <strong>del</strong><br />
brand per le società di <strong>calcio</strong> e successivamente la presenza di eventuali differenze<br />
riscontabili tra il nostro Paese e le altre realtà europee.<br />
Il quarto capitolo, infine, si occuperà di una analisi comparativa tra l’azienda <strong>calcio</strong><br />
italiana e quella inglese rinnovando un confronto di gran voga sul campo di gioco tra<br />
gli anni ’60 e ’70, quando i club <strong>del</strong>le due nazioni si affrontavano in trofei come la<br />
Coppa Anglo-<strong><strong>It</strong>alia</strong>na, aperta dal 1969 sino al 1996 alle prime quattro squadre non<br />
promosse in Serie B e alle quattro retrocesse dalla Serie A per quanto concerne i<br />
nostri campionati e alle otto equivalenti britanniche, la Coppa di Lega <strong>It</strong>alo-Inglese,<br />
disputata tra il 1969 e il 1976 tra la vincente <strong>del</strong>la Coppa <strong><strong>It</strong>alia</strong> e <strong>del</strong>la Coppa di Lega<br />
Inglese, la Coppa <strong>It</strong>alo-Inglese Semiprofessionisti, disputata solo nel biennio tra il<br />
1975 e il 1976 tra la vincente <strong>del</strong>la Coppa <strong><strong>It</strong>alia</strong> Semiprofessionisti e <strong>del</strong>la Prima<br />
divisione inglese non professionistica, e la Coppa Ottorino Barassi, cui partecipavano<br />
tra il 1968 e il 1976 le vincenti <strong>del</strong>la Coppa <strong><strong>It</strong>alia</strong> dilettanti e <strong>del</strong>la Coppa di<br />
Inghilterra dilettanti. Il primo step di tale operazione di raffronto prevedrà l’utilizzo<br />
di uno studio di Bill Gerrard, docente di Sport Management e Finance alla Business<br />
University di Leeds, secondo cui le performance di una società calcistica dipendono<br />
da quattro risorse strategiche: il gioco, il management tecnico, il tifo e il management<br />
generale. Si procederà poi ad analizzare le più importanti operazioni compiute dai<br />
club <strong>del</strong>le due nazioni sul proprio brand, sul rapporto con gli sponsor e sulle diverse<br />
politiche gestionali riguardanti gli impianti sportivi. L’intento è verificare, anche<br />
grazie ad alcune interviste rilasciateci da esperti <strong>del</strong> settore che proporremo in<br />
appendice, se i club di casa nostra abbiano o meno potenzialità tali da innestare un<br />
circolo virtuoso che, muovendo dallo sfruttamento <strong>del</strong> marchio a fini commerciali e<br />
dalla gestione <strong>del</strong>lo stadio, possa rivelarsi in grado di generare un incremento <strong>del</strong>le<br />
entrate societarie anche solo simile a quello britannico.<br />
3
1 L’evoluzione istituzionale <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> professionistico in <strong><strong>It</strong>alia</strong><br />
1.1 Dal <strong>calcio</strong> fiorentino al football moderno<br />
Il <strong>calcio</strong> moderno nasce in Inghilterra nella seconda metà <strong>del</strong> 1800, con precisione il<br />
26 ottobre 1863, data in cui i rappresentanti di undici club sportivi diedero vita alla<br />
Football Association.<br />
Molte sono le discipline praticate con la palla che potrebbero essere considerate<br />
antenate <strong>del</strong> <strong>calcio</strong>, come il tsu-chu (palla di pelle sospinta dal piede), praticato in<br />
Cina già qualche secolo prima di Cristo, ed il kemari, diffusosi invece in Giappone<br />
qualche anno più tardi, che consisteva nel passarsi una palla contenente una vescica<br />
d’animale gonfiata, senza farle toccare terra. Il contributo più importante allo<br />
sviluppo <strong>del</strong>lo sport con la sfera lo si deve tuttavia al <strong>calcio</strong> fiorentino, praticato a<br />
Firenze in età medicea. <strong>Una</strong> definizione di tal disciplina è offerta anche dal<br />
vocabolario <strong>del</strong>la Crusca <strong>del</strong> XVII secolo:<br />
“È <strong>calcio</strong> anche nome di gioco, proprio e antico <strong>del</strong>la città di Firenze, a<br />
guisa di battaglia ordinata con una palla a vento, somigliante alla<br />
sferomachia, passata dai Greci ai Latini e dai Latini a noi” 1 .<br />
Inizialmente veniva praticato nelle strade, ma con il passare <strong>del</strong> tempo, a causa anche<br />
dei problemi d’ordine pubblico, si preferì optare per le piazze più importanti quali<br />
teatri designati per le gare. I giocatori, definiti calcianti, erano per lo più nobili tra i<br />
18 ed i 45 anni, con indosso sfarzose livree <strong>del</strong> tempo. Le squadre erano composte da<br />
ventisette calcianti che si disponevano su quattro linee con tre datori dietro<br />
(riconducibili ai portieri), quattro datori innanzi (difensori), cinque sconciatori<br />
(centrocampisti) e quindici innanzi (attaccanti), divisi in tre gruppi. L’obiettivo <strong>del</strong><br />
gioco era depositare la palla nella porta avversaria, realizzando una caccia (gol). Tra<br />
le innumerevoli partite disputate, la più famosa fu quella <strong>del</strong> 17 febbraio 1530,<br />
quando, durante l’assedio <strong>del</strong>le truppe papali, due formazioni, quelle dei Bianchi e<br />
dei Verdi, si affrontarono in Piazza Santa Croce sia per non interrompere una<br />
radicata usanza <strong>del</strong> periodo carnevalesco, sia come gesto di sfida verso i nemici.<br />
1 Ghirelli A., Storia <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> in <strong><strong>It</strong>alia</strong>, ed. Einaudi, Torino 1972, p. 7<br />
4
Proprio quando il <strong>calcio</strong> fiorentino si avviava al declino nel capoluogo toscano, in<br />
Inghilterra il “pallone” riacquistava importanza; nel 1617 infatti, Giacomo I Stuart lo<br />
riabilitò incitando alla pratica i giovani frequentanti i college e le università. In<br />
origine il regolamento di tal gioco prevedeva sia l’utilizzo <strong>del</strong>le mani che dei piedi.<br />
Le classi erano composte da dieci studenti, cui si aggiungeva il maestro, che<br />
ricopriva le vesti <strong>del</strong>l’odierno capitano.<br />
Le prime basilari regole <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> risalgono al 1848 ed imposero che la palla venisse<br />
giocata solo con i piedi, permettendo il tocco di mani unicamente nel caso in cui si<br />
dovesse intercettare un pallone diretto in porta. Tal scelta produsse lo scisma da<br />
quella disciplina che nel tempo sarebbe poi stata conosciuta col nome di rugby,<br />
derivante dall’Università d’origine.<br />
Dopo la fondazione <strong>del</strong>la Football Association, nel 1886 le Federazioni Britanniche<br />
diedero vita all’International Football Association Board, che aveva il compito di<br />
sovrintendere al regolamento, e solo due anni più tardi fu organizzato il primo<br />
campionato inglese.<br />
Il <strong>calcio</strong> si diffuse rapidamente grazie all’opera di marinai ed emigranti di ritorno<br />
dall’Inghilterra o in alcuni casi degli stessi Anglosassoni.<br />
In <strong><strong>It</strong>alia</strong> fu inizialmente riportato da Edoardo Bosio, commerciante di spicco <strong>del</strong>la<br />
Società Canottieri Armida, che era tornato a Torino nel 1887 con alcuni palloni di<br />
cuoio e la volontà di diffondere quello sport tanto amato Oltremanica, dove nel 1871<br />
si era già disputata la prima edizione <strong>del</strong>la coppa nazionale, la FA Cup. Nel<br />
medesimo anno nacque nel capoluogo piemontese un gruppo sportivo che praticava<br />
il canottaggio d’estate ed il football d’inverno, mentre al 1889 risale una compagine<br />
prettamente calcistica, definita dei Nobili per il ceto sociale cui appartenevano i<br />
membri. Nonostante la fusione avvenuta nel 1891 tra le due formazioni, che diedero<br />
così vita all’Internazionale Football Club di Torino, la primogenitura calcistica<br />
italiana è da sempre riconosciuta al Genoa Cricket and Football Club, la cui nascita si<br />
fa risalire al 7 settembre 1893 alla presenza <strong>del</strong> console inglese Sir Charles Alfred<br />
Payton. Questo perché, al contrario <strong>del</strong>la data di fondazione <strong>del</strong> club torinese, quella<br />
<strong>del</strong>la società ligure è ufficialmente attestata da un libro mastro a partita doppia<br />
recante proprio la firma <strong>del</strong> console britannico.<br />
5
Il primo campionato italiano organizzato dalla FIF (Federazione <strong><strong>It</strong>alia</strong>na <strong>del</strong><br />
Football), divenuta poi FIGC (Federazione <strong><strong>It</strong>alia</strong>na Giuoco Calcio) nel 1909, fu<br />
disputato nel maggio 1898 e fu vinto proprio dal Genoa, che batté in un<br />
quadrangolare le tre squadre di Torino allora esistenti, aggiudicandosi così una<br />
Coppa offerta dal Duca degli Abruzzi. Tal trofeo fu poi ipotecato successivamente<br />
dagli stessi Genoani, che furono i primi a vincerlo in ben tre occasioni. La prima<br />
squadra in grado di arrestare il cammino <strong>del</strong>la squadra genovese fu il Milan<br />
<strong>del</strong>l’allora capitano Herber Kilpin, che si aggiudicò il trofeo nel 1901. I Liguri, i<br />
quali avevano nel frattempo adottato quella che sarebbe poi divenuta la classica<br />
casacca a righe verticali rossoblù, si rifecero subito sugli avversari, vincendo non<br />
solo il campionato successivo, bensì anche altri due, inanellando così una seconda<br />
tripletta tricolore.<br />
Con lo svilupparsi <strong>del</strong> movimento calcistico, divenne fondamentale elaborarne in<br />
maniera più dettagliata il regolamento al fine di renderne univoca l’interpretazione.<br />
A tal scopo nel 1904 fu costituita la FIFA (Federation Internationale de Football<br />
Association), cui in breve tempo si associarono tutte le federazioni nazionali.<br />
Nel 1905 la FIF, entrata da poco a far parte <strong>del</strong>la FIFA, decise di riformare per la<br />
prima volta il campionato, sostituendo alle gare secche i cosiddetti “Gironi<br />
Eliminatori Regionali”, propedeutici <strong>del</strong> “Girone Finale Nazionale”, e introducendo<br />
inoltre gare di andata e ritorno. La Juventus, che era uscita sconfitta dalle gare di<br />
finale <strong>del</strong>le due annate precedenti, riuscì ad aggiudicarsi il primo titolo con questa<br />
formula grazie ad un inaspettato scivolone casalingo da parte <strong>del</strong> Genoa contro la<br />
Milanese nell’ultima partita <strong>del</strong> girone.<br />
Mentre le altre società si ritiravano pian piano dall’attività agonistica, liguri,<br />
piemontesi e meneghini, rappresentavano i pilastri di quel football pionieristico. Con<br />
il trascorrere degli anni la primigenia origine anglosassone cominciò ad attenuarsi,<br />
mentre acquisivano sempre più importanza calciatori tedeschi e svizzeri. Proprio<br />
grazie a questi atleti, il Milan tornò al successo nel 1906, in virtù <strong>del</strong>la rinuncia, da<br />
parte <strong>del</strong>la Juventus, di disputare l’ennesima ripetizione <strong>del</strong>la gara di spareggio per<br />
l’assegnazione <strong>del</strong> titolo.<br />
Concluso il primo decennio di attività, la FIF decise di apportare nuove modifiche al<br />
campionato, vietando alle società l’utilizzo di giocatori stranieri. Questa scelta colpì<br />
6
notevolmente i Football Clubs, favorendo invece le Unioni Sportive e Ginniche, che<br />
risultavano più deboli perché non dirette dai maestri inglesi, ma che erano composte<br />
in toto da atleti italiani; queste Unioni avevano inoltre sino ad allora prestato la loro<br />
attenzione alla disputa <strong>del</strong> campionato parallelo, organizzato dalla Federazione<br />
Ginnica. La reazione dei club classici fu durissima, sino a giungere addirittura al<br />
ritiro dal torneo. La debuttante Pro Vercelli, riuscì così ad approfittare <strong>del</strong>la<br />
situazione ed ottenne il titolo avendo la meglio sui genovesi <strong>del</strong>l’Andrea Doria e<br />
sull’Us Milanese, bissando poi tale traguardo l’anno successivo e inaugurando di<br />
fatto il periodo d’oro <strong>del</strong>le squadre provinciali. Contemporaneamente nascevano due<br />
nuove formazioni, una di matrice torinese, nata dalla scissione di alcuni soci dalla<br />
Juventus che diedero vita al Torino Football Club, e l’altra invece di matrice<br />
milanese, che vide separarsi alcuni dirigenti dal Milan per fondare l’Internazionale<br />
Football Club.<br />
La Federazione, divenuta FIGC, decise poi di fare un parziale passo indietro e riaprì<br />
le porte <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> italiano agli stranieri decidendo inoltre di modificare ulteriormente<br />
il campionato, includendo, sul mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong>la English League, le nove squadre in un<br />
girone unico che avrebbe dato vita ad una classifica la cui formazione primatista<br />
avrebbe a fine stagione vinto il titolo. La prima edizione sorrise proprio all’Inter, che<br />
prevalse in uno spareggio contro la Pro Vercelli, che ebbe poi modo di rifarsi<br />
vincendo i successivi tre campionati.<br />
Nel 1910 il campionato cominciò ad avere una valenza nazionale, cosicché al Girone<br />
Veneto fu accorpato anche il Bologna, che non aveva avversario alcuno in Emilia<br />
Romagna. Nel 1911 il Vicenza e nel 1912 il Venezia, contesero il titolo ai vercellesi,<br />
ma uscirono sconfitti pesantemente con cinque gol di scarto i primi e addirittura<br />
tredici i secondi. Per coinvolgere l’intera nazione il torneo doveva però comprendere<br />
anche le squadre <strong>del</strong> centro e <strong>del</strong> sud, che in quel periodo si affrontavano in<br />
competizioni regionali dette “Terza Categoria”. Per raggiungere tale obiettivo, la<br />
Federazione rinominò questi tornei in “Prima Categoria”, rendendoli così equivalenti<br />
ai campionati <strong>del</strong> nord, che avevano riacquisito la vecchia formula fatta di gironi<br />
eliminatori e girone finale. In tal modo le vincenti <strong>del</strong> Nord e <strong>del</strong> Sud si sarebbero<br />
poi affrontate in una gara denominata “Girone Finalissimo” o più semplicemente<br />
“Finalissima”.<br />
7
Questo meccanismo, di per sé assai complesso, finì per rendere sempre più lungo ed<br />
affollato il campionato, anche in virtù <strong>del</strong> fatto che si era istituita una “Seconda<br />
Categoria” che prevedeva una serie di promozioni alla prima, mentre da quest’ultima<br />
erano state abolite le retrocessioni, il cui sistema era stato sperimentato nel 1910.<br />
Nel 1914 il titolo fu conquistato dal Casale, mentre l’anno successivo il torneo fu<br />
bloccato a un passo dalla conclusione per dar spazio al conflitto bellico; la vittoria di<br />
quell’annata fu successivamente riconosciuta al Genoa.<br />
Nel 1919, al termine <strong>del</strong>la prima guerra mondiale, vi furono molti dibattiti per<br />
cercare di razionalizzare e ridurre lo svolgimento <strong>del</strong> campionato, ma questi si<br />
rivelarono un buco nell’acqua a causa <strong>del</strong>l’opposizione <strong>del</strong>le cosiddette provinciali,<br />
che temevano per il loro futuro in vista di un torneo maggiormente elitario. L’Inter<br />
nel 1920 e la Pro Vercelli nel 1921 si laurearono così campioni dopo una serie<br />
interminabili di gironi e gare per lo più dall’esito scontato. Nel 1924 l’insofferenza<br />
<strong>del</strong>le squadre metropolitane culminò nell’abbandono <strong>del</strong>la Federazione e nella<br />
fondazione <strong>del</strong>la Confederazione Calcistica <strong><strong>It</strong>alia</strong>na. Nel 1922 si ebbero così due<br />
squadre campioni, la Pro Vercelli e la Novese. L’insostenibilità <strong>del</strong>la situazione portò<br />
poi le due fazioni a riconciliarsi sulla base <strong>del</strong> “Compromesso di Colombo”, che<br />
portò all’elaborazione di una “Prima Divisione” comprendente una Lega Nord,<br />
composta da 24 società, e una Lega Sud, che invece prevedeva il vecchio sistema dei<br />
vari gironi a carattere regionale. Tale riforma tagliò fuori dal grande giro <strong>del</strong>le<br />
squadre che si contendevano la vittoria finale moltissime provinciali e squadre che a<br />
inizio secolo avevano potuto aggiudicarsi tal importante affermazione.<br />
Nel 1922 fece la sua comparsa la Coppa <strong><strong>It</strong>alia</strong>, allora aperta anche a squadre<br />
dilettantistiche e vinta dal Vado. Dopo una lunga interruzione, la Coppa fu<br />
ridisputata nel 1935 (a vincerla fu il Torino) e da quell’edizione fu sempre giocata<br />
con cadenza annuale, con apertura però permessa alle sole squadre professionistiche.<br />
Nel 1923 e 1924 il Genoa vinse i suoi due ultimi titoli e si distinse per essere stata la<br />
prima squadra a fregiarsi <strong>del</strong>lo scudetto, fatto cucire sulle proprie maglie dopo la<br />
conquista <strong>del</strong>l’ottavo campionato.<br />
In contemporanea iniziò però l’epopea <strong>del</strong> Bologna, che protetto dal ministro fascista<br />
Leandro Arpinati e spinto dalle reti di Angelo Schiavio, si accaparrò lo scudetto nel<br />
1925 dopo una serie di finali tanto lunga quanto condita da polemiche contro il<br />
8
Genoa, che sfociarono in aspri disordini culminati addirittura in scontri con spari<br />
d’arma da fuoco.<br />
Nell’estate <strong>del</strong> 1926 il governo fascista modificò il campionato con la Carta di<br />
Viareggio, abolendo la divisione tra Nord e Sud, inammissibile per quelli che erano<br />
gli ideali nazionalistici <strong>del</strong> regime. Le due vecchie Leghe furono così cancellate e si<br />
giunse alla creazione <strong>del</strong>la Divisione nazionale, cui risultavano iscritte ben<br />
diciassette squadre settentrionali e solo tre meridionali, con quest’ultime che<br />
rispondevano ai nomi di Alba Roma, Fortitudo Roma e Napoli. Questa nuova<br />
formula prevedeva in sostituzione <strong>del</strong>le serie di finali, un raggruppamento<br />
conclusivo, formato dalle compagini che avevano superato la fase eliminatoria.<br />
Il Torino, allestito dal conte Enrico Marone di Cinzano, che ricopriva la carica di<br />
presidente, si aggiudicò il proprio girone eliminatorio e spiccò il volo verso la<br />
vittoria <strong>del</strong> titolo grazie al “Trio <strong>del</strong>le meraviglie”, composto da Julio Libonatti,<br />
Adolfo Baloncieri e Gino Rossetti. Il club piemontese non ebbe tuttavia molto di cui<br />
gioire, poiché nell’autunno successivo incappò nel “caso Allemandi” che gli costò la<br />
revoca <strong>del</strong>lo scudetto, perché accusato di aver avvicinato e corrotto il terzino <strong>del</strong>la<br />
Juventus, Luigi Allemandi. La reazione psicologica per la condanna, avvenuta tra<br />
l’altro su base indiziaria e non probatoria, fece da molla per la stagione successiva<br />
dei granata, che partiti in sordina, rialzarono il capo e riuscirono ad aggiudicarsi<br />
nuovamente il campionato allo stadio San Siro di Milano.<br />
L’attivismo di Arpinati portò poi, nel 1928, ad una nuova riforma <strong>del</strong> campionato che<br />
risultò poi essere storica: fu adottata infatti la formula <strong>del</strong> girone unico, sul mo<strong>del</strong>lo<br />
<strong>del</strong> <strong>calcio</strong> inglese, non senza le polemiche dei club più piccoli, che temevano di<br />
essere messi in secondo piano. Il campionato successivo fu così l’ultimo disputato<br />
con la vecchia formula dei gironi, mentre in seguito le squadre sarebbero state riunite<br />
in un nuovo torneo, denominato Serie A, mentre le escluse avrebbero costituito la<br />
Serie B. A tal fine Arpinati decise di includere ulteriori squadre cadette nel torneo di<br />
Divisione Nazionale, per far sì che tutta l’<strong><strong>It</strong>alia</strong> vi fosse rappresentata. Lo spareggio<br />
per la conquista di quell’ultimo titolo vide poi soccombere il Torino al Bologna in<br />
uno spareggio disputato allo stadio Flaminio di Roma.<br />
Nel 1929 prese ufficialmente vita la Serie A. Il progetto iniziale prevedeva un girone<br />
composto da sedici squadre, ovvero quelle che si erano classificate ai primi otto posti<br />
9
dei due gironi <strong>del</strong>la stagione precedente. Il protrarsi <strong>del</strong>lo spareggio tra Napoli e<br />
Lazio portò però la FIGC ad includerle entrambe, cosicché le partecipanti, assieme<br />
all’ammissione <strong>del</strong>la Triestina per motivi patriottici, divennero venti. Il 6 ottobre<br />
1929 iniziarono così le prime gare <strong>del</strong> campionato 1929/1930, che fu poi vinto<br />
dall’Ambrosiana di Giuseppe Meazza, una squadra nata per volontà <strong>del</strong> regime dalla<br />
fusione <strong>del</strong>l’Inter con la US Milanese.<br />
Nel 1935 il campionato fu ridotto, come previsto dal progetto originario, a sole 16<br />
partecipanti e fu vinto da quel Bologna che la stampa tutta aveva ribattezzato “La<br />
squadra che tremare il mondo fa” dopo la conquista <strong>del</strong>le due Coppe Europa. La<br />
stagione 1941/1942 vide trionfare la prima squadra di quella che una volta era la<br />
Lega Sud, ovvero la Roma, sulle cui gloriose gesta aleggia però ancora oggi l’ombra<br />
<strong>del</strong> Duce, storico sostenitore dei giallorossi.<br />
Nella stagione 1939/1940, durante la prima giornata <strong>del</strong>l’ultimo campionato pre-<br />
bellico giocata il 17 settembre, i numeri comparvero per la prima volta dietro le<br />
magliette dei calciatori. In piena Seconda Guerra mondiale, nel 1945/1946, il<br />
campionato fu diviso in due: un girone <strong>del</strong>l’Alta <strong><strong>It</strong>alia</strong> con 14 squadre <strong>del</strong>la vecchia<br />
Serie A, e un girone <strong>del</strong> Centro-Sud con 11 squadre di Serie A e B. Solo nel<br />
1946/1947, la massima categoria tornò definitivamente al girone unico come oggi lo<br />
conosciamo: ne facevano parte 20 squadre, numero che rimase tale fino al<br />
1951/1952. Il campionato 1946/1947 si contraddistinse poiché vi presero parte 21<br />
società, in virtù <strong>del</strong> ripescaggio <strong>del</strong>la Triestina. Erano quelli gli anni <strong>del</strong> “Grande<br />
Torino”, il quale dominò ininterrottamente la scena italiana dal 1942 al 1949, quando<br />
la sua epopea si interruppe in maniera tanto improvvisa quanto tragica il 3 maggio<br />
<strong>del</strong>lo stesso anno, data in cui l’aeroplano che trasportava i calciatori al rientro da<br />
Lisbona dopo un’amichevole, si schiantò, a causa <strong>del</strong> maltempo, contro la Basilica di<br />
Superga senza lasciar scampo né al capitano Valentino Mazzola, né ad alcuno dei<br />
suoi mitici compagni.<br />
Dopo la conquista <strong>del</strong> suo decimo scudetto, nella stagione 1957/1958 la Juventus fu<br />
la prima squadra a fregiarsi <strong>del</strong>la stella al merito sportivo, nata da un’idea di<br />
Umberto Agnelli e che è tuttora appannaggio solo <strong>del</strong> club torinese, <strong>del</strong>l’Inter e <strong>del</strong><br />
Milan.<br />
10
L’edizione <strong>del</strong> 1963/1964 resta tuttora particolare, perché vide le due contendenti<br />
alla conquista <strong>del</strong> titolo sfidarsi per la prima nella storia <strong>del</strong> girone unico in uno<br />
spareggio poi vinto dal Bologna di Fulvio Bernardini a Roma per due reti a zero<br />
contro l’Inter campione d’Europa. Il 1967 segnò invece il ritorno a sedici<br />
partecipanti. Nel 1969/1970 vi fu la prima e tuttora unica vittoria di un campionato<br />
da parte <strong>del</strong> Cagliari, guidato da Gigi Riva.<br />
Uno degli anni più importanti per la storia <strong>del</strong> nostro <strong>calcio</strong>, fu però il 1980, quando<br />
oltre alla vittoria <strong>del</strong>lo scudetto da parte <strong>del</strong>l’Inter, vi fu la retrocessione a tavolino di<br />
Lazio e Milan in Serie B e la pesante penalizzazione di altre società per lo scandalo<br />
<strong>del</strong> Totonero e <strong>del</strong>la compravendita <strong>del</strong>le partite, in cui erano coinvolti circa<br />
quattordici tesserati.<br />
Al 1986/1987 risale la prima affermazione <strong>del</strong> Napoli di Maradona, mentre nel 1988,<br />
anno in cui le partecipanti al campionato tornarono a essere 18, a vincere fu<br />
nuovamente l’Inter, che stravinse lo “scudetto dei record” con 58 punti, quando per<br />
ogni gara vinta ne venivano assegnati solo due e non tre, modifica apportata poi a<br />
partire dalla stagione 1994/1995, quando la Juventus conquistò il tricolore<br />
raggiungendo quota 73. Sempre i Nerazzurri detengono inoltre il record di punti<br />
conquistati in un torneo con le nuove disposizioni, con i 97 totalizzati nel torneo<br />
2006/2007.<br />
Dal 2004/2005 il massimo campionato italiano, turbato dal “caso Catania”,<br />
contrassegnato dai ripetuti ricorsi al TAR da parte <strong>del</strong>l’ex presidente Luciano Gaucci<br />
contro il Siena che aveva schierato contro gli etnei un calciatore, Luigi Martinelli,<br />
sebbene fosse squalificato, ha poi assunto l’attuale formula a venti squadre, mentre<br />
22 compongono la Serie B. Nell’estate 2006 scoppiò il secondo scandalo legato al<br />
nostro <strong>calcio</strong>, denominato “Calciopoli” e che riguardava la manipolazione di<br />
designazioni arbitrali, risultati e rapporti tra calciatori e procuratori, da parte di<br />
Luciano Moggi, reo di aver creato una vera e propria cupola in grado di gestire<br />
l’intera classe arbitrale. In merito alle intercettazioni ricavate, la Juventus fu<br />
retrocessa d’ufficio in Serie B, Lazio, Fiorentina, Reggina e Milan rimasero in Serie<br />
A, ma con pesanti penalizzazioni, mentre Luciano Moggi e Antonio Giraudo furono<br />
radiati dalla Lega Calcio. Molti arbitri di prima fascia furono inoltre deferiti, tra cui<br />
gli Internazionali Matteo Trefoloni, Massimo De Santis, che dovette rinunciare ai<br />
11
Mondiali di Germania 2006 a favore di Roberto Rosetti, Gianluca Paparesta e<br />
Salvatore Racalbuto, che era però già divenuto un arbitro fuori quadro. La<br />
rivoluzione <strong>del</strong>la classifica portò l’Inter alla vittoria <strong>del</strong> primo di cinque titoli<br />
consecutivi, a distanza di diciotto anni dall’ultimo successo nazionale, ed alla storica<br />
disputa da parte <strong>del</strong> Chievo Verona dei preliminari di Champions League. Al 1<br />
giugno 2011 risale, invece, lo scandalo denominato Ultima scommessa, che ha visto<br />
coinvolti campioni come Giuseppe Signori e Cristiano Doni in nuovo scandalo con<br />
tanto di atleti narcotizzati per limitarne le prestazioni. Dal 1 luglio 2010 il massimo<br />
torneo nazionale, sponsorizzato dalla Tim, è organizzato dalla Lega Nazionale<br />
Professionisti Serie A, la cui fondazione è stata frutto <strong>del</strong>la scissione dai club di Serie<br />
B, legatisi a loro volta al marchio Bwin. Tra i record più significativi <strong>del</strong>la storia <strong>del</strong><br />
nostro <strong>calcio</strong> si possono ricordare le 58 gare di imbattibilità assoluta collezionate dal<br />
Milan tra il 1991 e il 1993, le 88 di invincibilità casalinga inanellate tra il 1943 e il<br />
1949 dal Torino, detentore tra l’altro <strong>del</strong> primato di prolificità con 125 reti realizzate<br />
nella stagione 1947/1948, e quello di miglior difesa, conquistato dal Cagliari nel<br />
1969/1970 con appena 11 gol al passivo. Tra i record individuali figurano invece<br />
calciatori quali Silvio Piola come bomber con 274 realizzazioni, Sebastiano Rossi<br />
con 929 minuti di imbattibilità conseguiti nella stagione 1993/1994, e Paolo Maldini,<br />
che è in cima alla classifica <strong>del</strong>le presenze in Serie A con 647 partite disputate.<br />
1.2 Le Associazioni sportive e l’istituzionalizzazione <strong>del</strong> 1966<br />
In origine le società calcistiche erano conosciute come club i cui membri erano<br />
vincolati alla squadra in quanto tesserati alla Federazione sportiva cui essa<br />
apparteneva. In quanto ente associativo con scopi ricreativi privi di finalità lucrative,<br />
tal forma di associazione non riconosciuta venne inizialmente preferita perché<br />
soggetta ad una regolamentazione legislativa essenziale che consentiva grande libertà<br />
contrattuale agli associati per quanto riguardava la definizione dei criteri e <strong>del</strong>le<br />
modalità <strong>del</strong>le attività. Con la nascita e lo sviluppo <strong>del</strong> professionismo sportivo, i<br />
club cominciarono a prendere in seria considerazione le proprie esigenze di bilancio<br />
formulando un rendiconto finanziario nel quale venivano riportate le entrate e le<br />
uscite monetarie <strong>del</strong>l’esercizio, ma non la capitalizzazione dei costi di acquisto <strong>del</strong><br />
patrimonio dei calciatori e gli ammortamenti degli oneri aventi natura pluriennale.<br />
12
Nel 1949, con il sopraggiungere <strong>del</strong> permesso da parte <strong>del</strong>le istituzioni di tesserare<br />
calciatori stranieri, le problematiche amministrative e la mancanza di adeguate forme<br />
di controllo cominciarono tuttavia a divenire palesi man mano che la disciplina<br />
raccoglieva sempre più consensi attirando a sé un sempre crescente movimento di<br />
capitali. Negli anni ’60 le associazioni sportive, impossibilitate a far fronte alle<br />
sempre maggiori spese con il semplice contributo volontario dei propri aderenti,<br />
cominciarono a rivolgersi al mercato assumendo sempre più i connotati di attività<br />
imprenditoriali: l’assocazione-impresa offriva al pubblico un servizio, le partite, in<br />
cambio <strong>del</strong> pagamento di un prezzo commisurato alla qualità <strong>del</strong>l’offerta e all’entità<br />
<strong>del</strong>la domanda. Questo cambiamento portò alla modifica <strong>del</strong>la struttura<br />
plurisoggettiva degli organigrammi societari e alla conseguente scomparsa <strong>del</strong>la<br />
figura <strong>del</strong> praticante-associato cui subentrò l’atleta professionista, non più membro<br />
<strong>del</strong>la compagine associativa, bensì un giocatore che prestava la propria opera in<br />
cambio <strong>del</strong> pagamento di un compenso. <strong>Una</strong> rivoluzione determinante che comportò<br />
l’esigenza di una radicale modificazione normativa che nel 1966 spinse il consiglio<br />
nazionale <strong>del</strong>la Federazione <strong><strong>It</strong>alia</strong>na Giuoco Calcio ad emanare due provvedimenti:<br />
1) il 16 settembre stabilì di sciogliere i consigli direttivi <strong>del</strong>le associazioni calcistiche<br />
professionistiche e di nominare un Commissario Straordinario per ciascuna di esse<br />
con pieni poteri gestionali, allo scopo di procedere alla liquidazione <strong>del</strong>le stesse ed<br />
alla loro costituzione in società per azioni;<br />
2) il 16 dicembre il consiglio federale emanò uno Statuto-tipo obbligatorio per tutte<br />
le società professionistiche dei campionati maggiori, il cui contenuto prevedeva:<br />
− l’impossibilità di ripartire gli utili fra i soci in caso di scioglimento;<br />
− l’obbligo di devolvere le somme residue ad un fondo di assistenza <strong>del</strong> Coni dopo la<br />
definizione dei rapporti con i terzi e la restituzione ai soci <strong>del</strong> capitale versato;<br />
− l’obbligo di restituzione al socio, in caso di scioglimento <strong>del</strong> singolo rapporto, <strong>del</strong><br />
solo valore nominale <strong>del</strong>le azioni possedute.<br />
Con l’imposizione di una forma societaria si rendevano applicabili ai club una serie<br />
di disposizioni legislative mirate ad assicurare una più cauta e trasparente<br />
amministrazione, nonché la possibilità di controllo da parte <strong>del</strong>le autorità sportive<br />
competenti. L’obiettivo era quello di risanare le posizioni debitorie <strong>del</strong>le formazioni,<br />
di far convivere le finalità sportive con l’esigenza di un’ordinata gestione economica<br />
13
e di far rispettare le disposizioni in materia dirigenziale e fiscale. Tal decisione destò<br />
non poche perplessità tra i giuristi, tant’è che in merito furono avanzati due interventi<br />
giurisprudenziali che dichiararono privo di legittimità imporre la costituzione di una<br />
Spa dopo lo scioglimento di un ente privato, in quanto ciò non rientrava nel potere<br />
<strong>del</strong>la FIGC, ma era di esclusiva pertinenza <strong>del</strong>la legge. Per assistere al passaggio da<br />
associazioni a società per azioni si dovette così percorrere la via <strong>del</strong>l’incentivo: il<br />
Ministero <strong>del</strong> Turismo e <strong>del</strong>lo spettacolo condizionò l’erogazione di un mutuo ad<br />
interesse agevolato diretto al risanamento <strong>del</strong>le società calcistiche, così da spingerle a<br />
divenire Spa. La situazione dei club però non migliorò. Nel 1972 il disavanzo<br />
complessivo ammontava a 18 miliardi. Nel luglio 1977 l’allora presidente di Lega<br />
Antonio Griffi si dimise dopo che 20 società su 36 avevano sottoscritto un<br />
documento in cui richiedevano l’intervento di un commissario in Lega in grado di far<br />
fronte ai gravissimi problemi <strong>del</strong> settore che presentava oltre 50 miliardi di deficit.<br />
Le passività correnti rappresentavano già nel 1972 il 56,4% dei finanziamenti<br />
ricevuti dai club. Dal 1975 al 1978, nonostante l’erogazione di un mutuo federale<br />
pari a 66 miliardi, il rapporto aumentò vertiginosamente fino a raggiungere un valore<br />
pari al 67,8%. I costi di gestione erano pari al 97% dei ricavi netti da gare, di questi<br />
oneri il 50% era destinato a coprire ingaggi, stipendi e premi a giocatori e tecnici.<br />
Occorreva, dunque, procedere ad una nuova riforma, questa volta con l’intervento<br />
diretto <strong>del</strong> Parlamento.<br />
Il 23 marzo <strong>del</strong> 1981 con l’emanazione <strong>del</strong>la Legge n. 91 il legislatore ordinario<br />
disciplinò in maniera organica per la prima volta la materia calcistica. La normativa<br />
stabiliva in maniera chiara i criteri in base ai quali distinguere l’attività sportiva<br />
dilettantistica da quella professionistica e regolamentava i rapporti tra atleti<br />
professionisti ed enti sportivi con una particolare attenzione all’aspetto tributario.<br />
Venivano stabiliti, inoltre, i requisiti essenziali per la costituzione, il controllo <strong>del</strong>la<br />
gestione e la liquidazione <strong>del</strong>le società, oltre a fissare le caratteristiche e le<br />
competenze <strong>del</strong>le federazioni. La legge, in particolare, fissava le modalità di<br />
applicazione <strong>del</strong>le imposte per l’operazione di trasformazione <strong>del</strong>le associazioni in<br />
società di capitali.<br />
Gli aspetti maggiormente significativi, che vale la pena di approfondire, sono però il<br />
fine non lucrativo <strong>del</strong>le società e l’abolizione <strong>del</strong> vincolo sportivo. La norma infatti<br />
14
permetteva ai club di svolgere un’attività diretta alla produzione di “guadagni”,<br />
impedendone tuttavia la successiva distribuzione tra gli stessi soci, la cui<br />
partecipazione al mondo <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> diveniva così finalizzata al puro contribuire alla<br />
promozione e al potenziamento <strong>del</strong>lo sport, ricavandone, in caso di successi sportivi,<br />
prestigio e notorietà nel panorama sociale.<br />
Per quanto concerne il secondo punto, la Legge 91/81 eliminò la posizione<br />
dominante assunta in precedenza dalle società nei confronti <strong>del</strong> calciatore;<br />
quest’ultimo, infatti, anche dopo la scadenza <strong>del</strong> contratto era costretto ad accettare<br />
la destinazione decisa dal club vedendo così limitata la propria libertà contrattuale. Il<br />
nuovo decreto pose di fatto rimedio all’istituto <strong>del</strong> vincolo stabilendo che qualsiasi<br />
sua tipologia sarebbe stata gradualmente eliminata entro cinque anni dalla data di<br />
entrata in vigore <strong>del</strong> provvedimento secondo modalità e parametri stabiliti dal Coni,<br />
in relazione all’età degli atleti, alla durata ed al contenuto patrimoniale <strong>del</strong> rapporto<br />
con le società.<br />
La nuova disciplina, oltre a riconoscere al giocatore una propria autonomia e una<br />
propria professionalità, introduceva anche un nuovo tipo di contratto di lavoro<br />
subordinato, quello <strong>del</strong> lavoratore sportivo, in base al quale il calciatore<br />
professionista veniva assimilato al lavoratore dipendente, sebbene con alcune<br />
eccezioni. In particolare le prestazioni <strong>del</strong>l’atleta diventavano di lavoro autonomo<br />
quando ricorreva almeno uno dei seguenti requisiti:<br />
a) l’attività fosse svolta nell’ambito di una singola manifestazione sportiva o di più<br />
manifestazioni tra loro collegate in un breve periodo di tempo;<br />
b) l’atleta non fosse contrattualmente vincolato per ciò che riguarda la frequenza a<br />
sedute di preparazione od allenamento;<br />
c) la prestazione oggetto <strong>del</strong> contratto, pur avendo carattere continuativo, non<br />
superasse otto ore settimanali, oppure cinque giorni ogni mese, ovvero trenta giorni<br />
ogni anno.<br />
Da allora il rapporto tra la società e il calciatore si costituisce con la stipulazione di<br />
un contratto in forma scritta, la cui durata non può essere superiore ai 5 anni. A tale<br />
rapporto di lavoro non sono applicabili alcune disposizioni di legge ritenute non<br />
compatibili con il tipo di attività svolta. In particolare si tratta <strong>del</strong>le disposizioni<br />
relative al licenziamento, alla risoluzione <strong>del</strong> contratto e al reintegro in caso di<br />
15
allontanamento ingiustificato. Le ipotesi nelle quali risulta possibile il licenziamento<br />
<strong>del</strong> calciatore sono esplicitamente previste dal contratto-tipo predisposto dalla<br />
Federazione e dall’Associazione <strong><strong>It</strong>alia</strong>na Calciatori (Aic). L’intervento normativo <strong>del</strong><br />
1981, con i suoi pregi e i suoi difetti, rappresenta ancora oggi la legge base per la<br />
regolamentazione <strong>del</strong> settore calcistico in <strong><strong>It</strong>alia</strong>.<br />
1.3 La fine <strong>del</strong> protezionismo e la libera circolazione <strong>del</strong>la forza-lavoro<br />
Nell’agosto <strong>del</strong> 1990, appena un mese dopo la fine <strong>del</strong> Mondiale italiano, il<br />
calciatore Jean Marc Bosman citò per danni al Tribunale di Liegi il suo club di<br />
appartenenza, l’FC Liegi, e la Feder<strong>calcio</strong> belga, colpevoli, secondo il giocatore, di<br />
aver impedito il suo trasferimento ai transalpini <strong>del</strong> Dunkerque. In scadenza di<br />
contratto, i fiamminghi avevano proposto a Bosman il rinnovo con una riduzione<br />
<strong>del</strong>lo stipendio che spinse l’atleta ad accordarsi con i francesi, ma le due squadre non<br />
riuscirono a trovare una convergenza economica sull’indennità da corrispondere per<br />
il passaggio <strong>del</strong>lo stesso, il quale si trovò così costretto all’inattività per un’intera<br />
stagione visto il mancato accordo tra le società.<br />
La Corte d’appello di Liegi, con ordinanza <strong>del</strong> 1° ottobre 1993, chiese alla Corte di<br />
Giustizia <strong>del</strong>l’Unione Europea di pronunciarsi in via pregiudiziale, ai sensi <strong>del</strong>l’art.<br />
234 <strong>del</strong> Trattato CEE, sulla compatibilità con il medesimo Trattato sia sotto il profilo<br />
<strong>del</strong>la normativa antitrust sia sotto quello relativo alla libera circolazione dei<br />
lavoratori, dei regolamenti calcistici nazionali ed internazionali in materia di<br />
indennità di trasferimento.<br />
La Corte di Giustizia, con la sentenza <strong>del</strong> 15 dicembre 1995, stabilì innanzitutto che<br />
un calciatore professionista, cittadino di uno Stato membro, alla scadenza <strong>del</strong><br />
contratto che lo vincola ad una società può essere ingaggiato da un’altra formazione<br />
di un altro Stato membro senza che quest’ultima debba versare alcuna cifra alla<br />
prima.<br />
Secondariamente la stessa sentenza sancì la contrarietà alla libera circolazione anche<br />
<strong>del</strong>le norme emanate dalle federazioni sportive che imponevano alle squadre di<br />
schierare un numero limitato di calciatori professionisti cittadini di altri Stati<br />
membri.<br />
16
Le conseguenze di questo provvedimento furono notevoli non solo dal punto di vista<br />
sportivo, ma anche per quel che concerne gli aspetti legislativi ed economici <strong>del</strong><br />
<strong>calcio</strong>.<br />
In <strong><strong>It</strong>alia</strong> la sentenza provocò la dichiarazione di illegittimità <strong>del</strong>l’indennità di<br />
preparazione e promozione per il trasferimento di un giocatore giunto a fine contratto<br />
e <strong>del</strong> limite riguardante il numero di stranieri comunitari da schierare in campo nelle<br />
competizioni europee.<br />
L’abolizione <strong>del</strong>l’indennità di preparazione creò non pochi problemi alle società che<br />
avevano iscritto in bilancio degli importi corrispondenti ai premi che pensavano di<br />
incassare, qualora il giocatore, giunto alla naturale conclusione <strong>del</strong> contratto, avesse<br />
concordato il trasferimento ad altra società. Venendo meno tale premio per effetto<br />
<strong>del</strong>la sentenza citata, i club videro appesantirsi notevolmente i propri bilanci.<br />
Per mitigare gli effetti negativi <strong>del</strong>la “Sentenza Bosman” si giunse così al decreto<br />
legge n. 485 <strong>del</strong> 20 settembre 1996. Quest’ultimo intervento normativo,<br />
soprannominato “Decreto Spalma-Perdite”, introdusse <strong>del</strong>le novità importanti<br />
rispetto ai precedenti e fu convertito, con alcune modifiche, nella legge n. 586 <strong>del</strong> 18<br />
novembre 1996, che permetteva alle società sportive di iscrivere nel proprio bilancio,<br />
tra le componenti attive, in apposito conto, un importo massimo pari al valore <strong>del</strong>le<br />
indennità di preparazione e promozione maturate alla data <strong>del</strong> 30 giugno 1996, in<br />
base ad una apposita certificazione rilasciata dalla Federazione sportiva competente;<br />
le stesse dirigenze potevano inoltre provvedere ad un ammortamento <strong>del</strong>le<br />
immobilizzazioni iscritte in sede di trasformazione o di prima applicazione <strong>del</strong><br />
vincolo entro un periodo non superiore a tre anni, a decorrere dalla data <strong>del</strong> 15<br />
maggio 1996, in maniera tale da poter diluire la svalutazione <strong>del</strong>la suddetta indennità<br />
in tre esercizi. Fu inoltre introdotta l’indennità di preparazione e promozione che<br />
garantiva il diritto a chi avesse provveduto all’addestramento e formazione tecnica di<br />
un atleta, di sottoporgli il primo contratto professionistico. L’atto costitutivo impose<br />
altresì che una quota parte degli utili, non inferiore al dieci per cento, fosse destinata<br />
a scuole giovanili di addestramento e formazione tecnico-sportiva.<br />
La legge 485 introdusse anche un’importantissima novità, permettendo alle società di<br />
capitali di perseguire finalità lucrative soggettive, al contrario di quanto recitato<br />
17
nell’articolo 10 <strong>del</strong>la legge 91/81, favorendo di fatto il passaggio <strong>del</strong> mondo <strong>del</strong><br />
<strong>calcio</strong> professionistico ad un sistema business oriented.<br />
Da quel momento le squadre sono state chiamate ad impegnarsi a riordinare i propri<br />
bilanci sotto la supervisione di un organo di controllo.<br />
Il secondo aspetto <strong>del</strong>la “Sentenza Bosman”, l’abolizione <strong>del</strong> limite riguardante il<br />
numero di stranieri comunitari da schierare in campo nelle competizioni europee,<br />
produsse invece l’incremento esponenziale <strong>del</strong> numero di calciatori non italiani<br />
tesserati dalle società di Serie A.<br />
Non solo per il caso relativo al calciatore belga il 1996 ha però rappresentato un anno<br />
di svolta nel panorama calcistico. A partire dalla stagione 1996/97 vi fu infatti la<br />
possibilità di vedere in diretta, per gli abbonati <strong>del</strong>la televisione a pagamento nella<br />
formula pay per view, tutti gli incontri di Serie A e B, mentre Juventus e Milan<br />
sottoscrissero un accordo commerciale finalizzato alla valorizzazione congiunta di<br />
alcuni prodotti legati al <strong>calcio</strong>, quali eventi, pubblicità e merchandising. Si assistette<br />
tra l’altro allo spostamento di alcune partite <strong>del</strong> massimo campionato al sabato per<br />
garantire maggiori introiti televisivi e, presumibilmente, più pubblico negli stadi.<br />
Tanti fattori che avviarono il <strong>calcio</strong> italiano verso l’industria mondiale<br />
<strong>del</strong>l’entertainment.<br />
1.4 La “Legge Anti-insolvenza” e il “Decreto Salva-Calcio”<br />
Nel 2002 in <strong><strong>It</strong>alia</strong> dal punto di vista economico le società attraversavano un periodo<br />
negativo, con la possibilità di fallimento che aleggiava su alcuni club. La crisi<br />
derivava in larga scala dagli altissimi compensi corrisposti per gli ingaggi degli atleti<br />
e dalle sovrastimate entrate che sarebbero dovute derivare dai contratti con le<br />
televisioni a pagamento. Per consentire alle società di superare le gravi difficoltà<br />
gestionali in cui si erano venute a trovare, il legislatore italiano emanò due<br />
provvedimenti, ribattezzati:<br />
a) la “Legge Anti-insolvenza”;<br />
b) il “Decreto Salva-Calcio”.<br />
Il primo intervento, adottato con il Decreto Legge n. 138 <strong>del</strong>l’8 luglio 2002, poi<br />
convertito dalla Legge n. 178 <strong>del</strong>l’8 agosto, prevedeva la possibilità per l’Agenzia<br />
<strong>del</strong>le Entrate di giungere ad una transazione anche attraverso la rateizzazione <strong>del</strong><br />
18
pagamento con il contribuente insolvente. Il dilazionamento <strong>del</strong> debito fiscale era<br />
consentito fino ad un massimo di cinque anni.<br />
Questo intervento permise il salvataggio <strong>del</strong>la Lazio, che al termine di una lunga<br />
istanza vide concedersi la possibilità di rateizzare in 23 anni il versamento all’Erario<br />
di debiti tributari pari a 107 milioni di euro, comprensivi di interessi e sanzioni.<br />
Nei primi anni <strong>del</strong> nuovo millennio si è altresì assistito a trasferimenti di calciatori a<br />
cifre folli, le quali, però, spesso non sono state pagate, in quanto in molte occasioni si<br />
è proceduto ad uno scambio di contropartite tecniche. Un’operazione apprezzata dai<br />
club per due motivi:<br />
a) la squadra cedente iscriveva nel conto economico l’ingente plusvalenza<br />
(differenza positiva tra il valore <strong>del</strong> corrispettivo incassato e il valore contabile netto<br />
<strong>del</strong> diritto pluriennale ceduto) realizzata nello scambio. Ciò consente alla società in<br />
questione di risanare il bilancio e di diminuire notevolmente il valore <strong>del</strong>la perdita<br />
d’esercizio;<br />
b) la squadra cessionaria, invece, iscriveva nello stato patrimoniale il diritto<br />
pluriennale alle prestazioni <strong>del</strong> calciatore per un importo ben superiore al suo valore<br />
d’uso (valore che si ritiene possa essere ragionevolmente recuperato in futuro per<br />
mezzo dei ricavi d’esercizio).<br />
Ciò fa si che i bilanci societari si siano ritrovati pieni di immobilizzazioni<br />
immateriali sopravvalutate.<br />
Stando alle regole contabili in vigore, quindi, l’intero patrimonio avrebbe dovuto<br />
essere svalutato nell’anno per allineare il proprio valore contabile all’effettivo valore<br />
di mercato. Tale operazione avrebbe portato conseguenze devastanti per i risultati<br />
economici, in quanto sui bilanci societari sarebbero gravati ingenti svalutazioni. Per<br />
evitare il disastro, il governo emanò il cosiddetto “Decreto Salva-Calcio”, cioè il<br />
Decreto Legge 24 dicembre 2002 n. 282, convertito dalla Legge n. 27 <strong>del</strong> 21 febbraio<br />
2003, il quale introdusse alcune previsioni di carattere eccezionale relativamente alla<br />
disciplina <strong>del</strong> bilancio <strong>del</strong>le società sportive.<br />
In particolare introdusse nella Legge 91/81 un nuovo articolo, il 18 bis, rubricato<br />
“disposizioni in materia di bilanci”, che permetteva alle società sportive previste<br />
dalla legge di iscrivere in apposito conto nel primo bilancio da approvare<br />
successivamente alla data di entrata in vigore <strong>del</strong>la disposizione tra le componenti<br />
19
attive quali oneri pluriennali da ammortizzare, con il consenso <strong>del</strong> collegio sindacale,<br />
l’ammontare <strong>del</strong>le svalutazioni dei diritti pluriennali <strong>del</strong>le prestazioni sportive degli<br />
atleti professionisti, determinato sulla base di un’apposita perizia giurata. Le società<br />
che si avvalevano di tale facoltà dovevano procedere, ai fini civilistici e fiscali,<br />
all’ammortamento <strong>del</strong>la svalutazione iscritta in dieci rate annuali di pari importo.<br />
Lo scopo di questo provvedimento era quello di consentire ai club sportivi, in deroga<br />
ai principi e alle regole ordinariamente applicabili in sede di formazione <strong>del</strong> bilancio,<br />
la ripartizione in più esercizi <strong>del</strong>le perdite permanenti di valore dei diritti pluriennali<br />
alle prestazioni degli sportivi professionisti sorte in conseguenza alla crisi che ha<br />
coinvolto il settore <strong>del</strong> <strong>calcio</strong>.<br />
In particolare, il legislatore, consentendo alle società interessate di contenere gli<br />
effetti <strong>del</strong>la crisi sul risultato economico <strong>del</strong>l’esercizio e sul patrimonio netto,<br />
perseguì il fine di consentire a tali club di rinegoziare con adeguato respiro di tempo<br />
gli assetti contrattuali complessivi e di assumere le decisioni più opportune per<br />
riequilibrare gli assetti patrimoniali, finanziari ed economici.<br />
Il presupposto per poter procedere alla svalutazione dei diritti pluriennali era<br />
l’esistenza, alla data di entrata in vigore <strong>del</strong>la norma, di una “perdita durevole” di<br />
valore dei diritti non recuperabile in futuro e determinata per mezzo di una perizia<br />
all’uopo realizzata.<br />
Dalla perizia giurata, redatta in forma analitica, dovevano risultare:<br />
a) il valore attribuibile a ciascun diritto pluriennale;<br />
b) i criteri di stima adottati;<br />
c) le ragioni che ne suggeriscono l’adozione e gli elementi che inducono a<br />
considerare che le svalutazioni siano di natura durevole.<br />
Nel maggio 2003 l’Organismo italiano di contabilità (Oic) redasse un documento<br />
contenente i criteri per la rilevazione in bilancio <strong>del</strong>la svalutazione in cui si<br />
comprendeva come l’ammontare di essa riferibile a ciascun diritto pluriennale<br />
dovesse essere calcolato confrontando il relativo valore di stima con il valore<br />
contabile al netto degli ammortamenti comprensivi <strong>del</strong>la quota di competenza<br />
<strong>del</strong>l’anno in cui si effettua la svalutazione stessa.<br />
La previsione dei diritti pluriennali in questione deve essere in pratica effettuata in<br />
base a ragionevoli ipotesi in funzione <strong>del</strong>la loro prevedibile destinazione: vendita<br />
20
oppure impiego nell’attività sportiva <strong>del</strong>la società. Il valore dei diritti pluriennali alle<br />
prestazioni dei calciatori destinati alla vendita è pari al valore stimato conseguibile<br />
sul mercato, al netto dei costi di transazione.<br />
Il valore effettivo d’uso è, invece, funzione dei complessivi flussi attesi conseguibili<br />
nel corso <strong>del</strong>la durata residua dei contratti. L’ammortamento <strong>del</strong>le svalutazioni potrà<br />
essere effettuato lungo un arco temporale pari a dieci anni. Il primo esercizio in cui si<br />
deve stanziare la quota di ammortamento iniziale è quello in cui la società si avvale<br />
<strong>del</strong>la facoltà concessa dalla legge; la svalutazione, quindi, influenzerà, a quote<br />
costanti, i bilanci nei dieci esercizi che vanno dal 2002/2003 al 2011/2012. Così<br />
facendo numerosi club hanno raggiunto il risultato di non appesantire i bilanci di<br />
risultati economici negativi, ma di spalmare queste perdite in più anni.<br />
1.5 Lo scandalo <strong>del</strong> doping amministrativo e il “Lodo Petrucci”<br />
Dalle accuse di doping amministrativo lanciate nel novembre 2003<br />
dall’amministratore <strong>del</strong>la Juventus Antonio Giraudo nacque un’inchiesta ad hoc che<br />
pose la propria attenzione sulle irregolarità <strong>del</strong>le iscrizioni ai campionati, su<br />
fideiussioni false, debiti erariali, liberatorie non ottenute dai calciatori e plusvalenze<br />
fittizie. La procura di Roma avviò le indagini nei confronti di tutte le società di <strong>calcio</strong><br />
di Serie A e B al fine di controllare le plusvalenze esercitate tra il 1999 e il 2002,<br />
ovvero su attivi di bilancio fasulli iscritti nei documenti contabili e giustificati dalla<br />
compravendita di calciatori, non solo campioni ma anche seconde linee fatte passare<br />
per pezzi da novanta. Un’autentica forma di white collar crime, la criminalità dei<br />
colletti bianchi che il sociologo americano Edwin H. Sutherland nel 1939 indicò<br />
consistere proprio in<br />
“falsità di rendiconti finanziari di società, aggiotaggio in borsa,<br />
corruzione diretta o indiretta di pubblici ufficiali al fine di assicurarsi<br />
contratti e decisioni vantaggiose, falsità in pubblicità, frode<br />
nell'esercizio <strong>del</strong> commercio, appropriazione indebita e distrazione di<br />
21
fondi, frode fiscale, scorrettezze nelle curatele fallimentari e nella<br />
bancarotta” 2 .<br />
Lo studioso, per spiegare tal fenomeno, si concentrò sul contesto imprenditoriale e<br />
professionale nel quale l’individuo commette i propri reati e giunse alla conclusione<br />
che gli uomini d’affari e la grande impresa sono molto simili ai ladri professionali.<br />
Le violazioni commesse nel mondo degli affari sono infatti veri e propri reati e gli<br />
autori <strong>del</strong>l’illecito, singoli o imprese che essi siano, <strong>del</strong>inquono non perché affetti da<br />
patologie o spinti da povertà, ma perché apprendono questo comportamento così<br />
come si apprende qualunque altra abitudine conforme. Infatti la definizione di<br />
Sutherland<br />
“Il <strong>del</strong>inquente dal colletto bianco è una persona rispettabile, o almeno<br />
rispettata, appartenente alla classe superiore, che commette un reato nel<br />
corso <strong>del</strong>l’attività professionale, violando la fiducia formalmente o<br />
implicitamente attribuitagli” 3<br />
si riferisce più agli autori <strong>del</strong> reato e al loro status sociale, che al tipo di reato<br />
commesso.<br />
Gli escamotages contabili attuati, però, non furono sufficienti a mantenere intatto il<br />
sistema di fronte ad una crisi che appariva irreversibile e che tra il 2002 e il 2005<br />
portò al fallimento di numerosi club. La prima società ad imboccare il tunnel senza<br />
fine fu la Fiorentina, che venne formalmente dichiarata fallita dal tribunale il 27<br />
settembre 2002, mentre il suo presidente Vittorio Cecchi Gori e l’amministratore<br />
Luciano Luna furono accusati di bancarotta fraudolenta. In quegli anni fallirono tra le<br />
altre il Napoli, l’Ancona, il Como, il Torino, il Perugia e la Salernitana.<br />
In seguito ai numerosi casi di bancarotta il Consiglio <strong>del</strong>la Figc varò il 14 maggio<br />
2004 il cosiddetto “Lodo Petrucci” (dal nome <strong>del</strong> Presidente <strong>del</strong> Coni Giovanni<br />
Petrucci, che propose la norma). Il lodo consisteva in una particolare procedura<br />
burocratico-amministrativa che, nel caso <strong>del</strong> fallimento di una società<br />
2 Sutherland, E. H., Principles of criminology, Chicago 1939 (tr. it.: La criminalità dei colletti<br />
bianchi e altri scritti, Milano 1986, pp. 62-63)<br />
3 Ivi, p. 65<br />
22
professionistica di <strong>calcio</strong>, consentiva di non perdere il patrimonio sportivo cittadino.<br />
La nuova società che sarebbe subentrata a quella fallita avrebbe di fatto ereditato il<br />
titolo sportivo, ripartendo tuttavia da una categoria al di sotto di quella conquistata<br />
sul campo e che gli sarebbe stata sportivamente dovuta se non fosse avvenuto il<br />
fallimento. Non si ereditano, invece, il marchio, acquistabile all’asta fallimentare, e i<br />
giocatori, che vengono tutti svincolati. I punti da rispettare per usufruire <strong>del</strong> “Lodo<br />
Petrucci” erano i seguenti:<br />
1. il titolo sportivo <strong>del</strong>le società non iscritte per motivi finanziari alla serie A, B o<br />
C1 potrà essere rilevato da una nuova società <strong>del</strong>la stessa città che si iscriverà al<br />
campionato inferiore. La vecchia società ripartirà dalla terza categoria;<br />
2. chi “chiuderà” in C2, invece, dovrà scendere di due categorie, ripartendo<br />
dall’Eccellenza anziché dalla serie D;<br />
3. la società morente dovrà almeno avere 10 anni consecutivi di partecipazione ai<br />
campionati professionistici, oppure 25 anni non consecutivi nella sua storia;<br />
4. sull’attribuzione <strong>del</strong> titolo deciderà la FIGC, sentito il sindaco <strong>del</strong>la città,<br />
verificando che la nuova società sia in grado di fornire garanzie di solidità<br />
finanziaria e continuità aziendale;<br />
5. al capitale <strong>del</strong>la nuova società non potranno partecipare i vecchi dirigenti o i soci<br />
che abbiano avuto quote superiori al 2%. Chi violerà questa regola rischia di non<br />
vedersi ammesso all’iscrizione oppure, se scoperto dopo, di subire almeno due<br />
punti di penalizzazione in classifica;<br />
6. le garanzie da presentare comprendono: una tassa straordinaria di iscrizione, la<br />
dichiarazione che la nuova società è disposta a coprire, con un versamento al<br />
fondo di garanzia, i debiti verso calciatori e allenatori lasciati dalla vecchia<br />
società;<br />
7. l’impegno a emettere una fideiussione bancaria a prima richiesta per coprire gli<br />
obblighi contrattuali verso tesserati.<br />
Tra le principali società che hanno usufruito <strong>del</strong> Lodo si ricordano il Napoli, il<br />
Torino e il Perugia.<br />
Il 2004 non fu un anno particolarmente sereno per la nostra penisola, tant’è che la<br />
Commissione Europea aprì una procedura di infrazione nei confronti <strong>del</strong>l’<strong><strong>It</strong>alia</strong><br />
perché la “Legge Salva-Calcio” contravveniva alle direttive CEE consentendo che i<br />
23
diritti alle prestazioni dei calciatori fossero ammortizzati su un periodo più lungo<br />
rispetto alla loro utilizzazione e violava altresì l’articolo 87 <strong>del</strong> Trattato UE in<br />
materia di aiuti di Stato, in quanto concedeva alle società calcistiche un indebito<br />
aiuto in termini di deducibilità fiscale <strong>del</strong>le perdite d’esercizio.<br />
La procedura di infrazione si chiuse soltanto in seguito all’emanazione <strong>del</strong> Decreto<br />
Legge n. 115 <strong>del</strong> 30 giugno 2005, convertito dalla Legge n. 168 <strong>del</strong> 17 agosto 2005,<br />
il cui fine era che le società sportive che si fossero avvalse <strong>del</strong>la facoltà di cui<br />
all’articolo 18-bis <strong>del</strong>la Legge 23 marzo 1981, n. 91, e successive modificazioni,<br />
avrebbero dovuto ridurre nell’esercizio chiuso o in corso al 31 dicembre 2006<br />
l’ammontare <strong>del</strong> patrimonio netto <strong>del</strong>l’importo <strong>del</strong> valore residuo <strong>del</strong>la voce di<br />
bilancio “oneri pluriennali da ammortizzare” iscritta tra le componenti attive per<br />
effetto <strong>del</strong>la svalutazione dei diritti pluriennali <strong>del</strong>le prestazioni sportive degli atleti<br />
professionisti. La disposizione prevedeva di fatto il dimezzamento da dieci a cinque<br />
anni <strong>del</strong> periodo di ammortamento <strong>del</strong>le svalutazioni.<br />
24
2 I club ed il business: la squadra come un’azienda<br />
2.1 L’azienda <strong>calcio</strong><br />
Il settore calcistico, come qualsiasi altro comparto economico, può essere analizzato<br />
nel profondo al fine di indagarne aspetti quali le trasformazioni fisicotecniche, la<br />
negoziazione di beni, di capitali di prestito e di rischi particolari, la gestione di<br />
lavoro, e l’organizzazione. Per poter studiare tali dimensioni bisogna però<br />
comprendere se, effettivamente, le società di <strong>calcio</strong> siano identificabili con l’istituto-<br />
impresa. Per <strong>del</strong>ineare il concetto di impresa si seguirà l’impostazione concettuale<br />
proposta da Carlo Masini 4 , il quale afferma che l’attività economica, ossia l’insieme<br />
di operazioni di produzione e di consumo di beni economici, è attuata<br />
prevalentemente all’interno di istituti che assumono caratteristiche di istituzioni con<br />
alcuni tratti peculiari come la durabilità nel tempo, la dinamicità, la presenza al<br />
proprio interno di regole e strutture di comportamento, l’autonomia, l’unitarietà, e il<br />
voler raggiungere un obiettivo di ordine generale.<br />
Il fine economico immediato di un’impresa è la produzione di remunerazioni<br />
monetarie e di altre connesse condizioni, per le persone componenti il soggetto<br />
economico. Sino al 1996, prima <strong>del</strong>l’emanazione <strong>del</strong> D.L. 485/96, poteva sussistere<br />
qualche dubbio circa il considerare le società calcistiche come imprese, dal momento<br />
che le stesse non potevano distribuire dividendi, la liquidazione <strong>del</strong> capitale non<br />
poteva avvenire in misura superiore al valore nominale <strong>del</strong>le azioni e, soprattutto,<br />
vedevano gli atti di straordinaria amministrazione soggetti alla preventiva<br />
approvazione di un ente esterno. In tal ottica i diversi tipi di azienda che erano<br />
associati alle differenti visioni <strong>del</strong>lo statuto dei club sono stati in passato identificati<br />
nella fattispecie in aziende di erogazione miste, aziende di produzione non a rischio<br />
di mercato ed imprese. Nello specifico essi potrebbero essere identificati come<br />
aziende miste erogative, cioè come associazioni private o pubbliche deputate alla<br />
gestione di patrimoni e alla elargizione di un consumo per l’utenza, quella <strong>del</strong>la<br />
diffusione <strong>del</strong>la pratica sportiva, poiché per sopravvivere devono ricorrere almeno in<br />
parte ad entrate di origine mecenatistica. Tuttavia questo tipo di servizio non può<br />
essere giudicato di interesse sociale e, perciò, il mecenatismo atto alla sopravvivenza<br />
4 Masini C., Lavoro e Risparmio, Utet, Torino 1979<br />
25
sarebbe stato esclusivamente di tipo privato e dunque difficilmente slegabile da<br />
considerazioni di vantaggio economico per l’offerente e da valutazioni di mercato.<br />
L’ipotesi di aziende di produzione non a rischio di mercato è invece subito da<br />
scartare, perché legata al concetto di un’unica azienda <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> che opera in<br />
condizioni di monopolio e che si articola in diverse squadre, in tante società<br />
relativamente autonome che producono un servizio in condizioni economiche pur<br />
senza misurarsi col mercato. L’identificazione <strong>del</strong>le società di <strong>calcio</strong><br />
professionistiche con le imprese sembra dunque la scelta più naturale, anche se<br />
l’incertezza derivava dai famigerati tre vincoli citati, nonostante questi non<br />
incidessero sulla specie <strong>del</strong>l’attività svolta, ovvero sul formarsi di costi e ricavi<br />
unitari di mercato, di entrate ed uscite di mezzi monetari, di variazioni di debiti e<br />
crediti di regolamento e di prestito, di redditi e di capitali. Dubbi crollati quando,<br />
dopo la riforma a seguito <strong>del</strong>la sentenza Bosman, questi sono stati aboliti e quindi i<br />
club calcistici sono stati considerati <strong>del</strong>le imprese in senso stretto. Le società<br />
calcistiche possono essere dunque inserite nell’ambito <strong>del</strong>la tipologia istituto-<br />
impresa, poiché l’attività economica assume rilevanza primigenia, anche se non<br />
mancano, come in qualsiasi istituto, fenomeni di ordine sociale o politico.<br />
Seguendo invece l’impostazione concettuale proposta da Pietro Onida 5 , le aziende<br />
possono essere invece classificate in due tipologie: quelle di erogazione e di<br />
produzione per il mercato. Nel primo caso la finalità perseguita è il soddisfacimento<br />
dei bisogni di un gruppo definito di soggetti attraverso l’utilizzo e la conservazione<br />
<strong>del</strong>la ricchezza disponibile. Tale obiettivo viene raggiunto attraverso il consumo di<br />
determinati beni o servizi erogati dalla società. A tali fini, può anche ricorrere ad<br />
un’attività di produzione, purché finalizzata all’appagamento dei consumi dei<br />
membri che vi appartengono. In buona sostanza, l’attività di produzione non è<br />
destinata allo scambio per il mercato. Questa caratteristica, invece, risulta<br />
fondamentale nella seconda tipologia di azienda, nella quale assume rilevanza lo<br />
scambio con il sorgere di tipiche quantità economiche quali costi e ricavi.<br />
Nell’ampia categoria <strong>del</strong>le aziende che producono per lo scambio nel mercato, se ne<br />
individua una specifica denominata impresa, nella quale appare evidente l’esistenza<br />
<strong>del</strong> rischio economico generale.<br />
5 Onida P., Economia d’azienda, Utet, Torino 1971<br />
26
Nella definizione di impresa si individuano quindi due caratteristiche fondamentali,<br />
la produzione per il mercato e l’esistenza di un rischio generale.<br />
Risulta evidente come la società di <strong>calcio</strong> professionistica presenti tutti i connotati<br />
individuati per l’impresa “pura”; infatti, l’attività di produzione economica è<br />
indirizzata al mercato ed esiste un rischio economico generale, in quanto la società<br />
può fallire o essere liquidata. Si può affermare, quindi, che a tutti gli effetti i club<br />
possono essere considerati <strong>del</strong>le imprese, dove oltre agli interessi economici<br />
convergono anche interessi di altra specie.<br />
L’azienda, al fine di assumere la veste di ordine economico <strong>del</strong>l’istituto, deve essere<br />
duratura, deve cioè svolgersi secondo condizioni di vita e di funzionamento tali da<br />
consentire di durare nel tempo in un ambiente mutevole. Essendo, infatti, rivolta a<br />
soddisfare finalità economiche che sono a loro volta strumentali per il perseguimento<br />
dei fini generali di istituto, non può considerare queste finalità economiche che in<br />
un’ottica di lungo periodo.<br />
Connesso al carattere <strong>del</strong>la durabilità, vi è anche quello <strong>del</strong>l’autonomia. Non è<br />
sufficiente che l’azienda duri nel tempo, occorre anche accertarsi che non si<br />
manifesti un sistematico ricorso a interventi di sostegno o di copertura <strong>del</strong>le perdite<br />
da parte di altre economie. L’autonomia, quindi, è carattere che si accompagna<br />
necessariamente alla durabilità e che serve a meglio qualificarla.<br />
Al fine di operare in condizioni di durabilità e autonomia, ogni istituto deve<br />
rispettare il principio di economicità, inteso come modalità da osservare nell’attività<br />
aziendale per perseguire le finalità generali di istituto. Il principio di economicità,<br />
come regola di condotta o di funzionamento <strong>del</strong>l’azienda, si traduce concretamente<br />
nel perseguimento contemporaneo di più fini economici. In particolare, le condizioni<br />
da rispettare simultaneamente nel funzionamento <strong>del</strong>le aziende appartengono a due<br />
gruppi di ordini: un primo attinente alla dimensione più propriamente reddituale,<br />
comprende quelle condizioni che hanno impatto sull’equilibrio tra componenti<br />
positivi e negativi di reddito; il secondo riguarda, invece, la dimensione monetaria,<br />
cioè accoglie quelle condizioni che assicurano la continuità soddisfacendo, momento<br />
per momento, l’equilibrio tra entrate e uscite di mezzi monetari.<br />
Il principio di economicità non può essere confinato soltanto nel campo <strong>del</strong>le regole<br />
di comportamento per la conduzione di un’azienda; per essere concretamente seguito<br />
27
ha bisogno di avvalersi di determinazioni quantitative, sia prima che l’attività si<br />
svolga, sia successivamente, per accertare se la prestazione aziendale si sia realizzata<br />
secondo economicità.<br />
Soltanto attraverso l’analisi quantitativa è, quindi, possibile verificare se le società di<br />
<strong>calcio</strong>, nel proprio operare rispettino i canoni di economicità e siano in grado di<br />
durare nel tempo in condizioni di autonomia. Le imprese calcistiche, pur nella<br />
sostanziale uniformità <strong>del</strong>la gestione, presentano alcuni caratteri peculiari a seconda,<br />
tra l’altro, che siano o meno appartenenti ad un gruppo; profondamente diverse,<br />
infatti, sono le decisioni che presiedono al comportamento <strong>del</strong>le società sportive<br />
indipendenti da quelle facenti parte di un gruppo.<br />
La distinzione di cui sopra risulta utile riferendosi alla diversità di significato che può<br />
assumere il concetto di reddito al fine di poter esprimere giudizi sulla solvibilità <strong>del</strong>le<br />
imprese medesime. Per le singole aziende appartenenti ad un gruppo il reddito di<br />
ciascuna di esse è grandezza poco significativa; l’economicità aziendale non è una<br />
condizione indispensabile per la loro esistenza, le imprese controllate devono<br />
soddisfare in modo efficiente soprattutto le attese formulate dal soggetto economico<br />
<strong>del</strong> gruppo.<br />
L’appartenenza di una impresa calcistica ad un gruppo o ad una aggregazione di<br />
aziende comporta, dunque, la necessità di interpretare fenomeni che la caratterizzano<br />
alla luce <strong>del</strong>le influenze emergenti. Il soggetto economico giudica sulla convenienza<br />
a mantenere in vita l’impresa calcistica secondo schemi di valutazione che si<br />
discostano dai comuni requisiti <strong>del</strong>l’economicità aziendale; ciò che vengono valutati<br />
sono i benefici che l’impresa calcistica, in vario modo, è in grado di apportare al<br />
gruppo. Pertanto, è questo il motivo che giustifica, spesso, la partecipazione di<br />
società calcistiche, perennemente in perdita, ai rispettivi campionati.<br />
Per contro, le imprese calcistiche che vivono di forza propria e che non sono inserite<br />
in un gruppo devono soddisfare le tipiche condizioni <strong>del</strong>l’economicità aziendale,<br />
possibili solo in presenza di una gestione particolarmente attenta.<br />
Nell’attuale contesto italiano, le imprese calcistiche per continuare ad esistere<br />
necessitano di continue ricapitalizzazioni volte ad annullare i negativi effetti prodotti<br />
dalla gestione. La mancata disponibilità degli azionisti a ripianare le perdite conduce<br />
28
o alla scomparsa <strong>del</strong>l’impresa dal mercato o alla sua continuazione in capo ad una<br />
nuova compagine proprietaria.<br />
Dal momento in cui passa dal dilettantismo al professionismo, dalla fase i club si<br />
sono dunque trasformati in “imprese”, i giocatori in “fattori di produzione”, le<br />
società di appartenenza in “datori di lavoro”, le partite in “beni offerti sul mercato”,<br />
gli spettatori in “consumatori”. L’impresa calcistica può essere funzionalmente<br />
definita come un sistema destinato alla produzione di beni e servizi per la collettività,<br />
in cui le risorse disponibili devono essere combinate in modo efficiente per il<br />
raggiungimento degli obiettivi prefissati.<br />
Le caratteristiche tipiche <strong>del</strong> “prodotto <strong>calcio</strong>” possono essere individuate nella<br />
passione e nel senso di appartenenza; si tratta di un patrimonio unico e di<br />
inestimabile valore sul quale il settore ha storicamente costruito gran parte <strong>del</strong>le sue<br />
fortune (ecco perché un’industria che è stata caratterizzata da performance<br />
economico-finanziarie non ottimali è sopravvissuta senza essere dilaniata da lotte tra<br />
i suoi numerosi stakeholder, intesi come giocatori, spettatori, azionisti,<br />
amministratori locali, Stato, tutti disposti a garantirne la sopravvivenza, anche contro<br />
le più elementari leggi <strong>del</strong>l’economia); nella connotazione sociale che può assumere<br />
il suo consumo; nel caso <strong>del</strong>le politiche di prezzo negli stadi o <strong>del</strong>la trasmissione<br />
televisiva di particolari incontri, tale caratteristica è stata anche riconosciuta in atti<br />
ufficiali; nella peculiarità di produzione congiunta che assume la sua fornitura; una<br />
società di <strong>calcio</strong>, a differenza di una normale impresa, non può svilupparsi e<br />
prosperare da sola; tra le diverse società, dunque, non c’è possibilità né di<br />
sostituzione né di concorrenza ma c’è complementarietà di prodotti; nell’atipicità dei<br />
meccanismi concorrenziali evidenziata dalla particolarità che le società di <strong>calcio</strong><br />
competono tra loro per vincere le partite, ma sono, al tempo stesso, parte integrante<br />
<strong>del</strong>la medesima industria, che si sta sviluppando in contrapposizione ad altre forme<br />
di intrattenimento, non solo sportivo; nell’incertezza e nell’indeterminazione <strong>del</strong><br />
risultato sportivo, che condiziona pesantemente il risultato economico di fine anno e<br />
rende un’esigenza primaria di tutti i club calcistici professionistici quella di<br />
programmare la propria attività in modo da dipendere sempre meno da risultati<br />
conseguiti sul campo.<br />
29
L’allestimento <strong>del</strong>lo spettacolo sportivo costituisce, nell’aspetto imprenditoriale,<br />
l’oggetto a cui è rivolta l’attività economica <strong>del</strong>l’impresa calcistica e di conseguenza<br />
la componente tradizionale, ma non esclusiva, <strong>del</strong> valore <strong>del</strong>la produzione.<br />
Le utilità incorporate nello spettacolo calcistico consentono vantaggi economici<br />
direttamente riconducibili all’allestimento <strong>del</strong>lo spettacolo stesso o indiretti avendo<br />
riguardo allo sfruttamento economico che esso in altro modo consente. I valori<br />
direttamente connessi allo spettacolo calcistico, storicamente considerati i tipici<br />
ricavi, originano dagli incassi relativi alle gare disputate nei campionati di<br />
appartenenza e dalla partecipazione a competizioni sportive di altro tipo. La<br />
diffusione televisiva <strong>del</strong>lo spettacolo calcistico prima e, successivamente,<br />
l’adattamento <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> a logiche imprenditoriali hanno originato una serie di ricavi<br />
complementari che nel tempo hanno assunto valori assai rilevanti, fino a diventare<br />
oggi largamente preponderanti rispetto agli incassi <strong>del</strong>le partite. I diritti televisivi, lo<br />
sfruttamento <strong>del</strong>l’immagine e le sponsorizzazioni sono l’espressione di sistemi<br />
economici modernamente organizzati.<br />
Un secondo gruppo di ricavi origina dall’attività di commercializzazione dei diritti<br />
alle prestazioni degli atleti. In questo caso il prezzo di cessione <strong>del</strong> calciatore deve<br />
essere confrontato col valore contabile <strong>del</strong> diritto alla prestazione sportiva. Se il<br />
prezzo di cessione è maggiore <strong>del</strong> valore contabile la differenza esprimerà un<br />
componente positivo di reddito imputabile all’esercizio che va sotto il nome di<br />
plusvalenza patrimoniale.<br />
Un’ultima classe di ricavi è rappresentata dai contributi erogati annualmente dalla<br />
Federazione alle società.<br />
L’impresa calcistica, al fine di attuare la combinazione che le è propria, impiega, alla<br />
stregua di tutte le altre imprese, capitali e risorse, sia umane che materiali, e nello<br />
svolgere le proprie funzioni sostiene dei costi.<br />
Nelle società di <strong>calcio</strong> la produzione <strong>del</strong> servizio sportivo e la sua<br />
commercializzazione coincidono spesso temporalmente, essendo la gara sportiva la<br />
fase terminale di un processo tecnico che può essere pensato per periodi annuali,<br />
come nel caso <strong>del</strong> campionato, o per periodi più brevi nel caso <strong>del</strong>le competizioni di<br />
coppa; un rapporto che diviene asincrono quando vengono immessi sul mercato nei<br />
periodi di sosta <strong>del</strong>le competizioni agonistiche prodotti video o gadget che<br />
30
ipercorrono i grandi successi o i gol <strong>del</strong>la stagione appena conclusa.<br />
All’acquisizione dei fattori di produzione sono legati i costi relativi ai compensi agli<br />
atleti e le somme spettanti alle società da cui provengono i nuovi calciatori.<br />
Altri componenti negativi possono originare dalle minusvalenze che seguono la<br />
cessione dei calciatori e dalle quote di ammortamento <strong>del</strong> “diritto alle prestazioni<br />
sportive”. Di minore entità sono i costi <strong>del</strong> personale non legato alla struttura tecnica.<br />
Non è solo la possibilità di conseguire un utile e di distribuirlo ai soci a favorire gli<br />
investimenti nel <strong>calcio</strong>; il tornaconto psicologico, in immagine e popolarità può<br />
talvolta essere di gran lunga più importante <strong>del</strong>la realizzazione di un risultato<br />
economico immediato, in quanto il vantaggio indiretto è comunque notevole.<br />
Tale situazione contraddittoria trova riscontro nella circostanza che il <strong>calcio</strong><br />
professionistico è un’industria dal bilancio (sul quale spesso incidono manovre per<br />
l’acquisizione dei club che tramutano i debiti <strong>del</strong> nuovo acquirente in deficit <strong>del</strong>la<br />
società calcistica, come nel caso <strong>del</strong> leveraged buy-out con cui Malcolm Glazer<br />
acquisì il Manchester United nel 2005 per 790 milioni di sterline che i “Red Devils”<br />
devono ancor oggi ammortizzare) il più <strong>del</strong>le volte in crisi a causa <strong>del</strong>la cronica<br />
eccedenza <strong>del</strong>le uscite sulle entrate, ma pur sempre viva e vitale in tutte le sue<br />
componenti istituzionali. La comprensione <strong>del</strong>la formula imprenditoriale <strong>del</strong> <strong>calcio</strong><br />
professionistico diviene quindi fondamentale al fine di comprendere il governo<br />
strategico <strong>del</strong>le aziende calcistiche.<br />
Ogni impresa ha una sua impostazione imprenditoriale che dipende dalla sua storia e<br />
dalle scelte effettuate nel corso <strong>del</strong>l’esistenza.<br />
La formula imprenditoriale è il risultato <strong>del</strong>le scelte di fondo riguardanti le seguenti<br />
variabili:<br />
1) il sistema competitivo;<br />
2) il sistema di prodotto;<br />
3) la struttura;<br />
4) il sistema degli attori sociali;<br />
5) le prospettive offerte e/o i contributi richiesti.<br />
Il sistema competitivo, secondo il mo<strong>del</strong>lo proposto da Porter 6 , comprende, oltre alle<br />
aziende rivali, le aziende clienti, le aziende fornitrici, i potenziali nuovi entranti e le<br />
6 Porter M.E., La strategia competitiva. Analisi per le decisioni, Tipografia compositori, Bologna<br />
1982<br />
31
aziende offerenti prodotti sostitutivi Per quanto riguarda i concorrenti diretti, nel<br />
settore calcistico, essi sono riconducibili alle altre squadre che competono per il<br />
raggiungimento di un determinato obiettivo più o meno prestigioso. La concorrenza<br />
nel settore calcistico avviene tra le squadre di club sia in ambito nazionale che<br />
europeo e la competizione è molto forte. Non tutte le squadre sono, però, in diretta<br />
concorrenza; occorre, infatti, suddividere l’arena competitiva in base agli obiettivi<br />
<strong>del</strong>le diverse formazioni: non è possibile ritenere fortemente concorrenziali club con<br />
obiettivi, e probabilmente capitali, diversi.<br />
Sul punto occorre sottolineare una peculiarità specifica <strong>del</strong>le settore calcistico.<br />
Infatti, mentre nella maggior parte <strong>del</strong>le industrie i concorrenti sono di norma<br />
beneficiati dalla scomparsa di un competitore, nelle competizioni calcistiche<br />
l’esistenza di un numero minimo di concorrenti è addirittura condizione necessaria<br />
per l’esistenza <strong>del</strong>l’industria stessa. In questo contesto il potere dei fornitori dei vari<br />
servizi, dal materiale tecnico ai mezzi di trasporto, dagli alberghi per le trasferte alla<br />
gestione <strong>del</strong>lo stadio, è influenzato dal numero di imprese fornitrici e dal prestigio;<br />
più in generale, però, essendo le squadre di <strong>calcio</strong> un eccellente mezzo pubblicitario,<br />
essi fanno a gara tra di loro per divenirne fornitori ufficiali con l’esclusiva per un<br />
dato servizio o area geografica.<br />
Il potere contrattuale degli acquirenti, intesi come fruitori <strong>del</strong>lo spettacolo calcistico,<br />
è, invece, legato alla loro sensibilità al prezzo su cui incide in maniera determinante<br />
la “fede calcistica”. Si può infatti osservare come lo spettatore tifoso medio presenta<br />
una domanda di spettacolo calcistico poco elastica al prezzo, derivante dal fatto che<br />
il sostenere un team calcistico implica una certa “fede <strong>del</strong> tifoso-spettatore” che può<br />
crescere o decrescere negli anni in base ai risultati, ma che è difficilmente crollabile.<br />
I potenziali nuovi entranti sono rappresentati da quelle squadre che attuano<br />
spostamenti di obiettivi da più prestigiosi a meno prestigiosi e viceversa.<br />
Infine, i prodotti sostitutivi sono rappresentati sia dagli sport alternativi che possono<br />
spostare a loro favore l’attenzione degli sportivi, sia dalle altre attività ricreative<br />
quali il cinema o il teatro.<br />
Il secondo elemento <strong>del</strong>la strategia competitiva è costituito dal sistema di prodotto,<br />
che nelle società di <strong>calcio</strong> è rappresentato dall’organizzazione di spettacoli calcistici.<br />
Il tratto peculiare <strong>del</strong> prodotto di una società di <strong>calcio</strong> è l’instabilità, a causa<br />
32
<strong>del</strong>l’elevata incertezza che caratterizza l’attività sportiva e <strong>del</strong>le ingenti difficoltà nel<br />
far conciliare ottime stagioni in campo con altrettanti virtuosi risultati nell’ambito<br />
imprenditoriale. Nel <strong>calcio</strong>, infatti, viene offerto un bene che solo potenzialmente è<br />
competitivo, in quanto soltanto tramite una testimonianza di ripetitività <strong>del</strong> successo<br />
si può asserire con certezza che il prodotto offerto sia valido, tant’è che proprio per<br />
ridurre questa incertezza legata ai cicli di vittorie, Luciano Moggi, storico dirigente<br />
<strong>del</strong>la Juventus, fu nel 2006 accusato, nell’ambito <strong>del</strong>l’inchiesta Calciopoli, al pari di<br />
dirigenti di altre squadre coinvolte, di intrattenere rapporti con i designatori arbitrali<br />
Bergamo e Pairetto atti ad influenzare le designazioni per le partite <strong>del</strong>la propria<br />
squadra in modo da ottenere arbitri considerati favorevoli. In questo era spesso<br />
appoggiato dagli esponenti <strong>del</strong>la federazione coinvolti nell’indagine. Secondo<br />
l’accusa, nello specifico, era pratica comune inoltrare attraverso i designatori arbitrali<br />
o la FIGC recriminazioni e velate minacce nei confronti degli arbitri considerati non<br />
favorevoli.<br />
Inoltre, il <strong>calcio</strong> può essere considerato un’industria sui generis, per la particolarità<br />
<strong>del</strong> prodotto che questa offre sul mercato: un prodotto unico, soggettivo, intangibile.<br />
Il <strong>calcio</strong> ha dei caratteri distintivi rispetto a tutte le altre industrie, come la passione e<br />
l’attaccamento alla squadra di tifosi, dirigenti e proprietari che hanno permesso alle<br />
società, nonostante performance economiche negative, di sopravvivere trovando<br />
sempre qualcuno pronto a garantirne la continuazione, contro le più elementari leggi<br />
<strong>del</strong>l’economia.<br />
Altro elemento da considerare è la struttura <strong>del</strong>l’impresa la quale rappresenta il punto<br />
di collegamento tra strategia competitiva e, per così dire, strategia sociale,<br />
consentendo di presentarsi sul mercato con quella offerta e agli attori sociali con<br />
quella certa proposta progettuale. Il termine struttura è inteso in senso lato, così da<br />
ricomprendervi non solo la struttura organizzativa ed i meccanismi operativi ma<br />
anche tutte le risorse costituenti il patrimonio tecnologico, commerciale, direzionale<br />
ed economico-finanziario <strong>del</strong>la società. Nella realtà dei club calcistici prevalgono<br />
indiscutibilmente le risorse umane, intese non solo come fattori produttivi, ma anche<br />
come know-how posseduto dai dirigenti che effettuano le scelte e prendono le<br />
decisioni, che hanno un’importanza cruciale per il raggiungimento <strong>del</strong>la finalità<br />
aziendale.<br />
33
La strategia competitiva cerca di spiegare il rapporto tra le risorse disponibili per la<br />
società, i suoi obiettivi e la sua performance. La formulazione <strong>del</strong>la strategia implica<br />
tre componenti fondamentali: l’identificazione degli obiettivi, l’identificazione <strong>del</strong>le<br />
risorse a disposizione e l’identificazione <strong>del</strong>le limitazioni imposte dall’ambiente<br />
economico. <strong>Una</strong> strategia ben formulata è, quindi, una strategia che permette<br />
all’impresa di realizzare i propri obiettivi date le risorse a disposizione, per mezzo di<br />
un adattamento ottimale all’ambiente.<br />
La quarta variabile <strong>del</strong>la formula imprenditoriale è il sistema degli attori sociali. Con<br />
tale espressione ci si riferisce ai detentori di interessi coinvolti nell’esercizio<br />
<strong>del</strong>l’impresa estranei al sistema competitivo che saranno analizzati successivamente 7 .<br />
Essi ripongono <strong>del</strong>le aspettative sull’impresa ed hanno il potere di influire sulla vita<br />
stessa <strong>del</strong> club.<br />
Infine, l’ultimo aspetto da indagare è costituito dalla proposta progettuale che<br />
l’impresa calcistica rivolge alle forze sociali coinvolte nella realizzazione <strong>del</strong>la<br />
proposta stessa, offrendo determinate prospettive e richiedendo determinati contributi<br />
o consensi. In sintesi, si può asserire che la struttura determina il sistema di prodotto<br />
(il patrimonio umano e le conoscenze possedute determinano l’offerta di spettacolo<br />
calcistico), il quale, a sua volta, mentre concorre a plasmare il sistema competitivo,<br />
consente all’impresa di ritagliarvi il suo spazio operativo. Dal sistema competitivo,<br />
poi, la struttura riceve continui flussi informativi che ne stimolano gli adattamenti di<br />
breve e di lungo periodo, nonché i flussi di risorse rappresentanti i corrispettivi degli<br />
scambi che intrattiene con il sistema stesso, ovvero incassi da gare, abbonamenti,<br />
diritti televisivi, sponsorizzazioni, merchandising e così via. Analogamente,<br />
considerando il secondo sottosistema, la struttura esprime la proposta progettuale<br />
attorno a cui si aggregano determinate forze sociali che le assicurano le<br />
collaborazioni vitali di cui necessita.<br />
Come già osservato, l’oggetto <strong>del</strong>l’attività <strong>del</strong>le società di <strong>calcio</strong> consiste<br />
nell’organizzazione di spettacoli sportivi; nello stesso tempo, però, i club perseguono<br />
anche altri obiettivi, quali: la vittoria <strong>del</strong> campionato, la conquista di una coppa<br />
nazionale o internazionale, il raggiungimento di una certa posizione in classifica tale<br />
7 I destinatari <strong>del</strong> bilancio saranno esaminati nel paragrafo 2.8.<br />
34
da garantire l’accesso alle competizioni internazionali, la permanenza nella massima<br />
serie, la promozione nella serie maggiore.<br />
Per realizzare i propri obiettivi una società intenderà proseguire nell’attenta gestione<br />
<strong>del</strong> proprio parco giocatori e rivolgere la massima attenzione al settore giovanile per<br />
garantire il costante reinserimento di giovani calciatori; valorizzare i giocatori <strong>del</strong>la<br />
società per incrementarne il valore di mercato ed ottenerne plusvalenze; mantenere e<br />
incrementare le quote di mercato nei segmenti di riferimento in cui opera (quindi nel<br />
numero di tifosi, abbonamenti e biglietti venduti, nel merchandising, nei proventi<br />
pubblicitari, nel numero di abbonati ai canali tematici e così via); intervenire sui costi<br />
operativi, con particolare riferimento al costo dei giocatori, mediante una riduzione<br />
concordata e consensuale degli ingaggi e la valorizzazione dei giocatori <strong>del</strong> vivaio;<br />
ricercare la redditività nella gestione dinamica <strong>del</strong> parco calciatori con operazioni di<br />
trading in grado di generare flussi di cassa positivi per fronteggiare i fabbisogni<br />
finanziari; continuare a promuovere il brand nel mondo attraverso la partecipazione a<br />
tornei prestigiosi (Champions League e Coppa UEFA) e manifestazioni sportive<br />
nelle aree geografiche che hanno dimostrato o dimostreranno interesse per il mondo<br />
<strong>del</strong> <strong>calcio</strong> (Nord America, Nord Africa, Estremo Oriente) valorizzando così il<br />
marchio in ambito europeo e internazionale anche attraverso il coordinamento <strong>del</strong>la<br />
gestione <strong>del</strong>lo stesso con l’immagine <strong>del</strong>la squadra e dei giocatori; stipulare contratti<br />
di sponsorizzazione con società titolari di marchi rinomati a livello internazionale,<br />
nella <strong>prospettiva</strong> di una reciproca valorizzazione dei rispettivi segni distintivi;<br />
realizzare i progetti di diversificazione dei ricavi investendo in altre attività connesse<br />
al core business e valorizzare l’attività svolta dalla prima squadra.<br />
L’elemento cruciale al fine <strong>del</strong> raggiungimento dei suddetti traguardi è costituito da<br />
una efficace ed accorta programmazione <strong>del</strong>la gestione, che rappresenta uno dei<br />
principali fattori critici di successo nelle società di <strong>calcio</strong> come peraltro nelle imprese<br />
in generale. I settori aziendali che maggiormente influenzano le condizioni di<br />
equilibrio <strong>del</strong>le società di <strong>calcio</strong> sono rappresentati dall’allestimento <strong>del</strong>lo spettacolo<br />
e dall’offerta al pubblico. Il primo richiede la predisposizione di risorse umane i cui<br />
rendimenti tecnici sono incerti ed influenzati da una serie di elementi fisici e<br />
psicologici difficilmente ponderabili. Un gruppo di calciatori, anche di ottimo livello,<br />
non costituisce una buona squadra, ma questa, per essere tale, necessita di una guida<br />
35
che sappia armonizzare le scelte tecniche con le caratteristiche degli atleti e<br />
abbisogna di manager che sappiano individuare atleti con le qualità desiderate ad un<br />
costo economicamente conveniente.<br />
La bontà dei risultati di un club calcistico dipende, quindi, da una miscela di varie<br />
componenti quali la qualità <strong>del</strong>le prestazioni e professionalità degli atleti; la<br />
sapienza, abilità e competenza dei dirigenti, sia nell’effettuare le scelte di mercato<br />
dei calciatori (a cui partecipa di solito anche l’allenatore) sia nella programmazione e<br />
nella gestione <strong>del</strong>la società calcistica (rapporti con calciatori e allenatori, strategie<br />
commerciali, organizzazione dei vivai, rapporti con la tifoseria, diffusione,<br />
valorizzazione e tutela <strong>del</strong> marchio e <strong>del</strong>l’immagine); abilità <strong>del</strong>l’allenatore, non solo<br />
di armonizzare gli schemi tattici con le caratteristiche dei giocatori, ma anche di<br />
affinare e completare le qualità tecniche degli atleti (fondamentale, al proposito,<br />
risulta essere la capacità di contribuire alla creazione di una “mentalità vincente” nel<br />
gruppo attraverso un intenso lavoro anche psicologico); qualità <strong>del</strong>lo staff medico,<br />
che deve dare, in collaborazione con il tecnico, la corretta preparazione fisica ed<br />
atletica ai calciatori, in relazione agli impegni da affrontare.<br />
2.2 Le professioni chiave<br />
L’organigramma <strong>del</strong>l’azienda <strong>calcio</strong>, al pari <strong>del</strong>le altre realtà imprenditoriali, si<br />
sviluppa intorno a determinate figure professionali selezionate con cura dai<br />
presidenti e dagli amministratori <strong>del</strong>egati al fine di perseguire successi sia sotto il<br />
profilo gestionale agonistico che economico.<br />
Il calciatore. Attualmente la voce principale di costo di una società calcistica è<br />
rappresentata dalle retribuzioni corrisposte ai calciatori e ai tecnici per un’incidenza<br />
che si aggira mediamente intorno al 60% <strong>del</strong> valore <strong>del</strong>la produzione. Un dato<br />
eclatante se si considera che in origine la maggior parte dei calciatori aveva un<br />
lavoro che doveva talvolta trascurare per poter giocare con conseguenti danni<br />
economici di varia entità. In Inghilterra gli stipendi presero la forma di un rimborso<br />
<strong>del</strong>le spese di trasferta, poi si passò ad una sorta di risarcimento per il mancato<br />
guadagno fino a che il Preston North End dichiarò pubblicamente di remunerare i<br />
propri giocatori. Nel 1891 i responsabili <strong>del</strong>la federazione stabilirono che l’ingaggio<br />
<strong>del</strong> calciatore in occasione <strong>del</strong> passaggio da una società all’altra non poteva superare<br />
36
le dieci sterline. In <strong><strong>It</strong>alia</strong>, nel 1913, il mondo <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> rimase sconvolto dal<br />
passaggio di Renzo De Vecchi, soprannominato “il figlio di Dio” dal Milan al Genoa<br />
per 30.000 lire. Un elemento significativo per analizzare il cambiamento dei tempi è<br />
rappresentato dall’ammontare dei premi corrisposti agli azzurri campioni <strong>del</strong> mondo<br />
nelle quattro diverse edizioni <strong>del</strong> Mondiale (1934, 1938, 1982 e 2006). La vittoria in<br />
<strong><strong>It</strong>alia</strong> nel 1934 significò per ciascuno dei calciatori <strong>del</strong>la spedizione guidata da Pozzo<br />
una medaglia d’oro e 2.000 lire a testa (3 milioni e mezzo <strong>del</strong> 2001). Quattro anni più<br />
tardi per la vittoria in Francia la federazione stanziò un compenso extra di 10.000 lire<br />
per ciascun titolare. Ai Mondiali di Spagna 1982 il premio globale è stato di 212<br />
milioni di lire (570 milioni <strong>del</strong> 2001), mentre la recente vittoria nella Coppa <strong>del</strong><br />
Mondo di Germania 2006 ha fruttato a ciascun calciatore azzurro, oltre ad un premio<br />
in contanti di 240.000 euro per il trionfo e di 50.000 euro per la qualificazione alla<br />
fase finale, anche beni dal grande valore come una Moto Mv Agusta Brutale, un<br />
orologio Frank Muller, un biglietto aereo per due persone Roma – New York, un<br />
impianto Bang & Olufsen Tv più casse, uno stereo Hi-fi, un televisore al plasma, una<br />
borsa da viaggio Gianfranco Ferrè, un cesto di Salumi Beretta dal valore di 800 euro<br />
e un kit porta carte di credito. I calciatori hanno, quindi, più che triplicato le loro<br />
entrate nel corso degli ultimi venti anni. Ad incidere in maniera decisiva sulla<br />
crescita degli stipendi è stata la “Sentenza Bosman”, in quanto, dopo il verdetto <strong>del</strong>la<br />
Corte di Lussemburgo, i giocatori, liberi di cambiare maglia alla scadenza <strong>del</strong><br />
rapporto di impiego, dispongono di un’arma contrattuale in più nei confronti dei loro<br />
datori di lavoro. La minaccia di perdere un elemento importante ha spinto così i<br />
presidenti a largheggiare negli ingaggi per fronteggiare sia la concorrenza a livello<br />
nazionale che mondiale. Si può affermare, quindi, che le ingenti entrate generate<br />
dalle società spesso non si fermano nelle casse dei club, ma sono destinate al<br />
pagamento degli ingaggi, il cui importo è cresciuto dal 1995 al 2006 <strong>del</strong> 245% . Un<br />
incremento vertiginoso <strong>del</strong> valore complessivo <strong>del</strong>le retribuzioni dovuto sia a motivi<br />
tecnici riconducibili ai nuovi metodi di allenamento e all’aumento <strong>del</strong>le gare da<br />
disputare nell’ambito dei vari tornei che impongono alle formazioni di avvalersi di<br />
rose più ampie, sia a ragioni di carattere psicologico, con gli atleti che hanno<br />
compreso di esser divenuti efficaci figure promozionali. Trend dimostrato<br />
dall’aspetto che nel 1995 lo stipendio medio dei calciatori militanti in serie A era di<br />
37
404 mila euro, mentre, a distanza di 15 anni, nel 2010 si è superato il milione di euro.<br />
I grandi campioni, in particolare, possono contare su laute opportunità di guadagno<br />
legate allo sfruttamento <strong>del</strong>la propria immagine ed a particolari opzioni inserite nei<br />
singoli contratti che permettono al salario base di lievitare. È il caso dei premi legati<br />
alla vittoria di una singola partita o al raggiungimento di un obiettivo, sia esso lo<br />
scudetto o la salvezza, e di quelli legati alle prestazioni <strong>del</strong> singolo come i bonus<br />
riconosciuti agli attaccanti per i gol segnati o ai portieri quando riescono a mantenere<br />
la propria porta inviolata. Per far fronte all’onerosità di questi legami contrattuali,<br />
negli ultimi anni è stata avanzata l’ipotesi di imporre un salary cup, ovvero un limite<br />
entro cui far rientrare gli stipendi dei calciatori professionisti che, rappresentati da<br />
una associazione sindacale, dovrebbero trovare un accordo con le società,<br />
consorziate nella lega sportiva, al fine di stabilire l’ammontare massimo che può<br />
essere speso da ogni squadra per le remunerazioni dei giocatori.<br />
L’allenatore. Altra professione chiave nell’azienda <strong>calcio</strong> è quella <strong>del</strong>l’allenatore,<br />
che, oltre ad occuparsi <strong>del</strong>le questioni tecniche e dei programmi di allenamento <strong>del</strong>le<br />
squadre, lavora il più <strong>del</strong>le volte all’unisono con il direttore sportivo per quanto<br />
concerne la campagna acquisti e cessioni dei tesserati durante il <strong>calcio</strong>mercato,<br />
mentre il direttore generale si occupa prevalentemente <strong>del</strong>le questioni organizzative e<br />
fa da filo conduttore tra lo staff dirigenziale e i calciatori. Molto interessante a tal<br />
proposito è la figura <strong>del</strong> Football Manager, che in Inghilterra fonde in un unico ruolo<br />
i doveri <strong>del</strong>l’allenatore, <strong>del</strong> ds e <strong>del</strong> dg, tant’è che in molti, dovendosi occupare <strong>del</strong>la<br />
gestione <strong>del</strong>l’intera area sportiva, spesso si affidano a <strong>del</strong>le guide parziali a capo di<br />
sezioni come il settore giovanile per potersi dedicare a pieno alle esigenze <strong>del</strong>la<br />
prima squadra. È il caso di Sam Allardyce, che al termine <strong>del</strong>la stagione 2006/2007<br />
si vide affidare il ruolo di Football Manager dal Newcastle perché ritenuto<br />
abilissimo nel creare una struttura paramedica efficace e nel pescare sul mercato<br />
giocatori stranieri di buon rendimento e a prezzi ragionevoli attraverso una rete di<br />
scouting ben organizzata. Rispetto al sistema italiano, in cui un allenatore tende a<br />
preparare la propria carriera professionale nel tentativo di raggiungere traguardi<br />
ambiziosi in tali vesti, nel Regno Unito questo incarico, conosciuto come Football<br />
Coach, rappresenta semplicemente uno stepping stone nel percorso che porta alla<br />
tanto ambita promozione a Football Manager che, oltre a comportare vantaggi in<br />
38
termini di fama come l’essere visto dagli addetti ai lavori come l’unico responsabile<br />
<strong>del</strong>l’area tecnica <strong>del</strong> club, prevede abnormi svantaggi allorché non si riesca a<br />
coordinare strategicamente i vari settori di competenza. Nell’ambito di una corretta<br />
gestione a livello sportivo fondamentali sono anche le figure degli osservatori, dei<br />
magazzinieri e dei massofisioterapisti. Tra i primi, che hanno il compito di scoprire<br />
nuovi talenti in giro per il mondo, vengono spesso selezionati ex calciatori che hanno<br />
scritto pagine importanti <strong>del</strong>la storia <strong>del</strong>la propria squadra di appartenenza. Del club<br />
fanno parte anche i magazzinieri, i quali si occupano di preparare le attrezzature e<br />
l’abbigliamento dei calciatori per gli allenamenti e le gare, e i massofisioterapisti,<br />
professionisti <strong>del</strong> settore il cui compito è eseguire le terapie prescritte dal medico<br />
sociale <strong>del</strong> team. Fanno invece parte degli staff personali degli allenatori i preparatori<br />
atletici e dei portieri, i quali dirigono le varie fasi <strong>del</strong>le sedute di allenamento sotto la<br />
supervisione <strong>del</strong> tecnico che li coordina e <strong>del</strong> proprio collaboratore in seconda;<br />
quest’ultimo ha compiti tecnico-tattici ed è chiamato a far le veci <strong>del</strong>l’allenatore sia<br />
in campo che in sede di conferenza stampa quando questi è assente per motivi di<br />
salute o a causa di squalifiche durante le partite ufficiali.<br />
Il Dipartimento Comunicazione. Ma il <strong>calcio</strong>, in quanto azienda, non si occupa solo<br />
di quanto avviene all’interno <strong>del</strong> terreno di giuoco, ma va ben oltre in un contesto<br />
storico in cui l’area <strong>del</strong>la comunicazione e <strong>del</strong> marketing rappresenta un campo di<br />
azione di primaria importanza. La figura <strong>del</strong>l’addetto stampa è stata, in una visione<br />
ristretta e arcaica <strong>del</strong>l’emisfero comunicativo, la persona incaricata di svolgere il<br />
<strong>del</strong>icato ruolo di punto di contatto ufficiale tra la squadra e la massa <strong>del</strong> suo<br />
pubblico. Da tempo però le società si sono rese conto che questo non può più bastare<br />
e a maggior ragione si è resa necessaria una strutturazione da entertainment<br />
company. Nello specifico il rapporto can i mass media va diviso in due sottosezioni:<br />
una prima, definita publicity, inerente la copertura da parte dei mezzi di<br />
comunicazione di competenza <strong>del</strong> Dipartimento Comunicazione o Relazioni Esterne<br />
in relazione ai rapporti tra il club e quanto accade al suo esterno, in riferimento sia al<br />
mass market che al business market, e una seconda strettamente legata alle pubbliche<br />
relazioni intese nei propri aspetti più particolari come lobbying, cioè gruppi di<br />
pressione che mirano a coinvolgere il settore legislativo e le pubbliche autorità al fine<br />
39
di promuovere iniziative di legge favorevoli o per contrastare regolamentazioni<br />
eccessivamente restrittive.<br />
Per quanto riguarda la publicity, il flusso di notizie pressoché costante diffuso dai<br />
media può essere in qualche modo orientato dal lavoro <strong>del</strong> settore Comunicazione:<br />
difficilmente potranno essere dati alle varie testate gli indirizzi preferiti dalla società,<br />
ma si potranno smussare determinati angoli nel caso in cui le news siano in qualche<br />
modo destabilizzanti o anche promuovere le proprie iniziative realizzando ad hoc<br />
eventi ed iniziative interessanti per i giornalisti. Sfruttando tali dinamiche molte<br />
società adottano la strategia di far coincidere l’inizio <strong>del</strong>le sottoscrizioni dei nuovi<br />
abbonamenti con il <strong>calcio</strong>mercato, così da poter far impennare le vendite anche solo<br />
diffondendo news riguardanti trattative per giocatori in grado di entusiasmare i tifosi,<br />
anche se tal tecnica non potrebbe essere sulla carta utilizzata dai club quotati in borsa<br />
perché potrebbe influire in modo sensibile sui prezzi di tali strumenti finanziari. <strong>Una</strong><br />
pubblicità gratuita che ha tuttavia creato dei malumori in Inghilterra, dove alcune<br />
società hanno avanzato pretese di sfruttamento sulle foto pubblicate dai siti web dei<br />
tabloid, chiedendo almeno due ore di intervallo tra la fine <strong>del</strong>le partite e la<br />
pubblicazione online <strong>del</strong>le immagini relative. Un attacco in piena regola<br />
all’inviolabile diritto di cronaca in nome <strong>del</strong>lo sfruttamento dei diritti che, oltre al<br />
rifiuto da parte degli editori, ha suscitato immediatamente l’agitazione da parte degli<br />
sponsor, spaventati dal non poter più usufruire di uno dei vantaggi maggiori nella<br />
sponsorizzazione dei team di <strong>calcio</strong>: la presenza massiccia sulla stampa.<br />
Per quanto concerne invece le relazioni pubbliche, si intendono sia le attività svolte<br />
in ambito sociale, come visite periodiche ad ospedali, scuole e carceri, utili ad<br />
accrescere la comunione tra il club e la comunità di riferimento, sia quelle più<br />
specificamente rivolte al proprio business, ossia i rapporti con i partner commerciali<br />
e con la tifoseria. Seminari, incontri, convention sono altre occasioni di incontro con<br />
il pubblico esterno, con particolare attenzione al business market, comprendente sia i<br />
partner commerciali esistenti sia quelli solo potenziali. La Juventus nel 1994 ha<br />
addirittura organizzato un giro d’<strong><strong>It</strong>alia</strong> per andare ad incontrare i propri tifosi sparsi<br />
per la penisola. Lo Juve Tour ‘94 ha portato gli idoli a casa dei loro fans con uno<br />
show organizzato nelle piazze d’<strong><strong>It</strong>alia</strong>, ottenendo in questo modo, oltre che un grande<br />
ritorno d’immagine, dati utili sulla segmentazione geografica dei supporter.<br />
40
Nella cura <strong>del</strong>le relazioni con la comunità possono essere considerati anche dépliant,<br />
poster, manifesti, calendari distribuiti gratuitamente a tifosi e sponsor da parte <strong>del</strong>le<br />
società. Singolare è la condizione dei club quotati in Borsa, i quali devono attuare<br />
anche una politica di PR finanziarie: i team inglesi ricorrono ad agenzie apposite, che<br />
si occupano di fornire le corrette informazioni ai media e di comunicare agli azionisti<br />
ogni genere di notizia possa risultare rilevante.<br />
Le attività di lobbying rivestono invece una particolare importanza nell’ambito <strong>del</strong><br />
rapporto con le pubbliche amministrazioni, in particolare per quanto concerne gli<br />
stadi, generalmente di proprietà municipale. Sia la convenzione per lo sfruttamento<br />
<strong>del</strong> diritto di superficie <strong>del</strong>l’impianto esistente, che il desiderio di costruire un nuovo<br />
stadio acquisendo i terreni edificabili, devono infatti passare attraverso concessioni<br />
comunali per le quali pare indispensabile attivare gruppi di pressione politica.<br />
2.3 Incassi <strong>del</strong>le partite<br />
Se la remunerazione dei calciatori e <strong>del</strong>lo staff tecnico rappresenta la voce principale<br />
di costo per una società, l’incasso derivato dalle gare figura tra le aree più<br />
remunerative per la maggior parte dei club calcistici di alto livello. Come si evince<br />
dalla tabella 1 estratta dallo studio condotto dalla società di revisione Deloitte nel<br />
2011, denominato Football Money League. The untouchables 8 , in questo settore<br />
dominano le formazioni inglesi con ben sette rappresentanti (Manchester United,<br />
Arsenal, Chelsea, Liverpool, Tottenham Hotspur, Aston Villa e Manchester City)<br />
nella Top 20 europea, seguite dalle spagnole (Real Madrid, FC Barcellona, Atlètico<br />
de Madrid e Valencia) e le tedesche (Bayern Munich, Hamburger SV, VFB Stuttgart<br />
e Werder Bremen) con quattro, dalle italiane (Internazionale e AC Milan) e le<br />
scozzesi (Celtic e Rangers Glasgow) con due, e da un’unica portoghese (Benfica).<br />
Nella stagione 2009/10 il botteghino ha prodotto per le 20 regine continentali incassi<br />
per un totale di 1126.3 milioni di euro, anche se di queste solo l’Arsenal, con 114.7<br />
milioni che rappresentano il 42% <strong>del</strong>le proprie entrate, e l’Hamburger SV, con 49.3<br />
milioni che equivalgono al 34% complessivo, vedono questo settore prevalere per<br />
introiti sui proventi commerciali e televisivi.<br />
8 Deloitte & Touche, Football Money League. The untouchables, Manchester 2011<br />
41
Tabella 1 – Classifica 2011 per fatturato incassi da stadio – (€ Mln)<br />
Pos. Squadra Nazione Fatturato Pos. Generale<br />
1 Real Madrid Spagna 129.1 1<br />
2 Manchester United Inghilterra 122.4 3<br />
3 Arsenal Inghilterra 114.7 5<br />
4 FC Barcelona Spagna 97.8 2<br />
5 Chelsea Inghilterra 82.1 6<br />
6 Bayern Monaco Germania 66.7 4<br />
7 Liverpool Inghilterra 52.4 8<br />
8 Amburgo Germania 49.3 13<br />
9 Tottenham Inghilterra 44.9 12<br />
10 Celtic Scozia 43.4 n/a<br />
11 Benfica Portogallo 40.2 n/a<br />
12 Internazionale <strong><strong>It</strong>alia</strong> 38.6 9<br />
13 Atlético de Madrid Spagna 35.9 17<br />
14 Rangers Scozia 31.5 n/a<br />
15 AC Milan <strong><strong>It</strong>alia</strong> 31.3 7<br />
16 Stoccarda Germania 30.2 19<br />
17 Aston Villa Inghilterra 29.8 20<br />
18 Manchester City Inghilterra 29.8 11<br />
19 Valencia Spagna 28.4 n/a<br />
20 Werder Brema Germania 27.8 n/a<br />
Fonte: Deloitte & Touche, Football Money League. The untouchables. (Ns. elab.)<br />
Particolarmente deficitario è in tal senso il caso <strong>del</strong>le italiane, con l’AC Milan che<br />
incamera appena il 13% <strong>del</strong> fatturato totale e l’Internazionale che tocca quota 17%.<br />
In linea generale questi dati vanno collegati all’aspetto che in Inghilterra si<br />
riempiono maggiormente gli stadi, con percentuali vicine al 100%: il Manchester<br />
United pur avendo uno stadio piuttosto capiente (76.212 posti a sedere) ha il 99.5%<br />
di utilizzo <strong>del</strong>la capacità <strong>del</strong>l’impianto, il Chelsea il 98.7%, l’Arsenal il 98.6%. Nelle<br />
altre nazioni si registra invece una flessione <strong>del</strong>le presenze, tant’è che in <strong><strong>It</strong>alia</strong> la<br />
media spettatori è calata a 25.570 unità a giornata. In calo anche la Liga spagnola,<br />
con una media di 28.706 paganti, e la Ligue 1 francese con addirittura solo 19.965<br />
presenti. In netta controtendenza è invece la Germania che, potendo contare sui<br />
rinnovati e ampliati stadi post Mondiali 2006, può contare su una media in costante<br />
ascesa che ha fatto registrare una quota di 42.360 persone affluenti.<br />
42
La sostanziale differenza tra molte formazioni europee e quelle italiane è<br />
strettamente correlata alla gestione degli stadi: il Bernabeu <strong>del</strong> Real Madrid ed il<br />
Camp Nou <strong>del</strong> FC Barcelona, ad esempio, sono impianti attrezzati per il profitto con<br />
al proprio interno negozi ufficiali, centri commerciali generici, cinema, bar, musei e<br />
via dicendo, che favoriscono il continuo ciclo di introiti che le squadre italiane<br />
sognano. Mentre da noi si va a vedere una partita e poi si fugge appena dopo il<br />
triplice fischio finale, se non addirittura prima per evitare traffico e via dicendo, in<br />
Spagna si può passare tranquillamente l’intera giornata, perché le infrastrutture lo<br />
permettono. Ed infatti, sebbene nella penisola iberica ed in Inghilterra lo stadio costi<br />
immensamente di più rispetto all’<strong><strong>It</strong>alia</strong>, è raro che si veda un settore vuoto come<br />
capita invece spesso da noi anche per gare di cartello.<br />
2.4 Diritti Media<br />
Lo sfruttamento dei diritti inerenti i mass media, in primo luogo la tv, è di gran lunga<br />
l’area più produttiva per i grandi club. Delle 20 squadre continentali con i maggiori<br />
introiti, 16 ricavano la maggior parte <strong>del</strong> proprio ricavato dai diritti media. Le<br />
formazioni spagnole, rapportandoci nella tabella 2 sempre allo studio di Deloitte 9 ,<br />
sono quelle che ricavano più soldi da quest’ambito, con il FC Barcelona e il Real<br />
Madrid che comandano la classifica a quota 178.1 (44% <strong>del</strong> ricavato) e 158.7 (36%)<br />
milioni di euro. Le italiane, per le quali dalla stagione 2010/2011 è scattata la<br />
ripartizione collettiva dei diritti (40% in parti uguali ad ogni club, 30% in base al<br />
bacino d’utenza, 30% in relazione ai risultati ottenuti dal 1946 ad oggi), seguono con<br />
l’AC Milan a quota 141.1 milioni (60% fatturato), l’Internazionale a 137.9 (62%) e<br />
la Juventus a 132.5 (65%). Risorse in gran parte provenienti dalla crescita<br />
<strong>del</strong>l’offerta <strong>del</strong>la pay-tv negli ultimi anni che hanno sostenuto in maniera<br />
determinante l’imperiosa impennata degli introiti <strong>del</strong>le società di <strong>calcio</strong>. Basti<br />
pensare che nell’ultima stagione in <strong><strong>It</strong>alia</strong> è tornata la vendita centralizzata dei diritti<br />
<strong>del</strong>la Serie A: le tv non trattano più con le singole società ma, come accadeva fino al<br />
1998/99, direttamente con la Lega Serie A.<br />
9 Deloitte & Touche, Op. cit, Manchester 2011<br />
43
Tabella 2 – Classifica 2011 per fatturato Diritti Media – (€ Mln)<br />
Pos. Squadra Nazione Fatturato Pos. Generale<br />
1 FC Barcelona Spagna 178.1 2<br />
2 Real Madrid Spagna 158.7 1<br />
3 AC Milan <strong><strong>It</strong>alia</strong> 141.1 7<br />
4 Internazionale <strong><strong>It</strong>alia</strong> 137.9 9<br />
5 Juventus <strong><strong>It</strong>alia</strong> 132.5 10<br />
6 Manchester United Inghilterra 128.0 3<br />
7 Arsenal Inghilterra 105.7 5<br />
8 Chelsea Inghilterra 105.0 6<br />
9 Liverpool Inghilterra 97.1 8<br />
10 Bayern Monaco Germania 83.4 4<br />
11 Lione Francia 78.4 14<br />
12 Marsiglia Francia 70.8 15<br />
13 Fiorentina <strong><strong>It</strong>alia</strong> 69.7 n/a<br />
14 Manchester City Inghilterra 66.0 11<br />
15 Roma <strong><strong>It</strong>alia</strong> 65.6 18<br />
16 Bordeaux Francia 65.4 n/a<br />
17 Aston Villa Inghilterra 63.6 20<br />
18 Tottenham Inghilterra 62.9 12<br />
19 Atlético de Madrid Spagna 62.2 17<br />
20 Fulham Inghilterra 62.0 n/a<br />
Fonte: Deloitte & Touche, Football Money League. The untouchables. (Ns. elab.)<br />
Per il momento ciò non ha prodotto grossi cambiamenti, tant’è che sino al<br />
2011/12 Sky <strong><strong>It</strong>alia</strong> (571 milioni garantiti nel 2010) continuerà a trasmettere l’intero<br />
campionato sulla sua piattaforma satellitare, mentre le concorrenti, Mediaset<br />
Premium e Dahlia TV (che potrebbe essere sostituita da una televisione <strong>del</strong>la Lega<br />
Calcio per salvaguardare gli abbonati e l’intero sistema dopo il fallimento dichiarato<br />
lo scorso 25 febbraio dall’emittente gestita da Airplus e Ti Media), si suddivideranno<br />
i diritti terrestri, anche se in maniera diversa: 12 squadre a Premium (per la stagione<br />
2010/11, per la quale sono stati versati 210 milioni, sono Juventus, Milan, Inter,<br />
Roma, Napoli, Fiorentina, Palermo, Lazio, Genoa, Bari, Bologna e Brescia), le<br />
rimanenti 8 a Dahlia, o meglio, a chi la sostituirà (29 milioni per Sampdoria,<br />
Cagliari, Chievo, Cesena, Udinese, Lecce, Catania e Parma). Entrambe le tv terrestri<br />
44
trasmettono tutte le partite <strong>del</strong>le società loro assegnate, sia in casa che in trasferta.<br />
Sempre a partire dall’ultimo torneo, la Rai (28.3 milioni per l’attuale campionato) è<br />
stata inoltre autorizzata a trasmettere in chiaro, sul canale tematico Rai Sport 1, le<br />
repliche <strong>del</strong>le partite più importanti <strong>del</strong> campionato ad almeno 7 giorni dal loro<br />
svolgimento. Proprio l’ente statale dalla stagione 2008/09, dopo l’ennesima<br />
estenuante trattativa con la Lega Calcio andata avanti fino a poche ore prima<br />
<strong>del</strong>l’inizio dei campionati, è riuscita a riottenere i diritti in chiaro <strong>del</strong>la massima<br />
serie. La trasmissione 90° minuto è stata così sdoppiata: al sabato è stata confermata<br />
l’edizione dedicata alla Serie B su Rai 3, mentre la domenica, dopo tre anni di<br />
assenza, è ritornata la versione per il massimo campionato nazionale, in onda stavolta<br />
su Rai 2 e preceduta, sulla stessa rete, da Stadio Sprint. Confermato anche il varietà<br />
di Simona Ventura, dal 2006 ribattezzato Quelli che il <strong>calcio</strong> e…, in quanto era<br />
andato sempre in onda anche nel triennio in cui la Rai non disponeva dei diritti per i<br />
collegamenti in diretta dagli stadi. Gli attuali contratti tra Rai e Lega Serie B<br />
scadranno al termine <strong>del</strong>la stagione 2011/12.<br />
Qualcuno, in <strong><strong>It</strong>alia</strong>, lamenta che i diritti televisivi equamente ripartiti<br />
rappresenterebbero un’ingiustizia, perché i grandi club sarebbero penalizzati dal<br />
percepire quanto uno piccolo. In realtà le cose non stanno proprio così. Solo le<br />
squadre di Grecia e Portogallo vendono infatti i diritti tv singolarmente, mentre in<br />
tutte le altre nazioni la vendita è collettiva. O quasi. In Spagna, ad esempio, si può<br />
vendere singolarmente ma, eccetto Real Madrid e Barcelona, gli altri club vendono<br />
pacchetti collettivi, favorendo così un maggior numero di introiti. Questo spiega<br />
come una società come il Villareal (città di meno di 50mila abitanti) possa<br />
permettersi tutti gli anni una squadra che lotti per le coppe europee, oppure squadre<br />
minori, come Osasuna o Levante, possano allestire una rosa che possa salvarsi nella<br />
Liga. Ma Real e Barça non guadagnano, vendendo singolarmente i diritti tv, molto di<br />
più di un club italiano. Il Milan ha fatturato l’anno scorso poco meno <strong>del</strong> Real e<br />
molto di più <strong>del</strong> Chelsea (105 milioni) e <strong>del</strong> Bayern Monaco (83.4 milioni), che<br />
tuttavia sono avanti nella classifica dei fatturati complessivi visti gli immensi introiti<br />
derivanti dagli altri incassi. Quindi non è certo la vendita collettiva dei diritti tv che<br />
sta limitando l’<strong><strong>It</strong>alia</strong>. Anzi. Forse anche alle grandi squadre, come la Juventus,<br />
conviene il contratto collettivo, visto che in caso di stagione fallimentare, non<br />
45
ischiano di dover vendere i diritti tv a molto meno di quanto attualmente ricevono (i<br />
bianconeri, settimi lo scorso anno, hanno incassato 132.5 milioni dalla tv). D’altra<br />
parte in Premier League vige un sistema di vendita dei diritti televisivi molto simile a<br />
quello italiano, con il 50% che viene ripartito a ciascun club, il 25% in base al<br />
piazzamento e il 25% in relazione al bacino di utenza, eppure il <strong>calcio</strong> britannico<br />
vanta ben 7 rappresentanti tra le big europee nelle classifiche relative agli introiti<br />
complessivi esaminati nella tabella 4 (Manchester United, Arsenal e Chelsea,<br />
rispettivamente sesta, settima e ottava in relazione alle entrate tv, precedono la prima<br />
italiana, il Milan) in virtù di una miglior gestione sia sul fronte degli incassi<br />
contestuali alle partite allo stadio che <strong>del</strong>le attività commerciali, le cui strategie sono<br />
avanti anni luce rispetto alle nostre.<br />
2.5 Le attività commerciali<br />
Quest’area comprende lo sfruttamento dei diritti commerciali e la realizzazione di<br />
accordi di sponsorship. I tedeschi <strong>del</strong> Bayern Monaco, come si evince dalla tabella 3,<br />
hanno costruito un impero sulla bravura nel massimizzare gli introiti commerciali,<br />
sopravanzando di gran lunga tutti gli altri: la seconda, il Real Madrid, segue a 22.1<br />
milioni di distanza. La forza dei bavaresi è in un accordo proficuo di<br />
sponsorizzazione sia con il colosso <strong>del</strong>le telecomunicazioni Deutsche Telekom per<br />
quanto concerne le divise da gioco, sia con la compagnia assicurativa Allianz per la<br />
denominazione <strong>del</strong> proprio stadio, l’Allianz Arena. Rispetto al torneo 2008/2009, i<br />
tedeschi hanno conosciuto un incremento di questo settore <strong>del</strong> 9%, pari a 13.6<br />
milioni di euro, derivanti anche dall’ottima stagione che ha visto il Bayern vincere la<br />
Bundesliga e la Coppa di Germania, e arrivare in finale di Champions League contro<br />
l’Internazionale.<br />
A dimostrazione di come le società tedesche la facciano da padrone in questo settore,<br />
vi è il quinto posto <strong>del</strong>lo Schalke 04, che può contare sulla partnership con il<br />
birrificio Veltins per quanto concerne il nome <strong>del</strong>lo stadio, il nono <strong>del</strong>l’Hamburger<br />
SV e il decimo <strong>del</strong> Borussia Dortmund, di nuovo protagonista dopo diverse stagioni<br />
di anonimato.<br />
Dati che non devono sorprendere più di tanto se si considera che queste società, per<br />
veder aumentare i propri introiti, hanno accettato la variazione degli orari <strong>del</strong>le<br />
46
partite per poter ottenere maggiore visibilità in Estremo Oriente, area in cui diversi<br />
club europei sono soliti recarsi in estate per ricche tournee.<br />
Tabella 3 – Classifica 2011 per fatturato attività commerciali – (€ Mln)<br />
Pos. Squadra Nazione Fatturato Pos. Generale<br />
1 Bayern Monaco Germania 172.9 4<br />
2 Real Madrid Spagna 150.8 1<br />
3 FC Barcelona Spagna 122.2 2<br />
4 Manchester United Inghilterra 99.4 3<br />
5 Schalke 04 Germania 79.0 16<br />
6 Liverpool Inghilterra 75.8 8<br />
7 Chelsea Inghilterra 68.8 6<br />
8 AC Milan <strong><strong>It</strong>alia</strong> 63.4 7<br />
9 Amburgo Germania 63.2 13<br />
10 Borussia Dortmund Germania 60.7 n/a<br />
11 Manchester City Inghilterra 57.0 11<br />
12 Juventus <strong><strong>It</strong>alia</strong> 55.6 10<br />
13 Arsenal Inghilterra 53.7 5<br />
14 Internazionale <strong><strong>It</strong>alia</strong> 48.3 9<br />
15 Marsiglia Francia 45.1 15<br />
16 Lione Francia 42.9 14<br />
17 Benfica Portogallo 41.2 n/a<br />
18 Tottenham Inghilterra 38.5 12<br />
19 Roma <strong><strong>It</strong>alia</strong> 38.1 18<br />
20 Napoli <strong><strong>It</strong>alia</strong> 37.7 n/a<br />
Fonte: Deloitte & Touche, Football Money League. The untouchables. (Ns. elab.)<br />
Un mercato in cui si è affacciata anche l’<strong><strong>It</strong>alia</strong>, che nelle ultime stagioni ha deciso di<br />
far disputare la finale <strong>del</strong>la Supercoppa <strong><strong>It</strong>alia</strong> prima a Washington, poi a Tripoli, New<br />
York e Pechino. Non è invece <strong>del</strong>le migliori la situazione individuale <strong>del</strong>le italiane,<br />
con il solo Napoli che può essere felice <strong>del</strong>la propria ventesima posizione con 37.7<br />
milioni di euro all’attivo, nonostante l’apertura solo quest’anno <strong>del</strong> primo store<br />
ufficiale ed un torneo precedente privo <strong>del</strong>le coppe europee.<br />
Esaminando nella tabella 4 la classifica relativa agli incassi complessivi <strong>del</strong>le regine<br />
d’Europa, risulta evidente che il club con il maggior numero di introiti al mondo<br />
resta, per il sesto anno di fila, il Real Madrid (438.6 milioni di euro), che allunga sul<br />
47
Barcellona (398.1 milioni) e sul Manchester United (349.8 milioni). La prima<br />
italiana è il Milan (7° con 235.8 milioni), mentre sorprende l’Inter, solo nona con<br />
224.8 milioni di euro nonostante il Triplete (Scudetto, Champions, Coppa <strong><strong>It</strong>alia</strong>)<br />
realizzato sotto la gestione Mourinho. Ma analizzando meglio i dati raccolti e studiati<br />
dalla Deloitte, viene fuori una triste verità: il <strong>calcio</strong> italiano è al collasso se non sarà<br />
riformato in tempi brevi. Va ricordato, ad ogni modo, che lo studio Deloitte prende in<br />
considerazione i dati fino al termine <strong>del</strong>la stagione 2009/2010, quindi non vanno<br />
considerati le supercoppe (nazionali, europea ed intercontinentale) giocate dopo<br />
giugno, né gli introiti derivanti dal piazzamento finale nei campionati 2009/2010, che<br />
entrano nel bilancio solo nella stagione 2010/2011.<br />
La classifica, come detto, è particolarmente impietosa con le squadre italiane: dopo il<br />
Milan e l’Inter, troviamo la Juventus al decimo posto (205 milioni), la quale però<br />
subirà un crollo vertiginoso nella prossima classifica, visto che non è riuscita a<br />
qualificarsi per la Champions League 2010/2011. Malissimo la Roma, che crolla al<br />
18° posto con appena 122.7 milioni di euro. Le altre italiane degne di nota sono poi<br />
la Fiorentina (21° posto con 106.4 milioni di euro), che però pagherà anche lei lo<br />
scotto di essere rimasta fuori dalle coppe in questa stagione, ed il Napoli, che è<br />
appunto l’unica italiana che se la ride: il suo 29° posto con 95.1 milioni di euro è<br />
l’unico piazzamento italiano che migliorerà certamente l’anno prossimo, visto che è<br />
un bilancio a cui verrà aggiunto l’aumento di introiti dovuti al 6° posto <strong>del</strong>la scorsa<br />
stagione e la conseguente partecipazione all’Europa League.<br />
Analizzando la situazione <strong>del</strong>l’Inghilterra calcistica, si può vedere come i fatturati<br />
siano praticamente distribuiti in modo omogeneo, viste le quattro squadre tra le<br />
prime dieci (Manchester United, Arsenal Chelsea e Liverpool), tre tra il 11° ed il 20°<br />
posto (Manchester City, Tottenham e Aston Villa), ed altre tre tra il 21° ed il 31°<br />
posto (Everton, Fulham e West Ham). La Spagna, invece, è una sorta di monarchia<br />
assoluta: regnano Real Madrid e Barcellona, poi il vuoto fino al 17° posto, dove si<br />
trova l’Atlético Madrid, forte degli incassi migliorati grazie alla vittoria <strong>del</strong>l’Europa<br />
League 2009/10.<br />
Tabella 4 – Classifica Generale 2011 per fatturato complessivo – (€ Mln)<br />
Pos. Diff. 2010 Squadra Nazione Fatturato 2008/09<br />
1 = Real Madrid Spagna 438.6 401,4<br />
48
2 = FC Barcelona Spagna 398.1 365,9<br />
3 = Manchester United Inghilterra 349.8 327,0<br />
4 = Bayern Monaco Germania 323.0 289,5<br />
5 = Arsenal Inghilterra 274.1 263,0<br />
6 = Chelsea Inghilterra 255.9 242,3<br />
7 +3 AC Milan <strong><strong>It</strong>alia</strong> 235.8 196,5<br />
8 -1 Liverpool Inghilterra 225.3 217,0<br />
9 = Internazionale <strong><strong>It</strong>alia</strong> 224.8 196,5<br />
10 -2 Juventus <strong><strong>It</strong>alia</strong> 205.0 203,2<br />
11 +9 Manchester City Inghilterra 152.8 102,2<br />
12 +3 Tottenham Inghilterra 146.3 132,7<br />
13 -2 Amburgo Germania 146.2 146,7<br />
14 -1 Lione Francia 146.1 139,6<br />
15 -1 Marsiglia Francia 141.1 133,2<br />
16 = Schalke 04 Germania 139.8 124,5<br />
17 +1 Atlético de Madrid Spagna 124.5 105,0<br />
18 -6 Roma <strong><strong>It</strong>alia</strong> 122.7 146,4<br />
19 +5 Stoccarda Germania 114.8 99,8<br />
20 +6 Aston Villa Inghilterra 109.4 98,9<br />
21 +6 Fiorentina <strong><strong>It</strong>alia</strong> 106.4 94,1<br />
22 -4 Borussia Dortmund Germania 105.2 103,5<br />
23 = Bordeaux Francia 102.8 99,8<br />
24 n/a Siviglia Spagna 99.6 n/a<br />
25 n/a Valencia Spagna 99.3 n/a<br />
26 n/a Benfica Portogallo 98.2 n/a<br />
27 +1 Everton Inghilterra 96.6 93,5<br />
28 n/a Werder Brema Germania 96.5 114,7<br />
29 = Napoli <strong><strong>It</strong>alia</strong> 95.1 90,1<br />
30 n/a Fulham Inghilterra 94.2 n/a<br />
31 -1 West Ham Inghilterra 87.6 89,3<br />
Fonte: Deloitte & Touche, Football Money League. The untouchables. (Ns.elab.)<br />
Poi si trovano il Siviglia ed il Valencia, ma solo al 25° e 26° posto (ma gran parte<br />
degli introiti è frutto <strong>del</strong>le partecipazioni alla Champions <strong>del</strong>l’anno prima) e con un<br />
bilancio di entrate che non arriva neppure ai 100 milioni di euro. Perfino il Bordeaux<br />
ha fatturato più di loro. Questo porta a due considerazioni: da un lato, la Premier può<br />
essere considerata a tutti gli effetti la lega europea più forte sotto tutti i punti di vista,<br />
mentre la Spagna è retta da un sistema in cui se si tolgono Real e Barça non si<br />
49
arriverebbe al fatturato di una lega di media importanza <strong>del</strong>l’est Europa. Stanno<br />
crescendo bene, invece, la Francia e la Germania. Al Bayern Monaco, sempre quarto,<br />
si aggiungono altre realtà ormai ben piazzate in graduatoria da qualche anno:<br />
l’Amburgo (13°), lo Schalke 04 (16°), lo Stoccarda (19°), il Borussia Dortmund<br />
(22°) ed il Werder Brema (28°). In Francia, invece, i club che fatturano di più sono il<br />
Lione (14°), il Marsiglia (15°) ed il Bordeaux (23°). Completano la classifica i<br />
portoghesi <strong>del</strong> Benfica (26°). Ancora lontane le squadre <strong>del</strong>l’Est Europa e quelle dei<br />
campionati considerati minori (l’Eredivisie olandese su tutti). L’analisi dei fatturati<br />
dei club europei dimostra una verità di fondo. In primis, che la Premier, grazie alle<br />
sue molteplici squadre di alto livello, e la Liga, grazie ai suoi due poli centrali, sono<br />
nettamente una spanna al di sopra degli altri campionati nazionali. Poi, che la Serie A<br />
è in netta difficoltà rispetto anche alla Bundesliga perché vittima di un sistema<br />
vecchio, quasi da anni ’80, che non si sposa più con le esigenze <strong>del</strong> <strong>calcio</strong>-industria<br />
<strong>del</strong> XXI secolo. I tedeschi, forti <strong>del</strong>la ristrutturazione degli impianti avvenuta per i<br />
Mondiali <strong>del</strong> 2006, di contro, si apprestano a diventare già nell’immediato la terza<br />
nazione europea per fatturato, grazie anche all’imminente sorpasso sull’<strong><strong>It</strong>alia</strong> nel<br />
Ranking Uefa, che gli permetterà dalla stagione 2011/2012 di ottenere un posto<br />
Champions in più a discapito <strong>del</strong>l’<strong><strong>It</strong>alia</strong>. Ed anche questo peserà, e non poco, sul<br />
divario tra italiani e tedeschi.<br />
2.6 La borsa<br />
In principio furono gli inglesi, come quasi sempre in Europa quando si parla di<br />
<strong>calcio</strong>-business, a cercar fortuna in Borsa. Nel 1983 i londinesi <strong>del</strong> Tottenham<br />
Hotspur furono gli autentici pionieri calcistici <strong>del</strong>la quotazione presso la City di<br />
Londra, alla fine <strong>del</strong> ’97 erano invece ben 17 le società britanniche quotate nei listini.<br />
In <strong><strong>It</strong>alia</strong> la prima primo squadra ad entrare ufficialmente a Piazza Affari è stata la<br />
Lazio il 5 maggio 1998, con la richiesta dei titoli che superò di sette volte l’offerta,<br />
seguita poi da Roma e Juventus.<br />
Nel nostro paese il cambiamento che ha reso possibile l’inserimento dei club nel<br />
mercato azionario si è avuto con la possibilità di costituire Spa, società per azioni a<br />
scopo di lucro, con la legge <strong>del</strong> 18 novembre 1996. Fino alla metà degli anni ’60, le<br />
società sportive avevano finalità agonistiche e sociali, dunque rappresentavano dei<br />
50
privati che non esercitavano alcuna attività economica organizzata al fine <strong>del</strong>la<br />
produzione o <strong>del</strong>lo scambio di beni o servizi. La legge 81, emanata il 23 marzo 1981,<br />
cambiò le carte in tavola disponendo che avrebbero potuto stipulare contratti con<br />
atleti professionisti solo società sportive costituite nella forma di società per azioni o<br />
a responsabilità limitata. Nell’atto costitutivo doveva essere previsto il<br />
reinvestimento degli utili nella società per il perseguimento <strong>del</strong>l’attività sportiva. Il<br />
passo in avanti determinante vi è stato poi con la già citata legge 586 <strong>del</strong> novembre<br />
‘96, quando è stato introdotto lo scopo di lucro. L’obiettivo dei club da quel<br />
momento è divenuto la redditività di lungo periodo. La Consob (Commissione<br />
Nazionale per le Società e la Borsa), infine, ha dato un’ulteriore mano alle società di<br />
<strong>calcio</strong> alla ricerca <strong>del</strong> denaro degli investitori, abrogando la norma che prevedeva la<br />
presentazione degli ultimi tre bilanci in attivo rendendo così possibile l’accesso a<br />
società che non potevano vantare bilanci così virtuosi. A fronte di altri ricavi, però, la<br />
Borsa richiede una serie di garanzie con i quali i club italiani non sono abituati a<br />
confrontarsi: l’equilibrio gestionale e una diversificazione <strong>del</strong>le attività distintive che<br />
non <strong>del</strong>eghi solo ai risultati <strong>del</strong> campo la possibilità di introiti.<br />
Quando la Lazio si preparò alla quotazione, i punti <strong>del</strong>la strategia erano costituiti da<br />
una miglior gestione <strong>del</strong> patrimonio calciatori, dallo sviluppo di servizi innovativi<br />
per i sostenitori, dalla massimizzazione degli introiti provenienti dai diritti tv e dal<br />
merchandising, dall’ottimizzazione spazi degli pubblicitari, dal centro d’allenamento<br />
a Formello, dagli uffici e dal residence. Molto di più di una vaga promessa di vincere<br />
le partite, dunque. Le richieste immediate per il club biancoceleste furono molto alte<br />
e tra i 145 grandi investitori che si fecero avanti 94 erano stranieri, in buona parte<br />
britannici. Le azioni <strong>del</strong>la Lazio però in seguito salirono o scesero a seconda dei<br />
risultati <strong>del</strong>la squadra o <strong>del</strong>le voci di <strong>calcio</strong>mercato. È possibile dunque pensare alla<br />
quotazione come ad una scelta vincente che consenta l’ingresso in società di nuovi<br />
flussi di denaro, ma alla base deve esserci sempre la solidità finanziaria e buone<br />
prospettive di crescita. Se i tifosi infatti non sono disposti ad investire i propri soldi<br />
per le partite o per il merchandising <strong>del</strong>la squadra <strong>del</strong> cuore, quale investitore<br />
interessato a far fruttare il proprio denaro acquisterebbe i titoli di un club poco<br />
promettente? Proprio in quest’ottica il marketing riveste una fondamentale<br />
51
importanza, creando nuove prospettive di sviluppo, sostenendo la crescita,<br />
alimentando la fantasia di azionisti e supportership.<br />
La Borsa non è stata sinora la panacea di tutti i mali in <strong><strong>It</strong>alia</strong>, riflettendo le diverse<br />
capacità <strong>del</strong>le società di operare correttamente tra entrate e uscite. Rispetto a Roma e<br />
Lazio che hanno utilizzato gli introiti per rafforzare le rose con notevoli rialzi alla<br />
voce uscite per gli ingaggi, la Juventus ha utilizzato i soldi <strong>del</strong>la quotazione per<br />
trasformarsi in società di entertainment, un progetto ambizioso che passa dalla<br />
ristrutturazione <strong>del</strong>lo stadio Delle Alpi, alla costruzione <strong>del</strong> nuovo centro sportivo e<br />
<strong>del</strong> Mondo Juve. Per poter far bene in Borsa, un club deve darsi scadenze di bilancio<br />
e prefigurarsi dei traguardi sul fronte sportivo: se per una squadra di fascia alta il<br />
mercato al momento <strong>del</strong>la quotazione si aspetterà una squadra competitiva per il<br />
vertice, per un club di seconda fascia si attenderà una stabile partecipazione alle<br />
coppe europee.<br />
I problemi <strong>del</strong>le società di <strong>calcio</strong> quotate in Borsa, secondo un’analisi inglese, sono<br />
state una iper-valutazione, il crash <strong>del</strong>le società dot.com (sinonimo di Internet<br />
company, aziende che svolgono attività esclusivamente online) e altri fattori come gli<br />
alti guadagni dei giocatori e la ripartizione dei ricavati da destinare alle varie aree. E<br />
se gli investimenti dei tifosi, avvenuti per sentimento di appartenenza, non hanno<br />
fatto la fortuna di nessuno, quelli dei grandi investitori non hanno seguito il loro<br />
esempio.<br />
Nella tabella 5 è possibile constatare come, oltre ad opportunità importanti legate a<br />
fattori come il bacino di utenza dei tifosi, la vendita dei diritti televisivi ed il valore<br />
<strong>del</strong> proprio brand, la quotazione in Borsa comporti per le squadra anche dei notevoli<br />
rischi come la forte incidenza <strong>del</strong> rischio sportivo sul valore <strong>del</strong>le azioni e la<br />
volatilità dei ricavi in relazione al risultato sportivo.<br />
Tali rischi hanno portato ad un decremento <strong>del</strong>le società quotate in Borsa, tant’è che<br />
dei 26 club calcistici britannici di fine anni ’90 ne sono rimasti solo sei, due dei<br />
quali, Arsenal e Glasgow Rangers, non fanno parte <strong>del</strong> London Stock Exchange, ma<br />
sono inserite nel Market Plus, un mercato particolare, con quotazioni non quotidiane,<br />
riservato a grandi compagnie che hanno deciso di collocare solo parte <strong>del</strong>le quote<br />
societarie.<br />
52
Tabella 5 – Opportunità e rischi per la quotazione in Borsa <strong>del</strong>le società<br />
OPPORTUNITA' RISCHI<br />
Il bacino d’utenza (tifosi) è spesso<br />
predefinito: questo consente<br />
corrette previsioni in termini di<br />
ricavi da gestione sportiva.<br />
La vendita dei diritti televisivi<br />
inciderà sensibilmente sulla<br />
redditività futura <strong>del</strong>la società e i<br />
contratti pluriennali garantiranno<br />
ricavi certi nel tempo.<br />
I ricavi da sponsorizzazione sono in<br />
continua crescita. Lo sport è<br />
riconosciuto come uno degli<br />
strumenti di comunicazione più<br />
efficaci.<br />
Il brand di molte squadre è<br />
consolidato ed in grado di superare<br />
l’ambito territoriale di riferimento.<br />
Gli orientamenti <strong>del</strong> legislatore di<br />
questi anni hanno favorito la<br />
gestione imprenditoriale <strong>del</strong><br />
business sportivo.<br />
Molte società sono inserite<br />
nell'ambito di consolidati gruppi<br />
industriali, finanziari o televisivi.<br />
Il settore sportivo è in costante<br />
crescita.<br />
Sono previsti buoni margini di<br />
sviluppo per le attività di<br />
merchandising.<br />
53<br />
Volatilità dei ricavi in relazione al<br />
risultato positivo.<br />
Forte incidenza <strong>del</strong> rischio sportivo<br />
sul valore <strong>del</strong>le azioni.<br />
Solo la Reggiana possiede<br />
attualmente uno stadio già operativo<br />
di proprietà, agli altri club sono<br />
ancora preclusi i servizi di catering,<br />
corporate hospitality, ecc.<br />
Costante crescite <strong>del</strong> costo <strong>del</strong> lavoro<br />
con possibili ripercussioni<br />
sull’equilibrio finanziario <strong>del</strong>la<br />
società.<br />
Carenza di figure professionali<br />
specializzate nella gestione <strong>del</strong><br />
business sportivo.<br />
Lento passaggio da un mo<strong>del</strong>lo di<br />
gestione familiare ad un mo<strong>del</strong>lo<br />
manageriale.<br />
Difficile ricerca di equilibrio tra<br />
logiche sportive e aziendali.<br />
Ampio mercato di gadget abusivi che<br />
limita la misura dei ricavi <strong>del</strong><br />
merchandising.<br />
Fonte: Braghero M., Perfumo S., Ravano F., Per sport e per business: è tutto parte <strong>del</strong><br />
gioco. (Ns. elab.)<br />
Le altre quattro sono Celtic Glasgow (oggi 0,43 sterline il valore di un’azione; 2,80<br />
la quota d’ingresso), Millwall (oggi 7,34; 10 sterline il valore di ogni azione<br />
consolidata assegnata nell’ottobre scorso a ogni possessore di 100.000 ordinarie<br />
scese a quota 0,01 dopo un ingesso a 0,20), Tottenham (0,62 oggi; 1 sterlina al<br />
collocamento) e Watford (0,08 oggi; 0,45 la quota d’ingresso). Negli ultimi anni il<br />
<strong>del</strong>isting è stato insomma pressoché generalizzato, nonostante lì gli stadi siano di
proprietà e nonostante fossero stati quotate non solo le squadre di <strong>calcio</strong>, ma tutte le<br />
attività e le proprietà correlate. Alcuni esempi: il Chelsea aveva portato in Borsa<br />
l’intero villaggio di Stamford Bridge, messo a patrimonio, e i vari servizi offerti, fra i<br />
quali il canale tematico televisivo; il Watford ha collocato la Watford Leisure, con<br />
tutte le attività <strong>del</strong> club, comprese le società controllate che operano nel settore <strong>del</strong><br />
tempo libero. La principale differenza fra le società italiane e quelle inglesi, a<br />
proposito <strong>del</strong>l’ingresso in Borsa, è però nel fatto che almeno i club britannici hanno<br />
utilizzato i capitali reperiti sui mercati finanziari non per comprare o pagare di più i<br />
calciatori, ma per ristrutturare se non addirittura ricostruire gli stadi di proprietà.<br />
Attualmente in Europa restano quotati in Borsa, oltre ai sei club britannici ricordati e<br />
ai tre italiani, cinque danesi (Aalborg, Arhus, Brondby, Copenaghen, attraverso la<br />
Parken Sport & Entertainment, e Silkeborg), un olandese (Ajax Amsterdam), uno<br />
svedese (Aik Stoccolma), quattro turchi (Besiktas, Fenerbahce, Galatasaray e<br />
Trabzonspor), tre portoghesi (Benfica, Porto e Sporting Lisbona), uno tedesco<br />
(Borussia Dortmund) e uno francese (Olympique Lione). Proprio la quotazione <strong>del</strong><br />
Lione, la più recente, datata 2007, fece storcere più di un naso in Francia. Uno studio<br />
pubblicato in occasione <strong>del</strong> collocamento <strong>del</strong>l’Olympique metteva in rilievo come il<br />
fixing ha un andamento schizofrenico per tutte le società, pure per quelle che hanno<br />
patrimonializzazione e bilanci invidiabili. Anche perché va considerato che lo stadio<br />
è sì un bene tangibile, ma particolare, in quanto sostanzialmente inalienabile: non è<br />
un edificio normale che si può vendere a valore di mercato quando si vuole, ma un<br />
sito dove si disputano partite di <strong>calcio</strong>, il che esclude perciò tutti i potenziali<br />
compratori che non dispongono di una squadra di <strong>calcio</strong> da farvi giocare. In <strong><strong>It</strong>alia</strong> le<br />
soddisfazioni derivate dalla Borsa sono state ben poche, con la Lazio che è stata<br />
penalizzata dalle numerose ricapitalizzazioni operate per evitare il crac, i prezzi dei<br />
titoli <strong>del</strong>la Roma che sono crollati dopo l’acquisizione da parte <strong>del</strong>la cordata Di<br />
Benedetto e la Juventus che, anche a causa <strong>del</strong>la retrocessione in serie B e degli altri<br />
danni <strong>del</strong>la sentenza su Calciopoli i cui effetti si sono protratti nel tempo, dal<br />
collocamento a 3.7 euro per azione di fine 2001 è scivolata fino agli attuali 0.87 euro<br />
(-76%), sia pur vantando, unica nel mondo <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> italiano quotato, la<br />
distribuzione di un dividendo a tutti gli azionisti.<br />
54
L’alternativa alla quotazione è la securitization, cioè <strong>del</strong>le operazioni finanziarie<br />
nelle quali i conferenti <strong>del</strong> capitale hanno un diritto di priorità sui flussi di cassa,<br />
generati dalla vendita di abbonamenti, biglietti e da contratti televisivi e di<br />
sponsorizzazione a medio e lungo termine. In sostanza la società si garantisce in<br />
anticipo flussi di cassa futuri, mentre chi ha garantito le somme si rivolgerà al<br />
mercato azionario per reperire a sua volta i fondi. Questo sistema permette alle<br />
società di non lanciarsi in prima persona nel mercato finanziario e, dietro pagamento<br />
di una quota di interessi, lasciare a mani più esperte il compito di rastrellare azioni.<br />
La prima società di <strong>calcio</strong> europea ad aver svolto questo tipo di operazione è stata la<br />
Lazio nell’ottobre 1997: in quell’occasione oggetto <strong>del</strong>la securitization sono stati i<br />
proventi di abbonamenti e biglietti. Il rimborso <strong>del</strong> finanziamento, pari a 50 miliardi<br />
di lire, ed il pagamento dei relativi interessi prevedevano la cessione di tutti i<br />
proventi futuri generati dalla vendita degli abbonamenti e, qualora in una stagione le<br />
entrate fossero risultate inferiori a 11 miliardi, sarebbero stati utilizzati anche i<br />
proventi derivanti dalla vendita dei biglietti.<br />
Nel caso <strong>del</strong>la società romana il tasso d’interesse ipotizzato è stato <strong>del</strong> 6% e il<br />
finanziamento in questione di 50 miliardi sarebbe stato rimborsabile in quattro anni,<br />
pur assicurando alla società finanziatrice un arco annuale di dieci anni per la<br />
restituzione <strong>del</strong> prestito al fine di eliminare i rischi sempre presenti in ambito<br />
sportivo.<br />
2.7 Il mercato degli sponsor<br />
Come in un passato non troppo remoto l’attività di gestione <strong>del</strong>le società calcistiche<br />
tendeva a configurarsi come una sorta di mecenatismo moderno, così anche l’attività<br />
di sponsorizzazione in principio sembrava <strong>del</strong> tutto coincidente con la filantropia.<br />
Sino a circa trenta anni fa, infatti, le attività di sponsorizzazione erano<br />
prevalentemente al servizio dei vertici aziendali, i quali con esse guadagnavano<br />
entrate sociali o politiche. In altri casi, invece, la sponsorizzazione era definita come<br />
“il business <strong>del</strong>la moglie <strong>del</strong> presidente”, perché organizzato in senso <strong>del</strong> tutto<br />
filantropico e di conseguenza gestito dai familiari con le modalità tipiche <strong>del</strong>le<br />
erogazioni liberali.<br />
55
Oggi il mercato europeo <strong>del</strong>le sponsorizzazioni sportive è cresciuto sino<br />
all’incredibile cifra di 20mila miliardi <strong>del</strong> vecchio conio superando così il livello<br />
raggiunto dagli sport professionistici americani, che si attestano sui 9,6 miliardi di<br />
dollari. Nel recente passato è stato aperto un dibattito sulla compatibilità di obiettivi<br />
filantropici e finanziari all’interno <strong>del</strong>le aziende, coniando addirittura un termine<br />
nuovo e discutibile, quello di “filantropia strategica” per indicare una combinazione<br />
dei due tipi.<br />
<strong>Una</strong> cosa è ormai senza dubbio: i consumatori finali sono influenzati, e molto, dalle<br />
attività filantropiche <strong>del</strong>le aziende. Studi diversi indicano che circa il 40% dei<br />
consumatori americani utilizza come criterio per la scelta tra prodotti di aziende<br />
diverse la conduzione o meno di attività filantropiche o di patrocinio o di sponsoring.<br />
Oggi è possibile però tracciare una netta linea di demarcazione tra filantropia e<br />
attività di sponsorizzazione, la quale è attuata con lo scopo di cogliere obiettivi<br />
commerciali, e distinguere quest’ultima anche dalla pubblicità. La pubblicità, infatti,<br />
è la comunicazione diretta, di un prodotto o di una marca, attraverso un mezzo<br />
acquistato per quello scopo. La sponsorizzazione, invece, è un mezzo più sofisticato,<br />
meno smaccatamente orientato alla vendita, che comunica un’azienda o il suo<br />
prodotto in combinazione con una squadra, un atleta o un evento. In questo modo si<br />
ottiene una conseguenza ulteriore rispetto alla comunicazione, in quanto lo sponsor<br />
viene associato automaticamente allo spirito e ai caratteri <strong>del</strong>lo sponsee, in modo da<br />
rendere il messaggio commerciale più credibile e memorabile agli occhi <strong>del</strong><br />
pubblico. I vantaggi differenziali offerti dalla sponsorizzazione rispetto alla<br />
pubblicità classica non sono pochi, dato che si può godere su un accesso ad audience<br />
dal vivo e <strong>del</strong>la possibilità di poter dedicarsi alla vendita o distribuzione di omaggi<br />
sul luogo <strong>del</strong>la gara.<br />
La possibilità di segmentare il pubblico inoltre consente di valutare precisamente i<br />
ritorni <strong>del</strong>la sponsorizzazione in termini di reach, inteso come il numero e le<br />
caratteristiche degli individui effettivamente raggiunti dal messaggio, e di awarness,<br />
cioè la notorietà spontanea e/o sollecitata <strong>del</strong>l’accoppiamento sponsorizzativo,<br />
acquisiti attraverso il messaggio, nonché la predisposizione e la motivazione<br />
all’acquisto e il comportamento di acquisto e di consumo. La sponsorizzazione<br />
rappresenta un tipo di comunicazione solitamente ben accetta al pubblico, perché da<br />
56
questo ritenuta innocua e a volte utile e altruistica, permettendo lo svolgimento di<br />
attività sportive e culturali. Nel <strong>calcio</strong> italiano è solo nel 1981 che la Feder<strong>calcio</strong> si è<br />
preoccupata di redigere un documento contenente tutte le regole per le<br />
sponsorizzazioni, la cui presenza sulle divise dei club italiani era garantita soltanto<br />
con il ricorso a ingegnosi aggiramenti <strong>del</strong> divieto fino ad allora vigente 10 .<br />
Al marchio <strong>del</strong>lo sponsor furono dapprima riservati 100 cm2, oltre ai 12 corrisposti<br />
al fornitore tecnico, successivamente si è poi arrivati a 250. Dalla stagione<br />
2011/2012, in linea con le normative europee in materia, la Lega Nazionale<br />
Professionisti di Serie A ha ottenuto l’estensione degli spazi pubblicitari sino a 350<br />
cm², con al più due marchi di cui uno al massimo <strong>del</strong>la dimensione di 250 cm².<br />
Per molto tempo il fenomeno si sviluppò solamente intorno allo sponsor principale,<br />
quindi il logo aziendale dalle magliette cominciò ad essere apposto anche sui<br />
biglietti, sui cartelloni retro-intervista e sul materiale pubblicitario prodotto dalla<br />
società. Ad oggi, come si evince dalla tabella 6, è possibile suddividere gli sponsor in<br />
diverse tipologie e ordinarle secondo l’importanza che hanno per i club: lo sponsor<br />
ufficiale, che è la società il cui nome o il cui logo appare sulle maglie <strong>del</strong>la squadra, è<br />
il più importante insieme allo sponsor tecnico, che fornisce gli articoli sportivi al<br />
team. Poi vi sono gli sponsor istituzionali e i fornitori ufficiali, imprese che<br />
utilizzano il marchio <strong>del</strong>la società a scopo promozionale e pubblicitario; infine a<br />
questi soggetti vanno aggiunti tutti quelli che utilizzano il marchio <strong>del</strong> club per le<br />
attività di merchandising. Il potere contrattuale di ciascuna squadra è commisurato a<br />
due variabili fondamentali: la tifoseria e il bacino di utenza, riferendoci in particolare<br />
alla massa di persone che possono conoscere il marchio <strong>del</strong>l’azienda sponsor<br />
seguendo l’attività sportiva <strong>del</strong> team.<br />
10 Le prime sponsorizzazioni sportive risalgono agli anni ‘50, quando vi fu un tiepido avvicinamento<br />
tra il mondo calcistico e quello industriale. La mancanza di norme specifiche permise ad alcune<br />
società di legare il proprio nome a quello di alcune aziende; nacquero così la Lanerossi-Vicenza, la<br />
Simmenthal-Monza, l’Ozo Petroli-Mantova, il Modena-Zenith, la Sarom-Ravenna e il Talmone-<br />
Torino. Nella stagione 1959/60, tuttavia, arrivò il divieto <strong>del</strong>la Feder<strong>calcio</strong> per tali abbinamenti.<br />
Furono due i fatti decisivi per la caduta <strong>del</strong> divieto, e protagoniste furono Udinese e Perugia: nel 1978<br />
la società friulana pose sui calzoncini il marchio Sanson, aggirando così il divieto federale che faceva<br />
riferimento espresso solamente alle maglie. La Feder<strong>calcio</strong> multò la società per 10 milioni, una cifra<br />
di certo inferiore a quella ricevuta dallo sponsor. Il Perugia fu più innovativo e, data la possibilità di<br />
apporre sulle maglie, per uno spazio massimo di 12 cm², il nome <strong>del</strong>lo sponsor tecnico, vendette tale<br />
spazio alla Ponte (industria alimentare) che appositamente creò una propria fittizia linea<br />
d’abbigliamento, la Ponte sportwear, grazie ad un contratto di licenza stipulato con una ditta perugina<br />
produttrice di abbigliamento.<br />
57
Tabella 6 – Tipologie di sponsor<br />
MAIN SPONSOR<br />
(SPONSOR UFFICIALE)<br />
SPONSOR SECONDARI<br />
SPONSOR TECNICO<br />
MEDIA PARTNER<br />
PARTNER COMMERCIALI<br />
FORNITORI TECNICI<br />
58<br />
TIPOLOGIE DI SPONSOR<br />
Compare sulle maglie e sui capi di abbigliamento<br />
ufficiali: non è raro che ve ne sia uno per ogni<br />
competizione sportiva cui il club partecipa.<br />
Appaiono sui cartelloni retrointervista, all’interno<br />
<strong>del</strong>lo stadio, sui biglietti e sul materiale<br />
pubblicitario.<br />
Fornisce alla società l’abbigliamento e il materiale<br />
per la messa in scena <strong>del</strong>lo spettacolo calcistico.<br />
È il partner commerciale a cui si cedono i diritti<br />
per la trasmissione <strong>del</strong>le partite. La società può<br />
decidere di affidarsi a un diverso partner per ogni<br />
canale mediatico.<br />
Altri sponsor che appaiono nello stadio e sul<br />
materiale pubblicitario come gli sponsor<br />
secondari, e che normalmente sono legati a<br />
specifici settori merceologici.<br />
Forniscono materiali, prodotti e servizi alla<br />
società, in modo non direttamente correlato<br />
all’attività sportiva.<br />
Acquistano dalla società calcistica la possibilità di<br />
commercializzare prodotti con il marchio e i colori<br />
LICENZIATARI<br />
sociali <strong>del</strong> club prodotti con il marchio e i colori<br />
sociali <strong>del</strong> club.<br />
Fonte: Nostra indagine diretta febbraio 2011.<br />
Le squadre più sponsorizzate sono quindi quelle che hanno tradizionalmente una<br />
tifoseria numerosa, come Napoli e Fiorentina, o quelle che pur essendo<br />
rappresentanti di piazze non grandi hanno ottenuto recentemente risultati tali da<br />
moltiplicare la visibilità dei marchi ad esse legati, come il Chievo Verona, oppure,<br />
naturalmente, quelle formazioni che uniscono un numero elevato di tifosi a successi<br />
più o meno recenti, come la Juventus, il Milan, la Roma e l’Internazionale.<br />
Il primato europeo in questo momento spetta tuttavia al Barcelona, che ha raggiunto<br />
un accordo con la Qatar Foundation, un’organizzazione internazionale no profit per<br />
la difesa dei bambini, che porterà nelle casse catalane ben 150 milioni di euro in 5<br />
anni, 30 a stagione. Un’operazione che ha detronizzato il Bayern Monaco, in
precedenza primo con i suoi circa 25 milioni annui garantitigli dalla Deutsche<br />
Telekom, e fatto arretrare di una posizione Manchester United e Liverpool, che<br />
incassano 23.6 milioni stagionali rispettivamente da Aon e Standard Chartered Bank.<br />
In <strong><strong>It</strong>alia</strong> lo scenario è decisamente differente: 19 squadre, la Lazio è l’unica senza<br />
sponsor, incassano un importo totale pari a circa 70 milioni di euro. Volendo entrare<br />
nello specifico la Juventus, che a causa di Calciopoli ed alla successiva retrocessione<br />
in serie B ha visto sfumare l’accordo da 240 milioni per 10 anni (2005-2015) con la<br />
Tamoil, oggi è sponsorizzata da Betclic, che ha preso il posto <strong>del</strong> brand New Holland<br />
ed eroga ai bianconeri circa 7 milioni all’anno fino al 2012, più premi per i risultati.<br />
Questa sponsorship ha una particolarità: lo sponsor vale solo per la maglia<br />
bianconera e per la terza, quella grigia. La maglia da trasferta è invece marchiata<br />
Balocco, sponsor piemontese che paga 3 milioni di euro in cambio di 12 partite.<br />
L’Inter, invece, percepisce dalla Pirelli, con la quale è all’ultimo anno di contratto,<br />
9.2 milioni di euro, mentre il Milan tocca quota 12 milioni grazie ad un accordo<br />
quinquennale con la Fly Emirates.<br />
Ma il mercato <strong>del</strong>le sponsorizzazioni si è evoluto nel tempo e nel mondo <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> le<br />
imprese non si concentrano soltanto sulle formazioni, ma anche su altri comparti<br />
<strong>del</strong>lo sponsoring, come l’abbinamento a testimonial, il naming di impianti e la<br />
sponsorizzazione di eventi. Proprio il naming è un settore da tenere d’occhio per i<br />
prossimi anni, tant’è che la stessa Juventus, forte <strong>del</strong>l’accordo di lunghissimo periodo<br />
con Nike per la fornitura tecnica, aveva pensato di farla entrare nello sviluppo <strong>del</strong><br />
nuovo Delle Alpi. In Inghilterra è <strong>del</strong>l’ottobre 2004 l’annuncio <strong>del</strong>l’accordo tra<br />
l’Arsenal e la compagnia aerea Fly Emirates per la maxi-sponsorizzazione <strong>del</strong> nuovo<br />
impianto che porterà nelle casse dei “Gunners” qualcosa come 100 milioni di<br />
sterline, poco meno di 145 milioni di euro per 15 anni a partire dalla stagione<br />
2006/07. La compagnia araba darà il proprio oltre ad apporre il proprio marchio sulle<br />
magliette biancorosse.<br />
Per quanto concerne invece il comparto dei testimonial, sono spesso i diritti di<br />
immagine legati ai giocatori a determinare tensioni e rotture nelle trattative tra<br />
calciatori e club per la negoziazione dei contratti. Si parla naturalmente di atleti di<br />
primo livello in grado di generare, attraverso l’utilizzo <strong>del</strong>la propria immagine da<br />
parte degli sponsor, somme di gran lunga più elevate dei già faraonici stipendi<br />
59
strappati ai club ed è proprio in tal senso che va letta la volontà <strong>del</strong> Napoli di voler<br />
far propri i diritti di immagine dei propri tesserati sin dal momento <strong>del</strong>la firma degli<br />
accordi.<br />
Per quanto riguarda la sponsorizzazione di eventi, un appuntamento calcistico che<br />
ormai potrebbe costituire un case history per l’argomento è il Trofeo Birra Moretti.<br />
Esso, stando ai risultati di una ricerca di Tns Abacus, si colloca al terzo posto per<br />
notorietà tra gli eventi calcistici italiani dietro al campionato e alla Coppa <strong><strong>It</strong>alia</strong>, pur<br />
essendo un torneo estivo di nessuna rilevanza agonistica. La “Birra <strong>del</strong> baffo”<br />
concentra tutta la sua strategia di sponsorizzazione sulla realizzazione di questo<br />
evento estivo, tattica che risulta vincente visto il seguito e la visibilità che ogni anno<br />
riscuote il torneo e i conseguenti risultati di notorietà <strong>del</strong> brand. Heineken,<br />
proprietaria <strong>del</strong> marchio, valuta che sia senz’altro più vantaggioso creare un evento<br />
piuttosto che essere title sponsor di una squadra anche di alto livello perché<br />
l’appuntamento può essere sfruttato anche come base per campagne pubblicitarie<br />
tradizionali, per azioni di co-marketing e come contenitore di sponsor tecnici. E certo<br />
i numeri danno ragione al marchio olandese: nell’edizione <strong>del</strong> 2002, ad esempio,<br />
l’evento ha catalizzato l’attenzione di 4.218.000 spettatori, per uno share medio di<br />
23,95%. Allo stadio San Nicola di Bari erano presenti 55mila spettatori, oltre a 110<br />
giornalisti per più di 50 testate nazionali e internazionali tra televisioni, radio,<br />
agenzie di stampa, testate online e carta stampata e 40 fotografi a bordo campo.<br />
L’evento è stato seguito in oltre 100 Paesi nel mondo.<br />
2.8 Le operazioni bianche e nere sul bilancio<br />
Non è tutto oro quello che luccica. Anche nel <strong>calcio</strong>, come negli altri settori<br />
imprenditoriali, ad operazioni portate avanti rispettando le regole se ne affiancano<br />
altre in cui appena possibile si compiono manovre proibite per aggirare i deficit di<br />
bilancio. Il bilancio d’esercizio è il mo<strong>del</strong>lo che misura e valuta l’economicità <strong>del</strong>la<br />
gestione, con riferimento a periodi di tempo definiti. Tale mo<strong>del</strong>lo, mediante<br />
opportuni calcoli, in cui intervengono stime e congetture, raccoglie il sistema di<br />
valori in adatte sintesi periodiche, pervenendo a determinare due quantità<br />
economiche complesse, il reddito di esercizio (quantità-flusso) e il capitale di<br />
funzionamento (quantità-fondo) alla fine <strong>del</strong> periodo per il quale si è determinato il<br />
60
eddito. Il bilancio è, quindi, il documento nel quale è riflesso il comportamento<br />
<strong>del</strong>l’impresa in termini quantitativi. Le quantità economiche accolte dai bilanci sono<br />
espressione di valori che riflettono in modo sintetico le scelte praticate dai<br />
responsabili <strong>del</strong> governo aziendale. Pur con tutte le insufficienze che possono<br />
rilevarsi, il bilancio d’esercizio costituisce lo strumento di sintesi più efficace per<br />
fornire informazioni riguardo la gestione <strong>del</strong>l’impresa esaminata nell’aspetto<br />
economico, patrimoniale e finanziario.<br />
Il bilancio d’esercizio svolge una duplice funzione: informativa dei terzi e gestionale.<br />
In particolare esso ha un ruolo informativo perché offre, a posteriori, informazioni<br />
sull’andamento economico <strong>del</strong>la gestione e sugli elementi che compongono il<br />
patrimonio di funzionamento. Tali dati sono messi a disposizione dei soggetti<br />
portatori di interessi nei confronti <strong>del</strong>l’impresa, i quali rappresentano diverse<br />
categorie, detentrici di obiettivi conoscitivi anche divergenti e talune volte addirittura<br />
conflittuali.<br />
I destinatari <strong>del</strong> bilancio <strong>del</strong>le società di <strong>calcio</strong> possono essere individuati in alcune<br />
categorie come: i conferenti di capitale-risparmio, interessati ad ottenere un bilancio<br />
d’esercizio che mostri loro in modo fe<strong>del</strong>e se il club sta rispettando le condizioni di<br />
equilibrio economico di lungo periodo; i prestatori di lavoro (calciatori<br />
professionisti), per i quali non sembrano esistere similarità, in termini di fabbisogno<br />
informativo, con i dipendenti di altre imprese, in quanto le modalità di assunzione<br />
sono differenti (non esistono problemi connessi a potenziali licenziamenti oppure a<br />
politiche di remunerazione collegate ai risultati economici ottenuti); i calciatori<br />
dilettanti, interessati a trarre informazioni sulle strategie future per vedere se la<br />
società è in grado di portar avanti progetti di medio periodo sulla formazione<br />
giovanile; i fornitori ed i consulenti esterni, interessati al fatto che il bilancio sia<br />
redatto con prudenza e che non sia annacquato il capitale netto; gli spettatori<br />
generici, per i quali il bilancio può servire da informazione su eventuali<br />
danneggiamenti provocati al “prodotto <strong>calcio</strong>” da uno squilibrio economico-<br />
finanziario <strong>del</strong>l’azienda; i tifosi, interessati all’equilibrio economico-finanziario<br />
<strong>del</strong>l’impresa solo nella misura in cui può incidere sulle prestazioni <strong>del</strong>la squadra; il<br />
bilancio permette, comunque, ai tifosi di essere informati con trasparenza sulla<br />
corretta gestione <strong>del</strong>la società e sulla capacità <strong>del</strong>l’azienda di soddisfare la<br />
61
condizione oggettiva di equilibrio economico di lungo periodo, fattori che sono alla<br />
base <strong>del</strong> buon funzionamento sportivo <strong>del</strong>la società; le altre società calcistiche,<br />
interessate soprattutto in occasione <strong>del</strong> <strong>calcio</strong>-mercato, per valutare le condizioni<br />
economiche globali <strong>del</strong>le aziende con cui si stanno instaurando trattative finalizzate<br />
alla cessione ed acquisizione dei diritti alle prestazioni dei calciatori; le imprese<br />
sponsorizzanti, pubblicitarie o comunque collegate all’attività calcistica, le quali<br />
sono interessate alle oscillazioni dei risultati ed alle previsioni sulle future prestazioni<br />
sportive; per soddisfare il loro interesse informativo, quindi, oltre al bilancio<br />
d’esercizio redatto in modo fe<strong>del</strong>e e trasparente, essi devono conoscere gli specifici<br />
progetti di rilancio o di ridimensionamento dei club; i mezzi di comunicazione di<br />
massa, in particolare sia la stampa sportiva che quella economica, in quanto la<br />
diffusione <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> è tale da giustificare numerosi articoli; i finanziatori, i quali<br />
richiedono oltre ai dati di bilancio anche notizie aggiuntive e garanzie reali o<br />
personali; l’Amministrazione finanziaria <strong>del</strong>lo Stato (Erario), la quale non può<br />
accontentarsi <strong>del</strong> contenuto minimale <strong>del</strong> bilancio d’esercizio, ma necessita di<br />
particolari dati ed informazioni; le autorità locali, che sono coinvolte nell’attività<br />
<strong>del</strong>le società calcistiche sia direttamente (la gran parte degli stadi è di proprietà<br />
comunale), sia indirettamente (esse sono il referente pubblico degli appassionati di<br />
una città e spesso fanno parte <strong>del</strong>la tifoseria); la Federazione, in quanto il bilancio<br />
d’esercizio rappresenta l’elemento di partenza per lo svolgimento <strong>del</strong>la funzione di<br />
controllo sulle società; per le società quotate: gli investitori, la Consob, gli analisti di<br />
borsa.<br />
Uno dei settori maggiormente interessato da questa tipologia di pratiche è la<br />
compravendita dei calciatori.<br />
Il diritto alle prestazioni sportive dei giocatori può derivare da un accordo di<br />
trasferimento di un atleta oppure dalla cessione <strong>del</strong> contratto di un professionista da<br />
parte di un’altra società. Tale diritto, che può riferirsi a calciatori professionisti, non<br />
professionisti o provenienti dal settore giovanile, può essere iscritto nello stato<br />
patrimoniale soltanto se l’accordo di trasferimento risulta da contratto e per il costo<br />
indicato nel documento medesimo.<br />
La valutazione <strong>del</strong>le qualità di un atleta è un compito arduo, in buona misura fondato<br />
sull’esperienza dei valutatori. In genere gli elementi che sono presi a base <strong>del</strong>la<br />
62
valutazione riguardano caratteristiche <strong>del</strong>lo sportivo quali l’età, il ruolo ricoperto<br />
nella squadra, l’attitudine a ricoprirne altri, le condizioni fisiche, le prestazioni<br />
sportive, l’esperienza posseduta in campo internazionale, il tipo di infortuni in cui<br />
l’oggetto <strong>del</strong>l’interesse è incorso e la presenza di altre società interessate all’acquisto.<br />
Le Raccomandazioni contabili precisano che i diritti pluriennali sono assimilabili ai<br />
diritti di concessione e simili, previsti dalla voce B.I.4 <strong>del</strong>l’articolo 2424 c.c.. Tali<br />
diritti possono altresì essere assimilati al diritto, da parte di una società che effettua<br />
attività di ricerca e sviluppo, di utilizzare in via esclusiva le invenzioni realizzate dai<br />
propri ricercatori; allo stesso modo, infatti, la società sportiva sfrutta in esclusiva<br />
l’immagine e le prestazioni <strong>del</strong> calciatore, anche se per un periodo determinato.<br />
Nel caso di trasferimento di un calciatore con contratto in corso, il prezzo di tale<br />
diritto è liberamente concordato tra le parti ed il corrispettivo pagato sarà iscritto tra<br />
le immobilizzazioni immateriali <strong>del</strong>la società cessionaria, mentre quella cedente<br />
registrerà una plusvalenza o una minusvalenza rispetto al valore netto <strong>del</strong> diritto<br />
ancora iscritto in bilancio.<br />
In caso di cessione di un giocatore proveniente dal settore giovanile, bisogna<br />
distinguere se appartiene al proprio vivaio o a quello di altre squadre. Nel primo caso<br />
non si ha nessuna movimentazione contabile, nel secondo il club acquirente<br />
corrisponde il premio di addestramento e formazione tecnica ed iscrive il costo tra le<br />
immobilizzazioni immateriali, mentre il cedente rileva una sopravvenienza attiva.<br />
Occorre in proposito chiarire come vi siano alcuni casi da cui non scaturisce la<br />
rilevazione in bilancio <strong>del</strong> diritto pluriennale alle prestazioni <strong>del</strong> calciatore, come<br />
l’acquisto a parametro zero di giocatori svincolati, il rinnovo di un contratto scaduto<br />
ad un proprio calciatore e il primo accordo da professionista con un giocatore<br />
proveniente dal proprio vivaio. In questi tre casi non si avrà alcuna evidenza <strong>del</strong><br />
diritto pluriennale tra le attività <strong>del</strong>lo stato patrimoniale e le società dovranno<br />
riportare tali informazioni in una nota integrativa.<br />
Il momento temporale per la contabilizzazione in bilancio dei diritti è il<br />
perfezionamento contrattuale che costituisce l’evento che conferisce certezza<br />
all’operazione di trasferimento mentre il deposito in Lega ne costituisce la sola<br />
ratifica. Il definire l’uno o l’altro momento quello in cui avvengono le rilevazioni<br />
vuol dire in molti casi imputare le eventuali plus o minusvalenze in uno o in un altro<br />
63
periodo amministrativo poiché i contratti vengono spesso stipulati alla fine di ogni<br />
esercizio mentre il deposito avviene all’inizio <strong>del</strong> successivo. Un’applicazione<br />
elastica <strong>del</strong> termine di decorrenza <strong>del</strong> trasferimento rischierebbe di agevolare<br />
politiche di annacquamento <strong>del</strong> capitale, in quanto i diversi club potrebbero essere<br />
indotti a mitigare le perdite di gestione anticipando le plusvalenze connesse al<br />
trasferimento <strong>del</strong>l’atleta (adottando così la data <strong>del</strong>la stipula <strong>del</strong> contratto quale<br />
tempo in cui effettuare le rilevazioni), o a rilevarle successivamente se non fossero<br />
necessarie a far quadrare i propri bilanci.<br />
Non è affatto raro tra le società di <strong>calcio</strong> stipulare contratti comunemente definiti di<br />
“comproprietà”. Più precisamente si parla di accordi di compartecipazione: situazioni<br />
contrattuali in forza <strong>del</strong>le quali una società, che abbia acquisito il diritto alle<br />
prestazioni sportive di un calciatore per mezzo di un apposito contratto, stipula un<br />
accordo con il club cedente prevedendo un “diritto di partecipazione” di questo, in<br />
misura paritaria, agli effetti derivanti dalla successiva risoluzione <strong>del</strong>l’accordo con il<br />
calciatore. Con un contratto di compartecipazione la società che ha ceduto il diritto<br />
(acquistando la compartecipazione) vanta interessi di natura patrimoniale sul<br />
calciatore, ma non può disporre <strong>del</strong>le sue prestazioni, che sono state cedute. La<br />
classificazione contabile di questo particolare diritto diverge rispetto a quella che è<br />
invece riservata ai veri e propri “diritti alle prestazioni sportive dei calciatori”. Tale<br />
accordo ha durata annuale e può essere rinnovato una sola volta, con il consenso <strong>del</strong><br />
calciatore. Può essere risolto alternativamente in modo consensuale tra le società<br />
prima <strong>del</strong>la scadenza <strong>del</strong> termine stabilito, oppure tramite il ricorso alle “buste”.<br />
Attraverso la risoluzione <strong>del</strong>la compartecipazione la titolarità <strong>del</strong> diritto alle<br />
prestazioni sportive <strong>del</strong> calciatore può rimanere in capo alla società già titolare <strong>del</strong><br />
diritto o tornare alla società che l’aveva in precedenza ceduto.<br />
L’ammortamento <strong>del</strong> costo dei diritti pluriennali risulta essere la voce più<br />
caratteristica <strong>del</strong> conto economico e rappresenta la quota parte <strong>del</strong> costo di acquisto<br />
<strong>del</strong> diritto all’utilizzo <strong>del</strong>le prestazioni dei calciatori imputata all’esercizio.<br />
La determinazione <strong>del</strong>la quota di ammortamento attribuita ad un determinato periodo<br />
amministrativo avviene mediante la preparazione di un piano di ammortamento<br />
composto principalmente da tre elementi: il valore da ammortizzare, la vita utile<br />
residua e la metodologia di calcolo <strong>del</strong>le quote annuali. La teoria ragionieristica offre<br />
64
una pluralità di metodi che possono essere ricondotti a due macroclassi:<br />
ammortamenti rigidi e ammortamenti elastici. Gli ammortamenti rigidi, per i quali<br />
inizialmente si può già definire un piano conoscendo la vita utile, possono essere<br />
classificati in tre categorie fondamentali: a quote costanti, in cui le quote di<br />
ammortamento non subiscono variazioni in quanto è costante l’utilità fornita dal<br />
costo pluriennale; a quote crescenti, in cui vi sono basse quote all’inizio che vanno<br />
incrementandosi all’avvicinarsi <strong>del</strong>la fine <strong>del</strong> periodo prefissato; a quote decrescenti,<br />
in cui le quote più alte sono all’inizio <strong>del</strong> periodo, perché quel costo pluriennale offre<br />
la propria maggiore utilità nei primi anni di vita.<br />
Nel metodo di calcolo <strong>del</strong>l’ammortamento chiamato elastico, invece, le quote sono<br />
variabili e commisurate al volume <strong>del</strong>la produzione.<br />
Per evitare comportamenti discrezionali da parte dei redattori <strong>del</strong> bilancio, la<br />
Federazione, allineandosi a una risoluzione ministeriale <strong>del</strong> 1981, ha stabilito nella<br />
Raccomandazione Contabile n.1 il criterio di ammortamento da seguire. La<br />
metodologia scelta presuppone la ripartizione <strong>del</strong> costo iscritto in bilancio in quote<br />
costanti per l’intera durata <strong>del</strong> contratto che vincola il calciatore alla società<br />
cessionaria <strong>del</strong> diritto a partire dall’esercizio in cui avviene il tesseramento <strong>del</strong><br />
giocatore. Nel caso in cui nel corso <strong>del</strong> rapporto le parti concordino il prolungamento<br />
<strong>del</strong> contratto, la quota non ancora ammortizzata potrà essere ripartita in relazione alla<br />
nuova durata <strong>del</strong> contratto stesso, per cui la società redigerà un nuovo piano di<br />
ammortamento a rate costanti tenendo conto <strong>del</strong> costo ancora da ammortizzare e <strong>del</strong><br />
nuovo tempo contrattuale. In tal modo si verificherà un miglioramento <strong>del</strong> risultato<br />
<strong>del</strong>l’impresa calcistica per il periodo intercorrente tra il rinnovo e l’originaria<br />
scadenza ed un peggioramento per il periodo compreso tra l’originaria scadenza e la<br />
nuova. In caso, invece, di risoluzione anticipata <strong>del</strong> contratto per cessione ad altra<br />
società, il costo non ancora ammortizzato graverà interamente sull’esercizio in cui è<br />
avvenuta tale risoluzione e sarà controbilanciato dal ricavo derivante dalla cessione.<br />
Gli amministratori sono, comunque, obbligati ad abbandonare il piano di<br />
ammortamento originariamente predisposto e ad effettuare una congrua svalutazione<br />
ogniqualvolta il calciatore in forza alla società non risulti più idoneo a partecipare<br />
all’attività agonistica (in seguito ad infortuni di rilevante entità oppure in caso di<br />
65
provvedimenti disciplinari <strong>del</strong>l’autorità sportiva di lunga durata che impediscano<br />
l’utilizzo <strong>del</strong> calciatore).<br />
L’ammortamento nelle società di <strong>calcio</strong> non è solitamente eseguito in modo diretto<br />
come di norma avviene per le immobilizzazioni immateriali, ma attraverso la<br />
costituzione <strong>del</strong> fondo ammortamento; ciò a causa <strong>del</strong>la rilevanza che il valore<br />
assume nell’ambito <strong>del</strong> capitale investito nelle società di <strong>calcio</strong>. Molte società<br />
calcistiche, nel passato, non effettuavano l’ammortamento <strong>del</strong> parco giocatori<br />
secondo il descritto piano di ammortamento, ma utilizzavano le quote annuali come<br />
strumento per attuare politiche di bilancio al fine di non compromettere ulteriormente<br />
i risultati di bilancio già caratterizzati da ingenti perdite.<br />
Le quote di ammortamento erano, infatti, calcolate non già dividendo il costo <strong>del</strong><br />
giocatore per la durata <strong>del</strong> contratto, ma diminuendo il costo <strong>del</strong> diritto e <strong>del</strong> valore<br />
di svincolo secondo i parametri federali: la differenza veniva ripartita sulla durata <strong>del</strong><br />
contratto.<br />
Nel caso in cui un calciatore venga ceduto prima <strong>del</strong>la scadenza <strong>del</strong> suo contratto si<br />
configura una situazione analoga alla cessione di un cespite ammortizzabile al prezzo<br />
concordato tra la società cedente e quella acquirente. In particolare, la società<br />
cedente dovrà confrontare il prezzo di cessione con il valore contabile attribuito al<br />
diritto alle prestazioni <strong>del</strong> calciatore. Nel caso in cui i due valori non coincidano si<br />
profilano due scenari: se la differenza tra il valore di cessione ed il valore netto<br />
contabile è positiva, tale importo rappresenta una plusvalenza da iscrivere nel conto<br />
economico tra i proventi straordinari alla voce “Plusvalenze da alienazione”; se la<br />
differenza è negativa, l’importo dovrà, invece, essere iscritto nel conto economico tra<br />
gli oneri straordinari alla voce “Minusvalenze da alienazione”. Allo stesso tempo,<br />
invece, la società cessionaria iscriverà tra le immobilizzazioni immateriali, quale<br />
diritto pluriennale alle prestazioni <strong>del</strong> calciatore acquistato, il corrispettivo pagato per<br />
il trasferimento <strong>del</strong> calciatore, che concorrerà alla formazione <strong>del</strong> reddito di esercizio<br />
attraverso quote costanti di ammortamento.<br />
Lo sfasamento temporale nella produzione degli effetti economici <strong>del</strong>l’operazione<br />
nei bilanci di cedente e cessionaria è all’origine <strong>del</strong> fenomeno che ha permesso a<br />
società in perdita di mascherare lo stato di crisi ricorrendo a sistematiche operazioni<br />
di “permuta di giocatori”. Queste non comportano alcuna movimentazione<br />
66
finanziaria; tuttavia, mentre la plusvalenza per la cessione costituisce un ricavo<br />
<strong>del</strong>l’esercizio in cui l’operazione è conclusa, il costo relativo all’acquisto graverà<br />
solo pro quota, determinata in base alla durata <strong>del</strong> periodo di ammortamento.<br />
Il sistematico ricorso alla prassi <strong>del</strong>la permuta di calciatori a volte sconosciuti, spesso<br />
valutati alla stregua di campioni, ha consentito a numerose società di evitare il<br />
verificarsi dei presupposti che avrebbero comportato l’obbligo di procedere ad<br />
onerose ricapitalizzazioni.<br />
In origine tal fenomeno fu introdotto dal Parma che, a partire dal 1998, cedette a cifre<br />
esorbitanti alla Lazio Crespo, Veron, Sensini e Dino Baggio in cambio di Almeyda,<br />
Flavio Conceiçao e Fuser, e alla Roma Longo, Lassissi e lo stesso Fuser al posto di<br />
Gurenko, Magone e Paolo Poggi.<br />
Nel breve volgere di un anno lo scambio a cifre gonfiate diventò una prassi<br />
consolidata. Nella maggioranza dei casi le valutazioni dei calciatori risultavano di<br />
fatto fittizie e la sopravvalutazione <strong>del</strong>le plusvalenze era soltanto funzionale ad<br />
evitare le ricapitalizzazioni indispensabili per evitare il fallimento <strong>del</strong>le società<br />
calcistiche. Fu solo l’inizio di un fenomeno che nella stagione 2002/2003 vide<br />
l’allora ventenne Matteo Deinite, attualmente tesserato per il Legnago Salus in Serie<br />
D, passare dal Milan all’Inter con una plusvalenza di 3 milioni di euro. Nessuno,<br />
però, ha mai visto questo calciatore su un campo di serie A, al pari di Giuseppe Ticli,<br />
attualmente legato al Sant’Angelo nell’Eccellenza lombarda, che nello stesso periodo<br />
fece il percorso inverso con una plusvalenza di 3.5 milioni a favore <strong>del</strong> club di<br />
Massimo Moratti.<br />
Degli altri sei giovani scambiati in quell’anno tra le due squadre milanesi si sono<br />
perse le tracce. L’Inter, infatti, ha venduto al Milan anche Salvatore Ferraro,<br />
Alessandro Livi e Marco Varaldi, iscrivendo in bilancio una plusvalenza di 3.5<br />
milioni a testa. Adriano Galliani ha ripagato Moratti cedendogli Simone Brunelli,<br />
Matteo Giordano e Ronny Toma, con una plusvalenza di 3 milioni su ogni calciatore.<br />
Grazie a questi scambi generosi, quindi, l’Inter ha potuto iscrivere plusvalenze per 14<br />
milioni nel bilancio al 30 giugno 2003, il Milan per 12 milioni. In realtà, nessuno ha<br />
pagato un euro per questi scambi; l’unico effetto, nei fatti, è stato quello tipico <strong>del</strong>le<br />
politiche di window dressing: imbellettare bilanci martellati da spese fuori controllo.<br />
67
Inter e Milan si sono quindi scambiati, a valore stratosferici, otto giocatori dai volti<br />
sconosciuti, che non sono mai apparsi neppure sulle figurine Panini.<br />
Nel panorama <strong>del</strong>ineato paiono significative le operazioni che emergono dal bilancio<br />
<strong>del</strong>la Roma al 30 giugno 2002: 95 milioni di guadagno realizzati vendendo 26<br />
giovani a prezzi stratosferici, diversi dei quali a squadre di Serie B, come Franco<br />
Brienza, ceduto al Palermo, allora di proprietà <strong>del</strong>lo stesso presidente dei giallorossi,<br />
Franco Sensi, con una plusvalenza di 10.97 milioni. La società di Trigoria<br />
successivamente ha acquisito in comproprietà quasi tutti i calciatori (23 su 26),<br />
annullando di fatto circa 40 milioni <strong>del</strong>le plusvalenze dichiarate in bilancio. Il gioco<br />
<strong>del</strong>le comproprietà ha regalato plusvalenze anche alla Juventus, uno dei club che non<br />
ha utilizzato la scappatoia <strong>del</strong> “Decreto Salva-Calcio”. Nell’agosto 2004, infatti, la<br />
Juve ha ceduto alla Fiorentina di Diego Della Valle tre calciatori, Miccoli, Chiellini e<br />
Maresca, per 26 milioni pagabili in tre anni, iscrivendo una plusvalenza di 13.5<br />
milioni nel bilancio al 30 giugno 2005. Ma i bianconeri non hanno mai incassato<br />
quella cifra, in quanto, contestualmente alla cessione, la società torinese ha aperto<br />
una comproprietà sui tre calciatori allo stesso prezzo di vendita, impegnandosi a<br />
versare ai viola 13 milioni in tre anni. Il 28 giugno 2005 gli accordi sono stati risolti<br />
e la Juve si è ripresa il 50% che non possedeva dei tre giocatori con un esborso di 6.7<br />
milioni, cioè la metà <strong>del</strong> prezzo assunto per calcolare la plusvalenza.<br />
Sull’affaire plusvalenze sono state aperte diverse indagini da parte <strong>del</strong>la procura <strong>del</strong>la<br />
Repubblica di Milano e di Roma che sono tuttora in corso, anche se non è questa<br />
l’ultima frontiera <strong>del</strong> doping finanziario. Molto diffusa tra i grandi club è, infatti, la<br />
cessione <strong>del</strong> marchio societario a sé stessi. Milan e Inter, Roma e Lazio hanno ceduto<br />
a società da loro controllate il proprio brand rivalutandone il valore sino a creare un<br />
tesoretto di plusvalenze fittizie di 567 milioni di euro (186 i rossoneri, 159 la squadra<br />
di Moratti, 127 la “Lupa” e 95 i biancazzurri). L’unica grande società non coinvolta<br />
in questa cosmesi contabile è la Juventus, pietra <strong>del</strong>lo scandalo di Calciopoli, che non<br />
è dovuta ricorrere ad artifici amministrativi perché in passato aveva rinunciato<br />
all’applicazione <strong>del</strong> decreto <strong>del</strong> governo Berlusconi per allungare gli ammortamenti<br />
dei calciatori. Le altre squadre calcistiche italiane, anziché concentrarsi sullo<br />
sviluppo <strong>del</strong>le attività di merchandising e di sfruttamento <strong>del</strong> marchio a fini<br />
commerciali, hanno preferito operare la cessione <strong>del</strong> proprio brand ad una società<br />
68
controllata da loro stesse. La vendita <strong>del</strong> marchio è stata fatta o programmata da<br />
almeno una decina di società che in questo modo ritenevano di poter coprire le<br />
perdite di gestione e, in particolare, la voragine aperta nei bilanci dall’assorbimento<br />
<strong>del</strong>le svalutazioni residue fatte nel 2003 con il “Decreto Salva-Calcio”: 1.100 milioni<br />
di euro, di cui solo il 40% ammortizzate nei bilanci fino al 30 giugno 2006. La<br />
cessione, in alcuni casi, è avvenuta nei confronti di una società di leasing, la quale<br />
contemporaneamente ha fatto sottoscrivere alla società calcistica un contratto di<br />
locazione finanziaria avente per oggetto l’utilizzo <strong>del</strong> marchio. Tale operazione, che<br />
di fatto, costituisce un finanziamento, è regolamentata dall’articolo 2425 bis <strong>del</strong><br />
codice civile, il quale prevede che le plusvalenze derivanti da operazione di<br />
compravendita con locazione finanziaria al venditore, siano ripartite in funzione <strong>del</strong>la<br />
durata <strong>del</strong> contratto di locazione. Si tratta <strong>del</strong>la cessione di un bene e <strong>del</strong>la<br />
contemporanea retrodatazione (lease-back) <strong>del</strong>lo stesso. Se la retrolocazione<br />
corrisponde a un leasing finanziario, l’operazione rappresenta, nella sostanza, una<br />
modalità con la quale il locatore procura mezzi finanziari al locatario, detenendo il<br />
titolo di proprietà <strong>del</strong> bene come garanzia: pertanto, si tratta di un finanziamento.<br />
Cessione e retrolocazione sono due operazioni collegate tra loro, che devono essere<br />
contabilizzate nel rispetto <strong>del</strong> principio <strong>del</strong>la prevalenza <strong>del</strong>la sostanza sulla forma,<br />
di cui all’articolo 2423 bis n.1 <strong>del</strong> codice civile. La cessione è rilevata, ma la<br />
plusvalenza è imputata nel conto economico in base al principio di competenza e<br />
differita sulla durata <strong>del</strong> contratto di leasing. Dal punto di vista fiscale, la durata <strong>del</strong>la<br />
retrolocazione deve essere almeno pari alla metà <strong>del</strong> periodo di ammortamento<br />
(risoluzione n. 27/E/05): nel caso dei marchi, pertanto, il leasing deve avere durata<br />
almeno pari a nove anni dal momento che il periodo di ammortamento minimo è di<br />
diciotto anni.<br />
L’operazione più rilevante in materia è stata compiuta dal Milan nel 2005, quando<br />
Adriano Galliani, allora vicepresidente dei rossoneri, comparve davanti al notaio di<br />
Milano Guido Roveda il 30 settembre insieme al direttore finanziario, Alfonso<br />
Ciafaliello, per la stipula di un atto di conferimento <strong>del</strong> marchio Milan per 20 anni a<br />
una società totalmente controllata, Servizi Milan, ridenominata Milan Entertainment<br />
Srl. In base a una perizia <strong>del</strong> professor Paolo Jovenitti, al ramo d’azienda costituito<br />
dal diritto di sfruttamento <strong>del</strong> marchio è stato assegnato un valore netto di 183.7<br />
69
milioni di euro. Certificata dal notaio Roveda, questa operazione ha regalato una<br />
plusvalenza di pari valore al bilancio <strong>del</strong> Milan al 31 dicembre 2005. Così, pur senza<br />
incassare un euro, il club ha potuto cancellare la voragine che si sarebbe aperta in<br />
bilancio con l’esaurimento degli effetti <strong>del</strong> “Decreto Salva-Calcio”. Nel bilancio<br />
2005 è stata iscritta la plusvalenza (tale solo sulla carta, perché generata da<br />
un’operazione in famiglia) ed è stato spesato tra gli ammortamenti il costo residuo da<br />
assorbire pari a 181.5 milioni. Con questa operazione, il Milan ha chiuso il bilancio<br />
2005 dichiarando una perdita netta di soli 4.5 milioni di euro.<br />
Un’importante operazione sul marchio, è stata realizzata anche dall’Inter. Il 29<br />
dicembre <strong>del</strong>lo stesso anno i nerazzurri hanno venduto il proprio marchio per 158<br />
milioni (perizia <strong>del</strong> professor Giovanni Ossola, rogito <strong>del</strong> notaio Lodovico Barassi)<br />
alla Inter Brand Srl, costituita appena due mesi prima e posseduta al 100% dall’Inter.<br />
Anche in questo caso la plusvalenza, registrata nel bilancio al 30 giugno 2006, è<br />
servita a coprire l’assorbimento <strong>del</strong>la svalutazione <strong>del</strong> “Salva-Calcio” (223.6 milioni<br />
residui al 30 giugno 2005).<br />
Sempre nella stessa data, Inter Brand ha concesso in licenza d’uso il marchio alla<br />
squadra per 16 milioni l’anno. Successivamente il 9 giugno 2006 il marchio Inter è<br />
stato ceduto in pegno alla Banca Antonveneta, che ha erogato un finanziamento di<br />
120 milioni, regolato al tasso Euribor più 250 basis point. Il finanziamento è stato<br />
impiegato da Inter Brand per pagare il marchio alla casa madre; i restanti 38 milioni<br />
sono stati ricevuti dalla Srl a seguito di un aumento di capitale versato dalla squadra<br />
di <strong>calcio</strong>.<br />
Operazioni sul marchio sono state compiute, però, non solo dai club di vertice, ma<br />
anche da squadre dalla tradizione meno gloriosa, tant’è che la Sampdoria è stata la<br />
prima ad effettuare la cessione <strong>del</strong> brand nella stagione 2002/03. La squadra<br />
blucerchiata ha conferito il marchio alla società totalmente controllata Sampdoria<br />
Services Srl nell’aprile 2003 per un valore di 20 milioni di euro. L’operazione ha<br />
regalato una plusvalenza di pari importo al bilancio <strong>del</strong>la società di <strong>calcio</strong> al 30<br />
giugno 2003. Successivamente, il 14 giugno 2004 la società azionista <strong>del</strong>la Samp<br />
(San Quirico) ha comprato dalla squadra di <strong>calcio</strong> la società proprietaria <strong>del</strong> marchio,<br />
chiamata Sampdoria Holding. Quest’ultima, lo stesso giorno, ha acquistato da San<br />
Quirico l’intera quota (99.96%) <strong>del</strong>la società di <strong>calcio</strong>. Infine nel luglio 2005 il<br />
70
marchio è stato ceduto in leasing per sei anni alla Selmabipiemme (Mediobanca-<br />
Banca Popolare di Milano) per 25 milioni di euro.<br />
Nel giugno <strong>del</strong> 2006 la Covisoc, la commissione <strong>del</strong>la Figc incaricata di vigilare sui<br />
conti dei club professionistici, nel corso dei suoi ordinari controlli sui bilanci<br />
societari considerò la cessione <strong>del</strong> marchio a società controllate dal club stesso come<br />
un artificio contabile realizzato dagli azionisti per rimettere a posto i conti senza<br />
dover ricapitalizzare le società.<br />
La Consob <strong>del</strong> <strong>calcio</strong>, presieduta dal professor Cesare Bisoni, non dichiarò illegittime<br />
le operazioni di cessione <strong>del</strong> marchio, ma ne annullò gli effetti economici sul<br />
patrimonio minimo che le società dovevano avere per iscriversi al campionato.<br />
Questo significa che chi non avesse rispettato i parametri avrebbe dovuto ottenere<br />
una ricapitalizzazione dagli azionisti, altrimenti non avrebbe potuto iscriversi al<br />
campionato 2006/2007.<br />
In prima battuta la Covisoc fu molto dura con i club, in particolare, con Inter e al<br />
Milan, società alle quali venne richiesta una ricapitalizzazione per 100 milioni di<br />
euro a testa per coprire i buchi aperti dalle svalutazioni <strong>del</strong> D.L. 282/2002 che le due<br />
squadre avevano cercato di ripianare con cessioni <strong>del</strong> marchio a società interamente<br />
controllate. A seguito <strong>del</strong>le proteste dei club si giunse ad un compromesso, con la<br />
Covisoc che ricalcolò un bilancio pro forma in cui considerò non avvenute le vendite<br />
<strong>del</strong> marchio tra sé e sé cancellando dunque le plusvalenze. Nello stesso tempo, però,<br />
considerò anche come non avvenuto l’assorbimento <strong>del</strong> maxi-onere residuo <strong>del</strong>le<br />
svalutazioni per il “Decreto Salva-<strong>calcio</strong>”. Sia per l’Inter sia per il Milan venne<br />
quindi ricalcolato un ammortamento pari al 10% <strong>del</strong>la svalutazione iniziale (cioè 24<br />
milioni per il Milan e 31.9 milioni per l’Inter); la ricapitalizzazione richiesta fu così<br />
mitigata ed il problema <strong>del</strong>la copertura patrimoniale fu soltanto rinviato al futuro. In<br />
definitiva, il club presieduto da Massimo Moratti se la cavò con una<br />
ricapitalizzazione di circa 20 milioni di euro e il congelamento di altri 20 milioni di<br />
liquidità derivante dal <strong>calcio</strong>mercato; di importo leggermente inferiore è stata,<br />
invece, l’iniezione effettuata da Silvio Berlusconi nelle casse <strong>del</strong> Milan.<br />
La lievità di tale intervento punitivo spinse la Lazio e la Roma nell’estate 2006 ad<br />
optare per la stessa tipologia di manovra per poter coprire il deficit venutosi a creare<br />
con l’applicazione dei principi contabili internazionali in Borsa. Le società quotate,<br />
71
infatti, dovevano eliminare immediatamente dai bilanci gli oneri residui derivanti<br />
dalle svalutazioni operate nel 2003. Al 30 giugno 2006 la Lazio doveva ancora<br />
assorbire oneri per 127.7 milioni, la Roma per 80.2 milioni. Entrambi gli importi<br />
superavano il patrimonio netto: quello <strong>del</strong>la Lazio era pari a 29.6 milioni al 30<br />
giugno 2006, mentre alla stessa data la Roma aveva 67.8 milioni di patrimonio. Le<br />
due società decisero così di operare la rivalutazione <strong>del</strong> marchio attraverso il<br />
conferimento o la vendita ad una società controllata, ben consapevoli che, a meno di<br />
una cessione effettiva ad altri soci, tale operazione sarebbe risultata soltanto cartacea,<br />
rappresentando conseguentemente un puro abbellimento <strong>del</strong> bilancio. Il 29 settembre<br />
2006 il club biancoceleste presieduto da Claudio Lotito conferì alla Ss Lazio<br />
marketing communication Spa, interamente partecipata, il ramo d’azienda<br />
commerciale, valutato dal professor Giovanni Fiori in 95.36 milioni. Il Cda <strong>del</strong>la<br />
Roma, invece, approvò il progetto di valorizzazione <strong>del</strong> marchio l’11 ottobre 2006. Il<br />
brand <strong>del</strong>la società giallorosa fu valutato 127 milioni di euro secondo la perizia<br />
redatta dallo stesso professor Fiori. In particolare, il marchio <strong>del</strong>la Roma fu inserito<br />
nel ramo d’azienda che la società giallorosa decise di scorporare e conferire ad una<br />
nuova controllata, la Soccer di Brand management Sas. Dallo scorporo <strong>del</strong> marchio,<br />
secondo la perizia, la Roma trasse una plusvalenza di 127 milioni che fu iscritta nei<br />
conti societari. Si trattò, però, di un guadagno puramente cartaceo utile al solo<br />
ripianamento virtuale <strong>del</strong> buco in bilancio per il mercato azionario, perché non vi fu<br />
una vera vendita con relativa movimentazione di denaro. La società conferitaria <strong>del</strong><br />
marchio, infatti, era controllata dall’As Roma, tranne che per una quota<br />
infinitesimale di 10mila euro apportata dalla Brand Management Srl, che gestì la<br />
Soccer Sas come socio accomandatario.<br />
72
3 Il marketing calcistico e la gestione <strong>del</strong> brand<br />
3.1 L’analisi <strong>del</strong>la domanda<br />
Il marketing ha implicitamente sempre convissuto con lo sport sin da quando, già<br />
nella prima metà <strong>del</strong> Novecento, questo si è tramutato a tutti gli effetti in spettacolo<br />
con tanto di emissione in commercio di biglietti di ingresso che gli spettatori erano<br />
tenuti ad acquistare per poter assistere alle gare. Erano tempi in cui si pensava alla<br />
promozione degli eventi sportivi come ad una semplice prassi da assolvere, ma in<br />
realtà, seppur in forma latente ed inconsapevole, lo sport già in quella fase si era<br />
ritrovato ad utilizzare <strong>del</strong>le politiche di marketing al fine di proporsi alle folle. Man<br />
mano che questo rapporto si esplicitava, il marketing sportivo era guardato con<br />
sempre maggior sospetto perché considerato come un elemento in grado di<br />
contaminare i puri ideali sportivi. Oggi l’affermazione di questa disciplina,<br />
verificatasi anche grazie all’incontro tra diversi fattori quali sport, media, sponsor<br />
tecnici e commerciali, è dinanzi agli occhi di tutti. Il fenomeno è letteralmente<br />
esploso nel corso degli ultimi 20 anni con lo svilupparsi di nuove dinamiche<br />
economico-sociali e dei processi di globalizzazione, di digitalizzazione, di aumento<br />
<strong>del</strong> tempo libero e di crescita <strong>del</strong>l’attenzione al benessere e all’estetica <strong>del</strong> corpo.<br />
Come ogni nuovo fenomeno che si affaccia sul mercato globale, anche il marketing<br />
sportivo ha suscitato fin dal principio l’interesse <strong>del</strong> mondo finanziario, che è<br />
intervenuto investendo in questo campo e contribuendo così di fatto ad una sua<br />
ulteriore crescita incentivando l’attenzione di quelle masse un tempo concentrate<br />
esclusivamente sul carattere ludico <strong>del</strong>lo spettacolo.<br />
“Il marketing è un insieme di attività programmate, organizzate,<br />
controllate, che partono dall’analisi <strong>del</strong> mercato (sia <strong>del</strong>la domanda sia<br />
<strong>del</strong>la concorrenza) e si svolgono in forma integrata (a livello tanto infra-<br />
funzionale che inter-funzionale) al fine di raggiungere gli obiettivi<br />
aziendali di medio-lungo termine attraverso la soddisfazione <strong>del</strong><br />
cliente” 11 .<br />
11 Cherubini S., Eminente G., Il nuovo marketing in <strong><strong>It</strong>alia</strong>, F. Angeli, Milano 1997, p. 22<br />
73
Le principali tipologie di marketing applicato allo sport riguardano le società<br />
sportive, ma possono riguardare anche le diverse discipline in senso lato, i singoli<br />
atleti, i produttori di attrezzature e abbigliamento sportivo, i gestori di eventi<br />
agonistici, i produttori di beni che ritengono utile, in una forma o nell’altra, abbinare<br />
la loro attività, che deve essere sempre più competitiva nei mercati nazionali e<br />
internazionali, ad un mondo <strong>del</strong>lo sport che attualmente risulta altamente<br />
performante sotto il profilo <strong>del</strong>la promozione <strong>del</strong>l’immagine.<br />
I successi sportivi rappresentano il prodotto che viene venduto dai club mediante il<br />
marketing. Viene così a crearsi una sorta di circolo virtuoso tra sport e marketing,<br />
che produce dei vantaggi vicendevoli sia per la società sportiva che per le aziende<br />
sponsor. I benefici per le prime sono rilevabili nell’aumento <strong>del</strong> numero degli<br />
spettatori e nell’incremento <strong>del</strong>le entrate economiche, fattore quest’ultimo che<br />
garantisce un maggiore potere di spesa e permette un rafforzamento <strong>del</strong>la squadra per<br />
raggiungere gli obiettivi agonistici. I vantaggi per gli sponsor sono legati,<br />
essenzialmente, ad una maggiore visibilità <strong>del</strong> nome <strong>del</strong>l’azienda e ad un successivo<br />
incremento <strong>del</strong>le vendite.<br />
Il marketing <strong>del</strong>le società sportive risulta particolarmente interessante perché<br />
presenta una complessità di mercato molto consistente, non facilmente riscontrabile<br />
in altri contesti. Questa complessità è rappresentata dalla contrapposizione, ma anche<br />
dall’integrazione, tra mercato di massa e mercato di aziende, rispetto ai quali è<br />
necessario saper mettere in campo un’attività di marketing differenziata e integrata<br />
nello stesso tempo. Nel mass marketing ci sono tanti segmenti di riferimento che<br />
vanno gestiti in modo coerente. Innanzitutto i praticanti, che comunque sono<br />
importanti, perché se non c’è pratica difficilmente si diventa appassionati. Inoltre ci<br />
sono i tifosi attivi, quelli che si recano direttamente sul punto <strong>del</strong>la competizione, e i<br />
tifosi passivi, che sono sempre appassionati, ma che per molteplici motivi non si<br />
spostano e seguono le gare a distanza, in televisione, tramite i giornali o altri mezzi.<br />
Ci sono, poi, gli sportivi in generale e, infine, i non interessati, che rappresentano<br />
evidentemente la domanda più latente, più nascosta, che però non va trascurata<br />
perché in una logica di marketing può essere trasformata in una domanda emergente.<br />
Nel settore <strong>del</strong> business marketing ci sono logiche completamente diverse, in quanto<br />
i clienti sono aziende, non persone. Ci sono i produttori generici interessati alla<br />
74
sponsorizzazione diretta o a una utilizzazione <strong>del</strong> marchio nell’attività commerciale;<br />
ci sono gli editori, tv, radio, stampa. C’è il settore pubblicitario, che utilizza l’evento<br />
sportivo come momento pubblicitario di grande interesse e così via.<br />
Per ognuno degli ambiti scelti si deve formulare una strategia specifica rispetto ai<br />
segmenti di domanda e mettere a punto un’offerta che può essere, a seconda <strong>del</strong>la<br />
scelta, indifferenziata, differenziata o concentrata nei riguardi dei segmenti di<br />
domanda identificati come target.<br />
La definizione <strong>del</strong>la strategia di marketing avviene attraverso tre fasi, la prima <strong>del</strong>le<br />
quali viene definita <strong>del</strong> marketing analitico. Con questa espressione si intendono tutte<br />
quelle attività che devono permettere di decidere al meglio sulle scelte aziendali<br />
riguardanti il mercato. Ci si riferisce, in particolare, ad indagini di mercato, sondaggi<br />
d’opinione, questionari, che devono <strong>del</strong>ineare il mercato, le caratteristiche dei clienti<br />
e tutte le componenti che formano la domanda, in modo da allestire una strategia<br />
mirata calcolandone i vantaggi ed i rischi.<br />
La seconda fase è quella in cui si formula la strategia di mercato, e per questo viene<br />
definita fase <strong>del</strong> marketing strategico. Dopo aver analizzato i dati raccolti, l’azienda<br />
elabora una mappa <strong>del</strong> mercato ed un identikit <strong>del</strong> potenziale cliente e diviene quindi<br />
in grado di formulare l’offerta. Ovviamente tale offerta deve uniformarsi all’intera<br />
strategia societaria e deve esserne verificata la fattibilità.<br />
Appurato questo, si passa alla terza fase, quella <strong>del</strong> marketing operativo. In questo<br />
stadio vengono attivate le iniziative concordate in fase di elaborazione <strong>del</strong>la strategia,<br />
in particolare quelle comunicative e distributive. Vengono preparate le campagne<br />
promozionali <strong>del</strong> prodotto, con le quali si informa il cliente riguardo l’offerta e ci si<br />
accerta <strong>del</strong>la soddisfazione di quest’ultimo. Viene, inoltre, approntata la strategia di<br />
distribuzione <strong>del</strong> prodotto, in modo da coprire per intero il mercato, soddisfacendo<br />
così tutta la domanda.<br />
Da questa distinzione si evince, da un lato, come il marketing sia costituito da attività<br />
non separabili e, dall’altro, come una strategia di marketing non debba mai essere<br />
fine a se stessa, ma appartenente ad un progetto aziendale a lungo termine.<br />
Lo sport, e quindi anche il <strong>calcio</strong>, è un prodotto-servizio e come tale è caratterizzato<br />
da un suo mercato di riferimento che consiste nell’insieme dei rapporti che si<br />
instaurano tra produttori, distributori e destinatari finali <strong>del</strong> prodotto-servizio<br />
75
calcistico. Tale insieme rappresenta una dimensione sistemica, le cui variazioni<br />
dipendono fortemente dalle caratteristiche <strong>del</strong>l’ambiente e dalla situazione storica<br />
nella quale ci si trova ad operare. Il mercato che caratterizza lo sport e, nello<br />
specifico, il <strong>calcio</strong> appare complesso e si identifica in uno spazio in cui ciò che si<br />
produce e si vende è una combinazione di prodotti e servizi diversamente mescolati<br />
tra di loro. Emerge, allora, che ciò che si identifica con la definizione “prodotto-<br />
servizio calcistico” è un insieme complesso di servizi rivolti all’organizzazione <strong>del</strong>le<br />
iniziative calcistiche ed alla fruizione <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> come attività di entertainment. Le<br />
applicazioni <strong>del</strong>le tecniche di marketing al mondo <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> sono, quindi, finalizzate<br />
a sfruttare e a rendere più significativo il valore di mercato <strong>del</strong>la disciplina stessa.<br />
Il <strong>calcio</strong>, ai giorni nostri, rappresenta uno straordinario fenomeno di intrattenimento e<br />
comunicazione, capace di aggregare un significativo numero di investitori e di<br />
esercitare sull’immaginario collettivo un potere catalizzatore non paragonabile a<br />
quello tipico di nessun altro sport. Da questo deriva che la forza <strong>del</strong> messaggio<br />
promozionale ad esso abbinato si possa considerare ineguagliabile; accade così che la<br />
capacità attrattiva <strong>del</strong> fenomeno <strong>calcio</strong>, ai diversi livelli di penetrazione dei mercati,<br />
sia assolutamente interessante per le imprese manifatturiere o di servizi che, infatti,<br />
finiscono per utilizzarlo in qualità di canale di promozione e di comunicazione. Il<br />
peso specifico <strong>del</strong>la relazione “investitore-<strong>calcio</strong>-spettacolo” è reso ulteriormente<br />
significativo dalle nuove tecnologie applicate alla comunicazione, che consentono la<br />
trasmissione degli eventi calcistici con un audience, in taluni casi, di miliardi di<br />
persone.<br />
Gli attori principali <strong>del</strong> marketing calcistico sono i produttori, i distributori, i clienti<br />
finali e gli sponsor. Il marketing dei produttori verso i distributori si realizza quando<br />
le società calcistiche promuovono o vendono il prodotto <strong>calcio</strong> ai distributori. Uno<br />
degli esempi è stato, negli anni scorsi, quello <strong>del</strong>la Lega Calcio Professionisti che,<br />
come produttore intermedio, fungeva da intermediario <strong>del</strong>l’insieme <strong>del</strong>le società<br />
calcistiche <strong>del</strong>le serie maggiori rispetto ai mass media nella trattativa per la cessione<br />
dei diritti Tv.<br />
I distributori realizzano, invece, attività di marketing nei confronti dei produttori<br />
<strong>del</strong>lo spettacolo calcistico essenzialmente offrendo loro pacchetti di diffusione<br />
comprensivi di accordi con gli sponsor a condizioni molto vantaggiose. Un esempio<br />
76
concreto è quello di una grande società di distribuzione in grado di offrire elevati<br />
livelli di prestazione dovuti al fatto che la società stessa è parte di un gruppo<br />
comprensivo di numerosi canali di comunicazione. I media che si occupano <strong>del</strong>la<br />
distribuzione di manifestazioni calcistiche sviluppano, inoltre, iniziative di marketing<br />
rivolte agli sponsor, poiché si occupano, anche per conto <strong>del</strong> produttore, di vendere<br />
gli spazi pubblicitari associati allo specifico evento. Risulta essere di fondamentale<br />
importanza il marketing <strong>del</strong> distributore verso i clienti finali, dal quale molto spesso<br />
dipende il successo <strong>del</strong>l’evento calcistico. Il distributore, infatti, ha il compito di<br />
realizzare l’iniziativa di entertainment e di creare le condizioni affinché tale attività<br />
sia gradita dal pubblico prima <strong>del</strong> suo effettivo svolgimento.<br />
Gli sponsor entrano nella sequenza “produzione-distribuzione” <strong>del</strong>lo spettacolo<br />
calcistico acquistando i migliori spazi pubblicitari, così da diventare la principale<br />
fonte di finanziamento <strong>del</strong>la citata sequenza. Il <strong>calcio</strong>, in tal senso, offre l’opportunità<br />
di raggiungere un pubblico assai vasto che lo rende appetibile da parte di quelle<br />
imprese che intendono proporre sul mercato i loro diversi beni e servizi.<br />
L’esposizione <strong>del</strong> marchio è la prima fase <strong>del</strong>la sponsorizzazione, rispetto alla quale<br />
esistono passi successivi, che per uno sponsor tecnico consistono nel fare in modo<br />
che al pubblico giunga un messaggio positivo tramite i buoni risultati <strong>del</strong>la squadra o<br />
<strong>del</strong>lo specifico calciatore. Il marketing <strong>del</strong>lo sponsor verso il produttore, invece, si<br />
manifesta nelle situazioni in cui la società calcistica o il singolo atleta protagonista<br />
<strong>del</strong>l’evento, si trovano in una posizione di privilegio sul mercato. Ne consegue<br />
l’interesse degli sponsor a poter gestire lo sfruttamento <strong>del</strong>l’immagine dei produttori,<br />
offrendo loro non soltanto ulteriori occasioni di guadagno ma anche pacchetti di<br />
servizi differenziati.<br />
Gli attori facenti parte <strong>del</strong> sistema marketing calcistico non presentano connotati di<br />
staticità, ma assumono più ruoli all’interno <strong>del</strong>le varie fasi di gestione di un’attività<br />
di entertainment. Essi, inoltre, collaborano tra di loro, così da evidenziare diverse<br />
manifestazioni di concentrazione <strong>del</strong> potere, che talvolta è nelle mani dei produttori e<br />
talaltra nelle mani dei distributori o degli sponsor, anche se il vero potere appartiene<br />
ai clienti finali che, in ultima analisi, sono quelli che promuovono o bocciano le<br />
diverse iniziative relative all’attività di un marketing calcistico che, tenendo conto<br />
77
<strong>del</strong>le diverse relazioni che avvengono tra i diversi attori che lo compongono, si può<br />
considerare come un sistema equilibrato.<br />
È chiaro, però, che la sequenza “produzione-distribuzione-sponsorizzazione”<br />
<strong>del</strong>l’evento calcistico si potenzia solo se le relazioni tra gli attori coinvolti sono<br />
orientate alla fi<strong>del</strong>izzazione invece che alla sopraffazione. Seguendo queste strategie<br />
le società di <strong>calcio</strong> potranno ben presto avviarsi verso il raggiungimento di traguardi<br />
importanti come lo svincolo <strong>del</strong>la gestione dal risultato agonistico a breve termine, la<br />
presenza di investitori orientati a finanziare la società a lungo termine ed una<br />
maggiore coscienza sociale <strong>del</strong>l’azienda calcistica nei confronti <strong>del</strong>la comunità in cui<br />
essa opera. Purtroppo, come abbiamo già visto, le società calcistiche italiane, anziché<br />
diversificare il proprio business cercando nuove fonti di ricavo in attività correlate a<br />
quella principale, hanno sino ad oggi preferito abbellire i propri conti con<br />
l’escamotage contabile <strong>del</strong>le plusvalenze. Dal punto di vista <strong>del</strong> marketing, nei club<br />
italiani si è in presenza, quindi, di una “marketing miopia”, ovvero di una politica<br />
gestionale che tende a concentrare le proprie risorse e competenze esclusivamente<br />
sull’oggetto primario <strong>del</strong>la produzione, in questo caso i risultati <strong>del</strong> campo, relegando<br />
le strategie di marketing ad un ruolo di secondo piano; non si va così alla ricerca di<br />
nuovi bisogni e di nuovi clienti, preferendo mantenere l’offerta di un solo bene o di<br />
un solo servizio non adeguando la propria struttura organizzativa alle mutevoli<br />
situazioni di mercato. È questa una strada senza uscita che non porta né alla crescita,<br />
né allo sviluppo operativo dei club, che potrebbe invece avvenire, ad esempio,<br />
attraverso una corretta politica di product extension che implica lo sfruttamento di<br />
tutte le diverse opportunità di business offerte dal mercato, consentendo al<br />
management <strong>del</strong>le società di: introdurre un marketing mix idoneo a soddisfare meglio<br />
le esigenze <strong>del</strong> pubblico e degli investitori; costruire, sviluppare e diffondere una<br />
brand image più efficace; integrare la funzione di marketing con le altre funzioni<br />
aziendali; garantire sia la vitalità economica <strong>del</strong> club sia il soddisfacimento dei<br />
bisogni <strong>del</strong> consumatore/tifoso e <strong>del</strong> cliente/azienda.<br />
La product extension non costituisce un modo per distogliere il tifoso dai risultati<br />
<strong>del</strong>la squadra, bensì una strategia volta, non solo a massimizzare il rendimento <strong>del</strong>le<br />
opportunità di business, ma, attraverso ciò, anche a reperire quelle risorse<br />
economiche da impiegare per l’acquisto di giocatori in grado di soddisfare le<br />
78
ambizioni di tifosi stessi attraverso la vittoria di prestigiosi trofei sportivi. La<br />
funzione aziendale <strong>del</strong> marketing si pone, dunque, come punto di incontro tra i<br />
bisogni dei tifosi e quelli <strong>del</strong> club, offrendo a quest’ultimo possibili soluzioni per il<br />
contemporaneo soddisfacimento di tutti quei soggetti (network televisivi, partner<br />
commerciali, investitori, fornitori, tifosi, sportivi simpatizzanti) che con esso<br />
interagiscono.<br />
3.1.1 I tifosi<br />
I tifosi rappresentano la parte maggiormente caratteristica <strong>del</strong>la domanda <strong>del</strong>le<br />
società di <strong>calcio</strong>. Sono spettatori la cui domanda è particolarmente fe<strong>del</strong>e ed emotiva.<br />
È un luogo comune che in questo caso non si discosta dal vero quando si parla per i<br />
supporter di “fede”, un legame piuttosto solido che molte volte va oltre le politiche<br />
messe in atto dal club e i risultati <strong>del</strong>la squadra. Che il team vinca o perda, per i veri<br />
tifosi l’attaccamento, la lealtà verso la “maglia” non è mai in discussione. I colori<br />
<strong>del</strong>la casacca sono più importanti <strong>del</strong>la dirigenza, degli stessi calciatori che cambiano<br />
con il tempo. La tradizione, la storia <strong>del</strong> club sono i valori essenziali legati alla città<br />
rappresentata dalla squadra e dalla sua stessa tifoseria che si sente parte integrante<br />
<strong>del</strong> team. Questo tipo di clientela è lo zoccolo duro su cui possono contare le società<br />
di <strong>calcio</strong>, così importante da essere parte <strong>del</strong>l’offerta stessa sotto forma di coreografie<br />
e cori da stadio in occasione <strong>del</strong>la partita, <strong>del</strong>l’atmosfera che vi regna decisiva per il<br />
risultato stesso che la squadra può ottenere. La tifoseria è una domanda così<br />
particolare da convincere un allenatore a dimettersi perché lo contesta. La fe<strong>del</strong>tà di<br />
cui godono le squadre di <strong>calcio</strong> crea una vera e propria situazione di monopolio,<br />
tant’è che in Inghilterra l’appartenenza a un club, che è più ostentata rispetto<br />
all’<strong><strong>It</strong>alia</strong>, è tanto marcata da far sì che l’indossarne la maglietta rappresenti un<br />
autentico stile di vita. Le basi per una corretta segmentazione <strong>del</strong>la tifoseria derivano<br />
generalmente da quattro variabili: geografiche (luogo di residenza, centro grande o<br />
piccolo), demografiche (legate ai dati anagrafici, al reddito, alla religione,<br />
all’istruzione), psicografiche (classe sociale e stile di vita) e di comportamento<br />
(occasioni d’uso, vantaggi ricercati, fe<strong>del</strong>tà alla marca). In questi ultimi due ambiti<br />
operano i ricercatori qualitativi (o motivazionali), psicologi specializzati che<br />
intervistano, spesso utilizzando dei focus group, un campione piccolo, ma<br />
79
accuratamente scelto. In uno step successivo, portato avanti tramite una ricerca<br />
quantitativa, il campione è esteso a contesti più ampi di consumatori ed i questionari,<br />
somministrati in vari modi, come telefono, posta, e-mail o anche personalmente,<br />
permettono poi di capire se le tendenze emerse nei focus group sono condivise da un<br />
numero di persone più vasto e se sarà quindi il caso di realizzare o meno l’iniziativa<br />
che si è sottoposta a giudizio degli intervistati. In Inghilterra Manchester United ed<br />
Arsenal hanno spesso utilizzato una segmentazione di tipo geografico per orientare<br />
soprattutto le proprie politiche in tema di tour amichevoli estivi in giro per il mondo.<br />
3.1.2 Il Customer Relationship Management<br />
Il metodo di management strategico per le relazioni con la clientela, il Customer<br />
Relationship Management, conosciuto anche come CRM, è stato messo a punto dalla<br />
Gartner, società leader nella ricerca e nella consulenza legata all’Information<br />
Technology. È un sistema ideato per migliorare il rapporto con i consumatori <strong>del</strong><br />
servizio personalizzando la relazione al fine di incrementare la fi<strong>del</strong>izzazione dei<br />
propri utenti. <strong>Una</strong> corretta applicazione di tal metodologia è stata attuata dai francesi<br />
<strong>del</strong> Paris Saint Germain, i quali si posero l’obiettivo di incrementare i ricavi<br />
aumentando il numero di biglietti venduti e ricavando di più dal merchandising. La<br />
società parigina applicò la struttura <strong>del</strong> CRM in quattro fasi: semplificare,<br />
perfezionare ed espandere il servizio per i clienti; migliorare la lealtà <strong>del</strong>la tifoseria;<br />
estendere in profondità e ampiezza le relazioni business to business; ridurre i costi di<br />
produzione. Durante la prima fase furono sostituiti tutti i numeri di telefono <strong>del</strong> club<br />
con uno solo, gratuito, a disposizione dei supporter. In tre mesi furono istruiti addetti<br />
<strong>del</strong> call center per rispondere a domande sui biglietti e a richieste di informazioni<br />
sulla partita. Contemporaneamente furono aumentati il numero dei punti vendita dei<br />
negozi Psg, incluso uno a Champs-Elysees, e gli uffici per i biglietti. Per quanto<br />
concerne il secondo step fu invece creata la tessera Esprit Club, una carta fe<strong>del</strong>tà a<br />
punti per i fan più vicini alla squadra. Per estendere e ampliare le relazioni<br />
economiche furono necessari tre mesi in cui furono approfonditi i rapporti con i vari<br />
sponsor, mentre per ridurre i costi di distribuzione fu elaborato un nuovo sistema di<br />
sottoscrizione per la newsletter. Nel club parigino si verificarono tre grandi<br />
cambiamenti: culturale (verso un interesse comune nei riguardi dei tifosi), di<br />
80
marketing (dall’essere product oriented al customer oriented) e tecnologico. I<br />
risultati diedero ragione a chi aveva pensato al CRM, tant’è che i consumatori <strong>del</strong><br />
Psg si incrementarono al punto da poter vantare 20mila sottoscrittori <strong>del</strong>la newsletter,<br />
80mila iscritti al “Programma fe<strong>del</strong>tà” e 40mila nomi noti come tifosi regolari, con<br />
un significativo incremento mensile. Il club era in possesso dei dati personali di<br />
ciascun individuo. Lo scopo <strong>del</strong> 2005 è stato di avere un database di 300mila tifosi.<br />
Grazie ai dati ottenuti, nel 2002 e 2003 sono state avviate (via e-mail e sms per<br />
tenere bassi i costi, ridotti di 40mila euro) 18 diverse campagne segmentate per età,<br />
sesso, luogo di residenza, tipologia, selezionando il miglior obiettivo, prodotto e<br />
media per ciascuna offerta. Il risultato è stato un aumento di 500mila acquirenti di<br />
biglietti, più merchandising e ticket venduti. Le chiamate gestite sono circa 250mila<br />
all’anno, i possessori <strong>del</strong>la carta Esprit Club hanno priorità per i biglietti <strong>del</strong>le gare di<br />
cartello e possono acquistare online e via call center, per le gare meno invitanti i<br />
tifosi sono contattati via sms o e-mail e vengono offerte loro condizioni speciali. Un<br />
nuovo magazine è stato inoltre lanciato per la pubblicità a prezzi ridotti, anche grazie<br />
ad un tasso di sottoscrizione <strong>del</strong> 10% contro appena l’1% <strong>del</strong> passato. Gli introiti<br />
derivanti dalla supportership, uniti ai costi ridotti, hanno registrato<br />
complessivamente un aumento di quasi 600mila euro e, patrimonio forse ancor più<br />
importante, la customer satisfaction è migliorata. Il Psg ha cominciato a muoversi<br />
nella giusta direzione mostrando come si possa diminuire la dipendenza dai risultati<br />
creando una forte comunità intorno al club.<br />
3.2 La concorrenza<br />
La concorrenza, al pari <strong>del</strong>la domanda, rappresenta l’elemento base di una corretta<br />
analisi <strong>del</strong> mercato. Nel caso <strong>del</strong>le società calcistiche si possono distinguere tre<br />
diverse tipologie di concorrenza: diretta, indiretta e allargata.<br />
La concorrenza diretta è rappresentata da chi svolge lo stesso tipo di attività. I club<br />
sono tra loro concorrenti, anche se per le peculiarità dei consumatori <strong>del</strong> settore è<br />
piuttosto difficile che un tifoso si rivolga ad un’altra squadra. È possibile tuttavia che<br />
il fascino di una grande società faccia breccia nel cuore dei fan accanto alla<br />
formazione locale, magari militante in serie minori. All’interno <strong>del</strong>la concorrenza si<br />
formano ovviamente <strong>del</strong>le alleanze, spesso molto costruttive. Un esempio nel <strong>calcio</strong><br />
81
di vertice è costituito dal G14, il gruppo <strong>del</strong>le più grandi squadre europee che<br />
combatte battaglie nell’interesse comune, come il farsi corrispondere un indennizzo<br />
nel caso in cui un calciatore si infortuni in Nazionale.<br />
La concorrenza indiretta è relativa ad appassionati di altri sport. Le società di <strong>calcio</strong><br />
si trovano nell’“arena” sportiva insieme ai team di basket, volley, alla Formula 1 e a<br />
tutte le altre discipline. Gli Europei di <strong>calcio</strong> si svolgono nello stesso anno <strong>del</strong>le<br />
Olimpiadi, qualche partita di cartello di Champions League potrebbe coincidere con<br />
un importante torneo di tennis o un meeting di atletica leggera: i fan <strong>del</strong>le altre<br />
discipline saranno probabilmente costretti a scegliere a quale evento assistere e<br />
potrebbe essere il club di <strong>calcio</strong> a perdere il confronto. Anche in questo caso sono<br />
possibili partnership tra rappresentanti di sport diversi. Un esempio viene da Salerno,<br />
dove un gruppo di imprenditori ha dato vita al progetto Salernitana Sporting, nel<br />
quale 11 società sportive <strong>del</strong> territorio hanno dato vita a un marchio comune che<br />
nelle intenzioni dei fondatori intende sfruttare le potenzialità di un seguito molto più<br />
ampio di quanto ciascun team non è in grado di produrre da solo.<br />
La concorrenza allargata rappresenta invece il settore concorrenziale in cui sono<br />
coinvolte le società di <strong>calcio</strong> più all’avanguardia, l’entertainment. Come incamerare<br />
nuovi ricavi convogliando verso sé molteplici fonti di svago spiazzando le<br />
concorrenti con iniziative innovative che escano dal terreno di giuoco è la parola<br />
d’ordine di aziende come il Real Madrid. Gli spagnoli nel 2009 hanno annunciato di<br />
voler creare un parco tematico da 130 milioni di euro che dovrebbe sorgere in<br />
prossimità <strong>del</strong>la Ciudad deportiva de Valdebebas: aperto 24 ore su 24, al suo interno,<br />
insieme ad un’area prettamente ludica con tanto di montagne russe brandizzate ed<br />
altre attrattive simili, prevederà una serie di punti per il merchandising ufficiale,<br />
ristoranti, bar e sale multimediali. Un progetto che il presidente Florentino Perez ha<br />
intenzione di esportare anche a Pechino e Miami, due bacini di utenza dalle<br />
grandissime potenzialità.<br />
In tutti i casi di concorrenza presi in esame una corretta gestione di marketing<br />
presuppone il monitoraggio <strong>del</strong> pubblico e <strong>del</strong> livello di costi e ricavi, ma non solo; è<br />
necessario, infatti, andare oltre osservando con attenzione le attività proprie ed altrui<br />
attraverso indici quali la quota di mercato, ad esempio il rapporto percentuale tra le<br />
proprie vendite (spettatori presenti allo stadio o da casa attraverso i vari mezzi di<br />
82
trasmissione) e il totale <strong>del</strong> mercato (ad esempio tutti gli spettatori stagionali <strong>del</strong><br />
campionato o l’audience totale). Il calcolo <strong>del</strong>la quota di mercato permetterà di<br />
depurare i risultati: proseguendo con l’esempio degli spettatori, filtrerà il dato dagli<br />
effetti di espansione e contrazione generali in un determinato periodo. In termini<br />
pratici, se tutti i concorrenti hanno attraversato un periodo di flessione a causa di una<br />
crisi economica, se la propria quota di mercato dovesse restare stabile, questa<br />
rappresenterà un indice positivo. Potrebbe succedere ancora che, ad esempio, gli<br />
incassi siano in crescita perché frutto di un aumento <strong>del</strong> prezzo dei biglietti, mentre la<br />
quota di spettatori è in diminuzione. In questi casi bisogna valutare con attenzione se<br />
per i club sia più positivo mantenere un alto livello di presenze allo stadio incassando<br />
meno o massimizzare gli introiti economici puntando su chi è disposto a spendere<br />
cifre più elevate.<br />
La quota di mercato relativa prende come punto di riferimento la società leader <strong>del</strong><br />
settore. Utili, in un’ottica di miglioramento costante in chiave di politiche di<br />
gestione, risultano anche le osservazioni sui benchmark, le realtà d’eccellenza<br />
mondiali.<br />
Da tenere sott’occhio sono anche il tasso di penetrazione, il rapporto tra clienti<br />
effettivi e potenziali, quindi la misura <strong>del</strong> grado di accettazione <strong>del</strong> mercato. Tra le<br />
opzioni utili per il controllo vi è anche il marketing audit, l’esame <strong>del</strong>le attività<br />
aziendali, con tanto di voto finale, svolto da un’entità indipendente che tiene sotto<br />
controllo tutti gli elementi in maniera sistematica e periodica. In genere a tal fine<br />
sono utilizzati strumenti come check-list, ratios o quozienti. Dopo aver raccolto e<br />
valutato i dati, decisi gli obiettivi e fatte le scelte operative, bisogna inoltre prendere<br />
in considerazione <strong>del</strong>le soluzioni alternative: what if, cosa accadrebbe se si fissassero<br />
ad esempio prezzi dei biglietti più alti? Come reagirebbero i frequentatori saltuari<br />
<strong>del</strong>lo stadio a una campagna pubblicitaria o promozionale che ne incentivasse la<br />
presenza? In questi casi, prima di mettere in atto i cambiamenti, è necessario<br />
svolgere dei pre-test, sia a carattere qualitativo che quantitativo, per valutare il<br />
gradimento <strong>del</strong> pubblico.<br />
83
3.3 Le “4 P”: peculiarità <strong>del</strong>le squadre di <strong>calcio</strong><br />
Come in tutte le attività di marketing, anche per il servizio sportivo è possibile<br />
utilizzare lo strumento di marketing <strong>del</strong>le “4 P”: prodotto, prezzo, distribuzione<br />
(place) e promozione. Siamo nell’ambito operativo, l’analisi di campo è stata svolta,<br />
le scelte strategiche sono state fatte ed è il momento di mettere in pratica quanto si è<br />
stabilito.<br />
Il prodotto. Per ciascuno dei diversi pubblici va predisposto un marketing mix, una<br />
combinazione <strong>del</strong>le “4 P”, differente, in relazione alle varie tipologie di aspettative:<br />
al tifoso, infatti, interessa il risultato, all’appassionato interesserà uno spettacolo<br />
tecnicamente valido, a chi si avvicina al <strong>calcio</strong> per le prima volta basterà divertirsi.<br />
Ai fan, al nocciolo duro, la parte di clientela più fe<strong>del</strong>e, il club vende qualcosa in più<br />
di uno spettacolo o una partita, mette a disposizione un prodotto in cui ci si identifica<br />
per “fede”. Le 80mila persone che nell’estate 1984 affollarono gli spalti <strong>del</strong>lo stadio<br />
San Paolo di Napoli versando nelle casse societarie un miliardo di lire soltanto per<br />
veder palleggiare il nuovo acquisto argentino Diego Armando Maradona o i 50mila<br />
laziali che nell’estate 1992 andarono allo stadio Olimpico di Roma per vedere il<br />
neoacquisto Paul Gascoigne ancora con le stampelle, sono esempi abbastanza chiari<br />
di quanto sia importante il prodotto <strong>calcio</strong> per gli individui e i loro sogni. Il tifoso è<br />
molto legato all’aspetto emotivo, a gioie e sofferenze che la tv non è in grado di<br />
trasmettere con la stessa enfasi propria <strong>del</strong>lo stadio. La capacità da parte di un club di<br />
mettere in pratica un <strong>calcio</strong> divertente è fondamentale in questo contesto, come<br />
dimostra il caso <strong>del</strong> Manchester United, che ha costruito dagli anni ’60 la propria<br />
fama di formazione glamorous, affascinante. Oggi la società conta 53 milioni di<br />
tifosi nel mondo, anche grazie alla costante attività di marketing. Ma non è soltanto il<br />
legame particolare tra club e tifosi la peculiarità <strong>del</strong>le società di <strong>calcio</strong>. Se infatti<br />
caratteristica particolare <strong>del</strong>le aziende di servizi è il controllo solo parziale su ciò che<br />
offrono, aspetto che determina un esito non preventivabile a priori come avviene<br />
invece per i prodotti tangibili, per i club calcistici questa situazione è ancora più<br />
marcata. Difficilmente si troveranno altri settori commerciali in cui chi eroga il<br />
servizio ha un potere così limitato sul suo esito. La storia <strong>del</strong>lo sport offre numerosi<br />
esempi di imprenditori che hanno investito cifre molto elevate per raccogliere poco<br />
in termini di vittorie sportive. È la variabile atipica <strong>del</strong> <strong>calcio</strong>: i fattori imponderabili<br />
84
sono molti e incontrollabili, da un rimbalzo irregolare <strong>del</strong> pallone a una giornata no<br />
dei propri giocatori, <strong>del</strong>l’arbitro e dei suoi assistenti, a un “tiro <strong>del</strong>la domenica” di un<br />
avversario.<br />
La distribuzione. Per quanto concerne invece la distribuzione, ci si riferisce sia ai<br />
luoghi dove vengono venduti i biglietti per le partite sia ad altri canali, oltre a quello<br />
tradizionale <strong>del</strong>lo stadio, che vengono utilizzati per vendere il servizio (tv, radio,<br />
cellulari, siti internet). Riguardo alle partite live, è interessante il caso <strong>del</strong>la Juventus,<br />
che per avvicinarsi alla massa di tifosi che ha in tutta <strong><strong>It</strong>alia</strong> ha spesso in passato<br />
giocato al sud anche partite importanti. La vendita dei biglietti avviene oggi in luoghi<br />
disparati, non più soltanto allo stadio. I club incaricano infatti agenzie che fruiscono<br />
dei diritti di prevendita e si potrebbe addirittura ipotizzare un “acquisto di impulso”<br />
come quello di prodotti ad alto tasso di emotività, piazzando i tagliandi vicino alle<br />
casse dei supermercati, come quei prodotti, tipicamente a basso costo, la cui<br />
decisione d’acquisto matura direttamente sul punto vendita. A tal proposito, ancora<br />
alla Juve, hanno pensato a ticket-dispenser mobili, erogatori automatici di biglietti,<br />
da piazzare dove c’è grande affluenza come, appunto, i centri commerciali. Altra<br />
realtà concreta è inoltre la possibilità di acquistare i biglietti al telefono oppure<br />
online. L’Aston Villa, squadra di Birmingham, ha testato un sistema grazie al quale<br />
ogni tifoso riceverà via sms informazioni sul numero di posto assegnato attraverso un<br />
codice a barre. Al momento <strong>del</strong>l’ingresso allo stadio, al tifoso basterà mostrare il<br />
messaggio e gli addetti alla sicurezza lo registreranno attraverso uno scanner. Al<br />
Barcellona hanno pensato a una sorta di biglietto last minute ribattezzato seient<br />
lliure: chi non può andare allo stadio può temporaneamente affittare il proprio posto<br />
usufruendo di uno sconto sulla sottoscrizione agli abbonamenti successivi. In forte<br />
ascesa è la distribuzione televisiva che fra canali digitali satellitari e terrestri, tv in<br />
chiaro e tecnologia streaming che permette di trasmettere tramite pc, rappresenta una<br />
fonte di ricavo determinante per le casse societarie.<br />
Il prezzo. Quando si parla di prezzo si deve sottolineare il come non si intenda solo<br />
l’esborso finanziario, ma il sacrificio economico che il cliente deve sostenere per<br />
usufruire <strong>del</strong> servizio. È la variabile che cambia meno rispetto agli altri settori<br />
aziendali, rispondendo anch’essa alle leggi <strong>del</strong>la domanda e <strong>del</strong>l’offerta. Il <strong>calcio</strong> è<br />
tradizionalmente interclassista: all’interno <strong>del</strong>lo stadio la gamma di prezzi per diversi<br />
85
settori è ampia. Il tifo per una squadra è un potente fattore di inelasticità, poiché a un<br />
dato variare <strong>del</strong> prezzo la fe<strong>del</strong>tà <strong>del</strong> tifoso rimane inalterata. Un fattore che gioca in<br />
favore di chi elabora i prezzi è il fatto che la partita in sé rappresenta un evento<br />
unico, in quanto chi la perde sa che non avrà mai più la possibilità di rivivere quel<br />
momento nelle medesime condizioni.<br />
Ogni categoria di utente, come detto, ha il suo posto ideale allo stadio. Le Curve per<br />
chi vuole vivere l’atmosfera da ultras o per chi vuole spendere meno. Le Tribune, più<br />
centrali rispetto al campo, per gli altri: la visibilità sarà migliore, rimanendo lontani<br />
dall’agitazione <strong>del</strong>le curve. Di mezzo vi è il settore Distinti, che, spesso a parità di<br />
vista, risulta più economico rispetto alle tribune perché non offre i medesimi comfort<br />
in termini di accoglienza e comodità varie. Le diversificazioni nella vendita dei<br />
biglietti sono uno strumento molto utilizzato anche in termini di offerte per portare<br />
allo stadio donne, bambini o attrarre gli appassionati anche in occasione di partite<br />
meno allettanti sotto il profilo spettacolare. Altra iniziativa di differenziazione dei<br />
prezzi è il diritto di prelazione, che dà la possibilità agli abbonati <strong>del</strong>la stagione<br />
precedente sia di acquistare prima degli altri le tessere <strong>del</strong>la nuova stagione<br />
garantendosi lo stesso posto sia di godere <strong>del</strong> diritto di precedenza per l’acquisizione<br />
dei biglietti, inerenti il posto solitamente occupato in campionato, in occasione, ad<br />
esempio, <strong>del</strong>le partite di coppa. Esistono inoltre anche agevolazioni finanziarie come<br />
la possibilità di pagare gli abbonamenti in forma rateale.<br />
In <strong><strong>It</strong>alia</strong>, come si evince dalla Tabella 7, molte società hanno adottato per la stagione<br />
2010/11 una politica dei prezzi elastica che varia in riferimento alla partita di<br />
giornata 12 . Il Bari, ad esempio, ha suddiviso le avversarie in due fasce: la 1, che<br />
comprende Juventus, Milan, Inter, Roma, Lecce e Napoli, e la 2, che annovera invece<br />
tutte le altre. Se per un incontro di fascia 2 un biglietto per la Curva costa 18 euro,<br />
per un match di primo piano il prezzo salirà a 22.50 euro.<br />
Un rincaro minimo se si considera che il Palermo, che ha optato per tre fasce (A:<br />
Inter, Juventus, Milan; B: Catania, Fiorentina, Napoli, Roma; C: le altre), prevede un<br />
incremento dei costi dai 9 ai 40 euro per il medesimo settore, con la Tribuna d’onore<br />
che tocca il picco dei 250 euro nelle grandi occasioni. Differente è il caso <strong>del</strong> Napoli:<br />
la società partenopea non ha reso note tabelle informative su categorizzazioni di sorta<br />
12 I dati presi in considerazione sono stati estrapolati dai siti ufficiali dei club esaminati.<br />
86
nell’estate 2010, lasciandosi così il diritto di decidere di settimana in settimana i<br />
prezzi.<br />
Tabella 7 – Alcuni esempi <strong>del</strong>le politiche dei prezzi da stadio in <strong><strong>It</strong>alia</strong><br />
Club<br />
Prezzi Tribune d’onore<br />
(da - a)<br />
87<br />
Prezzi Distinti<br />
(da - a)<br />
Prezzi Curve<br />
(da - a)<br />
Inter 365 – 385 euro 88 – 100 euro 37 – 47 euro<br />
Milan 275 – 280 euro 71 – 87 euro 34 – 43 euro<br />
Napoli 79 – 149 euro 19 – 44 euro 9.50 – 21.50 euro<br />
Palermo 170 – 250 euro 25 – 70 euro 9 – 40 euro<br />
Bari 60 – 80 euro 30 – 40 euro 18 – 22.50 euro<br />
Fonte: Nostra indagine diretta aprile 2011.<br />
Contro il Lecce si è così assistito all’applicazione di tariffe definite “popolari”, con le<br />
Curve che costavano 9.50 euro, i Distinti 19 e la Tribuna d’onore 79 euro, mentre nel<br />
caso di partitissime come contro il Milan i costi dei medesimi settori hanno toccato<br />
rispettivamente quota 21.50, 44 e 149 euro. Singolare è inoltre il caso di Inter e<br />
Milan, due club di egual prestigio che utilizzano lo stesso stadio, San Siro,<br />
prediligendo politiche di prezzo alquanto differenti. I nerazzurri, in particolare,<br />
hanno sfruttato l’entusiasmo derivante dalla strepitosa stagione 2009/10, con il<br />
famoso Triplete che ha portato nella bacheca di via Durini Champions League,<br />
scudetto e Coppa <strong><strong>It</strong>alia</strong>, proponendo tariffe che vanno dai 37 euro per la Curva ai 365<br />
per la Tribuna d’onore in occasione di incontri di Fascia B, ai 47 ed ai 385 euro in<br />
concomitanza <strong>del</strong>le sfide con Milan, Juventus, Udinese e Roma. In questi casi, tra<br />
l’altro, il patron Massimo Moratti ha revocato l’adozione di qualsiasi opzione ridotta.<br />
Più economiche, seppur in lieve scala, sono invece le possibilità proposte dal Milan,<br />
che vanno dai 34 euro <strong>del</strong>la Curva ai 275 <strong>del</strong>la Tribuna d’onore in caso di partite<br />
considerate meno allettanti, sino agli incrementi minimi di 43 e 280 euro adottati<br />
contro Inter e Juventus. I “Diavoli” si sono poi concessi il privilegio di poter decidere<br />
di cambiare le tariffe durante il torneo.<br />
La promozione. Per favorire il successo di tali iniziative sono necessarie anche<br />
attività di promozione e pubblicità. In tal contesto è stata molto interessante la carta<br />
di credito Barclaycard, studiata dalla banca sponsor <strong>del</strong>la Premier League inglese, la
Barclay, e Sky, insieme alla lega <strong>del</strong>le squadre: grazie a questa azione di co-<br />
marketing gli appassionati hanno avuto a disposizione uno strumento di credito per<br />
l’acquisto dei match. Un’iniziativa promozionale di co-marketing tra più soggetti, di<br />
alleanza tra competitors, che è al contempo anche pubblicitaria, visto che veicola i<br />
nomi di Barclays, Sky, Premier League e <strong>del</strong>le squadre scelte da chi acquista gli<br />
incontri. Un altro strumento, quello <strong>del</strong> web-marketing, è stato utilizzato con<br />
successo dalla Sampdoria, che ha inviato 6mila e-mail ai tifosi registrati fornendo<br />
una serie di informazioni sui nuovi pacchetti d’abbonamento. Oltre 2mila hanno<br />
risposto chiedendo ulteriori informazioni commerciali. Un’analisi molto interessante<br />
sul mercato calcistico è stata elaborata dalla compagnia americana A.T. Kearney 13 ,<br />
che suddivide lo sviluppo di un club in cinque fasi: “fattoria di allevamento”,<br />
“concorrente di livello nazionale”, “stella di livello nazionale”, “concorrente di<br />
livello internazionale”, “marchio affermato a livello internazionale”. Cinque step, di<br />
cui tre (il primo, il terzo ed il quinto) rappresentano mo<strong>del</strong>li di sviluppo sostenibile,<br />
mentre gli altri due momenti sono di transizione. Ciascun livello raggiunto dal club<br />
avrà caratteristiche proprie, obiettivi chiave da raggiungere, fonti di introito, forze,<br />
debolezze, minacce ed opportunità. Non è detto che si debba o voglia per forza salire<br />
di livello, tant’è che secondo A.T. Kearney si può rimanere dove si è perché quello è<br />
il punto migliore di equilibrio tra entrate e uscite ed è in grado di produrre un<br />
appropriato profitto. <strong>Una</strong> “fattoria di allevamento” è generalmente un club piccolo<br />
con nessuna ambizione di raggiungere importanti risultati agonistici e che trae le<br />
risorse da quanto riceve per la vendita dei calciatori che “alleva” in casa. Avrà quindi<br />
una ben organizzata scuola <strong>calcio</strong> e non avrà altra sfida se non quella di allestire una<br />
rete che consenta di continuare a scoprire, “allevare” e vendere i migliori giovani. In<br />
<strong><strong>It</strong>alia</strong> una società che attua questo tipo di politica è l’Atalanta. Tra il primo e il terzo<br />
step troviamo la prima fase di passaggio che è quella <strong>del</strong> “concorrente di livello<br />
nazionale”, un momento di transizione caratterizzato da successi stabili nel proprio<br />
paese, occasionale presenza nelle coppe europee, dal divenire polo d’attrazione per<br />
calciatori nazionali importanti, dall’allargamento <strong>del</strong>la tifoseria non ristretta più solo<br />
ad una base locale e dall’ampliamento dei profitti dalla sola vendita dei giocatori a<br />
quella dei diritti tv e alle sponsorizzazioni. La seconda fase di mo<strong>del</strong>lo di successo è<br />
13 Kearney A.T. Playing for profits, Chicago 2004.<br />
88
quella <strong>del</strong>la “stella di livello nazionale”: un club che finisce nei primi posti <strong>del</strong> suo<br />
campionato, partecipa regolarmente alle competizioni europee e ha successo a livello<br />
commerciale nel suo paese. È questo un livello di mezzo, in cui si può ambire a<br />
divenire una società di successo anche in Europa, ma si rischia di cadere in basso<br />
anche nel proprio paese per la competizione dei club internazionali<br />
nell’accaparramento dei migliori giocatori. Un livello rischioso in cui si trova da anni<br />
la società norvegese <strong>del</strong> Rosenborg. Quarto step, e secondo di passaggio, è quello <strong>del</strong><br />
“concorrente di livello internazionale”, il quale riuscirà ad ottenere periodici successi<br />
in Europa, attrarrà campioni e tifoseria anche da altri paesi, ambirà a diventare una<br />
entertainment company e ad incrementare il livello dei profitti dalla compravendita<br />
di giocatori e dai diritti Tv ad altre fonti di introiti. A diventare quindi una star<br />
internazionale, un marchio di successo non solo calcistico. Tra gli esempi <strong>del</strong>l’A.T.<br />
Kearney vi sono il Manchester United, che è riuscito a salire tutti i cinque gradini <strong>del</strong><br />
successo in un decennio, il Real Madrid e le italiane Juventus e Milan. Non sono più<br />
solo club di <strong>calcio</strong>, ma nomi riconoscibili come altri marchi internazionali <strong>del</strong> tipo di<br />
Adidas o Nike. Elementi chiave in questo processo di crescita sono il possesso <strong>del</strong>lo<br />
stadio, come nel caso <strong>del</strong>le formazioni inglesi, e di altre strutture in grado di generare<br />
introiti sia calcistici che extra-calcistici, l’espansione in mercati meno saturi, la<br />
creazione di un marchio che abbia appeal anche al di là <strong>del</strong> tradizionale mercato <strong>del</strong><br />
<strong>calcio</strong> e lo sviluppo di forme di introito non tradizionali come, ad esempio, la vendita<br />
di contenuti digitali o di scommesse.<br />
3.4 Gli stadi<br />
Negli ultimi anni lo stadio sta modificando la propria funzione storica e si sta<br />
trasformando in una struttura atta ad appagare differenti bisogni, ricoprendo di fatto<br />
un ruolo determinante nella politica dei ricavi dei club.<br />
Il management di uno stadio, considerato come elemento marketing oriented, colloca<br />
al centro dei suoi interessi la persona, in particolare lo spettatore-cliente. Si<br />
interagisce con diversi soggetti, tra cui le aziende ed i media attirati dallo stesso<br />
target di clientela.<br />
È basilare per il management la pianificazione e il perseguimento di quattro categorie<br />
di obiettivi: economici, sociali, ambientali, fisici. Solo con un mix di tali componenti<br />
89
lo stadio potrà sviluppare in modo efficiente il suo potenziale verso la totalità <strong>del</strong>le<br />
platee di riferimento.<br />
Gli obiettivi economici riguardano principalmente gli investimenti necessari per<br />
garantirne lo sfruttamento, in aggiunta a quelli utilizzati per concepirlo e per<br />
realizzarlo. Bisogna lavorare dunque sui servizi, perché il traguardo ultimo riguarda<br />
la generazione di interesse e la soddisfazione dei clienti (sia aziende che semplici<br />
spettatori) che creeranno ricavi.<br />
Per gli obiettivi sociali, è un dato di fatto che durante i grandi avvenimenti sportivi<br />
internazionali come i Mondiali, gli Europei e la finale di Champions League, la<br />
stragrande maggioranza degli spettatori non può essere presente all’interno<br />
<strong>del</strong>l’impianto. Di conseguenza, quando si effettua la progettazione è importante<br />
ricordare che ci si rivolge a due categorie di pubblico: quelli che assistono dal vivo<br />
all’evento e quanti lo seguono soprattutto attraverso i nuovi mezzi di comunicazione.<br />
Un esempio significativo è quello <strong>del</strong> Bayern Monaco. Il club tedesco, che gioca<br />
all’Allianz Arena, ha messo a punto un format speciale per la cartellonistica a bordo<br />
campo, dando risalto alle partnership con il suo pool di sponsor. Un team di registi<br />
televisivi, inoltre, ha esaminato la rotazione dei marchi e l’angolazione <strong>del</strong>le riprese.<br />
Il rettangolo di gioco è stato così trasformato in un’arena nella quale lo spettacolo è<br />
rappresentato dall’incontro di <strong>calcio</strong>. La visibilità <strong>del</strong>le insegne dura tra i 40 ed i 120<br />
secondi, valorizzando al massimo la zona <strong>del</strong>le porte o dei calci d’angolo, senza<br />
dimenticare l’utilizzo sempre più esteso dei banner pubblicitari tridimensionali.<br />
Riguardo gli obiettivi ambientali, la decisione di collocare un impianto all’interno di<br />
un contesto adeguato crea visibili vantaggi dal punto di vista economico e<br />
territoriale.<br />
Raggiungere gli obiettivi fisici, invece, vuol dire incrementare il livello di comfort<br />
degli spettatori soprattutto attraverso degli interventi di tipo tecnologico, tra cui<br />
l’installazione di postazioni telefoniche multifunzionali e di servizi per il controllo<br />
<strong>del</strong> flusso di persone, la dotazione di sedili ergonomici, la semplicità dei pagamenti<br />
al suo interno, l’offerta di servizi differenti ed utilizzabili dalla globalità <strong>del</strong>le fasce<br />
di pubblico.<br />
Fattori critici per un’amministrazione corretta e bilanciata di un impianto sono anche<br />
i costi di gestione, tanto importanti da poterne determinare il successo economico e<br />
90
gestionale o il fallimento. Al giorno d’oggi la sfida è arrivare ad un impianto<br />
innovativo ed efficiente riuscendo a contenere i costi; la previsione, il controllo ed il<br />
governo di queste voci sono essenziali per mantenerlo in vita anche nel futuro ed è<br />
basilare che l’analisi di marketing le valuti per determinare la gestione più adeguata e<br />
coerente con gli obiettivi prestabiliti. L’intenzione odierna è di rendere la struttura<br />
un’area aperta e visitata in maniera stabile durante tutto il corso <strong>del</strong>la settimana. La<br />
sua gestione necessita principalmente di due attività: la conduzione e<br />
l’organizzazione. La prima include il facility management, cioè l’insieme di tutte<br />
quelle attività indirizzate a conservare in ottime condizioni l’impianto, a mantenerlo<br />
appetibile dal punto di vista <strong>del</strong> marketing e a offrire servizi di sostegno per<br />
l’organizzazione degli avvenimenti. La capacità di pianificare in maniera ottimale<br />
l’attività di marketing, di porre in essere obiettivi perseguibili, di integrare tra di loro<br />
le attività, permette di dar vita ad un circolo virtuoso in grado di portare ad un esito<br />
positivo nella gestione <strong>del</strong>lo stadio. Lo sviluppo tecnologico in tal contesto ricopre<br />
un ruolo integrante. La realizzazione <strong>del</strong>le piattaforme pay-tv e <strong>del</strong> digitale terrestre<br />
ed il successivo notevole accrescimento dei diritti Tv pagati alle società hanno<br />
condizionato in misura considerevole la struttura e l’utilizzo degli impianti. Le<br />
necessità <strong>del</strong>le emittenti televisive, in particolare, implicheranno sempre più la<br />
progettazione e la realizzazione di stadi più piccoli e con le tribune il più possibile<br />
vicine al campo da gioco. Un esempio significativo <strong>del</strong>l’impatto <strong>del</strong>la tecnologia è<br />
rappresentato dallo stadio di Sapporo in Giappone, ideato ed edificato in occasione<br />
dei Mondiali <strong>del</strong> 2002, la cui caratteristica distintiva riguarda il terreno da gioco.<br />
Quest’ultimo, di 120 x 84 m, è stato adagiato su cuscinetti d’aria posti all’esterno, i<br />
quali danno la possibilità di spostarlo ad una velocità di quattro metri al secondo. Al<br />
fine di condurre il manto erboso dentro lo stadio furono predisposte due grandi<br />
aperture posizionate sotto le tribune che permettono di introdurlo per lo svolgimento<br />
<strong>del</strong>le partite. Al termine <strong>del</strong> match viene ricondotto all’esterno onde lasciare libero<br />
l’impianto, in modo da poter ospitare altri eventi sportivi e non. Ciò consente al<br />
terreno da gioco di preservarsi da danneggiamenti, con il vantaggio di essere sempre<br />
in ottime condizioni.<br />
La tecnologia applicata ad un impianto implica anche l’incremento <strong>del</strong>la<br />
soddisfazione sia dei frequentatori abituali che di quelli occasionali, poiché viene<br />
91
percepito come più vicino al cliente e adatto ad appagare i suoi bisogni e le sue<br />
aspettative. È un fattore essenziale, inoltre, per poter sviluppare politiche di co-<br />
marketing e attività di public relations nei confronti dei partner, degli sponsor, <strong>del</strong>le<br />
aziende e degli investitori, permettendo di installare sale per conferenze, per meeting,<br />
per promozioni e per ricevimenti, oltre a <strong>del</strong>le hospitality box e suite all’avanguardia,<br />
efficienti ed equipaggiate dei più moderni comfort.<br />
L’area dei servizi registra le novità più significative, come l’innovativo progetto<br />
Wireless Arena. La proposta è stata messa a punto da H3G in collaborazione con la<br />
società <strong>del</strong>l’Internazionale per realizzare un servizio personalizzabile che permetta ai<br />
vari segmenti di clientela (addetti alla sicurezza, giornalisti, spettatori), mediante<br />
l’utilizzo di un computer palmare con tecnologia Wi-Fi, di usufruire di varie<br />
possibilità. Un altro sistema degno di attenzione è il Dial4snax, che permette, durante<br />
l’evento, di effettuare ordinazioni di articoli <strong>del</strong> merchandising dalla propria<br />
postazione, ottenendone la consegna presso la medesima. Un servizio addizionale<br />
offerto dalla Dial4snax è il Suite Shop, che permette ai clienti <strong>del</strong>le luxury suite di<br />
ordinare gli articoli <strong>del</strong> merchandising utilizzando il monitor televisivo standard.<br />
3.4.1 Il co-marketing e la cessione dei naming rights<br />
Nell’ottica di una corretta gestione economica di uno stadio, ha notevole importanza<br />
il co-marketing, ovvero<br />
“il processo mediante il quale due o più operatori, privati o pubblici,<br />
svolgono in partnership una serie d'iniziative di marketing (organizzate,<br />
programmate, controllate) al fine di raggiungere obiettivi di marketing<br />
(comuni o autonomi ma tra loro compatibili), attraverso la soddisfazione<br />
dei consumatori” 14 .<br />
Alla base di questo approccio vi è la presa di coscienza che la ricerca costante <strong>del</strong><br />
miglioramento e <strong>del</strong>la soddisfazione <strong>del</strong> cliente possono essere conseguite solo in<br />
parte se si agisce da soli. In un mercato sempre più competitivo la singola<br />
14 Cherubini S., Canigiani M., Il co-marketing sportivo. Strategie di cooperazione nel mercato<br />
sportivo, F. Angeli, Milano 2000, p. 18<br />
92
organizzazione trova difficoltà a raggiungere in maniera isolata il proprio target di<br />
riferimento. L’instaurazione e lo sviluppo di relazioni di cooperazione richiede dei<br />
processi di adeguamento vicendevole, di coordinamento e di condivisione, che<br />
permettono l’interazione <strong>del</strong>le risorse e <strong>del</strong>le attività degli attori coinvolti, dei<br />
processi di apprendimento reciproco, nonché di un avvicinamento culturale tra le<br />
parti, anche se è fondamentale che le diversità siano preservate e rispettate.<br />
Tra i fattori di successo di un’iniziativa di co-marketing vi sono il livello di<br />
organizzazione <strong>del</strong>lo sponsee, la disponibilità di una struttura organizzativa dedicata,<br />
la conoscenza <strong>del</strong>le problematiche organizzative e la compatibilità di traguardi tra lo<br />
sponsor e lo sponsee. Nel caso di uno stadio di <strong>calcio</strong>, quindi, i soggetti che possono<br />
venir coinvolti in un’attività di co-marketing fanno parte di categorie parecchio<br />
eterogenee tra loro: società sportive, enti pubblici, comunità locali, spettatori,<br />
sponsor tecnici e commerciali, atleti, media ed imprese. Questo implica anche una<br />
varietà di relazioni contrattuali. Nell’attività di sponsorship, ad esempio, le tipologie<br />
contrattuali più importanti sono la sponsorizzazione tecnica, di club, dei singoli e<br />
degli eventi. Tutti questi accordi sono sviluppati come bilaterali: il soggetto<br />
sponsorizzato si impegna a diffondere il brand ed in maniera indiretta i prodotti ad<br />
esso connessi, fino al punto di cambiare la propria denominazione come nei casi di<br />
cessione dei naming rights degli stadi. <strong>Una</strong> particolare modalità di sponsorizzazione<br />
è la Digital Sponsorship, mediante la quale un’impresa associa il proprio brand,<br />
utilizzando tecniche digitali, alla trasmissione in via telematica di un determinato<br />
evento grazie all’utilizzo di supporti pubblicitari virtuali presenti sui media. Le due<br />
forme principali di quest’attività sono il Virtual Advertising, cioè l’insieme <strong>del</strong>le<br />
tecniche digitali che permettono di mostrare ai soli telespettatori gli sponsor in<br />
maniera statica o dinamica, e la Web Television Sponsorship, che dà la possibilità<br />
allo sponsor di instaurare un contatto attivo con il telespettatore mentre gode<br />
<strong>del</strong>l’evento, sino a stimolarlo all’acquisto virtuale, sfruttando la convergenza dei<br />
mezzi di comunicazione come l’e-commerce. La Digital Sponsorship si pone come<br />
punto d’incontro tra la tecnologia avanzata ed i bisogni <strong>del</strong>le imprese: i vantaggi<br />
conseguibili concernono il targeting (la tipologia di messaggio può essere cambiata<br />
in funzione <strong>del</strong> broadcast emittente), l’uso di nuove superfici (la presenza degli<br />
sponsor può avvenire su supporti virtuali aggiuntivi al campo da gioco, oggetti<br />
93
volanti, cartelloni), l’opportunità di sfruttamento di qualsiasi spazio da parte di più<br />
investitori ed infine l’ideazione e la realizzazione di interventi animati,<br />
tridimensionali e dotati di effetti speciali.<br />
Grazie al virtual marketing gli spazi cedibili dai gestori degli stadi crescono <strong>del</strong> 30%.<br />
I punti di forza per l’azienda sponsorizzatrice diventano la targetizzazione <strong>del</strong><br />
messaggio a livello geografico, un’informazione con grande impatto visivo, una più<br />
intensa programmazione e controllo nella messa a punto <strong>del</strong> messaggio; per lo<br />
sponsee, invece, si crea un più elevato giro d’affari per la cartellonistica a bordo<br />
campo, si incrementa il numero degli spazi vendibili agli sponsor, si migliora lo<br />
spettacolo a livello visivo e la comprensione <strong>del</strong>l’avvenimento agonistico. Esistono<br />
però anche elementi di criticità, tra cui gli elevati costi di acquisizione, il rispetto di<br />
alcuni vincoli normativi a livello nazionale, internazionale e sportivo ed un<br />
apprezzamento non sempre elevato da parte dei telespettatori. Pioniera in <strong><strong>It</strong>alia</strong> nella<br />
sperimentazione di tale sistema su di un incontro trasmesso in diretta televisiva fu la<br />
Lazio, che in occasione di un incontro di Coppa Uefa contro i portoghesi <strong>del</strong> Vitoria<br />
Guimaraes durante la stagione 1997/98, vendette i medesimi spazi pubblicitari a più<br />
operatori, diversificando la trasmissione a seconda <strong>del</strong> Paese in cui l’incontro veniva<br />
diffuso o persino differenziandola in base alle varie regioni di una stessa nazione. In<br />
questo modo il club mirava anche a conseguire la valorizzazione <strong>del</strong>le<br />
sponsorizzazioni internazionali che le avevano permesso di privilegiare, all’interno<br />
<strong>del</strong>le negoziazioni riguardanti la cessione degli spazi pubblicitari virtuali <strong>del</strong>lo stadio<br />
Olimpico, gli sponsor dei paesi di origine dei suoi calciatori.<br />
Tra gli strumenti a disposizione <strong>del</strong>lo sport marketing è tuttavia il venue sponsor<br />
quello che sta attualmente osservando un trend di crescita di tipo esponenziale.<br />
Soprattutto nell’ultimo lustro un numero crescente di imprese ha deciso di approdare<br />
nell’industria sportiva acquisendo i naming rights degli stadi. Le motivazioni che<br />
portano alla scelta di sponsorizzare un’infrastruttura sportiva sono essenzialmente<br />
due: la più rilevante brand exposure ed il minor rischio di feedback negativi in<br />
termini di immagine. Fare da sponsor ad un impianto vuol dire essere al centro<br />
<strong>del</strong>l’attenzione anche quando l’attività agonistica è ferma e poter raggiungere anche<br />
target group differenti da quelli che ci si è prefissati; inoltre è particolarmente basso<br />
il rischio <strong>del</strong> venue sponsor, fattore molto importante poiché ogni operazione fondata<br />
94
sulla transfer image vede nel pericolo di danneggiamento <strong>del</strong>la propria immagine il<br />
maggior nemico per la riuscita <strong>del</strong>l’accordo. L’opzione venue sponsor sembra,<br />
pertanto, la risposta più adeguata per quelle imprese che hanno come obiettivo un<br />
ampio target group, poiché non prestabiliscono specifiche finalità di definizione<br />
valoriale <strong>del</strong>la propria marca al di là <strong>del</strong>la logica prioritaria di aumento <strong>del</strong>la brand<br />
awareness. Un altro elemento non secondario riguarda la capacità di queste aziende<br />
di investire in maniera cospicua, alla luce <strong>del</strong>le cifre che caratterizzano tali<br />
operazioni.<br />
Per il <strong>calcio</strong>, al fine di avere un’idea <strong>del</strong>la pratica <strong>del</strong> naming, è necessario analizzare<br />
i cinque principali mercati a livello europeo: Bundesliga (Germania), Premier League<br />
(Inghilterra), Liga (Spagna), Ligue 1 (Francia) e Serie A (<strong><strong>It</strong>alia</strong>). Dei 98 club che<br />
partecipano a questi campionati (18 per la Bundesliga e 20 per gli altri quattro tornei)<br />
solamente 16 hanno deciso di intraprendere questa opzione commerciale e ben 10 di<br />
essi (circa il 65%) sono raggruppati in Germania, il benchmark in questo specifico<br />
segmento. Il mercato tedesco è al primo posto tra quelli europei in tema di diritti sul<br />
nome degli impianti da gioco: sulle 18 squadre che nel 2010/11 hanno preso parte<br />
alla Bundesliga, ben 10 hanno ceduto i naming rights <strong>del</strong> proprio stadio. Analizzando<br />
tale situazione si nota che la cessione dei diritti <strong>del</strong> nome non è una scelta effettuata<br />
esclusivamente dalle società minori per incrementare i ricavi <strong>del</strong> settore<br />
commerciale, ma un’opzione adottata a prescindere dalle dimensioni <strong>del</strong> club. Tra le<br />
squadre che possiedono un venue sponsor troviamo quelle storiche come il Bayern<br />
Monaco (Allianz Arena), l’Amburgo (HSH Nordbank Arena) ed il Bayer Leverkusen<br />
(BayArena), grandi come il Borussia Dortmund (Signal Iduna Park), lo Stoccarda<br />
(Gottlieb Daimler Stadion), lo Schalke 04 (Veltins Arena), il Wolfsburg<br />
(Volkswagen Arena) ed infine compagini più piccole: Norimberga (Easycredit<br />
Stadion), Hannover 96 (AWD Arena) ed Eintracht Francoforte (Commerzbank<br />
Arena). Solamente nel caso <strong>del</strong> binomio Wolsfburg Volkswagen, il venue sponsor<br />
coincide con il main sponsor (jersey sponsor). Il marchio tedesco <strong>del</strong> settore<br />
automobilistico ha scelto di legarsi a filo doppio al club biancoverde, perché<br />
Wolsfburg è la città dove la Volkswagen è nata e ha tuttora il proprio quartier<br />
generale. Tra i settori merceologici maggiormente coinvolti in tali attività di<br />
sponsorizzazione la leadership appartiene a quello dei servizi, che riguarda 6<br />
95
company sulle 10 complessive (Allianz, AWD, Commerzbank, Easycredit, HSH<br />
Nordbank, Signal Iduna). Le rimanenti fanno parte <strong>del</strong> settore industriale: Bayer<br />
(chimica-farmaceutica), Daimler Benz e Volkswagen (automobilistico) e Veltins<br />
(beverage-beer). L’esempio più importante è comunque quello <strong>del</strong>l’Allianz Arena. Il<br />
gruppo Allianz, infatti, fornitore di servizi finanziari, ha sborsato una cifra pari a 80<br />
milioni di euro, circa il 25% <strong>del</strong>la spesa totale di 340 milioni di euro sostenuta per<br />
costruire lo stadio, al fine di ottenere i naming rights per 30 anni.<br />
Il mercato inglese invece è attualmente di dimensioni minori rispetto a quello <strong>del</strong>la<br />
Germania. Nella Premier League soltanto 4 squadre <strong>del</strong>le 20 partecipanti (il 20%)<br />
hanno venduto i diritti sul nome <strong>del</strong> proprio impianto: Arsenal (Emirates Stadium),<br />
Bolton Wanderers (Reebok Stadium), Wigan Athletic (JJB Stadium prima e DW<br />
Stadium poi) e Stoke City (Britannia Stadium). La compagine londinese dei Gunners,<br />
in particolare, esibisce Fly Emirates sia come jersey-sponsor che come venue<br />
sponsor (investimento globale di circa 150 milioni di euro in 15 anni), mentre ha<br />
assegnato alla statunitense Nike la fornitura tecnica. Strada, questa, intrapresa anche<br />
dallo Stoke, legatosi a Britannia come venue sponsor e jersey sponsor, e dall’estate<br />
2010 per 4 stagioni alla ditta tedesca Adidas come technical sponsor. Il Wigan ha<br />
invece stretto un accordo con l’azienda di scommesse 188Bet come jersey-sponsor e<br />
con la Mi-Fit come technical sponsor, cedendo alla DW Sport Fitness, che nel 2009<br />
è subentrata alla JJB Sports, i naming rights. Sempre la 188Bet è il jersey-sponsor<br />
<strong>del</strong> Bolton, il quale ha invece affidato alla Reebok (brand di sportswear) sia i diritti<br />
<strong>del</strong> proprio stadio che la fornitura tecnica riguardante i kit indossati dai calciatori<br />
durante le partite ufficiali e gli allenamenti.<br />
L’Emirates Stadium, che ospita i match casalinghi <strong>del</strong>l’Arsenal, è costato circa 573<br />
milioni di euro, dei quali 150 sono stati versati dalla compagnia aerea <strong>del</strong> Dubai, la<br />
Fly Emirates, che ha acquistato i naming rights <strong>del</strong>l’impianto, altrimenti noto come<br />
Ashburton Grove, fino al 2016. Al fine di sovvenzionarne la costruzione, la società<br />
inglese, che non ha avuto possibilità di accedere a prestiti pubblici, ha seguito<br />
differenti direttrici: in primis ha eretto in sostituzione <strong>del</strong> vecchio stadio 2.000<br />
appartamenti che ha venduto e dai quali ha ottenuto un sostanzioso guadagno. Ha<br />
ricavato, inoltre, 22 milioni da alcune operazioni commerciali, tra cui l’accordo<br />
96
ventennale con Delaware North (azienda <strong>del</strong> settore catering) ed una serie di<br />
sponsorship (la principale è con Nike, già official kit supplier).<br />
Quello spagnolo infine è il terzo mercato in termini di naming rights degli impianti<br />
di <strong>calcio</strong>. Delle 20 squadre che hanno partecipato al campionato 2009/10 solo 2<br />
hanno ceduto i diritti sul nome <strong>del</strong>lo stadio, anche se non hanno costruito una nuova<br />
struttura, ma si sono limitate alla vendita dei naming rights senza apportare<br />
modifiche o migliorie all’impianto. Questo fenomeno, unito al fatto che le squadre<br />
operanti questa scelta commerciale sono di seconda fascia (Mallorca ed Osasuna), ha<br />
portato a considerare tale situazione come non accostabile a quelle esaminate<br />
precedentemente, in virtù <strong>del</strong> capitale impegnato. Il Mallorca ha ceduto i naming<br />
rights <strong>del</strong> proprio stadio, in precedenza chiamato Son Moix ed ora denominato ONO<br />
Estadi, in base ad un accordo tra la squadra spagnola e l’azienda ONO, che ha<br />
portato nelle casse <strong>del</strong> club una cifra intorno ai 4 milioni di euro ed ha reso<br />
l’impianto il primo di Spagna a recare la denominazione di un’impresa. L’Osasuna, a<br />
partire dal 2006, ha cambiato il nome <strong>del</strong> proprio stadio da El Sadar in Estadio<br />
Reyno de Navarra, in virtù <strong>del</strong>l’accordo stipulato tra la squadra di Pamplona e la<br />
Regione <strong>del</strong>la Navarra, grazie al quale la società spagnola riceve 1,5 milioni di euro a<br />
stagione per la durata di 3 anni. La differenza sostanziale tra le due operazioni è che,<br />
mentre il Mallorca ha intrapreso la via di una manovra commerciale in senso stretto<br />
(ONO è infatti un provider telefonico), l’Osasuna ha percorso la strada <strong>del</strong> marketing<br />
territoriale, accordandosi con la Regione <strong>del</strong>la Navarra (amministrazione pubblica),<br />
che ha concluso l’intesa per promuovere il turismo all’interno <strong>del</strong> suo territorio.<br />
La Francia e l’<strong><strong>It</strong>alia</strong>, al contrario, sono abbastanza al di fuori di questo segmento di<br />
marketing sportivo. Dei 40 club <strong>del</strong>le due massime divisioni nazionali (Ligue 1 e<br />
Serie A), praticamente nessuno ha intitolato il proprio impianto ad un’impresa. Nel<br />
nostro Paese solo il Siena, per altro impegnato in Serie B, affianca dalla stagione<br />
2007/08 al nome di stadio Artemio Franchi quello di Montepaschi Arena, in virtù<br />
<strong>del</strong>la munifica sponsorizzazione <strong>del</strong>la banca senese, già jersey-sponsor dei toscani.<br />
Un primo passo verso la possibilità di titolazione <strong>del</strong>la struttura può essere<br />
rappresentato dall’ottenimento <strong>del</strong>la sua concessione da parte <strong>del</strong>la società di <strong>calcio</strong>.<br />
Questo si è verificato nel caso <strong>del</strong>la Juventus, che sarà la prima in <strong><strong>It</strong>alia</strong> a sfruttare a<br />
tutti gli effetti il naming right, con il nuovo Delle Alpi, operante dalla stagione<br />
97
2011/12, che avrà il nome di uno sponsor. Grazie all’intesa raggiunta con Sportfive,<br />
società specializzata nel marketing sportivo appartenente al Gruppo Lagardère, il<br />
club incasserà 75 milioni di euro per 12 anni: 6,5 all’anno da quando lo stadio verrà<br />
aperto al pubblico (sette giorni su sette, con spazi anche per i negozi e<br />
l’intrattenimento).<br />
Tabella 8 – Principali operazioni di cessione dei naming rights – (€ Mln)<br />
Club Titolare Naming Rights Nome Stadio Ricavi in mln di euro<br />
Bayern Monaco Allianz Allianz Arena 80 mln in 30 anni<br />
Juventus Sportfive Juventus Arena 75 mln in 12 anni<br />
Arsenal Fly Emirates Emirates Stadium 150 mln in 15 anni<br />
Mallorca Ono Ono Estadi 4 mln in 3 anni<br />
Osasuna Regione Navarra Reyno De Navarra 4.5 mln in 3 anni<br />
Fonte: Nostra indagine diretta aprile 2011.<br />
Sportfive gestirà in esclusiva il nome <strong>del</strong>l’impianto (assegnato ogni quattro anni), la<br />
vendita <strong>del</strong> 50% dei palchi ed i 650 posti <strong>del</strong>la Tribuna Premium. Tuttora in fase di<br />
ultimazione è invece a Livorno l’impianto Stadio dei martiri di polizia per mani<br />
ultras, che dal 2013 dovrebbe sostituire l’Armando Picchi assumendo la<br />
denominazione di Ipercoop Stadium, dal nome <strong>del</strong>lo sponsor che ne ha acquisito i<br />
naming rights.<br />
3.4.2 Le strategie di marketing mix<br />
Al giorno d’oggi l’approccio marketing oriented risulta caratterizzato da una<br />
notevole complessità <strong>del</strong> mercato e da una conseguente estensione <strong>del</strong>le platee a cui<br />
indirizzare l’offerta. Il management di uno stadio moderno dovrebbe diversificare le<br />
offerte, i servizi ed il marketing mix, equipaggiandosi <strong>del</strong>le competenze e <strong>del</strong>le<br />
professionalità necessarie per confrontarsi sia con il mass marketing che con il<br />
business client. Sia per le aziende che per gli organizzatori di eventi (Federazioni,<br />
società sportive, Enti pubblici) una struttura accogliente, moderna e fornita dei più<br />
ampi comfort, simboleggia uno stabile canale di congiunzione con il territorio,<br />
nonché un incisivo mezzo di promozione nei confronti dei clienti, dei partner e dei<br />
98
collaboratori. Il pubblico che si reca allo stadio diviene l’obiettivo non solo <strong>del</strong>le<br />
politiche di marketing dei gestori <strong>del</strong>la struttura, ma anche di quelle <strong>del</strong>le imprese<br />
che mediante le attività di co-marketing e di sponsorship associano il proprio brand<br />
all’avvenimento o all’impianto medesimo, con l’opportunità di conquistare un gran<br />
numero di persone avendo diverse occasioni per comunicare e per mettersi in mostra.<br />
Il management di uno stadio moderno, quindi, in funzione <strong>del</strong>la modificazione <strong>del</strong>le<br />
richieste di svago e di intrattenimento da parte <strong>del</strong> cliente, necessita di un approccio<br />
marcatamente customer oriented, poiché la custode satisfaction e la loyalty <strong>del</strong><br />
pubblico sono fortemente influenzate dal servizio ricevuto.<br />
Si dovrebbero stabilire con precisione i target di mercato e le loro attese ed esigenze<br />
prima di definire i servizi da offrire, essendo molteplici le categorie di clienti che<br />
interagiscono con un impianto polifunzionale e moderno: tifosi assidui, spettatori<br />
occasionali, imprese event related e stadium related, promoter, media e gestori di<br />
attività commerciali. Il management <strong>del</strong>lo stadio ha bisogno di individuare<br />
accuratamente i vari Fattori Rilevanti di Acquisto (FRA) per formulare un’adeguata<br />
proposta di opportunità e di servizi, di politiche di promozione e di comunicazione,<br />
indirizzate allo specifico target di clientela. Il prodotto stadio deve fornire un<br />
portafoglio servizi diversificato nel prezzo, nella ricchezza <strong>del</strong>l’offerta e nella qualità<br />
dei servizi aggiuntivi; questi ultimi diventano fondamentali per fornire un surplus<br />
innalzando il valore percepito soprattutto dai target ad alto valore aggiunto, di cui il<br />
più importante è quello <strong>del</strong>le aziende.<br />
Il settore da accrescere e sfruttare in misura maggiore da parte <strong>del</strong> management di un<br />
impianto è quello <strong>del</strong> business, concedendo la possibilità di collocare al suo interno<br />
esercizi commerciali e permettendo alle aziende di disporre di determinate aree per<br />
organizzare riunioni ed assemblee, mostre e fiere, e di uffici per farne loro sede. La<br />
sfida sta nella capacità di creare un mix vincente tra una struttura di prezzi<br />
vantaggiosa per i differenti segmenti di clientela, un’adeguata seating structure e<br />
<strong>del</strong>le strategie di vendita efficaci. Tutte le società hanno inoltre la necessità di<br />
indirizzare promozioni e comunicazioni nei confronti <strong>del</strong>le platee e dei mercati di<br />
riferimento. L’Area Comunicazione di uno stadio deve essere capace di impostare un<br />
dialogo con i tifosi, i media, le aziende, le istituzioni e le autorità locali e, nonostante<br />
possa avvalersi <strong>del</strong>la gamma di canali di comunicazione controllati da altri soggetti<br />
99
come gli sponsor, le aziende ed i media, al giorno d’oggi è essenziale svolgere<br />
direttamente quest’attività, in modo tale da avviare politiche di comunicazione<br />
rivolte in maniera specifica a determinati target. I principali destinatari <strong>del</strong>l’attività di<br />
divulgazione possono considerarsi il pubblico di massa, le aziende, i partner<br />
commerciali e tecnici, gli azionisti e la pubblica amministrazione ed ognuno ha<br />
bisogno di essere avvicinato e stimolato con strumenti e mezzi differenti.<br />
Il lavoro di public relations diventa un elemento importante se non addirittura vitale<br />
soprattutto nel caso di un’organizzazione che gestisce uno stadio calcistico, la quale<br />
deve interagire con partner ad alto valore aggiunto come le imprese. Il gestore stesso,<br />
più in generale, dovrebbe essere in grado di avviare politiche di promotion idonee a<br />
suscitare l’attenzione ed adeguate a stimolare ognuno dei segmenti <strong>del</strong>la domanda<br />
individuati come target. Si possono ideare particolari forme di abbonamento per gli<br />
eventi sportivi o di altro genere, possono essere studiate <strong>del</strong>le agevolazioni sui prezzi<br />
dei tagliandi per determinate classi di persone (donne, invalidi, under 16, over 65),<br />
mentre per le scuole è possibile preparare iniziative speciali: tutte proposte<br />
finalizzate al richiamare allo stadio il maggior numero possibile di individui, in<br />
particolare quelli che vi si recano solo saltuariamente. Si possono anche proporre<br />
pacchetti pubblicitari per i partner e per gli sponsor caratterizzati da prezzi di favore,<br />
da sconti sull’affitto dei palchi e degli skybox, degli spazi espositivi o <strong>del</strong>le sale per<br />
gli incontri, per i convegni o per le mostre e soprattutto sarebbe interessante<br />
coinvolgere personalità di spicco o ex calciatori. In Scozia, ad esempio, il Celtic<br />
Glasgow è riuscito a rendere partecipi e a sfruttare dal punto di vista commerciale i<br />
personaggi noti oppure i giocatori che avevano militato nel club, aggiungendo valore<br />
al prodotto stadio. Il Celtic Park dispone infatti di 42 suite in cui è possibile assistere<br />
alla partita o pranzare in compagnia di un ex capitano <strong>del</strong> Celtic presso il Captain’s<br />
Table.<br />
In Europa il primo caso di struttura multifunzionale è rappresentato dall’Amstardam<br />
ArenA, edificata nel 1996. La sua progettazione e amministrazione hanno suscitato<br />
grandissimo interesse a livello internazionale, non solamente per le inconsuete<br />
particolarità <strong>del</strong> design, ma anche per il metodo completamente innovativo con cui il<br />
progetto è stato portato a compimento, permettendo allo stadio di diventare un polo<br />
di attrazione capace di richiamare ogni anno milioni di visitatori.<br />
100
L’edificazione <strong>del</strong>l’ArenA ed il totale rinnovamento <strong>del</strong> territorio circostante hanno<br />
dotato Amsterdam di un luogo divenuto il centro sociale ed economico <strong>del</strong>la città,<br />
ideale per accogliere un’ampia gamma di attività e di avvenimenti. Si stima che siano<br />
stati creati oltre 6mila posti di lavoro e che siano stati effettuati investimenti per circa<br />
800 milioni di euro a beneficio <strong>del</strong>la zona adiacente. La sua amministrazione è una<br />
testimonianza significativa di come si possa rendere produttiva ed indipendente dal<br />
punto di vista economico una struttura di ingenti dimensioni.<br />
Dal punto di vista strutturale è uno stadio molto compatto, con le tribune poste a<br />
ridosso <strong>del</strong> terreno da gioco. La sua costruzione è avvenuta sopra un parcheggio a<br />
due livelli ed è composta da due anelli sovrapposti capaci di accogliere 50mila<br />
persone, che possono arrivare fino a 68mila durante i concerti. È stato uno tra i primi<br />
al mondo a presentare il binomio tetto retraibile-campo da gioco in erba naturale: il<br />
primo è costituito da una parte fissa che consente di riparare gli spettatori anche nel<br />
caso in cui rimanga aperto e necessita di soli 18 minuti per essere chiuso, il secondo<br />
è fornito di un sistema automatizzato di irrigazione e di manutenzione; sono presenti<br />
inoltre due maxischermi posizionati sopra le curve. Può essere paragonato ad una<br />
città in miniatura, infatti dispone di tutte le facilities necessarie a fornire un pacchetto<br />
servizi adeguato ad intrattenere l’appassionato di <strong>calcio</strong> durante l’intera giornata. È<br />
dotato di 54 skybox, quattro skylounge e nove lounge per i membri fondatori <strong>del</strong>la<br />
struttura, nella parte ovest; 12 skyrooms e quattro skylounge (questi ultimi<br />
appositamente costruiti per Euro 2000), in quella est. Le sedici rooms <strong>del</strong>la zona est<br />
possono essere affittate per l’intera stagione o semplicemente per una partita. Sono<br />
inoltre disponibili un Royal box per 40 persone, 1.564 posti business, 202 posti a<br />
sedere per i vip, 2.500 posti auto coperti al di sotto <strong>del</strong>l’ArenA (questo parcheggio,<br />
chiamato The Transferium, come tutti quelli <strong>del</strong>lo stadio è gestito dal Comune di<br />
Amsterdam) e diversi ristoranti etnici.<br />
Tutti i cibi e le bevande offerti dai 50 punti di ristoro disseminati in ogni parte <strong>del</strong>lo<br />
stadio presentano un prezzo in euro e il pagamento si effettua con l’ArenA Card, una<br />
chipcard che può essere utilizzata per acquistare tutto. Questa carta è un mezzo molto<br />
efficace per dar vita ad iniziative pubblicitarie e promozionali da parte degli sponsor<br />
e dei partner. Nelle vicinanze <strong>del</strong>l’ingresso principale è ubicato il fanshop ufficiale<br />
<strong>del</strong>l’Ajax, che offre un vasto campionario di articoli legati al club; un’altra<br />
101
opportunità interessante, sfruttata da circa 100mila persone all’anno, è quella di<br />
effettuare il tour guidato all’interno <strong>del</strong>lo stadio. Al suo interno sono collocate 83<br />
telecamere con sistema a circuito chiuso per sorvegliare sia l’interno che l’esterno,<br />
una sala di controllo tecnologicamente all’avanguardia ed un sistema che regola in<br />
maniera elettronica gli accessi. In ogni caso è necessario realizzare costantemente<br />
significativi investimenti per permettere all’impianto di mantenersi sicuro,<br />
funzionante ed all’avanguardia. Da quando l’Amsterdam ArenA è stata inaugurata<br />
nell’agosto <strong>del</strong> 1996, una grande mole di lavoro è stata portata a termine (in un’ottica<br />
di marketing territoriale) per creare un nuovo centro città in Olanda: l’ArenA<br />
Boulevard, cresciuta di fronte allo stadio. Quest’ultima è caratterizzata dalla presenza<br />
<strong>del</strong>la Pathé ArenA multiplex (un cinema con 14 sale), <strong>del</strong>l’Heineken Music Hall (una<br />
sala concerti che può accogliere fino a 5mila spettatori), di una gran varietà di<br />
megastore, <strong>del</strong>la Villa ArenA (uno shopping centre dedicato all’arredamento per la<br />
casa), di alti edifici usati per gli uffici, di caffè e di ristoranti. Lo sviluppo<br />
<strong>del</strong>l’ArenA Boulevard è uno tra i più ambiziosi progetti odierni di Amsterdam e per<br />
il prossimo futuro è in programma l’edificazione di due nuove torri (alte 150 metri),<br />
che ospiteranno un insieme di uffici e di appartamenti. L’idea è quella di farla<br />
diventare uno splendido luogo dove lo sport, l’intrattenimento, la cultura e gli eventi<br />
attrarranno ogni anno milioni di persone.<br />
Dal punto di vista amministrativo è presente un Managing Director che, nonostante<br />
si faccia carico di numerose attività (tra le quali le funzioni di PR, gli affari interni e<br />
le questioni legali), si deve avvalere di un team composto da quattro persone, ognuna<br />
a capo di un dipartimento: Finanziario, Commerciale, Facility, Eventi.<br />
La filosofia aziendale <strong>del</strong>l’ArenA prevede la cessione di alcune attività ad imprese<br />
esterne (outsourcing), ad esempio di quelle di clearing <strong>del</strong>l’impianto o di<br />
organizzazione degli eventi. La divisione Finanziaria si occupa <strong>del</strong>la società che<br />
gestisce lo stadio; quella Commerciale di redigere i contratti con i responsabili degli<br />
avvenimenti (football club, Federazioni, imprese, promotori di concerti o di altre<br />
manifestazioni); l’area Facility è responsabile <strong>del</strong>la manutenzione ordinaria e non; il<br />
Dipartimento Eventi gestisce la produzione e l’organizzazione di ogni tipologia di<br />
attività accolta all’interno <strong>del</strong>l’impianto. Per ogni avvenimento viene nominato un<br />
Event-manager ad hoc che si occupa di tutti gli aspetti legati al suo allestimento<br />
102
(pianificazione, contatto con il cliente, attività e servizi di supporto) per fornire un<br />
supporto specifico in base alle necessità <strong>del</strong> cliente, in un’ottica di dialogo e di<br />
confronto costante tra le parti.<br />
L’Amsterdam ArenA conserva uno staff fisso di 57 individui (in un’età compresa tra<br />
i 20 ed i 50 anni), mentre il resto <strong>del</strong> personale viene reclutato a seconda <strong>del</strong>la<br />
tipologia di avvenimento ospitata: per quelli maggiormente importanti può arrivare<br />
fino a 1.500 elementi, di cui 400 steward, 100 guardie private addette alla sicurezza,<br />
50 soggetti <strong>del</strong> gruppo addetto alle pulizie, 250 per il servizio VIP-catering e 700<br />
operatori <strong>del</strong> reparto ristorazione. Fa parte <strong>del</strong> management <strong>del</strong>lo stadio anche<br />
l’Amsterdam ArenA Advisory, una divisione indipendente che si occupa di<br />
consulenza. È composta da project-manager, consulenti e dipendenti <strong>del</strong>l’impianto,<br />
che possiedono esperienza a livello di pianificazione, sviluppo e gestione <strong>del</strong>le<br />
strutture costruite per lo sport e per l’intrattenimento. Godono di un’enorme<br />
competenza, arricchita dall’esperienza di 10 e più anni di gestione <strong>del</strong>l’ArenA e sono<br />
in grado di offrire una fonte unica di conoscenza ad una clientela di tipo<br />
internazionale.<br />
Il cliente di maggior peso <strong>del</strong>l’Amsterdam ArenA è la società calcistica <strong>del</strong>l’Ajax,<br />
senza il cui supporto il progetto non si sarebbe potuto realizzare. La squadra olandese<br />
ha stipulato un contratto di affitto di 30 anni ed ha posto all’interno <strong>del</strong>l’impianto i<br />
suoi uffici e la sua sede, l’Ajax Museum, l’Offical Ajax Fanshop, un campo di<br />
allenamento e quattro spogliatoi. L’opportunità di giocare in uno stadio<br />
dall’immagine futuristica, confortevole e sicuro permette al club d’incrementare il<br />
giro d’affari, elevando il livello <strong>del</strong>le entrate legate ai servizi extra e, ancor più<br />
importante, instaurando un rapporto saldo e profondo con i supporter. Per dare<br />
un’idea la squadra di Amsterdam vende più <strong>del</strong>l’80% dei biglietti sottoforma di<br />
abbonamenti e dispone di una lista d’attesa di oltre 4.500 tifosi. In generale l’Ajax ha<br />
messo a punto un portafoglio di offerte composito, poiché si muove in un’ottica<br />
marketing oriented ed ha la possibilità di disporre di dati aggiornati ed ordinati in un<br />
database relativo alla domanda e di fornire attività e servizi a seconda <strong>del</strong>le<br />
specifiche esigenze dei vari tipi di clientela.<br />
103
3.5 Il brand<br />
L’adozione di un proprio marchio, appositamente depositato e registrato, rappresenta<br />
per i club una fonte di finanziamento destinata a fornire notevoli introiti grazie alla<br />
capitalizzazione <strong>del</strong> merchandising. Il brand è senza dubbio un elemento essenziale<br />
<strong>del</strong> patrimonio di una società calcistica e basa la sua forza sulla notorietà,<br />
sull’immagine e sulla fiducia <strong>del</strong> consumatore che viene identificato nel<br />
tifoso/sostenitore. Per Aaker<br />
“La marca è un simbolo distintivo (per esempio, un logo, un marchio, il<br />
design di una confezione) che serve a identificare i beni o i servizi di un<br />
venditore o di un gruppo di venditori e a differenziarli da quelli di altri<br />
concorrenti” 15 .<br />
Questa va curata con grande attenzione, in quanto andrebbero conosciuti i livelli di<br />
notorietà, di fe<strong>del</strong>tà e soddisfazione, selezionati indicatori di lungo periodo che<br />
consentano di valutarne i risultati, incaricato un brand manager, qualcuno che abbia<br />
il compito di proteggere la quotazione <strong>del</strong>la marca, pensate strategia e obiettivi di<br />
lungo periodo.<br />
Aaker ha selezionato 5 categorie fondamentali su cui è fondato il valore di marca,<br />
elementi che danno valore aggiunto al consumatore e all’azienda: fe<strong>del</strong>tà, notorietà<br />
<strong>del</strong> nome, qualità percepita, altri valori associati e risorse esclusive <strong>del</strong>la marca<br />
(brevetti, marchi registrati, canali distributivi esclusivi ecc.).<br />
Il primo fattore è un aspetto particolare dei club di <strong>calcio</strong> perché la fe<strong>del</strong>tà a una<br />
squadra è pressoché totale da parte <strong>del</strong>la tifoseria. Ma oltre ai supporter, ci sono<br />
anche gli appassionati e il business market e questi non sono fe<strong>del</strong>i “a prescindere”<br />
come la supportership. Aaker riconosce diversi livelli di fe<strong>del</strong>tà, dal più instabile<br />
(acquirente sensibile al prezzo) al consumatore coinvolto. La fe<strong>del</strong>tà si misura in<br />
base al tasso di riacquisto e alla quota di acquisti; alla misura <strong>del</strong>la soddisfazione,<br />
alla simpatia e al coinvolgimento suscitato (da valutare tramite sondaggi). Per<br />
mantenerla, lo studioso americano suggerisce cinque regole: trattare bene i clienti,<br />
15 Aaker D.A., Managing Brand Equity. Capitalizing on the Value of a Brand Name, F. Angeli,<br />
Milano 2002, p. 26<br />
104
star loro vicino e misurarne la soddisfazione, creare costi di cambiamento, fornire<br />
qualche extra. Il quarto e il quinto punto sono particolarmente legati perché,<br />
fornendo un sovrappiù, sarà più difficile che i clienti si allontanino, e il trattenere i<br />
vecchi clienti è un’attività meno costosa ed estremamente redditizia.<br />
La seconda categoria fondante il valore di marca è la notorietà, ed anche in questo<br />
caso viene suddivisa in più livelli, dalla marca sconosciuta alla prima citata nei test<br />
sul ricordo spontaneo. La notorietà è legata alle sensazioni ed emozioni che<br />
accompagnano il brand. Sono stati suggeriti vari sistemi per acquisire notorietà:<br />
essere distinguibili dalla concorrenza, memorizzabili utilizzando slogan, simboli,<br />
pubblicità, partecipando ad eventi. La qualità percepita dipende dalle valutazioni<br />
fatte dal lato <strong>del</strong>la domanda. Non è misurabile oggettivamente, è il sentimento<br />
globale che si ha nei riguardi <strong>del</strong>la marca. Il modo in cui un prodotto risponde alle<br />
aspettative influenzerà la qualità percepita, così come lo farà la cultura <strong>del</strong>la qualità<br />
all’interno <strong>del</strong> team. Ci sono dei segnali che possono essere dati all’esterno per far<br />
crescere la qualità percepita, se si parla di product extension dei club di <strong>calcio</strong>: un<br />
certo modo di presentare le proprie credenziali ai potenziali sponsor può influenzare<br />
positivamente l’esito <strong>del</strong>la trattativa. Il prezzo è un altro importante segnale <strong>del</strong>la<br />
qualità: i premium price danno l’idea di servizi/prodotti migliori, che devono però<br />
essere veritieri.<br />
Per quanto riguarda la quarta categoria citata, i valori associati, i club possono<br />
lavorare su vari fronti per creare un posizionamento. Diversificando l’attività, le<br />
società possono posizionare sé stesse nel settore dei prodotti di consumo con<br />
associazioni di efficienza e funzionalità. Associato alla marca è, infatti, tutto ciò che<br />
nella mente <strong>del</strong>la gente risulta collegato ad essa, e un’associazione ad esempio tra un<br />
club e un servizio finanziario potrà creare le basi per un’ulteriore estensione ad altre<br />
attività collegate (assicurazioni, mutui). Aaker riconosce vari tipi di associazioni di<br />
marca, particolarmente importanti per quanto concerne le società nell’ambito <strong>del</strong>la<br />
ricerca di sponsorship. <strong>Una</strong> di queste è il tipo di utente/consumatore <strong>del</strong>la marca,<br />
un’altra la sua personalità, il suo stile. <strong>Una</strong> società come quella londinese <strong>del</strong><br />
Chelsea, che ha costruito proprio un’immagine di esclusività, è associata alla gente<br />
dei quartieri eleganti <strong>del</strong>la capitale inglese ed è diventata così più attrattiva per quelle<br />
aziende che vogliono puntare a quel determinato target. Il Manchester United ha più<br />
105
volte nella propria storia dato lustro alla propria fama legandosi a personaggi,<br />
celebrità. Negli anni ’60 George Best, nei primi anni ’90 Eric Cantona, poi David<br />
Beckham, hanno avvicinato gli appassionati di tutto il mondo ai “Red Devils”. Ma<br />
hanno avuto un costo per il club: Cantona ha registrato tre variazioni commerciali sul<br />
suo nome (Cantona, Cantona7 e Ooh, ah Cantona, il coro che gli rivolgevano i suoi<br />
tifosi) e nel ’97 quando ha smesso di giocare, lo United non ha più potuto vendere<br />
prodotti con il suo nome a causa <strong>del</strong>le richieste economiche <strong>del</strong> francese. Sulla sua<br />
scia è poi arrivato Beckham, divenendo un marchio di successo dal valore stimato<br />
pari a 375 milioni di dollari. L’ex capitano <strong>del</strong>la Nazionale inglese fa leva sulle<br />
qualità tecniche, una vita da copertina anche grazie al matrimonio con la cantante<br />
pop Victoria Adams, il bell’aspetto e un’immagine curata. Quando allo United si è<br />
discusso <strong>del</strong> suo rinnovo di contratto, gli agenti hanno messo sul piatto <strong>del</strong>la bilancia<br />
il peso commerciale <strong>del</strong> suo brand, oltre che il valore sul campo: la sua partenza<br />
verso il Real Madrid per 35 milioni di euro nel 2003 è costata al club il 10- 15% di<br />
vendita di merchandising.<br />
Tra le possibili associazioni vi è anche l’area geografica, il paese: questi possono<br />
costituire un forte simbolo. Realtà calcistiche non competitive sul livello dei brand<br />
internazionali sono associate all’area di riferimento, ma anche top club, come il<br />
Barcellona, che riporta i colori giallorossi <strong>del</strong>la Catalunya anche in piccole parti <strong>del</strong>la<br />
divisa, mantengono forte il legame con l’identità <strong>del</strong>la propria regione.<br />
Le associazioni di idee o progetti vanno misurate con scale strutturate per definire le<br />
percezioni o con metodi indiretti (ricerca qualitativa) quali ad esempio le libere<br />
associazioni.<br />
Un altro degli strumenti a disposizione <strong>del</strong>le associazioni sportive è il simbolo.<br />
Quando l’Uefa cambiò l’organizzazione <strong>del</strong>la gloriosa Coppa dei Campioni, il più<br />
importante evento europeo per club, pensò anzitutto a un marchio che potesse<br />
evocare nel pubblico un’immagine di prestigio, di élite e decise di affiancargli il<br />
simbolo <strong>del</strong> pallone stilizzato con le stelle, integrato sistematicamente in tutti gli<br />
aspetti <strong>del</strong> prodotto Champions League. A questo è stato associato un motivo<br />
musicale che precede la trasmissione di tutte le partite <strong>del</strong> torneo. Le associazioni<br />
sono alla base anche <strong>del</strong>la product extension. Le squadre di <strong>calcio</strong> possono pensare,<br />
ad esempio, a registrare il colore di maglia, che, al pari <strong>del</strong> simbolo e <strong>del</strong> jingle, può<br />
106
suscitare simpatia o aiutare nel ricordo <strong>del</strong> brand. Siamo nella quinta categoria<br />
fondamentale su cui si fonda il brand equity, le sue risorse esclusive. L’importanza<br />
dei brevetti è balzata agli occhi in maniera evidente a Sir Alex Ferguson, manager<br />
<strong>del</strong> Manchester United e brand esso stesso. Avrebbe voluto proteggere i diritti legati<br />
al suo nome, utilizzato per vendere poster e figurine, ma all’ufficio che si occupa<br />
<strong>del</strong>la registrazione dei marchi gli è stato risposto che era troppo tardi una volta<br />
diventato così famoso, permettendo di fatto a qualunque azienda di vendere poster<br />
con la sua immagine.<br />
Il valore di una marca può essere valutato in almeno cinque diversi modi: tramite il<br />
differenziale di prezzo che può sostenere (premium price), l’impatto <strong>del</strong> nome nel<br />
determinare preferenza, il valore sostitutivo (quanto costa sostituire nel mercato quel<br />
brand?), il prezzo <strong>del</strong>le azioni di Borsa e le potenzialità nel creare profitti. Tutte<br />
queste teorie, eccetto la terza, sono tranquillamente utilizzabili anche per misurare il<br />
valore di una società di <strong>calcio</strong>; impossibile è invece (per quanto riguarda appunto il<br />
terzo strumento di misurazione) sostituire nella mente di un tifoso la propria squadra<br />
ed è impensabile che un team calcistico cambi il proprio nome con un altro, come<br />
può invece accadere per le aziende di beni di consumo o di altri servizi.<br />
Chi in <strong><strong>It</strong>alia</strong> ha lavorato per tradurre i teoremi sul brand equity in un marchio<br />
vincente è stato il Milan dall’avvento alla presidenza di Silvio Berlusconi nel 1986. Il<br />
proprietario <strong>del</strong> club rossonero ha dettato i valori patrimonio <strong>del</strong>la società: valore<br />
nazionale, con il club simbolo <strong>del</strong>l’<strong><strong>It</strong>alia</strong> vincente nel mondo, valore sociale e valore<br />
tecnico, ossia il prodotto in sé, da tradursi in un gioco spettacolare. Berlusconi ha<br />
indicato al tempo stesso le regole da seguire: nell’importanza <strong>del</strong> marketing interno<br />
possono essere ricondotte quelle relative alla squadra che è più importante <strong>del</strong><br />
singolo, quindi la forma, che deve essere sempre educata e civile, fino alla salute<br />
psico-fisica dei calciatori (con la creazione a proposito <strong>del</strong> laboratorio medico-<br />
atletico Milan Lab). Infine, per quanto concerne i rapporti con l’esterno, devono<br />
sempre proiettare compattezza e coesione.<br />
L’ultima frontiera riguardante la gestione <strong>del</strong> brand, è il leasing <strong>del</strong> marchio 16 , con<br />
club come Milan e Inter, Roma e Lazio che hanno ceduto a società da loro<br />
16 Se ne è parlato nel paragrafo 2.8<br />
107
controllate il proprio brand rivalutandone il valore sino a creare un tesoretto di<br />
plusvalenze fittizie di 567 milioni di euro.<br />
3.6 Il merchandising<br />
Il merchandising rappresenta attualmente una fonte di ricavo trascurata dai club<br />
italiani, con una percentuale sul totale <strong>del</strong>le entrate molto bassa e per alcune società<br />
addirittura nulla. Il merchandising consiste nella commercializzazione di articoli con<br />
il nome o il marchio <strong>del</strong>la società, che possono essere attinenti al mondo <strong>del</strong> <strong>calcio</strong><br />
(magliette, sciarpe, berretti, bandiere), all’oggettistica <strong>del</strong> quotidiano (portachiavi,<br />
portafogli, spillette, articoli da bagno, agende, cancelleria) o addirittura al comparto<br />
dei servizi (carte di credito, bancomat).<br />
“Il club sportivo produce immagini ed emozioni assolutamente<br />
intangibili e immateriali e deve intendere il merchandising non solo<br />
come efficace strumento di comunicazione ma, soprattutto, come una<br />
leva strategica capace di accrescere la propria brand image” 17 .<br />
Il settore ha potenzialità di profitto enormi perché può far leva sul legame squadra-<br />
tifoso. Promuovendo il proprio brand e agganciandolo a prodotti con risorse materiali<br />
ed immateriali che si distinguano dai concorrenti, si propone al cliente qualcosa di<br />
gradevole all’esterno e di emozionante a livello psicologico; scatta quindi un<br />
meccanismo di identificazione che, specialmente sui più giovani, trasmette la<br />
sensazione di appartenere ad un mondo a parte, esclusivo. Per le società dovrebbe<br />
trattarsi di un campo relativamente semplice da sfruttare, data per scontata l’enorme<br />
influenza che la squadra o un suo campione ha per il cliente-tifoso; purtroppo, però,<br />
specialmente nella realtà italiana, il merchandising trova difficoltà a svilupparsi a<br />
causa, soprattutto, <strong>del</strong>la presenza di un mercato parallelo di articoli sportivi<br />
contraffatti.<br />
È possibile individuare due tipologie di merchandising molto diverse tra di loro sia<br />
dal punto di vista giuridico che commerciale. <strong>Una</strong> è quella legata ad eventi sportivi<br />
occasionali, l’altra è quella legata all’attività sportiva permanente <strong>del</strong>le squadre. I<br />
17 Braghero M., Perfumo S., Ravano F., Per sport e per business: è tutto parte <strong>del</strong> gioco, F. Angeli,<br />
Milano 1999, p. 193<br />
108
grandi eventi, infatti, richiedono un merchandising particolare e molto tempestivo<br />
con un’iniziativa che nasce e si sviluppa nel giro di tre o quattro anni e che permette<br />
di realizzare utili solo nell’ultimo anno, prima di cessare <strong>del</strong> tutto.<br />
Nel caso <strong>del</strong>le società sportive, invece, occorre una programmazione di gran lunga<br />
superiore per conoscere il mercato e intervenire correttamente in modo che la<br />
domanda continui ad alimentarsi nel tempo e non si esaurisca a causa di politiche<br />
errate.<br />
In generale, poi, il merchandising, inteso come notorietà, può essere sfruttato in<br />
campi diversi da quello iniziale e può avere due modalità di impiego: ci può esser<br />
uno sfruttamento diretto, come quello di molte squadre inglesi, oppure uno<br />
sfruttamento indiretto, tipico <strong>del</strong>le società sportive italiane.<br />
Nel mondo <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> il merchandising viene associato al nome <strong>del</strong>la squadra che ne<br />
ha fatto un business di grande rilievo: il Manchester United. Diversamente da altre<br />
società calcistiche, il club inglese provvede in proprio alla commercializzazione dei<br />
prodotti, che vengono fabbricati su commessa da terzi, attraverso i propri punti<br />
vendita o il sito internet. Il Manchester United commercializza una serie molto ampia<br />
di prodotti e provvede al catering in occasione <strong>del</strong>le partite (durante le quali, ad<br />
esempio, si serve la Manchester United Coca Cola), permettendo di capitalizzare<br />
l’investimento effettuato sul marchio.<br />
In particolare, i “Red Devils” realizzano nel Regno Unito e all’estero il 50% <strong>del</strong><br />
proprio fatturato mediante vendita all’ingrosso e il rimanente 50% con vendita al<br />
dettaglio. Nell’ambito di quest’ultima il Manchester ricava il 70% attraverso i propri<br />
negozi e il restante 30% via internet o per corrispondenza. La strategia diretta ha<br />
ovviamente successo solo se esiste un’interazione intensa con il pubblico realizzata<br />
mediante appositi strumenti. Quelli utilizzati dalla società inglese sono la sua rivista,<br />
diffusa in 25 paesi, un museo visitato da più di 200 mila persone all’anno, l’attività di<br />
catering, la possibilità di fornire sale per pranzi e per conferenze, e il susseguirsi<br />
<strong>del</strong>l’ideazione di nuove attività di vario tipo. In pratica il tifoso <strong>del</strong> Manchester ha la<br />
possibilità di trovare in diversi momenti il contatto con la società, cosa che in <strong><strong>It</strong>alia</strong><br />
difficilmente avviene, anche per motivi culturali e storici.<br />
Nel nostro paese nessuna società promuove il proprio marchio in prima persona, ma<br />
ci si affida a società terze sia per la fabbricazione dei prodotti che per la loro<br />
109
commercializzazione. Tali società sono <strong>del</strong>le licenziatarie, alle quali viene licenziato<br />
l’utilizzo <strong>del</strong> marchio in cambio di royalties da riconoscere alle società calcistiche<br />
sulle vendite effettuate. Le aziende licenziatarie curano inoltre l’allestimento dei<br />
punti vendita e degli store <strong>del</strong>le squadre dove acquistare svariati gadget ed accessori<br />
insieme ai tagliandi per le partite.<br />
Un’operazione particolarmente scenografica per far decollare il merchandising fu<br />
messa in scena dalla Nike per presentare la nuova maglia <strong>del</strong> Barcellona nel 2005. La<br />
casa americana ha tenuto il segreto sulla nuova “camiseta Blaugrana” per settimane,<br />
alimentando la curiosità come in una tipica campagna pubblicitaria teaser 18 . La Nike<br />
ha fatto girare per il capoluogo catalano un camioncino blindato con tanto di guardie<br />
<strong>del</strong> corpo attirando a sé numerosissimi fan. Nel disegno portato a spasso, solo due<br />
pantaloncini, uno granata, l’altro verde, colori <strong>del</strong>la prima e seconda divisa <strong>del</strong>la<br />
squadra.<br />
Il contratto di licenza può essere: di licenza esclusiva, quando il licenziante (la<br />
squadra sportiva) si impegna a non usare direttamente a fini commerciali e a non<br />
concedere ad altri terzi il diritto ad usare il proprio marchio; di licenza non esclusiva,<br />
se il licenziante vuole conservare il diritto di concedere ad altri e/o di sfruttare<br />
direttamente il detto marchio; di licenza semi-esclusiva, se il club rinuncia al diritto<br />
di nominare altri licenziatari, ma si riserva il diritto di utilizzare direttamente il<br />
proprio logo sul mercato.<br />
I primi a registrare il proprio nome furono i londinesi <strong>del</strong>l’Arsenal e il lancio <strong>del</strong>la<br />
nuova Premier League nel 1992 scatenò tutte le squadre nella protezione <strong>del</strong><br />
trademark contro chi vendeva materiale non ufficiale fuori dagli stadi. Nel Regno<br />
Unito indossare la maglia <strong>del</strong>la propria squadra è nel corso degli anni divenuto di<br />
moda e il business si è accresciuto, come dimostra il fatto che il Newcastle United<br />
vendette oltre 250mila sterline in magliette (369mila euro al cambio attuale) quando<br />
il club ingaggiò il centravanti <strong>del</strong>la Nazionale Alan Shearer nel 1996. I club<br />
continentali hanno cercato di seguire il boom inglese, ma i risultati almeno in <strong><strong>It</strong>alia</strong><br />
non sono stati gli stessi, anche per l’abitudine mai sbocciata di indossare la maglia<br />
<strong>del</strong>la propria squadra oltre il giorno <strong>del</strong>la partita.<br />
18 Serie di annunci mirati a creare attesa intorno a un prodotto o un servizio, il cui nome non è<br />
all’inizio svelato.<br />
110
Un’indagine fatta sul Liverpool da Szymanski e Kuypers 19 ha stabilito che su una<br />
singola maglietta venduta, l’8% <strong>del</strong> prezzo va al club (al di là degli introiti derivanti<br />
dalla sponsorizzazione tecnica), il 22% all’azienda che produce e vende le replica<br />
shirt, un altro 22% è il costo <strong>del</strong>la produzione, il 32% è <strong>del</strong> dettagliante e il 16% allo<br />
Stato sotto forma di tasse. Ma le possibilità di accordi tra squadra e azienda non si<br />
limitano naturalmente a questo caso, variando a seconda <strong>del</strong>le esigenze. Se il<br />
merchandising è la risorsa meno costosa a disposizione <strong>del</strong>la società, è anche<br />
estremamente volatile e non è un’area di mercato costantemente in ascesa secondo la<br />
visione più ottimistica per la quale appassionati e tifosi comprano tutto ciò che viene<br />
stampato con nome e simbolo <strong>del</strong>la squadra. Il pezzo forte sono indubbiamente le<br />
magliette, e in quest’ambito gli sponsor tecnici condizionano con le proprie scelte<br />
quelle <strong>del</strong>le stesse società. La Nike, fornitore ufficiale di materiale sportivo <strong>del</strong><br />
Barcellona, ha imposto ai “blaugrana”di giocare 13 partite con la seconda e terza<br />
maglia, naturalmente di colore diverso dalla prima, per incrementare le vendite <strong>del</strong>le<br />
divise secondarie. La grafica <strong>del</strong>la prima maglia <strong>del</strong>la squadra cambia ogni stagione,<br />
anche se molto spesso solo in piccoli dettagli, per poter di volta in volta creare pezzi<br />
diversi vendibili e una maggior libertà di manovra per gli sponsor tecnici è data<br />
proprio dalle seconde e terze maglie, con le quali spesso le case produttrici si<br />
sbizzarriscono. Un esempio è la divisa da trasferta <strong>del</strong>la Juventus introdotta nella<br />
stagione 2005/2006, la quale presentava colori assolutamente nuovi per<br />
l’ultrasecolare storia dei torinesi essendo rossa con bande verticali verdi e bianche,<br />
una combinazione scelta per celebrare il centenario <strong>del</strong>la conquista <strong>del</strong> primo<br />
scudetto ed, evidentemente, per attrarre acquirenti di una divisa che rimarrà unica.<br />
Un mercato che in <strong><strong>It</strong>alia</strong> non ha preso particolarmente piede ma potrebbe essere<br />
sfruttato è quello <strong>del</strong>le divise storiche, spazio di nicchia in Inghilterra sul quale<br />
talvolta le società non detengono nemmeno i diritti e che ha permesso a piccoli<br />
imprenditori (a volte tifosi <strong>del</strong>la stessa squadra) di realizzare un buon business. Le<br />
nostalgia shirts (spesso di cotone, ben diverse da quelli attuali termosaldate che non<br />
hanno più nemmeno le cuciture) forniscono in qualche modo un collegamento a un<br />
<strong>calcio</strong> più autentico, quello <strong>del</strong> passato.<br />
19 Szymanski S., Kuypers T., Winners & Losers. The Business Strategy of Football, Viking, Londra<br />
1999<br />
111
Il mercato dei gadget <strong>del</strong> merchandising ha creato nel mercato veri e propri oggetti di<br />
culto, scambiati online a prezzi piuttosto vantaggiosi. Uno dei prodotti che vende di<br />
più è il cappellino, poiché si indossa con ogni condizione atmosferica e il marchio<br />
aziendale è alla portata di tutti, ma hanno un discreto successo anche i nastrini<br />
portabadge. E per vendere è ormai prassi avviare partnership con istituti di credito<br />
emittenti carte che consentono acquisti agevolati. Quella <strong>del</strong> Barcellona e <strong>del</strong>la banca<br />
La Caixa è stata fornita gratuitamente e in pochi giorni ne sono state distribuite<br />
20mila. Sono esempi, questi, che riguardano i casi di licensing, ma esiste come detto<br />
anche la produzione in proprio e nel mondo <strong>del</strong>lo sport si può citare la Ferrari come<br />
caso di successo. Il team di Maranello, sulla scia dei successi sportivi, ha lanciato la<br />
sfida di un network di negozi monomarca di prodotti <strong>del</strong> Cavallino in due format:<br />
grandi store e shop. Il primo è un progetto che riguarda Maranello, Roma, Las<br />
Vegas, New York, Milano, Honk Kong, Tokyo e Shangai, il secondo (punti vendita<br />
di 70-80 metri quadrati) gli aeroporti Malpensa di Milano e Marconi di Bologna, con<br />
l’obiettivo di aprirne una trentina in giro per il mondo. Non tutto il merchandising<br />
<strong>del</strong>la “Rossa” è tuttavia gestito in proprio, circa il 50% infatti è affidato al licensing e<br />
il volume di affari messo in moto è di circa 500milioni di euro, vendendo persino<br />
scheletri di vecchie auto al prezzo di 100mila euro o <strong>del</strong>le semplici t-shirt che,<br />
autografate dai piloti Fernando Alonso o Felipe Massa, vengono messe sul mercato<br />
al costo di 200 euro. Da qualche anno alla vendita negli store reali si è affiancata<br />
quella online, con lo sviluppo di Internet e in particolare <strong>del</strong>l’e-commerce, che<br />
permette di collocarsi sul mercato mondiale, non solo locale.<br />
Vera spina nel fianco <strong>del</strong> merchandising è il mercato <strong>del</strong> falso. Alcuni dati rivelano<br />
l’importanza <strong>del</strong> fenomeno: per il Milan il 50% <strong>del</strong> proprio mercato in <strong><strong>It</strong>alia</strong> è nelle<br />
mani dei contraffattori, l’Inter ha calcolato che ogni anno vengono spesi 35 milioni<br />
di euro per materiale non originale, la Lazio ha evidenziato in uno studio che 4/5 dei<br />
tifosi possiedono materiale contraffatto. Dati che fanno cambiare notevolmente<br />
aspetto al panorama <strong>del</strong> merchandising che avrebbe altrimenti tutt’altro peso. Per<br />
combatterlo, oltre alla repressione da parte <strong>del</strong>le autorità, sono state prese anche<br />
alcune iniziative di marketing: la Nike, ad esempio, organizza dal 1993 una<br />
manifestazione per calciatori under 15, nell’ambito <strong>del</strong> programma Football<br />
Placement Scale, invitando società (una parte sponsorizzate dalla stessa Nike)<br />
112
provenienti nelle ultime edizioni da una cinquantina di paesi <strong>del</strong> mondo (624 squadre<br />
durante il primo torneo, all’incirca 8.000 nell’ultimo). In 20 formazioni arrivano alle<br />
finali mondiali e l’azienda di Seattle copre tutte le spese a tutti i partecipanti alla fase<br />
finale, solitamente <strong>del</strong>la durata di una settimana, con l’obiettivo di puntare con<br />
decisione al target market dei bambini e promuovere il proprio marchio. In <strong><strong>It</strong>alia</strong>,<br />
invece, nel 2009 per combattere la contraffazione il Ministero per lo Sviluppo<br />
Economico e la Feder<strong>calcio</strong> decisero di mandare in onda uno spot pubblicitario che<br />
modificava i nomi di alcuni calciatori <strong>del</strong>la nazionale, allora campioni <strong>del</strong> mondo, in<br />
Zambrutta (Zambrotta), Buffone (Buffon), Poni (Toni) e Grasso (Grosso), per far<br />
comprendere agli spettatori quanto il mercato <strong>del</strong> falso danneggiasse la nostra<br />
nazione.<br />
3.7 La pubblicità<br />
Le società di <strong>calcio</strong> non hanno tradizionalmente fatto ricorso con assiduità alla<br />
pubblicità. Diversamente dalle aziende di altri settori, come sottolineato, i club hanno<br />
una domanda costante per quel che riguarda il mass market, quindi la pubblicità non<br />
è essenziale a fini di notorietà istituzionale anche in virtù <strong>del</strong>l’enorme copertura<br />
garantita quotidianamente e gratuitamente dai mass media. Come per qualunque<br />
attività commerciale, anche per quanto riguarda il football si può però cercare di dar<br />
maggior risalto alla propria immagine facendo leva sia sull’aspetto emotivo che su<br />
quello razionale che punta invece a fattori economici pubblicizzando ad esempio<br />
sconti e iniziative promozionali.<br />
Un’idea particolare, ironica, in un ambito in cui il registro adottato e richiesto è<br />
invece solitamente informativo e razionale è stata quella <strong>del</strong>la Lazio nel 1998,<br />
quando ne fu deciso l’ingresso in Borsa. Tutta la squadra posò in una foto con la<br />
bombetta in una mano, l’ombrello nell’altra, l’abito da manager <strong>del</strong>la City e le scarpe<br />
da <strong>calcio</strong> ai piedi: “Un investimento da Serie A”. La campagna pubblicitaria<br />
predisposta dall’allora presidente Sergio Cragnotti fu consistente, impostata da note<br />
agenzie pubblicitarie come Pirella, Gottsche, Lowe, evento raro nel panorama<br />
calcistico. A questo aspetto creativo fu accompagnato quello <strong>del</strong> media planning con<br />
una massiccia presenza sulla carta stampata.<br />
113
Sia in <strong><strong>It</strong>alia</strong> che soprattutto all’estero i club stanno comunque cominciando a seguire<br />
logiche pubblicitarie classiche. Da noi l’esempio è venuto da un manager di lungo<br />
corso come Enrico Bondi che, nominato commissario straordinario <strong>del</strong>la Parmalat,<br />
proprietaria <strong>del</strong> pacchetto di maggioranza <strong>del</strong> Parma Calcio, nel 2005 ordinò di<br />
acquistare uno spazio pubblicitario sul Financial Times alla ricerca di un acquirente<br />
<strong>del</strong> club. In Spagna l’Atletico Madrid ormai da anni realizza spot esaltando la fe<strong>del</strong>tà<br />
alla maglia “rojiblanca”. Nel 2004 protagonista fu il più vecchio abbonato al club,<br />
Agùstin de la Fuente Quintana, 91 anni, allora da 72 in possesso <strong>del</strong>la tessera<br />
stagionale: il fe<strong>del</strong>issimo fece proprio riferimento ai valori di lealtà e indissolubilità<br />
tipici <strong>del</strong> rapporto tra una squadra e i suoi tifosi nella campagna dal titolo “Mi<br />
uccide, mi dà la vita”. Anche in Inghilterra più di un club si è rivolto ai creativi per<br />
assestare il rapporto con la tifoseria. Il Manchester City, prima <strong>del</strong>l’avvento <strong>del</strong>lo<br />
sceicco Mansour, si recò presso la nota agenzia pubblicitaria Grey London e fece<br />
installare dei cartelloni in città, sui bus e in altre postazioni al fine di consolidare<br />
l’immagine <strong>del</strong> City come squadra di Manchester, diversamente dall’altra società<br />
cittadina, lo United, che rivolge le proprie attenzioni alla tifoseria di tutto il mondo.<br />
“I claim Réal Manchester, Pure Manchester”, o “Great Manchester” furono gli<br />
slogan che mirarono a colpire proprio i Mancunians, gli abitanti <strong>del</strong>la città. L’ultima<br />
frontiera <strong>del</strong> rapporto tra i club calcistici e la pubblicità è tuttavia rappresentata da<br />
alcuni spot pubblicitari progettati ad hoc per le grandi occasioni. È il caso <strong>del</strong><br />
Barcellona, che prima <strong>del</strong>la semifinale di ritorno di Champions League, in<br />
programma il 28 aprile 2010 contro l’Internazionale, mandò in onda sui principali<br />
media un video in cui i calciatori “blaugrana” inneggiavano alla “Remuntada”, la<br />
rimonta, dopo la sconfitta con il risultato di 3-1 <strong>del</strong>la partita di andata. Uno spot<br />
particolarmente aggressivo, che invitava i tifosi allo stadio recitando slogan come<br />
“Gli interisti si pentiranno di essere dei calciatori” o “Ci giocheremo la pelle. Tutti al<br />
Camp Nou mercoledì alle 8”. Operazione che, al di là <strong>del</strong>l’insuccesso sul terreno di<br />
giuoco, ha avuto dei proseliti in Spagna, con il Sevilla e il Villareal che hanno poi<br />
preparato durante l’ultima stagione agonistica video simili rispettivamente in<br />
concomitanza di una sfida contro il Real Madrid in Copa <strong>del</strong> Rey, “Vuoi un’altra<br />
Coppa? Ti lasceremo senza titoli”, e contro il Napoli in Europa League, “Per<br />
proseguire in Europa abbiamo bisogno <strong>del</strong> tuo appoggio. Giovedì tutti al Madrigal<br />
114
per scrivere la storia, ti aspettiamo”. Ultimo in ordine di tempo è stato proprio il Real<br />
Madrid, che lo scorso 3 aprile ha diffuso un video in vista <strong>del</strong>l’andata dei quarti di<br />
finale di Champions League in programma al Santiago Bernabeu contro il Tottenham<br />
Hotspur, con l’allenatore Mourinho e i calciatori Arbeloa, Xabi Alonso e Carvalho<br />
che dichiaravano a gran voce “Con il vostro supporto non falliremo, conquisteremo<br />
la vittoria”.<br />
3.8 Internet e direct marketing<br />
Internet rappresenta ormai da anni un canale di comunicazione insostituibile e sta<br />
diventando sempre più importante anche per quanto riguarda le vendite grazie all’e-<br />
commerce. Non c’è squadra professionistica, qualunque sia la sua dimensione, che<br />
possa pensare di fare a meno di un web site, un sito Internet ufficiale. Accanto a<br />
quello societario sorgono spesso altri portali di comunicazione virtuali creati da fans<br />
che vogliono tenersi in contatto e scambiare opinioni sulla squadra.<br />
Il sito ufficiale è una vetrina imprescindibile: serve alla stampa per accedere a<br />
informazioni senza passare dalla società, ai tifosi per apprendere le news, ai partner<br />
commerciali correnti e potenziali per analizzare la vetrina offertagli. In alcuni casi,<br />
quelli dei top club, i siti <strong>del</strong>le squadre di <strong>calcio</strong> si sono trasformati in veri e propri<br />
portali verticali, contenenti cioè informazioni che riguardano il club, ma che arrivano<br />
molto in profondità sviluppando molteplici argomenti tutti legati alla squadra. Porte<br />
d’accesso in svariate lingue per servire il mercato internazionale, aree suddivise in<br />
tutte le sezioni di interesse, dalle notizie per i tifosi a quelle specifiche per i<br />
giornalisti, dalla storia <strong>del</strong>la squadra alla rosa completa, dalla parte relativa al settore<br />
giovanile alla visita virtuale <strong>del</strong>lo stadio, dalla possibilità di accesso agli altri organi<br />
<strong>del</strong> club (tv, radio, magazine), al poter assistere in diretta ai match, sino al poter<br />
usufruire degli store virtuali per acquistare gadget ufficiali <strong>del</strong> club. Sono, queste,<br />
alcune <strong>del</strong>le possibilità che questo straordinario strumento fornisce.<br />
Nei club di dimensione maggiore i web site sono realizzati da multinazionali <strong>del</strong>la<br />
comunicazione in grado di fornire un servizio al passo con i tempi globalizzati,<br />
strategico per l’espansione <strong>del</strong> business. Nella sfida ai mercati orientali l’ausilio dei<br />
web site è essenziale. La doppia versione cinese <strong>del</strong> sito ufficiale <strong>del</strong>la Premier<br />
League è stata supportata addirittura dalle ambasciate cinesi ed inglesi. Il Liverpool<br />
115
si è rivolto direttamente all’azienda cinese China.com, mettendo a disposizione oltre<br />
all’informazione canonica, loghi e suonerie tramite mms, sms, servizi wap e il<br />
sistema IVR (Interactive Voice response), un sistema di telefonia “intelligente” che<br />
consente varie e rapide opzioni al chiamante 20 .<br />
Internet ha aperto nuove vie, tanto da far sentire l’esigenza <strong>del</strong>la nascita <strong>del</strong> web<br />
marketing, branca <strong>del</strong>la disciplina che si occupa esclusivamente <strong>del</strong>le attività online.<br />
Sono quindi cresciute notevolmente le possibilità <strong>del</strong> direct marketing,<br />
“il sistema di marketing interattivo che utilizza uno o più mezzi<br />
pubblicitari per ottenere una risposta misurabile e/o una transazione in<br />
qualsiasi luogo” 21 .<br />
Tal sistema organizzativo offre la possibilità di rivolgersi singolarmente a ciascun<br />
individuo, qualcosa di inimmaginabile per la pubblicità classica, e di ottenere un<br />
feedback immediatamente misurabile e preziosi dati personali dalla fan base. Tra gli<br />
strumenti <strong>del</strong> direct marketing non c’è soltanto la rete, ma anche il telefono o la posta<br />
(per l’invio di materiale), anche se le possibilità fornite da Internet consentono<br />
precisione, velocità e numero di contatti nettamente superiori a prezzi decisamente<br />
inferiori. Attività di telemarketing sono attuabili sia in uscita, dove è la società che<br />
cerca l’interlocutore, sia in entrata, in cui è l’interlocutore <strong>del</strong>la società che si rende<br />
parte attiva creando il collegamento.<br />
Questo può avvenire tramite l’utilizzo <strong>del</strong> telefono, costituendo ad esempio un<br />
numero verde come nel caso <strong>del</strong>la Juventus, che nel 1994 sperimentò durante i tre<br />
mesi estivi l’attivazione di un numero gratuito a disposizione dei tifosi per rispondere<br />
su biglietti e novità <strong>del</strong>la squadra e per raccogliere reclami.<br />
La newsletter è invece una tipica modalità realizzata tramite la rete e consiste<br />
nell’inviare ad un elenco di nomi (dietro autorizzazione degli stessi utenti)<br />
20 Un sistema IVR consente, in particolare, di recitare un insieme di messaggi preregistrati, illustrare<br />
menù a scelta multipla, memorizzare dati introdotti da tastiera, mandare fax, interrogare sia database<br />
aziendali che sistemi CTI. I sistemi IVR più evoluti integrano il riconoscimento vocale, il quale<br />
consente di offrire un servizio al chiamante riconoscendo naturalmente il linguaggio parlato. Tal<br />
sistema permette di alleggerire il carico di chiamate pervenute agli operatori di un call center fornendo<br />
informazioni standard e frequentemente richieste.<br />
21 Kotler P., Scott W. G., Marketing Management, 7ª edizione, ISEDI, Torino 2001, p. 880<br />
116
informazioni e offerte a carattere periodico. La risposta da parte degli utenti/tifosi<br />
non è ovviamente scontata, seppur l’alto livello di fi<strong>del</strong>izzazione nelle squadre di<br />
<strong>calcio</strong> potrebbe attenuare il problema <strong>del</strong>la redemption, ovvero il rapporto fra il<br />
numero di risposte e il numero dei messaggi inviati. Un invito a rispondere sono<br />
certamente regali o concorsi a premi, ancor meglio se da parte <strong>del</strong>le aziende partner<br />
con le quali avviare azioni di co-marketing. Si pensi ad esempio a compagnie<br />
assicurative che creino speciali polizze per gli sportivi praticanti o agenzie turistiche<br />
che offrano pacchetti agevolati per seguire la squadra in trasferta.<br />
117
4 Il football britannico e le realtà italiane: analisi <strong>comparata</strong> di due mo<strong>del</strong>li<br />
contrapposti<br />
4.1 Le quattro leve di confronto di Bill Gerrard<br />
Quando il 12 febbraio 1997, al 19’ <strong>del</strong> primo tempo <strong>del</strong> match di qualificazione ai<br />
Mondiali di Francia ‘98 Inghilterra-<strong><strong>It</strong>alia</strong>, Gianfranco Zola, addomesticato un lancio<br />
dalle retrovie di Alessandro Costacurta, ammutolì Wembley superando il portiere<br />
Walker con una splendido destro sul primo palo che regalò il successo agli azzurri<br />
<strong>del</strong>l’allora commissario tecnico Cesare Maldini, probabilmente non avrebbe mai<br />
immaginato che un giorno quel confronto sportivo si sarebbe potuto tramutare in una<br />
analisi <strong>comparata</strong> di stampo aziendale tra due realtà calcistiche da sempre<br />
contraddistinte da un legame tanto suggestivo quanto indissolubile.<br />
Analizzate nei precedenti capitoli le peculiarità riguardanti gli aspetti gestionali e di<br />
bilancio tipici <strong>del</strong>l’azienda <strong>calcio</strong> nel suo complesso, ci occuperemo ora di una<br />
analisi comparativa tra il business <strong>del</strong> football italiano e quello inglese per poter così<br />
verificare nel dettaglio se i club di casa nostra abbiano o meno potenzialità tali da<br />
innestare un circolo virtuoso che possa rivelarsi in grado di generare un incremento<br />
<strong>del</strong>le entrate societarie anche solo simile a quello anglosassone. Un confronto<br />
oltremodo affascinante che rinnova quello di gran voga sul campo di gioco tra gli<br />
anni ’60 e ’70, quando i club <strong>del</strong>le due nazioni si affrontavano in trofei come la<br />
Coppa Anglo-<strong><strong>It</strong>alia</strong>na, aperta dal 1969 sino al 1996 alle prime quattro squadre non<br />
promosse in Serie B e alle quattro retrocesse dalla Serie A per quanto concerne i<br />
nostri campionati e alle otto equivalenti britanniche, la Coppa di Lega <strong>It</strong>alo-Inglese,<br />
disputata tra il 1969 e il 1976 tra la vincente <strong>del</strong>la Coppa <strong><strong>It</strong>alia</strong> e <strong>del</strong>la Coppa di Lega<br />
Inglese, la Coppa <strong>It</strong>alo-Inglese Semiprofessionisti, disputata solo nel biennio tra il<br />
1975 e il 1976 tra la vincente <strong>del</strong>la Coppa <strong><strong>It</strong>alia</strong> Semiprofessionisti e <strong>del</strong>la Prima<br />
divisione inglese non professionistica, e la Coppa Ottorino Barassi, cui partecipavano<br />
tra il 1968 e il 1976 le vincenti <strong>del</strong>la Coppa <strong><strong>It</strong>alia</strong> dilettanti e <strong>del</strong>la Coppa di<br />
Inghilterra dilettanti.<br />
Particolare attenzione, per quanto concerne la realtà d’Oltremanica, sarà prestata ad<br />
un’eccellenza <strong>del</strong> panorama mondiale, il benchmark Manchester United, il quale può<br />
essere preso come mo<strong>del</strong>lo di club in grado di sviluppare un vantaggio competitivo<br />
118
sostenibile e duraturo con un fatturato di 349.8 milioni di euro ed uno stadio che è il<br />
più capiente tra gli impianti inglesi, dopo il nuovo Wembley, con i suoi 76.212 posti.<br />
Con un valore azionario che, secondo il Sun, nel luglio 2010 ha toccato quota 1<br />
miliardo e 240 milioni di sterline, lo United è comunemente considerato il club di<br />
<strong>calcio</strong> più ricco e con il più alto valore di mercato <strong>del</strong> mondo, nonostante una<br />
importante posizione debitoria causata dal leveraged buy-out operato nel 2005 da<br />
Malcolm Glazer all’atto di acquisizione <strong>del</strong>la società 22 . Ma soprattutto, evento<br />
piuttosto raro nel panorama sportivo mondiale, è un club che riesce ad ottenere<br />
introiti in modo equilibrato dai tre settori che maggiormente contribuiscono al<br />
fatturato <strong>del</strong>le società calcistiche: mass media, area commerciale, sponsorizzazioni.<br />
Naturalmente questo grande successo è frutto anche <strong>del</strong>le numerose vittorie in<br />
ambito sportivo.<br />
Per confrontare i due case study si è deciso di utilizzare un metodo messo a punto da<br />
Bill Gerrard, professore di Sport Management and Finance alla Business University<br />
di Leeds. Il professor Gerrard, autore di numerose pubblicazioni accademiche su vari<br />
aspetti economici e finanziari <strong>del</strong>le squadre professionistiche, ha elaborato, nello<br />
specifico, una metodologia per effettuare uno studio comparativo finalizzato a<br />
spiegare il vantaggio competitivo di cui gode il Manchester United nei confronti<br />
<strong>del</strong>le altre grandi società inglesi. Per svilupparlo ha preso in prestito i concetti <strong>del</strong><br />
resource based view. Il mo<strong>del</strong>lo colloca le fonti <strong>del</strong> vantaggio sostenibile all’interno<br />
<strong>del</strong>le aziende enfatizzando il ruolo di risorse strategiche scarse, di valore ed imitabili<br />
in maniera imperfetta e costituisce l’approccio dominante nel management<br />
strategico. Il contesto sportivo, in particolare, viene visto come la forma più pura di<br />
rivalità strategica, con un risultato di vittoria o sconfitta prevalentemente dipendente<br />
dall’abilità <strong>del</strong>le squadre di acquisire risorse di gioco ed utilizzarle efficacemente.<br />
Le relazioni di base di una società sportiva professionistica, secondo il mo<strong>del</strong>lo di<br />
Gerrard, sono quattro, legate ad altrettante risorse strategiche: risorse di gioco (Q), di<br />
management tecnico (MW), di tifosi (F) e di management generale (MR).<br />
Nella formula di Gerrard:<br />
22 Malcolm Glazer acquisì il Manchester United con fondi derivanti prevalentemente da un capitale di<br />
debito il cui rimborso è garantito dagli attivi patrimoniali <strong>del</strong>l’impresa acquisita ed è sostenuto dai<br />
cash flow da essa generati.<br />
119
V = (Q, MW, F, MR).<br />
In base al mo<strong>del</strong>lo, dunque, il team gode dei benefici di un circolo virtuoso di<br />
successi che si autoalimenta: quelli sportivi nobilitano l’immagine <strong>del</strong> club ed<br />
aumentano di fatto gli introiti permettendo alla società di investire sul mercato per<br />
ingaggiare talenti al fine di ottenere ulteriori vittorie sul campo di gioco e, di riflesso,<br />
sul piano finanziario.<br />
4.1.1 Le risorse di gioco<br />
I “Red Devils” hanno iniziato nel 1993 la scalata che li ha portati a tramutarsi da<br />
“fattoria di allevamento” di talenti, club con una particolare attenzione ai giovani<br />
cresciuti nella propria Academy ed in quelle collegate, ad uno status di “marchio<br />
affermato a livello internazionale” 23 . Prima <strong>del</strong>l’insediamento <strong>del</strong> multimilionario<br />
Abramovich alla presidenza <strong>del</strong> Chelsea nel luglio 2003 e <strong>del</strong>lo sceicco Mansour alla<br />
guida dei rivali cittadini <strong>del</strong> City nel 2008, il Manchester United era il club<br />
britannico che investiva i capitali maggiori sul mercato, mentre ora la dirigenza sta<br />
contrastando lo strapotere dei due magnati optando per la conclusione di affari<br />
importanti soprattutto in <strong>prospettiva</strong> futura come quelli che hanno portato nell’estate<br />
2009 all’Old Trafford l’esterno ecuadoregno classe 1985 Luis Antonio Valencia<br />
Mosquera per circa 18 milioni di euro e l’allora ventenne ala francese Gabriel<br />
Obertan per poco meno di 10 milioni. Ma una grande squadra, oltre che sui calciatori<br />
acquisiti sul mercato, fonda le basi per una competitività duratura sul proprio vivaio.<br />
La possibilità di poter emergere dalle giovanili sino ad arrivare a vestire la maglia<br />
<strong>del</strong>la prima squadra contraddistingue in termini di stile e cultura i giovani calciatori e<br />
sviluppa in loro un maggior senso di lealtà verso chi gli ha permesso di compiere il<br />
grande salto. Lo United, in particolare, dal 1994 ha promosso alla corte di sir Alex<br />
Ferguson diversi giocatori che hanno rappresentato la storia <strong>del</strong>la società e <strong>del</strong> <strong>calcio</strong><br />
britannico negli ultimi 20 anni: David Beckham, Nicky Butt, Gary Neville e i tuttora<br />
presenti Paul Scholes e Ryan Giggs, primatista di presenze con i “Diavoli Rossi” dal<br />
21 maggio 2008, quando collezionò la gara numero 759 in carriera. Oltre a questi<br />
atleti, che sono stati in blocco protagonisti <strong>del</strong> successo in Champions League a<br />
23 Consultare il paragrafo 3.3: Le “4 P”: peculiarità <strong>del</strong>le squadre di <strong>calcio</strong><br />
120
Barcellona nel 1999 ed in parte di quello <strong>del</strong> 2008 a Mosca, altri come Wesley<br />
Brown, Darren Fletcher e John ‘O Shea rappresentano appieno la bontà <strong>del</strong> lavoro<br />
svolto dall’Academy dei “Red Devils”. Un vantaggio, quello derivante dalla cura dei<br />
vivai, non solo tecnico, ma anche economico considerati gli alti costi di trasferimento<br />
e di ingaggio di campioni prelevati da altre squadre. Il Chelsea, ad esempio, ha<br />
investito nell’estate 2010 22 milioni di euro per il centrocampista Ramires e 25 a<br />
gennaio per il difensore David Luiz, entrambi provenienti dal Benfica, chiudendo la<br />
stagione senza poter brindare ad alcun successo, nonostante avesse poi acquistato<br />
anche l’attaccante Fernando Torres dal Liverpool per ben 58.5 milioni. Non è andata<br />
di certo meglio al Manchester City di Roberto Mancini, che ha investito 35 milioni<br />
per Edin Dzeko, 30 per David Silva, 28 per Mario Balotelli, 25 per Yaya Tourè e 20<br />
per Aleksandr Kolarov concludendo il campionato conquistando l’accesso alla<br />
Champions League senza tuttavia mai essere davvero in lotta per il titolo di<br />
campione d’Inghilterra. Follie vane anche per il Liverpool di Steven Gerrard, che nel<br />
solo gennaio ha cercato di salvare la propria <strong>del</strong>udente stagione acquisendo Luis<br />
Suarez dall’Ajax per 25 milioni e l’attaccante Andy Carroll per 40 milioni dal<br />
Newcastle, con i “Magpies” che hanno così capitalizzato al massimo la cessione <strong>del</strong><br />
promettente atleta cresciuto nel proprio vivaio e diventato il calciatore britannico più<br />
pagato di sempre. Se si considera che il Manchester United ha investito appena 4<br />
milioni per Javier Hernandez e 10 per Chris Smalling nell’immediato, e 8.8 per Bebè<br />
e 5 per Lindegaard in <strong>prospettiva</strong> futura, si comprende a pieno, a fronte dei risultati<br />
ottenuti sia sul fronte sportivo che finanziario, come nel <strong>calcio</strong> il poter contare su un<br />
vivaio di prima scelta e su un programma a lungo termine valgano talvolta ben più<br />
<strong>del</strong>le istantanee follie di mercato. Basti pensare che proprio i “Red Devils”<br />
ricavarono nel 2003 ben 35 milioni di euro cedendo David Beckham, prodotto <strong>del</strong>la<br />
sua Academy, al Real Madrid per una plusvalenza da capogiro. La cessione di<br />
Cristiano Ronaldo, 6 anni dopo, sempre alle “Merengues”, ha invece portato nelle<br />
casse di Sir Alex Ferguson ben 94 milioni a fronte dei 18 milioni spesi dal club per<br />
acquistare il calciatore, appena 18enne nel 2003, dallo Sporting Lisbona. <strong>Una</strong><br />
differenza strategica che, stando ad un’indagine <strong>del</strong> sito futebolfinance.com 24 , si<br />
24 O custo salarial dos clubes da Premier League 09/10 (http://www.futebolfinance.com/o-custosalarial-dos-clubes-da-premier-league-0910),<br />
(13 maggio 2011)<br />
121
iflette anche sul fronte ingaggi, con il Chelsea che ha concluso la stagione 2010 con<br />
ben 197 milioni di euro da corrispondere ai propri tesserati, il Manchester United che<br />
se l’è cavata con 141 milioni, l’Arsenal che ne ha sborsati 120 e con il Liverpool e il<br />
Manchester City cui, prima di contabilizzare i grandi acquisti citati, sono invece<br />
bastati 103 e 95 milioni per concludere i rispettivi campionati avari di soddisfazioni.<br />
Nel panorama italiano risulta assai complesso ricercare un club in grado di fondare le<br />
proprie fortune partendo dal vivaio al pari <strong>del</strong> Manchester United. Storicamente la<br />
formazione italiana che ha prodotto più talenti è l’Atalanta, anche se, permanendo<br />
allo status di “fattoria di allevamento” per scelte di politica gestionale, essa non è mai<br />
riuscita negli ultimi decenni a competere per le prime posizioni in classifica in Serie<br />
A. Tra i calciatori di maggior prestigio ceduti ad altre formazioni spiccano l’ex ct<br />
<strong>del</strong>la Nazionale italiana Roberto Donadoni, Filippo Inzaghi, Alessio Tacchinardi,<br />
Riccardo Montolivo, Marco Motta e Giampaolo Pazzini. Chi invece ha fatto dei<br />
giovani allevati il simbolo dei propri successi è la Roma, che vede nel capitano<br />
Francesco Totti e nel centrocampista Daniele De Rossi due elementi che hanno<br />
scritto pagine in<strong>del</strong>ebili <strong>del</strong>la storia giallorossa, mentre dalla cessione nell’agosto<br />
2009 di Alberto Aquilani al Liverpool derivarono 20 milioni di euro determinanti per<br />
quella che era una stagione economica particolarmente <strong>del</strong>icata per il club <strong>del</strong>la<br />
capitale. Particolare è il caso <strong>del</strong> Milan, che in questa stagione ha vinto il titolo di<br />
campione d’<strong><strong>It</strong>alia</strong> anche grazie al contributo offerto da Ignazio Abate e Luca<br />
Antonini, due elementi cresciuti sì in rossonero, ma che prima di rientrare alla base<br />
sono stati mandati in prestito a farsi le ossa in lungo e in largo. Non ci si trova<br />
dunque di fronte a campioni completamente fatti in casa come Franco Baresi, Paolo<br />
Maldini, Alessandro Costacurta o Demetrio Albertini, bensì a due elementi discreti<br />
che, a differenza dei loro predecessori o dei prodotti <strong>del</strong>l’Academy dei “Diavoli<br />
Rossi”, difficilmente entreranno a far parte <strong>del</strong>la storia <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> nazionale. Se<br />
l’Inter campione <strong>del</strong> mondo e detentore <strong>del</strong> “Triplete” ha ceduto i propri gioielli fatti<br />
in casa al Cesena, Davide Santon, in prestito per prendere Yuto Nagatomo e al<br />
Manchester City, Mario Balotelli, per rimpinguare le pur ricche casse societarie, non<br />
c’è da sorprendersi se proprio le due milanesi, non fidandosi dei rispettivi vivai,<br />
hanno deciso di intervenire ingentemente sul mercato investendo ben 6 milioni di<br />
euro per il prestito di Zlatan Ibrahimovic, 1.7 milioni per l’acquisizione di Antonio<br />
122
Cassano, 7 milioni per Papastathopoulos, 1.5 per la cessione temporanea di Kevin<br />
Prince Boateng, ben 18 per l’acquisto di Robinho ed 1.7 per Urby Emanuelsson per<br />
quanto concerne il Milan e 19 milioni per l’acquisizione di Giampaolo Pazzini dalla<br />
Sampdoria, 18.5 per quella di Andrea Ranocchia dal Genoa e 2 milioni per il prestito<br />
di Yuto Nagatomo dal Cesena a gennaio per quanto riguarda l’Inter, che in estate<br />
aveva prelevato solo Coutinho dal Vasco per 3.8 milioni e Jonathan Biabany, poi<br />
ceduto per 7 milioni alla Sampdoria nell’ambito <strong>del</strong>l’affare Pazzini, per 4.5 milioni<br />
dal Parma. Se si considera che Milan ed Inter hanno chiuso al primo e secondo posto<br />
l’ultimo campionato e si ritrovano ai primi due posti anche in termini di ingaggi<br />
percepiti dai tesserati con rispettivamente 130 e 121.4 milioni di euro da<br />
corrispondere loro, la tesi <strong>del</strong> professor Gerrard secondo cui l’acquisizione di<br />
giocatori di valore, acquistati a caro prezzo sul mercato, è determinante per<br />
l’ottenimento di successi sportivi sembra perfettamente dimostrata in <strong><strong>It</strong>alia</strong>, dove le<br />
uniche eccezioni, rispetto al fronte ingaggi, sono rappresentate da Napoli e Udinese,<br />
che hanno concluso la Serie A a ridosso di rossoneri e nerazzurri nonostante un tetto<br />
ingaggi di appena 28.3 e 18.5 milioni di euro.<br />
Tabella 9 – Differenze monte ingaggi 2010 Top Club tra Premier League e Serie<br />
A – (€ Mln)<br />
CLUB PREMIER<br />
LEAGUE<br />
(Posizionamento in<br />
campionato)<br />
VALORE<br />
INGAGGI<br />
Fonte: Nostra indagine diretta maggio 2011.<br />
CLUB SERIE A<br />
(Posizionamento<br />
in campionato)<br />
123<br />
VALORE<br />
INGAGGI<br />
Chelsea (2°) 197 Milan (1°) 130<br />
Manchester United (1°) 141 Inter (2°) 121.4<br />
Arsenal (4°) 120 Juventus (7°) 100<br />
Liverpool (6°) 103 Roma (6°) 83<br />
Manchester City (3°) 95 Lazio (5°) 41<br />
Aston Villa (9°) 81 Napoli (3°) 28.3<br />
Tottenham (5°) 69 Udinese (4°) 18.5
Il loro segreto, rispetto alle ricchissime concorrenti, è stato il seguire il mo<strong>del</strong>lo<br />
Manchester United investendo su calciatori giovani di talento da valorizzare<br />
soprattutto in <strong>prospettiva</strong> futura: è così che i partenopei hanno deciso di puntare<br />
sull’attaccante Edinson Cavani, costato al momento 5 milioni di euro per l’opzione<br />
sul prestito con diritto di riscatto ed ora appetito da tutta Europa, sul 20enne Nicolao<br />
Dumitru, preso dall’Empoli in prestito per 1.5 milioni, e sul difensore spagnolo<br />
Victor Ruiz, pagato 8.5 milioni all’Espanyol, mentre i friulani hanno scommesso<br />
tutto sull’esplosione di “El Niño Maravilla” Alexis Sanchez, acquistato appena<br />
18enne dal Cobreloa nel 2006, e sul terzino colombiano Pablo Armero, prelevato dal<br />
Palmeiras per 1.2 milioni di euro. Di contro, a nulla sono serviti alla Juventus i 100<br />
milioni di euro di ingaggi e gli sforzi sul mercato, con oltre 60 milioni investiti sul<br />
mercato per acquistare calciatori come Milos Krasic e Leonardo Bonucci e per<br />
ottenere i prestiti con diritto di riscatto di campioni come Fabio Quagliarella, Simone<br />
Pepe o Alberto Aquilani: la stagione dei bianconeri, che pur vantano in rosa dei<br />
giovani come Paolo De Ceglie e Claudio Marchisio cresciuti nel proprio settore<br />
giovanile, è stata a dir poco <strong>del</strong>udente.<br />
4.1.2 Il management tecnico<br />
Il secondo punto <strong>del</strong> mo<strong>del</strong>lo si basa sulla capacità <strong>del</strong>lo staff tecnico. Allo United il<br />
manager è Sir Alex Ferguson dal 1986: la sua militanza è la più lunga in Premier<br />
League e la lista dei trofei conquistati sia in ambito nazionale che internazionale<br />
unica, basti pensare che in bacheca manca solo la Coppa Uefa/Europa League.<br />
Proprio il lungo lavoro sempre nella stessa società è condizione importante per il<br />
successo. Infatti Gerrard ritiene che:<br />
“Le squadre di successo tendono ad avere manager che rimangono lungo<br />
tempo […]. Acquisiscono conoscenza tacita, costruiscono la propria<br />
esperienza insieme ai giocatori individualmente, all’organizzazione e<br />
alla cultura <strong>del</strong> club” 25 .<br />
25 Andrews D. L., Manchester United. A thematic study, Routledge, Abingdon (Inghilterra), 2004, p.<br />
82<br />
124
Un’idea che in Inghilterra viene confermata anche dalle statistiche che vedono<br />
l’Arsenal aver cambiato appena 6 allenatori dal 1986 ad oggi, con Arsène Wenger<br />
che siede in panchina dal 1996 e ha collezionato 3 successi in campionato, 4 Coppe<br />
di Inghilterra e 4 Charity/Community Shield, perdendo poi una finale di Champions<br />
League contro il Barcellona nel 2006 a Parigi. Il Chelsea, tra i club più vittoriosi<br />
negli ultimi 10 anni, ha invece cambiato nel medesimo lasso di tempo 13 volte<br />
tecnico, con ben 4, tra cui Josè Mourinho, che sono rimasti a Stamford Bridge<br />
almeno 3 stagioni. Chi ne ha invece cambiati 8, senza tuttavia raccogliere grossissimi<br />
frutti rispetto alle rivali, è il Liverpool, che in 25 anni ha vinto solo 2 campionati,<br />
l’ultimo nel 1990 con Kenny Dalglish alla guida, consolandosi con diverse<br />
affermazioni negli altri trofei nazionali. È andata di certo meglio ai “Reds” in ambito<br />
europeo, con una Coppa Uefa vinta sotto la gestione Houllier, 6 anni ad Anfield, nel<br />
2001, e una Champions League vinta da Rafael Benitez nel 2005 al termine di una<br />
incredibile finale contro il Milan ad Istanbul. In ambo i casi il Liverpool vinse poi<br />
anche la Supercoppa Europea.<br />
Parlare di lunghe permanenze di allenatori in <strong><strong>It</strong>alia</strong> sembra invece essere una follia. Il<br />
Milan, pur vincendo moltissimo, su tutto 5 Champions League, negli ultimi 25 anni<br />
ha scommesso su ben 16 cambi in panchina, con il solo Carlo Ancelotti che è stato<br />
confermato per 8 campionati. Restando a Milano, prima di poter ottenere il<br />
“Triplete” targato Josè Mourinho, ha cambiato 22 trainer l’Inter, con Giovanni<br />
Trapattoni e Roberto Mancini che sono gli unici riusciti a resistere per più di 3<br />
campionati consecutivi, anche se va detto che il tecnico portoghese ha richiesto di<br />
esser lasciato libero nell’estate 2010 per poter firmare per il Real Madrid. Tra le big,<br />
sempre partendo dal 1986, ad aver un miglior rapporto tecnici-successi, e quindi ad<br />
avvicinarsi alla teoria di Gerrard, è la Juventus. I bianconeri hanno cambiato 14<br />
allenatori, con Marcello Lippi recordman con 7 stagioni divise tra il quadriennio<br />
1995-1999 e il triennio 2001-2004, vincendo 11 trofei con il tecnico viareggino,<br />
perdendo tra l’altro una finale di Champions League contro il Milan all’Old Trafford<br />
di Manchester nel 2003, e 5, esclusi i 2 scudetti revocati per il caso Calciopoli, con<br />
gli altri allenatori, Giovanni Trapattoni su tutti.<br />
125
Tabella 10 – Gestione allenatori Top Club Premier League e Serie A dal 1986 al 2011<br />
Club / numero di<br />
allenatori<br />
Manchester United<br />
1<br />
Chelsea<br />
13<br />
Liverpool<br />
8<br />
Arsenal<br />
6<br />
Milan<br />
16<br />
Roma<br />
24<br />
Inter<br />
22<br />
Juventus<br />
14<br />
Napoli<br />
31<br />
Alex Ferguson (1986-Oggi).<br />
126<br />
Allenatori<br />
John Hollins (1985-1988), Bobby Campbell (1988-1991), Ian Porterfield (1991-1993),<br />
David Webb (1993), Glen Hoddle (1993-96), Ruud Gullit (1996-1998), Gianluca Vialli<br />
(1998-2000), Claudio Ranieri (2000-2004), Josè Mourinho (2004-2007), Josè<br />
Mourinho – Avraham Grant (2007/2008), Felipe Scolari – Guus Hiddink (2008/09),<br />
Carlo Ancelotti (2009-Oggi).<br />
Kenny Dalglish (1985-1991), Ronnie Moran (1991), Graeme Souness (1991-1994),<br />
Roy Evans (1994-1998), Gérard Houllier (1998-2004), Rafael Benitez (2004-2010),<br />
Roy Hodgson – Kenny Dalglish (2010-Oggi).<br />
George Graham (1986-1995), Stewart Houston (1995), Bruce Rioch (1995/96), Stewart<br />
Houston (Agosto – Settembre 1996), Pat Rice (Settembre 1996), Arsène Wenger (1996-<br />
Oggi).<br />
Nils Liedholm (1984-1987), Fabio Capello (1987), Arrigo Sacchi (1987-1991); Fabio<br />
Capello (1991-1996), Oscar Tabarez – Giorgio Morini (1996), Arrigo Sacchi<br />
(1996/1997), Fabio Capello (1997-1998), Alberto Zaccheroni (1998-2001), Cesare<br />
Maldini – Mauro Tassotti (2001/Giugno), Fatih Terim – Antonio Di Gennaro (Luglio<br />
2001/Novembre), Carlo Ancelotti (Novembre 2001-2009), Leonardo (2009/2010),<br />
Massimiliano Allegri 2010-Oggi.<br />
Sven Goran Eriksson – Angelo Benedcto Sormani (1986/1987), Nils Liedholm –<br />
Angelo Benedecto Sormani (1987/1988), Nils Liedholm – Luciano Spinosi – Nils<br />
Liedholm (1988/1989), Gigi Radice 1989/90, Ottavio Bianchi (1990-1992), Vujadin<br />
Boskov – Narciso Pezzotti (1992/1993), Carlo Mazzone (1993-1996), Carlos Bianchi –<br />
Niels Liedholm – Carlo Sella (1996/1997), Zdenek Zeman (1997-1999), Fabio Capello<br />
(1999-2004), Cesare Pran<strong>del</strong>li – Rudi Voller – Luigi Delneri – Bruno Conti<br />
(2004/2005), Luciano Spalletti (2005-2010), Claudio Ranieri (2010 – Febbraio 2011),<br />
Vincenzo Montella (2011-Oggi).<br />
Giovanni Trapattoni (1986-1991), Corrado Orrico – Luis Suarez (1991/1992), Osvalado<br />
Bagnoli (1992/1993), Giampiero Marini (1993/1994, Ottavio Bianchi (1994/1995),<br />
Ottavio Bianchi – Luis Suarez – Roy Hodgson (1995/1996), Roy Hodgson – Luciano<br />
Castellini (1996/1997), Luigi Simoni (1997/1998), Luigi Simoni – Mircea Lucescu –<br />
Luciano Castellini – Roy Hodgson (1998/1999), Marcello Lippi (1999/2000), Marcello<br />
Lippi – Marco Tar<strong>del</strong>li (2000/2001), Hector Cuper (2001-2003), Hector Cuper –<br />
Corrado Ver<strong>del</strong>li – Alberto Zaccheroni (2003/2004), Roberto Mancini (2004-2008),<br />
Josè Mourinho (2008-2010), Rafael Benitez – Leonardo (2010-Oggi).<br />
Rino Marchesi (1986-1988), Dino Zoff (1988-1990), Luigi Maifredi (1990/1991),<br />
Giovanni Trapattoni (1991-1995), Marcello Lippi (1995-1999), Carlo Ancelotti (1999-<br />
2001), Marcello Lippi (2001-2004), Fabio Capello (2004-2006), Didier Deschamps –<br />
Giancarlo Corradini (2006/2007), Claudio Ranieri (2007-2009), Ciro Ferrara – Alberto<br />
Zaccheroni (2009-2010), Luigi Delneri (2010-Oggi).<br />
Ottavio Bianchi (1985-1989), Alberto Bigon (1989-1991), Claudio Ranieri (1991-<br />
1993), Ottavio Bianchi – Marcello Lippi (1994/1995), Vincenzo Guerini – Vujadin<br />
Boskov (1994/1995), Vujadin Boskov (1995/1996), Luigi Simoni – Vincenzo<br />
Montefusco (1996/1997), Bortolo Mutti – Carlo Mazzone – Giovanni Galeone –<br />
Vincenzo Montefusco (1997/1998), Renzo Ulivieri – Vincenzo Montefusco<br />
(1998/1999), Walter Novellino (1999/2000), Zdenek Zeman – Emiliano Mondonico<br />
(2000/2001), Luigi De Canio (2001/2002, Franco Colomba – Sergio Buso – Franco<br />
Scoglio – Franco Colomba (2002/2003), Andrea Agostinelli – Luigi Simoni<br />
(2003/2004), Giampiero Ventura – Edoardo Reja (2004/2005), Edoardo Reja (2005-<br />
2009 Marzo), Roberto Donadoni (Marzo 2009 – Ottobre 2009), Walter Mazzarri<br />
(Ottobre 2009-Oggi).<br />
Fonte: Nostra indagine diretta maggio 2011.
Da segnalare anche i casi di Roma e Napoli: i giallorossi hanno cambiato 24<br />
allenatori vincendo 1 scudetto, 3 Coppe <strong><strong>It</strong>alia</strong> e 2 Supercoppe, mentre gli azzurri, con<br />
ben 31 sostituzioni, hanno conquistato 2 scudetti, 1 Coppa Uefa, 2 Coppe <strong><strong>It</strong>alia</strong> e 1<br />
Supercoppa <strong><strong>It</strong>alia</strong>na. Da quando, nel 2004, alla guida <strong>del</strong>la società c’è Aurelio De<br />
Laurentiis, si è però registrato un cambiamento di tendenza, con solo 4 tecnici<br />
cambiati: si è partiti con Giampiero Ventura per poi optare per Edoardo Reja, rimasto<br />
4 campionati, Roberto Donadoni e Walter Mazzarri, quest’ultimo autore <strong>del</strong> miracolo<br />
che ha riportato il Napoli in Champions League 20 anni dopo l’epopea Maradona.<br />
4.1.3 La tifoseria<br />
Il terzo fattore preso in considerazione è la fe<strong>del</strong>tà <strong>del</strong>la tifoseria. Il termine di<br />
riferimento in tal caso sono le presenze allo stadio e il potenziale di supportership.<br />
Lo United conta nel mondo 200 fan club di cui 151 in Gran Bretagna, 25 in Irlanda e<br />
24 nel resto <strong>del</strong> mondo. Il numero dei tifosi non è possibile da stabilire con<br />
precisione e per selezionare quanti più dati possibili per ciascun individuo il club ha<br />
applicato un sistema di Customer Relationship Management (CRM) che ha permesso<br />
di registrare 2 milioni 588mila clienti-tifosi. Per tenere i fan quanto più possibile<br />
legati alla squadra è stato creato inoltre un programma di fi<strong>del</strong>izzazione, One United,<br />
club membership scheme che, lanciato nel giugno 2003, dopo un mese aveva già<br />
raccolto 125mila adesioni. Chi ne fa parte, al costo di 26 sterline l’anno (16 per gli<br />
junior) ha una serie di benefit: priorità per i biglietti <strong>del</strong>le partite, sconti per i tour<br />
all’Old Trafford, ingressi gratuiti per i match <strong>del</strong>le riserve e possibilità di poter<br />
ricevere gratuitamente anche uno dei magazine editi dalla società. Fuori dalla Gran<br />
Bretagna, in Europa aderire all’iniziativa costa 3 sterline in più, nel resto <strong>del</strong> mondo<br />
5 in più. Un dato importante, quello dei clienti-tifosi, destinato a migliorare<br />
sensibilmente se si considera il report 2010 di Sport+Markt, Football Top 20,<br />
secondo cui il Manchester United, terzo nella classifica di merito, vanterebbe 30.6<br />
milioni di tifosi in Europa, precedendo il Chelsea, fermo a 21.4, e l’Arsenal,<br />
assestatosi a quota 20.3.<br />
127
Tabella 11 – Football Top 20 2010 – Posizione in classifica per numero tifosi in<br />
Europa club italiani ed inglesi<br />
Posizione<br />
Generale<br />
Club Tifosi<br />
3 Manchester United 30.6 milioni<br />
4 Chelsea 21.4 milioni<br />
6 Arsenal 20.3 milioni<br />
7 Milan 18.4 milioni<br />
8 Inter 17.5 milioni<br />
9 Liverpool 16.4 milioni<br />
10 Juventus 13.1 milioni<br />
19 Roma 6 milioni<br />
35 Napoli 2.5 milioni<br />
Fonte: Sport+Markt. (Ns. elab.)<br />
Condotto su un campione di tifosi di <strong>calcio</strong> di età compresa fra i 15 e i 69 anni e<br />
residenti in Germania, Regno Unito, Francia, <strong><strong>It</strong>alia</strong>, Spagna, Polonia, Paesi Bassi,<br />
Portogallo, Turchia, Repubblica Ceca, Ungheria, Grecia, Svizzera, Austria, Russia e<br />
Croazia, questo studio, che pone nelle prime due posizioni Barcellona e Real Madrid<br />
con 57.8 e 31.3 milioni di tifosi, vede la prima squadra italiana ferma al settimo<br />
posto con i 18.4 milioni di supporter <strong>del</strong> Milan, seguito dall’Inter con 17.5, in netta<br />
ascesa rispetto ai 10.7 <strong>del</strong>la stagione 2005/2006, e la Juventus con 13.1 milioni. Il<br />
Napoli è solo 35mo in questa particolare graduatoria, con 2.5 milioni di tifosi. Se si<br />
considera che nell’ultima stagione si sono recati al San Paolo oltre 1 milione di fan<br />
tra campionato, Coppa <strong><strong>It</strong>alia</strong> ed Europa League, c’è da scommetterci che nell’annata<br />
agonistica 2011/2012, con la Champions League da disputare, gli azzurri, come è<br />
accaduto all’Inter, ma anche alla Roma che è salita da 2.8 a 6 milioni di supporter in<br />
5 anni, vedranno potenziarsi rapidamente la propria popolarità nel vecchio continente<br />
risalendo importanti posizioni in questa speciale classifica nella speranza di poter<br />
incrementare gli introiti di 432mila euro ottenuti dal merchandising la scorsa<br />
stagione. Ovviamente tal processo di crescita dovrà esser supportato da una adeguata<br />
campagna di fi<strong>del</strong>izzazione che possa rendere ancora più solido il legame con i tifosi.<br />
È da leggere in quest’ottica l’iniziativa <strong>del</strong>la Juventus denominata Accendi una<br />
stella, che permetterà ai fan dei bianconeri di poter acquistare una stella nel nuovo<br />
128
stadio accanto a quella dedicata ai tanti campioni <strong>del</strong> passato e <strong>del</strong> presente. La<br />
pavimentazione che darà accesso al secondo anello di tribune è stata infatti studiata<br />
in modo da accogliere il pubblico con una divisione <strong>del</strong>lo spazio in 50 diversi settori.<br />
Ognuna di queste aree sarà dedicata ai 50 campioni <strong>del</strong>la storia juventina più votati<br />
dai Member e dai Club Doc e all’interno di ognuna verranno posizionate <strong>del</strong>le<br />
placche metalliche, contenenti la forma di una stella, sulle quali saranno incisi i nomi<br />
dei tifosi. Due le tipologie di stelle, Gold da 250 euro e Platinum da 350 euro.<br />
Acquistando quest’ultima si avrà la possibilità di vedere posizionata la stella con il<br />
proprio nome inciso attorno a quella di uno dei 50 campioni, tra i quali Michel<br />
Platini, Alessandro Del Piero, Giampiero Boniperti ed Omar Sivori. Chi aderirà<br />
riceverà anche un pack contenente la riproduzione <strong>del</strong>la stella, la maglietta <strong>del</strong><br />
progetto in edizione limitata e l’accesso al programma Juventus Membership che<br />
consentirà di entrare a far parte <strong>del</strong>la community dei Member. Il progetto è stato<br />
concepito in modo da consentire ad ogni tifoso interessato di scegliere il settore<br />
preferito per intestare la propria stella ed è stato incentrato sul legame che ogni fan<br />
ha con la Juventus e sulla possibilità di renderlo eterno.<br />
Particolarmente interessanti, nell’epoca dei social network, sono anche i dati, diffusi<br />
lo scorso maggio, riguardanti il numero dei tifosi che i top club europei vantano su<br />
Facebook.<br />
Tabella 12 – Posizione in classifica nella Top 20 per numero tifosi su Facebook<br />
dei club italiani ed inglesi<br />
Posizione<br />
Generale<br />
Club Tifosi<br />
2 Manchester United 13.671.221 milioni<br />
4 Arsenal 5.794.019 milioni<br />
5 Liverpool 5.603.120 milioni<br />
6 Chelsea 5.346.289 milioni<br />
7 Milan 3.884.837 milioni<br />
11 Napoli 452.372<br />
12 Inter 348.562<br />
13 Juventus 314.202<br />
Fonte: Sporteconomy. (Ns. elab.)<br />
129
Nella tabella Energise il Barcellona è primatista con 14.638.242 sostenitori, seguito a<br />
ruota dal Manchester United con 13.671.221 e dal Real Madrid con 13.452.983.<br />
Seguono Arsenal, Liverpool e Chelsea, a testimonianza <strong>del</strong>la straordinarietà <strong>del</strong><br />
fenomeno inglese, con circa 5 milioni di tifosi ciascuna, mentre la prima italiana è il<br />
Milan, settimo, con 3.884.837 supporters. Undicesimo è il Napoli a quota 452.372,<br />
dodicesima e tredicesima Inter e Juventus con 348.562 e 314.202 affezionati.<br />
L’ultimo rilevamento risale al 22 maggio 2011.<br />
4.1.4 Il management societario<br />
Sotto il profilo <strong>del</strong> management societario il Manchester United ha compiuto la<br />
propria metamorfosi durante la gestione di Martin Edwards, il cui arrivo alla<br />
presidenza nel 1980 ha cambiato la storia <strong>del</strong> club. Fu allora, infatti, che si cominciò<br />
a porre grande attenzione alla valorizzazione <strong>del</strong> business. Nel 1991, in particolare,<br />
fu creata la Manchester United Public Limited Company (PLC), compagnia che si<br />
sarebbe occupata di tutto, dalla squadra allo sviluppo e protezione <strong>del</strong> brand, e nel<br />
1998 fu messo a punto il Manchester United International per curare gli affari esteri e<br />
fu avviato il Project Theatre of Dreams, legato alla valorizzazione <strong>del</strong>l’Old Trafford<br />
sotto il profilo finanziario. Nel 2002 è poi giunto l’accordo con la Nike, la quale ha<br />
potuto occuparsi <strong>del</strong> merchandising <strong>del</strong> club, curato dal Manchester United<br />
Merchandising Limited. La strategia perseguita è stata, ed è tutt’ora, di tipo “glocal”,<br />
cioè legata alla conquista dei mercati nel mondo inserendosi nelle realtà locali: a<br />
Dublino, Singapore e Shanghai i “Red Devils” hanno sviluppato partnership con<br />
aziende di business locali e regionali, le quali si occupano <strong>del</strong> predisporre i locali e<br />
gli staff per la vendita, mentre lo United fornisce i prodotti con il proprio marchio.<br />
Nel 2005 la società Red Football Ltd, di proprietà <strong>del</strong>la famiglia <strong>del</strong> 76enne<br />
americano Malcolm Glazer, completò la scalata al potere societario cominciata due<br />
anni prima dando il là ad una rivoluzione poco gradita ai tifosi sia sotto il profilo<br />
etico, poiché l’acquisizione da parte di un proprietario non britannico non era visto di<br />
buon occhio dagli amanti <strong>del</strong>la tradizione, che economico. L’offerta che permise il<br />
takeover fu di 300 pence, tre sterline per ogni azione <strong>del</strong>la società quotata dal 1991<br />
presso la Borsa di Londra con un prezzo allora fissato in 32 centesimi. L’offerta dei<br />
Glazer (in totale 790 milioni di pound, pari a un miliardo 760 milioni di euro) fu<br />
130
dunque quasi dieci volte maggiore rispetto al valore iniziale per un titolo che<br />
raramente nella sua storia aveva superato i 200 pence. Un tentativo di scalata, quello<br />
<strong>del</strong> self-made-man di origini lituane, che per due volte era stato in precedenza<br />
arrestato a causa <strong>del</strong> livello di indebitamento ritenuto troppo alto. Per riuscire nel<br />
proprio intento Glazer optò per un leveraged buy-out che gli permise di prendere in<br />
prestito 540 dei 790 milioni necessari per acquistare il Manchester United usando<br />
anche i beni <strong>del</strong>la squadra come collaterali. Al London Stock Exchange, nello<br />
specifico, il miliardario americano dichiarò che i prestiti sarebbero stati pari a circa<br />
392 milioni di euro, mentre altri 407 sarebbero stati coperti da emissioni di garanzie.<br />
Il duo irlandese che era a capo <strong>del</strong>lo United, gli imprenditori <strong>del</strong> settore ippico JP<br />
McManus e John Magnier, cedettero per 227 milioni di sterline (335 milioni di euro)<br />
le proprie quote, guadagnando 70 milioni di sterline (103 milioni di euro). In seguito<br />
anche lo scozzese <strong>del</strong> ramo minerario Harry Dobson cedette le proprie azioni. Il 14<br />
giugno 2005 la quota di proprietà di Glazer divenne <strong>del</strong> 97,3%, con 257.906.287<br />
azioni comprate, ponendolo nelle condizioni di acquistare coattivamente le rimanenti<br />
e di ritirare il club dalla Borsa di Londra, nonostante dal 1991, anno <strong>del</strong>l’ingresso in<br />
borsa, a quella data, il Manchester United avesse visto più che decuplicato il proprio<br />
valore sul mercato. Ancora oggi la situazione debitoria dei “Diavoli Rossi”, al pari di<br />
quella di altre società inglesi come il Chelsea di Roman Abramovich che si affidò<br />
alla medesima strategia per acquisire la proprietà <strong>del</strong>la formazione di Stamford<br />
Bridge, risulta tutt’altro che sanata, anche se i rapporti con gli sponsor e le strategie<br />
di marketing continuano a collocarli tra i club più ricchi al mondo per introiti e<br />
valore totale <strong>del</strong> mondo United.<br />
In <strong><strong>It</strong>alia</strong>, in attesa <strong>del</strong>la rivoluzione Roma promessa da Thomas DiBenedetto, il caso<br />
di management societario di successo che più si avvicina a quello <strong>del</strong> club <strong>del</strong>l’Old<br />
Trafford è quello operato dal Napoli targato Aurelio de Laurentiis. Gli azzurri, la cui<br />
rinascita è partita nel 2004 dall’allora Serie C1, sono giunti nel 2010, come si evince<br />
da una analisi de Il pallone in confusione, al quarto anno concluso con un bilancio in<br />
utile. Al 30 giugno 2010 l’attivo è stato pari a 343mila euro, risultato che consente<br />
alla società di avere un patrimonio netto positivo per 25,1 milioni di euro. Punto di<br />
forza <strong>del</strong> club partenopeo, in attesa degli introiti derivanti dalla partecipazione alla<br />
scorsa Europa League e soprattutto alla prossima Champions League, sono i 111<br />
131
milioni di euro di ricavi che consentono di sostenere i 107 milioni di costi<br />
incrementatisi di circa 20 milioni per una differenza positiva di 3.2 milioni. Un<br />
virtuoso stato <strong>del</strong>la gestione caratteristica che ha consentito per l’ennesimo anno<br />
l’assenza di indebitamento bancario. Ben 17.2 milioni sono derivati dalle partite tra<br />
biglietti venduti, 9.8 milioni, abbonamenti, 5.9 milioni, e percentuale sugli incassi<br />
per le gare fuori casa, 1.3 milioni, mentre sono stati incassati 432mila euro dalla<br />
vendita di gadget, 3.7 milioni dalle operazioni legate al licensing e circa 438mila<br />
euro da “altri proventi commerciali”. 41.6 milioni di euro sono invece derivati dai<br />
diritti tv casalinghi e 6.6 milioni da quelli <strong>del</strong>le squadre ospitanti, mentre i proventi<br />
radiofonici sono stati pari a 430mila euro. Altro punto di forza è lo sfruttamento dei<br />
diritti d’immagine. La cifra introitata è di 7.4 milioni. In aumento anche le<br />
sponsorizzazioni, che hanno raggiunto il totale di 20.9 milioni: spiccano i 3.6 milioni<br />
degli sponsor istituzionali che hanno fruttato un aumento di 480mila euro. Il sesto<br />
posto conquistato dal Napoli lo scorso campionato è poi valso, oltre alla<br />
qualificazione in Europa League, anche 2.7 milioni in contributi erogati dalla Lega di<br />
Serie A. La gestione netta <strong>del</strong> parco calciatori ha invece ottenuto un risultato positivo<br />
per 7.78 milioni. Si segnala la plusvalenza complessiva, pari a 6.6 milioni, originata<br />
dalle cessioni di Daniele Mannini alla Sampdoria per 4.9 milioni e di Matteo Contini<br />
al Saragozza per 1.7. Un quadro finanziario impeccabile che, relazionato<br />
all’esperienza <strong>del</strong> direttore generale Marco Fassone e <strong>del</strong> direttore <strong>del</strong>l’area<br />
marketing Alessandro Formisano, sembra destinato ad incrementarsi ulteriormente,<br />
considerata anche l’oculata gestione <strong>del</strong>le operazioni di <strong>calcio</strong>mercato da parte <strong>del</strong><br />
direttore sportivo Riccardo Bigon, grazie alla qualificazione <strong>del</strong> Napoli alla prossima<br />
edizione <strong>del</strong>la Champions League ed ai proventi da sogno che, dati alla mano, da<br />
essa saranno generati.<br />
4.2 Il brand <strong>del</strong> Manchester United<br />
Un’intensa attività sia di ricerca che strategica e operativa e una visione globale <strong>del</strong><br />
brand sono alla base degli introiti commerciali <strong>del</strong> Manchester United. Nel<br />
dipartimento di marketing lavorano 16 persone, alle quali si devono aggiungere i 28<br />
membri <strong>del</strong>lo staff che si occupano solo di merchandising. Il canale commerciale ha<br />
132
portato in cassa nella stagione 2010 99.4 milioni di euro, circa il 28% <strong>del</strong> fatturato<br />
globale 26 .<br />
L’accordo con la statunitense Nike garantisce al club oltre 30 milioni di euro, cifra<br />
record per gli sponsor tecnici. Il main sponsor Aon investe invece 23.5 milioni di<br />
euro l’anno. È stata così tanto diversificata l’attività, che nel 2002 venne annunciato<br />
che si sarebbero venduti persino gas ed elettricità e nel 2005 fu messa in commercio,<br />
prima squadra al mondo a farlo, una connessione adsl ad Internet al costo di 29<br />
sterline al mese. Il lancio <strong>del</strong>l’iniziativa fu preceduto da un sondaggio, a<br />
dimostrazione di cosa si intenda per fasi analitica, strategica e operativa, e la<br />
sottoscrizione a tal iniziativa permetteva tra l’altro vedere il canale tematico MUTV<br />
e possedere cinque caselle di posta elettronica con l’estensione manutd.com. In<br />
accordo con l’allora partner Vodafone furono poi commercializzati servizi telefonici<br />
e fu creato MU Mobile, un servizio che permette di ricevere le notizie <strong>del</strong> club<br />
attraverso il cellulare, con vari “pacchetti” di news in offerta. Altre iniziative<br />
commerciali sono state poi realizzate nel tempo insieme a colossi aziendali partner<br />
come Thomas Cook, Sainsbury’s bank, Tesco, Britannia, Barclays. Le attività<br />
finanziarie di MU Finance, i cui uffici hanno anch’essi sede all’Old Trafford, sono<br />
costituite da carte di credito, la MU Credit Card, conti risparmio per adulti e ragazzi,<br />
MU Savings Account, assicurazioni per casa, auto e viaggi, MU Insurance, prestiti,<br />
MU Loan, mutui casa, MU Mortage, e dépliant ufficiali <strong>del</strong> Manchester United. MU<br />
Travel permette di seguire la squadra sia all’estero che in casa per chi non vive a<br />
Manchester e dal sito ufficiale organizza anche vacanze che nulla hanno a che vedere<br />
con i “Red Devils”. La concezione moderna di partnership, intesa come<br />
collaborazione tra due attività commerciali che si supportano l’un l’altra ciascuna nel<br />
proprio ambito, è ben rappresentata dall’aspetto che, contraendo un mutuo, si hanno<br />
sino a 12 mesi gratuiti per il canale tematico <strong>del</strong> club o 60 sterline per lo shopping al<br />
megastore, e che con il conto risparmio i bonus di interesse sono collegati alla<br />
Champions League: nell’estate 2009, ad esempio, il Manchester United si qualificò<br />
per la fase a gironi e agli utenti fu riconosciuto un 1% di bonus lordo d’interesse. Chi<br />
stipula un’assicurazione partecipa a un’estrazione che si tiene ogni volta che il MU<br />
non perde in Premiership: premi in palio i biglietti per la Champions e un giorno da<br />
26 Dati Deloitte & Touche, Football Money League. The untouchables, Manchester 2011, consultare<br />
paragrafo 2.5<br />
133
VIP per due persone ad Old Trafford. Si può inoltre scommettere, entrare in un<br />
casinò o giocare a poker sul sito ufficiale grazie alla partnership con Betfair nella<br />
sezione denominata Betting & Gaming. Nel merchandising il club si è sbizzarrito: il<br />
megastore è un immenso magazzino da far luccicare gli occhi a tifosi e appassionati<br />
di <strong>calcio</strong>, ma i “Diavoli Rossi” sono andati al di là <strong>del</strong> materiale sportivo, pensando,<br />
ancora una volta come primo club inglese, a una linea di streetwear con le collezioni<br />
“1902”, data di fondazione <strong>del</strong> club attuale, e “4 Life”, con il quale si punterà al<br />
target più giovanile. È stata prevista anche una linea vintage stile anni ’70, mentre in<br />
occasione <strong>del</strong>la vittoria <strong>del</strong>l’ultima Premier League e <strong>del</strong>la qualificazione alla finale<br />
di Champions League di Wembley sono stati messi in commercio speciali kit<br />
celebrativi recanti frasi ad hoc come Champions 19, in riferimento al 19mo<br />
campionato vinto, o Road to London, riferito alla marcia di avvicinamento verso la<br />
sede <strong>del</strong>la finalissima. Su tutto il materiale l’acronimo MUFC. Un cinema di<br />
proprietà <strong>del</strong> club, Red Cinema, si trova a Salford, vicino Manchester: i camerieri<br />
servono gli spettatori direttamente al loro posto ed è ovviamente possibile assistere<br />
alle partite <strong>del</strong>la squadra. Immancabili le promozioni per i supporter, regola fissa<br />
<strong>del</strong>lo United come di tutte le aziende di beni di consumo: se vai con la maglia <strong>del</strong><br />
club paghi 2,50 £ invece che 5,40, 3,50 £ il biglietto invece per gli iscritti al<br />
membership scheme.<br />
Lo stadio, l’Old Trafford, rappresenta un’altra fonte di enorme valore: volesse cedere<br />
i naming rights, il MU otterrebbe circa 100 milioni di sterline grazie alla presenza<br />
nella stessa area <strong>del</strong> megastore e <strong>del</strong> museo, costato 4 milioni di sterline ed<br />
inaugurato nel 1998 da Pelè, comprendente tre piani di trofei visitabili con 5,50 £.<br />
<strong>Una</strong> guida accompagna anche nel giro <strong>del</strong>lo stadio che nel 2004 ha visto 200mila<br />
visitatori ed è stato premiato alla Hope University di Liverpool quale miglior<br />
attrazione turistica di massa <strong>del</strong> nord-ovest inglese bissando il Manchester Tourism<br />
Award vinto dal museo all’inizio <strong>del</strong> 2005. Il tour <strong>del</strong>lo stadio comprende, al prezzo<br />
di 13.50 £ visitando anche il museo, la visita negli spogliatoi, nel campo e nel tunnel<br />
che porta al prato dove la voce registrata <strong>del</strong>la folla fa vivere al visitatore le<br />
sensazioni dei giocatori negli istanti <strong>del</strong> prepartita. Si è accompagnati dallo staff<br />
anche nel ristorante dove mangiano i giocatori prima dei match e nella stanza<br />
allestita per i matrimoni riservata a chi voglia suggellare il giorno più bello nel nome<br />
134
<strong>del</strong>la squadra <strong>del</strong> cuore. Allo stadio vi sono conference rooms affittabili tramite un<br />
team nel gruppo United che si occupa di conference, catering and events, e sale per<br />
pranzi e cene dei dirigenti. Il valore <strong>del</strong>l’Old Trafford permette di pensare a iniziative<br />
come quella ipotizzata dal club insieme al gruppo americano di casinò Las Vegas<br />
Sands: creare un complesso di intrattenimento comprendente casa da gioco, albergo,<br />
hotel a 5 stelle, ristoranti e centro benessere nell’area antistante l’impianto di Sir<br />
Matt Busby Way. L’idea è stata lasciata cadere, ma permette di immaginare quali<br />
fantasie solletichi questo impianto.<br />
Le scuole <strong>calcio</strong>, solitamente utilizzate per addestrare giovani talenti, sono diventate<br />
un’altra area di enorme interesse per il MU sia dal punto di vista economico che per<br />
la creazione <strong>del</strong> brand value. Il progetto MUSS, Manchester United Soccer School,<br />
da diversi anni ha due programmi: Residential e Roadshow, aperti a ragazzi da 8 a 16<br />
anni. Il Residential si svolge nello Staffordshire, a un centinaio di km da Manchester,<br />
mentre il Roadshow va in giro per la Gran Bretagna. Il primo costa circa 583 euro<br />
per 7, 10 o 14 giorni di corso con tecnici <strong>del</strong> club, visite al megastore e al museo,<br />
seminari su come si comporta un calciatore anche al di fuori <strong>del</strong> campo, fornitura <strong>del</strong><br />
kit ufficiale e certificato di presenza. Le date in cui si tiene sono quelle in cui i<br />
ragazzi sono liberi dalla scuola. Il Roadshow, aperto ai bambini più piccoli, dura solo<br />
un paio di giorni, è costituito da una trentina di date in Inghilterra, Galles e Scozia: si<br />
parte ad aprile, si finisce ad ottobre, costo 57 euro. I famosi campioni <strong>del</strong>la prima<br />
squadra prendono parte al programma MUSS in qualità di testimonial e premi ad<br />
estrazioni, naturalmente targati United, sono in palio per gli iscritti. Sia stabili che<br />
itineranti scuole <strong>calcio</strong>, infine, sono state inaugurate dalla società in varie parti nel<br />
mondo. Al valore <strong>del</strong> marchio è quindi legata tutta l’attività commerciale <strong>del</strong> club, il<br />
cui obiettivo è convertire i tifosi in clienti. E il Man Utd, come visto, è stato<br />
incoronato quale squadra di <strong>calcio</strong> dal valore di marca maggiore, oltre a guidare la<br />
classifica relativa alla capacità di produrre introiti legati al brand, 637.1 milioni di<br />
euro. Il club, tramite la Manchester United Foundation, fondata per celebrare i 50<br />
anni <strong>del</strong>lo United nelle competizioni europee, si pone inoltre lo scopo di educare i<br />
giovani e motivarli a costruirsi una vita migliore per sé stessi e la comunità in cui<br />
loro vivono offrendo un allenatore specializzato in grado, attraverso il <strong>calcio</strong>, di<br />
aiutarli a crescere come giocatori e soprattutto come persone.<br />
135
Le radici <strong>del</strong>la grandezza dei “Red Devils” affondano nella loro storia. Il MU è stato<br />
fondato nel 1878 dai ferrovieri <strong>del</strong>la Lancashire and Yorkshire Railway Company. Il<br />
primo nome è stato Newton Heath Y and LR Cricket and Football Club, nel 1902 è<br />
poi arrivata la bancarotta dalla quale è nato il club attuale. La crescita come squadra<br />
e marchio dal valore internazionale è cominciata però molto tempo dopo, alla fine<br />
<strong>del</strong>la seconda guerra mondiale nel periodo di reggenza <strong>del</strong> leggendario tecnico Sir<br />
Matt Busby, al cui ricordo è stata dedicata una statua e il nome <strong>del</strong>la strada dove si<br />
trova lo stadio. Grazie a lui e a giocatori come Bobby Charlton, Duncan Edwards ed<br />
Eddie Colman è nato lo stile di gioco d’attacco che contraddistingue la società<br />
<strong>del</strong>l’Old Trafford e nel cui spirito vengono allevati i ragazzi <strong>del</strong> club. Un punto di<br />
svolta è paradossalmente stato rappresentato dall’incidente aereo <strong>del</strong> 6 febbraio 1958.<br />
L’aereo che trasportava la squadra di ritorno da Belgrado precipitò a Monaco di<br />
Baviera: morirono in otto giocatori, tra i 23 passeggeri, mentre in due non misero più<br />
piede in campo. Tutto il Regno Unito cominciò a simpatizzare per quella squadra<br />
fortissima sconfitta dal fato, e un orologio, ancor oggi fermo sull’ora <strong>del</strong>la tragedia,<br />
si trova nello stadio ad imperitura memoria.<br />
Il numero di supporter cominciò a crescere, il club venne identificato con gioventù,<br />
mentalità di gioco offensiva, stile e fascino in quegli anni ’60 molto inglesi di James<br />
Bond e Sean Connery, dei Beatles e appunto <strong>del</strong> Manchester United di George Best,<br />
vincitore <strong>del</strong>la Coppa dei Campioni nel 1968 contro il Benfica. Negli anni successivi<br />
i “Diavoli Rossi” persero parte <strong>del</strong> loro smalto, finché nel novembre 1986 arrivò alla<br />
loro guida Alex Ferguson, il manager scozzese che raccolse l’eredità di Busby e<br />
riuscì ad ottenere, vincendo la Champions League nel 1999, la nomina di Sir. I nuovi<br />
miti divennero Eric Cantona, Ryan Giggs, David Beckham, Cristiano Ronaldo e<br />
Wayne Rooney.<br />
Nel brand United due capisaldi sono immagine e reputazione. L’immagine si basa su<br />
quattro fattori chiave: tipo di gioco che veicola messaggi quali passione e<br />
brillantezza, interpretato dalla squadra con uno stile d’attacco, rappresentazione di<br />
vitalità giovanile, con i tanti ragazzi di successo venuti fuori dal vivaio o i talenti<br />
ingaggiati in verde età, la sovrapposizione tra bravura in campo e celebrità da stelle<br />
fuori dal rettangolo di gioco e, infine, l’internazionalità <strong>del</strong> marchio. Quest’ultimo<br />
fattore è stato evidenziato soprattutto dalla partnership con la statunitense Nike, che<br />
136
nel 2002 raggiunse un accordo per 13 anni investendo circa 447.6 milioni di euro<br />
nello United. Da quel momento, oltre alla sponsorizzazione, i settori licensing e <strong>del</strong>la<br />
vendita al dettaglio <strong>del</strong> club sono competenza sia <strong>del</strong>la multinazionale <strong>del</strong>l’Oregon<br />
che <strong>del</strong> club: i direttori aziendali sono equamente divisi, ma il presidente, con diritto<br />
di voto decisivo, è nominato da Nike. Obbligo <strong>del</strong> club, pena la riduzione <strong>del</strong><br />
corrispettivo economico, la partecipazione in tutte le stagioni alle competizioni Uefa<br />
e il piazzamento ai primi posti <strong>del</strong>la Premiership inglese.<br />
La MU Merchandising Ltd, la compagnia che si occupa <strong>del</strong>la gestione <strong>del</strong> business,<br />
ha gli uffici presso l’Old Trafford, ma il punto centrale <strong>del</strong> merchandising resta il<br />
megastore <strong>del</strong>lo stadio con i suoi oltre 500 metri quadrati, per superficie il più grande<br />
al mondo per la vendita di prodotti legati al <strong>calcio</strong>. Lì si trova tutto ciò che possa<br />
esistere con il marchio dei “Diavoli Rossi”: cuscini e lettini, pouf e cappelli dalla<br />
tipica forma cinese, orologi da muro e coperte, ovviamente tutto il materiale tecnico-<br />
sportivo e quello legato alla tradizione <strong>del</strong> club, tutta la storia in libri e videocassette,<br />
Babbo Natale “Red Devil”, bicchieri da birra con su scritto I’m red and proud,<br />
pigiami per bambini, teli da bagno, articoli per cancelleria e toilette, specchi,<br />
giocattoli e videogames, carta da parati, copriletto e federe con l’immagine di Wayne<br />
Rooney, tende ed addirittura orologi da parete con la divisa disegnata. Il pezzo forte<br />
è ovviamente la maglietta <strong>del</strong>lo United, cui i giocatori non pongono più alcun<br />
autografo perché si è scoperto venivano vendute a prezzo maggiorato su Internet.<br />
L’originale costa nello store circa 67 euro, optional esclusi come la stampa di nome e<br />
numero, o lo stemma <strong>del</strong>la Premier League o <strong>del</strong>la Champions League, mentre fuori,<br />
con i venditori con i quali Nike ha stipulato accordi, generalmente triennali, è<br />
possibile comprarla per meno, ma solo lo staff <strong>del</strong> megastore può imprimere sulla<br />
maglia le stampe ufficiali. In ogni caso Nike vende all’ingrosso le magliette a 21.30<br />
sterline in Gran Bretagna e in Europa a 31.40 euro ed il dettagliante è libero di<br />
rivenderla a qualunque cifra nel proprio negozio. È stato inoltre possibile ordinare la<br />
nuova divisa 2011/12, prima che essa fosse presentata, al costo di poco più di 67<br />
euro. Anche lo United, al pari <strong>del</strong> mercato italiano, ha dovuto però fare i conti con la<br />
contraffazione, che costa al club circa tre milioni di sterline all’anno solo in Asia e<br />
vede il management societario impegnato nella lotta al fianco <strong>del</strong>le autorità locali e<br />
<strong>del</strong>le altre compagnie globali.<br />
137
Tabella 13 – I 15 maggiori partner <strong>del</strong> Manchester United nel 2010 – (€ Mln)<br />
Azienda<br />
Aon<br />
Corporation<br />
Nike<br />
Hublot<br />
Thomas<br />
Cook<br />
MTN<br />
Icomera<br />
3 Indonesia<br />
Bharti Airtel<br />
Betfair<br />
Globalcom<br />
Limited<br />
Telekom<br />
Malaysia<br />
Turkish<br />
Airlines<br />
Aigo<br />
Vina Concha<br />
y Toro<br />
Epson<br />
Fonte: Futebolfinance. (Ns. elab.)<br />
Durata<br />
Accordo<br />
4 anni<br />
2010-2014<br />
13 anni<br />
2002-2015<br />
4 anni<br />
2009-2013<br />
4 anni<br />
2010-2014<br />
3.5 anni<br />
2010-2013<br />
4 anni<br />
2009-2013<br />
3.5 anni<br />
2009-2012<br />
5 anni<br />
2009-2014<br />
3 anni<br />
2009-2012<br />
5 anni<br />
2010-2015<br />
5 anni<br />
2010-2015<br />
3.5 anni<br />
2010-2013<br />
5 anni<br />
2009-2014<br />
3 anni<br />
2010-2013<br />
2 anni<br />
2011-2013<br />
138<br />
Fatturato<br />
Totale<br />
Fatturato<br />
Annuo<br />
94 23.5<br />
447.6 34.430<br />
11.5 2.875<br />
6 1.5<br />
2.5 0.71<br />
0.30 0.075<br />
2.5 0.71<br />
11 2.2<br />
5.5 1.8<br />
18.5 3.7<br />
6.5 1.3<br />
4 1.150<br />
19 3.8<br />
5.2 1.750<br />
3 1.5<br />
Totale 637.1 81.01<br />
Strategia tipica da imprese leader quali sono Nike e MU per limitare tal fenomeno è<br />
la Premier Cup, ideata dall’azienda Usa e dal 2002 gestita in collaborazione con gli<br />
inglesi. Questa manifestazione vede impegnati calciatori under 15 e si sviluppa<br />
invitando società, una parte sponsorizzate dalla stessa Nike, provenienti nelle ultime<br />
edizioni da una cinquantina di paesi <strong>del</strong> mondo per un totale di circa 8.000 squadre<br />
nell’ultima annata. In 20 club arrivano alle finali mondiali e la Nike copre tutte le
spese ai 400 partecipanti alla fase finale, solitamente <strong>del</strong>la durata di una settimana.<br />
Queste iniziative rientrano nella visione <strong>del</strong> Manchester United come azienda globale<br />
che da tempo ha deciso di annullare i propri confini ampliando il mercato potenziale<br />
al mondo. L’ampiezza <strong>del</strong>la sua tifoseria è da capogiro: si parla di circa 75 milioni di<br />
fans nel mondo, di cui il 20% sarebbe in Gran Bretagna. Altri dati parlano di 40<br />
milioni di tifosi solo in Asia, di cui 24 in Cina e 4 in Usa. I tifosi affiliati al club sono<br />
130mila, i telespettatori <strong>del</strong>le gare trasmesse su Sky in media 3 milioni circa, la<br />
maggior parte britannici, ma i match sono venduti a emittenti di 160 paesi. Oltre che<br />
nel megastore e nei negozi, in tutto il mondo in cui Nike distribuisce il materiale dei<br />
“Red Devils” lo United vende tramite posta, Internet e telefono: oltre 700mila<br />
cataloghi sono spediti in Usa, Honk Kong, Sudafrica. Per quanto riguarda gli Stati<br />
Uniti, il club ha lavorato mettendo in piedi nel 2001 una partnership con la squadra<br />
di baseball dei New York Yankees e svolgendo nelle estati 2003 e 2004 tournée negli<br />
Usa proprio al fine di rinforzare il proprio marchio. Nel 2002 è stato siglato un<br />
accordo con Terra Lycos, il più vasto network Internet globale, per i tanti tifosi che<br />
non hanno l’inglese come madre lingua, in Cina, America Latina, Europa, Asia e<br />
Stati Uniti. Ma è il mercato asiatico il più ghiotto e come tutti i brand calcistici<br />
internazionali anche da Manchester si ci sono buttati a capofitto: megastore <strong>del</strong> club<br />
e ristoranti Red Cafè sono già presenti nel Far East e nel Golfo Persico è nata<br />
l’ultima scuola <strong>calcio</strong> <strong>del</strong> club a Dubai. Proprio le scuole <strong>calcio</strong>, da un paio di anni in<br />
giro per il mondo, sono state utilizzate dal MU come chiave per accedere a nuovi<br />
mercati. Nell’ottobre 2004 la prima Academy extraeuropea aperta ad Honk Kong,<br />
quindi a Seattle e infine a Dubai. Ci sono anche i camp itineranti: nel 2004 sono<br />
arrivati in Sudafrica e in vari stati Usa, sia nella costa est che in quella ovest. Per<br />
ogni mercato è portata avanti una diversa strategia, nel rispetto dei principi di<br />
segmentazione <strong>del</strong>la clientela: ad Honk Kong il corso dura sei mesi e si tiene una<br />
volta a settimana, in America da tre a sei mesi con due lezioni a settimana, in Gran<br />
Bretagna, come visto in precedenza, solo due giorni, a Parigi ci sono tre corsi estivi e<br />
due invernali, ma dura solo un giorno, il prezzo è la metà di quello britannico ed è<br />
possibile per i papà seguire la lezione insieme ai figli. In Asia fu poi fatto un ulteriore<br />
passo avanti con la prima partnership con una compagnia che ha base lì. L’accordo,<br />
da circa 2,5 milioni di euro, fu stretto con la compagnia aerea low cost malesiana<br />
139
AirAsia, autorizzata ad utilizzare le immagini dei giocatori nelle proprie campagne<br />
pubblicitarie oltre che a poter inserire il proprio marchio sul sito <strong>del</strong> club. Da Pechino<br />
fu invece dato l’annuncio <strong>del</strong>l’estensione per altri quattro anni nel 2005 <strong>del</strong>la<br />
partnership di beneficenza con l’Unicef e insieme al partner Barclays lanciata una<br />
carta di credito solo per utenti cinesi. In Iran, infine, un’affollatissima opera teatrale<br />
fu ambientata a Manchester rappresentando proprio tifosi dei “Red Devils”. Tal<br />
successo è originato anche da un’immagine istituzionale attentamente curata, con la<br />
partecipazione di tutte le componenti <strong>del</strong> club, in primis i calciatori, i quali sono<br />
spesso presenti in qualità di testimonial. Non viene trascurato alcun aspetto: consci<br />
<strong>del</strong>l’importanza <strong>del</strong>le iniziative benefiche, a Manchester hanno stipulato dal 1999<br />
una collaborazione con l’Unicef e da allora il club ha raccolto e devoluto oltre 1<br />
milione di sterline in favore dei piccoli meno fortunati. A bambini e disabili <strong>del</strong>la<br />
città è concesso di utilizzare le strutture <strong>del</strong> club e di fruire di corsi di allenamento<br />
gratuiti in un programma <strong>del</strong> quale hanno beneficiato oltre 220mila persone. Dieci<br />
associazioni nazionali che si occupano di beneficenza hanno un accordo grazie al<br />
quale ricevono ogni anno pacchi di articoli firmati dai giocatori utili per raccogliere<br />
fondi da devolvere ai più bisognosi. Come fosse un’istituzione sociale, il club ha un<br />
Centro per il supporto allo studio che, frequentato per lezioni di matematica,<br />
letteratura, information & communication techonology, mira a ridurre il fenomeno<br />
dei ragazzi che abbandonano la scuola. Con tre biblioteche cittadine ha altresì<br />
collaborato a progetti per incentivare la lettura, ma anche per chi non ha intenzione di<br />
studiare esistono programmi trimestrali, in partnership con i Vigili <strong>del</strong> Fuoco e il<br />
Servizio Emergenza di Manchester, per ottenere qualifiche nazionali di lavoro. Ci si<br />
muove, ancora, in direzione dei più svantaggiati residenti in aree depresse o nei<br />
confronti di chi proviene da culture e fedi religiose diverse e, infine, anche per<br />
quanto concerne i rifiuti, tant’è che viene riciclato oltre il 35% <strong>del</strong>le quasi 1.000 di<br />
tonnellate di immondizia prodotte ogni anno ed i rifiuti non riciclati, riutilizzati o<br />
utilizzati nuovamente in altri modi, vengono spediti all’ente locale che li converte in<br />
energia. L’immagine <strong>del</strong> club è curata anche attraverso i canonici canali di<br />
comunicazione, che in alcuni casi lo United ha creato prima di altri. Nell’autunno<br />
1988 è stato ad esempio lanciato il canale tv sui nuovi sistemi digitali e satellitari. La<br />
MUTV, che si può seguire anche online sul sito ufficiale, trasmette, tra l’altro, partite<br />
140
<strong>del</strong>la squadra riserve, amichevoli, match classici <strong>del</strong> passato e interviste ai giocatori.<br />
Oltre alla tv c’è la radio tematica, MU Radio, e il magazine ufficiale, Inside United.<br />
A questo vanno aggiunti i tre editi dai tifosi: Red Issue, Red News e United We<br />
Stand. Il sito internet, www.manutd.com, è invece costituito da 19 sezioni e 125 link<br />
che rimandano alle attività <strong>del</strong>la multinazionale United. Tra le aree più importanti e<br />
maggiormente visitate figurano quelle: finanza, shop, fondazione, telefonia, media e<br />
tv, biglietti, per i quali è previsto un servizio di info sul proprio telefono cellulare,<br />
spazio tifosi e programma di fi<strong>del</strong>izzazione, news, anche sulle lotterie targate MU,<br />
partite, <strong>del</strong>le quali è possibile scaricare highlights, seguire la gara live e vedere<br />
interviste e classifiche e, naturalmente, la homepage. Gli utenti che si connettono<br />
sono mediamente 800mila diversi al mese, oltre 12 milioni le pagine visitate, la<br />
media temporale di visita degli users nel sito è di otto minuti. La versione in lingua<br />
cinese è stata visitata da 1,2 milioni di unique users al mese in media per 30 milioni<br />
di pagine viste. Esiste anche una versione accessibile, creata appositamente per<br />
portatori di handicap, tra l’altro premiata per la sua qualità. <strong>Una</strong> newsletter, Red<br />
View, è inviata a cadenza settimanale agli iscritti e permette di ricevere<br />
gratuitamente notizie, desktop wallpaper, offerte speciali. Ovviamente vanno forniti i<br />
dati personali finendo così nel gigantesco database <strong>del</strong> club. Dal sito si può anche<br />
partecipare ad un gioco chiamato Penalty Challenge, consistente in una sfida ai<br />
rigori. Grande attenzione, infine, è dedicata anche al marketing interno, relativo ai<br />
dipendenti. Uno spazio sul sito è riservato a chi tra i tanti che lavorano in società si è<br />
distinto per produttività e dedizione e il migliore viene insignito <strong>del</strong> premio speciale<br />
di impiegato <strong>del</strong>l’anno.<br />
4.2.1 Le principali operazioni sul marchio dei club italiani<br />
Il rapporto tra i club italiani e le politiche di brand non si limita fortunatamente alle<br />
sole operazioni illegali condotte negli anni passati 27 . In <strong><strong>It</strong>alia</strong>, al di là <strong>del</strong>la cessione<br />
<strong>del</strong> brand a proprie aziende al puro scopo di abbellire il bilancio, infatti, chi ha<br />
lavorato per tradurre i teoremi sul brand equity in un marchio vincente è stato il<br />
Milan dall’avvento alla presidenza di Silvio Berlusconi nel 1986. Il proprietario <strong>del</strong><br />
club rossonero, sin dall’atto <strong>del</strong> suo insediamento, ha dettato i valori patrimonio <strong>del</strong>la<br />
27 Consultare il paragrafo 2.8<br />
141
società: valore nazionale, con il club simbolo <strong>del</strong>l’<strong><strong>It</strong>alia</strong> vincente nel mondo, valore<br />
sociale e valore tecnico, ossia il prodotto in sé, da tradursi in un gioco spettacolare.<br />
Berlusconi ha indicato al tempo stesso le regole da seguire: nell’importanza <strong>del</strong><br />
marketing interno possono essere ricondotte quelle relative alla squadra che è più<br />
importante <strong>del</strong> singolo, quindi la forma, che deve essere sempre educata e civile, sino<br />
alla salute psico-fisica dei calciatori (con la creazione a tal proposito <strong>del</strong> laboratorio<br />
medico-atletico Milan Lab). Infine, per quanto concerne i rapporti con l’esterno, i<br />
tesserati devono sempre proiettare compattezza e coesione. <strong>Una</strong> strategia che ha<br />
fruttato al club rossonero partnership stile United, come quella che ha visto lo scorso<br />
maggio rinnovato per 3 anni il contratto tra i “Diavoli” e MSC Crociere. Nell’ambito<br />
<strong>del</strong>l’accordo, i clienti che sono partiti con l’azienda crocieristica lo scorso 5 giugno<br />
hanno potuto viaggiare assieme a due calciatori, Mario Yepes e Marek Jankulovski,<br />
durante una crociera di sette giorni nel Mediterraneo che ha permesso loro anche di<br />
incontrare al Camp Nou di Barcellona vecchie glorie <strong>del</strong> Milan come Franco Baresi e<br />
Daniele Massaro. A bordo i clienti-tifosi hanno inoltre potuto seguire dei workshop<br />
specifici sulla preparazione atletica e l’alimentazione dei calciatori, mentre i più<br />
piccoli hanno potuto partecipare alle iniziative <strong>del</strong> Milan Junior Camp. MSC sarà<br />
inoltre sponsor in agosto <strong>del</strong> XXI Trofeo Berlusconi – MSC Crociere Cup e<br />
parteciperà a tutti gli eventi sportivi organizzati dalla Fondazione Milan. I possessori<br />
di Cuore Rossonero e Carta Viva Milan, la carta di credito ufficiale <strong>del</strong> club, possono<br />
inoltre usufruire di tariffe speciali e promozioni esclusive per le crociere a bordo<br />
<strong>del</strong>le navi MSC. Grande importanza alla valorizzazione <strong>del</strong> proprio brand sul campo<br />
e non solo dal punto di vista <strong>del</strong>l’immagine è stata data ancor più dalla Juventus, che<br />
nel 2004 ha proceduto al restyling <strong>del</strong>lo stemma <strong>del</strong> club per trasmettere ai tifosi la<br />
propria volontà di proiettarsi verso il futuro. I bianconeri continuano a promuovere il<br />
marchio Juventus nel mondo, per esempio attraverso la partecipazione <strong>del</strong>la squadra<br />
a tornei e manifestazioni sportive nei paesi dove il <strong>calcio</strong> è più richiesto, come Nord<br />
America, Africa ed Estremo Oriente, o attraverso il coordinamento <strong>del</strong>la gestione <strong>del</strong><br />
marchio con l’immagine <strong>del</strong>la squadra e dei calciatori. Rientra in questa logica anche<br />
la stipula di partnership e contratti di sponsorship con società titolari di marchi<br />
rinomati a livello internazionale, al fine di valorizzare reciprocamente i rispettivi<br />
segni distintivi. La modernizzazione <strong>del</strong> logo <strong>del</strong>la società torinese ha rappresentato<br />
142
un passo importante nel rafforzamento <strong>del</strong>l’immagine commerciale <strong>del</strong> club, che ha<br />
lasciato ovviamente intatti i caratteri essenziali che hanno contraddistinto 107 anni di<br />
storia, ovvero i colori bianco e nero e i riferimenti al nome <strong>del</strong>la squadra e alla città<br />
di Torino. I vantaggi derivanti dalla forza propria <strong>del</strong> marchio Juventus sono<br />
soprattutto legati al business to business. La società vanta intorno alle 60 partnership<br />
con aziende che operano nei settori più disparati e che utilizzano l’enorme forza<br />
mediatica <strong>del</strong> club bianconero per espandere il proprio nome. La strategia <strong>del</strong>la Juve<br />
per lo sviluppo <strong>del</strong>le relazioni di partnership si basa su due capisaldi: l’esclusiva<br />
merceologica e il numero chiuso, due principi che sono ormai applicati in tutte le<br />
società di vertice. Nel primo caso si garantisce al partner il non abbinamento con<br />
marchi ad esso concorrenti, nel secondo si riduce il numero degli accordi assicurando<br />
al partner un certo grado di visibilità. In osservanza di questa strategia, la Juventus ha<br />
un numero di inserzionisti molto più basso rispetto alla media <strong>del</strong>la Serie A. Ciò non<br />
impedisce alla “Vecchia Signora” di lavorare con un elevato numero di aziende,<br />
grazie alle ben 70 diverse possibilità di comunicazione e promozione, personalizzate<br />
e flessibili, che la società offre loro nelle sue tre aree commerciali: brand exposure,<br />
pubbliche relazioni e brand image. La società, in particolare, occupa il settimo posto<br />
nella graduatoria Deloitte & Touche inerente i diritti Media con un incasso di 132.5<br />
milioni di euro 28 , cui si aggiungono gli 8 milioni garantiti da Betclic per le gare<br />
interne e i 3.5 di Balocco per le gare esterne in qualità di jersey-sponsor. Tra i vari<br />
accordi stipulati merita particolare attenzione quello di sponsorizzazione tecnica con<br />
Nike. La partnership è iniziata nel 2003, un anno dopo quella firmata con il<br />
Manchester United, e scadrà allo stesso modo nel 2015. Anche in questo caso sono<br />
state fissate <strong>del</strong>le clausole inerenti le performance <strong>del</strong> club, con l’azienda americana<br />
che ha garantito un tetto minimo di 187 milioni di euro, poi ridimensionato in<br />
occasione <strong>del</strong>l’anno in Serie B post Calciopoli, quando, invece dei 15 milioni<br />
originariamente pattuiti, la multinazionale ne versò 5. Nell’ambito <strong>del</strong>l’accordo con<br />
la casa di abbigliamento sportivo è stata anche costituita una società, la Juventus<br />
Merchandising S.r.l., che impiega 22 persone e gestisce e sviluppa a livello nazionale<br />
ed internazionale l’attività di licensing e merchandising e la distribuzione di prodotti<br />
e servizi caratterizzati dal brand Juventus. Tra le principali iniziative attivate in<br />
28 Consultare il paragrafo 2.4<br />
143
partnership con Nike rientrano gli Juventus Stores, inaugurati nel settembre 2003 in<br />
contemporanea a Torino e a Tokyo, il sito web www.Juvestore.com ed il progetto<br />
Juventus Soccer Schools. Visto il grande successo riscosso dal nuovo sito <strong>del</strong> club, la<br />
società bianconera pensò anche di sfruttare le opportunità derivanti dall’information<br />
technology attraverso un sito dedicato agli sponsor e ai partner in ottica business to<br />
business. Juventus Soccer Schools è un’iniziativa nata nel 2004 che si rivolge al<br />
mondo dei giovani calciatori e <strong>del</strong>le scuole <strong>calcio</strong>. Il progetto ha l’obiettivo di<br />
consentire agli appassionati di muovere i primi passi nel mondo <strong>del</strong>lo sport e <strong>del</strong><br />
<strong>calcio</strong> seguendo il cosiddetto “metodo Juventus”. Grande attenzione è rivolta non<br />
solo agli aspetti professionali, ma anche alle componenti formative e di<br />
intrattenimento. Le iniziative attivate in tal senso sono: Juventus University,<br />
destinata ad allenatori qualificati, Juventus Academy, per società affiliate in <strong><strong>It</strong>alia</strong> e<br />
all’estero, e Juventus Camp, per lo sport e il divertimento estivo dei bambini.<br />
L’attenzione alla base tifosi è una componente imprescindibile <strong>del</strong>la strategia <strong>del</strong>la<br />
società torinese, in quanto rappresenta una ricchezza ineguagliabile. Come tale<br />
necessita però di essere coltivata e conosciuta al fine di fornire ai fan servizi e<br />
prodotti sempre più aderenti ai loro desideri e alle loro aspettative. È da ricordare<br />
anche, e rientra comunque nelle strategie volte alla costruzione e al consolidamento<br />
<strong>del</strong>la reputazione societaria, che la Juventus da sempre è protagonista di iniziative di<br />
carattere sociale. Filo conduttore dei progetti avviati negli ultimi anni sono la<br />
solidarietà e l’integrazione. In particolare grande importanza hanno il programma<br />
“Fatti e progetti per i giovani”, finalizzato a migliorare le condizioni di vita e di<br />
studio dei ragazzi in difficoltà, il centro di accoglienza intitolato alla memoria di<br />
Edoardo Agnelli e l’appoggio ed il sostegno garantiti da diversi anni alle attività<br />
<strong>del</strong>la Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro. Nell’esercizio 2003/2004 è<br />
stata poi lanciata l’iniziativa “Crescere insieme al Sant’Anna” rivolta alla raccolta dei<br />
fondi necessari per la ristrutturazione <strong>del</strong> reparto di Neonatologia Ospedaliera<br />
<strong>del</strong>l’Ospedale Sant’Anna di Torino. La Juventus ha inoltre negli anni studiato la<br />
realizzazione di progetti di diversificazione dei ricavi, con particolare attenzione a<br />
fonti di reddito maggiormente stabili e costanti, concentrandosi soprattutto su<br />
investimenti in attività collaterali e connesse al proprio core business nei settori<br />
<strong>del</strong>l’intrattenimento, <strong>del</strong> tempo libero e <strong>del</strong>l’area commerciale. È da leggersi in tal<br />
144
senso la costruzione <strong>del</strong> nuovo Delle Alpi e la cessione dei naming rights all’azienda<br />
Sportfive, che gestirà i diritti <strong>del</strong>l’impianto garantendo ai bianconeri 75 milioni di<br />
euro in 12 anni. Dal punto di vista architettonico il nuovo stadio si ispirerà al St.<br />
James Park di Newcastle ed avrà una struttura semplice, comoda e sicura. Disposto<br />
su due anelli, il nuovo stadio vedrà diminuire i posti dagli attuali 69mila a 32-38mila<br />
unità, con una copertura leggera per proteggere gli spettatori dalla pioggia. Da centro<br />
di costo qual era, considerato l’esoso canone di affitto di 900mila euro l’anno che<br />
Juve e Torino dovevano corrispondere, cui si aggiungeva il concorso al 50% nelle<br />
spese straordinarie, lo stadio diventerà finalmente una fonte di ricavo per i colori<br />
bianconeri, a partire dall’iniziativa Accendi una stella, che consentirà alla “Vecchia<br />
Signora” di accrescere il proprio feeling con i tifosi producendo in contemporanea<br />
importanti ricavi grazie alla loro trasformazione in tifosi-clienti. Altrettanta<br />
importanza ha infine avuto, come idea, il progetto Mondo Juve. Nel mese di marzo<br />
2001 la Juventus Football Club S.p.A. acquisì il controllo <strong>del</strong>la Campi di Vinovo<br />
S.p.A., società proprietaria di un’area a sud di Torino situata nei Comuni di<br />
Nichelino e Vinovo. Sui circa 150.000 mq <strong>del</strong>l’area sarebbe dovuto sorgere il nuovo<br />
Centro Sportivo <strong>del</strong>la società bianconera, destinato a divenire sede di preparazione<br />
ed allenamento di tutte le squadre <strong>del</strong>la società, dalla prima squadra alla scuola<br />
<strong>calcio</strong>, nonché degli impianti e strutture collaterali e di carattere sportivo e medico-<br />
sanitaria. Nel 2007 i bianconeri hanno invece ceduto alla Gilardi S.p.A. le azioni in<br />
proprio possesso per 25 milioni di euro, con tanto di contratti e attività relative alla<br />
realizzazione di Mondo Juve, spiegando che l’operazione era mirata alla<br />
razionalizzazione <strong>del</strong>la struttura relativa al progetto Mondo Juve mediante<br />
l’accentramento di tutti gli elementi, beni e rapporti giuridici attinenti al progetto, in<br />
Campi Vinovo, struttura di allenamento di tutte le squadre di cui il club di Torino è<br />
rimasta proprietaria.<br />
La svolta organizzativa <strong>del</strong>la Juventus, che ha introdotto il club al lungo ciclo di<br />
successi antecedente Calciopoli e all’affermazione definitiva come marchio<br />
internazionale consolidato, è da collocarsi a metà degli anni ’90, e può essere<br />
associata al nome di Umberto Agnelli. Il fratello <strong>del</strong>l’“avvocato” prese in mano le<br />
redini <strong>del</strong>la società, deciso a cambiarne la direzione gestionale. La riorganizzazione<br />
portò alla costituzione <strong>del</strong>la “triade”: Antonio Giraudo, ex manager FIAT, al<br />
145
controllo dei conti, Roberto Bottega a rappresentare la continuità <strong>del</strong>lo “stile Juve” e<br />
Luciano Moggi, da tutti considerato l’uomo più influente <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> italiano,<br />
responsabile <strong>del</strong>l’area tecnica. In aggiunta, un team guidato da Romy Gai cominciò<br />
ad occuparsi <strong>del</strong>l’area commerciale, che necessitava di un grande sviluppo.<br />
L’obiettivo unico, e affatto nascosto, era quello di tornare a primeggiare. I risultati<br />
ottenuti sul campo sono sotto gli occhi di tutti, e da un punto di vista economico-<br />
finanziario la Juventus, nonostante le difficoltà <strong>del</strong>la ricostruzione successiva alla<br />
retrocessione <strong>del</strong> 2006, rappresenta una <strong>del</strong>le principali realtà italiane ed europee.<br />
Chi ha trattato il proprio brand soprattutto in relazione al rapporto con i propri tifosi è<br />
l’Inter, che ha optato per una piattaforma di marketing operativo che prevede una<br />
rivista, Inter Football Club, che esiste da circa 40 anni e che ha una tiratura intorno<br />
alle 30.000 copie al mese, Inter Channel, canale tematico totalmente dedicato ai<br />
nerazzurri creato congiuntamente dall’Inter e da Rai Trade, e 70.000 soci iscritti a<br />
886 club, di cui 48 risiedono in città all’estero, a cui devono essere sommati gli Inter<br />
Campus, che sono indirizzati ai giovani calciatori con l’intento di svolgere un’opera<br />
di reclutamento di potenziali nuovi talenti e che, tramite 85 società affiliate, contano<br />
un patrimonio di 20.000 ragazzi iscritti. Le vere punte di lancia di questa piattaforma<br />
di marketing sono lo stadio e, in chiave tecnologica, il sito internet. Il primo fa<br />
convergere su di sé una comunità che in media sottoscrive 50.000 abbonamenti e<br />
raccoglie circa un milione e mezzo di tifosi ogni anno; il secondo conta un 1 milione<br />
e 400mila “unique users” e 18 milioni di pagine visitate al mese. Attraverso il sito<br />
sono già stati raccolti i dati e le caratteristiche di 205mila utenti. Il sito www.Inter.it<br />
è da anni, secondo i dati Nielsen Netratings, il portale sportivo italiano più letto dai<br />
tifosi dopo Gazzetta.it, tant’è che ha vinto tre edizioni <strong>del</strong> premio de Il Sole 24ore e il<br />
premio Sport Marketing 2003 quale miglior sito di club in occasione <strong>del</strong>l’Expogoal.<br />
La tecnologia, in tutto questo, gioca un ruolo fondamentale perché, oltre a permettere<br />
la trasmissione in diretta <strong>del</strong>le partite integrali <strong>del</strong> club, offre anche l’opportunità di<br />
sviluppare il proprio brand ritrasmettendo le fasi salienti dei match o producendo<br />
contenuti, articoli, commenti, interviste ai calciatori o ai dirigenti <strong>del</strong>la squadra,<br />
senza la mediazione di editori o giornalisti. La traduzione <strong>del</strong> sito in sei lingue,<br />
compreso il giapponese, offre inoltre la possibilità di raggiungere rapidamente i vari<br />
tifosi sparsi per il mondo a costi accettabili. Il sito internet è gestito direttamente<br />
146
dallo staff <strong>del</strong>l’Inter e questo approccio è in controtendenza rispetto alla maggioranza<br />
<strong>del</strong>le altre squadre, italiane e non solo, che hanno scelto di dare in service<br />
provisioning il proprio portale. Questo particolare rappresenta uno dei punti di forza<br />
<strong>del</strong>l’Inter, perché i propri tifosi, che possono essere anche raggiunti dalle news<br />
tramite sms, sapendo che il sito è gestito direttamente dalla società si sentono in<br />
contatto diretto con essa. La redazione/ufficio stampa di Inter.it pubblica anche trenta<br />
lanci al giorno, coprendo l’arco <strong>del</strong>le 24 ore grazie ad un’infrastruttura che consente<br />
ritardi minimi rispetto all’evento. Il sito ricopre anche importanti aspetti di<br />
comunicazione business to business perché ha consentito il rilascio di un gran<br />
numero di comunicati, cresciuto fino al punto che l’ufficio stampa ha raddoppiato la<br />
sua produttività. Nell’ambito di un rinnovamento stilistico di Inter.it, nell’ottobre <strong>del</strong><br />
2001 è stato aperto un portale di e-commerce per la vendita di oggetti connessi al<br />
brand <strong>del</strong>l’Inter. Il sito di e-commerce, sottoinsieme <strong>del</strong> sito Inter.it, mediamente<br />
riceve 700 ordini al mese e fattura circa 800mila euro all’anno. Nonostante l’esiguità<br />
<strong>del</strong>le operazioni, il sito di e-commerce ormai conta 32mila clienti registrati. Inter.it<br />
ha altresì un’offerta di prodotti, servizi e luoghi di culto, come lo stadio di San Siro,<br />
che naturalmente coltivano il senso di comunità <strong>del</strong>la tifoseria. Con gli strumenti di<br />
e-business è stato possibile andare oltre i limiti dei canali tradizionali come i fanclub<br />
e la grande distribuzione per facilitare il consumo fisico. Si è creato un mondo<br />
relazionale tra i tifosi e con i tifosi (chat, forum, bacheche e ring di siti amatoriali<br />
non allineati), nuove occasioni di interazione e prodotti di merchandising digitale<br />
(loghi, suonerie, immagini digitali). Si mira ora ad aumentare le interazioni<br />
rispettando le regole <strong>del</strong> permission marketing, ovvero senza essere invasivi ed<br />
educando il neo consumatore-tifoso ai nuovi rituali. Dato l’alto numero di tifosi, il<br />
marketing <strong>del</strong>l’Inter cerca di mettere in piedi un network di punti di rivendita<br />
lavorando in co-branding con alcuni licenziatari, usualmente scelti fra i propri<br />
partner, per poter così offrire dei prodotti e dei servizi anche attraverso canali che<br />
arrivino al tifoso con un reale valore aggiunto e distintivo. Gli attuali licenziatari<br />
sono una cinquantina di cui alcuni operano all’estero, come la multinazionale Nike,<br />
che garantisce al club oltre 14 milioni di euro annui. Proprio la società americana<br />
rappresenta uno dei mo<strong>del</strong>li che la nuova Roma di Thomas DiBenedetto punta ad<br />
emulare in tema di brand di successo. La nuova dirigenza di stampo americano ha<br />
147
puntualizzato, sin dal primo momento, che il suo obiettivo sarà il porre una forte<br />
attenzione al marketing e a tutte le leve attivabili su questo terreno, tenendo al centro<br />
<strong>del</strong>la strategia la cura <strong>del</strong> cliente, che, nel caso specifico, sarà il tifoso giallorosso. Il<br />
nuovo progetto prevede nuove forme di vendita dei tagliandi di ingresso, con offerte<br />
diversificate per gruppi di interesse, per aziende e per target di età, fi<strong>del</strong>izzando<br />
soprattutto i supporter che hanno mostrato negli anni una passione fuori <strong>del</strong> comune<br />
per questa società. In tal ottica vi è l’idea di creare un call center, che, coordinato<br />
dall’area marketing, si occuperà di studiare gli stili di acquisto e gli aspetti<br />
psicologici che stimolano ad acquistare il tagliando-gara o l’abbonamento. Sul<br />
terreno <strong>del</strong>le sponsorizzazioni il benchmark di riferimento è l’Arsenal: pochi<br />
sponsor, ma tutti di livello internazionale. Si parla anche di Academies in giro per il<br />
mondo, così come tournée nei paesi dove le comunità italiane sono molto radicate<br />
(Brasile, Argentina, Francia, Germania e NordAmerica), visite guidate per i turisti<br />
presenti a Roma durante tutto l’anno ed accordi con il Comune, gli uffici <strong>del</strong> turismo<br />
e gli imprenditori alberghieri. L’obiettivo è quello di trasformare la Roma in un<br />
brand di importanza mondiale arrivando ad elevare i ricavi entro il 2015 almeno sino<br />
ad una soglia annua di 15 milioni di euro rispetto ai 6.669 milioni ricavati dalle<br />
attività di publishing e merchandising nel 2011.<br />
Proprio in nome <strong>del</strong>la pubblicizzazione <strong>del</strong> marchio Roma nel mondo, il ds Walter<br />
Sabatini sarebbe stato incaricato di acquistare alcuni calciatori americani, su tutti<br />
l’estroso Landon Donovan dei Los Angeles Galaxy, il quale vanta già esperienze in<br />
Europa con le maglie <strong>del</strong>le tedesche Bayer Leverkusen e Bayern Monaco e<br />
<strong>del</strong>l’inglese Everton, allo scopo di promuovere il club negli USA.<br />
Tabella 14 – Progetto previsionale Publishing e Merchandising Roma con<br />
DiBenedetto<br />
Anno Ricavi (€ Mln.)<br />
2011 6.669<br />
2012 7.336<br />
2013 8.803<br />
2014 11.444<br />
2015 15.449<br />
Fonte: Sporteconomy. (Ns. elab.)<br />
148
Nei progetti vi sarebbe anche una Hall of Fame, un’iniziativa che consisterebbe in<br />
partecipazioni azionarie simboliche <strong>del</strong>la As Roma offerte ad atleti italiani e stranieri<br />
che hanno scritto la storia <strong>del</strong> club ed a grandi personalità <strong>del</strong> mondo <strong>del</strong>lo sport in<br />
grado di veicolare il progetto giallorosso in tutto il mondo. Le idee vi sono, compresa<br />
quella di una gestione <strong>del</strong>lo stadio incentrata sui naming rights e su attività<br />
collaterali, spetterà ora a DiBenedetto tramutarle in fatti sia in campo che fuori per<br />
una Roma competitiva a tutto tondo.<br />
4.3 I jersey-sponsor nel Regno Unito<br />
Il mercato dei jersey-sponsor ha registrato nella stagione 2010/11 un nuovo record di<br />
introiti ed a stabilirlo sono state le squadre iscritte alla Premier League. Secondo una<br />
ricerca di Sporting Intelligence i 20 club inglesi hanno siglato contratti con i propri<br />
partner per un totale di 100,45 milioni di sterline, pari a circa 122 milioni di euro. La<br />
cifra rappresenta un primato non solo per il campionato inglese, ma anche a livello<br />
mondiale. Quello precedente spettava alla Bundesliga 2009/2010 a quota 98.7<br />
milioni di sterline totali, con una media di 6.3 milioni di euro per squadra.<br />
A comandare l’attuale classifica sono Liverpool e Manchester United con ben 20<br />
milioni garantiti rispettivamente da Standard Chartered e Aon. Terzo posto per il<br />
Chelsea, con Samsung che porta nelle casse dei Blues 13.8 milioni. Seguono il<br />
Tottenham, con i 10 milioni di sterline garantite da Autonomy, il Manchester City<br />
con i 7.5 milioni di Etihad e l’Arsenal con i 5 milioni di Fly Emirates.<br />
Tali accordi hanno registrato un notevole incremento rispetto alla stagione 2009/10,<br />
quando la Premier League si era assestata a quota 72.34 milioni di sterline e le prime<br />
<strong>del</strong>la classe erano sponsorizzate da Carlsberg, che garantiva al Liverpool ben 12.55<br />
milioni in meno <strong>del</strong>l’attuale sponsor, e da AIG, il cui accordo con i “Red Devils” era<br />
di 14 milioni di euro. Da registrare in tal senso la scelta di Samsung di consolidare<br />
quest’anno il proprio rapporto con il Chelsea incrementando il precedente accordo di<br />
3.9 milioni di sterline.<br />
In questo contesto che ha visto i club maggiorare o lasciare inalterati i propri introiti,<br />
crea scalpore quanto accaduto a Newcastle e Sunderland, che hanno invece ottenuto<br />
un ribasso. I “Magpies”, nonostante la promozione in Premier League, hanno visto<br />
149
calare di 2.3 milioni il proprio accordo con Northern Rock, mentre i biancorossi<br />
hanno perso 1.5 milioni nel passaggio da Boylesports a Tombola.<br />
Tabella 15 – I proventi derivanti dai jersey-sponsor per i club <strong>del</strong>la Premier<br />
League nella stagione 2010/11 – (£ Mln)<br />
Club<br />
Main Sponsor<br />
2009/10<br />
Valore<br />
Accordo<br />
Main Sponsor<br />
2010/11<br />
Valore<br />
Accordo<br />
Differenza<br />
Liverpool Carlsberg 7.45<br />
Standard<br />
Chartered<br />
20 + 12.55<br />
Manchester<br />
United<br />
AIG 14 Aon 20 + 6<br />
Chelsea Samsung 9.9 Samsung 13.8 + 3.9<br />
Tottenham Mansion 8.45 Autonomy 10 + 1.55<br />
Manchester<br />
City<br />
Etihad 7.34 Etihad 7.5 + 0.16<br />
Arsenal Fly Emirates 5 Fly Emirates 5.5 + 0.50<br />
Aston Villa Acoms 0 FxPro 5 + 5<br />
Fulham LG 3 FxPro 4 plus + 1 plus<br />
Everton Chang Beer 2.6 Chang Beer 2.6 = 0<br />
Newcastle Northern Rock 4.8 Northern Rock 2.5 - 2.3<br />
West Ham SBOBET 1.7 SBOBET 1.7 = 0<br />
Blackburn<br />
Rovers<br />
Crown Paints 1.5 Crown Paints 1.5 = 0<br />
Wolves Sportingbet 0.90 Sportingbet 1.1 + 0.20<br />
Sunderland Boylesports 2.5 Tombola 1 plus - 1.5<br />
Stoke Britannia 1 Britannia 1 = 0<br />
West Bromwich Game by Game n/a Homeserve 0.75 + 0.75<br />
Bolton 188Bet 0.75 188Bet 0.75 = 0<br />
Wigan 188Bet 0.65 188Bet 0.65 = 0<br />
Birmingham<br />
F&C<br />
Investments<br />
0.60<br />
F&C<br />
Investments<br />
0.60 = 0<br />
Blackpool Carbrini 0.20 Wonga 0.50 = 0<br />
Totale:<br />
Totale: Totale:<br />
72.34<br />
100.45 + 28.11<br />
Fonte: Sporting Intelligence. (Ns. elab.)<br />
Da segnalare la crescita di presenze <strong>del</strong>le società di scommesse e giochi online, le<br />
quali la fanno da padrone sulle maglie dei club minori come nel caso <strong>del</strong>la SBOBET<br />
con il West Ham, Sportingbet con il Wolves e di 188bet, che ha confermato il<br />
proprio investimento sia sul Bolton che sul Wigan. Non si è fermato invece ad un<br />
150
solo jersey-sponsor il Tottenham che, dopo aver raggiunto l’intesa di 10 milioni di<br />
sterline con la società di infrastrutture Autonomy per la sponsorizzazione <strong>del</strong>le<br />
maglie indossate in campionato, ha stretto un accordo biennale da 5 milioni di<br />
sterline con l’azienda bancaria Investec per quelle indossate in Champions League,<br />
FA Cup e Carling Cup. Si è invece legata per tre anni all’Arsenal, a partire dalla<br />
prossima Emirates Cup, l’azienda italiana Indesit, leader nel mercato degli<br />
elettrodomestici. Chi si è invece concentrato sul proprio technical sponsor sono<br />
Liverpool e Chelsea, con i “Reds” che hanno affiancato al lucrativo contratto firmato<br />
con Standard Chartered quello pluriennale con l’azienda americana Warrior,<br />
acquisita nel 2004 dalla New Balance, che gli garantirà, a partire dalla stagione<br />
2012/2013, 25 milioni di sterline l’anno per la fornitura <strong>del</strong> materiale tecnico. Il<br />
Chelsea ha invece rinnovato il proprio accordo con l’azienda tedesca Adidas, che le<br />
garantirà circa 172 milioni di euro per altre 8 stagioni. Iniziative di certo interessanti<br />
che, ancora una volta, devono però chinare il capo dinanzi all’intesa raggiunta tra il<br />
Manchester United ed un proprio sponsor, l’Audi, che dal 2004 fornisce a calciatori,<br />
staff tecnico e dirigenti dei “Red Devils” le proprie automobili come auto ufficiali<br />
<strong>del</strong> club. Tale accordo ha anche previsto all’Old Trafford un’area di parcheggio<br />
dedicata esclusivamente alle Audi sino al termine <strong>del</strong>la stagione 2010/2011 e la<br />
sponsorizzazione <strong>del</strong>le panchine, che garantiscono ai tedeschi una notevole visibilità<br />
grazie alle numerose inquadrature operate dai network durante i match. Un’intesa<br />
con gli sponsor, quella che contraddistingue il Regno Unito, che è ben focalizzata<br />
dall’aspetto che la Premier League, nata nel 1992, risulta sponsorizzata già dal 1993,<br />
quando la Carlsberg la affiancò per un accordo che si è concluso nel 2001, quando la<br />
Fa Carling Premiership ha lasciato spazio alla Barclaycard Premiership sino al 2004.<br />
Dal 2001 ad oggi lo sponsor è sempre stato la Barclays, con il nome <strong>del</strong>la<br />
competizione che è cambiato in Barclays Premiership dal 2004 al 2007 ed in<br />
Barclays Premier League sino ad oggi. In particolare, tra il 2007 ed il 2010, il<br />
colosso bancario ha garantito al campionato inglese 65.8 milioni di sterline,<br />
decidendo di sponsorizzare anche il Premier League Asian Trophy, un torneo<br />
amichevole con cadenza biennale che vede protagoniste tre squadre inglesi ed una<br />
rappresentante la nazione asiatica ospitante.<br />
151
4.3.1 Il mercato degli sponsor in <strong><strong>It</strong>alia</strong>: una rivoluzione in atto<br />
Non ha arriso al campionato italiano il mercato degli sponsor relativo alla stagione<br />
2010/2011. Secondo i dati ricavati da un’analisi condotta da Sporteconomy e da noi<br />
implementata, in <strong><strong>It</strong>alia</strong> i club partecipanti all’ultimo campionato di Serie A hanno<br />
prodotto introiti alla voce jersey-sponsor per un totale di 60.9 milioni di euro, ben<br />
14.1 milioni in meno rispetto ai 75 milioni ricavati nell’annata agonistica precedente.<br />
Il Milan è la società regina in questo campo, con Fly Emirates che ha garantito ai<br />
rossoneri 12 milioni di euro, mentre Pirelli ha corrisposto 9.2 milioni all’Inter<br />
vincitrice <strong>del</strong> Triplete. Sono 8 invece i milioni che la Juventus ha ottenuto da Betclic<br />
esclusivamente per la prima maglia, con Balocco che ne ha invece investiti 3.5 per<br />
associare il proprio marchio alla divisa da trasferta. Subito dietro c’è il Napoli: il<br />
logo <strong>del</strong>l’acqua Lete sulle maglie vale 5.5 milioni. Ricava invece 5 milioni la Roma<br />
dal proprio contratto di partnership con Wind/Infostrada. Subito dopo il Cagliari, con<br />
2.5 milioni che gli erano stati promessi da Dahlia Tv, fallita il 25 febbraio 2011 ma<br />
comunque presente sia sulla maglia degli isolani sia nello stadio Sant’Elia sino al<br />
termine <strong>del</strong>la stagione, e 1.6 milioni versatigli dalla Regione Sardegna come secondo<br />
sponsor. Vale invece 2.5 milioni il logo ERG Mobile sulle divise <strong>del</strong>la Sampdoria.<br />
Generano 1.5 milioni in totale tre sponsor a rotazione sulle maglie <strong>del</strong> Chievo:<br />
Merkur Win, Banca Popolare di Verona e Paluani. Vale 1.5 milioni anche il contratto<br />
tra il solo Iziplay ed il Genoa. L’Udinese, splendida quarta in classifica e<br />
qualificatasi ai preliminari di Champions League, ha invece siglato accordi con<br />
Dacia come sponsor primario per 900mila euro e con due sponsor secondari:<br />
Tipicamente Friulano per le gare casalinghe per 250mila euro e Lumberjack per le<br />
sfide in trasferta per 200mila euro. Per il Bologna 400mila euro giungono da<br />
Cerasarda, mentre per il Bari 800mila euro provengono dalla Banca Popolare di Bari<br />
e 250mila dal partner secondario Radio Norba. 1.25 milioni è il valore dei marchi<br />
Navigare e Banca Monte Parma, secondo sponsor, sulle maglie <strong>del</strong> Parma. Valgono<br />
poi 1 milione di euro sia l’accordo tra Energia Siciliana ed il Catania sia quello tra<br />
Eurobet ed il Palermo. UBI Banco di Brescia corrisponde 600mila euro per il<br />
Brescia, 700mila euro incamera poi il Cesena dall’azienda che opera nel campo <strong>del</strong>le<br />
forniture di materiale tecnico Technogym, che ha deciso di confermare la<br />
partnership con i romagnoli anche nella stagione 2011/2012.<br />
152
Tabella 16 – I jersey-sponsor 2010/11 in Serie A – (€ Mln)<br />
Club Main Sponsor 2010/11<br />
Valore<br />
Accordo<br />
Milan Fly Emirates 12<br />
Inter Pirelli 9.2<br />
Juventus<br />
Betclic (Partite in casa)<br />
Balocco (Partite in trasferta)<br />
8<br />
3.5<br />
Napoli Acqua Lete 5.5<br />
Roma Infostrada 5<br />
Catania Energia Siciliana 1<br />
Cesena Technogym 0.70<br />
Brescia UBI Banco di Brescia 0.60<br />
Lecce<br />
Veneto Banca<br />
Bet<strong>It</strong>aly<br />
0.50<br />
0.30<br />
Dacia<br />
0.90<br />
Udinese Tipicamente Friulano (Partite in casa) 0.25<br />
Lumberjack (Partite in trasferta)<br />
0.20<br />
Merkur Win<br />
0.50<br />
Chievo Banca Popolare di Verona<br />
0.50<br />
Paluani<br />
0.50<br />
Parma<br />
Navigare<br />
Banca Monte Parma<br />
0.80<br />
0.42<br />
Genoa IziPlay 1.5<br />
Bari<br />
Banca Popolare di Bari<br />
Radio Norba<br />
0.80<br />
0.25<br />
Lazio Nessuno Sponsor 0<br />
Fiorentina<br />
Mazda (Solo girone di ritorno)<br />
Save The Children<br />
2.5<br />
0<br />
Cagliari<br />
Dahlia TV (Fallita il 25 febbraio 2011)<br />
Regione Sardegna<br />
2.5<br />
1.6<br />
Bologna Cerasarda 0.40<br />
Palermo Eurobet 1<br />
Sampdoria ERG 2.5<br />
Totale:<br />
60.9<br />
Fonte: Sporteconomy. (Ns. elab.)<br />
Nessun contratto è invece stato stipulato dalla Lazio, mentre si sono accordate in<br />
corsa il Lecce, che aveva iniziato il torneo con il solo sponsor secondario Bet<strong>It</strong>aly, e<br />
la Fiorentina che, dopo esser scesa in campo in estate con sulle divise lo slogan Il<br />
<strong>calcio</strong> è divertimento, ha sfoggiato nel girone di andata esclusivamente il logo no<br />
profit di Save The Children. I pugliesi hanno trovato un accordo con Veneto Banca<br />
per 500mila euro, i viola con Mazda per 2.5 milioni per il solo girone di ritorno<br />
2010/2011 e per 4 milioni annui per le prossime due stagioni complete sino al giugno<br />
2013. Anche nel panorama italiano, come in Premier League, grande rilievo hanno<br />
153
le agenzie di scommesse che, oltre a Bwin che ha sponsorizzato la Serie B,<br />
ribattezzata appunto Serie Bwin, hanno sancito accordi con 5 società: Juventus,<br />
Chievo, Palermo, Lecce e Genoa. In questo clima caratterizzato da una parabola<br />
discendente vi è chi cerca di aumentare gli introiti rinnovando i contratti con i<br />
technical sponsor, come la Roma, che si è legata a Basic<strong><strong>It</strong>alia</strong>, Robe di Kappa, sino<br />
al 2016 per oltre 40 milioni, e la Sampdoria, che, prima di retrocedere nella serie<br />
cadetta, ha rinnovato con la medesima azienda italiana per 1.7 milioni netti l’anno.<br />
Dall’immenso valore etico in questo contesto speculativo è stata nell’ultima stagione<br />
la scelta <strong>del</strong>la Fiorentina di dedicarsi alla solidarietà scendendo in campo con Save<br />
The Children per dire basta alla mortalità infantile. Per tutto il campionato la squadra<br />
viola ha infatti sostenuto Every One dando visibilità alle campagne <strong>del</strong>la più grande<br />
associazione indipendente per la difesa dei bambini lanciata da Save The Children<br />
nei suoi 90 anni di storia. Un impegno concreto in aiuto degli 8 milioni di bambini<br />
che ogni anno, in quasi 70 paesi <strong>del</strong> mondo, continuano a morire per cause comuni e<br />
prevenibili. L’obiettivo di Every One è infatti quello di contribuire a ridurre<br />
drasticamente la mortalità infantile entro il 2015, salvando ogni anno circa 500.000<br />
bambini e raggiungendo con programmi di sensibilizzazione, salute e nutrizione circa<br />
50 milioni di donne in età fertile e minori. Ma non si è trattato solo di un’azione di<br />
sensibilizzazione, la Fiorentina ha sostenuto anche un progetto specifico di intervento<br />
contro la mortalità infantile in uno dei paesi in via di sviluppo e porterà avanti<br />
assieme a Save The Children varie iniziative di promozione e raccolta fondi mirate a<br />
sostenere Every One. La prima iniziativa di tal genere operata in <strong><strong>It</strong>alia</strong> risale alla<br />
stagione 2001/2002, quando il Piacenza, anticipando il Barcellona, si legò ad<br />
UNICEF. La partnership, ancor oggi operativa, prevedeva che la società<br />
devolvesse una quota <strong>del</strong>le entrate provenienti dagli abbonamenti e dalla vendita dei<br />
biglietti in favore <strong>del</strong>l’UNICEF. Oltre al significato morale che recava, l’accordo<br />
rappresentava un antidoto contro la violenza ed il razzismo negli stadi di<br />
<strong>calcio</strong>. Occasionalmente, per sensibilizzare i tifosi, i giocatori entravano in quella<br />
stagione in campo con una maglia, sopra quella ufficiale, recante la scritta “Il<br />
Piacenza aiuta l’UNICEF”. A partire dalla stagione successiva il Piacenza Calcio<br />
indossa il logo UNICEF sulle proprie maglie, a testimonianza <strong>del</strong>la profondità di un<br />
legame che si è protratto anche quando, dal campionato 2003/2004, la squadra è<br />
154
etrocessa in Serie B. In particolare il club biancorosso, insieme alla città di<br />
Piacenza, ha contribuito alla realizzazione <strong>del</strong> progetto <strong>del</strong>l’UNICEF “Bambini di<br />
strada”, che ha permesso la ricostruzione di un Centro di accoglienza per i minori<br />
abbandonati nella periferia di Kinshasa, capitale <strong>del</strong>la Repubblica Democratica <strong>del</strong><br />
Congo. La società sportiva ha inoltre devoluto per due anni il 7.5% dei proventi di<br />
tutte le partite giocate in casa affinché si potesse costruire un luogo sicuro e<br />
protetto e creare i presupposti per il reinserimento familiare e professionale dei<br />
bambini. Questa prova di grande generosità ha permesso al Piacenza Calcio di<br />
vincere senza discussioni lo scudetto <strong>del</strong>la solidarietà. Obiettivo, questo, cui non<br />
mirano in egual percentuale le altre società, che, Fiorentina a parte, associano agli<br />
sponsor esclusivamente tornaconti economici. Per poter gestire al meglio<br />
finanziariamente le sponsorizzazioni non di maglia, il Milan, ad esempio, ha deciso<br />
nell’estate 2010 di legarsi sino al 2016 ad Infront, azienda leader in <strong><strong>It</strong>alia</strong> nella<br />
gestione dei diritti sportivi. Quattro i livelli di sponsorizzazione previsti: Top<br />
Sponsor, Premium Sponsor, Official Partner e Official Supplier. I marchi esposti<br />
sono stati maggiormente selezionati la scorsa estate passando dai 42 <strong>del</strong>la stagione<br />
2009/2010 ai 32 di quella appena conclusa. In questo modo ai partner commerciali è<br />
stata assicurata una maggiore visibilità televisiva grazie ad un nuovo format di<br />
esposizione, definito di prima fila, che ha consentito un aumento <strong>del</strong>la visibilità dei<br />
Top Sponsor di quasi quattro volte superiore rispetto al passato. Per gli sponsor<br />
Infront ha inoltre progettato un nuovo concept di Corporate Hospitality per le partite<br />
di Serie A Tim, Tim Cup e amichevoli. Sarà un’area dedicata e riservata per seguire<br />
comodamente le partite casalinghe con vista panoramica sul campo di gioco, terrazza<br />
all’aperto e servizio al tavolo per pranzi e cene. Milan ed Infront continueranno<br />
altresì a valorizzare la strategia web e new media, già implementata nel corso degli<br />
anni dal club, attraverso il Milan Media Factory, un polo integrato di produzione che<br />
consentirà di fruire dei contenuti relativi alla squadra rossonera su diverse<br />
piattaforme: satellite, Internet (sito web, webTV, community, social network) e<br />
mobile. Sempre nell’ambito di sponsor non di maglia singolare è stata l’iniziativa<br />
ideata lo scorso aprile dalla Garofalo, partner <strong>del</strong> Napoli, che ha messo in commercio<br />
una tipologia di pasta denominata Enne, con il formato che, essendo di forma<br />
circolare con una N al centro, richiama il logo ufficiale <strong>del</strong> club partenopeo. Il piatto<br />
155
preferito dai giocatori <strong>del</strong> Napoli, così come è stato scontatamente definito, è stato tra<br />
l’altro servito dalla Garofalo subito dopo la partita <strong>del</strong> San Paolo persa 2-0 dagli<br />
azzurri contro l’Udinese il 17 aprile 2011: l’operazione è stata possibile grazie<br />
all’operato di un camion che, proprio come un servizio di catering, ha seguito la<br />
squadra rifocillando i giocatori seguendo rigorosamente le direttive alimentari <strong>del</strong>lo<br />
staff medico e tecnico. Il rapporto con i propri partner ha invece spinto il Bari e<br />
Master Group Sport ad organizzare la scorsa Pasqua un’iniziativa che ha visto i<br />
rappresentanti dei partner dei “Galletti” scendere in campo per coronare il sogno di<br />
calciare un rigore ai portieri Jean Francois Gillet e Daniele Pa<strong>del</strong>li. I partecipanti<br />
sono anche stati omaggiati in quell’occasione con le uova ufficiali AS Bari prima di<br />
una foto di gruppo con i calciatori, l’allenatore, la società e lo staff Master Group<br />
Sport.<br />
Come la Premier, anche la Serie A ha un main sponsor, la TIM, che da ormai 14<br />
anni, con tanto di rinnovo biennale sino al 30 giugno 2012 siglato nell’estate 2010,<br />
associa il proprio logo a quello <strong>del</strong> massimo campionato nazionale, la Serie A TIM,<br />
alla Coppa <strong><strong>It</strong>alia</strong>, ribattezzata TIM Cup, alla Supercoppa <strong><strong>It</strong>alia</strong>na, denominata<br />
Supercoppa TIM, e al campionato Primavera, il cui nome è ora Campionato<br />
Primavera TIM. La Lega Serie A, al fine di incrementare i propri introiti, ha inoltre<br />
stretto un accordo da 10 milioni di euro con l’azienda cinese United Vansen<br />
International Sports per la disputa per i prossimi tre anni presso lo stadio Nido<br />
d’Uccello di Pechino <strong>del</strong>la finale <strong>del</strong>la Supercoppa TIM tra la squadra vincitrice <strong>del</strong><br />
campionato e colei che ha vinto la TIM Cup. La prima manifestazione tricolore<br />
prevista dal calendario stagionale tornerà dunque a viaggiare per pure questioni<br />
economiche in giro per il mondo dopo le edizioni <strong>del</strong> 1993 all’RFK Stadium di<br />
Washington, <strong>del</strong> 2002 allo stadio 11 giugno di Tripoli, <strong>del</strong> 2003 al Giants Stadium di<br />
New York e quella <strong>del</strong> 2009, l’unica tra le finali itineranti che ha visto sconfitto il<br />
club vincitore <strong>del</strong>lo scudetto, disputata proprio nel medesimo impianto di Pechino.<br />
4.4 Il business degli stadi<br />
Le differenti concezioni di capitalizzazione <strong>del</strong> business in termini di gestione degli<br />
stadi rappresentano il punto di distacco più profondo tra la realtà italiana e quella<br />
inglese. Per poter comprendere appieno i meccanismi che hanno creato una linea di<br />
156
demarcazione tanto netta sotto il profilo <strong>del</strong>la massimizzazione dei profitti derivanti<br />
dalle più svariate opportunità garantite da uno sfruttamento ad hoc degli impianti<br />
sportivi occorre illustrare in primis il come le istituzioni nazionali si sono rapportate<br />
a due diverse tragedie che, loro malgrado, hanno dato il là a <strong>del</strong>le rivoluzioni in<br />
termini di leggi per la sicurezza negli stadi e non solo: l’omicidio Raciti a Catania ed<br />
il crollo <strong>del</strong> tetto <strong>del</strong>lo stadio di Hillsborough a Sheffield, appena quattro anni dopo<br />
l’incendio di Bradford, in Inghilterra.<br />
Venerdì 2 febbraio 2007 a Catania perse la vita Filippo Raciti, esponente <strong>del</strong>le forze<br />
<strong>del</strong>l’ordine colpito a morte nel tentativo di sedare la guerriglia urbana operata dai<br />
tifosi catanesi al termine <strong>del</strong> derby di campionato giocato allo stadio Massimino<br />
contro il Palermo. Si parlò di interventi drastici per reprimere la violenza, di vietare<br />
l’ingresso <strong>del</strong> pubblico negli impianti non in regola, di ispirarsi all’esperienza<br />
<strong>del</strong>l’Inghilterra, dove il fenomeno hooligans è stato represso con interventi concreti<br />
sia a livello legislativo sia a livello di strutture sportive. Il Governo intervenne<br />
bloccando i campionati ed imponendo leggi più severe per i tifosi violenti con il<br />
Decreto Legge n. 8 <strong>del</strong>l’8 febbraio 2007 rubricato Misure urgenti per la prevenzione<br />
e la repressione di fenomeni di violenza connessi a competizioni calcistiche. Il testo,<br />
diviso in 12 articoli, apportava modifiche ai due decreti legge Pisanu (il 28/03,<br />
convertito dalla Legge 88/03, e il 162/05, convertito dalla Legge 210 <strong>del</strong> 2005). I<br />
principali aspetti stabiliti dal decreto riguardano punti come l’ingresso negli stadi non<br />
a norma di soli tifosi in possesso di un abbonamento annuale se l’impianto dispone<br />
almeno di biglietti numerati, varchi dotati di metal detector all’ingresso e barriere in<br />
grado di impedire ai sostenitori <strong>del</strong>le due squadre di venire a contatto. Il giudice (non<br />
più il questore, come invece previsto dalla Legge 401 <strong>del</strong> 1989) dispone inoltre <strong>del</strong><br />
divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive (in sigla<br />
Daspo) per i tifosi che risultano denunciati o condannati, con sentenza definitiva, per<br />
aver preso parte ad episodi di violenza su persone o cose. Chi viene colpito dal<br />
provvedimento restrittivo ha anche l’obbligo di presentarsi in un ufficio o in un<br />
comando di polizia durante lo svolgimento <strong>del</strong>le manifestazioni sportive. È prevista<br />
altresì la reclusione, da uno a quattro anni, per chiunque lanci ed utilizzi, nei luoghi<br />
in cui si svolgono manifestazioni sportive, razzi, bengala e fuochi artificiali e per chi<br />
faccia uso di bastoni e oggetti contundenti. La pena aumenta se dal fatto deriva lo<br />
157
slittamento <strong>del</strong> fischio di inizio, la sospensione, l’interruzione e la cancellazione <strong>del</strong>la<br />
manifestazione sportiva. Sono inoltre previsti dai sei mesi ai tre anni di reclusione<br />
per chi è trovato in possesso di oggetti contundenti ed è aumentato da 36 a 48 ore il<br />
periodo di tempo durante il quale le forze <strong>del</strong>l’ordine possono visionare i filmati<br />
<strong>del</strong>le telecamere ed identificare i responsabili dei disordini. Dal blocco totale si passò<br />
però in brevissimo tempo alle partite a porte chiuse per gli stadi non a norma, per poi<br />
concedere gradualmente l’ok a tutti gli stadi. Dopo la tragedia di Catania, i club, in<br />
contrasto con i Comuni sulla ripartizione <strong>del</strong>le spese, complessivamente ammontanti<br />
a 35 milioni di euro, hanno portato a termine lavori sugli impianti e sulla sicurezza<br />
che si trascinavano da almeno un anno e mezzo, dall’uscita <strong>del</strong> Decreto Pisanu <strong>del</strong> 6<br />
giugno <strong>del</strong> 2005. Spazi adeguati all’ingresso, organizzazione dei controlli, sistemi<br />
d’accesso regolati da speciali tornelli che permettono il passaggio di un solo<br />
spettatore alla volta se in possesso di regolare biglietto nominativo, ma anche sistemi<br />
di video-sorveglianza e di illuminazione interni ed esterni, recinzioni e locali<br />
attrezzati per le forze <strong>del</strong>la polizia: sono questi, nella maggioranza dei casi, i<br />
problemi risolti a tempo di record in quasi tutte le città. La svolta italiana, che il 14<br />
agosto 2009 ha visto anche il varo <strong>del</strong>la Tessera <strong>del</strong> tifoso 29 , non può però fermarsi a<br />
tali provvedimenti, bensì occorre risolvere e non eludere i problemi di fondo, perché,<br />
al di là degli importantissimi concetti di sicurezza, il sistema attuale non massimizza<br />
a dovere le fonti <strong>del</strong> business. L’esperienza inglese fornisce in tal senso ancora una<br />
volta esempi su cui meditare sia nella lotta alla violenza sia nella proficua gestione<br />
<strong>del</strong> business calcistico. Oltremanica l’11 maggio 1985 nello stadio di Bradford si<br />
sviluppò un incendio, probabilmente originato da un fiammifero o da una sigaretta,<br />
che interessò un’intera tribuna <strong>del</strong>l’impianto. A causa <strong>del</strong>le fiamme persero la vita 56<br />
persone, mentre altre 265 subirono conseguenze di diversa entità. Quattro anni più<br />
29 La Tessera <strong>del</strong> tifoso è una card soggettiva dedicata a tutti i tifosi di <strong>calcio</strong> e vuole rappresentare,<br />
tramite l’identificazione di ogni singolo supporter, uno strumento di fi<strong>del</strong>izzazione fra i tifosi e le<br />
squadre. La tessera è rilasciata, su richiesta, dalla società sportiva dopo il nulla osta <strong>del</strong>la questura<br />
competente. Il titolare <strong>del</strong>la card può accedere allo stadio anche nei casi di partite soggette a<br />
restrizioni. Può inoltre godere di procedure veloci per l’accesso allo stadio, attraverso la creazione di<br />
varchi dedicati e può usufruire <strong>del</strong>le eventuali ulteriori promozioni ed opportunità offerte dalle società<br />
calcistiche in esclusiva, come il diritto di prelazione per l’acquisto di biglietti, accumulo di punti,<br />
convenzioni con altre società private come Ferrovie <strong>del</strong>lo Stato, Autogrill e altri partner e sponsor.<br />
158
tardi, il crollo di una parte <strong>del</strong>la struttura <strong>del</strong>lo stadio Hillsborough a Sheffield uccise<br />
96 spettatori. A seguito di questi due eventi nel Regno Unito fu avviata una estesa<br />
attività di revisione e di miglioramento <strong>del</strong>la sicurezza degli impianti sportivi<br />
finalizzata ad evitare il ripetersi di tali tragedie. Lo stato <strong>del</strong>la sicurezza degli stadi<br />
inglesi fu <strong>del</strong>ineato nel rapporto Taylor, seguendo le cui raccomandazioni e<br />
recependone le conclusioni, a partire dal 1990 furono adottati i primi provvedimenti.<br />
In particolare, ad un primo studio complessivo sulla sicurezza degli stadi <strong>del</strong> 1990,<br />
seguì nel 1994 la decisione di ridisegnare le zone per spettatori eliminando i posti in<br />
piedi. Il rapporto Taylor, inoltre, portò alla redazione di una guida alla sicurezza<br />
degli impianti sportivi elaborata dal Ministero <strong>del</strong>la Cultura, <strong>del</strong>lo Sport e <strong>del</strong>lo<br />
Spettacolo insieme al corrispondente organo scozzese. <strong>Una</strong> guida, determinante per<br />
la rivoluzione britannica, che conteneva le indicazioni sui compiti degli organi che<br />
autorizzano e certificano gli impianti sportivi con lo scopo di assisterli nella<br />
valutazione <strong>del</strong>la sicurezza. La ricetta inglese per riportare la gente negli stadi, in<br />
particolare, è passata attraverso la completa ristrutturazione degli impianti con<br />
l’eliminazione <strong>del</strong>le barriere tra il campo di gioco e la tribuna, seggiolini in tutti i<br />
settori, capienza di almeno 20mila posti con possibilmente dei box privati, uso di<br />
telecamere a circuito chiuso, la presa di coscienza dei tifosi dopo il bando di 5 anni<br />
dalle competizioni europee imposto dalla UEFA dopo la tragedia <strong>del</strong>l’Heysel <strong>del</strong> 29<br />
maggio 1985 e la responsabilizzazione <strong>del</strong>le società, cui è stata affidata la<br />
sorveglianza all’interno degli impianti attraverso la presenza di stewards privati,<br />
pagati dai club, in collegamento via radio con la polizia presente solo all’esterno<br />
degli impianti. Fu inoltre imposto ai team il divieto di intrattenere rapporti con i<br />
propri tifosi, fatta eccezione per la collaborazione finalizzata a prevenire possibili<br />
incidenti e fu creata una squadra speciale di sorveglianza nazionale anti-hooligans, la<br />
National Football Intelligence Unit, costituita da Scotland Yard nel 1989. Un agente<br />
è affidato a ognuna <strong>del</strong>le 92 società professionistiche e si occupa, viaggiando sempre<br />
al seguito <strong>del</strong>la tifoseria, <strong>del</strong>la schedatura dei tifosi violenti e di azioni di<br />
infiltrazione. Con questo sistema è stato possibile schedare, in un’apposita banca<br />
dati, circa 7mila tifosi. Non meno importante è stata l’applicazione <strong>del</strong> sistema<br />
“Crimistoppers”, un numero verde a cui si può telefonare per segnalare episodi,<br />
159
persone sospette o situazioni pericolose. Le denunce sono rigorosamente anonime e<br />
vi è una ricompensa per i cittadini che permettono la cattura degli eventuali teppisti.<br />
Dal punto di vista legislativo i principali interventi sono stati lo Sporting Event Act<br />
(1985), che vieta l’introduzione degli alcoolici negli stadi, il Public Order Act<br />
(1986), che indica come reato il comportarsi alle partite in modo allarmante, anche se<br />
non violento, concedendo ai magistrati il potere di impedire l’accesso negli impianti<br />
a singoli tifosi violenti che devono presentarsi ai rispettivi comandi di polizia in<br />
occasione <strong>del</strong>le partite, il Football Offences Act (1991), che permette alla polizia di<br />
arrestare e far processare per direttissima i tifosi anche solo per violenza verbale<br />
(linguaggio osceno e cori razzisti), ed il Football Disorder Act (2002), che conferisce<br />
poteri enormi a Scotland Yard, sino a sequestrare il passaporto di un sospettato<br />
appena cinque giorni prima di una gara che si disputi all’estero.<br />
Un’evoluzione che non si è fermata all’ambito legislativo. Consapevoli dei benefit<br />
che ne sarebbero derivati sotto il profilo finanziario, infatti, per migliorare le loro<br />
casse alcuni club come Arsenal, Newcastle e Manchester United hanno posto in<br />
essere <strong>del</strong>le operazioni di cartolarizzazione. I proventi futuri che le banche hanno<br />
anticipato non sono stati, però, quelli dei diritti televisivi o <strong>del</strong>le sponsorizzazioni,<br />
considerate troppo variabili nel tempo per essere presi in considerazione ai fini<br />
finanziari, ma gli incassi derivanti dal botteghino, che per le società inglesi, da<br />
quando la violenza è stata debellata, risultano in costante crescita. Grazie alla<br />
presenza di una base fe<strong>del</strong>e di tifosi veri e paganti l’Arsenal ha ottenuto un prestito di<br />
210 milioni di sterline per 25 anni ad un tasso di interesse superiore di soli 52 punti<br />
base a quello <strong>del</strong> debito pubblico. Lo sport si è trasformato a tutti gli effetti in<br />
spettacolo e ciò che conta è, oggi più di ieri, portare la gente allo stadio e fi<strong>del</strong>izzarli<br />
al brand societario. Purtroppo la gestione <strong>del</strong>lo stadio rappresenta una fonte di ricavo<br />
che in <strong><strong>It</strong>alia</strong> si presenta solo dal punto di vista teorico. Infatti, tranne rare eccezioni<br />
(la Reggiana, attualmente militante in Lega Pro, prima <strong>del</strong>l’investimento <strong>del</strong>la<br />
Juventus sulla Juventus Arena, è stata per anni l’unica proprietaria <strong>del</strong> proprio stadio,<br />
il Giglio di Reggio Emilia), bisogna parlare di mancati introiti che stanno spingendo<br />
le società quantomeno ad interessarsi all’argomento. Nel nostro Paese gli impianti<br />
sportivi sono di proprietà dei comuni e i club non hanno la capacità di influire sul<br />
loro utilizzo, anzi, molte volte essi vengono adibiti a manifestazioni, come i concerti,<br />
160
che rovinano il manto erboso, contro la volontà <strong>del</strong>le società stesse. Nel campionato<br />
inglese i club sono invece proprietari degli stadi, i quali rappresentano una fonte di<br />
ricavo sia durante le partite, con i servizi bar e con quelli di catering destinati alle<br />
aziende alle quali vengono riservate zone chiuse nelle tribune, i già citati skybox, sia<br />
durante la settimana con il cinema, i ristoranti e i negozi costruiti all’interno e affidati<br />
in gestione a terzi. Lo stadio costituisce, quindi, un asset fondamentale sia come<br />
componente patrimoniale che si aggiunge al parco calciatori, con garanzie<br />
infinitamente maggiori, sia per la creazione di valore tramite la gestione <strong>del</strong>le<br />
numerose attività commerciali che si possono attuare nell’impianto; rappresenta<br />
inoltre, trattandosi di un bene dalle performance meno volatili rispetto a quelle in<br />
ambito agonistico, un elemento che tranquillizza gli investitori ed i risparmiatori per<br />
le società quotate in Borsa.<br />
I club italiani più importanti, ma anche i piccoli, hanno da tempo compreso che la<br />
proprietà o l’affitto degli impianti per tempi lunghi sono le uniche modalità per<br />
cercare di incrementare quella voce ricavi da stadio che ancora oggi risulta limitata<br />
nella maggior parte dei casi ai soli proventi connessi alla vendita dei biglietti.<br />
Tuttavia, per ragioni diverse, sia la costruzione di nuovi impianti da parte <strong>del</strong>le<br />
società sia la privatizzazione degli impianti esistenti appaiono di difficile<br />
realizzazione, specie nel breve/medio periodo: gli investimenti sono esosi, ci sono<br />
troppi vincoli urbanistici da superare e in molte città sarebbe difficile far accettare<br />
l’operazione all’opinione pubblica. Occorre sottolineare, inoltre, come gli impianti<br />
italiani abbiano <strong>del</strong>le strutture non idonee a favorire un utilizzo differenziato degli<br />
stessi lungo l’arco <strong>del</strong>la settimana. In particolare la capienza media è troppo elevata<br />
per quelle che sono le necessità <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> odierno e quasi ovunque è presente la pista<br />
di atletica, che allontana gli spettatori dallo spettacolo. Gli inglesi hanno compreso<br />
per primi i cambiamenti <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> moderno generando quella che deve essere la<br />
struttura di uno stadio di <strong>calcio</strong> efficiente sotto il profilo economico: dimensione non<br />
superiore ai 40.000 posti tutti rigorosamente a sedere, espressamente pensato per il<br />
<strong>calcio</strong> e, quindi, senza pista di atletica, dotato di una serie di box esclusivi per seguire<br />
gli incontri in posizione particolarmente privilegiata, di sale polivalenti, palestre e<br />
servizi commerciali differenziati, caratterizzato da una massima adattabilità alle<br />
riprese televisive e da una gestione commerciale <strong>del</strong>lo stesso affidata direttamente ai<br />
161
club, solitamente attraverso la creazione di una società apposita. La proprietà o la<br />
concessione per un ampio arco temporale svincola le società dai canoni di locazione<br />
annuale, che si sommano alla manutenzione, ma soprattutto permette di gestire in<br />
proprio gli spazi pubblicitari <strong>del</strong>lo stadio stesso, evitando la cessione di consistenti<br />
percentuali a società di gestione, che solitamente si aggiungono al prezzo dei biglietti<br />
e che di conseguenza gravano sugli spettatori. Uno stadio moderno di proprietà<br />
diviene pertanto il biglietto da visita di un club, inquadrandosi come il luogo in cui si<br />
svolgono le manifestazioni attinenti al core business <strong>del</strong>la squadra e in cui si<br />
sviluppano attività collaterali che diversificano ed ampliano gli introiti: punti di<br />
ristorazione, alloggi, box office per aziende che vogliano rendere il soggiorno dei<br />
loro clienti più piacevole. L’impianto potrebbe poi comunque essere subappaltato per<br />
eventi extrasportivi come concerti, convegni, esposizioni. In questo modo si<br />
sfrutterebbe tutto l’anno una struttura che attualmente è teatro di avvenimenti<br />
mediamente una volta a settimana e che quindi non giustifica le ingenti spese alle<br />
quali è soggetta. L’esperienza più significativa di come utilizzare in maniera<br />
diversificata uno stadio è, senza dubbio, quella <strong>del</strong> Manchester United, mo<strong>del</strong>lo<br />
principe di efficienza economica ed esempio estremo <strong>del</strong>la diversificazione dei<br />
ricavi. L’Old Trafford, come accennato, è considerato un’autentica industria <strong>del</strong><br />
marketing: 76.212 posti tutti a sedere, un sistema di sicurezza efficientissimo, 27<br />
telecamere collegate in circuito chiuso che consentono di individuare con facilità<br />
anche il singolo tifoso, terreno di gioco dotato di migliaia di serpentine che ne<br />
permettono il riscaldamento, ma soprattutto box esclusivi per un totale di 4.973 posti<br />
(una sorta di suite che le aziende affittano all’inizio <strong>del</strong>la stagione per intrattenere i<br />
loro clienti in occasione <strong>del</strong>le partite), un ristorante, il già citato Red Cafè, una sala<br />
polivalente per 1.000 persone, un museo e lo splendido megastore dedicato alla<br />
vendita dei gadget <strong>del</strong>la squadra. Nel Regno Unito esempi di questo genere non<br />
mancano. Il Chelsea ha costruito Stamford Bridge dotato di 35.000 posti a sedere, 70<br />
box esclusivi, 20 aree per la ristorazione in grado di soddisfare 4.000 persone, un<br />
albergo, un ristorante ed un bar aperti tutto l’anno, nonché il punto vendita <strong>del</strong> club.<br />
In tal processo di trasformazione degli stadi in straordinari asset finanziari non<br />
poteva certo mancare, come ampiamente sottolineato in precedenza, la cessione dei<br />
naming rights degli impianti. In Premier League soltanto 4 squadre <strong>del</strong>le 20<br />
162
partecipanti (il 20%) hanno venduto i diritti sul nome <strong>del</strong> proprio impianto: Arsenal<br />
(Emirates Stadium), Bolton Wanderers (Reebok Stadium), Wigan Athletic (JJB<br />
Stadium prima e DW Stadium poi) e Stoke City (Britannia Stadium). Particolarmente<br />
interessante è il caso <strong>del</strong>l’Emirates Stadium, costato circa 573 milioni di euro, dei<br />
quali 150 sono stati versati dalla compagnia aerea <strong>del</strong> Dubai, la Fly Emirates, anche<br />
jersey-sponsor dei “Gunners”, che ha acquistato sino al 2016 i naming rights<br />
<strong>del</strong>l’impianto, altrimenti noto come Ashburton Grove. Al fine di sovvenzionarne la<br />
costruzione, l’Arsenal, che non ha avuto possibilità di accedere a prestiti pubblici, ha<br />
seguito differenti direttrici, eregendo in primis in sostituzione <strong>del</strong> vecchio stadio<br />
2.000 appartamenti che ha venduto e dai quali ha ottenuto un sostanzioso guadagno.<br />
Ha ricavato, inoltre, 22 milioni di euro da alcune operazioni commerciali, tra cui<br />
l’accordo ventennale con Delaware North (azienda <strong>del</strong> settore catering) ed una serie<br />
di sponsorship (la principale è con Nike, già official kit supplier).<br />
Nel nostro Paese solo il Siena, per altro impegnato lo scorso campionato in Serie B,<br />
affianca dalla stagione 2007/08 al nome di stadio Artemio Franchi quello di<br />
Montepaschi Arena, in virtù <strong>del</strong>la munifica sponsorizzazione <strong>del</strong>la banca senese, già<br />
jersey-sponsor dei toscani. Un primo passo verso la possibilità di titolazione <strong>del</strong>la<br />
struttura può essere rappresentato dall’ottenimento <strong>del</strong>la sua concessione da parte<br />
<strong>del</strong>la società di <strong>calcio</strong>. Questo si è verificato nel caso <strong>del</strong>la Juventus, che sarà la<br />
prima in <strong><strong>It</strong>alia</strong> a sfruttare a tutti gli effetti il naming right, con il nuovo Delle Alpi,<br />
operante dalla stagione 2011/12, che, nato come Juventus Arena, avrà il nome di uno<br />
sponsor. Grazie all’intesa raggiunta con Sportfive, società specializzata nel<br />
marketing sportivo appartenente al Gruppo Lagardère, il club incasserà 75 milioni di<br />
euro per 12 anni: 6,5 all’anno da quando lo stadio verrà aperto al pubblico (sette<br />
giorni su sette, con spazi anche per i negozi e l’intrattenimento). Sportfive gestirà in<br />
esclusiva il nome <strong>del</strong>l’impianto (assegnato ogni quattro anni), la vendita <strong>del</strong> 50% dei<br />
palchi ed i 650 posti <strong>del</strong>la Tribuna Premium. Il nuovo stadio, che potrà ospitare<br />
41.000 spettatori, è stato concepito con i massimi standard di sicurezza. L’accesso<br />
all’impianto, privo di barriere architettoniche, avverrà da quattro ingressi posti sugli<br />
angoli, con ampie rampe che seguono il profilo <strong>del</strong>le collinette verdi sulle quali sorge<br />
l’impianto e che portano ad un anello, dove potranno essere controllati i titoli di<br />
ingresso e dove potranno sostare i mezzi di soccorso, che gira intorno allo stadio. Le<br />
163
panchine saranno posizionate in prima fila all’interno <strong>del</strong>la tribuna, come negli stadi<br />
inglesi. Alle gradinate e alle tribune, che saranno a 7.5 metri di distanza dal campo di<br />
gioco, si accederà da 16 passerelle distribuite nei diversi settori <strong>del</strong>l’impianto. In<br />
caso di emergenza la Juventus Arena si potrà svuotare in meno di 4 minuti. Al di<br />
sotto <strong>del</strong>le gradinate verranno realizzate le aree di servizio per lo stadio e la squadra.<br />
Il progetto, sul mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong> St James’s Park <strong>del</strong> Newcastle, prevedrà un profilo a<br />
semicerchio privo di elementi che si distacchino dalla linea di continuità. Inoltre lo<br />
stadio ingloberà un’area vastissima, costituita da 4.000 posti auto, 8 ristoranti e 20<br />
bar. All’interno anche 3 spogliatoi, un museo dedicato alla storia <strong>del</strong>la Juventus,<br />
34.000 metri quadrati di aree commerciali e 30.000 metri quadrati di aree verdi e<br />
piazze. La struttura esterna <strong>del</strong>lo stadio ricorderà quella di una astronave e sarà<br />
composta da 40.000 lamine di alluminio oscillanti e riflettenti che dovranno offrire il<br />
suggestivo effetto di una bandiera in continuo movimento.<br />
La copertura in ETFE 30 degli spalti verrà sorretta da due pennoni che richiameranno<br />
la vecchia struttura <strong>del</strong> <strong>del</strong>le Alpi. Studiata in galleria <strong>del</strong> vento, verrà realizzata<br />
ispirandosi al profilo <strong>del</strong>le ali degli aerei: una struttura di grande leggerezza,<br />
realizzata in una membrana in parte trasparente e in parte opaca, per permettere una<br />
visione ottimale <strong>del</strong> campo, sia diurna sia notturna, e per garantire il passaggio di<br />
luce sufficiente alla crescita <strong>del</strong>l’erba <strong>del</strong> campo. All’interno <strong>del</strong>l’impianto verrà<br />
costruito il Museo <strong>del</strong>la Juventus, che una volta ultimato rappresenterà uno dei musei<br />
calcistici più importanti <strong>del</strong> mondo. Il museo avrà diverse sale in cui verranno esposti<br />
tutti i trofei vinti dal club e le maglie dei giocatori più importanti <strong>del</strong>la storia <strong>del</strong>la<br />
società torinese e sarà caratterizzato da aree interattive e ricche di foto storiche. Il 29<br />
maggio 2010, in occasione <strong>del</strong> 25º anniversario <strong>del</strong>la strage <strong>del</strong>l’Heysel, il presidente<br />
<strong>del</strong>la Juventus Andrea Agnelli ha annunciato che uno spazio <strong>del</strong>lo stadio verrà<br />
dedicato alla memoria <strong>del</strong>le vittime di quella strage. Vi sarà altresì una sorta di Walk<br />
of Fame in cui cinquanta dei giocatori più importanti <strong>del</strong>la storia <strong>del</strong>la Juventus<br />
saranno onorati con una propria stella celebrativa. A tale sezione sarà abbinato il<br />
30 L’ETFE, Etilene TetrafluoroEtilene, è un polimero parzialmente florurato (ovvero che<br />
contiene fluoro), un materiale plastico progettato per avere un’alta resistenza alla corrosione in un<br />
ampio spettro di temperature. È una plastica trasparente, più leggera e più resistente <strong>del</strong> vetro e di altri<br />
materiali plastici trasparenti. Rispetto al vetro, è più isolante e più semplice ed economico da<br />
installare. È stato utilizzato anche per la copertura <strong>del</strong> Centro Acquatico Nazionale di Pechino, dove<br />
sono stati ospitati alcuni eventi <strong>del</strong>la XXIX Olimpiade.<br />
164
progetto Accendi una stella, che permetterà ai tifosi di acquistare una stella con il<br />
proprio nome accanto a quella di campioni come Dino Zoff, Alessandro Del Piero,<br />
Roberto Baggio, Zinedine Zidane o Michel Platini 31 . Tuttora in fase di ultimazione è<br />
invece a Livorno l’impianto Stadio dei martiri di polizia per mani ultras, che, però di<br />
proprietà <strong>del</strong> Comune, dal 2013 dovrebbe sostituire l’Armando Picchi assumendo la<br />
denominazione di Ipercoop Stadium, dal nome <strong>del</strong>lo sponsor che ne ha acquisito i<br />
naming rights.<br />
Nel maggio <strong>del</strong> 2005 invece la Giunta <strong>del</strong> Comune di Milano ha approvato la<br />
<strong>del</strong>ibera per la cessione <strong>del</strong>lo stadio Giuseppe Meazza di San Siro ad un consorzio<br />
formato da Inter e Milan per i successivi 99 anni. Le due società, dal canto loro, si<br />
sono impegnate a fare lavori di ristrutturazione sulla struttura per 34 milioni di euro e<br />
a pagare ratealmente altri 14 milioni. In passato anche Bologna e Brescia hanno<br />
presentato dei progetti, ma non hanno trovato grande fortuna. I felsinei, che nel 1998<br />
avevano stipulato un accordo con il Comune per l’utilizzo trentennale <strong>del</strong>lo stadio<br />
Dall’Ara, presentarono, nello specifico, nel dicembre 2006 una bozza di maxi-<br />
progetto per la realizzazione di una citta<strong>del</strong>la <strong>del</strong>lo sport con un investimento<br />
complessivo che sarebbe stato pari a 500 milioni di euro e avrebbe coinvolto 310<br />
ettari di terreno su cui sarebbero dovuti sorgere un parco divertimenti, un parco<br />
acquatico, un parco <strong>del</strong>l’auto con spazi museali e una pista per le prove su strada, un<br />
campo da golf da 18 buche, centri commerciali, negozi ed appartamenti, oltre,<br />
ovviamente, al centro tecnico e al nuovo stadio <strong>del</strong> Bologna. Un’idea ambiziosa che<br />
è stata definitivamente archiviata nel dicembre 2010, quando l’Associazione Pro<br />
Bologna ha presentato un piano di ristrutturazione quinquennale <strong>del</strong> Dall’Ara<br />
ritenuto, permettendo tra l’altro al club di non emigrare in provincia, maggiormente<br />
idoneo al mo<strong>del</strong>lo di sviluppo sostenibile seguito dalla città. A Brescia, invece, era<br />
stato progettato l’avveniristico Stadium Global Center, che prevedeva la<br />
realizzazione a Castenedolo, paese a 16 chilometri dal centro cittadino, di un polo<br />
immobiliare comprendente oltre al nuovo stadio <strong>del</strong> Brescia Calcio anche un centro<br />
sportivo polifunzionale, una galleria commerciale con 160 negozi, un ipermercato,<br />
40 esercizi tra ristorazione e tempo libero ed un hotel con 200 camere ed un centro<br />
congressi. I lavori sarebbero dovuti iniziare a settembre 2007 per poi concludersi nel<br />
31 Consultare il paragrafo 4.1.3<br />
165
2010, ma nell’agosto 2009 il progetto è sfumato dinanzi la volontà <strong>del</strong> sindaco<br />
Adriano Paroli di voler costruire un nuovo impianto in città e non fuori. Il 24<br />
settembre 2010 il presidente Cellino ha invece presentato il progetto per il nuovo<br />
impianto <strong>del</strong> Cagliari. Lo stadio Santa Cristina ad Elmas, questo il nome <strong>del</strong>la<br />
struttura che dovrebbe sostituire il Sant’Elia, dovrebbe prevedere 23.600 posti di<br />
capienza massima, tutti al coperto, altissimi standard di qualità e sicurezza, 5000<br />
parcheggi, due ingressi utilizzati per collegare la viabilità interna con quella ordinaria<br />
e un collegamento diretto con le Ferrovie <strong>del</strong>lo Stato. Previsto anche un ampio parco<br />
naturale intorno alla chiesa campestre di Santa Cristina, ma non un megastore né<br />
alcuna attività collaterale di sorta, limitando dunque gli incassi come da tradizionale<br />
realtà italiana. Negligenza dei club, ma non solo. C’è da sottolineare che, oltre alla<br />
pessima gestione dei fondi derivati dai Mondiali <strong>del</strong> 1990 e dal fallimento <strong>del</strong>la<br />
campagna per l’assegnazione degli Europei <strong>del</strong> 2016, a rallentare il progresso di<br />
rivoluzione <strong>del</strong> business degli stadi provvede anche l’apparato legislativo italiano. In<br />
particolare le società stanno combattendo da anni per la cancellazione dei vincoli<br />
idro-geologici ed archeologici ed in realtà un disegno di Legge ad hoc era già stato<br />
approvato all’unanimità dal Senato nel 2009, ma da allora sta rimbalzando<br />
continuamente tra Palazzo Madama e la Commissione Cultura <strong>del</strong>la Camera.<br />
Nell’articolo 2, il disegno di Legge in questione sottolinea che gli interventi possibili<br />
sarebbero di due tipi: quelli per costruire o ristrutturare complessi sportivi per<br />
renderli moderni, funzionali e attrezzarli con attività commerciali e culturali con<br />
musei <strong>del</strong>le squadre e tutto quello che oggi già vediamo negli impianti più moderni<br />
in Europa, e quelli che invece riguardano i complessi multifunzionali, per cui,<br />
insieme allo stadio, si potrebbe costruire anche un nuovo quartiere, con attività<br />
commerciali, ricettive, di svago, culturali e di servizio, insediamenti residenziali o<br />
direzionali, da poter realizzarsi anche in aree non contigue allo stadio. I club, una<br />
società di capitali dallo stesso controllato e soggetti pubblici o privati che, al fine di<br />
effettuare investimenti sullo stadio o sul complesso multifunzionale, stipulino un<br />
accordo con la medesima società sportiva per la cessione alla stessa <strong>del</strong> complesso<br />
multifunzionale o <strong>del</strong> solo stadio, potrebbero accedere a tale provvedimento con<br />
procedure davvero speciali: basterebbe infatti presentare uno studio di fattibilità<br />
finanziario e ambientale per avviare l’approvazione <strong>del</strong> progetto; entro 60 giorni il<br />
166
sindaco dovrebbe poi promuovere un accordo di programma per approvare le<br />
necessarie varianti urbanistiche e per conseguire l’effetto di dichiarazione di pubblica<br />
utilità e di indifferibilità e urgenza, come se si trattasse di opere pubbliche, e il tutto<br />
sarebbe da chiudersi entro 6 mesi. Per facilitare queste operazioni sarebbero inoltre<br />
previsti soldi pubblici, non solo per gli stadi, ma persino per i complessi<br />
multifunzionali, per le case e gli uffici privati <strong>del</strong>le società, attraverso un piano<br />
triennale di intervento straordinario che prevedrebbe la concessione di contributi<br />
destinati all’abbattimento degli interessi sul conto capitale degli investimenti e<br />
permetterebbe di accedere alle agevolazioni e ai fondi erogati dall’Istituto per il<br />
Credito Sportivo. All’anomala alleanza tra PD e Lega Nord nel non voler approvare<br />
in passato tal disegno, si è aggiunto il presidente <strong>del</strong>la Lazio Claudio Lotito, oggetto<br />
lo scorso 20 maggio di un attacco da parte <strong>del</strong>l’onorevole Giovanni Lolli, che<br />
insieme ad Alessio Butti aveva presentato il disegno di Legge, perché colpevole di<br />
far pressioni al fine di non far licenziare definitivamente una variante <strong>del</strong> disegno<br />
che, firmata ed approvata già nel dicembre 2010 all’unanimità dai membri <strong>del</strong>la<br />
Commissione <strong>del</strong>la Camera, continuerebbe a salvaguardare i vincoli idro-geologici<br />
ed architettonici, impedendo di fatto a Lotito di costruire sui propri terreni nella zona<br />
<strong>del</strong>la Tiberina il nuovo Stadio <strong>del</strong>le Aquile con tanto di citta<strong>del</strong>la biancoceleste<br />
intorno. Un progetto ambizioso se si considera che l’impianto, di circa 60.000 posti,<br />
dovrebbe avere una semicopertura dotata di sistemi fotovoltaici per l’accumulo di<br />
energia e dovrebbe prevedere al proprio interno cinema multisala, ristoranti,<br />
supermercati, e store <strong>del</strong> club per un totale di spesa di circa 250 milioni di euro.<br />
Anche la Fiorentina, nel 2008, aveva presentato il suo progetto, denominato<br />
Citta<strong>del</strong>la viola, comprendente uno stadio da 40-50mila posti, un centro<br />
commerciale, un hotel ed un parco a tema calcistico, ma in quella fase l’idea non fu<br />
appoggiata dalle istituzioni. Sotto la gestione <strong>del</strong> sindaco Matteo Renzi si è invece<br />
passati ad uno step successivo, con le parti che starebbero ricercando una zona<br />
idonea al poter costruire per poi proseguire l’opera con un project financing. La<br />
Roma <strong>del</strong>la famiglia Sensi aveva invece tastato il terreno per costruire il suo nuovo<br />
impianto nei pressi di Torrevecchia, dove la passata dirigenza aveva una proprietà. Il<br />
nuovo stadio, che doveva essere intitolato alla memoria di Franco Sensi, avrebbe<br />
dovuto ospitare 55-60.000 posti su due livelli. Con l’avvento di DiBenedetto si sta<br />
167
invece pensando a nuove soluzioni ancora lungi dal divenire un progetto concreto.<br />
Trasferendoci a Milano, l’Inter vorrebbe trasferirsi in zona Rho-Pero edificando un<br />
impianto entro il 2015, mentre il Milan, se il trasloco dei cugini dovesse<br />
concretizzarsi, vorrebbe ristrutturare San Siro per renderlo il proprio impianto<br />
esclusivo. Il Palermo di Zamparini traslocherà invece nella Zona ad Espansione Nord<br />
<strong>del</strong>la città: 130 milioni di euro per 31.000 posti, sala congressi, cinema ed alberghi.<br />
La famiglia Garrone, che ha confermato il proprio impegno nella Sampdoria<br />
nonostante la cocente retrocessione in Serie B, progetta di costruire un impianto a<br />
due passi dall’aeroporto di Genova con l’aiuto di una holding olandese (270 i milioni<br />
di euro da investire) per edificare una arena da 30.000 posti su tre piani. La copertura<br />
<strong>del</strong>lo stadio sarà realizzata in materiale trasparente e dalla stessa sarà possibile<br />
assistere alle partite seduti al ristorante. A Napoli, invece, il presidente de Laurentiis<br />
ha rivelato che i suoi architetti sono già al lavoro per ricostruire da zero il San Paolo<br />
al fine di creare una struttura all’avanguardia su quella già esistente. In passato<br />
l’amministrazione Iervolino ha impedito accordi di sorta per non privare gli altri<br />
sport <strong>del</strong>l’impianto cittadino, in futuro non è detto che tal progetto non possa divenir<br />
realtà grazie all’interazione con il nuovo sindaco Luigi De Magistris o con coloro che<br />
gli succederanno sulla poltrona di primo cittadino <strong>del</strong>la città partenopea.<br />
4.5 La ripartizione dei diritti televisivi<br />
Buona parte dei club europei, soprattutto quelli italiani, vedono nello sfruttamento<br />
dei diritti inerenti i mass media, in primo luogo la tv, l’area di gran lunga più<br />
produttiva per le proprie finanze. Le italiane, per le quali dalla stagione 2010/2011 è<br />
scattata la ripartizione collettiva dei diritti (40% in parti uguali ad ogni club, 30% in<br />
base al bacino d’utenza, 30% in relazione ai risultati ottenuti dal 1946 ad oggi),<br />
hanno, secondo il report Deloitte & Touche di merito 32 , nel Milan, a quota 141.1<br />
milioni di euro, il 60% <strong>del</strong> proprio fatturato, la propria società leader in tal campo,<br />
con l’Inter ferma a 137.9 e la Juventus a 132.5. Risorse in gran parte provenienti<br />
dalla crescita <strong>del</strong>l’offerta <strong>del</strong>la pay-tv negli ultimi anni che hanno sostenuto in<br />
maniera determinante l’imperiosa impennata degli introiti <strong>del</strong>le società di <strong>calcio</strong>.<br />
Basti pensare che nell’ultima stagione in <strong><strong>It</strong>alia</strong> è tornata la vendita centralizzata dei<br />
32 Consultare la Tabella 4, paragrafo 2.4<br />
168
diritti <strong>del</strong>la Serie A: le tv non trattano più con le singole società ma, come accadeva<br />
fino al 1998/99, direttamente con la Lega Serie A. Sky <strong><strong>It</strong>alia</strong> (571 milioni garantiti ai<br />
club nel 2010) ha ottenuto i diritti anche per la trasmissione <strong>del</strong>l’intera stagione<br />
2011/12 sulla sua piattaforma satellitare, mentre Mediaset Premium si occuperà dei<br />
diritti terrestri relativi alle gare di 12 squadre tra le quali saranno confermate<br />
Juventus, Milan, Inter, Roma, Napoli, Fiorentina, Lazio e Palermo, per le quali nel<br />
2010 ha investito 210 milioni di euro. Non è invece stata ancora designata l’erede<br />
di Dahlia TV, dichiarata fallita lo scorso 25 febbraio, che aveva promesso 29 milioni<br />
di euro la scorsa stagione per poter trasmettere gli incontri di 8 club tra cui spiccava<br />
l’Udinese. A partire dall’ultimo torneo, inoltre, la Rai (28.3 milioni per il campionato<br />
appena concluso) è stata autorizzata a trasmettere in chiaro, sul canale tematico Rai<br />
Sport 1, le repliche <strong>del</strong>le partite più importanti <strong>del</strong> campionato ad almeno 7 giorni dal<br />
loro svolgimento. Proprio l’ente statale dalla stagione 2008/09, dopo l’ennesima<br />
estenuante trattativa con la Lega Calcio andata avanti fino a poche ore prima<br />
<strong>del</strong>l’inizio dei campionati, è riuscita a riottenere i diritti in chiaro <strong>del</strong>la massima<br />
serie. La trasmissione 90° minuto è stata così sdoppiata: al sabato è stata confermata<br />
l’edizione dedicata alla Serie B su Rai 3, mentre la domenica, dopo tre anni di<br />
assenza, è ritornata la versione per il massimo campionato nazionale, in onda stavolta<br />
su Rai 2 e preceduta, sulla stessa rete, da Stadio Sprint. Confermato anche il varietà<br />
di Simona Ventura, dal 2006 ribattezzato Quelli che il <strong>calcio</strong> e…, in quanto era<br />
andato sempre in onda anche nel triennio in cui la Rai non disponeva dei diritti per i<br />
collegamenti in diretta dagli stadi. Gli attuali contratti tra Rai e Lega Serie B<br />
scadranno al termine <strong>del</strong>la stagione 2011/12.<br />
Qualcuno, in <strong><strong>It</strong>alia</strong>, lamenta che i diritti televisivi equamente ripartiti<br />
rappresenterebbero un’ingiustizia perché i grandi club sarebbero penalizzati<br />
nell’ottica di un bilancio complessivo dal percepire quanto uno piccolo. In realtà le<br />
cose non stanno proprio così. Solo le squadre di Grecia e Portogallo vendono infatti i<br />
diritti tv singolarmente, mentre in tutte le altre nazioni la vendita è collettiva. O<br />
quasi. In Spagna, ad esempio, si può vendere singolarmente ma, eccetto Real Madrid<br />
e Barcelona, gli altri club vendono pacchetti collettivi, favorendo così un maggior<br />
numero di introiti. In Premier League vige invece un sistema di vendita dei diritti<br />
televisivi molto simile a quello italiano, con il 50% che viene ripartito a ciascun club,<br />
169
il 25% in base al piazzamento e il 25% in relazione al bacino di utenza, eppure il<br />
<strong>calcio</strong> britannico vanta ben 7 rappresentanti tra le big europee nelle classifiche<br />
relative agli introiti complessivi esaminati nella Top 20 The Untouchables. Il<br />
Manchester United, che ha prodotto 128 milioni di euro totali dai diritti media, ha<br />
incamerato 58 milioni dalle sole televisioni, mentre l’Arsenal, a quota 105.7<br />
complessivi, 52.5. Chelsea e Liverpool, ottava e nona nello studio condotto, con 105<br />
e 97.1 milioni totali, vedono invece originarsi dalle tv 53.9 e 56.8 milioni di euro.<br />
<strong>Una</strong> suddivisione che Oltremanica soddisfa tutti se si considera che ad un club di<br />
ultima fascia vengono comunque garantiti 34.9 milioni. In <strong><strong>It</strong>alia</strong>, invece, i grandi<br />
club, anziché soffermarsi su nuove fonti di ricavo, continuano la propria caccia ai<br />
diritti televisivi battagliando con i minori per quel che concerne la ripartizione <strong>del</strong>le<br />
somme. Lo scorso 11 maggio 2011, nonostante l’Alta Corte di giustizia <strong>del</strong> Coni<br />
avesse il giorno prima accettato il ricorso di Milan, Inter, Napoli, Roma e Juventus<br />
contro la <strong>del</strong>ibera <strong>del</strong>l'assemblea di Lega di serie A che, a proposito di ripartizione di<br />
diritti tv, aveva dato il via libera all’individuazione di nuovi bacini di utenza per le<br />
squadre affidandosi a tre istituti demoscopici, durante il Consiglio di Lega il<br />
presidente Maurizio Beretta votò a favore <strong>del</strong>la <strong>del</strong>ibera stessa, permettendone<br />
l’attuazione in quanto la votazione terminò 6 a 5 in favore <strong>del</strong>le società di seconda<br />
fascia. Tale decisione ha scatenato la reazione <strong>del</strong>le cinque formazioni maggiori,<br />
contrarie ai rilevamenti dei bacini di utenza tramite l’operato di tre agenzie<br />
demoscopiche perché, secondo questa tipologia di analisi, le altre società sarebbero<br />
avvantaggiate per quel che concerne i dati relativi alle partite casalinghe contro le<br />
prime <strong>del</strong>la classe potendo di fatto contare sui tantissimi spettatori <strong>del</strong>le squadre<br />
avversarie che andrebbero, seppur solo statisticamente, ad incrementare il proprio<br />
bacino sottraendo utili a chi è realmente titolare di un importante capitale di tifosi.<br />
<strong>Una</strong> battaglia che, seppur in parte comprensibile, rispecchia appieno lo scenario<br />
italiano relativo alla unilaterale priorità <strong>del</strong>la maggior parte dei nostri club in tema di<br />
business. Nell’epoca <strong>del</strong> business a tutto tondo, infatti, l’eterno conflitto che si<br />
rinnova di anno in anno per i diritti televisivi, mentre gli stadi, con i vari progetti<br />
illustrati in precedenza ben lungi dal divenire realtà, si tramutano giorno dopo giorno<br />
in autentici reperti archeologici e le strategie di marketing vengono solo raramente<br />
implementate, rappresenta l’istantanea perfetta <strong>del</strong>la fossilizzazione <strong>del</strong> nostro <strong>calcio</strong>.<br />
170
5 Appendice – Interviste ad alcuni esperti <strong>del</strong> settore<br />
In questa sezione riportiamo alcune interviste rilasciateci da esperti <strong>del</strong> settore quali<br />
Umberto Lago, Alessandro Formisano, Alessandro Prunesti, Francesco Bof e<br />
Gianfranco Teotino.<br />
Umberto Lago<br />
Umberto Lago, nato il 29 settembre 1964, è assessore al bilancio presso il Comune di<br />
Vicenza e professore associato di economia e gestione <strong>del</strong>le imprese presso<br />
l’Università di Bologna. Dal 2009 ricopre il ruolo di rappresentante italiano<br />
<strong>del</strong>l’organo di controllo Club financial control panel <strong>del</strong>la Uefa. Presieduto da Jean-<br />
Luc Dehaene, ex premier belga, il Cfcp è stato creato con l’obiettivo di aumentare la<br />
trasparenza e l’equilibrio nel gioco <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> europeo attraverso il controllo<br />
finanziario dei bilanci dei club. Lago è affiancato da altri sette esperti in<br />
rappresentanza di Spagna, Germania, Olanda, Inghilterra, Grecia, Scozia e Francia. È<br />
autore, assieme ad Alessandro Baroncelli e Stefan Szymanski, <strong>del</strong> libro Il business<br />
<strong>del</strong> <strong>calcio</strong>: successi sportivi e rovesci finanziari.<br />
In Germania ben 10 club iscritti all’edizione <strong>del</strong>la Bundesliga 2010/2011 hanno<br />
ceduto i naming rights dei propri stadi, mentre in Inghilterra sono Stoke City,<br />
Arsenal, Bolton e Wigan ad aver optato per questo tipo di politica. In <strong><strong>It</strong>alia</strong> la<br />
Juventus, dopo il Siena che ha associato il marchio Monte dei Paschi di Siena al<br />
nome Artemio Franchi, sarà la prima società a cedere i diritti <strong>del</strong> proprio impianto.<br />
Crede che nel panorama italiano questa strategia possa essere utilizzata in larga scala<br />
in futuro, magari associando la cessione dei naming rights alla costruzione di un<br />
nuovo impianto di proprietà dei club come nel caso <strong>del</strong>l’Emirates Stadium?<br />
«In <strong><strong>It</strong>alia</strong> vi è un provvedimento legislativo che tarda ad essere licenziato, finché la<br />
politica non sosterrà concretamente i club calcistici difficilmente assisteremo ad una<br />
svolta per quanto concerne la gestione degli stadi. La Juventus, con il nuovo Delle<br />
Alpi, ha di fatto inaugurato una nuova era nel panorama <strong>del</strong> business italiano, le<br />
altre società dovranno invece attendere ancora molto prima che qualcosa si sblocchi<br />
in quella direzione».<br />
171
Alla luce degli attuali dati Deloitte, il Fair Play finanziario rappresenta un ostacolo<br />
invalicabile per i nostri club?<br />
«L’indebitamento di oltre 600 milioni di euro, di per sé, non è un dato negativo. Il<br />
problema è capire se un club si indebita senza la dovuta sostenibilità... Il principio<br />
che regola e regolerà il Fair Play finanziario non sarà quello di punire, ma di<br />
aiutare i club ad arrivare alla chiusura di bilanci in equilibrio o quasi. Sul <strong>calcio</strong><br />
italiano pesano troppo i costi dei calciatori, circa l’80% <strong>del</strong> valore <strong>del</strong>la produzione,<br />
a fronte di ricavi generati esclusivamente dai diritti televisivi. È una situazione che<br />
deve obbligatoriamente cambiare nel giro di pochi anni, altrimenti diverse squadre<br />
saranno costrette a rinunciare alle competizioni europee. Già a partire dalla<br />
prossima stagione l’UEFA supervisionerà l’operato finanziario <strong>del</strong>le tante società<br />
europee perché, sia chiaro, l’<strong><strong>It</strong>alia</strong>, per quanto concerne la situazione debitoria, si<br />
ritrova in una situazione molto simile a quella di gran parte <strong>del</strong>le altre realtà<br />
calcistiche <strong>del</strong> vecchio continente».<br />
Ritiene che l’azienda <strong>calcio</strong> italiano riuscirà a ridurre il gap che la divide<br />
dall’Inghilterra sotto il profilo degli introiti derivanti dalla gestione degli stadi e dalle<br />
iniziative di marketing e merchandising? Quali potrebbero essere le chiavi <strong>del</strong>la<br />
svolta?<br />
«Tutto ruota intorno alla diversificazione <strong>del</strong>le fonti di ricavo: in <strong><strong>It</strong>alia</strong> ci sono i<br />
diritti tv e poco altro. Senza un aiuto politico, soprattutto riguardo la gestione degli<br />
impianti sportivi, difficilmente si riuscirà a ridurre il distacco dalle altre nazioni,<br />
Inghilterra in primis. Il Governo dovrebbe inoltre studiare una legge<br />
anticontraffazione: da noi il settore <strong>del</strong> merchandising è nullo perché non ci sono<br />
possibilità per le società di combattere il fenomeno <strong>del</strong>la vendita di magliette ed altri<br />
articoli non ufficiali. Queste sono variabili troppe volte sottovalutate, che, se<br />
analizzate con la giusta attenzione, contribuirebbero ad aumentare il fatturato dei<br />
singoli club così come accade in Inghilterra, Spagna o Germania. L’Inghilterra, in<br />
particolare, è al primo posto per quanto concerne gli introiti derivanti dalle attività<br />
commerciali e il divario con l’<strong><strong>It</strong>alia</strong> è progressivamente in crescita sin dai primi anni<br />
Novanta. Ci ha superato anche la Spagna e, da poco, la Germania. I tedeschi hanno<br />
172
un campionato non migliore <strong>del</strong> nostro, però economicamente rende più di noi<br />
perché i teutonici hanno compreso come massimizzare i profitti».<br />
Potrebbe il Napoli rappresentare un punto di riferimento in questo processo di<br />
crescita?<br />
«In genere sono contrario all’individuazione di mo<strong>del</strong>li, ma se proprio dovessi<br />
sceglierne uno, indicherei la Juventus: il Napoli è un club troppo giovane e solo la<br />
prossima stagione si affaccerà in Champions League, quindi non può essere<br />
individuato come un esempio estendibile a chi, come Milan ed Inter, rappresenta il<br />
top <strong>del</strong> campionato italiano in termini di risultati sportivi. I partenopei, inoltre, non<br />
si distinguono dalla massa perché giocano al San Paolo, che è uno stadio di<br />
proprietà <strong>del</strong> Comune. I bianconeri, invece, possiedono un proprio impianto<br />
sportivo, la Juventus Arena, e con la cessione dei naming rights si sono tramutati<br />
concretamente nel club che più si avvicina a quelli inglesi e tedeschi. Di recente<br />
hanno anche ridotto il monte ingaggi, quindi è da considerarsi il club italiano<br />
virtuoso per eccellenza».<br />
(Intervista rilasciata in data 25 maggio 2011).<br />
Alessandro Formisano<br />
Alessandro Formisano, 44 anni, vanta esperienze lavorative con la Pirelli, la Damiani<br />
Gioielli e la Montegrappa. È il direttore <strong>del</strong>l’area commerciale e marketing <strong>del</strong>la SSC<br />
Napoli.<br />
In <strong><strong>It</strong>alia</strong> la maggior parte dei club opta da sempre per un processo di marketing<br />
miopia che li porta a non andare alla ricerca di nuovi bisogni e di nuovi clienti,<br />
preferendo mantenere l’offerta di un solo bene o di un solo servizio non adeguando<br />
la propria struttura organizzativa alle mutevoli situazioni di mercato. Quali sono<br />
secondo lei le prospettive future <strong>del</strong> settore marketing nella nostra nazione?<br />
«La marketing miopia rappresenta un fenomeno dilagante nel panorama calcistico<br />
italiano e la maggior parte dei club non riesce a distaccarsene restando ancorati<br />
alle ormai tradizionali fonti di ricavo. Il Napoli raffigura un’eccezione in tal<br />
contesto ed i lusinghieri risultati ottenuti nelle ultime stagioni sotto il profilo <strong>del</strong><br />
173
marketing e <strong>del</strong> merchandising lo dimostrano. Noi negli anni stiamo seguendo una<br />
strategia di massimizzazione dei profitti che rispecchia la logica aziendale <strong>del</strong>la<br />
nostra società e si discosta totalmente da quelle dinamiche irrazionali proprie <strong>del</strong><br />
<strong>calcio</strong> che spesse volte portano le squadre ad optare per investimenti rischiosi e<br />
controproducenti. Il Napoli, e la virtuosa realtà finanziaria che ci contraddistingue<br />
lo testimonia, studia minuziosamente qualsiasi dettaglio prima di agire: la solidità<br />
<strong>del</strong> bilancio viene prima di tutto, è questo il nostro diktat imperandi».<br />
In Germania ben 10 club iscritti all’edizione <strong>del</strong>la Bundesliga 2010/2011 hanno<br />
ceduto i naming rights dei propri stadi, mentre in Inghilterra sono Stoke City,<br />
Arsenal, Bolton e Wigan ad aver optato per questo tipo di politica. In <strong><strong>It</strong>alia</strong> la<br />
Juventus, dopo il Siena che ha associato il marchio Monte dei Paschi di Siena al<br />
nome Artemio Franchi, sarà la prima società a cedere i diritti <strong>del</strong> proprio impianto.<br />
Crede che nel panorama italiano questa strategia possa essere utilizzata in larga scala<br />
in futuro, magari associando la cessione dei naming rights alla costruzione di un<br />
nuovo impianto di proprietà dei club come nel caso <strong>del</strong>l’Emirates Stadium?<br />
«La questione stadio è strettamente correlata all’approvazione <strong>del</strong>la legge ad hoc<br />
che è ormai da anni al vaglio <strong>del</strong>le autorità competenti. Il presidente de Laurentiis,<br />
nello specifico, è un esperto imprenditore e come tale è consapevole degli introiti<br />
che potrebbe garantire il San Paolo se ristrutturato secondo il mo<strong>del</strong>lo inglese, ma<br />
essendo l’impianto di proprietà <strong>del</strong> Comune di Napoli, non può varare alcuna<br />
iniziativa senza il consenso <strong>del</strong> sindaco».<br />
Quali saranno le strategie che il Napoli intende impiegare sotto il profilo <strong>del</strong><br />
marketing ora che andrà a confrontarsi con le big <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> europeo in Champions<br />
League?<br />
«L’ingresso in Champions League non muterà le nostre strategie in chiave<br />
marketing, la massimizzazione dei profitti sin qui operata rappresenta per noi una<br />
garanzia di successo. È vero, ci ritroveremo a competere in campo con club<br />
fantastici come il Real Madrid, il Barcellona ed il Manchester United, ma in chiave<br />
di merchandising dobbiamo ancora maturare molto prima di poter accostarci a tali<br />
realtà. Per ora siamo orgogliosi dei risultati ottenuti in ambito nazionale, per il<br />
174
futuro c’è tempo, non vogliamo compiere passi affrettati correndo il rischio di<br />
danneggiarci».<br />
Come il Napoli intende utilizzare le potenzialità dei social media per aumentare<br />
l’awareness ed il legame con i propri fans?<br />
«Il mercato dei social media è in costante evoluzione, è determinante comprendere<br />
su quale valga la pena di investire prima di studiare eventuali iniziative. Second<br />
Life, ad esempio, qualche anno addietro rappresentava il social network per<br />
eccellenza, eppure oggi è caduto nel dimenticatoio, mentre Twitter non ha raccolto<br />
in <strong><strong>It</strong>alia</strong> consensi da record come all’estero. Ad oggi abbiamo su Facebook, che nel<br />
nostro Paese ha riscosso un successo incredibile, una pagina ufficiale <strong>del</strong> club che a<br />
maggio 2011 ci ha visti ricoprire l’undicesimo posto tra le squadre calcistiche<br />
mondiali dinanzi ad Inter e Juventus, ma non abbiamo intenzione di fermarci qui.<br />
Stiamo infatti lavorando ad una piattaforma che metta a disposizione dei nostri tifosi<br />
contenuti per iPad ed iPhone. Stiamo curando gli ultimi dettagli, la pagina diverrà<br />
operativa in tempi brevi».<br />
Nel futuro è possibile che il Napoli opti per un progetto “glocal” legato alla<br />
dimensione marketing sul mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong> Manchester United?<br />
«Il mercato mondiale non è ancora alla nostra portata, sarebbe esclusivamente<br />
<strong>del</strong>eterio investire in questo momento in nazioni come la Cina dove il brand Napoli<br />
non ha ancora raccolto grossi consensi. La disputa <strong>del</strong>la Champions League<br />
rappresenterà un primo passo in tal direzione garantendoci maggiore visibilità<br />
laddove il nostro fascino non è ancora giunto, ma siamo consapevoli che il percorso<br />
che ci porterà al poter competere con l’elite <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> mondiale è ancora molto<br />
lungo».<br />
Ritiene che l’azienda <strong>calcio</strong> italiana riuscirà a ridurre il gap che la divide<br />
dall’Inghilterra sotto il profilo degli introiti derivanti dalla gestione degli stadi e dalle<br />
iniziative di marketing e merchandising? Quali potrebbero essere le chiavi <strong>del</strong>la<br />
svolta?<br />
175
«In questa fase l’Inghilterra rappresenta una realtà lontana anni luce da quella<br />
italiana, basti pensare che allo stadio la maggior parte dei tifosi d’Oltremanica<br />
indossa la maglia ufficiale <strong>del</strong> proprio club, mentre da noi sono davvero in<br />
pochissimi coloro che optano per questo tipo di abbigliamento. Ammetto che da<br />
italiano sono contento perché tale scelta evidenzia maggior gusto ed eleganza da<br />
parte dei nostri connazionali, ma da direttore di una squadra di <strong>calcio</strong> non posso che<br />
amareggiarmi dinanzi ai minori introiti derivanti dal merchandising. Alla luce di<br />
questo fenomeno, pensare ad un confronto con un mercato straniero tanto distante<br />
per virtuosismo ci vedrebbe sconfitti in partenza. La chiave di svolta potrebbe essere<br />
rappresentata da una presa di coscienza da parte degli altri club italiani <strong>del</strong><br />
potenziale espresso dall’applicazione di una competitiva politica di marketing e<br />
dall’emanazione da parte <strong>del</strong> Governo di una legge anticontraffazione che limiti il<br />
più possibile la vendita dei prodotti non ufficiali, una piaga che vede in noi società<br />
vittime inermi».<br />
Potrebbe il Napoli rappresentare un punto di riferimento in un auspicabile processo<br />
di crescita <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> italiano?<br />
«Il Napoli rappresenta una realtà virtuosa che ha saggiamente deciso di puntare con<br />
determinazione sul benchmark italiano raccogliendo grandi soddisfazioni. I club<br />
concorrenti potrebbero prendere spunto dalla nostra visione aziendale per<br />
rilanciarsi. Il tempo per pensare a nuove strategie di business senza dover dedicarsi<br />
a folli rincorse c’è, in fondo parliamo di un mercato particolare in cui è pressappoco<br />
impossibile invadere e conquistare spazi e target di riferimento altrui: per quanto<br />
possa essere bella una maglia <strong>del</strong> Napoli, infatti, non sarà mai acquistata da un<br />
tifosissimo <strong>del</strong>la Roma o di un’altra squadra avversaria».<br />
(Intervista rilasciata in data 26 maggio 2011).<br />
Alessandro Prunesti<br />
Alessandro Prunesti è nato al Roma nel 1979. Nel 2004 ha conseguito la Laurea<br />
in Scienze <strong>del</strong>la Comunicazione Istituzionale e d’impresa alla Sapienza e nel 2005 si<br />
è specializzato con un Master Universitario in Economia e Gestione <strong>del</strong>lo Sport<br />
176
presso la facoltà di Economia <strong>del</strong>l’università di Tor Vergata. Esperto in strategie di<br />
posizionamento e comunicazione nel campo <strong>del</strong>la formazione, <strong>del</strong>le nuove<br />
tecnologie e <strong>del</strong>lo sport, ricopre ruoli di docenza e ricerca presso l’Università<br />
Europea di Roma e l'Università La Sapienza. È autore <strong>del</strong> libro Comunicazione e<br />
marketing <strong>del</strong>le imprese sportive. Dall’analisi strategica alla gestione <strong>del</strong> marchio e<br />
<strong>del</strong>le sponsorizzazioni.<br />
In <strong><strong>It</strong>alia</strong> la maggior parte dei club opta da sempre per un processo di marketing<br />
miopia che li porta a non andare alla ricerca di nuovi bisogni e di nuovi clienti,<br />
preferendo mantenere l’offerta di un solo bene o di un solo servizio non adeguando<br />
la propria struttura organizzativa alle mutevoli situazioni di mercato. Quali sono<br />
secondo lei le prospettive future <strong>del</strong> settore marketing nella nostra nazione?<br />
«La miopia di marketing nei club italiani è ancora oggi, purtroppo, un problema<br />
strutturale che affonda le sue radici in una cultura <strong>del</strong> management sportivo<br />
tradizionalmente legato alla presenza di professionalità “adottate” dal marketing,<br />
ma che in realtà provengono prevalentemente dal settore tecnico-atletico. La<br />
tradizionale offerta di un solo bene, quello sportivo, oggi si scontra con un mercato<br />
<strong>del</strong>l’intrattenimento che offre sempre più alternative rispetto alla pratica o allo<br />
spettacolo sportivo: le console di gioco, cinema, teatro, eventi all’aperto sono veri e<br />
propri concorrenti <strong>del</strong>lo spettacolo sportivo propriamente inteso. I club devono<br />
ottimizzare i loro sforzi nell’offerta di elementi di entertainment collaterali al loro<br />
core business, che possano fornire esperienze di consumo brandizzate. Le<br />
prospettive future <strong>del</strong> marketing sportivo sono chiare: le persone oggi dispongono,<br />
anche grazie all’avvento dei social media, degli strumenti che consentono loro di<br />
ricercare, scegliere ed acquistare le soluzioni di entertainment più confacenti alle<br />
loro esigenze. A questo si aggiunge il fatto che oggi chiunque dispone degli<br />
strumenti per poter parlare direttamente con il club. E già oggi lo fa, attraverso i<br />
social network. Le società sportive devono orientare le loro attività di marketing<br />
verso strategie di comunicazione (e di business) che pongano il cliente al centro dei<br />
processi imprenditoriali, attraverso lo sviluppo di vere e proprie community e<br />
progetti condivisi “dal basso”. In questo modo, l’offerta sarà <strong>del</strong>ineata direttamente<br />
dal target».<br />
177
In Germania ben 10 club iscritti all’edizione <strong>del</strong>la Bundesliga 2010/2011 hanno<br />
ceduto i naming rights dei propri stadi, mentre in Inghilterra sono Stoke City,<br />
Arsenal, Bolton e Wigan ad aver optato per questo tipo di politica. In <strong><strong>It</strong>alia</strong> la<br />
Juventus, dopo il Siena che ha associato il marchio Monte dei Paschi di Siena al<br />
nome Artemio Franchi, sarà la prima società a cedere i diritti <strong>del</strong> proprio impianto.<br />
Crede che nel panorama italiano questa strategia possa essere utilizzata in larga scala<br />
in futuro, magari associando la cessione dei naming rights alla costruzione di un<br />
nuovo impianto di proprietà dei club come nel caso <strong>del</strong>l’Emirates Stadium?<br />
«Il naming degli impianti è una soluzione utile per favorire nuove iniziative di<br />
sponsorizzazione a lungo termine. Vedo tuttavia due problemi: la proprietà degli<br />
stadi è quasi sempre degli enti pubblici, dunque il club non può disporre di alcun<br />
diritto ad eccezione <strong>del</strong>l’erogazione <strong>del</strong>l’evento sportivo stesso; il naming è una<br />
attività che può dare benefici solo se inserita in una strategia commerciale più<br />
ampia, che preveda la creazione e la gestione di servizi collaterali anche di natura<br />
non sportiva, capaci di allargare il target <strong>del</strong> club anche ai non-tifosi, favorendo<br />
così un migliore e più saldo rapporto con il territorio».<br />
Quali sono secondo il suo pensiero le strategie che il Napoli potrebbe impiegare sotto<br />
il profilo <strong>del</strong> marketing ora che andrà a confrontarsi con le big <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> europeo in<br />
Champions League?<br />
«In realtà, temo che il Napoli sia arrivato già impreparato, dal punto di vista <strong>del</strong><br />
marketing, per la Champions League. Quando si va in Europa, cresce notevolmente<br />
la visibilità e il prestigio <strong>del</strong> club, anche nel Paese di origine. Le strategie vanno<br />
organizzate con molti mesi di anticipo, ma se manca la cultura imprenditoriale,<br />
l’unica soluzione è quella di rivolgersi a società di consulenza specializzate, oppure<br />
fare benchmark dando un’occhiata ai club esteri, cercando di capire cosa si può<br />
importare in tempi rapidi anche nel nostro Paese. Non ci dimentichiamo che il<br />
Napoli ha una <strong>del</strong>le tifoserie più vaste d’<strong><strong>It</strong>alia</strong>».<br />
Come le società italiane potrebbero utilizzare le potenzialità dei social media per<br />
aumentare l’awareness ed il legame con i propri fans?<br />
178
«Creando una loro presenza ufficiale online sui più diffusi social network,<br />
dialogando con i tifosi attraverso le community e creando spazi online che<br />
consentano di promuovere affiliazioni commerciali sul territorio sul mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong><br />
progetto di franchising Ultras Tifosi che sto inaugurando insieme a<br />
Sportmunity.com. Si tratta <strong>del</strong> primo progetto in <strong><strong>It</strong>alia</strong> che, incarnando il perfetto<br />
connubio tra <strong>calcio</strong>, internet e business, si pone l’obiettivo di creare la più ampia<br />
community online composta da veri tifosi di <strong>calcio</strong>. È un nuovo modo di vendere e<br />
fare marketing che mette al centro il supporter e la sua community di riferimento,<br />
composta dai tifosi e dai partner commerciali. L’iniziativa comprenderà anche una<br />
testata giornalistica che offrirà ai propri utenti notizie aggiornate, strumenti di<br />
social networking e servizi online personalizzati. Il portale Ultras Tifosi aggregherà<br />
i singoli network TIFA riservati alle singole tifoserie ed i contenuti saranno integrati<br />
con l’utilizzo dei social media. Gli iscritti al TIFA <strong>del</strong>la propria squadra <strong>del</strong> cuore,<br />
oltre ad entrare a far parte di una community che dispone dei servizi garantiti dai<br />
principali social network, potranno avvalersi di una casella email, di continui<br />
aggiornamenti, <strong>del</strong>le statistiche sportive relative ai club e ai singoli calciatori,<br />
<strong>del</strong>l’area riservata alle scommesse, potranno partecipare a vari giochi e potranno<br />
accedere all’area shopping. Si avrà altresì l’opportunità di vendere prodotti e<br />
proporre offerte riservate ai membri <strong>del</strong>la community tramite dinamiche di<br />
affiliation marketing. Sarà inoltre possibile vendere spazi pubblicitari e si potranno<br />
ottenere royalty dalle vendite di servizi offerti da Ultras Tifosi».<br />
Nel futuro è possibile che i club italiani optino per un progetto “glocal” legato alla<br />
dimensione marketing sul mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong> Manchester United?<br />
«Mi auguro di si. Purtroppo sono molto critico: affinché questo possa verificarsi, è<br />
fondamentale un cambiamento forte nelle dirigenze e nella stessa politica <strong>del</strong>lo<br />
sport, sennò non si va da nessuna parte. Quello <strong>del</strong> Manchester United, tra l’altro,<br />
inizia ad essere un mo<strong>del</strong>lo che va integrato: ritengo che le maggiori prospettive di<br />
sviluppo siano legate al marketing/comunicazione attraverso i social media».<br />
Ritiene che l’azienda <strong>calcio</strong> italiana riuscirà a ridurre il gap che la divide<br />
dall’Inghilterra sotto il profilo degli introiti derivanti dalla gestione degli stadi e dalle<br />
179
iniziative di marketing e merchandising? Quali potrebbero essere le chiavi <strong>del</strong>la<br />
svolta?<br />
«Ritengo di no, almeno sul breve e medio periodo. La chiave <strong>del</strong> possibile<br />
cambiamento va individuata nell’evoluzione <strong>del</strong>la propria cultura <strong>del</strong> management<br />
da parte <strong>del</strong>la quasi totalità dei club italiani».<br />
Potrebbe il Napoli rappresentare un punto di riferimento in questo processo di<br />
crescita?<br />
«Il Napoli ha un capitale sociale immenso: i suoi tifosi e il legame con il territorio.<br />
Sarebbe una <strong>del</strong>le poche squadre che potrebbero, fin da subito, godere dei vantaggi<br />
derivanti dalla creazione di una strategia di marketing e comunicazione che prenda<br />
in considerazione i punti visti sopra».<br />
(Intervista rilasciata in data 30 maggio 2011).<br />
Francesco Bof<br />
Francesco Bof ha conseguito la laurea in Economia e Commercio, indirizzo<br />
Economico-quantitativo, presso l’Università di Parma ed è Dottore Commercialista.<br />
È docente <strong>del</strong>l’Area Pubblica amministrazione <strong>del</strong>la SDA Bocconi e ricercatore<br />
preso il CERGAS Bocconi (Centro di Ricerche sulla Gestione <strong>del</strong>l’Assistenza<br />
Sanitaria e Sociale). Tra le aree di interesse: Organizzazione e gestione per processi<br />
nelle pubbliche amministrazioni; rapporti tra imprese e Pubblica Amministrazione<br />
con particolare riferimento alle imprese di servizi, al settore farmaceutico e al settore<br />
<strong>del</strong>le costruzioni; la valutazione <strong>del</strong> personale e il sistema degli incentivi nelle<br />
pubbliche amministrazioni. Autore di diverse pubblicazioni specialistiche, è membro<br />
<strong>del</strong> Network internazionale Lehigh University ed Iacocca Institute (USA) e Adjunct<br />
faculty member <strong>del</strong> Moravian College Evening MBA (USA). Nel 2008 ha pubblicato<br />
assieme a Fabrizio Montanari e Giacomo Silvestri l’opera Il management <strong>del</strong> <strong>calcio</strong>.<br />
La partita più lunga.<br />
In <strong><strong>It</strong>alia</strong> la maggior parte dei club opta da sempre per un processo di marketing<br />
miopia che li porta a non andare alla ricerca di nuovi bisogni e di nuovi clienti,<br />
preferendo mantenere l’offerta di un solo bene o di un solo servizio non adeguando<br />
180
la propria struttura organizzativa alle mutevoli situazioni di mercato. Quali sono<br />
secondo lei le prospettive future <strong>del</strong> settore marketing nella nostra nazione?<br />
«In <strong><strong>It</strong>alia</strong> siamo molto indietro rispetto alle altre realtà europee. La gestione <strong>del</strong><br />
marketing andrebbe approfondita dai club soprattutto per quanto concerne<br />
l’impiego dei social network e le concrete possibilità di ricavare nuovi introiti che<br />
questi potrebbero garantire».<br />
In Germania ben 10 club iscritti all’edizione <strong>del</strong>la Bundesliga 2010/2011 hanno<br />
ceduto i naming rights dei propri stadi, mentre in Inghilterra sono Stoke City,<br />
Arsenal, Bolton e Wigan ad aver optato per questo tipo di politica. In <strong><strong>It</strong>alia</strong> la<br />
Juventus, dopo il Siena che ha associato il marchio Monte dei Paschi di Siena al<br />
nome Artemio Franchi, sarà la prima società a cedere i diritti <strong>del</strong> proprio impianto.<br />
Crede che nel panorama italiano questa strategia possa essere utilizzata in larga scala<br />
in futuro, magari associando la cessione dei naming rights alla costruzione di un<br />
nuovo impianto di proprietà dei club come nel caso <strong>del</strong>l’Emirates Stadium?<br />
«Nel nostro Paese vi è una legge che ancora oggi non è stata approvata, finché non<br />
si smuoverà qualcosa in tal senso, difficilmente assisteremo a dei cambiamenti. La<br />
Juventus rappresenta senza dubbio alcuno un caso virtuoso, ma ci vorrà tempo<br />
prima che altri club possano trovare le condizioni idonee per poterne seguire<br />
l’esempio».<br />
Come le società italiane potrebbero utilizzare le potenzialità dei social media per<br />
aumentare l’awareness ed il legame con i propri fans?<br />
«I club devono studiare nuove soluzioni per poter mettersi al passo con i rivali<br />
esteri. I social network, in particolare, rappresentano una nuova fonte di guadagno<br />
che va analizzata a fondo per poter comprendere quanto, in chiave di introiti, un<br />
utente possa effettivamente garantire alla squadra per cui tifa. I recenti dati in<br />
materia evidenziano una situazione italiana, per quanto concerne Facebook, che<br />
vede le nostre esponenti inseguire squadre come Barcellona, Manchester United e<br />
Real Madrid distanti anni luce per numero di fans. Tal statistica dimostra che c’è<br />
ancora tantissimo da lavorare anche sotto questo aspetto».<br />
181
Ritiene che l’azienda <strong>calcio</strong> italiana riuscirà a ridurre il gap che la divide<br />
dall’Inghilterra sotto il profilo degli introiti derivanti dalla gestione degli stadi e dalle<br />
iniziative di marketing e merchandising? Quali potrebbero essere le chiavi <strong>del</strong>la<br />
svolta?<br />
«Bisogna lavorare molto sulla cultura dei club. Il Barcellona, come si evince da uno<br />
studio da me condotto nel 2007, “Il <strong>calcio</strong> tra contesto locale ed opportunità global.<br />
Il caso <strong>del</strong> Barcellona FC, Mès Que un club”, ha dimostrato il come una corretta<br />
gestione economica debba partire dallo sviluppo <strong>del</strong> settore giovanile. Il 29 maggio<br />
2011, durante la finale di Champions League vinta contro il Manchester United, i<br />
blaugrana avevano in campo otto calciatori provenienti dalla cantera, un dato senza<br />
dubbio sensazionale che attualmente in <strong><strong>It</strong>alia</strong> risulta ineguagliabile ad alti livelli.<br />
Riuscendo a valorizzare i prodotti <strong>del</strong> proprio vivaio si potrebbero collezionare<br />
anche <strong>del</strong>le nuove fanbases territoriali legate a singoli calciatori ed il marketing ed<br />
il merchandising beneficerebbero di certo <strong>del</strong>l’accrescere <strong>del</strong> numero dei propri<br />
tifosi».<br />
(Intervista rilasciata in data 9 giugno 2011).<br />
Gianfranco Teotino<br />
Gianfranco Teotino, giornalista multimediale, è stato responsabile per sei anni dei<br />
servizi sportivi <strong>del</strong> Corriere <strong>del</strong>la Sera, vicedirettore de Il Mattino di Napoli, direttore<br />
editoriale de l’Unità, fondatore e direttore <strong>del</strong> settimanale Rigore, coordinatore de Il<br />
Riformista, vicedirettore di Tuttosport. È opinionista in vari programmi televisivi e<br />
radiofonici nazionali. Ha collaborato allo start-up di progetti editoriali e al varo di<br />
riforme grafiche di quotidiani. Ideatore e direttore di alcuni siti internet di carattere<br />
sportivo, è stato anche direttore di SherpaTv. È stato autore nel 2010, assieme a<br />
Michele Uva, <strong>del</strong> libro La ripartenza. Analisi e proposte per restituire competitività<br />
all’industria <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> in <strong><strong>It</strong>alia</strong>.<br />
In <strong><strong>It</strong>alia</strong> la maggior parte dei club opta da sempre per un processo di marketing<br />
miopia che li porta a non andare alla ricerca di nuovi bisogni e di nuovi clienti,<br />
preferendo mantenere l’offerta di un solo bene o di un solo servizio non adeguando<br />
182
la propria struttura organizzativa alle mutevoli situazioni di mercato. Quali sono<br />
secondo lei le prospettive future <strong>del</strong> settore marketing nella nostra nazione?<br />
«Le prospettive nel <strong>calcio</strong> sarebbero ottime perché si parte praticamente da zero. Il<br />
problema è che le società calcistiche non hanno know how, né personale adatto a<br />
studiare strategie efficaci. E i loro bilanci sono stati costruiti negli anni in modo tale<br />
da non lasciare spazi a investimenti in materia. Le politiche di marketing vanno<br />
costruite sulla base <strong>del</strong>le esigenze dei mercati di riferimento (nel caso, le tifoserie),<br />
esigenze che si sono fortemente modificate negli ultimi anni e che nessuno conosce<br />
davvero. Esiste poi un problema vero, che però poi diventa un alibi all’inattività, per<br />
quanto riguarda l’insufficiente tutela dei marchi garantita dalla legislazione e dalla<br />
prassi italiana».<br />
In Germania numerosi club, ben 10 di quelli iscritti all’edizione <strong>del</strong>la Bundesliga<br />
2010/2011, hanno ceduto i naming rights dei propri stadi, mentre in Inghilterra sono<br />
Stoke City, Arsenal, Bolton e Wigan ad aver optato per questo tipo di politica. In<br />
<strong><strong>It</strong>alia</strong> la Juventus, dopo il Siena che ha associato il marchio Monte dei Paschi di<br />
Siena al nome Artemio Franchi, sarà la prima società a cedere i diritti <strong>del</strong> proprio<br />
impianto. Crede che nel panorama italiano questa strategia possa essere utilizzata in<br />
larga scala in futuro, soprattutto a Napoli, magari associando la cessione dei naming<br />
rights alla costruzione di un nuovo impianto di proprietà dei club come nel caso<br />
<strong>del</strong>l’Emirates Stadium?<br />
«Difficile commerciare i naming rights di beni di cui non hai proprietà…».<br />
Quali sono secondo il suo pensiero le strategie che il Napoli potrebbe impiegare sotto<br />
il profilo <strong>del</strong> marketing ora che andrà a confrontarsi con le big <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> europeo in<br />
Champions League?<br />
«Le potenzialità <strong>del</strong> brand Napoli sono enormi in Europa e nel mondo. Ma per<br />
individuare le strategie più corrette come dicevo prima c’è bisogno di effettuare<br />
ricerche di mercato ad hoc».<br />
Come le società italiane potrebbero utilizzare le potenzialità dei social media per<br />
aumentare l’awareness ed il legame con i propri fans?<br />
183
«Anche qui le società italiane scontano ritardi di anni nei confronti <strong>del</strong>la<br />
concorrenza europea. Importanti i social media, ma ancora di più sarebbe utilizzare<br />
i siti internet ufficiali e le web tv in modo meno rudimentale».<br />
Nel futuro è possibile che i club italiani optino per un progetto “glocal” legato alla<br />
dimensione marketing sul mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong> Manchester United?<br />
«Sarebbe fondamentale».<br />
Ritiene che l’azienda <strong>calcio</strong> italiana riuscirà a ridurre il gap che la divide<br />
dall’Inghilterra sotto il profilo degli introiti derivanti dalla gestione degli stadi e dalle<br />
iniziative di marketing e merchandising? Quali potrebbero essere le chiavi <strong>del</strong>la<br />
svolta?<br />
«Il ritardo nei confronti <strong>del</strong>l’Inghilterra è ventennale nel campo degli stadi e<br />
decennale in quello di marketing e merchandising. Più facile ridurre quest’ultimo<br />
gap con strategie ad hoc».<br />
Potrebbe il Napoli rappresentare un punto di riferimento in questo processo di<br />
crescita?<br />
«Il Napoli ha un dirigente, il direttore generale Marco Fassone, con discreta<br />
esperienza in materia, ma bisogna comprendere quali margini di manovra abbia».<br />
Crede che il recente scandalo scommesse possa ridurre l’appeal <strong>del</strong> nostro <strong>calcio</strong> e,<br />
di riflesso, ulteriormente gli introiti garantiti dalla passione dei tifosi?<br />
«Ogni scandalo è un colpo al cuore <strong>del</strong> sistema <strong>calcio</strong> e ogni volta che il sistema<br />
<strong>calcio</strong> italiano deve reagire ad uno scandalo si dimostra così impotente che la sua<br />
credibilità perde ulteriore quota».<br />
(Intervista rilasciata in data 20 giugno 2011).<br />
184
Conclusioni<br />
L’obiettivo di questo elaborato era comprendere quali fossero le maggiori fonti di<br />
ricavo <strong>del</strong>l’azienda <strong>calcio</strong>, quali le strategie adottate in nome <strong>del</strong> business e quali i<br />
principali limiti che costringono l’<strong><strong>It</strong>alia</strong> a rincorrere l’Inghilterra.<br />
Nel corso <strong>del</strong>la trattazione dei diversi argomenti sviluppati si è altresì mirato a<br />
verificare se il successo sportivo fosse compatibile con quello commerciale e se oltre<br />
a questa correlazione fosse possibile raggiungere anche quella tra vittorie sul campo<br />
ed equilibrio reddituale, ovvero se i maggiori ricavi derivanti dalla conquista degli<br />
obiettivi sportivi avessero comportato per i club anche la produzione di utili netti<br />
oppure fossero stati erosi da un incremento più che proporzionale dei costi<br />
d’esercizio. Dati alla mano si è compreso che i ricavi <strong>del</strong>le società con l’avvento<br />
<strong>del</strong>le televisioni a pagamento sono aumentati in una misura priva di precedenti,<br />
mentre i calciatori sono diventati professionisti strapagati ed autentiche star <strong>del</strong>lo<br />
show-business. Il <strong>calcio</strong> si è tramutato dunque realmente in un’industria con un<br />
volume di affari paragonabile a quello di altri settori <strong>del</strong>l’economia. Tuttavia,<br />
nonostante la fortissima crescita <strong>del</strong> settore, gran parte <strong>del</strong>le squadre hanno<br />
presentato conti in rosso in misura tale da spingere il governo ad adottare<br />
provvedimenti di emergenza. Dopo aver constatato la possibilità di considerare le<br />
società calcistiche come aziende produttive a tutti gli effetti, ci siamo occupati <strong>del</strong><br />
primo step <strong>del</strong>la nostra ricerca, ergo la composizione dei ricavi dei club. Analizzando<br />
i proventi <strong>del</strong>le formazioni italiane militanti in Serie A è emersa una peculiarità <strong>del</strong><br />
contesto italiano rispetto alle altre nazioni europee. Nel nostro Paese, infatti, la<br />
principale fonte di ricavo è costituita dagli introiti derivanti dalla cessione dei diritti<br />
televisivi, i quali rappresentano circa il 60% <strong>del</strong> totale <strong>del</strong>le entrate dei vari club.<br />
Negli altri contesti europei, invece, la principale fonte di ricavo per le società è<br />
costituita dai proventi commerciali, ossia dai ricavi provenienti dalle<br />
sponsorizzazioni e dal merchandising. In Inghilterra, in particolare, i diritti televisivi<br />
rappresentano solo il 30% <strong>del</strong>le entrate dei club, la metà esatta rispetto alla realtà<br />
italiana.<br />
Per quanto concerne le altre classi di ricavo tipiche di un’impresa calcistica, si è<br />
registrata una sensibile riduzione dei proventi derivanti dal botteghino a causa <strong>del</strong>la<br />
185
contemporanea riduzione sia <strong>del</strong> numero degli abbonati sia <strong>del</strong> numero degli<br />
spettatori paganti. Un fenomeno che ha riguardato varie realtà europee eccetto<br />
Germania e Regno Unito, il cui numero degli spettatori è aumentato nel corso <strong>del</strong>le<br />
ultime stagioni. L’indagine ha dimostrato, quindi, come sul piano dei ricavi i nostri<br />
club non abbiano ancora iniziato la strada verso la diversificazione <strong>del</strong> business,<br />
rimanendo saldamente ancorati alla sola consuetudinaria battaglia per la<br />
negoziazione dei diritti televisivi.<br />
Studiando le figure professionali di rilievo, si è poi compreso, di contro, come le<br />
retribuzioni dei calciatori costituiscano la principale voce di spesa <strong>del</strong>le società e<br />
quali siano le strategie utilizzate dai club per riuscire ad ammortizzare i diritti<br />
pluriennali alle prestazioni dei calciatori. Nell’indagine di tale classe di valore<br />
particolare attenzione è stata posta sugli effetti contabili provocati dall’entrata in<br />
vigore <strong>del</strong> “Decreto Salva-Calcio”, il quale ha consentito ai club di diluire in dieci<br />
esercizi, poi ridotti a cinque in seguito all’intervento <strong>del</strong>l’Unione Europea, la perdita<br />
derivante dalla svalutazione <strong>del</strong> parco giocatori. Sul punto è stato evidenziato sia<br />
come il provvedimento contrasti con i corretti principi contabili sia come il suo unico<br />
effetto, in sostanza, sia stato quello di rinviare al futuro la ricapitalizzazione <strong>del</strong>le<br />
società che hanno usufruito <strong>del</strong>l’agevolazione. L’analisi ha posto in evidenza le<br />
notevoli difficoltà riscontrate nel realizzare una gestione veramente manageriale<br />
<strong>del</strong>l’impresa calcistica, nonostante gli sforzi siano indirizzati verso una<br />
professionalizzazione sempre maggiore dei dirigenti e dei responsabili sportivi. Vi<br />
sono, nello specifico, ancora grosse lacune soprattutto per quanto riguarda aspetti<br />
propriamente aziendali, quali il processo di budgeting previsionale e consuntivo e lo<br />
sfruttamento <strong>del</strong> marchio, utilizzato in <strong><strong>It</strong>alia</strong> nella maggior parte dei casi per porre<br />
illegalmente rimedio a buchi nei bilanci piuttosto che, come avviene invece in<br />
Inghilterra, per ricavare nuovi introiti dalla commercializzazione di gadget e dalla<br />
promozione di iniziative recanti il proprio brand.<br />
Alcune tendenze in atto nel <strong>calcio</strong> italiano, tra le quali i nuovi progetti di gestione<br />
diretta degli stadi da parte <strong>del</strong>le società, lo sviluppo nell’utilizzo di internet,<br />
l’ampliamento <strong>del</strong>la gamma di servizi offerti dai club ed il passaggio dall’idea di<br />
tifoso a quella di cliente sono processi che risultano ad oggi solo abbozzati e che<br />
sono lungi dall’essere implementati a pieno regime nella quotidiana attività<br />
186
gestionale condotta dalle società nostrane. Eppure la necessità di raggiungere un<br />
giusto equilibrio tra logiche sportive e manageriali costringe di fatto le società<br />
sportive professionistiche a concentrare la propria attenzione non solo sulle vicende<br />
agonistiche, ma anche su quelle concernenti gli aspetti più propriamente economico-<br />
aziendali <strong>del</strong>la gestione, nonostante i successi sportivi garantiscano da soli notevoli<br />
fonti di ricavo derivanti oltre che dai maggiori diritti televisivi anche dalla<br />
conclusione di lauti contratti di sponsorizzazione. Spesso, infatti, questi proventi non<br />
si sono tradotti in risultati positivi di gestione, bensì sono stati erosi da un incremento<br />
più che proporzionale dei costi, soprattutto quelli legati agli ingaggi dei calciatori<br />
migliori. L’indagine ha così evidenziato l’arretratezza <strong>del</strong> nostro Paese soprattutto<br />
rispetto al contesto <strong>del</strong>la Premier League inglese, con il Manchester United che è<br />
leader indiscusso nella commercializzazione di articoli recanti il nome o il marchio<br />
<strong>del</strong>la società. In molti in <strong><strong>It</strong>alia</strong> si nascondono esclusivamente dietro le abnormi<br />
dimensioni raggiunte da un mercato dei prodotti contraffatti mal contrastato dalle<br />
autorità competenti, ma in realtà le scarne politiche di merchandising dei nostri club<br />
sono soprattutto il frutto di un processo di marketing miopia che porta le varie<br />
società a non andare alla ricerca di nuovi bisogni e di nuovi clienti, preferendo<br />
mantenere l’offerta di un solo bene o di un solo servizio non adeguando la propria<br />
struttura organizzativa alle mutevoli situazioni di mercato. <strong>Una</strong> strategia degna di<br />
censura che, associata alla mancata possessione di uno stadio di proprietà da parte di<br />
quasi tutte le formazioni professionistiche eccezion fatta per la Reggiana e la<br />
Juventus, con quest’ultima che vedrà il nuovo Delle Alpi inaugurato nel settembre<br />
2011, priva i nostri club di un ulteriore asset fondamentale per lo svolgimento <strong>del</strong>la<br />
propria attività. L’esperienza britannica ha dimostrato, infatti, che il merchandising e<br />
la proprietà degli impianti sportivi consentono ai club da un lato di disporre di una<br />
solida componente patrimoniale, dall’altro di creare valore tramite la gestione <strong>del</strong>le<br />
numerose attività commerciali che possono essere realizzate anche all’interno <strong>del</strong>lo<br />
stesso impianto. <strong>Una</strong> fonte particolarmente lauta di guadagno, cui ha attinto in <strong><strong>It</strong>alia</strong><br />
solo la stessa Juventus, è rappresentata dalla cessione dei naming rights degli stadi:<br />
prendendo spunto ancora una volta da società inglesi come l’Arsenal, il Bolton ed il<br />
Wigan e da diverse formazioni tedesche, il club di Torino ha ceduto i naming rights<br />
<strong>del</strong> nuovo Delle Alpi alla Sportfive, società leader nel settore <strong>del</strong> marketing,<br />
187
incassando 75 milioni di euro per 12 anni. Gli altri club italiani, perennemente in<br />
attesa che venga varata la legge sugli stadi, non possono far altro che seguire<br />
l’esempio <strong>del</strong>la Juventus, il cui processo di crescita è comunque ancora ben lungi dal<br />
completarsi, innestando un nuovo circuito finanziario che, muovendo dallo<br />
sfruttamento <strong>del</strong> marchio a fini commerciali e dalla proprietà <strong>del</strong>lo stadio, sia in<br />
grado di generare un incremento futuro <strong>del</strong>le entrate societarie riuscendo così a<br />
colmare il gap che li separa dall’Inghilterra.<br />
Oltre al processo di acquisizione degli impianti sportivi e a nuove conseguenti<br />
strategie riguardanti un merchandising che deve andare ben oltre la fittizia cessione<br />
<strong>del</strong> proprio brand a società di propria proprietà, un primo passo verso un futuro<br />
virtuoso potrebbe essere rappresentato dall’investire oggi sui campioni <strong>del</strong> domani<br />
sfruttando a pieno il potenziale <strong>del</strong> proprio vivaio, così da poter inserire nuovi<br />
elementi di spessore tecnico in prima squadra evitando di investire eccessive risorse<br />
finanziarie per acquistare calciatori già maturi formati nei vivai di altri club.<br />
L’inserimento di giocatori <strong>del</strong>le giovanili in rosa permette infatti di capitalizzare<br />
effettivamente gli investimenti fatti negli anni precedenti, visto che il costo di<br />
acquisto vero e proprio risulta nullo o decisamente inferiore a quello che si sarebbe<br />
pagato sul mercato per lo stesso calciatore già formato. Per le piccole squadre,<br />
inoltre, la creazione di organici con una certa percentuale di giocatori provenienti<br />
dalle zone limitrofe non può che determinare una espansione <strong>del</strong>la base-tifosi e un<br />
maggiore attaccamento <strong>del</strong>la stessa alla squadra. Attraverso le “bandiere”, i giocatori<br />
simbolo, il club diviene infatti ancora maggiormente rappresentativo <strong>del</strong>l’orgoglio di<br />
essere nati o vissuti in quel particolare territorio. Se invece i campioncini vengono<br />
ceduti a società maggiori, vi è anche una fonte di introiti non indifferente. Per le<br />
grandi squadre, oltre ai vantaggi economici derivanti dai minori costi di acquisizione,<br />
vi sono quelli collegati al contenimento <strong>del</strong>la voce salari e stipendi, cioè di quel<br />
fattore di spesa che ha causato effettivamente il dissesto <strong>del</strong> sistema <strong>calcio</strong> italiano<br />
arrivando a rappresentare, in una sola stagione, il 125% <strong>del</strong> fatturato totale generato<br />
dai club di Serie A. Basti pensare, a tal proposito, che nella stagione 2009/10 si è<br />
registrato un aumento <strong>del</strong> 7.4% dei costi relativi agli ingaggi <strong>del</strong> personale, saliti a<br />
1.182 miliardi di euro a fronte dei 1100 <strong>del</strong> campionato precedente. Un rialzo che si è<br />
riflesso di fatto sull’esposizione debitoria dei club verso gli istituti bancari, salita<br />
188
complessivamente a 619 milioni di euro con un aumento <strong>del</strong> 26% rispetto al passato<br />
in virtù anche degli ingenti prestiti richiesti dalle società per le operazioni di mercato<br />
e per iniziative di varia natura, come nel caso <strong>del</strong> leasing da 30 milioni garantito da<br />
Unicredit per il centro sportivo di Vinovo <strong>del</strong>la Juventus.<br />
Le tantissime disastrate società di <strong>calcio</strong> italiane, da cui si estraniano pochissime<br />
realtà virtuose, come il Napoli di Aurelio de Laurentiis, una gemma rara come<br />
mo<strong>del</strong>lo di oculata e produttiva gestione finanziaria, nel corso di questo processo di<br />
sviluppo saranno chiamate a confrontarsi con il “Fair Play Finanziario” voluto dal<br />
presidente <strong>del</strong>l’Uefa Michel Platini per cercare di risanare i bilanci in passivo <strong>del</strong>le<br />
partecipanti alle competizioni europee. Platini, nello specifico, ha voluto che il fair<br />
play uscisse dal campo per entrare nei conti <strong>del</strong>le squadre. Il 27 maggio 2010 il<br />
Comitato esecutivo Uefa ha dato l’ok, d’intesa con l’Associazione club europei<br />
(Eca), alle linee guida <strong>del</strong> progetto: i club non devono spendere più di quanto<br />
ricavato; non dovranno protrarre nessun debito durante la stagione verso i club, i<br />
dipendenti e/o autorità sociali e fiscali; dovranno assicurare maggiore trasparenza<br />
finanziaria da parte <strong>del</strong>le società. Nel biennio 2010- 2012 non è stata prevista alcuna<br />
applicazione <strong>del</strong>le limitazioni, bensì una pura supervisione da parte <strong>del</strong>l’Uefa che,<br />
nel caso di una gestione eccessivamente errata, è sinora sfociata in un warning<br />
preventivo che nel febbraio 2011 ha richiamato all’ordine soprattutto Manchester<br />
City, Liverpool, Chelsea ed Inter. Tra il 2018 e il 2019 si dovrà centrare il break<br />
even tra ricavi e spese. Un target che, ovviamente, verrà raggiunto gradualmente. Nel<br />
triennio 2012-2015 le perdite non potranno superare il valore complessivo di 45<br />
milioni di euro, con una media di 15 milioni all’anno. Se, però, nel primo anno la<br />
società avrà un rosso di 45 milioni, nelle successive due stagioni non potrà spendere<br />
più nulla. Questo meccanismo, tuttavia, sarà applicabile solamente nel caso in cui si<br />
proceda ad un aumento di capitale che ripiani la perdita stessa, altrimenti il limite<br />
massimo sarà di 5 milioni. Nel lasso di tempo che andrà dal 2015 al 2019 il tetto<br />
massimo complessivo <strong>del</strong>le perdite sarà invece di 30 milioni. Anche questo margine<br />
di spesa, però, vale solo nell’ipotesi di un aumento di capitale. Alla fine di questo<br />
graduale apprendistato in materia di “Fair Play Finanziario”, si dovrà raggiungere il<br />
pareggio tra costi e ricavi. Anche se, poi, potrebbe essere ammesso un rosso di 3<br />
milioni all’anno da valutare caso per caso. <strong>Una</strong> sorta di cuscinetto per quelle società<br />
189
che, magari retrocesse, devono dribblare un calo dei ricavi. In questo quadro<br />
economico non rientreranno alla voce spese gli stipendi, le spese d’acquisto e gli<br />
ingaggi dei calciatori under 18. Si tratta, non a caso, di un’impostazione volta a<br />
favorire gli investimenti nei settori giovanili. Alla stesso modo non saranno<br />
contabilizzati come costi gli investimenti per la costruzione di un impianto sportivo<br />
per il tempo in cui sarà ammortizzata la spesa. L’idea <strong>del</strong>la Uefa e <strong>del</strong>l’Eca è quella<br />
di ricondurre il business nei giusti binari, dando l’opportunità anche a chi ha meno<br />
risorse di dire la sua contrariamente a quanto nella maggior parte dei casi è avvenuto<br />
negli anni addietro. Nel frattempo i non esaltanti risultati economici e finanziari<br />
riportati dai club italiani, Inter in testa, stridono fortemente se paragonati ai risultati<br />
<strong>del</strong> campo conseguiti soprattutto dai nerazzurri, vincitori <strong>del</strong>la Champions League<br />
conquistata a Madrid il 22 maggio 2010, <strong>del</strong>la Coppa <strong>del</strong> Mondo per Club vinta ad<br />
Abu Dhabi il 18 dicembre 2010, di 4 Coppe <strong><strong>It</strong>alia</strong>, 3 Supercoppe <strong><strong>It</strong>alia</strong>ne e di 5<br />
scudetti consecutivi conseguiti tra il 2005 e lo stesso 2010. Due facce <strong>del</strong>la stessa<br />
medaglia, successi sportivi da un lato, rovesci etici, sociali, finanziari e politici<br />
dall’altro. Forse la bellezza <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> è proprio questa: basta una vittoria sul campo e<br />
tutto quanto di brutto c’è stato prima cade nel dimenticatoio. In fondo il <strong>calcio</strong> è da<br />
sempre sottomesso agli dei <strong>del</strong> fato e disprezza apertamente ogni logica di sorta. Ne<br />
sa qualcosa proprio il Manchester United da me tanto adorato, che, nella finale di<br />
Champions League <strong>del</strong> 1999 al Camp Nou di Barcellona, superò in rimonta il Bayern<br />
Monaco 2-1 grazie alle reti di Teddy Sheringham e Ole Gunnar Solskjaer in pieno<br />
recupero al termine di una partita che i bavaresi avrebbero meritato di vincere: nelle<br />
brevissime frazioni di secondo in cui i “Red Devils” segnarono quei due famosi goal,<br />
il club aumentò i suoi ricavi totali annui di quasi il 20% grazie ai premi in denaro, le<br />
vendite <strong>del</strong> merchandising, i ricavi da diritti media e gli accordi di sponsorizzazione.<br />
Non sarà più<br />
“un pallone eroico e romantico, con i campioni che nascevano<br />
all’oratorio e morivano in osteria” 33 ,<br />
33 Falsanisi G., Giangreco E. F., Le società di <strong>calcio</strong> <strong>del</strong> 2000, dal marketing alla quotazione in borsa,<br />
Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ), 2001, p. 7<br />
190
ma il <strong>calcio</strong> moderno, in tutte le sue sfaccettature e distorsioni, continua ancora ad<br />
emozionarci indescrivibilmente regalandoci attimi in<strong>del</strong>ebili cui pochi saprebbero<br />
rinunciare.<br />
191
Bibliografia<br />
AA. VV., A.C. Milan e Infront presentano le strategie commerciali per la stagione<br />
2010/11, (http://www.sporteconomy.it/articolo-Marketing-A-C--Milan-Infront-<br />
presentano-le-strategie-commerciali-per-la-stagione-2010-11-_33136_8_1.html), (20<br />
maggio 2011).<br />
AA. VV., Bari: in campo con gli sponsor dei biancorossi,<br />
(http://www.sporteconomy.it/Calcio+Bari%3A+in+campo+gli+sponsor+dei+biancoross<br />
i+_38504_8_1.html), (20 maggio 2011).<br />
AA. VV., Casi di Net Economy – Inter,<br />
(http://www.ilsole24ore.com/fc?cmd=art&codid=20.0.660226005&chId=30), (19<br />
maggio 2011).<br />
AA. VV., Cina, 10 milioni per 3 Supercoppe,<br />
(http://archiviostorico.gazzetta.it/2011/marzo/05/Cina_milioni_per_Supercoppe_ga_10_<br />
110305017.shtml), (20 maggio 2011).<br />
AA. VV., Club di <strong>calcio</strong> & Facebook, la nuova frontiera dei social network. Napoli tra<br />
i club con più fan al mondo!, (http://www.areanapoli.it/varie/club-di-<strong>calcio</strong>-facebook-<br />
la-nuova-frontiera-dei-social-network-napoli-tra-i-club-con-piu-fan-al-<br />
mondo_33151.html), (24 maggio 2011).<br />
AA.VV., Fiorentina in campo per Save The Children,<br />
(http://it.violachannel.tv/dettaglio-news/items/fiorentina-in-campo-per-save-the-<br />
children.html), (24 maggio 2011).<br />
AA. VV., La Direttiva Maroni sulla tessera <strong>del</strong> tifoso,<br />
(http://www.interno.it/mininterno/export/sites/default/it/sezioni/sala_stampa/notizie/sicu<br />
rezza_stadi/0683_2009_08_17_direttiva.html), (20 maggio 2011).<br />
192
AA.VV., La Serie A ha un nuovo logo. Ma sempre TIM come sponsor. Che plaude a<br />
Belen, (http://www.youmark.it/article/25558/interviste-carlo-formisano-tim-Stefano-<br />
Fabrucci-Randone-rba-nuovo-logo-serie-a-tim-sponsor-serie-a-adriano-galliani-<br />
youmark), (20 maggio 2011).<br />
AA. VV., Liverpool, accordo record con Warrior,<br />
(http://www.sportrade24.it/<strong>calcio</strong>/liverpool-accordo-record-con-warrior/), (24 maggio<br />
2011).<br />
AA. VV., Marketing – Il progetto <strong>del</strong>la As Roma targata DiBenedetto,<br />
(http://www.sporteconomy.it/Marketing+Il+progetto+<strong>del</strong>la+As+Roma+targata+DiBene<br />
detto_38494_8_1.html), (19 maggio 2011).<br />
AA. VV., Milan: rinnovata la partnership tra rossoneri e MSC Crociere,<br />
(http://www.sporteconomy.it/Calcio+Milan%3A+rinnovata+la+partnership+tra+rosson<br />
eri+e+MSC+Crociere_38648_8_1.html), (23 maggio 2011).<br />
AA. VV., Napoli: Garofalo firma la nuova pasta degli azzurri,<br />
(http://www.sporteconomy.it/index.asp?P=114&AR=38333), (20 maggio 2011).<br />
AA. VV., O custo salarial dos clubes da Premier League 09/10,<br />
(http://www.futebolfinance.com/o-custo-salarial-dos-clubes-da-premier-league-0910),<br />
(13 maggio 2011).<br />
AA. VV., Os 15 patrocinadores do Manchester United em 2010,<br />
(http://www.futebolfinance.com/os-15-patrocinadores-do-manchester-united-em-2010),<br />
(19 maggio 2011).<br />
AA. VV., Premier League - As receitas TV dos clubes ingleses 09/10,<br />
(http://www.futebolfinance.com/premier-league-%E2%80%93-as-receitas-tv-dos-<br />
clubes-ingleses-0910), (25 maggio 2011).<br />
193
AA. VV., Tottenham Hotspur name Investec as second shirt sponsor,<br />
(http://www.bbc.co.uk/news/10997870), (24 maggio 2011).<br />
AAKER D.A., Managing Brand Equity. Capitalizing on the Value of a Brand Name, F.<br />
Angeli, Milano 2002.<br />
ANDREWS D. L., Manchester United. A thematic study, Routledge, Abingdon<br />
(Inghilterra), 2004.<br />
ASCANI F. Sport management, Sperling & Kupfer Editori, Milano 1998.<br />
ASCANI F., Sponsor e sport, Rizzoli, Milano 1991.<br />
BASILE G., BRUNELLI M., CAZZULLO G., Le società di <strong>calcio</strong> professionistiche,<br />
Buffetti, Roma 1997.<br />
BEHA O., DI CARO A., Indagine sul <strong>calcio</strong>, Bur, Milano 2006.<br />
BIANCHI L., CORRADO D., I bilanci <strong>del</strong>le società di <strong>calcio</strong>: le ragioni di una crisi,<br />
Egea, Milano 2004.<br />
BIRKBECK UNIVERSITY OF LONDON, The State of the game. The Corporate<br />
governance of football clubs 2006, Londra 2007.<br />
BOF F., MONTANARI F., SILVESTRI G., Il Management <strong>del</strong> Calcio, F. Angeli,<br />
Milano, 2008.<br />
BONERA M., La gestione strategica a livello di corporate, in Martellini M. (a cura di),<br />
L’impresa. Economia e gestione, Giappichelli, Torino 2003.<br />
BRAGHERO M., PERFUMO S., RAVANO F., Per sport e per business: è tutto parte<br />
<strong>del</strong> gioco, F. Angeli, Milano 1999.<br />
194
CARLINI V., Ecco come l’UEFA rifà i conti ai club. Squadre italiane in ritardo.<br />
Paolillo (Inter): ,<br />
(http://www.ilsole24ore.com/art/economia/2010-06-18/arriva-fairplay-finanziario-uefa-<br />
182900.shtml?uuid=AYr2pjzB), (5 aprile 2011).<br />
CHERUBINI S., CANIGIANI M., Il co-marketing sportivo. Strategie di cooperazione<br />
nel mercato sportivo, F. Angeli, Milano 2000.<br />
CHERUBINI S., CANIGIANI M., SANTINI A., Il co-marketing degli impianti<br />
sportivi, F. Angeli, Milano 2003.<br />
CHERUBINI S., EMINENTE G., Il nuovo marketing in <strong><strong>It</strong>alia</strong>, F. Angeli, Milano 1997.<br />
CONTRIBUTORI DI WIKIPEDIA, Coppa Anglo-<strong><strong>It</strong>alia</strong>na,<br />
(http://it.wikipedia.org/wiki/Coppa_Anglo-<strong><strong>It</strong>alia</strong>na), (10 maggio 2011).<br />
CONTRIBUTORI DI WIKIPEDIA, Coppa di Lega <strong>It</strong>alo-Inglese,<br />
(http://it.wikipedia.org/wiki/Coppa_di_Lega_<strong>It</strong>alo-Inglese), (10 maggio 2011).<br />
CONTRIBUTORI DI WIKIPEDIA, Coppa <strong>It</strong>alo-Inglese Semiprofessionisti,<br />
(http://it.wikipedia.org/wiki/Coppa_<strong>It</strong>alo-Inglese_Semiprofessionisti), (10 maggio<br />
2011).<br />
CONTRIBUTORI DI WIKIPEDIA, Coppa Ottorino Barassi,<br />
(http://it.wikipedia.org/wiki/Coppa_Ottorino_Barassi), (10 maggio 2011).<br />
CONTRIBUTORI DI WIKIPEDIA, Diritti televisivi <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> in <strong><strong>It</strong>alia</strong>,<br />
(http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Diritti_televisivi_<strong>del</strong>_<strong>calcio</strong>_in_<strong><strong>It</strong>alia</strong>&oldid=<br />
38857876), (20 gennaio 2011).<br />
195
CONTRIBUTORI DI WIKIPEDIA, Juventus Arena,<br />
(http://it.wikipedia.org/wiki/Juventus_Arena), (20 maggio 2011).<br />
CONTRIBUTORI DI WIKIPEDIA, Premier League,<br />
(http://it.wikipedia.org/wiki/Premier_League), (24 maggio 2011).<br />
CONTRIBUTORI DI WIKIPEDIA, Serie A,<br />
(http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Serie_A&oldid=38890930), (10 dicembre<br />
2010).<br />
DELOITTE & TOUCHE, Football Money League. The untouchables, Manchester<br />
2011.<br />
DESBORDES M., Marketing & Football. An international perspective, Elsevier,<br />
Oxford 2007.<br />
DI CLEMENTE A., LIGIOS M., Aspetti economici e finanziari <strong>del</strong>le società di <strong>calcio</strong><br />
in <strong><strong>It</strong>alia</strong>, Nuova cultura, Roma, 2004.<br />
DRAGONI G., Al Milan il primato degli stipendi. Scambi «generosi» con L’inter. In<br />
serie A ingaggi per 814 milioni, in Il Sole 24 Ore, 21 maggio 2006.<br />
DRAGONI G., E Galliani cede il marchio a sé stesso, in Il Sole 24 Ore, 21 maggio<br />
2006.<br />
DRAGONI G., Lazio e Roma agguantano l’utile, in Il Sole 24 Ore, 2 ottobre 2006.<br />
FALSANISI G., GIANGRECO E. F., Le società di <strong>calcio</strong> <strong>del</strong> 2000, dal marketing alla<br />
quotazione in borsa, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ), 2001.<br />
196
FILIPPETTI S., Debiti bancari per 720 milioni UniCredit e Mps in prima fila,<br />
(http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-06-02/debiti-bancari-milioni-unicredit-<br />
064005.shtml?uuid=AayUsYcD), (3 giugno 2011).<br />
GASPORT, Spaccatura in Lega. Le big contro Beretta,<br />
(http://www.gazzetta.it/Calcio/SerieA/11-05-2011/spaccatura-lega-<br />
801158200306.shtml) (19 maggio 2011).<br />
GERAINT J., SHEARD R., VICKERY B., Stadia: A Design and Development Guide,<br />
Architectural Press, New York, 2007.<br />
GHIRELLI A., Storia <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> in <strong><strong>It</strong>alia</strong>, ed. Einaudi, Torino 1972.<br />
GIANGRECO E.F., La fabbrica <strong>del</strong> pallone. La gestione <strong>del</strong>le aziende calcistiche,<br />
Rubbettino, Catanzaro, 2006.<br />
GIUDICE S., Il marketing nella gestione di uno stadio moderno, in Rivista di diritto ed<br />
economia <strong>del</strong>lo sport, Vol. IV, Fasc. 2, 2008.<br />
GREGOR M., Listing of English football clubs. A differentiated analysis of factors<br />
explaining share price fluctuations, Università di Parigi, Parigi 2005.<br />
GUERRASIO L., Il Barcellona ha un nuovo sponsor di maglia,<br />
(http://www.sportmarketingnews.com/2010/il-barcellona-ha-un-nuovo-sponsor-di-<br />
maglia/), (28 gennaio 2011).<br />
JOVENITTI P., Entrepreneurial Finance, Egea, Milano 2002.<br />
KEARNEY A.T., Playing for profits, Chicago 2004.<br />
KOTLER P., SCOTT W. G., Marketing Management, 7ª edizione, ISEDI, Torino 2001.<br />
197
LAGO U., BARONCELLI A., SZYMANSKI S., Il business <strong>del</strong> <strong>calcio</strong>: successi<br />
sportivi e rovesci finanziari, Egea, Milano 2004.<br />
LATTANZIO C., Il ruolo <strong>del</strong> direttore sportivo nel <strong>calcio</strong> professionistico inglese:<br />
verso un nuovo mo<strong>del</strong>lo organizzativo,<br />
(http://www.calciatori.com/magazine1.nsf/0/0B2C3E172A1A5C90C12575D0001E733<br />
1?opendocument), (5 gennaio 2011).<br />
LIGUORI M., Napoli, bilancio in ordine: volano merchandising e diritti d'immagine,<br />
(http://www.tuttonapoli.net/?action=read&idnotizia=57813), (16 Maggio 2011).<br />
MANCINI R., Sporteconomy, la crisi pesa sugli sponsor di Serie A,<br />
(http://www.tuttomercatoweb.com/?action=read&id=224498), (20 maggio 2011).<br />
MANFREDI F., Football and its future. Trends and issues on football management,<br />
Egea, Milano 2006.<br />
MARZOLA P. L.., L’industria <strong>del</strong> <strong>calcio</strong>, La Nuova <strong><strong>It</strong>alia</strong> Scientifica, Roma 1990.<br />
MASINI C., Lavoro e Risparmio, Utet, Torino 1979.<br />
MELIDONI F., COMMITTERI G.M., Il bilancio <strong>del</strong>le società di <strong>calcio</strong>, Ipsoa, Milano<br />
2004.<br />
MORROW S., The New Business of football. Accountability and finance in football,<br />
MacMillan Press, Londra 1999.<br />
NAPOLITANO S., LIGUORI M., Il pallone nel burrone, Editori Riuniti, Roma 2004.<br />
ONIDA P., Economia d’azienda, Utet, Torino 1971.<br />
ORMEZZANO G.P., Sport e denaro, Longanesi Editore, Milano 1986.<br />
198
PARKHOUSE B.L., The management of sport: its foundations and application, Mosby,<br />
St.Louis 1996.<br />
PIANTONI G., Lo sport tra agonismo, business e spettacolo, Etas, Milano 1999.<br />
PIGNATTA V., Ecco i veri obiettivi <strong>del</strong>la Legge sugli Stadi,<br />
(http://www.terranauta.it/a1489/legambiente/ecco_i_veri_obiettivi_<strong>del</strong>la_legge_sugli_st<br />
adi.html), (20 maggio 2011).<br />
PORTER M. E., La strategia competitiva. Analisi per le decisioni, Tipografia<br />
compositori, Bologna 1982.<br />
PROPERSI A., ROSSI G., La sponsorizzazione, seconda edizione, Pirola, Milano 1989.<br />
PRUNESTI A., Comunicazione e marketing <strong>del</strong>le imprese sportive. Dall’analisi<br />
strategica alla gestione <strong>del</strong> marchio e <strong>del</strong>le sponsorizzazioni, F. Angeli, Milano 2008.<br />
PUDDU D., Tutto sul nuovo stadio di Santa Cristina ad Elmas,<br />
(http://sardegna.blogosfere.it/2010/09/cagliari-<strong>calcio</strong>-tutto-sul-nuovo-stadio-di-santa-<br />
cristina-ad-elmas-foto-polemiche-e-aggiornamenti.html), (24 maggio 2011).<br />
RICCI B., UGLIANO M., “Campione farò di te una star!”, F. Angeli, Milano 2004.<br />
RUBINO F., Un approccio manageriale alla gestione <strong>del</strong>le società di <strong>calcio</strong>, F. Angeli,<br />
Milano 2004.<br />
RUSCONI G., Il bilancio d’esercizio nell’economia <strong>del</strong>le società di <strong>calcio</strong>, Cacucci,<br />
Bari 1990.<br />
SALVIONI D.M., Corporate governance e sistemi di controllo <strong>del</strong>la gestione<br />
aziendale, F. Angeli, Milano 2004.<br />
199
SALVIONI D.M., Il sistema di controllo <strong>del</strong>la gestione, Giappichelli, Torino 1997.<br />
SHEARD R., Sports Architecture, Spon Press, New York 2000.<br />
SPANO F.M., Le società di <strong>calcio</strong>: aspetti organizzativi, gestionali e di rilevazione,<br />
Cuesp, Milano 2004.<br />
SPORT+MARKT, Football Top 20 2010, Colonia 2010.<br />
SUPERTI FURGA F., Il bilancio d’esercizio italiano secondo la normativa europea,<br />
quarta edizione, Giuffrè, Milano 2004.<br />
SUTHERLAND, E. H., Principles of criminology, Chicago 1939 (tr. it.: La criminalità<br />
dei colletti bianchi e altri scritti, Milano 1986).<br />
SZYMANSKI S., KUYPERS T., Winners & Losers. The Business Strategy of Football,<br />
Viking, Londra 1999.<br />
TANZI A., Le società calcistiche. Implicazioni economiche di un gioco, Giappichelli,<br />
Torino 1999.<br />
TEDESCHI M., Stadium Global Center, giù il sipario,<br />
(http://www.bresciaoggi.it/stories/Cronaca/80138stadium_global_center_gi_il_sipario/),<br />
(20 maggio 2011).<br />
TEODORI C., L’economia ed il bilancio <strong>del</strong>le società sportive. Il caso <strong>del</strong>le società di<br />
<strong>calcio</strong>, Giappichelli, Torino 1995.<br />
TEOTINO G., E anche in Europa il <strong>calcio</strong> si scopre un brutto business,<br />
(http://www.linkiesta.it/e-anche-europa-<strong>calcio</strong>-si-scopre-brutto-business), (21 febbraio<br />
2011).<br />
200
TEOTINO G., UVA M., La ripartenza. Analisi e proposte per restituire competitività<br />
all’industria <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> in <strong><strong>It</strong>alia</strong>, Il Mulino, Bologna 2010.<br />
TIRRITO G., Il mo<strong>del</strong>lo inglese, il <strong>calcio</strong>-business, in Analisi giuridica <strong>del</strong>l’economia,<br />
n. 2/2005.<br />
TURANO G., Tutto il <strong>calcio</strong> miliardo per miliardo. Il pallone da Rocco ad<br />
Abramovich, Il Saggiatore, Milano 2007.<br />
VULPIS M., Quando lo stadio diventa business, in <strong><strong>It</strong>alia</strong> Oggi, 4 febbraio 2003.<br />
ZAPPULLA A., Legge sugli stadi, On. Lolli: “Tutto fermo a causa di Lotito”,<br />
(http://www.lalaziosiamonoi.it/?action=read&idnotizia=19009), (20 maggio 2011).<br />
201
Ringraziamenti<br />
Completato il lavoro di stesura di questa tesi tengo ad esprimere i miei ringraziamenti<br />
alla mia famiglia, che non mi ha mai fatto mancare il proprio appoggio e senza la quale<br />
non sarei mai riuscito a tagliare questo prestigioso traguardo.<br />
Ringrazio Umberto Lago, Alessandro Formisano, Alessandro Prunesti, Francesco Bof e<br />
Gianfranco Teotino per il contributo offertomi in qualità di esperti <strong>del</strong> settore con le<br />
interviste gentilmente rilasciatemi.<br />
Un caloroso grazie va ai miei colleghi, i quali hanno reso indimenticabile questa<br />
esperienza universitaria grazie alla loro allegria e determinazione. Ringrazio in<br />
particolare Alessandro, Biagio ed Antonio, con cui ho condiviso giornate di studio e di<br />
svago a dir poco uniche. Un grazie va anche a Daniela, con la quale ho condiviso la<br />
tensione per gli ultimi esami.<br />
Un ringraziamento va infine, non certo per ordine di importanza, a chi condivide con me<br />
la quotidianità in tutti i suoi risvolti: gli onnipresenti Giuseppe, Vincenzo, Mauro e<br />
Francesco, gli amici di una vita Luca e Massimo, gli affezionatissimi Jessica, Francesca<br />
e Ferdinando, i “radiolini” Anna e Domenico, e Sarah, la quale nei momenti di empasse<br />
ha sempre tenuto a sottolineare ironicamente il mio status di studente sollecitandomi a<br />
suo modo a dedicarmi alle famigerate sudate carte.