01.06.2013 Views

Marzo 2005 - Ordine dei Giornalisti

Marzo 2005 - Ordine dei Giornalisti

Marzo 2005 - Ordine dei Giornalisti

SHOW MORE
SHOW LESS

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

<strong>Ordine</strong><br />

<strong>dei</strong><br />

giornalisti<br />

della<br />

Lombardia<br />

INPGI<br />

SCONFITTA<br />

PER<br />

L’ISTITUTO<br />

Tribunale civile di Milano:<br />

ai giornalisti iscritti all’Inpgi<br />

spetta la “libertà di cumulo”<br />

tra pensione e redditi da lavoro<br />

Ministeri del Lavoro<br />

e dell’Economia:<br />

il bilancio dell’Inpgi<br />

“tende al peggioramento”<br />

Comunicato dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti della Lombardia<br />

Bando per il XV biennio (<strong>2005</strong> - 2007)<br />

dell’Istituto “Carlo De Martino”<br />

per la Formazione al Giornalismo.<br />

Le iscrizioni dal 1° marzo al 30 giugno<br />

<strong>2005</strong> aperte anche ai cittadini<br />

comunitari. La tassa annuale di<br />

frequenza è di 50 euro, che va versata<br />

interamente alla Regione Lombardia.<br />

ORDINE 3 <strong>2005</strong><br />

Associazione “Walter Tobagi” per la Formazione al Giornalismo<br />

Istituto “Carlo De Martino” per la Formazione al Giornalismo<br />

La Scuola in 28 anni di vita ha creato<br />

563 giornalisti professionisti<br />

(tra questi: 35 direttori, 22 addetti<br />

stampa, 4 vicedirettori, 77 capiredattori,<br />

42 inviati o corrispondenti dall’estero, 88<br />

capiservizio, 2 segretari di redazione,<br />

193 redattori ordinari,<br />

19 cococo e 6 “vari”).<br />

<strong>Giornalisti</strong> si diventa<br />

a Milano,<br />

capitale dell’editoria<br />

Milano, 15 febbraio <strong>2005</strong>. Sono aperte dal<br />

1° marzo fino al 30 giugno <strong>2005</strong> le iscrizioni al<br />

concorso di ammissione al XV biennio (<strong>2005</strong>-<br />

2007) dell’Istituto “Carlo De Martino” per la<br />

Formazione al Giornalismo (Ifg).<br />

Il corso, sostitutivo del praticantato tradizionale,<br />

è promosso dall’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti della<br />

Lombardia in collaborazione con la Regione<br />

Lombardia. L’Ifg è il centro di formazione<br />

professionale gestito dall’Associazione “Walter<br />

Tobagi” per la formazione al giornalismo.<br />

Al termine <strong>dei</strong> due anni di corso, e superato<br />

l’esame di Stato, gli allievi-praticanti verranno<br />

iscritti all’elenco professionisti dell’Albo <strong>dei</strong><br />

VINCE LA LINEA SOSTENUTA<br />

DA ANNI DALL’ORDINE<br />

DELLA LOMBARDIA<br />

giornalisti. Al termine del biennio i praticanti<br />

affronteranno un esame interno finale, scritto<br />

e orale. Della Commissione giudicatrice<br />

(nominata dal Consiglio dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti<br />

della Lombardia d’intesa con la direzione<br />

dell’Istituto) farà parte anche un rappresentante<br />

della Regione Lombardia.<br />

La direzione della scuola, tenendo conto <strong>dei</strong><br />

risultati dell’esame finale, rilascerà un certificato<br />

di frequenza e profitto.<br />

La prova, propedeutica all’esame di Stato,<br />

condiziona il rilascio, da parte del presidente<br />

dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti della Lombardia,<br />

del certificato di fine praticantato.<br />

L’Ifg, scuola di eccellenza europea, cerca 40 giovani<br />

laureati, determinati, con un ottimo curriculum<br />

di studi e che sappiano cogliere le nuove<br />

opportunità della professione giornalistica<br />

Il testo del bando nelle pagine centrali<br />

L’Inpgi deve osservare le stesse regole dell’Inps in<br />

tema di libertà di cumulo: questo è il significato di una<br />

sentenza del Tribunale civile di Milano depositata ilo<br />

10 febbraio.Queste le valutazioni di Franco Abruzzo:<br />

“L’applicazione ai giornalisti dipendenti di un regime in<br />

materia di cumulo così diverso in senso peggiorativo da<br />

quello previsto per i lavoratori comuni configura una<br />

disparità di trattamento che il principio di coordinamento –<br />

sancito dal punto 4 dell’articolo 76 della legge n. 388/2000<br />

– appare diretto a prevenire. La sentenza rispecchia i principi<br />

affermati dalla sentenza n. 437/2002 della Corte costituzionale<br />

sulla libertà di cumulo nell’ambito della cassa<br />

<strong>dei</strong> ragionieri. Da Milano parte un segnale forte: l’Inpgi è<br />

con le spalle al muro, perché non può negare ai propri<br />

iscritti quei trattamenti (come la libertà di cumulo) che<br />

sono riconosciuti dall’Inps.<br />

L’uguaglianza è un valore costituzionale inviolabile, fondamentale<br />

e intangibile”.<br />

Roma, 2 febbraio <strong>2005</strong>. Dal 3 gennaio sul tavolo del<br />

presidente dell’Istituto c’è una lettera firmata dal direttore<br />

generale del Ministero del Lavoro, Maria Teresa Ferraro,<br />

che scrive anche per conto del Ministero dell’Economia. In<br />

breve, secondo i due Ministeri, il bilancio dell’Inpgi “tende al<br />

peggioramento”. Sono necessari “interventi con urgenti e<br />

incisive misure sulle contribuzioni e/o sulle prestazioni”. In<br />

sostanza bisogna tagliare le pensioni e aumentare i contributi<br />

versati dalle aziende oppure bisogna tagliare le pensioni<br />

o alternativamente aumentare i contributi.<br />

Le scelte sono ineludibili. Non c’è una terza via.<br />

IL TESTO DELLA LETTERA DEL DIRETTORE GENERALE DEL MINISTERO DEL LAVORO A PAG. 3<br />

Illecito<br />

pubblicare<br />

abusivamente<br />

foto di<br />

un’attrice<br />

A PAG. 2<br />

SOMMARIO<br />

Anno XXXV<br />

n. 3 <strong>Marzo</strong> <strong>2005</strong><br />

Direzione e redazione<br />

Via A. da Recanate, 1<br />

20124 Milano<br />

Telefono: 02 67 71 37 1<br />

Telefax: 02 66 71 61 94<br />

http://www.odg.mi.it<br />

e-mail:odgmi@odg.mi.it<br />

Poste Italiane SpA<br />

Sped.abb.post. Dl n. 353/2003<br />

(conv. in L. 27/2/2004 n. 46)<br />

art. 1 (comma 2).<br />

Filiale di Milano<br />

L’Assemblea degli<br />

iscritti giovedì<br />

24 marzo <strong>2005</strong><br />

“Oro”<br />

a 21<br />

colleghi<br />

per<br />

50 anni<br />

di Albo<br />

Milano, 15 febbraio <strong>2005</strong>.<br />

Sono 21 i colleghi (14 professionisti<br />

e 7 pubblicisti) che<br />

quest’anno compiono i 50<br />

anni di iscrizione negli elenchi<br />

dell’Albo. Riceveranno la<br />

medaglia d’oro dell’<strong>Ordine</strong><br />

della Lombardia in occasione<br />

dell’assemblea annuale degli<br />

iscritti che si terrà giovedì 24<br />

marzo (h 15) al Circolo della<br />

Stampa.<br />

A PAGINA 8<br />

LE INTERVISTE<br />

Accolta la richiesta di danni della Sandrelli per le foto rubate<br />

Roma, 19 gennaio <strong>2005</strong>. La pubblicazione<br />

non autorizzata di foto di<br />

un’attrice tratte da un film è illecita<br />

e dà diritto al risarcimento <strong>dei</strong> danni<br />

per lesione del diritto all’immagine.<br />

Lo ha stabilito la prima sezione civile<br />

della Corte di cassazione (sentenza<br />

n. 22513/2004) accogliendo il<br />

ricorso di Stefania Sandrelli (nella<br />

foto) contro un noto settimanale per<br />

soli uomini che aveva pubblicato,<br />

senza il consenso dell’attrice, foto<br />

tratte dal film La chiave. La Corte di appello di Roma aveva<br />

infatti escluso il diritto al risarcimento sulla base del fatto che<br />

l’attrice aveva rifiutato di consentire alla pubblicazione, dimostrando,<br />

secondo i giudici di merito, la volontà di abbandonare<br />

il proprio diritto.<br />

La Suprema corte ha invece ribaltato il ragionamento <strong>dei</strong><br />

giudici dell’appello, ricordando che “chiunque pubblichi abusivamente<br />

il ritratto di una persona nota per finalità commerciali,<br />

è tenuto al risarcimento del danno, la cui liquidazione deve<br />

essere effettuata tenendo conto anzitutto delle ragioni della<br />

notorietà di cui si tratta, soprattutto se questa è connessa alla<br />

attività artistica del soggetto leso, alla quale si collega normalmente<br />

lo sfruttamento esclusivo della immagine stessa”.<br />

Incontri Tettamanzi: “No alla moltiplicazione della chiacchiera<br />

e del pettegolezzo” pag. 4<br />

Professione La nuova Carta <strong>dei</strong> Doveri dell’informazione economica pag. 15<br />

Diffamazione, la fretta non giustifica la pubblicazione<br />

di una notizia non vera<br />

pag. 15<br />

Premi A Ugo Tramballi l’Oscar degli inviati pag. 16<br />

Intervento L’italiano invaso da 9mila anglicismi pag. 17<br />

<strong>Ordine</strong> Dai compensi negati per le collaborazioni<br />

(articoli, uffici stampa) fino al riconoscimento<br />

del diritto d’autore disinvoltamente violato pag. 18<br />

Dibattito Quando “i cari colleghi assunti” diventano kapò pag. 19<br />

Mostre 1944, la democrazia italiana riparte dal Sud pag. 22<br />

Tesi di laurea Leonardo Sciascia, uno scrittore in redazione pag. 26<br />

La storia Le stragi degli anni Venti. Quando il terrorismo colpiva Milano pag. 32<br />

<strong>Ordine</strong> La sala del Consiglio dedicata a Nino Nutrizio pag. 34<br />

La Libreria di Tabloid pag. 35<br />

1


Segue dalla prima pagina<br />

INPGI<br />

Milano, 10 febbraio <strong>2005</strong>. L’Inpgi deve osservare le stesse<br />

regole dell’Inps in tema di libertà di cumulo, come prescrive<br />

l’articolo 76 (punto 4) della legge 23 dicembre 2000 n. 388,<br />

in forza del quale “le forme previdenziali gestite dall’Inpgi<br />

devono essere coordinate con le norme che regolano il<br />

regime delle prestazioni e <strong>dei</strong> contributi delle forme di previdenza<br />

sociale obbligatoria, sia generali che sostitutive”.<br />

Questo è il significato di una sentenza, firmata dal giudice<br />

del lavoro R. Punto del tribunale di Milano e depositata oggi<br />

in cancelleria, che ha accolto le ragioni del giornalista E.C.,<br />

difeso dall’avvocato Patrizia Sordellini.<br />

Il giudice ha depositato il dispositivo della sentenza, che<br />

dice: “Il tribunale di Milano, disattesa ogni altra domanda ed<br />

eccezione, dichiara che il regime di incumulabilità tra<br />

pensioni e redditi di lavoro applicato al ricorrente è in<br />

contrasto con l’articolo 76 legge n. 388/2000, condanna il<br />

convenuto (Inpgi, ndr.) a restituire quanto al periodo<br />

pregresso gli importi decurtati dal trattamento pensionistico”.<br />

Il giudice ha dichiarato compensate le spese di giudizio<br />

(data la novità della causa).<br />

In sintesi, la controversia verteva sulla legittimità del<br />

comportamento dell’Inpgi che, a partire dal gennaio 2002,<br />

ha applicato nei confronti del giornalista/ricorrente, un trattamento<br />

in materia di cumulo oggettivamente peggiorativo<br />

rispetto a quello previsto dalla disciplina comune. Più precisamente,<br />

anziché applicare per il periodo da gennaio 2002<br />

a dicembre 2002, una trattenuta nella sola misura del 30%<br />

sul rateo mensile di pensione dovuto in conformità all’art.<br />

72 (2° comma) della legge 23 dicembre 2000 n. 388 (c.d.<br />

Appello<br />

a Siniscalco<br />

e Maroni<br />

Milano, 10 febbraio <strong>2005</strong>. Appello di Franco Abruzzo, presidente<br />

dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti della Lombardia, ai ministri<br />

dell’Economia e del Lavoro, Domenico Siniscalco e Roberto<br />

Maroni: “Oggi il Consiglio di amministrazione dell’Inpgi ha<br />

approvato due delibere: una che estende il superbonus<br />

anche ai giornalisti e la seconda, che limita il diritto alla libertà<br />

di cumulo pensione-redditi da lavoro, fissata negli articoli 72<br />

della legge n. 388/2000 e 44 (comma 7) della legge n.<br />

289/2002.<br />

I giornalisti possono cumulare fino a 8.509 euro. Con questa<br />

seconda delibera, il Consiglio d’amministrazione dell’Istituto<br />

ha violato ancora una volta e clamorosamente l’articolo 3<br />

Tribunale civile di Milano:<br />

ai giornalisti iscritti all’istituto<br />

spetta la “libertà di cumulo”<br />

tra pensione e redditi da lavoro<br />

Finanziaria 2001) nonché consentire per il periodo successivo<br />

il pieno cumulo fra rateo pensionistico e reddito da<br />

lavoro dipendente – secondo quanto previsto dall’articolo<br />

44 della legge 27 dicembre 2002 n. 289 (c.d. Finanziaria<br />

2003) – l’ente previdenziale ha operato, all’inizio, una<br />

decurtazione del rateo pensionistico spettante al ricorrente<br />

nella misura del 50%, applicando l’articolo 15 del proprio<br />

Regolamento approvato con D.M. 24 luglio 1995 e, successivamente,<br />

ha azzerato l’erogazione del trattamento<br />

pensionistico.<br />

Di fronte alla richiesta del giornalista di corrispondere<br />

quanto illegittimamente trattenuto nel periodo pregresso,<br />

nonché di usufruire per il tempo futuro del medesimo trattamento<br />

previsto dalla disciplina comune in materia, l’Inpgi si<br />

è fatta scudo dietro l’autonomia che, a suo dire, le riconoscerebbe<br />

in materia l’articolo 44 (comma 7 della legge del<br />

27 dicembre 2002 n. 289), laddove prevede che “gli enti<br />

previdenziali privatizzati possono applicare le disposizioni<br />

di cui al presente articolo nel rispetto <strong>dei</strong> principi di autonomia<br />

previsti dal decreto legislativo 30 giugno 1994”.<br />

Ad avviso di questa difesa, la difesa della convenuta si rivela<br />

destituita di ogni fondamento anche alla luce dell’attuale<br />

dato positivo.<br />

Queste le valutazioni di Franco Abruzzo, presidente dell’<strong>Ordine</strong><br />

<strong>dei</strong> giornalisti della Lombardia: “L’applicazione ai giornalisti<br />

dipendenti di un regime in materia di cumulo così<br />

diverso in senso peggiorativo da quello previsto per i lavoratori<br />

comuni configura una disparità di trattamento che il<br />

principio di coordinamento – sancito dal punto 4 dell’artico-<br />

Due delibere del Consiglio d’amministrazione<br />

Sì al superbonus,<br />

cumulo sino a 8.509 euro<br />

Roma, 10 febbraio <strong>2005</strong>. Sì al superbonus,<br />

mentre resta invariato il tetto al cumulo tra<br />

pensione e redditi di lavoro autonomo.<br />

Lo ha deliberato oggi il Consiglio di amministrazione<br />

dell’Inpgi, l’Istituto di previdenza <strong>dei</strong><br />

giornalisti italiani: le deliberazioni saranno<br />

portate alla ratifica <strong>dei</strong> ministeri vigilanti.<br />

Prima di assumere una decisione sul superbonus,<br />

l’Inpgi - spiega una nota - ha dovuto far<br />

accertare attraverso una valutazione attuariale<br />

se, adottando la regola del bonus, potesse<br />

essere messa a rischio la stabilità dell’Ente.<br />

‘’Lo studio - sostiene l’Inpgi - ha evidenziato gli<br />

aspetti positivi del recepimento del decreto, e,<br />

di conseguenza, il Cda ha deliberato di estendere<br />

agli iscritti all’Inpgi il diritto di richiedere<br />

l’applicazione del superbonus’’. In particolare,<br />

secondo l’istituto, ‘’è emerso che nel periodo<br />

<strong>2005</strong>-2010 la spesa previdenziale si ridurrebbe<br />

di 72 milioni a fronte di una riduzione di<br />

entrate contributive pari a 27 milioni (saldo attivo<br />

di 45 milioni).<br />

Dal 2011 al 2032 la spesa aumenterebbe<br />

leggermente, ma sarebbe ampiamente<br />

compensata, con notevole vantaggio, dalla<br />

crescita del patrimonio, realizzata nel periodo<br />

di applicazione del bonus’’.<br />

‘’Nell’approvare il recepimento della norma, il<br />

Consiglio di amministrazione dell’Inpgi - continua<br />

l’ente a proposito del superbonus - ha<br />

anche tenuto conto del forte aumento <strong>dei</strong><br />

pensionamenti di anzianità verificatosi negli<br />

ultimi due mesi a causa dell’iniziativa assunta<br />

da varie aziende, le quali hanno stimolato le<br />

dimissioni di giornalisti con diritto alla pensione,<br />

offrendo loro consistenti buonuscite.<br />

Ciò minacciava di diminuire sostanzialmente,<br />

rispetto al passato, le entrate contributive,<br />

aumentando contemporaneamente la spesa<br />

previdenziale.<br />

Un doppio danno che il bonus potrà ridurre<br />

efficacemente’’.<br />

“L’Inpgi continua a violare il principio<br />

costituzionale dell’uguaglianza,<br />

limitando il diritto alla libertà<br />

di cumulo. Qualcuno deve pur<br />

dire la verità ai giovani giornalisti”<br />

della Costituzione (uguaglianza) e la sentenza n. 437/2002<br />

della Corte costituzionale. Proprio oggi il Tribunale del lavoro<br />

di Milano ha sancito che l’Inpgi deve comportarsi come l’Inps,<br />

in tema di libertà di cumulo, nel rispetto del punto 4<br />

dell’articolo 76 della legge n. 388/2000. L’Inpgi è l’unica cassa<br />

sostitutiva dell’Inps. Se è una cassa deve comportarsi come<br />

le casse degli avvocati e <strong>dei</strong> ragionieri, costrette dalla Corte<br />

costituzionale a riconoscere la libertà di cumulo ai propri<br />

iscritti; se è sostitutiva dell’Inps deve comportarsi come l’Inps.<br />

Non c’è una terza via. Signori ministri, attenti! I vertici<br />

dell’Inpgi vi diranno che la Fondazione non ha soldi; che le<br />

perizie attuariali del prof. Gismondi non consigliano di appli-<br />

lo 76 della legge n. 388/2000 – appare diretto a prevenire.<br />

La sentenza rispecchia i principi affermati dalla sentenza n.<br />

437/2002 della Corte costituzionale sulla libertà di cumulo<br />

nell’ambito della cassa <strong>dei</strong> ragionieri. Da Milano parte un<br />

segnale forte: l’Inpgi è con le spalle al muro, perché non<br />

può negare ai propri iscritti quei trattamenti (come la libertà<br />

di cumulo) che sono riconosciuti dall’Inps. L’uguaglianza è<br />

un valore costituzionale inviolabile, fondamentale e intangibile”.<br />

La sentenza n. 437/2002 della Corte costituzionale è<br />

eloquente: “È, infatti, da osservare anzitutto che il perseguimento<br />

dell’obiettivo tendenziale dell’equilibrio di bilancio<br />

non può essere assicurato da parte degli enti previdenziali<br />

delle categorie professionali – e, in particolare, da parte<br />

della Cassa di previdenza a favore <strong>dei</strong> ragionieri e periti<br />

commerciali – con il ricorso ad una normativa che, trattando<br />

in modo ingiustificatamente diverso situazioni sostanzialmente<br />

uguali, si traduce in una violazione dell’articolo 3<br />

della Costituzione.<br />

L’iscrizione ad albi o elenchi per lo svolgimento di determinate<br />

attività è, infatti, prescritta a tutela della collettività ed<br />

in particolare di coloro che dell’opera degli iscritti intendono<br />

avvalersi. In secondo luogo, si rileva che le norme concernenti<br />

il cumulo tra reddito da lavoro e prestazione previdenziale<br />

presuppongono la liceità dell’esercizio dell’attività<br />

lavorativa da parte del pensionato ed operano quindi su un<br />

piano diverso ed in un momento successivo a quelle del<br />

tipo della disposizione censurata, finalizzate ad impedirne<br />

lo svolgimento”.<br />

Quanto alla seconda delibera, che riguarda il<br />

cumulo tra pensione e redditi da lavoro autonomo,<br />

l’Inpgi spiega che ‘’nel maggio 2004 il<br />

Consiglio di amministrazione dell’Inpgi recepì<br />

un accordo tra la Fnsi e la Fieg, con il quale<br />

veniva elevato a 13.000 euro annui il massimale<br />

<strong>dei</strong> redditi cumulabili con la pensione. Il<br />

ministero dell’Economia, ricevendo la delibera,<br />

richiese tuttavia una verifica la quale dimostrasse<br />

che ciò non avrebbe rischiato di creare<br />

danno alla stabilità <strong>dei</strong> bilanci futuri dell’Ente.<br />

Lo studio attuariale non è stato in grado di dare<br />

questa sicurezza e quindi il Consiglio di amministrazione<br />

dell’Inpgi ha confermato oggi il<br />

precedente tetto riferito al 2001 di 7.746 euro,<br />

che a suo tempo era stato già oggetto di valutazione<br />

positiva da parte del ministero dell’Economia.<br />

Ad oggi il massimale è stato comunque rivalutato,<br />

anno dopo anno, per effetto delle aliquote<br />

di perequazione nelle seguenti misure: 2001,<br />

euro 7.746,85; 2002, euro 7.956,02; 2003,<br />

euro 8.146,96; 2004, euro 8.350,64; <strong>2005</strong>,<br />

euro 8.509,30’’. (ANSA)<br />

care la libertà di cumulo; che il direttore generale del ministero<br />

del Lavoro, Maria Teresa Ferraro, ha suonato l’allarme sul<br />

futuro dell’Istituto. Se è così, l’Inpgi deve tornare pubblico<br />

come era fino al 1995, applicando le regole dell’Inps<br />

(40x2=80%) e non l’assurda quanto splendida regola che<br />

parifica 30 anni di versamenti all’Inpgi ai 40 dell’Inps. L’Inpgi<br />

per fare 80% moltiplica 30x2,66. Il coefficiente del 2,66 è un<br />

lusso che un piccolo gruppo sociale, qual è quello <strong>dei</strong> giornalisti<br />

professionisti, non può più, purtroppo, permettersi.<br />

Signori ministri, intervenite, è un vostro dovere, è un vostro<br />

obbligo giuridico. Qualcuno deve pur dire la verità ai giovani<br />

giornalisti. Io mi assumo le mie responsabilità”.<br />

2 ORDINE 3 <strong>2005</strong>


Segue dalla prima pagina<br />

Ministeri del Lavoro<br />

INPGI<br />

e dell’Economia:<br />

il bilancio dell’ente<br />

“tende al peggioramento”<br />

Questo il testo della lettera della dott.ssa Ferraro:<br />

OGGETTO: Bilancio tecnico al 31/12/2003<br />

della gestione principale dell’Inpgi<br />

È stato analizzato il bilancio tecnico della gestione principale<br />

di codesto Istituto, trasmesso con nota n. 262 del 27<br />

settembre 2004, per il parere di competenza. La situazione<br />

gestionale dell’Istituto, che, in base alle risultanze del<br />

bilancio consuntivo, chiude l’esercizio 2003 con un avanzo<br />

di 63,775 milioni di euro ed un patrimonio netto pari a<br />

1.122,828 milioni di euro, evidenzia, tuttavia, alcuni<br />

segnali negativi, di cui non si può non tener conto:<br />

■ la rallentata crescita <strong>dei</strong> contributi (da + 6,06% nel 2002<br />

a + 5,14% nel 2003);<br />

■ l’incremento della spesa previdenziale (da + 4,32% nel<br />

2002 a + 5,12% nel 2003).<br />

La flessione delle entrate contributive, nonostante la serie<br />

di interventi che hanno interessato sia la base contributiva<br />

(ingresso nell’Inpgi nel 2001 <strong>dei</strong> giornalisti pubblicisti<br />

con contratto di lavoro subordinato), sia l’aliquota Ivs (1%<br />

in più dal 01/01/<strong>2005</strong>) è principalmente dovuta ai nuovi<br />

rapporti di lavoro che, pur in crescita, non riescono a<br />

costituire il gettito contributivo necessario per il pagamento<br />

delle pensioni in essere. L’incremento della spesa<br />

pensionistica, che costituisce il 90,2% delle entrate contributive,<br />

è da imputare, oltre alla perequazione di legge<br />

(2,4% nel 2003), ai seguenti fattori:<br />

■ incremento del numero di trattamenti pensionistici;<br />

■ maggior importo delle nuove pensioni rispetto a quelle<br />

cessate;<br />

■ passaggio da trattamenti ridotti ad interi;<br />

■ liquidazione <strong>dei</strong> supplementi di pensione;<br />

■ incremento delle retribuzioni per il calcolo della media<br />

pensionabile;<br />

■ onere <strong>dei</strong> prepensionamenti a totale carico dell’Inpgi<br />

(pari a 18,4 mln di euro).<br />

Ed ora mano alla riforma<br />

previdenziale <strong>dei</strong> giornalisti<br />

di Ezio Chiodini<br />

“…Pertanto, la rilevata tendenza al peggioramento<br />

della gestione previdenziale rende<br />

ineludibile come, peraltro sottolineato dal<br />

covigilante ministero dell’Economia e Finanze,<br />

la necessità di intervenire con urgenti ed<br />

incisive misure sulle contribuzioni e/o sulle<br />

prestazioni, ai sensi del richiamato art. 3,<br />

comma 12, della legge n.335/95”.<br />

Parole della dottoressa Maria Teresa Ferrraro,<br />

direttore generale per le politiche previdenziali<br />

del ministero del Lavoro e delle Politiche<br />

Sociali. Parole scritte a conclusione<br />

della lettera ricevuta dell’Inpgi il 3 gennaio<br />

scorso, lettera con quale la Ferraro, cioè il<br />

ministero del Lavoro e delle Politiche sociali<br />

ha espresso il proprio parere (anche a nome<br />

Dal 1° gennaio 2001 i giornalisti conseguono la pensione di<br />

vecchiaia a 65 anni e le giornaliste a 60 anni (con un minimo<br />

di 20 anni di contributi). La pensione di vecchiaia anticipata<br />

(quest’anno scatta per chi ha 63 anni e 30 anni di contributi)<br />

scomparirà alla fine del 2006. Dal primo gennaio 2007, quindi,<br />

i giornalisti andranno in pensione tutti a 65 anni (se<br />

maschi) e a 60 (se donne).<br />

ORDINE 3 <strong>2005</strong><br />

Nonostante la contribuzione Ivs abbia fatto registrare un<br />

trend in crescita (4,85 in più rispetto al 2002), nel 2003<br />

sono cresciute anche le prestazioni Ivs, con una percentuale<br />

del 5,12% rispetto all’anno precedente, con conseguente<br />

disallineamento che, se dovesse divenire sistematico,<br />

farebbe registrare un peggioramento progressivo<br />

della gestione.<br />

Analizzando i flussi di contributi e prestazioni per l’esercizio<br />

2003, emerge che il 91,5% delle contribuzioni totali<br />

proviene dalla gestione Ivs, mentre il 95,4% delle prestazioni<br />

totali è costituito da prestazioni Ivs, che assorbono,<br />

quindi, circa il 4% <strong>dei</strong> finanziamenti destinati alle altre<br />

prestazioni (disoccupazione, tbc etc.).<br />

Dall’analisi del bilancio tecnico al 31/12/2000, già si<br />

evidenziava uno squilibrio a partire dal 2020. Di conseguenza,<br />

questo ministero aveva richiesto l’adozione di<br />

idonei provvedimenti correttivi sul versante delle prestazioni<br />

e/o contribuzioni.<br />

Il disavanzo gestionale è stato nuovamente confermato<br />

dal bilancio tecnico attuariale al 31/12/2003, che anticipa<br />

il punto di criticità nel 2018 con un saldo previdenziale,<br />

cioè la differenza tra contributi e prestazioni, già negativo<br />

nel 2017, non rispettando neanche l’arco temporale di<br />

quindici anni previsto dall’art. 3, comma 12, della legge<br />

335/95. Nel 2029 il patrimonio non copre più le prestazioni<br />

correnti e si azzera nel 2034.<br />

L’aumento dell’1% dell’aliquota Ivs, che dal 1° gennaio<br />

<strong>2005</strong> si attesta al 28,97%, non è sufficiente ad assicurare<br />

l’equilibrio e risulta, comunque, inferiore a quella del Fpld<br />

che, al 01/01/2004 come aliquota contributiva ordinaria<br />

applica il 32,70% (23,81% a carico del datore di lavoro e<br />

8,89% a carico del lavoratore).<br />

Pertanto, la rilevata tendenza al peggioramento della<br />

gestione previdenziale rende ineludibile come, peraltro,<br />

sottolineato dal covigilante ministero dell’Economia e<br />

Finanze, la necessità di intervenire con urgenti ed incisive<br />

misure sulle contribuzioni e/o sulle prestazioni, ai sensi<br />

del richiamato art. 3, comma 12, della legge n. 335/95.<br />

IL DIRETTORE GENERALE<br />

(dott.ssa Maria Teresa FERRARO)<br />

del ministero dell’Economia) sul bilancio<br />

tecnico al 31 dicembre 2003 dell’Istituto di<br />

previdenza <strong>dei</strong> giornalisti.<br />

Insomma, anche la Ferraro ne è convinta:<br />

l’Istituto non gode affatto di buona salute.<br />

Anzi! E, forse non lo sa, ma dopo aver fatto<br />

preoccupanti affermazioni sul futuro dell’istituto<br />

la Ferrario sarà anch’essa iscritta d’ufficio<br />

a quel club <strong>dei</strong> corvi che, secondo autorevoli<br />

esponenti dell’Inpgi, godrebbero nel<br />

vedere il nostro istituto trasformato in cadavere.<br />

Ma lasciamo stare i corvi, e lasciamo stare<br />

anche i becchini e gli imbonitori e occupiamoci,<br />

invece, del nostro istituto. Per dire che<br />

anche la Ferraro (vedere la lettera integrale<br />

pubblicata qui sopra) giunge a conclusioni<br />

ormai sottoscritte da molti: così com’è la<br />

gestione dell’Inpgi non può più andare avanti.<br />

Bisogna mettere mano, e subito, ai conti,<br />

perché prevedendo un saldo già negativo<br />

nel 2017 “non si rispetta neanche l’arco<br />

temporale di quindici anni previsto dall’art.3,<br />

comma 12, della legge 335/95…”. E “l’aumento<br />

dell’1% dell’aliquota Ivs (cioè quanto<br />

si paga sullo stipendio lordo a fini previdenziali,<br />

ndr), che dal primo gennaio si attesta<br />

al 28,97%, non è sufficiente ad assicurare<br />

l’equilibrio e risulta, comunque, inferiore a<br />

quella del Fpdl (cioè il fondo di previdenza<br />

<strong>dei</strong> lavoratori dipendenti che fa capo all’Inps,<br />

ndr) che come aliquota contributiva ordinaria<br />

applica il 32,70% (23,81% a carico del<br />

datore di lavoro e 8.89% a carico del lavoratore)”.<br />

C’è poco da aggiungere a quanto scritto<br />

chiaramente dalla Ferraro. Casomai c’è<br />

molto da riflettere. Anche sull’intervento di<br />

Pierluigi Franz (consigliere dell’Inpgi) apparso<br />

sull’ultimo numero di <strong>Ordine</strong> Tabloid. In<br />

quell’intervento Franz scrive, fra l’altro, che<br />

“nei prossimi mesi l’Inpgi dovrà pronunciarsi<br />

Ai giovani giornalisti assunti per la prima volta dopo il 25<br />

luglio 1998 (sono oltre 5mila, un terzo <strong>dei</strong> giornalisti attivi) si<br />

applica già il calcolo contributivo con il risultato che gli stessi<br />

percepiranno una pensione inferiore del 22-24 per cento<br />

rispetto a quelle erogate oggi ai colleghi meno giovani.<br />

Nessuno dice che se le cose dovessero andare male (faccio<br />

scongiuri), lo Stato garantirà il diritto alla pensione (ma non<br />

su una serie di importanti questioni molto<br />

attesa dalla categoria: superbonus, correzione<br />

del divieto di cumulo pensione/lavoro,<br />

riforma delle pensioni, probabile aumento<br />

del costo <strong>dei</strong> contributi volontari figurativi,<br />

revisione del meccanismo di adeguamento<br />

<strong>dei</strong> vitalizi…”<br />

Insomma, nei prossimi mesi si metterà mano<br />

alla riforma previdenziale dell’Inpgi.<br />

Ma “chi” vi metterà mano? E in quale contesto?<br />

Può una riforma del genere essere<br />

partorita soltanto ed esclusivamente da un<br />

consiglio di amministrazione, può essere il<br />

risultato di una mediazione fra poteri diversi?<br />

E quali poteri? O deve essere, invece, una<br />

riforma che si ispiri a principi e poteri di<br />

equità, di trasparenza e di democrazia, una<br />

riforma dibattuta e fatta propria dai giornalisti<br />

iscritti all’Inpgi? La risposta, a nostro giudizio,<br />

è ovvia. E allora, occhio alla riforma, ma<br />

anche a come verrà gestita e proposta.<br />

Età pensionabile a 65 anni (maschi) e a 60 anni (donne)<br />

dall’1.1.2007 (5mila giovani già con il contributivo)<br />

il quantum) e darà ai giornalisti Inpgi soltanto l’assegno<br />

sociale (meno di 500 euro al mese). Perché dobbiamo correre<br />

simili paurosi rischi?<br />

Perché non riflettere sulla necessità di ritornare al pubblico<br />

e al “come eravamo” fino al 1995? L’Inpgi non ammette la<br />

pericolosità attuale <strong>dei</strong> bilanci (incassiamo 100 e spendiamo<br />

92).<br />

3


IL CARDINALE HA INCONTRATO IL 29 GENNAIO GLI ALLIEVI PRATICANTI DELLE TRE SCUOLE DI GIORNALISMO DI<br />

Tettamanzi: “No alla moltiplicazione<br />

La lezione<br />

dell’Arcivescovo<br />

Saluto ciascuno di voi con viva cordialità. E vi ringrazio<br />

perché avete accolto l’invito a questo incontro, in occasione<br />

della festa di san Francesco di Sales, patrono <strong>dei</strong> giornalisti.<br />

In particolare saluto gli studenti e i docenti delle tre scuole di<br />

giornalismo presenti a Milano. Sono grato ai direttori e ai loro<br />

rappresentanti per avermi delineato, sia pure brevemente, la<br />

fisionomia, le caratteristiche e le finalità delle singole scuole.<br />

Ho potuto così cogliere come le vostre scuole non si limitano<br />

ad una istruzione giornalistica di carattere tecnico, cioè –<br />

potremmo dire – non si limitano ad insegnare a “fare” i giornalisti,<br />

ma si impegnano anche e soprattutto a far nascere e<br />

crescere negli studenti il senso di responsabilità di “essere”<br />

giornalisti.<br />

Mi pare, questo, un tratto importante, anzi decisivo di una<br />

valida e seria scuola di giornalismo. Sono convinto che per<br />

“fare” il giornalista sia del tutto necessario “essere” giornalista!<br />

Secondo l’antica massima: agere sequitur esse.<br />

Questa mia conversazione familiare desidera avere, come<br />

primi e privilegiati interlocutori, voi studenti e docenti delle<br />

scuole milanesi di giornalismo. Amo però pensare che le<br />

riflessioni che condivido con voi possano essere di qualche<br />

interesse e utilità anche per chi, ormai da tempo, esercita la<br />

professione di operatore <strong>dei</strong> media.<br />

Francesco di Sales:<br />

un giornalista esemplare<br />

anche per il nostro tempo<br />

A mo’ di introduzione, non posso tralasciare di spendere una<br />

parola sul santo di cui in questi giorni la Chiesa ha fatto<br />

memoria. È Francesco di Sales, vescovo di Ginevra, che nel<br />

1923 è stato proclamato patrono <strong>dei</strong> giornalisti e degli scrittori<br />

per una evidente “affinità” del santo con queste categorie<br />

di persone.<br />

Anch’egli, infatti, ha coltivato l’arte del giornalismo e della<br />

stampa. L’ha fatto come era possibile ai suoi tempi: siamo<br />

negli anni del millecinque-seicento (è morto, a 56 anni, nel<br />

1622); e l’ha fatto attraverso una fittissima corrispondenza e<br />

una serie di lettere ai fedeli della sua diocesi, lettere che poi<br />

diventavano fogli stampati e largamente diffusi.<br />

Nella sua opera “giornalistica” – se così possiamo esprimerci<br />

– ci sono <strong>dei</strong> tratti di particolare interesse. Così la sua<br />

La “lectio”<br />

del<br />

cardinale<br />

di Emanuele Buzzi e Daniele Lorenzetti<br />

Milano, 29 gennaio <strong>2005</strong>. Raccontare la<br />

verità, anche quando essa ci sfugge o non<br />

piace, raccontare la verità anche se si è<br />

circondati da retaggi di ipocrisia e scelte di<br />

comodo: questo dovrebbe essere il lavoro<br />

del giornalista. Non un imperativo categorico,<br />

ma un assioma che a volte viene trascurato<br />

o dimenticato. Sono passati i tempi in cui<br />

Balzac sosteneva che “se la stampa non<br />

esistesse, bisognerebbe non inventarla, ma<br />

ormai c’è e noi ci viviamo”: oggigiorno l’informazione<br />

è una necessità, una necessità su<br />

cui riflettere. Lo ha fatto con gli allievi e i<br />

docenti delle scuole di giornalismo di Milano<br />

– Istituto Carlo De Martino, Cattolica e Iulm<br />

– il cardinale e arcivescovo Dionigi Tettamanzi.<br />

L’incontro, organizzato in occasione della<br />

festa del patrono <strong>dei</strong> giornalisti san Francesco<br />

di Sales e dedicato a “passione e coraggio<br />

della verità”, si è tenuto al seminario arcivescovile<br />

di Milano.<br />

La “lectio” del cardinale è stata preceduta da<br />

una breve introduzione <strong>dei</strong> rappresentanti<br />

delle tre scuole. È stato proprio Gigi Speroni,<br />

singolare capacità di armonizzare la limpidità e il vigore<br />

dell’annuncio della verità con la bontà e la soavità del suo<br />

animo: una linea, questa, da attribuirsi non solo al suo temperamento,<br />

ma anche alla disciplina da lui continuamente coltivata<br />

e dimostrata soprattutto nei dibattiti e nelle contese con<br />

i protestanti del suo tempo. Così ancora il suo desiderio di<br />

arrivare a tutti e la sua capacità effettiva di raggiungere il più<br />

largo numero di persone, come pure l’impegno a diffondere<br />

“il messaggio” evangelico e umano anche nelle situazioni più<br />

complesse e difficili. Era estremamente abile nell’esprimersi<br />

in modo chiaro, così da essere compreso da tutti. E, infine, la<br />

sua ferma determinazione a servire la verità con passione e<br />

con coraggio.<br />

Questi e altri motivi hanno indotto il papa Pio XI a proclamare<br />

san Francesco di Sales quale patrono <strong>dei</strong> giornalisti e, in<br />

tal modo, a proporlo agli operatori della comunicazione<br />

sociale come esempio e aiuto.<br />

Ed è proprio pensando alla figura e all’azione di questo santo<br />

che ho scelto come argomento della nostra riflessione e del<br />

nostro dialogo un argomento, forse arduo ma assolutamente<br />

essenziale per il vostro “essere” giornalisti: la passione e il<br />

coraggio della verità.<br />

Il bene primario<br />

della comunicazione<br />

e la verità<br />

Penso che il punto di partenza della nostra riflessione debba<br />

essere la consapevolezza che l’informazione-comunicazione<br />

è per tutti noi un bene primario: per le singole persone e per<br />

l’intera società. Vorrei citare un documento della Conferenza<br />

episcopale italiana, che offre gli orientamenti pastorali per<br />

questo primo decennio del 2000, dal titolo Comunicare il<br />

Vangelo in un mondo che cambia. Al numero 39 leggo: “La<br />

possibilità di comunicare in modo nuovo e diffuso è un bene<br />

di tutta l’umanità e come tale va promosso e tutelato. Quanto<br />

più potenti sono i mezzi di comunicazione tanto più deve<br />

essere forte la coscienza etica di chi in essi opera e di che<br />

ne usufruisce. È necessario pertanto che la comunicazione<br />

sociale non sia considerata solo in termini economici o di<br />

potere, ma resti e si sviluppi nel quadro <strong>dei</strong> beni di primaria<br />

importanza per il futuro dell’umanità”.<br />

A sinistra: il cardinale Dionigi Tettamanzi durante l’incontro con giornalisti e studenti<br />

delle scuole di giornalismo in occasione della festa di san Francesco di Sales. Qui sopra,<br />

da sinistra: il prof. Ruggero Eugeni, in rappresentanza della direzione della scuola di<br />

giornalismo dell’Università Cattolica; Gigi Speroni, direttore dell’Istituto di formazione al<br />

giornalismo Carlo De Martino; l’arcivescovo di Milano, card. Dionigi Tettamanzi; il prof.<br />

Angelo Agostini, direttore della scuola di giornalismo allo Iulm, don Gianni Zappa. Nella<br />

foto in basso il cardinale con il presidente Franco Abruzzo. (foto ITL/mariga)<br />

Più che<br />

«fare»<br />

i giornalisti,<br />

bisogna<br />

«essere»...<br />

direttore dell’Istituto De Martino, a ricordare<br />

come il tempo trascorso nelle aule debba<br />

“avere non solo una valenza formativa, ma<br />

anche una valenza sociale”: la crescita<br />

professionale non deve essere disgiunta da<br />

un arricchimento personale, interiore. Non a<br />

caso, lo slogan di Carlo De Martino era<br />

proprio “formare i giornalisti di domani”.<br />

Argomentazioni che hanno trovato il consenso<br />

di Ruggero Eugeni, intervenuto in rappresentanza<br />

della Cattolica: “La nostra scuola –<br />

ha detto – cerca di coniugare la fedeltà al<br />

progetto culturale della Chiesa con la sua<br />

natura di bottega redazionale”. Mentre Angelo<br />

Agostini, direttore del master in giornalismo<br />

allo Iulm, ha sottolineato la “vocazione<br />

sperimentale” della più giovane tra le scuole<br />

di giornalismo milanesi.<br />

“Più che «fare» i giornalisti, bisogna «essere»<br />

giornalisti” – ha fatto eco Tettamanzi: se<br />

comunicare vuol dire donare qualcosa di noi<br />

agli altri, “nel vostro caso significa contribuire<br />

a far crescere la comprensione della realtà<br />

in cui si vive”. Insomma, bisogna essere<br />

obiettivi, senza per questo dirsi neutrali. Anzi.<br />

Proprio il fatto di essere al servizio dell’uomo,<br />

di essere un mezzo per comprendere<br />

“Per essere giornalisti auten<br />

Ma perché l’informazione-comunicazione è un bene primario<br />

per tutti noi? Perché l’essere informati significa esprimere e<br />

vivere una dimensione essenziale della persona: la dimensione<br />

della relazionalità. Certo la persona è persona per la<br />

sua “razionalità”, ma non meno per la sua “relazionalità”,<br />

ossia per la sua capacità e realtà di entrare in rapporto con<br />

gli altri e con l’intera realtà. Ora i media, come efficacemente<br />

è stato scritto, sono “il biglietto di ingresso di ogni uomo e di<br />

ogni donna alla moderna piazza di mercato dove si esprimono<br />

pubblicamente i pensieri, dove si scambiano le idee,<br />

vengono fatte circolare le notizie e vengono trasmesse e ricevute<br />

le informazioni di ogni genere” (Giovanni Paolo II,<br />

Messaggio per la 26° Giornata mondiale delle comunicazioni<br />

sociali, 1992).<br />

Proprio così: è con l’informazione che noi entriamo in relazione<br />

con i più diversi fatti ed eventi che accadono; con i<br />

pensieri, i progetti, i sentimenti, le scelte e le azioni, in una<br />

parola con la vita degli altri; con le situazioni economiche,<br />

sociali, politiche del momento storico che stiamo vivendo;<br />

con le diverse culture che alimentano, mediante il dialogo o<br />

lo scontro, le interpretazioni e le decisioni in atto tra le persone,<br />

i gruppi, i popoli.<br />

E tutto questo incrociarsi di informazioni che rendono così<br />

viva e vivace quella che abbiamo ora chiamata “la moderna<br />

piazza di mercato” diviene una “provocazione”, un’occasione<br />

– cercata o, comunque, data – che chiede di essere assunta<br />

responsabilmente, un appello cioè a partecipare attivamente<br />

– in rapporto alle proprie risorse e nei propri ambienti di vita<br />

– ai processi che orientano e ultimamente decidono i percorsi<br />

della cultura, della convivenza civile, della politica, della<br />

storia.<br />

In questo senso, l’informazione deve dirsi un bisogno, al<br />

quale non si può rinunciare, analogamente al cibo d’ogni<br />

giorno. Ma come è necessario che il cibo da noi assunto<br />

quotidianamente sia buono, non ci faccia male, anzi ci dia<br />

l’energia indispensabile per svolgere il nostro lavoro e tutte le<br />

altre nostre attività, così è necessario che l’informazione che<br />

riceviamo e che offriamo sia buona, ci permetta cioè di<br />

possedere tutti gli elementi corretti necessari per conoscere<br />

e per capire la realtà in cui viviamo, in ordine poi a divenire<br />

protagonisti responsabili della crescita umana integrale di<br />

ciascuno di noi e di noi tutti insieme.<br />

Questo significa che la comunicazione non può avere altro<br />

obiettivo che quello di servire l’uomo e di contribuire, in<br />

4 ORDINE 3 <strong>2005</strong>


MILANO (CON I LORO DIRETTORI)<br />

Milano, 29 gennaio <strong>2005</strong>. A<br />

tu per tu con il lato oscuro<br />

della notizia, con le insidie<br />

della spettacolarizzazione e<br />

del pressappochismo, malattia<br />

ricorrente del giornalismo.<br />

È stato un incontro senza<br />

convenevoli, quello con l’arcivescovo<br />

di Milano.<br />

Che ha mirato dritto al cuore<br />

del problema. Il cardinale<br />

Tettamanzi non si è accontentato<br />

di una semplice lezione,<br />

ma ha voluto rispondere<br />

a viso aperto alle domande<br />

<strong>dei</strong> cronisti e degli studenti<br />

presenti al Seminario Arcivescovile,<br />

in omaggio a un principio<br />

(e un consiglio) da tenere<br />

stretto: “Un buon comunicatore<br />

è chi sa prima di tutto<br />

ORDINE 3 <strong>2005</strong><br />

ascoltare attentamente”.<br />

Spazio al microfono, dunque,<br />

per un botta e risposta con<br />

l’uditorio sullo stato di salute<br />

del mestiere. Chiede Alberto<br />

Comuzzi, presidente dall’Unione<br />

cattolica della stampa<br />

italiana: “L’arcivescovo di Milano<br />

è soddisfatto di come la<br />

comunità <strong>dei</strong> credenti viene<br />

raffigurata nella grande stampa?”<br />

Da Tettamanzi nessuna<br />

concessione alla polemica o<br />

alle lamentele, ma parole<br />

chiare sì: “Un certo grado di<br />

semplificazione è inevitabile<br />

– è la riflessione dell’arcivescovo<br />

– talora tuttavia diventa<br />

voluta. Basti pensare alla<br />

catalogazione <strong>dei</strong> vescovi per<br />

tendenza politiche. Si dice:<br />

ciò che ci circonda, rende necessarie le<br />

opinioni, perché “il giornalista non può limitarsi<br />

ad essere un burocrate della comunicazione”.<br />

Ecco allora che ci si trova di fronte un<br />

terreno ostico, dove è facile scivolare, cadere<br />

nella spettacolarizzazione della notizia o<br />

in una pericolosa sovrapposizione tra il<br />

proprio pensiero e la verità <strong>dei</strong> fatti. Bisogna<br />

quindi sapere distinguere la verità dall’opinione,<br />

sapersi mettere al servizio degli altri.<br />

Tettamanzi traccia la linea di confine su cui<br />

orientarsi, una linea sottile, fondata sull’etica:<br />

“La verità, nel nostro caso, altro non è che<br />

l’uomo stesso. Sì, l’uomo stesso, ma l’uomo<br />

quale è nella sua struttura essenziale, nei<br />

suoi dinamismi più profondi e nelle sue<br />

intrinseche finalità: ossia l’uomo come essere<br />

intelligente e libero, chiamato ad essere<br />

«con» e a vivere «per» gli altri”.<br />

In un mondo dominato dalle frivolezze è facile,<br />

tuttavia, cadere in tentazione. Tettamanzi<br />

si scaglia contro quel tipo di giornalismo che<br />

produce solo “la moltiplicazione della chiacchiera<br />

e del pettegolezzo, la ricerca ossessiva<br />

dello scoop, la tendenza a omologare tutto<br />

e a sostituire ciò che è rilevante e utile con<br />

ciò che è pura e vuota curiosità”, un giornali-<br />

“Un buon comunicatore<br />

è chi sa<br />

prima di tutto ascoltare<br />

attentamente”<br />

questo è di destra, quello di<br />

sinistra… Questi schemi sono<br />

già inadeguati nelle organizzazioni<br />

umane, e a maggior<br />

ragione lo sono per una<br />

realtà spirituale come la<br />

Chiesa!”.<br />

Certo, i principi dell’etica<br />

sono ardui da rispettare nel<br />

lavoro quotidiano, quando la<br />

pressione <strong>dei</strong> capi si fa<br />

spasmodica e la coscienza<br />

vacilla. Tanto più in una realtà<br />

editoriale dove il potere,<br />

come ha sottolineato l’inviato<br />

di Repubblica, Carlo Brambilla,<br />

è concentrato nelle mani<br />

di pochi. “Cosa fare quando<br />

non si può far bene? Dire di<br />

no al direttore?” si è chiesta a<br />

nome di tanti una cronista in<br />

sala. “Non voglio cercare un<br />

smo “destinato a creare emozioni più che ad<br />

aiutare le persone a pensare, a capire, a<br />

discernere”. È una presa d’atto sicura, decisa,<br />

schietta, anche se i toni sono paterni e<br />

affabili. Una sirena d’allarme contro i rischi<br />

che si affacciano numerosi in una professione<br />

che vive a stretto contatto con interessi<br />

politico-economici. Non bisogna cedere alle<br />

lusinghe, né “rassegnarsi di fronte a un sistema<br />

troppo grande e potente”, né “ricercare<br />

cinicamente il successo personale e la carriera<br />

con qualunque mezzo e ad ogni costo”.<br />

Asservirsi al sistema economico e commerciale<br />

“fino a diventarne per molti spetti dipendenti”<br />

equivale all’annullamento della dimensione<br />

etica e umana del giornalista.<br />

In sala i giovani sono attentissimi, c’è chi<br />

prende appunti e chi annuisce. Tettamanzi<br />

ricorda il detto latino “agere sequitur esse”,<br />

ciò che facciamo, ciò che siamo è sempre<br />

una conseguenza di ciò che siamo. In fondo,<br />

voler comunicare, fornire cibo per la mente, è<br />

una “vocazione”, che va incoraggiata e accresciuta,<br />

ricordandoci che il nostro fine e il<br />

centro della nostra attività sono “le persone<br />

concrete”. È necessario, quindi, “coltivare<br />

dentro di sé i valori che sono a fondamento<br />

alibi – ha replicato Tettamanzi<br />

– ma il compito di applicare<br />

questi criteri alle situazioni<br />

concrete spetta a ciascuno di<br />

voi. La risposta forse si può<br />

trovare meglio facendosi<br />

forza in gruppo”.<br />

Inevitabile poi un cenno all’attualità<br />

più stretta, quando un<br />

praticante dello Iulm, Martino<br />

Cello, ha allargato la discussione<br />

a un tema scottante,<br />

alla vigilia <strong>dei</strong> referendum<br />

sulla procreazione assistita:<br />

“Con quali criteri giudicare la<br />

comunicazione nel campo<br />

della bioetica?”. “Mi dà fastidio<br />

questa immediata e<br />

costante contrapposizione tra<br />

laici e cattolici – ha risposto<br />

Tettamanzi – quando l’argo-<br />

mento che si dibatte è essenzialmente<br />

umano. Ci sono<br />

tante bioetiche e tutte dipendono<br />

dalla concezione che<br />

uno ha dell’uomo”.<br />

Già, la questione antropologica.<br />

Chiedetevi chi è l’uomo<br />

e avrete la risposta, suggerisce<br />

Tettamanzi. E per farlo<br />

non serve necessariamente<br />

la fede, “poiché è la stessa<br />

ragione – soggiunge con<br />

forza suggestiva – a porsi<br />

sulla soglia del mistero”. Il<br />

sasso, insomma, è lanciato:<br />

non è detto che basti per<br />

trovare un accordo sui valori,<br />

ma certo è un bel viatico per<br />

una discussione aperta e<br />

civile.<br />

e.b. d.l.<br />

della chiacchiera e del pettegolezzo”<br />

... è facile<br />

cadere<br />

in tentazione<br />

misura non certo piccola ma determinante, a creare le<br />

condizioni perché l’uomo diventi sempre più uomo, ossia<br />

sempre più maturo nella coscienza della sua dignità personale<br />

e sempre più responsabile nell’uso della sua libertà:<br />

... il detto<br />

latino “agere<br />

sequitur<br />

esse”<br />

una libertà che, per essere veramente e pienamente<br />

umana, comporta in definitiva che l’uomo viva come essere<br />

“con” gli altri, anzi come essere “per” gli altri. In altri termini,<br />

una libertà che coincide con la responsabilità stessa come<br />

dono di sé agli altri, e dunque apertura a tutti, comunione e<br />

solidarietà con tutti, “compassione” – nel senso più nobile<br />

della parola – e “servizio” nel senso più esaltante e impegnativo<br />

del termine.<br />

Ora la consapevolezza di questo obiettivo – servire l’uomo<br />

perché diventi sempre più uomo – ha come suo primo sbocco<br />

l’impegno a non gettare nel mucchio qualsiasi comunicazione,<br />

più radicalmente a non confondere la verità con qualsiasi<br />

opinione, bensì a riconoscere e onorare i valori della<br />

verità e del bene, e dunque del rispetto della dignità personale<br />

di tutti e di ciascuno, come valori costitutivi del proprio<br />

essere operatori della comunicazione sociale.<br />

Da quanto abbiamo detto risulta che la questione della verità<br />

è centrale e decisiva per una comunicazione umana e<br />

umanizzante, ossia posta al servizio dell’uomo. C’è solo –<br />

ma è un punto capitale, questo – da non pensare in modo<br />

astratto la verità, come qualcosa di lontano o di estraneo alla<br />

nostra vita, ma da pensare in modo concreto, concretissimo:<br />

la verità, nel nostro caso, altro non è che l’uomo stesso. Sì,<br />

l’uomo stesso, ma l’uomo quale è nella sua struttura essenziale,<br />

nei suoi dinamismi più profondi e nelle sue intrinseche<br />

finalità: ossia l’uomo come essere intelligente e libero, chiamato<br />

ad essere “con” e a vivere “per” gli altri.<br />

In questo senso si può e si deve distinguere tra verità e<br />

opinione. Penso che la nostra riflessione e la nostra stessa<br />

esperienza di vita ci fanno sottoscrivere quanto dice il<br />

recente Direttorio della Cei Comunicazione e missione: “Se<br />

il rapporto con l’altro si riduce al semplice sovrapporsi di<br />

pareri e sensazioni individuali, la relazione sarà il luogo<br />

non della ricerca della verità, ma del confronto-scontro<br />

delle opinioni o peggio ancora della prevaricazione e della<br />

manipolazione.<br />

Alla ricerca della verità si sostituisce un percorso ambiguo<br />

e strumentale che conduce a una sorta di ‘moltiplicazione<br />

delle verità’ o ad un azzeramento del riferimento alla verità.<br />

Ne sortiranno visioni del mondo e della vita legate sempre<br />

più a opinioni e sondaggi, del tutto relativi o imposti a colpi<br />

di maggioranza. Così la verità rischia di finire confinata<br />

nell’ambito della coscienza individuale e di essere esclusa<br />

dall’arena sociale e politica” (n. 22).<br />

... esorta a<br />

non piegarsi<br />

di fronte alle<br />

difficoltà...<br />

della propria umanità e dell’umanità degli<br />

altri”.<br />

È un messaggio di speranza, una speranza<br />

tangibile, concreta che sembra trasparire<br />

dallo sguardo del cardinale, un plauso “ad<br />

esercitare una vigilante funzione critica”,<br />

essendo consci che non sarà semplice farlo.<br />

Etica e umanità sono parole che risuonano<br />

dure anche a chi dovrebbe averle nel proprio<br />

Dna come patrimonio, sono valori offuscati<br />

dalla realtà contemporanea, concetti che<br />

richiedono, appunto, “coraggio e passione”.<br />

Tettamanzi esorta a non piegarsi di fronte alle<br />

difficoltà e ricorda le parole di Giovanni Battista<br />

Montini in un incontro nella tipografia del<br />

quotidiano L’Italia di 50 anni fa: oggi come<br />

allora è fondamentale “avere la carità della<br />

verità. Bisogna amare quelli a cui si rivolge la<br />

parola; amare nel dono, nell’offerta di qualche<br />

cosa di vero”. Un suggerimento che trova<br />

eco nelle coscienze di chi in sala applaude e<br />

si avvia, cappotto sulle spalle, verso un futuro<br />

pieno di incognite. Fuori il freddo punge le<br />

ossa e scava in profondità, così come l’appello<br />

del cardinale penetra negli animi di chi<br />

vuole affrontare con passione, coraggio,<br />

dignità e verità il proprio domani.<br />

tici la passione e il coraggio della verità”<br />

L’attuale sistema<br />

della comunicazione mediatica<br />

e la tensione etica<br />

Nel contesto socio-culturale ora detto, diventano inevitabili<br />

alcuni interrogativi: il sistema della comunicazione mediatica,<br />

così come oggi è organizzata, ci aiuta o ci ostacola nel coltivare<br />

la passione e il coraggio della verità?<br />

Fino a che punto si può essere condizionati da un sistema<br />

che è in perenne movimento, che si configura come sempre<br />

più frenetico, che consuma in pochissimo tempo quanto<br />

produce, che accende ed alimenta l’ansia spasmodica di<br />

dare la notizia per primi, perché la prima notizia è comunque<br />

sempre quella vincente?<br />

All’immagine popolare – e per certi versi romantica – del giornalista<br />

che viaggia, che fotografa, osserva, si informa, conosce,<br />

verifica, riflette e poi – finalmente – comunica i risultati<br />

della sua paziente e laboriosa ricerca, si è sostituita quella<br />

dello stare in redazione, legati ad una sedia davanti al monitor,<br />

a leggere e a “cucinare” notizie di agenzia, a vedere cosa<br />

succede alla televisione, diventata ormai sempre più il luogo<br />

dove vengono “dettati” gli argomenti da comunicare e da<br />

sottolineare.<br />

Come sappiamo, questa trasformazione è la conseguenza<br />

dello straordinario sviluppo tecnologico, che ha creato e<br />

incessantemente crea nuovi e sempre più veloci sistemi di<br />

comunicazione e, insieme, ha realizzato e continua a realizzare<br />

strumenti mediatici sempre più potenti e ovunque diffusi.<br />

Noi non siamo né ottimisti né pessimisti a priori e ad oltranza.<br />

Siamo, semplicemente, realisti. Ora, da una parte, questo<br />

sviluppo rappresenta una grande opportunità e i nuovi mezzi<br />

costituiscono una preziosa risorsa: permettono, tra l’altro, di<br />

allargare la cerchia delle conoscenze, di favorire l’incontro e<br />

il dialogo con persone lontane o lontanissime e dalle più<br />

diverse culture, di sviluppare la consapevolezza di una interdipendenza<br />

che lega uomini e popoli. Ma, dall’altra parte,<br />

questo stesso sviluppo e questi stessi nuovi mezzi presentano<br />

non pochi rischi e possono aprire derive problematiche.<br />

E non è mistero per nessuno che simili rischi e derive proble-<br />

segue<br />

5


Il cardinale ha incontrato il 29 gennaio gli allievi praticanti delle tre scuole di giornalismo di Milano (con i loro direttori)<br />

matiche si fanno particolarmente evidenti e inquietanti quando<br />

le tecnologie e i processi di comunicazione sociale si<br />

collegano sempre di più con il sistema economico e commerciale,<br />

fino a diventarne per molti aspetti dipendenti.<br />

Al riguardo leggo nel citato Direttorio della Cei: “Il vorticoso<br />

aumento degli investimenti e degli introiti conduce alla creazione<br />

di gruppi oligopolistici, con il rischio che condizionino<br />

la visione e l’interpretazione della realtà, proponendo modelli<br />

distorti dell’esistenza umana, della famiglia e della società”<br />

(n. 8).<br />

Davanti a questa deriva è possibile e di fatto si dà una perdita<br />

di tensione etica: una perdita che in non pochi casi risulta<br />

essere, più propriamente, una cancellazione <strong>dei</strong> valori e delle<br />

esigenze etiche, cioè umane. È in riferimento ai media<br />

sempre più sofisticati, ma anche sottoposti a pressioni<br />

economiche e politiche, che il Direttorio Cei già citato scrive:<br />

“Così la questione etica si fa sempre più attuale e sentita.<br />

Non si tratta solo di vincolare i media a regole che tutelino in<br />

particolare i soggetti meno garantiti e le categorie più marginali.<br />

In agguato sono nuove e pesanti forme di alienazione,<br />

che possono condurre alla reificazione dell’uomo, ossia alla<br />

riduzione della persona a cosa, a oggetto, a merce. Occorre<br />

stabilire regole precise per l’uso degli strumenti e più ancora<br />

per definirne le responsabilità sociali. L’etica si erige pertanto<br />

a via per l’umanizzazione di processi altrimenti destinati a<br />

provocare conseguenze fortemente negative, sul piano<br />

personale, relazionale e sciale” (n. 87).<br />

Il rischio della perdita di tensione etica diventa per i giornalisti<br />

una vera e propria sfida etica che devono saper affrontare.<br />

Nessuno è esente dalle tentazioni. E nel campo <strong>dei</strong> media<br />

le tentazioni sono, tra le altre, quella di rassegnarsi di fronte<br />

a un sistema troppo grande e potente e quella di ricercare<br />

cinicamente il successo personale e la carriera con qualunque<br />

mezzo e ad ogni costo, in particolare asservendosi al<br />

sistema che appare vincente perché più ricco.<br />

Le conseguenze della perdita della tensione etica sono<br />

numerose e diverse. Mi limito a segnalare soltanto quella che<br />

sembra la più evidente, cioè l’assecondare o il cedere totalmente<br />

alla spettacolarizzazione <strong>dei</strong> media. Questi, allora, più<br />

che comunicare per informare, producono lo “spettacolo”<br />

della comunicazione con l’obiettivo di vendere e di guadagnare<br />

sempre più.<br />

Da qui la moltiplicazione della chiacchiera e del pettegolezzo,<br />

la ricerca ossessiva dello scoop, la tendenza a omologare<br />

tutto e a sostituire ciò che è rilevante e utile con ciò che è<br />

pura e vuota curiosità. Da qui, ancora, un linguaggio forzato,<br />

destinato a creare emozioni più che ad aiutare le persone a<br />

pensare, a capire, a discernere. Da qui, infine, il moltiplicarsi<br />

inarrestabile di parole, di suoni, di immagini che rendono difficilissimi,<br />

se non quasi impossibili, un ascolto attento e una<br />

comprensione razionale del tema trattato, salvo poi archiviarlo<br />

in un attimo come se non esistesse più, per passare allegramente<br />

ad altro.<br />

Le persone<br />

come vere protagoniste<br />

<strong>dei</strong> media<br />

Certamente il sistema della comunicazione sociale, nel quale<br />

opererete o già operate, si presenta oggi particolarmente<br />

difficile. Tuttavia bisogna riconoscere che i veri protagonisti<br />

sono, e devono continuare ad essere, le persone concrete, i<br />

comunicatori appunto; così come bisogna riconoscere che la<br />

qualità “vera” e “buona” della comunicazione dipende sempre<br />

dalle persone. “I mezzi di comunicazione sociale non fanno<br />

nulla da soli. Sono strumenti, mezzi utilizzati nel modo in cui<br />

le persone scelgono di utilizzarli” (Etica nelle comunicazioni<br />

sociali, 4).<br />

Ci troviamo in un sistema che non si è costituito da sé, ma<br />

che, comunque, è in larga parte il risultato di concrete azioni<br />

umane, cioè di scelte libere operate da esseri pensanti, che<br />

si pongono precisi obiettivi e che attivamente li perseguono.<br />

Per questo, come in ogni altro settore, anche nell’ambito <strong>dei</strong><br />

media occorre operare a partire da un progetto di “vita<br />

buona, un progetto cioè che si basa sulla “verità dell’uomo”,<br />

o meglio sulla “verità che è l’uomo stesso”. Un progetto che<br />

mette a fondamento quei valori e quelle esigenze che sono<br />

scolpiti indelebilmente dentro la struttura dinamica e finalistica<br />

dell’uomo, che definiscono il contenuto della inviolabile<br />

dignità personale propria e altrui, che costituiscono l’ispirazione<br />

di senso delle proprie scelte e delle proprie azioni.<br />

Prima ancora, dunque, di ricercare e di individuare i criteri<br />

per applicare la dimensione etica all’esercizio della professione;<br />

prima ancora di elaborare <strong>dei</strong> codici deontologici per<br />

gli operatori <strong>dei</strong> media, è necessario coltivare dentro di sé i<br />

valori che sono a fondamento della propria umanità e dell’umanità<br />

di tutti gli altri.<br />

E questo significa, certamente, allargare gli spazi del proprio<br />

crescere in umanità; significa coltivare una interiorità e,<br />

oserei dire, una spiritualità che ci spinga alla ricerca della<br />

verità come insopprimibile aspirazione e, insieme, come<br />

prima obbligazione del nostro essere uomini.<br />

Tutti gli uomini, dunque, sono chiamati a questa cura della<br />

interiorità, perché tutti sono chiamati alla ricerca della verità.<br />

Sono una cura e una ricerca assolutamente indispensabili<br />

affinché il nostro agire non sia in balia del caos o del caso,<br />

ma sia l’espressione coerente del nostro essere intelligente<br />

e libero. Una simile cura e ricerca sono tanto più necessarie<br />

quanto più l’esercizio della propria attività professionale<br />

avviene in un ambito di forte responsabilità per le conseguenze<br />

derivanti dalle proprie scelte e azioni e per la particolare<br />

complessità dovuta all’intrecciarsi di interessi diversi.<br />

In questo senso, sono convinto che un operatore <strong>dei</strong> media<br />

che non vuole essere asservito o schiacciato da un sistema<br />

complesso, potente e pieno di insidie come quello della<br />

comunicazione sociale, deve fortemente coltivare la propria<br />

personalità morale e spirituale, deve continuamente far<br />

crescere la propria umanità nell’esercizio quotidiano delle<br />

sue responsabilità e <strong>dei</strong> suoi doveri, deve ricercare ciò che è<br />

vero, giusto, buono, bello.<br />

In fondo, buon giornalista può essere chi, anzitutto, è uomo<br />

maturo, interiormente ricco, equilibrato e colto. Del resto la<br />

vostra, per sua natura, è una professione che non può non<br />

coinvolgere la totalità – più precisamente la “totalità unificata”<br />

– della persona. Voi non offrite semplicemente una penna:<br />

voi offrite la vostra intelligenza. Non mettete a disposizione<br />

semplicemente qualche cosa di voi: mettete a disposizione i<br />

vostri pensieri, le vostre emozioni, il vostro modo di vedere e<br />

di interpretare la realtà.<br />

Si potrebbe dire che quella del giornalista, prima di essere<br />

una professione tra le altre, è una vera “vocazione”, cioè un<br />

mettere a disposizione se stessi per il bene degli altri, dove<br />

l’interesse principale è contribuire a far crescere la retta<br />

comprensione della realtà in cui si vive, come passo necessario<br />

per vivere poi una vera libertà nelle scelte e nei comportamenti<br />

dell’esistenza quotidiana.<br />

La passione e il coraggio della verità sono parte essenziale<br />

della crescita integrale della persona: sono, dunque, da coltivarsi<br />

da tutti noi, anzitutto in noi stessi.<br />

Frutti ed esigenze<br />

della passione<br />

per la verità<br />

Tettamanzi:<br />

Non è difficile, a questo punto, avvertire che cosa di bello e<br />

di entusiasmante può derivare al giornalista quando, nell’esercizio<br />

della sua professione, è animato da una interiore<br />

passione per la verità.<br />

Ne deriva, anzitutto, un concreto impegno per la “obiettività”.<br />

“Parlare di obiettività non significa pensare che il compito del<br />

giornalista sia quello di scrivere in modo assolutamente e<br />

radicalmente neutrale rispetto a qualsiasi asse di valori,<br />

come invece la formulazione letterale di alcuni codici deontologici<br />

porterebbe a pensare”. Il giornalista è sempre un<br />

mediatore che sceglie, seleziona, sottolinea secondo il suo<br />

punto di vista. Ma finalizza questa sua attività a nessun altro<br />

interesse che non sia il vero bene degli altri.<br />

Suo obiettivo ultimo da perseguire è cercare di far diventare<br />

migliore l’uomo, cioè più maturo spiritualmente, più cosciente<br />

della sua eccelsa dignità personale, più libero e responsabile,<br />

più giusto e più solidale.<br />

Il comunicare non può ridursi a una vuota formalità. Deve<br />

partire dalla percezione di un bene, almeno dalla convinzione<br />

che è un bene divulgare una certa notizia in un determinato<br />

modo, e che non può non fare riferimento ai valori di cui<br />

si è convinti. La correttezza dell’informazione non è, quindi,<br />

data da un’asettica neutralità – cosa peraltro impossibile –,<br />

ma dalla trasparenza del proprio punto di vista e dalla<br />

prospettiva a partire dalla quale si seleziona e si trasmette la<br />

notizia.<br />

In secondo luogo, ne deriva l’impegno ad esercitare una vigilante<br />

funzione critica in vista del vero bene delle persone cui<br />

ci si rivolge. La vigilanza critica rappresenta un’essenziale<br />

esigenza dell’etica, chiamata a riconoscere, a rispettare e a<br />

promuovere la verità e il bene.<br />

Di nuovo vorrei citare il Direttorio della Cei, là dove scrive:<br />

“Gli operatori <strong>dei</strong> media possono a volte servirsi del loro potere<br />

per personalizzare indebitamente la comunicazione, sostituendosi<br />

al messaggio. Tale deriva può determinare una<br />

certa dipendenza dell’utente, la cui autonomia di giudizio e<br />

di scelta può essere compromessa. ‘Per questo è dovere di<br />

coscienza per tutti i comunicatori […] procurarsi una seria<br />

competenza in materia; dovere tanto più grave quanto più<br />

grande è l’influenza del comunicare, per motivo del suo ufficio,<br />

sulla qualità della comunicazione’ (Communio et progressio<br />

15). Le buone intenzioni non garantiscono di per sé una<br />

“No alla moltiplicazione<br />

della chiacchiera<br />

e del pettegolezzo”<br />

“Per essere giornalisti<br />

autentici la passione<br />

e il coraggio della verità”<br />

buona informazione; le notizie vanno date con competenza<br />

professionale, nel rispetto pieno e profondo della verità.<br />

Questo accade spesso, soprattutto in riferimento allo stesso<br />

fondamentale diritto alla vita, per il quale ‘la coscienza morale,<br />

sia individuale che sociale, è oggi sottoposta, anche per<br />

l’influsso invadente di molti strumenti della comunicazione<br />

sociale, a un pericolo gravissimo e mortale: quello della<br />

confusione tra il bene e il male’ (Evangelium vitae, 24)” (n.<br />

88).<br />

Il giornalista non può limitarsi ad essere un burocrate della<br />

comunicazione. Sì, va bene discutere paritariamente nei<br />

media; ma a patto che ciò avvenga nel rispetto di chi legge o<br />

ascolta: questi non è certamente aiutato quando, per esempio,<br />

deve assistere non a dibattiti pacati e istruttivi ma a litigi<br />

confusi e nient’affatto dignitosi.<br />

Infine, ne deriva lo stimolo ad una presenza nell’ambiente<br />

<strong>dei</strong> media e ad un esercizio della professione che assumano<br />

i contorni della testimonianza. Ciò significa un impegno quotidiano<br />

che tenga presenti nel lavoro tutto l’orizzonte <strong>dei</strong> valori<br />

e i riflessi che le nostre scelte hanno sui singoli e sulla<br />

società, e non soltanto una correttezza immediata, asettica e<br />

formale nel seguire le procedure che i codici impongono<br />

come limiti.<br />

È proprio in questa linea della testimonianza che ho volutamente<br />

usato i termini di “passione” e di “coraggio” della verità.<br />

Infatti, sono termini coinvolgenti, termini che lasciano trasparire<br />

la non rassegnazione e la disponibilità concreta a pagare<br />

di persona, perché la coerenza con la propria dignità e il<br />

rispetto e l’onore – anzi la venerazione – dovuti all’eguale<br />

dignità delle persone cui ci si rivolge non hanno prezzo.<br />

Conclusione:<br />

la carità<br />

della verità<br />

Desidero concludere con una specie di esortazione, nel<br />

segno di una grande speranza che ripongo in tutti voi e di un<br />

sincero affetto che nutro per voi. Sono sicuro che volete<br />

impegnarvi seriamente nella professione giornalistica, che<br />

volete non solo “fare” i giornalisti ma “essere” giornalisti. Per<br />

questo sento di dovervi chiedere di nutrire un’autentica<br />

passione per la verità e di avere un instancabile coraggio di<br />

ricercarla e di perseguirla, anzitutto in voi stessi.<br />

Di conseguenza, dovete sentirvi impegnati a diventare<br />

sempre più attenti ascoltatori e sottili osservatori delle persone<br />

e <strong>dei</strong> fatti. Il buon comunicatore sa, per prima cosa, ascoltare<br />

attentamente. E sa vedere e scrutare, anche di là dall’immagine<br />

che immediatamente si propone.<br />

L’esercizio della vostra professione potrà apparirvi oggi meno<br />

creativa, perché più dipendente dalla tecnica. Ma sta proprio<br />

qui il vostro protagonismo: tocca a voi dar vita ad un esercizio<br />

della professione che sia ripieno di autentica umanità;<br />

dipende da voi imprimere solchi e tracce di voi stessi – della<br />

vostra umanità - nel vostro lavoro e nella vostra fatica quotidiana.<br />

Più che l’esattezza matematica <strong>dei</strong> dettagli, fate trasparire la<br />

vostra volontà comunicativa, e la vostra intelligenza più che<br />

la diligenza meccanica. Chi legge o chi ascolta si accorge<br />

subito se il comunicatore è coinvolto con la sua “passione”,<br />

oppure se opera solo per “dovere” o addirittura per una<br />

“necessità” cui non può sottrarsi.<br />

Un’ultima citazione – è storica, e come tale può suscitare<br />

l’interesse <strong>dei</strong> giornalisti – la prendo da un discorso rivolto ai<br />

giornalisti, durante la messa in occasione della festa di san<br />

Francesco di Sales celebrata a mezzanotte nella tipografica<br />

del quotidiano L’Italia, dall’allora arcivescovo di Milano monsignor<br />

Giovanni Battista Montini, dopo pochi giorni dal suo<br />

ingresso nella nostra città.<br />

Così diceva il 31 gennaio 1955: “Cerchiamo di dare alla<br />

professione, non già una semplice caratteristica direi tecnica,<br />

puramente improntata alla fretta, alla genialità, alla curiosità,<br />

alla attualità, ma siamo <strong>dei</strong> finalisti, cioè della gente che<br />

pensa dove arrivano le parole, che effetto hanno, che cosa<br />

producono. E allora il messaggio di san Francesco di Sales<br />

non sarà inutile a noi. Egli insegna che bisogna avere soprattutto<br />

la carità della verità. Bisogna amare quelli a cui si rivolge<br />

la parola; amare nel dono, nell’offerta di qualche cosa di<br />

vero; vero perché si è sentito, vero perché si è studiato”.<br />

E ancora: “San Francesco di Sales dice in altre sue pagine<br />

che bisogna conoscere assai le cose prima di scrivere. E non<br />

so se questa sia norma di tutti i giornalisti. Ma in ogni caso<br />

diciamo che tutta questa onestà di pensiero e di parola deve<br />

essere sempre presente al nostro spirito nell’esercizio della<br />

nostra sublime professione di diffusori di notizie e di idee;<br />

soprattutto ci deve premere di fare sempre del bene ai nostri<br />

concittadini”.<br />

+ Dionigi card. Tettamanzi<br />

6 ORDINE 3 <strong>2005</strong>


Nuova condanna per l’editore Caltagirone Lo ha stabilito il giudice del tribunale del lavoro<br />

“Quotidiano”: il giudice ordina<br />

il reintegro di Roberto Guido<br />

Lecce, 28 gennaio <strong>2005</strong>. È “inefficace” il licenziamento<br />

di Roberto Guido, vicepresidente<br />

vicario dell’Assostampa di Puglia, il sindacato<br />

<strong>dei</strong> giornalisti, reintegrato nel suo posto di lavoro<br />

al Nuovo Quotidiano di Puglia. Lo ha stabilito<br />

il Tribunale di Lecce (giudice del lavoro Silvana<br />

Botrugno) con una sentenza che ha disposto<br />

“l’immediato reintegro del ricorrente nel<br />

posto di lavoro occupato al momento del licenziamento”,<br />

condannando altresì la società Alfa<br />

editoriale (del gruppo Caltagirone) al risarcimento<br />

del danno con il pagamento dell’intera<br />

retribuzione dal momento del licenziamento ad<br />

oggi e alla regolarizzazione della posizione<br />

assicurativa e previdenziale.<br />

Il licenziamento, datato 7 marzo 2002, fu adottato<br />

con strumentali e infondati pretesti nei<br />

confronti di Guido, “colpevole” soltanto di aver<br />

preteso fin dal ‘98 (insieme ad altri nove giornalisti)<br />

di essere regolarmente reintegrato in<br />

servizio, nel suo posto di lavoro, secondo quanto<br />

disposto dalla magistratura fin dal dicembre<br />

‘98 (ordine di reintegro confermato dalla Corte<br />

d’appello-Sezione Lavoro proprio alcuni giorni<br />

fa). Guido si è scontrato con l’ingiustificabile<br />

ostinazione dell’editore Caltagirone a non voler<br />

applicare le sentenze della magistratura, con il<br />

conseguente atteggiamento vessatorio. La<br />

vertenza ha origine nell’anomala vendita della<br />

Stampa<br />

specializzata:<br />

150 milioni<br />

di copie<br />

distribuite<br />

in un anno<br />

Milano, 15 febbraio <strong>2005</strong>. In occasione della Borsa<br />

internazionale del turismo, i giornalisti di Neos hanno<br />

premiato Gianni Minà.<br />

Partner ufficiale del premio Neos è Porsche Italia.<br />

Il premio Neos-Porsche Italia viene assegnato ogni anno<br />

(in occasione della Bit, Borsa italiana turismo) a un giornalista<br />

che si sia distinto per il suo lavoro, la sua professionalità,<br />

la sua integrità nel campo del giornalismo. Il premio<br />

ha per tema i viaggi e la conoscenza del mondo. La giuria<br />

del premio è composta dal Consiglio direttivo di Neos–giornalisti<br />

di viaggio associati. Il Consiglio, presieduto da<br />

Massimo Pacifico, è composto da altri sei giornalisti<br />

operanti nel settore viaggi. Il premio è giunto quest’anno<br />

alla sesta edizione<br />

Gianni Minà è stato per quarant’anni uno <strong>dei</strong> più stimati<br />

inviati speciali della Rai, ed ha raccontato, con reportages<br />

e inchieste, le realtà sociali e culturali degli Stati Uniti e<br />

dell’America Latina. Da ricordare, fra gli altri, Storie del<br />

jazz, e Facce piene di pugni (la storia della boxe).<br />

Nel 1987 ha realizzato uno storico documentario intervistando<br />

per 16 ore il presidente cubano Fidel Castro. Tre<br />

anni dopo, nel 1990, lo ha incontrato nuovamente per un<br />

approfondimento dopo il tramonto del comunismo. Tra i suoi<br />

lavori più famosi: Muhammad Alì, una storia americana;<br />

Fidel racconta il Che; Il Che 30 anni dopo; Marcos: “Aqui<br />

estamos”, sulla lunga marcia degli insorti zapatisti attraverso<br />

il Messico (realizzato in collaborazione con Manuel<br />

Vazquez Montalban); Rigoberta Menchù, una donna Maya<br />

per la pace; Diego Maradona: “Non sarò mai un uomo<br />

comune” e C’era una volta il cinema: Sergio Leone e i suoi<br />

ORDINE 3 <strong>2005</strong><br />

testata con la parallela ristrutturazione selvaggia<br />

di Quotidiano che prevedeva l’espulsione di<br />

otto professionisti dalla redazione con la liquidazione<br />

di ogni esperienza sindacale.<br />

“Questa sentenza”, afferma Felice Salvati,<br />

presidente dell’Assostampa di Puglia, “indica<br />

senza ombra di dubbio come il collega Roberto<br />

Guido sia stato ingiustamente licenziato da un<br />

editore che ha tentato in tutti i modi di sbarazzarsi<br />

del sindacato, usando fin dal ‘98 l’arma<br />

della contrattazione individuale per dividere e<br />

dominare la redazione con l’obiettivo di eludere<br />

e depotenziare disinvoltamente lo stesso<br />

contratto collettivo”. “Nell’attesa di conoscere le<br />

motivazioni della sentenza”, aggiunge Salvati,<br />

“il reintegro ristabilisce un quadro di legalità e di<br />

rispetto delle regole che può aprire la strada ad<br />

un sereno e corretto confronto sindacale, archiviando<br />

una volta per tutte quella pagina nera<br />

del giornalismo pugliese in cui si è consumata<br />

una catena di vessazioni verso quei colleghi<br />

che hanno sempre messo al primo posto i principi<br />

di solidarietà e di autonomia, gli unici in<br />

grado di garantire ai cittadini un sistema<br />

dell’informazione maturo e indipendente”.<br />

Roberto Guido è patrocinato in giudizio dagli<br />

avvocati Domenico D’Amati del Foro di Roma,<br />

Giuseppe Giordano del Foro di Brindisi e Nicola<br />

De Pietro del Foro di Lecce.<br />

Milano, 1 febbraio <strong>2005</strong>. Sono 150 milioni (60% del totale <strong>dei</strong><br />

fascicoli prodotti) le copie della stampa specializzata, tecnica e<br />

professionale, distribuita via posta in un anno. Il dato emerge dal<br />

monitoraggio svolto dall’Associazione nazionale editoria periodica<br />

e specializzata (Anes) per misurare il peso <strong>dei</strong> vari canali di distribuzione<br />

delle pubblicazioni associate, in particolare quelle postali. I<br />

fascicoli prodotti dagli Associati Anes sono in totale 250 milioni. Il<br />

peso medio ponderato per copia è pari a 300 grammi. Tenendo<br />

conto della ripartizione territoriale i dati registrati sono i seguenti:<br />

Nord Ovest 37,4%, Nord Est 24,5%, Centro 17,5%, Sud 14,3%,<br />

Isole 6,2%. La Lombardia ha un’ incidenza sul sistema nazionale<br />

del 26%, comportando la distribuzione sul territorio della regione di<br />

circa 39 milioni di copie. Segue il Veneto, che pesa per il 10%. Nord<br />

Ovest e Nord Est fanno registrare una movimentazione complessiva<br />

di 92.899.592 di copie, pari al 62% del totale. A margine dell’esposizione<br />

<strong>dei</strong> dati, Giuseppe Nardella, presidente dell’Anes, ha<br />

dichiarato: “La stampa tecnica specializzata si sta sempre più rivelando<br />

sia uno strumento di comunicazione privilegiato per la Pmi<br />

sia di formazione per le nuove generazioni in procinto di entrare nel<br />

mondo del lavoro”. A questo proposito Nardella auspica “una<br />

sempre maggiore diffusione di questa tipologia editoriale nella<br />

scuola media superiore italiana. Esempi di integrazione tra mondo<br />

del lavoro e scuola - conclude il presidente di Anes - sono frequenti<br />

nei Paesi europei a noi vicini: in Francia la stampa di questo tipo<br />

dal 1970 è largamente diffusa presso le scuole, i centri di formazione,<br />

le biblioteche sia pubbliche sia private”. (ANSA)<br />

Tribunale di Roma alla Rai:<br />

“Santoro torni al suo posto”<br />

Roma, 26 gennaio <strong>2005</strong>. La Rai deve reintegrare<br />

Michele Santoro: lo ha stabilito il<br />

giudice del tribunale del lavoro di Roma,<br />

Billi. Secondo quanto indicato dal giudice<br />

nel dispositivo, la Rai è tenuta a reintegrare<br />

Santoro nelle funzioni svolte prima<br />

dell’interruzione del rapporto e dunque per<br />

la conduzione di programmi di approfondimento<br />

in prima e/o seconda serata.<br />

Secondo il giudice Stefania Billi, Santoro<br />

deve essere reintegrato al lavoro «come<br />

realizzatore e conduttore di programmi<br />

televisivi di approfondimento dell’informazione<br />

di attualità di prima serata, di<br />

programmi di reportage di seconda serata,<br />

in particolare Sciuscià Edizione Straordinaria<br />

e Sciuscià, come si legge nel dispositivo<br />

della sentenza, cioè nelle mansioni<br />

esercitate «fino alla stagione televisiva<br />

2001/2002».<br />

La Rai deve anche pagare al giornalista un<br />

risarcimento da 1,5 milioni di euro (fra<br />

risarcimento del danno, restituzione <strong>dei</strong><br />

quattro giorni di sospensione dal lavoro nel<br />

2002 e della decurtazione dello stipendio,<br />

anche questa dal 2002, con i relativi interessi.<br />

L’azienda è tenuta anche a pubblicare il<br />

dispositivo della sentenza su Corriere della<br />

Convenzione<br />

con Alitalia:<br />

sconti fino<br />

al 30<br />

per cento.<br />

Basta<br />

la tessera<br />

dell’<strong>Ordine</strong><br />

Sesta edizione<br />

Il premio Neos-Porsche Italia a Gianni Minà<br />

film, un documentario dove oltre al regista, intervengono<br />

tra gli altri Clint Eastwood, Robert De Niro, Claudia Cardinale<br />

ed Ennio Morricone. Nel 1982 Sandro Pertini gli ha<br />

consegnato il premio Saint Vincent di giornalismo. Nel 2004<br />

ha vinto il premio Flaiano, il premio Vittorini, e con il filmdocumentario<br />

In Viaggio con Che Guevara il festival di<br />

Montreal e il Nastro d’argento, il riconoscimento <strong>dei</strong> critici<br />

cinematografici italiani. Attualmente è direttore della rivista<br />

trimestrale di geopolitica Latinoamerica e della collana<br />

Continente Desaparecido per la casa editrice Sperling &<br />

Kupfer. Fra i suoi libri pubblicati in molti paesi del mondo<br />

ricordiamo Fidel, Un continente desaparecido, Marcos e<br />

l’insurrezione zapatista (con Jaime Avilés), Il Papa e Fidel,<br />

e Un mondo migliore è possibile, tutti editi in Italia da Sperling<br />

& Kupfer.<br />

Neos-giornalisti di viaggio associati è stata fondata nel<br />

1998.L’acronimo si rifà ai quattro punti cardinali, che a loro<br />

volta rappresentano simbolicamente il campo d’azione <strong>dei</strong><br />

soci. <strong>Giornalisti</strong> di redazione delle più importanti riviste di<br />

viaggio italiane e straniere, fotografi e freelance che viaggiano<br />

e documentano in maniera professionale le loro<br />

esperienze. I giornalisti premiati nelle precedenti edizioni<br />

sono stati:<br />

2000: Fosco Maraini, fotografo, scrittore e noto orientalista<br />

2001: Walter Bonatti, giornalista, esploratore e alpinista<br />

2002: Folco Quilici, scrittore, documentarista, fotografo<br />

2003: Ettore Mo, inviato speciale del Corriere della Sera<br />

2004: William L. Allen, direttore National Geographic<br />

Sera, Repubblica e Stampa entro dieci<br />

giorni dalla pubblicazione e pagare le<br />

spese processuali.<br />

La vicenda Santoro mette a nudo una<br />

realtà “sommersa”. “A inizio 2004, ha<br />

dichiarato Roberto Natale segretario<br />

dell’Usigrai, le cause intentate dai precari<br />

in attesa di assunzione erano circa 60: la<br />

stima degli stessi uffici Rai era di una<br />

percentuale dell’80% di ‘soccombenza’ per<br />

l’azienda, cioè 50 su 60. E sempre secondo<br />

le stime aziendali, ciascuna causa<br />

persa valeva 250 milioni delle vecchie lire,<br />

per un totale di 12 miliardi e mezzo di<br />

vecchie lire’’.<br />

Inoltre, ha detto ancora Natale, su 30<br />

assunzioni disposte nel 2004, 14, cioè<br />

quasi la metà, sono state effettuate su<br />

decisione della magistratura, cosa mai<br />

capitata prima nella storia dell’azienda’’.<br />

Anche sul versante Inpgi, ha aggiunto il<br />

segretario della Fnsi Paolo Serventi<br />

Longhi, la situazione non migliora: “Si<br />

calcola che ammonti a oltre un milione e<br />

mezzo di euro la violazione contributiva da<br />

parte della Rai, e a oltre 10-15 milioni di<br />

euro quella accumulata dall’azienda negli<br />

ultimi due o tre anni’’.<br />

(ANSA)<br />

Roma, 9 febbraio <strong>2005</strong>. L’<strong>Ordine</strong> nazionale <strong>dei</strong> giornalisti ha<br />

stipulato una convenzione con l’Alitalia. L’accordo (validità<br />

<strong>2005</strong>) riguarda i voli nazionali del Gruppo, escluso il collegamento<br />

Roma-Cagliari-Roma. Tutti gli iscritti all’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong><br />

giornalisti (previa esibizione del tesserino rinnovato per l’anno<br />

in corso) potranno usufruire delle seguenti condizioni:<br />

1) Sconto del 20 per cento sulla tariffa piena Alitalia per i<br />

viaggi di tipo OW (viaggi di sola andata). Tale tariffa è identificabile<br />

con il codice BPSN, prenotabile in classe B, con la<br />

possibilità di cambio di prenotazione senza pagamento della<br />

penale;<br />

2) Sconto del 30 per cento sulla tariffa piena Alitalia per i<br />

viaggi di tipo OW (viaggi di sola andata) e per quelli di tipo<br />

RT (andata e ritorno). Tali tariffe sono identificabili con i codici<br />

MPSOWN e MPSRTN, prenotabili in classe M, con la<br />

possibilità di cambio di prenotazione senza pagamento della<br />

penale (rimborso non consentito, passaggio alla tariffa<br />

economica piena in classe Y).<br />

I biglietti a tariffa scontata potranno essere acquistati presso<br />

tutte le agenzie di viaggi in Italia e presso le biglietterie sociali<br />

Alitalia. Per le prenotazioni sono attivi due numeri “riservati”:<br />

0665648 (per chi telefona da Roma) oppure 848865648<br />

(per chi telefona da fuori Roma). Si può accedere al servizio<br />

dal lunedì al venerdì, dalle ore 9.00 alle 19.00. (g.c.)<br />

Comunicazione sociale<br />

il premio speciale<br />

a Toni Capuozzo (Tg5)<br />

Milano, 7 febbraio <strong>2005</strong>. Il giornalismo che si occupa<br />

degli ultimi, di emarginazione, <strong>dei</strong> fenomeni economici e<br />

sociali che, in sordina, cambiano l’Italia, è stato premiato<br />

oggi a Milano. Il riconoscimento, Premio giornalismo per il<br />

sociale, assegnato per il terzo anno per iniziativa di Sodalitas,<br />

ha voluto ricordare anche Enzo Baldoni e Maria<br />

Grazia Cutuli, due giornalisti uccisi che affrontavano il loro<br />

lavoro con umanità e professionalità.<br />

Tra i 600 articoli inviati, la giuria ha scelto i vincitori divisi<br />

per sezione.<br />

Per la categoria Stampa e Web è stato premiato Emiliano<br />

Fittipaldi (Corriere della Sera) per la serie di inchieste<br />

‘Profondo Italia’, con le quali è stato descritto il fenomeno<br />

delle nuove povertà.<br />

Per la categoria Radio e Tv il premio è andato a Lorenzo<br />

Montersoli (Verissimo/Tg5) per il servizio ‘Neo capolarato<br />

a Milano’. Segnalazione speciale a Gabriella Simoni per il<br />

servizio trasmesso da Lucignolo-Italia1, ‘San Valentino’.<br />

Per la sezione Giovani giornalisti è stata premiata Antonia<br />

Casini (Resto del Carlino, Il Giorno, La Nazione), per il<br />

servizio sui bambini abbandonati in Italia.<br />

Il Premio speciale è andato all’inviato del Tg5 Toni Capuozzo.<br />

Prima della consegna <strong>dei</strong> premi il tema della comunicazione<br />

sociale è stato discusso in una tavola rotonda,<br />

presieduta dal presidente di Sodalitas Federico Falck, con<br />

Paolo Anselmi (Eurisko), Aldo Bonomi (Communitas), Enrico<br />

Deaglio (Diario), Xavier Jacobelli (Il Giorno), Cristina<br />

Parodi (Verissimo), Dario di Vico (Corriere della Sera) e<br />

Don Gianni Zappa (Arcidiocesi Milano).<br />

(ANSA)<br />

7


Assemblea<br />

24 marzo <strong>2005</strong><br />

Professionisti<br />

Medaglia<br />

d’oro<br />

EMILIO FEDE<br />

«Il bravo giornalista<br />

non possiede l’orologio»<br />

di Silvia Bernasconi<br />

L’appuntamento è al Casinò di Campione<br />

d’Italia. Ma al tavolo verde non si avvicina<br />

nemmeno. Si dice abbia smesso. “Continuo a<br />

essere un giocatore d’azzardo nella vita, nel<br />

lavoro, nelle amicizie, in politica”. Emilio Fede<br />

sorride. Al suo fianco la statuaria Teodora<br />

Rutigliano, sua ultima scoperta televisiva.<br />

Elegante, abbronzatissimo dopo le vacanze<br />

alle Maldive dove è scampato alla furia dello<br />

tsunami – “anche quella è stata questione di<br />

fortuna”, precisa – comincia a ripercorrere i<br />

suoi cinquanta anni di giornalismo. Una vita.<br />

“Nel giornalismo ci sono nato, ragazzino -<br />

racconta - e non dimentico mai da dove vengo<br />

né la fatica fatta per arrivare. Non dimentico<br />

quando mi improvvisavo cronista in Sicilia, né<br />

i primi anni di lavoro gratuito e di sacrifici. Ci<br />

sono voluti cinque anni perché firmassi il mio<br />

primo articolo, solo con la sigla naturalmente”.<br />

E adesso? “Più di ogni altra cosa mi sento<br />

ancora un inviato. Sono soddisfatto, fiero di<br />

essere protagonista dell’informazione e ho<br />

tanto entusiasmo, così come ho iniziato all’età<br />

di quattordici anni. Ogni mattina quando mi<br />

alzo, mi sembra il primo giorno”.<br />

Eppure ne ha fatta di strada dal primo giorno.<br />

Trentatré anni di Rai, sedici di Mediaset, sette<br />

libri pubblicati e un ottavo in cantiere. “Ma i<br />

GAETANO NERI<br />

conti non facciamoli!”, scherza. Assunto alla<br />

Rai come conduttore a contratto nel 1954, agli<br />

esordi della televisione italiana, dal 1961<br />

diventa giornalista fisso del telegiornale.<br />

Ricorda i servizi di cronaca, le inchieste per il<br />

settimanale Rai Tv7, gli otto anni come inviato<br />

speciale in Africa, il primo telegiornale a colori<br />

e i cinque anni di conduzione del Tg1, che ha<br />

poi diretto dall’aprile 1981 all’agosto 1983. Da<br />

mamma Rai si dimette nel 1987. Dopo un<br />

breve passaggio al notiziario di ReteA, l’ap-<br />

«Così funzionavano<br />

i quotidiani del pomeriggio»<br />

di Silvia Ortoncelli<br />

Attraversare piazza Cavour, sgattaiolare<br />

dentro la redazione prima del Corriere<br />

lombardo, poi della Notte, scendere le scale<br />

che portano al fracasso e alla concitazione<br />

della tipografia, stanzoni enormi dove, con la<br />

composizione a caldo, più di seicento operai<br />

impaginavano il giornale, respirando vapori di<br />

piombo. Per trentatré anni, dal 1952 al 1985,<br />

Gaetano Neri, un settantaseienne esile, dai<br />

modi affabili e discreti, ha confezionato i quotidiani<br />

del pomeriggio: “era un giornalismo d’urgenza,<br />

con frequenti ribattute”, racconta con<br />

LIANA BORTOLON<br />

un filo di voce. Quando Neri entra per la prima<br />

volta come impaginatore al Corriere lombardo,<br />

nel 1952, in piazza Cavour “c’erano<br />

sempre parcheggiate soltanto tre auto e una<br />

moto”. Una sorta di filo rosso lega la sua<br />

personale interpretazione del giornalismo a<br />

quella piazza, che ancor oggi ospita il Palazzo<br />

dell’informazione: “Mi piaceva moltissimo<br />

lavorare in tipografia, dove si stava gomito a<br />

gomito con personaggi straordinari”.<br />

Dalle viscere de Il Corriere lombardo, dal<br />

1966 assorbito dalla Notte, Neri ha vissuto<br />

tutte le fasi dell’impaginazione, dalla composizione<br />

a caldo, a piombo, a quella a freddo per<br />

passare infine all’attuale sistema informatico:<br />

Il coraggio di scrivere d’arte<br />

su un settimanale femminile<br />

di Rosalba Castelletti<br />

«Questo da dieci anni è il mio mondo»: Liana<br />

Bortolon vive con un gatto a Milano in una<br />

villetta a schiera a due piani lontana dal caos<br />

cittadino. È stato il giardino dal verde traboccante<br />

a convincerla a lasciare la mansarda in<br />

piazza Oberdan dove aveva vissuto per<br />

trent’anni. Liana Bortolon è nata a Feltre, in<br />

provincia di Belluno. A Milano si è trasferita per<br />

conseguire la laurea in lettere moderne. Ed è<br />

stato proprio all’Università Cattolica che ha<br />

iniziato ad apprendere i primi rudimenti del<br />

giornalismo, lavorando come segretaria editoriale<br />

e redattrice di Vita e pensiero a fianco di<br />

padre Agostino Gemelli. «Mi occupavo della<br />

correzione delle bozze – spiega. Prendevo<br />

contatti con autori e editori. Talora scrivevo<br />

Milano, 15 febbraio <strong>2005</strong>. Sono 21 i colleghi (14<br />

professionisti e 7 pubblicisti) che quest’anno compiono<br />

i 50 anni di iscrizione negli elenchi dell’Albo. Riceveranno<br />

la medaglia d’oro dell’<strong>Ordine</strong> della Lombardia in<br />

occasione dell’assemblea annuale degli iscritti che si<br />

terrà giovedì 24 marzo (h 15) al Circolo della Stampa.<br />

Ed ecco i loro nomi:<br />

PROFESSIONISTI<br />

Liana Bortolon, Adone Carapezzi, Giovanni Cesareo,<br />

Emilio Fede, Nicolino Fudoli, Mario Lodi, Gualtiero<br />

Mantelli, Armando Mariotto, Enrico Morati, Gaetano<br />

anche articoli letterari. Ma continuavo sempre<br />

a mirare ai giornali». E così nel 1957 arriva al<br />

settimanale Gente come critica d’arte. Poi nel<br />

1959 lascia definitivamente l’Università per scrivere,<br />

sempre d’arte, su Grazia. «L’idea di scrivere<br />

c’era sempre stata. Anche quella di dipingere.<br />

Da bambina prendevo lezioni di disegno.<br />

Scrivendo di artisti, ho unito il desiderio di scrivere<br />

e di dipingere».<br />

Scrivere d’arte in un settimanale femminile fu<br />

coraggioso: «Nessuno parlava d’arte allora. Io<br />

dovevo fare critica d’arte sì, ma in maniera<br />

semplice. Dovevo legare cultura e divulgazione.<br />

L’intuizione critica c’era. Eppure, quando<br />

una giovane scrisse una tesi su di me, si trovò<br />

a sfidare l’ostilità della critica ufficiale contro la<br />

divulgazione». La pagina di critica d’arte su<br />

Grazia fu ad ogni modo un «successo» confermato<br />

dal fatto che, nelle case di amici e della<br />

Ventu<br />

Nel corso dell’assemblea verranno premiati anche i<br />

Neri, Mario Pancera, Andreina Araldi Pinotti, Luigi<br />

Pizzinelli.<br />

PUBBLICISTI<br />

Giancarlo Armuzzi, Ermanno Comizio, Mario Conter,<br />

Antonio Dorsa, Emilio Mariano, Alcide Paolini, Pasquale<br />

Scardillo.<br />

vincitori del “Concorso Tesi di laurea sul giornalismo”.<br />

All’ordine del giorno dell’assemblea degli iscritti all’Albo<br />

figura l’approvazione del bilancio preventivo <strong>2005</strong> e del<br />

conto consuntivo 2004.<br />

prodo in Fininvest. E l’incontro con Silvio<br />

Berlusconi. “Berlusconi per me è la famiglia,<br />

gli amici, tutto. Quindi mi sento a casa”,<br />

confessa. Del resto la sua devozione incondizionata<br />

per Berlusconi il fido Emilio – o “Emilio<br />

Fido”, come l’hanno soprannominato le male<br />

lingue – non l’ha mai nascosta, anzi l’ha sottolineata<br />

e ostentata a tal punto da costruirsi il<br />

personaggio di servitore fedele. Senza mai un<br />

ripensamento, almeno non davanti alle telecamere.<br />

“L’informazione Fininvest è nata con me”,<br />

continua. E ricorda l’ideazione di Studio Aperto<br />

su Italia1 che poi ha fatto da modello ai<br />

programmi di informazione delle tre reti. La<br />

soddisfazione più grande è stata la copertura<br />

della prima guerra del Golfo nel 1991, quando<br />

ha dato per primo le notizie dell’attacco aereo<br />

americano su Bagdad e della cattura <strong>dei</strong> due<br />

piloti italiani Bellini e Cocciolone. L’emozione<br />

più forte quando il papa lo ha ricevuto nella<br />

sua cappella privata, il 23 dicembre 1981. “Da<br />

quel momento ho imparato a essere un po’<br />

meno presuntuoso e meno egoista, a rispettare<br />

di più i colleghi”.<br />

Direttore del Tg4 dal 1992, Emilio Fede è in<br />

onda ogni sera alle 19 dallo studio di Cologno<br />

Monzese. Ed è proprio qui che, a dispetto di<br />

ogni regola del giornalismo anglosassone, ha<br />

coniato una formula personalissima – e altrettanto<br />

contestata – di notiziario che coniuga<br />

fatti e opinioni, informazione e spettacolo. Il<br />

Fede-conduttore accompagna le notizie con<br />

commenti, le condisce con sguardi eloquenti<br />

e gesti vistosi, si rivolge al pubblico a casa,<br />

apostrofa i colleghi in redazione e gli operatori<br />

in studio. Un’identificazione totale, senza<br />

riserve.<br />

Se non fosse al Tg4 dove sarebbe? “Al Tg4!”,<br />

risponde senza indugio. Poi ci ripensa.Vorreb-<br />

“Quegli oltre seicento operai, corpulenti e<br />

sporchi di piombo, diventarono degli asettici<br />

farmacisti in camice bianco. Ed oggi, nei locali<br />

che per quarant’anni hanno ospitato le rotative<br />

<strong>dei</strong> giornali, c’è un centro fitness”.<br />

Da quando è in pensione, Gaetano Neri scrive<br />

e dipinge.<br />

Ha già pubblicato cinque libri, quasi tutti presso<br />

l’editore “Marcos y Marcos”. Si tratta di<br />

raccolte di racconti brevissimi: una serie di<br />

fermi immagine sulle piccole idiosincrasie<br />

della quotidianità, descritti in chiave fantastica<br />

e ironica. Due gocce di Oblion, il micro<br />

racconto che dà il nome ad un libriccino edito<br />

in proprio e del quale Neri ha realizzato anche<br />

gente, vi erano quadri di artisti che aveva<br />

segnalato. Per Grazia Liana Bortolon ha scritto<br />

per più di trent’anni: inizialmente rievocazioni di<br />

pittori dell’800, poi ricostruzioni di artisti del<br />

primo ‘900, infine di artisti contemporanei.<br />

Liana Bortolon ha 82 anni ora, ma il portamento,<br />

lo sguardo e il sorriso rivelano un guizzo<br />

giovane. «Si parlava sempre di uomini, io iniziai<br />

a parlare di donne: di Felicita Frai prima, di<br />

Federica Galli poi e delle sue vedute di Venezia».<br />

Liana Bortolon si lascia andare ai ricordi:<br />

a ogni città associa uno o più artisti. A Roma<br />

Mario Mafai e la moglie, ancora agitati per la<br />

nascita della loro nipote, figlia di Giulia. A Torino<br />

Francesco Casorati e Enrico Paolucci e<br />

quest’ultimo ad iniziarla ai club della città. «Man<br />

Ray me lo ricordo vecchissimo, nella sua stamperia<br />

a firmare litografie. Io avevo con me una<br />

Polaroid nuova e non sapevo come usarla.<br />

Vedendomi impacciata, mi venne incontro e<br />

fece da sé le foto», ricorda col sorriso.<br />

Liana Bortolon racconta divertita anche l’incontro<br />

con Marc Chagall nella cappella di Vence.<br />

«Noi giornalisti eravamo come segregati.<br />

Quando finalmente ebbi modo di parlare con<br />

Chagall, gli chiesi quanti quadri avesse dipinto.<br />

Lui rispose con un’allusione pungente a Picasso<br />

: “Beaucoup de moins du peintre espa-<br />

be andare lontano, magari in Africa, quel<br />

continente che gli è rimasto dentro per “il<br />

senso di libertà, i suoi colori e l’atmosfera”.<br />

L’Africa che già conosceva da bambino,<br />

essendo vissuto ad Addis Abeba con la famiglia<br />

fino al 1942, e che ha riscoperto da inviato.<br />

A questo punto non può mancare una<br />

battuta su “Sciupone l’Africano”, il soprannome<br />

che si è conquistato inviando alla Rai non<br />

solo reportage, ma anche note spese chilometriche.<br />

Emilio Fede sta al gioco e rincara la<br />

dose: “Se è per questo, mi chiamavano anche<br />

ammogliato speciale al posto di inviato”. E il<br />

riferimento è a Diana De Feo, figlia dell’allora<br />

vicepresidente della Rai Italo De Feo, che ha<br />

sposato nel 1964 a dalla quale ha avuto due<br />

figlie, Simona e Sveva. “Non ero l’unico però<br />

ad avere soprannomi divertenti – corre ai ripari<br />

– Lubrano era diventato il banale di Suez e<br />

Zavoli il D’Annunzio mortuario o il lotto continuo<br />

perché continuava a comprare appezzamenti<br />

di terreno”.<br />

Insieme all’Africa il ricordo va anche ai pericoli<br />

scampati. “Ho rischiato più volte ma ho<br />

sempre riportato a casa la vita. Da inviato in<br />

Africa sono saltato su una mina. Questa<br />

medaglia d’oro vorrei dedicarla alla memoria<br />

<strong>dei</strong> colleghi caduti, in particolare a Ilaria Alpi e<br />

Maria Grazia Cutuli”.<br />

Quali sono secondo Emilio Fede le doti per<br />

essere un buon giornalista? “Non deve possedere<br />

l’orologio – risponde – perché il giornalismo<br />

è come un rapporto con una donna che<br />

si ama. Quando chiama alle tre di notte, tu<br />

corri anche in pigiama”. Un’ultima cosa: “Guai<br />

a tentare di restare alla ribalta. È importante<br />

capire qual è il momento giusto per dire arrivederci”.<br />

E non si capisce se lo dica come una<br />

frecciatina indirizzata a qualche collega o<br />

come ammonimento rivolto a se stesso.<br />

1955<br />

<strong>2005</strong><br />

le illustrazioni (otto xilografie) descrive la serata<br />

di Piero e Luisa, impiegati in un ufficio<br />

governativo in una città “come le altre” dove<br />

non si può camminare per le strade e i negozi<br />

restano aperti solo se c’è polizia. Per alleggerire<br />

il peso della giornata, i due decidono di<br />

andare al cinema: i film proiettati sono tutti<br />

assai noti e c’è sempre qualcuno che conosce<br />

a memoria l’intera pellicola; a costoro “un<br />

inserviente depone sulla lingua due gocce di<br />

Oblion, il film diventa come nuovo e finalmente<br />

si può ricominciare”.<br />

E la prosa di Neri, aggraziata e surreale,<br />

sembra proprio voler sgravare il grigiore e il<br />

peso della quotidianità.<br />

gnol”». Infine ricorda il suo «grande amico»<br />

Massimo Campigli e di quando, anni dopo la<br />

sua morte, il figlio Nicola trovò, sepolti in fondo<br />

ad uno <strong>dei</strong> suoi cassetti che nessuno aveva<br />

mai aperto prima, un centinaio di fogli in carta<br />

velina. «Vi era scritta la sua vita, complessa,<br />

affascinante e triste. Da quel manoscritto e dai<br />

miei appunti nacque Campigli e il suo segreto,<br />

la biografia critica più nutrita che abbia mai<br />

scritto». Liana Bortolon, infatti, di monografie<br />

ne ha scritte molte: su Raffaello, Tiziano,<br />

Leonardo, Carriera, Morlotti, Sassu, Gentilini,<br />

Guidi e altri.<br />

Ai ricordi degli artisti si alternano flash di avventure:<br />

un viaggio nel deserto <strong>dei</strong> Gobi, in Mongolia<br />

– «prati immensi, ciclamini che nascevano<br />

tra lo sterco di cavalli» – e di quando, appena<br />

ventenne, prese parte alla Resistenza “bianca”<br />

a Feltre, portando in bicicletta rifornimenti ai<br />

partigiani. Dei soggiorni in America, ricorda gli<br />

artisti della West Coast e «un albergo vittoriano<br />

solo per signore nella 57 a strada di New York».<br />

Dà l’impressione di essersi molto «divertita» in<br />

questi cinquant’anni e più di giornalismo,<br />

«seppure – precisa – non siano mancati i lati<br />

seri». «Ho sempre lavorato con grande entusiasmo.<br />

Ho incontrato tantissimi artisti e, riguardo<br />

ad alcuni, sono stata un po’ pioniera. Mi è<br />

8 ORDINE 3 <strong>2005</strong>


no penne d’oro<br />

GIANFRANCO CARMIGNANO<br />

«Esperienze troppo numerose<br />

per un solo mosaico»<br />

di Emanuele Buzzi<br />

Ad ascoltare le sue esperienze storia per<br />

storia, anno dopo anno, si ha l’impressione di<br />

raccogliere la testimonianza di tante persone<br />

diverse. Tessere che sembrano troppo numerose<br />

per appartenere a un solo mosaico. Una<br />

vita segnata dal giornalismo, quella di Gianfranco<br />

Carmignano: dai quotidiani all’agenzia,<br />

dai periodici alla radio. “È una passione che<br />

avevo nel sangue fin da bambino” – spiega –<br />

“e che è poi proseguita all’università”. Una<br />

carriera iniziata nel 1946, nella sua Milano,<br />

come collaboratore sulle pagine sportive del<br />

Corriere lombardo, e non ancora conclusa.<br />

Una carriera influenzata – almeno un po’ – da<br />

suo padre, giornalista da cui ha ereditato<br />

l’amore per la notizia. Intrecci di famiglia, che<br />

lo spingono a lavorare oggi, a quasi settantotto<br />

anni con sua moglie: “Ora come ora, nonostante<br />

sia andato in pensione sedici anni fa,<br />

sono proprietario e direttore di due bimestrali<br />

Private label in Europe e I quaderni della<br />

distribuzione, due pubblicazioni di carattere<br />

economico”.<br />

D’altronde, la passione per i temi di natura<br />

economica – su cui ha scritto anche alcuni<br />

volumi, oltre ai libri Sulla stampa e Come<br />

nasce il giornale – è uno <strong>dei</strong> fili conduttori che<br />

ha accompagnato Carmignano in oltre<br />

cinquant’anni di professione. Proprio mezzo<br />

secolo fa, è tra i fondatori dell’agenzia di stampa<br />

Mercurius, ma l’avventura dura poco: “Mi<br />

diverto a cambiare lavoro, trovo molto stimolante<br />

confrontarsi sempre con sfide e argomenti<br />

nuovi. Il rischio è elevato, ma almeno<br />

hai la sensazione di creare qualcosa di tuo, di<br />

lasciare una traccia”. Impegnandosi sempre<br />

con abnegazione e costanza.<br />

Segue le orme di famiglia e viene assunto<br />

come caporedattore a Idea nazionale – dove<br />

suo padre aveva lavorato qualche decennio<br />

prima –, tuttavia anche qui rimane solo poco<br />

tempo. Così, nel ‘60 approda in Rizzoli, poi in<br />

poco più di un decennio è la volta di Mondadori,<br />

del mensile Espansione, di Staff. In<br />

seguito è direttore di Manager e Uomo più, un<br />

maschile ante litteram. Nel frattempo, parallelamente<br />

alla girandola di testate (che<br />

comprende anche Obiettivo Marca, Market<br />

espresso, Radio Kelly e Il nuovo milanese),<br />

Carmignano diventa una colonna portante<br />

dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti della Lombardia: per<br />

dodici anni ne è consigliere.<br />

Vive da protagonista una stagione di grandi<br />

cambiamenti. Qui incontra Carlo De Martino –<br />

che ricorda come “un ottimo giornalista, ma<br />

anche una persona con una carica contagio-<br />

sempre piaciuto seminare. Sono portata a<br />

cominciare le cose e poi ad abbandonarle. O<br />

andare avanti. Si può chiamare in molti modi. E<br />

intanto – aggiunge – gli anni sono passati e mi<br />

sono ritrovata sola con tutte le mie cose che<br />

non avrei mai dato via. Poi ho capito che la vita<br />

mi avrebbe portato a separarmene e c’è stato<br />

un ripensamento. Ho donato 3791 volumi alla<br />

biblioteca dell’Università Cattolica di Milano, a<br />

Feltre regalerò 30 quadri ad olio ed opere su<br />

carta». La biblioteca è nel pianterreno. Gli scaffali,<br />

in seguito alla donazione, sono oramai<br />

semi vuoti. Al centro della stanza, uno scrittoio<br />

e sopra una macchina per scrivere.<br />

ORDINE 3 <strong>2005</strong><br />

sa, senza dubbio il professionista che stimo di<br />

più”, si batte per facilitare l’accesso alla<br />

professione (cercando di riconoscere nei<br />

giusti casi la validità del praticantato d’ufficio),<br />

fa parte della commissione per il contratto di<br />

lavoro, chiede con insistenza la creazione di<br />

una scuola legata all’<strong>Ordine</strong>. Quella scuola è<br />

oggi l’Istituto Carlo De Martino: “Sono felice<br />

che sia dedicata a lui: non potevano fare scelta<br />

più opportuna. A mio avviso è la scuola<br />

migliore in Italia”.<br />

Nuovi flash, nuove polaroid della memoria: un<br />

giornalista non vive solo di carriera e di battaglie,<br />

cambia piglio quando rammenta gli anni<br />

trascorsi a Scienze politiche in Cattolica (dove<br />

era redattore del giornale Libro e moschetto<br />

<strong>dei</strong> gruppi universitari fascisti), le sue avventure<br />

come azzurro di hockey nei primissimi anni<br />

Cinquanta. Ma il suo percorso gli sembra<br />

segnato da sempre: “Sono nato direttore”,<br />

sostiene. E si lascia trasportare dagli aneddoti,<br />

come quando progettava con Gaetano Afeltra<br />

un quotidiano che poi non ha mai visto la<br />

luce. Il treno di memorie passa veloce come<br />

lui, sempre iperattivo, sfuggente. Gli impegni<br />

del futuro lo attendono, la nostalgia riservata<br />

al passato è già scemata. Altri tempi, tempi in<br />

cui i giornali non erano sovraffollati come al<br />

giorno d’oggi, anche se – afferma Carmignano<br />

– “Ora si sta meglio, sono i giovani che<br />

vogliono tutto subito. Alla mia epoca si lavorava<br />

per anni senza avere un contratto decente”.<br />

Una cosa, comunque, accomuna le nostre<br />

generazioni, quella “passione” per la notizia<br />

che ha accompagnato Carmignano per tutta<br />

la vita, un fuoco che ancora arde, che lega chi<br />

sente veramente questa professione, la<br />

speranza di essere testimoni preziosi <strong>dei</strong><br />

nostri giorni.<br />

NICOLA FUDOLI<br />

Il turismo e i viaggi<br />

nel “Giornale” di Montanelli<br />

di Anna Bernasconi De Luca<br />

Della sua lunga carriera giornalistica che lo<br />

ha portato a viaggiare per tutto il mondo,<br />

sono due i momenti che Nicola Fudoli definisce<br />

«esaltanti». Innanzitutto, l’esperienza<br />

alla Gazzetta del Sud come responsabile<br />

della redazione all’inizio degli anni Sessanta.<br />

«Tempi in cui Aldo Moro era segretario<br />

della Democrazia cristiana e là, in provincia,<br />

la Dc stava tentando l’apertura a sinistra». E<br />

tempi in cui questo professionista nato a<br />

Ciminà (Reggio Calabria) si trovava a «interpretare<br />

il pensiero <strong>dei</strong> lettori, esponendosi<br />

politicamente», fino a dover lasciare il giornale<br />

che ha segnato il suo esordio.<br />

Quindi la “chiamata” a Milano, quella «irresistibile<br />

e irrinunciabile» per uno che è «nato<br />

ADONE CARAPEZZI<br />

Quanti campioni<br />

al suo microfono del suo tempo. “Ho intervistato Villoresi e<br />

di Simone Battaggia<br />

La medaglia non la vuole, per motivi personali<br />

e familiari. Dice che è un riconoscimento<br />

alla salute e che, in cinquant’anni, premi<br />

non ne ha mai ricevuti, al contrario di tanti<br />

altri colleghi meno famosi e popolari di lui.<br />

Della sua esperienza giornalistica però<br />

Adone Carapezzi parla volentieri, ed è uno<br />

spasso ascoltarlo mentre saltella da un<br />

ricordo all’altro, spizzica aneddoti, descrive<br />

i grandi campioni che sono passati davanti<br />

al suo microfono dall’inizio degli anni<br />

Cinquanta.<br />

Per decenni Carapezzi è stato redattore e<br />

inviato della redazione sportiva del giornale<br />

radio Rai. “Feci il concorso nel 1946. Ricordo<br />

che all’epoca l’esame consisteva anche<br />

nel raccogliere interviste in piazza Duomo.<br />

Iniziai come collaboratore, ma venni assunto<br />

solo il 1° ottobre 1955. Ero un cane sciolto,<br />

e per ottenere il praticantato bisognava<br />

essere in quota”.<br />

È esistito anche un “caso Carapezzi”: la Rai<br />

e l’interessato chiedevano il praticantato, la<br />

Sottocommisione per la tenuta dell’Albo<br />

(che era presso il sindacato: l’<strong>Ordine</strong> non<br />

esisteva) non lo concedeva soprattutto per<br />

mancanza della “quota” (un praticante ogni<br />

10 redattori). Carapezzi aveva frequentato il<br />

suo corso di capocenturia negli Arditi<br />

distruttori della Regia aeronautica a Guidonia<br />

(“dove conobbi Gianni Brera, che era<br />

della Folgore e faceva già il giornalista”). Il<br />

problema comunque si risolse nel 1954,<br />

quando si liberò un posto grazie all’assunzione<br />

come professionista di Paolo Valenti.<br />

A pensarci bene, la storia recente dello<br />

sport italiano non è passata soltanto davanti<br />

al microfono di Carapezzi, ma anche al<br />

suo fianco. “Ho lavorato con Adriano De<br />

Zan, Sandro Ciotti, Nando Martellini, Piero<br />

Angela. Dividevo il mio ufficio di corso<br />

Sempione con Beppe Viola”. Con questa<br />

nobile compagnia, Carapezzi girava l’Italia<br />

e raccontava i grandi personaggi sportivi<br />

1955<br />

<strong>2005</strong><br />

giornalista»: quella a lavorare con e accanto<br />

a Indro Montanelli nella fondazione del Giornale,<br />

nel 1954. Al «giornale <strong>dei</strong> giornalisti»,<br />

Fudoli ha svolto incarichi agli Esteri, prima<br />

di diventare responsabile del settore “Turismo<br />

e Viaggi”. Anni di lavoro intenso, <strong>dei</strong><br />

quali ricorda le serate dopo la chiusura,<br />

quando tutta la redazione si raccoglieva in<br />

cerchio attorno al maestro «per ascoltare i<br />

suoi racconti, pendendo dalle sue labbra».<br />

Tra quelli che Montanelli chiamava i suoi<br />

«ragazzi», c’erano «Bettiza, Vergani, Corradi,<br />

Zapulli…».<br />

Quindi la pensione nell’87 e la decisione, dal<br />

momento che per lui «il giornalismo è un<br />

hobby», di creare il Centro del Turismo di<br />

Milano, dove si occupa delle pubblicazioni.<br />

L’avvento del computer non ha trovato<br />

impreparato Fudoli, che oggi dirige anche la<br />

Ascari alla Mille Miglia, Coppi e Bartali al<br />

Tour de France, ho seguito la trasferta del<br />

Milano basket in Russia, nel 1948, quando<br />

c’era Stalin e nessuna squadra era ancora<br />

entrata in Unione Sovietica”. Qual è stato lo<br />

sportivo che l’ha colpita di più? “Fausto<br />

Coppi. Era leggermente gobbo, con le spallucce<br />

strette, il torace a punta. Sembrava<br />

fatto per la bici. Quando mi capitò di parlargli,<br />

mi fece una grande impressione”.<br />

Dopo più di tre decenni, l’esperienza alla<br />

Rai finì, e male. Nel 1982 Carapezzi passò<br />

a Tele Montecarlo. “Sono stati gli anni più<br />

belli. Facevo telecronache di sci, ippica, fui<br />

inviato al Tour de France. Quando andavo<br />

nel Principato mi facevano dormire nell’hotel<br />

della Callas e di Onassis. E mi diedero<br />

anche una “carta d’oro” per entrare al<br />

Casinò gratis”.<br />

Cinquant’anni di avventure sportive, esperienze<br />

di tutti i tipi che suscitano ammirazione<br />

e invidia. Un bagaglio sufficiente per dare<br />

uno sguardo allo sport di oggi, ai suoi personaggi<br />

e alle sue manie, e di confrontarlo con<br />

quello di ieri. “Oggi ci sono ciclisti e calciatori<br />

che parlano come laureati, mentre ai miei<br />

tempi c’era solo il dialetto. E poi le loro parole<br />

erano sincere, essenziali. Dopo una partita<br />

del Milan, chiesi a Nordhal di raccontarmi<br />

una sua rete. “Semplice. Preso palla, guardato<br />

porta, tirato, fatto gol”. Quante cose<br />

sono cambiate, in cinquant’anni.<br />

rivista telematica www.ViaggiVacanze.info e<br />

dal suo terminale in zona Loreto collabora<br />

al periodico Chi, come redattore della rubrica<br />

dedicata al turismo.<br />

9


Assemblea<br />

24 marzo <strong>2005</strong><br />

Professionisti<br />

Medaglia<br />

d’oro<br />

MARIO PANCERA<br />

«Oggi si oscura tutto,<br />

compresa la satira»<br />

di Andrea Fanì<br />

All’entrata di casa una scultura nera, in<br />

metallo, con molte sporgenze: «Per appendere<br />

cappotti», mi dice. Lo faccio. Il salotto è<br />

pieno di quadri, la luce del mattino li accarezza,<br />

penetrando nella stanza da due grandi<br />

finestre. «Arte e libri sono le mie passioni»,<br />

dice Mario Pancera: in tutto ne ha scritti<br />

17. «Il giornalismo mi ha dato la precisione<br />

e i tempi giusti per i miei libri. E il mestiere di<br />

scrittore mi ha insegnato il rigore della ricerca».<br />

È in uscita l’ultimo lavoro, Primo<br />

Mazzolari e “Adesso”. 1949-1951; ne ha già<br />

in cantiere un altro, titolo provvisorio, Le<br />

donne di Marx.<br />

Pancera non si è mai fermato: neanche ora,<br />

dopo 50 anni di carriera. Con quel carattere<br />

forte che sale dalle parole e dagli occhi. Mette<br />

soggezione, anche. Ha in mano una matita.<br />

La gira tra le dita e racconta. Da Bozzolo, nel<br />

mantovano, dove è nato nel 1930, si è trasferito<br />

a Milano nel ‘45. «Al liceo mi piacevano le<br />

parole, la scrittura».<br />

Infatti comincia con un racconto. «Nel 1947 lo<br />

mando al Popolo, quotidiano della Democrazia<br />

Cristiana, direttore Vittorio Chesi. Pensavo<br />

lo buttassero. Finì in terza pagina. Poi mi<br />

hanno commissionato racconti gialli». Anno<br />

1950, dal giallo «alla cronaca giudiziaria. Mi<br />

dividevo tra la redazione e gli studi alla Cattolica.<br />

Pagato a righe. Colleghi più anziani mi<br />

facevano firmare qualche pezzo non mio. Per<br />

arrotondare». Nel ‘53 il «fattaccio»: «Dovevo<br />

diventare praticante. Invece il mio posto fu<br />

preso da un altro. Lui aveva la tessera. Io<br />

no…».<br />

Un anno si può aspettare. Praticante dal ‘54,<br />

professionista dal ‘55. Nell’organo ufficiale<br />

della DC: «Nessuna pressione, in cronaca.<br />

Andavo in questura, nei tribunali. Mi sono<br />

occupato anche del processo a Giovanni<br />

Guareschi». Guareschi e la sua satira. Oggi la<br />

satira la oscurano: «Oggi oscurano tutto. Non<br />

che ci sia censura, ma i giornali mi sembrano<br />

più grigi, scritti male».<br />

Pancera professionista negli anni del boom<br />

economico e della televisione: «Lo sviluppo<br />

economico permise agli editori di aprire nuove<br />

testate. La tv? Era presa con leggerezza, le<br />

pagine degli spettacoli parlavano soprattutto<br />

di teatro». I giornalisti televisivi? «Nessuno li<br />

invidiava. Io collaborai ad una sceneggiatura.<br />

Potevo entrare in quel mondo, ma presi un’altra<br />

strada». L’altra strada porta a La Notte di<br />

Nino Nutrizio. «Era il ‘57. Il Popolo stava chiudendo;<br />

io, che non ho mai saputo chiedere<br />

aumenti, coglievo tutte le opportunità. Alla<br />

Notte facevo prima e terza pagina. Non ero di<br />

destra, come Nutrizio: per un po’ mi tennero<br />

d’occhio, imparando a fidarsi. Curavo anche<br />

una pagina d’inchieste. Belle e utili». E delle<br />

inchieste di oggi cosa pensa? «Sono leggere,<br />

forse fatte più cercando in archivio che indagando».<br />

Usciva il primo libro, Gino Bartali. La mia<br />

storia, scritto con Ginettaccio, «uomo di bontà<br />

unica, ma di cui molti approfittavano». Con<br />

una famiglia a carico, i soldi non erano mai<br />

troppi, lavorare era importante. Nel ‘62 lo chiama<br />

Rusconi per un posto a Gente: lui accetta,<br />

il rotocalco era in espansione e insidiava le<br />

vendite di Oggi, targato Rizzoli.<br />

Passano sei anni e «viene da me Benedetto<br />

Mosca, di Oggi. Mi dice che Carraro, braccio<br />

destro di Rizzoli, vuole incontrarmi. All’appuntamento<br />

Carraro mi presenta un foglio con<br />

l’accordo fatto. Rusconi non la prese bene, ma<br />

io avevo bisogno di garanzie, e Rizzoli ne<br />

dava. Una volta volammo a Parigi a prendere<br />

delle foto arrivate dalla Colombia. Impaginammo<br />

sull’aereo privato del cumenda. All’atterraggio<br />

avevamo il menabò fatto».<br />

Dieci mesi e arriva la nomina a redattore capo<br />

di Annabella. «Mai scritto di moda, prima. Mi<br />

occupavo di musica, pittura, scultura. Ma era<br />

una sfida, accettai».<br />

Nel frattempo altri libri e una carriera solida.<br />

Gli incarichi si susseguono, Famiglia Cristiana,<br />

la rubrica Dizionarietto su Amica, e, nel<br />

Ventuno penne<br />

‘72, il Corriere d’Informazione: «C’erano De<br />

Bortoli e Feltri, molto promettenti. Io facevo le<br />

pagine culturali». Sei anni, e nel ‘78 è ancora<br />

Mosca a chiamarlo, stavolta alla Domenica<br />

del Corriere. Giornale glorioso, ma in calo: «La<br />

direzione di Maurizio Costanzo fu un errore.<br />

Bravissimo in tv, ma con la Domenica sbagliò.<br />

Voleva fare un settimanale per “la mia portinaia”,<br />

diceva. La qualità ne risentì. Il giornale<br />

non si è più ripreso».<br />

Nel 1984 è a Salve, pochi mesi: il richiamo<br />

delle vecchie passioni, quadri e sculture, è<br />

troppo forte. Arte è il posto ideale. «Undici<br />

anni, dall’84 al ‘95, come direttore, fino a che<br />

sono andato in pensione».<br />

Pancera, però, di stare fermo non ha intenzione.<br />

«Cominciai a collaborare con La<br />

Repubblica, poi Il Giornale». È storia di oggi.<br />

«Un giorno vado alla Stampa, qui a Milano.<br />

Propongo al capo della redazione cultura<br />

una rubrica sul rapporto tra arte e mercati.<br />

Ci accordiamo sul taglio: avrei parlato di<br />

opere e prezzi. Il compenso? Diciannove<br />

euro ad articolo». Come uno che ha appena<br />

cominciato…<br />

1955<br />

<strong>2005</strong><br />

ARMANDO MARIOTTO<br />

«Tecnica ed economia<br />

le passioni di una vita»<br />

di Andrea Celauro<br />

Nato a Milano nel febbraio del 1931, Armando<br />

Mariotto ha seguito fin da giovane le<br />

orme di papà Igino: messa in tasca la laurea<br />

in giurisprudenza, infatti, si è dedicato a<br />

quella che è stata la passione della sua vita,<br />

il giornalismo.<br />

L’odore d’inchiostro e il ticchettio della<br />

macchina per scrivere, irresistibile per chi<br />

cresce a pane e quotidiani, lo spinge a farsi<br />

le ossa, ancora ventenne, al giornale La<br />

Patria, dove rimane per ventiquattro mesi.<br />

Poi la svolta, nella Milano della riconversione<br />

delle fabbriche, della Rinascente e della<br />

ENRICO MORATI<br />

«Ma oggi la televisione<br />

è tutta uguale»<br />

di Valeria Morselli<br />

“Oh signor, cosa le racconto adesso?”, mi ha<br />

chiesto. “Facile, 50 anni di giornalismo”, ho<br />

risposto. È iniziato così il mio colloquio con<br />

Enrico Morati. Ed è difficile credere che un<br />

giornalista per passione come lui, che ha<br />

iniziato la sua brillante carriera a 14 anni<br />

correggendo le bozze de L’Azione Giovanile (il<br />

quindicinale dell’Azione Cattolica che rifletteva<br />

le posizioni e gli impegni <strong>dei</strong> giovani), non<br />

abbia nulla da dire. Forse vuole proteggere i<br />

suoi ricordi da “questo giornalismo che cambia<br />

e che speriamo si salvi”, come dice lui stesso.<br />

Ma alla fine inizia a parlare ed è un fiume in<br />

piena: memorie che si conservano intatte<br />

nonostante le sfumature del tempo, memorie<br />

di un giovane cronista, diventato poi segretario<br />

di redazione in Rai, che ha fatto dell’amore per<br />

la verità il suo cavallo di battaglia.<br />

E inizia lontano il suo racconto. Nel 1952 quando<br />

approda, già dal primo giorno giorno, a La<br />

Notte. Lì ha modo di imparare la professione<br />

sotto la guida del direttore e maestro Nino<br />

Nutrizio, per il quale prova ancora un sentimento<br />

di profonda riconoscenza e stima.<br />

Passa quasi subito alla cronaca giudiziaria,<br />

dove rimane per 10 anni. “La giudiziaria è stata<br />

una grande scuola. Entrare a Palazzo di Giustizia<br />

in quegli anni mi ha permesso di capire<br />

cos’era Milano attraverso i processi civili”, spiega.<br />

Si è occupato, infatti, di due grandi scandali<br />

dell’epoca: “il processo dell’Oro di Dongo”<br />

e il “processo Fenaroli”. “Il primo, ricorda, è<br />

stato molto faticoso. Mi sono salvato perché<br />

essendo inviato di un giornale del pomeriggio,<br />

a metà dovevo uscire a dettare il pezzo. Per<br />

fortuna il collega Passanisi mi ha messo a<br />

disposizione i fascicoli dell’istruttoria”. In quel<br />

periodo ha fatto anche alcuni scoop, ad esempio<br />

quello su Bartali. Girava voce allora che il<br />

prode ciclista non stesse molto bene. Nessun<br />

cronista ha dato credito a queste voci, eccetto<br />

Morati: “a giorni Bartali sarà operato per un<br />

blocco intestinale”, ha scritto. Ed è stato così.<br />

Ma lo smacco più grande la redazione de La<br />

Notte lo ha rifilato proprio al Corriere. Il caso è<br />

la “rapina di via Osoppo”. La Notte a quel<br />

tempo usciva ancora alle 17 del pomeriggio.<br />

Alle 13 arriva la notizia dell’arresto <strong>dei</strong> colpevoli.<br />

E mentre la redazione del quotidiano<br />

pomeridiano presidiava la telescrivente (l’antenata<br />

dell’Ansa odierna) al Corriere erano tutti<br />

fuori per pranzo. Risultato: La Notte uscì con il<br />

titolo dell’arresto, spiazzando la concorrenza.<br />

Un grande colpo frutto dello spirito di coesione<br />

che c’era nella redazione e che ci ha permesso<br />

di sopravvivere così a lungo. La Notte era<br />

nato per vivere 5 mesi, alla fine ha compiuto<br />

25 anni, ha commentato Enrico Morati. Altro<br />

capitolo è il trascorso a L’Italia, dove è rimasto<br />

Lambretta: nel 1954, Armando Mariotto<br />

entra in forze al Corrierone. È qui che<br />

trascorre i canonici diciotto mesi di praticantato<br />

ed è qui che, passato tra le file <strong>dei</strong><br />

professionisti nel ‘55, affina la tecnica per<br />

altri due anni, fino all’estate del ‘57. Negli<br />

anni successivi, Mariotto non si fa mancare<br />

nulla: interviste ai campioni dello sport per<br />

le sue collaborazioni con i settimanali sportivi,<br />

inchieste di cronaca nera per Gente e<br />

pubbliche relazioni per la Sipra e per il<br />

Mercato internazionale del tessile (Mitam).<br />

E mentre nel Belpaese esplode il boom<br />

economico, dalle colonne del mensile Quattrosoldi<br />

- dove rimane per sei anni, tra il ‘62<br />

e il ‘68, come redattore e caposervizio -<br />

6 anni. “Una parentesi non molto felice. Sono<br />

passato lì quando è diventato direttore Lazzati.<br />

Ma mi sono trovato in grande difficoltà: quasi<br />

non riuscivo a scrivere”. In queste poche parole<br />

il riassunto dell’esperienza.<br />

Poi è arrivata la Rai. Un matrimonio durato ben<br />

21 anni. Prima all’Ufficio stampa con Dino<br />

Salvatore Beretta, poi come segretario di redazione<br />

e, negli ultimi tre anni, alla rubrica “Azienda<br />

Italia”, un programma di venti minuti dedicato<br />

al lavoro visto dall’interno. Come segretario<br />

di redazione ha portato avanti due battaglie<br />

molto importanti: la prima sul piano umano,<br />

cercando di migliorare i rapporti giornalistitecnici,<br />

la seconda sul piano professionale per<br />

far diventare giornalisti anche gli operatori. A<br />

quel periodo sono legati ricordi divertenti. Per<br />

esempio, quando un operatore, Mario Sacchi,<br />

impegnato nelle riprese di una gru che sollevava<br />

una bomba aerea inesplosa, ha avuto un<br />

sussulto di paura quando improvvisamente è<br />

caduto l’ordigno. Fortunatamente inesploso,<br />

per la seconda volta. Per due anni è stato<br />

anche direttore del Gazzettino Padano. “Un’esperienza<br />

bellissima, andavamo in giro con<br />

delle macchine scassate con enormi cassoni<br />

dietro che servivano da ripetitori”, ricorda.<br />

Una vita giornalistica, insomma, a tutto tondo<br />

nella carta stampata, nella radio e in tv. Con<br />

tre punti fermi: ricerca della verità, rispetto per<br />

gli altri e passione. Un’esperienza cinquantennale<br />

che oggi gli fa dire, con un po’ di amarezza,<br />

che “la tv di allora era molto più culturale,<br />

forse più scolastica, ma oggi è tutta uguale. Un<br />

tempo si diceva che la radio era la sorella cieca<br />

della tv. Oggi dico che la tv è una radio che si<br />

vede”.<br />

10 ORDINE 3 <strong>2005</strong>


d’oro<br />

GIOVANNI CESAREO<br />

Un’esperienza multiforme,<br />

«ma in fondo resto un cronista»<br />

di Eleonora Barbieri<br />

“Alla fine, sono rimasto un cronista: ciò che più<br />

mi piace è scrivere e, soprattutto, riuscire a<br />

guardare i fatti, raccoglierli e analizzarli. Insomma,<br />

fare inchieste, in senso lato”. Così Giovanni<br />

Cesareo dichiara la sua passione per il giornalismo,<br />

rimasta viva e predominante fra le numerose<br />

attività della sua movimentata carriera. Dal<br />

teatro, suo primo amore, alla letteratura, dalla<br />

critica televisiva alle questioni scientifiche, dalle<br />

battaglie sociali allo studio e all’insegnamento<br />

della sociologia delle comunicazioni di massa,<br />

passando per l’impegno politico e la pubblicazione<br />

di numerosi libri: attività diverse, accomunate<br />

dall’appassionata e inesauribile curiosità<br />

per le cose, i fatti, il mondo.<br />

Le radici di Giovanni Cesareo sono in Sicilia, a<br />

Palermo, dove nasce nel 1926. Ma il lavoro è a<br />

Roma, dove si trasferisce all’età di tredici anni,<br />

e a Milano. A diciotto anni si trova nella capitale:<br />

è il 1944 e, con l’arrivo degli americani, inizia a<br />

lavorare, dapprima come guida, quindi come<br />

traduttore e, infine, come capoufficio per l’Organizzazione<br />

<strong>dei</strong> profughi. L’anno successivo, con<br />

la fine della guerra, si iscrive a Filosofia e, in<br />

Università, partecipa a un gruppo teatrale. È<br />

così che il suo primo lavoro, Dolore, viene<br />

messo in scena.<br />

Nel 1948 l’iscrizione al Pci e le prime collaborazioni<br />

con la terza pagina dell’Unità. “Studiare,<br />

prima o poi, si rivela sempre utile”: così l’inglese<br />

gli apre il mondo della letteratura americana.<br />

L’anno successivo è costretto a lasciare<br />

l’occupazione presso l’Organizzazione <strong>dei</strong><br />

profughi: l’affissione illegale di alcuni manifesti<br />

promossi dal Pci (“Le mani di Scelba grondano<br />

sangue”) gli costa cinque mesi di carcere a<br />

Regina Coeli.<br />

Nel 1950, grazie a una sostituzione estiva,<br />

diventa praticante all’Unità, dove si occupa di<br />

critica teatrale. La svolta è nel 1953, quando è<br />

chiamato a riorganizzare, da capocronista, la<br />

redazione della cronaca di Roma. “Ero terrorizzato”,<br />

racconta. Ma, da allora, la passione è<br />

rimasta, intatta, insieme alla tentazione, mai<br />

sopita, di seguire sempre la propria strada, la<br />

propria curiosità. Così, quando, nel 1957, viene<br />

assegnato alla sezione politica del quotidiano,<br />

decide di lasciare l’Unità per Noi donne, settimanale<br />

dell’Unione donne italiane. “Fu un’esperienza<br />

bellissima: lavoravo come inviato, scrivevo<br />

reportage, conducevo inchieste”. Un periodo<br />

intenso, che, nel 1963, sfocia in un libro, La<br />

condizione femminile.<br />

Nel 1961 torna all’Unità, come critico televisivo<br />

per la redazione milanese e come inviato per il<br />

settimanale Vie nuove. Lasciata la rivista, fino al<br />

1975 si occupa esclusivamente di spettacoli<br />

presso la redazione romana. Continua a collaborare<br />

come critico televisivo anche dopo le<br />

Armando Mariotto mostra agli italiani cosa<br />

fare della loro nuova agiatezza. È l’era del<br />

turismo di massa e della corsa al frigorifero:<br />

dalle inchieste sulla pulizia <strong>dei</strong> mari a quelle<br />

sugli alimenti, gli elettrodomestici e il settore<br />

tessile, sono molti i temi curati da Mariotto<br />

per la rivista dell’editrice Domus.<br />

E l’interesse per la tecnica e l’economia lo<br />

accompagna anche nella successiva esperienza<br />

al mensile economico-finanziario<br />

Espansione della Mondadori. Qui inizia da<br />

redattore, ma diventa ben presto caposervizio<br />

e poi redattore capo, grazie ai lavori d’inchiesta<br />

e alle interviste ai “grandi nomi” del<br />

settore tessile, meccanico, turistico e<br />

alimentare.<br />

ORDINE 3 <strong>2005</strong><br />

dimissioni dal quotidiano del Pci, nel 1969. Da<br />

quell’anno inizia anche a dedicarsi a nuove<br />

iniziative: Sé, supplemento ‘ecologico’ della rivista<br />

Abitare, che rende vivo insieme a un gruppo<br />

di intellettuali milanesi; un nuovo libro, Anatomia<br />

del potere televisivo; lo studio e l’attenzione<br />

verso le comunicazioni di massa, con la promozione<br />

delle ‘unità di base’, gruppi legati a scuole,<br />

fabbriche e quartieri che facevano comunicazione<br />

insieme alle prime radio libere.<br />

Lasciato Sé, nel 1974 passa a Sapere, insieme<br />

a Giulio Maccacaro, con cui conduce<br />

numerose campagne di denuncia, come quella<br />

contro il nucleare e contro il disastro di Seveso<br />

e, alla fine degli anni ‘70, comincia l’esperienza<br />

di Ikon, rivista trimestrale dell’Istituto<br />

Gemelli. Nuovi contrasti, con l’editore di Sapere<br />

e con la direzione dell’Istituto, insieme all’abbandono<br />

del Pci nel 1981, portano alla fondazione<br />

di una nuova rivista, Se – Scienza esperienza,<br />

alle collaborazioni alle trasmissioni di<br />

Rai Educational, Mediamente e Parlato semplice,<br />

e all’attenzione sempre crescente per il<br />

mondo dello spettacolo, con la fondazione del<br />

Festival Teleconfronto di Chianciano e del Myst<br />

Fest di Cattolica.<br />

L’ultima sfida è quella dell’insegnamento, con la<br />

cattedra di Sociologia delle comunicazioni di<br />

massa, prima all’Università di Torino e, poi, alla<br />

facoltà di Design del Politecnico di Milano. Un<br />

impegno appena lasciato, quello al Politecnico:<br />

“Sarò ancora presente solo per l’ultima sessione<br />

di esami”. I progetti, però, non mancano:<br />

“Vorrei scrivere ancora qualcosa, forse sulla<br />

comunicazione”. O forse… “Forse vorrei tornare<br />

alle origini e scrivere un libro di racconti su quel<br />

primo anno degli americani a Roma”.<br />

ANDREINA AIRALDI PINOTTI<br />

Quando la famiglia<br />

conta più della professione<br />

di Giuseppe Maria Cieri<br />

“Ho sempre amato questo modo di lavorare,<br />

questo modo di vivere, questa professione”.<br />

Andreina Airaldi Pinotti ha ottantatré anni, e<br />

ricorda con calore e nostalgia la sua vita da<br />

giornalista, forse abbandonata troppo<br />

presto.<br />

Nata il 5 novembre del 1921 a Porretta<br />

Terme, in provincia di Bologna, Pinotti sviluppa<br />

la passione per questa professione fin<br />

da giovane. Dopo una prima esperienza a<br />

Brescia, la svolta avviene nel 1946, quando<br />

viene assunta come praticante presso la<br />

redazione milanese del quotidiano l’Unità,<br />

GUALTIERO MANTELLI<br />

Una vita da manovratore<br />

alla scrivania dell’Unità<br />

di Palmira Mancuso<br />

Due caffè di fila e poco più di un’ora per<br />

ripercorrere una vita trascorsa all’Unità.<br />

Gualtiero Mantelli, Walter (ma solo per gli<br />

amici), è di quei giornalisti concreti ed<br />

intellettualmente vivaci che fanno un giornale.<br />

Non è una “firma”, non è stato un<br />

“grande inviato”, ma la sua carriera si è<br />

sviluppata dietro una scrivania, a coordinare,<br />

decidere, mandare avanti la<br />

“macchina”.<br />

Prima la responsabilità di firmare il giornale,<br />

dai primi anni 60, poi la condirezione<br />

con Aniello Coppola, un’amicizia durata<br />

fino agli ultimi anni di vita del giornalista<br />

che fu anche direttore di Paese Sera.<br />

E tante avventure umane e professionali,<br />

consumate tra pacchetti di sigarette,<br />

telefoni che squillano e l’ultima ribattuta.<br />

«Mi piaceva fare il giornale, vederlo prendere<br />

forma, seguirne le fasi dal menabò<br />

alla prima copia ancora calda, appena<br />

uscita dalla rotativa». Dietro gli occhiali<br />

spessi, lo sguardo è quello soddisfatto di<br />

chi rifarebbe tutto con la stessa passione.<br />

Quella che lo ha portato, ancora ragazzino,<br />

a fare il “cronista del porto”, a cercare<br />

le notizie “in quell’aria spessa, carica di<br />

sale, gonfia di odori” della Genova di<br />

Fabrizio De Andrè. «È tra quei moli che ho<br />

imparato a scrivere – dice, come a sottolineare<br />

che il giornalismo non è cosa da<br />

manuali – e quando l’Unità di Genova<br />

chiuse e mi chiesero di fare una scelta,<br />

decisi di andare a Milano, di lavorare nel<br />

cuore del giornale, occupandomi delle<br />

pagine della Liguria».<br />

Dalla redazione di piazza Cavour lo sguardo<br />

era rivolto all’Italia intera, quella degli<br />

anni delle grandi lotte sindacali, degli<br />

scontri tra studenti e polizia, delle Br. Anni<br />

di polemiche nel Partito comunista di<br />

Berlinguer, da cui gli “ingraisti” Pintor e<br />

Rossanda presero le distanze lasciando<br />

l’Unità per fondare il Manifesto. Gualtiero<br />

Mantelli anche allora era in redazione, a<br />

seguire gli avvenimenti, a costruire pagina<br />

per pagina il giornale, a coordinare il<br />

lavoro degli inviati. Come quando chiamò<br />

Tina Merlin, chiedendole di raggiungere il<br />

Vajont, che c’era stata una frana: fu la<br />

prima vera inchiesta sul disastro annunciato.<br />

«Io non sono stato sui luoghi <strong>dei</strong> fatti<br />

– continua Mantelli – ma la partecipazione<br />

era la stessa: il contatto costante con<br />

gli inviati, il susseguirsi di notizie, le foto<br />

da impaginare. Una frenesia diversa, ma<br />

era quella che volevo sentire».<br />

Partecipazione, dunque. E responsabilità.<br />

Perché un giornale è fatto anche di uomi-<br />

allora organo del Partito Comunista Italiano.<br />

Dopo i diciotto mesi di praticantato arriva il<br />

contratto a tempo indeterminato. Vi resterà<br />

fino al 1962, quando si apre per lei la seconda<br />

svolta della sua vita: la nascita della figlia,<br />

quando ormai aveva 41 anni. Da qui la scelta<br />

di lasciare la vita di redazione, per dedicarsi<br />

completamente alla sua piccola.<br />

Ma l’amore per il giornalismo non la ha mai<br />

abbandonata. L’ha coltivato dentro di sé,<br />

continuando a studiare e a informarsi, e<br />

dedicandosi, quando poteva, a scrivere<br />

qualche articolo. E ancora oggi, a ottantatré<br />

anni, ha vivo il ricordo di una vita che avrebbe<br />

voluto continuasse, a cui ha dovuto rinunciare<br />

per metterne al mondo un’altra.<br />

ni come Mantelli, che all’Unità ha svolto i<br />

ruoli più diversi, girando dagli interni alle<br />

cronache, alla politica. Ogni giorno alle 11<br />

la prima riunione di redazione «e il pacco<br />

<strong>dei</strong> giornali sullo zerbino di casa già alle<br />

sette... perché bisognava aver letto tutto<br />

prima d’incontrarsi».<br />

Poi un rapporto privilegiato con i lettori: la<br />

rubrica delle lettere, per un decennio, dal<br />

1980 al 1990. Ma anche l’idea, ripresa da<br />

altre testate, di una rubrica settimanale:<br />

“Leggi e contratti”. «Avevo pensato di<br />

creare uno spazio per parlare e cercare di<br />

risolvere i problemi di lavoro. Un esperimento<br />

riuscito, che ha avuto successo<br />

grazie anche alla rete di esperti che avevo<br />

messo in piedi per rispondere ai lettori.<br />

Ricordo in particolare Massimo D’Antona,<br />

che spesso coinvolgevo per le questioni di<br />

diritto del lavoro».<br />

Dopo la pensione, difficile per il vulcanico<br />

Gualtiero Mantelli troncare i rapporti con il<br />

“suo” giornale. Ed anche all’Unità non<br />

vogliono fare a meno della sua esperienza<br />

e della sua capacità organizzativa.<br />

Però adesso, da collaboratore, si dedica<br />

alle sue passioni: i libri. Così, per un altro<br />

decennio, fino al 2000, Mantelli resta<br />

ancora al giornale, in quella squadra di<br />

professionisti che è stata, accanto alla<br />

famiglia, la sua vita. «Mi piaceva fare scrivere<br />

gli altri, scegliere chi far scrivere. E<br />

poi sono stato felice di contribuire all’inserto<br />

sulla lettura, perché ho anche avuto<br />

modo di conoscere da vicino letterati e<br />

critici che stimavo e stimo, in un rapporto<br />

di collaborazione reciproca».<br />

11


Assemblea<br />

24 marzo <strong>2005</strong><br />

Professionisti<br />

Medaglia<br />

d’oro<br />

MARIO LODI<br />

Ventuno penne<br />

Una vita alla Prealpina<br />

senza mai dire no a nessuno<br />

di Davide Cionfrini<br />

Quando i ricordi di un giornalista sono storia<br />

di un territorio. «Ho sempre amato la mia<br />

città, profondamente e intimamente». Un<br />

sentimento che si accompagna «all’infatuazione<br />

per un mestiere» che Mario Lodi ha<br />

svolto per 35 anni nel quotidiano di Varese la<br />

Prealpina. Non si può comprendere il personaggio<br />

senza tenere presente questi due<br />

legami ai quali ha dedicato un’intera vita.<br />

Classe 1919, Mario Lodi è stato per 24 anni<br />

(dal 1960 al 1983) direttore del quotidiano<br />

varesino.<br />

Seduto alla scrivania del piccolo studio di<br />

casa, il racconto della sua carriera si lega<br />

alla storia di una città di cui ha descritto le<br />

piccole vicende di cronaca e narrato i grandi<br />

fatti salienti che l’hanno cambiata. Sin dal<br />

1945 quando Lodi, al rientro dalla guerra<br />

combattuta sul fronte croato, abbandona la<br />

strada tracciata dai suoi studi che lo hanno<br />

portato al diploma di geometra. Quella che<br />

lui stesso definisce una «vera e propria<br />

passione per la scrittura» lo spinge a collaborare<br />

per il settimanale varesino Il Mattocco<br />

di cui diverrà redattore prima e direttore<br />

poi, solo per qualche settimana, però.<br />

Nel 1948 l’attrazione per il prestigio della<br />

Prealpina lo porta al salto di qualità. Diventa<br />

collaboratore esterno del quotidiano.<br />

Sono gli anni d’oro dello sport varesino: il<br />

ciclismo, il calcio, la squadra di basket che<br />

cresce creando le basi per i successi degli<br />

Anni ‘60 e ‘70. Questi gli avvenimenti che<br />

LUIGI PIZZINELLI<br />

Lodi racconta non solo sulle pagine del<br />

giornale varesino. Anche lo Stadio di Bologna,<br />

Tutto Sport e la Gazzetta dello Sport si<br />

avvalgono delle sue corrispondenze ai piedi<br />

del Monte Rosa.<br />

L’assunzione arriva nel 1953. Lodi diventa<br />

praticante alla Prealpina e nel 1955 professionista.<br />

Proprietaria della testata è la<br />

Società editoriale varesina allora presieduta<br />

da Achille Cattaneo che nel 1959 gli<br />

propone di fondare l’edizione del lunedì.<br />

«Mi è sempre dispiaciuto dire di no alla<br />

gente». Così s’imbarca in quell’avventura<br />

che porta a compimento il 16 novembre del<br />

1959 con la prima uscita. Il successo è subito<br />

premiato e a fine anno è designato come<br />

direttore responsabile del quotidiano. Il<br />

primo ricordo di quello che è indiscutibilmente<br />

il momento più importante della sua<br />

carriera non è per lui. L’arrivismo cede il<br />

posto al sentimento e alla riconoscenza che<br />

Lodi tutt’oggi, a oltre 40 anni di distanza,<br />

ancora prova per Mario Gandini il direttore<br />

di cui prese il posto ufficiosamente all’inizio<br />

del 1960. La memoria va a quando «Cattaneo<br />

ebbe un riguardo particolare verso<br />

Gandini, che compiva 70 anni il primo<br />

gennaio. Mi disse “lasciamogli la firma del<br />

giornale anche per questo giorno”». E a<br />

Mario Lodi dà fastidio dire di no alla gente<br />

così «iniziai il lavoro di direttore il 2 gennaio,<br />

firmando il giornale del 3». Un battesimo di<br />

fuoco per Lodi, che iniziò la sua avventura<br />

alla direzione proprio nel giorno in cui morì<br />

Fausto Coppi «mio coetaneo e idolo fin da<br />

quando ero ragazzo». Comincia quella che<br />

Il carabiniere mancato che<br />

lavorò con Buzzati e Vergani<br />

di Sara Bracchetti<br />

Ci sono persone che aiutano il caso a trasformarsi<br />

in passione. A lui la sorte ha dato il carisma<br />

fascinoso di Dino Buzzati, «la persona<br />

che forse mi ha lasciato di più, assieme a Orio<br />

Vergani». Luigi Pizzinelli, 87 anni e 37 vissuti<br />

alla scrivania dell’editoriale Corriere della<br />

Sera, non scansa la verità. Ammette che, da<br />

ragazzo, al giornalismo nemmeno pensava.<br />

«Dovevo diventare ufficiale <strong>dei</strong> carabinieri»,<br />

rivela anzi, accennando ai «cinque anni in<br />

guerra rubati agli studi universitari». Accadde<br />

poi che «tornai a casa in licenza e incontrai<br />

Vincenzo Gibelli, mio vecchio amico e all’epoca<br />

presidente del Comitato di liberazione del<br />

Corriere della Sera. “Carabiniere?” mi disse.<br />

“No, tu vieni qui”. Presi congedo dall’esercito il<br />

1°ottobre 1945. Il 1°febbraio 1946 entrai al<br />

Corriere».<br />

Ieri una fortunosa coincidenza, oggi «una<br />

malattia: esco alle sette per comprarlo». Il<br />

Corriere, presto preferito alle ambizioni di<br />

carriera accademica, capace di contagiare<br />

senza colpo ferire idee e abitudini. Nel bene,<br />

nel male. «Ho visto mio figlio quando ormai<br />

aveva tredici anni», sorride, sottintesi i turni di<br />

notte in redazione che, una volta sposato e<br />

padre, gli intralciarono una vita familiare<br />

normale. Rimpianta, ma non al punto da<br />

premetterla a un lavoro fatto di persone<br />

amiche prima ancora che di nomi illustri.<br />

Lungo il suo percorso professionale, non scarseggiarono.<br />

«Dal 1954 al 1959 fui anche<br />

segretario dello scrittore Orio Vergani, modello<br />

ineguagliabile di giornalismo e persona di<br />

grandissima umanità. Poi venni chiamato da<br />

Gaetano Afeltra, indimenticabile maestro al<br />

Corriere d’Informazione. E nel 1960 Dino<br />

Buzzati, vicedirettore della Domenica del<br />

Corriere, mi volle accanto a sé come redatto-<br />

re di quella prestigiosa testata. La prima televisione<br />

degli italiani, la definì Enzo Biagi.<br />

Vendeva un milione di copie ogni settimana, il<br />

suo segno distintivo era una copertina a colori<br />

che arrivava dove i fotografi non erano arrivati.<br />

Ci sono rimasto fino alla pensione, nel<br />

1983, lavorando sotto la direzione di Zucconi,<br />

Nascimbeni, Bertoldi e Antonio Terzi».<br />

Tanto lavoro di cucina. Una rubrica tutta sua,<br />

“Fatti e parole”, gestita per quattordici anni.<br />

Articoli di vario genere e perfino qualche servizio<br />

redatto all’estero. «Sono stato in Russia,<br />

Inghilterra, nel ‘69 andai a Sarajevo - elenca<br />

pescando a caso nella memoria - Quando ero<br />

fuori Milano, però, stavo come sulle spine. La<br />

verità è che io l’inviato non lo volevo fare».<br />

E pensare che l’offerta non mancò. «Me lo<br />

propose Zucconi. È che sono troppo scrupoloso,<br />

ogni volta in cui mi trovavo a compilare<br />

la nota spese mi sentivo in debito. A viaggiare<br />

con i soldi degli altri, senza poter decidere<br />

liberamente dove andare e che cosa vedere,<br />

finisce che non si gusta più niente». Ma lui,<br />

che si fa modesto e schermisce con pudore<br />

al momento di annotare i meriti, non si pente<br />

della rinuncia. «Io sono pago del mio lavoro<br />

redazionale», dice. Non invidia il fratello,<br />

Corrado, che l’inviato l’ha fatto sul serio, alla<br />

Nazione e al Resto del Carlino. «Il primo giornalista<br />

a entrare da solo in Cina, nel 1956», fa<br />

di lui sfoggio orgoglioso. «A me invece inte-<br />

1955<br />

<strong>2005</strong><br />

nei piani dell’editore doveva essere «la<br />

rifondazione del giornale». E non c’è dubbio<br />

che lo fu. Il passaggio dalle 10.500 copie<br />

alle 20 mila in pochi anni, lo spostamento<br />

dalla vecchia alla nuova e attuale sede di<br />

via Tamagno, l’ammodernamento della tipografia,<br />

tra le prime in Italia a passare dalla<br />

lavorazione a caldo delle linotypes a quella<br />

a freddo. Ma soprattutto gli anni della<br />

concorrenza tra il ‘73 e il ‘76, la sfida lanciata<br />

dalla nuova testata varesina Il Giornale<br />

omonima di quella che da lì a poco fonderà<br />

Indro Montanelli. Primo e unico vero tentativo<br />

nella storia della stampa varesina di<br />

spodestare la Prealpina dal monopolio<br />

dell’informazione sul territorio. «La sfida era<br />

lanciata e la raccogliemmo facendo squadra».<br />

I suoi occhi si illuminano ricordando quegli<br />

anni. Ossessione e obiettivo delle giornate in<br />

ressava più il rapporto cordiale e affettuoso<br />

con le persone che la firma».<br />

Un’allusione basta, ed ecco il profluvio di ricordi<br />

e aneddoti: i quattro anni passati con Dino<br />

Buzzati. «Penetrante con lo sguardo prima<br />

ancora che con le domande», lo scolpisce.<br />

«Era lui a tirar fuori l’idea che reggeva ogni<br />

numero del settimanale. Molto signorile, una<br />

sensibilità rara. Un giorno mi affidò il suo bulldog,<br />

Napoleone II. Voleva sbarazzarsene. Lo<br />

incontrai tempo dopo. “Sai, - mi disse - io ho<br />

una colpa, quella di non averti chiesto come<br />

sta Napoleone II”. “È morto”, risposi. Si alzò di<br />

scatto e se ne andò via». Si ferma. Riprende.<br />

Racconta qualche altro episodio, meno curioso<br />

e più riservato. «Ma anche Vergani mi ha<br />

dato tanto – devia poi il corso della nostalgia.<br />

– Di quella razza non ne esistono più. Mi diceva<br />

“Pizzinelli, chieda, chieda sempre. A chiedere<br />

si ottiene”. E che dire di Afeltra, un uomo<br />

dal rigore del tutto particolare. Sapeva sgridare<br />

ma non umiliare, era prepotente al punto<br />

giusto, in un modo che gli permetteva di ottenere<br />

il meglio dagli altri». C’è spazio anche<br />

per le opere didascaliche, esito di una naturale<br />

propensione per la storia. «Soprattutto la<br />

redazione era «dare il “buco ai rivali”». E ogni<br />

volta che ci si riusciva «era festa grande». E<br />

i motivi per stappare bottiglie non mancavano:<br />

nel 1976 Il Giornale chiude, la sfida<br />

raccolta è vinta. «Ci sorresse in quegli anni<br />

l’amicizia: ricordo notti in cui quei “bravi<br />

fioeu”, finita una lunga giornata di lavoro, si<br />

fermavano a giocare a carte con i tipografi<br />

tirando le quattro o le cinque del mattino».<br />

Amarcord di un giornalismo passione e vita<br />

che Lodi racconta nel suo ultimo articolo<br />

apparso sulla Prealpina il 24 dicembre 2003.<br />

Esattamente vent’anni dopo essere andato<br />

in pensione. Come editori a Cattaneo erano<br />

succeduti, negli anni, Stefano Ferrario prima<br />

(«la sua filantropia lasciò segni tangibili nella<br />

provincia di Varese») e il nipote Roberto<br />

Ferrario poi (oggi editore e direttore del giornale).<br />

Nel 1983, quando Lodi varcò per l’ultima<br />

volta le porte di via Tamagno la città<br />

mormorò. Lodi non vuole ritornare a quelle<br />

polemiche, solo una precisazione: «Nessuno<br />

mi ha cacciato, fui io ad andarmene».<br />

Lasciato il giornalismo attivo, è il senso civico<br />

a occupare oggi le sue giornate. Impossibile<br />

elencare ogni attività che ha svolto parallelamente<br />

al giornalismo e che continua a<br />

svolgere ancora oggi, a riposo solo per la<br />

stampa. Impossibile elencare ogni riconoscimento,<br />

premio od onorificenza che la città gli<br />

ha consegnato in questi anni con un senso<br />

di gratitudine. «Per due volte ebbi l’occasione<br />

di poter andare a lavorare per testate<br />

nazionali. Rifiutai. Per tre volte mi proposero<br />

di candidarmi a deputato: rifiutai, dicendo<br />

che servivo più al territorio, alla Prealpina<br />

che a Roma».<br />

Le uniche volte in cui Mario Lodi disse di no<br />

alla gente. Ma non c’è nessun rimpianto nei<br />

ricordi di chi considera, «senza nessun<br />

campanilismo», lo squarcio paesaggistico<br />

prealpino del Monte Rosa che si specchia<br />

sul Lago di Varese «uno degli scenari più<br />

belli al mondo».<br />

storia d’Italia e dell’Ottocento. Con Leonardo<br />

Vergani ho curato il volume antologico per il<br />

centenario della nascita di Eleonora Duse,<br />

edito da Martello. Ho scritto Robespierre per<br />

la collana I grandi della storia di Mondatori.Tra<br />

il 1965 e il 1969, con il collega Bartolomeo<br />

Pieggi, ho preparato i cinque album poi riuniti<br />

nel volume Cara Domenica, documento storico<br />

cronistico sui primi cinquant’anni del ventesimo<br />

secolo. Per conto del circolo Alessandro<br />

Volta ho curato Ottant’anni del circolo A. Volta<br />

in ottant’anni di vita milanese, 1963, aggiornata<br />

e riedita vent’anni più tardi con il titolo Il<br />

centenario».<br />

Oggi Pizzinelli svolge ricerche bibliografiche<br />

su commissione. Appena può, nel fine settimana,<br />

va a prendere una boccata d’ossigeno<br />

nella sua casa di Palazzago, provincia di<br />

Bergamo. Ha smesso di andare a cavallo e<br />

basta coi giornali. Corriere sottobraccio, superata<br />

la soglia di casa divora l’editoriale, Claudio<br />

Magris per la cultura e la Latella per la politica.<br />

Ma di collaborare ancora non se ne parla.<br />

«Mi sembrerebbe di strappare qualcosa ai<br />

giovani». Incompatibile con i principi di un<br />

uomo che ha due vanti: «Non aver mai preso<br />

querele ed essermi sempre comportato in<br />

modo corretto e onesto. Non ho mai dato spallate,<br />

non ho intralciato la carriera di nessuno,<br />

e mi sono dedicato a una continua e intensa<br />

attività sindacale, in difesa <strong>dei</strong> diritti altrui. Per<br />

vent’anni consecutivi sono stato eletto<br />

membro del comitato di redazione del Corriere.<br />

Nell’ambito delle strutture e degli organismi<br />

di categoria, ho fatto parte del collegio <strong>dei</strong><br />

Probiviri della Lombardia e della Federazione<br />

nazionale della stampa come consigliere<br />

dell’<strong>Ordine</strong> nazionale <strong>dei</strong> giornalisti. Dal 1975<br />

al 2001 sono stato revisore <strong>dei</strong> conti della<br />

Casagit e attualmente, per il terzo mandato,<br />

sono presidente del Collegio <strong>dei</strong> sindaci<br />

dell’associazione lombarda giornalisti».<br />

Giornalismo uguale carta stampata, anche<br />

ora e più di ieri, quando la tv, che si affacciava<br />

intaccando i periodici con il culto dell’immagine,<br />

non rappresentava ancora un’insidia riconosciuta.<br />

Lui, che i cinquant’anni di tv li ha<br />

seguiti tutti, è ingeneroso. «Soporifera. Dal<br />

punto di vista informativo, immediata ma scarsa».<br />

E ha una certezza che rincuora. «Non<br />

potrà mai soppiantare il giornale».<br />

12 ORDINE 3 <strong>2005</strong>


d’oro<br />

Assemblea<br />

24 marzo <strong>2005</strong><br />

Pubblicisti<br />

GIANCARLO ARMUZZI<br />

Medico per passione,<br />

giornalista (sportivo) per caso<br />

di Elisa Costanzo<br />

“Tutto è nato da una grande passione, che è<br />

un po’ anche una malattia: l’Inter”. Giancarlo<br />

Armuzzi è nato a Milano nel 1931. Deve la<br />

sua carriera di giornalista sportivo soprattutto<br />

al caso. “Mia madre era molto amica della<br />

figlia del generale Pozzani, allora presidente<br />

dell’Inter. Così, fin da ragazzino, sedevo in<br />

tribuna all’Arena vicino a lui”. Ma viene la<br />

guerra e le cose si complicano. Dal febbraio al<br />

giugno 1944 Armuzzi entra nel collegio <strong>dei</strong><br />

rosminiani per evitare di perdere l’anno scolastico.<br />

La passione del calcio torna a farsi sentire.<br />

Viene a sapere che due squadre disputano<br />

il torneo del collegio e giocano in cortile<br />

durante il pranzo. Armuzzi si offre per fare la<br />

cronaca delle partite e dopo pochi giorni è la<br />

star del collegio.<br />

Finita la guerra, nel 1949 si iscrive all’Università:<br />

dermatologia. “Già mio padre era dermatologo,<br />

era logico che lo facessi anch’io”. Ma è<br />

il 1952 l’anno decisivo: suo padre viene a<br />

sapere da un suo paziente redattore alla<br />

Gazzetta dello Sport che Gianni Brera sta<br />

cercando giovani. Armuzzi si presenta alla<br />

Gazzetta e subito viene messo alla prova:<br />

raccontare una partita a Corsico. Quando arriva,<br />

la confusione è tanta e non riesce neanche<br />

a vedere il campo. Allora azzarda: torna<br />

indietro, si informa <strong>dei</strong> risultati e si inventa tutta<br />

la cronaca. Un successo che gli apre le porte<br />

del giornale: Brera si complimenta con lui e gli<br />

chiede di collaborare tutte le domeniche<br />

pomeriggio.<br />

Qualche anno dopo, tramite alcuni amici,<br />

passa a Milan-Inter, settimanale sportivo dedicato<br />

interamente alle due squadre milanesi<br />

che quando usciva, di lunedì, superava nelle<br />

vendite anche il Corriere della Sera. Qui scrive<br />

cronache più importanti e per circa sei<br />

mesi diventa anche direttore. “Ero appena<br />

laureato in medicina. La domenica stavo al<br />

giornale tutto il giorno, fino alle sette del<br />

lunedì. Poi tornavo a casa, prendevo un<br />

cappuccino e alle otto andavo in clinica”.<br />

Nel 1954 passa al Corriere lombardo, che<br />

condivideva la tipografia con Milan-Inter e<br />

l’Unità. Qui trascorre tutte le domeniche,<br />

passa a seguire le squadre della serie A e<br />

rimane in tipografia fino a notte inoltrata, fra<br />

proto e linotipisti. Il lavoro gli piace, ma gli<br />

impegni universitari alla fine hanno la meglio.<br />

ERMANNO COMUZIO<br />

ORDINE 3 <strong>2005</strong><br />

“Era il 1962 e ho deciso di prendere la libera<br />

docenza. Ho dovuto dire addio a malincuore<br />

al giornalismo sportivo perché mi sono trovato<br />

presto a lavorare anche la domenica”. Ma<br />

la penna non l’ha messa nel cassetto.<br />

Dagli anni Sessanta fino a poco tempo fa è<br />

passato a rispondere periodicamente alle<br />

lettrici di Oggi, Annabella e Marie Claire che<br />

gli chiedevano consigli sulla salute della<br />

pelle. Oggi continua a esercitare la professione<br />

e aspetta di ricevere un riconoscimento<br />

per i 50 anni di carriera anche dall’<strong>Ordine</strong><br />

<strong>dei</strong> medici. Ma non si è mai pentito della sua<br />

scelta? “No. Il giornalismo sportivo mi piaceva<br />

per la creatività della scrittura e la frenesia<br />

della domenica sera. Adoravo lavorare<br />

fisicamente sul giornale e cambiare i titoli.<br />

Ma l’ho sempre vissuto come un gioco. Non<br />

avrebbe potuto diventare una professione. Il<br />

lavoro è una cosa seria”.<br />

Detto fuori dai denti, oggi Armuzzi ringrazia il<br />

giornalismo sportivo anche per un altro motivo:<br />

i soldi. “Negli anni cinquanta come assistente<br />

straordinario all’Università prendevo<br />

40mila lire al mese. Senza lo stipendio da<br />

giornalista – che superava abbondantemente<br />

quello da ricercatore – non avrei potuto<br />

comprarmi il primo appartamento in via Morosini<br />

e forse neanche sposarmi”.<br />

Mezzo secolo passato<br />

a scrivere di cinema e teatro<br />

di Cristiano Dell’Oste<br />

«Andavo a teatro e lo spettacolo spesso finiva<br />

a mezzanotte… Scrivevo il pezzo la sera stessa<br />

e lo passavo alla tipografia». C’è un po’ di<br />

nostalgia nelle parole di Ermanno Comuzio,<br />

81 anni, bergamasco, saggista e critico cinematografico<br />

e teatrale. «Ricordo il lavoro al<br />

tavolo <strong>dei</strong> tipografi… Se l’articolo era lungo io<br />

gli dicevo dove tagliare e loro toglievano i blocchetti<br />

di piombo con le pinze. Se era corto<br />

scrivevo le frasi da aggiungere e le dettavo al<br />

linotipista. Adesso collaboro ancora, ma<br />

mando i miei articoli con l’email».<br />

Era un altro mondo, un altro giornalismo. E<br />

forse non tutte le innovazioni tecnologiche<br />

l’hanno cambiato in meglio. «Al giorno d’oggi<br />

si è perso il contatto diretto con la fucina del<br />

giornale. Una volta il lavoro era più avventuroso.<br />

Quando ero inviato alla Mostra del Cinema<br />

di Venezia, subito dopo la proiezione del<br />

film telefonavo in redazione e dettavo l’articolo,<br />

così, sul tamburo. È un periodo che ricordo<br />

con affetto e rimpiango i tempi in cui lavoravo<br />

per un giornale di provincia. Ma oggi non so<br />

se lo rifarei».<br />

La carriera di Comuzio è cominciata nel 1953<br />

al Giornale di Bergamo, per il quale ha curato<br />

la rubrica dedicata a cinema e teatro fino al<br />

1983. Poi è passato a Bergamo Oggi e di<br />

nuovo al Giornale di Bergamo. Oggi collabora<br />

con la pagina che Il Giorno dedica alla cronaca<br />

bergamasca.<br />

La passione per la musica e il cinema è il filo<br />

conduttore intorno al quale si snoda la sua<br />

attività di giornalista. Una passione antica e<br />

intrecciata alle origini familiari. «In casa avevo<br />

<strong>dei</strong> musicisti, mio padre e mio zio si sono<br />

sempre occupati di musica e teatro e io ho<br />

cominciato a seguirla fin da ragazzo».<br />

Iscritto nel 1955 all’Albo <strong>dei</strong> pubblicisti, ha<br />

scritto numerosi saggi e curato voci di enciclopedia<br />

e dizionari specializzati.Tra i tanti libri<br />

che ha scritto ne ricorda due su tutti. «Quello<br />

che ha richiesto più lavoro è stato Colonna<br />

sonora – Dizionario ragionato <strong>dei</strong> musicisti<br />

cinematografici, pubblicato nel 1980, che trac-<br />

MARIO CONTER<br />

Medaglia<br />

d’oro<br />

Come condensare in trenta righe<br />

le emozioni di un concerto<br />

di Gabriella Persiani<br />

Musica e giornalismo, le passioni a cui<br />

Mario Conter, pubblicista bresciano, ha<br />

dedicato tutta la sua vita. Fino ad oggi,<br />

alla soglia <strong>dei</strong> 50 anni di iscrizione all’<strong>Ordine</strong>.<br />

Volendo parlare per immagini, a due<br />

oggetti si può ricondurre la sua esistenza:<br />

una bacchetta da direttore d’orchestra e<br />

una penna da critico musicale per il quotidiano<br />

della sua città.<br />

Appena diciottenne, diplomato maestro<br />

elementare e pianista al Conservatorio<br />

della sua città, “l’attrazione per la scrittura”<br />

lo porta ad esordire nel mondo del<br />

giornalismo: “I tempi erano diversi – ci<br />

racconta la figlia Fulvia Conter, musicista<br />

e giornalista come il padre, il quale per<br />

alcuni problemi di salute ha demandato a<br />

lei l’incarico di “raccontare” il Conter giornalista<br />

– c’erano poche manifestazioni<br />

musicali, ma cercavano giovani culturalmente<br />

e musicalmente preparati e veloci<br />

che seguissero la stagione lirica bresciana.<br />

Così mio padre iniziò la sua carriera<br />

nel mondo dell’informazione”.<br />

Perché “veloci”? “Bisognava consegnare il<br />

pezzo subito dopo aver assistito allo spettacolo,<br />

con le emozioni ancora dentro. Via,<br />

di corsa in redazione, entro mezzanotte,<br />

per dare al proto i foglietti scritti a mano,<br />

che venivano stampati al torchio uno per<br />

uno.<br />

Questo il ricordo che ha mio padre <strong>dei</strong><br />

suoi primi passi al Giornale di Brescia,<br />

con cui dal 1952 collabora per la pagina<br />

degli spettacoli”. Non solo sul giornale<br />

cittadino della “leonessa d’Italia”, il<br />

Maestro Mario Conter ha pubblicato le<br />

sue critiche e recensioni, ma anche su<br />

vari periodici: dal 1954 come corrispondente<br />

de La Scala, rivista dell’Opera di<br />

Milano, oltre che sul quotidiano milanese<br />

L’Italia, nella pagina bresciana, dal 1946<br />

al 1952.<br />

“Ma il suo cruccio, giornalisticamente<br />

parlando – continua Fulvia Conter – è<br />

stato sempre quello di pesare ogni vocabolo,<br />

ogni aggettivo nel tentativo di<br />

condensare le emozioni di un concerto in<br />

30 righe, perché sentiva grande la responsabilità<br />

di poter esaltare o rovinare la<br />

carriera di un musicista, soprattutto di un<br />

cia una panoramica della musica da film ed è<br />

stato un lavoro pionieristico, il primo nel suo<br />

genere in Italia, per scrivere il quale ho usato<br />

libri stranieri e un archivio che mi sono costruito<br />

negli anni. Un altro libro cui sono molto<br />

legato è il Dizionario <strong>dei</strong> musicisti, che è stato<br />

presentato alla Mostra del Cinema di Venezia<br />

l’anno scorso».<br />

giovane esordiente. Perché ai giovani ha<br />

sempre tenuto”. E a dimostrarlo ci sono i<br />

40 anni spesi nell’insegnamento al conservatorio<br />

di Brescia, fino al 1985, anno<br />

della pensione.<br />

I tempi bui della seconda guerra mondiale<br />

e l’internamento in Svizzera non hanno<br />

piegato la forte tempra di Conter, che tra il<br />

1947 e il 1948 ha dato vita, con la moglie<br />

Lydia, ad un duo pianistico con il quale ha<br />

girato il mondo fino al 1985, raccogliendo<br />

successi e il plauso internazionale.<br />

Nel 1970 il Maestro fonda i “Cameristi<br />

lombardi”, che, da direttore d’orchestra,<br />

porta a suonare in importanti sedi italiane<br />

e in tournée in Svizzera, Belgio, Francia,<br />

Spagna, Turchia, Giappone, Hong Kong<br />

fino a New York e Mosca. Presiede a<br />

tutt’oggi la Fondazione Romano Romanini<br />

di Brescia, nata nel 1976 con lo scopo di<br />

organizzare il concorso biennale per violino<br />

“Città di Brescia” e che programma<br />

corsi di alto perfezionamento per vari strumenti<br />

e stagioni di concerti.<br />

Una carriera artistica da sempre intensa,<br />

dunque, coronata di successi che, però,<br />

non ha mai distolto il Maestro dall’amore<br />

per la carta stampata, ancora vivo dopo<br />

cinquant’anni.<br />

Mezzo secolo passato a scrivere di cinema e<br />

teatro offre a Comuzio uno speciale punto<br />

d’osservazione su come si sia trasformata la<br />

pagina degli spettacoli sui giornali. «È cambiato<br />

tutto», dice subito. E poi spiega: «Una volta<br />

le recensioni erano puntuali e uscivano<br />

sempre il giorno dopo una prima visione.<br />

Erano collocate in una posizione importante e<br />

lo spazio era quello che voleva il critico. Oggi<br />

in quasi tutti i giornali le recensioni sono<br />

conglobate in un’unica pagina, gli si dà scarsa<br />

importanza, si stringono, si asciugano. Questo<br />

essere spinti un po’ ai margini è una cosa di<br />

cui si lamentano tanti critici autorevoli».<br />

Ma non è solo il modo di raccontare il cinema<br />

sui giornali che delude Comuzio. È il cinema<br />

contemporaneo a non essere all’altezza <strong>dei</strong><br />

capolavori del passato. «Ci sono ancora lavori<br />

seri, ma in mezzo all’invasione degli effetti<br />

speciali. Ormai siamo al cinema di riporto, al<br />

post-moderno. I generi vengono ripresi e rimescolati:<br />

l’horror diventa politico, il mystery<br />

diventa avventuroso, il western drammatico, il<br />

musical horror e così via».<br />

Nel cinema moderno, pressato dalle promozioni<br />

pubblicitarie e influenzato da logiche<br />

commerciali, il ruolo del critico viene sempre<br />

più ridimensionato. Una volta invece era diverso:<br />

«Spesso i lettori decidevano se andare al<br />

cinema in base alla recensione e alla fiducia<br />

nel critico. Anche pensando che se il tale<br />

aveva definito bello un film, era meglio non<br />

andarlo a vedere».<br />

13


Assemblea<br />

24 marzo <strong>2005</strong><br />

Pubblicisti<br />

Medaglia<br />

d’oro<br />

PASQUALE SCARDILLO<br />

«Fu Andreotti a suggerirmi<br />

l’almanacco del calcio»<br />

di Roberta Marilli<br />

Ogni domenica da più di trent’anni un uomo<br />

attraversa la soglia del palazzo del Corriere<br />

della Sera in via Solferino. Sale al terzo<br />

piano, alla redazione dello Sport, siede a<br />

una scrivania e sintonizza la sua radiolina<br />

su “Tutto il calcio minuto per minuto”. Dopo<br />

alcuni minuti, alle voci <strong>dei</strong> telecronisti inviati<br />

negli stadi di serie A, si aggiunge il suono<br />

inconfondibile del ticchettio di una macchina<br />

per scrivere. Quell’uomo è Pasquale<br />

Scardillo. Pubblicista per scelta “Per non<br />

perdere l’entusiasmo” - spiega fiero. Nato a<br />

Napoli il 25 gennaio del 1931, Scardillo non<br />

è un collaboratore come gli altri. Chiedete<br />

di lui anche all’ultimo arrivato in via Solferino<br />

e vi risponderà: “Pasquale? E chi non lo<br />

conosce?”<br />

Entusiasmo è la parola giusta per definire il<br />

sentimento che lega Scardillo al giornalismo<br />

sin dal 1948, quando iniziò come<br />

correttore di bozze e impaginatore al<br />

Corriere del Giorno a Taranto, città nella<br />

quale ha vissuto per molti anni. Grazie alla<br />

sua intraprendenza riuscì a diventare in<br />

poco tempo corrispondente sportivo dalla<br />

perla del Golfo per almeno una quindicina<br />

di testate, tra le quali il Corriere lombardo,<br />

Sportsud (fondato e diretto da Gino Palumbo),<br />

Lo stadio di Roma, il Guerin Sportivo e<br />

Milan-Inter.<br />

Nel 1957 avviene l’incontro che cambierà il<br />

corso della sua vita; conosce, infatti, Sergio<br />

Turone, caporedattore del Guerin Sportivo<br />

che è a Taranto al seguito del Giro d’Italia e<br />

che gli consiglia di trasferirsi al Nord per<br />

avere maggiori opportunità: “Dopo cinque<br />

giorni dal mio arrivo a Milano – racconta<br />

Scardillo - mi ritrovai a seguire la partita di<br />

serie B Simmenthal Monza-Milano per il<br />

Corriere lombardo. Vinsero i padroni di casa<br />

per uno a zero; ricordo ancora il titolo del<br />

servizio: La Simmenthal inscatola il delfino<br />

tarantino. Intanto viene assunto alla Rizzoli<br />

come impiegato tecnico e impaginatore<br />

dove rimarrà per 25 anni, fino al 1984. Ma<br />

non ha mai pensato di abbandonare quello<br />

EMILIO MARIANO<br />

Mezzo secolo tra libri,<br />

riviste ed archivi<br />

di Beatrice Nencha<br />

Una vita spesa tra libri, riviste, archivi ed<br />

epistolari. È stata inesauribile, in questi oltre<br />

50 anni di carriera, la passione intellettuale di<br />

Emilio Mariano, critico letterario e giornalista<br />

pubblicista dal 1954. Una vita attraversata da<br />

un filo rosso, l’amore per l’opera di Gabriele<br />

d’Annunzio, che da ossessione si è tramutato<br />

in destino. Quando sposa una nipote del Vate,<br />

incontrata proprio sui gradini del Vittoriale<br />

degli italiani a Gardone Riviera. La magionerifugio<br />

dove il poeta pescarese visse dal ‘21 al<br />

‘38 e di cui Mariano è stato sovrintendente dal<br />

1956 oltre che presidente della Fondazione.<br />

Laureato in Lettere e filosofia alla Statale di<br />

Milano, Mariano ha collaborato a riviste prestigiose<br />

come Nuova Antologia e ha diretto I<br />

quaderni dannunziani. Nel suo curriculum<br />

figurano numerose pubblicazioni: un volume<br />

su Riccardo Zandonai, direttore d’orchestra<br />

del primo Novecento , la raccolta Italia <strong>dei</strong><br />

poeti, oltre ad aver tradotto per il teatro Maria<br />

Stuarda di Schiller e aver curato il carteggio<br />

tra il Vate e Badoglio.<br />

Autore per la neonata tv del programma<br />

“Incontri con la poesia”, Mariano è stato<br />

anche un infaticabile promotore di conferenze<br />

che, confessa, è sempre stato per lui non<br />

un lavoro, ma un diletto. Continua a collaborare<br />

così, con vari giornali: Milan-Inter,<br />

La Notte, L’Italia e Football, il mensile finanziato<br />

da Angelo Moratti del quale diviene<br />

anche segretario di redazione.<br />

Nel 1968 Scardillo inizia a collaborare con<br />

la redazione sportiva del Corriere della<br />

Sera guidata da Gino Palumbo. E, con il<br />

successivo passaggio di Palumbo alla<br />

Gazzetta dello Sport nel 1976, avvia il suo<br />

sodalizio anche con la “rosea”. Intanto<br />

pubblica, insieme a Pericle Fratelli, Il libro<br />

azzurro del calcio italiano. Un successo,<br />

visto che le 80mila copie della prima edizione<br />

vanno esaurite in poco tempo. L’idea di<br />

questo almanacco, fonte autorevole ancora<br />

oggi per cronisti e appassionati, però, non<br />

fu sua: “Avevo cominciato a scrivere una<br />

storia della nazionale azzurra a puntate –<br />

racconta Scardillo – sulla rivista Concretezza,<br />

fondata e diretta da Giulio Andreotti. Fu<br />

proprio il sette volte presidente del Consiglio<br />

e senatore a vita a suggerirmi di raccogliere<br />

tutto il materiale pubblicato in un volume”.<br />

tra cui un convegno dedicato al suo professore<br />

di germanistica, Vincenzo Errante . Frutto<br />

di un lavoro di approfondimento durato cinque<br />

anniMariano ha in preparazione un corposo<br />

volume su Il fuoco. Il romanzo autobiografico<br />

con cui d’Annunzio ha consegnato ai posteri<br />

la descrizione della sua tempestosa storia<br />

d’amore con una delle donne più fatali del<br />

Novecento, Eleonora Duse.<br />

ANTONIO DORSA<br />

L’avvocato con il terrore<br />

della routine redazionale<br />

di Tiziana Cauli<br />

Quando lui iniziò a lavorare in Rai “la televisione<br />

esisteva soltanto nella testa di Mike<br />

Bongiorno”: Ci tiene a puntualizzarlo Antonio<br />

Dorsa, avvocato e pubblicista, nato lo stesso<br />

anno del celebre conduttore, il 1924. Sugli<br />

schermi non è mai apparso, e nessuno ha mai<br />

ascoltato la sua voce in radio. “Lavoravo all’ufficio<br />

stampa e propaganda”, spiega, ricordando<br />

gli anni della sua vita trascorsi a Roma,<br />

dov’era arrivato per fare il giornalista quando<br />

ancora non aveva le idee chiare sul suo futuro.<br />

Si laureò in legge nel 1948, con una tesi sulla<br />

“sovranità popolare” discussa all’Università di<br />

Napoli. E iniziò presto a lavorare al Popolo,<br />

dopo essersi trasferito nella capitale per una<br />

serie di coincidenze, prima fra tutte un’amicizia<br />

nella redazione del quotidiano della Dc,<br />

dove lui si occupò per sei anni di cronaca bianca.<br />

Che nello specifico, per usare le sue parole,<br />

significava “scrivere semplicemente i resoconti<br />

di congressi e assemblee”.<br />

Niente di entusiasmante, tanto che fra i colleghi<br />

di allora Dorsa ne ricorda tanti che facevano<br />

i giornalisti soltanto per poter entrare gratis<br />

in ristoranti e sale da ballo. E anche adesso,<br />

assicura, quella categoria esiste. “Avvicinarsi a<br />

questo mestiere se si ha dentro il desiderio di<br />

affermarsi va bene. Ma se uno vuole fare il<br />

giornalista per entrare in discoteca senza<br />

pagare. Allora è un altro discorso”. Anche<br />

perché, continua, “quando ho iniziato io non<br />

c’era nessuno, adesso i giovani aspiranti sono<br />

una folla”. Sono trascorsi cinquant’anni da<br />

quando Antonio Dorsa si iscrisse all’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong><br />

giornalisti. A Roma, ma lui è calabrese, di Civita,<br />

in provincia di Cosenza, e presto sarebbe<br />

approdato a Milano.”Dopo l’assunzione in Rai,<br />

negli anni Sessanta, iniziai a lavorare all’ufficio<br />

stampa della Montecatini-Edison, poi mi destinarono<br />

al servizio fiscale”. Perché il campo in<br />

cui Dorsa è più esperto, e che gli avrebbe<br />

permesso di aprire uno studio legale ancora<br />

attivo nel capoluogo lombardo, è senza dubbio<br />

quello tributario. Conserva gelosamente, nella<br />

libreria del suo ufficio, due volumi pubblicati nei<br />

primi anni Settanta. Commento e interpretazio-<br />

ALCIDE PAOLINI<br />

Critico di lettere e arte<br />

ma anche romanziere<br />

di Luigi dell’Olio<br />

Scrittore, giornalista e autore di soggetti letterari.<br />

La carriera di Alcide Paolini si è snodata<br />

attraverso molteplici generi artistici. Nato a<br />

Udine nel 1928, ha iniziato l’attività letteraria<br />

come poeta nel 1952. Tra le sue collaborazioni,<br />

Comunità, Belfagor, La fiera letteraria, Il<br />

Giorno e Corriere della sera con inchieste,<br />

articoli di critica letteraria e d’arte, racconti e<br />

note di costume.<br />

A 30 anni ha fondato e diretto a Udine la rivista<br />

di cultura e poesia La situazione che per<br />

quattro anni svolse un’opera di mediazione tra<br />

scrittori di diverse tendenze.<br />

Quindi nel 1965 si è trasferito a Milano, dove<br />

risiede tuttora. Ha esordito come romanziere<br />

nel 1967 con Controveglia, cui sono seguiti<br />

Verbale d’amore (1969), Lezione di tiro<br />

(1971), La gatta (1974), Paura di Anna (1976),<br />

La bellezza (1979), L’eterna finzione (1983),<br />

La donna del nemico (1985), Una strana<br />

signora (1993), Il paese del cuore (1994). Ha<br />

pubblicato anche un libro di sociologia letteraria,<br />

La mistificazione (Milano 1961), ed alcuni<br />

volumi per bambini e ragazzi tra cui Pablo e il<br />

cane Dik- Dik (1979) e Il paese abbandonato<br />

(1980, Premio Monza).<br />

ne di una legge non ancora in vigore che avrebbe<br />

presto introdotto nel sistema fiscale italiano<br />

la cosiddetta imposta sul valore aggiunto. “Non<br />

mi sono divertito molto a scriverli”, precisa, “ma<br />

sono stato il primo esperto di Iva in Italia”.<br />

Da allora Antonio Dorsa, iscritto all’albo degli<br />

avvocati, ha sempre esercitato la professione<br />

legale, alternandola, nel tempo libero, a qualche<br />

collaborazione giornalistica. “Alla fine degli<br />

anni Settanta diventai consulente fiscale gratuito<br />

dell’Associazione stampa. Lo facevo come<br />

favore ai colleghi con problemi fiscali”.<br />

Ma non ha rimpianti, Dorsa, per non aver optato<br />

per la professione giornalistica. “Avrei fatto il<br />

giornalista a tempo pieno soltanto ad una<br />

condizione: di non essere compresso dall’ingranaggio<br />

redazionale”. Oltre che per leggi<br />

dello stato per il sistema tributario Dorsa<br />

maturò presto un’altra passione, quella per i<br />

romanzi gialli. Che leggeva, e pubblicava. “Scrivevo<br />

per la pagina <strong>dei</strong> gialli del giovedì. Ho<br />

anche pubblicato alcuni volumetti. Poi hanno<br />

iniziato ad arrivarmi delle telefonate della redazione<br />

che mi chiedevano di trattare certi<br />

soggetti…Insomma, delle richieste, e allora ho<br />

interrotto”.<br />

È stato direttore della collana di narrativa per<br />

ragazzi di Mondatori, casa editrice con cui<br />

ancora collabora. Dal 1994 è editorialista per il<br />

Messaggero veneto: fino al 1999 con la rubrica<br />

letteraria “Detto e fatto” e attualmente come<br />

notista politca. Nel 1962 ha ottenuto il premio<br />

Prove-Rapallo con una raccolta di poesie,<br />

mentre nel 1989 ha ricevuto il Premio Friûl<br />

Aquila d’oro come romanziere.<br />

14 ORDINE 3 <strong>2005</strong>


Delibera<br />

del Consiglio<br />

nazionale<br />

Roma, 8 febbraio <strong>2005</strong>. C’ è una nuova Carta <strong>dei</strong> doveri per<br />

i giornalisti dell’informazione economica e finanziaria. L’ha<br />

approvata il Consiglio nazionale nella riunione odierna. Il<br />

testo integra ed amplifica le norme in materia già contenute<br />

nella Carta del 1993.<br />

A suggerire l’ ampliamento è stata la circostanza che il Parlamento<br />

sta per approvare definitivamente la Direttiva Ue sul<br />

market abuse cioè sulla turbativa di mercato prodotta dalla<br />

diffusione,dolosa o colposa, di notizie che tendano ad alterare<br />

l’andamento delle quotazioni di borsa o a nascondere<br />

situazioni di dissesto come è accaduto per Cirio e Parmalat.<br />

La normativa (se dovesse passare così com’è prevista oggi)<br />

non solo infliggerebbe severe sanzioni penali ma delegherebbe<br />

alla Consob il compito di comminare ai giornalisti<br />

pesantissime multe da 20mila a 5 milioni di euro. Così la<br />

Commissione per la Borsa assumerebbe il compito di<br />

controllore <strong>dei</strong> giornalisti economici e finanziari sostituendo,<br />

in pratica, l’<strong>Ordine</strong>.<br />

La normativa comunitaria stabilisce, però, la competenza<br />

deontologica ordinistica in presenza di specifiche e rigorose<br />

norme di autoregolamentazione. Da qui la necessità della<br />

nuova Carta approvata oggi.<br />

Le nuove regole sono fin d’ora vincolanti per tutti i giornalisti.<br />

Si invitano però i comitati di redazione e i direttori ad aprire<br />

un tavolo di confronto sui temi della trasparenza con l’obiettivo<br />

di arrivare all’ approvazione di un codice di autoregolamentazione<br />

interno che adatti eventualmente la Carta appena<br />

approvata alle peculiarità della testata e ne allarghi la<br />

portata ad altri temi come la trasparenza sull’ assetto proprietario<br />

nonché <strong>dei</strong> principali inserzionisti pubblicitari. Obiettivo<br />

principale di tale confronto è quello di ottenere la pubblicazione<br />

degli azionisti di controllo nella gerenza del giornale e<br />

in modo adeguato nel settore audiovisivo.<br />

L’ <strong>Ordine</strong> resta in attesa di eventuali deliberazioni adottate<br />

dalle assemblee di redazione e auspica un ampio dibattito<br />

tra tutti i colleghi sui temi della trasparenza e della correttezza<br />

dell’ informazione.<br />

Hachette-<br />

Rusconi:<br />

accordo.<br />

Cigs per 21<br />

giornalisti,<br />

ma c’è impegno<br />

a reinserirli<br />

ORDINE 3 <strong>2005</strong><br />

Milano, 10 febbraio <strong>2005</strong>. Ieri all’alba è<br />

stato siglato l’accordo per risolvere l’emergenza<br />

occupazionale in Hachette-Rusconi<br />

determinata dalla decisione dell’azienda di<br />

chiudere quattro testate: Donna, Vitality, Il<br />

nostro budget e Photo. Dopo quasi due mesi<br />

di trattative, l’intesa raggiunta tra il Cdr di<br />

Hachette-Rusconi, affiancato dall’Associazione<br />

lombarda <strong>dei</strong> giornalisti e dalla Fnsi, e<br />

la casa editrice, assistita dalla Fieg, prevede<br />

l’apertura dall’1° marzo della cassa integrazione<br />

per 21 giornalisti, rispetto ai 33 previsti<br />

dall’azienda, e un meccanismo articolato di<br />

interventi per garantire il reinserimento <strong>dei</strong><br />

colleghi nelle altre testate del gruppo<br />

Hachette-Rusconi.<br />

Le misure definite nell’accordo partono dal<br />

blocco del turn-over, che impone all’azienda<br />

di richiamare i giornalisti in Cigs per qualsiasi<br />

esigenza occupazionale, e prevedono, tra<br />

le altre cose: incentivi per i colleghi con i<br />

requisiti per accedere alla pensione di<br />

anzianità o di vecchiaia e loro automatica<br />

sostituzione con giornalisti in Cigs; possibilità<br />

di trasformare il rapporto di lavoro da<br />

tempo pieno a parziale, oppure da articolo 1<br />

ad articolo 2, con conseguente riassorbimento<br />

<strong>dei</strong> colleghi in Cigs; sostituzione<br />

temporanea con giornalisti in Cigs per<br />

assenza per maternità o per lo smaltimento<br />

di ferie arretrate; sospensione dell’esclusiva<br />

per i colleghi in Cigs, che potranno così<br />

collaborare con giornali esterni al gruppo<br />

Hachette-Rusconi; un’integrazione economica<br />

per i giornalisti che dovessero restare in<br />

Cigs per più di 6 mesi.<br />

L’Associazione lombarda <strong>dei</strong> giornalisti “esprime<br />

forte solidarietà ai 21 colleghi che entreranno<br />

in cassa integrazione, ma si dice altresì<br />

convinta che il meccanismo di interventi<br />

concordati con Hachette-Rusconi sarà capace<br />

di garantire, con l’impegno e la determinazione<br />

di tutti, dal sindacato ai singoli colleghi, così<br />

come dell’azienda e <strong>dei</strong> direttori di testata, il<br />

rapido riassorbimento all’interno del gruppo di<br />

tutti i giornalisti collocati in Cigs”.<br />

Emilia<br />

Romagna<br />

applica<br />

a 20<br />

giornalisti<br />

il contratto<br />

Fnsi-Fieg<br />

Bologna, 4 febbraio <strong>2005</strong>. Da<br />

questo mese oltre venti giornalisti,<br />

che svolgono la loro attività<br />

nelle strutture di informazione<br />

della Regione Emilia-Romagna,<br />

sono transitati dal contratto di<br />

lavoro per il personale delle<br />

Regioni e delle Autonomie locali<br />

a quello giornalistico, sottoscritto<br />

dalla Fnsi e dalla Fieg. Il sindacato<br />

<strong>dei</strong> giornalisti dell’Emilia-Romagna<br />

ha espresso soddisfazione<br />

per la decisione della Regione,<br />

assunta anche nel quadro<br />

della legge 150 del 2000, e nel<br />

contempo si augura che analogo<br />

provvedimento venga presto<br />

assunto da altre regioni, a partire<br />

dalla Toscana, dove un provvedimento<br />

analogo a quello dell’Emilia<br />

Romagna è stato bloccato<br />

mentre sembrava in dirittura d’arrivo.<br />

(AGI)<br />

CASSAZIONE PENALE (SEZ. V, 9 NOVEMBRE 2004, N. 48095)<br />

Diffamazione, la fretta non giustifica<br />

la pubblicazione di una notizia non vera<br />

“ll diritto di cronaca tutelato dal vigente ordinamento esige la rigorosa osservanza di<br />

precisi limiti che hanno fondamento nell’ordinamento stesso e nell’etica deontologica<br />

professionale. Il giornalista non può disinvoltamente e indiscriminatamente<br />

trasmettere la notizia a lui pervenuta senza verificare - attraverso l’esame e il controllo<br />

delle fonti di informazione - la loro rispondenza al vero; né ripararsi dietro l’esigenza<br />

di una rapida divulgazione della notizia, perché se non è in grado - a ragione della<br />

ristrettezza <strong>dei</strong> tempi - di compiere ogni accertamento atto a fugare ogni dubbio o<br />

incertezza in ordine alla verità sostanziale del fatto deve semplicemente astenersi dal<br />

divulgare la notizia, e non può trasmetterla al pubblico con il rischio di una sua eventuale<br />

non rispondenza al vero”.<br />

Milano, 22 gennaio <strong>2005</strong>. La fretta non<br />

giustifica la pubblicazione di una notizia non<br />

vera e, quindi, diffamatoria. Questo principio<br />

è stato fissato dalla V sezione penale della<br />

Cassazione. Nella sentenza si legge:<br />

“Con l’impugnata sentenza è stata confermata<br />

la dichiarazione di colpevolezza di<br />

(omissis) in ordine al reato di cui agli artt. 57-<br />

595 Cp, contestatogli “per non aver impedito,<br />

nella qualità di direttore responsabile del<br />

quotidiano (omissis), che con la pubblicazione,<br />

in data (omissis) di un articolo dal titolo<br />

(omissis), venisse offesa la reputazione di<br />

(omissis) indicato, contrariamente al vero,<br />

come persona denunciata in passato per<br />

ricettazione”. Ricorre per Cassazione il difen-<br />

La nuova Carta <strong>dei</strong> Doveri<br />

dell’informazione economica<br />

Ecco la nuova carta <strong>dei</strong> doveri dell’informazione economica<br />

1 Il<br />

2 Non<br />

3 Il<br />

4 Il<br />

5 Il<br />

sore dell’imputato proponendo un unico<br />

mezzo di annullamento col quale denuncia<br />

violazione di legge in relazione all’art. 51 Cp.<br />

Dalla sua illustrazione si evince che, col<br />

mezzo, si addebita alla Corte di merito di non<br />

avere considerato che non può configurarsi<br />

un omesso controllo su fatti e circostanze<br />

(nella specie, il riferimento alla denuncia di<br />

ricettazione) assolutamente secondari alla<br />

notizia principale (quella, vera, dell’incendio<br />

doloso). E si aggiunge che il concetto di<br />

verità oggettiva deve tener conto della peculiare<br />

natura dell’attività giornalistica ed in<br />

particolare della necessaria rapidità nell’acquisizione,<br />

verifica e divulgazione della notizia.<br />

I riassunti profili di censura devono esse-<br />

giornalista riferisce correttamente, cioè senza alterazioni<br />

e omissioni che ne alterino il vero significato,<br />

le informazioni di cui dispone, soprattutto se già<br />

diffuse dalle agenzie di stampa o comunque di<br />

dominio pubblico. L’obbligo sussiste anche quando<br />

la notizia riguardi il suo editore o il referente politico<br />

o economico dell’organo di stampa.<br />

si può subordinare in alcun caso al profitto<br />

personale o di terzi le informazioni economiche e<br />

finanziarie di cui si sia venuti a conoscenza nell’ambito<br />

della propria attività professionale né si può<br />

turbare l’andamento del mercato diffondendo fatti o<br />

circostanze utili ai propri interessi.<br />

giornalista non può scrivere articoli che contengano<br />

valutazioni relative ad azioni o altri strumenti<br />

finanziari sul cui andamento borsistico abbia in<br />

qualunque modo un interesse finanziario, né può<br />

vendere o acquisire titoli di cui si stia occupando<br />

professionalmente nell’ambito suddetto o debba<br />

occuparsene a breve termine.<br />

giornalista rifiuta pagamenti, rimborsi spese, elargizioni,<br />

vacanze gratuite, regali, facilitazioni o<br />

prebende da privati o enti pubblici che possano<br />

condizionare il suo lavoro e la sua autonomia o<br />

ledere la sua credibilità e dignità professionale.<br />

giornalista non assume incarichi e responsabilità<br />

in contrasto con l’esercizio autonomo della professione,<br />

né può prestare nome, voce e immagine per<br />

6 Il<br />

7 Nel<br />

8 La<br />

re respinti. Il primo è inammissibile. Propone<br />

infatti una questione non prospettata nelle<br />

fasi di merito. Che è peraltro manifestamente<br />

infondata. La giurisprudenza di questa Corte<br />

ha avuto modo di affermare che i dati superflui,<br />

non unificanti, ovvero secondari, cioè<br />

incapaci da soli di immutare, alterare, modificare<br />

la verità oggettiva della notizia, non<br />

possono essere presi in considerazione, per<br />

ritenere valicati i limiti dell’esercizio del diritto<br />

di informazione ed escludere l’operatività<br />

della causa di giustificazione di cui all’art. 51<br />

c.p., anche in termini di putatività ex art. 59,<br />

u.c., c.p. Ma il richiamo a siffatto principio si<br />

palesa del tutto incongruo e non pertinente<br />

con riferimento al caso di specie, in ordine al<br />

quale l’elemento asseritamente secondario<br />

non riguarda l’essenza e la sostanza della<br />

notizia ritenuta principale, ma se ne distacca<br />

completamente risolvendosi nell’aggiunta di<br />

un distinto dato del tutto autonomo ed anzi<br />

eccentrico, ed inoltre dotato (come non<br />

contestato) di sicura valenza offensiva, ove<br />

si tenga conto che la tutela della reputazione<br />

non può venir meno neppure nei confronti di<br />

coloro che abbiano eventualmente già subito<br />

un certo discredito. Quanto all’altro aspetto,<br />

iniziative pubblicitarie incompatibili con la credibilità<br />

e autonomia professionale. Sono consentite, invece,<br />

a titolo gratuito, analoghe iniziative volte a fini sociali,<br />

umanitari, culturali, religiosi, artistici, sindacali o<br />

comunque prive di carattere speculativo.<br />

giornalista, tanto più se ha responsabilità direttive,<br />

deve assicurare un adeguato standard di trasparenza<br />

sulla proprietà editoriale del giornale e sull’identità<br />

e gli eventuali interessi di cui siano portatori i<br />

suoi analisti e commentatori esterni in relazione allo<br />

specifico argomento dell’articolo. In particolare va<br />

ricordato al lettore chi è l’editore del giornale quando<br />

un articolo tratti problemi economici e finanziari<br />

che direttamente lo riguardino o possano in qualche<br />

modo favorirlo o danneggiarlo.<br />

caso di articoli che contengano raccomandazioni<br />

d’investimento elaborate dallo stesso giornale<br />

va espressamente indicata l’identità dell’autore<br />

della raccomandazione (sia esso un giornalista<br />

interno o un collaboratore esterno). Occorre inoltre,<br />

nel rispetto delle norme deontologiche già in vigore<br />

sulla affidabilità e sulla pubblicità delle fonti, che per<br />

tutte le proiezioni, le previsioni e gli obiettivi di prezzo<br />

di un titolo siano chiaramente indicate le principali<br />

metodologie e ipotesi elaborate nel formularle<br />

e utilizzarle.<br />

presentazione degli studi degli analisti deve<br />

avvenire assicurando una piena informazione sull’identità<br />

degli autori e deve rispettare nella sostanza<br />

il contenuto delle ricerche. In caso di una significativa<br />

difformità occorre farne oggetto di segnalazione<br />

ai lettori.<br />

occorre ricordare che il diritto di cronaca<br />

tutelato dal vigente ordinamento esige la<br />

rigorosa osservanza di precisi limiti che<br />

hanno fondamento nell’ordinamento stesso<br />

e nell’etica deontologica professionale.<br />

Il giornalista non può disinvoltamente e indiscriminatamente<br />

trasmettere la notizia a lui<br />

pervenuta senza verificare - attraverso l’esame<br />

e il controllo delle fonti di informazione -<br />

la loro rispondenza al vero; né ripararsi dietro<br />

l’esigenza di una rapida divulgazione della<br />

notizia, perché se non è in grado - a ragione<br />

della ristrettezza <strong>dei</strong> tempi - di compiere ogni<br />

accertamento atto a fugare ogni dubbio o<br />

incertezza in ordine alla verità sostanziale<br />

del fatto deve semplicemente astenersi dal<br />

divulgare la notizia, e non può trasmetterla<br />

al pubblico con il rischio di una sua eventuale<br />

non rispondenza al vero.<br />

Di cui la infondatezza della centra in esame.<br />

P.Q.M.<br />

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente<br />

al pagamento delle spese del procedimento.<br />

Così deciso in Roma, il 9 novembre 2004.<br />

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre<br />

2004”.<br />

15


XXIV EDIZIONE DEL PREMIO NAZIONALE “MAX DAVID” PATROCINATO DALLA PROVINCIA DI MILANO<br />

A Ugo Tramballi l’Oscar degli inviati<br />

di Patrizia Pedrazzini<br />

Ecco i “numeri”<br />

del Pulitzer<br />

italiano<br />

Il premio Max David nasce in Versilia nel 1980, per iniziativa del poeta e pittore Vittorio Grotti,<br />

sotto l’egida della Fondazione Lorenzo Viani, in collaborazione con la Rai e con il contributo di<br />

Linda David Locatelli, vedova di Max David, il grande inviato (oltre 40 anni di servizio, <strong>dei</strong> quali<br />

25 al Corriere della Sera) originario di Cervia, nato nel 1908 e morto nel 1980. Riservato agli<br />

inviati speciali, è particolarmente ambito e prestigioso, tanto da essere citato come il Pulitzer<br />

italiano.<br />

Il primo riconoscimento è assegnato, da una giuria di cento giornalisti, a Lucio Lami. Nel<br />

1982, scomparso Grotti, Linda David chiede a Lami di garantire la vita del premio, che quello<br />

stesso anno si decide di trasferire a Cervia. Nel 1984, secondo, e definitivo, trasferimento nel<br />

capoluogo lombardo, dove il premio viene tuttora celebrato, con il patrocinio e il contributo<br />

della Provincia di Milano. È emanazione dell’Associazione Max David per il giornalismo,<br />

presieduta da Lucio Lami, mentre il vicepresidente è Max Victor David, figlio del giornalista.<br />

Nelle passate edizioni, i vincitori sono stati: Lucio Lami, Ettore Mo, Piero Accolti, Bernardo<br />

Valli, Franco Ferrari, Piero Benetazzo, Frane Barbieri, Vittorio Zucconi, Mimmo Candito,<br />

Egisto Corradi (alla memoria), Lucia Annunziata, Vittorio Dell’Uva, Paolo Rumiz, Antonio<br />

Ferrari, Valerio Pellizzari, A. Pasolini Zanelli, Carmen Lasorella, Renzo Cianfanelli, Renata<br />

Pisu, Giovanni Porzio, Toni Capuozzo, Guido Rampoldi.<br />

Consegna del premio Max David: (da sinistra) Ettore Mo (seduto), Max Victor David (figlio<br />

di Max David), Ugo Tramballi (vincitore), Alberto Mattioli (vicepresidente della Provincia<br />

di Milano), Lucio Lami (presidente del Comitato del premio), Sergio Zavoli (seduto)<br />

presidente della giuria.<br />

“A Ugo Tramballi per il suo impegno di inviato<br />

speciale, costante e attento, grazie al<br />

quale ha fornito ai lettori del suo giornale<br />

resoconti puntuali ed ineccepibili sul confronto<br />

tra Occidente e mondo arabo, sulle vicende<br />

del Golfo e sull’impatto della globalizzazione<br />

sulla politica internazionale”. Questa la<br />

motivazione con la quale il giornalista de Il<br />

Sole 24 Ore Ugo Tramballi ha ricevuto, la<br />

sera del 28 gennaio a Milano, il “Max David”,<br />

il prestigioso premio nazionale per l’inviato<br />

speciale, giunto quest’anno alla sua XXIV<br />

edizione.<br />

Considerato il “Pulitzer” italiano, dichiaratamente<br />

apolitico, assegnato da una giuria<br />

composta in prevalenza da inviati, molti <strong>dei</strong><br />

quali ex vincitori, il premio, patrocinato dalla<br />

Provincia di Milano, è stato consegnato nel<br />

corso dell’annuale cerimonia all’Excelsior<br />

Hotel Gallia, alla presenza di autorità civili e<br />

militari, di rappresentanti diplomatici, di esponenti<br />

della letteratura italiana, dell’arte e delle<br />

tradizioni milanesi. Oltre che, naturalmente,<br />

del giornalismo, anche se, quest’anno, sono<br />

È di casa, il giornalismo, nella famiglia<br />

Tramballi. Prima il nonno Ugo, poi il padre<br />

Gualtiero (La Notte, Epoca, il Giornale di<br />

Bergamo, del quale fu direttore) e lo zio<br />

Giulio (Italia, quindi Avvenire). Adesso<br />

ancora Ugo. E siamo alla terza generazione.<br />

Solo che il vincitore della XXIV edizione<br />

del premio Max David ha anche sposato<br />

una giornalista (Raffaela Carretta, vicedirettore<br />

di io donna) e ha due figli maschi,<br />

di 16 e 10 anni. Che anche loro finiscano<br />

per subire il fascino del mestiere?<br />

Mah! È presto per dirlo. Certo, hanno interessi<br />

classici che rischiano di portarli su<br />

questa strada. Ma, sinceramente, non ho<br />

fatto e non farò nulla per incentivarli. Credo<br />

che a un certo punto sia giusto cambiare.<br />

Con loro saremmo alla quarta generazione:<br />

un po’ eccessivo. E poi, in verità, si ha paura<br />

che i figli non riescano bene come siamo<br />

riusciti noi, mentre per loro si desidera il<br />

massimo. Mio padre non mi ha mai incentivato<br />

proprio per questo.<br />

Come sei arrivato al giornalismo?<br />

Non per passione, direi piuttosto per caso.<br />

stati numerosi gli inviati che non hanno potuto<br />

partecipare, trattenuti a Baghdad dalle<br />

recenti elezioni.<br />

Aprendo la serata, il presidente dell’Associazione<br />

Max David (e primo insignito, nel 1980-<br />

’81, del premio) Lucio Lami, affiancato dal<br />

vice-presidente Max Victor David, figlio del<br />

grande giornalista, non ha mancato di sottolineare<br />

il tributo di sangue che questo<br />

mestiere continua a pagare. “Il 2004 – ha<br />

detto – è stato l’anno record <strong>dei</strong> non ritorni.<br />

129 inviati sono rimasti sul campo o sono<br />

stati assassinati in servizio: quattro in Africa,<br />

dieci in Europa e negli ex Paesi sovietici, 26<br />

in America Latina, 35 in Asia e nel Pacifico,<br />

54 in Medio Oriente, compreso il nostro Enzo<br />

Baldoni”. Di qui il particolare valore di questo<br />

premio: “Riconoscere il merito di chi, per<br />

testimoniare la realtà, ha accettato una<br />

professione che, nel migliore <strong>dei</strong> casi, è difficile,<br />

delicata e pregna di responsabilità e, nel<br />

peggiore, è di grande fatica e molto rischiosa”.<br />

Un mestiere duro e pericoloso, quello dell’inviato,<br />

ma non solo: un mestiere che sta<br />

anche vivendo tempi difficili. Lo ha rimarcato<br />

il presidente onorario della giuria Sergio<br />

Pensavo, allora, alla carriera diplomatica,<br />

ma volevo rendermi autonomo presto, e la<br />

strada non era delle più brevi. Mi sarebbe<br />

anche piaciuto pilotare gli aerei, ma all’Accademia<br />

di Aeronautica militare era tutta<br />

ingegneria, e io in matematica non sono mai<br />

stato un asso. Così, visto che mio padre era<br />

giornalista, l’ho fatto anch’io. Ma solo dopo i<br />

primi tre-quattro anni ho capito di avere i<br />

numeri per riuscire. È stato allora che mi<br />

sono innamorato del mestiere. Prima mi<br />

piaceva e basta. Mi piaceva il tipo di vita che<br />

facevo, le uscite sui fatti di nera con l’autista,<br />

gli orari impossibili. Ricordo ancora il<br />

primo morto, un suicida alla Stazione<br />

Centrale: non sapevo che, poi, ne avrei visti<br />

tanti. Ho amato il giornalismo e, soprattutto,<br />

Zavoli che, dopo aver riconosciuto il contributo<br />

dato a questa categoria professionale,<br />

negli ultimi dieci anni, dalle donne, ha<br />

evidenziato come vada scomparendo, oggi,<br />

la figura classica dell’inviato, e come questo<br />

rappresenti un “segno di precarietà di una<br />

grande professione, sul cui futuro non si può<br />

dire niente di certo”. Anche se, ha poi<br />

aggiunto, proprio “la velocità dell’informazione<br />

quotidiana, e la scarsissima traccia che<br />

lascia, fa sì che la figura dell’inviato speciale<br />

diventi ancora più importante”.<br />

Inviati speciali. “Professionisti che cercano<br />

risposte laddove è difficile o addirittura pericoloso<br />

fare domande”: così li ha definiti, nel<br />

suo intervento, il vicepresidente della Provincia<br />

di Milano, Alberto Mattioli, il quale ha<br />

voluto anche ringraziare, nell’occasione, il<br />

presidente dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti della<br />

Lombardia Franco Abruzzo e il direttore della<br />

Scuola di giornalismo Gigi Speroni, entrambi<br />

presenti alla cerimonia. “Un sentito grazie –<br />

ha detto – a Franco Abruzzo, che governa<br />

con instancabile generosità e saggezza l’<strong>Ordine</strong><br />

e che, con altrettanta disponibilità, si<br />

dedica a trasferire entusiasmo e disciplina ai<br />

molti giovani attratti da un mestiere tanto<br />

“Senza libertà di stampa,<br />

questo mestiere muore”<br />

Da sinistra: Alberto Mattioli (vicepresidente della Provincia di Milano), Ugo Tramballi<br />

(vincitore del premio Max David 2004 e inviato de Il Sole 24 ore), Ettore Mo (componente<br />

della giuria e decano degli inviati speciali), Ferruccio De Bortoli (direttore de Il Sole 24 ore).<br />

Da 22 anni<br />

nei punti “caldi”<br />

del mondo<br />

Ugo Tramballi nasce a Milano il 19 febbraio 1954.<br />

Nel 1976 entra a il Giornale di Indro Montanelli come cronista nelle pagine milanesi; nel 1983<br />

diventa inviato, soprattutto per il Medio Oriente, l’India, il Pakistan, l’Afghanistan e il Sudafrica;<br />

dal 1987 al ‘91 è corrispondente a Mosca.<br />

Nel 1991 passa a Il Sole 24 Ore. In qualità di inviato e commentatore di questioni internazionali,<br />

segue il processo di pace israelo-palestinese e l’Intifada; la Russia nell’era Eltsin; la fine<br />

dell’apartheid e la transizione democratica in Sudafrica; la crisi balcanica; le riforme economiche<br />

indiane; la crescita della Cina e il passaggio di poteri a Hong Kong; la crisi asiatica e l’impatto<br />

della globalizzazione sulle politiche mondiali; la politica estera delle amministrazioni<br />

Clinton e Bush; le crisi del Golfo e il confronto fra Occidente e Mondo Arabo.<br />

È membro dell’Istituto Affari internazionali di Roma e del Centro per la pace in Medio Oriente<br />

a Milano.<br />

Ha scritto i libri: Dentro l’India, Pagus, 1988; Quando finirà l’inverno: la Russia di Eltsin, Il Sole<br />

24 Ore Libri, 1999; L’ulivo e le pietre, sul conflitto israelo-palestinese, Marco Tropea, 2002.<br />

ho fatto mia la lezione di mio padre, che mi<br />

ha insegnato ad avere rispetto per questo<br />

mestiere, e a pretendere che gli altri l’abbiano<br />

per noi che lo facciamo.<br />

Un reportage che ricordi in modo particolare.<br />

Tantissimi. Il periodo nel quale sono stato<br />

corrispondente a Mosca negli anni della<br />

Perestrojka: è stato straordinario vedere lo<br />

svegliarsi di un popolo da sempre paralizzato.<br />

E l’avventura di Nelson Mandela. E il<br />

contatto continuo e quotidiano con israeliani<br />

e palestinesi, dai rappresentanti politici alla<br />

gente comune.<br />

Quello dell’inviato è un mestiere ad alto<br />

rischio. Sarà capitato anche a te di<br />

vedertela brutta.<br />

affascinante quanto difficile e delicato”. “E a<br />

Gigi Speroni che, con grande serietà e rigore,<br />

dirige una Scuola di giornalismo che la<br />

sua fatica consente di confermare tra le più<br />

autorevoli e rinomate, non solo di Milano o<br />

della Lombardia, ma dell’intero Paese”.<br />

Fra i numerosi partecipanti alla cerimonia di<br />

premiazione, anche il professor Ermanno<br />

Arslan, sovrintendente del Castello Sforzesco;<br />

il presidente de il Giornale Gian Galeazzo<br />

Biazzi Vergani; Francesco Saverio Borrelli,<br />

già procuratore generale della Repubblica<br />

di Milano; il pittore Mario Donizetti; il sovrintendente<br />

alla Scala Carlo Fontana; il comandante<br />

della Regione Carabinieri Lombardia,<br />

generale Antonio Girone; il comandante del<br />

Presidio militare, generale Roberto Jacomino;<br />

il console di Francia Renaud Levy; il<br />

console della Federazione russa Alexander<br />

Nurizade; il direttore de Il Sole 24 Ore<br />

Ferruccio de Bortoli; l’editorialista de il Giornale<br />

Mario Cervi; l’editorialista del Corriere<br />

della Sera, ed ex direttore, Piero Ostellino.<br />

Oltre a due studenti del master in giornalismo<br />

che Lucio Lami tiene all’Università<br />

Cattolica del Sacro Cuore, “premiati” dal loro<br />

docente con due inviti alla serata.<br />

Tante volte, ma preferisco non parlarne. La<br />

paura mi accompagna sempre, ritengo che<br />

sia sano avere paura, solo gli stupidi non ce<br />

l’hanno. Prudenza? No, quella no. Si va<br />

avanti, ci si muove con paura e, direi, con<br />

una fatalistica imprudenza. Non si può fare<br />

diversamente.<br />

Hai posto l’accento, ritirando il premio,<br />

sul problema della libertà di stampa, e<br />

hai detto che, senza libertà di stampa, il<br />

mestiere dell’inviato muore.<br />

Certo. Il “politicamente corretto” è una<br />

contraddizione in termini con questo lavoro.<br />

Non puoi fare l’inviato, scrivere, raccontare<br />

da inviato, tenendo conto di questo o di quel<br />

limite imposto da questa o da quella linea<br />

politica. All’estero? No. Nei Paesi anglosassoni,<br />

in Francia, in Germania, c’è molta più<br />

autonomia. Un esempio. In occasione delle<br />

elezioni americane la Fox, che è la televisione<br />

più vicina a Bush, due giorni prima del<br />

voto uscì con la notizia che un sondaggio<br />

dava vincitore Kerry. Non so se in Italia, in<br />

una situazione analoga, sarebbe accaduta<br />

la stessa cosa.<br />

16 ORDINE 3 <strong>2005</strong>


INTERVENTO<br />

ORDINE 3 <strong>2005</strong><br />

Proposta: l’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti costituisca un gruppo di lavoro<br />

per segnalare i casi più macroscopici di abuso linguistico<br />

Usate a proposito e a sproposito, le parole stanno<br />

perdendo gran parte del loro significato. I termini<br />

enfatici, come esclusivo, speciale, eccezionale,<br />

strepitoso, storico e così via esclamando, a furia<br />

di essere abusati perdono la loro forza e, se si<br />

vuole effettivamente enfatizzare, bisogna fare<br />

come quella marca di yogurt che offre puro<br />

pleasure, perché il piacere e il gusto non sono più<br />

sufficienti ad esprimere il concetto che si intende<br />

vendere”<br />

Perché questo intervento non rimanga uno<br />

sterile pianto, mi permetto di proporre all’<strong>Ordine</strong><br />

l’istituzione di un ristretto gruppo di lavoro che<br />

segnali direttamente ai direttori e ai colleghi<br />

interessati i più macroscopici casi di abuso<br />

linguistico, suggerisca le correzioni e, magari<br />

su questo stesso giornale, con una rubrichina<br />

di pochissime righe, faccia delle proposte<br />

concrete, alternative all’inarrestabile pressione<br />

di neoanglicismi”<br />

L’italiano invaso da 9mila anglicismi<br />

di Michele di Pisa<br />

Non potendo ripetere l’operazione fatta alcuni<br />

anni fa (che ha impegnato per un bel po’ di<br />

ma non abbiamo avuto abbastanza coraggio.<br />

In Francia, però, questo compito se l’era<br />

parte del loro significato. I termini enfatici,<br />

come esclusivo, speciale, eccezionale, stre-<br />

Nel 2000 in tutto il mondo si parlavano<br />

circa 6.700 lingue. Oggi dovrebbero<br />

essere un centinaio meno, se è vero,<br />

mesi un paio di persone), ultimamente ho<br />

provato a contare le parole inglesi presenti<br />

nei titoli del Corriere e nelle pubblicità tv di<br />

prima serata. Nulla di scientifico. Ma i risultati<br />

assunto il governo, mentre da noi, in particolare<br />

in questi ultimi anni, imperversano le<br />

authority, i ticket, il welfare, la devolution…<br />

Sembriamo tutti orfani dell’inglese. O ci<br />

pitoso, storico e così via esclamando, a furia<br />

di essere abusati perdono la loro forza e, se<br />

si vuole effettivamente enfatizzare, bisogna<br />

fare come quella marca di yogurt che offre<br />

come sostiene l’Unesco, che ne muore una possono rappresentare un’indicazione. vergogniamo delle nostre radici.<br />

puro “pleasure”, perché il piacere e il gusto<br />

ogni due settimane. Il 60% delle lingue sono Su una media quotidiana di 150 titoli, 11 Se, in un paese che non innova, il linguaggio non sono più sufficienti ad esprimere il<br />

parlate da meno del 4% della popolazione contenevano almeno un termine inglese. Il tecnico e specialistico arriva di peso dagli concetto che si intende vendere. Per evitare<br />

mondiale e sono a rischio di estinzione. L’ita- rapporto però saliva a 4 su 18 nelle pagine Usa, non dovrebbe essere così quando si di pensare che ciò valga solo per i pubblicitaliano,<br />

per nostra fortuna, non fa parte di degli spettacoli. Con gli applausi, ad esem- tratta di moda o di pettegolezzi femminili. ri, prendiamo un esempio tipico del linguag-<br />

questo gruppo, ma a volte si ha la sensaziopio, che diventano regolarmente “ovation” e Indubbiamente gli uomini del marketing gio giornalistico.<br />

ne che stiamo facendo di tutto per fare perde- debbono essere necessariamente “standing”, avranno avuto le loro brave ragioni, ma testa- Negli anni ‘60, due fatti avevano colpito fortere<br />

alla nostra lingua quella massa critica che anche se gli spettatori sono quattro gatti e te come Vanity Fair (chiedo scusa ai colleghi mente l’opinione pubblica: la conquista della<br />

le impedisce di collassare nel giro di pochi rimangono comodamente stravaccati nelle che ci lavorano: desidero solo fare un esem- cima (o vertice) del K2 e l’incontro di due<br />

decenni.<br />

loro poltrone. (Chissà se i colleghi che non pio) per il lettore sono un danno doppio. Da vertici della politica mondiale, i 2 K, ossia<br />

La maggior parte delle lingue muore insieme sanno resistere all’impellenza di aggregarsi a un lato, perché inquinano la lingua italiana; Kennedy e Krusciov. Il loro fu il primo vertice<br />

alle comunità che le parlano. Nel caso dell’i- queste mode ricordano che “ovation” viene dall’altro perché imbarbariscono le conoscen- di cui ricordo avere letto sui giornali. Poi i<br />

taliano, invece, il rischio è la permeazione, dagli ovini che gli antichi romani sacrificavaze d’inglese degli italiani. Nella pubblicità tele- vertici si sono via via abbassati, e oggi sulle<br />

l’annacquamento, come un buon vino che no in onore del trionfatore.)<br />

visiva fatta a questa testata, la pronuncia era pagine di cronaca quotidianamente si regi-<br />

diventa acqua e in essa si annulla a furia di Neanche nei titoli di <strong>Ordine</strong>-Tabloid mancano un ibrido (Vànity Féar) che non potrà mai strano vertici tra sindaco e prefetto, tra mare-<br />

allungarlo.<br />

gli anglicismi.<br />

consentire all’italiano medio di capire un sciallo <strong>dei</strong> carabinieri e comandante <strong>dei</strong> vigili<br />

Nuovi anglicismi, ogni anno, entrano nella<br />

nostra lingua; alcune per arricchirla a fronte<br />

di prodotti prima inesistenti, altri semplicemente<br />

per sostituire termini comuni non più<br />

In Tv, con riferimento alle sole emittenti<br />

nazionali, e con l’esclusione di Videomusic<br />

e Rete A, l’8% <strong>dei</strong> titoli delle trasmissioni<br />

americano che si riferisce all’equivalente Usa<br />

pronunciando “Væn’ri Fèa:”. Nell’ascoltatore,<br />

infatti, si crea un vissuto di suoni estremamente<br />

diseducativo ai fini della comprensio-<br />

urbani, tra capo degli accalappiacani e<br />

funzionario del canile municipale. Anche<br />

questo è un modo per fare morire una lingua.<br />

Non si tratta di evoluzione linguistica, perché<br />

alla moda.<br />

sono in inglese o contengono termini inglesi; ne dell’inglese parlato. Molti italiani conosco- la gente non partecipa a questo processo: lo<br />

In totale le voci del Dizionario delle parole il 30% <strong>dei</strong> film in programmazione nelle sale no bene l’inglese scritto, ma non riescono a subisce soltanto.<br />

straniere di Tullio De Mauro sono 10.650, durante gli ultimi tre mesi del 2004 sono o sostenere una conversazione proprio perché Infine la grammatica. In edicola oggi tutto è in<br />

inglesi nell’82,5% <strong>dei</strong> casi. “Poca cosa”, assi- contengono termini americani, mentre 6 titoli c’è uno iato tra il parlato che si aspettano di vendita a “soli” due, tre, quattro o cinque euro<br />

cura il professor De Mauro, per il quale 8.800 su 10 delle canzonette mandate in onda dalle sentire e quello dell’interlocutore.<br />

(prima erano a “sole” quattro mila lire, ecc.).<br />

parole inglesi non rappresentano un rischio.<br />

Non la pensava così, invece, Arrigo Castellani,<br />

scomparso lo scorso giugno, il quale già<br />

in un saggio del 1987 manifestava una seria<br />

tv per giovani sono totalmente in inglese.<br />

Non parliamo della pubblicità, in particolare<br />

quella tv. Su 40 messaggi di prima serata, ne<br />

ho contato almeno 3 totalmente in inglese, 10<br />

Prendiamo un altro termine che incontriamo<br />

quasi quotidianamente: report (ma lo stesso<br />

vale per express, control, e così via). In Rai<br />

c’è anche un’ottima trasmissione giornalistica<br />

Possibile che non ci si ricordi che gli<br />

avverbi non vanno declinati? Sì, forse<br />

l’italiano non morirà. Ma se indeboliamo<br />

preoccupazione per lo stato di salute della con sottofondo di canzoni inglesi e 15 con che si chiama Report. Bene. Quando ci si fortemente la lingua che è la nostra materia<br />

nostra lingua.<br />

almeno una parola in questa lingua, in parti- limita a scriverlo, nessun problema. Sta al prima, come potremo difendere i livelli di<br />

Affermare che quasi 9.000 anglicismi non colare nella frase conclusiva, il cosiddetto lettore sapere come si legge e, se non lo sa, occupazione, quando in un’Italia totalmente<br />

costituiscano un pericolo ha senso e non ha payoff. Mi ha colpito in particolare la pubbli- peggio per lui. Il problema sorge per i colleghi anglofona la percentuale delle copie di gior-<br />

senso. Dal punto di vista statistico, indubbiacità di uno yogurt che prometteva del puro delle radio o della tv. Per i quali la pronuncia nali e riviste fatte e stampate in Inghilterra o<br />

mente, su un corpus di 800.000 tra lemmi ed “pleasure”, come se il consumatore l’equiva- corrente è “réport”, senza che a nessuno negli Usa supererà quella di produzione<br />

accezioni, quanti ne registra il dizionario della lente italiano “gusto” o “piacere” non l’avreb- venga il sospetto che magari un inglese o un italiana?<br />

Treccani, rappresentano una percentuale be capito.<br />

americano possa leggere “r’pòrt”. E così È già quanto sta succedendo con la stampa<br />

sopportabile. Ma, se li riferiamo ad un univer- Ma torniamo ai giornali.<br />

(i)xprèss, kantròl, ecc. E ancora Sciumàkhær medica, un tempo fiorente, e con quella<br />

so più ristretto possono destare delle preoc- Dei tre lanci importanti effettuati ultimamente (che però è tedesco, ma fa lo stesso), invece scientifica in genere. Nessun ricercatore<br />

cupazioni. L’italiano medio, ad esempio, non dalla Mondadori, tanto per non fare nomi, dello Sciùmacher che imperversa tra i croni- italiano che si rispetti e scopra un’acqua un<br />

usa più di 2.000 parole, per cui quello che due, Vanity Fair e Flair, hanno una testata sti sportivi.<br />

po’ meno tiepida di quelle che conosciamo si<br />

bisognerebbe vedere è quanti di tali anglici- inglese. Non dovrei essere io a strapparmi le Quello delle sdrucciole, in effetti è una vera sogna di darne l’annuncio sulle riviste italiasmi<br />

sono o stiano per entrare nel linguaggio vesti. La prima testata che ho lanciato, nel ‘75 iattura. In quanto ad accenti sembra che l’itane. Tutte le nuove scoperte debbono prima<br />

quotidiano.<br />

si chiamava (e si chiama ancora) Data Manaliano si stia lentamente magiarizzando. Le essere proposte (in inglese) alle varie Natu-<br />

Alcuni anni fa, con alcuni collaboratori<br />

d’una mia rivista d’informatica, ho lavorato<br />

a costruire un dizionario di correzione<br />

ortografica per gli utenti del sistema<br />

operativo libero Linux. Per frullare le parole<br />

ger. Poi ne ho lanciato altre due con termini<br />

inglesi. Ma già tra il 1982 e l’83 avvertivo l’esigenza<br />

di un Dizionario dell’informatica inglese-italiano<br />

che ho avuto il piacere di firmare<br />

assieme ad altri due pionieri di questa materia.<br />

Molti termini oggi correnti li coniammo o li<br />

parole piane e quelle tronche non sono più di re, Science, JAMA, BMJ, e così via. Alle<br />

moda. Tutto va sdrucciolato sulla terzultima. testate italiane resta solo l’onore di pubblica-<br />

D<br />

re i risultati delle ben più modeste ri-speri-<br />

urante la guerra del Kossovo, era difficimentazioni cliniche ponsorizzate o caldeggiale<br />

ascoltare qualcuno che pronunciaste dalle case farmaceutiche.<br />

se Kossòvo. Tutti Kòssovo, perché Chi vuole un aggiornamento di prima mano<br />

necessarie abbiamo messo in un computer ufficializzammo in quell’occasione: così suona meglio. Eppure la pronuncia sdruccio- deve abbonarsi alle pubblicazioni inglesi.<br />

tutti gli articoli pubblicati in anno dal Corriere “cartella” per “file”, “chiocciola” per il simbolo la corrisponde a quella serba e implicitamen- Vent’anni fa non era così.<br />

della Sera e da tre grandi settimanali disponi- @. Numerose altre nostre proposte sono te, in bocca ad un politico o un diplomatico, Perché questo intervento non rimanga uno<br />

bili in rete, oltre ad un migliaio di libri varia- cadute nel vuoto o sono state superate da vale a riconoscere il diritto <strong>dei</strong> serbi su quella sterile pianto, mi permetto di proporre all’Ormente<br />

assortiti. Ne è venuto fuori, fra l’altro, proposte migliori. Ma quelli erano anche anni regione, così come l’accento piano di Kossòdine l’istituzione di un ristretto gruppo di lavo-<br />

che il vocabolario usato dalle quattro testate particolari. I giornali si riferivano al computer vo, essendo quello albanese, equivale a ro che segnali direttamente ai direttori e ai<br />

prese in considerazione era di circa 6.000 col termine “cervellone” e una delle più presti- sostenere le rivendicazioni autonomistiche di colleghi interessati i più macroscopici casi di<br />

parole, di cui 1.400 verbi. Purtroppo allora giose firme del giornalismo italiano bacchet- questo popolo. Quand’ero ragazzo parlavo abuso linguistico, suggerisca le correzioni e,<br />

non ho pensato di conteggiare gli anglicismi. tava la mania di chiamare “hardware” il pento- anche albanese, perciò preferisco Kossòvo. magari su questo stesso giornale, con una<br />

Ma è in rapporto a queste 6.000 parole che lame e “software” la biancheria (sic!). Certa- Come se non bastasse, c’è l’usura, la bana- rubrichina di pochissime righe, faccia delle<br />

gli 8.800 termini inglesi potrebbero essere mente avremmo dovuto fare come i francesi lizzazione della lingua. Usate a proposito e a proposte concrete, alternative all’inarrestabile<br />

preoccupanti.<br />

che hanno inventato il “materiel” e il “logiciel”, sproposito, le parole stanno perdendo gran pressione di neoanglicismi.<br />

UGIS: IL VERTICE DEI GIORNALISTI SCIENTIFICI<br />

Milano, 25 gennaio <strong>2005</strong>. L’Unione <strong>dei</strong> giornalisti italiani scientifici<br />

(Ugis), che raccoglie oltre 150 giornalisti che scrivono di scienza<br />

e tecnologia, ha attribuito le cariche per il triennio <strong>2005</strong>-2007<br />

nell’ambito del nuovo Consiglio direttivo, eletto dall’assemblea di<br />

fine 2004. Confermata Paola De Paoli alla presidenza (carica che<br />

ricopre dal 1984), il Consiglio direttivo ha nominato vice-presidenti<br />

Giovanni Anzi<strong>dei</strong> e Adriana Bazzi. Giorgio Santocanale è il nuovo<br />

segretario-tesoriere. Il Consiglio è completato da Furio Reggente<br />

e Isabella Vannutelli, consiglieri. Presidente del Collegio <strong>dei</strong> probiviri<br />

è stato confermato Giuseppe Prunai, cui si affiancano Luca<br />

Ottenziali e Adriana Giannini. Eugenio Sorrentino è il nuovo presidente<br />

del Collegio <strong>dei</strong> sindaci revisori, coadiuvato da Emanuele<br />

“ “<br />

Paola De Paoli confermata presidente<br />

Vinassa de Regny e Carlo Di Nardo come sindaci effettivi, mentre<br />

Alberto Pieri e Gabriella Fiecchi sono supplenti.<br />

Paola De Paoli ha così sintetizzato la visione che guida l’Ugis, a<br />

commento dell’attività 2004 e in preparazione <strong>dei</strong> programmi di<br />

quest’anno: “Le finalità istituzionali dell’Ugis sono uscite rafforzate,<br />

nel 2004, anche a livello internazionale grazie all’interscambio con<br />

le associazioni <strong>dei</strong> giornalisti scientifici di altri Paesi. È una conferma<br />

che solamente attraverso la collaborazione e la comunanza<br />

tra colleghi si può favorire l’aggiornamento professionale mediante<br />

incontri, promossi e organizzati dall’Ugis, con scienziati e tecnologi.<br />

Notiamo, inoltre, un particolare impegno <strong>dei</strong> più giovani tra i<br />

giornalisti scientifici italiani nell’approfondire i temi e allargare i<br />

contatti necessari al loro lavoro quotidiano, che – però – non<br />

sempre viene adeguatamente ricompensato”.<br />

L’Ugis, costituita nel 1966 con Giancarlo Masini primo presidente,<br />

ha lo scopo di stimolare la divulgazione scientifica attraverso i<br />

media italiani, curando l’aggiornamento professionale <strong>dei</strong> soci<br />

attraverso seminari, giornate di studio, incontri con scienziati e<br />

ricercatori in tutto il mondo. Fa parte dell’Eusja (European union of<br />

science journalist associations, con sede a Strasburgo) di cui è tra<br />

i fondatori.<br />

Per ulteriori informazioni: Dario Andriolo, segreteria tecnica Ugis,<br />

corso Sempione 39, 20145 Milano, tel. 02 33611607, fax 02<br />

3314505, e-mail: ugis@agenpress.com; www.ugis.it<br />

17


Bilancio positivo<br />

dell’assistenza legale<br />

dell’<strong>Ordine</strong>:<br />

numerose le sentenze ottenute<br />

- che fanno giurisprudenza -<br />

a favore <strong>dei</strong> giornalisti<br />

Dai compensi negati per le collaborazioni<br />

fino al riconoscimento del diritto d’autore<br />

Gli editori che non pagano hanno ora meno possibilità di farla franca. Affermato il principio di legge della legittimità delle tariffe profes<br />

Ufficio stampa<br />

per aspirante deputato<br />

europeo<br />

Vediamole, nella loro specificità, alcune di<br />

queste sentenze. Si riferiscono, in prevalenza,<br />

all’affermazione del diritto (e delle<br />

buone ragioni) <strong>dei</strong> giornalisti ad ottenere il<br />

giusto compenso per la pubblicazione di<br />

articoli, redatti su commissione, da editori<br />

insolventi.<br />

Ma riguardano anche un più ampio ventaglio<br />

della collaborazione giornalistica, dalla<br />

esecuzione di servizi fotografici alla organizzazione<br />

e alla pratica gestione di uffici<br />

stampa.<br />

A quest’ultimo proposito merita attenzione<br />

una pronuncia del Tribunale di Milano, a<br />

favore del giornalista P.C., che si era indirizzato<br />

al servizio legale dell’<strong>Ordine</strong>, per<br />

rivendicare un credito professionale maturato<br />

nei confronti di R.L., candidato alle<br />

elezioni europee del 1999 che si era rivolto<br />

al giornalista incaricandolo di costituire<br />

un ufficio stampa per sostenere e promuovere<br />

la sua campagna elettorale.<br />

A conclusione del proprio lavoro, non<br />

avendo ricevuto il compenso spettantigli<br />

(da liquidarsi, secondo previo accordo<br />

verbale con il committente, alle tariffe<br />

professionali in vigore), P.C. inviava al<br />

candidato-committente la propria notula,<br />

già liquidata dall’<strong>Ordine</strong> di appartenenza,<br />

per la complessiva somma di lire<br />

15.300.000. Ma si vedeva negare il pagamento.<br />

Rivoltosi al servizio legale dell’<strong>Ordine</strong> della<br />

Lombardia, inviava regolare diffida al debitore.<br />

Ma anche questo sollecito cadeva nel<br />

vuoto.<br />

Con il patrocinio dell’avvocato Luisella<br />

Nicosia, il giornalista ricorreva allora al<br />

giudice per ottenere ingiunzione di pagamento.<br />

Notificato il provvedimento, lo stesso<br />

veniva opposto e si instaurava regolare<br />

giudizio di merito al fine di accertare l’effettività<br />

delle prestazioni rese e la fondatezza<br />

della domanda riconvenzionale di<br />

danni svolta dalla controparte in sede di<br />

cognizione. Il candidato-committente, infatti,<br />

in sede di opposizione, non solo sosteneva<br />

di non aver mai conferito alcun incarico<br />

professionale a P.C. in qualità di<br />

responsabile dell’ufficio stampa, ma addirittura<br />

negava di avere mai chiesto a P.C.<br />

di svolgere qualsivoglia altra attività di<br />

natura giornalistica.<br />

E rivendicava la pretesa gratuità delle<br />

prestazioni rese dal giornalista.<br />

Questi - stando alla versione del candidato-committente<br />

- avrebbe svolto un semplice<br />

ruolo di segreteria, dichiarandosi disposto<br />

a rinunciare ad ogni compenso in<br />

denaro in cambio di un non bene precisato<br />

vantaggio indiretto conseguibile in caso<br />

di successo elettorale del signor R.L..<br />

Il candidato chiedeva, inoltre, il riconoscimento<br />

e la liquidazione a suo favore di un<br />

risarcimento del danno, provocato, a suo<br />

dire, dal comportamento tenuto dal giornalista<br />

durante il suo rapporto di collaborazione.<br />

Costituitosi in giudizio il giornalista, contestate<br />

tutte le eccezioni di controparte, insisteva<br />

nella conferma del decreto opposto,<br />

rilevando di aver svolto un complesso di<br />

attività strettamente connesse alla propria<br />

qualifica di giornalista e quanto al compenso<br />

ribadendo di aver agito in via monitoria<br />

secondo il parere di congruità liquidatogli<br />

dall’<strong>Ordine</strong>, ai sensi degli articoli 2225 e<br />

2233 Codice civile. In sede istruttoria venivano<br />

assunte prove orali, dalle quali emergevano<br />

l’assoluta infondatezza di qualsivoglia<br />

eccezione difensiva del debitore (e<br />

tanto meno della pretesa richiesta di<br />

danni) e l’effettività del conferimento<br />

dell’incarico professionale e dell’esecuzione<br />

dello stesso.<br />

All’esito del giudizio, il Tribunale di Milano<br />

riconosceva provato il credito del giornalista,<br />

ritenendo insussistente qualsivoglia<br />

dubbio in ordine al conferimento dell’incarico<br />

da parte di R.L. a P.C. di responsabile<br />

dell’ufficio stampa, sia per le prove testimoniali<br />

assunte, sia per le emergenze<br />

documentali in atti.<br />

È stato dimostrato - secondo il giudice -<br />

che il giornalista, nei mesi di svolgimento<br />

dell’incarico professionale, si recava quotidianamente<br />

nell’ufficio elettorale del candidato,<br />

seguendo lo stesso a tutti gli incontri<br />

di promozione e presentazione, occupandosi<br />

del sito internet, preparando i comunicati<br />

stampa.<br />

A giudizio del Tribunale, “tutta l’attività<br />

sopra elencata rientra sicuramente<br />

nell’ambito di competenza propria del giornalista<br />

professionista e come tale va<br />

remunerata se non vi sono diversi accordi<br />

tra le parti, secondo quanto previsto<br />

dall’art. 2235 c.c. sulla base della tariffa<br />

professionale”.<br />

Il giudice ha altresì chiarito che “in atti vi è<br />

la liquidazione e di qui il vaglio di conformità<br />

da parte dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti,<br />

quindi poiché parte opponente si è limitata<br />

a contestare genericamente il quantum<br />

senza alcuna specifica contestazione, si<br />

ritiene che non vi siano ragioni per discostarsi<br />

dalla valutazione già effettuata<br />

dall’<strong>Ordine</strong> professionale, alla quale anche<br />

il giudice è tenuto, salvo una manifesta<br />

incongruità della liquidazione, che peraltro<br />

non emerge”, condannando pertanto il<br />

debitore al pagamento a favore del giornalista<br />

della somma di euro 5.846,00 (decurtata<br />

dalla parcella una minima somma<br />

relativa a rimborsi spese già percepiti),<br />

oltre contributo previdenziale Inpgi, Iva,<br />

ritenuta d’acconto ed interessi legali dal<br />

12.07.1999 al saldo, rigettando in toto la<br />

domanda riconvenzionale proposta da<br />

R.L. (Trib. Milano n. 8532/02).<br />

La sentenza - è utile precisarlo - risulta<br />

importante, per la stessa particolare attività<br />

svolta dal giornalista, relativa a prestazioni<br />

di ufficio stampa, spesso oggetto di<br />

contestazioni in sede giudiziale e di non<br />

sempre facile dimostrazione per la loro<br />

stessa peculiarità.<br />

Direttore<br />

responsabile<br />

di rivista<br />

Sulla stessa linea, una sentenza del Giudice<br />

di pace di Monza, che ha riconosciuto il<br />

credito di un giornalista, che aveva prestato<br />

la propria attività in via occasionale come<br />

direttore responsabile di una rivista (Percorsi<br />

italiani, edita a Firenze), per l’uscita di un<br />

numero della stessa. Il giornalista W.S.,<br />

dopo aver terminato il proprio lavoro, regolarmente<br />

data alle stampe la rivista, si vedeva<br />

contestare dall’editore la parcella, con<br />

l’arbitraria pretesa di ridurre il compenso già<br />

concordato e liquidato dall’<strong>Ordine</strong> professionale.<br />

W.S. decideva perciò di rivolgersi al<br />

servizio legale dell’<strong>Ordine</strong> della Lombardia.<br />

Veniva richiesto a Percorsi Italiani il pagamento<br />

di quanto dovuto al giornalista e, alla<br />

scadenza infruttuosa del termine indicato,<br />

veniva richiesto, con l’assistenza dell’avvocato<br />

Luisella Nicosia, il decreto ingiuntivo di<br />

pagamento per la somma di 1.579,19 euro<br />

nei confronti dell’editore fiorentino, il quale si<br />

opponeva eccependo preliminarmente il<br />

difetto di competenza territoriale del giudice<br />

adito in quanto, a suo dire, l’incarico era<br />

stato conferito e doveva essere eseguito in<br />

Firenze, sede legale della pubblicazione.<br />

Inoltre l’editore sosteneva che, non essendo<br />

stato pattuito il luogo di pagamento della<br />

prestazione, questa dovesse, per consuetudine,<br />

essere attribuita a Firenze.<br />

Nel merito il debitore sosteneva l’infondatezza<br />

del credito di W.S. per pretese manchevolezze<br />

nell’esecuzione dell’incarico assegnatogli.<br />

Secondo la difesa dell’editore, infatti,<br />

W.S. non avrebbe adempiuto alle obbligazioni<br />

contrattualmente assunte in qualità di<br />

direttore responsabile; per ciò non avrebbe<br />

avuto diritto ad alcun compenso. Costituitosi<br />

in giudizio il giornalista contestava le istanze<br />

di Annamaria Delle Torri<br />

Maggiori garanzie per i free lance, più certezze, dal punto di vista giuridico, per chi collabora a<br />

quotidiani e periodici. Ora gli editori che non pagano hanno meno possibilità di farla franca. Il<br />

servizio istituito cinque anni fa dall’<strong>Ordine</strong> della Lombardia (su iniziativa del suo presidente e del<br />

Consiglio regionale e gestito dall’avvocato Luisella Nicosia) per fornire assistenza legale gratuita<br />

ai propri iscritti, al fine di recuperare i crediti professionali e di far rispettare dagli editori le<br />

tariffe professionali, approvate annualmente dal Consiglio nazionale, ha dato rilevanti frutti, sia<br />

per quanto riguarda le somme effettivamente riscosse, grazie all’azione promossa in sede giudiziale,<br />

sia soprattutto per quanto riguarda – ed è questo un aspetto di rilevante importanza – l’affermazione<br />

di una linea di giurisprudenza sempre più consolidata.<br />

Tra le tante sentenze pronunciate in questi anni a favore di molti colleghi (abbiamo riferito il<br />

mese scorso della decisione del giudice milanese che ha condannato Il Mattino di Napoli a<br />

“saldare il conto” con una giornalista alla quale aveva negato il compenso per le proprie collaborazioni),<br />

le più significative riguardano l’accoglimento del principio di legge previsto dall’art.<br />

2225 e seguenti del nostro Codice civile, in base al quale, in assenza di accordo diverso, vanno<br />

applicate alle prestazioni giornalistiche le tariffe professionali, senza possibilità per il giudice di<br />

negarle, se non con adeguata motivazione. Circostanza importante, destinata, nel lungo periodo,<br />

a scoraggiare comportamenti di arbitrio e di unilateralità nella determinazione ex post <strong>dei</strong><br />

compensi, così diffusa tra editori e committenti a danno e a scapito della professionalità <strong>dei</strong><br />

giornalisti che operano come liberi professionisti.<br />

Diritto d’autore:<br />

perde Rti<br />

(Fininvest-Mediaset)<br />

Di altro genere, seppure sempre annoverata<br />

tra le sentenze rese in forza di un<br />

giudizio radicato grazie al patrocinio fornito<br />

ai propri iscritti dall’<strong>Ordine</strong> della<br />

Lombardia e con l’assistenza dell’avvocato<br />

Luisella Nicosia, è la pronuncia di<br />

condanna a carico della convenuta Rti<br />

Spa (Fininvest-Mediaset) e del terzo chiamato<br />

A. D., resa dal Tribunale di Monza,<br />

in merito a un risarcimento del danno per<br />

illegittimo utilizzo di opera dell’ingegno<br />

altrui. Nel caso di specie, il giornalista P.<br />

D., esperto disegnatore e vignettista, rilevava<br />

l’indebita utilizzazione di proprie illustrazioni<br />

nell’ambito di un programma<br />

trasmesso su Canale 5. Si trattava di una<br />

serie di immagini realizzate dal giornalista,<br />

che vanta un ampio curriculum<br />

professionale, per un inserto commissionato<br />

da una rivista di altro editore. P.D.,<br />

constatato l’uso arbitrario e non autorizzato<br />

del proprio lavoro, citava in giudizio<br />

avversarie e ne chiedeva il rigetto, con<br />

conseguente conferma del decreto ingiuntivo.<br />

Il giudice, ritenuta la propria competenza<br />

territoriale (essendo da intendersi quale<br />

luogo di esecuzione del pagamento il domicilio<br />

del creditore ex art. 1182 c.c., nel caso<br />

di specie Monza, appunto), accoglieva<br />

l’istanza di provvisoria esecuzione, non<br />

essendo l’opposizione fondata su prova<br />

scritta né di facile soluzione. All’esito del<br />

giudizio, il Giudice di pace riteneva “destituita<br />

da ogni fondamento la tesi sostenuta<br />

dalla rivista Percorsi Italiani; infatti dalla<br />

documentazione prodotta e dalle testimonianze<br />

rese in istruttoria si ha la conferma<br />

che W.S. ha svolto regolarmente il proprio<br />

incarico di direttore responsabile della rivista<br />

Percorsi Italiani, provvedendo altresì alla<br />

revisione degli articoli pubblicati sulla rivista,<br />

come hanno confermato i testi escussi.<br />

E non risulta che tale sua attività sia stata in<br />

alcun modo limitata od ostacolata dalla<br />

circostanza di essere stata eseguita prevalentemente<br />

a Milano; “tale circostanza,<br />

dedotta dalla opponente, è da ritenersi ininfluente<br />

perché il giornalista ha svolto ugualmente<br />

il lavoro affidatogli”. Tutto ciò ha portato<br />

alla conferma del decreto opposto, con il<br />

rigetto dell’opposizione infondata e la conseguente<br />

condanna dell’editore al pagamento<br />

di quanto dovuto al giornalista, come da sua<br />

parcella (Giudice di pace di Monza n.<br />

3210/02). Ancora una volta, abbiamo<br />

dunque assistito al rigetto di eccezioni pretestuose<br />

sull’attività di un giornalista, svolte al<br />

solo fine di sottrarsi a un pagamento dovuto<br />

e di opporsi giudizialmente con ogni mezzo<br />

al riconoscimento del credito professionale<br />

maturato dal professionista.<br />

Rti, chiedendo la condanna della stessa<br />

al risarcimento del danno e assumendo<br />

che si trattava di opere dell’ingegno ai<br />

sensi della L. 633/41, utilizzate in palese<br />

violazione del dettato normativo, non<br />

essendo mai stato chiesto il consenso<br />

dell’autore, né essendo tantomeno citato<br />

il suo nome nel corso della trasmissione,<br />

né il titolo dell’opera da cui erano state<br />

tratte le illustrazioni. Il fatto, che doveva<br />

ritenersi lesivo del diritto d’autore, non<br />

poteva giustificarsi con finalità asseritamente<br />

culturali, in quanto Canale 5 è una<br />

rete televisiva commerciale e nell’ambito<br />

del programma che aveva utilizzato le illustrazioni<br />

erano anche stati inseriti spot<br />

pubblicitari relativi a prodotti strettamente<br />

connessi alle immagini di P.D.. Le sei illustrazioni<br />

indebitamente utilizzate erano<br />

state valutate dall’<strong>Ordine</strong> regionale <strong>dei</strong><br />

giornalisti quali disegni originalissimi,<br />

sotto il profilo della creatività, della novità<br />

18 ORDINE 3 <strong>2005</strong>


(articoli, uffici stampa)<br />

disinvoltamente violato<br />

ssionali approvate annualmente dal Consiglio nazionale dell’<strong>Ordine</strong><br />

e dell’impatto sul lettore ed era stato ritenuto<br />

congruo un compenso di lire<br />

2.000.000 lorde cadauna. Rti, chiedendo,<br />

dal canto suo, il rigetto delle domande<br />

attoree, sollecitava la chiamata in causa<br />

di A.D.P., l’autore del programma, che<br />

aveva scelto le immagini e i disegni da<br />

mandare in onda, secondo un contratto<br />

che legava autore ed emittente. Il terzo<br />

chiamato si costituiva in giudizio, chiedendo<br />

a sua volta il rigetto delle domande nei<br />

suoi confronti, assumendo di aver consegnato<br />

già quindici giorni prima della<br />

messa in onda le immagini alla responsabile<br />

del programma, affinché ne valutasse<br />

la correttezza per la messa in onda. Sulla<br />

base delle risultanze istruttorie, documentali<br />

e testimoniali, il Tribunale di Monza<br />

giudicava fondata la domanda dell’attore,<br />

“ritenendo ravvisabile la violazione del<br />

diritto morale d’autore, che sussiste<br />

anche dopo la cessione del diritto di utilizzazione<br />

economica dell’opera (nel caso di<br />

specie ceduto genericamente - a detta del<br />

giudicante - all’editore terzo estraneo al<br />

giudizio) e attribuisce il diritto di rivendicare<br />

la paternità dell’opera e di opporsi a<br />

qualsiasi deformazione, mutilazione,<br />

modificazione o ad ogni atto a danno<br />

dell’opera stessa che possano essere di<br />

pregiudizio all’onore e alla reputazione<br />

dell’autore”.<br />

La visione della videocassetta con la registrazione<br />

della trasmissione, effettuata<br />

nel contraddittorio delle parti, ha consentito<br />

infatti di verificare che, durante la<br />

trasmissione, erano state mostrate le illustrazioni<br />

prodotte dall’attore, “senza alcun<br />

riferimento né all’autore, né alla pubblica-<br />

ORDINE 3 <strong>2005</strong><br />

Ufficio<br />

stampa<br />

Zetesis<br />

Per tornare al tema degli uffici stampa, è<br />

certamente importante una recente pronuncia<br />

del Tribunale di Milano a favore di L.M.,<br />

giornalista che ha prestato attività di consulenza<br />

(con incarico di ufficio stampa e<br />

rapporti con i media) per una società - Zetesis.<br />

com Spa - sulla base di un contratto<br />

regolarmente siglato tra le parti.<br />

Le prestazioni che contemplavano un impegno<br />

per il professionista per un anno solare<br />

in realtà si sono interrotte prima della<br />

scadenza, per l’intervenuta dichiarazione di<br />

messa in liquidazione volontaria della<br />

società. In tale caso, il giornalista, assistito<br />

dall’avvocato Luisella Nicosia, ha chiesto in<br />

via giudiziale la condanna di Zetesis.com<br />

S.p.a. al pagamento delle proprie notule<br />

relative ai mesi di lavoro, nonché il riconoscimento,<br />

a titolo di danno per il mancato<br />

guadagno, di quanto ancora contrattualmente<br />

previsto fino alla scadenza del<br />

contratto.<br />

All’esito del giudizio, il Tribunale, ritenuta<br />

provata la fondatezza della pretesa creditoria<br />

azionata mediante la produzione in giudizio<br />

del contratto di conferimento dell’incarico<br />

di responsabile dell’ufficio stampa e l’avvenuto<br />

espletamento delle prestazioni<br />

zione dalla quale erano state tratte, né<br />

tantomeno potendosi invocare la libera<br />

riproducibilità delle immagini, per finalità<br />

di critica, insegnamento, discussione, non<br />

ravvisabili nel programma in oggetto”. Il<br />

Tribunale ha quindi riconosciuto la lesività<br />

ai danni della reputazione dell’autore del<br />

contesto in cui sono state trasmesse le<br />

immagini, che non ha alcun connotato<br />

scientifico. “Nel caso di specie, era palese<br />

la mancata menzione dell’autore e<br />

dell’opera da cui erano state tratte le illustrazioni,<br />

circostanza facilmente verificabile<br />

dalla convenuta Rti con un minimo di<br />

diligenza, il che già la esponeva a responsabilità,<br />

non essendo tale comportamento<br />

consentito nemmeno nei casi di libera<br />

utilizzazione dell’opera ai sensi dell’art.<br />

70 L. autore”. “Passando alla liquidazione<br />

<strong>dei</strong> danni, non può prescindersi da una<br />

valutazione equitativa, che deve tener<br />

conto del fatto che la trasmissione delle<br />

illustrazioni è stata brevissima e che il<br />

pregiudizio alla reputazione dell’attore è<br />

per ciò stesso limitato, avvertito sicuramente<br />

dall’autore ma senza affetti nella<br />

generalità <strong>dei</strong> consociati.<br />

Per tali motivi, si condanna RTI a pagare<br />

a P.D. la somma di lire 6.000.000, oltre<br />

interessi legali dalla data del fatto al saldo<br />

effettivo. Quanto al terzo, lo stesso deve<br />

essere condannato a pagare a RTI le<br />

somme che la stessa dovrà pagare in<br />

esecuzione della sentenza, trattandosi di<br />

rapporto contrattuale che legava le parti,<br />

per il cui inadempimento agli obblighi il<br />

terzo chiamato non ha fornito la prova<br />

liberatoria richiesta”.<br />

(Trib. Monza 2983/02).<br />

pattuite dal gennaio al settembre 2001,<br />

anche per quanto dichiarato dai testimoni,<br />

condannava la società convenuta al pagamento<br />

di quanto dovuto per i mesi di attività<br />

(15.893,65 euro), oltre alla corresponsione<br />

degli interessi legali dalle singole scadenze<br />

al saldo effettivo.<br />

La Zetesis com S.p.a veniva altresì condannata<br />

al pagamento, a favore dell’attore, della<br />

somma di 8.521,54 euro, quale importo<br />

dovuto per gli ulteriori tre mesi di vigenza del<br />

contratto.<br />

Anche in questo caso venivano riconosciuti,<br />

in aggiunta, gli interessi legali dalla messa<br />

in mora al saldo effettivo, ritenendo che<br />

“poiché il contratto contemplava una naturale<br />

scadenza al dicembre 2001 ed un corrispettivo<br />

complessivo, da pagarsi con<br />

scadenza mensile, si deve affermare la non<br />

recedibilità ad nutum dal rapporto per mero<br />

arbitrio del committente, con conseguente<br />

suo obbligo di provvedere al pagamento del<br />

corrispettivo dovuto per l’intero periodo.<br />

Nella specie, ritenuto applicabile l’art. 2237<br />

c.c. (trattandosi dell’impegno a fornire non<br />

un’opera bensì una prestazione professionale)<br />

deve ritenersi che le parti abbiano<br />

pattiziamente derogato alla facoltà di reces-<br />

D I B A T T I T O<br />

Quando<br />

“i cari colleghi assunti”<br />

diventano kapò<br />

Come sono cattivi gli editori! È uno <strong>dei</strong><br />

temi centrali delle lamentele e delle rivendicazioni<br />

sindacali <strong>dei</strong> giornalisti, spesso<br />

associato alla indifferenza del governo e<br />

all’ingiustizia del mondo. Raramente ci si<br />

chiede come si comportano i giornalisti<br />

verso gli altri giornalisti. Le lamentele<br />

contro gli editori e il mondo talvolta coprono<br />

la mancanza di senso di responsabilità<br />

e la pavidità <strong>dei</strong> giornalisti garantiti, quelli<br />

assunti.<br />

Non sto parlando di<br />

eroismo o di sacrificarsi<br />

per gli altri ma di un<br />

minimo di correttezza,<br />

che infatti alcuni han-<br />

no, senza perdere il<br />

posto e nessuna conseguenza<br />

drammatica<br />

sulla carriera.<br />

Io sono una freelance,<br />

professionista, faccio<br />

questo lavoro da tanto<br />

tempo, per decine di<br />

testate, ho frequentato<br />

e sono stata anche al<br />

desk di molte redazioni.<br />

Insisto a dire che il<br />

90% <strong>dei</strong> problemi <strong>dei</strong><br />

freelance sono causati<br />

dai cari colleghi giornalisti<br />

assunti. Un capo<br />

con un minimo di<br />

senso di responsabilità<br />

permette una vita<br />

professionale e umana<br />

decente. Un capo scorretto<br />

– a questo punto<br />

un kapò – rende la vita<br />

indecente. Per quel<br />

che riguarda i compensi,<br />

la dignità, la valorizzazione<br />

delle competenze<br />

e così via.<br />

Esempi: partiamo da<br />

un argomento a cui<br />

tutti sono molto sensibili,<br />

il borderò. Ci sono<br />

quelli che ti danno il<br />

minimo e quelli che ti<br />

danno dieci euro in più<br />

(si parla di cifre miserevoli,<br />

a cui l’editore è totalmente indifferente).<br />

Ci sono quelli che si dimenticano di<br />

“segnare” l’articolo pubblicato, ci sono<br />

quelli che dicono “ma io credevo che tu<br />

avessi un contratto e dunque non ti mettevo<br />

a pagamento i singoli pezzi”. Ci sono<br />

quelli che ti pagano anche i pezzi non<br />

pubblicati, se accettati, e quelli che non lo<br />

fanno. Con lo stesso editore, nella stessa<br />

testata.<br />

Dunque, la colpa non è dell’editore e del<br />

destino cinico e baro.<br />

Un esempio che mi sta particolarmente a<br />

cuore: le idee rubate. Ci sono capi che<br />

ripetutamente si appropriano delle idee <strong>dei</strong><br />

freelance e fanno fare l’articolo a qualcun<br />

altro. Senza pagarle, ovviamente, e spes-<br />

so ad nutum riconosciuto al cliente, con<br />

conseguente impossibilità di sciogliersi dal<br />

vincolo contrattuale sino alla pattuita<br />

scadenza, salvo il sopravvenire di giusta<br />

causa (nella specie non allegata) (Trib. di<br />

Milano, n.8864/04).<br />

La pronuncia del giudice milanese risulta<br />

particolarmente importante - anche in<br />

questo caso - in quanto ribadisce una linea<br />

già più volte fatta propria dalla Corte di<br />

Cassazione che consolida un fondamentale<br />

principio giuridico.<br />

Secondo questo indirizzo interpretativo,<br />

infatti, il professionista che spende tutte le<br />

di Anna Mannucci<br />

“ I redattori,<br />

non<br />

gli editori,<br />

umiliano<br />

spesso<br />

i freelance<br />

e si<br />

appropriano<br />

anche<br />

delle loro<br />

idee<br />

e proposte<br />

“<br />

so senza neanche avvisare, così c’è<br />

anche l’umiliazione del freelance che si<br />

presenta a fare l’intervista e si sente dire<br />

“È già venuto un suo collega”. Come reagire?<br />

Facile rispondere di non proporre più<br />

idee, le idee dovrebbero essere il senso<br />

del lavoro del freelance.<br />

Stupido rispondere di fare causa, è come<br />

consigliare di non lavorare più. Se si litiga<br />

e si va in causa con una testata non si<br />

lavora più per tutto il<br />

gruppo e le consociate<br />

e tutti gli altri giornali<br />

che in qualche modo<br />

hanno legami con la<br />

proprietà o gli azionisti<br />

o chissà chi. E se poi il<br />

capo con cui litighi<br />

passa a un altro giornale,<br />

sei rovinato anche<br />

lì.<br />

Un/a freelance dovrebbe<br />

valere per le sue<br />

idee, per l’originalità e<br />

le qualità delle sue<br />

proposte, per le sue<br />

competenze, specializzazioni<br />

ecc.<br />

Invece siamo considerati<br />

alla stregua <strong>dei</strong><br />

braccianti di una volta,<br />

usati perché costiamo<br />

poco e non possiamo<br />

avere nessuna pretesa,<br />

altrimenti il giorno<br />

dopo rimaniamo sulla<br />

piazza, a offrire le nostre<br />

braccia ma nessuno<br />

ci prende. Troppo<br />

spesso siamo <strong>dei</strong> “vù<br />

cumprà”, offriamo merce<br />

a basso prezzo, che<br />

sia scadente o di qualità<br />

fa poca differenza.<br />

Troppo spesso siamo<br />

ridotti a riempire gli<br />

spazi tra le pubblicità.<br />

E qui potremmo trovare<br />

un collegamento<br />

con i colleghi garantiti:<br />

la qualità del nostro<br />

lavoro, per cui bisognerebbe<br />

lottare molto più che per gli scatti di<br />

anzianità o il buono mensa. Una massa di<br />

precari impossibilitati a dire di no, costretti<br />

a non avere senso critico o perlomeno a<br />

non esprimerlo, obbligati a stare con la<br />

schiena piegata per poter sopravvivere,<br />

rischia di diventare un enorme problema<br />

per la libertà di informazione e forse, a<br />

dirla grossa, per la libertà.<br />

I cari colleghi assunti, i Cdr (esiste un cdr,<br />

uno, che si sia informato, non dico che<br />

abbia fatto qualcosa, della situazione <strong>dei</strong><br />

freelance?) dovrebbero cominciare a<br />

preoccuparsi <strong>dei</strong> freelance, se non per<br />

solidarietà, per salvaguardare il diritto<br />

generale di fare buona informazione e il<br />

diritto <strong>dei</strong> cittadini a essere informati.<br />

proprie energie lavorative a favore di un<br />

unico cliente di particolare rilievo o di un<br />

numero ristretto di clienti, trascurando altre<br />

occasioni di reddito, attende giustamente in<br />

cambio la certezza di un conveniente periodo<br />

di lavoro, che non venga meno, improvvisamente,<br />

per scelta unilaterale del committente,<br />

privandolo di colpo di ogni risorsa.<br />

La definizione di un termine nel contratto di<br />

collaborazione, in buona sostanza, basta a<br />

derogare dalla facoltà di recesso di cui<br />

all’art. 2237 c.c., senza bisogno di un ulteriore<br />

patto espresso ed univoco in proposito<br />

(vedi Cassazione n. 9701/96).<br />

19


REGIONE LOMBARDIA - ORDINE DEI GIORNALISTI DELLA LOMBARDIA -<br />

Bando per il XV biennio<br />

(<strong>2005</strong>-2007)<br />

dell’«Istituto<br />

Carlo De Martino<br />

per la Formazione al Giornalismo»<br />

L’Ifg, scuola di eccellenza europea, cerca 40 giovani laureati, determinati,<br />

di studi e che sappiano cogliere le nuove opportunità della professione<br />

Bando di concorso XV biennio <strong>2005</strong>-2007<br />

La Scuola in 28 anni di vita ha creato<br />

563 giornalisti professionisti (tra questi: 35 direttori,<br />

22 addetti stampa, 4 vicedirettori, 77 capiredattori,<br />

42 inviati o corrispondenti dall’estero, 88 capiservizio,<br />

2 segretari di redazione, 193 redattori ordinari, 19 cococo e 6 “vari”…)<br />

<strong>Giornalisti</strong> si diventa a Milano, capitale<br />

È bandito il concorso di ammissione al XV biennio di formazione al giornalismo con l’attribuzione della qualifica di “praticante<br />

giornalista” ai sensi di legge, secondo le norme qui di seguito esposte.<br />

I posti a concorso per il biennio <strong>2005</strong>-2007 sono fissati in 40.<br />

Sono ammessi al concorso i cittadini italiani e dell’Unione europea (questi ultimi con perfetta conoscenza della lingua italiana)<br />

in possesso almeno di diploma di laurea triennale (direttiva 89/48/Cee) e nati dal 1° gennaio 1975. I diplomi di laurea devono<br />

essere riconosciuti dalla Repubblica italiana.<br />

Le domande d’iscrizione, corredate di copia del titolo di studio e della ricevuta di versamento della tassa d’iscrizione, debbono<br />

pervenire all’Ifg a partire dal 1° marzo e non oltre il 30 giugno <strong>2005</strong>.<br />

NOTIZIE<br />

1<br />

PRELIMINARI<br />

Norme sulla<br />

professione<br />

giornalistica<br />

La legge istitutiva dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti prescrive, per diventare<br />

giornalisti professionisti, una prova di idoneità professionale<br />

equivalente all’esame di Stato (di cui all’articolo 33, V<br />

comma, della Costituzione). Per accedere a tale esame la<br />

procedura consiste nell’essere assunti da un’azienda editoriale<br />

(o frequentare una scuola di giornalismo o un master biennale<br />

universitario in giornalismo riconosciuti dall’<strong>Ordine</strong> nazionale) e<br />

svolgere diciotto mesi di praticantato.<br />

L’esame di idoneità professionale è organizzato dal Consiglio<br />

nazionale dell’<strong>Ordine</strong> ed è affidato ad una Commissione<br />

formata da due magistrati e cinque giornalisti. Si svolge a<br />

Roma in due sessioni annuali (primavera e autunno) e<br />

comprende prove scritte e una prova orale.<br />

Superato l’esame, il praticante, a sua domanda, viene iscritto<br />

nell’elenco professionisti dell’Albo.<br />

2L’Afg - Associazione<br />

“Walter Tobagi”<br />

per la Formazione<br />

al Giornalismo<br />

L’Associazione “Walter Tobagi” per la formazione al giornalismo<br />

(Afg) gestisce l’Istituto “Carlo De Martino” per la formazione<br />

al giornalismo (Ifg) il cui corso biennale di studi è<br />

parificato allo svolgimento del praticantato tradizionale.<br />

L’Afg è un’istituzione riconosciuta dalla Regione Lombardia<br />

(con delibera della Giunta Regionale n. 11854 del<br />

4/10/1977 a norma della legge regionale del 16/6/1975 sulla<br />

formazione professionale). È inoltre accreditata presso la<br />

Regione Lombardia per la formazione professionale e certificata<br />

secondo la norma ISO 9001:2000.<br />

Il corso dell’Ifg, di livello universitario, è stato promosso<br />

dall’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti della Lombardia con delibera<br />

del 27/11/1974.<br />

L’Afg è un ente privato senza scopo di lucro, che trae la<br />

maggior parte <strong>dei</strong> mezzi di finanziamento da un contributo<br />

annuale della Regione Lombardia (ai sensi della legge<br />

regionale n. 95/80) nell’ambito della politica per la formazione<br />

professionale.<br />

L’Afg è sostenuto economicamente anche dal Consiglio<br />

dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti della Lombardia.<br />

Gli allievi partecipano, nel corso del biennio, a concorsi per<br />

borse di studio interne ed esterne.<br />

3L’Ifg - Istituto<br />

“Carlo De Martino”<br />

per la Formazione<br />

al Giornalismo<br />

Obiettivo dell’Ifg è la preparazione di giornalisti polivalenti<br />

della carta stampata, delle agenzie di stampa, della televisione,<br />

della radio, dell’informazione on line e degli uffici stampa,<br />

non disgiunta dal progressivo avviamento alle specializzazioni<br />

classiche della professione.<br />

Gli allievi, in quanto redattori nelle testate-laboratorio<br />

edite dall’Ifg, sono iscritti nel Registro <strong>dei</strong> praticanti per<br />

cui, ottenuto l’attestato di compiuto praticantato al termine<br />

del biennio, possono sostenere l’esame di Stato per l’accesso<br />

alla professione di giornalista (salvo le eventuali inadempienze<br />

previste dal Regolamento interno dell’Ifg sulla base<br />

delle regole stabilite dalla legge regionale n. 95/1980 e accertate<br />

dalla direzione dell’Istituto).<br />

Il rapporto dell’allievo con l’Ifg cessa al termine del biennio.<br />

I programmi di studio e le esercitazioni pratiche sono elaborati<br />

dal direttore, giornalista professionista d’intesa con la<br />

Commissione didattica e sono approvati dal Consiglio di<br />

presidenza dell’Afg, nel rispetto del “Quadro di indirizzi per il<br />

riconoscimento delle strutture di formazione al giornalismo”<br />

emanato il 17 aprile 2002 dal Consiglio nazionale dell’<strong>Ordine</strong><br />

<strong>dei</strong> giornalisti.<br />

Il corpo docente è formato da giornalisti professionisti<br />

con almeno 10 anni di iscrizione all’Albo, da docenti<br />

universitari ed esperti della comunicazione e delle altre<br />

Questo bando, il modulo di iscrizione e altre informazioni sono disponibili sui siti:<br />

www.odg.mi.it<br />

www.ifg.mi.it<br />

discipline inserite nel programma.<br />

4 L’Ifg.<br />

Il corso di studi<br />

DISCIPLINE TEORICHE ED ESERCITAZIONI<br />

Il XV biennio di formazione al giornalismo dell’Ifg avrà<br />

inizio nel mese di novembre <strong>2005</strong> e terminerà nell’ottobre<br />

2007 con l’ammissione alla sessione autunnale dell’<br />

esame di Stato.<br />

I posti a disposizione sono 40.<br />

La frequenza degli allievi è obbligatoria e a tempo pieno.<br />

Ogni assenza va giustificata per iscritto. Un numero di<br />

assenze superiore al 25% comporta l’esclusione dal corso.<br />

Il calendario delle lezioni viene stabilito dalla Direzione in<br />

base al programma didattico.<br />

Il programma di studi mira ad armonizzare la specifica formazione<br />

professionale dell’allievo con il completamento della<br />

sua preparazione culturale attraverso cicli di lezioni, corsi e<br />

seminari a livello universitario.<br />

Aspetti qualificanti del programma sono le sistematiche<br />

esercitazioni pratiche con l’uso di aggiornate attrezzature<br />

dell’editoria informatica, di uno studio di registrazione<br />

radiofonico e di supporti televisivi.<br />

L’Ifg dispone di un sistema editoriale integrato in grado di<br />

garantire la gestione dell’intero ciclo produttivo di qualsiasi<br />

pubblicazione quotidiana, periodica e monografica.<br />

Ogni allievo ha in dote una postazione informatica basata su<br />

computer dell’ultima generazione con collegamenti internet<br />

in fibra ottica e risorse condivise per l’archiviazione e la stampa.<br />

Può inoltre utilizzare postazioni dedicate per il montaggio<br />

video e il montaggio radio.<br />

Alle esercitazioni pratiche si aggiungono lezioni e seminari<br />

su materie ritenute particolarmente utili ai fini della professione.<br />

Il XV biennio porrà attenzione anche alle tecniche e alla<br />

gestione degli uffici stampa, settore che si prospetta come<br />

promettente fonte di occupazione.<br />

Al termine del biennio, gli allievi potranno partecipare, gratuitamente,<br />

al corso di preparazione all’esame di Stato organizzato<br />

dall’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti della Lombardia.<br />

Nel corso del biennio, in osservanza anche delle indicazioni<br />

del Consiglio nazionale dell’<strong>Ordine</strong> e delle norme che presiedono<br />

al funzionamento dell’Istituto, sono impartite lezioni<br />

teoriche di base o di approfondimento, nelle seguenti aree<br />

disciplinari:<br />

- <strong>Giornalisti</strong>ca (istituzioni professionali, deontologia-privacy,<br />

analisi critica e comparata <strong>dei</strong> media, tecniche professionali,<br />

modelli redazionali, sistemi editoriali, tecniche di gestione<br />

degli uffici stampa; infografica e photo-editor).<br />

- Grafica, Informatica e innovazione (architettura dell’informazione;<br />

design dell’informazione; produzione, selezione e<br />

trattamento delle immagini; comunicazione visiva; strumenti<br />

e tecnologie dell’informazione visiva; storia dell’informazione<br />

visiva; tecniche avanzate di informatica applicata al giornalismo;<br />

teorie e tecniche del fotogiornalismo e del videogiornalismo;<br />

comunicazione multimediale; tecnologie dell’immagine<br />

digitale).<br />

- Linguistica (tecniche <strong>dei</strong> linguaggi del giornale quotidiano<br />

e del periodico, delle agenzie di stampa, del web e degli uffici<br />

stampa. Tecniche del linguaggio televisivo, radiofonico e<br />

fotografico; semiotica del testo scritto e visivo).<br />

- lingue straniere (conoscenza funzionale di inglese e<br />

spagnolo).<br />

- Storica (storia del giornalismo e delle comunicazioni di<br />

massa. Elementi di storia moderna e contemporanea).<br />

- Geografia politica ed economica, globalizzazione e relazioni<br />

internazionali.<br />

20 ORDINE 3 <strong>2005</strong>


ASSOCIAZIONE “WALTER TOBAGI” PER LA FORMAZIONE AL GIORNALISMO<br />

Le iscrizioni dal 1° marzo al 30<br />

giugno <strong>2005</strong> aperte anche ai<br />

cittadini comunitari. La tassa<br />

annuale di frequenza è di 50 euro,<br />

che va versata interamente alla<br />

Regione Lombardia<br />

dell’editoria<br />

, con un ottimo curriculum<br />

giornalistica<br />

- Giuridica (elementi di diritto costituzionale, di diritto comunitario,<br />

di diritto del giornalismo e dell’editoria, di diritto penale e<br />

di procedura penale, di diritto amministrativo con riguardo<br />

anche al ruolo delle autorità indipendenti, di diritto privato).<br />

- Sociologica-psicologica (elementi di scienza dell’opinione<br />

pubblica e <strong>dei</strong> sondaggi; di sociologia della comunicazione;<br />

di psicologia della comunicazione).<br />

- Economica-finanziaria (elementi di economia politica,<br />

storia economica, marketing, economia <strong>dei</strong> media e delle<br />

imprese editoriali, diritto pubblico dell’economia, mercato del<br />

risparmio e degli investimenti familiari con riguardo particolare<br />

al mercato borsistico, <strong>dei</strong> fondi di investimento e della<br />

gestione del risparmio).<br />

- Sindacale (con attenzione particolare al contratto e al sistema<br />

previdenziale/previdenziale complementare/assistenziale<br />

integrativo sanitario <strong>dei</strong> giornalisti).<br />

Gli allievi dovranno affrontare un esame al termine di ogni<br />

singola materia in base a un calendario stabilito dalla Direzione.<br />

I singoli esami verranno annotati nel libretto personale<br />

dello studente.<br />

Gli esami potranno essere ripetuti, in caso di bocciatura, a<br />

distanza di un mese.<br />

La preparazione degli allievi/praticanti verrà valutata, ogni<br />

mese, dai rispettivi tutor.<br />

Al termine del primo e del secondo anno agli allievi verrà rilasciato<br />

un certificato di frequenza con l’attestato del superamento<br />

delle materie del programma.<br />

Al termine del biennio i praticanti affronteranno un esame<br />

finale, scritto e orale. Della Commissione giudicatrice (nominata<br />

dal Consiglio dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti della Lombardia<br />

d’intesa con la direzione dell’Istituto) farà parte anche un<br />

rappresentante della Regione Lombardia. La direzione della<br />

scuola, tenendo conto <strong>dei</strong> risultati dell’esame finale, rilascerà<br />

un certificato di frequenza e profitto. La prova, propedeutica<br />

all’esame di Stato, condiziona il rilascio, da parte del presidente<br />

dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti della Lombardia, del certificato<br />

di fine praticantato.<br />

PRATICA GIORNALISTICA<br />

Momento fondamentale delle esercitazioni pratiche professionali<br />

è il lavoro di redazione per le testate-laboratorio.<br />

Le testate laboratorio dell’Ifg<br />

Ifg Tabloid – inserto del mensile <strong>Ordine</strong> Tabloid, organo del<br />

Consiglio dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti della Lombardia<br />

Milano Ore 13 – quotidiano d’informazione del pomeriggio a<br />

diffusione locale<br />

Ifg Notizie – agenzia quotidiana del pomeriggio di servizi<br />

giornalistici, inchieste e attualità, diffusa fra 45 testate nazionali<br />

e locali.<br />

Speciale Video – servizi televisivi realizzati in proprio e<br />

trasmessi da canali regionali.<br />

Speciale Fm – testata radiofonica di notiziari, inchieste e<br />

servizi, forniti a emittenti private.<br />

Ifg on line – quotidiano telematico che comprende anche la<br />

versione on line di tutte le altre testate.<br />

.<br />

È prevista la realizzazione di inchieste televisive con strutture<br />

dell’Ifg e con la collaborazione di esperti del settore e di<br />

emittenti nazionali e regionali.<br />

Gli stages<br />

Strumento formativo importante è anche la pratica guidata<br />

(stage). Nel biennio gli stages esterni (regolati dalla legge n.<br />

196/1997) dovranno avere durata complessiva non inferiore<br />

a sei mesi, come stabilito dal Quadro di indirizzi dell’<strong>Ordine</strong><br />

nazionale <strong>dei</strong> giornalisti.<br />

ORDINE 3 <strong>2005</strong><br />

MODALITÀ DI PARTECIPAZIONE AL CONCORSO<br />

PER L’AMMISSIONE AL XV BIENNIO (<strong>2005</strong>-2007)<br />

L’allievo svolge periodi di tirocinio concordati dalla Direzione<br />

con le testate giornalistiche.<br />

1. Requisiti<br />

per l’iscrizione al concorso<br />

Le iscrizioni al concorso di ammissione al XV biennio sono<br />

aperte dal 1° marzo al 30 giugno <strong>2005</strong>.<br />

I candidati che intendono iscriversi al concorso devono essere<br />

nati a partire dal 1° gennaio 1975.<br />

I candidati devono essere cittadini italiani o di uno stato<br />

membro dell’Unione europea (per questi ultimi è obbligatoria<br />

la perfetta conoscenza della lingua italiana, che sarà accertata<br />

dall’Ifg nel corso delle prove di ammissione).<br />

Può presentare domanda di ammissione chi, al 30 giugno<br />

<strong>2005</strong>, è in possesso almeno di diploma di laurea triennale.<br />

Saranno accettate sub condicione anche le domande <strong>dei</strong><br />

candidati che prevedono il superamento dell’esame di<br />

laurea entro il 31 luglio <strong>2005</strong>. In questo caso, il certificato<br />

rilasciato dall’Università che accerta il conseguimento<br />

del diploma di laurea, dovrà essere inviato alla segreteria<br />

tassativamente entro il 18 agosto <strong>2005</strong>. Per la data<br />

di spedizione fa fede il timbro postale.<br />

Le lauree conseguite all’estero saranno riconosciute<br />

valide solo se risulteranno conformi alle norme italiane.<br />

2. Modalità<br />

di iscrizione al concorso<br />

Per partecipare al concorso è necessario ritirare il bando e il<br />

modulo di iscrizione (o richiederne l’invio per posta allegando<br />

6 euro in francobolli). In alternativa il bando e il modulo di<br />

iscrizione sono disponibili nei siti www.ifg.mi.it oppure<br />

www.odg.mi.it.<br />

Dopo aver preso visione del bando di concorso e compilato il<br />

modulo di iscrizione in tutte le sue parti:<br />

- spedire il modulo, esclusivamente per via postale, entro<br />

il 30 giugno <strong>2005</strong> (fa fede il timbro postale), allegando:<br />

a) fotocopia del titolo di studio (non saranno accettati titoli di<br />

studio prodotti in originale);<br />

b) ricevuta di versamento sul c/c postale n° 10519205, intestato<br />

a: Associazione Formazione Giornalismo - via Fabio<br />

Filzi, 17 - 20124 Milano di 150 (centocinquanta) euro per<br />

spese postali e di segreteria, non rimborsabili;<br />

c) eventuali attestati di frequenza ad altri corsi (con preferenza<br />

per lingue straniere e informatica);<br />

d) per i pubblicisti, fotocopia della tessera di iscrizione all’<strong>Ordine</strong>.<br />

L’ammissione sarà deliberata da un’apposita Commissione<br />

di selezione presieduta da un giornalista professionista e<br />

nominata dal Consiglio dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti della<br />

Lombardia.<br />

Chi collabora a giornali e riviste, a radio e tv potrà allegare<br />

documentazione del lavoro svolto e certificazione di legge<br />

<strong>dei</strong> compensi percepiti per tale lavoro. La Commissione di<br />

selezione terrà conto delle collaborazioni a condizione che si<br />

tratti di testate registrate il cui direttore sia giornalista professionista<br />

(o pubblicista).<br />

N.B. - Non sarà ritenuta valida la produzione di documenti<br />

successiva al 30 giugno <strong>2005</strong> salvo quanto previsto<br />

per i laureandi di luglio <strong>2005</strong> (vedi pagina 13). Tutti i<br />

documenti presentati diventano di proprietà dell’Ifg e<br />

non saranno restituiti.<br />

Il mancato invio del documento o dell’attestazione<br />

comprovante il diploma di laurea o il mancato versamento<br />

della tassa d’iscrizione, escluderanno i candidati<br />

dalla partecipazione al concorso di ammissione.<br />

3. L’ammissione<br />

alle prove di selezione<br />

La Commissione di selezione, il cui giudizio è insindacabile,<br />

effettua la verifica <strong>dei</strong> titoli e <strong>dei</strong> requisiti soggettivi, quali risultano<br />

dal modulo d’iscrizione e dai documenti presentati e<br />

convoca per iscritto i candidati ammessi<br />

Le prove scritte di selezione<br />

Il candidato ammesso alle prove scritte, che si svolgeranno<br />

entro la prima quindicina di settembre <strong>2005</strong>, sarà convocato<br />

a Milano per sostenere gli esami, nel giorno e nella sede indicati<br />

nella lettera di convocazione.<br />

Il candidato potrà affrontare la prova scrivendo a mano (con<br />

grafia leggibile, meglio se in stampatello) o con una macchina<br />

per scrivere meccanica.<br />

Dovrà inoltre esibile la lettera di convocazione e presentare<br />

la ricevuta di versamento sul c/c postale n 10519205 intestato<br />

a: Associazione Formazione Giornalismo – via Fabio Filzi<br />

17 – 20124 Milano di ulteriori 200 (duecento) euro per<br />

spese d’esame, non rimborsabili anche se il candidato non<br />

dovesse concludere la prova scritta.<br />

Le prove scritte si svolgeranno in un’unica giornata e consistono<br />

in:<br />

a) un tema-articolo su argomenti d’attualità (politica interna ed<br />

estera, cultura, costume, economia, cronaca, spettacoli, sport),<br />

scelto tra quelli proposti dalla Commissione. Tale articolo non<br />

deve superare le 60 righe (da 60 battute ciascuna);<br />

b) un test di domande su argomenti di attualità;<br />

c) la sintesi di un articolo o di un servizio giornalistico (contenuta<br />

in un massimo di 20 righe, da 60 battute ciascuna).<br />

Gli elaborati dovranno essere rigorosamente anonimi. Le<br />

generalità del candidato andranno in busta piccola inserita<br />

nella busta grande con gli elaborati. Ogni segno che permetta<br />

l’identificazione del candidato ne comporterà l’esclusione.<br />

Per quanto non espressamente indicato valgono le<br />

norme sancite dal Dpr n. 115/1965 e dal Dpr n. 487/1994.<br />

La Commissione di selezione attribuisce ad ogni prova scritta<br />

un punteggio. La somma delle tre prove determina il<br />

punteggio complessivo.<br />

Solo a questo punto verranno aperte le buste contenenti i<br />

nomi <strong>dei</strong> candidati per poter stabilire la graduatoria.<br />

I primi 90 candidati della graduatoria saranno convocati<br />

per sostenere la prova orale (che è pubblica) nella sede<br />

dell’Ifg (via Fabio Filzi, 17 – Milano).<br />

Le prove scritte e orali sono soggette alle norme previste<br />

dalla legge 241/1990 sulla trasparenza.<br />

Le prove orali<br />

di selezione<br />

L’esame orale consiste in un colloquio tendente ad accertare le<br />

attitudini complessive alla professione giornalistica, il grado di<br />

cultura generale del candidato e la sua attenzione per i problemi<br />

dell’attualità politica, economica, sociale e culturale nelle loro<br />

dimensioni storiche, nonché il grado di conoscenza dell’ inglese.<br />

In base al risultato delle prove scritte e dell’orale, la Commissione<br />

compilerà una graduatoria degli idonei, che verrà resa<br />

pubblica. Alla formazione della graduatoria delle prove scritte<br />

concorrerà anche il punteggio complessivo acquisito dal<br />

candidato secondo le valutazioni della tabella che segue:<br />

Seconda laurea 12 punti<br />

Pubblicisti 4 punti<br />

Collaborazioni giornalistiche 2 punti<br />

(senza iscrizione all’Albo)<br />

per una durata inferiore ai due anni<br />

GLI AMMESSI<br />

AL XV BIENNIO<br />

I primi 40 candidati in graduatoria saranno ammessi a<br />

frequentare il XV biennio dell’Ifg.<br />

Valgono, comunque, per quanto applicabili, le regole fissate<br />

dagli articoli dal 47 al 54 del Dpr n. 115 del 1965 (e successive<br />

modificazioni) per l’esame di giornalista professionista,<br />

nonché dagli articoli dall’11 al 15 del Dpr 487/1994 sui<br />

concorsi pubblici.<br />

ADEMPIMENTI PRELIMINARI<br />

DEGLI AMMESSI AL XV BIENNIO<br />

1 - Periodo di prova<br />

È previsto un periodo di prova della durata di 3 mesi, al<br />

termine del quale il Consiglio di Presidenza dell’Afg, su<br />

proposta della Direzione dell’Istituto, può escludere il candidato<br />

ritenuto inidoneo o che abbia violato lo spirito e la lettera<br />

del Regolamento interno dell’Ifg, e della legge regionale<br />

n. 95/80. In queste ipotesi e nel caso di dimissioni volontarie,<br />

subentreranno i primi esclusi della graduatoria.<br />

2 - Tassa di iscrizione<br />

All’atto di iscrizione al corso l’allievo dovrà presentare la ricevuta<br />

del versamento di 50 (cinquanta) euro (salvo modifiche<br />

della Regione Lombardia) direttamente alla Regione Lombardia<br />

su bollettino di c/c postale n. 25981200 intestato a:<br />

Tesoreria Regione Lombardia gestita dalla Banca Intesa -<br />

20154 Milano<br />

Tale importo è dovuto da ciascun allievo in adempimento alla<br />

delibera della Giunta regionale n. 12510 del 9/9/1986.<br />

21 (25)


M O S T R A<br />

La mostra documentaria<br />

“Dal Congresso di Bari <strong>dei</strong> Cln<br />

al 1° Convegno meridionalista” è stata<br />

inaugurata lo scorso 11 febbraio a Bari<br />

e sarà ospitata nella sede dell’Archivio<br />

di Stato (via Demetrio Manin, 3)<br />

fino al prossimo 15 aprile<br />

Due eventi storici in un anno. Un anno, il<br />

1944, in cui a Bari si scandì la storia d’Italia e<br />

del Mezzogiorno. Poco più di dieci mesi (dalla<br />

fine di gennaio del ‘44 ai primi giorni di dicembre<br />

dello stesso anno) in cui il capoluogo<br />

pugliese diventò prima centro di riferimento<br />

della vita politica, culturale, editoriale e amministrativa<br />

del Regno del Sud, poi la sede per<br />

rilanciare l’attualità della cosiddetta “questione<br />

meridionale”. Sono i temi della mostra<br />

documentaria “Dal Congresso di Bari <strong>dei</strong> Cln<br />

al 1° Convegno meridionalista”, organizzata<br />

a Bari per celebrare il 60° anniversario della<br />

liberazione e inaugurata lo scorso 11 febbraio<br />

da Oscar Luigi Scalfaro, senatore della<br />

Repubblica e presidente dell’Istituto nazionale<br />

per la storia del movimento di Liberazione<br />

in Italia (Insmli).<br />

Il 28 e il 29 gennaio di 61 anni or sono, infatti,<br />

il teatro Piccinni di Bari ospitò il congresso <strong>dei</strong><br />

Comitati di liberazione nazionale (Cln) - il<br />

primo nell’Europa affrancata dal giogo nazifascista<br />

-, che affrontò la fino ad allora inedita<br />

“questione istituzionale”, poi “risolta” due anni<br />

e mezzo più tardi dal referendum del 2<br />

giugno 1946 che avrebbe sancito il passaggio<br />

dalla monarchia alla repubblica. Il<br />

congresso fu inaugurato dall’orazione di<br />

Benedetto Croce e vi partecipò - tra gli altri -<br />

il conte Carlo Sforza, che sarebbe stato ministro<br />

degli Esteri con Alcide De Gasperi. A<br />

Bari si confrontarono i maggiori esponenti<br />

sindacali, come quelli della Confederazione<br />

generale del lavoro (Cgl), ricostituitasi grazie<br />

all’appoggio del Cln barese, e <strong>dei</strong> gruppi politici<br />

antifascisti: da quelli del Partito d’azione,<br />

composto dalle correnti liberal-socialista<br />

(Tommaso Fiore, Guido Calogero, Domenico<br />

Loizzi, Aldo Capitini e Michele Cifarelli, che fu<br />

tra i principali promotori del Congresso) a<br />

quelli di Giustizia e Libertà (Vincenzo Calace,<br />

DAL CONGRESSO DI BARI DEI CLN AL 1° CONVEGNO MERIDIONALISTA<br />

L’evento è stato curato dall’Istituto<br />

pugliese per la storia dell’antifascismo<br />

e dell’Italia contemporanea (Ipsaic),<br />

dall’Archivio di Stato di Bari,<br />

dall’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti<br />

della Puglia e dalla Biblioteca<br />

del Consiglio regionale<br />

altro promotore del congresso, nonché reduce<br />

da una decennale persecuzione fascista<br />

vissuta tra carcere e confino). Ma furono<br />

presenti anche i comunisti, che raccolsero<br />

adesioni fra gli operai, raggiungendo i 12.000<br />

iscritti in pochi mesi, i socialisti italiani di unità<br />

proletaria (Psiup) e i liberali di Benedetto<br />

Croce (Giuseppe Laterza, figlio di Giovanni,<br />

fondatore della omonima casa editrice),<br />

senza dimenticare i demoliberali, schierati su<br />

posizioni filomonarchiche, e la Democrazia<br />

cristiana - per la quale era già attivo un giovane<br />

di origine salentina, Aldo Moro - e nel cui<br />

ambito si distinse Natale Lojacono, futuro<br />

sindaco di Bari. Il Congresso del gennaio<br />

1944, come scrisse Cifarelli, «assolse la decisiva<br />

funzione di convogliare le energie politiche<br />

più sane e moderne verso la soluzione<br />

pacifica della questione istituzionale», legittimando<br />

la propria presenza sul piano interno<br />

e internazionale.<br />

Tanto che “Radio Londra” lo definì «il più<br />

importante avvenimento nella politica internazionale<br />

italiana dopo la caduta di Mussolini»,<br />

il New York Times ne pubblicò la mozione<br />

finale e il Times di Londra ne evidenziò la<br />

richiesta secondo cui «presupposto innegabile<br />

della ricostruzione morale e materiale<br />

italiana è l’abdicazione immediata del re,<br />

responsabile delle sciagure del Paese».<br />

Mentre il presidente americano Franklin Delano<br />

Roosevelt, riconoscendone le conclusioni,<br />

disse che «gli Stati Uniti sono ora [...] fermamente<br />

determinati a lasciare ogni decisione<br />

al popolo italiano». Il Congresso <strong>dei</strong> Cln svoltosi<br />

a Bari il 28 e il 29 gennaio 1944 fu quindi<br />

un evento fondamentale nella storia dell’Italia<br />

(nuova) che stava nascendo. Eppure risulta<br />

quasi assente nelle analisi e nel dibattito<br />

storiografico nazionale.<br />

Proprio come il primo Convegno meridionalista<br />

del dopoguerra che, neanche dieci mesi<br />

dopo, il 3 dicembre 1944, si svolse nel capoluogo<br />

pugliese. «Questa mattina s’inaugura,<br />

Orario d’apertura:<br />

9-12 (tutti i giorni),<br />

15-17 (lunedì e mercoledì);<br />

info tel: 080-5023546;<br />

ingresso libero<br />

1944, la democrazia italiana<br />

di Massimiliano Ancona<br />

La “questione istituzionale”<br />

e il passaggio alla Repubblica<br />

Michele Partipilo, presidente dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong><br />

giornalisti di Puglia e caporedattore centrale<br />

della Gazzetta del Mezzogiorno è tra gli<br />

organizzatori della mostra “Dal Congresso<br />

di Bari <strong>dei</strong> Cln al 1° Convegno meridionalista”.<br />

L’ha voluta, insieme allo storico Vito<br />

Antonio Leuzzi, direttore dell’Istituto pugliese<br />

per la storia dell’antifascismo e dell’Italia<br />

contemporanea (Ipsaic), per celebrare il<br />

60° anniversario della liberazione e ricordare<br />

quanto avvenne a Bari tra il gennaio e<br />

il dicembre 1944.<br />

Presidente Partipilo, perché questa<br />

mostra?<br />

«Questa mostra rappresenta un po’ la<br />

continuazione di quella organizzata l’anno<br />

scorso (“Le prime voci dell’Italia libera”,<br />

ndr). Non solo per ricordare quei due eventi<br />

così importanti (il Congresso <strong>dei</strong> Cln e il<br />

primo Convegno meridionalista, ndr). Ma<br />

anche, anzi soprattutto, per ridare dignità<br />

storica a un periodo fondamentale nella<br />

storia del Mezzogiorno. Storia che, nonostante<br />

i libri di testo non la riportino, non<br />

può assolutamente essere definita minore.<br />

L’abbiamo voluta anche per restituire visibilità<br />

e dignità storica agli uomini che orga-<br />

“Gli Stati Uniti lasciano ogni<br />

decisione al popolo italiano”<br />

Partipilo: “Vogliamo<br />

recuperare la memoria”<br />

alle ore 10 precise, nella sala consiliare del<br />

Municipio l’annunciato convegno di studi sui<br />

problemi del Mezzogiorno»: così La Gazzetta<br />

del Mezzogiorno annunciò l’inizio <strong>dei</strong> lavori<br />

che sarebbero stati inaugurati da Adolfo<br />

Omodeo e che avrebbero avuto in programma<br />

– fra i tanti – gli interventi del sindaco<br />

Natale Lojacono, di Vittore Fiore (figlio di<br />

Tommaso), di Giuseppe Papalia, del già citato<br />

Cifarelli. E poi di Mario Dilio oltre che di<br />

Guido Dorso, Manlio Rossi-Doria, Federico<br />

Comandini e Filippo Caracciolo.<br />

Dalla riforma agraria<br />

a quella della giustizia<br />

«A Bari in occasione di quel convegno – ha<br />

detto lo storico Vito Antonio Leuzzi, direttore<br />

dell’Istituto pugliese per la storia dell’antifascismo<br />

e dell’Italia contemporanea (Ipsaic),<br />

nonché tra i maggiori curatori della mostra –<br />

vennero gettate le basi per molte delle tappe<br />

successive che riguardarono l’Italia e il<br />

Mezzogiorno. Si impostarono i problemi della<br />

questione meridionale, del risanamento che<br />

portò al piano Marshall, ma anche alla riforma<br />

agraria, a quella della giustizia, al voto<br />

delle donne e al referendum istituzionale».<br />

Ancora una volta, dunque, Bari fu la sede di<br />

un avvenimento storico. «Enorme e importante<br />

è il materiale documentario di rilievo<br />

nazionale di cui ci siamo serviti per ricostruire<br />

e illustrare questa sorta di storia minore –<br />

ha detto ancora Vito Antonio Leuzzi –. Si tratta<br />

di giornali, radiogiornali, atti di convegni,<br />

documenti relativi alla ricostruzione <strong>dei</strong> partiti<br />

che forniscono uno spaccato della Bari del<br />

secondo dopoguerra. La città era disastrata,<br />

quasi tutto l’apparato produttivo era stato per<br />

anni requisito dagli alleati. La stessa casa<br />

editrice Laterza non pubblicò gli atti del<br />

convegno perché la sua sede fu requisita<br />

dagli angloamericani fino al 1946.<br />

Nonostante le enormi difficoltà e la scarsa<br />

attenzione che a livello nazionale le veniva<br />

rivolta, la Puglia ha dato un grande apporto<br />

alla ricostruzione nazionale».<br />

Un apporto dimenticato dai libri di storia.<br />

nizzarono il Congresso <strong>dei</strong> Cln e il primo<br />

Convegno meridionalista in una città come<br />

Bari, che troppo spesso perde la memoria<br />

di se stessa».<br />

In che misura la mostra è o può essere<br />

utile ai giornalisti?<br />

«È importante sottolineare il ruolo che i<br />

quotidiani ebbero allora e debbono avere<br />

oggi. All’epoca dettero notizia del Convegno<br />

meridionalista per evidenziare la ricostruzione,<br />

il tentativo di mettere in piedi il<br />

Paese e porre all’attenzione nazionale il<br />

problema del Mezzogiorno.<br />

Senza dimenticare che proprio a Bari, in<br />

seguito all’armistizio, cominciarono a stamparsi<br />

i primi giornali nuovamente liberi dopo<br />

il ventennio fascista. Dalla Gazzetta del<br />

Mezzogiorno – che non sospese mai le<br />

pubblicazioni – a L’Italia libera, da Civiltà<br />

proletaria a l’Unità, senza dimenticare la<br />

Rassegna del Popolo, Il Risveglio e l’Avanti!.<br />

Adesso i giornali devono ridare dignità e<br />

pubblicità a quegli eventi. Bisogna riconoscere<br />

all’informazione il merito di aver<br />

saputo veicolare notizie che altrimenti non<br />

avremmo mai letto».<br />

M. An.<br />

22 (26) ORDINE 3 <strong>2005</strong>


iparte dal Sud<br />

Èil 1° agosto 1943. A Caltanissetta<br />

viene pubblicato il primo giornale<br />

dell’Italia liberata dal fascismo: si<br />

chiama La Sicilia ed è poco più che un<br />

foglietto stampato con mezzi di fortuna.<br />

Qualche giorno dopo (6 agosto) a Palermo<br />

va a ruba un altro giornale: Sicilia<br />

liberata. Sono queste le prime realtà<br />

della stampa italiana – cui si aggiunge<br />

Radio Palermo –, la cui libertà era stata<br />

soffocata da venti anni di regime. Così,<br />

seguendo l’avanzata da sud delle truppe<br />

angloamericane, pian piano anche in<br />

altre città e in altre regioni tornano a<br />

esserci realtà editoriali, peraltro sotto il<br />

controllo del Psychological warfare<br />

branch (Pwb). Mentre La Sicilia dura<br />

pochi mesi, Sicilia liberata – con due<br />

pagine e una colonna stampata in inglese<br />

– prosegue le pubblicazioni fino al<br />

giugno 1944. A Catania e a Messina,<br />

ultime città della Sicilia a essere liberata,<br />

compaiono poco dopo la metà di<br />

agosto e sempre sotto il controllo alleato<br />

del Pwb, il Corriere di Sicilia (vecchia<br />

testata prefascista) e Movimento di Sicilia<br />

libera che ha vita breve.<br />

Anche perché dal 23 ottobre del ‘43<br />

viene stampato per tre volte alla<br />

settimana il Notiziario di Messina.<br />

Nel frattempo, però, anche la Calabria è<br />

stata affrancata dal regime fascista. Il 10<br />

settembre a Reggio Calabria viene<br />

pubblicato il quotidiano Calabria libera,<br />

diretto da un intraprendente comunista,<br />

Carlo La Cava. A Catanzaro, invece, dal<br />

27 ottobre compare La Nuova Calabria<br />

con il concorso di tutti i partiti, dal comunista<br />

al monarchico. Mentre il 22 novembre<br />

trova spazio Il Corriere di Calabria,<br />

diretto da Franco Cipriani e di ispirazione<br />

cattolica e liberale. A quest’ultimo<br />

giornale, come al succitato Calabria<br />

libera, il governatore alleato ritira l’autorizzazione<br />

alla pubblicazione per le<br />

continue beghe politiche in un periodo<br />

in cui le operazioni belliche continuano<br />

e sono ancora vicine, concedendola al<br />

democristiano Voce della Calabria.<br />

Con il successo nella battaglia<br />

seguita allo sbarco di Salerno (8<br />

settembre ‘43), il territorio italiano<br />

liberato comprende – oltre a Sicilia<br />

e Calabria – anche Basilicata, quasi<br />

tutta la Campania e la Puglia, quattro<br />

province della quale (Brindisi, dove è<br />

scappato re Vittorio Emanuele III, Bari,<br />

Taranto e Lecce) compongono il Regno<br />

del Sud. Proprio a Bari, nonostante gli<br />

scontri e la confusione seguiti alla<br />

caduta del regime (25 luglio) e all’armistizio<br />

(8 settembre), il quotidiano La<br />

Gazzetta del Mezzogiorno è riuscito a<br />

non interrompere le pubblicazioni<br />

neanche per un giorno, unico caso in<br />

Italia. Diventa così il giornale più diffuso<br />

nel Regno del Sud. Oltre che l’organo<br />

ufficiale del governo Badoglio, che<br />

ha sede nella vicina Brindisi. Ma il suo<br />

direttore, Luigi De Secly, pur seguendo<br />

una linea moderata, che si ispira a<br />

Benedetto Croce, mantiene buoni<br />

rapporti con vari esponenti antifascisti<br />

che sono molto polemici nei riguardi<br />

del capo del governo. Quasi contemporaneamente<br />

e almeno sino alla metà di<br />

febbraio 1944, Radio Bari – pur essen-<br />

ORDINE 3 <strong>2005</strong><br />

La stampa<br />

italiana<br />

nelle regioni<br />

meridionali<br />

dopo<br />

l’8 settembre<br />

A sinistra: il teatro la mattina dell’apertura<br />

del Congresso. Qui sotto, un carabiniere<br />

presidia l’edificio di Radio Bari.<br />

do sotto il controllo del Pwb – resta<br />

l’unica radio davvero “libera” dell’Italia,<br />

contando sull’impegno profuso – tra gli<br />

altri – dal magistrato Michele Cifarelli<br />

che con il suo programma “L’Italia<br />

combatte” propone un laboratorio di<br />

idee e contribusce alla rinascita delle<br />

istituzioni.<br />

Da ricordare è anche la vicenda del<br />

settimanale Il Secondo Risorgimento di<br />

Vittore Fiore (figlio di Tommaso). L’autorizzazione<br />

concessa dal Pwb è bloccata<br />

dal prefetto di Bari (ispirato da Badoglio),<br />

perché il direttore della testata<br />

aveva avanzato una richiesta di modifica<br />

del nome del settimanale (da Il<br />

Secondo Risorgimento a Il Nuovo Risorgimento).<br />

Nonostante l’intervento del<br />

responsabile dello stesso Pwb, che in<br />

una nota al prefetto sollecita la comunicazione<br />

agli interessati dell’avvenuta<br />

autorizzazione (marzo ‘44), il settimanale<br />

compare solo dopo un paio di mesi<br />

(giugno ‘44).<br />

Riprendono le pubblicazioni, intanto,<br />

anche in Sardegna. L’Unione<br />

sarda di Cagliari ricompare il 14<br />

novembre 1943 aprendosi a tutte le<br />

forze antifasciste. Mentre L’Isola di<br />

Sassari, pur aprendo le sue colonne alle<br />

diverse tendenze (vi collaborano – tra gli<br />

altri – Mario Berlinguer e Antonio<br />

Segni), resta soprattutto il portavoce del<br />

ceto moderato e conservatore.<br />

Ma, secondo, quanto scritto da Paolo<br />

Murialdi, giornalista e storico dell’informazione,<br />

«la prima voce che interpreta<br />

più coerentemente i temi dell’antifascismo<br />

e della lotta per il ritorno alla libertà<br />

si leva a Napoli, dove il 4 ottobre 1943,<br />

subito dopo la cacciata <strong>dei</strong> tedeschi e<br />

l’arrivo degli angloamericani […] esce Il<br />

Risorgimento».<br />

Una creatura, come ha scritto Salvatore<br />

Rea «un po’ degli Alleati, volti a intavolare<br />

un colloquio con gli italiani, un po’<br />

del Comitato di liberazione nazionale,<br />

che al Governo militare alleato fece<br />

comprendere la necessità di una nuova<br />

testata». Il Risorgimento si presenta con<br />

un linguaggio nuovo e resta per otto<br />

mesi l’unico quotidiano di Napoli. Vi<br />

collabora – tra gli altri – lo storico Adolfo<br />

Omodeo, membro del Partito d’azione<br />

che presiederà il primo Convegno meridionalista<br />

svoltosi a Bari nel dicembre<br />

‘44. Ma alle spalle del giornale c’è il filosofo<br />

Benedetto Croce.<br />

Dopo la liberazione (4 giugno<br />

1944), Roma si trova in un vortice<br />

di iniziative editoriali. Da L’Unità a<br />

l’Avanti!, da L’Italia libera a La Voce<br />

repubblicana, senza dimenticare Il<br />

Popolo, Risorgimento liberale, Ricostruzione<br />

e Il Tempo è un pullulare di pubblicazioni<br />

unite a Il Messaggero, al Giornale<br />

d’Italia e al Popolo di Roma. Le ultime<br />

tre testate con solerzia cambiano<br />

orientamento dopo essere state fino al<br />

giorno prima al servizio del feldmaresciallo<br />

Albert Kesselring, comandante in<br />

capo delle forze naziste in Italia, e <strong>dei</strong><br />

fascisti di Salò.<br />

In questo clima, almeno in mezza Italia,<br />

si ritrova la libertà. E si ricomincia a<br />

esprimerla anche attraverso la stampa.<br />

M. An.<br />

23 (27)


I NOSTRI LUTTI<br />

È morto<br />

il giornalista<br />

del Corriere:<br />

dai fumetti<br />

alle nuove<br />

frontiere<br />

della spiritualità<br />

Cesare Medail, l’intellettuale laico<br />

che capiva la magia<br />

di Giulia Borgese<br />

Chi ha letto il libro di Cesare Medail, Le<br />

piccole porte (edito da Corbaccio nel<br />

febbraio dell’ anno scorso) deve essere<br />

rimasto colpito dal lucido, rigoroso e insieme<br />

appassionato cammino spirituale che ne<br />

è la trama. Vi si ritrova intatto l’amore di<br />

Medail per la parola, sia scritta che parlata,<br />

il piacere nel riferirci, appena tornato in<br />

redazione dopo aver fatto una delle sue<br />

mirabili interviste a tutto tondo (lo avevamo<br />

ribattezzato Medaglione), ogni particolare<br />

del personaggio che aveva incontrato,<br />

dell’ambiente in cui viveva, perfino di che<br />

cosa avevano mangiato a pranzo insieme...<br />

Il parlare era per lui una specie di prova di<br />

quello che subito avrebbe scritto, sulla sua<br />

scrivania tutta piena di libri, di notes e<br />

foglietti con numeri di telefono, con la sua<br />

rara capacità di comunicare, di rendere<br />

comprensibile, «giornalistico» nel senso<br />

migliore, anche il pensiero meno semplice<br />

di quei rappresentanti di ogni religione del<br />

mondo quasi sempre perseguitati dall’ istituzione<br />

o relegati ai margini, che solo lui andava<br />

a scovare in qualche posto segreto.<br />

Oggi, inevitabilmente, questo libro singolare<br />

diventa il suo testamento spirituale, e riprendendolo<br />

in mano, il finale che ci aveva turbato,<br />

adesso che lui ci ha lasciati assume un<br />

altro significato: «Vorrei solo congedarmi<br />

con un’immagine che mi corrisponde. In uno<br />

degli angoli più incantevoli del Far West, vicino<br />

alla cittadina new age di Sedona (Arizona)<br />

ma lontano dai supermarket del melting<br />

pot neospiritualista, in cima a uno sperone<br />

di roccia rossa sorge la chiesa cattolica di<br />

Holy Cross, progettata negli anni Trenta da<br />

un’ architetta americana.<br />

Si chiama così perché una gigantesca croce<br />

affonda nella roccia [...] Il canto gregoriano<br />

si diffonde a tutte le ore fra rupi, deserti e<br />

foreste; ma non vi si celebrano funzioni<br />

perché la chiesa è sempre aperta agli uomini<br />

di qualsiasi vocazione spirituale o religiosa.<br />

La Grande Croce abbraccia tutti, cristiani<br />

e non. E lì, confesso, mi sono trovato<br />

Ennio Elena, cronista<br />

e acuto epigrammista<br />

di Oreste Pivetta<br />

Ennio Elena ci ha lasciato. È morto nel cuore<br />

della notte, il 3 febbraio scorso, nella sua casa<br />

alla periferia di Milano. Era stato uno <strong>dei</strong> cronisti<br />

più attenti e brillanti dell’Unità, dal dopoguerra<br />

agli anni novanta, testimone e narratore<br />

di vicende grandi e piccole, di sentimenti e<br />

di storie, presentate con uno scrupolo assoluto,<br />

con una documentazione attentissima, ma<br />

anche con una scrittura di grande qualità. Era,<br />

nelle pause del lavoro, un inesauribile inventore<br />

di epigrammi, molti <strong>dei</strong> quali finirono nelle<br />

fortunate pagine di Tango prima e di Cuore<br />

poi. Di un evento in particolare si era occupato:<br />

della tragica vicenda della diossina, la nube<br />

tossica che si sprigionò da un reattore della<br />

Un protagonista<br />

della scena<br />

culturale<br />

arrivato<br />

giovanissimo<br />

in via<br />

Solferino<br />

benissimo». Non è stata una conversione, la<br />

sua - ci teneva a spiegare - piuttosto il<br />

percorso di un intellettuale laico, curioso e<br />

aperto ai contenuti del libero pensiero spirituale.<br />

«Malgrado le guerre, i terrorismi, gli<br />

egoismi nazionali che procurano sofferenza<br />

e morte ai popoli derelitti, malgrado gli<br />

oltraggi ecologici in nome del tornaconto<br />

speculativo, io penso che dagli anni Settanta<br />

a oggi numerose persone stiano vivendo<br />

quella che Elémire Zolla definisce “rinascenza<br />

religiosa”, anche fuori dalle grandi tradizioni.<br />

In diversi angoli del mondo sono<br />

sempre di più quelli che hanno scoperto<br />

dentro di sé una natura diversa, e la manifestano<br />

ripudiando gli idoli della guerra, del<br />

potere, <strong>dei</strong> consumi, della brama di piacere<br />

e di ricchezza».<br />

Cesare Medail era approdato al Corriere<br />

della Sera molto giovane (era nato nel 1943<br />

vicino a Venezia dove la famiglia si era rifugiata<br />

durante la guerra in una grande villa<br />

settecentesca) nei primi anni Settanta, al<br />

settore culturale. In breve era diventato un<br />

bravissimo artigiano del giornale: la scelta<br />

degli argomenti da trattare, l’ organizzazione<br />

del lavoro <strong>dei</strong> collaboratori, la titolazione -<br />

arte difficile in cui era ineguagliabile -, la<br />

ricerca delle immagini, tutto gli piaceva. Il<br />

giornale era una parte importante della sua<br />

multinazionale chimica Roche, nello stabilimento<br />

di Seveso. Ennio Elena si era dovuto<br />

muovere tra silenzi e omertà, tra banali semplificazioni<br />

e occultamenti, riuscendo attraverso<br />

una paziente ricerca di giorni e mesi a ricostruire<br />

il quadro completo (e delittuoso) di quella<br />

storia (che finì in un bel libro), sempre rivivendola<br />

dalla parte delle vittime, di quanti<br />

erano stati espropriati della loro salute, di un<br />

ambiente vivibile, persino delle loro case.<br />

Proprio il tema della salute, legato inevitabilmente<br />

a quello della sanità, era diventato il suo<br />

prediletto campo di lavoro e di ricerca. In<br />

cronaca a Milano, attraverso le pagine del giornale,<br />

era riuscito a documentare lo stato della<br />

sanità nel nostro paese, s’era occupato di<br />

medicina del lavoro, s’era avvicinato, dopo<br />

Seveso, ai grandi problemi dell’ecologia.<br />

vita, come lo erano le cene con gli amici, i<br />

lunghi viaggi con la moglie Claudia, sempre<br />

fuori dalle rotte del turismo di massa, il riposo<br />

nella casetta sopra il lago Maggiore tra i<br />

boschi dove si divertiva a fare lunghe<br />

camminate in cerca di funghi, le visite a<br />

Verona, la città in cui era cresciuto dall’adolescenza<br />

fino a quando era venuto a Milano<br />

a fare il giornalista (apprendistato ad<br />

Amica), per andare a trovare la madre.<br />

Fin da ragazzo aveva scelto l’impegno civile,<br />

dapprima nei partiti borghesi come i liberali<br />

e i repubblicani dove «mi ritrovai sempre<br />

all’ opposizione di sinistra, prima di andarmene<br />

in silenzio e senza mai sbattere la<br />

porta», poi nei movimenti non violenti <strong>dei</strong><br />

radicali. Aveva scritto anche un’inchiestasaggio<br />

sui diritti civili nelle forze armate, di<br />

ispirazione pacifista, Sotto le stellette,<br />

pubblicato da Einaudi nel 1977, e aveva<br />

fondato un periodico mensile, Arcana, dedicato<br />

al mistero e ai filoni spirituali emergenti<br />

in quegli anni.<br />

Tra i suoi primi interessi di giornalista, mai<br />

abbandonati, ci sono senz’ altro i fumetti: da<br />

Topolino ad Andrea Pazienza, da Tex Willer<br />

a Charlie Brown, era un mondo che conosceva<br />

in ogni aspetto, anche, se così si può<br />

dire, in profondità. Del resto tutto ciò che era<br />

fantastico, strano, fuori dalle esperienze<br />

“Cesare ci manca, ci manca terribilmente”<br />

Il gesto più bello lo hanno compiuto, spontaneamente, i suoi lettori. Persone che negli<br />

anni avevano imparato ad apprezzare Cesare Medail. Hanno preso carta e penna e<br />

hanno scritto poche righe. Il senso era uno solo: “Ci mancherà”, “era diventato un amico”,<br />

“ci fidavamo”: era proprio così.<br />

Era così anche per noi, per i suoi amici e colleghi della redazione Cultura. Negli anni<br />

Cesare aveva assunto un ruolo di guida, di punto di riferimento. Di legame con una tradizione<br />

carica di valori.<br />

Era il collega cui chiedere un consiglio, la cortesia di rileggere il pezzo, di dirci francamente<br />

se andava bene. Cesare faceva tutto questo con grande generosità, con scrupolo<br />

e con serietà. Amava il suo mestiere più di ogni altra cosa al mondo. E questo atteggiamento<br />

finiva per contagiare tutti. Ci manca, ci manca terribilmente Cesare; manca agli<br />

anziani come ai più giovani. E questo è raro, molto raro. Succede soltanto per pochi.<br />

Antonio Troiano<br />

Ennio Elena avrebbe compito settantotto anni<br />

fra qualche mese. Era nato ad Alassio il 30<br />

maggio 1927. Nel dopoguerra era diventato<br />

funzionario della federazione comunista di<br />

Savona. S’occupava di propaganda e, come<br />

spesso capitava allora a chi si doveva appunto<br />

occupare di propaganda, aveva iniziato a collaborare<br />

con l’Unità, come corrispondente.<br />

Cominciò a lavorare più tardi a tempo pieno<br />

per il giornale, alla redazione della pagina di<br />

Savona. Conclusa quell’esperienza, accettò<br />

nel 1960 il trasferimento a Milano.<br />

Savona e la Liguria gli rimasero nel cuore e<br />

nella parlata (oltre che nella fede calcististica,<br />

sampdoriana). A Milano iniziò nel servizio<br />

interni e passò quindi in cronaca, facendo<br />

esperienza di questa città, della sua vicenda<br />

politica e sociale, negli anni più intensi delle<br />

lotte sindacali, delle contestazioni giovanili, poi<br />

della strategia della tensione e del terrorismo,<br />

delle giunte di sinistra.<br />

Divenne di Milano un profondo conoscitore e<br />

un acutissimo narratore. Alla pensione non<br />

lasciò il giornalismo, continuò a scrivere, prestò<br />

la sua cultura e la sua intelligenza al Triangolo<br />

Rosso, la rivista <strong>dei</strong> deportati nei campi di sterminio<br />

nazisti.<br />

L’autore<br />

delle<br />

Piccole<br />

porte<br />

aveva<br />

61 anni.<br />

Il giornalista<br />

del Corriere<br />

della Sera<br />

Cesare Medail,<br />

scomparso<br />

il 5 gennaio<br />

a Milano<br />

(foto di<br />

Gianluigi Colin).<br />

quotidiane lo affascinava: le Guerre stellari<br />

di Lucas come E.T. e gli Incontri ravvicinati<br />

del terzo tipo di Spielberg. E proprio la lunga<br />

carriera di giornalista gli aveva permesso<br />

incontri ravvicinati con i più grandi studiosi<br />

del significato della vita umana. Tra questi lo<br />

storico delle religioni Mircea Eliade, colui<br />

che per primo lo aveva spinto a prendere in<br />

mano le sacre scritture; Elémire Zolla,<br />

l’esploratore delle tradizioni religiose ed<br />

esperienze mistiche, di cui divenne amico e<br />

un po’ anche discepolo; il filosofo Roger<br />

Garaudy, già comunista poi marxista eretico,<br />

quindi cristiano e infine convertito all’Islam<br />

incontrato a Cordova insieme al grande<br />

teologo tedesco Hans Küng che la Chiesa<br />

aveva sospeso dall’ insegnamento; il biblista<br />

autodidatta Sergio Quinzio, tanto radicato<br />

nella fede cristiana quanto radicale nella<br />

critica delle sue espressioni istituzionali; il<br />

misterioso scrittore Carlos Castaneda,<br />

famoso per aver raccontato al mondo «civile»<br />

la sua iniziazione alla stregoneria<br />

dell’antico Messico, che viveva nascosto da<br />

qualche parte a Los Angeles e si negava<br />

qualsiasi contatto con i mass media; il priore<br />

della comunità di Bose, padre Enzo Bianchi,<br />

profeta di un rinato bisogno del sacro, di<br />

esperienza del divino, che presto divenne<br />

anche lui suo amico; e infine il vecchio<br />

monaco buddista Thich Nhat Hanh, capo<br />

spirituale della chiesa vietnamita, in esilio a<br />

Bordeaux, che nel 1966 era andato fino alla<br />

Casa Bianca per chiedere di aprire una<br />

conferenza di pace e di smettere i bombardamenti:<br />

non fu ascoltato, ma molti veterani<br />

sarebbero diventati suoi discepoli. Adesso<br />

che Cesare non c’ è più, chi andrà a scovare<br />

per noi questi personaggi così appartati<br />

eppure fondamentali per la loro sapienza<br />

spirituale, di cui tutti vorremmo conoscere la<br />

parola? A noi che lo abbiamo avuto come<br />

«compagno di banco» per una vita qui al<br />

Corriere, mancherà tantissimo il collega<br />

attento e pieno di interessi, l’ amico molto<br />

buono e generoso, l’ intellettuale fine e sensibile,<br />

pronto sempre a condividere ogni azione<br />

volta a combattere violenze e volgarità.<br />

(Corriere della Sera del 6 gennaio <strong>2005</strong>)<br />

24 (28) ORDINE 3 <strong>2005</strong>


I NOSTRI LUTTI<br />

Nel lontano1961<br />

l’assunzione<br />

prima al Corriere<br />

d’Informazione,<br />

per il rodaggio,<br />

poi al Corrierone<br />

ORDINE 3 <strong>2005</strong><br />

Mino Durand<br />

al ristorante<br />

“Il Rigolo”<br />

a Milano in<br />

compagnia di<br />

Franco Berutti<br />

nel 1999 (foto<br />

di Angelo<br />

Mereu).<br />

Mino Durand, il ritratto di «gambamatta»<br />

è di quelli che scaldano il cuore<br />

di Sandro Rizzi<br />

Se dovessi fare un film sui vecchi cronisti<br />

dell’era pre-elettronica lo ambienterei a cavallo<br />

tra gli anni Cinquanta e Sessanta, quando<br />

la nascita del Giorno (1956) ebbe sul Corriere<br />

l’effetto d’un secchio d’acqua gelida che<br />

bruscamente interrompe la pennichella postprandiale.<br />

L’improvviso attacco d’un manipolo<br />

di guastatori ben addestrati costrinse i sonnolenti<br />

e appagati strateghi di via Solferino a<br />

reagire. Fu la stagione in cui il capocronista<br />

Franco Di Bella scatenò i suoi assaltatori. Tutti<br />

fuori a caccia i leg men, i cronisti «di gambe»,<br />

per rifornire con i loro appunti i write men,<br />

cronisti di penna, che ricomponevano il puzzle<br />

senza perdere un tassello.<br />

Allora liceale, «battevo» commissariati ben<br />

più provinciali, ma la lettura della cronaca<br />

milanese del Corriere era per gli aspiranti giornalisti<br />

come una lezione quotidiana di quelle<br />

scuole che in Italia sarebbero spuntate soltanto<br />

una ventina d’anni dopo.<br />

Nel cast della sceneggiatura, uno degli interpreti<br />

con il nome in lettere maiuscole sarebbe<br />

senz’altro Mino Durand, «il Mino» come si<br />

annunciava al telefono.<br />

Se n’è andato il 15 gennaio, a 68 anni, tradito<br />

dal fegato a lungo bistrattato, ma il suo ricordo<br />

è di quelli che scaldano il cuore. Dai modi<br />

un po’ rudi del suo «capo» aveva imparato a<br />

scattare alla carica, con quel tanto di incoscienza<br />

che dà forza agli intrepidi. E quando,<br />

qualche volta controvoglia, «capo» lo è diventato,<br />

per i suoi uomini si è sempre considerato<br />

solo «il fratello» che sapeva infondere entusiasmo<br />

anche nei momenti più duri. Se strapazzava<br />

qualcuno, dieci minuti dopo se n’era<br />

dimenticato e lo invitava a bere un whisky.<br />

Come si inserisce in una trama che prevede<br />

mobilissimi, agili reporter un ragazzo con una<br />

gamba di legno? Mino non conosceva le<br />

ipocrisie del «politically correct», si definiva<br />

ridendo «gambamatta», e via a sfidare<br />

concorrenti agguerriti ma forse un po’ meno<br />

smaliziati. Saltava sulle macerie del Friuli<br />

terremotato e ogni giorno aveva la storia più<br />

vera, oltre alle anteprime sulle mosse <strong>dei</strong><br />

soccorritori. Sì, perché, come un mastino che<br />

non molla mai la presa, s’era messo alle<br />

costole di quello Zamberletti, varesino, che<br />

sull’esperienza in Friuli avrebbe reinventato la<br />

Protezione civile italiana. Divennero amici.<br />

Al volante della sua «Daf» bordeaux adattata,<br />

era un guidatore spericolato. Come spericolato<br />

era il suo personaggio di moderno<br />

moschettiere: eleganza vistosa, raffinata,<br />

mantellone a ruota, cachecol vaporoso,<br />

lunghe sciarpe bianche, gemelli ai polsini,<br />

bastone con pomolo d’avorio o d’argento.<br />

Generoso anfitrione al ristorante (da Rigolo<br />

aveva tavolo fisso, con l’arguto Franco Berutti,<br />

Arnaldo Giuliani, cronista figlio d’arte, e il<br />

giovane Angelo Mereu, artista dell’oro e della<br />

fotografia) e in casa (quanti pranzi e cene ha<br />

dovuto improvvisare, a tutte le ore, la moglie<br />

Nora), prodigo di consigli con i giovani che<br />

cominciavano la gavetta. Ricordando la sua<br />

voglia di fare il mestiere.<br />

Voglia di vivere, forza di volontà, ecco «il<br />

Mino». Amava raccontare - come ha ricordato<br />

sul Corriere Fabio Mantica, suo inseparabile<br />

compagno nella Grande Cronaca - che da<br />

piccolo, a 8 anni, dopo una caduta in cui<br />

aveva battuto un ginocchio, un giorno l’avevano<br />

dato per spacciato e pietosamente ricoperto<br />

con un lenzuolo. Fu un medico, nel dargli<br />

l’ultimo saluto, ad accorgersi che respirava<br />

ancora. Lo restituì al mondo, ma ci volle una<br />

battaglia di quattro anni in ospedale, con l’uso<br />

di una delle prime dosi di penicillina in Italia,<br />

per arrestare i danni irreversibili del virus che<br />

aveva menomato la gamba ferita. «Vista la<br />

situazione - racconta la figlia Giuliana, avvocato,<br />

che gli ha dato un nipotino (il figlio<br />

maschio, Danilo, è allenatore di pallavolo) -<br />

nonno Giulio, suo padre, direttore di banca, lo<br />

iscrisse a ragioneria, nella loro Sanremo,<br />

pensando che l’unico sbocco fosse un lavoro<br />

sedentario in banca.<br />

Ma è famoso il fatto che Mino, il nome vero<br />

era Gerolamo, non ha mai saputo fare le addizioni<br />

e meno che meno conosceva le tabelline:<br />

la sua fortuna è stata la sua insegnante di<br />

italiano che, ricambiato, lui ha adorato; i temi li<br />

scriveva per tutta la classe e li passava...<br />

Quando arrivavano i compiti in classe di mate-<br />

matica incrociava le braccia ed attendeva<br />

speranzoso... Il gioco ha funzionato per un po’,<br />

ma poi lo hanno “sgamato”. Lui sognava solo<br />

di fare il giornalista. Sognava solo il Corriere.<br />

Esonerato dalle lezioni di educazione fisica,<br />

correva a lavorare all’Eco della Riviera. E così<br />

quando conobbe Enzo Grazzini, grande inviato<br />

del Corriere, che gli propose di partire con<br />

lui non esitò. Doveva diplomarsi. Tramite amici<br />

influenti riuscì a convincere il preside a non<br />

bocciarlo (visto che la matematica era una<br />

materia fondamentale)... giurandogli che non<br />

avrebbe mai “esercitato” l’attività di ragioniere<br />

e che non si sarebbe più fatto vedere. Si iscrisse<br />

a Economia e commercio a Genova, ma<br />

non frequentò».<br />

Grazzini era inviato del Corriere per varietà,<br />

costume, festival e manifestazioni canore e<br />

culturali. Mino gli si incollò al seguito, anonimo<br />

portaborraccia: fiutava le notizie come un<br />

segugio i tartufi e al momento in cui Grazzini si<br />

metteva a scrivere lui gli aveva già fornito tutti<br />

gli ingredienti, spezie comprese. Affabulatore<br />

nato, ispirava fiducia, con lui tutti si confidavano.<br />

Ci vollero quattro anni, poi nel 1961 arrivò<br />

l’assunzione (contemporaneamente a Roberto<br />

Gervaso): prima al Corriere d’Informazione,<br />

per il rodaggio, poi al Corrierone. Ne è rimasto<br />

orgoglioso per tutta la vita, mai dimenticando<br />

la faticaccia: se ne vantava sempre, ma senza<br />

spirito di rivalsa, senza alcun rancore. Anzi. Nel<br />

‘68, nei giorni della contestazione all’università<br />

uno <strong>dei</strong> capi gli offrì una laurea facile facile. Ne<br />

ebbe uno sdegnoso rifiuto: «Al Corriere sono<br />

arrivato senza essere dottore. Mi basta». Era<br />

stimolato ad insegnare agli altri, e per farlo non<br />

si tirava mai indietro, anche quando qualche<br />

gallone appuntato sulla divisa glielo avrebbe<br />

consentito.<br />

In redazione era sempre di guardia notturna,<br />

fino all’ultima chiusura, le 4. A quell’ora lo stanzone<br />

della cronaca era una sala da gioco, con<br />

il vantaggio che, se succedeva qualcosa, il<br />

pronto intervento era assicurato... senza<br />

svegliare nessuno e senza pagare straordinari.<br />

A conclusione della giornata, spesso il gruppo<br />

si trasferiva in qualche ristorante per<br />

nottambuli. Fino all’alba, e Mino non mancava.<br />

Il Festival di Sanremo, per competenza terri-<br />

Mirella Savà, un ricordo<br />

su Tabloid come aveva chiesto<br />

di Francesca Romana Mezzadri<br />

Non è facile scriverle, ma queste quaranta<br />

righe sono dedicate a mia nonna, Mirella Savà,<br />

giornalista e donna meravigliosa, che si è<br />

spenta improvvisamente lunedì 1° febbraio.<br />

Da bambina, il pavimento della mia camera era<br />

tappezzato di giornali. Erano la sua mazzetta,<br />

e io li sfogliavo, li leggevo, ritagliavo scritte e<br />

figure: erano il mio gioco preferito. Che si trattasse<br />

di una copia di Grazia o di Epoca, poco<br />

cambiava: li divoravo letteralmente. È stato così<br />

che la mia nonna giornalista (come mi è<br />

sempre piaciuto chiamarla) mi ha trasferito<br />

l’amore per una professione dalle mille facce,<br />

tante quante quelle che lei ha esplorato nella<br />

sua lunga carriera.Subito dopo la guerra, rima-<br />

Direttore<br />

prima, nel 1976,<br />

all’Eco di Padova<br />

poi all’AltoAdige.<br />

Finché<br />

fu chiamato<br />

alla guida<br />

della Prealpina<br />

sta sola con una bimba piccola, aveva iniziato<br />

a scrivere novelle. Da lì al giornalismo, la strada<br />

è stata per lei naturale. Pubblicista dal 1956,<br />

fu una precaria ante litteram, sempre combattiva<br />

e determinata nonostante già allora entrare<br />

in una redazione e ottenere il praticantato non<br />

fosse un’impresa facile: e infatti, divenne<br />

professionista, con Carlo De Martino, solo nel<br />

1974, quando era inviato di Grazia e girava il<br />

mondo facendo interviste e reportage sempre<br />

percorsi da una vena di curiosità, arguzia,<br />

sensibilità, ironia.Tra le tappe della sua carriera,<br />

che più amava ricordare, le pubbliche relazioni<br />

tenute per Chatillon, La Castellana, Abital,<br />

La Faini, il concorso di Miss Italia e tanti altri. E<br />

poi, le collaborazioni con Grand Hotel e Stop<br />

negli anni del boom <strong>dei</strong> settimanali popolari.<br />

Ma anche quelle con Novella e Marie Claire, la<br />

bella esperienza a Grazia e i lunghi anni in<br />

redazione a Confidenze. Era una donna spiritosa<br />

e intelligente, come ricordano quanti le<br />

sono stati vicini e hanno lavorato con lei. Per i<br />

quali, ne sono sicura, è stata ben più di una<br />

collega. Perché si è sempre prodigata per dare<br />

una mano a chi ne aveva bisogno, e spesso<br />

per trovare un posto o una collaborazione a chi<br />

se lo meritava. In una lettera che abbiamo<br />

trovato dopo la sua morte, mi chiedeva di far<br />

pubblicare un suo ricordo su queste pagine: un<br />

modo per salutare le tante persone incontrate<br />

negli anni, e per accomiatarsi da un lavoro che<br />

è stato la sua vita. Io lo faccio, con la malinconia<br />

e la tristezza di un momento per me difficile,<br />

ma con la gioia e la gratitudine per ciò che<br />

mi ha insegnato, come giornalista ma, soprattutto,<br />

come donna.<br />

toriale, rimase a lungo un servizio «suo» (nel<br />

‘67 fu testimone della morte di Tenco). Lo<br />

ricordo quando andava in giro per l’Italia (nel<br />

1974, fu con Giampaolo Pansa, il primo a<br />

comunicarci da Genova la liberazione del<br />

giudice Sossi, rapito dalle Br). Negli anni di<br />

piombo fu più volte minacciato: non rifiutò mai<br />

un servizio. Così come era sempre pronto a<br />

partire quando da Milano chiamava il capo<br />

degli Interni: «Già che sei lì a Trento... perché<br />

non vai a Trieste...?...Voglio il pezzo alle otto».<br />

E alle otto: «Sono il Mino... passami gli stenografi».<br />

Qualche mugugno, mai un’impuntatura.<br />

Alla scuola Di Bella era «uso ad obbedir<br />

tacendo», come i Carabinieri (e profonda era<br />

la sua ammirazione per l’Arma, fonte preziosa<br />

di notizie). Anche per sottrarlo alle minacce lo<br />

«inviarono» a fare il direttore. Prima, nel 1976,<br />

all’Eco di Padova, quotidiano creato e presto<br />

sacrificato da Rizzoli per strategie editoriali,<br />

poi lo lasciarono scegliere tra il Mattino di<br />

Napoli e l’Alto Adige. Scelse quest’ultimo e si<br />

conquistò una redazione sulle prime ostile.<br />

Unica richiesta all’editore, la promessa di<br />

tornare al Corriere. Tornò nell’84, capo degli<br />

Interni. Ma continuava a invidiare gli uomini<br />

che spediva sul campo.<br />

Finché fu chiamato a Varese, dall’editore<br />

Ferrario, alla guida della Prealpina. Accettò<br />

con entusiasmo, ma scese piangendo lo<br />

scalone del Corriere, che da più di vent’anni<br />

era stato la sua vera casa. A due riprese, fra<br />

baruffe e riconciliazioni con l’amico proprietario,<br />

rivitalizzò l’antico quotidiano (quante volte,<br />

davanti a casi incerti, mi ha chiamato per<br />

sentire cosa facevamo noi «in Solferino»):<br />

quando un «fratello» andava a trovarlo, per<br />

lavoro o per un saluto, gli si metteva a disposizione,<br />

memore delle ospitalità che da inviato<br />

del Corriere aveva avuto nel suo peregrinare<br />

nelle province.<br />

Era un modo di sentirsi sempre corrierista, e<br />

cronista. A Varese, una mattina, arrivando al<br />

giornale, trovò in Cronaca due giovanissime<br />

colleghe al computer: «Che cosa fate lì?<br />

Fuori! fuori! andate in giro a cercare roba.<br />

Ricordatevi che non siete impiegate del catasto».<br />

Questo era «il Mino». Incapace di stare fermo.<br />

25 (29)


T E S I D I L A U R E A<br />

Università degli studi di Messina, facoltà di Lettere<br />

e filosofia, corso di laurea in Lettere moderne.<br />

Relatore prof. Lucrezia Lorenzini,<br />

correlatore prof. Giuseppe Amoroso.<br />

Anno accademico 2001-2002<br />

Leonardo<br />

Sciascia<br />

GIORNALISTA<br />

FUORI “ALBO”<br />

Prima di analizzare l’esperienza di Sciascia<br />

nelle singole testate, a cui abbiamo fatto riferimento,<br />

è bene ricordare anche l’esperienza<br />

nella redazione de Il Giornale di Sicilia,<br />

con un aneddoto raccontato da Roberto<br />

Ciuni, all’epoca direttore della testata palermitana,<br />

che ricorda “quel giornalista da<br />

prima pagina” in un articolo scritto per<br />

Malgrado Tutto in occasione del decimo<br />

anniversario della morte dello scrittore racalmutese,<br />

e spiega come mai Sciascia, iscritto<br />

all’elenco <strong>dei</strong> praticanti dell’<strong>Ordine</strong> nazionale<br />

<strong>dei</strong> giornalisti (passo che precede<br />

l’iscrizione all’elenco professionisti) rifiuta il<br />

“tesserino” professionale. Al centro di tutto,<br />

come sempre, “una questione di giustizia”…<br />

“All’inizio del 1972 quasi ogni mattina passavo<br />

a prendere il caffè in casa di Leonardo<br />

Sciascia, a Villa Sperlinga […] Di tanto in<br />

tanto Sciascia mi scriveva delle noterelle<br />

che pubblicavo in prima pagina, così come<br />

Renato Guttuso mi illustrava gratis delle<br />

pagine ricostruttive di storia dell’isola con<br />

bellissimi disegni. Chiacchierando durante il<br />

caffè, un giorno prendemmo l’argomento<br />

Moravia: il Corriere della Sera l’aveva fatto<br />

praticante. Per quanto uno scrittore italiano<br />

avesse successo e guadagnasse bene, né i<br />

romanzi, né alcun genere di saggistica (il<br />

fenomeno Eco era ancora lontano), potevano<br />

dare la sicurezza del futuro che dava il<br />

sistema giornalistico – dallo stipendio alla<br />

previdenza e, infine, alla pensione. Se ne<br />

parlava, da parte sua, con la naturale ritrosia<br />

a mettersi sul mercato editoriale, quindi<br />

con la convinzione di non poter contare sui<br />

redditi elevati nonostante le ottime vendite<br />

<strong>dei</strong> libri, e, da parte mia, con la speranza di<br />

replicare in Sicilia uno schema nobilmente<br />

applicato a Milano dal Corriere della Sera:<br />

quello dello scrittore assunto da un giornale<br />

in pianta stabile per far soltanto lo scrittore,<br />

non per inseguire notizie o impaginare. Lo<br />

convinsi, la mia proposta fu accettata dagli<br />

editori Pietro Pirri e Federico Ardizzone,<br />

rappresentanti delle due anime proprietarie<br />

del giornale, e firmai la lettera d’inizio del<br />

praticantato. Sciascia volle impegnarsi in<br />

una rubrica di prima pagina intitolata ai suoi<br />

vecchi zii di Sicilia, quasi che adesso lo zio<br />

fosse lui che la redigeva. E – ricordo – scrisse<br />

un fondino alla caduta del DC9 a Punta<br />

Raisi che riprendeva il tema del ponte di<br />

San Louis Rey. Piano piano s’accorse però<br />

della differenza assai marcata tra la sua<br />

posizione di privilegio – frequentava il giornale<br />

solo per portare un articolo, scriveva o<br />

non scriveva a secondo dell’argomento e<br />

della voglia – e quella <strong>dei</strong> redattori, soprattutto<br />

gli altri praticanti, costretti a fare fatiche<br />

inaudite, cosa consueta nei giornali regionali,<br />

sui cumuli di lavoro da smaltire. Passati<br />

un po’ di mesi mi disse che la cosa gli<br />

sembrava ingiusta e il suo praticantato finì<br />

così, con mio grande dispiacere.”<br />

RECENSORE<br />

DI TEATRO<br />

PER L’ ESPRESSO<br />

Ancora una parentesi nell’attività giornalistica<br />

di Sciascia, che dal novembre del 1978<br />

al maggio 1983 fu anche recensore di teatro<br />

per L’Espresso, alternandosi settimanalmente<br />

con la giovane redattrice Rita Cirio.<br />

Venti in tutto gli articoli che ha scritto, dopo<br />

aver accettato l’incarico con qualche<br />

perplessità, affermando di cimentarsi in<br />

questa attività “per verificare, dopo tanti<br />

anni, se il mio amore al teatro, la mia passione<br />

per il teatro, ancora esiste o se oggettivamente<br />

il teatro che oggi si fa offre ragioni<br />

a che resista e si rinnovi”. Probabilmente lo<br />

scrittore, dopo le furiose polemiche seguite<br />

alla pubblicazione dell’ Affaire Moro, considerò<br />

questo impegno come una buona<br />

opportunità per dedicarsi ad “altra scrittura,<br />

ad altro testo”.<br />

INFLUENZA DEGLI<br />

SCRITTORI-GIORNALISTI<br />

AMERICANI<br />

Negli Stati Uniti inizia una nuova stagione<br />

per la comunicazione, soprattutto con<br />

l’esperienza degli inviati sui fronti di guerra,<br />

e la “moderna letteratura americana”<br />

concorre alla formazione del giovane Sciascia.<br />

La famiglia Sciascia, infatti, nel 1935 si<br />

trasferisce a Caltanissetta per permettere ai<br />

figli di studiare e Leonardo si iscrive all’Istituto<br />

Magistrale IX Maggio, dove incontra<br />

figure decisive per la sua formazione, tra cui<br />

anche Vitaliano Brancati, che insegna in<br />

un’altra classe dello stesso istituto.<br />

Sciascia lo spia e lo legge ogni settimana<br />

sulle colonne di Omnibus, il celebre rotocalco<br />

di Longanesi, dove una pattuglia di<br />

scrittori trentenni sapeva guardare altrove,<br />

alla letteratura nordamericana, alla grande<br />

letteratura memorialistica francese, alle<br />

inquietudini e alle introspezioni della Mitteleuropea.<br />

Una lira. Ma ne valeva la pena: Barilli e Savinio,<br />

gli articoli di Vittorini sugli scrittori ameri-<br />

di Palmira Mancuso<br />

“Andare, osservare e raccontare” riassumono<br />

il cuore dell’attività giornalistica nella sua<br />

immagine più romantica. Spinti da questa<br />

innata esigenza diversi scrittori si cimentarono<br />

nel giornalismo, viaggiando come inviati<br />

speciali tra rivoluzioni, guerre, morte e carestie.<br />

Sciascia, invece, non si spostò mai,<br />

almeno idealmente, da Racalmuto, il suo<br />

piccolo paese natale, sperduto nella profonda<br />

Sicilia, il luogo che più di ogni altro è stato<br />

al centro delle sua esperienza narrativa, la<br />

base da cui partiva e a cui puntualmente<br />

faceva ritorno. Eppure, in questo microcosmo<br />

siciliano lui è stato un “inviato speciale”:<br />

da lì ha osservato il mondo, ne ha raccontato<br />

la rivoluzione attraverso i suoi personaggi<br />

più “eretici”, le guerre di mafia, la morte nelle<br />

miniere di sale, le carestie di una terra povera<br />

e ingiusta, una “valle di zolfo e d’ulivi” dove<br />

scorrono “acque gialle di fango / che i greci<br />

dissero d’oro”.<br />

Nel piccolo paese di Racalmuto, paese di<br />

zolfatari e contadini, il giovane Leonardo Sciascia,<br />

che fin da piccolo dimostra la sua passione<br />

verso i libri e la lettura in genere, trova nel<br />

“Circolo Unione” un luogo privilegiato da cui<br />

osservare e decodificare la realtà. Nonostante<br />

l’asfittico ambiente piccolo-borghese, il<br />

circolo concorre, con il cinematografo e con i<br />

libri, alla formazione dello scrittore. È qui che<br />

Sciascia fotografato da Ferdinando Scianna a Racalmuto, 1964.<br />

cani, i racconti di Caldwell e Saroyan, di un<br />

Giovanni Drogo che credo fosse Dino<br />

Buzzati, certi rapporti sull’America di Moravia<br />

e De Chirico; e che delizia le lettere di<br />

Brancati al direttore! “Caro direttore…” ed<br />

era come se da quel tessuto di noia che era<br />

la nostra vita di ogni giorno, improvvisamente<br />

balzasse nel fuoco una lente, che lo<br />

ingrandiva e lo deformava, un particolare<br />

della trama un nodo o una smagliatura.<br />

Pensavo: così si deve scrivere, così voglio<br />

scrivere.<br />

Questo è anche il periodo della guerra in<br />

Spagna, della scoperta dell’antifascismo,<br />

delle letture di Faulkner, Caldwell, Steinbeck,<br />

Dos Passos ed Hemigway, che furono,<br />

questi ultimi in particolare per Sciascia,<br />

modello di ardite sperimentazioni strutturali<br />

e linguistiche.<br />

Ed ancora Sciascia, in una pagina di Nero<br />

comincia il suo contatto con i giornali e lui<br />

stesso, nelle parrocchie di Regalpetra, lo testimonia:<br />

“Il popolo lo chiama ancora circolo <strong>dei</strong><br />

nobili (o <strong>dei</strong> galantuomini <strong>dei</strong> civili <strong>dei</strong> don); i<br />

soci lo chiamano semplicemente casino. È<br />

situato sul corso, nel punto più centrale: consiste<br />

di una grande sala di conversazione, con<br />

tappezzeria di color perso e poltrone di cuoio<br />

scuro, una sala di lettura, tre sale da giuoco:<br />

nella sala di lettura c’è la radio, quasi sempre<br />

accesa, la possibilità di far profittevole lettura<br />

è molto vaga: sul tavolo si trovano i quotidiani<br />

Il Tempo di Roma e il Giornale di Sicilia; i settimanali<br />

Epoca, Oggi e La Domenica del<br />

Corriere; le riviste L’Illustrazione italiana e Il<br />

Ponte, quest’ultima rivista pochissimo e letta<br />

e sdegnosamente tollerata vi si trova, in grazia<br />

della concordia da cui il circolo prende nome,<br />

per volontà di una diecina di giovani. Alla fine<br />

di ogni anno c’è il tentativo di cassare l’abbonamento<br />

al Ponte dal bilancio, ma i giovani<br />

stanno all’erta e ripresentano alla deputazione<br />

l’istanza del rinnovo; purché la concordia<br />

non venga meno gli altri sopportano lo scandalo<br />

di una simile rivista”. Immaginiamo i<br />

buoni borghesi riuniti al circolo, che leggono i<br />

tipici giornali del moderatismo anni cinquanta,<br />

ad esclusione della rivista Il Ponte, l’unico<br />

abbonamento che Sciascia riesce a strappare<br />

agli amministratori, nel suo costante intento<br />

di modificare le pigrizie culturali <strong>dei</strong> soci, <strong>dei</strong><br />

quali osserva le miserie morali ed il conformismo.<br />

su Nero, a proposito delle foto che gli inviati<br />

<strong>dei</strong> giornali americani e inglesi fecero<br />

durante la campagna di Sicilia, nel 1943,<br />

scrive: “Queste due fotografie dicono tutto.<br />

E non ci sono soltanto il pastore, il paesano,<br />

i soldati che allegramente si arrendono:<br />

ci siamo anche noi, ventenni, col mito<br />

dell’America che non ci veniva dai parenti<br />

e dagli amici (degli amici), ma dalle appassionate<br />

letture, cui Vittorini e Pavese ci<br />

avevano avviato, di Faulkner, di<br />

Hemingway, di Steinbeck, di Caldwell, di<br />

Saroyan. Che ve ne sembra dell’America?<br />

chiedeva il titolo di un libro di Saroyan<br />

tradotto da Vittorini. La libertà, la democrazia,<br />

il new deal, la frontiera verso il mondo<br />

nuovo – era la nostra risposta.”<br />

Dunque, anche se in maniera indiretta, lo<br />

stile di questi scrittori-giornalisti ha influenzato<br />

Sciascia, soprattutto nella sua tecnica<br />

26 (30) ORDINE 3 <strong>2005</strong>


Sono gli anni della seconda guerra mondiale,<br />

gli anni del diploma magistrale e del primo<br />

impiego, nel 1941, presso il consorzio agrario<br />

di Racalmuto. In questo stesso anno<br />

Sciascia viene ammesso ai corsi universitari<br />

della facoltà di Magistero a Messina, con un<br />

tema sul teatro dedicato all’opera di Wilder<br />

Piccola Città. “Con l’Università ha chiuso<br />

subito, ai primi deludenti esami. […] rimedia<br />

un 18 in filosofia […] è bocciato in letteratura<br />

italiana […] quando Sciascia sarà in fin di<br />

vita e la facoltà di Lettere delibererà di assegnargli<br />

la laurea ad honorem in Lettere, lui<br />

farà in tempo a dire: “Mi sarebbe piaciuto<br />

averla in Legge” (la laurea honoris causa alla<br />

memoria è stata conferita a Messina l’8<br />

giugno 2000). Nel 1944 si sposa con Maria<br />

Andronico e in questo periodo comincia a<br />

pubblicare articoli politico-letterari sui giornali<br />

Vita Siciliana, Sicilia del Popolo e Unità.<br />

“Sono testi che risentono molto dell’epoca in<br />

cui furono scritti, connotati da un’intensa<br />

aspirazione alla libertà e alla pace universale<br />

e lo stile del giovane Sciascia è ancora<br />

debitore della prosa rondesca”. È il 1946<br />

quando Leonardo Sciascia, spinto da un<br />

sentimento di civile indignazione, invia un<br />

articolo al Politecnico, la rivista diretta da Elio<br />

Vittorini. L’articolo, che non sarà pubblicato<br />

ma che verrà citato nella rubrica della posta,<br />

è un primissimo esempio di come lo scrittore<br />

creda nella forza del giornalismo e della<br />

scrittura, della sua funzione pedagogica e<br />

ORDINE 3 <strong>2005</strong><br />

moralizzatrice; infatti, dalle righe dell’articolo<br />

leggiamo: “Vorrei richiamare di più l’attenzione<br />

su quello che è l’isola: un verminaio di<br />

reazione affannata a raccogliere nomenclatura<br />

nuova che mascheri i vecchi vizi”. Intanto<br />

da Racalmuto Leonardo Sciascia arriverà<br />

a collaborare ad alcune tra le principali riviste<br />

letterarie del tempo (Nuovi Argomenti,<br />

Letteratura, Nuova Corrente, Officina, Il<br />

Ponte, Tempo Presente) con testi creativi o<br />

recensioni e scriverà anche per Il Raccoglitore,<br />

l’inserto culturale del quotidiano La<br />

Gazzetta di Parma, che all’epoca gode di un<br />

certo prestigio.Nel 1949 è tra i fondatori della<br />

rivista Galleria, stampata a Caltanissetta da<br />

un suo omonimo, Salvatore Sciascia, che dal<br />

1950 dirigerà fino alla morte, garantendosi la<br />

collaborazione di prestigiosi scrittori e critici,<br />

da Mario Guidotti a Luigi Russo, a Cesare<br />

Zavattini. Nei decenni successivi la collaborazione<br />

dello scrittore con le riviste letterarie<br />

si dirada, anche se da segnalare è la condirezione<br />

con Moravia ed Enzo Siciliano della<br />

terza serie di Nuovi Argomenti, lasciando<br />

spazio al suo impegno di “cronista” per i<br />

quotidiani.<br />

L’esperienza giornalistica di Sciascia, che<br />

attraversa tutto l’arco della sua vita, per<br />

semplicità d’esame, possiamo suddividerla in<br />

quattro fasi, caratterizzate da quattro diverse<br />

testate, anche se, come vedremo, l’autorevole<br />

firma di Sciascia è richiesta e ospitata da più<br />

giornali contemporaneamente:<br />

1<br />

2<br />

3<br />

4<br />

L’Ora di Palermo, con cui ha iniziato a collaborare nel 1955 e dove ha curato una<br />

rubrica, dal 1964 al 1968, che lui stesso ha scelto di chiamare semplicemente<br />

“Quaderno”; questa esperienza sarà importante per il giovane scrittore che, in una<br />

Sicilia dove la Democrazia Cristiana è partito di maggioranza assoluta, trova in questo<br />

giornale d’opposizione, spazio per esprimere quel suo impegno civile, che poi culmina<br />

nella pubblicazione, nel 1961, del suo libro più famoso, Il giorno della Civetta, libro<br />

da cui “sono nate tutte le antimafie”;<br />

Il Corriere della Sera, dove la sua collaborazione è alterna: dal 1969 al 1972,<br />

quando alla direzione c’è Giovanni Spadolini, e poi, dopo qualche anno, sotto la<br />

direzione di Piero Ottone, che ospita voci e istanze nuove, cambiando ruolo alla<br />

figura del letterato, che dalla pagina tre si sposta in prima pagina; gli anni del<br />

Corriere sono segnati da grandi tensioni sociali e politiche, a cui Sciascia parteci-<br />

pa in prima linea proprio dalle pagine del quotidiano milanese, da cui si allontana<br />

“simbolicamente” il 10 gennaio 1987, giorno della pubblicazione dell’articolo sui<br />

“professionisti dell’antimafia”, che dà inizio ad una delle polemiche più feroci nei<br />

confronti di Sciascia, la cui fiducia nei giornali e nei giornalisti va via via diminuendo;<br />

La Stampa, con cui, nonostante suoi articoli compaiono già dal 1972, collabora in<br />

maniera più intensa dopo aver rotto i ponti con il Corriere della Sera; questo periodo,<br />

che coincide anche con gli ultimi anni della sua vita, vede Sciascia meno polemista,<br />

più propenso a scrivere di letteratura, a parlare di Manzoni, a ricordare la lezione di<br />

libertà lasciata da Brancati, a recensire testi inediti di Savinio…<br />

Malgrado Tutto, che sancisce il ritorno alla dimensione paesana, a quella Racalmuto<br />

che lo stava ancora aspettando e che ne voleva raccogliere l’eredità, attraverso un<br />

piccolo periodico cittadino di commento e cultura, di cui Sciascia segue le sorti fin<br />

dalla nascita e a cui collabora, affidando ai giornali locali il ruolo di opposizione concreta,<br />

in polemica con le testate nazionali di cui denuncia l’uniformità.<br />

Uno scrittore in redazione<br />

di realismo narrativo che appartiene alla sua<br />

scrittura degli esordi, quando lo stesso scrittore<br />

sente il peso <strong>dei</strong> “latinucci” da cui ancora<br />

non riesce a staccarsi.<br />

Ma se “tecnicamente” la vicenda americana<br />

ha avuto un ruolo per la codificazione del<br />

linguaggio giornalistico moderno e per la<br />

sua interpretazione critica sicuramente è<br />

molto lontana dall’esperienza dello scrittore<br />

di Racalmuto, che sul giornalismo e sul<br />

ruolo del giornalista aveva opinioni precise,<br />

che non esitava a puntualizzare ogni qual<br />

volta ne avesse l’occasione. Così, in un articolo<br />

del Corriere della Sera, datato 14 ottobre<br />

1983, leggiamo che “lo scoprire altari ed<br />

altarini dovrebbe essere funzione assidua di<br />

coloro che hanno a che fare con la carta<br />

stampata e con altri mezzi che comunicano<br />

e formano opinione”. Sempre in un articolo<br />

del 1983, pubblicato su l’Espresso il 20<br />

febbraio, Sciascia ribadisce che tra i compiti<br />

del giornalista c’è quello di saper leggere la<br />

realtà, di capirla, di farne giudizio e che<br />

“nell’ambito della carta stampata, di coloro<br />

che vi lavorano, l’ignoranza – anche se c’è –<br />

non è da ammettere, come non è ammessa<br />

di fronte alle leggi”.<br />

RADIO E TV:<br />

MA LA COMUNICAZIONE<br />

PER SCIASCIA<br />

RESTA SCRITTA<br />

Leonardo Sciascia ebbe la capacità, da<br />

grande intellettuale qual era, di utilizzare con<br />

facilità tutti i mezzi di comunicazione, se<br />

questo rispondeva alla necessità di spingere<br />

sempre oltre il suo pensiero, rivolto, quasi<br />

in maniera ossessionante, alla giustizia.<br />

Prendiamo, ad esempio, la sua esperienza<br />

a Radio Radicale e riportiamo una testimonianza<br />

di Valter Vecellio, allora direttore di<br />

Notizie Radicali, che ricorda: “Si era tra il<br />

1980 e il 1981. Le Brigate Rosse avevano<br />

rapito il giudice Giovanni D’Urso; […] Sciascia,<br />

che pure era uno scrittore affermato, le<br />

cui collaborazioni erano contese, in quell’occasione<br />

non trovò nessuno che fosse disposto<br />

a pubblicare i suoi scritti, i suoi appelli<br />

diretti alle Br perché liberassero senza<br />

condizioni D’Urso. E lui, pur così refrattario<br />

a parlare davanti ad un microfono, veniva<br />

alla Radio Radicale. Con quella sua voce un<br />

pò roca, la cadenza lenta, si rivolgeva direttamente<br />

alle Br; in nome del diritto, della<br />

ragione.”<br />

È opportuno, dunque, analizzare il rapporto<br />

che lo scrittore aveva con i mezzi di comunicazione<br />

diversi dalla carta stampata.<br />

Dobbiamo constatare, infatti, che non era<br />

certo un personaggio da talk show televisivo<br />

e le sue apparizioni in tv sono state veramente<br />

poche. Dalle parole della moglie<br />

Maria Andronico, scopriamo addirittura che<br />

in casa Sciascia, in contrada “Noce” a<br />

Racalmuto, non c’era neanche la televisione:<br />

“Leonardo non lo voleva qui. Mentre a<br />

Palermo ne abbiamo uno che tanti anni fa ci<br />

regalò il giornale L’Ora. Leonardo lo accendeva<br />

solo per seguire i telegiornali. Per le<br />

dirette dedicate alle elezioni mostrava però<br />

un grande interesse”.<br />

Per Sciascia il mondo della comunicazione<br />

era a senso unico: non poteva prescindere<br />

dall’informazione, intesa soprattutto come<br />

esperienza scritta. Del suo scetticismo nei<br />

confronti della tv lo stesso Sciascia parla<br />

con la solita ironia: “ Ai primi fasti della televisione,<br />

quando nelle famiglie e nei circoli<br />

tutti – come ora – vi stavano attaccati, ma si<br />

pensava per amore alla novità, ho sentito<br />

questo giudizio di contadina saggezza: “la<br />

televisione è come il porco; niente va perduto”<br />

– e cioè che come ogni parte del porco<br />

viene consumata o utilizzata, così ogni cosa<br />

che la televisione trasmette. E così continua<br />

ad essere; e anche peggio se il cancelliere<br />

Schmidt ha rivolto un discorso ai tedeschi<br />

esortandoli a un digiuno televisivo di almeno<br />

un giorno la settimana. Mai preoccupazione<br />

di un uomo di governo è stata più<br />

giusta. E dico di più: mai un uomo di governo<br />

si è preoccupato del declino d’intelligenza<br />

<strong>dei</strong> governati e dell’aumento del tasso di<br />

stupidità, come lui nei confronti della televisione.<br />

[…] E speriamo almeno che passi<br />

anche questa del digiuno televisivo: tanto<br />

necessario quanto, secondo il Corano, il non<br />

mangiare carne di porco in Arabia.” Da<br />

attento osservatore qual è sempre stato,<br />

con questo scritto di trenta anni fa, Sciascia<br />

si conferma profetico nel proporre un dibattito<br />

che oggi è all’ordine del giorno; del potere<br />

di assuefazione e di livellamento intellettuale<br />

della televisione lo scrittore aveva<br />

addirittura una certa paura, di cui parla a<br />

Davide Lajolo in Conversazione in una stanza<br />

chiusa, un libro-intervista che ripercorre<br />

l’impegno civile e culturale dello scrittore e<br />

dove, tra le tante cose, afferma: “La mia<br />

paura è più della massa davanti ai televisori<br />

che della massa sotto un dittatore. Le tirannie<br />

fanno sì che molti individui si sciolgano<br />

dalla massa, ma i televisori no. E poi c’è la<br />

parola. Massa. Far massa. In elettricità, mi<br />

pare, non è niente di buono.”<br />

Possiamo dedurre che i mezzi di informazione<br />

per Sciascia hanno essenzialmente una<br />

valenza pedagogica, conoscitiva, priva di<br />

intenti ricreativi, che sono invece, ma in<br />

un’accezione positiva, nella scrittura.<br />

Un’idea, quest’ultima, che l’autore siciliano<br />

riprende da Montaigne (“non faccio nulla<br />

senza gioia”), per cui il lavoro letterario equivale<br />

al dilettantismo, al fare le cose per diletto,<br />

con gioia.<br />

“Per quanto amare, dolorose, angoscianti<br />

siano le cose di cui si scrive, - dice Sciascia<br />

- lo scrivere è sempre gioia, sempre “stato<br />

di grazia”. O si è cattivi scrittori.”<br />

1 Leonardo<br />

Sciascia<br />

e L’Ora<br />

“Il L’Ora”, così lo chiamavano i palermitani,<br />

era un quotidiano indipendente della sera.<br />

Fu fondato nell’aprile del 1900 dalla famiglia<br />

Florio, capofila di una nuova borghesia illuminata<br />

ed antiproibizionistica, che in esso<br />

aveva trovato il proprio organo d’informazione.<br />

Aveva poi attraversato il fascismo, facendo<br />

viva opposizione, fino a quando aveva<br />

potuto. La sua stagione di gloria ebbe inizio<br />

nel dopoguerra, quando la Sicilia tornò a<br />

rinascere, con l’autonomia regionale, la riforma<br />

agraria, la tentata industrializzazione.<br />

Giornale dichiaratamente di sinistra, l’editore<br />

era il Partito comunista italiano, L’Ora si fece<br />

interprete di questo spirito di rinnovamento,<br />

scegliendo di schierarsi contro la faccia<br />

negativa di quello stesso rinnovamento: la<br />

nuova mafia, il clientelismo, la nascita di<br />

nuovi potentati economici che basavano le<br />

proprie risorse sulla spesa regionale. Non fu<br />

un’operazione semplice e la testata pagò a<br />

caro prezzo la sua perseveranza nel denunciare<br />

piccoli e grandi scandali di una società<br />

corrotta e di una politica collusa, non soltanto<br />

in termini di querele, che a decine e decine<br />

arrivavano in redazione a seguito delle<br />

coraggiose inchieste che quotidianamente<br />

venivano pubblicate, ma anche in termini di<br />

sacrifici umani: L’Ora è il quotidiano che nella<br />

storia della stampa italiana annovera il più<br />

alto numero di giornalisti uccisi dalla mafia:<br />

Mauro De Mauro, Cosimo Cristina e Giovanni<br />

Spampinato.<br />

Il quotidiano di Palermo ha rappresentato<br />

un’informazione di frontiera, che attraverso<br />

le inchieste, i servizi, l’indagine, si è battuta<br />

contro i poteri occulti, specie quelli mafiosi,<br />

facendo del giornalismo uno strumento di<br />

lotta politica.<br />

La stagione più importante de L’Ora è legata<br />

al nome di Vittorio Nisticò, direttore del quotidiano<br />

palermitano nel ventennio che va dal<br />

1954 al 1975, un giornalista attentissimo e<br />

autorevolissimo, che fece guadagnare alla<br />

testata prestigio nazionale. In questo arco di<br />

tempo sono stati tanti gli avvenimenti politici<br />

e di cronaca puntualmente registrati dal<br />

quotidiano d’opposizione: dal “milazzismo”<br />

(l’operazione politica che estromise la DC dal<br />

governo della Regione) all’uccisione del<br />

procuratore capo Pietro Scaglione, dal<br />

“sacco” edilizio <strong>dei</strong> Lima e <strong>dei</strong> Ciancimino al<br />

sisma del Belice.<br />

Quando nel 1958 uscì la sua prima grande<br />

inchiesta sulla mafia, di questo fenomeno<br />

cruento e inquinatore della politica nessun<br />

media faceva cenno, giungendo pure a<br />

negarne l’esistenza. E scrivere questa parola,<br />

a chiare lettere, sulle pagine del giornale,<br />

provocò la reazione di Cosa Nostra, che<br />

collocò una bomba tra la redazione e la tipografia.<br />

La risposta del quotidiano fu altrettanto<br />

chiara : “La mafia ci minaccia, l’inchiesta<br />

continua”; vennero ripubblicate in un inserto<br />

anche tutte le puntate precedenti. Questo<br />

episodio portò il Presidente della Repubblica<br />

Saragat a dichiarare che “ci voleva questo<br />

attentato per capire che la mafia c’è”, dando<br />

vita alla commissione parlamentare d’inchiesta<br />

sulla mafia, che poi, malgrado i tentativi<br />

di opposizione al disegno di legge istitutivo,<br />

da parte di deputati e senatori della Democrazia<br />

Cristiana, che la reputarono “inutile,<br />

offensiva e incostituzionale”, diventò permanente.<br />

Insomma, L’Ora di Nisticò ha avuto anche<br />

questo merito, quello cioè di portare a conoscenza<br />

dell’intera nazione che la mafia in<br />

Sicilia c’era, ma che c’erano anche siciliani<br />

disposti a combatterla.<br />

Ma L’Ora non fu solo questo: la redazione<br />

palermitana è stata anche un centro di cultura<br />

e di aggregazione intellettuale; basti<br />

pensare non solo a Leonardo Sciascia, ma<br />

anche a Michele Perriera, Gioacchino Lanza<br />

Tomasi, Danilo Dolci, Giuliana Saladino,<br />

Vincenzo Consolo, “scoperti” e apprezzati da<br />

Nisticò prima che diventassero gli autori che<br />

oggi conosciamo, e che arricchivano il giornale<br />

di tutti quei temi leggeri, ma non futili,<br />

che riguardavano il mondo dell’arte e del<br />

costume. Accanto a queste “penne” vi erano<br />

anche i “pennelli” di Renato Guttuso e le<br />

“matite” di Bruno Caruso, che spesso illustravano<br />

i fatti di cronaca più importanti.<br />

L’Ora non esiste più, ma la sua lezione di<br />

giornalismo continua ad essere presente,<br />

attraverso molte “firme” sui più autorevoli<br />

quotidiani nazionali, di giovani cresciuti nel<br />

“laboratorio” giornalistico siciliano, come l’attuale<br />

direttore de La Stampa di Torino,<br />

Marcello Sorgi, che ha scritto di come a<br />

27 (31)


T E S I D I L A U R E A<br />

Leonardo Sciscia (foto di Giacomo Fotogramma)<br />

caratterizzare l’identità del quotidiano era “il<br />

mix di politici, intellettuali, artisti e scrittori<br />

che si affacciavano nel pomeriggio…”.<br />

Dell’ultima generazione di cronisti, formatisi<br />

nella redazione del quotidiano siciliano, ricordiamo<br />

Gianni Riotta, Attilio Bolzoni, Antonio<br />

Calabrò, Alberto Stabile, e Francesco La<br />

Licata, solo per citare alcuni tra quelli più<br />

conosciuti.<br />

Ed è con orgoglio che, ricordando l’esperienza<br />

de L’Ora, La Licata, giornalista esperto di<br />

storia della mafia, incontrato a Roma proprio<br />

in occasione di questa mia ricerca, mi dice<br />

come l’appartenenza a quel giornale “non<br />

era questione di essere militanti; negli anni<br />

‘70 essere contro la mafia era un dovere”. E<br />

l’adesione al partito comunista, voleva dire<br />

schierarsi contro il potere, soprattutto contro<br />

il potere mafioso.<br />

Erano gli anni in cui la Democrazia Cristiana<br />

spadroneggiava e dove a Palermo “la parola<br />

d’ordine nei confronti del giornale d’opposizione<br />

era ostracismo”, come ricorda il cronista<br />

- poeta Mario Farinella. “Fu in quell’atmosfera<br />

e a dispetto di quell’atmosfera che<br />

Leonardo Sciascia cominciò a scrivere per<br />

L’Ora. Era l’inizio di una collaborazione che<br />

doveva durare per più di trent’anni, sino a<br />

qualche ora prima della morte”.<br />

Sulle pagine del quotidiano del 3 aprile 1965,<br />

a chi gli chiedeva il perché di una così<br />

convinta consuetudine con L’Ora, Sciascia<br />

rispondeva scrivendo: “L’Ora sarà magari un<br />

giornale comunista, ma è certo che mi dà<br />

modo d’esprimere quello che penso con una<br />

libertà che difficilmente troverei in altri giornali<br />

italiani. In quanto al mio essere di sinistra,<br />

indubbiamente lo sono: e senza sfumature”.<br />

A proporre allo scrittore una collaborazione<br />

regolare fu, all’inizio del 1955, l’allora neodirettore<br />

Vittorio Nisticò su indicazione di Gino<br />

Cortese, l’intellettuale comunista nisseno,<br />

che tanto aveva saputo influire sul giovane<br />

Sciascia nella sua presa di coscienza antifascista.<br />

Brancati era appena morto e sarà lo<br />

scrittore racalmutese a prendere il suo posto,<br />

scrivendo di tutto, note critiche, ma anche<br />

riflessioni culturali, politiche, inchieste e<br />

reportage.<br />

Riguardo alla data del primo articolo pubblicato<br />

da Sciascia esistono delle fonti discordanti<br />

tra loro, tranne che per l’anno di pubblicazione<br />

che resta il 1955. Così Matteo Collura,<br />

nel Maestro di Regalpetra, riferisce quella<br />

del 23 febbraio, dove Sciascia dedica una<br />

nota letteraria al poeta dialettale catanese<br />

del Settecento, Domenico Tempio; mentre<br />

nella raccolta “Quaderno” di Leonardo Sciascia,<br />

pubblicata dalla Nuova Editrice Meridionale<br />

nella collana “Dalle pagine de L’Ora”,<br />

l’Editore riferisce dello stesso articolo, ma<br />

con la data del 25 febbraio. C’è poi la testimonianza<br />

di Vittorio Nisticò che sposta la<br />

data al 24 marzo: si tratta ancora di una nota<br />

letteraria, ma su un libro di Vittorio Fiore, Ero<br />

nato sui mari del tonno.<br />

Di certo, dunque, il 1955 segna l’inizio della<br />

carriera giornalistica di Sciascia, ancora<br />

praticamente sconosciuto (solo un anno<br />

dopo avrebbe pubblicato Le Parrocchie di<br />

Regalpetra) e segna anche l’inizio di un<br />

amichevole rapporto tra lo scrittore e il direttore<br />

del quotidiano siciliano.<br />

Vittorio Nisticò in un libro recentemente<br />

pubblicato da Sellerio, dove ripercorre i suoi<br />

venti anni di direttore al L’Ora di Palermo,<br />

ricorda così la nascita di questo duraturo e<br />

proficuo rapporto: “Per conoscerlo e concordare<br />

la collaborazione ero andato a trovarlo<br />

in una sua casetta di campagna nei pressi di<br />

Racalmuto, in compagnia di un comune<br />

amico, Gino Cortese, deputato comunista al<br />

parlamento siciliano”. La presenza di Sciascia<br />

in redazione era sempre molto discreta<br />

e rispecchiava la personalità sobria e riservata<br />

dello scrittore, che pareva “quasi timoroso<br />

di infastidire”. Scrive ancora Nisticò:<br />

“Sciascia era per tutti noi – da me al cronista<br />

più giovane – uno di casa: sempre pronto ad<br />

intervenire anche nella cronaca diretta o nel<br />

fuoco delle polemiche, con le sue riflessioni<br />

stringenti e in più di un caso le sue ire, e<br />

sempre con un rispetto puntiglioso della<br />

puntualità. Insomma facendo alto giornalismo.<br />

E questo me lo rendeva, ce lo rendeva<br />

particolarmente vicino”. Sarà per il giornale<br />

palermitano che lo scrittore, a poche ore<br />

dalla morte, dettò quello che può considerarsi<br />

la sua ultima riflessione pubblica, ovvero<br />

la prefazione, richiestagli da tempo, per il<br />

volumetto di scritti di Borgese apparso poi<br />

nella collana “Dalle pagine dell’Ora”.<br />

IL “QUADERNO”<br />

DI SCIASCIA<br />

Sciascia era ancora un intellettuale in crescita,<br />

quando entra a far parte della redazione<br />

de L’Ora. Sebbene le sue doti indiscusse di<br />

scrittore fossero già evidenti e certe scelte<br />

ideologiche già ben chiare, il giornale palermitano<br />

fu una palestra dove far “pratica” e<br />

“imparare a scrivere”, utilizzando un linguaggio<br />

sempre più giornalistico, più diretto, esercitando<br />

la sintesi, esplorando le tecniche di<br />

realizzazione di un’inchiesta, osservando i<br />

criteri necessari a fare indagine.<br />

Dall’ottobre del 1964 al novembre del 1968<br />

Sciascia tenne una rubrica, che volle chiamare<br />

Quaderno: quattro interventi al mese,<br />

che, come nel suo stile, sono spunti di<br />

conversazione, di polemiche, che gli vengono<br />

suggeriti dagli eventi politici, sociali, ma<br />

anche dai fatti di cronaca.<br />

“Il nome quaderno – scrive Vincenzo Consolo<br />

nella prefazione alla raccolta di questi<br />

scritti – al di là della versione francese<br />

“cahier” che in tanti altri sensi lo fa risuonare,<br />

vogliamo credere alluda al pirandelliano<br />

Quaderni di Serafino Gubbio operatore. Ma<br />

quaderno anche nel senso di diario, di lettere<br />

al direttore, come quelle che dal suo<br />

volontario esilio inviava Brancati alla rivista<br />

Omnibus”.<br />

Il contenuto di questi interventi è vario, ma<br />

comune a tutti è la sottile ironia, mediata<br />

attraverso la citazione letteraria o storica.<br />

Così notiamo che, quando Sciascia tratta<br />

argomenti letterari sembra di leggere tra le<br />

righe un ammonimento, un richiamo alla<br />

realtà; quando commenta fatti di cronaca lo<br />

fa alla luce della “verità” letteraria.<br />

Leonardo Sciascia, uno<br />

2Il Corriere della Sera:<br />

una stagione<br />

di polemiche<br />

È il 1969 quando Sciascia inizia a collaborare<br />

con il Corriere della Sera.<br />

La sua fama di scrittore continua a crescere:<br />

dopo il successo de Il giorno della civetta,<br />

pubblicato nel 1961, esplora nuove strade<br />

dando alle stampe nel 1963 un romanzo<br />

storico, Il Consiglio d’Egitto, e nel 1964 un’inchiesta<br />

storica, fondata su documenti d’archivio,<br />

Morte dell’inquisitore. Nel 1966 Sciascia<br />

pubblica un’altra storia di mafia, un altro<br />

fortunato romanzo poliziesco, A ciascuno il<br />

suo, ispirato all’omicidio del commissario di<br />

Pubblica Sicurezza agrigentino Cataldo<br />

Tandoj (1960).<br />

Questi sono gli anni in cui dalla dimensione<br />

“siciliana” Sciascia approda a quella nazionale<br />

ed europea; rifiuta pubblicamente e<br />

polemicamente l’etichetta di “mafiologo”,<br />

allargando la sua riflessione alla realtà dell’Italia<br />

intera, alle sue tragiche contraddizioni.<br />

Nel 1970, a quarantanove anni, Sciascia<br />

abbandona la scuola e va in pensione, dedicandosi<br />

quindi a tempo pieno all’attività letteraria<br />

e giornalistica. Intanto già un anno<br />

prima Giovanni Spadolini, nominato direttore<br />

del Corriere della Sera, lo chiama tra i suoi<br />

collaboratori e, ci fa sapere Matteo Collura,<br />

“lui è orgoglioso di vedere la sua firma sul<br />

giornale che aveva ospitato quelle di Borgese,<br />

Brancati, di Pirandello”. Per il Corriere,<br />

dalla cui redazione viene accolto con gli<br />

onori riservati ai grandi personaggi della<br />

cultura, scrive elzeviri di grande interesse,<br />

alcuni <strong>dei</strong> quali faranno parte de “La Corda<br />

Pazza”, una raccolta di ventotto studi scritti<br />

tra il 1963 e il 1970 dedicati a scrittori e cose<br />

della Sicilia. Questo titolo è anche il titolo del<br />

primo intervento di Sciascia pubblicato sul<br />

Corriere della Sera il 4 febbraio 1969 e dedicato<br />

al barone Pietro Pisani, un uomo<br />

“saggio al punto da riconoscersi folle, e<br />

abbastanza folle da ritenersi tra i folli il più<br />

saggio”, che dedica la sua esistenza a<br />

rendere più umana l’istituzione manicomiale<br />

della ottocentesca Real Casa <strong>dei</strong> Matti di<br />

Palermo, e la cui concezione della vita “molto<br />

si avvicina a precorrere quella di Pirandello”,<br />

come scrive lo stesso Sciascia, che aggiunge:<br />

“In due battute pirandelliane si può infatti<br />

riassumere la visione della vita, e il modo di<br />

vivere e di operare, del barone Pisani: ‘Deve<br />

sapere che abbiamo tutti come tre corde<br />

d’orologio in testa. La seria, la civile, la<br />

pazza’; ‘E via, sì, sono pazzo! Ma allora,<br />

perdio, inginocchiatevi! Vi ordino di inginocchiarvi<br />

tutti davanti a me – così! E toccate tre<br />

volte la terra con la fronte! Giù! Tutti, davanti<br />

ai pazzi, si deve stare così!’. La prima è del<br />

Berretto a sonagli, cioè di una commedia<br />

precisamente localizzata e che assume e<br />

scioglie il tema della “follia” nella tipicità della<br />

vita siciliana, delle sue regole; la seconda<br />

dell’Enrico IV, in cui il tema trascorre dal caso<br />

clinico all’esistenza stessa”. Ancora una<br />

testimonianza del rapporto con Pirandello e<br />

con quel “pirandellismo di natura”, a cui Sciascia<br />

all’inizio della sua carriera cercava di<br />

ribellarsi, come un adolescente si ribella al<br />

padre.<br />

Spadolini fu per tre anni direttore di Sciascia<br />

fino al 1972, quando divenuto senatore nel<br />

Partito Repubblicano Italiano venne allontanato<br />

dal giornale per volontà degli editori. Per<br />

dimostrare la lealtà dello scrittore nei suoi<br />

confronti, Spadolini dirà che “Sciascia, con<br />

un’interpretazione di fedeltà ombrosa e rigorosa<br />

che era assolutamente di altri tempi,<br />

lasciò via Solferino dopo la mia rottura col<br />

quotidiano milanese e passò alla Stampa”.<br />

In effetti Sciascia interrompe per qualche<br />

anno la sua collaborazione non “per fedeltà”,<br />

ma in segno di protesta per il modo in cui gli<br />

editori lo avevano liquidato; “lo scrittore considerava<br />

Spadolini una sorta di “bigotto laico” -<br />

scrive Matteo Collura - e il perché stava<br />

proprio nel suo rapporto di collaborazione<br />

con la testata da lui diretta. Ogni qual volta lo<br />

scrittore faceva avere un suo articolo al<br />

Corriere, Spadolini gli inviava un telegramma<br />

per ringraziarlo. Un rituale che si era interrotto<br />

allorchè Sciascia aveva mandato un articolo<br />

dedicato ad un oscuro episodio avvenuto<br />

nella Sicilia del XVIII secolo: una macchia<br />

nella storia, irta di inquietanti analogie con la<br />

realtà politica e istituzionale di quei giorni. Lo<br />

scritto si concludeva con un’amara riflessione<br />

rivolta al presente, in cui lo Stato veniva definito<br />

“cadavere”. Una rosa per Matteo Lo<br />

Vecchio s’intitolava quel racconto, che avrebbe<br />

costituito uno <strong>dei</strong> capitoletti della “Corda<br />

Pazza”: giaceva il “cadavere dello Stato”, alla<br />

fine dell’articolo, accanto a quello di uno sbirro,<br />

Matteo Lo Vecchio, emblematicamente<br />

assassinato in nome di uno stato già decomposto.<br />

L’allusione a Spadolini non era piaciuta;<br />

e ne era rimasta come un’ombra nei suoi<br />

rapporti con Sciascia, che pure con tanta<br />

sollecitudine aveva invitato a collaborare con<br />

il Corriere della Sera”.<br />

DA OTTONE<br />

ALLA P2<br />

La collaborazione di Sciascia con il Corriere<br />

subisce fasi alterne: si interrompe, come<br />

abbiamo riportato, la prima volta nel 1972,<br />

quando la firma dello scrittore si sposta su<br />

La Stampa di Torino. Lungo gli anni settanta<br />

e ottanta, poi, alternerà fasi di collaborazione<br />

esclusiva a uno <strong>dei</strong> due giornali a fasi in<br />

cui distribuisce i suoi articoli fra l’uno e l’altro<br />

quotidiano. E il passare da una testata giornalistica<br />

ad un’altra, da un editore ad un<br />

altro, danno idea del carattere di Sciascia<br />

che, evidentemente, sceglieva in assoluta<br />

libertà, e non per ragioni economiche, di<br />

pubblicare con un editore piuttosto che con<br />

un altro.<br />

Nuovo direttore del Corriere è dal 1972 Piero<br />

Ottone, che in un certo senso apporta una<br />

rivoluzione nel quotidiano milanese, all’insegna<br />

di un giornalismo liberale, senza conformismi<br />

e pregiudizi. Il nuovo corso procura<br />

nuovi lettori di tendenze progressiste e<br />

influenza altri quotidiani, come La Stampa e<br />

Il Messaggero. Una novità fu senza dubbio il<br />

nuovo ruolo degli intellettuali e scrittori che<br />

dalla terza pagina passarono alla prima,<br />

allargando il loro campo d’azione dagli<br />

aspetti meramente culturali, alle vicende politiche<br />

e sociali del Paese. In questi anni Sciascia<br />

cura la rubrica “Nero su Nero”, che<br />

successivamente diventerà un libro, costituito<br />

da pagine uscite sui giornali fra il 1969 e il<br />

1979.<br />

Nel luglio del 1974 Andrea Rizzoli acquista<br />

il Corriere. Rizzoli si presenta come un<br />

editore puro, moderno e aperto. Nel contempo<br />

però intesse buoni rapporti con i partiti<br />

che contano. Il problema vero, comunque, è<br />

il bisogno di soldi. Decisiva per il catastrofico<br />

futuro del gruppo è la scelta dell’espansione<br />

editoriale. La scelta si concretizza nel<br />

potenziamento del Corriere, nell’acquisizione<br />

di testate, nei tentativi di inserirsi nel<br />

campo televisivo. L’impero è basato sui deficit<br />

e sugli intrecci politici. Nel 1977 avviene<br />

un’opera di ricapitalizzazione. Chi ha fornito<br />

i soldi? Ottone si dimette nell’ottobre del<br />

1977. Nuovo direttore è Franco Di Bella: la<br />

sua scelta appare il segno della definitiva<br />

chiusura di un ciclo liberale. Il 20 maggio<br />

1981 il Presidente del Consiglio, Forlani,<br />

rende pubblico l’elenco degli iscritti alla P2<br />

trovato nell’archivio di Licio Gelli. Nell’elenco<br />

compaiono 28 giornalisti e 4 editori, tra cui<br />

Rizzoli. Di Bella deve lasciare il giornale,<br />

Rizzoli vuole vendere, ma la guerra che si<br />

scatena tra i vari partiti blocca diverse trattative.<br />

Per il salvataggio bisogna ricorrere<br />

all’amministrazione controllata nell’ottobre<br />

1982, che dura due anni.<br />

Questo avvenimento segna l’inizio, in Sciascia,<br />

di una più profonda sfiducia nei giornali,<br />

dal momento che anche lui, come milioni<br />

di Italiani, era rimasto colpito dalla consapevolezza<br />

di avere scritto liberamente su un<br />

28 (32) ORDINE 3 <strong>2005</strong>


scrittore in redazione<br />

giornale controllato da una loggia massonica<br />

segreta, un quotidiano su cui aveva<br />

anche potuto sostenere le sue idee sul caso<br />

Moro, in dissenso dalla linea ufficiale del<br />

giornale, che era quella della cosiddetta<br />

“fermezza”.<br />

Sciascia abbandona, dunque, il Corriere, così<br />

come altri illustri collaboratori; tornerà a scrivere<br />

solo quando il giornale, in amministrazione<br />

controllata, sarà affidato alla direzione di<br />

Alberto Cavallari, già inviato speciale.<br />

“Quello di Sciascia fu un ritorno giustamente<br />

enfatizzato dal giornale e che coincise significativamente<br />

con la pubblicazione dell’articolo<br />

sulle Anime morte e sul rileggere. Ma<br />

questo tarlo dovette continuare a roderlo, se<br />

Sciascia si pronunciò su questa vicenda solo<br />

in un’inchiesta di Nuovi Argomenti, per invitare<br />

a considerare la scoperta della P2 come<br />

un problema “prima che morale e politico, di<br />

diritto”, distinguendo le responsabilità di Gelli<br />

e <strong>dei</strong> vertici politici dell’operazione da quelle<br />

<strong>dei</strong> comuni iscritti che credevano di essere<br />

semplici massoni”.<br />

NERO SU NERO:<br />

UN VIAGGIO<br />

TRA I NERI PENSIERI<br />

DI SCIASCIA<br />

Sciascia, pur affidando alle pagine <strong>dei</strong> quotidiani<br />

i suoi interventi, comincia a raccogliere<br />

in volume gli articoli che ritiene più meritevoli<br />

di essere “salvati” dalla effimera durata<br />

del giornale e della rivista e di essere<br />

conservati in un libro. Dopo la pubblicazione<br />

de La Corda Pazza, in cui risalta la dimensione<br />

saggistica di Sciascia, è la volta di<br />

Nero su Nero, pubblicato da Einaudi; un<br />

libro costituito da pagine uscite sui giornali<br />

fra il 1969 e il 1979, il cui titolo si rifà alla<br />

rubrica - diario che Sciascia ha tenuto sul<br />

Corriere e che, successivamente, è diventato<br />

fondamentale per gli studiosi dello scrittore.<br />

Infatti, da questo “diario in pubblico” che<br />

continua con accenti più pessimistici la<br />

rubrica “Quaderno”, è possibile conoscere<br />

ciò che Sciascia pensa dello scrivere, della<br />

letteratura, <strong>dei</strong> giornali, ma anche della<br />

realtà pubblica che lo circonda: l’Italia come<br />

“paese senza verità” (come lui stesso lo ha<br />

definito in una intervista rilasciata nel 1979<br />

sul giornale Contro del 10 novembre) dal<br />

caso del bandito Giuliano al sequestro di<br />

Aldo Moro, che occupa gli ultimi interventi e<br />

che verrà coraggiosamente affrontato nel<br />

libro L’Affaire Moro.<br />

Il titolo, alludendo alla “nera scrittura sulla<br />

nera pagina della realtà”, fa riferimento al<br />

pessimismo che in Sciascia, in questo<br />

decennio, è sempre più evidente e di cui<br />

spesso viene pubblicamente accusato; un<br />

pessimismo che investe anche il mondo del<br />

giornalismo, che Sciascia conosce ormai<br />

molto da vicino. In effetti, se il caso Moro<br />

aveva reso più amare le riflessioni dello<br />

scrittore sulla libertà di stampa, era già<br />

maturata nell’intellettuale la sfiducia nei<br />

giornali, che risulta evidente alla lettura di<br />

un articolo dedicato proprio a questo argomento:<br />

“La lettura <strong>dei</strong> giornali mi dà neri<br />

pensieri. Neri pensieri sui giornali appunto,<br />

sul giornalismo. I giornali mi si parano<br />

davanti come un sipario. Più esattamente<br />

come un velario, poiché qualcosa di quel<br />

che si muove dietro, degli oggetti che ci<br />

stanno, della scena che si prepara, la<br />

lasciano intravedere. Solo che ci vuole un<br />

occhio abituato, un occhio allenato. Non<br />

acuto, chè non basta. Esperiente. Di un’esperienza<br />

che non tutti hanno. C’è poi,<br />

impressionante l’uniformità. Qualche differenza<br />

nel riferire i fatti si può cogliere. Ma<br />

raramente nel giudizio sui fatti. Parlo, naturalmente<br />

<strong>dei</strong> giornali più diffusi. Tra i piccoli<br />

e meno diffusi, la valutazione <strong>dei</strong> fatti muta<br />

da giornale a giornale. Dovremmo abituarci<br />

a leggere i piccoli e meno diffusi e a trascurare<br />

quelli dalle alte tirature? Una indefinita<br />

paura sembra attanagliare i giornali. La<br />

paura di avere una linea, di assumere i fatti<br />

in un giudizio preciso. È come la paura di<br />

fare il giuoco di qualcuno o di qualcosa, di<br />

mettere in discussione quel che è pericoloso<br />

discutere, in pericolo quel po’ di sicurezza<br />

cui ci si vuole aggrappare. E in realtà il<br />

maggior pericolo sta appunto in questo:<br />

nell’aver paura di un pericolo.” Il giudizio su<br />

come viene gestita l’informazione in Italia si<br />

farà ancora più severo, come vedremo,<br />

negli ultimi interventi dello scrittore.<br />

ORDINE 3 <strong>2005</strong><br />

“L’AMMIRAGLIA<br />

DELLE POLEMICHE”:<br />

SCIASCIA<br />

E “I PROFESSIONISTI<br />

DELL’ANTIMAFIA”<br />

È sabato 10 gennaio del 1987 quando sulla<br />

terza pagina del Corriere della Sera viene<br />

pubblicato un articolo, a firma di Sciascia,<br />

destinato a suscitare una delle polemiche<br />

“più appassionate e dolorose del dopoguerra,<br />

l’ammiraglia delle polemiche”, il cui titolo<br />

a sei colonne ha segnato un capitolo nella<br />

storia della lotta alla mafia. Un titolo caustico:<br />

“I professionisti dell’antimafia” che da<br />

quel momento in poi si affiancherà, a torto o<br />

a ragione, al nome di Leonardo Sciascia. In<br />

questo articolo lo scrittore commenta un<br />

saggio sulla mafia nel ventennio fascista,<br />

“pubblicato da un editore di Soveria Mannelli,<br />

in provincia di Catanzaro: Rubbettino”,<br />

scritto da un giovane ricercatore dell’Università<br />

di Oxford, Christopher Duggan, allievo<br />

dello storico Denis Mack Smith, di cui nella<br />

stessa pagina viene riportata l’introduzione<br />

al volume chiamato appunto La mafia durante<br />

il fascismo. A creare il titolo, che diventa<br />

un vero e proprio slogan, non è Sciascia, ma<br />

il redattore culturale del Corriere della Sera<br />

Cesare Medail.<br />

Lo stile provocatorio dell’articolo è subito<br />

chiaro fin dalle prime righe, in cui, come<br />

peraltro raramente accade, Sciascia fa delle<br />

“autocitazioni, da servire a coloro che hanno<br />

corta memoria o/e lunga malafede e che<br />

appartengono prevalentemente a quella<br />

specie (molto diffusa in Italia) di persone<br />

dedite all’eroismo che non costa nulla e che<br />

i milanesi, dopo le cinque giornate, denominarono<br />

‘eroi della sesta’”. Sembra quasi che<br />

già sapesse Sciascia quale terremoto avrebbe<br />

scatenato con quello che stava per dire e<br />

che, avvertiva i lettori, non poteva essere<br />

inteso se non alla luce di quanto già lui stesso<br />

aveva dichiarato sui suoi libri, a partire da<br />

Il giorno della civetta, in cui il capitano Bellodi,<br />

antesignano di tutti gli eroi antimafia, dal<br />

generale Carlo Alberto Dalla Chiesa a<br />

Giovanni Falcone, è già un martire che a<br />

voce alta grida il suo amore per la Sicilia, una<br />

terra su cui “si romperà la testa”. Un investigatore<br />

modernissimo, che indaga sui flussi<br />

finanziari, sulle banche, sulla gestione degli<br />

appalti; un uomo coraggioso che “per tradizione<br />

repubblicano, e per convinzione, faceva<br />

quello che in antico si diceva il mestiere<br />

delle armi, e in un corpo di polizia, con la<br />

fede di un uomo che ha partecipato a una<br />

rivoluzione e dalla rivoluzione ha visto sorgere<br />

la legge: e questa legge che assicurava<br />

libertà e giustizia, la legge della Repubblica,<br />

serviva e faceva rispettare”. Ancora una volta<br />

in Sciascia la letteratura si fa pagina di giornale<br />

e il giornalismo diventa letteratura dal<br />

momento che essa è ormai la più assoluta<br />

forma che la verità possa assumere.<br />

Sciascia in questo articolo è più che mai un<br />

“eretico”, un miscredente della sua stessa<br />

fede, un intransigente nemico <strong>dei</strong> luoghi<br />

comuni e del manierismo, anche nel caso<br />

della lotta alla mafia. Non basta essere mafiosi<br />

o antimafiosi, troppo semplice per Sciascia<br />

che al bianco e al nero preferisce sempre i<br />

colori intermedi, le sfumature che hanno<br />

bisogno di interpretazione, che suggeriscono<br />

e non danno conferme o omologazioni. E ci<br />

vuole coraggio a scrivere che esiste il rischio<br />

di parlare troppo di mafia, di esibirsi in atteggiamenti<br />

antimafiosi, quando l’ammonimento<br />

arriva da un “esperto”, da un “guru” diremmo<br />

oggi, da un fautore della lotta all’omertà che<br />

nell’interpretare i fatti di Cosa Nostra è stato<br />

sempre chiamato in causa. Ma la libertà di<br />

pensiero e il candore della coscienza si fanno<br />

inchiostro e parole, e squarciano la pigrizia<br />

mentale per stimolarne il ragionamento, la<br />

ricerca, il dubbio. Sciascia, da buon maestro<br />

elementare, accompagna i suoi alunni – lettori<br />

alla deduzione, che spesso, come in questo<br />

articolo, diventa paradosso. E i passaggi<br />

sono semplici, lineari e partono dai dati di<br />

cronaca, dalla storia di cui bisogna far tesoro:<br />

in questo caso dalla repressione del prefetto<br />

Cesare Mori, un personaggio che Sciascia<br />

ritrova anche nei suoi ricordi di ragazzo, un<br />

fascista che, pur di ottenere l’ordine necessario,<br />

scendeva a patti con i “campieri”, “le guardie<br />

del feudo”, gli uomini che erano “prima<br />

insostituibili mediatori tra la proprietà fondiaria<br />

e la mafia e, al momento della repressione<br />

di Mori, insostituibile elemento a consenti-<br />

BIBLIOGRAFIA<br />

• “A futura memoria” giornale dell’Associazione Amici di Leonardo Sciascia n° 5 marzo<br />

2000 “Ricordi del tempo presente: la memoria di Sciascia” a cura di Francesco Izzo<br />

• “Il Corriere della Sera”, annali 1969 – 1997<br />

• “L’indipendente”, 1993<br />

• “La Repubblica”, annali 1969 – 1997<br />

• “La Stampa”, annali 1972 – 1989<br />

• “Malgradotutto”, periodico cittadino di commento e cultura, 1989 – 2002<br />

• Ambroise C., Leonardo Sciascia, Opere 1956-1971, Classici Bompiani 2000<br />

• Ambroise C., Leonardo Sciascia, Opere 1971-1983, Classici Bompiani 2001<br />

• Ambroise C., Leonardo Sciascia, Opere 1984-1989, Classici Bompiani 2002<br />

• Amoroso G., Narrativa Italiana 1984-1988, Mursia Milano 1989<br />

• Collura M., Alfabeto Eretico, Longanesi, 2002<br />

• Collura M., Il maestro di Reagalpetra, Longanesi & C, terza edizione dicembre 1996<br />

• Guarrera C., Lo stile della voce, Sicania, Messina 1996<br />

• Lajolo D., Conversazione in una stanza chiusa, Sperling & Kupfer, Milano 1981<br />

• Lorenzini L., La “ragione” di un intellettuale libero. Leonardo Sciascia; Rubbettino<br />

Editore, febbraio 1992<br />

• Nisticò V., Accadeva in Sicilia: gli anni ruggenti de “L’Ora” di Palermo, Sellerio Editore,<br />

2001<br />

• Onofri M., Sciascia, Einaudi 2002<br />

• Onofri M., Storia di Sciascia, Laterza, Roma-Bari 1994<br />

• Papuzzi A., Letteratura e giornalismo, Editori Laterza, gennaio 1998<br />

• Savatteri G. e Bianconi G., L’attentatuni, storie di sbirri e di mafiosi, Baldini & Castoldi,<br />

1998<br />

• Savatteri G. e Grasso T., Ladri di vita, storie di strozzini e disperati, Baldini & Castoldi,<br />

1996<br />

• Savatteri G., La congiura <strong>dei</strong> loquaci, Sellerio editore, Palermo, ott 2000<br />

• Sciascia L., Le Parrocchie di Regalpetra, Adelphi, 2000<br />

• Sciascia L., A futura memoria, Bompiani IIIedizione 2000<br />

• Sciascia L., Il giorno della civetta, edizione speciale per il Corriere della Sera, RCS<br />

editori 2002, prefazione di Francesco Merlo<br />

• Sciascia L., La corda pazza, Adelphi, Milano 1991<br />

• Sciascia L., Leonardo Sciascia e Malgrado tutto, scritti di Leonardo Sciascia sul giornale<br />

del suo paese, introduzione di Gesualdo Bufalino, editoriale “Malgradotutto”,<br />

Racalmuto 1991<br />

• Sciascia L., Nero su nero, Biblioteca Adelphi, Azzate 1991<br />

• Sciascia L., Quaderno, introduzione di Mario Farinella, Nuova Editrice Meridionale<br />

• Sciascia L., Il giorno della civetta, Einaudi Nuovi Coralli 19 a ristampa,1988<br />

• Traina G., Leonardo Sciascia, Bruno Mondadori, 1999.<br />

re l’efficienza e l’efficacia del patto”. E appare<br />

chiaro come il pensiero di Sciascia si ribelli<br />

all’idea di giustificare l’uso della violenza per<br />

contrastare altra violenza, l’uso di una mafia<br />

per contrastarne un’altra, e il suo ragionamento<br />

è logico: “l’innegabile successo delle<br />

sue operazioni repressive […] nascondeva<br />

anche il giuoco di una fazione fascista<br />

conservatrice e di vasto richiamo contro altra<br />

che approssimativamente si può dire<br />

progressista e più debole. Sicché se ne può<br />

concludere che l’antimafia è stata allora strumento<br />

di una fazione, internamente al fascismo,<br />

per il raggiungimento di un potere<br />

incontrastato e incontrastabile. E incontrastabile<br />

non perché assiomaticamente incontrastabile<br />

era il regime – o non solo: ma, perché<br />

talmente innegabile appariva la restituzione<br />

all’ordine pubblico che il dissenso, per qualsiasi<br />

ragione e sotto qualsiasi forma, poteva<br />

essere facilmente etichettato come “mafioso””.<br />

Fin qui c’è poco da scandalizzarsi, ma<br />

qualcuno sarà sobbalzato sulla sedia alla<br />

lettura del periodo che segue, in cui senza<br />

mezzi termini viene spiegata la morale della<br />

favola: “l’antimafia come strumento di potere.<br />

Che può benissimo accadere anche in un<br />

sistema democratico, retorica aiutando e<br />

spirito critico mancando.” Lapidario Sciascia;<br />

e in queste righe c’è già la provocazione dello<br />

scrittore, che sta per fare un esempio a sostegno<br />

della sua tesi: se stesso. È lui che non<br />

conforma il suo pensare al comune pensare,<br />

è lui che in nome del diritto al dissenso<br />

sceglie la via più difficile e più soggetta alla<br />

cattiva interpretazione, denunciando l’esistenza<br />

di “avvisaglie” di come era sempre più<br />

difficile andare contro chiunque si dichiarasse<br />

antimafioso: il rischio era quello di essere<br />

considerato mafioso. Ed è proprio ciò che<br />

avviene a Sciascia dopo aver scritto di come<br />

“un sindaco che per sentimento o per calcolo<br />

cominci ad esibirsi – in interviste televisive e<br />

scolastiche, in convegni, conferenze e cortei<br />

– come antimafioso: anche se dedicherà tutto<br />

il suo tempo a queste esibizioni e non ne<br />

troverà mai per occuparsi <strong>dei</strong> problemi del<br />

paese o della città che amministra (che sono<br />

tanti, in ogni paese, in ogni città: dall’acqua<br />

che manca all’immondizia che abbonda), si<br />

può considerare in una botte di ferro. Magari<br />

qualcuno, molto timidamente, oserà rimproverargli<br />

lo scarso impegno amministrativo: e<br />

dal di fuori. Ma dal di dentro, nel consiglio<br />

comunale e nel suo partito, chi mai oserà<br />

promuovere un voto di sfiducia, un’azione<br />

che lo metta in minoranza e ne provochi la<br />

sostituzione? Può darsi che alla fine, qualcuno<br />

ci sia: ma correndo il rischio di essere<br />

marchiato come mafioso, e con lui tutti quelli<br />

che lo seguiranno.” Ancora più “scandaloso” il<br />

suo esempio su come “ nulla vale di più, in<br />

Sicilia, per far carriera nella magistratura, del<br />

prender parte a processi di stampo mafioso”,<br />

in cui Sciascia fa il nome di Paolo Borsellino<br />

e riflette sulla sua nomina a Procuratore della<br />

Repubblica a Marsala, nonostante ci fossero<br />

candidati più anziani. È chiaro che è difficile<br />

leggere queste righe alla luce di quanto<br />

successe al giudice, ucciso dalla mafia nella<br />

strage di via d’Amelio nel 1992, a pochi giorni<br />

dall’altro terribile assassinio del giudice<br />

Falcone; ma questo articolo si deve leggere<br />

senza quella “malafede”, di cui lo stesso Sciascia<br />

aveva non tanto timore, quanto una<br />

rassegnata consapevolezza. Nei giorni<br />

seguenti la pubblicazione del “pezzo”, su tutti<br />

i quotidiani si leggono titoli che riferiscono<br />

della polemica scoppiata frattanto tra lo scrittore<br />

e il coordinamento antimafia, “una polemica<br />

contro i suoi stessi figli, contro i rampolli<br />

del Giorno della civetta e del capitano Bellodi<br />

appunto: Sciascia contro gli sciasciani, la<br />

voce contro la sua eco, l’originale contro la<br />

copia”.<br />

È sulle pagine <strong>dei</strong> giornali che si affrontano<br />

“a colpi di penna” l’ “eretico” ed i suoi “inquisitori”,<br />

stimolando un dibattito nazionale che<br />

poi trascenderà il contenuto dell’articolo per<br />

focalizzare l’opinione sullo scrittore, che<br />

verrà addirittura “collocato ai margini della<br />

società civile” e definito “quaquaraquà”, che,<br />

nella scala <strong>dei</strong> valori elencata da don Mariano<br />

Arena, nel Giorno della civetta, è il più<br />

infimo degli uomini. Eppure, lo stesso Sciascia<br />

aveva dichiarato che sulla mafia e sul<br />

modo di combatterla la pensava esattamente<br />

come “allora”, cioè come quando aveva<br />

scritto Il giorno della civetta e A ciascuno il<br />

suo. Ed è datata 16 gennaio 1987 “l’apertura”<br />

in prima pagina dal titolo “Perché siamo<br />

con Sciascia”, dove l’intera redazione del<br />

Corriere della Sera si schiera “contro i chierici<br />

dell’intolleranza” e dove tra le altre cose si<br />

legge: «Di fatto, si rimprovera a Sciascia di<br />

aver adempiuto alla sua funzione di uomo di<br />

cultura, cioè di aver rimesso in discussione i<br />

luoghi comuni, la retorica, che nascono,<br />

all’interno della collettività civile, anche in<br />

rapporto a iniziative rispettabilissime. E la<br />

tecnica usata è quella di sempre: l’equiparazione<br />

dell’anticonformista al “nemico”. È una<br />

vecchia storia che si ripete. […] Non ci<br />

sorprende, dunque, che ci sia chi scrive di<br />

non “riconoscerlo più” perché, in realtà, non<br />

lo ha mai conosciuto. Sciascia è di un’altra<br />

pasta rispetto ai suoi detrattori, ai chierici del<br />

“pensiero totalizzante”. Per questo noi lo<br />

amiamo oggi come lo abbiamo amato ieri.<br />

Per essere chiari: lo Sciascia del Giorno<br />

della civetta, di Todo Modo, e quello dell’articolo<br />

sull’antimafia.» Lo scontro verbale tra gli<br />

schieramenti pro e contro l’articolo, e i<br />

pesanti giudizi sul presunto disimpegno nella<br />

lotta alla mafia lasceranno sempre una certa<br />

amarezza nello scrittore, che tuttavia non<br />

manca di commentare con quel distacco che<br />

la sua pungente ironia gli consente.<br />

Quando lo scrittore è ancora in vita (ricordiamo<br />

che morirà il 20 novembre 1989) avrà<br />

modo di chiarire le sue ragioni con il procuratore<br />

di Marsala, e sarà lo stesso Borsellino<br />

a parlare in difesa dello scrittore anche dopo<br />

la sua scomparsa.<br />

29 (33)


T E S I D I L A U R E A<br />

3La stampa e la sfiducia<br />

nei giornali: gli ultimi<br />

anni di Sciascia<br />

Gli articoli di Leonardo Sciascia appaiono<br />

sulle pagine de La Stampa già negli anni ‘70,<br />

ed è datato 7 aprile 1972 il primo articolo<br />

apparso sulle pagine del quotidiano di Torino<br />

dal titolo “Il sistema al guinzaglio”. I suoi interventi<br />

vengono pubblicati sempre in terza<br />

pagina e le riflessioni letterarie sugli amati<br />

Pirandello, Petrarca, Stendhal si alternano<br />

alle ironiche osservazioni sulla politica e la<br />

società, che trovano posto nella rubrica<br />

“Taccuino”. Nel 1975 si registra la pubblicazione<br />

a puntate del “Giallo filosofico” di Ettore<br />

Majorana, dal 31 agosto al 7 settembre, a<br />

cui seguirà un articolo dedicato al Premio<br />

Nobel Eugenio Montale, pubblicato il 25 ottobre,<br />

per tornare a parlare di Majorana con un<br />

articolo del 24 dicembre, con cui Sciascia<br />

conclude la polemica sullo scienziato scomparso.<br />

Dal 1972 al 1978 compaiono su La<br />

Stampa quarantotto articoli in tutto per una<br />

collaborazione, che va via via facendosi<br />

sempre meno intensa: ad esempio nel 1976<br />

si registra un solo intervento.<br />

I rapporti con La Stampa riprendono nel<br />

1988, dopo cioè che Sciascia, reduce da una<br />

stagione di polemiche iniziate con il sequestro<br />

di Aldo Moro e culminate con i violenti<br />

attacchi seguiti all’articolo sull’antimafia, si<br />

rende conto di come il Corriere, che prima si<br />

era schierato pubblicamente a suo favore,<br />

adesso, con il nuovo direttore Ugo Stille,<br />

continua a pubblicare i suoi articoli solo<br />

perché giornalisticamente fanno comodo.<br />

Il 12 gennaio 1988 viene assassinato dalla<br />

mafia l’ex sindaco di Palermo Giuseppe<br />

Insalaco, ucciso da due sicari su una moto<br />

nel centro di Palermo. Insalaco, che si era<br />

dimesso dopo aver denunciato le pressioni<br />

di un “comitato di affari” interessato ai grandi<br />

appalti del Comune, è stato uno di quei<br />

democristiani che, cercando di sottrarsi al<br />

condizionamento mafioso, ha pagato prima<br />

con la solitudine politica e poi con la morte, il<br />

suo coraggio. “Si era pirandellianamente<br />

calato nel piacere dell’onestà”, dirà Sciascia.<br />

Questo omicidio, che ripropone una maggiore<br />

attenzione verso la politica siciliana e<br />

impone una riflessione sul fronte della lotta<br />

alla mafia, riporta sulle pagine <strong>dei</strong> giornali il<br />

nome di Leonardo Sciascia, di cui si cerca<br />

un parere, un’interpretazione <strong>dei</strong> fatti. A Sciascia,<br />

che in quegli anni comincia a soffrire<br />

per la malattia che poi lo condurrà alla morte,<br />

non piace essere considerato “un esperto” e<br />

si concede poco ai giornali, ancora amareggiato<br />

per le ultime vicende con il Corriere<br />

della Sera. Il 15 gennaio rilascia un intervista<br />

al TG1, di cui i quotidiani riportano la notizia.<br />

In questo periodo comincia a collaborare con<br />

La Stampa di Torino Francesco La Licata,<br />

allora giovane giornalista formatosi sulle<br />

pagine de L’Ora di Palermo, che dal capoluogo<br />

siciliano segue l’inchiesta sull’omicidio<br />

Insalaco e che propone al direttore di realizzare<br />

un’intervista a Leonardo Sciascia. È lui<br />

stesso a raccontarmi i retroscena di quell’intervista,<br />

che segnerà l’inizio di un nuovo<br />

rapporto con il quotidiano di Torino.<br />

“Quando la proposi all’allora direttore Scardocchia,<br />

lui ne fu entusiasta, intravedendo la<br />

possibilità di portare Sciascia alla Stampa”–<br />

dice La Licata – “ Io sapevo quanto Sciascia<br />

fosse deluso dai giornalisti, a cui non risparmiava<br />

ironia accusandoli di superficialità, e<br />

per evitare equivoci, inviai per fax le domande<br />

a cui lui rispose scrivendo a macchina, e<br />

aggiungendo qualche correzione a penna.<br />

Anche il titolo è suo…”<br />

Così nasce l’intervista, pubblicata martedì 2<br />

febbraio 1988, dal titolo sciasciano “I polli di<br />

Renzo nel pugno mafioso”: ancora una volta<br />

una metafora manzoniana per rispondere<br />

alla domanda di La Licata sull’insorgere di<br />

un “patriottismo siculo”, di cui il giornalista<br />

parla sottolineando che “i siciliani si offendono<br />

con Forattini, gli studenti se la prendono<br />

con Sciascia, Nicolosi denuncia che la la<br />

mafia è anche a Milano, in Borsa”. Così<br />

risponde Sciascia: “Succede un po’ come ai<br />

polli di Renzo, nei Promessi Sposi. Persone<br />

che di fatto stanno nella stessa barca – o<br />

stretti nello stesso pugno, per stare nell’immagine<br />

manzoniana – provano un certo<br />

gusto a beccarsi reciprocamente. Io questo<br />

gusto non lo sento per nulla. In quanto all’antisicilianismo,<br />

e al conseguente risvegliarsi<br />

del patriottismo siculo, credo che l’uno e l’altro,<br />

insieme, rappresentino una grande<br />

remora”.<br />

Questa intervista è l’ultima ad apparire su un<br />

quotidiano ed è importante anche per cogliere<br />

lo stato d’animo dell’ “ultimo” Sciascia, un<br />

uomo “condannato” a tormentarsi di continuo<br />

per l’ingiustizia che vede intorno, a soffrire<br />

per la morte violenta di tanti suoi conoscenti,<br />

funzionari di polizia, giornalisti, magistrati,<br />

politici; un uomo, che continua a ribadire,<br />

ogni qualvolta gli è possibile, che non ha<br />

mutato giudizio sulla mafia, sulla necessità<br />

di combatterla e di darsi delle regole.<br />

L’intervista ebbe anche il merito di servire da<br />

occasione per “avvicinare” Sciascia al giornale.<br />

Ciò che successe alcuni giorni dopo la<br />

pubblicazione dell’intervista e che prelude a<br />

quella che sarà l’ultima attività giornalistica<br />

di Sciascia.<br />

Di questi “ultimi articoli” ricordiamo, nel<br />

marzo 1989, la polemica con lo storico<br />

Luciano Canfora, a proposito dell’autenticità<br />

di una lettera di Ruggero Grieco a Gramsci,<br />

ma anche le recensioni di libri, di amici<br />

(come Consolo, Bufalino, Lidia Storoni) o di<br />

scrittori più giovani che sente affini (come<br />

Giampaolo Rugarli, autore di La Troga).<br />

E su La Stampa del 6 agosto 1988, Sciascia<br />

risponde ad un attacco di Scalfari, che lo<br />

aveva accusato di essere responsabile di un<br />

calo di tensione nella lotta alla mafia. Lo<br />

scrittore risponde con spietata e divertente<br />

ironia, facendo del direttore di Repubblica un<br />

nuovo Casanova in visita da Voltaire. Il titolo<br />

dell’articolo è “Tradimenti e fedeltà” e si<br />

conclude con questa frase: “Non ho, lo riconosco,<br />

il dono dell’opportunità e della<br />

prudenza, ma si è come si è.”<br />

IL “GRANDE<br />

GIORNALISTA”:<br />

ULTIMO “SBERLEFFO”<br />

DI SCIASCIA<br />

AI “PROFESSIONISTI”<br />

DELL’ INFORMAZIONE<br />

“Rampante e schiumante come un purosangue<br />

capitato in una stalla di brocchi”: così<br />

appare il Grande Giornalista, un ridicolo<br />

personaggio nato dalla mente di Sciascia per<br />

arricchire quella serie di profili umani, che<br />

compongono quello che è stato definito “il<br />

capolavoro testamentario” dello scrittore di<br />

Racalmuto: Il cavaliere e la morte.<br />

Quest’opera è una sotie, che Sciascia scrive,<br />

carta e penna in mano, durante un<br />

soggiorno in Friuli, e che poi riscrive al suo<br />

rientro in Sicilia, riducendola e sfoltendola di<br />

molte pagine. In questo giallo sono presenti<br />

tutti i temi cari a Sciascia, che in questa fase<br />

della sua esistenza sente l’avvicinarsi della<br />

morte e cerca di farla diventare un’esperienza<br />

narrabile. Innanzitutto c’è la figura del<br />

Vice, al centro del racconto: quasi un alter<br />

ego dello scrittore, “una figura di funzionario<br />

un po’ arreso, malato, posto in uno stato di<br />

subordinazione di fronte al Capo, di cui l’umbratile<br />

personaggio non condivide le abitudini<br />

poliziesche, i metodi bruschi e sbrigativi.<br />

Entrambi tuttavia hanno menti simili, ‘adusate<br />

alla diffidenza, al sospetto, all’armar trappole<br />

di parole o a coglierne qualcuna che<br />

poteva diventar trappola’”. Il Vice è anche un<br />

disobbediente, che non segue gli ordini<br />

imposti dal potere e continua ad indagare<br />

sull’omicidio dell’influente avvocato Sandoz,<br />

individuandone subito il colpevole nel poten-<br />

Leonardo Sciascia, uno<br />

tissimo industriale Aurispa, nonostante i<br />

depistaggi del Commissario Capo che indaga<br />

solo sui terroristi, i famigerati “figli dell’ottantanove”.<br />

A rendere credibile l’esistenza <strong>dei</strong> “figli<br />

dell’ottantanove” concorrono senza dubbio i<br />

giornalisti, che in questo racconto vengono<br />

rappresentati come cronisti frenetici e dagli<br />

sguardi avidi, “aggrumati” nel corridoio della<br />

Questura, che non si muovono per sapere la<br />

verità, ma aspettano che qualcuno gli dia “la<br />

notizia”, la verità che il potere ha scelto di<br />

diffondere. Anche questo verbo “aggrumati”<br />

dà l’idea del disprezzo di Sciascia nei<br />

confronti della categoria, evocando l’immagine<br />

del sangue che si rapprende in grumi, di<br />

qualcosa che è “malato”, che è raffermo. E<br />

poi ancora usa il termine “turba”, quasi a<br />

suggerire gli ignavi danteschi, privi di ideali,<br />

all’inseguimento perenne di una bandiera. E<br />

per essere ancora più impietoso crea anche<br />

il Grande Giornalista, una vera e propria caricatura,<br />

attraverso cui è esplicitata la disillusione<br />

dell’autore nella possibilità di trovare<br />

verità nelle pagine <strong>dei</strong> giornali, anche quando<br />

questa verità esiste nella mente del giornalista.<br />

Infatti è solo questione di prezzo, dal<br />

momento che anche essere un grande giornalista<br />

voleva semplicemente dire che “dai<br />

suoi articoli, cui settimanalmente i moralisti<br />

di nessuna morale si abbeveravano, gli era<br />

venuta fama di duro, di implacabile; fama che<br />

molto serviva ad alzarne il prezzo, per chi si<br />

trovava nella necessità di comprare disattenzioni<br />

e silenzi”.<br />

A mettere a nudo il Grande Giornalista, ad<br />

umiliarlo tanto da farlo diventare “rosso di<br />

collera” è la “candida” verità del Vice, che già<br />

all’inizio del libro e delle indagini ha la chiave<br />

per interpretare i fatti, quando chiede al<br />

Capo se “i figli dell’ottantanove sono stati<br />

creati per uccidere Sandoz o Sandoz è stato<br />

ucciso per creare i figli dell’ottantanove”. Il<br />

Grande Giornalista resta disorientato dalle<br />

dichiarazioni ricevute “per amore di verità”<br />

dal Vice, che, assunto ormai il ruolo di<br />

“provocatore”, aggiunge con amara ironia:<br />

“Domani, comunque, spero di poter leggere<br />

un suo articolo con tutti i sospetti e i dubbi<br />

che io, per opinione personale, le ho confermato”.<br />

Altrettanto amara, per il lettore, la<br />

risposta del Grande Giornalista: “Lei sa bene<br />

che non lo scriverò”.<br />

Ma è nelle ultime battute di questo dialogo<br />

che emerge, forte, la presenza di Sciascia:<br />

non credo ci sia ironia, quando fa dire al Vice<br />

di avere ancora “tanta fiducia nel genere<br />

umano”. Mi sembra di risentire le parole<br />

dette dallo scrittore a proposito della redimibilità<br />

della Sicilia e <strong>dei</strong> siciliani, della speranza<br />

che le cose possano cambiare. E la fede<br />

nella scrittura, nel suo essere scrittore, né è<br />

la prova. Le ultime parole del Vice al Grande<br />

Giornalista, che gli rivolge “l’accusa” di “essere<br />

sulla stessa barca”, rappresentano uno<br />

<strong>dei</strong> tanti momenti in cui al personaggio si<br />

sovrappone l’immagine di Sciascia stesso:<br />

“Non lo creda: sono già sbarcato su un’isola<br />

deserta”. Lo scrittore è consapevole di aver<br />

fatto una scelta di solitudine, lo ha sperimentato<br />

più volte nella sua vita: l’intellettuale è<br />

sempre un uomo “solo”.<br />

Dunque, la fiducia nel ruolo della stampa,<br />

che ha caratterizzato l’inizio dell’attività di<br />

Sciascia, tramonta abbastanza presto, già<br />

all’epoca del sequestro di Aldo Moro fino a<br />

scomparire del tutto alla fine della sua vita,<br />

quando ebbe parole severissime nei<br />

confronti <strong>dei</strong> giornali quotidiani, su cui pure<br />

continuava a scrivere. Una testimonianza<br />

sono, appunto, i suoi due ultimi lavori, in cui i<br />

protagonisti confrontano la loro verità con<br />

quella <strong>dei</strong> giornali e si sentono come impotenti,<br />

vittime di un potere capace di manovrare<br />

l’informazione.<br />

A FUTURA MEMORIA<br />

Sciascia sentiva l’avvicinarsi della morte e su<br />

questo tema numerosi sono stati i critici e i<br />

biografi, che hanno evidenziato come lo scrittore<br />

se da un lato aveva voglia di combattere,<br />

di non cedere alla malattia, dall’altro aveva<br />

rifiutato la “medicalizzazione”, accorgendosi<br />

che era un’inutile illusione. La morte divenne il<br />

suo unico pensiero, il pensiero: e i suoi due<br />

ultimi racconti lo testimoniano. In Il cavaliere e<br />

la morte, Sciascia, come ha scritto Ambroise,<br />

“è un inquisitore della morte”, la affronta<br />

cercando di trasformarla in un’esperienza<br />

letteraria. In Una storia semplice, scritta nel<br />

1989, nell’ultima estate della sua vita, affida al<br />

prof. Franzò una battuta, un’ultima riflessione<br />

sulla morte ormai incombente: “ad un certo<br />

punto della vita non è la speranza l’ultima a<br />

morire, ma il morire è l’ultima speranza”.<br />

“L’appressamento della morte comporta<br />

anche una riscoperta memoriale della propria<br />

generazione, degli anni della formazione”<br />

come suggerisce Traina: e in questo senso si<br />

colloca la pubblicazione di Fatti diversi di<br />

storia letteraria e civile, che raccoglie i testi<br />

sull’arte, la letteratura, le figure storiche e i<br />

luoghi più cari allo scrittore. Così i due versanti<br />

della pubblicistica sciasciana si dividono<br />

nettamente e i testi di polemica civile e politica,<br />

compresi quelli su mafia e antimafia,<br />

vengono raccolti e pubblicati in A futura<br />

memoria (se la memoria ha un futuro), un<br />

libro nato dalla consapevolezza dello scrittore<br />

di quanto necessario sia ricordare, dal<br />

momento che al potere la mancanza di<br />

memoria fa sempre comodo.<br />

È lo stesso Sciascia, nella introduzione, a<br />

presentare il libro: “Questo libro raccoglie quel<br />

che negli ultimi dieci anni io ho scritto su certi<br />

delitti, certa amministrazione della giustizia e<br />

sulla mafia. Spero venga letto con serenità.”<br />

La raccolta si apre con un ricordo del magistrato<br />

Cesare Terranova, ucciso dalla mafia, e<br />

si chiude con un ricordo del generale Renato<br />

Candida, ucciso da un male incurabile, un<br />

anno prima che lo stesso Sciascia morisse.<br />

Ci sono anche gli articoli scritti in difesa di<br />

Enzo Tortora, vittima dell’impunibile superficialità<br />

<strong>dei</strong> giudici e di un uso disinvolto del<br />

“pentitismo”; una lunga analisi del suicidio del<br />

banchiere Calvi, in cui Sciascia esclude il<br />

coinvolgimento della mafia; gli articoli sul maxi<br />

processo, le polemiche con Nando Dalla<br />

Chiesa a proposito degli errori commessi dal<br />

generale Dalla Chiesa, la difesa di Adriano<br />

Sofri dall’accusa di essere il mandante dell’omicidio<br />

Calabresi.<br />

Questo libro non solo documenta le ultime<br />

battaglie civili e politiche di Sciascia, ma testimonia<br />

il gusto della provocazione, che nello<br />

scrittore non è mai mancato, fino a quel fatidico<br />

20 novembre 1989, anzi, anche dopo, se<br />

pensiamo all’epigrafe che ha chiesto si scrivesse<br />

sulla sua tomba: “Ce ne ricorderemo di<br />

questo pianeta”.<br />

A futura memoria è importante per diversi<br />

motivi: intanto la scelta dello scrittore di eternare<br />

l’articolo di un giornale dandogli dignità<br />

letteraria, non soltanto a favore di interventi<br />

prettamente letterari, ma soprattutto, in<br />

questo caso, di articoli che hanno toccato il<br />

cuore delle vicende politiche e sociali dell’Italia<br />

degli ultimi quindici anni; è in questo ultimo<br />

libro, che Sciascia, avendo scelto uno ad<br />

uno gli articoli da inserire, compie da letterato<br />

una scelta anche di “stile”: tutti gli articoli<br />

parlano di giustizia o di ingiustizia, e, se si<br />

pensa che per Sciascia “la letteratura è la più<br />

assoluta forma che la verità possa assumere”,<br />

penso che pubblicando questi articoli,<br />

rendendoli un libro, un luogo deposto alla<br />

letteratura, abbia voluto legittimare la verità<br />

di quelle pagine.<br />

E a proposito della sua interpretazione di giornalismo,<br />

qua e là vi sono spunti di riflessione,<br />

a partire dalla citazione di Bernanos “preferisco<br />

perdere <strong>dei</strong> lettori, piuttosto che ingannarli”,<br />

che Sciascia utilizza come chiave di lettura<br />

degli articoli raccolti, ribadendo ancora una<br />

volta che è necessario dire la verità anche<br />

quando è scomoda (“sono stanco di essere<br />

frainteso, di essere accusato di “alleanze<br />

oggettive” con questi o con quelli”, si legge in<br />

un articolo su Il Globo del 24 luglio 1982).<br />

Nelle pagine di A futura memoria è facile<br />

scoprire che lo scrittore di Racalmuto aveva<br />

un’ idea ben chiara di giornalismo, ormai in<br />

aperta polemica con i “tanti che scrivono libri<br />

o articoli che non sono in grado di leggere la<br />

realtà, di capirla, di farne giudizio”, e puntualizzando<br />

che “nell’ambito della carta stampata,<br />

di coloro che vi lavorano, l’ignoranza –<br />

anche se c’è – non è da ammettere, come<br />

non è ammessa di fronte alle leggi”.<br />

Ed ancora scrive: “lo scoprire altari e altarini<br />

dovrebbe essere funzione assidua di coloro<br />

che hanno a che fare con la carta stampata e<br />

con altri mezzi che comunicano e fanno<br />

opinione”.<br />

C’è poi un articolo del 16 febbraio 1986,<br />

pubblicato sul Corriere della Sera, in cui Sciascia<br />

osserva da fuori il lavoro <strong>dei</strong> cronisti<br />

durante il maxi processo, ironizzando sul fatto<br />

che “ci vorrà almeno un mese perché entri nel<br />

vivo e ancora molti mesi perché l’istruttoria si<br />

svolga nel dibattimento. Intanto, gli inviati <strong>dei</strong><br />

giornali non sanno che fare per animare i loro<br />

resoconti, per colorirli, per dargli quella vivacità<br />

che i lettori si aspettano”.<br />

30 (34) ORDINE 3 <strong>2005</strong>


scrittore in redazione<br />

In definitiva, i giornali appaiono a Sciascia<br />

come lo specchio del trasformismo, della<br />

sottomissione al potere politico, dell’opportunismo:<br />

ma, lui confida ancora nella<br />

memoria e nella possibilità che anche attraverso<br />

la realtà locale si possa realizzare<br />

quella libertà di stampa che lui vede assente<br />

già dai tempi del caso Moro. E questa<br />

speranza si concretizza nell’ultima fase<br />

della sua vita, quando nel piccolo paese di<br />

Racalmuto, a cui sempre è rimasto legato e<br />

della cui vita è stato sempre partecipe,<br />

nasce un giornalino, il cui nome Malgradotutto<br />

sarà definito dallo stesso Sciascia “il<br />

più bel titolo che si sia mai stato trovato per<br />

un giornale”.<br />

“Era contento, Leonardo - scrive Gesualdo<br />

Bufalino - perché quel titolo di giornale,<br />

seppure non suggerito da lui, da lui, dalla<br />

sua opera tutta, era in ogni caso ispirato.<br />

Nel senso che, contro le insufficienze degli<br />

uomini e la cecità della storia, riproponeva<br />

un imperativo di lotta, rifiutava il disinteresse<br />

e la resa. In termini di ideologia, è quello<br />

che si suol chiamare “l’ottimismo della<br />

volontà” in contrapposizione a quel “pessimismo<br />

della ragione”, cui quotidianamente<br />

le prime pagine <strong>dei</strong> giornali ci invitano.”<br />

Nel suo amato paesino, quel “cuore” della<br />

Sicilia che Sciascia ha cantato, un gruppo<br />

di ragazzi raccoglie l’eredità “giornalistica”<br />

dello scrittore, che non perse mai di vista il<br />

mondo <strong>dei</strong> giovani, a cui si concedeva più<br />

volentieri che ai critici o ai giornalisti affermati<br />

: basti pensare ai tanti incontri che<br />

ebbe con gli studenti e nelle scuole, nel<br />

corso della sua vita, soprattutto per parlare<br />

di mafia, di legalità, di giustizia, forse nella<br />

speranza che le future generazioni non<br />

facessero gli errori delle precedenti. Questi<br />

“ragazzi” sono Carmelo Arrostuto, Giancarlo<br />

Macaluso, Gaetano e Gigi Restivo, e<br />

Gaetano Savatteri.<br />

A raccontarmi della nascita di Malgradotutto<br />

è Gaetano Savatteri, oggi affermato giornalista<br />

e scrittore. A Roma, in una piccola<br />

trattoria, un buon bicchiere di vino e il pesce<br />

spada affumicato evocano i sapori della<br />

Sicilia, ed è facile ricordare l’entusiasmo, la<br />

sua adolescenza a Racalmuto, così fortemente<br />

segnata dalla presenza di Sciascia.<br />

“Racalmuto è un paese con poco più di<br />

diecimila abitanti, la cui ricchezza è tramontanta<br />

con il tramonto delle zolfare e delle<br />

saline, su cui si reggeva l’economia. Noi<br />

ragazzi sapevamo di Sciascia, leggevamo i<br />

suoi libri, lo incrociavamo per strada… ed<br />

era impressionante per noi ritrovare sulle<br />

sue pagine la vita di ogni giorno…”<br />

Gli chiedo come mai questo titolo, così<br />

“sciasciano”… “malgradotutto” perché non<br />

ci credevamo nemmeno noi, mentre ne<br />

parlavamo sul treno che ci portava ogni<br />

giorno da Racalmuto ad Agrigento, dove<br />

sbrigavamo i nostri latinucci quotidiani…<br />

avevamo sedici anni… che ne sapevamo<br />

noi di giornali e giornalismo?!” - sorride<br />

Gaetano Savatteri, ripensando forse a<br />

quell’ingenua spavalderia di chi ha poca<br />

età, quella stessa presunzione che però ti<br />

fa uscire dalla noia e ti da la forza di<br />

sognare.<br />

Dunque, è la primavera del 1980 quando<br />

l’idea del giornale prende corpo…<br />

“In effetti, non sapevamo esattamente da<br />

dove cominciare, ma sapevamo che “ci<br />

voleva un giornale”, e lo mettemmo assieme<br />

raccogliendo poche idee, scopiazzando<br />

i temi che si dibattevano sui quotidiani,<br />

rivolgendoci ai fratelli maggiori e ai cugini<br />

più grandi per trovare qualche firma più<br />

autorevole di noi. Poi, attraverso la mediazione<br />

di un genitore, riuscimmo a chiedere<br />

un “pezzo” a quell’uomo silenzioso e riservato,<br />

che avevamo visto qualche volta in<br />

piazza, che tutti chiamavano Nanà o “u<br />

prufessuri”. Sapevamo chi era, avevamo<br />

letto i suoi libri e chissà quanto ne avevamo<br />

capito allora…”<br />

ORDINE 3 <strong>2005</strong><br />

Leonardo Sciscia (foto di Giacomo Fotogramma).<br />

4Sciascia e i ragazzi<br />

di Malgradotutto<br />

Così chiedete a Sciascia di scrivere un articolo<br />

tutto per voi…<br />

“Più che un articolo, eravamo tanto<br />

abituati alle cose di scuola che gli “assegnammo”<br />

un tema: “L’uomo del sud”. Sciascia<br />

si mise a scrivere a mano, buttò giù<br />

una cartellina che Giancarlo Macaluso<br />

dovrebbe pure avere conservato da qualche<br />

parte. Ci spiegò che l’uomo del sud<br />

non esiste. Ci sentimmo mortificati, forse<br />

l’avevamo irritato con quella richiesta così<br />

tassativa. E in risposta ne avevamo avuto<br />

la demolizione. Ma ormai era fatta. Quello<br />

era l’ultimo articolo per passare alle stampe.”<br />

È nella Chiesa del Carmelo con l’aiuto di<br />

padre Martorana che il ciclostile lavora<br />

senza sosta per permettere ai ragazzi di<br />

Malgradotutto di raggiungere la “tiratura”<br />

di duecento copie, da vendere durante la<br />

festa della Madonna del Monte, quando<br />

la gente è in piazza. È il mese di luglio del<br />

1980 e Racalmuto ha il suo “giornale”…<br />

“Noi ci sentivamo davvero il centro del<br />

mondo…Trovammo anche un direttore ed<br />

un amico in Egidio Terrana, più grande di<br />

noi, che è tuttora il responsabile della<br />

pubblicazione del giornale. Un giornale che<br />

nasceva dalle nostre chiacchiere, dalle<br />

chiacchiere di un paese, dall’amore e dal<br />

fuoco della discussione.”<br />

Malgradotutto assieme a quella di Sciascia,<br />

ha ospitato le firme di Bufalino, Consolo,<br />

Collura, Di Grado…<br />

“E ciascuno di noi ne ha portate altre, di<br />

amici e colleghi che per una volta emigrano<br />

dalle loro testate regionali e nazionali per<br />

scrivere su un piccolo giornale di provincia.”<br />

Un piccolo giornale di provincia, che pure<br />

rappresenta la coscienza critica della comunità<br />

di Racalmuto. Un giornale, che ha<br />

vissuto con il paese la lacerazione degli<br />

affetti e delle vite quando la mafia a ripreso<br />

a sparare…<br />

“ Venti morti ammazzati in due anni, una<br />

ferita ancora aperta nelle carni di Racalmuto.<br />

Malgradotutto ha dovuto raccontare<br />

anche questo. E ha continuato a dire che<br />

contro la mafia, anche ora che tutto sembra<br />

tornato nel silenzio, bisogna tenere gli occhi<br />

aperti.”<br />

SCIASCIA E IL RUOLO<br />

DEI GIORNALI LOCALI:<br />

OPPOSIZIONE<br />

CONCRETA<br />

La capacità di indignarsi e di guardare con<br />

attenzione alla giustizia: sono questi i “lasciti”<br />

di uno scrittore come Sciascia, che da<br />

giornalista si è posto diverse questioni<br />

etiche, affidando infine ai giornali locali il<br />

ruolo di “opposizione concreta”.<br />

E alle pagine di Malgradotutto Sciascia<br />

consegna le sue ultime riflessioni sul giornalismo,<br />

su ciò che è, su ciò che vorrebbe<br />

fosse. Un articolo, che raccoglie tutta l’esperienza<br />

nel campo della carta stampata, non<br />

solo da cronista, ma anche da lettore e in<br />

qualche occasione da protagonista.<br />

Riporto integralmente il contenuto dell’articolo,<br />

sottolineando come una lettura attenta<br />

del brano permette di cogliere alcuni<br />

aspetti della personalità dell’autore, la cui<br />

sensibilità all’ingiustizia e alla mancanza di<br />

verità si è formata proprio in un periodo in<br />

cui era assente la libertà di stampa.<br />

Anche questo articolo, così come tutti gli<br />

scritti di Sciascia, siano essi libri o saggi o<br />

interventi giornalistici, è un unicum dove si<br />

ritrovano i principali elementi dell’opera<br />

sciasciana: l’ironia, amara e pungente, la<br />

storia, memoria e chiave per interpretare il<br />

progredire del pensiero umano, la letteratura,<br />

verità e ragione, l’etica, la funzione<br />

educatrice e moralizzatrice della scrittura e<br />

del giornalismo.<br />

Ecco il contenuto dell’articolo:<br />

“Posso cominciare con un aneddoto che è piuttosto significativo: uno <strong>dei</strong> più intelligenti,<br />

colti ed onesti giornalisti italiani, che si è trovato a dirigere uno <strong>dei</strong> più grandi giornali<br />

(Mario Missiroli - Corriere della Sera, ndr) di questo paese, quando ci incontravamo<br />

proprio nel tempo in cui dirigeva questo giornale, facendo delle considerazioni sulla situazione<br />

italiana o su situazioni particolari di questo paese, a conclusione delle sue considerazioni<br />

mi diceva sempre: “Ci vorrebbe un giornale”. Questo vuol dire che il giornale<br />

che lui dirigeva non corrispondeva ai suoi intenti e non consentiva di dire quello che lui<br />

voleva dire. A me - scrive Sciascia - questo pare molto significativo e credo che lo si<br />

possa ripetere considerando la stampa nazionale: ci vorrebbe un giornale. Perché in<br />

Italia col caso Moro in effetti la libertà di stampa è venuta a mancare : questa è una terribile<br />

e grave verità. Col caso Moro la stampa italiana si è uniformata; è un po’ diventata<br />

come ai tempi di quello che è chiamato il “Minculpop”, per dire Ministero della Cultura<br />

Popolare del tempo fascista quando si diramavano le veline e ogni giornale era tenuto a<br />

rispettare quell’ordine. Le veline non ci sono state credo nemmeno durante il caso Moro;<br />

però la stampa italiana ha acquistato una uniformità, un conformismo che ancora oggi<br />

continua: prima uno che voleva farsi un’idea di una cosa acquistando tre o quattro giornali<br />

poteva farsela; oggi basta acquistarne uno; per non farsi l’idea, non per farsela.”<br />

A rafforzare questa sua idea di uniformità della stampa Sciascia chiama in causa uno<br />

scrittore da lui tanto amato, Borgese, suggerendo di leggere un libro (consiglio che dava<br />

spessissimo a chiunque gli chiedesse suggerimenti di qualsivoglia natura):<br />

“Voglio ricordare anche, per chi non lo conosce, che c’è un libro sul fascismo scritto da<br />

un grande intellettuale italiano, Giuseppe Antonio Borgese, in cui tra l’altro è raccontata<br />

come finì la libertà di stampa in Italia: non c’è stata nessuna legge che la facesse finire.<br />

È finita automaticamente, per conformazione e conformismo. Questa è una considerazione<br />

preliminare : in Italia ci vuole un Giornale.”<br />

Se fin qui Sciascia è il “pessimista della<br />

ragione”, nelle parole successive si intravede<br />

un certo ottimismo, sulla funzione appunto,<br />

della stampa locale, a cui non manca di<br />

dare suggerimenti:<br />

“Per fortuna contemporaneamente a questa<br />

carenza sono nate iniziative locali, che però<br />

non possono sostituire la mancanza di una<br />

grande stampa nazionale libera, non conformista,<br />

capace di passare al vaglio critico<br />

tutto. Non la possono sostituire, però è già<br />

qualcosa. L’importante – sottolinea Sciascia<br />

– è che ogni giornale di questo tipo resti un<br />

giornale locale; che non dia fondo ai problemi<br />

del mondo e della nazione, ma che osservi<br />

criticamente e onestamente la realtà locale.<br />

Che poi da ciò, tirando le somme, si può<br />

anche estrarre una verità di più ampio respiro.”<br />

Anche in queste righe, scritte soprattutto ai<br />

“ragazzi di Malgradotutto” che a lui si rivolgevano<br />

per avere consigli e pareri, Sciascia<br />

rimane fedele alla sua visione delle cose: la<br />

conoscenza del microcosmo di Racalmuto<br />

ha infatti permesso allo scrittore la conoscenza<br />

del macrocosmo siciliano e nazionale,<br />

facendo divenire la piccola realtà locale<br />

una metafora della vita. Questo articolo<br />

continua facendo riferimento al giornalismo<br />

americano, alla figura dell’inviato in guerra,<br />

che evidentemente ha suscitato interesse in<br />

Sciascia fin da ragazzo, risolvendosi in una<br />

idea “romantica” di giornalismo:<br />

“Io ho citato spesso come esempio di giornalismo<br />

quello che, tra l’altro, racconta un<br />

grande giornalista americano del New York<br />

Times, Herbert Mathews, un uomo che si è<br />

trovato sempre dalla parte giusta. […]<br />

Mathews, che ha scritto una specie di<br />

manuale attraverso il racconto della sua<br />

esperienza, ha scritto un manuale del giornalismo,<br />

se così si può dire. E racconta un<br />

episodio molto significativo per dire che cosa<br />

è il giornalismo. Lui che si è trovato sempre<br />

dalla parte giusta – continua Sciascia – si<br />

trovò anche dalla parte della Repubblica<br />

Spagnola: perché i giornali americani avevano<br />

inviati che stavano dalla parte di Franco e<br />

inviati che stavano dalla parte della Repubblica.<br />

Mathews aveva una grande simpatia<br />

per la causa repubblicana, ma comunque<br />

faceva il suo mestiere di giornalista con<br />

assoluto scrupolo. Un giorno i giornali che<br />

avevano corrispondenti dalla parte di Franco,<br />

diedero la notizia che un paese, un piccolo<br />

paese spagnolo era stato occupato dalle<br />

truppe franchiste. Mathews sapeva che non<br />

era vero. Allora prese la macchina e andò in<br />

quel paese e dall’ufficio telegrafico fece un<br />

telegramma al New York Times per dimostrare<br />

che quel paese era ancora in mano ai<br />

repubblicani. Quando uscì dall’ufficio telegrafico<br />

le avanguardie fasciste stavano entrando<br />

dall’altro capo della strada, però Mathews<br />

dice: “Io ho smentito la notizia”. Perché il giornalismo<br />

è questo: è la verità del momento; a<br />

quell’ora il paese non era ancora in mano ai<br />

franchisti, un’ora dopo lo era, ma Mathews<br />

smentì la notizia. Ecco, - continua Sciascia -<br />

questo è il giornalismo praticato con oggettività,<br />

con serenità, con scrupolosità. Oggi<br />

invece il giornalismo si pratica in un certo<br />

modo, e specialmente in rapporto all’amministrazione<br />

della giustizia, che è una cosa su<br />

cui si deve vigilare più intensamente e anche<br />

a livello locale.”<br />

L’articolo si conclude, focalizzando l’attenzione<br />

sui giornali locali: “ la carenza che ritrovo<br />

nei giornali locali è questa: poca attenzione<br />

all’amministrazione della giustizia e tanta<br />

attenzione a episodi di sottocultura. Ci si<br />

deve augurare che questi giornali siano<br />

sempre più attenti ai fatti locali e facciano<br />

“opposizione”: i giornali nazionali, i grandi<br />

giornali e anche quelli medi, sono diventati<br />

ingovernabili per la presenza e la compromissione<br />

partitica. I giornali locali dovrebbero<br />

fare opposizione seria sui fatti quotidiani,<br />

sulle cose da fare, prendendo così il ruolo di<br />

opposizione vera che in molte amministrazioni<br />

viene mancando. Opposizione quindi<br />

non per principio, per il gusto di farla: ma<br />

opposizione sulle cose concrete.”<br />

Chiaro e senza fronzoli Sciascia ha detto<br />

anche in questa occasione ciò che pensava,<br />

tracciando infine una strada da percorrere a<br />

quei “ragazzi” che avevano pensato di dar<br />

vita al giornale del paese, che non fu mai<br />

sottovalutato dallo scrittore, che, anzi, in quei<br />

giovani vedeva avanzare il futuro di Racalmuto.<br />

Questo articolo è forse l’intervento più appropriato<br />

per concludere questa ricerca su Sciascia<br />

e il giornalismo, dal momento che riassume<br />

l’opinione e l’esperienza dello scrittore<br />

siciliano riguardo il mondo dell’informazione.<br />

È quasi un “testamento spirituale” consegnato<br />

ai giovani del suo paese, che a distanza<br />

di anni non hanno mai dimenticato i consigli<br />

di Sciascia, un maestro che diceva di essere<br />

stato in un certo senso un “pessimo<br />

maestro”, “senza eccessiva vocazione”.<br />

31 (35)


L A S T O R I A<br />

OLTRE ALLE BOMBE DEL 1969 ALTRE DUE VOLTE LA CITTÀ HA PIANTO DECINE<br />

Prima del 12 dicembre 1969, la cieca violenza del terrorismo aveva ferito Milano altre due volte. Accadde negli<br />

anni Venti. La prima nel 1921; la seconda nel 1928. Quella del 1921 è passata alla storia come la strage del Teatro<br />

Diana; l’altra, del 1928, è nota come l’attentato alla Fiera.<br />

I due atti criminosi provocarono quarantuno morti e centoventi feriti. Soltanto nel primo caso si riuscì ad acciuffare<br />

i responsabili. Quanto al misfatto della Fiera (com’è accaduto per piazza Fontana), gli autori non furono mai<br />

individuati. In quest’ultimo caso, la rozzezza impiegata dagli inquirenti nella conduzione delle indagini, provocò la<br />

Le stragi degli anni Venti. Quan<br />

23 marzo 1921<br />

di Enzo Magrì<br />

Il programma al Teatro Diana era intenso la<br />

sera del 23 marzo 1921. La compagnia<br />

Daclee dava l’ultima rappresentazione di<br />

Mazurca blu di Franz Lehar. A metà recita,<br />

fra il secondo e il terzo atto dell’operetta, il<br />

maestro Giuseppe Berrettoni, in onore del<br />

quale era dedicata la serata, avrebbe diretto<br />

una sinfonia. Alle 22,25 calò il sipario di velluto<br />

verde e i venti orchestrali si dispersero<br />

nella sala per salutare amici e colleghi.<br />

Quando, dieci minuti più tardi si sente il trillo<br />

che richiamava tutti al proprio posto, la ripresa<br />

subisce un ritardo inaspettato. I professori<br />

minacciano uno sciopero per licenziamento<br />

d’un loro collega. Il maestro Berrettoni<br />

deve usare tutta la sua influenza per convincere<br />

gli orchestrali a riprendere i loro posti.<br />

Manca qualche minuto alle 23. Il sipario sta<br />

per alzarsi quando il teatro è investito da uno<br />

scoppio avvertito da gran parte della città.<br />

Una potente bomba collocata in via Mascagni,<br />

provoca, lungo il lato destro della sala,<br />

una vasta breccia fra la buca dell’orchestra e<br />

le prime file delle poltrone. La deflagrazione<br />

uccide all’istante diciassette persone fra<br />

orchestrali e spettatori. Saliranno a ventuno<br />

nei giorni successivi. I feriti sfiorano il centinaio.<br />

Lo scoppio provoca il crollo del grande<br />

lampadario centrale ma lascia accese le luce<br />

laterali che offrono l’immediata, tragica,<br />

immagine della sala: poltrone rovesciate,<br />

scheggiate o strappate dai loro posti, leggii<br />

dell’orchestra contorti e sepolti fra i calcinacci<br />

caduti dal soffitto, corpi sfregiati e straziati.<br />

Dalla via Mascagni, attraverso i telai senza<br />

vetri delle finestre, è possibile scorgere le<br />

quinte del palcoscenico e gli scenari lacerati<br />

e tagliuzzati dalle schegge della bomba. Tra i<br />

feriti leggeri c’è l’attrice Dina Galli che era<br />

seduta su una poltrona di quarta fila accanto<br />

alla figlia rimasta incolume. Quasi alla stessa<br />

ora scoppia un altro ordigno sotto il muro di<br />

cinta della centrale elettrica di via Gadio che<br />

provoca solo danni materiali.<br />

La strage è presa come pretesto da alcuni<br />

squadristi per eseguire una spedizione punitiva<br />

contro la sede del giornale anarchico<br />

Umanità Nova in via Goldoni e contro la<br />

nuova redazione dell’Avanti in via san<br />

Damiano. Una pattuglia di poliziotti posta a<br />

presidio del giornale socialista blocca in<br />

corso Manforte una carrozza con tre persone<br />

a bordo. Gli sconosciuti, scesi dal mezzo,<br />

scappano inseguiti da un drappello di agenti<br />

mentre il resto della pattuglia perquisisce la<br />

vettura dove trova due rivoltelle ed alcune<br />

bombe a mano. L’inseguimento <strong>dei</strong> fuggitivi<br />

dà esiti inaspettati: uno di loro, che si è gettato<br />

nel naviglio asciutto, è bloccato dalle guardie.<br />

Si chiama Antonio Pietropaolo ed è uno<br />

studente della Bocconi. Non è un fascista<br />

bensì un anarchico che insieme con altri due<br />

compagni di fede avrebbero dovuto incendiare<br />

la redazione dell’Avanti. Si scoprirà più<br />

tardi che l’attentato al giornale socialista<br />

faceva parte d’un piano terroristico anarchico<br />

la cui prima parte era stata già attuata con<br />

la collocazione della bomba al Teatro Diana<br />

e dell’altra alla centrale elettrica di via Gadio.<br />

Nel volgere d’una settimana la polizia risolve<br />

il caso e arresta gli autori della strage. Sono<br />

Giuseppe Mariani, 23 anni di Mantova, un<br />

frenatore delle Ferrovie, denunciato quale<br />

disertore della guerra 1915-1918, Giuseppe<br />

Boldrini, 23 anni, anche lui di Mantova (che<br />

si proclamerà sempre innocente) ed Ettore<br />

Aguggini, 25 anni di Brescia. Mariani e Aguggini,<br />

l’anno precedente avevano realizzato<br />

altri due attentati senza vittime: uno al bar<br />

Cova e l’altro in piazza Cavour. In carcere<br />

finiscono altre quattordici persone accusate<br />

di complicità con gli autori <strong>dei</strong> delitti del 23<br />

marzo e di altre scelleratezze attuate nei<br />

mesi precedenti. Le indagini accertano<br />

inequivocabilmente che la bomba collocata<br />

in via Mascagni dietro le mura del teatro non<br />

era diretta a provocare la strage degli spetta-<br />

tori che il Diana ospitava quella sera bensì<br />

ad uccidere il questore Giovanni Gasti, ritenuto<br />

uno <strong>dei</strong> responsabili della lunga e<br />

immotivata detenzione di tre anarchici: Errico<br />

Malatesta, Armando Borghi e Corrado<br />

Quaglino. Quando Malatesta viene a conoscenza<br />

del massacro esprime “il suo sdegno<br />

per il delitto esecrando che giova solo a chi<br />

opprime i lavoratori e a chi perseguita il<br />

nostro movimento”. L’attentato contribuirà<br />

effettivamente a imprimere un forte impulso<br />

al movimento fascista che l’anno successivo<br />

conquisterà il potere con la marcia su Roma.<br />

Tra i fondatori di Umanità nova, esponente<br />

di punta dell’anarchismo italiano, Errico<br />

Malatesta, era rientrato dall’Inghilterra il 24<br />

dicembre 1919. Casertano, amico di Bakunin,<br />

era stato uno <strong>dei</strong> dirigenti della I Internazionale.<br />

Aveva fatto parte della banda del<br />

Matese. Più volte arrestato, si era sovente<br />

allontanato dall’Italia per non finire in galera<br />

a causa della sua attività politica. Nel caoti-<br />

co dopoguerra, egli aveva assolto un ruolo<br />

determinante alla guida del movimento<br />

anarchico tanto da sollevare preoccupazioni<br />

nell’establishment italiano. Per questa<br />

ragione, il 17 ottobre 1920 era stato arrestato<br />

a Milano insieme con i due compagni<br />

di fede Borghi e Quaglino, redattori di<br />

Umanità Nova.<br />

Nonostante la mancanza d’un’imputazione<br />

determinata, i tre sono tenuti nel carcere di<br />

San Vittore. Per protesta contro l’illegale<br />

misura che si protrae per cinque mesi, il 13<br />

marzo i tre iniziano uno sciopero della fame.<br />

In loro favore comincia in diverse parti d’Italia<br />

una vasta agitazione con scioperi a Carrara,<br />

Piombino, Valdarno e Liguria. Gli anarchici<br />

milanesi, decidono di esprimere la loro solidarietà<br />

con i detenuti mettendo a segno una<br />

terna d’attentati che hanno per obiettivo la<br />

centrale elettrica di via Gladio, il giornale<br />

socialista l’Avanti e l’albergo Diana, in via<br />

Mascagni, nei pressi del teatro. Il più impegnativo<br />

di questi gesti avrebbe dovuto essere<br />

quest’ultimo che aveva come obiettivo un<br />

questore. Questi era Giovanni Gasti, un alessandrino<br />

considerato un funzionario inflessibile.<br />

Studioso di criminologia era ritenuto<br />

dagli anarchici amico di Mussolini. In realtà<br />

Gasti era una sorta di Javert, “l’uomo del<br />

dovere” <strong>dei</strong> Miserabili. Egli infatti era stato<br />

implacabile anche nei confronti del futuro<br />

duce. Per la Direzione centrale della Polizia<br />

aveva redatto un rapporto informativo sulla<br />

vita del futuro duce alquanto sfavorevole: non<br />

aveva trascurato di annotare nulla <strong>dei</strong> suoi<br />

burrascosi trascorsi.<br />

Il questore abita in un appartamento sopra<br />

l’entrata dell’hotel Diana. La bomba per uccidere<br />

il poliziotto è preparata da Mariani e<br />

Aguggini. Nel gruppo c’è anche una donna<br />

Elena Melli che ha funzioni di collegamento.<br />

L’ordigno esplosivo consiste in 160 candelot-<br />

Attentato al Teatro Diana<br />

(21 morti).<br />

Responsabili in galera<br />

Foto Olympia<br />

L’obiettivo era il questore Giovanni Gasti, ritenuto uno <strong>dei</strong> responsabili<br />

della lunga e immotivata detenzione di tre anarchici (Errico Malatesta,<br />

Armando Borghi e Corrado Quaglino).<br />

ti di gelatina (una ventina di chili di materiale)<br />

sistemati in un cestone coperto di paglia<br />

sopra la quale sarebbero state deposte alcu<br />

ne bottiglie vuote.<br />

Ancora il 21 marzo, gli attentatori sono indecisi<br />

sulle modalità con cui operare: dapprima<br />

pensano di noleggiare un carretto a mano,<br />

caricarvi il cesto, posteggiare il veicolo nella<br />

stradina in cui s’affaccia l’Hotel sotto l’appartamento<br />

di Gasti, accendere la miccia e<br />

scappare. L’altra soluzione è quella di portare<br />

la valigia con la bomba dentro la Questura,<br />

il più possibile vicino all’ufficio del funzionario<br />

e farla brillare. Passa la prima soluzione.<br />

Ma anziché in un cesto, l’esplosivo è<br />

sistemato in una valigia.<br />

L’hotel Diana faceva corpo con il teatro dal<br />

quale era separato da una semplice parete.<br />

La sera del 23 marzo, Mariani e Aguggini,<br />

che hanno preparato la bomba a Mantova e<br />

l’hanno portata a Milano affidandola a Boldrini,<br />

prelavano da quest’ultimo la valigia e la<br />

portano in via Mascagni.<br />

Secondo il piano l’ordigno avrebbe dovuto<br />

essere collocato dietro la prima saracinesca<br />

dell’hotel, quella più vicina al teatro, per far<br />

saltare l’ala dell’albergo dove i tre credono vi<br />

sia l’appartamento in cui alloggia Gasti.<br />

Poiché sopraggiungono alcune persone,<br />

Mariani, per liberarsi subito dell’esplosivo,<br />

lascia il bagaglio dietro una porta che immette<br />

nella platea del teatro. Poco prima delle<br />

23, il ferroviere innesca la miccia, scappa<br />

insieme con l’Aguggini, raggiunge Boldrini<br />

che se ne sta poco discosto (ma questi<br />

negherà sempre d’essere stato presente alla<br />

collocazione della bomba) e tutti e tre si<br />

perdono nel buio.<br />

La strage farà inorridire anche i suoi autori.<br />

Boldrini, ripeto, si proclamerà sempre innocente.<br />

Dirà che egli, pur non negando la sua<br />

fede anarchica, non aveva preso parte all’attentato,<br />

e che almeno quattro persone sapevano<br />

dove egli si trovasse al momento dello<br />

scoppio dell’ordigno.<br />

Faceva riferimento a testimoni che non nominava<br />

ma attendeva che sentissero il dovere<br />

di presentarsi alla Giustizia. Gesto questo<br />

che gli sconosciuti, ammesso che fossero<br />

mai esistiti davvero, non fecero mai.<br />

Il processo contro Mariani, Boldrini, Aguggini<br />

e altri quattordici, cui fu imputata la strage<br />

del teatro Diana, la collocazione della bomba<br />

alla centrale elettrica di via Gadio, il mancato<br />

attentato all’Avanti e le esplosioni di alcuni<br />

ordigni avvenute l’anno precedente (tranne<br />

quelle al Cova per le quali era stato condannato<br />

a 24 anni di carcere il ferroviere), fu<br />

celebrato a Milano dal 9 al 31 maggio 1922.<br />

Mariani fu condannato all’ergastolo, Boldrini<br />

e Aguggini a trent’anni. A tutti gli altri furono<br />

comminate pene dai sedici ai due anni di<br />

carcere. Sinceramente pentito, il ferroviere<br />

dopo la sentenza dichiarerà che al processo<br />

avrebbe preferito avere come giurati i parenti<br />

delle vittime, “perché se lo avessero ritenuto<br />

giusto avrebbero potuto fare giustizia<br />

sommaria”.<br />

Sconterà venticinque anni di carcere. Entrato<br />

ventitreenne all’ergastolo di Santo Stefano<br />

di Ventotene, ne uscì quarantottenne nel<br />

luglio del 1946 graziato dal presidente provvisorio<br />

della Repubblica, Enrico De Nicola.<br />

Appena lasciato il carcere, dichiarò di “abiurare<br />

all’idea che il terrorismo possa essere<br />

una necessità rivoluzionaria”. Si dichiarò<br />

persuaso “del suo valore negativo tra i fattori<br />

di lotta contro la società borghese e che<br />

esso sta alla rivoluzione come il furto all’espropriazione”.<br />

Poco dopo aver conquistata la libertà, scrisse<br />

un libro, Memorie di un ex terrorista, in cui<br />

puntualizza alcuni aspetti dalla sua vicenda.<br />

La strage del Diana fu uno di quegli eventi<br />

che favorirono sicuramente l’ascesa del<br />

fascismo. Furono in molti tra gli antifascisti<br />

ad azzardare l’ipotesi che i terroristi fossero<br />

stati addirittura “orientati” dalla polizia.<br />

Questa per esempio è la convinzione del<br />

prefatore del libro di Mariani; Gigi Damiani.<br />

Scrisse: “Fu la polizia a condurre per mano<br />

gli esacerbati terroristi fino davanti alle griglie<br />

del teatro Diana”.<br />

Onestamente Mariani però confessò: “Non<br />

ho mai pensato, come sempre hanno fatto<br />

alcuni miei compagni, in base ad elementi<br />

che mi hanno detto positivi, fino a credere<br />

possibile una revisione del processo, d’incolpare<br />

qualcuno che vicino a noi sapesse<br />

manovraci tanto bene da farci credere che<br />

avremmo colpito il questore e altre personalità<br />

e che invece ci facevano colpire delle<br />

povere persone innocenti intente solo a<br />

divertirsi”. Un fatto tuttavia è incontestabile.<br />

Elena Melli, la donna che frequentava il gruppo<br />

anarchico e che prese parte attiva alla<br />

preparazione degli attentati, non comparve<br />

fra gli imputati del processo.<br />

Non fu neppure denunciata. Fuggita in Sudamerica,<br />

di lei non si seppe mai più nulla.<br />

32 (36) ORDINE 3 <strong>2005</strong>


DI VITTIME<br />

morte di due innocenti. Il primo morì nei giorni che seguirono l’atto criminale per le botte subite durante gli interrogatori: era<br />

Romolo Tranquilli, fratello di Ignazio Silone. La seconda vittima fu un chimico milanese, Umberto Ceva. La polizia fascista lo<br />

aveva fermato per un attentato dimostrativo che esponenti di G.L. avrebbero dovuto compiere nei primi mesi del 1930 e che l’avvocato<br />

Carlo Del Re, la “spia del regime” aveva denunciato all’Ovra. Forzando labili connessioni, il fascismo aveva tentato di<br />

accollargli la strage della Fiera. Profondamente turbato da quel sospetto, il professionista si tolse la vita dopo aver lasciato una<br />

nobile lettera alla moglie.<br />

do il terrorismo colpiva Milano<br />

12 aprile 1928<br />

di Enzo Magrì<br />

La mattina del 12 aprile 1928 Milano è pavesata<br />

di bandiere e di orifiamma. Vittorio Emanuele<br />

III deve recarsi ad inaugurare la IX Fiera.<br />

Secondo il programma, il sovrano dovrebbe<br />

giungere alla Campionaria alle 9,50 entrando<br />

da piazzale Giulio Cesare. Per le consuete<br />

precauzioni che la polizia adotta in queste<br />

circostanze, l’orario d’arrivo del corteo è ritardato<br />

di cinque minuti. Quando scocca l’ora ufficiale<br />

della visita, nel piazzale esplode una<br />

bomba che semina morte tra le decine di<br />

persone in attesa di vedere il re: si conteranno<br />

venti cittadini deceduti e oltre quaranta feriti.<br />

Una bimba è mutilata; di una famiglia di cinque<br />

persone resta un solo superstite; tutt’intorno c’è<br />

morte e distruzione. Il regime si mobilita per la<br />

caccia ai colpevoli. Il capo della polizia Arturo<br />

Bocchini spedisce a Milano due suoi abili ispettori:<br />

Giuseppe Valenti e Francesco Nudi. Per le<br />

leggi straordinarie del 25 novembre 1926, la<br />

strage è di competenza del Tribunale speciale<br />

per la difesa dello stato. Il nuovo organismo<br />

rivendica a sé “l’onore” dell’istruttoria e si trasferisce<br />

a Milano. Nel capoluogo lombardo giunge<br />

pure il sottosegretario agli Interni Michele Bianchi.<br />

Mussolini invia un telegramma con il quale attribuisce<br />

la responsabilità agli antifascisti.<br />

Contemporaneamente affida le indagini alla<br />

Milizia ferroviaria e spedisce nel capoluogo<br />

lombardo il capo di stato maggiore, console<br />

Valerio Lucchini. L’incarico conferito alla massima<br />

carica del corpo speciale impegnato con<br />

esercito e polizia al mantenimento dell’ordine<br />

interno, è giustificato con il ritrovamento, avvenuto<br />

qualche giorno prima sotto i binari della<br />

Milano-Piacenza, d’una bomba ad orologeria.<br />

Agli inizi di aprile un ordigno era stato scoperto<br />

nella cantina dell’arcivescovado mentre in<br />

marzo un altro era esploso ai piedi del monumento<br />

a Napoleone III, collocato nel cortile del<br />

Senato dove era stato lasciato anche uno scritto<br />

inneggiante alla libertà. Frammenti di<br />

quest’ultima bomba e parti di quelle inesplose,<br />

erano stati affidati a un perito, il generale d’artiglieria<br />

Alfredo Torretta che aveva trovato delle<br />

analogie nella loro fabbricazione.<br />

Sotto la guida della milizia, polizia e carabinieri<br />

orientano le ricerche <strong>dei</strong> colpevoli verso comunisti,<br />

anarchici e repubblicani. La magistratura<br />

dal canto suo incarica della perizia sulla bomba<br />

di piazzale Giulio Cesare il tenente colonnello<br />

Mario Grosso, perito balistico della sezione<br />

staccata d’artiglieria di via Calatafimi. L’esperto<br />

stabilisce che si tratta d’una bomba “detonante”,<br />

formata da una certa quantità di gelatina<br />

racchiusa in un sottile involucro di tela cerata. Il<br />

pacco era stato collocato nello spazio vuoto fra<br />

un palo della luce e il suo basamento in ghisa:<br />

vi era stato introdotto attraverso lo sportello di<br />

facile apertura e di altrettanta facile chiusura e<br />

appoggiato verso il lato del piazzale dove sorge<br />

l’edificio con il civico numero 18.<br />

L’esplosivo era collegato, attraverso un filo elettrico,<br />

a un congegno ad orologeria. Secondo<br />

l’esperto, la carica del movimento a tempo non<br />

poteva essere superiore alle dodici ore: il<br />

convincimento fu comunque che quell’ordigno<br />

dovesse essere stato infilato nel basamento del<br />

palo attorno alle cinque del mattino.<br />

Durante lo svolgimento delle indagini sono<br />

fermate e rilasciate più di cinquecento persone.<br />

Lo zelo degli inquirenti nel volere trovare a<br />

tutti i costi i colpevoli è così eccessivo da stravolgere<br />

le esistenze di parecchi innocenti. Uno<br />

di questi è Romolo Tranquilli, il ventiseienne<br />

fratello di Secondino Tranquilli, Ignazio Silone.<br />

Romolo “è un giovane di sentimenti cattolici,<br />

vagamente antifascista, più amante dello sport<br />

che della politica”. Il fratello Secondo lo aveva<br />

sistemato presso il don Orione, a Venezia, in<br />

una casa per giovani artisti.Temendo che il suo<br />

antifascismo avrebbe potuto nuocere al giovane<br />

congiunto, lo scrittore aveva deciso di<br />

mandarlo in Svizzera. A portarlo fuori dall’Italia<br />

era stato incaricato un amico di Silone, un<br />

comunista che avrebbe dovuto incontrarlo sul<br />

ORDINE 3 <strong>2005</strong><br />

lungolago di Como; il luogo dell’appuntamento<br />

era stato segnato in una cartina.<br />

Fermato dalla polizia, Romolo fu trasferito a<br />

Milano. La piazza di Como antistante il lago,<br />

luogo del rendez vous, fu scambiata dagli inquirenti<br />

per piazzale Giulio Cesare ed il giovane fu<br />

sottoposto a brutali interrogatori. I suoi onesti,<br />

insistiti, dinieghi furono presi per omertosi segni<br />

di complicità con gli assassini. Picchiato con<br />

sacchetti di sabbia “che non lasciavano tracce<br />

estreme ma scardinavano l’interno”, riportò la<br />

frattura d’una costola. Morì in carcere.<br />

Delle cinquecentosessanta persone arrestate,<br />

trecento sono subito rilasciate e soltanto due,<br />

gli anarchici Gino Nibbi, originario di Massa e<br />

Libero Molinari (il cui padre, anche lui anarchico,<br />

era un chimico di valore, amico di Errico<br />

Malatesta) sono considerati implicati nell’attentato.<br />

Più che la scoperta <strong>dei</strong> colpevoli, l’indagine<br />

mette in luce le frizioni tra gli inquirenti che<br />

si dividono tra duri e moderati. Guido Leto, alto<br />

funzionario addetto ai servizi politici della dire-<br />

zione di Polizia e dal 1938 capo dell’Ovra, scrisse<br />

che “la polizia non si lasciò mai abbacinare<br />

da inchieste fatte da altri organi dilettantistici più<br />

o meno politici”.<br />

Il poliziotto allude alla milizia, a Lucchini e al<br />

procuratore generale del Tribunale speciale<br />

Balzamo i quali ritenevano che esistessero le<br />

prove per mandare subito davanti ai giudici<br />

dello speciale organismo Nibbi e Molinari.<br />

Contro questa tesi militava il capo della Polizia<br />

Arturo Bocchini. Attraverso i suoi collaboratori<br />

faceva presente la necessità che si procedesse<br />

almeno con il rito formale. Alla fine la spuntò<br />

lui. Più tardi i due imputati furono assolti in<br />

istruttoria.<br />

Gli autori della strage di piazzale Giulio Cesare<br />

non sono mai stati scoperti. “Il più grave cruccio<br />

di Bocchini” ricorda Leto nelle sue memorie”<br />

fu di non essere riuscito a vedere chiaro in<br />

questo tragico episodio ed egli non si stancò<br />

mai di stimolare i suoi collaboratori affinché non<br />

trascurassero nulla per far luce sull’attentato”.<br />

Le stragi i cui autori restano sconosciuti scatenano<br />

(la storia del dopoguerra annovera parecchi<br />

esempi) ridde di ipotesi nelle quali l’uomo<br />

della strada ha difficoltà ad orientarsi. La stessa<br />

cosa avvenne per l’attentato alla Fiera. Una<br />

delle più accreditate fu quella che formulò<br />

Cesare Rossi, prima addetto stampa di Mussolini<br />

quindi perseguitato e arrestato dal fascismo.<br />

Raccontò che il vice questore di Milano Salvatore<br />

Haro, parlando dopo la Liberazione, della<br />

strage con Luigi Gasparotto, deputato alla<br />

Costituente, più volte ministro prima e dopo il<br />

fascismo, se ne uscì con questa frase: “Cosa<br />

vuole onorevole. Ad un certo punto ci siamo<br />

dovuti fermare. Andando avanti ci saremmo<br />

imbattuti nei fascisti, gente di Giampaoli”. Mario<br />

Giampaoli, squadrista, era a quel tempo il<br />

segretario federale di Milano.<br />

A suffragare l’ipotesi che l’attentato potrebbe<br />

essere stato eseguito dagli stessi fascisti (ma,<br />

Attentato alla Fiera<br />

(20 morti).<br />

Impunito come piazza Fontana<br />

Vittorio Emanuele III sfugge<br />

alla bomba, perché è in ritardo<br />

Foto Olympia<br />

ripeto è una delle tante ipotesi) qualcuno ricorda<br />

un episodio alquanto misterioso avvenuto il<br />

giorno dopo la strage di piazzale Giulio Cesare.<br />

In una caserma della Milizia di via Mario<br />

Pagano si verificò un episodio oscuro: due militi<br />

furono uccisi e due rimasero feriti dalla pallottola<br />

accidentalmente sparata dal moschetto<br />

d’un loro commilitone. Poiché risultava difficile<br />

credere che una sola fucilata avesse potuto<br />

colpire quattro persone, nacque la supposizione<br />

che quell’evento fosse in relazione con la<br />

strage.<br />

Nel 1930 si tentò di attribuire la responsabilità<br />

<strong>dei</strong> morti della Fiera ad un gruppo di antifascisti<br />

denunciato all’Ovra dalla “spia del regime”<br />

Carlo Del Re. Questi, fingendosi contrario alla<br />

dittatura, aveva indotto una schiera di persone<br />

legata a G.L., a preparare alcuni attentati dimostrativi.<br />

Facevano parte della squadra Ernesto<br />

Rossi, Riccardo Bauer, Ferruccio Parri e altre<br />

ventuno persone tra le quali Umberto Ceva, un<br />

chimico che, come scrisse Rossi, “mise a<br />

disposizione della cospirazione la sua cultura<br />

tecnica preparando tra l’altro nuove formule<br />

d’inchiostro simpatico e di reagenti.<br />

La scoperta nel dicembre del 1930 della cellula<br />

milanese di Giustizia e Libertà (nel comunicato<br />

della polizia compare per la prima volta<br />

l’acronimo Ovra) che aveva congegnato un<br />

paio di bombe per gli attentati dimostrativi sollecitati<br />

da Carlo del Re, non poteva non richiamare<br />

alla mente degli inquirenti la carneficina<br />

di piazzale Giulio Cesare. Tanto più che tra gli<br />

uomini che avevano avviato le prime indagini<br />

nel 1928 c’era Francesco Nudi divenuto nel<br />

frattempo capo della polizia politica milanese. Il<br />

poliziotto era naturalmente a conoscenza delle<br />

ipotesi formulate due anni prima.<br />

L’occasione è troppo ghiotta perché Nudi se la<br />

lasci sfuggire. Lui e il capo della polizia sono<br />

sempre alla ricerca <strong>dei</strong> veri colpevoli della strage<br />

e ancora impegnati a fare vedere a quei<br />

dilettanti della milizia ferroviaria che avevano<br />

avuto torto. La dimostrazione di un’eventuale<br />

compatibilità tra gli ordigni del 1928 e quelli<br />

preparati da Umberto Ceva avrebbe permesso<br />

all’uomo dell’Ovra di fare un colpo grosso. Nudi<br />

affida al generale Alfredo Torretta la perizia sul<br />

materiale infiammabile sequestrato nell’abitazione<br />

del chimico e di quell’altro che era stato<br />

recuperato nelle acque d’una roggia. Qualche<br />

mese più tardi, l’esito della perizia lo fa sobbalzare.<br />

In un capitolo dal titolo “Altri rilievi”, l’alto<br />

ufficiale ricorda che negli attentati di Milano, e<br />

“in particolare in quello di piazzale Giulio Cesare,<br />

si erano trovati congegni somiglianti”. Quindi<br />

rileva: “Mette però anche in evidenza un<br />

insieme di circostanze e di analogie talmente<br />

sorprendenti, anzi di identità tali, da far dubitare<br />

che quei tristi ordigni, che miravano a colpire<br />

cosi in alto e che causarono la morte di tante<br />

innocenti persone, avessero un’origine comune<br />

con questi, ora repertati”.<br />

Quel dubbio, esternato in una brutta frase dal<br />

perito, offre al poliziotto l’occasione per puntare<br />

i riflettori su Umberto Ceva lasciando per il<br />

momento nell’ombra tutti gli altri accusati.<br />

Secondo l’ispettore egli è il personaggio ideale<br />

per compiere l’azzardoso esperimento di stabilire<br />

la connessione tra la terribile strage del 12<br />

aprile 1928 e gli esponenti di G.L.<br />

Ceva è un trentenne bruno, dal viso serio di<br />

pensatore e dagli occhi cerchiati da un paio<br />

d’occhiali a stanghetta. Al momento del suo<br />

arresto è sereno, tranquillo. Se una pena lo<br />

strugge è il pensiero della moglie Elena e <strong>dei</strong><br />

due figli, Edoardo di 4 anni e Michele di 8 mesi.<br />

Tradotto a Roma come tutti gli altri, è confinato<br />

in una cella del raggio <strong>dei</strong> detenuti politici. Poi il<br />

presentimento d’un’ineluttabile sorte s’impadronisce<br />

di lui. Per logorarne la volontà e spegnerne<br />

la determinazione, il detenuto è lasciato in<br />

isolamento. Il 4 dicembre, lo stesso giorno in<br />

cui appare sulla stampa italiana il comunicato<br />

dell’Ovra, il chimico subisce un duro interrogatorio.<br />

“Non ho compiuto altro atto all’infuori di<br />

quelli che io stesso ho confessato, come ho già<br />

esposto” dichiara.<br />

Il 5 dicembre la moglie è convocata a Roma<br />

per il primo colloquio. I due s’incontrano la<br />

mattina del 7. Appena Elena Ceva vede entrare<br />

lo sposo nella stanza è colpita “da uno strano<br />

turbamento come di chi si trovi all’improvviso<br />

dinanzi a qualcuno che è ormai staccato<br />

dalla terra, che sfiora appena con passo lieve”.<br />

Il colloquio durò una quindicina di minuti. Il detenuto<br />

era presente e padrone di sé tanto da non<br />

lasciarsi sopraffare dalla commozione. Nell’abbracciarlo,<br />

alla fine dell’incontro, la sposa gli<br />

sussurrò all’orecchio che stesse tranquillo<br />

“perché si sarebbe fatto il possibile per aiutarlo”.<br />

Egli la guardò “come se quelle parole non<br />

avessero alcun significato per lui”. Lei afferrò le<br />

mani del congiunto, lo guardò negli occhi,<br />

mormorò: “Sempre cosi”. Lui rispose: “Va, va”.<br />

Umberto Ceva si avvelenò la notte di Natale<br />

del 1930. In una lettera all’ispettore Nudi scrisse:<br />

“Non ho fatto nulla, non ho visto nulla, non<br />

ho saputo che altri abbia fatto del male a una<br />

creatura umana”.<br />

33 (37)


DELIBERAZIONE DELL’ORDINE DEI GIORNALISTI DELLA LOMBARDIA<br />

Muscau: “Gli devo tutto.<br />

Ha segnato la mia vita”<br />

Caro Franco, sai che sono di poche parole,<br />

visto anche il nostro passato, ma la tua e<br />

vostra scelta mi ha commosso. Nino Nutrizio<br />

ha segnato la mia vita: nel 1971 mi prese nel<br />

suo giornale senza conoscermi. Accettò di<br />

ricevermi (grazie alla sollecitazione di Mario<br />

Bertoli, altro allevatore di giornalisti, strambo,<br />

ma ingiustamente dimenticato) solo per<br />

aver scritto una lettera in cui spudoratamente<br />

chiedevo di fare il giornalista. Non avevo<br />

la benché minima idea di che cosa fosse un<br />

giornale. Non mi chiese che idee politiche<br />

avessi (ero di sinistra) né che cosa sapessi<br />

fare (niente!). Semplicemente mi accettò<br />

perchè ero..sardo e con tanta voglia di lavorare.<br />

Assieme a me, lo stesso giorno, 1°<br />

luglio 1971, cominciò la sua carriera Giorgio<br />

Carbone. Allora a La Notte c’erano Vittorio<br />

Feltri (che mi insegnò e tanto), Fernando<br />

Mezzetti, Salvatore Scarpino, Arrigo Galli e<br />

tanti altri fior di giornalista. Se oggi nella mia<br />

carriera ho salito qualche gradino lo devo<br />

esclusivamente a Nino Nutrizio. E pensare<br />

che al primo colloquio litigammo, perfino,<br />

proprio sulla Sardegna. «Dove avete<br />

frequentato il liceo?», mi chiese, dandomi<br />

del Voi, da signore e galantuomo vecchio<br />

stampo.<br />

Poste Italiane SpA<br />

Sped.abb.post.<br />

Dl n. 353/2003<br />

(conv. in L. 27/2/2004<br />

n. 46)<br />

art. 1 (comma 2).<br />

Filiale di Milano<br />

Anno XXXV -<br />

Numero 3,<br />

<strong>Marzo</strong> <strong>2005</strong><br />

Direttore responsabile<br />

FRANCO<br />

ABRUZZO<br />

Direzione,<br />

redazione,<br />

amministrazione<br />

Via A. da Recanate, 1<br />

20124 Milano<br />

Centralino<br />

Tel.<br />

02 67 71 371<br />

Fax<br />

02 66 71 61 94<br />

<strong>Ordine</strong>/Tabloid<br />

ORDINE - TABLOID periodico ufficiale del Consiglio dell’<strong>Ordine</strong><br />

<strong>dei</strong> giornalisti della Lombardia<br />

Consiglio dell’<strong>Ordine</strong><br />

<strong>dei</strong> giornalisti<br />

della Lombardia<br />

Franco Abruzzo<br />

presidente;<br />

Cosma Damiano<br />

Nigro<br />

vicepresidente;<br />

Sergio D’Asnasch<br />

consigliere<br />

segretario;<br />

Alberto Comuzzi<br />

consigliere tesoriere.<br />

Consiglieri:<br />

Michele D’Elia,<br />

Letizia Gonzales,<br />

Laura Mulassano,<br />

Paola Pastacaldi,<br />

Brunello Tanzi<br />

Collegio<br />

<strong>dei</strong> revisori <strong>dei</strong> conti<br />

Giacinto Sarubbi<br />

(presidente),<br />

Ezio Chiodini<br />

e Marco Ventimiglia<br />

Direttore dell’OgL<br />

Elisabetta Graziani<br />

Seg. di redazione<br />

Teresa Risé<br />

Realizzazione grafica:<br />

Grafica Torri Srl<br />

(coordinamento<br />

Franco Malaguti,<br />

Marco Micci)<br />

La sala<br />

del Consiglio<br />

dedicata<br />

a Nino Nutrizio<br />

Milano, 25 gennaio <strong>2005</strong>. Il Consiglio dell’OgL, nella<br />

seduta di ieri, ha deliberato all’unanimità di dedicare<br />

la sala dove si riunisce, a Nino Nutrizio, il grande<br />

giornalista di origine dalmata, che ha fondato e<br />

diretto La Notte per 27 anni (dal 1952 al 1979). Nutrizio<br />

è stato uno <strong>dei</strong> più prestigiosi inquilini del Palazzo<br />

<strong>dei</strong> Giornali di via Antonio da Recanate 1, dove<br />

oggi l’<strong>Ordine</strong> della Lombardia ha i suoi uffici.<br />

Nel sito dell’OgL (www.odg.mi.it) la biografia di Nino<br />

Nutrizio (a firma di Massimo Emanuelli) e un articolo<br />

di Michelangelo Bellinetti sulla storia <strong>dei</strong> giornali<br />

dal 1950 in poi ospiti del palazzo di via Antonio da<br />

Recanate, 1 (La Patria, Il Tempo, L’Italia, La Notte,<br />

L’Avvenire, Gente, Guerin Sportivo).<br />

«A Bosa», risposi.<br />

«Sulla costa orientale della Sardegna,<br />

vero?» ribatté.<br />

«No, sulla costa occidentale», replicai - se<br />

permette la mia isola la conosco bene».<br />

«Anche io», rispose (all’epoca si mormorava<br />

avesse una celebre amica in Costa Smeralda)<br />

«Non come me» feci di rimando.<br />

Si alzò con una bacchetta, la puntò sull’ampia<br />

carta geografica dell’Italia che aveva alle<br />

spalle, cercò Bosa, la indicò e mi disse serio:<br />

«Avete ragione, potete andare».<br />

Era la fine del giugno 1971. Il colloquio era<br />

finito. Il 1° luglio successivo varcai il portone<br />

del palazzaccio di piazza Cavour. Assunto.<br />

Grazie, Franco.<br />

Costantino Muscau<br />

Sulas: “Ero ragazzo<br />

quando mi assunse”<br />

Nino Nutrizio, mitico direttore de La Notte, è<br />

stato un grande giornalista, un grandissimo<br />

uomo e un vero signore. Ero un ragazzo<br />

quando mi assunse alla Notte nel 1973, il<br />

giorno in cui a Bergamo fu rapito Mirko<br />

Panattoni e il Milan (di cui Nutrizio era tifoso)<br />

perdeva lo scudetto a Verona. Per 12 anni ho<br />

lavorato nella redazione di Bergamo, la città<br />

dell’editore Carlo Pesenti. Mai un problema,<br />

Stampa<br />

Stem Editoriale S.p.A.<br />

Via Brescia, 22 -<br />

20063 Cernusco<br />

sul Naviglio (Mi)<br />

Registrazione<br />

n. 213<br />

del 26 maggio 1970<br />

presso il Tribunale<br />

di Milano.<br />

Testata iscritta<br />

al n. 6197<br />

del Registro<br />

degli Operatori di<br />

Comunicazione (ROC)<br />

Comunicazione<br />

e Pubblicità<br />

Comunicazioni<br />

giornalistiche<br />

Advercoop<br />

Via G.C.Venini, 46<br />

20127 Milano<br />

Tel. 02/ 261.49.005<br />

Fax 02/ 289.34.08<br />

La tiratura<br />

di questo numero<br />

è di 24.225 copie<br />

Chiuso in redazione<br />

il 21 febbraio <strong>2005</strong><br />

4° “Premio giornalistico<br />

Mauro Gavinelli”<br />

BANDO DI CONCORSO<br />

mai una grana perchè il direttore era un Giornalista<br />

e un Signore. E che giornale che ci<br />

faceva fare! Sono stati gli anni più belli, intensi<br />

e di enormi soddisfazioni. Che rimpianto<br />

per quell’Uomo che ci dava del Voi, che incuteva<br />

soggezione e rispetto ma che trasudava<br />

Umanità. Finalmente qualcuno si è ricordato.<br />

Meglio tardi che mai. Complimenti al<br />

presidente Abruzzo!<br />

Giangavino Sulas<br />

Di Grazia.<br />

“Ammirevole decisione”<br />

Caro presidente, ammirevole decisione: un<br />

Fiumano, un Italiano!<br />

Luca di Grazia<br />

Lanza:<br />

“Non ne sono contento”<br />

Non ne sono contento: non posso dimenticare<br />

gli orrendi falsi che pubblicò sul suo<br />

giornale su Valpreda e su Pinelli. È sempre<br />

stato un giornalista “orrendamente” schierato.<br />

Sicuramente non verrò mai in quella sala<br />

a lui dedicata.<br />

Luciano Lanza<br />

Il Gruppo Altomilanese giornalisti (Gag), istituito nel 1993,<br />

con sede in Legnano, intende ricordare la figura di Mauro<br />

Gavinelli, che fu tra i soci fondatori e il primo presidente del<br />

Gag. A tale scopo, bandisce (con il sostegno del Comune di<br />

Legnano e dell’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti della Lombardia) la<br />

quarta edizione del “Premio giornalistico Mauro Gavinelli”.<br />

REGOLAMENTO<br />

art.1 - Il concorso premia il miglior articolo giornalistico,<br />

pubblicato su un quotidiano o un periodico italiano, che<br />

affronti un tema inerente l’attualità politica, economica, sociale,<br />

sportiva della Lombardia.<br />

art. 2 - Il premio è riservato ad autori fino a 35 anni d’età<br />

(compiuti entro il 21 marzo <strong>2005</strong>), non necessariamente<br />

iscritti all’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti, nell’intento di valorizzare le<br />

intuizioni e l’impegno di Mauro Gavinelli sulla formazione<br />

professionale <strong>dei</strong> giovani colleghi e degli aspiranti giornalisti.<br />

art. 3 - Il vincitore del premio riceverà la somma di euro 2.500<br />

(duemilacinquecento).<br />

art. 4 - L’iscrizione al concorso è gratuita.<br />

art. 5 - Ogni concorrente può partecipare presentando un<br />

solo articolo che sia stato pubblicato tra il 1° marzo 2004 e il<br />

20 aprile <strong>2005</strong>.<br />

art. 6 - Non sono ammessi articoli già premiati in altri concorsi<br />

giornalistici.<br />

art. 7 - Entro il 30 aprile <strong>2005</strong> ogni concorrente dovrà far<br />

pervenire alla segreteria del premio – recapitata a mano o<br />

servendosi del servizio postale (fa fede la data del timbro) –<br />

una copia originale del giornale sul quale è stato pubblicato<br />

Nino Nutrizio (secondo da destra) con un gruppo di colleghi a metà degli anni<br />

Cinquanta al Circolo della Stampa di Milano.<br />

De Vidovich:<br />

“Un amicizia dalmata”<br />

Gentilissimo dottor Abruzzo,<br />

con una certa commozione, leggo sull’ultimo<br />

numero di Tabloid le pagine dedicate a<br />

Nino Nutrizio, il “mitico” direttore della<br />

Notte, al quale ero legato da una amicizia<br />

nata dalla stima che avevo per lui come<br />

giornalista e dal fatto che provenivamo tutti<br />

e due dalla Dalmazia, lui nato a Traù ed io<br />

a Zara: da qui una più che modesta collaborazione,<br />

favorita allora dalla comune<br />

amicizia con Umberto Frugiuele, direttore<br />

dell’Eco della Stampa.<br />

Fra i vari ricordi personali, mi piace ricordare<br />

quello avuto con lui e con Frugiuele al Circolo<br />

della Stampa di Milano a metà degli anni<br />

‘50, del quale conservo la fotografia (che<br />

riproduciamo qui sopra, ndr) che mi pare<br />

utile inviare a lei in copia: mi creda, non è per<br />

un non esistente esibizionismo personale,<br />

ma solo per aggiungere, un modesto contributo<br />

al ricordo dedicato a Nino Nutrizio dal<br />

suo <strong>Ordine</strong> in occasione del trasferimento di<br />

sede.<br />

Gradisca i miei cordiali ed augurali saluti<br />

Mario de Vidovich<br />

l’articolo firmato o siglato, accompagnata da : a) una breve<br />

domanda d’iscrizione al concorso redatta in carta semplice,<br />

corredata dai dati anagrafici, dal curriculum vitae e dal recapito<br />

del concorrente; b) cinque fotocopie dello stesso articolo<br />

con cui si intende concorrere al Premio. Copie originali <strong>dei</strong><br />

giornali e fotocopie inviate non saranno restituite.<br />

art. 8 - La segreteria del premio, alla quale indirizzare<br />

domanda d’iscrizione, articoli in concorso e relative fotocopie<br />

è fissata nelle sede legale del Gag: presso Studio avvocato<br />

Fabrizio Conti, via della Liberazione 13, 20025 Legnano (MI).<br />

art. 9 - Ogni concorrente conserva la proprietà letteraria<br />

dell’articolo in concorso.<br />

art. 10 - La Giuria del concorso, che valuterà gli articoli giunti<br />

alla segreteria stabilendo il vincitore del premio, è composta<br />

da tre componenti del Consiglio direttivo del Gag fra cui il<br />

presidente in carica, da componente della famiglia Gavinelli<br />

– la quale finanzia l’iniziativa – e dal presidente dell’<strong>Ordine</strong><br />

<strong>dei</strong> giornalisti della Lombardia o da giornalista da questi indicato.<br />

Il giudizio della Giuria è insindacabile e inappellabile.<br />

art.11 - La presidenza della Giuria è affidata al presidente<br />

del Gag. La vice presidenza è ricoperta dal componente<br />

designato dalla famiglia Gavinelli.<br />

art. 12 - Tutti i partecipanti al concorso riceveranno l’invito<br />

alla cerimonia di premiazione che si terrà entro la fine di<br />

giugno <strong>2005</strong>.<br />

art. 13 - La partecipazione al Premio implica la piena accettazione<br />

delle norme contenute nel presente regolamento. La non<br />

osservanza di quanto richiesto comporterà l’esclusione dal<br />

concorso, senza che sia dovuta comunicazione al concorrente.<br />

Ulteriori informazioni sul concorso<br />

possono essere richieste telefonicamente<br />

(347.4205085, Francesco Chiavarini)<br />

34 (38) ORDINE 3 <strong>2005</strong>


Katia Ferri<br />

Lavorare da casa<br />

di Giacomo Ferrari<br />

Fino a qualche anno fa il concetto<br />

di telelavoro era ancora<br />

un po’ astratto. Tutti ne parlavano<br />

ma nessuno sapeva bene<br />

come e quando poteva<br />

essere applicato nella pratica.<br />

C’erano soltanto <strong>dei</strong> tentativi,<br />

anche qualche esempio<br />

concreto, circoscritti però<br />

ad attività particolari. Soprattutto<br />

non esisteva una normativa.<br />

Ebbene, nel giugno<br />

del 2004 il telelavoro ha acquisito<br />

dignità giuridica.<br />

Confindustria e sindacati (le<br />

parti sociali anche in questo<br />

caso hanno anticipato il legislatore)<br />

hanno siglato un accordo<br />

generale che, oltre a riconoscere<br />

ufficialmente la<br />

nuova modalità professionale,<br />

ha regolamentato per la<br />

prima volta la possibilità di<br />

“lavorare da casa”. E proprio<br />

questo slogan è il titolo del<br />

volume, arrivato in libreria lo<br />

scorso autunno, realizzato<br />

con grande tempismo da<br />

Katia Ferri, una giornalista<br />

che da anni si occupa della<br />

cosiddetta economia di servizio<br />

su testate specializzate<br />

come Il Sole-24 ore, Investire,<br />

Banca & Finanza.<br />

L’analisi della Ferri parte da<br />

Giuliana Pelucchi<br />

L’amore più grande<br />

di Olimpia Gargano<br />

Fra i sei nuovi santi canonizzati<br />

il 16 maggio scorso ci sono<br />

quattro italiani: due sacerdoti,<br />

don Luigi Orione e don<br />

Annibale di Francia, e due<br />

donne lombarde, Paola<br />

Elisabetta Cerioli e Gianna<br />

Beretta Molla, medico pediatra,<br />

che a trentanove anni sacrificò<br />

la propria vita a quella<br />

della creatura che portava in<br />

grembo. Come dice il cardinale<br />

Tettamanzi nell’introduzione<br />

al libro, quella di Gianna<br />

Beretta Molla è l’esempio di<br />

una vita “normale”. Nata nel<br />

1922 a Magenta da famiglia<br />

numerosa (tredici tra fratelli e<br />

sorelle, tre <strong>dei</strong> quali presero i<br />

voti), Gianna Beretta crebbe<br />

in un clima di spiritualità francescana.<br />

Pur essendo di agiate<br />

condizioni economiche (il<br />

padre, Alberto, era un importante<br />

dirigente del Cotonificio<br />

Cantoni), i Beretta avevano<br />

improntato la vita familiare alla<br />

solidarietà sociale e a una<br />

parsimonia operosa, di stampo<br />

lombardo. La madre,<br />

Maria, confezionava da sé i<br />

capi di vestiario per i figli, che<br />

solo in quinta ginnasio avevano<br />

diritto all’abito “pulcro”,<br />

un’usanza oggi scomparsa in<br />

cui il rito di passaggio all’età<br />

adulta era contrassegnato da<br />

un vestito realizzato da un<br />

buon sarto. Nel libro di Giu-<br />

ORDINE 3 <strong>2005</strong><br />

una constatazione: oggi in<br />

Italia i lavoratori dipendenti<br />

che si avvalgono della possibilità<br />

di fornire la propria opera<br />

a distanza sono almeno 50<br />

mila. E addirittura 400 mila<br />

sono i telelavoratori autonomi<br />

o atipici. Chi lavora da casa<br />

può distribuire il proprio tempo<br />

come vuole. Può insomma<br />

lavorare di sera o durante<br />

il weekend: importante è infatti<br />

raggiungere l’obiettivo finale,<br />

cioè produrre una determinata<br />

quantità di documenti,<br />

o altro, entro un tempo stabilito.<br />

L’azienda, da parte sua, risparmia<br />

in termini di spazi,<br />

attrezzature e servizi per il<br />

personale. Senza contare il<br />

vantaggio “sociale” della riduzione<br />

della mobilità delle persone,<br />

con vantaggi per il traffico<br />

e per l’efficienza <strong>dei</strong> trasporti<br />

pubblici.<br />

Insomma, il telelavoro ha<br />

molti vantaggi. Uno solo l’aspetto<br />

negativo: negli uffici le<br />

persone comunicano fra loro<br />

costantemente, socializzano<br />

e si scambiano opinioni ed<br />

esperienze. Farlo attraverso il<br />

telefono o l’e-mail non è la<br />

stessa cosa…<br />

Katia Ferri,<br />

Lavorare da casa,<br />

Sperling & Kupfer,<br />

pagine 220, euro 13,50<br />

liana Pelucchi la biografia (non<br />

agiografica, raccontata con<br />

semplicità attraverso le parole<br />

del marito e <strong>dei</strong> familiari) di<br />

santa Gianna Beretta Molla è<br />

anche occasione per rivivere<br />

momenti di storia quotidiana<br />

del secolo scorso.<br />

Da ragazza, Gianna viveva felice<br />

nella sua bella famiglia<br />

d’origine, in belle case fra<br />

Magenta, Milano, Bergamo e<br />

Genova, dove frequentò il liceo<br />

classico. Dopo i devastanti<br />

bombardamenti dell’agosto<br />

1941, i Beretta lasciarono<br />

Genova per stabilirsi nella casa<br />

<strong>dei</strong> nonni materni sul colle<br />

di San Vigilio, a Bergamo.<br />

Da studentessa liceale, Gianna<br />

Beretta era un punto di riferimento<br />

nei gruppi giovanili<br />

dell’Azione Cattolica. Nel<br />

1949 si laureò in Medicina a<br />

Pavia, e meno di tre anni dopo<br />

si specializzò in Pediatria. Suo<br />

fratello Enrico, medico missionario,<br />

aveva ricevuto dal cardinale<br />

Schuster l’incarico presso<br />

una diocesi del Brasile. La<br />

sorella Virginia, suora canossiana<br />

e anche lei medico, stava<br />

per partire per l’India.<br />

A trentadue anni, Gianna<br />

Beretta esercitava con entusiasmo<br />

la professione medica<br />

nell’ambulatorio di Mesero,<br />

presso Magenta. Per tutti i<br />

suoi pazienti aveva una parola<br />

di speranza, e spesso interveniva<br />

aiutandoli concretamente<br />

in situazioni di necessità.<br />

LA LIBRERIA DI TABLOID<br />

Gian Luigi Falabrino<br />

Il design parla italiano<br />

di Michele Giordano<br />

Domus riveste un ruolo importante<br />

nella storia del<br />

giornalismo italiano. Basti<br />

pensare che l’intuizione di<br />

investire in quell’impresa<br />

editoriale promossa nel<br />

1928 dall’architetto Gio<br />

Ponti, l’autore del Pirellone,<br />

fu di Gianni Mazzocchi che,<br />

diciassette anni dopo, fonderà<br />

L’Europeo, quello di<br />

Arrigo Benedetti, e, ventuno<br />

anni dopo, Il Mondo di Mario<br />

Pannunzio. La oggi settantasettenne<br />

rivista di architettura<br />

e design, oltre al primato<br />

nella diffusione della nostra<br />

cultura del costruire e dell’inventare<br />

nel mondo, dunque<br />

un primato decisamente<br />

giornalistico, può vantarne<br />

per lo meno un altro: aver<br />

dato il nome a Domus Academy,<br />

anche se la scuola è<br />

del tutto indipendente dalla<br />

rivista e dalla casa editrice.<br />

Domus Academy, se non fu<br />

in senso stretto la prima<br />

scuola italiana di design<br />

(erano già nate, via via,<br />

quella dell’Umanitaria; la<br />

Politecnica del Design di<br />

Nino Di Salvatore; l’Istituto<br />

europeo del Design) fu certamente<br />

quella più ad ampio<br />

Quando le restava tempo,<br />

amava dipingere e suonare il<br />

pianoforte. La sua vita scorreva<br />

serena, in attesa, diceva<br />

lei, che Dio le facesse riconoscere<br />

la sua vocazione. Per<br />

qualche tempo prese in considerazione<br />

l’idea di seguire la<br />

via intrapresa dai suoi fratelli<br />

missionari. Poi, l’incontro con<br />

Pietro Molla, e l’intima certezza<br />

di sentirsi chiamata a essere<br />

moglie e madre cristiana.<br />

Madre, Gianna Beretta Molla<br />

lo fu fino all’estremo sacrificio<br />

di sé, quando durante la sua<br />

quarta gravidanza un grave<br />

problema di salute la pose di<br />

fronte alla scelta fra la propria<br />

vita e quella del nascituro. “Se<br />

devi decidere fra me ed il<br />

bambino, non avere esitazioni:<br />

scegli - e te lo chiedo - il<br />

bambino”, disse al marito pochi<br />

giorni prima del parto. Il 28<br />

aprile 1962, una settimana<br />

dopo aver dato alla luce una<br />

bella bambina, Gianna<br />

Beretta Molla si spegneva. La<br />

sua immagine è diventata, in<br />

Italia e nel mondo, simbolo di<br />

maternità radiosa e tenace.<br />

Giuliana Pelucchi,<br />

L’amore più grande,<br />

Paoline Editoriale Libri,<br />

pagine 206, euro 11,00<br />

respiro, soprattutto dal punto<br />

di vista della sua internazionalità.<br />

Gian Luigi Falabrino, giornalista,<br />

già direttore delle riviste<br />

politico-culturali Diogene<br />

e Mondo Nuovo e oggi docente<br />

di Storia della comunicazione<br />

visiva alla facoltà<br />

di Architettura del Politecnico<br />

di Torino, di Teorie e<br />

tecniche della comunicazione<br />

pubblicitaria al Dams<br />

di Imperia e di Storia del<br />

giornalismo all’Ifg Walter<br />

Tobagi dell’<strong>Ordine</strong> lombardo,<br />

ha tracciato della Domus<br />

Academy una storia ragionata<br />

in Il design parla italiano,<br />

libro edito, con traduzione<br />

in inglese a fronte, da<br />

Scheiwiller.<br />

Quel che si proponeva Domus<br />

Academy alla sua nascita,<br />

fortemente voluta da<br />

Maria Grazia Mazzocchi<br />

con Alessandro Mendini,<br />

Valerio Castelli e Alessandro<br />

Guerriero, era, come<br />

spiega Gillo Dorfles nella<br />

prefazione, l’obiettivo di “colmare<br />

la lacuna esistente<br />

nell’insegnamento del design<br />

- in tutte le diverse branchie<br />

di graphic, product, fashion<br />

design - a un livello didattico,<br />

peraltro, che fosse<br />

decisamente post-universi-<br />

Maria Martello<br />

Intelligenza emotiva<br />

e mediazione<br />

di Franz Foti<br />

Leggendo il lavoro di Maria<br />

Martello potete essere certi<br />

di imbattervi in un lavoro originale,<br />

che lascia poco spazio<br />

agli accostamenti con<br />

Goleman. Qui l’intelligenza<br />

emotiva si conficca nelle radici<br />

scoperte del vivere quotidiano,<br />

percorre i cunicoli<br />

emotivi e razionali dell’agire<br />

per poi risalire in superficie,<br />

con una proposta di formazione<br />

capace di dare risposte<br />

a molti interrogativi. Al centro<br />

dello studio c’è, naturalmente,<br />

la vita con i suoi conflitti,<br />

con i suoi bisogni di comprensione<br />

e di mediazione.<br />

L’umanità è attraversata da<br />

sentimenti. Taluni forti, altri<br />

più deboli e non per questo<br />

meno duraturi, meno presenti<br />

nell’animo di chi li nutre. Ma<br />

in tutti gli ambiti dell’esistenza,<br />

delle relazioni umane, il<br />

conflitto assorbe molta parte<br />

delle energie degli uomini.<br />

Forse si trascorre più tempo<br />

nel confitto che nell’armonia.<br />

Martello circoscrive tre ambiti<br />

d’osservazione del conflitto, i<br />

più importanti: la scuola, la famiglia<br />

e il luogo di lavoro. Ma<br />

per gestire il conflitto bisogna<br />

anzitutto saperlo riconoscere.<br />

E riconoscerlo significa<br />

considerarlo nei modi e con i<br />

tempi giusti, cogliere con intelligenza<br />

la conoscenza del<br />

tario (postgraduate), dunque<br />

che presupponesse la<br />

presenza di una laurea ottenuta<br />

in una università italiana<br />

o straniera. Inoltre, fin<br />

dalle origini, venne affiancato<br />

alla scuola un Centro ricerche<br />

(che dal 2004 ha<br />

preso il nome di Darc), vennero<br />

organizzate importanti<br />

mostre come Moda Italia:<br />

creatività, impresa, tecnologia<br />

nel sistema italiano della<br />

moda, che si tenne nel 1988<br />

al Pier 88 di New York, esponendo<br />

i maggiori nomi <strong>dei</strong><br />

designer del settore made in<br />

Italy come Armani, Biagiotti,<br />

Fendi, Ferrè, Krizia, Missoni,<br />

Valentino e Versace.<br />

Meritato e ambitissimo premio,<br />

nel 1994, Domus Academy<br />

ricevette il Compasso<br />

d’Oro alla carriera offerto<br />

dall’Adi, l’associazione per il<br />

disegno industriale. E sono<br />

centinaia i giovani che, usciti<br />

da Domus Academy, hanno<br />

fatto conoscere al mondo la<br />

professionalità innovativa<br />

del designer italiano.<br />

Il libro di Falabrino ripercorre<br />

e sviscera le vivende della<br />

scuola e degli eventi di cui<br />

fu protagonista, grazie anche<br />

alle testimonianze <strong>dei</strong><br />

protagonisti: fra gli altri,<br />

Guido e Valerio Castelli,<br />

mondo dell’altro, precisare a<br />

se stessi il senso profondo<br />

del proprio agire sia nelle<br />

azioni che nelle reazioni. Una<br />

volta tracciati i confini del conflitto<br />

bisogna sviluppare l’arte<br />

della mediazione per riportare<br />

le “parti” a riconsiderare le<br />

reciproche ragioni e trovare<br />

una via d’uscita che mantenga<br />

il loro “equilibrio emotivo”,<br />

evitando di stabilire sconfitti e<br />

vincitori. Per fare tutto ciò occorre<br />

però dispiegare una ragnatela<br />

emotivamente intelligente,<br />

capace di maturità<br />

propria. E dunque necessita<br />

un mediatore che abbia consapevolezza<br />

delle proprie<br />

emozioni, che sappia classificarle<br />

e razionalizzarle, che<br />

sia in grado di controllarle. In<br />

questo modo si potrà essere<br />

attenti alle emozioni degli altri.<br />

Se si è in grado di riconoscere<br />

il proprio malessere,<br />

fissandone le coordinate<br />

principali, si potrà accogliere<br />

il malessere dell’altro. Il mediatore<br />

d’emozioni “è colui<br />

che sta in mezzo come spazio<br />

partecipato, in cui si assume<br />

“questo e quello” per capire<br />

le ragioni delle parti, per<br />

trovare le differenze e stimolare<br />

la ripresa della comunicazione<br />

interrotta cercando di<br />

giungere alla risoluzione pacifica<br />

<strong>dei</strong> conflitti”. Secondo<br />

Martello, bisogna riordinare e<br />

ricollocare le situazioni entro<br />

schemi razionali dopo averle<br />

Gianfranco Ferré, Alessandro<br />

Mendini. Segue<br />

un’appendice con seminari,<br />

conferenze, mostre, iniziative<br />

ideate da Domus Academy<br />

nei suoi oltre vent’anni<br />

di attività culturale. I giovani<br />

aspiranti designer interessati<br />

possono trarre ispirazioni<br />

e informazioni sul sito<br />

www.domusacademy.it.<br />

Gian Luigi Falabrino,<br />

Il design parla italiano.<br />

Vent’anni di Domus<br />

Academy,<br />

Libri Scheiwiller,<br />

Pagine 328, euro 30,00<br />

inquadrate e ridisegnate non<br />

solo sulla base <strong>dei</strong> dati oggettivi,<br />

ma di quelli intuitivi. E<br />

questo significa indagare tra<br />

le pieghe dell’agire e del pensare,<br />

considerare con attenzione<br />

ciò che appare confuso<br />

o poco comprensibile, dare<br />

valore alle proprie reazioni<br />

soggettive, non chiudersi nella<br />

ricerca di soluzioni esclusivamente<br />

razionali. Come si<br />

perviene allo sviluppo dell’intelligenza<br />

emotiva e alla mediazione?<br />

Maria Martello è<br />

perentoria: solo con la formazione!<br />

È a questo punto che<br />

viene in evidenza il modello<br />

umanistico proposto in questo<br />

lavoro che consiste nell’approfondire<br />

la propria formazione<br />

umana e professionale,<br />

nel rivedere ed elaborare<br />

i propri conflitti archiviati,<br />

nello sviluppare le proprie capacità<br />

di relazione, nell’esercitazione<br />

dell’espressione<br />

della propria intelligenza<br />

emotiva. Si tratta di un volume<br />

che è rivolto a tutti coloro<br />

che vogliono migliorare il proprio<br />

quotidiano, sentendo riconosciuta<br />

la propria dignità<br />

e soddisfatto il bisogno di<br />

condivisione e complicità.<br />

Maria Martello.<br />

Intelligenza emotiva<br />

e mediazione.<br />

Una proposta<br />

di formazione,<br />

Giuffrè Editore, euro 18,00<br />

35 (39)


LA LIBRERIA DI TABLOID<br />

Matteo Collura<br />

In Sicilia<br />

di Ottavio Rossani<br />

Matteo Collura ci ha regalato,<br />

nel suo più recente libro,<br />

un modo diverso di vedere la<br />

Sicilia. È possibile perché ci<br />

consegna lenti speciali fatte<br />

di scrittura evocatrice, denunciante,<br />

smitizzante: sono<br />

lenti paraboliche che permettono<br />

una visione d’insieme,<br />

ma in contemporanea<br />

anche visioni singole, parziali,<br />

delimitate. Sono lenti<br />

che ci inducono a viaggiare<br />

in Sicilia dall’alto ma anche<br />

dal basso, che ci concedono<br />

di parlare con i presenti e<br />

con gli assenti, con i contemporanei<br />

e con li trapassati.<br />

Queste lenti non attengono<br />

agli occhi ma alla mente:<br />

amplificano i pensieri, le<br />

memorie, le opere d’arte, gli<br />

eventi, i personaggi. Nel libro<br />

In Sicilia lo scrittore-giornalista<br />

siciliano, che ormai da<br />

30 anni è diventato “milanese”,<br />

con una lunga militanza<br />

di giornalismo culturale al<br />

Corriere della Sera, propone<br />

un itinerario letterario/entomologico<br />

che disvela illumina<br />

i chiaroscuri <strong>dei</strong> siciliani e<br />

della Sicilia, spiega le contraddizioni,<br />

motiva i rifiuti e<br />

l’indifferenza, sfata luoghi<br />

comuni, denuda il sistema<br />

osseo su cui si innerva un<br />

paesaggio perfettamente<br />

aderente al carattere <strong>dei</strong> siciliani.<br />

Collura estrae da<br />

Lido Picarelli<br />

Cetraro Nova<br />

di Filippo Senatore<br />

Il ritratto più efficace della piccola<br />

borghesia intellettuale del<br />

Mezzogiorno viene disegnato<br />

con fosche linee da Gaetano<br />

Salvemini su La Voce del 3<br />

gennaio 1909, rivista d’orientamento<br />

ostile a Giovanni Giolitti,<br />

fondata nell’anno precedente<br />

da Giuseppe Prezzolini. Forse<br />

l’amarezza di Salvemini, storico<br />

e meridionalista pugliese, è<br />

accentuata dalla perdita recente<br />

della moglie e <strong>dei</strong> figli sotto le<br />

macerie del terremoto di<br />

Messina. Giolitti, nel biennio<br />

1909/1910, pur rimanendo nell’ombra<br />

come il più potente uomo<br />

politico di quegli anni, lascia<br />

la presidenza del Consiglio<br />

prima a Sydney Sonnino<br />

e poi a Luigi Luzzatti.<br />

Siamo in epoca di grandi mutamenti<br />

economici e sociali.<br />

Decollo industriale, emigrazione,<br />

riordinamento del sistema<br />

bancario e crescita del reddito<br />

sino alla crisi del 1907.<br />

Arrivano le leggi speciali per il<br />

Mezzogiorno, la statizzazione<br />

delle ferrovie, la conversione<br />

della rendita, il monopolio statale<br />

delle assicurazioni sulla vita,<br />

la riforma scolastica Daneo-<br />

questo viaggio l’essenza<br />

stessa <strong>dei</strong> siciliani, come popolo<br />

invaso, conquistato,<br />

stuprato, sottomesso, amministrato,<br />

visitato, apprezzato<br />

o disprezzato. Insomma lo<br />

scrittore fa da guida al lettore,<br />

ma non per un tour turistico,<br />

bensì per un’immersione<br />

storica, letteraria, etnologica,<br />

archeologica, geografica.<br />

Tutti questi aspetti non sono<br />

in successione logica o cronologica<br />

o per capitoli. La<br />

narrazione, che di questo si<br />

tratta, è un tutt’uno di sentimenti,<br />

umori, ricordi, citazioni.<br />

In Sicilia è il libro “totale”,<br />

connaturato alla nascita e al<br />

primo vissuto, che prima o<br />

poi ogni scrittore vorrebbe<br />

scrivere. Il libro in cui l’autore<br />

ritrova le origini, gli amici, i<br />

maestri, i paesaggi, i sogni,<br />

le delusioni. Alla fine di questa<br />

esplorazione a tutto tondo<br />

restano soprattutto i lampi<br />

della disperazione per<br />

l’immutabilità delle cose e<br />

<strong>dei</strong> comportamenti, resta la<br />

sensazione e la convinzione<br />

dell’ “irredimibilità” del paesaggio<br />

siciliano, già sanzionata<br />

da Giuseppe Tomasi di<br />

Lampedusa, che Matteo<br />

Collura assume a paradigma<br />

per la comprensione dell’universo-Sicilia.<br />

È proprio il paesaggio la<br />

chiave di lettura. I siciliani vivono<br />

in un paesaggio che i<br />

visitatori stranieri considera-<br />

Credaro e l’introduzione del<br />

suffragio universale maschile.<br />

Un riformismo, quello di Giolitti,<br />

non privo di limiti e una politica<br />

economica che avrebbero favorito<br />

l’industria protetta e la<br />

grande proprietà terriera, tutelata<br />

dal dazio sul grano. Al riformismo<br />

empirico di Giolitti,<br />

Sonnino contrappone un programma<br />

non privo d’aperture<br />

sociali, attento ai problemi del<br />

Mezzogiorno ed alle condizioni<br />

delle classi rurali. Che cosa avviene<br />

in quel tempo a livello locale,<br />

in una piccola cittadina<br />

meridionale?<br />

Lido Picarelli, infaticabile cronista,<br />

ha scoperto la vita intensa,<br />

ma breve di una rivista edita a<br />

Cetraro, in provincia di Cosenza<br />

tra il 1909 e il 1910.Tre<br />

giovani studenti universitari,<br />

appartenenti alla borghesia cittadina<br />

decidono di fondare un<br />

periodico, Cetraro Nova.<br />

Non si tratta <strong>dei</strong> Cocò, figli di<br />

papà sbeffeggiati da Salvemini<br />

nel citato articolo de La Voce,<br />

ma al contrario di una nuova<br />

generazione che contesta, sia<br />

pure in modo garbato e moderato<br />

il potere amministrativo del<br />

municipio lanciando proposte<br />

concrete per il miglioramento a<br />

livello sociale del consorzio ci-<br />

no di straordinaria bellezza<br />

ma a loro è pressoché indifferente.<br />

Leonardo Sciascia a<br />

questo proposito parla di “invisibilità<br />

dell’evidenza”.<br />

Tomasi di Lampedusa, come<br />

già detto, definisce il<br />

paesaggio siciliano “irredimibile”.<br />

E Collura dice: “Ho voluto<br />

verificare se è vero che<br />

è ‘irredimibile’, e conclude:<br />

“Sì è vero, esiste un legame<br />

tra un determinato paesaggio<br />

e il carattere della gente<br />

che lo anima. Ma non esiste,<br />

non può esistere, un rapporto<br />

tra quel paesaggio e il<br />

sentire morale di quella stessa<br />

gente. La Sicilia, ora so, in<br />

questo non fa eccezione; e<br />

se quel rapporto vi appare<br />

connaturato è perché è stato<br />

sistematicamente violentato,<br />

corrotto, avvelenato dalla<br />

storia. Ecco il perché di tanto<br />

stravolgimento, di tanto oltraggio<br />

al paesaggio. Si illudono<br />

così di cambiare casa,<br />

gli inquilini della storia, mentre<br />

è questo nostro tempo a<br />

sfrattarli, togliendo loro una<br />

consapevolezza di cui andare<br />

fieri, e nello stesso tempo,<br />

di cui diffidare”.<br />

Collura si mette in cammino<br />

avendo addosso e negli occhi<br />

le percezioni già tramandate<br />

dai grandi scrittori che<br />

in passato hanno visitato e<br />

cercato di capire la Sicilia.<br />

Uno su tutti: Goethe, per il<br />

quale se si vuol capire qualcosa<br />

dell’Italia bisogna guar-<br />

vile. Il limite <strong>dei</strong> tre studenti,<br />

giornalisti dilettanti, è il soffermarsi<br />

verso una quotidianità locale<br />

non sempre riflesso di<br />

problematiche sociali e politiche<br />

generali. Il merito è tuttavia<br />

quello di affermare una voce<br />

critica nuova in un contesto di<br />

arretratezza e miseria della<br />

Calabria di quegli anni che l’8<br />

settembre 1905 viene colpita<br />

da un terremoto con epicentro<br />

a Monteleone Calabro, ma che<br />

s’irradia in gran parte della regione.<br />

Morti, feriti e devastazione<br />

in una terra già colpita da alluvioni,<br />

malaria e dal mal governo<br />

del territorio. La stampa<br />

nazionale dà rilievo all’evento,<br />

lanciando comitati di soccorso<br />

per raccogliere aiuti da portare<br />

nelle zone del sisma. Il re<br />

Vittorio Emanuele III accorre<br />

sui luoghi della sciagura con<br />

molti giornalisti al seguito compreso<br />

Luigi Barzini, mitico corrispondente<br />

del Corriere della<br />

Sera, appena rientrato dal fronte<br />

della guerra russo-giapponese.<br />

La legge 25 giugno 1906 stabilisce<br />

i provvedimenti a favore<br />

della Calabria per le zone terremotate<br />

con l’avvio di opere<br />

pubbliche edificative e ricostruttive.Alla<br />

piccola città di settemila<br />

anime, Cetraro, uno<br />

sperone di roccia affacciato sul<br />

Tirreno, spetta qualche briciola<br />

per la bonifica di un fatiscente<br />

borgo marinaro, l’edificazione<br />

di nuove case per pescatori e il<br />

completamento delle strade vicinali.<br />

La burocrazia parassitaria<br />

ed inefficiente, sia statale<br />

sia locale, rallenta il corso delle<br />

opere pubbliche. A parte la rife-<br />

dare la Sicilia, nulla accade<br />

in Italia che non sia già accaduta<br />

in Sicilia. Ma Collura<br />

fonda la sua capacità d’indagine<br />

sulla percezione della<br />

storia e <strong>dei</strong> comportamenti;<br />

pertanto i riferimenti culturali<br />

gli servono solo per sfatare<br />

le stupidità, per denunciare<br />

gli abusi, per stigmatizzare<br />

le abbiezioni lungo i secoli.<br />

Così sono presenti, in questo<br />

racconto che scopre le filigrane<br />

morali ed estetiche<br />

dell’isola e <strong>dei</strong> suoi abitanti, i<br />

numi tutelari della sua esperienza<br />

letteraria (Verga,<br />

Pirandello, Brancati, Tomasi<br />

di Lampedusa, Sciascia,<br />

Vittorini, Calvino, Malaparte,<br />

ecc.), e i luoghi che hanno<br />

colpito la sua immaginazione:<br />

da Portella della Ginestra<br />

alla Chiesa <strong>dei</strong> Cappuccini a<br />

Palermo con le mummie appese<br />

in una mostra macabra<br />

e sconvolgente; dalla cittàcapitale<br />

Palermo, “teatro di<br />

teatri” come la Vucciria o<br />

piazza Bellini, a Cassibile<br />

con la sua storia dimenticata<br />

di un problematico armistizio<br />

con il successivo sbarco degli<br />

Alleati; dal manicomio di<br />

Agrigento al sacco della<br />

Valle <strong>dei</strong> templi. Collura ci<br />

sorprende nella bellezza di<br />

Iblea che stordisce, ma anche<br />

con la sottile e onnipresente<br />

invadenza delle targhe<br />

e delle lapidi. Gli aspetti sono<br />

molti, i passaggi innumerevoli.<br />

Solo per fare tre<br />

esempi: la storia di Cagliostro<br />

ripercorsa attraverso la<br />

testimonianza di Goethe, la<br />

vicenda del principe “mago”<br />

Raniero Alliata, la battaglia<br />

di Calatafimi e il trascurato<br />

mausoleo.<br />

Sotto a questo affresco,<br />

viaggiano insieme allo scrittore,<br />

dall’inizio alla fine, la<br />

bellezza del paesaggio co-<br />

rita legge del 1906, i giovani<br />

cetraresi non dicono nulla negli<br />

articoli della rivista. Tacciono<br />

sui presunti danni sismici riportati<br />

nell’area di Cetraro. Quello<br />

che è incredibile è il silenzio totale<br />

sul più devastante e coevo<br />

terremoto di Messina del 1908.<br />

Sembrerebbe che i giovani<br />

giornalisti abbiano una sorta di<br />

senso di rimozione.<br />

Le graziose elargizioni del governo<br />

al borgo cetrarese, colpito<br />

marginalmente dal terremoto,<br />

portano ad una sorta di<br />

complice silenzio. Se si dovesse<br />

parlare delle zone più colpite,<br />

al piccolo campanile non<br />

spettebbe alcun finanziamento,<br />

ma la politica giolittiana ha<br />

bisogno di qualche elemosina<br />

per ingraziarsi le popolazioni,<br />

comunque colpite dall’arretratezza<br />

economica e culturale.<br />

Le punzecchiature al notabile<br />

del luogo esprimono il dissenso<br />

verso i politicanti.<br />

I tre giovani giornalisti Francesco<br />

Aita, Attilio De Caro e Luigi<br />

Losardo nel primo editoriale<br />

del 16 aprile 1909, denunciano<br />

l’arretratezza della propria regione<br />

rifiutando pietismi ed autocommiserazioni.<br />

C’è la consapevolezza<br />

e la condivisione<br />

della denuncia salveminiana<br />

che individua come male principale<br />

la classe dirigente locale,<br />

definita da coraggiosi cetraresi<br />

“accattoni nei crocicchi”<br />

che sbarrano il passo “a quel<br />

burbero benefico che sarebbe<br />

lo Stato, per chiedergli l’elemosina<br />

di una legge speciale”. In<br />

un altro corsivo si individuano<br />

le ragioni verriane illuministe<br />

della miseria. “La ricca Sviz-<br />

me metafora della morte, in<br />

quanto la bellezza viene profanata<br />

soprattutto dal disinteresse<br />

della gente che abita<br />

quel paesaggio e la questione<br />

etica degli “inquilini derlla<br />

storia” che attendono “irredimibilmente”<br />

di essere sfrattati<br />

da quel paesaggio che<br />

non vedono e che hanno comunque<br />

coartato.<br />

Si leggano le intense pagine<br />

narrative che riguardano gli<br />

eucalipti come simboli di<br />

morte. Scrive Collura: “È un<br />

albero che ben si adatta a<br />

questo clima, l’eucalipto, e<br />

che cresce rapidamente, inibendo<br />

presso di sé la presenza<br />

di altre piante. Gli uccelli<br />

raramente vi nidificano,<br />

per questo il suo già triste<br />

aspetto è ancora più desolato.<br />

Non vi è vita negli eucalipti,<br />

al contrario – ed è un<br />

paradosso constatarlo – <strong>dei</strong><br />

cimiteriali cipressi, vivi al loro<br />

interno del frullare di molte<br />

specie volatili.<br />

Dimorano gli eucalipti, nella<br />

desolata scarpata dove un<br />

branco di assassini troncò la<br />

vita del giudice Livatino; ed<br />

eucalipti ho visto ergersi affranti<br />

in un giornio di luce livida<br />

tutt’intorno ai resti della<br />

miniera di zolfo dove Giuseppe<br />

Sciascia si uccise; e<br />

queste stesse dolenti piante<br />

copiosamente costeggiano<br />

la strada che conduce a<br />

Portella della Ginestra”.<br />

Singolare analisi letteraria,<br />

ma proprio perciò molto reale,<br />

di una costante sul territorio<br />

dell’isola: dove c’è la morte<br />

c’è luce, anzi c’è una luce<br />

eccessiva. Dove ci sono stati<br />

aggressione, stupro, violazione,<br />

conquista, repressione,<br />

ricatto, delitto, ecco, c’è<br />

sempre stata una luce accecante.<br />

Non si può disgiungere<br />

la luce della Sicilia dall’e-<br />

zera era una regione poverissima,<br />

non aveva che giogaie aride<br />

e nevose, la nostra Lombardia<br />

era un pantano”. Tale<br />

approccio non dimentica la lezione<br />

di Giustino Fortunato, altro<br />

grande meridionalista lucano<br />

il quale avverte di non trasformare<br />

la denuncia delle<br />

condizioni di arretratezza del<br />

Mezzogiorno in una lamentosa<br />

giaculatoria scioccamente colpevolizzatrice<br />

e vittimistica. La<br />

rivista calabrese individua nelle<br />

cronache locali disservizi burocratici<br />

che portano a sprechi di<br />

risorse e al rallentamento ulteriore<br />

di un timido sviluppo economico<br />

di un’area tagliata fuori,<br />

nonostante la ferrovia e le potenzialità<br />

del trasporto marittimo.<br />

Per non parlare delle strade<br />

pubbliche incomplete che per<br />

pochi metri tagliano fuori del sistema<br />

di sviluppo intere aree<br />

interne. Sono questioni molto<br />

attuali e i tre giovanotti pazientemente<br />

suggeriscono soluzioni<br />

di buon senso.<br />

Altre descrizioni pittoresche ed<br />

eventi minori, denunciano carenze<br />

igieniche, mancanza di<br />

formazione del personale sanitario,<br />

la delazione anonima:<br />

uno <strong>dei</strong> mali della giustizia e le<br />

piccole lobby e le camarille di<br />

paese.<br />

Lido Picarelli riesce a decifrare<br />

gli articoli con un’ampia annotazione<br />

storico-politica, valorizzando<br />

ed attualizzando il patrimonio<br />

di una memoria che va<br />

preservata ed interpretata per<br />

comprendere il presente. Una<br />

lezione etica di giornalismo.<br />

In questi brevi anni d’inizio se-<br />

vento di morte. E dove c’è<br />

morte ci sono eucalipti.<br />

La morte, la luce, l’ingiustizia,<br />

i personaggi “folli”.<br />

Pirandello ha dato l’interpretazione<br />

autentica <strong>dei</strong> siciliani:<br />

quando non possono risolvere<br />

razionalmente i problemi<br />

trovano la via d’uscita<br />

nella follia.<br />

I siciliani amano allo stremo<br />

la loro terra. E tuttavia non<br />

vedono l’ora di abbandonarla,<br />

perché è l’unico modo di<br />

salvarsi dalle storture, dalle<br />

imposture, dalla violenza,<br />

dalla mafia. Conclusione<br />

pessimista, come d’altronde<br />

era la visione del “Gattopardo”<br />

Tomasi di Lampedusa,<br />

ma che nasce da un<br />

amore sconfinato dell’autore<br />

per la sua terra e dal dispiacere<br />

di vedere l’immutabilità<br />

delle cose. Il viaggio quindi si<br />

conclude con l’ammissione<br />

di questo grande amore ma<br />

con la convinzione che si<br />

tratta di un amore perduto,<br />

impossibile, che fa parte di<br />

sé ma è ormai fuori di sé. Un<br />

lento e inesorabile abbandono<br />

di questa donna bella ma<br />

infernale, che non sa mantenere<br />

le promesse. E la ragione<br />

di un simile viaggio<br />

“estraniante”? Eccole: “Un<br />

viaggio negli anni perduti, alla<br />

ricerca di un senso da dare<br />

allo sfacelo che mi si apre<br />

davanti ogni qual volta, come<br />

fosse un bisogno dell’anima,<br />

mi predispongo a rivedere<br />

il mio modestissimo<br />

aleph, quel luogo – dice<br />

Borges – «dove senza confondersi<br />

si trovano tutti i luoghi<br />

della terra, visti da tutti gli<br />

angoli» “.<br />

Matteo Collura,<br />

In Sicilia, Longanesi 2004,<br />

pagine 222, euro 14,00<br />

colo la rivista riesce ad autosovvenzionarsi<br />

con le inserzioni<br />

commerciali in aumento e<br />

con l’apporto di un pubblico di<br />

lettori non numeroso, ma assiduo.<br />

Picarelli s’interroga senza esito<br />

della rottura del sodalizio che<br />

porta alla chiusura della rivista.<br />

Il libro si conclude con un breve<br />

cenno alla rivista concorrente<br />

l’Aurora.<br />

Al di là <strong>dei</strong> limiti, Cetraro Nova,<br />

(reperibile solo nella biblioteca<br />

cittadina: una rarità) fotografa<br />

l’anelito e le speranze di quegli<br />

anni di un popolo semplice che<br />

vince gli stenti con la poesia <strong>dei</strong><br />

canti e <strong>dei</strong> balli senza perdere<br />

di vista la cruda realtà.<br />

“Si è levato subito un grido:<br />

Viva Milano! Quando siamo<br />

partiti, la popolazione è corsa<br />

per una scorciatoia gridandoci<br />

ancora:Viva Milano! come ultimo<br />

saluto. Per alcuni minuti<br />

nessuno di noi ha potuto articolare<br />

parola, tanto la gola era<br />

serrata dal pianto. E questi sono<br />

i calabresi dalla fama così<br />

sinistra! E non vi è più buona<br />

gente nel mondo... questo popolo<br />

che ha conservato nella<br />

sua isolazione i più puri tesori<br />

di virtù” (Luigi Barzini, da una<br />

cronaca in prima pagina del<br />

Corriere della Sera, 18 settembre<br />

1905).<br />

Lido Picarelli,<br />

Cetraro Nova.<br />

Lettura critica<br />

del periodico fondato<br />

e redatto nel 1909 – 1910,<br />

Amministrazione Comunale<br />

e Pro Loco di Cetraro,<br />

pagine 183<br />

36 (40) ORDINE 3 <strong>2005</strong>


Stefano Jesurum<br />

Israele<br />

nonostante tutto<br />

di Vito Soavi<br />

Il mio parroco, che è un eminente<br />

teologo, riteneva che<br />

Ben Gurion fosse approdato<br />

in Palestina nel 1946, quando,<br />

nella realtà, vi arrivò quarant’anni<br />

prima. Il Museo<br />

Diocesano di Milano ha recentemente<br />

ospitato una mostra<br />

fotografica, titolata “Anima<br />

mundi “, un bellissimo reportage<br />

alla ricerca delle manifestazioni<br />

di fede e spiritualità<br />

delle religioni di tutto il<br />

mondo, con una sorprendente<br />

lacuna: all’ebraismo è stata<br />

dedicata una sola immagine,<br />

ripresa nel cimitero di Venezia.<br />

Cito questi episodi per<br />

evidenziare qunto la pubblica<br />

opinione, a tutti i livelli, sia<br />

tendenzialmente poco informata<br />

e poco sensibile alle secolari<br />

traversie del popolo<br />

ebraico e quini facile “preda”<br />

di chi si fa sentire di più, con<br />

le grida e, purtroppo, con gli<br />

attentati suicidi. Dove sono<br />

realmente le ragioni e dove i<br />

torti?<br />

Stefano Jesurum tenta, con<br />

molto equilibrio, di individuare<br />

le realtà attraverso il resoconto<br />

di un suo recente viaggio<br />

in Terra Santa, uscito in libreria<br />

con il titolo “Israele nonostante<br />

tutto”.<br />

Prendendoci per meno ci accompagna<br />

nei sobborghi arabi<br />

di Gerusalemme, ci fa at-<br />

Pietro Mancini<br />

Giacomo Mancini,<br />

mio padre<br />

di Antonio Duva<br />

Il 22 dicembre del 1966<br />

Pietro Nenni annota nel suo<br />

diario: “Giornata di intenso<br />

lavoro al Consiglio <strong>dei</strong> ministri…<br />

Nel pomeriggio approvata<br />

la riforma urbanistica<br />

proposta da Mancini. Fino<br />

all’ultimo minuto c’è stata<br />

una discussione minuziosa.<br />

Per parecchi ministri si è trattato<br />

di un boccone amaro da<br />

inghiottire, per Mancini di un<br />

successo, anche se sarà attaccato<br />

da sinistra non meno<br />

che da destra”.<br />

Sono soltanto poche righe,<br />

sufficienti tuttavia, per l’anziano<br />

leader socialista, a dare<br />

un’immagine incisiva dell’azione<br />

di Giacomo Mancini<br />

e <strong>dei</strong> suoi motivi ispiratori: tenacia,<br />

concretezza e voglia<br />

di affermazione, per sé certamente,<br />

ma anche per la<br />

sua terra, la Calabria, e per il<br />

suo partito, il Psi, ai cui ideali<br />

Mancini fu sempre profondamente<br />

legato anche per ragioni<br />

familiari, in quanto figlio<br />

di Pietro, uno <strong>dei</strong> padri fondatori<br />

del socialismo nel<br />

Mezzogiorno.<br />

ORDINE 3 <strong>2005</strong><br />

traversare le strade affollate<br />

di una modernissima Tel Aviv,<br />

viaggiare nel deserto del<br />

Neghev, “location” <strong>dei</strong> più celebri<br />

film westrn americani,<br />

raggiungere sperduti kibbutz<br />

dove la sabbia è stata miracolosamente<br />

trasformata in<br />

terreno fertile, respirare un’aria<br />

diversa visitando i grandi<br />

magazzini Ikea, frequentati<br />

da arabi e mussulmani, fedeli<br />

ed infedeli, pacifisti e nuovi<br />

zeloti, fino a farci sostare davanti<br />

al “Muro invisibile”, la<br />

moderna barriera che è diventata<br />

simbolo, a secondo<br />

da dove la si guardi, di oppressione<br />

o di sicurezza.<br />

Il racconto si sviluppa in trenta<br />

capitoli, in ognuno <strong>dei</strong> quali<br />

vi è protagonista un personaggio,<br />

tessera di un vivacissimo<br />

mosaico che ritrae la<br />

realtà di un paese rispettoso,<br />

al di sopra di tutto, <strong>dei</strong> principi<br />

della democrazia.<br />

In questa carrellata speravo<br />

di trovare un accenno a Nevè<br />

Shalom Wahat As Salam, insediamento<br />

collocato fra<br />

Gerusalemme e Tel Aviv, da<br />

trent’anni convivenza, in pace<br />

e in armonia, di arabi ed<br />

israeliani, e dove è sorta una<br />

importante scuola che è meta<br />

sempre più ambita per i figli<br />

<strong>dei</strong> benpensanti cittadini di<br />

Israele, ed anche al frequentatissimo<br />

Circolo <strong>dei</strong> Genitori<br />

di Gaza, aperto a coloro che<br />

hanno perso un figlio in guer-<br />

Ma dal passo del diario di<br />

Nenni si coglie anche un altro<br />

elemento che accompagnò<br />

Mancini nel corso della<br />

sua lunghissima battaglia<br />

politica (dalla lotta antifascista<br />

sino ai primi anni del<br />

nuovo secolo) : la capacità di<br />

suscitare – come capita<br />

spesso agli autentici riformisti<br />

– talvolta consensi ma anche<br />

feroci ostilità, come appunto<br />

rilevava Nenni, “a sinistra<br />

non meno che a destra”.<br />

Questi tratti di fondo del leader<br />

socialista calabrese sono<br />

posti bene in luce da un<br />

agile volume che il figlio<br />

Pietro gli ha dedicato a due<br />

anni dalla scomparsa, avvenuta<br />

nell’aprile 2002.<br />

Il forte legame familiare, che<br />

dà sapore all’intero volume<br />

ed è del resto evidenziato sin<br />

dal titolo, non va a detrimento<br />

della chiarezza dell’analisi e<br />

l’amor filiale non offusca la<br />

professionalità dell’autore, lucido<br />

e sperimentato giornalista,<br />

per lunghi anni a Il<br />

Giorno e da tempo alla Rai.<br />

Il lettore si trova perciò di<br />

fronte, più che a una biografia<br />

in senso stretto, a una<br />

lunga inchiesta sul Mancini<br />

LA LIBRERIA DI TABLOID<br />

ra, sia da parte israeliana che<br />

da parte araba.<br />

Come si legge nella presentazione<br />

che trova spazio nei<br />

risguardi di copertina di questo<br />

libro, sorge alla fine, spontaneo,<br />

il desiderio di innalzare<br />

un canto d’amore a questa<br />

terra straordinaria, perchè in<br />

chi ha avuta la sorte fortunata<br />

di visitarla, come chi scrive<br />

queste note, rimane per lei<br />

una sottile penetrante nostalgia.<br />

Così ho deciso che regalerò il<br />

libro di Jesurum al mio parroco<br />

teologo, certo che lo gradirà,<br />

e forse anche al direttore<br />

del Museo Diocesano.<br />

Stefano Jesurum,<br />

Israele nonostante tutto,<br />

Longanesi & C. -<br />

ottobre 2004,<br />

pagine 196, euro 14,50<br />

politico del cui operato sono<br />

ricordati, accanto ai numerosi<br />

successi, anche le sconfitte<br />

e i giorni amari che non<br />

mancarono certo nel corso<br />

di quasi sei decenni di continuo<br />

impegno.<br />

“Non si tratta di un monumento<br />

all’uomo infallibile”,<br />

ha giustamente osservato<br />

Santino Salerno, presentando<br />

il libro di Pietro Mancini<br />

nel quale sono infatti registrati<br />

anche “i momenti difficili<br />

dell’uomo di potere, fatto<br />

bersaglio di numerose campagne<br />

scandalistiche”.<br />

Un ritratto, insomma, a tutto<br />

tondo dedicato a una figura<br />

controversa e tuttavia sicuramente<br />

significativa dell’Italia<br />

repubblicana.<br />

Di Mancini colpiscono alcuni<br />

tratti peculiari: in primo luogo<br />

la sua fedeltà assoluta verso<br />

il socialismo che spicca in un<br />

mondo politico che, specie<br />

nella fase di trapasso dalla<br />

prima alla seconda Repubblica,<br />

si dette con larghezza<br />

alla pratica del trasformismo.<br />

Poi la sua visione della politica<br />

di centro-sinistra: l’alleanza<br />

con la Dc non avrebbe<br />

dovuto in nessun caso atte-<br />

Benito Melchionna<br />

Sul treno.<br />

Muoversi nell’ambiente<br />

di Olimpia Gargano<br />

Peccato che non si trovi in libreria,<br />

perché questo bel volume<br />

dedicato al treno e realizzato<br />

su iniziativa delle<br />

Ferrovie Nord Milano si fa<br />

leggere che è un piacere. Se<br />

poi la lettura avviene giusto<br />

durante un viaggio su strada<br />

ferrata, come è capitato a chi<br />

scrive, potrebbe quasi riconciliarci<br />

con quello che fra i<br />

moderni mezzi di trasporto è<br />

il più suggestivo ma - almeno<br />

in Italia - non altrettanto soddisfacente<br />

quanto a puntualità<br />

e servizi.<br />

Benito Melchionna, magistrato<br />

umanista, conosce il piacere<br />

del racconto, e lo esercita<br />

in questo suo nuovo saggio<br />

che è al tempo stesso<br />

una storia di emozioni e ricordi<br />

collettivi legati all’esperienza<br />

del viaggio ferroviario, ripercorsa<br />

attraverso riferimenti<br />

che vanno dall’arte alla letteratura<br />

alla canzone d’autore<br />

(una per tutte, Azzurro di<br />

Paolo Conte, portata al successo<br />

da Celentano, che se<br />

esistesse un inno nazionale<br />

del viaggiatore potrebbe essere<br />

la canzone ufficiale delle<br />

ferrovie italiane).<br />

Melchionna, Procuratore della<br />

Repubblica presso il<br />

Tribunale di Crema e docente<br />

di Diritto dell’informatica alla<br />

Statale di Milano, si occupa<br />

nuare, riteneva Mancini,<br />

un’aspirazione <strong>dei</strong> socialisti<br />

a diventare – nel lungo periodo<br />

– alternativi sia ai democristiani<br />

sia ai comunisti.<br />

Egli era convinto – e lo dimostrò<br />

nella lunga esperienza<br />

alla guida di ministeri di “peso”<br />

come Sanità, Lavori<br />

Pubblici e Mezzogiorno a<br />

partire dal 1963 e nella breve<br />

stagione (1970) durante<br />

la quale fu segretario del Psi<br />

– che un socialista con responsabilità<br />

di governo doveva<br />

dar prova di autentica<br />

“discontinuità” rispetto alle<br />

precedenti impostazioni, ai<br />

suoi occhi moderate se non<br />

conservatrici.<br />

Lo spirito antiburocratico e la<br />

forte attenzione all’Italia meridionale<br />

che caratterizzarono<br />

la sua presenza negli<br />

esecutivi del centro-sinistra,<br />

al di là delle critiche – talvolta<br />

fondate – che suscitarono,<br />

vanno ricondotte a questa<br />

impostazione.<br />

per passione oltre che per<br />

professione di tematiche ambientali<br />

e sviluppo sostenibile.<br />

In questa ottica, basandosi<br />

su testi normativi e piani di intervento,<br />

l’autore evidenzia i<br />

vantaggi del trasporto ferroviario<br />

rispetto a quello automobilistico<br />

e aereo: più sicurezza,<br />

meno danni all’ambiente<br />

(grazie a un minore livello<br />

di emissioni inquinanti).<br />

Con adeguati interventi infrastrutturali,<br />

il trasporto ferroviario<br />

potrebbe inoltre contribuire<br />

a decongestionare un<br />

traffico automobilistico ormai<br />

ai limiti della paralisi (secondo<br />

previsioni ministeriali, senza<br />

adeguate strategie di intervento<br />

l’Italia rischia il blocco<br />

della mobilità entro il<br />

2015).<br />

Al suo primo apparire, il treno<br />

suscitò reazioni sbigottite, se<br />

non vero e proprio panico.<br />

Basta ricordare il famoso episodio<br />

avvenuto durante la prima<br />

proiezione cinematografica<br />

<strong>dei</strong> fratelli Lumière, quando<br />

vedendo arrivare sullo<br />

schermo una locomotiva metallica<br />

sbuffante di vapore gli<br />

spettatori fuggirono terrorizzati<br />

credendo che il treno<br />

piombasse nella sala.<br />

“Cavallo d’acciaio”, lo chiamavano<br />

gli indigeni delle praterie<br />

americane che lo vedevano<br />

solcare sferragliando<br />

orizzonti a perdita d’occhio.<br />

In Italia il primo tronco ferro-<br />

A Nenni che gli chiedeva come<br />

mai si interessasse tanto<br />

alla Calabria – ricorda il figlio<br />

Pietro – Mancini rispose:<br />

“Avrei potuto farlo meno, se<br />

il Psi lo avesse fatto di più”.<br />

E, ormai vecchio, nel Duemila<br />

affermava con toni autocritici:<br />

“La mia idea del socialismo<br />

parte sempre dalla<br />

considerazione <strong>dei</strong> problemi<br />

meridionali rispetto ai quali,<br />

con l’eccezione di Rodolfo<br />

Moranti, vi è stata, storicamente,<br />

un’azione inadeguata<br />

del Psi e <strong>dei</strong> suoi massimi<br />

dirigenti”.<br />

Una terza costante dell’impegno<br />

di Mancini è rappresentata<br />

dal deciso spirito garantista.<br />

Per questo egli sposò con<br />

foga le ragioni de l’Espresso<br />

quando il settimanale romano<br />

denunciò lo scandalo<br />

Sifar-De Lorenzo sino a<br />

scontrarsi duramente con<br />

Aldo Moro; per gli stessi motivi,<br />

molti anni più tardi, si<br />

schierò in difesa di Enzo<br />

Tortora e poi si batté apertamente<br />

per la concessione<br />

della grazia ad Adriano<br />

Sofri.<br />

Mancini, del resto, fu tra i pri-<br />

viario (8 chilometri sul tratto<br />

Napoli - Portici) fu inaugurato<br />

il 3 ottobre 1839 da Ferdinando<br />

II di Borbone.<br />

Forte di una storia ormai bicentenaria,<br />

il treno punta dritto<br />

verso il futuro. Un futuro<br />

che è già in corsa sui binari a<br />

levitazione magnetica delle<br />

ferrovie cinesi e giapponesi,<br />

dove i treni “sospesi” a dieci<br />

millimetri dal suolo possono<br />

superare i 400 km orari. In<br />

Europa il primato dell’alta velocità<br />

spetta alla Francia, dove<br />

i treni TGV, che già in alcuni<br />

tratti viaggiano a 300 km<br />

l’ora, potrebbero sfiorare i<br />

600 una volta risolti i problemi<br />

relativi ai binari e alla linea di<br />

alimentazione.<br />

Entro breve tempo, il treno diventerà<br />

un mezzo di comunicazione<br />

sempre più “globale”,<br />

visto che sono già in fase di<br />

allestimento carrozze ferroviarie<br />

collegate a Internet via<br />

satellite, per consentire al<br />

passeggero di essere informato<br />

in tempo reale su quanto<br />

avviene in ogni parte del<br />

mondo.<br />

Benito Melchionna,<br />

Sul treno.<br />

Muoversi nell’ambiente,<br />

Edito da M&B Publishing,<br />

pagine 116, s.i.p.<br />

mi, nel mondo della sinistra,<br />

a comprendere l’importanza<br />

che, per la modernizzazione<br />

civile del Paese, rivestivano<br />

le battaglie per lo sviluppo<br />

<strong>dei</strong> diritti civili, a cominciare<br />

da quella in difesa della legge<br />

sul divorzio, al cui vittorioso<br />

esito contribuì non poco.<br />

Il leader calabrese fu insomma<br />

un politico scomodo e,<br />

per molti versi, dotato di vista<br />

lunga.<br />

Figure come la sua mostrano<br />

perciò come sia superficiale<br />

l’approccio liquidatorio<br />

con cui in tempi recenti è<br />

stata, da tante parti, bollata<br />

la politica del centro-sinistra.<br />

Merito indubbio del piccolo<br />

saggio che a Mancini ha dedicato<br />

il figlio è di contribuire<br />

a un esame più attento di<br />

questa lunga stagione di vita<br />

italiana. Riflessione utile non<br />

solo per la corretta comprensione<br />

storica ma anche per<br />

meglio affrontare i problemi<br />

che incombono, oggi, sul<br />

Paese.<br />

Pietro Mancini,<br />

Giacomo Mancini,<br />

mio padre,<br />

Rubbettino Editore, 2004<br />

pagine 109, euro 8,00<br />

37 (41)


LA LIBRERIA DI TABLOID<br />

Claudio Stroppa<br />

La città degli angeli.<br />

Il sogno utopico di fra’<br />

Gioacchino da Fiore<br />

di Salvatore Angelo Oliverio<br />

Il volume di Claudio Stroppa<br />

si svolge lungo il tracciato del<br />

pensiero utopico dal XIII al<br />

XVII secolo, ma ha nel profetico<br />

messaggio dell’abate calabrese<br />

il focus tematico nel<br />

quale più o meno direttamente<br />

vengono comparate le ispirazioni<br />

e i progetti delle proposte<br />

e <strong>dei</strong> movimenti utopici<br />

europei. I capitoli dal terzo al<br />

quinto sono dedicati al confronto<br />

fra sant’Agostino,<br />

Gioacchino da Fiore e Tommaso<br />

Campanella.<br />

Non c’è dubbio che l’abate di<br />

Fiore si sia collegato ad<br />

Agostino in molti aspetti della<br />

sua teologia trinitaria, ma, come<br />

si evince dalla lettura del<br />

libro di Stroppa, diverge nettamente<br />

da lui per quanto riguarda<br />

le sue linee di teologia<br />

della storia.<br />

Come Agostino, Gioacchino<br />

accetta la divisione in sette<br />

tempi della storia della salvezza<br />

e rigetta l’interpretazione<br />

secolarizzata ed edonistica<br />

<strong>dei</strong> Millenaristi o Chiliasti,<br />

che avevano prospettato il<br />

millennio dell’Apocalisse di<br />

Giovanni come un periodo finale<br />

di gioie mondane. Ma,<br />

diversamente che per Agostino,<br />

che aveva individuato il<br />

millennio apocalittico nel tempo<br />

della Chiesa a partire da<br />

Costantino, per Gioacchino il<br />

Dario Fertilio<br />

La morte rossa<br />

di Gigi Speroni<br />

L’orrore del XX secolo è timbrato<br />

da due sigle burocraticamente<br />

asettiche: GULAG<br />

(Glavnoe Upravlenie LAGerei:<br />

“Amministrazione generale<br />

<strong>dei</strong> campi di lavoro” e SS<br />

(Schutz Staffel: “Squadre di<br />

difesa”).<br />

Delle SS sappiamo, sono legate<br />

allo sterminio di sei milioni<br />

di ebrei annunciato da<br />

Hitler nel 1935 con le leggi<br />

antisemite, pianificato nel<br />

1942 dalla “soluzione finale”,<br />

rivelato al mondo nel 1945<br />

durante il processo di<br />

Norimberga ai responsabili di<br />

quello che venne definito un<br />

genocidio (da ghènos, razza,<br />

popolo e caedère, uccidere).<br />

Le date ci dicono che il primo<br />

genocidio riconosciuto e<br />

denunciato dalle Nazioni<br />

Unite come “un crimine contro<br />

l’umanità” fu programmato<br />

e realizzato in dieci anni e<br />

venne conosciuto soltanto<br />

quando le truppe anglo<br />

americane e russe entrarono<br />

nel lager nazisti, scopren-<br />

regno sabatico dell’Apocalisse<br />

è solo il settimo ed ultimo<br />

tempo della storia, tempo di<br />

pace fondata sulla giustizia,<br />

di giustizia fondata sulla carità,<br />

di carità sostenuta dal<br />

soffio potente dello Spirito<br />

Santo che avrebbe fatto nuove<br />

tutte le cose.<br />

La settima età o Età dello<br />

Spirito, è per Gioacchino la<br />

massima compenetrazione<br />

possibile tra la città di Dio e la<br />

città terrena che in Agostino<br />

rimangono irriducibilmente<br />

lontane e contrapposte. Nel<br />

riportare all’interno della storia<br />

il tempo sabatico, che<br />

do una Shoah, un massacro<br />

imprevisto e, come tale, di<br />

un impatto psicologico inimmaginabile.<br />

Non così avvenne per l’altro<br />

orrore, anche lui timbrato da<br />

una sigla asettica: Gulag.<br />

Secondo Dario Fertilio il fatto<br />

“si spiega con la diversità del<br />

comunismo. Anziché esplodere<br />

con la violenza di un’epidemia,<br />

come il nazismo,<br />

segue l’andamento di un’infezione<br />

latente, ideologica,<br />

capace di distribuire la sue<br />

vittime lungo percorsi tortuosi<br />

e imprevedibili”… “Qualcuno<br />

dice che i morti siano<br />

stati ottantadue milioni, altri<br />

duecento, se consideri tutti i<br />

continenti e i periodi di guerra<br />

dalla rivoluzione d’ottobre<br />

in poi … ma chi può saperne<br />

veramente qualcosa? Non<br />

c’è modo di mandare un<br />

esperto di statistiche a contare<br />

le tombe. E poi, queste<br />

cifre non sembrano credibili<br />

per almeno due motivi. Il primo<br />

è che la dimensione dell’orrore<br />

genera un senso di<br />

assuefazione, disgusta e disorienta.<br />

Se un crimine si ri-<br />

Due libri<br />

sul frate<br />

calabrese<br />

“di spirito<br />

profetico<br />

dotato”<br />

Agostino aveva collocato fuori<br />

dalla storia e interpretato<br />

come la Gerusalemme celeste,<br />

il messaggio di Gioacchino<br />

assume una forte carica<br />

utopica e politica che non<br />

eserciterà un forte richiamo<br />

su uomini e movimenti dell’utopismo<br />

europeo a partire<br />

dalla corrente<br />

dello spiritualismofrances<br />

c a n o .<br />

Stroppa rileva<br />

la diversitàdell’utopia<br />

di Campanella,<br />

che,<br />

pur avendo<br />

un fondamento<br />

di teologia trinitaria,<br />

è politicamente e socialmente<br />

strutturata.<br />

Secondo Stroppa, la potenza<br />

della visione gioachimita<br />

di una società religiosa<br />

riformata illustra le capacità<br />

metamorfiche del tempo<br />

escatologico e fa nascere la<br />

coscienza di una Chiesa carnale<br />

e mondanizzata che<br />

avrebbe poi provocato la reazione<br />

di Martin Lutero.<br />

Claudio Stroppa,<br />

La città degli angeli.<br />

Il sogno utopico di fra’<br />

Gioacchino da Fiore,<br />

Rubbettino editore,<br />

Soveria Mannelli, 2004<br />

pete all’infinito, ai nostri occhi<br />

comincia a non apparire<br />

più tanto un delitto, quanto<br />

una fatalità storica e naturale.<br />

A ogni cosa si fa l’abitudine,<br />

persino all’orrore”…<br />

Ma davvero la morte bruna,<br />

quella di Auschwitz, non c’entra<br />

con la rossa, quella di<br />

Kolyma? Le fosse senza nome<br />

di Treblinka hanno diritto<br />

a un posto più alto, nella collina<br />

della memoria, rispetto a<br />

quelle di Goli Otok?<br />

Ritengo che questi concetti,<br />

tratti dall’ultimo libro di Dario<br />

Fertilio, La morte rossa, siano<br />

una delle più lucide e sintetiche<br />

diagnosi dello sterminio<br />

di massa avvenuto<br />

nell’Unione Sovietica.<br />

Secondo l’autore, se la diversità<br />

del comunismo “fa paura<br />

è perché i suoi percorsi di<br />

contagio cambiano: non si<br />

propaga attraverso i regimi e i<br />

partiti, ma può affidarsi a singoli<br />

intellettuali, poeti, idealisti,<br />

gruppi di amici, ambiziosi<br />

e umili comprimari, personaggi<br />

corrotti e brava gente,<br />

dilatandosi a volte per intere<br />

generazioni. Così è diventato<br />

parte dell’occidente, contaminando<br />

menti e anime”.<br />

Fa paura soprattutto nel rivisitare<br />

quel comunismo che arrivò<br />

a stritolare gli stessi compagni<br />

di lotta: uomini e donne<br />

che avevano creduto, combattuto,<br />

sofferto per un ideale,<br />

e alla fine di questo percorso<br />

di speranze, illusioni,<br />

s’erano ritrovati vittime della<br />

mostruosa macchina del po-<br />

Il pensiero dell’abate calabrese<br />

fu in permanente movimento.<br />

Il lavoro cerca di seguirne<br />

da vicino l’evoluzione<br />

dottrinale e di decifrare le ragioni<br />

profonde di essa. In<br />

questa prospettiva il saggio<br />

esamina l’intera sua produzione,<br />

disponendola in ordine<br />

cronologico. Si tratta di un lavoro<br />

in gran parte nuovo per<br />

le modalità attraverso cui è<br />

stato realizzato e per gli esiti<br />

cui perviene. Finora la datazione<br />

delle grandi opere,<br />

composte in parte parallelamente,<br />

era nota solo a larghe<br />

spanne. Il libro giunge invece<br />

a scandirne con precisione le<br />

diverse fasi compositive, connettendole<br />

all’evoluzione personale<br />

dell’autore e al mutare<br />

delle sue idee e scelte istituzionali.<br />

Quanto alle opere minori,<br />

alcune di esse vanno<br />

considerate come semplici<br />

“contenitori” di testi composti<br />

in fasi diverse e successivamente<br />

assemblati.<br />

Restituendo le singole sezioni<br />

ai contesti originari, il libro<br />

giunge a una ricostruzione<br />

completa e coerente del percorso<br />

dell’’utore.<br />

Dalla fine degli anni ‘80 l’abate<br />

calabrese diviene oggetto<br />

di disparati attacchi. Innanzi<br />

tutto da parte di un anziano e<br />

pericoloso abate cistercense,<br />

tere che avevano contribuito<br />

a creare.<br />

«In questa vita non è difficile<br />

morire.Vivere è di gran lunga<br />

più difficile» scrisse Vladimir<br />

Majakovskij. Bolscevico entusiasta,<br />

oppresso dal controllo<br />

del partito sulla cultura, il poeta<br />

s’uccise a 37 anni: nel<br />

1930, all’alba tragica <strong>dei</strong> processi/farsa<br />

inventati da Stalin<br />

per eliminare i concorrenti interni,<br />

condannati a morte immediata<br />

tramite fucilazione o<br />

a morte lenta nei gulag, come<br />

traditori, deviazionisti, spie…<br />

Per non dimenticare quello<br />

che è stato un orrore che,<br />

unicamente inquadrato nei<br />

grandi numeri genera assuefazione,<br />

fatalismo, Fertilio ha<br />

percorso una strada giornalistica<br />

e pregnante, in quanto a<br />

noi più vicina. Non ci parla<br />

delle note vittime dello stalini-<br />

Gian Luca Potestà<br />

Il tempo dell’Apocalisse.<br />

Vita di<br />

Gioacchino da Fiore<br />

di Salvatore Angelo Oliverio<br />

Goffredo di Auxerre, che<br />

cercò di bollarlo come ebreo<br />

mal convertito e di dare avvio<br />

a un procedimento di condanna<br />

ecclesiastica nei suoi<br />

confronti. Il tentativo abortì,<br />

probabilmente per i sostegni<br />

di cui Gioacchino poteva godere<br />

in curia e in ambienti<br />

monastici italiani. In polemica<br />

con i cistercensi transalpini,<br />

egli annunciò allora apertamente<br />

l’imminente ritorno<br />

della perfezione monastica<br />

dalla Gallia all’Italia e in questo<br />

senso avviò un tentativo<br />

di riforma monastica in<br />

Calabria. Nel 1189 prendeva<br />

così inizio sulla Sila Fiore<br />

(“nuova Nazareth”), nel segno<br />

dell’eremitismo, del rigore<br />

e della povertà.<br />

Nel frattempo l’abate entrava<br />

in aperta polemica anche con<br />

il maestro parigino Pietro<br />

Cantore.<br />

L’elezione di Innocenzo III<br />

(1198) segnò una svolta di<br />

notevole portata anche per<br />

Gioacchino. Le posizioni del<br />

papa, che del Cantore era<br />

stato allievo diretto, si differenziavano<br />

da quelle da lui<br />

difese negli anni precedenti<br />

intorno a questioni di rilevanza<br />

strategica, quali l’atteggiamento<br />

da tenere nei confronti<br />

<strong>dei</strong> tedeschi e nei confronti<br />

degli ebrei. Gioacchino scris-<br />

smo, come Bucharin o<br />

Rykov, ma della tragedia di<br />

venti italiani misconosciuti.<br />

Storie emblematiche di compagni<br />

che, dopo aver combattuto<br />

contro il fascismo,<br />

una volta riparati in quello<br />

che credevano il paradiso sovietico,<br />

vennero coinvolti dalle<br />

grandi purghe, costretti a<br />

confessare colpe inesistenti,<br />

allucinanti misfatti. O, rifugiati<br />

in Jugoslavia, quando Tito si<br />

staccò dal Cominform furono<br />

eliminati con l’accusa di essere<br />

al servizio di Mosca. Ma<br />

anche assassinati senza processo,<br />

punto e a capo. Ogni<br />

vittima con un suo percorso<br />

diverso, tutte la stessa, fatale<br />

destinazione.<br />

Sostiene Fertilio che quelle<br />

che ha scelto sono “storie tutte<br />

vere. Nel senso che i luoghi,<br />

la maggior parte <strong>dei</strong> nomi<br />

e delle situazioni corrisponde<br />

a fatti precisi. Ma sono<br />

anche tutte false, dal momento<br />

che una storia non<br />

puoi raccontarla basandoti<br />

soltanto su un documento, altrimenti<br />

la tradisci. Bisogna<br />

fare in modo che ognuna abbia<br />

una sua forma, tocchi un<br />

suo culmine drammatico.<br />

Altrimenti dopo tanti anni non<br />

riuscirebbe ad attraversare il<br />

muro dell’indifferenza e del<br />

silenzio”.<br />

Ed ecco, quindi, i venti racconti,<br />

ognuno con un taglio<br />

particolare, alcuni brevi, un<br />

semplice momento, altri più<br />

descrittivi. Tutti emotivamente<br />

coinvolgenti.<br />

se infine un testamento a futura<br />

memoria (1200), in cui<br />

proclamava di volersi sottomettere<br />

in tutto al giudizio<br />

della Chiesa romana. Gli ultimi<br />

scritti, rivolti a una cerchia<br />

limitata e ristretta di ascoltatori<br />

fidati, lasciano peraltro<br />

trasparire una profonda presa<br />

di distanza da Innocenzo<br />

III, denotando nell’anziano<br />

abate un’attitudine velatamente<br />

critica nei confronti del<br />

papa.<br />

In conclusione, l’opera reinserisce<br />

Gioacchino nel vivo<br />

delle vicende ecclesiasticopolitiche<br />

cui partecipò da protagonista,<br />

mostrandone i legami<br />

profondi e contraddittori<br />

con i poteri ecclesiastici e civili<br />

dominanti in Italia nell’ultimo<br />

scorcio del secolo XII; e<br />

fornisce una chiave per accedere<br />

alla piena comprensione<br />

del suo complesso universo<br />

dottrinale, della sua teologia<br />

simbolica e visiva, delle<br />

sue proiezioni apocalittiche,<br />

rivelandone gli intenti polemici<br />

e riformatori e la vastità degli<br />

orizzonti, aperti alla riconciliazione<br />

con l’Ebraismo e<br />

dominati dalla duplice minaccia<br />

dell’eresia (catari, valdesi)<br />

e dell’Islam.<br />

Gian Luca Potestà,<br />

Il tempo dell’Apocalisse.<br />

Vita di Gioacchino<br />

da Fiore,<br />

Laterza editore,<br />

Bari, 2004<br />

Un consiglio molto personale:<br />

prima di leggerli credo valga<br />

la pena ripercorrere la<br />

succinte biografie pubblicate<br />

nelle ultime pagine per incorniciare,<br />

nel loro contesto più<br />

globale, i drammi che hanno<br />

vissuto i suoi protagonisti.<br />

Ecco le storia di Ugo Citterio,<br />

comunista sin al 1922, arrestato<br />

dai fascisti, riparato a<br />

Parigi, poi in Unione Sovietica,<br />

combattente in Spagna,<br />

ritornato a Mosca, arrestato<br />

nel 1940 per trotzkismo, condannato<br />

a otto anni e spedito<br />

in un lager dove morì tre anni<br />

dopo. Di Pietro Renzi, nato a<br />

Pola, militante rivoluzionario,<br />

deportato dai nazisti, sopravvissuto<br />

all’inferno di Dachau<br />

per finire nelle galere di Tito<br />

con l’accusa di cominformismo,<br />

in realtà perché chiedeva<br />

rispetto per gli italiani che<br />

vivevano nei territori passati<br />

alla Jugoslavia. Il suo cadavere<br />

non venne mai trovato.<br />

E via dicendo.<br />

Che dire ancora? La morte<br />

rossa è, nel contempo, un<br />

saggio storico nella parte documentale<br />

e un’opera letteraria<br />

nei racconti dalla robusta,<br />

appassionante scrittura. Un<br />

libro che riesce ad attraversare,<br />

eccome, il muro dell’indifferenza<br />

e del silenzio.<br />

Dario Fertilio, La morte<br />

rossa. Storie di italiani<br />

vittime del comunismo,<br />

postfazione<br />

di Frediano Sessi,<br />

Marsilio, 2004, euro 17,00<br />

38 (42) ORDINE 3 <strong>2005</strong>


Censis-UCSI<br />

Italiani & Media.<br />

Le diete mediatiche<br />

per gruppi e tribù<br />

di Patrizia Pedrazzini<br />

Italiani e mezzi di comunicazione.<br />

Un rapporto ormai<br />

talmente stretto da essere<br />

diventato quasi vitale. Se<br />

infatti, allo stato attuale, i<br />

media, nella loro accezione<br />

più ampia – televisione, giornali,<br />

radio, libri, computer,<br />

cellulare, Internet, Tv satellitare<br />

– costituiscono un<br />

elemento base dell’ambiente<br />

nel quale viviamo, avvicinarsi<br />

a questo complesso e variegato<br />

universo, e fruirne,<br />

consente, al di là dell’arricchimento<br />

informativo e culturale<br />

che immediatamente ne deriva,<br />

di acquisire quelle capacità<br />

di orientamento cognitivo,<br />

ma anche relazionale ed<br />

emotivo, che ci permettono di<br />

integrarci nel nostro contesto<br />

sociale.<br />

Questa la considerazione che<br />

sta alla base del Secondo<br />

rapporto sulla comunicazione,<br />

con il quale il Censis e<br />

l’Ucsi, l’Unione cattolica della<br />

stampa italiana, proseguono<br />

il monitoraggio della diffusione<br />

e delle modalità d’impiego<br />

<strong>dei</strong> maggiori media in Italia.<br />

E che spiega il titolo del lavoro:<br />

Italiani & Media. Le diete<br />

mediatiche per gruppi e tribù.<br />

Ovvero: come solo variando<br />

la nostra alimentazione possiamo<br />

essere sicuri di assumere<br />

tutti gli elementi nutritivi<br />

ORDINE 3 <strong>2005</strong><br />

<strong>dei</strong> quali abbiamo bisogno,<br />

così solo attraverso il contatto<br />

con i diversi mezzi di comunicazione,<br />

e con i relativi linguaggi,<br />

possiamo acquisire il<br />

maggior numero di competenze<br />

e di conoscenze che i<br />

media ci trasmettono. Di qui<br />

la domanda: di che cosa si<br />

nutrono, mediaticamente parlando,<br />

gli italiani?<br />

Al quesito il Rapporto, realizzato<br />

in collaborazione con<br />

Mondadori, <strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti,<br />

Rai, Telecom e con la<br />

partecipazione di Ansa e<br />

Ansaweb, risponde con i<br />

risultati di un’indagine condotta,<br />

nel 2002, su un campione<br />

di 1.150 italiani tra i 14<br />

e gli 85 anni.<br />

Una mole di questionari e di<br />

interviste che ha consentito<br />

l’elaborazione di 233 tabelle<br />

e 20 grafici, di svelta ed esauriente<br />

lettura, per un volume<br />

di 272 pagine. Ogni mezzo di<br />

comunicazione (i giornali sono<br />

suddivisi in quotidiani,<br />

settimanali e mensili) è stato<br />

“fotografato” in tutte le possibili<br />

angolazioni di utilizzo, o<br />

meno, da parte degli italiani:<br />

dai luoghi ai momenti della<br />

giornata, dagli argomenti alla<br />

distribuzione per aree geografiche,<br />

per sesso, per età,<br />

per titolo di studio.<br />

Si apprende così, per esempio,<br />

che, in rapporto alle aree<br />

geografiche, il genere televisivo<br />

più “gettonato” dagli italiani<br />

Mino Fuccillo<br />

Fenomenologia<br />

di Bruno Vespa<br />

di Emilio Pozzi<br />

A tutta prima viene in mente<br />

il titolo, analogo, di un saggio<br />

dedicato a Mike Buongiorno,<br />

il più incrollabile mito della<br />

Tv, da Umberto Eco nel lontano<br />

1961, che divenne emblema,<br />

attraverso il personaggio<br />

preso a modello, delle<br />

mutazioni di una certa società<br />

italiana di quegli anni.<br />

Il richiamo, anche come metafora,<br />

è talmente scontato<br />

che nelle prime pagine di<br />

questo libro ci si imbatte in<br />

una quasi letterale parafrasi<br />

di quel saggio: il fenomeno<br />

però, stavolta, è Bruno<br />

Vespa. “Libera, modificata,<br />

interpolata, aggiornata, parafrasi”<br />

la definisce Mino<br />

Fuccillo che ha voluto giocare,<br />

(‘una licenza’ dice) ricalcando<br />

le orme di un testo e<br />

un metodo di analisi. Sono<br />

cinque pagine da andare a<br />

leggere subito.<br />

Poi però si ricomincia da capo<br />

e si va fino in fondo. L’idea<br />

del gioco, in altro modo, ci<br />

contagia. Prendiamo alcuni<br />

evidenziatori e ripassiamo il<br />

testo, scomponendolo in<br />

quattro filoni, ciascuno con<br />

un colore: azzurro, giallo<br />

arancione, verde.<br />

Non uno quindi, ma quattro<br />

libri: il primo, intriso di rabbia<br />

repressa e di delusione,<br />

esprime il giudizio critico<br />

dell’autore sui fatti e i misfatti<br />

della storia italiana degli<br />

ultimi decenni, il secondo<br />

analizza il personaggio<br />

Vespa, nell’humus del suo<br />

impero televisivo, il terzo<br />

analizza le fruttuose incursioni<br />

dell’onnipotente maggiordomo<br />

nel mondo della<br />

carta stampata, il quarto infine<br />

esplora il paesaggio <strong>dei</strong><br />

mass-media e <strong>dei</strong> suoi abitanti<br />

(giornalisti, politici nell’incrocio<br />

<strong>dei</strong> poteri palesi e<br />

occulti, senza risparmiare<br />

aneddoti che riguardano il<br />

quotidiano dove ha lavorato<br />

per una ventina d’anni), con<br />

qualche spolverata di consigli<br />

e di delucidazioni sui segreti<br />

del mestiere.<br />

Queste “istruzioni per l’uso”<br />

mi sono state suggerite anzitutto<br />

dalla lettura della sinte-<br />

LA LIBRERIA DI TABLOID<br />

è il film (64,4%), seguito dai<br />

telegiornali (55,1%) e dagli<br />

eventi sportivi (24,7%), mentre<br />

la fiction si colloca all’ultimo<br />

posto della classifica, con<br />

un modestissimo 4,9%.<br />

E che, se gli argomenti preferiti<br />

dai lettori di quotidiani<br />

rimangono, sempre a livello di<br />

distribuzione geografica, la<br />

cronaca nazionale (57,1%) e<br />

i fatti di nera e locali (45,8%),<br />

i settori sui quali si concentra<br />

l’attenzione <strong>dei</strong> lettori di settimanali<br />

sono invece quello<br />

televisivo, e più in generale<br />

relativo agli spettacoli<br />

(29,5%), quello attinente le<br />

tematiche femminili (20,4%),<br />

la moda (19,4%).<br />

Quanto al “popolo mediatico”,<br />

il Rapporto lo ha suddiviso in<br />

cinque fasce, a seconda del<br />

numero di media utilizzati.<br />

Ecco allora i Marginali, pari al<br />

9,1% della popolazione, e<br />

fruitori di un solo mezzo di<br />

comunicazione; i Poveri di<br />

media (37,5%, due-tre media);<br />

i Consumatori medi<br />

(36,3%, quattro-cinque media),<br />

gli Onnivori (14,8%, seisette<br />

media); i Pionieri (2,3%,<br />

otto e più media).<br />

Un intero capitolo dello studio<br />

è poi dedicato al profilo del<br />

futuro giornalista, così come<br />

risulta da un’indagine condotta<br />

su un campione di 212<br />

giovani che frequentano, o<br />

hanno frequentato, una delle<br />

sette scuole di giornalismo fra<br />

tica e asprigna autobiografia<br />

dell’autore, in quarta di copertina:<br />

“Una carriera accademica<br />

formato bonsai, una<br />

ventina d’anni a Repubblica,<br />

molto scrivendo e qualcosa<br />

organizzando, una direzione<br />

lampo de l’Unità, poi una<br />

piccola radio e ora i quotidiani<br />

locali del gruppo l’Espresso”.<br />

Se poi le collego al post<br />

scriptum, decisamente amaro,<br />

con il quale si chiude il libro,<br />

mi pare che, a seconda<br />

<strong>dei</strong> gusti e degli interessi<br />

personali, l’intuizione di individuare<br />

i quattro percorsi<br />

non sia inopportuna. Scrive<br />

Fuccillo: “Qualcuno, ogni<br />

tanto, conoscente o incontrato<br />

per caso per lavoro, mi<br />

chiede perché io giornalista<br />

non scriva più come prima.<br />

La risposta, per quel poco<br />

che conta e per quei pochi<br />

cui interessa, è anche in<br />

queste pagine, neanche tanto<br />

nascosta”.<br />

In ognuno <strong>dei</strong> quattro filoni<br />

indicati - questo è un altro<br />

gioco da proporre al lettore -<br />

si potrebbero contare i sassolini<br />

che Fuccillo si toglie<br />

dalle scarpe (il plurale è<br />

d’obbligo perché i sassolini<br />

sono tanti. Se invece si volessero<br />

mescolare i colori<br />

(ma non si otterrebbe comunque<br />

un consolante arcobaleno),<br />

senza pregiudizi, il<br />

risultato può essere comunque<br />

intrigante. A prescindere,<br />

come diceva Totò.<br />

Non intendo, a questo punto,<br />

le nove riconosciute dall’<strong>Ordine</strong><br />

nazionale, incluso l’istituto<br />

Carlo De Martino di Milano.<br />

Ne emerge che il nuovo<br />

professionista ha fra i 25 e i<br />

30 anni, è laureato e ha scelto<br />

di diventare giornalista per<br />

vocazione, convinto che<br />

questo mestiere, a volte tanto<br />

criticato, possa offrire comunque<br />

soddisfazioni personali<br />

ed essere ancora utile per la<br />

società.<br />

Che alla professione, oggi, si<br />

avvicinano più le donne (il<br />

53,8%) degli uomini; che il<br />

90% è laureato, soprattutto in<br />

Lettere (33,7%), Sociologia o<br />

Scienze della comunicazione<br />

(18,9%), Scienze politiche<br />

(13,7%); che la maggioranza<br />

(il 64,4%) ritiene le competenze<br />

acquisite prima del lavoro<br />

giornalistico vero e proprio<br />

“fondamentali per inserirsi<br />

direttamente nel settore”.<br />

E ancora: che la maggior<br />

parte lavora nei quotidiani<br />

(34,1%), nelle televisioni<br />

(19,3%), nelle radio (16,5%),<br />

mentre solo l’1,7% è occupato<br />

in un service; che i media<br />

a stampa sono, per il 46,2%<br />

di questi giovani, i più adatti a<br />

veicolare un’efficace informazione,<br />

seguiti dalle televisioni<br />

(41,9%), dalle radio (8,1%) e<br />

solo da ultimo da Internet<br />

(3,8%).<br />

E, comunque, come afferma<br />

il 41,6% degli intervistati, che<br />

“il mestiere si impara essenzialmente<br />

sul campo”.<br />

Censis-UCSI,<br />

Secondo rapporto<br />

sulla comunicazione,<br />

Italiani & Media.<br />

Le diete mediatiche<br />

per gruppi e tribù,<br />

Franco Angeli 2003,<br />

pagine 272, euro 22,00<br />

far il controcanto a Fuccillo.<br />

Molti giudizi sono da condividere<br />

ed è gustoso leggerli<br />

integralmente, senza rischiare<br />

di togliere loro sapore,<br />

riassumendoli.<br />

Certo che, riflettendo su altri<br />

episodi, avvenuti dopo la<br />

pubblicazione del libro, verrebbe<br />

voglia di chiedere un<br />

aggiornamento: la fenomenologia<br />

di Vespa, si arricchisce,<br />

si fa per dire, di altri clamorosi<br />

esempi, indicativi del<br />

progressivo e inarrestabile<br />

degrado della TV (specchio<br />

della società, non dimenticatelo,<br />

ammoniscono i più).<br />

Anche la fenomenologia sui<br />

personaggi che hanno scandito<br />

i tempi della Tv (da<br />

Buongiorno a Costanzo, dalla<br />

Carrà a Baudo, da Fiorello<br />

a Vespa) si è svilita al punto<br />

che, recentemente, Francesco<br />

Merlo ha usato il paludato<br />

termine, una volta usato<br />

ai piani alti della cultura,<br />

per occuparsi delle sorelle<br />

Lecciso, arrivate, guarda caso,<br />

ad essere protagoniste di<br />

“Porta a Porta”.<br />

Quando sarà pubblicata<br />

questa nota c’è da augurarsi<br />

che la loro effimera gloria si<br />

sia già spenta e qualcuno<br />

chieda “Lecciso, chi?”.<br />

Mino Fuccillo,<br />

Fenomenologia<br />

di Bruno Vespa,<br />

Nutrimenti, Roma,<br />

pagine 220, euro 12,00<br />

Sergio Romano<br />

Giovanni Gentile.<br />

Un filosofo al potere<br />

negli anni del regime<br />

di Dario Fertilio<br />

Un morto ingombrante, Giovanni<br />

Gentile: anche sessant’anni<br />

dopo quel 15 aprile<br />

1944, quando venne assassinato<br />

dai gappisti davanti al<br />

cancello della sua villa di<br />

Montalto al Salviatino. Un<br />

profilo problematico, il suo,<br />

per qualunque ritrattista; e<br />

una cornice ideologica difficile<br />

da trovare.Va inserito nella<br />

galleria delle glorie culturali<br />

italiane, è un filosofo da affiancare<br />

idealmente a Benedetto<br />

Croce? Oppure gli si<br />

deve riservare il trattamento<br />

peggiore, come un reprobo<br />

fiancheggiatore della Repubblica<br />

sociale e di Mussolini?<br />

O addirittura deve essere fatto<br />

sfilare simbolicamente tra i<br />

maledetti del novecento, i<br />

pensatori alla Céline, Pound<br />

o Knut Hamsun, che non esitarono<br />

a schierarsi dalla parte<br />

sbagliata?<br />

La biografia che gli dedica<br />

Sergio Romano non tradisce<br />

le aspettative <strong>dei</strong> tanti che<br />

amano il suo stile, un certo<br />

modo di fare storia: chiarendo<br />

molti dubbi, ma lasciando<br />

aperta al lettore la via delle<br />

deduzioni personali.<br />

E cominciando con lo sgomberare<br />

il campo da uno <strong>dei</strong><br />

misteri italiani più antichi e inquietanti:<br />

l’identità, cioè, e il<br />

movente <strong>dei</strong> suoi assassini.<br />

Sergio Romano, pur ricordando<br />

le motivazioni di coloro<br />

che avvalorarono per molto<br />

tempo l’ipotesi di una vendetta<br />

fascista (Gentile infatti<br />

si era dichiarato pubblicamente<br />

contrario agli eccessi<br />

e alle torture commesse dai<br />

repubblicani di Salò), attribuisce<br />

razionalmente la responsabilità<br />

ad ambienti comunisti,<br />

gli stessi che – manipolando<br />

una dichiarazione di<br />

Concetto Marchesi – diffusero<br />

attraverso un volantino la<br />

motivazione della “sentenza<br />

di morte”. Gli assassini colpirono<br />

in lui un intellettuale<br />

che, tentando di mostrare il<br />

lato “umano” del fascismo e<br />

appellandosi ai valori dell’onore<br />

e della fedeltà nazionale,<br />

poteva apparire un nemico<br />

più subdolo e pericoloso<br />

<strong>dei</strong> macellai e torturatori in<br />

camicia nera, come ad esempio<br />

quelli che obbedivano<br />

agli ordini di Mario Carità.<br />

Tuttavia il cuore dell’argomentazione<br />

di Sergio Romano<br />

è più filosofica che storica:<br />

egli dimostra come Gentile<br />

sia “servito” involontariamente<br />

alla causa comunista,<br />

e specificamente a Togliatti,<br />

quando nel primo dopoguerra<br />

si trattò di raccogliere la<br />

sua eredità.<br />

Certi caratteri del suo insegnamento,<br />

a partire dall’attualismo,<br />

furono volti in filosofia<br />

della prassi; l’idea fascista<br />

dello Stato etico potrà trasformarsi,<br />

mutando di segno,<br />

nel “partito nuovo” comunista;<br />

l’idea del filosofo militante<br />

genererà quella dell’intellettuale<br />

organico, teorizzato<br />

anche da Gramsci. Persino<br />

la suggestione del “ritorno a<br />

Marx”, accompagnata dalle<br />

sue riflessioni sull’umanesimo<br />

del lavoro, consentirà al<br />

suo migliore allievo, Ugo<br />

Spirito, di proclamarsi allo<br />

stesso tempo comunista e<br />

gentiliano. Se aggiungiamo a<br />

questo innesto ideologico<br />

spericolato la durezza dello<br />

scritto con cui Togliatti commentò<br />

l’assassinio (in cui<br />

chiamava Giovanni Gentile<br />

“canaglia” aggiungendo che<br />

era stato “giustiziato come<br />

traditore della patria”), comprendiamo<br />

il senso inquietante<br />

di quella che presto sarebbe<br />

diventata l’”ideologia<br />

italiana” del Pci togliattiano.<br />

Si sarebbe trattato cioè di distruggere<br />

il magistero di<br />

Gentile e Croce per meglio<br />

recuperarne la lezione, offrendo<br />

agli intellettuali che ne<br />

erano stati influenzati una<br />

straordinaria via d’uscita verso<br />

il futuro. In questa spericolata,<br />

e in parte riuscita, lotta<br />

per l’egemonia culturale comunista<br />

Sergio Romano individua<br />

il nocciolo del destino<br />

filosofico di Giovanni Gentile.<br />

Paradossale anche decenni<br />

dopo la morte e fino ad oggi:<br />

quando la destra lo adotta<br />

nel suo pantheon senza seguirne<br />

gli insegnamenti,<br />

mentre la sinistra marxista lo<br />

aborre adottando però nella<br />

sostanza il cuore del suo sistema<br />

concettuale.<br />

Resta il disagio, che neppure<br />

questa biografia riesce del<br />

tutto a dissolvere, per un filosofo<br />

inesorabilmente inattuale,<br />

che si colloca però al centro<br />

delle polemiche culturali<br />

per il modo in cui andò volontariamente,<br />

e con coraggio,<br />

incontro alla rovina e alla<br />

morte.<br />

Oltretutto, quello stesso assassinio,<br />

il modo in cui fu<br />

progettato, eseguito e rivendicato<br />

ricordano in modo inquietante<br />

e macabro il rituale<br />

più tardi adottato, dietro a simili<br />

paraventi ideologici, dai<br />

killer convinti di servire il “partito<br />

comunista combattente”.<br />

Sergio Romano,<br />

Giovanni Gentile.<br />

Un filosofo al potere negli<br />

anni del regime,<br />

editore Rizzoli,<br />

pagine 439, euro 19,00<br />

39 (43)

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!