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L'economia del calcio. Una prospettiva comparata Italia ... - Rdes.It

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Università degli Studi di Napoli “Federico II”<br />

Facoltà di Sociologia<br />

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN<br />

COMUNICAZIONE PUBBLICA SOCIALE E POLITICA<br />

Tesi di Laurea<br />

L’economia <strong>del</strong> <strong>calcio</strong><br />

<strong>Una</strong> <strong>prospettiva</strong> <strong>comparata</strong> <strong><strong>It</strong>alia</strong>-Inghilterra<br />

Relatore Candidato<br />

Prof. Gioacchino Roberto DI MAIO<br />

Enrico REBEGGIANI Matr. M15/15<br />

Anno Accademico 2010 – 2011


A mia madre, che ha fatto sì con enormi sacrifici che tutto ciò si realizzasse.<br />

A mia sorella, che in una mattina di settembre mi indicò la strada maestra ed è<br />

quotidianamente fonte di importanti consigli.<br />

A mia nonna, che tanto avrebbe voluto vivere questo giorno.<br />

Ad Alessandro, fondamentale per il supporto e le salutari strigliate garantitemi nei<br />

momenti di empasse.<br />

A Biagio, infallibile punto di riferimento in questo percorso universitario.<br />

A Francesca, sostegno prezioso in questi ultimi due anni <strong>del</strong>la mia vita.<br />

Al professor Rebeggiani, per la sapiente attenzione prestatami per la realizzazione di<br />

questo lavoro.


“Nino cammina che sembra un uomo<br />

con le scarpette di gomma dura,<br />

dodici anni e il cuore pieno di paura.<br />

Ma Nino non aver paura<br />

di sbagliare un <strong>calcio</strong> di rigore,<br />

non è mica da questi particolari<br />

che si giudica un giocatore,<br />

un giocatore lo vedi dal coraggio<br />

dall’altruismo e dalla fantasia...<br />

…Nino capì fin dal primo momento,<br />

l’allenatore sembrava contento,<br />

e allora mise il cuore dentro le scarpe<br />

e corse più veloce <strong>del</strong> vento,<br />

prese un pallone che sembrava stregato,<br />

accanto al piede rimaneva incollato,<br />

entrò nell'area, tirò senza guardare<br />

ed il portiere lo lasciò passare…<br />

…Il ragazzo si farà anche se ha le spalle strette<br />

quest’altr’anno giocherà<br />

con la maglia numero sette”.<br />

Francesco De Gregori – La leva calcistica <strong>del</strong>la classe ‘68


Introduzione 1<br />

1 – L’evoluzione istituzionale <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> professionistico in <strong><strong>It</strong>alia</strong><br />

1.1 Dal <strong>calcio</strong> fiorentino al football moderno 4<br />

1.2 Le Associazioni sportive e l’istituzionalizzazione <strong>del</strong> 1966 12<br />

1.3 La fine <strong>del</strong> protezionismo e la libera circolazione <strong>del</strong>la forza-lavoro 16<br />

1.4 La “Legge Anti-insolvenza” e il “Decreto Salva-Calcio” 18<br />

1.5 Lo scandalo <strong>del</strong> doping amministrativo e il “Lodo Petrucci” 21<br />

2 – I club ed il business: la squadra come un’azienda<br />

2.1 L’azienda <strong>calcio</strong> 25<br />

2.2 Le professioni chiave 36<br />

2.3 Incassi <strong>del</strong>le partite 41<br />

2.4 Diritti Media 43<br />

2.5 Le attività commerciali 46<br />

2.6 La Borsa 50<br />

2.7 Il mercato degli sponsor 55<br />

2.8 Le operazioni bianche e nere sul bilancio 60<br />

3 – Il marketing calcistico e la gestione <strong>del</strong> brand<br />

3.1 L’analisi <strong>del</strong>la domanda 73<br />

3.1.1 I tifosi 79<br />

3.1.2 Il Customer Relationship Management 80<br />

3.2 La concorrenza 81<br />

3.3 Le “4 P”: peculiarità <strong>del</strong>le società di <strong>calcio</strong> 84<br />

3.4 Gli stadi 89<br />

3.4.1 Il co-marketing e la cessione dei naming rights 92<br />

3.4.2 Le strategie di marketing mix 98<br />

3.5 Il brand 104<br />

3.6 Il merchandising 108<br />

3.7 La pubblicità 113<br />

3.8 Internet e direct marketing 115


4 – Il football britannico e le realtà italiane: analisi <strong>comparata</strong> di due mo<strong>del</strong>li<br />

contrapposti<br />

4.1 Le quattro leve di confronto di Bill Gerrard 118<br />

4.1.1 Le risorse di gioco 120<br />

4.1.2 Il management tecnico 124<br />

4.1.3 La tifoseria 127<br />

4.1.4 Il management societario 130<br />

4.2 Il brand <strong>del</strong> Manchester United 132<br />

4.2.1 Le principali operazioni sul marchio dei club italiani 141<br />

4.3 I jersey-sponsor nel Regno Unito 149<br />

4.3.1 Il mercato degli sponsor in <strong><strong>It</strong>alia</strong>: una rivoluzione in atto 152<br />

4.4 Il business degli stadi 156<br />

4.5 La ripartizione dei diritti tv 168<br />

5 – Appendice – Interviste ad alcuni esperti <strong>del</strong> settore<br />

Umberto Lago 171<br />

Alessandro Formisano 173<br />

Alessandro Prunesti 176<br />

Francesco Bof 180<br />

Gianfranco Teotino 182<br />

Conclusioni 185<br />

Bibliografia 192


Introduzione<br />

Era il lontano dicembre <strong>del</strong> 1995 quando chiesi in regalo, in occasione <strong>del</strong> Santo<br />

Natale, il Subbuteo, un gioco da tavolo che ha scritto pagine di storia in<strong>del</strong>ebili nella<br />

vita degli appassionati di <strong>calcio</strong> prima <strong>del</strong>l’avvento dei videogames. In<br />

quell’occasione scelsi anche la mia prima squadra in miniatura e, tra tante, la mia<br />

attenzione si rivolse verso il Manchester United, club inglese che, a differenza di<br />

tantissimi altri, riportava sulla propria divisa il marchio <strong>del</strong>l’allora proprio main<br />

sponsor, la Sharp Viewcam, azienda giapponese che produce dispositivi elettronici.<br />

Da allora ho alimentato di giorno in giorno la mia passione per il <strong>calcio</strong> e per i “Red<br />

Devils”, focalizzando il mio desiderio di apprendere non solo su ciò che accadeva o<br />

era accaduto in passato in campo, bensì anche su quegli aspetti che ai tifosi più<br />

superficiali potevano sembrare di contorno pur rivestendo in realtà un ruolo primario:<br />

eravamo entrati nell’epoca <strong>del</strong> <strong>calcio</strong>-business e dietro quel marchio Sharp si<br />

nascondevano dinamiche economiche inimmaginabili appena qualche anno prima,<br />

quando sulle divise campeggiavano esclusivamente i simboli <strong>del</strong>le squadre, le<br />

televisioni pubbliche trasmettevano solo le grandi competizioni internazionali senza<br />

corrispondere alcun ritorno economico alle varie federazioni, leghe e club, e i tifosi<br />

potevano recarsi allo stadio a prezzi ragionevoli vivendo la magia <strong>del</strong>la domenica<br />

calcistica incollati alla radiolina per conoscere i risultati degli altri incontri di<br />

giornata, allora disputati tutti in contemporanea senza anticipi o posticipi di sorta. Il<br />

flusso di denaro investito nel settore calcistico nell’ultimo ventennio ha causato una<br />

metamorfosi nelle modalità di conduzione gestionale <strong>del</strong>le società di <strong>calcio</strong>, le quali<br />

hanno dovuto abbinare alla gestione sportiva anche quella finanziaria e commerciale<br />

per poter competere sui nuovi mercati che si prospettavano all’orizzonte. Se in<br />

precedenza l’unica cosa importante per i club erano i risultati sul terreno di giuoco,<br />

ora fondamentali sono diventati anche quelli economici, patrimoniali e finanziari.<br />

Ciò vale soprattutto per le squadre che hanno deciso di quotare i propri titoli sui<br />

mercati regolamentati. Il <strong>calcio</strong> in quegli anni stava pian piano acquisendo una<br />

cultura d’impresa, trasformandosi in un elemento trainante per l’economia mondiale<br />

sfruttando la propria forte capacità di espansione anche in campo occupazionale. Un<br />

processo di trasformazione che è stato completato all’estero, in Inghilterra<br />

1


soprattutto, ma non in <strong><strong>It</strong>alia</strong>, dove i club restano ancor oggi ancorati a preistorici<br />

meccanismi che non massimizzano i reali profitti <strong>del</strong> mondo <strong>calcio</strong>, accontentandosi<br />

degli introiti classici.<br />

Il presente lavoro si inserisce nel filone di una serie di studi sulle caratteristiche<br />

strutturali, sui comportamenti degli attori organizzativi e sulle performance<br />

economiche <strong>del</strong> settore <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> professionistico, allo scopo di comprendere quali<br />

siano le maggiori fonti di ricavo <strong>del</strong>le aziende calcistiche, quali le strategie adottate<br />

in nome <strong>del</strong> business e quali i principali limiti che costringono l’<strong><strong>It</strong>alia</strong> a rincorrere<br />

quell’Inghilterra lontana anni luce e che, al di là di una notevole posizione debitoria<br />

assunta da diverse squadre al momento <strong>del</strong>l’acquisizione dei propri attuali proprietari<br />

in virtù di vari escamotage finanziari come il leveraged buy-out che nel 2005 ha<br />

permesso a Malcolm Glazer di acquisire proprio il Manchester United con fondi<br />

derivanti prevalentemente da un capitale di debito il cui rimborso è garantito dagli<br />

attivi patrimoniali <strong>del</strong>l’impresa acquisita ed è sostenuto dai cash flow da essa<br />

generati, assume sempre più i contorni di terra promessa sotto il profilo <strong>del</strong> profitto<br />

derivante dalle varie attività economiche.<br />

Per perseguire tale obiettivo, nei paragrafi iniziali si illustreranno dapprima le origini<br />

<strong>del</strong> <strong>calcio</strong> in <strong><strong>It</strong>alia</strong>, evidenziando poi le principali riforme a livello legislativo che<br />

hanno riguardato il settore calcistico italiano, in particolare quelle <strong>del</strong> 1966 e <strong>del</strong><br />

1981. In seguito saranno esposti i principali provvedimenti normativi che hanno<br />

avuto effetti diretti sulla gestione <strong>del</strong>le società calcistiche: dalla “Sentenza Bosman”<br />

al “Decreto spalma-perdite”, dalla “Legge anti-insolvenza” al “Decreto salva-<strong>calcio</strong>”.<br />

Il secondo capitolo verterà sugli aspetti gestionali e di bilancio tipici <strong>del</strong>le società di<br />

<strong>calcio</strong>. In apertura si argomenterà sulle motivazioni che possono condurre<br />

all’equazione società di <strong>calcio</strong> uguale impresa, dopodiché si affronterà il tema<br />

<strong>del</strong>l’economicità nelle società calcistiche, analizzando le attività economiche e le<br />

gestioni strategiche principalmente adottate dai club.<br />

Lo scopo <strong>del</strong> terzo capitolo sarà il <strong>del</strong>ineare due nuove fonti di ricavo cui le società<br />

di <strong>calcio</strong> possono attingere nel loro divenire gestionale: il marketing ed il<br />

merchandising. Il marketing calcistico sarà esaminato, partendo dall’analisi <strong>del</strong>la<br />

domanda sino a giungere, passando per le “4 P”, al management di uno stadio,<br />

considerato oggigiorno un elemento marketing oriented, sottolineando in particolare<br />

2


il ruolo e le relazioni che si instaurano tra i diversi attori coinvolti nella filiera<br />

commerciale.<br />

Il tema <strong>del</strong> merchandising sarà affrontato evidenziando, in primis, l’importanza <strong>del</strong><br />

brand per le società di <strong>calcio</strong> e successivamente la presenza di eventuali differenze<br />

riscontabili tra il nostro Paese e le altre realtà europee.<br />

Il quarto capitolo, infine, si occuperà di una analisi comparativa tra l’azienda <strong>calcio</strong><br />

italiana e quella inglese rinnovando un confronto di gran voga sul campo di gioco tra<br />

gli anni ’60 e ’70, quando i club <strong>del</strong>le due nazioni si affrontavano in trofei come la<br />

Coppa Anglo-<strong><strong>It</strong>alia</strong>na, aperta dal 1969 sino al 1996 alle prime quattro squadre non<br />

promosse in Serie B e alle quattro retrocesse dalla Serie A per quanto concerne i<br />

nostri campionati e alle otto equivalenti britanniche, la Coppa di Lega <strong>It</strong>alo-Inglese,<br />

disputata tra il 1969 e il 1976 tra la vincente <strong>del</strong>la Coppa <strong><strong>It</strong>alia</strong> e <strong>del</strong>la Coppa di Lega<br />

Inglese, la Coppa <strong>It</strong>alo-Inglese Semiprofessionisti, disputata solo nel biennio tra il<br />

1975 e il 1976 tra la vincente <strong>del</strong>la Coppa <strong><strong>It</strong>alia</strong> Semiprofessionisti e <strong>del</strong>la Prima<br />

divisione inglese non professionistica, e la Coppa Ottorino Barassi, cui partecipavano<br />

tra il 1968 e il 1976 le vincenti <strong>del</strong>la Coppa <strong><strong>It</strong>alia</strong> dilettanti e <strong>del</strong>la Coppa di<br />

Inghilterra dilettanti. Il primo step di tale operazione di raffronto prevedrà l’utilizzo<br />

di uno studio di Bill Gerrard, docente di Sport Management e Finance alla Business<br />

University di Leeds, secondo cui le performance di una società calcistica dipendono<br />

da quattro risorse strategiche: il gioco, il management tecnico, il tifo e il management<br />

generale. Si procederà poi ad analizzare le più importanti operazioni compiute dai<br />

club <strong>del</strong>le due nazioni sul proprio brand, sul rapporto con gli sponsor e sulle diverse<br />

politiche gestionali riguardanti gli impianti sportivi. L’intento è verificare, anche<br />

grazie ad alcune interviste rilasciateci da esperti <strong>del</strong> settore che proporremo in<br />

appendice, se i club di casa nostra abbiano o meno potenzialità tali da innestare un<br />

circolo virtuoso che, muovendo dallo sfruttamento <strong>del</strong> marchio a fini commerciali e<br />

dalla gestione <strong>del</strong>lo stadio, possa rivelarsi in grado di generare un incremento <strong>del</strong>le<br />

entrate societarie anche solo simile a quello britannico.<br />

3


1 L’evoluzione istituzionale <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> professionistico in <strong><strong>It</strong>alia</strong><br />

1.1 Dal <strong>calcio</strong> fiorentino al football moderno<br />

Il <strong>calcio</strong> moderno nasce in Inghilterra nella seconda metà <strong>del</strong> 1800, con precisione il<br />

26 ottobre 1863, data in cui i rappresentanti di undici club sportivi diedero vita alla<br />

Football Association.<br />

Molte sono le discipline praticate con la palla che potrebbero essere considerate<br />

antenate <strong>del</strong> <strong>calcio</strong>, come il tsu-chu (palla di pelle sospinta dal piede), praticato in<br />

Cina già qualche secolo prima di Cristo, ed il kemari, diffusosi invece in Giappone<br />

qualche anno più tardi, che consisteva nel passarsi una palla contenente una vescica<br />

d’animale gonfiata, senza farle toccare terra. Il contributo più importante allo<br />

sviluppo <strong>del</strong>lo sport con la sfera lo si deve tuttavia al <strong>calcio</strong> fiorentino, praticato a<br />

Firenze in età medicea. <strong>Una</strong> definizione di tal disciplina è offerta anche dal<br />

vocabolario <strong>del</strong>la Crusca <strong>del</strong> XVII secolo:<br />

“È <strong>calcio</strong> anche nome di gioco, proprio e antico <strong>del</strong>la città di Firenze, a<br />

guisa di battaglia ordinata con una palla a vento, somigliante alla<br />

sferomachia, passata dai Greci ai Latini e dai Latini a noi” 1 .<br />

Inizialmente veniva praticato nelle strade, ma con il passare <strong>del</strong> tempo, a causa anche<br />

dei problemi d’ordine pubblico, si preferì optare per le piazze più importanti quali<br />

teatri designati per le gare. I giocatori, definiti calcianti, erano per lo più nobili tra i<br />

18 ed i 45 anni, con indosso sfarzose livree <strong>del</strong> tempo. Le squadre erano composte da<br />

ventisette calcianti che si disponevano su quattro linee con tre datori dietro<br />

(riconducibili ai portieri), quattro datori innanzi (difensori), cinque sconciatori<br />

(centrocampisti) e quindici innanzi (attaccanti), divisi in tre gruppi. L’obiettivo <strong>del</strong><br />

gioco era depositare la palla nella porta avversaria, realizzando una caccia (gol). Tra<br />

le innumerevoli partite disputate, la più famosa fu quella <strong>del</strong> 17 febbraio 1530,<br />

quando, durante l’assedio <strong>del</strong>le truppe papali, due formazioni, quelle dei Bianchi e<br />

dei Verdi, si affrontarono in Piazza Santa Croce sia per non interrompere una<br />

radicata usanza <strong>del</strong> periodo carnevalesco, sia come gesto di sfida verso i nemici.<br />

1 Ghirelli A., Storia <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> in <strong><strong>It</strong>alia</strong>, ed. Einaudi, Torino 1972, p. 7<br />

4


Proprio quando il <strong>calcio</strong> fiorentino si avviava al declino nel capoluogo toscano, in<br />

Inghilterra il “pallone” riacquistava importanza; nel 1617 infatti, Giacomo I Stuart lo<br />

riabilitò incitando alla pratica i giovani frequentanti i college e le università. In<br />

origine il regolamento di tal gioco prevedeva sia l’utilizzo <strong>del</strong>le mani che dei piedi.<br />

Le classi erano composte da dieci studenti, cui si aggiungeva il maestro, che<br />

ricopriva le vesti <strong>del</strong>l’odierno capitano.<br />

Le prime basilari regole <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> risalgono al 1848 ed imposero che la palla venisse<br />

giocata solo con i piedi, permettendo il tocco di mani unicamente nel caso in cui si<br />

dovesse intercettare un pallone diretto in porta. Tal scelta produsse lo scisma da<br />

quella disciplina che nel tempo sarebbe poi stata conosciuta col nome di rugby,<br />

derivante dall’Università d’origine.<br />

Dopo la fondazione <strong>del</strong>la Football Association, nel 1886 le Federazioni Britanniche<br />

diedero vita all’International Football Association Board, che aveva il compito di<br />

sovrintendere al regolamento, e solo due anni più tardi fu organizzato il primo<br />

campionato inglese.<br />

Il <strong>calcio</strong> si diffuse rapidamente grazie all’opera di marinai ed emigranti di ritorno<br />

dall’Inghilterra o in alcuni casi degli stessi Anglosassoni.<br />

In <strong><strong>It</strong>alia</strong> fu inizialmente riportato da Edoardo Bosio, commerciante di spicco <strong>del</strong>la<br />

Società Canottieri Armida, che era tornato a Torino nel 1887 con alcuni palloni di<br />

cuoio e la volontà di diffondere quello sport tanto amato Oltremanica, dove nel 1871<br />

si era già disputata la prima edizione <strong>del</strong>la coppa nazionale, la FA Cup. Nel<br />

medesimo anno nacque nel capoluogo piemontese un gruppo sportivo che praticava<br />

il canottaggio d’estate ed il football d’inverno, mentre al 1889 risale una compagine<br />

prettamente calcistica, definita dei Nobili per il ceto sociale cui appartenevano i<br />

membri. Nonostante la fusione avvenuta nel 1891 tra le due formazioni, che diedero<br />

così vita all’Internazionale Football Club di Torino, la primogenitura calcistica<br />

italiana è da sempre riconosciuta al Genoa Cricket and Football Club, la cui nascita si<br />

fa risalire al 7 settembre 1893 alla presenza <strong>del</strong> console inglese Sir Charles Alfred<br />

Payton. Questo perché, al contrario <strong>del</strong>la data di fondazione <strong>del</strong> club torinese, quella<br />

<strong>del</strong>la società ligure è ufficialmente attestata da un libro mastro a partita doppia<br />

recante proprio la firma <strong>del</strong> console britannico.<br />

5


Il primo campionato italiano organizzato dalla FIF (Federazione <strong><strong>It</strong>alia</strong>na <strong>del</strong><br />

Football), divenuta poi FIGC (Federazione <strong><strong>It</strong>alia</strong>na Giuoco Calcio) nel 1909, fu<br />

disputato nel maggio 1898 e fu vinto proprio dal Genoa, che batté in un<br />

quadrangolare le tre squadre di Torino allora esistenti, aggiudicandosi così una<br />

Coppa offerta dal Duca degli Abruzzi. Tal trofeo fu poi ipotecato successivamente<br />

dagli stessi Genoani, che furono i primi a vincerlo in ben tre occasioni. La prima<br />

squadra in grado di arrestare il cammino <strong>del</strong>la squadra genovese fu il Milan<br />

<strong>del</strong>l’allora capitano Herber Kilpin, che si aggiudicò il trofeo nel 1901. I Liguri, i<br />

quali avevano nel frattempo adottato quella che sarebbe poi divenuta la classica<br />

casacca a righe verticali rossoblù, si rifecero subito sugli avversari, vincendo non<br />

solo il campionato successivo, bensì anche altri due, inanellando così una seconda<br />

tripletta tricolore.<br />

Con lo svilupparsi <strong>del</strong> movimento calcistico, divenne fondamentale elaborarne in<br />

maniera più dettagliata il regolamento al fine di renderne univoca l’interpretazione.<br />

A tal scopo nel 1904 fu costituita la FIFA (Federation Internationale de Football<br />

Association), cui in breve tempo si associarono tutte le federazioni nazionali.<br />

Nel 1905 la FIF, entrata da poco a far parte <strong>del</strong>la FIFA, decise di riformare per la<br />

prima volta il campionato, sostituendo alle gare secche i cosiddetti “Gironi<br />

Eliminatori Regionali”, propedeutici <strong>del</strong> “Girone Finale Nazionale”, e introducendo<br />

inoltre gare di andata e ritorno. La Juventus, che era uscita sconfitta dalle gare di<br />

finale <strong>del</strong>le due annate precedenti, riuscì ad aggiudicarsi il primo titolo con questa<br />

formula grazie ad un inaspettato scivolone casalingo da parte <strong>del</strong> Genoa contro la<br />

Milanese nell’ultima partita <strong>del</strong> girone.<br />

Mentre le altre società si ritiravano pian piano dall’attività agonistica, liguri,<br />

piemontesi e meneghini, rappresentavano i pilastri di quel football pionieristico. Con<br />

il trascorrere degli anni la primigenia origine anglosassone cominciò ad attenuarsi,<br />

mentre acquisivano sempre più importanza calciatori tedeschi e svizzeri. Proprio<br />

grazie a questi atleti, il Milan tornò al successo nel 1906, in virtù <strong>del</strong>la rinuncia, da<br />

parte <strong>del</strong>la Juventus, di disputare l’ennesima ripetizione <strong>del</strong>la gara di spareggio per<br />

l’assegnazione <strong>del</strong> titolo.<br />

Concluso il primo decennio di attività, la FIF decise di apportare nuove modifiche al<br />

campionato, vietando alle società l’utilizzo di giocatori stranieri. Questa scelta colpì<br />

6


notevolmente i Football Clubs, favorendo invece le Unioni Sportive e Ginniche, che<br />

risultavano più deboli perché non dirette dai maestri inglesi, ma che erano composte<br />

in toto da atleti italiani; queste Unioni avevano inoltre sino ad allora prestato la loro<br />

attenzione alla disputa <strong>del</strong> campionato parallelo, organizzato dalla Federazione<br />

Ginnica. La reazione dei club classici fu durissima, sino a giungere addirittura al<br />

ritiro dal torneo. La debuttante Pro Vercelli, riuscì così ad approfittare <strong>del</strong>la<br />

situazione ed ottenne il titolo avendo la meglio sui genovesi <strong>del</strong>l’Andrea Doria e<br />

sull’Us Milanese, bissando poi tale traguardo l’anno successivo e inaugurando di<br />

fatto il periodo d’oro <strong>del</strong>le squadre provinciali. Contemporaneamente nascevano due<br />

nuove formazioni, una di matrice torinese, nata dalla scissione di alcuni soci dalla<br />

Juventus che diedero vita al Torino Football Club, e l’altra invece di matrice<br />

milanese, che vide separarsi alcuni dirigenti dal Milan per fondare l’Internazionale<br />

Football Club.<br />

La Federazione, divenuta FIGC, decise poi di fare un parziale passo indietro e riaprì<br />

le porte <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> italiano agli stranieri decidendo inoltre di modificare ulteriormente<br />

il campionato, includendo, sul mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong>la English League, le nove squadre in un<br />

girone unico che avrebbe dato vita ad una classifica la cui formazione primatista<br />

avrebbe a fine stagione vinto il titolo. La prima edizione sorrise proprio all’Inter, che<br />

prevalse in uno spareggio contro la Pro Vercelli, che ebbe poi modo di rifarsi<br />

vincendo i successivi tre campionati.<br />

Nel 1910 il campionato cominciò ad avere una valenza nazionale, cosicché al Girone<br />

Veneto fu accorpato anche il Bologna, che non aveva avversario alcuno in Emilia<br />

Romagna. Nel 1911 il Vicenza e nel 1912 il Venezia, contesero il titolo ai vercellesi,<br />

ma uscirono sconfitti pesantemente con cinque gol di scarto i primi e addirittura<br />

tredici i secondi. Per coinvolgere l’intera nazione il torneo doveva però comprendere<br />

anche le squadre <strong>del</strong> centro e <strong>del</strong> sud, che in quel periodo si affrontavano in<br />

competizioni regionali dette “Terza Categoria”. Per raggiungere tale obiettivo, la<br />

Federazione rinominò questi tornei in “Prima Categoria”, rendendoli così equivalenti<br />

ai campionati <strong>del</strong> nord, che avevano riacquisito la vecchia formula fatta di gironi<br />

eliminatori e girone finale. In tal modo le vincenti <strong>del</strong> Nord e <strong>del</strong> Sud si sarebbero<br />

poi affrontate in una gara denominata “Girone Finalissimo” o più semplicemente<br />

“Finalissima”.<br />

7


Questo meccanismo, di per sé assai complesso, finì per rendere sempre più lungo ed<br />

affollato il campionato, anche in virtù <strong>del</strong> fatto che si era istituita una “Seconda<br />

Categoria” che prevedeva una serie di promozioni alla prima, mentre da quest’ultima<br />

erano state abolite le retrocessioni, il cui sistema era stato sperimentato nel 1910.<br />

Nel 1914 il titolo fu conquistato dal Casale, mentre l’anno successivo il torneo fu<br />

bloccato a un passo dalla conclusione per dar spazio al conflitto bellico; la vittoria di<br />

quell’annata fu successivamente riconosciuta al Genoa.<br />

Nel 1919, al termine <strong>del</strong>la prima guerra mondiale, vi furono molti dibattiti per<br />

cercare di razionalizzare e ridurre lo svolgimento <strong>del</strong> campionato, ma questi si<br />

rivelarono un buco nell’acqua a causa <strong>del</strong>l’opposizione <strong>del</strong>le cosiddette provinciali,<br />

che temevano per il loro futuro in vista di un torneo maggiormente elitario. L’Inter<br />

nel 1920 e la Pro Vercelli nel 1921 si laurearono così campioni dopo una serie<br />

interminabili di gironi e gare per lo più dall’esito scontato. Nel 1924 l’insofferenza<br />

<strong>del</strong>le squadre metropolitane culminò nell’abbandono <strong>del</strong>la Federazione e nella<br />

fondazione <strong>del</strong>la Confederazione Calcistica <strong><strong>It</strong>alia</strong>na. Nel 1922 si ebbero così due<br />

squadre campioni, la Pro Vercelli e la Novese. L’insostenibilità <strong>del</strong>la situazione portò<br />

poi le due fazioni a riconciliarsi sulla base <strong>del</strong> “Compromesso di Colombo”, che<br />

portò all’elaborazione di una “Prima Divisione” comprendente una Lega Nord,<br />

composta da 24 società, e una Lega Sud, che invece prevedeva il vecchio sistema dei<br />

vari gironi a carattere regionale. Tale riforma tagliò fuori dal grande giro <strong>del</strong>le<br />

squadre che si contendevano la vittoria finale moltissime provinciali e squadre che a<br />

inizio secolo avevano potuto aggiudicarsi tal importante affermazione.<br />

Nel 1922 fece la sua comparsa la Coppa <strong><strong>It</strong>alia</strong>, allora aperta anche a squadre<br />

dilettantistiche e vinta dal Vado. Dopo una lunga interruzione, la Coppa fu<br />

ridisputata nel 1935 (a vincerla fu il Torino) e da quell’edizione fu sempre giocata<br />

con cadenza annuale, con apertura però permessa alle sole squadre professionistiche.<br />

Nel 1923 e 1924 il Genoa vinse i suoi due ultimi titoli e si distinse per essere stata la<br />

prima squadra a fregiarsi <strong>del</strong>lo scudetto, fatto cucire sulle proprie maglie dopo la<br />

conquista <strong>del</strong>l’ottavo campionato.<br />

In contemporanea iniziò però l’epopea <strong>del</strong> Bologna, che protetto dal ministro fascista<br />

Leandro Arpinati e spinto dalle reti di Angelo Schiavio, si accaparrò lo scudetto nel<br />

1925 dopo una serie di finali tanto lunga quanto condita da polemiche contro il<br />

8


Genoa, che sfociarono in aspri disordini culminati addirittura in scontri con spari<br />

d’arma da fuoco.<br />

Nell’estate <strong>del</strong> 1926 il governo fascista modificò il campionato con la Carta di<br />

Viareggio, abolendo la divisione tra Nord e Sud, inammissibile per quelli che erano<br />

gli ideali nazionalistici <strong>del</strong> regime. Le due vecchie Leghe furono così cancellate e si<br />

giunse alla creazione <strong>del</strong>la Divisione nazionale, cui risultavano iscritte ben<br />

diciassette squadre settentrionali e solo tre meridionali, con quest’ultime che<br />

rispondevano ai nomi di Alba Roma, Fortitudo Roma e Napoli. Questa nuova<br />

formula prevedeva in sostituzione <strong>del</strong>le serie di finali, un raggruppamento<br />

conclusivo, formato dalle compagini che avevano superato la fase eliminatoria.<br />

Il Torino, allestito dal conte Enrico Marone di Cinzano, che ricopriva la carica di<br />

presidente, si aggiudicò il proprio girone eliminatorio e spiccò il volo verso la<br />

vittoria <strong>del</strong> titolo grazie al “Trio <strong>del</strong>le meraviglie”, composto da Julio Libonatti,<br />

Adolfo Baloncieri e Gino Rossetti. Il club piemontese non ebbe tuttavia molto di cui<br />

gioire, poiché nell’autunno successivo incappò nel “caso Allemandi” che gli costò la<br />

revoca <strong>del</strong>lo scudetto, perché accusato di aver avvicinato e corrotto il terzino <strong>del</strong>la<br />

Juventus, Luigi Allemandi. La reazione psicologica per la condanna, avvenuta tra<br />

l’altro su base indiziaria e non probatoria, fece da molla per la stagione successiva<br />

dei granata, che partiti in sordina, rialzarono il capo e riuscirono ad aggiudicarsi<br />

nuovamente il campionato allo stadio San Siro di Milano.<br />

L’attivismo di Arpinati portò poi, nel 1928, ad una nuova riforma <strong>del</strong> campionato che<br />

risultò poi essere storica: fu adottata infatti la formula <strong>del</strong> girone unico, sul mo<strong>del</strong>lo<br />

<strong>del</strong> <strong>calcio</strong> inglese, non senza le polemiche dei club più piccoli, che temevano di<br />

essere messi in secondo piano. Il campionato successivo fu così l’ultimo disputato<br />

con la vecchia formula dei gironi, mentre in seguito le squadre sarebbero state riunite<br />

in un nuovo torneo, denominato Serie A, mentre le escluse avrebbero costituito la<br />

Serie B. A tal fine Arpinati decise di includere ulteriori squadre cadette nel torneo di<br />

Divisione Nazionale, per far sì che tutta l’<strong><strong>It</strong>alia</strong> vi fosse rappresentata. Lo spareggio<br />

per la conquista di quell’ultimo titolo vide poi soccombere il Torino al Bologna in<br />

uno spareggio disputato allo stadio Flaminio di Roma.<br />

Nel 1929 prese ufficialmente vita la Serie A. Il progetto iniziale prevedeva un girone<br />

composto da sedici squadre, ovvero quelle che si erano classificate ai primi otto posti<br />

9


dei due gironi <strong>del</strong>la stagione precedente. Il protrarsi <strong>del</strong>lo spareggio tra Napoli e<br />

Lazio portò però la FIGC ad includerle entrambe, cosicché le partecipanti, assieme<br />

all’ammissione <strong>del</strong>la Triestina per motivi patriottici, divennero venti. Il 6 ottobre<br />

1929 iniziarono così le prime gare <strong>del</strong> campionato 1929/1930, che fu poi vinto<br />

dall’Ambrosiana di Giuseppe Meazza, una squadra nata per volontà <strong>del</strong> regime dalla<br />

fusione <strong>del</strong>l’Inter con la US Milanese.<br />

Nel 1935 il campionato fu ridotto, come previsto dal progetto originario, a sole 16<br />

partecipanti e fu vinto da quel Bologna che la stampa tutta aveva ribattezzato “La<br />

squadra che tremare il mondo fa” dopo la conquista <strong>del</strong>le due Coppe Europa. La<br />

stagione 1941/1942 vide trionfare la prima squadra di quella che una volta era la<br />

Lega Sud, ovvero la Roma, sulle cui gloriose gesta aleggia però ancora oggi l’ombra<br />

<strong>del</strong> Duce, storico sostenitore dei giallorossi.<br />

Nella stagione 1939/1940, durante la prima giornata <strong>del</strong>l’ultimo campionato pre-<br />

bellico giocata il 17 settembre, i numeri comparvero per la prima volta dietro le<br />

magliette dei calciatori. In piena Seconda Guerra mondiale, nel 1945/1946, il<br />

campionato fu diviso in due: un girone <strong>del</strong>l’Alta <strong><strong>It</strong>alia</strong> con 14 squadre <strong>del</strong>la vecchia<br />

Serie A, e un girone <strong>del</strong> Centro-Sud con 11 squadre di Serie A e B. Solo nel<br />

1946/1947, la massima categoria tornò definitivamente al girone unico come oggi lo<br />

conosciamo: ne facevano parte 20 squadre, numero che rimase tale fino al<br />

1951/1952. Il campionato 1946/1947 si contraddistinse poiché vi presero parte 21<br />

società, in virtù <strong>del</strong> ripescaggio <strong>del</strong>la Triestina. Erano quelli gli anni <strong>del</strong> “Grande<br />

Torino”, il quale dominò ininterrottamente la scena italiana dal 1942 al 1949, quando<br />

la sua epopea si interruppe in maniera tanto improvvisa quanto tragica il 3 maggio<br />

<strong>del</strong>lo stesso anno, data in cui l’aeroplano che trasportava i calciatori al rientro da<br />

Lisbona dopo un’amichevole, si schiantò, a causa <strong>del</strong> maltempo, contro la Basilica di<br />

Superga senza lasciar scampo né al capitano Valentino Mazzola, né ad alcuno dei<br />

suoi mitici compagni.<br />

Dopo la conquista <strong>del</strong> suo decimo scudetto, nella stagione 1957/1958 la Juventus fu<br />

la prima squadra a fregiarsi <strong>del</strong>la stella al merito sportivo, nata da un’idea di<br />

Umberto Agnelli e che è tuttora appannaggio solo <strong>del</strong> club torinese, <strong>del</strong>l’Inter e <strong>del</strong><br />

Milan.<br />

10


L’edizione <strong>del</strong> 1963/1964 resta tuttora particolare, perché vide le due contendenti<br />

alla conquista <strong>del</strong> titolo sfidarsi per la prima nella storia <strong>del</strong> girone unico in uno<br />

spareggio poi vinto dal Bologna di Fulvio Bernardini a Roma per due reti a zero<br />

contro l’Inter campione d’Europa. Il 1967 segnò invece il ritorno a sedici<br />

partecipanti. Nel 1969/1970 vi fu la prima e tuttora unica vittoria di un campionato<br />

da parte <strong>del</strong> Cagliari, guidato da Gigi Riva.<br />

Uno degli anni più importanti per la storia <strong>del</strong> nostro <strong>calcio</strong>, fu però il 1980, quando<br />

oltre alla vittoria <strong>del</strong>lo scudetto da parte <strong>del</strong>l’Inter, vi fu la retrocessione a tavolino di<br />

Lazio e Milan in Serie B e la pesante penalizzazione di altre società per lo scandalo<br />

<strong>del</strong> Totonero e <strong>del</strong>la compravendita <strong>del</strong>le partite, in cui erano coinvolti circa<br />

quattordici tesserati.<br />

Al 1986/1987 risale la prima affermazione <strong>del</strong> Napoli di Maradona, mentre nel 1988,<br />

anno in cui le partecipanti al campionato tornarono a essere 18, a vincere fu<br />

nuovamente l’Inter, che stravinse lo “scudetto dei record” con 58 punti, quando per<br />

ogni gara vinta ne venivano assegnati solo due e non tre, modifica apportata poi a<br />

partire dalla stagione 1994/1995, quando la Juventus conquistò il tricolore<br />

raggiungendo quota 73. Sempre i Nerazzurri detengono inoltre il record di punti<br />

conquistati in un torneo con le nuove disposizioni, con i 97 totalizzati nel torneo<br />

2006/2007.<br />

Dal 2004/2005 il massimo campionato italiano, turbato dal “caso Catania”,<br />

contrassegnato dai ripetuti ricorsi al TAR da parte <strong>del</strong>l’ex presidente Luciano Gaucci<br />

contro il Siena che aveva schierato contro gli etnei un calciatore, Luigi Martinelli,<br />

sebbene fosse squalificato, ha poi assunto l’attuale formula a venti squadre, mentre<br />

22 compongono la Serie B. Nell’estate 2006 scoppiò il secondo scandalo legato al<br />

nostro <strong>calcio</strong>, denominato “Calciopoli” e che riguardava la manipolazione di<br />

designazioni arbitrali, risultati e rapporti tra calciatori e procuratori, da parte di<br />

Luciano Moggi, reo di aver creato una vera e propria cupola in grado di gestire<br />

l’intera classe arbitrale. In merito alle intercettazioni ricavate, la Juventus fu<br />

retrocessa d’ufficio in Serie B, Lazio, Fiorentina, Reggina e Milan rimasero in Serie<br />

A, ma con pesanti penalizzazioni, mentre Luciano Moggi e Antonio Giraudo furono<br />

radiati dalla Lega Calcio. Molti arbitri di prima fascia furono inoltre deferiti, tra cui<br />

gli Internazionali Matteo Trefoloni, Massimo De Santis, che dovette rinunciare ai<br />

11


Mondiali di Germania 2006 a favore di Roberto Rosetti, Gianluca Paparesta e<br />

Salvatore Racalbuto, che era però già divenuto un arbitro fuori quadro. La<br />

rivoluzione <strong>del</strong>la classifica portò l’Inter alla vittoria <strong>del</strong> primo di cinque titoli<br />

consecutivi, a distanza di diciotto anni dall’ultimo successo nazionale, ed alla storica<br />

disputa da parte <strong>del</strong> Chievo Verona dei preliminari di Champions League. Al 1<br />

giugno 2011 risale, invece, lo scandalo denominato Ultima scommessa, che ha visto<br />

coinvolti campioni come Giuseppe Signori e Cristiano Doni in nuovo scandalo con<br />

tanto di atleti narcotizzati per limitarne le prestazioni. Dal 1 luglio 2010 il massimo<br />

torneo nazionale, sponsorizzato dalla Tim, è organizzato dalla Lega Nazionale<br />

Professionisti Serie A, la cui fondazione è stata frutto <strong>del</strong>la scissione dai club di Serie<br />

B, legatisi a loro volta al marchio Bwin. Tra i record più significativi <strong>del</strong>la storia <strong>del</strong><br />

nostro <strong>calcio</strong> si possono ricordare le 58 gare di imbattibilità assoluta collezionate dal<br />

Milan tra il 1991 e il 1993, le 88 di invincibilità casalinga inanellate tra il 1943 e il<br />

1949 dal Torino, detentore tra l’altro <strong>del</strong> primato di prolificità con 125 reti realizzate<br />

nella stagione 1947/1948, e quello di miglior difesa, conquistato dal Cagliari nel<br />

1969/1970 con appena 11 gol al passivo. Tra i record individuali figurano invece<br />

calciatori quali Silvio Piola come bomber con 274 realizzazioni, Sebastiano Rossi<br />

con 929 minuti di imbattibilità conseguiti nella stagione 1993/1994, e Paolo Maldini,<br />

che è in cima alla classifica <strong>del</strong>le presenze in Serie A con 647 partite disputate.<br />

1.2 Le Associazioni sportive e l’istituzionalizzazione <strong>del</strong> 1966<br />

In origine le società calcistiche erano conosciute come club i cui membri erano<br />

vincolati alla squadra in quanto tesserati alla Federazione sportiva cui essa<br />

apparteneva. In quanto ente associativo con scopi ricreativi privi di finalità lucrative,<br />

tal forma di associazione non riconosciuta venne inizialmente preferita perché<br />

soggetta ad una regolamentazione legislativa essenziale che consentiva grande libertà<br />

contrattuale agli associati per quanto riguardava la definizione dei criteri e <strong>del</strong>le<br />

modalità <strong>del</strong>le attività. Con la nascita e lo sviluppo <strong>del</strong> professionismo sportivo, i<br />

club cominciarono a prendere in seria considerazione le proprie esigenze di bilancio<br />

formulando un rendiconto finanziario nel quale venivano riportate le entrate e le<br />

uscite monetarie <strong>del</strong>l’esercizio, ma non la capitalizzazione dei costi di acquisto <strong>del</strong><br />

patrimonio dei calciatori e gli ammortamenti degli oneri aventi natura pluriennale.<br />

12


Nel 1949, con il sopraggiungere <strong>del</strong> permesso da parte <strong>del</strong>le istituzioni di tesserare<br />

calciatori stranieri, le problematiche amministrative e la mancanza di adeguate forme<br />

di controllo cominciarono tuttavia a divenire palesi man mano che la disciplina<br />

raccoglieva sempre più consensi attirando a sé un sempre crescente movimento di<br />

capitali. Negli anni ’60 le associazioni sportive, impossibilitate a far fronte alle<br />

sempre maggiori spese con il semplice contributo volontario dei propri aderenti,<br />

cominciarono a rivolgersi al mercato assumendo sempre più i connotati di attività<br />

imprenditoriali: l’assocazione-impresa offriva al pubblico un servizio, le partite, in<br />

cambio <strong>del</strong> pagamento di un prezzo commisurato alla qualità <strong>del</strong>l’offerta e all’entità<br />

<strong>del</strong>la domanda. Questo cambiamento portò alla modifica <strong>del</strong>la struttura<br />

plurisoggettiva degli organigrammi societari e alla conseguente scomparsa <strong>del</strong>la<br />

figura <strong>del</strong> praticante-associato cui subentrò l’atleta professionista, non più membro<br />

<strong>del</strong>la compagine associativa, bensì un giocatore che prestava la propria opera in<br />

cambio <strong>del</strong> pagamento di un compenso. <strong>Una</strong> rivoluzione determinante che comportò<br />

l’esigenza di una radicale modificazione normativa che nel 1966 spinse il consiglio<br />

nazionale <strong>del</strong>la Federazione <strong><strong>It</strong>alia</strong>na Giuoco Calcio ad emanare due provvedimenti:<br />

1) il 16 settembre stabilì di sciogliere i consigli direttivi <strong>del</strong>le associazioni calcistiche<br />

professionistiche e di nominare un Commissario Straordinario per ciascuna di esse<br />

con pieni poteri gestionali, allo scopo di procedere alla liquidazione <strong>del</strong>le stesse ed<br />

alla loro costituzione in società per azioni;<br />

2) il 16 dicembre il consiglio federale emanò uno Statuto-tipo obbligatorio per tutte<br />

le società professionistiche dei campionati maggiori, il cui contenuto prevedeva:<br />

− l’impossibilità di ripartire gli utili fra i soci in caso di scioglimento;<br />

− l’obbligo di devolvere le somme residue ad un fondo di assistenza <strong>del</strong> Coni dopo la<br />

definizione dei rapporti con i terzi e la restituzione ai soci <strong>del</strong> capitale versato;<br />

− l’obbligo di restituzione al socio, in caso di scioglimento <strong>del</strong> singolo rapporto, <strong>del</strong><br />

solo valore nominale <strong>del</strong>le azioni possedute.<br />

Con l’imposizione di una forma societaria si rendevano applicabili ai club una serie<br />

di disposizioni legislative mirate ad assicurare una più cauta e trasparente<br />

amministrazione, nonché la possibilità di controllo da parte <strong>del</strong>le autorità sportive<br />

competenti. L’obiettivo era quello di risanare le posizioni debitorie <strong>del</strong>le formazioni,<br />

di far convivere le finalità sportive con l’esigenza di un’ordinata gestione economica<br />

13


e di far rispettare le disposizioni in materia dirigenziale e fiscale. Tal decisione destò<br />

non poche perplessità tra i giuristi, tant’è che in merito furono avanzati due interventi<br />

giurisprudenziali che dichiararono privo di legittimità imporre la costituzione di una<br />

Spa dopo lo scioglimento di un ente privato, in quanto ciò non rientrava nel potere<br />

<strong>del</strong>la FIGC, ma era di esclusiva pertinenza <strong>del</strong>la legge. Per assistere al passaggio da<br />

associazioni a società per azioni si dovette così percorrere la via <strong>del</strong>l’incentivo: il<br />

Ministero <strong>del</strong> Turismo e <strong>del</strong>lo spettacolo condizionò l’erogazione di un mutuo ad<br />

interesse agevolato diretto al risanamento <strong>del</strong>le società calcistiche, così da spingerle a<br />

divenire Spa. La situazione dei club però non migliorò. Nel 1972 il disavanzo<br />

complessivo ammontava a 18 miliardi. Nel luglio 1977 l’allora presidente di Lega<br />

Antonio Griffi si dimise dopo che 20 società su 36 avevano sottoscritto un<br />

documento in cui richiedevano l’intervento di un commissario in Lega in grado di far<br />

fronte ai gravissimi problemi <strong>del</strong> settore che presentava oltre 50 miliardi di deficit.<br />

Le passività correnti rappresentavano già nel 1972 il 56,4% dei finanziamenti<br />

ricevuti dai club. Dal 1975 al 1978, nonostante l’erogazione di un mutuo federale<br />

pari a 66 miliardi, il rapporto aumentò vertiginosamente fino a raggiungere un valore<br />

pari al 67,8%. I costi di gestione erano pari al 97% dei ricavi netti da gare, di questi<br />

oneri il 50% era destinato a coprire ingaggi, stipendi e premi a giocatori e tecnici.<br />

Occorreva, dunque, procedere ad una nuova riforma, questa volta con l’intervento<br />

diretto <strong>del</strong> Parlamento.<br />

Il 23 marzo <strong>del</strong> 1981 con l’emanazione <strong>del</strong>la Legge n. 91 il legislatore ordinario<br />

disciplinò in maniera organica per la prima volta la materia calcistica. La normativa<br />

stabiliva in maniera chiara i criteri in base ai quali distinguere l’attività sportiva<br />

dilettantistica da quella professionistica e regolamentava i rapporti tra atleti<br />

professionisti ed enti sportivi con una particolare attenzione all’aspetto tributario.<br />

Venivano stabiliti, inoltre, i requisiti essenziali per la costituzione, il controllo <strong>del</strong>la<br />

gestione e la liquidazione <strong>del</strong>le società, oltre a fissare le caratteristiche e le<br />

competenze <strong>del</strong>le federazioni. La legge, in particolare, fissava le modalità di<br />

applicazione <strong>del</strong>le imposte per l’operazione di trasformazione <strong>del</strong>le associazioni in<br />

società di capitali.<br />

Gli aspetti maggiormente significativi, che vale la pena di approfondire, sono però il<br />

fine non lucrativo <strong>del</strong>le società e l’abolizione <strong>del</strong> vincolo sportivo. La norma infatti<br />

14


permetteva ai club di svolgere un’attività diretta alla produzione di “guadagni”,<br />

impedendone tuttavia la successiva distribuzione tra gli stessi soci, la cui<br />

partecipazione al mondo <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> diveniva così finalizzata al puro contribuire alla<br />

promozione e al potenziamento <strong>del</strong>lo sport, ricavandone, in caso di successi sportivi,<br />

prestigio e notorietà nel panorama sociale.<br />

Per quanto concerne il secondo punto, la Legge 91/81 eliminò la posizione<br />

dominante assunta in precedenza dalle società nei confronti <strong>del</strong> calciatore;<br />

quest’ultimo, infatti, anche dopo la scadenza <strong>del</strong> contratto era costretto ad accettare<br />

la destinazione decisa dal club vedendo così limitata la propria libertà contrattuale. Il<br />

nuovo decreto pose di fatto rimedio all’istituto <strong>del</strong> vincolo stabilendo che qualsiasi<br />

sua tipologia sarebbe stata gradualmente eliminata entro cinque anni dalla data di<br />

entrata in vigore <strong>del</strong> provvedimento secondo modalità e parametri stabiliti dal Coni,<br />

in relazione all’età degli atleti, alla durata ed al contenuto patrimoniale <strong>del</strong> rapporto<br />

con le società.<br />

La nuova disciplina, oltre a riconoscere al giocatore una propria autonomia e una<br />

propria professionalità, introduceva anche un nuovo tipo di contratto di lavoro<br />

subordinato, quello <strong>del</strong> lavoratore sportivo, in base al quale il calciatore<br />

professionista veniva assimilato al lavoratore dipendente, sebbene con alcune<br />

eccezioni. In particolare le prestazioni <strong>del</strong>l’atleta diventavano di lavoro autonomo<br />

quando ricorreva almeno uno dei seguenti requisiti:<br />

a) l’attività fosse svolta nell’ambito di una singola manifestazione sportiva o di più<br />

manifestazioni tra loro collegate in un breve periodo di tempo;<br />

b) l’atleta non fosse contrattualmente vincolato per ciò che riguarda la frequenza a<br />

sedute di preparazione od allenamento;<br />

c) la prestazione oggetto <strong>del</strong> contratto, pur avendo carattere continuativo, non<br />

superasse otto ore settimanali, oppure cinque giorni ogni mese, ovvero trenta giorni<br />

ogni anno.<br />

Da allora il rapporto tra la società e il calciatore si costituisce con la stipulazione di<br />

un contratto in forma scritta, la cui durata non può essere superiore ai 5 anni. A tale<br />

rapporto di lavoro non sono applicabili alcune disposizioni di legge ritenute non<br />

compatibili con il tipo di attività svolta. In particolare si tratta <strong>del</strong>le disposizioni<br />

relative al licenziamento, alla risoluzione <strong>del</strong> contratto e al reintegro in caso di<br />

15


allontanamento ingiustificato. Le ipotesi nelle quali risulta possibile il licenziamento<br />

<strong>del</strong> calciatore sono esplicitamente previste dal contratto-tipo predisposto dalla<br />

Federazione e dall’Associazione <strong><strong>It</strong>alia</strong>na Calciatori (Aic). L’intervento normativo <strong>del</strong><br />

1981, con i suoi pregi e i suoi difetti, rappresenta ancora oggi la legge base per la<br />

regolamentazione <strong>del</strong> settore calcistico in <strong><strong>It</strong>alia</strong>.<br />

1.3 La fine <strong>del</strong> protezionismo e la libera circolazione <strong>del</strong>la forza-lavoro<br />

Nell’agosto <strong>del</strong> 1990, appena un mese dopo la fine <strong>del</strong> Mondiale italiano, il<br />

calciatore Jean Marc Bosman citò per danni al Tribunale di Liegi il suo club di<br />

appartenenza, l’FC Liegi, e la Feder<strong>calcio</strong> belga, colpevoli, secondo il giocatore, di<br />

aver impedito il suo trasferimento ai transalpini <strong>del</strong> Dunkerque. In scadenza di<br />

contratto, i fiamminghi avevano proposto a Bosman il rinnovo con una riduzione<br />

<strong>del</strong>lo stipendio che spinse l’atleta ad accordarsi con i francesi, ma le due squadre non<br />

riuscirono a trovare una convergenza economica sull’indennità da corrispondere per<br />

il passaggio <strong>del</strong>lo stesso, il quale si trovò così costretto all’inattività per un’intera<br />

stagione visto il mancato accordo tra le società.<br />

La Corte d’appello di Liegi, con ordinanza <strong>del</strong> 1° ottobre 1993, chiese alla Corte di<br />

Giustizia <strong>del</strong>l’Unione Europea di pronunciarsi in via pregiudiziale, ai sensi <strong>del</strong>l’art.<br />

234 <strong>del</strong> Trattato CEE, sulla compatibilità con il medesimo Trattato sia sotto il profilo<br />

<strong>del</strong>la normativa antitrust sia sotto quello relativo alla libera circolazione dei<br />

lavoratori, dei regolamenti calcistici nazionali ed internazionali in materia di<br />

indennità di trasferimento.<br />

La Corte di Giustizia, con la sentenza <strong>del</strong> 15 dicembre 1995, stabilì innanzitutto che<br />

un calciatore professionista, cittadino di uno Stato membro, alla scadenza <strong>del</strong><br />

contratto che lo vincola ad una società può essere ingaggiato da un’altra formazione<br />

di un altro Stato membro senza che quest’ultima debba versare alcuna cifra alla<br />

prima.<br />

Secondariamente la stessa sentenza sancì la contrarietà alla libera circolazione anche<br />

<strong>del</strong>le norme emanate dalle federazioni sportive che imponevano alle squadre di<br />

schierare un numero limitato di calciatori professionisti cittadini di altri Stati<br />

membri.<br />

16


Le conseguenze di questo provvedimento furono notevoli non solo dal punto di vista<br />

sportivo, ma anche per quel che concerne gli aspetti legislativi ed economici <strong>del</strong><br />

<strong>calcio</strong>.<br />

In <strong><strong>It</strong>alia</strong> la sentenza provocò la dichiarazione di illegittimità <strong>del</strong>l’indennità di<br />

preparazione e promozione per il trasferimento di un giocatore giunto a fine contratto<br />

e <strong>del</strong> limite riguardante il numero di stranieri comunitari da schierare in campo nelle<br />

competizioni europee.<br />

L’abolizione <strong>del</strong>l’indennità di preparazione creò non pochi problemi alle società che<br />

avevano iscritto in bilancio degli importi corrispondenti ai premi che pensavano di<br />

incassare, qualora il giocatore, giunto alla naturale conclusione <strong>del</strong> contratto, avesse<br />

concordato il trasferimento ad altra società. Venendo meno tale premio per effetto<br />

<strong>del</strong>la sentenza citata, i club videro appesantirsi notevolmente i propri bilanci.<br />

Per mitigare gli effetti negativi <strong>del</strong>la “Sentenza Bosman” si giunse così al decreto<br />

legge n. 485 <strong>del</strong> 20 settembre 1996. Quest’ultimo intervento normativo,<br />

soprannominato “Decreto Spalma-Perdite”, introdusse <strong>del</strong>le novità importanti<br />

rispetto ai precedenti e fu convertito, con alcune modifiche, nella legge n. 586 <strong>del</strong> 18<br />

novembre 1996, che permetteva alle società sportive di iscrivere nel proprio bilancio,<br />

tra le componenti attive, in apposito conto, un importo massimo pari al valore <strong>del</strong>le<br />

indennità di preparazione e promozione maturate alla data <strong>del</strong> 30 giugno 1996, in<br />

base ad una apposita certificazione rilasciata dalla Federazione sportiva competente;<br />

le stesse dirigenze potevano inoltre provvedere ad un ammortamento <strong>del</strong>le<br />

immobilizzazioni iscritte in sede di trasformazione o di prima applicazione <strong>del</strong><br />

vincolo entro un periodo non superiore a tre anni, a decorrere dalla data <strong>del</strong> 15<br />

maggio 1996, in maniera tale da poter diluire la svalutazione <strong>del</strong>la suddetta indennità<br />

in tre esercizi. Fu inoltre introdotta l’indennità di preparazione e promozione che<br />

garantiva il diritto a chi avesse provveduto all’addestramento e formazione tecnica di<br />

un atleta, di sottoporgli il primo contratto professionistico. L’atto costitutivo impose<br />

altresì che una quota parte degli utili, non inferiore al dieci per cento, fosse destinata<br />

a scuole giovanili di addestramento e formazione tecnico-sportiva.<br />

La legge 485 introdusse anche un’importantissima novità, permettendo alle società di<br />

capitali di perseguire finalità lucrative soggettive, al contrario di quanto recitato<br />

17


nell’articolo 10 <strong>del</strong>la legge 91/81, favorendo di fatto il passaggio <strong>del</strong> mondo <strong>del</strong><br />

<strong>calcio</strong> professionistico ad un sistema business oriented.<br />

Da quel momento le squadre sono state chiamate ad impegnarsi a riordinare i propri<br />

bilanci sotto la supervisione di un organo di controllo.<br />

Il secondo aspetto <strong>del</strong>la “Sentenza Bosman”, l’abolizione <strong>del</strong> limite riguardante il<br />

numero di stranieri comunitari da schierare in campo nelle competizioni europee,<br />

produsse invece l’incremento esponenziale <strong>del</strong> numero di calciatori non italiani<br />

tesserati dalle società di Serie A.<br />

Non solo per il caso relativo al calciatore belga il 1996 ha però rappresentato un anno<br />

di svolta nel panorama calcistico. A partire dalla stagione 1996/97 vi fu infatti la<br />

possibilità di vedere in diretta, per gli abbonati <strong>del</strong>la televisione a pagamento nella<br />

formula pay per view, tutti gli incontri di Serie A e B, mentre Juventus e Milan<br />

sottoscrissero un accordo commerciale finalizzato alla valorizzazione congiunta di<br />

alcuni prodotti legati al <strong>calcio</strong>, quali eventi, pubblicità e merchandising. Si assistette<br />

tra l’altro allo spostamento di alcune partite <strong>del</strong> massimo campionato al sabato per<br />

garantire maggiori introiti televisivi e, presumibilmente, più pubblico negli stadi.<br />

Tanti fattori che avviarono il <strong>calcio</strong> italiano verso l’industria mondiale<br />

<strong>del</strong>l’entertainment.<br />

1.4 La “Legge Anti-insolvenza” e il “Decreto Salva-Calcio”<br />

Nel 2002 in <strong><strong>It</strong>alia</strong> dal punto di vista economico le società attraversavano un periodo<br />

negativo, con la possibilità di fallimento che aleggiava su alcuni club. La crisi<br />

derivava in larga scala dagli altissimi compensi corrisposti per gli ingaggi degli atleti<br />

e dalle sovrastimate entrate che sarebbero dovute derivare dai contratti con le<br />

televisioni a pagamento. Per consentire alle società di superare le gravi difficoltà<br />

gestionali in cui si erano venute a trovare, il legislatore italiano emanò due<br />

provvedimenti, ribattezzati:<br />

a) la “Legge Anti-insolvenza”;<br />

b) il “Decreto Salva-Calcio”.<br />

Il primo intervento, adottato con il Decreto Legge n. 138 <strong>del</strong>l’8 luglio 2002, poi<br />

convertito dalla Legge n. 178 <strong>del</strong>l’8 agosto, prevedeva la possibilità per l’Agenzia<br />

<strong>del</strong>le Entrate di giungere ad una transazione anche attraverso la rateizzazione <strong>del</strong><br />

18


pagamento con il contribuente insolvente. Il dilazionamento <strong>del</strong> debito fiscale era<br />

consentito fino ad un massimo di cinque anni.<br />

Questo intervento permise il salvataggio <strong>del</strong>la Lazio, che al termine di una lunga<br />

istanza vide concedersi la possibilità di rateizzare in 23 anni il versamento all’Erario<br />

di debiti tributari pari a 107 milioni di euro, comprensivi di interessi e sanzioni.<br />

Nei primi anni <strong>del</strong> nuovo millennio si è altresì assistito a trasferimenti di calciatori a<br />

cifre folli, le quali, però, spesso non sono state pagate, in quanto in molte occasioni si<br />

è proceduto ad uno scambio di contropartite tecniche. Un’operazione apprezzata dai<br />

club per due motivi:<br />

a) la squadra cedente iscriveva nel conto economico l’ingente plusvalenza<br />

(differenza positiva tra il valore <strong>del</strong> corrispettivo incassato e il valore contabile netto<br />

<strong>del</strong> diritto pluriennale ceduto) realizzata nello scambio. Ciò consente alla società in<br />

questione di risanare il bilancio e di diminuire notevolmente il valore <strong>del</strong>la perdita<br />

d’esercizio;<br />

b) la squadra cessionaria, invece, iscriveva nello stato patrimoniale il diritto<br />

pluriennale alle prestazioni <strong>del</strong> calciatore per un importo ben superiore al suo valore<br />

d’uso (valore che si ritiene possa essere ragionevolmente recuperato in futuro per<br />

mezzo dei ricavi d’esercizio).<br />

Ciò fa si che i bilanci societari si siano ritrovati pieni di immobilizzazioni<br />

immateriali sopravvalutate.<br />

Stando alle regole contabili in vigore, quindi, l’intero patrimonio avrebbe dovuto<br />

essere svalutato nell’anno per allineare il proprio valore contabile all’effettivo valore<br />

di mercato. Tale operazione avrebbe portato conseguenze devastanti per i risultati<br />

economici, in quanto sui bilanci societari sarebbero gravati ingenti svalutazioni. Per<br />

evitare il disastro, il governo emanò il cosiddetto “Decreto Salva-Calcio”, cioè il<br />

Decreto Legge 24 dicembre 2002 n. 282, convertito dalla Legge n. 27 <strong>del</strong> 21 febbraio<br />

2003, il quale introdusse alcune previsioni di carattere eccezionale relativamente alla<br />

disciplina <strong>del</strong> bilancio <strong>del</strong>le società sportive.<br />

In particolare introdusse nella Legge 91/81 un nuovo articolo, il 18 bis, rubricato<br />

“disposizioni in materia di bilanci”, che permetteva alle società sportive previste<br />

dalla legge di iscrivere in apposito conto nel primo bilancio da approvare<br />

successivamente alla data di entrata in vigore <strong>del</strong>la disposizione tra le componenti<br />

19


attive quali oneri pluriennali da ammortizzare, con il consenso <strong>del</strong> collegio sindacale,<br />

l’ammontare <strong>del</strong>le svalutazioni dei diritti pluriennali <strong>del</strong>le prestazioni sportive degli<br />

atleti professionisti, determinato sulla base di un’apposita perizia giurata. Le società<br />

che si avvalevano di tale facoltà dovevano procedere, ai fini civilistici e fiscali,<br />

all’ammortamento <strong>del</strong>la svalutazione iscritta in dieci rate annuali di pari importo.<br />

Lo scopo di questo provvedimento era quello di consentire ai club sportivi, in deroga<br />

ai principi e alle regole ordinariamente applicabili in sede di formazione <strong>del</strong> bilancio,<br />

la ripartizione in più esercizi <strong>del</strong>le perdite permanenti di valore dei diritti pluriennali<br />

alle prestazioni degli sportivi professionisti sorte in conseguenza alla crisi che ha<br />

coinvolto il settore <strong>del</strong> <strong>calcio</strong>.<br />

In particolare, il legislatore, consentendo alle società interessate di contenere gli<br />

effetti <strong>del</strong>la crisi sul risultato economico <strong>del</strong>l’esercizio e sul patrimonio netto,<br />

perseguì il fine di consentire a tali club di rinegoziare con adeguato respiro di tempo<br />

gli assetti contrattuali complessivi e di assumere le decisioni più opportune per<br />

riequilibrare gli assetti patrimoniali, finanziari ed economici.<br />

Il presupposto per poter procedere alla svalutazione dei diritti pluriennali era<br />

l’esistenza, alla data di entrata in vigore <strong>del</strong>la norma, di una “perdita durevole” di<br />

valore dei diritti non recuperabile in futuro e determinata per mezzo di una perizia<br />

all’uopo realizzata.<br />

Dalla perizia giurata, redatta in forma analitica, dovevano risultare:<br />

a) il valore attribuibile a ciascun diritto pluriennale;<br />

b) i criteri di stima adottati;<br />

c) le ragioni che ne suggeriscono l’adozione e gli elementi che inducono a<br />

considerare che le svalutazioni siano di natura durevole.<br />

Nel maggio 2003 l’Organismo italiano di contabilità (Oic) redasse un documento<br />

contenente i criteri per la rilevazione in bilancio <strong>del</strong>la svalutazione in cui si<br />

comprendeva come l’ammontare di essa riferibile a ciascun diritto pluriennale<br />

dovesse essere calcolato confrontando il relativo valore di stima con il valore<br />

contabile al netto degli ammortamenti comprensivi <strong>del</strong>la quota di competenza<br />

<strong>del</strong>l’anno in cui si effettua la svalutazione stessa.<br />

La previsione dei diritti pluriennali in questione deve essere in pratica effettuata in<br />

base a ragionevoli ipotesi in funzione <strong>del</strong>la loro prevedibile destinazione: vendita<br />

20


oppure impiego nell’attività sportiva <strong>del</strong>la società. Il valore dei diritti pluriennali alle<br />

prestazioni dei calciatori destinati alla vendita è pari al valore stimato conseguibile<br />

sul mercato, al netto dei costi di transazione.<br />

Il valore effettivo d’uso è, invece, funzione dei complessivi flussi attesi conseguibili<br />

nel corso <strong>del</strong>la durata residua dei contratti. L’ammortamento <strong>del</strong>le svalutazioni potrà<br />

essere effettuato lungo un arco temporale pari a dieci anni. Il primo esercizio in cui si<br />

deve stanziare la quota di ammortamento iniziale è quello in cui la società si avvale<br />

<strong>del</strong>la facoltà concessa dalla legge; la svalutazione, quindi, influenzerà, a quote<br />

costanti, i bilanci nei dieci esercizi che vanno dal 2002/2003 al 2011/2012. Così<br />

facendo numerosi club hanno raggiunto il risultato di non appesantire i bilanci di<br />

risultati economici negativi, ma di spalmare queste perdite in più anni.<br />

1.5 Lo scandalo <strong>del</strong> doping amministrativo e il “Lodo Petrucci”<br />

Dalle accuse di doping amministrativo lanciate nel novembre 2003<br />

dall’amministratore <strong>del</strong>la Juventus Antonio Giraudo nacque un’inchiesta ad hoc che<br />

pose la propria attenzione sulle irregolarità <strong>del</strong>le iscrizioni ai campionati, su<br />

fideiussioni false, debiti erariali, liberatorie non ottenute dai calciatori e plusvalenze<br />

fittizie. La procura di Roma avviò le indagini nei confronti di tutte le società di <strong>calcio</strong><br />

di Serie A e B al fine di controllare le plusvalenze esercitate tra il 1999 e il 2002,<br />

ovvero su attivi di bilancio fasulli iscritti nei documenti contabili e giustificati dalla<br />

compravendita di calciatori, non solo campioni ma anche seconde linee fatte passare<br />

per pezzi da novanta. Un’autentica forma di white collar crime, la criminalità dei<br />

colletti bianchi che il sociologo americano Edwin H. Sutherland nel 1939 indicò<br />

consistere proprio in<br />

“falsità di rendiconti finanziari di società, aggiotaggio in borsa,<br />

corruzione diretta o indiretta di pubblici ufficiali al fine di assicurarsi<br />

contratti e decisioni vantaggiose, falsità in pubblicità, frode<br />

nell'esercizio <strong>del</strong> commercio, appropriazione indebita e distrazione di<br />

21


fondi, frode fiscale, scorrettezze nelle curatele fallimentari e nella<br />

bancarotta” 2 .<br />

Lo studioso, per spiegare tal fenomeno, si concentrò sul contesto imprenditoriale e<br />

professionale nel quale l’individuo commette i propri reati e giunse alla conclusione<br />

che gli uomini d’affari e la grande impresa sono molto simili ai ladri professionali.<br />

Le violazioni commesse nel mondo degli affari sono infatti veri e propri reati e gli<br />

autori <strong>del</strong>l’illecito, singoli o imprese che essi siano, <strong>del</strong>inquono non perché affetti da<br />

patologie o spinti da povertà, ma perché apprendono questo comportamento così<br />

come si apprende qualunque altra abitudine conforme. Infatti la definizione di<br />

Sutherland<br />

“Il <strong>del</strong>inquente dal colletto bianco è una persona rispettabile, o almeno<br />

rispettata, appartenente alla classe superiore, che commette un reato nel<br />

corso <strong>del</strong>l’attività professionale, violando la fiducia formalmente o<br />

implicitamente attribuitagli” 3<br />

si riferisce più agli autori <strong>del</strong> reato e al loro status sociale, che al tipo di reato<br />

commesso.<br />

Gli escamotages contabili attuati, però, non furono sufficienti a mantenere intatto il<br />

sistema di fronte ad una crisi che appariva irreversibile e che tra il 2002 e il 2005<br />

portò al fallimento di numerosi club. La prima società ad imboccare il tunnel senza<br />

fine fu la Fiorentina, che venne formalmente dichiarata fallita dal tribunale il 27<br />

settembre 2002, mentre il suo presidente Vittorio Cecchi Gori e l’amministratore<br />

Luciano Luna furono accusati di bancarotta fraudolenta. In quegli anni fallirono tra le<br />

altre il Napoli, l’Ancona, il Como, il Torino, il Perugia e la Salernitana.<br />

In seguito ai numerosi casi di bancarotta il Consiglio <strong>del</strong>la Figc varò il 14 maggio<br />

2004 il cosiddetto “Lodo Petrucci” (dal nome <strong>del</strong> Presidente <strong>del</strong> Coni Giovanni<br />

Petrucci, che propose la norma). Il lodo consisteva in una particolare procedura<br />

burocratico-amministrativa che, nel caso <strong>del</strong> fallimento di una società<br />

2 Sutherland, E. H., Principles of criminology, Chicago 1939 (tr. it.: La criminalità dei colletti<br />

bianchi e altri scritti, Milano 1986, pp. 62-63)<br />

3 Ivi, p. 65<br />

22


professionistica di <strong>calcio</strong>, consentiva di non perdere il patrimonio sportivo cittadino.<br />

La nuova società che sarebbe subentrata a quella fallita avrebbe di fatto ereditato il<br />

titolo sportivo, ripartendo tuttavia da una categoria al di sotto di quella conquistata<br />

sul campo e che gli sarebbe stata sportivamente dovuta se non fosse avvenuto il<br />

fallimento. Non si ereditano, invece, il marchio, acquistabile all’asta fallimentare, e i<br />

giocatori, che vengono tutti svincolati. I punti da rispettare per usufruire <strong>del</strong> “Lodo<br />

Petrucci” erano i seguenti:<br />

1. il titolo sportivo <strong>del</strong>le società non iscritte per motivi finanziari alla serie A, B o<br />

C1 potrà essere rilevato da una nuova società <strong>del</strong>la stessa città che si iscriverà al<br />

campionato inferiore. La vecchia società ripartirà dalla terza categoria;<br />

2. chi “chiuderà” in C2, invece, dovrà scendere di due categorie, ripartendo<br />

dall’Eccellenza anziché dalla serie D;<br />

3. la società morente dovrà almeno avere 10 anni consecutivi di partecipazione ai<br />

campionati professionistici, oppure 25 anni non consecutivi nella sua storia;<br />

4. sull’attribuzione <strong>del</strong> titolo deciderà la FIGC, sentito il sindaco <strong>del</strong>la città,<br />

verificando che la nuova società sia in grado di fornire garanzie di solidità<br />

finanziaria e continuità aziendale;<br />

5. al capitale <strong>del</strong>la nuova società non potranno partecipare i vecchi dirigenti o i soci<br />

che abbiano avuto quote superiori al 2%. Chi violerà questa regola rischia di non<br />

vedersi ammesso all’iscrizione oppure, se scoperto dopo, di subire almeno due<br />

punti di penalizzazione in classifica;<br />

6. le garanzie da presentare comprendono: una tassa straordinaria di iscrizione, la<br />

dichiarazione che la nuova società è disposta a coprire, con un versamento al<br />

fondo di garanzia, i debiti verso calciatori e allenatori lasciati dalla vecchia<br />

società;<br />

7. l’impegno a emettere una fideiussione bancaria a prima richiesta per coprire gli<br />

obblighi contrattuali verso tesserati.<br />

Tra le principali società che hanno usufruito <strong>del</strong> Lodo si ricordano il Napoli, il<br />

Torino e il Perugia.<br />

Il 2004 non fu un anno particolarmente sereno per la nostra penisola, tant’è che la<br />

Commissione Europea aprì una procedura di infrazione nei confronti <strong>del</strong>l’<strong><strong>It</strong>alia</strong><br />

perché la “Legge Salva-Calcio” contravveniva alle direttive CEE consentendo che i<br />

23


diritti alle prestazioni dei calciatori fossero ammortizzati su un periodo più lungo<br />

rispetto alla loro utilizzazione e violava altresì l’articolo 87 <strong>del</strong> Trattato UE in<br />

materia di aiuti di Stato, in quanto concedeva alle società calcistiche un indebito<br />

aiuto in termini di deducibilità fiscale <strong>del</strong>le perdite d’esercizio.<br />

La procedura di infrazione si chiuse soltanto in seguito all’emanazione <strong>del</strong> Decreto<br />

Legge n. 115 <strong>del</strong> 30 giugno 2005, convertito dalla Legge n. 168 <strong>del</strong> 17 agosto 2005,<br />

il cui fine era che le società sportive che si fossero avvalse <strong>del</strong>la facoltà di cui<br />

all’articolo 18-bis <strong>del</strong>la Legge 23 marzo 1981, n. 91, e successive modificazioni,<br />

avrebbero dovuto ridurre nell’esercizio chiuso o in corso al 31 dicembre 2006<br />

l’ammontare <strong>del</strong> patrimonio netto <strong>del</strong>l’importo <strong>del</strong> valore residuo <strong>del</strong>la voce di<br />

bilancio “oneri pluriennali da ammortizzare” iscritta tra le componenti attive per<br />

effetto <strong>del</strong>la svalutazione dei diritti pluriennali <strong>del</strong>le prestazioni sportive degli atleti<br />

professionisti. La disposizione prevedeva di fatto il dimezzamento da dieci a cinque<br />

anni <strong>del</strong> periodo di ammortamento <strong>del</strong>le svalutazioni.<br />

24


2 I club ed il business: la squadra come un’azienda<br />

2.1 L’azienda <strong>calcio</strong><br />

Il settore calcistico, come qualsiasi altro comparto economico, può essere analizzato<br />

nel profondo al fine di indagarne aspetti quali le trasformazioni fisicotecniche, la<br />

negoziazione di beni, di capitali di prestito e di rischi particolari, la gestione di<br />

lavoro, e l’organizzazione. Per poter studiare tali dimensioni bisogna però<br />

comprendere se, effettivamente, le società di <strong>calcio</strong> siano identificabili con l’istituto-<br />

impresa. Per <strong>del</strong>ineare il concetto di impresa si seguirà l’impostazione concettuale<br />

proposta da Carlo Masini 4 , il quale afferma che l’attività economica, ossia l’insieme<br />

di operazioni di produzione e di consumo di beni economici, è attuata<br />

prevalentemente all’interno di istituti che assumono caratteristiche di istituzioni con<br />

alcuni tratti peculiari come la durabilità nel tempo, la dinamicità, la presenza al<br />

proprio interno di regole e strutture di comportamento, l’autonomia, l’unitarietà, e il<br />

voler raggiungere un obiettivo di ordine generale.<br />

Il fine economico immediato di un’impresa è la produzione di remunerazioni<br />

monetarie e di altre connesse condizioni, per le persone componenti il soggetto<br />

economico. Sino al 1996, prima <strong>del</strong>l’emanazione <strong>del</strong> D.L. 485/96, poteva sussistere<br />

qualche dubbio circa il considerare le società calcistiche come imprese, dal momento<br />

che le stesse non potevano distribuire dividendi, la liquidazione <strong>del</strong> capitale non<br />

poteva avvenire in misura superiore al valore nominale <strong>del</strong>le azioni e, soprattutto,<br />

vedevano gli atti di straordinaria amministrazione soggetti alla preventiva<br />

approvazione di un ente esterno. In tal ottica i diversi tipi di azienda che erano<br />

associati alle differenti visioni <strong>del</strong>lo statuto dei club sono stati in passato identificati<br />

nella fattispecie in aziende di erogazione miste, aziende di produzione non a rischio<br />

di mercato ed imprese. Nello specifico essi potrebbero essere identificati come<br />

aziende miste erogative, cioè come associazioni private o pubbliche deputate alla<br />

gestione di patrimoni e alla elargizione di un consumo per l’utenza, quella <strong>del</strong>la<br />

diffusione <strong>del</strong>la pratica sportiva, poiché per sopravvivere devono ricorrere almeno in<br />

parte ad entrate di origine mecenatistica. Tuttavia questo tipo di servizio non può<br />

essere giudicato di interesse sociale e, perciò, il mecenatismo atto alla sopravvivenza<br />

4 Masini C., Lavoro e Risparmio, Utet, Torino 1979<br />

25


sarebbe stato esclusivamente di tipo privato e dunque difficilmente slegabile da<br />

considerazioni di vantaggio economico per l’offerente e da valutazioni di mercato.<br />

L’ipotesi di aziende di produzione non a rischio di mercato è invece subito da<br />

scartare, perché legata al concetto di un’unica azienda <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> che opera in<br />

condizioni di monopolio e che si articola in diverse squadre, in tante società<br />

relativamente autonome che producono un servizio in condizioni economiche pur<br />

senza misurarsi col mercato. L’identificazione <strong>del</strong>le società di <strong>calcio</strong><br />

professionistiche con le imprese sembra dunque la scelta più naturale, anche se<br />

l’incertezza derivava dai famigerati tre vincoli citati, nonostante questi non<br />

incidessero sulla specie <strong>del</strong>l’attività svolta, ovvero sul formarsi di costi e ricavi<br />

unitari di mercato, di entrate ed uscite di mezzi monetari, di variazioni di debiti e<br />

crediti di regolamento e di prestito, di redditi e di capitali. Dubbi crollati quando,<br />

dopo la riforma a seguito <strong>del</strong>la sentenza Bosman, questi sono stati aboliti e quindi i<br />

club calcistici sono stati considerati <strong>del</strong>le imprese in senso stretto. Le società<br />

calcistiche possono essere dunque inserite nell’ambito <strong>del</strong>la tipologia istituto-<br />

impresa, poiché l’attività economica assume rilevanza primigenia, anche se non<br />

mancano, come in qualsiasi istituto, fenomeni di ordine sociale o politico.<br />

Seguendo invece l’impostazione concettuale proposta da Pietro Onida 5 , le aziende<br />

possono essere invece classificate in due tipologie: quelle di erogazione e di<br />

produzione per il mercato. Nel primo caso la finalità perseguita è il soddisfacimento<br />

dei bisogni di un gruppo definito di soggetti attraverso l’utilizzo e la conservazione<br />

<strong>del</strong>la ricchezza disponibile. Tale obiettivo viene raggiunto attraverso il consumo di<br />

determinati beni o servizi erogati dalla società. A tali fini, può anche ricorrere ad<br />

un’attività di produzione, purché finalizzata all’appagamento dei consumi dei<br />

membri che vi appartengono. In buona sostanza, l’attività di produzione non è<br />

destinata allo scambio per il mercato. Questa caratteristica, invece, risulta<br />

fondamentale nella seconda tipologia di azienda, nella quale assume rilevanza lo<br />

scambio con il sorgere di tipiche quantità economiche quali costi e ricavi.<br />

Nell’ampia categoria <strong>del</strong>le aziende che producono per lo scambio nel mercato, se ne<br />

individua una specifica denominata impresa, nella quale appare evidente l’esistenza<br />

<strong>del</strong> rischio economico generale.<br />

5 Onida P., Economia d’azienda, Utet, Torino 1971<br />

26


Nella definizione di impresa si individuano quindi due caratteristiche fondamentali,<br />

la produzione per il mercato e l’esistenza di un rischio generale.<br />

Risulta evidente come la società di <strong>calcio</strong> professionistica presenti tutti i connotati<br />

individuati per l’impresa “pura”; infatti, l’attività di produzione economica è<br />

indirizzata al mercato ed esiste un rischio economico generale, in quanto la società<br />

può fallire o essere liquidata. Si può affermare, quindi, che a tutti gli effetti i club<br />

possono essere considerati <strong>del</strong>le imprese, dove oltre agli interessi economici<br />

convergono anche interessi di altra specie.<br />

L’azienda, al fine di assumere la veste di ordine economico <strong>del</strong>l’istituto, deve essere<br />

duratura, deve cioè svolgersi secondo condizioni di vita e di funzionamento tali da<br />

consentire di durare nel tempo in un ambiente mutevole. Essendo, infatti, rivolta a<br />

soddisfare finalità economiche che sono a loro volta strumentali per il perseguimento<br />

dei fini generali di istituto, non può considerare queste finalità economiche che in<br />

un’ottica di lungo periodo.<br />

Connesso al carattere <strong>del</strong>la durabilità, vi è anche quello <strong>del</strong>l’autonomia. Non è<br />

sufficiente che l’azienda duri nel tempo, occorre anche accertarsi che non si<br />

manifesti un sistematico ricorso a interventi di sostegno o di copertura <strong>del</strong>le perdite<br />

da parte di altre economie. L’autonomia, quindi, è carattere che si accompagna<br />

necessariamente alla durabilità e che serve a meglio qualificarla.<br />

Al fine di operare in condizioni di durabilità e autonomia, ogni istituto deve<br />

rispettare il principio di economicità, inteso come modalità da osservare nell’attività<br />

aziendale per perseguire le finalità generali di istituto. Il principio di economicità,<br />

come regola di condotta o di funzionamento <strong>del</strong>l’azienda, si traduce concretamente<br />

nel perseguimento contemporaneo di più fini economici. In particolare, le condizioni<br />

da rispettare simultaneamente nel funzionamento <strong>del</strong>le aziende appartengono a due<br />

gruppi di ordini: un primo attinente alla dimensione più propriamente reddituale,<br />

comprende quelle condizioni che hanno impatto sull’equilibrio tra componenti<br />

positivi e negativi di reddito; il secondo riguarda, invece, la dimensione monetaria,<br />

cioè accoglie quelle condizioni che assicurano la continuità soddisfacendo, momento<br />

per momento, l’equilibrio tra entrate e uscite di mezzi monetari.<br />

Il principio di economicità non può essere confinato soltanto nel campo <strong>del</strong>le regole<br />

di comportamento per la conduzione di un’azienda; per essere concretamente seguito<br />

27


ha bisogno di avvalersi di determinazioni quantitative, sia prima che l’attività si<br />

svolga, sia successivamente, per accertare se la prestazione aziendale si sia realizzata<br />

secondo economicità.<br />

Soltanto attraverso l’analisi quantitativa è, quindi, possibile verificare se le società di<br />

<strong>calcio</strong>, nel proprio operare rispettino i canoni di economicità e siano in grado di<br />

durare nel tempo in condizioni di autonomia. Le imprese calcistiche, pur nella<br />

sostanziale uniformità <strong>del</strong>la gestione, presentano alcuni caratteri peculiari a seconda,<br />

tra l’altro, che siano o meno appartenenti ad un gruppo; profondamente diverse,<br />

infatti, sono le decisioni che presiedono al comportamento <strong>del</strong>le società sportive<br />

indipendenti da quelle facenti parte di un gruppo.<br />

La distinzione di cui sopra risulta utile riferendosi alla diversità di significato che può<br />

assumere il concetto di reddito al fine di poter esprimere giudizi sulla solvibilità <strong>del</strong>le<br />

imprese medesime. Per le singole aziende appartenenti ad un gruppo il reddito di<br />

ciascuna di esse è grandezza poco significativa; l’economicità aziendale non è una<br />

condizione indispensabile per la loro esistenza, le imprese controllate devono<br />

soddisfare in modo efficiente soprattutto le attese formulate dal soggetto economico<br />

<strong>del</strong> gruppo.<br />

L’appartenenza di una impresa calcistica ad un gruppo o ad una aggregazione di<br />

aziende comporta, dunque, la necessità di interpretare fenomeni che la caratterizzano<br />

alla luce <strong>del</strong>le influenze emergenti. Il soggetto economico giudica sulla convenienza<br />

a mantenere in vita l’impresa calcistica secondo schemi di valutazione che si<br />

discostano dai comuni requisiti <strong>del</strong>l’economicità aziendale; ciò che vengono valutati<br />

sono i benefici che l’impresa calcistica, in vario modo, è in grado di apportare al<br />

gruppo. Pertanto, è questo il motivo che giustifica, spesso, la partecipazione di<br />

società calcistiche, perennemente in perdita, ai rispettivi campionati.<br />

Per contro, le imprese calcistiche che vivono di forza propria e che non sono inserite<br />

in un gruppo devono soddisfare le tipiche condizioni <strong>del</strong>l’economicità aziendale,<br />

possibili solo in presenza di una gestione particolarmente attenta.<br />

Nell’attuale contesto italiano, le imprese calcistiche per continuare ad esistere<br />

necessitano di continue ricapitalizzazioni volte ad annullare i negativi effetti prodotti<br />

dalla gestione. La mancata disponibilità degli azionisti a ripianare le perdite conduce<br />

28


o alla scomparsa <strong>del</strong>l’impresa dal mercato o alla sua continuazione in capo ad una<br />

nuova compagine proprietaria.<br />

Dal momento in cui passa dal dilettantismo al professionismo, dalla fase i club si<br />

sono dunque trasformati in “imprese”, i giocatori in “fattori di produzione”, le<br />

società di appartenenza in “datori di lavoro”, le partite in “beni offerti sul mercato”,<br />

gli spettatori in “consumatori”. L’impresa calcistica può essere funzionalmente<br />

definita come un sistema destinato alla produzione di beni e servizi per la collettività,<br />

in cui le risorse disponibili devono essere combinate in modo efficiente per il<br />

raggiungimento degli obiettivi prefissati.<br />

Le caratteristiche tipiche <strong>del</strong> “prodotto <strong>calcio</strong>” possono essere individuate nella<br />

passione e nel senso di appartenenza; si tratta di un patrimonio unico e di<br />

inestimabile valore sul quale il settore ha storicamente costruito gran parte <strong>del</strong>le sue<br />

fortune (ecco perché un’industria che è stata caratterizzata da performance<br />

economico-finanziarie non ottimali è sopravvissuta senza essere dilaniata da lotte tra<br />

i suoi numerosi stakeholder, intesi come giocatori, spettatori, azionisti,<br />

amministratori locali, Stato, tutti disposti a garantirne la sopravvivenza, anche contro<br />

le più elementari leggi <strong>del</strong>l’economia); nella connotazione sociale che può assumere<br />

il suo consumo; nel caso <strong>del</strong>le politiche di prezzo negli stadi o <strong>del</strong>la trasmissione<br />

televisiva di particolari incontri, tale caratteristica è stata anche riconosciuta in atti<br />

ufficiali; nella peculiarità di produzione congiunta che assume la sua fornitura; una<br />

società di <strong>calcio</strong>, a differenza di una normale impresa, non può svilupparsi e<br />

prosperare da sola; tra le diverse società, dunque, non c’è possibilità né di<br />

sostituzione né di concorrenza ma c’è complementarietà di prodotti; nell’atipicità dei<br />

meccanismi concorrenziali evidenziata dalla particolarità che le società di <strong>calcio</strong><br />

competono tra loro per vincere le partite, ma sono, al tempo stesso, parte integrante<br />

<strong>del</strong>la medesima industria, che si sta sviluppando in contrapposizione ad altre forme<br />

di intrattenimento, non solo sportivo; nell’incertezza e nell’indeterminazione <strong>del</strong><br />

risultato sportivo, che condiziona pesantemente il risultato economico di fine anno e<br />

rende un’esigenza primaria di tutti i club calcistici professionistici quella di<br />

programmare la propria attività in modo da dipendere sempre meno da risultati<br />

conseguiti sul campo.<br />

29


L’allestimento <strong>del</strong>lo spettacolo sportivo costituisce, nell’aspetto imprenditoriale,<br />

l’oggetto a cui è rivolta l’attività economica <strong>del</strong>l’impresa calcistica e di conseguenza<br />

la componente tradizionale, ma non esclusiva, <strong>del</strong> valore <strong>del</strong>la produzione.<br />

Le utilità incorporate nello spettacolo calcistico consentono vantaggi economici<br />

direttamente riconducibili all’allestimento <strong>del</strong>lo spettacolo stesso o indiretti avendo<br />

riguardo allo sfruttamento economico che esso in altro modo consente. I valori<br />

direttamente connessi allo spettacolo calcistico, storicamente considerati i tipici<br />

ricavi, originano dagli incassi relativi alle gare disputate nei campionati di<br />

appartenenza e dalla partecipazione a competizioni sportive di altro tipo. La<br />

diffusione televisiva <strong>del</strong>lo spettacolo calcistico prima e, successivamente,<br />

l’adattamento <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> a logiche imprenditoriali hanno originato una serie di ricavi<br />

complementari che nel tempo hanno assunto valori assai rilevanti, fino a diventare<br />

oggi largamente preponderanti rispetto agli incassi <strong>del</strong>le partite. I diritti televisivi, lo<br />

sfruttamento <strong>del</strong>l’immagine e le sponsorizzazioni sono l’espressione di sistemi<br />

economici modernamente organizzati.<br />

Un secondo gruppo di ricavi origina dall’attività di commercializzazione dei diritti<br />

alle prestazioni degli atleti. In questo caso il prezzo di cessione <strong>del</strong> calciatore deve<br />

essere confrontato col valore contabile <strong>del</strong> diritto alla prestazione sportiva. Se il<br />

prezzo di cessione è maggiore <strong>del</strong> valore contabile la differenza esprimerà un<br />

componente positivo di reddito imputabile all’esercizio che va sotto il nome di<br />

plusvalenza patrimoniale.<br />

Un’ultima classe di ricavi è rappresentata dai contributi erogati annualmente dalla<br />

Federazione alle società.<br />

L’impresa calcistica, al fine di attuare la combinazione che le è propria, impiega, alla<br />

stregua di tutte le altre imprese, capitali e risorse, sia umane che materiali, e nello<br />

svolgere le proprie funzioni sostiene dei costi.<br />

Nelle società di <strong>calcio</strong> la produzione <strong>del</strong> servizio sportivo e la sua<br />

commercializzazione coincidono spesso temporalmente, essendo la gara sportiva la<br />

fase terminale di un processo tecnico che può essere pensato per periodi annuali,<br />

come nel caso <strong>del</strong> campionato, o per periodi più brevi nel caso <strong>del</strong>le competizioni di<br />

coppa; un rapporto che diviene asincrono quando vengono immessi sul mercato nei<br />

periodi di sosta <strong>del</strong>le competizioni agonistiche prodotti video o gadget che<br />

30


ipercorrono i grandi successi o i gol <strong>del</strong>la stagione appena conclusa.<br />

All’acquisizione dei fattori di produzione sono legati i costi relativi ai compensi agli<br />

atleti e le somme spettanti alle società da cui provengono i nuovi calciatori.<br />

Altri componenti negativi possono originare dalle minusvalenze che seguono la<br />

cessione dei calciatori e dalle quote di ammortamento <strong>del</strong> “diritto alle prestazioni<br />

sportive”. Di minore entità sono i costi <strong>del</strong> personale non legato alla struttura tecnica.<br />

Non è solo la possibilità di conseguire un utile e di distribuirlo ai soci a favorire gli<br />

investimenti nel <strong>calcio</strong>; il tornaconto psicologico, in immagine e popolarità può<br />

talvolta essere di gran lunga più importante <strong>del</strong>la realizzazione di un risultato<br />

economico immediato, in quanto il vantaggio indiretto è comunque notevole.<br />

Tale situazione contraddittoria trova riscontro nella circostanza che il <strong>calcio</strong><br />

professionistico è un’industria dal bilancio (sul quale spesso incidono manovre per<br />

l’acquisizione dei club che tramutano i debiti <strong>del</strong> nuovo acquirente in deficit <strong>del</strong>la<br />

società calcistica, come nel caso <strong>del</strong> leveraged buy-out con cui Malcolm Glazer<br />

acquisì il Manchester United nel 2005 per 790 milioni di sterline che i “Red Devils”<br />

devono ancor oggi ammortizzare) il più <strong>del</strong>le volte in crisi a causa <strong>del</strong>la cronica<br />

eccedenza <strong>del</strong>le uscite sulle entrate, ma pur sempre viva e vitale in tutte le sue<br />

componenti istituzionali. La comprensione <strong>del</strong>la formula imprenditoriale <strong>del</strong> <strong>calcio</strong><br />

professionistico diviene quindi fondamentale al fine di comprendere il governo<br />

strategico <strong>del</strong>le aziende calcistiche.<br />

Ogni impresa ha una sua impostazione imprenditoriale che dipende dalla sua storia e<br />

dalle scelte effettuate nel corso <strong>del</strong>l’esistenza.<br />

La formula imprenditoriale è il risultato <strong>del</strong>le scelte di fondo riguardanti le seguenti<br />

variabili:<br />

1) il sistema competitivo;<br />

2) il sistema di prodotto;<br />

3) la struttura;<br />

4) il sistema degli attori sociali;<br />

5) le prospettive offerte e/o i contributi richiesti.<br />

Il sistema competitivo, secondo il mo<strong>del</strong>lo proposto da Porter 6 , comprende, oltre alle<br />

aziende rivali, le aziende clienti, le aziende fornitrici, i potenziali nuovi entranti e le<br />

6 Porter M.E., La strategia competitiva. Analisi per le decisioni, Tipografia compositori, Bologna<br />

1982<br />

31


aziende offerenti prodotti sostitutivi Per quanto riguarda i concorrenti diretti, nel<br />

settore calcistico, essi sono riconducibili alle altre squadre che competono per il<br />

raggiungimento di un determinato obiettivo più o meno prestigioso. La concorrenza<br />

nel settore calcistico avviene tra le squadre di club sia in ambito nazionale che<br />

europeo e la competizione è molto forte. Non tutte le squadre sono, però, in diretta<br />

concorrenza; occorre, infatti, suddividere l’arena competitiva in base agli obiettivi<br />

<strong>del</strong>le diverse formazioni: non è possibile ritenere fortemente concorrenziali club con<br />

obiettivi, e probabilmente capitali, diversi.<br />

Sul punto occorre sottolineare una peculiarità specifica <strong>del</strong>le settore calcistico.<br />

Infatti, mentre nella maggior parte <strong>del</strong>le industrie i concorrenti sono di norma<br />

beneficiati dalla scomparsa di un competitore, nelle competizioni calcistiche<br />

l’esistenza di un numero minimo di concorrenti è addirittura condizione necessaria<br />

per l’esistenza <strong>del</strong>l’industria stessa. In questo contesto il potere dei fornitori dei vari<br />

servizi, dal materiale tecnico ai mezzi di trasporto, dagli alberghi per le trasferte alla<br />

gestione <strong>del</strong>lo stadio, è influenzato dal numero di imprese fornitrici e dal prestigio;<br />

più in generale, però, essendo le squadre di <strong>calcio</strong> un eccellente mezzo pubblicitario,<br />

essi fanno a gara tra di loro per divenirne fornitori ufficiali con l’esclusiva per un<br />

dato servizio o area geografica.<br />

Il potere contrattuale degli acquirenti, intesi come fruitori <strong>del</strong>lo spettacolo calcistico,<br />

è, invece, legato alla loro sensibilità al prezzo su cui incide in maniera determinante<br />

la “fede calcistica”. Si può infatti osservare come lo spettatore tifoso medio presenta<br />

una domanda di spettacolo calcistico poco elastica al prezzo, derivante dal fatto che<br />

il sostenere un team calcistico implica una certa “fede <strong>del</strong> tifoso-spettatore” che può<br />

crescere o decrescere negli anni in base ai risultati, ma che è difficilmente crollabile.<br />

I potenziali nuovi entranti sono rappresentati da quelle squadre che attuano<br />

spostamenti di obiettivi da più prestigiosi a meno prestigiosi e viceversa.<br />

Infine, i prodotti sostitutivi sono rappresentati sia dagli sport alternativi che possono<br />

spostare a loro favore l’attenzione degli sportivi, sia dalle altre attività ricreative<br />

quali il cinema o il teatro.<br />

Il secondo elemento <strong>del</strong>la strategia competitiva è costituito dal sistema di prodotto,<br />

che nelle società di <strong>calcio</strong> è rappresentato dall’organizzazione di spettacoli calcistici.<br />

Il tratto peculiare <strong>del</strong> prodotto di una società di <strong>calcio</strong> è l’instabilità, a causa<br />

32


<strong>del</strong>l’elevata incertezza che caratterizza l’attività sportiva e <strong>del</strong>le ingenti difficoltà nel<br />

far conciliare ottime stagioni in campo con altrettanti virtuosi risultati nell’ambito<br />

imprenditoriale. Nel <strong>calcio</strong>, infatti, viene offerto un bene che solo potenzialmente è<br />

competitivo, in quanto soltanto tramite una testimonianza di ripetitività <strong>del</strong> successo<br />

si può asserire con certezza che il prodotto offerto sia valido, tant’è che proprio per<br />

ridurre questa incertezza legata ai cicli di vittorie, Luciano Moggi, storico dirigente<br />

<strong>del</strong>la Juventus, fu nel 2006 accusato, nell’ambito <strong>del</strong>l’inchiesta Calciopoli, al pari di<br />

dirigenti di altre squadre coinvolte, di intrattenere rapporti con i designatori arbitrali<br />

Bergamo e Pairetto atti ad influenzare le designazioni per le partite <strong>del</strong>la propria<br />

squadra in modo da ottenere arbitri considerati favorevoli. In questo era spesso<br />

appoggiato dagli esponenti <strong>del</strong>la federazione coinvolti nell’indagine. Secondo<br />

l’accusa, nello specifico, era pratica comune inoltrare attraverso i designatori arbitrali<br />

o la FIGC recriminazioni e velate minacce nei confronti degli arbitri considerati non<br />

favorevoli.<br />

Inoltre, il <strong>calcio</strong> può essere considerato un’industria sui generis, per la particolarità<br />

<strong>del</strong> prodotto che questa offre sul mercato: un prodotto unico, soggettivo, intangibile.<br />

Il <strong>calcio</strong> ha dei caratteri distintivi rispetto a tutte le altre industrie, come la passione e<br />

l’attaccamento alla squadra di tifosi, dirigenti e proprietari che hanno permesso alle<br />

società, nonostante performance economiche negative, di sopravvivere trovando<br />

sempre qualcuno pronto a garantirne la continuazione, contro le più elementari leggi<br />

<strong>del</strong>l’economia.<br />

Altro elemento da considerare è la struttura <strong>del</strong>l’impresa la quale rappresenta il punto<br />

di collegamento tra strategia competitiva e, per così dire, strategia sociale,<br />

consentendo di presentarsi sul mercato con quella offerta e agli attori sociali con<br />

quella certa proposta progettuale. Il termine struttura è inteso in senso lato, così da<br />

ricomprendervi non solo la struttura organizzativa ed i meccanismi operativi ma<br />

anche tutte le risorse costituenti il patrimonio tecnologico, commerciale, direzionale<br />

ed economico-finanziario <strong>del</strong>la società. Nella realtà dei club calcistici prevalgono<br />

indiscutibilmente le risorse umane, intese non solo come fattori produttivi, ma anche<br />

come know-how posseduto dai dirigenti che effettuano le scelte e prendono le<br />

decisioni, che hanno un’importanza cruciale per il raggiungimento <strong>del</strong>la finalità<br />

aziendale.<br />

33


La strategia competitiva cerca di spiegare il rapporto tra le risorse disponibili per la<br />

società, i suoi obiettivi e la sua performance. La formulazione <strong>del</strong>la strategia implica<br />

tre componenti fondamentali: l’identificazione degli obiettivi, l’identificazione <strong>del</strong>le<br />

risorse a disposizione e l’identificazione <strong>del</strong>le limitazioni imposte dall’ambiente<br />

economico. <strong>Una</strong> strategia ben formulata è, quindi, una strategia che permette<br />

all’impresa di realizzare i propri obiettivi date le risorse a disposizione, per mezzo di<br />

un adattamento ottimale all’ambiente.<br />

La quarta variabile <strong>del</strong>la formula imprenditoriale è il sistema degli attori sociali. Con<br />

tale espressione ci si riferisce ai detentori di interessi coinvolti nell’esercizio<br />

<strong>del</strong>l’impresa estranei al sistema competitivo che saranno analizzati successivamente 7 .<br />

Essi ripongono <strong>del</strong>le aspettative sull’impresa ed hanno il potere di influire sulla vita<br />

stessa <strong>del</strong> club.<br />

Infine, l’ultimo aspetto da indagare è costituito dalla proposta progettuale che<br />

l’impresa calcistica rivolge alle forze sociali coinvolte nella realizzazione <strong>del</strong>la<br />

proposta stessa, offrendo determinate prospettive e richiedendo determinati contributi<br />

o consensi. In sintesi, si può asserire che la struttura determina il sistema di prodotto<br />

(il patrimonio umano e le conoscenze possedute determinano l’offerta di spettacolo<br />

calcistico), il quale, a sua volta, mentre concorre a plasmare il sistema competitivo,<br />

consente all’impresa di ritagliarvi il suo spazio operativo. Dal sistema competitivo,<br />

poi, la struttura riceve continui flussi informativi che ne stimolano gli adattamenti di<br />

breve e di lungo periodo, nonché i flussi di risorse rappresentanti i corrispettivi degli<br />

scambi che intrattiene con il sistema stesso, ovvero incassi da gare, abbonamenti,<br />

diritti televisivi, sponsorizzazioni, merchandising e così via. Analogamente,<br />

considerando il secondo sottosistema, la struttura esprime la proposta progettuale<br />

attorno a cui si aggregano determinate forze sociali che le assicurano le<br />

collaborazioni vitali di cui necessita.<br />

Come già osservato, l’oggetto <strong>del</strong>l’attività <strong>del</strong>le società di <strong>calcio</strong> consiste<br />

nell’organizzazione di spettacoli sportivi; nello stesso tempo, però, i club perseguono<br />

anche altri obiettivi, quali: la vittoria <strong>del</strong> campionato, la conquista di una coppa<br />

nazionale o internazionale, il raggiungimento di una certa posizione in classifica tale<br />

7 I destinatari <strong>del</strong> bilancio saranno esaminati nel paragrafo 2.8.<br />

34


da garantire l’accesso alle competizioni internazionali, la permanenza nella massima<br />

serie, la promozione nella serie maggiore.<br />

Per realizzare i propri obiettivi una società intenderà proseguire nell’attenta gestione<br />

<strong>del</strong> proprio parco giocatori e rivolgere la massima attenzione al settore giovanile per<br />

garantire il costante reinserimento di giovani calciatori; valorizzare i giocatori <strong>del</strong>la<br />

società per incrementarne il valore di mercato ed ottenerne plusvalenze; mantenere e<br />

incrementare le quote di mercato nei segmenti di riferimento in cui opera (quindi nel<br />

numero di tifosi, abbonamenti e biglietti venduti, nel merchandising, nei proventi<br />

pubblicitari, nel numero di abbonati ai canali tematici e così via); intervenire sui costi<br />

operativi, con particolare riferimento al costo dei giocatori, mediante una riduzione<br />

concordata e consensuale degli ingaggi e la valorizzazione dei giocatori <strong>del</strong> vivaio;<br />

ricercare la redditività nella gestione dinamica <strong>del</strong> parco calciatori con operazioni di<br />

trading in grado di generare flussi di cassa positivi per fronteggiare i fabbisogni<br />

finanziari; continuare a promuovere il brand nel mondo attraverso la partecipazione a<br />

tornei prestigiosi (Champions League e Coppa UEFA) e manifestazioni sportive<br />

nelle aree geografiche che hanno dimostrato o dimostreranno interesse per il mondo<br />

<strong>del</strong> <strong>calcio</strong> (Nord America, Nord Africa, Estremo Oriente) valorizzando così il<br />

marchio in ambito europeo e internazionale anche attraverso il coordinamento <strong>del</strong>la<br />

gestione <strong>del</strong>lo stesso con l’immagine <strong>del</strong>la squadra e dei giocatori; stipulare contratti<br />

di sponsorizzazione con società titolari di marchi rinomati a livello internazionale,<br />

nella <strong>prospettiva</strong> di una reciproca valorizzazione dei rispettivi segni distintivi;<br />

realizzare i progetti di diversificazione dei ricavi investendo in altre attività connesse<br />

al core business e valorizzare l’attività svolta dalla prima squadra.<br />

L’elemento cruciale al fine <strong>del</strong> raggiungimento dei suddetti traguardi è costituito da<br />

una efficace ed accorta programmazione <strong>del</strong>la gestione, che rappresenta uno dei<br />

principali fattori critici di successo nelle società di <strong>calcio</strong> come peraltro nelle imprese<br />

in generale. I settori aziendali che maggiormente influenzano le condizioni di<br />

equilibrio <strong>del</strong>le società di <strong>calcio</strong> sono rappresentati dall’allestimento <strong>del</strong>lo spettacolo<br />

e dall’offerta al pubblico. Il primo richiede la predisposizione di risorse umane i cui<br />

rendimenti tecnici sono incerti ed influenzati da una serie di elementi fisici e<br />

psicologici difficilmente ponderabili. Un gruppo di calciatori, anche di ottimo livello,<br />

non costituisce una buona squadra, ma questa, per essere tale, necessita di una guida<br />

35


che sappia armonizzare le scelte tecniche con le caratteristiche degli atleti e<br />

abbisogna di manager che sappiano individuare atleti con le qualità desiderate ad un<br />

costo economicamente conveniente.<br />

La bontà dei risultati di un club calcistico dipende, quindi, da una miscela di varie<br />

componenti quali la qualità <strong>del</strong>le prestazioni e professionalità degli atleti; la<br />

sapienza, abilità e competenza dei dirigenti, sia nell’effettuare le scelte di mercato<br />

dei calciatori (a cui partecipa di solito anche l’allenatore) sia nella programmazione e<br />

nella gestione <strong>del</strong>la società calcistica (rapporti con calciatori e allenatori, strategie<br />

commerciali, organizzazione dei vivai, rapporti con la tifoseria, diffusione,<br />

valorizzazione e tutela <strong>del</strong> marchio e <strong>del</strong>l’immagine); abilità <strong>del</strong>l’allenatore, non solo<br />

di armonizzare gli schemi tattici con le caratteristiche dei giocatori, ma anche di<br />

affinare e completare le qualità tecniche degli atleti (fondamentale, al proposito,<br />

risulta essere la capacità di contribuire alla creazione di una “mentalità vincente” nel<br />

gruppo attraverso un intenso lavoro anche psicologico); qualità <strong>del</strong>lo staff medico,<br />

che deve dare, in collaborazione con il tecnico, la corretta preparazione fisica ed<br />

atletica ai calciatori, in relazione agli impegni da affrontare.<br />

2.2 Le professioni chiave<br />

L’organigramma <strong>del</strong>l’azienda <strong>calcio</strong>, al pari <strong>del</strong>le altre realtà imprenditoriali, si<br />

sviluppa intorno a determinate figure professionali selezionate con cura dai<br />

presidenti e dagli amministratori <strong>del</strong>egati al fine di perseguire successi sia sotto il<br />

profilo gestionale agonistico che economico.<br />

Il calciatore. Attualmente la voce principale di costo di una società calcistica è<br />

rappresentata dalle retribuzioni corrisposte ai calciatori e ai tecnici per un’incidenza<br />

che si aggira mediamente intorno al 60% <strong>del</strong> valore <strong>del</strong>la produzione. Un dato<br />

eclatante se si considera che in origine la maggior parte dei calciatori aveva un<br />

lavoro che doveva talvolta trascurare per poter giocare con conseguenti danni<br />

economici di varia entità. In Inghilterra gli stipendi presero la forma di un rimborso<br />

<strong>del</strong>le spese di trasferta, poi si passò ad una sorta di risarcimento per il mancato<br />

guadagno fino a che il Preston North End dichiarò pubblicamente di remunerare i<br />

propri giocatori. Nel 1891 i responsabili <strong>del</strong>la federazione stabilirono che l’ingaggio<br />

<strong>del</strong> calciatore in occasione <strong>del</strong> passaggio da una società all’altra non poteva superare<br />

36


le dieci sterline. In <strong><strong>It</strong>alia</strong>, nel 1913, il mondo <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> rimase sconvolto dal<br />

passaggio di Renzo De Vecchi, soprannominato “il figlio di Dio” dal Milan al Genoa<br />

per 30.000 lire. Un elemento significativo per analizzare il cambiamento dei tempi è<br />

rappresentato dall’ammontare dei premi corrisposti agli azzurri campioni <strong>del</strong> mondo<br />

nelle quattro diverse edizioni <strong>del</strong> Mondiale (1934, 1938, 1982 e 2006). La vittoria in<br />

<strong><strong>It</strong>alia</strong> nel 1934 significò per ciascuno dei calciatori <strong>del</strong>la spedizione guidata da Pozzo<br />

una medaglia d’oro e 2.000 lire a testa (3 milioni e mezzo <strong>del</strong> 2001). Quattro anni più<br />

tardi per la vittoria in Francia la federazione stanziò un compenso extra di 10.000 lire<br />

per ciascun titolare. Ai Mondiali di Spagna 1982 il premio globale è stato di 212<br />

milioni di lire (570 milioni <strong>del</strong> 2001), mentre la recente vittoria nella Coppa <strong>del</strong><br />

Mondo di Germania 2006 ha fruttato a ciascun calciatore azzurro, oltre ad un premio<br />

in contanti di 240.000 euro per il trionfo e di 50.000 euro per la qualificazione alla<br />

fase finale, anche beni dal grande valore come una Moto Mv Agusta Brutale, un<br />

orologio Frank Muller, un biglietto aereo per due persone Roma – New York, un<br />

impianto Bang & Olufsen Tv più casse, uno stereo Hi-fi, un televisore al plasma, una<br />

borsa da viaggio Gianfranco Ferrè, un cesto di Salumi Beretta dal valore di 800 euro<br />

e un kit porta carte di credito. I calciatori hanno, quindi, più che triplicato le loro<br />

entrate nel corso degli ultimi venti anni. Ad incidere in maniera decisiva sulla<br />

crescita degli stipendi è stata la “Sentenza Bosman”, in quanto, dopo il verdetto <strong>del</strong>la<br />

Corte di Lussemburgo, i giocatori, liberi di cambiare maglia alla scadenza <strong>del</strong><br />

rapporto di impiego, dispongono di un’arma contrattuale in più nei confronti dei loro<br />

datori di lavoro. La minaccia di perdere un elemento importante ha spinto così i<br />

presidenti a largheggiare negli ingaggi per fronteggiare sia la concorrenza a livello<br />

nazionale che mondiale. Si può affermare, quindi, che le ingenti entrate generate<br />

dalle società spesso non si fermano nelle casse dei club, ma sono destinate al<br />

pagamento degli ingaggi, il cui importo è cresciuto dal 1995 al 2006 <strong>del</strong> 245% . Un<br />

incremento vertiginoso <strong>del</strong> valore complessivo <strong>del</strong>le retribuzioni dovuto sia a motivi<br />

tecnici riconducibili ai nuovi metodi di allenamento e all’aumento <strong>del</strong>le gare da<br />

disputare nell’ambito dei vari tornei che impongono alle formazioni di avvalersi di<br />

rose più ampie, sia a ragioni di carattere psicologico, con gli atleti che hanno<br />

compreso di esser divenuti efficaci figure promozionali. Trend dimostrato<br />

dall’aspetto che nel 1995 lo stipendio medio dei calciatori militanti in serie A era di<br />

37


404 mila euro, mentre, a distanza di 15 anni, nel 2010 si è superato il milione di euro.<br />

I grandi campioni, in particolare, possono contare su laute opportunità di guadagno<br />

legate allo sfruttamento <strong>del</strong>la propria immagine ed a particolari opzioni inserite nei<br />

singoli contratti che permettono al salario base di lievitare. È il caso dei premi legati<br />

alla vittoria di una singola partita o al raggiungimento di un obiettivo, sia esso lo<br />

scudetto o la salvezza, e di quelli legati alle prestazioni <strong>del</strong> singolo come i bonus<br />

riconosciuti agli attaccanti per i gol segnati o ai portieri quando riescono a mantenere<br />

la propria porta inviolata. Per far fronte all’onerosità di questi legami contrattuali,<br />

negli ultimi anni è stata avanzata l’ipotesi di imporre un salary cup, ovvero un limite<br />

entro cui far rientrare gli stipendi dei calciatori professionisti che, rappresentati da<br />

una associazione sindacale, dovrebbero trovare un accordo con le società,<br />

consorziate nella lega sportiva, al fine di stabilire l’ammontare massimo che può<br />

essere speso da ogni squadra per le remunerazioni dei giocatori.<br />

L’allenatore. Altra professione chiave nell’azienda <strong>calcio</strong> è quella <strong>del</strong>l’allenatore,<br />

che, oltre ad occuparsi <strong>del</strong>le questioni tecniche e dei programmi di allenamento <strong>del</strong>le<br />

squadre, lavora il più <strong>del</strong>le volte all’unisono con il direttore sportivo per quanto<br />

concerne la campagna acquisti e cessioni dei tesserati durante il <strong>calcio</strong>mercato,<br />

mentre il direttore generale si occupa prevalentemente <strong>del</strong>le questioni organizzative e<br />

fa da filo conduttore tra lo staff dirigenziale e i calciatori. Molto interessante a tal<br />

proposito è la figura <strong>del</strong> Football Manager, che in Inghilterra fonde in un unico ruolo<br />

i doveri <strong>del</strong>l’allenatore, <strong>del</strong> ds e <strong>del</strong> dg, tant’è che in molti, dovendosi occupare <strong>del</strong>la<br />

gestione <strong>del</strong>l’intera area sportiva, spesso si affidano a <strong>del</strong>le guide parziali a capo di<br />

sezioni come il settore giovanile per potersi dedicare a pieno alle esigenze <strong>del</strong>la<br />

prima squadra. È il caso di Sam Allardyce, che al termine <strong>del</strong>la stagione 2006/2007<br />

si vide affidare il ruolo di Football Manager dal Newcastle perché ritenuto<br />

abilissimo nel creare una struttura paramedica efficace e nel pescare sul mercato<br />

giocatori stranieri di buon rendimento e a prezzi ragionevoli attraverso una rete di<br />

scouting ben organizzata. Rispetto al sistema italiano, in cui un allenatore tende a<br />

preparare la propria carriera professionale nel tentativo di raggiungere traguardi<br />

ambiziosi in tali vesti, nel Regno Unito questo incarico, conosciuto come Football<br />

Coach, rappresenta semplicemente uno stepping stone nel percorso che porta alla<br />

tanto ambita promozione a Football Manager che, oltre a comportare vantaggi in<br />

38


termini di fama come l’essere visto dagli addetti ai lavori come l’unico responsabile<br />

<strong>del</strong>l’area tecnica <strong>del</strong> club, prevede abnormi svantaggi allorché non si riesca a<br />

coordinare strategicamente i vari settori di competenza. Nell’ambito di una corretta<br />

gestione a livello sportivo fondamentali sono anche le figure degli osservatori, dei<br />

magazzinieri e dei massofisioterapisti. Tra i primi, che hanno il compito di scoprire<br />

nuovi talenti in giro per il mondo, vengono spesso selezionati ex calciatori che hanno<br />

scritto pagine importanti <strong>del</strong>la storia <strong>del</strong>la propria squadra di appartenenza. Del club<br />

fanno parte anche i magazzinieri, i quali si occupano di preparare le attrezzature e<br />

l’abbigliamento dei calciatori per gli allenamenti e le gare, e i massofisioterapisti,<br />

professionisti <strong>del</strong> settore il cui compito è eseguire le terapie prescritte dal medico<br />

sociale <strong>del</strong> team. Fanno invece parte degli staff personali degli allenatori i preparatori<br />

atletici e dei portieri, i quali dirigono le varie fasi <strong>del</strong>le sedute di allenamento sotto la<br />

supervisione <strong>del</strong> tecnico che li coordina e <strong>del</strong> proprio collaboratore in seconda;<br />

quest’ultimo ha compiti tecnico-tattici ed è chiamato a far le veci <strong>del</strong>l’allenatore sia<br />

in campo che in sede di conferenza stampa quando questi è assente per motivi di<br />

salute o a causa di squalifiche durante le partite ufficiali.<br />

Il Dipartimento Comunicazione. Ma il <strong>calcio</strong>, in quanto azienda, non si occupa solo<br />

di quanto avviene all’interno <strong>del</strong> terreno di giuoco, ma va ben oltre in un contesto<br />

storico in cui l’area <strong>del</strong>la comunicazione e <strong>del</strong> marketing rappresenta un campo di<br />

azione di primaria importanza. La figura <strong>del</strong>l’addetto stampa è stata, in una visione<br />

ristretta e arcaica <strong>del</strong>l’emisfero comunicativo, la persona incaricata di svolgere il<br />

<strong>del</strong>icato ruolo di punto di contatto ufficiale tra la squadra e la massa <strong>del</strong> suo<br />

pubblico. Da tempo però le società si sono rese conto che questo non può più bastare<br />

e a maggior ragione si è resa necessaria una strutturazione da entertainment<br />

company. Nello specifico il rapporto can i mass media va diviso in due sottosezioni:<br />

una prima, definita publicity, inerente la copertura da parte dei mezzi di<br />

comunicazione di competenza <strong>del</strong> Dipartimento Comunicazione o Relazioni Esterne<br />

in relazione ai rapporti tra il club e quanto accade al suo esterno, in riferimento sia al<br />

mass market che al business market, e una seconda strettamente legata alle pubbliche<br />

relazioni intese nei propri aspetti più particolari come lobbying, cioè gruppi di<br />

pressione che mirano a coinvolgere il settore legislativo e le pubbliche autorità al fine<br />

39


di promuovere iniziative di legge favorevoli o per contrastare regolamentazioni<br />

eccessivamente restrittive.<br />

Per quanto riguarda la publicity, il flusso di notizie pressoché costante diffuso dai<br />

media può essere in qualche modo orientato dal lavoro <strong>del</strong> settore Comunicazione:<br />

difficilmente potranno essere dati alle varie testate gli indirizzi preferiti dalla società,<br />

ma si potranno smussare determinati angoli nel caso in cui le news siano in qualche<br />

modo destabilizzanti o anche promuovere le proprie iniziative realizzando ad hoc<br />

eventi ed iniziative interessanti per i giornalisti. Sfruttando tali dinamiche molte<br />

società adottano la strategia di far coincidere l’inizio <strong>del</strong>le sottoscrizioni dei nuovi<br />

abbonamenti con il <strong>calcio</strong>mercato, così da poter far impennare le vendite anche solo<br />

diffondendo news riguardanti trattative per giocatori in grado di entusiasmare i tifosi,<br />

anche se tal tecnica non potrebbe essere sulla carta utilizzata dai club quotati in borsa<br />

perché potrebbe influire in modo sensibile sui prezzi di tali strumenti finanziari. <strong>Una</strong><br />

pubblicità gratuita che ha tuttavia creato dei malumori in Inghilterra, dove alcune<br />

società hanno avanzato pretese di sfruttamento sulle foto pubblicate dai siti web dei<br />

tabloid, chiedendo almeno due ore di intervallo tra la fine <strong>del</strong>le partite e la<br />

pubblicazione online <strong>del</strong>le immagini relative. Un attacco in piena regola<br />

all’inviolabile diritto di cronaca in nome <strong>del</strong>lo sfruttamento dei diritti che, oltre al<br />

rifiuto da parte degli editori, ha suscitato immediatamente l’agitazione da parte degli<br />

sponsor, spaventati dal non poter più usufruire di uno dei vantaggi maggiori nella<br />

sponsorizzazione dei team di <strong>calcio</strong>: la presenza massiccia sulla stampa.<br />

Per quanto concerne invece le relazioni pubbliche, si intendono sia le attività svolte<br />

in ambito sociale, come visite periodiche ad ospedali, scuole e carceri, utili ad<br />

accrescere la comunione tra il club e la comunità di riferimento, sia quelle più<br />

specificamente rivolte al proprio business, ossia i rapporti con i partner commerciali<br />

e con la tifoseria. Seminari, incontri, convention sono altre occasioni di incontro con<br />

il pubblico esterno, con particolare attenzione al business market, comprendente sia i<br />

partner commerciali esistenti sia quelli solo potenziali. La Juventus nel 1994 ha<br />

addirittura organizzato un giro d’<strong><strong>It</strong>alia</strong> per andare ad incontrare i propri tifosi sparsi<br />

per la penisola. Lo Juve Tour ‘94 ha portato gli idoli a casa dei loro fans con uno<br />

show organizzato nelle piazze d’<strong><strong>It</strong>alia</strong>, ottenendo in questo modo, oltre che un grande<br />

ritorno d’immagine, dati utili sulla segmentazione geografica dei supporter.<br />

40


Nella cura <strong>del</strong>le relazioni con la comunità possono essere considerati anche dépliant,<br />

poster, manifesti, calendari distribuiti gratuitamente a tifosi e sponsor da parte <strong>del</strong>le<br />

società. Singolare è la condizione dei club quotati in Borsa, i quali devono attuare<br />

anche una politica di PR finanziarie: i team inglesi ricorrono ad agenzie apposite, che<br />

si occupano di fornire le corrette informazioni ai media e di comunicare agli azionisti<br />

ogni genere di notizia possa risultare rilevante.<br />

Le attività di lobbying rivestono invece una particolare importanza nell’ambito <strong>del</strong><br />

rapporto con le pubbliche amministrazioni, in particolare per quanto concerne gli<br />

stadi, generalmente di proprietà municipale. Sia la convenzione per lo sfruttamento<br />

<strong>del</strong> diritto di superficie <strong>del</strong>l’impianto esistente, che il desiderio di costruire un nuovo<br />

stadio acquisendo i terreni edificabili, devono infatti passare attraverso concessioni<br />

comunali per le quali pare indispensabile attivare gruppi di pressione politica.<br />

2.3 Incassi <strong>del</strong>le partite<br />

Se la remunerazione dei calciatori e <strong>del</strong>lo staff tecnico rappresenta la voce principale<br />

di costo per una società, l’incasso derivato dalle gare figura tra le aree più<br />

remunerative per la maggior parte dei club calcistici di alto livello. Come si evince<br />

dalla tabella 1 estratta dallo studio condotto dalla società di revisione Deloitte nel<br />

2011, denominato Football Money League. The untouchables 8 , in questo settore<br />

dominano le formazioni inglesi con ben sette rappresentanti (Manchester United,<br />

Arsenal, Chelsea, Liverpool, Tottenham Hotspur, Aston Villa e Manchester City)<br />

nella Top 20 europea, seguite dalle spagnole (Real Madrid, FC Barcellona, Atlètico<br />

de Madrid e Valencia) e le tedesche (Bayern Munich, Hamburger SV, VFB Stuttgart<br />

e Werder Bremen) con quattro, dalle italiane (Internazionale e AC Milan) e le<br />

scozzesi (Celtic e Rangers Glasgow) con due, e da un’unica portoghese (Benfica).<br />

Nella stagione 2009/10 il botteghino ha prodotto per le 20 regine continentali incassi<br />

per un totale di 1126.3 milioni di euro, anche se di queste solo l’Arsenal, con 114.7<br />

milioni che rappresentano il 42% <strong>del</strong>le proprie entrate, e l’Hamburger SV, con 49.3<br />

milioni che equivalgono al 34% complessivo, vedono questo settore prevalere per<br />

introiti sui proventi commerciali e televisivi.<br />

8 Deloitte & Touche, Football Money League. The untouchables, Manchester 2011<br />

41


Tabella 1 – Classifica 2011 per fatturato incassi da stadio – (€ Mln)<br />

Pos. Squadra Nazione Fatturato Pos. Generale<br />

1 Real Madrid Spagna 129.1 1<br />

2 Manchester United Inghilterra 122.4 3<br />

3 Arsenal Inghilterra 114.7 5<br />

4 FC Barcelona Spagna 97.8 2<br />

5 Chelsea Inghilterra 82.1 6<br />

6 Bayern Monaco Germania 66.7 4<br />

7 Liverpool Inghilterra 52.4 8<br />

8 Amburgo Germania 49.3 13<br />

9 Tottenham Inghilterra 44.9 12<br />

10 Celtic Scozia 43.4 n/a<br />

11 Benfica Portogallo 40.2 n/a<br />

12 Internazionale <strong><strong>It</strong>alia</strong> 38.6 9<br />

13 Atlético de Madrid Spagna 35.9 17<br />

14 Rangers Scozia 31.5 n/a<br />

15 AC Milan <strong><strong>It</strong>alia</strong> 31.3 7<br />

16 Stoccarda Germania 30.2 19<br />

17 Aston Villa Inghilterra 29.8 20<br />

18 Manchester City Inghilterra 29.8 11<br />

19 Valencia Spagna 28.4 n/a<br />

20 Werder Brema Germania 27.8 n/a<br />

Fonte: Deloitte & Touche, Football Money League. The untouchables. (Ns. elab.)<br />

Particolarmente deficitario è in tal senso il caso <strong>del</strong>le italiane, con l’AC Milan che<br />

incamera appena il 13% <strong>del</strong> fatturato totale e l’Internazionale che tocca quota 17%.<br />

In linea generale questi dati vanno collegati all’aspetto che in Inghilterra si<br />

riempiono maggiormente gli stadi, con percentuali vicine al 100%: il Manchester<br />

United pur avendo uno stadio piuttosto capiente (76.212 posti a sedere) ha il 99.5%<br />

di utilizzo <strong>del</strong>la capacità <strong>del</strong>l’impianto, il Chelsea il 98.7%, l’Arsenal il 98.6%. Nelle<br />

altre nazioni si registra invece una flessione <strong>del</strong>le presenze, tant’è che in <strong><strong>It</strong>alia</strong> la<br />

media spettatori è calata a 25.570 unità a giornata. In calo anche la Liga spagnola,<br />

con una media di 28.706 paganti, e la Ligue 1 francese con addirittura solo 19.965<br />

presenti. In netta controtendenza è invece la Germania che, potendo contare sui<br />

rinnovati e ampliati stadi post Mondiali 2006, può contare su una media in costante<br />

ascesa che ha fatto registrare una quota di 42.360 persone affluenti.<br />

42


La sostanziale differenza tra molte formazioni europee e quelle italiane è<br />

strettamente correlata alla gestione degli stadi: il Bernabeu <strong>del</strong> Real Madrid ed il<br />

Camp Nou <strong>del</strong> FC Barcelona, ad esempio, sono impianti attrezzati per il profitto con<br />

al proprio interno negozi ufficiali, centri commerciali generici, cinema, bar, musei e<br />

via dicendo, che favoriscono il continuo ciclo di introiti che le squadre italiane<br />

sognano. Mentre da noi si va a vedere una partita e poi si fugge appena dopo il<br />

triplice fischio finale, se non addirittura prima per evitare traffico e via dicendo, in<br />

Spagna si può passare tranquillamente l’intera giornata, perché le infrastrutture lo<br />

permettono. Ed infatti, sebbene nella penisola iberica ed in Inghilterra lo stadio costi<br />

immensamente di più rispetto all’<strong><strong>It</strong>alia</strong>, è raro che si veda un settore vuoto come<br />

capita invece spesso da noi anche per gare di cartello.<br />

2.4 Diritti Media<br />

Lo sfruttamento dei diritti inerenti i mass media, in primo luogo la tv, è di gran lunga<br />

l’area più produttiva per i grandi club. Delle 20 squadre continentali con i maggiori<br />

introiti, 16 ricavano la maggior parte <strong>del</strong> proprio ricavato dai diritti media. Le<br />

formazioni spagnole, rapportandoci nella tabella 2 sempre allo studio di Deloitte 9 ,<br />

sono quelle che ricavano più soldi da quest’ambito, con il FC Barcelona e il Real<br />

Madrid che comandano la classifica a quota 178.1 (44% <strong>del</strong> ricavato) e 158.7 (36%)<br />

milioni di euro. Le italiane, per le quali dalla stagione 2010/2011 è scattata la<br />

ripartizione collettiva dei diritti (40% in parti uguali ad ogni club, 30% in base al<br />

bacino d’utenza, 30% in relazione ai risultati ottenuti dal 1946 ad oggi), seguono con<br />

l’AC Milan a quota 141.1 milioni (60% fatturato), l’Internazionale a 137.9 (62%) e<br />

la Juventus a 132.5 (65%). Risorse in gran parte provenienti dalla crescita<br />

<strong>del</strong>l’offerta <strong>del</strong>la pay-tv negli ultimi anni che hanno sostenuto in maniera<br />

determinante l’imperiosa impennata degli introiti <strong>del</strong>le società di <strong>calcio</strong>. Basti<br />

pensare che nell’ultima stagione in <strong><strong>It</strong>alia</strong> è tornata la vendita centralizzata dei diritti<br />

<strong>del</strong>la Serie A: le tv non trattano più con le singole società ma, come accadeva fino al<br />

1998/99, direttamente con la Lega Serie A.<br />

9 Deloitte & Touche, Op. cit, Manchester 2011<br />

43


Tabella 2 – Classifica 2011 per fatturato Diritti Media – (€ Mln)<br />

Pos. Squadra Nazione Fatturato Pos. Generale<br />

1 FC Barcelona Spagna 178.1 2<br />

2 Real Madrid Spagna 158.7 1<br />

3 AC Milan <strong><strong>It</strong>alia</strong> 141.1 7<br />

4 Internazionale <strong><strong>It</strong>alia</strong> 137.9 9<br />

5 Juventus <strong><strong>It</strong>alia</strong> 132.5 10<br />

6 Manchester United Inghilterra 128.0 3<br />

7 Arsenal Inghilterra 105.7 5<br />

8 Chelsea Inghilterra 105.0 6<br />

9 Liverpool Inghilterra 97.1 8<br />

10 Bayern Monaco Germania 83.4 4<br />

11 Lione Francia 78.4 14<br />

12 Marsiglia Francia 70.8 15<br />

13 Fiorentina <strong><strong>It</strong>alia</strong> 69.7 n/a<br />

14 Manchester City Inghilterra 66.0 11<br />

15 Roma <strong><strong>It</strong>alia</strong> 65.6 18<br />

16 Bordeaux Francia 65.4 n/a<br />

17 Aston Villa Inghilterra 63.6 20<br />

18 Tottenham Inghilterra 62.9 12<br />

19 Atlético de Madrid Spagna 62.2 17<br />

20 Fulham Inghilterra 62.0 n/a<br />

Fonte: Deloitte & Touche, Football Money League. The untouchables. (Ns. elab.)<br />

Per il momento ciò non ha prodotto grossi cambiamenti, tant’è che sino al<br />

2011/12 Sky <strong><strong>It</strong>alia</strong> (571 milioni garantiti nel 2010) continuerà a trasmettere l’intero<br />

campionato sulla sua piattaforma satellitare, mentre le concorrenti, Mediaset<br />

Premium e Dahlia TV (che potrebbe essere sostituita da una televisione <strong>del</strong>la Lega<br />

Calcio per salvaguardare gli abbonati e l’intero sistema dopo il fallimento dichiarato<br />

lo scorso 25 febbraio dall’emittente gestita da Airplus e Ti Media), si suddivideranno<br />

i diritti terrestri, anche se in maniera diversa: 12 squadre a Premium (per la stagione<br />

2010/11, per la quale sono stati versati 210 milioni, sono Juventus, Milan, Inter,<br />

Roma, Napoli, Fiorentina, Palermo, Lazio, Genoa, Bari, Bologna e Brescia), le<br />

rimanenti 8 a Dahlia, o meglio, a chi la sostituirà (29 milioni per Sampdoria,<br />

Cagliari, Chievo, Cesena, Udinese, Lecce, Catania e Parma). Entrambe le tv terrestri<br />

44


trasmettono tutte le partite <strong>del</strong>le società loro assegnate, sia in casa che in trasferta.<br />

Sempre a partire dall’ultimo torneo, la Rai (28.3 milioni per l’attuale campionato) è<br />

stata inoltre autorizzata a trasmettere in chiaro, sul canale tematico Rai Sport 1, le<br />

repliche <strong>del</strong>le partite più importanti <strong>del</strong> campionato ad almeno 7 giorni dal loro<br />

svolgimento. Proprio l’ente statale dalla stagione 2008/09, dopo l’ennesima<br />

estenuante trattativa con la Lega Calcio andata avanti fino a poche ore prima<br />

<strong>del</strong>l’inizio dei campionati, è riuscita a riottenere i diritti in chiaro <strong>del</strong>la massima<br />

serie. La trasmissione 90° minuto è stata così sdoppiata: al sabato è stata confermata<br />

l’edizione dedicata alla Serie B su Rai 3, mentre la domenica, dopo tre anni di<br />

assenza, è ritornata la versione per il massimo campionato nazionale, in onda stavolta<br />

su Rai 2 e preceduta, sulla stessa rete, da Stadio Sprint. Confermato anche il varietà<br />

di Simona Ventura, dal 2006 ribattezzato Quelli che il <strong>calcio</strong> e…, in quanto era<br />

andato sempre in onda anche nel triennio in cui la Rai non disponeva dei diritti per i<br />

collegamenti in diretta dagli stadi. Gli attuali contratti tra Rai e Lega Serie B<br />

scadranno al termine <strong>del</strong>la stagione 2011/12.<br />

Qualcuno, in <strong><strong>It</strong>alia</strong>, lamenta che i diritti televisivi equamente ripartiti<br />

rappresenterebbero un’ingiustizia, perché i grandi club sarebbero penalizzati dal<br />

percepire quanto uno piccolo. In realtà le cose non stanno proprio così. Solo le<br />

squadre di Grecia e Portogallo vendono infatti i diritti tv singolarmente, mentre in<br />

tutte le altre nazioni la vendita è collettiva. O quasi. In Spagna, ad esempio, si può<br />

vendere singolarmente ma, eccetto Real Madrid e Barcelona, gli altri club vendono<br />

pacchetti collettivi, favorendo così un maggior numero di introiti. Questo spiega<br />

come una società come il Villareal (città di meno di 50mila abitanti) possa<br />

permettersi tutti gli anni una squadra che lotti per le coppe europee, oppure squadre<br />

minori, come Osasuna o Levante, possano allestire una rosa che possa salvarsi nella<br />

Liga. Ma Real e Barça non guadagnano, vendendo singolarmente i diritti tv, molto di<br />

più di un club italiano. Il Milan ha fatturato l’anno scorso poco meno <strong>del</strong> Real e<br />

molto di più <strong>del</strong> Chelsea (105 milioni) e <strong>del</strong> Bayern Monaco (83.4 milioni), che<br />

tuttavia sono avanti nella classifica dei fatturati complessivi visti gli immensi introiti<br />

derivanti dagli altri incassi. Quindi non è certo la vendita collettiva dei diritti tv che<br />

sta limitando l’<strong><strong>It</strong>alia</strong>. Anzi. Forse anche alle grandi squadre, come la Juventus,<br />

conviene il contratto collettivo, visto che in caso di stagione fallimentare, non<br />

45


ischiano di dover vendere i diritti tv a molto meno di quanto attualmente ricevono (i<br />

bianconeri, settimi lo scorso anno, hanno incassato 132.5 milioni dalla tv). D’altra<br />

parte in Premier League vige un sistema di vendita dei diritti televisivi molto simile a<br />

quello italiano, con il 50% che viene ripartito a ciascun club, il 25% in base al<br />

piazzamento e il 25% in relazione al bacino di utenza, eppure il <strong>calcio</strong> britannico<br />

vanta ben 7 rappresentanti tra le big europee nelle classifiche relative agli introiti<br />

complessivi esaminati nella tabella 4 (Manchester United, Arsenal e Chelsea,<br />

rispettivamente sesta, settima e ottava in relazione alle entrate tv, precedono la prima<br />

italiana, il Milan) in virtù di una miglior gestione sia sul fronte degli incassi<br />

contestuali alle partite allo stadio che <strong>del</strong>le attività commerciali, le cui strategie sono<br />

avanti anni luce rispetto alle nostre.<br />

2.5 Le attività commerciali<br />

Quest’area comprende lo sfruttamento dei diritti commerciali e la realizzazione di<br />

accordi di sponsorship. I tedeschi <strong>del</strong> Bayern Monaco, come si evince dalla tabella 3,<br />

hanno costruito un impero sulla bravura nel massimizzare gli introiti commerciali,<br />

sopravanzando di gran lunga tutti gli altri: la seconda, il Real Madrid, segue a 22.1<br />

milioni di distanza. La forza dei bavaresi è in un accordo proficuo di<br />

sponsorizzazione sia con il colosso <strong>del</strong>le telecomunicazioni Deutsche Telekom per<br />

quanto concerne le divise da gioco, sia con la compagnia assicurativa Allianz per la<br />

denominazione <strong>del</strong> proprio stadio, l’Allianz Arena. Rispetto al torneo 2008/2009, i<br />

tedeschi hanno conosciuto un incremento di questo settore <strong>del</strong> 9%, pari a 13.6<br />

milioni di euro, derivanti anche dall’ottima stagione che ha visto il Bayern vincere la<br />

Bundesliga e la Coppa di Germania, e arrivare in finale di Champions League contro<br />

l’Internazionale.<br />

A dimostrazione di come le società tedesche la facciano da padrone in questo settore,<br />

vi è il quinto posto <strong>del</strong>lo Schalke 04, che può contare sulla partnership con il<br />

birrificio Veltins per quanto concerne il nome <strong>del</strong>lo stadio, il nono <strong>del</strong>l’Hamburger<br />

SV e il decimo <strong>del</strong> Borussia Dortmund, di nuovo protagonista dopo diverse stagioni<br />

di anonimato.<br />

Dati che non devono sorprendere più di tanto se si considera che queste società, per<br />

veder aumentare i propri introiti, hanno accettato la variazione degli orari <strong>del</strong>le<br />

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partite per poter ottenere maggiore visibilità in Estremo Oriente, area in cui diversi<br />

club europei sono soliti recarsi in estate per ricche tournee.<br />

Tabella 3 – Classifica 2011 per fatturato attività commerciali – (€ Mln)<br />

Pos. Squadra Nazione Fatturato Pos. Generale<br />

1 Bayern Monaco Germania 172.9 4<br />

2 Real Madrid Spagna 150.8 1<br />

3 FC Barcelona Spagna 122.2 2<br />

4 Manchester United Inghilterra 99.4 3<br />

5 Schalke 04 Germania 79.0 16<br />

6 Liverpool Inghilterra 75.8 8<br />

7 Chelsea Inghilterra 68.8 6<br />

8 AC Milan <strong><strong>It</strong>alia</strong> 63.4 7<br />

9 Amburgo Germania 63.2 13<br />

10 Borussia Dortmund Germania 60.7 n/a<br />

11 Manchester City Inghilterra 57.0 11<br />

12 Juventus <strong><strong>It</strong>alia</strong> 55.6 10<br />

13 Arsenal Inghilterra 53.7 5<br />

14 Internazionale <strong><strong>It</strong>alia</strong> 48.3 9<br />

15 Marsiglia Francia 45.1 15<br />

16 Lione Francia 42.9 14<br />

17 Benfica Portogallo 41.2 n/a<br />

18 Tottenham Inghilterra 38.5 12<br />

19 Roma <strong><strong>It</strong>alia</strong> 38.1 18<br />

20 Napoli <strong><strong>It</strong>alia</strong> 37.7 n/a<br />

Fonte: Deloitte & Touche, Football Money League. The untouchables. (Ns. elab.)<br />

Un mercato in cui si è affacciata anche l’<strong><strong>It</strong>alia</strong>, che nelle ultime stagioni ha deciso di<br />

far disputare la finale <strong>del</strong>la Supercoppa <strong><strong>It</strong>alia</strong> prima a Washington, poi a Tripoli, New<br />

York e Pechino. Non è invece <strong>del</strong>le migliori la situazione individuale <strong>del</strong>le italiane,<br />

con il solo Napoli che può essere felice <strong>del</strong>la propria ventesima posizione con 37.7<br />

milioni di euro all’attivo, nonostante l’apertura solo quest’anno <strong>del</strong> primo store<br />

ufficiale ed un torneo precedente privo <strong>del</strong>le coppe europee.<br />

Esaminando nella tabella 4 la classifica relativa agli incassi complessivi <strong>del</strong>le regine<br />

d’Europa, risulta evidente che il club con il maggior numero di introiti al mondo<br />

resta, per il sesto anno di fila, il Real Madrid (438.6 milioni di euro), che allunga sul<br />

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Barcellona (398.1 milioni) e sul Manchester United (349.8 milioni). La prima<br />

italiana è il Milan (7° con 235.8 milioni), mentre sorprende l’Inter, solo nona con<br />

224.8 milioni di euro nonostante il Triplete (Scudetto, Champions, Coppa <strong><strong>It</strong>alia</strong>)<br />

realizzato sotto la gestione Mourinho. Ma analizzando meglio i dati raccolti e studiati<br />

dalla Deloitte, viene fuori una triste verità: il <strong>calcio</strong> italiano è al collasso se non sarà<br />

riformato in tempi brevi. Va ricordato, ad ogni modo, che lo studio Deloitte prende in<br />

considerazione i dati fino al termine <strong>del</strong>la stagione 2009/2010, quindi non vanno<br />

considerati le supercoppe (nazionali, europea ed intercontinentale) giocate dopo<br />

giugno, né gli introiti derivanti dal piazzamento finale nei campionati 2009/2010, che<br />

entrano nel bilancio solo nella stagione 2010/2011.<br />

La classifica, come detto, è particolarmente impietosa con le squadre italiane: dopo il<br />

Milan e l’Inter, troviamo la Juventus al decimo posto (205 milioni), la quale però<br />

subirà un crollo vertiginoso nella prossima classifica, visto che non è riuscita a<br />

qualificarsi per la Champions League 2010/2011. Malissimo la Roma, che crolla al<br />

18° posto con appena 122.7 milioni di euro. Le altre italiane degne di nota sono poi<br />

la Fiorentina (21° posto con 106.4 milioni di euro), che però pagherà anche lei lo<br />

scotto di essere rimasta fuori dalle coppe in questa stagione, ed il Napoli, che è<br />

appunto l’unica italiana che se la ride: il suo 29° posto con 95.1 milioni di euro è<br />

l’unico piazzamento italiano che migliorerà certamente l’anno prossimo, visto che è<br />

un bilancio a cui verrà aggiunto l’aumento di introiti dovuti al 6° posto <strong>del</strong>la scorsa<br />

stagione e la conseguente partecipazione all’Europa League.<br />

Analizzando la situazione <strong>del</strong>l’Inghilterra calcistica, si può vedere come i fatturati<br />

siano praticamente distribuiti in modo omogeneo, viste le quattro squadre tra le<br />

prime dieci (Manchester United, Arsenal Chelsea e Liverpool), tre tra il 11° ed il 20°<br />

posto (Manchester City, Tottenham e Aston Villa), ed altre tre tra il 21° ed il 31°<br />

posto (Everton, Fulham e West Ham). La Spagna, invece, è una sorta di monarchia<br />

assoluta: regnano Real Madrid e Barcellona, poi il vuoto fino al 17° posto, dove si<br />

trova l’Atlético Madrid, forte degli incassi migliorati grazie alla vittoria <strong>del</strong>l’Europa<br />

League 2009/10.<br />

Tabella 4 – Classifica Generale 2011 per fatturato complessivo – (€ Mln)<br />

Pos. Diff. 2010 Squadra Nazione Fatturato 2008/09<br />

1 = Real Madrid Spagna 438.6 401,4<br />

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2 = FC Barcelona Spagna 398.1 365,9<br />

3 = Manchester United Inghilterra 349.8 327,0<br />

4 = Bayern Monaco Germania 323.0 289,5<br />

5 = Arsenal Inghilterra 274.1 263,0<br />

6 = Chelsea Inghilterra 255.9 242,3<br />

7 +3 AC Milan <strong><strong>It</strong>alia</strong> 235.8 196,5<br />

8 -1 Liverpool Inghilterra 225.3 217,0<br />

9 = Internazionale <strong><strong>It</strong>alia</strong> 224.8 196,5<br />

10 -2 Juventus <strong><strong>It</strong>alia</strong> 205.0 203,2<br />

11 +9 Manchester City Inghilterra 152.8 102,2<br />

12 +3 Tottenham Inghilterra 146.3 132,7<br />

13 -2 Amburgo Germania 146.2 146,7<br />

14 -1 Lione Francia 146.1 139,6<br />

15 -1 Marsiglia Francia 141.1 133,2<br />

16 = Schalke 04 Germania 139.8 124,5<br />

17 +1 Atlético de Madrid Spagna 124.5 105,0<br />

18 -6 Roma <strong><strong>It</strong>alia</strong> 122.7 146,4<br />

19 +5 Stoccarda Germania 114.8 99,8<br />

20 +6 Aston Villa Inghilterra 109.4 98,9<br />

21 +6 Fiorentina <strong><strong>It</strong>alia</strong> 106.4 94,1<br />

22 -4 Borussia Dortmund Germania 105.2 103,5<br />

23 = Bordeaux Francia 102.8 99,8<br />

24 n/a Siviglia Spagna 99.6 n/a<br />

25 n/a Valencia Spagna 99.3 n/a<br />

26 n/a Benfica Portogallo 98.2 n/a<br />

27 +1 Everton Inghilterra 96.6 93,5<br />

28 n/a Werder Brema Germania 96.5 114,7<br />

29 = Napoli <strong><strong>It</strong>alia</strong> 95.1 90,1<br />

30 n/a Fulham Inghilterra 94.2 n/a<br />

31 -1 West Ham Inghilterra 87.6 89,3<br />

Fonte: Deloitte & Touche, Football Money League. The untouchables. (Ns.elab.)<br />

Poi si trovano il Siviglia ed il Valencia, ma solo al 25° e 26° posto (ma gran parte<br />

degli introiti è frutto <strong>del</strong>le partecipazioni alla Champions <strong>del</strong>l’anno prima) e con un<br />

bilancio di entrate che non arriva neppure ai 100 milioni di euro. Perfino il Bordeaux<br />

ha fatturato più di loro. Questo porta a due considerazioni: da un lato, la Premier può<br />

essere considerata a tutti gli effetti la lega europea più forte sotto tutti i punti di vista,<br />

mentre la Spagna è retta da un sistema in cui se si tolgono Real e Barça non si<br />

49


arriverebbe al fatturato di una lega di media importanza <strong>del</strong>l’est Europa. Stanno<br />

crescendo bene, invece, la Francia e la Germania. Al Bayern Monaco, sempre quarto,<br />

si aggiungono altre realtà ormai ben piazzate in graduatoria da qualche anno:<br />

l’Amburgo (13°), lo Schalke 04 (16°), lo Stoccarda (19°), il Borussia Dortmund<br />

(22°) ed il Werder Brema (28°). In Francia, invece, i club che fatturano di più sono il<br />

Lione (14°), il Marsiglia (15°) ed il Bordeaux (23°). Completano la classifica i<br />

portoghesi <strong>del</strong> Benfica (26°). Ancora lontane le squadre <strong>del</strong>l’Est Europa e quelle dei<br />

campionati considerati minori (l’Eredivisie olandese su tutti). L’analisi dei fatturati<br />

dei club europei dimostra una verità di fondo. In primis, che la Premier, grazie alle<br />

sue molteplici squadre di alto livello, e la Liga, grazie ai suoi due poli centrali, sono<br />

nettamente una spanna al di sopra degli altri campionati nazionali. Poi, che la Serie A<br />

è in netta difficoltà rispetto anche alla Bundesliga perché vittima di un sistema<br />

vecchio, quasi da anni ’80, che non si sposa più con le esigenze <strong>del</strong> <strong>calcio</strong>-industria<br />

<strong>del</strong> XXI secolo. I tedeschi, forti <strong>del</strong>la ristrutturazione degli impianti avvenuta per i<br />

Mondiali <strong>del</strong> 2006, di contro, si apprestano a diventare già nell’immediato la terza<br />

nazione europea per fatturato, grazie anche all’imminente sorpasso sull’<strong><strong>It</strong>alia</strong> nel<br />

Ranking Uefa, che gli permetterà dalla stagione 2011/2012 di ottenere un posto<br />

Champions in più a discapito <strong>del</strong>l’<strong><strong>It</strong>alia</strong>. Ed anche questo peserà, e non poco, sul<br />

divario tra italiani e tedeschi.<br />

2.6 La borsa<br />

In principio furono gli inglesi, come quasi sempre in Europa quando si parla di<br />

<strong>calcio</strong>-business, a cercar fortuna in Borsa. Nel 1983 i londinesi <strong>del</strong> Tottenham<br />

Hotspur furono gli autentici pionieri calcistici <strong>del</strong>la quotazione presso la City di<br />

Londra, alla fine <strong>del</strong> ’97 erano invece ben 17 le società britanniche quotate nei listini.<br />

In <strong><strong>It</strong>alia</strong> la prima primo squadra ad entrare ufficialmente a Piazza Affari è stata la<br />

Lazio il 5 maggio 1998, con la richiesta dei titoli che superò di sette volte l’offerta,<br />

seguita poi da Roma e Juventus.<br />

Nel nostro paese il cambiamento che ha reso possibile l’inserimento dei club nel<br />

mercato azionario si è avuto con la possibilità di costituire Spa, società per azioni a<br />

scopo di lucro, con la legge <strong>del</strong> 18 novembre 1996. Fino alla metà degli anni ’60, le<br />

società sportive avevano finalità agonistiche e sociali, dunque rappresentavano dei<br />

50


privati che non esercitavano alcuna attività economica organizzata al fine <strong>del</strong>la<br />

produzione o <strong>del</strong>lo scambio di beni o servizi. La legge 81, emanata il 23 marzo 1981,<br />

cambiò le carte in tavola disponendo che avrebbero potuto stipulare contratti con<br />

atleti professionisti solo società sportive costituite nella forma di società per azioni o<br />

a responsabilità limitata. Nell’atto costitutivo doveva essere previsto il<br />

reinvestimento degli utili nella società per il perseguimento <strong>del</strong>l’attività sportiva. Il<br />

passo in avanti determinante vi è stato poi con la già citata legge 586 <strong>del</strong> novembre<br />

‘96, quando è stato introdotto lo scopo di lucro. L’obiettivo dei club da quel<br />

momento è divenuto la redditività di lungo periodo. La Consob (Commissione<br />

Nazionale per le Società e la Borsa), infine, ha dato un’ulteriore mano alle società di<br />

<strong>calcio</strong> alla ricerca <strong>del</strong> denaro degli investitori, abrogando la norma che prevedeva la<br />

presentazione degli ultimi tre bilanci in attivo rendendo così possibile l’accesso a<br />

società che non potevano vantare bilanci così virtuosi. A fronte di altri ricavi, però, la<br />

Borsa richiede una serie di garanzie con i quali i club italiani non sono abituati a<br />

confrontarsi: l’equilibrio gestionale e una diversificazione <strong>del</strong>le attività distintive che<br />

non <strong>del</strong>eghi solo ai risultati <strong>del</strong> campo la possibilità di introiti.<br />

Quando la Lazio si preparò alla quotazione, i punti <strong>del</strong>la strategia erano costituiti da<br />

una miglior gestione <strong>del</strong> patrimonio calciatori, dallo sviluppo di servizi innovativi<br />

per i sostenitori, dalla massimizzazione degli introiti provenienti dai diritti tv e dal<br />

merchandising, dall’ottimizzazione spazi degli pubblicitari, dal centro d’allenamento<br />

a Formello, dagli uffici e dal residence. Molto di più di una vaga promessa di vincere<br />

le partite, dunque. Le richieste immediate per il club biancoceleste furono molto alte<br />

e tra i 145 grandi investitori che si fecero avanti 94 erano stranieri, in buona parte<br />

britannici. Le azioni <strong>del</strong>la Lazio però in seguito salirono o scesero a seconda dei<br />

risultati <strong>del</strong>la squadra o <strong>del</strong>le voci di <strong>calcio</strong>mercato. È possibile dunque pensare alla<br />

quotazione come ad una scelta vincente che consenta l’ingresso in società di nuovi<br />

flussi di denaro, ma alla base deve esserci sempre la solidità finanziaria e buone<br />

prospettive di crescita. Se i tifosi infatti non sono disposti ad investire i propri soldi<br />

per le partite o per il merchandising <strong>del</strong>la squadra <strong>del</strong> cuore, quale investitore<br />

interessato a far fruttare il proprio denaro acquisterebbe i titoli di un club poco<br />

promettente? Proprio in quest’ottica il marketing riveste una fondamentale<br />

51


importanza, creando nuove prospettive di sviluppo, sostenendo la crescita,<br />

alimentando la fantasia di azionisti e supportership.<br />

La Borsa non è stata sinora la panacea di tutti i mali in <strong><strong>It</strong>alia</strong>, riflettendo le diverse<br />

capacità <strong>del</strong>le società di operare correttamente tra entrate e uscite. Rispetto a Roma e<br />

Lazio che hanno utilizzato gli introiti per rafforzare le rose con notevoli rialzi alla<br />

voce uscite per gli ingaggi, la Juventus ha utilizzato i soldi <strong>del</strong>la quotazione per<br />

trasformarsi in società di entertainment, un progetto ambizioso che passa dalla<br />

ristrutturazione <strong>del</strong>lo stadio Delle Alpi, alla costruzione <strong>del</strong> nuovo centro sportivo e<br />

<strong>del</strong> Mondo Juve. Per poter far bene in Borsa, un club deve darsi scadenze di bilancio<br />

e prefigurarsi dei traguardi sul fronte sportivo: se per una squadra di fascia alta il<br />

mercato al momento <strong>del</strong>la quotazione si aspetterà una squadra competitiva per il<br />

vertice, per un club di seconda fascia si attenderà una stabile partecipazione alle<br />

coppe europee.<br />

I problemi <strong>del</strong>le società di <strong>calcio</strong> quotate in Borsa, secondo un’analisi inglese, sono<br />

state una iper-valutazione, il crash <strong>del</strong>le società dot.com (sinonimo di Internet<br />

company, aziende che svolgono attività esclusivamente online) e altri fattori come gli<br />

alti guadagni dei giocatori e la ripartizione dei ricavati da destinare alle varie aree. E<br />

se gli investimenti dei tifosi, avvenuti per sentimento di appartenenza, non hanno<br />

fatto la fortuna di nessuno, quelli dei grandi investitori non hanno seguito il loro<br />

esempio.<br />

Nella tabella 5 è possibile constatare come, oltre ad opportunità importanti legate a<br />

fattori come il bacino di utenza dei tifosi, la vendita dei diritti televisivi ed il valore<br />

<strong>del</strong> proprio brand, la quotazione in Borsa comporti per le squadra anche dei notevoli<br />

rischi come la forte incidenza <strong>del</strong> rischio sportivo sul valore <strong>del</strong>le azioni e la<br />

volatilità dei ricavi in relazione al risultato sportivo.<br />

Tali rischi hanno portato ad un decremento <strong>del</strong>le società quotate in Borsa, tant’è che<br />

dei 26 club calcistici britannici di fine anni ’90 ne sono rimasti solo sei, due dei<br />

quali, Arsenal e Glasgow Rangers, non fanno parte <strong>del</strong> London Stock Exchange, ma<br />

sono inserite nel Market Plus, un mercato particolare, con quotazioni non quotidiane,<br />

riservato a grandi compagnie che hanno deciso di collocare solo parte <strong>del</strong>le quote<br />

societarie.<br />

52


Tabella 5 – Opportunità e rischi per la quotazione in Borsa <strong>del</strong>le società<br />

OPPORTUNITA' RISCHI<br />

Il bacino d’utenza (tifosi) è spesso<br />

predefinito: questo consente<br />

corrette previsioni in termini di<br />

ricavi da gestione sportiva.<br />

La vendita dei diritti televisivi<br />

inciderà sensibilmente sulla<br />

redditività futura <strong>del</strong>la società e i<br />

contratti pluriennali garantiranno<br />

ricavi certi nel tempo.<br />

I ricavi da sponsorizzazione sono in<br />

continua crescita. Lo sport è<br />

riconosciuto come uno degli<br />

strumenti di comunicazione più<br />

efficaci.<br />

Il brand di molte squadre è<br />

consolidato ed in grado di superare<br />

l’ambito territoriale di riferimento.<br />

Gli orientamenti <strong>del</strong> legislatore di<br />

questi anni hanno favorito la<br />

gestione imprenditoriale <strong>del</strong><br />

business sportivo.<br />

Molte società sono inserite<br />

nell'ambito di consolidati gruppi<br />

industriali, finanziari o televisivi.<br />

Il settore sportivo è in costante<br />

crescita.<br />

Sono previsti buoni margini di<br />

sviluppo per le attività di<br />

merchandising.<br />

53<br />

Volatilità dei ricavi in relazione al<br />

risultato positivo.<br />

Forte incidenza <strong>del</strong> rischio sportivo<br />

sul valore <strong>del</strong>le azioni.<br />

Solo la Reggiana possiede<br />

attualmente uno stadio già operativo<br />

di proprietà, agli altri club sono<br />

ancora preclusi i servizi di catering,<br />

corporate hospitality, ecc.<br />

Costante crescite <strong>del</strong> costo <strong>del</strong> lavoro<br />

con possibili ripercussioni<br />

sull’equilibrio finanziario <strong>del</strong>la<br />

società.<br />

Carenza di figure professionali<br />

specializzate nella gestione <strong>del</strong><br />

business sportivo.<br />

Lento passaggio da un mo<strong>del</strong>lo di<br />

gestione familiare ad un mo<strong>del</strong>lo<br />

manageriale.<br />

Difficile ricerca di equilibrio tra<br />

logiche sportive e aziendali.<br />

Ampio mercato di gadget abusivi che<br />

limita la misura dei ricavi <strong>del</strong><br />

merchandising.<br />

Fonte: Braghero M., Perfumo S., Ravano F., Per sport e per business: è tutto parte <strong>del</strong><br />

gioco. (Ns. elab.)<br />

Le altre quattro sono Celtic Glasgow (oggi 0,43 sterline il valore di un’azione; 2,80<br />

la quota d’ingresso), Millwall (oggi 7,34; 10 sterline il valore di ogni azione<br />

consolidata assegnata nell’ottobre scorso a ogni possessore di 100.000 ordinarie<br />

scese a quota 0,01 dopo un ingesso a 0,20), Tottenham (0,62 oggi; 1 sterlina al<br />

collocamento) e Watford (0,08 oggi; 0,45 la quota d’ingresso). Negli ultimi anni il<br />

<strong>del</strong>isting è stato insomma pressoché generalizzato, nonostante lì gli stadi siano di


proprietà e nonostante fossero stati quotate non solo le squadre di <strong>calcio</strong>, ma tutte le<br />

attività e le proprietà correlate. Alcuni esempi: il Chelsea aveva portato in Borsa<br />

l’intero villaggio di Stamford Bridge, messo a patrimonio, e i vari servizi offerti, fra i<br />

quali il canale tematico televisivo; il Watford ha collocato la Watford Leisure, con<br />

tutte le attività <strong>del</strong> club, comprese le società controllate che operano nel settore <strong>del</strong><br />

tempo libero. La principale differenza fra le società italiane e quelle inglesi, a<br />

proposito <strong>del</strong>l’ingresso in Borsa, è però nel fatto che almeno i club britannici hanno<br />

utilizzato i capitali reperiti sui mercati finanziari non per comprare o pagare di più i<br />

calciatori, ma per ristrutturare se non addirittura ricostruire gli stadi di proprietà.<br />

Attualmente in Europa restano quotati in Borsa, oltre ai sei club britannici ricordati e<br />

ai tre italiani, cinque danesi (Aalborg, Arhus, Brondby, Copenaghen, attraverso la<br />

Parken Sport & Entertainment, e Silkeborg), un olandese (Ajax Amsterdam), uno<br />

svedese (Aik Stoccolma), quattro turchi (Besiktas, Fenerbahce, Galatasaray e<br />

Trabzonspor), tre portoghesi (Benfica, Porto e Sporting Lisbona), uno tedesco<br />

(Borussia Dortmund) e uno francese (Olympique Lione). Proprio la quotazione <strong>del</strong><br />

Lione, la più recente, datata 2007, fece storcere più di un naso in Francia. Uno studio<br />

pubblicato in occasione <strong>del</strong> collocamento <strong>del</strong>l’Olympique metteva in rilievo come il<br />

fixing ha un andamento schizofrenico per tutte le società, pure per quelle che hanno<br />

patrimonializzazione e bilanci invidiabili. Anche perché va considerato che lo stadio<br />

è sì un bene tangibile, ma particolare, in quanto sostanzialmente inalienabile: non è<br />

un edificio normale che si può vendere a valore di mercato quando si vuole, ma un<br />

sito dove si disputano partite di <strong>calcio</strong>, il che esclude perciò tutti i potenziali<br />

compratori che non dispongono di una squadra di <strong>calcio</strong> da farvi giocare. In <strong><strong>It</strong>alia</strong> le<br />

soddisfazioni derivate dalla Borsa sono state ben poche, con la Lazio che è stata<br />

penalizzata dalle numerose ricapitalizzazioni operate per evitare il crac, i prezzi dei<br />

titoli <strong>del</strong>la Roma che sono crollati dopo l’acquisizione da parte <strong>del</strong>la cordata Di<br />

Benedetto e la Juventus che, anche a causa <strong>del</strong>la retrocessione in serie B e degli altri<br />

danni <strong>del</strong>la sentenza su Calciopoli i cui effetti si sono protratti nel tempo, dal<br />

collocamento a 3.7 euro per azione di fine 2001 è scivolata fino agli attuali 0.87 euro<br />

(-76%), sia pur vantando, unica nel mondo <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> italiano quotato, la<br />

distribuzione di un dividendo a tutti gli azionisti.<br />

54


L’alternativa alla quotazione è la securitization, cioè <strong>del</strong>le operazioni finanziarie<br />

nelle quali i conferenti <strong>del</strong> capitale hanno un diritto di priorità sui flussi di cassa,<br />

generati dalla vendita di abbonamenti, biglietti e da contratti televisivi e di<br />

sponsorizzazione a medio e lungo termine. In sostanza la società si garantisce in<br />

anticipo flussi di cassa futuri, mentre chi ha garantito le somme si rivolgerà al<br />

mercato azionario per reperire a sua volta i fondi. Questo sistema permette alle<br />

società di non lanciarsi in prima persona nel mercato finanziario e, dietro pagamento<br />

di una quota di interessi, lasciare a mani più esperte il compito di rastrellare azioni.<br />

La prima società di <strong>calcio</strong> europea ad aver svolto questo tipo di operazione è stata la<br />

Lazio nell’ottobre 1997: in quell’occasione oggetto <strong>del</strong>la securitization sono stati i<br />

proventi di abbonamenti e biglietti. Il rimborso <strong>del</strong> finanziamento, pari a 50 miliardi<br />

di lire, ed il pagamento dei relativi interessi prevedevano la cessione di tutti i<br />

proventi futuri generati dalla vendita degli abbonamenti e, qualora in una stagione le<br />

entrate fossero risultate inferiori a 11 miliardi, sarebbero stati utilizzati anche i<br />

proventi derivanti dalla vendita dei biglietti.<br />

Nel caso <strong>del</strong>la società romana il tasso d’interesse ipotizzato è stato <strong>del</strong> 6% e il<br />

finanziamento in questione di 50 miliardi sarebbe stato rimborsabile in quattro anni,<br />

pur assicurando alla società finanziatrice un arco annuale di dieci anni per la<br />

restituzione <strong>del</strong> prestito al fine di eliminare i rischi sempre presenti in ambito<br />

sportivo.<br />

2.7 Il mercato degli sponsor<br />

Come in un passato non troppo remoto l’attività di gestione <strong>del</strong>le società calcistiche<br />

tendeva a configurarsi come una sorta di mecenatismo moderno, così anche l’attività<br />

di sponsorizzazione in principio sembrava <strong>del</strong> tutto coincidente con la filantropia.<br />

Sino a circa trenta anni fa, infatti, le attività di sponsorizzazione erano<br />

prevalentemente al servizio dei vertici aziendali, i quali con esse guadagnavano<br />

entrate sociali o politiche. In altri casi, invece, la sponsorizzazione era definita come<br />

“il business <strong>del</strong>la moglie <strong>del</strong> presidente”, perché organizzato in senso <strong>del</strong> tutto<br />

filantropico e di conseguenza gestito dai familiari con le modalità tipiche <strong>del</strong>le<br />

erogazioni liberali.<br />

55


Oggi il mercato europeo <strong>del</strong>le sponsorizzazioni sportive è cresciuto sino<br />

all’incredibile cifra di 20mila miliardi <strong>del</strong> vecchio conio superando così il livello<br />

raggiunto dagli sport professionistici americani, che si attestano sui 9,6 miliardi di<br />

dollari. Nel recente passato è stato aperto un dibattito sulla compatibilità di obiettivi<br />

filantropici e finanziari all’interno <strong>del</strong>le aziende, coniando addirittura un termine<br />

nuovo e discutibile, quello di “filantropia strategica” per indicare una combinazione<br />

dei due tipi.<br />

<strong>Una</strong> cosa è ormai senza dubbio: i consumatori finali sono influenzati, e molto, dalle<br />

attività filantropiche <strong>del</strong>le aziende. Studi diversi indicano che circa il 40% dei<br />

consumatori americani utilizza come criterio per la scelta tra prodotti di aziende<br />

diverse la conduzione o meno di attività filantropiche o di patrocinio o di sponsoring.<br />

Oggi è possibile però tracciare una netta linea di demarcazione tra filantropia e<br />

attività di sponsorizzazione, la quale è attuata con lo scopo di cogliere obiettivi<br />

commerciali, e distinguere quest’ultima anche dalla pubblicità. La pubblicità, infatti,<br />

è la comunicazione diretta, di un prodotto o di una marca, attraverso un mezzo<br />

acquistato per quello scopo. La sponsorizzazione, invece, è un mezzo più sofisticato,<br />

meno smaccatamente orientato alla vendita, che comunica un’azienda o il suo<br />

prodotto in combinazione con una squadra, un atleta o un evento. In questo modo si<br />

ottiene una conseguenza ulteriore rispetto alla comunicazione, in quanto lo sponsor<br />

viene associato automaticamente allo spirito e ai caratteri <strong>del</strong>lo sponsee, in modo da<br />

rendere il messaggio commerciale più credibile e memorabile agli occhi <strong>del</strong><br />

pubblico. I vantaggi differenziali offerti dalla sponsorizzazione rispetto alla<br />

pubblicità classica non sono pochi, dato che si può godere su un accesso ad audience<br />

dal vivo e <strong>del</strong>la possibilità di poter dedicarsi alla vendita o distribuzione di omaggi<br />

sul luogo <strong>del</strong>la gara.<br />

La possibilità di segmentare il pubblico inoltre consente di valutare precisamente i<br />

ritorni <strong>del</strong>la sponsorizzazione in termini di reach, inteso come il numero e le<br />

caratteristiche degli individui effettivamente raggiunti dal messaggio, e di awarness,<br />

cioè la notorietà spontanea e/o sollecitata <strong>del</strong>l’accoppiamento sponsorizzativo,<br />

acquisiti attraverso il messaggio, nonché la predisposizione e la motivazione<br />

all’acquisto e il comportamento di acquisto e di consumo. La sponsorizzazione<br />

rappresenta un tipo di comunicazione solitamente ben accetta al pubblico, perché da<br />

56


questo ritenuta innocua e a volte utile e altruistica, permettendo lo svolgimento di<br />

attività sportive e culturali. Nel <strong>calcio</strong> italiano è solo nel 1981 che la Feder<strong>calcio</strong> si è<br />

preoccupata di redigere un documento contenente tutte le regole per le<br />

sponsorizzazioni, la cui presenza sulle divise dei club italiani era garantita soltanto<br />

con il ricorso a ingegnosi aggiramenti <strong>del</strong> divieto fino ad allora vigente 10 .<br />

Al marchio <strong>del</strong>lo sponsor furono dapprima riservati 100 cm2, oltre ai 12 corrisposti<br />

al fornitore tecnico, successivamente si è poi arrivati a 250. Dalla stagione<br />

2011/2012, in linea con le normative europee in materia, la Lega Nazionale<br />

Professionisti di Serie A ha ottenuto l’estensione degli spazi pubblicitari sino a 350<br />

cm², con al più due marchi di cui uno al massimo <strong>del</strong>la dimensione di 250 cm².<br />

Per molto tempo il fenomeno si sviluppò solamente intorno allo sponsor principale,<br />

quindi il logo aziendale dalle magliette cominciò ad essere apposto anche sui<br />

biglietti, sui cartelloni retro-intervista e sul materiale pubblicitario prodotto dalla<br />

società. Ad oggi, come si evince dalla tabella 6, è possibile suddividere gli sponsor in<br />

diverse tipologie e ordinarle secondo l’importanza che hanno per i club: lo sponsor<br />

ufficiale, che è la società il cui nome o il cui logo appare sulle maglie <strong>del</strong>la squadra, è<br />

il più importante insieme allo sponsor tecnico, che fornisce gli articoli sportivi al<br />

team. Poi vi sono gli sponsor istituzionali e i fornitori ufficiali, imprese che<br />

utilizzano il marchio <strong>del</strong>la società a scopo promozionale e pubblicitario; infine a<br />

questi soggetti vanno aggiunti tutti quelli che utilizzano il marchio <strong>del</strong> club per le<br />

attività di merchandising. Il potere contrattuale di ciascuna squadra è commisurato a<br />

due variabili fondamentali: la tifoseria e il bacino di utenza, riferendoci in particolare<br />

alla massa di persone che possono conoscere il marchio <strong>del</strong>l’azienda sponsor<br />

seguendo l’attività sportiva <strong>del</strong> team.<br />

10 Le prime sponsorizzazioni sportive risalgono agli anni ‘50, quando vi fu un tiepido avvicinamento<br />

tra il mondo calcistico e quello industriale. La mancanza di norme specifiche permise ad alcune<br />

società di legare il proprio nome a quello di alcune aziende; nacquero così la Lanerossi-Vicenza, la<br />

Simmenthal-Monza, l’Ozo Petroli-Mantova, il Modena-Zenith, la Sarom-Ravenna e il Talmone-<br />

Torino. Nella stagione 1959/60, tuttavia, arrivò il divieto <strong>del</strong>la Feder<strong>calcio</strong> per tali abbinamenti.<br />

Furono due i fatti decisivi per la caduta <strong>del</strong> divieto, e protagoniste furono Udinese e Perugia: nel 1978<br />

la società friulana pose sui calzoncini il marchio Sanson, aggirando così il divieto federale che faceva<br />

riferimento espresso solamente alle maglie. La Feder<strong>calcio</strong> multò la società per 10 milioni, una cifra<br />

di certo inferiore a quella ricevuta dallo sponsor. Il Perugia fu più innovativo e, data la possibilità di<br />

apporre sulle maglie, per uno spazio massimo di 12 cm², il nome <strong>del</strong>lo sponsor tecnico, vendette tale<br />

spazio alla Ponte (industria alimentare) che appositamente creò una propria fittizia linea<br />

d’abbigliamento, la Ponte sportwear, grazie ad un contratto di licenza stipulato con una ditta perugina<br />

produttrice di abbigliamento.<br />

57


Tabella 6 – Tipologie di sponsor<br />

MAIN SPONSOR<br />

(SPONSOR UFFICIALE)<br />

SPONSOR SECONDARI<br />

SPONSOR TECNICO<br />

MEDIA PARTNER<br />

PARTNER COMMERCIALI<br />

FORNITORI TECNICI<br />

58<br />

TIPOLOGIE DI SPONSOR<br />

Compare sulle maglie e sui capi di abbigliamento<br />

ufficiali: non è raro che ve ne sia uno per ogni<br />

competizione sportiva cui il club partecipa.<br />

Appaiono sui cartelloni retrointervista, all’interno<br />

<strong>del</strong>lo stadio, sui biglietti e sul materiale<br />

pubblicitario.<br />

Fornisce alla società l’abbigliamento e il materiale<br />

per la messa in scena <strong>del</strong>lo spettacolo calcistico.<br />

È il partner commerciale a cui si cedono i diritti<br />

per la trasmissione <strong>del</strong>le partite. La società può<br />

decidere di affidarsi a un diverso partner per ogni<br />

canale mediatico.<br />

Altri sponsor che appaiono nello stadio e sul<br />

materiale pubblicitario come gli sponsor<br />

secondari, e che normalmente sono legati a<br />

specifici settori merceologici.<br />

Forniscono materiali, prodotti e servizi alla<br />

società, in modo non direttamente correlato<br />

all’attività sportiva.<br />

Acquistano dalla società calcistica la possibilità di<br />

commercializzare prodotti con il marchio e i colori<br />

LICENZIATARI<br />

sociali <strong>del</strong> club prodotti con il marchio e i colori<br />

sociali <strong>del</strong> club.<br />

Fonte: Nostra indagine diretta febbraio 2011.<br />

Le squadre più sponsorizzate sono quindi quelle che hanno tradizionalmente una<br />

tifoseria numerosa, come Napoli e Fiorentina, o quelle che pur essendo<br />

rappresentanti di piazze non grandi hanno ottenuto recentemente risultati tali da<br />

moltiplicare la visibilità dei marchi ad esse legati, come il Chievo Verona, oppure,<br />

naturalmente, quelle formazioni che uniscono un numero elevato di tifosi a successi<br />

più o meno recenti, come la Juventus, il Milan, la Roma e l’Internazionale.<br />

Il primato europeo in questo momento spetta tuttavia al Barcelona, che ha raggiunto<br />

un accordo con la Qatar Foundation, un’organizzazione internazionale no profit per<br />

la difesa dei bambini, che porterà nelle casse catalane ben 150 milioni di euro in 5<br />

anni, 30 a stagione. Un’operazione che ha detronizzato il Bayern Monaco, in


precedenza primo con i suoi circa 25 milioni annui garantitigli dalla Deutsche<br />

Telekom, e fatto arretrare di una posizione Manchester United e Liverpool, che<br />

incassano 23.6 milioni stagionali rispettivamente da Aon e Standard Chartered Bank.<br />

In <strong><strong>It</strong>alia</strong> lo scenario è decisamente differente: 19 squadre, la Lazio è l’unica senza<br />

sponsor, incassano un importo totale pari a circa 70 milioni di euro. Volendo entrare<br />

nello specifico la Juventus, che a causa di Calciopoli ed alla successiva retrocessione<br />

in serie B ha visto sfumare l’accordo da 240 milioni per 10 anni (2005-2015) con la<br />

Tamoil, oggi è sponsorizzata da Betclic, che ha preso il posto <strong>del</strong> brand New Holland<br />

ed eroga ai bianconeri circa 7 milioni all’anno fino al 2012, più premi per i risultati.<br />

Questa sponsorship ha una particolarità: lo sponsor vale solo per la maglia<br />

bianconera e per la terza, quella grigia. La maglia da trasferta è invece marchiata<br />

Balocco, sponsor piemontese che paga 3 milioni di euro in cambio di 12 partite.<br />

L’Inter, invece, percepisce dalla Pirelli, con la quale è all’ultimo anno di contratto,<br />

9.2 milioni di euro, mentre il Milan tocca quota 12 milioni grazie ad un accordo<br />

quinquennale con la Fly Emirates.<br />

Ma il mercato <strong>del</strong>le sponsorizzazioni si è evoluto nel tempo e nel mondo <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> le<br />

imprese non si concentrano soltanto sulle formazioni, ma anche su altri comparti<br />

<strong>del</strong>lo sponsoring, come l’abbinamento a testimonial, il naming di impianti e la<br />

sponsorizzazione di eventi. Proprio il naming è un settore da tenere d’occhio per i<br />

prossimi anni, tant’è che la stessa Juventus, forte <strong>del</strong>l’accordo di lunghissimo periodo<br />

con Nike per la fornitura tecnica, aveva pensato di farla entrare nello sviluppo <strong>del</strong><br />

nuovo Delle Alpi. In Inghilterra è <strong>del</strong>l’ottobre 2004 l’annuncio <strong>del</strong>l’accordo tra<br />

l’Arsenal e la compagnia aerea Fly Emirates per la maxi-sponsorizzazione <strong>del</strong> nuovo<br />

impianto che porterà nelle casse dei “Gunners” qualcosa come 100 milioni di<br />

sterline, poco meno di 145 milioni di euro per 15 anni a partire dalla stagione<br />

2006/07. La compagnia araba darà il proprio oltre ad apporre il proprio marchio sulle<br />

magliette biancorosse.<br />

Per quanto concerne invece il comparto dei testimonial, sono spesso i diritti di<br />

immagine legati ai giocatori a determinare tensioni e rotture nelle trattative tra<br />

calciatori e club per la negoziazione dei contratti. Si parla naturalmente di atleti di<br />

primo livello in grado di generare, attraverso l’utilizzo <strong>del</strong>la propria immagine da<br />

parte degli sponsor, somme di gran lunga più elevate dei già faraonici stipendi<br />

59


strappati ai club ed è proprio in tal senso che va letta la volontà <strong>del</strong> Napoli di voler<br />

far propri i diritti di immagine dei propri tesserati sin dal momento <strong>del</strong>la firma degli<br />

accordi.<br />

Per quanto riguarda la sponsorizzazione di eventi, un appuntamento calcistico che<br />

ormai potrebbe costituire un case history per l’argomento è il Trofeo Birra Moretti.<br />

Esso, stando ai risultati di una ricerca di Tns Abacus, si colloca al terzo posto per<br />

notorietà tra gli eventi calcistici italiani dietro al campionato e alla Coppa <strong><strong>It</strong>alia</strong>, pur<br />

essendo un torneo estivo di nessuna rilevanza agonistica. La “Birra <strong>del</strong> baffo”<br />

concentra tutta la sua strategia di sponsorizzazione sulla realizzazione di questo<br />

evento estivo, tattica che risulta vincente visto il seguito e la visibilità che ogni anno<br />

riscuote il torneo e i conseguenti risultati di notorietà <strong>del</strong> brand. Heineken,<br />

proprietaria <strong>del</strong> marchio, valuta che sia senz’altro più vantaggioso creare un evento<br />

piuttosto che essere title sponsor di una squadra anche di alto livello perché<br />

l’appuntamento può essere sfruttato anche come base per campagne pubblicitarie<br />

tradizionali, per azioni di co-marketing e come contenitore di sponsor tecnici. E certo<br />

i numeri danno ragione al marchio olandese: nell’edizione <strong>del</strong> 2002, ad esempio,<br />

l’evento ha catalizzato l’attenzione di 4.218.000 spettatori, per uno share medio di<br />

23,95%. Allo stadio San Nicola di Bari erano presenti 55mila spettatori, oltre a 110<br />

giornalisti per più di 50 testate nazionali e internazionali tra televisioni, radio,<br />

agenzie di stampa, testate online e carta stampata e 40 fotografi a bordo campo.<br />

L’evento è stato seguito in oltre 100 Paesi nel mondo.<br />

2.8 Le operazioni bianche e nere sul bilancio<br />

Non è tutto oro quello che luccica. Anche nel <strong>calcio</strong>, come negli altri settori<br />

imprenditoriali, ad operazioni portate avanti rispettando le regole se ne affiancano<br />

altre in cui appena possibile si compiono manovre proibite per aggirare i deficit di<br />

bilancio. Il bilancio d’esercizio è il mo<strong>del</strong>lo che misura e valuta l’economicità <strong>del</strong>la<br />

gestione, con riferimento a periodi di tempo definiti. Tale mo<strong>del</strong>lo, mediante<br />

opportuni calcoli, in cui intervengono stime e congetture, raccoglie il sistema di<br />

valori in adatte sintesi periodiche, pervenendo a determinare due quantità<br />

economiche complesse, il reddito di esercizio (quantità-flusso) e il capitale di<br />

funzionamento (quantità-fondo) alla fine <strong>del</strong> periodo per il quale si è determinato il<br />

60


eddito. Il bilancio è, quindi, il documento nel quale è riflesso il comportamento<br />

<strong>del</strong>l’impresa in termini quantitativi. Le quantità economiche accolte dai bilanci sono<br />

espressione di valori che riflettono in modo sintetico le scelte praticate dai<br />

responsabili <strong>del</strong> governo aziendale. Pur con tutte le insufficienze che possono<br />

rilevarsi, il bilancio d’esercizio costituisce lo strumento di sintesi più efficace per<br />

fornire informazioni riguardo la gestione <strong>del</strong>l’impresa esaminata nell’aspetto<br />

economico, patrimoniale e finanziario.<br />

Il bilancio d’esercizio svolge una duplice funzione: informativa dei terzi e gestionale.<br />

In particolare esso ha un ruolo informativo perché offre, a posteriori, informazioni<br />

sull’andamento economico <strong>del</strong>la gestione e sugli elementi che compongono il<br />

patrimonio di funzionamento. Tali dati sono messi a disposizione dei soggetti<br />

portatori di interessi nei confronti <strong>del</strong>l’impresa, i quali rappresentano diverse<br />

categorie, detentrici di obiettivi conoscitivi anche divergenti e talune volte addirittura<br />

conflittuali.<br />

I destinatari <strong>del</strong> bilancio <strong>del</strong>le società di <strong>calcio</strong> possono essere individuati in alcune<br />

categorie come: i conferenti di capitale-risparmio, interessati ad ottenere un bilancio<br />

d’esercizio che mostri loro in modo fe<strong>del</strong>e se il club sta rispettando le condizioni di<br />

equilibrio economico di lungo periodo; i prestatori di lavoro (calciatori<br />

professionisti), per i quali non sembrano esistere similarità, in termini di fabbisogno<br />

informativo, con i dipendenti di altre imprese, in quanto le modalità di assunzione<br />

sono differenti (non esistono problemi connessi a potenziali licenziamenti oppure a<br />

politiche di remunerazione collegate ai risultati economici ottenuti); i calciatori<br />

dilettanti, interessati a trarre informazioni sulle strategie future per vedere se la<br />

società è in grado di portar avanti progetti di medio periodo sulla formazione<br />

giovanile; i fornitori ed i consulenti esterni, interessati al fatto che il bilancio sia<br />

redatto con prudenza e che non sia annacquato il capitale netto; gli spettatori<br />

generici, per i quali il bilancio può servire da informazione su eventuali<br />

danneggiamenti provocati al “prodotto <strong>calcio</strong>” da uno squilibrio economico-<br />

finanziario <strong>del</strong>l’azienda; i tifosi, interessati all’equilibrio economico-finanziario<br />

<strong>del</strong>l’impresa solo nella misura in cui può incidere sulle prestazioni <strong>del</strong>la squadra; il<br />

bilancio permette, comunque, ai tifosi di essere informati con trasparenza sulla<br />

corretta gestione <strong>del</strong>la società e sulla capacità <strong>del</strong>l’azienda di soddisfare la<br />

61


condizione oggettiva di equilibrio economico di lungo periodo, fattori che sono alla<br />

base <strong>del</strong> buon funzionamento sportivo <strong>del</strong>la società; le altre società calcistiche,<br />

interessate soprattutto in occasione <strong>del</strong> <strong>calcio</strong>-mercato, per valutare le condizioni<br />

economiche globali <strong>del</strong>le aziende con cui si stanno instaurando trattative finalizzate<br />

alla cessione ed acquisizione dei diritti alle prestazioni dei calciatori; le imprese<br />

sponsorizzanti, pubblicitarie o comunque collegate all’attività calcistica, le quali<br />

sono interessate alle oscillazioni dei risultati ed alle previsioni sulle future prestazioni<br />

sportive; per soddisfare il loro interesse informativo, quindi, oltre al bilancio<br />

d’esercizio redatto in modo fe<strong>del</strong>e e trasparente, essi devono conoscere gli specifici<br />

progetti di rilancio o di ridimensionamento dei club; i mezzi di comunicazione di<br />

massa, in particolare sia la stampa sportiva che quella economica, in quanto la<br />

diffusione <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> è tale da giustificare numerosi articoli; i finanziatori, i quali<br />

richiedono oltre ai dati di bilancio anche notizie aggiuntive e garanzie reali o<br />

personali; l’Amministrazione finanziaria <strong>del</strong>lo Stato (Erario), la quale non può<br />

accontentarsi <strong>del</strong> contenuto minimale <strong>del</strong> bilancio d’esercizio, ma necessita di<br />

particolari dati ed informazioni; le autorità locali, che sono coinvolte nell’attività<br />

<strong>del</strong>le società calcistiche sia direttamente (la gran parte degli stadi è di proprietà<br />

comunale), sia indirettamente (esse sono il referente pubblico degli appassionati di<br />

una città e spesso fanno parte <strong>del</strong>la tifoseria); la Federazione, in quanto il bilancio<br />

d’esercizio rappresenta l’elemento di partenza per lo svolgimento <strong>del</strong>la funzione di<br />

controllo sulle società; per le società quotate: gli investitori, la Consob, gli analisti di<br />

borsa.<br />

Uno dei settori maggiormente interessato da questa tipologia di pratiche è la<br />

compravendita dei calciatori.<br />

Il diritto alle prestazioni sportive dei giocatori può derivare da un accordo di<br />

trasferimento di un atleta oppure dalla cessione <strong>del</strong> contratto di un professionista da<br />

parte di un’altra società. Tale diritto, che può riferirsi a calciatori professionisti, non<br />

professionisti o provenienti dal settore giovanile, può essere iscritto nello stato<br />

patrimoniale soltanto se l’accordo di trasferimento risulta da contratto e per il costo<br />

indicato nel documento medesimo.<br />

La valutazione <strong>del</strong>le qualità di un atleta è un compito arduo, in buona misura fondato<br />

sull’esperienza dei valutatori. In genere gli elementi che sono presi a base <strong>del</strong>la<br />

62


valutazione riguardano caratteristiche <strong>del</strong>lo sportivo quali l’età, il ruolo ricoperto<br />

nella squadra, l’attitudine a ricoprirne altri, le condizioni fisiche, le prestazioni<br />

sportive, l’esperienza posseduta in campo internazionale, il tipo di infortuni in cui<br />

l’oggetto <strong>del</strong>l’interesse è incorso e la presenza di altre società interessate all’acquisto.<br />

Le Raccomandazioni contabili precisano che i diritti pluriennali sono assimilabili ai<br />

diritti di concessione e simili, previsti dalla voce B.I.4 <strong>del</strong>l’articolo 2424 c.c.. Tali<br />

diritti possono altresì essere assimilati al diritto, da parte di una società che effettua<br />

attività di ricerca e sviluppo, di utilizzare in via esclusiva le invenzioni realizzate dai<br />

propri ricercatori; allo stesso modo, infatti, la società sportiva sfrutta in esclusiva<br />

l’immagine e le prestazioni <strong>del</strong> calciatore, anche se per un periodo determinato.<br />

Nel caso di trasferimento di un calciatore con contratto in corso, il prezzo di tale<br />

diritto è liberamente concordato tra le parti ed il corrispettivo pagato sarà iscritto tra<br />

le immobilizzazioni immateriali <strong>del</strong>la società cessionaria, mentre quella cedente<br />

registrerà una plusvalenza o una minusvalenza rispetto al valore netto <strong>del</strong> diritto<br />

ancora iscritto in bilancio.<br />

In caso di cessione di un giocatore proveniente dal settore giovanile, bisogna<br />

distinguere se appartiene al proprio vivaio o a quello di altre squadre. Nel primo caso<br />

non si ha nessuna movimentazione contabile, nel secondo il club acquirente<br />

corrisponde il premio di addestramento e formazione tecnica ed iscrive il costo tra le<br />

immobilizzazioni immateriali, mentre il cedente rileva una sopravvenienza attiva.<br />

Occorre in proposito chiarire come vi siano alcuni casi da cui non scaturisce la<br />

rilevazione in bilancio <strong>del</strong> diritto pluriennale alle prestazioni <strong>del</strong> calciatore, come<br />

l’acquisto a parametro zero di giocatori svincolati, il rinnovo di un contratto scaduto<br />

ad un proprio calciatore e il primo accordo da professionista con un giocatore<br />

proveniente dal proprio vivaio. In questi tre casi non si avrà alcuna evidenza <strong>del</strong><br />

diritto pluriennale tra le attività <strong>del</strong>lo stato patrimoniale e le società dovranno<br />

riportare tali informazioni in una nota integrativa.<br />

Il momento temporale per la contabilizzazione in bilancio dei diritti è il<br />

perfezionamento contrattuale che costituisce l’evento che conferisce certezza<br />

all’operazione di trasferimento mentre il deposito in Lega ne costituisce la sola<br />

ratifica. Il definire l’uno o l’altro momento quello in cui avvengono le rilevazioni<br />

vuol dire in molti casi imputare le eventuali plus o minusvalenze in uno o in un altro<br />

63


periodo amministrativo poiché i contratti vengono spesso stipulati alla fine di ogni<br />

esercizio mentre il deposito avviene all’inizio <strong>del</strong> successivo. Un’applicazione<br />

elastica <strong>del</strong> termine di decorrenza <strong>del</strong> trasferimento rischierebbe di agevolare<br />

politiche di annacquamento <strong>del</strong> capitale, in quanto i diversi club potrebbero essere<br />

indotti a mitigare le perdite di gestione anticipando le plusvalenze connesse al<br />

trasferimento <strong>del</strong>l’atleta (adottando così la data <strong>del</strong>la stipula <strong>del</strong> contratto quale<br />

tempo in cui effettuare le rilevazioni), o a rilevarle successivamente se non fossero<br />

necessarie a far quadrare i propri bilanci.<br />

Non è affatto raro tra le società di <strong>calcio</strong> stipulare contratti comunemente definiti di<br />

“comproprietà”. Più precisamente si parla di accordi di compartecipazione: situazioni<br />

contrattuali in forza <strong>del</strong>le quali una società, che abbia acquisito il diritto alle<br />

prestazioni sportive di un calciatore per mezzo di un apposito contratto, stipula un<br />

accordo con il club cedente prevedendo un “diritto di partecipazione” di questo, in<br />

misura paritaria, agli effetti derivanti dalla successiva risoluzione <strong>del</strong>l’accordo con il<br />

calciatore. Con un contratto di compartecipazione la società che ha ceduto il diritto<br />

(acquistando la compartecipazione) vanta interessi di natura patrimoniale sul<br />

calciatore, ma non può disporre <strong>del</strong>le sue prestazioni, che sono state cedute. La<br />

classificazione contabile di questo particolare diritto diverge rispetto a quella che è<br />

invece riservata ai veri e propri “diritti alle prestazioni sportive dei calciatori”. Tale<br />

accordo ha durata annuale e può essere rinnovato una sola volta, con il consenso <strong>del</strong><br />

calciatore. Può essere risolto alternativamente in modo consensuale tra le società<br />

prima <strong>del</strong>la scadenza <strong>del</strong> termine stabilito, oppure tramite il ricorso alle “buste”.<br />

Attraverso la risoluzione <strong>del</strong>la compartecipazione la titolarità <strong>del</strong> diritto alle<br />

prestazioni sportive <strong>del</strong> calciatore può rimanere in capo alla società già titolare <strong>del</strong><br />

diritto o tornare alla società che l’aveva in precedenza ceduto.<br />

L’ammortamento <strong>del</strong> costo dei diritti pluriennali risulta essere la voce più<br />

caratteristica <strong>del</strong> conto economico e rappresenta la quota parte <strong>del</strong> costo di acquisto<br />

<strong>del</strong> diritto all’utilizzo <strong>del</strong>le prestazioni dei calciatori imputata all’esercizio.<br />

La determinazione <strong>del</strong>la quota di ammortamento attribuita ad un determinato periodo<br />

amministrativo avviene mediante la preparazione di un piano di ammortamento<br />

composto principalmente da tre elementi: il valore da ammortizzare, la vita utile<br />

residua e la metodologia di calcolo <strong>del</strong>le quote annuali. La teoria ragionieristica offre<br />

64


una pluralità di metodi che possono essere ricondotti a due macroclassi:<br />

ammortamenti rigidi e ammortamenti elastici. Gli ammortamenti rigidi, per i quali<br />

inizialmente si può già definire un piano conoscendo la vita utile, possono essere<br />

classificati in tre categorie fondamentali: a quote costanti, in cui le quote di<br />

ammortamento non subiscono variazioni in quanto è costante l’utilità fornita dal<br />

costo pluriennale; a quote crescenti, in cui vi sono basse quote all’inizio che vanno<br />

incrementandosi all’avvicinarsi <strong>del</strong>la fine <strong>del</strong> periodo prefissato; a quote decrescenti,<br />

in cui le quote più alte sono all’inizio <strong>del</strong> periodo, perché quel costo pluriennale offre<br />

la propria maggiore utilità nei primi anni di vita.<br />

Nel metodo di calcolo <strong>del</strong>l’ammortamento chiamato elastico, invece, le quote sono<br />

variabili e commisurate al volume <strong>del</strong>la produzione.<br />

Per evitare comportamenti discrezionali da parte dei redattori <strong>del</strong> bilancio, la<br />

Federazione, allineandosi a una risoluzione ministeriale <strong>del</strong> 1981, ha stabilito nella<br />

Raccomandazione Contabile n.1 il criterio di ammortamento da seguire. La<br />

metodologia scelta presuppone la ripartizione <strong>del</strong> costo iscritto in bilancio in quote<br />

costanti per l’intera durata <strong>del</strong> contratto che vincola il calciatore alla società<br />

cessionaria <strong>del</strong> diritto a partire dall’esercizio in cui avviene il tesseramento <strong>del</strong><br />

giocatore. Nel caso in cui nel corso <strong>del</strong> rapporto le parti concordino il prolungamento<br />

<strong>del</strong> contratto, la quota non ancora ammortizzata potrà essere ripartita in relazione alla<br />

nuova durata <strong>del</strong> contratto stesso, per cui la società redigerà un nuovo piano di<br />

ammortamento a rate costanti tenendo conto <strong>del</strong> costo ancora da ammortizzare e <strong>del</strong><br />

nuovo tempo contrattuale. In tal modo si verificherà un miglioramento <strong>del</strong> risultato<br />

<strong>del</strong>l’impresa calcistica per il periodo intercorrente tra il rinnovo e l’originaria<br />

scadenza ed un peggioramento per il periodo compreso tra l’originaria scadenza e la<br />

nuova. In caso, invece, di risoluzione anticipata <strong>del</strong> contratto per cessione ad altra<br />

società, il costo non ancora ammortizzato graverà interamente sull’esercizio in cui è<br />

avvenuta tale risoluzione e sarà controbilanciato dal ricavo derivante dalla cessione.<br />

Gli amministratori sono, comunque, obbligati ad abbandonare il piano di<br />

ammortamento originariamente predisposto e ad effettuare una congrua svalutazione<br />

ogniqualvolta il calciatore in forza alla società non risulti più idoneo a partecipare<br />

all’attività agonistica (in seguito ad infortuni di rilevante entità oppure in caso di<br />

65


provvedimenti disciplinari <strong>del</strong>l’autorità sportiva di lunga durata che impediscano<br />

l’utilizzo <strong>del</strong> calciatore).<br />

L’ammortamento nelle società di <strong>calcio</strong> non è solitamente eseguito in modo diretto<br />

come di norma avviene per le immobilizzazioni immateriali, ma attraverso la<br />

costituzione <strong>del</strong> fondo ammortamento; ciò a causa <strong>del</strong>la rilevanza che il valore<br />

assume nell’ambito <strong>del</strong> capitale investito nelle società di <strong>calcio</strong>. Molte società<br />

calcistiche, nel passato, non effettuavano l’ammortamento <strong>del</strong> parco giocatori<br />

secondo il descritto piano di ammortamento, ma utilizzavano le quote annuali come<br />

strumento per attuare politiche di bilancio al fine di non compromettere ulteriormente<br />

i risultati di bilancio già caratterizzati da ingenti perdite.<br />

Le quote di ammortamento erano, infatti, calcolate non già dividendo il costo <strong>del</strong><br />

giocatore per la durata <strong>del</strong> contratto, ma diminuendo il costo <strong>del</strong> diritto e <strong>del</strong> valore<br />

di svincolo secondo i parametri federali: la differenza veniva ripartita sulla durata <strong>del</strong><br />

contratto.<br />

Nel caso in cui un calciatore venga ceduto prima <strong>del</strong>la scadenza <strong>del</strong> suo contratto si<br />

configura una situazione analoga alla cessione di un cespite ammortizzabile al prezzo<br />

concordato tra la società cedente e quella acquirente. In particolare, la società<br />

cedente dovrà confrontare il prezzo di cessione con il valore contabile attribuito al<br />

diritto alle prestazioni <strong>del</strong> calciatore. Nel caso in cui i due valori non coincidano si<br />

profilano due scenari: se la differenza tra il valore di cessione ed il valore netto<br />

contabile è positiva, tale importo rappresenta una plusvalenza da iscrivere nel conto<br />

economico tra i proventi straordinari alla voce “Plusvalenze da alienazione”; se la<br />

differenza è negativa, l’importo dovrà, invece, essere iscritto nel conto economico tra<br />

gli oneri straordinari alla voce “Minusvalenze da alienazione”. Allo stesso tempo,<br />

invece, la società cessionaria iscriverà tra le immobilizzazioni immateriali, quale<br />

diritto pluriennale alle prestazioni <strong>del</strong> calciatore acquistato, il corrispettivo pagato per<br />

il trasferimento <strong>del</strong> calciatore, che concorrerà alla formazione <strong>del</strong> reddito di esercizio<br />

attraverso quote costanti di ammortamento.<br />

Lo sfasamento temporale nella produzione degli effetti economici <strong>del</strong>l’operazione<br />

nei bilanci di cedente e cessionaria è all’origine <strong>del</strong> fenomeno che ha permesso a<br />

società in perdita di mascherare lo stato di crisi ricorrendo a sistematiche operazioni<br />

di “permuta di giocatori”. Queste non comportano alcuna movimentazione<br />

66


finanziaria; tuttavia, mentre la plusvalenza per la cessione costituisce un ricavo<br />

<strong>del</strong>l’esercizio in cui l’operazione è conclusa, il costo relativo all’acquisto graverà<br />

solo pro quota, determinata in base alla durata <strong>del</strong> periodo di ammortamento.<br />

Il sistematico ricorso alla prassi <strong>del</strong>la permuta di calciatori a volte sconosciuti, spesso<br />

valutati alla stregua di campioni, ha consentito a numerose società di evitare il<br />

verificarsi dei presupposti che avrebbero comportato l’obbligo di procedere ad<br />

onerose ricapitalizzazioni.<br />

In origine tal fenomeno fu introdotto dal Parma che, a partire dal 1998, cedette a cifre<br />

esorbitanti alla Lazio Crespo, Veron, Sensini e Dino Baggio in cambio di Almeyda,<br />

Flavio Conceiçao e Fuser, e alla Roma Longo, Lassissi e lo stesso Fuser al posto di<br />

Gurenko, Magone e Paolo Poggi.<br />

Nel breve volgere di un anno lo scambio a cifre gonfiate diventò una prassi<br />

consolidata. Nella maggioranza dei casi le valutazioni dei calciatori risultavano di<br />

fatto fittizie e la sopravvalutazione <strong>del</strong>le plusvalenze era soltanto funzionale ad<br />

evitare le ricapitalizzazioni indispensabili per evitare il fallimento <strong>del</strong>le società<br />

calcistiche. Fu solo l’inizio di un fenomeno che nella stagione 2002/2003 vide<br />

l’allora ventenne Matteo Deinite, attualmente tesserato per il Legnago Salus in Serie<br />

D, passare dal Milan all’Inter con una plusvalenza di 3 milioni di euro. Nessuno,<br />

però, ha mai visto questo calciatore su un campo di serie A, al pari di Giuseppe Ticli,<br />

attualmente legato al Sant’Angelo nell’Eccellenza lombarda, che nello stesso periodo<br />

fece il percorso inverso con una plusvalenza di 3.5 milioni a favore <strong>del</strong> club di<br />

Massimo Moratti.<br />

Degli altri sei giovani scambiati in quell’anno tra le due squadre milanesi si sono<br />

perse le tracce. L’Inter, infatti, ha venduto al Milan anche Salvatore Ferraro,<br />

Alessandro Livi e Marco Varaldi, iscrivendo in bilancio una plusvalenza di 3.5<br />

milioni a testa. Adriano Galliani ha ripagato Moratti cedendogli Simone Brunelli,<br />

Matteo Giordano e Ronny Toma, con una plusvalenza di 3 milioni su ogni calciatore.<br />

Grazie a questi scambi generosi, quindi, l’Inter ha potuto iscrivere plusvalenze per 14<br />

milioni nel bilancio al 30 giugno 2003, il Milan per 12 milioni. In realtà, nessuno ha<br />

pagato un euro per questi scambi; l’unico effetto, nei fatti, è stato quello tipico <strong>del</strong>le<br />

politiche di window dressing: imbellettare bilanci martellati da spese fuori controllo.<br />

67


Inter e Milan si sono quindi scambiati, a valore stratosferici, otto giocatori dai volti<br />

sconosciuti, che non sono mai apparsi neppure sulle figurine Panini.<br />

Nel panorama <strong>del</strong>ineato paiono significative le operazioni che emergono dal bilancio<br />

<strong>del</strong>la Roma al 30 giugno 2002: 95 milioni di guadagno realizzati vendendo 26<br />

giovani a prezzi stratosferici, diversi dei quali a squadre di Serie B, come Franco<br />

Brienza, ceduto al Palermo, allora di proprietà <strong>del</strong>lo stesso presidente dei giallorossi,<br />

Franco Sensi, con una plusvalenza di 10.97 milioni. La società di Trigoria<br />

successivamente ha acquisito in comproprietà quasi tutti i calciatori (23 su 26),<br />

annullando di fatto circa 40 milioni <strong>del</strong>le plusvalenze dichiarate in bilancio. Il gioco<br />

<strong>del</strong>le comproprietà ha regalato plusvalenze anche alla Juventus, uno dei club che non<br />

ha utilizzato la scappatoia <strong>del</strong> “Decreto Salva-Calcio”. Nell’agosto 2004, infatti, la<br />

Juve ha ceduto alla Fiorentina di Diego Della Valle tre calciatori, Miccoli, Chiellini e<br />

Maresca, per 26 milioni pagabili in tre anni, iscrivendo una plusvalenza di 13.5<br />

milioni nel bilancio al 30 giugno 2005. Ma i bianconeri non hanno mai incassato<br />

quella cifra, in quanto, contestualmente alla cessione, la società torinese ha aperto<br />

una comproprietà sui tre calciatori allo stesso prezzo di vendita, impegnandosi a<br />

versare ai viola 13 milioni in tre anni. Il 28 giugno 2005 gli accordi sono stati risolti<br />

e la Juve si è ripresa il 50% che non possedeva dei tre giocatori con un esborso di 6.7<br />

milioni, cioè la metà <strong>del</strong> prezzo assunto per calcolare la plusvalenza.<br />

Sull’affaire plusvalenze sono state aperte diverse indagini da parte <strong>del</strong>la procura <strong>del</strong>la<br />

Repubblica di Milano e di Roma che sono tuttora in corso, anche se non è questa<br />

l’ultima frontiera <strong>del</strong> doping finanziario. Molto diffusa tra i grandi club è, infatti, la<br />

cessione <strong>del</strong> marchio societario a sé stessi. Milan e Inter, Roma e Lazio hanno ceduto<br />

a società da loro controllate il proprio brand rivalutandone il valore sino a creare un<br />

tesoretto di plusvalenze fittizie di 567 milioni di euro (186 i rossoneri, 159 la squadra<br />

di Moratti, 127 la “Lupa” e 95 i biancazzurri). L’unica grande società non coinvolta<br />

in questa cosmesi contabile è la Juventus, pietra <strong>del</strong>lo scandalo di Calciopoli, che non<br />

è dovuta ricorrere ad artifici amministrativi perché in passato aveva rinunciato<br />

all’applicazione <strong>del</strong> decreto <strong>del</strong> governo Berlusconi per allungare gli ammortamenti<br />

dei calciatori. Le altre squadre calcistiche italiane, anziché concentrarsi sullo<br />

sviluppo <strong>del</strong>le attività di merchandising e di sfruttamento <strong>del</strong> marchio a fini<br />

commerciali, hanno preferito operare la cessione <strong>del</strong> proprio brand ad una società<br />

68


controllata da loro stesse. La vendita <strong>del</strong> marchio è stata fatta o programmata da<br />

almeno una decina di società che in questo modo ritenevano di poter coprire le<br />

perdite di gestione e, in particolare, la voragine aperta nei bilanci dall’assorbimento<br />

<strong>del</strong>le svalutazioni residue fatte nel 2003 con il “Decreto Salva-Calcio”: 1.100 milioni<br />

di euro, di cui solo il 40% ammortizzate nei bilanci fino al 30 giugno 2006. La<br />

cessione, in alcuni casi, è avvenuta nei confronti di una società di leasing, la quale<br />

contemporaneamente ha fatto sottoscrivere alla società calcistica un contratto di<br />

locazione finanziaria avente per oggetto l’utilizzo <strong>del</strong> marchio. Tale operazione, che<br />

di fatto, costituisce un finanziamento, è regolamentata dall’articolo 2425 bis <strong>del</strong><br />

codice civile, il quale prevede che le plusvalenze derivanti da operazione di<br />

compravendita con locazione finanziaria al venditore, siano ripartite in funzione <strong>del</strong>la<br />

durata <strong>del</strong> contratto di locazione. Si tratta <strong>del</strong>la cessione di un bene e <strong>del</strong>la<br />

contemporanea retrodatazione (lease-back) <strong>del</strong>lo stesso. Se la retrolocazione<br />

corrisponde a un leasing finanziario, l’operazione rappresenta, nella sostanza, una<br />

modalità con la quale il locatore procura mezzi finanziari al locatario, detenendo il<br />

titolo di proprietà <strong>del</strong> bene come garanzia: pertanto, si tratta di un finanziamento.<br />

Cessione e retrolocazione sono due operazioni collegate tra loro, che devono essere<br />

contabilizzate nel rispetto <strong>del</strong> principio <strong>del</strong>la prevalenza <strong>del</strong>la sostanza sulla forma,<br />

di cui all’articolo 2423 bis n.1 <strong>del</strong> codice civile. La cessione è rilevata, ma la<br />

plusvalenza è imputata nel conto economico in base al principio di competenza e<br />

differita sulla durata <strong>del</strong> contratto di leasing. Dal punto di vista fiscale, la durata <strong>del</strong>la<br />

retrolocazione deve essere almeno pari alla metà <strong>del</strong> periodo di ammortamento<br />

(risoluzione n. 27/E/05): nel caso dei marchi, pertanto, il leasing deve avere durata<br />

almeno pari a nove anni dal momento che il periodo di ammortamento minimo è di<br />

diciotto anni.<br />

L’operazione più rilevante in materia è stata compiuta dal Milan nel 2005, quando<br />

Adriano Galliani, allora vicepresidente dei rossoneri, comparve davanti al notaio di<br />

Milano Guido Roveda il 30 settembre insieme al direttore finanziario, Alfonso<br />

Ciafaliello, per la stipula di un atto di conferimento <strong>del</strong> marchio Milan per 20 anni a<br />

una società totalmente controllata, Servizi Milan, ridenominata Milan Entertainment<br />

Srl. In base a una perizia <strong>del</strong> professor Paolo Jovenitti, al ramo d’azienda costituito<br />

dal diritto di sfruttamento <strong>del</strong> marchio è stato assegnato un valore netto di 183.7<br />

69


milioni di euro. Certificata dal notaio Roveda, questa operazione ha regalato una<br />

plusvalenza di pari valore al bilancio <strong>del</strong> Milan al 31 dicembre 2005. Così, pur senza<br />

incassare un euro, il club ha potuto cancellare la voragine che si sarebbe aperta in<br />

bilancio con l’esaurimento degli effetti <strong>del</strong> “Decreto Salva-Calcio”. Nel bilancio<br />

2005 è stata iscritta la plusvalenza (tale solo sulla carta, perché generata da<br />

un’operazione in famiglia) ed è stato spesato tra gli ammortamenti il costo residuo da<br />

assorbire pari a 181.5 milioni. Con questa operazione, il Milan ha chiuso il bilancio<br />

2005 dichiarando una perdita netta di soli 4.5 milioni di euro.<br />

Un’importante operazione sul marchio, è stata realizzata anche dall’Inter. Il 29<br />

dicembre <strong>del</strong>lo stesso anno i nerazzurri hanno venduto il proprio marchio per 158<br />

milioni (perizia <strong>del</strong> professor Giovanni Ossola, rogito <strong>del</strong> notaio Lodovico Barassi)<br />

alla Inter Brand Srl, costituita appena due mesi prima e posseduta al 100% dall’Inter.<br />

Anche in questo caso la plusvalenza, registrata nel bilancio al 30 giugno 2006, è<br />

servita a coprire l’assorbimento <strong>del</strong>la svalutazione <strong>del</strong> “Salva-Calcio” (223.6 milioni<br />

residui al 30 giugno 2005).<br />

Sempre nella stessa data, Inter Brand ha concesso in licenza d’uso il marchio alla<br />

squadra per 16 milioni l’anno. Successivamente il 9 giugno 2006 il marchio Inter è<br />

stato ceduto in pegno alla Banca Antonveneta, che ha erogato un finanziamento di<br />

120 milioni, regolato al tasso Euribor più 250 basis point. Il finanziamento è stato<br />

impiegato da Inter Brand per pagare il marchio alla casa madre; i restanti 38 milioni<br />

sono stati ricevuti dalla Srl a seguito di un aumento di capitale versato dalla squadra<br />

di <strong>calcio</strong>.<br />

Operazioni sul marchio sono state compiute, però, non solo dai club di vertice, ma<br />

anche da squadre dalla tradizione meno gloriosa, tant’è che la Sampdoria è stata la<br />

prima ad effettuare la cessione <strong>del</strong> brand nella stagione 2002/03. La squadra<br />

blucerchiata ha conferito il marchio alla società totalmente controllata Sampdoria<br />

Services Srl nell’aprile 2003 per un valore di 20 milioni di euro. L’operazione ha<br />

regalato una plusvalenza di pari importo al bilancio <strong>del</strong>la società di <strong>calcio</strong> al 30<br />

giugno 2003. Successivamente, il 14 giugno 2004 la società azionista <strong>del</strong>la Samp<br />

(San Quirico) ha comprato dalla squadra di <strong>calcio</strong> la società proprietaria <strong>del</strong> marchio,<br />

chiamata Sampdoria Holding. Quest’ultima, lo stesso giorno, ha acquistato da San<br />

Quirico l’intera quota (99.96%) <strong>del</strong>la società di <strong>calcio</strong>. Infine nel luglio 2005 il<br />

70


marchio è stato ceduto in leasing per sei anni alla Selmabipiemme (Mediobanca-<br />

Banca Popolare di Milano) per 25 milioni di euro.<br />

Nel giugno <strong>del</strong> 2006 la Covisoc, la commissione <strong>del</strong>la Figc incaricata di vigilare sui<br />

conti dei club professionistici, nel corso dei suoi ordinari controlli sui bilanci<br />

societari considerò la cessione <strong>del</strong> marchio a società controllate dal club stesso come<br />

un artificio contabile realizzato dagli azionisti per rimettere a posto i conti senza<br />

dover ricapitalizzare le società.<br />

La Consob <strong>del</strong> <strong>calcio</strong>, presieduta dal professor Cesare Bisoni, non dichiarò illegittime<br />

le operazioni di cessione <strong>del</strong> marchio, ma ne annullò gli effetti economici sul<br />

patrimonio minimo che le società dovevano avere per iscriversi al campionato.<br />

Questo significa che chi non avesse rispettato i parametri avrebbe dovuto ottenere<br />

una ricapitalizzazione dagli azionisti, altrimenti non avrebbe potuto iscriversi al<br />

campionato 2006/2007.<br />

In prima battuta la Covisoc fu molto dura con i club, in particolare, con Inter e al<br />

Milan, società alle quali venne richiesta una ricapitalizzazione per 100 milioni di<br />

euro a testa per coprire i buchi aperti dalle svalutazioni <strong>del</strong> D.L. 282/2002 che le due<br />

squadre avevano cercato di ripianare con cessioni <strong>del</strong> marchio a società interamente<br />

controllate. A seguito <strong>del</strong>le proteste dei club si giunse ad un compromesso, con la<br />

Covisoc che ricalcolò un bilancio pro forma in cui considerò non avvenute le vendite<br />

<strong>del</strong> marchio tra sé e sé cancellando dunque le plusvalenze. Nello stesso tempo, però,<br />

considerò anche come non avvenuto l’assorbimento <strong>del</strong> maxi-onere residuo <strong>del</strong>le<br />

svalutazioni per il “Decreto Salva-<strong>calcio</strong>”. Sia per l’Inter sia per il Milan venne<br />

quindi ricalcolato un ammortamento pari al 10% <strong>del</strong>la svalutazione iniziale (cioè 24<br />

milioni per il Milan e 31.9 milioni per l’Inter); la ricapitalizzazione richiesta fu così<br />

mitigata ed il problema <strong>del</strong>la copertura patrimoniale fu soltanto rinviato al futuro. In<br />

definitiva, il club presieduto da Massimo Moratti se la cavò con una<br />

ricapitalizzazione di circa 20 milioni di euro e il congelamento di altri 20 milioni di<br />

liquidità derivante dal <strong>calcio</strong>mercato; di importo leggermente inferiore è stata,<br />

invece, l’iniezione effettuata da Silvio Berlusconi nelle casse <strong>del</strong> Milan.<br />

La lievità di tale intervento punitivo spinse la Lazio e la Roma nell’estate 2006 ad<br />

optare per la stessa tipologia di manovra per poter coprire il deficit venutosi a creare<br />

con l’applicazione dei principi contabili internazionali in Borsa. Le società quotate,<br />

71


infatti, dovevano eliminare immediatamente dai bilanci gli oneri residui derivanti<br />

dalle svalutazioni operate nel 2003. Al 30 giugno 2006 la Lazio doveva ancora<br />

assorbire oneri per 127.7 milioni, la Roma per 80.2 milioni. Entrambi gli importi<br />

superavano il patrimonio netto: quello <strong>del</strong>la Lazio era pari a 29.6 milioni al 30<br />

giugno 2006, mentre alla stessa data la Roma aveva 67.8 milioni di patrimonio. Le<br />

due società decisero così di operare la rivalutazione <strong>del</strong> marchio attraverso il<br />

conferimento o la vendita ad una società controllata, ben consapevoli che, a meno di<br />

una cessione effettiva ad altri soci, tale operazione sarebbe risultata soltanto cartacea,<br />

rappresentando conseguentemente un puro abbellimento <strong>del</strong> bilancio. Il 29 settembre<br />

2006 il club biancoceleste presieduto da Claudio Lotito conferì alla Ss Lazio<br />

marketing communication Spa, interamente partecipata, il ramo d’azienda<br />

commerciale, valutato dal professor Giovanni Fiori in 95.36 milioni. Il Cda <strong>del</strong>la<br />

Roma, invece, approvò il progetto di valorizzazione <strong>del</strong> marchio l’11 ottobre 2006. Il<br />

brand <strong>del</strong>la società giallorosa fu valutato 127 milioni di euro secondo la perizia<br />

redatta dallo stesso professor Fiori. In particolare, il marchio <strong>del</strong>la Roma fu inserito<br />

nel ramo d’azienda che la società giallorosa decise di scorporare e conferire ad una<br />

nuova controllata, la Soccer di Brand management Sas. Dallo scorporo <strong>del</strong> marchio,<br />

secondo la perizia, la Roma trasse una plusvalenza di 127 milioni che fu iscritta nei<br />

conti societari. Si trattò, però, di un guadagno puramente cartaceo utile al solo<br />

ripianamento virtuale <strong>del</strong> buco in bilancio per il mercato azionario, perché non vi fu<br />

una vera vendita con relativa movimentazione di denaro. La società conferitaria <strong>del</strong><br />

marchio, infatti, era controllata dall’As Roma, tranne che per una quota<br />

infinitesimale di 10mila euro apportata dalla Brand Management Srl, che gestì la<br />

Soccer Sas come socio accomandatario.<br />

72


3 Il marketing calcistico e la gestione <strong>del</strong> brand<br />

3.1 L’analisi <strong>del</strong>la domanda<br />

Il marketing ha implicitamente sempre convissuto con lo sport sin da quando, già<br />

nella prima metà <strong>del</strong> Novecento, questo si è tramutato a tutti gli effetti in spettacolo<br />

con tanto di emissione in commercio di biglietti di ingresso che gli spettatori erano<br />

tenuti ad acquistare per poter assistere alle gare. Erano tempi in cui si pensava alla<br />

promozione degli eventi sportivi come ad una semplice prassi da assolvere, ma in<br />

realtà, seppur in forma latente ed inconsapevole, lo sport già in quella fase si era<br />

ritrovato ad utilizzare <strong>del</strong>le politiche di marketing al fine di proporsi alle folle. Man<br />

mano che questo rapporto si esplicitava, il marketing sportivo era guardato con<br />

sempre maggior sospetto perché considerato come un elemento in grado di<br />

contaminare i puri ideali sportivi. Oggi l’affermazione di questa disciplina,<br />

verificatasi anche grazie all’incontro tra diversi fattori quali sport, media, sponsor<br />

tecnici e commerciali, è dinanzi agli occhi di tutti. Il fenomeno è letteralmente<br />

esploso nel corso degli ultimi 20 anni con lo svilupparsi di nuove dinamiche<br />

economico-sociali e dei processi di globalizzazione, di digitalizzazione, di aumento<br />

<strong>del</strong> tempo libero e di crescita <strong>del</strong>l’attenzione al benessere e all’estetica <strong>del</strong> corpo.<br />

Come ogni nuovo fenomeno che si affaccia sul mercato globale, anche il marketing<br />

sportivo ha suscitato fin dal principio l’interesse <strong>del</strong> mondo finanziario, che è<br />

intervenuto investendo in questo campo e contribuendo così di fatto ad una sua<br />

ulteriore crescita incentivando l’attenzione di quelle masse un tempo concentrate<br />

esclusivamente sul carattere ludico <strong>del</strong>lo spettacolo.<br />

“Il marketing è un insieme di attività programmate, organizzate,<br />

controllate, che partono dall’analisi <strong>del</strong> mercato (sia <strong>del</strong>la domanda sia<br />

<strong>del</strong>la concorrenza) e si svolgono in forma integrata (a livello tanto infra-<br />

funzionale che inter-funzionale) al fine di raggiungere gli obiettivi<br />

aziendali di medio-lungo termine attraverso la soddisfazione <strong>del</strong><br />

cliente” 11 .<br />

11 Cherubini S., Eminente G., Il nuovo marketing in <strong><strong>It</strong>alia</strong>, F. Angeli, Milano 1997, p. 22<br />

73


Le principali tipologie di marketing applicato allo sport riguardano le società<br />

sportive, ma possono riguardare anche le diverse discipline in senso lato, i singoli<br />

atleti, i produttori di attrezzature e abbigliamento sportivo, i gestori di eventi<br />

agonistici, i produttori di beni che ritengono utile, in una forma o nell’altra, abbinare<br />

la loro attività, che deve essere sempre più competitiva nei mercati nazionali e<br />

internazionali, ad un mondo <strong>del</strong>lo sport che attualmente risulta altamente<br />

performante sotto il profilo <strong>del</strong>la promozione <strong>del</strong>l’immagine.<br />

I successi sportivi rappresentano il prodotto che viene venduto dai club mediante il<br />

marketing. Viene così a crearsi una sorta di circolo virtuoso tra sport e marketing,<br />

che produce dei vantaggi vicendevoli sia per la società sportiva che per le aziende<br />

sponsor. I benefici per le prime sono rilevabili nell’aumento <strong>del</strong> numero degli<br />

spettatori e nell’incremento <strong>del</strong>le entrate economiche, fattore quest’ultimo che<br />

garantisce un maggiore potere di spesa e permette un rafforzamento <strong>del</strong>la squadra per<br />

raggiungere gli obiettivi agonistici. I vantaggi per gli sponsor sono legati,<br />

essenzialmente, ad una maggiore visibilità <strong>del</strong> nome <strong>del</strong>l’azienda e ad un successivo<br />

incremento <strong>del</strong>le vendite.<br />

Il marketing <strong>del</strong>le società sportive risulta particolarmente interessante perché<br />

presenta una complessità di mercato molto consistente, non facilmente riscontrabile<br />

in altri contesti. Questa complessità è rappresentata dalla contrapposizione, ma anche<br />

dall’integrazione, tra mercato di massa e mercato di aziende, rispetto ai quali è<br />

necessario saper mettere in campo un’attività di marketing differenziata e integrata<br />

nello stesso tempo. Nel mass marketing ci sono tanti segmenti di riferimento che<br />

vanno gestiti in modo coerente. Innanzitutto i praticanti, che comunque sono<br />

importanti, perché se non c’è pratica difficilmente si diventa appassionati. Inoltre ci<br />

sono i tifosi attivi, quelli che si recano direttamente sul punto <strong>del</strong>la competizione, e i<br />

tifosi passivi, che sono sempre appassionati, ma che per molteplici motivi non si<br />

spostano e seguono le gare a distanza, in televisione, tramite i giornali o altri mezzi.<br />

Ci sono, poi, gli sportivi in generale e, infine, i non interessati, che rappresentano<br />

evidentemente la domanda più latente, più nascosta, che però non va trascurata<br />

perché in una logica di marketing può essere trasformata in una domanda emergente.<br />

Nel settore <strong>del</strong> business marketing ci sono logiche completamente diverse, in quanto<br />

i clienti sono aziende, non persone. Ci sono i produttori generici interessati alla<br />

74


sponsorizzazione diretta o a una utilizzazione <strong>del</strong> marchio nell’attività commerciale;<br />

ci sono gli editori, tv, radio, stampa. C’è il settore pubblicitario, che utilizza l’evento<br />

sportivo come momento pubblicitario di grande interesse e così via.<br />

Per ognuno degli ambiti scelti si deve formulare una strategia specifica rispetto ai<br />

segmenti di domanda e mettere a punto un’offerta che può essere, a seconda <strong>del</strong>la<br />

scelta, indifferenziata, differenziata o concentrata nei riguardi dei segmenti di<br />

domanda identificati come target.<br />

La definizione <strong>del</strong>la strategia di marketing avviene attraverso tre fasi, la prima <strong>del</strong>le<br />

quali viene definita <strong>del</strong> marketing analitico. Con questa espressione si intendono tutte<br />

quelle attività che devono permettere di decidere al meglio sulle scelte aziendali<br />

riguardanti il mercato. Ci si riferisce, in particolare, ad indagini di mercato, sondaggi<br />

d’opinione, questionari, che devono <strong>del</strong>ineare il mercato, le caratteristiche dei clienti<br />

e tutte le componenti che formano la domanda, in modo da allestire una strategia<br />

mirata calcolandone i vantaggi ed i rischi.<br />

La seconda fase è quella in cui si formula la strategia di mercato, e per questo viene<br />

definita fase <strong>del</strong> marketing strategico. Dopo aver analizzato i dati raccolti, l’azienda<br />

elabora una mappa <strong>del</strong> mercato ed un identikit <strong>del</strong> potenziale cliente e diviene quindi<br />

in grado di formulare l’offerta. Ovviamente tale offerta deve uniformarsi all’intera<br />

strategia societaria e deve esserne verificata la fattibilità.<br />

Appurato questo, si passa alla terza fase, quella <strong>del</strong> marketing operativo. In questo<br />

stadio vengono attivate le iniziative concordate in fase di elaborazione <strong>del</strong>la strategia,<br />

in particolare quelle comunicative e distributive. Vengono preparate le campagne<br />

promozionali <strong>del</strong> prodotto, con le quali si informa il cliente riguardo l’offerta e ci si<br />

accerta <strong>del</strong>la soddisfazione di quest’ultimo. Viene, inoltre, approntata la strategia di<br />

distribuzione <strong>del</strong> prodotto, in modo da coprire per intero il mercato, soddisfacendo<br />

così tutta la domanda.<br />

Da questa distinzione si evince, da un lato, come il marketing sia costituito da attività<br />

non separabili e, dall’altro, come una strategia di marketing non debba mai essere<br />

fine a se stessa, ma appartenente ad un progetto aziendale a lungo termine.<br />

Lo sport, e quindi anche il <strong>calcio</strong>, è un prodotto-servizio e come tale è caratterizzato<br />

da un suo mercato di riferimento che consiste nell’insieme dei rapporti che si<br />

instaurano tra produttori, distributori e destinatari finali <strong>del</strong> prodotto-servizio<br />

75


calcistico. Tale insieme rappresenta una dimensione sistemica, le cui variazioni<br />

dipendono fortemente dalle caratteristiche <strong>del</strong>l’ambiente e dalla situazione storica<br />

nella quale ci si trova ad operare. Il mercato che caratterizza lo sport e, nello<br />

specifico, il <strong>calcio</strong> appare complesso e si identifica in uno spazio in cui ciò che si<br />

produce e si vende è una combinazione di prodotti e servizi diversamente mescolati<br />

tra di loro. Emerge, allora, che ciò che si identifica con la definizione “prodotto-<br />

servizio calcistico” è un insieme complesso di servizi rivolti all’organizzazione <strong>del</strong>le<br />

iniziative calcistiche ed alla fruizione <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> come attività di entertainment. Le<br />

applicazioni <strong>del</strong>le tecniche di marketing al mondo <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> sono, quindi, finalizzate<br />

a sfruttare e a rendere più significativo il valore di mercato <strong>del</strong>la disciplina stessa.<br />

Il <strong>calcio</strong>, ai giorni nostri, rappresenta uno straordinario fenomeno di intrattenimento e<br />

comunicazione, capace di aggregare un significativo numero di investitori e di<br />

esercitare sull’immaginario collettivo un potere catalizzatore non paragonabile a<br />

quello tipico di nessun altro sport. Da questo deriva che la forza <strong>del</strong> messaggio<br />

promozionale ad esso abbinato si possa considerare ineguagliabile; accade così che la<br />

capacità attrattiva <strong>del</strong> fenomeno <strong>calcio</strong>, ai diversi livelli di penetrazione dei mercati,<br />

sia assolutamente interessante per le imprese manifatturiere o di servizi che, infatti,<br />

finiscono per utilizzarlo in qualità di canale di promozione e di comunicazione. Il<br />

peso specifico <strong>del</strong>la relazione “investitore-<strong>calcio</strong>-spettacolo” è reso ulteriormente<br />

significativo dalle nuove tecnologie applicate alla comunicazione, che consentono la<br />

trasmissione degli eventi calcistici con un audience, in taluni casi, di miliardi di<br />

persone.<br />

Gli attori principali <strong>del</strong> marketing calcistico sono i produttori, i distributori, i clienti<br />

finali e gli sponsor. Il marketing dei produttori verso i distributori si realizza quando<br />

le società calcistiche promuovono o vendono il prodotto <strong>calcio</strong> ai distributori. Uno<br />

degli esempi è stato, negli anni scorsi, quello <strong>del</strong>la Lega Calcio Professionisti che,<br />

come produttore intermedio, fungeva da intermediario <strong>del</strong>l’insieme <strong>del</strong>le società<br />

calcistiche <strong>del</strong>le serie maggiori rispetto ai mass media nella trattativa per la cessione<br />

dei diritti Tv.<br />

I distributori realizzano, invece, attività di marketing nei confronti dei produttori<br />

<strong>del</strong>lo spettacolo calcistico essenzialmente offrendo loro pacchetti di diffusione<br />

comprensivi di accordi con gli sponsor a condizioni molto vantaggiose. Un esempio<br />

76


concreto è quello di una grande società di distribuzione in grado di offrire elevati<br />

livelli di prestazione dovuti al fatto che la società stessa è parte di un gruppo<br />

comprensivo di numerosi canali di comunicazione. I media che si occupano <strong>del</strong>la<br />

distribuzione di manifestazioni calcistiche sviluppano, inoltre, iniziative di marketing<br />

rivolte agli sponsor, poiché si occupano, anche per conto <strong>del</strong> produttore, di vendere<br />

gli spazi pubblicitari associati allo specifico evento. Risulta essere di fondamentale<br />

importanza il marketing <strong>del</strong> distributore verso i clienti finali, dal quale molto spesso<br />

dipende il successo <strong>del</strong>l’evento calcistico. Il distributore, infatti, ha il compito di<br />

realizzare l’iniziativa di entertainment e di creare le condizioni affinché tale attività<br />

sia gradita dal pubblico prima <strong>del</strong> suo effettivo svolgimento.<br />

Gli sponsor entrano nella sequenza “produzione-distribuzione” <strong>del</strong>lo spettacolo<br />

calcistico acquistando i migliori spazi pubblicitari, così da diventare la principale<br />

fonte di finanziamento <strong>del</strong>la citata sequenza. Il <strong>calcio</strong>, in tal senso, offre l’opportunità<br />

di raggiungere un pubblico assai vasto che lo rende appetibile da parte di quelle<br />

imprese che intendono proporre sul mercato i loro diversi beni e servizi.<br />

L’esposizione <strong>del</strong> marchio è la prima fase <strong>del</strong>la sponsorizzazione, rispetto alla quale<br />

esistono passi successivi, che per uno sponsor tecnico consistono nel fare in modo<br />

che al pubblico giunga un messaggio positivo tramite i buoni risultati <strong>del</strong>la squadra o<br />

<strong>del</strong>lo specifico calciatore. Il marketing <strong>del</strong>lo sponsor verso il produttore, invece, si<br />

manifesta nelle situazioni in cui la società calcistica o il singolo atleta protagonista<br />

<strong>del</strong>l’evento, si trovano in una posizione di privilegio sul mercato. Ne consegue<br />

l’interesse degli sponsor a poter gestire lo sfruttamento <strong>del</strong>l’immagine dei produttori,<br />

offrendo loro non soltanto ulteriori occasioni di guadagno ma anche pacchetti di<br />

servizi differenziati.<br />

Gli attori facenti parte <strong>del</strong> sistema marketing calcistico non presentano connotati di<br />

staticità, ma assumono più ruoli all’interno <strong>del</strong>le varie fasi di gestione di un’attività<br />

di entertainment. Essi, inoltre, collaborano tra di loro, così da evidenziare diverse<br />

manifestazioni di concentrazione <strong>del</strong> potere, che talvolta è nelle mani dei produttori e<br />

talaltra nelle mani dei distributori o degli sponsor, anche se il vero potere appartiene<br />

ai clienti finali che, in ultima analisi, sono quelli che promuovono o bocciano le<br />

diverse iniziative relative all’attività di un marketing calcistico che, tenendo conto<br />

77


<strong>del</strong>le diverse relazioni che avvengono tra i diversi attori che lo compongono, si può<br />

considerare come un sistema equilibrato.<br />

È chiaro, però, che la sequenza “produzione-distribuzione-sponsorizzazione”<br />

<strong>del</strong>l’evento calcistico si potenzia solo se le relazioni tra gli attori coinvolti sono<br />

orientate alla fi<strong>del</strong>izzazione invece che alla sopraffazione. Seguendo queste strategie<br />

le società di <strong>calcio</strong> potranno ben presto avviarsi verso il raggiungimento di traguardi<br />

importanti come lo svincolo <strong>del</strong>la gestione dal risultato agonistico a breve termine, la<br />

presenza di investitori orientati a finanziare la società a lungo termine ed una<br />

maggiore coscienza sociale <strong>del</strong>l’azienda calcistica nei confronti <strong>del</strong>la comunità in cui<br />

essa opera. Purtroppo, come abbiamo già visto, le società calcistiche italiane, anziché<br />

diversificare il proprio business cercando nuove fonti di ricavo in attività correlate a<br />

quella principale, hanno sino ad oggi preferito abbellire i propri conti con<br />

l’escamotage contabile <strong>del</strong>le plusvalenze. Dal punto di vista <strong>del</strong> marketing, nei club<br />

italiani si è in presenza, quindi, di una “marketing miopia”, ovvero di una politica<br />

gestionale che tende a concentrare le proprie risorse e competenze esclusivamente<br />

sull’oggetto primario <strong>del</strong>la produzione, in questo caso i risultati <strong>del</strong> campo, relegando<br />

le strategie di marketing ad un ruolo di secondo piano; non si va così alla ricerca di<br />

nuovi bisogni e di nuovi clienti, preferendo mantenere l’offerta di un solo bene o di<br />

un solo servizio non adeguando la propria struttura organizzativa alle mutevoli<br />

situazioni di mercato. È questa una strada senza uscita che non porta né alla crescita,<br />

né allo sviluppo operativo dei club, che potrebbe invece avvenire, ad esempio,<br />

attraverso una corretta politica di product extension che implica lo sfruttamento di<br />

tutte le diverse opportunità di business offerte dal mercato, consentendo al<br />

management <strong>del</strong>le società di: introdurre un marketing mix idoneo a soddisfare meglio<br />

le esigenze <strong>del</strong> pubblico e degli investitori; costruire, sviluppare e diffondere una<br />

brand image più efficace; integrare la funzione di marketing con le altre funzioni<br />

aziendali; garantire sia la vitalità economica <strong>del</strong> club sia il soddisfacimento dei<br />

bisogni <strong>del</strong> consumatore/tifoso e <strong>del</strong> cliente/azienda.<br />

La product extension non costituisce un modo per distogliere il tifoso dai risultati<br />

<strong>del</strong>la squadra, bensì una strategia volta, non solo a massimizzare il rendimento <strong>del</strong>le<br />

opportunità di business, ma, attraverso ciò, anche a reperire quelle risorse<br />

economiche da impiegare per l’acquisto di giocatori in grado di soddisfare le<br />

78


ambizioni di tifosi stessi attraverso la vittoria di prestigiosi trofei sportivi. La<br />

funzione aziendale <strong>del</strong> marketing si pone, dunque, come punto di incontro tra i<br />

bisogni dei tifosi e quelli <strong>del</strong> club, offrendo a quest’ultimo possibili soluzioni per il<br />

contemporaneo soddisfacimento di tutti quei soggetti (network televisivi, partner<br />

commerciali, investitori, fornitori, tifosi, sportivi simpatizzanti) che con esso<br />

interagiscono.<br />

3.1.1 I tifosi<br />

I tifosi rappresentano la parte maggiormente caratteristica <strong>del</strong>la domanda <strong>del</strong>le<br />

società di <strong>calcio</strong>. Sono spettatori la cui domanda è particolarmente fe<strong>del</strong>e ed emotiva.<br />

È un luogo comune che in questo caso non si discosta dal vero quando si parla per i<br />

supporter di “fede”, un legame piuttosto solido che molte volte va oltre le politiche<br />

messe in atto dal club e i risultati <strong>del</strong>la squadra. Che il team vinca o perda, per i veri<br />

tifosi l’attaccamento, la lealtà verso la “maglia” non è mai in discussione. I colori<br />

<strong>del</strong>la casacca sono più importanti <strong>del</strong>la dirigenza, degli stessi calciatori che cambiano<br />

con il tempo. La tradizione, la storia <strong>del</strong> club sono i valori essenziali legati alla città<br />

rappresentata dalla squadra e dalla sua stessa tifoseria che si sente parte integrante<br />

<strong>del</strong> team. Questo tipo di clientela è lo zoccolo duro su cui possono contare le società<br />

di <strong>calcio</strong>, così importante da essere parte <strong>del</strong>l’offerta stessa sotto forma di coreografie<br />

e cori da stadio in occasione <strong>del</strong>la partita, <strong>del</strong>l’atmosfera che vi regna decisiva per il<br />

risultato stesso che la squadra può ottenere. La tifoseria è una domanda così<br />

particolare da convincere un allenatore a dimettersi perché lo contesta. La fe<strong>del</strong>tà di<br />

cui godono le squadre di <strong>calcio</strong> crea una vera e propria situazione di monopolio,<br />

tant’è che in Inghilterra l’appartenenza a un club, che è più ostentata rispetto<br />

all’<strong><strong>It</strong>alia</strong>, è tanto marcata da far sì che l’indossarne la maglietta rappresenti un<br />

autentico stile di vita. Le basi per una corretta segmentazione <strong>del</strong>la tifoseria derivano<br />

generalmente da quattro variabili: geografiche (luogo di residenza, centro grande o<br />

piccolo), demografiche (legate ai dati anagrafici, al reddito, alla religione,<br />

all’istruzione), psicografiche (classe sociale e stile di vita) e di comportamento<br />

(occasioni d’uso, vantaggi ricercati, fe<strong>del</strong>tà alla marca). In questi ultimi due ambiti<br />

operano i ricercatori qualitativi (o motivazionali), psicologi specializzati che<br />

intervistano, spesso utilizzando dei focus group, un campione piccolo, ma<br />

79


accuratamente scelto. In uno step successivo, portato avanti tramite una ricerca<br />

quantitativa, il campione è esteso a contesti più ampi di consumatori ed i questionari,<br />

somministrati in vari modi, come telefono, posta, e-mail o anche personalmente,<br />

permettono poi di capire se le tendenze emerse nei focus group sono condivise da un<br />

numero di persone più vasto e se sarà quindi il caso di realizzare o meno l’iniziativa<br />

che si è sottoposta a giudizio degli intervistati. In Inghilterra Manchester United ed<br />

Arsenal hanno spesso utilizzato una segmentazione di tipo geografico per orientare<br />

soprattutto le proprie politiche in tema di tour amichevoli estivi in giro per il mondo.<br />

3.1.2 Il Customer Relationship Management<br />

Il metodo di management strategico per le relazioni con la clientela, il Customer<br />

Relationship Management, conosciuto anche come CRM, è stato messo a punto dalla<br />

Gartner, società leader nella ricerca e nella consulenza legata all’Information<br />

Technology. È un sistema ideato per migliorare il rapporto con i consumatori <strong>del</strong><br />

servizio personalizzando la relazione al fine di incrementare la fi<strong>del</strong>izzazione dei<br />

propri utenti. <strong>Una</strong> corretta applicazione di tal metodologia è stata attuata dai francesi<br />

<strong>del</strong> Paris Saint Germain, i quali si posero l’obiettivo di incrementare i ricavi<br />

aumentando il numero di biglietti venduti e ricavando di più dal merchandising. La<br />

società parigina applicò la struttura <strong>del</strong> CRM in quattro fasi: semplificare,<br />

perfezionare ed espandere il servizio per i clienti; migliorare la lealtà <strong>del</strong>la tifoseria;<br />

estendere in profondità e ampiezza le relazioni business to business; ridurre i costi di<br />

produzione. Durante la prima fase furono sostituiti tutti i numeri di telefono <strong>del</strong> club<br />

con uno solo, gratuito, a disposizione dei supporter. In tre mesi furono istruiti addetti<br />

<strong>del</strong> call center per rispondere a domande sui biglietti e a richieste di informazioni<br />

sulla partita. Contemporaneamente furono aumentati il numero dei punti vendita dei<br />

negozi Psg, incluso uno a Champs-Elysees, e gli uffici per i biglietti. Per quanto<br />

concerne il secondo step fu invece creata la tessera Esprit Club, una carta fe<strong>del</strong>tà a<br />

punti per i fan più vicini alla squadra. Per estendere e ampliare le relazioni<br />

economiche furono necessari tre mesi in cui furono approfonditi i rapporti con i vari<br />

sponsor, mentre per ridurre i costi di distribuzione fu elaborato un nuovo sistema di<br />

sottoscrizione per la newsletter. Nel club parigino si verificarono tre grandi<br />

cambiamenti: culturale (verso un interesse comune nei riguardi dei tifosi), di<br />

80


marketing (dall’essere product oriented al customer oriented) e tecnologico. I<br />

risultati diedero ragione a chi aveva pensato al CRM, tant’è che i consumatori <strong>del</strong><br />

Psg si incrementarono al punto da poter vantare 20mila sottoscrittori <strong>del</strong>la newsletter,<br />

80mila iscritti al “Programma fe<strong>del</strong>tà” e 40mila nomi noti come tifosi regolari, con<br />

un significativo incremento mensile. Il club era in possesso dei dati personali di<br />

ciascun individuo. Lo scopo <strong>del</strong> 2005 è stato di avere un database di 300mila tifosi.<br />

Grazie ai dati ottenuti, nel 2002 e 2003 sono state avviate (via e-mail e sms per<br />

tenere bassi i costi, ridotti di 40mila euro) 18 diverse campagne segmentate per età,<br />

sesso, luogo di residenza, tipologia, selezionando il miglior obiettivo, prodotto e<br />

media per ciascuna offerta. Il risultato è stato un aumento di 500mila acquirenti di<br />

biglietti, più merchandising e ticket venduti. Le chiamate gestite sono circa 250mila<br />

all’anno, i possessori <strong>del</strong>la carta Esprit Club hanno priorità per i biglietti <strong>del</strong>le gare di<br />

cartello e possono acquistare online e via call center, per le gare meno invitanti i<br />

tifosi sono contattati via sms o e-mail e vengono offerte loro condizioni speciali. Un<br />

nuovo magazine è stato inoltre lanciato per la pubblicità a prezzi ridotti, anche grazie<br />

ad un tasso di sottoscrizione <strong>del</strong> 10% contro appena l’1% <strong>del</strong> passato. Gli introiti<br />

derivanti dalla supportership, uniti ai costi ridotti, hanno registrato<br />

complessivamente un aumento di quasi 600mila euro e, patrimonio forse ancor più<br />

importante, la customer satisfaction è migliorata. Il Psg ha cominciato a muoversi<br />

nella giusta direzione mostrando come si possa diminuire la dipendenza dai risultati<br />

creando una forte comunità intorno al club.<br />

3.2 La concorrenza<br />

La concorrenza, al pari <strong>del</strong>la domanda, rappresenta l’elemento base di una corretta<br />

analisi <strong>del</strong> mercato. Nel caso <strong>del</strong>le società calcistiche si possono distinguere tre<br />

diverse tipologie di concorrenza: diretta, indiretta e allargata.<br />

La concorrenza diretta è rappresentata da chi svolge lo stesso tipo di attività. I club<br />

sono tra loro concorrenti, anche se per le peculiarità dei consumatori <strong>del</strong> settore è<br />

piuttosto difficile che un tifoso si rivolga ad un’altra squadra. È possibile tuttavia che<br />

il fascino di una grande società faccia breccia nel cuore dei fan accanto alla<br />

formazione locale, magari militante in serie minori. All’interno <strong>del</strong>la concorrenza si<br />

formano ovviamente <strong>del</strong>le alleanze, spesso molto costruttive. Un esempio nel <strong>calcio</strong><br />

81


di vertice è costituito dal G14, il gruppo <strong>del</strong>le più grandi squadre europee che<br />

combatte battaglie nell’interesse comune, come il farsi corrispondere un indennizzo<br />

nel caso in cui un calciatore si infortuni in Nazionale.<br />

La concorrenza indiretta è relativa ad appassionati di altri sport. Le società di <strong>calcio</strong><br />

si trovano nell’“arena” sportiva insieme ai team di basket, volley, alla Formula 1 e a<br />

tutte le altre discipline. Gli Europei di <strong>calcio</strong> si svolgono nello stesso anno <strong>del</strong>le<br />

Olimpiadi, qualche partita di cartello di Champions League potrebbe coincidere con<br />

un importante torneo di tennis o un meeting di atletica leggera: i fan <strong>del</strong>le altre<br />

discipline saranno probabilmente costretti a scegliere a quale evento assistere e<br />

potrebbe essere il club di <strong>calcio</strong> a perdere il confronto. Anche in questo caso sono<br />

possibili partnership tra rappresentanti di sport diversi. Un esempio viene da Salerno,<br />

dove un gruppo di imprenditori ha dato vita al progetto Salernitana Sporting, nel<br />

quale 11 società sportive <strong>del</strong> territorio hanno dato vita a un marchio comune che<br />

nelle intenzioni dei fondatori intende sfruttare le potenzialità di un seguito molto più<br />

ampio di quanto ciascun team non è in grado di produrre da solo.<br />

La concorrenza allargata rappresenta invece il settore concorrenziale in cui sono<br />

coinvolte le società di <strong>calcio</strong> più all’avanguardia, l’entertainment. Come incamerare<br />

nuovi ricavi convogliando verso sé molteplici fonti di svago spiazzando le<br />

concorrenti con iniziative innovative che escano dal terreno di giuoco è la parola<br />

d’ordine di aziende come il Real Madrid. Gli spagnoli nel 2009 hanno annunciato di<br />

voler creare un parco tematico da 130 milioni di euro che dovrebbe sorgere in<br />

prossimità <strong>del</strong>la Ciudad deportiva de Valdebebas: aperto 24 ore su 24, al suo interno,<br />

insieme ad un’area prettamente ludica con tanto di montagne russe brandizzate ed<br />

altre attrattive simili, prevederà una serie di punti per il merchandising ufficiale,<br />

ristoranti, bar e sale multimediali. Un progetto che il presidente Florentino Perez ha<br />

intenzione di esportare anche a Pechino e Miami, due bacini di utenza dalle<br />

grandissime potenzialità.<br />

In tutti i casi di concorrenza presi in esame una corretta gestione di marketing<br />

presuppone il monitoraggio <strong>del</strong> pubblico e <strong>del</strong> livello di costi e ricavi, ma non solo; è<br />

necessario, infatti, andare oltre osservando con attenzione le attività proprie ed altrui<br />

attraverso indici quali la quota di mercato, ad esempio il rapporto percentuale tra le<br />

proprie vendite (spettatori presenti allo stadio o da casa attraverso i vari mezzi di<br />

82


trasmissione) e il totale <strong>del</strong> mercato (ad esempio tutti gli spettatori stagionali <strong>del</strong><br />

campionato o l’audience totale). Il calcolo <strong>del</strong>la quota di mercato permetterà di<br />

depurare i risultati: proseguendo con l’esempio degli spettatori, filtrerà il dato dagli<br />

effetti di espansione e contrazione generali in un determinato periodo. In termini<br />

pratici, se tutti i concorrenti hanno attraversato un periodo di flessione a causa di una<br />

crisi economica, se la propria quota di mercato dovesse restare stabile, questa<br />

rappresenterà un indice positivo. Potrebbe succedere ancora che, ad esempio, gli<br />

incassi siano in crescita perché frutto di un aumento <strong>del</strong> prezzo dei biglietti, mentre la<br />

quota di spettatori è in diminuzione. In questi casi bisogna valutare con attenzione se<br />

per i club sia più positivo mantenere un alto livello di presenze allo stadio incassando<br />

meno o massimizzare gli introiti economici puntando su chi è disposto a spendere<br />

cifre più elevate.<br />

La quota di mercato relativa prende come punto di riferimento la società leader <strong>del</strong><br />

settore. Utili, in un’ottica di miglioramento costante in chiave di politiche di<br />

gestione, risultano anche le osservazioni sui benchmark, le realtà d’eccellenza<br />

mondiali.<br />

Da tenere sott’occhio sono anche il tasso di penetrazione, il rapporto tra clienti<br />

effettivi e potenziali, quindi la misura <strong>del</strong> grado di accettazione <strong>del</strong> mercato. Tra le<br />

opzioni utili per il controllo vi è anche il marketing audit, l’esame <strong>del</strong>le attività<br />

aziendali, con tanto di voto finale, svolto da un’entità indipendente che tiene sotto<br />

controllo tutti gli elementi in maniera sistematica e periodica. In genere a tal fine<br />

sono utilizzati strumenti come check-list, ratios o quozienti. Dopo aver raccolto e<br />

valutato i dati, decisi gli obiettivi e fatte le scelte operative, bisogna inoltre prendere<br />

in considerazione <strong>del</strong>le soluzioni alternative: what if, cosa accadrebbe se si fissassero<br />

ad esempio prezzi dei biglietti più alti? Come reagirebbero i frequentatori saltuari<br />

<strong>del</strong>lo stadio a una campagna pubblicitaria o promozionale che ne incentivasse la<br />

presenza? In questi casi, prima di mettere in atto i cambiamenti, è necessario<br />

svolgere dei pre-test, sia a carattere qualitativo che quantitativo, per valutare il<br />

gradimento <strong>del</strong> pubblico.<br />

83


3.3 Le “4 P”: peculiarità <strong>del</strong>le squadre di <strong>calcio</strong><br />

Come in tutte le attività di marketing, anche per il servizio sportivo è possibile<br />

utilizzare lo strumento di marketing <strong>del</strong>le “4 P”: prodotto, prezzo, distribuzione<br />

(place) e promozione. Siamo nell’ambito operativo, l’analisi di campo è stata svolta,<br />

le scelte strategiche sono state fatte ed è il momento di mettere in pratica quanto si è<br />

stabilito.<br />

Il prodotto. Per ciascuno dei diversi pubblici va predisposto un marketing mix, una<br />

combinazione <strong>del</strong>le “4 P”, differente, in relazione alle varie tipologie di aspettative:<br />

al tifoso, infatti, interessa il risultato, all’appassionato interesserà uno spettacolo<br />

tecnicamente valido, a chi si avvicina al <strong>calcio</strong> per le prima volta basterà divertirsi.<br />

Ai fan, al nocciolo duro, la parte di clientela più fe<strong>del</strong>e, il club vende qualcosa in più<br />

di uno spettacolo o una partita, mette a disposizione un prodotto in cui ci si identifica<br />

per “fede”. Le 80mila persone che nell’estate 1984 affollarono gli spalti <strong>del</strong>lo stadio<br />

San Paolo di Napoli versando nelle casse societarie un miliardo di lire soltanto per<br />

veder palleggiare il nuovo acquisto argentino Diego Armando Maradona o i 50mila<br />

laziali che nell’estate 1992 andarono allo stadio Olimpico di Roma per vedere il<br />

neoacquisto Paul Gascoigne ancora con le stampelle, sono esempi abbastanza chiari<br />

di quanto sia importante il prodotto <strong>calcio</strong> per gli individui e i loro sogni. Il tifoso è<br />

molto legato all’aspetto emotivo, a gioie e sofferenze che la tv non è in grado di<br />

trasmettere con la stessa enfasi propria <strong>del</strong>lo stadio. La capacità da parte di un club di<br />

mettere in pratica un <strong>calcio</strong> divertente è fondamentale in questo contesto, come<br />

dimostra il caso <strong>del</strong> Manchester United, che ha costruito dagli anni ’60 la propria<br />

fama di formazione glamorous, affascinante. Oggi la società conta 53 milioni di<br />

tifosi nel mondo, anche grazie alla costante attività di marketing. Ma non è soltanto il<br />

legame particolare tra club e tifosi la peculiarità <strong>del</strong>le società di <strong>calcio</strong>. Se infatti<br />

caratteristica particolare <strong>del</strong>le aziende di servizi è il controllo solo parziale su ciò che<br />

offrono, aspetto che determina un esito non preventivabile a priori come avviene<br />

invece per i prodotti tangibili, per i club calcistici questa situazione è ancora più<br />

marcata. Difficilmente si troveranno altri settori commerciali in cui chi eroga il<br />

servizio ha un potere così limitato sul suo esito. La storia <strong>del</strong>lo sport offre numerosi<br />

esempi di imprenditori che hanno investito cifre molto elevate per raccogliere poco<br />

in termini di vittorie sportive. È la variabile atipica <strong>del</strong> <strong>calcio</strong>: i fattori imponderabili<br />

84


sono molti e incontrollabili, da un rimbalzo irregolare <strong>del</strong> pallone a una giornata no<br />

dei propri giocatori, <strong>del</strong>l’arbitro e dei suoi assistenti, a un “tiro <strong>del</strong>la domenica” di un<br />

avversario.<br />

La distribuzione. Per quanto concerne invece la distribuzione, ci si riferisce sia ai<br />

luoghi dove vengono venduti i biglietti per le partite sia ad altri canali, oltre a quello<br />

tradizionale <strong>del</strong>lo stadio, che vengono utilizzati per vendere il servizio (tv, radio,<br />

cellulari, siti internet). Riguardo alle partite live, è interessante il caso <strong>del</strong>la Juventus,<br />

che per avvicinarsi alla massa di tifosi che ha in tutta <strong><strong>It</strong>alia</strong> ha spesso in passato<br />

giocato al sud anche partite importanti. La vendita dei biglietti avviene oggi in luoghi<br />

disparati, non più soltanto allo stadio. I club incaricano infatti agenzie che fruiscono<br />

dei diritti di prevendita e si potrebbe addirittura ipotizzare un “acquisto di impulso”<br />

come quello di prodotti ad alto tasso di emotività, piazzando i tagliandi vicino alle<br />

casse dei supermercati, come quei prodotti, tipicamente a basso costo, la cui<br />

decisione d’acquisto matura direttamente sul punto vendita. A tal proposito, ancora<br />

alla Juve, hanno pensato a ticket-dispenser mobili, erogatori automatici di biglietti,<br />

da piazzare dove c’è grande affluenza come, appunto, i centri commerciali. Altra<br />

realtà concreta è inoltre la possibilità di acquistare i biglietti al telefono oppure<br />

online. L’Aston Villa, squadra di Birmingham, ha testato un sistema grazie al quale<br />

ogni tifoso riceverà via sms informazioni sul numero di posto assegnato attraverso un<br />

codice a barre. Al momento <strong>del</strong>l’ingresso allo stadio, al tifoso basterà mostrare il<br />

messaggio e gli addetti alla sicurezza lo registreranno attraverso uno scanner. Al<br />

Barcellona hanno pensato a una sorta di biglietto last minute ribattezzato seient<br />

lliure: chi non può andare allo stadio può temporaneamente affittare il proprio posto<br />

usufruendo di uno sconto sulla sottoscrizione agli abbonamenti successivi. In forte<br />

ascesa è la distribuzione televisiva che fra canali digitali satellitari e terrestri, tv in<br />

chiaro e tecnologia streaming che permette di trasmettere tramite pc, rappresenta una<br />

fonte di ricavo determinante per le casse societarie.<br />

Il prezzo. Quando si parla di prezzo si deve sottolineare il come non si intenda solo<br />

l’esborso finanziario, ma il sacrificio economico che il cliente deve sostenere per<br />

usufruire <strong>del</strong> servizio. È la variabile che cambia meno rispetto agli altri settori<br />

aziendali, rispondendo anch’essa alle leggi <strong>del</strong>la domanda e <strong>del</strong>l’offerta. Il <strong>calcio</strong> è<br />

tradizionalmente interclassista: all’interno <strong>del</strong>lo stadio la gamma di prezzi per diversi<br />

85


settori è ampia. Il tifo per una squadra è un potente fattore di inelasticità, poiché a un<br />

dato variare <strong>del</strong> prezzo la fe<strong>del</strong>tà <strong>del</strong> tifoso rimane inalterata. Un fattore che gioca in<br />

favore di chi elabora i prezzi è il fatto che la partita in sé rappresenta un evento<br />

unico, in quanto chi la perde sa che non avrà mai più la possibilità di rivivere quel<br />

momento nelle medesime condizioni.<br />

Ogni categoria di utente, come detto, ha il suo posto ideale allo stadio. Le Curve per<br />

chi vuole vivere l’atmosfera da ultras o per chi vuole spendere meno. Le Tribune, più<br />

centrali rispetto al campo, per gli altri: la visibilità sarà migliore, rimanendo lontani<br />

dall’agitazione <strong>del</strong>le curve. Di mezzo vi è il settore Distinti, che, spesso a parità di<br />

vista, risulta più economico rispetto alle tribune perché non offre i medesimi comfort<br />

in termini di accoglienza e comodità varie. Le diversificazioni nella vendita dei<br />

biglietti sono uno strumento molto utilizzato anche in termini di offerte per portare<br />

allo stadio donne, bambini o attrarre gli appassionati anche in occasione di partite<br />

meno allettanti sotto il profilo spettacolare. Altra iniziativa di differenziazione dei<br />

prezzi è il diritto di prelazione, che dà la possibilità agli abbonati <strong>del</strong>la stagione<br />

precedente sia di acquistare prima degli altri le tessere <strong>del</strong>la nuova stagione<br />

garantendosi lo stesso posto sia di godere <strong>del</strong> diritto di precedenza per l’acquisizione<br />

dei biglietti, inerenti il posto solitamente occupato in campionato, in occasione, ad<br />

esempio, <strong>del</strong>le partite di coppa. Esistono inoltre anche agevolazioni finanziarie come<br />

la possibilità di pagare gli abbonamenti in forma rateale.<br />

In <strong><strong>It</strong>alia</strong>, come si evince dalla Tabella 7, molte società hanno adottato per la stagione<br />

2010/11 una politica dei prezzi elastica che varia in riferimento alla partita di<br />

giornata 12 . Il Bari, ad esempio, ha suddiviso le avversarie in due fasce: la 1, che<br />

comprende Juventus, Milan, Inter, Roma, Lecce e Napoli, e la 2, che annovera invece<br />

tutte le altre. Se per un incontro di fascia 2 un biglietto per la Curva costa 18 euro,<br />

per un match di primo piano il prezzo salirà a 22.50 euro.<br />

Un rincaro minimo se si considera che il Palermo, che ha optato per tre fasce (A:<br />

Inter, Juventus, Milan; B: Catania, Fiorentina, Napoli, Roma; C: le altre), prevede un<br />

incremento dei costi dai 9 ai 40 euro per il medesimo settore, con la Tribuna d’onore<br />

che tocca il picco dei 250 euro nelle grandi occasioni. Differente è il caso <strong>del</strong> Napoli:<br />

la società partenopea non ha reso note tabelle informative su categorizzazioni di sorta<br />

12 I dati presi in considerazione sono stati estrapolati dai siti ufficiali dei club esaminati.<br />

86


nell’estate 2010, lasciandosi così il diritto di decidere di settimana in settimana i<br />

prezzi.<br />

Tabella 7 – Alcuni esempi <strong>del</strong>le politiche dei prezzi da stadio in <strong><strong>It</strong>alia</strong><br />

Club<br />

Prezzi Tribune d’onore<br />

(da - a)<br />

87<br />

Prezzi Distinti<br />

(da - a)<br />

Prezzi Curve<br />

(da - a)<br />

Inter 365 – 385 euro 88 – 100 euro 37 – 47 euro<br />

Milan 275 – 280 euro 71 – 87 euro 34 – 43 euro<br />

Napoli 79 – 149 euro 19 – 44 euro 9.50 – 21.50 euro<br />

Palermo 170 – 250 euro 25 – 70 euro 9 – 40 euro<br />

Bari 60 – 80 euro 30 – 40 euro 18 – 22.50 euro<br />

Fonte: Nostra indagine diretta aprile 2011.<br />

Contro il Lecce si è così assistito all’applicazione di tariffe definite “popolari”, con le<br />

Curve che costavano 9.50 euro, i Distinti 19 e la Tribuna d’onore 79 euro, mentre nel<br />

caso di partitissime come contro il Milan i costi dei medesimi settori hanno toccato<br />

rispettivamente quota 21.50, 44 e 149 euro. Singolare è inoltre il caso di Inter e<br />

Milan, due club di egual prestigio che utilizzano lo stesso stadio, San Siro,<br />

prediligendo politiche di prezzo alquanto differenti. I nerazzurri, in particolare,<br />

hanno sfruttato l’entusiasmo derivante dalla strepitosa stagione 2009/10, con il<br />

famoso Triplete che ha portato nella bacheca di via Durini Champions League,<br />

scudetto e Coppa <strong><strong>It</strong>alia</strong>, proponendo tariffe che vanno dai 37 euro per la Curva ai 365<br />

per la Tribuna d’onore in occasione di incontri di Fascia B, ai 47 ed ai 385 euro in<br />

concomitanza <strong>del</strong>le sfide con Milan, Juventus, Udinese e Roma. In questi casi, tra<br />

l’altro, il patron Massimo Moratti ha revocato l’adozione di qualsiasi opzione ridotta.<br />

Più economiche, seppur in lieve scala, sono invece le possibilità proposte dal Milan,<br />

che vanno dai 34 euro <strong>del</strong>la Curva ai 275 <strong>del</strong>la Tribuna d’onore in caso di partite<br />

considerate meno allettanti, sino agli incrementi minimi di 43 e 280 euro adottati<br />

contro Inter e Juventus. I “Diavoli” si sono poi concessi il privilegio di poter decidere<br />

di cambiare le tariffe durante il torneo.<br />

La promozione. Per favorire il successo di tali iniziative sono necessarie anche<br />

attività di promozione e pubblicità. In tal contesto è stata molto interessante la carta<br />

di credito Barclaycard, studiata dalla banca sponsor <strong>del</strong>la Premier League inglese, la


Barclay, e Sky, insieme alla lega <strong>del</strong>le squadre: grazie a questa azione di co-<br />

marketing gli appassionati hanno avuto a disposizione uno strumento di credito per<br />

l’acquisto dei match. Un’iniziativa promozionale di co-marketing tra più soggetti, di<br />

alleanza tra competitors, che è al contempo anche pubblicitaria, visto che veicola i<br />

nomi di Barclays, Sky, Premier League e <strong>del</strong>le squadre scelte da chi acquista gli<br />

incontri. Un altro strumento, quello <strong>del</strong> web-marketing, è stato utilizzato con<br />

successo dalla Sampdoria, che ha inviato 6mila e-mail ai tifosi registrati fornendo<br />

una serie di informazioni sui nuovi pacchetti d’abbonamento. Oltre 2mila hanno<br />

risposto chiedendo ulteriori informazioni commerciali. Un’analisi molto interessante<br />

sul mercato calcistico è stata elaborata dalla compagnia americana A.T. Kearney 13 ,<br />

che suddivide lo sviluppo di un club in cinque fasi: “fattoria di allevamento”,<br />

“concorrente di livello nazionale”, “stella di livello nazionale”, “concorrente di<br />

livello internazionale”, “marchio affermato a livello internazionale”. Cinque step, di<br />

cui tre (il primo, il terzo ed il quinto) rappresentano mo<strong>del</strong>li di sviluppo sostenibile,<br />

mentre gli altri due momenti sono di transizione. Ciascun livello raggiunto dal club<br />

avrà caratteristiche proprie, obiettivi chiave da raggiungere, fonti di introito, forze,<br />

debolezze, minacce ed opportunità. Non è detto che si debba o voglia per forza salire<br />

di livello, tant’è che secondo A.T. Kearney si può rimanere dove si è perché quello è<br />

il punto migliore di equilibrio tra entrate e uscite ed è in grado di produrre un<br />

appropriato profitto. <strong>Una</strong> “fattoria di allevamento” è generalmente un club piccolo<br />

con nessuna ambizione di raggiungere importanti risultati agonistici e che trae le<br />

risorse da quanto riceve per la vendita dei calciatori che “alleva” in casa. Avrà quindi<br />

una ben organizzata scuola <strong>calcio</strong> e non avrà altra sfida se non quella di allestire una<br />

rete che consenta di continuare a scoprire, “allevare” e vendere i migliori giovani. In<br />

<strong><strong>It</strong>alia</strong> una società che attua questo tipo di politica è l’Atalanta. Tra il primo e il terzo<br />

step troviamo la prima fase di passaggio che è quella <strong>del</strong> “concorrente di livello<br />

nazionale”, un momento di transizione caratterizzato da successi stabili nel proprio<br />

paese, occasionale presenza nelle coppe europee, dal divenire polo d’attrazione per<br />

calciatori nazionali importanti, dall’allargamento <strong>del</strong>la tifoseria non ristretta più solo<br />

ad una base locale e dall’ampliamento dei profitti dalla sola vendita dei giocatori a<br />

quella dei diritti tv e alle sponsorizzazioni. La seconda fase di mo<strong>del</strong>lo di successo è<br />

13 Kearney A.T. Playing for profits, Chicago 2004.<br />

88


quella <strong>del</strong>la “stella di livello nazionale”: un club che finisce nei primi posti <strong>del</strong> suo<br />

campionato, partecipa regolarmente alle competizioni europee e ha successo a livello<br />

commerciale nel suo paese. È questo un livello di mezzo, in cui si può ambire a<br />

divenire una società di successo anche in Europa, ma si rischia di cadere in basso<br />

anche nel proprio paese per la competizione dei club internazionali<br />

nell’accaparramento dei migliori giocatori. Un livello rischioso in cui si trova da anni<br />

la società norvegese <strong>del</strong> Rosenborg. Quarto step, e secondo di passaggio, è quello <strong>del</strong><br />

“concorrente di livello internazionale”, il quale riuscirà ad ottenere periodici successi<br />

in Europa, attrarrà campioni e tifoseria anche da altri paesi, ambirà a diventare una<br />

entertainment company e ad incrementare il livello dei profitti dalla compravendita<br />

di giocatori e dai diritti Tv ad altre fonti di introiti. A diventare quindi una star<br />

internazionale, un marchio di successo non solo calcistico. Tra gli esempi <strong>del</strong>l’A.T.<br />

Kearney vi sono il Manchester United, che è riuscito a salire tutti i cinque gradini <strong>del</strong><br />

successo in un decennio, il Real Madrid e le italiane Juventus e Milan. Non sono più<br />

solo club di <strong>calcio</strong>, ma nomi riconoscibili come altri marchi internazionali <strong>del</strong> tipo di<br />

Adidas o Nike. Elementi chiave in questo processo di crescita sono il possesso <strong>del</strong>lo<br />

stadio, come nel caso <strong>del</strong>le formazioni inglesi, e di altre strutture in grado di generare<br />

introiti sia calcistici che extra-calcistici, l’espansione in mercati meno saturi, la<br />

creazione di un marchio che abbia appeal anche al di là <strong>del</strong> tradizionale mercato <strong>del</strong><br />

<strong>calcio</strong> e lo sviluppo di forme di introito non tradizionali come, ad esempio, la vendita<br />

di contenuti digitali o di scommesse.<br />

3.4 Gli stadi<br />

Negli ultimi anni lo stadio sta modificando la propria funzione storica e si sta<br />

trasformando in una struttura atta ad appagare differenti bisogni, ricoprendo di fatto<br />

un ruolo determinante nella politica dei ricavi dei club.<br />

Il management di uno stadio, considerato come elemento marketing oriented, colloca<br />

al centro dei suoi interessi la persona, in particolare lo spettatore-cliente. Si<br />

interagisce con diversi soggetti, tra cui le aziende ed i media attirati dallo stesso<br />

target di clientela.<br />

È basilare per il management la pianificazione e il perseguimento di quattro categorie<br />

di obiettivi: economici, sociali, ambientali, fisici. Solo con un mix di tali componenti<br />

89


lo stadio potrà sviluppare in modo efficiente il suo potenziale verso la totalità <strong>del</strong>le<br />

platee di riferimento.<br />

Gli obiettivi economici riguardano principalmente gli investimenti necessari per<br />

garantirne lo sfruttamento, in aggiunta a quelli utilizzati per concepirlo e per<br />

realizzarlo. Bisogna lavorare dunque sui servizi, perché il traguardo ultimo riguarda<br />

la generazione di interesse e la soddisfazione dei clienti (sia aziende che semplici<br />

spettatori) che creeranno ricavi.<br />

Per gli obiettivi sociali, è un dato di fatto che durante i grandi avvenimenti sportivi<br />

internazionali come i Mondiali, gli Europei e la finale di Champions League, la<br />

stragrande maggioranza degli spettatori non può essere presente all’interno<br />

<strong>del</strong>l’impianto. Di conseguenza, quando si effettua la progettazione è importante<br />

ricordare che ci si rivolge a due categorie di pubblico: quelli che assistono dal vivo<br />

all’evento e quanti lo seguono soprattutto attraverso i nuovi mezzi di comunicazione.<br />

Un esempio significativo è quello <strong>del</strong> Bayern Monaco. Il club tedesco, che gioca<br />

all’Allianz Arena, ha messo a punto un format speciale per la cartellonistica a bordo<br />

campo, dando risalto alle partnership con il suo pool di sponsor. Un team di registi<br />

televisivi, inoltre, ha esaminato la rotazione dei marchi e l’angolazione <strong>del</strong>le riprese.<br />

Il rettangolo di gioco è stato così trasformato in un’arena nella quale lo spettacolo è<br />

rappresentato dall’incontro di <strong>calcio</strong>. La visibilità <strong>del</strong>le insegne dura tra i 40 ed i 120<br />

secondi, valorizzando al massimo la zona <strong>del</strong>le porte o dei calci d’angolo, senza<br />

dimenticare l’utilizzo sempre più esteso dei banner pubblicitari tridimensionali.<br />

Riguardo gli obiettivi ambientali, la decisione di collocare un impianto all’interno di<br />

un contesto adeguato crea visibili vantaggi dal punto di vista economico e<br />

territoriale.<br />

Raggiungere gli obiettivi fisici, invece, vuol dire incrementare il livello di comfort<br />

degli spettatori soprattutto attraverso degli interventi di tipo tecnologico, tra cui<br />

l’installazione di postazioni telefoniche multifunzionali e di servizi per il controllo<br />

<strong>del</strong> flusso di persone, la dotazione di sedili ergonomici, la semplicità dei pagamenti<br />

al suo interno, l’offerta di servizi differenti ed utilizzabili dalla globalità <strong>del</strong>le fasce<br />

di pubblico.<br />

Fattori critici per un’amministrazione corretta e bilanciata di un impianto sono anche<br />

i costi di gestione, tanto importanti da poterne determinare il successo economico e<br />

90


gestionale o il fallimento. Al giorno d’oggi la sfida è arrivare ad un impianto<br />

innovativo ed efficiente riuscendo a contenere i costi; la previsione, il controllo ed il<br />

governo di queste voci sono essenziali per mantenerlo in vita anche nel futuro ed è<br />

basilare che l’analisi di marketing le valuti per determinare la gestione più adeguata e<br />

coerente con gli obiettivi prestabiliti. L’intenzione odierna è di rendere la struttura<br />

un’area aperta e visitata in maniera stabile durante tutto il corso <strong>del</strong>la settimana. La<br />

sua gestione necessita principalmente di due attività: la conduzione e<br />

l’organizzazione. La prima include il facility management, cioè l’insieme di tutte<br />

quelle attività indirizzate a conservare in ottime condizioni l’impianto, a mantenerlo<br />

appetibile dal punto di vista <strong>del</strong> marketing e a offrire servizi di sostegno per<br />

l’organizzazione degli avvenimenti. La capacità di pianificare in maniera ottimale<br />

l’attività di marketing, di porre in essere obiettivi perseguibili, di integrare tra di loro<br />

le attività, permette di dar vita ad un circolo virtuoso in grado di portare ad un esito<br />

positivo nella gestione <strong>del</strong>lo stadio. Lo sviluppo tecnologico in tal contesto ricopre<br />

un ruolo integrante. La realizzazione <strong>del</strong>le piattaforme pay-tv e <strong>del</strong> digitale terrestre<br />

ed il successivo notevole accrescimento dei diritti Tv pagati alle società hanno<br />

condizionato in misura considerevole la struttura e l’utilizzo degli impianti. Le<br />

necessità <strong>del</strong>le emittenti televisive, in particolare, implicheranno sempre più la<br />

progettazione e la realizzazione di stadi più piccoli e con le tribune il più possibile<br />

vicine al campo da gioco. Un esempio significativo <strong>del</strong>l’impatto <strong>del</strong>la tecnologia è<br />

rappresentato dallo stadio di Sapporo in Giappone, ideato ed edificato in occasione<br />

dei Mondiali <strong>del</strong> 2002, la cui caratteristica distintiva riguarda il terreno da gioco.<br />

Quest’ultimo, di 120 x 84 m, è stato adagiato su cuscinetti d’aria posti all’esterno, i<br />

quali danno la possibilità di spostarlo ad una velocità di quattro metri al secondo. Al<br />

fine di condurre il manto erboso dentro lo stadio furono predisposte due grandi<br />

aperture posizionate sotto le tribune che permettono di introdurlo per lo svolgimento<br />

<strong>del</strong>le partite. Al termine <strong>del</strong> match viene ricondotto all’esterno onde lasciare libero<br />

l’impianto, in modo da poter ospitare altri eventi sportivi e non. Ciò consente al<br />

terreno da gioco di preservarsi da danneggiamenti, con il vantaggio di essere sempre<br />

in ottime condizioni.<br />

La tecnologia applicata ad un impianto implica anche l’incremento <strong>del</strong>la<br />

soddisfazione sia dei frequentatori abituali che di quelli occasionali, poiché viene<br />

91


percepito come più vicino al cliente e adatto ad appagare i suoi bisogni e le sue<br />

aspettative. È un fattore essenziale, inoltre, per poter sviluppare politiche di co-<br />

marketing e attività di public relations nei confronti dei partner, degli sponsor, <strong>del</strong>le<br />

aziende e degli investitori, permettendo di installare sale per conferenze, per meeting,<br />

per promozioni e per ricevimenti, oltre a <strong>del</strong>le hospitality box e suite all’avanguardia,<br />

efficienti ed equipaggiate dei più moderni comfort.<br />

L’area dei servizi registra le novità più significative, come l’innovativo progetto<br />

Wireless Arena. La proposta è stata messa a punto da H3G in collaborazione con la<br />

società <strong>del</strong>l’Internazionale per realizzare un servizio personalizzabile che permetta ai<br />

vari segmenti di clientela (addetti alla sicurezza, giornalisti, spettatori), mediante<br />

l’utilizzo di un computer palmare con tecnologia Wi-Fi, di usufruire di varie<br />

possibilità. Un altro sistema degno di attenzione è il Dial4snax, che permette, durante<br />

l’evento, di effettuare ordinazioni di articoli <strong>del</strong> merchandising dalla propria<br />

postazione, ottenendone la consegna presso la medesima. Un servizio addizionale<br />

offerto dalla Dial4snax è il Suite Shop, che permette ai clienti <strong>del</strong>le luxury suite di<br />

ordinare gli articoli <strong>del</strong> merchandising utilizzando il monitor televisivo standard.<br />

3.4.1 Il co-marketing e la cessione dei naming rights<br />

Nell’ottica di una corretta gestione economica di uno stadio, ha notevole importanza<br />

il co-marketing, ovvero<br />

“il processo mediante il quale due o più operatori, privati o pubblici,<br />

svolgono in partnership una serie d'iniziative di marketing (organizzate,<br />

programmate, controllate) al fine di raggiungere obiettivi di marketing<br />

(comuni o autonomi ma tra loro compatibili), attraverso la soddisfazione<br />

dei consumatori” 14 .<br />

Alla base di questo approccio vi è la presa di coscienza che la ricerca costante <strong>del</strong><br />

miglioramento e <strong>del</strong>la soddisfazione <strong>del</strong> cliente possono essere conseguite solo in<br />

parte se si agisce da soli. In un mercato sempre più competitivo la singola<br />

14 Cherubini S., Canigiani M., Il co-marketing sportivo. Strategie di cooperazione nel mercato<br />

sportivo, F. Angeli, Milano 2000, p. 18<br />

92


organizzazione trova difficoltà a raggiungere in maniera isolata il proprio target di<br />

riferimento. L’instaurazione e lo sviluppo di relazioni di cooperazione richiede dei<br />

processi di adeguamento vicendevole, di coordinamento e di condivisione, che<br />

permettono l’interazione <strong>del</strong>le risorse e <strong>del</strong>le attività degli attori coinvolti, dei<br />

processi di apprendimento reciproco, nonché di un avvicinamento culturale tra le<br />

parti, anche se è fondamentale che le diversità siano preservate e rispettate.<br />

Tra i fattori di successo di un’iniziativa di co-marketing vi sono il livello di<br />

organizzazione <strong>del</strong>lo sponsee, la disponibilità di una struttura organizzativa dedicata,<br />

la conoscenza <strong>del</strong>le problematiche organizzative e la compatibilità di traguardi tra lo<br />

sponsor e lo sponsee. Nel caso di uno stadio di <strong>calcio</strong>, quindi, i soggetti che possono<br />

venir coinvolti in un’attività di co-marketing fanno parte di categorie parecchio<br />

eterogenee tra loro: società sportive, enti pubblici, comunità locali, spettatori,<br />

sponsor tecnici e commerciali, atleti, media ed imprese. Questo implica anche una<br />

varietà di relazioni contrattuali. Nell’attività di sponsorship, ad esempio, le tipologie<br />

contrattuali più importanti sono la sponsorizzazione tecnica, di club, dei singoli e<br />

degli eventi. Tutti questi accordi sono sviluppati come bilaterali: il soggetto<br />

sponsorizzato si impegna a diffondere il brand ed in maniera indiretta i prodotti ad<br />

esso connessi, fino al punto di cambiare la propria denominazione come nei casi di<br />

cessione dei naming rights degli stadi. <strong>Una</strong> particolare modalità di sponsorizzazione<br />

è la Digital Sponsorship, mediante la quale un’impresa associa il proprio brand,<br />

utilizzando tecniche digitali, alla trasmissione in via telematica di un determinato<br />

evento grazie all’utilizzo di supporti pubblicitari virtuali presenti sui media. Le due<br />

forme principali di quest’attività sono il Virtual Advertising, cioè l’insieme <strong>del</strong>le<br />

tecniche digitali che permettono di mostrare ai soli telespettatori gli sponsor in<br />

maniera statica o dinamica, e la Web Television Sponsorship, che dà la possibilità<br />

allo sponsor di instaurare un contatto attivo con il telespettatore mentre gode<br />

<strong>del</strong>l’evento, sino a stimolarlo all’acquisto virtuale, sfruttando la convergenza dei<br />

mezzi di comunicazione come l’e-commerce. La Digital Sponsorship si pone come<br />

punto d’incontro tra la tecnologia avanzata ed i bisogni <strong>del</strong>le imprese: i vantaggi<br />

conseguibili concernono il targeting (la tipologia di messaggio può essere cambiata<br />

in funzione <strong>del</strong> broadcast emittente), l’uso di nuove superfici (la presenza degli<br />

sponsor può avvenire su supporti virtuali aggiuntivi al campo da gioco, oggetti<br />

93


volanti, cartelloni), l’opportunità di sfruttamento di qualsiasi spazio da parte di più<br />

investitori ed infine l’ideazione e la realizzazione di interventi animati,<br />

tridimensionali e dotati di effetti speciali.<br />

Grazie al virtual marketing gli spazi cedibili dai gestori degli stadi crescono <strong>del</strong> 30%.<br />

I punti di forza per l’azienda sponsorizzatrice diventano la targetizzazione <strong>del</strong><br />

messaggio a livello geografico, un’informazione con grande impatto visivo, una più<br />

intensa programmazione e controllo nella messa a punto <strong>del</strong> messaggio; per lo<br />

sponsee, invece, si crea un più elevato giro d’affari per la cartellonistica a bordo<br />

campo, si incrementa il numero degli spazi vendibili agli sponsor, si migliora lo<br />

spettacolo a livello visivo e la comprensione <strong>del</strong>l’avvenimento agonistico. Esistono<br />

però anche elementi di criticità, tra cui gli elevati costi di acquisizione, il rispetto di<br />

alcuni vincoli normativi a livello nazionale, internazionale e sportivo ed un<br />

apprezzamento non sempre elevato da parte dei telespettatori. Pioniera in <strong><strong>It</strong>alia</strong> nella<br />

sperimentazione di tale sistema su di un incontro trasmesso in diretta televisiva fu la<br />

Lazio, che in occasione di un incontro di Coppa Uefa contro i portoghesi <strong>del</strong> Vitoria<br />

Guimaraes durante la stagione 1997/98, vendette i medesimi spazi pubblicitari a più<br />

operatori, diversificando la trasmissione a seconda <strong>del</strong> Paese in cui l’incontro veniva<br />

diffuso o persino differenziandola in base alle varie regioni di una stessa nazione. In<br />

questo modo il club mirava anche a conseguire la valorizzazione <strong>del</strong>le<br />

sponsorizzazioni internazionali che le avevano permesso di privilegiare, all’interno<br />

<strong>del</strong>le negoziazioni riguardanti la cessione degli spazi pubblicitari virtuali <strong>del</strong>lo stadio<br />

Olimpico, gli sponsor dei paesi di origine dei suoi calciatori.<br />

Tra gli strumenti a disposizione <strong>del</strong>lo sport marketing è tuttavia il venue sponsor<br />

quello che sta attualmente osservando un trend di crescita di tipo esponenziale.<br />

Soprattutto nell’ultimo lustro un numero crescente di imprese ha deciso di approdare<br />

nell’industria sportiva acquisendo i naming rights degli stadi. Le motivazioni che<br />

portano alla scelta di sponsorizzare un’infrastruttura sportiva sono essenzialmente<br />

due: la più rilevante brand exposure ed il minor rischio di feedback negativi in<br />

termini di immagine. Fare da sponsor ad un impianto vuol dire essere al centro<br />

<strong>del</strong>l’attenzione anche quando l’attività agonistica è ferma e poter raggiungere anche<br />

target group differenti da quelli che ci si è prefissati; inoltre è particolarmente basso<br />

il rischio <strong>del</strong> venue sponsor, fattore molto importante poiché ogni operazione fondata<br />

94


sulla transfer image vede nel pericolo di danneggiamento <strong>del</strong>la propria immagine il<br />

maggior nemico per la riuscita <strong>del</strong>l’accordo. L’opzione venue sponsor sembra,<br />

pertanto, la risposta più adeguata per quelle imprese che hanno come obiettivo un<br />

ampio target group, poiché non prestabiliscono specifiche finalità di definizione<br />

valoriale <strong>del</strong>la propria marca al di là <strong>del</strong>la logica prioritaria di aumento <strong>del</strong>la brand<br />

awareness. Un altro elemento non secondario riguarda la capacità di queste aziende<br />

di investire in maniera cospicua, alla luce <strong>del</strong>le cifre che caratterizzano tali<br />

operazioni.<br />

Per il <strong>calcio</strong>, al fine di avere un’idea <strong>del</strong>la pratica <strong>del</strong> naming, è necessario analizzare<br />

i cinque principali mercati a livello europeo: Bundesliga (Germania), Premier League<br />

(Inghilterra), Liga (Spagna), Ligue 1 (Francia) e Serie A (<strong><strong>It</strong>alia</strong>). Dei 98 club che<br />

partecipano a questi campionati (18 per la Bundesliga e 20 per gli altri quattro tornei)<br />

solamente 16 hanno deciso di intraprendere questa opzione commerciale e ben 10 di<br />

essi (circa il 65%) sono raggruppati in Germania, il benchmark in questo specifico<br />

segmento. Il mercato tedesco è al primo posto tra quelli europei in tema di diritti sul<br />

nome degli impianti da gioco: sulle 18 squadre che nel 2010/11 hanno preso parte<br />

alla Bundesliga, ben 10 hanno ceduto i naming rights <strong>del</strong> proprio stadio. Analizzando<br />

tale situazione si nota che la cessione dei diritti <strong>del</strong> nome non è una scelta effettuata<br />

esclusivamente dalle società minori per incrementare i ricavi <strong>del</strong> settore<br />

commerciale, ma un’opzione adottata a prescindere dalle dimensioni <strong>del</strong> club. Tra le<br />

squadre che possiedono un venue sponsor troviamo quelle storiche come il Bayern<br />

Monaco (Allianz Arena), l’Amburgo (HSH Nordbank Arena) ed il Bayer Leverkusen<br />

(BayArena), grandi come il Borussia Dortmund (Signal Iduna Park), lo Stoccarda<br />

(Gottlieb Daimler Stadion), lo Schalke 04 (Veltins Arena), il Wolfsburg<br />

(Volkswagen Arena) ed infine compagini più piccole: Norimberga (Easycredit<br />

Stadion), Hannover 96 (AWD Arena) ed Eintracht Francoforte (Commerzbank<br />

Arena). Solamente nel caso <strong>del</strong> binomio Wolsfburg Volkswagen, il venue sponsor<br />

coincide con il main sponsor (jersey sponsor). Il marchio tedesco <strong>del</strong> settore<br />

automobilistico ha scelto di legarsi a filo doppio al club biancoverde, perché<br />

Wolsfburg è la città dove la Volkswagen è nata e ha tuttora il proprio quartier<br />

generale. Tra i settori merceologici maggiormente coinvolti in tali attività di<br />

sponsorizzazione la leadership appartiene a quello dei servizi, che riguarda 6<br />

95


company sulle 10 complessive (Allianz, AWD, Commerzbank, Easycredit, HSH<br />

Nordbank, Signal Iduna). Le rimanenti fanno parte <strong>del</strong> settore industriale: Bayer<br />

(chimica-farmaceutica), Daimler Benz e Volkswagen (automobilistico) e Veltins<br />

(beverage-beer). L’esempio più importante è comunque quello <strong>del</strong>l’Allianz Arena. Il<br />

gruppo Allianz, infatti, fornitore di servizi finanziari, ha sborsato una cifra pari a 80<br />

milioni di euro, circa il 25% <strong>del</strong>la spesa totale di 340 milioni di euro sostenuta per<br />

costruire lo stadio, al fine di ottenere i naming rights per 30 anni.<br />

Il mercato inglese invece è attualmente di dimensioni minori rispetto a quello <strong>del</strong>la<br />

Germania. Nella Premier League soltanto 4 squadre <strong>del</strong>le 20 partecipanti (il 20%)<br />

hanno venduto i diritti sul nome <strong>del</strong> proprio impianto: Arsenal (Emirates Stadium),<br />

Bolton Wanderers (Reebok Stadium), Wigan Athletic (JJB Stadium prima e DW<br />

Stadium poi) e Stoke City (Britannia Stadium). La compagine londinese dei Gunners,<br />

in particolare, esibisce Fly Emirates sia come jersey-sponsor che come venue<br />

sponsor (investimento globale di circa 150 milioni di euro in 15 anni), mentre ha<br />

assegnato alla statunitense Nike la fornitura tecnica. Strada, questa, intrapresa anche<br />

dallo Stoke, legatosi a Britannia come venue sponsor e jersey sponsor, e dall’estate<br />

2010 per 4 stagioni alla ditta tedesca Adidas come technical sponsor. Il Wigan ha<br />

invece stretto un accordo con l’azienda di scommesse 188Bet come jersey-sponsor e<br />

con la Mi-Fit come technical sponsor, cedendo alla DW Sport Fitness, che nel 2009<br />

è subentrata alla JJB Sports, i naming rights. Sempre la 188Bet è il jersey-sponsor<br />

<strong>del</strong> Bolton, il quale ha invece affidato alla Reebok (brand di sportswear) sia i diritti<br />

<strong>del</strong> proprio stadio che la fornitura tecnica riguardante i kit indossati dai calciatori<br />

durante le partite ufficiali e gli allenamenti.<br />

L’Emirates Stadium, che ospita i match casalinghi <strong>del</strong>l’Arsenal, è costato circa 573<br />

milioni di euro, dei quali 150 sono stati versati dalla compagnia aerea <strong>del</strong> Dubai, la<br />

Fly Emirates, che ha acquistato i naming rights <strong>del</strong>l’impianto, altrimenti noto come<br />

Ashburton Grove, fino al 2016. Al fine di sovvenzionarne la costruzione, la società<br />

inglese, che non ha avuto possibilità di accedere a prestiti pubblici, ha seguito<br />

differenti direttrici: in primis ha eretto in sostituzione <strong>del</strong> vecchio stadio 2.000<br />

appartamenti che ha venduto e dai quali ha ottenuto un sostanzioso guadagno. Ha<br />

ricavato, inoltre, 22 milioni da alcune operazioni commerciali, tra cui l’accordo<br />

96


ventennale con Delaware North (azienda <strong>del</strong> settore catering) ed una serie di<br />

sponsorship (la principale è con Nike, già official kit supplier).<br />

Quello spagnolo infine è il terzo mercato in termini di naming rights degli impianti<br />

di <strong>calcio</strong>. Delle 20 squadre che hanno partecipato al campionato 2009/10 solo 2<br />

hanno ceduto i diritti sul nome <strong>del</strong>lo stadio, anche se non hanno costruito una nuova<br />

struttura, ma si sono limitate alla vendita dei naming rights senza apportare<br />

modifiche o migliorie all’impianto. Questo fenomeno, unito al fatto che le squadre<br />

operanti questa scelta commerciale sono di seconda fascia (Mallorca ed Osasuna), ha<br />

portato a considerare tale situazione come non accostabile a quelle esaminate<br />

precedentemente, in virtù <strong>del</strong> capitale impegnato. Il Mallorca ha ceduto i naming<br />

rights <strong>del</strong> proprio stadio, in precedenza chiamato Son Moix ed ora denominato ONO<br />

Estadi, in base ad un accordo tra la squadra spagnola e l’azienda ONO, che ha<br />

portato nelle casse <strong>del</strong> club una cifra intorno ai 4 milioni di euro ed ha reso<br />

l’impianto il primo di Spagna a recare la denominazione di un’impresa. L’Osasuna, a<br />

partire dal 2006, ha cambiato il nome <strong>del</strong> proprio stadio da El Sadar in Estadio<br />

Reyno de Navarra, in virtù <strong>del</strong>l’accordo stipulato tra la squadra di Pamplona e la<br />

Regione <strong>del</strong>la Navarra, grazie al quale la società spagnola riceve 1,5 milioni di euro a<br />

stagione per la durata di 3 anni. La differenza sostanziale tra le due operazioni è che,<br />

mentre il Mallorca ha intrapreso la via di una manovra commerciale in senso stretto<br />

(ONO è infatti un provider telefonico), l’Osasuna ha percorso la strada <strong>del</strong> marketing<br />

territoriale, accordandosi con la Regione <strong>del</strong>la Navarra (amministrazione pubblica),<br />

che ha concluso l’intesa per promuovere il turismo all’interno <strong>del</strong> suo territorio.<br />

La Francia e l’<strong><strong>It</strong>alia</strong>, al contrario, sono abbastanza al di fuori di questo segmento di<br />

marketing sportivo. Dei 40 club <strong>del</strong>le due massime divisioni nazionali (Ligue 1 e<br />

Serie A), praticamente nessuno ha intitolato il proprio impianto ad un’impresa. Nel<br />

nostro Paese solo il Siena, per altro impegnato in Serie B, affianca dalla stagione<br />

2007/08 al nome di stadio Artemio Franchi quello di Montepaschi Arena, in virtù<br />

<strong>del</strong>la munifica sponsorizzazione <strong>del</strong>la banca senese, già jersey-sponsor dei toscani.<br />

Un primo passo verso la possibilità di titolazione <strong>del</strong>la struttura può essere<br />

rappresentato dall’ottenimento <strong>del</strong>la sua concessione da parte <strong>del</strong>la società di <strong>calcio</strong>.<br />

Questo si è verificato nel caso <strong>del</strong>la Juventus, che sarà la prima in <strong><strong>It</strong>alia</strong> a sfruttare a<br />

tutti gli effetti il naming right, con il nuovo Delle Alpi, operante dalla stagione<br />

97


2011/12, che avrà il nome di uno sponsor. Grazie all’intesa raggiunta con Sportfive,<br />

società specializzata nel marketing sportivo appartenente al Gruppo Lagardère, il<br />

club incasserà 75 milioni di euro per 12 anni: 6,5 all’anno da quando lo stadio verrà<br />

aperto al pubblico (sette giorni su sette, con spazi anche per i negozi e<br />

l’intrattenimento).<br />

Tabella 8 – Principali operazioni di cessione dei naming rights – (€ Mln)<br />

Club Titolare Naming Rights Nome Stadio Ricavi in mln di euro<br />

Bayern Monaco Allianz Allianz Arena 80 mln in 30 anni<br />

Juventus Sportfive Juventus Arena 75 mln in 12 anni<br />

Arsenal Fly Emirates Emirates Stadium 150 mln in 15 anni<br />

Mallorca Ono Ono Estadi 4 mln in 3 anni<br />

Osasuna Regione Navarra Reyno De Navarra 4.5 mln in 3 anni<br />

Fonte: Nostra indagine diretta aprile 2011.<br />

Sportfive gestirà in esclusiva il nome <strong>del</strong>l’impianto (assegnato ogni quattro anni), la<br />

vendita <strong>del</strong> 50% dei palchi ed i 650 posti <strong>del</strong>la Tribuna Premium. Tuttora in fase di<br />

ultimazione è invece a Livorno l’impianto Stadio dei martiri di polizia per mani<br />

ultras, che dal 2013 dovrebbe sostituire l’Armando Picchi assumendo la<br />

denominazione di Ipercoop Stadium, dal nome <strong>del</strong>lo sponsor che ne ha acquisito i<br />

naming rights.<br />

3.4.2 Le strategie di marketing mix<br />

Al giorno d’oggi l’approccio marketing oriented risulta caratterizzato da una<br />

notevole complessità <strong>del</strong> mercato e da una conseguente estensione <strong>del</strong>le platee a cui<br />

indirizzare l’offerta. Il management di uno stadio moderno dovrebbe diversificare le<br />

offerte, i servizi ed il marketing mix, equipaggiandosi <strong>del</strong>le competenze e <strong>del</strong>le<br />

professionalità necessarie per confrontarsi sia con il mass marketing che con il<br />

business client. Sia per le aziende che per gli organizzatori di eventi (Federazioni,<br />

società sportive, Enti pubblici) una struttura accogliente, moderna e fornita dei più<br />

ampi comfort, simboleggia uno stabile canale di congiunzione con il territorio,<br />

nonché un incisivo mezzo di promozione nei confronti dei clienti, dei partner e dei<br />

98


collaboratori. Il pubblico che si reca allo stadio diviene l’obiettivo non solo <strong>del</strong>le<br />

politiche di marketing dei gestori <strong>del</strong>la struttura, ma anche di quelle <strong>del</strong>le imprese<br />

che mediante le attività di co-marketing e di sponsorship associano il proprio brand<br />

all’avvenimento o all’impianto medesimo, con l’opportunità di conquistare un gran<br />

numero di persone avendo diverse occasioni per comunicare e per mettersi in mostra.<br />

Il management di uno stadio moderno, quindi, in funzione <strong>del</strong>la modificazione <strong>del</strong>le<br />

richieste di svago e di intrattenimento da parte <strong>del</strong> cliente, necessita di un approccio<br />

marcatamente customer oriented, poiché la custode satisfaction e la loyalty <strong>del</strong><br />

pubblico sono fortemente influenzate dal servizio ricevuto.<br />

Si dovrebbero stabilire con precisione i target di mercato e le loro attese ed esigenze<br />

prima di definire i servizi da offrire, essendo molteplici le categorie di clienti che<br />

interagiscono con un impianto polifunzionale e moderno: tifosi assidui, spettatori<br />

occasionali, imprese event related e stadium related, promoter, media e gestori di<br />

attività commerciali. Il management <strong>del</strong>lo stadio ha bisogno di individuare<br />

accuratamente i vari Fattori Rilevanti di Acquisto (FRA) per formulare un’adeguata<br />

proposta di opportunità e di servizi, di politiche di promozione e di comunicazione,<br />

indirizzate allo specifico target di clientela. Il prodotto stadio deve fornire un<br />

portafoglio servizi diversificato nel prezzo, nella ricchezza <strong>del</strong>l’offerta e nella qualità<br />

dei servizi aggiuntivi; questi ultimi diventano fondamentali per fornire un surplus<br />

innalzando il valore percepito soprattutto dai target ad alto valore aggiunto, di cui il<br />

più importante è quello <strong>del</strong>le aziende.<br />

Il settore da accrescere e sfruttare in misura maggiore da parte <strong>del</strong> management di un<br />

impianto è quello <strong>del</strong> business, concedendo la possibilità di collocare al suo interno<br />

esercizi commerciali e permettendo alle aziende di disporre di determinate aree per<br />

organizzare riunioni ed assemblee, mostre e fiere, e di uffici per farne loro sede. La<br />

sfida sta nella capacità di creare un mix vincente tra una struttura di prezzi<br />

vantaggiosa per i differenti segmenti di clientela, un’adeguata seating structure e<br />

<strong>del</strong>le strategie di vendita efficaci. Tutte le società hanno inoltre la necessità di<br />

indirizzare promozioni e comunicazioni nei confronti <strong>del</strong>le platee e dei mercati di<br />

riferimento. L’Area Comunicazione di uno stadio deve essere capace di impostare un<br />

dialogo con i tifosi, i media, le aziende, le istituzioni e le autorità locali e, nonostante<br />

possa avvalersi <strong>del</strong>la gamma di canali di comunicazione controllati da altri soggetti<br />

99


come gli sponsor, le aziende ed i media, al giorno d’oggi è essenziale svolgere<br />

direttamente quest’attività, in modo tale da avviare politiche di comunicazione<br />

rivolte in maniera specifica a determinati target. I principali destinatari <strong>del</strong>l’attività di<br />

divulgazione possono considerarsi il pubblico di massa, le aziende, i partner<br />

commerciali e tecnici, gli azionisti e la pubblica amministrazione ed ognuno ha<br />

bisogno di essere avvicinato e stimolato con strumenti e mezzi differenti.<br />

Il lavoro di public relations diventa un elemento importante se non addirittura vitale<br />

soprattutto nel caso di un’organizzazione che gestisce uno stadio calcistico, la quale<br />

deve interagire con partner ad alto valore aggiunto come le imprese. Il gestore stesso,<br />

più in generale, dovrebbe essere in grado di avviare politiche di promotion idonee a<br />

suscitare l’attenzione ed adeguate a stimolare ognuno dei segmenti <strong>del</strong>la domanda<br />

individuati come target. Si possono ideare particolari forme di abbonamento per gli<br />

eventi sportivi o di altro genere, possono essere studiate <strong>del</strong>le agevolazioni sui prezzi<br />

dei tagliandi per determinate classi di persone (donne, invalidi, under 16, over 65),<br />

mentre per le scuole è possibile preparare iniziative speciali: tutte proposte<br />

finalizzate al richiamare allo stadio il maggior numero possibile di individui, in<br />

particolare quelli che vi si recano solo saltuariamente. Si possono anche proporre<br />

pacchetti pubblicitari per i partner e per gli sponsor caratterizzati da prezzi di favore,<br />

da sconti sull’affitto dei palchi e degli skybox, degli spazi espositivi o <strong>del</strong>le sale per<br />

gli incontri, per i convegni o per le mostre e soprattutto sarebbe interessante<br />

coinvolgere personalità di spicco o ex calciatori. In Scozia, ad esempio, il Celtic<br />

Glasgow è riuscito a rendere partecipi e a sfruttare dal punto di vista commerciale i<br />

personaggi noti oppure i giocatori che avevano militato nel club, aggiungendo valore<br />

al prodotto stadio. Il Celtic Park dispone infatti di 42 suite in cui è possibile assistere<br />

alla partita o pranzare in compagnia di un ex capitano <strong>del</strong> Celtic presso il Captain’s<br />

Table.<br />

In Europa il primo caso di struttura multifunzionale è rappresentato dall’Amstardam<br />

ArenA, edificata nel 1996. La sua progettazione e amministrazione hanno suscitato<br />

grandissimo interesse a livello internazionale, non solamente per le inconsuete<br />

particolarità <strong>del</strong> design, ma anche per il metodo completamente innovativo con cui il<br />

progetto è stato portato a compimento, permettendo allo stadio di diventare un polo<br />

di attrazione capace di richiamare ogni anno milioni di visitatori.<br />

100


L’edificazione <strong>del</strong>l’ArenA ed il totale rinnovamento <strong>del</strong> territorio circostante hanno<br />

dotato Amsterdam di un luogo divenuto il centro sociale ed economico <strong>del</strong>la città,<br />

ideale per accogliere un’ampia gamma di attività e di avvenimenti. Si stima che siano<br />

stati creati oltre 6mila posti di lavoro e che siano stati effettuati investimenti per circa<br />

800 milioni di euro a beneficio <strong>del</strong>la zona adiacente. La sua amministrazione è una<br />

testimonianza significativa di come si possa rendere produttiva ed indipendente dal<br />

punto di vista economico una struttura di ingenti dimensioni.<br />

Dal punto di vista strutturale è uno stadio molto compatto, con le tribune poste a<br />

ridosso <strong>del</strong> terreno da gioco. La sua costruzione è avvenuta sopra un parcheggio a<br />

due livelli ed è composta da due anelli sovrapposti capaci di accogliere 50mila<br />

persone, che possono arrivare fino a 68mila durante i concerti. È stato uno tra i primi<br />

al mondo a presentare il binomio tetto retraibile-campo da gioco in erba naturale: il<br />

primo è costituito da una parte fissa che consente di riparare gli spettatori anche nel<br />

caso in cui rimanga aperto e necessita di soli 18 minuti per essere chiuso, il secondo<br />

è fornito di un sistema automatizzato di irrigazione e di manutenzione; sono presenti<br />

inoltre due maxischermi posizionati sopra le curve. Può essere paragonato ad una<br />

città in miniatura, infatti dispone di tutte le facilities necessarie a fornire un pacchetto<br />

servizi adeguato ad intrattenere l’appassionato di <strong>calcio</strong> durante l’intera giornata. È<br />

dotato di 54 skybox, quattro skylounge e nove lounge per i membri fondatori <strong>del</strong>la<br />

struttura, nella parte ovest; 12 skyrooms e quattro skylounge (questi ultimi<br />

appositamente costruiti per Euro 2000), in quella est. Le sedici rooms <strong>del</strong>la zona est<br />

possono essere affittate per l’intera stagione o semplicemente per una partita. Sono<br />

inoltre disponibili un Royal box per 40 persone, 1.564 posti business, 202 posti a<br />

sedere per i vip, 2.500 posti auto coperti al di sotto <strong>del</strong>l’ArenA (questo parcheggio,<br />

chiamato The Transferium, come tutti quelli <strong>del</strong>lo stadio è gestito dal Comune di<br />

Amsterdam) e diversi ristoranti etnici.<br />

Tutti i cibi e le bevande offerti dai 50 punti di ristoro disseminati in ogni parte <strong>del</strong>lo<br />

stadio presentano un prezzo in euro e il pagamento si effettua con l’ArenA Card, una<br />

chipcard che può essere utilizzata per acquistare tutto. Questa carta è un mezzo molto<br />

efficace per dar vita ad iniziative pubblicitarie e promozionali da parte degli sponsor<br />

e dei partner. Nelle vicinanze <strong>del</strong>l’ingresso principale è ubicato il fanshop ufficiale<br />

<strong>del</strong>l’Ajax, che offre un vasto campionario di articoli legati al club; un’altra<br />

101


opportunità interessante, sfruttata da circa 100mila persone all’anno, è quella di<br />

effettuare il tour guidato all’interno <strong>del</strong>lo stadio. Al suo interno sono collocate 83<br />

telecamere con sistema a circuito chiuso per sorvegliare sia l’interno che l’esterno,<br />

una sala di controllo tecnologicamente all’avanguardia ed un sistema che regola in<br />

maniera elettronica gli accessi. In ogni caso è necessario realizzare costantemente<br />

significativi investimenti per permettere all’impianto di mantenersi sicuro,<br />

funzionante ed all’avanguardia. Da quando l’Amsterdam ArenA è stata inaugurata<br />

nell’agosto <strong>del</strong> 1996, una grande mole di lavoro è stata portata a termine (in un’ottica<br />

di marketing territoriale) per creare un nuovo centro città in Olanda: l’ArenA<br />

Boulevard, cresciuta di fronte allo stadio. Quest’ultima è caratterizzata dalla presenza<br />

<strong>del</strong>la Pathé ArenA multiplex (un cinema con 14 sale), <strong>del</strong>l’Heineken Music Hall (una<br />

sala concerti che può accogliere fino a 5mila spettatori), di una gran varietà di<br />

megastore, <strong>del</strong>la Villa ArenA (uno shopping centre dedicato all’arredamento per la<br />

casa), di alti edifici usati per gli uffici, di caffè e di ristoranti. Lo sviluppo<br />

<strong>del</strong>l’ArenA Boulevard è uno tra i più ambiziosi progetti odierni di Amsterdam e per<br />

il prossimo futuro è in programma l’edificazione di due nuove torri (alte 150 metri),<br />

che ospiteranno un insieme di uffici e di appartamenti. L’idea è quella di farla<br />

diventare uno splendido luogo dove lo sport, l’intrattenimento, la cultura e gli eventi<br />

attrarranno ogni anno milioni di persone.<br />

Dal punto di vista amministrativo è presente un Managing Director che, nonostante<br />

si faccia carico di numerose attività (tra le quali le funzioni di PR, gli affari interni e<br />

le questioni legali), si deve avvalere di un team composto da quattro persone, ognuna<br />

a capo di un dipartimento: Finanziario, Commerciale, Facility, Eventi.<br />

La filosofia aziendale <strong>del</strong>l’ArenA prevede la cessione di alcune attività ad imprese<br />

esterne (outsourcing), ad esempio di quelle di clearing <strong>del</strong>l’impianto o di<br />

organizzazione degli eventi. La divisione Finanziaria si occupa <strong>del</strong>la società che<br />

gestisce lo stadio; quella Commerciale di redigere i contratti con i responsabili degli<br />

avvenimenti (football club, Federazioni, imprese, promotori di concerti o di altre<br />

manifestazioni); l’area Facility è responsabile <strong>del</strong>la manutenzione ordinaria e non; il<br />

Dipartimento Eventi gestisce la produzione e l’organizzazione di ogni tipologia di<br />

attività accolta all’interno <strong>del</strong>l’impianto. Per ogni avvenimento viene nominato un<br />

Event-manager ad hoc che si occupa di tutti gli aspetti legati al suo allestimento<br />

102


(pianificazione, contatto con il cliente, attività e servizi di supporto) per fornire un<br />

supporto specifico in base alle necessità <strong>del</strong> cliente, in un’ottica di dialogo e di<br />

confronto costante tra le parti.<br />

L’Amsterdam ArenA conserva uno staff fisso di 57 individui (in un’età compresa tra<br />

i 20 ed i 50 anni), mentre il resto <strong>del</strong> personale viene reclutato a seconda <strong>del</strong>la<br />

tipologia di avvenimento ospitata: per quelli maggiormente importanti può arrivare<br />

fino a 1.500 elementi, di cui 400 steward, 100 guardie private addette alla sicurezza,<br />

50 soggetti <strong>del</strong> gruppo addetto alle pulizie, 250 per il servizio VIP-catering e 700<br />

operatori <strong>del</strong> reparto ristorazione. Fa parte <strong>del</strong> management <strong>del</strong>lo stadio anche<br />

l’Amsterdam ArenA Advisory, una divisione indipendente che si occupa di<br />

consulenza. È composta da project-manager, consulenti e dipendenti <strong>del</strong>l’impianto,<br />

che possiedono esperienza a livello di pianificazione, sviluppo e gestione <strong>del</strong>le<br />

strutture costruite per lo sport e per l’intrattenimento. Godono di un’enorme<br />

competenza, arricchita dall’esperienza di 10 e più anni di gestione <strong>del</strong>l’ArenA e sono<br />

in grado di offrire una fonte unica di conoscenza ad una clientela di tipo<br />

internazionale.<br />

Il cliente di maggior peso <strong>del</strong>l’Amsterdam ArenA è la società calcistica <strong>del</strong>l’Ajax,<br />

senza il cui supporto il progetto non si sarebbe potuto realizzare. La squadra olandese<br />

ha stipulato un contratto di affitto di 30 anni ed ha posto all’interno <strong>del</strong>l’impianto i<br />

suoi uffici e la sua sede, l’Ajax Museum, l’Offical Ajax Fanshop, un campo di<br />

allenamento e quattro spogliatoi. L’opportunità di giocare in uno stadio<br />

dall’immagine futuristica, confortevole e sicuro permette al club d’incrementare il<br />

giro d’affari, elevando il livello <strong>del</strong>le entrate legate ai servizi extra e, ancor più<br />

importante, instaurando un rapporto saldo e profondo con i supporter. Per dare<br />

un’idea la squadra di Amsterdam vende più <strong>del</strong>l’80% dei biglietti sottoforma di<br />

abbonamenti e dispone di una lista d’attesa di oltre 4.500 tifosi. In generale l’Ajax ha<br />

messo a punto un portafoglio di offerte composito, poiché si muove in un’ottica<br />

marketing oriented ed ha la possibilità di disporre di dati aggiornati ed ordinati in un<br />

database relativo alla domanda e di fornire attività e servizi a seconda <strong>del</strong>le<br />

specifiche esigenze dei vari tipi di clientela.<br />

103


3.5 Il brand<br />

L’adozione di un proprio marchio, appositamente depositato e registrato, rappresenta<br />

per i club una fonte di finanziamento destinata a fornire notevoli introiti grazie alla<br />

capitalizzazione <strong>del</strong> merchandising. Il brand è senza dubbio un elemento essenziale<br />

<strong>del</strong> patrimonio di una società calcistica e basa la sua forza sulla notorietà,<br />

sull’immagine e sulla fiducia <strong>del</strong> consumatore che viene identificato nel<br />

tifoso/sostenitore. Per Aaker<br />

“La marca è un simbolo distintivo (per esempio, un logo, un marchio, il<br />

design di una confezione) che serve a identificare i beni o i servizi di un<br />

venditore o di un gruppo di venditori e a differenziarli da quelli di altri<br />

concorrenti” 15 .<br />

Questa va curata con grande attenzione, in quanto andrebbero conosciuti i livelli di<br />

notorietà, di fe<strong>del</strong>tà e soddisfazione, selezionati indicatori di lungo periodo che<br />

consentano di valutarne i risultati, incaricato un brand manager, qualcuno che abbia<br />

il compito di proteggere la quotazione <strong>del</strong>la marca, pensate strategia e obiettivi di<br />

lungo periodo.<br />

Aaker ha selezionato 5 categorie fondamentali su cui è fondato il valore di marca,<br />

elementi che danno valore aggiunto al consumatore e all’azienda: fe<strong>del</strong>tà, notorietà<br />

<strong>del</strong> nome, qualità percepita, altri valori associati e risorse esclusive <strong>del</strong>la marca<br />

(brevetti, marchi registrati, canali distributivi esclusivi ecc.).<br />

Il primo fattore è un aspetto particolare dei club di <strong>calcio</strong> perché la fe<strong>del</strong>tà a una<br />

squadra è pressoché totale da parte <strong>del</strong>la tifoseria. Ma oltre ai supporter, ci sono<br />

anche gli appassionati e il business market e questi non sono fe<strong>del</strong>i “a prescindere”<br />

come la supportership. Aaker riconosce diversi livelli di fe<strong>del</strong>tà, dal più instabile<br />

(acquirente sensibile al prezzo) al consumatore coinvolto. La fe<strong>del</strong>tà si misura in<br />

base al tasso di riacquisto e alla quota di acquisti; alla misura <strong>del</strong>la soddisfazione,<br />

alla simpatia e al coinvolgimento suscitato (da valutare tramite sondaggi). Per<br />

mantenerla, lo studioso americano suggerisce cinque regole: trattare bene i clienti,<br />

15 Aaker D.A., Managing Brand Equity. Capitalizing on the Value of a Brand Name, F. Angeli,<br />

Milano 2002, p. 26<br />

104


star loro vicino e misurarne la soddisfazione, creare costi di cambiamento, fornire<br />

qualche extra. Il quarto e il quinto punto sono particolarmente legati perché,<br />

fornendo un sovrappiù, sarà più difficile che i clienti si allontanino, e il trattenere i<br />

vecchi clienti è un’attività meno costosa ed estremamente redditizia.<br />

La seconda categoria fondante il valore di marca è la notorietà, ed anche in questo<br />

caso viene suddivisa in più livelli, dalla marca sconosciuta alla prima citata nei test<br />

sul ricordo spontaneo. La notorietà è legata alle sensazioni ed emozioni che<br />

accompagnano il brand. Sono stati suggeriti vari sistemi per acquisire notorietà:<br />

essere distinguibili dalla concorrenza, memorizzabili utilizzando slogan, simboli,<br />

pubblicità, partecipando ad eventi. La qualità percepita dipende dalle valutazioni<br />

fatte dal lato <strong>del</strong>la domanda. Non è misurabile oggettivamente, è il sentimento<br />

globale che si ha nei riguardi <strong>del</strong>la marca. Il modo in cui un prodotto risponde alle<br />

aspettative influenzerà la qualità percepita, così come lo farà la cultura <strong>del</strong>la qualità<br />

all’interno <strong>del</strong> team. Ci sono dei segnali che possono essere dati all’esterno per far<br />

crescere la qualità percepita, se si parla di product extension dei club di <strong>calcio</strong>: un<br />

certo modo di presentare le proprie credenziali ai potenziali sponsor può influenzare<br />

positivamente l’esito <strong>del</strong>la trattativa. Il prezzo è un altro importante segnale <strong>del</strong>la<br />

qualità: i premium price danno l’idea di servizi/prodotti migliori, che devono però<br />

essere veritieri.<br />

Per quanto riguarda la quarta categoria citata, i valori associati, i club possono<br />

lavorare su vari fronti per creare un posizionamento. Diversificando l’attività, le<br />

società possono posizionare sé stesse nel settore dei prodotti di consumo con<br />

associazioni di efficienza e funzionalità. Associato alla marca è, infatti, tutto ciò che<br />

nella mente <strong>del</strong>la gente risulta collegato ad essa, e un’associazione ad esempio tra un<br />

club e un servizio finanziario potrà creare le basi per un’ulteriore estensione ad altre<br />

attività collegate (assicurazioni, mutui). Aaker riconosce vari tipi di associazioni di<br />

marca, particolarmente importanti per quanto concerne le società nell’ambito <strong>del</strong>la<br />

ricerca di sponsorship. <strong>Una</strong> di queste è il tipo di utente/consumatore <strong>del</strong>la marca,<br />

un’altra la sua personalità, il suo stile. <strong>Una</strong> società come quella londinese <strong>del</strong><br />

Chelsea, che ha costruito proprio un’immagine di esclusività, è associata alla gente<br />

dei quartieri eleganti <strong>del</strong>la capitale inglese ed è diventata così più attrattiva per quelle<br />

aziende che vogliono puntare a quel determinato target. Il Manchester United ha più<br />

105


volte nella propria storia dato lustro alla propria fama legandosi a personaggi,<br />

celebrità. Negli anni ’60 George Best, nei primi anni ’90 Eric Cantona, poi David<br />

Beckham, hanno avvicinato gli appassionati di tutto il mondo ai “Red Devils”. Ma<br />

hanno avuto un costo per il club: Cantona ha registrato tre variazioni commerciali sul<br />

suo nome (Cantona, Cantona7 e Ooh, ah Cantona, il coro che gli rivolgevano i suoi<br />

tifosi) e nel ’97 quando ha smesso di giocare, lo United non ha più potuto vendere<br />

prodotti con il suo nome a causa <strong>del</strong>le richieste economiche <strong>del</strong> francese. Sulla sua<br />

scia è poi arrivato Beckham, divenendo un marchio di successo dal valore stimato<br />

pari a 375 milioni di dollari. L’ex capitano <strong>del</strong>la Nazionale inglese fa leva sulle<br />

qualità tecniche, una vita da copertina anche grazie al matrimonio con la cantante<br />

pop Victoria Adams, il bell’aspetto e un’immagine curata. Quando allo United si è<br />

discusso <strong>del</strong> suo rinnovo di contratto, gli agenti hanno messo sul piatto <strong>del</strong>la bilancia<br />

il peso commerciale <strong>del</strong> suo brand, oltre che il valore sul campo: la sua partenza<br />

verso il Real Madrid per 35 milioni di euro nel 2003 è costata al club il 10- 15% di<br />

vendita di merchandising.<br />

Tra le possibili associazioni vi è anche l’area geografica, il paese: questi possono<br />

costituire un forte simbolo. Realtà calcistiche non competitive sul livello dei brand<br />

internazionali sono associate all’area di riferimento, ma anche top club, come il<br />

Barcellona, che riporta i colori giallorossi <strong>del</strong>la Catalunya anche in piccole parti <strong>del</strong>la<br />

divisa, mantengono forte il legame con l’identità <strong>del</strong>la propria regione.<br />

Le associazioni di idee o progetti vanno misurate con scale strutturate per definire le<br />

percezioni o con metodi indiretti (ricerca qualitativa) quali ad esempio le libere<br />

associazioni.<br />

Un altro degli strumenti a disposizione <strong>del</strong>le associazioni sportive è il simbolo.<br />

Quando l’Uefa cambiò l’organizzazione <strong>del</strong>la gloriosa Coppa dei Campioni, il più<br />

importante evento europeo per club, pensò anzitutto a un marchio che potesse<br />

evocare nel pubblico un’immagine di prestigio, di élite e decise di affiancargli il<br />

simbolo <strong>del</strong> pallone stilizzato con le stelle, integrato sistematicamente in tutti gli<br />

aspetti <strong>del</strong> prodotto Champions League. A questo è stato associato un motivo<br />

musicale che precede la trasmissione di tutte le partite <strong>del</strong> torneo. Le associazioni<br />

sono alla base anche <strong>del</strong>la product extension. Le squadre di <strong>calcio</strong> possono pensare,<br />

ad esempio, a registrare il colore di maglia, che, al pari <strong>del</strong> simbolo e <strong>del</strong> jingle, può<br />

106


suscitare simpatia o aiutare nel ricordo <strong>del</strong> brand. Siamo nella quinta categoria<br />

fondamentale su cui si fonda il brand equity, le sue risorse esclusive. L’importanza<br />

dei brevetti è balzata agli occhi in maniera evidente a Sir Alex Ferguson, manager<br />

<strong>del</strong> Manchester United e brand esso stesso. Avrebbe voluto proteggere i diritti legati<br />

al suo nome, utilizzato per vendere poster e figurine, ma all’ufficio che si occupa<br />

<strong>del</strong>la registrazione dei marchi gli è stato risposto che era troppo tardi una volta<br />

diventato così famoso, permettendo di fatto a qualunque azienda di vendere poster<br />

con la sua immagine.<br />

Il valore di una marca può essere valutato in almeno cinque diversi modi: tramite il<br />

differenziale di prezzo che può sostenere (premium price), l’impatto <strong>del</strong> nome nel<br />

determinare preferenza, il valore sostitutivo (quanto costa sostituire nel mercato quel<br />

brand?), il prezzo <strong>del</strong>le azioni di Borsa e le potenzialità nel creare profitti. Tutte<br />

queste teorie, eccetto la terza, sono tranquillamente utilizzabili anche per misurare il<br />

valore di una società di <strong>calcio</strong>; impossibile è invece (per quanto riguarda appunto il<br />

terzo strumento di misurazione) sostituire nella mente di un tifoso la propria squadra<br />

ed è impensabile che un team calcistico cambi il proprio nome con un altro, come<br />

può invece accadere per le aziende di beni di consumo o di altri servizi.<br />

Chi in <strong><strong>It</strong>alia</strong> ha lavorato per tradurre i teoremi sul brand equity in un marchio<br />

vincente è stato il Milan dall’avvento alla presidenza di Silvio Berlusconi nel 1986. Il<br />

proprietario <strong>del</strong> club rossonero ha dettato i valori patrimonio <strong>del</strong>la società: valore<br />

nazionale, con il club simbolo <strong>del</strong>l’<strong><strong>It</strong>alia</strong> vincente nel mondo, valore sociale e valore<br />

tecnico, ossia il prodotto in sé, da tradursi in un gioco spettacolare. Berlusconi ha<br />

indicato al tempo stesso le regole da seguire: nell’importanza <strong>del</strong> marketing interno<br />

possono essere ricondotte quelle relative alla squadra che è più importante <strong>del</strong><br />

singolo, quindi la forma, che deve essere sempre educata e civile, fino alla salute<br />

psico-fisica dei calciatori (con la creazione a proposito <strong>del</strong> laboratorio medico-<br />

atletico Milan Lab). Infine, per quanto concerne i rapporti con l’esterno, devono<br />

sempre proiettare compattezza e coesione.<br />

L’ultima frontiera riguardante la gestione <strong>del</strong> brand, è il leasing <strong>del</strong> marchio 16 , con<br />

club come Milan e Inter, Roma e Lazio che hanno ceduto a società da loro<br />

16 Se ne è parlato nel paragrafo 2.8<br />

107


controllate il proprio brand rivalutandone il valore sino a creare un tesoretto di<br />

plusvalenze fittizie di 567 milioni di euro.<br />

3.6 Il merchandising<br />

Il merchandising rappresenta attualmente una fonte di ricavo trascurata dai club<br />

italiani, con una percentuale sul totale <strong>del</strong>le entrate molto bassa e per alcune società<br />

addirittura nulla. Il merchandising consiste nella commercializzazione di articoli con<br />

il nome o il marchio <strong>del</strong>la società, che possono essere attinenti al mondo <strong>del</strong> <strong>calcio</strong><br />

(magliette, sciarpe, berretti, bandiere), all’oggettistica <strong>del</strong> quotidiano (portachiavi,<br />

portafogli, spillette, articoli da bagno, agende, cancelleria) o addirittura al comparto<br />

dei servizi (carte di credito, bancomat).<br />

“Il club sportivo produce immagini ed emozioni assolutamente<br />

intangibili e immateriali e deve intendere il merchandising non solo<br />

come efficace strumento di comunicazione ma, soprattutto, come una<br />

leva strategica capace di accrescere la propria brand image” 17 .<br />

Il settore ha potenzialità di profitto enormi perché può far leva sul legame squadra-<br />

tifoso. Promuovendo il proprio brand e agganciandolo a prodotti con risorse materiali<br />

ed immateriali che si distinguano dai concorrenti, si propone al cliente qualcosa di<br />

gradevole all’esterno e di emozionante a livello psicologico; scatta quindi un<br />

meccanismo di identificazione che, specialmente sui più giovani, trasmette la<br />

sensazione di appartenere ad un mondo a parte, esclusivo. Per le società dovrebbe<br />

trattarsi di un campo relativamente semplice da sfruttare, data per scontata l’enorme<br />

influenza che la squadra o un suo campione ha per il cliente-tifoso; purtroppo, però,<br />

specialmente nella realtà italiana, il merchandising trova difficoltà a svilupparsi a<br />

causa, soprattutto, <strong>del</strong>la presenza di un mercato parallelo di articoli sportivi<br />

contraffatti.<br />

È possibile individuare due tipologie di merchandising molto diverse tra di loro sia<br />

dal punto di vista giuridico che commerciale. <strong>Una</strong> è quella legata ad eventi sportivi<br />

occasionali, l’altra è quella legata all’attività sportiva permanente <strong>del</strong>le squadre. I<br />

17 Braghero M., Perfumo S., Ravano F., Per sport e per business: è tutto parte <strong>del</strong> gioco, F. Angeli,<br />

Milano 1999, p. 193<br />

108


grandi eventi, infatti, richiedono un merchandising particolare e molto tempestivo<br />

con un’iniziativa che nasce e si sviluppa nel giro di tre o quattro anni e che permette<br />

di realizzare utili solo nell’ultimo anno, prima di cessare <strong>del</strong> tutto.<br />

Nel caso <strong>del</strong>le società sportive, invece, occorre una programmazione di gran lunga<br />

superiore per conoscere il mercato e intervenire correttamente in modo che la<br />

domanda continui ad alimentarsi nel tempo e non si esaurisca a causa di politiche<br />

errate.<br />

In generale, poi, il merchandising, inteso come notorietà, può essere sfruttato in<br />

campi diversi da quello iniziale e può avere due modalità di impiego: ci può esser<br />

uno sfruttamento diretto, come quello di molte squadre inglesi, oppure uno<br />

sfruttamento indiretto, tipico <strong>del</strong>le società sportive italiane.<br />

Nel mondo <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> il merchandising viene associato al nome <strong>del</strong>la squadra che ne<br />

ha fatto un business di grande rilievo: il Manchester United. Diversamente da altre<br />

società calcistiche, il club inglese provvede in proprio alla commercializzazione dei<br />

prodotti, che vengono fabbricati su commessa da terzi, attraverso i propri punti<br />

vendita o il sito internet. Il Manchester United commercializza una serie molto ampia<br />

di prodotti e provvede al catering in occasione <strong>del</strong>le partite (durante le quali, ad<br />

esempio, si serve la Manchester United Coca Cola), permettendo di capitalizzare<br />

l’investimento effettuato sul marchio.<br />

In particolare, i “Red Devils” realizzano nel Regno Unito e all’estero il 50% <strong>del</strong><br />

proprio fatturato mediante vendita all’ingrosso e il rimanente 50% con vendita al<br />

dettaglio. Nell’ambito di quest’ultima il Manchester ricava il 70% attraverso i propri<br />

negozi e il restante 30% via internet o per corrispondenza. La strategia diretta ha<br />

ovviamente successo solo se esiste un’interazione intensa con il pubblico realizzata<br />

mediante appositi strumenti. Quelli utilizzati dalla società inglese sono la sua rivista,<br />

diffusa in 25 paesi, un museo visitato da più di 200 mila persone all’anno, l’attività di<br />

catering, la possibilità di fornire sale per pranzi e per conferenze, e il susseguirsi<br />

<strong>del</strong>l’ideazione di nuove attività di vario tipo. In pratica il tifoso <strong>del</strong> Manchester ha la<br />

possibilità di trovare in diversi momenti il contatto con la società, cosa che in <strong><strong>It</strong>alia</strong><br />

difficilmente avviene, anche per motivi culturali e storici.<br />

Nel nostro paese nessuna società promuove il proprio marchio in prima persona, ma<br />

ci si affida a società terze sia per la fabbricazione dei prodotti che per la loro<br />

109


commercializzazione. Tali società sono <strong>del</strong>le licenziatarie, alle quali viene licenziato<br />

l’utilizzo <strong>del</strong> marchio in cambio di royalties da riconoscere alle società calcistiche<br />

sulle vendite effettuate. Le aziende licenziatarie curano inoltre l’allestimento dei<br />

punti vendita e degli store <strong>del</strong>le squadre dove acquistare svariati gadget ed accessori<br />

insieme ai tagliandi per le partite.<br />

Un’operazione particolarmente scenografica per far decollare il merchandising fu<br />

messa in scena dalla Nike per presentare la nuova maglia <strong>del</strong> Barcellona nel 2005. La<br />

casa americana ha tenuto il segreto sulla nuova “camiseta Blaugrana” per settimane,<br />

alimentando la curiosità come in una tipica campagna pubblicitaria teaser 18 . La Nike<br />

ha fatto girare per il capoluogo catalano un camioncino blindato con tanto di guardie<br />

<strong>del</strong> corpo attirando a sé numerosissimi fan. Nel disegno portato a spasso, solo due<br />

pantaloncini, uno granata, l’altro verde, colori <strong>del</strong>la prima e seconda divisa <strong>del</strong>la<br />

squadra.<br />

Il contratto di licenza può essere: di licenza esclusiva, quando il licenziante (la<br />

squadra sportiva) si impegna a non usare direttamente a fini commerciali e a non<br />

concedere ad altri terzi il diritto ad usare il proprio marchio; di licenza non esclusiva,<br />

se il licenziante vuole conservare il diritto di concedere ad altri e/o di sfruttare<br />

direttamente il detto marchio; di licenza semi-esclusiva, se il club rinuncia al diritto<br />

di nominare altri licenziatari, ma si riserva il diritto di utilizzare direttamente il<br />

proprio logo sul mercato.<br />

I primi a registrare il proprio nome furono i londinesi <strong>del</strong>l’Arsenal e il lancio <strong>del</strong>la<br />

nuova Premier League nel 1992 scatenò tutte le squadre nella protezione <strong>del</strong><br />

trademark contro chi vendeva materiale non ufficiale fuori dagli stadi. Nel Regno<br />

Unito indossare la maglia <strong>del</strong>la propria squadra è nel corso degli anni divenuto di<br />

moda e il business si è accresciuto, come dimostra il fatto che il Newcastle United<br />

vendette oltre 250mila sterline in magliette (369mila euro al cambio attuale) quando<br />

il club ingaggiò il centravanti <strong>del</strong>la Nazionale Alan Shearer nel 1996. I club<br />

continentali hanno cercato di seguire il boom inglese, ma i risultati almeno in <strong><strong>It</strong>alia</strong><br />

non sono stati gli stessi, anche per l’abitudine mai sbocciata di indossare la maglia<br />

<strong>del</strong>la propria squadra oltre il giorno <strong>del</strong>la partita.<br />

18 Serie di annunci mirati a creare attesa intorno a un prodotto o un servizio, il cui nome non è<br />

all’inizio svelato.<br />

110


Un’indagine fatta sul Liverpool da Szymanski e Kuypers 19 ha stabilito che su una<br />

singola maglietta venduta, l’8% <strong>del</strong> prezzo va al club (al di là degli introiti derivanti<br />

dalla sponsorizzazione tecnica), il 22% all’azienda che produce e vende le replica<br />

shirt, un altro 22% è il costo <strong>del</strong>la produzione, il 32% è <strong>del</strong> dettagliante e il 16% allo<br />

Stato sotto forma di tasse. Ma le possibilità di accordi tra squadra e azienda non si<br />

limitano naturalmente a questo caso, variando a seconda <strong>del</strong>le esigenze. Se il<br />

merchandising è la risorsa meno costosa a disposizione <strong>del</strong>la società, è anche<br />

estremamente volatile e non è un’area di mercato costantemente in ascesa secondo la<br />

visione più ottimistica per la quale appassionati e tifosi comprano tutto ciò che viene<br />

stampato con nome e simbolo <strong>del</strong>la squadra. Il pezzo forte sono indubbiamente le<br />

magliette, e in quest’ambito gli sponsor tecnici condizionano con le proprie scelte<br />

quelle <strong>del</strong>le stesse società. La Nike, fornitore ufficiale di materiale sportivo <strong>del</strong><br />

Barcellona, ha imposto ai “blaugrana”di giocare 13 partite con la seconda e terza<br />

maglia, naturalmente di colore diverso dalla prima, per incrementare le vendite <strong>del</strong>le<br />

divise secondarie. La grafica <strong>del</strong>la prima maglia <strong>del</strong>la squadra cambia ogni stagione,<br />

anche se molto spesso solo in piccoli dettagli, per poter di volta in volta creare pezzi<br />

diversi vendibili e una maggior libertà di manovra per gli sponsor tecnici è data<br />

proprio dalle seconde e terze maglie, con le quali spesso le case produttrici si<br />

sbizzarriscono. Un esempio è la divisa da trasferta <strong>del</strong>la Juventus introdotta nella<br />

stagione 2005/2006, la quale presentava colori assolutamente nuovi per<br />

l’ultrasecolare storia dei torinesi essendo rossa con bande verticali verdi e bianche,<br />

una combinazione scelta per celebrare il centenario <strong>del</strong>la conquista <strong>del</strong> primo<br />

scudetto ed, evidentemente, per attrarre acquirenti di una divisa che rimarrà unica.<br />

Un mercato che in <strong><strong>It</strong>alia</strong> non ha preso particolarmente piede ma potrebbe essere<br />

sfruttato è quello <strong>del</strong>le divise storiche, spazio di nicchia in Inghilterra sul quale<br />

talvolta le società non detengono nemmeno i diritti e che ha permesso a piccoli<br />

imprenditori (a volte tifosi <strong>del</strong>la stessa squadra) di realizzare un buon business. Le<br />

nostalgia shirts (spesso di cotone, ben diverse da quelli attuali termosaldate che non<br />

hanno più nemmeno le cuciture) forniscono in qualche modo un collegamento a un<br />

<strong>calcio</strong> più autentico, quello <strong>del</strong> passato.<br />

19 Szymanski S., Kuypers T., Winners & Losers. The Business Strategy of Football, Viking, Londra<br />

1999<br />

111


Il mercato dei gadget <strong>del</strong> merchandising ha creato nel mercato veri e propri oggetti di<br />

culto, scambiati online a prezzi piuttosto vantaggiosi. Uno dei prodotti che vende di<br />

più è il cappellino, poiché si indossa con ogni condizione atmosferica e il marchio<br />

aziendale è alla portata di tutti, ma hanno un discreto successo anche i nastrini<br />

portabadge. E per vendere è ormai prassi avviare partnership con istituti di credito<br />

emittenti carte che consentono acquisti agevolati. Quella <strong>del</strong> Barcellona e <strong>del</strong>la banca<br />

La Caixa è stata fornita gratuitamente e in pochi giorni ne sono state distribuite<br />

20mila. Sono esempi, questi, che riguardano i casi di licensing, ma esiste come detto<br />

anche la produzione in proprio e nel mondo <strong>del</strong>lo sport si può citare la Ferrari come<br />

caso di successo. Il team di Maranello, sulla scia dei successi sportivi, ha lanciato la<br />

sfida di un network di negozi monomarca di prodotti <strong>del</strong> Cavallino in due format:<br />

grandi store e shop. Il primo è un progetto che riguarda Maranello, Roma, Las<br />

Vegas, New York, Milano, Honk Kong, Tokyo e Shangai, il secondo (punti vendita<br />

di 70-80 metri quadrati) gli aeroporti Malpensa di Milano e Marconi di Bologna, con<br />

l’obiettivo di aprirne una trentina in giro per il mondo. Non tutto il merchandising<br />

<strong>del</strong>la “Rossa” è tuttavia gestito in proprio, circa il 50% infatti è affidato al licensing e<br />

il volume di affari messo in moto è di circa 500milioni di euro, vendendo persino<br />

scheletri di vecchie auto al prezzo di 100mila euro o <strong>del</strong>le semplici t-shirt che,<br />

autografate dai piloti Fernando Alonso o Felipe Massa, vengono messe sul mercato<br />

al costo di 200 euro. Da qualche anno alla vendita negli store reali si è affiancata<br />

quella online, con lo sviluppo di Internet e in particolare <strong>del</strong>l’e-commerce, che<br />

permette di collocarsi sul mercato mondiale, non solo locale.<br />

Vera spina nel fianco <strong>del</strong> merchandising è il mercato <strong>del</strong> falso. Alcuni dati rivelano<br />

l’importanza <strong>del</strong> fenomeno: per il Milan il 50% <strong>del</strong> proprio mercato in <strong><strong>It</strong>alia</strong> è nelle<br />

mani dei contraffattori, l’Inter ha calcolato che ogni anno vengono spesi 35 milioni<br />

di euro per materiale non originale, la Lazio ha evidenziato in uno studio che 4/5 dei<br />

tifosi possiedono materiale contraffatto. Dati che fanno cambiare notevolmente<br />

aspetto al panorama <strong>del</strong> merchandising che avrebbe altrimenti tutt’altro peso. Per<br />

combatterlo, oltre alla repressione da parte <strong>del</strong>le autorità, sono state prese anche<br />

alcune iniziative di marketing: la Nike, ad esempio, organizza dal 1993 una<br />

manifestazione per calciatori under 15, nell’ambito <strong>del</strong> programma Football<br />

Placement Scale, invitando società (una parte sponsorizzate dalla stessa Nike)<br />

112


provenienti nelle ultime edizioni da una cinquantina di paesi <strong>del</strong> mondo (624 squadre<br />

durante il primo torneo, all’incirca 8.000 nell’ultimo). In 20 formazioni arrivano alle<br />

finali mondiali e l’azienda di Seattle copre tutte le spese a tutti i partecipanti alla fase<br />

finale, solitamente <strong>del</strong>la durata di una settimana, con l’obiettivo di puntare con<br />

decisione al target market dei bambini e promuovere il proprio marchio. In <strong><strong>It</strong>alia</strong>,<br />

invece, nel 2009 per combattere la contraffazione il Ministero per lo Sviluppo<br />

Economico e la Feder<strong>calcio</strong> decisero di mandare in onda uno spot pubblicitario che<br />

modificava i nomi di alcuni calciatori <strong>del</strong>la nazionale, allora campioni <strong>del</strong> mondo, in<br />

Zambrutta (Zambrotta), Buffone (Buffon), Poni (Toni) e Grasso (Grosso), per far<br />

comprendere agli spettatori quanto il mercato <strong>del</strong> falso danneggiasse la nostra<br />

nazione.<br />

3.7 La pubblicità<br />

Le società di <strong>calcio</strong> non hanno tradizionalmente fatto ricorso con assiduità alla<br />

pubblicità. Diversamente dalle aziende di altri settori, come sottolineato, i club hanno<br />

una domanda costante per quel che riguarda il mass market, quindi la pubblicità non<br />

è essenziale a fini di notorietà istituzionale anche in virtù <strong>del</strong>l’enorme copertura<br />

garantita quotidianamente e gratuitamente dai mass media. Come per qualunque<br />

attività commerciale, anche per quanto riguarda il football si può però cercare di dar<br />

maggior risalto alla propria immagine facendo leva sia sull’aspetto emotivo che su<br />

quello razionale che punta invece a fattori economici pubblicizzando ad esempio<br />

sconti e iniziative promozionali.<br />

Un’idea particolare, ironica, in un ambito in cui il registro adottato e richiesto è<br />

invece solitamente informativo e razionale è stata quella <strong>del</strong>la Lazio nel 1998,<br />

quando ne fu deciso l’ingresso in Borsa. Tutta la squadra posò in una foto con la<br />

bombetta in una mano, l’ombrello nell’altra, l’abito da manager <strong>del</strong>la City e le scarpe<br />

da <strong>calcio</strong> ai piedi: “Un investimento da Serie A”. La campagna pubblicitaria<br />

predisposta dall’allora presidente Sergio Cragnotti fu consistente, impostata da note<br />

agenzie pubblicitarie come Pirella, Gottsche, Lowe, evento raro nel panorama<br />

calcistico. A questo aspetto creativo fu accompagnato quello <strong>del</strong> media planning con<br />

una massiccia presenza sulla carta stampata.<br />

113


Sia in <strong><strong>It</strong>alia</strong> che soprattutto all’estero i club stanno comunque cominciando a seguire<br />

logiche pubblicitarie classiche. Da noi l’esempio è venuto da un manager di lungo<br />

corso come Enrico Bondi che, nominato commissario straordinario <strong>del</strong>la Parmalat,<br />

proprietaria <strong>del</strong> pacchetto di maggioranza <strong>del</strong> Parma Calcio, nel 2005 ordinò di<br />

acquistare uno spazio pubblicitario sul Financial Times alla ricerca di un acquirente<br />

<strong>del</strong> club. In Spagna l’Atletico Madrid ormai da anni realizza spot esaltando la fe<strong>del</strong>tà<br />

alla maglia “rojiblanca”. Nel 2004 protagonista fu il più vecchio abbonato al club,<br />

Agùstin de la Fuente Quintana, 91 anni, allora da 72 in possesso <strong>del</strong>la tessera<br />

stagionale: il fe<strong>del</strong>issimo fece proprio riferimento ai valori di lealtà e indissolubilità<br />

tipici <strong>del</strong> rapporto tra una squadra e i suoi tifosi nella campagna dal titolo “Mi<br />

uccide, mi dà la vita”. Anche in Inghilterra più di un club si è rivolto ai creativi per<br />

assestare il rapporto con la tifoseria. Il Manchester City, prima <strong>del</strong>l’avvento <strong>del</strong>lo<br />

sceicco Mansour, si recò presso la nota agenzia pubblicitaria Grey London e fece<br />

installare dei cartelloni in città, sui bus e in altre postazioni al fine di consolidare<br />

l’immagine <strong>del</strong> City come squadra di Manchester, diversamente dall’altra società<br />

cittadina, lo United, che rivolge le proprie attenzioni alla tifoseria di tutto il mondo.<br />

“I claim Réal Manchester, Pure Manchester”, o “Great Manchester” furono gli<br />

slogan che mirarono a colpire proprio i Mancunians, gli abitanti <strong>del</strong>la città. L’ultima<br />

frontiera <strong>del</strong> rapporto tra i club calcistici e la pubblicità è tuttavia rappresentata da<br />

alcuni spot pubblicitari progettati ad hoc per le grandi occasioni. È il caso <strong>del</strong><br />

Barcellona, che prima <strong>del</strong>la semifinale di ritorno di Champions League, in<br />

programma il 28 aprile 2010 contro l’Internazionale, mandò in onda sui principali<br />

media un video in cui i calciatori “blaugrana” inneggiavano alla “Remuntada”, la<br />

rimonta, dopo la sconfitta con il risultato di 3-1 <strong>del</strong>la partita di andata. Uno spot<br />

particolarmente aggressivo, che invitava i tifosi allo stadio recitando slogan come<br />

“Gli interisti si pentiranno di essere dei calciatori” o “Ci giocheremo la pelle. Tutti al<br />

Camp Nou mercoledì alle 8”. Operazione che, al di là <strong>del</strong>l’insuccesso sul terreno di<br />

giuoco, ha avuto dei proseliti in Spagna, con il Sevilla e il Villareal che hanno poi<br />

preparato durante l’ultima stagione agonistica video simili rispettivamente in<br />

concomitanza di una sfida contro il Real Madrid in Copa <strong>del</strong> Rey, “Vuoi un’altra<br />

Coppa? Ti lasceremo senza titoli”, e contro il Napoli in Europa League, “Per<br />

proseguire in Europa abbiamo bisogno <strong>del</strong> tuo appoggio. Giovedì tutti al Madrigal<br />

114


per scrivere la storia, ti aspettiamo”. Ultimo in ordine di tempo è stato proprio il Real<br />

Madrid, che lo scorso 3 aprile ha diffuso un video in vista <strong>del</strong>l’andata dei quarti di<br />

finale di Champions League in programma al Santiago Bernabeu contro il Tottenham<br />

Hotspur, con l’allenatore Mourinho e i calciatori Arbeloa, Xabi Alonso e Carvalho<br />

che dichiaravano a gran voce “Con il vostro supporto non falliremo, conquisteremo<br />

la vittoria”.<br />

3.8 Internet e direct marketing<br />

Internet rappresenta ormai da anni un canale di comunicazione insostituibile e sta<br />

diventando sempre più importante anche per quanto riguarda le vendite grazie all’e-<br />

commerce. Non c’è squadra professionistica, qualunque sia la sua dimensione, che<br />

possa pensare di fare a meno di un web site, un sito Internet ufficiale. Accanto a<br />

quello societario sorgono spesso altri portali di comunicazione virtuali creati da fans<br />

che vogliono tenersi in contatto e scambiare opinioni sulla squadra.<br />

Il sito ufficiale è una vetrina imprescindibile: serve alla stampa per accedere a<br />

informazioni senza passare dalla società, ai tifosi per apprendere le news, ai partner<br />

commerciali correnti e potenziali per analizzare la vetrina offertagli. In alcuni casi,<br />

quelli dei top club, i siti <strong>del</strong>le squadre di <strong>calcio</strong> si sono trasformati in veri e propri<br />

portali verticali, contenenti cioè informazioni che riguardano il club, ma che arrivano<br />

molto in profondità sviluppando molteplici argomenti tutti legati alla squadra. Porte<br />

d’accesso in svariate lingue per servire il mercato internazionale, aree suddivise in<br />

tutte le sezioni di interesse, dalle notizie per i tifosi a quelle specifiche per i<br />

giornalisti, dalla storia <strong>del</strong>la squadra alla rosa completa, dalla parte relativa al settore<br />

giovanile alla visita virtuale <strong>del</strong>lo stadio, dalla possibilità di accesso agli altri organi<br />

<strong>del</strong> club (tv, radio, magazine), al poter assistere in diretta ai match, sino al poter<br />

usufruire degli store virtuali per acquistare gadget ufficiali <strong>del</strong> club. Sono, queste,<br />

alcune <strong>del</strong>le possibilità che questo straordinario strumento fornisce.<br />

Nei club di dimensione maggiore i web site sono realizzati da multinazionali <strong>del</strong>la<br />

comunicazione in grado di fornire un servizio al passo con i tempi globalizzati,<br />

strategico per l’espansione <strong>del</strong> business. Nella sfida ai mercati orientali l’ausilio dei<br />

web site è essenziale. La doppia versione cinese <strong>del</strong> sito ufficiale <strong>del</strong>la Premier<br />

League è stata supportata addirittura dalle ambasciate cinesi ed inglesi. Il Liverpool<br />

115


si è rivolto direttamente all’azienda cinese China.com, mettendo a disposizione oltre<br />

all’informazione canonica, loghi e suonerie tramite mms, sms, servizi wap e il<br />

sistema IVR (Interactive Voice response), un sistema di telefonia “intelligente” che<br />

consente varie e rapide opzioni al chiamante 20 .<br />

Internet ha aperto nuove vie, tanto da far sentire l’esigenza <strong>del</strong>la nascita <strong>del</strong> web<br />

marketing, branca <strong>del</strong>la disciplina che si occupa esclusivamente <strong>del</strong>le attività online.<br />

Sono quindi cresciute notevolmente le possibilità <strong>del</strong> direct marketing,<br />

“il sistema di marketing interattivo che utilizza uno o più mezzi<br />

pubblicitari per ottenere una risposta misurabile e/o una transazione in<br />

qualsiasi luogo” 21 .<br />

Tal sistema organizzativo offre la possibilità di rivolgersi singolarmente a ciascun<br />

individuo, qualcosa di inimmaginabile per la pubblicità classica, e di ottenere un<br />

feedback immediatamente misurabile e preziosi dati personali dalla fan base. Tra gli<br />

strumenti <strong>del</strong> direct marketing non c’è soltanto la rete, ma anche il telefono o la posta<br />

(per l’invio di materiale), anche se le possibilità fornite da Internet consentono<br />

precisione, velocità e numero di contatti nettamente superiori a prezzi decisamente<br />

inferiori. Attività di telemarketing sono attuabili sia in uscita, dove è la società che<br />

cerca l’interlocutore, sia in entrata, in cui è l’interlocutore <strong>del</strong>la società che si rende<br />

parte attiva creando il collegamento.<br />

Questo può avvenire tramite l’utilizzo <strong>del</strong> telefono, costituendo ad esempio un<br />

numero verde come nel caso <strong>del</strong>la Juventus, che nel 1994 sperimentò durante i tre<br />

mesi estivi l’attivazione di un numero gratuito a disposizione dei tifosi per rispondere<br />

su biglietti e novità <strong>del</strong>la squadra e per raccogliere reclami.<br />

La newsletter è invece una tipica modalità realizzata tramite la rete e consiste<br />

nell’inviare ad un elenco di nomi (dietro autorizzazione degli stessi utenti)<br />

20 Un sistema IVR consente, in particolare, di recitare un insieme di messaggi preregistrati, illustrare<br />

menù a scelta multipla, memorizzare dati introdotti da tastiera, mandare fax, interrogare sia database<br />

aziendali che sistemi CTI. I sistemi IVR più evoluti integrano il riconoscimento vocale, il quale<br />

consente di offrire un servizio al chiamante riconoscendo naturalmente il linguaggio parlato. Tal<br />

sistema permette di alleggerire il carico di chiamate pervenute agli operatori di un call center fornendo<br />

informazioni standard e frequentemente richieste.<br />

21 Kotler P., Scott W. G., Marketing Management, 7ª edizione, ISEDI, Torino 2001, p. 880<br />

116


informazioni e offerte a carattere periodico. La risposta da parte degli utenti/tifosi<br />

non è ovviamente scontata, seppur l’alto livello di fi<strong>del</strong>izzazione nelle squadre di<br />

<strong>calcio</strong> potrebbe attenuare il problema <strong>del</strong>la redemption, ovvero il rapporto fra il<br />

numero di risposte e il numero dei messaggi inviati. Un invito a rispondere sono<br />

certamente regali o concorsi a premi, ancor meglio se da parte <strong>del</strong>le aziende partner<br />

con le quali avviare azioni di co-marketing. Si pensi ad esempio a compagnie<br />

assicurative che creino speciali polizze per gli sportivi praticanti o agenzie turistiche<br />

che offrano pacchetti agevolati per seguire la squadra in trasferta.<br />

117


4 Il football britannico e le realtà italiane: analisi <strong>comparata</strong> di due mo<strong>del</strong>li<br />

contrapposti<br />

4.1 Le quattro leve di confronto di Bill Gerrard<br />

Quando il 12 febbraio 1997, al 19’ <strong>del</strong> primo tempo <strong>del</strong> match di qualificazione ai<br />

Mondiali di Francia ‘98 Inghilterra-<strong><strong>It</strong>alia</strong>, Gianfranco Zola, addomesticato un lancio<br />

dalle retrovie di Alessandro Costacurta, ammutolì Wembley superando il portiere<br />

Walker con una splendido destro sul primo palo che regalò il successo agli azzurri<br />

<strong>del</strong>l’allora commissario tecnico Cesare Maldini, probabilmente non avrebbe mai<br />

immaginato che un giorno quel confronto sportivo si sarebbe potuto tramutare in una<br />

analisi <strong>comparata</strong> di stampo aziendale tra due realtà calcistiche da sempre<br />

contraddistinte da un legame tanto suggestivo quanto indissolubile.<br />

Analizzate nei precedenti capitoli le peculiarità riguardanti gli aspetti gestionali e di<br />

bilancio tipici <strong>del</strong>l’azienda <strong>calcio</strong> nel suo complesso, ci occuperemo ora di una<br />

analisi comparativa tra il business <strong>del</strong> football italiano e quello inglese per poter così<br />

verificare nel dettaglio se i club di casa nostra abbiano o meno potenzialità tali da<br />

innestare un circolo virtuoso che possa rivelarsi in grado di generare un incremento<br />

<strong>del</strong>le entrate societarie anche solo simile a quello anglosassone. Un confronto<br />

oltremodo affascinante che rinnova quello di gran voga sul campo di gioco tra gli<br />

anni ’60 e ’70, quando i club <strong>del</strong>le due nazioni si affrontavano in trofei come la<br />

Coppa Anglo-<strong><strong>It</strong>alia</strong>na, aperta dal 1969 sino al 1996 alle prime quattro squadre non<br />

promosse in Serie B e alle quattro retrocesse dalla Serie A per quanto concerne i<br />

nostri campionati e alle otto equivalenti britanniche, la Coppa di Lega <strong>It</strong>alo-Inglese,<br />

disputata tra il 1969 e il 1976 tra la vincente <strong>del</strong>la Coppa <strong><strong>It</strong>alia</strong> e <strong>del</strong>la Coppa di Lega<br />

Inglese, la Coppa <strong>It</strong>alo-Inglese Semiprofessionisti, disputata solo nel biennio tra il<br />

1975 e il 1976 tra la vincente <strong>del</strong>la Coppa <strong><strong>It</strong>alia</strong> Semiprofessionisti e <strong>del</strong>la Prima<br />

divisione inglese non professionistica, e la Coppa Ottorino Barassi, cui partecipavano<br />

tra il 1968 e il 1976 le vincenti <strong>del</strong>la Coppa <strong><strong>It</strong>alia</strong> dilettanti e <strong>del</strong>la Coppa di<br />

Inghilterra dilettanti.<br />

Particolare attenzione, per quanto concerne la realtà d’Oltremanica, sarà prestata ad<br />

un’eccellenza <strong>del</strong> panorama mondiale, il benchmark Manchester United, il quale può<br />

essere preso come mo<strong>del</strong>lo di club in grado di sviluppare un vantaggio competitivo<br />

118


sostenibile e duraturo con un fatturato di 349.8 milioni di euro ed uno stadio che è il<br />

più capiente tra gli impianti inglesi, dopo il nuovo Wembley, con i suoi 76.212 posti.<br />

Con un valore azionario che, secondo il Sun, nel luglio 2010 ha toccato quota 1<br />

miliardo e 240 milioni di sterline, lo United è comunemente considerato il club di<br />

<strong>calcio</strong> più ricco e con il più alto valore di mercato <strong>del</strong> mondo, nonostante una<br />

importante posizione debitoria causata dal leveraged buy-out operato nel 2005 da<br />

Malcolm Glazer all’atto di acquisizione <strong>del</strong>la società 22 . Ma soprattutto, evento<br />

piuttosto raro nel panorama sportivo mondiale, è un club che riesce ad ottenere<br />

introiti in modo equilibrato dai tre settori che maggiormente contribuiscono al<br />

fatturato <strong>del</strong>le società calcistiche: mass media, area commerciale, sponsorizzazioni.<br />

Naturalmente questo grande successo è frutto anche <strong>del</strong>le numerose vittorie in<br />

ambito sportivo.<br />

Per confrontare i due case study si è deciso di utilizzare un metodo messo a punto da<br />

Bill Gerrard, professore di Sport Management and Finance alla Business University<br />

di Leeds. Il professor Gerrard, autore di numerose pubblicazioni accademiche su vari<br />

aspetti economici e finanziari <strong>del</strong>le squadre professionistiche, ha elaborato, nello<br />

specifico, una metodologia per effettuare uno studio comparativo finalizzato a<br />

spiegare il vantaggio competitivo di cui gode il Manchester United nei confronti<br />

<strong>del</strong>le altre grandi società inglesi. Per svilupparlo ha preso in prestito i concetti <strong>del</strong><br />

resource based view. Il mo<strong>del</strong>lo colloca le fonti <strong>del</strong> vantaggio sostenibile all’interno<br />

<strong>del</strong>le aziende enfatizzando il ruolo di risorse strategiche scarse, di valore ed imitabili<br />

in maniera imperfetta e costituisce l’approccio dominante nel management<br />

strategico. Il contesto sportivo, in particolare, viene visto come la forma più pura di<br />

rivalità strategica, con un risultato di vittoria o sconfitta prevalentemente dipendente<br />

dall’abilità <strong>del</strong>le squadre di acquisire risorse di gioco ed utilizzarle efficacemente.<br />

Le relazioni di base di una società sportiva professionistica, secondo il mo<strong>del</strong>lo di<br />

Gerrard, sono quattro, legate ad altrettante risorse strategiche: risorse di gioco (Q), di<br />

management tecnico (MW), di tifosi (F) e di management generale (MR).<br />

Nella formula di Gerrard:<br />

22 Malcolm Glazer acquisì il Manchester United con fondi derivanti prevalentemente da un capitale di<br />

debito il cui rimborso è garantito dagli attivi patrimoniali <strong>del</strong>l’impresa acquisita ed è sostenuto dai<br />

cash flow da essa generati.<br />

119


V = (Q, MW, F, MR).<br />

In base al mo<strong>del</strong>lo, dunque, il team gode dei benefici di un circolo virtuoso di<br />

successi che si autoalimenta: quelli sportivi nobilitano l’immagine <strong>del</strong> club ed<br />

aumentano di fatto gli introiti permettendo alla società di investire sul mercato per<br />

ingaggiare talenti al fine di ottenere ulteriori vittorie sul campo di gioco e, di riflesso,<br />

sul piano finanziario.<br />

4.1.1 Le risorse di gioco<br />

I “Red Devils” hanno iniziato nel 1993 la scalata che li ha portati a tramutarsi da<br />

“fattoria di allevamento” di talenti, club con una particolare attenzione ai giovani<br />

cresciuti nella propria Academy ed in quelle collegate, ad uno status di “marchio<br />

affermato a livello internazionale” 23 . Prima <strong>del</strong>l’insediamento <strong>del</strong> multimilionario<br />

Abramovich alla presidenza <strong>del</strong> Chelsea nel luglio 2003 e <strong>del</strong>lo sceicco Mansour alla<br />

guida dei rivali cittadini <strong>del</strong> City nel 2008, il Manchester United era il club<br />

britannico che investiva i capitali maggiori sul mercato, mentre ora la dirigenza sta<br />

contrastando lo strapotere dei due magnati optando per la conclusione di affari<br />

importanti soprattutto in <strong>prospettiva</strong> futura come quelli che hanno portato nell’estate<br />

2009 all’Old Trafford l’esterno ecuadoregno classe 1985 Luis Antonio Valencia<br />

Mosquera per circa 18 milioni di euro e l’allora ventenne ala francese Gabriel<br />

Obertan per poco meno di 10 milioni. Ma una grande squadra, oltre che sui calciatori<br />

acquisiti sul mercato, fonda le basi per una competitività duratura sul proprio vivaio.<br />

La possibilità di poter emergere dalle giovanili sino ad arrivare a vestire la maglia<br />

<strong>del</strong>la prima squadra contraddistingue in termini di stile e cultura i giovani calciatori e<br />

sviluppa in loro un maggior senso di lealtà verso chi gli ha permesso di compiere il<br />

grande salto. Lo United, in particolare, dal 1994 ha promosso alla corte di sir Alex<br />

Ferguson diversi giocatori che hanno rappresentato la storia <strong>del</strong>la società e <strong>del</strong> <strong>calcio</strong><br />

britannico negli ultimi 20 anni: David Beckham, Nicky Butt, Gary Neville e i tuttora<br />

presenti Paul Scholes e Ryan Giggs, primatista di presenze con i “Diavoli Rossi” dal<br />

21 maggio 2008, quando collezionò la gara numero 759 in carriera. Oltre a questi<br />

atleti, che sono stati in blocco protagonisti <strong>del</strong> successo in Champions League a<br />

23 Consultare il paragrafo 3.3: Le “4 P”: peculiarità <strong>del</strong>le squadre di <strong>calcio</strong><br />

120


Barcellona nel 1999 ed in parte di quello <strong>del</strong> 2008 a Mosca, altri come Wesley<br />

Brown, Darren Fletcher e John ‘O Shea rappresentano appieno la bontà <strong>del</strong> lavoro<br />

svolto dall’Academy dei “Red Devils”. Un vantaggio, quello derivante dalla cura dei<br />

vivai, non solo tecnico, ma anche economico considerati gli alti costi di trasferimento<br />

e di ingaggio di campioni prelevati da altre squadre. Il Chelsea, ad esempio, ha<br />

investito nell’estate 2010 22 milioni di euro per il centrocampista Ramires e 25 a<br />

gennaio per il difensore David Luiz, entrambi provenienti dal Benfica, chiudendo la<br />

stagione senza poter brindare ad alcun successo, nonostante avesse poi acquistato<br />

anche l’attaccante Fernando Torres dal Liverpool per ben 58.5 milioni. Non è andata<br />

di certo meglio al Manchester City di Roberto Mancini, che ha investito 35 milioni<br />

per Edin Dzeko, 30 per David Silva, 28 per Mario Balotelli, 25 per Yaya Tourè e 20<br />

per Aleksandr Kolarov concludendo il campionato conquistando l’accesso alla<br />

Champions League senza tuttavia mai essere davvero in lotta per il titolo di<br />

campione d’Inghilterra. Follie vane anche per il Liverpool di Steven Gerrard, che nel<br />

solo gennaio ha cercato di salvare la propria <strong>del</strong>udente stagione acquisendo Luis<br />

Suarez dall’Ajax per 25 milioni e l’attaccante Andy Carroll per 40 milioni dal<br />

Newcastle, con i “Magpies” che hanno così capitalizzato al massimo la cessione <strong>del</strong><br />

promettente atleta cresciuto nel proprio vivaio e diventato il calciatore britannico più<br />

pagato di sempre. Se si considera che il Manchester United ha investito appena 4<br />

milioni per Javier Hernandez e 10 per Chris Smalling nell’immediato, e 8.8 per Bebè<br />

e 5 per Lindegaard in <strong>prospettiva</strong> futura, si comprende a pieno, a fronte dei risultati<br />

ottenuti sia sul fronte sportivo che finanziario, come nel <strong>calcio</strong> il poter contare su un<br />

vivaio di prima scelta e su un programma a lungo termine valgano talvolta ben più<br />

<strong>del</strong>le istantanee follie di mercato. Basti pensare che proprio i “Red Devils”<br />

ricavarono nel 2003 ben 35 milioni di euro cedendo David Beckham, prodotto <strong>del</strong>la<br />

sua Academy, al Real Madrid per una plusvalenza da capogiro. La cessione di<br />

Cristiano Ronaldo, 6 anni dopo, sempre alle “Merengues”, ha invece portato nelle<br />

casse di Sir Alex Ferguson ben 94 milioni a fronte dei 18 milioni spesi dal club per<br />

acquistare il calciatore, appena 18enne nel 2003, dallo Sporting Lisbona. <strong>Una</strong><br />

differenza strategica che, stando ad un’indagine <strong>del</strong> sito futebolfinance.com 24 , si<br />

24 O custo salarial dos clubes da Premier League 09/10 (http://www.futebolfinance.com/o-custosalarial-dos-clubes-da-premier-league-0910),<br />

(13 maggio 2011)<br />

121


iflette anche sul fronte ingaggi, con il Chelsea che ha concluso la stagione 2010 con<br />

ben 197 milioni di euro da corrispondere ai propri tesserati, il Manchester United che<br />

se l’è cavata con 141 milioni, l’Arsenal che ne ha sborsati 120 e con il Liverpool e il<br />

Manchester City cui, prima di contabilizzare i grandi acquisti citati, sono invece<br />

bastati 103 e 95 milioni per concludere i rispettivi campionati avari di soddisfazioni.<br />

Nel panorama italiano risulta assai complesso ricercare un club in grado di fondare le<br />

proprie fortune partendo dal vivaio al pari <strong>del</strong> Manchester United. Storicamente la<br />

formazione italiana che ha prodotto più talenti è l’Atalanta, anche se, permanendo<br />

allo status di “fattoria di allevamento” per scelte di politica gestionale, essa non è mai<br />

riuscita negli ultimi decenni a competere per le prime posizioni in classifica in Serie<br />

A. Tra i calciatori di maggior prestigio ceduti ad altre formazioni spiccano l’ex ct<br />

<strong>del</strong>la Nazionale italiana Roberto Donadoni, Filippo Inzaghi, Alessio Tacchinardi,<br />

Riccardo Montolivo, Marco Motta e Giampaolo Pazzini. Chi invece ha fatto dei<br />

giovani allevati il simbolo dei propri successi è la Roma, che vede nel capitano<br />

Francesco Totti e nel centrocampista Daniele De Rossi due elementi che hanno<br />

scritto pagine in<strong>del</strong>ebili <strong>del</strong>la storia giallorossa, mentre dalla cessione nell’agosto<br />

2009 di Alberto Aquilani al Liverpool derivarono 20 milioni di euro determinanti per<br />

quella che era una stagione economica particolarmente <strong>del</strong>icata per il club <strong>del</strong>la<br />

capitale. Particolare è il caso <strong>del</strong> Milan, che in questa stagione ha vinto il titolo di<br />

campione d’<strong><strong>It</strong>alia</strong> anche grazie al contributo offerto da Ignazio Abate e Luca<br />

Antonini, due elementi cresciuti sì in rossonero, ma che prima di rientrare alla base<br />

sono stati mandati in prestito a farsi le ossa in lungo e in largo. Non ci si trova<br />

dunque di fronte a campioni completamente fatti in casa come Franco Baresi, Paolo<br />

Maldini, Alessandro Costacurta o Demetrio Albertini, bensì a due elementi discreti<br />

che, a differenza dei loro predecessori o dei prodotti <strong>del</strong>l’Academy dei “Diavoli<br />

Rossi”, difficilmente entreranno a far parte <strong>del</strong>la storia <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> nazionale. Se<br />

l’Inter campione <strong>del</strong> mondo e detentore <strong>del</strong> “Triplete” ha ceduto i propri gioielli fatti<br />

in casa al Cesena, Davide Santon, in prestito per prendere Yuto Nagatomo e al<br />

Manchester City, Mario Balotelli, per rimpinguare le pur ricche casse societarie, non<br />

c’è da sorprendersi se proprio le due milanesi, non fidandosi dei rispettivi vivai,<br />

hanno deciso di intervenire ingentemente sul mercato investendo ben 6 milioni di<br />

euro per il prestito di Zlatan Ibrahimovic, 1.7 milioni per l’acquisizione di Antonio<br />

122


Cassano, 7 milioni per Papastathopoulos, 1.5 per la cessione temporanea di Kevin<br />

Prince Boateng, ben 18 per l’acquisto di Robinho ed 1.7 per Urby Emanuelsson per<br />

quanto concerne il Milan e 19 milioni per l’acquisizione di Giampaolo Pazzini dalla<br />

Sampdoria, 18.5 per quella di Andrea Ranocchia dal Genoa e 2 milioni per il prestito<br />

di Yuto Nagatomo dal Cesena a gennaio per quanto riguarda l’Inter, che in estate<br />

aveva prelevato solo Coutinho dal Vasco per 3.8 milioni e Jonathan Biabany, poi<br />

ceduto per 7 milioni alla Sampdoria nell’ambito <strong>del</strong>l’affare Pazzini, per 4.5 milioni<br />

dal Parma. Se si considera che Milan ed Inter hanno chiuso al primo e secondo posto<br />

l’ultimo campionato e si ritrovano ai primi due posti anche in termini di ingaggi<br />

percepiti dai tesserati con rispettivamente 130 e 121.4 milioni di euro da<br />

corrispondere loro, la tesi <strong>del</strong> professor Gerrard secondo cui l’acquisizione di<br />

giocatori di valore, acquistati a caro prezzo sul mercato, è determinante per<br />

l’ottenimento di successi sportivi sembra perfettamente dimostrata in <strong><strong>It</strong>alia</strong>, dove le<br />

uniche eccezioni, rispetto al fronte ingaggi, sono rappresentate da Napoli e Udinese,<br />

che hanno concluso la Serie A a ridosso di rossoneri e nerazzurri nonostante un tetto<br />

ingaggi di appena 28.3 e 18.5 milioni di euro.<br />

Tabella 9 – Differenze monte ingaggi 2010 Top Club tra Premier League e Serie<br />

A – (€ Mln)<br />

CLUB PREMIER<br />

LEAGUE<br />

(Posizionamento in<br />

campionato)<br />

VALORE<br />

INGAGGI<br />

Fonte: Nostra indagine diretta maggio 2011.<br />

CLUB SERIE A<br />

(Posizionamento<br />

in campionato)<br />

123<br />

VALORE<br />

INGAGGI<br />

Chelsea (2°) 197 Milan (1°) 130<br />

Manchester United (1°) 141 Inter (2°) 121.4<br />

Arsenal (4°) 120 Juventus (7°) 100<br />

Liverpool (6°) 103 Roma (6°) 83<br />

Manchester City (3°) 95 Lazio (5°) 41<br />

Aston Villa (9°) 81 Napoli (3°) 28.3<br />

Tottenham (5°) 69 Udinese (4°) 18.5


Il loro segreto, rispetto alle ricchissime concorrenti, è stato il seguire il mo<strong>del</strong>lo<br />

Manchester United investendo su calciatori giovani di talento da valorizzare<br />

soprattutto in <strong>prospettiva</strong> futura: è così che i partenopei hanno deciso di puntare<br />

sull’attaccante Edinson Cavani, costato al momento 5 milioni di euro per l’opzione<br />

sul prestito con diritto di riscatto ed ora appetito da tutta Europa, sul 20enne Nicolao<br />

Dumitru, preso dall’Empoli in prestito per 1.5 milioni, e sul difensore spagnolo<br />

Victor Ruiz, pagato 8.5 milioni all’Espanyol, mentre i friulani hanno scommesso<br />

tutto sull’esplosione di “El Niño Maravilla” Alexis Sanchez, acquistato appena<br />

18enne dal Cobreloa nel 2006, e sul terzino colombiano Pablo Armero, prelevato dal<br />

Palmeiras per 1.2 milioni di euro. Di contro, a nulla sono serviti alla Juventus i 100<br />

milioni di euro di ingaggi e gli sforzi sul mercato, con oltre 60 milioni investiti sul<br />

mercato per acquistare calciatori come Milos Krasic e Leonardo Bonucci e per<br />

ottenere i prestiti con diritto di riscatto di campioni come Fabio Quagliarella, Simone<br />

Pepe o Alberto Aquilani: la stagione dei bianconeri, che pur vantano in rosa dei<br />

giovani come Paolo De Ceglie e Claudio Marchisio cresciuti nel proprio settore<br />

giovanile, è stata a dir poco <strong>del</strong>udente.<br />

4.1.2 Il management tecnico<br />

Il secondo punto <strong>del</strong> mo<strong>del</strong>lo si basa sulla capacità <strong>del</strong>lo staff tecnico. Allo United il<br />

manager è Sir Alex Ferguson dal 1986: la sua militanza è la più lunga in Premier<br />

League e la lista dei trofei conquistati sia in ambito nazionale che internazionale<br />

unica, basti pensare che in bacheca manca solo la Coppa Uefa/Europa League.<br />

Proprio il lungo lavoro sempre nella stessa società è condizione importante per il<br />

successo. Infatti Gerrard ritiene che:<br />

“Le squadre di successo tendono ad avere manager che rimangono lungo<br />

tempo […]. Acquisiscono conoscenza tacita, costruiscono la propria<br />

esperienza insieme ai giocatori individualmente, all’organizzazione e<br />

alla cultura <strong>del</strong> club” 25 .<br />

25 Andrews D. L., Manchester United. A thematic study, Routledge, Abingdon (Inghilterra), 2004, p.<br />

82<br />

124


Un’idea che in Inghilterra viene confermata anche dalle statistiche che vedono<br />

l’Arsenal aver cambiato appena 6 allenatori dal 1986 ad oggi, con Arsène Wenger<br />

che siede in panchina dal 1996 e ha collezionato 3 successi in campionato, 4 Coppe<br />

di Inghilterra e 4 Charity/Community Shield, perdendo poi una finale di Champions<br />

League contro il Barcellona nel 2006 a Parigi. Il Chelsea, tra i club più vittoriosi<br />

negli ultimi 10 anni, ha invece cambiato nel medesimo lasso di tempo 13 volte<br />

tecnico, con ben 4, tra cui Josè Mourinho, che sono rimasti a Stamford Bridge<br />

almeno 3 stagioni. Chi ne ha invece cambiati 8, senza tuttavia raccogliere grossissimi<br />

frutti rispetto alle rivali, è il Liverpool, che in 25 anni ha vinto solo 2 campionati,<br />

l’ultimo nel 1990 con Kenny Dalglish alla guida, consolandosi con diverse<br />

affermazioni negli altri trofei nazionali. È andata di certo meglio ai “Reds” in ambito<br />

europeo, con una Coppa Uefa vinta sotto la gestione Houllier, 6 anni ad Anfield, nel<br />

2001, e una Champions League vinta da Rafael Benitez nel 2005 al termine di una<br />

incredibile finale contro il Milan ad Istanbul. In ambo i casi il Liverpool vinse poi<br />

anche la Supercoppa Europea.<br />

Parlare di lunghe permanenze di allenatori in <strong><strong>It</strong>alia</strong> sembra invece essere una follia. Il<br />

Milan, pur vincendo moltissimo, su tutto 5 Champions League, negli ultimi 25 anni<br />

ha scommesso su ben 16 cambi in panchina, con il solo Carlo Ancelotti che è stato<br />

confermato per 8 campionati. Restando a Milano, prima di poter ottenere il<br />

“Triplete” targato Josè Mourinho, ha cambiato 22 trainer l’Inter, con Giovanni<br />

Trapattoni e Roberto Mancini che sono gli unici riusciti a resistere per più di 3<br />

campionati consecutivi, anche se va detto che il tecnico portoghese ha richiesto di<br />

esser lasciato libero nell’estate 2010 per poter firmare per il Real Madrid. Tra le big,<br />

sempre partendo dal 1986, ad aver un miglior rapporto tecnici-successi, e quindi ad<br />

avvicinarsi alla teoria di Gerrard, è la Juventus. I bianconeri hanno cambiato 14<br />

allenatori, con Marcello Lippi recordman con 7 stagioni divise tra il quadriennio<br />

1995-1999 e il triennio 2001-2004, vincendo 11 trofei con il tecnico viareggino,<br />

perdendo tra l’altro una finale di Champions League contro il Milan all’Old Trafford<br />

di Manchester nel 2003, e 5, esclusi i 2 scudetti revocati per il caso Calciopoli, con<br />

gli altri allenatori, Giovanni Trapattoni su tutti.<br />

125


Tabella 10 – Gestione allenatori Top Club Premier League e Serie A dal 1986 al 2011<br />

Club / numero di<br />

allenatori<br />

Manchester United<br />

1<br />

Chelsea<br />

13<br />

Liverpool<br />

8<br />

Arsenal<br />

6<br />

Milan<br />

16<br />

Roma<br />

24<br />

Inter<br />

22<br />

Juventus<br />

14<br />

Napoli<br />

31<br />

Alex Ferguson (1986-Oggi).<br />

126<br />

Allenatori<br />

John Hollins (1985-1988), Bobby Campbell (1988-1991), Ian Porterfield (1991-1993),<br />

David Webb (1993), Glen Hoddle (1993-96), Ruud Gullit (1996-1998), Gianluca Vialli<br />

(1998-2000), Claudio Ranieri (2000-2004), Josè Mourinho (2004-2007), Josè<br />

Mourinho – Avraham Grant (2007/2008), Felipe Scolari – Guus Hiddink (2008/09),<br />

Carlo Ancelotti (2009-Oggi).<br />

Kenny Dalglish (1985-1991), Ronnie Moran (1991), Graeme Souness (1991-1994),<br />

Roy Evans (1994-1998), Gérard Houllier (1998-2004), Rafael Benitez (2004-2010),<br />

Roy Hodgson – Kenny Dalglish (2010-Oggi).<br />

George Graham (1986-1995), Stewart Houston (1995), Bruce Rioch (1995/96), Stewart<br />

Houston (Agosto – Settembre 1996), Pat Rice (Settembre 1996), Arsène Wenger (1996-<br />

Oggi).<br />

Nils Liedholm (1984-1987), Fabio Capello (1987), Arrigo Sacchi (1987-1991); Fabio<br />

Capello (1991-1996), Oscar Tabarez – Giorgio Morini (1996), Arrigo Sacchi<br />

(1996/1997), Fabio Capello (1997-1998), Alberto Zaccheroni (1998-2001), Cesare<br />

Maldini – Mauro Tassotti (2001/Giugno), Fatih Terim – Antonio Di Gennaro (Luglio<br />

2001/Novembre), Carlo Ancelotti (Novembre 2001-2009), Leonardo (2009/2010),<br />

Massimiliano Allegri 2010-Oggi.<br />

Sven Goran Eriksson – Angelo Benedcto Sormani (1986/1987), Nils Liedholm –<br />

Angelo Benedecto Sormani (1987/1988), Nils Liedholm – Luciano Spinosi – Nils<br />

Liedholm (1988/1989), Gigi Radice 1989/90, Ottavio Bianchi (1990-1992), Vujadin<br />

Boskov – Narciso Pezzotti (1992/1993), Carlo Mazzone (1993-1996), Carlos Bianchi –<br />

Niels Liedholm – Carlo Sella (1996/1997), Zdenek Zeman (1997-1999), Fabio Capello<br />

(1999-2004), Cesare Pran<strong>del</strong>li – Rudi Voller – Luigi Delneri – Bruno Conti<br />

(2004/2005), Luciano Spalletti (2005-2010), Claudio Ranieri (2010 – Febbraio 2011),<br />

Vincenzo Montella (2011-Oggi).<br />

Giovanni Trapattoni (1986-1991), Corrado Orrico – Luis Suarez (1991/1992), Osvalado<br />

Bagnoli (1992/1993), Giampiero Marini (1993/1994, Ottavio Bianchi (1994/1995),<br />

Ottavio Bianchi – Luis Suarez – Roy Hodgson (1995/1996), Roy Hodgson – Luciano<br />

Castellini (1996/1997), Luigi Simoni (1997/1998), Luigi Simoni – Mircea Lucescu –<br />

Luciano Castellini – Roy Hodgson (1998/1999), Marcello Lippi (1999/2000), Marcello<br />

Lippi – Marco Tar<strong>del</strong>li (2000/2001), Hector Cuper (2001-2003), Hector Cuper –<br />

Corrado Ver<strong>del</strong>li – Alberto Zaccheroni (2003/2004), Roberto Mancini (2004-2008),<br />

Josè Mourinho (2008-2010), Rafael Benitez – Leonardo (2010-Oggi).<br />

Rino Marchesi (1986-1988), Dino Zoff (1988-1990), Luigi Maifredi (1990/1991),<br />

Giovanni Trapattoni (1991-1995), Marcello Lippi (1995-1999), Carlo Ancelotti (1999-<br />

2001), Marcello Lippi (2001-2004), Fabio Capello (2004-2006), Didier Deschamps –<br />

Giancarlo Corradini (2006/2007), Claudio Ranieri (2007-2009), Ciro Ferrara – Alberto<br />

Zaccheroni (2009-2010), Luigi Delneri (2010-Oggi).<br />

Ottavio Bianchi (1985-1989), Alberto Bigon (1989-1991), Claudio Ranieri (1991-<br />

1993), Ottavio Bianchi – Marcello Lippi (1994/1995), Vincenzo Guerini – Vujadin<br />

Boskov (1994/1995), Vujadin Boskov (1995/1996), Luigi Simoni – Vincenzo<br />

Montefusco (1996/1997), Bortolo Mutti – Carlo Mazzone – Giovanni Galeone –<br />

Vincenzo Montefusco (1997/1998), Renzo Ulivieri – Vincenzo Montefusco<br />

(1998/1999), Walter Novellino (1999/2000), Zdenek Zeman – Emiliano Mondonico<br />

(2000/2001), Luigi De Canio (2001/2002, Franco Colomba – Sergio Buso – Franco<br />

Scoglio – Franco Colomba (2002/2003), Andrea Agostinelli – Luigi Simoni<br />

(2003/2004), Giampiero Ventura – Edoardo Reja (2004/2005), Edoardo Reja (2005-<br />

2009 Marzo), Roberto Donadoni (Marzo 2009 – Ottobre 2009), Walter Mazzarri<br />

(Ottobre 2009-Oggi).<br />

Fonte: Nostra indagine diretta maggio 2011.


Da segnalare anche i casi di Roma e Napoli: i giallorossi hanno cambiato 24<br />

allenatori vincendo 1 scudetto, 3 Coppe <strong><strong>It</strong>alia</strong> e 2 Supercoppe, mentre gli azzurri, con<br />

ben 31 sostituzioni, hanno conquistato 2 scudetti, 1 Coppa Uefa, 2 Coppe <strong><strong>It</strong>alia</strong> e 1<br />

Supercoppa <strong><strong>It</strong>alia</strong>na. Da quando, nel 2004, alla guida <strong>del</strong>la società c’è Aurelio De<br />

Laurentiis, si è però registrato un cambiamento di tendenza, con solo 4 tecnici<br />

cambiati: si è partiti con Giampiero Ventura per poi optare per Edoardo Reja, rimasto<br />

4 campionati, Roberto Donadoni e Walter Mazzarri, quest’ultimo autore <strong>del</strong> miracolo<br />

che ha riportato il Napoli in Champions League 20 anni dopo l’epopea Maradona.<br />

4.1.3 La tifoseria<br />

Il terzo fattore preso in considerazione è la fe<strong>del</strong>tà <strong>del</strong>la tifoseria. Il termine di<br />

riferimento in tal caso sono le presenze allo stadio e il potenziale di supportership.<br />

Lo United conta nel mondo 200 fan club di cui 151 in Gran Bretagna, 25 in Irlanda e<br />

24 nel resto <strong>del</strong> mondo. Il numero dei tifosi non è possibile da stabilire con<br />

precisione e per selezionare quanti più dati possibili per ciascun individuo il club ha<br />

applicato un sistema di Customer Relationship Management (CRM) che ha permesso<br />

di registrare 2 milioni 588mila clienti-tifosi. Per tenere i fan quanto più possibile<br />

legati alla squadra è stato creato inoltre un programma di fi<strong>del</strong>izzazione, One United,<br />

club membership scheme che, lanciato nel giugno 2003, dopo un mese aveva già<br />

raccolto 125mila adesioni. Chi ne fa parte, al costo di 26 sterline l’anno (16 per gli<br />

junior) ha una serie di benefit: priorità per i biglietti <strong>del</strong>le partite, sconti per i tour<br />

all’Old Trafford, ingressi gratuiti per i match <strong>del</strong>le riserve e possibilità di poter<br />

ricevere gratuitamente anche uno dei magazine editi dalla società. Fuori dalla Gran<br />

Bretagna, in Europa aderire all’iniziativa costa 3 sterline in più, nel resto <strong>del</strong> mondo<br />

5 in più. Un dato importante, quello dei clienti-tifosi, destinato a migliorare<br />

sensibilmente se si considera il report 2010 di Sport+Markt, Football Top 20,<br />

secondo cui il Manchester United, terzo nella classifica di merito, vanterebbe 30.6<br />

milioni di tifosi in Europa, precedendo il Chelsea, fermo a 21.4, e l’Arsenal,<br />

assestatosi a quota 20.3.<br />

127


Tabella 11 – Football Top 20 2010 – Posizione in classifica per numero tifosi in<br />

Europa club italiani ed inglesi<br />

Posizione<br />

Generale<br />

Club Tifosi<br />

3 Manchester United 30.6 milioni<br />

4 Chelsea 21.4 milioni<br />

6 Arsenal 20.3 milioni<br />

7 Milan 18.4 milioni<br />

8 Inter 17.5 milioni<br />

9 Liverpool 16.4 milioni<br />

10 Juventus 13.1 milioni<br />

19 Roma 6 milioni<br />

35 Napoli 2.5 milioni<br />

Fonte: Sport+Markt. (Ns. elab.)<br />

Condotto su un campione di tifosi di <strong>calcio</strong> di età compresa fra i 15 e i 69 anni e<br />

residenti in Germania, Regno Unito, Francia, <strong><strong>It</strong>alia</strong>, Spagna, Polonia, Paesi Bassi,<br />

Portogallo, Turchia, Repubblica Ceca, Ungheria, Grecia, Svizzera, Austria, Russia e<br />

Croazia, questo studio, che pone nelle prime due posizioni Barcellona e Real Madrid<br />

con 57.8 e 31.3 milioni di tifosi, vede la prima squadra italiana ferma al settimo<br />

posto con i 18.4 milioni di supporter <strong>del</strong> Milan, seguito dall’Inter con 17.5, in netta<br />

ascesa rispetto ai 10.7 <strong>del</strong>la stagione 2005/2006, e la Juventus con 13.1 milioni. Il<br />

Napoli è solo 35mo in questa particolare graduatoria, con 2.5 milioni di tifosi. Se si<br />

considera che nell’ultima stagione si sono recati al San Paolo oltre 1 milione di fan<br />

tra campionato, Coppa <strong><strong>It</strong>alia</strong> ed Europa League, c’è da scommetterci che nell’annata<br />

agonistica 2011/2012, con la Champions League da disputare, gli azzurri, come è<br />

accaduto all’Inter, ma anche alla Roma che è salita da 2.8 a 6 milioni di supporter in<br />

5 anni, vedranno potenziarsi rapidamente la propria popolarità nel vecchio continente<br />

risalendo importanti posizioni in questa speciale classifica nella speranza di poter<br />

incrementare gli introiti di 432mila euro ottenuti dal merchandising la scorsa<br />

stagione. Ovviamente tal processo di crescita dovrà esser supportato da una adeguata<br />

campagna di fi<strong>del</strong>izzazione che possa rendere ancora più solido il legame con i tifosi.<br />

È da leggere in quest’ottica l’iniziativa <strong>del</strong>la Juventus denominata Accendi una<br />

stella, che permetterà ai fan dei bianconeri di poter acquistare una stella nel nuovo<br />

128


stadio accanto a quella dedicata ai tanti campioni <strong>del</strong> passato e <strong>del</strong> presente. La<br />

pavimentazione che darà accesso al secondo anello di tribune è stata infatti studiata<br />

in modo da accogliere il pubblico con una divisione <strong>del</strong>lo spazio in 50 diversi settori.<br />

Ognuna di queste aree sarà dedicata ai 50 campioni <strong>del</strong>la storia juventina più votati<br />

dai Member e dai Club Doc e all’interno di ognuna verranno posizionate <strong>del</strong>le<br />

placche metalliche, contenenti la forma di una stella, sulle quali saranno incisi i nomi<br />

dei tifosi. Due le tipologie di stelle, Gold da 250 euro e Platinum da 350 euro.<br />

Acquistando quest’ultima si avrà la possibilità di vedere posizionata la stella con il<br />

proprio nome inciso attorno a quella di uno dei 50 campioni, tra i quali Michel<br />

Platini, Alessandro Del Piero, Giampiero Boniperti ed Omar Sivori. Chi aderirà<br />

riceverà anche un pack contenente la riproduzione <strong>del</strong>la stella, la maglietta <strong>del</strong><br />

progetto in edizione limitata e l’accesso al programma Juventus Membership che<br />

consentirà di entrare a far parte <strong>del</strong>la community dei Member. Il progetto è stato<br />

concepito in modo da consentire ad ogni tifoso interessato di scegliere il settore<br />

preferito per intestare la propria stella ed è stato incentrato sul legame che ogni fan<br />

ha con la Juventus e sulla possibilità di renderlo eterno.<br />

Particolarmente interessanti, nell’epoca dei social network, sono anche i dati, diffusi<br />

lo scorso maggio, riguardanti il numero dei tifosi che i top club europei vantano su<br />

Facebook.<br />

Tabella 12 – Posizione in classifica nella Top 20 per numero tifosi su Facebook<br />

dei club italiani ed inglesi<br />

Posizione<br />

Generale<br />

Club Tifosi<br />

2 Manchester United 13.671.221 milioni<br />

4 Arsenal 5.794.019 milioni<br />

5 Liverpool 5.603.120 milioni<br />

6 Chelsea 5.346.289 milioni<br />

7 Milan 3.884.837 milioni<br />

11 Napoli 452.372<br />

12 Inter 348.562<br />

13 Juventus 314.202<br />

Fonte: Sporteconomy. (Ns. elab.)<br />

129


Nella tabella Energise il Barcellona è primatista con 14.638.242 sostenitori, seguito a<br />

ruota dal Manchester United con 13.671.221 e dal Real Madrid con 13.452.983.<br />

Seguono Arsenal, Liverpool e Chelsea, a testimonianza <strong>del</strong>la straordinarietà <strong>del</strong><br />

fenomeno inglese, con circa 5 milioni di tifosi ciascuna, mentre la prima italiana è il<br />

Milan, settimo, con 3.884.837 supporters. Undicesimo è il Napoli a quota 452.372,<br />

dodicesima e tredicesima Inter e Juventus con 348.562 e 314.202 affezionati.<br />

L’ultimo rilevamento risale al 22 maggio 2011.<br />

4.1.4 Il management societario<br />

Sotto il profilo <strong>del</strong> management societario il Manchester United ha compiuto la<br />

propria metamorfosi durante la gestione di Martin Edwards, il cui arrivo alla<br />

presidenza nel 1980 ha cambiato la storia <strong>del</strong> club. Fu allora, infatti, che si cominciò<br />

a porre grande attenzione alla valorizzazione <strong>del</strong> business. Nel 1991, in particolare,<br />

fu creata la Manchester United Public Limited Company (PLC), compagnia che si<br />

sarebbe occupata di tutto, dalla squadra allo sviluppo e protezione <strong>del</strong> brand, e nel<br />

1998 fu messo a punto il Manchester United International per curare gli affari esteri e<br />

fu avviato il Project Theatre of Dreams, legato alla valorizzazione <strong>del</strong>l’Old Trafford<br />

sotto il profilo finanziario. Nel 2002 è poi giunto l’accordo con la Nike, la quale ha<br />

potuto occuparsi <strong>del</strong> merchandising <strong>del</strong> club, curato dal Manchester United<br />

Merchandising Limited. La strategia perseguita è stata, ed è tutt’ora, di tipo “glocal”,<br />

cioè legata alla conquista dei mercati nel mondo inserendosi nelle realtà locali: a<br />

Dublino, Singapore e Shanghai i “Red Devils” hanno sviluppato partnership con<br />

aziende di business locali e regionali, le quali si occupano <strong>del</strong> predisporre i locali e<br />

gli staff per la vendita, mentre lo United fornisce i prodotti con il proprio marchio.<br />

Nel 2005 la società Red Football Ltd, di proprietà <strong>del</strong>la famiglia <strong>del</strong> 76enne<br />

americano Malcolm Glazer, completò la scalata al potere societario cominciata due<br />

anni prima dando il là ad una rivoluzione poco gradita ai tifosi sia sotto il profilo<br />

etico, poiché l’acquisizione da parte di un proprietario non britannico non era visto di<br />

buon occhio dagli amanti <strong>del</strong>la tradizione, che economico. L’offerta che permise il<br />

takeover fu di 300 pence, tre sterline per ogni azione <strong>del</strong>la società quotata dal 1991<br />

presso la Borsa di Londra con un prezzo allora fissato in 32 centesimi. L’offerta dei<br />

Glazer (in totale 790 milioni di pound, pari a un miliardo 760 milioni di euro) fu<br />

130


dunque quasi dieci volte maggiore rispetto al valore iniziale per un titolo che<br />

raramente nella sua storia aveva superato i 200 pence. Un tentativo di scalata, quello<br />

<strong>del</strong> self-made-man di origini lituane, che per due volte era stato in precedenza<br />

arrestato a causa <strong>del</strong> livello di indebitamento ritenuto troppo alto. Per riuscire nel<br />

proprio intento Glazer optò per un leveraged buy-out che gli permise di prendere in<br />

prestito 540 dei 790 milioni necessari per acquistare il Manchester United usando<br />

anche i beni <strong>del</strong>la squadra come collaterali. Al London Stock Exchange, nello<br />

specifico, il miliardario americano dichiarò che i prestiti sarebbero stati pari a circa<br />

392 milioni di euro, mentre altri 407 sarebbero stati coperti da emissioni di garanzie.<br />

Il duo irlandese che era a capo <strong>del</strong>lo United, gli imprenditori <strong>del</strong> settore ippico JP<br />

McManus e John Magnier, cedettero per 227 milioni di sterline (335 milioni di euro)<br />

le proprie quote, guadagnando 70 milioni di sterline (103 milioni di euro). In seguito<br />

anche lo scozzese <strong>del</strong> ramo minerario Harry Dobson cedette le proprie azioni. Il 14<br />

giugno 2005 la quota di proprietà di Glazer divenne <strong>del</strong> 97,3%, con 257.906.287<br />

azioni comprate, ponendolo nelle condizioni di acquistare coattivamente le rimanenti<br />

e di ritirare il club dalla Borsa di Londra, nonostante dal 1991, anno <strong>del</strong>l’ingresso in<br />

borsa, a quella data, il Manchester United avesse visto più che decuplicato il proprio<br />

valore sul mercato. Ancora oggi la situazione debitoria dei “Diavoli Rossi”, al pari di<br />

quella di altre società inglesi come il Chelsea di Roman Abramovich che si affidò<br />

alla medesima strategia per acquisire la proprietà <strong>del</strong>la formazione di Stamford<br />

Bridge, risulta tutt’altro che sanata, anche se i rapporti con gli sponsor e le strategie<br />

di marketing continuano a collocarli tra i club più ricchi al mondo per introiti e<br />

valore totale <strong>del</strong> mondo United.<br />

In <strong><strong>It</strong>alia</strong>, in attesa <strong>del</strong>la rivoluzione Roma promessa da Thomas DiBenedetto, il caso<br />

di management societario di successo che più si avvicina a quello <strong>del</strong> club <strong>del</strong>l’Old<br />

Trafford è quello operato dal Napoli targato Aurelio de Laurentiis. Gli azzurri, la cui<br />

rinascita è partita nel 2004 dall’allora Serie C1, sono giunti nel 2010, come si evince<br />

da una analisi de Il pallone in confusione, al quarto anno concluso con un bilancio in<br />

utile. Al 30 giugno 2010 l’attivo è stato pari a 343mila euro, risultato che consente<br />

alla società di avere un patrimonio netto positivo per 25,1 milioni di euro. Punto di<br />

forza <strong>del</strong> club partenopeo, in attesa degli introiti derivanti dalla partecipazione alla<br />

scorsa Europa League e soprattutto alla prossima Champions League, sono i 111<br />

131


milioni di euro di ricavi che consentono di sostenere i 107 milioni di costi<br />

incrementatisi di circa 20 milioni per una differenza positiva di 3.2 milioni. Un<br />

virtuoso stato <strong>del</strong>la gestione caratteristica che ha consentito per l’ennesimo anno<br />

l’assenza di indebitamento bancario. Ben 17.2 milioni sono derivati dalle partite tra<br />

biglietti venduti, 9.8 milioni, abbonamenti, 5.9 milioni, e percentuale sugli incassi<br />

per le gare fuori casa, 1.3 milioni, mentre sono stati incassati 432mila euro dalla<br />

vendita di gadget, 3.7 milioni dalle operazioni legate al licensing e circa 438mila<br />

euro da “altri proventi commerciali”. 41.6 milioni di euro sono invece derivati dai<br />

diritti tv casalinghi e 6.6 milioni da quelli <strong>del</strong>le squadre ospitanti, mentre i proventi<br />

radiofonici sono stati pari a 430mila euro. Altro punto di forza è lo sfruttamento dei<br />

diritti d’immagine. La cifra introitata è di 7.4 milioni. In aumento anche le<br />

sponsorizzazioni, che hanno raggiunto il totale di 20.9 milioni: spiccano i 3.6 milioni<br />

degli sponsor istituzionali che hanno fruttato un aumento di 480mila euro. Il sesto<br />

posto conquistato dal Napoli lo scorso campionato è poi valso, oltre alla<br />

qualificazione in Europa League, anche 2.7 milioni in contributi erogati dalla Lega di<br />

Serie A. La gestione netta <strong>del</strong> parco calciatori ha invece ottenuto un risultato positivo<br />

per 7.78 milioni. Si segnala la plusvalenza complessiva, pari a 6.6 milioni, originata<br />

dalle cessioni di Daniele Mannini alla Sampdoria per 4.9 milioni e di Matteo Contini<br />

al Saragozza per 1.7. Un quadro finanziario impeccabile che, relazionato<br />

all’esperienza <strong>del</strong> direttore generale Marco Fassone e <strong>del</strong> direttore <strong>del</strong>l’area<br />

marketing Alessandro Formisano, sembra destinato ad incrementarsi ulteriormente,<br />

considerata anche l’oculata gestione <strong>del</strong>le operazioni di <strong>calcio</strong>mercato da parte <strong>del</strong><br />

direttore sportivo Riccardo Bigon, grazie alla qualificazione <strong>del</strong> Napoli alla prossima<br />

edizione <strong>del</strong>la Champions League ed ai proventi da sogno che, dati alla mano, da<br />

essa saranno generati.<br />

4.2 Il brand <strong>del</strong> Manchester United<br />

Un’intensa attività sia di ricerca che strategica e operativa e una visione globale <strong>del</strong><br />

brand sono alla base degli introiti commerciali <strong>del</strong> Manchester United. Nel<br />

dipartimento di marketing lavorano 16 persone, alle quali si devono aggiungere i 28<br />

membri <strong>del</strong>lo staff che si occupano solo di merchandising. Il canale commerciale ha<br />

132


portato in cassa nella stagione 2010 99.4 milioni di euro, circa il 28% <strong>del</strong> fatturato<br />

globale 26 .<br />

L’accordo con la statunitense Nike garantisce al club oltre 30 milioni di euro, cifra<br />

record per gli sponsor tecnici. Il main sponsor Aon investe invece 23.5 milioni di<br />

euro l’anno. È stata così tanto diversificata l’attività, che nel 2002 venne annunciato<br />

che si sarebbero venduti persino gas ed elettricità e nel 2005 fu messa in commercio,<br />

prima squadra al mondo a farlo, una connessione adsl ad Internet al costo di 29<br />

sterline al mese. Il lancio <strong>del</strong>l’iniziativa fu preceduto da un sondaggio, a<br />

dimostrazione di cosa si intenda per fasi analitica, strategica e operativa, e la<br />

sottoscrizione a tal iniziativa permetteva tra l’altro vedere il canale tematico MUTV<br />

e possedere cinque caselle di posta elettronica con l’estensione manutd.com. In<br />

accordo con l’allora partner Vodafone furono poi commercializzati servizi telefonici<br />

e fu creato MU Mobile, un servizio che permette di ricevere le notizie <strong>del</strong> club<br />

attraverso il cellulare, con vari “pacchetti” di news in offerta. Altre iniziative<br />

commerciali sono state poi realizzate nel tempo insieme a colossi aziendali partner<br />

come Thomas Cook, Sainsbury’s bank, Tesco, Britannia, Barclays. Le attività<br />

finanziarie di MU Finance, i cui uffici hanno anch’essi sede all’Old Trafford, sono<br />

costituite da carte di credito, la MU Credit Card, conti risparmio per adulti e ragazzi,<br />

MU Savings Account, assicurazioni per casa, auto e viaggi, MU Insurance, prestiti,<br />

MU Loan, mutui casa, MU Mortage, e dépliant ufficiali <strong>del</strong> Manchester United. MU<br />

Travel permette di seguire la squadra sia all’estero che in casa per chi non vive a<br />

Manchester e dal sito ufficiale organizza anche vacanze che nulla hanno a che vedere<br />

con i “Red Devils”. La concezione moderna di partnership, intesa come<br />

collaborazione tra due attività commerciali che si supportano l’un l’altra ciascuna nel<br />

proprio ambito, è ben rappresentata dall’aspetto che, contraendo un mutuo, si hanno<br />

sino a 12 mesi gratuiti per il canale tematico <strong>del</strong> club o 60 sterline per lo shopping al<br />

megastore, e che con il conto risparmio i bonus di interesse sono collegati alla<br />

Champions League: nell’estate 2009, ad esempio, il Manchester United si qualificò<br />

per la fase a gironi e agli utenti fu riconosciuto un 1% di bonus lordo d’interesse. Chi<br />

stipula un’assicurazione partecipa a un’estrazione che si tiene ogni volta che il MU<br />

non perde in Premiership: premi in palio i biglietti per la Champions e un giorno da<br />

26 Dati Deloitte & Touche, Football Money League. The untouchables, Manchester 2011, consultare<br />

paragrafo 2.5<br />

133


VIP per due persone ad Old Trafford. Si può inoltre scommettere, entrare in un<br />

casinò o giocare a poker sul sito ufficiale grazie alla partnership con Betfair nella<br />

sezione denominata Betting & Gaming. Nel merchandising il club si è sbizzarrito: il<br />

megastore è un immenso magazzino da far luccicare gli occhi a tifosi e appassionati<br />

di <strong>calcio</strong>, ma i “Diavoli Rossi” sono andati al di là <strong>del</strong> materiale sportivo, pensando,<br />

ancora una volta come primo club inglese, a una linea di streetwear con le collezioni<br />

“1902”, data di fondazione <strong>del</strong> club attuale, e “4 Life”, con il quale si punterà al<br />

target più giovanile. È stata prevista anche una linea vintage stile anni ’70, mentre in<br />

occasione <strong>del</strong>la vittoria <strong>del</strong>l’ultima Premier League e <strong>del</strong>la qualificazione alla finale<br />

di Champions League di Wembley sono stati messi in commercio speciali kit<br />

celebrativi recanti frasi ad hoc come Champions 19, in riferimento al 19mo<br />

campionato vinto, o Road to London, riferito alla marcia di avvicinamento verso la<br />

sede <strong>del</strong>la finalissima. Su tutto il materiale l’acronimo MUFC. Un cinema di<br />

proprietà <strong>del</strong> club, Red Cinema, si trova a Salford, vicino Manchester: i camerieri<br />

servono gli spettatori direttamente al loro posto ed è ovviamente possibile assistere<br />

alle partite <strong>del</strong>la squadra. Immancabili le promozioni per i supporter, regola fissa<br />

<strong>del</strong>lo United come di tutte le aziende di beni di consumo: se vai con la maglia <strong>del</strong><br />

club paghi 2,50 £ invece che 5,40, 3,50 £ il biglietto invece per gli iscritti al<br />

membership scheme.<br />

Lo stadio, l’Old Trafford, rappresenta un’altra fonte di enorme valore: volesse cedere<br />

i naming rights, il MU otterrebbe circa 100 milioni di sterline grazie alla presenza<br />

nella stessa area <strong>del</strong> megastore e <strong>del</strong> museo, costato 4 milioni di sterline ed<br />

inaugurato nel 1998 da Pelè, comprendente tre piani di trofei visitabili con 5,50 £.<br />

<strong>Una</strong> guida accompagna anche nel giro <strong>del</strong>lo stadio che nel 2004 ha visto 200mila<br />

visitatori ed è stato premiato alla Hope University di Liverpool quale miglior<br />

attrazione turistica di massa <strong>del</strong> nord-ovest inglese bissando il Manchester Tourism<br />

Award vinto dal museo all’inizio <strong>del</strong> 2005. Il tour <strong>del</strong>lo stadio comprende, al prezzo<br />

di 13.50 £ visitando anche il museo, la visita negli spogliatoi, nel campo e nel tunnel<br />

che porta al prato dove la voce registrata <strong>del</strong>la folla fa vivere al visitatore le<br />

sensazioni dei giocatori negli istanti <strong>del</strong> prepartita. Si è accompagnati dallo staff<br />

anche nel ristorante dove mangiano i giocatori prima dei match e nella stanza<br />

allestita per i matrimoni riservata a chi voglia suggellare il giorno più bello nel nome<br />

134


<strong>del</strong>la squadra <strong>del</strong> cuore. Allo stadio vi sono conference rooms affittabili tramite un<br />

team nel gruppo United che si occupa di conference, catering and events, e sale per<br />

pranzi e cene dei dirigenti. Il valore <strong>del</strong>l’Old Trafford permette di pensare a iniziative<br />

come quella ipotizzata dal club insieme al gruppo americano di casinò Las Vegas<br />

Sands: creare un complesso di intrattenimento comprendente casa da gioco, albergo,<br />

hotel a 5 stelle, ristoranti e centro benessere nell’area antistante l’impianto di Sir<br />

Matt Busby Way. L’idea è stata lasciata cadere, ma permette di immaginare quali<br />

fantasie solletichi questo impianto.<br />

Le scuole <strong>calcio</strong>, solitamente utilizzate per addestrare giovani talenti, sono diventate<br />

un’altra area di enorme interesse per il MU sia dal punto di vista economico che per<br />

la creazione <strong>del</strong> brand value. Il progetto MUSS, Manchester United Soccer School,<br />

da diversi anni ha due programmi: Residential e Roadshow, aperti a ragazzi da 8 a 16<br />

anni. Il Residential si svolge nello Staffordshire, a un centinaio di km da Manchester,<br />

mentre il Roadshow va in giro per la Gran Bretagna. Il primo costa circa 583 euro<br />

per 7, 10 o 14 giorni di corso con tecnici <strong>del</strong> club, visite al megastore e al museo,<br />

seminari su come si comporta un calciatore anche al di fuori <strong>del</strong> campo, fornitura <strong>del</strong><br />

kit ufficiale e certificato di presenza. Le date in cui si tiene sono quelle in cui i<br />

ragazzi sono liberi dalla scuola. Il Roadshow, aperto ai bambini più piccoli, dura solo<br />

un paio di giorni, è costituito da una trentina di date in Inghilterra, Galles e Scozia: si<br />

parte ad aprile, si finisce ad ottobre, costo 57 euro. I famosi campioni <strong>del</strong>la prima<br />

squadra prendono parte al programma MUSS in qualità di testimonial e premi ad<br />

estrazioni, naturalmente targati United, sono in palio per gli iscritti. Sia stabili che<br />

itineranti scuole <strong>calcio</strong>, infine, sono state inaugurate dalla società in varie parti nel<br />

mondo. Al valore <strong>del</strong> marchio è quindi legata tutta l’attività commerciale <strong>del</strong> club, il<br />

cui obiettivo è convertire i tifosi in clienti. E il Man Utd, come visto, è stato<br />

incoronato quale squadra di <strong>calcio</strong> dal valore di marca maggiore, oltre a guidare la<br />

classifica relativa alla capacità di produrre introiti legati al brand, 637.1 milioni di<br />

euro. Il club, tramite la Manchester United Foundation, fondata per celebrare i 50<br />

anni <strong>del</strong>lo United nelle competizioni europee, si pone inoltre lo scopo di educare i<br />

giovani e motivarli a costruirsi una vita migliore per sé stessi e la comunità in cui<br />

loro vivono offrendo un allenatore specializzato in grado, attraverso il <strong>calcio</strong>, di<br />

aiutarli a crescere come giocatori e soprattutto come persone.<br />

135


Le radici <strong>del</strong>la grandezza dei “Red Devils” affondano nella loro storia. Il MU è stato<br />

fondato nel 1878 dai ferrovieri <strong>del</strong>la Lancashire and Yorkshire Railway Company. Il<br />

primo nome è stato Newton Heath Y and LR Cricket and Football Club, nel 1902 è<br />

poi arrivata la bancarotta dalla quale è nato il club attuale. La crescita come squadra<br />

e marchio dal valore internazionale è cominciata però molto tempo dopo, alla fine<br />

<strong>del</strong>la seconda guerra mondiale nel periodo di reggenza <strong>del</strong> leggendario tecnico Sir<br />

Matt Busby, al cui ricordo è stata dedicata una statua e il nome <strong>del</strong>la strada dove si<br />

trova lo stadio. Grazie a lui e a giocatori come Bobby Charlton, Duncan Edwards ed<br />

Eddie Colman è nato lo stile di gioco d’attacco che contraddistingue la società<br />

<strong>del</strong>l’Old Trafford e nel cui spirito vengono allevati i ragazzi <strong>del</strong> club. Un punto di<br />

svolta è paradossalmente stato rappresentato dall’incidente aereo <strong>del</strong> 6 febbraio 1958.<br />

L’aereo che trasportava la squadra di ritorno da Belgrado precipitò a Monaco di<br />

Baviera: morirono in otto giocatori, tra i 23 passeggeri, mentre in due non misero più<br />

piede in campo. Tutto il Regno Unito cominciò a simpatizzare per quella squadra<br />

fortissima sconfitta dal fato, e un orologio, ancor oggi fermo sull’ora <strong>del</strong>la tragedia,<br />

si trova nello stadio ad imperitura memoria.<br />

Il numero di supporter cominciò a crescere, il club venne identificato con gioventù,<br />

mentalità di gioco offensiva, stile e fascino in quegli anni ’60 molto inglesi di James<br />

Bond e Sean Connery, dei Beatles e appunto <strong>del</strong> Manchester United di George Best,<br />

vincitore <strong>del</strong>la Coppa dei Campioni nel 1968 contro il Benfica. Negli anni successivi<br />

i “Diavoli Rossi” persero parte <strong>del</strong> loro smalto, finché nel novembre 1986 arrivò alla<br />

loro guida Alex Ferguson, il manager scozzese che raccolse l’eredità di Busby e<br />

riuscì ad ottenere, vincendo la Champions League nel 1999, la nomina di Sir. I nuovi<br />

miti divennero Eric Cantona, Ryan Giggs, David Beckham, Cristiano Ronaldo e<br />

Wayne Rooney.<br />

Nel brand United due capisaldi sono immagine e reputazione. L’immagine si basa su<br />

quattro fattori chiave: tipo di gioco che veicola messaggi quali passione e<br />

brillantezza, interpretato dalla squadra con uno stile d’attacco, rappresentazione di<br />

vitalità giovanile, con i tanti ragazzi di successo venuti fuori dal vivaio o i talenti<br />

ingaggiati in verde età, la sovrapposizione tra bravura in campo e celebrità da stelle<br />

fuori dal rettangolo di gioco e, infine, l’internazionalità <strong>del</strong> marchio. Quest’ultimo<br />

fattore è stato evidenziato soprattutto dalla partnership con la statunitense Nike, che<br />

136


nel 2002 raggiunse un accordo per 13 anni investendo circa 447.6 milioni di euro<br />

nello United. Da quel momento, oltre alla sponsorizzazione, i settori licensing e <strong>del</strong>la<br />

vendita al dettaglio <strong>del</strong> club sono competenza sia <strong>del</strong>la multinazionale <strong>del</strong>l’Oregon<br />

che <strong>del</strong> club: i direttori aziendali sono equamente divisi, ma il presidente, con diritto<br />

di voto decisivo, è nominato da Nike. Obbligo <strong>del</strong> club, pena la riduzione <strong>del</strong><br />

corrispettivo economico, la partecipazione in tutte le stagioni alle competizioni Uefa<br />

e il piazzamento ai primi posti <strong>del</strong>la Premiership inglese.<br />

La MU Merchandising Ltd, la compagnia che si occupa <strong>del</strong>la gestione <strong>del</strong> business,<br />

ha gli uffici presso l’Old Trafford, ma il punto centrale <strong>del</strong> merchandising resta il<br />

megastore <strong>del</strong>lo stadio con i suoi oltre 500 metri quadrati, per superficie il più grande<br />

al mondo per la vendita di prodotti legati al <strong>calcio</strong>. Lì si trova tutto ciò che possa<br />

esistere con il marchio dei “Diavoli Rossi”: cuscini e lettini, pouf e cappelli dalla<br />

tipica forma cinese, orologi da muro e coperte, ovviamente tutto il materiale tecnico-<br />

sportivo e quello legato alla tradizione <strong>del</strong> club, tutta la storia in libri e videocassette,<br />

Babbo Natale “Red Devil”, bicchieri da birra con su scritto I’m red and proud,<br />

pigiami per bambini, teli da bagno, articoli per cancelleria e toilette, specchi,<br />

giocattoli e videogames, carta da parati, copriletto e federe con l’immagine di Wayne<br />

Rooney, tende ed addirittura orologi da parete con la divisa disegnata. Il pezzo forte<br />

è ovviamente la maglietta <strong>del</strong>lo United, cui i giocatori non pongono più alcun<br />

autografo perché si è scoperto venivano vendute a prezzo maggiorato su Internet.<br />

L’originale costa nello store circa 67 euro, optional esclusi come la stampa di nome e<br />

numero, o lo stemma <strong>del</strong>la Premier League o <strong>del</strong>la Champions League, mentre fuori,<br />

con i venditori con i quali Nike ha stipulato accordi, generalmente triennali, è<br />

possibile comprarla per meno, ma solo lo staff <strong>del</strong> megastore può imprimere sulla<br />

maglia le stampe ufficiali. In ogni caso Nike vende all’ingrosso le magliette a 21.30<br />

sterline in Gran Bretagna e in Europa a 31.40 euro ed il dettagliante è libero di<br />

rivenderla a qualunque cifra nel proprio negozio. È stato inoltre possibile ordinare la<br />

nuova divisa 2011/12, prima che essa fosse presentata, al costo di poco più di 67<br />

euro. Anche lo United, al pari <strong>del</strong> mercato italiano, ha dovuto però fare i conti con la<br />

contraffazione, che costa al club circa tre milioni di sterline all’anno solo in Asia e<br />

vede il management societario impegnato nella lotta al fianco <strong>del</strong>le autorità locali e<br />

<strong>del</strong>le altre compagnie globali.<br />

137


Tabella 13 – I 15 maggiori partner <strong>del</strong> Manchester United nel 2010 – (€ Mln)<br />

Azienda<br />

Aon<br />

Corporation<br />

Nike<br />

Hublot<br />

Thomas<br />

Cook<br />

MTN<br />

Icomera<br />

3 Indonesia<br />

Bharti Airtel<br />

Betfair<br />

Globalcom<br />

Limited<br />

Telekom<br />

Malaysia<br />

Turkish<br />

Airlines<br />

Aigo<br />

Vina Concha<br />

y Toro<br />

Epson<br />

Fonte: Futebolfinance. (Ns. elab.)<br />

Durata<br />

Accordo<br />

4 anni<br />

2010-2014<br />

13 anni<br />

2002-2015<br />

4 anni<br />

2009-2013<br />

4 anni<br />

2010-2014<br />

3.5 anni<br />

2010-2013<br />

4 anni<br />

2009-2013<br />

3.5 anni<br />

2009-2012<br />

5 anni<br />

2009-2014<br />

3 anni<br />

2009-2012<br />

5 anni<br />

2010-2015<br />

5 anni<br />

2010-2015<br />

3.5 anni<br />

2010-2013<br />

5 anni<br />

2009-2014<br />

3 anni<br />

2010-2013<br />

2 anni<br />

2011-2013<br />

138<br />

Fatturato<br />

Totale<br />

Fatturato<br />

Annuo<br />

94 23.5<br />

447.6 34.430<br />

11.5 2.875<br />

6 1.5<br />

2.5 0.71<br />

0.30 0.075<br />

2.5 0.71<br />

11 2.2<br />

5.5 1.8<br />

18.5 3.7<br />

6.5 1.3<br />

4 1.150<br />

19 3.8<br />

5.2 1.750<br />

3 1.5<br />

Totale 637.1 81.01<br />

Strategia tipica da imprese leader quali sono Nike e MU per limitare tal fenomeno è<br />

la Premier Cup, ideata dall’azienda Usa e dal 2002 gestita in collaborazione con gli<br />

inglesi. Questa manifestazione vede impegnati calciatori under 15 e si sviluppa<br />

invitando società, una parte sponsorizzate dalla stessa Nike, provenienti nelle ultime<br />

edizioni da una cinquantina di paesi <strong>del</strong> mondo per un totale di circa 8.000 squadre<br />

nell’ultima annata. In 20 club arrivano alle finali mondiali e la Nike copre tutte le


spese ai 400 partecipanti alla fase finale, solitamente <strong>del</strong>la durata di una settimana.<br />

Queste iniziative rientrano nella visione <strong>del</strong> Manchester United come azienda globale<br />

che da tempo ha deciso di annullare i propri confini ampliando il mercato potenziale<br />

al mondo. L’ampiezza <strong>del</strong>la sua tifoseria è da capogiro: si parla di circa 75 milioni di<br />

fans nel mondo, di cui il 20% sarebbe in Gran Bretagna. Altri dati parlano di 40<br />

milioni di tifosi solo in Asia, di cui 24 in Cina e 4 in Usa. I tifosi affiliati al club sono<br />

130mila, i telespettatori <strong>del</strong>le gare trasmesse su Sky in media 3 milioni circa, la<br />

maggior parte britannici, ma i match sono venduti a emittenti di 160 paesi. Oltre che<br />

nel megastore e nei negozi, in tutto il mondo in cui Nike distribuisce il materiale dei<br />

“Red Devils” lo United vende tramite posta, Internet e telefono: oltre 700mila<br />

cataloghi sono spediti in Usa, Honk Kong, Sudafrica. Per quanto riguarda gli Stati<br />

Uniti, il club ha lavorato mettendo in piedi nel 2001 una partnership con la squadra<br />

di baseball dei New York Yankees e svolgendo nelle estati 2003 e 2004 tournée negli<br />

Usa proprio al fine di rinforzare il proprio marchio. Nel 2002 è stato siglato un<br />

accordo con Terra Lycos, il più vasto network Internet globale, per i tanti tifosi che<br />

non hanno l’inglese come madre lingua, in Cina, America Latina, Europa, Asia e<br />

Stati Uniti. Ma è il mercato asiatico il più ghiotto e come tutti i brand calcistici<br />

internazionali anche da Manchester si ci sono buttati a capofitto: megastore <strong>del</strong> club<br />

e ristoranti Red Cafè sono già presenti nel Far East e nel Golfo Persico è nata<br />

l’ultima scuola <strong>calcio</strong> <strong>del</strong> club a Dubai. Proprio le scuole <strong>calcio</strong>, da un paio di anni in<br />

giro per il mondo, sono state utilizzate dal MU come chiave per accedere a nuovi<br />

mercati. Nell’ottobre 2004 la prima Academy extraeuropea aperta ad Honk Kong,<br />

quindi a Seattle e infine a Dubai. Ci sono anche i camp itineranti: nel 2004 sono<br />

arrivati in Sudafrica e in vari stati Usa, sia nella costa est che in quella ovest. Per<br />

ogni mercato è portata avanti una diversa strategia, nel rispetto dei principi di<br />

segmentazione <strong>del</strong>la clientela: ad Honk Kong il corso dura sei mesi e si tiene una<br />

volta a settimana, in America da tre a sei mesi con due lezioni a settimana, in Gran<br />

Bretagna, come visto in precedenza, solo due giorni, a Parigi ci sono tre corsi estivi e<br />

due invernali, ma dura solo un giorno, il prezzo è la metà di quello britannico ed è<br />

possibile per i papà seguire la lezione insieme ai figli. In Asia fu poi fatto un ulteriore<br />

passo avanti con la prima partnership con una compagnia che ha base lì. L’accordo,<br />

da circa 2,5 milioni di euro, fu stretto con la compagnia aerea low cost malesiana<br />

139


AirAsia, autorizzata ad utilizzare le immagini dei giocatori nelle proprie campagne<br />

pubblicitarie oltre che a poter inserire il proprio marchio sul sito <strong>del</strong> club. Da Pechino<br />

fu invece dato l’annuncio <strong>del</strong>l’estensione per altri quattro anni nel 2005 <strong>del</strong>la<br />

partnership di beneficenza con l’Unicef e insieme al partner Barclays lanciata una<br />

carta di credito solo per utenti cinesi. In Iran, infine, un’affollatissima opera teatrale<br />

fu ambientata a Manchester rappresentando proprio tifosi dei “Red Devils”. Tal<br />

successo è originato anche da un’immagine istituzionale attentamente curata, con la<br />

partecipazione di tutte le componenti <strong>del</strong> club, in primis i calciatori, i quali sono<br />

spesso presenti in qualità di testimonial. Non viene trascurato alcun aspetto: consci<br />

<strong>del</strong>l’importanza <strong>del</strong>le iniziative benefiche, a Manchester hanno stipulato dal 1999<br />

una collaborazione con l’Unicef e da allora il club ha raccolto e devoluto oltre 1<br />

milione di sterline in favore dei piccoli meno fortunati. A bambini e disabili <strong>del</strong>la<br />

città è concesso di utilizzare le strutture <strong>del</strong> club e di fruire di corsi di allenamento<br />

gratuiti in un programma <strong>del</strong> quale hanno beneficiato oltre 220mila persone. Dieci<br />

associazioni nazionali che si occupano di beneficenza hanno un accordo grazie al<br />

quale ricevono ogni anno pacchi di articoli firmati dai giocatori utili per raccogliere<br />

fondi da devolvere ai più bisognosi. Come fosse un’istituzione sociale, il club ha un<br />

Centro per il supporto allo studio che, frequentato per lezioni di matematica,<br />

letteratura, information & communication techonology, mira a ridurre il fenomeno<br />

dei ragazzi che abbandonano la scuola. Con tre biblioteche cittadine ha altresì<br />

collaborato a progetti per incentivare la lettura, ma anche per chi non ha intenzione di<br />

studiare esistono programmi trimestrali, in partnership con i Vigili <strong>del</strong> Fuoco e il<br />

Servizio Emergenza di Manchester, per ottenere qualifiche nazionali di lavoro. Ci si<br />

muove, ancora, in direzione dei più svantaggiati residenti in aree depresse o nei<br />

confronti di chi proviene da culture e fedi religiose diverse e, infine, anche per<br />

quanto concerne i rifiuti, tant’è che viene riciclato oltre il 35% <strong>del</strong>le quasi 1.000 di<br />

tonnellate di immondizia prodotte ogni anno ed i rifiuti non riciclati, riutilizzati o<br />

utilizzati nuovamente in altri modi, vengono spediti all’ente locale che li converte in<br />

energia. L’immagine <strong>del</strong> club è curata anche attraverso i canonici canali di<br />

comunicazione, che in alcuni casi lo United ha creato prima di altri. Nell’autunno<br />

1988 è stato ad esempio lanciato il canale tv sui nuovi sistemi digitali e satellitari. La<br />

MUTV, che si può seguire anche online sul sito ufficiale, trasmette, tra l’altro, partite<br />

140


<strong>del</strong>la squadra riserve, amichevoli, match classici <strong>del</strong> passato e interviste ai giocatori.<br />

Oltre alla tv c’è la radio tematica, MU Radio, e il magazine ufficiale, Inside United.<br />

A questo vanno aggiunti i tre editi dai tifosi: Red Issue, Red News e United We<br />

Stand. Il sito internet, www.manutd.com, è invece costituito da 19 sezioni e 125 link<br />

che rimandano alle attività <strong>del</strong>la multinazionale United. Tra le aree più importanti e<br />

maggiormente visitate figurano quelle: finanza, shop, fondazione, telefonia, media e<br />

tv, biglietti, per i quali è previsto un servizio di info sul proprio telefono cellulare,<br />

spazio tifosi e programma di fi<strong>del</strong>izzazione, news, anche sulle lotterie targate MU,<br />

partite, <strong>del</strong>le quali è possibile scaricare highlights, seguire la gara live e vedere<br />

interviste e classifiche e, naturalmente, la homepage. Gli utenti che si connettono<br />

sono mediamente 800mila diversi al mese, oltre 12 milioni le pagine visitate, la<br />

media temporale di visita degli users nel sito è di otto minuti. La versione in lingua<br />

cinese è stata visitata da 1,2 milioni di unique users al mese in media per 30 milioni<br />

di pagine viste. Esiste anche una versione accessibile, creata appositamente per<br />

portatori di handicap, tra l’altro premiata per la sua qualità. <strong>Una</strong> newsletter, Red<br />

View, è inviata a cadenza settimanale agli iscritti e permette di ricevere<br />

gratuitamente notizie, desktop wallpaper, offerte speciali. Ovviamente vanno forniti i<br />

dati personali finendo così nel gigantesco database <strong>del</strong> club. Dal sito si può anche<br />

partecipare ad un gioco chiamato Penalty Challenge, consistente in una sfida ai<br />

rigori. Grande attenzione, infine, è dedicata anche al marketing interno, relativo ai<br />

dipendenti. Uno spazio sul sito è riservato a chi tra i tanti che lavorano in società si è<br />

distinto per produttività e dedizione e il migliore viene insignito <strong>del</strong> premio speciale<br />

di impiegato <strong>del</strong>l’anno.<br />

4.2.1 Le principali operazioni sul marchio dei club italiani<br />

Il rapporto tra i club italiani e le politiche di brand non si limita fortunatamente alle<br />

sole operazioni illegali condotte negli anni passati 27 . In <strong><strong>It</strong>alia</strong>, al di là <strong>del</strong>la cessione<br />

<strong>del</strong> brand a proprie aziende al puro scopo di abbellire il bilancio, infatti, chi ha<br />

lavorato per tradurre i teoremi sul brand equity in un marchio vincente è stato il<br />

Milan dall’avvento alla presidenza di Silvio Berlusconi nel 1986. Il proprietario <strong>del</strong><br />

club rossonero, sin dall’atto <strong>del</strong> suo insediamento, ha dettato i valori patrimonio <strong>del</strong>la<br />

27 Consultare il paragrafo 2.8<br />

141


società: valore nazionale, con il club simbolo <strong>del</strong>l’<strong><strong>It</strong>alia</strong> vincente nel mondo, valore<br />

sociale e valore tecnico, ossia il prodotto in sé, da tradursi in un gioco spettacolare.<br />

Berlusconi ha indicato al tempo stesso le regole da seguire: nell’importanza <strong>del</strong><br />

marketing interno possono essere ricondotte quelle relative alla squadra che è più<br />

importante <strong>del</strong> singolo, quindi la forma, che deve essere sempre educata e civile, sino<br />

alla salute psico-fisica dei calciatori (con la creazione a tal proposito <strong>del</strong> laboratorio<br />

medico-atletico Milan Lab). Infine, per quanto concerne i rapporti con l’esterno, i<br />

tesserati devono sempre proiettare compattezza e coesione. <strong>Una</strong> strategia che ha<br />

fruttato al club rossonero partnership stile United, come quella che ha visto lo scorso<br />

maggio rinnovato per 3 anni il contratto tra i “Diavoli” e MSC Crociere. Nell’ambito<br />

<strong>del</strong>l’accordo, i clienti che sono partiti con l’azienda crocieristica lo scorso 5 giugno<br />

hanno potuto viaggiare assieme a due calciatori, Mario Yepes e Marek Jankulovski,<br />

durante una crociera di sette giorni nel Mediterraneo che ha permesso loro anche di<br />

incontrare al Camp Nou di Barcellona vecchie glorie <strong>del</strong> Milan come Franco Baresi e<br />

Daniele Massaro. A bordo i clienti-tifosi hanno inoltre potuto seguire dei workshop<br />

specifici sulla preparazione atletica e l’alimentazione dei calciatori, mentre i più<br />

piccoli hanno potuto partecipare alle iniziative <strong>del</strong> Milan Junior Camp. MSC sarà<br />

inoltre sponsor in agosto <strong>del</strong> XXI Trofeo Berlusconi – MSC Crociere Cup e<br />

parteciperà a tutti gli eventi sportivi organizzati dalla Fondazione Milan. I possessori<br />

di Cuore Rossonero e Carta Viva Milan, la carta di credito ufficiale <strong>del</strong> club, possono<br />

inoltre usufruire di tariffe speciali e promozioni esclusive per le crociere a bordo<br />

<strong>del</strong>le navi MSC. Grande importanza alla valorizzazione <strong>del</strong> proprio brand sul campo<br />

e non solo dal punto di vista <strong>del</strong>l’immagine è stata data ancor più dalla Juventus, che<br />

nel 2004 ha proceduto al restyling <strong>del</strong>lo stemma <strong>del</strong> club per trasmettere ai tifosi la<br />

propria volontà di proiettarsi verso il futuro. I bianconeri continuano a promuovere il<br />

marchio Juventus nel mondo, per esempio attraverso la partecipazione <strong>del</strong>la squadra<br />

a tornei e manifestazioni sportive nei paesi dove il <strong>calcio</strong> è più richiesto, come Nord<br />

America, Africa ed Estremo Oriente, o attraverso il coordinamento <strong>del</strong>la gestione <strong>del</strong><br />

marchio con l’immagine <strong>del</strong>la squadra e dei calciatori. Rientra in questa logica anche<br />

la stipula di partnership e contratti di sponsorship con società titolari di marchi<br />

rinomati a livello internazionale, al fine di valorizzare reciprocamente i rispettivi<br />

segni distintivi. La modernizzazione <strong>del</strong> logo <strong>del</strong>la società torinese ha rappresentato<br />

142


un passo importante nel rafforzamento <strong>del</strong>l’immagine commerciale <strong>del</strong> club, che ha<br />

lasciato ovviamente intatti i caratteri essenziali che hanno contraddistinto 107 anni di<br />

storia, ovvero i colori bianco e nero e i riferimenti al nome <strong>del</strong>la squadra e alla città<br />

di Torino. I vantaggi derivanti dalla forza propria <strong>del</strong> marchio Juventus sono<br />

soprattutto legati al business to business. La società vanta intorno alle 60 partnership<br />

con aziende che operano nei settori più disparati e che utilizzano l’enorme forza<br />

mediatica <strong>del</strong> club bianconero per espandere il proprio nome. La strategia <strong>del</strong>la Juve<br />

per lo sviluppo <strong>del</strong>le relazioni di partnership si basa su due capisaldi: l’esclusiva<br />

merceologica e il numero chiuso, due principi che sono ormai applicati in tutte le<br />

società di vertice. Nel primo caso si garantisce al partner il non abbinamento con<br />

marchi ad esso concorrenti, nel secondo si riduce il numero degli accordi assicurando<br />

al partner un certo grado di visibilità. In osservanza di questa strategia, la Juventus ha<br />

un numero di inserzionisti molto più basso rispetto alla media <strong>del</strong>la Serie A. Ciò non<br />

impedisce alla “Vecchia Signora” di lavorare con un elevato numero di aziende,<br />

grazie alle ben 70 diverse possibilità di comunicazione e promozione, personalizzate<br />

e flessibili, che la società offre loro nelle sue tre aree commerciali: brand exposure,<br />

pubbliche relazioni e brand image. La società, in particolare, occupa il settimo posto<br />

nella graduatoria Deloitte & Touche inerente i diritti Media con un incasso di 132.5<br />

milioni di euro 28 , cui si aggiungono gli 8 milioni garantiti da Betclic per le gare<br />

interne e i 3.5 di Balocco per le gare esterne in qualità di jersey-sponsor. Tra i vari<br />

accordi stipulati merita particolare attenzione quello di sponsorizzazione tecnica con<br />

Nike. La partnership è iniziata nel 2003, un anno dopo quella firmata con il<br />

Manchester United, e scadrà allo stesso modo nel 2015. Anche in questo caso sono<br />

state fissate <strong>del</strong>le clausole inerenti le performance <strong>del</strong> club, con l’azienda americana<br />

che ha garantito un tetto minimo di 187 milioni di euro, poi ridimensionato in<br />

occasione <strong>del</strong>l’anno in Serie B post Calciopoli, quando, invece dei 15 milioni<br />

originariamente pattuiti, la multinazionale ne versò 5. Nell’ambito <strong>del</strong>l’accordo con<br />

la casa di abbigliamento sportivo è stata anche costituita una società, la Juventus<br />

Merchandising S.r.l., che impiega 22 persone e gestisce e sviluppa a livello nazionale<br />

ed internazionale l’attività di licensing e merchandising e la distribuzione di prodotti<br />

e servizi caratterizzati dal brand Juventus. Tra le principali iniziative attivate in<br />

28 Consultare il paragrafo 2.4<br />

143


partnership con Nike rientrano gli Juventus Stores, inaugurati nel settembre 2003 in<br />

contemporanea a Torino e a Tokyo, il sito web www.Juvestore.com ed il progetto<br />

Juventus Soccer Schools. Visto il grande successo riscosso dal nuovo sito <strong>del</strong> club, la<br />

società bianconera pensò anche di sfruttare le opportunità derivanti dall’information<br />

technology attraverso un sito dedicato agli sponsor e ai partner in ottica business to<br />

business. Juventus Soccer Schools è un’iniziativa nata nel 2004 che si rivolge al<br />

mondo dei giovani calciatori e <strong>del</strong>le scuole <strong>calcio</strong>. Il progetto ha l’obiettivo di<br />

consentire agli appassionati di muovere i primi passi nel mondo <strong>del</strong>lo sport e <strong>del</strong><br />

<strong>calcio</strong> seguendo il cosiddetto “metodo Juventus”. Grande attenzione è rivolta non<br />

solo agli aspetti professionali, ma anche alle componenti formative e di<br />

intrattenimento. Le iniziative attivate in tal senso sono: Juventus University,<br />

destinata ad allenatori qualificati, Juventus Academy, per società affiliate in <strong><strong>It</strong>alia</strong> e<br />

all’estero, e Juventus Camp, per lo sport e il divertimento estivo dei bambini.<br />

L’attenzione alla base tifosi è una componente imprescindibile <strong>del</strong>la strategia <strong>del</strong>la<br />

società torinese, in quanto rappresenta una ricchezza ineguagliabile. Come tale<br />

necessita però di essere coltivata e conosciuta al fine di fornire ai fan servizi e<br />

prodotti sempre più aderenti ai loro desideri e alle loro aspettative. È da ricordare<br />

anche, e rientra comunque nelle strategie volte alla costruzione e al consolidamento<br />

<strong>del</strong>la reputazione societaria, che la Juventus da sempre è protagonista di iniziative di<br />

carattere sociale. Filo conduttore dei progetti avviati negli ultimi anni sono la<br />

solidarietà e l’integrazione. In particolare grande importanza hanno il programma<br />

“Fatti e progetti per i giovani”, finalizzato a migliorare le condizioni di vita e di<br />

studio dei ragazzi in difficoltà, il centro di accoglienza intitolato alla memoria di<br />

Edoardo Agnelli e l’appoggio ed il sostegno garantiti da diversi anni alle attività<br />

<strong>del</strong>la Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro. Nell’esercizio 2003/2004 è<br />

stata poi lanciata l’iniziativa “Crescere insieme al Sant’Anna” rivolta alla raccolta dei<br />

fondi necessari per la ristrutturazione <strong>del</strong> reparto di Neonatologia Ospedaliera<br />

<strong>del</strong>l’Ospedale Sant’Anna di Torino. La Juventus ha inoltre negli anni studiato la<br />

realizzazione di progetti di diversificazione dei ricavi, con particolare attenzione a<br />

fonti di reddito maggiormente stabili e costanti, concentrandosi soprattutto su<br />

investimenti in attività collaterali e connesse al proprio core business nei settori<br />

<strong>del</strong>l’intrattenimento, <strong>del</strong> tempo libero e <strong>del</strong>l’area commerciale. È da leggersi in tal<br />

144


senso la costruzione <strong>del</strong> nuovo Delle Alpi e la cessione dei naming rights all’azienda<br />

Sportfive, che gestirà i diritti <strong>del</strong>l’impianto garantendo ai bianconeri 75 milioni di<br />

euro in 12 anni. Dal punto di vista architettonico il nuovo stadio si ispirerà al St.<br />

James Park di Newcastle ed avrà una struttura semplice, comoda e sicura. Disposto<br />

su due anelli, il nuovo stadio vedrà diminuire i posti dagli attuali 69mila a 32-38mila<br />

unità, con una copertura leggera per proteggere gli spettatori dalla pioggia. Da centro<br />

di costo qual era, considerato l’esoso canone di affitto di 900mila euro l’anno che<br />

Juve e Torino dovevano corrispondere, cui si aggiungeva il concorso al 50% nelle<br />

spese straordinarie, lo stadio diventerà finalmente una fonte di ricavo per i colori<br />

bianconeri, a partire dall’iniziativa Accendi una stella, che consentirà alla “Vecchia<br />

Signora” di accrescere il proprio feeling con i tifosi producendo in contemporanea<br />

importanti ricavi grazie alla loro trasformazione in tifosi-clienti. Altrettanta<br />

importanza ha infine avuto, come idea, il progetto Mondo Juve. Nel mese di marzo<br />

2001 la Juventus Football Club S.p.A. acquisì il controllo <strong>del</strong>la Campi di Vinovo<br />

S.p.A., società proprietaria di un’area a sud di Torino situata nei Comuni di<br />

Nichelino e Vinovo. Sui circa 150.000 mq <strong>del</strong>l’area sarebbe dovuto sorgere il nuovo<br />

Centro Sportivo <strong>del</strong>la società bianconera, destinato a divenire sede di preparazione<br />

ed allenamento di tutte le squadre <strong>del</strong>la società, dalla prima squadra alla scuola<br />

<strong>calcio</strong>, nonché degli impianti e strutture collaterali e di carattere sportivo e medico-<br />

sanitaria. Nel 2007 i bianconeri hanno invece ceduto alla Gilardi S.p.A. le azioni in<br />

proprio possesso per 25 milioni di euro, con tanto di contratti e attività relative alla<br />

realizzazione di Mondo Juve, spiegando che l’operazione era mirata alla<br />

razionalizzazione <strong>del</strong>la struttura relativa al progetto Mondo Juve mediante<br />

l’accentramento di tutti gli elementi, beni e rapporti giuridici attinenti al progetto, in<br />

Campi Vinovo, struttura di allenamento di tutte le squadre di cui il club di Torino è<br />

rimasta proprietaria.<br />

La svolta organizzativa <strong>del</strong>la Juventus, che ha introdotto il club al lungo ciclo di<br />

successi antecedente Calciopoli e all’affermazione definitiva come marchio<br />

internazionale consolidato, è da collocarsi a metà degli anni ’90, e può essere<br />

associata al nome di Umberto Agnelli. Il fratello <strong>del</strong>l’“avvocato” prese in mano le<br />

redini <strong>del</strong>la società, deciso a cambiarne la direzione gestionale. La riorganizzazione<br />

portò alla costituzione <strong>del</strong>la “triade”: Antonio Giraudo, ex manager FIAT, al<br />

145


controllo dei conti, Roberto Bottega a rappresentare la continuità <strong>del</strong>lo “stile Juve” e<br />

Luciano Moggi, da tutti considerato l’uomo più influente <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> italiano,<br />

responsabile <strong>del</strong>l’area tecnica. In aggiunta, un team guidato da Romy Gai cominciò<br />

ad occuparsi <strong>del</strong>l’area commerciale, che necessitava di un grande sviluppo.<br />

L’obiettivo unico, e affatto nascosto, era quello di tornare a primeggiare. I risultati<br />

ottenuti sul campo sono sotto gli occhi di tutti, e da un punto di vista economico-<br />

finanziario la Juventus, nonostante le difficoltà <strong>del</strong>la ricostruzione successiva alla<br />

retrocessione <strong>del</strong> 2006, rappresenta una <strong>del</strong>le principali realtà italiane ed europee.<br />

Chi ha trattato il proprio brand soprattutto in relazione al rapporto con i propri tifosi è<br />

l’Inter, che ha optato per una piattaforma di marketing operativo che prevede una<br />

rivista, Inter Football Club, che esiste da circa 40 anni e che ha una tiratura intorno<br />

alle 30.000 copie al mese, Inter Channel, canale tematico totalmente dedicato ai<br />

nerazzurri creato congiuntamente dall’Inter e da Rai Trade, e 70.000 soci iscritti a<br />

886 club, di cui 48 risiedono in città all’estero, a cui devono essere sommati gli Inter<br />

Campus, che sono indirizzati ai giovani calciatori con l’intento di svolgere un’opera<br />

di reclutamento di potenziali nuovi talenti e che, tramite 85 società affiliate, contano<br />

un patrimonio di 20.000 ragazzi iscritti. Le vere punte di lancia di questa piattaforma<br />

di marketing sono lo stadio e, in chiave tecnologica, il sito internet. Il primo fa<br />

convergere su di sé una comunità che in media sottoscrive 50.000 abbonamenti e<br />

raccoglie circa un milione e mezzo di tifosi ogni anno; il secondo conta un 1 milione<br />

e 400mila “unique users” e 18 milioni di pagine visitate al mese. Attraverso il sito<br />

sono già stati raccolti i dati e le caratteristiche di 205mila utenti. Il sito www.Inter.it<br />

è da anni, secondo i dati Nielsen Netratings, il portale sportivo italiano più letto dai<br />

tifosi dopo Gazzetta.it, tant’è che ha vinto tre edizioni <strong>del</strong> premio de Il Sole 24ore e il<br />

premio Sport Marketing 2003 quale miglior sito di club in occasione <strong>del</strong>l’Expogoal.<br />

La tecnologia, in tutto questo, gioca un ruolo fondamentale perché, oltre a permettere<br />

la trasmissione in diretta <strong>del</strong>le partite integrali <strong>del</strong> club, offre anche l’opportunità di<br />

sviluppare il proprio brand ritrasmettendo le fasi salienti dei match o producendo<br />

contenuti, articoli, commenti, interviste ai calciatori o ai dirigenti <strong>del</strong>la squadra,<br />

senza la mediazione di editori o giornalisti. La traduzione <strong>del</strong> sito in sei lingue,<br />

compreso il giapponese, offre inoltre la possibilità di raggiungere rapidamente i vari<br />

tifosi sparsi per il mondo a costi accettabili. Il sito internet è gestito direttamente<br />

146


dallo staff <strong>del</strong>l’Inter e questo approccio è in controtendenza rispetto alla maggioranza<br />

<strong>del</strong>le altre squadre, italiane e non solo, che hanno scelto di dare in service<br />

provisioning il proprio portale. Questo particolare rappresenta uno dei punti di forza<br />

<strong>del</strong>l’Inter, perché i propri tifosi, che possono essere anche raggiunti dalle news<br />

tramite sms, sapendo che il sito è gestito direttamente dalla società si sentono in<br />

contatto diretto con essa. La redazione/ufficio stampa di Inter.it pubblica anche trenta<br />

lanci al giorno, coprendo l’arco <strong>del</strong>le 24 ore grazie ad un’infrastruttura che consente<br />

ritardi minimi rispetto all’evento. Il sito ricopre anche importanti aspetti di<br />

comunicazione business to business perché ha consentito il rilascio di un gran<br />

numero di comunicati, cresciuto fino al punto che l’ufficio stampa ha raddoppiato la<br />

sua produttività. Nell’ambito di un rinnovamento stilistico di Inter.it, nell’ottobre <strong>del</strong><br />

2001 è stato aperto un portale di e-commerce per la vendita di oggetti connessi al<br />

brand <strong>del</strong>l’Inter. Il sito di e-commerce, sottoinsieme <strong>del</strong> sito Inter.it, mediamente<br />

riceve 700 ordini al mese e fattura circa 800mila euro all’anno. Nonostante l’esiguità<br />

<strong>del</strong>le operazioni, il sito di e-commerce ormai conta 32mila clienti registrati. Inter.it<br />

ha altresì un’offerta di prodotti, servizi e luoghi di culto, come lo stadio di San Siro,<br />

che naturalmente coltivano il senso di comunità <strong>del</strong>la tifoseria. Con gli strumenti di<br />

e-business è stato possibile andare oltre i limiti dei canali tradizionali come i fanclub<br />

e la grande distribuzione per facilitare il consumo fisico. Si è creato un mondo<br />

relazionale tra i tifosi e con i tifosi (chat, forum, bacheche e ring di siti amatoriali<br />

non allineati), nuove occasioni di interazione e prodotti di merchandising digitale<br />

(loghi, suonerie, immagini digitali). Si mira ora ad aumentare le interazioni<br />

rispettando le regole <strong>del</strong> permission marketing, ovvero senza essere invasivi ed<br />

educando il neo consumatore-tifoso ai nuovi rituali. Dato l’alto numero di tifosi, il<br />

marketing <strong>del</strong>l’Inter cerca di mettere in piedi un network di punti di rivendita<br />

lavorando in co-branding con alcuni licenziatari, usualmente scelti fra i propri<br />

partner, per poter così offrire dei prodotti e dei servizi anche attraverso canali che<br />

arrivino al tifoso con un reale valore aggiunto e distintivo. Gli attuali licenziatari<br />

sono una cinquantina di cui alcuni operano all’estero, come la multinazionale Nike,<br />

che garantisce al club oltre 14 milioni di euro annui. Proprio la società americana<br />

rappresenta uno dei mo<strong>del</strong>li che la nuova Roma di Thomas DiBenedetto punta ad<br />

emulare in tema di brand di successo. La nuova dirigenza di stampo americano ha<br />

147


puntualizzato, sin dal primo momento, che il suo obiettivo sarà il porre una forte<br />

attenzione al marketing e a tutte le leve attivabili su questo terreno, tenendo al centro<br />

<strong>del</strong>la strategia la cura <strong>del</strong> cliente, che, nel caso specifico, sarà il tifoso giallorosso. Il<br />

nuovo progetto prevede nuove forme di vendita dei tagliandi di ingresso, con offerte<br />

diversificate per gruppi di interesse, per aziende e per target di età, fi<strong>del</strong>izzando<br />

soprattutto i supporter che hanno mostrato negli anni una passione fuori <strong>del</strong> comune<br />

per questa società. In tal ottica vi è l’idea di creare un call center, che, coordinato<br />

dall’area marketing, si occuperà di studiare gli stili di acquisto e gli aspetti<br />

psicologici che stimolano ad acquistare il tagliando-gara o l’abbonamento. Sul<br />

terreno <strong>del</strong>le sponsorizzazioni il benchmark di riferimento è l’Arsenal: pochi<br />

sponsor, ma tutti di livello internazionale. Si parla anche di Academies in giro per il<br />

mondo, così come tournée nei paesi dove le comunità italiane sono molto radicate<br />

(Brasile, Argentina, Francia, Germania e NordAmerica), visite guidate per i turisti<br />

presenti a Roma durante tutto l’anno ed accordi con il Comune, gli uffici <strong>del</strong> turismo<br />

e gli imprenditori alberghieri. L’obiettivo è quello di trasformare la Roma in un<br />

brand di importanza mondiale arrivando ad elevare i ricavi entro il 2015 almeno sino<br />

ad una soglia annua di 15 milioni di euro rispetto ai 6.669 milioni ricavati dalle<br />

attività di publishing e merchandising nel 2011.<br />

Proprio in nome <strong>del</strong>la pubblicizzazione <strong>del</strong> marchio Roma nel mondo, il ds Walter<br />

Sabatini sarebbe stato incaricato di acquistare alcuni calciatori americani, su tutti<br />

l’estroso Landon Donovan dei Los Angeles Galaxy, il quale vanta già esperienze in<br />

Europa con le maglie <strong>del</strong>le tedesche Bayer Leverkusen e Bayern Monaco e<br />

<strong>del</strong>l’inglese Everton, allo scopo di promuovere il club negli USA.<br />

Tabella 14 – Progetto previsionale Publishing e Merchandising Roma con<br />

DiBenedetto<br />

Anno Ricavi (€ Mln.)<br />

2011 6.669<br />

2012 7.336<br />

2013 8.803<br />

2014 11.444<br />

2015 15.449<br />

Fonte: Sporteconomy. (Ns. elab.)<br />

148


Nei progetti vi sarebbe anche una Hall of Fame, un’iniziativa che consisterebbe in<br />

partecipazioni azionarie simboliche <strong>del</strong>la As Roma offerte ad atleti italiani e stranieri<br />

che hanno scritto la storia <strong>del</strong> club ed a grandi personalità <strong>del</strong> mondo <strong>del</strong>lo sport in<br />

grado di veicolare il progetto giallorosso in tutto il mondo. Le idee vi sono, compresa<br />

quella di una gestione <strong>del</strong>lo stadio incentrata sui naming rights e su attività<br />

collaterali, spetterà ora a DiBenedetto tramutarle in fatti sia in campo che fuori per<br />

una Roma competitiva a tutto tondo.<br />

4.3 I jersey-sponsor nel Regno Unito<br />

Il mercato dei jersey-sponsor ha registrato nella stagione 2010/11 un nuovo record di<br />

introiti ed a stabilirlo sono state le squadre iscritte alla Premier League. Secondo una<br />

ricerca di Sporting Intelligence i 20 club inglesi hanno siglato contratti con i propri<br />

partner per un totale di 100,45 milioni di sterline, pari a circa 122 milioni di euro. La<br />

cifra rappresenta un primato non solo per il campionato inglese, ma anche a livello<br />

mondiale. Quello precedente spettava alla Bundesliga 2009/2010 a quota 98.7<br />

milioni di sterline totali, con una media di 6.3 milioni di euro per squadra.<br />

A comandare l’attuale classifica sono Liverpool e Manchester United con ben 20<br />

milioni garantiti rispettivamente da Standard Chartered e Aon. Terzo posto per il<br />

Chelsea, con Samsung che porta nelle casse dei Blues 13.8 milioni. Seguono il<br />

Tottenham, con i 10 milioni di sterline garantite da Autonomy, il Manchester City<br />

con i 7.5 milioni di Etihad e l’Arsenal con i 5 milioni di Fly Emirates.<br />

Tali accordi hanno registrato un notevole incremento rispetto alla stagione 2009/10,<br />

quando la Premier League si era assestata a quota 72.34 milioni di sterline e le prime<br />

<strong>del</strong>la classe erano sponsorizzate da Carlsberg, che garantiva al Liverpool ben 12.55<br />

milioni in meno <strong>del</strong>l’attuale sponsor, e da AIG, il cui accordo con i “Red Devils” era<br />

di 14 milioni di euro. Da registrare in tal senso la scelta di Samsung di consolidare<br />

quest’anno il proprio rapporto con il Chelsea incrementando il precedente accordo di<br />

3.9 milioni di sterline.<br />

In questo contesto che ha visto i club maggiorare o lasciare inalterati i propri introiti,<br />

crea scalpore quanto accaduto a Newcastle e Sunderland, che hanno invece ottenuto<br />

un ribasso. I “Magpies”, nonostante la promozione in Premier League, hanno visto<br />

149


calare di 2.3 milioni il proprio accordo con Northern Rock, mentre i biancorossi<br />

hanno perso 1.5 milioni nel passaggio da Boylesports a Tombola.<br />

Tabella 15 – I proventi derivanti dai jersey-sponsor per i club <strong>del</strong>la Premier<br />

League nella stagione 2010/11 – (£ Mln)<br />

Club<br />

Main Sponsor<br />

2009/10<br />

Valore<br />

Accordo<br />

Main Sponsor<br />

2010/11<br />

Valore<br />

Accordo<br />

Differenza<br />

Liverpool Carlsberg 7.45<br />

Standard<br />

Chartered<br />

20 + 12.55<br />

Manchester<br />

United<br />

AIG 14 Aon 20 + 6<br />

Chelsea Samsung 9.9 Samsung 13.8 + 3.9<br />

Tottenham Mansion 8.45 Autonomy 10 + 1.55<br />

Manchester<br />

City<br />

Etihad 7.34 Etihad 7.5 + 0.16<br />

Arsenal Fly Emirates 5 Fly Emirates 5.5 + 0.50<br />

Aston Villa Acoms 0 FxPro 5 + 5<br />

Fulham LG 3 FxPro 4 plus + 1 plus<br />

Everton Chang Beer 2.6 Chang Beer 2.6 = 0<br />

Newcastle Northern Rock 4.8 Northern Rock 2.5 - 2.3<br />

West Ham SBOBET 1.7 SBOBET 1.7 = 0<br />

Blackburn<br />

Rovers<br />

Crown Paints 1.5 Crown Paints 1.5 = 0<br />

Wolves Sportingbet 0.90 Sportingbet 1.1 + 0.20<br />

Sunderland Boylesports 2.5 Tombola 1 plus - 1.5<br />

Stoke Britannia 1 Britannia 1 = 0<br />

West Bromwich Game by Game n/a Homeserve 0.75 + 0.75<br />

Bolton 188Bet 0.75 188Bet 0.75 = 0<br />

Wigan 188Bet 0.65 188Bet 0.65 = 0<br />

Birmingham<br />

F&C<br />

Investments<br />

0.60<br />

F&C<br />

Investments<br />

0.60 = 0<br />

Blackpool Carbrini 0.20 Wonga 0.50 = 0<br />

Totale:<br />

Totale: Totale:<br />

72.34<br />

100.45 + 28.11<br />

Fonte: Sporting Intelligence. (Ns. elab.)<br />

Da segnalare la crescita di presenze <strong>del</strong>le società di scommesse e giochi online, le<br />

quali la fanno da padrone sulle maglie dei club minori come nel caso <strong>del</strong>la SBOBET<br />

con il West Ham, Sportingbet con il Wolves e di 188bet, che ha confermato il<br />

proprio investimento sia sul Bolton che sul Wigan. Non si è fermato invece ad un<br />

150


solo jersey-sponsor il Tottenham che, dopo aver raggiunto l’intesa di 10 milioni di<br />

sterline con la società di infrastrutture Autonomy per la sponsorizzazione <strong>del</strong>le<br />

maglie indossate in campionato, ha stretto un accordo biennale da 5 milioni di<br />

sterline con l’azienda bancaria Investec per quelle indossate in Champions League,<br />

FA Cup e Carling Cup. Si è invece legata per tre anni all’Arsenal, a partire dalla<br />

prossima Emirates Cup, l’azienda italiana Indesit, leader nel mercato degli<br />

elettrodomestici. Chi si è invece concentrato sul proprio technical sponsor sono<br />

Liverpool e Chelsea, con i “Reds” che hanno affiancato al lucrativo contratto firmato<br />

con Standard Chartered quello pluriennale con l’azienda americana Warrior,<br />

acquisita nel 2004 dalla New Balance, che gli garantirà, a partire dalla stagione<br />

2012/2013, 25 milioni di sterline l’anno per la fornitura <strong>del</strong> materiale tecnico. Il<br />

Chelsea ha invece rinnovato il proprio accordo con l’azienda tedesca Adidas, che le<br />

garantirà circa 172 milioni di euro per altre 8 stagioni. Iniziative di certo interessanti<br />

che, ancora una volta, devono però chinare il capo dinanzi all’intesa raggiunta tra il<br />

Manchester United ed un proprio sponsor, l’Audi, che dal 2004 fornisce a calciatori,<br />

staff tecnico e dirigenti dei “Red Devils” le proprie automobili come auto ufficiali<br />

<strong>del</strong> club. Tale accordo ha anche previsto all’Old Trafford un’area di parcheggio<br />

dedicata esclusivamente alle Audi sino al termine <strong>del</strong>la stagione 2010/2011 e la<br />

sponsorizzazione <strong>del</strong>le panchine, che garantiscono ai tedeschi una notevole visibilità<br />

grazie alle numerose inquadrature operate dai network durante i match. Un’intesa<br />

con gli sponsor, quella che contraddistingue il Regno Unito, che è ben focalizzata<br />

dall’aspetto che la Premier League, nata nel 1992, risulta sponsorizzata già dal 1993,<br />

quando la Carlsberg la affiancò per un accordo che si è concluso nel 2001, quando la<br />

Fa Carling Premiership ha lasciato spazio alla Barclaycard Premiership sino al 2004.<br />

Dal 2001 ad oggi lo sponsor è sempre stato la Barclays, con il nome <strong>del</strong>la<br />

competizione che è cambiato in Barclays Premiership dal 2004 al 2007 ed in<br />

Barclays Premier League sino ad oggi. In particolare, tra il 2007 ed il 2010, il<br />

colosso bancario ha garantito al campionato inglese 65.8 milioni di sterline,<br />

decidendo di sponsorizzare anche il Premier League Asian Trophy, un torneo<br />

amichevole con cadenza biennale che vede protagoniste tre squadre inglesi ed una<br />

rappresentante la nazione asiatica ospitante.<br />

151


4.3.1 Il mercato degli sponsor in <strong><strong>It</strong>alia</strong>: una rivoluzione in atto<br />

Non ha arriso al campionato italiano il mercato degli sponsor relativo alla stagione<br />

2010/2011. Secondo i dati ricavati da un’analisi condotta da Sporteconomy e da noi<br />

implementata, in <strong><strong>It</strong>alia</strong> i club partecipanti all’ultimo campionato di Serie A hanno<br />

prodotto introiti alla voce jersey-sponsor per un totale di 60.9 milioni di euro, ben<br />

14.1 milioni in meno rispetto ai 75 milioni ricavati nell’annata agonistica precedente.<br />

Il Milan è la società regina in questo campo, con Fly Emirates che ha garantito ai<br />

rossoneri 12 milioni di euro, mentre Pirelli ha corrisposto 9.2 milioni all’Inter<br />

vincitrice <strong>del</strong> Triplete. Sono 8 invece i milioni che la Juventus ha ottenuto da Betclic<br />

esclusivamente per la prima maglia, con Balocco che ne ha invece investiti 3.5 per<br />

associare il proprio marchio alla divisa da trasferta. Subito dietro c’è il Napoli: il<br />

logo <strong>del</strong>l’acqua Lete sulle maglie vale 5.5 milioni. Ricava invece 5 milioni la Roma<br />

dal proprio contratto di partnership con Wind/Infostrada. Subito dopo il Cagliari, con<br />

2.5 milioni che gli erano stati promessi da Dahlia Tv, fallita il 25 febbraio 2011 ma<br />

comunque presente sia sulla maglia degli isolani sia nello stadio Sant’Elia sino al<br />

termine <strong>del</strong>la stagione, e 1.6 milioni versatigli dalla Regione Sardegna come secondo<br />

sponsor. Vale invece 2.5 milioni il logo ERG Mobile sulle divise <strong>del</strong>la Sampdoria.<br />

Generano 1.5 milioni in totale tre sponsor a rotazione sulle maglie <strong>del</strong> Chievo:<br />

Merkur Win, Banca Popolare di Verona e Paluani. Vale 1.5 milioni anche il contratto<br />

tra il solo Iziplay ed il Genoa. L’Udinese, splendida quarta in classifica e<br />

qualificatasi ai preliminari di Champions League, ha invece siglato accordi con<br />

Dacia come sponsor primario per 900mila euro e con due sponsor secondari:<br />

Tipicamente Friulano per le gare casalinghe per 250mila euro e Lumberjack per le<br />

sfide in trasferta per 200mila euro. Per il Bologna 400mila euro giungono da<br />

Cerasarda, mentre per il Bari 800mila euro provengono dalla Banca Popolare di Bari<br />

e 250mila dal partner secondario Radio Norba. 1.25 milioni è il valore dei marchi<br />

Navigare e Banca Monte Parma, secondo sponsor, sulle maglie <strong>del</strong> Parma. Valgono<br />

poi 1 milione di euro sia l’accordo tra Energia Siciliana ed il Catania sia quello tra<br />

Eurobet ed il Palermo. UBI Banco di Brescia corrisponde 600mila euro per il<br />

Brescia, 700mila euro incamera poi il Cesena dall’azienda che opera nel campo <strong>del</strong>le<br />

forniture di materiale tecnico Technogym, che ha deciso di confermare la<br />

partnership con i romagnoli anche nella stagione 2011/2012.<br />

152


Tabella 16 – I jersey-sponsor 2010/11 in Serie A – (€ Mln)<br />

Club Main Sponsor 2010/11<br />

Valore<br />

Accordo<br />

Milan Fly Emirates 12<br />

Inter Pirelli 9.2<br />

Juventus<br />

Betclic (Partite in casa)<br />

Balocco (Partite in trasferta)<br />

8<br />

3.5<br />

Napoli Acqua Lete 5.5<br />

Roma Infostrada 5<br />

Catania Energia Siciliana 1<br />

Cesena Technogym 0.70<br />

Brescia UBI Banco di Brescia 0.60<br />

Lecce<br />

Veneto Banca<br />

Bet<strong>It</strong>aly<br />

0.50<br />

0.30<br />

Dacia<br />

0.90<br />

Udinese Tipicamente Friulano (Partite in casa) 0.25<br />

Lumberjack (Partite in trasferta)<br />

0.20<br />

Merkur Win<br />

0.50<br />

Chievo Banca Popolare di Verona<br />

0.50<br />

Paluani<br />

0.50<br />

Parma<br />

Navigare<br />

Banca Monte Parma<br />

0.80<br />

0.42<br />

Genoa IziPlay 1.5<br />

Bari<br />

Banca Popolare di Bari<br />

Radio Norba<br />

0.80<br />

0.25<br />

Lazio Nessuno Sponsor 0<br />

Fiorentina<br />

Mazda (Solo girone di ritorno)<br />

Save The Children<br />

2.5<br />

0<br />

Cagliari<br />

Dahlia TV (Fallita il 25 febbraio 2011)<br />

Regione Sardegna<br />

2.5<br />

1.6<br />

Bologna Cerasarda 0.40<br />

Palermo Eurobet 1<br />

Sampdoria ERG 2.5<br />

Totale:<br />

60.9<br />

Fonte: Sporteconomy. (Ns. elab.)<br />

Nessun contratto è invece stato stipulato dalla Lazio, mentre si sono accordate in<br />

corsa il Lecce, che aveva iniziato il torneo con il solo sponsor secondario Bet<strong>It</strong>aly, e<br />

la Fiorentina che, dopo esser scesa in campo in estate con sulle divise lo slogan Il<br />

<strong>calcio</strong> è divertimento, ha sfoggiato nel girone di andata esclusivamente il logo no<br />

profit di Save The Children. I pugliesi hanno trovato un accordo con Veneto Banca<br />

per 500mila euro, i viola con Mazda per 2.5 milioni per il solo girone di ritorno<br />

2010/2011 e per 4 milioni annui per le prossime due stagioni complete sino al giugno<br />

2013. Anche nel panorama italiano, come in Premier League, grande rilievo hanno<br />

153


le agenzie di scommesse che, oltre a Bwin che ha sponsorizzato la Serie B,<br />

ribattezzata appunto Serie Bwin, hanno sancito accordi con 5 società: Juventus,<br />

Chievo, Palermo, Lecce e Genoa. In questo clima caratterizzato da una parabola<br />

discendente vi è chi cerca di aumentare gli introiti rinnovando i contratti con i<br />

technical sponsor, come la Roma, che si è legata a Basic<strong><strong>It</strong>alia</strong>, Robe di Kappa, sino<br />

al 2016 per oltre 40 milioni, e la Sampdoria, che, prima di retrocedere nella serie<br />

cadetta, ha rinnovato con la medesima azienda italiana per 1.7 milioni netti l’anno.<br />

Dall’immenso valore etico in questo contesto speculativo è stata nell’ultima stagione<br />

la scelta <strong>del</strong>la Fiorentina di dedicarsi alla solidarietà scendendo in campo con Save<br />

The Children per dire basta alla mortalità infantile. Per tutto il campionato la squadra<br />

viola ha infatti sostenuto Every One dando visibilità alle campagne <strong>del</strong>la più grande<br />

associazione indipendente per la difesa dei bambini lanciata da Save The Children<br />

nei suoi 90 anni di storia. Un impegno concreto in aiuto degli 8 milioni di bambini<br />

che ogni anno, in quasi 70 paesi <strong>del</strong> mondo, continuano a morire per cause comuni e<br />

prevenibili. L’obiettivo di Every One è infatti quello di contribuire a ridurre<br />

drasticamente la mortalità infantile entro il 2015, salvando ogni anno circa 500.000<br />

bambini e raggiungendo con programmi di sensibilizzazione, salute e nutrizione circa<br />

50 milioni di donne in età fertile e minori. Ma non si è trattato solo di un’azione di<br />

sensibilizzazione, la Fiorentina ha sostenuto anche un progetto specifico di intervento<br />

contro la mortalità infantile in uno dei paesi in via di sviluppo e porterà avanti<br />

assieme a Save The Children varie iniziative di promozione e raccolta fondi mirate a<br />

sostenere Every One. La prima iniziativa di tal genere operata in <strong><strong>It</strong>alia</strong> risale alla<br />

stagione 2001/2002, quando il Piacenza, anticipando il Barcellona, si legò ad<br />

UNICEF. La partnership, ancor oggi operativa, prevedeva che la società<br />

devolvesse una quota <strong>del</strong>le entrate provenienti dagli abbonamenti e dalla vendita dei<br />

biglietti in favore <strong>del</strong>l’UNICEF. Oltre al significato morale che recava, l’accordo<br />

rappresentava un antidoto contro la violenza ed il razzismo negli stadi di<br />

<strong>calcio</strong>. Occasionalmente, per sensibilizzare i tifosi, i giocatori entravano in quella<br />

stagione in campo con una maglia, sopra quella ufficiale, recante la scritta “Il<br />

Piacenza aiuta l’UNICEF”. A partire dalla stagione successiva il Piacenza Calcio<br />

indossa il logo UNICEF sulle proprie maglie, a testimonianza <strong>del</strong>la profondità di un<br />

legame che si è protratto anche quando, dal campionato 2003/2004, la squadra è<br />

154


etrocessa in Serie B. In particolare il club biancorosso, insieme alla città di<br />

Piacenza, ha contribuito alla realizzazione <strong>del</strong> progetto <strong>del</strong>l’UNICEF “Bambini di<br />

strada”, che ha permesso la ricostruzione di un Centro di accoglienza per i minori<br />

abbandonati nella periferia di Kinshasa, capitale <strong>del</strong>la Repubblica Democratica <strong>del</strong><br />

Congo. La società sportiva ha inoltre devoluto per due anni il 7.5% dei proventi di<br />

tutte le partite giocate in casa affinché si potesse costruire un luogo sicuro e<br />

protetto e creare i presupposti per il reinserimento familiare e professionale dei<br />

bambini. Questa prova di grande generosità ha permesso al Piacenza Calcio di<br />

vincere senza discussioni lo scudetto <strong>del</strong>la solidarietà. Obiettivo, questo, cui non<br />

mirano in egual percentuale le altre società, che, Fiorentina a parte, associano agli<br />

sponsor esclusivamente tornaconti economici. Per poter gestire al meglio<br />

finanziariamente le sponsorizzazioni non di maglia, il Milan, ad esempio, ha deciso<br />

nell’estate 2010 di legarsi sino al 2016 ad Infront, azienda leader in <strong><strong>It</strong>alia</strong> nella<br />

gestione dei diritti sportivi. Quattro i livelli di sponsorizzazione previsti: Top<br />

Sponsor, Premium Sponsor, Official Partner e Official Supplier. I marchi esposti<br />

sono stati maggiormente selezionati la scorsa estate passando dai 42 <strong>del</strong>la stagione<br />

2009/2010 ai 32 di quella appena conclusa. In questo modo ai partner commerciali è<br />

stata assicurata una maggiore visibilità televisiva grazie ad un nuovo format di<br />

esposizione, definito di prima fila, che ha consentito un aumento <strong>del</strong>la visibilità dei<br />

Top Sponsor di quasi quattro volte superiore rispetto al passato. Per gli sponsor<br />

Infront ha inoltre progettato un nuovo concept di Corporate Hospitality per le partite<br />

di Serie A Tim, Tim Cup e amichevoli. Sarà un’area dedicata e riservata per seguire<br />

comodamente le partite casalinghe con vista panoramica sul campo di gioco, terrazza<br />

all’aperto e servizio al tavolo per pranzi e cene. Milan ed Infront continueranno<br />

altresì a valorizzare la strategia web e new media, già implementata nel corso degli<br />

anni dal club, attraverso il Milan Media Factory, un polo integrato di produzione che<br />

consentirà di fruire dei contenuti relativi alla squadra rossonera su diverse<br />

piattaforme: satellite, Internet (sito web, webTV, community, social network) e<br />

mobile. Sempre nell’ambito di sponsor non di maglia singolare è stata l’iniziativa<br />

ideata lo scorso aprile dalla Garofalo, partner <strong>del</strong> Napoli, che ha messo in commercio<br />

una tipologia di pasta denominata Enne, con il formato che, essendo di forma<br />

circolare con una N al centro, richiama il logo ufficiale <strong>del</strong> club partenopeo. Il piatto<br />

155


preferito dai giocatori <strong>del</strong> Napoli, così come è stato scontatamente definito, è stato tra<br />

l’altro servito dalla Garofalo subito dopo la partita <strong>del</strong> San Paolo persa 2-0 dagli<br />

azzurri contro l’Udinese il 17 aprile 2011: l’operazione è stata possibile grazie<br />

all’operato di un camion che, proprio come un servizio di catering, ha seguito la<br />

squadra rifocillando i giocatori seguendo rigorosamente le direttive alimentari <strong>del</strong>lo<br />

staff medico e tecnico. Il rapporto con i propri partner ha invece spinto il Bari e<br />

Master Group Sport ad organizzare la scorsa Pasqua un’iniziativa che ha visto i<br />

rappresentanti dei partner dei “Galletti” scendere in campo per coronare il sogno di<br />

calciare un rigore ai portieri Jean Francois Gillet e Daniele Pa<strong>del</strong>li. I partecipanti<br />

sono anche stati omaggiati in quell’occasione con le uova ufficiali AS Bari prima di<br />

una foto di gruppo con i calciatori, l’allenatore, la società e lo staff Master Group<br />

Sport.<br />

Come la Premier, anche la Serie A ha un main sponsor, la TIM, che da ormai 14<br />

anni, con tanto di rinnovo biennale sino al 30 giugno 2012 siglato nell’estate 2010,<br />

associa il proprio logo a quello <strong>del</strong> massimo campionato nazionale, la Serie A TIM,<br />

alla Coppa <strong><strong>It</strong>alia</strong>, ribattezzata TIM Cup, alla Supercoppa <strong><strong>It</strong>alia</strong>na, denominata<br />

Supercoppa TIM, e al campionato Primavera, il cui nome è ora Campionato<br />

Primavera TIM. La Lega Serie A, al fine di incrementare i propri introiti, ha inoltre<br />

stretto un accordo da 10 milioni di euro con l’azienda cinese United Vansen<br />

International Sports per la disputa per i prossimi tre anni presso lo stadio Nido<br />

d’Uccello di Pechino <strong>del</strong>la finale <strong>del</strong>la Supercoppa TIM tra la squadra vincitrice <strong>del</strong><br />

campionato e colei che ha vinto la TIM Cup. La prima manifestazione tricolore<br />

prevista dal calendario stagionale tornerà dunque a viaggiare per pure questioni<br />

economiche in giro per il mondo dopo le edizioni <strong>del</strong> 1993 all’RFK Stadium di<br />

Washington, <strong>del</strong> 2002 allo stadio 11 giugno di Tripoli, <strong>del</strong> 2003 al Giants Stadium di<br />

New York e quella <strong>del</strong> 2009, l’unica tra le finali itineranti che ha visto sconfitto il<br />

club vincitore <strong>del</strong>lo scudetto, disputata proprio nel medesimo impianto di Pechino.<br />

4.4 Il business degli stadi<br />

Le differenti concezioni di capitalizzazione <strong>del</strong> business in termini di gestione degli<br />

stadi rappresentano il punto di distacco più profondo tra la realtà italiana e quella<br />

inglese. Per poter comprendere appieno i meccanismi che hanno creato una linea di<br />

156


demarcazione tanto netta sotto il profilo <strong>del</strong>la massimizzazione dei profitti derivanti<br />

dalle più svariate opportunità garantite da uno sfruttamento ad hoc degli impianti<br />

sportivi occorre illustrare in primis il come le istituzioni nazionali si sono rapportate<br />

a due diverse tragedie che, loro malgrado, hanno dato il là a <strong>del</strong>le rivoluzioni in<br />

termini di leggi per la sicurezza negli stadi e non solo: l’omicidio Raciti a Catania ed<br />

il crollo <strong>del</strong> tetto <strong>del</strong>lo stadio di Hillsborough a Sheffield, appena quattro anni dopo<br />

l’incendio di Bradford, in Inghilterra.<br />

Venerdì 2 febbraio 2007 a Catania perse la vita Filippo Raciti, esponente <strong>del</strong>le forze<br />

<strong>del</strong>l’ordine colpito a morte nel tentativo di sedare la guerriglia urbana operata dai<br />

tifosi catanesi al termine <strong>del</strong> derby di campionato giocato allo stadio Massimino<br />

contro il Palermo. Si parlò di interventi drastici per reprimere la violenza, di vietare<br />

l’ingresso <strong>del</strong> pubblico negli impianti non in regola, di ispirarsi all’esperienza<br />

<strong>del</strong>l’Inghilterra, dove il fenomeno hooligans è stato represso con interventi concreti<br />

sia a livello legislativo sia a livello di strutture sportive. Il Governo intervenne<br />

bloccando i campionati ed imponendo leggi più severe per i tifosi violenti con il<br />

Decreto Legge n. 8 <strong>del</strong>l’8 febbraio 2007 rubricato Misure urgenti per la prevenzione<br />

e la repressione di fenomeni di violenza connessi a competizioni calcistiche. Il testo,<br />

diviso in 12 articoli, apportava modifiche ai due decreti legge Pisanu (il 28/03,<br />

convertito dalla Legge 88/03, e il 162/05, convertito dalla Legge 210 <strong>del</strong> 2005). I<br />

principali aspetti stabiliti dal decreto riguardano punti come l’ingresso negli stadi non<br />

a norma di soli tifosi in possesso di un abbonamento annuale se l’impianto dispone<br />

almeno di biglietti numerati, varchi dotati di metal detector all’ingresso e barriere in<br />

grado di impedire ai sostenitori <strong>del</strong>le due squadre di venire a contatto. Il giudice (non<br />

più il questore, come invece previsto dalla Legge 401 <strong>del</strong> 1989) dispone inoltre <strong>del</strong><br />

divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive (in sigla<br />

Daspo) per i tifosi che risultano denunciati o condannati, con sentenza definitiva, per<br />

aver preso parte ad episodi di violenza su persone o cose. Chi viene colpito dal<br />

provvedimento restrittivo ha anche l’obbligo di presentarsi in un ufficio o in un<br />

comando di polizia durante lo svolgimento <strong>del</strong>le manifestazioni sportive. È prevista<br />

altresì la reclusione, da uno a quattro anni, per chiunque lanci ed utilizzi, nei luoghi<br />

in cui si svolgono manifestazioni sportive, razzi, bengala e fuochi artificiali e per chi<br />

faccia uso di bastoni e oggetti contundenti. La pena aumenta se dal fatto deriva lo<br />

157


slittamento <strong>del</strong> fischio di inizio, la sospensione, l’interruzione e la cancellazione <strong>del</strong>la<br />

manifestazione sportiva. Sono inoltre previsti dai sei mesi ai tre anni di reclusione<br />

per chi è trovato in possesso di oggetti contundenti ed è aumentato da 36 a 48 ore il<br />

periodo di tempo durante il quale le forze <strong>del</strong>l’ordine possono visionare i filmati<br />

<strong>del</strong>le telecamere ed identificare i responsabili dei disordini. Dal blocco totale si passò<br />

però in brevissimo tempo alle partite a porte chiuse per gli stadi non a norma, per poi<br />

concedere gradualmente l’ok a tutti gli stadi. Dopo la tragedia di Catania, i club, in<br />

contrasto con i Comuni sulla ripartizione <strong>del</strong>le spese, complessivamente ammontanti<br />

a 35 milioni di euro, hanno portato a termine lavori sugli impianti e sulla sicurezza<br />

che si trascinavano da almeno un anno e mezzo, dall’uscita <strong>del</strong> Decreto Pisanu <strong>del</strong> 6<br />

giugno <strong>del</strong> 2005. Spazi adeguati all’ingresso, organizzazione dei controlli, sistemi<br />

d’accesso regolati da speciali tornelli che permettono il passaggio di un solo<br />

spettatore alla volta se in possesso di regolare biglietto nominativo, ma anche sistemi<br />

di video-sorveglianza e di illuminazione interni ed esterni, recinzioni e locali<br />

attrezzati per le forze <strong>del</strong>la polizia: sono questi, nella maggioranza dei casi, i<br />

problemi risolti a tempo di record in quasi tutte le città. La svolta italiana, che il 14<br />

agosto 2009 ha visto anche il varo <strong>del</strong>la Tessera <strong>del</strong> tifoso 29 , non può però fermarsi a<br />

tali provvedimenti, bensì occorre risolvere e non eludere i problemi di fondo, perché,<br />

al di là degli importantissimi concetti di sicurezza, il sistema attuale non massimizza<br />

a dovere le fonti <strong>del</strong> business. L’esperienza inglese fornisce in tal senso ancora una<br />

volta esempi su cui meditare sia nella lotta alla violenza sia nella proficua gestione<br />

<strong>del</strong> business calcistico. Oltremanica l’11 maggio 1985 nello stadio di Bradford si<br />

sviluppò un incendio, probabilmente originato da un fiammifero o da una sigaretta,<br />

che interessò un’intera tribuna <strong>del</strong>l’impianto. A causa <strong>del</strong>le fiamme persero la vita 56<br />

persone, mentre altre 265 subirono conseguenze di diversa entità. Quattro anni più<br />

29 La Tessera <strong>del</strong> tifoso è una card soggettiva dedicata a tutti i tifosi di <strong>calcio</strong> e vuole rappresentare,<br />

tramite l’identificazione di ogni singolo supporter, uno strumento di fi<strong>del</strong>izzazione fra i tifosi e le<br />

squadre. La tessera è rilasciata, su richiesta, dalla società sportiva dopo il nulla osta <strong>del</strong>la questura<br />

competente. Il titolare <strong>del</strong>la card può accedere allo stadio anche nei casi di partite soggette a<br />

restrizioni. Può inoltre godere di procedure veloci per l’accesso allo stadio, attraverso la creazione di<br />

varchi dedicati e può usufruire <strong>del</strong>le eventuali ulteriori promozioni ed opportunità offerte dalle società<br />

calcistiche in esclusiva, come il diritto di prelazione per l’acquisto di biglietti, accumulo di punti,<br />

convenzioni con altre società private come Ferrovie <strong>del</strong>lo Stato, Autogrill e altri partner e sponsor.<br />

158


tardi, il crollo di una parte <strong>del</strong>la struttura <strong>del</strong>lo stadio Hillsborough a Sheffield uccise<br />

96 spettatori. A seguito di questi due eventi nel Regno Unito fu avviata una estesa<br />

attività di revisione e di miglioramento <strong>del</strong>la sicurezza degli impianti sportivi<br />

finalizzata ad evitare il ripetersi di tali tragedie. Lo stato <strong>del</strong>la sicurezza degli stadi<br />

inglesi fu <strong>del</strong>ineato nel rapporto Taylor, seguendo le cui raccomandazioni e<br />

recependone le conclusioni, a partire dal 1990 furono adottati i primi provvedimenti.<br />

In particolare, ad un primo studio complessivo sulla sicurezza degli stadi <strong>del</strong> 1990,<br />

seguì nel 1994 la decisione di ridisegnare le zone per spettatori eliminando i posti in<br />

piedi. Il rapporto Taylor, inoltre, portò alla redazione di una guida alla sicurezza<br />

degli impianti sportivi elaborata dal Ministero <strong>del</strong>la Cultura, <strong>del</strong>lo Sport e <strong>del</strong>lo<br />

Spettacolo insieme al corrispondente organo scozzese. <strong>Una</strong> guida, determinante per<br />

la rivoluzione britannica, che conteneva le indicazioni sui compiti degli organi che<br />

autorizzano e certificano gli impianti sportivi con lo scopo di assisterli nella<br />

valutazione <strong>del</strong>la sicurezza. La ricetta inglese per riportare la gente negli stadi, in<br />

particolare, è passata attraverso la completa ristrutturazione degli impianti con<br />

l’eliminazione <strong>del</strong>le barriere tra il campo di gioco e la tribuna, seggiolini in tutti i<br />

settori, capienza di almeno 20mila posti con possibilmente dei box privati, uso di<br />

telecamere a circuito chiuso, la presa di coscienza dei tifosi dopo il bando di 5 anni<br />

dalle competizioni europee imposto dalla UEFA dopo la tragedia <strong>del</strong>l’Heysel <strong>del</strong> 29<br />

maggio 1985 e la responsabilizzazione <strong>del</strong>le società, cui è stata affidata la<br />

sorveglianza all’interno degli impianti attraverso la presenza di stewards privati,<br />

pagati dai club, in collegamento via radio con la polizia presente solo all’esterno<br />

degli impianti. Fu inoltre imposto ai team il divieto di intrattenere rapporti con i<br />

propri tifosi, fatta eccezione per la collaborazione finalizzata a prevenire possibili<br />

incidenti e fu creata una squadra speciale di sorveglianza nazionale anti-hooligans, la<br />

National Football Intelligence Unit, costituita da Scotland Yard nel 1989. Un agente<br />

è affidato a ognuna <strong>del</strong>le 92 società professionistiche e si occupa, viaggiando sempre<br />

al seguito <strong>del</strong>la tifoseria, <strong>del</strong>la schedatura dei tifosi violenti e di azioni di<br />

infiltrazione. Con questo sistema è stato possibile schedare, in un’apposita banca<br />

dati, circa 7mila tifosi. Non meno importante è stata l’applicazione <strong>del</strong> sistema<br />

“Crimistoppers”, un numero verde a cui si può telefonare per segnalare episodi,<br />

159


persone sospette o situazioni pericolose. Le denunce sono rigorosamente anonime e<br />

vi è una ricompensa per i cittadini che permettono la cattura degli eventuali teppisti.<br />

Dal punto di vista legislativo i principali interventi sono stati lo Sporting Event Act<br />

(1985), che vieta l’introduzione degli alcoolici negli stadi, il Public Order Act<br />

(1986), che indica come reato il comportarsi alle partite in modo allarmante, anche se<br />

non violento, concedendo ai magistrati il potere di impedire l’accesso negli impianti<br />

a singoli tifosi violenti che devono presentarsi ai rispettivi comandi di polizia in<br />

occasione <strong>del</strong>le partite, il Football Offences Act (1991), che permette alla polizia di<br />

arrestare e far processare per direttissima i tifosi anche solo per violenza verbale<br />

(linguaggio osceno e cori razzisti), ed il Football Disorder Act (2002), che conferisce<br />

poteri enormi a Scotland Yard, sino a sequestrare il passaporto di un sospettato<br />

appena cinque giorni prima di una gara che si disputi all’estero.<br />

Un’evoluzione che non si è fermata all’ambito legislativo. Consapevoli dei benefit<br />

che ne sarebbero derivati sotto il profilo finanziario, infatti, per migliorare le loro<br />

casse alcuni club come Arsenal, Newcastle e Manchester United hanno posto in<br />

essere <strong>del</strong>le operazioni di cartolarizzazione. I proventi futuri che le banche hanno<br />

anticipato non sono stati, però, quelli dei diritti televisivi o <strong>del</strong>le sponsorizzazioni,<br />

considerate troppo variabili nel tempo per essere presi in considerazione ai fini<br />

finanziari, ma gli incassi derivanti dal botteghino, che per le società inglesi, da<br />

quando la violenza è stata debellata, risultano in costante crescita. Grazie alla<br />

presenza di una base fe<strong>del</strong>e di tifosi veri e paganti l’Arsenal ha ottenuto un prestito di<br />

210 milioni di sterline per 25 anni ad un tasso di interesse superiore di soli 52 punti<br />

base a quello <strong>del</strong> debito pubblico. Lo sport si è trasformato a tutti gli effetti in<br />

spettacolo e ciò che conta è, oggi più di ieri, portare la gente allo stadio e fi<strong>del</strong>izzarli<br />

al brand societario. Purtroppo la gestione <strong>del</strong>lo stadio rappresenta una fonte di ricavo<br />

che in <strong><strong>It</strong>alia</strong> si presenta solo dal punto di vista teorico. Infatti, tranne rare eccezioni<br />

(la Reggiana, attualmente militante in Lega Pro, prima <strong>del</strong>l’investimento <strong>del</strong>la<br />

Juventus sulla Juventus Arena, è stata per anni l’unica proprietaria <strong>del</strong> proprio stadio,<br />

il Giglio di Reggio Emilia), bisogna parlare di mancati introiti che stanno spingendo<br />

le società quantomeno ad interessarsi all’argomento. Nel nostro Paese gli impianti<br />

sportivi sono di proprietà dei comuni e i club non hanno la capacità di influire sul<br />

loro utilizzo, anzi, molte volte essi vengono adibiti a manifestazioni, come i concerti,<br />

160


che rovinano il manto erboso, contro la volontà <strong>del</strong>le società stesse. Nel campionato<br />

inglese i club sono invece proprietari degli stadi, i quali rappresentano una fonte di<br />

ricavo sia durante le partite, con i servizi bar e con quelli di catering destinati alle<br />

aziende alle quali vengono riservate zone chiuse nelle tribune, i già citati skybox, sia<br />

durante la settimana con il cinema, i ristoranti e i negozi costruiti all’interno e affidati<br />

in gestione a terzi. Lo stadio costituisce, quindi, un asset fondamentale sia come<br />

componente patrimoniale che si aggiunge al parco calciatori, con garanzie<br />

infinitamente maggiori, sia per la creazione di valore tramite la gestione <strong>del</strong>le<br />

numerose attività commerciali che si possono attuare nell’impianto; rappresenta<br />

inoltre, trattandosi di un bene dalle performance meno volatili rispetto a quelle in<br />

ambito agonistico, un elemento che tranquillizza gli investitori ed i risparmiatori per<br />

le società quotate in Borsa.<br />

I club italiani più importanti, ma anche i piccoli, hanno da tempo compreso che la<br />

proprietà o l’affitto degli impianti per tempi lunghi sono le uniche modalità per<br />

cercare di incrementare quella voce ricavi da stadio che ancora oggi risulta limitata<br />

nella maggior parte dei casi ai soli proventi connessi alla vendita dei biglietti.<br />

Tuttavia, per ragioni diverse, sia la costruzione di nuovi impianti da parte <strong>del</strong>le<br />

società sia la privatizzazione degli impianti esistenti appaiono di difficile<br />

realizzazione, specie nel breve/medio periodo: gli investimenti sono esosi, ci sono<br />

troppi vincoli urbanistici da superare e in molte città sarebbe difficile far accettare<br />

l’operazione all’opinione pubblica. Occorre sottolineare, inoltre, come gli impianti<br />

italiani abbiano <strong>del</strong>le strutture non idonee a favorire un utilizzo differenziato degli<br />

stessi lungo l’arco <strong>del</strong>la settimana. In particolare la capienza media è troppo elevata<br />

per quelle che sono le necessità <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> odierno e quasi ovunque è presente la pista<br />

di atletica, che allontana gli spettatori dallo spettacolo. Gli inglesi hanno compreso<br />

per primi i cambiamenti <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> moderno generando quella che deve essere la<br />

struttura di uno stadio di <strong>calcio</strong> efficiente sotto il profilo economico: dimensione non<br />

superiore ai 40.000 posti tutti rigorosamente a sedere, espressamente pensato per il<br />

<strong>calcio</strong> e, quindi, senza pista di atletica, dotato di una serie di box esclusivi per seguire<br />

gli incontri in posizione particolarmente privilegiata, di sale polivalenti, palestre e<br />

servizi commerciali differenziati, caratterizzato da una massima adattabilità alle<br />

riprese televisive e da una gestione commerciale <strong>del</strong>lo stesso affidata direttamente ai<br />

161


club, solitamente attraverso la creazione di una società apposita. La proprietà o la<br />

concessione per un ampio arco temporale svincola le società dai canoni di locazione<br />

annuale, che si sommano alla manutenzione, ma soprattutto permette di gestire in<br />

proprio gli spazi pubblicitari <strong>del</strong>lo stadio stesso, evitando la cessione di consistenti<br />

percentuali a società di gestione, che solitamente si aggiungono al prezzo dei biglietti<br />

e che di conseguenza gravano sugli spettatori. Uno stadio moderno di proprietà<br />

diviene pertanto il biglietto da visita di un club, inquadrandosi come il luogo in cui si<br />

svolgono le manifestazioni attinenti al core business <strong>del</strong>la squadra e in cui si<br />

sviluppano attività collaterali che diversificano ed ampliano gli introiti: punti di<br />

ristorazione, alloggi, box office per aziende che vogliano rendere il soggiorno dei<br />

loro clienti più piacevole. L’impianto potrebbe poi comunque essere subappaltato per<br />

eventi extrasportivi come concerti, convegni, esposizioni. In questo modo si<br />

sfrutterebbe tutto l’anno una struttura che attualmente è teatro di avvenimenti<br />

mediamente una volta a settimana e che quindi non giustifica le ingenti spese alle<br />

quali è soggetta. L’esperienza più significativa di come utilizzare in maniera<br />

diversificata uno stadio è, senza dubbio, quella <strong>del</strong> Manchester United, mo<strong>del</strong>lo<br />

principe di efficienza economica ed esempio estremo <strong>del</strong>la diversificazione dei<br />

ricavi. L’Old Trafford, come accennato, è considerato un’autentica industria <strong>del</strong><br />

marketing: 76.212 posti tutti a sedere, un sistema di sicurezza efficientissimo, 27<br />

telecamere collegate in circuito chiuso che consentono di individuare con facilità<br />

anche il singolo tifoso, terreno di gioco dotato di migliaia di serpentine che ne<br />

permettono il riscaldamento, ma soprattutto box esclusivi per un totale di 4.973 posti<br />

(una sorta di suite che le aziende affittano all’inizio <strong>del</strong>la stagione per intrattenere i<br />

loro clienti in occasione <strong>del</strong>le partite), un ristorante, il già citato Red Cafè, una sala<br />

polivalente per 1.000 persone, un museo e lo splendido megastore dedicato alla<br />

vendita dei gadget <strong>del</strong>la squadra. Nel Regno Unito esempi di questo genere non<br />

mancano. Il Chelsea ha costruito Stamford Bridge dotato di 35.000 posti a sedere, 70<br />

box esclusivi, 20 aree per la ristorazione in grado di soddisfare 4.000 persone, un<br />

albergo, un ristorante ed un bar aperti tutto l’anno, nonché il punto vendita <strong>del</strong> club.<br />

In tal processo di trasformazione degli stadi in straordinari asset finanziari non<br />

poteva certo mancare, come ampiamente sottolineato in precedenza, la cessione dei<br />

naming rights degli impianti. In Premier League soltanto 4 squadre <strong>del</strong>le 20<br />

162


partecipanti (il 20%) hanno venduto i diritti sul nome <strong>del</strong> proprio impianto: Arsenal<br />

(Emirates Stadium), Bolton Wanderers (Reebok Stadium), Wigan Athletic (JJB<br />

Stadium prima e DW Stadium poi) e Stoke City (Britannia Stadium). Particolarmente<br />

interessante è il caso <strong>del</strong>l’Emirates Stadium, costato circa 573 milioni di euro, dei<br />

quali 150 sono stati versati dalla compagnia aerea <strong>del</strong> Dubai, la Fly Emirates, anche<br />

jersey-sponsor dei “Gunners”, che ha acquistato sino al 2016 i naming rights<br />

<strong>del</strong>l’impianto, altrimenti noto come Ashburton Grove. Al fine di sovvenzionarne la<br />

costruzione, l’Arsenal, che non ha avuto possibilità di accedere a prestiti pubblici, ha<br />

seguito differenti direttrici, eregendo in primis in sostituzione <strong>del</strong> vecchio stadio<br />

2.000 appartamenti che ha venduto e dai quali ha ottenuto un sostanzioso guadagno.<br />

Ha ricavato, inoltre, 22 milioni di euro da alcune operazioni commerciali, tra cui<br />

l’accordo ventennale con Delaware North (azienda <strong>del</strong> settore catering) ed una serie<br />

di sponsorship (la principale è con Nike, già official kit supplier).<br />

Nel nostro Paese solo il Siena, per altro impegnato lo scorso campionato in Serie B,<br />

affianca dalla stagione 2007/08 al nome di stadio Artemio Franchi quello di<br />

Montepaschi Arena, in virtù <strong>del</strong>la munifica sponsorizzazione <strong>del</strong>la banca senese, già<br />

jersey-sponsor dei toscani. Un primo passo verso la possibilità di titolazione <strong>del</strong>la<br />

struttura può essere rappresentato dall’ottenimento <strong>del</strong>la sua concessione da parte<br />

<strong>del</strong>la società di <strong>calcio</strong>. Questo si è verificato nel caso <strong>del</strong>la Juventus, che sarà la<br />

prima in <strong><strong>It</strong>alia</strong> a sfruttare a tutti gli effetti il naming right, con il nuovo Delle Alpi,<br />

operante dalla stagione 2011/12, che, nato come Juventus Arena, avrà il nome di uno<br />

sponsor. Grazie all’intesa raggiunta con Sportfive, società specializzata nel<br />

marketing sportivo appartenente al Gruppo Lagardère, il club incasserà 75 milioni di<br />

euro per 12 anni: 6,5 all’anno da quando lo stadio verrà aperto al pubblico (sette<br />

giorni su sette, con spazi anche per i negozi e l’intrattenimento). Sportfive gestirà in<br />

esclusiva il nome <strong>del</strong>l’impianto (assegnato ogni quattro anni), la vendita <strong>del</strong> 50% dei<br />

palchi ed i 650 posti <strong>del</strong>la Tribuna Premium. Il nuovo stadio, che potrà ospitare<br />

41.000 spettatori, è stato concepito con i massimi standard di sicurezza. L’accesso<br />

all’impianto, privo di barriere architettoniche, avverrà da quattro ingressi posti sugli<br />

angoli, con ampie rampe che seguono il profilo <strong>del</strong>le collinette verdi sulle quali sorge<br />

l’impianto e che portano ad un anello, dove potranno essere controllati i titoli di<br />

ingresso e dove potranno sostare i mezzi di soccorso, che gira intorno allo stadio. Le<br />

163


panchine saranno posizionate in prima fila all’interno <strong>del</strong>la tribuna, come negli stadi<br />

inglesi. Alle gradinate e alle tribune, che saranno a 7.5 metri di distanza dal campo di<br />

gioco, si accederà da 16 passerelle distribuite nei diversi settori <strong>del</strong>l’impianto. In<br />

caso di emergenza la Juventus Arena si potrà svuotare in meno di 4 minuti. Al di<br />

sotto <strong>del</strong>le gradinate verranno realizzate le aree di servizio per lo stadio e la squadra.<br />

Il progetto, sul mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong> St James’s Park <strong>del</strong> Newcastle, prevedrà un profilo a<br />

semicerchio privo di elementi che si distacchino dalla linea di continuità. Inoltre lo<br />

stadio ingloberà un’area vastissima, costituita da 4.000 posti auto, 8 ristoranti e 20<br />

bar. All’interno anche 3 spogliatoi, un museo dedicato alla storia <strong>del</strong>la Juventus,<br />

34.000 metri quadrati di aree commerciali e 30.000 metri quadrati di aree verdi e<br />

piazze. La struttura esterna <strong>del</strong>lo stadio ricorderà quella di una astronave e sarà<br />

composta da 40.000 lamine di alluminio oscillanti e riflettenti che dovranno offrire il<br />

suggestivo effetto di una bandiera in continuo movimento.<br />

La copertura in ETFE 30 degli spalti verrà sorretta da due pennoni che richiameranno<br />

la vecchia struttura <strong>del</strong> <strong>del</strong>le Alpi. Studiata in galleria <strong>del</strong> vento, verrà realizzata<br />

ispirandosi al profilo <strong>del</strong>le ali degli aerei: una struttura di grande leggerezza,<br />

realizzata in una membrana in parte trasparente e in parte opaca, per permettere una<br />

visione ottimale <strong>del</strong> campo, sia diurna sia notturna, e per garantire il passaggio di<br />

luce sufficiente alla crescita <strong>del</strong>l’erba <strong>del</strong> campo. All’interno <strong>del</strong>l’impianto verrà<br />

costruito il Museo <strong>del</strong>la Juventus, che una volta ultimato rappresenterà uno dei musei<br />

calcistici più importanti <strong>del</strong> mondo. Il museo avrà diverse sale in cui verranno esposti<br />

tutti i trofei vinti dal club e le maglie dei giocatori più importanti <strong>del</strong>la storia <strong>del</strong>la<br />

società torinese e sarà caratterizzato da aree interattive e ricche di foto storiche. Il 29<br />

maggio 2010, in occasione <strong>del</strong> 25º anniversario <strong>del</strong>la strage <strong>del</strong>l’Heysel, il presidente<br />

<strong>del</strong>la Juventus Andrea Agnelli ha annunciato che uno spazio <strong>del</strong>lo stadio verrà<br />

dedicato alla memoria <strong>del</strong>le vittime di quella strage. Vi sarà altresì una sorta di Walk<br />

of Fame in cui cinquanta dei giocatori più importanti <strong>del</strong>la storia <strong>del</strong>la Juventus<br />

saranno onorati con una propria stella celebrativa. A tale sezione sarà abbinato il<br />

30 L’ETFE, Etilene TetrafluoroEtilene, è un polimero parzialmente florurato (ovvero che<br />

contiene fluoro), un materiale plastico progettato per avere un’alta resistenza alla corrosione in un<br />

ampio spettro di temperature. È una plastica trasparente, più leggera e più resistente <strong>del</strong> vetro e di altri<br />

materiali plastici trasparenti. Rispetto al vetro, è più isolante e più semplice ed economico da<br />

installare. È stato utilizzato anche per la copertura <strong>del</strong> Centro Acquatico Nazionale di Pechino, dove<br />

sono stati ospitati alcuni eventi <strong>del</strong>la XXIX Olimpiade.<br />

164


progetto Accendi una stella, che permetterà ai tifosi di acquistare una stella con il<br />

proprio nome accanto a quella di campioni come Dino Zoff, Alessandro Del Piero,<br />

Roberto Baggio, Zinedine Zidane o Michel Platini 31 . Tuttora in fase di ultimazione è<br />

invece a Livorno l’impianto Stadio dei martiri di polizia per mani ultras, che, però di<br />

proprietà <strong>del</strong> Comune, dal 2013 dovrebbe sostituire l’Armando Picchi assumendo la<br />

denominazione di Ipercoop Stadium, dal nome <strong>del</strong>lo sponsor che ne ha acquisito i<br />

naming rights.<br />

Nel maggio <strong>del</strong> 2005 invece la Giunta <strong>del</strong> Comune di Milano ha approvato la<br />

<strong>del</strong>ibera per la cessione <strong>del</strong>lo stadio Giuseppe Meazza di San Siro ad un consorzio<br />

formato da Inter e Milan per i successivi 99 anni. Le due società, dal canto loro, si<br />

sono impegnate a fare lavori di ristrutturazione sulla struttura per 34 milioni di euro e<br />

a pagare ratealmente altri 14 milioni. In passato anche Bologna e Brescia hanno<br />

presentato dei progetti, ma non hanno trovato grande fortuna. I felsinei, che nel 1998<br />

avevano stipulato un accordo con il Comune per l’utilizzo trentennale <strong>del</strong>lo stadio<br />

Dall’Ara, presentarono, nello specifico, nel dicembre 2006 una bozza di maxi-<br />

progetto per la realizzazione di una citta<strong>del</strong>la <strong>del</strong>lo sport con un investimento<br />

complessivo che sarebbe stato pari a 500 milioni di euro e avrebbe coinvolto 310<br />

ettari di terreno su cui sarebbero dovuti sorgere un parco divertimenti, un parco<br />

acquatico, un parco <strong>del</strong>l’auto con spazi museali e una pista per le prove su strada, un<br />

campo da golf da 18 buche, centri commerciali, negozi ed appartamenti, oltre,<br />

ovviamente, al centro tecnico e al nuovo stadio <strong>del</strong> Bologna. Un’idea ambiziosa che<br />

è stata definitivamente archiviata nel dicembre 2010, quando l’Associazione Pro<br />

Bologna ha presentato un piano di ristrutturazione quinquennale <strong>del</strong> Dall’Ara<br />

ritenuto, permettendo tra l’altro al club di non emigrare in provincia, maggiormente<br />

idoneo al mo<strong>del</strong>lo di sviluppo sostenibile seguito dalla città. A Brescia, invece, era<br />

stato progettato l’avveniristico Stadium Global Center, che prevedeva la<br />

realizzazione a Castenedolo, paese a 16 chilometri dal centro cittadino, di un polo<br />

immobiliare comprendente oltre al nuovo stadio <strong>del</strong> Brescia Calcio anche un centro<br />

sportivo polifunzionale, una galleria commerciale con 160 negozi, un ipermercato,<br />

40 esercizi tra ristorazione e tempo libero ed un hotel con 200 camere ed un centro<br />

congressi. I lavori sarebbero dovuti iniziare a settembre 2007 per poi concludersi nel<br />

31 Consultare il paragrafo 4.1.3<br />

165


2010, ma nell’agosto 2009 il progetto è sfumato dinanzi la volontà <strong>del</strong> sindaco<br />

Adriano Paroli di voler costruire un nuovo impianto in città e non fuori. Il 24<br />

settembre 2010 il presidente Cellino ha invece presentato il progetto per il nuovo<br />

impianto <strong>del</strong> Cagliari. Lo stadio Santa Cristina ad Elmas, questo il nome <strong>del</strong>la<br />

struttura che dovrebbe sostituire il Sant’Elia, dovrebbe prevedere 23.600 posti di<br />

capienza massima, tutti al coperto, altissimi standard di qualità e sicurezza, 5000<br />

parcheggi, due ingressi utilizzati per collegare la viabilità interna con quella ordinaria<br />

e un collegamento diretto con le Ferrovie <strong>del</strong>lo Stato. Previsto anche un ampio parco<br />

naturale intorno alla chiesa campestre di Santa Cristina, ma non un megastore né<br />

alcuna attività collaterale di sorta, limitando dunque gli incassi come da tradizionale<br />

realtà italiana. Negligenza dei club, ma non solo. C’è da sottolineare che, oltre alla<br />

pessima gestione dei fondi derivati dai Mondiali <strong>del</strong> 1990 e dal fallimento <strong>del</strong>la<br />

campagna per l’assegnazione degli Europei <strong>del</strong> 2016, a rallentare il progresso di<br />

rivoluzione <strong>del</strong> business degli stadi provvede anche l’apparato legislativo italiano. In<br />

particolare le società stanno combattendo da anni per la cancellazione dei vincoli<br />

idro-geologici ed archeologici ed in realtà un disegno di Legge ad hoc era già stato<br />

approvato all’unanimità dal Senato nel 2009, ma da allora sta rimbalzando<br />

continuamente tra Palazzo Madama e la Commissione Cultura <strong>del</strong>la Camera.<br />

Nell’articolo 2, il disegno di Legge in questione sottolinea che gli interventi possibili<br />

sarebbero di due tipi: quelli per costruire o ristrutturare complessi sportivi per<br />

renderli moderni, funzionali e attrezzarli con attività commerciali e culturali con<br />

musei <strong>del</strong>le squadre e tutto quello che oggi già vediamo negli impianti più moderni<br />

in Europa, e quelli che invece riguardano i complessi multifunzionali, per cui,<br />

insieme allo stadio, si potrebbe costruire anche un nuovo quartiere, con attività<br />

commerciali, ricettive, di svago, culturali e di servizio, insediamenti residenziali o<br />

direzionali, da poter realizzarsi anche in aree non contigue allo stadio. I club, una<br />

società di capitali dallo stesso controllato e soggetti pubblici o privati che, al fine di<br />

effettuare investimenti sullo stadio o sul complesso multifunzionale, stipulino un<br />

accordo con la medesima società sportiva per la cessione alla stessa <strong>del</strong> complesso<br />

multifunzionale o <strong>del</strong> solo stadio, potrebbero accedere a tale provvedimento con<br />

procedure davvero speciali: basterebbe infatti presentare uno studio di fattibilità<br />

finanziario e ambientale per avviare l’approvazione <strong>del</strong> progetto; entro 60 giorni il<br />

166


sindaco dovrebbe poi promuovere un accordo di programma per approvare le<br />

necessarie varianti urbanistiche e per conseguire l’effetto di dichiarazione di pubblica<br />

utilità e di indifferibilità e urgenza, come se si trattasse di opere pubbliche, e il tutto<br />

sarebbe da chiudersi entro 6 mesi. Per facilitare queste operazioni sarebbero inoltre<br />

previsti soldi pubblici, non solo per gli stadi, ma persino per i complessi<br />

multifunzionali, per le case e gli uffici privati <strong>del</strong>le società, attraverso un piano<br />

triennale di intervento straordinario che prevedrebbe la concessione di contributi<br />

destinati all’abbattimento degli interessi sul conto capitale degli investimenti e<br />

permetterebbe di accedere alle agevolazioni e ai fondi erogati dall’Istituto per il<br />

Credito Sportivo. All’anomala alleanza tra PD e Lega Nord nel non voler approvare<br />

in passato tal disegno, si è aggiunto il presidente <strong>del</strong>la Lazio Claudio Lotito, oggetto<br />

lo scorso 20 maggio di un attacco da parte <strong>del</strong>l’onorevole Giovanni Lolli, che<br />

insieme ad Alessio Butti aveva presentato il disegno di Legge, perché colpevole di<br />

far pressioni al fine di non far licenziare definitivamente una variante <strong>del</strong> disegno<br />

che, firmata ed approvata già nel dicembre 2010 all’unanimità dai membri <strong>del</strong>la<br />

Commissione <strong>del</strong>la Camera, continuerebbe a salvaguardare i vincoli idro-geologici<br />

ed architettonici, impedendo di fatto a Lotito di costruire sui propri terreni nella zona<br />

<strong>del</strong>la Tiberina il nuovo Stadio <strong>del</strong>le Aquile con tanto di citta<strong>del</strong>la biancoceleste<br />

intorno. Un progetto ambizioso se si considera che l’impianto, di circa 60.000 posti,<br />

dovrebbe avere una semicopertura dotata di sistemi fotovoltaici per l’accumulo di<br />

energia e dovrebbe prevedere al proprio interno cinema multisala, ristoranti,<br />

supermercati, e store <strong>del</strong> club per un totale di spesa di circa 250 milioni di euro.<br />

Anche la Fiorentina, nel 2008, aveva presentato il suo progetto, denominato<br />

Citta<strong>del</strong>la viola, comprendente uno stadio da 40-50mila posti, un centro<br />

commerciale, un hotel ed un parco a tema calcistico, ma in quella fase l’idea non fu<br />

appoggiata dalle istituzioni. Sotto la gestione <strong>del</strong> sindaco Matteo Renzi si è invece<br />

passati ad uno step successivo, con le parti che starebbero ricercando una zona<br />

idonea al poter costruire per poi proseguire l’opera con un project financing. La<br />

Roma <strong>del</strong>la famiglia Sensi aveva invece tastato il terreno per costruire il suo nuovo<br />

impianto nei pressi di Torrevecchia, dove la passata dirigenza aveva una proprietà. Il<br />

nuovo stadio, che doveva essere intitolato alla memoria di Franco Sensi, avrebbe<br />

dovuto ospitare 55-60.000 posti su due livelli. Con l’avvento di DiBenedetto si sta<br />

167


invece pensando a nuove soluzioni ancora lungi dal divenire un progetto concreto.<br />

Trasferendoci a Milano, l’Inter vorrebbe trasferirsi in zona Rho-Pero edificando un<br />

impianto entro il 2015, mentre il Milan, se il trasloco dei cugini dovesse<br />

concretizzarsi, vorrebbe ristrutturare San Siro per renderlo il proprio impianto<br />

esclusivo. Il Palermo di Zamparini traslocherà invece nella Zona ad Espansione Nord<br />

<strong>del</strong>la città: 130 milioni di euro per 31.000 posti, sala congressi, cinema ed alberghi.<br />

La famiglia Garrone, che ha confermato il proprio impegno nella Sampdoria<br />

nonostante la cocente retrocessione in Serie B, progetta di costruire un impianto a<br />

due passi dall’aeroporto di Genova con l’aiuto di una holding olandese (270 i milioni<br />

di euro da investire) per edificare una arena da 30.000 posti su tre piani. La copertura<br />

<strong>del</strong>lo stadio sarà realizzata in materiale trasparente e dalla stessa sarà possibile<br />

assistere alle partite seduti al ristorante. A Napoli, invece, il presidente de Laurentiis<br />

ha rivelato che i suoi architetti sono già al lavoro per ricostruire da zero il San Paolo<br />

al fine di creare una struttura all’avanguardia su quella già esistente. In passato<br />

l’amministrazione Iervolino ha impedito accordi di sorta per non privare gli altri<br />

sport <strong>del</strong>l’impianto cittadino, in futuro non è detto che tal progetto non possa divenir<br />

realtà grazie all’interazione con il nuovo sindaco Luigi De Magistris o con coloro che<br />

gli succederanno sulla poltrona di primo cittadino <strong>del</strong>la città partenopea.<br />

4.5 La ripartizione dei diritti televisivi<br />

Buona parte dei club europei, soprattutto quelli italiani, vedono nello sfruttamento<br />

dei diritti inerenti i mass media, in primo luogo la tv, l’area di gran lunga più<br />

produttiva per le proprie finanze. Le italiane, per le quali dalla stagione 2010/2011 è<br />

scattata la ripartizione collettiva dei diritti (40% in parti uguali ad ogni club, 30% in<br />

base al bacino d’utenza, 30% in relazione ai risultati ottenuti dal 1946 ad oggi),<br />

hanno, secondo il report Deloitte & Touche di merito 32 , nel Milan, a quota 141.1<br />

milioni di euro, il 60% <strong>del</strong> proprio fatturato, la propria società leader in tal campo,<br />

con l’Inter ferma a 137.9 e la Juventus a 132.5. Risorse in gran parte provenienti<br />

dalla crescita <strong>del</strong>l’offerta <strong>del</strong>la pay-tv negli ultimi anni che hanno sostenuto in<br />

maniera determinante l’imperiosa impennata degli introiti <strong>del</strong>le società di <strong>calcio</strong>.<br />

Basti pensare che nell’ultima stagione in <strong><strong>It</strong>alia</strong> è tornata la vendita centralizzata dei<br />

32 Consultare la Tabella 4, paragrafo 2.4<br />

168


diritti <strong>del</strong>la Serie A: le tv non trattano più con le singole società ma, come accadeva<br />

fino al 1998/99, direttamente con la Lega Serie A. Sky <strong><strong>It</strong>alia</strong> (571 milioni garantiti ai<br />

club nel 2010) ha ottenuto i diritti anche per la trasmissione <strong>del</strong>l’intera stagione<br />

2011/12 sulla sua piattaforma satellitare, mentre Mediaset Premium si occuperà dei<br />

diritti terrestri relativi alle gare di 12 squadre tra le quali saranno confermate<br />

Juventus, Milan, Inter, Roma, Napoli, Fiorentina, Lazio e Palermo, per le quali nel<br />

2010 ha investito 210 milioni di euro. Non è invece stata ancora designata l’erede<br />

di Dahlia TV, dichiarata fallita lo scorso 25 febbraio, che aveva promesso 29 milioni<br />

di euro la scorsa stagione per poter trasmettere gli incontri di 8 club tra cui spiccava<br />

l’Udinese. A partire dall’ultimo torneo, inoltre, la Rai (28.3 milioni per il campionato<br />

appena concluso) è stata autorizzata a trasmettere in chiaro, sul canale tematico Rai<br />

Sport 1, le repliche <strong>del</strong>le partite più importanti <strong>del</strong> campionato ad almeno 7 giorni dal<br />

loro svolgimento. Proprio l’ente statale dalla stagione 2008/09, dopo l’ennesima<br />

estenuante trattativa con la Lega Calcio andata avanti fino a poche ore prima<br />

<strong>del</strong>l’inizio dei campionati, è riuscita a riottenere i diritti in chiaro <strong>del</strong>la massima<br />

serie. La trasmissione 90° minuto è stata così sdoppiata: al sabato è stata confermata<br />

l’edizione dedicata alla Serie B su Rai 3, mentre la domenica, dopo tre anni di<br />

assenza, è ritornata la versione per il massimo campionato nazionale, in onda stavolta<br />

su Rai 2 e preceduta, sulla stessa rete, da Stadio Sprint. Confermato anche il varietà<br />

di Simona Ventura, dal 2006 ribattezzato Quelli che il <strong>calcio</strong> e…, in quanto era<br />

andato sempre in onda anche nel triennio in cui la Rai non disponeva dei diritti per i<br />

collegamenti in diretta dagli stadi. Gli attuali contratti tra Rai e Lega Serie B<br />

scadranno al termine <strong>del</strong>la stagione 2011/12.<br />

Qualcuno, in <strong><strong>It</strong>alia</strong>, lamenta che i diritti televisivi equamente ripartiti<br />

rappresenterebbero un’ingiustizia perché i grandi club sarebbero penalizzati<br />

nell’ottica di un bilancio complessivo dal percepire quanto uno piccolo. In realtà le<br />

cose non stanno proprio così. Solo le squadre di Grecia e Portogallo vendono infatti i<br />

diritti tv singolarmente, mentre in tutte le altre nazioni la vendita è collettiva. O<br />

quasi. In Spagna, ad esempio, si può vendere singolarmente ma, eccetto Real Madrid<br />

e Barcelona, gli altri club vendono pacchetti collettivi, favorendo così un maggior<br />

numero di introiti. In Premier League vige invece un sistema di vendita dei diritti<br />

televisivi molto simile a quello italiano, con il 50% che viene ripartito a ciascun club,<br />

169


il 25% in base al piazzamento e il 25% in relazione al bacino di utenza, eppure il<br />

<strong>calcio</strong> britannico vanta ben 7 rappresentanti tra le big europee nelle classifiche<br />

relative agli introiti complessivi esaminati nella Top 20 The Untouchables. Il<br />

Manchester United, che ha prodotto 128 milioni di euro totali dai diritti media, ha<br />

incamerato 58 milioni dalle sole televisioni, mentre l’Arsenal, a quota 105.7<br />

complessivi, 52.5. Chelsea e Liverpool, ottava e nona nello studio condotto, con 105<br />

e 97.1 milioni totali, vedono invece originarsi dalle tv 53.9 e 56.8 milioni di euro.<br />

<strong>Una</strong> suddivisione che Oltremanica soddisfa tutti se si considera che ad un club di<br />

ultima fascia vengono comunque garantiti 34.9 milioni. In <strong><strong>It</strong>alia</strong>, invece, i grandi<br />

club, anziché soffermarsi su nuove fonti di ricavo, continuano la propria caccia ai<br />

diritti televisivi battagliando con i minori per quel che concerne la ripartizione <strong>del</strong>le<br />

somme. Lo scorso 11 maggio 2011, nonostante l’Alta Corte di giustizia <strong>del</strong> Coni<br />

avesse il giorno prima accettato il ricorso di Milan, Inter, Napoli, Roma e Juventus<br />

contro la <strong>del</strong>ibera <strong>del</strong>l'assemblea di Lega di serie A che, a proposito di ripartizione di<br />

diritti tv, aveva dato il via libera all’individuazione di nuovi bacini di utenza per le<br />

squadre affidandosi a tre istituti demoscopici, durante il Consiglio di Lega il<br />

presidente Maurizio Beretta votò a favore <strong>del</strong>la <strong>del</strong>ibera stessa, permettendone<br />

l’attuazione in quanto la votazione terminò 6 a 5 in favore <strong>del</strong>le società di seconda<br />

fascia. Tale decisione ha scatenato la reazione <strong>del</strong>le cinque formazioni maggiori,<br />

contrarie ai rilevamenti dei bacini di utenza tramite l’operato di tre agenzie<br />

demoscopiche perché, secondo questa tipologia di analisi, le altre società sarebbero<br />

avvantaggiate per quel che concerne i dati relativi alle partite casalinghe contro le<br />

prime <strong>del</strong>la classe potendo di fatto contare sui tantissimi spettatori <strong>del</strong>le squadre<br />

avversarie che andrebbero, seppur solo statisticamente, ad incrementare il proprio<br />

bacino sottraendo utili a chi è realmente titolare di un importante capitale di tifosi.<br />

<strong>Una</strong> battaglia che, seppur in parte comprensibile, rispecchia appieno lo scenario<br />

italiano relativo alla unilaterale priorità <strong>del</strong>la maggior parte dei nostri club in tema di<br />

business. Nell’epoca <strong>del</strong> business a tutto tondo, infatti, l’eterno conflitto che si<br />

rinnova di anno in anno per i diritti televisivi, mentre gli stadi, con i vari progetti<br />

illustrati in precedenza ben lungi dal divenire realtà, si tramutano giorno dopo giorno<br />

in autentici reperti archeologici e le strategie di marketing vengono solo raramente<br />

implementate, rappresenta l’istantanea perfetta <strong>del</strong>la fossilizzazione <strong>del</strong> nostro <strong>calcio</strong>.<br />

170


5 Appendice – Interviste ad alcuni esperti <strong>del</strong> settore<br />

In questa sezione riportiamo alcune interviste rilasciateci da esperti <strong>del</strong> settore quali<br />

Umberto Lago, Alessandro Formisano, Alessandro Prunesti, Francesco Bof e<br />

Gianfranco Teotino.<br />

Umberto Lago<br />

Umberto Lago, nato il 29 settembre 1964, è assessore al bilancio presso il Comune di<br />

Vicenza e professore associato di economia e gestione <strong>del</strong>le imprese presso<br />

l’Università di Bologna. Dal 2009 ricopre il ruolo di rappresentante italiano<br />

<strong>del</strong>l’organo di controllo Club financial control panel <strong>del</strong>la Uefa. Presieduto da Jean-<br />

Luc Dehaene, ex premier belga, il Cfcp è stato creato con l’obiettivo di aumentare la<br />

trasparenza e l’equilibrio nel gioco <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> europeo attraverso il controllo<br />

finanziario dei bilanci dei club. Lago è affiancato da altri sette esperti in<br />

rappresentanza di Spagna, Germania, Olanda, Inghilterra, Grecia, Scozia e Francia. È<br />

autore, assieme ad Alessandro Baroncelli e Stefan Szymanski, <strong>del</strong> libro Il business<br />

<strong>del</strong> <strong>calcio</strong>: successi sportivi e rovesci finanziari.<br />

In Germania ben 10 club iscritti all’edizione <strong>del</strong>la Bundesliga 2010/2011 hanno<br />

ceduto i naming rights dei propri stadi, mentre in Inghilterra sono Stoke City,<br />

Arsenal, Bolton e Wigan ad aver optato per questo tipo di politica. In <strong><strong>It</strong>alia</strong> la<br />

Juventus, dopo il Siena che ha associato il marchio Monte dei Paschi di Siena al<br />

nome Artemio Franchi, sarà la prima società a cedere i diritti <strong>del</strong> proprio impianto.<br />

Crede che nel panorama italiano questa strategia possa essere utilizzata in larga scala<br />

in futuro, magari associando la cessione dei naming rights alla costruzione di un<br />

nuovo impianto di proprietà dei club come nel caso <strong>del</strong>l’Emirates Stadium?<br />

«In <strong><strong>It</strong>alia</strong> vi è un provvedimento legislativo che tarda ad essere licenziato, finché la<br />

politica non sosterrà concretamente i club calcistici difficilmente assisteremo ad una<br />

svolta per quanto concerne la gestione degli stadi. La Juventus, con il nuovo Delle<br />

Alpi, ha di fatto inaugurato una nuova era nel panorama <strong>del</strong> business italiano, le<br />

altre società dovranno invece attendere ancora molto prima che qualcosa si sblocchi<br />

in quella direzione».<br />

171


Alla luce degli attuali dati Deloitte, il Fair Play finanziario rappresenta un ostacolo<br />

invalicabile per i nostri club?<br />

«L’indebitamento di oltre 600 milioni di euro, di per sé, non è un dato negativo. Il<br />

problema è capire se un club si indebita senza la dovuta sostenibilità... Il principio<br />

che regola e regolerà il Fair Play finanziario non sarà quello di punire, ma di<br />

aiutare i club ad arrivare alla chiusura di bilanci in equilibrio o quasi. Sul <strong>calcio</strong><br />

italiano pesano troppo i costi dei calciatori, circa l’80% <strong>del</strong> valore <strong>del</strong>la produzione,<br />

a fronte di ricavi generati esclusivamente dai diritti televisivi. È una situazione che<br />

deve obbligatoriamente cambiare nel giro di pochi anni, altrimenti diverse squadre<br />

saranno costrette a rinunciare alle competizioni europee. Già a partire dalla<br />

prossima stagione l’UEFA supervisionerà l’operato finanziario <strong>del</strong>le tante società<br />

europee perché, sia chiaro, l’<strong><strong>It</strong>alia</strong>, per quanto concerne la situazione debitoria, si<br />

ritrova in una situazione molto simile a quella di gran parte <strong>del</strong>le altre realtà<br />

calcistiche <strong>del</strong> vecchio continente».<br />

Ritiene che l’azienda <strong>calcio</strong> italiano riuscirà a ridurre il gap che la divide<br />

dall’Inghilterra sotto il profilo degli introiti derivanti dalla gestione degli stadi e dalle<br />

iniziative di marketing e merchandising? Quali potrebbero essere le chiavi <strong>del</strong>la<br />

svolta?<br />

«Tutto ruota intorno alla diversificazione <strong>del</strong>le fonti di ricavo: in <strong><strong>It</strong>alia</strong> ci sono i<br />

diritti tv e poco altro. Senza un aiuto politico, soprattutto riguardo la gestione degli<br />

impianti sportivi, difficilmente si riuscirà a ridurre il distacco dalle altre nazioni,<br />

Inghilterra in primis. Il Governo dovrebbe inoltre studiare una legge<br />

anticontraffazione: da noi il settore <strong>del</strong> merchandising è nullo perché non ci sono<br />

possibilità per le società di combattere il fenomeno <strong>del</strong>la vendita di magliette ed altri<br />

articoli non ufficiali. Queste sono variabili troppe volte sottovalutate, che, se<br />

analizzate con la giusta attenzione, contribuirebbero ad aumentare il fatturato dei<br />

singoli club così come accade in Inghilterra, Spagna o Germania. L’Inghilterra, in<br />

particolare, è al primo posto per quanto concerne gli introiti derivanti dalle attività<br />

commerciali e il divario con l’<strong><strong>It</strong>alia</strong> è progressivamente in crescita sin dai primi anni<br />

Novanta. Ci ha superato anche la Spagna e, da poco, la Germania. I tedeschi hanno<br />

172


un campionato non migliore <strong>del</strong> nostro, però economicamente rende più di noi<br />

perché i teutonici hanno compreso come massimizzare i profitti».<br />

Potrebbe il Napoli rappresentare un punto di riferimento in questo processo di<br />

crescita?<br />

«In genere sono contrario all’individuazione di mo<strong>del</strong>li, ma se proprio dovessi<br />

sceglierne uno, indicherei la Juventus: il Napoli è un club troppo giovane e solo la<br />

prossima stagione si affaccerà in Champions League, quindi non può essere<br />

individuato come un esempio estendibile a chi, come Milan ed Inter, rappresenta il<br />

top <strong>del</strong> campionato italiano in termini di risultati sportivi. I partenopei, inoltre, non<br />

si distinguono dalla massa perché giocano al San Paolo, che è uno stadio di<br />

proprietà <strong>del</strong> Comune. I bianconeri, invece, possiedono un proprio impianto<br />

sportivo, la Juventus Arena, e con la cessione dei naming rights si sono tramutati<br />

concretamente nel club che più si avvicina a quelli inglesi e tedeschi. Di recente<br />

hanno anche ridotto il monte ingaggi, quindi è da considerarsi il club italiano<br />

virtuoso per eccellenza».<br />

(Intervista rilasciata in data 25 maggio 2011).<br />

Alessandro Formisano<br />

Alessandro Formisano, 44 anni, vanta esperienze lavorative con la Pirelli, la Damiani<br />

Gioielli e la Montegrappa. È il direttore <strong>del</strong>l’area commerciale e marketing <strong>del</strong>la SSC<br />

Napoli.<br />

In <strong><strong>It</strong>alia</strong> la maggior parte dei club opta da sempre per un processo di marketing<br />

miopia che li porta a non andare alla ricerca di nuovi bisogni e di nuovi clienti,<br />

preferendo mantenere l’offerta di un solo bene o di un solo servizio non adeguando<br />

la propria struttura organizzativa alle mutevoli situazioni di mercato. Quali sono<br />

secondo lei le prospettive future <strong>del</strong> settore marketing nella nostra nazione?<br />

«La marketing miopia rappresenta un fenomeno dilagante nel panorama calcistico<br />

italiano e la maggior parte dei club non riesce a distaccarsene restando ancorati<br />

alle ormai tradizionali fonti di ricavo. Il Napoli raffigura un’eccezione in tal<br />

contesto ed i lusinghieri risultati ottenuti nelle ultime stagioni sotto il profilo <strong>del</strong><br />

173


marketing e <strong>del</strong> merchandising lo dimostrano. Noi negli anni stiamo seguendo una<br />

strategia di massimizzazione dei profitti che rispecchia la logica aziendale <strong>del</strong>la<br />

nostra società e si discosta totalmente da quelle dinamiche irrazionali proprie <strong>del</strong><br />

<strong>calcio</strong> che spesse volte portano le squadre ad optare per investimenti rischiosi e<br />

controproducenti. Il Napoli, e la virtuosa realtà finanziaria che ci contraddistingue<br />

lo testimonia, studia minuziosamente qualsiasi dettaglio prima di agire: la solidità<br />

<strong>del</strong> bilancio viene prima di tutto, è questo il nostro diktat imperandi».<br />

In Germania ben 10 club iscritti all’edizione <strong>del</strong>la Bundesliga 2010/2011 hanno<br />

ceduto i naming rights dei propri stadi, mentre in Inghilterra sono Stoke City,<br />

Arsenal, Bolton e Wigan ad aver optato per questo tipo di politica. In <strong><strong>It</strong>alia</strong> la<br />

Juventus, dopo il Siena che ha associato il marchio Monte dei Paschi di Siena al<br />

nome Artemio Franchi, sarà la prima società a cedere i diritti <strong>del</strong> proprio impianto.<br />

Crede che nel panorama italiano questa strategia possa essere utilizzata in larga scala<br />

in futuro, magari associando la cessione dei naming rights alla costruzione di un<br />

nuovo impianto di proprietà dei club come nel caso <strong>del</strong>l’Emirates Stadium?<br />

«La questione stadio è strettamente correlata all’approvazione <strong>del</strong>la legge ad hoc<br />

che è ormai da anni al vaglio <strong>del</strong>le autorità competenti. Il presidente de Laurentiis,<br />

nello specifico, è un esperto imprenditore e come tale è consapevole degli introiti<br />

che potrebbe garantire il San Paolo se ristrutturato secondo il mo<strong>del</strong>lo inglese, ma<br />

essendo l’impianto di proprietà <strong>del</strong> Comune di Napoli, non può varare alcuna<br />

iniziativa senza il consenso <strong>del</strong> sindaco».<br />

Quali saranno le strategie che il Napoli intende impiegare sotto il profilo <strong>del</strong><br />

marketing ora che andrà a confrontarsi con le big <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> europeo in Champions<br />

League?<br />

«L’ingresso in Champions League non muterà le nostre strategie in chiave<br />

marketing, la massimizzazione dei profitti sin qui operata rappresenta per noi una<br />

garanzia di successo. È vero, ci ritroveremo a competere in campo con club<br />

fantastici come il Real Madrid, il Barcellona ed il Manchester United, ma in chiave<br />

di merchandising dobbiamo ancora maturare molto prima di poter accostarci a tali<br />

realtà. Per ora siamo orgogliosi dei risultati ottenuti in ambito nazionale, per il<br />

174


futuro c’è tempo, non vogliamo compiere passi affrettati correndo il rischio di<br />

danneggiarci».<br />

Come il Napoli intende utilizzare le potenzialità dei social media per aumentare<br />

l’awareness ed il legame con i propri fans?<br />

«Il mercato dei social media è in costante evoluzione, è determinante comprendere<br />

su quale valga la pena di investire prima di studiare eventuali iniziative. Second<br />

Life, ad esempio, qualche anno addietro rappresentava il social network per<br />

eccellenza, eppure oggi è caduto nel dimenticatoio, mentre Twitter non ha raccolto<br />

in <strong><strong>It</strong>alia</strong> consensi da record come all’estero. Ad oggi abbiamo su Facebook, che nel<br />

nostro Paese ha riscosso un successo incredibile, una pagina ufficiale <strong>del</strong> club che a<br />

maggio 2011 ci ha visti ricoprire l’undicesimo posto tra le squadre calcistiche<br />

mondiali dinanzi ad Inter e Juventus, ma non abbiamo intenzione di fermarci qui.<br />

Stiamo infatti lavorando ad una piattaforma che metta a disposizione dei nostri tifosi<br />

contenuti per iPad ed iPhone. Stiamo curando gli ultimi dettagli, la pagina diverrà<br />

operativa in tempi brevi».<br />

Nel futuro è possibile che il Napoli opti per un progetto “glocal” legato alla<br />

dimensione marketing sul mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong> Manchester United?<br />

«Il mercato mondiale non è ancora alla nostra portata, sarebbe esclusivamente<br />

<strong>del</strong>eterio investire in questo momento in nazioni come la Cina dove il brand Napoli<br />

non ha ancora raccolto grossi consensi. La disputa <strong>del</strong>la Champions League<br />

rappresenterà un primo passo in tal direzione garantendoci maggiore visibilità<br />

laddove il nostro fascino non è ancora giunto, ma siamo consapevoli che il percorso<br />

che ci porterà al poter competere con l’elite <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> mondiale è ancora molto<br />

lungo».<br />

Ritiene che l’azienda <strong>calcio</strong> italiana riuscirà a ridurre il gap che la divide<br />

dall’Inghilterra sotto il profilo degli introiti derivanti dalla gestione degli stadi e dalle<br />

iniziative di marketing e merchandising? Quali potrebbero essere le chiavi <strong>del</strong>la<br />

svolta?<br />

175


«In questa fase l’Inghilterra rappresenta una realtà lontana anni luce da quella<br />

italiana, basti pensare che allo stadio la maggior parte dei tifosi d’Oltremanica<br />

indossa la maglia ufficiale <strong>del</strong> proprio club, mentre da noi sono davvero in<br />

pochissimi coloro che optano per questo tipo di abbigliamento. Ammetto che da<br />

italiano sono contento perché tale scelta evidenzia maggior gusto ed eleganza da<br />

parte dei nostri connazionali, ma da direttore di una squadra di <strong>calcio</strong> non posso che<br />

amareggiarmi dinanzi ai minori introiti derivanti dal merchandising. Alla luce di<br />

questo fenomeno, pensare ad un confronto con un mercato straniero tanto distante<br />

per virtuosismo ci vedrebbe sconfitti in partenza. La chiave di svolta potrebbe essere<br />

rappresentata da una presa di coscienza da parte degli altri club italiani <strong>del</strong><br />

potenziale espresso dall’applicazione di una competitiva politica di marketing e<br />

dall’emanazione da parte <strong>del</strong> Governo di una legge anticontraffazione che limiti il<br />

più possibile la vendita dei prodotti non ufficiali, una piaga che vede in noi società<br />

vittime inermi».<br />

Potrebbe il Napoli rappresentare un punto di riferimento in un auspicabile processo<br />

di crescita <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> italiano?<br />

«Il Napoli rappresenta una realtà virtuosa che ha saggiamente deciso di puntare con<br />

determinazione sul benchmark italiano raccogliendo grandi soddisfazioni. I club<br />

concorrenti potrebbero prendere spunto dalla nostra visione aziendale per<br />

rilanciarsi. Il tempo per pensare a nuove strategie di business senza dover dedicarsi<br />

a folli rincorse c’è, in fondo parliamo di un mercato particolare in cui è pressappoco<br />

impossibile invadere e conquistare spazi e target di riferimento altrui: per quanto<br />

possa essere bella una maglia <strong>del</strong> Napoli, infatti, non sarà mai acquistata da un<br />

tifosissimo <strong>del</strong>la Roma o di un’altra squadra avversaria».<br />

(Intervista rilasciata in data 26 maggio 2011).<br />

Alessandro Prunesti<br />

Alessandro Prunesti è nato al Roma nel 1979. Nel 2004 ha conseguito la Laurea<br />

in Scienze <strong>del</strong>la Comunicazione Istituzionale e d’impresa alla Sapienza e nel 2005 si<br />

è specializzato con un Master Universitario in Economia e Gestione <strong>del</strong>lo Sport<br />

176


presso la facoltà di Economia <strong>del</strong>l’università di Tor Vergata. Esperto in strategie di<br />

posizionamento e comunicazione nel campo <strong>del</strong>la formazione, <strong>del</strong>le nuove<br />

tecnologie e <strong>del</strong>lo sport, ricopre ruoli di docenza e ricerca presso l’Università<br />

Europea di Roma e l'Università La Sapienza. È autore <strong>del</strong> libro Comunicazione e<br />

marketing <strong>del</strong>le imprese sportive. Dall’analisi strategica alla gestione <strong>del</strong> marchio e<br />

<strong>del</strong>le sponsorizzazioni.<br />

In <strong><strong>It</strong>alia</strong> la maggior parte dei club opta da sempre per un processo di marketing<br />

miopia che li porta a non andare alla ricerca di nuovi bisogni e di nuovi clienti,<br />

preferendo mantenere l’offerta di un solo bene o di un solo servizio non adeguando<br />

la propria struttura organizzativa alle mutevoli situazioni di mercato. Quali sono<br />

secondo lei le prospettive future <strong>del</strong> settore marketing nella nostra nazione?<br />

«La miopia di marketing nei club italiani è ancora oggi, purtroppo, un problema<br />

strutturale che affonda le sue radici in una cultura <strong>del</strong> management sportivo<br />

tradizionalmente legato alla presenza di professionalità “adottate” dal marketing,<br />

ma che in realtà provengono prevalentemente dal settore tecnico-atletico. La<br />

tradizionale offerta di un solo bene, quello sportivo, oggi si scontra con un mercato<br />

<strong>del</strong>l’intrattenimento che offre sempre più alternative rispetto alla pratica o allo<br />

spettacolo sportivo: le console di gioco, cinema, teatro, eventi all’aperto sono veri e<br />

propri concorrenti <strong>del</strong>lo spettacolo sportivo propriamente inteso. I club devono<br />

ottimizzare i loro sforzi nell’offerta di elementi di entertainment collaterali al loro<br />

core business, che possano fornire esperienze di consumo brandizzate. Le<br />

prospettive future <strong>del</strong> marketing sportivo sono chiare: le persone oggi dispongono,<br />

anche grazie all’avvento dei social media, degli strumenti che consentono loro di<br />

ricercare, scegliere ed acquistare le soluzioni di entertainment più confacenti alle<br />

loro esigenze. A questo si aggiunge il fatto che oggi chiunque dispone degli<br />

strumenti per poter parlare direttamente con il club. E già oggi lo fa, attraverso i<br />

social network. Le società sportive devono orientare le loro attività di marketing<br />

verso strategie di comunicazione (e di business) che pongano il cliente al centro dei<br />

processi imprenditoriali, attraverso lo sviluppo di vere e proprie community e<br />

progetti condivisi “dal basso”. In questo modo, l’offerta sarà <strong>del</strong>ineata direttamente<br />

dal target».<br />

177


In Germania ben 10 club iscritti all’edizione <strong>del</strong>la Bundesliga 2010/2011 hanno<br />

ceduto i naming rights dei propri stadi, mentre in Inghilterra sono Stoke City,<br />

Arsenal, Bolton e Wigan ad aver optato per questo tipo di politica. In <strong><strong>It</strong>alia</strong> la<br />

Juventus, dopo il Siena che ha associato il marchio Monte dei Paschi di Siena al<br />

nome Artemio Franchi, sarà la prima società a cedere i diritti <strong>del</strong> proprio impianto.<br />

Crede che nel panorama italiano questa strategia possa essere utilizzata in larga scala<br />

in futuro, magari associando la cessione dei naming rights alla costruzione di un<br />

nuovo impianto di proprietà dei club come nel caso <strong>del</strong>l’Emirates Stadium?<br />

«Il naming degli impianti è una soluzione utile per favorire nuove iniziative di<br />

sponsorizzazione a lungo termine. Vedo tuttavia due problemi: la proprietà degli<br />

stadi è quasi sempre degli enti pubblici, dunque il club non può disporre di alcun<br />

diritto ad eccezione <strong>del</strong>l’erogazione <strong>del</strong>l’evento sportivo stesso; il naming è una<br />

attività che può dare benefici solo se inserita in una strategia commerciale più<br />

ampia, che preveda la creazione e la gestione di servizi collaterali anche di natura<br />

non sportiva, capaci di allargare il target <strong>del</strong> club anche ai non-tifosi, favorendo<br />

così un migliore e più saldo rapporto con il territorio».<br />

Quali sono secondo il suo pensiero le strategie che il Napoli potrebbe impiegare sotto<br />

il profilo <strong>del</strong> marketing ora che andrà a confrontarsi con le big <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> europeo in<br />

Champions League?<br />

«In realtà, temo che il Napoli sia arrivato già impreparato, dal punto di vista <strong>del</strong><br />

marketing, per la Champions League. Quando si va in Europa, cresce notevolmente<br />

la visibilità e il prestigio <strong>del</strong> club, anche nel Paese di origine. Le strategie vanno<br />

organizzate con molti mesi di anticipo, ma se manca la cultura imprenditoriale,<br />

l’unica soluzione è quella di rivolgersi a società di consulenza specializzate, oppure<br />

fare benchmark dando un’occhiata ai club esteri, cercando di capire cosa si può<br />

importare in tempi rapidi anche nel nostro Paese. Non ci dimentichiamo che il<br />

Napoli ha una <strong>del</strong>le tifoserie più vaste d’<strong><strong>It</strong>alia</strong>».<br />

Come le società italiane potrebbero utilizzare le potenzialità dei social media per<br />

aumentare l’awareness ed il legame con i propri fans?<br />

178


«Creando una loro presenza ufficiale online sui più diffusi social network,<br />

dialogando con i tifosi attraverso le community e creando spazi online che<br />

consentano di promuovere affiliazioni commerciali sul territorio sul mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong><br />

progetto di franchising Ultras Tifosi che sto inaugurando insieme a<br />

Sportmunity.com. Si tratta <strong>del</strong> primo progetto in <strong><strong>It</strong>alia</strong> che, incarnando il perfetto<br />

connubio tra <strong>calcio</strong>, internet e business, si pone l’obiettivo di creare la più ampia<br />

community online composta da veri tifosi di <strong>calcio</strong>. È un nuovo modo di vendere e<br />

fare marketing che mette al centro il supporter e la sua community di riferimento,<br />

composta dai tifosi e dai partner commerciali. L’iniziativa comprenderà anche una<br />

testata giornalistica che offrirà ai propri utenti notizie aggiornate, strumenti di<br />

social networking e servizi online personalizzati. Il portale Ultras Tifosi aggregherà<br />

i singoli network TIFA riservati alle singole tifoserie ed i contenuti saranno integrati<br />

con l’utilizzo dei social media. Gli iscritti al TIFA <strong>del</strong>la propria squadra <strong>del</strong> cuore,<br />

oltre ad entrare a far parte di una community che dispone dei servizi garantiti dai<br />

principali social network, potranno avvalersi di una casella email, di continui<br />

aggiornamenti, <strong>del</strong>le statistiche sportive relative ai club e ai singoli calciatori,<br />

<strong>del</strong>l’area riservata alle scommesse, potranno partecipare a vari giochi e potranno<br />

accedere all’area shopping. Si avrà altresì l’opportunità di vendere prodotti e<br />

proporre offerte riservate ai membri <strong>del</strong>la community tramite dinamiche di<br />

affiliation marketing. Sarà inoltre possibile vendere spazi pubblicitari e si potranno<br />

ottenere royalty dalle vendite di servizi offerti da Ultras Tifosi».<br />

Nel futuro è possibile che i club italiani optino per un progetto “glocal” legato alla<br />

dimensione marketing sul mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong> Manchester United?<br />

«Mi auguro di si. Purtroppo sono molto critico: affinché questo possa verificarsi, è<br />

fondamentale un cambiamento forte nelle dirigenze e nella stessa politica <strong>del</strong>lo<br />

sport, sennò non si va da nessuna parte. Quello <strong>del</strong> Manchester United, tra l’altro,<br />

inizia ad essere un mo<strong>del</strong>lo che va integrato: ritengo che le maggiori prospettive di<br />

sviluppo siano legate al marketing/comunicazione attraverso i social media».<br />

Ritiene che l’azienda <strong>calcio</strong> italiana riuscirà a ridurre il gap che la divide<br />

dall’Inghilterra sotto il profilo degli introiti derivanti dalla gestione degli stadi e dalle<br />

179


iniziative di marketing e merchandising? Quali potrebbero essere le chiavi <strong>del</strong>la<br />

svolta?<br />

«Ritengo di no, almeno sul breve e medio periodo. La chiave <strong>del</strong> possibile<br />

cambiamento va individuata nell’evoluzione <strong>del</strong>la propria cultura <strong>del</strong> management<br />

da parte <strong>del</strong>la quasi totalità dei club italiani».<br />

Potrebbe il Napoli rappresentare un punto di riferimento in questo processo di<br />

crescita?<br />

«Il Napoli ha un capitale sociale immenso: i suoi tifosi e il legame con il territorio.<br />

Sarebbe una <strong>del</strong>le poche squadre che potrebbero, fin da subito, godere dei vantaggi<br />

derivanti dalla creazione di una strategia di marketing e comunicazione che prenda<br />

in considerazione i punti visti sopra».<br />

(Intervista rilasciata in data 30 maggio 2011).<br />

Francesco Bof<br />

Francesco Bof ha conseguito la laurea in Economia e Commercio, indirizzo<br />

Economico-quantitativo, presso l’Università di Parma ed è Dottore Commercialista.<br />

È docente <strong>del</strong>l’Area Pubblica amministrazione <strong>del</strong>la SDA Bocconi e ricercatore<br />

preso il CERGAS Bocconi (Centro di Ricerche sulla Gestione <strong>del</strong>l’Assistenza<br />

Sanitaria e Sociale). Tra le aree di interesse: Organizzazione e gestione per processi<br />

nelle pubbliche amministrazioni; rapporti tra imprese e Pubblica Amministrazione<br />

con particolare riferimento alle imprese di servizi, al settore farmaceutico e al settore<br />

<strong>del</strong>le costruzioni; la valutazione <strong>del</strong> personale e il sistema degli incentivi nelle<br />

pubbliche amministrazioni. Autore di diverse pubblicazioni specialistiche, è membro<br />

<strong>del</strong> Network internazionale Lehigh University ed Iacocca Institute (USA) e Adjunct<br />

faculty member <strong>del</strong> Moravian College Evening MBA (USA). Nel 2008 ha pubblicato<br />

assieme a Fabrizio Montanari e Giacomo Silvestri l’opera Il management <strong>del</strong> <strong>calcio</strong>.<br />

La partita più lunga.<br />

In <strong><strong>It</strong>alia</strong> la maggior parte dei club opta da sempre per un processo di marketing<br />

miopia che li porta a non andare alla ricerca di nuovi bisogni e di nuovi clienti,<br />

preferendo mantenere l’offerta di un solo bene o di un solo servizio non adeguando<br />

180


la propria struttura organizzativa alle mutevoli situazioni di mercato. Quali sono<br />

secondo lei le prospettive future <strong>del</strong> settore marketing nella nostra nazione?<br />

«In <strong><strong>It</strong>alia</strong> siamo molto indietro rispetto alle altre realtà europee. La gestione <strong>del</strong><br />

marketing andrebbe approfondita dai club soprattutto per quanto concerne<br />

l’impiego dei social network e le concrete possibilità di ricavare nuovi introiti che<br />

questi potrebbero garantire».<br />

In Germania ben 10 club iscritti all’edizione <strong>del</strong>la Bundesliga 2010/2011 hanno<br />

ceduto i naming rights dei propri stadi, mentre in Inghilterra sono Stoke City,<br />

Arsenal, Bolton e Wigan ad aver optato per questo tipo di politica. In <strong><strong>It</strong>alia</strong> la<br />

Juventus, dopo il Siena che ha associato il marchio Monte dei Paschi di Siena al<br />

nome Artemio Franchi, sarà la prima società a cedere i diritti <strong>del</strong> proprio impianto.<br />

Crede che nel panorama italiano questa strategia possa essere utilizzata in larga scala<br />

in futuro, magari associando la cessione dei naming rights alla costruzione di un<br />

nuovo impianto di proprietà dei club come nel caso <strong>del</strong>l’Emirates Stadium?<br />

«Nel nostro Paese vi è una legge che ancora oggi non è stata approvata, finché non<br />

si smuoverà qualcosa in tal senso, difficilmente assisteremo a dei cambiamenti. La<br />

Juventus rappresenta senza dubbio alcuno un caso virtuoso, ma ci vorrà tempo<br />

prima che altri club possano trovare le condizioni idonee per poterne seguire<br />

l’esempio».<br />

Come le società italiane potrebbero utilizzare le potenzialità dei social media per<br />

aumentare l’awareness ed il legame con i propri fans?<br />

«I club devono studiare nuove soluzioni per poter mettersi al passo con i rivali<br />

esteri. I social network, in particolare, rappresentano una nuova fonte di guadagno<br />

che va analizzata a fondo per poter comprendere quanto, in chiave di introiti, un<br />

utente possa effettivamente garantire alla squadra per cui tifa. I recenti dati in<br />

materia evidenziano una situazione italiana, per quanto concerne Facebook, che<br />

vede le nostre esponenti inseguire squadre come Barcellona, Manchester United e<br />

Real Madrid distanti anni luce per numero di fans. Tal statistica dimostra che c’è<br />

ancora tantissimo da lavorare anche sotto questo aspetto».<br />

181


Ritiene che l’azienda <strong>calcio</strong> italiana riuscirà a ridurre il gap che la divide<br />

dall’Inghilterra sotto il profilo degli introiti derivanti dalla gestione degli stadi e dalle<br />

iniziative di marketing e merchandising? Quali potrebbero essere le chiavi <strong>del</strong>la<br />

svolta?<br />

«Bisogna lavorare molto sulla cultura dei club. Il Barcellona, come si evince da uno<br />

studio da me condotto nel 2007, “Il <strong>calcio</strong> tra contesto locale ed opportunità global.<br />

Il caso <strong>del</strong> Barcellona FC, Mès Que un club”, ha dimostrato il come una corretta<br />

gestione economica debba partire dallo sviluppo <strong>del</strong> settore giovanile. Il 29 maggio<br />

2011, durante la finale di Champions League vinta contro il Manchester United, i<br />

blaugrana avevano in campo otto calciatori provenienti dalla cantera, un dato senza<br />

dubbio sensazionale che attualmente in <strong><strong>It</strong>alia</strong> risulta ineguagliabile ad alti livelli.<br />

Riuscendo a valorizzare i prodotti <strong>del</strong> proprio vivaio si potrebbero collezionare<br />

anche <strong>del</strong>le nuove fanbases territoriali legate a singoli calciatori ed il marketing ed<br />

il merchandising beneficerebbero di certo <strong>del</strong>l’accrescere <strong>del</strong> numero dei propri<br />

tifosi».<br />

(Intervista rilasciata in data 9 giugno 2011).<br />

Gianfranco Teotino<br />

Gianfranco Teotino, giornalista multimediale, è stato responsabile per sei anni dei<br />

servizi sportivi <strong>del</strong> Corriere <strong>del</strong>la Sera, vicedirettore de Il Mattino di Napoli, direttore<br />

editoriale de l’Unità, fondatore e direttore <strong>del</strong> settimanale Rigore, coordinatore de Il<br />

Riformista, vicedirettore di Tuttosport. È opinionista in vari programmi televisivi e<br />

radiofonici nazionali. Ha collaborato allo start-up di progetti editoriali e al varo di<br />

riforme grafiche di quotidiani. Ideatore e direttore di alcuni siti internet di carattere<br />

sportivo, è stato anche direttore di SherpaTv. È stato autore nel 2010, assieme a<br />

Michele Uva, <strong>del</strong> libro La ripartenza. Analisi e proposte per restituire competitività<br />

all’industria <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> in <strong><strong>It</strong>alia</strong>.<br />

In <strong><strong>It</strong>alia</strong> la maggior parte dei club opta da sempre per un processo di marketing<br />

miopia che li porta a non andare alla ricerca di nuovi bisogni e di nuovi clienti,<br />

preferendo mantenere l’offerta di un solo bene o di un solo servizio non adeguando<br />

182


la propria struttura organizzativa alle mutevoli situazioni di mercato. Quali sono<br />

secondo lei le prospettive future <strong>del</strong> settore marketing nella nostra nazione?<br />

«Le prospettive nel <strong>calcio</strong> sarebbero ottime perché si parte praticamente da zero. Il<br />

problema è che le società calcistiche non hanno know how, né personale adatto a<br />

studiare strategie efficaci. E i loro bilanci sono stati costruiti negli anni in modo tale<br />

da non lasciare spazi a investimenti in materia. Le politiche di marketing vanno<br />

costruite sulla base <strong>del</strong>le esigenze dei mercati di riferimento (nel caso, le tifoserie),<br />

esigenze che si sono fortemente modificate negli ultimi anni e che nessuno conosce<br />

davvero. Esiste poi un problema vero, che però poi diventa un alibi all’inattività, per<br />

quanto riguarda l’insufficiente tutela dei marchi garantita dalla legislazione e dalla<br />

prassi italiana».<br />

In Germania numerosi club, ben 10 di quelli iscritti all’edizione <strong>del</strong>la Bundesliga<br />

2010/2011, hanno ceduto i naming rights dei propri stadi, mentre in Inghilterra sono<br />

Stoke City, Arsenal, Bolton e Wigan ad aver optato per questo tipo di politica. In<br />

<strong><strong>It</strong>alia</strong> la Juventus, dopo il Siena che ha associato il marchio Monte dei Paschi di<br />

Siena al nome Artemio Franchi, sarà la prima società a cedere i diritti <strong>del</strong> proprio<br />

impianto. Crede che nel panorama italiano questa strategia possa essere utilizzata in<br />

larga scala in futuro, soprattutto a Napoli, magari associando la cessione dei naming<br />

rights alla costruzione di un nuovo impianto di proprietà dei club come nel caso<br />

<strong>del</strong>l’Emirates Stadium?<br />

«Difficile commerciare i naming rights di beni di cui non hai proprietà…».<br />

Quali sono secondo il suo pensiero le strategie che il Napoli potrebbe impiegare sotto<br />

il profilo <strong>del</strong> marketing ora che andrà a confrontarsi con le big <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> europeo in<br />

Champions League?<br />

«Le potenzialità <strong>del</strong> brand Napoli sono enormi in Europa e nel mondo. Ma per<br />

individuare le strategie più corrette come dicevo prima c’è bisogno di effettuare<br />

ricerche di mercato ad hoc».<br />

Come le società italiane potrebbero utilizzare le potenzialità dei social media per<br />

aumentare l’awareness ed il legame con i propri fans?<br />

183


«Anche qui le società italiane scontano ritardi di anni nei confronti <strong>del</strong>la<br />

concorrenza europea. Importanti i social media, ma ancora di più sarebbe utilizzare<br />

i siti internet ufficiali e le web tv in modo meno rudimentale».<br />

Nel futuro è possibile che i club italiani optino per un progetto “glocal” legato alla<br />

dimensione marketing sul mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong> Manchester United?<br />

«Sarebbe fondamentale».<br />

Ritiene che l’azienda <strong>calcio</strong> italiana riuscirà a ridurre il gap che la divide<br />

dall’Inghilterra sotto il profilo degli introiti derivanti dalla gestione degli stadi e dalle<br />

iniziative di marketing e merchandising? Quali potrebbero essere le chiavi <strong>del</strong>la<br />

svolta?<br />

«Il ritardo nei confronti <strong>del</strong>l’Inghilterra è ventennale nel campo degli stadi e<br />

decennale in quello di marketing e merchandising. Più facile ridurre quest’ultimo<br />

gap con strategie ad hoc».<br />

Potrebbe il Napoli rappresentare un punto di riferimento in questo processo di<br />

crescita?<br />

«Il Napoli ha un dirigente, il direttore generale Marco Fassone, con discreta<br />

esperienza in materia, ma bisogna comprendere quali margini di manovra abbia».<br />

Crede che il recente scandalo scommesse possa ridurre l’appeal <strong>del</strong> nostro <strong>calcio</strong> e,<br />

di riflesso, ulteriormente gli introiti garantiti dalla passione dei tifosi?<br />

«Ogni scandalo è un colpo al cuore <strong>del</strong> sistema <strong>calcio</strong> e ogni volta che il sistema<br />

<strong>calcio</strong> italiano deve reagire ad uno scandalo si dimostra così impotente che la sua<br />

credibilità perde ulteriore quota».<br />

(Intervista rilasciata in data 20 giugno 2011).<br />

184


Conclusioni<br />

L’obiettivo di questo elaborato era comprendere quali fossero le maggiori fonti di<br />

ricavo <strong>del</strong>l’azienda <strong>calcio</strong>, quali le strategie adottate in nome <strong>del</strong> business e quali i<br />

principali limiti che costringono l’<strong><strong>It</strong>alia</strong> a rincorrere l’Inghilterra.<br />

Nel corso <strong>del</strong>la trattazione dei diversi argomenti sviluppati si è altresì mirato a<br />

verificare se il successo sportivo fosse compatibile con quello commerciale e se oltre<br />

a questa correlazione fosse possibile raggiungere anche quella tra vittorie sul campo<br />

ed equilibrio reddituale, ovvero se i maggiori ricavi derivanti dalla conquista degli<br />

obiettivi sportivi avessero comportato per i club anche la produzione di utili netti<br />

oppure fossero stati erosi da un incremento più che proporzionale dei costi<br />

d’esercizio. Dati alla mano si è compreso che i ricavi <strong>del</strong>le società con l’avvento<br />

<strong>del</strong>le televisioni a pagamento sono aumentati in una misura priva di precedenti,<br />

mentre i calciatori sono diventati professionisti strapagati ed autentiche star <strong>del</strong>lo<br />

show-business. Il <strong>calcio</strong> si è tramutato dunque realmente in un’industria con un<br />

volume di affari paragonabile a quello di altri settori <strong>del</strong>l’economia. Tuttavia,<br />

nonostante la fortissima crescita <strong>del</strong> settore, gran parte <strong>del</strong>le squadre hanno<br />

presentato conti in rosso in misura tale da spingere il governo ad adottare<br />

provvedimenti di emergenza. Dopo aver constatato la possibilità di considerare le<br />

società calcistiche come aziende produttive a tutti gli effetti, ci siamo occupati <strong>del</strong><br />

primo step <strong>del</strong>la nostra ricerca, ergo la composizione dei ricavi dei club. Analizzando<br />

i proventi <strong>del</strong>le formazioni italiane militanti in Serie A è emersa una peculiarità <strong>del</strong><br />

contesto italiano rispetto alle altre nazioni europee. Nel nostro Paese, infatti, la<br />

principale fonte di ricavo è costituita dagli introiti derivanti dalla cessione dei diritti<br />

televisivi, i quali rappresentano circa il 60% <strong>del</strong> totale <strong>del</strong>le entrate dei vari club.<br />

Negli altri contesti europei, invece, la principale fonte di ricavo per le società è<br />

costituita dai proventi commerciali, ossia dai ricavi provenienti dalle<br />

sponsorizzazioni e dal merchandising. In Inghilterra, in particolare, i diritti televisivi<br />

rappresentano solo il 30% <strong>del</strong>le entrate dei club, la metà esatta rispetto alla realtà<br />

italiana.<br />

Per quanto concerne le altre classi di ricavo tipiche di un’impresa calcistica, si è<br />

registrata una sensibile riduzione dei proventi derivanti dal botteghino a causa <strong>del</strong>la<br />

185


contemporanea riduzione sia <strong>del</strong> numero degli abbonati sia <strong>del</strong> numero degli<br />

spettatori paganti. Un fenomeno che ha riguardato varie realtà europee eccetto<br />

Germania e Regno Unito, il cui numero degli spettatori è aumentato nel corso <strong>del</strong>le<br />

ultime stagioni. L’indagine ha dimostrato, quindi, come sul piano dei ricavi i nostri<br />

club non abbiano ancora iniziato la strada verso la diversificazione <strong>del</strong> business,<br />

rimanendo saldamente ancorati alla sola consuetudinaria battaglia per la<br />

negoziazione dei diritti televisivi.<br />

Studiando le figure professionali di rilievo, si è poi compreso, di contro, come le<br />

retribuzioni dei calciatori costituiscano la principale voce di spesa <strong>del</strong>le società e<br />

quali siano le strategie utilizzate dai club per riuscire ad ammortizzare i diritti<br />

pluriennali alle prestazioni dei calciatori. Nell’indagine di tale classe di valore<br />

particolare attenzione è stata posta sugli effetti contabili provocati dall’entrata in<br />

vigore <strong>del</strong> “Decreto Salva-Calcio”, il quale ha consentito ai club di diluire in dieci<br />

esercizi, poi ridotti a cinque in seguito all’intervento <strong>del</strong>l’Unione Europea, la perdita<br />

derivante dalla svalutazione <strong>del</strong> parco giocatori. Sul punto è stato evidenziato sia<br />

come il provvedimento contrasti con i corretti principi contabili sia come il suo unico<br />

effetto, in sostanza, sia stato quello di rinviare al futuro la ricapitalizzazione <strong>del</strong>le<br />

società che hanno usufruito <strong>del</strong>l’agevolazione. L’analisi ha posto in evidenza le<br />

notevoli difficoltà riscontrate nel realizzare una gestione veramente manageriale<br />

<strong>del</strong>l’impresa calcistica, nonostante gli sforzi siano indirizzati verso una<br />

professionalizzazione sempre maggiore dei dirigenti e dei responsabili sportivi. Vi<br />

sono, nello specifico, ancora grosse lacune soprattutto per quanto riguarda aspetti<br />

propriamente aziendali, quali il processo di budgeting previsionale e consuntivo e lo<br />

sfruttamento <strong>del</strong> marchio, utilizzato in <strong><strong>It</strong>alia</strong> nella maggior parte dei casi per porre<br />

illegalmente rimedio a buchi nei bilanci piuttosto che, come avviene invece in<br />

Inghilterra, per ricavare nuovi introiti dalla commercializzazione di gadget e dalla<br />

promozione di iniziative recanti il proprio brand.<br />

Alcune tendenze in atto nel <strong>calcio</strong> italiano, tra le quali i nuovi progetti di gestione<br />

diretta degli stadi da parte <strong>del</strong>le società, lo sviluppo nell’utilizzo di internet,<br />

l’ampliamento <strong>del</strong>la gamma di servizi offerti dai club ed il passaggio dall’idea di<br />

tifoso a quella di cliente sono processi che risultano ad oggi solo abbozzati e che<br />

sono lungi dall’essere implementati a pieno regime nella quotidiana attività<br />

186


gestionale condotta dalle società nostrane. Eppure la necessità di raggiungere un<br />

giusto equilibrio tra logiche sportive e manageriali costringe di fatto le società<br />

sportive professionistiche a concentrare la propria attenzione non solo sulle vicende<br />

agonistiche, ma anche su quelle concernenti gli aspetti più propriamente economico-<br />

aziendali <strong>del</strong>la gestione, nonostante i successi sportivi garantiscano da soli notevoli<br />

fonti di ricavo derivanti oltre che dai maggiori diritti televisivi anche dalla<br />

conclusione di lauti contratti di sponsorizzazione. Spesso, infatti, questi proventi non<br />

si sono tradotti in risultati positivi di gestione, bensì sono stati erosi da un incremento<br />

più che proporzionale dei costi, soprattutto quelli legati agli ingaggi dei calciatori<br />

migliori. L’indagine ha così evidenziato l’arretratezza <strong>del</strong> nostro Paese soprattutto<br />

rispetto al contesto <strong>del</strong>la Premier League inglese, con il Manchester United che è<br />

leader indiscusso nella commercializzazione di articoli recanti il nome o il marchio<br />

<strong>del</strong>la società. In molti in <strong><strong>It</strong>alia</strong> si nascondono esclusivamente dietro le abnormi<br />

dimensioni raggiunte da un mercato dei prodotti contraffatti mal contrastato dalle<br />

autorità competenti, ma in realtà le scarne politiche di merchandising dei nostri club<br />

sono soprattutto il frutto di un processo di marketing miopia che porta le varie<br />

società a non andare alla ricerca di nuovi bisogni e di nuovi clienti, preferendo<br />

mantenere l’offerta di un solo bene o di un solo servizio non adeguando la propria<br />

struttura organizzativa alle mutevoli situazioni di mercato. <strong>Una</strong> strategia degna di<br />

censura che, associata alla mancata possessione di uno stadio di proprietà da parte di<br />

quasi tutte le formazioni professionistiche eccezion fatta per la Reggiana e la<br />

Juventus, con quest’ultima che vedrà il nuovo Delle Alpi inaugurato nel settembre<br />

2011, priva i nostri club di un ulteriore asset fondamentale per lo svolgimento <strong>del</strong>la<br />

propria attività. L’esperienza britannica ha dimostrato, infatti, che il merchandising e<br />

la proprietà degli impianti sportivi consentono ai club da un lato di disporre di una<br />

solida componente patrimoniale, dall’altro di creare valore tramite la gestione <strong>del</strong>le<br />

numerose attività commerciali che possono essere realizzate anche all’interno <strong>del</strong>lo<br />

stesso impianto. <strong>Una</strong> fonte particolarmente lauta di guadagno, cui ha attinto in <strong><strong>It</strong>alia</strong><br />

solo la stessa Juventus, è rappresentata dalla cessione dei naming rights degli stadi:<br />

prendendo spunto ancora una volta da società inglesi come l’Arsenal, il Bolton ed il<br />

Wigan e da diverse formazioni tedesche, il club di Torino ha ceduto i naming rights<br />

<strong>del</strong> nuovo Delle Alpi alla Sportfive, società leader nel settore <strong>del</strong> marketing,<br />

187


incassando 75 milioni di euro per 12 anni. Gli altri club italiani, perennemente in<br />

attesa che venga varata la legge sugli stadi, non possono far altro che seguire<br />

l’esempio <strong>del</strong>la Juventus, il cui processo di crescita è comunque ancora ben lungi dal<br />

completarsi, innestando un nuovo circuito finanziario che, muovendo dallo<br />

sfruttamento <strong>del</strong> marchio a fini commerciali e dalla proprietà <strong>del</strong>lo stadio, sia in<br />

grado di generare un incremento futuro <strong>del</strong>le entrate societarie riuscendo così a<br />

colmare il gap che li separa dall’Inghilterra.<br />

Oltre al processo di acquisizione degli impianti sportivi e a nuove conseguenti<br />

strategie riguardanti un merchandising che deve andare ben oltre la fittizia cessione<br />

<strong>del</strong> proprio brand a società di propria proprietà, un primo passo verso un futuro<br />

virtuoso potrebbe essere rappresentato dall’investire oggi sui campioni <strong>del</strong> domani<br />

sfruttando a pieno il potenziale <strong>del</strong> proprio vivaio, così da poter inserire nuovi<br />

elementi di spessore tecnico in prima squadra evitando di investire eccessive risorse<br />

finanziarie per acquistare calciatori già maturi formati nei vivai di altri club.<br />

L’inserimento di giocatori <strong>del</strong>le giovanili in rosa permette infatti di capitalizzare<br />

effettivamente gli investimenti fatti negli anni precedenti, visto che il costo di<br />

acquisto vero e proprio risulta nullo o decisamente inferiore a quello che si sarebbe<br />

pagato sul mercato per lo stesso calciatore già formato. Per le piccole squadre,<br />

inoltre, la creazione di organici con una certa percentuale di giocatori provenienti<br />

dalle zone limitrofe non può che determinare una espansione <strong>del</strong>la base-tifosi e un<br />

maggiore attaccamento <strong>del</strong>la stessa alla squadra. Attraverso le “bandiere”, i giocatori<br />

simbolo, il club diviene infatti ancora maggiormente rappresentativo <strong>del</strong>l’orgoglio di<br />

essere nati o vissuti in quel particolare territorio. Se invece i campioncini vengono<br />

ceduti a società maggiori, vi è anche una fonte di introiti non indifferente. Per le<br />

grandi squadre, oltre ai vantaggi economici derivanti dai minori costi di acquisizione,<br />

vi sono quelli collegati al contenimento <strong>del</strong>la voce salari e stipendi, cioè di quel<br />

fattore di spesa che ha causato effettivamente il dissesto <strong>del</strong> sistema <strong>calcio</strong> italiano<br />

arrivando a rappresentare, in una sola stagione, il 125% <strong>del</strong> fatturato totale generato<br />

dai club di Serie A. Basti pensare, a tal proposito, che nella stagione 2009/10 si è<br />

registrato un aumento <strong>del</strong> 7.4% dei costi relativi agli ingaggi <strong>del</strong> personale, saliti a<br />

1.182 miliardi di euro a fronte dei 1100 <strong>del</strong> campionato precedente. Un rialzo che si è<br />

riflesso di fatto sull’esposizione debitoria dei club verso gli istituti bancari, salita<br />

188


complessivamente a 619 milioni di euro con un aumento <strong>del</strong> 26% rispetto al passato<br />

in virtù anche degli ingenti prestiti richiesti dalle società per le operazioni di mercato<br />

e per iniziative di varia natura, come nel caso <strong>del</strong> leasing da 30 milioni garantito da<br />

Unicredit per il centro sportivo di Vinovo <strong>del</strong>la Juventus.<br />

Le tantissime disastrate società di <strong>calcio</strong> italiane, da cui si estraniano pochissime<br />

realtà virtuose, come il Napoli di Aurelio de Laurentiis, una gemma rara come<br />

mo<strong>del</strong>lo di oculata e produttiva gestione finanziaria, nel corso di questo processo di<br />

sviluppo saranno chiamate a confrontarsi con il “Fair Play Finanziario” voluto dal<br />

presidente <strong>del</strong>l’Uefa Michel Platini per cercare di risanare i bilanci in passivo <strong>del</strong>le<br />

partecipanti alle competizioni europee. Platini, nello specifico, ha voluto che il fair<br />

play uscisse dal campo per entrare nei conti <strong>del</strong>le squadre. Il 27 maggio 2010 il<br />

Comitato esecutivo Uefa ha dato l’ok, d’intesa con l’Associazione club europei<br />

(Eca), alle linee guida <strong>del</strong> progetto: i club non devono spendere più di quanto<br />

ricavato; non dovranno protrarre nessun debito durante la stagione verso i club, i<br />

dipendenti e/o autorità sociali e fiscali; dovranno assicurare maggiore trasparenza<br />

finanziaria da parte <strong>del</strong>le società. Nel biennio 2010- 2012 non è stata prevista alcuna<br />

applicazione <strong>del</strong>le limitazioni, bensì una pura supervisione da parte <strong>del</strong>l’Uefa che,<br />

nel caso di una gestione eccessivamente errata, è sinora sfociata in un warning<br />

preventivo che nel febbraio 2011 ha richiamato all’ordine soprattutto Manchester<br />

City, Liverpool, Chelsea ed Inter. Tra il 2018 e il 2019 si dovrà centrare il break<br />

even tra ricavi e spese. Un target che, ovviamente, verrà raggiunto gradualmente. Nel<br />

triennio 2012-2015 le perdite non potranno superare il valore complessivo di 45<br />

milioni di euro, con una media di 15 milioni all’anno. Se, però, nel primo anno la<br />

società avrà un rosso di 45 milioni, nelle successive due stagioni non potrà spendere<br />

più nulla. Questo meccanismo, tuttavia, sarà applicabile solamente nel caso in cui si<br />

proceda ad un aumento di capitale che ripiani la perdita stessa, altrimenti il limite<br />

massimo sarà di 5 milioni. Nel lasso di tempo che andrà dal 2015 al 2019 il tetto<br />

massimo complessivo <strong>del</strong>le perdite sarà invece di 30 milioni. Anche questo margine<br />

di spesa, però, vale solo nell’ipotesi di un aumento di capitale. Alla fine di questo<br />

graduale apprendistato in materia di “Fair Play Finanziario”, si dovrà raggiungere il<br />

pareggio tra costi e ricavi. Anche se, poi, potrebbe essere ammesso un rosso di 3<br />

milioni all’anno da valutare caso per caso. <strong>Una</strong> sorta di cuscinetto per quelle società<br />

189


che, magari retrocesse, devono dribblare un calo dei ricavi. In questo quadro<br />

economico non rientreranno alla voce spese gli stipendi, le spese d’acquisto e gli<br />

ingaggi dei calciatori under 18. Si tratta, non a caso, di un’impostazione volta a<br />

favorire gli investimenti nei settori giovanili. Alla stesso modo non saranno<br />

contabilizzati come costi gli investimenti per la costruzione di un impianto sportivo<br />

per il tempo in cui sarà ammortizzata la spesa. L’idea <strong>del</strong>la Uefa e <strong>del</strong>l’Eca è quella<br />

di ricondurre il business nei giusti binari, dando l’opportunità anche a chi ha meno<br />

risorse di dire la sua contrariamente a quanto nella maggior parte dei casi è avvenuto<br />

negli anni addietro. Nel frattempo i non esaltanti risultati economici e finanziari<br />

riportati dai club italiani, Inter in testa, stridono fortemente se paragonati ai risultati<br />

<strong>del</strong> campo conseguiti soprattutto dai nerazzurri, vincitori <strong>del</strong>la Champions League<br />

conquistata a Madrid il 22 maggio 2010, <strong>del</strong>la Coppa <strong>del</strong> Mondo per Club vinta ad<br />

Abu Dhabi il 18 dicembre 2010, di 4 Coppe <strong><strong>It</strong>alia</strong>, 3 Supercoppe <strong><strong>It</strong>alia</strong>ne e di 5<br />

scudetti consecutivi conseguiti tra il 2005 e lo stesso 2010. Due facce <strong>del</strong>la stessa<br />

medaglia, successi sportivi da un lato, rovesci etici, sociali, finanziari e politici<br />

dall’altro. Forse la bellezza <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> è proprio questa: basta una vittoria sul campo e<br />

tutto quanto di brutto c’è stato prima cade nel dimenticatoio. In fondo il <strong>calcio</strong> è da<br />

sempre sottomesso agli dei <strong>del</strong> fato e disprezza apertamente ogni logica di sorta. Ne<br />

sa qualcosa proprio il Manchester United da me tanto adorato, che, nella finale di<br />

Champions League <strong>del</strong> 1999 al Camp Nou di Barcellona, superò in rimonta il Bayern<br />

Monaco 2-1 grazie alle reti di Teddy Sheringham e Ole Gunnar Solskjaer in pieno<br />

recupero al termine di una partita che i bavaresi avrebbero meritato di vincere: nelle<br />

brevissime frazioni di secondo in cui i “Red Devils” segnarono quei due famosi goal,<br />

il club aumentò i suoi ricavi totali annui di quasi il 20% grazie ai premi in denaro, le<br />

vendite <strong>del</strong> merchandising, i ricavi da diritti media e gli accordi di sponsorizzazione.<br />

Non sarà più<br />

“un pallone eroico e romantico, con i campioni che nascevano<br />

all’oratorio e morivano in osteria” 33 ,<br />

33 Falsanisi G., Giangreco E. F., Le società di <strong>calcio</strong> <strong>del</strong> 2000, dal marketing alla quotazione in borsa,<br />

Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ), 2001, p. 7<br />

190


ma il <strong>calcio</strong> moderno, in tutte le sue sfaccettature e distorsioni, continua ancora ad<br />

emozionarci indescrivibilmente regalandoci attimi in<strong>del</strong>ebili cui pochi saprebbero<br />

rinunciare.<br />

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(http://www.bresciaoggi.it/stories/Cronaca/80138stadium_global_center_gi_il_sipario/),<br />

(20 maggio 2011).<br />

TEODORI C., L’economia ed il bilancio <strong>del</strong>le società sportive. Il caso <strong>del</strong>le società di<br />

<strong>calcio</strong>, Giappichelli, Torino 1995.<br />

TEOTINO G., E anche in Europa il <strong>calcio</strong> si scopre un brutto business,<br />

(http://www.linkiesta.it/e-anche-europa-<strong>calcio</strong>-si-scopre-brutto-business), (21 febbraio<br />

2011).<br />

200


TEOTINO G., UVA M., La ripartenza. Analisi e proposte per restituire competitività<br />

all’industria <strong>del</strong> <strong>calcio</strong> in <strong><strong>It</strong>alia</strong>, Il Mulino, Bologna 2010.<br />

TIRRITO G., Il mo<strong>del</strong>lo inglese, il <strong>calcio</strong>-business, in Analisi giuridica <strong>del</strong>l’economia,<br />

n. 2/2005.<br />

TURANO G., Tutto il <strong>calcio</strong> miliardo per miliardo. Il pallone da Rocco ad<br />

Abramovich, Il Saggiatore, Milano 2007.<br />

VULPIS M., Quando lo stadio diventa business, in <strong><strong>It</strong>alia</strong> Oggi, 4 febbraio 2003.<br />

ZAPPULLA A., Legge sugli stadi, On. Lolli: “Tutto fermo a causa di Lotito”,<br />

(http://www.lalaziosiamonoi.it/?action=read&idnotizia=19009), (20 maggio 2011).<br />

201


Ringraziamenti<br />

Completato il lavoro di stesura di questa tesi tengo ad esprimere i miei ringraziamenti<br />

alla mia famiglia, che non mi ha mai fatto mancare il proprio appoggio e senza la quale<br />

non sarei mai riuscito a tagliare questo prestigioso traguardo.<br />

Ringrazio Umberto Lago, Alessandro Formisano, Alessandro Prunesti, Francesco Bof e<br />

Gianfranco Teotino per il contributo offertomi in qualità di esperti <strong>del</strong> settore con le<br />

interviste gentilmente rilasciatemi.<br />

Un caloroso grazie va ai miei colleghi, i quali hanno reso indimenticabile questa<br />

esperienza universitaria grazie alla loro allegria e determinazione. Ringrazio in<br />

particolare Alessandro, Biagio ed Antonio, con cui ho condiviso giornate di studio e di<br />

svago a dir poco uniche. Un grazie va anche a Daniela, con la quale ho condiviso la<br />

tensione per gli ultimi esami.<br />

Un ringraziamento va infine, non certo per ordine di importanza, a chi condivide con me<br />

la quotidianità in tutti i suoi risvolti: gli onnipresenti Giuseppe, Vincenzo, Mauro e<br />

Francesco, gli amici di una vita Luca e Massimo, gli affezionatissimi Jessica, Francesca<br />

e Ferdinando, i “radiolini” Anna e Domenico, e Sarah, la quale nei momenti di empasse<br />

ha sempre tenuto a sottolineare ironicamente il mio status di studente sollecitandomi a<br />

suo modo a dedicarmi alle famigerate sudate carte.

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