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Progetto HIGHEST - Relazione Finale - Museo Tridentino di Scienze ...

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MUSEO<br />

DELLE<br />

SCIENZE<br />

Dicembre 2012<br />

Qualità ed integrità <strong>di</strong> ecosistemi acquatici glaciali d’alta<br />

quota in Trentino: i risultati del <strong>Progetto</strong> <strong>HIGHEST</strong> (Health<br />

and Integrity of Glacial Headwater EcoSystems in<br />

Trentino), 2001‐2004<br />

Monografia | a cura <strong>di</strong> Valeria Lencioni e Bruno Maiolini


Testi <strong>di</strong>: Valeria Lencioni e Bruno Maiolini<br />

Schede <strong>di</strong>: Adriano Boscaini, Maria Cristina Bruno, Valeria Lencioni, Bruno Maiolini, Luca<br />

Pedrotti, Roberto Seppi, Paola Zalla<br />

Con la collaborazione <strong>di</strong><br />

per attività <strong>di</strong> campo e <strong>di</strong> laboratorio: Nicola Angeli, Alessandra Bellucci, Ermanno Bertuzzi,<br />

Raffaella Berera, Paola Bernabò, Adriano Bosciani, Mauro Carolli, Mattia Dori, Alex Festi,<br />

Alessandra Franceschini, Mario Grasso, Stefania Margoni, Laura Marziali, Michela Oss,<br />

Roberta Raschioni, Luana Silveri, Barbara Sokolic, Marcello Taglialatela, Flavia Toloni, Elisa<br />

Varolo, Rita Ziglio, Marcello Zoccatelli, Sara Zuccati;<br />

per la determinazione del materiale biologico: Andrea Buffagni, Fernanda Cianficconi,<br />

Romolo Fochetti, Vezio Cottarelli, Elzbieta Dumnicka, Leo Rivosecchi, Bruno Rossaro, Marco<br />

Valle.<br />

Fotografie <strong>di</strong>: Valeria Lencioni, Bruno Maiolini e Archivio <strong>Museo</strong> delle <strong>Scienze</strong>, salvo <strong>di</strong>versamente<br />

in<strong>di</strong>cato.<br />

Partner del progetto <strong>HIGHEST</strong>:<br />

<strong>Museo</strong> <strong>Tridentino</strong> <strong>di</strong> <strong>Scienze</strong> Naturali (dal 2010 <strong>Museo</strong> delle <strong>Scienze</strong>, MdS)<br />

Istituto Agrario <strong>di</strong> San Michele all’A<strong>di</strong>ge (dal 2008 Fondazione E. Mach, FEM)<br />

Parco Nazionale dello Stelvio, settore trentino<br />

Finanziamento: Provincia Autonoma <strong>di</strong> Trento, Servizio Università e Ricerca Scientifica (2001‐<br />

2004).<br />

2


PREMESSA DEL DIRETTORE MTSN‐MDS<br />

Michele Lanzinger<br />

Sempre più frequentemente ci si riferisce alle<br />

Alpi come le Torri d'acqua dell'Europa (Water<br />

Towers of Europe) in quanto il territorio<br />

alpino contribuisce in larga parte<br />

all'alimentazione dei maggiori fiumi che<br />

attraversano e <strong>di</strong>ssetano l'Europa. Grazie alla<br />

presenza <strong>di</strong> ghiacciai, nevai, sorgenti, questo<br />

contributo è <strong>di</strong>lazionato nelle stagioni,<br />

contribuendo a mantenere vivi i fiumi anche<br />

in perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> basse precipitazioni estive.<br />

Le Alpi assicurano così un continuo<br />

rifornimento <strong>di</strong> risorse idriche verso le<br />

pianure, per sod<strong>di</strong>sfare le crescenti richieste<br />

agricole, civile, turistiche ecc. Più<br />

recentemente le Alpi sono state chiamate<br />

anche "Batterie d'Europa", a significare il<br />

ruolo strategico che svolgono nel campo<br />

dell'energia idroelettrica. Questa fonte <strong>di</strong><br />

energia rinnovabile è oggi particolarmente<br />

rilevante, perché l'unica in grado <strong>di</strong><br />

rispondere in tempi brevissimi ai picchi <strong>di</strong><br />

richiesta del mercato energetico e l'unica che<br />

può immagazzinare energia in eccesso<br />

pompando l'acqua nei bacini <strong>di</strong> accumulo.<br />

Tanti vantaggi a livello globale ma anche<br />

alcuni impatti sugli ecosistemi acquatici.<br />

Le popolazioni alpine sono dunque<br />

depositarie <strong>di</strong> una grande ricchezza, che deve<br />

essere ben conosciuta affinché possa essere<br />

gestita assicurando i benefici attesi e la salute<br />

degli ecosistemi acquatici, per ora e per il<br />

futuro.<br />

A questa conoscenza <strong>di</strong> base il progetto<br />

<strong>HIGHEST</strong>, ai cui risultati si riferisce questa<br />

monografia, ha dato un importante<br />

contributo. Per il <strong>Museo</strong> delle <strong>Scienze</strong> la<br />

partecipazione al progetto è stata anche<br />

l'occasione per rafforzare un gruppo <strong>di</strong><br />

ricerca in ecologia fluviale con nuovi<br />

collaboratori entusiasti e preparati.<br />

Entusiasmo e preparazione sono infatti<br />

prerequisiti fondamentali per lavorare nelle<br />

<strong>di</strong>fficili con<strong>di</strong>zioni ambientali delle alte quote<br />

alpine.<br />

I risultati ottenuti sono stati ragguardevoli,<br />

testimoniati dalle numerose pubblicazioni<br />

<strong>di</strong>vulgative e scientifiche, sia nazionali che<br />

internazionali, e dalla partecipazione a<br />

numerosi convegni in cui sono stati<br />

presentati i risultati del progetto. Sono state<br />

condotte anche tesi <strong>di</strong> laurea e <strong>di</strong> dottorato,<br />

<strong>di</strong>mostrando l’importante ruolo <strong>di</strong><br />

formazione <strong>di</strong> giovani ricercatori‐naturalisti<br />

da parte del <strong>Museo</strong>.<br />

3


In<strong>di</strong>ce<br />

1. Introduzione: gli ambienti acquatici <strong>di</strong> alta quota, l’ultima riserva 5<br />

2. Il progetto <strong>HIGHEST</strong> 19<br />

3. Area <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o 21<br />

Scheda 1 ‐ La Vedretta de la Mare 25<br />

Scheda 2 ‐ La fauna vertebrata 28<br />

Scheda 3 – I laghi in Val de la Mare 45<br />

4. La componente biotica 55<br />

Scheda 4 ‐ Adattamenti al freddo 58<br />

5. Materiali e meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> campionamento 63<br />

Scheda 5 – Il drift degli invertebrati 67<br />

Scheda 6 – Gli adattamenti della fauna interstiziale 73<br />

6/1. Risultati ‐ le acque correnti 77<br />

6/2. Risultati – i laghi 101<br />

7. La qualità biologica dei torrenti e gli impatti antropici 105<br />

Scheda 7 – Gli impianti idroelettrici in Val <strong>di</strong> Peio 112<br />

8. Considerazioni conclusive 123<br />

9. Bibliografia consultata 125<br />

Appen<strong>di</strong>ce 1 ‐ Elenco delle specie <strong>di</strong> invertebrati acquatici 134<br />

Appen<strong>di</strong>ce 2 ‐ Divulgazione dei risultati 142<br />

Appen<strong>di</strong>ce 3– Glaciologia e Climatologia 150<br />

4


1. INTRODUZIONE: GLI AMBIENTI ACQUATICI D’ALTA QUOTA, L’ULTIMA RISERVA<br />

Circa il 97% dell’acqua del pianeta è contenuta in mari ed oceani, il restante 3% è rappresentato<br />

da acqua dolce, <strong>di</strong> cui la maggior parte (2%) è presente in forma solida nei ghiacciai, per lo più<br />

concentrati in Artide e Antartide. La quota maggiore delle acque dolci allo stato liquido (0,6%) è<br />

rappresentata dalle acque sotterranee, seguono i laghi (0,02%), l’acqua contenuta nei suoli<br />

(0,006%), il vapore atmosferico (0,001%) e infine i fiumi, con solo lo 0,000095%. Il tempo <strong>di</strong><br />

permanenza dell’acqua in questi <strong>di</strong>versi comparti è estremamente variabile, da centinaia <strong>di</strong> anni<br />

nei ghiacciai a ore o giorni nei fiumi. L’acqua corrente superficiale è dunque la parte minore della<br />

risorsa acqua del pianeta, eppure è la parte con cui l’uomo si rapporta <strong>di</strong> più, utilizzandola per<br />

molteplici scopi e spesso compromettendone la qualità.<br />

Pian Venezia, marzo 2004.<br />

Nell’ultimo decennio è cresciuta tra la comunità scientifica, i responsabili della programmazione<br />

territoriale e il mondo politico, la consapevolezza del valore ambientale delle acque d’alta quota,<br />

quale ultima risorsa <strong>di</strong> acqua incontaminata per il futuro, come evidenziato in numerosi convegni<br />

scientifici internazionali incentrati su questi temi, tenutisi a partire dalla fine degli anni 90 del<br />

secolo scorso. Anche la sensibilità del più vasto pubblico è aumentata in seguito ad una più<br />

approfon<strong>di</strong>ta conoscenza dei fenomeni <strong>di</strong> alterazione ambientale indotti da attività antropiche, sia<br />

5


a livello locale (derivazioni per centrali idroelettriche, pressione turistica, neve artificiale ecc.) che<br />

a livello globale (effetto serra, piogge acide ecc.). Queste alterazioni sono ormai arrivate a<br />

interessare anche le aree più remote, a elevate altitu<strong>di</strong>ni e latitu<strong>di</strong>ni, ove si trovano ecosistemi<br />

caratterizzati da un’elevata sensibilità e particolarmente vulnerabili a inquinamento organico,<br />

turismo, piogge acide e cambiamenti climatici. Nonostante ciò, poche ricerche hanno avuto per<br />

oggetto lo stu<strong>di</strong>o dell’ecologia delle acque d’alta quota. In particolare, per quanto riguarda le<br />

comunità biologiche, in Italia sono stati condotti finora stu<strong>di</strong> per lo più <strong>di</strong> carattere strettamente<br />

tassonomico su singoli taxa in singoli microhabitat.<br />

Il territorio della Provincia <strong>di</strong> Trento si trova per il 19.6% della sua estensione al <strong>di</strong> sopra del limite<br />

delle foreste e per il 16.9% ricade in aree protette da Parchi. Attualmente la qualità ecologica dei<br />

corsi d’acqua d’alta quota trentini è nota solo per alcuni sistemi glaciali investigati a partire dal<br />

1996 da parte del <strong>Museo</strong> delle <strong>Scienze</strong> (MTSN‐MdS) nel Parco Naturale Adamello‐Brenta e nel<br />

Parco Nazionale dello Stelvio. Per quanto riguarda i laghi, il MTSN‐MdS ha intrapreso nel 1996 un<br />

progetto pilota per l’ampliamento del “Catasto dei laghi del Trentino”, che risale ormai a<br />

quarant’anni fa. Pur rimanendo un importante punto <strong>di</strong> riferimento, quest’opera necessita <strong>di</strong><br />

aggiornamenti a causa dei mutamenti subiti da molti laghi, dovuti sia a cause naturali (evoluzione<br />

geomorfologica dei laghi, <strong>di</strong>namica dei ghiacciai, ecc.) che all’intervento dell’uomo (per esempio<br />

sfruttamento idroelettrico).<br />

I torrenti d’alta quota: il kryal, il rhithral, il krenal, gli emissari <strong>di</strong> laghi alpini<br />

Seguendo un corso d’acqua da monte a valle, tipicamente si assiste a un aumento della portata,<br />

della profon<strong>di</strong>tà, della torbi<strong>di</strong>tà, della sostanza organica fine in sospensione e della temperatura. Si<br />

osserva invece una <strong>di</strong>minuzione della velocità <strong>di</strong> corrente, della granulometria del substrato, della<br />

sostanza organica grossolana presente in alveo (River Continuum Concept). Questo concetto,<br />

anche se con le dovute <strong>di</strong>stinzioni, ha vali<strong>di</strong>tà anche per i torrenti alpini in senso stretto.<br />

L’espressione “torrenti alpini” si riferisce ad acque correnti nella zona “alpina”, definita come la<br />

zona giacente fra la linea degli alberi e le nevi perenni. Questi torrenti sono normalmente molto<br />

fred<strong>di</strong> e scorrono lungo pen<strong>di</strong>i ripi<strong>di</strong>, sviluppando quin<strong>di</strong> un moto veloce e turbolento. Ciò implica<br />

un’alta concentrazione <strong>di</strong> ossigeno <strong>di</strong>sciolto e un substrato costituito essenzialmente da massi,<br />

ciottoli e ghiaia. Inoltre questi torrenti durante l’arco dell’anno sono soggetti ad ampie variazioni<br />

<strong>di</strong> portata, dovute all’apporto d’acqua derivante dalla fusione delle nevi e dei ghiacciai nei perio<strong>di</strong><br />

primaverili‐estivi, con conseguenti processi <strong>di</strong> erosione e <strong>di</strong> deposito che alterano continuamente<br />

la struttura dell’alveo creando isole, lanche, canali laterali <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse <strong>di</strong>mensioni, pozze, rivoli con<br />

bassa velocità e conseguente deposito <strong>di</strong> limo. In contrasto con la densa fascia riparia dei torrenti<br />

montani <strong>di</strong> quote minori, le rive dei torrenti alpini sono comunemente costituite da roccia e<br />

detrito minerale e la vegetazione riparia è, in con<strong>di</strong>zioni ottimali, rappresentata da piante erbacee<br />

e arbusti. Le <strong>di</strong>fferenze fra i torrenti montani alpini e quelli che scorrono al <strong>di</strong>sotto della linea degli<br />

alberi sono elencate in tabella 1.<br />

6


Tab. 1 ‐ Differenze fra i torrenti d’alta quota e quelli che scorrono al <strong>di</strong>sotto della linea degli alberi.<br />

Torrenti alpini Torrenti montani sotto la linea degli alberi<br />

Volta arborea assente chiusa<br />

Vegetazione riparia assente/erbacea e arbustiva alberi, arbusti, erbe<br />

Grossi frammenti<br />

legnosi<br />

assenti presenti<br />

Copertura nevosa variabile / in <strong>di</strong>pendenza del<br />

vento<br />

Ritenzione sostanza<br />

organica<br />

bassa alta<br />

estesa e spesso <strong>di</strong> notevole spessore<br />

Accumuli <strong>di</strong> foglie sparsi/assenti Abbondanti, rappresentano la principale<br />

risorsa energetica<br />

Produzione autotrofa limitata da temperatura e<br />

nutrienti<br />

limitata dalla luce<br />

Stato trofico autotrofo eterotrofo<br />

Il torrente Larcher (circa 1300 m s.l.m.). Il torrente Noce Bianco (2500 m s.l.m.).<br />

In generale si assiste ad una riduzione <strong>di</strong> bio<strong>di</strong>versità nelle acque correnti passando dalle basse alle<br />

alte quote, in <strong>di</strong>pendenza però dell’origine delle acque stesse. Si possono identificare, in base<br />

all’origine, tre <strong>di</strong>versi tipi <strong>di</strong> ecosistemi fluviali alpini (Tab. 2, Fig. 1):<br />

• kryal (sistema dominato da acque <strong>di</strong> fusione glaciale)<br />

• krenal (sistema alimentato da sorgenti),<br />

• rhithral (sistema alimentato da acque <strong>di</strong> fusione <strong>di</strong> nevai e/o da precipitazioni).<br />

7


Tab. 2 ‐ Caratteristiche principali delle tre tipologie fluviali presenti in alta quota.<br />

Kryal Krenal Rhithral<br />

Origine glaciale sorgentizia mista<br />

piogge)<br />

(falda, nevai,<br />

Portata ampie fluttuazioni costante fluttuazioni limitate<br />

Temperatura vicina a 0°C (=4°C) costante con variazioni su base<br />

annuale<br />

Trasporto solido elevato/variabile basso/costante basso/variazioni limitate<br />

Stabilità del substrato bassa alta buona<br />

Comunità poche specie molto<br />

specializzate<br />

tipiche comunità stabili complessa<br />

In aggiunta a questa classificazione bisogna anche <strong>di</strong>stinguere gli emissari <strong>di</strong> laghi alpini, secondo i<br />

casi come sottoclasse <strong>di</strong> rhithral o kryal.<br />

Fig. 1 ‐ Tipologie dei torrenti alpini<br />

(mod. da Koerner, 1999).<br />

Sono definiti come kryal tutti quei corsi d’acqua che derivano dalla fusione dei ghiacciai. Questi<br />

torrenti sono caratterizzati da temperature massime dell’acqua minori <strong>di</strong> 4°C e estremi<br />

cambiamenti <strong>di</strong> portata in <strong>di</strong>pendenza del ciclo gelo‐<strong>di</strong>sgelo. In estate mostrano una variazione <strong>di</strong><br />

portata giornaliera, con massimi nel primo pomeriggio e minimi nelle prime ore del mattino. I<br />

picchi <strong>di</strong> portata possono <strong>di</strong>minuire in giornate molto fredde e\o nuvolose.<br />

8


Immagini scattate nell’ agosto 1999 (a sinistra) e nello stesso mese del 2002 (a destra) della conflueza del<br />

Noce Bianco (sulla destra nelle foto, origine glaciale) e del Rio Careser (sulla sinistra, origine pluvio‐nivale). È<br />

evidente l’intensa attività idromorfologica del torrente <strong>di</strong> origine glaciale rispetto al più stabile Rio Careser.<br />

Il Noce Bianco fotografato nel luglio 2003. Sono evidenti le<br />

caratteristiche <strong>di</strong> torrente a tipologia kryal, con acque torbide per<br />

il trasporto <strong>di</strong> limo glaciale e l’alveo ampio con rive devegetate, a<br />

causa delle forti variazioni <strong>di</strong> portata giornaliere che si verificano<br />

in estate durante le fasi <strong>di</strong>urne <strong>di</strong> fusione glaciale.<br />

L’andamento del <strong>di</strong>sgelo influenza fortemente la trasparenza dell’acqua, essendo questa<br />

abbastanza limpida durante le portate minime mentre durante i picchi <strong>di</strong> portata estivi è assai<br />

9


torbida. Le acque che formano le portate minime derivano da apporti <strong>di</strong> falda e dall’acqua che<br />

viene rilasciata per fusione in seguito alle alte pressioni <strong>di</strong> carico che si sviluppano alla base del<br />

ghiacciaio. Queste acque hanno un minor carico <strong>di</strong> soli<strong>di</strong> sospesi e quin<strong>di</strong> generalmente si<br />

presentano limpide. Nella stagione estiva a queste si aggiungono durante il giorno una gran mole<br />

<strong>di</strong> acque cariche <strong>di</strong> detrito, originate dai processi <strong>di</strong> <strong>di</strong>sgelo causati dall’irra<strong>di</strong>amento solare, e i<br />

torrenti quin<strong>di</strong> si presentano molto torbi<strong>di</strong>. In inverno, a causa della interazione fra le basse<br />

temperature e la mancanza <strong>di</strong> un manto nevoso, i torrenti kryali possono ghiacciare<br />

completamente creando con<strong>di</strong>zioni proibitive per la maggioranza degli organismi che devono<br />

sviluppare adattamenti specifici per sopravvivere a gelo e alla <strong>di</strong>sidratazione. Nei torrenti che non<br />

ghiacciano, però, le con<strong>di</strong>zioni nell’alveo si stabilizzano a tal punto che si assiste ad un aumento <strong>di</strong><br />

bio<strong>di</strong>versità e <strong>di</strong> abbondanza della comunità macrozoobentonica. Questo fenomeno è causato<br />

principalmente all’aumento della biomassa algale in seguito alla scomparsa dei fattori limitanti<br />

estivi (torbi<strong>di</strong>tà e azione abrasiva). La temperatura dell’acqua e la stabilità dell’alveo sono<br />

considerate le più importanti variabili ecologiche che influenzano la composizione della fauna nel<br />

kryal e sono i principali fattori <strong>di</strong> un modello teorico che prevede una successione <strong>di</strong> comunità<br />

animali da monte verso valle (Fig. 2).<br />

Aumento della stabilità del corso d'acqua<br />

Diamesa sp.<br />

metakryal<br />

Diamesinae<br />

Orthocla<strong>di</strong>inae<br />

Simuliidae<br />

hypokryal<br />

2°C<br />

4°C<br />

Aumento della temperatura dell'acqua (°C)<br />

Baetidae<br />

Nemouridae<br />

Chloroperlidae<br />

Chironominae<br />

Chloroperlidae<br />

altri Ephemeroptera<br />

& Plecoptera<br />

Trichoptera<br />

altri taxa<br />

Dista nza dal margine del ghia cciaio<br />

Aumento del numero <strong>di</strong> taxa e della biomassa<br />

<strong>di</strong> zoobentos<br />

Fig. 2 ‐ le più importanti<br />

variabili ecologiche che<br />

influenzano la<br />

composizione della<br />

fauna nel kryal (mod.<br />

da Milner e Petts,<br />

1994).<br />

Nel metakryal o tratto superiore del kryal, dove la temperatura dell’acqua è inferiore a 2°C anche<br />

in estate, si trovano soltanto Ditteri Chironomi<strong>di</strong> del genere Diamesa. Le larve <strong>di</strong> questi insetti si<br />

sono ben adattate alle con<strong>di</strong>zioni estreme <strong>di</strong> questo ambiente. Vivono negli anfratti e nelle<br />

depressioni dei massi ai quali si fissano con una tela sericea per evitare <strong>di</strong> essere portati via dalla<br />

forte corrente. Sono organismi raccoglitori‐filtratori che si nutrono del particellato organico fine<br />

presente nelle acque <strong>di</strong> fusione del ghiacciaio. Queste particelle sono portate in quota dal vento,<br />

vengono intrappolate nel ghiacciaio dalla neve e tornano <strong>di</strong>sponibili con lo scioglimento. Questo<br />

meccanismo ha spinto alcuni autori a classificare la parte alta del kryal come “Zona Eolica”.<br />

L’hypocrial è caratterizzato da temperature superiori ai 2°C e dalla comparsa, insieme ai<br />

chironomi<strong>di</strong> <strong>di</strong>amesini, <strong>di</strong> ortocla<strong>di</strong>ni, <strong>di</strong> simuli<strong>di</strong> e <strong>di</strong> oligocheti. Entrambe le categorie fluviali sono<br />

10


caratterizzate dall’assenza <strong>di</strong> ittiofauna. Dove le temperature superano i 4°C avviene la transizione<br />

verso con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> rhithral con la comparsa <strong>di</strong> una comunità bentonica più <strong>di</strong>versificata.<br />

I torrenti che scorrono attraverso bacini imbriferi al <strong>di</strong>sotto delle nevi perenni e sono alimentati<br />

dallo fusione <strong>di</strong> nevai e/o dalle precipitazioni sono definiti come rhithral. L’idrologia <strong>di</strong> questi<br />

torrenti è dominata soprattutto da maggiori apporti estivi <strong>di</strong> acque, causati dallo fusione delle<br />

nevi. Ne deriva un regime <strong>di</strong> portata binario, con portate maggiori nei mesi estivi e minori in quelli<br />

invernali. La temperatura dell’acqua in estate è data essenzialmente dalla temperatura delle acque<br />

<strong>di</strong> fusione. Questa rispecchia <strong>di</strong>rettamente la temperatura dell’aria e si aggira in me<strong>di</strong>a fra i 5 e i<br />

10°C. In inverno gli apporti <strong>di</strong> acqua sono <strong>di</strong> falda e quin<strong>di</strong> la temperatura è <strong>di</strong> poco sopra allo zero.<br />

Le variazioni delle temperature annue arrivano quin<strong>di</strong> anche oltre 10°C. Il regime idrologico non<br />

presenta le imponenti variazioni del kryal e i fenomeni erosivi sono limitati. Le acque sono<br />

generalmente limpide e ciò favorisce una produzione autotrofa più costante. Secondo la teoria del<br />

<strong>di</strong>sturbo me<strong>di</strong>o naturale o <strong>di</strong>sturbo moderato, la combinazione fra parametri ecologici<br />

Piccolo affluente rhitral <strong>di</strong> destra del torrente<br />

Careser. La trasparenze delle acqua e la relativa<br />

stabilità del’alveo permettono un buon sviluppo<br />

della componente vegetale sia sommersa<br />

(alghe) che emergente, come questi muschi.<br />

stabili (stabilità dell’alveo e produzione autotrofa che perdura nel tempo) e una variabilità<br />

stagionale dei parametri fisici (temperatura e portata) porta ad una maggior <strong>di</strong>versificazione della<br />

comunità biologica che abita quel determinato ambiente. Nel rhithral <strong>di</strong>fatti si trova il più alto<br />

grado <strong>di</strong> bio<strong>di</strong>versità fra gli ambienti lotici d’alta quota. La componente vegetale <strong>di</strong> questi biota è<br />

11


caratterizzata da briofite e da un assembramento relativamente ricco <strong>di</strong> alghe, comprese crisofite,<br />

bacillariofite, clorofite e cianofite. Il macrozoobenthos tipico del rhithral comprende una serie <strong>di</strong><br />

elementi eurizonali che si trovano al limite più elevato della loro <strong>di</strong>stribuzione altitu<strong>di</strong>nale assieme<br />

a qualche specialista d’alta quota. Comunemente sono presenti Plecotteri, Efemerotteri, Tricotteri,<br />

Ditteri, Turbellari, Acari, Oligocheti e Nemato<strong>di</strong>. Spesso è presente una limitata fauna ittica,<br />

rappresentata soprattutto da Salmoni<strong>di</strong>. In Europa in questi ambienti si trovano i generi Salmo e<br />

Salvelinus, assieme a Ciprini<strong>di</strong> (Barbus sp.) e Cobiti (Noemacheilus barbatulus).<br />

Al krenal appartengono quei corsi d’acqua alimentati da sorgenti (rheocrene) a tutte le altitu<strong>di</strong>ni.<br />

Sono caratterizzati da con<strong>di</strong>zioni fisiche e chimiche costanti, da acque chiare e ossigenate e da una<br />

portata relativamente costante, che determina un alveo molto stabile. Le variazioni massime delle<br />

temperature annue non superano 1‐2°C e quin<strong>di</strong> questi corsi d’acqua presentano un carattere<br />

freddo‐estivo/caldo‐invernale. Ciò implica che questi torrenti in inverno possono rimanere liberi<br />

dal ghiaccio anche per svariati chilometri, con conseguente crescita <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> quantità <strong>di</strong> alghe e <strong>di</strong><br />

muschi e <strong>di</strong> una vegetazione riparia lussureggiante.<br />

Tratto iniziale <strong>di</strong> un affluente krenal del torrente Larcher, in Val de La Mare. La costanza <strong>di</strong> portata e <strong>di</strong><br />

fattori chimico‐fisici, fa sì che questi habitat esprimano alti valori <strong>di</strong> bio<strong>di</strong>versità e possano agire da zone <strong>di</strong><br />

rifugio per la fauna acquatica <strong>di</strong> altri corsi d’acqua connessi, da zona protetta per la deposizione e lo<br />

sviluppo delle prime fasi larvali <strong>di</strong> molti insetti e da fonte per la ricolonizzazione <strong>di</strong> ambienti a valle, a<br />

seguito <strong>di</strong> eventi catastrofici.<br />

12


Nell’ambito alpino gli ambienti krenal rappresentano delle vere e proprie aree rifugio adatte allo<br />

sviluppo <strong>di</strong> fauna e flora. La bio<strong>di</strong>versità dello zoobentos rheocrenale esibisce tipicamente valori<br />

interme<strong>di</strong> fra quelli del kryal e del rhitral, ma le con<strong>di</strong>zioni altamente stabili <strong>di</strong> questi corsi d’acqua<br />

permettono lo sviluppo <strong>di</strong> densità zoobentoniche molto superiori alle altre tipologie. In situazioni<br />

dove il rhithral si trova in con<strong>di</strong>zioni estreme la bio<strong>di</strong>versità del krenal può essere più alta. Negli<br />

ambienti crenali alpini in genere gli insetti sono il gruppo più abbondante mentre negli habitat<br />

crenali <strong>di</strong> basse quote predominano Crostacei anfipo<strong>di</strong> e isopo<strong>di</strong> e Molluschi. In parte questo può<br />

riflettere la prevalenza degli insetti nello zoobenthos <strong>di</strong> torrenti d’alta quota. Per certi pesci inoltre<br />

questi ambienti sono molto importanti come aree <strong>di</strong> riproduzione.<br />

Gli emissari <strong>di</strong> laghi alpini sono definiti come zone <strong>di</strong> transizione longitu<strong>di</strong>nale fra ambienti lentici<br />

e lotici. Normalmente in ambienti <strong>di</strong> bassa quota i laghi hanno un effetto tampone sulle variazioni<br />

<strong>di</strong> temperatura e portata degli emissari. Inoltre le acque in uscita sono arricchite con plancton, ciò<br />

favorisce l’instaurarsi <strong>di</strong> organismi filtratori in questi ambienti. I laghi alpini, pur essendo<br />

generalmente <strong>di</strong> piccole <strong>di</strong>mensioni, hanno comunque un’influenza sui loro emissari.<br />

Normalmente questi torrenti, a confronto con i “non‐emissari”, presentano temperature massime<br />

più elevate, valori <strong>di</strong> gra<strong>di</strong> giorno annui più alti e variazioni <strong>di</strong> temperatura giornaliere minori. La<br />

maggior parte dei laghi alpini sono estremamente oligotrofici. Ciò implica che gli apporti <strong>di</strong><br />

sostanza organica agli emissari sono molto bassi e quin<strong>di</strong> non sono in grado <strong>di</strong> supportare<br />

consistenti comunità <strong>di</strong> filtratori. In base alla tipologia degli immissari <strong>di</strong> un lago, gli emissari<br />

possono essere classificati come sottoclassi <strong>di</strong> rhithral o kryal.<br />

Emissario del lago Nero, che <strong>di</strong>venta immissario del Bacino del Careser dopo un breve percorso. Nonostante<br />

la sua brevità, il piccolo corso d’acqua ospita una comunità zoobentonica abbondante e molto <strong>di</strong>versificata<br />

in relazione alla quota elevata (circa 2600 m s.l.m.).<br />

13


Gli emissari rhithral presentano un alveo molto stabile che comporta un buon sviluppo <strong>di</strong> alghe e<br />

soprattutto <strong>di</strong> muschi, e quin<strong>di</strong> una <strong>di</strong>screta produzione autotrofa. Gli invertebrati più comuni in<br />

questo ambiente sono i Chironomi<strong>di</strong> e <strong>di</strong>versi gruppi tassonomici <strong>di</strong> non insetti (Oligocheti,<br />

Nemato<strong>di</strong> e Copepo<strong>di</strong>). Gli emissari kryal risentono molto dell’influenza dei torrenti glaciali che si<br />

immettono nel lago. Presentano quin<strong>di</strong> un alveo meno stabile e parametri chimico‐fisici simili al<br />

kryal. Tuttavia la comunità fitobentonica si presenta più varia e accanto alla crisophita Hydrurus<br />

foetitus che è tipicamente kryale si trovano <strong>di</strong>verse specie <strong>di</strong> <strong>di</strong>atomee. I gruppi <strong>di</strong> invertebrati<br />

sono invece gli stessi del kryal (soprattutto Chironomi<strong>di</strong>, poi Efemerotteri beti<strong>di</strong> ed eptageni<strong>di</strong> e<br />

Plecotteri leuctri<strong>di</strong>).<br />

I laghi d’alta quota<br />

Le prime indagini naturalistiche sui laghi d’alta quota nel nostro Paese risalgono ai primi decenni<br />

del secolo scorso, quando Pietro Pavesi (1844‐1907), naturalista dell’Università <strong>di</strong> Pavia, rilevò la<br />

presenza del plancton (già segnalato in laghi svizzeri) nei laghi alpini italiani. Le ricerche in Italia<br />

sono proseguite per tutta la prima metà del secolo grazie a limnologi quali Rina Monti, Emilia<br />

Stella, Edgardo Bal<strong>di</strong>, Vittorio Tonolli e Livia Pirocchi. Nel secondo dopoguerra l’attenzione dei<br />

limnologi si è spostata verso gli ambienti <strong>di</strong> fondovalle localizzati in prossimità delle aree più<br />

antropizzate e <strong>di</strong>rettamente interessati da fenomeni <strong>di</strong> inquinamento. Negli ultimi anni è ripreso<br />

anche nel nostro Paese l’interesse verso i laghi d’alta quota, nonostante in Italia le ricerche su<br />

questi ambienti siano sicuramente meno comuni che in altri paesi dell’arco alpino, quali Austria e<br />

Svizzera.<br />

I laghi d’alta quota sono in genere <strong>di</strong> piccole <strong>di</strong>mensioni e poco profon<strong>di</strong> ed hanno origine glaciale,<br />

prevalentemente <strong>di</strong> circo (cfr. Scheda 3). L’essere poveri <strong>di</strong> nutrienti, trasparenti, molto fred<strong>di</strong> e<br />

parzialmente gelati per molti mesi l’anno, fa <strong>di</strong> questi laghi degli ambienti “estremi”, in cui poche<br />

specie vegetali ed animali riescono a vivere. Tipicamente quin<strong>di</strong> sono laghi oligotrofi (scarsamente<br />

produttivi) e ospitano comunità semplificate ma estremamente interessanti per la frequenza <strong>di</strong><br />

forme locali (ecotipi) e <strong>di</strong> relitti glaciali. Il <strong>di</strong>fferenziamento <strong>di</strong> ecotipi è legato all’adattamento a<br />

peculiari con<strong>di</strong>zioni ambientali, a competizione e/o a fenomeni <strong>di</strong> isolamento, associati a processi<br />

microevolutivi, frequenti in ambienti isolati quali sono i laghi d’alta quota (“teoria dell’insularità”<br />

del Bal<strong>di</strong>, secondo cui i laghi alpini sono come “piccole isole d’acqua nell’oceano delle terre<br />

emerse”). I relitti glaciali costituiscono “preziose reliquie delle antiche vicissitu<strong>di</strong>ni del<br />

Quaternario”, che trovano corrispondenza solo nelle acque fredde nord‐europee. Sono specie a<br />

<strong>di</strong>stribuzione boreo‐alpina, tipiche <strong>di</strong> acque fredde, che si sono <strong>di</strong>ffuse in tutta Europa durante<br />

l’ultima glaciazione, al seguito dei ghiacciai, e successivamente rimaste isolate con questi in zone<br />

subartiche o alle quote più elevate dell’arco alpino. Un esempio è rappresentato dal cladocero<br />

Holope<strong>di</strong>um gibberum, noto per laghi del Nord Europa e per i laghi del versante settentrionale<br />

della catena alpina. Questa specie è riuscita a colonizzare anche raccolte d’acqua sul versante<br />

meri<strong>di</strong>onale delle Alpi per trasporto passivo (per esempio uova durature trasportate dal vento o<br />

da uccelli). In Trentino è stata rinvenuta in <strong>di</strong>versi laghi, tra cui i Laghi <strong>di</strong> Colbricon, il Lago Serodoli,<br />

il Lago Superiore <strong>di</strong> Valbona, il Lago <strong>di</strong> Cavallazza e il Lago delle Malghette. La presenza <strong>di</strong> ecotipi e<br />

relitti glaciali rende peculiari e particolarmente interessanti le comunità animali e vegetali che<br />

14


popolano i laghi alpini. Il rinato interesse verso questi ambienti è tuttavia legato soprattutto al<br />

fatto <strong>di</strong> essere ubicati in aree remote, lontano da aree antropizzate, e <strong>di</strong> essere molto sensibili e<br />

vulnerabili a perturbazioni sia naturali che <strong>di</strong> origine antropica, a cui tendono a rispondere in<br />

maniera rapida. I laghi d’alta quota possono quin<strong>di</strong> essere utilizzati come in<strong>di</strong>catori ambientali, in<br />

particolare <strong>di</strong> cambiamenti a breve e a lungo termine del clima e della chimica dell’atmosfera.<br />

Particolare preoccupazione ha destato negli ultimi anni la problematica delle deposizioni acide,<br />

quin<strong>di</strong> dell’aci<strong>di</strong>ficazione dei suoli e delle acque superficiali. Le emissioni <strong>di</strong> ossi<strong>di</strong> <strong>di</strong> zolfo e <strong>di</strong><br />

azoto in atmosfera da parte dell’uomo (traffico, riscaldamento, industrie, ecc.) degli ultimi 30‐40<br />

anni hanno determinato un aumento dell’aci<strong>di</strong>tà delle precipitazioni (piogge con pH fino a 2‐3<br />

unità quando normalmente il pH delle piogge si aggira sulle 5.6 unità), con effetti talora devastanti<br />

su suoli, foreste e acque superficiali. Il fenomeno è iniziato nell’Europa settentrionale e più<br />

recentemente si è esteso anche nel centro e sud Europa. I laghi d’alta quota, in particolare quelli<br />

ubicati in bacini <strong>di</strong> natura silicea, non avendo un’elevata riserva alcalina naturale, sono i corpi idrici<br />

più a rischio <strong>di</strong> aci<strong>di</strong>ficazione. Le loro acque infatti, essendo povere <strong>di</strong> carbonati, non sono in grado<br />

<strong>di</strong> neutralizzare l’aci<strong>di</strong>tà delle precipitazioni, e possono quin<strong>di</strong> essere considerati spie <strong>di</strong> eventuali<br />

fenomeni <strong>di</strong> aci<strong>di</strong>ficazione.<br />

L’alcalinità <strong>di</strong> questi laghi è in genere bassa, spesso inferiore a 50 μeq L ‐1 , in<strong>di</strong>cato come il valore<br />

limite <strong>di</strong> alcalinità al <strong>di</strong> sotto del quale il lago è da considerarsi estremamente sensibile a qualsiasi<br />

ingresso <strong>di</strong> contaminanti atmosferici aci<strong>di</strong>. Dove invece il fenomeno è in corso, l’alcalinità assume<br />

valori pari o inferiori a 0 µeq L ‐1 . Laghi con alcalinità compresa fra 50 e 200 µeq L ‐1 sono considerati<br />

suscettibili a episo<strong>di</strong>ci fenomeni <strong>di</strong> aci<strong>di</strong>ficazione, mentre laghi con alcalinità maggiore <strong>di</strong> 200 µeq<br />

L ‐1 possono considerarsi non sensibili. Inoltre, in alta quota, la presenza <strong>di</strong> terreno fortemente<br />

inclinato e pressochè privo <strong>di</strong> vegetazione, accelera lo scorrimento dell’acqua piovana, riducendo i<br />

tempi <strong>di</strong> contatto <strong>di</strong> questa con il suolo. In questo modo si riducono anche le reazioni <strong>di</strong> scambio<br />

ionico e <strong>di</strong> <strong>di</strong>ssoluzione dei minerali del terreno (es. sali <strong>di</strong> calcio) in grado <strong>di</strong> neutralizzare l’aci<strong>di</strong>tà<br />

delle acque meteoriche. Bassi valori <strong>di</strong> pH hanno effetti negativi <strong>di</strong>retti e in<strong>di</strong>retti sulle <strong>di</strong>verse<br />

biocenosi acquatiche. Tra quelli in<strong>di</strong>retti ricor<strong>di</strong>amo la mobilizzazione <strong>di</strong> metalli tossici come<br />

l’alluminio, favorita da con<strong>di</strong>zioni acide.<br />

I laghi d’alta quota sono utilizzati anche per lo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> altre problematiche a impatto globale<br />

quali l’aumento della ra<strong>di</strong>azione UVB incidente (legato al buco dell’ozono) e il riscaldamento del<br />

pianeta. L’elevata trasparenza delle acque dei laghi d’alta quota (fatta eccezione per i torbi<strong>di</strong> laghi<br />

proglaciali) rappresenta per la fauna che li popola un altro fattore <strong>di</strong> stress, in quanto gli organismi<br />

sono esposti a dosi elevate <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>azioni UV. La produzione <strong>di</strong> pigmenti fotoprotettivi e la<br />

realizzazione <strong>di</strong> migrazioni verticali giornaliere nella colonna d’acqua, permettono a <strong>di</strong>verse specie<br />

<strong>di</strong> vivere nelle acque cristalline <strong>di</strong> questi ambienti senza danno. Gli effetti <strong>di</strong> processi quale il buco<br />

dell’ozono potrebbero essere stu<strong>di</strong>ati anche attraverso gli adattamenti morfologici, fisiologici e<br />

comportamentali <strong>di</strong> queste specie.<br />

Oltre agli impatti in<strong>di</strong>retti, i laghi d’alta quota sono anche soggetti a tutta una serie <strong>di</strong> impatti<br />

<strong>di</strong>retti, quali il pascolo, il turismo, l’immissione <strong>di</strong> specie ittiche alloctone e lo sfruttamento<br />

idroelettrico e idropotabile. L’uso dei laghi come bacini comporta, tra l’altro, la costruzione <strong>di</strong> una<br />

soglia artificiale con effetti sia sulle caratteristiche abiotiche (cambiamenti nel regime termico e<br />

idrologico) che biotiche.<br />

15


Le acque sotterranee<br />

Gli habitat acquatici sotterranei possono essere classificati <strong>di</strong>stinguendo gli ambienti con<br />

se<strong>di</strong>menti non consolidati da quelli con se<strong>di</strong>menti consolidati, prendendo come criterio della<br />

sud<strong>di</strong>visione le <strong>di</strong>mensioni crescenti degli interstizi accessibili agli organismi.<br />

Con il termine se<strong>di</strong>menti non‐consolidati si intendono quegli interstizi saturi d’acqua tra i<br />

componenti del se<strong>di</strong>mento, il quale può essere <strong>di</strong> granulometria <strong>di</strong>versa. Tali se<strong>di</strong>menti,<br />

rintracciabili generalmente in zone litorali marine, lacustri o fluviali, danno origine a <strong>di</strong>fferenti<br />

ambienti sotterranei: l’ambiente psammolitorale marino e lacustre, rispettivamente in spiagge<br />

marine e in rive lacustri sabbiose; l’ambiente iporreico, ovvero la zona <strong>di</strong> se<strong>di</strong>menti saturi d’acqua<br />

sotto il corso superficiale del fiume, che rappresenta una zona <strong>di</strong> transizione tra le acque<br />

superficiali del fiume, comprese le rive dello stesso, e la falda freatica; le acque freatiche, situate<br />

sia in profon<strong>di</strong>tà, al <strong>di</strong>sotto della zona iporreica, che nelle rive fluviali. Le acque freatiche non<br />

vengono <strong>di</strong>rettamente a contatto con il corso d’acqua superficiale e sono ricaricate<br />

dall’infiltrazione meteorica.<br />

I se<strong>di</strong>menti consolidati si producono inizialmente da fratture <strong>di</strong> origine tettonica e si formano in<br />

un’ampia varietà <strong>di</strong> formazioni geologiche quali arenarie e rocce carbonatiche (calcari e dolomiti).<br />

Tali se<strong>di</strong>menti sono a loro volta sud<strong>di</strong>visibili in ambienti fessurati e carsici. Le fratture, presenti nei<br />

primi, creano cavità <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni maggiori rispetto a quelle degli acquiferi interstiziali, ma<br />

comunque non accessibili <strong>di</strong>rettamente all’uomo. Le zone carsiche, in cui le acque sono<br />

immagazzinate in profon<strong>di</strong>tà, presentano una morfologia caratterizzata da strutture superficiali<br />

(esocarso), come le doline, e da un complesso reticolo <strong>di</strong> spazi profon<strong>di</strong> (endocarso), costituito da<br />

canali, piccole grotte, corsi d’acqua sotterranei.<br />

L’ambiente iporreico<br />

Nei corsi d’acqua, i processi <strong>di</strong> scambio tra le acque superficiali e quelle sotterranee sono <strong>di</strong><br />

notevole entità e sono influenzati dalle precipitazioni, dall’evapotraspirazione, dai rilievi e dal tipo<br />

<strong>di</strong> suolo e roccia madre. L’interazione tra il compartimento superficiale e quello sotterraneo<br />

avviene grazie al flusso <strong>di</strong> acqua che si instaura tra le zone <strong>di</strong> suolo saturo ed insaturo in due<br />

<strong>di</strong>rezioni: nel downwelling, o influsso, l’acqua superficiale contribuisce al flusso sotterraneo e, per<br />

infiltrazione, ricarica l’acquifero; nell’upwelling, o deflusso, l’acqua sotterranea drena verso il<br />

fiume e l’acquifero alimenta il fiume.<br />

La presenza <strong>di</strong> zone <strong>di</strong> upwelling e <strong>di</strong> downwelling e quin<strong>di</strong> la <strong>di</strong>rezione del flusso d’acqua può<br />

cambiare a seconda del regime idrologico stagionale e della morfologia fluviale: un corso d’acqua<br />

che presenta un letto <strong>di</strong> sabbia e ciottoli è formato da tre elementi principali, modellati dalle fasi<br />

<strong>di</strong> erosione, trasporto e deposito nei perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> piena: pozze, raschi, barre <strong>di</strong> detrito fluviale laterali<br />

o me<strong>di</strong>ane. Le pozze sono formate dall’erosione dei flussi d’acqua che convergono nelle parti<br />

concave, mentre i raschi sono formati dalla deposizione <strong>di</strong> materiale pesante o da una leggera<br />

erosione in quei punti dove i flussi d’acqua <strong>di</strong>vergono e quin<strong>di</strong> hanno una capacità <strong>di</strong> trasporto<br />

minore. In ogni fiume la presenza <strong>di</strong> raschi aumenta sia gli scambi tra gli ambienti superficiali e<br />

sotterranei che l’eterogeneità dell’ambiente interstiziale. A causa della presenza <strong>di</strong> dune e barre <strong>di</strong><br />

detrito fluviale l’acqua superficiale si infiltra a monte <strong>di</strong> tali strutture e poi scorre come acqua<br />

sotterranea riemergendo a valle. Da tali movimenti deriva una mo<strong>di</strong>ficazione delle caratteristiche<br />

16


fisico‐chimiche delle acque, che gradualmente perdono le loro qualità “superficiali”.<br />

L’ossigenazione delle acque interstiziali tende quin<strong>di</strong> a fluttuare mostrando una massima<br />

concentrazione nelle zone d’infiltrazione e una notevole deossigenazione nelle zone <strong>di</strong> risalita.<br />

Queste con<strong>di</strong>zioni influenzano la struttura delle comunità interstiziali. In con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> basse<br />

precipitazioni, il flusso minimo è generato dalle acque sotterranee; al contrario, quando le<br />

precipitazioni sono elevate, l’infiltrazione superficiale aumenta gradualmente, accrescendo la<br />

pressione idraulica negli strati più bassi del fiume e permettendo così l’infiltrazione e la ricarica<br />

dell’acquifero. Tali processi sono molto importanti per la determinazione del bilancio idrico del<br />

fiume e delle riserve sotterranee, specialmente per i fiumi che scorrono nelle aree alluvionali.<br />

L’ambiente iporreico nei tratti d’alto corso dei fiumi, nei torrenti d’alta quota in particolare, si<br />

<strong>di</strong>scosta dal modello generale in quanto i se<strong>di</strong>menti saturi sono poco sviluppati e il corso d’acqua<br />

generalmente scorre <strong>di</strong>rettamente sulla roccia madre. L’ambiente iporreico è pertanto<br />

estremamente ridotto o totalmente assente e la <strong>di</strong>versità della fauna iporreica tende ad<br />

aumentare spostandosi dalla zona <strong>di</strong> orgine verso il basso corso.<br />

Movimenti dell’acqua nell’ambiente iporreico (mod da Malard et al. 2002).<br />

L’ambiente iporreico è un ecosistema <strong>di</strong> transizione (ecotono) tra le acque della falda profonda e<br />

quelle superficiali. Può essere influenzato più dalle prime in zone <strong>di</strong> upwelling o dalle seconde in<br />

quelle <strong>di</strong> downwelling e la fascia <strong>di</strong> maggior scambio si trova nei primi 30‐50 cm sotto il letto del<br />

fiume. L’iporreico è un ambiente molto <strong>di</strong>namico, che presenta caratteristiche proprie e attraverso<br />

il quale avvengono trasferimenti <strong>di</strong> masse d’acqua, nutrienti e sostanza organica dal fiume alla<br />

falda e viceversa. Come tutti gli ecotoni, l’iporreico è particolarmente ricco <strong>di</strong> bio<strong>di</strong>versità perché è<br />

frequentato, contemporaneamente o in perio<strong>di</strong> <strong>di</strong>versi, da organismi delle due comunità<br />

confinanti. Si possono quin<strong>di</strong> trovare sia organismi tipici delle acque sotterranee (crostacei e<br />

oligocheti), che altri caratteristici del fondo dei corsi d’acqua (insetti <strong>di</strong>tteri, plecotteri e tricotteri).<br />

I primi migrano verso l’alto con movimenti volontari, alla ricerca <strong>di</strong> nutrimento o <strong>di</strong> acque più<br />

ossigenate, o involontari, spinti verso l’alto dalle acque <strong>di</strong> falda (upwelling). I secon<strong>di</strong> sono<br />

rappresentati dagli organismi bentonici che penetrano tra gli interstizi della zona iporreica per<br />

trascorrervi fasi delicate del proprio ciclo vitale (funzione nursery) oppure per rifugiarsi durante le<br />

piene o ancora alla ricerca <strong>di</strong> cibo o <strong>di</strong> con<strong>di</strong>zioni microclimatiche più favorevoli nelle <strong>di</strong>verse<br />

stagioni. Durante l’estate nei torrenti glaciali la fusione <strong>di</strong>urna del ghiaccio provoca imponenti<br />

cambiamenti <strong>di</strong> portata dell’acqua, rendendo l’alveo instabile e sottoposto all’azione abrasiva del<br />

17


limo glaciale. In questa stagione molti organismi bentonici cercano rifugio tra gli interstizi<br />

dell’ambiente iporreico. Gli ambienti iporreici hanno elevata bio<strong>di</strong>versità; organismi quali<br />

crostacei, insetti, nemato<strong>di</strong>, rotiferi, oligocheti, sono componenti importanti della maggior parte<br />

delle comunità iporreiche, ma esistono considerevoli <strong>di</strong>fferenze relative alla composizione<br />

percentuale. Se<strong>di</strong>menti grossolani spesso contengono più crostacei e insetti, mentre se<strong>di</strong>menti<br />

sabbiosi contengono più rotiferi, nemato<strong>di</strong>, e tar<strong>di</strong>gra<strong>di</strong>.<br />

La composizione e la <strong>di</strong>stribuzione degli organizmi iporreici (“iporreos”) sono controllate da<br />

numerosi fattori, il più importante <strong>di</strong> quali è la granulometria del substrato, ossia l’ampiezza degli<br />

interstizi, che pone limiti fisici alle <strong>di</strong>mensioni della fauna. Con granelli troppo piccoli (situazione<br />

comune nei fiumi <strong>di</strong> pianura, ma rare nei torrenti <strong>di</strong> montagna) gli spazi interstiziali sono troppo<br />

ridotti, e spesso colmati da detrito; con granelli troppo gran<strong>di</strong> (come nei tratti ad elevata<br />

pendenza) il flusso dell’acqua è troppo elevato e <strong>di</strong>lava la fauna. In entrambi i casi, i popolamenti<br />

sono poveri sia come numero <strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidui che <strong>di</strong> specie, mentre la situazione ottimale si verifica<br />

con sabbie a granulometria varia, cioè sabbia grossolana e ghiaia fine. Dalla granulometria del<br />

substrato <strong>di</strong>pendono inoltre i flussi d’acqua interstiziali e quin<strong>di</strong> la temperatura, la quantità <strong>di</strong><br />

materiale organico e <strong>di</strong> nutrienti, e la saturazione in ossigeno delle acque iporreiche. La<br />

composizione e la <strong>di</strong>stribuzione della fauna interstiziale <strong>di</strong>pendono primariamente dai fattori sopra<br />

elencati ma anche dalla biogeografia, fenologia e dai cicli biologici degli animali stessi.<br />

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2. IL PROGETTO <strong>HIGHEST</strong><br />

Scopo generale<br />

I laghi e i torrenti <strong>di</strong> montagna in particolare sono delle preziose risorse idriche, spesso con elevate<br />

caratteristiche qualitative. Per questo alcuni laghi vengono correntemente utilizzati come riserve<br />

potabili per acquedotti. Ne consegue l’importanza <strong>di</strong> conoscere in modo approfon<strong>di</strong>to le<br />

caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche <strong>di</strong> questi ambienti affinché possano essere gestiti nel<br />

tempo, in modo da conservarne le preziose qualità per le future generazioni. Inoltre, torrenti e<br />

laghi glaciali sono sicuramente elementi che rendono più vario e suggestivo il panorama alpino e<br />

possono <strong>di</strong>ventare la principale attrazione <strong>di</strong> percorsi escursionistici (uso turistico e ricreativo).<br />

Vanno pertanto fatti conoscere, evidenziandone gli aspetti <strong>di</strong> maggior interesse.<br />

Un aspetto da considerare è l’effetto dell’inquinamento <strong>di</strong>ffuso <strong>di</strong> origine atmosferica sugli<br />

ambienti acquatici d’alta quota: è infatti noto che gli ossi<strong>di</strong> <strong>di</strong> azoto e zolfo prodotti dal traffico e<br />

dalle attività industriali contaminano l’atmosfera e possono aumentare il livello <strong>di</strong> aci<strong>di</strong>tà delle<br />

deposizioni e i ghiacciai agiscono da accumulatori <strong>di</strong> queste sostanze e le restituiscono in tempi più<br />

o meno lunghi a laghi e torrenti durante la fase <strong>di</strong> fusione <strong>di</strong> neve e ghiaccio. L’effetto <strong>di</strong> questi<br />

rilasci “aci<strong>di</strong>” da parte <strong>di</strong> nevai e ghiacciai sulle caratteristiche abiotiche e biotiche delle acque<br />

superficiali è più evidente in bacini <strong>di</strong> natura silicea, dotati <strong>di</strong> scarso potere tampone, quali le rocce<br />

“acide” <strong>di</strong> Val de la Mare. I laghi e i torrenti che si trovano in bacini <strong>di</strong> natura silicea, proprio per la<br />

loro elevata sensibilità all’influsso <strong>di</strong> deposizioni anche solo leggermente acide, sono gli ambienti<br />

ideali per lo stu<strong>di</strong>o e il monitoraggio del fenomeno dell’aci<strong>di</strong>ficazione. Questi ambienti “estremi” si<br />

prestano molto bene anche al monitoraggio <strong>di</strong> altri contaminanti a <strong>di</strong>ffusione atmosferica, quali<br />

pestici<strong>di</strong> e metalli pesanti.<br />

Per tutti questi motivi, gli ambienti acquatici d’alta quota della catena alpina necessitano <strong>di</strong> uno<br />

stu<strong>di</strong>o ecologico approfon<strong>di</strong>to, che purtroppo è ancora carente. A tale proposito, il progetto<br />

”Qualità ed integrità <strong>di</strong> ecosistemi acquatici glaciali d’alta quota in Trentino: Health and Integrity<br />

of Glacial Headwater EcoSystems in Trentino ” denominato con l’acronimo <strong>HIGHEST</strong>, ha<br />

continuato, approfon<strong>di</strong>to ed ampliato le ricerche sull’ecologia dei torrenti d’alta quota in corso<br />

presso la Sezione <strong>di</strong> Zoologia degli Invertebrati e <strong>di</strong> Idrobiologia del MTSN‐MdS dal 1996, con<br />

l’obiettivo generale <strong>di</strong> realizzare uno stu<strong>di</strong>o pilota sulle acque correnti d’alta quota in Val de la<br />

Mare (bacino del Noce Bianco, Parco Nazionale dello Stelvio ‐ settore trentino), valutandone<br />

bio<strong>di</strong>versità ed integrità ecologica in relazione alla <strong>di</strong>namica dell’idrologia glaciale e agli impatti<br />

antropogenici esistenti, attraverso un approccio multi<strong>di</strong>sciplinare al fine <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinguere tra<br />

variazioni naturali ed indotte.<br />

I risultati sono rilevanti e strategici per la Provincia <strong>di</strong> Trento, tra le più ricche <strong>di</strong> acque glaciali, per<br />

la maggior parte già sfruttate a scopo idroelettrico e sottoposte a crescenti pressioni per altri<br />

utilizzi. A questo si sommano i cambiamenti nei regimi idrici dei corsi d’acqua legati al ritiro dei<br />

ghiacciai, fenomeno che interessa oggi molti sistemi in Trentino, e alle piogge acide.<br />

Il progetto <strong>HIGHEST</strong> ha fornito un importante contributo, sia a livello nazionale che internazionale,<br />

allo sviluppo <strong>di</strong> protocolli semplificati adatti alla valutazione della qualità delle acque d’alta quota<br />

da parte <strong>di</strong> operatori che a vari livelli si occupano <strong>di</strong> controllo ambientale.<br />

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Il progetto è stato coor<strong>di</strong>nato dal MTSN‐MdS con la partecipazione del settore trentino del Parco<br />

Nazionale dello Stelvio (<strong>di</strong>vulgazione dei risultati) e dell’Istituto Agrario <strong>di</strong> San Michele all’A<strong>di</strong>ge<br />

(analisi chimiche), e co‐finanziato dalla Provincia Autonoma <strong>di</strong> Trento nell’ambito del Fondo Unico<br />

della Ricerca. L’organigramma del progetto era il seguente: Coor<strong>di</strong>natore scientifico: Bruno<br />

Maiolini, MTSN‐MdS; Titolare della responsabilità amministrativa: Michele Lanzinger, MTSN‐MdS;<br />

Responsabili <strong>di</strong> ricerca dei singoli enti partecipanti: Bruno Maiolini, MTSN‐MdS; Flavio Corra<strong>di</strong>ni,<br />

IASMA‐FEM (Fondazione E. Mach, ex Istituto Agrario <strong>di</strong> S. Michele all’A<strong>di</strong>ge),Paolo Moreschini, PNS<br />

(Ente Parco Nazionale dello Stelvio, Settore Trentino).<br />

Obiettivi specifici<br />

Gli scopi del progetto miravano ad una produzione <strong>di</strong> linee guida per un uso sostenibile della<br />

risorsa acqua e sono stati in concreto:<br />

• Lo sviluppo <strong>di</strong> un sistema informativo riferito al bacino del Noce Bianco, comprendente<br />

i sistemi glacio‐nivali in esso compresi ed il reticolo idrografico da essi generato;<br />

• La caratterizzazione, da un punto <strong>di</strong> vista chimico‐fisico e biologico, delle tipologie<br />

fluviali d’alta quota;<br />

• L’incremento delle collezioni musearie <strong>di</strong> reperti biologici provenienti da ecosistemi<br />

ancora poco conosciuti;<br />

• Lo sviluppo <strong>di</strong> protocolli semplificati per la valutazione della qualità ecologica e<br />

biologica delle acque in alta quota;<br />

• La valutazione dell’impatto <strong>di</strong> <strong>di</strong>ghe e <strong>di</strong> captazioni sulle comunità bentoniche a valle<br />

delle stesse.<br />

Il progetto è stato articolato in 5 Work Packages (WP1, WP2, WP3, WP4, WP5), mirati alla<br />

valutazione quali‐quantitativa delle risorse idriche, alla caratterizzazione chimico‐fisica e biologica<br />

delle acque correnti del bacino del Noce Bianco. L’ultimo ha riguardato la <strong>di</strong>vulgazione dei risultati,<br />

<strong>di</strong> cui questo volume rappresenta il prodotto principale.<br />

Work package 1: VALUTAZIONE QUANTITATIVA DELLE RISORSE IDRICHE NEL SOTTOBACINO<br />

GLACIALE DEL NOCE BIANCO; Responsabile: Bruno Maiolini, conservatore MTSN‐MdS. (Appen<strong>di</strong>ce<br />

3)<br />

Work package 2: QUALITÀ DELLE DEPOSIZIONI ATMOSFERICHE (NEVE E PIOGGIA); Responsabile:<br />

Giancarlo Rossi, consulente MTSN‐MdS. (Appen<strong>di</strong>ce 3)<br />

Work package 3: IDROCHIMICA; Ricercatore responsabile: Flavio Corra<strong>di</strong>ni, Responsabile dell’Unità<br />

Operativa <strong>di</strong> Biologia e Chimica Ambientale <strong>di</strong> IASMA‐FEM.<br />

Work package 4: VALUTAZIONE DELLA QUALITÀ ECOLOGICA E BIOLOGICA DELLE ACQUE CORRENTI<br />

DEL BACINO DEL NOCE BIANCO; Responsabile: Valeria Lencioni, conservatore MTSN‐MdS.<br />

Work package 5: DIVULGAZIONE DEI RISULTATI; Responsabile: Paolo Moreschini, Dirigente del<br />

settore trentino del Consorzio del Parco Nazionale dello Stelvio. (Appen<strong>di</strong>ce 2)<br />

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3. AREA DI STUDIO<br />

La Val de la Mare è stata scelta come area <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o in quanto <strong>di</strong> grande pregio scientifico e<br />

naturalistico. È stata inclusa nel 1935 nel settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio; questo<br />

provve<strong>di</strong>mento ha certamente contribuito alla conservazione dell’integrità <strong>di</strong> gran parte del<br />

paesaggio e della qualità dell’ambiente, che sono le principali risorse su cui si fondano parte<br />

dell’economia e le prospettive <strong>di</strong> sviluppo della Valle.<br />

La Val de la Mare include in un’area relativamente piccola torrenti originati esclusivamente da<br />

ghiacciai (kryal), da sorgenti (krenal), ad alimentazione mista (rhithral), immissari ed emissari <strong>di</strong><br />

laghi naturali (delle Marmotte, Lungo, Nero) ed artificiali (Caresèr). Sono presenti inoltre <strong>di</strong>verse<br />

forme <strong>di</strong> impatto antropico (derivazioni idroelettriche, <strong>di</strong>ghe <strong>di</strong> sbarramento, bacini <strong>di</strong> raccolta,<br />

pascolo, rifugi, sentieri, turismo). L’area comprende ghiacciai con <strong>di</strong>verse caratteristiche e<br />

<strong>di</strong>namiche, che alimentano torrenti con tipologie idrologiche <strong>di</strong>verse. Questo è il caso del torrente<br />

originato dalle Vedrette de la Mare (Noce Bianco) e Careser (Rio Careser). Questa valle offre quin<strong>di</strong><br />

molti spunti allo stu<strong>di</strong>o della bio<strong>di</strong>versità in alta quota e all’effetto su <strong>di</strong> essa <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi impatti<br />

antropici <strong>di</strong>retti e in<strong>di</strong>retti. Inoltre, stu<strong>di</strong> precedenti hanno fornito conoscenza <strong>di</strong> base sulla<br />

bio<strong>di</strong>versità dell’area, e sulle caratteristiche biotiche e abiotiche <strong>di</strong> torrenti e laghi della valle.<br />

Stato delle conoscenze naturalistiche<br />

L’Ortles‐Cevedale ha attirato nel secolo scorso l’attenzione <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>osi delle più <strong>di</strong>verse <strong>di</strong>scipline,<br />

da botanici a geologi, da glaciologi a zoologi. In particolare la Val <strong>di</strong> Peio è stata oggetto <strong>di</strong><br />

numerose ricerche in campo glaciologico, tra cui quelle riportate nella monumentale opera <strong>di</strong><br />

Desio del 1967 “I ghiacciai del Gruppo Ortles‐Cevedale (Alpi Centrali)”, contenente anche una<br />

carta 1:50 000 con la posizione dei fronti glaciali dal 1865 al 1961. Tra i ghiacciai del Gruppo Ortles‐<br />

Cevedale, il più stu<strong>di</strong>ato è stato quello del Careser. Alla fine degli anni ’50 questo ghiacciaio è stato<br />

oggetto <strong>di</strong> una campagna <strong>di</strong> ricerca geofisica promossa dal Comitato Glaciologico Italiano, volta a<br />

valutarne lo spessore. Dagli anni ’70 ad oggi sono iniziati stu<strong>di</strong> sul bilancio <strong>di</strong> massa da parte del<br />

prof. Zanon dell’Università <strong>di</strong> Padova. Recentemente in Val de la Mare è stato eseguito anche uno<br />

stu<strong>di</strong>o palinologico su depositi torbosi tra 1764 e 2630 m s.l.m. al fine <strong>di</strong> valutare l’evoluzione<br />

climatico‐forestale che la zona ha subìto.<br />

La letteratura scientifica in campo ecologico sui laghi e i torrenti <strong>di</strong> Val de la Mare precedente al<br />

progetto <strong>HIGHEST</strong> è assai carente, e si riferisce solo a raccolte spora<strong>di</strong>che <strong>di</strong> invertebrati acquatici<br />

e terrestri in singoli microambienti. Informazioni essenziali sui laghi <strong>di</strong> Val de la Mare sono<br />

contenute nel “Catasto dei laghi del Trentino”. Alcuni dati ambientali e biologici, rimasti a tutt’oggi<br />

ine<strong>di</strong>ti, sono stati raccolti su laghi e torrenti <strong>di</strong> Val de la Mare negli anni ’70 da parte <strong>di</strong> ricercatori<br />

dell’Università <strong>di</strong> Varsavia.<br />

Nel 1996‐1998 il MTSN‐MdS ha partecipato al progetto europeo AASER, nel corso del quale sono<br />

state stu<strong>di</strong>ate le caratteristiche ambientali e biologiche <strong>di</strong> alcuni torrenti glaciali europei, dai<br />

Pirenei (42 °N <strong>di</strong> latitu<strong>di</strong>ne) alle Isole Svalbard (Circolo Polare Artico, 79 °N <strong>di</strong> latitu<strong>di</strong>ne). In<br />

particolare, sono stati presi in considerazione sistemi alimentati da ghiacciai in ritiro, in espansione<br />

e stabili, localizzati in aree geografiche soggette a climi <strong>di</strong>versi, da quello oceanico a quello<br />

21


continentale. In Italia, nel corso <strong>di</strong> questa ricerca, sono stati raccolti dati geomorfologici, chimico‐<br />

fisici e biologici relativi a quattro sistemi glaciali: Conca e Niscli (gruppo montuoso dell’Adamello),<br />

Cornisello e Amola (gruppo montuoso della Presanella). I risultati del progetto hanno incluso la<br />

creazione <strong>di</strong> protocolli sperimentali <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o dei bacini glaciali, e hanno dato l’avvio a successivi<br />

progetti <strong>di</strong> ricerca mirati ad approfon<strong>di</strong>re alcune tematiche specifiche, il primo dei quali è stato il<br />

progetto “Caratterizzazione biologica dei torrenti e laghi <strong>di</strong> Val de la Mare” che ha rappresentato<br />

uno stu<strong>di</strong>o pilota finalizzato alla valutazione della bio<strong>di</strong>versità degli ambienti acquatici della Val de<br />

la Mare. Nell’ambito <strong>di</strong> tale progetto, le caratteristiche biotiche e abiotiche dei numerosi torrenti e<br />

dei principali laghi che si trovano nella valle sono stati stu<strong>di</strong>ati con un approccio multi<strong>di</strong>sciplinare,<br />

in relazione alla <strong>di</strong>namica dei ghiacciai e agli impatti antropogenici esistenti. Tuttavia, le acque<br />

correnti d’alta quota presentano una grande variabilità nel tempo e nello spazio, ed è quin<strong>di</strong><br />

necessario sviluppare raccolte dati su me<strong>di</strong>o e lungo termine per poter stabilire i parametri <strong>di</strong><br />

riferimento in<strong>di</strong>spensabili per <strong>di</strong>stinguere variazioni naturali da quelle indotte. Questa è la<br />

con<strong>di</strong>zione necessaria per valutare e monitorare la qualità delle acque correnti d’alta quota e<br />

produrre quin<strong>di</strong> linee guida verso uno sviluppo delle attività umane sostenibile con la salvaguar<strong>di</strong>a<br />

dell’integrità ecologica dell’ecosistema alpino.<br />

Le indagini sono proseguite e sono state estese, sempre in accordo con i protocolli derivati dal<br />

progetto AASER, con il progetto triennale (maggio 2001‐maggio 2004) “<strong>HIGHEST</strong>” che viene<br />

presentato in questo volume.<br />

Alcuni dei risultati del progetto <strong>HIGHEST</strong> sono stati approfon<strong>di</strong>ti in due progetti successivi: nel<br />

2003‐2004 con la ricerca Ruolo della Criosfera alpina nel ciclo idrologico (CRYOALP) e nel 2003‐<br />

2006 con la ricerca Valenza Ecologica dello Zoobenthos <strong>di</strong> Torrenti Alpini (VETTA). Nell’ambito del<br />

progetto CRYOALP i ricercatori del <strong>Museo</strong> <strong>Tridentino</strong> <strong>Scienze</strong> Naturali si sono occupati <strong>di</strong> alcuni<br />

aspetti dell’ecologia <strong>di</strong> corsi d’acqua <strong>di</strong> origine glaciale (kryal) e pluvio‐nivale (rhitral), in stazioni<br />

poste oltre 2000 m s.l.m. nel bacino glacializzato del torrente Noce Bianco. L’obiettivo primario<br />

della ricerca è stato il determinare la composizione della comunità zoobentonica e i tempi e i mo<strong>di</strong><br />

dei processi <strong>di</strong> colonizzazione in torrenti d’alta quota alpini. Il progetto VETTA, aveva come scopo<br />

lo stu<strong>di</strong>o delle strategie <strong>di</strong> colonizzazione e <strong>di</strong> sopravvivenza degli invertebrati acquatici in<br />

ambienti "estremi" quali i corsi d'acqua, in particolare quelli ad alimentazione glaciale, e come<br />

ambiente <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o è stato scelto il bacini idrografico del Noce Bianco. Nell’ambito della ricerca<br />

sono stati svolti una serie <strong>di</strong> esperimenti per valutare la riposta all'essiccamento e allo shock<br />

termico da freddo e da calore in specie target "estremofile" <strong>di</strong> invertebrati (Chironomi<strong>di</strong> Diamesini<br />

e Tar<strong>di</strong>gra<strong>di</strong>) potenzialmente minacciate <strong>di</strong> estinzione.<br />

Inquadramento geografico e geologico della Val de la Mare<br />

La Val de la Mare costituisce la parte settentrionale della Val <strong>di</strong> Peio e si sviluppa su un <strong>di</strong>slivello<br />

compreso tra 3769 (Monte Cevedale) e 1160 m s.l.m. (conca <strong>di</strong> Cogolo). Ha una superficie totale <strong>di</strong><br />

68 km 2 ed una lunghezza, dal Passo della Forcola alla conca <strong>di</strong> Cogolo, <strong>di</strong> circa 7 km. Il valico della<br />

Forcola (3032 m s.l.m.) mette in comunicazione la Val de la Mare con la Val Martello, a nord, e la<br />

Bocchetta <strong>di</strong> Saènt con la Val <strong>di</strong> Rabbi, a est. Il profilo longitu<strong>di</strong>nale è interrotto da due gra<strong>di</strong>ni <strong>di</strong><br />

valle, rispettivamente tra Malga Prabòn e Malga Mare (con 150 m <strong>di</strong> <strong>di</strong>slivello), e tra Malga Mare e<br />

Pian Venezia (con 250 m <strong>di</strong> <strong>di</strong>slivello).<br />

22


La Val de la Mare vista dalla cima Vioz.<br />

La Val de la Mare è incisa nel basamento cristallino della Falda dell’Ortles, unità superiore del<br />

Sistema Austroalpino delle Alpi Orientali. Il basamento è costituito da rocce metamorfiche<br />

(paragneiss, micascisti e filla<strong>di</strong>) derivate da una successione <strong>di</strong> rocce se<strong>di</strong>mentarie (areniti e peliti)<br />

<strong>di</strong> probabile età paleozoica inferiore, metamorfosate durante l’orogenesi ercinica (antico processo<br />

<strong>di</strong> deformazione e corrugamento della crosta terrestre verificatosi fra 380 e 240 milioni <strong>di</strong> anni fa).<br />

Dal punto <strong>di</strong> vista climatico, la Val de la Mare è situata in una fascia <strong>di</strong> passaggio tra una zona a<br />

nord ad influsso continentale, con un massimo delle precipitazioni in estate, e una zona a sud ad<br />

influsso me<strong>di</strong>terraneo, con precipitazioni prevalentemente primaverili ed autunnali. La transizione<br />

si realizza me<strong>di</strong>ante un aumento delle precipitazioni invernali e <strong>di</strong> quelle nelle due stagioni<br />

interme<strong>di</strong>e ed una graduale <strong>di</strong>minuzione <strong>di</strong> quelle estive.<br />

Val de la Mare comprende la porzione superiore del bacino idrografico del Torrente Noce Bianco<br />

e si estende tra circa 1950 (bacino <strong>di</strong> se<strong>di</strong>mentazione <strong>di</strong> Malga Mare) e 3768 m s.l.m. (Monte<br />

Cevedale). Tale bacino comprende a sua volta il sottobacino del Noce Bianco (21,4 km 2 ) e quello<br />

del Careser (14,5 km 2 ).<br />

In Val de la Mare sono presenti 5 apparati glaciali <strong>di</strong> cui 4 glacionevati, per una superficie totale <strong>di</strong><br />

13.7 km 2 . Sul versante destro della valle si trovano la Vedretta de la Mare (4.75 km 2 ) (Scheda 1), la<br />

Vedretta Venezia (1.71 km 2 ), la Vedretta Rossa (1.24 km 2 ) e tre glacionevati: i ghiacciai <strong>di</strong> Vallenaia<br />

(0.36 km 2 ), della Cima <strong>di</strong> Rocca (0.09 km 2 ) ed un’altra unità <strong>di</strong> 0.27 km 2 sul versante sud‐est della<br />

Vedretta Rossa. Sul versante sinistro si trovano la Vedretta del Careser, che con i suoi 4.83 km 2 è il<br />

terzo ghiacciaio del Trentino, la Vedretta del Cavaion (0.26 km 2 ) ed il glacionevato delle Marmotte<br />

(0.15 km 2 ). Dal fronte della Vedretta de la Mare nasce, alla quota <strong>di</strong> 2710 m s.l.m., il torrente<br />

glaciale Noce Bianco che dopo circa due chilometri arriva in Pian Venezia dove, alla quota <strong>di</strong> 2270<br />

23


m s.l.m., riceve le acque del rio Larcher, un torrente originato da nevai e falde freatiche, per poi<br />

proseguire la sua corsa verso valle in <strong>di</strong>rezione del paese <strong>di</strong> Cogolo.<br />

L’area è priva <strong>di</strong> vie percorribili con mezzi motorizzati, ma è attraversata da numerosi sentieri. In<br />

<strong>di</strong>verse zone (es. Pian Venezia) si pratica anche un moderato alpeggio bovino. L’opera che ha<br />

mo<strong>di</strong>ficato maggiormente il paesaggio della valle è certamente la <strong>di</strong>ga del Careser, costruita tra gli<br />

anni ’20 e gli anni ’30, a 2603 m s.l.m. Il bacino artificiale del Careser, che ha un volume d’invaso <strong>di</strong><br />

circa 16 milioni <strong>di</strong> m 3 , è uno dei più elevati d’Europa. Ad esso sono associate una serie <strong>di</strong> opere <strong>di</strong><br />

presa realizzate me<strong>di</strong>ante traverse <strong>di</strong> alveo che si connettono a canalizzazioni in galleria o sub‐<br />

affioranti. Nel complesso queste canalizzazioni captano gran parte delle acque superficiali della Val<br />

Lago Lungo, in cui si trovano i laghi Marmotte, Lungo e Nero. Il bacino è collegato con una<br />

condotta forzata alla centrale <strong>di</strong> Malga Mare (1964 m s.l.m.) e tramite questa alla centrale <strong>di</strong> Pont<br />

(1208 m s.l.m.). Grazie a questa condotta l’acqua compie un salto <strong>di</strong> 622 m nel primo tratto e <strong>di</strong><br />

750 m nel secondo.<br />

La Vedretta de la Mare vista dal rifugio Larcher (settembre 2002).<br />

24


Scheda 1<br />

La Vedretta de la Mare<br />

<strong>di</strong> Roberto Seppi<br />

L’Ortles‐Cevedale è fra i gruppi montuosi più glacializzati delle Alpi, ospitando complessivamente,<br />

secondo il Catasto dei Ghiacciai Italiani (dati risalenti agli anni 1959‐1962), più <strong>di</strong> un centinaio <strong>di</strong><br />

ghiacciai. Nel settore lombardo del gruppo è situato il Ghiacciaio dei Forni che, con una superficie<br />

<strong>di</strong> circa 13 km 2 , è il più grande apparato glaciale <strong>di</strong> tipo vallivo delle Alpi italiane. Anche le convalli<br />

che formano la testata della Val <strong>di</strong> Peio (Val del Monte e Val de la Mare) sono estesamente<br />

glacializzate ed ospitano alcuni fra i più estesi ghiacciai del Trentino. Nella Val de la Mare, in<br />

particolare, il versante occidentale è occupato da Sud a Nord dalla Vedretta Rossa (superficie <strong>di</strong><br />

circa 1.1 km 2 nel 1994, Comitato Glaciologico Trentino‐SAT, dato ine<strong>di</strong>to), dalla Vedretta Venezia<br />

(superficie <strong>di</strong> circa 1.7 km 2 nel 1994, CGT‐SAT, dato ine<strong>di</strong>to) e dalla Vedretta de la Mare. Il versante<br />

occidentale, più ampio e articolato, ospita la Vedretta del Careser, accre<strong>di</strong>tata <strong>di</strong> una superficie <strong>di</strong><br />

circa 3.4 km 2 nel 2000 (IUGG (CCS)‐UNEP‐UNESCO 2005).<br />

La Vedretta de la Mare si estende sul versante compreso fra la Cima Cevedale (3757 m) e il Palon<br />

de la Mare (3699 m). Caratterizzata da un’esposizione costante verso i quadranti orientali, è<br />

definita dal World Glacier Inventory (dati del 1980) come “ghiacciaio vallivo a bacino composto”, a<br />

significare che due o più bacini <strong>di</strong> accumulo in<strong>di</strong>viduali alimentano un unico sistema glaciale. In<br />

effetti, osservando il ghiacciaio, si notano <strong>di</strong>stintamente due aree <strong>di</strong> alimentazione, la prima che fa<br />

capo alla dorsale compresa fra Cima Cevedale, Monte Cevedale e Monte Rosole, la seconda che<br />

occupa il versante fra il Monte Rosole, Col de la Mare e Catena Rossa.<br />

Le gran<strong>di</strong> fiumane <strong>di</strong> ghiaccio che scendono dai due bacini <strong>di</strong> alimentazione si uniscono,<br />

restringendosi molto, fra 3200 e 3100 m <strong>di</strong> quota, dando origine, più a valle, alla colata principale<br />

del ghiacciaio, fino a pochi anni fa <strong>di</strong>visa in due lingue e ora ridotta ad una sola che si insinua fra<br />

due dorsali rocciose. Qui la fronte del ghiacciaio raggiunge la quota più bassa, in<strong>di</strong>cata a 2623 m<br />

nel 2000 (Giada & Zanon 2005).<br />

Verso monte, i due gran<strong>di</strong> bacini <strong>di</strong> alimentazione sono quasi fisicamente separati da una dorsale<br />

rocciosa che emerge in corrispondenza del Monte Rosole e si spinge verso Est per alcune centinaia<br />

<strong>di</strong> metri. L’affioramento roccioso si è notevolmente ingran<strong>di</strong>to durante l’estate del 2003, quando<br />

le temperature eccezionalmente elevate hanno determinato intensi fenomeni <strong>di</strong> ablazione fino<br />

alle quote più elevate del ghiacciaio. Non è escluso che ulteriori sud<strong>di</strong>visioni del bacino <strong>di</strong><br />

alimentazione si possano verificare nel settore settentrionale del ghiacciaio, dove stanno<br />

emergendo altre superfici rocciose. In corrispondenza <strong>di</strong> quest’ultimo settore, inoltre, scende<br />

verso valle un’altra lingua, <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni minori, che ha subito negli ultimi anni drammatiche<br />

riduzioni <strong>di</strong> superficie e spessore.<br />

Dopo la metà dell’800, la superficie del ghiacciaio fu stimata da Payer in 4.5 km 2 , mentre Richter,<br />

alla fine dello stesso secolo, forniva un dato <strong>di</strong> ben 7.2 km 2 , certamente sovrastimato. Nel Catasto<br />

dei Ghiacciai Italiani (dati risalenti agli anni 1959‐1962), il ghiacciaio era accre<strong>di</strong>tato <strong>di</strong> una<br />

superficie <strong>di</strong> 3.7 km 2 , mentre nel 1980 (dati del World Glacier Inventory) la superficie era <strong>di</strong> 4.75<br />

25


km2. Un dato così <strong>di</strong>scordante è <strong>di</strong>fficilmente interpretabile, anche tenendo conto del probabile<br />

incremento <strong>di</strong> superficie che si è avuto durante la fase <strong>di</strong> debole avanzata glaciale iniziata negli<br />

anni ’70, conclusasi alla metà degli anni ’80 del secolo appena terminato e puntualmente<br />

registrata dalla Vedretta de la Mare. Desio (1967), nella sua monumentale opera de<strong>di</strong>cata ai<br />

ghiacciai del Gruppo Ortles‐Cevedale, in<strong>di</strong>ca una superficie <strong>di</strong> 3.99 km 2 , basandosi su rilievi<br />

effettuati negli anni precedenti.<br />

I dati più recenti sull’estensione del ghiacciaio risalgono al 2000 (4.4 km 2 circa, Giada & Zanon<br />

2005) e al 2003 (3.9 km 2 circa, Pignotti et al. 2005). In questo caso la <strong>di</strong>scordanza delle stime <strong>di</strong><br />

superficie può essere dovuta ai <strong>di</strong>versi sistemi adottati per effettuare le misurazioni.<br />

Il ghiacciaio è caratterizzato da molte aree crepacciate, soprattutto sul versante che scende dal<br />

crinale fra il Monte Cevedale e la Cima Cevedale e nel settore centrale, dove una seraccata collega<br />

la zona pianeggiante sotto il Col de la Mare con la conca che sovrasta la parte più ripida della<br />

lingua frontale. La seraccata copre un <strong>di</strong>slivello superiore a 150 m. La lingua frontale si è appiattita<br />

molto negli ultimi anni e i crepacci che la caratterizzavano sono in gran parte scomparsi. In<br />

corrispondenza del settore sinistro della lingua frontale si sta isolando una massa <strong>di</strong> ghiaccio<br />

coperta da qualche decimetro <strong>di</strong> detrito, residuo <strong>di</strong> quella che era una porzione della colata<br />

frontale. In estate si può osservare “in <strong>di</strong>retta” la formazione <strong>di</strong> interessanti morfologie,<br />

denominate in inglese hummocky moraine, dovute al collasso della massa detritica per la fusione<br />

del ghiaccio presente sotto <strong>di</strong> essa.<br />

Dal World Glacier Inventory si può evincere come l’alimentazione del ghiacciaio sia dovuta<br />

essenzialmente alle precipitazioni nevose <strong>di</strong>rette, data la mancanza, lungo il bordo del ghiacciaio,<br />

<strong>di</strong> alte pareti rocciose che possano scaricare gran<strong>di</strong> valanghe nella zona <strong>di</strong> alimentazione. Desta<br />

una certa curiosità leggere, sempre nel catasto internazionale, il dato che riguarda l’attività della<br />

lingua, ancora in “marcato avanzamento” nel 1980! Negli ultimi 20 anni, invece, la fronte del<br />

ghiacciaio ha subito un arretramento molto accentuato, superiore a 250 m dal 1989, mentre dalla<br />

metà dell’800 il ritiro è stato dell’or<strong>di</strong>ne dei 2 km. Anche l’evoluzione più recente del ghiacciaio, in<br />

termini <strong>di</strong> fluttuazione della fronte, mostra un costante ritiro. In particolare, dal 1999 al 2004, la<br />

fronte principale della Vedretta de la Mare è arretrata <strong>di</strong> circa 83 m (dati ufficiali del Comitato<br />

Glaciologico Italiano), confermando anche per questo apparato l’intensa fase <strong>di</strong> deglaciazione che<br />

sta interessando le Alpi ormai da qualche decina <strong>di</strong> anni.<br />

Alcune stime sulla per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> volume del ghiacciaio dal 1990 al 2000 sono fornite da Giada & Zanon<br />

(2005), i quali in<strong>di</strong>cano una riduzione pari a circa 26.3 milioni <strong>di</strong> m3. Il 35% <strong>di</strong> essa si è concentrata<br />

nella fascia altimetrica compresa fra 2950 e 3150 m, che corrisponde al 13% dell’intera superficie<br />

del ghiacciaio. Gli stessi autori in<strong>di</strong>cano una quota della linea <strong>di</strong> equilibrio del ghiacciaio pari a<br />

3600 m nel 2000.<br />

Le <strong>di</strong>mensioni raggiunte dalla Vedretta de la Mare al culmine dell’espansione denominata “Piccola<br />

Età Glaciale” (secoli XVI‐XIX) sono mostrate dalle enormi morene laterali che si possono osservare<br />

a valle della lingua frontale e che occupano buona parte del Pian Venezia. Si tratta <strong>di</strong> uno degli<br />

apparati morenici più sviluppati <strong>di</strong> tutte le Alpi italiane, che ha attratto l’attenzione <strong>di</strong> molti<br />

stu<strong>di</strong>osi <strong>di</strong> geomorfologia (Gruppo Nazionale Geografia Fisica Geomorfologia 1986). Le morene<br />

laterali sono alte fino a 30 m e mostrano un profilo molto affilato con una cresta particolarmente<br />

26


aguzza. I versanti interni sono soggetti ad una forte degradazione e sono incisi da numerosi solchi<br />

<strong>di</strong> ruscellamento concentrato.<br />

La massima espansione raggiunta dalla fronte della Vedretta de la Mare durante la Piccola Età<br />

Glaciale è in<strong>di</strong>cata da una morena a grossi blocchi situata nel settore settentrionale del Pian<br />

Venezia tra 2280 e 2350 m <strong>di</strong> quota. La morena sarebbe stata depositata fra il 1820 e il 1850<br />

(Gruppo Nazionale Geografia Fisica Geomorfologia 1986). A partire dalla metà dell’800, il<br />

ghiacciaio si è progressivamente ritirato nella posizione dove lo si può osservare oggi.<br />

La Vedretta de la Mare è uno dei più affascinanti e accessibili ghiacciai del Trentino e la sua fronte<br />

è un spettacolo suggestivo che si offre agli escursionisti che raggiungono il Rifugio Larcher. È<br />

inserito in uno splen<strong>di</strong>do scenario, al cospetto <strong>di</strong> alcune fra le più importanti cime del gruppo<br />

Ortles‐Cevedale dominate dal Monte Cevedale, la principale elevazione del territorio trentino.<br />

Bibliografia consultata<br />

Comitato Glaciologico Italiano. 1961. Catasto dei ghiacciai italiani. Anno geofisico 1957‐1958.<br />

Ghiacciai della Lombar<strong>di</strong>a e dell’Ortles‐Cevedale. Vol. 3, pp. 389.<br />

Comitato Glaciologico Italiano. Risultati della Campagne Glaciologiche annuali. Geografia Fisica e<br />

Dinamica Quaternaria, 24 (2001), 25 (2002), 26 (2003), 27 (2004).<br />

Desio A. 1967. I ghiacciai del Gruppo Ortles‐Cevedale. Tamburini, Torino, pp. 874.<br />

IUGG (CCS)‐UNEP‐UNESCO. 2005. Fluctuations of Glaciers 1995–2000, Volume VIII. World Glacier<br />

Monitoring Service, Zürich, pp. 288.<br />

Giada M, Zanon G. 2005. Mo<strong>di</strong>ficazioni <strong>di</strong> livello e volumetriche per il Ghiacciaio della Mare (Alpi<br />

Centrali, Gruppo Ortles‐Cevedale), 1990‐2000. Geografia Fisica e Dinamica Quaternaria<br />

Supplementi 7: 179‐181.<br />

Gruppo Nazionale Geografia Fisica Geomorfologia. 1986. Ricerche geomorfologiche nell’Alta Val <strong>di</strong><br />

Pejo (Gruppo del Cevedale). Geografia Fisica e Dinamica Quaternaria 9: 137‐191.<br />

Pignotti S, Cecili A, Cinnirella A, Cipolloni C, Fazzini M. 2005. Modelli <strong>di</strong>gitali del terreno (DTM) ad<br />

alta risoluzione per il monitoraggio dei ghiacciai alpini. Geografia Fisica e Dinamica Quaternaria<br />

Supplementi 7: 291‐302.<br />

World Glacier Monitoring Service. 1989. World Glacier Inventory, Status 1988. IAHS‐UNEP‐<br />

UNESCO, pp. 368.<br />

27


Inquadramento vegetazionale della Val de la Mare<br />

In Val de la Mare il limite superiore della vegetazione arborea si trova a circa 1800‐2000 m s.l.m.<br />

Tale vegetazione è costituita dalla Pecceta subalpina, composta prevalentemente da abete rosso<br />

(Picea excelsa), rare betulle (Betula alba) e, a partire da 1600 m s.l.m., pini cembri (Pinus cembra).<br />

Al <strong>di</strong> sopra dei 1750 m s.l.m., larici (Larix decidua) e cembri si sostituiscono all’abete rosso e a<br />

quote elevate (fino a 2300‐2400 m s.l.m.) crescono in forma arbustiva, soprattutto in<br />

microambienti protetti e ben esposti al sole. Mentre all’aumentare della quota il bosco <strong>di</strong>viene<br />

sempre più rado, il sottobosco si arricchisce <strong>di</strong> arbusti quali il rododendro (Rhododendron<br />

ferrugineum), l’ontano verde (Alnus viri<strong>di</strong>s), le lonicere (Lonicera nigra, L. caerulea), il sambuco<br />

(Sambucus racemosa), il ginepro (Juniperus nana) e i salici (Salix erbacea, Salix helvetica). Nella<br />

conca <strong>di</strong> Malga Mare si trovano spora<strong>di</strong>camente anche Sorbus aucuparia e Alnus viri<strong>di</strong>s,<br />

quest’ultimo abbondante sul conoide terminale del Rio Vedretta Rossa. In Pian Venezia è presente<br />

anche un’estesa torbiera acidofila <strong>di</strong> tipo fontinale dove abbondano le Ciperacee (associazione<br />

Caricetum fuscae).<br />

Scheda 2<br />

La fauna vertebrata del Parco Nazionale dello Stelvio con particolare riferimento all’alta Val de<br />

la Mare<br />

<strong>di</strong> Luca Pedrotti<br />

A parte qualche ridotta area coperta da vegetazione arborea (larici ‐ cembrete, ontanete), la<br />

maggior parte del territorio dell’alta valle è costituito da rocce, rupi e ghiacciai, accanto ad<br />

un’ampia porzione <strong>di</strong> pascoli. La fauna vertebrata terrestre presente è dunque quella tipica degli<br />

ambienti alpini, molto caratteristica, sebbene poco <strong>di</strong>versificata. Le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> vita a queste<br />

quote sono infatti estremamente <strong>di</strong>fficili e non molte specie riescono a sopravvivere sfruttando le<br />

scarse risorse <strong>di</strong>sponibili nell’intero corso dell’anno. Improvvise e cospicue variazioni termiche,<br />

vento forte, aria rarefatta (quin<strong>di</strong> basse concentrazioni <strong>di</strong> ossigeno), lunghi inverni con<br />

temperature molto rigide e abbondanti precipitazioni nevose, con manto persistente per molti<br />

mesi all’anno, scarsa <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> cibo, sono solo alcune delle <strong>di</strong>fficoltà che gli animali devono<br />

affrontare (o saper aggirare) per occupare questi ambienti.<br />

Vi troviamo così specie opportuniste, ad ampio spettro ecologico, con ottime capacità <strong>di</strong><br />

adattamento, specie che fanno fronte alla scarsità <strong>di</strong> cibo invernale con <strong>di</strong>verse strategie, come la<br />

migrazione, e specie più stenoecie, che si sono evolute proprio in ambienti con le caratteristiche<br />

restrittive sopra elencate e che perciò presentano gli adattamenti più specifici a temperature<br />

rigide e manto nevoso persistente. Numerosi sono infatti i cosiddetti “relitti glaciali”, le specie cioè<br />

che si sono originate negli ambienti fred<strong>di</strong> <strong>di</strong> Europa del nord o America settentrionale e che, dopo<br />

aver ampliato la propria <strong>di</strong>stribuzione nei perio<strong>di</strong> glaciali, spinte a sud dall’avanzamento del clima<br />

rigido, hanno dovuto seguire il percorso inverso durante gli interglaciali, seguendo questa volta la<br />

fusione progressiva dei ghiacci. Alcune popolazioni sono però riuscite a sopravvivere alle latitu<strong>di</strong>ni<br />

28


inferiori, “rifugiandosi” sulle montagne più alte, dove era (ed è ancora) presente un ambiente a<br />

loro favorevole. In questo modo tali popolazioni hanno costituito degli areali <strong>di</strong>sgiunti, più o meno<br />

ristretti, rispetto a quello principale (specie a <strong>di</strong>stribuzione “boreoalpina”). Sulle Alpi è inoltre<br />

altissima la percentuale <strong>di</strong> specie a <strong>di</strong>stribuzione “settentrionale” (corotipi europei, asiatico‐<br />

europei, sibirico‐europei), anch’esse conseguenza delle fredde fasi climatiche del Quaternario, che<br />

hanno permesso a parecchie specie <strong>di</strong> effettuare notevoli spostamenti dall’Asia settentrionale<br />

all’Europa del sud, ampliando il proprio areale fino alla catena alpina.<br />

Tra i mammiferi presenti nel settore trentino del Parco dello Stelvio ed anche nell’alta Val de la<br />

Mare, un esempio <strong>di</strong> specie ad ampia valenza ecologica, che riesce ad occupare stabilmente<br />

habitat piuttosto <strong>di</strong>versi tra loro, è senz’altro la volpe (Vulpes vulpes). È possibile rinvenire anche a<br />

quote molto elevate i suoi tipici escrementi, depositati in luoghi evidenti, spesso al centro dei<br />

sentieri, per marcare il territorio. È sufficiente un esame sommario <strong>di</strong> tali feci per rilevare al loro<br />

interno pelo o penne, confermando come la <strong>di</strong>eta della volpe, specie tipicamente onnivora, a<br />

queste altitu<strong>di</strong>ni sia particolarmente ricca <strong>di</strong> prede. Sono altri esempi <strong>di</strong> mammiferi opportunisti (e<br />

potenziali prede della volpe) il toporagno comune (Sorex araneus) e i topolini del genere<br />

Apodemus, il topo selvatico (A. sylvaticus) e il topo selvatico dal collo giallo (A. flavicollis). Benché<br />

entrambi gli Apodemus presentino un’ampia <strong>di</strong>stribuzione, il secondo è generalmente presente a<br />

quote maggiori ed è più legato agli ambienti forestali. Solo occasionalmente lo si ritrova in zone<br />

aperte, che vengono invece colonizzate dal suo congenere. È stata recentemente descritta sulle<br />

Alpi anche una terza specie <strong>di</strong> topo selvatico, l’alpino (A. alpicola), ma la sua presenza non è<br />

ancora stata confermata in Trentino. Ha caratteristiche interme<strong>di</strong>e rispetto alle due precedenti e<br />

potrebbe essere lei ad occupare le praterie alle quote elevate. I topi selvatici possono a volte<br />

introdursi nelle malghe per cercare cibo e rifugio per l’inverno. La presenza in Val de la Mare <strong>di</strong><br />

numerose strutture antropiche può favorire anche l’inse<strong>di</strong>amento <strong>di</strong> una specie spiccatamente<br />

antropofila come il topolino domestico (Mus musculus). Anche il toporagno comune frequenta<br />

habitat molto <strong>di</strong>versi tra loro, un ampio intervallo altitu<strong>di</strong>nale, aree aperte e forestali, boschi<br />

ripariali e margini dei torrenti, ma non torbiere, dove il terreno allagato gli impe<strong>di</strong>sce <strong>di</strong> esplorare<br />

le gallerie sotterranee e l’aci<strong>di</strong>tà del suolo limita la presenza delle sue prede elettive: i lombrichi.<br />

Un uccello molto adattabile a <strong>di</strong>verse con<strong>di</strong>zioni ecologiche, presente in alta Val de la Mare è il<br />

corvo imperiale (Corvus corax), relegato agli ambienti montuosi nel nord Italia a causa del <strong>di</strong>sturbo<br />

antropico, ma che in alcune aree del sud ni<strong>di</strong>fica anche in falesie sul mare. Utilizza cavità e anfratti<br />

sulle rupi per costruire un nido grande e complesso, la sua presenza in volo è spesso annunciata<br />

dall’inconfon<strong>di</strong>bile verso cavernoso e <strong>di</strong> norma, avvistato un esemplare, è facile scorgerne il<br />

partner nelle vicinanze. Al contrario, si muove in numerosi e chiassosi gruppi il gracchio alpino<br />

(Pyrrhocorax graculus), corvide ampiamente <strong>di</strong>ffuso sull’intero arco alpino, che ni<strong>di</strong>fica anch’esso<br />

negli anfratti delle pareti rocciose. Si tratta <strong>di</strong> una specie molto confidente, che spesso avvicina gli<br />

escursionisti per approfittare degli eventuali avanzi <strong>di</strong> cibo e, soprattutto in inverno, staziona<br />

presso i rifugi alpini o le altre strutture antropiche in cerca <strong>di</strong> cibo. Un altro passeriforme piuttosto<br />

confidente, che è facile incontrare presso i rifugi d’alta quota anche d’inverno, è il fringuello alpino<br />

(Montifringilla nivalis). Generalista, si alimenta a terra e in primavera raggiunge quote più elevate,<br />

fino al limite delle nevi perenni, ni<strong>di</strong>ficando al suolo in pertugi tra i sassi, in crepe e cavità <strong>di</strong> rifugi<br />

e baite abbandonate o in anfratti su pareti rocciose.<br />

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È però il picchio muraiolo (Tichodroma muraria) il vertebrato che possiede gli adattamenti più<br />

specifici per abitare le pareti rupestri d’alta montagna, habitat molto ben rappresentato in alta Val<br />

de la Mare. Si tratta <strong>di</strong> un piccolo passeriforme dall’aspetto inconfon<strong>di</strong>bile: zampe robuste, dotate<br />

<strong>di</strong> lunghe <strong>di</strong>ta e unghie che gli consentono <strong>di</strong> far presa anche sulle più piccole asperità della roccia;<br />

coda corta e ali tozze che permettono una notevole agilità e precisione nei voli brevi; becco lungo<br />

e leggermente ricurvo che riesce a raggiungere i minuscoli artropo<strong>di</strong> che occupano interstizi e<br />

fessure, stanati dalla lingua sottile e bifida. Caratteristici <strong>di</strong> questa specie sono il volo sfarfallante e<br />

i colori vivaci (rosso, nero e bianco) messi in mostra solo all’apertura delle ali. Col sopraggiungere<br />

dell’inverno, però, per un insettivoro le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> vita in alta montagna <strong>di</strong>ventano proibitive,<br />

dato che gli artropo<strong>di</strong> non sono più <strong>di</strong>sponibili in questa stagione, e il picchio muraiolo è costretto<br />

a compiere delle brevi migrazioni verso quote inferiori per raggiungere habitat più favorevoli, a<br />

con<strong>di</strong>zione che siano provvisti <strong>di</strong> pareti rocciose o e<strong>di</strong>fici con muri in pietra su cui alimentarsi e<br />

trovare rifugio.<br />

In inverno, pure il gheppio (Falco tinnunculus) deve compiere migrazioni <strong>di</strong> piccola entità.<br />

Anch’esso ni<strong>di</strong>fica su pareti rocciose, ma non costruisce un vero e proprio nido, depone le uova<br />

<strong>di</strong>rettamente sulla roccia, in cenge e nicchie riparate, o nei ni<strong>di</strong> abbandonati da altri uccelli. Non è<br />

specie esclusivamente alpina, può anzi ni<strong>di</strong>ficare dal livello del mare fino ai 2000 metri <strong>di</strong> quota,<br />

purché siano presenti rupi idonee. È tipicamente un predatore dalla vista molto acuta ed è facile<br />

ammirarlo mentre sorvola le aree aperte a caccia <strong>di</strong> piccoli ro<strong>di</strong>tori o grossi insetti o mentre si<br />

ferma compiendo lo “spirito santo”, fissando cioè un punto preciso sul terreno, restando a<br />

parecchi metri <strong>di</strong> altezza, in volo. In inverno si sposta verso i fondovalle principali, dove trova<br />

con<strong>di</strong>zioni meno restrittive e frequenta aree agricole e zone umide in cerca <strong>di</strong> prede.<br />

La migrazione è una strategia frequentemente adottata per sfruttare le risorse presenti in un<br />

ambiente soltanto in un determinato periodo dell’anno, evitando al contempo la stagione<br />

inospitale. È molto comune tra gli uccelli, in particolare per gli insettivori, come già ricordato. A<br />

seconda della specie o della popolazione, gli spostamenti per raggiungere i quartieri <strong>di</strong><br />

svernamento possono essere <strong>di</strong> molti chilometri (migratori ad ampio raggio) o <strong>di</strong> breve entità<br />

(corto raggio). Oltre a quelle già citate, ci sono altre specie che in autunno lasciano i ghiaioni e le<br />

praterie dell’alta Val de la Mare per svernare in località più ospitali e che tornano la primavera<br />

successiva per riprodursi. Sono, ad esempio, il sordone (Prunella collaris), il co<strong>di</strong>rosso<br />

spazzacamino (Phoenicurus ochruros), lo spioncello (Anthus spinoletta), il culbianco (Oenanthe<br />

oenanthe). Il primo compie solo brevi spostamenti verso quote inferiori, co<strong>di</strong>rosso spazzacamino e<br />

spioncello possono raggiungere le regioni me<strong>di</strong>terranee, o comunque ambienti umi<strong>di</strong> e prativi nei<br />

fondovalle, il culbianco si spinge fino in Africa, a sud del Sahara.<br />

Una strategia <strong>di</strong>fferente dalla migrazione, ma che può funzionare solo dove il terreno in inverno<br />

non rimane ghiacciato, è l’allestimento <strong>di</strong> depositi alimentari durante la stagione favorevole, cui<br />

accedere quando le fonti <strong>di</strong> cibo non sono più <strong>di</strong>sponibili. Specialiste a tale proposito sono due<br />

specie <strong>di</strong> foresta, la nocciolaia (Nucifraga caryocatactes) e lo scoiattolo rosso (Sciurus vulgaris). La<br />

prima si è evoluta in stretto rapporto con il pino cembro, <strong>di</strong> cui sfrutta i pinoli accumulandoli in<br />

numerose buche del terreno, anche molto <strong>di</strong>stanti tra loro. Ha una memoria visiva eccezionale,<br />

raramente si <strong>di</strong>mentica dove ha preparato le <strong>di</strong>spense, ma non sempre riesce ad utilizzarle<br />

completamente e i semi sotterrati possono così germinare lontano dagli in<strong>di</strong>vidui che li hanno<br />

generati. Lo scoiattolo può svolgere lo stesso ruolo ecologico per le conifere che sfrutta come<br />

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isorsa trofica (abete rosso e pino cembro le più <strong>di</strong>sponibili in Val de la Mare). Benché<br />

prevalentemente arboricolo, anch’esso infatti sotterra semi che dovranno servirgli come <strong>di</strong>spensa<br />

durante i lunghi mesi invernali, trascorsi per la maggior parte del tempo in ni<strong>di</strong> sferici costruiti sugli<br />

alberi in corrispondenza delle biforcazioni dei rami e foderati <strong>di</strong> muschio e altri materiali vegetali<br />

morbi<strong>di</strong>. Lo scoiattolo non si nutre esclusivamente <strong>di</strong> semi, ma spesso anche <strong>di</strong> funghi o delle<br />

gemme apicali dell’abete rosso, come <strong>di</strong>mostrano i numerosi rametti sparsi a terra che è facile<br />

incontrare nelle peccete, accanto ai tipici resti delle pigne consumate, che conservano soltanto le<br />

brattee apicali. Anche l’arvicola rossastra (Clethrionomys glareolus), che colonizza facilmente pure<br />

le ontanete e la vegetazione erbacea nei <strong>di</strong>ntorni delle malghe, in foresta accumula semi<br />

all’interno delle tane, vere e proprie gallerie scavate appena sotto la superficie del suolo. Altro<br />

mammifero tipicamente forestale, purché siano presenti delle rocce, è il toporagno alpino (Sorex<br />

alpinus), tra gli insettivori la specie che può raggiungere le quote maggiori, spingendosi anche nei<br />

macereti e nelle praterie, oltre il limite della vegetazione arborea, se sono <strong>di</strong>sponibili rifugi idonei.<br />

Oltre alla nocciolaia, nei ridotti lembi <strong>di</strong> foresta presenti, vivono o soltanto si riproducono anche<br />

altre specie <strong>di</strong> uccelli, tipiche <strong>di</strong> questi ambienti e piuttosto comuni sulle Alpi: la ghiandaia<br />

(Garrulus glandarius), il crociere (Loxia curvirostra) e il ciuffolotto (Pyrrhula pyrrhula) tra i granivori<br />

e il regolo (Regulus regulus), il picchio rosso maggiore (Dendrocopos major) e <strong>di</strong>verse specie <strong>di</strong><br />

cincia (mora: Parus ater, alpestre: P. montanus, dal ciuffo: P. cristatus) tra gli insettivori, mentre la<br />

civetta nana (Glauci<strong>di</strong>um passerinum) è il rapace notturno che più <strong>di</strong> frequente si rinviene nei<br />

boschi delle quote più elevate.<br />

Dove i boschi <strong>di</strong> conifere si <strong>di</strong>radano, negli arbusteti al margine inferiore dell’ambiente nivale,<br />

ni<strong>di</strong>ficano il merlo dal collare (Turdus torquatus), migratore a corto raggio che sverna nei quartieri<br />

meri<strong>di</strong>onali europei, il prispolone (Anthus trivialis), migratore transahariano e la passera scopaiola<br />

(Prunella modularis), che in inverno scende nei principali fondovalle, mentre ci vive tutto l’anno il<br />

gallo forcello (Tetrao tetrix). I maschi <strong>di</strong> questo galliforme poliginico, più grossi e dai colori più<br />

vistosi rispetto alle femmine, in primavera si sfidano in spettacolari combattimenti, in<br />

corrispondenza delle arene (“lek”), per stabilire le priorità negli accoppiamenti. In inverno, com’è<br />

caratteristico per i galliformi, si ripara dal freddo in corte gallerie, dette trune, scavate sotto il<br />

manto nevoso e che lascia soltanto per andare a nutrirsi. In questa stagione le risorse trofiche<br />

scarseggiano, ma il gallo forcello riesce ad alimentarsi anche con aghi <strong>di</strong> conifere, gemme <strong>di</strong><br />

ontani, semi coriacei, grazie al particolare sviluppo del suo apparato <strong>di</strong>gerente.<br />

Della stessa famiglia cui appartiene il gallo forcello è la coturnice (Alectoris graeca). Fasianide <strong>di</strong><br />

origine asiatica, è tipica <strong>di</strong> ambienti caratterizzati da forte pendenza, con esposizioni meri<strong>di</strong>onali,<br />

dove la neve non tenda ad accumularsi. Non possiede infatti adattamenti specifici per il manto<br />

nevoso.<br />

Restare nascosti e consumare meno energia possibile per superare la stagione sfavorevole è la<br />

strategia adottata dalla marmotta (Marmota marmota) con il letargo. Essa colonizza i cordoni<br />

morenici che cingono i circhi glaciali, alimentandosi nelle macchie <strong>di</strong> cotica erbosa. Specie sociale,<br />

vive in gruppi famigliari più o meno numerosi e scava tane costituite da complessi sistemi <strong>di</strong> tunnel<br />

con varie camere e più <strong>di</strong> un’uscita. In una <strong>di</strong> queste camere, in tarda estate vengono accumulate<br />

erbe secche con funzione isolante e in autunno tutti i membri del gruppo vi si radunano per<br />

svernare, uno accanto all’altro, <strong>di</strong>minuendo così la <strong>di</strong>spersione termica. La temperatura corporea<br />

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si abbassa da 40 a 5° C e ritmo respiratorio e battito car<strong>di</strong>aco vengono drasticamente <strong>di</strong>minuiti,<br />

minimizzando il consumo energetico.<br />

Una mormotta “fa il pieno” prima dell’inverno.<br />

A queste quote, svernano in maniera analoga, con una drastica <strong>di</strong>minuzione delle funzioni vitali,<br />

anche rettili e anfibi. In questi ambienti in cui il tempo per accumulare riserve energetiche è<br />

relativamente scarso, sono gli animali endotermi ad essere favoriti, per la loro capacità <strong>di</strong><br />

mantenere costante la temperatura corporea, nonostante quella ambientale, e dunque <strong>di</strong> essere<br />

attivi più a lungo rispetto agli ectotermi. Le specie ectoterme sono infatti relativamente meno<br />

abbondanti e quelle che riescono a colonizzare queste quote presentano comunque degli<br />

adattamenti che consentono loro <strong>di</strong> vivere dove le stagioni vegetative sono brevi e quelle<br />

sfavorevoli molto lunghe. Tutte le specie <strong>di</strong> rettili presenti, infatti, partoriscono piccoli vivi, già<br />

completamente sviluppati, in grado <strong>di</strong> superare le avversità <strong>di</strong> un lungo inverno già nel primo anno<br />

<strong>di</strong> vita. In particolare, orbettino (Anguis fragilis) e vipera comune (Vipera aspis) sono specie<br />

opportuniste, che riescono a vivere in un intervallo altitu<strong>di</strong>nale molto ampio, dal livello del mare<br />

all’alta montagna, benché la seconda sia fortemente limitata nel suo areale dal <strong>di</strong>sturbo antropico,<br />

a causa dell’uccisione <strong>di</strong>retta <strong>di</strong> cui è vittima. L’orbettino è un sauro apode <strong>di</strong> abitu<strong>di</strong>ni fossorie,<br />

per questo piuttosto <strong>di</strong>fficile da incontrare, mentre la vipera comune termoregola per lo più in<br />

superficie, dove pure caccia all’agguato. Recenti stu<strong>di</strong> hanno <strong>di</strong>mostrato come questa specie, a<br />

<strong>di</strong>fferenza delle altre citate che sarebbero ovovivipare, sia da considerarsi vivipara a tutti gli effetti,<br />

poiché durante la gravidanza la madre scambia con i feti non solo i gas respiratori, ma anche le<br />

sostanze nutritive. Il marasso (Vipera berus) e la lucertola vivipara (Zootoca vivipara) sono invece<br />

specie a <strong>di</strong>stribuzione settentrionale, dunque più tolleranti per i climi fred<strong>di</strong> e che riescono a<br />

raggiungere quote anche molto elevate, fin sopra i 2400 m. Entrambe frequentano gli ambienti<br />

aperti, in particolare gli ecotoni, presso pietraie, cespuglieti, pascoli <strong>di</strong> malga. Anche le torbiere<br />

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sono molto frequentate da entrambe le specie, che possono essere osservate più facilmente<br />

durante l’attività <strong>di</strong> termoregolazione, come tutti i rettili. L’ovoviviparità è un adattamento ai climi<br />

fred<strong>di</strong> presente anche in un altro rappresentante dell’erpetofauna delle Alpi, la salamandra alpina<br />

(Salamandra atra), un anfibio urodelo che in questo modo è riuscito a svincolarsi completamente<br />

dall’ambiente acquatico. L’intero sviluppo larvale avviene infatti in ambiente intrauterino e la<br />

gestazione dura 2 o 3 anni. È specie molto elusiva, <strong>di</strong>fficilmente contattabile sia per l’assenza <strong>di</strong><br />

una fase acquatica nel suo ciclo vitale, sia per la brevità del suo periodo <strong>di</strong> attività annuale, sia<br />

perché tende a fuggire la luce del giorno, uscendo allo scoperto <strong>di</strong> notte o in presenza <strong>di</strong> pioggia e<br />

nebbia. Ottenere un quadro <strong>di</strong>stributivo affidabile <strong>di</strong> questa specie appare dunque complesso,<br />

anche per la pletora <strong>di</strong> segnalazioni dubbie <strong>di</strong> cui storicamente è stata oggetto in Trentino. Alcune<br />

si riferiscono agli habitat <strong>di</strong> me<strong>di</strong>a quota tipicamente frequentati dalla salamandra pezzata, con cui<br />

viene facilmente confusa. Esistono segnalazioni <strong>di</strong> salamandra alpina in Val de la Mare, più<br />

precisamente in Val Venezia, risalenti al 1980, ma che non hanno mai trovato altre conferme.<br />

Molto eclatante è invece la presenza dei due anfibi più comuni degli ambienti <strong>di</strong> alta quota, il<br />

rospo comune (Bufo bufo) e la rana <strong>di</strong> montagna (Rana temporaria). Le ovature e le larve che in<br />

primavera e in estate abbondano nei laghetti <strong>di</strong> montagna <strong>di</strong>fficilmente sfuggono all’attenzione. Il<br />

primo depone lunghi cordoni <strong>di</strong> uova, la seconda masse gelatinose che aumentano le proprie<br />

<strong>di</strong>mensioni dalla deposizione al momento della schiusa. Il rospo è specie molto adattabile, è<br />

l’anfibio più comune presente in Italia, mentre la rana <strong>di</strong> montagna è specie a <strong>di</strong>stribuzione<br />

settentrionale, che in Italia occupa zone collinari e montane ed è, fra le rane italiane, quella che<br />

tollera le temperature più basse, potendo rimanere attiva anche a temperature prossime allo zero.<br />

Entrambe le specie sono legate agli ambienti umi<strong>di</strong> ed è più frequente rinvenire gli adulti nel<br />

periodo riproduttivo nei pressi <strong>di</strong> raccolte d’acqua, pozze, torbiere, torrenti. Occasionalmente,<br />

specie in giornate umide, possono essere rinvenuti esemplari nelle praterie alpine o nei boschi,<br />

lontano dai corpi d’acqua.<br />

Una rana rossa (Rana tempora ria) e due rospi (Bufo bufo) in accoppiamento.<br />

Molto legati ad habitat acquatici sono anche alcune specie <strong>di</strong> vertebrati endotermi, come ad<br />

esempio il toporagno acquaiolo (Neomys fo<strong>di</strong>ens). Esso vive lungo le sponde <strong>di</strong> torrenti e ruscelli<br />

con acque turbolente e si nutre principalmente <strong>di</strong> macroinvertebrati bentonici; presenta infatti<br />

delle caratteristiche frange <strong>di</strong> setole ai lati delle zampe e sulla coda, in senso longitu<strong>di</strong>nale, che gli<br />

permettono <strong>di</strong> nuotare in modo molto efficiente. Come per gli altri toporagni, la sua saliva<br />

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contiene delle neurotossine che gli consentono <strong>di</strong> paralizzare e uccidere, mordendole, prede<br />

anche più grosse <strong>di</strong> lui, come avannotti e anfibi. Tra gli uccelli, strettamente legato agli ambienti<br />

lotici è senz’altro il merlo acquaiolo (Cinclus cinclus), che presenta adattamenti specifici che gli<br />

consentono <strong>di</strong> “volare” sott’acqua, procedendo controcorrente ad ali aperte. Possiede una<br />

ghiandola dell’uropigio molto sviluppata, il cui secreto spalmato sulle penne le rende<br />

impermeabili, narici richiu<strong>di</strong>bili, ali tozze, occhi che riescono a vedere sott’acqua, dove caccia<br />

invertebrati, uova e piccoli pesci. Generalmente costruisce il nido molto vicino all’acqua, tra la<br />

vegetazione delle sponde o in cavità tra le pietre, a volte <strong>di</strong>etro piccole cascate. Anche la ballerina<br />

gialla (Motacilla cinerea) ni<strong>di</strong>fica in prossimità dei corsi d’acqua, fino ai 2000 m <strong>di</strong> quota, mentre lo<br />

scricciolo (Troglodytes troglodytes) per costruire il nido sceglie zone umide e cespugliate. Presso<br />

l’acqua è frequente incontrare anche la ballerina bianca (Motacilla alba), specie stanziale come le<br />

altre qui nominate, ma certamente meno tipica <strong>di</strong> questi ambienti.<br />

Le specie che presentano gli adattamenti più specifici alle temperature rigide e al manto nevoso<br />

persistente e che possono dunque restare attive tutto l’anno negli ambienti nivali, alle quote<br />

maggiori, sono però la pernice bianca (Lagopus mutus) tra gli uccelli e, tra i mammiferi, l’ermellino<br />

(Mustela erminea), la lepre bianca (Lepus timidus) e l’arvicola delle nevi (Chionomys nivalis).<br />

Quest’ultima, durante l’inverno, svolge quasi totalmente le sue attività al <strong>di</strong> sotto del manto<br />

nevoso, dove la temperatura rimane pressoché costante intorno agli 0° C. Scava piccole gallerie<br />

sotto uno strato sottile <strong>di</strong> materiale vegetale in decomposizione, per lo più erbaceo, alla ricerca dei<br />

piccoli invertebrati del suolo <strong>di</strong> cui si nutre. Alla fusione delle nevi, queste gallerie <strong>di</strong>vengono<br />

visibili e il piccolo ro<strong>di</strong>tore ora ne scava delle altre, ma nel terreno, sempre alla ricerca <strong>di</strong> cibo.<br />

Tutte le altre specie elencate, tipiche degli ambienti nivali, presentano un adattamento<br />

particolare: compiono due mute annuali <strong>di</strong> penne o pelliccia, presentando una livrea più folta e<br />

quasi completamente can<strong>di</strong>da in inverno e più scura d’estate, che consente <strong>di</strong> mimetizzarsi<br />

nell’ambiente circostante. In particolare, la pernice bianca è un galliforme a <strong>di</strong>stribuzione <strong>di</strong>sgiunta<br />

<strong>di</strong> tipo boreoalpina, è specie monogama e durante il periodo della riproduzione è territoriale,<br />

mentre tende a <strong>di</strong>venire gregaria nel tardo autunno. Pre<strong>di</strong>lige gli ambienti posti al <strong>di</strong> sopra dei<br />

2000 m, ma può superare anche i 3000. La livrea invernale, oltre al colore bianco, comprende<br />

anche delle penne mo<strong>di</strong>ficate, filiformi, su zampe e <strong>di</strong>ta, che consentono all’animale <strong>di</strong> migliorare<br />

l’isolamento termico e <strong>di</strong> non sprofondare nella neve durante la deambulazione. Zampe piuttosto<br />

larghe, che ampliano la superficie <strong>di</strong> appoggio, sono un adattamento al manto nevoso presente<br />

anche nella lepre bianca, che possiede zampe ricoperte da una folta pelliccia e <strong>di</strong>ta fortemente<br />

<strong>di</strong>varicabili. Specie solitaria, molto elusiva, <strong>di</strong> abitu<strong>di</strong>ni crepuscolari e notturne, molto poco mobile,<br />

in inverno la lepre bianca scava buche sotto la neve, dove trova cibo e riparo. Le orecchie sono<br />

relativamente corte, cosa che <strong>di</strong>minuisce la <strong>di</strong>spersione termica nei mesi più fred<strong>di</strong>, e la punta<br />

resta nera per tutto l’anno. Anche la punta della coda dell’ermellino resta nera tutto l’anno, unica<br />

appen<strong>di</strong>ce sottile del suo corpo che in inverno potrebbe rischiare il congelamento. Questo piccolo<br />

mustelide a <strong>di</strong>stribuzione circumboreale, può essere rinvenuto in ambienti <strong>di</strong> pianura nelle<br />

porzioni settentrionali del suo areale, come la lepre bianca, ma in Italia è specie tipicamente<br />

alpina. È un ottimo predatore, principalmente <strong>di</strong> piccoli ro<strong>di</strong>tori e insettivori che riesce ad<br />

inseguire nelle fessure tra i sassi o nelle piccole gallerie sotterranee grazie alla forma affusolata del<br />

suo corpo e al capo relativamente piccolo.<br />

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Alle quote più basse <strong>di</strong> Val de la Mare vivono inoltre le specie tipiche dell’orizzonte montano, che<br />

possono compiere saltuarie incursioni nella porzione alta della valle. A titolo <strong>di</strong> esempio si citano<br />

soltanto: il toporagno nano (Sorex minutus), che caccia per lo più piccoli artropo<strong>di</strong> sulla superficie<br />

del suolo, la talpa comune (Talpa europaea), insettivoro dalle tipiche abitu<strong>di</strong>ni fossorie, il ghiro<br />

(Myoxus glis), piccolo ro<strong>di</strong>tore arboricolo, tipico delle foreste <strong>di</strong> latifoglie, la faina (Martes foina),<br />

predatore opportunista, il tasso (Meles meles), che scava complessi sistemi <strong>di</strong> gallerie che utilizza<br />

come tane e si spinge volentieri presso le torbiere in cerca <strong>di</strong> prede, la lepre comune (Lepus<br />

europaeus), più grande, snella e con orecchie più lunghe rispetto alla congenere alpina, la poiana<br />

(Buteo buteo) e lo sparviero (Accipiter nisus), accipitri<strong>di</strong> predatori, ubiquitario il primo, più legato<br />

agli ambienti forestali il secondo, il colubro liscio (Coronella austriaca), colubride piccolo ed<br />

elusivo, oviparo, la cui ecologia è ancora in gran parte sconosciuta.<br />

Infine, merita senz’altro un cenno l’orso bruno (Ursus arctos), che pur non essendo presente in<br />

modo stabile in Val de la Mare, nella primavera del 2001 e 2002 si è spinto con un esemplare<br />

femmina, proveniente dalla neo reintrodotta popolazione del Trentino occidentale, sui versanti<br />

esposti a ovest della valle, poco sotto l’area <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o. Nel rigido inverno precedente, infatti, si è<br />

assistito a un numero relativamente alto <strong>di</strong> morti tra gli ungulati selvatici e l’orsa, seguendo le<br />

tracce odorose delle carcasse che riaffioravano dalla neve, si è spinta più volte in queste zone per<br />

consumarle. L’orso bruno è sicuramente un mammifero opportunista, onnivoro e che potrebbe<br />

vivere in un ampio intervallo altitu<strong>di</strong>nale se non ci fosse un <strong>di</strong>sturbo eccessivo nelle aree<br />

antropizzate. In Italia, gli unici ambienti relativamente tranquilli rimasti sono però soltanto quelli<br />

montani ed è per questo che l’orso bruno oggi è relegato solo in questi ambienti.<br />

Le popolazioni <strong>di</strong> Ungulati del Parco dello Stelvio rappresentano una risorsa numericamente<br />

importante e <strong>di</strong> considerevole importanza ecologica per le significative interazioni che si vengono<br />

a creare con la componente vegetazionale e con i livelli trofici superiori. Attualmente sono<br />

presenti più <strong>di</strong> 5.000 cervi, oltre 6.000 camosci ed un migliaio <strong>di</strong> stambecchi le cui popolazioni<br />

hanno in molti casi raggiunto la capacità portante. In numerose zone del Parco le consistenze delle<br />

popolazioni attualmente fluttuano attorno a valori costanti e la mortalità naturale, legata<br />

soprattutto all’andamento meteo‐climatico invernale, rappresenta il principale fattore <strong>di</strong><br />

regolazione delle popolazioni.<br />

Il cervo (Cervus elaphus), scomparso nelle prime deca<strong>di</strong> del ventesimo secolo, ha<br />

progressivamente ricolonizzato la Val <strong>di</strong> Sole e le attuali consistenze primaverili della popolazione<br />

si aggirano attorno ai 2.500 in<strong>di</strong>vidui. Le <strong>di</strong>mensioni notevoli (è il più grosso ungulato presente<br />

sulle Alpi), la conformazione corporea e le rilevanti esigenze alimentari spingono il cervo ad<br />

occupare i vasti complessi forestali più ricchi <strong>di</strong> aree aperte e le praterie <strong>di</strong> alta quota.<br />

Stagionalmente una parte della popolazione compie migrazioni tra le zone <strong>di</strong> alta quota utilizzate<br />

in estate e quelle <strong>di</strong> svernamento, collocate <strong>di</strong> solito in piani altitu<strong>di</strong>nali inferiori e, soprattutto, su<br />

versanti con esposizioni meri<strong>di</strong>onali e sufficiente tranquillità dai possibili <strong>di</strong>sturbi umani. Tali<br />

spostamenti possono andare da qualche chilometro sino a 20‐30 km e sono generalmente<br />

maggiori nel caso dei maschi, una cui frazione consistente occupa il territorio del Parco solamente<br />

durante l’estate e l’autunno.<br />

All’interno del territorio del Parco la densità della popolazione supera abbondantemente i 10 capi<br />

per km 2 . Queste densità, tra le più alte note per l’arco alpino, hanno innescato fenomeni <strong>di</strong><br />

competizione con il capriolo e, in futuro, un effetto simile potrebbe verificarsi anche nei confronti<br />

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del camoscio. All’interno del Parco il cervo gode <strong>di</strong> sufficiente tranquillità e sta progressivamente<br />

riacquistando i suoi tipici comportamenti originari che lo connotano quale animale <strong>di</strong>urno e<br />

pascolatore <strong>di</strong> aree aperte <strong>di</strong> prateria. Per questo, la tendenza ad utilizzare le praterie alpine<br />

durante i mesi estivi sta <strong>di</strong>ventando sempre più frequente, consistente e tra<strong>di</strong>zionale e causa una<br />

notevole sovrapposizione delle aree estive <strong>di</strong> alimentazione rispetto a quelle utilizzate dal<br />

camoscio.<br />

Dopo una fase <strong>di</strong> accrescimento esponenziale iniziata nei primi anni ’70, a partire dal 1999 la<br />

popolazione ha fluttuato attorno a valori costanti con fasi <strong>di</strong> repentini crolli demografici in<br />

relazione alla nevosità ed alla persistenza del manto nevoso durante l’inverno. Gli stu<strong>di</strong> in corso <strong>di</strong><br />

realizzazione mettono in evidenza un effetto fortemente significativo della densità <strong>di</strong> popolazione<br />

e della nevosità dell’inverno sui tassi <strong>di</strong> natalità (inverso) e su quelli <strong>di</strong> mortalità.<br />

Tra la Val del Monte e la Val de la Mare vivono circa 1.100 cervi. Entrambi i lati della bassa e me<strong>di</strong>a<br />

Val de la Mare costituiscono uno dei più importanti quartieri <strong>di</strong> estivazione per la popolazione,<br />

mentre la testata della Valle viene occupata solamente durante l’estate dai soggetti che si<br />

spingono alle quote più elevate. Durante il tardo autunno questa area è quasi completamente<br />

abbandonata e le migrazioni invernali portano parte della popolazione verso i versanti più<br />

soleggiati della bassa Val <strong>di</strong> Peio e della sinistra orografica delle Val <strong>di</strong> Sole, posti a 8‐10 chilometri<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza.<br />

Il camoscio (Rupicapra rupicapra) è l’ungulato più comune che è possibile incontrare nell’alta Val<br />

de la Mare. E’ un tipico abitante degli ambienti <strong>di</strong> alta quota, dall’orizzonte sub‐montano a quello<br />

alpino, in una fascia altitu<strong>di</strong>ale che me<strong>di</strong>amente va dai 1.500 ai 2.500 metri. La presenza della<br />

specie anche ad altitu<strong>di</strong>ni inferiori, fenomeno che si registra sempre più <strong>di</strong> frequente, in<strong>di</strong>ca che<br />

non è la quota il fattore determinante per la sua <strong>di</strong>stribuzione ecologica.<br />

Un gruppo <strong>di</strong> camosci attraversa il Noce Bianco, nei pressi della Vedretta de La Mare, da cui si origina il<br />

corso d’acqua.<br />

36


Il Bovide frequenta i boschi <strong>di</strong> conifere intervallati da pareti rocciose e scoscese, radure e canaloni,<br />

i cespuglietti a ontano verde o rododendro con larici sparsi, le praterie, i margini delle pietraie e le<br />

cenge erbose e sembra mostrare una sorta <strong>di</strong> “legame psicologico” nei confronti della roccia e i<br />

rilievi accidentati e rocciosi appaiono come componente essenziale del suo habitat (zone rifugio).<br />

Nel corso dell’anno vengono compiuti spostamenti verticali che coincidono con l’utilizzo <strong>di</strong> habitat<br />

<strong>di</strong>versi.<br />

I Bovi<strong>di</strong> alpini possiedono adattamenti specifici per la vita in alta montagna. Nel caso del camoscio<br />

il pelo invernale è spesso e scuro, migliorando quin<strong>di</strong> sia il potere isolante che l’assorbimento delle<br />

ra<strong>di</strong>azioni solari. La temperatura interna <strong>di</strong> 39,5° C contribuisce alla <strong>di</strong>fesa dai rigori invernali. Le<br />

gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni del cuore (l’1% del peso corporeo, contro lo 0,4% nel caso dell’uomo) e l’elevato<br />

numero <strong>di</strong> globuli rossi nel sangue (il triplo rispetto all’uomo) rendono possibile una rapida ed<br />

efficiente ossigenazione del sangue anche ad alta quota. Gli zoccoli possiedono bor<strong>di</strong><br />

particolarmente affilati per sfruttare le più piccole sporgenze sulla roccia e suole morbide che<br />

facilitano l’aderenza. La presenza <strong>di</strong> una plica cutanea inter<strong>di</strong>gitale consente un miglior<br />

“galleggiamento” sulla neve attraverso un aumento della superficie portante. I particolari<br />

accorgimenti anatomici e fisiologici del rumine consentono al camoscio (e ancora <strong>di</strong> più allo<br />

stambecco) <strong>di</strong> variare la propria <strong>di</strong>eta nel corso dell’anno e <strong>di</strong> assimilare con particolare efficienza<br />

le essenza più coriacee e ricche <strong>di</strong> fibra nel periodo invernale.<br />

Il camoscio non è mai completamente scomparso dal gruppo dell’Ortles‐Cevedale. Dal 1968 ad<br />

oggi, nell’area protetta della Val <strong>di</strong> Peio, la popolazione è aumentata da circa 130 a circa 850<br />

in<strong>di</strong>vidui dopo avere raggiunto picchi <strong>di</strong> oltre 1300 capi nella seconda metà degli anni ’90. La<br />

consistenza della popolazione è annualmente monitorata me<strong>di</strong>ante block‐count effettuato nei<br />

mesi estivi. I fenomeni demografici <strong>di</strong> <strong>di</strong>pendenza dalla densità e le con<strong>di</strong>zioni invernali al <strong>di</strong> sotto<br />

della me<strong>di</strong>a spiegano il parziale decremento numerico cui si è assistito negli ultimi 5 anni.<br />

La popolazione è costantemente cresciuta sino alla seconda metà degli anni ’90 (1800 in<strong>di</strong>vidui<br />

adulti) per poi <strong>di</strong>minuire repentinamente la propria consistenza ed assestarsi su valori più bassi<br />

(1100 in<strong>di</strong>vidui adulti). E’ possibile spiegare tale fenomeno con l’innescarsi <strong>di</strong> fenomeni <strong>di</strong><br />

regolazione demografica in basa alla <strong>di</strong>pendenza dall’aumento della densità. I tassi <strong>di</strong><br />

accrescimento annuale della popolazione sono infatti inversamente <strong>di</strong>pendenti dalla densità con<br />

un anno <strong>di</strong> ritardo. Analisi successive mostrano come i tassi <strong>di</strong> natalità rimangano relativamente<br />

costanti, mentre siano i tassi <strong>di</strong> mortalità ad essere strettamente <strong>di</strong>pendenti dalla densità della<br />

popolazione. La <strong>di</strong>minuzione della popolazione occorsa nell’ultimo decennio è legata<br />

all’interazione tra meccanismi <strong>di</strong> regolazione <strong>di</strong>pendenti dalla densità e fattori meteo‐climatici. In<br />

una prima fase (sino all’inizio degli anni ’90), caratterizzata da nevosità invernale me<strong>di</strong>o‐alta, la<br />

popolazione è cresciuta costantemente. In una seconda fase (gli anni ’90), la scarsa nevosità me<strong>di</strong>a<br />

ha permesso una ulteriore crescita della popolazione sino al raggiungimento delle massime<br />

densità. Nella terza fase (il nuovo secolo), il ritorno <strong>di</strong> inverni con nevosità me<strong>di</strong>o‐alta ha<br />

nuovamente alzato i tassi <strong>di</strong> mortalità naturale invernale, causando un riequilibrio della<br />

popolazione su valori inferiori <strong>di</strong> capacità portante. E’ possibile mettere in evidenza una<br />

significativa <strong>di</strong>pendenza dei tassi <strong>di</strong> mortalità dalla consistenza della popolazione solo al <strong>di</strong> sopra <strong>di</strong><br />

una determinata soglia <strong>di</strong> “durezza” della stagione invernale (in questo caso una nevosità<br />

stagionale invernale superiore all’equivalente <strong>di</strong> 440 mm <strong>di</strong> pioggia.<br />

37


La Val de la Mare offre vaste aree idonee al camoscio, in grado <strong>di</strong> sostenere densità <strong>di</strong> popolazione<br />

tra gli 8 e 13 in<strong>di</strong>vidui per km 2 . La conca dell’alta Val de la Mare ospita attualmente durante<br />

l’estate dai 250 ai 300 camosci (9‐11 capi/km2). In estate i maschi, tendenzialmente più solitari, si<br />

<strong>di</strong>vidono l’area posta ai limiti superiori del bosco tra i 1.800 e i 2.300 metri. I gruppi <strong>di</strong> femmine e<br />

piccoli, solitamente numerosi e che possono raggiungere il centinaio <strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidui, occupano i vasti<br />

piani e le conche glaciali poste sotto la vedretta del Careser, tra i 2.300 e i 2.800 m <strong>di</strong> quota.<br />

Negli ultimi anni si è assistito ad un progressivo spostamento estivo della popolazione verso quote<br />

sempre più alte. I maschi adulti, che sino a pochi anni fa occupavano prevalentemente il limite<br />

superiore della vegetazione arborea dei lariceti, ora si <strong>di</strong>stribuiscono abbondantemente al <strong>di</strong> sopra<br />

<strong>di</strong> tale limite. Questo fenomeno è testimoniato dal netto aumento delle densità relative estive<br />

riferite all’area dell’alta Val de la Mare, le cui quote inferiori sono poste attorno ai 1950 m e<br />

potrebbe essere un primo sintomo <strong>di</strong> interazione spaziale con il cervo, che nell’ultimo decennio ha<br />

progressivamente (e sempre più consistentemente) cominciato ad utilizzare durante la fase estiva<br />

le prateria <strong>di</strong> alta quota e i macereti, in alcune zone sino ai 2800 metri <strong>di</strong> quota.<br />

Al contrario <strong>di</strong> quanto è sinora avvenuto nel caso del cervo, nella fase terminale della sua<br />

espansione demografica, il capriolo (Capreolus capreolus) ha subito da oltre un decennio un netto<br />

calo demografico. Al momento non sono <strong>di</strong>sponibili stime <strong>di</strong> popolazione su basi atten<strong>di</strong>bili;<br />

tuttavia le frequenze <strong>di</strong> osservazione si sono via via notevolmente ridotte, soprattutto negli<br />

orizzonti sub‐alpini, e la densità delle popolazioni all’interno del Parco è sicuramente inferiore ai 2<br />

in<strong>di</strong>vidui per kmq. La tendenza negativa nella <strong>di</strong>namica delle popolazioni è un fattore comune in<br />

numerose aree del Trentino e sembra confermata dal trend degli avvistamenti sistematici annuali<br />

nelle aree campione della Val <strong>di</strong> Sole sottoposte a conteggi. L’incremento esponenziale delle<br />

popolazioni <strong>di</strong> cervo e il conseguente innescarsi <strong>di</strong> fenomeni <strong>di</strong> competizione spaziale e trofica<br />

rappresenta uno dei principali fattori responsabili <strong>di</strong> questo fenomeno. Tuttavia non è<br />

probabilmente l’unico. Il verificarsi <strong>di</strong> inverni particolarmente duri nell’ultimo quinquennio ha<br />

sicuramente influito sui tassi <strong>di</strong> mortalità in una situazione già delicata. I cambiamenti del<br />

paesaggio (culturale), connessi al progressivo abbandono dei territori coltivati e delle attività<br />

zootecniche hanno favorito la ricolonizzazione delle specie arbustive ed arboree e la progressiva<br />

chiusura delle aree aperte, causando una forte <strong>di</strong>minuzione degli spazi ecotonali particolarmente<br />

idonei al capriolo. La graduale regressione dei paesaggi antropici ed il conseguente ritorno verso le<br />

con<strong>di</strong>zioni presenti prima delle profonde mo<strong>di</strong>fiche operate dall’uomo non porterà comunque alla<br />

scomparsa della specie ma verso un nuovo riassetto ed equilibrio tra densità <strong>di</strong> popolazione e<br />

<strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> cibo e zone <strong>di</strong> rifugio.<br />

Lo stambecco (Capra ibex) è tornato ad occupare il territorio del Parco grazie a una azione <strong>di</strong>retta<br />

<strong>di</strong> conservazione da parte dell’uomo che ha reintrodotto questa specie in Val Zebrù (Sondrio) negli<br />

anni 1967‐68 e, successivamente, in numerose altre aree del settore lombardo del Parco.<br />

Attualmente la sua presenza è quasi esclusivamente limitata al settore lombardo e le densità più<br />

elevate sono presenti in Val Zebrù e in Valle del Braulio. Da circa un decennio lo stambecco ha<br />

comunque iniziato a colonizzare in modo spontaneo la Val <strong>di</strong> Peio, a partire dalla colonia presente<br />

in Valle delle Messi – Val <strong>di</strong> Viso, attorno al Passo del Gavia e durante l’estate si registra la<br />

presenza <strong>di</strong> una ventina <strong>di</strong> soggetti, compresi femmine e piccoli, nella destra orografica della Val<br />

del Monte, tra Val Montozzo e Val Comiciolo.<br />

38


Lo stambecco è l’ungulato più tipico dell’orizzonte alto alpino, possiede ottime capacità <strong>di</strong><br />

arrampicatore, è adattato ad ambienti ari<strong>di</strong> e sterili e si mantiene con una <strong>di</strong>eta ricca <strong>di</strong> fibre. Tali<br />

caratteristiche ed il fatto che occupi primariamente aree non boscate, lo in<strong>di</strong>cano quale<br />

appartenente ai cosiddetti “glacier followers”. Nel corso della sua evoluzione si è adattato in modo<br />

eccezionale alla vita <strong>di</strong> alta quota, al <strong>di</strong> sopra del limite del bosco, nelle aree caratterizzate da<br />

pen<strong>di</strong>i ripi<strong>di</strong> e rocciosi. Durante l’estate il fattore che con<strong>di</strong>zione maggiormente la sua<br />

<strong>di</strong>stribuzione è l’altitu<strong>di</strong>ne (normalmente la sua presenza è compresa tra i 2300 e i 3200 metri).<br />

Durante l’inverno, negli ambienti alpini più estremi, le scelte ecologiche sono maggiormente<br />

legate alle caratteristiche vegetazionali delle aree in rapporto alla reperibilità del cibo. In generale<br />

durante questo periodo vengono frequentate le praterie <strong>di</strong>scontinue a Festuca varia dove il<br />

pascolo si alterna a zone più rocciose, lungo versanti ripi<strong>di</strong> ed esposti tra sud e sud‐ovest, sui quali<br />

la minore permanenza della neve aumenta la <strong>di</strong>sponibilità trofica. Le migliori zone per lo<br />

svernamento sono inoltre caratterizzate da un notevole sviluppo superficiale dei versanti che<br />

forniscono su microscala zone rifugio nei confronti degli avversi agenti atmosferici e microclimi<br />

<strong>di</strong>fferenti che portano ad una <strong>di</strong>versificazione delle risorse alimentari <strong>di</strong>sponibili.<br />

La sinistra orografica della Val del Monte e la Val de la Mare, poste all’interno del Parco,<br />

<strong>di</strong>spongono <strong>di</strong> zone particolarmente idonee alla presenza sia estiva che invernale dello stambecco<br />

e negli ultimi anni le osservazioni spora<strong>di</strong>che dei maschi giovani in <strong>di</strong>spersione si fanno sempre più<br />

frequenti e riguardano anche l’alta Val de la Mare. Tuttavia lo stambecco, tra gli Ungulati che<br />

abitano le Alpi, è la specie caratterizzata dai più bassi tassi <strong>di</strong> accrescimento annuale e dai più bassi<br />

ritmi <strong>di</strong> colonizzazione del territorio, in relazione agli ambienti estremi occupati ed alla relativa<br />

“insularità” nella matrice delle valli alpine. Per questo è stato previsto un progetto <strong>di</strong> re‐stocking al<br />

fine velocizzare la definitiva colonizzazione della Val <strong>di</strong> Peio.<br />

L’aquila reale (Aquila chrysaetos) ha da tempo rioccupato l’intero territorio del Parco grazie alla<br />

numerosa presenza della marmotta e agli elevati tassi <strong>di</strong> mortalità delle popolazioni <strong>di</strong> ungulati.<br />

Attualmente è stata accertata la presenza <strong>di</strong> 21 coppie territoriali e riproduttive nell’intero<br />

territorio del Parco e nelle aree limitrofe. Il territorio del Parco in Val <strong>di</strong> Peio ospita sicuramente i<br />

territori <strong>di</strong> 2 coppie, più una probabile terza ai suoi confini. La testata dell’alta Val de la Mare è<br />

occupata da una <strong>di</strong> queste. I tassi riproduttivi della specie all’interno del Parco, il cui monitoraggio<br />

ha preso avvio da qualche anno, sono relativamente bassi in quanto l’elevata densità <strong>di</strong> coppie<br />

territoriali presenti testimonia il raggiungimento della capacità portante e il conseguente<br />

rallentamento nei tassi <strong>di</strong> incremento.<br />

L’aquila è un rapace generalista. Nelle Alpi la situazione delle popolazioni è tornata ad essere<br />

ottimale in quanto, cessata la fase <strong>di</strong> persecuzione <strong>di</strong>retta, in esse sono presenti vaste zone<br />

tranquille e abbondante presenza <strong>di</strong> prede. Gli in<strong>di</strong>vidui in età adulta si accoppiano e restano<br />

fedeli al loro partner e al loro territorio per tutta la vita. Le aquile hanno bisogno <strong>di</strong> territori che<br />

offrano luoghi tranquilli e inaccessibili per la ni<strong>di</strong>ficazione (quasi esclusivamente su pareti rocciose<br />

nel Parco) e <strong>di</strong> ampi spazi aperti e semiaperti ricchi <strong>di</strong> prede in cui cacciare durante tutto l’anno.<br />

L’estensione me<strong>di</strong>a dei territori nel Parco e nelle aree limitrofe è <strong>di</strong> circa 70 km 2 e testimonia una<br />

sod<strong>di</strong>sfacente <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> prede.<br />

39


In inverno, quando le marmotte sono in letargo, le aquile si nutrono soprattutto <strong>di</strong> carogne <strong>di</strong><br />

Ungulati. Per le aquile che non hanno un territorio stabile (soprattutto per quelle giovani) le<br />

carogne rappresentano una parte decisiva dell’alimentazione per tutto l’anno. Durante la fase<br />

invernale il territorio del Parco, più ricco <strong>di</strong> carcasse <strong>di</strong> Ungulati morti per causa naturali, ospita<br />

quin<strong>di</strong> concentrazioni temporanee <strong>di</strong> parecchi in<strong>di</strong>vidui non territoriali che possono innescare<br />

fenomeni <strong>di</strong> competizione trofica con le coppie territoriali, causa <strong>di</strong> un abbassamento dei tassi<br />

riproduttivi.<br />

Dal 1990 il territorio del Parco ospita stabilmente il gipeto barbuto (Gypaetus barbatus), un altro<br />

grande rapace <strong>di</strong>urno. Il gipeto è una delle quattro specie <strong>di</strong> avvoltoi presenti in Europa ed è<br />

attualmente il più grande rapace ni<strong>di</strong>ficante sull’arco alpino (quasi tre metri <strong>di</strong> apertura alare). Si<br />

nutre esclusivamente <strong>di</strong> animali morti e le carogne <strong>di</strong> Ungulati (sia selvatici che domestici)<br />

rappresentano sulle Alpi la sua base alimentare.<br />

Il gipeto è stato oggetto <strong>di</strong> un vasto progetto <strong>di</strong> reintroduzione iniziato negli anni ‘80 che ha<br />

coinvolto tutti gli stati dell’arco alpino ed ha trovato nel Parco dello Stelvio un territorio<br />

particolarmente idoneo. Dal 1986 numerose aree protette dell’arco alpino hanno partecipato al<br />

progetto <strong>di</strong> reintroduzione che ha sinora portato alla liberazione, me<strong>di</strong>ante la tecnica dello<br />

hacking, <strong>di</strong> oltre 140 in<strong>di</strong>vidui. Otto <strong>di</strong> questi sono stati liberati in Val Martello, nel settore<br />

sudtirolese del Parco. Il progetto potrà considerarsi concluso quando il successo riproduttivo delle<br />

coppie formatesi in natura sarà sufficiente a mantenere una minima popolazione vitale e il<br />

numero <strong>di</strong> giovani in<strong>di</strong>vidui che si involano sarà, per un congruo numero <strong>di</strong> anni, almeno pari al<br />

numero <strong>di</strong> giovani che annualmente vengono rilasciati dopo essere nati negli zoo.<br />

Nel 2003 nel Parco erano presenti tre coppie riproduttive e una quarta in via <strong>di</strong> formazione (tutte<br />

in territorio lombardo). La presenza <strong>di</strong> vaste aree al <strong>di</strong> sopra della vegetazione arborea in cui<br />

ricercare il cibo, l’ampia <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> siti <strong>di</strong> ni<strong>di</strong>ficazione su pareti rocciose (soprattutto nelle<br />

porzione nord‐occidentale del Parco, con rocce calcaree) e le abbondanti risorse trofiche legate<br />

all’abbondanza degli Ungulati, hanno sinora reso il Parco una delle zone alpine più importanti per<br />

la riproduzione e la conservazione della specie. Rispetto alla situazione dell’intero arco alpino nello<br />

Stelvio erano presenti 4 coppie su 16, 3 coppie riproduttive su 8 e si sono involati 16 giovani su un<br />

totale <strong>di</strong> 34.<br />

I giovani gipeti rilasciati o nati in natura attraversano nei primi anni una lunga fase <strong>di</strong> <strong>di</strong>spersione<br />

prima <strong>di</strong> stabilizzarsi ed occupare un proprio territorio. In questo primo periodo gli spostamenti <strong>di</strong><br />

un singolo in<strong>di</strong>viduo arrivano a toccare anche l’intero arco alpino, anche se è stata notata una<br />

tendenza alla filopatria nella successiva scelta dei territori. Specialmente durante l’inverno i<br />

soggetti giovani e non territoriali sorvolano frequentemente i versanti della Val <strong>di</strong> Peio e <strong>di</strong> Rabbi<br />

in cerca <strong>di</strong> carcasse e <strong>di</strong> ungulati morti e gli avvistamenti sono frequenti soprattutto in Val de la<br />

Mare.<br />

40


Il bacino idrografico del Noce Bianco<br />

In Val de la Mare nasce il Noce Bianco, tributario <strong>di</strong> sinistra del Torrente Noce (Fig. 3). Il 50% circa<br />

della copertura del bacino idrografico del Noce Bianco (superficie = 35.9 km 2 ) è rappresentata da<br />

roccia, il 34% da ghiacciai e il 17% da pascolo, mentre la copertura a cembreto e lariceto e le acque<br />

superficiali rappresentano una piccola percentuale del bacino (Fig. 4).<br />

Fig. 3 – Il bacino idrografico del Torrente Noce Bianco (al <strong>di</strong> sopra dei 2000 m <strong>di</strong> quota).<br />

Fig. 4 ‐ Copertura del bacino come percentuale <strong>di</strong> ghiacciai, rocce, pascoli, fustaie e acque nei due<br />

sottobacini del Noce Bianco (a) e Careser (b).<br />

Il ramo principale è alimentato dalla Vedretta de la Mare, il cui fronte si trova a 2710 m s.l.m.<br />

(rilievo MTSN‐MdS, settembre 2000). Scorre per circa 2 km, attraversando un’estesa piana<br />

alluvionale fino a raggiungere Pian Venezia. Qui, alla quota <strong>di</strong> 2270 m, le sue acque si uniscono a<br />

quelle del suo principale tributario, <strong>di</strong> origine non glaciale, il Rio Larcher. Tale tributario nasce a<br />

circa 2700 m s.l.m., nei pressi del Rifugio Larcher, è alimentato da nevai e dalla falda <strong>di</strong> un laghetto<br />

<strong>di</strong> circo ormai asciutto, e scorre per 2.5 km prima <strong>di</strong> giungere in Pian Venezia dove, a monte della<br />

41


sua confluenza con il Noce Bianco riceve le acque dell’emissario del Lago delle Marmotte. In Pian<br />

Venezia confluiscono nel Noce Bianco, dalla destra orografica, anche le acque <strong>di</strong> altri due torrenti,<br />

uno ad alimentazione glaciale (Rio Catena Rossa), l’altro (Rio Le Scaie), <strong>di</strong> origine non glaciale.<br />

Il Rio Careser nasce a 2860 m s.l.m. dal ghiacciaio omonimo e scorre per circa 2 km prima <strong>di</strong><br />

confluire nel bacino del Careser, a 2603 m s.l.m. Lungo il suo percorso, a circa 2647 m s.l.m., riceve<br />

le acque <strong>di</strong> un piccolo torrente alimentato da sorgenti. A valle della <strong>di</strong>ga il greto del rio Careser è<br />

prosciugato per alcune decine <strong>di</strong> metri. A causa <strong>di</strong> fenomeni sorgentizi a circa 2540 m s.l.m. l’acqua<br />

riappare e forma un nuovo torrente che scorre per 1,75 km prima <strong>di</strong> venire captato dal bacino <strong>di</strong><br />

se<strong>di</strong>mentazione <strong>di</strong> Malga Mare (1964 m s.l.m.). Poco prima, confluiscono le acque del rio Lago<br />

Lungo. La gronda transalveo capta le acque del Rio Marmotte e del Rio Lago Lungo e le immette<br />

nel <strong>di</strong>ga del Careser. I corsi d’acqua sono stati riportati sulla mappa me<strong>di</strong>ante software GIS<br />

ArcView 3.2 utilizzando a) le ortofoto <strong>di</strong>gitali “IT 2000” (voli 1999), b) le immagini <strong>di</strong>gitali<br />

georeferenziate della carta topografica generale 1:10000 (CTP/98) e c) il tematismo “idrografia”<br />

del Sistema Informativo Ambiente e Territorio della Provincia Autonoma Trento. Per i corsi<br />

d’acqua il cui tracciato non era in<strong>di</strong>viduabile con certezza dalla cartografia, tali informazioni sono<br />

state integrate con rilevamenti sul campo me<strong>di</strong>ante Global Positioning System (GPS).<br />

Per l’intero bacino sono stati in<strong>di</strong>viduati 53 tratti (Tab. 3) su cui sono state <strong>di</strong>slocate 35 stazioni <strong>di</strong><br />

campionamento, tutte ubicate, eccetto due, al <strong>di</strong> sopra della linea degli alberi (2000 m s.l.m.).<br />

Tab. 3 ‐ Principali caratteristiche morfometriche dei reticoli idrografici dei due sottobacini del Noce Bianco e<br />

del Careser (bacino idrografico del Torrente Noce Bianco). u = or<strong>di</strong>ne fluviale; Nu = numero <strong>di</strong> tratti; Rb =<br />

rapporto <strong>di</strong> biforcazione; L = lunghezza; Lu = lunghezza me<strong>di</strong>a.<br />

Sottobacino Noce Bianco<br />

u Nu Nu % Rb L (Km) L % Lu (Km)<br />

1 19 82,6 13,4 70,9 0,71<br />

2 3 13,0 6,3 3,9 20,6 1,30<br />

3 1 4,3 3,0 1,6 8,5 1,62<br />

me<strong>di</strong>a 4,7<br />

somma 23 19,0<br />

Sottobacino Careser<br />

u Nu Nu % Rb L (Km) L % Lu (Km)<br />

1 23 76,7 10,3 66,3 0,45<br />

2 5 16,7 4,6 4,4 28,2 0,88<br />

3 2 6,7 2,5 0,8 5,4 0,42<br />

me<strong>di</strong>a 3,6<br />

somma 30 15,5<br />

42


Tutti i tratti sono stati or<strong>di</strong>nati secondo il criterio gerarchico in<strong>di</strong>cato da Strahler (1957) e <strong>di</strong><br />

ognuno sono state misurate lunghezza e pendenza ogni 100 m <strong>di</strong> quota. È stato inoltre calcolato il<br />

rapporto <strong>di</strong> biforcazione (Rb), che consiste nel rapporto tra il numero <strong>di</strong> tratti <strong>di</strong> un dato or<strong>di</strong>ne e il<br />

numero <strong>di</strong> tratti <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne successivo (Strahler 1984). Dei 53 tratti fluviali in<strong>di</strong>viduati, 42 sono<br />

risultati <strong>di</strong> 1° or<strong>di</strong>ne, 8 <strong>di</strong> 2° or<strong>di</strong>ne e 3 <strong>di</strong> 3° or<strong>di</strong>ne (Tab. 4). Sulla base dei dati riportati in tabella 1<br />

si può osservare che, nel sottobacino del Noce Bianco, all’aumentare dell’or<strong>di</strong>ne gerarchico (u)<br />

aumenta la lunghezza me<strong>di</strong>a dei tratti (Lu), mentre <strong>di</strong>minuisce il loro numero (N). Questa relazione<br />

tra numero/lunghezza/or<strong>di</strong>ne corrisponde a quanto atteso (Strahler 1984), mentre nel sottobacino<br />

del Careser la lunghezza me<strong>di</strong>a dei tratti <strong>di</strong> 3° or<strong>di</strong>ne è inferiore a quelli <strong>di</strong> 1° e 2°. Questo è dovuto<br />

alla presenza sul Rio Careser, a quota 2600 m s.l.m., <strong>di</strong> un bacino artificiale che ne interrompe la<br />

continuità, per cui il tratto a valle della <strong>di</strong>ga viene attribuito al 1° or<strong>di</strong>ne. Per quanto riguarda il<br />

rapporto <strong>di</strong> biforcazione, che consente una rapida stima del numero <strong>di</strong> tratti in cui me<strong>di</strong>amente si<br />

sud<strong>di</strong>vide un corso d’acqua <strong>di</strong> un determinato or<strong>di</strong>ne, i valori me<strong>di</strong> calcolati per i due sottobacini<br />

rientrano nei range tipici <strong>di</strong> sistemi fluviali naturali che, secondo Strahler (1984), vanno da 3 a 5. La<br />

lunghezza complessiva del reticolo idrografico del Noce Bianco è <strong>di</strong> 34,5 km, <strong>di</strong> cui 19 compresi nel<br />

sottobacino del Noce Bianco e 15,5 km in quello del Careser.<br />

a<br />

b<br />

m s.l.m.<br />

3100-3000<br />

3000-2900<br />

2900-2800<br />

2800-2700<br />

2700-2600<br />

2600-2500<br />

2500-2400<br />

2400-2300<br />

2300-2200<br />

2200-2100<br />

2100-2000<br />

2000-1900<br />

m s.l.m.<br />

3100-3000<br />

3000-2900<br />

2900-2800<br />

2800-2700<br />

2700-2600<br />

2600-2500<br />

2500-2400<br />

2400-2300<br />

2300-2200<br />

2200-2100<br />

2100-2000<br />

2000-1900<br />

0 10 20 30 40 50 60 70<br />

%<br />

3° or<strong>di</strong>ne<br />

2° or<strong>di</strong>ne<br />

1° or<strong>di</strong>ne<br />

0 10 20 30 40 50 60 70<br />

%<br />

Fig. 5 ‐ Distribuzione altitu<strong>di</strong>nale degli or<strong>di</strong>ni fluviali nei due sottobacini Noce Bianco (a) e Careser (b).<br />

43


Come atteso, una frazione elevata (70%) <strong>di</strong> tale lunghezza, in entrambi i sottobacini, è costituita da<br />

tratti fluviali <strong>di</strong> 1° or<strong>di</strong>ne, con valori percentuali via via decrescenti per il 2° e il 3° or<strong>di</strong>ne (Tab. 4).<br />

Per quanto riguarda la <strong>di</strong>stribuzione altitu<strong>di</strong>nale dei 53 tratti, come atteso, nella porzione<br />

superiore del sottobacino del Noce Bianco (sopra i 2600 m s.l.m.) sono presenti esclusivamente<br />

tratti <strong>di</strong> 1° or<strong>di</strong>ne ai quali seguono, a quote interme<strong>di</strong>e (tra i 2200 e 2500 m s.l.m.), i tratti <strong>di</strong> 2°<br />

or<strong>di</strong>ne e a quote inferiori (sotto i 2200 m s.l.m.) quelli <strong>di</strong> 3° or<strong>di</strong>ne. Nel sottobacino del Careser si<br />

osserva invece la presenza già a quote elevate (sopra i 2600 m s.l.m.) <strong>di</strong> tratti <strong>di</strong> 2° e 3° or<strong>di</strong>ne (Fig.<br />

5). Anche sulla base della pendenza, nel sottobacino del Noce Bianco i 3 or<strong>di</strong>ni sono ben <strong>di</strong>stinti<br />

(Fig. 6), con valori maggiori nel 1° or<strong>di</strong>ne e inferiori nel 3°, salvo un’eccezione legata alla presenza<br />

<strong>di</strong> una cascata in un tratto <strong>di</strong> 3° or<strong>di</strong>ne. Al contrario, nel sottobacino del Careser, i tratti con<br />

pendenze maggiori sono risultati quelli <strong>di</strong> 2° or<strong>di</strong>ne (Fig. 6).<br />

a<br />

b<br />

pendenza (%)<br />

>100<br />

60-70<br />

50-60<br />

40-50<br />

30-40<br />

20-30<br />

10-20<br />

5-10<br />

0-5<br />

0 10 20 30 40 50 60 70<br />

pendenza (%)<br />

%<br />

>100<br />

60-70<br />

50-60<br />

40-50<br />

30-40<br />

20-30<br />

10-20<br />

5-10<br />

0-5<br />

3° or<strong>di</strong>ne<br />

2° or<strong>di</strong>ne<br />

0 10 20 30 40 50 60 70 1° or<strong>di</strong>ne<br />

%<br />

Fig. 6 ‐ Distribuzione in classi <strong>di</strong> pendenza degli or<strong>di</strong>ni fluviali nei due sottobacini Noce Bianco (a) e Careser<br />

(b).<br />

In Val de la Mare sono presenti anche numerosi specchi d’acqua, ma solamente tre sono<br />

abbastanza estesi da poter essere considerati laghi (profon<strong>di</strong>tà ≥ 1 m, superficie ≥ 2000 m 2 ): il Lago<br />

delle Marmotte, il Lago Lungo e il Lago Nero, tutti e tre <strong>di</strong> origine glaciale, <strong>di</strong> piccole <strong>di</strong>mensioni e<br />

<strong>di</strong> scarsa o profon<strong>di</strong>tà (Scheda 3). Nel L. Nero confluisce l’acqua raccolta da un canale <strong>di</strong> gronda<br />

che capta gran parte dell’acqua superficiale che scorre in sinistra orografica della Val Lagolungo, a<br />

partire dall’emissario del L. delle Marmotte. Dal L. Nero le acque della Val Lagolungo confluiscono<br />

quin<strong>di</strong> nel bacino artificiale del Careser.<br />

44


Scheda 3<br />

I laghi in Val de la Mare<br />

<strong>di</strong> Adraino Boscaini<br />

I bacini idrografici del Lago Lungo e del Lago delle Marmotte sono costituiti prevalentemente da<br />

rocce, mentre quello del Lago Nero è costituito esclusivamente da pascoli. Inoltre, il bacino<br />

idrografico naturale del Lago Nero è molto piccolo, ma non corrisponde al reale bacino drenato<br />

poiché nel lago confluisce tutta l’acqua raccolta dal canale <strong>di</strong> gronda che scorre in sinistra<br />

orografica della Val Lagolungo, a partire dell’emissario del Lago delle Marmotte.<br />

I valori della profon<strong>di</strong>tà relativa sono modesti ed in<strong>di</strong>cano una debole stabilità della colonna<br />

d’acqua all’azione <strong>di</strong> rimescolamento operata dal vento, confermata dalla situazione <strong>di</strong><br />

omeotermia in cui sono stati rinvenuti i tre bacini lacustri durante il campionamento.<br />

Solamente il Lago delle Marmotte ha un valore dello sviluppo della linea <strong>di</strong> costa prossimo ad 1<br />

(1.15), in accordo con la sua origine (lago glaciale <strong>di</strong> circo).<br />

Il valore del rapporto tra bacino idrografico e la superficie del lago è abbastanza <strong>di</strong>verso nei tre<br />

laghi. Per confronto si consideri che, in recenti lavori realizzati in altri bacini idrografici, sono stati<br />

rinvenuti valori da un minimo <strong>di</strong> 4 a un massimo <strong>di</strong> 793, con un valore <strong>di</strong> me<strong>di</strong>ana <strong>di</strong> 41 nei 32 laghi<br />

del bacino dell’Avisio e <strong>di</strong> 28 per 20 laghi del Parco Adamello‐Brenta.<br />

Per quanto riguarda i pesci, la recente Carta Ittica del Trentino classifica il Lago Lungo e quello<br />

delle Marmotte come “laghi a Salmerino alpino e Sanguinerola” e prescrive il “<strong>di</strong>vieto assoluto <strong>di</strong><br />

qualsiasi immissione <strong>di</strong> materiale ittico (ad eccezione dei pesci eventualmente rilasciati dopo la<br />

cattura), fatta eccezione per eventuali ripopolamenti delle specie appartenenti al popolamento<br />

ittico teorico (Salmerino alpino e, eventualmente, Sanguinerola) esclusivamente con in<strong>di</strong>vidui<br />

subadulti prodotti da riproduzione artificiale da riproduttori strettamente locali e sotto rigido<br />

controllo del Servizio faunistico”.<br />

Attualmente sono presenti trote fario nel Lago Lungo mentre il Salmerino alpino è estinto in<br />

entrambi i laghi. Non si ha evidenza della presenza della Sanguinerola.<br />

Il Lago Nero è invece classificato come “lago basso non piscicolo” ed è effettivamente privo <strong>di</strong><br />

fauna ittica.<br />

La morfologia <strong>di</strong> un bacino lacustre influenza quasi tutti i parametri fisico‐chimici e biologici delle<br />

acque. La forma dei laghi è molto varia e rispecchia la loro origine e le successive mo<strong>di</strong>ficazioni<br />

operate dell’acqua e dagli apporti provenienti dal bacino <strong>di</strong> drenaggio.<br />

I parametri geografici e morfometrici comunemente utilizzati negli stu<strong>di</strong> limnologici sono i<br />

seguenti:<br />

‐ coor<strong>di</strong>nate (m): sono espresse secondo il sistema <strong>di</strong> riferimento Gauss Boaga nel sistema<br />

geodetico nazionale (elissoide internazionale con orientamento a Roma Monte Mario 1940);<br />

‐ lunghezza (l): <strong>di</strong>stanza minima tra i due punti più <strong>di</strong>stanti del perimetro;<br />

45


‐ larghezza massima (b): linea perpen<strong>di</strong>colare alla lunghezza nel punto più largo;<br />

‐ larghezza me<strong>di</strong>a (bmed): rapporto tra la superficie (A) e la lunghezza (l) del bacino lacustre<br />

A<br />

bmed = l<br />

‐ superficie (A): si ricava dalla cartografia, ed è particolarmente influenzata dalle variazioni <strong>di</strong><br />

livello soprattutto nei laghi dalle sponde poco inclinate;<br />

‐ linea <strong>di</strong> costa (L) o perimetro del lago: l’intersezione del terreno con la superficie lacustre ha in<br />

genere una lunghezza costante per i laghi naturali mentre, nei bacini soggetti ad oscillazioni<br />

stagionali del livello idrometrico e nei laghi oggetto <strong>di</strong> derivazioni, questo parametro può subire<br />

delle variazioni;<br />

‐ sviluppo della linea <strong>di</strong> costa (DL): si ottiene confrontando il perimetro (L) del lago con il<br />

perimetro <strong>di</strong> un cerchio avente la stessa superficie. Tanto più il valore ottenuto si avvicina all’unità,<br />

tanto meno le rive del lago sono sinuose. E’ un parametro che riveste una certa importanza in<br />

quanto riflette lo sviluppo potenziale delle comunità litorali<br />

DL =<br />

2<br />

L<br />

πA<br />

‐ profon<strong>di</strong>tà massima (zm): profon<strong>di</strong>tà del lago nel punto più profondo;<br />

‐ profon<strong>di</strong>tà me<strong>di</strong>a (zmed): si ottiene <strong>di</strong>videndo il volume (V) del lago per la sua superficie (A)<br />

V<br />

zmed = A<br />

‐ profon<strong>di</strong>tà relativa (zr): valore ottenuto dalla massima profon<strong>di</strong>tà (zm) come percentuale del<br />

<strong>di</strong>ametro me<strong>di</strong>o<br />

zr =<br />

50Zm<br />

A<br />

π<br />

Valori elevati, come quello calcolato per il lago Redò nei Pirenei (13%), vengono considerati in<strong>di</strong>ce<br />

<strong>di</strong> elevata stabilità della colonna d’acqua, e quin<strong>di</strong> in grado <strong>di</strong> opporsi efficacemente all’azione <strong>di</strong><br />

rimescolamento delle acque operato dal vento<br />

‐ batimetria: rappresentazione cartografica della conca sommersa attraverso delle linee <strong>di</strong> eguale<br />

profon<strong>di</strong>tà (isobate).<br />

‐ volume: viene calcolato dalla batimetria me<strong>di</strong>ante apposite formule che considerano il lago<br />

costituito da tanti tronchi <strong>di</strong> cono sovrapposti gli uni agli altri, con base la superficie delle isobate e<br />

altezza la <strong>di</strong>stanza che le separa<br />

46


h<br />

V = (A1 + A2 + A1A2)<br />

3<br />

dove:<br />

h = profon<strong>di</strong>tà dello strato compreso tra la superficie A1 e A2<br />

A1 = area della superficie superiore in m 2<br />

A2 = area della superficie inferiore in m 2<br />

‐ sviluppo del volume (DV): è definito come il rapporto tra il volume (V) del lago e il volume <strong>di</strong> un<br />

cono avente come base la superficie (A) del lago e come altezza la sua profon<strong>di</strong>tà massima (zm)<br />

Vlago<br />

=<br />

Vcono<br />

zmed<br />

zm<br />

Quanto più il valore dell’in<strong>di</strong>ce è prossimo a 0.33 e tanto più la forma del lago si avvicina a quella<br />

<strong>di</strong> un cono. Bacini lacustri con valori inferiori a 0.33 sono rari, mentre valori elevati si rinvengono<br />

nei laghi a fondo piatto.<br />

‐ curve ipsografiche: sono delle curve profon<strong>di</strong>tà‐area che rappresentano le relazioni tra le<br />

profon<strong>di</strong>tà e le relative superfici. Laghi a forma <strong>di</strong> coppa molto svasata presentano consistenti<br />

variazioni <strong>di</strong> area tra isobate contigue, mentre quanto più le rive sono prossime alla verticale,<br />

tanto minore sarà la variazione <strong>di</strong> superficie tra aree <strong>di</strong> isobate contigue. In particolare se i dati<br />

vengono trasformati in percentuali <strong>di</strong> superficie rispetto all’isobata zero, tanto più la curva<br />

ipsografica è inclinata sull’asse delle ascisse e tanto maggiormente la conca del lago è appiattita<br />

‐ rapporto tra la superficie (B) del bacino imbrifero e quella del lago (A): è un parametro<br />

importante poiché in<strong>di</strong>ca quanto il bacino idrografico influenza le caratteristiche fisico chimiche<br />

del lago. Questo parametro è importante in particolare per l’interpretazione del regime idrologico<br />

che influenza il tempo <strong>di</strong> rinnovo dell’acqua del lago<br />

Nell’alta Val de la Mare sono presenti numerose conche <strong>di</strong> origine glaciale, alcune attualmente<br />

occupate da laghi come quelli delle Marmotte e Lungo, altre da raccolte d’acqua <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni<br />

minori (Le Pozze), e altre ancora sono state invece occupate in passato da bacini lacustri col tempo<br />

interrati (Val Venezia e la piana attualmente occupata dal Lago artificiale del Careser).<br />

Nell’area oggetto dello stu<strong>di</strong>o si trovano numerosi specchi d’acqua, ma solamente tre sono<br />

abbastanza estesi da poter essere considerati laghi: il Lago delle Marmotte, il lago Lungo e il Lago<br />

Nero (Tab. 4), tutti e tre <strong>di</strong> piccole <strong>di</strong>mensioni e <strong>di</strong> scarsa profon<strong>di</strong>tà rispetto ai laghi del vicino<br />

gruppo montuoso Adamello Presanella.<br />

I valori della profon<strong>di</strong>tà relativa sono modesti e in<strong>di</strong>cano una debole stabilità della colonna<br />

d’acqua all’azione <strong>di</strong> rimescolamento operata dal vento, confermata dalla situazione <strong>di</strong><br />

omeotermia in cui sono stati rinvenuti i tre bacini lacustri durante il campionamento.<br />

47


Solamente il Lago delle Marmotte ha un valore dello sviluppo della linea <strong>di</strong> costa prossimo ad 1<br />

(1.15), in accordo con la sua origine (lago glaciale <strong>di</strong> circo).<br />

I bacini idrografici del Lago Lungo e del Lago delle Marmotte sono costituiti prevalentemente da<br />

rocce, mentre quello del Lago Nero è costituito esclusivamente da pascoli. Inoltre, il bacino<br />

idrografico naturale del Lago Nero è molto piccolo, ma non corrisponde al reale bacino drenato<br />

poiché nel lago confluisce tutta l’acqua raccolta dal canale <strong>di</strong> gronda che scorre in sinistra<br />

orografica della Val Lago Lungo, a partire dell’emissario del Lago delle Marmotte.<br />

Il valore del rapporto tra bacino idrografico e la superficie del lago è abbastanza <strong>di</strong>verso nei tre<br />

laghi. Per confronto si consideri che, in recenti lavori realizzati in altri bacini idrografici, sono stati<br />

rinvenuti valori da un minimo <strong>di</strong> 4 a un massimo <strong>di</strong> 793, con un valore <strong>di</strong> me<strong>di</strong>ana <strong>di</strong> 41 nei 32 laghi<br />

del bacino dell’Avisio e <strong>di</strong> 28 per 20 laghi del Parco Adamello‐Brenta.<br />

Tab. 4. Caratterische morfologiche dei laghi.<br />

Coor<strong>di</strong>nate (m) 5144127.78 N<br />

LAGO DELLE MARMOTTE LAGO LUNGO LAGO NERO<br />

1628665.03 E<br />

5143279.04 N<br />

1629376.05 E<br />

Quota (m s.l.m.) 2705 2550 2621<br />

l (m) 203 353 130<br />

b (m) 136 114 50<br />

bmed (m) 105.6 64.9 47<br />

A (m 2 ) 21440 22720 6111<br />

L (m) 598 866 407<br />

DL 1.15 1.62 1.47<br />

Zm (m) 6.5 6.0 3.5<br />

Zmed (m) 3.3 2.1 2.8<br />

Zr (%) 2.0 1.2 3.2<br />

V (m 3 ) 69995 46874 17389<br />

Dv 0.50 0.34 0.81<br />

Quota max. bacino imbrifero (m<br />

s.l.m.)<br />

5142927.60 N<br />

1630128.30 E<br />

3163 3329.6 2752.5<br />

Superficie bacino imbrifero (km 2 ) 0.887 2.602 0.051<br />

48


(B)<br />

Rapporto B/A 41.4 114.5 8.3<br />

Il Lago delle Marmotte.<br />

Il Lago Lungo. Il Lago Nero.<br />

Rilevazione parametri fisici e<br />

campionamento al Lago Lungo.<br />

49


Bibliografia consultata<br />

Boscaini A. & M. Cantonati, 2002– 1. Morfometria – In: Cantonati M. (a cura <strong>di</strong>), I laghi del Parco Adamello‐<br />

Brenta. – Parco Documenti, 14: 13‐67.<br />

Boscaini A., Corra<strong>di</strong>ni F., Lencioni V. & B. Maiolini.. 2003. Caratterizzazione morfologica e chimico‐fisica <strong>di</strong><br />

un sistema idrografico alpino (Parco Nazionale dello Stelvio, Trentino). Stu<strong>di</strong> Trentini <strong>Scienze</strong> Naturali, Acta<br />

Biologica., 80 (2003) : 43‐49.<br />

Boscaini A., 2006– 1. Caratteristiche morfometriche – In: Cantonati M. & lazzara M. (a cura <strong>di</strong>), I laghi d’alta<br />

montagna del Bacino del Fiume Avisio (Trentino orientale). – Monografie del <strong>Museo</strong> <strong>Tridentino</strong> <strong>di</strong> <strong>Scienze</strong><br />

Naturali ‐3: 13‐77.<br />

antonati M., Boscaini A., Corra<strong>di</strong>ni F. & Lazzara M. 2002. Morfometria e idrochimica <strong>di</strong> laghi l’alta quota del<br />

bacino del fiume Avisio (Trentino orientale). Atti del XV Convegno Ga<strong>di</strong>o, Trento, 5‐7 maggio 2001, Stu<strong>di</strong><br />

Trentini <strong>Scienze</strong> Naturali, Acta Biologica, 78 (1): 101‐116.<br />

Castiglioni G.B., 1986 ‐ Morfologia glaciale: forme in roccia. In: Gruppo Nazionale Geografia Fisica e<br />

Geomorfologia‐CNR. Ricerche geomorfologiche nell’alta val <strong>di</strong> Pejo (Gruppo del Cevedale). Geogr. Fis.<br />

Dinam. Quat., 9 (2): 153‐155.<br />

Catalan J., 1988 ‐ Physical properties of the environment relevant to the pelagic ecosystem of a deep high‐<br />

mountani lake (Estany Redò, Central Pyrenees). Oecologia aquatica, 9: 89‐123.<br />

Conci V., 1942 ‐ Introduzione allo stu<strong>di</strong>o del lago delle Marmotte (Val Venezia ‐ Cevedale). Mem. Ist. Ital. <strong>di</strong><br />

idrobiol M. De Marchi, 1: 115‐128.<br />

Desio A., 1925 ‐ I laghi della Val Venezia e <strong>di</strong> Sternai (Gruppo del Cevedale). Alpi Giulie, 26: 21‐31.<br />

Hutchinson G.E., 1957 ‐ A treatise on limnology. Geography, Physics, and Chemistry, 1. John Wiley & Sons,<br />

Inc., London.<br />

Moran<strong>di</strong>ni G., 1933 ‐ Considerazioni generali sulla <strong>di</strong>stribuzione dei laghi nella Venezia Tridentina. Boll.<br />

Pesca, Piscic. e Idrobiol., 9: 1‐89.<br />

Riccar<strong>di</strong> R., 1925 ‐ I laghi d’Italia. Boll. Soc. Geogr. Ital., 6 (2): 1‐84.<br />

Tomasi G., 1962 ‐ Origine, <strong>di</strong>stribuzione, catasto e bibliografia dei laghi del Trentino. Stu<strong>di</strong> Trent. Sci. Nat., 1‐<br />

2: 1‐355.<br />

Wetzel R.G., 1983 ‐ Limnology, 2 nd ed., Saunders College Pub. New York, 768 pp.<br />

Wetzel, R.G. & G.E. Likens, 1991 ‐ Limnological Analyses. 2 nd ed., Springer‐Verlag. New York, 391 pp.<br />

50


Le stazioni <strong>di</strong> campionamento <strong>di</strong> alghe e invertebrati<br />

Nel corso della ricerca sono state indagate complessivamente 35 stazioni <strong>di</strong>stribuite su 7 torrenti,<br />

3 emissari e 2 immissari <strong>di</strong> laghi, e 6 aree rifugio rappresentate da sistemi <strong>di</strong> pozze e ruscelli<br />

a<strong>di</strong>acenti ai torrenti principali (Tab. 5, Fig. 7). Le stazioni sono comprese tra 2720 e 1980 m s.l.m.<br />

Otto stazioni si trovano su torrenti ad alimentazione strettamente glaciale, due (NB4 e NB5) su un<br />

tratto ad alimentazione mista ma con prevalenza <strong>di</strong> acque glaciali e le restanti si trovavano su<br />

torrenti alimentati da fonti <strong>di</strong>verse, quali nevai, piogge, falda e sorgenti. Tra queste, otto stazioni<br />

sono state scelte su emissari e sei su immissari dei Laghi Marmotte, Lungo e Nero. In questi tre<br />

laghi sono stati raccolti dati chimici, fisici e biologici nella zona pelagica e litorale.<br />

Tab. 5 ‐ Elenco delle stazioni <strong>di</strong> campionamento in or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> quota (m s.l.m.).<br />

Stazione quota (m s.l.m.) <strong>di</strong>stanza dalla sorgente (m) tipologia<br />

Im1M 2720 800 kryal<br />

Im2M 2710 80 kreno‐rhithral<br />

NB1bis 2703 50 kreno‐rhithral<br />

ImL1 2700 1361 kreno‐rhithral<br />

CR1 2694 634 kryal<br />

EmM1 2685 1273 emissario<br />

EmM2 2685 1273 emissario<br />

NB1 2650 60 kryal<br />

CR2 2642 1841 kryal<br />

EmN 2620 20 emissario<br />

ImL2 2600 1589 kreno‐rhithral<br />

EmL1 2540 80 emissario<br />

NB2bis 2526 996 kreno‐rhithral<br />

AR1 2455 88 pozza<br />

AR2 2455 41 krenal<br />

NB2 2455 1264 kryal<br />

EmM3 2350 2106 emissario<br />

nglSC 2310 1815 kreno‐rhithral<br />

glCTR 2310 1870 kryal<br />

AR5 2280 1 krenal<br />

NB3 2270 2250 kryal<br />

NB3bis 2270 2514 kreno‐rhithral<br />

51


Stazione quota (m s.l.m.) <strong>di</strong>stanza dalla sorgente (m) tipologia<br />

AR3 2265 30 krenal<br />

NB4* 2260 200 krenal<br />

NB4 2257 2660 glacio‐rhithral<br />

AR4 2255 0,5 krenal<br />

EmL2 2230 1036 emissario<br />

EmL3 2210 1100 emissario<br />

EmL4 2010 1506 emissario<br />

glR 1990 3032 kryal<br />

CR3 1985 1750 kreno‐rhithral<br />

NB5 1980 3861 glacio‐rhithral<br />

(Tab. 5 – continua)<br />

Di queste stazioni, nove (NB1, NB2, NB3, NB4, NB1bis, NB2bis, NB3bis, CR2, CR3) sono state<br />

campionate stagionalmente con protocollo completo (chimico, fisico e biologico). I numerosi stu<strong>di</strong><br />

della componente biotica sono stati svolti effettuando raccolte in set <strong>di</strong> stazioni scelte sulla base<br />

dello scopo delle singole ricerche. La tabella 5 elenca tutte la stazioni campionate, la loro quota,<br />

<strong>di</strong>stanza dalla sorgente, tipologia.<br />

Di seguito vengono descritte le 9 stazioni su cui è stata effettuata la maggior parte degli stu<strong>di</strong>.<br />

NB1: pendenza 0,25, substrato dominante sassi<br />

NB2: pendenza 0,01, substrato dominante sassi‐ciottoli‐ghiaia<br />

NB3: La stazione glaciale (NB3) si trova ad una <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> 2 km dal fronte della Vedretta de la<br />

Mare. Il substrato è instabile con predominanza <strong>di</strong> sassi e ciottoli e le rive sono parzialmente<br />

coperte da vegetazione erbacea. La velocità <strong>di</strong> corrente è elevata (2.0 ± 0.5 m/s), la larghezza<br />

dell’alveo è variabile (4‐20 m) e la temperatura me<strong>di</strong>a estiva è <strong>di</strong> 3.9 ± 1.4°C mentre quella<br />

invernale <strong>di</strong> 0.6 ± 0.4°C. Pendenza 0,02, substrato dominante sassi‐ciottoli‐ghiaia<br />

NB1bis: Pendenza: 0,01, substrato dominante: sassi‐ciottoli.<br />

NB2bis: Pendenza: 0,01, substrato dominante: ghiaia.<br />

NB3bis: La stazione non glaciale (NB3bis) è a 2.5 km dalla sorgente ed ha, al contrario del torrente<br />

glaciale, un substrato stabile con dominanza <strong>di</strong> ciottoli e rive stabilizzate da vegetazione erbacea e<br />

muschi. La velocità <strong>di</strong> corrente è ridotta (0.7 ± 0.2 m/s), la larghezza dell’alveo (3 m) è stabile e la<br />

temperatura me<strong>di</strong>a estiva è <strong>di</strong> 5.1 ± 1.8°C mentre quella invernale <strong>di</strong> 1.9 ± 0.8°C (Fig. 2). Pendenza:<br />

0,01, substrato dominante: sassi‐ciottoli‐ghiaia.<br />

NB4: Nella stazione alla confluenza della NB3 e NB3bis si trova nuovamente un substrato instabile<br />

con dominanza <strong>di</strong> ciottoli e ghiaia. In sinistra orografica la riva ha copertura vegetale erbacea<br />

mentre in destra orografica è priva <strong>di</strong> vegetazione. Le tre stazioni sono state campionate nel corso<br />

52


dell’estate ad intervalli <strong>di</strong> quin<strong>di</strong>ci giorni e ogni mese in inverno. Pendenza: 0,03, substrato<br />

dominante: ciottoli‐ghiaia.<br />

CR2: Stazione localizzata sul rio Careser, circa un centinaio <strong>di</strong> metri a monte del bacino del Careser.<br />

La stazione si trova a valle della confluenza del torrente glaciale con il suo tributario non glaciale<br />

principale. Il substrato, dominato da ciottoli e ghiaia, è instabile. Le rive sono per lo più prive <strong>di</strong><br />

vegetazione.<br />

CR3: Stazione posta a sul tratto del rio Careser a valle della <strong>di</strong>ga omonima. Questo corso d’acqua è<br />

l’unico fra quelli campionati a trovarsi al <strong>di</strong>sotto della linea degli alberi. La stazione è situata a valle<br />

della confluenza del rio Careser con il rio Lago Lungo. La portata e il flusso sono costanti.<br />

Stazione NB1. Stazione NB2.<br />

Confluenza tra Noce Bianco (stazione NB3, destra orografica) e Rio Larcher (stazione NB3bis, sinistra<br />

orografica), e la stazione NB4 posta a valle della loro confluenza.<br />

53


Stazione CR2. Stazione CR3.<br />

Area rifugio (sorgente minerale).<br />

Pozza glaciale.<br />

54


4. LA COMPONENTE BIOTICA<br />

Le ricerche in campo biologico hanno riguardato le alghe (periphyton) e la fauna <strong>di</strong> ambienti<br />

bentonici (zoobenthos) e iporreici.<br />

Il periphyton era rappresentato quasi esclusivamente da <strong>di</strong>atomee (o bacillarioficee), alghe<br />

unicellulari microscopiche che vivono libere o aderenti al substrato in ambienti d’acqua dolce e<br />

salata. Alcune specie formano colonie nastriformi o a forma <strong>di</strong> ventaglio. Le <strong>di</strong>atomee<br />

costituiscono probabilmente la più grande classe <strong>di</strong> alghe, con quasi 20.000 specie attualmente<br />

note. Queste alghe, che al microscopio appaiono come delle piccole scatole rotonde o allungate,<br />

hanno la parete cellulare (detta frustolo) costituita da silice. Il frustolo è formato da due valve,<br />

l’epiteca (superiore) e l’ipoteca (inferiore), e l’epiteca si incastra perfettamente sull’ipoteca come<br />

un coperchio con la sua scatola. La componente silicea della parete cellulare delle <strong>di</strong>atomee è<br />

scarsamente attaccata dai processi degenerativi che agiscono sul resto della cellula; in questo<br />

modo le loro valve si accumulano sui fondali acquatici formando depositi detti <strong>di</strong> farina fossile (o<br />

<strong>di</strong>atomite).. Le <strong>di</strong>atomee fossili più antiche risalgono all’inizio del Cretaceo, 135 milioni <strong>di</strong> anni fa.<br />

Tra le <strong>di</strong>atomee si <strong>di</strong>stinguono due or<strong>di</strong>ni: Centrales e Pennales. Nelle prime, il frustolo presenta<br />

una simmetria ra<strong>di</strong>ale o concentrica, mentre la simmetria delle seconde è bilaterale con forma più<br />

allungata. La maggior parte delle Pennales è provvista <strong>di</strong> rafe: un organello che permette loro <strong>di</strong><br />

strisciare sul substrato con una velocità che può raggiungere i 20 µm al secondo (1µm = 1/1000<br />

mm). Circa il 90% delle <strong>di</strong>atomee d’acqua dolce appartiene a quest’or<strong>di</strong>ne. Le <strong>di</strong>mensioni variano<br />

da 1‐2 µm fino a 100 µm e anche all’interno <strong>di</strong> una stessa specie si possono verificare profonde<br />

<strong>di</strong>fferenze. Le più gran<strong>di</strong> sono alcune <strong>di</strong>atomee tropicali visibili ad<strong>di</strong>rittura ad occhio nudo. Le<br />

<strong>di</strong>atomee si riproducono sia per via asessuale che sessuale. Quella asessuale (più comune) avviene<br />

per scissione: da una cellula madre si formano per <strong>di</strong>visione mitotica due cellule figlie più piccole.<br />

La riproduzione sessuale è caratteristica della stagione fredda e avviene attraverso l’unione <strong>di</strong> due<br />

gameti, con conseguente formazione <strong>di</strong> uno zigote. Da questo si forma una spora (l’auxospora),<br />

che rappresenta la forma <strong>di</strong> resistenza a con<strong>di</strong>zioni ambientali avverse. La ricchezza in specie è<br />

influenzata anche da minime variazioni ambientali e costituisce quin<strong>di</strong> un eccellente strumento <strong>di</strong><br />

valutazione ecologica. Le <strong>di</strong>atomee vengono considerate preziosi in<strong>di</strong>catori ecologici in quanto<br />

rispondono <strong>di</strong>rettamente ed in modo molto sensibile a cambiamenti fisici, chimici, biologici quali la<br />

temperatura, la concentrazione dei nutrienti, il livello <strong>di</strong> aci<strong>di</strong>tà e la presenza <strong>di</strong> sostanze<br />

inquinanti. Le forme <strong>di</strong> resistenza permettono loro <strong>di</strong> colonizzare ambienti estremi, quali i torrenti<br />

d’alta quota, che possono gelare o andare in secca durante il lungo periodo invernale. Esiste una<br />

profonda <strong>di</strong>fferenza nella <strong>di</strong>stribuzione delle <strong>di</strong>atomee rispetto all’origine del corso d’acqua:<br />

tipicamente, nei torrenti non glaciali sono molto più abbondanti sia per numero <strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidui che<br />

per numero <strong>di</strong> specie mentre in quelli <strong>di</strong> origine glaciale possono essere ad<strong>di</strong>rittura assenti. Per la<br />

raccolta si è seguito il protocollo usato per l’analisi della clorofilla.<br />

Con il termine zoobenthos si identifica in maniera generale quella “categoria” <strong>di</strong> animali che, con<br />

varie modalità, vive legata al fondo degli ambienti acquatici. Questo raggruppamento ecologico,<br />

che solitamente rappresenta una componente importante della biocenosi fluviale, svolge un ruolo<br />

dominante ed esclusivo nei torrenti montani. Una prima “classificazione” degli organismi<br />

55


entonici, priva <strong>di</strong> qualsiasi valore tassonomico, viene fatta in relazione alle <strong>di</strong>mensioni corporee.<br />

Tutti quegli animali che passano attraverso un retino con vuoto <strong>di</strong> maglia <strong>di</strong> 0,5 mm, ma sono<br />

trattenuti da uno <strong>di</strong> 0,06 mm, vengono chiamati “meiofauna”, hanno taglia inferiore al mm e sono<br />

rappresentati da oligocheti, nemato<strong>di</strong>, acari, crostacei copepo<strong>di</strong> e ostraco<strong>di</strong>. Questi organismi<br />

popolano e caratterizzano l’ambiente interstiziale. Al <strong>di</strong>sotto del limite <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni della<br />

meiofauna, esisite una microfauna, rappresentata da protozoi, nemato<strong>di</strong> e sta<strong>di</strong> giovanili <strong>di</strong><br />

organismi <strong>di</strong> maggiori <strong>di</strong>mensioni. Tuttavia questa fauna è poco stu<strong>di</strong>ata nei corsi d’acqua e non è<br />

stata oggetto d’indagine nelle nostre ricerche, pertanto non verrà descritta in questa sede. Infine<br />

lo zoobenthos che viene trattenuto da un retino con vuoto <strong>di</strong> maglia <strong>di</strong> 0,5 mm prende il nome <strong>di</strong><br />

“macrofauna” e raggruppa tutti quegli organismi genericamente in<strong>di</strong>cati come macroinvertebrati<br />

Quest’ultimi hanno grossolanamente taglia uguale o superiore al mm, e rappresentano la<br />

componente faunistica dominante nei corsi d’acqua, occupando nella struttura trofica <strong>di</strong> questi<br />

ambienti tutti i livelli dei consumatori, e mostrando una vasta gamma <strong>di</strong> meccanismi <strong>di</strong> nutrizione<br />

che li rendono capaci <strong>di</strong> sfruttare al massimo le risorse alimentari <strong>di</strong>sponibili. La stragrande<br />

maggioranza dei macroinvertebrati appartiene agli or<strong>di</strong>ni dei <strong>di</strong>tteri, plecotteri, efemerotteri,<br />

tricotteri, coleotteri, eterotteri, odonati. I primi quattro comprendono la maggior parte delle<br />

specie e la loro abbondanza relativa caratterizza le <strong>di</strong>verse tipologie e i <strong>di</strong>versi tratti fluviali. Così,<br />

se in alto dominano i <strong>di</strong>tteri, scendendo verso valle si assiste generalmente ad un aumento prima<br />

dei plecotteri, quin<strong>di</strong> degli efemerotteri e dei tricotteri. Oltre alle larve <strong>di</strong> insetti, la fauna fluviale<br />

invertebrata comprende oligocheti, crostacei, gasteropo<strong>di</strong>, bivalvi, iru<strong>di</strong>nei e pochi altri taxa rari.<br />

Nei torrenti d’alta quota tuttavia solamente i primi due sono presenti, a volte con buon numero <strong>di</strong><br />

in<strong>di</strong>vidui. Il <strong>di</strong>verso contributo <strong>di</strong> acque provenienti da fusione glaciale, nevai, sorgenti e<br />

precipitazioni genera sensibili <strong>di</strong>fferenze nel regime idrologico e nelle qualità fisiche delle acque,<br />

influenzando la <strong>di</strong>stribuzione della comunità zoobentonica, che varia fortemente spostandosi dalla<br />

sorgente verso valle. È noto che all’aumentare della quota e all’aumentare del grado <strong>di</strong> “glacialità”<br />

<strong>di</strong> un corso d’acqua si osserva una progressiva riduzione della bio<strong>di</strong>versità. Per quel che concerne<br />

lo stu<strong>di</strong>o dello zoobenthos <strong>di</strong> laghi montani questo appare sicuramente poco sviluppato in Italia<br />

soprattutto se confrontato con l’attenzione che la limnologia ha riservato alla componente fito‐ e<br />

zooplantonica. Solamente nell’ultimo decennio alcune ricerche sono state mirate alla struttura e<br />

funzione della comunità zoobentonica <strong>di</strong> laghi alpini. Mentre nei corsi d’acqua gli organismi<br />

macrobentonici utilizzano primariamente le risorse alimentari trasportate dal continuo fluire della<br />

corrente, nei laghi la <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> nutrimento avviene invece principalmente per deposito e<br />

accumulo sul fondo dei materiali organici, provenienti dal <strong>di</strong>lavamento dei terreni circostanti o da<br />

eventuali immissari, e dagli organismi lacustri morti. Per questo motivo il benthos lacustre<br />

<strong>di</strong>pende, per la sua nutrizione, principalmente dal ciclo della decomposizione; sono scarsi o assenti<br />

gli organismi filtratori, tipici <strong>di</strong> acque correnti, e molti dei gruppi reofili.<br />

In generale, negli ambienti acquatici <strong>di</strong> alta quota, lo zoobenthos è rappresentato a grande<br />

maggioranza da sta<strong>di</strong> larvali <strong>di</strong> insetti. Questi, infatti, oltre a caratterizzare decisamente il mondo<br />

degli invertebrati terrestri, sia come numero <strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidui che come numero <strong>di</strong> specie, svolgono un<br />

ruolo primario nelle acque correnti. Tuttavia, a <strong>di</strong>fferenza dell’ambiente aereo, gli invertebrati che<br />

popolano i torrenti montani devono affrontare e superare nel corso della loro vita due principali<br />

ostacoli: la velocità della corrente e il freddo che, in con<strong>di</strong>zioni estreme, possono <strong>di</strong>ventare<br />

proibitivi per la vita.<br />

56


Per quanto riguarda la velocità <strong>di</strong> corrente, numerosi sono gli adattamenti sviluppati per evitare <strong>di</strong><br />

essere trascinati a valle: alcuni Efemerotteri ad esempio, mostrano un corpo molto appiattito, con<br />

zampe proiettate lateralmente proprio allo scopo <strong>di</strong> aumentare il contatto col substrato ed evitare<br />

il più possibile la forza della corrente, rimanendo in un microhabitat particolare detto strato limite<br />

o boundary layer. Questo è uno strato d’acqua spesso 1‐4 mm che si trova sopra la superficie dei<br />

substrati dove, per ragioni <strong>di</strong> attrito, la velocità della corrente è fortemente ridotta. Tale tipo <strong>di</strong><br />

adattamento tuttavia non può essere interpretato come una regola generale in quanto ci sono<br />

alcuni animali molto piccoli che riescono a rimanere nello strato limite anche senza avere un corpo<br />

appiattito come avviene ad esempio per alcuni Coleotteri; allo stesso tempo ce ne sono altri che<br />

pur presentando un corpo appiattito non vivono esposti all’azione <strong>di</strong>retta della corrente come<br />

succede ad esempio negli Iru<strong>di</strong>nei e Planarie. In questo caso, infatti, la forma appiattita serve per<br />

nascondersi sotto le rocce ed evitare completamente la corrente, piuttosto che resistergli. Una<br />

forma genericamente idro<strong>di</strong>namica è ideale per offrire un minimo <strong>di</strong> resistenza ed è comune a<br />

moltissimi gruppi <strong>di</strong> macroinvertebrati. Una forma fusiforme è invece idonea per i<br />

macroinvertebrati bentonici in grado <strong>di</strong> spostarsi nuotando attivamente. Un dorso molto levigato<br />

può inoltre contribuire a mo<strong>di</strong>ficare il flusso d’acqua da turbolento a laminare. Un ulteriore ed<br />

efficace adattamento per resistere alla corrente è la presenza <strong>di</strong> ventose con le quali gli organismi<br />

aderiscono a substrati molto levigati, che permettono loro <strong>di</strong> resistere ad alte velocità <strong>di</strong> corrente.<br />

Anche gli Iru<strong>di</strong>nei sono provvisti <strong>di</strong> ventose anche se <strong>di</strong> rado si espongono <strong>di</strong>rettamente alla<br />

corrente, per cui si può parlare <strong>di</strong> un adattamento secondario. Per i molluschi Gasteropo<strong>di</strong> è il<br />

piede che crea la pressione negativa che permette l’adesione. Altri macroinvertebrati usano la<br />

tattica <strong>di</strong> aumentare il contatto tra la parte ventrale del loro corpo e il substrato in modo da<br />

incrementare la resistenza per frizione; ciò può essere ottenuto me<strong>di</strong>ante strutture apposite,<br />

come gli sterniti addominali circondati o ricoperti <strong>di</strong> densa pelosità o mo<strong>di</strong>ficazioni <strong>di</strong> strutture<br />

pre‐esistenti, come il primo paio <strong>di</strong> branchie allargate <strong>di</strong> alcune specie <strong>di</strong> Efemerotteri. Molti<br />

artropo<strong>di</strong> hanno poi zampe dotate <strong>di</strong> robuste unghie con le quali si ancorano al substrato o, come<br />

accade nei Tricotteri, appen<strong>di</strong>ci addominali terminali portanti all’estremità un’unghia robusta,<br />

dette pigopo<strong>di</strong>. Un’ultima strategia per contrastare la forza della corrente è quella adottata dai<br />

Tricotteri, che consiste nel costruirsi un astuccio protettivo il più delle volte avente un certo peso e<br />

che funge quin<strong>di</strong> da zavorra oltre che da protezione per l’addome. Oltre agli adattamenti<br />

morfologici sono presenti anche adattamenti comportamentali per resistere alla corrente: nella<br />

maggior parte dei casi i macroinvertebrati non si muovono me<strong>di</strong>ante nuoto attivo ma si muovono<br />

strisciando sul substrato o lasciandosi trasportare dalla corrente e comunque tendono ad evitare<br />

la corrente troppo forte rimanendo nello strato limite, o rifugiandosi sotto le rocce, nelle fen<strong>di</strong>ture<br />

<strong>di</strong> esse, o sotto la ghiaia o rimanendo nelle zone a corrente debole. Questo tipo <strong>di</strong> comportamento<br />

può essere facilmente osservato negli Anfipo<strong>di</strong>, che sono cattivi nuotatori e sono sprovvisti <strong>di</strong><br />

meccanismi <strong>di</strong> adesione. Nei fiumi <strong>di</strong> più gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni, nei quali la corrente è sensibilmente<br />

più forte al centro, questi animali hanno popolazioni più abbondanti lungo le rive dove la corrente<br />

è più debole. Nonostante il nuoto attivo sia poco <strong>di</strong>ffuso tra i macroinvertebrati molti affrontano<br />

comunque la corrente muovendosi contro <strong>di</strong> essa in modo da contrastare il fenomeno del (Scheda<br />

5), che prevede il trascinamento degli organismi verso valle causato dalla corrente. Il drift<br />

rappresenta un evento importante per la biologia sia <strong>di</strong> un corso d’acqua sia degli animali:<br />

me<strong>di</strong>ante il drift si possono infatti colonizzare nuove aree ed in questo modo le popolazioni che<br />

hanno una crescita eccessiva possono trovare nuove nicchie da occupare.<br />

57


La resistenza al freddo è invece un adattamento che si è sviluppato con maggiore <strong>di</strong>fficoltà nel<br />

corso dell’evoluzione, tanto che la temperatura è considerata uno dei fattori che maggiormente<br />

determina la <strong>di</strong>stribuzione e l’ecologia degli invertebrati terrestri e acquatici, a causa della sua<br />

influenza su deposizione e schiusa delle uova, tassi <strong>di</strong> crescita, accoppiamento, strategie<br />

riproduttive, modelli <strong>di</strong> attività, regimi alimentari, ecc. Gli invertebrati che vivono ad elevate<br />

altitu<strong>di</strong>ni e latitu<strong>di</strong>ni hanno evoluto varie strategie per superare il lungo e rigido inverno, durante il<br />

quale la presenza della copertura nevosa e/o <strong>di</strong> ghiaccio, la siccità, il forte vento, le rigide<br />

temperature, la scarsità <strong>di</strong> cibo rappresentano i nemici più temibili. Gli invertebrati che vivono nei<br />

torrenti possono sfruttare la corrente per trasferirsi più a valle e quin<strong>di</strong> sfuggire al pericolo <strong>di</strong><br />

congelamento o <strong>di</strong> essiccamento, oppure possono trovare rifugio nelle acque sotterranee.<br />

Tuttavia, molti invertebrati, soprattutto insetti, superano l’inverno senza spostarsi grazie a una<br />

serie <strong>di</strong> adattamenti fisiologici, biochimici, morfologici, comportamentali ed ecologici: per esempio<br />

la produzione <strong>di</strong> melanina, la riduzione delle <strong>di</strong>mensioni, lo sviluppo <strong>di</strong> una fitta peluria, la<br />

nutrizione e l’accoppiamento a terra anziché in volo, cui si associa la riduzione o scomparsa delle<br />

ali, la costruzione <strong>di</strong> bozzoli, la quiescenza, la <strong>di</strong>apausa e la resistenza al freddo. Un adattamento<br />

più complessa è la quiescenza, è una risposta <strong>di</strong>retta e temporanea a con<strong>di</strong>zioni sfavorevoli che<br />

viene sospesa appena si ripristina la con<strong>di</strong>zione favorevole, mentre la <strong>di</strong>apausa, pur essendo<br />

anch’essa una risposta <strong>di</strong>retta a con<strong>di</strong>zioni sfavorevoli, una volta iniziata non può essere sospesa<br />

fino a quando non sia trascorso un certo perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> tempo. Negli insetti acquatici entrano in<br />

<strong>di</strong>apausa le uova o le larve mature, raramente le pupe e quasi mai l’adulto. Il fotoperiodo è uno<br />

dei fattori che controllano la transizione da uno stato fisiologico all’altro: in ambiente artico, ad<br />

esempio, la <strong>di</strong>apausa può durare per molti anni, finché le con<strong>di</strong>zioni ambientali non <strong>di</strong>ventano<br />

effettivamente favorevoli.<br />

La resistenza al freddo, ovvero la capacità <strong>di</strong> sopravvivere esposti a temperature al <strong>di</strong> sotto dello<br />

zero per un periodo prolungato (anche <strong>di</strong>versi mesi a – 40/‐50 °C) senza subire danno si può<br />

ottenere attraverso adattamenti <strong>di</strong>scussi nella Scheda 4.<br />

Scheda 4<br />

Adattamenti degli invertebrati alle basse temperature<br />

<strong>di</strong> Valeria Lencioni<br />

Le zone a elevata altitu<strong>di</strong>ne o latitu<strong>di</strong>ne hanno in comune con<strong>di</strong>zioni ambientali “estreme”,<br />

caratterizzate dagli stessi fattori limitanti da: un esteso periodo <strong>di</strong> copertura nivale/glaciale (da 6 a<br />

10 mesi all’anno); una breve stagione <strong>di</strong> crescita (concentrata nel periodo privo <strong>di</strong> copertura<br />

nivale/glaciale); una ridotta quantità e qualità delle risorse alimentari; un elevato rischio <strong>di</strong> siccità;<br />

ridotte precipitazioni; suolo <strong>di</strong> bassa qualità; forti venti e temperature molto basse con elevate<br />

escursioni termiche giornaliere e stagionali, specialmente in microhabitat terrestri esposti e in<br />

stagni poco profon<strong>di</strong> e in piccoli corsi d’acqua. Sia in ambienti acquatici che terrestri, la<br />

temperatura è vicina al minimo fisiologico della vita degli insetti, e poche specie sono in grado <strong>di</strong><br />

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egolare il loro metabolismo in modo da essere attive in tali con<strong>di</strong>zioni e completare i loro cicli<br />

vitali. La capacità <strong>di</strong> sopravvivere in ambienti ad elevate latitu<strong>di</strong>ni ed altitu<strong>di</strong>ni deriva da una serie<br />

<strong>di</strong> adattamenti ancora poco stu<strong>di</strong>ati negli insetti acquatici.<br />

Gli insetti acquatici generalmente sono soggetti a con<strong>di</strong>zioni meno estreme degli insetti terrestri,<br />

poiché l’acqua riduce le variazioni <strong>di</strong> temperatura e la corrente riduce la formazione del ghiaccio.<br />

Gli insetti acquatici quin<strong>di</strong> sono sottoposti a cambiamenti stagionali più graduali, e possono<br />

sfruttare perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> crescita più lunghi <strong>di</strong> quelli terrestri. Alle elevate latitu<strong>di</strong>ni e altitu<strong>di</strong>ni, la<br />

formazione del ghiaccio è la variabile che più con<strong>di</strong>ziona la sopravvivenza della fauna d’acqua<br />

dolce, e quin<strong>di</strong> l’abbondanza e composizione delle comunità <strong>di</strong> invertebrati. Il congelamento, ma<br />

anche il <strong>di</strong>sseccamento e l’anossia, sono rischi potenzialmente letali per tutti gli sta<strong>di</strong> vitali degli<br />

insetti acquatici, dall’uovo all’adulto, e che sono anche tra i più grossi pericoli per gli sta<strong>di</strong> adulti <strong>di</strong><br />

tutti gli insetti acquatici. Infatti, con l’eccezione dei coleotteri e degli emitteri eterotteri, gli adulti<br />

sono terrestri e quin<strong>di</strong> affrontano gli stessi problemi <strong>di</strong> sopravvivenza degli insetti terrestri (forti<br />

venti e rapi<strong>di</strong> cambiamenti <strong>di</strong> temperatura dell’aria).<br />

Gli insetti acquatici sono quin<strong>di</strong> sottoposti a una duplice pressione: una agente sulla fase acquatica<br />

(larva) e una sulla fase terrestre (adulto). È stato <strong>di</strong>mostrato che tale <strong>di</strong>cotomia tende a ridurre o<br />

anche a eliminare una delle due fasi, generalmente quella terrestre, rappresentata da adulti fragili,<br />

suscettibili al <strong>di</strong>sseccamento e alla <strong>di</strong>spersione tramite il vento. Durante i perio<strong>di</strong> fred<strong>di</strong>, gli sta<strong>di</strong><br />

acquatici comunemente rimangono o si spostano nelle zone del corpo d’acqua che non si<br />

congelano o prosciugano (per es.: acque profonde dei laghi, sorgenti e zone iporreica) e dove si<br />

possono mantenere attivi. Meno frequentemente essi emigrano in habitat che congelano all’inizio<br />

dell’inverno. Gli insetti hanno sviluppato una serie complessa <strong>di</strong> strategie per la resistenza al<br />

freddo, ovvero la capacità <strong>di</strong> sopravvivere esposti a temperature al <strong>di</strong> sotto dello zero, pari al<br />

minimo fisiologico per un periodo prolungato (anche <strong>di</strong>versi mesi a – 40/‐50 °C) senza subire<br />

danno e sopravvivere, che comprendono adattamenti: a) morfologici (melanismo, riduzione in<br />

taglia, per<strong>di</strong>ta o acquisto <strong>di</strong> peli; brachitterismo e atterismo); b) comportamentali (esposizione ai<br />

raggi solari, cambiamenti nelle abitu<strong>di</strong>ni alimentari e <strong>di</strong> ricerca del partner, partenogenesi e<br />

poliploi<strong>di</strong>a); c) ecologico (estensione dello sviluppo per numerosi anni tramite quiescenza e<br />

<strong>di</strong>apausa e riduzione del numero <strong>di</strong> generazioni per anno) d) fisiologici e biochimici (tolleranza al<br />

congelamento e evitamento del congelamento). La maggior parte delle specie sviluppa una<br />

combinazione <strong>di</strong> queste strategie <strong>di</strong> sopravvivenza, che possono <strong>di</strong>fferire tra la fase acquatica e<br />

quella terrestre.<br />

Sia negli insetti tolleranti il congelamento che in quelli non tolleranti, in estate vengono<br />

accumulate riserve <strong>di</strong> lipi<strong>di</strong> e glicogeno che vengono poi trasformati in crioprotettori e anti‐<br />

congelanti nel tardo autunno/inizio inverno. Questa preparazione al superamento dell’inverno<br />

consiste in un processo <strong>di</strong> acclimatazione stimolato principalmente da una <strong>di</strong>minuzione della<br />

temperatura, ma anche dall’accorciamento della lunghezza del giorno, dalla scarsità <strong>di</strong> fonti <strong>di</strong><br />

cibo, dall’aumento <strong>di</strong> parassiti, etc.<br />

L’evitamento del congelamento e la tolleranza al congelamento possono essere accompagnati<br />

dalla <strong>di</strong>apausa. Entrambi i fenomeni si manifestano durante la stagione sfavorevole e includono<br />

l‘immagazzinamento <strong>di</strong> risorse energetiche (comunemente glicogeno e lipi<strong>di</strong>), sono sotto controllo<br />

ormonale (ec<strong>di</strong>sone e ormone giovanile), includono la depressione o soppressione del<br />

metabolismo ossidativo con degradazione mitocondriale.<br />

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La quiescenza è una risposta <strong>di</strong>retta e temporanea a con<strong>di</strong>zioni sfavorevoli che viene sospesa<br />

appena si ripristina la con<strong>di</strong>zione favorevole, mentre la <strong>di</strong>apausa, pur essendo anch’essa una<br />

risposta <strong>di</strong>retta a con<strong>di</strong>zioni sfavorevoli, una volta iniziata non può essere sospesa fino a quando<br />

non sia trascorso un certo periodo <strong>di</strong> tempo. Negli insetti acquatici entrano in <strong>di</strong>apausa le uova o<br />

le larve mature, raramente le pupe e quasi mai l’adulto. Il fotoperiodo è uno dei fattori che<br />

controllano la transizione da uno stato fisiologico all’altro. In ambiente artico la <strong>di</strong>apausa può<br />

durare per molti anni, finché le con<strong>di</strong>zioni ambientali non <strong>di</strong>ventano effettivamente favorevoli.<br />

Tuttavia, quando la stagione <strong>di</strong> crescita è limitata a poche settimane, gli insetti possono sviluppare<br />

la resistenza al freddo senza entrare in <strong>di</strong>apausa, mantenendo nell’emolinfa un’elevata<br />

concentrazione <strong>di</strong> proteine anticongelanti per tutto l’anno, e una crescita lenta ma continua.<br />

La capacità <strong>di</strong> resistere a prolungate esposizioni a temperature sotto lo zero senza danno è<br />

ottenuta con due meccanismi: tollerando il freddo (ibernazione) e/o evitando il congelamento<br />

(super‐raffreddamento). Gli insetti che non hanno questa capacità, se esposti anche per brevi<br />

perio<strong>di</strong> a temperature sottozero prima entrano in uno stato <strong>di</strong> stupore o torpore (l’animale cessa<br />

<strong>di</strong> alimentarsi e limita i suoi movimenti), poi entrano in coma (l’animale cessa ogni attività e<br />

mantiene un basso tasso <strong>di</strong> metabolismo), ed infine muoiono congelati. La resistenza al freddo è<br />

necessaria in inverno, ma alle alte latitu<strong>di</strong>ni, dove la stagione <strong>di</strong> crescita dura solo poche<br />

settimane, essa è necessaria anche in estate. Negli insetti acquatici il super‐raffreddamento è più<br />

frequente dell’ibernazione, mentre il contrario è stato osservato per gli insetti terrestri, poiché<br />

l’acqua agisce da tampone termico per le variazioni <strong>di</strong> temperatura.<br />

L’ibernazione comprende il congelamento dei flui<strong>di</strong> extracellulari e, solo raramente, il completo<br />

congelamento dei tessuti. Il congelamento dell’emolinfa comincia lentamente a temperature<br />

sottozero relativamente elevate (da ‐5 a –10 °C), in modo che l’insetto possa controllare la<br />

formazione <strong>di</strong> cristalli <strong>di</strong> ghiaccio, che è iniziata da specifiche sostanze che agiscono come<br />

nucleatori <strong>di</strong> ghiaccio (Ice Nucleating Agents, o INAs), <strong>di</strong> origine endogena o esogena. Gli INA<br />

endogeni sono generalmente proteine o lipoproteine che vengono sintetizzate dall’insetto e<br />

depositate nell’emolinfa, mentre gli INA esogeni possono essere materiale organico presente nel<br />

canale alimentare (particelle <strong>di</strong> cibo) o particelle minerali <strong>di</strong> terreno, polveri, microorganismi<br />

inoculati attraverso la cuticola. La crescita dei cristalli <strong>di</strong> ghiaccio avviene intorno a questi nuclei, e<br />

coinvolge tutte le molecole <strong>di</strong> acqua non legate, che vengono spinte ad assumere la<br />

configurazione esagonale dei cristalli <strong>di</strong> ghiaccio. La temperatura alla quale inizia la formazione e la<br />

crescita dei cristalli <strong>di</strong> ghiaccio è definita e controllata da sostanze specifiche sintetizzate a tale<br />

scopo dall’insetto, i crioprotettori e gli anticongelanti. Essi sono rappresentati sia da sostanze a<br />

basso peso molecolare (polioli quali glicerolo, mannitolo e glicerolo; zuccheri quali glucosio,<br />

fruttosio, tetralosio; amminoaci<strong>di</strong> quali l’alanina) che sono altamente solubili in acqua e hanno<br />

proprietà colligative (molecole liganti l’acqua), che da sostanze ad elevato peso molecolare.<br />

Queste ultime, chiamate THP (Thermal Hysteresis Proteins), sono proteine simili a quelle<br />

sintetizzate dai pesci che passano l’inverno nelle acque profonde polari; tali proteine sono presenti<br />

anche nella matrice cellulare. Complessivamente, queste sostanze abbassano il punto do<br />

congelamento dei flui<strong>di</strong> corporei che in molti insetti è intorno ai ‐10 °C, proteggono le<br />

macromolecole dai danni del congelamento, stabilizzano le proteine e gli enzimi contro la<br />

denaturazione dovuta al freddo, riducono la possibilità <strong>di</strong> formazione dei cristalli <strong>di</strong> ghiaccio,<br />

evitano la ricristallizzazione del ghiaccio durante i cicli <strong>di</strong> congelamento/scongelamento invernali o<br />

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durante lo scongelamento primaverile. Inoltre, essi rappresentano una riserva <strong>di</strong> amminoaci<strong>di</strong>,<br />

acqua e carbonio <strong>di</strong>sponibili in la primavera, quando il ghiaccio si scioglie.<br />

Gli insetti che tollerano il congelamento passano l’inverno un uno stato parzialmente <strong>di</strong>sidratato,<br />

infatti i crioprotettori e gli anticoagulanti a basso peso molecolare, accumulati nell’emolinfa,<br />

aumentano la pressione osmotica dei liqui<strong>di</strong> extracellulari e così richiamano acqua dalla matrice<br />

cellulare e ne riducono il rischio <strong>di</strong> congelamento. Una volta nell’emolinfa, l’acqua può essere<br />

utilizzata per la formazione <strong>di</strong> cristalli <strong>di</strong> ghiaccio, può legarsi a crioprotettori e anticongelanti o, se<br />

l’insetto rimane nel substrato congelato, può essere eliminata attraverso la cuticola. Per gli insetti<br />

ibernanti la morte sopraggiunge quando l’esposizione a temperature <strong>di</strong> molti gra<strong>di</strong> sotto lo zero (‐<br />

30/‐50 °C) si protrae per molti mesi consecutivi, o se essi vengono esposti a temperature ancora<br />

più basse (‐60/‐80 °C) anche per brevissimi perio<strong>di</strong>, o ancora se si verificano più cicli consecutivi <strong>di</strong><br />

gelo e <strong>di</strong>sgelo. Generalmente, una volta congelati, gli insetti possono sopravvivere a<br />

un’esposizione a ‐40/‐80 °C per perio<strong>di</strong> brevi o a temperature <strong>di</strong> ‐20/‐40 °C per molti mesi.<br />

L’ibernazione è stata osservata in empi<strong>di</strong><strong>di</strong>, chironomi<strong>di</strong> (soprattutto Diamesinae e<br />

Orthocla<strong>di</strong>inae), odonati e in molti taxa non <strong>di</strong> insetti (oligocheti, sanguisughe, ostraco<strong>di</strong>,<br />

cladoceri, molluschi e acari acquatici).<br />

Il super‐raffreddamento, più comune tra gli insetti acquatici, è dato dal mantenimento dei flui<strong>di</strong><br />

corporei in uno stato non congelato a temperature molto più basse del punto naturale <strong>di</strong><br />

congelamento, spostando il punto <strong>di</strong> congelamento da –5/‐10°C (come è per la maggior parte degli<br />

insetti) a –20/‐25 °C. Per abbassare il punto <strong>di</strong> congelamento, all’inizio dell’inverno le larve<br />

eliminano le sostanze contenute nel canale <strong>di</strong>gerente che potrebbero funzionare come nucleatori<br />

<strong>di</strong> ghiaccio, e sintetizzano nell’emolinfa larghe quantità <strong>di</strong> crioprotettori e anticongelanti della<br />

stessa natura <strong>di</strong> quelli accumulati dalle forme ibernanti, soprattutto quelli a basso peso<br />

molecolare. Queste sostanze possono raggiungere elevate concentrazioni nel sangue, viene<br />

accumulato frequentemente il glicerolo, che in alcuni insetti può raggiungere una concentrazione<br />

pari a 10‐14% del peso fresco dell’animale, e in alcuni casi a ‐20/‐ 30 °C si verifica un processo <strong>di</strong><br />

vetrificazione a causa <strong>di</strong> tale elevata concentrazione: i cristalli <strong>di</strong> ghiaccio sono assenti e l’emolinfa<br />

è in uno stato vitreo (non‐cristallino). Il super‐raffreddamento è stato osservato più<br />

frequentemente nelle larve <strong>di</strong> insetti acquatici, e in alcuni casi anche negli adulti.<br />

Nei torrenti glaciali i Chironomi<strong>di</strong> sono la famiglia <strong>di</strong> insetti più rappresentata, sia in termini <strong>di</strong><br />

numero <strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidui che <strong>di</strong> specie. Tra queste devono essere citate le specie stenoterme fredde<br />

appartenenti a Diamesa, il genere più frequente ed abbondante, noto per avere optimum <strong>di</strong><br />

temperatura attorno a 4‐6°C. Ditteri simuli<strong>di</strong>, tipulid, culici<strong>di</strong>, empi<strong>di</strong><strong>di</strong> e limonii<strong>di</strong> sono anche<br />

frequenti in acque fredde, oltre a plecotteri, efemerotterie tricotteri.<br />

L’aumento della temperatura dell’aria e la mo<strong>di</strong>ficazione del regime delle precipitazioni in corso a<br />

livello globale stanno alterando il regime idrologico e termico dei corsi d’acqua, in particolare <strong>di</strong><br />

quelli ad alimentazione glaciale. Nel 2003, e fino al termine del 2006, il MTSN‐MdS ha sviluppato la<br />

ricerca Valenza Ecologica dello Zoobenthos <strong>di</strong> Torrenti Alpini (VETTA), che si pone l’obiettivo <strong>di</strong><br />

stu<strong>di</strong>are le strategie <strong>di</strong> colonizzazione e <strong>di</strong> sopravvivenza degli invertebrati acquatici in ambienti<br />

"estremi", valutando la riposta all'essiccamento e allo shock termico da freddo e da calore in<br />

specie target "estremofile" <strong>di</strong> invertebrati stenotermi fred<strong>di</strong> (Chironomi<strong>di</strong> Diamesini e Tar<strong>di</strong>gra<strong>di</strong>)<br />

potenzialmente minacciate <strong>di</strong> estinzione. Nei laboratori del MTSN‐MdS sono in corso sugli<br />

61


adattamenti fisiologici e biochimici in larve <strong>di</strong> Diamesa spp. esposte ad alte e basse temperature,<br />

in cui vengono valutate la termotolleranza basale e la temperatura letale (LT50) in seguito a shock<br />

termico da calore in larve al IV sta<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Diamesa spp.<br />

Le larve sono state raccolte dal torrente glaciale Noce Bianco in Val de la Mare (1300‐2600 m<br />

s.l.m., Trentino) e acclimatate in laboratorio alla temperatura <strong>di</strong> 4°C (temperatura me<strong>di</strong>a<br />

dell’acqua dei torrenti <strong>di</strong> provenienza) per 24 ore. Le larve <strong>di</strong> ciascuna specie o gruppo <strong>di</strong> specie<br />

sono quin<strong>di</strong> state sottoposte per 60 minuti a shock termico da calore a temperature comprese fra<br />

20 e 40°C. Al termine dello shock le larve sono state mantenute a 4°C e ne è stata valutata la<br />

sopravvivenza dopo 1 e 24 ore, considerando vive le larve che presentavano evidenti movimenti<br />

del corpo. Per ciascun taxon è stata elaborata la curva <strong>di</strong> termotolleranza basale ed è stata<br />

in<strong>di</strong>viduata la LT50.<br />

I primi dati sulla sopravvivenza evidenziano un’elevata capacità delle larve <strong>di</strong> Diamesa spp. <strong>di</strong><br />

tollerare l’esposizione a temperature superiori a 20°C, con valori <strong>di</strong> LT50 specie‐specifici compresi<br />

tra 30 e 35°C e con tassi <strong>di</strong> sopravvivenza a 28‐29°C pari al 90‐100%. Ulteriori informazioni sono<br />

necessarie per verificare il destino <strong>di</strong> queste specie stenoterme fredde in un eventuale scenario <strong>di</strong><br />

un riscaldamento globale.<br />

Adulto <strong>di</strong> tricottero fotografato nel novembre 2003 In Pian Venezia.<br />

62


5. MATERIALI E METODI DI CAMPIONAMENTO<br />

Analisi condotte nei torrenti<br />

È stata realizzata la mappatura dei corsi d’acqua <strong>di</strong> Val de la Mare me<strong>di</strong>ante software GIS Arcview<br />

3.2, con l’ausilio <strong>di</strong> ortofoto <strong>di</strong>gitali (Volo Italia 1994), immagini <strong>di</strong>gitali georeferenziate della carta<br />

topografica generale 1:10 000 (CTP/98), tematismo lineare idrografia del Sistema Informativo<br />

Ambiente e Territorio della P.A.T. ed osservazioni <strong>di</strong> campo. Poiché molti dei corsi d’acqua stu<strong>di</strong>ati<br />

non avevano alcun riferimento toponomastico, si è provveduto ad assegnare loro un nome<br />

derivato dalla posizione geografica (es. per immissari ed emissari si è utilizzato il nome del lago).<br />

Nelle 35 stazioni (ciascuna lunga 15 metri),sono stati raccolti una serie <strong>di</strong> dati ambientali quali:<br />

quota, <strong>di</strong>stanza dalla sorgente, pendenza (con clinometro), portata (con il metodo del profilo<br />

velocità/profon<strong>di</strong>tà e con il “metodo del sale”), velocità <strong>di</strong> corrente (con correntometro),<br />

temperatura dell’acqua (con termometro da campo per misurazioni puntiformi e con data logger<br />

Tiny Talks per registrazioni in continuo ad intervalli regolari programmati), conducibilità (con<br />

conduttivimetro da campo), stabilità dell’alveo (con l’In<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> Pfankuch), trasporto solido<br />

(me<strong>di</strong>ante filtrazione <strong>di</strong> 0.5‐1 L <strong>di</strong> acqua del torrente su filtri <strong>di</strong> 0.45 μm e determinazione del peso<br />

secco a 105 °C per 30 minuti), granulometria dell’alveo per osservazione <strong>di</strong>retta <strong>di</strong>: sassi (> 20 cm),<br />

ciottoli (5 ‐ 20 cm), ghiaia (0.2 ‐ 5 cm), sabbia (< 0.01‐ 0.2 cm) e limo (< 0.01). Per la portata,<br />

ricavata dalla velocità misurata con correntometro me<strong>di</strong>ante il metodo dei profili<br />

velocità/profon<strong>di</strong>tà, sono state create sette classi: 1 = 0‐20; 2 = 20‐100; 3 = 100‐200; 4 = 200‐400;<br />

5 = 400‐600; 6 = 600‐800; 7 = > 800 (l s‐1). Serie storiche <strong>di</strong> dati della temperatura dell’acqua<br />

(registrati con frequenza oraria dalla stazione idrometrica dell’ENEL in località Ponte <strong>di</strong> Pietra) e<br />

dell’aria (registrate con frequenza oraria a passo Tonale a cura del Servizio Neve, Valanghe e<br />

Meteorologia del Trentino) sono state concesse dai due Enti.<br />

Il “metodo del sale” viene utilizzato per misurare la portata <strong>di</strong> torrenti caratterizzati da un’elevata<br />

turbolenza e si basa sul fatto che il sale (cloruro <strong>di</strong> so<strong>di</strong>o), sciogliendosi in acqua, provoca<br />

variazioni <strong>di</strong> conducibilità proporzionali alla portata del torrente nel tratto considerato. Nella<br />

formula che viene utilizzata per il calcolo della portata (in litri al secondo) si tiene conto della<br />

quantità <strong>di</strong> sale che viene gettata nel torrente, della solubilità del sale alla temperatura dell’acqua<br />

del torrente, dell’ampiezza della variazione <strong>di</strong> conducibilità dovuta allo scioglimento del sale e del<br />

tempo necessario affinchè la conducibilità torni ad assumere il valore iniziale.<br />

L’in<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> Pfankuch è un in<strong>di</strong>ce soggettivo, visuale, che considera il punteggio <strong>di</strong> un totale <strong>di</strong> un<strong>di</strong>ci<br />

variabili nel fondo del canale fluviale. Ogni variabile ha un punteggio che aumenta con il crescere<br />

della stabilità. Il valore dell’in<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> stabilità è la somma dei punteggi delle singole variabili.<br />

Campioni d’acqua <strong>di</strong> 1 litro sono stati prelevati in ogni stazione ed analizzati nel laboratorio<br />

dell’Unità Operativa Chimica delle Acque dell’Istituto Agrario <strong>di</strong> S. Michele all’A<strong>di</strong>ge secondo i<br />

meto<strong>di</strong> I.R.S.A. ‐ C.N.R. (1994) per la determinazione dei principali parametri chimici: pH,<br />

conducibilità, alcalinità, azoto nitrico, azoto ammonico, fosforo solubile reattivo, fosforo totale,<br />

silice reattiva, principali anioni (bicarbonato, solfato, cloruro) e cationi (calcio, magnesio, so<strong>di</strong>o,<br />

potassio), soli<strong>di</strong> sospesi.<br />

Tutti i dati sono stati raccolti con cadenza mensile da maggio a ottobre nel biennio 2001‐2002.<br />

63


Registrazione <strong>di</strong> parametri ambientali con sonda multiparametrica e della velocità <strong>di</strong> corrente.<br />

Strumenti da campo per parametri fisico‐chimici e logger per la temperatura in continuo (Foto<br />

Mario Moser).<br />

64


La produttività primaria è stata stimata attraverso la misura della concentrazione <strong>di</strong> clorofilla a e<br />

della feofitina a. La misura della concentrazione <strong>di</strong> clorofilla in un tratto <strong>di</strong> torrente richiede una<br />

serie <strong>di</strong> passaggi. Innanzitutto, il prelievo delle alghe: con un comune spazzolino da denti viene<br />

grattata una superficie nota (per esempio un quadrato <strong>di</strong> 9 cm 2 da un sasso prelevato dal letto del<br />

fiume). Lo spazzolino viene poi sciacquato in acqua <strong>di</strong>stillata (circa 20 ml) per trasferire qui le alghe<br />

raccolte. L’acqua contenente le alghe grattate viene poi filtrata sul campo su filtri in fibra <strong>di</strong> vetro,<br />

successivamente ripiegati e conservati al buio, in freezer, ad una temperatura <strong>di</strong> –18°C (questo<br />

serve per evitare la degradazione della clorofilla). In laboratorio si procede poi all’estrazione della<br />

clorofilla dai filtri: la clorofilla a viene estratta immergendolo ciascun filtro in 17 ml <strong>di</strong> acetone al<br />

95% per almeno 12 ore in frigorifero. Si procede poi con la centrifugazione dell’estratto per<br />

eliminare particelle solide ed eventuali altre impurità. La clorofilla a risulta facilmente <strong>di</strong>stinguibile<br />

da altri pigmenti attraverso il confronto <strong>di</strong> due letture spettrofotometriche, prima e dopo la<br />

degradazione del pigmento, ottenuta me<strong>di</strong>ante l’aggiunta <strong>di</strong> acido solforico. Il calcolo della<br />

concentrazione del pigmento si realizza attraverso un’equazione che tiene conto <strong>di</strong> tutte le<br />

variabili del proce<strong>di</strong>mento e della <strong>di</strong>fferenza dei picchi <strong>di</strong> assorbimento fra prima e seconda<br />

lettura. La determinazione della clorofilla a nei laghi segue una procedura molto simile. Il<br />

campionamento avviene con una bottiglia Patalas‐Schiendler. L’acqua campionata viene poi<br />

filtrata sul campo, avendo cura <strong>di</strong> annotare il volume filtrato. La procedura è per il resto la<br />

medesima descritta per la determinazione della clorofilla nei fiumi.<br />

Pompa a vuoto per filtrare i campioni<br />

da analizzare per la produzione<br />

primaria (clororofilla a) (Foto Mario<br />

Moser).<br />

Le ricerche in campo biologico hanno riguardato le alghe (periphyton) e la fauna <strong>di</strong> ambienti<br />

bentonici (zoobenthos) e iporreici. Nella maggior parte dei casi, campioni semi‐quantitativi <strong>di</strong><br />

fauna bentonica sono stati raccolti con due meto<strong>di</strong>che comuni negli stu<strong>di</strong> idrobiologici: i retini<br />

immanicati per il metodo del kick‐sampling, e i retini da drift (Scheda 5). Per quanto riguarda il<br />

metodo del kick sampling, in ogni stazione (lunga 15 metri), sono stati raccolti 5 campioni <strong>di</strong><br />

zoobenthos usando un retino immanicato (con maglie <strong>di</strong> 100 o 250 μm.). Questo viene appoggiato<br />

sul fondo del corso d’acqua con l’apertura perpen<strong>di</strong>colare al flusso dell’acqua, sotto‐corrente <strong>di</strong><br />

una zona che viene “<strong>di</strong>sturbata” smuovendo con i pie<strong>di</strong> il se<strong>di</strong>mento e i ciottoli del fondo, quin<strong>di</strong><br />

staccando dal fondo i macroinvertebrati che vengono raccolti dal retino. La superficie “<strong>di</strong>sturbata”<br />

ha variato da 0,1 a 0,3 m 2 a seconda della ricerca, e la somma <strong>di</strong> cinque aree“<strong>di</strong>sturbate”, che<br />

65


venivano scelte investigando <strong>di</strong>versi microhabitat (raschi, pozze, ecc.), rappresentava il campione<br />

della stazione.<br />

I retini da drift (<strong>di</strong> maglia 100 μm, apertura 10 cm, lunghezza 1 m) vengono utilizzati in numero <strong>di</strong><br />

tre per ogni stazione, posizionati vicino al fondo in zone poco profeonde lungo un transetto<br />

perpen<strong>di</strong>colare alla corrente, e hanno raccolto per 15 minuti gli organismi che venivano trasportati<br />

a valle dalla corrente stessa.<br />

L’alga crisofita Hydrurus foetidus, tipica invernale‐ primaverile in torrenti alpini.<br />

Posizionamento <strong>di</strong> retini da drift nel torrente Larcher.<br />

66


Scheda 5<br />

Il drift degli invertebrati<br />

<strong>di</strong> Bruno Maiolini<br />

Le basse temperature invernali sono uno dei fattori che limitano la possibilità <strong>di</strong> vita in alta quota e<br />

anche per questo motivo molti invertebrati hanno scelto i torrenti come habitat in cui trascorrere<br />

tutta o quasi la loro esistenza. Nei torrenti infatti la temperatura non scende mai sotto lo zero,<br />

anche in pieno inverno, quando scorrono sotto il manto nevoso, l’escursione termica annua è più<br />

ridotta rispetto a quella dell’ambiente terrestre, nei fiumi si ha a <strong>di</strong>sposizione un continuo flusso <strong>di</strong><br />

energia in forma <strong>di</strong> materia organica più o meno decomposta, non ci sono rischi <strong>di</strong> <strong>di</strong>sidratazione,<br />

ecc. Questa oasi termica tuttavia ha anche svantaggi, primo fra tutti l’impetuosità della corrente<br />

che rende l’alveo molto instabile e pertanto gli organismi bentonici corrono il rischio continuo <strong>di</strong><br />

essere trascinati via, soprattutto in estate.<br />

Gli organismi bentonici pertanto hanno sviluppato <strong>di</strong>verse strategie per resistere alla corrente:<br />

alcuni si rifugiano in microambienti a bassa velocità, (es. Efemerotterieptageni<strong>di</strong> che occupano lo<br />

“strato limite” sulla superficie dei sassi sommersi), altri si infossano nel substrato, altri tendono a<br />

starsene sotto i sassi, in piccole anse, in pozze, ecc. Altri hanno sviluppato adattamenti quali la<br />

costruzione <strong>di</strong> astucci pesanti (es. alcuni tricotteri) e ventose (es. i <strong>di</strong>tteri blefariceri<strong>di</strong>). Altri ancora<br />

producono sostanze collose (es. <strong>di</strong>tteri simuli<strong>di</strong>), presentano forme idro<strong>di</strong>namiche (es.<br />

Efemerotteribeti<strong>di</strong>), potenti unghie che permettono <strong>di</strong> occupare anche le zone a maggior velocità<br />

<strong>di</strong> corrente (es. alcuni <strong>di</strong>tteri chironomi<strong>di</strong>). Tuttavia questi sistemi non sempre funzionano,<br />

soprattutto in occasione <strong>di</strong> piene che sconvolgono il fondo o <strong>di</strong> cambiamento improvviso della<br />

qualità dell’acqua come ad esempio l’intorbidamento a seguito <strong>di</strong> una frana. In altri momenti può<br />

essere necessario abbandonarsi volontariamente alla corrente per sfuggire ad un predatore, o<br />

perché c’è troppa competizione per il cibo, o perché il proprio habitat si è deteriorato. In tutti<br />

questi casi gli organismi entrano nella corrente e si lasciano trasportare per pochi metri verso valle<br />

alla ricerca <strong>di</strong> un habitat più idoneo dove vivere. Mentre fluttuano sono facilmente visibili e quin<strong>di</strong><br />

possono <strong>di</strong>ventare facili prede dei pesci, quin<strong>di</strong> gli invertebrati <strong>di</strong> maggiori <strong>di</strong>mensioni (per<br />

esempio le larve <strong>di</strong> molti plecotteri), tendono ad effettuare gli spostamenti volontari nelle ore<br />

crepuscolari o notturne, mentre altri gruppi pre<strong>di</strong>ligono le ore centrali del giorno (per esempio i<br />

chironomi<strong>di</strong>). Questo continuo movimento <strong>di</strong> organismi verso valle prende il nome <strong>di</strong> drift ed è<br />

piuttosto imponente, interessando in qualsiasi momento una consistente percentuale dei milioni<br />

<strong>di</strong> organismi che vivono sul fondo dei corsi d’acqua. Esistono cinque tipologie <strong>di</strong> drift: catastrofico,<br />

comportamentale attivo e passivo, <strong>di</strong>stribuzionale e costante. Il drift catastrofico è generalmente<br />

associato con cambiamenti improvvisi e consistenti della portata, della velocità, della temperatura<br />

dell’acqua o della concentrazione <strong>di</strong> inquinanti, che causano l’entrata in massa nella corrente della<br />

maggior parte della comunità bentonica. Il drift comportamentale viene <strong>di</strong>stinto in passivo o<br />

attivo. Quello passivo è dovuto al tipo <strong>di</strong> attività <strong>di</strong> ciascun in<strong>di</strong>viduo, che può essere trascinato via<br />

dalla corrente mentre si ciba in una zona “a rischio”, ad esempio per brucare alghe sulla superficie<br />

superiore <strong>di</strong> massi o sassi. Se invece l’animale si lascia andare volontariamente (ad esempio per<br />

67


sfuggire ad un predatore) si parla <strong>di</strong> drift comportamentale attivo. La frequenza <strong>di</strong> questi eventi è<br />

relativamente bassa e senza una perio<strong>di</strong>cità preve<strong>di</strong>bile. Per drift <strong>di</strong>stribuzionale si intende la<br />

migrazione volontaria verso valle <strong>di</strong> sta<strong>di</strong> giovanili che, dalle affollate zone <strong>di</strong> deposizione, tendono<br />

ad occupare nuovi territori. Generalmente interessa molti in<strong>di</strong>vidui ed ha una marcata perio<strong>di</strong>cità.<br />

Diverse specie tendono a spostarsi <strong>di</strong> notte per sfuggire alla predazione da parte <strong>di</strong> cacciatori a<br />

vista come i pesci. Infine, il drift costante è definito come dovuto al <strong>di</strong>slocamento casuale dal<br />

substrato <strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidui in basso numero, e in qualunque periodo dell’anno. Nel corso della propria<br />

vita, ciascuno <strong>di</strong> questi organismi si ritrova quin<strong>di</strong> sempre più a valle del luogo dove è nato e non<br />

può tornare in<strong>di</strong>etro. Eppure dai tratti a monte continuano ad arrivare nuovi organismi. Come si<br />

risolve il problema? Per i non‐insetti (molluschi, crostacei anfipo<strong>di</strong> e gammari<strong>di</strong>, sanguisughe,<br />

vermi) la soluzione non c’è e quin<strong>di</strong> si limitano a vivere negli ambienti fluviali dove la corrente è<br />

meno forte e il fondo è coperto da vegetazione acquatica in mezzo alla quale possono muoversi<br />

anche controcorrente. Pochi riescono a risalire verso i più impetuosi torrenti montani e tra questi<br />

le piatte planarie, capaci <strong>di</strong> aderire tenacemente al substrato e risalire, oppure organismi così<br />

piccoli (crostacei arpacticoi<strong>di</strong>, oligocheti) da passare negli interstizi della falda e muoversi in<br />

questo ambiente protetto. La soluzione più efficace è senz’altro quella adottata dagli insetti, che<br />

vivono la lunga fase larvale <strong>di</strong>scendendo lentamente il fiume e come atto finale si trasformano in<br />

adulto alato che torna volando verso monte a deporre le uova e perpetuare il ciclo (è il cosiddetto<br />

“ciclo longitu<strong>di</strong>nale <strong>di</strong> colonizzazione” degli insetti acquatici. Grazie a questo fenomeno infatti, i<br />

tratti <strong>di</strong> fiume che per qualche motivo vengono privati della fauna, sono prontamente ricolonizzati<br />

dal drift). Il fenomeno del drift ha molte e importanti implicazioni nell’ecologia <strong>di</strong> un corso d’acqua<br />

essendo responsabile della più opportuna <strong>di</strong>stribuzione degli organismi al fine <strong>di</strong> utilizzare in modo<br />

ottimale le risorse energetiche, <strong>di</strong> ricolonizzare in tempi brevi tratti per qualche motivo<br />

depauperati e <strong>di</strong> occupare habitat nuovi. Questa ri<strong>di</strong>stribuzione <strong>di</strong> organismi è severamente<br />

compromessa da tutte le interruzioni della continuità longitu<strong>di</strong>nale dei corsi d’acqua, sempre più<br />

frammentati dagli interventi umani, fino alle quote più elevate. Gli in<strong>di</strong>vidui che driftano nell’arco<br />

delle 24 ore possono essere molto numerosi, equivalenti all’intera popolazione zoobentonica<br />

presente nei 40 ‐ 150 m a monte. Il drift è stato stu<strong>di</strong>ato dalla Sezione <strong>di</strong> Zoologia degli<br />

Invertebrati e Idrobiologia del <strong>Museo</strong> delle <strong>Scienze</strong> nell’ambito <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi progetti sull’ecologia<br />

delle acque correnti d’alta quota in ambiente Alpino.<br />

I risultati ottenuti confermano il ruolo importantissimo del drift anche nel ciclo biologico <strong>di</strong> corsi<br />

d’acqua montani, soggetti a più interruzioni naturali della continuità longitu<strong>di</strong>nale, come ad<br />

esempio cascate, rapide, laghetti e pozze.<br />

Retini da drift.<br />

68


Altri meto<strong>di</strong> utilizzati più specificatamente per alcune ricerche mirate ad ambienti od organismi<br />

particolari, sono state: raccolte a mano con retini in piccole raccolte d’acqua, trappole<br />

d’emergenza, trappole Malaise e trappole luminose per la cattura <strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidui adulti.<br />

Raccolta <strong>di</strong> insetti adulti con retino a sfalcio. Trappola Malaise.<br />

Raccolta <strong>di</strong> insetti adulti con trappola luminosa.<br />

Inoltre sono stati utilizzati <strong>di</strong>versi tipi <strong>di</strong> substrati artificiali per lo stu<strong>di</strong>o delle vie e dei tempi <strong>di</strong><br />

colonizzazione dei macroinvertebrati. In ambiente iporreico (Scheda 6) i substrati artificiali erano<br />

rappresentati da trappole “a bottiglia” e tubi orizzontali, in ambiente superficiale dai tubi<br />

superficiali.<br />

• Le trappole “a bottiglia” sono state costruite usando bottiglie <strong>di</strong> plastica da 1 litro in cui il terzo<br />

superiore è stato tagliato e reinserito capovolto. Le bottiglie sono state quin<strong>di</strong> trasformate in<br />

trappole “tipo nasse” e posizionate entro i primi 30 centimetri <strong>di</strong> profon<strong>di</strong>tà in posizione<br />

verticale (6 per stazione) con l’apertura verso l’alto. Sono state svuotate e riposizionate ogni 15<br />

giorni. Con questo substrato sono stati raccolti campioni qualitativi della fauna iporreica e<br />

bentonica che utilizza l’ambiente iporreico come “area rifugio”.<br />

69


• I tubi orizzontali erano costituiti da tre tubi in plastica, inseriti a circa 10 cm <strong>di</strong> profon<strong>di</strong>tà con<br />

apertura solo verso valle. Ogni tubo, lungo 1 m e con <strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> 6.5 cm, è stato <strong>di</strong>viso in due<br />

metà e riempito con ciottoli prelevati in alveo. Sono stati scaricati e riposizionati in alveo ogni<br />

15 giorni. L’abbondanza dei <strong>di</strong>versi taxa è stata espressa come numero <strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidui/m 2 ; I<br />

campioni raccolti con questi substrati hanno permesso <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>are il movimento <strong>di</strong> risalita valle<br />

monte <strong>di</strong> organismi iporreici e bentonici.<br />

• I tubi superficiali (tre, ciascuno <strong>di</strong> 1 m <strong>di</strong> lunghezza e 15 cm <strong>di</strong> <strong>di</strong>ametro), anch’essi chiusi a<br />

monte e aperti a valle. Sono stati posizionati affiancati nell’alveo del torrente. Sono state<br />

praticate delle aperture coperte da rete <strong>di</strong> nylon a maglia sottile per favorire la circolazione<br />

dell’acqua all’interno. Ogni tubo conteneva tre sacchetti (chiamati “A”, “B”, “C”, da valle a<br />

monte) costituiti da rete a maglie <strong>di</strong> 1 cm riempiti con ciottoli e ghiaia per un’area complessiva<br />

<strong>di</strong> circa 0.7 m 2 . Sono stati scaricati e riposizionati in alveo ogni 15 giorni. Anche in questo caso<br />

l’abbondanza dei <strong>di</strong>versi taxa nei sacchetti è stata espressa come numero <strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidui/m 2 . I<br />

campioni raccolti con questi substrati hanno permesso <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>are la risalita controcorrente<br />

degli organismi bentonici poiché la loro colonizzazione era possibile solo da valle verso monte.<br />

Diversi tipi <strong>di</strong> substrati artificiali usati nel progetto: tubi orizzontali ( asinistra) e superficiali (a destra).<br />

70


Infine è stata utilizzata una pompa Bou Rouch mo<strong>di</strong>ficata per raccogliere organismi iporreici alla<br />

profon<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> 30 cm. La pompa Bou‐Rouch consiste in una pompa a mano, fissata su un<br />

piezometro (un tubo appuntito <strong>di</strong> acciaio, provvisto <strong>di</strong> fori all’estremità), che viene inserito a varie<br />

profon<strong>di</strong>tà nel se<strong>di</strong>mento.<br />

Substrati a bottiglia per fauna iporreica.<br />

Posizionamento <strong>di</strong> substrati a cestello per stu<strong>di</strong> sulla<br />

colonizzazione.<br />

L’azione della pompa crea un <strong>di</strong>sturbo che è sufficiente a <strong>di</strong>slocare gli organismo iporreici poiché<br />

produce una portata relativamente alta rispetto a quella normalmente presente nell’ambiente<br />

iporreico, e permette <strong>di</strong> raccogliere sia organismi che nuotano tra gli interstizi, che organismi<br />

legati al substrato. Il meto<strong>di</strong> Bou‐Rouch può essere utilizzato correttamente solo quando lo strato<br />

<strong>di</strong> se<strong>di</strong>mento è abbastanza profondo da consentire l’inserzione del piezometro, e quando la<br />

granulometria del se<strong>di</strong>mento non è né troppo elevata (impossibile inserire il piezometro), né<br />

troppo ridotta (i se<strong>di</strong>menti fini ostruiscono la pompa). Per ciascun campionamento sono stati<br />

raccolti e filtrati 10 litri <strong>di</strong> acqua per un esame <strong>di</strong> tipo quantitativo, adatto ad esprimere la densità<br />

degli organismi in in<strong>di</strong>vidui/litro.In tutti i casi, il materiale raccolto è stato conservato in alcool<br />

etilico al 75% e smistato e classificato allo stereomicroscopio (5‐50X) al livello tassonomico<br />

richiesto per la compilazione della scheda I.B.E. (In<strong>di</strong>ce Biotico Esteo). Inoltre, per turbellari,<br />

crostacei anfipo<strong>di</strong> e arpacticoi<strong>di</strong>, Efemerotteri, plecotteri, tricotteri e <strong>di</strong>tteri chironomi<strong>di</strong> e simuli<strong>di</strong>,<br />

l’identificazione è avvenuta a livello <strong>di</strong> genere o specie con l’ausilio del microscopio ottico (40‐<br />

1000X).<br />

Per quanto riguarda gli insetti, sono state conteggiate solo le larve, ad eccezione dei coleotteri, in<br />

cui sono stati considerati anche gli adulti, in quanto acquatici anche nella fase adulta. Le pupe ed<br />

esuvie pupali <strong>di</strong> chironomi<strong>di</strong> e simuli<strong>di</strong> trovate nei campioni raccolti con retino immanicato sono<br />

71


state identificate a livello <strong>di</strong> specie ma non inserite nel data base. L’abbondanza dei <strong>di</strong>versi taxa<br />

nelle stazioni investigate è stata espressa come numero me<strong>di</strong>o <strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidui per metro quadrato<br />

(ind. m ‐2 ). Inoltre, è stata calcolata la <strong>di</strong>versità faunistica me<strong>di</strong>ante l’In<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> Shannon. Per ogni<br />

stazione sono stati calcolati l’In<strong>di</strong>ce Biotico Esteso e l’In<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> Funzionalità Fluviale (I.F.F). Durante<br />

lo smistamento allo stereomicroscopio è stata separata la componente vegetale (BPOM = Benthic<br />

Particulate Organic Matter), che poi è stata seccata in stufa a 60 °C e quin<strong>di</strong> in muffola a 450 °C per<br />

ottenerne il peso secco. Le <strong>di</strong>fferenze tra tipologie (rive, immissari, emissari, torrenti glaciali,<br />

torrenti non glaciali, acque ad alimentazione mista) sono state verificate statisticamente sia da un<br />

punto <strong>di</strong> vista dei parametri ambientali che biologici (sono state considerate significative<br />

<strong>di</strong>fferenze con P ≤ 0.05).<br />

Campionamento con retino immanicato.<br />

Posizionamento <strong>di</strong> pompa Bou‐Rouch.<br />

Nelle stazioni localizzate sul Noce Bianco e sul Rio Larcher è stato campionato anche il fitobenthos.<br />

Campioni qualitativi sono stati raccolti grattando la superficie <strong>di</strong> una trentina <strong>di</strong> sassi (prelevati in<br />

alveo) con un comune spazzolino da denti, lavato poi in acqua <strong>di</strong>stillata. Il materiale raccolto è<br />

stato conservato in formalina per una concentrazione finale del 4%. Del fitobenthos raccolto, solo<br />

le <strong>di</strong>atomee sono state classificate a livello <strong>di</strong> genere o specie. Per l’identificazione delle <strong>di</strong>atomee<br />

si è fatto riferimento a Krammer & Lange‐Bertalot (1986‐1991). Con una procedura simile a quella<br />

descritta per la raccolta del fitobenthos, sono stati raccolti anche campioni per la determinazione<br />

della concentrazione <strong>di</strong> clorofilla a.<br />

72


Scheda 6<br />

Gli adattamenti della fauna interstiziale<br />

<strong>di</strong> M. Cristina Bruno<br />

Col termine fauna interstiziale s’intendono quegli organismi che vivono negli “spazi interstiziali” <strong>di</strong><br />

tutti i tipi <strong>di</strong> se<strong>di</strong>menti (grani <strong>di</strong> quarzo, frammenti <strong>di</strong> conchiglie o qualsiasi altro conglomerato <strong>di</strong><br />

particelle), e si muovono in questo habitat senza smuovere le particelle costituenti o cambiarne la<br />

posizione.<br />

Molti degli organismi della fauna interstiziale possono essere classificati in base alle loro<br />

<strong>di</strong>mensioni come “meiofauna”, generalmente protisti ed invertebrati che raggiungono una<br />

lunghezza compresa tra i 50 e i 1000 μm in età adulta. Gli invertebrati <strong>di</strong> lunghezza maggiore <strong>di</strong><br />

1000 μm non sono considerati meiofauna a meno che non spendano una parte della loro vita<br />

come piccoli organismi interstiziali (meiofauna temporanea). La meiofauna si riscontra in tutti gli<br />

ecosistemi acquatici, sia marini che <strong>di</strong> acqua dolce, includendo più della metà dei rappresentanti<br />

dei phyla <strong>di</strong> animali conosciuti. Attualmente, si preferisce porre l’accento sulle relazioni ecologiche<br />

che legano i <strong>di</strong>versi organismi alle acque sotterranee continentali, riconoscendo le seguenti<br />

categorie, che corrispondono a un crescente grado <strong>di</strong> adattamento all’habitat:<br />

•Stigossene: specie ad ampia valenza ecologica, che solo occasionalmente si rinvengono<br />

nell’ambiente interstiziale. Tuttavia, gli stigosseni possono influenzare i processi nell’ecosistema<br />

sotterranea agendo, per esempio, come predatori o prede.<br />

•Stigofile: specie che sfruttano attivamente le risorse dell’ecosistema sotterraneo,<br />

cercandovi protezione da con<strong>di</strong>zioni ambientali sfavorevoli negli ambienti superficiali, o per<br />

metamorfosare, o per predare, ma che non sono necessariamente legati a questo ambiente. In<br />

ambiente interstiziale, questa categoria è a sua volta sud<strong>di</strong>vi<strong>di</strong>bile in: iporreos occasionale (larve,<br />

soprattutto <strong>di</strong> insetti acquatici, che possono vivere nell’iporreico, ma che da adulti vivono nel<br />

bentos), specie ambifite (taxa in cui parte del ciclo vitale si deve svolgere in ambiente interstiziale)<br />

quali alcuni plecotteri, e iporreos permanente (specie quali nemato<strong>di</strong>, oligocheti, acari, ostraco<strong>di</strong>,<br />

copepo<strong>di</strong>, cladoceri, e tar<strong>di</strong>gra<strong>di</strong>, che possono essere presenti durante tutte le fasi del ciclo vitale<br />

sia in ambiente superficiale che sotterraneo. In quest’ultimo caso, una fase epigea non è<br />

necessaria per completare il ciclo vitale).<br />

•Stigobie: forme estremamente specializzate, esclusive <strong>di</strong> acque dolci sotterranee <strong>di</strong> cui i<br />

crostacei rappresentano una grande percentuale.<br />

L’ambiente sotterraneo presenta molteplici particolarità, la più importante delle quali è la<br />

mancanza <strong>di</strong> luce; sono significative inoltre la ridotta ampiezza delle variazioni <strong>di</strong> alcuni parametri<br />

fisico‐chimici e la presenza <strong>di</strong> poche risorse energetiche. Pertanto, molti stigobionti sembrano non<br />

avere strette relazioni con organismi epigei, ed inoltre mostrano delle peculiari caratteristiche<br />

morfologiche e requisiti ecologici adatti alla sopravvivenza in tale habitat.<br />

Gli organismi interstiziali presentano in genere <strong>di</strong>mensioni corporee ridotte ed un appiattimento e<br />

allungamento del corpo con spostamento laterale delle appen<strong>di</strong>ci locomotorie, allo scopo <strong>di</strong><br />

favorire il movimento tra i granelli <strong>di</strong> sabbia e lungo i sottili canalicoli interstiziali. La <strong>di</strong>minuzione<br />

73


della taglia corporea ha un limite inferiore per i vari gruppi animali: da 0.5 a 1 mm in molti taxa,<br />

0.18 mm nei Copepo<strong>di</strong>. La totale depigmentazione rappresenta un’altra caratteristica comune<br />

degli interstiziali e può spingersi, come nel caso dei Crostacei, fino alla completa trasparenza. In un<br />

biotopo dove non esiste luce, gli organi sensoriali visivi scompaiono, mentre si sviluppano quelli<br />

chemiorecettori e tagmorecettori, poiché in questo ambiente tutte le esperienze avvengono per<br />

contatto. Dal punto <strong>di</strong> vista fisiologico non solo il metabolismo ma anche tutte le altre attività,<br />

comprese quelle motorie e riproduttive sono rallentate; inoltre è necessario un tempo più lungo<br />

per completare processi ontogenetici.<br />

Negli habitat tipicamente costrittivi, le popolazioni adottano delle strategie demografiche<br />

corrispondenti al modello “adversity‐selection” o “strategia A”, che corrispondono a:<br />

allungamento della vita me<strong>di</strong>a, ritardo della maturità, basso tasso <strong>di</strong> sviluppo, <strong>di</strong> fecon<strong>di</strong>tà e <strong>di</strong><br />

crescita. Gli ambienti sotterranei corrispondono a habitat tipicamente costrittivi, per cui una<br />

grande bio<strong>di</strong>versità e concentrazione <strong>di</strong> organismi si trova vicino le zone <strong>di</strong> transizione tra la<br />

superficie e le acque sotterranee piuttosto che in profon<strong>di</strong>tà nei sistemi sotterranei. Nella maggior<br />

parte degli ambienti sotterranei le biocenosi sotterranee presentano una <strong>di</strong>stribuzione spaziale<br />

non uniforme, le specie e le popolazioni sono meno abbondanti; la predazione e la competizione<br />

interspecifica sono meno rigide; le reti trofiche sono corte dal momento che tutte le specie<br />

presenti sembrano nutrirsi con le stesse modalità. Il materiale organico <strong>di</strong>sciolto è alla base della<br />

rete trofica, poiché la fotosintesi non è possibile data l’assenza <strong>di</strong> luce. In questo ambiente il<br />

principale tipo <strong>di</strong> nutrizione è detritivora ed i predatori svolgono una funzione trascurabile<br />

nell’equilibrio generale. Le composizione delle comunità e l’abbondanza delle singole specie sono<br />

regolate essenzialmente da fattori biotici quali il tasso <strong>di</strong> riproduzione, il tipo <strong>di</strong> sessualità o le<br />

caratteristiche del ciclo vitale e non da fattori trofici.<br />

Tra gli organismi interstiziali l’unica relazione interspecifica è la competizione, causata dalla<br />

specializzazione su una risorsa nutrizionale comune che porta all’esclusione competitiva. In<br />

generale, la plasticità trofica conferisce agli organismi un ruolo dominante nell’ambito delle<br />

relazioni competitive. Le specie che mostrano minore valenza trofica tendono ad assumere, in tali<br />

relazioni, un ruolo subor<strong>di</strong>nato.<br />

Crostacei arpacticoi<strong>di</strong> in accoppiamento. È visibile la spermateca attaccata al sacco ovigero della femmina.<br />

74


Analisi condotte nei laghi<br />

I principali parametri morfologici dei laghi (lunghezza, larghezza, perimetro, superficie) e dei bacini<br />

(superficie, coperture per tipologie ambientali) sono state ricavati dalla Carta Topografica<br />

Generale 1:10.000 in formato raster (C.T.P.) del Sistema Informativo Ambiente e Territorio (SIAT)<br />

della Provincia Autonoma <strong>di</strong> Trento me<strong>di</strong>ante GIS (ArcView 3.2). Per ciascun lago sono stati rilevati<br />

o calcolati i seguenti parametri morfometrici secondo WETZEL: lunghezza (l); larghezza massima<br />

(b); larghezza me<strong>di</strong>a (bmed = A/l); linea <strong>di</strong> costa (L) o perimetro del lago; superficie (A); sviluppo<br />

della linea <strong>di</strong> costa (DL = L/2 ); profon<strong>di</strong>tà massima (zm); profon<strong>di</strong>tà me<strong>di</strong>a (zmed = V/A);<br />

profon<strong>di</strong>tà relativa (zr = 50 zm / ); volume (V = h/3 * (A1+A2+ ), dove h = profon<strong>di</strong>tà dello strato<br />

compreso tra le superfici A1 e A2); sviluppo del volume DV = zmed/zm; curve ipsografiche;<br />

superficie del bacino imbrifero (B); rapporto tra la superficie del bacino e la superficie del lago<br />

(B/A).<br />

Per i laghi Lungo e Nero sono state inoltre rilevate le batimetrie, utilizzando un ecoscandaglio<br />

Eagle Ultra III montato su canotto, e un telemetro laser puntato su bersaglio per misurare le<br />

<strong>di</strong>stanze tra centro lago e rive. Sulla base <strong>di</strong> questi dati sono stati calcolati i rispettivi volumi. Per il<br />

Lago delle Marmotte si è invece fatto riferimento alla batimetria e ai valori del volume riportati in<br />

bibliografia.<br />

Temperatura dell’acqua, ossigeno <strong>di</strong>sciolto, percentuale <strong>di</strong> saturazione <strong>di</strong> ossigeno, pH,<br />

conducibilità, sono stati misurati sul posto me<strong>di</strong>ante sonda multiparametrica Hydrolab mod.<br />

Quanta, sulla colonna d’acqua nel punto <strong>di</strong> massima profon<strong>di</strong>tà, ad intervalli <strong>di</strong> 1 m <strong>di</strong> profon<strong>di</strong>tà<br />

nei laghi Marmotte e Lungo, <strong>di</strong> 0,5 m nel Lago Nero. La trasparenza dell’acqua è stata valutata<br />

me<strong>di</strong>ante il <strong>di</strong>sco <strong>di</strong> Secchi.<br />

I campioni d’acqua per le analisi chimiche sono stati prelevati nel punto più profondo me<strong>di</strong>ante<br />

campionatore tipo Patalas‐Schiendler a 1, 3 e 5 metri nei laghi Marmotte e Lungo, a 1, 2 e 3 metri<br />

nel Lago Nero. Le analisi sono state eseguite presso l’Unità Operativa Chimica delle Acque<br />

dell’Istituto Agrario <strong>di</strong> S. Michele all’A<strong>di</strong>ge secondo i meto<strong>di</strong> I.R.S.A. ‐ C.N.R. (1994). Sono stati<br />

analizzati i seguenti parametri: pH, conducibilità, alcalinità, azoto nitrico, azoto ammonico, fosforo<br />

solubile reattivo, fosforo totale, silice reattiva, principali anioni (bicarbonato, solfato, cloruro) e<br />

cationi (calcio, magnesio, so<strong>di</strong>o, potassio) e torbi<strong>di</strong>tà. La concentrazione <strong>di</strong> clorofilla a è stata<br />

determinata su campioni d’acqua prelevati con campionatore tipo Patalas‐Schiendler a 1 e 5 m nei<br />

laghi Marmotte e Lungo e a 1 e 3 m nel lago Nero. I campioni d’acqua (da 5 L) sono stati filtrati sul<br />

campo su filtri in fibra <strong>di</strong> vetro Whatman GF/C e pompa a vuoto a mano. L’estrazione della<br />

clorofilla a è stata effettuata in laboratorio me<strong>di</strong>ante analisi spettrofotometrica. Per quanto<br />

riguarda le analisi biologiche, sono stati prelevati campioni <strong>di</strong> fitoplancton, zooplancton,<br />

zoobenthos profondo, <strong>di</strong> riva e dei principali immissari ed emissari.<br />

Campioni quantitativi <strong>di</strong> plancton sono stati prelevati nel punto più profondo me<strong>di</strong>ante<br />

campionatore tipo Patalas‐Schiendler alle stesse profon<strong>di</strong>tà a cui sono stati prelevati i campioni<br />

per la determinazione della clorofilla a.<br />

Campioni qualitativi <strong>di</strong> plancton sono stati raccolti nella zona pelagica e litorale me<strong>di</strong>ante retini a<br />

maglia fine (maglie da 10 µm per il fitoplancton e da 48 µm per lo zooplancton). I campioni <strong>di</strong><br />

plancton sono stati fissati con formalina per una concentrazione finale del 4%, a parte quelli <strong>di</strong><br />

fitoplancton quantitativi che sono stati fissati con Lugol per una concentrazione finale dell’1%. Lo<br />

75


zoobenthos profondo è stato prelevato con una benna tipo Ekman, quello <strong>di</strong> riva e dei torrenti<br />

immissari ed emissari con retino immanicato.<br />

Campionamento al Lago Lungo.<br />

76


6/1. RISULTATI – LE ACQUEE CORRENTI<br />

Le caratteristiche chimico‐fisiche<br />

Per quanto riguarda le caratteristiche chimico‐fisiche delle 35 stazioni selezionate, nei 53 tratti<br />

in<strong>di</strong>viduati, come atteso data la litologia della zona, si sono misurati valori me<strong>di</strong>o‐bassi <strong>di</strong> pH e <strong>di</strong><br />

alcalinità (Tab. 6). In particolare, sulla base dei valori <strong>di</strong> alcalinità (compresi tra 50 e 200 µeq l ‐1 ),<br />

questi corsi d’acqua rientrano tra quelli “suscettibili a episo<strong>di</strong>ci fenomeni <strong>di</strong> aci<strong>di</strong>ficazione” (sensu<br />

Camarero et al. 1995). Concentrazioni saline me<strong>di</strong>o‐basse sono tate misurate sia nelle stazioni<br />

glaciali che non glaciali, con valori me<strong>di</strong>amente più elevati <strong>di</strong> quanto atteso sulla base del<br />

confronto con torrenti d’alta quota in zone limitrofe. In particolare, la conducibilità <strong>di</strong> torrenti<br />

glaciali nel Gruppo montuoso dell’Adamello si aggira attorno a una me<strong>di</strong>a <strong>di</strong> 5 µS cm ‐1 , senza mai<br />

superare i 20 µS cm ‐1 . I valori <strong>di</strong> conducibilità molto più elevati registrati nei tratti criali del Gruppo<br />

Ortles‐ Cevedale (Tab. 6) sono da attribuirsi alla presenza <strong>di</strong> minerali <strong>di</strong> zolfo nelle rocce (per es.<br />

pirite) sottoposte ad esarazione glaciale e quin<strong>di</strong> all’elevata concentrazione <strong>di</strong> solfati nelle acque<br />

<strong>di</strong> fusione.<br />

Tab. 6 ‐ Confronto tra tratti <strong>di</strong> 1°, 2°e 3° or<strong>di</strong>ne glaciali (gl) e non glaciali (ng). In grassetto le variabili che<br />

<strong>di</strong>fferiscono significativamente (P < 0,05) tra or<strong>di</strong>ni e tipologie.<br />

1° gl 2° gl 3° gl 1° ng 2° ng 3° ng<br />

pendenza (m m -1 ) 0,25 ± 0,00 0,02 ± 0,02 0,04 ± 0,02 0,04 ± 0,03 0,01± 0,00 0,0 6 ± 0,00<br />

stabilità dell’alveo (Pfankuch) 54 ± 0 51 ± 1 48 ± 6 16 ± 3 26 ± 6 30 ± 0<br />

portata 5 ± 0 6 ± 0 7 ± 0 1 ± 1 2 ± 1 3 ± 0<br />

T max (°C) 1,7 ± 0,5 6,3 ± 2,4 7,4 ± 2,5 7,4 ± 3,4 10,3 ± 3,4 9,0 ± 2,9<br />

T min (°C) -0,1 ± 0,1 0,4 ± 0,8 1,0 ± 0,9 2,9 ± 2,7 1,3 ± 1,4 3,6 ± 2,7<br />

T range (°C) 1,8 ± 0,4 5,9 ± 2,3 6,4 ± 2,3 4,5 ± 2,9 9,0 ± 2,9 5,4 ± 2,5<br />

T me<strong>di</strong>a (°C) 0,5 ± 0,3 2,4 ± 1,3 3,3 ± 1,4 4,6 ± 2,7 4,3 ± 2,0 5,9 ± 2,6<br />

alcalinità (µeq l -1 ) 115,8 ± 265,2 96,2 ± 168,1 115,7 ± 23,0 135,5 ± 147,5 109,5 ± 113,6 106,1 ± 66,0<br />

pH a 20 °C 6,6 ± 0,3 6,5 ± 0,3 6,6 ± 0,3 6,4 ± 0,4 6,5 ± 0,2 6,8 ± 0,2<br />

conducibilità a 20 °C (µS cm -1 ) 116,6 ± 67,8 95,6 ± 52,6 93,0 ± 36,8 73,4 ± 41,3 105,0 ± 40,3 46,3 ± 9,6<br />

durezza (°F) 5,3 ± 3,3 4,2 ± 2,6 3,9 ± 1,8 3,1 ± 1,8 4,4 ± 2,0 1,8 ± 0,8<br />

calcio (mg l -1 ) 16,3 ± 10,1 12,9 ± 8,0 11,7 ± 4,6 8,7 ± 5,1 12,8 ± 5,2 5,5 ± 1,2<br />

magnesio (mg l -1 ) 3,0 ± 1,9 2,5 ± 1,5 2,9 ± 1,6 2,3 ± 1,4 3,3 ± 1,4 1,5 ± 0,3<br />

so<strong>di</strong>o (mg l -1 ) 0,5 ± 0,4 0,5 ± 0,3 0,7 ± 0,4 0,8 ± 0,2 1,0 ± 0,3 0,7 ± 0,2<br />

potassio (mg l -1 ) 0,7 ± 0,4 0,6 ± 0,3 0,6 ± 0,2 0,4 ± 0,3 0,4 ± 0,2 0,3 ± 0,1<br />

solfati (mg l -1 ) 49,3 ± 31,6 38,4 ± 23,0 36,2 ± 15,5 27,8 ± 18,6 43,1 ± 18,1 15,0 ± 3,4<br />

cloruri (mg l -1 ) 0,2 ± 0,1 0,2 ± 0,2 0,2 ± 0,1 0,2 ± 0,1 0,2 ± 0,2 0,2 ± 0,1<br />

silice reattiva (mg l -1 ) 2,0 ± 1,3 2,3 ± 1,1 3,1 ± 1,4 3,5 ± 0,9 4,5 ± 1,3 2,8 ± 0,3<br />

azoto nitrico (µg l -1 ) 158 ± 56 166 ± 66 171 ± 65 188 ± 98 179 ± 49 181 ±58<br />

azoto ammonico (µg l -1 ) 48 ± 35 43 ± 33 31 ± 25 12 ± 6 12 ± 6 13 ± 8<br />

fosforo reattivo (µg l -1 ) 1,4± 1,1 1,8 ± 1,1 1,8 ± 1,1 1,4 ± 0,8 1,7 ± 0,8 1,7 ± 0,7<br />

fosforo totale (µg l -1 ) 119 ± 71 90 ± 135 55 ± 72 9 ± 23 5 ± 3 4 ± 1<br />

soli<strong>di</strong> sospesi (mg l -1 ) 204 ± 152 269 ± 300 183 ± 208 14 ± 28 6 ± 7 6 ± 9<br />

BPOM (g m -2 ) 0,1 ± 0,1 1,1 ± 1,6 2,8 ± 5,0 10,3 ± 16,9 11,1 ± 13,8 27,7 ± 18,9<br />

clorofilla a (µg cm -2 ) 0,001 ± 0,002 0,008 ± 0,012 0,047 ± 0,064 0,001 ± 0,002 0,008 ± 0,012 0,047 ± 0,064<br />

feofitina a (µg cm -2 ) 0,002 ± 0,004 0,002 ± 0,007 0,033 ± 0,056 0,100 ± 0,114 0,249 ± 0,811 0,105 ± 0,184<br />

zoobenthos (ind. m -2 ) 14 ± 8 67 ± 103 521 ± 462 1115 ± 1270 2504 ± 2369 2416 ± 1946<br />

77


Tali solfati sono da ritenersi originati più dalla mineralizzazione delle rocce che da deposizione<br />

atmosferica, anche perché i valori più elevati sono stati registrati non durante il picco <strong>di</strong> fusione<br />

della neve, ma quando questo era al suo minimo. Per altri parametri chimico‐fisici e alcune<br />

caratteristiche geomorfologiche sono state riscontrate <strong>di</strong>fferenze significative (P < 0,05) fra tratti<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>versa tipologia (glaciali e non glaciali) dello stesso or<strong>di</strong>ne e fra tratti <strong>di</strong> <strong>di</strong>verso or<strong>di</strong>ne ma<br />

appartenenti alla stessa tipologia. I fattori che hanno mostrato maggiore variazione tra le due<br />

tipologie sono: pendenza, stabilità del substrato, clorofilla a, BPOM, temperatura me<strong>di</strong>a, portata,<br />

azoto ammonico, fosforo totale, silice reattiva, solfati, soli<strong>di</strong> sospesi e densità <strong>di</strong> zoobenthos. A<br />

parità <strong>di</strong> tipologia, all’aumentar dell’or<strong>di</strong>ne gerarchico si sono osservati incrementi <strong>di</strong> clorofilla a,<br />

BPOM, temperatura me<strong>di</strong>a, portata e silice reattiva. A parità <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne, i valori <strong>di</strong> pendenza,<br />

stabilità del substrato, portata, azoto ammonico, fosforo totale, solfati e soli<strong>di</strong> sospesi sono<br />

risultati me<strong>di</strong>amente più elevati nei tratti glaciali mentre clorofilla a, BPOM, temperatura me<strong>di</strong>a,<br />

silice reattiva e densità <strong>di</strong> zoobenthos sono risultati essere me<strong>di</strong>amente più elevati nei tratti non<br />

glaciali. Interessante è la relazione trovata tra soli<strong>di</strong> sospesi e fosforo totale (r = 0,905, P < 0,01),<br />

entrambi molto elevati nei tratti criali durante tutto il periodo estivo, periodo in cui i torrenti<br />

alimentati da acque <strong>di</strong> fusione glaciale manifestano in pieno la loro “glacialità”. La concentrazione<br />

particolarmente elevata <strong>di</strong> fosforo nelle acque <strong>di</strong> origine glaciale è da imputarsi all’azione <strong>di</strong><br />

erosione del ghiacciaio sulla roccia sottostante (si tratta tuttavia <strong>di</strong> una forma non bio<strong>di</strong>sponibile <strong>di</strong><br />

fosforo). La concentrazione <strong>di</strong> ortofosfato è infatti molto bassa anche nei torrenti glaciali che,<br />

come quelli non glaciali alle quote più elevate, sono tipicamente oligotrofi, come in<strong>di</strong>cato anche<br />

da valori prossimi allo zero <strong>di</strong> clorofilla a. I valori <strong>di</strong> clorofilla superiori a 0,01 µg cm ‐2 sono da<br />

attribuire alla presenza <strong>di</strong> cianofite e crisofite nei tratti criali, e <strong>di</strong> <strong>di</strong>atomee, clorofite, muschi e<br />

licheni in quelli crenali e ritrali. Nei tratti glaciali valori <strong>di</strong> “produttività” (clorofilla a e BPOM<br />

autoctono) più elevati si sono registrati in autunno, ovvero in corrispondenza del periodo <strong>di</strong> minor<br />

stress “fisico” per il fitobenthos: minor portata e minori fluttuazioni giornaliere <strong>di</strong> velocità della<br />

corrente e portata, maggior stabilità dell’alveo, minor trasporto solido e quin<strong>di</strong> maggior<br />

trasparenza delle acque. Tali fattori favoriscono la crescita algale che fornirà in parte il nutrimento<br />

alla fauna bentonica anche nella stagione invernale, sotto il ghiaccio e la coltre nevosa, nelle zone<br />

del torrente che non gelano completamente. In entrambe le tipologie, clorofilla a e BPOM hanno<br />

mostrato una chiara tendenza ad aumentare dal 1° al 3° or<strong>di</strong>ne, lungo il gra<strong>di</strong>ente monte‐valle. Tra<br />

i parametri che variano maggiormente tra stazioni glaciali (kryal) e non glaciali (krenal e rhithral vi<br />

è anche l’azoto ammonico, me<strong>di</strong>amente più elevato nei tratti glaciali e, tra questi, in quelli <strong>di</strong> 1°<br />

or<strong>di</strong>ne, con massimi in tarda primavera‐inizio estate, quando è massima la fusione <strong>di</strong> neve e<br />

ghiaccio. Tale azoto ha quin<strong>di</strong> prevalentemente un’origine atmosferica, come <strong>di</strong>mostrato in altri<br />

sistemi glaciali alpini. Le acque glaciali e non glaciali <strong>di</strong>fferiscono anche per la concentrazione <strong>di</strong><br />

silice reattiva, molto più elevata nei tratti alimentati dalla falda freatica. Nel complesso, i tratti<br />

dominati dal contributo glaciale risultano più “stressanti” per la fauna bentonica nel periodo<br />

estivo, e questo è confermato dalla bassa densità delle popolazioni trovate nei tratti sia del 1° che<br />

del 2° e 3° or<strong>di</strong>ne della tipologia glaciale rispetto a quella non glaciale. Stu<strong>di</strong> recenti <strong>di</strong>mostrano<br />

che tale situazione può capovolgersi in inverno, quando la portata è bassa e la stabilità dell’alveo è<br />

più elevata.<br />

In conclusione, per quanto riguarda le caratteristiche morfometriche, gli andamenti spaziali<br />

osservati per i <strong>di</strong>versi parametri nel sottobacino del Noce Bianco seguono fedelmente quanto<br />

atteso in base a Vannotte et al. (1980) e Strahler (1984), mentre i peculiari andamenti registrati<br />

78


per il sottobacino del Careser si spiegano per lo più con la presenza, ad una quota elevata (2600 m<br />

s.l.m.), <strong>di</strong> un bacino artificiale che interrompe la continuità fluviale. Inoltre, questo stu<strong>di</strong>o ha<br />

messo in evidenza il ruolo dell’origine, più che dell’or<strong>di</strong>ne e della quota, nel determinare le<br />

caratteristiche chimico‐ fisiche e biologiche dei tratti fluviali ubicati al <strong>di</strong> sopra della linea degli<br />

alberi.<br />

I valori me<strong>di</strong> <strong>di</strong> clorofilla a e feofitina a (entrambi espressi in g cm ‐2 ) erano chiaramente <strong>di</strong>versi<br />

nelle due tipologie <strong>di</strong> torrente. Nei torrenti glaciali si sono rilevati valori molto bassi <strong>di</strong> clorofilla,<br />

senza significative variazioni sia nel tempo (da agosto a settembre) che nello spazio (da monte<br />

verso valle). Ciò è in<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> una limitata produzione primaria, come atteso nei torrenti glaciali a<br />

causa delle con<strong>di</strong>zioni estreme presenti (bassa temperatura, elevata instabilità dell’alveo, elevato<br />

trasporto solido). L’elevato trasporto solido rende torbide le acque e quin<strong>di</strong> non permette il<br />

passaggio della luce, in<strong>di</strong>spensabile per l’attività fotosintetica, e provoca anche un effetto abrasivo<br />

sulla superficie dei sassi e sulle alghe eventualmente presenti. Il torrente glaciale della Val de la<br />

Mare è inoltre caratteristico per l’assenza della crisofita Hydrurus foetidus, solitamente presente in<br />

tipologie fluviali simili. Nei torrenti non glaciali si sono invece osservati valori <strong>di</strong> clorofilla<br />

me<strong>di</strong>amente più elevati rispetto al vicino torrente glaciale, con un chiaro gra<strong>di</strong>ente longitu<strong>di</strong>nale<br />

decrescente da monte verso valle. Questo è attribuibile alla presenza, nella stazione NB1bis, <strong>di</strong><br />

abbondanti licheni acquatici. Inoltre, la relativa stabilità della temperatura dell’acqua unita alla<br />

<strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> nutrienti rilasciati con la fusione delle nevi, dà luogo a con<strong>di</strong>zioni favorevoli per una<br />

proliferazione algale relativamente intensa.<br />

La temperatura<br />

La temperatura è uno dei fattori abiotici che più influenzano la vita degli organismi acquatici.<br />

Nei torrenti la temperatura dell’acqua varia sia su scala annuale che giornaliera, in <strong>di</strong>pendenza <strong>di</strong><br />

clima, altitu<strong>di</strong>ne, presenza <strong>di</strong> vegetazione riparia, esposizione e del contributo proveniente da<br />

acque <strong>di</strong> falda. Ulteriori fattori che incidono sulla temperatura dell’acqua sono la <strong>di</strong>stanza dalla<br />

fonte, la velocità della corrente e la portata. L’andamento stagionale della temperatura nei corsi<br />

d’acqua segue in linea <strong>di</strong> massima quello della temperatura dell’aria, con la <strong>di</strong>fferenza che nelle<br />

acque correnti non si hanno temperature inferiori a zero gra<strong>di</strong> e il riscaldamento primaverile inizia<br />

in ritardo rispetto a quello dell’aria. In generale, le temperature me<strong>di</strong>e dell’acqua seguono quelle<br />

dell’aria con un ritardo <strong>di</strong> 5‐7 giorni. In torrenti d’alta quota le variazioni estive giornaliere sono<br />

generalmente più ampie che non in fiumi <strong>di</strong> maggiori <strong>di</strong>mensioni, sia per la mancanza <strong>di</strong> copertura<br />

arborea sulle rive sia per il minor volume d’acqua da riscaldare nell’unità <strong>di</strong> tempo.<br />

A <strong>di</strong>fferenza dei laghi, i torrenti non hanno una stratificazione termica con la profon<strong>di</strong>tà, a causa<br />

del continuo rimescolamento delle acque. La presenza <strong>di</strong> infiltrazioni dalla falda può tuttavia<br />

creare un ambiente (prossimo al fondo) in cui la temperatura è <strong>di</strong> alcuni gra<strong>di</strong> più fredda d’estate e<br />

più calda d’inverno. Questo può risultare particolarmente importante per la fauna bentonica che<br />

appunto vive nello strato d’acqua <strong>di</strong> pochi millimetri a contatto con il fondo.<br />

Le <strong>di</strong>verse specie animali hanno sensibilità <strong>di</strong>verse rispetto alla temperatura. Quelle in grado <strong>di</strong><br />

sopportare ampie variazioni vengono denominate euriterme, mentre quelle il cui ciclo vitale si può<br />

svolgere solamente all’interno <strong>di</strong> uno stretto intervallo termico vengono definite stenoterme. Se<br />

79


questo intervallo è compreso tra temperature basse, le specie sono stenoterme fredde, al<br />

contrario, se prosperano in un intervallo <strong>di</strong> temperature elevate sono stenoterme calde. Nei<br />

torrenti d’alta quota in genere prevalgono le specie stenoterme fredde, che sono quin<strong>di</strong> ben<br />

adattatate alle basse temperature sia estive che invernali. La sopravvivenza al lungo periodo<br />

invernale nelle gelide acque dei torrenti montani è garantita da una serie <strong>di</strong> strategie, quali<br />

l’entrata in <strong>di</strong>apausa (quin<strong>di</strong> sospensione <strong>di</strong> tutte le attività, comprese quelle metaboliche) o la<br />

migrazione verso tratti a valle più “confortevoli” (specialmente nel caso in cui il torrente geli o<br />

entri in secca). Con l’aumentare verso valle della temperatura dell’acqua spariscono le specie<br />

stenoterme fredde ma altre, euriteme e stenoterme calde, iniziano la colonizzazione.<br />

Generalmente il numero <strong>di</strong> specie che scompaiono è inferiore a quello delle specie che si<br />

inse<strong>di</strong>ano, per cui si assiste ad un progressivo aumento della <strong>di</strong>versità da monte verso valle, al<br />

crescere della temperatura dell’acqua. La temperatura influenza, oltre il numero delle specie,<br />

anche le <strong>di</strong>mensioni dei singoli in<strong>di</strong>vidui (in genere più piccoli alle basse temperature) e la durata<br />

del loro ciclo vitale. Ciò avviene sia perché temperature troppo basse inibiscono l’attività <strong>di</strong><br />

nutrizione e il tempo <strong>di</strong> <strong>di</strong>gestione, sia perchè la <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> cibo è inferiore (il freddo rallenta<br />

anche lo sviluppo <strong>di</strong> alghe e piante acquatiche, primi anelli della catena alimentare).<br />

Per quanto riguarda i dati relativi alle acque correnti <strong>di</strong> Val de la Mare, è risultato evidente come la<br />

temperatura me<strong>di</strong>a non solo <strong>di</strong>minuisca al crescere della quota ma anche come aumenti al<br />

<strong>di</strong>minuire della “glacialità” del corso d’acqua. Analizzando le temperature dell’acqua registrate<br />

durante i due anni <strong>di</strong> ricerca nel Torrente Noce Bianco e nel Rio Larcher, si può osservare che<br />

mentre le temperature minime sono prossime allo zero per tutte le stazioni, le massime<br />

<strong>di</strong>fferiscono in relazione all’origine e alla <strong>di</strong>stanza dalla sorgente. In particolare, la temperatura<br />

massima va da 2.8 °C (nella stazione NB1) a 12.0 °C (nella stazione NB2) nel tratto glaciale, e da 6.2<br />

°C (nella stazione NB1bis) a 13.8 °C (nella stazione NB2bis) nel tratto non glaciale. Le <strong>di</strong>fferenze<br />

sono particolarmente evidenti per le due stazioni più elevate, NB1 e NB1bis, poste rispettivamente<br />

nel Noce Bianco e nel Rio Larcher. Nella stazione prossima al ghiacciaio (NB1) infatti, l’acqua<br />

proviene dalla fusione glaciale e la temperatura, anche nelle ore più calde, non supera mai i 3 C°.<br />

Nella omologa stazione NB1bis, situata più o meno alla stessa quota ma alimentata da falda e da<br />

nevai, il riscaldamento è più evidente e l’acqua supera i 6 C°.<br />

Le alghe<br />

Delle alghe raccolte sonbo state stu<strong>di</strong>ate le <strong>di</strong>atomee, determinate a livello <strong>di</strong> specie. Come atteso,<br />

sono state rinvenute comunità molto <strong>di</strong>verse in torrenti <strong>di</strong> <strong>di</strong>versa origine. Di seguito vengono<br />

presentati i risultati relativi alle abbondanze assolute e relative delle <strong>di</strong>verse specie.<br />

Diatomee epilitiche – abbondanze assolute<br />

Dall’analisi dei risultati dei valori <strong>di</strong> abbondanza assoluta ottenuti (espressi in <strong>di</strong>atomee cm<br />

80<br />

‐2 ), la<br />

densità <strong>di</strong> <strong>di</strong>atomee appare estremamente bassa nei corsi d’acqua ad alimentazione glaciale<br />

(stazioni NB1, NB2, NB3, CR1, CR2), mentre nelle stazioni ad alimentazione mista (NB4, NB5)<br />

presenta valori in alcuni casi più consistenti. Alla luce dei risultati delle determinazioni dei<br />

campioni del 2001 si è scelto quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> non procedere neppure alla preparazione dei campioni del


2002 per le stazioni citate. Occorre <strong>di</strong>re che i campioni si presentavano talmente poveri <strong>di</strong> frustoli<br />

che al termine <strong>di</strong> 2 ore <strong>di</strong> osservazione al microscopio si riuscivano a contare in tutto 4‐5 valve <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>atomee! Nel caso <strong>di</strong> stazioni un poco più ricche in popolamenti <strong>di</strong> <strong>di</strong>atomee come NB4 e NB5 si è<br />

scelto <strong>di</strong> ripiegare su una determinazione qualitativa delle abbondanze. In sintesi i campioni <strong>di</strong><br />

fitobenthos <strong>di</strong> torrenti a alimentazione glaciale o mista mantengono abbondanze assolute al <strong>di</strong><br />

sotto delle 1000 <strong>di</strong>atomee cm ‐2 .<br />

Nel caso delle altri stazioni il quadro presenta un andamento più <strong>di</strong>fficile da riassumere. Le stazioni<br />

del corso d’acqua non glaciale del Rio Larcher (NB1 bis, NB2 bis, NB3 bis) sembrano confermare<br />

l’andamento ottenuto dall’analisi della clorofilla a nel 2001 (ve<strong>di</strong> scheda Bertuzzi, Natura Alpina<br />

2001) con un andamento decrescente dell’abbondanza assoluta da monte verso valle e mostrano<br />

elevati valori <strong>di</strong> abbondanza (tra i più elevati <strong>di</strong> tutte le 17 stazioni) alla stazione NB1 bis, dove la<br />

morfologia e l’esposizione favorevole e la stessa proliferazione dei licheni creano delle buone<br />

con<strong>di</strong>zioni per uno sviluppo delle <strong>di</strong>atomee. Osservando invece il numero dei taxa determinato per<br />

stazione si vede come questo andamento si ribalti passando dai 5‐6 taxa della stazione più in<br />

quota ai 22‐24 taxa della stazione NB3 bis più a valle.<br />

I valori <strong>di</strong> abbondanza assoluta sono ben <strong>di</strong>fferenziati dai corsi d’acqua glaciali, in particolare nei<br />

campioni del 2001 (tutti ben superiori alle 1000 <strong>di</strong>atomee cm ‐2 ) mentre nel 2002 questi valori si<br />

fanno più bassi, in particolare a NB2 bis e NB3 bis, dove si scende a densità anche <strong>di</strong> 300 <strong>di</strong>atomee<br />

cm ‐2 . Nel caso <strong>di</strong> NB3 bis sono stati raccolti e preparati dei campioni anche nel 2003. Una prima<br />

determinazione condotta su questi ha confermato in sostanza taxa e abbondanze del 2002. Le<br />

medesime considerazioni sono applicabili alle stazioni CR1 bis e CR3 che accusano un forte calo <strong>di</strong><br />

abbondanza assoluta nei campioni del 2002 rispetto al 2001. La stazione CR3, pur essendo<br />

nominalmente un corso d’acqua ad alimentazione glaciale, a causa dell’interruzione della<br />

continuità idrografica dovuta alla presenza dello sbarramento del Careser si configura, anche dal<br />

punto <strong>di</strong> vista del fitobenthos, come ambiente dalle caratteristiche più simili ai corsi d’acqua non<br />

glaciali, sia nelle abbondanze che nel numero dei taxa presenti. Per quanto riguarda infine le aree<br />

rifugio, le abbondanze sono decisamente sovrapponibili a quelle rilevate nelle stazioni dei corsi<br />

d’acqua non glaciali con delle sorprendenti similitu<strong>di</strong>ni nei taxa più abbondanti tra stazioni lontane<br />

fra loro come NBAR2 e NBAR3. La stazione NBAR4 si <strong>di</strong>scosta dalle altre aree rifugio per<br />

l’abbondanza molto più scarsa che ci ha portato a ripiegare su una determinazione qualitativa<br />

delle abbondanze. L’elevata presenza <strong>di</strong> ossi<strong>di</strong> <strong>di</strong> ferro, visibili anche nel vetrino preparato,<br />

giustifica la particolarità <strong>di</strong> questo ambiente.<br />

Analizzando la stagionalità, desumibile in particolare dai campioni del 2002, raccolti in un<br />

intervallo temporale più ampio, si osservano in sostanza due picchi nei valori <strong>di</strong> abbondanza in<br />

corrispondenza dei mesi <strong>di</strong> giugno e ottobre mentre nei mesi centrali e in maggio i valori sono più<br />

bassi. Alcune stazioni presentano però andamenti <strong>di</strong>fferenti: NB3 bis e CR1 bis in particolare non<br />

mostrano variazioni significative nel periodo indagato. La mancanza <strong>di</strong> alcuni campioni (quelli <strong>di</strong><br />

maggio ad esempio sono relativi solo a poche stazioni) limitano in ogni caso le possibilità <strong>di</strong> analisi<br />

<strong>di</strong> questo aspetto ad alcune stazioni come NB1 bis e NBAR5 che presentano valori e variazioni<br />

molto simili (valori me<strong>di</strong> attorno alle 4.000 <strong>di</strong>atomee cm ‐2 con picchi <strong>di</strong> 15,000‐25,000 <strong>di</strong>atomee<br />

cm ‐2 ). Nel caso dei corsi d’acqua ad alimentazione glaciale, stante l’estrema povertà del<br />

popolamento, risulta più <strong>di</strong>fficile trarre qualche in<strong>di</strong>cazione su questo aspetto.<br />

81


45.000,0<br />

40.000,0<br />

35.000,0<br />

30.000,0<br />

25.000,0<br />

20.000,0<br />

15.000,0<br />

10.000,0<br />

5.000,0<br />

0,0<br />

Tab .7‐ Densità delle <strong>di</strong>atomee (<strong>di</strong>atomee/cm 2 ) sui sassi per centimetro quadro.<br />

lug‐01 set‐01 ott‐01 mag‐02 giu‐02 lug‐02 ago‐02 ott‐02<br />

NB1 16,9 16,5 22,1<br />

NB2 26,3 17,1 11,9<br />

NB3 2 16 0<br />

NB4 48,1 97,9 61,3<br />

NB5 148,9 715,2 1085<br />

NB1 bis 38379 13375,5 3219,4 6288 24795,4<br />

NB2 bis 3406,2 3013,1 339,9 274,3<br />

NB3 bis 1382,2 2368,9 1433,9 3953,4 809,6 295<br />

CR 1 33,4 25,1 13,7<br />

CR 1 bis 2847,3 1865 5443,9 372,5 907,2 883,2<br />

CR 2 7,6 5,3 110,4<br />

CR 3 6974,6 1231 43367 3684,4 297,2 297,2 1525,6<br />

NBAR 1 5428,3 1681 10821<br />

NBAR 2 2337,6 704,8<br />

NBAR 3 365 2096,2 1735,8 1945,9<br />

NBAR 4<br />

NBAR 5 2460,4 4561,5 3352,4 1348,5 25669,2<br />

"Luglio 01" "Settembre 01" "Ottobre 01" "Maggio 02" "Giugno 02" "Luglio 02" "Agosto 02"<br />

<strong>di</strong>atomee/cm2<br />

NB 1 NB 2 NB 3 NB 4 NB 5 NB 1 bis NB 2 bis NB 3 bis CR 1 CR 1 bis CR 2 CR 3 NBAR 1 NBAR 2 NBAR 3 NBAR 4 NBAR 5<br />

Fig. 7 ‐ Andamento della densità delle <strong>di</strong>atomee.<br />

Diatomee epilitiche – abbondanze percentuali relative<br />

I taxa più abbondanti sono: Achnanthes minutissima var. minutissima, Achnanthes acidoclinata,<br />

Eunotia exigua, Fragilaria capucina var. rumpens, Diadesmis gallica var. perpusilla, Encyonema<br />

minutum, Fragilaria arcus var. arcus, Gomphonema parvulum var. parvulum. Il taxon<br />

maggiormente presente nell’insieme dei campioni è senz’altro Achnanthes minutissima var.<br />

minutissima, che troviamo abbondantemente pressoché in ogni stazione con l’importante<br />

eccezione <strong>di</strong> NBAR2 e NBAR3 dove la specie dominante è invece Eunotia exigua.<br />

82


100.000,0<br />

10.000,0<br />

1.000,0<br />

100,0<br />

10,0<br />

1,0<br />

"Luglio 01" "Settembre<br />

<strong>di</strong>atomee/cm<br />

01"<br />

2<br />

"Ottobre 01" "Maggio 02" "Giugno 02" "Luglio 02" "Agosto 02" "Ottobre 02"<br />

Fig. 8 ‐ Andamento della densità delle <strong>di</strong>atomee, su scala logaritmica.<br />

NB 1<br />

NB 2<br />

NB 3<br />

NB 4<br />

NB 5<br />

NB 1 bis<br />

NB 2 bis<br />

NB 3 bis<br />

CR 1<br />

CR 1 bis<br />

CR 2<br />

CR 3<br />

NBAR 1<br />

NBAR 2<br />

NBAR 3<br />

NBAR 5<br />

Le abbondanze percentuali della popolazione <strong>di</strong> <strong>di</strong>atomee presentano una buona costanza con<br />

presenza <strong>di</strong> specie correlate ad esempio a elevati valori <strong>di</strong> solfati (Eunotia exigua) e, nel caso<br />

soprattutto <strong>di</strong> NB3 bis, NBAR1, NBAR2, NBAR3, in<strong>di</strong>catori <strong>di</strong> ambienti a bassa alcalinità. Occorre<br />

infatti sottolineare in queste stazioni l’elevata abbondanza <strong>di</strong> Achnanthes acidoclinata, Eunotia<br />

exigua e Eunotia subarcuatoides, tre specie in<strong>di</strong>cate dal Lange‐Bertalot (1996) come ottimi<br />

in<strong>di</strong>catori <strong>di</strong> ambienti aciduli per la presenza <strong>di</strong> aci<strong>di</strong> inorganici. Le variazioni delle abbondanze<br />

relative delle popolazioni delle stazioni NB4, NB5 e NBAR4 sono da considerarsi poco<br />

rappresentative stante il basso numero <strong>di</strong> valve contate per campione. Le stazioni invece più<br />

interessanti dal punto <strong>di</strong> vista delle variazioni e dell’abbondanza <strong>di</strong> taxa sono NB3 bis, CR1 bis,<br />

NBAR2, NBAR3 e NBAR5.<br />

Il contenuto in detrito minerale fine dei torrenti glaciali è una variabile decisiva per le <strong>di</strong>atomee. I<br />

“tipici” torrenti glaciali con acque torbide e con portate notevoli (perlomeno in estate e nelle ore<br />

centrali del giorno) ospitano infatti una microflora a <strong>di</strong>atomee ridotta ai minimi termini, sia dal<br />

punto <strong>di</strong> vista quantitativo che qualitativo. Nei corsi d’acqua con acque trasparenti, la<br />

mineralizzazione e le variabili correlate (alcalinità, pH) paiono essere i fattori ambientali decisivi<br />

nel determinare la struttura delle comunità <strong>di</strong> <strong>di</strong>atomee, perlomeno in ambienti in cui non si<br />

verifichino con una certa frequenza eventi estremi quali il <strong>di</strong>sseccamento stagionale.<br />

Per quanto riguarda i siti <strong>di</strong> campionamento appare chiara la sostanziale assenza <strong>di</strong> <strong>di</strong>atomee nelle<br />

stazioni dei corsi d’acqua glaciali torbi<strong>di</strong>, mentre per quelle non glaciali l’andamento risulta più<br />

complesso. L’abbondanza in taxa appare ben correlata con l’altitu<strong>di</strong>ne delle stazioni mentre la<br />

morfologia e l’esposizione giocano un ruolo importante nelle abbondanze assolute (ve<strong>di</strong> NB1 bis).<br />

Più <strong>di</strong>fficile risulta stabilire il carattere delle cosiddette aree rifugio. Dai risultati dell’analisi del<br />

popolamento <strong>di</strong>atomologico sono ben caratterizzate da specie in<strong>di</strong>catrici <strong>di</strong> bassa alcalinità le<br />

stazioni NBAR2 e NBAR3, mentre NBAR4 presenta abbondanze limitate dalla deposizione <strong>di</strong> ossi<strong>di</strong><br />

83


<strong>di</strong> ferro che non favoriscono la crescita del fitobenthos. NBAR1, invece, pur ospitando specie<br />

in<strong>di</strong>catrici <strong>di</strong> bassa alcalinità, mostra maggiore vicinanza con i popolamenti <strong>di</strong> <strong>di</strong>atomee <strong>di</strong> NB3 bis.<br />

Infine NB1 bis e NB5 si segnalano per una <strong>di</strong>screta presenza <strong>di</strong> Diadesmis gallica var. perpusilla,<br />

specie caratteristica <strong>di</strong> ambienti soggetti a <strong>di</strong>sseccamento.<br />

Infine un’osservazione sul rapporto sforzo <strong>di</strong> preparazione/risultato ottenuto rispetto alla<br />

preparazione <strong>di</strong> campioni quantitativi <strong>di</strong> <strong>di</strong>atomee. La procedura quantitativa messa a punto, a<br />

fronte del risultato <strong>di</strong> dare un valore comunque sottostimato, ma interessante, relativo<br />

all’abbondanza assoluta <strong>di</strong> <strong>di</strong>atomee, richiede tempi lunghi <strong>di</strong> preparazione, con <strong>di</strong>versi passaggi<br />

nel proce<strong>di</strong>mento, che comportano, in conclusione, tempi più lunghi nella preparazione dei<br />

campioni rispetto a quelli necessari alla determinazione. In particolare per i corsi d’acqua ad<br />

alimentazione glaciale o mista con i campioni del 2002 o si è scelto <strong>di</strong> non preparare neppure<br />

quanto raccolto (nel 2001 non si è trovato praticamente nulla) o si è dovuto comunque ripiegare<br />

su determinazioni delle abbondanze qualitative, con campioni già preparati secondo il<br />

proce<strong>di</strong>mento quantitativo, e questo è avvenuto talvolta anche per campioni <strong>di</strong> origine non<br />

glaciale. Sembra quin<strong>di</strong> opportuno considerare la scelta <strong>di</strong> raccogliere campioni quantitativi solo<br />

quando si sia in presenza <strong>di</strong> abbondanze sufficienti. In alternativa occorre prima mettere a punto<br />

un metodo specifico <strong>di</strong> raccolta delle <strong>di</strong>atomee che possa ovviare alla bassa densità riscontrata.<br />

Nel caso della Val de la Mare sarebbe stato necessario un aumento della superficie spazzolata <strong>di</strong><br />

almeno 2/3 volte per agevolare le fasi <strong>di</strong> determinazione e conteggio, ma <strong>di</strong> fronte al maggiore<br />

tempo <strong>di</strong> campionamento necessario si sarebbero ottenuti solamente alcuni valori <strong>di</strong> abbondanza<br />

assoluta in più. Difficile <strong>di</strong>re se ne sarebbe valsa la pena. Occorre quin<strong>di</strong> una certa attenzione nel<br />

programmare e portare avanti questa particolare tipologia <strong>di</strong> campionamento valutando caso per<br />

caso obiettivi e caratteristiche degli ambienti indagati.<br />

Lo zoobenthos<br />

Di seguito vengono presentati i risultati relativi ai gruppi <strong>di</strong> invertebrati determinati a livello <strong>di</strong><br />

specie o superiore. L’elenco delle specie è riportato nell’Appen<strong>di</strong>ce 2. Sono stati determinati oltre<br />

180 taxa (specie o livello suoeriore), <strong>di</strong> cui 6 nuovi per la scienza.<br />

I Turbellari<br />

Appartengono a questo gruppo i tricla<strong>di</strong> (o planarie) meglio conosciuti come vermi piatti che<br />

comprendono sia specie francamente reofile che altre esclusive <strong>di</strong> laghi e stagni. e Il contributo<br />

percentuale fornito alla biocenosi dei corsi indagati è stato pari al 2% e ascrivibile<br />

fondamentalmente alla presenza <strong>di</strong> Crenobia alpina. Questo taxon appare frequente in torrenti<br />

montani, sorgenti ed a volte può essere presente nell’ambiente litorale <strong>di</strong> laghi montani, purché<br />

con acque fresche e ben ossigenate. Si tratta <strong>di</strong> una specie predatrice <strong>di</strong> altri piccoli invertebrati<br />

acquatici.<br />

84


Gli Oligocheti<br />

Il turbellario Crenobia alpina.<br />

Tra gli invertebrati che popolano i torrenti d’alta quota gli oligocheti rappresentano in genere<br />

meno del 10% della comunità zoobentonica e non a caso infatti sono scarse le pubblicazioni<br />

relative a questo taxon. In questa ricerca si è tentato <strong>di</strong> colmare le lacune informative relative al<br />

gruppo e a tal scopo è stata indagata la fauna ad oligocheti <strong>di</strong> 13 stazioni situate sui fiumi glaciali<br />

Noce Bianco (NB1, NB2, NB3, NB4, NB5) e Careser (CR1, CR2), sui loro tributari principali (NB1bis,<br />

NB2bis, NB3bis, CR1bis), all’emissario della <strong>di</strong>ga del Careser (CR3) e in una pozza da sorgente in<br />

Pian Venezia (NB4AR). I risultati ottenuti sono riportati nella tabella 1 sotto forma <strong>di</strong> composizione<br />

percentuale della comunità <strong>di</strong> oligocheti nelle stazioni investigate e come elenco faunistico.<br />

Complessivamente sono stati raccolti 1149 esemplari ascrivibili a 28 taxa e identificate18 specie,<br />

appartenenti a quattro famiglie: Enchytraeidae (12 specie), Haplotaxidae (1 specie), Lumbriculidae<br />

(2 specie), Nai<strong>di</strong>dae (3 specie).<br />

La famiglia più abbondante rinvenuta nelle stazioni indagate è stata sicuramente l’Enchytraeidae<br />

rappresentando dal 26% (in NB4AR) al 100% (in NB1, NB2, NB5, NB2bis) della taxocenosi raccolta. I<br />

membri <strong>di</strong> questo gruppo costituiscono il 93% degli oligocheti raccolti nelle stazioni dominate dai<br />

corsi glaciali (?runoff) e il 63% in quelle caratterizzate dal contributo <strong>di</strong> acque sotterranee. I generi<br />

Cognettia (in particolare C. sp. e C. sphagnetorum) e Cernosvitoviella (soprattutto C. sp. juv. e C.<br />

atrata) sono stati i due taxa rinvenuti più frequentemente e con un numero abbondante <strong>di</strong><br />

in<strong>di</strong>vidui sia nei siti glaciali sia nei non glaciali: unica eccezione è tuttavia data da C. atrata apparsa<br />

rara nel krenal e nel kreno‐ruthral. Questa specie a <strong>di</strong>stribuzione oloartica, e segnalata in Italia nel<br />

1995 in terreni aci<strong>di</strong> boschivi in Toscana è stata solo recentemente raccolta in laghi e torrenti nelle<br />

Alpi italiane e svizzere.<br />

Nel kryal e nel glacio‐rithral le famiglie Nai<strong>di</strong>dae, ed in particolare la specie Nais communis,<br />

Lumbriculidae e Haplotaxidae rappresentano rispettivamente il 4%, il 2% e l’1%<br />

85


dell’oligochetofauna raccolta. Per quanto concerne i siti non glaciali, i Limbriculi<strong>di</strong> aumentano il<br />

loro contributo percentuale alla comunità, soprattutto per l’abbondante presenza <strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidui<br />

giovanili <strong>di</strong> Stylodrilus sp., rappresentando il 22% della fauna raccolta. Stessa considerazione può<br />

essere fatta per i Nai<strong>di</strong><strong>di</strong> che con le specie N. communis e N. variabilis rappresentano il 12% della<br />

taxocenosi mentre decisamente ridotto appare il contributo fornito dalle famiglie Tubificidae (2%)<br />

e Haplotaxidae (1%). Confrontando i risultati ottenuti nei siti glaciali e non glaciali, appare identico<br />

il numero dei taxa trovati, 22, con una <strong>di</strong>versità che aumenta con la <strong>di</strong>stanza dalla sorgente e con<br />

l’unica eccezione rappresentata da NB5. Cinque taxa sono stati raccolti come esclusivi nei siti<br />

dominati da input <strong>di</strong> acque sotterranee (Cognettia cf. paxi, Cernosvitoviella omodeoi, Henlea<br />

perpusilla, Stylodrilus parvus, giovanili <strong>di</strong> Tubificidae) e cinque come esclusivi dei siti caratterizzati<br />

dal runoff glaciale (Cernosvitoviella ampullax, giovanili <strong>di</strong> Henlea, Fridericia perrieri, F. ley<strong>di</strong>gi,<br />

giovanili <strong>di</strong> Lumbriculidae). Alcuni taxa sono stati rinvenuti in maniera significativamente<br />

abbondante nel drift (Enchytraeidae juveniles, Cernosvitoviella ampullax, Nais communis, N.<br />

variabilis, Mesenchytraeus armatus) mentre altri sono apparsi più frequenti nei kick (Haplotaxis<br />

gor<strong>di</strong>oides e Cernosvitoviella tridentina).<br />

Pur essendo invertebrati comuni nei torrenti d’alta montagna, gli Oligocheti raramente<br />

costituiscono il gruppo dominante e probabilmente sottostimato per errori <strong>di</strong> campionamento.<br />

Tuttavia un numero relativamente alto <strong>di</strong> specie soprattutto se confrontato con quanto rinvenuto<br />

in altri sistemi glaciali (16 specie, Malard et al. 2003) è stato in<strong>di</strong>viduato. La composizione<br />

dell’oligochetofauna acquatica è comunque apparsa simile a quella <strong>di</strong> altri ambienti lotici e lentici<br />

europei <strong>di</strong> alta quota. Va sottolineato l’interessante rinvenimento <strong>di</strong> Cognettia cf. paxi e Stylodrilus<br />

parvus, che rappresentano segnalazioni ine<strong>di</strong>te per la fauna italiana, e la scoperta <strong>di</strong> tre specie<br />

nuove per la scienza: Cognettia valeriae, Cernosvitoviella longiducta, e Cernosvitoviella tridentina.<br />

I Crostacei<br />

Componente importante dei popolamenti acquatici delle sorgenti e dei corsi d’alta quota, i<br />

microcrostacei riescono ad occupare i più <strong>di</strong>versi microambienti (specie stigossene) mostrando a<br />

volte preferenze più (specie stigobie) o meno (specie stigofile) spiccate per determinate tipologie<br />

ambientali. I dati ricavati da questa ricerca hanno evidenziato il ruolo dominante nella fauna a<br />

crostacei dei copepo<strong>di</strong> ciclopoi<strong>di</strong> ed ostraco<strong>di</strong>, che appaiono numerosi nella zona litorale dei laghi<br />

e negli emissari, e dei copepo<strong>di</strong> arpacticoi<strong>di</strong> raccolti soprattutto nel Noce Bianco e nel Rio Larcher.<br />

Complessivamente sono stati raccolti e classificati 18 taxa: 14 appartenenti all’or<strong>di</strong>ne<br />

Harpacticoida, 2 all’or<strong>di</strong>ne Ciclopoida, 1 all’or<strong>di</strong>ne Bathynellacea e 1 all’or<strong>di</strong>ne Amphipoda.<br />

Relativamente ai Ciclopoi<strong>di</strong> sono state rinvenute abbondati popolazioni <strong>di</strong> Eucyclops serrulatus<br />

nelle stazioni NB2bis e NB4; mentre Paracyclops fimbriatus è stato raccolto solo nella stazione<br />

NB4. Si tratta <strong>di</strong> taxa ubiquisti e cosmopoliti spesso rinvenuti in tutti gli ambienti <strong>di</strong> acque interne.<br />

Niphargus strouhali alpinus è stato raccolto nei siti NB1bis, NB2 bis and NB3 con un numero<br />

ridotto <strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidui trovato oltre il limite altitu<strong>di</strong>nale noto per le Alpi (2000‐2200 m s.l.m.) a 2700<br />

m s.l.m.; mentre il taxon identificato come membro della famiglia Bathynellidae è stato raccolto<br />

esclusivamente nella stazione CR2.<br />

86


Molto più <strong>di</strong>versificata e ricca appare invece la fauna ad<br />

arpacticoi<strong>di</strong>. Dei 2684 arpacticoi<strong>di</strong> raccolti, la specie più<br />

abbondante era Bryocamptus (Arcticocamptus) cuspidatus<br />

presente in tutti i siti <strong>di</strong> raccolta, questo taxon che può essere<br />

considerato un elemento boreo‐alpino, risulta ampiamente<br />

<strong>di</strong>ffuso in Europa, in Groenlan<strong>di</strong>a ed in America del Nord. La<br />

presenza <strong>di</strong> Maraenobiotus vejdovskyi e <strong>di</strong> Hypocamptus<br />

ruffoi (specie descritta da Cottarelli, Berera & Maiolini nel<br />

2005 proprio su esemplari raccolti in Val de La Mare) sono<br />

apparse limitate alle sole stazioni del kryal dove invece<br />

sembrano mancare Bryocamptus (Arcticocamptus) rhaeticus,<br />

Bryocamptus (Arcticocamptus) abnobensis e M. insignipes.<br />

Maraenobiotus sp.<br />

La maggior parte degli arpacticoi<strong>di</strong> raccolti sono ascrivibili a specie stigossene o stigofile mentre<br />

sembrano mancare completamente gli stigobi. Questo risultato potrebbe suggerire che l’habitat<br />

iporreico in realtà rappresenti una sorta <strong>di</strong> rifugio per taxa epigei, che vengono più facilmente<br />

trovati come componenti dell’epibenthos nei fiumi e nelle acque <strong>di</strong> sorgente dove appaiono<br />

con<strong>di</strong>zioni ambientali (ad es. bassa velocità <strong>di</strong> corrente) meno severe consentono loro <strong>di</strong><br />

sopravvivere negli strati superficiali dei se<strong>di</strong>menti.<br />

Gli Efemerotteri<br />

Le larve degli Efemerotterimostrano, rispetto a quelle dei Plecotteri, una maggiore plasticità<br />

ecologica in quanto riescono a colonizzare sia acque ferme che correnti. Questi insetti<br />

rappresentano un elemento importante nel bilancio energetico dell’ecosistema acquatico ed una<br />

frazione importante della biomassa animale dei corsi d’acqua.<br />

Durante questa ricerca sono state raccolte complessivamente 10862 ninfe <strong>di</strong> Efemerotteripresenti<br />

in 23 stazioni sulle 33 indagate. La <strong>di</strong>stribuzione <strong>di</strong> questo or<strong>di</strong>ne in relazione alle <strong>di</strong>verse tipologie<br />

fluviali ha evidenziato che gli Efemerotteri sono più abbondanti nei corsi d’acqua creno‐ritrali,<br />

ossia in ambienti caratterizzati da elevata stabilità dell’alveo, basse variazioni <strong>di</strong> temperatura e <strong>di</strong><br />

portata e buona <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> sostanza organica. Complessivamente sono stati in<strong>di</strong>viduati<br />

quattro generi, ciascuno rappresentato da una sola specie. Baetis alpinus è risultata la specie più<br />

ubiquitaria, seguita da Ecdyonurus alpinus e Rhithrogena loyolea, rinvenute a tutte le quote ma<br />

con un numero decrescente <strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidui all’aumentare dell’altitu<strong>di</strong>ne. Epeorus alpicola è invece<br />

presente soprattutto a quote al <strong>di</strong> sotto dei 2000 m s.l.m.. B. alpinus è risultata la specie più<br />

abbondante, presente in 20 stazioni, seguita da R. loyolea presente in 13 stazioni, E. alpinus in 6<br />

stazioni ed E. alpicola in 3 stazioni. Le quattro specie sono più <strong>di</strong>ffuse in ambienti creno‐ritrali e<br />

soltanto R. loyolea e B. alpinus sono state trovate in ambienti glacio‐ritrali.<br />

Gli Efemerotteri<strong>di</strong>ventano elementi importanti nella comunità bentonica a partire da 1‐2 km dal<br />

fronte glaciale e dopo circa un km dalla sorgente dei torrenti non glaciali.<br />

87


I Plecotteri<br />

Un efemerottero eptagenide (Epeorus sp.) e betide (Baetis sp.).<br />

Le larve dei Plecotteri sono tipicamente associate alle acque correnti fredde e ben ossigenate dei<br />

torrenti montani e con l’eccezione <strong>di</strong> poche specie moderatamente tolleranti rappresentano i<br />

macroinvertebrati più sensibili alle alterazioni ambientali. Durante questa ricerca sono state<br />

censite complessivamente 25646 ninfe presenti in 21 stazioni e dopo i <strong>di</strong>tteri, che rappresentano<br />

l’or<strong>di</strong>ne più <strong>di</strong>ffuso ed abbondante in queste tipologie <strong>di</strong> habitat, sono quelli che più riescono a<br />

colonizzare ambienti glaciali e tra questi i generi Protonemura e Brachyptera sono i più <strong>di</strong>ffusi<br />

sull’intero arco alpino. I dati raccolti hanno permesso <strong>di</strong> evidenziare come l’abbondanza <strong>di</strong> questi<br />

insetti tenda ad aumentare con la quota tanto da rappresentare il 37.7% della comunità<br />

bentonica. tra i 2500 ed i 2700 m s.l.m. I plecotteri sono stati trovati in ambienti creno‐ritrali,<br />

glacio‐ritrali e criali con percentuali rispettivamente del 74,6 %, 18,7 % e 3,4 %, risultando i più<br />

propensi a colonizzare ambienti <strong>di</strong> alta quota anche ad alimentazione glaciale. Complessivamente<br />

sono state identificate 23 specie appartenenti a 13 generi. Le specie Protonemura nimborum e<br />

Brachyptera risi presentano un’ampia <strong>di</strong>stribuzione altitu<strong>di</strong>nale. Chloroperla susemicheli, Nemoura<br />

marginata, Isoperla rivulorum ed Isoperla saccai occupano esclusivamente ambienti al <strong>di</strong> sotto dei<br />

2000 m mentre Siphonoperla montana, Siphonoperla torrentium, Protonemura lateralis, Isoperla<br />

grammatica, Isoperla carbonaria e Perlodes intricatus frequentano ambienti compresi tra 2000 ed<br />

i 2500 m s.l.m. P. nimborum è risultata la specie più abbondante e più frequente seguita da B. risi,<br />

<strong>di</strong>ffuse entrambe con <strong>di</strong>screte abbondanze anche in ambienti glaciali. Le altre specie sono risultate<br />

più rare e con pochi in<strong>di</strong>vidui prevalentemente in ambienti creno‐ritrali.<br />

Interessante è anche il ritrovamento a 2730 m s.l.m. <strong>di</strong> un ricco popolamento del Plecottero<br />

Dictyogenus fontium (Ris), specie comune nei piccoli corsi d’acqua montani a quote inferiori ai<br />

2000 m s.l.m.. Il ritrovamento più elevato nelle Alpi è a 2780 m s.l.m..<br />

Nei torrenti investigati sono state identificate finora quattro famiglie <strong>di</strong> plecotteri (Leuctridae,<br />

Nemouridae, Perlo<strong>di</strong>dae e Taeniopterygidae) con 7 generi: Dictyogenus, Isoperla, Leuctra,<br />

Nemoura, Perlodes, Protonemura e Siphonoperla. Di particolare interesse è stato il ritrovamento <strong>di</strong><br />

88


Dictyogenus fontium a 2730 m s.l.m. (stazione ImL1). Questo è uno <strong>di</strong> rilevamenti più in quota mai<br />

segnalati per questa specie sulle Alpi.<br />

I Chironomi<strong>di</strong><br />

Ninfa e adulto <strong>di</strong> plecottero.<br />

Tra le famiglie <strong>di</strong> insetti che popolano le acque dolci, i Chironomi<strong>di</strong> comprendono il più alto<br />

numero <strong>di</strong> specie mostrando una <strong>di</strong>ffusione pressoché cosmopolita ed una grande plasticità<br />

ecologica. La capacità <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi taxa <strong>di</strong> tollerare in modo anche vistoso mo<strong>di</strong>fiche dei fattori<br />

ambientali, fa sì che i Chironomi<strong>di</strong> possano essere presi in considerazione come specie<br />

particolarmente idonee alla valutazione della qualità delle acque. Spesso presenti in grande<br />

quantità, assumono ruolo dominante nei corsi d’alta quota e <strong>di</strong>ventano la taxocenosi più<br />

significativa nei torrenti <strong>di</strong> origine glaciale.<br />

Indagata dal 1996 al 2001 in 46 siti, la fauna a Chironomi<strong>di</strong> ha fornito come risultato la cattura <strong>di</strong><br />

42772 in<strong>di</strong>vidui (considerando larve, pupe, esuvie pupali e adulti) ascrivibili a 5 sottofamiglie, 8<br />

tribù, 42 generi e 136 specie/gruppi <strong>di</strong> specie, <strong>di</strong> cui 11 nuove per l’Italia e una, Macropelopia<br />

rossaroi, nuova per la scienza. Le due sottofamiglie più ricche in specie sono risultate i Diamesini<br />

con 33 taxa e gli Orthocla<strong>di</strong>ini con 85 taxa, rappresentando rispettivamente il 49 e 44% del totale<br />

della fauna a Chironomi<strong>di</strong>. Meno rappresentate sono invece le sottofamiglie Chironominae, che<br />

costituisconi il 5% della comunità nei siti glaciali e il 9% nei non glaciali, e Tanypo<strong>di</strong>nae e<br />

Pro<strong>di</strong>amesinae apparse rare in tutti i siti contribuendo con meno dell’1% alla comunità raccolta. A<br />

89


livello <strong>di</strong> genere è sicuramente Diamesa il più abbondante e frequente, segnalato in 42 dei siti<br />

investigati.<br />

I taxa più frequenti nelle acque dominate da fusione glaciale (NB) e nella stazione non glaciale<br />

NB1bis (prossima al nevaio che alimenta il Rio Larcher) sono risultati, tra i <strong>di</strong>amesini, Diamesa<br />

steinboecki, Diamesa gr. latitarsis, Diamesa gr. zernyi, Diamesa gr. cinerella, Pseudokiefferiella<br />

parva e, tra gli ortocla<strong>di</strong>ni, Orthocla<strong>di</strong>us spp.. Il <strong>di</strong>amesino Diamesa bertrami e gli ortocla<strong>di</strong>ni<br />

Tvetenia calvescens/bavarica, Eukiefferiella brevicalcar/tirolensis, Eukiefferiella minor/fittkaui,<br />

Eudactylocla<strong>di</strong>us sp. e Parakiefferiella sp. sono risultati più frequenti nel tratto me<strong>di</strong>o‐basso del<br />

tributario non glaciale Rio Larcher. Negli immissari, oltre a numerosi ortocla<strong>di</strong>ni juvenili, sono<br />

risultati dominanti Diamesa bertrami, Eukiefferiella brevicalcar/tirolensis e Tvetenia<br />

calvescens/bavarica. Negli emissari, tra i taxa più rappresentati, vi sono <strong>di</strong>versi ortocla<strong>di</strong>ni, quali<br />

Corynoneura spp., Eukiefferiella minor/fittkaui, Parametriocnemus sp. e tanitarsini, tra cui prevale<br />

Micropsectra sp.. Infine, lungo le rive dei laghi, Paratanytarsus sp. e Micropsectra sp. tra i<br />

chironomini e Zavrelimyia sp. tra i tanipo<strong>di</strong>ni, sono i taxa più rappresentati.<br />

La segnalazione <strong>di</strong> un’elevata <strong>di</strong>versità specifica, la più alta per questi ecosistemi in Europa, è<br />

probabilmente imputabile all’eterogenità ecologica dell’ambiente <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o. Molti dei taxa raccolti<br />

appaiono tipici dei corsi montani ma altri possono essere rinvenuti anche nei fiumi <strong>di</strong> bassa quota.<br />

Dai risultati ottenuti è apparsa evidente una correlazione negativa della ricchezza in specie con<br />

l’altitu<strong>di</strong>ne e l’influenza glaciale e della densità <strong>di</strong> popolazione con l’origine del corso indagato. Tra<br />

le variabili ambientali, comunque, è la temperatura dell’acqua a svolgere il ruolo <strong>di</strong> fattore<br />

determinante nella <strong>di</strong>stribuzione delle specie: basse temperature sono associate ad alte<br />

concentrazioni <strong>di</strong> ossigeno e molte specie sono stenoxibionti. Stu<strong>di</strong> recenti hanno <strong>di</strong>mostrato<br />

come in alcuni habitat, quali i torrenti glaciali, la biocenosi invernale sia generalmente più ricca in<br />

specie e numero <strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidui rispetto a quella estiva. Questo può essere giustificato dal fatto che in<br />

inverno gli stress ambientali sono ridotti (deflusso più lento, maggiore stabilità dei canali,<br />

maggiore trasparenza, abbondanza <strong>di</strong> alghe). Inoltre va sottolineato che negli ultimi anni si è<br />

assistito nel versante Sud delle Alpi ad una riduzione dell’abbondanza <strong>di</strong> chironomi<strong>di</strong> nei torrenti<br />

glaciali. Elevati deflussi osservati durante l’estate 2003, causati da temperature atmosferiche<br />

<strong>di</strong>urne <strong>di</strong> oltre 30 °C, hanno favorito un’elevata torpi<strong>di</strong>tà dell’acqua ed un’instabilità dei canali<br />

impedendo lo sviluppo <strong>di</strong> un biofilm base della <strong>di</strong>eta dei Chironomi<strong>di</strong>. Le specie strettamente<br />

frigostenoterme come quelle appartenenti al gruppo Diamesa latitarsis – steinboecki appaiono a<br />

rischio <strong>di</strong> estinzione a causa del ritiro dei ghiacciai riproponendo quanto già avvenuto negli<br />

Appennini. La recente scomparsa <strong>di</strong> piccoli ghiacciai (‘il Calderone’ nel gruppo Gran Sasso,<br />

Abruzzo) ha ridotto il gruppo Diamesa latitarsis ad una sola specie, Diamesa bertrami (Edwards<br />

1935).<br />

Il cambiamento spaziale e temporale dei chironomi<strong>di</strong> in termini <strong>di</strong> numero <strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidui e specie<br />

può essere spiegata attraverso gli effetti a breve e lungo termine dei cambiamenti climatici. Le<br />

variazioni interannuali possono essere spiegate con con<strong>di</strong>zioni climatiche eccezionali come estati<br />

estremamente calde o inverni fred<strong>di</strong>; queste mo<strong>di</strong>ficano le variabili fisiche (ad es. un deflusso più<br />

veloce, una copertura nevosa più breve o più lunga) che causano all’interno della comunità una<br />

competizione inter‐specifica. Questi eventi posso essere poi complicati dalla combinazione con<br />

fattori stocastici come la possibilità delle femmine <strong>di</strong> deporre le uova. Comunque ci sono segnali<br />

90


evidenti che le aree glaciali delle Alpi ed in generale gli habitat <strong>di</strong> acque fredde del Me<strong>di</strong>terraneo<br />

siano in serio rischio in relazione al cambiamento climatico globale.<br />

Uova <strong>di</strong> Diamesa sp.<br />

I Simuli<strong>di</strong><br />

Larva IV sta<strong>di</strong>o Diamesa gr. zernyi.<br />

Emergenza dell’adulto (Diamesa gr. zernyi).<br />

Le larve dei Simuli<strong>di</strong> costituiscono un’importante componente zoobentonica negli ecosistemi<br />

lotici: sono organismi prevalentemente filtratori e come tali rappresentano un collegamento tra<br />

predatori e particellato in sospensione. Delle circa 1720 specie <strong>di</strong> Ditteri Simuli<strong>di</strong> note, 70<br />

appartengono alla fauna italiana ed insieme ai Chironomi<strong>di</strong> Diamesini, colonizzano i tratti<br />

torrentizi sin dalle quote più elevate e le loro larve si inse<strong>di</strong>ano nei punti <strong>di</strong> maggior velocità <strong>di</strong><br />

corrente.<br />

I dati relativi a questo gruppo si riferiscono a 21 stazioni (4 in Val d’Amola, 9 in Val Conca, 5 in Val<br />

de La Mare, sul torrente Noce Bianco, 3 in Careser) indagate in primavera, estate ed autunno, nel<br />

periodo 1996 ‐ 2001 nell’ambito <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi progetti <strong>di</strong> ricerca relativi all’ecologia dei torrenti d’alta<br />

91


quota, condotti dalla Sezione <strong>di</strong> Zoologia degli Invertebrati ed Idrobiologia del <strong>Museo</strong> delle<br />

<strong>Scienze</strong>. Le stazioni poste a quote comprese tra 1300 m e 2800 m s.l.m. sono così caratterizzate:<br />

Otto appartengono a sistemi fluviali alimentati prevalentemente da acque <strong>di</strong> fusione glaciale<br />

(kryal), sette da acque <strong>di</strong> nevai, <strong>di</strong> falda e meteoriche (rhythral) e sei ad alimentazione mista. In<br />

ciascuna sono stati campionati <strong>di</strong>versi microambienti (raschi, pozze, ecc.) con retino immanicato<br />

(maglia da 250 mm) <strong>di</strong>sturbando per due minuti 5 aree <strong>di</strong> 0.1 m 2 . Nelle stesse stazioni sono state<br />

effettuate anche raccolte a mano, con retini da drift e trappole <strong>di</strong> emergenza allo scopo <strong>di</strong><br />

migliorare il quadro conoscitivo delle comunità bentoniche. Per la classificazione sono stati presi in<br />

considerazione i <strong>di</strong>versi sta<strong>di</strong> vitali (larve, pupe e adulti).<br />

Le specie note per gli ambienti alpini italiani sono circa 20,, nel corso <strong>di</strong> questa ricerca ne sono<br />

state rinvenute nove. La specie a più ampia <strong>di</strong>ffusione è risultata essere Prosimulium latimucro<br />

(Enderlein), presente in 19 delle 21 stazioni considerate, seguita da Prosimulium rufipes (Meigen),<br />

presente in 11 stazioni. In particolare, si è osservato come P. latimucro sia l’unica specie presente<br />

al <strong>di</strong> sopra dei 2600 m s.l.m.. P. rufipes è stato trovato a partire da circa 2500 m s.l.m., con<br />

abbondanze crescenti con il decrescere della quota. Intorno ai 2000 m s.l.m. la comunità si<br />

arricchisce <strong>di</strong> specie appartenenti al genere Simulium: S. cryophilum (Rubtsov), S. vernum<br />

Macquart .Le specie sono risultate esclusive <strong>di</strong> una o due località.<br />

Evidenti <strong>di</strong>fferenze sono state riscontrate nei <strong>di</strong>versi ambienti fluviali. Mentre i tratti criali, con<br />

con<strong>di</strong>zioni chimiche ed ambientali più aspre, sono caratterizzati dalla presenza <strong>di</strong> sole una specie,<br />

negli ambienti ritrali ne sono state accertate tre. I Prosimuliini sono dominanti nei due ambienti,<br />

con prevalenza <strong>di</strong> P. rufipes nelle acque <strong>di</strong> origine mista. I Simuliini sono maggiormente <strong>di</strong>stribuiti<br />

nei torrenti ritrali.<br />

I tricotteri<br />

Larve <strong>di</strong> <strong>di</strong>tteri simuli<strong>di</strong>.<br />

Le larve dei Tricotteri coprono all’interno dell’ecosistema fluviale tutti i ruoli trofici dei<br />

consumatori. La loro sensibilità alle alterazioni ambientali è abbastanza elevata e poche sono le<br />

92


specie in grado <strong>di</strong> tollerare acque inquinate. Dal 1999 al 2003, sono state raccolte<br />

complessivamente 1762 larve <strong>di</strong> tricotteri (presenti in 24 stazioni delle 33 indagate) e, a <strong>di</strong>fferenza<br />

<strong>di</strong> quanto evidenziato per i plecotteri, l’abbondanza <strong>di</strong> questi insetti è apparsa <strong>di</strong>minuire con la<br />

quota. Il 55.6% dei tricotteri è presente infatti al <strong>di</strong> sotto dei 2000 m s.l.m., preferendo gli ambienti<br />

creno‐ritrali con spora<strong>di</strong>che presenze in ambienti glacio‐ritrali e criali. I risultati ottenuti hanno<br />

permesso <strong>di</strong> identificare 17 specie appartenenti a 14 generi. Le specie Acrophylax zerberus,<br />

Allogamus uncatus, Rhyacophila glareosa e Rhyacophila interme<strong>di</strong>a sono risultate le più<br />

ubiquitarie, la specie Limnephilus coenosus è stata rinvenuta soltanto ad una quota compresa tra i<br />

2000 ed i 2500 m s.l.m. mentre tutte le altre sono presenti esclusivamente ad una quota inferiore<br />

ai 2000 m e con pochi in<strong>di</strong>vidui. Le specie A. zerberus, R. interme<strong>di</strong>a e Drusus destitutus sono<br />

quelle rinvenute nel maggior numero <strong>di</strong> stazioni (rispettivamente in 17, 9 e 9), con la prima <strong>di</strong>ffusa<br />

in tutte le tipologie indagate.<br />

Dunque i tricotteri, come atteso, sono relativamente ben rappresentati solo nei torrenti ad<br />

alimentazione mista e negli emissari dei laghi. Sicuramente interessante da un punto <strong>di</strong> vista<br />

zoogeografico è il secondo ritrovamento per l’Italia del tricottero Drusus destitutus, noto per<br />

l’Austria (http://www.aqem.de/taxalist/group21_list.htm) e trovato recentemente da Malicky in<br />

Provincia <strong>di</strong> Bolzano (To<strong>di</strong>ni, com. pers.). Rimane da accertare la presenza del tricottero<br />

Chaetopterygopsis maclachlani, noto per l’Austria, la Repubblica Ceca, Germania, Grecia e<br />

Slovacchia , trovato dagli Autori come larva in un’unica occasione.<br />

Larva <strong>di</strong> tricottero riacofilide ed esemplare adulto.<br />

Di interesse biogeografico è il secondo ritrovamento per l’Italia del tricottero Drusus destitutus,<br />

noto per l’Austria e trovato recentemente da Malicky in Provincia <strong>di</strong> Bolzano. Rimane da accertare<br />

la presenza del tricottero Chaetopterygopsis maclachlani, noto per l’Austria, la Repubblica Ceca,<br />

93


Germania, Grecia e Slovacchia, trovato dagli Autori come larva in un’unica occasione. Come<br />

atteso, nei torrenti <strong>di</strong> Val de la Mare, i tricotteri sono risultati poco frequenti e per lo più limitati ai<br />

tratti più lenti dei torrenti non glaciali o ad aree rifugio quali piccole sorgenti o pozze in prossimità<br />

dei corsi d’acqua. Ad oggi sono state rinvenute tre famiglie (Limnephilidae, Philopotamidae,<br />

Rhyacophilidae) e 11 specie: Allogamus uncatus, Drusus <strong>di</strong>scolor, Halesus rubricollis, Metanoea<br />

rhaetica, Pseudopsilopteryx zimmeri, Philopotamus lu<strong>di</strong>ficatus, Wormal<strong>di</strong>a gr. occipitalis,<br />

Rhyacophila interme<strong>di</strong>a, R. dorsalis, R. aurata e R. glareosa.<br />

I Tar<strong>di</strong>gra<strong>di</strong><br />

Larve <strong>di</strong> tricotteri ammassate lungo le zone con velocità dell’acqua ottimale per la specie.<br />

In un primo sondaggio effettuato su <strong>di</strong>versi substrati in località Val de la Mare ha evidenziato che i<br />

tar<strong>di</strong>gra<strong>di</strong> sono ben rappresentati nelle acque dei torrenti, nei muschi e nei prati <strong>di</strong> quell’area.<br />

Sono state in<strong>di</strong>viduate venti specie, nove in acqua dolce, un<strong>di</strong>ci nei muschi su roccia e tronchi<br />

d’acero e una in terreno prativo. Di queste cinque sono in corso <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o perché probabilmente<br />

nuove per la scienza, una (Hypsibius zetlan<strong>di</strong>cus) è nuova per l’Italia e particolarmente<br />

interessante per la sua <strong>di</strong>stribuzione boreo‐alpina e la sua biologia, tre (Isohypsibius granulifer,<br />

Mixibius saracenus e Echiniscus quadrispinosus) sono nuove per il Trentino.<br />

Fauna entomologica terrestre<br />

La fauna invertebrata riparia non era oggetto <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o del progetto <strong>HIGHEST</strong>, tuttavia è stata fatta<br />

una raccolta <strong>di</strong> coleotteri carabi<strong>di</strong> in alta quota (2400 m s.l.m., in data 8.IX.2004) allo scopo <strong>di</strong><br />

avere una prima valutazione della bio<strong>di</strong>versità <strong>di</strong> questo interessante gruppo <strong>di</strong> coleotteri, in grado<br />

<strong>di</strong> colonizzare anche gli ambienti prossimi ai ghiacciai. In quella occasione furono identificate sei<br />

specie: Nebria jokischi, Nebria rufescens, Ocydromus complanatus, Ocydromus tibialis , Ocydromus<br />

incognitus, Amara sp.<br />

94


A queste raccolte si è aggiunta la raccolta a mano <strong>di</strong> Ditteri Bibionidae da parte del dott. S. Vanin.<br />

Sono state identificate 6 specie: Bibio brunnipes (Fabricius, 1794), Bibio clavipes Meigen, 1818,<br />

Bibio nigriventris Haliday, 1833, Bibio pomonae (Fabricius, 1775), Dilophus borealis Skartveit, 1993,<br />

Dilophus femoratus Meigen, 1804.<br />

Trappole per insetti adulti<br />

Le due trappole Malaise posizionate nell’estate 2003 sulle rive delle stazioni NB3 e NB3bis, in Pian<br />

Venezia, hanno permesso <strong>di</strong> raccogliere migliaia <strong>di</strong> esemplari adulti <strong>di</strong> taxa acquatici e terretri <strong>di</strong><br />

quest’area. In particolare sono stati raccolti 246 in<strong>di</strong>vidui (= adulti <strong>di</strong> insetti e altri taxa terretri) in<br />

luglio (due date <strong>di</strong> raccolta: 10/07, 23/07) nelle vicinanze della stazione glaciale e 11.108 esemplari<br />

nella vicina stazione non glaciale tra giugno e novembre (8 date <strong>di</strong> raccolta: 20/06, 24/07, 06/08,<br />

22/08, 17/09, 03/10, 16/10, 06/11). Nei pressi della stazione glaciale la trappola è stata sra<strong>di</strong>cata e<br />

trascinata a valle più volte a causa dell’elevata portata del torrente, per questo ha reisitito solo per<br />

un breve periodo. I taxa rinvenuti sono stati: Aracnida, Acarina, Collembola, Ephemeroptera,<br />

Orthoptera, Plecoptera, Thysanoptera, Heteroptera, Coleoptera, Simuliidae, Chironomidae, Altri<br />

Diptera, Trichoptera, Lepidoptera, Hymenoptera. Tra questi, i Chironomidae sono risultati essere il<br />

taxon più abbondante (= 47% degli esemplari raccolti) (Fig. 9).<br />

2500<br />

2000<br />

1500<br />

1000<br />

500<br />

0<br />

Aracnida<br />

Acarina<br />

Collembola<br />

Ephemeroptera<br />

Plecoptera<br />

Thysanoptera<br />

Heteroptera<br />

Coleoptera<br />

Simuliidae<br />

Chironomidae<br />

Fig. 9 – Anadamento dell’abbondanza (N. in<strong>di</strong>vidui) dei <strong>di</strong>versi taxa rinvenuti nella trappola Malaise alla<br />

stazione NB3bis tra giugno e novembre 2011.<br />

Sei nuove specie per la scienza nelle acque del Parco Nazionale dello Stelvio<br />

Come è noto, solamente una parte delle specie viventi è conosciuta. Se è <strong>di</strong>fficile trovare ancora<br />

nuove specie <strong>di</strong> animali “gran<strong>di</strong>” quali mammiferi e uccelli, non altrettanto è per il variegato<br />

mondo degli invertebrati. Le ricerche in aree tropicali allungano quasi quoti<strong>di</strong>anamente il<br />

95


“catalogo” dei viventi ma anche ambienti apparentemente ben noti possono ancora riservare<br />

sorprese. Sei nuove specie <strong>di</strong> invertebrati sono infatti state recentemente scoperte in Val de La<br />

Mare, nel settore trentino del Parco Nazionale dello Stelvio. La scoperta è avvenuta nell’ambito<br />

delle ricerche condotte negli ultimi 9 anni dalla Sezione <strong>di</strong> Zoologia degli Invertebrati e Idrobiologia<br />

del <strong>Museo</strong> delle <strong>Scienze</strong> negli ecosistemi acquatici d’alta quota. Si tratta <strong>di</strong> 3 Anelli<strong>di</strong> e 3 Artropo<strong>di</strong>,<br />

rinvenuti in pozze e torrenti glaciali in Val de la Mare, nel bacino idrografico del Noce Bianco. I tre<br />

Anelli<strong>di</strong>, o vermi, e l’insetto Chironomide, vivono sul fondo <strong>di</strong> corsi d’acqua <strong>di</strong> <strong>di</strong>versa tipologia e in<br />

pozze glaciali, i due Crostacei nella zona iporreica, ovvero sotterranea, degli stessi fiumi.<br />

Oligocheti ‐ Si tratta <strong>di</strong> “vermi” <strong>di</strong> colore biancastro e molto piccoli, lunghi solo 2‐4 millimetri e<br />

quin<strong>di</strong> quasi invisibili ad occhio nudo. Le tre nuove specie sono state rinvenute tra 2270 e 2705<br />

metri <strong>di</strong> quota nel torrente Larcher, affluente del Noce Bianco e descritte dalla ricercatrice polacca<br />

E. Dumnicka, che lavora presso l’Istituto <strong>di</strong> Conservazione della Natura all’Accademia delle <strong>Scienze</strong><br />

Polacca, e che da anni collabora in qualità <strong>di</strong> esperta <strong>di</strong> Oligocheti acquatici con il <strong>Museo</strong> delle<br />

<strong>Scienze</strong>. I nomi dati alle tre specie sono: Cognettia valeriae, de<strong>di</strong>cata alla sottoscritta;<br />

Cernosvitoviella longiducta, il cui nome è legato al carattere <strong>di</strong>stintivo della specie, ovvero dotata<br />

<strong>di</strong> un lungo dotto spermatico; Cernosvitoviella tridentina sp. nov. in onore della nostra provincia e<br />

del <strong>Museo</strong> delle <strong>Scienze</strong>, allora <strong>Museo</strong> <strong>Tridentino</strong> <strong>di</strong> <strong>Scienze</strong> Naturali.<br />

Crostacei ‐ Si tratta <strong>di</strong> due “gamberetti” molto piccoli , l’arpacticoide Hypocamptus ruffoi, descritto<br />

da Cottarelli V., Berera R. e Maiolini), e Dyacyclops sp. (in corso <strong>di</strong> descrizione). La nuova specie <strong>di</strong><br />

arpacticoide è stata rinvenuta lungo l’alto corso del Torrente Noce Bianco, in Val de la Mare.<br />

Insetti – Si tratta del moscerino Macropelopia rossaroi descritto da Lencioni V. e Marziali L.,<br />

rinvenuto in pozze glaciali a circa 2400 m <strong>di</strong> quota in Val de la Mare.<br />

Macropelopia rossaroi<br />

Cernosvitoviella<br />

tridentina<br />

96


Di seguito vengono riportati i risultati riferiti allo stu<strong>di</strong>o del drift e delle migrazioni nel substrato<br />

della fauna bentonica.<br />

Il drift<br />

Il drift è stato raccolto in tutte le stazioni e date <strong>di</strong> campionamento con un unico retino<br />

posizionato a valle della stazione stessa per integrare il campione raccolto con retino immanicato.<br />

In sei stazioni (NB2, NB3, NB4, NB1bis, NB2 bis, NB3 bis) è stato condotto uno stu<strong>di</strong>o specifico con<br />

l’obiettivo <strong>di</strong> a) confrontare il tasso <strong>di</strong> drift in due torrenti con <strong>di</strong>versa origine; b) esaminare<br />

l’andamento longitu<strong>di</strong>nale in relazione alla stabilità dell’alveo, conducibilità, temperatura<br />

dell’acqua, portata, velocità della corrente, trasporto solido inorganico, materia organica<br />

particolata, e soli<strong>di</strong> sospesi; c) valutare l’influenza del tributario sulla colonizzazione del canale<br />

principale. A tale scopo sono stati raccolti 49 campioni <strong>di</strong> drift (con le meto<strong>di</strong>che descritte nel<br />

Capitolo 5) tra giugno e settembre 2000. Infine, nel 2003, è stato stu<strong>di</strong>ato l’andamento giornaliero<br />

del drift (ritmo circa<strong>di</strong>ano) nella stazione NB3bis.<br />

I risultati dell’analisi statistica condotta sui dati riferiti allo stu<strong>di</strong>o dell’anno 2000, che ha indagato<br />

le relazioni tra i fattori ambientali delle stazioni e la loro composizione faunistica, hanno separato<br />

chiaramente i settori del fiume con <strong>di</strong>versa origine sulla base <strong>di</strong> fattori biotici e abiotici. Il settore<br />

glaciale del fiume era caratterizzato da elevata instabilità, trasporto <strong>di</strong> materiale solido inorganico<br />

e <strong>di</strong> se<strong>di</strong>menti in sospensione. In tutto sono stati raccolti 2028 in<strong>di</strong>vidui, il 70% dei quali erano<br />

rappresentati da <strong>di</strong>tteri chironomi<strong>di</strong>, che <strong>di</strong>minuivano da giugno a settembre. Un numero più<br />

elevato <strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidui e <strong>di</strong> taxa era presente nel tratto non‐glaciale, dove le con<strong>di</strong>zioni ambientali<br />

sono meno estreme. Tuttavia, la composizione della fauna driftante non corrispondeva a quella<br />

della fauna bentonica nel tratto glaciale, dove era composta quasi esclusivamente da chironomi<strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>amesini. In particolare, i taxa meglio adattati a vivere in con<strong>di</strong>zioni estreme quali quelle dei<br />

torrenti glaciali, erano solo raramente presenti nel drift (Fig. 10). Tali taxa vivono infatti nei<br />

torrenti <strong>di</strong> origine glaciale grazie alla loro scarsa mobilità e alla elevata capacità <strong>di</strong> aderire al<br />

substrato. In tali ambienti, la loro tendenza al drift comportamentale tende a scomparire. Nel<br />

settore non‐glaciale del fiume la composizione della comunità driftante era simile a quella del<br />

benthos, con i chironomi<strong>di</strong> ortocla<strong>di</strong>ni come taxon dominante, accompagnati da efemerotteri,<br />

plecotteri, nemato<strong>di</strong>, oligocheti e acari. Pertanto in tratti fluviali <strong>di</strong> questa tipologia lo stu<strong>di</strong>o della<br />

comunità driftante complementa quello delle comunità bentoniche. Un aumento in bio<strong>di</strong>versità è<br />

stato registrato risalendo lungo il corso del fiume, ma l’influenza via drift del tributario sulla<br />

composizione della comunità non è risultato evidente. Alcuni taxa presentavano preferenze<br />

stagionali: i simuli<strong>di</strong> driftavano in tarda primavera/inizio estate, arpacticoi<strong>di</strong>, plecotteri e<br />

efemerotteri a metà estate/ inizio autunno. Tra tutte le variabili ambientali indagate, solo ilo<br />

trasporto <strong>di</strong> soli<strong>di</strong> inorganici è risultato essere influenzare significativamente la composizione del<br />

drift nelle 6 stazioni. Questa variabile era però positivamente correlata con l’influenza glaciale,<br />

l’in<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> Pfankuch, la velocità della corrente e i se<strong>di</strong>menti in sospensione. Tutti questi parametri<br />

presentavano valori più elevati nel tratto glaciale.<br />

La raccolta <strong>di</strong> crostacei arpacticoi<strong>di</strong>, organismi che vivono tipicamente negli interstizi tra il<br />

se<strong>di</strong>mento in ambiente iporreico, è stata effettuata nel corso delle ricerche svolte nel 2000, 2001,<br />

97


e 2003 sulle stazioni NB1, NB2, NB3, NB1bis, NB2bis, NB3bis, NB4, NBAR, CR1 e CR2, e su due<br />

campionamenti <strong>di</strong> 48 ore effettuati in luglio e ottobre 2002 nelle stazioni NB3 e NB3bis (sono state<br />

raccolte tre repliche <strong>di</strong> drift per 15 minuti ogni 3 ore). Scopo della ricerca era confrontare gli<br />

arpacticoi<strong>di</strong> del drift <strong>di</strong> torrenti <strong>di</strong> <strong>di</strong>versa origine, e <strong>di</strong> valutare l’influenza delle acque sotterranee<br />

nei picchi estivi giornalieri nei tratti glaciali. Nel corso delle ricerche sono stati raccolti 2684<br />

arpacticoi<strong>di</strong>, appartenenti a 14 specie e 4 generi. Una specie era nuova per la scienza ed è stata<br />

quin<strong>di</strong> descritta come Hypocamptus ruffoi, un’ulteriore nuova specie è in corso <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o. Gli<br />

arpacticoi<strong>di</strong> erano più abbondanti nel drift <strong>di</strong> corsi d’acqua <strong>di</strong> origine glaciale che non in quelli<br />

originati dalla fusione <strong>di</strong> nevai e dalle precipitazioni. Ciò è probabilmente dovuto al maggior<br />

<strong>di</strong>sturbo della zona iporreica dovuto dall’elevata instabilità dell’alveo e dai picchi estivi <strong>di</strong> portata<br />

nei torrenti glaciali e/o alla presenza nel tempo <strong>di</strong> popolazioni più abbondanti nell’acquifero<br />

esistente sotto i ghiacciai. La seconda ipotesi era supportata anche dal considerevole numero <strong>di</strong><br />

in<strong>di</strong>vidui raccolti nel drift a livello della bocca glaciale. La maggior parte degli arpacticoi<strong>di</strong> raccolti<br />

erano organismi occasionali nell’ambiente iporreico; specie adattate ed esclusive <strong>di</strong> questo<br />

ambiente non sono state raccolte. Questo dato suggerisce che l’habitat iporreico rappresenti un<br />

rifugio per molte specie <strong>di</strong> arpacticoi<strong>di</strong> epigei, che sono più comunemente epibentici in ruscelli e<br />

sorgenti dove le con<strong>di</strong>zioni ambientali meno severe (per es., la bassa corrente) permettono loro <strong>di</strong><br />

sopravvivere nello strato superficiale dei se<strong>di</strong>menti. L’assenza <strong>di</strong> organismi esclusivi <strong>di</strong> acque<br />

sotterranee nel drift è probabilmente dovuto alla loro rarità e al minor <strong>di</strong>sturbo dei se<strong>di</strong>menti<br />

profon<strong>di</strong>.<br />

Fig. 10 ‐ Composizione relativa della comunità driftante nelle 6 stazioni stu<strong>di</strong>ate (agosto 2000).<br />

Per quanto riguarda l’andamento giornaliero del drift, abbiamo evidenziato come tra gli Insetti, nel<br />

Rio Larcher i plecotteri sembrano essere più notturni, come osservato da altri autori in torrenti<br />

popolati da pesci <strong>di</strong> cui i Plecotteri sono ghiotte prede. I Chironomi<strong>di</strong> invece sono essenzialmente<br />

driftanti nelle ore <strong>di</strong> massimo irraggiamento solare sia in ambiente artico che alpino.<br />

98


Migrazioni verticali e longitu<strong>di</strong>nali valle‐monte<br />

Nell’ambito del progetto CRYOALP i ricercatori del <strong>Museo</strong> delle <strong>Scienze</strong> si sono occupati<br />

dell’influenza delle variabili glaciali sull’ecosistema alpino del bacino glacializzato del torrente<br />

Noce Bianco, in particolare sugli scambi faunistici tra ambiente superficiale e iporreico e sulle<br />

modalità <strong>di</strong> colonizzazione e <strong>di</strong> utilizzo <strong>di</strong> questo ambiente da parte degli organismi bentonici. È<br />

stata inoltre valutata l’efficacia <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> campionamento per l’ambiente iporreico <strong>di</strong><br />

corsi d’acqua alpini. L’indagine si è svolta su corsi d’acqua <strong>di</strong> origine glaciale (kryal) e pluvio‐nivale<br />

(rhitral), in stazioni poste oltre 2000 m s.l.m. A tale scopo sono state scelte in Val Venezia 5 tra le<br />

35 stazioni campionate nell’ambito del <strong>Progetto</strong> <strong>HIGHEST</strong>, in torrenti a <strong>di</strong>verso tipo <strong>di</strong><br />

alimentazione, <strong>di</strong> cui tre glaciali (NB2, NB3, NB4) e due non glaciali (NB3bis, NBAR1). Qui vengono<br />

presentati solo i risultati relativi alle tre stazioni NB3 e NB3bis, e NB4 per le quali è stato raccolto il<br />

maggior numero <strong>di</strong> campioni con <strong>di</strong>verse meto<strong>di</strong>che. Campioni <strong>di</strong> zoobenthos sono stati raccolti<br />

nel 2003, da giugno a novembre, nel corso dell’estate ad intervalli <strong>di</strong> quin<strong>di</strong>ci giorni e ogni mese in<br />

inverno. Il campionamento è stato condotto con l’uso <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi meto<strong>di</strong>: per l’ambiente iporreico<br />

sono stati utilizzati <strong>di</strong>versi substrati artificiali e la pompa Bou‐Rouch; in ambiente <strong>di</strong> superficie<br />

substrati artificiali, retini da drift, retino immanicato. In corrispondenza <strong>di</strong> ogni campionamento<br />

nella stazione glaciale ed in quella non glaciale sono state anche misurate: temperatura dell’acqua,<br />

ossigeno, velocità <strong>di</strong> corrente e torpi<strong>di</strong>tà (Per una descrizione dettagliata dei meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> raccolta cfr.<br />

par. 3.6.1). Sono state campionate le stazioni NB3 e NB3bis ogni 15 giorni in tre punti <strong>di</strong>versi: sulla<br />

riva sinistra (A), al centro dell’alveo (B) e sulla riva destra (C). Gli organismi raccolti sono stati<br />

mantenuti vivi per facilitare l’esame microscopico in laboratorio. Tutto il materiale raccolto è stato<br />

filtrato con maglie da 100 micron sul campo e conservato in alcol etilico al 75%. In laboratorio è<br />

stato smistato e classificato allo stereomicroscopio (5‐50X) a livello tassonomico <strong>di</strong> specie per<br />

Tricla<strong>di</strong>, genere per Plecotteri e Crostacei Anfipo<strong>di</strong>, famiglia per Oligocheti, Efemerotteri, Ditteri e<br />

Tricotteri, e or<strong>di</strong>ne per Nemato<strong>di</strong>, Acari, Coleotteri e gli altri Crostacei.<br />

La ricerca ha messo in evidenza il ruolo dell’ambiente iporreico come “area rifugio” per i<br />

macroinvertebrati che vivono nei torrenti d’alta quota. In estate, durante le piene, gli organismi<br />

bentonici si rifugiano nell’ambiente iporreico per contrastare la tendenza al drift catastrofico<br />

dovuto all’elevata instabilità del substrato; in autunno, quando il rischio che l’alveo vada in secca è<br />

maggiore, per trovare un ambiente più stabile. L’ambiente iporreico è anche una “nursery” per i<br />

primi sta<strong>di</strong> larvali degli Insetti, come <strong>di</strong>mostrato dalla presenza <strong>di</strong> plecotteri in sta<strong>di</strong> giovanili,<br />

offrendo riparo dalla corrente e protezione dai predatori. Infine è risultato essere un importante<br />

mezzo <strong>di</strong> risalita e ricolonizzazione dei tratti più a monte. Nell’area indagata, la continuità del<br />

sistema fluviale, tramite l’ambiente iporreico e la falda, permette il movimento della fauna<br />

interstiziale tra i due torrenti.<br />

Per lo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> tali ambienti in alta quota è risultato importante l’utilizzo <strong>di</strong> queste <strong>di</strong>verse<br />

metodologie sia per analizzare la struttura della comunità zoobentonica, sia per valutare le<br />

principali vie <strong>di</strong> colonizzazione degli Insetti acquatici. Per quel che riguarda la risalita<br />

controcorrente è stata confermata una maggiore mobilità da parte <strong>di</strong> alcuni gruppi (Tricla<strong>di</strong>,<br />

Copepo<strong>di</strong>, Chironomi<strong>di</strong> e Plecotteri) già osservata da altri autori. Il drift, come atteso, si è rivelato<br />

essere la principale modalità <strong>di</strong> spostamento degli organismi verso valle. Torrenti glaciali e non<br />

glaciali sono risultati molto <strong>di</strong>versi sia da un punto <strong>di</strong> vista abiotico che biotico come già<br />

evidenziato da altri. Il torrente non glaciale è risultato essere più ricco sia in termini <strong>di</strong> numero <strong>di</strong><br />

99


in<strong>di</strong>vidui che <strong>di</strong> taxa. Nel torrente glaciale invece, la comunità è risultata essere composta solo da<br />

pochi in<strong>di</strong>vidui <strong>di</strong> taxa specializzati, in particolare Ditteri Chironomi<strong>di</strong> e microcrostacei. Alla<br />

confluenza infine, si ha una con<strong>di</strong>zione interme<strong>di</strong>a con prevalenza <strong>di</strong> Insetti.<br />

Lo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> questi ambienti ancora poco noti ed i meccanismi che ne regolano le popolazioni è<br />

importante per il ruolo chiave che proprio questi ecosistemi andranno ad assumere nel prossimo<br />

futuro, come risorse idriche incontaminate.<br />

La bio<strong>di</strong>versità nelle piane alluvionali glaciali<br />

In piane alluvionali glaciali, anche a quote elevate, è possibile rinvenire un’elevata e inattesa, sulla<br />

base della quota, bio<strong>di</strong>versità, supportata dall’elevata eterogeneità <strong>di</strong> microhabitat generati dal<br />

torrente glaciale stesso. Ne è un esempio la piana alluvionale glaciale del Torrente Noce Bianco a<br />

2400 m che, se considerata nel suo complesso, ospita una fauna molto <strong>di</strong>versificata e popolazioni<br />

numerose rispetto al solo torrente glaciale.<br />

Nel corso del progetto abbiamo messo in evidenza il ruolo delle “aree rifugio” nel mantenimento<br />

<strong>di</strong> una bio<strong>di</strong>versità relativamente elevata in un ecosistema fluviale glaciale dove tipicamente si<br />

trova una comunità bentonica “semplice”, con bassi valori <strong>di</strong> <strong>di</strong>versità (soprattutto nel periodo<br />

estivo), con prevalenza <strong>di</strong> <strong>di</strong>tteri chironomi<strong>di</strong> <strong>di</strong>amesini.<br />

Le stesse caratteristiche che determinano la bassa <strong>di</strong>versità delle fauna invertebrata acquatica<br />

tipica dei biotopi criali innescano forti <strong>di</strong>namiche idromorfologiche ‐ processi <strong>di</strong> erosione e <strong>di</strong><br />

deposito alterano continuamente la struttura dell’alveo creando isole, lanche, canali laterali,<br />

pozze, rivoli con bassa velocità e conseguente deposito <strong>di</strong> limo ecc. In questo modo la valle fluviale<br />

<strong>di</strong>venta sede <strong>di</strong> un mosaico <strong>di</strong> habitat in perenne trasformazione.<br />

La comunità zoobentonica tipica dei torrenti glaciali è comunemente ritenuta “semplice”, con<br />

bassi valori <strong>di</strong> <strong>di</strong>versità. In una prospettiva più ampia, il forte <strong>di</strong>namismo <strong>di</strong> un sistema glaciale<br />

provoca continui cicli <strong>di</strong> espansione, contrazione e frammentazione <strong>di</strong> habitat che consente il<br />

mantenimento <strong>di</strong> una bio<strong>di</strong>versità relativamente elevata. Si trovano comunità zoobentoniche<br />

“complesse” , con caratteristiche ecotonali (torrente‐ruscello, torrente‐pozza, ecc.) fortemente<br />

resilienti, in grado <strong>di</strong> colonizzare i nuovi ambienti “liberati” dal ritiro dei fronti glaciali.<br />

100


6/2. RISULTATI – I LAGHI<br />

La temperatura e l’ossigeno<br />

Nei laghi d’alta quota la copertura <strong>di</strong> ghiaccio in genere dura dai 6 ai 9 mesi l’anno e, durante il<br />

breve periodo in cui le acque sono libere dai ghiacci, la temperatura si mantiene su valori piuttosto<br />

bassi (in me<strong>di</strong>a < 10 °C nella zona pelagica). Sono in genere laghi olomittici, ovvero presentano<br />

rimescolamento completo delle acque, che in alcuni si verifica una volta l’anno (laghi monomittici),<br />

in altri due volte l’anno (laghi <strong>di</strong>mittici) ed in altri più <strong>di</strong> due volte l’anno (laghi polimittici). Il<br />

rimescolamento completo delle acque avviene quando si raggiunge la con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> isotermia,<br />

ovvero la stessa temperatura (= 4 °C) dalla superficie al fondo. Nei laghi monomittici d’alta quota<br />

tale con<strong>di</strong>zione si raggiunge in estate, mentre nei <strong>di</strong>mittici in primavera e in autunno.<br />

Il fenomeno della stratificazione delle acque è governato dalla densità dell’acqua, che varia con la<br />

temperatura: è massima a 4 °C e <strong>di</strong>minuisce sia a temperature inferiori che superiori. In estate le<br />

acque superficiali (epilimnio) sono più calde e “leggere” <strong>di</strong> quelle profonde (ipolimnio), con cui non<br />

si mescolano e da cui rimangono separate da uno strato interme<strong>di</strong>o (metalimnio), dove la<br />

temperatura <strong>di</strong>minuisce bruscamente. In inverno la temperatura è prossima a 4 °C a tutte le<br />

profon<strong>di</strong>tà, a parte lo strato più superficiale che è in genere parzialmente ghiacciato.<br />

Il livello <strong>di</strong> ossigeno <strong>di</strong>sciolto nelle acque ha varie concause, che comprendono l’attività<br />

fotosintetica e respiratoria degli organismi e i <strong>di</strong>versi fattori che regolano i fenomeni <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffusione<br />

dell’ossigeno tra aria e acqua (temperatura, vento, pressione ecc.). La curva relativa alla<br />

<strong>di</strong>stribuzione dell’ossigeno nella colonna d’acqua nei laghi d’alta quota è in genere ortograda<br />

(stesso contenuto <strong>di</strong> ossigeno <strong>di</strong>sciolto dalla superficie al fondo), sia in con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> isotermia<br />

(quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> rimescolamento completo delle acque) che <strong>di</strong> stratificazione termica <strong>di</strong>retta (nei laghi<br />

<strong>di</strong>mittici non molto profon<strong>di</strong>). Curve eterograde positive (massimo contenuto <strong>di</strong> ossigeno <strong>di</strong>sciolto<br />

ad alcuni metri dalla superficie) possono essere trovate nei mesi estivi, se si raggiunge un picco <strong>di</strong><br />

attività fotosintetica nel metalimnio a causa dell’accumulo <strong>di</strong> fitoplancton in questo strato.<br />

I tre laghi investigati in Val de la Mare (L. delle Marmotte, Lungo e Nero), al momento del<br />

campionamento (agosto 2000), si trovavano in una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> isotermia attorno a 7 (L. Lungo) e<br />

8 °C (L. Marmotte e L. Nero), quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> completo rimescolamento delle acque. Per l’ossigeno è<br />

stata trovata una curva ortograda, con percentuali <strong>di</strong> saturazione attorno a 96‐97%.<br />

La chimica<br />

Il chimismo <strong>di</strong> base dei laghi è fortemente influenzato dalla composizione litologica e dalle<br />

<strong>di</strong>mensioni del bacino imbrifero, dalla presenza o meno <strong>di</strong> suolo vegetato, dall’attività antropica<br />

nel bacino, dall’apporto <strong>di</strong> sostanze provenienti dall’atmosfera e dai processi biologici che<br />

avvengono nel lago stesso.<br />

Come si è osservato per la temperatura e l’ossigeno, anche gli altri parametri chimico‐fisici non<br />

variano o variano <strong>di</strong> poco nella colonna d’acqua in tutti e tre i laghi investigati (Tab. 4). I tre laghi<br />

sono risultati piuttosto simili dal punto <strong>di</strong> vista idrochimico, essendo tutti caratterizzati da<br />

conducibilità me<strong>di</strong>o‐bassa, pH debolmente acido, elevati valori <strong>di</strong> solfati, bassa alcalinità, bassi<br />

101


livelli <strong>di</strong> nutrienti ed elevata trasparenza. Dei tre, il Lago delle Marmotte è quello con valori <strong>di</strong> pH<br />

ed alcalinità più bassi. Sulla base dei valori <strong>di</strong> alcalinità e pH trovati, i tre laghi possono considerarsi<br />

suscettibili a episo<strong>di</strong>ci fenomeni <strong>di</strong> aci<strong>di</strong>ficazione secondo i criteri proposti da CAMARERO et al.<br />

(1995). L’anione più abbondante è il solfato, che raggiunge concentrazioni <strong>di</strong> circa 20 mg L ‐1 in tutti<br />

e tre i laghi. Tra i cationi prevale il calcio, presente in concentrazioni variabili tra 6 e 7 mg L ‐1 . Tale<br />

composizione ionica delle acque lacustri è riconducibile alla litologia della zona. Valori più elevati<br />

<strong>di</strong> solfati sono stati riscontrati negli immissari dei laghi Marmotte e Lungo, a in<strong>di</strong>care il carico<br />

esterno <strong>di</strong> solfati verso il lago.<br />

Secondo la classificazione trofica dell’OECD (1982), i tre laghi investigati sono oligotrofi, con bassa<br />

produttività, avendo concentrazione <strong>di</strong> fosforo totale inferiore a 10 µg L ‐1 e trasparenza totale.<br />

Sulla base della concentrazione <strong>di</strong> clorofilla a, sempre inferiore a 1.0 µg L ‐1 , i tre laghi sono da<br />

considerarsi ultraoligotrofi. Nei laghi Marmotte e Lungo si è osservato un aumento della<br />

concentrazione <strong>di</strong> clorofilla con la profon<strong>di</strong>tà, come atteso per i laghi d’alta montagna nel periodo<br />

estivo. Anche i livelli <strong>di</strong> azoto nitrico (< 250 µg L ‐1 ) in<strong>di</strong>cano una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> oligotrofia. Il basso<br />

livello <strong>di</strong> nutrienti potrebbe essere legato anche al basso tempo <strong>di</strong> ricambio <strong>di</strong> questi laghi<br />

(settimane o mesi), dato dalla loro piccola superficie e modesta profon<strong>di</strong>tà, e dal fatto <strong>di</strong> trovarsi<br />

in aree soggette a intense precipitazioni.<br />

Il plancton<br />

Con il termine <strong>di</strong> plancton (= che vaga) si intende l’insieme <strong>di</strong> organismi vegetali (fitoplancton) e<br />

animali (zooplancton, Scheda 12) che vivono in sospensione nella colonna d’acqua e sono incapaci<br />

<strong>di</strong> opporsi alle correnti e al moto ondoso, malgrado alcuni siano capaci <strong>di</strong> migrazioni verticali<br />

attive.<br />

Il fitoplancton nei laghi d’alta quota, come tipico <strong>di</strong> ambienti oligotrofi, è rappresentato in genere<br />

da un numero piuttosto elevato <strong>di</strong> specie algali (soprattutto se confrontato con quello delle specie<br />

zooplanctoniche) ciascuna presente con un basso numero <strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidui. Tuttavia il biovolume tende<br />

a mantenersi basso, generalmente inferiore a 0.5 mm3 L‐1, considerato il limite superiore per un<br />

lago oligotrofo. Si trovano principalmente alghe unicellulari, libere o coloniali, <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni molto<br />

piccole (< 60 μm = nanno‐ e ultra‐ plancton) e flagellate. Le alghe meglio rappresentate sono le<br />

Crisofite (es. Dinobryon e Mallomonas), seguite da alghe ver<strong>di</strong> (es. Chlorella, Chlamidomonas e<br />

Tetraedron) <strong>di</strong>nofite (es. Gymno<strong>di</strong>nium e Peri<strong>di</strong>nium), <strong>di</strong>atomee (centriche quali Cyclotella),<br />

xantofite (es. Ophyocitium e Tetraedriella) e cianofite (es. Synecoccus). Crisofite, <strong>di</strong>nofite e<br />

<strong>di</strong>atomee sono in genere più abbondanti a fine primavera‐inizio estate, mentre le alghe ver<strong>di</strong> lo<br />

sono in estate e in autunno. Desmi<strong>di</strong>acee e cianofite sono scarse nel fitoplancton della zona<br />

pelagica dei laghi d’alta quota, mentre possono essere ben rappresentate insieme a <strong>di</strong>atomee<br />

pennate e clorofite desmi<strong>di</strong>ales nella zona litorale.<br />

Lo zooplancton è l’insieme delle forme animali, generalmente <strong>di</strong> piccole <strong>di</strong>mensioni, che vivono<br />

nella colonna d’acqua, fluttuanti passivamente con le correnti. Alcuni organismi planctonici sono<br />

tuttavia capaci <strong>di</strong> compiere piccoli movimenti autonomi, soprattutto in senso verticale. I gruppi<br />

zooplanctonici più rappresentati nei laghi alpini sono i crostacei (cladoceri e copepo<strong>di</strong>) ed i rotiferi.<br />

102


Le <strong>di</strong>mensioni dei crostacei sono comprese tra 0.2 e 2 mm e rappresentano la frazione interme<strong>di</strong>a<br />

dello zooplancton (detta mesozooplancton). Sono organismi appena visibili ad occhio nudo, per la<br />

cui determinazione è necessario l’uso <strong>di</strong> un microscopio. I rotiferi fanno invece parte del<br />

microzooplancton (0.02 ‐ 0.2 mm) e, tranne poche forme <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni relativamente gran<strong>di</strong> come<br />

quelle appartenenti al genere Asplanchna, sono visibili solamente con l’uso <strong>di</strong> un microscopio.<br />

La classe dei copepo<strong>di</strong> è <strong>di</strong>visa in tre or<strong>di</strong>ni: calanoi<strong>di</strong>, ciclopoi<strong>di</strong> ed arpacticoi<strong>di</strong>. I primi due hanno<br />

corpo fusiforme e si <strong>di</strong>stinguono gli uni dagli altri soprattutto per la lunghezza delle antenne, assai<br />

più lunghe nei calanoi<strong>di</strong>. Gli arpacticoi<strong>di</strong> sono <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni minori, il corpo è cilindrico e sono<br />

poco o nulla presenti nel plancton, essendo associati al fondo o alla falda <strong>di</strong> laghi e corsi d’acqua. Il<br />

corpo dei copepo<strong>di</strong> è sud<strong>di</strong>viso in una parte anteriore munita <strong>di</strong> appen<strong>di</strong>ci, comprendente il capo e<br />

il torace (cefalotorace) ed una regione posteriore, l’addome, terminante con due lunghe setole (la<br />

furca). Hanno cinque paia <strong>di</strong> appen<strong>di</strong>ci toraciche che fungono da organi remiganti (da cui il loro<br />

nome, dal greco kope = remo e podos = piede), cioè per il nuoto, che consiste in piccoli scatti in<br />

avanti. Vi è uno spiccato <strong>di</strong>morfismo sessuale a livello del quinto paio <strong>di</strong> zampe (simmetrico nei<br />

ciclopoi<strong>di</strong> e asimmetrico nei calanoi<strong>di</strong>). I maschi adulti dei ciclopoi<strong>di</strong> hanno entrambe le antenne<br />

genicolate (mo<strong>di</strong>ficate per trattenere la femmina durante la fecondazione esterna delle uova),<br />

quelli dei calanoi<strong>di</strong> ne hanno una sola. Anche le femmine ovigere sono facilmente <strong>di</strong>stinguibili in<br />

quanto nei ciclopoi<strong>di</strong> le uova sono tenute in due sacchi ovigeri ai lati del corpo mentre nei<br />

calanoi<strong>di</strong> in uno solo centrale. Dalle uova escono delle larve chiamate nauplii che, attraverso sei<br />

<strong>di</strong>fferenti mute, si trasformano in copepo<strong>di</strong>ti. Questi passeranno attraverso sei sta<strong>di</strong> <strong>di</strong> sviluppo<br />

prima <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare adulti sessualmente maturi. L’intero ciclo biologico dura da sei a tre<strong>di</strong>ci mesi.<br />

I cladoceri (<strong>di</strong>mensioni me<strong>di</strong>e 1 mm), noti come pulci d’acqua, hanno un carapace avvolgente tutto<br />

il corpo tranne il capo. Le seconde antenne, gran<strong>di</strong> e muscolose, servono da organi <strong>di</strong> locomozione<br />

e le setole remiganti <strong>di</strong> cui sono dotate aumentano l’efficacia <strong>di</strong> ogni colpo. La cattura del cibo<br />

avviene tramite un sistema <strong>di</strong> filtrazione dell’acqua attraverso le setole delle zampe. Sebbene i<br />

sessi siano separati, i maschi compaiono raramente, per cui il tipo <strong>di</strong> riproduzione più frequente è<br />

la partenogenesi, cioè tramite uova non fecondate e contenenti il solo patrimonio genetico della<br />

femmina. Le uova partenogenetiche vengono deposte entro la camera incubatrice situata<br />

dorsalmente tra il corpo ed il carapace. Lo sviluppo procede per più generazioni e i maschi<br />

compaiono in genere prima dell’inverno. Le uova fecondate da questi ultimi sono uova durevoli,<br />

emesse in particolari involucri detti efippi, e possono superare perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> con<strong>di</strong>zioni sfavorevoli alla<br />

vita. In quasi tutti i cladoceri i neonati hanno già la forma dell’adulto e non si ha pertanto<br />

metamorfosi.<br />

I rotiferi sono piccoli animali pluricellulari lunghi <strong>di</strong> solito meno <strong>di</strong> un millimetro. Il corpo è rivestito<br />

da una cuticola più o meno indurita, che può formare una spessa corazza o lorica. Il cibo è<br />

convogliato alla bocca da più corone <strong>di</strong> ciglia ed inviato ad un organo masticatore (mastax). I<br />

maschi sono rari così che la riproduzione avviene prevalentemente per partenogenesi (ovvero<br />

sviluppo dell’uovo senza fecondazione).<br />

Per quanto riguarda l’ecologia, i copepo<strong>di</strong> calanoi<strong>di</strong> e ciclopoi<strong>di</strong> vivono nei laghi e negli stagni<br />

perenni, svolgendo il ciclo vitale nelle acque più profonde della zona pelagica. Nei laghi profon<strong>di</strong><br />

gli adulti compiono spesso migrazioni verticali giornaliere e stagionali. Nelle ore <strong>di</strong> luce infatti<br />

scendono negli strati dove la luce è attenuata per risalire nelle ore notturne in superficie alla<br />

ricerca del fitoplancton (piccole alghe). Alcune specie tuttavia sono cannibali o si nutrono <strong>di</strong><br />

103


animali morti. I cladoceri vivono praticamente in tutti i corpi d’acqua ferma, dai laghi profon<strong>di</strong> alle<br />

pozzanghere. La maggior parte delle specie vive in acque basse, vicino alla riva, in zone con<br />

vegetazione. Si nutrono della vegetazione acquatica, filtrano il plancton, tra cui i rotiferi,<br />

setacciano i detriti del fondo e rappresentano un’importante fonte alimentare per molti pesci,<br />

soprattutto per gli sta<strong>di</strong> giovanili. I rotiferi vivono come predatori e parassiti in tutti i tipi <strong>di</strong> acque,<br />

dai laghi più profon<strong>di</strong> alle più piccole pozze d’acqua. Vivono ad<strong>di</strong>rittura fra il muschio e negli incavi<br />

del terreno in boschi, prati e campi. Mentre lo zooplancton dei laghi <strong>di</strong> fondovalle è molto<br />

abbondante sia come numero <strong>di</strong> specie che <strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidui, quello dei laghi alpini è rappresentato<br />

solitamente da poche specie, talvolta presenti con pochi in<strong>di</strong>vidui. Normalmente il gruppo più<br />

numeroso è quello dei rotiferi (in me<strong>di</strong>a 4 o 5 specie), seguito da poche specie <strong>di</strong> crostacei<br />

calanoi<strong>di</strong>, ciclopoi<strong>di</strong> e cladoceri. Esiste una notevole uniformità <strong>di</strong> composizione del plancton nella<br />

maggior parte dei laghi d’alta quota alpini, pirenaici e nord africani.<br />

Il popolamento zooplanctonico dei tre laghi esaminati è dominato da una sola specie <strong>di</strong> copepode<br />

ciclopoide, il Cyclops abyssorum tatricus, e dai suoi sta<strong>di</strong> naupliari e <strong>di</strong> copepo<strong>di</strong>ti. I cladoceri sono<br />

rappresentati solo da tre taxa (Daphnia gr. longispina, Biapertura affinis e Chydorus sphaericus),<br />

mentre i rotiferi da 14 taxa. A livello qualitativo la composizione dello zooplancton dei tre laghi<br />

esaminati è molto simile e possiede un basso grado <strong>di</strong> complessità. L’esame dei campioni<br />

quantitativi ha poi permesso <strong>di</strong> evidenziare la bassissima densità con cui erano presenti le varie<br />

specie (poche decine <strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidui per m 3 ). Il Lago Nero è risultato quello con maggior <strong>di</strong>versità, con<br />

un rapporto rotiferi/crostacei vicino all’unità. Segue il Lago delle Marmotte, con una <strong>di</strong>versità più<br />

bassa, mentre il Lago Lungo presenta le massime densità <strong>di</strong> ciclopoi<strong>di</strong>. Infine, l’esame dei campioni<br />

qualitativi <strong>di</strong> riva dei laghi Lungo e Marmotte ha evidenziato un numero <strong>di</strong> specie leggermente<br />

inferiore rispetto ai campioni presi in centro lago, con presenza <strong>di</strong> organismi tipici della zona<br />

litorale come il cladocero Chydorus sphaericus.<br />

104


7. LA QUALITÀ BIOLOGICA DEI TORRENTI E GLI IMPATTI ANTROPICI<br />

Limiti <strong>di</strong> applicabilità degli In<strong>di</strong>ci IBE e IFF in alta quota<br />

La presenza dell’uomo su un territorio densamente popolato, come è l’area alpina, e la continua<br />

esigenza <strong>di</strong> utilizzare le risorse per scopi produttivi o turistici, fa si che tutti gli ecosistemi vengano<br />

in qualche modo allontanati dalla con<strong>di</strong>zione naturale. Conoscere e definire questa con<strong>di</strong>zione è<br />

prerequisito fondamentale per la loro conservazione nel tempo e per un loro uso sostenibile.<br />

Tuttavia la valutazione della qualità delle acque nei torrenti d’alta quota è un problema piuttosto<br />

complesso. In generale i meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> valutazione delle acque correnti hanno subìto profon<strong>di</strong><br />

cambiamenti negli ultimi 20 anni, passando dall’analisi della qualità fisico‐chimica a quella<br />

dell’insieme degli organismi che in esse vivono (in<strong>di</strong>ci biologici) e infine allargando l’indagine<br />

all’ambiente circostante che influenza il corpo idrico (in<strong>di</strong>ci ambientali).<br />

Nell’ultimo trentennio sono stati sviluppati in Europa e Nord America, <strong>di</strong>versi in<strong>di</strong>ci per valutare la<br />

qualità delle acque correnti utilizzando la comunità biologica acquatica. Esistono infatti molti<br />

approcci all’uso degli organismi acquatici per valutare la qualità dell’acqua: singole specie o gruppi<br />

<strong>di</strong> specie affini (in<strong>di</strong>catori biologici) oppure intere comunità (in<strong>di</strong>ci biologici). Praticamente tutti gli<br />

organismi acquatici sono stati considerati e sperimentati a questo fine, dai pesci al fitobenthos,<br />

allo zoobenthos. Di tutti questi organismi è stata presa in considerazione la presenza,<br />

l’abbondanza o la con<strong>di</strong>zione fisica. Ciascuno <strong>di</strong> questi approcci ha presentato vantaggi e<br />

svantaggi, alcuni sono risultati molto efficaci ma solamente in specifiche situazioni, altri richiedono<br />

operatori troppo specializzati oppure non sono facilmente ripetibili. Tra i meto<strong>di</strong> che si sono<br />

affermati per un uso a largo raggio vi sono quelli basati sul macrozoobenthos, che hanno il<br />

vantaggio <strong>di</strong> poter essere applicati in un’ampia gamma <strong>di</strong> tipologie fluviali, <strong>di</strong> dare una scala <strong>di</strong><br />

risposte adatta a <strong>di</strong>versi livelli <strong>di</strong> degrado ambientale, <strong>di</strong> essere ripetibili e <strong>di</strong> dare costanza <strong>di</strong><br />

risposta.<br />

All’inizio degli anni ’70 si è <strong>di</strong>ffuso in Italia l’In<strong>di</strong>ce Biotico Esteso (I.B.E.) pubblicato da Ghetti nel<br />

1997, che si basa sulla presenza, sia qualitativa che quantitativa, <strong>di</strong> macrozoobenthos nelle acque<br />

correnti. L’utilizzo <strong>di</strong> questa meto<strong>di</strong>ca in Italia è stata ufficializzata con Decreto Legislativo (D. Lgs.<br />

152/99). Più è elevato il valore dell’in<strong>di</strong>ce, migliore è la qualità delle acque in esame e più bassa la<br />

Classe <strong>di</strong> appartenenza (es. I Classe = acque non inquinate, V Classe = acque molto inquinate). La<br />

sua applicabilità è estesa su quasi tutte le tipologie fluviali presenti in Italia, con un limite inferiore<br />

segnato dalla zona dell’estuario, in cui le caratteristiche <strong>di</strong> fiume si perdono in quelle delle zone<br />

salmastre, caratterizzate da una fauna peculiare e <strong>di</strong>versa da quella fluviale tipica. Verso monte<br />

invece il limite per l’applicazione dell’I.B.E. è generalmente considerato coincidente con il limite<br />

della vegetazione arborea. La mancanza della copertura arborea porta ad una progressiva<br />

riduzione della <strong>di</strong>versità biologica dovuta non già al deterioramento della qualità dell’acqua ma<br />

all’asprezza delle con<strong>di</strong>zioni ambientali, alla <strong>di</strong>minuita <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> materia organica<br />

rappresentata dalle foglie degli alberi, ecc.<br />

Un approccio più ampio alla valutazione della qualità dei fiumi è quello ecologico o ambientale,<br />

cioè una valutazione <strong>di</strong> alcuni dei parametri fisici e biologici che regolano la funzionalità<br />

dell’ecosistema fiume. All’inizio degli anni ’90 è stato applicato sul territorio della Provincia <strong>di</strong><br />

Trento il River Channel Environmental Inventory (R.C.E.). Dopo questa prima esperienza l’in<strong>di</strong>ce fu<br />

105


adattato alla complessa realtà italiana e denominato R.C.E.‐2.. Dopo essere stato utilizzato in<br />

questa forma da vari ricercatori in <strong>di</strong>verse tipologie fluviali italiane, vennero raccolti commenti per<br />

produrre l’attuale versione denominata In<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> Funzionalità Fluviale (I.F.F.). Anche questo in<strong>di</strong>ce<br />

trova un limite alla sua applicabilità in coincidenza con il limite della vegetazione arborea, in<br />

quanto il tipo e lo sviluppo della vegetazione riparia ha un peso determinante nella valutazione<br />

finale .<br />

Uno dei motivi che rendono <strong>di</strong>fficoltosa l’applicazione <strong>di</strong> in<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> qualità a torrenti d’alta quota è la<br />

coesistenza <strong>di</strong> tipologie fluviali molto <strong>di</strong>fferenziate. Si <strong>di</strong>stinguono generalmente tre tipologie per<br />

le acque che scorrono al <strong>di</strong> sopra della linea degli alberi: kryal (torrente alimentato da acque <strong>di</strong><br />

fusione glaciale); krenal (torrente alimentato da acque sotterranee); rhithral (torrente alimentato<br />

da acque <strong>di</strong> fusione dei nevai e/o da precipitazioni). Le acque <strong>di</strong> kryal, krenal e rhithral <strong>di</strong>fferiscono<br />

sostanzialmente nelle caratteristiche chimico‐fisiche, idrologiche e biologiche<br />

In particolare, i torrenti glaciali sono caratterizzati, nel periodo <strong>di</strong> fusione glaciale, da basse<br />

temperature, alte variazioni giornaliere <strong>di</strong> portata, elevata torbi<strong>di</strong>tà e substrato molto instabile ed<br />

ospitano comunità bentoniche poco <strong>di</strong>versificate. Tipicamente, il numero <strong>di</strong> taxa e <strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidui<br />

aumenta lungo un gra<strong>di</strong>ente monte‐valle nei torrenti glaciali in funzione <strong>di</strong> variabili ambientali<br />

quali la temperatura dell’acqua e la stabilità dell’alveo (Fig. 1). All’aumentare della <strong>di</strong>stanza dal<br />

fronte del ghiacciaio, dove dominano i Chironomi<strong>di</strong> Diamesini, si registra, in con<strong>di</strong>zioni naturali, un<br />

graduale arricchimento della comunità, con la comparsa <strong>di</strong> altri gruppi faunistici quali chironomi<strong>di</strong><br />

ortocla<strong>di</strong>ni e chironomini, simuli<strong>di</strong>, plecotteri, efemerotterie tricotteri. La riduzione della <strong>di</strong>versità<br />

all’aumentare della quota è meno evidente nei torrenti crenali e ritrali.<br />

Si è osservata una <strong>di</strong>minuzione del valore dell’in<strong>di</strong>ce I.B.E. all’aumentare della quota in<strong>di</strong>cando<br />

quin<strong>di</strong> un “peggioramento” della qualità biologica dell’acqua sensu I.B.E. dal fondovalle alla<br />

sorgente. In realtà il peggioramento della qualità biologica rilevato dall’I.B.E. non corrisponde ad<br />

un effettivo peggioramento qualitativo dei torrenti in termini chimici, fisici e <strong>di</strong> habitat legato ad<br />

impatti antropici <strong>di</strong>retti (per es. captazioni idroelettriche) o in<strong>di</strong>retti (per es. piogge acide), bensì<br />

alla naturale tendenza della bio<strong>di</strong>versità a <strong>di</strong>minuire con l’aumentare dell’altitu<strong>di</strong>ne. I risultati<br />

ottenuti evidenziano inoltre l’effetto dell’origine delle acque sulla <strong>di</strong>versità. Stazioni glaciali e non<br />

glaciali poste alla stessa quota, sono risultate appartenere a due Classi <strong>di</strong> Qualità <strong>di</strong>verse,<br />

rispettivamente ad una IV e ad una II Classe. Questo è dovuto alle con<strong>di</strong>zioni ambientali meno<br />

estreme presenti nel torrente non glaciale. Lo stesso effetto sulla qualità biologica I.B.E. è stato<br />

osservato, come atteso, nel torrente Cornisello sui tratti a monte e a valle del lago. Tipicamente<br />

negli emissari <strong>di</strong> laghi glaciali ed in torrenti non glaciali, la temperatura dell’acqua, la stabilità<br />

dell’alveo, la portata ed il trasporto solido sono meno variabili, soprattutto a breve termine, e più<br />

favorevoli all’inse<strong>di</strong>amento <strong>di</strong> organismi bentonici, rispetto ai torrenti glaciali.<br />

L’in<strong>di</strong>ce I.F.F. ha evidenziato <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> applicazione in entrambi i sistemi fluviali. Diverse<br />

situazioni ambientali, seppur del tutto naturali, sono state penalizzate perché non previste nelle<br />

risposte multiple della scheda I.F.F.. In generale si è cercato <strong>di</strong> assegnare il punteggio relativo alla<br />

risposta che più si avvicinava alla situazione osservata, cercando tuttavia <strong>di</strong> astenersi da<br />

interpretazioni troppo soggettive. Le prime quattro domande dell’I.F.F., riguardanti lo stato<br />

vegetazionale dell’ambiente circostante il corso d’acqua, hanno lo scopo <strong>di</strong> rilevare il livello delle<br />

alterazioni antropiche a <strong>di</strong>verse scale <strong>di</strong> risoluzione. Tuttavia nei tratti alle quote più elevate la<br />

106


mancanza <strong>di</strong> copertura arborea e frequentemente anche <strong>di</strong> quella erbacea nel bacino imbrifero e<br />

lungo gli argini dei torrenti sono con<strong>di</strong>zioni del tutto naturali. Nel corso della compilazione della<br />

scheda, le quattro domande sono risultate fortemente penalizzanti nell’elaborazione del<br />

punteggio finale ed i tratti più a monte sono stati equiparati dall’in<strong>di</strong>ce ad aree urbanizzate. In<br />

particolare, le domande 3 e 4 hanno portato ad assegnare valori molto bassi ai tratti posti subito al<br />

<strong>di</strong> sotto del limite della vegetazione arborea, mentre le domande 1 e 2 sono risultate<br />

particolarmente penalizzanti per il tratto più elevato. La domanda 5, relativa alle con<strong>di</strong>zioni idriche<br />

dell’alveo, è risultata penalizzante nei confronti dei torrenti glaciali, sottoposti a naturali variazioni<br />

quoti<strong>di</strong>ane <strong>di</strong> portata ma non nei confronti <strong>di</strong> corsi d’acqua ritrali, anche se posti a quote elevate.<br />

La domanda 6, relativa alla conformazione delle rive, <strong>di</strong>venta particolarmente punitiva per i tratti<br />

posti alle quote più elevate. Le domande 12 e 14, che si riferiscono alla componente vegetale ed<br />

animale presente nel fiume, non considerano la possibilità <strong>di</strong> associare una comunità poco<br />

strutturata e poco <strong>di</strong>versificata ad una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> elevata naturalità e <strong>di</strong> funzionalità, come in<br />

realtà è nei tratti criali non impattati.<br />

L’in<strong>di</strong>ce I.F.F. ha rilevato valori decrescenti <strong>di</strong> funzionalità con l’aumento dell’altitu<strong>di</strong>ne in entrambi<br />

i sistemi fluviali, passando da un II livello <strong>di</strong> funzionalità, nei tratti più a valle, ad un III‐IV livello <strong>di</strong><br />

funzionalità nei tratti a monte e quin<strong>di</strong> una tendenza generale alla <strong>di</strong>minuzione della qualità<br />

ambientale con la quota. Questa <strong>di</strong>minuzione è determinata, in assenza <strong>di</strong> impatti antropici, da<br />

una serie <strong>di</strong> fattori naturali quali la scomparsa della vegetazione arborea riparia, le variazioni <strong>di</strong><br />

portata indotte dall’attività dei ghiacciai, l’aumento dell’erosione e quin<strong>di</strong> la desertificazione delle<br />

rive e la <strong>di</strong>minuzione della bio<strong>di</strong>versità della comunità macrobentonica piuttosto che da fattori<br />

riconducibili ad attività antropica. L’uso dell’IF.F.F. ha presentato <strong>di</strong>fficoltà nella compilazione <strong>di</strong><br />

parte della scheda in quanto l’in<strong>di</strong>ce non considera la possibilità <strong>di</strong> non avere copertura arborea,<br />

fascia riparia, elevata erosione e comunità biologiche estremamente semplificate in con<strong>di</strong>zioni<br />

naturali.<br />

L’uso dell’in<strong>di</strong>ce I.B.E. in ambienti fluviali d’alta quota ha evidenziato limiti <strong>di</strong> applicazione in<br />

relazione al decrescere, in assenza <strong>di</strong> impatti antropici, dei valori <strong>di</strong> <strong>di</strong>versità biologica con<br />

l’aumento sia dell’altitu<strong>di</strong>ne che del contributo glaciale dei corsi d’acqua.<br />

In generale si può considerare quale limite superiore <strong>di</strong> applicazione dei due in<strong>di</strong>ci la linea degli<br />

alberi. Variazioni <strong>di</strong> questo limite possono essere determinate dall’origine del corso d’acqua e/o<br />

dalla presenza <strong>di</strong> impatti antropici <strong>di</strong>retti e/o in<strong>di</strong>retti.<br />

L’impatto <strong>di</strong> <strong>di</strong>ghe e <strong>di</strong> captazioni sulle comunità bentoniche <strong>di</strong> Val de la Mare<br />

Pur essendo l’energia idroelettrica l’unica fonte <strong>di</strong> energia rinnovabile ampiamente usata, la sua<br />

produzione implica gravi conseguenze sull’integrità ecologica e funzionale degli ecosistemi<br />

acquatici.<br />

Le centrali idroelettriche sottraggono spesso buona parte della portata <strong>di</strong> un corso d’acqua. Nei<br />

bacini artificiali l’acqua viene solitamente “stoccata” per un certo periodo, prima <strong>di</strong> venire<br />

turbinata e reimmessa nel corso d’acqua molto più a valle del punto <strong>di</strong> prelievo. Ciò comporta una<br />

generale <strong>di</strong>minuzione del volume dell’acqua che scorre attraverso i canali fluviali a valle degli<br />

sbarramenti. Questo causa una mo<strong>di</strong>ficazione della portata, del flusso <strong>di</strong> base e del substrato, che<br />

107


sono i fattori che influenzano il numero <strong>di</strong> specie e famiglie e l’abbondanza totale delle specie<br />

bentoniche nei canali dei fiumi affetti da estrazione. Infatti a valle <strong>di</strong> <strong>di</strong>ghe e captazioni<br />

generalmente si assiste a una variazione nella composizione della comunità biologica<br />

Da alcuni anni la maggior parte del paesi europei prescrive il rilascio <strong>di</strong> portate residue (deflusso<br />

minimo vitale) calcolate attraverso formule <strong>di</strong>verse. Le portate residue minime necessarie dal<br />

punto <strong>di</strong> vista ecologico non corrispondono però quasi mai a una gestione remunerativa degli<br />

impianti idroelettrici, perciò questa regola spesso non viene considerata.<br />

Tab. 8 ‐ Influenza <strong>di</strong> una <strong>di</strong>ga sui parametri ambientali del corso d'acqua a valle.<br />

Parametro<br />

ambientale<br />

Influenza<br />

Idrologia cambiamento stagionale del deflusso, riduzione delle piene,<br />

variazione giornaliera <strong>di</strong> portata, deflusso minimo, mo<strong>di</strong>ficazioni<br />

del livello della falda acquifera, variazioni dell’idraulica interna dei<br />

laghi a valle delle <strong>di</strong>ghe.<br />

Trasporto <strong>di</strong><br />

sostanza<br />

solida<br />

Cicli fisico‐<br />

geo‐chimici<br />

ritenzione delle sostanze in sospensione, sfasamento temporale<br />

della torbi<strong>di</strong>tà nonché del trasporto <strong>di</strong> particellato organico ed<br />

inorganico, colmazione, stagnazione della <strong>di</strong>namica morfologica,<br />

erosione.<br />

mo<strong>di</strong>ficazioni della temperatura, mo<strong>di</strong>ficazioni della qualità delle<br />

acque, anossia dei deflussi dei bacini, liberazione <strong>di</strong> sostanze<br />

ridotte e <strong>di</strong> metalli, formazione <strong>di</strong> metano.<br />

Ecologia mo<strong>di</strong>ficazioni della produzione primaria, cambiamenti della<br />

comunità biologica, per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> ambienti umi<strong>di</strong> e zone rifugio,<br />

impe<strong>di</strong>menti migratori, frammentazione delle popolazioni,<br />

mo<strong>di</strong>ficazione dei parametri biologici ottimali.<br />

Nei torrenti alpini gli effetti delle captazioni descritti nella tabella xx sono probabilmente ancora<br />

più marcati, non sempre però sono raffrontabili con quelle dei corsi d’acqua <strong>di</strong> minor quota.<br />

Per l’effetto della captazione vengono alterate le caratteristiche principali <strong>di</strong> questi ambienti, ossia<br />

la <strong>di</strong>namica delle temperature e l’instabilità dell’alveo.<br />

A seconda del tratto analizzato, gli effetti delle captazioni sulla temperatura dei corsi d’acqua sono<br />

<strong>di</strong>fferenti. I torrenti alpini hanno temperature me<strong>di</strong>e assai basse, ma in estate mostrano variazioni<br />

giornaliere anche <strong>di</strong> 10°C. Nel segmento a ridosso dello sbarramento invece si assiste ad un<br />

innalzamento della temperatura me<strong>di</strong>a e ad una mitigazione delle oscillazioni <strong>di</strong> temperatura<br />

estive. L’acqua <strong>di</strong> questi tratti infatti deriva da rilasci <strong>di</strong> bacino (deflusso minimo) o da apporti <strong>di</strong><br />

falda e ha quin<strong>di</strong> una temperatura molto stabile. Inoltre a causa delle esigue portate il corso<br />

d’acqua scorre lentamente, ciò aumenta la durata <strong>di</strong> esposizione all’irraggiamento solare e<br />

comporta un maggiore riscaldamento. Questi cambiamenti a valle dello sbarramento comportano<br />

108


una scomparsa degli organismi stenotermi fred<strong>di</strong> e una sostituzione <strong>di</strong> essi con organismi<br />

eurotermi. A valle dell’immissione delle acque turbinate invece si assiste ad una brusca riduzione<br />

della temperatura del corso d’acqua. Queste acque infatti derivano, tramite un sistema <strong>di</strong><br />

condotte, dall’interno del bacino <strong>di</strong> raccolta e hanno una temperatura <strong>di</strong> pochi gra<strong>di</strong>. Inoltre hanno<br />

un flusso intermittente, <strong>di</strong>pendente dalla richiesta <strong>di</strong> energia. Ciò comporta un alternato<br />

raffreddamento del torrente e implica la scomparsa <strong>di</strong> tutti quegli organismi che non riescono ad<br />

adattarsi a queste variazioni. La mancanza delle piene a valle degli sbarramenti si traduce in una<br />

maggiore stabilità dell’alveo. La morfologia dell’alveo non è più una conseguenza della forza delle<br />

piene, ma principalmente dell’accumulo <strong>di</strong> detrito, derivante dalle frane che si staccano dai pen<strong>di</strong>i<br />

laterali. Con la riduzione della portata si ha una <strong>di</strong>minuzione nella corrente con un conseguente<br />

aumento nella se<strong>di</strong>mentazione del materiale organico ed inorganico che tende a depositarsi sul<br />

fondo. Ciò causa un intasamento delle porosità del substrato (colmazione) che comporta la<br />

<strong>di</strong>struzione dei rifugi <strong>di</strong> molti organismi nonché una riduzione dell’ossigeno nel substrato stesso.<br />

In generale la maggiore stabilità dell’alveo implica un cambiamento nella composizione della<br />

comunità dei torrenti alpini. Aumentano gli organismi che pre<strong>di</strong>ligono flussi lenti e substrati stabili<br />

mentre <strong>di</strong>minuiscono quelli adattati a con<strong>di</strong>zioni più turbolente e mutevoli. Le immissioni<br />

intermittenti delle acque turbinate a valle delle centrali, dovute alla maggiore richiesta <strong>di</strong><br />

elettricità durante il giorno, implica delle variazioni <strong>di</strong> portata giornaliere (Peaking). Queste<br />

possono essere <strong>di</strong> 7‐8 volte maggiori del flusso minimo e hanno massimi <strong>di</strong>urni e minimi notturni.<br />

La maggior richiesta <strong>di</strong> energia nei mesi invernali determina anche che la piena dei mesi estivi,<br />

prevista dal regime idrologico naturale a causa della fusione nivale e glaciale, a valle degli<br />

sbarramenti viene annullata e sostituita con una maggiore portata invernale. L’effetto del peaking<br />

sulla comunità biologica si presenta con una sostanziale riduzione della bio<strong>di</strong>versità non solo degli<br />

invertebrati acquatici ma anche <strong>di</strong> quelli terrestri della fascia riparia.<br />

La biologia degli insetti acquatici lotici prevede che la deposizione delle uova avvenga a monte del<br />

tratto fluviale da cui è emerso l’adulto. Essendo essi nella maggior parte dei casi cattivi volatori,<br />

possono incontrare molte <strong>di</strong>fficoltà ad attraversare ampie <strong>di</strong>stese d’acque lentiche o sbarramenti<br />

verticali. Quin<strong>di</strong> la presenza <strong>di</strong> bacini artificiali, soprattutto per via delle ristrette comunità<br />

zoobentoniche alpine, può portare ad un isolamento delle popolazioni con un possibile<br />

cambiamento della <strong>di</strong>versità genetica. Questo e i molti altri problemi che interessano tutto l’arco<br />

alpino, hanno convinto gli stati alpini a firmare nel 1991 un accordo, la “Convenzione delle Alpi”<br />

che impegna le nazioni firmatarie alla tutela delle aree naturali rimaste e una gestione più<br />

ecologica delle restanti.<br />

La questione dell’acqua è presa in esame nella Convenzione Quadro (art.2), e in modo più specifico<br />

nei protocolli Protezione della natura e tutela del paesaggio (art. 4,15 Protezione dei suoli (art. 3,<br />

8, 11, 15, 21) ed Energia (art. 6, 7, 11). Questi testi invitano i firmatari a "conservare o ristabilire la<br />

qualità naturale delle acque e dei sistemi idrici". Prevedono inoltre alcune misure concrete volte a<br />

lottare contro ogni minaccia per le loro funzioni ecologiche (inquinamento, sfruttamento <strong>di</strong> risorse<br />

non ripristinabili, portate residue, ecc.), nonché a proteggere le specie e i paesaggi peculiari <strong>di</strong> tali<br />

sistemi e a promuovere la continuità dei <strong>di</strong>versi ecosistemi e la coor<strong>di</strong>nazione internazionale<br />

Uno degli scopi del progetto <strong>HIGHEST</strong> è stata la valutazione dell’impatto <strong>di</strong> <strong>di</strong>ghe e <strong>di</strong> captazioni<br />

sulle comunità bentoniche a valle delle stesse. A tale proposito, è stata svolta una ricerca che ha<br />

109


valutato l’impatto ambientale delle opere <strong>di</strong> captazione della centrale idroelettrica <strong>di</strong> Malga Mare<br />

sulla comunità bentonica dei torrenti della Val de la Mare.<br />

Nell’area <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o le opere <strong>di</strong> captazione sono rappresentate dalla <strong>di</strong>ga del Careser che sbarra il<br />

percorso dell’omonimo torrente, e da una gronda transalveo che capta tutti i corsi d’acqua della<br />

Val Lago Lungo. La gronda è costituita da 4 opere <strong>di</strong> presa a pelo libero (imbuti che captano tutta<br />

l’acqua <strong>di</strong> un torrente) collegate assieme da 2 tratti <strong>di</strong> una condotta <strong>di</strong> scorrimento. Essa, in base al<br />

variare della morfologia dell’area, alterna tratti <strong>di</strong> muratura a mezza costa ricavati nel pen<strong>di</strong>o del<br />

terreno a tratti in galleria scavata in roccia. La pendenza longitu<strong>di</strong>nale si aggira intorno all’1/1000 e<br />

le pareti e la platea sono molto lisce per ridurre al minimo gli attriti. Poco al <strong>di</strong>sotto delle opere <strong>di</strong><br />

presa si formano regolarmente sorgenti, pozze e piccoli rigagnoli che confluiscono e formano “ex<br />

novo” il corso d’acqua precedentemente captato. Questo fenomeno è da ascriversi a processi <strong>di</strong><br />

risorgiva favoriti dalla conformazione degli alvei. I torrenti infatti scorrono su ammassi detritici<br />

poco strutturati e quin<strong>di</strong> altamente permeabili. Una certa quantità d’acqua quin<strong>di</strong> filtra al <strong>di</strong>sotto<br />

della gronda e assieme ad apporti dalla falda acquifera contribuisce alla formazione dei corsi<br />

d’acqua.<br />

La gronda parte con l’opera <strong>di</strong> presa sull’emissario del Lago delle Marmotte (Rio Marmotte), a<br />

quota 2680 m s.l.m., da dove prosegue per 202 metri superando lo spartiacque fra il bacino<br />

idrografico del Rio Marmotte e quello del Rio Lago Lungo. Qui finisce il primo tratto <strong>di</strong> canale e le<br />

acque del Rio Marmotte vengono fatte confluire con quelle <strong>di</strong> un piccolo immissario del Lago<br />

Lungo. Per un tratto scendono lungo l’alveo <strong>di</strong> questo affluente e dopo un <strong>di</strong>slivello <strong>di</strong> circa 40 m a<br />

quota 2638 m s.l.m. vengono nuovamente captate e immesse nel secondo tratto del canale <strong>di</strong><br />

derivazione. Questo è lungo 1555 metri ed è collegato a due ulteriori opere <strong>di</strong> presa. Dalla prima<br />

riceve le acque <strong>di</strong> una minuscola sorgente e con la seconda e ultima, a quota 2630 m s.l.m., capta<br />

l’immissario principale del Lago Lungo (Rio Lago Lungo). Quin<strong>di</strong> il canale procede in galleria per<br />

1099 metri, lascia il bacino del Rio Lago Lungo e convoglia le acque captate nel Lago Nero a quota<br />

2621, il cui emissario scorre per 126 metri prima <strong>di</strong> finire nel bacino del Careser.<br />

Il complesso idroelettrico <strong>di</strong> Malga Mare è entrato in funzione nel 1931, mentre nel 1947 è stata<br />

inaugurata la sottostante centrale <strong>di</strong> Pont (Cogolo). La <strong>di</strong>ga del Careser (2603 m s.l.m.), uno dei più<br />

elevati bacini artificiali d’Europa, ha un volume d’invaso <strong>di</strong> circa 16 milioni <strong>di</strong> m³. Le acque della<br />

<strong>di</strong>ga del Careser compiendo un salto <strong>di</strong> 622 m attraverso una condotta forzata, raggiungono la<br />

centrale <strong>di</strong> Malga Mare. Dopo essere stata turbinata nella centrale confluiscono assieme alle<br />

acque del Noce Bianco in un bacino <strong>di</strong> se<strong>di</strong>mentazione da dove, tramite una condotta che si<br />

sviluppa lungo la fiancata destra del Monte Vioz, si portano al <strong>di</strong>sopra delle centrale <strong>di</strong> Pont (1208<br />

m s.l.m.). Qua l’acqua compie un ultimo salto <strong>di</strong> 750 m in condotta forzata verso la centrale dove<br />

viene turbinata e rimessa nel corso del Noce Bianco. Nel corso della ricerca sono state investigate<br />

in totale nove stazioni per la valutazione degli effetti delle captazioni idroelettriche in Val de la<br />

Mare. Due <strong>di</strong> esse sono situate sul Rio Careser rispettivamente a monte e a valle della <strong>di</strong>ga. Le<br />

restanti sette si trovano lungo la gronda <strong>di</strong> captazione, rispettivamente tre a monte e tre a valle <strong>di</strong><br />

ogni opera <strong>di</strong> presa (Immissario del Lago Lungo a monte della gronda, Immissario del Lago Lungo a<br />

valle della gronda, Immissario del Lago Lungo nuovo a monte della gronda, Immissario del Lago<br />

Lungo nuovo a valle della gronda, Emissario del Lago delle Marmotte a monte della gronda,<br />

Emissario del Lago delle Marmotte a valle della gronda) e una sull’emissario del Lago Nero.<br />

All’infuori della stazione del Torrente Careser a valle della <strong>di</strong>ga tutte le stazioni, <strong>di</strong> lunghezza pari a<br />

110


15 metri, si trovano al <strong>di</strong> sopra della linea degli alberi. I risultati delle analisi ambientali e<br />

biologiche si riferiscono a tre campagne <strong>di</strong> prelievi: una nell’autunno 2001 (3‐7 settembre), le altre<br />

due nell’estate‐autunno 2002 (29 luglio‐2 agosto e 14‐16 ottobre).<br />

Tra le stazioni a monte e quelle a valle delle captazioni si è osservata una generale <strong>di</strong>minuzione dei<br />

valori <strong>di</strong> conducibilità e <strong>di</strong> alcalinità. Questo è una conseguenza <strong>di</strong>retta <strong>di</strong> tali captazioni, poiché in<br />

un corso d’acqua, in genere, i valori <strong>di</strong> conducibilità tendono ad aumentare progressivamente da<br />

monte a valle, in conseguenza del processo <strong>di</strong> mineralizzazione e <strong>di</strong> arricchimento in sali dovuto al<br />

drenaggio del bacino. Invece l’acqua che sgorga a valle delle captazioni, derivando soprattutto da<br />

apporti <strong>di</strong> falda, non possiede un bacino <strong>di</strong> drenaggio e quin<strong>di</strong> presenta valori <strong>di</strong> conducibilità<br />

minori. Passando da monte a valle delle captazioni si è assistito a una <strong>di</strong>minuzione del fosforo<br />

totale, dell’azoto nitrico e della silice mentre il fosforo reattivo ha mantenuto gli stessi livelli.<br />

Inoltre, si è registrata una notevole <strong>di</strong>minuzione nel trasporto <strong>di</strong> soli<strong>di</strong> sospesi da monte a valle<br />

della captazione. La <strong>di</strong>minuzione era chiaramente maggiore nel Torrente Careser dove si è passati<br />

da un torrente glaciale che tipicamente presenta alte concentrazioni <strong>di</strong> soli<strong>di</strong> sospesi a un torrente<br />

creno‐ritrale che presenta basse concentrazioni <strong>di</strong> soli<strong>di</strong>. Essendo l’immissario del Lago Lungo un<br />

torrente ritrale, la <strong>di</strong>minuzione a monte della gronda è invece risultata più contenuta.<br />

Nell’immissario del Lago Lungo nuovo non si sono riscontrate variazioni. Interessante risulta il<br />

confronto fra i due emissari <strong>di</strong> lago: l’emissario del Lago delle Marmotte trasportava il doppio <strong>di</strong><br />

soli<strong>di</strong> dell’emissario del Lago Nero, probabilmente a causa dell’influsso del immissario glaciale del<br />

Lago delle Marmotte. L’effetto delle captazioni sulla termica dei torrenti investigati è risultato<br />

<strong>di</strong>verso, <strong>di</strong>pendendo essenzialmente dalla loro tipologia. La <strong>di</strong>ga del Careser che capta le acque<br />

dell’omonimo torrente porta ad uno stravolgimento del regime termico fluviale. A valle della <strong>di</strong>ga<br />

infatti il torrente ha mostrato temperature me<strong>di</strong>e e minime maggiori, mentre si sono ridotte<br />

sostanzialmente le escursioni termiche giornaliere e stagionali. In pratica per il torrente Careser si<br />

è passati da una tipologia Kryal ad una Kreno‐rhitral rispettivamente a monte e a valle della <strong>di</strong>ga.<br />

Gli effetti delle opere <strong>di</strong> captazione sulla geomorfologia dei torrenti stu<strong>di</strong>ati sono risultati<br />

soprattutto in una maggiore stabilità dell’alveo dei torrenti a valle <strong>di</strong> esse. La minore portata e la<br />

conseguente <strong>di</strong>minuzione <strong>di</strong> energia cinetica infatti implicano un assestamento e un<br />

compattamento del substrato in questi siti. Per quanto riguarda la composizione granulometrica<br />

del substrato si delinea una influenza solo per l’immissario del Lago Lungo e per l’immissario del<br />

Lago Lungo nuovo, dove nelle stazioni a valle è aumentata la percentuale <strong>di</strong> se<strong>di</strong>mento fine. Nelle<br />

altre stazioni invece non si sono osservate variazioni importanti.<br />

Captazione idroelettrica in Val Lagolungo.<br />

111


Scheda 7<br />

Gli impianti idroelettrici in Val <strong>di</strong> Peio, ripercussioni sociali<br />

L’AMBIENTE DEL PARCO NAZIONALE DELLO STELVIO<br />

<strong>di</strong> Paola Zalla<br />

Siamo nel Parco Nazionale dello Stelvio, crocevia geografico <strong>di</strong> vallate profonde che giocano a<br />

comporre un mosaico fra rocce e monumentali larici, sorgenti, ghiacciai e nevai, serbatoi naturali<br />

dei torrenti che solcano i fianchi delle montagne ed il fondovalle. L’acqua <strong>di</strong>segna percorsi <strong>di</strong><br />

straor<strong>di</strong>naria bellezza ed è elemento che ha fortemente caratterizzato la locale civiltà rurale.<br />

Il Parco Nazionale dello Stelvio, istituito nel 1935, si estende nel cuore delle Alpi. Gravita per intero<br />

attorno al Gruppo dell’Ortles Cevedale ed è collocato nelle regioni Lombar<strong>di</strong>a e Trentino‐Alto<br />

A<strong>di</strong>ge, a cavallo delle Province <strong>di</strong> Trento, Bolzano, Brescia e Sondrio. Sulla sua superficie, che<br />

occupa un’area pari a 130.600 ettari, sono presenti tutte le possibili formazioni dell’ambiente<br />

alpino: cime sulla soglia dei 4000 metri, gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>stese <strong>di</strong> ghiacciai, laghetti, vaste foreste <strong>di</strong><br />

conifere, tipici inse<strong>di</strong>amenti rurali montani, le praterie secondarie <strong>di</strong> mezzacosta e quelle primarie<br />

che lambiscono le zone preglaciali. Il notevole sviluppo altitu<strong>di</strong>nale dell’area occupata dal Parco<br />

Nazionale dello Stelvio è una con<strong>di</strong>zione che produce una grande varietà <strong>di</strong> ecosistemi, situazioni<br />

ecologiche e paesaggistiche. Dal massiccio montuoso dell’Ortles Cevedale si staccano ra<strong>di</strong>almente<br />

le valli del Parco, ciascuna caratterizzata da peculiarità proprie, tanto da rendere il territorio una<br />

mescolanza eterogenea <strong>di</strong> valori naturali, culturali, etnici, storici e sociali. Le particolari con<strong>di</strong>zioni<br />

geologiche e climatiche hanno dato origine ad una molteplicità <strong>di</strong> habitat ed unità ambientali cui è<br />

legata la presenza <strong>di</strong> un notevole numero <strong>di</strong> varietà vegetali e animali. Le foreste sono costituite<br />

in prevalenza <strong>di</strong> conifere, tra cui il larice ed il pino cembro che formano il limite superiore del<br />

bosco; l’abete bianco; poi l’abete rosso ed il pino silvestre alle quote me<strong>di</strong>e e basse. Un misto <strong>di</strong><br />

larice e abete rosso occupa la fascia boscata più ampia in tutti i versanti del Parco, appena sopra i<br />

paesi. Sotto gli alberi dominanti, tranne nelle peccete più scure, ci sono dei piccoli alberi o<br />

cespugli: sorbo degli uccellatori, betulla, pioppo tremolo, nocciolo oppure ontano verde. Nei<br />

boschi aperti spesso si trovano gran<strong>di</strong> estese <strong>di</strong> rododendro, bellissimo quando in fiore, con<br />

mirtillo nero e rosso e molte altre specie. I bei lariceti soleggiati, spesso ai margini del pascolo,<br />

sono immagini tipiche delle vallate alpine nel Parco.<br />

Nel Parco Nazionale dello Stelvio vivono 134 specie <strong>di</strong> uccelli e 34 <strong>di</strong> mammiferi: le popolazioni <strong>di</strong><br />

Ungulati rappresentano attualmente un patrimonio importante e <strong>di</strong> notevole valenza ecologica. La<br />

carta <strong>di</strong> identità dell’area protetta vanta numeri importanti se si tiene conto che sono presenti<br />

6.000 camosci, 1.000 stambecchi, caprioli e 7.500 cervi, le cui popolazioni in buona parte del<br />

territorio hanno ormai raggiunto valori prossimi alla capacità portante, innescando così fattori<br />

naturali <strong>di</strong> controllo della densità.<br />

E’numerosa anche la colonia <strong>di</strong> marmotte. Sono 13‐14 le coppie d’aquila riproduttive e tre delle<br />

otto coppie <strong>di</strong> gipeto che vivono sulle Alpi hanno trovato il loro habitat ideale nel Parco Nazionale<br />

dello Stelvio.<br />

112


L’ACQUA IN VAL DI PEIO<br />

L’acqua nella comune percezione evoca la vita: è limitata, preziosa, in<strong>di</strong>spensabile ai cicli biologici<br />

degli organismi animali e vegetali. E’una risorsa che si caratterizza per essere a gestione collettiva<br />

e la cui tutela può essere affermata adottando un modello <strong>di</strong> consumo responsabile e sostenibile.<br />

L’acqua è un elemento <strong>di</strong> grande ricchezza del patrimonio naturale ed interviene nei processi <strong>di</strong><br />

sviluppo <strong>di</strong> molte attività umane: agricoltura, turismo, energia e tempo libero sono ambiti in cui il<br />

prezioso liquido ha un ruolo determinante.<br />

La storia della Val <strong>di</strong> Peio testimonia come il quadro dell'economia locale sia stato caratterizzato in<br />

altre epoche, più che nei tempi moderni, da un forte legame con l'ambiente. Un esempio <strong>di</strong><br />

integrazione uomo‐territorio che si è sviluppato lungo la filiera risorsa idrica‐sfruttamento delle<br />

aree forestali‐pratiche agricole‐ e, a partire dagli anni Trenta, dalla produzione <strong>di</strong> energia elettrica.<br />

I gruppi sociali inse<strong>di</strong>ati nelle aree più decentrate hanno organizzato un modello <strong>di</strong> gestione del<br />

patrimonio naturale ecocompatibile, gettando le basi <strong>di</strong> un sistema economico rispettoso del<br />

paesaggio alpino.<br />

Le peculiarità climatiche e vegetazionali hanno dato una connotazione precisa alle attività<br />

antropiche che hanno consentito alle popolazioni <strong>di</strong> sopravvivere in una <strong>di</strong>mensione geografica<br />

critica e penalizzata da una rete viaria inadeguata ad un processo <strong>di</strong> sviluppo industriale. L'acqua è<br />

elemento fondamentale del percorso che ha portato il progresso nelle aree <strong>di</strong>stanti dai gran<strong>di</strong><br />

mercati <strong>di</strong> pianura: l'evoluzione delle comunità rurali <strong>di</strong> montagna è stata lunga, complessa,<br />

articolata e favorita dall'abilità con cui l'uomo è riuscito a mettere in atto strategie <strong>di</strong><br />

valorizzazione delle risorse ambientali. Un'azione incisiva testimoniata dal numero considerevole<br />

<strong>di</strong> manufatti utilizzati per la lavorazione del legno, del ferro e dei cereali prodotti sia con fini <strong>di</strong><br />

autoconsumo sia per il mercato interno.<br />

Le opere idrauliche funzionavano in gran parte grazie alla forza motrice dell'acqua e ad ingegnosi<br />

meccanismi perfezionati nel tempo dalla mano abile degli artigiani. Segherie, mulini, fucine<br />

rappresentano uno spaccato <strong>di</strong> storia e cultura locale. Sono luoghi <strong>di</strong> lavoro che restituiscono alla<br />

memoria un passato ricco <strong>di</strong> povere cose e <strong>di</strong> solidarietà, ricordano le particolari forme <strong>di</strong> gestione<br />

dei beni collettivi, invitano a non <strong>di</strong>menticare l'importante funzione avuta nell'ambito <strong>di</strong><br />

un'economia fragile tutta da inventare. Rappresentano la risposta dell'uomo ad un contesto<br />

ambientale <strong>di</strong>fficile e nel contempo hanno retto il confronto con i mutamenti economici e culturali<br />

che, oltre ad aver mo<strong>di</strong>ficato in modo ra<strong>di</strong>cale le tecniche <strong>di</strong> produzione, hanno inciso<br />

profondamente nell'ambito delle relazioni sociali.<br />

Sono espressione dell'esperienza maturata nel corso dei secoli e preziose tappe nel percorso<br />

orientato verso uno sviluppo sostenibile sia in termini economici che <strong>di</strong> carico antropico. Gli<br />

antichi opifici raccontano una storia lunga secoli per educarci al rispetto dei beni architettonico‐<br />

ambientali e promuoverne il recupero al fine <strong>di</strong> riconsegnare alle comunità segni tangibili del<br />

passato e portare a nuova giovinezza i segni lasciati dal passaggio <strong>di</strong> chi ci ha preceduto.<br />

Nell’area presa in esame dalla equipe <strong>di</strong> ricercatori del <strong>Museo</strong> delle <strong>Scienze</strong> si ricompongono i fili<br />

esistenziali, memoriali e storici <strong>di</strong> avvenimenti che ebbero portata epocale. Proprio dove la natura<br />

appare in tutto il suo splendore, viva, colorata, profumata e in movimento la mano dell’uomo<br />

mo<strong>di</strong>ficò con imponenti opere l’aspetto del paesaggio. La corsa allo sviluppo industriale <strong>di</strong> inizio<br />

secolo produsse un bisogno crescente <strong>di</strong> energia e le risorse idriche delle Alpi costituirono<br />

113


l’importante riserva cui attingere per dare impulso alle moderne attività produttive. E le acque<br />

correnti d’alta quota in Val <strong>di</strong> Peio sono copiose. Al vertice della rete idrografica si collocano<br />

ghiacciai <strong>di</strong> rilevanti <strong>di</strong>mensioni: il Gruppo dell’Ortles‐Cevedale è quello che, a livello nazionale,<br />

ospita la maggior presenza <strong>di</strong> superfici occupate dai ghiacci. Sono gli ambienti più belli e suggestivi<br />

del Parco Nazionale dello Stelvio, sono i luoghi selvaggi dell’autentico wilderness dove il paesaggio<br />

assume un aspetto lunare. Gli apparati glaciali dell’Ortles‐Cevedale convogliano le acque <strong>di</strong><br />

fusione, che escono dalla fronte, nei bacini idrografici dei fiumi A<strong>di</strong>ge, Adda ed Oglio.<br />

Orograficamente, l’area del Parco costituisce un’entità ben definita che si articola attorno alla<br />

cuspide glacializzata del M. Cevedale e da cui, ra<strong>di</strong>almente, si <strong>di</strong>ramano le catene principali. Le<br />

attività connesse al fenomeno glaciale sono legate all’utilizzo, con finalità produttive, dell’acqua, il<br />

cui uso è strettamente correlato alla situazione geografica e socio‐economica del territorio. In Val<br />

<strong>di</strong> Peio sono presenti ghiacciai <strong>di</strong> notevole pregio cui è riferibile l’intensa attività <strong>di</strong> produzione <strong>di</strong><br />

energia elettrica seguita alla costruzione in quota <strong>di</strong> imponenti impianti nella prima metà del 1900.<br />

L’acqua oltre ad un elemento importante del paesaggio <strong>di</strong>venta in quel momento storico un<br />

risorsa economica fondamentale per la nascente industria italiana. Gli elementi fisici e quelli<br />

umani risultano, quin<strong>di</strong>, in<strong>di</strong>ssolubilmente uniti dall’interrelazione Acqua‐ Ambiente‐Attività<br />

antropiche.<br />

COSTRUZIONE DEGLI IMPIANTI IN VAL DI PEIO<br />

La filiera della produzione dell’energia idroelettrica ha nell’elemento acqua il cuore: è la fonte<br />

energetica rinnovabile più utilizzata nel mondo. L’industria europea <strong>di</strong> fine Ottocento aveva nel<br />

carbone la risorsa <strong>di</strong> riferimento e nell’Italia, che non poteva contare sulla <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> materie<br />

prime, il fanalino <strong>di</strong> coda. Nuovi orizzonti si aprirono quando la scienza sperimentò con successo<br />

l’impiego dell’energia elettrica, intuendone le gran<strong>di</strong> potenzialità come forza motrice. La svolta<br />

arriva nel 1891, quando all’Esposizione <strong>di</strong> Francoforte fu presentato un sistema <strong>di</strong> trasporto<br />

dell’elettricità su grande <strong>di</strong>stanza a mezzo <strong>di</strong> corrente alternata, senza incorrere in rilevanti per<strong>di</strong>te<br />

<strong>di</strong> potenza.<br />

Si trattò <strong>di</strong> un progresso notevole poiché questa innovazione tecnologica rese possibile la<br />

concentrazione del processo <strong>di</strong> trasformazione delle masse d’acqua in energia all’interno <strong>di</strong> un<br />

unico impianto <strong>di</strong> produzione e <strong>di</strong> implementare una rete <strong>di</strong> fornitura a servizio <strong>di</strong> un vasto<br />

territorio.<br />

Il fabbisogno energetico crebbe esponenzialmente e l’attenzione dell’impren<strong>di</strong>toria, forte dei<br />

profitti accumulati durante la Prima Guerra Mon<strong>di</strong>ale, si posò anche sulle notevoli risorse idriche<br />

del Trentino e, quin<strong>di</strong>, della Val <strong>di</strong> Peio. Fu infatti durante la reggenza fascista che l’industria<br />

idroelettrica si sviluppò in modo consistente avviando la costruzione <strong>di</strong> numerose centrali: si<br />

occupò così manodopera non specializzata, adempiendo, nel contempo, fedelmente al principio <strong>di</strong><br />

autarchia, particolarmente caro alla politica dell’epoca. Seguì un periodo <strong>di</strong> grande crescita del<br />

comparto, frenato bruscamente dalla Seconda Guerra Mon<strong>di</strong>ale.<br />

In Val <strong>di</strong> Peio la memorabile costruzione delle gran<strong>di</strong> opere idroelettriche ebbe inizio con la firma<br />

del Decreto <strong>di</strong> Concessione del primo ottobre 1922, con il quale il Commissariato Civile <strong>di</strong> Cles<br />

conferisce alla SIAN (Società Idroelettrica Alto Noce, con sede a Milano) “la concessione per<br />

l’utilizzazione delle acque del Noce e affluenti, comprese quelle del Malghetto, delle Malghette, <strong>di</strong><br />

114


Val Gelada e <strong>di</strong> Val Baselga e quelle del torrente Rabbies, allo scopo <strong>di</strong> produzione <strong>di</strong> energia<br />

elettrica. Il provve<strong>di</strong>mento stabilisce la gratuità dell’utilizzo a scopo produttivo della preziosa<br />

risorsa e prevede la realizzazione <strong>di</strong> 7 impianti con i quali si intende procedere al sistematico<br />

sfruttamento idroelettrico del corso dell’Alto Noce. La concessione riguarda praticamente l’intero<br />

bacino imbrifero della Val <strong>di</strong> Sole fra il Passo del Tonale e Malè, comprese le valli <strong>di</strong> Peio e Rabbi.<br />

L’atto accorda ai richiedenti un notevole lasso <strong>di</strong> tempo per svolgere le attività e i progetti<br />

autorizzati precisando che “Avuto riguardo all’ingentissimo capitale richiesto per portare a<br />

compimento l’impresa ed al periodo non insignificante <strong>di</strong> tempo, che occorre per la completa<br />

esecuzione dei lavori, la concessione viene impartita per 80 anni, calcolati dalla data del presente<br />

decreto”. Nel decreto si quantificava in 5 anni il tempo necessario per dar corpo ai tre impianti<br />

della Val <strong>di</strong> Peio, che secondo quanto stabilito dal dettagliato <strong>di</strong>sciplinare, avrebbero dovuto<br />

iniziare nel maggio del 1923 ed essere ultimati nel maggio del 1928.<br />

IL BACINO DEL CARESER<br />

Sulle Alpi ed in particolare sulle montagne trentine si è giocata una delle partite più importanti<br />

dell’industrializzazione italiana: un drammatico confronto uomo‐natura che non <strong>di</strong>venne mai<br />

argomento <strong>di</strong> <strong>di</strong>scussione politica nonostante le notevoli conseguenze sociali che ne derivarono<br />

per una civiltà rurale ancora saldamente aggrappata ai propri ritmi e tra<strong>di</strong>zioni. La scarsa<br />

prevenzione, le <strong>di</strong>sumane con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> lavoro sui cantieri idroelettrici e la mici<strong>di</strong>ale polvere<br />

respirata nei cunicoli scavati nelle viscere della montagna furono causa <strong>di</strong> moltissime e premature<br />

morti per silicosi. Gli avvenimenti si <strong>di</strong>panano dal 1920 al 1960, un lungo arco temporale che<br />

corrisponde al periodo <strong>di</strong> progettazione ed esecuzione delle opere idroelettriche della Val <strong>di</strong> Peio.<br />

Si stava assistendo alla “colonizzazione elettrica”, come la definì l’autorevole penna <strong>di</strong> Aldo Gorfer,<br />

delle montagne trentine e alla prepotente entrata in scena della figura del minatore, soggetto che<br />

va finalmente ad identificarsi come una delle prime categorie sindacalizzate nel clima della<br />

ricostruzione del secondo dopo guerra. L’arrivo <strong>di</strong> uno dei settori strategici dello sviluppo<br />

economico nazionale ebbe un impatto molto forte sulla civiltà legata all’esercizio <strong>di</strong> attività agro‐<br />

silvo‐pastorali anche perché chi decise <strong>di</strong> abbandonare le occupazioni rurali per il lavoro in<br />

miniera, rompe con il contesto conta<strong>di</strong>no.<br />

La realizzazione dei gran<strong>di</strong> impianti idroelettrici assorbiva in Trentino il 45,4% dei lavoratori del<br />

comparto e<strong>di</strong>le: un dato importante se si tiene conto che nel resto d’Italia la percentuale scende al<br />

15,2%. In Val <strong>di</strong> Peio presero forma opere fra le più moderne d’Europa. Il corso dell’Alto Noce è<br />

stato mo<strong>di</strong>ficato, in prossimità delle sorgenti dei suoi due affluenti, dalla presenza <strong>di</strong> due gran<strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>ghe e <strong>di</strong> un bacino <strong>di</strong> decantazione. L’acqua venne convogliata, attraverso condotte forzate, ad<br />

una centrale idroelettrica posta a valle. Si trattava del sistema idroelettrico <strong>di</strong> Malga Mare‐Pont<br />

formato dalla centrale <strong>di</strong> produzione realizzata in località Pont, nei pressi dell’abitato <strong>di</strong> Cogolo,<br />

dall’impianto <strong>di</strong> Malga Mare (1963 m), dai due gran<strong>di</strong> serbatoi <strong>di</strong> accumulo del Careser (2500 m) e<br />

<strong>di</strong> Pian Palù (1752), ubicati rispettivamente in Val de la Mare e in Val del Monte, cui si aggiunse il<br />

bacino <strong>di</strong> presa <strong>di</strong> Malga Mare.<br />

Il colossale progetto ebbe inizio ai pie<strong>di</strong> del Ghiacciaio del Careser, uno dei maggiori apparati<br />

glaciali del Gruppo dell’Ortles‐Cevedale e probabilmente anche il più stu<strong>di</strong>ato d’Italia, in quanto<br />

sottoposto da ben 30 anni ad approfon<strong>di</strong>to bilancio <strong>di</strong> massa a cura del Comitato Glaciologico<br />

115


Italiano e rientra nel network internazionale dei corpi glacializzati sottoposti a questo particolare<br />

tipo <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o.<br />

L’autorizzazione a costruire le imponenti opere <strong>di</strong> presa consentì alla SIAN <strong>di</strong> dare inizio alla<br />

progettazione esecutiva. Nel programma <strong>di</strong> intervento si prevedevano accertamenti per verificare<br />

l’impermeabilità del bacino nella conca <strong>di</strong> Pian Palù. Le indagini furono curate dal geologo Giovan<br />

Battista Trener il quale rilevò la non idoneità del sito alla costruzione dell’opera <strong>di</strong> sbarramento<br />

come da progetto, poichè il fianco sinistro del versante è formato da roccia deteriorata. Per non<br />

accumulare ritar<strong>di</strong> si partì nel 1926 con la realizzazione degli impianti relativi al sistema Malga<br />

Mare‐Careser. Intanto la SIAN, società che aveva richiesto la concessione, unendosi con la SIET<br />

(Società Industrie Elettriche Trentine), autorizzata allo sfruttamento del tratto Malè‐Mezzocorona<br />

del corso del Noce, mutò la propria denominazione in SGET (Società Generale Elettrica Tridentina).<br />

Nacque così un colosso, controllato dall’E<strong>di</strong>son, con enormi <strong>di</strong>sponibilità economiche. Nel 1927<br />

vennero introdotte mo<strong>di</strong>fiche significative ai contenuti del Decreto <strong>di</strong> Concessione del 1922. Le<br />

nuove scelte progettuali furono definite quando aveva già preso avvio la fase esecutiva<br />

dell’intervento che, le rettifiche apportate, resero più funzionale poiché ottimizzavano l’utilizzo a<br />

scopo idroelettrico del fitto reticolo fluviale della Val <strong>di</strong> Peio.<br />

In Val <strong>di</strong> Peio giunse un cospicuo numero <strong>di</strong> lavoratori: calabresi, bresciani, bellunesi cui si<br />

aggiunse la manodopera locale. Il sistema Careser‐Malga Mare entrò in funzione nel 1932<br />

nonostante il completamento della <strong>di</strong>ga sia datato 1934: il bacino, con altezza <strong>di</strong> 66 m ed uno<br />

spessore alla base <strong>di</strong> 44 m, può trattenere nel periodo estivo sino a 16.000.000 metri cubi <strong>di</strong><br />

acqua. Ad alimentare il serbatoio attraverso una rete <strong>di</strong> condotte sono anche i Laghi Marmotta,<br />

Lago Lungo e Lago Nero con i relativi emissari. Con un salto <strong>di</strong> 635 m, la corrente mette in funzione<br />

le turbine della centrale <strong>di</strong> Malga Mare per poi essere convogliata nell’a<strong>di</strong>acente bacino <strong>di</strong><br />

se<strong>di</strong>mentazione: dove il Rio Careser incontra il Noce <strong>di</strong> Val Venezia fu costruita la centrale <strong>di</strong><br />

Malga Mare.<br />

I lavori per realizzare le opere idrauliche dell’impianto Malga Mare‐Cogolo, ultimate in tempi<br />

record nel 1929 , ebbero inizio nel 1928. In una manciata <strong>di</strong> anni si realizzò, quin<strong>di</strong>, un intervento<br />

lungo il reticolo fluviale sotteso al Ghiacciaio del Careser costituito da derivazioni idriche, strade, la<br />

palazzina che ospita gli uffici amministrativi a Cogolo, la linea ad alta tensione Cogolo‐<br />

Mezzocorona per il trasporto dell’energia e la centrale <strong>di</strong> produzione <strong>di</strong> Pònt.<br />

Alla fine del 1929 entrò in funzione l’impianto <strong>di</strong> Malga Mare‐Cogolo e nel 1928 ebbe inizio la<br />

costruzione del sistema Careser‐Malga Mare i cui lavori furono appaltati all’impresa SALCI (Società<br />

Anonima Lavori Costruzioni Idrauliche). Nell’arco temporale 1928‐1930 prense forma la galleria<br />

per il passaggio della condotta forzata che va dai 2600 metri <strong>di</strong> quota del Careser ai 1970 metri <strong>di</strong><br />

Malga Mare: ha una lunghezza pari a 2 km e si sviluppa su un <strong>di</strong>slivello <strong>di</strong> 630 metri. Nello stesso<br />

scavo sotterraneo corre in parallelo il piano inclinato lungo il quale si muove il carrello a<strong>di</strong>bito al<br />

trasporto degli operai e dei materiali. Questa soluzione progettuale consentì <strong>di</strong> garantire anche<br />

durante l’inverno l’accesso alla <strong>di</strong>ga delle maestranze, <strong>di</strong> rendere più uniforme l’inclinazione e <strong>di</strong><br />

ovviare ai problemi prodotti dai rigori del clima e dai fenomeni valanghivi.<br />

Il complesso idroelettrico Careser‐Malga Mare entrò in esercizio l’11 <strong>di</strong>cembre 1931 nonostante<br />

non esistesse ancora la <strong>di</strong>ga che originò l’invaso del Careser, corpo principale dell’intervento.<br />

Nell’estate del 1930 si partì con la costruzione del bacino <strong>di</strong> accumulo. La costruzione della <strong>di</strong>ga si<br />

116


protrasse per 5 stagioni. Nel 1931 e nel 1932 vennero effettuate le prime prove <strong>di</strong> invaso parziale<br />

per verificare l’impermeabilità del bacino, con risultati incoraggianti. Nel 1934 i getti vennero<br />

ultimati e l’impianto entrò definitivamente in esercizio. In seguito a sopralluogo del Genio Civile<br />

che verificò la piena corrispondenza dell’opera al progetto, il 6 febbraio 1937 venne emesso il<br />

certificato <strong>di</strong> collaudo definitivo.<br />

Diga del Careser.<br />

Bacino <strong>di</strong> se<strong>di</strong>mentazione <strong>di</strong> Malga Mare.<br />

117


LA CENTRALE DI PONT<br />

La centrale idroelettrica <strong>di</strong> Pont per la cura dei dettagli e la bellezza dei suoi interni può essere<br />

considerata a buon <strong>di</strong>ritto un’ “opera <strong>di</strong> archeologia industriale”.<br />

L’e<strong>di</strong>ficio si compone <strong>di</strong> due parti comunicanti: nella prima trovano spazio turbine, alternatori e<br />

sale <strong>di</strong> controllo mentre nella seconda sono collocati i trasformatori e le torri <strong>di</strong> <strong>di</strong>stribuzione. I<br />

piccoli fabbricati pre<strong>di</strong>sposti nelle a<strong>di</strong>acenze sono utilizzati come officine, magazzini e depositi.<br />

L'e<strong>di</strong>ficio rappresenta un esempio fra i più interessanti <strong>di</strong> architettura industriale dell'epoca. La<br />

cura dei dettagli e le decorazioni interne rendono l'impianto <strong>di</strong> produzione particolarmente<br />

suggestivo ed elegante. Le sue forme rispecchiano l’ideologia del Regime, particolarmente attento<br />

a lanciare messaggi e a <strong>di</strong>ffondere i contenuti dei programmi politici attraverso il compimento <strong>di</strong><br />

opere imponenti. Due graffiti <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni riproducono i bacini del Careser con vedretta e<br />

Pian Palù e con la stessa tecnica sono mirabilmente decorate altre superfici interne ed esterne<br />

PIAN PALU’<br />

Le tappe cruciali della costruzione in Val <strong>di</strong> Peio <strong>di</strong> imponenti opere idroelettriche si susseguirono<br />

velocemente negli anni che vanno dal 1925 al 1963. Si tratta <strong>di</strong> un periodo <strong>di</strong> continui lavori,<br />

interrotti dalla Seconda Guerra Mon<strong>di</strong>ale, quando furono compiuti soltanto piccoli interventi <strong>di</strong><br />

finitura e manutenzione dell’esistente. Prima dello scoppio del conflitto in Val de la Mare aveva<br />

preso forma in tempo record l’impianto del Careser, mentre in Val del Monte il progetto relativo<br />

all’opera <strong>di</strong> sbarramento a Pian Palù subì ritar<strong>di</strong> a seguito dei problemi geologici rilevati sul fianco<br />

sinistro della erigenda <strong>di</strong>ga. Per ovviare alle <strong>di</strong>fficoltà tecniche e dare inizio alla costruzione<br />

dell’impianto, che avrebbe consentito <strong>di</strong> utilizzare appieno le potenzialità produttive della Centrale<br />

<strong>di</strong> Pont, fu definito un progetto esecutivo innovativo. Si realizzò, quin<strong>di</strong>, un bacino <strong>di</strong> raccolta con<br />

struttura muraria “a scogliera” poiché rappresentava garanzia <strong>di</strong> maggior flessibilità dell’opera che<br />

venne compiuta utilizzando blocchi calcestruzzo. L’impianto rientrava nella pianficazione<br />

industriale della E<strong>di</strong>sovolta e fu costruito dall’impresa Salci, consociata dell’E<strong>di</strong>son che nel 1947<br />

incorporò definitivamente la SGEC (Società Generale Elettrica Cisalpina). I lavori si protrassero<br />

negli anni che vanno dal 1948 al 1959: il progetto fu elaborato dall’ing. Clau<strong>di</strong>o Marcello che si<br />

avvalse della collaborazione dei colleghi Giuseppe Can<strong>di</strong>ani e Francesco Contessini.<br />

L’epopea si concluse con pesanti implicazioni sociali. Furono numerosissimi i decessi per silicosi<br />

nelle piccole comunità che fornirono la manodopera necessaria alla realizzazione degli impianti e<br />

delle infrastrutture che ne consentivano l’esercizio. Nel 1962, inoltre, con la legge n. 1643 del 12<br />

<strong>di</strong>cembre il legislatore nazionale mutò ra<strong>di</strong>calmente la cornice entro la quale il ruolo <strong>di</strong><br />

protagonisti dell’industrializzazione idroelettrica era riservato a soggetti privati. Fu infatti istituita<br />

l’ENEL (Ente Nazionale per l’Energia Elettrica) e si stabilì che entro un anno le dovessero essere<br />

trasferite le imprese cui era affidata l’attività <strong>di</strong> produzione, trasporto, <strong>di</strong>stribuzione e ven<strong>di</strong>ta<br />

dell’energia elettrica.<br />

I valori <strong>di</strong> sostanza organica particellata bentonica rilevati non sono risultati molto <strong>di</strong>versi per le<br />

singole stazioni e non fanno registrare <strong>di</strong>fferenze generalizzate fra i siti a monte e quelli a valle<br />

delle captazioni<br />

118


Durante le tre date <strong>di</strong> campionamento sono stati raccolti 36 campioni, in cui sono stati contati<br />

16811 organismi zoobentonici, dei quali 15208 raccolti con retino immanicato e 1603 con retino<br />

da drift. Sono stati identificati rappresentanti delle seguenti categorie tassonomiche: Tricla<strong>di</strong>,<br />

Nemato<strong>di</strong>, Oligocheti, Idracari, Crostacei, Efemerotteri, Plecotteri, Coleotteri, Tricotteri e Ditteri.<br />

Il 94% degli in<strong>di</strong>vidui raccolti apparteve alla classe degli insetti, mentre Tricla<strong>di</strong>, Nemato<strong>di</strong>,<br />

Oligocheti, Idracari e Crostacei costituivano complessivamente il rimanente 6%.<br />

I Ditteri figuravano come l’or<strong>di</strong>ne più abbondante (70%), seguiti da Plecotteri, Efemerotterie<br />

Tricotteri. Fra i Ditteri la famiglia più abbondante era quella dei Chironomi<strong>di</strong> (83%) seguita dalla<br />

famiglia dei Simuli<strong>di</strong> (15%). Insieme queste due famiglie rappresentano circa il64% degli organismi<br />

zoobentonici delle stazioni stu<strong>di</strong>ate (rispettivamente 54% i Chironomi<strong>di</strong> e 10% i Simuli<strong>di</strong>).<br />

Gli impatti delle captazioni hanno <strong>di</strong>fferito per i <strong>di</strong>versi bacini idrici:<br />

1. nel torrente Lago Lungo si è osservato un notevole cambiamento della componente<br />

biologica fra la stazione a monte e quella a valle della captazione;<br />

2. nell’immissario del Lago Lungo si è osservata una comunità bentonica crenobionte‐<br />

reofila, come <strong>di</strong>mostrato dalla presenza <strong>di</strong> Dictyogenus fontium, Rhithrogena loyolaea e<br />

soprattutto <strong>di</strong> Drusus destitutus. Questa associazione è già stata descritta da altri stu<strong>di</strong><br />

che la mettono in <strong>di</strong>pendenza <strong>di</strong> temperature me<strong>di</strong>e e variazioni giornaliere ridotte;<br />

3. L’immissario del Lago Lungo nuovo a monte della trae la maggior parte delle sue acque<br />

dalla immissione del primo tratto <strong>di</strong> gronda, quin<strong>di</strong> dall’emissario del Lago delle<br />

Marmotte a monte della gronda. Questa relazione è stata riscontrata anche dalla<br />

comparazione delle analisi chimiche delle due stazioni, che registrano solo una modesta<br />

<strong>di</strong>luizione della prima rispetto alla seconda per tutti i dati rilevati. Anche le due comunità<br />

faunistiche hanno mostrato sostanziali somiglianze nella composizione tassonomica.<br />

Entrambe le stazioni, uniche fra quelle stu<strong>di</strong>ate, sono caratterizziate dalla mancanza <strong>di</strong><br />

Efemerotteri. Questo deriva probabilmente dalle forti escursioni termiche estive <strong>di</strong><br />

queste due stazioni che impe<strong>di</strong>sce lo sviluppo delle due specie presenti nell’area. La<br />

mancanza del Triclade Crenobia alpina in EmM1 è probabilmente da attribuire a<br />

con<strong>di</strong>zioni lievemente anossiche alle quali questa specie è molto sensibile. L’anossia<br />

sarebbe da ricondurre al flusso molto lento che in combinazione con la elevata presenza<br />

<strong>di</strong> BPOM (licheni e cianobatteri) e al forte riscaldamento implicano la deossigenazione<br />

dell’acqua. Queste con<strong>di</strong>zioni spariscono nellìimmissario del Lago Lungo nuovo a monte<br />

della gronda a causa della maggiore turbolenza che ossigena l’acqua. Infatti in questa<br />

stazione è riapparsa Crenobia alpina e inoltre è stata maggiore l’abbondanza dei restanti<br />

gruppi tassonomici, soprattutto <strong>di</strong> quelli reofili.<br />

4. L’immissario del Lago Lungo nuovo a valle della gronda ha <strong>di</strong>fferito <strong>di</strong>fferisce<br />

notevolmente dalla stazione a monte della gronda sia per gli aspetti idrologici che<br />

geomorfologici e biologici. La minor portata implica assieme al minore BPOM una<br />

sostanziale riduzione degli in<strong>di</strong>vidui per m 2 . La minore velocità <strong>di</strong> corrente in ImLN2<br />

inoltre farebbe supporre la mancanza <strong>di</strong> specie tipicamente reofile. Ciò avviene in parte,<br />

infatti si è registrata una <strong>di</strong>minuzione generale dei Plecotteri, mentre i Simuli<strong>di</strong> hanno<br />

mantenuto percentuali <strong>di</strong> abbondanza simili. È risultato significativo invece il<br />

ritrovamento <strong>di</strong> un esemplare <strong>di</strong> Rhithrogena loyolaea, normalmente considerata come<br />

119


specie reofila. Legati alle con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> minore turbolenza inoltre si trovano i Coleotteri<br />

acquatici del genere Ditiscus e il tricottero Limnephilus coenosus. Queste due specie sono<br />

risultate esclusive dell’immissario del Lago Lungo nuovo a valle della gronda e hanno<br />

contribuito decisamente alla maggiore bio<strong>di</strong>versità <strong>di</strong> questa stazione. Anche la maggiore<br />

stabilità stagionale dei Chironomi<strong>di</strong> potrebbe spiegarsi con la presenza <strong>di</strong> specie limniche<br />

che hanno un altro ciclo <strong>di</strong> sviluppo.<br />

5. Le stazioni dell’emissario del Lago delle Marmotte a monte e a valle della gronda sono<br />

state accomunate da abbondanze <strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidui per m 2 molto basse. Ma mentre in nella<br />

stazione a monte ciò era dovuto alle limitazioni termiche, nella stazione a monte ciò<br />

<strong>di</strong>pendeva soprattutto dalla bassisima portata. Quest’ultima stazione però è ospitare<br />

stabilmente più unità tassonomiche. La elevata abbondanza <strong>di</strong> Crenobia alpina e la<br />

presenza <strong>di</strong> popolazioni stabili <strong>di</strong> Dictyogenus fontium e Drusus destitutus fanno<br />

supporre che questa stazione presenti con<strong>di</strong>zioni krenali, che implicano inoltre basse<br />

velocità <strong>di</strong> scorrimento e basse concentrazioni <strong>di</strong> particellato organico in sospensione.<br />

6. Il Lago delle Marmotte e il Lago Nero, in precedenti stu<strong>di</strong> non hanno mostrato <strong>di</strong>fferenze<br />

significative dei parametri chimici, fisici e biologici. Quin<strong>di</strong> nei rispettivi emissari<br />

emissario del Lago Nero e emissario del Lago delle Marmotte a monte della gronda<br />

hanno dominato gli stessi gruppi, ossia Chironomi<strong>di</strong> e Simuli<strong>di</strong>. La relativa abbondanza<br />

dei Simuli<strong>di</strong>, essendo filtratori, in<strong>di</strong>ca un <strong>di</strong>screto apporto <strong>di</strong> plancton da parte dei laghi.<br />

Nell’ emissario del Lago Nero però è stata rilevata una maggiore abbondanza <strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidui,<br />

una maggiore stabilità delle popolazioni <strong>di</strong> Plecotteri e Tricotteri e la presenza <strong>di</strong><br />

Efemerotteri(Baetis alpinus). Questo perché questo emissario, a <strong>di</strong>fferenza dell’emissario<br />

del Lago delle Marmotte a monte della gronda presenta un alveo più strutturato e non ha<br />

presentato le con<strong>di</strong>zioni termiche e anossiche presenti nell’ dell’emissario del Lago delle<br />

Marmotte a monte della gronda. Nell’emissario del Lago delle Marmotte è stato<br />

rinvenuto il minor numero <strong>di</strong> unità tassonomiche (15). Ciò e rapportabile al relativo<br />

isolamento <strong>di</strong> questo torrente causato dalla <strong>di</strong>ga del Careser che lo esclude dal restante<br />

reticolo idrografico. Quin<strong>di</strong> i <strong>di</strong>versi taxa <strong>di</strong> zoobenthos hanno più <strong>di</strong>fficoltà a colonizzare<br />

o ,in caso <strong>di</strong> eventi catastrofici, a ricolonizzare questo ambiente.<br />

7. Le stazioni del Torrente Careser a monte e a valle della <strong>di</strong>ga hanno presentato le<br />

<strong>di</strong>fferenze più spiccate per la maggior parte dei parametri considerati. Il tratto a è un<br />

tipico torrente glaciale caratterizzato da temperature basse e instabili, alto trasporto <strong>di</strong><br />

soli<strong>di</strong> sospesi, variazioni <strong>di</strong> portata giornaliere e stagionali, bassa stabilità <strong>di</strong> alveo e<br />

bassissimi valori <strong>di</strong> BPOM. Queste con<strong>di</strong>zioni hanno determinato una bassa densità <strong>di</strong><br />

zoobentos e una ridotta bio<strong>di</strong>versità. Infatti si sono raccolti stabilmente solo Ditteri<br />

Chironomi<strong>di</strong> e Limoni<strong>di</strong> (Dicranota sp.) e Plecotteri del genere Leuctra, mentre la<br />

presenza delle altre unità tassonomiche è stata spora<strong>di</strong>ca. La stazione a valle, al<br />

contrario, è un torrente creno‐ritrale e presenta una temperatura me<strong>di</strong>a maggiore e<br />

minori variazioni, un ridotto trasporto <strong>di</strong> soli<strong>di</strong> sospesi, limitate variazioni <strong>di</strong> portata e una<br />

maggiore stabilità dell’alveo. Queste caratteristiche, insieme all’elevata <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong><br />

materia organica dovuta alla presenza della foresta, hanno determinato una più alta<br />

densità faunistica e un più alto grado <strong>di</strong> bio<strong>di</strong>versità. Tipica per i torrenti alpini al <strong>di</strong>sotto<br />

del limite boschivo è la dominanza <strong>di</strong> Plecotteri e Efemerotteria scapito dei Ditteri<br />

120


Chironomi<strong>di</strong>. Inoltre è in<strong>di</strong>cativa la presenza esclusiva, in questa stazione, <strong>di</strong> Ditteri<br />

Blephariceridae e Ceratopogonidae, <strong>di</strong> Efemerotteriquali Epeorus alpicola e Ecdyonurus<br />

alpinus e <strong>di</strong> Tricotteri come Drusus <strong>di</strong>scolor e Philopotamus lu<strong>di</strong>ficatus. Questa comunità<br />

è stata indotta e mantenuta dalla presenza della <strong>di</strong>ga.<br />

In<strong>di</strong>cazioni per una gestione sostenibile<br />

In sintesi l’effetto delle captazioni sui torrenti alpini comporta una riduzione <strong>di</strong> portata che implica<br />

mo<strong>di</strong>ficazioni dei parametri fisico‐chimici che inducono cambiamenti della composizione<br />

zoobentonica a valle.<br />

In generale a valle <strong>di</strong> una captazione sono state riscontrate le seguenti mo<strong>di</strong>ficazioni:<br />

• aumentano temperatura e stabilità dell’alveo mentre <strong>di</strong>minuisce il trasporto solido e la<br />

granulometria del substrato<br />

• aumenta il BPOM<br />

• aumenta la densità <strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidui /m 2 (al <strong>di</strong> sopra del limite boschivo soprattutto a causa<br />

dell’aumento <strong>di</strong> <strong>di</strong>tteri chironomi<strong>di</strong>)<br />

• aumenta il numero <strong>di</strong> taxa<br />

• <strong>di</strong>minuisce la stabilità nel tempo della comunità zoobentonica<br />

• alcune componenti della comunità bentonica hanno mostrato variazioni stagionali,<br />

generalmente concor<strong>di</strong> con la letteratura.<br />

La produzione <strong>di</strong> energia idroelettrica, sebbene auspicabile poiché rappresenta l’unica fonte <strong>di</strong><br />

energia rinnovabile ampiamente usata, implica gravi conseguenze sull’integrità ecologica e<br />

funzionale degli ecosistemi acquatici. I risultati della ricerca qui descritta possono essere<br />

generalizzati e possono aiutare a trarre alcune conclusioni generali e fornire in<strong>di</strong>cazioni e<br />

suggerimenti per interventi <strong>di</strong> gestione <strong>di</strong> corsi d’acqua alpini utilizzati per la captazione<br />

idroelettrica, al fine <strong>di</strong> mantenere non solo un flusso minimo vitale, ma anche e soprattutto, una<br />

con<strong>di</strong>zione vitale del fiume per le biocenosi che esso ospita.<br />

. I tratti torrentizi che scorrono in valli attive, con elevata attività idromorfologica, sono <strong>di</strong> rilevante<br />

importanza per l’ecosistema e meritano particolare salvaguar<strong>di</strong>a. In particolare, i corsi d’acqua<br />

alpini hanno <strong>di</strong>versa origine: fusione glaciale, sorgenti, neve/pioggia, emissari <strong>di</strong> laghi. La <strong>di</strong>versa<br />

origine genera corsi d’acqua dalla “firma” chimico ‐ fisica molto <strong>di</strong>versa conseguentemente<br />

ospitano comunità biologiche <strong>di</strong>verse qualitativamente e quantitativamente. Di questa <strong>di</strong>versità è<br />

opportuno tener conto nel decidere quali acque destinare alla captazione e quali al mantenimento<br />

dell’ecosistema. Inoltre, al fine <strong>di</strong> mantenere adeguati livelli <strong>di</strong> bio<strong>di</strong>versità è necessario conoscere<br />

e conservare le tipologie originali, anche in relazione della loro frequenza relativa tenendo conto<br />

del fatto che le peculiarità delle tipologie fluviali <strong>di</strong>minuiscono all’aumentare dell’or<strong>di</strong>ne e dalla<br />

<strong>di</strong>stanza dalla sorgente.<br />

121


La gestione, nel caso <strong>di</strong> corsi d’acqua alpini utilizzati per le captazioni idroelettriche, interviene in<br />

tre momenti: al prelievo , al rilascio, e alla restituzione. Ognuno <strong>di</strong> questi momenti causa degli<br />

impatti negativi sulle biocenosi naturali che, però, possono essere ridotti con opportune scelte<br />

gestionali.<br />

• Prelievo: Le centrali idroelettriche sottraggono spesso buona parte della portata <strong>di</strong> un corso<br />

d’acqua. Nei bacini artificiali l’acqua viene solitamente “stoccata” per un certo periodo, prima<br />

<strong>di</strong> venire turbinata e reimmessa nel corso d’acqua molto più a valle del punto <strong>di</strong> prelievo. La<br />

<strong>di</strong>minuita portata a valle <strong>di</strong> captazioni altera il regime termico e la stabilità dell’alveo, spesso<br />

aumenta lo strato perifitico mo<strong>di</strong>ficando le categorie trofiche della comunità bentonica<br />

(“trascinamento verso l’alto <strong>di</strong> popolazioni”). Nel caso <strong>di</strong> immissari <strong>di</strong> laghi alpini verrà<br />

mo<strong>di</strong>ficato il tempo <strong>di</strong> residenza dell’acqua nello stesso, inducendo mo<strong>di</strong>fiche alla comunità<br />

biologica L’interruzione della continuità e la mancata colonizzazione monte‐valle<br />

contribuiscono a separare la comunità in due <strong>di</strong>stinte comunità, una situazione a rischio.<br />

La prima in<strong>di</strong>cazione gestionale che emerge è quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> scegliere soluzioni <strong>di</strong> captazione atte a<br />

salvaguardare la continuità longitu<strong>di</strong>nale, al fine <strong>di</strong> mantenere le caratteristiche funzionali e<br />

strutturali dell’ecosistema.<br />

• Rilascio: L’acqua captata dalle opere <strong>di</strong> presa dà origine, me<strong>di</strong>ante processi <strong>di</strong> risorgiva, a nuovi<br />

corsi d’acqua. Nel caso descritto nella presente ricerca, a valle della <strong>di</strong>ga il greto del rio Careser<br />

è prosciugato per alcune decine <strong>di</strong> metri, ma a circa 2540 m s.l.m. l’acqua riappare e forma un<br />

nuovo torrente che scorre per 1,75 km prima <strong>di</strong> venire captato dal bacino <strong>di</strong> se<strong>di</strong>mentazione <strong>di</strong><br />

Malga Mare. Analogamente, la gronda transalveo capta le acque del Rio Marmotte e del Rio<br />

Lago Lungo e le immette nel <strong>di</strong>ga del Careser, ma poco al <strong>di</strong>sotto delle opere <strong>di</strong> presa si<br />

formano regolarmente sorgenti, pozze e piccoli rigagnoli che confluiscono e formano “ex<br />

novo” il corso d’acqua precedentemente captato. I risultati della presente ricerca <strong>di</strong>mostrano<br />

come all’interruzione della continuità si somma ad un cambiamento <strong>di</strong> tipologia fluviale, e<br />

l’ecosistema “riparte da zero”.<br />

• Restituzione: Una volta utilizzata, l’acqua, viene restituita al suo corso naturale o derivata<br />

verso una centrale posta a valle. Nel caso della centrale <strong>di</strong> Careser, la centrale <strong>di</strong> Pont<br />

(Cogolo) reimmette nel Fiume Noce Bianco le acque provenienti dall’invaso del Careser e <strong>di</strong><br />

Pian Palù. Nel tratto del fiume a monte del punto <strong>di</strong> restituzione, si è osservato che la<br />

comunità biologica vegetale ed animale <strong>di</strong> fatto sparisce, la capacità <strong>di</strong> autodepurazione<br />

del fiume viene fortemente ridotta per almeno 10 Km.<br />

Da questa breve delineazione delle problematiche legate alla gestione dei fiumi alpini per la<br />

captazione idroelettrica appare come le soluzioni richieste debbano essere <strong>di</strong>versificate, e caso‐<br />

specifiche. Esse devono basarsi sulla conoscenza del mosaico <strong>di</strong> ecosistemi che si è formato, su un<br />

approccio globale a livello <strong>di</strong> bacino, sul coor<strong>di</strong>namento e ottimizzazione della serie <strong>di</strong> rilasci e<br />

captazioni, sulla creazione <strong>di</strong> aree umide tampone multifunzionali (paesaggio, sport, inerti ecc.).<br />

Tuttavia, nonostante le <strong>di</strong>fficoltà, un corretto approccio gestionale appare imprescin<strong>di</strong>bile, poiché<br />

si tratta del bene più prezioso, l’acqua, e della salute dell’ecosistema che sostiene tutti gli altri<br />

ecosistemi.<br />

122


8. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE<br />

In Europa sono note 8681 specie <strong>di</strong> macroinvertebrati acquatici e <strong>di</strong> queste ben 2880<br />

appartengono alla fauna italiana, equivalenti a circa il 33% <strong>di</strong> quella europea. Questo dato dà<br />

un’idea della ricchezza in bio<strong>di</strong>versità del nostro Paese che, proiettato dalle Alpi nel cuore del<br />

Me<strong>di</strong>terraneo, gode <strong>di</strong> una grande varietà <strong>di</strong> ambienti. In Trentino questa varietà viene riproposta<br />

su una scala spaziale ristretta. Infatti si passa, in una brevissima <strong>di</strong>stanza, dal clima prettamente<br />

me<strong>di</strong>terraneo dell’area gardesana alla steppa alpina delle cime montuose. Questo significa che<br />

esiste una grande, potenziale, riserva <strong>di</strong> colonizzatori degli ambienti alpini, pronti ad approfittare<br />

<strong>di</strong> eventuali cambiamenti ambientali a loro favorevoli. Una <strong>di</strong>screta rappresentanza dei<br />

macroinvertebrati europei è presente nei torrenti stu<strong>di</strong>ati.<br />

Nell’ambito del progetto <strong>HIGHEST</strong>, nei corsi d’acqua della Val de la Mare, sono state identificate<br />

182 specie <strong>di</strong> invertebrati acquatici il cui elenco completo è presentato nell’Appen<strong>di</strong>ce 1. Tale<br />

elenco è derivato dalla determinazione del materiale biologico raccolto in acqua e <strong>di</strong> quello<br />

raccolto con trappole Malaise (= solo adulti <strong>di</strong> insetti acquatici).<br />

La ricerca ha messo in evidenza l’importanza dell’origine dei corsi d’acqua e della quota sulla<br />

ricchezza <strong>di</strong> specie e loro relativa abbondanza e la necessità <strong>di</strong> elaborare nuovi in<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> qualità e<br />

integrità ecologica per gli ecosistemi acquatici d’alta quota. Per le acque che scorrono al <strong>di</strong> sopra<br />

della linea degli alberi, il <strong>di</strong>verso contributo relativo <strong>di</strong> acque provenienti da fusione <strong>di</strong> ghiacciai e<br />

<strong>di</strong> nevai, da sorgenti e da precipitazioni, genera sensibili <strong>di</strong>fferenze nel regime idrologico, nelle<br />

qualità chimico‐fisiche delle acque e quin<strong>di</strong> nella struttura delle comunità vegetali ed animali che<br />

in esse vivono. All’aumentare della quota, in<strong>di</strong>pendentemente dall’origine del corso d’acqua, si<br />

assiste a una riduzione naturale della bio<strong>di</strong>versità. Tale riduzione è più marcata nei torrenti ad<br />

alimentazione glaciale, dove le con<strong>di</strong>zioni ambientali sono più estreme. Principale fattore <strong>di</strong> stress<br />

è la spiccata variabilità temporale (giornaliera, stagionale, annuale) dei principali parametri<br />

chimico‐fisici, idrologici e geomorfologici a cui flora e fauna acquatiche devono continuamente<br />

adattarsi. Inoltre, nel periodo estivo, in cui si manifesta completamente la “glacialità” <strong>di</strong> questi<br />

sistemi (temperature < 4°C, elevata torbi<strong>di</strong>tà, portata, velocità <strong>di</strong> corrente e instabilità del<br />

substrato), solo poche specie altamente specializzate riescono a sopravvivere. Tra queste<br />

prevalgono alcune specie del genere Diamesa, spesso unici colonizzatori dei tratti criali nel periodo<br />

estivo. Tuttavia, in autunno e in inverno l’attività biologica è più intensa, con un maggior numero<br />

<strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidui e <strong>di</strong> specie sia vegetali che animali anche nei tratti criali non soggetti a <strong>di</strong>sseccamento<br />

o congelamento.<br />

Le stesse caratteristiche che determinano la bassa <strong>di</strong>versità delle fauna invertebrata acquatica<br />

tipica dei biotopi criali (in particolare le frequenti ed ampie variazioni <strong>di</strong> portata e l’elevato<br />

trasporto solido) innescano forti <strong>di</strong>namiche idromorfologiche. I processi <strong>di</strong> erosione e <strong>di</strong> deposito<br />

alterano continuamente la struttura dell’alveo creando isole, lanche, canali laterali <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse<br />

<strong>di</strong>mensioni, pozze, rivoli con bassa velocità e conseguente deposito <strong>di</strong> limo ecc. In questo modo la<br />

valle fluviale <strong>di</strong>venta sede <strong>di</strong> un mosaico <strong>di</strong> habitat in perenne trasformazione.<br />

123


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Physico‐chemical characterization of channel types in a glacial floodplain ecosystem (Val<br />

Roseg, Switzerland). Arch. Hydrobiol., 140: 433‐463.<br />

Tolotti, M. 2000. Phytoplankton, littoral <strong>di</strong>atoms and general limnology of high mountain lakes in<br />

the Adamnello‐Brenta Regional Park (Trentino Italy). Ph.D. thesis, University of Innsbruck<br />

(Austria), 184 pp.<br />

Tomasi, G. 1962. Origine, <strong>di</strong>stribuzione, catasto e bibliografia dei laghi del Trentino. Stu<strong>di</strong> Trentini<br />

Sc. Nat., Acta Biologica, 39, 355 pp.<br />

Townsend, C.R. 1989. The patch dynamics concept of stream community ecology. J. N. Am.<br />

Benthol. Soc., 8: 36‐50.<br />

Townsend, C.R., Scarsbrook, M.R. & Doledec, S. 1997. Quantifying <strong>di</strong>sturbance in streams:<br />

alternative measures of <strong>di</strong>sturbance in relation to macroinvertebrate species traits and<br />

species richness. J. N. Am. Benthol. Soc., 16(3): 531‐544.<br />

132


Tranter, M., Brown, G.H., Hodson, A.J. & Gurnell, A.M. 1996. Hydrochemistry as an in<strong>di</strong>cator of<br />

subglacial drainage system structure: a comparison of Alpine and sub‐polar environments.<br />

Hydrological Processes, Vol. 10: 541‐556.<br />

Uehlinger, U., Zah, R. & Bürgi, H. 1998. The Val Roseg project: temporal and spatial patterns of<br />

benthic algae in an Alpine stream ecosystem influenced by glacier runoff. Procee<strong>di</strong>ngs of<br />

Hydrology, Water resources and Ecology in Headwaters Conference, Meran, Italy: 419‐424.<br />

Vannote, R.L., Cummins, K.W., Minshall, G.W., Sedell, J.R. & Cushing, C.E. 1980. The river<br />

continuum concept. Can. J. Fish. aquat. Sci., 37: 130‐137.<br />

Verdouw, H., Echteld, C.J.A. & Dekkers, E.M.J. 1978. Ammonia determination based on inophenol<br />

formation with so<strong>di</strong>um salicilate. Water Res., 12: 399‐402.<br />

Ward, J.V. & Stanford, J.A. 1982. Thermal responses in the evolutionary ecology of aquatic insects.<br />

Ann. Rev. Entomol., 27: 97‐117.<br />

Ward, J.V. 1992. A mountain river. The Rivers Handbook, Vol. I: Hydrological and Ecological<br />

Principles. (P. Calow & G.E. Petts (eds.), Blackwell, Oxford: 493‐510.<br />

Ward, J.V. 1994. Ecology of alpine streams. Freshwater Biology, 32: 277‐294.<br />

Ward, J.V., Malard, F., Tockner, K. & Uehlinger, U. 1999. Influence of ground water on surface<br />

water con<strong>di</strong>tions in a glacial flood plain of the Swiss Alps. Hydrological Processes, 13: 277‐<br />

293.<br />

Wiederholm T., 1989. Chironomidae of the Holoarctic region. Keys and <strong>di</strong>agnoses. Part 3. Adult<br />

males. Ent. Scand., Suppl. 34, pp. 532.<br />

Wiederholm, T. 1983. Chironomidae of the Holoarctic region. Keys and <strong>di</strong>agnoses. Part. 1. Larvae.<br />

Ent. Scand., Suppl. 19, pp. 457.<br />

Wiederholm, T. 1986. Chironomidae of the Holoarctic region. Keys and <strong>di</strong>agnoses. Part. 2. Pupae.<br />

Ent. Scand., Suppl. 28, pp. 482.<br />

Zanon, G., 1993. Venti anni <strong>di</strong> progresso dei ghiacciai 1965‐1985. Mem. Soc. Geog. It., 46: 153‐166.<br />

Zuccati, S. 2000. Il drift dello zoobenthos in sistemi glaciali alpini (Conca, Niscli, Cornisello –<br />

Trentino Occidentale). Master thesis, University of Milan (Italy), Natural Science Faculty, 119<br />

pp.<br />

133


APPENDICE 1<br />

Elenco delle specie <strong>di</strong> invertebrati acquatici rinvenute nelle acque <strong>di</strong> Val Venezia<br />

Classe/Phylum Or<strong>di</strong>ne Specie<br />

Turbellari Crenobia alpina<br />

Oligochaeta Cognettia sphagnetorum<br />

Oligochaeta Cognettia cognettii<br />

Oligochaeta Cognettia cf. paxi<br />

Oligochaeta Cognettia glandulosa<br />

Oligochaeta Cognettia valeriae<br />

Oligochaeta Cernosvitoviella tridentina<br />

Oligochaeta Cernosvitoviella atrata<br />

Oligochaeta Cernosvitoviella ampullax<br />

Oligochaeta Cernosvitoviella omodeoi<br />

Oligochaeta Cernosvitoviella longiducta<br />

Oligochaeta Mesenchytraeus sp.<br />

Oligochaeta Mesenchytraeus armatus<br />

Oligochaeta Henlea perpusilla<br />

Oligochaeta Fridericia perrieri<br />

Oligochaeta Fridericia ley<strong>di</strong>gi<br />

Oligochaeta Haplotaxis gor<strong>di</strong>oides<br />

Oligochaeta Stylodrilus sp. juv<br />

Oligochaeta Stylodrilus heringianus<br />

Oligochaeta Stylodrilus parvus<br />

Oligochaeta Nais sp.<br />

Oligochaeta Nais variabilis<br />

134


Classe/Phylum Or<strong>di</strong>ne Specie<br />

Oligochaeta Nais communis<br />

Oligochaeta Nais pseudobtusa<br />

Crustacea Harpacticoida Bryocamptus abnobensis<br />

Crustacea Harpacticoida Bryocamptus alpestris<br />

Crustacea Harpacticoida Bryocamptus cuspidatus<br />

Crustacea Harpacticoida Bryocamptus rhaeticus<br />

Crustacea Harpacticoida Bryocamptus sp.<br />

Crustacea Harpacticoida Bryocamptus echinatus<br />

Crustacea Harpacticoida Bryocamptus sp.<br />

Crustacea Harpacticoida Bryocamptus zschokkei<br />

Crustacea Harpacticoida Hypocamptus paradoxus<br />

Crustacea Harpacticoida Hypocamptus ruffoi<br />

Crustacea Harpacticoida Maraenobiotus insignipes<br />

Crustacea Harpacticoida Maraenobiotus vejdovskyi<br />

Crustacea Harpacticoida Moraria alpina<br />

Crustacea Ciclopoida Diacyclops sp. nov.<br />

Crustacea Ciclopoida Eucyclops serrulatus<br />

Crustacea Ciclopoida Paracyclops fimbriatus<br />

Crustacea Amphipoda Niphargus strouhali alpinus<br />

Insecta Ephemeroptera Baetis alpinus<br />

Insecta Ephemeroptera Rhithrogena loyolaea<br />

Insecta Ephemeroptera Ecdyonurus alpinus<br />

Insecta Ephemeroptera Epeorus alpicola<br />

Insecta Plecoptera Brachyptera risi<br />

135


Classe/Phylum Or<strong>di</strong>ne Specie<br />

Insecta Plecoptera Capnia vidua<br />

Insecta Plecoptera Chloroperla susemicheli<br />

Insecta Plecoptera Dictyogenus fontium<br />

Insecta Plecoptera Isoperla carbonaria<br />

Insecta Plecoptera Isoperla grammatica<br />

Insecta Plecoptera Isoperla rivulorum<br />

Insecta Plecoptera Isoperla saccai<br />

Insecta Plecoptera Leuctra major<br />

Insecta Plecoptera Leuctra rosinae<br />

Insecta Plecoptera Nemoura cinerea<br />

Insecta Plecoptera Nemoura flexuosa<br />

Insecta Plecoptera Nemoura marginata<br />

Insecta Plecoptera Nemoura mortoni<br />

Insecta Plecoptera Perlodes microcephalus<br />

Insecta Plecoptera Protonemoura nimborum<br />

Insecta Plecoptera Protonemura brevistyla<br />

Insecta Plecoptera Protonemura intricata<br />

Insecta Plecoptera Protonemura lateralis<br />

Insecta Plecoptera Rhab<strong>di</strong>opteryx alpina<br />

Insecta Plecoptera Siphonoperla montana<br />

Insecta Plecoptera Siphonoperla torrentium<br />

Insecta Diptera Macropelopia spp.<br />

Insecta Diptera Macropelopia spec. Norwegen<br />

Insecta Diptera Macropelopia sp. nov. rossaroi<br />

136


Classe/Phylum Or<strong>di</strong>ne Specie<br />

Insecta Diptera Macropelopia fittkaui<br />

Insecta Diptera Natarsia sp.<br />

Insecta Diptera Trissopelopia sp.<br />

Insecta Diptera Zavrelimyia sp.<br />

Insecta Diptera Zavrelimyia punctatissima<br />

Insecta Diptera Pro<strong>di</strong>amesa olivacea<br />

Insecta Diptera Boreoheptagyia sp.<br />

Insecta Diptera Boreoheptagyia monticola<br />

Insecta Diptera Diamesa sp.<br />

Insecta Diptera Diamesa cfr. geminata<br />

Insecta Diptera Diamesa aberrata<br />

Insecta Diptera Diamesa bertrami<br />

Insecta Diptera Diamesa bohemani<br />

Insecta Diptera Diamesa cinerella<br />

Insecta Diptera Diamesa latitarsis<br />

Insecta Diptera Diamesa laticauda<br />

Insecta Diptera Diamesa lindrothi/goetghebueri<br />

Insecta Diptera Diamesa starmachi<br />

Insecta Diptera Diamesa steinboecki<br />

Insecta Diptera Diamesa tonsa<br />

Insecta Diptera Diamesa zernyi<br />

Insecta Diptera Diamesa sp.2<br />

Insecta Diptera Diamesa sp.3<br />

Insecta Diptera Pseudo<strong>di</strong>amesa branickii<br />

137


Classe/Phylum Or<strong>di</strong>ne Specie<br />

Insecta Diptera Pseudokiefferiella parva<br />

Insecta Diptera Brillia bifida<br />

Insecta Diptera Brillia longifurca<br />

Insecta Diptera Bryophaenocla<strong>di</strong>us sp.<br />

Insecta Diptera Bryophaenocla<strong>di</strong>us subvernalis<br />

Insecta Diptera Chaetocla<strong>di</strong>us dentiforceps<br />

Insecta Diptera Chaetocla<strong>di</strong>us gr. piger<br />

Insecta Diptera Chaetocla<strong>di</strong>us spp.<br />

Insecta Diptera Chaetocla<strong>di</strong>us laminatus<br />

Insecta Diptera Corynoneura sp.<br />

Insecta Diptera Cricotopus sp.<br />

Insecta Diptera Cricotopus fuscus<br />

Insecta Diptera Cricotopus tremulus<br />

Insecta Diptera Eukiefferiella brevicalcar<br />

Insecta Diptera Eukiefferiella claripennis<br />

Insecta Diptera Eukiefferiella clypeata<br />

Insecta Diptera Eukiefferiella coerulescens<br />

Insecta Diptera Eukiefferiella cyanea<br />

Insecta Diptera Eukiefferiella devonica<br />

Insecta Diptera Eukiefferiella fittkaui<br />

Insecta Diptera Eukiefferiella fuldensis<br />

Insecta Diptera Eukiefferiella gracei<br />

Insecta Diptera Eukiefferiella minor<br />

Insecta Diptera Eukiefferiella tirolensis<br />

138


Classe/Phylum Or<strong>di</strong>ne Specie<br />

Insecta Diptera Gymnometriocnemus sp.<br />

Insecta Diptera Heleniella dorieri<br />

Insecta Diptera Heleniella ornaticollis<br />

Insecta Diptera Heleniella serratosioi<br />

Insecta Diptera Heterotanytarsus apicalis<br />

Insecta Diptera Heterotrissocla<strong>di</strong>us marcidus<br />

Insecta Diptera Krenosmittia spp.<br />

Insecta Diptera Krenosmittia boreoalpina<br />

Insecta Diptera Limnophyes spp.<br />

Insecta Diptera Limnophyes cfr. minimum/natalensis<br />

Insecta Diptera Mesosmittia sp.<br />

Insecta Diptera Metriocnemus gr. eurynotus<br />

Insecta Diptera Metriocnemus terrester<br />

Insecta Diptera Orthocla<strong>di</strong>us (Eudactylocla<strong>di</strong>us)<br />

fuscimanus<br />

Insecta Diptera Orthocla<strong>di</strong>us (Eudactylocla<strong>di</strong>us)<br />

olivaceus<br />

Insecta Diptera Orthocla<strong>di</strong>us (Euorthocla<strong>di</strong>us) rivicola<br />

Insecta Diptera Orthocla<strong>di</strong>us spp.<br />

Insecta Diptera Orthocla<strong>di</strong>us frigidus<br />

Insecta Diptera Parakiefferiella sp.<br />

Insecta Diptera Parametriocnemus sp.<br />

Insecta Diptera Parametriocnemus stylatus<br />

Insecta Diptera Paraphaenocla<strong>di</strong>us sp.<br />

Insecta Diptera Parasmittia sp.<br />

139


Classe/Phylum Or<strong>di</strong>ne Specie<br />

Insecta Diptera Paratrichocla<strong>di</strong>us rufiventris<br />

Insecta Diptera Paratrichocla<strong>di</strong>us skirwithensis<br />

Insecta Diptera Parorthocla<strong>di</strong>us nu<strong>di</strong>pennis<br />

Insecta Diptera Rheocricotopus effusus<br />

Insecta Diptera Smittia spp.<br />

Insecta Diptera Smittia alpicola<br />

Insecta Diptera Thienemanniella sp.<br />

Insecta Diptera Thienemanniella Pe2a<br />

Insecta Diptera Tokunagaia rectangularis<br />

Insecta Diptera Tvetenia calvescens<br />

Insecta Diptera Tvetenia bavarica<br />

Insecta Diptera Micropsectra spp.<br />

Insecta Diptera Micropsectra ra<strong>di</strong>alis<br />

Insecta Diptera Micropsectra contracta<br />

Insecta Diptera Parapsectra uliginosa<br />

Insecta Diptera Paratanytarsus spp.<br />

Insecta Diptera Paratanyatrsus austriacus<br />

Insecta Diptera Prosimulium latimucro<br />

Insecta Diptera Prosimulium rufipes<br />

Insecta Diptera Simulium cryophilum<br />

Insecta Diptera Simulium vernum<br />

Insecta Trichoptera Acrophylax zerberus<br />

Insecta Trichoptera Ryachophila interme<strong>di</strong>a<br />

Insecta Trichoptera Drusus destitutus<br />

140


Classe/Phylum Or<strong>di</strong>ne Specie<br />

Insecta Trichoptera Allogamus uncatus<br />

Insecta Trichoptera Pseudopsilopteryx zimmeri<br />

Insecta Trichoptera Ryachophila glareosa<br />

Insecta Trichoptera Limnephilus coenosus<br />

Insecta Trichoptera Consorophylax consors<br />

Insecta Trichoptera Litax niger<br />

Insecta Trichoptera Chaetopterygopsis maclachlani<br />

Insecta Trichoptera Chaetopterygopsis major<br />

Insecta Trichoptera Drusus <strong>di</strong>scolor<br />

Insecta Trichoptera Potamophylax cingulatus<br />

Insecta Trichoptera Philopotamus lu<strong>di</strong>ficatus<br />

Insecta Trichoptera Wormal<strong>di</strong>acopiosa<br />

Insecta Trichoptera Ryachophila vulgaris/dorsalis<br />

Tar<strong>di</strong>grada Hypsibius zetlan<strong>di</strong>cus<br />

Tar<strong>di</strong>grada Isohypsibius granulifer<br />

Tar<strong>di</strong>grada Mixibius saracenus<br />

Tar<strong>di</strong>grada Echiniscus quadrispinosus<br />

141


APPENDICE 2<br />

Work package 5: Divulgazione dei risultati<br />

1. Pubblicazioni scientifiche<br />

1. Boscaini A., Corra<strong>di</strong>ni F., Lencioni V. & Maiolini B., 2004 ‐ Caratterizzazione morfologica e<br />

chimico‐fisica <strong>di</strong> un sistema idrografico alpino (Parco Nazionale dello Stelvio, Trentino).<br />

Stu<strong>di</strong> Trentini <strong>Scienze</strong> Naturali, Acta Biologica, 80 (2003): 43‐49.<br />

2. Cottarelli V., Berera R. & Maiolini B., 2002 ‐ Annotazioni faunistiche ed ecologiche su<br />

copepo<strong>di</strong> <strong>di</strong> alta e me<strong>di</strong>a quota <strong>di</strong> sorgenti e corsi d’acqua alpini, appenninici e sar<strong>di</strong>. Stu<strong>di</strong><br />

Trentini <strong>di</strong> <strong>Scienze</strong> Naturali, Acta Biologica, 78/1 (2001): 25‐30.<br />

3. Cottarelli V., Berera R. & Maiolini B., 2005 ‐ Hypocamptus ruffoi sp. n. e Hypocamptus<br />

paradoxus (Kreis, 1926) (Crustacea, Copepoda, Harpacticoida) in torrenti d’alta quota del<br />

Parco Nazionale dello Stelvio. Stu<strong>di</strong> Trentini <strong>di</strong> <strong>Scienze</strong> Naturali, Acta Biologica, 81 (2004):<br />

37‐47.<br />

4. Dumnicka E., 2004 ‐ A description of Cernosvitoviella tridentina a new species of<br />

Enchytraeidae (Oligochaeta) from the Italian Alps. Ann. Limnol. – Int. J. Lim., 40: 133‐137.<br />

5. Dumnicka E., 2010 ‐The new freshwater enchytraeids species (Oligochaeta) from Italian<br />

Alps. Italian Journal of Zoology 77(1): 38‐43.<br />

6. Lencioni V., 2004 ‐ Cold adaptations in freshwater insects: a review. Journal of Limnology,<br />

63 (Suppl. 1): 45‐55.<br />

7. Lencioni V. & Marziali L., 2005 ‐ A new species of Macropelopia Thienemann (Diptera:<br />

Chironomidae) from the Italian Alps. Italian Journal of Zoology, 72 (4): 317‐320.<br />

8. Lencioni V. & Rossaro B., 2005 ‐ Micro<strong>di</strong>stribution of chironomids (Diptera: Chironomidae)<br />

in Alpine streams: an autoecological perspective. Hydrobiologia, 533 (1): 61‐76.<br />

9. Lencioni V. & Rossaro, 2010 ‐ Chironomid assemblages in <strong>di</strong>fferent alpine stream types. In:<br />

Ferrington L.C. Jr. (ed.), Procee<strong>di</strong>ngs of the XV International Symposium on Chironomidae<br />

(2003), The University of Minnesota, Minneapolis, Minnesota (USA): 95‐102.<br />

10. Lencioni V., Dumnicka E. & Maiolini B., 2005 ‐ Oligochaete fauna in high mountain streams<br />

(Trentino, NE Italy): ecological remarks. Stu<strong>di</strong> Trentini <strong>di</strong> <strong>Scienze</strong> Naturali, Acta Biologica, 81<br />

(2004): 167‐176.<br />

11. Lencioni V., Maiolini B. & Oss M., 2007 ‐ Continuità verticale e bio<strong>di</strong>versità dello<br />

zoobenthos torrenti alpini. Atti Ga<strong>di</strong>o 2006, Stu<strong>di</strong> Trentini <strong>di</strong> <strong>Scienze</strong> Naturali, Acta<br />

Biologica, 83: 15‐20.<br />

12. LencioniV., Rossaro B. & Maiolini B. 2007 ‐ Alpine chironomid <strong>di</strong>stribution: a mere question<br />

of altitude? In: Andersen T. (ed.), Contributions to the Systematics and Ecology of Aquatic<br />

Diptera ‐ A Tribute to Ole A. Sæther, The Cad<strong>di</strong>s Press, Ohio USA: 165‐180.<br />

13. Lencioni V., Marziali L. & Rossaro B., 2008 ‐ Hyporheic chironomids in alpine streams.<br />

Boletim of the Museu Municipal do Funchal (História Natural), Sup. N. 13: 127‐132.<br />

142


14. Lencioni V., Bernabò P., Vanin S., Di Muro P. & Beltramini M., 2008 ‐ Respiration rate and<br />

oxy‐regulatory capacity in cold stenothermal chironomids. Journal of Insect Physiology, 54<br />

(9): 1337‐1342.<br />

15. Lencioni V., Maiolini B., Fochetti R., Grasso M., Boscaini A. & Dumnicka E., 2006 ‐ Artificial<br />

substrate colonization by invertebrates in two high altitude Alpine streams. Verhandlugen<br />

der Internationale Vereinigung für Theoretische und Angewandte Limnologie, 29: 1866‐<br />

1870.<br />

16. Lencioni V., Maiolini B., Marziali L., Lek S. & Rossaro B., 2007 ‐ Macroinvertebrate<br />

assemblages in glacial stream systems: A comparison of linear multivariate methods with<br />

artificial neural networks. Ecological modelling, 203: 119‐131.<br />

17. Lencioni V., Boscaini A., Franceschini A. & Maiolini B., 2001 ‐ Distribuzione <strong>di</strong><br />

macroinvertebrati bentonici in torrenti d’alta quota sulle alpi italiane: stato delle<br />

conoscenze e recenti risultati. S.It.E. Atti, 25 (CD‐ROM): articolo n. 42.<br />

18. Lencioni V., Maiolini B., Zuccati S. & Corra<strong>di</strong>ni F., 2002 ‐ Zoobenthos drift in two high<br />

mountain streams in the de la Mare glacial system (Stelvio National Park, Trentino, Italy).<br />

Stu<strong>di</strong> Trentini <strong>Scienze</strong> Naturali, Acta Biologica, 78/1 (2001): 49‐57.<br />

19. Maiolini B. & Lencioni V., 2001 ‐ L’integrità ecologica <strong>di</strong> torrenti glaciali artici ed alpini: un<br />

approccio sperimentale. Informatore Botanico Italiano, 32, Suppl. 1: 11‐14.<br />

20. Maiolini B. & Lencioni V., 2003 ‐ La fauna ad invertebrati. In: Minelli A., Ruffo S. & Stoch F.<br />

(a cura <strong>di</strong>), Torrenti montani ‐ La vita nelle acque correnti. Ministero dell’Ambiente e della<br />

Tutela del Territorio e <strong>Museo</strong> Friuliano <strong>di</strong> Storia Naturale, Quaderni Habitat, 5: 57‐79.<br />

(Tradotto anche in lingua inglese: Invertebrate fauna. In: Mountain streams: 57‐79).<br />

21. Maiolini B., Grasso M. & Lencioni V. 2004 ‐ La colonizzazione dei torrenti d’alta quota da<br />

parte degli invertebrati acquatici: un approccio sperimentale. Capitolo 5. – In: Orombelli G.<br />

(a cura <strong>di</strong>), Il ghiaccio nelle Alpi: una risorsa strategica per l’ambiente dell’alta montagna.<br />

Quaderni della Montagna, 1. Istituto Nazionale della Montagna, Bononia University Press:<br />

95‐113.<br />

22. Maiolini B., Lencioni V., Berera R. & Cottarelli V., 2005 ‐ Effects of flood pulse on the<br />

hyporheic fauna in two high altitude Alpine streams. Meiofauna Marina, 14: 105‐108.<br />

23. Maiolini B., Lencioni V., Raschioni R. & Fochetti R., 2005 ‐ Il limite altitu<strong>di</strong>nale <strong>di</strong> EPT: una<br />

questione <strong>di</strong> quota? Biogeographia, vol. XXVI: 499‐509.<br />

24. Margoni S. & Maiolini B., 2004 ‐ Distribuzione altitu<strong>di</strong>nale <strong>di</strong> Simuli<strong>di</strong> in torrenti alpini d’alta<br />

quota (Trentino, Italia). Stu<strong>di</strong> Trentini <strong>Scienze</strong> Naturali, Acta Biologica, 80 (2003): 63‐64.<br />

25. Maiolini B., Silveri L. & Lencioni V., 2007 ‐ Hydroelectric power generation and <strong>di</strong>sruption of<br />

the natural stream flow: effects on the zoobenthic community. Atti Ga<strong>di</strong>o 2006, Stu<strong>di</strong><br />

Trentini <strong>di</strong> <strong>Scienze</strong> Naturali, Acta Biologica, 83: 21‐26.<br />

143


26. Maiolini B., Lencioni V., Boggero A., Thaler B., Lotter A.F. & Rossaro B., 2006 ‐ Zoobenthic<br />

communities of inlets and outlets of high altitude Alpine lakes. In: Lami A. & A. Boggero<br />

(eds), Ecology of high altitude aquatic systems in the Alps. Hydrobiologia, 562: 217‐229.<br />

27. Rossaro B. & Lencioni V., 2001 ‐ Analysis of relationships between chironomid species<br />

(Diptera Chironomidae) and environmental factors in an Alpine glacial stream system using<br />

the General Linear Model. Stu<strong>di</strong> Trentini <strong>Scienze</strong> Naturali, Acta Biologica, 76 (1999): 17‐27.<br />

28. Rossaro B., Lencioni V & Marziali L. 2005 ‐ L'importanza della tassonomia nel monitoraggio<br />

biologico. Stu<strong>di</strong> Trentini <strong>di</strong> <strong>Scienze</strong> Naturali, Acta Biologica, 81 (2004): 31‐36.<br />

29. Rossaro B., Casalegno C. & Lencioni V., 2003 ‐ Contributo alla revisione del sottogenere<br />

Orthocla<strong>di</strong>us s. str. van der Wulp (Diptera: Chironomidae): <strong>di</strong>stribuzione ed autoecologia<br />

delle specie note in Italia. In: Baldacchini G.N. & Sansoni G. (eds.), Atti del Seminario <strong>di</strong><br />

Stu<strong>di</strong> “Nuovi orizzonti dell’ecologia”, Trento, 18‐19 aprile 2002. Provincia Autonoma <strong>di</strong><br />

Trento, Agenzia Provinciale Protezione Ambiente Trento, Centro Italiano Stu<strong>di</strong> Biologia<br />

Ambientale, Trento: 329‐333.<br />

30. Rossaro B., Lencioni V. & Casalegno C., 2002 ‐ Relazioni tra specie <strong>di</strong> Ditteri Chironomi<strong>di</strong> e<br />

fattori ambientali esaminate con un data base relazionale. Stu<strong>di</strong> Trentini <strong>Scienze</strong> Naturali,<br />

Acta Biologica, 78/1 (2001): 201‐206.<br />

31. Rossaro B., Lencioni V., Boggero A. & Marziali L., 2006 – Chironomids from Southern Alpine<br />

running waters: ecology, biogeography. In: Lami A. & Boggero A. (eds), Ecology of high<br />

altitude aquatic systems in the Alps. Hydrobiologia, 562: 231‐246.<br />

2. Articoli <strong>di</strong>vulgativi<br />

1. Maiolini B., 2003 ‐ Torrenti glaciali: riserve incontaminate? S.L.M., 10: 20‐25.<br />

2. Maiolini B. & Lencioni V., 2003 ‐ Biglietto <strong>di</strong> sola andata. Il fenomeno del drift nei<br />

torrenti alpini e artici. Natura alpina, 53 (3‐4): 71‐80.<br />

3. Maiolini B., 2005 – Nel letto del torrente. Parchi e Riserve, 2005: 58‐59<br />

4. Maiolini B. & Lencioni V., 2004. La Sezione <strong>di</strong> Zoologia degli Invertebrati e Idrobiologia.<br />

Natura alpina, 55 (3‐4): 81‐88<br />

3. Comunicazioni a convegni nazionali e internazionali<br />

1. Lencioni V., Maiolini B., Fochetti R., Grasso M., Boscaini A. & Dumnicka E., 2004 ‐<br />

Artificial substrate colonization by invertebrates in two high altitude Alpine streams.<br />

XXIX Congresso della Societas Internationalis Limnologiae (SIL) ‐ International<br />

Association of Theoretical and Applied Limnology of Limnology, Lathi (Finland), 8‐14<br />

agosto 2004. Abstract book: 139.<br />

2. Maiolini B., Lencioni V. & Brittain J.E., 2004 – Invertebrate drift in an arctic stream<br />

under controlled light con<strong>di</strong>tions. Preliminary results. XXIX Congresso della Societas<br />

Internationalis Limnologiae (SIL) ‐ International Association of Theoretical and Applied<br />

Limnology of Limnology, Lathi (Finland), 8‐14 agosto 2004. Abstract book: 35.<br />

144


3. Lencioni V. & Maiolini B., 2004 ‐ Qualità ed integrità <strong>di</strong> ecosistemi acquatici glaciali<br />

d’alta quota in Trentino (il progetto <strong>HIGHEST</strong>). Conferenza sulla Bio<strong>di</strong>versità in Trentino,<br />

Istituto Agrario <strong>di</strong> san Michele all’A<strong>di</strong>ge (TN), 27 aprile 2004<br />

4. Lencioni V. & Maiolini B., 2004 –Variazioni <strong>di</strong>urne del drift dello zoobenthos: Rio<br />

Larcher (Alpi) e Westbyelva (Isole Svalbard) a confronto. 65° Congresso Nazionale<br />

dell’Unione Zoologica Italiana, Taormina‐Giar<strong>di</strong>ni Naxos (ME), 21‐25 settembre 2004.<br />

Libro dei Riassunti: 80.<br />

5. Lencioni V., Boscaini A., Franceschini A. & Maiolini B., 2001 ‐ Distribuzione <strong>di</strong><br />

macroinvertebrati bentonici in torrenti d’alta quota sulle alpi italiane: stato delle<br />

conoscenze e recenti risultati. XI Congresso Società Italiana <strong>di</strong> Ecologia (S.It.E.),<br />

Sabau<strong>di</strong>a (Latina), 12‐14 settembre 2001. Libro dei Riassunti: 24.<br />

6. Lencioni V., Franceschini A. & Maiolini B., 2003 ‐ Variazioni <strong>di</strong> clorofilla in torrenti<br />

montani <strong>di</strong> <strong>di</strong>versa origine (Parco Nazionale dello Stelvio, Trentino). XVI Convegno<br />

Ga<strong>di</strong>o, Pavia, 10‐12 maggio 2003. Libro dei Riassunti: 36.<br />

7. Lencioni V., Maiolini B. & Rossaro B., 2003 ‐ Ecology and <strong>di</strong>stribution of Chironomids in<br />

mountain streams in the Italian Alps. Convegno internazionale ‐ XV International<br />

Symposium on Chironomidae, Minneapolis, Minnesota (USA), 11‐17 agosto 2003.<br />

Abstract book: 45.<br />

8. Lencioni V., Maiolini B., Rivosecchi L. & Rossaro B., 2004 ‐ Distribuzione spazio‐<br />

temporale <strong>di</strong> Ditteri Chironomi<strong>di</strong> e Simuli<strong>di</strong> in torrenti alpini. XXXV Congresso della<br />

Società Italiana <strong>di</strong> Biogeografia “Biogeografia dalle Alpi e Prealpi centro‐orientali”,<br />

Rabbi (TN), 6‐9 settembre 2004. Libro dei Riassunti: 45.<br />

9. Lencioni V., Maiolini B., Zuccati S. & Corra<strong>di</strong>ni F., 2001 ‐ Il drift dello zoobenthos in due<br />

torrenti d’alta quota alpini (Val de la Mare, Parco Nazionale dello Stelvio, Trentino). XV<br />

Convegno Ga<strong>di</strong>o, Trento, 5‐7 maggio 2001. Libro dei Riassunti: 19.<br />

10. Maiolini B. & Lencioni V., 2002 ‐ Alpine headwaters: temporal and altitu<strong>di</strong>nal changes<br />

of invertebrate <strong>di</strong>versity. Workshop: “Alpine Invertebrate Diversity: Functional<br />

In<strong>di</strong>cators and Long‐term Monitoring”. Obergurgl (Tyrol, Austria), 4‐7 settembre 2002<br />

(Abstract book assente)<br />

11. Maiolini B. & Lencioni V., 2005 ‐ Bio<strong>di</strong>versity gra<strong>di</strong>ents in Alpine stream ecosystems.<br />

Open Science Conference: Global Change in Mountain Regions, Perth, Scotland, UK, 2‐6<br />

ottobre 2005.<br />

12. Maiolini B., Lencioni V., Raschioni R., Boscaini A. & Franceschini A., 2004 ‐ Il limite<br />

altitu<strong>di</strong>nale <strong>di</strong> EPT: una questione <strong>di</strong> quota? XXXV Congresso della Società Italiana <strong>di</strong><br />

Biogeografia “Biogeografia dalle Alpi e Prealpi centro‐orientali”, Rabbi (TN), 6‐9<br />

settembre 2004. Libro dei Riassunti: 45.<br />

145


4. Poster a convegni nazionali e internazionali<br />

1. Boscaini A., Corra<strong>di</strong>ni F., Lencioni V. & Maiolini B., 2003 ‐ Caratterizzazione morfologica<br />

e chimico‐fisica <strong>di</strong> un sistema idrografico alpino (Parco Nazionale dello Stelvio,<br />

Trentino). XVI Convegno Ga<strong>di</strong>o, Pavia, 10‐12 maggio 2003. Libro dei Riassunti: 55.<br />

2. Cottarelli V., Berera R., Lencioni V., Maiolini B. & Messana G., 2002 ‐ Hyporheic fauna of<br />

high elevation in some Alpine streams (Trentino, Italy). XVI Simposio Internazionale <strong>di</strong><br />

Biospeleologia, Verona, 8‐15 settembre 2002. Abstract book: 78.<br />

3. Lencioni V., Boschini D., Marziali L. & Rebecchi L., 2005 ‐ Risposta <strong>di</strong> chironomi<strong>di</strong><br />

(Diamesa spp.) stenotermi fred<strong>di</strong> a shock da calore. XX Congresso Nazionale Italiano <strong>di</strong><br />

Entomologia, Perugia‐Assisi, 13‐18 giugno 2005. Libro dei riassunti: 146.<br />

4. Lencioni V., Maiolini B., Marziali L., Raschioni R. & Rossaro B., 2005 ‐ Spatial and<br />

temporal variability of bio<strong>di</strong>versity in a glacial flood plain (Italian Alps). Congresso SEFS4<br />

– IV Symposium for European Freshwater Sciences, Cracovia, 22‐26 agosto 2005.<br />

5. Maiolini B. & Lencioni V., 2001 ‐ Il <strong>Progetto</strong> <strong>HIGHEST</strong>: Health and Integrity of Glacial<br />

Headwater EcoSystems in Trentino, XI Congresso Società Italiana <strong>di</strong> Ecologia (S.It.E.),<br />

Sabau<strong>di</strong>a (Latina), 12‐14 settembre 2001. Libro dei Riassunti: 144.<br />

6. Maiolini B. & Lencioni V., 2002 ‐ Il <strong>Progetto</strong> <strong>HIGHEST</strong>: Health and Integrity of Glacial<br />

Headwater EcoSystems in Trentino. Convegno “I ghiacciai, le montagne, l’uomo”,<br />

Bormio (Sondrio), 13‐14 settembre 2002 (Libro dei Riassunti con pagine non numerate)<br />

7. Maiolini B. & Lencioni V., 2002 ‐ Mountain protected areas and their freshwater<br />

heritage: a long term ecological research in the Stelvio National Park (Trentino, Italy).<br />

International conference: Protected areas of European Mountains – place of<br />

life/sanctuary, recreation and exchange, Centre de Congrès le Manège 331, rue de la<br />

République, F‐73000 Chambéry (France), 13‐16 novembre 2002. Report of the<br />

Conference: 129‐131.<br />

8. Maiolini B., Lencioni V., Berera R. & Cottarelli V., 2004 ‐ Effects of flood pulse on the<br />

hyporheic fauna in two high altitude Alpine streams. 12 th International Meiofauna<br />

Conference (TWIMCO), 11‐16 luglio, 2004, Ravenna (Italy). Abstract book: 167.<br />

9. Maiolini B., Lencioni V., Boscaini A., Franceschini A. & Margoni S., 2002 ‐ Variazioni<br />

della bio<strong>di</strong>versità nello spazio e nel tempo in un ecosistema fluviale glaciale: il Noce<br />

Bianco (Trentino, Italia). 63° Congresso Nazionale dell’Unione Zoologica Italiana,<br />

Università della Calabria, Rende (CS), 22‐26 settembre 2002. Libro dei Riassunti: 56.<br />

10. Maiolini B.,Gumiero B., Silveri L., 2005 ‐ The downstream effect of hydropower release<br />

in an Alpine glacial stream. Bulletin of the North American Benthological Society,<br />

22:345‐346<br />

5. Partecipazione a Convegni<br />

1. Convegno nazionale ‐ XV Convegno del Gruppo <strong>di</strong> Ecologia <strong>di</strong> Base “G. Ga<strong>di</strong>o”: “Ecologia<br />

dell’ambiente montano”, Trento, 5‐7 maggio 2001<br />

146


2. Seminario tecnico ‐ “Ecosistemi d’acqua corrente: il nuovo In<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> Funzionalità<br />

Fluviale. Principi metodologici ed ambiti <strong>di</strong> applicazione”. Verona, 10 maggio 2001<br />

3. Convegno internazionale ‐ X International Conference on Ephemeroptera – XIV<br />

International Symposium on Plecoptera, Perugia, 5‐11 agosto 2001<br />

4. Convegno nazionale ‐ XI Congresso della Società Italiana <strong>di</strong> Ecologia (S.It.E.), Sabau<strong>di</strong>a<br />

(Latina), 12‐14 settembre 2001<br />

5. Convegno nazionale ‐ “Chioggia sentinella dei fiumi ‐ Convegno sulla qualità delle acque<br />

tra A<strong>di</strong>ge, Bacchiglione e Brenta”, Chioggia (Venezia), 19 febbraio 2002<br />

6. Seminario <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> ‐ “Nuovi orizzonti dell’ecologia” (Centro Italiano Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Biologia<br />

Ambientale ‐ CISBA), Trento, 18‐19 aprile 2002<br />

7. Convegno internazionale ‐ “High Summit ‐ Multiconferenza transcontinentale”, Trento,<br />

6‐10 maggio 2002<br />

8. Convegno nazionale ‐ “I ghiacciai, le montagne, l’uomo”, Bormio (Sondrio), 13‐14<br />

settembre 2002<br />

9. Convegno nazionale ‐ 63° Congresso Nazionale dell’Unione Zoologica Italiana,<br />

Università della Calabria, Rende (CS), 22‐26 settembre 2002<br />

10. Seminario <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> ‐ “Legno e ghiaccio: scrigno del clima”, <strong>Museo</strong> <strong>Tridentino</strong> <strong>di</strong> <strong>Scienze</strong><br />

Naturali, Trento, 25 ottobre 2002<br />

11. Seminario <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o ‐ <strong>Progetto</strong> Strategico Artico 2003 ‐ Inquadramento e prospettive.<br />

Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto sull’Inquinamento Atmosferico, Roma, 18<br />

<strong>di</strong>cembre 2002<br />

12. Convegno internazionale ‐ “RIParian FORest ‐ Vegetated Channels: Hydraulic,<br />

Morphological and Ecologica Aspects”, Università <strong>di</strong> Trento, 20‐22 febbraio 2003<br />

13. Convegno nazionale – XVI Convegno del Gruppo <strong>di</strong> Ecologia <strong>di</strong> Base “G. Ga<strong>di</strong>o”: “Il fiume<br />

e il suo bacino”, Pavia, 10‐12 maggio 2003<br />

14. Convegno internazionale ‐ XV International Symposium on Chironomidae, Minneapolis,<br />

Minnesota (USA), 11‐17 agosto 2003<br />

15. Workshop internazionale: Diapause in aquatic invertebrates, Istituto per lo Stu<strong>di</strong>o degli<br />

Ecosistemi (ISE‐CNR), Pallanza (Verbania), 21‐23 ottobre 2003<br />

16. Seminario <strong>di</strong> Stu<strong>di</strong>: Presentazione del metodo River Habitat Survey (RHS), Consiglio<br />

Nazionale delle Ricerche – CNR, Milano, 24 marzo 2004<br />

17. Conferenza sulla Bio<strong>di</strong>versità in Trentino, Istituto Agrario <strong>di</strong> San Michele all’A<strong>di</strong>ge (TN),<br />

27 aprile 2004<br />

18. Conferenza internazionale: 12 th International Meiofauna Conference (TWIMCO),<br />

Ravenna (Italy), July 11‐16, 2004<br />

19. Convegno internazionale ‐ XXIX Congresso della Societas Internationalis Limnologiae<br />

(SIL) ‐ International Association of Theoretical and Applied Limnology of Limnology,<br />

Lathi (Finland), 8‐14 agosto 2004<br />

147


20. Congresso nazionale – XXXV Congresso della Società Italiana <strong>di</strong> Biogeografia<br />

“Biogeografia dalle Alpi e Prealpi centro‐orientali”, Rabbi (TN), 6‐9 settembre 2004<br />

21. Convegno nazionale ‐ 65° Congresso Nazionale dell’Unione Zoologica Italiana,<br />

Taormina‐Giar<strong>di</strong>ni Naxos (ME), 21‐25 settembre 2004<br />

22. Convegno nazionale – Deflusso Minimo Vitale o Regime Sostenibile? <strong>Museo</strong> <strong>Tridentino</strong><br />

<strong>di</strong> <strong>Scienze</strong> Naturali, 13 maggio 2005<br />

23. North American Benthological Society, 2005, New Orleans, Luisiana, 22‐27 maggio 2005<br />

24. XX Congresso Nazionale Italiano <strong>di</strong> Entomologia, Perugia‐Assisi, 13‐18 giugno 2005<br />

25. IV Symposium for European Freshwater Sciences (SEFS4), Cracovia, 22‐26 agosto 2005<br />

26. Open Science Conference: Global Change in Mountain Regions, Perth, Scotland, UK, 2‐6<br />

ottobre 2005<br />

6. Tesi <strong>di</strong> laurea (svolte durante il progetto o negli anni successivi su materiali raccolti nel<br />

corso del progetto stesso) :<br />

1. 2001/2002 ‐ Meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> analisi ecologica in <strong>di</strong>verse tipologie fluviali <strong>di</strong> alta quota:<br />

adesione <strong>di</strong> biofilm su supporti naturali ed artificiali. Università <strong>di</strong> Trento, Facoltà <strong>di</strong><br />

Ingegneria,123 pp. (laureando Marcello Zoccatelli, relatore Dr. Clau<strong>di</strong>o della Volpe,<br />

correlatori Dr. Bruno Maiolini e Dr.ssa Valeria Lencioni)<br />

2. 2002/2003 – Impatto <strong>di</strong> opere <strong>di</strong> captazione a scopi idroelettrici sui torrenti d’alta quota<br />

(parco Nazionale dello Stelvio, Trentino). Università degli Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Bologna, Facoltà <strong>di</strong><br />

<strong>Scienze</strong> Matematiche, Fisiche e Naturali, Corso <strong>di</strong> Laurea in <strong>Scienze</strong> Naturali. Laureando<br />

Alex Festi, Relatore Prof.ssa Bruna Gumiero, Correlatore: Dr. Bruno Maiolini<br />

3. 2001/2002 ‐ Caratterizzazione ecologica <strong>di</strong> due torrenti glaciali: Noce Bianco e Careser<br />

(Parco Nazionale dello Stelvio, Trentino). Università <strong>di</strong> Padova, Facoltà <strong>di</strong> <strong>Scienze</strong><br />

Biologiche, 79 pp. (laureanda Alessandra Bellucci, relatore Prof. Bruno Duzzin,<br />

correlatori Dr. Bruno Maiolini e Dr.ssa Valeria Lencioni)<br />

4. 2002/2003 ‐ Andamento spaziale e temporale del drift dello zoobenthos in due torrenti<br />

alpini (Val de la Mare, Parco Nazionale dello Stelvio). Università <strong>di</strong> Bologna, Facoltà <strong>di</strong><br />

<strong>Scienze</strong> Biologiche, 74 pp. (laureanda Barbara Sokolic, relatore dott.sa Bruna Gumiero,<br />

correlatori Dr. Bruno Maiolini e Dr.ssa Valeria Lencioni)<br />

5. 2004/2005 ‐ Frequentazione estiva dell’ambiente iporreico da parte del benthos <strong>di</strong><br />

torrenti alpini. Università <strong>di</strong> Padova, Facoltà <strong>di</strong> <strong>Scienze</strong> Naturali, (laureanda Michela Oss,<br />

relatore: prof. Sandra Casellato, correlatori Dr. Bruno Maiolini e Dr.ssa Valeria Lencioni)<br />

6. 2004/2005 Impatto del rilascio <strong>di</strong> una centrale idroelettrica su un torrente alpino:<br />

torrente Noce Bianco. Università degli Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Bologna, Facoltà <strong>di</strong> <strong>Scienze</strong> Matematiche,<br />

Fisiche e Naturali, Corso <strong>di</strong> Laurea in Conservazione e Gestione del Patrimonio Naturale,<br />

Laureando Mauro Carolli, Relatore Prof.ssa Bruna Gumiero, Correlatore: Dott. Bruno<br />

Maiolini<br />

148


7. 2005/2006 Analisi dell’impatto <strong>di</strong> una centrale idroelettrica sul fenomeno del drift<br />

macrobentonico: la centrale <strong>di</strong> Pont a Cogolo sul torrente Noce Bianco (Tn). Università<br />

degli Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Bologna, Facoltà <strong>di</strong> <strong>Scienze</strong> Matematiche, Fisiche e Naturali, laurea<br />

triennale. Laureanda Elisa Varolo, Relatore Prof.ssa Bruna Gumiero, Correlatore: Dott.<br />

Bruno Maiolini.<br />

8. 2005/2006 ‐ Adattamento della comunità perifitica in un torrente montano soggetto a<br />

impatto idroelettrico, Università <strong>di</strong> Padova, Facoltà <strong>di</strong> <strong>Scienze</strong> Biologiche (laureanda<br />

Paola Bernabò, relatore: prof. Nicoletta Rascio, correlatore Dr.ssa Valeria Lencioni)<br />

9. 2006/2007 ‐ Effetti della temperatura sulla sopravvivenza e sul metabolismo basale in<br />

Pseudo<strong>di</strong>amesa branickii (Diptera, Chironomidae), Università <strong>di</strong> Bologna, Facoltà <strong>di</strong><br />

<strong>Scienze</strong> Naturali (laureando Marcello Taglialatela, relatore: prof. Mario Marini,<br />

correlatore Dr.ssa Valeria Lencioni)<br />

10. 2007/2008 ‐ Variazioni giornaliere del drift dei Ditteri Chironomi<strong>di</strong>: Rio Larcher (Alpi)<br />

e Westbyelva (Isole Svalbard) a confronto. Università Statale degli Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Milano, Corso<br />

<strong>di</strong> laurea specialistica in <strong>Scienze</strong> Naturali, 124 pp. (laureanda Flavia Toloni, relatore: prof.<br />

Bruno Rossaro, correlatori: dott.ssa Valeria Lencioni e dott.ssa Laura Marziali)<br />

7. Tesi <strong>di</strong> dottorato<br />

1. Distribuzione ed ecologia <strong>di</strong> Copepo<strong>di</strong> Arpacticoi<strong>di</strong> in torrenti d’alta quota italiani.<br />

Dottorato <strong>di</strong> Ricerca in Evoluzione Biologica e Biochimica ‐ XX ciclo, Università degli Stu<strong>di</strong><br />

della Tuscia – Viterbo, Dipartimento <strong>di</strong> <strong>Scienze</strong> Ambientali. BIO 05, Dottoranda: Dott.ssa<br />

Roberta Raschioni, Coor<strong>di</strong>natore: Prof. Federico Federici, Tutor: Prof. Vezio Cottarelli,<br />

Cotutor: Dott. Bruno Maiolini<br />

2. I Plecotteri in Tentino: <strong>di</strong>stribuzione ed ecologia. Dottorato <strong>di</strong> Ricerca in Ecologia ‐ XXI<br />

Ciclo, Università degli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Parma. Dottoranda Luana Silveri, Relatore: Dr. Giampaolo<br />

Rossetti Co‐relatore: Dr. Bruno Maiolini<br />

8. Escursioni guidate in Val Venezia e serate naturalistiche presso la sede del Parco<br />

Nazionale dello Stelvio a Cogolo: N. 8 nel corso dell’estate 2003/2004.<br />

149


APPENDICE 3<br />

<strong>Relazione</strong> conclusiva al 30/11/2004 per le attività comprese nei WP1 e WP2 <strong>di</strong><br />

argomento glaciologico<br />

Premessa<br />

A cura <strong>di</strong><br />

dott. Giancarlo Rossi<br />

C.A.T. s.a.s. Noale (VE)<br />

Work package 1:<br />

Valutazione quantitativa delle risorse idriche nel sottobacino glaciale del Noce Bianco<br />

Ricercatore responsabile: Bruno Maiolini, MTSN<br />

Conservatore della Sezione <strong>di</strong> Zoologia degli Invertebrati e <strong>di</strong> Idrobiologia<br />

Il primo obbiettivo del WP1 prevede lo sviluppo <strong>di</strong> un sistema informativo riferito al bacino<br />

Noce Bianco comprendente i sistemi glacio‐nivali ed il reticolo idrografico da essi generato, visti in<br />

chiave <strong>di</strong>namica ed evolutiva.<br />

Sotto questo profilo i ghiacciai della Valle della Mare si caratterizzano per la notevole quantità<br />

<strong>di</strong> osservazioni <strong>di</strong> cui sono stati oggetto; ne è prova il fatto che il ghiacciaio del Careser è stato per<br />

35 anni il ghiacciaio italiano <strong>di</strong> riferimento del World Glacier Monitoring Service per le misure <strong>di</strong><br />

bilancio <strong>di</strong> massa.<br />

La grande importanza delle misure <strong>di</strong> bilancio <strong>di</strong> massa nel monitoraggio dei cambiamenti<br />

climatici e del loro effetto sul ciclo idrologico spiega l’attenzione che viene loro rivolta dagli<br />

organismi affiliati all’Organizzazione delle Nazioni Unite che sovrintendono al controllo del Clima e<br />

delle risorse idriche quali il WMO, IPCC, ecc., assieme alle iniziative, anche recenti, <strong>di</strong><br />

normalizzazione delle procedure <strong>di</strong> queste misure [Kaser & alii, 2003]. Vengono infatti teorizzate in<br />

questo manuale operativo le caratteristiche “ideali” che dovrebbero caratterizzare i ghiacciai<br />

can<strong>di</strong>dati al monitoraggio del bilancio <strong>di</strong> massa; queste caratteristiche tendono a ridurre la<br />

complessità delle relazioni tra il bilancio <strong>di</strong> massa ed il clima il modo che il segnale prodotto da<br />

questi valori sia più coerente possibile con quello dei fenomeni che lo generano. Esse vengono<br />

sintetizzate come segue:<br />

• estensione areale compresa tra 5 e 10 km 2 (comunque non inferiore a 2 km 2 );<br />

• estensione altimetrica <strong>di</strong> 1000 m (comunque non inferiore a 500 m);<br />

• bacino idrologico ben delimitato;<br />

• geometria semplice (bacini accumulatore e <strong>di</strong>ssipatore semplici);<br />

• assenza <strong>di</strong> fattori <strong>di</strong> accumulo e ablazione non climatici (quali apporto da valanghe o calving);<br />

150


• assenza <strong>di</strong> significative coperture detritiche;<br />

• superficie uniforme (assenza <strong>di</strong> significative crepacciature e fenomeni criocarsici);<br />

• accesso facile e sicuro.<br />

Il ghiacciaio del Caresèr attualmente non risponde completamente a queste caratteristiche in<br />

quanto risulta carente sotto il profilo dell'estensione altimetrica, che risulta poco più <strong>di</strong> 400 m in<br />

quanto varia da m 2864 (al rilievo del 1997 [Chiozzotto & alii, 2001]) a m 3290; a questo si<br />

aggiunge il fatto che l'incidenza delle aree al <strong>di</strong> sopra <strong>di</strong> 3200 m è poco significativa (circa il 4.5%).<br />

Una ulteriore riduzione areale, con possibilità <strong>di</strong> frammentazione <strong>di</strong> parti significative dell'area<br />

glaciale, renderebbe verosimilmente questo ghiacciaio non più significativo per il monitoraggio del<br />

bilancio <strong>di</strong> massa; da qui l'opportunità <strong>di</strong> prevedere un programma che avvii la progressiva<br />

sostituzione del Ghiacciaio del Caresèr con la Vedretta de la Mare come ghiacciaio campione.<br />

L’attività glaciologica svolta nell'ambito <strong>di</strong> questo progetto ha comportato quin<strong>di</strong> l’acquisizione,<br />

l’analisi con metodologie innovative e la catalogazione sistematica della cospicua messe <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>,<br />

osservazioni e risultati scientifici finora prodotti sull’evoluzione <strong>di</strong> questi due ghiacciai e sui bilanci<br />

<strong>di</strong> massa, nonchè l'avvio <strong>di</strong> osservazioni <strong>di</strong> campagna finalizzate alla determinazione annuale del<br />

bilancio <strong>di</strong> massa sulla Vedretta de La Mare.<br />

Dati storici ed informazioni bibliografiche sui ghiacciai della Valle de La Mare.<br />

Indagine bibliografica sui ghiacciai della Valle de La Mare.<br />

E' stata realizzata la ricerca bibliografica completa <strong>di</strong> tutte le pubblicazioni <strong>di</strong> Geologia,<br />

Geomorfologia e Glaciologia concernenti <strong>di</strong>rettamente i ghiacciai della Valle della Mare, questa<br />

raccolta bibliografica contiene 171 riferimenti bibliografici che riguardano <strong>di</strong>rettamente il<br />

glacialismo della Val della Mare.<br />

Per quanto le relazioni glaciologiche annuali, pubblicate a partire dallo Zeitschrift des D.Ö.A.V.,<br />

lo Zeitschrift für Gletscher und Gletscherkunde, il Bollettino del Comitato Glaciologico Italiano e<br />

Geografia Fisica e Dinamica Quaternaria, i testi sono stati scansionati e raccolti in un file Acrobat,<br />

al fine <strong>di</strong> facilitarne la consultazione.<br />

Acquisizione <strong>di</strong> serie storiche <strong>di</strong> grandezze glaciologiche.<br />

Bilancio superficiale <strong>di</strong> massa<br />

E' stata acquisita la serie storica dei valori annuali dei bilanci <strong>di</strong> massa del Ghiacciaio del Caresèr,<br />

della Vedretta <strong>di</strong> Fontana Bianca, della Vedretta Sforzellina e della Vedretta de la Mare, per la<br />

parte pubblicata su Fluctuations of Glaciers del World Glacier Monitoring Service e sui Glacier<br />

Mass Balance Bulletin fino al 2001. Di questi ghiacciai, solo il Caresèr presenta una serie storica <strong>di</strong><br />

lunghezza confrontabile con quelle dei principali ghiacciai alpini. La serie storica copre il periodo<br />

delle misure eseguite dal prof. Zanon; successivamente misure hanno subito un'interruzione e dal<br />

2003 sono state riprese dalla S.A.T. ma i risultati non sono ancora stati pubblicati (Fig. 1 e Fig. 2).<br />

La misura del bilancio <strong>di</strong> massa superficiale, come si è visto in precedenza, ha un valore <strong>di</strong><br />

in<strong>di</strong>catore del Climate Change, e come tale evidenzia in maniera eclatante il cambiamento<br />

climatico intervenuto a scala globale agli inizi degli anni '80. Nel grafico <strong>di</strong> Fig. 1 si vede che la<br />

curva ottenuta con i valori cumulati del bilancio <strong>di</strong> massa a partire dal 1980 presenta un repentino<br />

cambio <strong>di</strong> pendenza; in questo caso il valore della pendenza della curva approssima il valore me<strong>di</strong>o<br />

151


del bilancio <strong>di</strong> massa. Per questa ragione la curva è stata <strong>di</strong>visa in due tratti e per ciascuno è stata<br />

calcolata la curva <strong>di</strong> regressione, i cui parametri sono rappresentati sul grafico: si vede quin<strong>di</strong> che<br />

dal 1967 al 1980 il valore me<strong>di</strong>o del bilancio <strong>di</strong> massa era negativo ed era all'incirca ‐160<br />

kg/m 2 /anno (1 kg/m 2 /anno corrisponde numericamente alla fusione <strong>di</strong> uno spessore <strong>di</strong> ghiaccio<br />

pari ad 1 mm <strong>di</strong> lama d'acqua per m 2 , cioè una massa <strong>di</strong> 1 kg circa, che corrisponde quin<strong>di</strong> ad un<br />

saldo positivo <strong>di</strong> flusso energetico pari a 334 kJ/m 2 ); nel periodo successivo il valore me<strong>di</strong>o risulta<br />

circa ‐1230 kg/m 2 /anno. Non è possibile valutare le variazioni del saldo annuale del bilancio del<br />

flusso energetico poichè non si conosce l'ammontare degli accumuli <strong>di</strong> neve.<br />

Questo evento, nell'area me<strong>di</strong>terranea, è stato marcato anche da altri fenomeni, quali<br />

l'alterazione della circolazione marina rilevata da un'analisi statistica sulle campagne<br />

oceanografiche dell'Adriatico e datata 1987 [Bastianini & alii, 2000, Russo & alii, 2000].<br />

Misure degli spostamenti frontali<br />

La misura delle variazioni della posizione della fronte dei ghiacciai italiani è iniziata verso la fine del<br />

XIX secolo, ma solo a partire dal 1925 il programma <strong>di</strong> campionamento dei ghiacciai da osservare<br />

ha assunto significatività statistica.<br />

Nel Grafico <strong>di</strong> Fig. 3 viene rappresentata la statistica delle misure, i cui valori sono pubblicati sul<br />

Bollettino del Comitatato Glaciologico Italiano fino al 1976, e successivamente sulla rivista<br />

semestrale Geografia Fisica e Dinamica Quaternaria.<br />

Queste osservazioni sono ripartite in tre classi: i ghiacciai in avanzata (area blu scura), i ghiacciai<br />

stabili, o con la fronte innevata (area gialla), i ghaicciai in ritiro (area residua <strong>di</strong> colore azzurro). La<br />

popolazione del campione è rappresentata dal grafico a barre con l'or<strong>di</strong>nata inversa (colore<br />

azzurro).<br />

Per quanto riguarda gli spostamenti frontali del Ghiacciai Caresèr e della Vedretta de la Mare, è<br />

stata effettuata la ricostruzione delle misure <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza della fronte dai caposal<strong>di</strong>, a partire dalle<br />

prime osservazioni degli austriaci, fino alle più recenti misure pubblicate sui perio<strong>di</strong>ci Comitato<br />

Glaciologico Italiano.<br />

Le serie degli spostamenti frontali <strong>di</strong> questi due ghiaccia sono state confrontate in ambiente CAD<br />

con la cartografia <strong>di</strong>gitale ottenuta per vettorializzazione dei rilievi cartografici del passato: pur nei<br />

limiti dell'approssimazione imposta dalla scarsa precisione intrinseca della misura, sono state<br />

colmate alcune incertezze dovute a per<strong>di</strong>te <strong>di</strong> continuità delle osservazioni verificatesi quando<br />

alcuni segnali sono andati perduti. Sono stati quin<strong>di</strong> ottenuti i grafici tempo*<strong>di</strong>stanza riportati<br />

nelle in Figg. 3a 3b 4a 4b.<br />

L'analisi <strong>di</strong> queste serie storiche <strong>di</strong> dati evidenzia l'incongruenza della rappresentazione<br />

dell'estensione della Vedretta della Mare riportata nel Catasto dei Ghiacciai Italiani (1958‐1962), i<br />

cui limiti glaciali sono stati vettorializzati in AUTOCAD attribuendo loro la data del 1962; dal<br />

confronto appare invece che questi limiti corrispondono a quelli assunti dal ghiacciaio circa 30<br />

prima, mentre è stata stimata la posizione della fronte sulla cartografia in base alla quota riportata<br />

sul Catasto (m 2445).<br />

Più coerenti risultano invece i risultati per il Ghiacciaio del Carèser, per il quale l'origine della serie<br />

dei valori ricostruiti me<strong>di</strong>ante CAD è stata posta in corrispondenza dell'attuale Stazione<br />

idrometrica e la data alla quale la fronte si trovava in quella posizione è stata stimata attorno al<br />

1920.<br />

L'interruzione 1957‐1962 dovuta al crollo della lingua è stata colmata stimandone il ritiro in ‐180<br />

m; ciò comporta che il ritiro del decennio 1955‐1964, che era stato stimato ‐600 m (sul terreno),<br />

risulterebbe invece ‐400 m circa (<strong>di</strong>stanza riportata sul piano orizzontale).<br />

152


Fig. 1 – Valori <strong>di</strong> bilancio cumulato (con origine fittizia) dei principali ghiacciai alpini fino al 2001.<br />

153


Fig. 2 – Andamento del bilancio cumulato del Ghiacciaio Careser<br />

154


Fig. 3 – Statistica delle osservazioni sulle oscillazione della posizione della fronte dei Ghiacciai<br />

Italiani (valori tratti dal Boll. Comit. Glacial. It. e da Geogr. Fis. e Dinam. Quat.)<br />

155


Fig. 3a – Posizione delle fronti della Vedretta della Mare ricostruite attraverso eleborazione della<br />

cartografia <strong>di</strong>gitale in ambiente CAD, sovrapposte all'immagine dell'Ortofoto della Prov.Aut. <strong>di</strong><br />

Trento<br />

156


Fig. 3b – Confronto tra i valori cumulati <strong>di</strong> spostamento della fronte della vedretta della Mare<br />

ottenuti per osservazioni <strong>di</strong>rette (curva blu) ed i valori ricostruiti attraverso eleborazione della<br />

cartografia <strong>di</strong>gitale in ambiente CAD.<br />

Fig. 4a – Posizione delle fronti del Ghiacciaio Careser ricostruite attraverso eleborazione della<br />

cartografia <strong>di</strong>gitale in ambiente CAD.<br />

157


Fig. 4b – Confronto tra i valori cumulati <strong>di</strong> spostamento della fronte del Ghiacciaio Caresèr ottenuti<br />

per osservazioni <strong>di</strong>rette (curva blu) ed i valori ricostruiti attraverso eleborazione della cartografia<br />

<strong>di</strong>gitale in ambiente CAD.<br />

Raccolta <strong>di</strong> dati idrometeorologici sui bacini glaciali della Valle della Mare.<br />

Nell'alto bacino del Noce sono ubicate varie stazioni meteorologiche le cui osservazioni pubblicate<br />

negli Annali dell’Ufficio Idrografico del Magistrato alle Acque <strong>di</strong> Venezia fino al 1974 e<br />

successivamente negli Annali del Servizio Idrografico della Provincia Autonoma <strong>di</strong> Trento. Quelle<br />

più interessanti ai fini del presente stu<strong>di</strong>o sono quelle localizzate presso gli impianti idroelettrici, e<br />

cioè Careser Diga, Malgamare, Peio, Cogolo Pont e Pian Palù Diga, che sono state gestite<br />

<strong>di</strong>rettamente dal personale dell'azienda elettrica (ad eccezione <strong>di</strong> quella <strong>di</strong> Pejo) dalle origini alla<br />

seconda metà degli anni ‘90, quando sono state installate le stazioni ad acquisizione automatica<br />

<strong>di</strong>stinte della Provincia <strong>di</strong> Trento e dell'azienda elettrica.<br />

Inevitabilmente questi dati non sono più omogenei con i precedenti, primo perchè le procedure <strong>di</strong><br />

acquisizione sono <strong>di</strong>verse, ed inoltre perchè si sono evidenziate sensibili <strong>di</strong>fferenze tra i valori delle<br />

due serie. Da un punto <strong>di</strong> vista formale dovrebbe venire privilegiata la serie acquisita dalla<br />

Provincia <strong>di</strong> Trento perchè si tratta <strong>di</strong> dati ufficiali. Visto il breve periodo <strong>di</strong> funzionamento dei dati<br />

acquisiti dalle stazioni automatiche, si preferisce arrestare l'elaborazione al periodo <strong>di</strong> omogeneità<br />

dei dati.<br />

Nell'ambito <strong>di</strong> un progetto <strong>di</strong> ricerca europeo sulle deposizioni alpine in alta quota, denominato<br />

ALPTRAC l'ENEL CRIS ha installato una stazione meteonivometrica ad acquisizione automatica sul<br />

Ghiacciaio Careser operante con carattere continuativo dal 1989 al 1998 che ha avuto un<br />

funzionamento sod<strong>di</strong>sfacente, considerate le <strong>di</strong>fficoltà ambientali. La strumentazione ed i dati<br />

sono stati ceduti al <strong>Progetto</strong> <strong>HIGHEST</strong>.<br />

158


Il bacino idrografico che sottende i ghiacciai più importanti della Valle della Mare si può<br />

considerare chiuso alla forra <strong>di</strong> Malgamare, a valle della confluenza del Rio Careser nel Noce<br />

Bianco.<br />

Mentre il Noce Bianco a monte <strong>di</strong> questa confluenza ha un regime naturale, il Rio Careser viene<br />

regolato dall'omonomo serbatoio a regolazione stagionale ed i deflussi vengono immessi nella<br />

vasca <strong>di</strong> regolazione <strong>di</strong> Malgamare, assieme alle portate derivate dal Rio Bianco, per andare ad<br />

alimentare l'impianto idroelettrico <strong>di</strong> Cogolo Pont.<br />

Per quanto riguarda il bacino del Rio Caresér esiste una stazione idrometrica in grado <strong>di</strong> misurare<br />

le portate naturali; essa è localizzata poche decine <strong>di</strong> metri a monte dell’immissione nel lago, e<br />

sottende un bacino <strong>di</strong> circa 9 km 2 .<br />

Questa stazione venne installata all'inizio degli anni '30 durante la costruzione dell’impianto,<br />

ceduta successivamente all’Ufficio Idrografico del Magistrato alle Acque <strong>di</strong> Venezia, é attualmente<br />

in carico al Servizio Idrografico della Provincia Autonoma <strong>di</strong> Trento. La stazione, prevista per la<br />

gestione solo nel periodo estivo, ha avuto comunque un funzionamento precario ed é stata per<br />

lungo tempo abbandonata; i dati non sono infatti mai stati pubblicati sugli Annali Idrologici ed è<br />

stato possibile reperire in maniera sistematica i <strong>di</strong>agrammi <strong>di</strong> registrazione solo da quando é<br />

passata in gestione al Servizio Idrografico della Provincia Autonoma <strong>di</strong> Trento.<br />

Dal 1993 al 1997 l’ENEL ha installato sulla soglia <strong>di</strong> misura uno strumento ad acquisizione<br />

automatica del livello idrometrico ed ha provveduto alla taratura della soglia stessa; per questo<br />

breve periodo si <strong>di</strong>spone invece <strong>di</strong> misure affidabili, che sono state cedute dall'ENEL al <strong>Progetto</strong><br />

<strong>HIGHEST</strong> assieme alla strumentazione. Era stata inoltre installata una stazione idrometrica ad<br />

acquisizione automatica con registrazione <strong>di</strong>gitale a Ponte <strong>di</strong> Pietra sul Noce Bianco, con una soglia<br />

costruita in maniera non permanente (gabbioni Maccaferri) per vincoli <strong>di</strong>sposti dell'Autorità del<br />

Parco. Questa tecnica non ha consentito una adeguata stabilità alla stessa ed il funzionamento<br />

idrometrico ne è risultato pesantemente compromesso.<br />

Le Stazioni<br />

La stazione <strong>di</strong> Careser Diga è collocata nelle imme<strong>di</strong>ate dell'e<strong>di</strong>ficio annesso alla <strong>di</strong>ga, alla quota<br />

nominale <strong>di</strong> 2600 m, ed è entrata in servizio con l'inse<strong>di</strong>amento del cantiere per la costruzione<br />

dell'impianto idroelettrico nell'agosto 1929. Da questa data iniziano le osservazioni pluviometriche<br />

e termometriche: le prime continuano con regolarità fino al 1999, con l'interruzione <strong>di</strong> alcuni mesi<br />

del 1946, mentre le osservazioni termometriche nei primi anni sono molto frammentarie e<br />

presentano degli errori sistematici (probabilmente il termometro era esposto al sole o appeso ad<br />

un muro) e non sono utilizzabili che a partire dal 1940 circa. Le misure giornaliere <strong>di</strong> altezza del<br />

manto nevoso al suolo sono iniziate a partire dal 1936 e quelle della neve caduta dal 1938; dal<br />

1999 le letture <strong>di</strong> altezza della neve al suolo vengono effettuate settimanalmente.<br />

In questa stazione funziona dal 1975 anche un eliofanografo della Provincia Autonoma <strong>di</strong> Trento<br />

(strumento che registra i perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> insolazione) i cui dati vengono pubblicati sugli Annali Idrologici.<br />

Dal 1993 è installata una stazione meteorologica ad acquisizione automatica della Provincia<br />

Autonoma <strong>di</strong> Trento<br />

La stazione <strong>di</strong> Malgamare era collocatata all'interno dell'area della vasca <strong>di</strong> regolazione<br />

dell'impianto idroelettrico a quota 1964, ha iniziato a funzionare dal gennaio1929 ed è stata<br />

<strong>di</strong>sattivata nel 1985, quando è stato automatizzato l'impianto idroelettrico. Durante questo<br />

periodo ha funzionato il pluviometro, mentre le temperature sono state registrate solo dal 1959 al<br />

1974.<br />

159


La stazione <strong>di</strong> Pejo si trova a quota 1580 m in prossimità dell'abitato omonimo, è stata fondata dal<br />

Servizio Idrografico Austriaco nel 1882. Ha funzionato fino al 1915, ha subito l'interruzione nel<br />

periodo della Prima Guerra Mon<strong>di</strong>ale, riprendendo nel 1920. Le registrazioni termometriche sono<br />

iniziate nel 1926. Sono stati recuperati i dati dal 1920 al 1989.<br />

La stazione <strong>di</strong> Cogolo Pont era collocata all'interno dell'area della centrale idroelettrica <strong>di</strong><br />

fondovalle, a quota 1201, ha iniziato a funzionare dal gennaio 1928 ed è stata <strong>di</strong>sattivata nel 1985<br />

in seguito all'automazione dell'impianto. Era dotata <strong>di</strong> pluviometro e termometro ed ha subito<br />

alcune brevi interruzioni.<br />

La stazione <strong>di</strong> Pian Palù è localizzata all'interno dell'impianto omonimo a quota 1800 m, ed è<br />

entrata in servizio da settembre 1958 con pluviometro e termometro.<br />

Precipitazioni<br />

La Valle della Mare si trova in una fascia <strong>di</strong> passaggio tra un regime <strong>di</strong> precipitazioni <strong>di</strong> tipo<br />

continentale caratterizzato da un solo massimo estivo, e la zona ad influsso me<strong>di</strong>terraneo con<br />

precipitazioni prevalentemente autunnali e primaverili.<br />

Partendo dalla stazione più occidentale <strong>di</strong> Pian Palù, questa presenta un regime pluviometrico<br />

caratterizzato da un massimo estivo, in corrispondenza del mese <strong>di</strong> agosto, uno primaverile (a<br />

maggio) ed uno autunnale (ottobre‐novembre) (Tab. 3 e Fig. 5 ). Questi massimi a carattere<br />

“me<strong>di</strong>terraneo” sono poco pronunciati nel regime dei valori me<strong>di</strong>, ma particolarmente nei<br />

massimi; appare, invece più “continentale” l'andamento dei minimi.<br />

Il regime delle precipitazioni misurate a Cogolo Pont (Tab. 4 e Fig. 6) ed a Pejo (Tab. 5 e Fig. 87)<br />

presentano le medesime caratteristiche.<br />

La fase <strong>di</strong> transizione tra due regimi è invece ben evidente a Malgamare, dove si registrano tre<br />

massimi (in corrispondenza dei mesi <strong>di</strong> febbraio, maggio e ottobre‐novembre (Tab. 6 e Fig. 8) .<br />

A Careser Diga tornano invece a manifestrasi due massimi: ad aprile quello primaverile ed a<br />

settembre quello autunnale, che tende ad allargarsi fino ad ottobre, dando una forma<br />

particolarmente arrotondata alla curva (Tab. 7 e Fig. 9).<br />

Il coefficiente <strong>di</strong> correlazione misura l'affinità delle relazioni tra i valori registrati nelle cinque<br />

<strong>di</strong>verse stazioni: la matrice dei coefficienti <strong>di</strong> correlazione (Tab. 8) viene costruita con i coefficienti<br />

ottenuti scambiando a due a due le coppie <strong>di</strong> stazioni, e questa contiene tutti valori maggiori <strong>di</strong><br />

0,900 ad eccezione della coppia Careser Diga – Pian Palù che presenta un coefficiente <strong>di</strong><br />

correlazione pari a 0,872. La coppia <strong>di</strong> stazioni più correlate è quella Pejo – Cogolo.<br />

I totali annuali <strong>di</strong> precipitazione in tutte le stazioni sono relativamente abbondanti, data anche la<br />

<strong>di</strong>sposizione Est‐Ovest della valle; l'incidenza delle pioggie orografiche accentua la tendenza<br />

all'aumento delle precipitazioni totali con l'altitu<strong>di</strong>ne: si va infatti da Cogolo Pont ( 812 mm), a Pejo<br />

(877 mm), a Pian Palù (963 mm), a Malgamare ( 1029 mm).<br />

Il valore me<strong>di</strong>o delle precipitazioni totali annue misurate alla stazione Careser Diga (884 m) è però<br />

in contrad<strong>di</strong>zione con questa tendenza: era stato da tempo notato che l'equivalente in acqua del<br />

manto nevoso al suolo fosse circa il doppio della somma delle precipitazioni misurate nel periodo<br />

dell'accumulo [Zanon, 1982; Giada & Zanon, 1985] e come il volume <strong>di</strong> acqua turbinata in un anno<br />

dalla Centrale <strong>di</strong> Malgamare (cioè tra un massimo del livello del serbatoio e quello dell'anno<br />

successivo) fosse sensibilmente maggiore <strong>di</strong> quello che ci sarebbe dovuto aspettare con le piogge<br />

misurate al pluviometro della <strong>di</strong>ga Careser [Rossi & Zanon, 1996].<br />

Si è interpretato il fenomeno alla luce <strong>di</strong> un problema generale dato dal fatto che la bocca tarata<br />

dei pluviometri sistematicamente cattura le precipitazioni nevose con <strong>di</strong>fficoltà, accentuato dalla<br />

160


circostanza che il pluviometro della <strong>di</strong>ga in uso fino all'avvento delle stazioni automatiche non era<br />

riscaldato e quin<strong>di</strong> era affetto da un ulteriore errore <strong>di</strong> sottostima delle precipitazioni nevose.<br />

Poichè il coefficiente nivometrico annuo (cioè la frazione del totale annuo <strong>di</strong> precipitazioni che<br />

cade in fase solida) a partire dagli anni '70 è sensibilmente <strong>di</strong>minuito per la riduzione delle<br />

deposizioni nevose, questo errore viene ad incidere sempre meno, provocando quella apparente<br />

tendenza all'incremento delle piogge (Trend = 0,6 mm/anno) che rende questa serie storica in<br />

drastica controtendenza con le altre e con la tendenza generale.<br />

La situazione è rappresentata sinteticamente dal grafico <strong>di</strong> Fig. 10, nel quale la relazione<br />

altimetrica che lega i valori me<strong>di</strong> delle precipitazioni totali annue delle quattro stazioni più basse<br />

presenta una forma quadratica con elevatissimo coefficiente <strong>di</strong> correlazione (R 2 = 0,998), mentre il<br />

valore relativo alla stazione <strong>di</strong> Careser Diga è avulso a questa relazione: a questa stazione<br />

competerebbe una precipitazione annua <strong>di</strong> circa 1450 mm, e forse questo sarebbe ancora<br />

insufficiente a spiegare le precipitazioni effettive sull'area glaciale.<br />

Tab. 3 – Statistica delle precipitazioni mensili (mm) <strong>di</strong> Pian Palù (1800 m s.l.m.)<br />

G F M A M G L A S O N D Anno<br />

N° osserv 44 44 44 44 44 44 44 44 43 44 44 44 44<br />

minimo 0 0,2 2 2,5 4,9 22,8 6,3 11,7 2,5 1 0,4 1 336<br />

massimo<br />

me<strong>di</strong>a<br />

216 130 176<br />

257,<br />

5 293 199,6 175 204 302 317,6 343,8 185<br />

52,8 39,7 63,8 76,8 96,7 94,1 95,7 103,7 99,8 106,1 104,1 56,3<br />

Dev.<br />

Standard 50,5 38,8 45,7 45,7 60,6 32,3 37,9 49,9 75,7 86,9 79,4 42,4<br />

1446<br />

,5<br />

Trend ‐0,1 ‐0,5 ‐0,73 ‐0,4 0,02 0,18 0,19 ‐0,39 0,05 0,87 ‐2,06 ‐0,46 ‐4,07<br />

963,<br />

4<br />

234,<br />

9<br />

161


Fig. 5 – Regime me<strong>di</strong>o delle precipitazioni mensili (mm) <strong>di</strong> Pian Palù (1800 m s.l.m.)<br />

Tab. 4 – Statistica delle precipitazioni mensili (mm) <strong>di</strong> Cogolo Pont (1201 m s.l.m.)<br />

G F M A M G L A S O N D Anno<br />

N° osserv 61 62 62 62 59 59 60 58 61 60 62 62 55<br />

minimo<br />

massimo<br />

0 0 0 0,8 12 11,3 10,5 21,5 3,8 1,5 0,6 0<br />

184 166,5 212 209 297,2 183 142,2 190,5 235,8 273 228,8 176<br />

me<strong>di</strong>a 38,5 38,3 52,2 68,3 93,3 80,5 76,1 85,2 70,5 79,9 79,2 45,4 812<br />

Dev.<br />

Standard 37,3 37,4 43,8 43,8 49,5 34,8 29 43,8 45,3 63,5 58,7 37,4<br />

517,<br />

8<br />

1168<br />

,4<br />

Trend 0,39 0,2 0,12 ‐0,2 0,59 0,14 0,09 0,34 ‐0,37 ‐0,02 ‐0,75 ‐0,09 0,41<br />

156,<br />

8<br />

162


Fig. 6 – Regime me<strong>di</strong>o delle precipitazioni mensili (mm) <strong>di</strong> Cogolo Pont (1201 m s.l.m.)<br />

Tab. 5 – Statistica delle precipitazioni mensili (mm) <strong>di</strong> Pejo (1580 m s.l.m.)<br />

G F M A M G L A S O N D Anno<br />

N° osserv 69 69 69 69 69 69 69 69 69 69 69 69 69<br />

minimo<br />

massimo<br />

me<strong>di</strong>a<br />

0,8 0 0 0 11,9 11,4 27,6 17 6,8 0,8 1,6 0<br />

166 219,8 206 252,6 299,8 158,1 157,2 181,8 272,4 305,4 348,1 198<br />

44 46,2 59,6 76,5 98 84,8 79,2 89,9 78,9 84,7 81,6 54<br />

Dev.<br />

Standard 39,8 47,7 48,7 46,3 50,7 33,6 29,4 40,8 49,5 68,9 67,2 44,8<br />

484,<br />

8<br />

1393<br />

,2<br />

Trend 0,19 0,04 ‐0,21 ‐0,47 0,35 0,13 0,09 0,24 ‐0,6 ‐0,09 ‐0,48 ‐0,14 ‐0,96<br />

877,<br />

4<br />

186,<br />

6<br />

163


Fig. 7 – Regime me<strong>di</strong>o delle precipitazioni mensili (mm) <strong>di</strong> Pejo (1580 m s.l.m.)<br />

Tab. 6 – Statistica delle precipitazioni mensili (mm) <strong>di</strong> Malgamare (1964 m s.l.m.)<br />

G F M A M G L A S O N D Anno<br />

N° osserv 56 55 56 56 56 54 54 54 54 54 56 56 48<br />

Minimo<br />

1,8 0 0 0,7 23 25 12,9 5,6 10,4 3 1 1<br />

massimo 190,5 271 265,6 213,8 279,3 206,6 190,3 231,5 254,5 315,6 270 236,8 1569<br />

me<strong>di</strong>a<br />

47,2 49,3 68,1 82,8 118,6 106 98,9 110,6 95,3 96,9 97,2 60<br />

Dev.<br />

Standard 43,1 47,1 52,9 44,3 53,3 43,3 40,5 51,2 54,2 73,6 65,8 48,5 207<br />

602,<br />

5<br />

1035<br />

,6<br />

Trend 0,37 0,09 0,39 ‐0,22 0,22 ‐0,69 ‐0,2 0,03 ‐0,2 ‐0,18 ‐0,43 0,02 ‐1,44<br />

164


Fig. 8 – Regime me<strong>di</strong>o delle precipitazioni mensili (mm) <strong>di</strong> Malgamare (1964 m s.l.m.)<br />

Tab. 7 – Statistica delle precipitazioni mensili (mm) <strong>di</strong> Careser Diga (2600 m s.l.m.)<br />

G F M A M G L A S O N D Anno<br />

N° osserv 73 73 73 73 73 73 73 74 73 73 73 73 73<br />

minimo<br />

massimo<br />

me<strong>di</strong>a<br />

0 0 0 4,2 12,6 2,5 0 0 10 0 2 2,3<br />

155,6 166,4 240,5 317,4 276 225,2 189,2 231 255,3 256 242,6 157,4<br />

37,6 39,8 55,7 80,3 106,9 97,9 91,1 98,5 80,9 83 76,1 45,8<br />

Dev.<br />

Standard 31,8 37,1 42,1 52,2 54,4 42 35,1 46,5 54,9 67,1 58,7 34,8<br />

Trend 0,05 ‐0,18 ‐0,08 0,26 0,2 0,18 0,24 0,13 0,09 0,1 ‐0,42 ‐0,33 0,6<br />

441,<br />

3<br />

1351<br />

,2<br />

884,<br />

1<br />

188,<br />

2<br />

165


Fig. 9 – Regime me<strong>di</strong>o delle precipitazioni mensili (mm) <strong>di</strong> Careser Diga (2600 m s.l.m.)<br />

Tab. 8 – Matrice <strong>di</strong> correlazione delle precipitazioni mensili (mm) delle stazioni della Val <strong>di</strong> Pejo<br />

CARESER 1<br />

CARESER PIAN PALU COGOLO MALGAMARE PEJO<br />

PIAN PALU “ 0,8726 1<br />

COGOLO “ 0,9004 “ 0,9093 1<br />

MALGAMAR<br />

E<br />

“ 0,9170 “ 0,9143 “ 0,9198<br />

PEIO “ 0,8850 “ 0,9182 “ 0,9336 “ 0,9128 1<br />

1<br />

166


Fig. 10 ‐ Gra<strong>di</strong>ente orografico delle precipitazioni totali annue me<strong>di</strong>e in Val <strong>di</strong> Pejo<br />

Per quanto riguarda il trend, le serie storiche delle stazioni attualmente attive mostrano un debole<br />

trend negativo, (‐0,073 mm/anno) come si evidenzia per la serie <strong>di</strong> Pejo che è la più lunga<br />

<strong>di</strong>sponibile (Fig. 11), mentre quella <strong>di</strong> Careser Diga evidenzia una tendenza opposta (+0,029<br />

mm/anno), spiegata in precedenza (Fig. 12). Si deve notare che il trend calcolato con i valori<br />

mensili è più debole <strong>di</strong> quello calcolato con i totali annui, che viene riportato nelle tabelle <strong>di</strong><br />

statistica precedente.<br />

167


Fig. 11 – Tendenza della serie storica dei valori mensili <strong>di</strong> precipitazione <strong>di</strong> Pejo<br />

Fig. 12 – Tendenza della serie storica dei valori mensili <strong>di</strong> precipitazione <strong>di</strong> Pejo<br />

168


Temperatura dell'aria<br />

L'andamento annuale della temperatura me<strong>di</strong>a è omogeneo per le cinque stazioni, presentando<br />

sempre un minimo a gennaio ed un massimo a luglio, ben in<strong>di</strong>viduabile nelle Tabb. 9 – 13 e nelle<br />

Figg. 13 ‐ 17, nelle quale viene riportato l'andamento me<strong>di</strong>o delle cinque stazioni.<br />

La matrice <strong>di</strong> correlazione ha tutti i coefficienti maggiori <strong>di</strong> 0,900 e quin<strong>di</strong> evidenzia come tutte le<br />

stazioni siano fortemente correlate tra <strong>di</strong> loro e che tra i valori sussista una relazione lineare.<br />

Tab. 9 – Statistica delle delle Temperature dell'aria me<strong>di</strong>e mensili (°C) della stazione <strong>di</strong> Pian Palù<br />

G F M A M G L A S O N D Anno<br />

N° osserv 44 44 44 44 44 44 44 44 44 44 44 44 44<br />

minimo ‐13 ‐11,6 ‐8,1 ‐3,6 0,6 6,7 8,8 8,2 3,7 ‐2,3 ‐4,2 ‐9,5 0,5<br />

massimo ‐2,8 1,1 2,8 3,7 8,8 13,6 15,9 14,8 12,3 8,4 2,7 ‐1,9 5,9<br />

me<strong>di</strong>a ‐7,1 ‐6 ‐3,1 0,1 5,1 9,1 11,9 11,5 8,2 4,1 ‐1,3 ‐5,8 2,3<br />

Dev.<br />

Standard 2,4 2,9 2,7 1,8 2,1 1,7 1,6 1,7 2 1,9 1,5 2 1,3<br />

Trend da<br />

1959<br />

Trend da<br />

1980<br />

“0,07<br />

5<br />

“0,22<br />

6<br />

“0,05<br />

9<br />

“0,33<br />

5<br />

“0,07<br />

3<br />

“0,30<br />

2<br />

“0,02<br />

1<br />

“0,20<br />

1<br />

“0,04<br />

7<br />

“0,27<br />

6<br />

“0,02<br />

3<br />

“0,18<br />

9<br />

“0,04<br />

5<br />

“0,10<br />

2<br />

“0,06<br />

5<br />

“0,13<br />

8<br />

“‐<br />

0,03<br />

“‐<br />

0,01<br />

“0,01<br />

9<br />

“0,14<br />

0<br />

“0,01<br />

9<br />

“0,05<br />

7<br />

Fig. 13 – Regime delle Temperature dell'aria me<strong>di</strong>e mensili (°C) della stazione <strong>di</strong> Pian Palù<br />

“0,05<br />

7<br />

“0,08<br />

8<br />

“0,04<br />

8<br />

“0,18<br />

3<br />

169


Tab. 10 – Statistica delle delle Temperature dell'aria me<strong>di</strong>e mensili (°C) della stazione <strong>di</strong> Cogolo<br />

G F M A M G L A S O N D Anno<br />

N° osserv 28 28 28 28 28 29 29 29 29 29 29 29 27<br />

minimo ‐6,5 ‐4,8 ‐1,2 5 8,3 12,4 13,8 13,6 9,8 4,5 ‐0,7 ‐3,4 4,2<br />

massimo 3 3,4 6,1 9,2 13,8 16,6 19,3 18,5 16,8 11,7 5,2 4,1 10,6<br />

me<strong>di</strong>a ‐1 ‐0,1 2,7 6,6 10,7 14,1 16,4 15,7 13,1 8,8 3,3 0 7,5<br />

Dev.<br />

Standard 2,3 2 1,9 1,3 1,2 1,1 1,2 1,2 1,5 1,5 1,5 1,8 0,8<br />

Trend “0,04<br />

0<br />

“‐<br />

0,009<br />

“0,01<br />

6<br />

“‐<br />

0,001<br />

“0,01<br />

1<br />

“‐<br />

0,013<br />

“0,03<br />

7<br />

“‐<br />

0,002<br />

“0,01<br />

7<br />

“0,01<br />

9<br />

“0,04<br />

6<br />

“0,08<br />

2<br />

Fig. 14 – Regime delle Temperature dell'aria me<strong>di</strong>e mensili (°C) della stazione <strong>di</strong> Cogolo Pont<br />

“0,02<br />

4<br />

170


Tab. 11 – Statistica delle delle Temperature dell'aria me<strong>di</strong>e mensili (°C) della stazione <strong>di</strong> Pejo<br />

G F M A M G L A S O N D Anno<br />

N° osserv 63 63 63 63 63 63 63 63 63 63 63 63 63<br />

minimo ‐6,9 ‐7,8 ‐2,8 1,4 5,2 10,3 12,8 11,9 7,5 ‐0,1 0,2 ‐3,6 2,3<br />

massimo 3,6 3,7 6,4 9,4 13,9 16,3 18,9 18,5 16,7 12,1 5,9 5,9 11<br />

me<strong>di</strong>a ‐1,4 ‐0,4 2,1 5,4 9,5 13,2 15,5 15,2 12,5 8 3,1 ‐0,1 6,9<br />

Dev.<br />

Standard 2,2 2,2 2 1,8 1,7 1,5 1,4 1,3 1,8 2 1,3 1,8 0,6<br />

Trend “0,01<br />

4<br />

“‐<br />

0,021<br />

“0,01<br />

6<br />

“‐<br />

0,024<br />

“‐<br />

0,023<br />

“‐<br />

0,035<br />

“‐<br />

0,014<br />

“‐<br />

0,008<br />

“0,00<br />

6<br />

“0,02<br />

3<br />

“‐<br />

0,003<br />

Fig. 15 – Regime delle Temperature dell'aria me<strong>di</strong>e mensili (°C) della stazione <strong>di</strong> Pejo<br />

“0,02<br />

4<br />

“‐<br />

0,00<br />

5<br />

171


Tab. 12 – Statistica delle delle Temperature dell'aria me<strong>di</strong>e mensili (°C) della stazione <strong>di</strong><br />

Malgamare<br />

G F M A M G L A S O N D Anno<br />

N° osserv 14 14 13 14 14 15 14 16 15 13 13 12 9<br />

minimo ‐10,6 ‐9,2 ‐6,9 ‐1,5 2 6,7 8,2 8,6 4,2 ‐0,1 ‐4,2 ‐7,7 0,7<br />

massimo ‐1,4 ‐1 ‐0,3 2,9 8,1 10,5 13 13 10,4 8,6 1,9 0,1 3,7<br />

me<strong>di</strong>a ‐5,4 ‐4,6 ‐2,5 0,6 4,8 8,6 10,7 10,3 7,7 4,4 ‐1,3 ‐4,8 1,9<br />

Dev.<br />

Standard 2,4 2,4 1,9 1,3 1,5 1 1,4 1,3 1,9 2,6 1,7 2,1 1,1<br />

Trend “0,35 “0,11 “0,15 “0,04 “0,19 “0,08 “0,01<br />

8<br />

“0,19 “0,03 “0,5 “0,29 “0,34 “0,21<br />

Fig. 16– Regime delle Temperature dell'aria me<strong>di</strong>e mensili (°C) della stazione <strong>di</strong> Malgamare<br />

172


Tab. 13 – Statistica delle Temperature dell'aria me<strong>di</strong>e mensili (°C) della stazione <strong>di</strong> Careser Diga al<br />

1940<br />

G F M A M G L A S O N D Anno<br />

N° osserv 63 63 63 63 63 63 63 63 62 62 62 62 62<br />

minimo ‐13,8 ‐14,4 ‐11 ‐7,2 ‐3,4 0,6 4 3,1 0,3 ‐6,7 ‐9 ‐10,6 ‐3,1<br />

massimo ‐3,1 ‐1,4 ‐1,1 0,7 5,4 8,5 10,8 10,4 8,2 4,8 0,3 ‐2,9 1,1<br />

me<strong>di</strong>a ‐8 ‐7,8 ‐5,9 ‐3,3 1 4,5 7,3 7,1 4,5 0,9 ‐3,9 ‐6,7 ‐0,9<br />

Dev.<br />

Standard 2,4 2,4 2,4 1,8 1,7 1,6 1,6 1,6 1,8 1,9 1,8 2 0,9<br />

Trend dal<br />

1940<br />

Trend dal<br />

1980<br />

“0,05<br />

0<br />

“0,16<br />

5<br />

“0,02<br />

4<br />

“0,18<br />

0<br />

“0,00<br />

3<br />

“0,17<br />

3<br />

“0,02<br />

4<br />

“0,11<br />

3<br />

“0,01<br />

1<br />

“0,22<br />

0<br />

“0,00<br />

5<br />

“0,15<br />

4<br />

“0,01<br />

5<br />

“0,03<br />

5<br />

“0,02<br />

6<br />

“0,09<br />

4<br />

“‐<br />

0,013<br />

“‐<br />

0,085<br />

“0,02<br />

1<br />

“0,09<br />

5<br />

“0,01<br />

4<br />

“‐<br />

0,024<br />

“0,03<br />

3<br />

“0,03<br />

6<br />

Fig. 17 – Regime delle Temperature dell'aria me<strong>di</strong>e mensili (°C) della stazione <strong>di</strong> Careser Diga<br />

“0,01<br />

2<br />

“0,09<br />

3<br />

173


Tab. 14 – Matrice <strong>di</strong> correlazione delle Temperature dell'aria me<strong>di</strong>e mensili delle stazioni della<br />

Val <strong>di</strong> Pejo<br />

COGOLO 1<br />

COGOLO PIAN PALU' PEJO MALGAMARE CARESER<br />

PIAN PALU' “0,978 1<br />

PEJO “0,984 “0,986 1<br />

MALGAMAR<br />

E<br />

“0,983 “0,968 “0,975<br />

CARESER “0,972 “0,979 “0,958 “0,983 1<br />

Tab. 15 – Statistica del Gra<strong>di</strong>ente me<strong>di</strong>o della Temperatura dell'aria me<strong>di</strong>e mensili (°C/1000 m)<br />

G F M A M G L A S O N D Anno<br />

N° osserv 63 63 63 63 63 63 63 63 62 62 62 62 62<br />

minimo ‐13,8 ‐14,4 ‐11 ‐7,2 ‐3,4 0,6 4 3,1 0,3 ‐6,7 ‐9 ‐10,6 ‐3,1<br />

massimo ‐3,1 ‐1,4 ‐1,1 0,7 5,4 8,5 10,8 10,4 8,2 4,8 0,3 ‐2,9 1,1<br />

me<strong>di</strong>a ‐8 ‐7,8 ‐5,9 ‐3,3 1 4,5 7,3 7,1 4,5 0,9 ‐3,9 ‐6,7 ‐0,9<br />

Dev.<br />

Standard 2,4 2,4 2,4 1,8 1,7 1,6 1,6 1,6 1,8 1,9 1,8 2 0,9<br />

1<br />

174


Fig. 18 – Regime del Gra<strong>di</strong>ente altimetrico delle Temperature dell'aria me<strong>di</strong>e mensili (°C/1000 m)<br />

Il gra<strong>di</strong>ente verticale della temperatura dell'aria caratterizza il profilo climatico dell'intera valle. I<br />

valori mensili <strong>di</strong> questo parametro (°C/1000 m <strong>di</strong> elevazione) sono stati calcolati come me<strong>di</strong>a dei<br />

valori dei gra<strong>di</strong>enti calcolati tra le coppie <strong>di</strong> valori <strong>di</strong> temperatura della Stazione Careser Diga e <strong>di</strong><br />

ognuna delle altre quattro stazioni <strong>di</strong>sponibili.<br />

Il valore teorico del gra<strong>di</strong>ente in atmosfera libera <strong>di</strong>pende dall'umi<strong>di</strong>tà dell'aria e va da ‐9,8<br />

°C/1000 m per aria secca a qualsiasi temperatura (detto anche gradente a<strong>di</strong>abatico), a ‐6,4<br />

°C/1000 m per aria satura a 0°C a 1000 m <strong>di</strong> quota, a ‐5,2 °C/1000 m per aria satura a 10 °C,<br />

sempre 1000 m <strong>di</strong> quota; valori negativi più bassi in valore assoluto (o ad<strong>di</strong>rittura positivi) sono<br />

in<strong>di</strong>cativi <strong>di</strong> inversione termica.<br />

Nel caso della Val <strong>di</strong> Pejo abbiamo un valore me<strong>di</strong>o annuo <strong>di</strong> ‐6,0 °C/1000, i cui valori mensili<br />

oscillano tra ‐7,2 °C/1000 <strong>di</strong> maggio e ‐4,1 °C/1000 <strong>di</strong> gennaio, quest'ultimo in<strong>di</strong>cativo della<br />

presenza <strong>di</strong> inversioni termiche, che influenzano il valore minimo (che risulta positivo); <strong>di</strong><br />

conseguenza., i valori assoluti più bassi presentano <strong>di</strong>spersione più alta.<br />

Per quanto riguarda la tendenza evolutiva della temperatura, problema eclatante per le aree <strong>di</strong><br />

alta quota, questa assume un andamento preoccupante a partire dagli anni '80 (come già<br />

segnalato in precedenza da altri in<strong>di</strong>catori). Dall'analisi della serie storica <strong>di</strong> tutti i dati mensili <strong>di</strong><br />

Pejo (<strong>di</strong>sponibili dal 1926 al 1988) appare, all'interno <strong>di</strong> un andamento fluttuante, ancora un<br />

andamento generale debolmente negativo <strong>di</strong> ‐0,0024 °C/anno (Fig. 19).<br />

175


Fig. 19 – Serie storica delle Temperature dell'aria me<strong>di</strong>e mensili (°C) della stazione <strong>di</strong> Pejo<br />

Fig. 20 – Serie storica delle Temperature dell'aria me<strong>di</strong>e mensili (°C) della stazione <strong>di</strong> Careser Diga<br />

176


Analizzando invece le serie storiche delle stazioni <strong>di</strong> alta quota delle quali si <strong>di</strong>spone <strong>di</strong> dati<br />

aggiornati fino al 2002 (Pian Palù e Careser) si vede come il trend della serie <strong>di</strong> tutti i dati mensili<br />

della serie <strong>di</strong> Careser Diga dal 1940 all 2002 presenti un valore positivo pari a a 0,0016 °C/anno (<br />

Fig. 20 ), mentre restringendo l'analisi al periodo segnalato in precedenza (Fig. 21) si ottiene un<br />

valore <strong>di</strong> 0,111 °C/anno.<br />

L'analisi <strong>di</strong>saggregata <strong>di</strong> tutti i valori <strong>di</strong> ogni mese sull'intero periodo e sul periodo 1980‐2002 è<br />

rapresentato nei due grafici <strong>di</strong> Fig. 22 e Fig. 23. Si vede come il trend sia più forte nei perio<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

rscaldamento, con punte, nel mese <strong>di</strong> maggio <strong>di</strong> 0,22 °C/anno. In pratica si tratta <strong>di</strong><br />

un'amplificazione del trend che va ad incrementare in maniera più sensibile le temperature<br />

primaverili, mantenendo stazionarie solo quelle <strong>di</strong> settembre Fig. 24.<br />

Fig. 21 – Serie storica delle Temperature dell'aria me<strong>di</strong>e mensili (°C) della stazione <strong>di</strong> Careser Diga<br />

(1980‐2002)<br />

Fig. 22 – Serie storica delle Temperature dell'aria me<strong>di</strong>e mensili (°C) dei mese <strong>di</strong> maggio (1980‐<br />

2002) della stazione <strong>di</strong> Careser Diga<br />

177


Fig. 23 – Distribuzione annuale del trend delle Temperature dell'aria me<strong>di</strong>e<br />

delle stazioni <strong>di</strong> Pian Palù e Careser Diga su tutto il periodo <strong>di</strong>sponibile<br />

Fig. 24 – Distribuzione annuale del trend delle Temperature dell'aria me<strong>di</strong>e<br />

delle stazioni <strong>di</strong> Pian Palù e Careser Diga dal 1980 al 2002<br />

178


Altezza neve al suolo<br />

La registrazione dell'altezza del manto nevoso è <strong>di</strong>sponibile solo per le due stazioni gestite dal<br />

personale dell'azienda elettrica che presi<strong>di</strong>avano con continuità i due impianti idroelettrici della<br />

valle, e precisamente Pian Palù e Careser. I valori giornalieri <strong>di</strong> altezza del manto nevoso, pur<br />

rilevati dagli osservatori, non venivano riportati sugli Annali del Servizio Idrografico.<br />

Gli andamenti delle due serie storiche dei valori massimi mensili dell'altezza del manto nevoso<br />

sono riportati nei grafici delle Figure 25 e 26; pur evidenziando il caratteristico andamento<br />

fluttuante dei picchi annuali, che è stato verificato oscillare in fase con i minimi del numero delle<br />

macchie solari (Sun Spot Index SSI), si evidenzia nettamente la tendenza alla riduzione degli<br />

spessori del manto nevoso.<br />

Nelle tabelle 16 e 17 sono riportate le statistiche dei valori massimi mensili dell'altezza del manto<br />

nevoso, mentre nelle Fig. 27 e 28 vengono evidenziati i grafici relativi.<br />

Fig. 25 – Serie storica dell'Altezza massima mensile del manto nevoso al suolo (cm)<br />

della stazione <strong>di</strong> Pian Palù<br />

179


Fig. 26 – Serie storica dell'Altezza massima mensile del manto nevoso al suolo (cm)<br />

della stazione <strong>di</strong> Careser Diga<br />

Tab. 16 – Statistica dei valori Massimi mensili dell'Altezza della neve al suolo (cm) misurati alla<br />

Stazione <strong>di</strong> Pian Palù<br />

G F M A M G L A S O N D Anno<br />

N° osserv 44 44 44 44 44 44 44 44 44 44 44 44 44<br />

minimo 0 0 0 0 38 40 15 0 0 0 0 0 54<br />

massimo 180 148 244 250 280 280 210 164 33 0 0 18 280<br />

me<strong>di</strong>a 16 56 88 111 123 131 113 46 2 0 0 1 157<br />

Me<strong>di</strong>a+Dev.<br />

St. 39 93 138 168 179 184 163 90 8 0 0 4 206<br />

Me<strong>di</strong>a‐Dev.<br />

St. 0 19 37 55 67 78 0 0 0 0 0 0 108<br />

180


Fig. 27 – Regime dell'altezza del manto nevoso misurato a Pian Palù ( m)<br />

Tab. 17 – Statistica dei valori Massimi mensili dell'Altezza della neve al suolo (cm) misurati alla<br />

Stazione <strong>di</strong> Careser Diga<br />

G F M A M G L A S O N D Anno<br />

N° osserv 67 67 67 67 67 67 67 67 67 67 67 67 67<br />

minimo 5 32 42 56 35 0 0 0 0 0 6 9 97<br />

massimo 390 568 478 432 354 310 132 30 54 114 260 390 568<br />

me<strong>di</strong>a 146 166 182 195 165 76 10 3 7 36 91 122 240<br />

Me<strong>di</strong>a+Dev.<br />

St. 223 255 275 289 247 147 34 9 18 66 148 192 331<br />

Me<strong>di</strong>a‐Dev.<br />

St. 69 77 89 101 82 5 0 0 0 7 34 52 150<br />

181


Fig. 28 – Regime dell'altezza del manto nevoso misurato a Careser Diga ( m)<br />

Stato del cielo e ra<strong>di</strong>azione solare<br />

Il flusso <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>azione solare è il termine principale del bilancio energetico, termine che va a<br />

compensare il calore latente <strong>di</strong> fusione della neve o del ghiaccio, e che quin<strong>di</strong> pilota <strong>di</strong>rettamente<br />

quella parte <strong>di</strong> apporti che caratterizza il regime idrico; in un bacino caratterizzato da un regime<br />

rigorosamente pluviale il flusso <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>azione viene invece totalmente in<strong>di</strong>rizzato all'evaporazione<br />

ed all'evapotraspirazione, incrementando invece le per<strong>di</strong>te.<br />

Nonostante l'evidente importanza della misura <strong>di</strong> questa grandezza fisica, queste attività sono<br />

state nel passato molto rare, soprattutto in ambiente <strong>di</strong> alta quota, anche per l'oggettiva <strong>di</strong>fficoltà<br />

<strong>di</strong> gestire gli strumenti a registrazione su carta. Comunque nel passato era pratica corrente<br />

riportare sui bollettini <strong>di</strong> osservazione meteorologica la valutazione dello stato del cielo espresso<br />

come frazione della copertura del cielo (in 8/8 oppure in 10/10), anche se questi dati non venivano<br />

poi riportati sugli Annali.<br />

Sono stati recuperati i valori <strong>di</strong> Copertura del cielo osservati nella stazione <strong>di</strong> Careser Diga dal<br />

1977 al 2002; i valori osservati dal 1998 in avanti <strong>di</strong>mostrano però un andamento inspiegabile e<br />

non in linea con i dati precedenti, per cui sono stati scartati. Le statistiche dei valori me<strong>di</strong> mensili<br />

della copertura del cielo sono riportate nelle tabelle 18 e nella Fig 29.<br />

182


Tab. 18 – Statistica dei valori mensili della Copertura del Cielo (10/10) osservati<br />

alla Stazione <strong>di</strong> Careser Diga<br />

G F M A M G L A S O N D Anno<br />

N° osserv 21 21 21 21 21 21 21 21 21 21 21 21 21<br />

minimo 0,06 0,17 0,23 0,21 0,27 0,17 0,12 0,13 0,1 0,16 0,18 0,21 0,28<br />

massimo ‐0,77 0,72 0,69 0,76 0,84 0,72 0,6 0,69 0,61 0,61 0,6 0,69 0,62<br />

me<strong>di</strong>a 0,4 0,35 0,41 0,47 0,46 0,4 0,32 0,33 0,36 0,37 0,36 0,37 0,38<br />

Me<strong>di</strong>a+Dev.<br />

St. 0,59 0,5 0,56 0,62 0,61 0,55 0,47 0,47 0,5 0,51 0,48 0,51<br />

Me<strong>di</strong>a‐Dev.<br />

St. 0,21 0,19 0,26 0,32 0,31 0,25 0,17 0,18 0,21 0,23 0,23 0,23<br />

In Fig. 30 viene riportata la serie storica dei valori me<strong>di</strong> mensili della copertura del cielo; appare<br />

evidente come nel periodo dal 1977 al 1980 si verifichi una riduzione della copertura del cielo sia<br />

nei valori massimi annuali (che si verificano solitamente nei mesi tardo primaverili) sia nei valori<br />

me<strong>di</strong>, e che successivamente questa tendenza si sia stabilizzata. Ciò sarebbe, in qualche modo, in<br />

relazione con quanto osservato in precedenza circa la <strong>di</strong>scontinuità climatica osservata in questo<br />

periodo.<br />

Fortunatamente, a Diga Careser venne installato, in data imprecisata, un eliofanografo, strumento<br />

che misura le Ore <strong>di</strong> Insolazione giornaliera (quantità detta anche Soleggiamento), del quale sono<br />

<strong>di</strong>sponibili le misure dal 1975, con qualche interruzione perchè la lettura dei <strong>di</strong>agrammi <strong>di</strong> questo<br />

strumento è un po' <strong>di</strong>fficoltosa. Questo strumento, infatti si basa sul principio degli specchi ustori<br />

la cui applicazione risale ai tempi <strong>di</strong> Archimede, e la ra<strong>di</strong>azione solare viene concentrata da una<br />

sfera <strong>di</strong> cristallo rifrangente sopra una strisciolina <strong>di</strong> carta graduata sulla quali si proietta la<br />

traiettoria del sole; quando il sole non è velato dalle nubi, la proiezione della traiettoria riesce a<br />

bruciare la carta; il valore <strong>di</strong> soglia del flusso energetico che riesce a bruciare la carta è <strong>di</strong> 200<br />

W/m 2 .<br />

La statistica dei valori me<strong>di</strong> mensili delle ore <strong>di</strong> Soleggiamento è riportata in tab. 19 ed il regime<br />

me<strong>di</strong>o mensile è rappresentato nel garfico <strong>di</strong> Fig. 31.<br />

La serie <strong>di</strong> questi valori copre, in gran parte, la serie storica delle osservazioni della copertura del<br />

cielo, e il grafico della serie storica (Fig. 32) permette <strong>di</strong> verificare che nel periodo dal 1976 al<br />

1980 si sia verificato un apprezzabile incremento delle ore <strong>di</strong> insolazione, soprattutto nei mesi<br />

estivi.<br />

183


Fig. 29 – Regime dei valori mensili della Copertura del Cielo (10/10) osservati a Careser Diga<br />

Fig. 30 – Serie storica dei valori me<strong>di</strong> mensili della Copertura del cielo ( 10/10)<br />

osservata a Careser Diga<br />

184


Tra la fine del 1990 operò presso la stazione <strong>di</strong>i Careser Diga uno strumento a registrazione su<br />

carta per la misura della ra<strong>di</strong>azione solare incidente (piranografo) installato con lo scopo <strong>di</strong><br />

utilizzare le misure <strong>di</strong> questa grandezza per ricercare una relazione statistica fisicamente basata<br />

tra le ore <strong>di</strong> insolazione ed il flusso <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>azione solare.<br />

Il funzionamento <strong>di</strong> questo strumento non fu facile, andarono perdute anche delle registrazioni,<br />

inoltre il sito, che doveva essere molto vicino all'e<strong>di</strong>ficio dei guar<strong>di</strong>ani della <strong>di</strong>ga, non era<br />

favorevole a questo scopo perchè per lunghi perio<strong>di</strong> invernali veniva a trovarsi nel cono d'ombra<br />

della cresta rocciosa sovrastante il sito.<br />

Contemporaneamente era installato il solarimetro della stazione meteonivometrica ad<br />

acquisizione automatica che ha funzionato dalla fine del 1990 alla primavera del 1998 sul<br />

ghiacciaio, a quota 3090 con un orizzonte aperto verso la traiettoria solare.<br />

La scarsità <strong>di</strong> misure ottenute dal piranografoo non consente <strong>di</strong> eseguire l'analisi statistica dei<br />

valori mensili, che può, invece essere fatta per i dati acquisiti dalla stazione meteonivometrica <strong>di</strong><br />

Careser Ghiacciaio (Tab. 20 e Fig. 33). Il plottaggio delle serie storiche dei valori mensili delle due<br />

registrazioni è riportata in Fig. 34. Da questo grafico si nota un trend crescente dei valori <strong>di</strong><br />

ra<strong>di</strong>azione solare incidente dei mesi estivi.<br />

Tab. 19 – Statistica dei valori mensili delle ore <strong>di</strong> Soleggiamento osservati<br />

alla Stazione <strong>di</strong> Careser Diga<br />

G F M A M G L A S O N D Anno<br />

N° osserv 20 20 20 21 21 21 21 21 21 21 21 21 21<br />

minimo<br />

massimo 180,1<br />

1<br />

me<strong>di</strong>a 105,6<br />

9<br />

Me<strong>di</strong>a+Dev.<br />

St.<br />

73,6 64,96 83,08 64,5 71,61 123,3<br />

130,9<br />

2<br />

154,2<br />

8 182,9 225,3<br />

107,3<br />

7<br />

Me<strong>di</strong>a‐Dev.<br />

St. 80,47 84,7<br />

130,0<br />

3 164,7<br />

135,6<br />

6 158 165,6<br />

106,6<br />

1<br />

200,6<br />

9<br />

115,3<br />

1<br />

241,4<br />

9 264,6<br />

208,1<br />

4<br />

123,0<br />

6<br />

201,6<br />

7<br />

238,9<br />

2<br />

164,4<br />

2<br />

173,2<br />

9<br />

132,9<br />

9 95,7 60,14 73,8 57,04<br />

311,8<br />

6 275,9 218,7 179,8 161,7<br />

240,3<br />

4<br />

272,1<br />

3<br />

208,5<br />

4<br />

206,9<br />

2<br />

251,3<br />

7<br />

158,8<br />

4<br />

193,9<br />

8<br />

123,6<br />

9<br />

158,2<br />

5<br />

104,3<br />

6<br />

129,6<br />

1<br />

128,9<br />

6<br />

100,0<br />

7<br />

118,2<br />

4<br />

162,4<br />

7 123,7 89,13 79,11 81,9<br />

1333<br />

,4<br />

2526<br />

,6<br />

1791<br />

,6<br />

185


Fig. 31 – Regime dei valori mensili delle Ore <strong>di</strong> Soleggiamento osservate a Careser Diga<br />

Fig. 32 – Serie storica dei valori me<strong>di</strong> mensili delle Ore Soleggiamento osservati a Careser Diga<br />

186


Tab. 20 – Statistica dei valori mensili del Flusso <strong>di</strong> Ra<strong>di</strong>azione Solare Globale Incidente kJ/m 2 /g<br />

misurata alla Stazione meteonivometrica <strong>di</strong> Careser Ghiacciaio<br />

G F M A M G L A S O N D Anno<br />

N° osserv 7 7 7 8 7 8 7 7 6 7 8 7 8<br />

minimo<br />

massimo<br />

me<strong>di</strong>a<br />

6340<br />

9770<br />

7780<br />

Me<strong>di</strong>a+Dev.<br />

St. 8950<br />

Me<strong>di</strong>a‐Dev.<br />

St. 6600<br />

1030<br />

0<br />

1618<br />

0<br />

1238<br />

0<br />

1457<br />

0<br />

1019<br />

0<br />

1464<br />

5<br />

2045<br />

0<br />

1784<br />

0<br />

1991<br />

0<br />

1577<br />

0<br />

1872<br />

0<br />

2571<br />

0<br />

2089<br />

0<br />

2088<br />

0<br />

2766<br />

0<br />

2213<br />

0<br />

0 2931<br />

0<br />

1850<br />

0<br />

1496<br />

0<br />

2077<br />

0<br />

2570<br />

0<br />

2421<br />

0<br />

2589<br />

0<br />

2254<br />

0<br />

2159<br />

0<br />

2293<br />

0<br />

2234<br />

0<br />

2286<br />

0<br />

2183<br />

0<br />

1595<br />

0<br />

2094<br />

0<br />

1819<br />

0<br />

2041<br />

0<br />

1597<br />

0<br />

1263<br />

0 9670 2990 5490 1140<br />

1929<br />

0<br />

1553<br />

0<br />

1838<br />

0<br />

1554<br />

0 9240 7070<br />

1234<br />

0 6820 6250<br />

1483<br />

0 8730 6870<br />

1268<br />

0 9850 4910 5630<br />

Fig. 33 – Regime dei valori mensili del Flusso <strong>di</strong> Ra<strong>di</strong>azione Solare Globale Incidente<br />

osservati alla Stazione Meteonivometrica <strong>di</strong> Careser Ghiacciaio<br />

1790<br />

0<br />

1532<br />

0<br />

187


Fig. 34 – Serie storica dei valori me<strong>di</strong> mensili delle Ore Soleggiamento osservati a Careser Diga<br />

Climogrammi<br />

La climatologia si avvale <strong>di</strong> grafici illustrativi dell'andamento <strong>di</strong> uno o più elementi climatici nel<br />

corso dell'anno; in particolare il regime annuo della temperatura dell'aria e delle precipitazioni<br />

vengono spesso associati, non perchè esista una relazione funzionale tra <strong>di</strong> essi, ma per il fatto che<br />

le loro combinazioni sono state assunte a fondamento <strong>di</strong> classificazioni sintetiche.<br />

Il climogramma più semplice è quello costruito con i valori me<strong>di</strong> mensili delle Precipitazioni e delle<br />

Temperature me<strong>di</strong>e (detto, appunto P/T), realizzando un <strong>di</strong>agramma ciclico. Dall'esame della<br />

forma ciclica che si ottiene si può ottenere una classificazione del tipo <strong>di</strong> clima.<br />

Con riferimento a quanto detto in precedenza, nel climogramma <strong>di</strong> Pian Palù si ha la conferma<br />

della continentalità del clima (un solo massimo <strong>di</strong> precipirazioni ed un solo massimo <strong>di</strong><br />

temperatura). La larghezza <strong>di</strong> questa figura <strong>di</strong>pende dalla <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> temperatura tra il ciclo <strong>di</strong><br />

riscaldamento ed il ciclo <strong>di</strong> raffreddamento (primavera più fredda dell'autunno); inoltre la<br />

stagione estiva presenta una specie <strong>di</strong> “impennata della temperatura” probabilmente perchè il<br />

sito è nel cono d'ombra <strong>di</strong> qualche rilievo e nel periodo estivo è più esposto alla ra<strong>di</strong>azione solare.<br />

Le altre tre stazioni <strong>di</strong> Cogolo, Pejo e Malgamare presentano caratteristiche affini, conservano la<br />

caratteristica “impennata” della temperatura, ma evidenziano dei “cappi”, ciascuno dei quali<br />

corrisponde ad un massimo relativo delle precipitazioni, in pratica settembre è più arido <strong>di</strong><br />

maggio.<br />

Il climogramma della stazione <strong>di</strong> Careser Diga evidenzia una sostanziale linearità del ciclo <strong>di</strong><br />

raffreddamento‐riscaldamento (da novembre ad aprile), nel corso del quale sussiste la seguente<br />

relazione tra le temperature (TPM) e le pioggie mensili (PG):<br />

188


TPM = 0,1059 PG – 11,855 (R 2 = 0,992)<br />

Per il resto, il climogramma della stazione <strong>di</strong> Careser Diga conserva la forma con due cappi.<br />

Fig. 35 – Climogramma P/T relativo alla stazione <strong>di</strong> Pian Palù<br />

Fig. 36 – Climogramma P/T relativo alla stazione <strong>di</strong> Cogolo Pont<br />

189


I<br />

Fig. 37 – Climogramma P/T relativo alla stazione <strong>di</strong> Pejo<br />

Fig. 38 – Climogramma P/T relativo alla stazione <strong>di</strong> Malgamare<br />

190


Fig. 39 – Climogramma P/T relativo alla stazione <strong>di</strong> Careser Diga<br />

191


Elaborazioni <strong>di</strong> dati topografici e cartografici finalizzate alla ricostruzione delle estensioni e dei<br />

volumi dei ghiacciai della Valle della Mare.<br />

Variazioni areali. Materali e meto<strong>di</strong><br />

La cartografia più aggiornata dell'area della Valle della Mare è quella della Carta Tecnica della<br />

Provincia Autonoma <strong>di</strong> Trento in scala 1:10.000, <strong>di</strong>sponibile anche in formato <strong>di</strong>gitale e le relative<br />

ortofotocarte basate su un volo del 1983, restituite in coor<strong>di</strong>nate Gauss‐Boaga, cartografia che è<br />

stata acquisita per servire da base alle elaborazioni cartografiche.<br />

I ghiacciai della Valle della Mare, e, particolarmente il Ghiacciaio Caresèr, sono stati oggetto <strong>di</strong><br />

stu<strong>di</strong> glaciologici corredati da rilievi topografici e cartografici sin dall'inizio degli anni '20, da<br />

quando cioè è stato possibile accedervi con facilità per la presenza delle infrastrutture del cantiere<br />

per la costruzione dell'impianto idroelettrico. Parte <strong>di</strong> questi risultati sono stati pubblicati, altri,<br />

ancora su fogli <strong>di</strong> campagna sono stati <strong>di</strong>spersi; nel corso della ricerca sono state raccolte queste<br />

informazioni, e si hanno ragioni per credere, sulla base anche <strong>di</strong> controlli incrociato tra le varie<br />

fonti, che sia stato raccolto tutto quanto è stato prodotto antecedentemente al 1998.<br />

Per il periodo antecedente sono <strong>di</strong>sponibili molti rilievi cartografici, la maggior parte dei quali non<br />

presenta le con<strong>di</strong>zioni essenziali <strong>di</strong> conformità per essere utilizzabili per scopi glaciologici.<br />

Dei restanti, pochi presentano informazioni originali, perchè i rilievi venivano utilizzati per più<br />

e<strong>di</strong>zioni. Come risultato, sono stati prese in considerazione le seguenti cartografie storiche,<br />

ritenute più rappresentative dell'evoluzione glaciale della econda metà del XIX secolo:<br />

Originalkarte der Südlichen Ortler‐Alpen realizzata da Julius Payer in scala 1:56.000 ed allegata<br />

al volume "Die Südlichen Ortler‐Alpen" [Payer, 1869] basata su campagne <strong>di</strong> rilievi ed osservazioni<br />

del 1867.<br />

Spezialkarte K. und k. Militär Geographysches Institut Wien, Bormio und Passo del Tonale ‐<br />

Zone 20 Kol. III in scala 1:75.000 ritagliata e montata su tela <strong>di</strong> cotone. La carta è stata e<strong>di</strong>ta<br />

nell'anno 1876, e quin<strong>di</strong> i rilievi sono databili ad uno‐due anni prima.<br />

Spezialkarte der Ortler Gruppe e<strong>di</strong>ta dal Club Alpino Austro‐Tedesco in allegato allo Zeitschrift<br />

des Deutsches und Österreiches Alpenvereins del 1891 Band 22. Scala 1:50.000. I rilievi<br />

probabilmente si riferiscono a qualche anno prima.<br />

Queste carte sono, storicamente, le prime ad essere, in qualche modo, conformi alla realtà, ma<br />

non sono georeferenziate e non contengono curve <strong>di</strong> livello; l'altimetria è rappresentata al tratto<br />

con il metodo detto "a luce zenitale". Le informazioni contenute nella citata opera del Payer<br />

riferiscono che la base cartografica è data dalla linea Corno Vioz ‐ Cima Ganani (della lunghezza<br />

proiettata sull'orizzontale <strong>di</strong> 2587 Klafter, pari a circa 4905 m) e da 59 punti topografici, alcuni dei<br />

quali <strong>di</strong> riferimento per le tavole catastali. Le due carte successive si basano, probabilmente, sullo<br />

stesso sistema, con la <strong>di</strong>fferenza che la carta militare ha invece la scala geografica con l'origine<br />

delle longitu<strong>di</strong>ni sul meri<strong>di</strong>ano dell'Isola del Ferro. L'esecuzione della cartografia, come previsto<br />

dalla tecnica del tempo, si basava sul tracciamento della linea <strong>di</strong> base e dei punti topografici.<br />

Successivamente da ogni caposaldo topografico venivano fatte una serie <strong>di</strong> trangolazioni sulle<br />

cime e sugli oggetti visibili; questi angoli venivano poi riportati sulla carta e l'intersezioni <strong>di</strong> due o<br />

più angoli consentiva <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare i punti sulla carta. Il riempimento con i particolari veniva fatto<br />

con una serie <strong>di</strong> rilevi a tavoletta che venivano poi assemblati a mosaico.<br />

L'elaborazione è stata fatta partendo dalle scansioni delle carte, le cui immagini sono state<br />

georeferenziate in ambiente CAD con origine sul punto trigonometrico della cima del Monte<br />

Cevedale (caposaldo ancora in uso). Le immagini sono state poi registrate sugli altri punti più<br />

prossimi utilizzando solo rototraslazioni e trasformazioni <strong>di</strong> scala. Il risultato ottenuto è<br />

192


sod<strong>di</strong>sfacente per quanto riguarda la collimazione dei punti trigonometrici, la <strong>di</strong>screpanza sui punti<br />

è comunque dell'or<strong>di</strong>ne delle decine <strong>di</strong> metri.<br />

All'analisi successiva è apparso che alcuni particolari della forma dei giacciai erano incongruenti<br />

con la realtà. Si è quin<strong>di</strong> proceduto ad una "ricostruzione" della situazione glaciale rappresentata<br />

nella carta, spezzando le linee <strong>di</strong> confine del ghiacciaio e localizzandone i singoli pezzi in modo da<br />

renderli compatibili con la cartografia <strong>di</strong>gitale, con l'interpretazione dell'ortofoto e con le quote<br />

della fronte che sono riportate sulla carta.<br />

Sono state poi ricuperate le restituzioni cartografiche <strong>di</strong> dettaglio dei rilievi fotogrammetrici<br />

terrestri o aerei effettuati sul Ghiacciaio del Careser, come segue:<br />

rilievo fotogrammetrico terrestre del 1933 eseguito in scala 1:5000 dall'I.G.M. per conto<br />

dell'UIMA; questo rilievo, del quale è andato perduto l'originale, è stato recuperato dalla<br />

pubblicazione 132 [Desio & Di Pisa, 1934] alla quale è allegata una copia in scala ridotta 1:8333.<br />

Questa carta, oltre ai caposal<strong>di</strong> UIMA, contiene anche i caposal<strong>di</strong> <strong>di</strong> misura degli spostamenti<br />

frontali posizionati da A. Desio.<br />

rilievo fotogrammetrico terrestre del 1958 eseguito in scala 1:5000 dalla <strong>di</strong>tta Leopoldo Carra<br />

per conto dell’Ufficio Idrografico del Magistrato alle Acque.<br />

rilievo aerofotogrammetrico del 1964, effettuato dall'EIRA e restituito in scala 1:5000 per conto<br />

dell’Ufficio Idrografico della Provincia Autonoma <strong>di</strong> Trento; questo rilievo era ancora ine<strong>di</strong>to e<br />

l'utilizzo è stato autorizzato dall'Ufficio Idrografico per l'ambito <strong>di</strong> questo progetto .<br />

rilievo aerofotogrammetrico del 1967 eseguito in scala 1:5000 dalla <strong>di</strong>tta IRTA nell'ambito della<br />

collaborazione tra Comitato Glaciologico Italiano ed ENEL [Giada & Zanon, 1985].<br />

rilievo aerofotogrammetrico del 1970 restituito in scala 1:5000 alla <strong>di</strong>tta IRTA nell'ambito della<br />

collaborazione tra Comitato Glaciologico Italiano ed ENEL [Giada & Zanon, 1995]].<br />

rilievo aerofotogrammetrico del 1973 restituito in scala 1:5000 per conto dell’Ufficio Idrografico<br />

della Provincia Autonoma <strong>di</strong> Trento; questo rilievo era ancora ine<strong>di</strong>to e l'utilizzo è stato autorizzato<br />

dall'Ufficio Idrografico per l'ambito <strong>di</strong> questo progetto.<br />

rilievo aerofotogrammetrico del 1980 restituito in scala 1:5000 dallo Stu<strong>di</strong>o SCM nell'ambito<br />

della collaborazione tra Comitato Glaciologico Italiano ed ENEL [Giada & Zanon, 1995]].<br />

rilievo aerofotogrammetrico del 1983 restituito in scala 1:5000 per conto dell’Ufficio Idrografico<br />

della Provincia Autonoma <strong>di</strong> Trento; questo rilievo era ancora ine<strong>di</strong>to e l'utilizzo è stato autorizzato<br />

dall'Ufficio Idrografico per l'ambito <strong>di</strong> questo progetto.<br />

rilievo aerofotogrammetrico del 1990 restituito in scala 1:5000 dallo Stu<strong>di</strong>o SCM nell'ambito<br />

della collaborazione tra Comitato Glaciologico Italiano ed ENEL [Giada & Zanon, 1995]].<br />

Questi rilievi cartografici sono riferiti ad un sistema locale (che per brevità verrà in<strong>di</strong>cato nel<br />

seguito con la sigla UIMA) espresso in coor<strong>di</strong>nate metriche con origine sul Piz Cavajon ed orientato<br />

con l'asse Y verso Cima Campisol (orientamento approssivamente <strong>di</strong>retto verso Nord). Le<br />

restituzioni sono state eseguite sulla base <strong>di</strong> una rete <strong>di</strong> 24 caposal<strong>di</strong> georeferenziati nel sistema<br />

locale con coor<strong>di</strong>ante planoaltimetriche (che in seguito chiameremo caposal<strong>di</strong> UIMA). Parte <strong>di</strong><br />

questi caposal<strong>di</strong> coincide con alcuni punti catastali del già citato catasto austriaco.<br />

Inizialmente si era previsto <strong>di</strong> trasferire questi rilievi nel sistema <strong>di</strong> riferimento nazionale<br />

(coor<strong>di</strong>nate metriche Gauss Boaga); in considerazione del fatto che i singoli rilievi cartografici<br />

sono, <strong>di</strong> volta in volta, appoggiati a un numero variabile <strong>di</strong> caposal<strong>di</strong> UIMA, questa operazione<br />

avrebbe dovuto essere fatta georeferenziando tutti i caposal<strong>di</strong> UIMA nel sistema Gauss‐Boaga<br />

(con un rilievo topografico oppure me<strong>di</strong>ante un rilievo GPS) e registrando ogni singola carta sulla<br />

base dei caposal<strong>di</strong> in essa riportati.<br />

193


In mancanza della <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> risorse per il rilievo <strong>di</strong> campagna la precisione del risultato<br />

dell'operazione <strong>di</strong> trasferimento dei rilievi cartografici nel sistema Gauss‐Boaga basata solo sulla<br />

sovrapposizione dei punti omologhi, considerate anche alcune incertezze sulle quote, sarebbe<br />

stato impreve<strong>di</strong>bile, e quin<strong>di</strong> si è deciso <strong>di</strong> effettuare le registrazioni <strong>di</strong> tutti i rilievi cartografici del<br />

ghiacciaio Careser nel sistema UIMA.<br />

Il valore dei parametri <strong>di</strong> rototraslazione del Rilievo UIMA verso quello Gauss‐Boaga nel piano<br />

orizzontale, in prima approssimazione, risulterebbero:<br />

Coor<strong>di</strong>nate GB dell'origine (cima Cavajon): 1632377. Est; 5142012. Nord; 3212. quota<br />

Rotazione 358.7°<br />

Fattore <strong>di</strong> Scala 1.001<br />

Del Ghiacciaio de la Mare è <strong>di</strong>sponibile invece un solo un rilievo cartografico <strong>di</strong> dettaglio, che è<br />

quello aerofotogrammetrico del 1990 restituito in scala 1:5000 dallo Stu<strong>di</strong>o SCM, nell'ambito<br />

dello stesso progetto <strong>di</strong> quello del Careser. Esiste inoltre una rappresentazione dei limiti del<br />

ghiacciaio databile tra il 1958 e il 1962 su tavoletta IGM pubblicata sul Catasto dei Ghiacciai<br />

Italiani[AA.VV,1962] Quest’ultima fonte però presenta <strong>di</strong>verse contrad<strong>di</strong>zioni con i dati precedenti<br />

ed anche con la cartografia più recente, sia per quanto riguarda le quote che per l’estensione. In<br />

fase <strong>di</strong> elaborazione si è proceduto ad una ricostruzione della situazione rappresentata<br />

rettificando i limiti della fronte alla quota riportata come misurata all'epoca del sopralluogo.<br />

Per quanto riguarda il recupero delle informazioni topografiche relative alla <strong>di</strong>namica della<br />

lingua glaciale del Ghiacciaio Careser, sono stati raccolti e scannerizzati i seguenti rilievi:<br />

tavola riassuntiva contenente le restituzioni dei rilievi celerimetrici eseguiti tra il 1925 ed il 1952<br />

dal prof. A. Desio, dai topografi della S.G.E.T. (Società Generale Elettrica Trentina) e dai topografi<br />

dell'U.I.M.A., carta <strong>di</strong>vulgata in riproduzione dall'U.I.M.A. <strong>di</strong> Venezia<br />

tavolette <strong>di</strong> campagna contenenti i rilievi sul limite della fronte glaciale negli anni dal 1952 al<br />

1962 presumibilmente eseguite dai topografi dell'U.I.M.A. e successivamente cedute all'ENEL<br />

C.R.I.S. quando questo Centro Ricerche riprese le indagini sul ghiacciaio Careser nell 1967 in<br />

collaborazione con il Comitato Glaciologico Italiano.<br />

Per quanto riguarda il recupero delle informazioni topografiche relative alla <strong>di</strong>namica della<br />

lingua glaciale del Ghiacciaio de la Mare, sono stati raccolti e scannerizzati i seguenti rilievi:<br />

rilievo celerimetrici fatto dal prof. A. Desio nel 1925 (e pubblicato sulla monografia dei ghiacciai<br />

dell'Ortles‐Cevedale);<br />

rilievo celerimetrico fatto dai tecnici dell’UIMA nel 1952 (del quale ne parla anche il prof.<br />

Albertini nelle Sue relazioni glaciologiche);<br />

ricostruzione delle posizioni della lingua realizzata sulla base delle evidenze geomorfologiche<br />

dai ricercatori del Gruppo Nazionale Geografia Fisica e Geomorfologia del C.N.R. che hanno<br />

partecipato ad uno stage <strong>di</strong> ricerca sul sito negli anni 1982 e 1983, e che è stata pubblicata su un<br />

lavoro monografico sulla Valle della Mare [AA.VV,1987]<br />

Le varie cartografie sono state rasterizzate me<strong>di</strong>ante scanner e le immagini sono state<br />

georeferenziate nei rispettivi sistemi in ambiente AUTOCAD sovrapponendo l’immagine in overlay.<br />

Sono stati quin<strong>di</strong> vettorializzati i vari tematismi, quali i limiti glaciali, le curve <strong>di</strong> livello sia su<br />

ghiaccio che su roccia, l’idrografia, i punti topografici, gli eventuali segnali <strong>di</strong> misura degli<br />

spostamenti delle fronti, ed altro.<br />

Queste informazioni sono state rese sovrapponibili e sono confrontabili con le evidenze sul<br />

terreno per eventuali ricostruzioni delle posizioni raggiunte dai limiti glaciali alle varie date.<br />

194


Variazioni areali ‐ Risultati<br />

I risultati ottenuti permettono, innanzitutto <strong>di</strong> determinare la velocità <strong>di</strong> riduzione areale dei<br />

ghiacciai esaminati, a partire da un riferimento prossimo alla massima espansione della PEG<br />

(Piccola Età Glaciale) costituito dalla cartografia del Payer, che viene datata 1867.<br />

A quella data il ghiacciaio del Careser arrivava a lambire la piana, ora occupata dal serbatoio<br />

idroelettrico, fino a quota 8154 pie<strong>di</strong> viennesi (w.f.) pari a 2577 m, quota mantenuta per almeno<br />

un ventennio, come risulta dal rilievo della carta militare del 1876 e dall'opera <strong>di</strong> Richter [Richter,<br />

1888]. Al rilievo successivo, databile a pochi anni dopo, il ghiacciaio risulta fortemente arretrato,<br />

con la fronte bifida per effetto dell'affioramento del un roccione montonato rituato nei pressi<br />

dell'attuale stazione idrometrica (Fig. 40).<br />

Le stime delle estensioni glaciali nel primo periodo <strong>di</strong> osservazioni, effettuato attraverso la<br />

ricostruzione dell'estensione glaciale ed il calcolo me<strong>di</strong>ante GIS presentano notevoli <strong>di</strong>screpanze<br />

con le stime originali degli autori, stime che hanno sempre costituito un problema, perchè affette<br />

da errori <strong>di</strong> definizione dei confini <strong>di</strong> bacino (problemi rimossi dallo scoprimento delle creste<br />

rocciose per effetto del ritiro) e da errori <strong>di</strong> deformazione nella localizzazione dei particolari delle<br />

forme glaciali. Per fare un esempio, la stima originale dell'estensione del Ghiacciaio de la Mare nel<br />

1867 presentata dal Payer [Payer, 1869] è <strong>di</strong> 4.48 km 2 mentre la stima dell'estensione ricostruita<br />

risulta <strong>di</strong> 6.90 km 2 . La stima originale <strong>di</strong> Richter, databile nell'intorno del 1888 [Richter, 1888] e<br />

della quale non esiste rappresentazione, è <strong>di</strong> 7.20 km 2 , mentre quella ottenuta dalla ricostruzione<br />

sulla base della K. und K. Spezialkarte scala 1:75.000, databile al 1876, risulta 6.33 km 2 .<br />

Analogamente per il Careser, la stima del Payer è <strong>di</strong> 5,64 km 2 , mentre quella ricostruita è <strong>di</strong> 6,39<br />

km 2 , quella del Richter è 6,84 km 2 , mentre quella ottenuta dalla K. und K. Spezialkarte è <strong>di</strong> 5,89<br />

km 2 .<br />

Senza nulla togliere al valore delle stime pionieristiche effettuate dagli autori originali, alla luce<br />

anche del fatto che è <strong>di</strong>fficile pensare che nella fase <strong>di</strong> massima espansione l'estensione del<br />

Ghiacciaio Careser fosse maggiore <strong>di</strong> quella del Ghiacciaio <strong>di</strong> Lamare, si ha ragione <strong>di</strong> credere che<br />

quelle ricostruite siano più plausibili.<br />

Ulteriori stime sono state ottenute dalle Tavolette IGM del 1908, 1910, 1914.<br />

Sempre per quanto riguarda il Ghiacciaio Careser, nel 1923, al primo rilievo celerimetrico <strong>di</strong><br />

Desio, la fronte si era ritirata a monte della roccia montonata. Nel periodo successivo, tra il 1923 e<br />

il 1962, la forma e la posizione delle fronti sono state rilevate praticamente ogni anno<br />

documentando con continuità il ritiro della lingua per tutta la piana ed il crollo della lingua pensile<br />

nel tratto canalone, avvenuto nel 1961 (Fig. 41); per quanto riguarda l'estensione questo periodo è<br />

coperto dai due rilievi dell'UIMA effettuati nel 1933 e nel 1958 (Fig. 42).<br />

Quattro rilievi aerofotogrammetrici sono stati condotti dal Comitato Glaciologico Italiano con la<br />

<strong>di</strong>rezione scientifica del prof. Zanon [Giada & Zanon, ibidem] e con il finanziamento dell'ENEL negli<br />

anni 1967, 1970, 1980, 1990, mentre l'Ufficio Idrografico della Provincia Autonoma <strong>di</strong> Trento ha<br />

compiuto tre rilievi aerofotogrammetrici negli anni 1969, 1973, 1983 (Fig. 43).<br />

Tutti questi rilievi sono stati <strong>di</strong>gitalizzati e sono stati importati in ambiente GIS nel quale sono<br />

state valutate le aree, i cui valori hanno permesso <strong>di</strong> preparare il grafico <strong>di</strong> Fig. 44.<br />

Secondo queste informazioni ghiacciaio ha avuto una generale tendenza alla riduzione areale<br />

fino agli inizi degli anni '70 (del secolo XX^) con una velocità me<strong>di</strong>a <strong>di</strong> ‐1,6 ha/anno. Il leggero<br />

recupero che appare tra il 1867 ed il 1876, pur essendo plausibile perchè anche il Ghiacciaio dei<br />

Forni ha presentato nello stesso periodo una tendenza all'avanzamento, è comunque <strong>di</strong> entità<br />

confrontabile con l'errore cartografico.<br />

Nel periodo successivo si è verificato un lieve recupero attorno ai primi anni '70, che viene<br />

evidenziata con qualche incertezza dovuta a <strong>di</strong>fferenti interpretazioni sulle placche nevose da<br />

parte degli operatori alla fotorestituzione dei rilievi commissionati dai due enti <strong>di</strong>versi.<br />

195


Questo recupero è stato poi seguito da una decisa accelerazione della velocità del ritiro: si è<br />

passati infatti da una velocità <strong>di</strong> ‐1,6 ha/anno <strong>di</strong> riduzione areale nel periodo 1867‐1973 ad una<br />

velocità <strong>di</strong> riduzione <strong>di</strong> ‐6,9 ha/anno nel periodo 1973‐2000. L'estensione glaciale del 1983 è stata<br />

ricavata dalla Carta Tecnica Provinciale e dalle ortofoto relative alla stessa data.<br />

Non essendo state rese <strong>di</strong>sponibili le immagini dell'ortofoto Italia2000, i valori <strong>di</strong> estensione<br />

areale del 2000 dei ghiacciai della Valle della Mare sono stati ricavati dalle schede del Comitato<br />

Glaciologico della S.A.T. consultabili sul sito internet www.sat.tn.it, delle quali però non vengono<br />

fornite ulteriori informazioni.<br />

Per quanto riguarda l'evoluzione dell'estensione glaciale della Vedretta de la Mare le varie aree<br />

glaciali vengono rappresentate e inquadrate nel perimetro del bacino idrografico del Noce Bianco<br />

chiuso a Ponte <strong>di</strong> Pietra (linea tratteggiata nero‐verde) e sovrapposte all'ortofoto del 1983 (Fig.<br />

45). Per quanto rigurda le estensioni relative al XIX^ secolo si fa riferimento alle stesse fonti<br />

utilizzate per il Ghiacciaio Careser, mentre per i primi decenni del XX^ secolo mancano rilievi<br />

databili con una certa affidabilità; verifiche fatte sulle tavolette I.G.M. fanno pensare che i<br />

successivi aggiornamenti siano stati fatti solo su alcuni tematismi <strong>di</strong>versi dalle aree glaciali.<br />

In questo modo la si arriva fino alla carta pubblicata sul Catasto dei Ghiaccciai Italiani, databile<br />

al 1958, la cui estensione risulta però improponible, perchè in assoluto contrasto con le altre<br />

osservazioni e con la quota attribuitagli nel Cataste stesso (area in color grigio piombo). La<br />

valutazione dell'estensione è stata fatta su una ricostruzione della lingua operata in base alla<br />

quota attribuita al limite frontale.Le successive stime relative al 1983 ed al 2000 sono state<br />

effettuate sulla base delle stesse fonti <strong>di</strong> quelle del Careser.<br />

Si <strong>di</strong>spone <strong>di</strong> una stima ulteriore dell'estensione del Ghiacciaio de la Mare, effettuata dall'allora<br />

tesista Pulejo [Pulejo, 1998] prodotta me<strong>di</strong>ante rilievi a terra. Questa stima presenta qualche<br />

marginale contrad<strong>di</strong>zione con quella della S.A.T. perchè darebbe tra il 1997 ed il 2000 un leggero<br />

aumento <strong>di</strong> estensione invece <strong>di</strong> una <strong>di</strong>minuzione, come sarebbe da attendersi.<br />

196


Fig. 41– Variazioni <strong>di</strong> estensione della lingua e spostamenti della posizione della fronte glaciale<br />

del Ghiacciaio del Caresèr intercorsi tra il 1923 ed il 1962<br />

197


Fig. 40 – Ricostruzione dell'estensione del Ghiacciaio Careser nel XIX secolo: in rosa l'estensione<br />

raggiunta alla fase <strong>di</strong> massima espansione della Piccola età Glaciale [AA.VV., 1985] in grigio<br />

l'estensione dedotta dalla carta del Payer (databile al 1867), ed in blu l'estensione dedotta dalla<br />

Kriegkarte K.u.K Militär‐Geographisches Institut 1:75.0000 (databile al 1887). La <strong>di</strong>mensione della<br />

maglia del reticolo è <strong>di</strong> 500 m.<br />

198


Fig. 42 – Estensione del Ghiacciaio Careser ricavata dai rilievi dell'allora Ufficio Idrografico del<br />

Magistrato alle Acque (U.I.M.A.) : in turchese il rilievo del 1933 ed in blu quella del 1958. Il reticolo<br />

si riferisce al sistema locale U.I.M.A., descritto nel testo, con <strong>di</strong>mensione della maglia <strong>di</strong> 500 m, la<br />

199


cui origine (Piz Cavajon) è rappresentata dal circoletto. Sono pure riportati i caposal<strong>di</strong> usati per la<br />

restituzione cartografica.<br />

Fig. 43 – Estensione del Ghiacciaio Careser ricavata dai rilievi effettuati dal Comitato<br />

Glaciologico Italiano [Giada & Zanon, ibidem] nel 1967, 1970, 1980, 1990 e dall'Ufficio Idrografico<br />

della Provincia Autonoma <strong>di</strong> Trento nel 1969, 1973, 1983. Il reticolo si riferisce al sistema locale<br />

U.I.M.A., descritto nel testo, con <strong>di</strong>mensione della maglia <strong>di</strong> 500 m, la cui origine e sul Piz Cavajon.<br />

Sono pure riportati i caposal<strong>di</strong> usati per la restituzione cartografica.<br />

Vi è comunque da considerare che i rilievi cartografici seriali, prodotti da soggetti <strong>di</strong>versi,<br />

presentano frequentemente <strong>di</strong>fferenze sistematiche dovute a <strong>di</strong>fferenze sui valori delle<br />

coor<strong>di</strong>nate dei caposal<strong>di</strong>, oppure ad una <strong>di</strong>versa interpretazione delle coor<strong>di</strong>nate dei caposal<strong>di</strong> (ad<br />

esempio, come succede per il Careser, dove i caposal<strong>di</strong> sono materializzati con pilastrini per i quali<br />

la quota può essere quella della sommità oppure del piano campagna). Ulteriori <strong>di</strong>fferenze<br />

possono provenire da perimetrazione delle aree glaciali riportate su una carta attraverso un rilievo<br />

<strong>di</strong> campagna con la bussola o con altri meto<strong>di</strong> approssimati, come nel caso dei due rilievi più<br />

recenti.<br />

200


Per quanto riguarda la velocità <strong>di</strong> riduzione areale del Ghiacciaio de la Mare, anche se in<br />

presenza <strong>di</strong> una <strong>di</strong>sponibilità molto minore <strong>di</strong> rilievi, si ottiene un comportamento<br />

ragionevolmente coerente con quello del Ghiacciaio Careser: nel periodo 1867‐1973 ad una<br />

velocità <strong>di</strong> riduzione è ‐2.0 ha/anno, mentre nel periodo successivo <strong>di</strong> ‐5,0 ha/anno (Fig. 46).<br />

Fig. 44 . Andamento dell'evoluzione dell'estensione glaciale del Ghiacciaio Careser.<br />

201


Fig. 45 – Evoluzione delle aree glaciali del Ghiacciaio La Mare inquadrate nel bacino idrografico<br />

chiuso a Ponte <strong>di</strong> Pietra (linea verde‐nera) con l'immagine dell'Ortofoto della Prov.Aut. <strong>di</strong> Trento in<br />

sovrapposizione. Il reticolo si riferisce al sistema Gauss‐Boaga con lato i 500 m.<br />

202


Fig. 46 . Andamento dell'evoluzione dell'estensione glaciale del Ghiacciaio La Mare.<br />

Variazioni volumetriche. Materali e meto<strong>di</strong><br />

La base <strong>di</strong> partenza per il calcolo delle variazioni volumetriche sono i già esaminati rilievi<br />

cartografici contenenti le informazioni altimetriche e la restituzione <strong>di</strong> una prospezione geofisica<br />

che la topografia del fondo.<br />

Prospezioni geofisiche per la determinazione del bedrock sono stati fatti solo sul Ghiacciaio<br />

Careser; il primo <strong>di</strong> questi è stato effettuato con il metodo geosismico dal prof. Carabelli del<br />

Politecnico <strong>di</strong> Milano con il supporto dell'UIMA nel 1958 [Carabelli, 1964] contestualmente alla<br />

realizzazione del rilievo cartografico del 1958. Successivamente, è stata eseguita dal prof. Tabacco<br />

dell'Istituto <strong>di</strong> Geofisica dell'Università <strong>di</strong> Milano una prospezione radar da elicottero nel 1994 per<br />

la determinazione della geometria del ghiacciaio ai fini della costruzione <strong>di</strong> un modello<br />

matematico [Forieri & alii, 1999; Forieri & alii, 2001]. Le due prospezioni hanno determinato la<br />

geometria del bedrock lungo alcuni transetti, <strong>di</strong>versi nei due casi; nell'ambito del presente<br />

progetto è stato realizzata, in ambiente CAD‐geografico una intersezione <strong>di</strong> questi due risultati,<br />

assieme alla topografia delle parti emerse successivamente al primo rilievo, in base alla quale si è<br />

ottenuta una topografia del fondo più completa.<br />

Le curve <strong>di</strong> livello ottenute da questa operazione, come pure quelle dei vari rilievi cartografici,<br />

sono state importate come polilinee in ambiente GIS e da questo esportate come punti. I vari set<br />

<strong>di</strong> punti tri<strong>di</strong>mensionali ottenuti, aventi una <strong>di</strong>stribuzione planimetrica irregolare, sono stati<br />

processati me<strong>di</strong>ante un programma <strong>di</strong> interpolazione spaziale ottenendo un nuovo set <strong>di</strong> punti<br />

caratterizzato da una <strong>di</strong>stribuzione planimetrica regolare che occupa l'intero rettangolo<br />

in<strong>di</strong>viduato dai vertici estremi prefissati in fase <strong>di</strong> definizione del problema (una matrice <strong>di</strong> 77x55<br />

punti pari a 4235 pari a per un'estensione <strong>di</strong> 10,5875 km 2 ).<br />

203


Questa <strong>di</strong>scretizzazione tri<strong>di</strong>mensionale della topografia glaciale (detta anche Digital Terrain<br />

Model D.T.M.) è costituita da un insieme regolare <strong>di</strong> punti che si collocano ai vertici <strong>di</strong> tasselli<br />

quadrati <strong>di</strong> lato 50 m, i cui valori <strong>di</strong> elevazione, da un punto <strong>di</strong> vista concettuale, rappresentano la<br />

quota del punto topografico <strong>di</strong> vertice (e non il valore me<strong>di</strong>o del tassello quadrato).<br />

Fig. 47 . DTM del bedrock del Ghiacciaio Careser ottenuto integrando i risultati delle<br />

prospezioni del 1958 con quelle del 1994.<br />

204


La scelta delle cor<strong>di</strong>nate dei vertici e della <strong>di</strong>mensione della maglia è stata fatta in modo da<br />

ricoprire gli stessi punti utilizzati da prof. Zanon nei suoi già citati lavori, avendo quin<strong>di</strong> la<br />

possibilità <strong>di</strong> fare il confronto nella maniera più omogenea possibile (Fig. 47).<br />

Questi punti sono stati importati in ambiente GIS, nel quale sono stati selezionati solo quelli che<br />

ricadevano all'interno del poligono rappresentativo della rispettiva area glacializzata.<br />

In questo modo, all'interno del GIS ogni rilievo cartografico viene rappresentato me<strong>di</strong>ante una<br />

tabella costituita da una riga per ciascun punto del DTM, nella quale sono contenute le tre<br />

coor<strong>di</strong>nate spaziali del rilievo cartografico <strong>di</strong> base.<br />

La potenzialità del GIS consente <strong>di</strong> effettuare operazioni topologiche tra gli oggetti contenuti,<br />

tra queste, l' "assegnazione spaziale" tra due DTM; questa operazione genera una nuova tabella<br />

nella quale alle proprietà <strong>di</strong> ogni punto <strong>di</strong> un DTM vengono associate quelle del secondo:<br />

ripetendo opportunamente questa operazione per ogni rilievo, si viene ad ottenere una tabella<br />

nella quale sono contenute, oltre alle tre coor<strong>di</strong>nate spaziali <strong>di</strong> ogni punto, anche la rispettiva<br />

quota del bedrock e della superficie glaciale del rilievo precedente.<br />

In questo modo, per ogni rilievo, sono state calcolati i valori <strong>di</strong> spessore assoluto del ghiaccio, i<br />

valori <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> quota superficiale rispetto al rilievo precedente, e da questi, le stime del<br />

volume netto <strong>di</strong> ghiaccio e della variazione <strong>di</strong> volume rispetto al rilievo precedente.<br />

Una ulteriore elaborazione statistica consente <strong>di</strong> calcolare la <strong>di</strong>stribuzione altimetrica delle<br />

variazioni <strong>di</strong> spessore per fascie altimetriche <strong>di</strong> ampiezza 25 m.<br />

Alla fine della prima fase dell'elaborazione sono emerse alcune incongruenze tra il DTM del<br />

bedrock ed i DTM dei rilievi più recenti, evidenziatesi come "spessori negativi" (cioè la quota del<br />

bedrock risultava maggione <strong>di</strong> quella del ghiaccio; queste sono state risolte riducendo la quota del<br />

bedrock, in considerazione del fatto che la topografia superficiale è stata ritenuta oggettivamente<br />

più precisa.<br />

Ulteriori informazioni a supporto della cartografia sono quelle contenute nei rilievi topografici<br />

<strong>di</strong> profili altimetrici e <strong>di</strong> sezioni della superficie glaciali eseguiti in tempi <strong>di</strong>versi lungo gli stessi<br />

aliineamenti. Queste sono state utilizzate per controllare ed interpretare i risultati ottenuti dalla<br />

cartografia.<br />

Variazioni volumetriche. Risultati<br />

L'analisi dei risultati delle elaborazioni sopradescritte deve partire dalla contestualizzazione dei<br />

materiali e delle informazioni sottoposte ad analisi, in considerazione che questi, ancorchè eseguiti<br />

con il massimo della precisione consentita dagli strumenti <strong>di</strong>sponibili al tempo, si collocano in varie<br />

fasi dell'evoluzione della tecnica cartografica analitica e della prospezione geofisica.<br />

In particolare, i rilievi del Careser del 1933 e del 1958 sono stati eseguiti con il metodo<br />

fotogrammetrico terrestre: del primo rilievo, eseguito dall'I.G.M. sono andati perduti tutti i<br />

materiali nei bombardamenti che ha subito questa struttura militare nel corso della 2^ Guerra<br />

Mon<strong>di</strong>ale, nonchè le restituzioni in scala originale 1:5000; l'elaborazione è stata infatti condotta<br />

sulla riduzione in scala 1:8333 contenuta nella Pubblicazione 132, nella quale viene riportato che<br />

vennero effettutate riprese fotografiche da sette stazioni che non vi sono descritte, e delle quali<br />

solo 3 sono identificabili sulla carta me<strong>di</strong>ante un apposito simbolo, e sono: Staz A ("in prossimità <strong>di</strong><br />

Cima Campisol m 3147,63), Staz B (punto identificato con la <strong>di</strong>citura "sulla destra stazione A" e<br />

localizzato sulla <strong>di</strong>rettrice C.ma Campisol‐C.ma Careser con la quota 3153,72 ) e Stazione C ("quota<br />

sulla stazione m 3157,22") localizzata a SE <strong>di</strong> C.ma Lagolungo. Del rilievo del 1958 sono stati invece<br />

reperiti i fotogrammi che fanno riferimento a tre stazioni fotogrammetriche sopradescritte, che<br />

però non sono identificabili sulla carta del 1958 ma solo su quella del 1933.<br />

205


Fig. 48. DTM degli spessori del Ghiacciaio Careser nel 1933.<br />

206


Fig. 49. DTM delle variazioni <strong>di</strong> spessore subite dal Ghiacciaio Careser tra il 1933 e il 1958.<br />

207


Fig. 50. DTM delle variazioni <strong>di</strong> spessore subite dal Ghiacciaio Careser tra il 1933 e il 1990.<br />

Il risultato si vede nelle Figg. 48 e 49; nella prima viene riportata la rappresentazione del DTM<br />

degli spessori <strong>di</strong> ghiaccio alla data del 1933 e nella seconda la rappresentazione del DTM delle<br />

variazioni <strong>di</strong> spessore del ghiaccio tra il 1933 ed il 1958.<br />

La tabella 21 contiene il riepilogo delle stime <strong>di</strong> variazione <strong>di</strong> volume e <strong>di</strong> spessore del<br />

Ghiacciaio Careser negli intervalli temporali compresi tra il 1933 ed il 1990.<br />

208


Tab. 21 – Riepilogo delle variazioni volumetriche del Ghiacciaio del Careser<br />

Periodo Volume. Iniz Variazione <strong>di</strong> Volume Variazione <strong>di</strong> spessore m<br />

m 3 *1000 m 3 *1000 m 3 *1000/anno periodo cumulata<br />

1933‐1958 332000 ‐131200 ‐5248 ‐24,7 ‐24,7<br />

1958‐1967 200800 2600 296 1,6 ‐23,1<br />

1967‐1970 203400 ‐6700 ‐2261 ‐1,5 ‐24,6<br />

1970‐1973 196700 ‐4500 ‐1496 ‐0,2 ‐24,8<br />

1973‐1980 192200 ‐2900 ‐409 ‐1,3 ‐26,1<br />

1980‐1983 189300 ‐20200 ‐6721 ‐3,8 ‐29,9<br />

1983‐1990 169100 ‐33500 ‐4798 ‐9,5 ‐39,4<br />

1990 135600<br />

Fig. 51 – Distribuzione altimetrica del numeri <strong>di</strong> punti DTM dei vari rilievi<br />

La statistica dei valori assoluti <strong>di</strong> spessore del ghiacciaio alle varie date e delle variazioni <strong>di</strong><br />

spessore intercorse negli intervalli temporali analizzati consente il calcolo della <strong>di</strong>stribuzione<br />

altimetrica. In Fig. 51 viene riportato il grafico della <strong>di</strong>stribuzione altimetrica (per fascie <strong>di</strong><br />

ampiezza altimetrica pari a 25 m) del numero <strong>di</strong> punti DTM delle aree glaciali. Considerato che<br />

ciascun punto rappresenta un'area glaciale quadrata <strong>di</strong> 2500 m<br />

209<br />

2 , questa <strong>di</strong>stribuzione approssima<br />

con sufficiente atten<strong>di</strong>bilità quello delle aree glaciali.<br />

Si può vedere come la quota della "moda" della <strong>di</strong>stribuzione (definizione statistica del valore<br />

che presenta il massimo della <strong>di</strong>stribuzione) del rilievo del 1933 cada nella fascia altimetrica


centrata sulla quota 3025 m, la moda del rilievo del 1958 cada nella fascia 3100 m, mentre quella<br />

dei rilievi successivi cada nella fascia altimetrica centrata sulla quota 3125 m.<br />

Anche la massima estensione altimetrica delle classi <strong>di</strong> punti risulta più bassa <strong>di</strong> quella delle<br />

altre <strong>di</strong> almeno 25 m, e questo fatto fa pensare che la quota delle aree glaciali più elevate nel<br />

rilievo del 1933 sia sottostimata. Questi due problemi sembrano presentarsi, seppure in misura<br />

minore, anche sul rilievo del 1958; quando si effettuano i confronti con i rilievi successivi, che<br />

presumibilmente sono più corretti, la conseguenza della compensazione degli errori produrrà un<br />

apparente aumento <strong>di</strong> volume nelle fascie altimetriche più elevate.<br />

Fig. 52 ‐ Distribuzioni altimetriche degli spessore del ghiaccio ottenute all'analisi statistica dei<br />

vari DTM.<br />

210


Fig. 53 ‐ Distribuzioni altimetriche delle variazioni <strong>di</strong> spessore del ghiaccio ottenute dall'analisi<br />

statistica dei vari DTM<br />

211


Fig. 54 ‐ Distribuzioni altimetriche delle variazioni <strong>di</strong> volumi del ghiaccio ottenute dall'analisi<br />

statistica dei vari DTM<br />

Nella Fig. 52 viene riportata la <strong>di</strong>stribuzione altimetrica degli spessore del ghiaccio desunti<br />

dalle elaborazioni dei vari rilievi. Nelle Figg. 53 e 54 vengono rappresentati i grafici della<br />

<strong>di</strong>stribuzione altimetrica, rispettivamente, delle variazioni <strong>di</strong> spessore e delle variazioni <strong>di</strong> volume<br />

<strong>di</strong> ghiaccio intercorsi tra un rilievo e l'altro.<br />

Il conseguente andamento temporale dello spessore me<strong>di</strong>o e del volume complessivo della<br />

massa glaciale, valori riportati in Tabella 21, e nella Fig. 55, dalle quali si vede come nel periodo<br />

1933‐1958 ci sia stata la fase <strong>di</strong> riduzione più severa, complice la scomparsa della grossa mole<br />

glaciale esistente nel vallone pianeggiante prospicente l'attuale serbatoio idroelettrico; i risultati<br />

del calcolo danno per questo periodo una riduzione <strong>di</strong> volume <strong>di</strong> ‐135 hm 3 <strong>di</strong> ghiaccio. Sono state<br />

ritrovate delle minute ine<strong>di</strong>te <strong>di</strong> calcolo della stessa quantità me<strong>di</strong>ante planimetratura delle aree<br />

comprese tra le curve <strong>di</strong> livello contigue del rilievo del 1933 (probabilmente effettuato sulla carta<br />

originale in scala 1:5000) e del 1958, come pure delle curve del bedrock relative al 1958, dalle<br />

quali viene stimata una riduzione <strong>di</strong> ‐143.5 hm 3 .<br />

Fig. 55 . Andamento dell'evoluzione del volume e dello spessore glaciale del Ghiacciaio Careser<br />

212


La validazione dei risultati ottenuti può essere fatta confrontando le variazioni volumetriche<br />

ottenute nel presente stu<strong>di</strong>o con quelle ottenute dal prof. Zanon che sono ripèortate in Tab. 22<br />

[Giada & Zanon, 1985; Giada & Zanon, 1992; Giada & Zanon, 1995].<br />

Tab. 22 – Confronto tra le <strong>di</strong>fferenti stime delle variazioni volumetriche del Ghiacciaio del<br />

Careser<br />

Periodo Risultati del<br />

presente lavoro<br />

Risultati de<br />

prof. Zanon<br />

Scostamento<br />

Scostamento<br />

relativo<br />

m 3 *1000 m 3 *1000 m 3 *1000 %<br />

1967‐1980 ‐14133 ‐14650 ‐517 3,66%<br />

1980‐1990 ‐53751 ‐54256 ‐505 0.94%<br />

1967‐1990 ‐67884 ‐64956 2928 ‐4.31%<br />

Il confronto con il rilievo topografico del profilo ABC (Fig. 56) , il cui tracciato è riportato nella<br />

cartografia del 1933, conferma queste <strong>di</strong>screpanze, inducendo a concludere che il rilievo<br />

cartografico del 1933 sia poco accurato nella parte più elevata, considerato anche che il tracciato<br />

delle curve <strong>di</strong> livello è poco chiaro e le curve stesse non sono quotate.<br />

Variazioni <strong>di</strong> volume della Vedretta de La Mare.<br />

Non è possibile determinare le variazioni volumetriche della Vedretta de la Mare perchè il rilievo<br />

del 1990 è l'unico realizzato con la precisione necessaria ad elaborazioni <strong>di</strong> questo genere, quin<strong>di</strong><br />

mancano altri rilievi per eseguire i confronti.<br />

Valutazione del bilancio <strong>di</strong> massa della Vedretta de la Mare.<br />

Materali e meto<strong>di</strong><br />

La misura del bilancio <strong>di</strong> massa dei ghiacciai ha valenza sia climatologica che idrologica; nel<br />

primo caso sarebbe sufficiente determinare il bilancio netto, cioè il saldo, in termini <strong>di</strong> spessore<br />

equivalente in acqua, che si realizza tra gli apporti e le per<strong>di</strong>te sulla superficie glaciale nell’arco <strong>di</strong><br />

un anno idrologico (che, <strong>di</strong> norma, alle nostra latitu<strong>di</strong>ni va dal 1 ottobre al 30 settembre dell’anno<br />

successivo).<br />

Le tecniche <strong>di</strong> valutazione del bilancio <strong>di</strong> massa dei ghiacciai possono essere ripartite in tre<br />

tipologie:<br />

metodo <strong>di</strong>retto, che prevede la misura del bilancio <strong>di</strong> massa su alcuni punti rappresentativi del<br />

ghiacciaio e la successiva integrazione sull’intera superficie;<br />

meto<strong>di</strong> in<strong>di</strong>retti, che prevedono il calcolo del bilancio attraverso equazioni <strong>di</strong> continuità<br />

applicate alla massa glaciale contenuta all’interno un inviluppo <strong>di</strong> superfici <strong>di</strong> controllo<br />

opportunamente scelte; tra questi sono compresi il metodo idrologico ed il metodo isotopico;<br />

213


metodo geodetico che prevede il calcolo del volume compreso tra le superfici ottenute<br />

me<strong>di</strong>ante rilievi cartografici <strong>di</strong> accuratezza elevata condotti ad intervalli temporali fissi (in genere<br />

alcuni anni).<br />

I termini costituenti il bilancio <strong>di</strong> massa vengono convenzionalmente riferiti ad un intervallo <strong>di</strong> 1<br />

anno compreso tra il 1 ott. ed il 30 sett. dell’anno successivo (anno idrologico).<br />

Quando questi termini prendono in considerazione le variazioni che presenta la superficie<br />

glaciale alla fine <strong>di</strong> un anno idrologico rispetto alle con<strong>di</strong>zioni che presentava alla fine dell’anno<br />

precedente, senza tener conto <strong>di</strong> quanto possa essere successo durante l’anno, essi vengono<br />

definiti termini <strong>di</strong> bilancio netto. Le componenti del bilancio possono venire espresse in termini<br />

volumetrici (ad esempio il bilancio <strong>di</strong> massa volumetrico viene espresso in m 3 , o in migliaia <strong>di</strong> m 3 )<br />

oppure in termini <strong>di</strong> spessore equivalente in acqua riferito ad una superficie unitaria; in questo<br />

caso vengono definiti termini <strong>di</strong> bilancio specifico e vengono espressi in kg/m 2 (grandezza<br />

numericamente corrispondente ai più noti mm <strong>di</strong> lama d’acqua equivalente, che però non<br />

appartiene alle unità <strong>di</strong> misura assolute).<br />

Le componenti del bilancio netto sono:<br />

accumulo netto (Hn): quantità <strong>di</strong> eventuale accumulo residuo della neve alla fine dell’anno<br />

idrologico;<br />

ablazione netta (An): quantità <strong>di</strong> neve e ghiaccio fusa nel corso dell’intero anno idrologico<br />

(espressa con segno negativo);<br />

bilancio netto (Bn) : somma algebrica <strong>di</strong> accumulo netto e ablazione netta, oppure <strong>di</strong> accumulo<br />

lordo e ablazione lorda.<br />

Quando si vuole valutare anche l’influenza del ghiacciaio sul regime dei corsi d’acqua sottesi, in<br />

termini <strong>di</strong> volumi d’acqua rilasciati, occorre tenere in considerazione i termini del relativo bilancio<br />

idrologico, e quin<strong>di</strong> l’accumulo lordo, l’ablazione lorda e, <strong>di</strong> conseguenza, il bilancio lordo, i cui<br />

termini, con riferimento a quanto detto in precedenza, sono:<br />

accumulo lordo (Hw) : quantità totale <strong>di</strong> deposizioni nevose accumulate sulla superficie del<br />

ghiacciaio nel corso dell’anno idrologico;<br />

ablazione lorda (Aw): quantità totale <strong>di</strong> neve e ghiaccio fusi nell’intervallo temporale compreso tra<br />

il massimo accumulo e la fine dell’anno idrologico (espressa con segno negativo);<br />

bilancio lordo (Bw) : somma algebrica <strong>di</strong> accumulo lordo ed ablazione lorda (grandezza che<br />

corrisponde numericamente al bilancio netto).<br />

L’accumulo lordo viene determinato misurando sia lo spessore del manto nevoso su un numero<br />

adeguato <strong>di</strong> punti <strong>di</strong>stribuiti sul ghiacciaio con sonde nivometriche, sia la densità della neve<br />

attraverso la determinazione del peso <strong>di</strong> carote <strong>di</strong> neve <strong>di</strong> volume noto. Il calcolo viene fatto<br />

ragguagliando queste valori puntuali all’intera superficie glaciale.<br />

Poiché i valori numerici del bilancio netto e del bilancio lordo devono coincidere, l’ablazione<br />

lorda viene comunemente calcolata sottraendo l’accumulo lordo dal bilancio netto.<br />

Altre due grandezze glaciologiche (tra esse strettamente legate attraverso le caratteristiche<br />

geometriche del ghiacciaio) sono l’Altezza della Linea <strong>di</strong> Equilibrio (nota anche con la sigla del<br />

termine inglese ELA) che corrisponde alla quota (anche virtuale, cioè esterna al range altimetrico<br />

del ghiacciaio) alla quale il valore del bilancio è nullo, ed il rapporto tra l’estensione dell’area <strong>di</strong><br />

accumulo rispetto all’area totale (AAR).<br />

Risultati preliminari<br />

All'inizio del <strong>Progetto</strong>, nella primavera del 2001, venne avviata una campagna esplorativa per la<br />

misura del bilancio <strong>di</strong> massa sulla Vedretta de la Mare, che poteva, in prima approssimazione,<br />

214


appresentare il bilancio <strong>di</strong> massa dell'anno idrologico 2000‐2001, nell'ipotesi che l'eventale<br />

ablazione del ghiaccio avvenuta tra il mese <strong>di</strong> ottobre 2000 e l'inizio della copertura nevosa sulle<br />

superfici glaciali fosse stata trascurabili.<br />

Le misurazioni dello spessore del manto nevoso e della densità della neve sono state eseguite<br />

il giorno 5/6/2001 da una squadra <strong>di</strong> ricercatori composta dai dott.ri Cantonati, Maiolini e Rossi,<br />

con l’assistenza <strong>di</strong> una guida alpina, che hanno raggiunto il punto <strong>di</strong> campionamento, situato su un<br />

pianoro a quota 3200 con elicottero.<br />

Le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> innevamento eccezionale hanno comportato l’impiego <strong>di</strong> un carotatore con<br />

prolunga. Sono state effettuati due sondaggi per la misura della densità, il cui valore me<strong>di</strong>o è<br />

risultato 0.513 kg/dm 3 .<br />

Per quanto riguarda la misura dello spessore, sono state effettuate 18 misure lungo la<br />

traiettoria <strong>di</strong> <strong>di</strong>scesa effettuata con l’impiego <strong>di</strong> sci. I valori <strong>di</strong> spessore misurati variavano da 396<br />

cm a 230 cm (Fig. 57); il valore me<strong>di</strong>o è risultato <strong>di</strong> 1581 kg/m 2 , che ragguagliato sull’intera<br />

superficie glaciale (4.7220 km 2 al 1990) corrisponde ad un volume <strong>di</strong> 7.549 milioni <strong>di</strong> m 3 <strong>di</strong> acqua<br />

equivalente, come segue:<br />

accumulo primaverile specifico (kg/m 2 ) 1 581<br />

accumulo primaverile volumetrico (m 3 ) 7 549 000<br />

Fig. 57 – Distribuzione dei punti <strong>di</strong> misura dello spessore e edella densità della neve per la<br />

determinazione del bilancio <strong>di</strong> massa sulla Vedretta de la Mare<br />

215


La misura del bilancio netto è stata impostata sulla base del metodo <strong>di</strong>retto, che si avvale delle<br />

misure <strong>di</strong> variazionie degli spessori della neve e del ghiaccio in corrispondenza <strong>di</strong> un numero<br />

adeguato <strong>di</strong> paline ablatometriche infisse sulla superficie del ghiacciaio. Le paline ablatometriche<br />

impiegate nel presente esperimento, sulla base dell’esperienza <strong>di</strong> altre misure in ambiente alpino,<br />

sono state realizzate con spezzoni <strong>di</strong> tubo <strong>di</strong> alluminio del <strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> 20 mm <strong>di</strong> lunghezza 3 m,<br />

che sono state infisse nella massa glaciale me<strong>di</strong>ante una trivella. La misura del bilancio <strong>di</strong> massa<br />

avrebbe richiesto che le paline fossero state infisse alla fine dell’anno idrologico precedente<br />

(30/9/2000) in modo da determinare la superficie <strong>di</strong> riferimento rispetto alla quale calcolare le<br />

variazioni <strong>di</strong> spessore; poiché la campagna è iniziata a primavera inoltrata, le paline sono state<br />

progressivamente installate sul ghiaccio poco prima della scomparsa della copertura nevosa, mano<br />

a mano che la progressione sul ghiacciaio si rendeva sicura. Le misure sono state condotte dai<br />

dott.ri Rossi e Seppi con la collaborazione del tesista Carturan Luca e <strong>di</strong> una guida alpina.<br />

Si è iniziato con le prime cinque il 2/8, poste tra quota 2700 e 2900 m, poi altre due il 28/8,<br />

rispettivamente a quota 2950 e 3000 m, e le ultime tre il 26/9 a quote comprese tra 3050 e 3200<br />

m circa. La posizione delle paline è riportata in Fig. 58, mentre l’andamento dell’ablazione delle<br />

singole paline è rappresentata nel grafico <strong>di</strong> Fig. 59.<br />

Fig. 58 – Posizione delle paline alla fine dell’anno idrologico 2000‐2001<br />

216


Alla fine della campagna 2001‐2002 le paline sono state infisse nel ghiaccio per circa 2 m e la<br />

superficie <strong>di</strong> riferimento è stata evidenziata cospargendo la neve residua con della polvere <strong>di</strong><br />

ossido ferrico. Il riepilogo dell'andamento stagionale delle singole paline è riportato in Fig. 60.<br />

Fig. 60 – Andamento stagionale del bilancio alla singole paline<br />

Fig. 61 – Dipendenza altimetrica del bilancio netto delle paline<br />

217


Il risultato del bilancio è largamente positivo; questo è pienamente giustificato dal fatto che si<br />

sono verificate delle deposizioni nevose eccezionali nel periodo invernale, alle quali si sono<br />

sommate anche deposizioni autunnali precoci.<br />

La notevole capacità <strong>di</strong> accumulo <strong>di</strong> questo ghiacciaio rende giustizia del fatto che nel passato si<br />

era <strong>di</strong>mostrato particolarmente sensibile ad incrementare la sua massa per effetti <strong>di</strong> accumuli<br />

abbondanti. La carenza <strong>di</strong> misure nella parte alta del ghiacciaio, <strong>di</strong> <strong>di</strong>fficile accesso, ha reso<br />

necessario procedere ad una stima dell’accumulo residuo (netto), che è stato valutato<br />

mantenendo costante il gra<strong>di</strong>ente altimetrico fino alla quota <strong>di</strong> 3300 m, mentre per le quote più<br />

elevate la <strong>di</strong>pendenza altimetrica dell’accumulo residuo o è stata considerata costante (Fig. 61).<br />

Questa stima semplicistica potrebbe indurre ad un errore in eccesso nel caso che l’accumulo, al<br />

<strong>di</strong> sopra <strong>di</strong> una certa quota, invece <strong>di</strong> mantenersi costante tenda <strong>di</strong>minuire con l’altitu<strong>di</strong>ne, in<br />

considerazione anche del fatto che i pen<strong>di</strong>i sono più ripi<strong>di</strong>. La struttura del bilancio <strong>di</strong> massa<br />

sull’intero ciclo annuale 2000‐2001 viene riportata in Tab. 23:<br />

Tab. 23 – Elementi del bilancio <strong>di</strong> massa del Ghiacciaio de la Mare per l'anno idrologico 2000‐2001<br />

bilancio primaverile specifico (kg/m 2 ) 434<br />

bilancio primaverile volumetrico (m 3 ) 2 082 000<br />

bilancio estivo specifico (kg/m 2 ) 244<br />

bilancio estivo volumetrico (m 3 ) 1 121 000<br />

bilancio specifico netto (kg/m 2 ) 678<br />

bilancio volumetrico netto (m 3 ) 3 203 000<br />

Altitu<strong>di</strong>ne della Linea <strong>di</strong> Equilibrio ELA (m s.l.m.) 2 998<br />

Area della superficie glaciale (m 2 ) 4 721 965<br />

Rapporto Area <strong>di</strong> Accumulo AAR 84<br />

Un auspicabile progetto che preveda un monitoraggio sistematico del bilancio <strong>di</strong> massa<br />

dovrebbe prendere in considerazione l'estensione della misura del bilancio con paline situate<br />

anche a quote più elevate, operazione che, per essere condotta in tempi ragionevoli ed in<br />

con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> sicurezza richiede l'impiego dell'elicottero .<br />

Purtroppo non è possibile comparare contestualmente la <strong>di</strong>stribuzione altimetrica del bilancio <strong>di</strong><br />

massa della Vedretta de la Mare con quello del Careser perchè il 2001 è stato il primo anno <strong>di</strong><br />

interruzione della serie <strong>di</strong> misure, tra l'altro, senza preavviso.<br />

In precedenza, negli anni idrologici 1995‐96 e 1996‐97 era stato condotto un altro esperimento <strong>di</strong><br />

misura del bilancio <strong>di</strong> massa sulla Vedretta de la Mare da parte <strong>di</strong> un tesista, il dr. Pulejo [Pulejo,<br />

1998], sotto la guida come correlatore dello scrivente, che ha raggiunto i seguenti risultati:<br />

1995/96 1996/97<br />

bilancio specifico netto (kg/m 2 ) ‐1360 ‐213<br />

bilancio volumetrico netto (m 3 ) ‐5 321 500 ‐999 200<br />

Altitu<strong>di</strong>ne della Linea <strong>di</strong> Equilibrio ELA (m s.l.m.) 3 518 3 286<br />

Area della superficie glaciale (m 2 ) 4 678 000 4 678 000<br />

Rapporto Area <strong>di</strong> Accumulo AAR 21 44<br />

218


Questo caso è stato molto simile al quello condotto nel 2001, avendo, per gli stessi motivi, limitato<br />

il range altimetrico delle paline, ma si <strong>di</strong>spone delle misure contestuali con il Ghiacciaio Careser, i<br />

cui risultatI possono essere sintetizzati nei grafici delle Figg. 62 e 63.<br />

Fig. 62 – Confronto delle Distribuzioni altimetriche del Bilancio Specifico <strong>di</strong> massa (kg/m 2 ) del<br />

Ghaicciaio del Careser e della Vedretta Pendente per l'anno idrologico 1995‐96.<br />

219


Fig. 63 – Confronto delle Distribuzioni altimetriche del Bilancio Specifico <strong>di</strong> massa (kg/m 2 ) del<br />

Ghaicciaio del Careser e della Vedretta Pendente per l'anno idrologico 1996‐97.<br />

Pur nei limiti dell'approssimazione della stima del bilancio <strong>di</strong> massa si evidenzia un'accentuazione<br />

del gra<strong>di</strong>ente altimetrico del Bilancio <strong>di</strong> massa del Ghiacciaio Careser (3.328 kg/m 2 /m <strong>di</strong> quota)<br />

rispetto a quello del Bilancio della Vedretta de la Mare (2.313 kg/m 2 /m <strong>di</strong> quota);<br />

La relazione statistica che esiste tra i valori <strong>di</strong> bilancio specifico <strong>di</strong> massa ed i corrispondenti valori<br />

<strong>di</strong> ELA <strong>di</strong> un determinato ghiacciaio assume le caratteristiche <strong>di</strong><br />

Nella Fig. 64 viene invece riportato il confronto tra i grafici delle rette <strong>di</strong> regressione tra le coppie<br />

<strong>di</strong> valori Bn; ELA dei due ghiacciai, le cui equazioni risultano:<br />

ELA = ‐0,3789 Bn + 3248 R 2 = 0,9689 Ghiacciaio Careser<br />

ELA = ‐0,1865 Bn + 3109 R 2 = 0,7706 Vedretta de la Mare<br />

Le rette con valori assoluti dei coefficienti angolari maggiori sono in<strong>di</strong>cative <strong>di</strong> ghiacciai con un<br />

regime (accumulo – ablazione) più elevato.<br />

220


Fig. 64 Confronto delle rette <strong>di</strong> regressione tra le coppie <strong>di</strong> valori Bn; ELA del Ghiacciaio Careser<br />

(retta rossa) e della Vedretta de la Mare (retta blu)<br />

Idrometria<br />

Nella Val della Mare sono stati installate tra il 1993 e il 1994 dal Centro Ricerche Idrauliche<br />

dell'ENEL (CRIS) due stazioni idrometriche automatiche ad acquisizione <strong>di</strong>gitale progettate per gli<br />

stu<strong>di</strong> glaciologici e quin<strong>di</strong> adattate al funzionamento anche in con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> forte gelo.<br />

La prima stazione idrometrografica è stata installata sul Rio Careser, alla sezione idrometrica<br />

Careser Baia, <strong>di</strong> proprietà del Servizio Idrografico della Provincia Autinoma <strong>di</strong> Trento, situata a<br />

quota m 2648, in prossimità dell'incile del lago artificiale; il bacino sotteso è <strong>di</strong> 8,346 km 2 .<br />

La seconda è stata stazione idrometrografica è stata installata sul bacino del Noce Bianco su una<br />

sezione idrometrica costruita con una traversa <strong>di</strong> gabbioni metallici subito a monte della forra <strong>di</strong><br />

Ponte <strong>di</strong> Pietra, a quota 2235 m, alla chiusura che sottende un bacino <strong>di</strong> 12,338 km 2 .<br />

Questi bacini sono sede <strong>di</strong> masse glaciali permanenti che impartiscono al loro regime idrologico le<br />

caratteristiche nivo‐glaciali: le variazioni <strong>di</strong> accumulo delle masse nivali e glaciali sono sono in<br />

grado <strong>di</strong> alterare il regime dei deflussi imposto dagli apporti pluviali.<br />

L'incidenza della componente da fusione nivale sul deflusso complessivo <strong>di</strong>pende dallo spessore<br />

equivalente in acqua dell'accumulo nevoso (poichè, <strong>di</strong> norma in con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> massimo accumulo il<br />

bacino è coperto completamente), mentre l'incidenza della componente da fusione glaciale<br />

<strong>di</strong>pende dal rapporto <strong>di</strong> glaciazione, cioè dal rapporto tra le aree glaciali e l'area totale del bacino;<br />

gli effetti delle masse glaciali sui deflussi <strong>di</strong>pendono anche dall'intensità dei fenomeni (cioè dal<br />

tempo nel quale determinati volumi <strong>di</strong> ghiaccio fuso vengono liberati).<br />

221


Per fenomeni <strong>di</strong> normale intensità gli effetti dei rilasci <strong>di</strong> acque <strong>di</strong> fusione glaciale riescono ad<br />

influenzare i deflussi per valori del rapporto <strong>di</strong> glaciazione fino a 0,05; fenomeni <strong>di</strong> elevata<br />

intensità, con capacità anche <strong>di</strong>struttiva possono avvenire per fusione repentina <strong>di</strong> piccole masse<br />

glaciali sepolte investite da rovesci <strong>di</strong> precipitazioni pluviali.<br />

Il bilancio idrologico <strong>di</strong> un bacino idrografico si basa sull'applicazione dell'equazione <strong>di</strong> continuità,<br />

che esprime l'eguaglianza, in un determinato intervallo <strong>di</strong> tempo, tra la quantità d'acqua entrata e<br />

la somma della quantità d'acqua defluita e la variazione della riserva d'acqua immagazzinata nel<br />

sistema.<br />

L'interpretazione dell'equazione <strong>di</strong> continuità in termini <strong>di</strong> bilancio idrologico richiede però l'esatta<br />

definizione <strong>di</strong> un volume <strong>di</strong> controllo, con il quale il bacino si identifica ed al quale viene applicata<br />

l'equazione. I termini dell'espressione <strong>di</strong>pendono comunque, non solo dal volume <strong>di</strong> controllo<br />

adottato, ma anche dalle ipotesi semplificative introdotte nella descrizione dei fenomeni<br />

idrologiciche hanno luogo nel bacino.<br />

Il valore <strong>di</strong> accumulo lordo del Ghiacciaio Careser, determinato attraverso una campagna <strong>di</strong><br />

sondaggi e <strong>di</strong> misure <strong>di</strong> densità del manto nevoso sull'area glaciale, è stato determinato solo per il<br />

periodo 1971‐84 [Giada & Zanon, 1985], e quin<strong>di</strong> nei tempi più recenti è venuto a mancare un<br />

parametro importante per la determinazione del bilancio idrologico.<br />

Una stima del bilancio è stata effettuata nel periodo 1992‐95, periodo nel quale era operativa la<br />

registrazione del livello idrometrico ma era molto più carente la stima dell'accumulo lordo, poichè<br />

le misure <strong>di</strong> equivalente in acqua del manto nevoso venivano effettuate solo nei <strong>di</strong>ntorni del<br />

serbatoio. La statistica dei valori me<strong>di</strong> mensili delle misure <strong>di</strong> portata <strong>di</strong> questo periodo è riportata<br />

in Tab. 24, mentre in Tab. 25 sono riportate le stime dell'accumulo nello stesso periodo.<br />

Il bilancio idrologico del bacino chiuso alla stazione idrometrica del Rio Careser alla Baia è stato<br />

calcolato sotto l’ipotesi della trascurabile influenza delle quantità <strong>di</strong> acqua infiltrata nel sottosuolo,<br />

in considerazione dell’elevata impermeabilità del suolo roccioso.<br />

Tab. 24 – Statistica dei valori me<strong>di</strong> mensili delle Portate misurate<br />

sul Rio Careser alla Stazione <strong>di</strong> Careser Baia (m 3 /s) 8,346 km 2<br />

G F M A M G L A S O N D Anno<br />

N° osserv 5 5 5 5 5 5 5 5 5 5 5 5 5<br />

minimo 0 0 0 0 0 0,51 1,44 1,55 0,27 0,06 0 0 0,42<br />

massimo 0 0 0 0,01 0,48 1,4 2,31 2,08 1,56 0,4 0,17 0 0,5<br />

me<strong>di</strong>a 0 0 0 0 0,13 1,04 1,84 1,76 0,9 0,18 0,04 0 0,47<br />

Sono stati prima eseguiti i seguenti calcoli sui dati giornalieri:<br />

• correzione dei valori <strong>di</strong> precipitazione misurati alla <strong>di</strong>ga durante il periodo <strong>di</strong> accumulo attraverso<br />

il rapporto tra il valore <strong>di</strong> equivalente in acqua della neve misurata dalla stazione<br />

nivometeorologica del ghiacciaio in corrispondenza della data <strong>di</strong> massimo accumulo ed il<br />

corrispondente valore della sommatoria progressiva delle precipitazioni misurate dal pluviometro<br />

della <strong>di</strong>ga, usando la me<strong>di</strong>a delle densità misurate nello stesso periodo. I coefficenti <strong>di</strong> correzione<br />

ottenuti variano tra 2.01 e 2.35,e risultano quin<strong>di</strong> in linea con le osservazioni precedenti [Giada &<br />

Zanon, 1985].<br />

222


• calcolo dei valori giornalieri della sommatoria progressiva dei volumi (Q) defluiti alla sezione <strong>di</strong><br />

chiusura;<br />

• calcolo dei deflussi giornalieri dovuti a fusione nivale (ΔN) sulla base della <strong>di</strong>minuzione<br />

dell’altezza del manto nevoso (tenendo costante al densità);<br />

• calcolo dei deflussi dovuti a pioggia (P);<br />

• ripartizione mensile degli apporti dovuti alla variazione volumetrica del ghiacciaio sulla base<br />

dell’energia ra<strong>di</strong>ante assorbita (Ra<strong>di</strong>azione incidente ‐ Ra<strong>di</strong>azione riflessa) (ΔG).<br />

• calcolo delle per<strong>di</strong>te per evaporazione/sublimazione secondo la formula derivata dalla ben nota<br />

equazione <strong>di</strong> Dalton, con i coefficienti ricavati dalla letteratura [Maidment, 1993]:<br />

E = 0.175 u (es ‐ ea) (mm/giorno)<br />

u = velocità a 3.5 m <strong>di</strong> elevazione (m/s)<br />

es ; ea= tensione <strong>di</strong> vapore effettiva dell’aria e tensione <strong>di</strong> vapore a saturazione alla temperatura<br />

della neve (mbar).<br />

Tab. 25 ‐ Spessori del manto nevoso in mm equiv. acqua misurati nel bacino del Ghiacciaio del<br />

Caresèr nel corso del periodo 1992‐95.<br />

Data Punto 1 punto 2 punto 3 punto 5 punto 6 ghiacciaio<br />

mm acqua mm acqua mm acqua mm acqua mm acqua mm acqua<br />

01/02/93 195 309 383 273 294<br />

01/03/93 206 331 361 201 214<br />

01/04/93 223 549 701 193 207 842<br />

15/04/93 253 0 681 217 232<br />

01/05/93 ‐ ‐ ‐ ‐ ‐<br />

01/06/93 ‐ 478 783 78 86<br />

01/02/94 279 389 558 486 525<br />

01/03/94 206 ‐ 347 323 348 1050<br />

01/04/94 211 284 365 287 306<br />

15/04/94 247 286 590 310 332<br />

01/05/94 328 407 660 308 328<br />

01/06/64 168 257 343 249 268<br />

01/02/95 60 117 139 148 161<br />

01/03/95 56 188 242 113 122 494<br />

01/04/95 52 265 346 144 157<br />

15/04/95 79 220 226 143 151<br />

01/05/95 158 361 416 150 163<br />

01/06/95 30 163 418 0 0<br />

Successivamente il bilancio mensile é stato condotto secondo lo schema seguente:<br />

223


per il periodo dal 1 ott. fino alla fine della scomparsa della copertura nevosa<br />

P‐ΔN‐E =Q<br />

per il periodo <strong>di</strong> ablazione glaciale<br />

P‐ΔN+ΔG‐E =Q<br />

Il bilancio idrologico mensile del ghiacciaio, me<strong>di</strong>o nei tre anni, evidenzia che lo spessore <strong>di</strong> lama<br />

d’acqua netto, cumulato alla fine del ciclo sul bacino é <strong>di</strong> 2142 mm equiv. in acqua, il 78 %<br />

proveniente dalla fusione nivale e dalle precipitazioni liquide, ed il 23% dalle per<strong>di</strong>te <strong>di</strong> massa del<br />

ghiacciaio. Le eventuali per<strong>di</strong>te per evaporazione/sublimazione potrebbero incidere per meno del<br />

3%, ed essere in parte compensate dalla condensazione. I deflussi misurati a Careser Baia<br />

presentano un deficit del 12% rispetto agli apporti. Il confronto con il bilancio del serbatoio, che<br />

richiede la correzione dei contributi glaciali per riportarli al bacino più ampio (da 8 a 14.3 km 2 )<br />

rivela che tale deficit é praticamente costante e pari 13% (tab. 26).<br />

Tab. 26 – Valori me<strong>di</strong> (1992‐1995) delle sommatorie dei valori mensili delle componenti del<br />

bilancio idrologico (mm equiv. acqua) del bacino del Ghiacciaio del Caresér chiuso alla statione<br />

idrometrica <strong>di</strong> Rio Careser alla Baia.<br />

Ott Nov Dic Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Set<br />

Neve 0 0 0 0 0 0 0 115 470 1041 1143 1143<br />

Pioggia 0 0 0 0 0 0 0 41 109 230 343 535<br />

Ghiaccio 0 0 0 0 0 0 0 0 0 15 395 502<br />

Condens. 0 0 0 0 0 0 4 4 5 11 15 17<br />

Evapor. 0 0 0 0 0 0 0 ‐8 ‐27 ‐33 ‐41 ‐55<br />

Totale 0 0 0 0 0 0 4 152 557 1264 1855 2142<br />

Portate 15 58 68 78 78 78 78 98 444 1149 1745 1882<br />

Apporti<br />

al<br />

serbatoio 53 76 97 118 131 144 160 265 600 1105 1520 2679<br />

Tab. 27 – Statistica dei valori me<strong>di</strong> mensili delle Portate (m 3 /s) misurate<br />

sul Noce Bianco alla Stazione <strong>di</strong> Ponte <strong>di</strong> Pietra (quota 2235, bacino sotteso 12,338 km 2 )<br />

G F M A M G L A S O N D Anno<br />

N° osserv 4 4 4 4 4 3 3 3 3 3 4 4 3<br />

minimo 0 0 0 0 0,2 0,43 1,19 1,19 0,38 0,11 0,06 0,01 0,49<br />

massimo 0,61 0,63 0,63 0,66 1,48 2,22 3,81 1,84 1,06 0,98 0,4 0,8 1,04<br />

me<strong>di</strong>a 0,17 0,17 0,17 0,23 0,66 1,29 2,3 1,62 0,67 0,56 0,3 0,24 0,7<br />

224


La statistica dei valori me<strong>di</strong> mensili delle misure <strong>di</strong> portata sul Noce Bianco alla Stazione <strong>di</strong> Ponte <strong>di</strong><br />

Pietra per il periodo nov. 1993 – maggio 1997 è riportata in Tab. 27, mentre nella Fig. 65 sono<br />

raffrontate le serie storiche dei valori me<strong>di</strong> mensili delle portate.<br />

Come giu<strong>di</strong>zio generale sull'affidabilità del funzionamento delle stazioni, si ritiene che il<br />

funzionamento della stazione <strong>di</strong> Careser Baia sia stato ragionevolmente affidabile, soprattutto alle<br />

basse e me<strong>di</strong>e portate, poichè la stazione è montata su un breve canale stramazzante a sezione<br />

rettangolare costruito in tavolame <strong>di</strong> legno. La taratura della sezione veniva fatta sulla base <strong>di</strong><br />

circa 40 misure compiute dal 1957 al 1997, con valori <strong>di</strong> portata varianti da 0,06 m 3 a 5,7 m 3 .<br />

La sezione <strong>di</strong> Ponte <strong>di</strong> Pietra si trovava poggiata su roccia alla base <strong>di</strong> un tratto <strong>di</strong> alveo instabile <strong>di</strong><br />

ciottoli sciolti, che si è verificato essere soggetto a <strong>di</strong>vagazione.<br />

Da un punto <strong>di</strong> vista della similitu<strong>di</strong>ne idrologica, il rapporto tra le aree del Bacino Ponte <strong>di</strong><br />

Pietra/Careser Baia è <strong>di</strong> 1,48, quin<strong>di</strong> è da aspettarsi che le portate me<strong>di</strong>e annue del Rio Bianco<br />

risultino circa il 50% in più <strong>di</strong> quelle del Rio Careser. Come si vede dal grafico, questo si è verificato,<br />

con una certa approssimazione, solo per il primo anno, mentre per quelli successivi i valori me<strong>di</strong><br />

delle portate progressivamente sono scese al <strong>di</strong> sotto dei valori <strong>di</strong> quelle del Rio Careser.<br />

Le misure <strong>di</strong> bilancio <strong>di</strong> massa sulla Vedretta de la Mare nel biennio 1995/97 sono state verificate<br />

con il metodo del bilancio idrologico utilizzando le portate del Noce Bianco, ottenendo una<br />

ragionevole conferma Pulejo, 1968).<br />

Fig. 65 – Confronto tra i valori me<strong>di</strong> mensili delle portate misurate dalla Stazione Idrometrica <strong>di</strong><br />

Careser Baia (linea blu) e quelle misurate alla stazione Ponte <strong>di</strong> Pietra (linea rossa)<br />

225


Conclusioni<br />

Per quanto previsto dagli obbiettivi del WP 1: “Valutazione quantitativa delle risorse idriche nel<br />

sottobacino glaciale del Noce Bianco”, il primo <strong>di</strong> questi prevedeva lo sviluppo <strong>di</strong> un sistema<br />

informativo riferito al bacino Noce Bianco comprendente i sistemi glacio‐nivali ed il reticolo<br />

idrografico da essi generato, visti in chiave <strong>di</strong>namica ed evolutiva.<br />

I risultati raggiunti <strong>di</strong> questo obbiettivo sono la raccolta, la validazione e l'omogeneizzazione <strong>di</strong><br />

tutte le informazioni <strong>di</strong>sponibili sotto forma <strong>di</strong> strutture informatiche implementabili in un G.I.S.;<br />

viene allegato alla presente relazione un CD‐ROM contenente gli shape files in formato ARC/View<br />

provenienti dalle elaborazioni.<br />

Queste riguardano, per il Ghiacciaio Careser, la topografia superficiale riferita al sistema locale<br />

definito originariamente dall'Ufficio Idrografico del Magistrato alle Acque (UIMA):<br />

• I limiti frontali e le perimetrazioni delle aree glaciali desunte da fonti storiche (cartografie del<br />

XIX secolo, rilievi topografici, ecc.)<br />

• La topografia superficiale vettorializzata dei rilievi del 1933, 1958, 1967, 1969, 1970, 1973,<br />

1980, 1983, 1990.<br />

• La ricostruzione della topografia del bedrock ottenuta me<strong>di</strong>ante l'intersezione dei risultati <strong>di</strong><br />

prospezioni <strong>di</strong>verse.<br />

• I modelli <strong>di</strong>gitali del terreno (DTM) relativi alle aree glaciali ottenute dai rilievi elencati in<br />

predenza, le stime dei volumi lor<strong>di</strong> <strong>di</strong> ghiaccio relative alle date dei singoli rilievi e le <strong>di</strong>fferenze<br />

multitemporali tra i DTM che hanno consentito <strong>di</strong> ottenere le stime delle variazioni<br />

volumetriche.<br />

Per quanto riguarda le informazioni topografiche relative alla Vedretta de la Mare, che sono<br />

georeferenziate nel sistema nazionale Gauss‐Boaga:<br />

• I limiti frontali e le perimetrazioni delle aree glaciali desunte da fonti storiche (cartografie del<br />

XIX secolo e del XX secolo, rilievi topografici, ecc.)<br />

• La topografia superficiale vettorializzata del rilievo del 1990.<br />

Per quanto rigurda le informazioni vettorializzabili su serie storiche:<br />

• Serie storiche delle osservazioni glaciologiche (spostamenti frontali, variazioni areali, bilancio <strong>di</strong><br />

massa) relative al Ghiacciaio Careser;<br />

• Serie storiche delle osservazioni glaciologiche (spostamenti frontali e variazioni areali) relative<br />

alla Vedretta de la Mare.<br />

• Serie storiche dei valori giornalieri delle stazioni meterologiche delle seguenti stazioni: Pian<br />

Palù, Cogolo Pont, Pejo, Malgamare, Careser Diga.<br />

• Serie storiche dei valori orari delle portate misurate alla stazione <strong>di</strong> Careser Baia, ottenute per<br />

<strong>di</strong>gitalizzazione dei grafici.<br />

226


Work package 2:<br />

Qualità delle deposizioni atmosferiche (Neve e pioggia)<br />

Le attività previste dal WP 2 si propongono <strong>di</strong> l’obbiettivo <strong>di</strong> quantificare i flussi delle principali<br />

specie ioniche che entrano nel ciclo idrologico attraverso le deposizioni e <strong>di</strong> identificare i processi<br />

che sovrintendono al loro trasferimento nel reticolo idrografico. La rilevanza del progetto sta nello<br />

sviluppare modelli <strong>di</strong> previsione degli scenari futuri determinati da eventi quale l’aumento <strong>di</strong><br />

aci<strong>di</strong>tà nelle deposizioni atmosferiche, che influenza ed influenzerà la qualità delle acque<br />

superficiali e sotterranee.<br />

Materali e meto<strong>di</strong><br />

La procedura <strong>di</strong> riferimento più recente per quanto riguarda il campionamento, la<br />

manipolazione e l’analisi della neve alpina è quella pre<strong>di</strong>sposta nel 1990 per il <strong>Progetto</strong> ALPTRAC (il<br />

cosiddetto Protocollo <strong>di</strong> Vienna). Questo protocollo prevede il campionamento in con<strong>di</strong>zioni<br />

chimicamente pulite della neve depositata su superfici ghiacciate (e quin<strong>di</strong> esente da contatto con<br />

superfici <strong>di</strong> terreno). I campioni <strong>di</strong> neve vengono riposti in contenitori <strong>di</strong> PE (bottiglie o sacchetti) e<br />

devono essere conservati permanentemente allo stato solido fino al momento dell’analisi, che<br />

deve essere effettuata senza filtrazione.<br />

La metodologia analitica si basa essenzialmente su tecniche chimico‐fisiche quali la<br />

cromatografia anionica e lo spettrofotometro a fiamma. Gli elementi principali che vengono<br />

ricercati sono: Na + , K + , Ca ++ , Mg ++ , NH4 + , H + , Cl ‐ , NO 3‐ , NO 2‐ , SO 4‐‐ , HCO 3‐ , OH ‐ .<br />

I risultati vengono espressi in μmoli/l e devono superare un test <strong>di</strong> congruenza interna basato<br />

sul bilancio ionico (sia assoluto che relativo) e sull’attività delle singole specie ioniche (test <strong>di</strong><br />

Miles and Yost (1982) ). Questo test, sviluppato nel campo del controllo delle analisi delle piogge<br />

acide, viene effettuato plottando i valori delle <strong>di</strong>fferenze (somma degli anioni) – (somma dei<br />

cationi) espressi in forma <strong>di</strong> equivalenti, rispetto ai valori del bilancio delle conduttività (<strong>di</strong>fferenza<br />

tra la conducibilità misurata – conducibilità calcolata).<br />

Poiché il rapporto tra questi due termini (<strong>di</strong>fferenza tra conduttività) / (<strong>di</strong>fferenza tra anioni<br />

totali e cationi totali) rappresenta la conducibilità equivalente limite delle specie ioniche non<br />

bilanciate, è possibile evidenziare errori analitici grossolani.<br />

Attraverso questo metodo si può anche identificare il tipo <strong>di</strong> errore analitico: eccesso o<br />

sottostima <strong>di</strong> anioni o cationi, compensazione <strong>di</strong> errori (eccesso o sottostima sia degli anioni che<br />

dei cationi), ed errori <strong>di</strong> misura della conducibilità. Il contributo dello ione H + al bilancio ionico può<br />

essere calcolato usando o il pH (aci<strong>di</strong>tà libera) o l’aci<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> Gran (aci<strong>di</strong>tà forte).<br />

Per quanto riguarda le finalità del progetto, era stata valutata la possibilità <strong>di</strong> realizzare la<br />

continuità tra la campagna <strong>di</strong> misure del <strong>Progetto</strong> ALPTRAC (i cui campionamenti erano stati<br />

condotti negli anni dal 1990 al 1995 sul ghiacciaio del Caresèr e dal 1994 al 1995 anche sul<br />

ghiacciaio del Mandrone).<br />

Risultati preliminari<br />

Per necessità legate al fatto che il campionamento deve essere fatto con la neve fredda, prima che<br />

inizia anche il minimo in<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> percolazione del soluto, questo è stato eseguito prontamente,<br />

appena ricevuta la <strong>di</strong>sponibilità dei fon<strong>di</strong>, ricuperando il ritardo intervenuto per il ritardo nei<br />

finanziamenti. La prima scelta riguarda il sito <strong>di</strong> campionamento, il quale, in considerazione del<br />

fatto che non c’erano i tempi per un ripristino della stazione nivo‐meteorologica da poco ceduta in<br />

227


comodato dall’ENEL S.p.A., si è deciso <strong>di</strong> eseguire contestualmente le misure <strong>di</strong> accumulo ed il<br />

campionamento della neve sul ghiacciaio de La Mare.<br />

Nella primavera del 2001 si era accumulato un manto nevoso <strong>di</strong> spessore eccezionale, che avrebbe<br />

reso particolarmente pesante, ed anche pericoloso il campionamento.<br />

Poiché tra il materiale ceduto in comodato c’erano il carotatore con prolunga fino a 10 m (del tipo<br />

<strong>di</strong> quello SIPRE), contenitori per i campioni e due freezer portatili ad alimentazione trivalente, si fu<br />

presto in grado <strong>di</strong> allestire una campagna <strong>di</strong> prelievo integrale del manto nevoso contestualmente<br />

alla misura dell’accumulo. Si era inoltre concordato con la dott.ssa Sara Villa, una ricercatrice del<br />

Dipartimento <strong>Scienze</strong> dell’Ambiente dell’Università <strong>di</strong> Milano‐Bicocca, <strong>di</strong> prelevare della neve per<br />

la ricerca dei residui degli organo‐clorurati per verificare l’ipotesi della tendenza <strong>di</strong> questi composti<br />

a concentrarsi sulle superfici nevate per l’effetto parete fredda.<br />

Il campionamento, come è già stato già riferito nella relazione del Workpackage 1, è stato<br />

compiuto regolarmente il giorno 5/6/2001 da una squadra <strong>di</strong> ricercatori composta dai dott.ri<br />

Cantonati, Maiolini e Rossi e con l’assistenza <strong>di</strong> una guida alpina.<br />

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228


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Rossi GC., Belloni S., Diolaiuti G., Smiraglia C. (2000): Variation du bilan de masse dans les glaciers<br />

et pre<strong>di</strong>cteurs climatiques: application aux glaciers du Groupe Ortles‐Cevedale, Grenoble<br />

1er Mars 2000. SHF ‐ Reunion Annuelle‐Sect. Glaciologie, Grenoble.<br />

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Cevedale). Atti 6° Convegno Glaciologico Italiano. Gressoney L.T., Sett. 1991.<br />

229

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