800anni nelle chiese del Cadore - Provincia di Belluno

Documenti e segni
Giandomenico Zanderigo Rosolo
Come la fi accola accesa nella basilica di Aquileia e portata quassù in staffetta dai podisti, la fede, che si
accontenta anche di vasi di argilla, argilla, è donata e trasmessa dalla viva voce dei genitori genitori e dei catechisti, catechisti,
non dalle immagini artistiche né dagli oggetti preziosi. Nelle comunità che si spopolano spopolano e nelle
chiese che si svuotano, una mostra di suppellettili liturgiche può essere una una penosa curiosità
artistico-antiquaria, oppure una entusiastica riscoperta e riappropriazione di segni capitali
e di oggetti familiari: il mestolo dell’acqua battesimale che che lava e rigenera; i vasi del cibo cibo
eucaristico che conforta ed unisce; i registri registri nei quali si si annota il patto matrimoniale
benedetto…
Anche Anche il documento documento del del 21 marzo marzo 1208, che ha ha dato origine origine alle celebrazioni celebrazioni centenarie,
può indurre differenti rifl essioni. La data evoca i nomi del giovane re di di
Sicilia e poi poi imperatore Federico II, di papa Innocenzo III, di san Domenico
e di san Francesco. Nel ristretto montuoso orizzonte della storia storia cadorina
evoca i nomi nomi del patriarca d’Aquileia, d’Aquileia, il bavarese Wolfger di EllenEllenbrechtskirchen, con i Minnesänger della sua corte; la stirpe longobarda
barda di Gabriele III e dei coeredi coeredi feudatari Caminesi; il giovane giovane
diacono diacono Odorico che era era allora in servizio nelle disagiate chiese
comeliane e venne delegato delegato a Vicenza per una transazione
che deve avergli favorito la carriera, dato che nel 1235
avrà avrà il titolo di arciprete ed assisterà alla pubblicazione
del primo statuto nostrano.
Ma il documento è importante principalmente
perché, indicando con sicurezza l’ordinamento
l’ordinamento
ecclesiastico del Cadore di 800 anni fa (una
pieve matrice con con sette cappelle periferiche
gradualmente avviate all’autonomia),
consente di formulare qualche
ipotesi che che attenui il buio e rompa rompa il
silenzio dei dieci secoli precedenti. Se
dal secolo XIII molti aspetti dell’ordinamento
ecclesiastico del Cadore hanno mantenuto
una sorprendente continuità, continuità, si può pensare ad ad
una “lunga durata” che lo collega alla prima predicazione
del Vangelo.
Le parole di vita eterna del Maestro ebreo crocifi crocifi sso furono accolte presto
tra i i monti da una minoranza entusiasta ed osteggiate a lungo da una una maggioranza
scettica e fedele alle “sane” tradizioni pagane. pagane. Poi, quando il territorio assunse
il nome della nuova società cristiana (pieve, plebs, cioè “popolo”), alcuni usi ed antiche intitolazioni delle chiese mantennero
il segno del diffi cile confronto con il paganesimo, dell’assimilazione di nuove popolazioni, delle controversie
dottrinali, delle preoccupazioni pastorali e materiali: sono le sottili incrostazioni e stratifi cazioni del culto dei martiri
aquileiesi Ermagora e Fortunato e dei fratelli Canziani, della Madre di Dio, degli Apostoli e Discepoli, dei santi Giustina
e Lucano e successivamente dei santi Michele, Giorgio, Martino, Vito, Nicolò ... Così vuole anche la tradizione, della
quale è stato autorevolmente detto ai Cadorini: “Siate legittimamente fi eri”…
Pieve di Cadore - Chiesa di Santa Maria Nascente
Piviale - ultimo quarto del XV sec.
Progetto a cura di:
Letizia Lonzi, Arianna Lentini e Marta Azzalini.
Immagini su gentile concessione:
Diocesi Belluno-Feltre, Marco Zucco e Comune di Pieve di Cadore.
contatti:
MA G N I F I C A CO M U N I T À D I CA D O R E
tel. 0435 32262
email: segreteria@magnifi cacomunitadicadore.it
Magnifi ca
Comunità
di Cadore
Diocesi di
Belluno-Feltre
Arcidiaconato
del Cadore
Provincia di
Belluno
Comunità
Montana
Centro Cadore
Regione
del Veneto
Comunità
Montana
Comelico-Sappada
Comunità
Montana
Valle del Boite
Soprintendenza per i Beni
Storici Artistici ed Etnoantropologici
per le province di VE, BL, PD e TV
Consorzio BIM-
Piave Belluno
800 anni
nelle chiese
1208 2008
del Cadore
Segni d’arte sacra
Esposti dal
29 GIUGNO al
31 AGOSTO 2008
Scrivo da Pastore
mons. Renzo Marinello - Arcidiacono del Cadore
Mi piacciono molto l’arte e la storia e un pochino le conosco, ma mi interessa di più la loro collocazione
nella vita della Chiesa. Lascio, perciò, ad altri presentare e commentare i versanti artistici e storici di
questa bella iniziativa, ringraziando gli Enti che l’hanno promossa e fi nanziata.
Ecco, dunque, la mia rifl essione “pastorale”. Le mostre di arte sacra comportano sempre un rischio:
possono dare l’impressione che la Chiesa sia ormai defunta e che, di Lei, si presentino
preziosi reperti fuori uso. Lo dice bene il card. Giacomo Biffi , arcivescovo emerito di Bologna:
“... anche il “Cristo totale”, cioè la Chiesa, conosce i suoi imbalsamatori. Non ci sono soltanto quelli
che a ogni epoca la denigrano apertamente e ostinatamente la combattono. Ci sono anche quelli
che la rispettano, la stimano, le attribuiscano perfi no una certa benefi ca funzione sociale; a
patto però che non pensi di essere una realtà viva nel mondo di oggi e di avere un’azione
incisiva e determinante sull’umanità dei nostri giorni, nelle cose che contano. C’è chi
la onora, imbalsamandola, come la custode di riti vetusti e di manifestazioni folcloristiche,
quali le cerimonie natalizie e le feste tradizionali. La sua presenza nel
mondo è apprezzata come si apprezza un mobile antico, senza pratica utilità,
che però riesce un po’ a nobilitare la banalità di una casa troppo moderna.
C’è chi assegna alla Chiesa essenzialmente un compito storico-artistico
e le dà volentieri un ragguardevole spazio, ma più che altro come
la depositaria delle bellezze architettoniche, delle pitture sacre,
dell’orefi ceria, dei ricami di un tempo. L’ideale di molti parrebbe
quello di fare dei nostri templi quasi dei musei tipici o delle
specializzate sale da concerto, dove i moderni pagani si
possano illudere, frequentandoli, di avere ancora qualche
sbrendolo di anima cristiana, e possano confondere
nelle loro coscienze svagate la pur preziosa
emozione artistica con il genuino sentimento
religioso, che esige il coinvolgimento della
vita e la ricerca operosa delle volontà di Dio”
(La rivincita del Crocifi sso, , Edizione ESD, pag.
102). La nostra “mostra”, distribuita su tutto il
territorio cadorino, non corre questo rischio. Le sette
Pievi del Cadore (Cortina d’Ampezzo, S. Vito di Cadore,
Valle di Cadore, Domegge di Cadore, Vigo di Cadore, Auronzo
di Cadore e S. Stefano di Cadore) nonché la loro antichissima Madre
(S. Maria Nascente in Pieve di Cadore) non sono morte né vecchie. Sono vive,
vivaci, ben radicate nel presente, decisamente protese verso l’evangelizzazione degli uomini
presenti e futuri, a salvezza delle persone e dei popoli. Gli oggetti esposti hanno, perciò, ancora
la loro ragion d’essere e potrebbero, assai più utilmente, essere ammirati nel loro uso liturgico. Essi non vanno catalogati,
quindi, tra quegli “oli aromatici” dell’imbalsamazione che, con la migliore intenzione, le donne comprarono il giorno di
Pasqua, di buon mattino, ma in ritardo, per imbalsamare il corpo di Gesù già risorto (Marco 16,1). L’imbalsamazione,
come non conviene a Cristo, non conviene nemmeno alla Chiesa, perché, “nelle sue membra c’è la stessa energia del Risorto:
non si può tentare di avvolgerla nelle bende funebri come fosse una mummia... Dopo ogni Pasqua la Chiesa ringiovanisce e riprende
rinvigorita il suo cammino nella storia, cercando di stare al passo con la giovinezza del suo Signore” (G. Biffi , ibid.).
In copertina:
Domegge di Cadore - Chiesa di San Giorgio
Navicella - XVII sec. (foto di Marco Zucco)

Pieve di Cadore
Domegge di Cadore
800 anni
800 1208 2008 nelle chiese
del Cadore
Chiesa matrice del Cadore, fu fondata forse già nei primi
secoli quando, secondo la tradizione, l’opera di evangelizzazione
di sant’Ermagora giunse fi n qui. Inizialmente
dedicata a san Pietro, come molte delle primitive pievi
per sottolineare il legame con la sede papale, venne poi
intitolata, almeno a partire dal XII secolo, a santa Maria
Nascente. Sede sia del potere amministrativo che di quello
ecclesiastico, Pieve di Cadore narra la sua storia anche attraverso
i tesori d’orefi ceria sacra ed i preziosi paramenti
liturgici che l’arcidiaconale conserva.
Saranno esposti, tra gli altri, il piviale tardo quattrocentesco
con ricami di manifattura nordica sul cappuccio e sullo
stolone, dove sono raffi gurati rispettivamente una Madonna
col Bambino e tre episodi della vita di Maria (Annunciazione,
Visitazione e Natività), una cinquecentesca pace con
Cristo in pietà, una ricca collezione di calici che vanno dal
XV al XVIII secolo, il reliquiario a ostensorio di sant’Osvaldo,
protettore contro le epidemie, una croce processionale
in argento e argento dorato della fi ne del XVII secolo che
presenta al centro, sul verso, una Madonna col Bambino, da
mettere in relazione alla dedicazione della chiesa.
Conferenza: Rifl essioni sul documento del 21 marzo 1208, a
cura di Giandomenico Zanderigo Rosolo, sabato 9 agosto
ore 16.30, nel Palazzo della Magnifi ca Comunità di Cadore.
La parrocchia di Domegge è dedicata a san Giorgio, soldato
di Cappadocia martirizzato nel 303 d. C., il cui culto
fu particolarmente venerato dai Longobardi. Il santo guerriero
che con la leggenda della fanciulla liberata dal drago
si trasformerà in metafora di Cristo che difende la Chiesa
dall’eresia, è già acclamato nel paliotto marmoreo del primo
altare laterale a destra, che costituiva il settecentesco altare
maggiore della vecchia parrocchiale. La grande venerazione
popolare di cui godette l’eroe cristiano, annoverato
tra i quattordici santi ausiliatori, si traduce nell’alta qualità
esecutiva della croce processionale in argento sbalzato e
dorato degli inizi del Seicento, ove l’immagine vigorosa del
santo con drago e lancia all’incrocio dei bracci impreziosisce
l’intero manufatto. In mostra si espongono anche, tra
gli altri importanti tesori, un turibolo e una navicella in argento
– con tre delfi ni che segnano la foggia del coperchio
l’uno, e con disegno rabescato fi nemente lavorato a cesello
l’altra – dove la medesima iscrizione rivela la provenienza
dalla chiesa della Molinà e la data del 1619. La chiesa custodisce
ancora una grande lampada pensile del XVII secolo
riccamente traforata con tre eleganti fi gure femminili alate
sul corpo centrale e un ostensorio raggiato d’argento con
preziose decorazioni a puttini sul piede e sul nodo.
Chiesa di
Santa Maria
Nascente
Croce processionale
fi ne XVII - inizio
XVIII sec.
Chiesa di
San San Giorgio Giorgio
Lampada pensile
fi ne XVII sec.
Vigo di Cadore
Auronzo di Cadore
L’eccezionale fortuna del culto di Martino di Tours in Occidente
trova riscontro anche in territorio cadorino: la chiesa
parrocchiale di Vigo a lui intitolata sorge in epoca franca, insieme
a quella di Valle dedicata allo stesso santo. Gli oggetti
esposti in mostra – allestita nella adiacente chiesa cinquecentesca
della Madonna della Difesa – offrono al visitatore la conferma
della ricchezza del patrimonio artistico di quest’area di
confi ne, che affi anca manufatti di provenienza veneziana ad
altri di derivazione tedesca.
A dispetto di un’evidente esigenza di economia compositiva,
il celebre episodio della divisione del mantello, ove il
povero funge da attributo iconografi co del santo, e che farà
di Martino un perfetto modello di vita evangelica, viene
rappresentato con dovizia di particolari e artifi ciose variazioni
sul tema. Si ammireranno una croce processionale in
argento sbalzato e dorato, del XVII secolo, ove la fi gura di
Martino a cavallo poggia sull’imponente nodo, un ostensorio
raggiato in argento con il santo e il povero affrontati
sulla base del ricettacolo, e un’iscrizione che ne documenta
committenza e data (1720), e ancora un completo di carteglorie
in argento sbalzato del XVII secolo e un calice ottocentesco
che reca oltre all’immagine del santo vescovo
anche lo stemma della famiglia Pilotti.
“Verranno nel 1797 i francesi a requisire alle chiese d’Auronzo
ben Kg. 4,500 d’argento”: così scrive il Fabbiani nel
1973. Malgrado tale danno, la parrocchiale, tra le prime a
essere costruite perché tra i vici più lontani da Pieve dopo
Santo Stefano e Ampezzo, conserva ancora beni di affascinante
evidenza storico artistica.
La dedicazione della pieve a santa Giustina, martire padovana
battezzata da san Prosdocimo, è già celebrata nelle
statue dell’altare maggiore e negli affreschi della navata.
La sua immagine si ripete in suppellettili di molteplice
ricchezza tipologica e liturgica: nel lobo mistilineo di una
preziosa croce astile in argento e argento dorato del XVIII
secolo, con in mano la spada con cui fu decapitata nel 304;
nell’incrocio dei bracci di un’altra croce coeva, nella collocazione
centrale solitamente destinata alla Vergine; in una
formella in argento sbalzato dov’è effi giata a fi gura intera
su nuvole, con corona, aureola e palma del martirio,
applicata su uno stendardo in damasco rosso (lo stesso
“confallone di S. Justina” di un inventario del 1827); ancora
entro un inserto circolare del cappuccio di un piviale e
anche in una placchetta in argento fuso di una coperta di
messale del XIX secolo.
Chiesa di
San Martino
Ostensorio raggiato
1720
Chiesa di Santa Giustina
Stendardo processionale,
placchetta di santa Giustina
XVIII sec.
S. Stefano di Cadore
Valle di Cadore
anni
1208 2008 nelle chiese
del Cadore
Al primo martire cristiano è dedicata la chiesa di Santo Stefano,
matrice di tutte le chiese del Comelico. Più volte rimaneggiata
sino al 1973, arricchendosi nel corso degli anni di
innumerevoli opere d’arte: dal seicentesco altare ligneo dei
Ghirlanduzzi da Ceneda dedicato alla Passione di Cristo, alle
tele del coevo Cristoforo Monforti e del più tardo Tommaso
Da Rin, fi no alla preziosa collezione di paramenti liturgici di
manifattura italiana e oltralpina e allo splendore dei pezzi di
orefi ceria sacra. L’immagine del protomartire Stefano, invocato
come santo guaritore e protettore degli scalpellini e dei tagliapietre,
ricorre in molteplici suppellettili sacre appartenenti
al vasto corredo della chiesa, quali una pace friulana del XIX
secolo, qui accompagnato dal Battista e dalla Madonna del
Rosario, una croce processionale settecentesca e una coperta
di libro liturgico datato 1841 in cui viene rappresentato con
la dalmatica dei diaconi e con la palma del martirio. Stefano
compare anche sul verso di uno stendardo processionale, oggi
esposto in chiesa, della metà del XVIII secolo, che presenta forti
analogie con l’opera di Gian Domenico Tiepolo, e nella scena
della lapidazione dipinta sulla prima pagina di un “Inventario
delli beni della chiesa de S. Stefano de Comelico fatto l’anno
1605”.
Conferenza: Tessuti d’arte in Cadore, a cura di Giovanna Galasso,
sabato 30 agosto ore 18.00, nella parrocchiale.
La diffusione del culto di san Martino, emblema della carità,
fu sollecita e straordinaria, tanto che gli furono dedicate ben
due parrocchie in Cadore. La chiesa parrocchiale di Valle,
posta su di un promontorio, su quello che un tempo doveva
essere un antico castello, fu più volte ricostruita e restaurata
per motivi statici. Le opere ivi conservate furono già apprezzate
nel 1925 dal pittore Filippo De Pisis durante il suo
soggiorno nel “ridente paese”, come per esempio la Sacra
Conversazione di Francesco da Milano e la pala dell’altar
maggiore di Antonio Bettio. Purtroppo, oltre alla preziosa
pianeta del XV secolo, sparita dal 1917, sono andati perduti
molti manufatti interessanti aventi come oggetto il santo
titolare presentato per lo più nella tradizionale raffi gurazione,
cioè nell’atto di donare il mantello al povero. L’antico
gonfalone fu rubato nel 1508 dalle truppe di Massimiliano
d’Austria e un gruppo scultoreo con san Martino a cavallo
fu venduto ad un antiquario nel 1923. Nonostante le spoliazioni
si sono conservate preziose suppellettili sacre, tra
cui tre croci dove compare san Martino, una pace del XVII
secolo, un calice del XV secolo con l’arma Piloni e uno tra i
pochi esemplari di pisside in argento dorato quattrocentequattrocentesca
sopravvissuti nel territorio veneto.
VISITABILE SU RICHIESTA.
Conferenza: San Martino, un santo per ogni stagione: tra culto
e tradizione, , a cura di Gian Domenico Mazzocato, venerdì
11 luglio ore 18.00, nella parrocchiale.
Chiesa di Santo Stefano
Inventario, frontespizio
1605
Chiesa di
San Martino
Pisside
XV sec. sec.
S. Vito di Cadore
Cortina d’Ampezzo
È con ogni probabilità Vito, il giovane santo che emerge
da un calderone, riprodotto in una medaglia del piede di
un importante calice in argento dorato conservato nella
pievanale, dove viene raffi gurato secondo l’iconografi a tipica
del suo supplizio, per cui fu immerso in una caldaia
di pece bollente. Al martire lucano del IV secolo invocato
contro l’epilessia e la corea – detta per l’appunto “ballo di
san Vito” – è infatti titolata la chiesa, che reca anche la dedicazione
a Modesto, suo maestro, e Crescenzia, sua nutrice.
Qui si custodiscono un pregiato reliquiario a fi ala contenente
le ossa del santo patrono, frutto dell’assemblaggio di
un piede quattrocentesco in argento dorato con placchette a
smalti policromi con una teca cilindrica in argento sbalzato
di gusto seicentesco, dei vasetti per l’amministrazione degli
oli santi e svariate croci processionali in argento risalenti
a epoche distinte e comunque sempre caratterizzate da elevato
pregio artistico. L’effi ge del santo ausiliatore ritorna
su una raffi nata pianeta in velluto altobasso di seta cremisi
del XVI secolo, dov’è fi nemente ricamata con argento e argento
dorato fi lato su un supporto in tela di lino applicato
allo stolone: in piedi entro un’edicola trilobata Vito tiene in
mano il modellino della chiesa.
L’esposizione si terrà all’interno della mostra organizzata
dalla Parrocchia.
La pieve di Cortina era già intitolata ai santi Filippo e Giacomo
minore nel 1277. Nell’iconografi a cristiana i due apostoli
sono spesso associati, infatti si festeggiano nello stesso giorno,
il 3 maggio, poiché le loro reliquie, trasportate a Roma,
furono oggetto di venerazione comune.
Molti degli artisti che realizzarono le opere della chiesa ampezzana,
hanno confuso la fi gura del patrono Giacomo minore
con quella del più famoso Giacomo maggiore, quest’ultimo
rappresentato tradizionalmente come un pellegrino
con il bordone, il tipico bastone da viaggio, la borraccia, il
mantello e la conchiglia. Esempio calzante di questo errore
iconografi co, è il calice offerto nel 1852 al parroco don Giovanni
Rudiferia dal Comune, che riporta sul piede due ovuli
in smalto, uno con l’immagine dei due apostoli titolari, Filippo
con la croce e il vangelo e Giacomo minore con il bastone
battilana, strumento del suo martirio e nell’altro Giacomo
maggiore come pellegrino. Si conservano inoltre altri oggetti
con i due santi patroni: un reliquiario in argento datato 1863
con le loro reliquie, un prezioso piviale con chiusura ricavata
da una pace (oggetto liturgico che l’offi ciante della messa
dava da baciare ai fedeli al momento dell’Agnus Dei) su cui è
rappresentata la Madonna della Difesa con i due apostoli ed
una coperta di libro liturgico del XVIII secolo con decorazioni
in argento sbalzato e decorazioni fi tomorfe, che presenta
sul recto san Filippo con la croce e sul verso san Giacomo minore
con il bastone. VISITABILE DAL 14 LUGLIO.
Chiesa dei
Santi Vito,
Modesto e
Crescenzia
Calice
metà del XV - inizi
del XVIII sec.
Chiesa dei
Santi Filippo
e Giacomo
apostoli
Calice
1852