Marzo 2005 - Ordine dei Giornalisti
Marzo 2005 - Ordine dei Giornalisti
Marzo 2005 - Ordine dei Giornalisti
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<strong>Ordine</strong><br />
<strong>dei</strong><br />
giornalisti<br />
della<br />
Lombardia<br />
INPGI<br />
SCONFITTA<br />
PER<br />
L’ISTITUTO<br />
Tribunale civile di Milano:<br />
ai giornalisti iscritti all’Inpgi<br />
spetta la “libertà di cumulo”<br />
tra pensione e redditi da lavoro<br />
Ministeri del Lavoro<br />
e dell’Economia:<br />
il bilancio dell’Inpgi<br />
“tende al peggioramento”<br />
Comunicato dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti della Lombardia<br />
Bando per il XV biennio (<strong>2005</strong> - 2007)<br />
dell’Istituto “Carlo De Martino”<br />
per la Formazione al Giornalismo.<br />
Le iscrizioni dal 1° marzo al 30 giugno<br />
<strong>2005</strong> aperte anche ai cittadini<br />
comunitari. La tassa annuale di<br />
frequenza è di 50 euro, che va versata<br />
interamente alla Regione Lombardia.<br />
ORDINE 3 <strong>2005</strong><br />
Associazione “Walter Tobagi” per la Formazione al Giornalismo<br />
Istituto “Carlo De Martino” per la Formazione al Giornalismo<br />
La Scuola in 28 anni di vita ha creato<br />
563 giornalisti professionisti<br />
(tra questi: 35 direttori, 22 addetti<br />
stampa, 4 vicedirettori, 77 capiredattori,<br />
42 inviati o corrispondenti dall’estero, 88<br />
capiservizio, 2 segretari di redazione,<br />
193 redattori ordinari,<br />
19 cococo e 6 “vari”).<br />
<strong>Giornalisti</strong> si diventa<br />
a Milano,<br />
capitale dell’editoria<br />
Milano, 15 febbraio <strong>2005</strong>. Sono aperte dal<br />
1° marzo fino al 30 giugno <strong>2005</strong> le iscrizioni al<br />
concorso di ammissione al XV biennio (<strong>2005</strong>-<br />
2007) dell’Istituto “Carlo De Martino” per la<br />
Formazione al Giornalismo (Ifg).<br />
Il corso, sostitutivo del praticantato tradizionale,<br />
è promosso dall’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti della<br />
Lombardia in collaborazione con la Regione<br />
Lombardia. L’Ifg è il centro di formazione<br />
professionale gestito dall’Associazione “Walter<br />
Tobagi” per la formazione al giornalismo.<br />
Al termine <strong>dei</strong> due anni di corso, e superato<br />
l’esame di Stato, gli allievi-praticanti verranno<br />
iscritti all’elenco professionisti dell’Albo <strong>dei</strong><br />
VINCE LA LINEA SOSTENUTA<br />
DA ANNI DALL’ORDINE<br />
DELLA LOMBARDIA<br />
giornalisti. Al termine del biennio i praticanti<br />
affronteranno un esame interno finale, scritto<br />
e orale. Della Commissione giudicatrice<br />
(nominata dal Consiglio dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti<br />
della Lombardia d’intesa con la direzione<br />
dell’Istituto) farà parte anche un rappresentante<br />
della Regione Lombardia.<br />
La direzione della scuola, tenendo conto <strong>dei</strong><br />
risultati dell’esame finale, rilascerà un certificato<br />
di frequenza e profitto.<br />
La prova, propedeutica all’esame di Stato,<br />
condiziona il rilascio, da parte del presidente<br />
dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti della Lombardia,<br />
del certificato di fine praticantato.<br />
L’Ifg, scuola di eccellenza europea, cerca 40 giovani<br />
laureati, determinati, con un ottimo curriculum<br />
di studi e che sappiano cogliere le nuove<br />
opportunità della professione giornalistica<br />
Il testo del bando nelle pagine centrali<br />
L’Inpgi deve osservare le stesse regole dell’Inps in<br />
tema di libertà di cumulo: questo è il significato di una<br />
sentenza del Tribunale civile di Milano depositata ilo<br />
10 febbraio.Queste le valutazioni di Franco Abruzzo:<br />
“L’applicazione ai giornalisti dipendenti di un regime in<br />
materia di cumulo così diverso in senso peggiorativo da<br />
quello previsto per i lavoratori comuni configura una<br />
disparità di trattamento che il principio di coordinamento –<br />
sancito dal punto 4 dell’articolo 76 della legge n. 388/2000<br />
– appare diretto a prevenire. La sentenza rispecchia i principi<br />
affermati dalla sentenza n. 437/2002 della Corte costituzionale<br />
sulla libertà di cumulo nell’ambito della cassa<br />
<strong>dei</strong> ragionieri. Da Milano parte un segnale forte: l’Inpgi è<br />
con le spalle al muro, perché non può negare ai propri<br />
iscritti quei trattamenti (come la libertà di cumulo) che<br />
sono riconosciuti dall’Inps.<br />
L’uguaglianza è un valore costituzionale inviolabile, fondamentale<br />
e intangibile”.<br />
Roma, 2 febbraio <strong>2005</strong>. Dal 3 gennaio sul tavolo del<br />
presidente dell’Istituto c’è una lettera firmata dal direttore<br />
generale del Ministero del Lavoro, Maria Teresa Ferraro,<br />
che scrive anche per conto del Ministero dell’Economia. In<br />
breve, secondo i due Ministeri, il bilancio dell’Inpgi “tende al<br />
peggioramento”. Sono necessari “interventi con urgenti e<br />
incisive misure sulle contribuzioni e/o sulle prestazioni”. In<br />
sostanza bisogna tagliare le pensioni e aumentare i contributi<br />
versati dalle aziende oppure bisogna tagliare le pensioni<br />
o alternativamente aumentare i contributi.<br />
Le scelte sono ineludibili. Non c’è una terza via.<br />
IL TESTO DELLA LETTERA DEL DIRETTORE GENERALE DEL MINISTERO DEL LAVORO A PAG. 3<br />
Illecito<br />
pubblicare<br />
abusivamente<br />
foto di<br />
un’attrice<br />
A PAG. 2<br />
SOMMARIO<br />
Anno XXXV<br />
n. 3 <strong>Marzo</strong> <strong>2005</strong><br />
Direzione e redazione<br />
Via A. da Recanate, 1<br />
20124 Milano<br />
Telefono: 02 67 71 37 1<br />
Telefax: 02 66 71 61 94<br />
http://www.odg.mi.it<br />
e-mail:odgmi@odg.mi.it<br />
Poste Italiane SpA<br />
Sped.abb.post. Dl n. 353/2003<br />
(conv. in L. 27/2/2004 n. 46)<br />
art. 1 (comma 2).<br />
Filiale di Milano<br />
L’Assemblea degli<br />
iscritti giovedì<br />
24 marzo <strong>2005</strong><br />
“Oro”<br />
a 21<br />
colleghi<br />
per<br />
50 anni<br />
di Albo<br />
Milano, 15 febbraio <strong>2005</strong>.<br />
Sono 21 i colleghi (14 professionisti<br />
e 7 pubblicisti) che<br />
quest’anno compiono i 50<br />
anni di iscrizione negli elenchi<br />
dell’Albo. Riceveranno la<br />
medaglia d’oro dell’<strong>Ordine</strong><br />
della Lombardia in occasione<br />
dell’assemblea annuale degli<br />
iscritti che si terrà giovedì 24<br />
marzo (h 15) al Circolo della<br />
Stampa.<br />
A PAGINA 8<br />
LE INTERVISTE<br />
Accolta la richiesta di danni della Sandrelli per le foto rubate<br />
Roma, 19 gennaio <strong>2005</strong>. La pubblicazione<br />
non autorizzata di foto di<br />
un’attrice tratte da un film è illecita<br />
e dà diritto al risarcimento <strong>dei</strong> danni<br />
per lesione del diritto all’immagine.<br />
Lo ha stabilito la prima sezione civile<br />
della Corte di cassazione (sentenza<br />
n. 22513/2004) accogliendo il<br />
ricorso di Stefania Sandrelli (nella<br />
foto) contro un noto settimanale per<br />
soli uomini che aveva pubblicato,<br />
senza il consenso dell’attrice, foto<br />
tratte dal film La chiave. La Corte di appello di Roma aveva<br />
infatti escluso il diritto al risarcimento sulla base del fatto che<br />
l’attrice aveva rifiutato di consentire alla pubblicazione, dimostrando,<br />
secondo i giudici di merito, la volontà di abbandonare<br />
il proprio diritto.<br />
La Suprema corte ha invece ribaltato il ragionamento <strong>dei</strong><br />
giudici dell’appello, ricordando che “chiunque pubblichi abusivamente<br />
il ritratto di una persona nota per finalità commerciali,<br />
è tenuto al risarcimento del danno, la cui liquidazione deve<br />
essere effettuata tenendo conto anzitutto delle ragioni della<br />
notorietà di cui si tratta, soprattutto se questa è connessa alla<br />
attività artistica del soggetto leso, alla quale si collega normalmente<br />
lo sfruttamento esclusivo della immagine stessa”.<br />
Incontri Tettamanzi: “No alla moltiplicazione della chiacchiera<br />
e del pettegolezzo” pag. 4<br />
Professione La nuova Carta <strong>dei</strong> Doveri dell’informazione economica pag. 15<br />
Diffamazione, la fretta non giustifica la pubblicazione<br />
di una notizia non vera<br />
pag. 15<br />
Premi A Ugo Tramballi l’Oscar degli inviati pag. 16<br />
Intervento L’italiano invaso da 9mila anglicismi pag. 17<br />
<strong>Ordine</strong> Dai compensi negati per le collaborazioni<br />
(articoli, uffici stampa) fino al riconoscimento<br />
del diritto d’autore disinvoltamente violato pag. 18<br />
Dibattito Quando “i cari colleghi assunti” diventano kapò pag. 19<br />
Mostre 1944, la democrazia italiana riparte dal Sud pag. 22<br />
Tesi di laurea Leonardo Sciascia, uno scrittore in redazione pag. 26<br />
La storia Le stragi degli anni Venti. Quando il terrorismo colpiva Milano pag. 32<br />
<strong>Ordine</strong> La sala del Consiglio dedicata a Nino Nutrizio pag. 34<br />
La Libreria di Tabloid pag. 35<br />
1
Segue dalla prima pagina<br />
INPGI<br />
Milano, 10 febbraio <strong>2005</strong>. L’Inpgi deve osservare le stesse<br />
regole dell’Inps in tema di libertà di cumulo, come prescrive<br />
l’articolo 76 (punto 4) della legge 23 dicembre 2000 n. 388,<br />
in forza del quale “le forme previdenziali gestite dall’Inpgi<br />
devono essere coordinate con le norme che regolano il<br />
regime delle prestazioni e <strong>dei</strong> contributi delle forme di previdenza<br />
sociale obbligatoria, sia generali che sostitutive”.<br />
Questo è il significato di una sentenza, firmata dal giudice<br />
del lavoro R. Punto del tribunale di Milano e depositata oggi<br />
in cancelleria, che ha accolto le ragioni del giornalista E.C.,<br />
difeso dall’avvocato Patrizia Sordellini.<br />
Il giudice ha depositato il dispositivo della sentenza, che<br />
dice: “Il tribunale di Milano, disattesa ogni altra domanda ed<br />
eccezione, dichiara che il regime di incumulabilità tra<br />
pensioni e redditi di lavoro applicato al ricorrente è in<br />
contrasto con l’articolo 76 legge n. 388/2000, condanna il<br />
convenuto (Inpgi, ndr.) a restituire quanto al periodo<br />
pregresso gli importi decurtati dal trattamento pensionistico”.<br />
Il giudice ha dichiarato compensate le spese di giudizio<br />
(data la novità della causa).<br />
In sintesi, la controversia verteva sulla legittimità del<br />
comportamento dell’Inpgi che, a partire dal gennaio 2002,<br />
ha applicato nei confronti del giornalista/ricorrente, un trattamento<br />
in materia di cumulo oggettivamente peggiorativo<br />
rispetto a quello previsto dalla disciplina comune. Più precisamente,<br />
anziché applicare per il periodo da gennaio 2002<br />
a dicembre 2002, una trattenuta nella sola misura del 30%<br />
sul rateo mensile di pensione dovuto in conformità all’art.<br />
72 (2° comma) della legge 23 dicembre 2000 n. 388 (c.d.<br />
Appello<br />
a Siniscalco<br />
e Maroni<br />
Milano, 10 febbraio <strong>2005</strong>. Appello di Franco Abruzzo, presidente<br />
dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti della Lombardia, ai ministri<br />
dell’Economia e del Lavoro, Domenico Siniscalco e Roberto<br />
Maroni: “Oggi il Consiglio di amministrazione dell’Inpgi ha<br />
approvato due delibere: una che estende il superbonus<br />
anche ai giornalisti e la seconda, che limita il diritto alla libertà<br />
di cumulo pensione-redditi da lavoro, fissata negli articoli 72<br />
della legge n. 388/2000 e 44 (comma 7) della legge n.<br />
289/2002.<br />
I giornalisti possono cumulare fino a 8.509 euro. Con questa<br />
seconda delibera, il Consiglio d’amministrazione dell’Istituto<br />
ha violato ancora una volta e clamorosamente l’articolo 3<br />
Tribunale civile di Milano:<br />
ai giornalisti iscritti all’istituto<br />
spetta la “libertà di cumulo”<br />
tra pensione e redditi da lavoro<br />
Finanziaria 2001) nonché consentire per il periodo successivo<br />
il pieno cumulo fra rateo pensionistico e reddito da<br />
lavoro dipendente – secondo quanto previsto dall’articolo<br />
44 della legge 27 dicembre 2002 n. 289 (c.d. Finanziaria<br />
2003) – l’ente previdenziale ha operato, all’inizio, una<br />
decurtazione del rateo pensionistico spettante al ricorrente<br />
nella misura del 50%, applicando l’articolo 15 del proprio<br />
Regolamento approvato con D.M. 24 luglio 1995 e, successivamente,<br />
ha azzerato l’erogazione del trattamento<br />
pensionistico.<br />
Di fronte alla richiesta del giornalista di corrispondere<br />
quanto illegittimamente trattenuto nel periodo pregresso,<br />
nonché di usufruire per il tempo futuro del medesimo trattamento<br />
previsto dalla disciplina comune in materia, l’Inpgi si<br />
è fatta scudo dietro l’autonomia che, a suo dire, le riconoscerebbe<br />
in materia l’articolo 44 (comma 7 della legge del<br />
27 dicembre 2002 n. 289), laddove prevede che “gli enti<br />
previdenziali privatizzati possono applicare le disposizioni<br />
di cui al presente articolo nel rispetto <strong>dei</strong> principi di autonomia<br />
previsti dal decreto legislativo 30 giugno 1994”.<br />
Ad avviso di questa difesa, la difesa della convenuta si rivela<br />
destituita di ogni fondamento anche alla luce dell’attuale<br />
dato positivo.<br />
Queste le valutazioni di Franco Abruzzo, presidente dell’<strong>Ordine</strong><br />
<strong>dei</strong> giornalisti della Lombardia: “L’applicazione ai giornalisti<br />
dipendenti di un regime in materia di cumulo così<br />
diverso in senso peggiorativo da quello previsto per i lavoratori<br />
comuni configura una disparità di trattamento che il<br />
principio di coordinamento – sancito dal punto 4 dell’artico-<br />
Due delibere del Consiglio d’amministrazione<br />
Sì al superbonus,<br />
cumulo sino a 8.509 euro<br />
Roma, 10 febbraio <strong>2005</strong>. Sì al superbonus,<br />
mentre resta invariato il tetto al cumulo tra<br />
pensione e redditi di lavoro autonomo.<br />
Lo ha deliberato oggi il Consiglio di amministrazione<br />
dell’Inpgi, l’Istituto di previdenza <strong>dei</strong><br />
giornalisti italiani: le deliberazioni saranno<br />
portate alla ratifica <strong>dei</strong> ministeri vigilanti.<br />
Prima di assumere una decisione sul superbonus,<br />
l’Inpgi - spiega una nota - ha dovuto far<br />
accertare attraverso una valutazione attuariale<br />
se, adottando la regola del bonus, potesse<br />
essere messa a rischio la stabilità dell’Ente.<br />
‘’Lo studio - sostiene l’Inpgi - ha evidenziato gli<br />
aspetti positivi del recepimento del decreto, e,<br />
di conseguenza, il Cda ha deliberato di estendere<br />
agli iscritti all’Inpgi il diritto di richiedere<br />
l’applicazione del superbonus’’. In particolare,<br />
secondo l’istituto, ‘’è emerso che nel periodo<br />
<strong>2005</strong>-2010 la spesa previdenziale si ridurrebbe<br />
di 72 milioni a fronte di una riduzione di<br />
entrate contributive pari a 27 milioni (saldo attivo<br />
di 45 milioni).<br />
Dal 2011 al 2032 la spesa aumenterebbe<br />
leggermente, ma sarebbe ampiamente<br />
compensata, con notevole vantaggio, dalla<br />
crescita del patrimonio, realizzata nel periodo<br />
di applicazione del bonus’’.<br />
‘’Nell’approvare il recepimento della norma, il<br />
Consiglio di amministrazione dell’Inpgi - continua<br />
l’ente a proposito del superbonus - ha<br />
anche tenuto conto del forte aumento <strong>dei</strong><br />
pensionamenti di anzianità verificatosi negli<br />
ultimi due mesi a causa dell’iniziativa assunta<br />
da varie aziende, le quali hanno stimolato le<br />
dimissioni di giornalisti con diritto alla pensione,<br />
offrendo loro consistenti buonuscite.<br />
Ciò minacciava di diminuire sostanzialmente,<br />
rispetto al passato, le entrate contributive,<br />
aumentando contemporaneamente la spesa<br />
previdenziale.<br />
Un doppio danno che il bonus potrà ridurre<br />
efficacemente’’.<br />
“L’Inpgi continua a violare il principio<br />
costituzionale dell’uguaglianza,<br />
limitando il diritto alla libertà<br />
di cumulo. Qualcuno deve pur<br />
dire la verità ai giovani giornalisti”<br />
della Costituzione (uguaglianza) e la sentenza n. 437/2002<br />
della Corte costituzionale. Proprio oggi il Tribunale del lavoro<br />
di Milano ha sancito che l’Inpgi deve comportarsi come l’Inps,<br />
in tema di libertà di cumulo, nel rispetto del punto 4<br />
dell’articolo 76 della legge n. 388/2000. L’Inpgi è l’unica cassa<br />
sostitutiva dell’Inps. Se è una cassa deve comportarsi come<br />
le casse degli avvocati e <strong>dei</strong> ragionieri, costrette dalla Corte<br />
costituzionale a riconoscere la libertà di cumulo ai propri<br />
iscritti; se è sostitutiva dell’Inps deve comportarsi come l’Inps.<br />
Non c’è una terza via. Signori ministri, attenti! I vertici<br />
dell’Inpgi vi diranno che la Fondazione non ha soldi; che le<br />
perizie attuariali del prof. Gismondi non consigliano di appli-<br />
lo 76 della legge n. 388/2000 – appare diretto a prevenire.<br />
La sentenza rispecchia i principi affermati dalla sentenza n.<br />
437/2002 della Corte costituzionale sulla libertà di cumulo<br />
nell’ambito della cassa <strong>dei</strong> ragionieri. Da Milano parte un<br />
segnale forte: l’Inpgi è con le spalle al muro, perché non<br />
può negare ai propri iscritti quei trattamenti (come la libertà<br />
di cumulo) che sono riconosciuti dall’Inps. L’uguaglianza è<br />
un valore costituzionale inviolabile, fondamentale e intangibile”.<br />
La sentenza n. 437/2002 della Corte costituzionale è<br />
eloquente: “È, infatti, da osservare anzitutto che il perseguimento<br />
dell’obiettivo tendenziale dell’equilibrio di bilancio<br />
non può essere assicurato da parte degli enti previdenziali<br />
delle categorie professionali – e, in particolare, da parte<br />
della Cassa di previdenza a favore <strong>dei</strong> ragionieri e periti<br />
commerciali – con il ricorso ad una normativa che, trattando<br />
in modo ingiustificatamente diverso situazioni sostanzialmente<br />
uguali, si traduce in una violazione dell’articolo 3<br />
della Costituzione.<br />
L’iscrizione ad albi o elenchi per lo svolgimento di determinate<br />
attività è, infatti, prescritta a tutela della collettività ed<br />
in particolare di coloro che dell’opera degli iscritti intendono<br />
avvalersi. In secondo luogo, si rileva che le norme concernenti<br />
il cumulo tra reddito da lavoro e prestazione previdenziale<br />
presuppongono la liceità dell’esercizio dell’attività<br />
lavorativa da parte del pensionato ed operano quindi su un<br />
piano diverso ed in un momento successivo a quelle del<br />
tipo della disposizione censurata, finalizzate ad impedirne<br />
lo svolgimento”.<br />
Quanto alla seconda delibera, che riguarda il<br />
cumulo tra pensione e redditi da lavoro autonomo,<br />
l’Inpgi spiega che ‘’nel maggio 2004 il<br />
Consiglio di amministrazione dell’Inpgi recepì<br />
un accordo tra la Fnsi e la Fieg, con il quale<br />
veniva elevato a 13.000 euro annui il massimale<br />
<strong>dei</strong> redditi cumulabili con la pensione. Il<br />
ministero dell’Economia, ricevendo la delibera,<br />
richiese tuttavia una verifica la quale dimostrasse<br />
che ciò non avrebbe rischiato di creare<br />
danno alla stabilità <strong>dei</strong> bilanci futuri dell’Ente.<br />
Lo studio attuariale non è stato in grado di dare<br />
questa sicurezza e quindi il Consiglio di amministrazione<br />
dell’Inpgi ha confermato oggi il<br />
precedente tetto riferito al 2001 di 7.746 euro,<br />
che a suo tempo era stato già oggetto di valutazione<br />
positiva da parte del ministero dell’Economia.<br />
Ad oggi il massimale è stato comunque rivalutato,<br />
anno dopo anno, per effetto delle aliquote<br />
di perequazione nelle seguenti misure: 2001,<br />
euro 7.746,85; 2002, euro 7.956,02; 2003,<br />
euro 8.146,96; 2004, euro 8.350,64; <strong>2005</strong>,<br />
euro 8.509,30’’. (ANSA)<br />
care la libertà di cumulo; che il direttore generale del ministero<br />
del Lavoro, Maria Teresa Ferraro, ha suonato l’allarme sul<br />
futuro dell’Istituto. Se è così, l’Inpgi deve tornare pubblico<br />
come era fino al 1995, applicando le regole dell’Inps<br />
(40x2=80%) e non l’assurda quanto splendida regola che<br />
parifica 30 anni di versamenti all’Inpgi ai 40 dell’Inps. L’Inpgi<br />
per fare 80% moltiplica 30x2,66. Il coefficiente del 2,66 è un<br />
lusso che un piccolo gruppo sociale, qual è quello <strong>dei</strong> giornalisti<br />
professionisti, non può più, purtroppo, permettersi.<br />
Signori ministri, intervenite, è un vostro dovere, è un vostro<br />
obbligo giuridico. Qualcuno deve pur dire la verità ai giovani<br />
giornalisti. Io mi assumo le mie responsabilità”.<br />
2 ORDINE 3 <strong>2005</strong>
Segue dalla prima pagina<br />
Ministeri del Lavoro<br />
INPGI<br />
e dell’Economia:<br />
il bilancio dell’ente<br />
“tende al peggioramento”<br />
Questo il testo della lettera della dott.ssa Ferraro:<br />
OGGETTO: Bilancio tecnico al 31/12/2003<br />
della gestione principale dell’Inpgi<br />
È stato analizzato il bilancio tecnico della gestione principale<br />
di codesto Istituto, trasmesso con nota n. 262 del 27<br />
settembre 2004, per il parere di competenza. La situazione<br />
gestionale dell’Istituto, che, in base alle risultanze del<br />
bilancio consuntivo, chiude l’esercizio 2003 con un avanzo<br />
di 63,775 milioni di euro ed un patrimonio netto pari a<br />
1.122,828 milioni di euro, evidenzia, tuttavia, alcuni<br />
segnali negativi, di cui non si può non tener conto:<br />
■ la rallentata crescita <strong>dei</strong> contributi (da + 6,06% nel 2002<br />
a + 5,14% nel 2003);<br />
■ l’incremento della spesa previdenziale (da + 4,32% nel<br />
2002 a + 5,12% nel 2003).<br />
La flessione delle entrate contributive, nonostante la serie<br />
di interventi che hanno interessato sia la base contributiva<br />
(ingresso nell’Inpgi nel 2001 <strong>dei</strong> giornalisti pubblicisti<br />
con contratto di lavoro subordinato), sia l’aliquota Ivs (1%<br />
in più dal 01/01/<strong>2005</strong>) è principalmente dovuta ai nuovi<br />
rapporti di lavoro che, pur in crescita, non riescono a<br />
costituire il gettito contributivo necessario per il pagamento<br />
delle pensioni in essere. L’incremento della spesa<br />
pensionistica, che costituisce il 90,2% delle entrate contributive,<br />
è da imputare, oltre alla perequazione di legge<br />
(2,4% nel 2003), ai seguenti fattori:<br />
■ incremento del numero di trattamenti pensionistici;<br />
■ maggior importo delle nuove pensioni rispetto a quelle<br />
cessate;<br />
■ passaggio da trattamenti ridotti ad interi;<br />
■ liquidazione <strong>dei</strong> supplementi di pensione;<br />
■ incremento delle retribuzioni per il calcolo della media<br />
pensionabile;<br />
■ onere <strong>dei</strong> prepensionamenti a totale carico dell’Inpgi<br />
(pari a 18,4 mln di euro).<br />
Ed ora mano alla riforma<br />
previdenziale <strong>dei</strong> giornalisti<br />
di Ezio Chiodini<br />
“…Pertanto, la rilevata tendenza al peggioramento<br />
della gestione previdenziale rende<br />
ineludibile come, peraltro sottolineato dal<br />
covigilante ministero dell’Economia e Finanze,<br />
la necessità di intervenire con urgenti ed<br />
incisive misure sulle contribuzioni e/o sulle<br />
prestazioni, ai sensi del richiamato art. 3,<br />
comma 12, della legge n.335/95”.<br />
Parole della dottoressa Maria Teresa Ferrraro,<br />
direttore generale per le politiche previdenziali<br />
del ministero del Lavoro e delle Politiche<br />
Sociali. Parole scritte a conclusione<br />
della lettera ricevuta dell’Inpgi il 3 gennaio<br />
scorso, lettera con quale la Ferraro, cioè il<br />
ministero del Lavoro e delle Politiche sociali<br />
ha espresso il proprio parere (anche a nome<br />
Dal 1° gennaio 2001 i giornalisti conseguono la pensione di<br />
vecchiaia a 65 anni e le giornaliste a 60 anni (con un minimo<br />
di 20 anni di contributi). La pensione di vecchiaia anticipata<br />
(quest’anno scatta per chi ha 63 anni e 30 anni di contributi)<br />
scomparirà alla fine del 2006. Dal primo gennaio 2007, quindi,<br />
i giornalisti andranno in pensione tutti a 65 anni (se<br />
maschi) e a 60 (se donne).<br />
ORDINE 3 <strong>2005</strong><br />
Nonostante la contribuzione Ivs abbia fatto registrare un<br />
trend in crescita (4,85 in più rispetto al 2002), nel 2003<br />
sono cresciute anche le prestazioni Ivs, con una percentuale<br />
del 5,12% rispetto all’anno precedente, con conseguente<br />
disallineamento che, se dovesse divenire sistematico,<br />
farebbe registrare un peggioramento progressivo<br />
della gestione.<br />
Analizzando i flussi di contributi e prestazioni per l’esercizio<br />
2003, emerge che il 91,5% delle contribuzioni totali<br />
proviene dalla gestione Ivs, mentre il 95,4% delle prestazioni<br />
totali è costituito da prestazioni Ivs, che assorbono,<br />
quindi, circa il 4% <strong>dei</strong> finanziamenti destinati alle altre<br />
prestazioni (disoccupazione, tbc etc.).<br />
Dall’analisi del bilancio tecnico al 31/12/2000, già si<br />
evidenziava uno squilibrio a partire dal 2020. Di conseguenza,<br />
questo ministero aveva richiesto l’adozione di<br />
idonei provvedimenti correttivi sul versante delle prestazioni<br />
e/o contribuzioni.<br />
Il disavanzo gestionale è stato nuovamente confermato<br />
dal bilancio tecnico attuariale al 31/12/2003, che anticipa<br />
il punto di criticità nel 2018 con un saldo previdenziale,<br />
cioè la differenza tra contributi e prestazioni, già negativo<br />
nel 2017, non rispettando neanche l’arco temporale di<br />
quindici anni previsto dall’art. 3, comma 12, della legge<br />
335/95. Nel 2029 il patrimonio non copre più le prestazioni<br />
correnti e si azzera nel 2034.<br />
L’aumento dell’1% dell’aliquota Ivs, che dal 1° gennaio<br />
<strong>2005</strong> si attesta al 28,97%, non è sufficiente ad assicurare<br />
l’equilibrio e risulta, comunque, inferiore a quella del Fpld<br />
che, al 01/01/2004 come aliquota contributiva ordinaria<br />
applica il 32,70% (23,81% a carico del datore di lavoro e<br />
8,89% a carico del lavoratore).<br />
Pertanto, la rilevata tendenza al peggioramento della<br />
gestione previdenziale rende ineludibile come, peraltro,<br />
sottolineato dal covigilante ministero dell’Economia e<br />
Finanze, la necessità di intervenire con urgenti ed incisive<br />
misure sulle contribuzioni e/o sulle prestazioni, ai sensi<br />
del richiamato art. 3, comma 12, della legge n. 335/95.<br />
IL DIRETTORE GENERALE<br />
(dott.ssa Maria Teresa FERRARO)<br />
del ministero dell’Economia) sul bilancio<br />
tecnico al 31 dicembre 2003 dell’Istituto di<br />
previdenza <strong>dei</strong> giornalisti.<br />
Insomma, anche la Ferraro ne è convinta:<br />
l’Istituto non gode affatto di buona salute.<br />
Anzi! E, forse non lo sa, ma dopo aver fatto<br />
preoccupanti affermazioni sul futuro dell’istituto<br />
la Ferrario sarà anch’essa iscritta d’ufficio<br />
a quel club <strong>dei</strong> corvi che, secondo autorevoli<br />
esponenti dell’Inpgi, godrebbero nel<br />
vedere il nostro istituto trasformato in cadavere.<br />
Ma lasciamo stare i corvi, e lasciamo stare<br />
anche i becchini e gli imbonitori e occupiamoci,<br />
invece, del nostro istituto. Per dire che<br />
anche la Ferraro (vedere la lettera integrale<br />
pubblicata qui sopra) giunge a conclusioni<br />
ormai sottoscritte da molti: così com’è la<br />
gestione dell’Inpgi non può più andare avanti.<br />
Bisogna mettere mano, e subito, ai conti,<br />
perché prevedendo un saldo già negativo<br />
nel 2017 “non si rispetta neanche l’arco<br />
temporale di quindici anni previsto dall’art.3,<br />
comma 12, della legge 335/95…”. E “l’aumento<br />
dell’1% dell’aliquota Ivs (cioè quanto<br />
si paga sullo stipendio lordo a fini previdenziali,<br />
ndr), che dal primo gennaio si attesta<br />
al 28,97%, non è sufficiente ad assicurare<br />
l’equilibrio e risulta, comunque, inferiore a<br />
quella del Fpdl (cioè il fondo di previdenza<br />
<strong>dei</strong> lavoratori dipendenti che fa capo all’Inps,<br />
ndr) che come aliquota contributiva ordinaria<br />
applica il 32,70% (23,81% a carico del<br />
datore di lavoro e 8.89% a carico del lavoratore)”.<br />
C’è poco da aggiungere a quanto scritto<br />
chiaramente dalla Ferraro. Casomai c’è<br />
molto da riflettere. Anche sull’intervento di<br />
Pierluigi Franz (consigliere dell’Inpgi) apparso<br />
sull’ultimo numero di <strong>Ordine</strong> Tabloid. In<br />
quell’intervento Franz scrive, fra l’altro, che<br />
“nei prossimi mesi l’Inpgi dovrà pronunciarsi<br />
Ai giovani giornalisti assunti per la prima volta dopo il 25<br />
luglio 1998 (sono oltre 5mila, un terzo <strong>dei</strong> giornalisti attivi) si<br />
applica già il calcolo contributivo con il risultato che gli stessi<br />
percepiranno una pensione inferiore del 22-24 per cento<br />
rispetto a quelle erogate oggi ai colleghi meno giovani.<br />
Nessuno dice che se le cose dovessero andare male (faccio<br />
scongiuri), lo Stato garantirà il diritto alla pensione (ma non<br />
su una serie di importanti questioni molto<br />
attesa dalla categoria: superbonus, correzione<br />
del divieto di cumulo pensione/lavoro,<br />
riforma delle pensioni, probabile aumento<br />
del costo <strong>dei</strong> contributi volontari figurativi,<br />
revisione del meccanismo di adeguamento<br />
<strong>dei</strong> vitalizi…”<br />
Insomma, nei prossimi mesi si metterà mano<br />
alla riforma previdenziale dell’Inpgi.<br />
Ma “chi” vi metterà mano? E in quale contesto?<br />
Può una riforma del genere essere<br />
partorita soltanto ed esclusivamente da un<br />
consiglio di amministrazione, può essere il<br />
risultato di una mediazione fra poteri diversi?<br />
E quali poteri? O deve essere, invece, una<br />
riforma che si ispiri a principi e poteri di<br />
equità, di trasparenza e di democrazia, una<br />
riforma dibattuta e fatta propria dai giornalisti<br />
iscritti all’Inpgi? La risposta, a nostro giudizio,<br />
è ovvia. E allora, occhio alla riforma, ma<br />
anche a come verrà gestita e proposta.<br />
Età pensionabile a 65 anni (maschi) e a 60 anni (donne)<br />
dall’1.1.2007 (5mila giovani già con il contributivo)<br />
il quantum) e darà ai giornalisti Inpgi soltanto l’assegno<br />
sociale (meno di 500 euro al mese). Perché dobbiamo correre<br />
simili paurosi rischi?<br />
Perché non riflettere sulla necessità di ritornare al pubblico<br />
e al “come eravamo” fino al 1995? L’Inpgi non ammette la<br />
pericolosità attuale <strong>dei</strong> bilanci (incassiamo 100 e spendiamo<br />
92).<br />
3
IL CARDINALE HA INCONTRATO IL 29 GENNAIO GLI ALLIEVI PRATICANTI DELLE TRE SCUOLE DI GIORNALISMO DI<br />
Tettamanzi: “No alla moltiplicazione<br />
La lezione<br />
dell’Arcivescovo<br />
Saluto ciascuno di voi con viva cordialità. E vi ringrazio<br />
perché avete accolto l’invito a questo incontro, in occasione<br />
della festa di san Francesco di Sales, patrono <strong>dei</strong> giornalisti.<br />
In particolare saluto gli studenti e i docenti delle tre scuole di<br />
giornalismo presenti a Milano. Sono grato ai direttori e ai loro<br />
rappresentanti per avermi delineato, sia pure brevemente, la<br />
fisionomia, le caratteristiche e le finalità delle singole scuole.<br />
Ho potuto così cogliere come le vostre scuole non si limitano<br />
ad una istruzione giornalistica di carattere tecnico, cioè –<br />
potremmo dire – non si limitano ad insegnare a “fare” i giornalisti,<br />
ma si impegnano anche e soprattutto a far nascere e<br />
crescere negli studenti il senso di responsabilità di “essere”<br />
giornalisti.<br />
Mi pare, questo, un tratto importante, anzi decisivo di una<br />
valida e seria scuola di giornalismo. Sono convinto che per<br />
“fare” il giornalista sia del tutto necessario “essere” giornalista!<br />
Secondo l’antica massima: agere sequitur esse.<br />
Questa mia conversazione familiare desidera avere, come<br />
primi e privilegiati interlocutori, voi studenti e docenti delle<br />
scuole milanesi di giornalismo. Amo però pensare che le<br />
riflessioni che condivido con voi possano essere di qualche<br />
interesse e utilità anche per chi, ormai da tempo, esercita la<br />
professione di operatore <strong>dei</strong> media.<br />
Francesco di Sales:<br />
un giornalista esemplare<br />
anche per il nostro tempo<br />
A mo’ di introduzione, non posso tralasciare di spendere una<br />
parola sul santo di cui in questi giorni la Chiesa ha fatto<br />
memoria. È Francesco di Sales, vescovo di Ginevra, che nel<br />
1923 è stato proclamato patrono <strong>dei</strong> giornalisti e degli scrittori<br />
per una evidente “affinità” del santo con queste categorie<br />
di persone.<br />
Anch’egli, infatti, ha coltivato l’arte del giornalismo e della<br />
stampa. L’ha fatto come era possibile ai suoi tempi: siamo<br />
negli anni del millecinque-seicento (è morto, a 56 anni, nel<br />
1622); e l’ha fatto attraverso una fittissima corrispondenza e<br />
una serie di lettere ai fedeli della sua diocesi, lettere che poi<br />
diventavano fogli stampati e largamente diffusi.<br />
Nella sua opera “giornalistica” – se così possiamo esprimerci<br />
– ci sono <strong>dei</strong> tratti di particolare interesse. Così la sua<br />
La “lectio”<br />
del<br />
cardinale<br />
di Emanuele Buzzi e Daniele Lorenzetti<br />
Milano, 29 gennaio <strong>2005</strong>. Raccontare la<br />
verità, anche quando essa ci sfugge o non<br />
piace, raccontare la verità anche se si è<br />
circondati da retaggi di ipocrisia e scelte di<br />
comodo: questo dovrebbe essere il lavoro<br />
del giornalista. Non un imperativo categorico,<br />
ma un assioma che a volte viene trascurato<br />
o dimenticato. Sono passati i tempi in cui<br />
Balzac sosteneva che “se la stampa non<br />
esistesse, bisognerebbe non inventarla, ma<br />
ormai c’è e noi ci viviamo”: oggigiorno l’informazione<br />
è una necessità, una necessità su<br />
cui riflettere. Lo ha fatto con gli allievi e i<br />
docenti delle scuole di giornalismo di Milano<br />
– Istituto Carlo De Martino, Cattolica e Iulm<br />
– il cardinale e arcivescovo Dionigi Tettamanzi.<br />
L’incontro, organizzato in occasione della<br />
festa del patrono <strong>dei</strong> giornalisti san Francesco<br />
di Sales e dedicato a “passione e coraggio<br />
della verità”, si è tenuto al seminario arcivescovile<br />
di Milano.<br />
La “lectio” del cardinale è stata preceduta da<br />
una breve introduzione <strong>dei</strong> rappresentanti<br />
delle tre scuole. È stato proprio Gigi Speroni,<br />
singolare capacità di armonizzare la limpidità e il vigore<br />
dell’annuncio della verità con la bontà e la soavità del suo<br />
animo: una linea, questa, da attribuirsi non solo al suo temperamento,<br />
ma anche alla disciplina da lui continuamente coltivata<br />
e dimostrata soprattutto nei dibattiti e nelle contese con<br />
i protestanti del suo tempo. Così ancora il suo desiderio di<br />
arrivare a tutti e la sua capacità effettiva di raggiungere il più<br />
largo numero di persone, come pure l’impegno a diffondere<br />
“il messaggio” evangelico e umano anche nelle situazioni più<br />
complesse e difficili. Era estremamente abile nell’esprimersi<br />
in modo chiaro, così da essere compreso da tutti. E, infine, la<br />
sua ferma determinazione a servire la verità con passione e<br />
con coraggio.<br />
Questi e altri motivi hanno indotto il papa Pio XI a proclamare<br />
san Francesco di Sales quale patrono <strong>dei</strong> giornalisti e, in<br />
tal modo, a proporlo agli operatori della comunicazione<br />
sociale come esempio e aiuto.<br />
Ed è proprio pensando alla figura e all’azione di questo santo<br />
che ho scelto come argomento della nostra riflessione e del<br />
nostro dialogo un argomento, forse arduo ma assolutamente<br />
essenziale per il vostro “essere” giornalisti: la passione e il<br />
coraggio della verità.<br />
Il bene primario<br />
della comunicazione<br />
e la verità<br />
Penso che il punto di partenza della nostra riflessione debba<br />
essere la consapevolezza che l’informazione-comunicazione<br />
è per tutti noi un bene primario: per le singole persone e per<br />
l’intera società. Vorrei citare un documento della Conferenza<br />
episcopale italiana, che offre gli orientamenti pastorali per<br />
questo primo decennio del 2000, dal titolo Comunicare il<br />
Vangelo in un mondo che cambia. Al numero 39 leggo: “La<br />
possibilità di comunicare in modo nuovo e diffuso è un bene<br />
di tutta l’umanità e come tale va promosso e tutelato. Quanto<br />
più potenti sono i mezzi di comunicazione tanto più deve<br />
essere forte la coscienza etica di chi in essi opera e di che<br />
ne usufruisce. È necessario pertanto che la comunicazione<br />
sociale non sia considerata solo in termini economici o di<br />
potere, ma resti e si sviluppi nel quadro <strong>dei</strong> beni di primaria<br />
importanza per il futuro dell’umanità”.<br />
A sinistra: il cardinale Dionigi Tettamanzi durante l’incontro con giornalisti e studenti<br />
delle scuole di giornalismo in occasione della festa di san Francesco di Sales. Qui sopra,<br />
da sinistra: il prof. Ruggero Eugeni, in rappresentanza della direzione della scuola di<br />
giornalismo dell’Università Cattolica; Gigi Speroni, direttore dell’Istituto di formazione al<br />
giornalismo Carlo De Martino; l’arcivescovo di Milano, card. Dionigi Tettamanzi; il prof.<br />
Angelo Agostini, direttore della scuola di giornalismo allo Iulm, don Gianni Zappa. Nella<br />
foto in basso il cardinale con il presidente Franco Abruzzo. (foto ITL/mariga)<br />
Più che<br />
«fare»<br />
i giornalisti,<br />
bisogna<br />
«essere»...<br />
direttore dell’Istituto De Martino, a ricordare<br />
come il tempo trascorso nelle aule debba<br />
“avere non solo una valenza formativa, ma<br />
anche una valenza sociale”: la crescita<br />
professionale non deve essere disgiunta da<br />
un arricchimento personale, interiore. Non a<br />
caso, lo slogan di Carlo De Martino era<br />
proprio “formare i giornalisti di domani”.<br />
Argomentazioni che hanno trovato il consenso<br />
di Ruggero Eugeni, intervenuto in rappresentanza<br />
della Cattolica: “La nostra scuola –<br />
ha detto – cerca di coniugare la fedeltà al<br />
progetto culturale della Chiesa con la sua<br />
natura di bottega redazionale”. Mentre Angelo<br />
Agostini, direttore del master in giornalismo<br />
allo Iulm, ha sottolineato la “vocazione<br />
sperimentale” della più giovane tra le scuole<br />
di giornalismo milanesi.<br />
“Più che «fare» i giornalisti, bisogna «essere»<br />
giornalisti” – ha fatto eco Tettamanzi: se<br />
comunicare vuol dire donare qualcosa di noi<br />
agli altri, “nel vostro caso significa contribuire<br />
a far crescere la comprensione della realtà<br />
in cui si vive”. Insomma, bisogna essere<br />
obiettivi, senza per questo dirsi neutrali. Anzi.<br />
Proprio il fatto di essere al servizio dell’uomo,<br />
di essere un mezzo per comprendere<br />
“Per essere giornalisti auten<br />
Ma perché l’informazione-comunicazione è un bene primario<br />
per tutti noi? Perché l’essere informati significa esprimere e<br />
vivere una dimensione essenziale della persona: la dimensione<br />
della relazionalità. Certo la persona è persona per la<br />
sua “razionalità”, ma non meno per la sua “relazionalità”,<br />
ossia per la sua capacità e realtà di entrare in rapporto con<br />
gli altri e con l’intera realtà. Ora i media, come efficacemente<br />
è stato scritto, sono “il biglietto di ingresso di ogni uomo e di<br />
ogni donna alla moderna piazza di mercato dove si esprimono<br />
pubblicamente i pensieri, dove si scambiano le idee,<br />
vengono fatte circolare le notizie e vengono trasmesse e ricevute<br />
le informazioni di ogni genere” (Giovanni Paolo II,<br />
Messaggio per la 26° Giornata mondiale delle comunicazioni<br />
sociali, 1992).<br />
Proprio così: è con l’informazione che noi entriamo in relazione<br />
con i più diversi fatti ed eventi che accadono; con i<br />
pensieri, i progetti, i sentimenti, le scelte e le azioni, in una<br />
parola con la vita degli altri; con le situazioni economiche,<br />
sociali, politiche del momento storico che stiamo vivendo;<br />
con le diverse culture che alimentano, mediante il dialogo o<br />
lo scontro, le interpretazioni e le decisioni in atto tra le persone,<br />
i gruppi, i popoli.<br />
E tutto questo incrociarsi di informazioni che rendono così<br />
viva e vivace quella che abbiamo ora chiamata “la moderna<br />
piazza di mercato” diviene una “provocazione”, un’occasione<br />
– cercata o, comunque, data – che chiede di essere assunta<br />
responsabilmente, un appello cioè a partecipare attivamente<br />
– in rapporto alle proprie risorse e nei propri ambienti di vita<br />
– ai processi che orientano e ultimamente decidono i percorsi<br />
della cultura, della convivenza civile, della politica, della<br />
storia.<br />
In questo senso, l’informazione deve dirsi un bisogno, al<br />
quale non si può rinunciare, analogamente al cibo d’ogni<br />
giorno. Ma come è necessario che il cibo da noi assunto<br />
quotidianamente sia buono, non ci faccia male, anzi ci dia<br />
l’energia indispensabile per svolgere il nostro lavoro e tutte le<br />
altre nostre attività, così è necessario che l’informazione che<br />
riceviamo e che offriamo sia buona, ci permetta cioè di<br />
possedere tutti gli elementi corretti necessari per conoscere<br />
e per capire la realtà in cui viviamo, in ordine poi a divenire<br />
protagonisti responsabili della crescita umana integrale di<br />
ciascuno di noi e di noi tutti insieme.<br />
Questo significa che la comunicazione non può avere altro<br />
obiettivo che quello di servire l’uomo e di contribuire, in<br />
4 ORDINE 3 <strong>2005</strong>
MILANO (CON I LORO DIRETTORI)<br />
Milano, 29 gennaio <strong>2005</strong>. A<br />
tu per tu con il lato oscuro<br />
della notizia, con le insidie<br />
della spettacolarizzazione e<br />
del pressappochismo, malattia<br />
ricorrente del giornalismo.<br />
È stato un incontro senza<br />
convenevoli, quello con l’arcivescovo<br />
di Milano.<br />
Che ha mirato dritto al cuore<br />
del problema. Il cardinale<br />
Tettamanzi non si è accontentato<br />
di una semplice lezione,<br />
ma ha voluto rispondere<br />
a viso aperto alle domande<br />
<strong>dei</strong> cronisti e degli studenti<br />
presenti al Seminario Arcivescovile,<br />
in omaggio a un principio<br />
(e un consiglio) da tenere<br />
stretto: “Un buon comunicatore<br />
è chi sa prima di tutto<br />
ORDINE 3 <strong>2005</strong><br />
ascoltare attentamente”.<br />
Spazio al microfono, dunque,<br />
per un botta e risposta con<br />
l’uditorio sullo stato di salute<br />
del mestiere. Chiede Alberto<br />
Comuzzi, presidente dall’Unione<br />
cattolica della stampa<br />
italiana: “L’arcivescovo di Milano<br />
è soddisfatto di come la<br />
comunità <strong>dei</strong> credenti viene<br />
raffigurata nella grande stampa?”<br />
Da Tettamanzi nessuna<br />
concessione alla polemica o<br />
alle lamentele, ma parole<br />
chiare sì: “Un certo grado di<br />
semplificazione è inevitabile<br />
– è la riflessione dell’arcivescovo<br />
– talora tuttavia diventa<br />
voluta. Basti pensare alla<br />
catalogazione <strong>dei</strong> vescovi per<br />
tendenza politiche. Si dice:<br />
ciò che ci circonda, rende necessarie le<br />
opinioni, perché “il giornalista non può limitarsi<br />
ad essere un burocrate della comunicazione”.<br />
Ecco allora che ci si trova di fronte un<br />
terreno ostico, dove è facile scivolare, cadere<br />
nella spettacolarizzazione della notizia o<br />
in una pericolosa sovrapposizione tra il<br />
proprio pensiero e la verità <strong>dei</strong> fatti. Bisogna<br />
quindi sapere distinguere la verità dall’opinione,<br />
sapersi mettere al servizio degli altri.<br />
Tettamanzi traccia la linea di confine su cui<br />
orientarsi, una linea sottile, fondata sull’etica:<br />
“La verità, nel nostro caso, altro non è che<br />
l’uomo stesso. Sì, l’uomo stesso, ma l’uomo<br />
quale è nella sua struttura essenziale, nei<br />
suoi dinamismi più profondi e nelle sue<br />
intrinseche finalità: ossia l’uomo come essere<br />
intelligente e libero, chiamato ad essere<br />
«con» e a vivere «per» gli altri”.<br />
In un mondo dominato dalle frivolezze è facile,<br />
tuttavia, cadere in tentazione. Tettamanzi<br />
si scaglia contro quel tipo di giornalismo che<br />
produce solo “la moltiplicazione della chiacchiera<br />
e del pettegolezzo, la ricerca ossessiva<br />
dello scoop, la tendenza a omologare tutto<br />
e a sostituire ciò che è rilevante e utile con<br />
ciò che è pura e vuota curiosità”, un giornali-<br />
“Un buon comunicatore<br />
è chi sa<br />
prima di tutto ascoltare<br />
attentamente”<br />
questo è di destra, quello di<br />
sinistra… Questi schemi sono<br />
già inadeguati nelle organizzazioni<br />
umane, e a maggior<br />
ragione lo sono per una<br />
realtà spirituale come la<br />
Chiesa!”.<br />
Certo, i principi dell’etica<br />
sono ardui da rispettare nel<br />
lavoro quotidiano, quando la<br />
pressione <strong>dei</strong> capi si fa<br />
spasmodica e la coscienza<br />
vacilla. Tanto più in una realtà<br />
editoriale dove il potere,<br />
come ha sottolineato l’inviato<br />
di Repubblica, Carlo Brambilla,<br />
è concentrato nelle mani<br />
di pochi. “Cosa fare quando<br />
non si può far bene? Dire di<br />
no al direttore?” si è chiesta a<br />
nome di tanti una cronista in<br />
sala. “Non voglio cercare un<br />
smo “destinato a creare emozioni più che ad<br />
aiutare le persone a pensare, a capire, a<br />
discernere”. È una presa d’atto sicura, decisa,<br />
schietta, anche se i toni sono paterni e<br />
affabili. Una sirena d’allarme contro i rischi<br />
che si affacciano numerosi in una professione<br />
che vive a stretto contatto con interessi<br />
politico-economici. Non bisogna cedere alle<br />
lusinghe, né “rassegnarsi di fronte a un sistema<br />
troppo grande e potente”, né “ricercare<br />
cinicamente il successo personale e la carriera<br />
con qualunque mezzo e ad ogni costo”.<br />
Asservirsi al sistema economico e commerciale<br />
“fino a diventarne per molti spetti dipendenti”<br />
equivale all’annullamento della dimensione<br />
etica e umana del giornalista.<br />
In sala i giovani sono attentissimi, c’è chi<br />
prende appunti e chi annuisce. Tettamanzi<br />
ricorda il detto latino “agere sequitur esse”,<br />
ciò che facciamo, ciò che siamo è sempre<br />
una conseguenza di ciò che siamo. In fondo,<br />
voler comunicare, fornire cibo per la mente, è<br />
una “vocazione”, che va incoraggiata e accresciuta,<br />
ricordandoci che il nostro fine e il<br />
centro della nostra attività sono “le persone<br />
concrete”. È necessario, quindi, “coltivare<br />
dentro di sé i valori che sono a fondamento<br />
alibi – ha replicato Tettamanzi<br />
– ma il compito di applicare<br />
questi criteri alle situazioni<br />
concrete spetta a ciascuno di<br />
voi. La risposta forse si può<br />
trovare meglio facendosi<br />
forza in gruppo”.<br />
Inevitabile poi un cenno all’attualità<br />
più stretta, quando un<br />
praticante dello Iulm, Martino<br />
Cello, ha allargato la discussione<br />
a un tema scottante,<br />
alla vigilia <strong>dei</strong> referendum<br />
sulla procreazione assistita:<br />
“Con quali criteri giudicare la<br />
comunicazione nel campo<br />
della bioetica?”. “Mi dà fastidio<br />
questa immediata e<br />
costante contrapposizione tra<br />
laici e cattolici – ha risposto<br />
Tettamanzi – quando l’argo-<br />
mento che si dibatte è essenzialmente<br />
umano. Ci sono<br />
tante bioetiche e tutte dipendono<br />
dalla concezione che<br />
uno ha dell’uomo”.<br />
Già, la questione antropologica.<br />
Chiedetevi chi è l’uomo<br />
e avrete la risposta, suggerisce<br />
Tettamanzi. E per farlo<br />
non serve necessariamente<br />
la fede, “poiché è la stessa<br />
ragione – soggiunge con<br />
forza suggestiva – a porsi<br />
sulla soglia del mistero”. Il<br />
sasso, insomma, è lanciato:<br />
non è detto che basti per<br />
trovare un accordo sui valori,<br />
ma certo è un bel viatico per<br />
una discussione aperta e<br />
civile.<br />
e.b. d.l.<br />
della chiacchiera e del pettegolezzo”<br />
... è facile<br />
cadere<br />
in tentazione<br />
misura non certo piccola ma determinante, a creare le<br />
condizioni perché l’uomo diventi sempre più uomo, ossia<br />
sempre più maturo nella coscienza della sua dignità personale<br />
e sempre più responsabile nell’uso della sua libertà:<br />
... il detto<br />
latino “agere<br />
sequitur<br />
esse”<br />
una libertà che, per essere veramente e pienamente<br />
umana, comporta in definitiva che l’uomo viva come essere<br />
“con” gli altri, anzi come essere “per” gli altri. In altri termini,<br />
una libertà che coincide con la responsabilità stessa come<br />
dono di sé agli altri, e dunque apertura a tutti, comunione e<br />
solidarietà con tutti, “compassione” – nel senso più nobile<br />
della parola – e “servizio” nel senso più esaltante e impegnativo<br />
del termine.<br />
Ora la consapevolezza di questo obiettivo – servire l’uomo<br />
perché diventi sempre più uomo – ha come suo primo sbocco<br />
l’impegno a non gettare nel mucchio qualsiasi comunicazione,<br />
più radicalmente a non confondere la verità con qualsiasi<br />
opinione, bensì a riconoscere e onorare i valori della<br />
verità e del bene, e dunque del rispetto della dignità personale<br />
di tutti e di ciascuno, come valori costitutivi del proprio<br />
essere operatori della comunicazione sociale.<br />
Da quanto abbiamo detto risulta che la questione della verità<br />
è centrale e decisiva per una comunicazione umana e<br />
umanizzante, ossia posta al servizio dell’uomo. C’è solo –<br />
ma è un punto capitale, questo – da non pensare in modo<br />
astratto la verità, come qualcosa di lontano o di estraneo alla<br />
nostra vita, ma da pensare in modo concreto, concretissimo:<br />
la verità, nel nostro caso, altro non è che l’uomo stesso. Sì,<br />
l’uomo stesso, ma l’uomo quale è nella sua struttura essenziale,<br />
nei suoi dinamismi più profondi e nelle sue intrinseche<br />
finalità: ossia l’uomo come essere intelligente e libero, chiamato<br />
ad essere “con” e a vivere “per” gli altri.<br />
In questo senso si può e si deve distinguere tra verità e<br />
opinione. Penso che la nostra riflessione e la nostra stessa<br />
esperienza di vita ci fanno sottoscrivere quanto dice il<br />
recente Direttorio della Cei Comunicazione e missione: “Se<br />
il rapporto con l’altro si riduce al semplice sovrapporsi di<br />
pareri e sensazioni individuali, la relazione sarà il luogo<br />
non della ricerca della verità, ma del confronto-scontro<br />
delle opinioni o peggio ancora della prevaricazione e della<br />
manipolazione.<br />
Alla ricerca della verità si sostituisce un percorso ambiguo<br />
e strumentale che conduce a una sorta di ‘moltiplicazione<br />
delle verità’ o ad un azzeramento del riferimento alla verità.<br />
Ne sortiranno visioni del mondo e della vita legate sempre<br />
più a opinioni e sondaggi, del tutto relativi o imposti a colpi<br />
di maggioranza. Così la verità rischia di finire confinata<br />
nell’ambito della coscienza individuale e di essere esclusa<br />
dall’arena sociale e politica” (n. 22).<br />
... esorta a<br />
non piegarsi<br />
di fronte alle<br />
difficoltà...<br />
della propria umanità e dell’umanità degli<br />
altri”.<br />
È un messaggio di speranza, una speranza<br />
tangibile, concreta che sembra trasparire<br />
dallo sguardo del cardinale, un plauso “ad<br />
esercitare una vigilante funzione critica”,<br />
essendo consci che non sarà semplice farlo.<br />
Etica e umanità sono parole che risuonano<br />
dure anche a chi dovrebbe averle nel proprio<br />
Dna come patrimonio, sono valori offuscati<br />
dalla realtà contemporanea, concetti che<br />
richiedono, appunto, “coraggio e passione”.<br />
Tettamanzi esorta a non piegarsi di fronte alle<br />
difficoltà e ricorda le parole di Giovanni Battista<br />
Montini in un incontro nella tipografia del<br />
quotidiano L’Italia di 50 anni fa: oggi come<br />
allora è fondamentale “avere la carità della<br />
verità. Bisogna amare quelli a cui si rivolge la<br />
parola; amare nel dono, nell’offerta di qualche<br />
cosa di vero”. Un suggerimento che trova<br />
eco nelle coscienze di chi in sala applaude e<br />
si avvia, cappotto sulle spalle, verso un futuro<br />
pieno di incognite. Fuori il freddo punge le<br />
ossa e scava in profondità, così come l’appello<br />
del cardinale penetra negli animi di chi<br />
vuole affrontare con passione, coraggio,<br />
dignità e verità il proprio domani.<br />
tici la passione e il coraggio della verità”<br />
L’attuale sistema<br />
della comunicazione mediatica<br />
e la tensione etica<br />
Nel contesto socio-culturale ora detto, diventano inevitabili<br />
alcuni interrogativi: il sistema della comunicazione mediatica,<br />
così come oggi è organizzata, ci aiuta o ci ostacola nel coltivare<br />
la passione e il coraggio della verità?<br />
Fino a che punto si può essere condizionati da un sistema<br />
che è in perenne movimento, che si configura come sempre<br />
più frenetico, che consuma in pochissimo tempo quanto<br />
produce, che accende ed alimenta l’ansia spasmodica di<br />
dare la notizia per primi, perché la prima notizia è comunque<br />
sempre quella vincente?<br />
All’immagine popolare – e per certi versi romantica – del giornalista<br />
che viaggia, che fotografa, osserva, si informa, conosce,<br />
verifica, riflette e poi – finalmente – comunica i risultati<br />
della sua paziente e laboriosa ricerca, si è sostituita quella<br />
dello stare in redazione, legati ad una sedia davanti al monitor,<br />
a leggere e a “cucinare” notizie di agenzia, a vedere cosa<br />
succede alla televisione, diventata ormai sempre più il luogo<br />
dove vengono “dettati” gli argomenti da comunicare e da<br />
sottolineare.<br />
Come sappiamo, questa trasformazione è la conseguenza<br />
dello straordinario sviluppo tecnologico, che ha creato e<br />
incessantemente crea nuovi e sempre più veloci sistemi di<br />
comunicazione e, insieme, ha realizzato e continua a realizzare<br />
strumenti mediatici sempre più potenti e ovunque diffusi.<br />
Noi non siamo né ottimisti né pessimisti a priori e ad oltranza.<br />
Siamo, semplicemente, realisti. Ora, da una parte, questo<br />
sviluppo rappresenta una grande opportunità e i nuovi mezzi<br />
costituiscono una preziosa risorsa: permettono, tra l’altro, di<br />
allargare la cerchia delle conoscenze, di favorire l’incontro e<br />
il dialogo con persone lontane o lontanissime e dalle più<br />
diverse culture, di sviluppare la consapevolezza di una interdipendenza<br />
che lega uomini e popoli. Ma, dall’altra parte,<br />
questo stesso sviluppo e questi stessi nuovi mezzi presentano<br />
non pochi rischi e possono aprire derive problematiche.<br />
E non è mistero per nessuno che simili rischi e derive proble-<br />
segue<br />
5
Il cardinale ha incontrato il 29 gennaio gli allievi praticanti delle tre scuole di giornalismo di Milano (con i loro direttori)<br />
matiche si fanno particolarmente evidenti e inquietanti quando<br />
le tecnologie e i processi di comunicazione sociale si<br />
collegano sempre di più con il sistema economico e commerciale,<br />
fino a diventarne per molti aspetti dipendenti.<br />
Al riguardo leggo nel citato Direttorio della Cei: “Il vorticoso<br />
aumento degli investimenti e degli introiti conduce alla creazione<br />
di gruppi oligopolistici, con il rischio che condizionino<br />
la visione e l’interpretazione della realtà, proponendo modelli<br />
distorti dell’esistenza umana, della famiglia e della società”<br />
(n. 8).<br />
Davanti a questa deriva è possibile e di fatto si dà una perdita<br />
di tensione etica: una perdita che in non pochi casi risulta<br />
essere, più propriamente, una cancellazione <strong>dei</strong> valori e delle<br />
esigenze etiche, cioè umane. È in riferimento ai media<br />
sempre più sofisticati, ma anche sottoposti a pressioni<br />
economiche e politiche, che il Direttorio Cei già citato scrive:<br />
“Così la questione etica si fa sempre più attuale e sentita.<br />
Non si tratta solo di vincolare i media a regole che tutelino in<br />
particolare i soggetti meno garantiti e le categorie più marginali.<br />
In agguato sono nuove e pesanti forme di alienazione,<br />
che possono condurre alla reificazione dell’uomo, ossia alla<br />
riduzione della persona a cosa, a oggetto, a merce. Occorre<br />
stabilire regole precise per l’uso degli strumenti e più ancora<br />
per definirne le responsabilità sociali. L’etica si erige pertanto<br />
a via per l’umanizzazione di processi altrimenti destinati a<br />
provocare conseguenze fortemente negative, sul piano<br />
personale, relazionale e sciale” (n. 87).<br />
Il rischio della perdita di tensione etica diventa per i giornalisti<br />
una vera e propria sfida etica che devono saper affrontare.<br />
Nessuno è esente dalle tentazioni. E nel campo <strong>dei</strong> media<br />
le tentazioni sono, tra le altre, quella di rassegnarsi di fronte<br />
a un sistema troppo grande e potente e quella di ricercare<br />
cinicamente il successo personale e la carriera con qualunque<br />
mezzo e ad ogni costo, in particolare asservendosi al<br />
sistema che appare vincente perché più ricco.<br />
Le conseguenze della perdita della tensione etica sono<br />
numerose e diverse. Mi limito a segnalare soltanto quella che<br />
sembra la più evidente, cioè l’assecondare o il cedere totalmente<br />
alla spettacolarizzazione <strong>dei</strong> media. Questi, allora, più<br />
che comunicare per informare, producono lo “spettacolo”<br />
della comunicazione con l’obiettivo di vendere e di guadagnare<br />
sempre più.<br />
Da qui la moltiplicazione della chiacchiera e del pettegolezzo,<br />
la ricerca ossessiva dello scoop, la tendenza a omologare<br />
tutto e a sostituire ciò che è rilevante e utile con ciò che è<br />
pura e vuota curiosità. Da qui, ancora, un linguaggio forzato,<br />
destinato a creare emozioni più che ad aiutare le persone a<br />
pensare, a capire, a discernere. Da qui, infine, il moltiplicarsi<br />
inarrestabile di parole, di suoni, di immagini che rendono difficilissimi,<br />
se non quasi impossibili, un ascolto attento e una<br />
comprensione razionale del tema trattato, salvo poi archiviarlo<br />
in un attimo come se non esistesse più, per passare allegramente<br />
ad altro.<br />
Le persone<br />
come vere protagoniste<br />
<strong>dei</strong> media<br />
Certamente il sistema della comunicazione sociale, nel quale<br />
opererete o già operate, si presenta oggi particolarmente<br />
difficile. Tuttavia bisogna riconoscere che i veri protagonisti<br />
sono, e devono continuare ad essere, le persone concrete, i<br />
comunicatori appunto; così come bisogna riconoscere che la<br />
qualità “vera” e “buona” della comunicazione dipende sempre<br />
dalle persone. “I mezzi di comunicazione sociale non fanno<br />
nulla da soli. Sono strumenti, mezzi utilizzati nel modo in cui<br />
le persone scelgono di utilizzarli” (Etica nelle comunicazioni<br />
sociali, 4).<br />
Ci troviamo in un sistema che non si è costituito da sé, ma<br />
che, comunque, è in larga parte il risultato di concrete azioni<br />
umane, cioè di scelte libere operate da esseri pensanti, che<br />
si pongono precisi obiettivi e che attivamente li perseguono.<br />
Per questo, come in ogni altro settore, anche nell’ambito <strong>dei</strong><br />
media occorre operare a partire da un progetto di “vita<br />
buona, un progetto cioè che si basa sulla “verità dell’uomo”,<br />
o meglio sulla “verità che è l’uomo stesso”. Un progetto che<br />
mette a fondamento quei valori e quelle esigenze che sono<br />
scolpiti indelebilmente dentro la struttura dinamica e finalistica<br />
dell’uomo, che definiscono il contenuto della inviolabile<br />
dignità personale propria e altrui, che costituiscono l’ispirazione<br />
di senso delle proprie scelte e delle proprie azioni.<br />
Prima ancora, dunque, di ricercare e di individuare i criteri<br />
per applicare la dimensione etica all’esercizio della professione;<br />
prima ancora di elaborare <strong>dei</strong> codici deontologici per<br />
gli operatori <strong>dei</strong> media, è necessario coltivare dentro di sé i<br />
valori che sono a fondamento della propria umanità e dell’umanità<br />
di tutti gli altri.<br />
E questo significa, certamente, allargare gli spazi del proprio<br />
crescere in umanità; significa coltivare una interiorità e,<br />
oserei dire, una spiritualità che ci spinga alla ricerca della<br />
verità come insopprimibile aspirazione e, insieme, come<br />
prima obbligazione del nostro essere uomini.<br />
Tutti gli uomini, dunque, sono chiamati a questa cura della<br />
interiorità, perché tutti sono chiamati alla ricerca della verità.<br />
Sono una cura e una ricerca assolutamente indispensabili<br />
affinché il nostro agire non sia in balia del caos o del caso,<br />
ma sia l’espressione coerente del nostro essere intelligente<br />
e libero. Una simile cura e ricerca sono tanto più necessarie<br />
quanto più l’esercizio della propria attività professionale<br />
avviene in un ambito di forte responsabilità per le conseguenze<br />
derivanti dalle proprie scelte e azioni e per la particolare<br />
complessità dovuta all’intrecciarsi di interessi diversi.<br />
In questo senso, sono convinto che un operatore <strong>dei</strong> media<br />
che non vuole essere asservito o schiacciato da un sistema<br />
complesso, potente e pieno di insidie come quello della<br />
comunicazione sociale, deve fortemente coltivare la propria<br />
personalità morale e spirituale, deve continuamente far<br />
crescere la propria umanità nell’esercizio quotidiano delle<br />
sue responsabilità e <strong>dei</strong> suoi doveri, deve ricercare ciò che è<br />
vero, giusto, buono, bello.<br />
In fondo, buon giornalista può essere chi, anzitutto, è uomo<br />
maturo, interiormente ricco, equilibrato e colto. Del resto la<br />
vostra, per sua natura, è una professione che non può non<br />
coinvolgere la totalità – più precisamente la “totalità unificata”<br />
– della persona. Voi non offrite semplicemente una penna:<br />
voi offrite la vostra intelligenza. Non mettete a disposizione<br />
semplicemente qualche cosa di voi: mettete a disposizione i<br />
vostri pensieri, le vostre emozioni, il vostro modo di vedere e<br />
di interpretare la realtà.<br />
Si potrebbe dire che quella del giornalista, prima di essere<br />
una professione tra le altre, è una vera “vocazione”, cioè un<br />
mettere a disposizione se stessi per il bene degli altri, dove<br />
l’interesse principale è contribuire a far crescere la retta<br />
comprensione della realtà in cui si vive, come passo necessario<br />
per vivere poi una vera libertà nelle scelte e nei comportamenti<br />
dell’esistenza quotidiana.<br />
La passione e il coraggio della verità sono parte essenziale<br />
della crescita integrale della persona: sono, dunque, da coltivarsi<br />
da tutti noi, anzitutto in noi stessi.<br />
Frutti ed esigenze<br />
della passione<br />
per la verità<br />
Tettamanzi:<br />
Non è difficile, a questo punto, avvertire che cosa di bello e<br />
di entusiasmante può derivare al giornalista quando, nell’esercizio<br />
della sua professione, è animato da una interiore<br />
passione per la verità.<br />
Ne deriva, anzitutto, un concreto impegno per la “obiettività”.<br />
“Parlare di obiettività non significa pensare che il compito del<br />
giornalista sia quello di scrivere in modo assolutamente e<br />
radicalmente neutrale rispetto a qualsiasi asse di valori,<br />
come invece la formulazione letterale di alcuni codici deontologici<br />
porterebbe a pensare”. Il giornalista è sempre un<br />
mediatore che sceglie, seleziona, sottolinea secondo il suo<br />
punto di vista. Ma finalizza questa sua attività a nessun altro<br />
interesse che non sia il vero bene degli altri.<br />
Suo obiettivo ultimo da perseguire è cercare di far diventare<br />
migliore l’uomo, cioè più maturo spiritualmente, più cosciente<br />
della sua eccelsa dignità personale, più libero e responsabile,<br />
più giusto e più solidale.<br />
Il comunicare non può ridursi a una vuota formalità. Deve<br />
partire dalla percezione di un bene, almeno dalla convinzione<br />
che è un bene divulgare una certa notizia in un determinato<br />
modo, e che non può non fare riferimento ai valori di cui<br />
si è convinti. La correttezza dell’informazione non è, quindi,<br />
data da un’asettica neutralità – cosa peraltro impossibile –,<br />
ma dalla trasparenza del proprio punto di vista e dalla<br />
prospettiva a partire dalla quale si seleziona e si trasmette la<br />
notizia.<br />
In secondo luogo, ne deriva l’impegno ad esercitare una vigilante<br />
funzione critica in vista del vero bene delle persone cui<br />
ci si rivolge. La vigilanza critica rappresenta un’essenziale<br />
esigenza dell’etica, chiamata a riconoscere, a rispettare e a<br />
promuovere la verità e il bene.<br />
Di nuovo vorrei citare il Direttorio della Cei, là dove scrive:<br />
“Gli operatori <strong>dei</strong> media possono a volte servirsi del loro potere<br />
per personalizzare indebitamente la comunicazione, sostituendosi<br />
al messaggio. Tale deriva può determinare una<br />
certa dipendenza dell’utente, la cui autonomia di giudizio e<br />
di scelta può essere compromessa. ‘Per questo è dovere di<br />
coscienza per tutti i comunicatori […] procurarsi una seria<br />
competenza in materia; dovere tanto più grave quanto più<br />
grande è l’influenza del comunicare, per motivo del suo ufficio,<br />
sulla qualità della comunicazione’ (Communio et progressio<br />
15). Le buone intenzioni non garantiscono di per sé una<br />
“No alla moltiplicazione<br />
della chiacchiera<br />
e del pettegolezzo”<br />
“Per essere giornalisti<br />
autentici la passione<br />
e il coraggio della verità”<br />
buona informazione; le notizie vanno date con competenza<br />
professionale, nel rispetto pieno e profondo della verità.<br />
Questo accade spesso, soprattutto in riferimento allo stesso<br />
fondamentale diritto alla vita, per il quale ‘la coscienza morale,<br />
sia individuale che sociale, è oggi sottoposta, anche per<br />
l’influsso invadente di molti strumenti della comunicazione<br />
sociale, a un pericolo gravissimo e mortale: quello della<br />
confusione tra il bene e il male’ (Evangelium vitae, 24)” (n.<br />
88).<br />
Il giornalista non può limitarsi ad essere un burocrate della<br />
comunicazione. Sì, va bene discutere paritariamente nei<br />
media; ma a patto che ciò avvenga nel rispetto di chi legge o<br />
ascolta: questi non è certamente aiutato quando, per esempio,<br />
deve assistere non a dibattiti pacati e istruttivi ma a litigi<br />
confusi e nient’affatto dignitosi.<br />
Infine, ne deriva lo stimolo ad una presenza nell’ambiente<br />
<strong>dei</strong> media e ad un esercizio della professione che assumano<br />
i contorni della testimonianza. Ciò significa un impegno quotidiano<br />
che tenga presenti nel lavoro tutto l’orizzonte <strong>dei</strong> valori<br />
e i riflessi che le nostre scelte hanno sui singoli e sulla<br />
società, e non soltanto una correttezza immediata, asettica e<br />
formale nel seguire le procedure che i codici impongono<br />
come limiti.<br />
È proprio in questa linea della testimonianza che ho volutamente<br />
usato i termini di “passione” e di “coraggio” della verità.<br />
Infatti, sono termini coinvolgenti, termini che lasciano trasparire<br />
la non rassegnazione e la disponibilità concreta a pagare<br />
di persona, perché la coerenza con la propria dignità e il<br />
rispetto e l’onore – anzi la venerazione – dovuti all’eguale<br />
dignità delle persone cui ci si rivolge non hanno prezzo.<br />
Conclusione:<br />
la carità<br />
della verità<br />
Desidero concludere con una specie di esortazione, nel<br />
segno di una grande speranza che ripongo in tutti voi e di un<br />
sincero affetto che nutro per voi. Sono sicuro che volete<br />
impegnarvi seriamente nella professione giornalistica, che<br />
volete non solo “fare” i giornalisti ma “essere” giornalisti. Per<br />
questo sento di dovervi chiedere di nutrire un’autentica<br />
passione per la verità e di avere un instancabile coraggio di<br />
ricercarla e di perseguirla, anzitutto in voi stessi.<br />
Di conseguenza, dovete sentirvi impegnati a diventare<br />
sempre più attenti ascoltatori e sottili osservatori delle persone<br />
e <strong>dei</strong> fatti. Il buon comunicatore sa, per prima cosa, ascoltare<br />
attentamente. E sa vedere e scrutare, anche di là dall’immagine<br />
che immediatamente si propone.<br />
L’esercizio della vostra professione potrà apparirvi oggi meno<br />
creativa, perché più dipendente dalla tecnica. Ma sta proprio<br />
qui il vostro protagonismo: tocca a voi dar vita ad un esercizio<br />
della professione che sia ripieno di autentica umanità;<br />
dipende da voi imprimere solchi e tracce di voi stessi – della<br />
vostra umanità - nel vostro lavoro e nella vostra fatica quotidiana.<br />
Più che l’esattezza matematica <strong>dei</strong> dettagli, fate trasparire la<br />
vostra volontà comunicativa, e la vostra intelligenza più che<br />
la diligenza meccanica. Chi legge o chi ascolta si accorge<br />
subito se il comunicatore è coinvolto con la sua “passione”,<br />
oppure se opera solo per “dovere” o addirittura per una<br />
“necessità” cui non può sottrarsi.<br />
Un’ultima citazione – è storica, e come tale può suscitare<br />
l’interesse <strong>dei</strong> giornalisti – la prendo da un discorso rivolto ai<br />
giornalisti, durante la messa in occasione della festa di san<br />
Francesco di Sales celebrata a mezzanotte nella tipografica<br />
del quotidiano L’Italia, dall’allora arcivescovo di Milano monsignor<br />
Giovanni Battista Montini, dopo pochi giorni dal suo<br />
ingresso nella nostra città.<br />
Così diceva il 31 gennaio 1955: “Cerchiamo di dare alla<br />
professione, non già una semplice caratteristica direi tecnica,<br />
puramente improntata alla fretta, alla genialità, alla curiosità,<br />
alla attualità, ma siamo <strong>dei</strong> finalisti, cioè della gente che<br />
pensa dove arrivano le parole, che effetto hanno, che cosa<br />
producono. E allora il messaggio di san Francesco di Sales<br />
non sarà inutile a noi. Egli insegna che bisogna avere soprattutto<br />
la carità della verità. Bisogna amare quelli a cui si rivolge<br />
la parola; amare nel dono, nell’offerta di qualche cosa di<br />
vero; vero perché si è sentito, vero perché si è studiato”.<br />
E ancora: “San Francesco di Sales dice in altre sue pagine<br />
che bisogna conoscere assai le cose prima di scrivere. E non<br />
so se questa sia norma di tutti i giornalisti. Ma in ogni caso<br />
diciamo che tutta questa onestà di pensiero e di parola deve<br />
essere sempre presente al nostro spirito nell’esercizio della<br />
nostra sublime professione di diffusori di notizie e di idee;<br />
soprattutto ci deve premere di fare sempre del bene ai nostri<br />
concittadini”.<br />
+ Dionigi card. Tettamanzi<br />
6 ORDINE 3 <strong>2005</strong>
Nuova condanna per l’editore Caltagirone Lo ha stabilito il giudice del tribunale del lavoro<br />
“Quotidiano”: il giudice ordina<br />
il reintegro di Roberto Guido<br />
Lecce, 28 gennaio <strong>2005</strong>. È “inefficace” il licenziamento<br />
di Roberto Guido, vicepresidente<br />
vicario dell’Assostampa di Puglia, il sindacato<br />
<strong>dei</strong> giornalisti, reintegrato nel suo posto di lavoro<br />
al Nuovo Quotidiano di Puglia. Lo ha stabilito<br />
il Tribunale di Lecce (giudice del lavoro Silvana<br />
Botrugno) con una sentenza che ha disposto<br />
“l’immediato reintegro del ricorrente nel<br />
posto di lavoro occupato al momento del licenziamento”,<br />
condannando altresì la società Alfa<br />
editoriale (del gruppo Caltagirone) al risarcimento<br />
del danno con il pagamento dell’intera<br />
retribuzione dal momento del licenziamento ad<br />
oggi e alla regolarizzazione della posizione<br />
assicurativa e previdenziale.<br />
Il licenziamento, datato 7 marzo 2002, fu adottato<br />
con strumentali e infondati pretesti nei<br />
confronti di Guido, “colpevole” soltanto di aver<br />
preteso fin dal ‘98 (insieme ad altri nove giornalisti)<br />
di essere regolarmente reintegrato in<br />
servizio, nel suo posto di lavoro, secondo quanto<br />
disposto dalla magistratura fin dal dicembre<br />
‘98 (ordine di reintegro confermato dalla Corte<br />
d’appello-Sezione Lavoro proprio alcuni giorni<br />
fa). Guido si è scontrato con l’ingiustificabile<br />
ostinazione dell’editore Caltagirone a non voler<br />
applicare le sentenze della magistratura, con il<br />
conseguente atteggiamento vessatorio. La<br />
vertenza ha origine nell’anomala vendita della<br />
Stampa<br />
specializzata:<br />
150 milioni<br />
di copie<br />
distribuite<br />
in un anno<br />
Milano, 15 febbraio <strong>2005</strong>. In occasione della Borsa<br />
internazionale del turismo, i giornalisti di Neos hanno<br />
premiato Gianni Minà.<br />
Partner ufficiale del premio Neos è Porsche Italia.<br />
Il premio Neos-Porsche Italia viene assegnato ogni anno<br />
(in occasione della Bit, Borsa italiana turismo) a un giornalista<br />
che si sia distinto per il suo lavoro, la sua professionalità,<br />
la sua integrità nel campo del giornalismo. Il premio<br />
ha per tema i viaggi e la conoscenza del mondo. La giuria<br />
del premio è composta dal Consiglio direttivo di Neos–giornalisti<br />
di viaggio associati. Il Consiglio, presieduto da<br />
Massimo Pacifico, è composto da altri sei giornalisti<br />
operanti nel settore viaggi. Il premio è giunto quest’anno<br />
alla sesta edizione<br />
Gianni Minà è stato per quarant’anni uno <strong>dei</strong> più stimati<br />
inviati speciali della Rai, ed ha raccontato, con reportages<br />
e inchieste, le realtà sociali e culturali degli Stati Uniti e<br />
dell’America Latina. Da ricordare, fra gli altri, Storie del<br />
jazz, e Facce piene di pugni (la storia della boxe).<br />
Nel 1987 ha realizzato uno storico documentario intervistando<br />
per 16 ore il presidente cubano Fidel Castro. Tre<br />
anni dopo, nel 1990, lo ha incontrato nuovamente per un<br />
approfondimento dopo il tramonto del comunismo. Tra i suoi<br />
lavori più famosi: Muhammad Alì, una storia americana;<br />
Fidel racconta il Che; Il Che 30 anni dopo; Marcos: “Aqui<br />
estamos”, sulla lunga marcia degli insorti zapatisti attraverso<br />
il Messico (realizzato in collaborazione con Manuel<br />
Vazquez Montalban); Rigoberta Menchù, una donna Maya<br />
per la pace; Diego Maradona: “Non sarò mai un uomo<br />
comune” e C’era una volta il cinema: Sergio Leone e i suoi<br />
ORDINE 3 <strong>2005</strong><br />
testata con la parallela ristrutturazione selvaggia<br />
di Quotidiano che prevedeva l’espulsione di<br />
otto professionisti dalla redazione con la liquidazione<br />
di ogni esperienza sindacale.<br />
“Questa sentenza”, afferma Felice Salvati,<br />
presidente dell’Assostampa di Puglia, “indica<br />
senza ombra di dubbio come il collega Roberto<br />
Guido sia stato ingiustamente licenziato da un<br />
editore che ha tentato in tutti i modi di sbarazzarsi<br />
del sindacato, usando fin dal ‘98 l’arma<br />
della contrattazione individuale per dividere e<br />
dominare la redazione con l’obiettivo di eludere<br />
e depotenziare disinvoltamente lo stesso<br />
contratto collettivo”. “Nell’attesa di conoscere le<br />
motivazioni della sentenza”, aggiunge Salvati,<br />
“il reintegro ristabilisce un quadro di legalità e di<br />
rispetto delle regole che può aprire la strada ad<br />
un sereno e corretto confronto sindacale, archiviando<br />
una volta per tutte quella pagina nera<br />
del giornalismo pugliese in cui si è consumata<br />
una catena di vessazioni verso quei colleghi<br />
che hanno sempre messo al primo posto i principi<br />
di solidarietà e di autonomia, gli unici in<br />
grado di garantire ai cittadini un sistema<br />
dell’informazione maturo e indipendente”.<br />
Roberto Guido è patrocinato in giudizio dagli<br />
avvocati Domenico D’Amati del Foro di Roma,<br />
Giuseppe Giordano del Foro di Brindisi e Nicola<br />
De Pietro del Foro di Lecce.<br />
Milano, 1 febbraio <strong>2005</strong>. Sono 150 milioni (60% del totale <strong>dei</strong><br />
fascicoli prodotti) le copie della stampa specializzata, tecnica e<br />
professionale, distribuita via posta in un anno. Il dato emerge dal<br />
monitoraggio svolto dall’Associazione nazionale editoria periodica<br />
e specializzata (Anes) per misurare il peso <strong>dei</strong> vari canali di distribuzione<br />
delle pubblicazioni associate, in particolare quelle postali. I<br />
fascicoli prodotti dagli Associati Anes sono in totale 250 milioni. Il<br />
peso medio ponderato per copia è pari a 300 grammi. Tenendo<br />
conto della ripartizione territoriale i dati registrati sono i seguenti:<br />
Nord Ovest 37,4%, Nord Est 24,5%, Centro 17,5%, Sud 14,3%,<br />
Isole 6,2%. La Lombardia ha un’ incidenza sul sistema nazionale<br />
del 26%, comportando la distribuzione sul territorio della regione di<br />
circa 39 milioni di copie. Segue il Veneto, che pesa per il 10%. Nord<br />
Ovest e Nord Est fanno registrare una movimentazione complessiva<br />
di 92.899.592 di copie, pari al 62% del totale. A margine dell’esposizione<br />
<strong>dei</strong> dati, Giuseppe Nardella, presidente dell’Anes, ha<br />
dichiarato: “La stampa tecnica specializzata si sta sempre più rivelando<br />
sia uno strumento di comunicazione privilegiato per la Pmi<br />
sia di formazione per le nuove generazioni in procinto di entrare nel<br />
mondo del lavoro”. A questo proposito Nardella auspica “una<br />
sempre maggiore diffusione di questa tipologia editoriale nella<br />
scuola media superiore italiana. Esempi di integrazione tra mondo<br />
del lavoro e scuola - conclude il presidente di Anes - sono frequenti<br />
nei Paesi europei a noi vicini: in Francia la stampa di questo tipo<br />
dal 1970 è largamente diffusa presso le scuole, i centri di formazione,<br />
le biblioteche sia pubbliche sia private”. (ANSA)<br />
Tribunale di Roma alla Rai:<br />
“Santoro torni al suo posto”<br />
Roma, 26 gennaio <strong>2005</strong>. La Rai deve reintegrare<br />
Michele Santoro: lo ha stabilito il<br />
giudice del tribunale del lavoro di Roma,<br />
Billi. Secondo quanto indicato dal giudice<br />
nel dispositivo, la Rai è tenuta a reintegrare<br />
Santoro nelle funzioni svolte prima<br />
dell’interruzione del rapporto e dunque per<br />
la conduzione di programmi di approfondimento<br />
in prima e/o seconda serata.<br />
Secondo il giudice Stefania Billi, Santoro<br />
deve essere reintegrato al lavoro «come<br />
realizzatore e conduttore di programmi<br />
televisivi di approfondimento dell’informazione<br />
di attualità di prima serata, di<br />
programmi di reportage di seconda serata,<br />
in particolare Sciuscià Edizione Straordinaria<br />
e Sciuscià, come si legge nel dispositivo<br />
della sentenza, cioè nelle mansioni<br />
esercitate «fino alla stagione televisiva<br />
2001/2002».<br />
La Rai deve anche pagare al giornalista un<br />
risarcimento da 1,5 milioni di euro (fra<br />
risarcimento del danno, restituzione <strong>dei</strong><br />
quattro giorni di sospensione dal lavoro nel<br />
2002 e della decurtazione dello stipendio,<br />
anche questa dal 2002, con i relativi interessi.<br />
L’azienda è tenuta anche a pubblicare il<br />
dispositivo della sentenza su Corriere della<br />
Convenzione<br />
con Alitalia:<br />
sconti fino<br />
al 30<br />
per cento.<br />
Basta<br />
la tessera<br />
dell’<strong>Ordine</strong><br />
Sesta edizione<br />
Il premio Neos-Porsche Italia a Gianni Minà<br />
film, un documentario dove oltre al regista, intervengono<br />
tra gli altri Clint Eastwood, Robert De Niro, Claudia Cardinale<br />
ed Ennio Morricone. Nel 1982 Sandro Pertini gli ha<br />
consegnato il premio Saint Vincent di giornalismo. Nel 2004<br />
ha vinto il premio Flaiano, il premio Vittorini, e con il filmdocumentario<br />
In Viaggio con Che Guevara il festival di<br />
Montreal e il Nastro d’argento, il riconoscimento <strong>dei</strong> critici<br />
cinematografici italiani. Attualmente è direttore della rivista<br />
trimestrale di geopolitica Latinoamerica e della collana<br />
Continente Desaparecido per la casa editrice Sperling &<br />
Kupfer. Fra i suoi libri pubblicati in molti paesi del mondo<br />
ricordiamo Fidel, Un continente desaparecido, Marcos e<br />
l’insurrezione zapatista (con Jaime Avilés), Il Papa e Fidel,<br />
e Un mondo migliore è possibile, tutti editi in Italia da Sperling<br />
& Kupfer.<br />
Neos-giornalisti di viaggio associati è stata fondata nel<br />
1998.L’acronimo si rifà ai quattro punti cardinali, che a loro<br />
volta rappresentano simbolicamente il campo d’azione <strong>dei</strong><br />
soci. <strong>Giornalisti</strong> di redazione delle più importanti riviste di<br />
viaggio italiane e straniere, fotografi e freelance che viaggiano<br />
e documentano in maniera professionale le loro<br />
esperienze. I giornalisti premiati nelle precedenti edizioni<br />
sono stati:<br />
2000: Fosco Maraini, fotografo, scrittore e noto orientalista<br />
2001: Walter Bonatti, giornalista, esploratore e alpinista<br />
2002: Folco Quilici, scrittore, documentarista, fotografo<br />
2003: Ettore Mo, inviato speciale del Corriere della Sera<br />
2004: William L. Allen, direttore National Geographic<br />
Sera, Repubblica e Stampa entro dieci<br />
giorni dalla pubblicazione e pagare le<br />
spese processuali.<br />
La vicenda Santoro mette a nudo una<br />
realtà “sommersa”. “A inizio 2004, ha<br />
dichiarato Roberto Natale segretario<br />
dell’Usigrai, le cause intentate dai precari<br />
in attesa di assunzione erano circa 60: la<br />
stima degli stessi uffici Rai era di una<br />
percentuale dell’80% di ‘soccombenza’ per<br />
l’azienda, cioè 50 su 60. E sempre secondo<br />
le stime aziendali, ciascuna causa<br />
persa valeva 250 milioni delle vecchie lire,<br />
per un totale di 12 miliardi e mezzo di<br />
vecchie lire’’.<br />
Inoltre, ha detto ancora Natale, su 30<br />
assunzioni disposte nel 2004, 14, cioè<br />
quasi la metà, sono state effettuate su<br />
decisione della magistratura, cosa mai<br />
capitata prima nella storia dell’azienda’’.<br />
Anche sul versante Inpgi, ha aggiunto il<br />
segretario della Fnsi Paolo Serventi<br />
Longhi, la situazione non migliora: “Si<br />
calcola che ammonti a oltre un milione e<br />
mezzo di euro la violazione contributiva da<br />
parte della Rai, e a oltre 10-15 milioni di<br />
euro quella accumulata dall’azienda negli<br />
ultimi due o tre anni’’.<br />
(ANSA)<br />
Roma, 9 febbraio <strong>2005</strong>. L’<strong>Ordine</strong> nazionale <strong>dei</strong> giornalisti ha<br />
stipulato una convenzione con l’Alitalia. L’accordo (validità<br />
<strong>2005</strong>) riguarda i voli nazionali del Gruppo, escluso il collegamento<br />
Roma-Cagliari-Roma. Tutti gli iscritti all’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong><br />
giornalisti (previa esibizione del tesserino rinnovato per l’anno<br />
in corso) potranno usufruire delle seguenti condizioni:<br />
1) Sconto del 20 per cento sulla tariffa piena Alitalia per i<br />
viaggi di tipo OW (viaggi di sola andata). Tale tariffa è identificabile<br />
con il codice BPSN, prenotabile in classe B, con la<br />
possibilità di cambio di prenotazione senza pagamento della<br />
penale;<br />
2) Sconto del 30 per cento sulla tariffa piena Alitalia per i<br />
viaggi di tipo OW (viaggi di sola andata) e per quelli di tipo<br />
RT (andata e ritorno). Tali tariffe sono identificabili con i codici<br />
MPSOWN e MPSRTN, prenotabili in classe M, con la<br />
possibilità di cambio di prenotazione senza pagamento della<br />
penale (rimborso non consentito, passaggio alla tariffa<br />
economica piena in classe Y).<br />
I biglietti a tariffa scontata potranno essere acquistati presso<br />
tutte le agenzie di viaggi in Italia e presso le biglietterie sociali<br />
Alitalia. Per le prenotazioni sono attivi due numeri “riservati”:<br />
0665648 (per chi telefona da Roma) oppure 848865648<br />
(per chi telefona da fuori Roma). Si può accedere al servizio<br />
dal lunedì al venerdì, dalle ore 9.00 alle 19.00. (g.c.)<br />
Comunicazione sociale<br />
il premio speciale<br />
a Toni Capuozzo (Tg5)<br />
Milano, 7 febbraio <strong>2005</strong>. Il giornalismo che si occupa<br />
degli ultimi, di emarginazione, <strong>dei</strong> fenomeni economici e<br />
sociali che, in sordina, cambiano l’Italia, è stato premiato<br />
oggi a Milano. Il riconoscimento, Premio giornalismo per il<br />
sociale, assegnato per il terzo anno per iniziativa di Sodalitas,<br />
ha voluto ricordare anche Enzo Baldoni e Maria<br />
Grazia Cutuli, due giornalisti uccisi che affrontavano il loro<br />
lavoro con umanità e professionalità.<br />
Tra i 600 articoli inviati, la giuria ha scelto i vincitori divisi<br />
per sezione.<br />
Per la categoria Stampa e Web è stato premiato Emiliano<br />
Fittipaldi (Corriere della Sera) per la serie di inchieste<br />
‘Profondo Italia’, con le quali è stato descritto il fenomeno<br />
delle nuove povertà.<br />
Per la categoria Radio e Tv il premio è andato a Lorenzo<br />
Montersoli (Verissimo/Tg5) per il servizio ‘Neo capolarato<br />
a Milano’. Segnalazione speciale a Gabriella Simoni per il<br />
servizio trasmesso da Lucignolo-Italia1, ‘San Valentino’.<br />
Per la sezione Giovani giornalisti è stata premiata Antonia<br />
Casini (Resto del Carlino, Il Giorno, La Nazione), per il<br />
servizio sui bambini abbandonati in Italia.<br />
Il Premio speciale è andato all’inviato del Tg5 Toni Capuozzo.<br />
Prima della consegna <strong>dei</strong> premi il tema della comunicazione<br />
sociale è stato discusso in una tavola rotonda,<br />
presieduta dal presidente di Sodalitas Federico Falck, con<br />
Paolo Anselmi (Eurisko), Aldo Bonomi (Communitas), Enrico<br />
Deaglio (Diario), Xavier Jacobelli (Il Giorno), Cristina<br />
Parodi (Verissimo), Dario di Vico (Corriere della Sera) e<br />
Don Gianni Zappa (Arcidiocesi Milano).<br />
(ANSA)<br />
7
Assemblea<br />
24 marzo <strong>2005</strong><br />
Professionisti<br />
Medaglia<br />
d’oro<br />
EMILIO FEDE<br />
«Il bravo giornalista<br />
non possiede l’orologio»<br />
di Silvia Bernasconi<br />
L’appuntamento è al Casinò di Campione<br />
d’Italia. Ma al tavolo verde non si avvicina<br />
nemmeno. Si dice abbia smesso. “Continuo a<br />
essere un giocatore d’azzardo nella vita, nel<br />
lavoro, nelle amicizie, in politica”. Emilio Fede<br />
sorride. Al suo fianco la statuaria Teodora<br />
Rutigliano, sua ultima scoperta televisiva.<br />
Elegante, abbronzatissimo dopo le vacanze<br />
alle Maldive dove è scampato alla furia dello<br />
tsunami – “anche quella è stata questione di<br />
fortuna”, precisa – comincia a ripercorrere i<br />
suoi cinquanta anni di giornalismo. Una vita.<br />
“Nel giornalismo ci sono nato, ragazzino -<br />
racconta - e non dimentico mai da dove vengo<br />
né la fatica fatta per arrivare. Non dimentico<br />
quando mi improvvisavo cronista in Sicilia, né<br />
i primi anni di lavoro gratuito e di sacrifici. Ci<br />
sono voluti cinque anni perché firmassi il mio<br />
primo articolo, solo con la sigla naturalmente”.<br />
E adesso? “Più di ogni altra cosa mi sento<br />
ancora un inviato. Sono soddisfatto, fiero di<br />
essere protagonista dell’informazione e ho<br />
tanto entusiasmo, così come ho iniziato all’età<br />
di quattordici anni. Ogni mattina quando mi<br />
alzo, mi sembra il primo giorno”.<br />
Eppure ne ha fatta di strada dal primo giorno.<br />
Trentatré anni di Rai, sedici di Mediaset, sette<br />
libri pubblicati e un ottavo in cantiere. “Ma i<br />
GAETANO NERI<br />
conti non facciamoli!”, scherza. Assunto alla<br />
Rai come conduttore a contratto nel 1954, agli<br />
esordi della televisione italiana, dal 1961<br />
diventa giornalista fisso del telegiornale.<br />
Ricorda i servizi di cronaca, le inchieste per il<br />
settimanale Rai Tv7, gli otto anni come inviato<br />
speciale in Africa, il primo telegiornale a colori<br />
e i cinque anni di conduzione del Tg1, che ha<br />
poi diretto dall’aprile 1981 all’agosto 1983. Da<br />
mamma Rai si dimette nel 1987. Dopo un<br />
breve passaggio al notiziario di ReteA, l’ap-<br />
«Così funzionavano<br />
i quotidiani del pomeriggio»<br />
di Silvia Ortoncelli<br />
Attraversare piazza Cavour, sgattaiolare<br />
dentro la redazione prima del Corriere<br />
lombardo, poi della Notte, scendere le scale<br />
che portano al fracasso e alla concitazione<br />
della tipografia, stanzoni enormi dove, con la<br />
composizione a caldo, più di seicento operai<br />
impaginavano il giornale, respirando vapori di<br />
piombo. Per trentatré anni, dal 1952 al 1985,<br />
Gaetano Neri, un settantaseienne esile, dai<br />
modi affabili e discreti, ha confezionato i quotidiani<br />
del pomeriggio: “era un giornalismo d’urgenza,<br />
con frequenti ribattute”, racconta con<br />
LIANA BORTOLON<br />
un filo di voce. Quando Neri entra per la prima<br />
volta come impaginatore al Corriere lombardo,<br />
nel 1952, in piazza Cavour “c’erano<br />
sempre parcheggiate soltanto tre auto e una<br />
moto”. Una sorta di filo rosso lega la sua<br />
personale interpretazione del giornalismo a<br />
quella piazza, che ancor oggi ospita il Palazzo<br />
dell’informazione: “Mi piaceva moltissimo<br />
lavorare in tipografia, dove si stava gomito a<br />
gomito con personaggi straordinari”.<br />
Dalle viscere de Il Corriere lombardo, dal<br />
1966 assorbito dalla Notte, Neri ha vissuto<br />
tutte le fasi dell’impaginazione, dalla composizione<br />
a caldo, a piombo, a quella a freddo per<br />
passare infine all’attuale sistema informatico:<br />
Il coraggio di scrivere d’arte<br />
su un settimanale femminile<br />
di Rosalba Castelletti<br />
«Questo da dieci anni è il mio mondo»: Liana<br />
Bortolon vive con un gatto a Milano in una<br />
villetta a schiera a due piani lontana dal caos<br />
cittadino. È stato il giardino dal verde traboccante<br />
a convincerla a lasciare la mansarda in<br />
piazza Oberdan dove aveva vissuto per<br />
trent’anni. Liana Bortolon è nata a Feltre, in<br />
provincia di Belluno. A Milano si è trasferita per<br />
conseguire la laurea in lettere moderne. Ed è<br />
stato proprio all’Università Cattolica che ha<br />
iniziato ad apprendere i primi rudimenti del<br />
giornalismo, lavorando come segretaria editoriale<br />
e redattrice di Vita e pensiero a fianco di<br />
padre Agostino Gemelli. «Mi occupavo della<br />
correzione delle bozze – spiega. Prendevo<br />
contatti con autori e editori. Talora scrivevo<br />
Milano, 15 febbraio <strong>2005</strong>. Sono 21 i colleghi (14<br />
professionisti e 7 pubblicisti) che quest’anno compiono<br />
i 50 anni di iscrizione negli elenchi dell’Albo. Riceveranno<br />
la medaglia d’oro dell’<strong>Ordine</strong> della Lombardia in<br />
occasione dell’assemblea annuale degli iscritti che si<br />
terrà giovedì 24 marzo (h 15) al Circolo della Stampa.<br />
Ed ecco i loro nomi:<br />
PROFESSIONISTI<br />
Liana Bortolon, Adone Carapezzi, Giovanni Cesareo,<br />
Emilio Fede, Nicolino Fudoli, Mario Lodi, Gualtiero<br />
Mantelli, Armando Mariotto, Enrico Morati, Gaetano<br />
anche articoli letterari. Ma continuavo sempre<br />
a mirare ai giornali». E così nel 1957 arriva al<br />
settimanale Gente come critica d’arte. Poi nel<br />
1959 lascia definitivamente l’Università per scrivere,<br />
sempre d’arte, su Grazia. «L’idea di scrivere<br />
c’era sempre stata. Anche quella di dipingere.<br />
Da bambina prendevo lezioni di disegno.<br />
Scrivendo di artisti, ho unito il desiderio di scrivere<br />
e di dipingere».<br />
Scrivere d’arte in un settimanale femminile fu<br />
coraggioso: «Nessuno parlava d’arte allora. Io<br />
dovevo fare critica d’arte sì, ma in maniera<br />
semplice. Dovevo legare cultura e divulgazione.<br />
L’intuizione critica c’era. Eppure, quando<br />
una giovane scrisse una tesi su di me, si trovò<br />
a sfidare l’ostilità della critica ufficiale contro la<br />
divulgazione». La pagina di critica d’arte su<br />
Grazia fu ad ogni modo un «successo» confermato<br />
dal fatto che, nelle case di amici e della<br />
Ventu<br />
Nel corso dell’assemblea verranno premiati anche i<br />
Neri, Mario Pancera, Andreina Araldi Pinotti, Luigi<br />
Pizzinelli.<br />
PUBBLICISTI<br />
Giancarlo Armuzzi, Ermanno Comizio, Mario Conter,<br />
Antonio Dorsa, Emilio Mariano, Alcide Paolini, Pasquale<br />
Scardillo.<br />
vincitori del “Concorso Tesi di laurea sul giornalismo”.<br />
All’ordine del giorno dell’assemblea degli iscritti all’Albo<br />
figura l’approvazione del bilancio preventivo <strong>2005</strong> e del<br />
conto consuntivo 2004.<br />
prodo in Fininvest. E l’incontro con Silvio<br />
Berlusconi. “Berlusconi per me è la famiglia,<br />
gli amici, tutto. Quindi mi sento a casa”,<br />
confessa. Del resto la sua devozione incondizionata<br />
per Berlusconi il fido Emilio – o “Emilio<br />
Fido”, come l’hanno soprannominato le male<br />
lingue – non l’ha mai nascosta, anzi l’ha sottolineata<br />
e ostentata a tal punto da costruirsi il<br />
personaggio di servitore fedele. Senza mai un<br />
ripensamento, almeno non davanti alle telecamere.<br />
“L’informazione Fininvest è nata con me”,<br />
continua. E ricorda l’ideazione di Studio Aperto<br />
su Italia1 che poi ha fatto da modello ai<br />
programmi di informazione delle tre reti. La<br />
soddisfazione più grande è stata la copertura<br />
della prima guerra del Golfo nel 1991, quando<br />
ha dato per primo le notizie dell’attacco aereo<br />
americano su Bagdad e della cattura <strong>dei</strong> due<br />
piloti italiani Bellini e Cocciolone. L’emozione<br />
più forte quando il papa lo ha ricevuto nella<br />
sua cappella privata, il 23 dicembre 1981. “Da<br />
quel momento ho imparato a essere un po’<br />
meno presuntuoso e meno egoista, a rispettare<br />
di più i colleghi”.<br />
Direttore del Tg4 dal 1992, Emilio Fede è in<br />
onda ogni sera alle 19 dallo studio di Cologno<br />
Monzese. Ed è proprio qui che, a dispetto di<br />
ogni regola del giornalismo anglosassone, ha<br />
coniato una formula personalissima – e altrettanto<br />
contestata – di notiziario che coniuga<br />
fatti e opinioni, informazione e spettacolo. Il<br />
Fede-conduttore accompagna le notizie con<br />
commenti, le condisce con sguardi eloquenti<br />
e gesti vistosi, si rivolge al pubblico a casa,<br />
apostrofa i colleghi in redazione e gli operatori<br />
in studio. Un’identificazione totale, senza<br />
riserve.<br />
Se non fosse al Tg4 dove sarebbe? “Al Tg4!”,<br />
risponde senza indugio. Poi ci ripensa.Vorreb-<br />
“Quegli oltre seicento operai, corpulenti e<br />
sporchi di piombo, diventarono degli asettici<br />
farmacisti in camice bianco. Ed oggi, nei locali<br />
che per quarant’anni hanno ospitato le rotative<br />
<strong>dei</strong> giornali, c’è un centro fitness”.<br />
Da quando è in pensione, Gaetano Neri scrive<br />
e dipinge.<br />
Ha già pubblicato cinque libri, quasi tutti presso<br />
l’editore “Marcos y Marcos”. Si tratta di<br />
raccolte di racconti brevissimi: una serie di<br />
fermi immagine sulle piccole idiosincrasie<br />
della quotidianità, descritti in chiave fantastica<br />
e ironica. Due gocce di Oblion, il micro<br />
racconto che dà il nome ad un libriccino edito<br />
in proprio e del quale Neri ha realizzato anche<br />
gente, vi erano quadri di artisti che aveva<br />
segnalato. Per Grazia Liana Bortolon ha scritto<br />
per più di trent’anni: inizialmente rievocazioni di<br />
pittori dell’800, poi ricostruzioni di artisti del<br />
primo ‘900, infine di artisti contemporanei.<br />
Liana Bortolon ha 82 anni ora, ma il portamento,<br />
lo sguardo e il sorriso rivelano un guizzo<br />
giovane. «Si parlava sempre di uomini, io iniziai<br />
a parlare di donne: di Felicita Frai prima, di<br />
Federica Galli poi e delle sue vedute di Venezia».<br />
Liana Bortolon si lascia andare ai ricordi:<br />
a ogni città associa uno o più artisti. A Roma<br />
Mario Mafai e la moglie, ancora agitati per la<br />
nascita della loro nipote, figlia di Giulia. A Torino<br />
Francesco Casorati e Enrico Paolucci e<br />
quest’ultimo ad iniziarla ai club della città. «Man<br />
Ray me lo ricordo vecchissimo, nella sua stamperia<br />
a firmare litografie. Io avevo con me una<br />
Polaroid nuova e non sapevo come usarla.<br />
Vedendomi impacciata, mi venne incontro e<br />
fece da sé le foto», ricorda col sorriso.<br />
Liana Bortolon racconta divertita anche l’incontro<br />
con Marc Chagall nella cappella di Vence.<br />
«Noi giornalisti eravamo come segregati.<br />
Quando finalmente ebbi modo di parlare con<br />
Chagall, gli chiesi quanti quadri avesse dipinto.<br />
Lui rispose con un’allusione pungente a Picasso<br />
: “Beaucoup de moins du peintre espa-<br />
be andare lontano, magari in Africa, quel<br />
continente che gli è rimasto dentro per “il<br />
senso di libertà, i suoi colori e l’atmosfera”.<br />
L’Africa che già conosceva da bambino,<br />
essendo vissuto ad Addis Abeba con la famiglia<br />
fino al 1942, e che ha riscoperto da inviato.<br />
A questo punto non può mancare una<br />
battuta su “Sciupone l’Africano”, il soprannome<br />
che si è conquistato inviando alla Rai non<br />
solo reportage, ma anche note spese chilometriche.<br />
Emilio Fede sta al gioco e rincara la<br />
dose: “Se è per questo, mi chiamavano anche<br />
ammogliato speciale al posto di inviato”. E il<br />
riferimento è a Diana De Feo, figlia dell’allora<br />
vicepresidente della Rai Italo De Feo, che ha<br />
sposato nel 1964 a dalla quale ha avuto due<br />
figlie, Simona e Sveva. “Non ero l’unico però<br />
ad avere soprannomi divertenti – corre ai ripari<br />
– Lubrano era diventato il banale di Suez e<br />
Zavoli il D’Annunzio mortuario o il lotto continuo<br />
perché continuava a comprare appezzamenti<br />
di terreno”.<br />
Insieme all’Africa il ricordo va anche ai pericoli<br />
scampati. “Ho rischiato più volte ma ho<br />
sempre riportato a casa la vita. Da inviato in<br />
Africa sono saltato su una mina. Questa<br />
medaglia d’oro vorrei dedicarla alla memoria<br />
<strong>dei</strong> colleghi caduti, in particolare a Ilaria Alpi e<br />
Maria Grazia Cutuli”.<br />
Quali sono secondo Emilio Fede le doti per<br />
essere un buon giornalista? “Non deve possedere<br />
l’orologio – risponde – perché il giornalismo<br />
è come un rapporto con una donna che<br />
si ama. Quando chiama alle tre di notte, tu<br />
corri anche in pigiama”. Un’ultima cosa: “Guai<br />
a tentare di restare alla ribalta. È importante<br />
capire qual è il momento giusto per dire arrivederci”.<br />
E non si capisce se lo dica come una<br />
frecciatina indirizzata a qualche collega o<br />
come ammonimento rivolto a se stesso.<br />
1955<br />
<strong>2005</strong><br />
le illustrazioni (otto xilografie) descrive la serata<br />
di Piero e Luisa, impiegati in un ufficio<br />
governativo in una città “come le altre” dove<br />
non si può camminare per le strade e i negozi<br />
restano aperti solo se c’è polizia. Per alleggerire<br />
il peso della giornata, i due decidono di<br />
andare al cinema: i film proiettati sono tutti<br />
assai noti e c’è sempre qualcuno che conosce<br />
a memoria l’intera pellicola; a costoro “un<br />
inserviente depone sulla lingua due gocce di<br />
Oblion, il film diventa come nuovo e finalmente<br />
si può ricominciare”.<br />
E la prosa di Neri, aggraziata e surreale,<br />
sembra proprio voler sgravare il grigiore e il<br />
peso della quotidianità.<br />
gnol”». Infine ricorda il suo «grande amico»<br />
Massimo Campigli e di quando, anni dopo la<br />
sua morte, il figlio Nicola trovò, sepolti in fondo<br />
ad uno <strong>dei</strong> suoi cassetti che nessuno aveva<br />
mai aperto prima, un centinaio di fogli in carta<br />
velina. «Vi era scritta la sua vita, complessa,<br />
affascinante e triste. Da quel manoscritto e dai<br />
miei appunti nacque Campigli e il suo segreto,<br />
la biografia critica più nutrita che abbia mai<br />
scritto». Liana Bortolon, infatti, di monografie<br />
ne ha scritte molte: su Raffaello, Tiziano,<br />
Leonardo, Carriera, Morlotti, Sassu, Gentilini,<br />
Guidi e altri.<br />
Ai ricordi degli artisti si alternano flash di avventure:<br />
un viaggio nel deserto <strong>dei</strong> Gobi, in Mongolia<br />
– «prati immensi, ciclamini che nascevano<br />
tra lo sterco di cavalli» – e di quando, appena<br />
ventenne, prese parte alla Resistenza “bianca”<br />
a Feltre, portando in bicicletta rifornimenti ai<br />
partigiani. Dei soggiorni in America, ricorda gli<br />
artisti della West Coast e «un albergo vittoriano<br />
solo per signore nella 57 a strada di New York».<br />
Dà l’impressione di essersi molto «divertita» in<br />
questi cinquant’anni e più di giornalismo,<br />
«seppure – precisa – non siano mancati i lati<br />
seri». «Ho sempre lavorato con grande entusiasmo.<br />
Ho incontrato tantissimi artisti e, riguardo<br />
ad alcuni, sono stata un po’ pioniera. Mi è<br />
8 ORDINE 3 <strong>2005</strong>
no penne d’oro<br />
GIANFRANCO CARMIGNANO<br />
«Esperienze troppo numerose<br />
per un solo mosaico»<br />
di Emanuele Buzzi<br />
Ad ascoltare le sue esperienze storia per<br />
storia, anno dopo anno, si ha l’impressione di<br />
raccogliere la testimonianza di tante persone<br />
diverse. Tessere che sembrano troppo numerose<br />
per appartenere a un solo mosaico. Una<br />
vita segnata dal giornalismo, quella di Gianfranco<br />
Carmignano: dai quotidiani all’agenzia,<br />
dai periodici alla radio. “È una passione che<br />
avevo nel sangue fin da bambino” – spiega –<br />
“e che è poi proseguita all’università”. Una<br />
carriera iniziata nel 1946, nella sua Milano,<br />
come collaboratore sulle pagine sportive del<br />
Corriere lombardo, e non ancora conclusa.<br />
Una carriera influenzata – almeno un po’ – da<br />
suo padre, giornalista da cui ha ereditato<br />
l’amore per la notizia. Intrecci di famiglia, che<br />
lo spingono a lavorare oggi, a quasi settantotto<br />
anni con sua moglie: “Ora come ora, nonostante<br />
sia andato in pensione sedici anni fa,<br />
sono proprietario e direttore di due bimestrali<br />
Private label in Europe e I quaderni della<br />
distribuzione, due pubblicazioni di carattere<br />
economico”.<br />
D’altronde, la passione per i temi di natura<br />
economica – su cui ha scritto anche alcuni<br />
volumi, oltre ai libri Sulla stampa e Come<br />
nasce il giornale – è uno <strong>dei</strong> fili conduttori che<br />
ha accompagnato Carmignano in oltre<br />
cinquant’anni di professione. Proprio mezzo<br />
secolo fa, è tra i fondatori dell’agenzia di stampa<br />
Mercurius, ma l’avventura dura poco: “Mi<br />
diverto a cambiare lavoro, trovo molto stimolante<br />
confrontarsi sempre con sfide e argomenti<br />
nuovi. Il rischio è elevato, ma almeno<br />
hai la sensazione di creare qualcosa di tuo, di<br />
lasciare una traccia”. Impegnandosi sempre<br />
con abnegazione e costanza.<br />
Segue le orme di famiglia e viene assunto<br />
come caporedattore a Idea nazionale – dove<br />
suo padre aveva lavorato qualche decennio<br />
prima –, tuttavia anche qui rimane solo poco<br />
tempo. Così, nel ‘60 approda in Rizzoli, poi in<br />
poco più di un decennio è la volta di Mondadori,<br />
del mensile Espansione, di Staff. In<br />
seguito è direttore di Manager e Uomo più, un<br />
maschile ante litteram. Nel frattempo, parallelamente<br />
alla girandola di testate (che<br />
comprende anche Obiettivo Marca, Market<br />
espresso, Radio Kelly e Il nuovo milanese),<br />
Carmignano diventa una colonna portante<br />
dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti della Lombardia: per<br />
dodici anni ne è consigliere.<br />
Vive da protagonista una stagione di grandi<br />
cambiamenti. Qui incontra Carlo De Martino –<br />
che ricorda come “un ottimo giornalista, ma<br />
anche una persona con una carica contagio-<br />
sempre piaciuto seminare. Sono portata a<br />
cominciare le cose e poi ad abbandonarle. O<br />
andare avanti. Si può chiamare in molti modi. E<br />
intanto – aggiunge – gli anni sono passati e mi<br />
sono ritrovata sola con tutte le mie cose che<br />
non avrei mai dato via. Poi ho capito che la vita<br />
mi avrebbe portato a separarmene e c’è stato<br />
un ripensamento. Ho donato 3791 volumi alla<br />
biblioteca dell’Università Cattolica di Milano, a<br />
Feltre regalerò 30 quadri ad olio ed opere su<br />
carta». La biblioteca è nel pianterreno. Gli scaffali,<br />
in seguito alla donazione, sono oramai<br />
semi vuoti. Al centro della stanza, uno scrittoio<br />
e sopra una macchina per scrivere.<br />
ORDINE 3 <strong>2005</strong><br />
sa, senza dubbio il professionista che stimo di<br />
più”, si batte per facilitare l’accesso alla<br />
professione (cercando di riconoscere nei<br />
giusti casi la validità del praticantato d’ufficio),<br />
fa parte della commissione per il contratto di<br />
lavoro, chiede con insistenza la creazione di<br />
una scuola legata all’<strong>Ordine</strong>. Quella scuola è<br />
oggi l’Istituto Carlo De Martino: “Sono felice<br />
che sia dedicata a lui: non potevano fare scelta<br />
più opportuna. A mio avviso è la scuola<br />
migliore in Italia”.<br />
Nuovi flash, nuove polaroid della memoria: un<br />
giornalista non vive solo di carriera e di battaglie,<br />
cambia piglio quando rammenta gli anni<br />
trascorsi a Scienze politiche in Cattolica (dove<br />
era redattore del giornale Libro e moschetto<br />
<strong>dei</strong> gruppi universitari fascisti), le sue avventure<br />
come azzurro di hockey nei primissimi anni<br />
Cinquanta. Ma il suo percorso gli sembra<br />
segnato da sempre: “Sono nato direttore”,<br />
sostiene. E si lascia trasportare dagli aneddoti,<br />
come quando progettava con Gaetano Afeltra<br />
un quotidiano che poi non ha mai visto la<br />
luce. Il treno di memorie passa veloce come<br />
lui, sempre iperattivo, sfuggente. Gli impegni<br />
del futuro lo attendono, la nostalgia riservata<br />
al passato è già scemata. Altri tempi, tempi in<br />
cui i giornali non erano sovraffollati come al<br />
giorno d’oggi, anche se – afferma Carmignano<br />
– “Ora si sta meglio, sono i giovani che<br />
vogliono tutto subito. Alla mia epoca si lavorava<br />
per anni senza avere un contratto decente”.<br />
Una cosa, comunque, accomuna le nostre<br />
generazioni, quella “passione” per la notizia<br />
che ha accompagnato Carmignano per tutta<br />
la vita, un fuoco che ancora arde, che lega chi<br />
sente veramente questa professione, la<br />
speranza di essere testimoni preziosi <strong>dei</strong><br />
nostri giorni.<br />
NICOLA FUDOLI<br />
Il turismo e i viaggi<br />
nel “Giornale” di Montanelli<br />
di Anna Bernasconi De Luca<br />
Della sua lunga carriera giornalistica che lo<br />
ha portato a viaggiare per tutto il mondo,<br />
sono due i momenti che Nicola Fudoli definisce<br />
«esaltanti». Innanzitutto, l’esperienza<br />
alla Gazzetta del Sud come responsabile<br />
della redazione all’inizio degli anni Sessanta.<br />
«Tempi in cui Aldo Moro era segretario<br />
della Democrazia cristiana e là, in provincia,<br />
la Dc stava tentando l’apertura a sinistra». E<br />
tempi in cui questo professionista nato a<br />
Ciminà (Reggio Calabria) si trovava a «interpretare<br />
il pensiero <strong>dei</strong> lettori, esponendosi<br />
politicamente», fino a dover lasciare il giornale<br />
che ha segnato il suo esordio.<br />
Quindi la “chiamata” a Milano, quella «irresistibile<br />
e irrinunciabile» per uno che è «nato<br />
ADONE CARAPEZZI<br />
Quanti campioni<br />
al suo microfono del suo tempo. “Ho intervistato Villoresi e<br />
di Simone Battaggia<br />
La medaglia non la vuole, per motivi personali<br />
e familiari. Dice che è un riconoscimento<br />
alla salute e che, in cinquant’anni, premi<br />
non ne ha mai ricevuti, al contrario di tanti<br />
altri colleghi meno famosi e popolari di lui.<br />
Della sua esperienza giornalistica però<br />
Adone Carapezzi parla volentieri, ed è uno<br />
spasso ascoltarlo mentre saltella da un<br />
ricordo all’altro, spizzica aneddoti, descrive<br />
i grandi campioni che sono passati davanti<br />
al suo microfono dall’inizio degli anni<br />
Cinquanta.<br />
Per decenni Carapezzi è stato redattore e<br />
inviato della redazione sportiva del giornale<br />
radio Rai. “Feci il concorso nel 1946. Ricordo<br />
che all’epoca l’esame consisteva anche<br />
nel raccogliere interviste in piazza Duomo.<br />
Iniziai come collaboratore, ma venni assunto<br />
solo il 1° ottobre 1955. Ero un cane sciolto,<br />
e per ottenere il praticantato bisognava<br />
essere in quota”.<br />
È esistito anche un “caso Carapezzi”: la Rai<br />
e l’interessato chiedevano il praticantato, la<br />
Sottocommisione per la tenuta dell’Albo<br />
(che era presso il sindacato: l’<strong>Ordine</strong> non<br />
esisteva) non lo concedeva soprattutto per<br />
mancanza della “quota” (un praticante ogni<br />
10 redattori). Carapezzi aveva frequentato il<br />
suo corso di capocenturia negli Arditi<br />
distruttori della Regia aeronautica a Guidonia<br />
(“dove conobbi Gianni Brera, che era<br />
della Folgore e faceva già il giornalista”). Il<br />
problema comunque si risolse nel 1954,<br />
quando si liberò un posto grazie all’assunzione<br />
come professionista di Paolo Valenti.<br />
A pensarci bene, la storia recente dello<br />
sport italiano non è passata soltanto davanti<br />
al microfono di Carapezzi, ma anche al<br />
suo fianco. “Ho lavorato con Adriano De<br />
Zan, Sandro Ciotti, Nando Martellini, Piero<br />
Angela. Dividevo il mio ufficio di corso<br />
Sempione con Beppe Viola”. Con questa<br />
nobile compagnia, Carapezzi girava l’Italia<br />
e raccontava i grandi personaggi sportivi<br />
1955<br />
<strong>2005</strong><br />
giornalista»: quella a lavorare con e accanto<br />
a Indro Montanelli nella fondazione del Giornale,<br />
nel 1954. Al «giornale <strong>dei</strong> giornalisti»,<br />
Fudoli ha svolto incarichi agli Esteri, prima<br />
di diventare responsabile del settore “Turismo<br />
e Viaggi”. Anni di lavoro intenso, <strong>dei</strong><br />
quali ricorda le serate dopo la chiusura,<br />
quando tutta la redazione si raccoglieva in<br />
cerchio attorno al maestro «per ascoltare i<br />
suoi racconti, pendendo dalle sue labbra».<br />
Tra quelli che Montanelli chiamava i suoi<br />
«ragazzi», c’erano «Bettiza, Vergani, Corradi,<br />
Zapulli…».<br />
Quindi la pensione nell’87 e la decisione, dal<br />
momento che per lui «il giornalismo è un<br />
hobby», di creare il Centro del Turismo di<br />
Milano, dove si occupa delle pubblicazioni.<br />
L’avvento del computer non ha trovato<br />
impreparato Fudoli, che oggi dirige anche la<br />
Ascari alla Mille Miglia, Coppi e Bartali al<br />
Tour de France, ho seguito la trasferta del<br />
Milano basket in Russia, nel 1948, quando<br />
c’era Stalin e nessuna squadra era ancora<br />
entrata in Unione Sovietica”. Qual è stato lo<br />
sportivo che l’ha colpita di più? “Fausto<br />
Coppi. Era leggermente gobbo, con le spallucce<br />
strette, il torace a punta. Sembrava<br />
fatto per la bici. Quando mi capitò di parlargli,<br />
mi fece una grande impressione”.<br />
Dopo più di tre decenni, l’esperienza alla<br />
Rai finì, e male. Nel 1982 Carapezzi passò<br />
a Tele Montecarlo. “Sono stati gli anni più<br />
belli. Facevo telecronache di sci, ippica, fui<br />
inviato al Tour de France. Quando andavo<br />
nel Principato mi facevano dormire nell’hotel<br />
della Callas e di Onassis. E mi diedero<br />
anche una “carta d’oro” per entrare al<br />
Casinò gratis”.<br />
Cinquant’anni di avventure sportive, esperienze<br />
di tutti i tipi che suscitano ammirazione<br />
e invidia. Un bagaglio sufficiente per dare<br />
uno sguardo allo sport di oggi, ai suoi personaggi<br />
e alle sue manie, e di confrontarlo con<br />
quello di ieri. “Oggi ci sono ciclisti e calciatori<br />
che parlano come laureati, mentre ai miei<br />
tempi c’era solo il dialetto. E poi le loro parole<br />
erano sincere, essenziali. Dopo una partita<br />
del Milan, chiesi a Nordhal di raccontarmi<br />
una sua rete. “Semplice. Preso palla, guardato<br />
porta, tirato, fatto gol”. Quante cose<br />
sono cambiate, in cinquant’anni.<br />
rivista telematica www.ViaggiVacanze.info e<br />
dal suo terminale in zona Loreto collabora<br />
al periodico Chi, come redattore della rubrica<br />
dedicata al turismo.<br />
9
Assemblea<br />
24 marzo <strong>2005</strong><br />
Professionisti<br />
Medaglia<br />
d’oro<br />
MARIO PANCERA<br />
«Oggi si oscura tutto,<br />
compresa la satira»<br />
di Andrea Fanì<br />
All’entrata di casa una scultura nera, in<br />
metallo, con molte sporgenze: «Per appendere<br />
cappotti», mi dice. Lo faccio. Il salotto è<br />
pieno di quadri, la luce del mattino li accarezza,<br />
penetrando nella stanza da due grandi<br />
finestre. «Arte e libri sono le mie passioni»,<br />
dice Mario Pancera: in tutto ne ha scritti<br />
17. «Il giornalismo mi ha dato la precisione<br />
e i tempi giusti per i miei libri. E il mestiere di<br />
scrittore mi ha insegnato il rigore della ricerca».<br />
È in uscita l’ultimo lavoro, Primo<br />
Mazzolari e “Adesso”. 1949-1951; ne ha già<br />
in cantiere un altro, titolo provvisorio, Le<br />
donne di Marx.<br />
Pancera non si è mai fermato: neanche ora,<br />
dopo 50 anni di carriera. Con quel carattere<br />
forte che sale dalle parole e dagli occhi. Mette<br />
soggezione, anche. Ha in mano una matita.<br />
La gira tra le dita e racconta. Da Bozzolo, nel<br />
mantovano, dove è nato nel 1930, si è trasferito<br />
a Milano nel ‘45. «Al liceo mi piacevano le<br />
parole, la scrittura».<br />
Infatti comincia con un racconto. «Nel 1947 lo<br />
mando al Popolo, quotidiano della Democrazia<br />
Cristiana, direttore Vittorio Chesi. Pensavo<br />
lo buttassero. Finì in terza pagina. Poi mi<br />
hanno commissionato racconti gialli». Anno<br />
1950, dal giallo «alla cronaca giudiziaria. Mi<br />
dividevo tra la redazione e gli studi alla Cattolica.<br />
Pagato a righe. Colleghi più anziani mi<br />
facevano firmare qualche pezzo non mio. Per<br />
arrotondare». Nel ‘53 il «fattaccio»: «Dovevo<br />
diventare praticante. Invece il mio posto fu<br />
preso da un altro. Lui aveva la tessera. Io<br />
no…».<br />
Un anno si può aspettare. Praticante dal ‘54,<br />
professionista dal ‘55. Nell’organo ufficiale<br />
della DC: «Nessuna pressione, in cronaca.<br />
Andavo in questura, nei tribunali. Mi sono<br />
occupato anche del processo a Giovanni<br />
Guareschi». Guareschi e la sua satira. Oggi la<br />
satira la oscurano: «Oggi oscurano tutto. Non<br />
che ci sia censura, ma i giornali mi sembrano<br />
più grigi, scritti male».<br />
Pancera professionista negli anni del boom<br />
economico e della televisione: «Lo sviluppo<br />
economico permise agli editori di aprire nuove<br />
testate. La tv? Era presa con leggerezza, le<br />
pagine degli spettacoli parlavano soprattutto<br />
di teatro». I giornalisti televisivi? «Nessuno li<br />
invidiava. Io collaborai ad una sceneggiatura.<br />
Potevo entrare in quel mondo, ma presi un’altra<br />
strada». L’altra strada porta a La Notte di<br />
Nino Nutrizio. «Era il ‘57. Il Popolo stava chiudendo;<br />
io, che non ho mai saputo chiedere<br />
aumenti, coglievo tutte le opportunità. Alla<br />
Notte facevo prima e terza pagina. Non ero di<br />
destra, come Nutrizio: per un po’ mi tennero<br />
d’occhio, imparando a fidarsi. Curavo anche<br />
una pagina d’inchieste. Belle e utili». E delle<br />
inchieste di oggi cosa pensa? «Sono leggere,<br />
forse fatte più cercando in archivio che indagando».<br />
Usciva il primo libro, Gino Bartali. La mia<br />
storia, scritto con Ginettaccio, «uomo di bontà<br />
unica, ma di cui molti approfittavano». Con<br />
una famiglia a carico, i soldi non erano mai<br />
troppi, lavorare era importante. Nel ‘62 lo chiama<br />
Rusconi per un posto a Gente: lui accetta,<br />
il rotocalco era in espansione e insidiava le<br />
vendite di Oggi, targato Rizzoli.<br />
Passano sei anni e «viene da me Benedetto<br />
Mosca, di Oggi. Mi dice che Carraro, braccio<br />
destro di Rizzoli, vuole incontrarmi. All’appuntamento<br />
Carraro mi presenta un foglio con<br />
l’accordo fatto. Rusconi non la prese bene, ma<br />
io avevo bisogno di garanzie, e Rizzoli ne<br />
dava. Una volta volammo a Parigi a prendere<br />
delle foto arrivate dalla Colombia. Impaginammo<br />
sull’aereo privato del cumenda. All’atterraggio<br />
avevamo il menabò fatto».<br />
Dieci mesi e arriva la nomina a redattore capo<br />
di Annabella. «Mai scritto di moda, prima. Mi<br />
occupavo di musica, pittura, scultura. Ma era<br />
una sfida, accettai».<br />
Nel frattempo altri libri e una carriera solida.<br />
Gli incarichi si susseguono, Famiglia Cristiana,<br />
la rubrica Dizionarietto su Amica, e, nel<br />
Ventuno penne<br />
‘72, il Corriere d’Informazione: «C’erano De<br />
Bortoli e Feltri, molto promettenti. Io facevo le<br />
pagine culturali». Sei anni, e nel ‘78 è ancora<br />
Mosca a chiamarlo, stavolta alla Domenica<br />
del Corriere. Giornale glorioso, ma in calo: «La<br />
direzione di Maurizio Costanzo fu un errore.<br />
Bravissimo in tv, ma con la Domenica sbagliò.<br />
Voleva fare un settimanale per “la mia portinaia”,<br />
diceva. La qualità ne risentì. Il giornale<br />
non si è più ripreso».<br />
Nel 1984 è a Salve, pochi mesi: il richiamo<br />
delle vecchie passioni, quadri e sculture, è<br />
troppo forte. Arte è il posto ideale. «Undici<br />
anni, dall’84 al ‘95, come direttore, fino a che<br />
sono andato in pensione».<br />
Pancera, però, di stare fermo non ha intenzione.<br />
«Cominciai a collaborare con La<br />
Repubblica, poi Il Giornale». È storia di oggi.<br />
«Un giorno vado alla Stampa, qui a Milano.<br />
Propongo al capo della redazione cultura<br />
una rubrica sul rapporto tra arte e mercati.<br />
Ci accordiamo sul taglio: avrei parlato di<br />
opere e prezzi. Il compenso? Diciannove<br />
euro ad articolo». Come uno che ha appena<br />
cominciato…<br />
1955<br />
<strong>2005</strong><br />
ARMANDO MARIOTTO<br />
«Tecnica ed economia<br />
le passioni di una vita»<br />
di Andrea Celauro<br />
Nato a Milano nel febbraio del 1931, Armando<br />
Mariotto ha seguito fin da giovane le<br />
orme di papà Igino: messa in tasca la laurea<br />
in giurisprudenza, infatti, si è dedicato a<br />
quella che è stata la passione della sua vita,<br />
il giornalismo.<br />
L’odore d’inchiostro e il ticchettio della<br />
macchina per scrivere, irresistibile per chi<br />
cresce a pane e quotidiani, lo spinge a farsi<br />
le ossa, ancora ventenne, al giornale La<br />
Patria, dove rimane per ventiquattro mesi.<br />
Poi la svolta, nella Milano della riconversione<br />
delle fabbriche, della Rinascente e della<br />
ENRICO MORATI<br />
«Ma oggi la televisione<br />
è tutta uguale»<br />
di Valeria Morselli<br />
“Oh signor, cosa le racconto adesso?”, mi ha<br />
chiesto. “Facile, 50 anni di giornalismo”, ho<br />
risposto. È iniziato così il mio colloquio con<br />
Enrico Morati. Ed è difficile credere che un<br />
giornalista per passione come lui, che ha<br />
iniziato la sua brillante carriera a 14 anni<br />
correggendo le bozze de L’Azione Giovanile (il<br />
quindicinale dell’Azione Cattolica che rifletteva<br />
le posizioni e gli impegni <strong>dei</strong> giovani), non<br />
abbia nulla da dire. Forse vuole proteggere i<br />
suoi ricordi da “questo giornalismo che cambia<br />
e che speriamo si salvi”, come dice lui stesso.<br />
Ma alla fine inizia a parlare ed è un fiume in<br />
piena: memorie che si conservano intatte<br />
nonostante le sfumature del tempo, memorie<br />
di un giovane cronista, diventato poi segretario<br />
di redazione in Rai, che ha fatto dell’amore per<br />
la verità il suo cavallo di battaglia.<br />
E inizia lontano il suo racconto. Nel 1952 quando<br />
approda, già dal primo giorno giorno, a La<br />
Notte. Lì ha modo di imparare la professione<br />
sotto la guida del direttore e maestro Nino<br />
Nutrizio, per il quale prova ancora un sentimento<br />
di profonda riconoscenza e stima.<br />
Passa quasi subito alla cronaca giudiziaria,<br />
dove rimane per 10 anni. “La giudiziaria è stata<br />
una grande scuola. Entrare a Palazzo di Giustizia<br />
in quegli anni mi ha permesso di capire<br />
cos’era Milano attraverso i processi civili”, spiega.<br />
Si è occupato, infatti, di due grandi scandali<br />
dell’epoca: “il processo dell’Oro di Dongo”<br />
e il “processo Fenaroli”. “Il primo, ricorda, è<br />
stato molto faticoso. Mi sono salvato perché<br />
essendo inviato di un giornale del pomeriggio,<br />
a metà dovevo uscire a dettare il pezzo. Per<br />
fortuna il collega Passanisi mi ha messo a<br />
disposizione i fascicoli dell’istruttoria”. In quel<br />
periodo ha fatto anche alcuni scoop, ad esempio<br />
quello su Bartali. Girava voce allora che il<br />
prode ciclista non stesse molto bene. Nessun<br />
cronista ha dato credito a queste voci, eccetto<br />
Morati: “a giorni Bartali sarà operato per un<br />
blocco intestinale”, ha scritto. Ed è stato così.<br />
Ma lo smacco più grande la redazione de La<br />
Notte lo ha rifilato proprio al Corriere. Il caso è<br />
la “rapina di via Osoppo”. La Notte a quel<br />
tempo usciva ancora alle 17 del pomeriggio.<br />
Alle 13 arriva la notizia dell’arresto <strong>dei</strong> colpevoli.<br />
E mentre la redazione del quotidiano<br />
pomeridiano presidiava la telescrivente (l’antenata<br />
dell’Ansa odierna) al Corriere erano tutti<br />
fuori per pranzo. Risultato: La Notte uscì con il<br />
titolo dell’arresto, spiazzando la concorrenza.<br />
Un grande colpo frutto dello spirito di coesione<br />
che c’era nella redazione e che ci ha permesso<br />
di sopravvivere così a lungo. La Notte era<br />
nato per vivere 5 mesi, alla fine ha compiuto<br />
25 anni, ha commentato Enrico Morati. Altro<br />
capitolo è il trascorso a L’Italia, dove è rimasto<br />
Lambretta: nel 1954, Armando Mariotto<br />
entra in forze al Corrierone. È qui che<br />
trascorre i canonici diciotto mesi di praticantato<br />
ed è qui che, passato tra le file <strong>dei</strong><br />
professionisti nel ‘55, affina la tecnica per<br />
altri due anni, fino all’estate del ‘57. Negli<br />
anni successivi, Mariotto non si fa mancare<br />
nulla: interviste ai campioni dello sport per<br />
le sue collaborazioni con i settimanali sportivi,<br />
inchieste di cronaca nera per Gente e<br />
pubbliche relazioni per la Sipra e per il<br />
Mercato internazionale del tessile (Mitam).<br />
E mentre nel Belpaese esplode il boom<br />
economico, dalle colonne del mensile Quattrosoldi<br />
- dove rimane per sei anni, tra il ‘62<br />
e il ‘68, come redattore e caposervizio -<br />
6 anni. “Una parentesi non molto felice. Sono<br />
passato lì quando è diventato direttore Lazzati.<br />
Ma mi sono trovato in grande difficoltà: quasi<br />
non riuscivo a scrivere”. In queste poche parole<br />
il riassunto dell’esperienza.<br />
Poi è arrivata la Rai. Un matrimonio durato ben<br />
21 anni. Prima all’Ufficio stampa con Dino<br />
Salvatore Beretta, poi come segretario di redazione<br />
e, negli ultimi tre anni, alla rubrica “Azienda<br />
Italia”, un programma di venti minuti dedicato<br />
al lavoro visto dall’interno. Come segretario<br />
di redazione ha portato avanti due battaglie<br />
molto importanti: la prima sul piano umano,<br />
cercando di migliorare i rapporti giornalistitecnici,<br />
la seconda sul piano professionale per<br />
far diventare giornalisti anche gli operatori. A<br />
quel periodo sono legati ricordi divertenti. Per<br />
esempio, quando un operatore, Mario Sacchi,<br />
impegnato nelle riprese di una gru che sollevava<br />
una bomba aerea inesplosa, ha avuto un<br />
sussulto di paura quando improvvisamente è<br />
caduto l’ordigno. Fortunatamente inesploso,<br />
per la seconda volta. Per due anni è stato<br />
anche direttore del Gazzettino Padano. “Un’esperienza<br />
bellissima, andavamo in giro con<br />
delle macchine scassate con enormi cassoni<br />
dietro che servivano da ripetitori”, ricorda.<br />
Una vita giornalistica, insomma, a tutto tondo<br />
nella carta stampata, nella radio e in tv. Con<br />
tre punti fermi: ricerca della verità, rispetto per<br />
gli altri e passione. Un’esperienza cinquantennale<br />
che oggi gli fa dire, con un po’ di amarezza,<br />
che “la tv di allora era molto più culturale,<br />
forse più scolastica, ma oggi è tutta uguale. Un<br />
tempo si diceva che la radio era la sorella cieca<br />
della tv. Oggi dico che la tv è una radio che si<br />
vede”.<br />
10 ORDINE 3 <strong>2005</strong>
d’oro<br />
GIOVANNI CESAREO<br />
Un’esperienza multiforme,<br />
«ma in fondo resto un cronista»<br />
di Eleonora Barbieri<br />
“Alla fine, sono rimasto un cronista: ciò che più<br />
mi piace è scrivere e, soprattutto, riuscire a<br />
guardare i fatti, raccoglierli e analizzarli. Insomma,<br />
fare inchieste, in senso lato”. Così Giovanni<br />
Cesareo dichiara la sua passione per il giornalismo,<br />
rimasta viva e predominante fra le numerose<br />
attività della sua movimentata carriera. Dal<br />
teatro, suo primo amore, alla letteratura, dalla<br />
critica televisiva alle questioni scientifiche, dalle<br />
battaglie sociali allo studio e all’insegnamento<br />
della sociologia delle comunicazioni di massa,<br />
passando per l’impegno politico e la pubblicazione<br />
di numerosi libri: attività diverse, accomunate<br />
dall’appassionata e inesauribile curiosità<br />
per le cose, i fatti, il mondo.<br />
Le radici di Giovanni Cesareo sono in Sicilia, a<br />
Palermo, dove nasce nel 1926. Ma il lavoro è a<br />
Roma, dove si trasferisce all’età di tredici anni,<br />
e a Milano. A diciotto anni si trova nella capitale:<br />
è il 1944 e, con l’arrivo degli americani, inizia a<br />
lavorare, dapprima come guida, quindi come<br />
traduttore e, infine, come capoufficio per l’Organizzazione<br />
<strong>dei</strong> profughi. L’anno successivo, con<br />
la fine della guerra, si iscrive a Filosofia e, in<br />
Università, partecipa a un gruppo teatrale. È<br />
così che il suo primo lavoro, Dolore, viene<br />
messo in scena.<br />
Nel 1948 l’iscrizione al Pci e le prime collaborazioni<br />
con la terza pagina dell’Unità. “Studiare,<br />
prima o poi, si rivela sempre utile”: così l’inglese<br />
gli apre il mondo della letteratura americana.<br />
L’anno successivo è costretto a lasciare<br />
l’occupazione presso l’Organizzazione <strong>dei</strong><br />
profughi: l’affissione illegale di alcuni manifesti<br />
promossi dal Pci (“Le mani di Scelba grondano<br />
sangue”) gli costa cinque mesi di carcere a<br />
Regina Coeli.<br />
Nel 1950, grazie a una sostituzione estiva,<br />
diventa praticante all’Unità, dove si occupa di<br />
critica teatrale. La svolta è nel 1953, quando è<br />
chiamato a riorganizzare, da capocronista, la<br />
redazione della cronaca di Roma. “Ero terrorizzato”,<br />
racconta. Ma, da allora, la passione è<br />
rimasta, intatta, insieme alla tentazione, mai<br />
sopita, di seguire sempre la propria strada, la<br />
propria curiosità. Così, quando, nel 1957, viene<br />
assegnato alla sezione politica del quotidiano,<br />
decide di lasciare l’Unità per Noi donne, settimanale<br />
dell’Unione donne italiane. “Fu un’esperienza<br />
bellissima: lavoravo come inviato, scrivevo<br />
reportage, conducevo inchieste”. Un periodo<br />
intenso, che, nel 1963, sfocia in un libro, La<br />
condizione femminile.<br />
Nel 1961 torna all’Unità, come critico televisivo<br />
per la redazione milanese e come inviato per il<br />
settimanale Vie nuove. Lasciata la rivista, fino al<br />
1975 si occupa esclusivamente di spettacoli<br />
presso la redazione romana. Continua a collaborare<br />
come critico televisivo anche dopo le<br />
Armando Mariotto mostra agli italiani cosa<br />
fare della loro nuova agiatezza. È l’era del<br />
turismo di massa e della corsa al frigorifero:<br />
dalle inchieste sulla pulizia <strong>dei</strong> mari a quelle<br />
sugli alimenti, gli elettrodomestici e il settore<br />
tessile, sono molti i temi curati da Mariotto<br />
per la rivista dell’editrice Domus.<br />
E l’interesse per la tecnica e l’economia lo<br />
accompagna anche nella successiva esperienza<br />
al mensile economico-finanziario<br />
Espansione della Mondadori. Qui inizia da<br />
redattore, ma diventa ben presto caposervizio<br />
e poi redattore capo, grazie ai lavori d’inchiesta<br />
e alle interviste ai “grandi nomi” del<br />
settore tessile, meccanico, turistico e<br />
alimentare.<br />
ORDINE 3 <strong>2005</strong><br />
dimissioni dal quotidiano del Pci, nel 1969. Da<br />
quell’anno inizia anche a dedicarsi a nuove<br />
iniziative: Sé, supplemento ‘ecologico’ della rivista<br />
Abitare, che rende vivo insieme a un gruppo<br />
di intellettuali milanesi; un nuovo libro, Anatomia<br />
del potere televisivo; lo studio e l’attenzione<br />
verso le comunicazioni di massa, con la promozione<br />
delle ‘unità di base’, gruppi legati a scuole,<br />
fabbriche e quartieri che facevano comunicazione<br />
insieme alle prime radio libere.<br />
Lasciato Sé, nel 1974 passa a Sapere, insieme<br />
a Giulio Maccacaro, con cui conduce<br />
numerose campagne di denuncia, come quella<br />
contro il nucleare e contro il disastro di Seveso<br />
e, alla fine degli anni ‘70, comincia l’esperienza<br />
di Ikon, rivista trimestrale dell’Istituto<br />
Gemelli. Nuovi contrasti, con l’editore di Sapere<br />
e con la direzione dell’Istituto, insieme all’abbandono<br />
del Pci nel 1981, portano alla fondazione<br />
di una nuova rivista, Se – Scienza esperienza,<br />
alle collaborazioni alle trasmissioni di<br />
Rai Educational, Mediamente e Parlato semplice,<br />
e all’attenzione sempre crescente per il<br />
mondo dello spettacolo, con la fondazione del<br />
Festival Teleconfronto di Chianciano e del Myst<br />
Fest di Cattolica.<br />
L’ultima sfida è quella dell’insegnamento, con la<br />
cattedra di Sociologia delle comunicazioni di<br />
massa, prima all’Università di Torino e, poi, alla<br />
facoltà di Design del Politecnico di Milano. Un<br />
impegno appena lasciato, quello al Politecnico:<br />
“Sarò ancora presente solo per l’ultima sessione<br />
di esami”. I progetti, però, non mancano:<br />
“Vorrei scrivere ancora qualcosa, forse sulla<br />
comunicazione”. O forse… “Forse vorrei tornare<br />
alle origini e scrivere un libro di racconti su quel<br />
primo anno degli americani a Roma”.<br />
ANDREINA AIRALDI PINOTTI<br />
Quando la famiglia<br />
conta più della professione<br />
di Giuseppe Maria Cieri<br />
“Ho sempre amato questo modo di lavorare,<br />
questo modo di vivere, questa professione”.<br />
Andreina Airaldi Pinotti ha ottantatré anni, e<br />
ricorda con calore e nostalgia la sua vita da<br />
giornalista, forse abbandonata troppo<br />
presto.<br />
Nata il 5 novembre del 1921 a Porretta<br />
Terme, in provincia di Bologna, Pinotti sviluppa<br />
la passione per questa professione fin<br />
da giovane. Dopo una prima esperienza a<br />
Brescia, la svolta avviene nel 1946, quando<br />
viene assunta come praticante presso la<br />
redazione milanese del quotidiano l’Unità,<br />
GUALTIERO MANTELLI<br />
Una vita da manovratore<br />
alla scrivania dell’Unità<br />
di Palmira Mancuso<br />
Due caffè di fila e poco più di un’ora per<br />
ripercorrere una vita trascorsa all’Unità.<br />
Gualtiero Mantelli, Walter (ma solo per gli<br />
amici), è di quei giornalisti concreti ed<br />
intellettualmente vivaci che fanno un giornale.<br />
Non è una “firma”, non è stato un<br />
“grande inviato”, ma la sua carriera si è<br />
sviluppata dietro una scrivania, a coordinare,<br />
decidere, mandare avanti la<br />
“macchina”.<br />
Prima la responsabilità di firmare il giornale,<br />
dai primi anni 60, poi la condirezione<br />
con Aniello Coppola, un’amicizia durata<br />
fino agli ultimi anni di vita del giornalista<br />
che fu anche direttore di Paese Sera.<br />
E tante avventure umane e professionali,<br />
consumate tra pacchetti di sigarette,<br />
telefoni che squillano e l’ultima ribattuta.<br />
«Mi piaceva fare il giornale, vederlo prendere<br />
forma, seguirne le fasi dal menabò<br />
alla prima copia ancora calda, appena<br />
uscita dalla rotativa». Dietro gli occhiali<br />
spessi, lo sguardo è quello soddisfatto di<br />
chi rifarebbe tutto con la stessa passione.<br />
Quella che lo ha portato, ancora ragazzino,<br />
a fare il “cronista del porto”, a cercare<br />
le notizie “in quell’aria spessa, carica di<br />
sale, gonfia di odori” della Genova di<br />
Fabrizio De Andrè. «È tra quei moli che ho<br />
imparato a scrivere – dice, come a sottolineare<br />
che il giornalismo non è cosa da<br />
manuali – e quando l’Unità di Genova<br />
chiuse e mi chiesero di fare una scelta,<br />
decisi di andare a Milano, di lavorare nel<br />
cuore del giornale, occupandomi delle<br />
pagine della Liguria».<br />
Dalla redazione di piazza Cavour lo sguardo<br />
era rivolto all’Italia intera, quella degli<br />
anni delle grandi lotte sindacali, degli<br />
scontri tra studenti e polizia, delle Br. Anni<br />
di polemiche nel Partito comunista di<br />
Berlinguer, da cui gli “ingraisti” Pintor e<br />
Rossanda presero le distanze lasciando<br />
l’Unità per fondare il Manifesto. Gualtiero<br />
Mantelli anche allora era in redazione, a<br />
seguire gli avvenimenti, a costruire pagina<br />
per pagina il giornale, a coordinare il<br />
lavoro degli inviati. Come quando chiamò<br />
Tina Merlin, chiedendole di raggiungere il<br />
Vajont, che c’era stata una frana: fu la<br />
prima vera inchiesta sul disastro annunciato.<br />
«Io non sono stato sui luoghi <strong>dei</strong> fatti<br />
– continua Mantelli – ma la partecipazione<br />
era la stessa: il contatto costante con<br />
gli inviati, il susseguirsi di notizie, le foto<br />
da impaginare. Una frenesia diversa, ma<br />
era quella che volevo sentire».<br />
Partecipazione, dunque. E responsabilità.<br />
Perché un giornale è fatto anche di uomi-<br />
allora organo del Partito Comunista Italiano.<br />
Dopo i diciotto mesi di praticantato arriva il<br />
contratto a tempo indeterminato. Vi resterà<br />
fino al 1962, quando si apre per lei la seconda<br />
svolta della sua vita: la nascita della figlia,<br />
quando ormai aveva 41 anni. Da qui la scelta<br />
di lasciare la vita di redazione, per dedicarsi<br />
completamente alla sua piccola.<br />
Ma l’amore per il giornalismo non la ha mai<br />
abbandonata. L’ha coltivato dentro di sé,<br />
continuando a studiare e a informarsi, e<br />
dedicandosi, quando poteva, a scrivere<br />
qualche articolo. E ancora oggi, a ottantatré<br />
anni, ha vivo il ricordo di una vita che avrebbe<br />
voluto continuasse, a cui ha dovuto rinunciare<br />
per metterne al mondo un’altra.<br />
ni come Mantelli, che all’Unità ha svolto i<br />
ruoli più diversi, girando dagli interni alle<br />
cronache, alla politica. Ogni giorno alle 11<br />
la prima riunione di redazione «e il pacco<br />
<strong>dei</strong> giornali sullo zerbino di casa già alle<br />
sette... perché bisognava aver letto tutto<br />
prima d’incontrarsi».<br />
Poi un rapporto privilegiato con i lettori: la<br />
rubrica delle lettere, per un decennio, dal<br />
1980 al 1990. Ma anche l’idea, ripresa da<br />
altre testate, di una rubrica settimanale:<br />
“Leggi e contratti”. «Avevo pensato di<br />
creare uno spazio per parlare e cercare di<br />
risolvere i problemi di lavoro. Un esperimento<br />
riuscito, che ha avuto successo<br />
grazie anche alla rete di esperti che avevo<br />
messo in piedi per rispondere ai lettori.<br />
Ricordo in particolare Massimo D’Antona,<br />
che spesso coinvolgevo per le questioni di<br />
diritto del lavoro».<br />
Dopo la pensione, difficile per il vulcanico<br />
Gualtiero Mantelli troncare i rapporti con il<br />
“suo” giornale. Ed anche all’Unità non<br />
vogliono fare a meno della sua esperienza<br />
e della sua capacità organizzativa.<br />
Però adesso, da collaboratore, si dedica<br />
alle sue passioni: i libri. Così, per un altro<br />
decennio, fino al 2000, Mantelli resta<br />
ancora al giornale, in quella squadra di<br />
professionisti che è stata, accanto alla<br />
famiglia, la sua vita. «Mi piaceva fare scrivere<br />
gli altri, scegliere chi far scrivere. E<br />
poi sono stato felice di contribuire all’inserto<br />
sulla lettura, perché ho anche avuto<br />
modo di conoscere da vicino letterati e<br />
critici che stimavo e stimo, in un rapporto<br />
di collaborazione reciproca».<br />
11
Assemblea<br />
24 marzo <strong>2005</strong><br />
Professionisti<br />
Medaglia<br />
d’oro<br />
MARIO LODI<br />
Ventuno penne<br />
Una vita alla Prealpina<br />
senza mai dire no a nessuno<br />
di Davide Cionfrini<br />
Quando i ricordi di un giornalista sono storia<br />
di un territorio. «Ho sempre amato la mia<br />
città, profondamente e intimamente». Un<br />
sentimento che si accompagna «all’infatuazione<br />
per un mestiere» che Mario Lodi ha<br />
svolto per 35 anni nel quotidiano di Varese la<br />
Prealpina. Non si può comprendere il personaggio<br />
senza tenere presente questi due<br />
legami ai quali ha dedicato un’intera vita.<br />
Classe 1919, Mario Lodi è stato per 24 anni<br />
(dal 1960 al 1983) direttore del quotidiano<br />
varesino.<br />
Seduto alla scrivania del piccolo studio di<br />
casa, il racconto della sua carriera si lega<br />
alla storia di una città di cui ha descritto le<br />
piccole vicende di cronaca e narrato i grandi<br />
fatti salienti che l’hanno cambiata. Sin dal<br />
1945 quando Lodi, al rientro dalla guerra<br />
combattuta sul fronte croato, abbandona la<br />
strada tracciata dai suoi studi che lo hanno<br />
portato al diploma di geometra. Quella che<br />
lui stesso definisce una «vera e propria<br />
passione per la scrittura» lo spinge a collaborare<br />
per il settimanale varesino Il Mattocco<br />
di cui diverrà redattore prima e direttore<br />
poi, solo per qualche settimana, però.<br />
Nel 1948 l’attrazione per il prestigio della<br />
Prealpina lo porta al salto di qualità. Diventa<br />
collaboratore esterno del quotidiano.<br />
Sono gli anni d’oro dello sport varesino: il<br />
ciclismo, il calcio, la squadra di basket che<br />
cresce creando le basi per i successi degli<br />
Anni ‘60 e ‘70. Questi gli avvenimenti che<br />
LUIGI PIZZINELLI<br />
Lodi racconta non solo sulle pagine del<br />
giornale varesino. Anche lo Stadio di Bologna,<br />
Tutto Sport e la Gazzetta dello Sport si<br />
avvalgono delle sue corrispondenze ai piedi<br />
del Monte Rosa.<br />
L’assunzione arriva nel 1953. Lodi diventa<br />
praticante alla Prealpina e nel 1955 professionista.<br />
Proprietaria della testata è la<br />
Società editoriale varesina allora presieduta<br />
da Achille Cattaneo che nel 1959 gli<br />
propone di fondare l’edizione del lunedì.<br />
«Mi è sempre dispiaciuto dire di no alla<br />
gente». Così s’imbarca in quell’avventura<br />
che porta a compimento il 16 novembre del<br />
1959 con la prima uscita. Il successo è subito<br />
premiato e a fine anno è designato come<br />
direttore responsabile del quotidiano. Il<br />
primo ricordo di quello che è indiscutibilmente<br />
il momento più importante della sua<br />
carriera non è per lui. L’arrivismo cede il<br />
posto al sentimento e alla riconoscenza che<br />
Lodi tutt’oggi, a oltre 40 anni di distanza,<br />
ancora prova per Mario Gandini il direttore<br />
di cui prese il posto ufficiosamente all’inizio<br />
del 1960. La memoria va a quando «Cattaneo<br />
ebbe un riguardo particolare verso<br />
Gandini, che compiva 70 anni il primo<br />
gennaio. Mi disse “lasciamogli la firma del<br />
giornale anche per questo giorno”». E a<br />
Mario Lodi dà fastidio dire di no alla gente<br />
così «iniziai il lavoro di direttore il 2 gennaio,<br />
firmando il giornale del 3». Un battesimo di<br />
fuoco per Lodi, che iniziò la sua avventura<br />
alla direzione proprio nel giorno in cui morì<br />
Fausto Coppi «mio coetaneo e idolo fin da<br />
quando ero ragazzo». Comincia quella che<br />
Il carabiniere mancato che<br />
lavorò con Buzzati e Vergani<br />
di Sara Bracchetti<br />
Ci sono persone che aiutano il caso a trasformarsi<br />
in passione. A lui la sorte ha dato il carisma<br />
fascinoso di Dino Buzzati, «la persona<br />
che forse mi ha lasciato di più, assieme a Orio<br />
Vergani». Luigi Pizzinelli, 87 anni e 37 vissuti<br />
alla scrivania dell’editoriale Corriere della<br />
Sera, non scansa la verità. Ammette che, da<br />
ragazzo, al giornalismo nemmeno pensava.<br />
«Dovevo diventare ufficiale <strong>dei</strong> carabinieri»,<br />
rivela anzi, accennando ai «cinque anni in<br />
guerra rubati agli studi universitari». Accadde<br />
poi che «tornai a casa in licenza e incontrai<br />
Vincenzo Gibelli, mio vecchio amico e all’epoca<br />
presidente del Comitato di liberazione del<br />
Corriere della Sera. “Carabiniere?” mi disse.<br />
“No, tu vieni qui”. Presi congedo dall’esercito il<br />
1°ottobre 1945. Il 1°febbraio 1946 entrai al<br />
Corriere».<br />
Ieri una fortunosa coincidenza, oggi «una<br />
malattia: esco alle sette per comprarlo». Il<br />
Corriere, presto preferito alle ambizioni di<br />
carriera accademica, capace di contagiare<br />
senza colpo ferire idee e abitudini. Nel bene,<br />
nel male. «Ho visto mio figlio quando ormai<br />
aveva tredici anni», sorride, sottintesi i turni di<br />
notte in redazione che, una volta sposato e<br />
padre, gli intralciarono una vita familiare<br />
normale. Rimpianta, ma non al punto da<br />
premetterla a un lavoro fatto di persone<br />
amiche prima ancora che di nomi illustri.<br />
Lungo il suo percorso professionale, non scarseggiarono.<br />
«Dal 1954 al 1959 fui anche<br />
segretario dello scrittore Orio Vergani, modello<br />
ineguagliabile di giornalismo e persona di<br />
grandissima umanità. Poi venni chiamato da<br />
Gaetano Afeltra, indimenticabile maestro al<br />
Corriere d’Informazione. E nel 1960 Dino<br />
Buzzati, vicedirettore della Domenica del<br />
Corriere, mi volle accanto a sé come redatto-<br />
re di quella prestigiosa testata. La prima televisione<br />
degli italiani, la definì Enzo Biagi.<br />
Vendeva un milione di copie ogni settimana, il<br />
suo segno distintivo era una copertina a colori<br />
che arrivava dove i fotografi non erano arrivati.<br />
Ci sono rimasto fino alla pensione, nel<br />
1983, lavorando sotto la direzione di Zucconi,<br />
Nascimbeni, Bertoldi e Antonio Terzi».<br />
Tanto lavoro di cucina. Una rubrica tutta sua,<br />
“Fatti e parole”, gestita per quattordici anni.<br />
Articoli di vario genere e perfino qualche servizio<br />
redatto all’estero. «Sono stato in Russia,<br />
Inghilterra, nel ‘69 andai a Sarajevo - elenca<br />
pescando a caso nella memoria - Quando ero<br />
fuori Milano, però, stavo come sulle spine. La<br />
verità è che io l’inviato non lo volevo fare».<br />
E pensare che l’offerta non mancò. «Me lo<br />
propose Zucconi. È che sono troppo scrupoloso,<br />
ogni volta in cui mi trovavo a compilare<br />
la nota spese mi sentivo in debito. A viaggiare<br />
con i soldi degli altri, senza poter decidere<br />
liberamente dove andare e che cosa vedere,<br />
finisce che non si gusta più niente». Ma lui,<br />
che si fa modesto e schermisce con pudore<br />
al momento di annotare i meriti, non si pente<br />
della rinuncia. «Io sono pago del mio lavoro<br />
redazionale», dice. Non invidia il fratello,<br />
Corrado, che l’inviato l’ha fatto sul serio, alla<br />
Nazione e al Resto del Carlino. «Il primo giornalista<br />
a entrare da solo in Cina, nel 1956», fa<br />
di lui sfoggio orgoglioso. «A me invece inte-<br />
1955<br />
<strong>2005</strong><br />
nei piani dell’editore doveva essere «la<br />
rifondazione del giornale». E non c’è dubbio<br />
che lo fu. Il passaggio dalle 10.500 copie<br />
alle 20 mila in pochi anni, lo spostamento<br />
dalla vecchia alla nuova e attuale sede di<br />
via Tamagno, l’ammodernamento della tipografia,<br />
tra le prime in Italia a passare dalla<br />
lavorazione a caldo delle linotypes a quella<br />
a freddo. Ma soprattutto gli anni della<br />
concorrenza tra il ‘73 e il ‘76, la sfida lanciata<br />
dalla nuova testata varesina Il Giornale<br />
omonima di quella che da lì a poco fonderà<br />
Indro Montanelli. Primo e unico vero tentativo<br />
nella storia della stampa varesina di<br />
spodestare la Prealpina dal monopolio<br />
dell’informazione sul territorio. «La sfida era<br />
lanciata e la raccogliemmo facendo squadra».<br />
I suoi occhi si illuminano ricordando quegli<br />
anni. Ossessione e obiettivo delle giornate in<br />
ressava più il rapporto cordiale e affettuoso<br />
con le persone che la firma».<br />
Un’allusione basta, ed ecco il profluvio di ricordi<br />
e aneddoti: i quattro anni passati con Dino<br />
Buzzati. «Penetrante con lo sguardo prima<br />
ancora che con le domande», lo scolpisce.<br />
«Era lui a tirar fuori l’idea che reggeva ogni<br />
numero del settimanale. Molto signorile, una<br />
sensibilità rara. Un giorno mi affidò il suo bulldog,<br />
Napoleone II. Voleva sbarazzarsene. Lo<br />
incontrai tempo dopo. “Sai, - mi disse - io ho<br />
una colpa, quella di non averti chiesto come<br />
sta Napoleone II”. “È morto”, risposi. Si alzò di<br />
scatto e se ne andò via». Si ferma. Riprende.<br />
Racconta qualche altro episodio, meno curioso<br />
e più riservato. «Ma anche Vergani mi ha<br />
dato tanto – devia poi il corso della nostalgia.<br />
– Di quella razza non ne esistono più. Mi diceva<br />
“Pizzinelli, chieda, chieda sempre. A chiedere<br />
si ottiene”. E che dire di Afeltra, un uomo<br />
dal rigore del tutto particolare. Sapeva sgridare<br />
ma non umiliare, era prepotente al punto<br />
giusto, in un modo che gli permetteva di ottenere<br />
il meglio dagli altri». C’è spazio anche<br />
per le opere didascaliche, esito di una naturale<br />
propensione per la storia. «Soprattutto la<br />
redazione era «dare il “buco ai rivali”». E ogni<br />
volta che ci si riusciva «era festa grande». E<br />
i motivi per stappare bottiglie non mancavano:<br />
nel 1976 Il Giornale chiude, la sfida<br />
raccolta è vinta. «Ci sorresse in quegli anni<br />
l’amicizia: ricordo notti in cui quei “bravi<br />
fioeu”, finita una lunga giornata di lavoro, si<br />
fermavano a giocare a carte con i tipografi<br />
tirando le quattro o le cinque del mattino».<br />
Amarcord di un giornalismo passione e vita<br />
che Lodi racconta nel suo ultimo articolo<br />
apparso sulla Prealpina il 24 dicembre 2003.<br />
Esattamente vent’anni dopo essere andato<br />
in pensione. Come editori a Cattaneo erano<br />
succeduti, negli anni, Stefano Ferrario prima<br />
(«la sua filantropia lasciò segni tangibili nella<br />
provincia di Varese») e il nipote Roberto<br />
Ferrario poi (oggi editore e direttore del giornale).<br />
Nel 1983, quando Lodi varcò per l’ultima<br />
volta le porte di via Tamagno la città<br />
mormorò. Lodi non vuole ritornare a quelle<br />
polemiche, solo una precisazione: «Nessuno<br />
mi ha cacciato, fui io ad andarmene».<br />
Lasciato il giornalismo attivo, è il senso civico<br />
a occupare oggi le sue giornate. Impossibile<br />
elencare ogni attività che ha svolto parallelamente<br />
al giornalismo e che continua a<br />
svolgere ancora oggi, a riposo solo per la<br />
stampa. Impossibile elencare ogni riconoscimento,<br />
premio od onorificenza che la città gli<br />
ha consegnato in questi anni con un senso<br />
di gratitudine. «Per due volte ebbi l’occasione<br />
di poter andare a lavorare per testate<br />
nazionali. Rifiutai. Per tre volte mi proposero<br />
di candidarmi a deputato: rifiutai, dicendo<br />
che servivo più al territorio, alla Prealpina<br />
che a Roma».<br />
Le uniche volte in cui Mario Lodi disse di no<br />
alla gente. Ma non c’è nessun rimpianto nei<br />
ricordi di chi considera, «senza nessun<br />
campanilismo», lo squarcio paesaggistico<br />
prealpino del Monte Rosa che si specchia<br />
sul Lago di Varese «uno degli scenari più<br />
belli al mondo».<br />
storia d’Italia e dell’Ottocento. Con Leonardo<br />
Vergani ho curato il volume antologico per il<br />
centenario della nascita di Eleonora Duse,<br />
edito da Martello. Ho scritto Robespierre per<br />
la collana I grandi della storia di Mondatori.Tra<br />
il 1965 e il 1969, con il collega Bartolomeo<br />
Pieggi, ho preparato i cinque album poi riuniti<br />
nel volume Cara Domenica, documento storico<br />
cronistico sui primi cinquant’anni del ventesimo<br />
secolo. Per conto del circolo Alessandro<br />
Volta ho curato Ottant’anni del circolo A. Volta<br />
in ottant’anni di vita milanese, 1963, aggiornata<br />
e riedita vent’anni più tardi con il titolo Il<br />
centenario».<br />
Oggi Pizzinelli svolge ricerche bibliografiche<br />
su commissione. Appena può, nel fine settimana,<br />
va a prendere una boccata d’ossigeno<br />
nella sua casa di Palazzago, provincia di<br />
Bergamo. Ha smesso di andare a cavallo e<br />
basta coi giornali. Corriere sottobraccio, superata<br />
la soglia di casa divora l’editoriale, Claudio<br />
Magris per la cultura e la Latella per la politica.<br />
Ma di collaborare ancora non se ne parla.<br />
«Mi sembrerebbe di strappare qualcosa ai<br />
giovani». Incompatibile con i principi di un<br />
uomo che ha due vanti: «Non aver mai preso<br />
querele ed essermi sempre comportato in<br />
modo corretto e onesto. Non ho mai dato spallate,<br />
non ho intralciato la carriera di nessuno,<br />
e mi sono dedicato a una continua e intensa<br />
attività sindacale, in difesa <strong>dei</strong> diritti altrui. Per<br />
vent’anni consecutivi sono stato eletto<br />
membro del comitato di redazione del Corriere.<br />
Nell’ambito delle strutture e degli organismi<br />
di categoria, ho fatto parte del collegio <strong>dei</strong><br />
Probiviri della Lombardia e della Federazione<br />
nazionale della stampa come consigliere<br />
dell’<strong>Ordine</strong> nazionale <strong>dei</strong> giornalisti. Dal 1975<br />
al 2001 sono stato revisore <strong>dei</strong> conti della<br />
Casagit e attualmente, per il terzo mandato,<br />
sono presidente del Collegio <strong>dei</strong> sindaci<br />
dell’associazione lombarda giornalisti».<br />
Giornalismo uguale carta stampata, anche<br />
ora e più di ieri, quando la tv, che si affacciava<br />
intaccando i periodici con il culto dell’immagine,<br />
non rappresentava ancora un’insidia riconosciuta.<br />
Lui, che i cinquant’anni di tv li ha<br />
seguiti tutti, è ingeneroso. «Soporifera. Dal<br />
punto di vista informativo, immediata ma scarsa».<br />
E ha una certezza che rincuora. «Non<br />
potrà mai soppiantare il giornale».<br />
12 ORDINE 3 <strong>2005</strong>
d’oro<br />
Assemblea<br />
24 marzo <strong>2005</strong><br />
Pubblicisti<br />
GIANCARLO ARMUZZI<br />
Medico per passione,<br />
giornalista (sportivo) per caso<br />
di Elisa Costanzo<br />
“Tutto è nato da una grande passione, che è<br />
un po’ anche una malattia: l’Inter”. Giancarlo<br />
Armuzzi è nato a Milano nel 1931. Deve la<br />
sua carriera di giornalista sportivo soprattutto<br />
al caso. “Mia madre era molto amica della<br />
figlia del generale Pozzani, allora presidente<br />
dell’Inter. Così, fin da ragazzino, sedevo in<br />
tribuna all’Arena vicino a lui”. Ma viene la<br />
guerra e le cose si complicano. Dal febbraio al<br />
giugno 1944 Armuzzi entra nel collegio <strong>dei</strong><br />
rosminiani per evitare di perdere l’anno scolastico.<br />
La passione del calcio torna a farsi sentire.<br />
Viene a sapere che due squadre disputano<br />
il torneo del collegio e giocano in cortile<br />
durante il pranzo. Armuzzi si offre per fare la<br />
cronaca delle partite e dopo pochi giorni è la<br />
star del collegio.<br />
Finita la guerra, nel 1949 si iscrive all’Università:<br />
dermatologia. “Già mio padre era dermatologo,<br />
era logico che lo facessi anch’io”. Ma è<br />
il 1952 l’anno decisivo: suo padre viene a<br />
sapere da un suo paziente redattore alla<br />
Gazzetta dello Sport che Gianni Brera sta<br />
cercando giovani. Armuzzi si presenta alla<br />
Gazzetta e subito viene messo alla prova:<br />
raccontare una partita a Corsico. Quando arriva,<br />
la confusione è tanta e non riesce neanche<br />
a vedere il campo. Allora azzarda: torna<br />
indietro, si informa <strong>dei</strong> risultati e si inventa tutta<br />
la cronaca. Un successo che gli apre le porte<br />
del giornale: Brera si complimenta con lui e gli<br />
chiede di collaborare tutte le domeniche<br />
pomeriggio.<br />
Qualche anno dopo, tramite alcuni amici,<br />
passa a Milan-Inter, settimanale sportivo dedicato<br />
interamente alle due squadre milanesi<br />
che quando usciva, di lunedì, superava nelle<br />
vendite anche il Corriere della Sera. Qui scrive<br />
cronache più importanti e per circa sei<br />
mesi diventa anche direttore. “Ero appena<br />
laureato in medicina. La domenica stavo al<br />
giornale tutto il giorno, fino alle sette del<br />
lunedì. Poi tornavo a casa, prendevo un<br />
cappuccino e alle otto andavo in clinica”.<br />
Nel 1954 passa al Corriere lombardo, che<br />
condivideva la tipografia con Milan-Inter e<br />
l’Unità. Qui trascorre tutte le domeniche,<br />
passa a seguire le squadre della serie A e<br />
rimane in tipografia fino a notte inoltrata, fra<br />
proto e linotipisti. Il lavoro gli piace, ma gli<br />
impegni universitari alla fine hanno la meglio.<br />
ERMANNO COMUZIO<br />
ORDINE 3 <strong>2005</strong><br />
“Era il 1962 e ho deciso di prendere la libera<br />
docenza. Ho dovuto dire addio a malincuore<br />
al giornalismo sportivo perché mi sono trovato<br />
presto a lavorare anche la domenica”. Ma<br />
la penna non l’ha messa nel cassetto.<br />
Dagli anni Sessanta fino a poco tempo fa è<br />
passato a rispondere periodicamente alle<br />
lettrici di Oggi, Annabella e Marie Claire che<br />
gli chiedevano consigli sulla salute della<br />
pelle. Oggi continua a esercitare la professione<br />
e aspetta di ricevere un riconoscimento<br />
per i 50 anni di carriera anche dall’<strong>Ordine</strong><br />
<strong>dei</strong> medici. Ma non si è mai pentito della sua<br />
scelta? “No. Il giornalismo sportivo mi piaceva<br />
per la creatività della scrittura e la frenesia<br />
della domenica sera. Adoravo lavorare<br />
fisicamente sul giornale e cambiare i titoli.<br />
Ma l’ho sempre vissuto come un gioco. Non<br />
avrebbe potuto diventare una professione. Il<br />
lavoro è una cosa seria”.<br />
Detto fuori dai denti, oggi Armuzzi ringrazia il<br />
giornalismo sportivo anche per un altro motivo:<br />
i soldi. “Negli anni cinquanta come assistente<br />
straordinario all’Università prendevo<br />
40mila lire al mese. Senza lo stipendio da<br />
giornalista – che superava abbondantemente<br />
quello da ricercatore – non avrei potuto<br />
comprarmi il primo appartamento in via Morosini<br />
e forse neanche sposarmi”.<br />
Mezzo secolo passato<br />
a scrivere di cinema e teatro<br />
di Cristiano Dell’Oste<br />
«Andavo a teatro e lo spettacolo spesso finiva<br />
a mezzanotte… Scrivevo il pezzo la sera stessa<br />
e lo passavo alla tipografia». C’è un po’ di<br />
nostalgia nelle parole di Ermanno Comuzio,<br />
81 anni, bergamasco, saggista e critico cinematografico<br />
e teatrale. «Ricordo il lavoro al<br />
tavolo <strong>dei</strong> tipografi… Se l’articolo era lungo io<br />
gli dicevo dove tagliare e loro toglievano i blocchetti<br />
di piombo con le pinze. Se era corto<br />
scrivevo le frasi da aggiungere e le dettavo al<br />
linotipista. Adesso collaboro ancora, ma<br />
mando i miei articoli con l’email».<br />
Era un altro mondo, un altro giornalismo. E<br />
forse non tutte le innovazioni tecnologiche<br />
l’hanno cambiato in meglio. «Al giorno d’oggi<br />
si è perso il contatto diretto con la fucina del<br />
giornale. Una volta il lavoro era più avventuroso.<br />
Quando ero inviato alla Mostra del Cinema<br />
di Venezia, subito dopo la proiezione del<br />
film telefonavo in redazione e dettavo l’articolo,<br />
così, sul tamburo. È un periodo che ricordo<br />
con affetto e rimpiango i tempi in cui lavoravo<br />
per un giornale di provincia. Ma oggi non so<br />
se lo rifarei».<br />
La carriera di Comuzio è cominciata nel 1953<br />
al Giornale di Bergamo, per il quale ha curato<br />
la rubrica dedicata a cinema e teatro fino al<br />
1983. Poi è passato a Bergamo Oggi e di<br />
nuovo al Giornale di Bergamo. Oggi collabora<br />
con la pagina che Il Giorno dedica alla cronaca<br />
bergamasca.<br />
La passione per la musica e il cinema è il filo<br />
conduttore intorno al quale si snoda la sua<br />
attività di giornalista. Una passione antica e<br />
intrecciata alle origini familiari. «In casa avevo<br />
<strong>dei</strong> musicisti, mio padre e mio zio si sono<br />
sempre occupati di musica e teatro e io ho<br />
cominciato a seguirla fin da ragazzo».<br />
Iscritto nel 1955 all’Albo <strong>dei</strong> pubblicisti, ha<br />
scritto numerosi saggi e curato voci di enciclopedia<br />
e dizionari specializzati.Tra i tanti libri<br />
che ha scritto ne ricorda due su tutti. «Quello<br />
che ha richiesto più lavoro è stato Colonna<br />
sonora – Dizionario ragionato <strong>dei</strong> musicisti<br />
cinematografici, pubblicato nel 1980, che trac-<br />
MARIO CONTER<br />
Medaglia<br />
d’oro<br />
Come condensare in trenta righe<br />
le emozioni di un concerto<br />
di Gabriella Persiani<br />
Musica e giornalismo, le passioni a cui<br />
Mario Conter, pubblicista bresciano, ha<br />
dedicato tutta la sua vita. Fino ad oggi,<br />
alla soglia <strong>dei</strong> 50 anni di iscrizione all’<strong>Ordine</strong>.<br />
Volendo parlare per immagini, a due<br />
oggetti si può ricondurre la sua esistenza:<br />
una bacchetta da direttore d’orchestra e<br />
una penna da critico musicale per il quotidiano<br />
della sua città.<br />
Appena diciottenne, diplomato maestro<br />
elementare e pianista al Conservatorio<br />
della sua città, “l’attrazione per la scrittura”<br />
lo porta ad esordire nel mondo del<br />
giornalismo: “I tempi erano diversi – ci<br />
racconta la figlia Fulvia Conter, musicista<br />
e giornalista come il padre, il quale per<br />
alcuni problemi di salute ha demandato a<br />
lei l’incarico di “raccontare” il Conter giornalista<br />
– c’erano poche manifestazioni<br />
musicali, ma cercavano giovani culturalmente<br />
e musicalmente preparati e veloci<br />
che seguissero la stagione lirica bresciana.<br />
Così mio padre iniziò la sua carriera<br />
nel mondo dell’informazione”.<br />
Perché “veloci”? “Bisognava consegnare il<br />
pezzo subito dopo aver assistito allo spettacolo,<br />
con le emozioni ancora dentro. Via,<br />
di corsa in redazione, entro mezzanotte,<br />
per dare al proto i foglietti scritti a mano,<br />
che venivano stampati al torchio uno per<br />
uno.<br />
Questo il ricordo che ha mio padre <strong>dei</strong><br />
suoi primi passi al Giornale di Brescia,<br />
con cui dal 1952 collabora per la pagina<br />
degli spettacoli”. Non solo sul giornale<br />
cittadino della “leonessa d’Italia”, il<br />
Maestro Mario Conter ha pubblicato le<br />
sue critiche e recensioni, ma anche su<br />
vari periodici: dal 1954 come corrispondente<br />
de La Scala, rivista dell’Opera di<br />
Milano, oltre che sul quotidiano milanese<br />
L’Italia, nella pagina bresciana, dal 1946<br />
al 1952.<br />
“Ma il suo cruccio, giornalisticamente<br />
parlando – continua Fulvia Conter – è<br />
stato sempre quello di pesare ogni vocabolo,<br />
ogni aggettivo nel tentativo di<br />
condensare le emozioni di un concerto in<br />
30 righe, perché sentiva grande la responsabilità<br />
di poter esaltare o rovinare la<br />
carriera di un musicista, soprattutto di un<br />
cia una panoramica della musica da film ed è<br />
stato un lavoro pionieristico, il primo nel suo<br />
genere in Italia, per scrivere il quale ho usato<br />
libri stranieri e un archivio che mi sono costruito<br />
negli anni. Un altro libro cui sono molto<br />
legato è il Dizionario <strong>dei</strong> musicisti, che è stato<br />
presentato alla Mostra del Cinema di Venezia<br />
l’anno scorso».<br />
giovane esordiente. Perché ai giovani ha<br />
sempre tenuto”. E a dimostrarlo ci sono i<br />
40 anni spesi nell’insegnamento al conservatorio<br />
di Brescia, fino al 1985, anno<br />
della pensione.<br />
I tempi bui della seconda guerra mondiale<br />
e l’internamento in Svizzera non hanno<br />
piegato la forte tempra di Conter, che tra il<br />
1947 e il 1948 ha dato vita, con la moglie<br />
Lydia, ad un duo pianistico con il quale ha<br />
girato il mondo fino al 1985, raccogliendo<br />
successi e il plauso internazionale.<br />
Nel 1970 il Maestro fonda i “Cameristi<br />
lombardi”, che, da direttore d’orchestra,<br />
porta a suonare in importanti sedi italiane<br />
e in tournée in Svizzera, Belgio, Francia,<br />
Spagna, Turchia, Giappone, Hong Kong<br />
fino a New York e Mosca. Presiede a<br />
tutt’oggi la Fondazione Romano Romanini<br />
di Brescia, nata nel 1976 con lo scopo di<br />
organizzare il concorso biennale per violino<br />
“Città di Brescia” e che programma<br />
corsi di alto perfezionamento per vari strumenti<br />
e stagioni di concerti.<br />
Una carriera artistica da sempre intensa,<br />
dunque, coronata di successi che, però,<br />
non ha mai distolto il Maestro dall’amore<br />
per la carta stampata, ancora vivo dopo<br />
cinquant’anni.<br />
Mezzo secolo passato a scrivere di cinema e<br />
teatro offre a Comuzio uno speciale punto<br />
d’osservazione su come si sia trasformata la<br />
pagina degli spettacoli sui giornali. «È cambiato<br />
tutto», dice subito. E poi spiega: «Una volta<br />
le recensioni erano puntuali e uscivano<br />
sempre il giorno dopo una prima visione.<br />
Erano collocate in una posizione importante e<br />
lo spazio era quello che voleva il critico. Oggi<br />
in quasi tutti i giornali le recensioni sono<br />
conglobate in un’unica pagina, gli si dà scarsa<br />
importanza, si stringono, si asciugano. Questo<br />
essere spinti un po’ ai margini è una cosa di<br />
cui si lamentano tanti critici autorevoli».<br />
Ma non è solo il modo di raccontare il cinema<br />
sui giornali che delude Comuzio. È il cinema<br />
contemporaneo a non essere all’altezza <strong>dei</strong><br />
capolavori del passato. «Ci sono ancora lavori<br />
seri, ma in mezzo all’invasione degli effetti<br />
speciali. Ormai siamo al cinema di riporto, al<br />
post-moderno. I generi vengono ripresi e rimescolati:<br />
l’horror diventa politico, il mystery<br />
diventa avventuroso, il western drammatico, il<br />
musical horror e così via».<br />
Nel cinema moderno, pressato dalle promozioni<br />
pubblicitarie e influenzato da logiche<br />
commerciali, il ruolo del critico viene sempre<br />
più ridimensionato. Una volta invece era diverso:<br />
«Spesso i lettori decidevano se andare al<br />
cinema in base alla recensione e alla fiducia<br />
nel critico. Anche pensando che se il tale<br />
aveva definito bello un film, era meglio non<br />
andarlo a vedere».<br />
13
Assemblea<br />
24 marzo <strong>2005</strong><br />
Pubblicisti<br />
Medaglia<br />
d’oro<br />
PASQUALE SCARDILLO<br />
«Fu Andreotti a suggerirmi<br />
l’almanacco del calcio»<br />
di Roberta Marilli<br />
Ogni domenica da più di trent’anni un uomo<br />
attraversa la soglia del palazzo del Corriere<br />
della Sera in via Solferino. Sale al terzo<br />
piano, alla redazione dello Sport, siede a<br />
una scrivania e sintonizza la sua radiolina<br />
su “Tutto il calcio minuto per minuto”. Dopo<br />
alcuni minuti, alle voci <strong>dei</strong> telecronisti inviati<br />
negli stadi di serie A, si aggiunge il suono<br />
inconfondibile del ticchettio di una macchina<br />
per scrivere. Quell’uomo è Pasquale<br />
Scardillo. Pubblicista per scelta “Per non<br />
perdere l’entusiasmo” - spiega fiero. Nato a<br />
Napoli il 25 gennaio del 1931, Scardillo non<br />
è un collaboratore come gli altri. Chiedete<br />
di lui anche all’ultimo arrivato in via Solferino<br />
e vi risponderà: “Pasquale? E chi non lo<br />
conosce?”<br />
Entusiasmo è la parola giusta per definire il<br />
sentimento che lega Scardillo al giornalismo<br />
sin dal 1948, quando iniziò come<br />
correttore di bozze e impaginatore al<br />
Corriere del Giorno a Taranto, città nella<br />
quale ha vissuto per molti anni. Grazie alla<br />
sua intraprendenza riuscì a diventare in<br />
poco tempo corrispondente sportivo dalla<br />
perla del Golfo per almeno una quindicina<br />
di testate, tra le quali il Corriere lombardo,<br />
Sportsud (fondato e diretto da Gino Palumbo),<br />
Lo stadio di Roma, il Guerin Sportivo e<br />
Milan-Inter.<br />
Nel 1957 avviene l’incontro che cambierà il<br />
corso della sua vita; conosce, infatti, Sergio<br />
Turone, caporedattore del Guerin Sportivo<br />
che è a Taranto al seguito del Giro d’Italia e<br />
che gli consiglia di trasferirsi al Nord per<br />
avere maggiori opportunità: “Dopo cinque<br />
giorni dal mio arrivo a Milano – racconta<br />
Scardillo - mi ritrovai a seguire la partita di<br />
serie B Simmenthal Monza-Milano per il<br />
Corriere lombardo. Vinsero i padroni di casa<br />
per uno a zero; ricordo ancora il titolo del<br />
servizio: La Simmenthal inscatola il delfino<br />
tarantino. Intanto viene assunto alla Rizzoli<br />
come impiegato tecnico e impaginatore<br />
dove rimarrà per 25 anni, fino al 1984. Ma<br />
non ha mai pensato di abbandonare quello<br />
EMILIO MARIANO<br />
Mezzo secolo tra libri,<br />
riviste ed archivi<br />
di Beatrice Nencha<br />
Una vita spesa tra libri, riviste, archivi ed<br />
epistolari. È stata inesauribile, in questi oltre<br />
50 anni di carriera, la passione intellettuale di<br />
Emilio Mariano, critico letterario e giornalista<br />
pubblicista dal 1954. Una vita attraversata da<br />
un filo rosso, l’amore per l’opera di Gabriele<br />
d’Annunzio, che da ossessione si è tramutato<br />
in destino. Quando sposa una nipote del Vate,<br />
incontrata proprio sui gradini del Vittoriale<br />
degli italiani a Gardone Riviera. La magionerifugio<br />
dove il poeta pescarese visse dal ‘21 al<br />
‘38 e di cui Mariano è stato sovrintendente dal<br />
1956 oltre che presidente della Fondazione.<br />
Laureato in Lettere e filosofia alla Statale di<br />
Milano, Mariano ha collaborato a riviste prestigiose<br />
come Nuova Antologia e ha diretto I<br />
quaderni dannunziani. Nel suo curriculum<br />
figurano numerose pubblicazioni: un volume<br />
su Riccardo Zandonai, direttore d’orchestra<br />
del primo Novecento , la raccolta Italia <strong>dei</strong><br />
poeti, oltre ad aver tradotto per il teatro Maria<br />
Stuarda di Schiller e aver curato il carteggio<br />
tra il Vate e Badoglio.<br />
Autore per la neonata tv del programma<br />
“Incontri con la poesia”, Mariano è stato<br />
anche un infaticabile promotore di conferenze<br />
che, confessa, è sempre stato per lui non<br />
un lavoro, ma un diletto. Continua a collaborare<br />
così, con vari giornali: Milan-Inter,<br />
La Notte, L’Italia e Football, il mensile finanziato<br />
da Angelo Moratti del quale diviene<br />
anche segretario di redazione.<br />
Nel 1968 Scardillo inizia a collaborare con<br />
la redazione sportiva del Corriere della<br />
Sera guidata da Gino Palumbo. E, con il<br />
successivo passaggio di Palumbo alla<br />
Gazzetta dello Sport nel 1976, avvia il suo<br />
sodalizio anche con la “rosea”. Intanto<br />
pubblica, insieme a Pericle Fratelli, Il libro<br />
azzurro del calcio italiano. Un successo,<br />
visto che le 80mila copie della prima edizione<br />
vanno esaurite in poco tempo. L’idea di<br />
questo almanacco, fonte autorevole ancora<br />
oggi per cronisti e appassionati, però, non<br />
fu sua: “Avevo cominciato a scrivere una<br />
storia della nazionale azzurra a puntate –<br />
racconta Scardillo – sulla rivista Concretezza,<br />
fondata e diretta da Giulio Andreotti. Fu<br />
proprio il sette volte presidente del Consiglio<br />
e senatore a vita a suggerirmi di raccogliere<br />
tutto il materiale pubblicato in un volume”.<br />
tra cui un convegno dedicato al suo professore<br />
di germanistica, Vincenzo Errante . Frutto<br />
di un lavoro di approfondimento durato cinque<br />
anniMariano ha in preparazione un corposo<br />
volume su Il fuoco. Il romanzo autobiografico<br />
con cui d’Annunzio ha consegnato ai posteri<br />
la descrizione della sua tempestosa storia<br />
d’amore con una delle donne più fatali del<br />
Novecento, Eleonora Duse.<br />
ANTONIO DORSA<br />
L’avvocato con il terrore<br />
della routine redazionale<br />
di Tiziana Cauli<br />
Quando lui iniziò a lavorare in Rai “la televisione<br />
esisteva soltanto nella testa di Mike<br />
Bongiorno”: Ci tiene a puntualizzarlo Antonio<br />
Dorsa, avvocato e pubblicista, nato lo stesso<br />
anno del celebre conduttore, il 1924. Sugli<br />
schermi non è mai apparso, e nessuno ha mai<br />
ascoltato la sua voce in radio. “Lavoravo all’ufficio<br />
stampa e propaganda”, spiega, ricordando<br />
gli anni della sua vita trascorsi a Roma,<br />
dov’era arrivato per fare il giornalista quando<br />
ancora non aveva le idee chiare sul suo futuro.<br />
Si laureò in legge nel 1948, con una tesi sulla<br />
“sovranità popolare” discussa all’Università di<br />
Napoli. E iniziò presto a lavorare al Popolo,<br />
dopo essersi trasferito nella capitale per una<br />
serie di coincidenze, prima fra tutte un’amicizia<br />
nella redazione del quotidiano della Dc,<br />
dove lui si occupò per sei anni di cronaca bianca.<br />
Che nello specifico, per usare le sue parole,<br />
significava “scrivere semplicemente i resoconti<br />
di congressi e assemblee”.<br />
Niente di entusiasmante, tanto che fra i colleghi<br />
di allora Dorsa ne ricorda tanti che facevano<br />
i giornalisti soltanto per poter entrare gratis<br />
in ristoranti e sale da ballo. E anche adesso,<br />
assicura, quella categoria esiste. “Avvicinarsi a<br />
questo mestiere se si ha dentro il desiderio di<br />
affermarsi va bene. Ma se uno vuole fare il<br />
giornalista per entrare in discoteca senza<br />
pagare. Allora è un altro discorso”. Anche<br />
perché, continua, “quando ho iniziato io non<br />
c’era nessuno, adesso i giovani aspiranti sono<br />
una folla”. Sono trascorsi cinquant’anni da<br />
quando Antonio Dorsa si iscrisse all’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong><br />
giornalisti. A Roma, ma lui è calabrese, di Civita,<br />
in provincia di Cosenza, e presto sarebbe<br />
approdato a Milano.”Dopo l’assunzione in Rai,<br />
negli anni Sessanta, iniziai a lavorare all’ufficio<br />
stampa della Montecatini-Edison, poi mi destinarono<br />
al servizio fiscale”. Perché il campo in<br />
cui Dorsa è più esperto, e che gli avrebbe<br />
permesso di aprire uno studio legale ancora<br />
attivo nel capoluogo lombardo, è senza dubbio<br />
quello tributario. Conserva gelosamente, nella<br />
libreria del suo ufficio, due volumi pubblicati nei<br />
primi anni Settanta. Commento e interpretazio-<br />
ALCIDE PAOLINI<br />
Critico di lettere e arte<br />
ma anche romanziere<br />
di Luigi dell’Olio<br />
Scrittore, giornalista e autore di soggetti letterari.<br />
La carriera di Alcide Paolini si è snodata<br />
attraverso molteplici generi artistici. Nato a<br />
Udine nel 1928, ha iniziato l’attività letteraria<br />
come poeta nel 1952. Tra le sue collaborazioni,<br />
Comunità, Belfagor, La fiera letteraria, Il<br />
Giorno e Corriere della sera con inchieste,<br />
articoli di critica letteraria e d’arte, racconti e<br />
note di costume.<br />
A 30 anni ha fondato e diretto a Udine la rivista<br />
di cultura e poesia La situazione che per<br />
quattro anni svolse un’opera di mediazione tra<br />
scrittori di diverse tendenze.<br />
Quindi nel 1965 si è trasferito a Milano, dove<br />
risiede tuttora. Ha esordito come romanziere<br />
nel 1967 con Controveglia, cui sono seguiti<br />
Verbale d’amore (1969), Lezione di tiro<br />
(1971), La gatta (1974), Paura di Anna (1976),<br />
La bellezza (1979), L’eterna finzione (1983),<br />
La donna del nemico (1985), Una strana<br />
signora (1993), Il paese del cuore (1994). Ha<br />
pubblicato anche un libro di sociologia letteraria,<br />
La mistificazione (Milano 1961), ed alcuni<br />
volumi per bambini e ragazzi tra cui Pablo e il<br />
cane Dik- Dik (1979) e Il paese abbandonato<br />
(1980, Premio Monza).<br />
ne di una legge non ancora in vigore che avrebbe<br />
presto introdotto nel sistema fiscale italiano<br />
la cosiddetta imposta sul valore aggiunto. “Non<br />
mi sono divertito molto a scriverli”, precisa, “ma<br />
sono stato il primo esperto di Iva in Italia”.<br />
Da allora Antonio Dorsa, iscritto all’albo degli<br />
avvocati, ha sempre esercitato la professione<br />
legale, alternandola, nel tempo libero, a qualche<br />
collaborazione giornalistica. “Alla fine degli<br />
anni Settanta diventai consulente fiscale gratuito<br />
dell’Associazione stampa. Lo facevo come<br />
favore ai colleghi con problemi fiscali”.<br />
Ma non ha rimpianti, Dorsa, per non aver optato<br />
per la professione giornalistica. “Avrei fatto il<br />
giornalista a tempo pieno soltanto ad una<br />
condizione: di non essere compresso dall’ingranaggio<br />
redazionale”. Oltre che per leggi<br />
dello stato per il sistema tributario Dorsa<br />
maturò presto un’altra passione, quella per i<br />
romanzi gialli. Che leggeva, e pubblicava. “Scrivevo<br />
per la pagina <strong>dei</strong> gialli del giovedì. Ho<br />
anche pubblicato alcuni volumetti. Poi hanno<br />
iniziato ad arrivarmi delle telefonate della redazione<br />
che mi chiedevano di trattare certi<br />
soggetti…Insomma, delle richieste, e allora ho<br />
interrotto”.<br />
È stato direttore della collana di narrativa per<br />
ragazzi di Mondatori, casa editrice con cui<br />
ancora collabora. Dal 1994 è editorialista per il<br />
Messaggero veneto: fino al 1999 con la rubrica<br />
letteraria “Detto e fatto” e attualmente come<br />
notista politca. Nel 1962 ha ottenuto il premio<br />
Prove-Rapallo con una raccolta di poesie,<br />
mentre nel 1989 ha ricevuto il Premio Friûl<br />
Aquila d’oro come romanziere.<br />
14 ORDINE 3 <strong>2005</strong>
Delibera<br />
del Consiglio<br />
nazionale<br />
Roma, 8 febbraio <strong>2005</strong>. C’ è una nuova Carta <strong>dei</strong> doveri per<br />
i giornalisti dell’informazione economica e finanziaria. L’ha<br />
approvata il Consiglio nazionale nella riunione odierna. Il<br />
testo integra ed amplifica le norme in materia già contenute<br />
nella Carta del 1993.<br />
A suggerire l’ ampliamento è stata la circostanza che il Parlamento<br />
sta per approvare definitivamente la Direttiva Ue sul<br />
market abuse cioè sulla turbativa di mercato prodotta dalla<br />
diffusione,dolosa o colposa, di notizie che tendano ad alterare<br />
l’andamento delle quotazioni di borsa o a nascondere<br />
situazioni di dissesto come è accaduto per Cirio e Parmalat.<br />
La normativa (se dovesse passare così com’è prevista oggi)<br />
non solo infliggerebbe severe sanzioni penali ma delegherebbe<br />
alla Consob il compito di comminare ai giornalisti<br />
pesantissime multe da 20mila a 5 milioni di euro. Così la<br />
Commissione per la Borsa assumerebbe il compito di<br />
controllore <strong>dei</strong> giornalisti economici e finanziari sostituendo,<br />
in pratica, l’<strong>Ordine</strong>.<br />
La normativa comunitaria stabilisce, però, la competenza<br />
deontologica ordinistica in presenza di specifiche e rigorose<br />
norme di autoregolamentazione. Da qui la necessità della<br />
nuova Carta approvata oggi.<br />
Le nuove regole sono fin d’ora vincolanti per tutti i giornalisti.<br />
Si invitano però i comitati di redazione e i direttori ad aprire<br />
un tavolo di confronto sui temi della trasparenza con l’obiettivo<br />
di arrivare all’ approvazione di un codice di autoregolamentazione<br />
interno che adatti eventualmente la Carta appena<br />
approvata alle peculiarità della testata e ne allarghi la<br />
portata ad altri temi come la trasparenza sull’ assetto proprietario<br />
nonché <strong>dei</strong> principali inserzionisti pubblicitari. Obiettivo<br />
principale di tale confronto è quello di ottenere la pubblicazione<br />
degli azionisti di controllo nella gerenza del giornale e<br />
in modo adeguato nel settore audiovisivo.<br />
L’ <strong>Ordine</strong> resta in attesa di eventuali deliberazioni adottate<br />
dalle assemblee di redazione e auspica un ampio dibattito<br />
tra tutti i colleghi sui temi della trasparenza e della correttezza<br />
dell’ informazione.<br />
Hachette-<br />
Rusconi:<br />
accordo.<br />
Cigs per 21<br />
giornalisti,<br />
ma c’è impegno<br />
a reinserirli<br />
ORDINE 3 <strong>2005</strong><br />
Milano, 10 febbraio <strong>2005</strong>. Ieri all’alba è<br />
stato siglato l’accordo per risolvere l’emergenza<br />
occupazionale in Hachette-Rusconi<br />
determinata dalla decisione dell’azienda di<br />
chiudere quattro testate: Donna, Vitality, Il<br />
nostro budget e Photo. Dopo quasi due mesi<br />
di trattative, l’intesa raggiunta tra il Cdr di<br />
Hachette-Rusconi, affiancato dall’Associazione<br />
lombarda <strong>dei</strong> giornalisti e dalla Fnsi, e<br />
la casa editrice, assistita dalla Fieg, prevede<br />
l’apertura dall’1° marzo della cassa integrazione<br />
per 21 giornalisti, rispetto ai 33 previsti<br />
dall’azienda, e un meccanismo articolato di<br />
interventi per garantire il reinserimento <strong>dei</strong><br />
colleghi nelle altre testate del gruppo<br />
Hachette-Rusconi.<br />
Le misure definite nell’accordo partono dal<br />
blocco del turn-over, che impone all’azienda<br />
di richiamare i giornalisti in Cigs per qualsiasi<br />
esigenza occupazionale, e prevedono, tra<br />
le altre cose: incentivi per i colleghi con i<br />
requisiti per accedere alla pensione di<br />
anzianità o di vecchiaia e loro automatica<br />
sostituzione con giornalisti in Cigs; possibilità<br />
di trasformare il rapporto di lavoro da<br />
tempo pieno a parziale, oppure da articolo 1<br />
ad articolo 2, con conseguente riassorbimento<br />
<strong>dei</strong> colleghi in Cigs; sostituzione<br />
temporanea con giornalisti in Cigs per<br />
assenza per maternità o per lo smaltimento<br />
di ferie arretrate; sospensione dell’esclusiva<br />
per i colleghi in Cigs, che potranno così<br />
collaborare con giornali esterni al gruppo<br />
Hachette-Rusconi; un’integrazione economica<br />
per i giornalisti che dovessero restare in<br />
Cigs per più di 6 mesi.<br />
L’Associazione lombarda <strong>dei</strong> giornalisti “esprime<br />
forte solidarietà ai 21 colleghi che entreranno<br />
in cassa integrazione, ma si dice altresì<br />
convinta che il meccanismo di interventi<br />
concordati con Hachette-Rusconi sarà capace<br />
di garantire, con l’impegno e la determinazione<br />
di tutti, dal sindacato ai singoli colleghi, così<br />
come dell’azienda e <strong>dei</strong> direttori di testata, il<br />
rapido riassorbimento all’interno del gruppo di<br />
tutti i giornalisti collocati in Cigs”.<br />
Emilia<br />
Romagna<br />
applica<br />
a 20<br />
giornalisti<br />
il contratto<br />
Fnsi-Fieg<br />
Bologna, 4 febbraio <strong>2005</strong>. Da<br />
questo mese oltre venti giornalisti,<br />
che svolgono la loro attività<br />
nelle strutture di informazione<br />
della Regione Emilia-Romagna,<br />
sono transitati dal contratto di<br />
lavoro per il personale delle<br />
Regioni e delle Autonomie locali<br />
a quello giornalistico, sottoscritto<br />
dalla Fnsi e dalla Fieg. Il sindacato<br />
<strong>dei</strong> giornalisti dell’Emilia-Romagna<br />
ha espresso soddisfazione<br />
per la decisione della Regione,<br />
assunta anche nel quadro<br />
della legge 150 del 2000, e nel<br />
contempo si augura che analogo<br />
provvedimento venga presto<br />
assunto da altre regioni, a partire<br />
dalla Toscana, dove un provvedimento<br />
analogo a quello dell’Emilia<br />
Romagna è stato bloccato<br />
mentre sembrava in dirittura d’arrivo.<br />
(AGI)<br />
CASSAZIONE PENALE (SEZ. V, 9 NOVEMBRE 2004, N. 48095)<br />
Diffamazione, la fretta non giustifica<br />
la pubblicazione di una notizia non vera<br />
“ll diritto di cronaca tutelato dal vigente ordinamento esige la rigorosa osservanza di<br />
precisi limiti che hanno fondamento nell’ordinamento stesso e nell’etica deontologica<br />
professionale. Il giornalista non può disinvoltamente e indiscriminatamente<br />
trasmettere la notizia a lui pervenuta senza verificare - attraverso l’esame e il controllo<br />
delle fonti di informazione - la loro rispondenza al vero; né ripararsi dietro l’esigenza<br />
di una rapida divulgazione della notizia, perché se non è in grado - a ragione della<br />
ristrettezza <strong>dei</strong> tempi - di compiere ogni accertamento atto a fugare ogni dubbio o<br />
incertezza in ordine alla verità sostanziale del fatto deve semplicemente astenersi dal<br />
divulgare la notizia, e non può trasmetterla al pubblico con il rischio di una sua eventuale<br />
non rispondenza al vero”.<br />
Milano, 22 gennaio <strong>2005</strong>. La fretta non<br />
giustifica la pubblicazione di una notizia non<br />
vera e, quindi, diffamatoria. Questo principio<br />
è stato fissato dalla V sezione penale della<br />
Cassazione. Nella sentenza si legge:<br />
“Con l’impugnata sentenza è stata confermata<br />
la dichiarazione di colpevolezza di<br />
(omissis) in ordine al reato di cui agli artt. 57-<br />
595 Cp, contestatogli “per non aver impedito,<br />
nella qualità di direttore responsabile del<br />
quotidiano (omissis), che con la pubblicazione,<br />
in data (omissis) di un articolo dal titolo<br />
(omissis), venisse offesa la reputazione di<br />
(omissis) indicato, contrariamente al vero,<br />
come persona denunciata in passato per<br />
ricettazione”. Ricorre per Cassazione il difen-<br />
La nuova Carta <strong>dei</strong> Doveri<br />
dell’informazione economica<br />
Ecco la nuova carta <strong>dei</strong> doveri dell’informazione economica<br />
1 Il<br />
2 Non<br />
3 Il<br />
4 Il<br />
5 Il<br />
sore dell’imputato proponendo un unico<br />
mezzo di annullamento col quale denuncia<br />
violazione di legge in relazione all’art. 51 Cp.<br />
Dalla sua illustrazione si evince che, col<br />
mezzo, si addebita alla Corte di merito di non<br />
avere considerato che non può configurarsi<br />
un omesso controllo su fatti e circostanze<br />
(nella specie, il riferimento alla denuncia di<br />
ricettazione) assolutamente secondari alla<br />
notizia principale (quella, vera, dell’incendio<br />
doloso). E si aggiunge che il concetto di<br />
verità oggettiva deve tener conto della peculiare<br />
natura dell’attività giornalistica ed in<br />
particolare della necessaria rapidità nell’acquisizione,<br />
verifica e divulgazione della notizia.<br />
I riassunti profili di censura devono esse-<br />
giornalista riferisce correttamente, cioè senza alterazioni<br />
e omissioni che ne alterino il vero significato,<br />
le informazioni di cui dispone, soprattutto se già<br />
diffuse dalle agenzie di stampa o comunque di<br />
dominio pubblico. L’obbligo sussiste anche quando<br />
la notizia riguardi il suo editore o il referente politico<br />
o economico dell’organo di stampa.<br />
si può subordinare in alcun caso al profitto<br />
personale o di terzi le informazioni economiche e<br />
finanziarie di cui si sia venuti a conoscenza nell’ambito<br />
della propria attività professionale né si può<br />
turbare l’andamento del mercato diffondendo fatti o<br />
circostanze utili ai propri interessi.<br />
giornalista non può scrivere articoli che contengano<br />
valutazioni relative ad azioni o altri strumenti<br />
finanziari sul cui andamento borsistico abbia in<br />
qualunque modo un interesse finanziario, né può<br />
vendere o acquisire titoli di cui si stia occupando<br />
professionalmente nell’ambito suddetto o debba<br />
occuparsene a breve termine.<br />
giornalista rifiuta pagamenti, rimborsi spese, elargizioni,<br />
vacanze gratuite, regali, facilitazioni o<br />
prebende da privati o enti pubblici che possano<br />
condizionare il suo lavoro e la sua autonomia o<br />
ledere la sua credibilità e dignità professionale.<br />
giornalista non assume incarichi e responsabilità<br />
in contrasto con l’esercizio autonomo della professione,<br />
né può prestare nome, voce e immagine per<br />
6 Il<br />
7 Nel<br />
8 La<br />
re respinti. Il primo è inammissibile. Propone<br />
infatti una questione non prospettata nelle<br />
fasi di merito. Che è peraltro manifestamente<br />
infondata. La giurisprudenza di questa Corte<br />
ha avuto modo di affermare che i dati superflui,<br />
non unificanti, ovvero secondari, cioè<br />
incapaci da soli di immutare, alterare, modificare<br />
la verità oggettiva della notizia, non<br />
possono essere presi in considerazione, per<br />
ritenere valicati i limiti dell’esercizio del diritto<br />
di informazione ed escludere l’operatività<br />
della causa di giustificazione di cui all’art. 51<br />
c.p., anche in termini di putatività ex art. 59,<br />
u.c., c.p. Ma il richiamo a siffatto principio si<br />
palesa del tutto incongruo e non pertinente<br />
con riferimento al caso di specie, in ordine al<br />
quale l’elemento asseritamente secondario<br />
non riguarda l’essenza e la sostanza della<br />
notizia ritenuta principale, ma se ne distacca<br />
completamente risolvendosi nell’aggiunta di<br />
un distinto dato del tutto autonomo ed anzi<br />
eccentrico, ed inoltre dotato (come non<br />
contestato) di sicura valenza offensiva, ove<br />
si tenga conto che la tutela della reputazione<br />
non può venir meno neppure nei confronti di<br />
coloro che abbiano eventualmente già subito<br />
un certo discredito. Quanto all’altro aspetto,<br />
iniziative pubblicitarie incompatibili con la credibilità<br />
e autonomia professionale. Sono consentite, invece,<br />
a titolo gratuito, analoghe iniziative volte a fini sociali,<br />
umanitari, culturali, religiosi, artistici, sindacali o<br />
comunque prive di carattere speculativo.<br />
giornalista, tanto più se ha responsabilità direttive,<br />
deve assicurare un adeguato standard di trasparenza<br />
sulla proprietà editoriale del giornale e sull’identità<br />
e gli eventuali interessi di cui siano portatori i<br />
suoi analisti e commentatori esterni in relazione allo<br />
specifico argomento dell’articolo. In particolare va<br />
ricordato al lettore chi è l’editore del giornale quando<br />
un articolo tratti problemi economici e finanziari<br />
che direttamente lo riguardino o possano in qualche<br />
modo favorirlo o danneggiarlo.<br />
caso di articoli che contengano raccomandazioni<br />
d’investimento elaborate dallo stesso giornale<br />
va espressamente indicata l’identità dell’autore<br />
della raccomandazione (sia esso un giornalista<br />
interno o un collaboratore esterno). Occorre inoltre,<br />
nel rispetto delle norme deontologiche già in vigore<br />
sulla affidabilità e sulla pubblicità delle fonti, che per<br />
tutte le proiezioni, le previsioni e gli obiettivi di prezzo<br />
di un titolo siano chiaramente indicate le principali<br />
metodologie e ipotesi elaborate nel formularle<br />
e utilizzarle.<br />
presentazione degli studi degli analisti deve<br />
avvenire assicurando una piena informazione sull’identità<br />
degli autori e deve rispettare nella sostanza<br />
il contenuto delle ricerche. In caso di una significativa<br />
difformità occorre farne oggetto di segnalazione<br />
ai lettori.<br />
occorre ricordare che il diritto di cronaca<br />
tutelato dal vigente ordinamento esige la<br />
rigorosa osservanza di precisi limiti che<br />
hanno fondamento nell’ordinamento stesso<br />
e nell’etica deontologica professionale.<br />
Il giornalista non può disinvoltamente e indiscriminatamente<br />
trasmettere la notizia a lui<br />
pervenuta senza verificare - attraverso l’esame<br />
e il controllo delle fonti di informazione -<br />
la loro rispondenza al vero; né ripararsi dietro<br />
l’esigenza di una rapida divulgazione della<br />
notizia, perché se non è in grado - a ragione<br />
della ristrettezza <strong>dei</strong> tempi - di compiere ogni<br />
accertamento atto a fugare ogni dubbio o<br />
incertezza in ordine alla verità sostanziale<br />
del fatto deve semplicemente astenersi dal<br />
divulgare la notizia, e non può trasmetterla<br />
al pubblico con il rischio di una sua eventuale<br />
non rispondenza al vero.<br />
Di cui la infondatezza della centra in esame.<br />
P.Q.M.<br />
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente<br />
al pagamento delle spese del procedimento.<br />
Così deciso in Roma, il 9 novembre 2004.<br />
Depositato in Cancelleria il 14 dicembre<br />
2004”.<br />
15
XXIV EDIZIONE DEL PREMIO NAZIONALE “MAX DAVID” PATROCINATO DALLA PROVINCIA DI MILANO<br />
A Ugo Tramballi l’Oscar degli inviati<br />
di Patrizia Pedrazzini<br />
Ecco i “numeri”<br />
del Pulitzer<br />
italiano<br />
Il premio Max David nasce in Versilia nel 1980, per iniziativa del poeta e pittore Vittorio Grotti,<br />
sotto l’egida della Fondazione Lorenzo Viani, in collaborazione con la Rai e con il contributo di<br />
Linda David Locatelli, vedova di Max David, il grande inviato (oltre 40 anni di servizio, <strong>dei</strong> quali<br />
25 al Corriere della Sera) originario di Cervia, nato nel 1908 e morto nel 1980. Riservato agli<br />
inviati speciali, è particolarmente ambito e prestigioso, tanto da essere citato come il Pulitzer<br />
italiano.<br />
Il primo riconoscimento è assegnato, da una giuria di cento giornalisti, a Lucio Lami. Nel<br />
1982, scomparso Grotti, Linda David chiede a Lami di garantire la vita del premio, che quello<br />
stesso anno si decide di trasferire a Cervia. Nel 1984, secondo, e definitivo, trasferimento nel<br />
capoluogo lombardo, dove il premio viene tuttora celebrato, con il patrocinio e il contributo<br />
della Provincia di Milano. È emanazione dell’Associazione Max David per il giornalismo,<br />
presieduta da Lucio Lami, mentre il vicepresidente è Max Victor David, figlio del giornalista.<br />
Nelle passate edizioni, i vincitori sono stati: Lucio Lami, Ettore Mo, Piero Accolti, Bernardo<br />
Valli, Franco Ferrari, Piero Benetazzo, Frane Barbieri, Vittorio Zucconi, Mimmo Candito,<br />
Egisto Corradi (alla memoria), Lucia Annunziata, Vittorio Dell’Uva, Paolo Rumiz, Antonio<br />
Ferrari, Valerio Pellizzari, A. Pasolini Zanelli, Carmen Lasorella, Renzo Cianfanelli, Renata<br />
Pisu, Giovanni Porzio, Toni Capuozzo, Guido Rampoldi.<br />
Consegna del premio Max David: (da sinistra) Ettore Mo (seduto), Max Victor David (figlio<br />
di Max David), Ugo Tramballi (vincitore), Alberto Mattioli (vicepresidente della Provincia<br />
di Milano), Lucio Lami (presidente del Comitato del premio), Sergio Zavoli (seduto)<br />
presidente della giuria.<br />
“A Ugo Tramballi per il suo impegno di inviato<br />
speciale, costante e attento, grazie al<br />
quale ha fornito ai lettori del suo giornale<br />
resoconti puntuali ed ineccepibili sul confronto<br />
tra Occidente e mondo arabo, sulle vicende<br />
del Golfo e sull’impatto della globalizzazione<br />
sulla politica internazionale”. Questa la<br />
motivazione con la quale il giornalista de Il<br />
Sole 24 Ore Ugo Tramballi ha ricevuto, la<br />
sera del 28 gennaio a Milano, il “Max David”,<br />
il prestigioso premio nazionale per l’inviato<br />
speciale, giunto quest’anno alla sua XXIV<br />
edizione.<br />
Considerato il “Pulitzer” italiano, dichiaratamente<br />
apolitico, assegnato da una giuria<br />
composta in prevalenza da inviati, molti <strong>dei</strong><br />
quali ex vincitori, il premio, patrocinato dalla<br />
Provincia di Milano, è stato consegnato nel<br />
corso dell’annuale cerimonia all’Excelsior<br />
Hotel Gallia, alla presenza di autorità civili e<br />
militari, di rappresentanti diplomatici, di esponenti<br />
della letteratura italiana, dell’arte e delle<br />
tradizioni milanesi. Oltre che, naturalmente,<br />
del giornalismo, anche se, quest’anno, sono<br />
È di casa, il giornalismo, nella famiglia<br />
Tramballi. Prima il nonno Ugo, poi il padre<br />
Gualtiero (La Notte, Epoca, il Giornale di<br />
Bergamo, del quale fu direttore) e lo zio<br />
Giulio (Italia, quindi Avvenire). Adesso<br />
ancora Ugo. E siamo alla terza generazione.<br />
Solo che il vincitore della XXIV edizione<br />
del premio Max David ha anche sposato<br />
una giornalista (Raffaela Carretta, vicedirettore<br />
di io donna) e ha due figli maschi,<br />
di 16 e 10 anni. Che anche loro finiscano<br />
per subire il fascino del mestiere?<br />
Mah! È presto per dirlo. Certo, hanno interessi<br />
classici che rischiano di portarli su<br />
questa strada. Ma, sinceramente, non ho<br />
fatto e non farò nulla per incentivarli. Credo<br />
che a un certo punto sia giusto cambiare.<br />
Con loro saremmo alla quarta generazione:<br />
un po’ eccessivo. E poi, in verità, si ha paura<br />
che i figli non riescano bene come siamo<br />
riusciti noi, mentre per loro si desidera il<br />
massimo. Mio padre non mi ha mai incentivato<br />
proprio per questo.<br />
Come sei arrivato al giornalismo?<br />
Non per passione, direi piuttosto per caso.<br />
stati numerosi gli inviati che non hanno potuto<br />
partecipare, trattenuti a Baghdad dalle<br />
recenti elezioni.<br />
Aprendo la serata, il presidente dell’Associazione<br />
Max David (e primo insignito, nel 1980-<br />
’81, del premio) Lucio Lami, affiancato dal<br />
vice-presidente Max Victor David, figlio del<br />
grande giornalista, non ha mancato di sottolineare<br />
il tributo di sangue che questo<br />
mestiere continua a pagare. “Il 2004 – ha<br />
detto – è stato l’anno record <strong>dei</strong> non ritorni.<br />
129 inviati sono rimasti sul campo o sono<br />
stati assassinati in servizio: quattro in Africa,<br />
dieci in Europa e negli ex Paesi sovietici, 26<br />
in America Latina, 35 in Asia e nel Pacifico,<br />
54 in Medio Oriente, compreso il nostro Enzo<br />
Baldoni”. Di qui il particolare valore di questo<br />
premio: “Riconoscere il merito di chi, per<br />
testimoniare la realtà, ha accettato una<br />
professione che, nel migliore <strong>dei</strong> casi, è difficile,<br />
delicata e pregna di responsabilità e, nel<br />
peggiore, è di grande fatica e molto rischiosa”.<br />
Un mestiere duro e pericoloso, quello dell’inviato,<br />
ma non solo: un mestiere che sta<br />
anche vivendo tempi difficili. Lo ha rimarcato<br />
il presidente onorario della giuria Sergio<br />
Pensavo, allora, alla carriera diplomatica,<br />
ma volevo rendermi autonomo presto, e la<br />
strada non era delle più brevi. Mi sarebbe<br />
anche piaciuto pilotare gli aerei, ma all’Accademia<br />
di Aeronautica militare era tutta<br />
ingegneria, e io in matematica non sono mai<br />
stato un asso. Così, visto che mio padre era<br />
giornalista, l’ho fatto anch’io. Ma solo dopo i<br />
primi tre-quattro anni ho capito di avere i<br />
numeri per riuscire. È stato allora che mi<br />
sono innamorato del mestiere. Prima mi<br />
piaceva e basta. Mi piaceva il tipo di vita che<br />
facevo, le uscite sui fatti di nera con l’autista,<br />
gli orari impossibili. Ricordo ancora il<br />
primo morto, un suicida alla Stazione<br />
Centrale: non sapevo che, poi, ne avrei visti<br />
tanti. Ho amato il giornalismo e, soprattutto,<br />
Zavoli che, dopo aver riconosciuto il contributo<br />
dato a questa categoria professionale,<br />
negli ultimi dieci anni, dalle donne, ha<br />
evidenziato come vada scomparendo, oggi,<br />
la figura classica dell’inviato, e come questo<br />
rappresenti un “segno di precarietà di una<br />
grande professione, sul cui futuro non si può<br />
dire niente di certo”. Anche se, ha poi<br />
aggiunto, proprio “la velocità dell’informazione<br />
quotidiana, e la scarsissima traccia che<br />
lascia, fa sì che la figura dell’inviato speciale<br />
diventi ancora più importante”.<br />
Inviati speciali. “Professionisti che cercano<br />
risposte laddove è difficile o addirittura pericoloso<br />
fare domande”: così li ha definiti, nel<br />
suo intervento, il vicepresidente della Provincia<br />
di Milano, Alberto Mattioli, il quale ha<br />
voluto anche ringraziare, nell’occasione, il<br />
presidente dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti della<br />
Lombardia Franco Abruzzo e il direttore della<br />
Scuola di giornalismo Gigi Speroni, entrambi<br />
presenti alla cerimonia. “Un sentito grazie –<br />
ha detto – a Franco Abruzzo, che governa<br />
con instancabile generosità e saggezza l’<strong>Ordine</strong><br />
e che, con altrettanta disponibilità, si<br />
dedica a trasferire entusiasmo e disciplina ai<br />
molti giovani attratti da un mestiere tanto<br />
“Senza libertà di stampa,<br />
questo mestiere muore”<br />
Da sinistra: Alberto Mattioli (vicepresidente della Provincia di Milano), Ugo Tramballi<br />
(vincitore del premio Max David 2004 e inviato de Il Sole 24 ore), Ettore Mo (componente<br />
della giuria e decano degli inviati speciali), Ferruccio De Bortoli (direttore de Il Sole 24 ore).<br />
Da 22 anni<br />
nei punti “caldi”<br />
del mondo<br />
Ugo Tramballi nasce a Milano il 19 febbraio 1954.<br />
Nel 1976 entra a il Giornale di Indro Montanelli come cronista nelle pagine milanesi; nel 1983<br />
diventa inviato, soprattutto per il Medio Oriente, l’India, il Pakistan, l’Afghanistan e il Sudafrica;<br />
dal 1987 al ‘91 è corrispondente a Mosca.<br />
Nel 1991 passa a Il Sole 24 Ore. In qualità di inviato e commentatore di questioni internazionali,<br />
segue il processo di pace israelo-palestinese e l’Intifada; la Russia nell’era Eltsin; la fine<br />
dell’apartheid e la transizione democratica in Sudafrica; la crisi balcanica; le riforme economiche<br />
indiane; la crescita della Cina e il passaggio di poteri a Hong Kong; la crisi asiatica e l’impatto<br />
della globalizzazione sulle politiche mondiali; la politica estera delle amministrazioni<br />
Clinton e Bush; le crisi del Golfo e il confronto fra Occidente e Mondo Arabo.<br />
È membro dell’Istituto Affari internazionali di Roma e del Centro per la pace in Medio Oriente<br />
a Milano.<br />
Ha scritto i libri: Dentro l’India, Pagus, 1988; Quando finirà l’inverno: la Russia di Eltsin, Il Sole<br />
24 Ore Libri, 1999; L’ulivo e le pietre, sul conflitto israelo-palestinese, Marco Tropea, 2002.<br />
ho fatto mia la lezione di mio padre, che mi<br />
ha insegnato ad avere rispetto per questo<br />
mestiere, e a pretendere che gli altri l’abbiano<br />
per noi che lo facciamo.<br />
Un reportage che ricordi in modo particolare.<br />
Tantissimi. Il periodo nel quale sono stato<br />
corrispondente a Mosca negli anni della<br />
Perestrojka: è stato straordinario vedere lo<br />
svegliarsi di un popolo da sempre paralizzato.<br />
E l’avventura di Nelson Mandela. E il<br />
contatto continuo e quotidiano con israeliani<br />
e palestinesi, dai rappresentanti politici alla<br />
gente comune.<br />
Quello dell’inviato è un mestiere ad alto<br />
rischio. Sarà capitato anche a te di<br />
vedertela brutta.<br />
affascinante quanto difficile e delicato”. “E a<br />
Gigi Speroni che, con grande serietà e rigore,<br />
dirige una Scuola di giornalismo che la<br />
sua fatica consente di confermare tra le più<br />
autorevoli e rinomate, non solo di Milano o<br />
della Lombardia, ma dell’intero Paese”.<br />
Fra i numerosi partecipanti alla cerimonia di<br />
premiazione, anche il professor Ermanno<br />
Arslan, sovrintendente del Castello Sforzesco;<br />
il presidente de il Giornale Gian Galeazzo<br />
Biazzi Vergani; Francesco Saverio Borrelli,<br />
già procuratore generale della Repubblica<br />
di Milano; il pittore Mario Donizetti; il sovrintendente<br />
alla Scala Carlo Fontana; il comandante<br />
della Regione Carabinieri Lombardia,<br />
generale Antonio Girone; il comandante del<br />
Presidio militare, generale Roberto Jacomino;<br />
il console di Francia Renaud Levy; il<br />
console della Federazione russa Alexander<br />
Nurizade; il direttore de Il Sole 24 Ore<br />
Ferruccio de Bortoli; l’editorialista de il Giornale<br />
Mario Cervi; l’editorialista del Corriere<br />
della Sera, ed ex direttore, Piero Ostellino.<br />
Oltre a due studenti del master in giornalismo<br />
che Lucio Lami tiene all’Università<br />
Cattolica del Sacro Cuore, “premiati” dal loro<br />
docente con due inviti alla serata.<br />
Tante volte, ma preferisco non parlarne. La<br />
paura mi accompagna sempre, ritengo che<br />
sia sano avere paura, solo gli stupidi non ce<br />
l’hanno. Prudenza? No, quella no. Si va<br />
avanti, ci si muove con paura e, direi, con<br />
una fatalistica imprudenza. Non si può fare<br />
diversamente.<br />
Hai posto l’accento, ritirando il premio,<br />
sul problema della libertà di stampa, e<br />
hai detto che, senza libertà di stampa, il<br />
mestiere dell’inviato muore.<br />
Certo. Il “politicamente corretto” è una<br />
contraddizione in termini con questo lavoro.<br />
Non puoi fare l’inviato, scrivere, raccontare<br />
da inviato, tenendo conto di questo o di quel<br />
limite imposto da questa o da quella linea<br />
politica. All’estero? No. Nei Paesi anglosassoni,<br />
in Francia, in Germania, c’è molta più<br />
autonomia. Un esempio. In occasione delle<br />
elezioni americane la Fox, che è la televisione<br />
più vicina a Bush, due giorni prima del<br />
voto uscì con la notizia che un sondaggio<br />
dava vincitore Kerry. Non so se in Italia, in<br />
una situazione analoga, sarebbe accaduta<br />
la stessa cosa.<br />
16 ORDINE 3 <strong>2005</strong>
INTERVENTO<br />
ORDINE 3 <strong>2005</strong><br />
Proposta: l’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti costituisca un gruppo di lavoro<br />
per segnalare i casi più macroscopici di abuso linguistico<br />
Usate a proposito e a sproposito, le parole stanno<br />
perdendo gran parte del loro significato. I termini<br />
enfatici, come esclusivo, speciale, eccezionale,<br />
strepitoso, storico e così via esclamando, a furia<br />
di essere abusati perdono la loro forza e, se si<br />
vuole effettivamente enfatizzare, bisogna fare<br />
come quella marca di yogurt che offre puro<br />
pleasure, perché il piacere e il gusto non sono più<br />
sufficienti ad esprimere il concetto che si intende<br />
vendere”<br />
Perché questo intervento non rimanga uno<br />
sterile pianto, mi permetto di proporre all’<strong>Ordine</strong><br />
l’istituzione di un ristretto gruppo di lavoro che<br />
segnali direttamente ai direttori e ai colleghi<br />
interessati i più macroscopici casi di abuso<br />
linguistico, suggerisca le correzioni e, magari<br />
su questo stesso giornale, con una rubrichina<br />
di pochissime righe, faccia delle proposte<br />
concrete, alternative all’inarrestabile pressione<br />
di neoanglicismi”<br />
L’italiano invaso da 9mila anglicismi<br />
di Michele di Pisa<br />
Non potendo ripetere l’operazione fatta alcuni<br />
anni fa (che ha impegnato per un bel po’ di<br />
ma non abbiamo avuto abbastanza coraggio.<br />
In Francia, però, questo compito se l’era<br />
parte del loro significato. I termini enfatici,<br />
come esclusivo, speciale, eccezionale, stre-<br />
Nel 2000 in tutto il mondo si parlavano<br />
circa 6.700 lingue. Oggi dovrebbero<br />
essere un centinaio meno, se è vero,<br />
mesi un paio di persone), ultimamente ho<br />
provato a contare le parole inglesi presenti<br />
nei titoli del Corriere e nelle pubblicità tv di<br />
prima serata. Nulla di scientifico. Ma i risultati<br />
assunto il governo, mentre da noi, in particolare<br />
in questi ultimi anni, imperversano le<br />
authority, i ticket, il welfare, la devolution…<br />
Sembriamo tutti orfani dell’inglese. O ci<br />
pitoso, storico e così via esclamando, a furia<br />
di essere abusati perdono la loro forza e, se<br />
si vuole effettivamente enfatizzare, bisogna<br />
fare come quella marca di yogurt che offre<br />
come sostiene l’Unesco, che ne muore una possono rappresentare un’indicazione. vergogniamo delle nostre radici.<br />
puro “pleasure”, perché il piacere e il gusto<br />
ogni due settimane. Il 60% delle lingue sono Su una media quotidiana di 150 titoli, 11 Se, in un paese che non innova, il linguaggio non sono più sufficienti ad esprimere il<br />
parlate da meno del 4% della popolazione contenevano almeno un termine inglese. Il tecnico e specialistico arriva di peso dagli concetto che si intende vendere. Per evitare<br />
mondiale e sono a rischio di estinzione. L’ita- rapporto però saliva a 4 su 18 nelle pagine Usa, non dovrebbe essere così quando si di pensare che ciò valga solo per i pubblicitaliano,<br />
per nostra fortuna, non fa parte di degli spettacoli. Con gli applausi, ad esem- tratta di moda o di pettegolezzi femminili. ri, prendiamo un esempio tipico del linguag-<br />
questo gruppo, ma a volte si ha la sensaziopio, che diventano regolarmente “ovation” e Indubbiamente gli uomini del marketing gio giornalistico.<br />
ne che stiamo facendo di tutto per fare perde- debbono essere necessariamente “standing”, avranno avuto le loro brave ragioni, ma testa- Negli anni ‘60, due fatti avevano colpito fortere<br />
alla nostra lingua quella massa critica che anche se gli spettatori sono quattro gatti e te come Vanity Fair (chiedo scusa ai colleghi mente l’opinione pubblica: la conquista della<br />
le impedisce di collassare nel giro di pochi rimangono comodamente stravaccati nelle che ci lavorano: desidero solo fare un esem- cima (o vertice) del K2 e l’incontro di due<br />
decenni.<br />
loro poltrone. (Chissà se i colleghi che non pio) per il lettore sono un danno doppio. Da vertici della politica mondiale, i 2 K, ossia<br />
La maggior parte delle lingue muore insieme sanno resistere all’impellenza di aggregarsi a un lato, perché inquinano la lingua italiana; Kennedy e Krusciov. Il loro fu il primo vertice<br />
alle comunità che le parlano. Nel caso dell’i- queste mode ricordano che “ovation” viene dall’altro perché imbarbariscono le conoscen- di cui ricordo avere letto sui giornali. Poi i<br />
taliano, invece, il rischio è la permeazione, dagli ovini che gli antichi romani sacrificavaze d’inglese degli italiani. Nella pubblicità tele- vertici si sono via via abbassati, e oggi sulle<br />
l’annacquamento, come un buon vino che no in onore del trionfatore.)<br />
visiva fatta a questa testata, la pronuncia era pagine di cronaca quotidianamente si regi-<br />
diventa acqua e in essa si annulla a furia di Neanche nei titoli di <strong>Ordine</strong>-Tabloid mancano un ibrido (Vànity Féar) che non potrà mai strano vertici tra sindaco e prefetto, tra mare-<br />
allungarlo.<br />
gli anglicismi.<br />
consentire all’italiano medio di capire un sciallo <strong>dei</strong> carabinieri e comandante <strong>dei</strong> vigili<br />
Nuovi anglicismi, ogni anno, entrano nella<br />
nostra lingua; alcune per arricchirla a fronte<br />
di prodotti prima inesistenti, altri semplicemente<br />
per sostituire termini comuni non più<br />
In Tv, con riferimento alle sole emittenti<br />
nazionali, e con l’esclusione di Videomusic<br />
e Rete A, l’8% <strong>dei</strong> titoli delle trasmissioni<br />
americano che si riferisce all’equivalente Usa<br />
pronunciando “Væn’ri Fèa:”. Nell’ascoltatore,<br />
infatti, si crea un vissuto di suoni estremamente<br />
diseducativo ai fini della comprensio-<br />
urbani, tra capo degli accalappiacani e<br />
funzionario del canile municipale. Anche<br />
questo è un modo per fare morire una lingua.<br />
Non si tratta di evoluzione linguistica, perché<br />
alla moda.<br />
sono in inglese o contengono termini inglesi; ne dell’inglese parlato. Molti italiani conosco- la gente non partecipa a questo processo: lo<br />
In totale le voci del Dizionario delle parole il 30% <strong>dei</strong> film in programmazione nelle sale no bene l’inglese scritto, ma non riescono a subisce soltanto.<br />
straniere di Tullio De Mauro sono 10.650, durante gli ultimi tre mesi del 2004 sono o sostenere una conversazione proprio perché Infine la grammatica. In edicola oggi tutto è in<br />
inglesi nell’82,5% <strong>dei</strong> casi. “Poca cosa”, assi- contengono termini americani, mentre 6 titoli c’è uno iato tra il parlato che si aspettano di vendita a “soli” due, tre, quattro o cinque euro<br />
cura il professor De Mauro, per il quale 8.800 su 10 delle canzonette mandate in onda dalle sentire e quello dell’interlocutore.<br />
(prima erano a “sole” quattro mila lire, ecc.).<br />
parole inglesi non rappresentano un rischio.<br />
Non la pensava così, invece, Arrigo Castellani,<br />
scomparso lo scorso giugno, il quale già<br />
in un saggio del 1987 manifestava una seria<br />
tv per giovani sono totalmente in inglese.<br />
Non parliamo della pubblicità, in particolare<br />
quella tv. Su 40 messaggi di prima serata, ne<br />
ho contato almeno 3 totalmente in inglese, 10<br />
Prendiamo un altro termine che incontriamo<br />
quasi quotidianamente: report (ma lo stesso<br />
vale per express, control, e così via). In Rai<br />
c’è anche un’ottima trasmissione giornalistica<br />
Possibile che non ci si ricordi che gli<br />
avverbi non vanno declinati? Sì, forse<br />
l’italiano non morirà. Ma se indeboliamo<br />
preoccupazione per lo stato di salute della con sottofondo di canzoni inglesi e 15 con che si chiama Report. Bene. Quando ci si fortemente la lingua che è la nostra materia<br />
nostra lingua.<br />
almeno una parola in questa lingua, in parti- limita a scriverlo, nessun problema. Sta al prima, come potremo difendere i livelli di<br />
Affermare che quasi 9.000 anglicismi non colare nella frase conclusiva, il cosiddetto lettore sapere come si legge e, se non lo sa, occupazione, quando in un’Italia totalmente<br />
costituiscano un pericolo ha senso e non ha payoff. Mi ha colpito in particolare la pubbli- peggio per lui. Il problema sorge per i colleghi anglofona la percentuale delle copie di gior-<br />
senso. Dal punto di vista statistico, indubbiacità di uno yogurt che prometteva del puro delle radio o della tv. Per i quali la pronuncia nali e riviste fatte e stampate in Inghilterra o<br />
mente, su un corpus di 800.000 tra lemmi ed “pleasure”, come se il consumatore l’equiva- corrente è “réport”, senza che a nessuno negli Usa supererà quella di produzione<br />
accezioni, quanti ne registra il dizionario della lente italiano “gusto” o “piacere” non l’avreb- venga il sospetto che magari un inglese o un italiana?<br />
Treccani, rappresentano una percentuale be capito.<br />
americano possa leggere “r’pòrt”. E così È già quanto sta succedendo con la stampa<br />
sopportabile. Ma, se li riferiamo ad un univer- Ma torniamo ai giornali.<br />
(i)xprèss, kantròl, ecc. E ancora Sciumàkhær medica, un tempo fiorente, e con quella<br />
so più ristretto possono destare delle preoc- Dei tre lanci importanti effettuati ultimamente (che però è tedesco, ma fa lo stesso), invece scientifica in genere. Nessun ricercatore<br />
cupazioni. L’italiano medio, ad esempio, non dalla Mondadori, tanto per non fare nomi, dello Sciùmacher che imperversa tra i croni- italiano che si rispetti e scopra un’acqua un<br />
usa più di 2.000 parole, per cui quello che due, Vanity Fair e Flair, hanno una testata sti sportivi.<br />
po’ meno tiepida di quelle che conosciamo si<br />
bisognerebbe vedere è quanti di tali anglici- inglese. Non dovrei essere io a strapparmi le Quello delle sdrucciole, in effetti è una vera sogna di darne l’annuncio sulle riviste italiasmi<br />
sono o stiano per entrare nel linguaggio vesti. La prima testata che ho lanciato, nel ‘75 iattura. In quanto ad accenti sembra che l’itane. Tutte le nuove scoperte debbono prima<br />
quotidiano.<br />
si chiamava (e si chiama ancora) Data Manaliano si stia lentamente magiarizzando. Le essere proposte (in inglese) alle varie Natu-<br />
Alcuni anni fa, con alcuni collaboratori<br />
d’una mia rivista d’informatica, ho lavorato<br />
a costruire un dizionario di correzione<br />
ortografica per gli utenti del sistema<br />
operativo libero Linux. Per frullare le parole<br />
ger. Poi ne ho lanciato altre due con termini<br />
inglesi. Ma già tra il 1982 e l’83 avvertivo l’esigenza<br />
di un Dizionario dell’informatica inglese-italiano<br />
che ho avuto il piacere di firmare<br />
assieme ad altri due pionieri di questa materia.<br />
Molti termini oggi correnti li coniammo o li<br />
parole piane e quelle tronche non sono più di re, Science, JAMA, BMJ, e così via. Alle<br />
moda. Tutto va sdrucciolato sulla terzultima. testate italiane resta solo l’onore di pubblica-<br />
D<br />
re i risultati delle ben più modeste ri-speri-<br />
urante la guerra del Kossovo, era difficimentazioni cliniche ponsorizzate o caldeggiale<br />
ascoltare qualcuno che pronunciaste dalle case farmaceutiche.<br />
se Kossòvo. Tutti Kòssovo, perché Chi vuole un aggiornamento di prima mano<br />
necessarie abbiamo messo in un computer ufficializzammo in quell’occasione: così suona meglio. Eppure la pronuncia sdruccio- deve abbonarsi alle pubblicazioni inglesi.<br />
tutti gli articoli pubblicati in anno dal Corriere “cartella” per “file”, “chiocciola” per il simbolo la corrisponde a quella serba e implicitamen- Vent’anni fa non era così.<br />
della Sera e da tre grandi settimanali disponi- @. Numerose altre nostre proposte sono te, in bocca ad un politico o un diplomatico, Perché questo intervento non rimanga uno<br />
bili in rete, oltre ad un migliaio di libri varia- cadute nel vuoto o sono state superate da vale a riconoscere il diritto <strong>dei</strong> serbi su quella sterile pianto, mi permetto di proporre all’Ormente<br />
assortiti. Ne è venuto fuori, fra l’altro, proposte migliori. Ma quelli erano anche anni regione, così come l’accento piano di Kossòdine l’istituzione di un ristretto gruppo di lavo-<br />
che il vocabolario usato dalle quattro testate particolari. I giornali si riferivano al computer vo, essendo quello albanese, equivale a ro che segnali direttamente ai direttori e ai<br />
prese in considerazione era di circa 6.000 col termine “cervellone” e una delle più presti- sostenere le rivendicazioni autonomistiche di colleghi interessati i più macroscopici casi di<br />
parole, di cui 1.400 verbi. Purtroppo allora giose firme del giornalismo italiano bacchet- questo popolo. Quand’ero ragazzo parlavo abuso linguistico, suggerisca le correzioni e,<br />
non ho pensato di conteggiare gli anglicismi. tava la mania di chiamare “hardware” il pento- anche albanese, perciò preferisco Kossòvo. magari su questo stesso giornale, con una<br />
Ma è in rapporto a queste 6.000 parole che lame e “software” la biancheria (sic!). Certa- Come se non bastasse, c’è l’usura, la bana- rubrichina di pochissime righe, faccia delle<br />
gli 8.800 termini inglesi potrebbero essere mente avremmo dovuto fare come i francesi lizzazione della lingua. Usate a proposito e a proposte concrete, alternative all’inarrestabile<br />
preoccupanti.<br />
che hanno inventato il “materiel” e il “logiciel”, sproposito, le parole stanno perdendo gran pressione di neoanglicismi.<br />
UGIS: IL VERTICE DEI GIORNALISTI SCIENTIFICI<br />
Milano, 25 gennaio <strong>2005</strong>. L’Unione <strong>dei</strong> giornalisti italiani scientifici<br />
(Ugis), che raccoglie oltre 150 giornalisti che scrivono di scienza<br />
e tecnologia, ha attribuito le cariche per il triennio <strong>2005</strong>-2007<br />
nell’ambito del nuovo Consiglio direttivo, eletto dall’assemblea di<br />
fine 2004. Confermata Paola De Paoli alla presidenza (carica che<br />
ricopre dal 1984), il Consiglio direttivo ha nominato vice-presidenti<br />
Giovanni Anzi<strong>dei</strong> e Adriana Bazzi. Giorgio Santocanale è il nuovo<br />
segretario-tesoriere. Il Consiglio è completato da Furio Reggente<br />
e Isabella Vannutelli, consiglieri. Presidente del Collegio <strong>dei</strong> probiviri<br />
è stato confermato Giuseppe Prunai, cui si affiancano Luca<br />
Ottenziali e Adriana Giannini. Eugenio Sorrentino è il nuovo presidente<br />
del Collegio <strong>dei</strong> sindaci revisori, coadiuvato da Emanuele<br />
“ “<br />
Paola De Paoli confermata presidente<br />
Vinassa de Regny e Carlo Di Nardo come sindaci effettivi, mentre<br />
Alberto Pieri e Gabriella Fiecchi sono supplenti.<br />
Paola De Paoli ha così sintetizzato la visione che guida l’Ugis, a<br />
commento dell’attività 2004 e in preparazione <strong>dei</strong> programmi di<br />
quest’anno: “Le finalità istituzionali dell’Ugis sono uscite rafforzate,<br />
nel 2004, anche a livello internazionale grazie all’interscambio con<br />
le associazioni <strong>dei</strong> giornalisti scientifici di altri Paesi. È una conferma<br />
che solamente attraverso la collaborazione e la comunanza<br />
tra colleghi si può favorire l’aggiornamento professionale mediante<br />
incontri, promossi e organizzati dall’Ugis, con scienziati e tecnologi.<br />
Notiamo, inoltre, un particolare impegno <strong>dei</strong> più giovani tra i<br />
giornalisti scientifici italiani nell’approfondire i temi e allargare i<br />
contatti necessari al loro lavoro quotidiano, che – però – non<br />
sempre viene adeguatamente ricompensato”.<br />
L’Ugis, costituita nel 1966 con Giancarlo Masini primo presidente,<br />
ha lo scopo di stimolare la divulgazione scientifica attraverso i<br />
media italiani, curando l’aggiornamento professionale <strong>dei</strong> soci<br />
attraverso seminari, giornate di studio, incontri con scienziati e<br />
ricercatori in tutto il mondo. Fa parte dell’Eusja (European union of<br />
science journalist associations, con sede a Strasburgo) di cui è tra<br />
i fondatori.<br />
Per ulteriori informazioni: Dario Andriolo, segreteria tecnica Ugis,<br />
corso Sempione 39, 20145 Milano, tel. 02 33611607, fax 02<br />
3314505, e-mail: ugis@agenpress.com; www.ugis.it<br />
17
Bilancio positivo<br />
dell’assistenza legale<br />
dell’<strong>Ordine</strong>:<br />
numerose le sentenze ottenute<br />
- che fanno giurisprudenza -<br />
a favore <strong>dei</strong> giornalisti<br />
Dai compensi negati per le collaborazioni<br />
fino al riconoscimento del diritto d’autore<br />
Gli editori che non pagano hanno ora meno possibilità di farla franca. Affermato il principio di legge della legittimità delle tariffe profes<br />
Ufficio stampa<br />
per aspirante deputato<br />
europeo<br />
Vediamole, nella loro specificità, alcune di<br />
queste sentenze. Si riferiscono, in prevalenza,<br />
all’affermazione del diritto (e delle<br />
buone ragioni) <strong>dei</strong> giornalisti ad ottenere il<br />
giusto compenso per la pubblicazione di<br />
articoli, redatti su commissione, da editori<br />
insolventi.<br />
Ma riguardano anche un più ampio ventaglio<br />
della collaborazione giornalistica, dalla<br />
esecuzione di servizi fotografici alla organizzazione<br />
e alla pratica gestione di uffici<br />
stampa.<br />
A quest’ultimo proposito merita attenzione<br />
una pronuncia del Tribunale di Milano, a<br />
favore del giornalista P.C., che si era indirizzato<br />
al servizio legale dell’<strong>Ordine</strong>, per<br />
rivendicare un credito professionale maturato<br />
nei confronti di R.L., candidato alle<br />
elezioni europee del 1999 che si era rivolto<br />
al giornalista incaricandolo di costituire<br />
un ufficio stampa per sostenere e promuovere<br />
la sua campagna elettorale.<br />
A conclusione del proprio lavoro, non<br />
avendo ricevuto il compenso spettantigli<br />
(da liquidarsi, secondo previo accordo<br />
verbale con il committente, alle tariffe<br />
professionali in vigore), P.C. inviava al<br />
candidato-committente la propria notula,<br />
già liquidata dall’<strong>Ordine</strong> di appartenenza,<br />
per la complessiva somma di lire<br />
15.300.000. Ma si vedeva negare il pagamento.<br />
Rivoltosi al servizio legale dell’<strong>Ordine</strong> della<br />
Lombardia, inviava regolare diffida al debitore.<br />
Ma anche questo sollecito cadeva nel<br />
vuoto.<br />
Con il patrocinio dell’avvocato Luisella<br />
Nicosia, il giornalista ricorreva allora al<br />
giudice per ottenere ingiunzione di pagamento.<br />
Notificato il provvedimento, lo stesso<br />
veniva opposto e si instaurava regolare<br />
giudizio di merito al fine di accertare l’effettività<br />
delle prestazioni rese e la fondatezza<br />
della domanda riconvenzionale di<br />
danni svolta dalla controparte in sede di<br />
cognizione. Il candidato-committente, infatti,<br />
in sede di opposizione, non solo sosteneva<br />
di non aver mai conferito alcun incarico<br />
professionale a P.C. in qualità di<br />
responsabile dell’ufficio stampa, ma addirittura<br />
negava di avere mai chiesto a P.C.<br />
di svolgere qualsivoglia altra attività di<br />
natura giornalistica.<br />
E rivendicava la pretesa gratuità delle<br />
prestazioni rese dal giornalista.<br />
Questi - stando alla versione del candidato-committente<br />
- avrebbe svolto un semplice<br />
ruolo di segreteria, dichiarandosi disposto<br />
a rinunciare ad ogni compenso in<br />
denaro in cambio di un non bene precisato<br />
vantaggio indiretto conseguibile in caso<br />
di successo elettorale del signor R.L..<br />
Il candidato chiedeva, inoltre, il riconoscimento<br />
e la liquidazione a suo favore di un<br />
risarcimento del danno, provocato, a suo<br />
dire, dal comportamento tenuto dal giornalista<br />
durante il suo rapporto di collaborazione.<br />
Costituitosi in giudizio il giornalista, contestate<br />
tutte le eccezioni di controparte, insisteva<br />
nella conferma del decreto opposto,<br />
rilevando di aver svolto un complesso di<br />
attività strettamente connesse alla propria<br />
qualifica di giornalista e quanto al compenso<br />
ribadendo di aver agito in via monitoria<br />
secondo il parere di congruità liquidatogli<br />
dall’<strong>Ordine</strong>, ai sensi degli articoli 2225 e<br />
2233 Codice civile. In sede istruttoria venivano<br />
assunte prove orali, dalle quali emergevano<br />
l’assoluta infondatezza di qualsivoglia<br />
eccezione difensiva del debitore (e<br />
tanto meno della pretesa richiesta di<br />
danni) e l’effettività del conferimento<br />
dell’incarico professionale e dell’esecuzione<br />
dello stesso.<br />
All’esito del giudizio, il Tribunale di Milano<br />
riconosceva provato il credito del giornalista,<br />
ritenendo insussistente qualsivoglia<br />
dubbio in ordine al conferimento dell’incarico<br />
da parte di R.L. a P.C. di responsabile<br />
dell’ufficio stampa, sia per le prove testimoniali<br />
assunte, sia per le emergenze<br />
documentali in atti.<br />
È stato dimostrato - secondo il giudice -<br />
che il giornalista, nei mesi di svolgimento<br />
dell’incarico professionale, si recava quotidianamente<br />
nell’ufficio elettorale del candidato,<br />
seguendo lo stesso a tutti gli incontri<br />
di promozione e presentazione, occupandosi<br />
del sito internet, preparando i comunicati<br />
stampa.<br />
A giudizio del Tribunale, “tutta l’attività<br />
sopra elencata rientra sicuramente<br />
nell’ambito di competenza propria del giornalista<br />
professionista e come tale va<br />
remunerata se non vi sono diversi accordi<br />
tra le parti, secondo quanto previsto<br />
dall’art. 2235 c.c. sulla base della tariffa<br />
professionale”.<br />
Il giudice ha altresì chiarito che “in atti vi è<br />
la liquidazione e di qui il vaglio di conformità<br />
da parte dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti,<br />
quindi poiché parte opponente si è limitata<br />
a contestare genericamente il quantum<br />
senza alcuna specifica contestazione, si<br />
ritiene che non vi siano ragioni per discostarsi<br />
dalla valutazione già effettuata<br />
dall’<strong>Ordine</strong> professionale, alla quale anche<br />
il giudice è tenuto, salvo una manifesta<br />
incongruità della liquidazione, che peraltro<br />
non emerge”, condannando pertanto il<br />
debitore al pagamento a favore del giornalista<br />
della somma di euro 5.846,00 (decurtata<br />
dalla parcella una minima somma<br />
relativa a rimborsi spese già percepiti),<br />
oltre contributo previdenziale Inpgi, Iva,<br />
ritenuta d’acconto ed interessi legali dal<br />
12.07.1999 al saldo, rigettando in toto la<br />
domanda riconvenzionale proposta da<br />
R.L. (Trib. Milano n. 8532/02).<br />
La sentenza - è utile precisarlo - risulta<br />
importante, per la stessa particolare attività<br />
svolta dal giornalista, relativa a prestazioni<br />
di ufficio stampa, spesso oggetto di<br />
contestazioni in sede giudiziale e di non<br />
sempre facile dimostrazione per la loro<br />
stessa peculiarità.<br />
Direttore<br />
responsabile<br />
di rivista<br />
Sulla stessa linea, una sentenza del Giudice<br />
di pace di Monza, che ha riconosciuto il<br />
credito di un giornalista, che aveva prestato<br />
la propria attività in via occasionale come<br />
direttore responsabile di una rivista (Percorsi<br />
italiani, edita a Firenze), per l’uscita di un<br />
numero della stessa. Il giornalista W.S.,<br />
dopo aver terminato il proprio lavoro, regolarmente<br />
data alle stampe la rivista, si vedeva<br />
contestare dall’editore la parcella, con<br />
l’arbitraria pretesa di ridurre il compenso già<br />
concordato e liquidato dall’<strong>Ordine</strong> professionale.<br />
W.S. decideva perciò di rivolgersi al<br />
servizio legale dell’<strong>Ordine</strong> della Lombardia.<br />
Veniva richiesto a Percorsi Italiani il pagamento<br />
di quanto dovuto al giornalista e, alla<br />
scadenza infruttuosa del termine indicato,<br />
veniva richiesto, con l’assistenza dell’avvocato<br />
Luisella Nicosia, il decreto ingiuntivo di<br />
pagamento per la somma di 1.579,19 euro<br />
nei confronti dell’editore fiorentino, il quale si<br />
opponeva eccependo preliminarmente il<br />
difetto di competenza territoriale del giudice<br />
adito in quanto, a suo dire, l’incarico era<br />
stato conferito e doveva essere eseguito in<br />
Firenze, sede legale della pubblicazione.<br />
Inoltre l’editore sosteneva che, non essendo<br />
stato pattuito il luogo di pagamento della<br />
prestazione, questa dovesse, per consuetudine,<br />
essere attribuita a Firenze.<br />
Nel merito il debitore sosteneva l’infondatezza<br />
del credito di W.S. per pretese manchevolezze<br />
nell’esecuzione dell’incarico assegnatogli.<br />
Secondo la difesa dell’editore, infatti,<br />
W.S. non avrebbe adempiuto alle obbligazioni<br />
contrattualmente assunte in qualità di<br />
direttore responsabile; per ciò non avrebbe<br />
avuto diritto ad alcun compenso. Costituitosi<br />
in giudizio il giornalista contestava le istanze<br />
di Annamaria Delle Torri<br />
Maggiori garanzie per i free lance, più certezze, dal punto di vista giuridico, per chi collabora a<br />
quotidiani e periodici. Ora gli editori che non pagano hanno meno possibilità di farla franca. Il<br />
servizio istituito cinque anni fa dall’<strong>Ordine</strong> della Lombardia (su iniziativa del suo presidente e del<br />
Consiglio regionale e gestito dall’avvocato Luisella Nicosia) per fornire assistenza legale gratuita<br />
ai propri iscritti, al fine di recuperare i crediti professionali e di far rispettare dagli editori le<br />
tariffe professionali, approvate annualmente dal Consiglio nazionale, ha dato rilevanti frutti, sia<br />
per quanto riguarda le somme effettivamente riscosse, grazie all’azione promossa in sede giudiziale,<br />
sia soprattutto per quanto riguarda – ed è questo un aspetto di rilevante importanza – l’affermazione<br />
di una linea di giurisprudenza sempre più consolidata.<br />
Tra le tante sentenze pronunciate in questi anni a favore di molti colleghi (abbiamo riferito il<br />
mese scorso della decisione del giudice milanese che ha condannato Il Mattino di Napoli a<br />
“saldare il conto” con una giornalista alla quale aveva negato il compenso per le proprie collaborazioni),<br />
le più significative riguardano l’accoglimento del principio di legge previsto dall’art.<br />
2225 e seguenti del nostro Codice civile, in base al quale, in assenza di accordo diverso, vanno<br />
applicate alle prestazioni giornalistiche le tariffe professionali, senza possibilità per il giudice di<br />
negarle, se non con adeguata motivazione. Circostanza importante, destinata, nel lungo periodo,<br />
a scoraggiare comportamenti di arbitrio e di unilateralità nella determinazione ex post <strong>dei</strong><br />
compensi, così diffusa tra editori e committenti a danno e a scapito della professionalità <strong>dei</strong><br />
giornalisti che operano come liberi professionisti.<br />
Diritto d’autore:<br />
perde Rti<br />
(Fininvest-Mediaset)<br />
Di altro genere, seppure sempre annoverata<br />
tra le sentenze rese in forza di un<br />
giudizio radicato grazie al patrocinio fornito<br />
ai propri iscritti dall’<strong>Ordine</strong> della<br />
Lombardia e con l’assistenza dell’avvocato<br />
Luisella Nicosia, è la pronuncia di<br />
condanna a carico della convenuta Rti<br />
Spa (Fininvest-Mediaset) e del terzo chiamato<br />
A. D., resa dal Tribunale di Monza,<br />
in merito a un risarcimento del danno per<br />
illegittimo utilizzo di opera dell’ingegno<br />
altrui. Nel caso di specie, il giornalista P.<br />
D., esperto disegnatore e vignettista, rilevava<br />
l’indebita utilizzazione di proprie illustrazioni<br />
nell’ambito di un programma<br />
trasmesso su Canale 5. Si trattava di una<br />
serie di immagini realizzate dal giornalista,<br />
che vanta un ampio curriculum<br />
professionale, per un inserto commissionato<br />
da una rivista di altro editore. P.D.,<br />
constatato l’uso arbitrario e non autorizzato<br />
del proprio lavoro, citava in giudizio<br />
avversarie e ne chiedeva il rigetto, con<br />
conseguente conferma del decreto ingiuntivo.<br />
Il giudice, ritenuta la propria competenza<br />
territoriale (essendo da intendersi quale<br />
luogo di esecuzione del pagamento il domicilio<br />
del creditore ex art. 1182 c.c., nel caso<br />
di specie Monza, appunto), accoglieva<br />
l’istanza di provvisoria esecuzione, non<br />
essendo l’opposizione fondata su prova<br />
scritta né di facile soluzione. All’esito del<br />
giudizio, il Giudice di pace riteneva “destituita<br />
da ogni fondamento la tesi sostenuta<br />
dalla rivista Percorsi Italiani; infatti dalla<br />
documentazione prodotta e dalle testimonianze<br />
rese in istruttoria si ha la conferma<br />
che W.S. ha svolto regolarmente il proprio<br />
incarico di direttore responsabile della rivista<br />
Percorsi Italiani, provvedendo altresì alla<br />
revisione degli articoli pubblicati sulla rivista,<br />
come hanno confermato i testi escussi.<br />
E non risulta che tale sua attività sia stata in<br />
alcun modo limitata od ostacolata dalla<br />
circostanza di essere stata eseguita prevalentemente<br />
a Milano; “tale circostanza,<br />
dedotta dalla opponente, è da ritenersi ininfluente<br />
perché il giornalista ha svolto ugualmente<br />
il lavoro affidatogli”. Tutto ciò ha portato<br />
alla conferma del decreto opposto, con il<br />
rigetto dell’opposizione infondata e la conseguente<br />
condanna dell’editore al pagamento<br />
di quanto dovuto al giornalista, come da sua<br />
parcella (Giudice di pace di Monza n.<br />
3210/02). Ancora una volta, abbiamo<br />
dunque assistito al rigetto di eccezioni pretestuose<br />
sull’attività di un giornalista, svolte al<br />
solo fine di sottrarsi a un pagamento dovuto<br />
e di opporsi giudizialmente con ogni mezzo<br />
al riconoscimento del credito professionale<br />
maturato dal professionista.<br />
Rti, chiedendo la condanna della stessa<br />
al risarcimento del danno e assumendo<br />
che si trattava di opere dell’ingegno ai<br />
sensi della L. 633/41, utilizzate in palese<br />
violazione del dettato normativo, non<br />
essendo mai stato chiesto il consenso<br />
dell’autore, né essendo tantomeno citato<br />
il suo nome nel corso della trasmissione,<br />
né il titolo dell’opera da cui erano state<br />
tratte le illustrazioni. Il fatto, che doveva<br />
ritenersi lesivo del diritto d’autore, non<br />
poteva giustificarsi con finalità asseritamente<br />
culturali, in quanto Canale 5 è una<br />
rete televisiva commerciale e nell’ambito<br />
del programma che aveva utilizzato le illustrazioni<br />
erano anche stati inseriti spot<br />
pubblicitari relativi a prodotti strettamente<br />
connessi alle immagini di P.D.. Le sei illustrazioni<br />
indebitamente utilizzate erano<br />
state valutate dall’<strong>Ordine</strong> regionale <strong>dei</strong><br />
giornalisti quali disegni originalissimi,<br />
sotto il profilo della creatività, della novità<br />
18 ORDINE 3 <strong>2005</strong>
(articoli, uffici stampa)<br />
disinvoltamente violato<br />
ssionali approvate annualmente dal Consiglio nazionale dell’<strong>Ordine</strong><br />
e dell’impatto sul lettore ed era stato ritenuto<br />
congruo un compenso di lire<br />
2.000.000 lorde cadauna. Rti, chiedendo,<br />
dal canto suo, il rigetto delle domande<br />
attoree, sollecitava la chiamata in causa<br />
di A.D.P., l’autore del programma, che<br />
aveva scelto le immagini e i disegni da<br />
mandare in onda, secondo un contratto<br />
che legava autore ed emittente. Il terzo<br />
chiamato si costituiva in giudizio, chiedendo<br />
a sua volta il rigetto delle domande nei<br />
suoi confronti, assumendo di aver consegnato<br />
già quindici giorni prima della<br />
messa in onda le immagini alla responsabile<br />
del programma, affinché ne valutasse<br />
la correttezza per la messa in onda. Sulla<br />
base delle risultanze istruttorie, documentali<br />
e testimoniali, il Tribunale di Monza<br />
giudicava fondata la domanda dell’attore,<br />
“ritenendo ravvisabile la violazione del<br />
diritto morale d’autore, che sussiste<br />
anche dopo la cessione del diritto di utilizzazione<br />
economica dell’opera (nel caso di<br />
specie ceduto genericamente - a detta del<br />
giudicante - all’editore terzo estraneo al<br />
giudizio) e attribuisce il diritto di rivendicare<br />
la paternità dell’opera e di opporsi a<br />
qualsiasi deformazione, mutilazione,<br />
modificazione o ad ogni atto a danno<br />
dell’opera stessa che possano essere di<br />
pregiudizio all’onore e alla reputazione<br />
dell’autore”.<br />
La visione della videocassetta con la registrazione<br />
della trasmissione, effettuata<br />
nel contraddittorio delle parti, ha consentito<br />
infatti di verificare che, durante la<br />
trasmissione, erano state mostrate le illustrazioni<br />
prodotte dall’attore, “senza alcun<br />
riferimento né all’autore, né alla pubblica-<br />
ORDINE 3 <strong>2005</strong><br />
Ufficio<br />
stampa<br />
Zetesis<br />
Per tornare al tema degli uffici stampa, è<br />
certamente importante una recente pronuncia<br />
del Tribunale di Milano a favore di L.M.,<br />
giornalista che ha prestato attività di consulenza<br />
(con incarico di ufficio stampa e<br />
rapporti con i media) per una società - Zetesis.<br />
com Spa - sulla base di un contratto<br />
regolarmente siglato tra le parti.<br />
Le prestazioni che contemplavano un impegno<br />
per il professionista per un anno solare<br />
in realtà si sono interrotte prima della<br />
scadenza, per l’intervenuta dichiarazione di<br />
messa in liquidazione volontaria della<br />
società. In tale caso, il giornalista, assistito<br />
dall’avvocato Luisella Nicosia, ha chiesto in<br />
via giudiziale la condanna di Zetesis.com<br />
S.p.a. al pagamento delle proprie notule<br />
relative ai mesi di lavoro, nonché il riconoscimento,<br />
a titolo di danno per il mancato<br />
guadagno, di quanto ancora contrattualmente<br />
previsto fino alla scadenza del<br />
contratto.<br />
All’esito del giudizio, il Tribunale, ritenuta<br />
provata la fondatezza della pretesa creditoria<br />
azionata mediante la produzione in giudizio<br />
del contratto di conferimento dell’incarico<br />
di responsabile dell’ufficio stampa e l’avvenuto<br />
espletamento delle prestazioni<br />
zione dalla quale erano state tratte, né<br />
tantomeno potendosi invocare la libera<br />
riproducibilità delle immagini, per finalità<br />
di critica, insegnamento, discussione, non<br />
ravvisabili nel programma in oggetto”. Il<br />
Tribunale ha quindi riconosciuto la lesività<br />
ai danni della reputazione dell’autore del<br />
contesto in cui sono state trasmesse le<br />
immagini, che non ha alcun connotato<br />
scientifico. “Nel caso di specie, era palese<br />
la mancata menzione dell’autore e<br />
dell’opera da cui erano state tratte le illustrazioni,<br />
circostanza facilmente verificabile<br />
dalla convenuta Rti con un minimo di<br />
diligenza, il che già la esponeva a responsabilità,<br />
non essendo tale comportamento<br />
consentito nemmeno nei casi di libera<br />
utilizzazione dell’opera ai sensi dell’art.<br />
70 L. autore”. “Passando alla liquidazione<br />
<strong>dei</strong> danni, non può prescindersi da una<br />
valutazione equitativa, che deve tener<br />
conto del fatto che la trasmissione delle<br />
illustrazioni è stata brevissima e che il<br />
pregiudizio alla reputazione dell’attore è<br />
per ciò stesso limitato, avvertito sicuramente<br />
dall’autore ma senza affetti nella<br />
generalità <strong>dei</strong> consociati.<br />
Per tali motivi, si condanna RTI a pagare<br />
a P.D. la somma di lire 6.000.000, oltre<br />
interessi legali dalla data del fatto al saldo<br />
effettivo. Quanto al terzo, lo stesso deve<br />
essere condannato a pagare a RTI le<br />
somme che la stessa dovrà pagare in<br />
esecuzione della sentenza, trattandosi di<br />
rapporto contrattuale che legava le parti,<br />
per il cui inadempimento agli obblighi il<br />
terzo chiamato non ha fornito la prova<br />
liberatoria richiesta”.<br />
(Trib. Monza 2983/02).<br />
pattuite dal gennaio al settembre 2001,<br />
anche per quanto dichiarato dai testimoni,<br />
condannava la società convenuta al pagamento<br />
di quanto dovuto per i mesi di attività<br />
(15.893,65 euro), oltre alla corresponsione<br />
degli interessi legali dalle singole scadenze<br />
al saldo effettivo.<br />
La Zetesis com S.p.a veniva altresì condannata<br />
al pagamento, a favore dell’attore, della<br />
somma di 8.521,54 euro, quale importo<br />
dovuto per gli ulteriori tre mesi di vigenza del<br />
contratto.<br />
Anche in questo caso venivano riconosciuti,<br />
in aggiunta, gli interessi legali dalla messa<br />
in mora al saldo effettivo, ritenendo che<br />
“poiché il contratto contemplava una naturale<br />
scadenza al dicembre 2001 ed un corrispettivo<br />
complessivo, da pagarsi con<br />
scadenza mensile, si deve affermare la non<br />
recedibilità ad nutum dal rapporto per mero<br />
arbitrio del committente, con conseguente<br />
suo obbligo di provvedere al pagamento del<br />
corrispettivo dovuto per l’intero periodo.<br />
Nella specie, ritenuto applicabile l’art. 2237<br />
c.c. (trattandosi dell’impegno a fornire non<br />
un’opera bensì una prestazione professionale)<br />
deve ritenersi che le parti abbiano<br />
pattiziamente derogato alla facoltà di reces-<br />
D I B A T T I T O<br />
Quando<br />
“i cari colleghi assunti”<br />
diventano kapò<br />
Come sono cattivi gli editori! È uno <strong>dei</strong><br />
temi centrali delle lamentele e delle rivendicazioni<br />
sindacali <strong>dei</strong> giornalisti, spesso<br />
associato alla indifferenza del governo e<br />
all’ingiustizia del mondo. Raramente ci si<br />
chiede come si comportano i giornalisti<br />
verso gli altri giornalisti. Le lamentele<br />
contro gli editori e il mondo talvolta coprono<br />
la mancanza di senso di responsabilità<br />
e la pavidità <strong>dei</strong> giornalisti garantiti, quelli<br />
assunti.<br />
Non sto parlando di<br />
eroismo o di sacrificarsi<br />
per gli altri ma di un<br />
minimo di correttezza,<br />
che infatti alcuni han-<br />
no, senza perdere il<br />
posto e nessuna conseguenza<br />
drammatica<br />
sulla carriera.<br />
Io sono una freelance,<br />
professionista, faccio<br />
questo lavoro da tanto<br />
tempo, per decine di<br />
testate, ho frequentato<br />
e sono stata anche al<br />
desk di molte redazioni.<br />
Insisto a dire che il<br />
90% <strong>dei</strong> problemi <strong>dei</strong><br />
freelance sono causati<br />
dai cari colleghi giornalisti<br />
assunti. Un capo<br />
con un minimo di<br />
senso di responsabilità<br />
permette una vita<br />
professionale e umana<br />
decente. Un capo scorretto<br />
– a questo punto<br />
un kapò – rende la vita<br />
indecente. Per quel<br />
che riguarda i compensi,<br />
la dignità, la valorizzazione<br />
delle competenze<br />
e così via.<br />
Esempi: partiamo da<br />
un argomento a cui<br />
tutti sono molto sensibili,<br />
il borderò. Ci sono<br />
quelli che ti danno il<br />
minimo e quelli che ti<br />
danno dieci euro in più<br />
(si parla di cifre miserevoli,<br />
a cui l’editore è totalmente indifferente).<br />
Ci sono quelli che si dimenticano di<br />
“segnare” l’articolo pubblicato, ci sono<br />
quelli che dicono “ma io credevo che tu<br />
avessi un contratto e dunque non ti mettevo<br />
a pagamento i singoli pezzi”. Ci sono<br />
quelli che ti pagano anche i pezzi non<br />
pubblicati, se accettati, e quelli che non lo<br />
fanno. Con lo stesso editore, nella stessa<br />
testata.<br />
Dunque, la colpa non è dell’editore e del<br />
destino cinico e baro.<br />
Un esempio che mi sta particolarmente a<br />
cuore: le idee rubate. Ci sono capi che<br />
ripetutamente si appropriano delle idee <strong>dei</strong><br />
freelance e fanno fare l’articolo a qualcun<br />
altro. Senza pagarle, ovviamente, e spes-<br />
so ad nutum riconosciuto al cliente, con<br />
conseguente impossibilità di sciogliersi dal<br />
vincolo contrattuale sino alla pattuita<br />
scadenza, salvo il sopravvenire di giusta<br />
causa (nella specie non allegata) (Trib. di<br />
Milano, n.8864/04).<br />
La pronuncia del giudice milanese risulta<br />
particolarmente importante - anche in<br />
questo caso - in quanto ribadisce una linea<br />
già più volte fatta propria dalla Corte di<br />
Cassazione che consolida un fondamentale<br />
principio giuridico.<br />
Secondo questo indirizzo interpretativo,<br />
infatti, il professionista che spende tutte le<br />
di Anna Mannucci<br />
“ I redattori,<br />
non<br />
gli editori,<br />
umiliano<br />
spesso<br />
i freelance<br />
e si<br />
appropriano<br />
anche<br />
delle loro<br />
idee<br />
e proposte<br />
“<br />
so senza neanche avvisare, così c’è<br />
anche l’umiliazione del freelance che si<br />
presenta a fare l’intervista e si sente dire<br />
“È già venuto un suo collega”. Come reagire?<br />
Facile rispondere di non proporre più<br />
idee, le idee dovrebbero essere il senso<br />
del lavoro del freelance.<br />
Stupido rispondere di fare causa, è come<br />
consigliare di non lavorare più. Se si litiga<br />
e si va in causa con una testata non si<br />
lavora più per tutto il<br />
gruppo e le consociate<br />
e tutti gli altri giornali<br />
che in qualche modo<br />
hanno legami con la<br />
proprietà o gli azionisti<br />
o chissà chi. E se poi il<br />
capo con cui litighi<br />
passa a un altro giornale,<br />
sei rovinato anche<br />
lì.<br />
Un/a freelance dovrebbe<br />
valere per le sue<br />
idee, per l’originalità e<br />
le qualità delle sue<br />
proposte, per le sue<br />
competenze, specializzazioni<br />
ecc.<br />
Invece siamo considerati<br />
alla stregua <strong>dei</strong><br />
braccianti di una volta,<br />
usati perché costiamo<br />
poco e non possiamo<br />
avere nessuna pretesa,<br />
altrimenti il giorno<br />
dopo rimaniamo sulla<br />
piazza, a offrire le nostre<br />
braccia ma nessuno<br />
ci prende. Troppo<br />
spesso siamo <strong>dei</strong> “vù<br />
cumprà”, offriamo merce<br />
a basso prezzo, che<br />
sia scadente o di qualità<br />
fa poca differenza.<br />
Troppo spesso siamo<br />
ridotti a riempire gli<br />
spazi tra le pubblicità.<br />
E qui potremmo trovare<br />
un collegamento<br />
con i colleghi garantiti:<br />
la qualità del nostro<br />
lavoro, per cui bisognerebbe<br />
lottare molto più che per gli scatti di<br />
anzianità o il buono mensa. Una massa di<br />
precari impossibilitati a dire di no, costretti<br />
a non avere senso critico o perlomeno a<br />
non esprimerlo, obbligati a stare con la<br />
schiena piegata per poter sopravvivere,<br />
rischia di diventare un enorme problema<br />
per la libertà di informazione e forse, a<br />
dirla grossa, per la libertà.<br />
I cari colleghi assunti, i Cdr (esiste un cdr,<br />
uno, che si sia informato, non dico che<br />
abbia fatto qualcosa, della situazione <strong>dei</strong><br />
freelance?) dovrebbero cominciare a<br />
preoccuparsi <strong>dei</strong> freelance, se non per<br />
solidarietà, per salvaguardare il diritto<br />
generale di fare buona informazione e il<br />
diritto <strong>dei</strong> cittadini a essere informati.<br />
proprie energie lavorative a favore di un<br />
unico cliente di particolare rilievo o di un<br />
numero ristretto di clienti, trascurando altre<br />
occasioni di reddito, attende giustamente in<br />
cambio la certezza di un conveniente periodo<br />
di lavoro, che non venga meno, improvvisamente,<br />
per scelta unilaterale del committente,<br />
privandolo di colpo di ogni risorsa.<br />
La definizione di un termine nel contratto di<br />
collaborazione, in buona sostanza, basta a<br />
derogare dalla facoltà di recesso di cui<br />
all’art. 2237 c.c., senza bisogno di un ulteriore<br />
patto espresso ed univoco in proposito<br />
(vedi Cassazione n. 9701/96).<br />
19
REGIONE LOMBARDIA - ORDINE DEI GIORNALISTI DELLA LOMBARDIA -<br />
Bando per il XV biennio<br />
(<strong>2005</strong>-2007)<br />
dell’«Istituto<br />
Carlo De Martino<br />
per la Formazione al Giornalismo»<br />
L’Ifg, scuola di eccellenza europea, cerca 40 giovani laureati, determinati,<br />
di studi e che sappiano cogliere le nuove opportunità della professione<br />
Bando di concorso XV biennio <strong>2005</strong>-2007<br />
La Scuola in 28 anni di vita ha creato<br />
563 giornalisti professionisti (tra questi: 35 direttori,<br />
22 addetti stampa, 4 vicedirettori, 77 capiredattori,<br />
42 inviati o corrispondenti dall’estero, 88 capiservizio,<br />
2 segretari di redazione, 193 redattori ordinari, 19 cococo e 6 “vari”…)<br />
<strong>Giornalisti</strong> si diventa a Milano, capitale<br />
È bandito il concorso di ammissione al XV biennio di formazione al giornalismo con l’attribuzione della qualifica di “praticante<br />
giornalista” ai sensi di legge, secondo le norme qui di seguito esposte.<br />
I posti a concorso per il biennio <strong>2005</strong>-2007 sono fissati in 40.<br />
Sono ammessi al concorso i cittadini italiani e dell’Unione europea (questi ultimi con perfetta conoscenza della lingua italiana)<br />
in possesso almeno di diploma di laurea triennale (direttiva 89/48/Cee) e nati dal 1° gennaio 1975. I diplomi di laurea devono<br />
essere riconosciuti dalla Repubblica italiana.<br />
Le domande d’iscrizione, corredate di copia del titolo di studio e della ricevuta di versamento della tassa d’iscrizione, debbono<br />
pervenire all’Ifg a partire dal 1° marzo e non oltre il 30 giugno <strong>2005</strong>.<br />
NOTIZIE<br />
1<br />
PRELIMINARI<br />
Norme sulla<br />
professione<br />
giornalistica<br />
La legge istitutiva dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti prescrive, per diventare<br />
giornalisti professionisti, una prova di idoneità professionale<br />
equivalente all’esame di Stato (di cui all’articolo 33, V<br />
comma, della Costituzione). Per accedere a tale esame la<br />
procedura consiste nell’essere assunti da un’azienda editoriale<br />
(o frequentare una scuola di giornalismo o un master biennale<br />
universitario in giornalismo riconosciuti dall’<strong>Ordine</strong> nazionale) e<br />
svolgere diciotto mesi di praticantato.<br />
L’esame di idoneità professionale è organizzato dal Consiglio<br />
nazionale dell’<strong>Ordine</strong> ed è affidato ad una Commissione<br />
formata da due magistrati e cinque giornalisti. Si svolge a<br />
Roma in due sessioni annuali (primavera e autunno) e<br />
comprende prove scritte e una prova orale.<br />
Superato l’esame, il praticante, a sua domanda, viene iscritto<br />
nell’elenco professionisti dell’Albo.<br />
2L’Afg - Associazione<br />
“Walter Tobagi”<br />
per la Formazione<br />
al Giornalismo<br />
L’Associazione “Walter Tobagi” per la formazione al giornalismo<br />
(Afg) gestisce l’Istituto “Carlo De Martino” per la formazione<br />
al giornalismo (Ifg) il cui corso biennale di studi è<br />
parificato allo svolgimento del praticantato tradizionale.<br />
L’Afg è un’istituzione riconosciuta dalla Regione Lombardia<br />
(con delibera della Giunta Regionale n. 11854 del<br />
4/10/1977 a norma della legge regionale del 16/6/1975 sulla<br />
formazione professionale). È inoltre accreditata presso la<br />
Regione Lombardia per la formazione professionale e certificata<br />
secondo la norma ISO 9001:2000.<br />
Il corso dell’Ifg, di livello universitario, è stato promosso<br />
dall’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti della Lombardia con delibera<br />
del 27/11/1974.<br />
L’Afg è un ente privato senza scopo di lucro, che trae la<br />
maggior parte <strong>dei</strong> mezzi di finanziamento da un contributo<br />
annuale della Regione Lombardia (ai sensi della legge<br />
regionale n. 95/80) nell’ambito della politica per la formazione<br />
professionale.<br />
L’Afg è sostenuto economicamente anche dal Consiglio<br />
dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti della Lombardia.<br />
Gli allievi partecipano, nel corso del biennio, a concorsi per<br />
borse di studio interne ed esterne.<br />
3L’Ifg - Istituto<br />
“Carlo De Martino”<br />
per la Formazione<br />
al Giornalismo<br />
Obiettivo dell’Ifg è la preparazione di giornalisti polivalenti<br />
della carta stampata, delle agenzie di stampa, della televisione,<br />
della radio, dell’informazione on line e degli uffici stampa,<br />
non disgiunta dal progressivo avviamento alle specializzazioni<br />
classiche della professione.<br />
Gli allievi, in quanto redattori nelle testate-laboratorio<br />
edite dall’Ifg, sono iscritti nel Registro <strong>dei</strong> praticanti per<br />
cui, ottenuto l’attestato di compiuto praticantato al termine<br />
del biennio, possono sostenere l’esame di Stato per l’accesso<br />
alla professione di giornalista (salvo le eventuali inadempienze<br />
previste dal Regolamento interno dell’Ifg sulla base<br />
delle regole stabilite dalla legge regionale n. 95/1980 e accertate<br />
dalla direzione dell’Istituto).<br />
Il rapporto dell’allievo con l’Ifg cessa al termine del biennio.<br />
I programmi di studio e le esercitazioni pratiche sono elaborati<br />
dal direttore, giornalista professionista d’intesa con la<br />
Commissione didattica e sono approvati dal Consiglio di<br />
presidenza dell’Afg, nel rispetto del “Quadro di indirizzi per il<br />
riconoscimento delle strutture di formazione al giornalismo”<br />
emanato il 17 aprile 2002 dal Consiglio nazionale dell’<strong>Ordine</strong><br />
<strong>dei</strong> giornalisti.<br />
Il corpo docente è formato da giornalisti professionisti<br />
con almeno 10 anni di iscrizione all’Albo, da docenti<br />
universitari ed esperti della comunicazione e delle altre<br />
Questo bando, il modulo di iscrizione e altre informazioni sono disponibili sui siti:<br />
www.odg.mi.it<br />
www.ifg.mi.it<br />
discipline inserite nel programma.<br />
4 L’Ifg.<br />
Il corso di studi<br />
DISCIPLINE TEORICHE ED ESERCITAZIONI<br />
Il XV biennio di formazione al giornalismo dell’Ifg avrà<br />
inizio nel mese di novembre <strong>2005</strong> e terminerà nell’ottobre<br />
2007 con l’ammissione alla sessione autunnale dell’<br />
esame di Stato.<br />
I posti a disposizione sono 40.<br />
La frequenza degli allievi è obbligatoria e a tempo pieno.<br />
Ogni assenza va giustificata per iscritto. Un numero di<br />
assenze superiore al 25% comporta l’esclusione dal corso.<br />
Il calendario delle lezioni viene stabilito dalla Direzione in<br />
base al programma didattico.<br />
Il programma di studi mira ad armonizzare la specifica formazione<br />
professionale dell’allievo con il completamento della<br />
sua preparazione culturale attraverso cicli di lezioni, corsi e<br />
seminari a livello universitario.<br />
Aspetti qualificanti del programma sono le sistematiche<br />
esercitazioni pratiche con l’uso di aggiornate attrezzature<br />
dell’editoria informatica, di uno studio di registrazione<br />
radiofonico e di supporti televisivi.<br />
L’Ifg dispone di un sistema editoriale integrato in grado di<br />
garantire la gestione dell’intero ciclo produttivo di qualsiasi<br />
pubblicazione quotidiana, periodica e monografica.<br />
Ogni allievo ha in dote una postazione informatica basata su<br />
computer dell’ultima generazione con collegamenti internet<br />
in fibra ottica e risorse condivise per l’archiviazione e la stampa.<br />
Può inoltre utilizzare postazioni dedicate per il montaggio<br />
video e il montaggio radio.<br />
Alle esercitazioni pratiche si aggiungono lezioni e seminari<br />
su materie ritenute particolarmente utili ai fini della professione.<br />
Il XV biennio porrà attenzione anche alle tecniche e alla<br />
gestione degli uffici stampa, settore che si prospetta come<br />
promettente fonte di occupazione.<br />
Al termine del biennio, gli allievi potranno partecipare, gratuitamente,<br />
al corso di preparazione all’esame di Stato organizzato<br />
dall’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti della Lombardia.<br />
Nel corso del biennio, in osservanza anche delle indicazioni<br />
del Consiglio nazionale dell’<strong>Ordine</strong> e delle norme che presiedono<br />
al funzionamento dell’Istituto, sono impartite lezioni<br />
teoriche di base o di approfondimento, nelle seguenti aree<br />
disciplinari:<br />
- <strong>Giornalisti</strong>ca (istituzioni professionali, deontologia-privacy,<br />
analisi critica e comparata <strong>dei</strong> media, tecniche professionali,<br />
modelli redazionali, sistemi editoriali, tecniche di gestione<br />
degli uffici stampa; infografica e photo-editor).<br />
- Grafica, Informatica e innovazione (architettura dell’informazione;<br />
design dell’informazione; produzione, selezione e<br />
trattamento delle immagini; comunicazione visiva; strumenti<br />
e tecnologie dell’informazione visiva; storia dell’informazione<br />
visiva; tecniche avanzate di informatica applicata al giornalismo;<br />
teorie e tecniche del fotogiornalismo e del videogiornalismo;<br />
comunicazione multimediale; tecnologie dell’immagine<br />
digitale).<br />
- Linguistica (tecniche <strong>dei</strong> linguaggi del giornale quotidiano<br />
e del periodico, delle agenzie di stampa, del web e degli uffici<br />
stampa. Tecniche del linguaggio televisivo, radiofonico e<br />
fotografico; semiotica del testo scritto e visivo).<br />
- lingue straniere (conoscenza funzionale di inglese e<br />
spagnolo).<br />
- Storica (storia del giornalismo e delle comunicazioni di<br />
massa. Elementi di storia moderna e contemporanea).<br />
- Geografia politica ed economica, globalizzazione e relazioni<br />
internazionali.<br />
20 ORDINE 3 <strong>2005</strong>
ASSOCIAZIONE “WALTER TOBAGI” PER LA FORMAZIONE AL GIORNALISMO<br />
Le iscrizioni dal 1° marzo al 30<br />
giugno <strong>2005</strong> aperte anche ai<br />
cittadini comunitari. La tassa<br />
annuale di frequenza è di 50 euro,<br />
che va versata interamente alla<br />
Regione Lombardia<br />
dell’editoria<br />
, con un ottimo curriculum<br />
giornalistica<br />
- Giuridica (elementi di diritto costituzionale, di diritto comunitario,<br />
di diritto del giornalismo e dell’editoria, di diritto penale e<br />
di procedura penale, di diritto amministrativo con riguardo<br />
anche al ruolo delle autorità indipendenti, di diritto privato).<br />
- Sociologica-psicologica (elementi di scienza dell’opinione<br />
pubblica e <strong>dei</strong> sondaggi; di sociologia della comunicazione;<br />
di psicologia della comunicazione).<br />
- Economica-finanziaria (elementi di economia politica,<br />
storia economica, marketing, economia <strong>dei</strong> media e delle<br />
imprese editoriali, diritto pubblico dell’economia, mercato del<br />
risparmio e degli investimenti familiari con riguardo particolare<br />
al mercato borsistico, <strong>dei</strong> fondi di investimento e della<br />
gestione del risparmio).<br />
- Sindacale (con attenzione particolare al contratto e al sistema<br />
previdenziale/previdenziale complementare/assistenziale<br />
integrativo sanitario <strong>dei</strong> giornalisti).<br />
Gli allievi dovranno affrontare un esame al termine di ogni<br />
singola materia in base a un calendario stabilito dalla Direzione.<br />
I singoli esami verranno annotati nel libretto personale<br />
dello studente.<br />
Gli esami potranno essere ripetuti, in caso di bocciatura, a<br />
distanza di un mese.<br />
La preparazione degli allievi/praticanti verrà valutata, ogni<br />
mese, dai rispettivi tutor.<br />
Al termine del primo e del secondo anno agli allievi verrà rilasciato<br />
un certificato di frequenza con l’attestato del superamento<br />
delle materie del programma.<br />
Al termine del biennio i praticanti affronteranno un esame<br />
finale, scritto e orale. Della Commissione giudicatrice (nominata<br />
dal Consiglio dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti della Lombardia<br />
d’intesa con la direzione dell’Istituto) farà parte anche un<br />
rappresentante della Regione Lombardia. La direzione della<br />
scuola, tenendo conto <strong>dei</strong> risultati dell’esame finale, rilascerà<br />
un certificato di frequenza e profitto. La prova, propedeutica<br />
all’esame di Stato, condiziona il rilascio, da parte del presidente<br />
dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti della Lombardia, del certificato<br />
di fine praticantato.<br />
PRATICA GIORNALISTICA<br />
Momento fondamentale delle esercitazioni pratiche professionali<br />
è il lavoro di redazione per le testate-laboratorio.<br />
Le testate laboratorio dell’Ifg<br />
Ifg Tabloid – inserto del mensile <strong>Ordine</strong> Tabloid, organo del<br />
Consiglio dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti della Lombardia<br />
Milano Ore 13 – quotidiano d’informazione del pomeriggio a<br />
diffusione locale<br />
Ifg Notizie – agenzia quotidiana del pomeriggio di servizi<br />
giornalistici, inchieste e attualità, diffusa fra 45 testate nazionali<br />
e locali.<br />
Speciale Video – servizi televisivi realizzati in proprio e<br />
trasmessi da canali regionali.<br />
Speciale Fm – testata radiofonica di notiziari, inchieste e<br />
servizi, forniti a emittenti private.<br />
Ifg on line – quotidiano telematico che comprende anche la<br />
versione on line di tutte le altre testate.<br />
.<br />
È prevista la realizzazione di inchieste televisive con strutture<br />
dell’Ifg e con la collaborazione di esperti del settore e di<br />
emittenti nazionali e regionali.<br />
Gli stages<br />
Strumento formativo importante è anche la pratica guidata<br />
(stage). Nel biennio gli stages esterni (regolati dalla legge n.<br />
196/1997) dovranno avere durata complessiva non inferiore<br />
a sei mesi, come stabilito dal Quadro di indirizzi dell’<strong>Ordine</strong><br />
nazionale <strong>dei</strong> giornalisti.<br />
ORDINE 3 <strong>2005</strong><br />
MODALITÀ DI PARTECIPAZIONE AL CONCORSO<br />
PER L’AMMISSIONE AL XV BIENNIO (<strong>2005</strong>-2007)<br />
L’allievo svolge periodi di tirocinio concordati dalla Direzione<br />
con le testate giornalistiche.<br />
1. Requisiti<br />
per l’iscrizione al concorso<br />
Le iscrizioni al concorso di ammissione al XV biennio sono<br />
aperte dal 1° marzo al 30 giugno <strong>2005</strong>.<br />
I candidati che intendono iscriversi al concorso devono essere<br />
nati a partire dal 1° gennaio 1975.<br />
I candidati devono essere cittadini italiani o di uno stato<br />
membro dell’Unione europea (per questi ultimi è obbligatoria<br />
la perfetta conoscenza della lingua italiana, che sarà accertata<br />
dall’Ifg nel corso delle prove di ammissione).<br />
Può presentare domanda di ammissione chi, al 30 giugno<br />
<strong>2005</strong>, è in possesso almeno di diploma di laurea triennale.<br />
Saranno accettate sub condicione anche le domande <strong>dei</strong><br />
candidati che prevedono il superamento dell’esame di<br />
laurea entro il 31 luglio <strong>2005</strong>. In questo caso, il certificato<br />
rilasciato dall’Università che accerta il conseguimento<br />
del diploma di laurea, dovrà essere inviato alla segreteria<br />
tassativamente entro il 18 agosto <strong>2005</strong>. Per la data<br />
di spedizione fa fede il timbro postale.<br />
Le lauree conseguite all’estero saranno riconosciute<br />
valide solo se risulteranno conformi alle norme italiane.<br />
2. Modalità<br />
di iscrizione al concorso<br />
Per partecipare al concorso è necessario ritirare il bando e il<br />
modulo di iscrizione (o richiederne l’invio per posta allegando<br />
6 euro in francobolli). In alternativa il bando e il modulo di<br />
iscrizione sono disponibili nei siti www.ifg.mi.it oppure<br />
www.odg.mi.it.<br />
Dopo aver preso visione del bando di concorso e compilato il<br />
modulo di iscrizione in tutte le sue parti:<br />
- spedire il modulo, esclusivamente per via postale, entro<br />
il 30 giugno <strong>2005</strong> (fa fede il timbro postale), allegando:<br />
a) fotocopia del titolo di studio (non saranno accettati titoli di<br />
studio prodotti in originale);<br />
b) ricevuta di versamento sul c/c postale n° 10519205, intestato<br />
a: Associazione Formazione Giornalismo - via Fabio<br />
Filzi, 17 - 20124 Milano di 150 (centocinquanta) euro per<br />
spese postali e di segreteria, non rimborsabili;<br />
c) eventuali attestati di frequenza ad altri corsi (con preferenza<br />
per lingue straniere e informatica);<br />
d) per i pubblicisti, fotocopia della tessera di iscrizione all’<strong>Ordine</strong>.<br />
L’ammissione sarà deliberata da un’apposita Commissione<br />
di selezione presieduta da un giornalista professionista e<br />
nominata dal Consiglio dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti della<br />
Lombardia.<br />
Chi collabora a giornali e riviste, a radio e tv potrà allegare<br />
documentazione del lavoro svolto e certificazione di legge<br />
<strong>dei</strong> compensi percepiti per tale lavoro. La Commissione di<br />
selezione terrà conto delle collaborazioni a condizione che si<br />
tratti di testate registrate il cui direttore sia giornalista professionista<br />
(o pubblicista).<br />
N.B. - Non sarà ritenuta valida la produzione di documenti<br />
successiva al 30 giugno <strong>2005</strong> salvo quanto previsto<br />
per i laureandi di luglio <strong>2005</strong> (vedi pagina 13). Tutti i<br />
documenti presentati diventano di proprietà dell’Ifg e<br />
non saranno restituiti.<br />
Il mancato invio del documento o dell’attestazione<br />
comprovante il diploma di laurea o il mancato versamento<br />
della tassa d’iscrizione, escluderanno i candidati<br />
dalla partecipazione al concorso di ammissione.<br />
3. L’ammissione<br />
alle prove di selezione<br />
La Commissione di selezione, il cui giudizio è insindacabile,<br />
effettua la verifica <strong>dei</strong> titoli e <strong>dei</strong> requisiti soggettivi, quali risultano<br />
dal modulo d’iscrizione e dai documenti presentati e<br />
convoca per iscritto i candidati ammessi<br />
Le prove scritte di selezione<br />
Il candidato ammesso alle prove scritte, che si svolgeranno<br />
entro la prima quindicina di settembre <strong>2005</strong>, sarà convocato<br />
a Milano per sostenere gli esami, nel giorno e nella sede indicati<br />
nella lettera di convocazione.<br />
Il candidato potrà affrontare la prova scrivendo a mano (con<br />
grafia leggibile, meglio se in stampatello) o con una macchina<br />
per scrivere meccanica.<br />
Dovrà inoltre esibile la lettera di convocazione e presentare<br />
la ricevuta di versamento sul c/c postale n 10519205 intestato<br />
a: Associazione Formazione Giornalismo – via Fabio Filzi<br />
17 – 20124 Milano di ulteriori 200 (duecento) euro per<br />
spese d’esame, non rimborsabili anche se il candidato non<br />
dovesse concludere la prova scritta.<br />
Le prove scritte si svolgeranno in un’unica giornata e consistono<br />
in:<br />
a) un tema-articolo su argomenti d’attualità (politica interna ed<br />
estera, cultura, costume, economia, cronaca, spettacoli, sport),<br />
scelto tra quelli proposti dalla Commissione. Tale articolo non<br />
deve superare le 60 righe (da 60 battute ciascuna);<br />
b) un test di domande su argomenti di attualità;<br />
c) la sintesi di un articolo o di un servizio giornalistico (contenuta<br />
in un massimo di 20 righe, da 60 battute ciascuna).<br />
Gli elaborati dovranno essere rigorosamente anonimi. Le<br />
generalità del candidato andranno in busta piccola inserita<br />
nella busta grande con gli elaborati. Ogni segno che permetta<br />
l’identificazione del candidato ne comporterà l’esclusione.<br />
Per quanto non espressamente indicato valgono le<br />
norme sancite dal Dpr n. 115/1965 e dal Dpr n. 487/1994.<br />
La Commissione di selezione attribuisce ad ogni prova scritta<br />
un punteggio. La somma delle tre prove determina il<br />
punteggio complessivo.<br />
Solo a questo punto verranno aperte le buste contenenti i<br />
nomi <strong>dei</strong> candidati per poter stabilire la graduatoria.<br />
I primi 90 candidati della graduatoria saranno convocati<br />
per sostenere la prova orale (che è pubblica) nella sede<br />
dell’Ifg (via Fabio Filzi, 17 – Milano).<br />
Le prove scritte e orali sono soggette alle norme previste<br />
dalla legge 241/1990 sulla trasparenza.<br />
Le prove orali<br />
di selezione<br />
L’esame orale consiste in un colloquio tendente ad accertare le<br />
attitudini complessive alla professione giornalistica, il grado di<br />
cultura generale del candidato e la sua attenzione per i problemi<br />
dell’attualità politica, economica, sociale e culturale nelle loro<br />
dimensioni storiche, nonché il grado di conoscenza dell’ inglese.<br />
In base al risultato delle prove scritte e dell’orale, la Commissione<br />
compilerà una graduatoria degli idonei, che verrà resa<br />
pubblica. Alla formazione della graduatoria delle prove scritte<br />
concorrerà anche il punteggio complessivo acquisito dal<br />
candidato secondo le valutazioni della tabella che segue:<br />
Seconda laurea 12 punti<br />
Pubblicisti 4 punti<br />
Collaborazioni giornalistiche 2 punti<br />
(senza iscrizione all’Albo)<br />
per una durata inferiore ai due anni<br />
GLI AMMESSI<br />
AL XV BIENNIO<br />
I primi 40 candidati in graduatoria saranno ammessi a<br />
frequentare il XV biennio dell’Ifg.<br />
Valgono, comunque, per quanto applicabili, le regole fissate<br />
dagli articoli dal 47 al 54 del Dpr n. 115 del 1965 (e successive<br />
modificazioni) per l’esame di giornalista professionista,<br />
nonché dagli articoli dall’11 al 15 del Dpr 487/1994 sui<br />
concorsi pubblici.<br />
ADEMPIMENTI PRELIMINARI<br />
DEGLI AMMESSI AL XV BIENNIO<br />
1 - Periodo di prova<br />
È previsto un periodo di prova della durata di 3 mesi, al<br />
termine del quale il Consiglio di Presidenza dell’Afg, su<br />
proposta della Direzione dell’Istituto, può escludere il candidato<br />
ritenuto inidoneo o che abbia violato lo spirito e la lettera<br />
del Regolamento interno dell’Ifg, e della legge regionale<br />
n. 95/80. In queste ipotesi e nel caso di dimissioni volontarie,<br />
subentreranno i primi esclusi della graduatoria.<br />
2 - Tassa di iscrizione<br />
All’atto di iscrizione al corso l’allievo dovrà presentare la ricevuta<br />
del versamento di 50 (cinquanta) euro (salvo modifiche<br />
della Regione Lombardia) direttamente alla Regione Lombardia<br />
su bollettino di c/c postale n. 25981200 intestato a:<br />
Tesoreria Regione Lombardia gestita dalla Banca Intesa -<br />
20154 Milano<br />
Tale importo è dovuto da ciascun allievo in adempimento alla<br />
delibera della Giunta regionale n. 12510 del 9/9/1986.<br />
21 (25)
M O S T R A<br />
La mostra documentaria<br />
“Dal Congresso di Bari <strong>dei</strong> Cln<br />
al 1° Convegno meridionalista” è stata<br />
inaugurata lo scorso 11 febbraio a Bari<br />
e sarà ospitata nella sede dell’Archivio<br />
di Stato (via Demetrio Manin, 3)<br />
fino al prossimo 15 aprile<br />
Due eventi storici in un anno. Un anno, il<br />
1944, in cui a Bari si scandì la storia d’Italia e<br />
del Mezzogiorno. Poco più di dieci mesi (dalla<br />
fine di gennaio del ‘44 ai primi giorni di dicembre<br />
dello stesso anno) in cui il capoluogo<br />
pugliese diventò prima centro di riferimento<br />
della vita politica, culturale, editoriale e amministrativa<br />
del Regno del Sud, poi la sede per<br />
rilanciare l’attualità della cosiddetta “questione<br />
meridionale”. Sono i temi della mostra<br />
documentaria “Dal Congresso di Bari <strong>dei</strong> Cln<br />
al 1° Convegno meridionalista”, organizzata<br />
a Bari per celebrare il 60° anniversario della<br />
liberazione e inaugurata lo scorso 11 febbraio<br />
da Oscar Luigi Scalfaro, senatore della<br />
Repubblica e presidente dell’Istituto nazionale<br />
per la storia del movimento di Liberazione<br />
in Italia (Insmli).<br />
Il 28 e il 29 gennaio di 61 anni or sono, infatti,<br />
il teatro Piccinni di Bari ospitò il congresso <strong>dei</strong><br />
Comitati di liberazione nazionale (Cln) - il<br />
primo nell’Europa affrancata dal giogo nazifascista<br />
-, che affrontò la fino ad allora inedita<br />
“questione istituzionale”, poi “risolta” due anni<br />
e mezzo più tardi dal referendum del 2<br />
giugno 1946 che avrebbe sancito il passaggio<br />
dalla monarchia alla repubblica. Il<br />
congresso fu inaugurato dall’orazione di<br />
Benedetto Croce e vi partecipò - tra gli altri -<br />
il conte Carlo Sforza, che sarebbe stato ministro<br />
degli Esteri con Alcide De Gasperi. A<br />
Bari si confrontarono i maggiori esponenti<br />
sindacali, come quelli della Confederazione<br />
generale del lavoro (Cgl), ricostituitasi grazie<br />
all’appoggio del Cln barese, e <strong>dei</strong> gruppi politici<br />
antifascisti: da quelli del Partito d’azione,<br />
composto dalle correnti liberal-socialista<br />
(Tommaso Fiore, Guido Calogero, Domenico<br />
Loizzi, Aldo Capitini e Michele Cifarelli, che fu<br />
tra i principali promotori del Congresso) a<br />
quelli di Giustizia e Libertà (Vincenzo Calace,<br />
DAL CONGRESSO DI BARI DEI CLN AL 1° CONVEGNO MERIDIONALISTA<br />
L’evento è stato curato dall’Istituto<br />
pugliese per la storia dell’antifascismo<br />
e dell’Italia contemporanea (Ipsaic),<br />
dall’Archivio di Stato di Bari,<br />
dall’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti<br />
della Puglia e dalla Biblioteca<br />
del Consiglio regionale<br />
altro promotore del congresso, nonché reduce<br />
da una decennale persecuzione fascista<br />
vissuta tra carcere e confino). Ma furono<br />
presenti anche i comunisti, che raccolsero<br />
adesioni fra gli operai, raggiungendo i 12.000<br />
iscritti in pochi mesi, i socialisti italiani di unità<br />
proletaria (Psiup) e i liberali di Benedetto<br />
Croce (Giuseppe Laterza, figlio di Giovanni,<br />
fondatore della omonima casa editrice),<br />
senza dimenticare i demoliberali, schierati su<br />
posizioni filomonarchiche, e la Democrazia<br />
cristiana - per la quale era già attivo un giovane<br />
di origine salentina, Aldo Moro - e nel cui<br />
ambito si distinse Natale Lojacono, futuro<br />
sindaco di Bari. Il Congresso del gennaio<br />
1944, come scrisse Cifarelli, «assolse la decisiva<br />
funzione di convogliare le energie politiche<br />
più sane e moderne verso la soluzione<br />
pacifica della questione istituzionale», legittimando<br />
la propria presenza sul piano interno<br />
e internazionale.<br />
Tanto che “Radio Londra” lo definì «il più<br />
importante avvenimento nella politica internazionale<br />
italiana dopo la caduta di Mussolini»,<br />
il New York Times ne pubblicò la mozione<br />
finale e il Times di Londra ne evidenziò la<br />
richiesta secondo cui «presupposto innegabile<br />
della ricostruzione morale e materiale<br />
italiana è l’abdicazione immediata del re,<br />
responsabile delle sciagure del Paese».<br />
Mentre il presidente americano Franklin Delano<br />
Roosevelt, riconoscendone le conclusioni,<br />
disse che «gli Stati Uniti sono ora [...] fermamente<br />
determinati a lasciare ogni decisione<br />
al popolo italiano». Il Congresso <strong>dei</strong> Cln svoltosi<br />
a Bari il 28 e il 29 gennaio 1944 fu quindi<br />
un evento fondamentale nella storia dell’Italia<br />
(nuova) che stava nascendo. Eppure risulta<br />
quasi assente nelle analisi e nel dibattito<br />
storiografico nazionale.<br />
Proprio come il primo Convegno meridionalista<br />
del dopoguerra che, neanche dieci mesi<br />
dopo, il 3 dicembre 1944, si svolse nel capoluogo<br />
pugliese. «Questa mattina s’inaugura,<br />
Orario d’apertura:<br />
9-12 (tutti i giorni),<br />
15-17 (lunedì e mercoledì);<br />
info tel: 080-5023546;<br />
ingresso libero<br />
1944, la democrazia italiana<br />
di Massimiliano Ancona<br />
La “questione istituzionale”<br />
e il passaggio alla Repubblica<br />
Michele Partipilo, presidente dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong><br />
giornalisti di Puglia e caporedattore centrale<br />
della Gazzetta del Mezzogiorno è tra gli<br />
organizzatori della mostra “Dal Congresso<br />
di Bari <strong>dei</strong> Cln al 1° Convegno meridionalista”.<br />
L’ha voluta, insieme allo storico Vito<br />
Antonio Leuzzi, direttore dell’Istituto pugliese<br />
per la storia dell’antifascismo e dell’Italia<br />
contemporanea (Ipsaic), per celebrare il<br />
60° anniversario della liberazione e ricordare<br />
quanto avvenne a Bari tra il gennaio e<br />
il dicembre 1944.<br />
Presidente Partipilo, perché questa<br />
mostra?<br />
«Questa mostra rappresenta un po’ la<br />
continuazione di quella organizzata l’anno<br />
scorso (“Le prime voci dell’Italia libera”,<br />
ndr). Non solo per ricordare quei due eventi<br />
così importanti (il Congresso <strong>dei</strong> Cln e il<br />
primo Convegno meridionalista, ndr). Ma<br />
anche, anzi soprattutto, per ridare dignità<br />
storica a un periodo fondamentale nella<br />
storia del Mezzogiorno. Storia che, nonostante<br />
i libri di testo non la riportino, non<br />
può assolutamente essere definita minore.<br />
L’abbiamo voluta anche per restituire visibilità<br />
e dignità storica agli uomini che orga-<br />
“Gli Stati Uniti lasciano ogni<br />
decisione al popolo italiano”<br />
Partipilo: “Vogliamo<br />
recuperare la memoria”<br />
alle ore 10 precise, nella sala consiliare del<br />
Municipio l’annunciato convegno di studi sui<br />
problemi del Mezzogiorno»: così La Gazzetta<br />
del Mezzogiorno annunciò l’inizio <strong>dei</strong> lavori<br />
che sarebbero stati inaugurati da Adolfo<br />
Omodeo e che avrebbero avuto in programma<br />
– fra i tanti – gli interventi del sindaco<br />
Natale Lojacono, di Vittore Fiore (figlio di<br />
Tommaso), di Giuseppe Papalia, del già citato<br />
Cifarelli. E poi di Mario Dilio oltre che di<br />
Guido Dorso, Manlio Rossi-Doria, Federico<br />
Comandini e Filippo Caracciolo.<br />
Dalla riforma agraria<br />
a quella della giustizia<br />
«A Bari in occasione di quel convegno – ha<br />
detto lo storico Vito Antonio Leuzzi, direttore<br />
dell’Istituto pugliese per la storia dell’antifascismo<br />
e dell’Italia contemporanea (Ipsaic),<br />
nonché tra i maggiori curatori della mostra –<br />
vennero gettate le basi per molte delle tappe<br />
successive che riguardarono l’Italia e il<br />
Mezzogiorno. Si impostarono i problemi della<br />
questione meridionale, del risanamento che<br />
portò al piano Marshall, ma anche alla riforma<br />
agraria, a quella della giustizia, al voto<br />
delle donne e al referendum istituzionale».<br />
Ancora una volta, dunque, Bari fu la sede di<br />
un avvenimento storico. «Enorme e importante<br />
è il materiale documentario di rilievo<br />
nazionale di cui ci siamo serviti per ricostruire<br />
e illustrare questa sorta di storia minore –<br />
ha detto ancora Vito Antonio Leuzzi –. Si tratta<br />
di giornali, radiogiornali, atti di convegni,<br />
documenti relativi alla ricostruzione <strong>dei</strong> partiti<br />
che forniscono uno spaccato della Bari del<br />
secondo dopoguerra. La città era disastrata,<br />
quasi tutto l’apparato produttivo era stato per<br />
anni requisito dagli alleati. La stessa casa<br />
editrice Laterza non pubblicò gli atti del<br />
convegno perché la sua sede fu requisita<br />
dagli angloamericani fino al 1946.<br />
Nonostante le enormi difficoltà e la scarsa<br />
attenzione che a livello nazionale le veniva<br />
rivolta, la Puglia ha dato un grande apporto<br />
alla ricostruzione nazionale».<br />
Un apporto dimenticato dai libri di storia.<br />
nizzarono il Congresso <strong>dei</strong> Cln e il primo<br />
Convegno meridionalista in una città come<br />
Bari, che troppo spesso perde la memoria<br />
di se stessa».<br />
In che misura la mostra è o può essere<br />
utile ai giornalisti?<br />
«È importante sottolineare il ruolo che i<br />
quotidiani ebbero allora e debbono avere<br />
oggi. All’epoca dettero notizia del Convegno<br />
meridionalista per evidenziare la ricostruzione,<br />
il tentativo di mettere in piedi il<br />
Paese e porre all’attenzione nazionale il<br />
problema del Mezzogiorno.<br />
Senza dimenticare che proprio a Bari, in<br />
seguito all’armistizio, cominciarono a stamparsi<br />
i primi giornali nuovamente liberi dopo<br />
il ventennio fascista. Dalla Gazzetta del<br />
Mezzogiorno – che non sospese mai le<br />
pubblicazioni – a L’Italia libera, da Civiltà<br />
proletaria a l’Unità, senza dimenticare la<br />
Rassegna del Popolo, Il Risveglio e l’Avanti!.<br />
Adesso i giornali devono ridare dignità e<br />
pubblicità a quegli eventi. Bisogna riconoscere<br />
all’informazione il merito di aver<br />
saputo veicolare notizie che altrimenti non<br />
avremmo mai letto».<br />
M. An.<br />
22 (26) ORDINE 3 <strong>2005</strong>
iparte dal Sud<br />
Èil 1° agosto 1943. A Caltanissetta<br />
viene pubblicato il primo giornale<br />
dell’Italia liberata dal fascismo: si<br />
chiama La Sicilia ed è poco più che un<br />
foglietto stampato con mezzi di fortuna.<br />
Qualche giorno dopo (6 agosto) a Palermo<br />
va a ruba un altro giornale: Sicilia<br />
liberata. Sono queste le prime realtà<br />
della stampa italiana – cui si aggiunge<br />
Radio Palermo –, la cui libertà era stata<br />
soffocata da venti anni di regime. Così,<br />
seguendo l’avanzata da sud delle truppe<br />
angloamericane, pian piano anche in<br />
altre città e in altre regioni tornano a<br />
esserci realtà editoriali, peraltro sotto il<br />
controllo del Psychological warfare<br />
branch (Pwb). Mentre La Sicilia dura<br />
pochi mesi, Sicilia liberata – con due<br />
pagine e una colonna stampata in inglese<br />
– prosegue le pubblicazioni fino al<br />
giugno 1944. A Catania e a Messina,<br />
ultime città della Sicilia a essere liberata,<br />
compaiono poco dopo la metà di<br />
agosto e sempre sotto il controllo alleato<br />
del Pwb, il Corriere di Sicilia (vecchia<br />
testata prefascista) e Movimento di Sicilia<br />
libera che ha vita breve.<br />
Anche perché dal 23 ottobre del ‘43<br />
viene stampato per tre volte alla<br />
settimana il Notiziario di Messina.<br />
Nel frattempo, però, anche la Calabria è<br />
stata affrancata dal regime fascista. Il 10<br />
settembre a Reggio Calabria viene<br />
pubblicato il quotidiano Calabria libera,<br />
diretto da un intraprendente comunista,<br />
Carlo La Cava. A Catanzaro, invece, dal<br />
27 ottobre compare La Nuova Calabria<br />
con il concorso di tutti i partiti, dal comunista<br />
al monarchico. Mentre il 22 novembre<br />
trova spazio Il Corriere di Calabria,<br />
diretto da Franco Cipriani e di ispirazione<br />
cattolica e liberale. A quest’ultimo<br />
giornale, come al succitato Calabria<br />
libera, il governatore alleato ritira l’autorizzazione<br />
alla pubblicazione per le<br />
continue beghe politiche in un periodo<br />
in cui le operazioni belliche continuano<br />
e sono ancora vicine, concedendola al<br />
democristiano Voce della Calabria.<br />
Con il successo nella battaglia<br />
seguita allo sbarco di Salerno (8<br />
settembre ‘43), il territorio italiano<br />
liberato comprende – oltre a Sicilia<br />
e Calabria – anche Basilicata, quasi<br />
tutta la Campania e la Puglia, quattro<br />
province della quale (Brindisi, dove è<br />
scappato re Vittorio Emanuele III, Bari,<br />
Taranto e Lecce) compongono il Regno<br />
del Sud. Proprio a Bari, nonostante gli<br />
scontri e la confusione seguiti alla<br />
caduta del regime (25 luglio) e all’armistizio<br />
(8 settembre), il quotidiano La<br />
Gazzetta del Mezzogiorno è riuscito a<br />
non interrompere le pubblicazioni<br />
neanche per un giorno, unico caso in<br />
Italia. Diventa così il giornale più diffuso<br />
nel Regno del Sud. Oltre che l’organo<br />
ufficiale del governo Badoglio, che<br />
ha sede nella vicina Brindisi. Ma il suo<br />
direttore, Luigi De Secly, pur seguendo<br />
una linea moderata, che si ispira a<br />
Benedetto Croce, mantiene buoni<br />
rapporti con vari esponenti antifascisti<br />
che sono molto polemici nei riguardi<br />
del capo del governo. Quasi contemporaneamente<br />
e almeno sino alla metà di<br />
febbraio 1944, Radio Bari – pur essen-<br />
ORDINE 3 <strong>2005</strong><br />
La stampa<br />
italiana<br />
nelle regioni<br />
meridionali<br />
dopo<br />
l’8 settembre<br />
A sinistra: il teatro la mattina dell’apertura<br />
del Congresso. Qui sotto, un carabiniere<br />
presidia l’edificio di Radio Bari.<br />
do sotto il controllo del Pwb – resta<br />
l’unica radio davvero “libera” dell’Italia,<br />
contando sull’impegno profuso – tra gli<br />
altri – dal magistrato Michele Cifarelli<br />
che con il suo programma “L’Italia<br />
combatte” propone un laboratorio di<br />
idee e contribusce alla rinascita delle<br />
istituzioni.<br />
Da ricordare è anche la vicenda del<br />
settimanale Il Secondo Risorgimento di<br />
Vittore Fiore (figlio di Tommaso). L’autorizzazione<br />
concessa dal Pwb è bloccata<br />
dal prefetto di Bari (ispirato da Badoglio),<br />
perché il direttore della testata<br />
aveva avanzato una richiesta di modifica<br />
del nome del settimanale (da Il<br />
Secondo Risorgimento a Il Nuovo Risorgimento).<br />
Nonostante l’intervento del<br />
responsabile dello stesso Pwb, che in<br />
una nota al prefetto sollecita la comunicazione<br />
agli interessati dell’avvenuta<br />
autorizzazione (marzo ‘44), il settimanale<br />
compare solo dopo un paio di mesi<br />
(giugno ‘44).<br />
Riprendono le pubblicazioni, intanto,<br />
anche in Sardegna. L’Unione<br />
sarda di Cagliari ricompare il 14<br />
novembre 1943 aprendosi a tutte le<br />
forze antifasciste. Mentre L’Isola di<br />
Sassari, pur aprendo le sue colonne alle<br />
diverse tendenze (vi collaborano – tra gli<br />
altri – Mario Berlinguer e Antonio<br />
Segni), resta soprattutto il portavoce del<br />
ceto moderato e conservatore.<br />
Ma, secondo, quanto scritto da Paolo<br />
Murialdi, giornalista e storico dell’informazione,<br />
«la prima voce che interpreta<br />
più coerentemente i temi dell’antifascismo<br />
e della lotta per il ritorno alla libertà<br />
si leva a Napoli, dove il 4 ottobre 1943,<br />
subito dopo la cacciata <strong>dei</strong> tedeschi e<br />
l’arrivo degli angloamericani […] esce Il<br />
Risorgimento».<br />
Una creatura, come ha scritto Salvatore<br />
Rea «un po’ degli Alleati, volti a intavolare<br />
un colloquio con gli italiani, un po’<br />
del Comitato di liberazione nazionale,<br />
che al Governo militare alleato fece<br />
comprendere la necessità di una nuova<br />
testata». Il Risorgimento si presenta con<br />
un linguaggio nuovo e resta per otto<br />
mesi l’unico quotidiano di Napoli. Vi<br />
collabora – tra gli altri – lo storico Adolfo<br />
Omodeo, membro del Partito d’azione<br />
che presiederà il primo Convegno meridionalista<br />
svoltosi a Bari nel dicembre<br />
‘44. Ma alle spalle del giornale c’è il filosofo<br />
Benedetto Croce.<br />
Dopo la liberazione (4 giugno<br />
1944), Roma si trova in un vortice<br />
di iniziative editoriali. Da L’Unità a<br />
l’Avanti!, da L’Italia libera a La Voce<br />
repubblicana, senza dimenticare Il<br />
Popolo, Risorgimento liberale, Ricostruzione<br />
e Il Tempo è un pullulare di pubblicazioni<br />
unite a Il Messaggero, al Giornale<br />
d’Italia e al Popolo di Roma. Le ultime<br />
tre testate con solerzia cambiano<br />
orientamento dopo essere state fino al<br />
giorno prima al servizio del feldmaresciallo<br />
Albert Kesselring, comandante in<br />
capo delle forze naziste in Italia, e <strong>dei</strong><br />
fascisti di Salò.<br />
In questo clima, almeno in mezza Italia,<br />
si ritrova la libertà. E si ricomincia a<br />
esprimerla anche attraverso la stampa.<br />
M. An.<br />
23 (27)
I NOSTRI LUTTI<br />
È morto<br />
il giornalista<br />
del Corriere:<br />
dai fumetti<br />
alle nuove<br />
frontiere<br />
della spiritualità<br />
Cesare Medail, l’intellettuale laico<br />
che capiva la magia<br />
di Giulia Borgese<br />
Chi ha letto il libro di Cesare Medail, Le<br />
piccole porte (edito da Corbaccio nel<br />
febbraio dell’ anno scorso) deve essere<br />
rimasto colpito dal lucido, rigoroso e insieme<br />
appassionato cammino spirituale che ne<br />
è la trama. Vi si ritrova intatto l’amore di<br />
Medail per la parola, sia scritta che parlata,<br />
il piacere nel riferirci, appena tornato in<br />
redazione dopo aver fatto una delle sue<br />
mirabili interviste a tutto tondo (lo avevamo<br />
ribattezzato Medaglione), ogni particolare<br />
del personaggio che aveva incontrato,<br />
dell’ambiente in cui viveva, perfino di che<br />
cosa avevano mangiato a pranzo insieme...<br />
Il parlare era per lui una specie di prova di<br />
quello che subito avrebbe scritto, sulla sua<br />
scrivania tutta piena di libri, di notes e<br />
foglietti con numeri di telefono, con la sua<br />
rara capacità di comunicare, di rendere<br />
comprensibile, «giornalistico» nel senso<br />
migliore, anche il pensiero meno semplice<br />
di quei rappresentanti di ogni religione del<br />
mondo quasi sempre perseguitati dall’ istituzione<br />
o relegati ai margini, che solo lui andava<br />
a scovare in qualche posto segreto.<br />
Oggi, inevitabilmente, questo libro singolare<br />
diventa il suo testamento spirituale, e riprendendolo<br />
in mano, il finale che ci aveva turbato,<br />
adesso che lui ci ha lasciati assume un<br />
altro significato: «Vorrei solo congedarmi<br />
con un’immagine che mi corrisponde. In uno<br />
degli angoli più incantevoli del Far West, vicino<br />
alla cittadina new age di Sedona (Arizona)<br />
ma lontano dai supermarket del melting<br />
pot neospiritualista, in cima a uno sperone<br />
di roccia rossa sorge la chiesa cattolica di<br />
Holy Cross, progettata negli anni Trenta da<br />
un’ architetta americana.<br />
Si chiama così perché una gigantesca croce<br />
affonda nella roccia [...] Il canto gregoriano<br />
si diffonde a tutte le ore fra rupi, deserti e<br />
foreste; ma non vi si celebrano funzioni<br />
perché la chiesa è sempre aperta agli uomini<br />
di qualsiasi vocazione spirituale o religiosa.<br />
La Grande Croce abbraccia tutti, cristiani<br />
e non. E lì, confesso, mi sono trovato<br />
Ennio Elena, cronista<br />
e acuto epigrammista<br />
di Oreste Pivetta<br />
Ennio Elena ci ha lasciato. È morto nel cuore<br />
della notte, il 3 febbraio scorso, nella sua casa<br />
alla periferia di Milano. Era stato uno <strong>dei</strong> cronisti<br />
più attenti e brillanti dell’Unità, dal dopoguerra<br />
agli anni novanta, testimone e narratore<br />
di vicende grandi e piccole, di sentimenti e<br />
di storie, presentate con uno scrupolo assoluto,<br />
con una documentazione attentissima, ma<br />
anche con una scrittura di grande qualità. Era,<br />
nelle pause del lavoro, un inesauribile inventore<br />
di epigrammi, molti <strong>dei</strong> quali finirono nelle<br />
fortunate pagine di Tango prima e di Cuore<br />
poi. Di un evento in particolare si era occupato:<br />
della tragica vicenda della diossina, la nube<br />
tossica che si sprigionò da un reattore della<br />
Un protagonista<br />
della scena<br />
culturale<br />
arrivato<br />
giovanissimo<br />
in via<br />
Solferino<br />
benissimo». Non è stata una conversione, la<br />
sua - ci teneva a spiegare - piuttosto il<br />
percorso di un intellettuale laico, curioso e<br />
aperto ai contenuti del libero pensiero spirituale.<br />
«Malgrado le guerre, i terrorismi, gli<br />
egoismi nazionali che procurano sofferenza<br />
e morte ai popoli derelitti, malgrado gli<br />
oltraggi ecologici in nome del tornaconto<br />
speculativo, io penso che dagli anni Settanta<br />
a oggi numerose persone stiano vivendo<br />
quella che Elémire Zolla definisce “rinascenza<br />
religiosa”, anche fuori dalle grandi tradizioni.<br />
In diversi angoli del mondo sono<br />
sempre di più quelli che hanno scoperto<br />
dentro di sé una natura diversa, e la manifestano<br />
ripudiando gli idoli della guerra, del<br />
potere, <strong>dei</strong> consumi, della brama di piacere<br />
e di ricchezza».<br />
Cesare Medail era approdato al Corriere<br />
della Sera molto giovane (era nato nel 1943<br />
vicino a Venezia dove la famiglia si era rifugiata<br />
durante la guerra in una grande villa<br />
settecentesca) nei primi anni Settanta, al<br />
settore culturale. In breve era diventato un<br />
bravissimo artigiano del giornale: la scelta<br />
degli argomenti da trattare, l’ organizzazione<br />
del lavoro <strong>dei</strong> collaboratori, la titolazione -<br />
arte difficile in cui era ineguagliabile -, la<br />
ricerca delle immagini, tutto gli piaceva. Il<br />
giornale era una parte importante della sua<br />
multinazionale chimica Roche, nello stabilimento<br />
di Seveso. Ennio Elena si era dovuto<br />
muovere tra silenzi e omertà, tra banali semplificazioni<br />
e occultamenti, riuscendo attraverso<br />
una paziente ricerca di giorni e mesi a ricostruire<br />
il quadro completo (e delittuoso) di quella<br />
storia (che finì in un bel libro), sempre rivivendola<br />
dalla parte delle vittime, di quanti<br />
erano stati espropriati della loro salute, di un<br />
ambiente vivibile, persino delle loro case.<br />
Proprio il tema della salute, legato inevitabilmente<br />
a quello della sanità, era diventato il suo<br />
prediletto campo di lavoro e di ricerca. In<br />
cronaca a Milano, attraverso le pagine del giornale,<br />
era riuscito a documentare lo stato della<br />
sanità nel nostro paese, s’era occupato di<br />
medicina del lavoro, s’era avvicinato, dopo<br />
Seveso, ai grandi problemi dell’ecologia.<br />
vita, come lo erano le cene con gli amici, i<br />
lunghi viaggi con la moglie Claudia, sempre<br />
fuori dalle rotte del turismo di massa, il riposo<br />
nella casetta sopra il lago Maggiore tra i<br />
boschi dove si divertiva a fare lunghe<br />
camminate in cerca di funghi, le visite a<br />
Verona, la città in cui era cresciuto dall’adolescenza<br />
fino a quando era venuto a Milano<br />
a fare il giornalista (apprendistato ad<br />
Amica), per andare a trovare la madre.<br />
Fin da ragazzo aveva scelto l’impegno civile,<br />
dapprima nei partiti borghesi come i liberali<br />
e i repubblicani dove «mi ritrovai sempre<br />
all’ opposizione di sinistra, prima di andarmene<br />
in silenzio e senza mai sbattere la<br />
porta», poi nei movimenti non violenti <strong>dei</strong><br />
radicali. Aveva scritto anche un’inchiestasaggio<br />
sui diritti civili nelle forze armate, di<br />
ispirazione pacifista, Sotto le stellette,<br />
pubblicato da Einaudi nel 1977, e aveva<br />
fondato un periodico mensile, Arcana, dedicato<br />
al mistero e ai filoni spirituali emergenti<br />
in quegli anni.<br />
Tra i suoi primi interessi di giornalista, mai<br />
abbandonati, ci sono senz’ altro i fumetti: da<br />
Topolino ad Andrea Pazienza, da Tex Willer<br />
a Charlie Brown, era un mondo che conosceva<br />
in ogni aspetto, anche, se così si può<br />
dire, in profondità. Del resto tutto ciò che era<br />
fantastico, strano, fuori dalle esperienze<br />
“Cesare ci manca, ci manca terribilmente”<br />
Il gesto più bello lo hanno compiuto, spontaneamente, i suoi lettori. Persone che negli<br />
anni avevano imparato ad apprezzare Cesare Medail. Hanno preso carta e penna e<br />
hanno scritto poche righe. Il senso era uno solo: “Ci mancherà”, “era diventato un amico”,<br />
“ci fidavamo”: era proprio così.<br />
Era così anche per noi, per i suoi amici e colleghi della redazione Cultura. Negli anni<br />
Cesare aveva assunto un ruolo di guida, di punto di riferimento. Di legame con una tradizione<br />
carica di valori.<br />
Era il collega cui chiedere un consiglio, la cortesia di rileggere il pezzo, di dirci francamente<br />
se andava bene. Cesare faceva tutto questo con grande generosità, con scrupolo<br />
e con serietà. Amava il suo mestiere più di ogni altra cosa al mondo. E questo atteggiamento<br />
finiva per contagiare tutti. Ci manca, ci manca terribilmente Cesare; manca agli<br />
anziani come ai più giovani. E questo è raro, molto raro. Succede soltanto per pochi.<br />
Antonio Troiano<br />
Ennio Elena avrebbe compito settantotto anni<br />
fra qualche mese. Era nato ad Alassio il 30<br />
maggio 1927. Nel dopoguerra era diventato<br />
funzionario della federazione comunista di<br />
Savona. S’occupava di propaganda e, come<br />
spesso capitava allora a chi si doveva appunto<br />
occupare di propaganda, aveva iniziato a collaborare<br />
con l’Unità, come corrispondente.<br />
Cominciò a lavorare più tardi a tempo pieno<br />
per il giornale, alla redazione della pagina di<br />
Savona. Conclusa quell’esperienza, accettò<br />
nel 1960 il trasferimento a Milano.<br />
Savona e la Liguria gli rimasero nel cuore e<br />
nella parlata (oltre che nella fede calcististica,<br />
sampdoriana). A Milano iniziò nel servizio<br />
interni e passò quindi in cronaca, facendo<br />
esperienza di questa città, della sua vicenda<br />
politica e sociale, negli anni più intensi delle<br />
lotte sindacali, delle contestazioni giovanili, poi<br />
della strategia della tensione e del terrorismo,<br />
delle giunte di sinistra.<br />
Divenne di Milano un profondo conoscitore e<br />
un acutissimo narratore. Alla pensione non<br />
lasciò il giornalismo, continuò a scrivere, prestò<br />
la sua cultura e la sua intelligenza al Triangolo<br />
Rosso, la rivista <strong>dei</strong> deportati nei campi di sterminio<br />
nazisti.<br />
L’autore<br />
delle<br />
Piccole<br />
porte<br />
aveva<br />
61 anni.<br />
Il giornalista<br />
del Corriere<br />
della Sera<br />
Cesare Medail,<br />
scomparso<br />
il 5 gennaio<br />
a Milano<br />
(foto di<br />
Gianluigi Colin).<br />
quotidiane lo affascinava: le Guerre stellari<br />
di Lucas come E.T. e gli Incontri ravvicinati<br />
del terzo tipo di Spielberg. E proprio la lunga<br />
carriera di giornalista gli aveva permesso<br />
incontri ravvicinati con i più grandi studiosi<br />
del significato della vita umana. Tra questi lo<br />
storico delle religioni Mircea Eliade, colui<br />
che per primo lo aveva spinto a prendere in<br />
mano le sacre scritture; Elémire Zolla,<br />
l’esploratore delle tradizioni religiose ed<br />
esperienze mistiche, di cui divenne amico e<br />
un po’ anche discepolo; il filosofo Roger<br />
Garaudy, già comunista poi marxista eretico,<br />
quindi cristiano e infine convertito all’Islam<br />
incontrato a Cordova insieme al grande<br />
teologo tedesco Hans Küng che la Chiesa<br />
aveva sospeso dall’ insegnamento; il biblista<br />
autodidatta Sergio Quinzio, tanto radicato<br />
nella fede cristiana quanto radicale nella<br />
critica delle sue espressioni istituzionali; il<br />
misterioso scrittore Carlos Castaneda,<br />
famoso per aver raccontato al mondo «civile»<br />
la sua iniziazione alla stregoneria<br />
dell’antico Messico, che viveva nascosto da<br />
qualche parte a Los Angeles e si negava<br />
qualsiasi contatto con i mass media; il priore<br />
della comunità di Bose, padre Enzo Bianchi,<br />
profeta di un rinato bisogno del sacro, di<br />
esperienza del divino, che presto divenne<br />
anche lui suo amico; e infine il vecchio<br />
monaco buddista Thich Nhat Hanh, capo<br />
spirituale della chiesa vietnamita, in esilio a<br />
Bordeaux, che nel 1966 era andato fino alla<br />
Casa Bianca per chiedere di aprire una<br />
conferenza di pace e di smettere i bombardamenti:<br />
non fu ascoltato, ma molti veterani<br />
sarebbero diventati suoi discepoli. Adesso<br />
che Cesare non c’ è più, chi andrà a scovare<br />
per noi questi personaggi così appartati<br />
eppure fondamentali per la loro sapienza<br />
spirituale, di cui tutti vorremmo conoscere la<br />
parola? A noi che lo abbiamo avuto come<br />
«compagno di banco» per una vita qui al<br />
Corriere, mancherà tantissimo il collega<br />
attento e pieno di interessi, l’ amico molto<br />
buono e generoso, l’ intellettuale fine e sensibile,<br />
pronto sempre a condividere ogni azione<br />
volta a combattere violenze e volgarità.<br />
(Corriere della Sera del 6 gennaio <strong>2005</strong>)<br />
24 (28) ORDINE 3 <strong>2005</strong>
I NOSTRI LUTTI<br />
Nel lontano1961<br />
l’assunzione<br />
prima al Corriere<br />
d’Informazione,<br />
per il rodaggio,<br />
poi al Corrierone<br />
ORDINE 3 <strong>2005</strong><br />
Mino Durand<br />
al ristorante<br />
“Il Rigolo”<br />
a Milano in<br />
compagnia di<br />
Franco Berutti<br />
nel 1999 (foto<br />
di Angelo<br />
Mereu).<br />
Mino Durand, il ritratto di «gambamatta»<br />
è di quelli che scaldano il cuore<br />
di Sandro Rizzi<br />
Se dovessi fare un film sui vecchi cronisti<br />
dell’era pre-elettronica lo ambienterei a cavallo<br />
tra gli anni Cinquanta e Sessanta, quando<br />
la nascita del Giorno (1956) ebbe sul Corriere<br />
l’effetto d’un secchio d’acqua gelida che<br />
bruscamente interrompe la pennichella postprandiale.<br />
L’improvviso attacco d’un manipolo<br />
di guastatori ben addestrati costrinse i sonnolenti<br />
e appagati strateghi di via Solferino a<br />
reagire. Fu la stagione in cui il capocronista<br />
Franco Di Bella scatenò i suoi assaltatori. Tutti<br />
fuori a caccia i leg men, i cronisti «di gambe»,<br />
per rifornire con i loro appunti i write men,<br />
cronisti di penna, che ricomponevano il puzzle<br />
senza perdere un tassello.<br />
Allora liceale, «battevo» commissariati ben<br />
più provinciali, ma la lettura della cronaca<br />
milanese del Corriere era per gli aspiranti giornalisti<br />
come una lezione quotidiana di quelle<br />
scuole che in Italia sarebbero spuntate soltanto<br />
una ventina d’anni dopo.<br />
Nel cast della sceneggiatura, uno degli interpreti<br />
con il nome in lettere maiuscole sarebbe<br />
senz’altro Mino Durand, «il Mino» come si<br />
annunciava al telefono.<br />
Se n’è andato il 15 gennaio, a 68 anni, tradito<br />
dal fegato a lungo bistrattato, ma il suo ricordo<br />
è di quelli che scaldano il cuore. Dai modi<br />
un po’ rudi del suo «capo» aveva imparato a<br />
scattare alla carica, con quel tanto di incoscienza<br />
che dà forza agli intrepidi. E quando,<br />
qualche volta controvoglia, «capo» lo è diventato,<br />
per i suoi uomini si è sempre considerato<br />
solo «il fratello» che sapeva infondere entusiasmo<br />
anche nei momenti più duri. Se strapazzava<br />
qualcuno, dieci minuti dopo se n’era<br />
dimenticato e lo invitava a bere un whisky.<br />
Come si inserisce in una trama che prevede<br />
mobilissimi, agili reporter un ragazzo con una<br />
gamba di legno? Mino non conosceva le<br />
ipocrisie del «politically correct», si definiva<br />
ridendo «gambamatta», e via a sfidare<br />
concorrenti agguerriti ma forse un po’ meno<br />
smaliziati. Saltava sulle macerie del Friuli<br />
terremotato e ogni giorno aveva la storia più<br />
vera, oltre alle anteprime sulle mosse <strong>dei</strong><br />
soccorritori. Sì, perché, come un mastino che<br />
non molla mai la presa, s’era messo alle<br />
costole di quello Zamberletti, varesino, che<br />
sull’esperienza in Friuli avrebbe reinventato la<br />
Protezione civile italiana. Divennero amici.<br />
Al volante della sua «Daf» bordeaux adattata,<br />
era un guidatore spericolato. Come spericolato<br />
era il suo personaggio di moderno<br />
moschettiere: eleganza vistosa, raffinata,<br />
mantellone a ruota, cachecol vaporoso,<br />
lunghe sciarpe bianche, gemelli ai polsini,<br />
bastone con pomolo d’avorio o d’argento.<br />
Generoso anfitrione al ristorante (da Rigolo<br />
aveva tavolo fisso, con l’arguto Franco Berutti,<br />
Arnaldo Giuliani, cronista figlio d’arte, e il<br />
giovane Angelo Mereu, artista dell’oro e della<br />
fotografia) e in casa (quanti pranzi e cene ha<br />
dovuto improvvisare, a tutte le ore, la moglie<br />
Nora), prodigo di consigli con i giovani che<br />
cominciavano la gavetta. Ricordando la sua<br />
voglia di fare il mestiere.<br />
Voglia di vivere, forza di volontà, ecco «il<br />
Mino». Amava raccontare - come ha ricordato<br />
sul Corriere Fabio Mantica, suo inseparabile<br />
compagno nella Grande Cronaca - che da<br />
piccolo, a 8 anni, dopo una caduta in cui<br />
aveva battuto un ginocchio, un giorno l’avevano<br />
dato per spacciato e pietosamente ricoperto<br />
con un lenzuolo. Fu un medico, nel dargli<br />
l’ultimo saluto, ad accorgersi che respirava<br />
ancora. Lo restituì al mondo, ma ci volle una<br />
battaglia di quattro anni in ospedale, con l’uso<br />
di una delle prime dosi di penicillina in Italia,<br />
per arrestare i danni irreversibili del virus che<br />
aveva menomato la gamba ferita. «Vista la<br />
situazione - racconta la figlia Giuliana, avvocato,<br />
che gli ha dato un nipotino (il figlio<br />
maschio, Danilo, è allenatore di pallavolo) -<br />
nonno Giulio, suo padre, direttore di banca, lo<br />
iscrisse a ragioneria, nella loro Sanremo,<br />
pensando che l’unico sbocco fosse un lavoro<br />
sedentario in banca.<br />
Ma è famoso il fatto che Mino, il nome vero<br />
era Gerolamo, non ha mai saputo fare le addizioni<br />
e meno che meno conosceva le tabelline:<br />
la sua fortuna è stata la sua insegnante di<br />
italiano che, ricambiato, lui ha adorato; i temi li<br />
scriveva per tutta la classe e li passava...<br />
Quando arrivavano i compiti in classe di mate-<br />
matica incrociava le braccia ed attendeva<br />
speranzoso... Il gioco ha funzionato per un po’,<br />
ma poi lo hanno “sgamato”. Lui sognava solo<br />
di fare il giornalista. Sognava solo il Corriere.<br />
Esonerato dalle lezioni di educazione fisica,<br />
correva a lavorare all’Eco della Riviera. E così<br />
quando conobbe Enzo Grazzini, grande inviato<br />
del Corriere, che gli propose di partire con<br />
lui non esitò. Doveva diplomarsi. Tramite amici<br />
influenti riuscì a convincere il preside a non<br />
bocciarlo (visto che la matematica era una<br />
materia fondamentale)... giurandogli che non<br />
avrebbe mai “esercitato” l’attività di ragioniere<br />
e che non si sarebbe più fatto vedere. Si iscrisse<br />
a Economia e commercio a Genova, ma<br />
non frequentò».<br />
Grazzini era inviato del Corriere per varietà,<br />
costume, festival e manifestazioni canore e<br />
culturali. Mino gli si incollò al seguito, anonimo<br />
portaborraccia: fiutava le notizie come un<br />
segugio i tartufi e al momento in cui Grazzini si<br />
metteva a scrivere lui gli aveva già fornito tutti<br />
gli ingredienti, spezie comprese. Affabulatore<br />
nato, ispirava fiducia, con lui tutti si confidavano.<br />
Ci vollero quattro anni, poi nel 1961 arrivò<br />
l’assunzione (contemporaneamente a Roberto<br />
Gervaso): prima al Corriere d’Informazione,<br />
per il rodaggio, poi al Corrierone. Ne è rimasto<br />
orgoglioso per tutta la vita, mai dimenticando<br />
la faticaccia: se ne vantava sempre, ma senza<br />
spirito di rivalsa, senza alcun rancore. Anzi. Nel<br />
‘68, nei giorni della contestazione all’università<br />
uno <strong>dei</strong> capi gli offrì una laurea facile facile. Ne<br />
ebbe uno sdegnoso rifiuto: «Al Corriere sono<br />
arrivato senza essere dottore. Mi basta». Era<br />
stimolato ad insegnare agli altri, e per farlo non<br />
si tirava mai indietro, anche quando qualche<br />
gallone appuntato sulla divisa glielo avrebbe<br />
consentito.<br />
In redazione era sempre di guardia notturna,<br />
fino all’ultima chiusura, le 4. A quell’ora lo stanzone<br />
della cronaca era una sala da gioco, con<br />
il vantaggio che, se succedeva qualcosa, il<br />
pronto intervento era assicurato... senza<br />
svegliare nessuno e senza pagare straordinari.<br />
A conclusione della giornata, spesso il gruppo<br />
si trasferiva in qualche ristorante per<br />
nottambuli. Fino all’alba, e Mino non mancava.<br />
Il Festival di Sanremo, per competenza terri-<br />
Mirella Savà, un ricordo<br />
su Tabloid come aveva chiesto<br />
di Francesca Romana Mezzadri<br />
Non è facile scriverle, ma queste quaranta<br />
righe sono dedicate a mia nonna, Mirella Savà,<br />
giornalista e donna meravigliosa, che si è<br />
spenta improvvisamente lunedì 1° febbraio.<br />
Da bambina, il pavimento della mia camera era<br />
tappezzato di giornali. Erano la sua mazzetta,<br />
e io li sfogliavo, li leggevo, ritagliavo scritte e<br />
figure: erano il mio gioco preferito. Che si trattasse<br />
di una copia di Grazia o di Epoca, poco<br />
cambiava: li divoravo letteralmente. È stato così<br />
che la mia nonna giornalista (come mi è<br />
sempre piaciuto chiamarla) mi ha trasferito<br />
l’amore per una professione dalle mille facce,<br />
tante quante quelle che lei ha esplorato nella<br />
sua lunga carriera.Subito dopo la guerra, rima-<br />
Direttore<br />
prima, nel 1976,<br />
all’Eco di Padova<br />
poi all’AltoAdige.<br />
Finché<br />
fu chiamato<br />
alla guida<br />
della Prealpina<br />
sta sola con una bimba piccola, aveva iniziato<br />
a scrivere novelle. Da lì al giornalismo, la strada<br />
è stata per lei naturale. Pubblicista dal 1956,<br />
fu una precaria ante litteram, sempre combattiva<br />
e determinata nonostante già allora entrare<br />
in una redazione e ottenere il praticantato non<br />
fosse un’impresa facile: e infatti, divenne<br />
professionista, con Carlo De Martino, solo nel<br />
1974, quando era inviato di Grazia e girava il<br />
mondo facendo interviste e reportage sempre<br />
percorsi da una vena di curiosità, arguzia,<br />
sensibilità, ironia.Tra le tappe della sua carriera,<br />
che più amava ricordare, le pubbliche relazioni<br />
tenute per Chatillon, La Castellana, Abital,<br />
La Faini, il concorso di Miss Italia e tanti altri. E<br />
poi, le collaborazioni con Grand Hotel e Stop<br />
negli anni del boom <strong>dei</strong> settimanali popolari.<br />
Ma anche quelle con Novella e Marie Claire, la<br />
bella esperienza a Grazia e i lunghi anni in<br />
redazione a Confidenze. Era una donna spiritosa<br />
e intelligente, come ricordano quanti le<br />
sono stati vicini e hanno lavorato con lei. Per i<br />
quali, ne sono sicura, è stata ben più di una<br />
collega. Perché si è sempre prodigata per dare<br />
una mano a chi ne aveva bisogno, e spesso<br />
per trovare un posto o una collaborazione a chi<br />
se lo meritava. In una lettera che abbiamo<br />
trovato dopo la sua morte, mi chiedeva di far<br />
pubblicare un suo ricordo su queste pagine: un<br />
modo per salutare le tante persone incontrate<br />
negli anni, e per accomiatarsi da un lavoro che<br />
è stato la sua vita. Io lo faccio, con la malinconia<br />
e la tristezza di un momento per me difficile,<br />
ma con la gioia e la gratitudine per ciò che<br />
mi ha insegnato, come giornalista ma, soprattutto,<br />
come donna.<br />
toriale, rimase a lungo un servizio «suo» (nel<br />
‘67 fu testimone della morte di Tenco). Lo<br />
ricordo quando andava in giro per l’Italia (nel<br />
1974, fu con Giampaolo Pansa, il primo a<br />
comunicarci da Genova la liberazione del<br />
giudice Sossi, rapito dalle Br). Negli anni di<br />
piombo fu più volte minacciato: non rifiutò mai<br />
un servizio. Così come era sempre pronto a<br />
partire quando da Milano chiamava il capo<br />
degli Interni: «Già che sei lì a Trento... perché<br />
non vai a Trieste...?...Voglio il pezzo alle otto».<br />
E alle otto: «Sono il Mino... passami gli stenografi».<br />
Qualche mugugno, mai un’impuntatura.<br />
Alla scuola Di Bella era «uso ad obbedir<br />
tacendo», come i Carabinieri (e profonda era<br />
la sua ammirazione per l’Arma, fonte preziosa<br />
di notizie). Anche per sottrarlo alle minacce lo<br />
«inviarono» a fare il direttore. Prima, nel 1976,<br />
all’Eco di Padova, quotidiano creato e presto<br />
sacrificato da Rizzoli per strategie editoriali,<br />
poi lo lasciarono scegliere tra il Mattino di<br />
Napoli e l’Alto Adige. Scelse quest’ultimo e si<br />
conquistò una redazione sulle prime ostile.<br />
Unica richiesta all’editore, la promessa di<br />
tornare al Corriere. Tornò nell’84, capo degli<br />
Interni. Ma continuava a invidiare gli uomini<br />
che spediva sul campo.<br />
Finché fu chiamato a Varese, dall’editore<br />
Ferrario, alla guida della Prealpina. Accettò<br />
con entusiasmo, ma scese piangendo lo<br />
scalone del Corriere, che da più di vent’anni<br />
era stato la sua vera casa. A due riprese, fra<br />
baruffe e riconciliazioni con l’amico proprietario,<br />
rivitalizzò l’antico quotidiano (quante volte,<br />
davanti a casi incerti, mi ha chiamato per<br />
sentire cosa facevamo noi «in Solferino»):<br />
quando un «fratello» andava a trovarlo, per<br />
lavoro o per un saluto, gli si metteva a disposizione,<br />
memore delle ospitalità che da inviato<br />
del Corriere aveva avuto nel suo peregrinare<br />
nelle province.<br />
Era un modo di sentirsi sempre corrierista, e<br />
cronista. A Varese, una mattina, arrivando al<br />
giornale, trovò in Cronaca due giovanissime<br />
colleghe al computer: «Che cosa fate lì?<br />
Fuori! fuori! andate in giro a cercare roba.<br />
Ricordatevi che non siete impiegate del catasto».<br />
Questo era «il Mino». Incapace di stare fermo.<br />
25 (29)
T E S I D I L A U R E A<br />
Università degli studi di Messina, facoltà di Lettere<br />
e filosofia, corso di laurea in Lettere moderne.<br />
Relatore prof. Lucrezia Lorenzini,<br />
correlatore prof. Giuseppe Amoroso.<br />
Anno accademico 2001-2002<br />
Leonardo<br />
Sciascia<br />
GIORNALISTA<br />
FUORI “ALBO”<br />
Prima di analizzare l’esperienza di Sciascia<br />
nelle singole testate, a cui abbiamo fatto riferimento,<br />
è bene ricordare anche l’esperienza<br />
nella redazione de Il Giornale di Sicilia,<br />
con un aneddoto raccontato da Roberto<br />
Ciuni, all’epoca direttore della testata palermitana,<br />
che ricorda “quel giornalista da<br />
prima pagina” in un articolo scritto per<br />
Malgrado Tutto in occasione del decimo<br />
anniversario della morte dello scrittore racalmutese,<br />
e spiega come mai Sciascia, iscritto<br />
all’elenco <strong>dei</strong> praticanti dell’<strong>Ordine</strong> nazionale<br />
<strong>dei</strong> giornalisti (passo che precede<br />
l’iscrizione all’elenco professionisti) rifiuta il<br />
“tesserino” professionale. Al centro di tutto,<br />
come sempre, “una questione di giustizia”…<br />
“All’inizio del 1972 quasi ogni mattina passavo<br />
a prendere il caffè in casa di Leonardo<br />
Sciascia, a Villa Sperlinga […] Di tanto in<br />
tanto Sciascia mi scriveva delle noterelle<br />
che pubblicavo in prima pagina, così come<br />
Renato Guttuso mi illustrava gratis delle<br />
pagine ricostruttive di storia dell’isola con<br />
bellissimi disegni. Chiacchierando durante il<br />
caffè, un giorno prendemmo l’argomento<br />
Moravia: il Corriere della Sera l’aveva fatto<br />
praticante. Per quanto uno scrittore italiano<br />
avesse successo e guadagnasse bene, né i<br />
romanzi, né alcun genere di saggistica (il<br />
fenomeno Eco era ancora lontano), potevano<br />
dare la sicurezza del futuro che dava il<br />
sistema giornalistico – dallo stipendio alla<br />
previdenza e, infine, alla pensione. Se ne<br />
parlava, da parte sua, con la naturale ritrosia<br />
a mettersi sul mercato editoriale, quindi<br />
con la convinzione di non poter contare sui<br />
redditi elevati nonostante le ottime vendite<br />
<strong>dei</strong> libri, e, da parte mia, con la speranza di<br />
replicare in Sicilia uno schema nobilmente<br />
applicato a Milano dal Corriere della Sera:<br />
quello dello scrittore assunto da un giornale<br />
in pianta stabile per far soltanto lo scrittore,<br />
non per inseguire notizie o impaginare. Lo<br />
convinsi, la mia proposta fu accettata dagli<br />
editori Pietro Pirri e Federico Ardizzone,<br />
rappresentanti delle due anime proprietarie<br />
del giornale, e firmai la lettera d’inizio del<br />
praticantato. Sciascia volle impegnarsi in<br />
una rubrica di prima pagina intitolata ai suoi<br />
vecchi zii di Sicilia, quasi che adesso lo zio<br />
fosse lui che la redigeva. E – ricordo – scrisse<br />
un fondino alla caduta del DC9 a Punta<br />
Raisi che riprendeva il tema del ponte di<br />
San Louis Rey. Piano piano s’accorse però<br />
della differenza assai marcata tra la sua<br />
posizione di privilegio – frequentava il giornale<br />
solo per portare un articolo, scriveva o<br />
non scriveva a secondo dell’argomento e<br />
della voglia – e quella <strong>dei</strong> redattori, soprattutto<br />
gli altri praticanti, costretti a fare fatiche<br />
inaudite, cosa consueta nei giornali regionali,<br />
sui cumuli di lavoro da smaltire. Passati<br />
un po’ di mesi mi disse che la cosa gli<br />
sembrava ingiusta e il suo praticantato finì<br />
così, con mio grande dispiacere.”<br />
RECENSORE<br />
DI TEATRO<br />
PER L’ ESPRESSO<br />
Ancora una parentesi nell’attività giornalistica<br />
di Sciascia, che dal novembre del 1978<br />
al maggio 1983 fu anche recensore di teatro<br />
per L’Espresso, alternandosi settimanalmente<br />
con la giovane redattrice Rita Cirio.<br />
Venti in tutto gli articoli che ha scritto, dopo<br />
aver accettato l’incarico con qualche<br />
perplessità, affermando di cimentarsi in<br />
questa attività “per verificare, dopo tanti<br />
anni, se il mio amore al teatro, la mia passione<br />
per il teatro, ancora esiste o se oggettivamente<br />
il teatro che oggi si fa offre ragioni<br />
a che resista e si rinnovi”. Probabilmente lo<br />
scrittore, dopo le furiose polemiche seguite<br />
alla pubblicazione dell’ Affaire Moro, considerò<br />
questo impegno come una buona<br />
opportunità per dedicarsi ad “altra scrittura,<br />
ad altro testo”.<br />
INFLUENZA DEGLI<br />
SCRITTORI-GIORNALISTI<br />
AMERICANI<br />
Negli Stati Uniti inizia una nuova stagione<br />
per la comunicazione, soprattutto con<br />
l’esperienza degli inviati sui fronti di guerra,<br />
e la “moderna letteratura americana”<br />
concorre alla formazione del giovane Sciascia.<br />
La famiglia Sciascia, infatti, nel 1935 si<br />
trasferisce a Caltanissetta per permettere ai<br />
figli di studiare e Leonardo si iscrive all’Istituto<br />
Magistrale IX Maggio, dove incontra<br />
figure decisive per la sua formazione, tra cui<br />
anche Vitaliano Brancati, che insegna in<br />
un’altra classe dello stesso istituto.<br />
Sciascia lo spia e lo legge ogni settimana<br />
sulle colonne di Omnibus, il celebre rotocalco<br />
di Longanesi, dove una pattuglia di<br />
scrittori trentenni sapeva guardare altrove,<br />
alla letteratura nordamericana, alla grande<br />
letteratura memorialistica francese, alle<br />
inquietudini e alle introspezioni della Mitteleuropea.<br />
Una lira. Ma ne valeva la pena: Barilli e Savinio,<br />
gli articoli di Vittorini sugli scrittori ameri-<br />
di Palmira Mancuso<br />
“Andare, osservare e raccontare” riassumono<br />
il cuore dell’attività giornalistica nella sua<br />
immagine più romantica. Spinti da questa<br />
innata esigenza diversi scrittori si cimentarono<br />
nel giornalismo, viaggiando come inviati<br />
speciali tra rivoluzioni, guerre, morte e carestie.<br />
Sciascia, invece, non si spostò mai,<br />
almeno idealmente, da Racalmuto, il suo<br />
piccolo paese natale, sperduto nella profonda<br />
Sicilia, il luogo che più di ogni altro è stato<br />
al centro delle sua esperienza narrativa, la<br />
base da cui partiva e a cui puntualmente<br />
faceva ritorno. Eppure, in questo microcosmo<br />
siciliano lui è stato un “inviato speciale”:<br />
da lì ha osservato il mondo, ne ha raccontato<br />
la rivoluzione attraverso i suoi personaggi<br />
più “eretici”, le guerre di mafia, la morte nelle<br />
miniere di sale, le carestie di una terra povera<br />
e ingiusta, una “valle di zolfo e d’ulivi” dove<br />
scorrono “acque gialle di fango / che i greci<br />
dissero d’oro”.<br />
Nel piccolo paese di Racalmuto, paese di<br />
zolfatari e contadini, il giovane Leonardo Sciascia,<br />
che fin da piccolo dimostra la sua passione<br />
verso i libri e la lettura in genere, trova nel<br />
“Circolo Unione” un luogo privilegiato da cui<br />
osservare e decodificare la realtà. Nonostante<br />
l’asfittico ambiente piccolo-borghese, il<br />
circolo concorre, con il cinematografo e con i<br />
libri, alla formazione dello scrittore. È qui che<br />
Sciascia fotografato da Ferdinando Scianna a Racalmuto, 1964.<br />
cani, i racconti di Caldwell e Saroyan, di un<br />
Giovanni Drogo che credo fosse Dino<br />
Buzzati, certi rapporti sull’America di Moravia<br />
e De Chirico; e che delizia le lettere di<br />
Brancati al direttore! “Caro direttore…” ed<br />
era come se da quel tessuto di noia che era<br />
la nostra vita di ogni giorno, improvvisamente<br />
balzasse nel fuoco una lente, che lo<br />
ingrandiva e lo deformava, un particolare<br />
della trama un nodo o una smagliatura.<br />
Pensavo: così si deve scrivere, così voglio<br />
scrivere.<br />
Questo è anche il periodo della guerra in<br />
Spagna, della scoperta dell’antifascismo,<br />
delle letture di Faulkner, Caldwell, Steinbeck,<br />
Dos Passos ed Hemigway, che furono,<br />
questi ultimi in particolare per Sciascia,<br />
modello di ardite sperimentazioni strutturali<br />
e linguistiche.<br />
Ed ancora Sciascia, in una pagina di Nero<br />
comincia il suo contatto con i giornali e lui<br />
stesso, nelle parrocchie di Regalpetra, lo testimonia:<br />
“Il popolo lo chiama ancora circolo <strong>dei</strong><br />
nobili (o <strong>dei</strong> galantuomini <strong>dei</strong> civili <strong>dei</strong> don); i<br />
soci lo chiamano semplicemente casino. È<br />
situato sul corso, nel punto più centrale: consiste<br />
di una grande sala di conversazione, con<br />
tappezzeria di color perso e poltrone di cuoio<br />
scuro, una sala di lettura, tre sale da giuoco:<br />
nella sala di lettura c’è la radio, quasi sempre<br />
accesa, la possibilità di far profittevole lettura<br />
è molto vaga: sul tavolo si trovano i quotidiani<br />
Il Tempo di Roma e il Giornale di Sicilia; i settimanali<br />
Epoca, Oggi e La Domenica del<br />
Corriere; le riviste L’Illustrazione italiana e Il<br />
Ponte, quest’ultima rivista pochissimo e letta<br />
e sdegnosamente tollerata vi si trova, in grazia<br />
della concordia da cui il circolo prende nome,<br />
per volontà di una diecina di giovani. Alla fine<br />
di ogni anno c’è il tentativo di cassare l’abbonamento<br />
al Ponte dal bilancio, ma i giovani<br />
stanno all’erta e ripresentano alla deputazione<br />
l’istanza del rinnovo; purché la concordia<br />
non venga meno gli altri sopportano lo scandalo<br />
di una simile rivista”. Immaginiamo i<br />
buoni borghesi riuniti al circolo, che leggono i<br />
tipici giornali del moderatismo anni cinquanta,<br />
ad esclusione della rivista Il Ponte, l’unico<br />
abbonamento che Sciascia riesce a strappare<br />
agli amministratori, nel suo costante intento<br />
di modificare le pigrizie culturali <strong>dei</strong> soci, <strong>dei</strong><br />
quali osserva le miserie morali ed il conformismo.<br />
su Nero, a proposito delle foto che gli inviati<br />
<strong>dei</strong> giornali americani e inglesi fecero<br />
durante la campagna di Sicilia, nel 1943,<br />
scrive: “Queste due fotografie dicono tutto.<br />
E non ci sono soltanto il pastore, il paesano,<br />
i soldati che allegramente si arrendono:<br />
ci siamo anche noi, ventenni, col mito<br />
dell’America che non ci veniva dai parenti<br />
e dagli amici (degli amici), ma dalle appassionate<br />
letture, cui Vittorini e Pavese ci<br />
avevano avviato, di Faulkner, di<br />
Hemingway, di Steinbeck, di Caldwell, di<br />
Saroyan. Che ve ne sembra dell’America?<br />
chiedeva il titolo di un libro di Saroyan<br />
tradotto da Vittorini. La libertà, la democrazia,<br />
il new deal, la frontiera verso il mondo<br />
nuovo – era la nostra risposta.”<br />
Dunque, anche se in maniera indiretta, lo<br />
stile di questi scrittori-giornalisti ha influenzato<br />
Sciascia, soprattutto nella sua tecnica<br />
26 (30) ORDINE 3 <strong>2005</strong>
Sono gli anni della seconda guerra mondiale,<br />
gli anni del diploma magistrale e del primo<br />
impiego, nel 1941, presso il consorzio agrario<br />
di Racalmuto. In questo stesso anno<br />
Sciascia viene ammesso ai corsi universitari<br />
della facoltà di Magistero a Messina, con un<br />
tema sul teatro dedicato all’opera di Wilder<br />
Piccola Città. “Con l’Università ha chiuso<br />
subito, ai primi deludenti esami. […] rimedia<br />
un 18 in filosofia […] è bocciato in letteratura<br />
italiana […] quando Sciascia sarà in fin di<br />
vita e la facoltà di Lettere delibererà di assegnargli<br />
la laurea ad honorem in Lettere, lui<br />
farà in tempo a dire: “Mi sarebbe piaciuto<br />
averla in Legge” (la laurea honoris causa alla<br />
memoria è stata conferita a Messina l’8<br />
giugno 2000). Nel 1944 si sposa con Maria<br />
Andronico e in questo periodo comincia a<br />
pubblicare articoli politico-letterari sui giornali<br />
Vita Siciliana, Sicilia del Popolo e Unità.<br />
“Sono testi che risentono molto dell’epoca in<br />
cui furono scritti, connotati da un’intensa<br />
aspirazione alla libertà e alla pace universale<br />
e lo stile del giovane Sciascia è ancora<br />
debitore della prosa rondesca”. È il 1946<br />
quando Leonardo Sciascia, spinto da un<br />
sentimento di civile indignazione, invia un<br />
articolo al Politecnico, la rivista diretta da Elio<br />
Vittorini. L’articolo, che non sarà pubblicato<br />
ma che verrà citato nella rubrica della posta,<br />
è un primissimo esempio di come lo scrittore<br />
creda nella forza del giornalismo e della<br />
scrittura, della sua funzione pedagogica e<br />
ORDINE 3 <strong>2005</strong><br />
moralizzatrice; infatti, dalle righe dell’articolo<br />
leggiamo: “Vorrei richiamare di più l’attenzione<br />
su quello che è l’isola: un verminaio di<br />
reazione affannata a raccogliere nomenclatura<br />
nuova che mascheri i vecchi vizi”. Intanto<br />
da Racalmuto Leonardo Sciascia arriverà<br />
a collaborare ad alcune tra le principali riviste<br />
letterarie del tempo (Nuovi Argomenti,<br />
Letteratura, Nuova Corrente, Officina, Il<br />
Ponte, Tempo Presente) con testi creativi o<br />
recensioni e scriverà anche per Il Raccoglitore,<br />
l’inserto culturale del quotidiano La<br />
Gazzetta di Parma, che all’epoca gode di un<br />
certo prestigio.Nel 1949 è tra i fondatori della<br />
rivista Galleria, stampata a Caltanissetta da<br />
un suo omonimo, Salvatore Sciascia, che dal<br />
1950 dirigerà fino alla morte, garantendosi la<br />
collaborazione di prestigiosi scrittori e critici,<br />
da Mario Guidotti a Luigi Russo, a Cesare<br />
Zavattini. Nei decenni successivi la collaborazione<br />
dello scrittore con le riviste letterarie<br />
si dirada, anche se da segnalare è la condirezione<br />
con Moravia ed Enzo Siciliano della<br />
terza serie di Nuovi Argomenti, lasciando<br />
spazio al suo impegno di “cronista” per i<br />
quotidiani.<br />
L’esperienza giornalistica di Sciascia, che<br />
attraversa tutto l’arco della sua vita, per<br />
semplicità d’esame, possiamo suddividerla in<br />
quattro fasi, caratterizzate da quattro diverse<br />
testate, anche se, come vedremo, l’autorevole<br />
firma di Sciascia è richiesta e ospitata da più<br />
giornali contemporaneamente:<br />
1<br />
2<br />
3<br />
4<br />
L’Ora di Palermo, con cui ha iniziato a collaborare nel 1955 e dove ha curato una<br />
rubrica, dal 1964 al 1968, che lui stesso ha scelto di chiamare semplicemente<br />
“Quaderno”; questa esperienza sarà importante per il giovane scrittore che, in una<br />
Sicilia dove la Democrazia Cristiana è partito di maggioranza assoluta, trova in questo<br />
giornale d’opposizione, spazio per esprimere quel suo impegno civile, che poi culmina<br />
nella pubblicazione, nel 1961, del suo libro più famoso, Il giorno della Civetta, libro<br />
da cui “sono nate tutte le antimafie”;<br />
Il Corriere della Sera, dove la sua collaborazione è alterna: dal 1969 al 1972,<br />
quando alla direzione c’è Giovanni Spadolini, e poi, dopo qualche anno, sotto la<br />
direzione di Piero Ottone, che ospita voci e istanze nuove, cambiando ruolo alla<br />
figura del letterato, che dalla pagina tre si sposta in prima pagina; gli anni del<br />
Corriere sono segnati da grandi tensioni sociali e politiche, a cui Sciascia parteci-<br />
pa in prima linea proprio dalle pagine del quotidiano milanese, da cui si allontana<br />
“simbolicamente” il 10 gennaio 1987, giorno della pubblicazione dell’articolo sui<br />
“professionisti dell’antimafia”, che dà inizio ad una delle polemiche più feroci nei<br />
confronti di Sciascia, la cui fiducia nei giornali e nei giornalisti va via via diminuendo;<br />
La Stampa, con cui, nonostante suoi articoli compaiono già dal 1972, collabora in<br />
maniera più intensa dopo aver rotto i ponti con il Corriere della Sera; questo periodo,<br />
che coincide anche con gli ultimi anni della sua vita, vede Sciascia meno polemista,<br />
più propenso a scrivere di letteratura, a parlare di Manzoni, a ricordare la lezione di<br />
libertà lasciata da Brancati, a recensire testi inediti di Savinio…<br />
Malgrado Tutto, che sancisce il ritorno alla dimensione paesana, a quella Racalmuto<br />
che lo stava ancora aspettando e che ne voleva raccogliere l’eredità, attraverso un<br />
piccolo periodico cittadino di commento e cultura, di cui Sciascia segue le sorti fin<br />
dalla nascita e a cui collabora, affidando ai giornali locali il ruolo di opposizione concreta,<br />
in polemica con le testate nazionali di cui denuncia l’uniformità.<br />
Uno scrittore in redazione<br />
di realismo narrativo che appartiene alla sua<br />
scrittura degli esordi, quando lo stesso scrittore<br />
sente il peso <strong>dei</strong> “latinucci” da cui ancora<br />
non riesce a staccarsi.<br />
Ma se “tecnicamente” la vicenda americana<br />
ha avuto un ruolo per la codificazione del<br />
linguaggio giornalistico moderno e per la<br />
sua interpretazione critica sicuramente è<br />
molto lontana dall’esperienza dello scrittore<br />
di Racalmuto, che sul giornalismo e sul<br />
ruolo del giornalista aveva opinioni precise,<br />
che non esitava a puntualizzare ogni qual<br />
volta ne avesse l’occasione. Così, in un articolo<br />
del Corriere della Sera, datato 14 ottobre<br />
1983, leggiamo che “lo scoprire altari ed<br />
altarini dovrebbe essere funzione assidua di<br />
coloro che hanno a che fare con la carta<br />
stampata e con altri mezzi che comunicano<br />
e formano opinione”. Sempre in un articolo<br />
del 1983, pubblicato su l’Espresso il 20<br />
febbraio, Sciascia ribadisce che tra i compiti<br />
del giornalista c’è quello di saper leggere la<br />
realtà, di capirla, di farne giudizio e che<br />
“nell’ambito della carta stampata, di coloro<br />
che vi lavorano, l’ignoranza – anche se c’è –<br />
non è da ammettere, come non è ammessa<br />
di fronte alle leggi”.<br />
RADIO E TV:<br />
MA LA COMUNICAZIONE<br />
PER SCIASCIA<br />
RESTA SCRITTA<br />
Leonardo Sciascia ebbe la capacità, da<br />
grande intellettuale qual era, di utilizzare con<br />
facilità tutti i mezzi di comunicazione, se<br />
questo rispondeva alla necessità di spingere<br />
sempre oltre il suo pensiero, rivolto, quasi<br />
in maniera ossessionante, alla giustizia.<br />
Prendiamo, ad esempio, la sua esperienza<br />
a Radio Radicale e riportiamo una testimonianza<br />
di Valter Vecellio, allora direttore di<br />
Notizie Radicali, che ricorda: “Si era tra il<br />
1980 e il 1981. Le Brigate Rosse avevano<br />
rapito il giudice Giovanni D’Urso; […] Sciascia,<br />
che pure era uno scrittore affermato, le<br />
cui collaborazioni erano contese, in quell’occasione<br />
non trovò nessuno che fosse disposto<br />
a pubblicare i suoi scritti, i suoi appelli<br />
diretti alle Br perché liberassero senza<br />
condizioni D’Urso. E lui, pur così refrattario<br />
a parlare davanti ad un microfono, veniva<br />
alla Radio Radicale. Con quella sua voce un<br />
pò roca, la cadenza lenta, si rivolgeva direttamente<br />
alle Br; in nome del diritto, della<br />
ragione.”<br />
È opportuno, dunque, analizzare il rapporto<br />
che lo scrittore aveva con i mezzi di comunicazione<br />
diversi dalla carta stampata.<br />
Dobbiamo constatare, infatti, che non era<br />
certo un personaggio da talk show televisivo<br />
e le sue apparizioni in tv sono state veramente<br />
poche. Dalle parole della moglie<br />
Maria Andronico, scopriamo addirittura che<br />
in casa Sciascia, in contrada “Noce” a<br />
Racalmuto, non c’era neanche la televisione:<br />
“Leonardo non lo voleva qui. Mentre a<br />
Palermo ne abbiamo uno che tanti anni fa ci<br />
regalò il giornale L’Ora. Leonardo lo accendeva<br />
solo per seguire i telegiornali. Per le<br />
dirette dedicate alle elezioni mostrava però<br />
un grande interesse”.<br />
Per Sciascia il mondo della comunicazione<br />
era a senso unico: non poteva prescindere<br />
dall’informazione, intesa soprattutto come<br />
esperienza scritta. Del suo scetticismo nei<br />
confronti della tv lo stesso Sciascia parla<br />
con la solita ironia: “ Ai primi fasti della televisione,<br />
quando nelle famiglie e nei circoli<br />
tutti – come ora – vi stavano attaccati, ma si<br />
pensava per amore alla novità, ho sentito<br />
questo giudizio di contadina saggezza: “la<br />
televisione è come il porco; niente va perduto”<br />
– e cioè che come ogni parte del porco<br />
viene consumata o utilizzata, così ogni cosa<br />
che la televisione trasmette. E così continua<br />
ad essere; e anche peggio se il cancelliere<br />
Schmidt ha rivolto un discorso ai tedeschi<br />
esortandoli a un digiuno televisivo di almeno<br />
un giorno la settimana. Mai preoccupazione<br />
di un uomo di governo è stata più<br />
giusta. E dico di più: mai un uomo di governo<br />
si è preoccupato del declino d’intelligenza<br />
<strong>dei</strong> governati e dell’aumento del tasso di<br />
stupidità, come lui nei confronti della televisione.<br />
[…] E speriamo almeno che passi<br />
anche questa del digiuno televisivo: tanto<br />
necessario quanto, secondo il Corano, il non<br />
mangiare carne di porco in Arabia.” Da<br />
attento osservatore qual è sempre stato,<br />
con questo scritto di trenta anni fa, Sciascia<br />
si conferma profetico nel proporre un dibattito<br />
che oggi è all’ordine del giorno; del potere<br />
di assuefazione e di livellamento intellettuale<br />
della televisione lo scrittore aveva<br />
addirittura una certa paura, di cui parla a<br />
Davide Lajolo in Conversazione in una stanza<br />
chiusa, un libro-intervista che ripercorre<br />
l’impegno civile e culturale dello scrittore e<br />
dove, tra le tante cose, afferma: “La mia<br />
paura è più della massa davanti ai televisori<br />
che della massa sotto un dittatore. Le tirannie<br />
fanno sì che molti individui si sciolgano<br />
dalla massa, ma i televisori no. E poi c’è la<br />
parola. Massa. Far massa. In elettricità, mi<br />
pare, non è niente di buono.”<br />
Possiamo dedurre che i mezzi di informazione<br />
per Sciascia hanno essenzialmente una<br />
valenza pedagogica, conoscitiva, priva di<br />
intenti ricreativi, che sono invece, ma in<br />
un’accezione positiva, nella scrittura.<br />
Un’idea, quest’ultima, che l’autore siciliano<br />
riprende da Montaigne (“non faccio nulla<br />
senza gioia”), per cui il lavoro letterario equivale<br />
al dilettantismo, al fare le cose per diletto,<br />
con gioia.<br />
“Per quanto amare, dolorose, angoscianti<br />
siano le cose di cui si scrive, - dice Sciascia<br />
- lo scrivere è sempre gioia, sempre “stato<br />
di grazia”. O si è cattivi scrittori.”<br />
1 Leonardo<br />
Sciascia<br />
e L’Ora<br />
“Il L’Ora”, così lo chiamavano i palermitani,<br />
era un quotidiano indipendente della sera.<br />
Fu fondato nell’aprile del 1900 dalla famiglia<br />
Florio, capofila di una nuova borghesia illuminata<br />
ed antiproibizionistica, che in esso<br />
aveva trovato il proprio organo d’informazione.<br />
Aveva poi attraversato il fascismo, facendo<br />
viva opposizione, fino a quando aveva<br />
potuto. La sua stagione di gloria ebbe inizio<br />
nel dopoguerra, quando la Sicilia tornò a<br />
rinascere, con l’autonomia regionale, la riforma<br />
agraria, la tentata industrializzazione.<br />
Giornale dichiaratamente di sinistra, l’editore<br />
era il Partito comunista italiano, L’Ora si fece<br />
interprete di questo spirito di rinnovamento,<br />
scegliendo di schierarsi contro la faccia<br />
negativa di quello stesso rinnovamento: la<br />
nuova mafia, il clientelismo, la nascita di<br />
nuovi potentati economici che basavano le<br />
proprie risorse sulla spesa regionale. Non fu<br />
un’operazione semplice e la testata pagò a<br />
caro prezzo la sua perseveranza nel denunciare<br />
piccoli e grandi scandali di una società<br />
corrotta e di una politica collusa, non soltanto<br />
in termini di querele, che a decine e decine<br />
arrivavano in redazione a seguito delle<br />
coraggiose inchieste che quotidianamente<br />
venivano pubblicate, ma anche in termini di<br />
sacrifici umani: L’Ora è il quotidiano che nella<br />
storia della stampa italiana annovera il più<br />
alto numero di giornalisti uccisi dalla mafia:<br />
Mauro De Mauro, Cosimo Cristina e Giovanni<br />
Spampinato.<br />
Il quotidiano di Palermo ha rappresentato<br />
un’informazione di frontiera, che attraverso<br />
le inchieste, i servizi, l’indagine, si è battuta<br />
contro i poteri occulti, specie quelli mafiosi,<br />
facendo del giornalismo uno strumento di<br />
lotta politica.<br />
La stagione più importante de L’Ora è legata<br />
al nome di Vittorio Nisticò, direttore del quotidiano<br />
palermitano nel ventennio che va dal<br />
1954 al 1975, un giornalista attentissimo e<br />
autorevolissimo, che fece guadagnare alla<br />
testata prestigio nazionale. In questo arco di<br />
tempo sono stati tanti gli avvenimenti politici<br />
e di cronaca puntualmente registrati dal<br />
quotidiano d’opposizione: dal “milazzismo”<br />
(l’operazione politica che estromise la DC dal<br />
governo della Regione) all’uccisione del<br />
procuratore capo Pietro Scaglione, dal<br />
“sacco” edilizio <strong>dei</strong> Lima e <strong>dei</strong> Ciancimino al<br />
sisma del Belice.<br />
Quando nel 1958 uscì la sua prima grande<br />
inchiesta sulla mafia, di questo fenomeno<br />
cruento e inquinatore della politica nessun<br />
media faceva cenno, giungendo pure a<br />
negarne l’esistenza. E scrivere questa parola,<br />
a chiare lettere, sulle pagine del giornale,<br />
provocò la reazione di Cosa Nostra, che<br />
collocò una bomba tra la redazione e la tipografia.<br />
La risposta del quotidiano fu altrettanto<br />
chiara : “La mafia ci minaccia, l’inchiesta<br />
continua”; vennero ripubblicate in un inserto<br />
anche tutte le puntate precedenti. Questo<br />
episodio portò il Presidente della Repubblica<br />
Saragat a dichiarare che “ci voleva questo<br />
attentato per capire che la mafia c’è”, dando<br />
vita alla commissione parlamentare d’inchiesta<br />
sulla mafia, che poi, malgrado i tentativi<br />
di opposizione al disegno di legge istitutivo,<br />
da parte di deputati e senatori della Democrazia<br />
Cristiana, che la reputarono “inutile,<br />
offensiva e incostituzionale”, diventò permanente.<br />
Insomma, L’Ora di Nisticò ha avuto anche<br />
questo merito, quello cioè di portare a conoscenza<br />
dell’intera nazione che la mafia in<br />
Sicilia c’era, ma che c’erano anche siciliani<br />
disposti a combatterla.<br />
Ma L’Ora non fu solo questo: la redazione<br />
palermitana è stata anche un centro di cultura<br />
e di aggregazione intellettuale; basti<br />
pensare non solo a Leonardo Sciascia, ma<br />
anche a Michele Perriera, Gioacchino Lanza<br />
Tomasi, Danilo Dolci, Giuliana Saladino,<br />
Vincenzo Consolo, “scoperti” e apprezzati da<br />
Nisticò prima che diventassero gli autori che<br />
oggi conosciamo, e che arricchivano il giornale<br />
di tutti quei temi leggeri, ma non futili,<br />
che riguardavano il mondo dell’arte e del<br />
costume. Accanto a queste “penne” vi erano<br />
anche i “pennelli” di Renato Guttuso e le<br />
“matite” di Bruno Caruso, che spesso illustravano<br />
i fatti di cronaca più importanti.<br />
L’Ora non esiste più, ma la sua lezione di<br />
giornalismo continua ad essere presente,<br />
attraverso molte “firme” sui più autorevoli<br />
quotidiani nazionali, di giovani cresciuti nel<br />
“laboratorio” giornalistico siciliano, come l’attuale<br />
direttore de La Stampa di Torino,<br />
Marcello Sorgi, che ha scritto di come a<br />
27 (31)
T E S I D I L A U R E A<br />
Leonardo Sciscia (foto di Giacomo Fotogramma)<br />
caratterizzare l’identità del quotidiano era “il<br />
mix di politici, intellettuali, artisti e scrittori<br />
che si affacciavano nel pomeriggio…”.<br />
Dell’ultima generazione di cronisti, formatisi<br />
nella redazione del quotidiano siciliano, ricordiamo<br />
Gianni Riotta, Attilio Bolzoni, Antonio<br />
Calabrò, Alberto Stabile, e Francesco La<br />
Licata, solo per citare alcuni tra quelli più<br />
conosciuti.<br />
Ed è con orgoglio che, ricordando l’esperienza<br />
de L’Ora, La Licata, giornalista esperto di<br />
storia della mafia, incontrato a Roma proprio<br />
in occasione di questa mia ricerca, mi dice<br />
come l’appartenenza a quel giornale “non<br />
era questione di essere militanti; negli anni<br />
‘70 essere contro la mafia era un dovere”. E<br />
l’adesione al partito comunista, voleva dire<br />
schierarsi contro il potere, soprattutto contro<br />
il potere mafioso.<br />
Erano gli anni in cui la Democrazia Cristiana<br />
spadroneggiava e dove a Palermo “la parola<br />
d’ordine nei confronti del giornale d’opposizione<br />
era ostracismo”, come ricorda il cronista<br />
- poeta Mario Farinella. “Fu in quell’atmosfera<br />
e a dispetto di quell’atmosfera che<br />
Leonardo Sciascia cominciò a scrivere per<br />
L’Ora. Era l’inizio di una collaborazione che<br />
doveva durare per più di trent’anni, sino a<br />
qualche ora prima della morte”.<br />
Sulle pagine del quotidiano del 3 aprile 1965,<br />
a chi gli chiedeva il perché di una così<br />
convinta consuetudine con L’Ora, Sciascia<br />
rispondeva scrivendo: “L’Ora sarà magari un<br />
giornale comunista, ma è certo che mi dà<br />
modo d’esprimere quello che penso con una<br />
libertà che difficilmente troverei in altri giornali<br />
italiani. In quanto al mio essere di sinistra,<br />
indubbiamente lo sono: e senza sfumature”.<br />
A proporre allo scrittore una collaborazione<br />
regolare fu, all’inizio del 1955, l’allora neodirettore<br />
Vittorio Nisticò su indicazione di Gino<br />
Cortese, l’intellettuale comunista nisseno,<br />
che tanto aveva saputo influire sul giovane<br />
Sciascia nella sua presa di coscienza antifascista.<br />
Brancati era appena morto e sarà lo<br />
scrittore racalmutese a prendere il suo posto,<br />
scrivendo di tutto, note critiche, ma anche<br />
riflessioni culturali, politiche, inchieste e<br />
reportage.<br />
Riguardo alla data del primo articolo pubblicato<br />
da Sciascia esistono delle fonti discordanti<br />
tra loro, tranne che per l’anno di pubblicazione<br />
che resta il 1955. Così Matteo Collura,<br />
nel Maestro di Regalpetra, riferisce quella<br />
del 23 febbraio, dove Sciascia dedica una<br />
nota letteraria al poeta dialettale catanese<br />
del Settecento, Domenico Tempio; mentre<br />
nella raccolta “Quaderno” di Leonardo Sciascia,<br />
pubblicata dalla Nuova Editrice Meridionale<br />
nella collana “Dalle pagine de L’Ora”,<br />
l’Editore riferisce dello stesso articolo, ma<br />
con la data del 25 febbraio. C’è poi la testimonianza<br />
di Vittorio Nisticò che sposta la<br />
data al 24 marzo: si tratta ancora di una nota<br />
letteraria, ma su un libro di Vittorio Fiore, Ero<br />
nato sui mari del tonno.<br />
Di certo, dunque, il 1955 segna l’inizio della<br />
carriera giornalistica di Sciascia, ancora<br />
praticamente sconosciuto (solo un anno<br />
dopo avrebbe pubblicato Le Parrocchie di<br />
Regalpetra) e segna anche l’inizio di un<br />
amichevole rapporto tra lo scrittore e il direttore<br />
del quotidiano siciliano.<br />
Vittorio Nisticò in un libro recentemente<br />
pubblicato da Sellerio, dove ripercorre i suoi<br />
venti anni di direttore al L’Ora di Palermo,<br />
ricorda così la nascita di questo duraturo e<br />
proficuo rapporto: “Per conoscerlo e concordare<br />
la collaborazione ero andato a trovarlo<br />
in una sua casetta di campagna nei pressi di<br />
Racalmuto, in compagnia di un comune<br />
amico, Gino Cortese, deputato comunista al<br />
parlamento siciliano”. La presenza di Sciascia<br />
in redazione era sempre molto discreta<br />
e rispecchiava la personalità sobria e riservata<br />
dello scrittore, che pareva “quasi timoroso<br />
di infastidire”. Scrive ancora Nisticò:<br />
“Sciascia era per tutti noi – da me al cronista<br />
più giovane – uno di casa: sempre pronto ad<br />
intervenire anche nella cronaca diretta o nel<br />
fuoco delle polemiche, con le sue riflessioni<br />
stringenti e in più di un caso le sue ire, e<br />
sempre con un rispetto puntiglioso della<br />
puntualità. Insomma facendo alto giornalismo.<br />
E questo me lo rendeva, ce lo rendeva<br />
particolarmente vicino”. Sarà per il giornale<br />
palermitano che lo scrittore, a poche ore<br />
dalla morte, dettò quello che può considerarsi<br />
la sua ultima riflessione pubblica, ovvero<br />
la prefazione, richiestagli da tempo, per il<br />
volumetto di scritti di Borgese apparso poi<br />
nella collana “Dalle pagine dell’Ora”.<br />
IL “QUADERNO”<br />
DI SCIASCIA<br />
Sciascia era ancora un intellettuale in crescita,<br />
quando entra a far parte della redazione<br />
de L’Ora. Sebbene le sue doti indiscusse di<br />
scrittore fossero già evidenti e certe scelte<br />
ideologiche già ben chiare, il giornale palermitano<br />
fu una palestra dove far “pratica” e<br />
“imparare a scrivere”, utilizzando un linguaggio<br />
sempre più giornalistico, più diretto, esercitando<br />
la sintesi, esplorando le tecniche di<br />
realizzazione di un’inchiesta, osservando i<br />
criteri necessari a fare indagine.<br />
Dall’ottobre del 1964 al novembre del 1968<br />
Sciascia tenne una rubrica, che volle chiamare<br />
Quaderno: quattro interventi al mese,<br />
che, come nel suo stile, sono spunti di<br />
conversazione, di polemiche, che gli vengono<br />
suggeriti dagli eventi politici, sociali, ma<br />
anche dai fatti di cronaca.<br />
“Il nome quaderno – scrive Vincenzo Consolo<br />
nella prefazione alla raccolta di questi<br />
scritti – al di là della versione francese<br />
“cahier” che in tanti altri sensi lo fa risuonare,<br />
vogliamo credere alluda al pirandelliano<br />
Quaderni di Serafino Gubbio operatore. Ma<br />
quaderno anche nel senso di diario, di lettere<br />
al direttore, come quelle che dal suo<br />
volontario esilio inviava Brancati alla rivista<br />
Omnibus”.<br />
Il contenuto di questi interventi è vario, ma<br />
comune a tutti è la sottile ironia, mediata<br />
attraverso la citazione letteraria o storica.<br />
Così notiamo che, quando Sciascia tratta<br />
argomenti letterari sembra di leggere tra le<br />
righe un ammonimento, un richiamo alla<br />
realtà; quando commenta fatti di cronaca lo<br />
fa alla luce della “verità” letteraria.<br />
Leonardo Sciascia, uno<br />
2Il Corriere della Sera:<br />
una stagione<br />
di polemiche<br />
È il 1969 quando Sciascia inizia a collaborare<br />
con il Corriere della Sera.<br />
La sua fama di scrittore continua a crescere:<br />
dopo il successo de Il giorno della civetta,<br />
pubblicato nel 1961, esplora nuove strade<br />
dando alle stampe nel 1963 un romanzo<br />
storico, Il Consiglio d’Egitto, e nel 1964 un’inchiesta<br />
storica, fondata su documenti d’archivio,<br />
Morte dell’inquisitore. Nel 1966 Sciascia<br />
pubblica un’altra storia di mafia, un altro<br />
fortunato romanzo poliziesco, A ciascuno il<br />
suo, ispirato all’omicidio del commissario di<br />
Pubblica Sicurezza agrigentino Cataldo<br />
Tandoj (1960).<br />
Questi sono gli anni in cui dalla dimensione<br />
“siciliana” Sciascia approda a quella nazionale<br />
ed europea; rifiuta pubblicamente e<br />
polemicamente l’etichetta di “mafiologo”,<br />
allargando la sua riflessione alla realtà dell’Italia<br />
intera, alle sue tragiche contraddizioni.<br />
Nel 1970, a quarantanove anni, Sciascia<br />
abbandona la scuola e va in pensione, dedicandosi<br />
quindi a tempo pieno all’attività letteraria<br />
e giornalistica. Intanto già un anno<br />
prima Giovanni Spadolini, nominato direttore<br />
del Corriere della Sera, lo chiama tra i suoi<br />
collaboratori e, ci fa sapere Matteo Collura,<br />
“lui è orgoglioso di vedere la sua firma sul<br />
giornale che aveva ospitato quelle di Borgese,<br />
Brancati, di Pirandello”. Per il Corriere,<br />
dalla cui redazione viene accolto con gli<br />
onori riservati ai grandi personaggi della<br />
cultura, scrive elzeviri di grande interesse,<br />
alcuni <strong>dei</strong> quali faranno parte de “La Corda<br />
Pazza”, una raccolta di ventotto studi scritti<br />
tra il 1963 e il 1970 dedicati a scrittori e cose<br />
della Sicilia. Questo titolo è anche il titolo del<br />
primo intervento di Sciascia pubblicato sul<br />
Corriere della Sera il 4 febbraio 1969 e dedicato<br />
al barone Pietro Pisani, un uomo<br />
“saggio al punto da riconoscersi folle, e<br />
abbastanza folle da ritenersi tra i folli il più<br />
saggio”, che dedica la sua esistenza a<br />
rendere più umana l’istituzione manicomiale<br />
della ottocentesca Real Casa <strong>dei</strong> Matti di<br />
Palermo, e la cui concezione della vita “molto<br />
si avvicina a precorrere quella di Pirandello”,<br />
come scrive lo stesso Sciascia, che aggiunge:<br />
“In due battute pirandelliane si può infatti<br />
riassumere la visione della vita, e il modo di<br />
vivere e di operare, del barone Pisani: ‘Deve<br />
sapere che abbiamo tutti come tre corde<br />
d’orologio in testa. La seria, la civile, la<br />
pazza’; ‘E via, sì, sono pazzo! Ma allora,<br />
perdio, inginocchiatevi! Vi ordino di inginocchiarvi<br />
tutti davanti a me – così! E toccate tre<br />
volte la terra con la fronte! Giù! Tutti, davanti<br />
ai pazzi, si deve stare così!’. La prima è del<br />
Berretto a sonagli, cioè di una commedia<br />
precisamente localizzata e che assume e<br />
scioglie il tema della “follia” nella tipicità della<br />
vita siciliana, delle sue regole; la seconda<br />
dell’Enrico IV, in cui il tema trascorre dal caso<br />
clinico all’esistenza stessa”. Ancora una<br />
testimonianza del rapporto con Pirandello e<br />
con quel “pirandellismo di natura”, a cui Sciascia<br />
all’inizio della sua carriera cercava di<br />
ribellarsi, come un adolescente si ribella al<br />
padre.<br />
Spadolini fu per tre anni direttore di Sciascia<br />
fino al 1972, quando divenuto senatore nel<br />
Partito Repubblicano Italiano venne allontanato<br />
dal giornale per volontà degli editori. Per<br />
dimostrare la lealtà dello scrittore nei suoi<br />
confronti, Spadolini dirà che “Sciascia, con<br />
un’interpretazione di fedeltà ombrosa e rigorosa<br />
che era assolutamente di altri tempi,<br />
lasciò via Solferino dopo la mia rottura col<br />
quotidiano milanese e passò alla Stampa”.<br />
In effetti Sciascia interrompe per qualche<br />
anno la sua collaborazione non “per fedeltà”,<br />
ma in segno di protesta per il modo in cui gli<br />
editori lo avevano liquidato; “lo scrittore considerava<br />
Spadolini una sorta di “bigotto laico” -<br />
scrive Matteo Collura - e il perché stava<br />
proprio nel suo rapporto di collaborazione<br />
con la testata da lui diretta. Ogni qual volta lo<br />
scrittore faceva avere un suo articolo al<br />
Corriere, Spadolini gli inviava un telegramma<br />
per ringraziarlo. Un rituale che si era interrotto<br />
allorchè Sciascia aveva mandato un articolo<br />
dedicato ad un oscuro episodio avvenuto<br />
nella Sicilia del XVIII secolo: una macchia<br />
nella storia, irta di inquietanti analogie con la<br />
realtà politica e istituzionale di quei giorni. Lo<br />
scritto si concludeva con un’amara riflessione<br />
rivolta al presente, in cui lo Stato veniva definito<br />
“cadavere”. Una rosa per Matteo Lo<br />
Vecchio s’intitolava quel racconto, che avrebbe<br />
costituito uno <strong>dei</strong> capitoletti della “Corda<br />
Pazza”: giaceva il “cadavere dello Stato”, alla<br />
fine dell’articolo, accanto a quello di uno sbirro,<br />
Matteo Lo Vecchio, emblematicamente<br />
assassinato in nome di uno stato già decomposto.<br />
L’allusione a Spadolini non era piaciuta;<br />
e ne era rimasta come un’ombra nei suoi<br />
rapporti con Sciascia, che pure con tanta<br />
sollecitudine aveva invitato a collaborare con<br />
il Corriere della Sera”.<br />
DA OTTONE<br />
ALLA P2<br />
La collaborazione di Sciascia con il Corriere<br />
subisce fasi alterne: si interrompe, come<br />
abbiamo riportato, la prima volta nel 1972,<br />
quando la firma dello scrittore si sposta su<br />
La Stampa di Torino. Lungo gli anni settanta<br />
e ottanta, poi, alternerà fasi di collaborazione<br />
esclusiva a uno <strong>dei</strong> due giornali a fasi in<br />
cui distribuisce i suoi articoli fra l’uno e l’altro<br />
quotidiano. E il passare da una testata giornalistica<br />
ad un’altra, da un editore ad un<br />
altro, danno idea del carattere di Sciascia<br />
che, evidentemente, sceglieva in assoluta<br />
libertà, e non per ragioni economiche, di<br />
pubblicare con un editore piuttosto che con<br />
un altro.<br />
Nuovo direttore del Corriere è dal 1972 Piero<br />
Ottone, che in un certo senso apporta una<br />
rivoluzione nel quotidiano milanese, all’insegna<br />
di un giornalismo liberale, senza conformismi<br />
e pregiudizi. Il nuovo corso procura<br />
nuovi lettori di tendenze progressiste e<br />
influenza altri quotidiani, come La Stampa e<br />
Il Messaggero. Una novità fu senza dubbio il<br />
nuovo ruolo degli intellettuali e scrittori che<br />
dalla terza pagina passarono alla prima,<br />
allargando il loro campo d’azione dagli<br />
aspetti meramente culturali, alle vicende politiche<br />
e sociali del Paese. In questi anni Sciascia<br />
cura la rubrica “Nero su Nero”, che<br />
successivamente diventerà un libro, costituito<br />
da pagine uscite sui giornali fra il 1969 e il<br />
1979.<br />
Nel luglio del 1974 Andrea Rizzoli acquista<br />
il Corriere. Rizzoli si presenta come un<br />
editore puro, moderno e aperto. Nel contempo<br />
però intesse buoni rapporti con i partiti<br />
che contano. Il problema vero, comunque, è<br />
il bisogno di soldi. Decisiva per il catastrofico<br />
futuro del gruppo è la scelta dell’espansione<br />
editoriale. La scelta si concretizza nel<br />
potenziamento del Corriere, nell’acquisizione<br />
di testate, nei tentativi di inserirsi nel<br />
campo televisivo. L’impero è basato sui deficit<br />
e sugli intrecci politici. Nel 1977 avviene<br />
un’opera di ricapitalizzazione. Chi ha fornito<br />
i soldi? Ottone si dimette nell’ottobre del<br />
1977. Nuovo direttore è Franco Di Bella: la<br />
sua scelta appare il segno della definitiva<br />
chiusura di un ciclo liberale. Il 20 maggio<br />
1981 il Presidente del Consiglio, Forlani,<br />
rende pubblico l’elenco degli iscritti alla P2<br />
trovato nell’archivio di Licio Gelli. Nell’elenco<br />
compaiono 28 giornalisti e 4 editori, tra cui<br />
Rizzoli. Di Bella deve lasciare il giornale,<br />
Rizzoli vuole vendere, ma la guerra che si<br />
scatena tra i vari partiti blocca diverse trattative.<br />
Per il salvataggio bisogna ricorrere<br />
all’amministrazione controllata nell’ottobre<br />
1982, che dura due anni.<br />
Questo avvenimento segna l’inizio, in Sciascia,<br />
di una più profonda sfiducia nei giornali,<br />
dal momento che anche lui, come milioni<br />
di Italiani, era rimasto colpito dalla consapevolezza<br />
di avere scritto liberamente su un<br />
28 (32) ORDINE 3 <strong>2005</strong>
scrittore in redazione<br />
giornale controllato da una loggia massonica<br />
segreta, un quotidiano su cui aveva<br />
anche potuto sostenere le sue idee sul caso<br />
Moro, in dissenso dalla linea ufficiale del<br />
giornale, che era quella della cosiddetta<br />
“fermezza”.<br />
Sciascia abbandona, dunque, il Corriere, così<br />
come altri illustri collaboratori; tornerà a scrivere<br />
solo quando il giornale, in amministrazione<br />
controllata, sarà affidato alla direzione di<br />
Alberto Cavallari, già inviato speciale.<br />
“Quello di Sciascia fu un ritorno giustamente<br />
enfatizzato dal giornale e che coincise significativamente<br />
con la pubblicazione dell’articolo<br />
sulle Anime morte e sul rileggere. Ma<br />
questo tarlo dovette continuare a roderlo, se<br />
Sciascia si pronunciò su questa vicenda solo<br />
in un’inchiesta di Nuovi Argomenti, per invitare<br />
a considerare la scoperta della P2 come<br />
un problema “prima che morale e politico, di<br />
diritto”, distinguendo le responsabilità di Gelli<br />
e <strong>dei</strong> vertici politici dell’operazione da quelle<br />
<strong>dei</strong> comuni iscritti che credevano di essere<br />
semplici massoni”.<br />
NERO SU NERO:<br />
UN VIAGGIO<br />
TRA I NERI PENSIERI<br />
DI SCIASCIA<br />
Sciascia, pur affidando alle pagine <strong>dei</strong> quotidiani<br />
i suoi interventi, comincia a raccogliere<br />
in volume gli articoli che ritiene più meritevoli<br />
di essere “salvati” dalla effimera durata<br />
del giornale e della rivista e di essere<br />
conservati in un libro. Dopo la pubblicazione<br />
de La Corda Pazza, in cui risalta la dimensione<br />
saggistica di Sciascia, è la volta di<br />
Nero su Nero, pubblicato da Einaudi; un<br />
libro costituito da pagine uscite sui giornali<br />
fra il 1969 e il 1979, il cui titolo si rifà alla<br />
rubrica - diario che Sciascia ha tenuto sul<br />
Corriere e che, successivamente, è diventato<br />
fondamentale per gli studiosi dello scrittore.<br />
Infatti, da questo “diario in pubblico” che<br />
continua con accenti più pessimistici la<br />
rubrica “Quaderno”, è possibile conoscere<br />
ciò che Sciascia pensa dello scrivere, della<br />
letteratura, <strong>dei</strong> giornali, ma anche della<br />
realtà pubblica che lo circonda: l’Italia come<br />
“paese senza verità” (come lui stesso lo ha<br />
definito in una intervista rilasciata nel 1979<br />
sul giornale Contro del 10 novembre) dal<br />
caso del bandito Giuliano al sequestro di<br />
Aldo Moro, che occupa gli ultimi interventi e<br />
che verrà coraggiosamente affrontato nel<br />
libro L’Affaire Moro.<br />
Il titolo, alludendo alla “nera scrittura sulla<br />
nera pagina della realtà”, fa riferimento al<br />
pessimismo che in Sciascia, in questo<br />
decennio, è sempre più evidente e di cui<br />
spesso viene pubblicamente accusato; un<br />
pessimismo che investe anche il mondo del<br />
giornalismo, che Sciascia conosce ormai<br />
molto da vicino. In effetti, se il caso Moro<br />
aveva reso più amare le riflessioni dello<br />
scrittore sulla libertà di stampa, era già<br />
maturata nell’intellettuale la sfiducia nei<br />
giornali, che risulta evidente alla lettura di<br />
un articolo dedicato proprio a questo argomento:<br />
“La lettura <strong>dei</strong> giornali mi dà neri<br />
pensieri. Neri pensieri sui giornali appunto,<br />
sul giornalismo. I giornali mi si parano<br />
davanti come un sipario. Più esattamente<br />
come un velario, poiché qualcosa di quel<br />
che si muove dietro, degli oggetti che ci<br />
stanno, della scena che si prepara, la<br />
lasciano intravedere. Solo che ci vuole un<br />
occhio abituato, un occhio allenato. Non<br />
acuto, chè non basta. Esperiente. Di un’esperienza<br />
che non tutti hanno. C’è poi,<br />
impressionante l’uniformità. Qualche differenza<br />
nel riferire i fatti si può cogliere. Ma<br />
raramente nel giudizio sui fatti. Parlo, naturalmente<br />
<strong>dei</strong> giornali più diffusi. Tra i piccoli<br />
e meno diffusi, la valutazione <strong>dei</strong> fatti muta<br />
da giornale a giornale. Dovremmo abituarci<br />
a leggere i piccoli e meno diffusi e a trascurare<br />
quelli dalle alte tirature? Una indefinita<br />
paura sembra attanagliare i giornali. La<br />
paura di avere una linea, di assumere i fatti<br />
in un giudizio preciso. È come la paura di<br />
fare il giuoco di qualcuno o di qualcosa, di<br />
mettere in discussione quel che è pericoloso<br />
discutere, in pericolo quel po’ di sicurezza<br />
cui ci si vuole aggrappare. E in realtà il<br />
maggior pericolo sta appunto in questo:<br />
nell’aver paura di un pericolo.” Il giudizio su<br />
come viene gestita l’informazione in Italia si<br />
farà ancora più severo, come vedremo,<br />
negli ultimi interventi dello scrittore.<br />
ORDINE 3 <strong>2005</strong><br />
“L’AMMIRAGLIA<br />
DELLE POLEMICHE”:<br />
SCIASCIA<br />
E “I PROFESSIONISTI<br />
DELL’ANTIMAFIA”<br />
È sabato 10 gennaio del 1987 quando sulla<br />
terza pagina del Corriere della Sera viene<br />
pubblicato un articolo, a firma di Sciascia,<br />
destinato a suscitare una delle polemiche<br />
“più appassionate e dolorose del dopoguerra,<br />
l’ammiraglia delle polemiche”, il cui titolo<br />
a sei colonne ha segnato un capitolo nella<br />
storia della lotta alla mafia. Un titolo caustico:<br />
“I professionisti dell’antimafia” che da<br />
quel momento in poi si affiancherà, a torto o<br />
a ragione, al nome di Leonardo Sciascia. In<br />
questo articolo lo scrittore commenta un<br />
saggio sulla mafia nel ventennio fascista,<br />
“pubblicato da un editore di Soveria Mannelli,<br />
in provincia di Catanzaro: Rubbettino”,<br />
scritto da un giovane ricercatore dell’Università<br />
di Oxford, Christopher Duggan, allievo<br />
dello storico Denis Mack Smith, di cui nella<br />
stessa pagina viene riportata l’introduzione<br />
al volume chiamato appunto La mafia durante<br />
il fascismo. A creare il titolo, che diventa<br />
un vero e proprio slogan, non è Sciascia, ma<br />
il redattore culturale del Corriere della Sera<br />
Cesare Medail.<br />
Lo stile provocatorio dell’articolo è subito<br />
chiaro fin dalle prime righe, in cui, come<br />
peraltro raramente accade, Sciascia fa delle<br />
“autocitazioni, da servire a coloro che hanno<br />
corta memoria o/e lunga malafede e che<br />
appartengono prevalentemente a quella<br />
specie (molto diffusa in Italia) di persone<br />
dedite all’eroismo che non costa nulla e che<br />
i milanesi, dopo le cinque giornate, denominarono<br />
‘eroi della sesta’”. Sembra quasi che<br />
già sapesse Sciascia quale terremoto avrebbe<br />
scatenato con quello che stava per dire e<br />
che, avvertiva i lettori, non poteva essere<br />
inteso se non alla luce di quanto già lui stesso<br />
aveva dichiarato sui suoi libri, a partire da<br />
Il giorno della civetta, in cui il capitano Bellodi,<br />
antesignano di tutti gli eroi antimafia, dal<br />
generale Carlo Alberto Dalla Chiesa a<br />
Giovanni Falcone, è già un martire che a<br />
voce alta grida il suo amore per la Sicilia, una<br />
terra su cui “si romperà la testa”. Un investigatore<br />
modernissimo, che indaga sui flussi<br />
finanziari, sulle banche, sulla gestione degli<br />
appalti; un uomo coraggioso che “per tradizione<br />
repubblicano, e per convinzione, faceva<br />
quello che in antico si diceva il mestiere<br />
delle armi, e in un corpo di polizia, con la<br />
fede di un uomo che ha partecipato a una<br />
rivoluzione e dalla rivoluzione ha visto sorgere<br />
la legge: e questa legge che assicurava<br />
libertà e giustizia, la legge della Repubblica,<br />
serviva e faceva rispettare”. Ancora una volta<br />
in Sciascia la letteratura si fa pagina di giornale<br />
e il giornalismo diventa letteratura dal<br />
momento che essa è ormai la più assoluta<br />
forma che la verità possa assumere.<br />
Sciascia in questo articolo è più che mai un<br />
“eretico”, un miscredente della sua stessa<br />
fede, un intransigente nemico <strong>dei</strong> luoghi<br />
comuni e del manierismo, anche nel caso<br />
della lotta alla mafia. Non basta essere mafiosi<br />
o antimafiosi, troppo semplice per Sciascia<br />
che al bianco e al nero preferisce sempre i<br />
colori intermedi, le sfumature che hanno<br />
bisogno di interpretazione, che suggeriscono<br />
e non danno conferme o omologazioni. E ci<br />
vuole coraggio a scrivere che esiste il rischio<br />
di parlare troppo di mafia, di esibirsi in atteggiamenti<br />
antimafiosi, quando l’ammonimento<br />
arriva da un “esperto”, da un “guru” diremmo<br />
oggi, da un fautore della lotta all’omertà che<br />
nell’interpretare i fatti di Cosa Nostra è stato<br />
sempre chiamato in causa. Ma la libertà di<br />
pensiero e il candore della coscienza si fanno<br />
inchiostro e parole, e squarciano la pigrizia<br />
mentale per stimolarne il ragionamento, la<br />
ricerca, il dubbio. Sciascia, da buon maestro<br />
elementare, accompagna i suoi alunni – lettori<br />
alla deduzione, che spesso, come in questo<br />
articolo, diventa paradosso. E i passaggi<br />
sono semplici, lineari e partono dai dati di<br />
cronaca, dalla storia di cui bisogna far tesoro:<br />
in questo caso dalla repressione del prefetto<br />
Cesare Mori, un personaggio che Sciascia<br />
ritrova anche nei suoi ricordi di ragazzo, un<br />
fascista che, pur di ottenere l’ordine necessario,<br />
scendeva a patti con i “campieri”, “le guardie<br />
del feudo”, gli uomini che erano “prima<br />
insostituibili mediatori tra la proprietà fondiaria<br />
e la mafia e, al momento della repressione<br />
di Mori, insostituibile elemento a consenti-<br />
BIBLIOGRAFIA<br />
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2000 “Ricordi del tempo presente: la memoria di Sciascia” a cura di Francesco Izzo<br />
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re l’efficienza e l’efficacia del patto”. E appare<br />
chiaro come il pensiero di Sciascia si ribelli<br />
all’idea di giustificare l’uso della violenza per<br />
contrastare altra violenza, l’uso di una mafia<br />
per contrastarne un’altra, e il suo ragionamento<br />
è logico: “l’innegabile successo delle<br />
sue operazioni repressive […] nascondeva<br />
anche il giuoco di una fazione fascista<br />
conservatrice e di vasto richiamo contro altra<br />
che approssimativamente si può dire<br />
progressista e più debole. Sicché se ne può<br />
concludere che l’antimafia è stata allora strumento<br />
di una fazione, internamente al fascismo,<br />
per il raggiungimento di un potere<br />
incontrastato e incontrastabile. E incontrastabile<br />
non perché assiomaticamente incontrastabile<br />
era il regime – o non solo: ma, perché<br />
talmente innegabile appariva la restituzione<br />
all’ordine pubblico che il dissenso, per qualsiasi<br />
ragione e sotto qualsiasi forma, poteva<br />
essere facilmente etichettato come “mafioso””.<br />
Fin qui c’è poco da scandalizzarsi, ma<br />
qualcuno sarà sobbalzato sulla sedia alla<br />
lettura del periodo che segue, in cui senza<br />
mezzi termini viene spiegata la morale della<br />
favola: “l’antimafia come strumento di potere.<br />
Che può benissimo accadere anche in un<br />
sistema democratico, retorica aiutando e<br />
spirito critico mancando.” Lapidario Sciascia;<br />
e in queste righe c’è già la provocazione dello<br />
scrittore, che sta per fare un esempio a sostegno<br />
della sua tesi: se stesso. È lui che non<br />
conforma il suo pensare al comune pensare,<br />
è lui che in nome del diritto al dissenso<br />
sceglie la via più difficile e più soggetta alla<br />
cattiva interpretazione, denunciando l’esistenza<br />
di “avvisaglie” di come era sempre più<br />
difficile andare contro chiunque si dichiarasse<br />
antimafioso: il rischio era quello di essere<br />
considerato mafioso. Ed è proprio ciò che<br />
avviene a Sciascia dopo aver scritto di come<br />
“un sindaco che per sentimento o per calcolo<br />
cominci ad esibirsi – in interviste televisive e<br />
scolastiche, in convegni, conferenze e cortei<br />
– come antimafioso: anche se dedicherà tutto<br />
il suo tempo a queste esibizioni e non ne<br />
troverà mai per occuparsi <strong>dei</strong> problemi del<br />
paese o della città che amministra (che sono<br />
tanti, in ogni paese, in ogni città: dall’acqua<br />
che manca all’immondizia che abbonda), si<br />
può considerare in una botte di ferro. Magari<br />
qualcuno, molto timidamente, oserà rimproverargli<br />
lo scarso impegno amministrativo: e<br />
dal di fuori. Ma dal di dentro, nel consiglio<br />
comunale e nel suo partito, chi mai oserà<br />
promuovere un voto di sfiducia, un’azione<br />
che lo metta in minoranza e ne provochi la<br />
sostituzione? Può darsi che alla fine, qualcuno<br />
ci sia: ma correndo il rischio di essere<br />
marchiato come mafioso, e con lui tutti quelli<br />
che lo seguiranno.” Ancora più “scandaloso” il<br />
suo esempio su come “ nulla vale di più, in<br />
Sicilia, per far carriera nella magistratura, del<br />
prender parte a processi di stampo mafioso”,<br />
in cui Sciascia fa il nome di Paolo Borsellino<br />
e riflette sulla sua nomina a Procuratore della<br />
Repubblica a Marsala, nonostante ci fossero<br />
candidati più anziani. È chiaro che è difficile<br />
leggere queste righe alla luce di quanto<br />
successe al giudice, ucciso dalla mafia nella<br />
strage di via d’Amelio nel 1992, a pochi giorni<br />
dall’altro terribile assassinio del giudice<br />
Falcone; ma questo articolo si deve leggere<br />
senza quella “malafede”, di cui lo stesso Sciascia<br />
aveva non tanto timore, quanto una<br />
rassegnata consapevolezza. Nei giorni<br />
seguenti la pubblicazione del “pezzo”, su tutti<br />
i quotidiani si leggono titoli che riferiscono<br />
della polemica scoppiata frattanto tra lo scrittore<br />
e il coordinamento antimafia, “una polemica<br />
contro i suoi stessi figli, contro i rampolli<br />
del Giorno della civetta e del capitano Bellodi<br />
appunto: Sciascia contro gli sciasciani, la<br />
voce contro la sua eco, l’originale contro la<br />
copia”.<br />
È sulle pagine <strong>dei</strong> giornali che si affrontano<br />
“a colpi di penna” l’ “eretico” ed i suoi “inquisitori”,<br />
stimolando un dibattito nazionale che<br />
poi trascenderà il contenuto dell’articolo per<br />
focalizzare l’opinione sullo scrittore, che<br />
verrà addirittura “collocato ai margini della<br />
società civile” e definito “quaquaraquà”, che,<br />
nella scala <strong>dei</strong> valori elencata da don Mariano<br />
Arena, nel Giorno della civetta, è il più<br />
infimo degli uomini. Eppure, lo stesso Sciascia<br />
aveva dichiarato che sulla mafia e sul<br />
modo di combatterla la pensava esattamente<br />
come “allora”, cioè come quando aveva<br />
scritto Il giorno della civetta e A ciascuno il<br />
suo. Ed è datata 16 gennaio 1987 “l’apertura”<br />
in prima pagina dal titolo “Perché siamo<br />
con Sciascia”, dove l’intera redazione del<br />
Corriere della Sera si schiera “contro i chierici<br />
dell’intolleranza” e dove tra le altre cose si<br />
legge: «Di fatto, si rimprovera a Sciascia di<br />
aver adempiuto alla sua funzione di uomo di<br />
cultura, cioè di aver rimesso in discussione i<br />
luoghi comuni, la retorica, che nascono,<br />
all’interno della collettività civile, anche in<br />
rapporto a iniziative rispettabilissime. E la<br />
tecnica usata è quella di sempre: l’equiparazione<br />
dell’anticonformista al “nemico”. È una<br />
vecchia storia che si ripete. […] Non ci<br />
sorprende, dunque, che ci sia chi scrive di<br />
non “riconoscerlo più” perché, in realtà, non<br />
lo ha mai conosciuto. Sciascia è di un’altra<br />
pasta rispetto ai suoi detrattori, ai chierici del<br />
“pensiero totalizzante”. Per questo noi lo<br />
amiamo oggi come lo abbiamo amato ieri.<br />
Per essere chiari: lo Sciascia del Giorno<br />
della civetta, di Todo Modo, e quello dell’articolo<br />
sull’antimafia.» Lo scontro verbale tra gli<br />
schieramenti pro e contro l’articolo, e i<br />
pesanti giudizi sul presunto disimpegno nella<br />
lotta alla mafia lasceranno sempre una certa<br />
amarezza nello scrittore, che tuttavia non<br />
manca di commentare con quel distacco che<br />
la sua pungente ironia gli consente.<br />
Quando lo scrittore è ancora in vita (ricordiamo<br />
che morirà il 20 novembre 1989) avrà<br />
modo di chiarire le sue ragioni con il procuratore<br />
di Marsala, e sarà lo stesso Borsellino<br />
a parlare in difesa dello scrittore anche dopo<br />
la sua scomparsa.<br />
29 (33)
T E S I D I L A U R E A<br />
3La stampa e la sfiducia<br />
nei giornali: gli ultimi<br />
anni di Sciascia<br />
Gli articoli di Leonardo Sciascia appaiono<br />
sulle pagine de La Stampa già negli anni ‘70,<br />
ed è datato 7 aprile 1972 il primo articolo<br />
apparso sulle pagine del quotidiano di Torino<br />
dal titolo “Il sistema al guinzaglio”. I suoi interventi<br />
vengono pubblicati sempre in terza<br />
pagina e le riflessioni letterarie sugli amati<br />
Pirandello, Petrarca, Stendhal si alternano<br />
alle ironiche osservazioni sulla politica e la<br />
società, che trovano posto nella rubrica<br />
“Taccuino”. Nel 1975 si registra la pubblicazione<br />
a puntate del “Giallo filosofico” di Ettore<br />
Majorana, dal 31 agosto al 7 settembre, a<br />
cui seguirà un articolo dedicato al Premio<br />
Nobel Eugenio Montale, pubblicato il 25 ottobre,<br />
per tornare a parlare di Majorana con un<br />
articolo del 24 dicembre, con cui Sciascia<br />
conclude la polemica sullo scienziato scomparso.<br />
Dal 1972 al 1978 compaiono su La<br />
Stampa quarantotto articoli in tutto per una<br />
collaborazione, che va via via facendosi<br />
sempre meno intensa: ad esempio nel 1976<br />
si registra un solo intervento.<br />
I rapporti con La Stampa riprendono nel<br />
1988, dopo cioè che Sciascia, reduce da una<br />
stagione di polemiche iniziate con il sequestro<br />
di Aldo Moro e culminate con i violenti<br />
attacchi seguiti all’articolo sull’antimafia, si<br />
rende conto di come il Corriere, che prima si<br />
era schierato pubblicamente a suo favore,<br />
adesso, con il nuovo direttore Ugo Stille,<br />
continua a pubblicare i suoi articoli solo<br />
perché giornalisticamente fanno comodo.<br />
Il 12 gennaio 1988 viene assassinato dalla<br />
mafia l’ex sindaco di Palermo Giuseppe<br />
Insalaco, ucciso da due sicari su una moto<br />
nel centro di Palermo. Insalaco, che si era<br />
dimesso dopo aver denunciato le pressioni<br />
di un “comitato di affari” interessato ai grandi<br />
appalti del Comune, è stato uno di quei<br />
democristiani che, cercando di sottrarsi al<br />
condizionamento mafioso, ha pagato prima<br />
con la solitudine politica e poi con la morte, il<br />
suo coraggio. “Si era pirandellianamente<br />
calato nel piacere dell’onestà”, dirà Sciascia.<br />
Questo omicidio, che ripropone una maggiore<br />
attenzione verso la politica siciliana e<br />
impone una riflessione sul fronte della lotta<br />
alla mafia, riporta sulle pagine <strong>dei</strong> giornali il<br />
nome di Leonardo Sciascia, di cui si cerca<br />
un parere, un’interpretazione <strong>dei</strong> fatti. A Sciascia,<br />
che in quegli anni comincia a soffrire<br />
per la malattia che poi lo condurrà alla morte,<br />
non piace essere considerato “un esperto” e<br />
si concede poco ai giornali, ancora amareggiato<br />
per le ultime vicende con il Corriere<br />
della Sera. Il 15 gennaio rilascia un intervista<br />
al TG1, di cui i quotidiani riportano la notizia.<br />
In questo periodo comincia a collaborare con<br />
La Stampa di Torino Francesco La Licata,<br />
allora giovane giornalista formatosi sulle<br />
pagine de L’Ora di Palermo, che dal capoluogo<br />
siciliano segue l’inchiesta sull’omicidio<br />
Insalaco e che propone al direttore di realizzare<br />
un’intervista a Leonardo Sciascia. È lui<br />
stesso a raccontarmi i retroscena di quell’intervista,<br />
che segnerà l’inizio di un nuovo<br />
rapporto con il quotidiano di Torino.<br />
“Quando la proposi all’allora direttore Scardocchia,<br />
lui ne fu entusiasta, intravedendo la<br />
possibilità di portare Sciascia alla Stampa”–<br />
dice La Licata – “ Io sapevo quanto Sciascia<br />
fosse deluso dai giornalisti, a cui non risparmiava<br />
ironia accusandoli di superficialità, e<br />
per evitare equivoci, inviai per fax le domande<br />
a cui lui rispose scrivendo a macchina, e<br />
aggiungendo qualche correzione a penna.<br />
Anche il titolo è suo…”<br />
Così nasce l’intervista, pubblicata martedì 2<br />
febbraio 1988, dal titolo sciasciano “I polli di<br />
Renzo nel pugno mafioso”: ancora una volta<br />
una metafora manzoniana per rispondere<br />
alla domanda di La Licata sull’insorgere di<br />
un “patriottismo siculo”, di cui il giornalista<br />
parla sottolineando che “i siciliani si offendono<br />
con Forattini, gli studenti se la prendono<br />
con Sciascia, Nicolosi denuncia che la la<br />
mafia è anche a Milano, in Borsa”. Così<br />
risponde Sciascia: “Succede un po’ come ai<br />
polli di Renzo, nei Promessi Sposi. Persone<br />
che di fatto stanno nella stessa barca – o<br />
stretti nello stesso pugno, per stare nell’immagine<br />
manzoniana – provano un certo<br />
gusto a beccarsi reciprocamente. Io questo<br />
gusto non lo sento per nulla. In quanto all’antisicilianismo,<br />
e al conseguente risvegliarsi<br />
del patriottismo siculo, credo che l’uno e l’altro,<br />
insieme, rappresentino una grande<br />
remora”.<br />
Questa intervista è l’ultima ad apparire su un<br />
quotidiano ed è importante anche per cogliere<br />
lo stato d’animo dell’ “ultimo” Sciascia, un<br />
uomo “condannato” a tormentarsi di continuo<br />
per l’ingiustizia che vede intorno, a soffrire<br />
per la morte violenta di tanti suoi conoscenti,<br />
funzionari di polizia, giornalisti, magistrati,<br />
politici; un uomo, che continua a ribadire,<br />
ogni qualvolta gli è possibile, che non ha<br />
mutato giudizio sulla mafia, sulla necessità<br />
di combatterla e di darsi delle regole.<br />
L’intervista ebbe anche il merito di servire da<br />
occasione per “avvicinare” Sciascia al giornale.<br />
Ciò che successe alcuni giorni dopo la<br />
pubblicazione dell’intervista e che prelude a<br />
quella che sarà l’ultima attività giornalistica<br />
di Sciascia.<br />
Di questi “ultimi articoli” ricordiamo, nel<br />
marzo 1989, la polemica con lo storico<br />
Luciano Canfora, a proposito dell’autenticità<br />
di una lettera di Ruggero Grieco a Gramsci,<br />
ma anche le recensioni di libri, di amici<br />
(come Consolo, Bufalino, Lidia Storoni) o di<br />
scrittori più giovani che sente affini (come<br />
Giampaolo Rugarli, autore di La Troga).<br />
E su La Stampa del 6 agosto 1988, Sciascia<br />
risponde ad un attacco di Scalfari, che lo<br />
aveva accusato di essere responsabile di un<br />
calo di tensione nella lotta alla mafia. Lo<br />
scrittore risponde con spietata e divertente<br />
ironia, facendo del direttore di Repubblica un<br />
nuovo Casanova in visita da Voltaire. Il titolo<br />
dell’articolo è “Tradimenti e fedeltà” e si<br />
conclude con questa frase: “Non ho, lo riconosco,<br />
il dono dell’opportunità e della<br />
prudenza, ma si è come si è.”<br />
IL “GRANDE<br />
GIORNALISTA”:<br />
ULTIMO “SBERLEFFO”<br />
DI SCIASCIA<br />
AI “PROFESSIONISTI”<br />
DELL’ INFORMAZIONE<br />
“Rampante e schiumante come un purosangue<br />
capitato in una stalla di brocchi”: così<br />
appare il Grande Giornalista, un ridicolo<br />
personaggio nato dalla mente di Sciascia per<br />
arricchire quella serie di profili umani, che<br />
compongono quello che è stato definito “il<br />
capolavoro testamentario” dello scrittore di<br />
Racalmuto: Il cavaliere e la morte.<br />
Quest’opera è una sotie, che Sciascia scrive,<br />
carta e penna in mano, durante un<br />
soggiorno in Friuli, e che poi riscrive al suo<br />
rientro in Sicilia, riducendola e sfoltendola di<br />
molte pagine. In questo giallo sono presenti<br />
tutti i temi cari a Sciascia, che in questa fase<br />
della sua esistenza sente l’avvicinarsi della<br />
morte e cerca di farla diventare un’esperienza<br />
narrabile. Innanzitutto c’è la figura del<br />
Vice, al centro del racconto: quasi un alter<br />
ego dello scrittore, “una figura di funzionario<br />
un po’ arreso, malato, posto in uno stato di<br />
subordinazione di fronte al Capo, di cui l’umbratile<br />
personaggio non condivide le abitudini<br />
poliziesche, i metodi bruschi e sbrigativi.<br />
Entrambi tuttavia hanno menti simili, ‘adusate<br />
alla diffidenza, al sospetto, all’armar trappole<br />
di parole o a coglierne qualcuna che<br />
poteva diventar trappola’”. Il Vice è anche un<br />
disobbediente, che non segue gli ordini<br />
imposti dal potere e continua ad indagare<br />
sull’omicidio dell’influente avvocato Sandoz,<br />
individuandone subito il colpevole nel poten-<br />
Leonardo Sciascia, uno<br />
tissimo industriale Aurispa, nonostante i<br />
depistaggi del Commissario Capo che indaga<br />
solo sui terroristi, i famigerati “figli dell’ottantanove”.<br />
A rendere credibile l’esistenza <strong>dei</strong> “figli<br />
dell’ottantanove” concorrono senza dubbio i<br />
giornalisti, che in questo racconto vengono<br />
rappresentati come cronisti frenetici e dagli<br />
sguardi avidi, “aggrumati” nel corridoio della<br />
Questura, che non si muovono per sapere la<br />
verità, ma aspettano che qualcuno gli dia “la<br />
notizia”, la verità che il potere ha scelto di<br />
diffondere. Anche questo verbo “aggrumati”<br />
dà l’idea del disprezzo di Sciascia nei<br />
confronti della categoria, evocando l’immagine<br />
del sangue che si rapprende in grumi, di<br />
qualcosa che è “malato”, che è raffermo. E<br />
poi ancora usa il termine “turba”, quasi a<br />
suggerire gli ignavi danteschi, privi di ideali,<br />
all’inseguimento perenne di una bandiera. E<br />
per essere ancora più impietoso crea anche<br />
il Grande Giornalista, una vera e propria caricatura,<br />
attraverso cui è esplicitata la disillusione<br />
dell’autore nella possibilità di trovare<br />
verità nelle pagine <strong>dei</strong> giornali, anche quando<br />
questa verità esiste nella mente del giornalista.<br />
Infatti è solo questione di prezzo, dal<br />
momento che anche essere un grande giornalista<br />
voleva semplicemente dire che “dai<br />
suoi articoli, cui settimanalmente i moralisti<br />
di nessuna morale si abbeveravano, gli era<br />
venuta fama di duro, di implacabile; fama che<br />
molto serviva ad alzarne il prezzo, per chi si<br />
trovava nella necessità di comprare disattenzioni<br />
e silenzi”.<br />
A mettere a nudo il Grande Giornalista, ad<br />
umiliarlo tanto da farlo diventare “rosso di<br />
collera” è la “candida” verità del Vice, che già<br />
all’inizio del libro e delle indagini ha la chiave<br />
per interpretare i fatti, quando chiede al<br />
Capo se “i figli dell’ottantanove sono stati<br />
creati per uccidere Sandoz o Sandoz è stato<br />
ucciso per creare i figli dell’ottantanove”. Il<br />
Grande Giornalista resta disorientato dalle<br />
dichiarazioni ricevute “per amore di verità”<br />
dal Vice, che, assunto ormai il ruolo di<br />
“provocatore”, aggiunge con amara ironia:<br />
“Domani, comunque, spero di poter leggere<br />
un suo articolo con tutti i sospetti e i dubbi<br />
che io, per opinione personale, le ho confermato”.<br />
Altrettanto amara, per il lettore, la<br />
risposta del Grande Giornalista: “Lei sa bene<br />
che non lo scriverò”.<br />
Ma è nelle ultime battute di questo dialogo<br />
che emerge, forte, la presenza di Sciascia:<br />
non credo ci sia ironia, quando fa dire al Vice<br />
di avere ancora “tanta fiducia nel genere<br />
umano”. Mi sembra di risentire le parole<br />
dette dallo scrittore a proposito della redimibilità<br />
della Sicilia e <strong>dei</strong> siciliani, della speranza<br />
che le cose possano cambiare. E la fede<br />
nella scrittura, nel suo essere scrittore, né è<br />
la prova. Le ultime parole del Vice al Grande<br />
Giornalista, che gli rivolge “l’accusa” di “essere<br />
sulla stessa barca”, rappresentano uno<br />
<strong>dei</strong> tanti momenti in cui al personaggio si<br />
sovrappone l’immagine di Sciascia stesso:<br />
“Non lo creda: sono già sbarcato su un’isola<br />
deserta”. Lo scrittore è consapevole di aver<br />
fatto una scelta di solitudine, lo ha sperimentato<br />
più volte nella sua vita: l’intellettuale è<br />
sempre un uomo “solo”.<br />
Dunque, la fiducia nel ruolo della stampa,<br />
che ha caratterizzato l’inizio dell’attività di<br />
Sciascia, tramonta abbastanza presto, già<br />
all’epoca del sequestro di Aldo Moro fino a<br />
scomparire del tutto alla fine della sua vita,<br />
quando ebbe parole severissime nei<br />
confronti <strong>dei</strong> giornali quotidiani, su cui pure<br />
continuava a scrivere. Una testimonianza<br />
sono, appunto, i suoi due ultimi lavori, in cui i<br />
protagonisti confrontano la loro verità con<br />
quella <strong>dei</strong> giornali e si sentono come impotenti,<br />
vittime di un potere capace di manovrare<br />
l’informazione.<br />
A FUTURA MEMORIA<br />
Sciascia sentiva l’avvicinarsi della morte e su<br />
questo tema numerosi sono stati i critici e i<br />
biografi, che hanno evidenziato come lo scrittore<br />
se da un lato aveva voglia di combattere,<br />
di non cedere alla malattia, dall’altro aveva<br />
rifiutato la “medicalizzazione”, accorgendosi<br />
che era un’inutile illusione. La morte divenne il<br />
suo unico pensiero, il pensiero: e i suoi due<br />
ultimi racconti lo testimoniano. In Il cavaliere e<br />
la morte, Sciascia, come ha scritto Ambroise,<br />
“è un inquisitore della morte”, la affronta<br />
cercando di trasformarla in un’esperienza<br />
letteraria. In Una storia semplice, scritta nel<br />
1989, nell’ultima estate della sua vita, affida al<br />
prof. Franzò una battuta, un’ultima riflessione<br />
sulla morte ormai incombente: “ad un certo<br />
punto della vita non è la speranza l’ultima a<br />
morire, ma il morire è l’ultima speranza”.<br />
“L’appressamento della morte comporta<br />
anche una riscoperta memoriale della propria<br />
generazione, degli anni della formazione”<br />
come suggerisce Traina: e in questo senso si<br />
colloca la pubblicazione di Fatti diversi di<br />
storia letteraria e civile, che raccoglie i testi<br />
sull’arte, la letteratura, le figure storiche e i<br />
luoghi più cari allo scrittore. Così i due versanti<br />
della pubblicistica sciasciana si dividono<br />
nettamente e i testi di polemica civile e politica,<br />
compresi quelli su mafia e antimafia,<br />
vengono raccolti e pubblicati in A futura<br />
memoria (se la memoria ha un futuro), un<br />
libro nato dalla consapevolezza dello scrittore<br />
di quanto necessario sia ricordare, dal<br />
momento che al potere la mancanza di<br />
memoria fa sempre comodo.<br />
È lo stesso Sciascia, nella introduzione, a<br />
presentare il libro: “Questo libro raccoglie quel<br />
che negli ultimi dieci anni io ho scritto su certi<br />
delitti, certa amministrazione della giustizia e<br />
sulla mafia. Spero venga letto con serenità.”<br />
La raccolta si apre con un ricordo del magistrato<br />
Cesare Terranova, ucciso dalla mafia, e<br />
si chiude con un ricordo del generale Renato<br />
Candida, ucciso da un male incurabile, un<br />
anno prima che lo stesso Sciascia morisse.<br />
Ci sono anche gli articoli scritti in difesa di<br />
Enzo Tortora, vittima dell’impunibile superficialità<br />
<strong>dei</strong> giudici e di un uso disinvolto del<br />
“pentitismo”; una lunga analisi del suicidio del<br />
banchiere Calvi, in cui Sciascia esclude il<br />
coinvolgimento della mafia; gli articoli sul maxi<br />
processo, le polemiche con Nando Dalla<br />
Chiesa a proposito degli errori commessi dal<br />
generale Dalla Chiesa, la difesa di Adriano<br />
Sofri dall’accusa di essere il mandante dell’omicidio<br />
Calabresi.<br />
Questo libro non solo documenta le ultime<br />
battaglie civili e politiche di Sciascia, ma testimonia<br />
il gusto della provocazione, che nello<br />
scrittore non è mai mancato, fino a quel fatidico<br />
20 novembre 1989, anzi, anche dopo, se<br />
pensiamo all’epigrafe che ha chiesto si scrivesse<br />
sulla sua tomba: “Ce ne ricorderemo di<br />
questo pianeta”.<br />
A futura memoria è importante per diversi<br />
motivi: intanto la scelta dello scrittore di eternare<br />
l’articolo di un giornale dandogli dignità<br />
letteraria, non soltanto a favore di interventi<br />
prettamente letterari, ma soprattutto, in<br />
questo caso, di articoli che hanno toccato il<br />
cuore delle vicende politiche e sociali dell’Italia<br />
degli ultimi quindici anni; è in questo ultimo<br />
libro, che Sciascia, avendo scelto uno ad<br />
uno gli articoli da inserire, compie da letterato<br />
una scelta anche di “stile”: tutti gli articoli<br />
parlano di giustizia o di ingiustizia, e, se si<br />
pensa che per Sciascia “la letteratura è la più<br />
assoluta forma che la verità possa assumere”,<br />
penso che pubblicando questi articoli,<br />
rendendoli un libro, un luogo deposto alla<br />
letteratura, abbia voluto legittimare la verità<br />
di quelle pagine.<br />
E a proposito della sua interpretazione di giornalismo,<br />
qua e là vi sono spunti di riflessione,<br />
a partire dalla citazione di Bernanos “preferisco<br />
perdere <strong>dei</strong> lettori, piuttosto che ingannarli”,<br />
che Sciascia utilizza come chiave di lettura<br />
degli articoli raccolti, ribadendo ancora una<br />
volta che è necessario dire la verità anche<br />
quando è scomoda (“sono stanco di essere<br />
frainteso, di essere accusato di “alleanze<br />
oggettive” con questi o con quelli”, si legge in<br />
un articolo su Il Globo del 24 luglio 1982).<br />
Nelle pagine di A futura memoria è facile<br />
scoprire che lo scrittore di Racalmuto aveva<br />
un’ idea ben chiara di giornalismo, ormai in<br />
aperta polemica con i “tanti che scrivono libri<br />
o articoli che non sono in grado di leggere la<br />
realtà, di capirla, di farne giudizio”, e puntualizzando<br />
che “nell’ambito della carta stampata,<br />
di coloro che vi lavorano, l’ignoranza –<br />
anche se c’è – non è da ammettere, come<br />
non è ammessa di fronte alle leggi”.<br />
Ed ancora scrive: “lo scoprire altari e altarini<br />
dovrebbe essere funzione assidua di coloro<br />
che hanno a che fare con la carta stampata e<br />
con altri mezzi che comunicano e fanno<br />
opinione”.<br />
C’è poi un articolo del 16 febbraio 1986,<br />
pubblicato sul Corriere della Sera, in cui Sciascia<br />
osserva da fuori il lavoro <strong>dei</strong> cronisti<br />
durante il maxi processo, ironizzando sul fatto<br />
che “ci vorrà almeno un mese perché entri nel<br />
vivo e ancora molti mesi perché l’istruttoria si<br />
svolga nel dibattimento. Intanto, gli inviati <strong>dei</strong><br />
giornali non sanno che fare per animare i loro<br />
resoconti, per colorirli, per dargli quella vivacità<br />
che i lettori si aspettano”.<br />
30 (34) ORDINE 3 <strong>2005</strong>
scrittore in redazione<br />
In definitiva, i giornali appaiono a Sciascia<br />
come lo specchio del trasformismo, della<br />
sottomissione al potere politico, dell’opportunismo:<br />
ma, lui confida ancora nella<br />
memoria e nella possibilità che anche attraverso<br />
la realtà locale si possa realizzare<br />
quella libertà di stampa che lui vede assente<br />
già dai tempi del caso Moro. E questa<br />
speranza si concretizza nell’ultima fase<br />
della sua vita, quando nel piccolo paese di<br />
Racalmuto, a cui sempre è rimasto legato e<br />
della cui vita è stato sempre partecipe,<br />
nasce un giornalino, il cui nome Malgradotutto<br />
sarà definito dallo stesso Sciascia “il<br />
più bel titolo che si sia mai stato trovato per<br />
un giornale”.<br />
“Era contento, Leonardo - scrive Gesualdo<br />
Bufalino - perché quel titolo di giornale,<br />
seppure non suggerito da lui, da lui, dalla<br />
sua opera tutta, era in ogni caso ispirato.<br />
Nel senso che, contro le insufficienze degli<br />
uomini e la cecità della storia, riproponeva<br />
un imperativo di lotta, rifiutava il disinteresse<br />
e la resa. In termini di ideologia, è quello<br />
che si suol chiamare “l’ottimismo della<br />
volontà” in contrapposizione a quel “pessimismo<br />
della ragione”, cui quotidianamente<br />
le prime pagine <strong>dei</strong> giornali ci invitano.”<br />
Nel suo amato paesino, quel “cuore” della<br />
Sicilia che Sciascia ha cantato, un gruppo<br />
di ragazzi raccoglie l’eredità “giornalistica”<br />
dello scrittore, che non perse mai di vista il<br />
mondo <strong>dei</strong> giovani, a cui si concedeva più<br />
volentieri che ai critici o ai giornalisti affermati<br />
: basti pensare ai tanti incontri che<br />
ebbe con gli studenti e nelle scuole, nel<br />
corso della sua vita, soprattutto per parlare<br />
di mafia, di legalità, di giustizia, forse nella<br />
speranza che le future generazioni non<br />
facessero gli errori delle precedenti. Questi<br />
“ragazzi” sono Carmelo Arrostuto, Giancarlo<br />
Macaluso, Gaetano e Gigi Restivo, e<br />
Gaetano Savatteri.<br />
A raccontarmi della nascita di Malgradotutto<br />
è Gaetano Savatteri, oggi affermato giornalista<br />
e scrittore. A Roma, in una piccola<br />
trattoria, un buon bicchiere di vino e il pesce<br />
spada affumicato evocano i sapori della<br />
Sicilia, ed è facile ricordare l’entusiasmo, la<br />
sua adolescenza a Racalmuto, così fortemente<br />
segnata dalla presenza di Sciascia.<br />
“Racalmuto è un paese con poco più di<br />
diecimila abitanti, la cui ricchezza è tramontanta<br />
con il tramonto delle zolfare e delle<br />
saline, su cui si reggeva l’economia. Noi<br />
ragazzi sapevamo di Sciascia, leggevamo i<br />
suoi libri, lo incrociavamo per strada… ed<br />
era impressionante per noi ritrovare sulle<br />
sue pagine la vita di ogni giorno…”<br />
Gli chiedo come mai questo titolo, così<br />
“sciasciano”… “malgradotutto” perché non<br />
ci credevamo nemmeno noi, mentre ne<br />
parlavamo sul treno che ci portava ogni<br />
giorno da Racalmuto ad Agrigento, dove<br />
sbrigavamo i nostri latinucci quotidiani…<br />
avevamo sedici anni… che ne sapevamo<br />
noi di giornali e giornalismo?!” - sorride<br />
Gaetano Savatteri, ripensando forse a<br />
quell’ingenua spavalderia di chi ha poca<br />
età, quella stessa presunzione che però ti<br />
fa uscire dalla noia e ti da la forza di<br />
sognare.<br />
Dunque, è la primavera del 1980 quando<br />
l’idea del giornale prende corpo…<br />
“In effetti, non sapevamo esattamente da<br />
dove cominciare, ma sapevamo che “ci<br />
voleva un giornale”, e lo mettemmo assieme<br />
raccogliendo poche idee, scopiazzando<br />
i temi che si dibattevano sui quotidiani,<br />
rivolgendoci ai fratelli maggiori e ai cugini<br />
più grandi per trovare qualche firma più<br />
autorevole di noi. Poi, attraverso la mediazione<br />
di un genitore, riuscimmo a chiedere<br />
un “pezzo” a quell’uomo silenzioso e riservato,<br />
che avevamo visto qualche volta in<br />
piazza, che tutti chiamavano Nanà o “u<br />
prufessuri”. Sapevamo chi era, avevamo<br />
letto i suoi libri e chissà quanto ne avevamo<br />
capito allora…”<br />
ORDINE 3 <strong>2005</strong><br />
Leonardo Sciscia (foto di Giacomo Fotogramma).<br />
4Sciascia e i ragazzi<br />
di Malgradotutto<br />
Così chiedete a Sciascia di scrivere un articolo<br />
tutto per voi…<br />
“Più che un articolo, eravamo tanto<br />
abituati alle cose di scuola che gli “assegnammo”<br />
un tema: “L’uomo del sud”. Sciascia<br />
si mise a scrivere a mano, buttò giù<br />
una cartellina che Giancarlo Macaluso<br />
dovrebbe pure avere conservato da qualche<br />
parte. Ci spiegò che l’uomo del sud<br />
non esiste. Ci sentimmo mortificati, forse<br />
l’avevamo irritato con quella richiesta così<br />
tassativa. E in risposta ne avevamo avuto<br />
la demolizione. Ma ormai era fatta. Quello<br />
era l’ultimo articolo per passare alle stampe.”<br />
È nella Chiesa del Carmelo con l’aiuto di<br />
padre Martorana che il ciclostile lavora<br />
senza sosta per permettere ai ragazzi di<br />
Malgradotutto di raggiungere la “tiratura”<br />
di duecento copie, da vendere durante la<br />
festa della Madonna del Monte, quando<br />
la gente è in piazza. È il mese di luglio del<br />
1980 e Racalmuto ha il suo “giornale”…<br />
“Noi ci sentivamo davvero il centro del<br />
mondo…Trovammo anche un direttore ed<br />
un amico in Egidio Terrana, più grande di<br />
noi, che è tuttora il responsabile della<br />
pubblicazione del giornale. Un giornale che<br />
nasceva dalle nostre chiacchiere, dalle<br />
chiacchiere di un paese, dall’amore e dal<br />
fuoco della discussione.”<br />
Malgradotutto assieme a quella di Sciascia,<br />
ha ospitato le firme di Bufalino, Consolo,<br />
Collura, Di Grado…<br />
“E ciascuno di noi ne ha portate altre, di<br />
amici e colleghi che per una volta emigrano<br />
dalle loro testate regionali e nazionali per<br />
scrivere su un piccolo giornale di provincia.”<br />
Un piccolo giornale di provincia, che pure<br />
rappresenta la coscienza critica della comunità<br />
di Racalmuto. Un giornale, che ha<br />
vissuto con il paese la lacerazione degli<br />
affetti e delle vite quando la mafia a ripreso<br />
a sparare…<br />
“ Venti morti ammazzati in due anni, una<br />
ferita ancora aperta nelle carni di Racalmuto.<br />
Malgradotutto ha dovuto raccontare<br />
anche questo. E ha continuato a dire che<br />
contro la mafia, anche ora che tutto sembra<br />
tornato nel silenzio, bisogna tenere gli occhi<br />
aperti.”<br />
SCIASCIA E IL RUOLO<br />
DEI GIORNALI LOCALI:<br />
OPPOSIZIONE<br />
CONCRETA<br />
La capacità di indignarsi e di guardare con<br />
attenzione alla giustizia: sono questi i “lasciti”<br />
di uno scrittore come Sciascia, che da<br />
giornalista si è posto diverse questioni<br />
etiche, affidando infine ai giornali locali il<br />
ruolo di “opposizione concreta”.<br />
E alle pagine di Malgradotutto Sciascia<br />
consegna le sue ultime riflessioni sul giornalismo,<br />
su ciò che è, su ciò che vorrebbe<br />
fosse. Un articolo, che raccoglie tutta l’esperienza<br />
nel campo della carta stampata, non<br />
solo da cronista, ma anche da lettore e in<br />
qualche occasione da protagonista.<br />
Riporto integralmente il contenuto dell’articolo,<br />
sottolineando come una lettura attenta<br />
del brano permette di cogliere alcuni<br />
aspetti della personalità dell’autore, la cui<br />
sensibilità all’ingiustizia e alla mancanza di<br />
verità si è formata proprio in un periodo in<br />
cui era assente la libertà di stampa.<br />
Anche questo articolo, così come tutti gli<br />
scritti di Sciascia, siano essi libri o saggi o<br />
interventi giornalistici, è un unicum dove si<br />
ritrovano i principali elementi dell’opera<br />
sciasciana: l’ironia, amara e pungente, la<br />
storia, memoria e chiave per interpretare il<br />
progredire del pensiero umano, la letteratura,<br />
verità e ragione, l’etica, la funzione<br />
educatrice e moralizzatrice della scrittura e<br />
del giornalismo.<br />
Ecco il contenuto dell’articolo:<br />
“Posso cominciare con un aneddoto che è piuttosto significativo: uno <strong>dei</strong> più intelligenti,<br />
colti ed onesti giornalisti italiani, che si è trovato a dirigere uno <strong>dei</strong> più grandi giornali<br />
(Mario Missiroli - Corriere della Sera, ndr) di questo paese, quando ci incontravamo<br />
proprio nel tempo in cui dirigeva questo giornale, facendo delle considerazioni sulla situazione<br />
italiana o su situazioni particolari di questo paese, a conclusione delle sue considerazioni<br />
mi diceva sempre: “Ci vorrebbe un giornale”. Questo vuol dire che il giornale<br />
che lui dirigeva non corrispondeva ai suoi intenti e non consentiva di dire quello che lui<br />
voleva dire. A me - scrive Sciascia - questo pare molto significativo e credo che lo si<br />
possa ripetere considerando la stampa nazionale: ci vorrebbe un giornale. Perché in<br />
Italia col caso Moro in effetti la libertà di stampa è venuta a mancare : questa è una terribile<br />
e grave verità. Col caso Moro la stampa italiana si è uniformata; è un po’ diventata<br />
come ai tempi di quello che è chiamato il “Minculpop”, per dire Ministero della Cultura<br />
Popolare del tempo fascista quando si diramavano le veline e ogni giornale era tenuto a<br />
rispettare quell’ordine. Le veline non ci sono state credo nemmeno durante il caso Moro;<br />
però la stampa italiana ha acquistato una uniformità, un conformismo che ancora oggi<br />
continua: prima uno che voleva farsi un’idea di una cosa acquistando tre o quattro giornali<br />
poteva farsela; oggi basta acquistarne uno; per non farsi l’idea, non per farsela.”<br />
A rafforzare questa sua idea di uniformità della stampa Sciascia chiama in causa uno<br />
scrittore da lui tanto amato, Borgese, suggerendo di leggere un libro (consiglio che dava<br />
spessissimo a chiunque gli chiedesse suggerimenti di qualsivoglia natura):<br />
“Voglio ricordare anche, per chi non lo conosce, che c’è un libro sul fascismo scritto da<br />
un grande intellettuale italiano, Giuseppe Antonio Borgese, in cui tra l’altro è raccontata<br />
come finì la libertà di stampa in Italia: non c’è stata nessuna legge che la facesse finire.<br />
È finita automaticamente, per conformazione e conformismo. Questa è una considerazione<br />
preliminare : in Italia ci vuole un Giornale.”<br />
Se fin qui Sciascia è il “pessimista della<br />
ragione”, nelle parole successive si intravede<br />
un certo ottimismo, sulla funzione appunto,<br />
della stampa locale, a cui non manca di<br />
dare suggerimenti:<br />
“Per fortuna contemporaneamente a questa<br />
carenza sono nate iniziative locali, che però<br />
non possono sostituire la mancanza di una<br />
grande stampa nazionale libera, non conformista,<br />
capace di passare al vaglio critico<br />
tutto. Non la possono sostituire, però è già<br />
qualcosa. L’importante – sottolinea Sciascia<br />
– è che ogni giornale di questo tipo resti un<br />
giornale locale; che non dia fondo ai problemi<br />
del mondo e della nazione, ma che osservi<br />
criticamente e onestamente la realtà locale.<br />
Che poi da ciò, tirando le somme, si può<br />
anche estrarre una verità di più ampio respiro.”<br />
Anche in queste righe, scritte soprattutto ai<br />
“ragazzi di Malgradotutto” che a lui si rivolgevano<br />
per avere consigli e pareri, Sciascia<br />
rimane fedele alla sua visione delle cose: la<br />
conoscenza del microcosmo di Racalmuto<br />
ha infatti permesso allo scrittore la conoscenza<br />
del macrocosmo siciliano e nazionale,<br />
facendo divenire la piccola realtà locale<br />
una metafora della vita. Questo articolo<br />
continua facendo riferimento al giornalismo<br />
americano, alla figura dell’inviato in guerra,<br />
che evidentemente ha suscitato interesse in<br />
Sciascia fin da ragazzo, risolvendosi in una<br />
idea “romantica” di giornalismo:<br />
“Io ho citato spesso come esempio di giornalismo<br />
quello che, tra l’altro, racconta un<br />
grande giornalista americano del New York<br />
Times, Herbert Mathews, un uomo che si è<br />
trovato sempre dalla parte giusta. […]<br />
Mathews, che ha scritto una specie di<br />
manuale attraverso il racconto della sua<br />
esperienza, ha scritto un manuale del giornalismo,<br />
se così si può dire. E racconta un<br />
episodio molto significativo per dire che cosa<br />
è il giornalismo. Lui che si è trovato sempre<br />
dalla parte giusta – continua Sciascia – si<br />
trovò anche dalla parte della Repubblica<br />
Spagnola: perché i giornali americani avevano<br />
inviati che stavano dalla parte di Franco e<br />
inviati che stavano dalla parte della Repubblica.<br />
Mathews aveva una grande simpatia<br />
per la causa repubblicana, ma comunque<br />
faceva il suo mestiere di giornalista con<br />
assoluto scrupolo. Un giorno i giornali che<br />
avevano corrispondenti dalla parte di Franco,<br />
diedero la notizia che un paese, un piccolo<br />
paese spagnolo era stato occupato dalle<br />
truppe franchiste. Mathews sapeva che non<br />
era vero. Allora prese la macchina e andò in<br />
quel paese e dall’ufficio telegrafico fece un<br />
telegramma al New York Times per dimostrare<br />
che quel paese era ancora in mano ai<br />
repubblicani. Quando uscì dall’ufficio telegrafico<br />
le avanguardie fasciste stavano entrando<br />
dall’altro capo della strada, però Mathews<br />
dice: “Io ho smentito la notizia”. Perché il giornalismo<br />
è questo: è la verità del momento; a<br />
quell’ora il paese non era ancora in mano ai<br />
franchisti, un’ora dopo lo era, ma Mathews<br />
smentì la notizia. Ecco, - continua Sciascia -<br />
questo è il giornalismo praticato con oggettività,<br />
con serenità, con scrupolosità. Oggi<br />
invece il giornalismo si pratica in un certo<br />
modo, e specialmente in rapporto all’amministrazione<br />
della giustizia, che è una cosa su<br />
cui si deve vigilare più intensamente e anche<br />
a livello locale.”<br />
L’articolo si conclude, focalizzando l’attenzione<br />
sui giornali locali: “ la carenza che ritrovo<br />
nei giornali locali è questa: poca attenzione<br />
all’amministrazione della giustizia e tanta<br />
attenzione a episodi di sottocultura. Ci si<br />
deve augurare che questi giornali siano<br />
sempre più attenti ai fatti locali e facciano<br />
“opposizione”: i giornali nazionali, i grandi<br />
giornali e anche quelli medi, sono diventati<br />
ingovernabili per la presenza e la compromissione<br />
partitica. I giornali locali dovrebbero<br />
fare opposizione seria sui fatti quotidiani,<br />
sulle cose da fare, prendendo così il ruolo di<br />
opposizione vera che in molte amministrazioni<br />
viene mancando. Opposizione quindi<br />
non per principio, per il gusto di farla: ma<br />
opposizione sulle cose concrete.”<br />
Chiaro e senza fronzoli Sciascia ha detto<br />
anche in questa occasione ciò che pensava,<br />
tracciando infine una strada da percorrere a<br />
quei “ragazzi” che avevano pensato di dar<br />
vita al giornale del paese, che non fu mai<br />
sottovalutato dallo scrittore, che, anzi, in quei<br />
giovani vedeva avanzare il futuro di Racalmuto.<br />
Questo articolo è forse l’intervento più appropriato<br />
per concludere questa ricerca su Sciascia<br />
e il giornalismo, dal momento che riassume<br />
l’opinione e l’esperienza dello scrittore<br />
siciliano riguardo il mondo dell’informazione.<br />
È quasi un “testamento spirituale” consegnato<br />
ai giovani del suo paese, che a distanza<br />
di anni non hanno mai dimenticato i consigli<br />
di Sciascia, un maestro che diceva di essere<br />
stato in un certo senso un “pessimo<br />
maestro”, “senza eccessiva vocazione”.<br />
31 (35)
L A S T O R I A<br />
OLTRE ALLE BOMBE DEL 1969 ALTRE DUE VOLTE LA CITTÀ HA PIANTO DECINE<br />
Prima del 12 dicembre 1969, la cieca violenza del terrorismo aveva ferito Milano altre due volte. Accadde negli<br />
anni Venti. La prima nel 1921; la seconda nel 1928. Quella del 1921 è passata alla storia come la strage del Teatro<br />
Diana; l’altra, del 1928, è nota come l’attentato alla Fiera.<br />
I due atti criminosi provocarono quarantuno morti e centoventi feriti. Soltanto nel primo caso si riuscì ad acciuffare<br />
i responsabili. Quanto al misfatto della Fiera (com’è accaduto per piazza Fontana), gli autori non furono mai<br />
individuati. In quest’ultimo caso, la rozzezza impiegata dagli inquirenti nella conduzione delle indagini, provocò la<br />
Le stragi degli anni Venti. Quan<br />
23 marzo 1921<br />
di Enzo Magrì<br />
Il programma al Teatro Diana era intenso la<br />
sera del 23 marzo 1921. La compagnia<br />
Daclee dava l’ultima rappresentazione di<br />
Mazurca blu di Franz Lehar. A metà recita,<br />
fra il secondo e il terzo atto dell’operetta, il<br />
maestro Giuseppe Berrettoni, in onore del<br />
quale era dedicata la serata, avrebbe diretto<br />
una sinfonia. Alle 22,25 calò il sipario di velluto<br />
verde e i venti orchestrali si dispersero<br />
nella sala per salutare amici e colleghi.<br />
Quando, dieci minuti più tardi si sente il trillo<br />
che richiamava tutti al proprio posto, la ripresa<br />
subisce un ritardo inaspettato. I professori<br />
minacciano uno sciopero per licenziamento<br />
d’un loro collega. Il maestro Berrettoni<br />
deve usare tutta la sua influenza per convincere<br />
gli orchestrali a riprendere i loro posti.<br />
Manca qualche minuto alle 23. Il sipario sta<br />
per alzarsi quando il teatro è investito da uno<br />
scoppio avvertito da gran parte della città.<br />
Una potente bomba collocata in via Mascagni,<br />
provoca, lungo il lato destro della sala,<br />
una vasta breccia fra la buca dell’orchestra e<br />
le prime file delle poltrone. La deflagrazione<br />
uccide all’istante diciassette persone fra<br />
orchestrali e spettatori. Saliranno a ventuno<br />
nei giorni successivi. I feriti sfiorano il centinaio.<br />
Lo scoppio provoca il crollo del grande<br />
lampadario centrale ma lascia accese le luce<br />
laterali che offrono l’immediata, tragica,<br />
immagine della sala: poltrone rovesciate,<br />
scheggiate o strappate dai loro posti, leggii<br />
dell’orchestra contorti e sepolti fra i calcinacci<br />
caduti dal soffitto, corpi sfregiati e straziati.<br />
Dalla via Mascagni, attraverso i telai senza<br />
vetri delle finestre, è possibile scorgere le<br />
quinte del palcoscenico e gli scenari lacerati<br />
e tagliuzzati dalle schegge della bomba. Tra i<br />
feriti leggeri c’è l’attrice Dina Galli che era<br />
seduta su una poltrona di quarta fila accanto<br />
alla figlia rimasta incolume. Quasi alla stessa<br />
ora scoppia un altro ordigno sotto il muro di<br />
cinta della centrale elettrica di via Gadio che<br />
provoca solo danni materiali.<br />
La strage è presa come pretesto da alcuni<br />
squadristi per eseguire una spedizione punitiva<br />
contro la sede del giornale anarchico<br />
Umanità Nova in via Goldoni e contro la<br />
nuova redazione dell’Avanti in via san<br />
Damiano. Una pattuglia di poliziotti posta a<br />
presidio del giornale socialista blocca in<br />
corso Manforte una carrozza con tre persone<br />
a bordo. Gli sconosciuti, scesi dal mezzo,<br />
scappano inseguiti da un drappello di agenti<br />
mentre il resto della pattuglia perquisisce la<br />
vettura dove trova due rivoltelle ed alcune<br />
bombe a mano. L’inseguimento <strong>dei</strong> fuggitivi<br />
dà esiti inaspettati: uno di loro, che si è gettato<br />
nel naviglio asciutto, è bloccato dalle guardie.<br />
Si chiama Antonio Pietropaolo ed è uno<br />
studente della Bocconi. Non è un fascista<br />
bensì un anarchico che insieme con altri due<br />
compagni di fede avrebbero dovuto incendiare<br />
la redazione dell’Avanti. Si scoprirà più<br />
tardi che l’attentato al giornale socialista<br />
faceva parte d’un piano terroristico anarchico<br />
la cui prima parte era stata già attuata con<br />
la collocazione della bomba al Teatro Diana<br />
e dell’altra alla centrale elettrica di via Gadio.<br />
Nel volgere d’una settimana la polizia risolve<br />
il caso e arresta gli autori della strage. Sono<br />
Giuseppe Mariani, 23 anni di Mantova, un<br />
frenatore delle Ferrovie, denunciato quale<br />
disertore della guerra 1915-1918, Giuseppe<br />
Boldrini, 23 anni, anche lui di Mantova (che<br />
si proclamerà sempre innocente) ed Ettore<br />
Aguggini, 25 anni di Brescia. Mariani e Aguggini,<br />
l’anno precedente avevano realizzato<br />
altri due attentati senza vittime: uno al bar<br />
Cova e l’altro in piazza Cavour. In carcere<br />
finiscono altre quattordici persone accusate<br />
di complicità con gli autori <strong>dei</strong> delitti del 23<br />
marzo e di altre scelleratezze attuate nei<br />
mesi precedenti. Le indagini accertano<br />
inequivocabilmente che la bomba collocata<br />
in via Mascagni dietro le mura del teatro non<br />
era diretta a provocare la strage degli spetta-<br />
tori che il Diana ospitava quella sera bensì<br />
ad uccidere il questore Giovanni Gasti, ritenuto<br />
uno <strong>dei</strong> responsabili della lunga e<br />
immotivata detenzione di tre anarchici: Errico<br />
Malatesta, Armando Borghi e Corrado<br />
Quaglino. Quando Malatesta viene a conoscenza<br />
del massacro esprime “il suo sdegno<br />
per il delitto esecrando che giova solo a chi<br />
opprime i lavoratori e a chi perseguita il<br />
nostro movimento”. L’attentato contribuirà<br />
effettivamente a imprimere un forte impulso<br />
al movimento fascista che l’anno successivo<br />
conquisterà il potere con la marcia su Roma.<br />
Tra i fondatori di Umanità nova, esponente<br />
di punta dell’anarchismo italiano, Errico<br />
Malatesta, era rientrato dall’Inghilterra il 24<br />
dicembre 1919. Casertano, amico di Bakunin,<br />
era stato uno <strong>dei</strong> dirigenti della I Internazionale.<br />
Aveva fatto parte della banda del<br />
Matese. Più volte arrestato, si era sovente<br />
allontanato dall’Italia per non finire in galera<br />
a causa della sua attività politica. Nel caoti-<br />
co dopoguerra, egli aveva assolto un ruolo<br />
determinante alla guida del movimento<br />
anarchico tanto da sollevare preoccupazioni<br />
nell’establishment italiano. Per questa<br />
ragione, il 17 ottobre 1920 era stato arrestato<br />
a Milano insieme con i due compagni<br />
di fede Borghi e Quaglino, redattori di<br />
Umanità Nova.<br />
Nonostante la mancanza d’un’imputazione<br />
determinata, i tre sono tenuti nel carcere di<br />
San Vittore. Per protesta contro l’illegale<br />
misura che si protrae per cinque mesi, il 13<br />
marzo i tre iniziano uno sciopero della fame.<br />
In loro favore comincia in diverse parti d’Italia<br />
una vasta agitazione con scioperi a Carrara,<br />
Piombino, Valdarno e Liguria. Gli anarchici<br />
milanesi, decidono di esprimere la loro solidarietà<br />
con i detenuti mettendo a segno una<br />
terna d’attentati che hanno per obiettivo la<br />
centrale elettrica di via Gladio, il giornale<br />
socialista l’Avanti e l’albergo Diana, in via<br />
Mascagni, nei pressi del teatro. Il più impegnativo<br />
di questi gesti avrebbe dovuto essere<br />
quest’ultimo che aveva come obiettivo un<br />
questore. Questi era Giovanni Gasti, un alessandrino<br />
considerato un funzionario inflessibile.<br />
Studioso di criminologia era ritenuto<br />
dagli anarchici amico di Mussolini. In realtà<br />
Gasti era una sorta di Javert, “l’uomo del<br />
dovere” <strong>dei</strong> Miserabili. Egli infatti era stato<br />
implacabile anche nei confronti del futuro<br />
duce. Per la Direzione centrale della Polizia<br />
aveva redatto un rapporto informativo sulla<br />
vita del futuro duce alquanto sfavorevole: non<br />
aveva trascurato di annotare nulla <strong>dei</strong> suoi<br />
burrascosi trascorsi.<br />
Il questore abita in un appartamento sopra<br />
l’entrata dell’hotel Diana. La bomba per uccidere<br />
il poliziotto è preparata da Mariani e<br />
Aguggini. Nel gruppo c’è anche una donna<br />
Elena Melli che ha funzioni di collegamento.<br />
L’ordigno esplosivo consiste in 160 candelot-<br />
Attentato al Teatro Diana<br />
(21 morti).<br />
Responsabili in galera<br />
Foto Olympia<br />
L’obiettivo era il questore Giovanni Gasti, ritenuto uno <strong>dei</strong> responsabili<br />
della lunga e immotivata detenzione di tre anarchici (Errico Malatesta,<br />
Armando Borghi e Corrado Quaglino).<br />
ti di gelatina (una ventina di chili di materiale)<br />
sistemati in un cestone coperto di paglia<br />
sopra la quale sarebbero state deposte alcu<br />
ne bottiglie vuote.<br />
Ancora il 21 marzo, gli attentatori sono indecisi<br />
sulle modalità con cui operare: dapprima<br />
pensano di noleggiare un carretto a mano,<br />
caricarvi il cesto, posteggiare il veicolo nella<br />
stradina in cui s’affaccia l’Hotel sotto l’appartamento<br />
di Gasti, accendere la miccia e<br />
scappare. L’altra soluzione è quella di portare<br />
la valigia con la bomba dentro la Questura,<br />
il più possibile vicino all’ufficio del funzionario<br />
e farla brillare. Passa la prima soluzione.<br />
Ma anziché in un cesto, l’esplosivo è<br />
sistemato in una valigia.<br />
L’hotel Diana faceva corpo con il teatro dal<br />
quale era separato da una semplice parete.<br />
La sera del 23 marzo, Mariani e Aguggini,<br />
che hanno preparato la bomba a Mantova e<br />
l’hanno portata a Milano affidandola a Boldrini,<br />
prelavano da quest’ultimo la valigia e la<br />
portano in via Mascagni.<br />
Secondo il piano l’ordigno avrebbe dovuto<br />
essere collocato dietro la prima saracinesca<br />
dell’hotel, quella più vicina al teatro, per far<br />
saltare l’ala dell’albergo dove i tre credono vi<br />
sia l’appartamento in cui alloggia Gasti.<br />
Poiché sopraggiungono alcune persone,<br />
Mariani, per liberarsi subito dell’esplosivo,<br />
lascia il bagaglio dietro una porta che immette<br />
nella platea del teatro. Poco prima delle<br />
23, il ferroviere innesca la miccia, scappa<br />
insieme con l’Aguggini, raggiunge Boldrini<br />
che se ne sta poco discosto (ma questi<br />
negherà sempre d’essere stato presente alla<br />
collocazione della bomba) e tutti e tre si<br />
perdono nel buio.<br />
La strage farà inorridire anche i suoi autori.<br />
Boldrini, ripeto, si proclamerà sempre innocente.<br />
Dirà che egli, pur non negando la sua<br />
fede anarchica, non aveva preso parte all’attentato,<br />
e che almeno quattro persone sapevano<br />
dove egli si trovasse al momento dello<br />
scoppio dell’ordigno.<br />
Faceva riferimento a testimoni che non nominava<br />
ma attendeva che sentissero il dovere<br />
di presentarsi alla Giustizia. Gesto questo<br />
che gli sconosciuti, ammesso che fossero<br />
mai esistiti davvero, non fecero mai.<br />
Il processo contro Mariani, Boldrini, Aguggini<br />
e altri quattordici, cui fu imputata la strage<br />
del teatro Diana, la collocazione della bomba<br />
alla centrale elettrica di via Gadio, il mancato<br />
attentato all’Avanti e le esplosioni di alcuni<br />
ordigni avvenute l’anno precedente (tranne<br />
quelle al Cova per le quali era stato condannato<br />
a 24 anni di carcere il ferroviere), fu<br />
celebrato a Milano dal 9 al 31 maggio 1922.<br />
Mariani fu condannato all’ergastolo, Boldrini<br />
e Aguggini a trent’anni. A tutti gli altri furono<br />
comminate pene dai sedici ai due anni di<br />
carcere. Sinceramente pentito, il ferroviere<br />
dopo la sentenza dichiarerà che al processo<br />
avrebbe preferito avere come giurati i parenti<br />
delle vittime, “perché se lo avessero ritenuto<br />
giusto avrebbero potuto fare giustizia<br />
sommaria”.<br />
Sconterà venticinque anni di carcere. Entrato<br />
ventitreenne all’ergastolo di Santo Stefano<br />
di Ventotene, ne uscì quarantottenne nel<br />
luglio del 1946 graziato dal presidente provvisorio<br />
della Repubblica, Enrico De Nicola.<br />
Appena lasciato il carcere, dichiarò di “abiurare<br />
all’idea che il terrorismo possa essere<br />
una necessità rivoluzionaria”. Si dichiarò<br />
persuaso “del suo valore negativo tra i fattori<br />
di lotta contro la società borghese e che<br />
esso sta alla rivoluzione come il furto all’espropriazione”.<br />
Poco dopo aver conquistata la libertà, scrisse<br />
un libro, Memorie di un ex terrorista, in cui<br />
puntualizza alcuni aspetti dalla sua vicenda.<br />
La strage del Diana fu uno di quegli eventi<br />
che favorirono sicuramente l’ascesa del<br />
fascismo. Furono in molti tra gli antifascisti<br />
ad azzardare l’ipotesi che i terroristi fossero<br />
stati addirittura “orientati” dalla polizia.<br />
Questa per esempio è la convinzione del<br />
prefatore del libro di Mariani; Gigi Damiani.<br />
Scrisse: “Fu la polizia a condurre per mano<br />
gli esacerbati terroristi fino davanti alle griglie<br />
del teatro Diana”.<br />
Onestamente Mariani però confessò: “Non<br />
ho mai pensato, come sempre hanno fatto<br />
alcuni miei compagni, in base ad elementi<br />
che mi hanno detto positivi, fino a credere<br />
possibile una revisione del processo, d’incolpare<br />
qualcuno che vicino a noi sapesse<br />
manovraci tanto bene da farci credere che<br />
avremmo colpito il questore e altre personalità<br />
e che invece ci facevano colpire delle<br />
povere persone innocenti intente solo a<br />
divertirsi”. Un fatto tuttavia è incontestabile.<br />
Elena Melli, la donna che frequentava il gruppo<br />
anarchico e che prese parte attiva alla<br />
preparazione degli attentati, non comparve<br />
fra gli imputati del processo.<br />
Non fu neppure denunciata. Fuggita in Sudamerica,<br />
di lei non si seppe mai più nulla.<br />
32 (36) ORDINE 3 <strong>2005</strong>
DI VITTIME<br />
morte di due innocenti. Il primo morì nei giorni che seguirono l’atto criminale per le botte subite durante gli interrogatori: era<br />
Romolo Tranquilli, fratello di Ignazio Silone. La seconda vittima fu un chimico milanese, Umberto Ceva. La polizia fascista lo<br />
aveva fermato per un attentato dimostrativo che esponenti di G.L. avrebbero dovuto compiere nei primi mesi del 1930 e che l’avvocato<br />
Carlo Del Re, la “spia del regime” aveva denunciato all’Ovra. Forzando labili connessioni, il fascismo aveva tentato di<br />
accollargli la strage della Fiera. Profondamente turbato da quel sospetto, il professionista si tolse la vita dopo aver lasciato una<br />
nobile lettera alla moglie.<br />
do il terrorismo colpiva Milano<br />
12 aprile 1928<br />
di Enzo Magrì<br />
La mattina del 12 aprile 1928 Milano è pavesata<br />
di bandiere e di orifiamma. Vittorio Emanuele<br />
III deve recarsi ad inaugurare la IX Fiera.<br />
Secondo il programma, il sovrano dovrebbe<br />
giungere alla Campionaria alle 9,50 entrando<br />
da piazzale Giulio Cesare. Per le consuete<br />
precauzioni che la polizia adotta in queste<br />
circostanze, l’orario d’arrivo del corteo è ritardato<br />
di cinque minuti. Quando scocca l’ora ufficiale<br />
della visita, nel piazzale esplode una<br />
bomba che semina morte tra le decine di<br />
persone in attesa di vedere il re: si conteranno<br />
venti cittadini deceduti e oltre quaranta feriti.<br />
Una bimba è mutilata; di una famiglia di cinque<br />
persone resta un solo superstite; tutt’intorno c’è<br />
morte e distruzione. Il regime si mobilita per la<br />
caccia ai colpevoli. Il capo della polizia Arturo<br />
Bocchini spedisce a Milano due suoi abili ispettori:<br />
Giuseppe Valenti e Francesco Nudi. Per le<br />
leggi straordinarie del 25 novembre 1926, la<br />
strage è di competenza del Tribunale speciale<br />
per la difesa dello stato. Il nuovo organismo<br />
rivendica a sé “l’onore” dell’istruttoria e si trasferisce<br />
a Milano. Nel capoluogo lombardo giunge<br />
pure il sottosegretario agli Interni Michele Bianchi.<br />
Mussolini invia un telegramma con il quale attribuisce<br />
la responsabilità agli antifascisti.<br />
Contemporaneamente affida le indagini alla<br />
Milizia ferroviaria e spedisce nel capoluogo<br />
lombardo il capo di stato maggiore, console<br />
Valerio Lucchini. L’incarico conferito alla massima<br />
carica del corpo speciale impegnato con<br />
esercito e polizia al mantenimento dell’ordine<br />
interno, è giustificato con il ritrovamento, avvenuto<br />
qualche giorno prima sotto i binari della<br />
Milano-Piacenza, d’una bomba ad orologeria.<br />
Agli inizi di aprile un ordigno era stato scoperto<br />
nella cantina dell’arcivescovado mentre in<br />
marzo un altro era esploso ai piedi del monumento<br />
a Napoleone III, collocato nel cortile del<br />
Senato dove era stato lasciato anche uno scritto<br />
inneggiante alla libertà. Frammenti di<br />
quest’ultima bomba e parti di quelle inesplose,<br />
erano stati affidati a un perito, il generale d’artiglieria<br />
Alfredo Torretta che aveva trovato delle<br />
analogie nella loro fabbricazione.<br />
Sotto la guida della milizia, polizia e carabinieri<br />
orientano le ricerche <strong>dei</strong> colpevoli verso comunisti,<br />
anarchici e repubblicani. La magistratura<br />
dal canto suo incarica della perizia sulla bomba<br />
di piazzale Giulio Cesare il tenente colonnello<br />
Mario Grosso, perito balistico della sezione<br />
staccata d’artiglieria di via Calatafimi. L’esperto<br />
stabilisce che si tratta d’una bomba “detonante”,<br />
formata da una certa quantità di gelatina<br />
racchiusa in un sottile involucro di tela cerata. Il<br />
pacco era stato collocato nello spazio vuoto fra<br />
un palo della luce e il suo basamento in ghisa:<br />
vi era stato introdotto attraverso lo sportello di<br />
facile apertura e di altrettanta facile chiusura e<br />
appoggiato verso il lato del piazzale dove sorge<br />
l’edificio con il civico numero 18.<br />
L’esplosivo era collegato, attraverso un filo elettrico,<br />
a un congegno ad orologeria. Secondo<br />
l’esperto, la carica del movimento a tempo non<br />
poteva essere superiore alle dodici ore: il<br />
convincimento fu comunque che quell’ordigno<br />
dovesse essere stato infilato nel basamento del<br />
palo attorno alle cinque del mattino.<br />
Durante lo svolgimento delle indagini sono<br />
fermate e rilasciate più di cinquecento persone.<br />
Lo zelo degli inquirenti nel volere trovare a<br />
tutti i costi i colpevoli è così eccessivo da stravolgere<br />
le esistenze di parecchi innocenti. Uno<br />
di questi è Romolo Tranquilli, il ventiseienne<br />
fratello di Secondino Tranquilli, Ignazio Silone.<br />
Romolo “è un giovane di sentimenti cattolici,<br />
vagamente antifascista, più amante dello sport<br />
che della politica”. Il fratello Secondo lo aveva<br />
sistemato presso il don Orione, a Venezia, in<br />
una casa per giovani artisti.Temendo che il suo<br />
antifascismo avrebbe potuto nuocere al giovane<br />
congiunto, lo scrittore aveva deciso di<br />
mandarlo in Svizzera. A portarlo fuori dall’Italia<br />
era stato incaricato un amico di Silone, un<br />
comunista che avrebbe dovuto incontrarlo sul<br />
ORDINE 3 <strong>2005</strong><br />
lungolago di Como; il luogo dell’appuntamento<br />
era stato segnato in una cartina.<br />
Fermato dalla polizia, Romolo fu trasferito a<br />
Milano. La piazza di Como antistante il lago,<br />
luogo del rendez vous, fu scambiata dagli inquirenti<br />
per piazzale Giulio Cesare ed il giovane fu<br />
sottoposto a brutali interrogatori. I suoi onesti,<br />
insistiti, dinieghi furono presi per omertosi segni<br />
di complicità con gli assassini. Picchiato con<br />
sacchetti di sabbia “che non lasciavano tracce<br />
estreme ma scardinavano l’interno”, riportò la<br />
frattura d’una costola. Morì in carcere.<br />
Delle cinquecentosessanta persone arrestate,<br />
trecento sono subito rilasciate e soltanto due,<br />
gli anarchici Gino Nibbi, originario di Massa e<br />
Libero Molinari (il cui padre, anche lui anarchico,<br />
era un chimico di valore, amico di Errico<br />
Malatesta) sono considerati implicati nell’attentato.<br />
Più che la scoperta <strong>dei</strong> colpevoli, l’indagine<br />
mette in luce le frizioni tra gli inquirenti che<br />
si dividono tra duri e moderati. Guido Leto, alto<br />
funzionario addetto ai servizi politici della dire-<br />
zione di Polizia e dal 1938 capo dell’Ovra, scrisse<br />
che “la polizia non si lasciò mai abbacinare<br />
da inchieste fatte da altri organi dilettantistici più<br />
o meno politici”.<br />
Il poliziotto allude alla milizia, a Lucchini e al<br />
procuratore generale del Tribunale speciale<br />
Balzamo i quali ritenevano che esistessero le<br />
prove per mandare subito davanti ai giudici<br />
dello speciale organismo Nibbi e Molinari.<br />
Contro questa tesi militava il capo della Polizia<br />
Arturo Bocchini. Attraverso i suoi collaboratori<br />
faceva presente la necessità che si procedesse<br />
almeno con il rito formale. Alla fine la spuntò<br />
lui. Più tardi i due imputati furono assolti in<br />
istruttoria.<br />
Gli autori della strage di piazzale Giulio Cesare<br />
non sono mai stati scoperti. “Il più grave cruccio<br />
di Bocchini” ricorda Leto nelle sue memorie”<br />
fu di non essere riuscito a vedere chiaro in<br />
questo tragico episodio ed egli non si stancò<br />
mai di stimolare i suoi collaboratori affinché non<br />
trascurassero nulla per far luce sull’attentato”.<br />
Le stragi i cui autori restano sconosciuti scatenano<br />
(la storia del dopoguerra annovera parecchi<br />
esempi) ridde di ipotesi nelle quali l’uomo<br />
della strada ha difficoltà ad orientarsi. La stessa<br />
cosa avvenne per l’attentato alla Fiera. Una<br />
delle più accreditate fu quella che formulò<br />
Cesare Rossi, prima addetto stampa di Mussolini<br />
quindi perseguitato e arrestato dal fascismo.<br />
Raccontò che il vice questore di Milano Salvatore<br />
Haro, parlando dopo la Liberazione, della<br />
strage con Luigi Gasparotto, deputato alla<br />
Costituente, più volte ministro prima e dopo il<br />
fascismo, se ne uscì con questa frase: “Cosa<br />
vuole onorevole. Ad un certo punto ci siamo<br />
dovuti fermare. Andando avanti ci saremmo<br />
imbattuti nei fascisti, gente di Giampaoli”. Mario<br />
Giampaoli, squadrista, era a quel tempo il<br />
segretario federale di Milano.<br />
A suffragare l’ipotesi che l’attentato potrebbe<br />
essere stato eseguito dagli stessi fascisti (ma,<br />
Attentato alla Fiera<br />
(20 morti).<br />
Impunito come piazza Fontana<br />
Vittorio Emanuele III sfugge<br />
alla bomba, perché è in ritardo<br />
Foto Olympia<br />
ripeto è una delle tante ipotesi) qualcuno ricorda<br />
un episodio alquanto misterioso avvenuto il<br />
giorno dopo la strage di piazzale Giulio Cesare.<br />
In una caserma della Milizia di via Mario<br />
Pagano si verificò un episodio oscuro: due militi<br />
furono uccisi e due rimasero feriti dalla pallottola<br />
accidentalmente sparata dal moschetto<br />
d’un loro commilitone. Poiché risultava difficile<br />
credere che una sola fucilata avesse potuto<br />
colpire quattro persone, nacque la supposizione<br />
che quell’evento fosse in relazione con la<br />
strage.<br />
Nel 1930 si tentò di attribuire la responsabilità<br />
<strong>dei</strong> morti della Fiera ad un gruppo di antifascisti<br />
denunciato all’Ovra dalla “spia del regime”<br />
Carlo Del Re. Questi, fingendosi contrario alla<br />
dittatura, aveva indotto una schiera di persone<br />
legata a G.L., a preparare alcuni attentati dimostrativi.<br />
Facevano parte della squadra Ernesto<br />
Rossi, Riccardo Bauer, Ferruccio Parri e altre<br />
ventuno persone tra le quali Umberto Ceva, un<br />
chimico che, come scrisse Rossi, “mise a<br />
disposizione della cospirazione la sua cultura<br />
tecnica preparando tra l’altro nuove formule<br />
d’inchiostro simpatico e di reagenti.<br />
La scoperta nel dicembre del 1930 della cellula<br />
milanese di Giustizia e Libertà (nel comunicato<br />
della polizia compare per la prima volta<br />
l’acronimo Ovra) che aveva congegnato un<br />
paio di bombe per gli attentati dimostrativi sollecitati<br />
da Carlo del Re, non poteva non richiamare<br />
alla mente degli inquirenti la carneficina<br />
di piazzale Giulio Cesare. Tanto più che tra gli<br />
uomini che avevano avviato le prime indagini<br />
nel 1928 c’era Francesco Nudi divenuto nel<br />
frattempo capo della polizia politica milanese. Il<br />
poliziotto era naturalmente a conoscenza delle<br />
ipotesi formulate due anni prima.<br />
L’occasione è troppo ghiotta perché Nudi se la<br />
lasci sfuggire. Lui e il capo della polizia sono<br />
sempre alla ricerca <strong>dei</strong> veri colpevoli della strage<br />
e ancora impegnati a fare vedere a quei<br />
dilettanti della milizia ferroviaria che avevano<br />
avuto torto. La dimostrazione di un’eventuale<br />
compatibilità tra gli ordigni del 1928 e quelli<br />
preparati da Umberto Ceva avrebbe permesso<br />
all’uomo dell’Ovra di fare un colpo grosso. Nudi<br />
affida al generale Alfredo Torretta la perizia sul<br />
materiale infiammabile sequestrato nell’abitazione<br />
del chimico e di quell’altro che era stato<br />
recuperato nelle acque d’una roggia. Qualche<br />
mese più tardi, l’esito della perizia lo fa sobbalzare.<br />
In un capitolo dal titolo “Altri rilievi”, l’alto<br />
ufficiale ricorda che negli attentati di Milano, e<br />
“in particolare in quello di piazzale Giulio Cesare,<br />
si erano trovati congegni somiglianti”. Quindi<br />
rileva: “Mette però anche in evidenza un<br />
insieme di circostanze e di analogie talmente<br />
sorprendenti, anzi di identità tali, da far dubitare<br />
che quei tristi ordigni, che miravano a colpire<br />
cosi in alto e che causarono la morte di tante<br />
innocenti persone, avessero un’origine comune<br />
con questi, ora repertati”.<br />
Quel dubbio, esternato in una brutta frase dal<br />
perito, offre al poliziotto l’occasione per puntare<br />
i riflettori su Umberto Ceva lasciando per il<br />
momento nell’ombra tutti gli altri accusati.<br />
Secondo l’ispettore egli è il personaggio ideale<br />
per compiere l’azzardoso esperimento di stabilire<br />
la connessione tra la terribile strage del 12<br />
aprile 1928 e gli esponenti di G.L.<br />
Ceva è un trentenne bruno, dal viso serio di<br />
pensatore e dagli occhi cerchiati da un paio<br />
d’occhiali a stanghetta. Al momento del suo<br />
arresto è sereno, tranquillo. Se una pena lo<br />
strugge è il pensiero della moglie Elena e <strong>dei</strong><br />
due figli, Edoardo di 4 anni e Michele di 8 mesi.<br />
Tradotto a Roma come tutti gli altri, è confinato<br />
in una cella del raggio <strong>dei</strong> detenuti politici. Poi il<br />
presentimento d’un’ineluttabile sorte s’impadronisce<br />
di lui. Per logorarne la volontà e spegnerne<br />
la determinazione, il detenuto è lasciato in<br />
isolamento. Il 4 dicembre, lo stesso giorno in<br />
cui appare sulla stampa italiana il comunicato<br />
dell’Ovra, il chimico subisce un duro interrogatorio.<br />
“Non ho compiuto altro atto all’infuori di<br />
quelli che io stesso ho confessato, come ho già<br />
esposto” dichiara.<br />
Il 5 dicembre la moglie è convocata a Roma<br />
per il primo colloquio. I due s’incontrano la<br />
mattina del 7. Appena Elena Ceva vede entrare<br />
lo sposo nella stanza è colpita “da uno strano<br />
turbamento come di chi si trovi all’improvviso<br />
dinanzi a qualcuno che è ormai staccato<br />
dalla terra, che sfiora appena con passo lieve”.<br />
Il colloquio durò una quindicina di minuti. Il detenuto<br />
era presente e padrone di sé tanto da non<br />
lasciarsi sopraffare dalla commozione. Nell’abbracciarlo,<br />
alla fine dell’incontro, la sposa gli<br />
sussurrò all’orecchio che stesse tranquillo<br />
“perché si sarebbe fatto il possibile per aiutarlo”.<br />
Egli la guardò “come se quelle parole non<br />
avessero alcun significato per lui”. Lei afferrò le<br />
mani del congiunto, lo guardò negli occhi,<br />
mormorò: “Sempre cosi”. Lui rispose: “Va, va”.<br />
Umberto Ceva si avvelenò la notte di Natale<br />
del 1930. In una lettera all’ispettore Nudi scrisse:<br />
“Non ho fatto nulla, non ho visto nulla, non<br />
ho saputo che altri abbia fatto del male a una<br />
creatura umana”.<br />
33 (37)
DELIBERAZIONE DELL’ORDINE DEI GIORNALISTI DELLA LOMBARDIA<br />
Muscau: “Gli devo tutto.<br />
Ha segnato la mia vita”<br />
Caro Franco, sai che sono di poche parole,<br />
visto anche il nostro passato, ma la tua e<br />
vostra scelta mi ha commosso. Nino Nutrizio<br />
ha segnato la mia vita: nel 1971 mi prese nel<br />
suo giornale senza conoscermi. Accettò di<br />
ricevermi (grazie alla sollecitazione di Mario<br />
Bertoli, altro allevatore di giornalisti, strambo,<br />
ma ingiustamente dimenticato) solo per<br />
aver scritto una lettera in cui spudoratamente<br />
chiedevo di fare il giornalista. Non avevo<br />
la benché minima idea di che cosa fosse un<br />
giornale. Non mi chiese che idee politiche<br />
avessi (ero di sinistra) né che cosa sapessi<br />
fare (niente!). Semplicemente mi accettò<br />
perchè ero..sardo e con tanta voglia di lavorare.<br />
Assieme a me, lo stesso giorno, 1°<br />
luglio 1971, cominciò la sua carriera Giorgio<br />
Carbone. Allora a La Notte c’erano Vittorio<br />
Feltri (che mi insegnò e tanto), Fernando<br />
Mezzetti, Salvatore Scarpino, Arrigo Galli e<br />
tanti altri fior di giornalista. Se oggi nella mia<br />
carriera ho salito qualche gradino lo devo<br />
esclusivamente a Nino Nutrizio. E pensare<br />
che al primo colloquio litigammo, perfino,<br />
proprio sulla Sardegna. «Dove avete<br />
frequentato il liceo?», mi chiese, dandomi<br />
del Voi, da signore e galantuomo vecchio<br />
stampo.<br />
Poste Italiane SpA<br />
Sped.abb.post.<br />
Dl n. 353/2003<br />
(conv. in L. 27/2/2004<br />
n. 46)<br />
art. 1 (comma 2).<br />
Filiale di Milano<br />
Anno XXXV -<br />
Numero 3,<br />
<strong>Marzo</strong> <strong>2005</strong><br />
Direttore responsabile<br />
FRANCO<br />
ABRUZZO<br />
Direzione,<br />
redazione,<br />
amministrazione<br />
Via A. da Recanate, 1<br />
20124 Milano<br />
Centralino<br />
Tel.<br />
02 67 71 371<br />
Fax<br />
02 66 71 61 94<br />
<strong>Ordine</strong>/Tabloid<br />
ORDINE - TABLOID periodico ufficiale del Consiglio dell’<strong>Ordine</strong><br />
<strong>dei</strong> giornalisti della Lombardia<br />
Consiglio dell’<strong>Ordine</strong><br />
<strong>dei</strong> giornalisti<br />
della Lombardia<br />
Franco Abruzzo<br />
presidente;<br />
Cosma Damiano<br />
Nigro<br />
vicepresidente;<br />
Sergio D’Asnasch<br />
consigliere<br />
segretario;<br />
Alberto Comuzzi<br />
consigliere tesoriere.<br />
Consiglieri:<br />
Michele D’Elia,<br />
Letizia Gonzales,<br />
Laura Mulassano,<br />
Paola Pastacaldi,<br />
Brunello Tanzi<br />
Collegio<br />
<strong>dei</strong> revisori <strong>dei</strong> conti<br />
Giacinto Sarubbi<br />
(presidente),<br />
Ezio Chiodini<br />
e Marco Ventimiglia<br />
Direttore dell’OgL<br />
Elisabetta Graziani<br />
Seg. di redazione<br />
Teresa Risé<br />
Realizzazione grafica:<br />
Grafica Torri Srl<br />
(coordinamento<br />
Franco Malaguti,<br />
Marco Micci)<br />
La sala<br />
del Consiglio<br />
dedicata<br />
a Nino Nutrizio<br />
Milano, 25 gennaio <strong>2005</strong>. Il Consiglio dell’OgL, nella<br />
seduta di ieri, ha deliberato all’unanimità di dedicare<br />
la sala dove si riunisce, a Nino Nutrizio, il grande<br />
giornalista di origine dalmata, che ha fondato e<br />
diretto La Notte per 27 anni (dal 1952 al 1979). Nutrizio<br />
è stato uno <strong>dei</strong> più prestigiosi inquilini del Palazzo<br />
<strong>dei</strong> Giornali di via Antonio da Recanate 1, dove<br />
oggi l’<strong>Ordine</strong> della Lombardia ha i suoi uffici.<br />
Nel sito dell’OgL (www.odg.mi.it) la biografia di Nino<br />
Nutrizio (a firma di Massimo Emanuelli) e un articolo<br />
di Michelangelo Bellinetti sulla storia <strong>dei</strong> giornali<br />
dal 1950 in poi ospiti del palazzo di via Antonio da<br />
Recanate, 1 (La Patria, Il Tempo, L’Italia, La Notte,<br />
L’Avvenire, Gente, Guerin Sportivo).<br />
«A Bosa», risposi.<br />
«Sulla costa orientale della Sardegna,<br />
vero?» ribatté.<br />
«No, sulla costa occidentale», replicai - se<br />
permette la mia isola la conosco bene».<br />
«Anche io», rispose (all’epoca si mormorava<br />
avesse una celebre amica in Costa Smeralda)<br />
«Non come me» feci di rimando.<br />
Si alzò con una bacchetta, la puntò sull’ampia<br />
carta geografica dell’Italia che aveva alle<br />
spalle, cercò Bosa, la indicò e mi disse serio:<br />
«Avete ragione, potete andare».<br />
Era la fine del giugno 1971. Il colloquio era<br />
finito. Il 1° luglio successivo varcai il portone<br />
del palazzaccio di piazza Cavour. Assunto.<br />
Grazie, Franco.<br />
Costantino Muscau<br />
Sulas: “Ero ragazzo<br />
quando mi assunse”<br />
Nino Nutrizio, mitico direttore de La Notte, è<br />
stato un grande giornalista, un grandissimo<br />
uomo e un vero signore. Ero un ragazzo<br />
quando mi assunse alla Notte nel 1973, il<br />
giorno in cui a Bergamo fu rapito Mirko<br />
Panattoni e il Milan (di cui Nutrizio era tifoso)<br />
perdeva lo scudetto a Verona. Per 12 anni ho<br />
lavorato nella redazione di Bergamo, la città<br />
dell’editore Carlo Pesenti. Mai un problema,<br />
Stampa<br />
Stem Editoriale S.p.A.<br />
Via Brescia, 22 -<br />
20063 Cernusco<br />
sul Naviglio (Mi)<br />
Registrazione<br />
n. 213<br />
del 26 maggio 1970<br />
presso il Tribunale<br />
di Milano.<br />
Testata iscritta<br />
al n. 6197<br />
del Registro<br />
degli Operatori di<br />
Comunicazione (ROC)<br />
Comunicazione<br />
e Pubblicità<br />
Comunicazioni<br />
giornalistiche<br />
Advercoop<br />
Via G.C.Venini, 46<br />
20127 Milano<br />
Tel. 02/ 261.49.005<br />
Fax 02/ 289.34.08<br />
La tiratura<br />
di questo numero<br />
è di 24.225 copie<br />
Chiuso in redazione<br />
il 21 febbraio <strong>2005</strong><br />
4° “Premio giornalistico<br />
Mauro Gavinelli”<br />
BANDO DI CONCORSO<br />
mai una grana perchè il direttore era un Giornalista<br />
e un Signore. E che giornale che ci<br />
faceva fare! Sono stati gli anni più belli, intensi<br />
e di enormi soddisfazioni. Che rimpianto<br />
per quell’Uomo che ci dava del Voi, che incuteva<br />
soggezione e rispetto ma che trasudava<br />
Umanità. Finalmente qualcuno si è ricordato.<br />
Meglio tardi che mai. Complimenti al<br />
presidente Abruzzo!<br />
Giangavino Sulas<br />
Di Grazia.<br />
“Ammirevole decisione”<br />
Caro presidente, ammirevole decisione: un<br />
Fiumano, un Italiano!<br />
Luca di Grazia<br />
Lanza:<br />
“Non ne sono contento”<br />
Non ne sono contento: non posso dimenticare<br />
gli orrendi falsi che pubblicò sul suo<br />
giornale su Valpreda e su Pinelli. È sempre<br />
stato un giornalista “orrendamente” schierato.<br />
Sicuramente non verrò mai in quella sala<br />
a lui dedicata.<br />
Luciano Lanza<br />
Il Gruppo Altomilanese giornalisti (Gag), istituito nel 1993,<br />
con sede in Legnano, intende ricordare la figura di Mauro<br />
Gavinelli, che fu tra i soci fondatori e il primo presidente del<br />
Gag. A tale scopo, bandisce (con il sostegno del Comune di<br />
Legnano e dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti della Lombardia) la<br />
quarta edizione del “Premio giornalistico Mauro Gavinelli”.<br />
REGOLAMENTO<br />
art.1 - Il concorso premia il miglior articolo giornalistico,<br />
pubblicato su un quotidiano o un periodico italiano, che<br />
affronti un tema inerente l’attualità politica, economica, sociale,<br />
sportiva della Lombardia.<br />
art. 2 - Il premio è riservato ad autori fino a 35 anni d’età<br />
(compiuti entro il 21 marzo <strong>2005</strong>), non necessariamente<br />
iscritti all’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti, nell’intento di valorizzare le<br />
intuizioni e l’impegno di Mauro Gavinelli sulla formazione<br />
professionale <strong>dei</strong> giovani colleghi e degli aspiranti giornalisti.<br />
art. 3 - Il vincitore del premio riceverà la somma di euro 2.500<br />
(duemilacinquecento).<br />
art. 4 - L’iscrizione al concorso è gratuita.<br />
art. 5 - Ogni concorrente può partecipare presentando un<br />
solo articolo che sia stato pubblicato tra il 1° marzo 2004 e il<br />
20 aprile <strong>2005</strong>.<br />
art. 6 - Non sono ammessi articoli già premiati in altri concorsi<br />
giornalistici.<br />
art. 7 - Entro il 30 aprile <strong>2005</strong> ogni concorrente dovrà far<br />
pervenire alla segreteria del premio – recapitata a mano o<br />
servendosi del servizio postale (fa fede la data del timbro) –<br />
una copia originale del giornale sul quale è stato pubblicato<br />
Nino Nutrizio (secondo da destra) con un gruppo di colleghi a metà degli anni<br />
Cinquanta al Circolo della Stampa di Milano.<br />
De Vidovich:<br />
“Un amicizia dalmata”<br />
Gentilissimo dottor Abruzzo,<br />
con una certa commozione, leggo sull’ultimo<br />
numero di Tabloid le pagine dedicate a<br />
Nino Nutrizio, il “mitico” direttore della<br />
Notte, al quale ero legato da una amicizia<br />
nata dalla stima che avevo per lui come<br />
giornalista e dal fatto che provenivamo tutti<br />
e due dalla Dalmazia, lui nato a Traù ed io<br />
a Zara: da qui una più che modesta collaborazione,<br />
favorita allora dalla comune<br />
amicizia con Umberto Frugiuele, direttore<br />
dell’Eco della Stampa.<br />
Fra i vari ricordi personali, mi piace ricordare<br />
quello avuto con lui e con Frugiuele al Circolo<br />
della Stampa di Milano a metà degli anni<br />
‘50, del quale conservo la fotografia (che<br />
riproduciamo qui sopra, ndr) che mi pare<br />
utile inviare a lei in copia: mi creda, non è per<br />
un non esistente esibizionismo personale,<br />
ma solo per aggiungere, un modesto contributo<br />
al ricordo dedicato a Nino Nutrizio dal<br />
suo <strong>Ordine</strong> in occasione del trasferimento di<br />
sede.<br />
Gradisca i miei cordiali ed augurali saluti<br />
Mario de Vidovich<br />
l’articolo firmato o siglato, accompagnata da : a) una breve<br />
domanda d’iscrizione al concorso redatta in carta semplice,<br />
corredata dai dati anagrafici, dal curriculum vitae e dal recapito<br />
del concorrente; b) cinque fotocopie dello stesso articolo<br />
con cui si intende concorrere al Premio. Copie originali <strong>dei</strong><br />
giornali e fotocopie inviate non saranno restituite.<br />
art. 8 - La segreteria del premio, alla quale indirizzare<br />
domanda d’iscrizione, articoli in concorso e relative fotocopie<br />
è fissata nelle sede legale del Gag: presso Studio avvocato<br />
Fabrizio Conti, via della Liberazione 13, 20025 Legnano (MI).<br />
art. 9 - Ogni concorrente conserva la proprietà letteraria<br />
dell’articolo in concorso.<br />
art. 10 - La Giuria del concorso, che valuterà gli articoli giunti<br />
alla segreteria stabilendo il vincitore del premio, è composta<br />
da tre componenti del Consiglio direttivo del Gag fra cui il<br />
presidente in carica, da componente della famiglia Gavinelli<br />
– la quale finanzia l’iniziativa – e dal presidente dell’<strong>Ordine</strong><br />
<strong>dei</strong> giornalisti della Lombardia o da giornalista da questi indicato.<br />
Il giudizio della Giuria è insindacabile e inappellabile.<br />
art.11 - La presidenza della Giuria è affidata al presidente<br />
del Gag. La vice presidenza è ricoperta dal componente<br />
designato dalla famiglia Gavinelli.<br />
art. 12 - Tutti i partecipanti al concorso riceveranno l’invito<br />
alla cerimonia di premiazione che si terrà entro la fine di<br />
giugno <strong>2005</strong>.<br />
art. 13 - La partecipazione al Premio implica la piena accettazione<br />
delle norme contenute nel presente regolamento. La non<br />
osservanza di quanto richiesto comporterà l’esclusione dal<br />
concorso, senza che sia dovuta comunicazione al concorrente.<br />
Ulteriori informazioni sul concorso<br />
possono essere richieste telefonicamente<br />
(347.4205085, Francesco Chiavarini)<br />
34 (38) ORDINE 3 <strong>2005</strong>
Katia Ferri<br />
Lavorare da casa<br />
di Giacomo Ferrari<br />
Fino a qualche anno fa il concetto<br />
di telelavoro era ancora<br />
un po’ astratto. Tutti ne parlavano<br />
ma nessuno sapeva bene<br />
come e quando poteva<br />
essere applicato nella pratica.<br />
C’erano soltanto <strong>dei</strong> tentativi,<br />
anche qualche esempio<br />
concreto, circoscritti però<br />
ad attività particolari. Soprattutto<br />
non esisteva una normativa.<br />
Ebbene, nel giugno<br />
del 2004 il telelavoro ha acquisito<br />
dignità giuridica.<br />
Confindustria e sindacati (le<br />
parti sociali anche in questo<br />
caso hanno anticipato il legislatore)<br />
hanno siglato un accordo<br />
generale che, oltre a riconoscere<br />
ufficialmente la<br />
nuova modalità professionale,<br />
ha regolamentato per la<br />
prima volta la possibilità di<br />
“lavorare da casa”. E proprio<br />
questo slogan è il titolo del<br />
volume, arrivato in libreria lo<br />
scorso autunno, realizzato<br />
con grande tempismo da<br />
Katia Ferri, una giornalista<br />
che da anni si occupa della<br />
cosiddetta economia di servizio<br />
su testate specializzate<br />
come Il Sole-24 ore, Investire,<br />
Banca & Finanza.<br />
L’analisi della Ferri parte da<br />
Giuliana Pelucchi<br />
L’amore più grande<br />
di Olimpia Gargano<br />
Fra i sei nuovi santi canonizzati<br />
il 16 maggio scorso ci sono<br />
quattro italiani: due sacerdoti,<br />
don Luigi Orione e don<br />
Annibale di Francia, e due<br />
donne lombarde, Paola<br />
Elisabetta Cerioli e Gianna<br />
Beretta Molla, medico pediatra,<br />
che a trentanove anni sacrificò<br />
la propria vita a quella<br />
della creatura che portava in<br />
grembo. Come dice il cardinale<br />
Tettamanzi nell’introduzione<br />
al libro, quella di Gianna<br />
Beretta Molla è l’esempio di<br />
una vita “normale”. Nata nel<br />
1922 a Magenta da famiglia<br />
numerosa (tredici tra fratelli e<br />
sorelle, tre <strong>dei</strong> quali presero i<br />
voti), Gianna Beretta crebbe<br />
in un clima di spiritualità francescana.<br />
Pur essendo di agiate<br />
condizioni economiche (il<br />
padre, Alberto, era un importante<br />
dirigente del Cotonificio<br />
Cantoni), i Beretta avevano<br />
improntato la vita familiare alla<br />
solidarietà sociale e a una<br />
parsimonia operosa, di stampo<br />
lombardo. La madre,<br />
Maria, confezionava da sé i<br />
capi di vestiario per i figli, che<br />
solo in quinta ginnasio avevano<br />
diritto all’abito “pulcro”,<br />
un’usanza oggi scomparsa in<br />
cui il rito di passaggio all’età<br />
adulta era contrassegnato da<br />
un vestito realizzato da un<br />
buon sarto. Nel libro di Giu-<br />
ORDINE 3 <strong>2005</strong><br />
una constatazione: oggi in<br />
Italia i lavoratori dipendenti<br />
che si avvalgono della possibilità<br />
di fornire la propria opera<br />
a distanza sono almeno 50<br />
mila. E addirittura 400 mila<br />
sono i telelavoratori autonomi<br />
o atipici. Chi lavora da casa<br />
può distribuire il proprio tempo<br />
come vuole. Può insomma<br />
lavorare di sera o durante<br />
il weekend: importante è infatti<br />
raggiungere l’obiettivo finale,<br />
cioè produrre una determinata<br />
quantità di documenti,<br />
o altro, entro un tempo stabilito.<br />
L’azienda, da parte sua, risparmia<br />
in termini di spazi,<br />
attrezzature e servizi per il<br />
personale. Senza contare il<br />
vantaggio “sociale” della riduzione<br />
della mobilità delle persone,<br />
con vantaggi per il traffico<br />
e per l’efficienza <strong>dei</strong> trasporti<br />
pubblici.<br />
Insomma, il telelavoro ha<br />
molti vantaggi. Uno solo l’aspetto<br />
negativo: negli uffici le<br />
persone comunicano fra loro<br />
costantemente, socializzano<br />
e si scambiano opinioni ed<br />
esperienze. Farlo attraverso il<br />
telefono o l’e-mail non è la<br />
stessa cosa…<br />
Katia Ferri,<br />
Lavorare da casa,<br />
Sperling & Kupfer,<br />
pagine 220, euro 13,50<br />
liana Pelucchi la biografia (non<br />
agiografica, raccontata con<br />
semplicità attraverso le parole<br />
del marito e <strong>dei</strong> familiari) di<br />
santa Gianna Beretta Molla è<br />
anche occasione per rivivere<br />
momenti di storia quotidiana<br />
del secolo scorso.<br />
Da ragazza, Gianna viveva felice<br />
nella sua bella famiglia<br />
d’origine, in belle case fra<br />
Magenta, Milano, Bergamo e<br />
Genova, dove frequentò il liceo<br />
classico. Dopo i devastanti<br />
bombardamenti dell’agosto<br />
1941, i Beretta lasciarono<br />
Genova per stabilirsi nella casa<br />
<strong>dei</strong> nonni materni sul colle<br />
di San Vigilio, a Bergamo.<br />
Da studentessa liceale, Gianna<br />
Beretta era un punto di riferimento<br />
nei gruppi giovanili<br />
dell’Azione Cattolica. Nel<br />
1949 si laureò in Medicina a<br />
Pavia, e meno di tre anni dopo<br />
si specializzò in Pediatria. Suo<br />
fratello Enrico, medico missionario,<br />
aveva ricevuto dal cardinale<br />
Schuster l’incarico presso<br />
una diocesi del Brasile. La<br />
sorella Virginia, suora canossiana<br />
e anche lei medico, stava<br />
per partire per l’India.<br />
A trentadue anni, Gianna<br />
Beretta esercitava con entusiasmo<br />
la professione medica<br />
nell’ambulatorio di Mesero,<br />
presso Magenta. Per tutti i<br />
suoi pazienti aveva una parola<br />
di speranza, e spesso interveniva<br />
aiutandoli concretamente<br />
in situazioni di necessità.<br />
LA LIBRERIA DI TABLOID<br />
Gian Luigi Falabrino<br />
Il design parla italiano<br />
di Michele Giordano<br />
Domus riveste un ruolo importante<br />
nella storia del<br />
giornalismo italiano. Basti<br />
pensare che l’intuizione di<br />
investire in quell’impresa<br />
editoriale promossa nel<br />
1928 dall’architetto Gio<br />
Ponti, l’autore del Pirellone,<br />
fu di Gianni Mazzocchi che,<br />
diciassette anni dopo, fonderà<br />
L’Europeo, quello di<br />
Arrigo Benedetti, e, ventuno<br />
anni dopo, Il Mondo di Mario<br />
Pannunzio. La oggi settantasettenne<br />
rivista di architettura<br />
e design, oltre al primato<br />
nella diffusione della nostra<br />
cultura del costruire e dell’inventare<br />
nel mondo, dunque<br />
un primato decisamente<br />
giornalistico, può vantarne<br />
per lo meno un altro: aver<br />
dato il nome a Domus Academy,<br />
anche se la scuola è<br />
del tutto indipendente dalla<br />
rivista e dalla casa editrice.<br />
Domus Academy, se non fu<br />
in senso stretto la prima<br />
scuola italiana di design<br />
(erano già nate, via via,<br />
quella dell’Umanitaria; la<br />
Politecnica del Design di<br />
Nino Di Salvatore; l’Istituto<br />
europeo del Design) fu certamente<br />
quella più ad ampio<br />
Quando le restava tempo,<br />
amava dipingere e suonare il<br />
pianoforte. La sua vita scorreva<br />
serena, in attesa, diceva<br />
lei, che Dio le facesse riconoscere<br />
la sua vocazione. Per<br />
qualche tempo prese in considerazione<br />
l’idea di seguire la<br />
via intrapresa dai suoi fratelli<br />
missionari. Poi, l’incontro con<br />
Pietro Molla, e l’intima certezza<br />
di sentirsi chiamata a essere<br />
moglie e madre cristiana.<br />
Madre, Gianna Beretta Molla<br />
lo fu fino all’estremo sacrificio<br />
di sé, quando durante la sua<br />
quarta gravidanza un grave<br />
problema di salute la pose di<br />
fronte alla scelta fra la propria<br />
vita e quella del nascituro. “Se<br />
devi decidere fra me ed il<br />
bambino, non avere esitazioni:<br />
scegli - e te lo chiedo - il<br />
bambino”, disse al marito pochi<br />
giorni prima del parto. Il 28<br />
aprile 1962, una settimana<br />
dopo aver dato alla luce una<br />
bella bambina, Gianna<br />
Beretta Molla si spegneva. La<br />
sua immagine è diventata, in<br />
Italia e nel mondo, simbolo di<br />
maternità radiosa e tenace.<br />
Giuliana Pelucchi,<br />
L’amore più grande,<br />
Paoline Editoriale Libri,<br />
pagine 206, euro 11,00<br />
respiro, soprattutto dal punto<br />
di vista della sua internazionalità.<br />
Gian Luigi Falabrino, giornalista,<br />
già direttore delle riviste<br />
politico-culturali Diogene<br />
e Mondo Nuovo e oggi docente<br />
di Storia della comunicazione<br />
visiva alla facoltà<br />
di Architettura del Politecnico<br />
di Torino, di Teorie e<br />
tecniche della comunicazione<br />
pubblicitaria al Dams<br />
di Imperia e di Storia del<br />
giornalismo all’Ifg Walter<br />
Tobagi dell’<strong>Ordine</strong> lombardo,<br />
ha tracciato della Domus<br />
Academy una storia ragionata<br />
in Il design parla italiano,<br />
libro edito, con traduzione<br />
in inglese a fronte, da<br />
Scheiwiller.<br />
Quel che si proponeva Domus<br />
Academy alla sua nascita,<br />
fortemente voluta da<br />
Maria Grazia Mazzocchi<br />
con Alessandro Mendini,<br />
Valerio Castelli e Alessandro<br />
Guerriero, era, come<br />
spiega Gillo Dorfles nella<br />
prefazione, l’obiettivo di “colmare<br />
la lacuna esistente<br />
nell’insegnamento del design<br />
- in tutte le diverse branchie<br />
di graphic, product, fashion<br />
design - a un livello didattico,<br />
peraltro, che fosse<br />
decisamente post-universi-<br />
Maria Martello<br />
Intelligenza emotiva<br />
e mediazione<br />
di Franz Foti<br />
Leggendo il lavoro di Maria<br />
Martello potete essere certi<br />
di imbattervi in un lavoro originale,<br />
che lascia poco spazio<br />
agli accostamenti con<br />
Goleman. Qui l’intelligenza<br />
emotiva si conficca nelle radici<br />
scoperte del vivere quotidiano,<br />
percorre i cunicoli<br />
emotivi e razionali dell’agire<br />
per poi risalire in superficie,<br />
con una proposta di formazione<br />
capace di dare risposte<br />
a molti interrogativi. Al centro<br />
dello studio c’è, naturalmente,<br />
la vita con i suoi conflitti,<br />
con i suoi bisogni di comprensione<br />
e di mediazione.<br />
L’umanità è attraversata da<br />
sentimenti. Taluni forti, altri<br />
più deboli e non per questo<br />
meno duraturi, meno presenti<br />
nell’animo di chi li nutre. Ma<br />
in tutti gli ambiti dell’esistenza,<br />
delle relazioni umane, il<br />
conflitto assorbe molta parte<br />
delle energie degli uomini.<br />
Forse si trascorre più tempo<br />
nel confitto che nell’armonia.<br />
Martello circoscrive tre ambiti<br />
d’osservazione del conflitto, i<br />
più importanti: la scuola, la famiglia<br />
e il luogo di lavoro. Ma<br />
per gestire il conflitto bisogna<br />
anzitutto saperlo riconoscere.<br />
E riconoscerlo significa<br />
considerarlo nei modi e con i<br />
tempi giusti, cogliere con intelligenza<br />
la conoscenza del<br />
tario (postgraduate), dunque<br />
che presupponesse la<br />
presenza di una laurea ottenuta<br />
in una università italiana<br />
o straniera. Inoltre, fin<br />
dalle origini, venne affiancato<br />
alla scuola un Centro ricerche<br />
(che dal 2004 ha<br />
preso il nome di Darc), vennero<br />
organizzate importanti<br />
mostre come Moda Italia:<br />
creatività, impresa, tecnologia<br />
nel sistema italiano della<br />
moda, che si tenne nel 1988<br />
al Pier 88 di New York, esponendo<br />
i maggiori nomi <strong>dei</strong><br />
designer del settore made in<br />
Italy come Armani, Biagiotti,<br />
Fendi, Ferrè, Krizia, Missoni,<br />
Valentino e Versace.<br />
Meritato e ambitissimo premio,<br />
nel 1994, Domus Academy<br />
ricevette il Compasso<br />
d’Oro alla carriera offerto<br />
dall’Adi, l’associazione per il<br />
disegno industriale. E sono<br />
centinaia i giovani che, usciti<br />
da Domus Academy, hanno<br />
fatto conoscere al mondo la<br />
professionalità innovativa<br />
del designer italiano.<br />
Il libro di Falabrino ripercorre<br />
e sviscera le vivende della<br />
scuola e degli eventi di cui<br />
fu protagonista, grazie anche<br />
alle testimonianze <strong>dei</strong><br />
protagonisti: fra gli altri,<br />
Guido e Valerio Castelli,<br />
mondo dell’altro, precisare a<br />
se stessi il senso profondo<br />
del proprio agire sia nelle<br />
azioni che nelle reazioni. Una<br />
volta tracciati i confini del conflitto<br />
bisogna sviluppare l’arte<br />
della mediazione per riportare<br />
le “parti” a riconsiderare le<br />
reciproche ragioni e trovare<br />
una via d’uscita che mantenga<br />
il loro “equilibrio emotivo”,<br />
evitando di stabilire sconfitti e<br />
vincitori. Per fare tutto ciò occorre<br />
però dispiegare una ragnatela<br />
emotivamente intelligente,<br />
capace di maturità<br />
propria. E dunque necessita<br />
un mediatore che abbia consapevolezza<br />
delle proprie<br />
emozioni, che sappia classificarle<br />
e razionalizzarle, che<br />
sia in grado di controllarle. In<br />
questo modo si potrà essere<br />
attenti alle emozioni degli altri.<br />
Se si è in grado di riconoscere<br />
il proprio malessere,<br />
fissandone le coordinate<br />
principali, si potrà accogliere<br />
il malessere dell’altro. Il mediatore<br />
d’emozioni “è colui<br />
che sta in mezzo come spazio<br />
partecipato, in cui si assume<br />
“questo e quello” per capire<br />
le ragioni delle parti, per<br />
trovare le differenze e stimolare<br />
la ripresa della comunicazione<br />
interrotta cercando di<br />
giungere alla risoluzione pacifica<br />
<strong>dei</strong> conflitti”. Secondo<br />
Martello, bisogna riordinare e<br />
ricollocare le situazioni entro<br />
schemi razionali dopo averle<br />
Gianfranco Ferré, Alessandro<br />
Mendini. Segue<br />
un’appendice con seminari,<br />
conferenze, mostre, iniziative<br />
ideate da Domus Academy<br />
nei suoi oltre vent’anni<br />
di attività culturale. I giovani<br />
aspiranti designer interessati<br />
possono trarre ispirazioni<br />
e informazioni sul sito<br />
www.domusacademy.it.<br />
Gian Luigi Falabrino,<br />
Il design parla italiano.<br />
Vent’anni di Domus<br />
Academy,<br />
Libri Scheiwiller,<br />
Pagine 328, euro 30,00<br />
inquadrate e ridisegnate non<br />
solo sulla base <strong>dei</strong> dati oggettivi,<br />
ma di quelli intuitivi. E<br />
questo significa indagare tra<br />
le pieghe dell’agire e del pensare,<br />
considerare con attenzione<br />
ciò che appare confuso<br />
o poco comprensibile, dare<br />
valore alle proprie reazioni<br />
soggettive, non chiudersi nella<br />
ricerca di soluzioni esclusivamente<br />
razionali. Come si<br />
perviene allo sviluppo dell’intelligenza<br />
emotiva e alla mediazione?<br />
Maria Martello è<br />
perentoria: solo con la formazione!<br />
È a questo punto che<br />
viene in evidenza il modello<br />
umanistico proposto in questo<br />
lavoro che consiste nell’approfondire<br />
la propria formazione<br />
umana e professionale,<br />
nel rivedere ed elaborare<br />
i propri conflitti archiviati,<br />
nello sviluppare le proprie capacità<br />
di relazione, nell’esercitazione<br />
dell’espressione<br />
della propria intelligenza<br />
emotiva. Si tratta di un volume<br />
che è rivolto a tutti coloro<br />
che vogliono migliorare il proprio<br />
quotidiano, sentendo riconosciuta<br />
la propria dignità<br />
e soddisfatto il bisogno di<br />
condivisione e complicità.<br />
Maria Martello.<br />
Intelligenza emotiva<br />
e mediazione.<br />
Una proposta<br />
di formazione,<br />
Giuffrè Editore, euro 18,00<br />
35 (39)
LA LIBRERIA DI TABLOID<br />
Matteo Collura<br />
In Sicilia<br />
di Ottavio Rossani<br />
Matteo Collura ci ha regalato,<br />
nel suo più recente libro,<br />
un modo diverso di vedere la<br />
Sicilia. È possibile perché ci<br />
consegna lenti speciali fatte<br />
di scrittura evocatrice, denunciante,<br />
smitizzante: sono<br />
lenti paraboliche che permettono<br />
una visione d’insieme,<br />
ma in contemporanea<br />
anche visioni singole, parziali,<br />
delimitate. Sono lenti<br />
che ci inducono a viaggiare<br />
in Sicilia dall’alto ma anche<br />
dal basso, che ci concedono<br />
di parlare con i presenti e<br />
con gli assenti, con i contemporanei<br />
e con li trapassati.<br />
Queste lenti non attengono<br />
agli occhi ma alla mente:<br />
amplificano i pensieri, le<br />
memorie, le opere d’arte, gli<br />
eventi, i personaggi. Nel libro<br />
In Sicilia lo scrittore-giornalista<br />
siciliano, che ormai da<br />
30 anni è diventato “milanese”,<br />
con una lunga militanza<br />
di giornalismo culturale al<br />
Corriere della Sera, propone<br />
un itinerario letterario/entomologico<br />
che disvela illumina<br />
i chiaroscuri <strong>dei</strong> siciliani e<br />
della Sicilia, spiega le contraddizioni,<br />
motiva i rifiuti e<br />
l’indifferenza, sfata luoghi<br />
comuni, denuda il sistema<br />
osseo su cui si innerva un<br />
paesaggio perfettamente<br />
aderente al carattere <strong>dei</strong> siciliani.<br />
Collura estrae da<br />
Lido Picarelli<br />
Cetraro Nova<br />
di Filippo Senatore<br />
Il ritratto più efficace della piccola<br />
borghesia intellettuale del<br />
Mezzogiorno viene disegnato<br />
con fosche linee da Gaetano<br />
Salvemini su La Voce del 3<br />
gennaio 1909, rivista d’orientamento<br />
ostile a Giovanni Giolitti,<br />
fondata nell’anno precedente<br />
da Giuseppe Prezzolini. Forse<br />
l’amarezza di Salvemini, storico<br />
e meridionalista pugliese, è<br />
accentuata dalla perdita recente<br />
della moglie e <strong>dei</strong> figli sotto le<br />
macerie del terremoto di<br />
Messina. Giolitti, nel biennio<br />
1909/1910, pur rimanendo nell’ombra<br />
come il più potente uomo<br />
politico di quegli anni, lascia<br />
la presidenza del Consiglio<br />
prima a Sydney Sonnino<br />
e poi a Luigi Luzzatti.<br />
Siamo in epoca di grandi mutamenti<br />
economici e sociali.<br />
Decollo industriale, emigrazione,<br />
riordinamento del sistema<br />
bancario e crescita del reddito<br />
sino alla crisi del 1907.<br />
Arrivano le leggi speciali per il<br />
Mezzogiorno, la statizzazione<br />
delle ferrovie, la conversione<br />
della rendita, il monopolio statale<br />
delle assicurazioni sulla vita,<br />
la riforma scolastica Daneo-<br />
questo viaggio l’essenza<br />
stessa <strong>dei</strong> siciliani, come popolo<br />
invaso, conquistato,<br />
stuprato, sottomesso, amministrato,<br />
visitato, apprezzato<br />
o disprezzato. Insomma lo<br />
scrittore fa da guida al lettore,<br />
ma non per un tour turistico,<br />
bensì per un’immersione<br />
storica, letteraria, etnologica,<br />
archeologica, geografica.<br />
Tutti questi aspetti non sono<br />
in successione logica o cronologica<br />
o per capitoli. La<br />
narrazione, che di questo si<br />
tratta, è un tutt’uno di sentimenti,<br />
umori, ricordi, citazioni.<br />
In Sicilia è il libro “totale”,<br />
connaturato alla nascita e al<br />
primo vissuto, che prima o<br />
poi ogni scrittore vorrebbe<br />
scrivere. Il libro in cui l’autore<br />
ritrova le origini, gli amici, i<br />
maestri, i paesaggi, i sogni,<br />
le delusioni. Alla fine di questa<br />
esplorazione a tutto tondo<br />
restano soprattutto i lampi<br />
della disperazione per<br />
l’immutabilità delle cose e<br />
<strong>dei</strong> comportamenti, resta la<br />
sensazione e la convinzione<br />
dell’ “irredimibilità” del paesaggio<br />
siciliano, già sanzionata<br />
da Giuseppe Tomasi di<br />
Lampedusa, che Matteo<br />
Collura assume a paradigma<br />
per la comprensione dell’universo-Sicilia.<br />
È proprio il paesaggio la<br />
chiave di lettura. I siciliani vivono<br />
in un paesaggio che i<br />
visitatori stranieri considera-<br />
Credaro e l’introduzione del<br />
suffragio universale maschile.<br />
Un riformismo, quello di Giolitti,<br />
non privo di limiti e una politica<br />
economica che avrebbero favorito<br />
l’industria protetta e la<br />
grande proprietà terriera, tutelata<br />
dal dazio sul grano. Al riformismo<br />
empirico di Giolitti,<br />
Sonnino contrappone un programma<br />
non privo d’aperture<br />
sociali, attento ai problemi del<br />
Mezzogiorno ed alle condizioni<br />
delle classi rurali. Che cosa avviene<br />
in quel tempo a livello locale,<br />
in una piccola cittadina<br />
meridionale?<br />
Lido Picarelli, infaticabile cronista,<br />
ha scoperto la vita intensa,<br />
ma breve di una rivista edita a<br />
Cetraro, in provincia di Cosenza<br />
tra il 1909 e il 1910.Tre<br />
giovani studenti universitari,<br />
appartenenti alla borghesia cittadina<br />
decidono di fondare un<br />
periodico, Cetraro Nova.<br />
Non si tratta <strong>dei</strong> Cocò, figli di<br />
papà sbeffeggiati da Salvemini<br />
nel citato articolo de La Voce,<br />
ma al contrario di una nuova<br />
generazione che contesta, sia<br />
pure in modo garbato e moderato<br />
il potere amministrativo del<br />
municipio lanciando proposte<br />
concrete per il miglioramento a<br />
livello sociale del consorzio ci-<br />
no di straordinaria bellezza<br />
ma a loro è pressoché indifferente.<br />
Leonardo Sciascia a<br />
questo proposito parla di “invisibilità<br />
dell’evidenza”.<br />
Tomasi di Lampedusa, come<br />
già detto, definisce il<br />
paesaggio siciliano “irredimibile”.<br />
E Collura dice: “Ho voluto<br />
verificare se è vero che<br />
è ‘irredimibile’, e conclude:<br />
“Sì è vero, esiste un legame<br />
tra un determinato paesaggio<br />
e il carattere della gente<br />
che lo anima. Ma non esiste,<br />
non può esistere, un rapporto<br />
tra quel paesaggio e il<br />
sentire morale di quella stessa<br />
gente. La Sicilia, ora so, in<br />
questo non fa eccezione; e<br />
se quel rapporto vi appare<br />
connaturato è perché è stato<br />
sistematicamente violentato,<br />
corrotto, avvelenato dalla<br />
storia. Ecco il perché di tanto<br />
stravolgimento, di tanto oltraggio<br />
al paesaggio. Si illudono<br />
così di cambiare casa,<br />
gli inquilini della storia, mentre<br />
è questo nostro tempo a<br />
sfrattarli, togliendo loro una<br />
consapevolezza di cui andare<br />
fieri, e nello stesso tempo,<br />
di cui diffidare”.<br />
Collura si mette in cammino<br />
avendo addosso e negli occhi<br />
le percezioni già tramandate<br />
dai grandi scrittori che<br />
in passato hanno visitato e<br />
cercato di capire la Sicilia.<br />
Uno su tutti: Goethe, per il<br />
quale se si vuol capire qualcosa<br />
dell’Italia bisogna guar-<br />
vile. Il limite <strong>dei</strong> tre studenti,<br />
giornalisti dilettanti, è il soffermarsi<br />
verso una quotidianità locale<br />
non sempre riflesso di<br />
problematiche sociali e politiche<br />
generali. Il merito è tuttavia<br />
quello di affermare una voce<br />
critica nuova in un contesto di<br />
arretratezza e miseria della<br />
Calabria di quegli anni che l’8<br />
settembre 1905 viene colpita<br />
da un terremoto con epicentro<br />
a Monteleone Calabro, ma che<br />
s’irradia in gran parte della regione.<br />
Morti, feriti e devastazione<br />
in una terra già colpita da alluvioni,<br />
malaria e dal mal governo<br />
del territorio. La stampa<br />
nazionale dà rilievo all’evento,<br />
lanciando comitati di soccorso<br />
per raccogliere aiuti da portare<br />
nelle zone del sisma. Il re<br />
Vittorio Emanuele III accorre<br />
sui luoghi della sciagura con<br />
molti giornalisti al seguito compreso<br />
Luigi Barzini, mitico corrispondente<br />
del Corriere della<br />
Sera, appena rientrato dal fronte<br />
della guerra russo-giapponese.<br />
La legge 25 giugno 1906 stabilisce<br />
i provvedimenti a favore<br />
della Calabria per le zone terremotate<br />
con l’avvio di opere<br />
pubbliche edificative e ricostruttive.Alla<br />
piccola città di settemila<br />
anime, Cetraro, uno<br />
sperone di roccia affacciato sul<br />
Tirreno, spetta qualche briciola<br />
per la bonifica di un fatiscente<br />
borgo marinaro, l’edificazione<br />
di nuove case per pescatori e il<br />
completamento delle strade vicinali.<br />
La burocrazia parassitaria<br />
ed inefficiente, sia statale<br />
sia locale, rallenta il corso delle<br />
opere pubbliche. A parte la rife-<br />
dare la Sicilia, nulla accade<br />
in Italia che non sia già accaduta<br />
in Sicilia. Ma Collura<br />
fonda la sua capacità d’indagine<br />
sulla percezione della<br />
storia e <strong>dei</strong> comportamenti;<br />
pertanto i riferimenti culturali<br />
gli servono solo per sfatare<br />
le stupidità, per denunciare<br />
gli abusi, per stigmatizzare<br />
le abbiezioni lungo i secoli.<br />
Così sono presenti, in questo<br />
racconto che scopre le filigrane<br />
morali ed estetiche<br />
dell’isola e <strong>dei</strong> suoi abitanti, i<br />
numi tutelari della sua esperienza<br />
letteraria (Verga,<br />
Pirandello, Brancati, Tomasi<br />
di Lampedusa, Sciascia,<br />
Vittorini, Calvino, Malaparte,<br />
ecc.), e i luoghi che hanno<br />
colpito la sua immaginazione:<br />
da Portella della Ginestra<br />
alla Chiesa <strong>dei</strong> Cappuccini a<br />
Palermo con le mummie appese<br />
in una mostra macabra<br />
e sconvolgente; dalla cittàcapitale<br />
Palermo, “teatro di<br />
teatri” come la Vucciria o<br />
piazza Bellini, a Cassibile<br />
con la sua storia dimenticata<br />
di un problematico armistizio<br />
con il successivo sbarco degli<br />
Alleati; dal manicomio di<br />
Agrigento al sacco della<br />
Valle <strong>dei</strong> templi. Collura ci<br />
sorprende nella bellezza di<br />
Iblea che stordisce, ma anche<br />
con la sottile e onnipresente<br />
invadenza delle targhe<br />
e delle lapidi. Gli aspetti sono<br />
molti, i passaggi innumerevoli.<br />
Solo per fare tre<br />
esempi: la storia di Cagliostro<br />
ripercorsa attraverso la<br />
testimonianza di Goethe, la<br />
vicenda del principe “mago”<br />
Raniero Alliata, la battaglia<br />
di Calatafimi e il trascurato<br />
mausoleo.<br />
Sotto a questo affresco,<br />
viaggiano insieme allo scrittore,<br />
dall’inizio alla fine, la<br />
bellezza del paesaggio co-<br />
rita legge del 1906, i giovani<br />
cetraresi non dicono nulla negli<br />
articoli della rivista. Tacciono<br />
sui presunti danni sismici riportati<br />
nell’area di Cetraro. Quello<br />
che è incredibile è il silenzio totale<br />
sul più devastante e coevo<br />
terremoto di Messina del 1908.<br />
Sembrerebbe che i giovani<br />
giornalisti abbiano una sorta di<br />
senso di rimozione.<br />
Le graziose elargizioni del governo<br />
al borgo cetrarese, colpito<br />
marginalmente dal terremoto,<br />
portano ad una sorta di<br />
complice silenzio. Se si dovesse<br />
parlare delle zone più colpite,<br />
al piccolo campanile non<br />
spettebbe alcun finanziamento,<br />
ma la politica giolittiana ha<br />
bisogno di qualche elemosina<br />
per ingraziarsi le popolazioni,<br />
comunque colpite dall’arretratezza<br />
economica e culturale.<br />
Le punzecchiature al notabile<br />
del luogo esprimono il dissenso<br />
verso i politicanti.<br />
I tre giovani giornalisti Francesco<br />
Aita, Attilio De Caro e Luigi<br />
Losardo nel primo editoriale<br />
del 16 aprile 1909, denunciano<br />
l’arretratezza della propria regione<br />
rifiutando pietismi ed autocommiserazioni.<br />
C’è la consapevolezza<br />
e la condivisione<br />
della denuncia salveminiana<br />
che individua come male principale<br />
la classe dirigente locale,<br />
definita da coraggiosi cetraresi<br />
“accattoni nei crocicchi”<br />
che sbarrano il passo “a quel<br />
burbero benefico che sarebbe<br />
lo Stato, per chiedergli l’elemosina<br />
di una legge speciale”. In<br />
un altro corsivo si individuano<br />
le ragioni verriane illuministe<br />
della miseria. “La ricca Sviz-<br />
me metafora della morte, in<br />
quanto la bellezza viene profanata<br />
soprattutto dal disinteresse<br />
della gente che abita<br />
quel paesaggio e la questione<br />
etica degli “inquilini derlla<br />
storia” che attendono “irredimibilmente”<br />
di essere sfrattati<br />
da quel paesaggio che<br />
non vedono e che hanno comunque<br />
coartato.<br />
Si leggano le intense pagine<br />
narrative che riguardano gli<br />
eucalipti come simboli di<br />
morte. Scrive Collura: “È un<br />
albero che ben si adatta a<br />
questo clima, l’eucalipto, e<br />
che cresce rapidamente, inibendo<br />
presso di sé la presenza<br />
di altre piante. Gli uccelli<br />
raramente vi nidificano,<br />
per questo il suo già triste<br />
aspetto è ancora più desolato.<br />
Non vi è vita negli eucalipti,<br />
al contrario – ed è un<br />
paradosso constatarlo – <strong>dei</strong><br />
cimiteriali cipressi, vivi al loro<br />
interno del frullare di molte<br />
specie volatili.<br />
Dimorano gli eucalipti, nella<br />
desolata scarpata dove un<br />
branco di assassini troncò la<br />
vita del giudice Livatino; ed<br />
eucalipti ho visto ergersi affranti<br />
in un giornio di luce livida<br />
tutt’intorno ai resti della<br />
miniera di zolfo dove Giuseppe<br />
Sciascia si uccise; e<br />
queste stesse dolenti piante<br />
copiosamente costeggiano<br />
la strada che conduce a<br />
Portella della Ginestra”.<br />
Singolare analisi letteraria,<br />
ma proprio perciò molto reale,<br />
di una costante sul territorio<br />
dell’isola: dove c’è la morte<br />
c’è luce, anzi c’è una luce<br />
eccessiva. Dove ci sono stati<br />
aggressione, stupro, violazione,<br />
conquista, repressione,<br />
ricatto, delitto, ecco, c’è<br />
sempre stata una luce accecante.<br />
Non si può disgiungere<br />
la luce della Sicilia dall’e-<br />
zera era una regione poverissima,<br />
non aveva che giogaie aride<br />
e nevose, la nostra Lombardia<br />
era un pantano”. Tale<br />
approccio non dimentica la lezione<br />
di Giustino Fortunato, altro<br />
grande meridionalista lucano<br />
il quale avverte di non trasformare<br />
la denuncia delle<br />
condizioni di arretratezza del<br />
Mezzogiorno in una lamentosa<br />
giaculatoria scioccamente colpevolizzatrice<br />
e vittimistica. La<br />
rivista calabrese individua nelle<br />
cronache locali disservizi burocratici<br />
che portano a sprechi di<br />
risorse e al rallentamento ulteriore<br />
di un timido sviluppo economico<br />
di un’area tagliata fuori,<br />
nonostante la ferrovia e le potenzialità<br />
del trasporto marittimo.<br />
Per non parlare delle strade<br />
pubbliche incomplete che per<br />
pochi metri tagliano fuori del sistema<br />
di sviluppo intere aree<br />
interne. Sono questioni molto<br />
attuali e i tre giovanotti pazientemente<br />
suggeriscono soluzioni<br />
di buon senso.<br />
Altre descrizioni pittoresche ed<br />
eventi minori, denunciano carenze<br />
igieniche, mancanza di<br />
formazione del personale sanitario,<br />
la delazione anonima:<br />
uno <strong>dei</strong> mali della giustizia e le<br />
piccole lobby e le camarille di<br />
paese.<br />
Lido Picarelli riesce a decifrare<br />
gli articoli con un’ampia annotazione<br />
storico-politica, valorizzando<br />
ed attualizzando il patrimonio<br />
di una memoria che va<br />
preservata ed interpretata per<br />
comprendere il presente. Una<br />
lezione etica di giornalismo.<br />
In questi brevi anni d’inizio se-<br />
vento di morte. E dove c’è<br />
morte ci sono eucalipti.<br />
La morte, la luce, l’ingiustizia,<br />
i personaggi “folli”.<br />
Pirandello ha dato l’interpretazione<br />
autentica <strong>dei</strong> siciliani:<br />
quando non possono risolvere<br />
razionalmente i problemi<br />
trovano la via d’uscita<br />
nella follia.<br />
I siciliani amano allo stremo<br />
la loro terra. E tuttavia non<br />
vedono l’ora di abbandonarla,<br />
perché è l’unico modo di<br />
salvarsi dalle storture, dalle<br />
imposture, dalla violenza,<br />
dalla mafia. Conclusione<br />
pessimista, come d’altronde<br />
era la visione del “Gattopardo”<br />
Tomasi di Lampedusa,<br />
ma che nasce da un<br />
amore sconfinato dell’autore<br />
per la sua terra e dal dispiacere<br />
di vedere l’immutabilità<br />
delle cose. Il viaggio quindi si<br />
conclude con l’ammissione<br />
di questo grande amore ma<br />
con la convinzione che si<br />
tratta di un amore perduto,<br />
impossibile, che fa parte di<br />
sé ma è ormai fuori di sé. Un<br />
lento e inesorabile abbandono<br />
di questa donna bella ma<br />
infernale, che non sa mantenere<br />
le promesse. E la ragione<br />
di un simile viaggio<br />
“estraniante”? Eccole: “Un<br />
viaggio negli anni perduti, alla<br />
ricerca di un senso da dare<br />
allo sfacelo che mi si apre<br />
davanti ogni qual volta, come<br />
fosse un bisogno dell’anima,<br />
mi predispongo a rivedere<br />
il mio modestissimo<br />
aleph, quel luogo – dice<br />
Borges – «dove senza confondersi<br />
si trovano tutti i luoghi<br />
della terra, visti da tutti gli<br />
angoli» “.<br />
Matteo Collura,<br />
In Sicilia, Longanesi 2004,<br />
pagine 222, euro 14,00<br />
colo la rivista riesce ad autosovvenzionarsi<br />
con le inserzioni<br />
commerciali in aumento e<br />
con l’apporto di un pubblico di<br />
lettori non numeroso, ma assiduo.<br />
Picarelli s’interroga senza esito<br />
della rottura del sodalizio che<br />
porta alla chiusura della rivista.<br />
Il libro si conclude con un breve<br />
cenno alla rivista concorrente<br />
l’Aurora.<br />
Al di là <strong>dei</strong> limiti, Cetraro Nova,<br />
(reperibile solo nella biblioteca<br />
cittadina: una rarità) fotografa<br />
l’anelito e le speranze di quegli<br />
anni di un popolo semplice che<br />
vince gli stenti con la poesia <strong>dei</strong><br />
canti e <strong>dei</strong> balli senza perdere<br />
di vista la cruda realtà.<br />
“Si è levato subito un grido:<br />
Viva Milano! Quando siamo<br />
partiti, la popolazione è corsa<br />
per una scorciatoia gridandoci<br />
ancora:Viva Milano! come ultimo<br />
saluto. Per alcuni minuti<br />
nessuno di noi ha potuto articolare<br />
parola, tanto la gola era<br />
serrata dal pianto. E questi sono<br />
i calabresi dalla fama così<br />
sinistra! E non vi è più buona<br />
gente nel mondo... questo popolo<br />
che ha conservato nella<br />
sua isolazione i più puri tesori<br />
di virtù” (Luigi Barzini, da una<br />
cronaca in prima pagina del<br />
Corriere della Sera, 18 settembre<br />
1905).<br />
Lido Picarelli,<br />
Cetraro Nova.<br />
Lettura critica<br />
del periodico fondato<br />
e redatto nel 1909 – 1910,<br />
Amministrazione Comunale<br />
e Pro Loco di Cetraro,<br />
pagine 183<br />
36 (40) ORDINE 3 <strong>2005</strong>
Stefano Jesurum<br />
Israele<br />
nonostante tutto<br />
di Vito Soavi<br />
Il mio parroco, che è un eminente<br />
teologo, riteneva che<br />
Ben Gurion fosse approdato<br />
in Palestina nel 1946, quando,<br />
nella realtà, vi arrivò quarant’anni<br />
prima. Il Museo<br />
Diocesano di Milano ha recentemente<br />
ospitato una mostra<br />
fotografica, titolata “Anima<br />
mundi “, un bellissimo reportage<br />
alla ricerca delle manifestazioni<br />
di fede e spiritualità<br />
delle religioni di tutto il<br />
mondo, con una sorprendente<br />
lacuna: all’ebraismo è stata<br />
dedicata una sola immagine,<br />
ripresa nel cimitero di Venezia.<br />
Cito questi episodi per<br />
evidenziare qunto la pubblica<br />
opinione, a tutti i livelli, sia<br />
tendenzialmente poco informata<br />
e poco sensibile alle secolari<br />
traversie del popolo<br />
ebraico e quini facile “preda”<br />
di chi si fa sentire di più, con<br />
le grida e, purtroppo, con gli<br />
attentati suicidi. Dove sono<br />
realmente le ragioni e dove i<br />
torti?<br />
Stefano Jesurum tenta, con<br />
molto equilibrio, di individuare<br />
le realtà attraverso il resoconto<br />
di un suo recente viaggio<br />
in Terra Santa, uscito in libreria<br />
con il titolo “Israele nonostante<br />
tutto”.<br />
Prendendoci per meno ci accompagna<br />
nei sobborghi arabi<br />
di Gerusalemme, ci fa at-<br />
Pietro Mancini<br />
Giacomo Mancini,<br />
mio padre<br />
di Antonio Duva<br />
Il 22 dicembre del 1966<br />
Pietro Nenni annota nel suo<br />
diario: “Giornata di intenso<br />
lavoro al Consiglio <strong>dei</strong> ministri…<br />
Nel pomeriggio approvata<br />
la riforma urbanistica<br />
proposta da Mancini. Fino<br />
all’ultimo minuto c’è stata<br />
una discussione minuziosa.<br />
Per parecchi ministri si è trattato<br />
di un boccone amaro da<br />
inghiottire, per Mancini di un<br />
successo, anche se sarà attaccato<br />
da sinistra non meno<br />
che da destra”.<br />
Sono soltanto poche righe,<br />
sufficienti tuttavia, per l’anziano<br />
leader socialista, a dare<br />
un’immagine incisiva dell’azione<br />
di Giacomo Mancini<br />
e <strong>dei</strong> suoi motivi ispiratori: tenacia,<br />
concretezza e voglia<br />
di affermazione, per sé certamente,<br />
ma anche per la<br />
sua terra, la Calabria, e per il<br />
suo partito, il Psi, ai cui ideali<br />
Mancini fu sempre profondamente<br />
legato anche per ragioni<br />
familiari, in quanto figlio<br />
di Pietro, uno <strong>dei</strong> padri fondatori<br />
del socialismo nel<br />
Mezzogiorno.<br />
ORDINE 3 <strong>2005</strong><br />
traversare le strade affollate<br />
di una modernissima Tel Aviv,<br />
viaggiare nel deserto del<br />
Neghev, “location” <strong>dei</strong> più celebri<br />
film westrn americani,<br />
raggiungere sperduti kibbutz<br />
dove la sabbia è stata miracolosamente<br />
trasformata in<br />
terreno fertile, respirare un’aria<br />
diversa visitando i grandi<br />
magazzini Ikea, frequentati<br />
da arabi e mussulmani, fedeli<br />
ed infedeli, pacifisti e nuovi<br />
zeloti, fino a farci sostare davanti<br />
al “Muro invisibile”, la<br />
moderna barriera che è diventata<br />
simbolo, a secondo<br />
da dove la si guardi, di oppressione<br />
o di sicurezza.<br />
Il racconto si sviluppa in trenta<br />
capitoli, in ognuno <strong>dei</strong> quali<br />
vi è protagonista un personaggio,<br />
tessera di un vivacissimo<br />
mosaico che ritrae la<br />
realtà di un paese rispettoso,<br />
al di sopra di tutto, <strong>dei</strong> principi<br />
della democrazia.<br />
In questa carrellata speravo<br />
di trovare un accenno a Nevè<br />
Shalom Wahat As Salam, insediamento<br />
collocato fra<br />
Gerusalemme e Tel Aviv, da<br />
trent’anni convivenza, in pace<br />
e in armonia, di arabi ed<br />
israeliani, e dove è sorta una<br />
importante scuola che è meta<br />
sempre più ambita per i figli<br />
<strong>dei</strong> benpensanti cittadini di<br />
Israele, ed anche al frequentatissimo<br />
Circolo <strong>dei</strong> Genitori<br />
di Gaza, aperto a coloro che<br />
hanno perso un figlio in guer-<br />
Ma dal passo del diario di<br />
Nenni si coglie anche un altro<br />
elemento che accompagnò<br />
Mancini nel corso della<br />
sua lunghissima battaglia<br />
politica (dalla lotta antifascista<br />
sino ai primi anni del<br />
nuovo secolo) : la capacità di<br />
suscitare – come capita<br />
spesso agli autentici riformisti<br />
– talvolta consensi ma anche<br />
feroci ostilità, come appunto<br />
rilevava Nenni, “a sinistra<br />
non meno che a destra”.<br />
Questi tratti di fondo del leader<br />
socialista calabrese sono<br />
posti bene in luce da un<br />
agile volume che il figlio<br />
Pietro gli ha dedicato a due<br />
anni dalla scomparsa, avvenuta<br />
nell’aprile 2002.<br />
Il forte legame familiare, che<br />
dà sapore all’intero volume<br />
ed è del resto evidenziato sin<br />
dal titolo, non va a detrimento<br />
della chiarezza dell’analisi e<br />
l’amor filiale non offusca la<br />
professionalità dell’autore, lucido<br />
e sperimentato giornalista,<br />
per lunghi anni a Il<br />
Giorno e da tempo alla Rai.<br />
Il lettore si trova perciò di<br />
fronte, più che a una biografia<br />
in senso stretto, a una<br />
lunga inchiesta sul Mancini<br />
LA LIBRERIA DI TABLOID<br />
ra, sia da parte israeliana che<br />
da parte araba.<br />
Come si legge nella presentazione<br />
che trova spazio nei<br />
risguardi di copertina di questo<br />
libro, sorge alla fine, spontaneo,<br />
il desiderio di innalzare<br />
un canto d’amore a questa<br />
terra straordinaria, perchè in<br />
chi ha avuta la sorte fortunata<br />
di visitarla, come chi scrive<br />
queste note, rimane per lei<br />
una sottile penetrante nostalgia.<br />
Così ho deciso che regalerò il<br />
libro di Jesurum al mio parroco<br />
teologo, certo che lo gradirà,<br />
e forse anche al direttore<br />
del Museo Diocesano.<br />
Stefano Jesurum,<br />
Israele nonostante tutto,<br />
Longanesi & C. -<br />
ottobre 2004,<br />
pagine 196, euro 14,50<br />
politico del cui operato sono<br />
ricordati, accanto ai numerosi<br />
successi, anche le sconfitte<br />
e i giorni amari che non<br />
mancarono certo nel corso<br />
di quasi sei decenni di continuo<br />
impegno.<br />
“Non si tratta di un monumento<br />
all’uomo infallibile”,<br />
ha giustamente osservato<br />
Santino Salerno, presentando<br />
il libro di Pietro Mancini<br />
nel quale sono infatti registrati<br />
anche “i momenti difficili<br />
dell’uomo di potere, fatto<br />
bersaglio di numerose campagne<br />
scandalistiche”.<br />
Un ritratto, insomma, a tutto<br />
tondo dedicato a una figura<br />
controversa e tuttavia sicuramente<br />
significativa dell’Italia<br />
repubblicana.<br />
Di Mancini colpiscono alcuni<br />
tratti peculiari: in primo luogo<br />
la sua fedeltà assoluta verso<br />
il socialismo che spicca in un<br />
mondo politico che, specie<br />
nella fase di trapasso dalla<br />
prima alla seconda Repubblica,<br />
si dette con larghezza<br />
alla pratica del trasformismo.<br />
Poi la sua visione della politica<br />
di centro-sinistra: l’alleanza<br />
con la Dc non avrebbe<br />
dovuto in nessun caso atte-<br />
Benito Melchionna<br />
Sul treno.<br />
Muoversi nell’ambiente<br />
di Olimpia Gargano<br />
Peccato che non si trovi in libreria,<br />
perché questo bel volume<br />
dedicato al treno e realizzato<br />
su iniziativa delle<br />
Ferrovie Nord Milano si fa<br />
leggere che è un piacere. Se<br />
poi la lettura avviene giusto<br />
durante un viaggio su strada<br />
ferrata, come è capitato a chi<br />
scrive, potrebbe quasi riconciliarci<br />
con quello che fra i<br />
moderni mezzi di trasporto è<br />
il più suggestivo ma - almeno<br />
in Italia - non altrettanto soddisfacente<br />
quanto a puntualità<br />
e servizi.<br />
Benito Melchionna, magistrato<br />
umanista, conosce il piacere<br />
del racconto, e lo esercita<br />
in questo suo nuovo saggio<br />
che è al tempo stesso<br />
una storia di emozioni e ricordi<br />
collettivi legati all’esperienza<br />
del viaggio ferroviario, ripercorsa<br />
attraverso riferimenti<br />
che vanno dall’arte alla letteratura<br />
alla canzone d’autore<br />
(una per tutte, Azzurro di<br />
Paolo Conte, portata al successo<br />
da Celentano, che se<br />
esistesse un inno nazionale<br />
del viaggiatore potrebbe essere<br />
la canzone ufficiale delle<br />
ferrovie italiane).<br />
Melchionna, Procuratore della<br />
Repubblica presso il<br />
Tribunale di Crema e docente<br />
di Diritto dell’informatica alla<br />
Statale di Milano, si occupa<br />
nuare, riteneva Mancini,<br />
un’aspirazione <strong>dei</strong> socialisti<br />
a diventare – nel lungo periodo<br />
– alternativi sia ai democristiani<br />
sia ai comunisti.<br />
Egli era convinto – e lo dimostrò<br />
nella lunga esperienza<br />
alla guida di ministeri di “peso”<br />
come Sanità, Lavori<br />
Pubblici e Mezzogiorno a<br />
partire dal 1963 e nella breve<br />
stagione (1970) durante<br />
la quale fu segretario del Psi<br />
– che un socialista con responsabilità<br />
di governo doveva<br />
dar prova di autentica<br />
“discontinuità” rispetto alle<br />
precedenti impostazioni, ai<br />
suoi occhi moderate se non<br />
conservatrici.<br />
Lo spirito antiburocratico e la<br />
forte attenzione all’Italia meridionale<br />
che caratterizzarono<br />
la sua presenza negli<br />
esecutivi del centro-sinistra,<br />
al di là delle critiche – talvolta<br />
fondate – che suscitarono,<br />
vanno ricondotte a questa<br />
impostazione.<br />
per passione oltre che per<br />
professione di tematiche ambientali<br />
e sviluppo sostenibile.<br />
In questa ottica, basandosi<br />
su testi normativi e piani di intervento,<br />
l’autore evidenzia i<br />
vantaggi del trasporto ferroviario<br />
rispetto a quello automobilistico<br />
e aereo: più sicurezza,<br />
meno danni all’ambiente<br />
(grazie a un minore livello<br />
di emissioni inquinanti).<br />
Con adeguati interventi infrastrutturali,<br />
il trasporto ferroviario<br />
potrebbe inoltre contribuire<br />
a decongestionare un<br />
traffico automobilistico ormai<br />
ai limiti della paralisi (secondo<br />
previsioni ministeriali, senza<br />
adeguate strategie di intervento<br />
l’Italia rischia il blocco<br />
della mobilità entro il<br />
2015).<br />
Al suo primo apparire, il treno<br />
suscitò reazioni sbigottite, se<br />
non vero e proprio panico.<br />
Basta ricordare il famoso episodio<br />
avvenuto durante la prima<br />
proiezione cinematografica<br />
<strong>dei</strong> fratelli Lumière, quando<br />
vedendo arrivare sullo<br />
schermo una locomotiva metallica<br />
sbuffante di vapore gli<br />
spettatori fuggirono terrorizzati<br />
credendo che il treno<br />
piombasse nella sala.<br />
“Cavallo d’acciaio”, lo chiamavano<br />
gli indigeni delle praterie<br />
americane che lo vedevano<br />
solcare sferragliando<br />
orizzonti a perdita d’occhio.<br />
In Italia il primo tronco ferro-<br />
A Nenni che gli chiedeva come<br />
mai si interessasse tanto<br />
alla Calabria – ricorda il figlio<br />
Pietro – Mancini rispose:<br />
“Avrei potuto farlo meno, se<br />
il Psi lo avesse fatto di più”.<br />
E, ormai vecchio, nel Duemila<br />
affermava con toni autocritici:<br />
“La mia idea del socialismo<br />
parte sempre dalla<br />
considerazione <strong>dei</strong> problemi<br />
meridionali rispetto ai quali,<br />
con l’eccezione di Rodolfo<br />
Moranti, vi è stata, storicamente,<br />
un’azione inadeguata<br />
del Psi e <strong>dei</strong> suoi massimi<br />
dirigenti”.<br />
Una terza costante dell’impegno<br />
di Mancini è rappresentata<br />
dal deciso spirito garantista.<br />
Per questo egli sposò con<br />
foga le ragioni de l’Espresso<br />
quando il settimanale romano<br />
denunciò lo scandalo<br />
Sifar-De Lorenzo sino a<br />
scontrarsi duramente con<br />
Aldo Moro; per gli stessi motivi,<br />
molti anni più tardi, si<br />
schierò in difesa di Enzo<br />
Tortora e poi si batté apertamente<br />
per la concessione<br />
della grazia ad Adriano<br />
Sofri.<br />
Mancini, del resto, fu tra i pri-<br />
viario (8 chilometri sul tratto<br />
Napoli - Portici) fu inaugurato<br />
il 3 ottobre 1839 da Ferdinando<br />
II di Borbone.<br />
Forte di una storia ormai bicentenaria,<br />
il treno punta dritto<br />
verso il futuro. Un futuro<br />
che è già in corsa sui binari a<br />
levitazione magnetica delle<br />
ferrovie cinesi e giapponesi,<br />
dove i treni “sospesi” a dieci<br />
millimetri dal suolo possono<br />
superare i 400 km orari. In<br />
Europa il primato dell’alta velocità<br />
spetta alla Francia, dove<br />
i treni TGV, che già in alcuni<br />
tratti viaggiano a 300 km<br />
l’ora, potrebbero sfiorare i<br />
600 una volta risolti i problemi<br />
relativi ai binari e alla linea di<br />
alimentazione.<br />
Entro breve tempo, il treno diventerà<br />
un mezzo di comunicazione<br />
sempre più “globale”,<br />
visto che sono già in fase di<br />
allestimento carrozze ferroviarie<br />
collegate a Internet via<br />
satellite, per consentire al<br />
passeggero di essere informato<br />
in tempo reale su quanto<br />
avviene in ogni parte del<br />
mondo.<br />
Benito Melchionna,<br />
Sul treno.<br />
Muoversi nell’ambiente,<br />
Edito da M&B Publishing,<br />
pagine 116, s.i.p.<br />
mi, nel mondo della sinistra,<br />
a comprendere l’importanza<br />
che, per la modernizzazione<br />
civile del Paese, rivestivano<br />
le battaglie per lo sviluppo<br />
<strong>dei</strong> diritti civili, a cominciare<br />
da quella in difesa della legge<br />
sul divorzio, al cui vittorioso<br />
esito contribuì non poco.<br />
Il leader calabrese fu insomma<br />
un politico scomodo e,<br />
per molti versi, dotato di vista<br />
lunga.<br />
Figure come la sua mostrano<br />
perciò come sia superficiale<br />
l’approccio liquidatorio<br />
con cui in tempi recenti è<br />
stata, da tante parti, bollata<br />
la politica del centro-sinistra.<br />
Merito indubbio del piccolo<br />
saggio che a Mancini ha dedicato<br />
il figlio è di contribuire<br />
a un esame più attento di<br />
questa lunga stagione di vita<br />
italiana. Riflessione utile non<br />
solo per la corretta comprensione<br />
storica ma anche per<br />
meglio affrontare i problemi<br />
che incombono, oggi, sul<br />
Paese.<br />
Pietro Mancini,<br />
Giacomo Mancini,<br />
mio padre,<br />
Rubbettino Editore, 2004<br />
pagine 109, euro 8,00<br />
37 (41)
LA LIBRERIA DI TABLOID<br />
Claudio Stroppa<br />
La città degli angeli.<br />
Il sogno utopico di fra’<br />
Gioacchino da Fiore<br />
di Salvatore Angelo Oliverio<br />
Il volume di Claudio Stroppa<br />
si svolge lungo il tracciato del<br />
pensiero utopico dal XIII al<br />
XVII secolo, ma ha nel profetico<br />
messaggio dell’abate calabrese<br />
il focus tematico nel<br />
quale più o meno direttamente<br />
vengono comparate le ispirazioni<br />
e i progetti delle proposte<br />
e <strong>dei</strong> movimenti utopici<br />
europei. I capitoli dal terzo al<br />
quinto sono dedicati al confronto<br />
fra sant’Agostino,<br />
Gioacchino da Fiore e Tommaso<br />
Campanella.<br />
Non c’è dubbio che l’abate di<br />
Fiore si sia collegato ad<br />
Agostino in molti aspetti della<br />
sua teologia trinitaria, ma, come<br />
si evince dalla lettura del<br />
libro di Stroppa, diverge nettamente<br />
da lui per quanto riguarda<br />
le sue linee di teologia<br />
della storia.<br />
Come Agostino, Gioacchino<br />
accetta la divisione in sette<br />
tempi della storia della salvezza<br />
e rigetta l’interpretazione<br />
secolarizzata ed edonistica<br />
<strong>dei</strong> Millenaristi o Chiliasti,<br />
che avevano prospettato il<br />
millennio dell’Apocalisse di<br />
Giovanni come un periodo finale<br />
di gioie mondane. Ma,<br />
diversamente che per Agostino,<br />
che aveva individuato il<br />
millennio apocalittico nel tempo<br />
della Chiesa a partire da<br />
Costantino, per Gioacchino il<br />
Dario Fertilio<br />
La morte rossa<br />
di Gigi Speroni<br />
L’orrore del XX secolo è timbrato<br />
da due sigle burocraticamente<br />
asettiche: GULAG<br />
(Glavnoe Upravlenie LAGerei:<br />
“Amministrazione generale<br />
<strong>dei</strong> campi di lavoro” e SS<br />
(Schutz Staffel: “Squadre di<br />
difesa”).<br />
Delle SS sappiamo, sono legate<br />
allo sterminio di sei milioni<br />
di ebrei annunciato da<br />
Hitler nel 1935 con le leggi<br />
antisemite, pianificato nel<br />
1942 dalla “soluzione finale”,<br />
rivelato al mondo nel 1945<br />
durante il processo di<br />
Norimberga ai responsabili di<br />
quello che venne definito un<br />
genocidio (da ghènos, razza,<br />
popolo e caedère, uccidere).<br />
Le date ci dicono che il primo<br />
genocidio riconosciuto e<br />
denunciato dalle Nazioni<br />
Unite come “un crimine contro<br />
l’umanità” fu programmato<br />
e realizzato in dieci anni e<br />
venne conosciuto soltanto<br />
quando le truppe anglo<br />
americane e russe entrarono<br />
nel lager nazisti, scopren-<br />
regno sabatico dell’Apocalisse<br />
è solo il settimo ed ultimo<br />
tempo della storia, tempo di<br />
pace fondata sulla giustizia,<br />
di giustizia fondata sulla carità,<br />
di carità sostenuta dal<br />
soffio potente dello Spirito<br />
Santo che avrebbe fatto nuove<br />
tutte le cose.<br />
La settima età o Età dello<br />
Spirito, è per Gioacchino la<br />
massima compenetrazione<br />
possibile tra la città di Dio e la<br />
città terrena che in Agostino<br />
rimangono irriducibilmente<br />
lontane e contrapposte. Nel<br />
riportare all’interno della storia<br />
il tempo sabatico, che<br />
do una Shoah, un massacro<br />
imprevisto e, come tale, di<br />
un impatto psicologico inimmaginabile.<br />
Non così avvenne per l’altro<br />
orrore, anche lui timbrato da<br />
una sigla asettica: Gulag.<br />
Secondo Dario Fertilio il fatto<br />
“si spiega con la diversità del<br />
comunismo. Anziché esplodere<br />
con la violenza di un’epidemia,<br />
come il nazismo,<br />
segue l’andamento di un’infezione<br />
latente, ideologica,<br />
capace di distribuire la sue<br />
vittime lungo percorsi tortuosi<br />
e imprevedibili”… “Qualcuno<br />
dice che i morti siano<br />
stati ottantadue milioni, altri<br />
duecento, se consideri tutti i<br />
continenti e i periodi di guerra<br />
dalla rivoluzione d’ottobre<br />
in poi … ma chi può saperne<br />
veramente qualcosa? Non<br />
c’è modo di mandare un<br />
esperto di statistiche a contare<br />
le tombe. E poi, queste<br />
cifre non sembrano credibili<br />
per almeno due motivi. Il primo<br />
è che la dimensione dell’orrore<br />
genera un senso di<br />
assuefazione, disgusta e disorienta.<br />
Se un crimine si ri-<br />
Due libri<br />
sul frate<br />
calabrese<br />
“di spirito<br />
profetico<br />
dotato”<br />
Agostino aveva collocato fuori<br />
dalla storia e interpretato<br />
come la Gerusalemme celeste,<br />
il messaggio di Gioacchino<br />
assume una forte carica<br />
utopica e politica che non<br />
eserciterà un forte richiamo<br />
su uomini e movimenti dell’utopismo<br />
europeo a partire<br />
dalla corrente<br />
dello spiritualismofrances<br />
c a n o .<br />
Stroppa rileva<br />
la diversitàdell’utopia<br />
di Campanella,<br />
che,<br />
pur avendo<br />
un fondamento<br />
di teologia trinitaria,<br />
è politicamente e socialmente<br />
strutturata.<br />
Secondo Stroppa, la potenza<br />
della visione gioachimita<br />
di una società religiosa<br />
riformata illustra le capacità<br />
metamorfiche del tempo<br />
escatologico e fa nascere la<br />
coscienza di una Chiesa carnale<br />
e mondanizzata che<br />
avrebbe poi provocato la reazione<br />
di Martin Lutero.<br />
Claudio Stroppa,<br />
La città degli angeli.<br />
Il sogno utopico di fra’<br />
Gioacchino da Fiore,<br />
Rubbettino editore,<br />
Soveria Mannelli, 2004<br />
pete all’infinito, ai nostri occhi<br />
comincia a non apparire<br />
più tanto un delitto, quanto<br />
una fatalità storica e naturale.<br />
A ogni cosa si fa l’abitudine,<br />
persino all’orrore”…<br />
Ma davvero la morte bruna,<br />
quella di Auschwitz, non c’entra<br />
con la rossa, quella di<br />
Kolyma? Le fosse senza nome<br />
di Treblinka hanno diritto<br />
a un posto più alto, nella collina<br />
della memoria, rispetto a<br />
quelle di Goli Otok?<br />
Ritengo che questi concetti,<br />
tratti dall’ultimo libro di Dario<br />
Fertilio, La morte rossa, siano<br />
una delle più lucide e sintetiche<br />
diagnosi dello sterminio<br />
di massa avvenuto<br />
nell’Unione Sovietica.<br />
Secondo l’autore, se la diversità<br />
del comunismo “fa paura<br />
è perché i suoi percorsi di<br />
contagio cambiano: non si<br />
propaga attraverso i regimi e i<br />
partiti, ma può affidarsi a singoli<br />
intellettuali, poeti, idealisti,<br />
gruppi di amici, ambiziosi<br />
e umili comprimari, personaggi<br />
corrotti e brava gente,<br />
dilatandosi a volte per intere<br />
generazioni. Così è diventato<br />
parte dell’occidente, contaminando<br />
menti e anime”.<br />
Fa paura soprattutto nel rivisitare<br />
quel comunismo che arrivò<br />
a stritolare gli stessi compagni<br />
di lotta: uomini e donne<br />
che avevano creduto, combattuto,<br />
sofferto per un ideale,<br />
e alla fine di questo percorso<br />
di speranze, illusioni,<br />
s’erano ritrovati vittime della<br />
mostruosa macchina del po-<br />
Il pensiero dell’abate calabrese<br />
fu in permanente movimento.<br />
Il lavoro cerca di seguirne<br />
da vicino l’evoluzione<br />
dottrinale e di decifrare le ragioni<br />
profonde di essa. In<br />
questa prospettiva il saggio<br />
esamina l’intera sua produzione,<br />
disponendola in ordine<br />
cronologico. Si tratta di un lavoro<br />
in gran parte nuovo per<br />
le modalità attraverso cui è<br />
stato realizzato e per gli esiti<br />
cui perviene. Finora la datazione<br />
delle grandi opere,<br />
composte in parte parallelamente,<br />
era nota solo a larghe<br />
spanne. Il libro giunge invece<br />
a scandirne con precisione le<br />
diverse fasi compositive, connettendole<br />
all’evoluzione personale<br />
dell’autore e al mutare<br />
delle sue idee e scelte istituzionali.<br />
Quanto alle opere minori,<br />
alcune di esse vanno<br />
considerate come semplici<br />
“contenitori” di testi composti<br />
in fasi diverse e successivamente<br />
assemblati.<br />
Restituendo le singole sezioni<br />
ai contesti originari, il libro<br />
giunge a una ricostruzione<br />
completa e coerente del percorso<br />
dell’’utore.<br />
Dalla fine degli anni ‘80 l’abate<br />
calabrese diviene oggetto<br />
di disparati attacchi. Innanzi<br />
tutto da parte di un anziano e<br />
pericoloso abate cistercense,<br />
tere che avevano contribuito<br />
a creare.<br />
«In questa vita non è difficile<br />
morire.Vivere è di gran lunga<br />
più difficile» scrisse Vladimir<br />
Majakovskij. Bolscevico entusiasta,<br />
oppresso dal controllo<br />
del partito sulla cultura, il poeta<br />
s’uccise a 37 anni: nel<br />
1930, all’alba tragica <strong>dei</strong> processi/farsa<br />
inventati da Stalin<br />
per eliminare i concorrenti interni,<br />
condannati a morte immediata<br />
tramite fucilazione o<br />
a morte lenta nei gulag, come<br />
traditori, deviazionisti, spie…<br />
Per non dimenticare quello<br />
che è stato un orrore che,<br />
unicamente inquadrato nei<br />
grandi numeri genera assuefazione,<br />
fatalismo, Fertilio ha<br />
percorso una strada giornalistica<br />
e pregnante, in quanto a<br />
noi più vicina. Non ci parla<br />
delle note vittime dello stalini-<br />
Gian Luca Potestà<br />
Il tempo dell’Apocalisse.<br />
Vita di<br />
Gioacchino da Fiore<br />
di Salvatore Angelo Oliverio<br />
Goffredo di Auxerre, che<br />
cercò di bollarlo come ebreo<br />
mal convertito e di dare avvio<br />
a un procedimento di condanna<br />
ecclesiastica nei suoi<br />
confronti. Il tentativo abortì,<br />
probabilmente per i sostegni<br />
di cui Gioacchino poteva godere<br />
in curia e in ambienti<br />
monastici italiani. In polemica<br />
con i cistercensi transalpini,<br />
egli annunciò allora apertamente<br />
l’imminente ritorno<br />
della perfezione monastica<br />
dalla Gallia all’Italia e in questo<br />
senso avviò un tentativo<br />
di riforma monastica in<br />
Calabria. Nel 1189 prendeva<br />
così inizio sulla Sila Fiore<br />
(“nuova Nazareth”), nel segno<br />
dell’eremitismo, del rigore<br />
e della povertà.<br />
Nel frattempo l’abate entrava<br />
in aperta polemica anche con<br />
il maestro parigino Pietro<br />
Cantore.<br />
L’elezione di Innocenzo III<br />
(1198) segnò una svolta di<br />
notevole portata anche per<br />
Gioacchino. Le posizioni del<br />
papa, che del Cantore era<br />
stato allievo diretto, si differenziavano<br />
da quelle da lui<br />
difese negli anni precedenti<br />
intorno a questioni di rilevanza<br />
strategica, quali l’atteggiamento<br />
da tenere nei confronti<br />
<strong>dei</strong> tedeschi e nei confronti<br />
degli ebrei. Gioacchino scris-<br />
smo, come Bucharin o<br />
Rykov, ma della tragedia di<br />
venti italiani misconosciuti.<br />
Storie emblematiche di compagni<br />
che, dopo aver combattuto<br />
contro il fascismo,<br />
una volta riparati in quello<br />
che credevano il paradiso sovietico,<br />
vennero coinvolti dalle<br />
grandi purghe, costretti a<br />
confessare colpe inesistenti,<br />
allucinanti misfatti. O, rifugiati<br />
in Jugoslavia, quando Tito si<br />
staccò dal Cominform furono<br />
eliminati con l’accusa di essere<br />
al servizio di Mosca. Ma<br />
anche assassinati senza processo,<br />
punto e a capo. Ogni<br />
vittima con un suo percorso<br />
diverso, tutte la stessa, fatale<br />
destinazione.<br />
Sostiene Fertilio che quelle<br />
che ha scelto sono “storie tutte<br />
vere. Nel senso che i luoghi,<br />
la maggior parte <strong>dei</strong> nomi<br />
e delle situazioni corrisponde<br />
a fatti precisi. Ma sono<br />
anche tutte false, dal momento<br />
che una storia non<br />
puoi raccontarla basandoti<br />
soltanto su un documento, altrimenti<br />
la tradisci. Bisogna<br />
fare in modo che ognuna abbia<br />
una sua forma, tocchi un<br />
suo culmine drammatico.<br />
Altrimenti dopo tanti anni non<br />
riuscirebbe ad attraversare il<br />
muro dell’indifferenza e del<br />
silenzio”.<br />
Ed ecco, quindi, i venti racconti,<br />
ognuno con un taglio<br />
particolare, alcuni brevi, un<br />
semplice momento, altri più<br />
descrittivi. Tutti emotivamente<br />
coinvolgenti.<br />
se infine un testamento a futura<br />
memoria (1200), in cui<br />
proclamava di volersi sottomettere<br />
in tutto al giudizio<br />
della Chiesa romana. Gli ultimi<br />
scritti, rivolti a una cerchia<br />
limitata e ristretta di ascoltatori<br />
fidati, lasciano peraltro<br />
trasparire una profonda presa<br />
di distanza da Innocenzo<br />
III, denotando nell’anziano<br />
abate un’attitudine velatamente<br />
critica nei confronti del<br />
papa.<br />
In conclusione, l’opera reinserisce<br />
Gioacchino nel vivo<br />
delle vicende ecclesiasticopolitiche<br />
cui partecipò da protagonista,<br />
mostrandone i legami<br />
profondi e contraddittori<br />
con i poteri ecclesiastici e civili<br />
dominanti in Italia nell’ultimo<br />
scorcio del secolo XII; e<br />
fornisce una chiave per accedere<br />
alla piena comprensione<br />
del suo complesso universo<br />
dottrinale, della sua teologia<br />
simbolica e visiva, delle<br />
sue proiezioni apocalittiche,<br />
rivelandone gli intenti polemici<br />
e riformatori e la vastità degli<br />
orizzonti, aperti alla riconciliazione<br />
con l’Ebraismo e<br />
dominati dalla duplice minaccia<br />
dell’eresia (catari, valdesi)<br />
e dell’Islam.<br />
Gian Luca Potestà,<br />
Il tempo dell’Apocalisse.<br />
Vita di Gioacchino<br />
da Fiore,<br />
Laterza editore,<br />
Bari, 2004<br />
Un consiglio molto personale:<br />
prima di leggerli credo valga<br />
la pena ripercorrere la<br />
succinte biografie pubblicate<br />
nelle ultime pagine per incorniciare,<br />
nel loro contesto più<br />
globale, i drammi che hanno<br />
vissuto i suoi protagonisti.<br />
Ecco le storia di Ugo Citterio,<br />
comunista sin al 1922, arrestato<br />
dai fascisti, riparato a<br />
Parigi, poi in Unione Sovietica,<br />
combattente in Spagna,<br />
ritornato a Mosca, arrestato<br />
nel 1940 per trotzkismo, condannato<br />
a otto anni e spedito<br />
in un lager dove morì tre anni<br />
dopo. Di Pietro Renzi, nato a<br />
Pola, militante rivoluzionario,<br />
deportato dai nazisti, sopravvissuto<br />
all’inferno di Dachau<br />
per finire nelle galere di Tito<br />
con l’accusa di cominformismo,<br />
in realtà perché chiedeva<br />
rispetto per gli italiani che<br />
vivevano nei territori passati<br />
alla Jugoslavia. Il suo cadavere<br />
non venne mai trovato.<br />
E via dicendo.<br />
Che dire ancora? La morte<br />
rossa è, nel contempo, un<br />
saggio storico nella parte documentale<br />
e un’opera letteraria<br />
nei racconti dalla robusta,<br />
appassionante scrittura. Un<br />
libro che riesce ad attraversare,<br />
eccome, il muro dell’indifferenza<br />
e del silenzio.<br />
Dario Fertilio, La morte<br />
rossa. Storie di italiani<br />
vittime del comunismo,<br />
postfazione<br />
di Frediano Sessi,<br />
Marsilio, 2004, euro 17,00<br />
38 (42) ORDINE 3 <strong>2005</strong>
Censis-UCSI<br />
Italiani & Media.<br />
Le diete mediatiche<br />
per gruppi e tribù<br />
di Patrizia Pedrazzini<br />
Italiani e mezzi di comunicazione.<br />
Un rapporto ormai<br />
talmente stretto da essere<br />
diventato quasi vitale. Se<br />
infatti, allo stato attuale, i<br />
media, nella loro accezione<br />
più ampia – televisione, giornali,<br />
radio, libri, computer,<br />
cellulare, Internet, Tv satellitare<br />
– costituiscono un<br />
elemento base dell’ambiente<br />
nel quale viviamo, avvicinarsi<br />
a questo complesso e variegato<br />
universo, e fruirne,<br />
consente, al di là dell’arricchimento<br />
informativo e culturale<br />
che immediatamente ne deriva,<br />
di acquisire quelle capacità<br />
di orientamento cognitivo,<br />
ma anche relazionale ed<br />
emotivo, che ci permettono di<br />
integrarci nel nostro contesto<br />
sociale.<br />
Questa la considerazione che<br />
sta alla base del Secondo<br />
rapporto sulla comunicazione,<br />
con il quale il Censis e<br />
l’Ucsi, l’Unione cattolica della<br />
stampa italiana, proseguono<br />
il monitoraggio della diffusione<br />
e delle modalità d’impiego<br />
<strong>dei</strong> maggiori media in Italia.<br />
E che spiega il titolo del lavoro:<br />
Italiani & Media. Le diete<br />
mediatiche per gruppi e tribù.<br />
Ovvero: come solo variando<br />
la nostra alimentazione possiamo<br />
essere sicuri di assumere<br />
tutti gli elementi nutritivi<br />
ORDINE 3 <strong>2005</strong><br />
<strong>dei</strong> quali abbiamo bisogno,<br />
così solo attraverso il contatto<br />
con i diversi mezzi di comunicazione,<br />
e con i relativi linguaggi,<br />
possiamo acquisire il<br />
maggior numero di competenze<br />
e di conoscenze che i<br />
media ci trasmettono. Di qui<br />
la domanda: di che cosa si<br />
nutrono, mediaticamente parlando,<br />
gli italiani?<br />
Al quesito il Rapporto, realizzato<br />
in collaborazione con<br />
Mondadori, <strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti,<br />
Rai, Telecom e con la<br />
partecipazione di Ansa e<br />
Ansaweb, risponde con i<br />
risultati di un’indagine condotta,<br />
nel 2002, su un campione<br />
di 1.150 italiani tra i 14<br />
e gli 85 anni.<br />
Una mole di questionari e di<br />
interviste che ha consentito<br />
l’elaborazione di 233 tabelle<br />
e 20 grafici, di svelta ed esauriente<br />
lettura, per un volume<br />
di 272 pagine. Ogni mezzo di<br />
comunicazione (i giornali sono<br />
suddivisi in quotidiani,<br />
settimanali e mensili) è stato<br />
“fotografato” in tutte le possibili<br />
angolazioni di utilizzo, o<br />
meno, da parte degli italiani:<br />
dai luoghi ai momenti della<br />
giornata, dagli argomenti alla<br />
distribuzione per aree geografiche,<br />
per sesso, per età,<br />
per titolo di studio.<br />
Si apprende così, per esempio,<br />
che, in rapporto alle aree<br />
geografiche, il genere televisivo<br />
più “gettonato” dagli italiani<br />
Mino Fuccillo<br />
Fenomenologia<br />
di Bruno Vespa<br />
di Emilio Pozzi<br />
A tutta prima viene in mente<br />
il titolo, analogo, di un saggio<br />
dedicato a Mike Buongiorno,<br />
il più incrollabile mito della<br />
Tv, da Umberto Eco nel lontano<br />
1961, che divenne emblema,<br />
attraverso il personaggio<br />
preso a modello, delle<br />
mutazioni di una certa società<br />
italiana di quegli anni.<br />
Il richiamo, anche come metafora,<br />
è talmente scontato<br />
che nelle prime pagine di<br />
questo libro ci si imbatte in<br />
una quasi letterale parafrasi<br />
di quel saggio: il fenomeno<br />
però, stavolta, è Bruno<br />
Vespa. “Libera, modificata,<br />
interpolata, aggiornata, parafrasi”<br />
la definisce Mino<br />
Fuccillo che ha voluto giocare,<br />
(‘una licenza’ dice) ricalcando<br />
le orme di un testo e<br />
un metodo di analisi. Sono<br />
cinque pagine da andare a<br />
leggere subito.<br />
Poi però si ricomincia da capo<br />
e si va fino in fondo. L’idea<br />
del gioco, in altro modo, ci<br />
contagia. Prendiamo alcuni<br />
evidenziatori e ripassiamo il<br />
testo, scomponendolo in<br />
quattro filoni, ciascuno con<br />
un colore: azzurro, giallo<br />
arancione, verde.<br />
Non uno quindi, ma quattro<br />
libri: il primo, intriso di rabbia<br />
repressa e di delusione,<br />
esprime il giudizio critico<br />
dell’autore sui fatti e i misfatti<br />
della storia italiana degli<br />
ultimi decenni, il secondo<br />
analizza il personaggio<br />
Vespa, nell’humus del suo<br />
impero televisivo, il terzo<br />
analizza le fruttuose incursioni<br />
dell’onnipotente maggiordomo<br />
nel mondo della<br />
carta stampata, il quarto infine<br />
esplora il paesaggio <strong>dei</strong><br />
mass-media e <strong>dei</strong> suoi abitanti<br />
(giornalisti, politici nell’incrocio<br />
<strong>dei</strong> poteri palesi e<br />
occulti, senza risparmiare<br />
aneddoti che riguardano il<br />
quotidiano dove ha lavorato<br />
per una ventina d’anni), con<br />
qualche spolverata di consigli<br />
e di delucidazioni sui segreti<br />
del mestiere.<br />
Queste “istruzioni per l’uso”<br />
mi sono state suggerite anzitutto<br />
dalla lettura della sinte-<br />
LA LIBRERIA DI TABLOID<br />
è il film (64,4%), seguito dai<br />
telegiornali (55,1%) e dagli<br />
eventi sportivi (24,7%), mentre<br />
la fiction si colloca all’ultimo<br />
posto della classifica, con<br />
un modestissimo 4,9%.<br />
E che, se gli argomenti preferiti<br />
dai lettori di quotidiani<br />
rimangono, sempre a livello di<br />
distribuzione geografica, la<br />
cronaca nazionale (57,1%) e<br />
i fatti di nera e locali (45,8%),<br />
i settori sui quali si concentra<br />
l’attenzione <strong>dei</strong> lettori di settimanali<br />
sono invece quello<br />
televisivo, e più in generale<br />
relativo agli spettacoli<br />
(29,5%), quello attinente le<br />
tematiche femminili (20,4%),<br />
la moda (19,4%).<br />
Quanto al “popolo mediatico”,<br />
il Rapporto lo ha suddiviso in<br />
cinque fasce, a seconda del<br />
numero di media utilizzati.<br />
Ecco allora i Marginali, pari al<br />
9,1% della popolazione, e<br />
fruitori di un solo mezzo di<br />
comunicazione; i Poveri di<br />
media (37,5%, due-tre media);<br />
i Consumatori medi<br />
(36,3%, quattro-cinque media),<br />
gli Onnivori (14,8%, seisette<br />
media); i Pionieri (2,3%,<br />
otto e più media).<br />
Un intero capitolo dello studio<br />
è poi dedicato al profilo del<br />
futuro giornalista, così come<br />
risulta da un’indagine condotta<br />
su un campione di 212<br />
giovani che frequentano, o<br />
hanno frequentato, una delle<br />
sette scuole di giornalismo fra<br />
tica e asprigna autobiografia<br />
dell’autore, in quarta di copertina:<br />
“Una carriera accademica<br />
formato bonsai, una<br />
ventina d’anni a Repubblica,<br />
molto scrivendo e qualcosa<br />
organizzando, una direzione<br />
lampo de l’Unità, poi una<br />
piccola radio e ora i quotidiani<br />
locali del gruppo l’Espresso”.<br />
Se poi le collego al post<br />
scriptum, decisamente amaro,<br />
con il quale si chiude il libro,<br />
mi pare che, a seconda<br />
<strong>dei</strong> gusti e degli interessi<br />
personali, l’intuizione di individuare<br />
i quattro percorsi<br />
non sia inopportuna. Scrive<br />
Fuccillo: “Qualcuno, ogni<br />
tanto, conoscente o incontrato<br />
per caso per lavoro, mi<br />
chiede perché io giornalista<br />
non scriva più come prima.<br />
La risposta, per quel poco<br />
che conta e per quei pochi<br />
cui interessa, è anche in<br />
queste pagine, neanche tanto<br />
nascosta”.<br />
In ognuno <strong>dei</strong> quattro filoni<br />
indicati - questo è un altro<br />
gioco da proporre al lettore -<br />
si potrebbero contare i sassolini<br />
che Fuccillo si toglie<br />
dalle scarpe (il plurale è<br />
d’obbligo perché i sassolini<br />
sono tanti. Se invece si volessero<br />
mescolare i colori<br />
(ma non si otterrebbe comunque<br />
un consolante arcobaleno),<br />
senza pregiudizi, il<br />
risultato può essere comunque<br />
intrigante. A prescindere,<br />
come diceva Totò.<br />
Non intendo, a questo punto,<br />
le nove riconosciute dall’<strong>Ordine</strong><br />
nazionale, incluso l’istituto<br />
Carlo De Martino di Milano.<br />
Ne emerge che il nuovo<br />
professionista ha fra i 25 e i<br />
30 anni, è laureato e ha scelto<br />
di diventare giornalista per<br />
vocazione, convinto che<br />
questo mestiere, a volte tanto<br />
criticato, possa offrire comunque<br />
soddisfazioni personali<br />
ed essere ancora utile per la<br />
società.<br />
Che alla professione, oggi, si<br />
avvicinano più le donne (il<br />
53,8%) degli uomini; che il<br />
90% è laureato, soprattutto in<br />
Lettere (33,7%), Sociologia o<br />
Scienze della comunicazione<br />
(18,9%), Scienze politiche<br />
(13,7%); che la maggioranza<br />
(il 64,4%) ritiene le competenze<br />
acquisite prima del lavoro<br />
giornalistico vero e proprio<br />
“fondamentali per inserirsi<br />
direttamente nel settore”.<br />
E ancora: che la maggior<br />
parte lavora nei quotidiani<br />
(34,1%), nelle televisioni<br />
(19,3%), nelle radio (16,5%),<br />
mentre solo l’1,7% è occupato<br />
in un service; che i media<br />
a stampa sono, per il 46,2%<br />
di questi giovani, i più adatti a<br />
veicolare un’efficace informazione,<br />
seguiti dalle televisioni<br />
(41,9%), dalle radio (8,1%) e<br />
solo da ultimo da Internet<br />
(3,8%).<br />
E, comunque, come afferma<br />
il 41,6% degli intervistati, che<br />
“il mestiere si impara essenzialmente<br />
sul campo”.<br />
Censis-UCSI,<br />
Secondo rapporto<br />
sulla comunicazione,<br />
Italiani & Media.<br />
Le diete mediatiche<br />
per gruppi e tribù,<br />
Franco Angeli 2003,<br />
pagine 272, euro 22,00<br />
far il controcanto a Fuccillo.<br />
Molti giudizi sono da condividere<br />
ed è gustoso leggerli<br />
integralmente, senza rischiare<br />
di togliere loro sapore,<br />
riassumendoli.<br />
Certo che, riflettendo su altri<br />
episodi, avvenuti dopo la<br />
pubblicazione del libro, verrebbe<br />
voglia di chiedere un<br />
aggiornamento: la fenomenologia<br />
di Vespa, si arricchisce,<br />
si fa per dire, di altri clamorosi<br />
esempi, indicativi del<br />
progressivo e inarrestabile<br />
degrado della TV (specchio<br />
della società, non dimenticatelo,<br />
ammoniscono i più).<br />
Anche la fenomenologia sui<br />
personaggi che hanno scandito<br />
i tempi della Tv (da<br />
Buongiorno a Costanzo, dalla<br />
Carrà a Baudo, da Fiorello<br />
a Vespa) si è svilita al punto<br />
che, recentemente, Francesco<br />
Merlo ha usato il paludato<br />
termine, una volta usato<br />
ai piani alti della cultura,<br />
per occuparsi delle sorelle<br />
Lecciso, arrivate, guarda caso,<br />
ad essere protagoniste di<br />
“Porta a Porta”.<br />
Quando sarà pubblicata<br />
questa nota c’è da augurarsi<br />
che la loro effimera gloria si<br />
sia già spenta e qualcuno<br />
chieda “Lecciso, chi?”.<br />
Mino Fuccillo,<br />
Fenomenologia<br />
di Bruno Vespa,<br />
Nutrimenti, Roma,<br />
pagine 220, euro 12,00<br />
Sergio Romano<br />
Giovanni Gentile.<br />
Un filosofo al potere<br />
negli anni del regime<br />
di Dario Fertilio<br />
Un morto ingombrante, Giovanni<br />
Gentile: anche sessant’anni<br />
dopo quel 15 aprile<br />
1944, quando venne assassinato<br />
dai gappisti davanti al<br />
cancello della sua villa di<br />
Montalto al Salviatino. Un<br />
profilo problematico, il suo,<br />
per qualunque ritrattista; e<br />
una cornice ideologica difficile<br />
da trovare.Va inserito nella<br />
galleria delle glorie culturali<br />
italiane, è un filosofo da affiancare<br />
idealmente a Benedetto<br />
Croce? Oppure gli si<br />
deve riservare il trattamento<br />
peggiore, come un reprobo<br />
fiancheggiatore della Repubblica<br />
sociale e di Mussolini?<br />
O addirittura deve essere fatto<br />
sfilare simbolicamente tra i<br />
maledetti del novecento, i<br />
pensatori alla Céline, Pound<br />
o Knut Hamsun, che non esitarono<br />
a schierarsi dalla parte<br />
sbagliata?<br />
La biografia che gli dedica<br />
Sergio Romano non tradisce<br />
le aspettative <strong>dei</strong> tanti che<br />
amano il suo stile, un certo<br />
modo di fare storia: chiarendo<br />
molti dubbi, ma lasciando<br />
aperta al lettore la via delle<br />
deduzioni personali.<br />
E cominciando con lo sgomberare<br />
il campo da uno <strong>dei</strong><br />
misteri italiani più antichi e inquietanti:<br />
l’identità, cioè, e il<br />
movente <strong>dei</strong> suoi assassini.<br />
Sergio Romano, pur ricordando<br />
le motivazioni di coloro<br />
che avvalorarono per molto<br />
tempo l’ipotesi di una vendetta<br />
fascista (Gentile infatti<br />
si era dichiarato pubblicamente<br />
contrario agli eccessi<br />
e alle torture commesse dai<br />
repubblicani di Salò), attribuisce<br />
razionalmente la responsabilità<br />
ad ambienti comunisti,<br />
gli stessi che – manipolando<br />
una dichiarazione di<br />
Concetto Marchesi – diffusero<br />
attraverso un volantino la<br />
motivazione della “sentenza<br />
di morte”. Gli assassini colpirono<br />
in lui un intellettuale<br />
che, tentando di mostrare il<br />
lato “umano” del fascismo e<br />
appellandosi ai valori dell’onore<br />
e della fedeltà nazionale,<br />
poteva apparire un nemico<br />
più subdolo e pericoloso<br />
<strong>dei</strong> macellai e torturatori in<br />
camicia nera, come ad esempio<br />
quelli che obbedivano<br />
agli ordini di Mario Carità.<br />
Tuttavia il cuore dell’argomentazione<br />
di Sergio Romano<br />
è più filosofica che storica:<br />
egli dimostra come Gentile<br />
sia “servito” involontariamente<br />
alla causa comunista,<br />
e specificamente a Togliatti,<br />
quando nel primo dopoguerra<br />
si trattò di raccogliere la<br />
sua eredità.<br />
Certi caratteri del suo insegnamento,<br />
a partire dall’attualismo,<br />
furono volti in filosofia<br />
della prassi; l’idea fascista<br />
dello Stato etico potrà trasformarsi,<br />
mutando di segno,<br />
nel “partito nuovo” comunista;<br />
l’idea del filosofo militante<br />
genererà quella dell’intellettuale<br />
organico, teorizzato<br />
anche da Gramsci. Persino<br />
la suggestione del “ritorno a<br />
Marx”, accompagnata dalle<br />
sue riflessioni sull’umanesimo<br />
del lavoro, consentirà al<br />
suo migliore allievo, Ugo<br />
Spirito, di proclamarsi allo<br />
stesso tempo comunista e<br />
gentiliano. Se aggiungiamo a<br />
questo innesto ideologico<br />
spericolato la durezza dello<br />
scritto con cui Togliatti commentò<br />
l’assassinio (in cui<br />
chiamava Giovanni Gentile<br />
“canaglia” aggiungendo che<br />
era stato “giustiziato come<br />
traditore della patria”), comprendiamo<br />
il senso inquietante<br />
di quella che presto sarebbe<br />
diventata l’”ideologia<br />
italiana” del Pci togliattiano.<br />
Si sarebbe trattato cioè di distruggere<br />
il magistero di<br />
Gentile e Croce per meglio<br />
recuperarne la lezione, offrendo<br />
agli intellettuali che ne<br />
erano stati influenzati una<br />
straordinaria via d’uscita verso<br />
il futuro. In questa spericolata,<br />
e in parte riuscita, lotta<br />
per l’egemonia culturale comunista<br />
Sergio Romano individua<br />
il nocciolo del destino<br />
filosofico di Giovanni Gentile.<br />
Paradossale anche decenni<br />
dopo la morte e fino ad oggi:<br />
quando la destra lo adotta<br />
nel suo pantheon senza seguirne<br />
gli insegnamenti,<br />
mentre la sinistra marxista lo<br />
aborre adottando però nella<br />
sostanza il cuore del suo sistema<br />
concettuale.<br />
Resta il disagio, che neppure<br />
questa biografia riesce del<br />
tutto a dissolvere, per un filosofo<br />
inesorabilmente inattuale,<br />
che si colloca però al centro<br />
delle polemiche culturali<br />
per il modo in cui andò volontariamente,<br />
e con coraggio,<br />
incontro alla rovina e alla<br />
morte.<br />
Oltretutto, quello stesso assassinio,<br />
il modo in cui fu<br />
progettato, eseguito e rivendicato<br />
ricordano in modo inquietante<br />
e macabro il rituale<br />
più tardi adottato, dietro a simili<br />
paraventi ideologici, dai<br />
killer convinti di servire il “partito<br />
comunista combattente”.<br />
Sergio Romano,<br />
Giovanni Gentile.<br />
Un filosofo al potere negli<br />
anni del regime,<br />
editore Rizzoli,<br />
pagine 439, euro 19,00<br />
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