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scubazone #5

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Una carenza riguardante i temi della sicurezza, dei<br />

metodi e delle tecniche da attuare per interventi metodologicamente<br />

corretti. Lungo i circa 3.500 km di<br />

coste italiane sono certamente numerosissimi i siti<br />

di interesse archeologico che potrebbero contribuire<br />

corposamente alla ricostruzione storica degli eventi<br />

passati e alla valorizzazione dei luoghi, anche da un<br />

punto di vista turistico. Alcune ricerche stimano in circa<br />

il 20% la percentuale dei relitti ritrovati sulla totalità<br />

degli affondati. Questo vuol dire che su ogni relitto<br />

oggi censito, possiamo prevederne altri 4 ancora da<br />

scoprire. Le recenti campagne di indagine subacquea<br />

nelle isole di Ventotene, Ponza, Panarea, negli anni<br />

2009/2011, hanno dimostrato quanto una ricerca con<br />

metodo, e l’utilizzo di applicazioni e strumentazioni<br />

adeguate possano essere foriere di importanti risultati.<br />

È oggi evidente che se gruppi di appassionati volessero<br />

proporre collaborazioni con le Soprintendenze<br />

su progetti di tutela e valorizzazione di siti archeologici<br />

sommersi, diventerebbe necessario adeguare le<br />

proprie conoscenze e le distinte capacità operative<br />

alle esigenze che un lavoro di questo tipo implica.<br />

Di conseguenza è importante sapere, innanzi tutto,<br />

come occorre comportarsi quando in immersione ci<br />

imbattiamo in un oggetto che potrebbe essere un reperto<br />

antico.<br />

Cominciamo con il precisare cosa s’intende per antico. La<br />

legge italiana definisce beni culturali fra gli altri, e per<br />

quello che ci interessa: “le navi e i galleggianti aventi<br />

interesse artistico, storico o etnoantropologico”.<br />

Poiché nel sottosuolo e nel mare ogni evidenza riconducibile<br />

al patrimonio culturale è di proprietà dello<br />

Stato Italiano, e deve ritenersi patrimonio inalienabile,<br />

va da se che ogni asportazione o prelievo di souvenirs<br />

nei relitti, come spesso purtroppo accade, sia considerato<br />

un furto allo Stato. Oltre che non essere bello,<br />

fare sfoggio in salotto di campane da nebbia o boccaporti,<br />

oggetti in bronzo o quant’altro proveniente da<br />

un relitto, ci vedrebbe irrimediabilmente relegati nella<br />

categoria dei ladri, poiché di reato di furto si tratta.<br />

Anche relitti recenti, ovvero affondati nella seconda<br />

guerra mondiale sono da considerarsi beni dello Stato.<br />

Infatti l’articolo 10 comma 1 del Decreto Urba-<br />

ni così recita: “Sono beni culturali le cose immobili e<br />

mobili [...] che presentano interesse artistico, storico,<br />

archeologico o etnoantropologico”. Quindi non solo<br />

anfore e relitti antichi, per i quali abbiamo un interesse<br />

archeologico, ma anche relitti recenti per i quali si<br />

possa configurare un interesse storico.<br />

Vediamo comunque ora quel che più ci interessa,<br />

ovvero come comportarci se in immersione ci imbattiamo<br />

in qualcosa che potrebbe essere definito<br />

reperto antico. Perché lo Stato deve sentirsi in dovere<br />

di vietare ai propri cittadini l’asportazione di questi<br />

beni dal fondo del mare? Come mai ci sono sanzioni<br />

così pesanti per chi si appropria di un’anfora o di un<br />

oggetto appartenente a un relitto che lì giace da 2000<br />

anni? La risposta a queste domande risiede nell’interesse<br />

scientifico che si concretizza nello studio del<br />

contesto. Vediamo di precisare il significato del termine.<br />

Il relitto può fornire una notevole messe di informazioni<br />

che derivano dallo studio del modo in cui giace,<br />

nel luogo dove è stato ritrovato. Per un archeologo<br />

subacqueo capire i rapporti fra gli oggetti che ritrova<br />

in acqua è fondamentale. In fondo l’archeologia è<br />

questo. Un archeologo studia i rapporti fra gli oggetti<br />

e ne ricostruisce la vita. Un oggetto è stato concepito,<br />

costruito e utilizzato per precisi scopi, può essere<br />

poi stato riutilizzato per altri scopi, e poi abbandonato.<br />

Un archeologo cerca di ricostruire tutte queste fasi,<br />

indipendentemente dal valore o dalla bellezza dell’oggetto<br />

stesso. Facciamo un esempio semplice: se io<br />

trovo sul fondale una serie di monete con dei pezzi<br />

di vetro che sembrano appartenere a un vaso, potrò<br />

ipotizzare che quelle monete erano in un vaso di vetro,<br />

stabilire che il vaso di vetro era stato forse riutilizzato<br />

per conservare quelle monete, valutare dove, a bordo,<br />

era conservato quel vaso. Se prelevo quelle monete,<br />

pensando al loro valore venale e non i pezzi di vetro,<br />

non avrò mai quelle informazioni. Ecco il motivo per il<br />

quale chi scava in un cantiere archeologico lo fa procedendo<br />

per strati, documentando ogni strato con disegni<br />

e fotografie, sia che si tratti di uno scavo a terra,<br />

sia che questo lavoro si svolga in mare.<br />

Eliminando il rapporto fra oggetto e oggetto si impedisce<br />

la ricostruzione di una parte della storia di<br />

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