Associazione - Camper emergenza

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Servizio Strada Il Servizio strada è la possibilità di incontrare quelli che sono comunque nostri fratelli e che vivono come senza fissa dimora, clochard, tossicodipendenti, alcolizzati, immigrati vagando la notte nella nostra città. Dal lunedì al venerdì, dalle 20.00 alle 23.00 circa, il Camper Emergenza esce con la disponibilità a incontrare coloro che vivono per strada. L'incontro mediato dall'offerta di prime necessità, intende dare un volto umano all'emarginazione e ridurre l'impatto inevitabile con una cittadinanza sempre meno disponibile a includere il disagio nelle sue espressioni di vita quotidiana. Una idea forte e resistente ci ha messi sulla strada: ogni essere umano conserva comunque la propria dignità e merita la nostra attenzione, e per questo occorre meditare l'antica sentenza: tutto ciò che volete gli uomini facciano a voi, voi fatelo a loro. Abbiamo scelto di entrare attraverso la bassa soglia del disagio estremo perché crediamo che questo luogo “non luogo” apra l'orizzonte di un profondo rinnovamento della nostra vita e della società in cui viviamo. Non tutti capiscono: ma noi cerchiamo l'azione autentica, non l'approvazione. I problemi li vediamo, li conosciamo così come sono realmente, la strada è la fonte prima della conoscenza: gente che si droga, che spaccia, che si ubriaca, che dorme per strada, che si prostituisce, che ruba, che si lascia andare, che importuna gli altri, che suscita angoscia, clandestini di ogni tipo e di ogni provenienza, soprusi, pretese, inganni, furbizie… ma anche umanità, umanità vera di fratelli meno fortunati, meno amati, meno serviti… situazioni nazionali e internazionali senza via di sbocco: questa è la bassa soglia per la quale vogliamo continuare a entrare ed uscire. Chi esce col Camper Emergenza non intende opporre ad una città della ricchezza la città degli emarginati, ma intende corrispondere alla necessità di esprimere una nota caratteristica del Vangelo e un diverso livello di civiltà. L'attività di Camper Emergenza è totalmente legata alla gratuità dei volontari e degli amici donatori. Il camper è una fonte di conoscenza del disagio vivo in cui si trovano numerosi nostri fratelli. Il suo servizio non intende avallare tossicodipendenza o clandestinità trasgressiva, ma indica lo sforzo di andare oltre il pregiudizio, perché con la misura con cui giudichiamo saremo giudicati.
Stasera piove Dott. Sergio Carasi Stasera piove. Fa freddo e c'è umido. Sembra una sera fatta apposta per restare a casa a leggere, a guardare la televisione (chissà cosa fanno?), a finire il lavoro iniziato il pomeriggio sul PC, in ufficio, navigando un po' in internet, a fare qualsiasi cosa, …ma non posso. È la mia prima uscita con l'ambulanza del Camper. Era un po' che la sera, tornando dal lavoro, vedevo, verso le otto e mezza, quell'assembramento di gente attorno ad un camper e ad un'ambulanza in un area sul Garza dove tanti anni prima c'era un distributore. Vedevo queste persone stendere le mani verso la finestra del camper, discutere, ricevere ed aprire le borse di plastica, addentare un panino o guardare l'abito che i volontari avevano dato loro. Vedevo il Camper, con queste persone affaccendate a distribuire, a dare… Mi aveva colpito, soprattutto, l'espressione delle persone che offrivano: c'era soddisfazione per quello che stavano facendo. Una cosa che, da tempo, non vedevo più nella gente che sta buona parte della sua giornata vicino a me, pagata per fare quello che fa. Poi, una sera, un incontro fortuito con un collega che già presta la sua opera sull'ambulanza, un'e-mail con l'offerta della disponibilità, ed eccomi qui, integrato nel gruppo di medici volontari. Nessuno mi ha chiesto nulla, nessuno ha preteso un “curriculum” in formato europeo, nessuno mi ha fatto un sottile interrogatorio, mascherato da cordiale colloquio, volto a capire come la penso, dove mi colloco, a qual partito sono “in quota”, come si dice oggi. E tutto questo mi ha convinto, che valeva la pena di chiedere di poter vivere questa esperienza, prendendo quello che verrà e cercando di portarvi tutto quello che posso. Adesso, sto aspettando che venga l'ora di andare. Ripasso qua e la qualche nozione di terapia, cerco di ricordarmi come si fanno alcune medicazioni ed alcune fasciature che si usavano in Pronto Soccorso, al Civile, quando ancora c'era il tempo di farle. Alla fine viene il momento. Un breve viaggio da casa e conosco i miei compagni di stasera: un ragazzo alto, che farà l'autista del mezzo ed una ragazza che mi farà da assistente, entrambi volontari della Croce Bianca, più un anziano che traffica mettendo a posto i medicinali, sempre in disordine. Cerco di entrare in sintonia con loro e scopro che entrambi i ragazzi possono essere, per età, miei figli, ma che ho da imparare da loro in questo campo, che loro conoscono ed io no. Pochi minuti di viaggio ed eccoci alla prima tappa, su via Leonardo. Qui arriviamo che c'è gente che già ci aspetta: dieci, venti, forse trenta persone. Ognuno di loro, quando viene il suo turno, senza numeri, senza l'incalzare delle liste, mi racconta brevemente i suoi dolori, i suoi mali. Nessuno mi dice nulla di dove vive, di come passerà questa piovosa notte, di cosa farà domani. Nessuno accusa nessuno del suo stato attuale. Mi accorgo che in molti casi, anche per i problemi sanitari, il contatto fra volontari e persone assistite non è sporadico, occasionale. Molti, per via del disagio estremo in cui si trovano, per il disorientamento che devono provare in una grande città, come questa, hanno nel camper e nell'ambulanza posti certi cui rivolgersi per trovare qualcosa o qualcuno che ascolta, che dà le indicazioni e l'aiuto, anche materiale che loro serve, in questo momento. Mi impressiona la presenza, in continuo aumento mi dicono, degli Italiani, in mezzo alla maggioranza degli immigrati. Faccio fatica a capire perché persone che potrebbero godere di un'assistenza tecnicamente di molto superiore rispetto agli interventi tampone che noi possiamo offrire, siano lì. Eppure, ci sono e se provo a parlargli di ospedale, di poliambulatori, di medico di fiducia sorridono, alzano le spalle e non rispondono. Dopo aver curato, con quello che c'è, Hassam, Mohamed, Ludmilla, Anton, Singh, Mario (chiedo sempre il nome perché così mi hanno insegnato che si fa, quando si parla con le persone), viene il momento di passare all'altra postazione, quella vicino alla stazione. Qui si scende un altro gradino di quella scala del disagio, quella che non sembra mai aver fine. Qui ci sono i più disagiati, i più disperati che vivono nelle ombre dello scalo e dei complessi industriali abbandonati delle periferie. Stride, e tanto, vedere, mentre siamo lì, gente che si affretta verso la vicina multisala cinematografia, verso la palestra, ancora aperta nonostante l'orario serale, verso il centro commerciale dalle tante luci, lanciando all'indirizzo del nostro gruppo occhiate difficili da decifrare. Stride vedere tanto benessere, tanta ricerca del piacere e nello stesso momento essere lì a distribuire viveri, medicinali, abiti, e perfino coperte termiche, quelle che servono per non morire di freddo quando il tempo è come questa sera e si dorme fuori, all'aperto. Nel gruppo dei volontari vedo qualche amico e qualche ex collega di lavoro. Mi fa molto piacere sentire alla mia domanda: cosa fai qui ? la risposta: raccolgo e rifiuti, e sono contento di esserci. Distribuita l'ultima compressa, vista l'ultima bocca devastata dalla carie mai curata, fatta l'ultima fasciatura su una piaga torpida, viene anche per noi l'ora di rientrare. Abbiamo visitato, mi dicono, quarantotto persone, quarantotto cittadini del mondo. E ancora piove. Torno a casa, pensando alla serata trascorsa, racconto qualcosa di quello che ho vissuto, ritorno a pensarvi, mentre mi addormento. Non so quello che hanno trasmesso o che stanno trasmettendo alla televisione e, quanto al PC e ad internet, possono tutti e due aspettare fino a domani. Ho cose più importanti sulle quali meditare. Grazie, Hassam, grazie, Mohamed, grazie Ludmilla, grazie, Anton, grazie, Singh, grazie, Mario. Grazie. 21
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