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Minareti e campanili - La Repubblica

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DOMENICA 25 GENNAIO 2009<br />

L’EVENTO<br />

<strong>La</strong> mostra Theo by Richard Avedon<br />

si inaugura il primo febbraio e resterà aperta<br />

per un mese. È ospitata in due sedi:<br />

i Musei Capitolini e l’Accademia di Francia<br />

a Villa Medici, a simboleggiare un ponte<br />

fra le due capitali dell’alta moda, Roma<br />

e Parigi. <strong>La</strong> mostra è il fiore all’occhiello<br />

di AltaRomAltaModa. «È un’ulteriore<br />

testimonianza del nostro impegno<br />

a promuovere la cultura della moda»,<br />

sottolinea Nicoletta Fiorucci, presidente<br />

di Altaroma. Altra mostra in programma<br />

durante le sfilate romane,<br />

che si svolgeranno dal 31 gennaio<br />

al 3 febbraio, è quella dedicata alla più nota<br />

giornalista di moda del mondo, la prima,<br />

nel lontano 1947, a scrivere degli stilisti<br />

italiani: Diana Vreeland. Si intitola Italian<br />

Porfolio – Vreelandesque. Omaggio a Diana<br />

Vreeland Da segnalare infine Fashion<br />

on Paper: per quattro giorni il Tempio<br />

di Adriano diventerà un centro<br />

di sperimentazione per l’editoria<br />

specializzata. In un salone interattivo<br />

sarà possibile consultare libri,<br />

pubblicazioni e riviste legati alla moda<br />

MA L’ITALIA È UNA NAZIONE?<br />

Incontri con<br />

Christopher Duggan<br />

autore di<br />

LA FORZA<br />

DEL DESTINO<br />

STORIA D’ITALIA<br />

DAL 1796 A OGGI<br />

PADOVA<br />

28 gennaio ore 18.00<br />

CAFFÈ PEDROCCHI<br />

con Mario Isnenghi<br />

e Gian Antonio Stella<br />

MILANO<br />

29 gennaio ore 18.00<br />

FONDAZIONE CORRIERE DELLA SERA<br />

SALA BUZZATI • VIA BALZAN 3<br />

con Simona Colarizi e Sergio Romano<br />

coordina Antonio Carioti<br />

TORINO<br />

30 gennaio ore 18.00<br />

LIBRERIA LA TORRE DI ABELE<br />

con Ezio Mauro e Luigi <strong>La</strong> Spina<br />

www.laterza.it chiedi a un libraio<br />

E d i t o r i L a t e r z a<br />

7<br />

FOTO © FONDAZIONE AVEDON<br />

8<br />

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 37<br />

<strong>La</strong> lunga ricerca<br />

contro la paura<br />

L a<br />

MICHELE SMARGIASSI<br />

chiave per aprire lo scrigno della<br />

sua apparente algida durezza,<br />

Richard Avedon la buttò lì senza<br />

enfasi in un’intervista televisiva alla<br />

Cbs: «Fotografo ciò che mi fa paura».<br />

Non si riferiva, è chiaro, al levigatissimo<br />

sorprendente glamour delle sue foto<br />

per Harper’s Bazaar o per Vogue, che rivoluzionarono<br />

la visione stessa della<br />

moda. «<strong>La</strong> moda è quel che faccio per vivere,<br />

e mi piace», ma il suo «deep work»,<br />

il suo lavoro «profondo», era un altro.<br />

Lui si considerava un «ritrattista», ma<br />

c’era un po’ di studiata modestia in questa<br />

definizione classica. Avedon è stato<br />

in realtà uno dei più grandi esploratori<br />

del volto e del corpo nell’intera storia<br />

della fotografia. Un ricercatore ossessivo,<br />

mosso dalla paura almeno quanto<br />

dal desiderio di trovare ciò che cercava,<br />

un po’ come Diane Arbus. I primi piani<br />

impietosi, dettagliatissimi fino alla più<br />

piccola macchia cutanea, con cui documentò<br />

fino al giorno della morte la decadenza<br />

fisica di suo padre Jacob Israel<br />

malato di tumore sono difficili da sopportare<br />

per chiunque li guardi, perché<br />

traboccano di un affetto straziante e<br />

inorridito.<br />

Ma in fondo, anche le foto di moda che<br />

lo hanno reso forse il più ricercato e certo<br />

il più pagato professionista della sua<br />

generazione fanno parte di quella ricerca.<br />

Paura del decadimento del corpo e<br />

amore per la sua perfezione non si escludono.<br />

Dovima tra gli elefanti, forse la sua<br />

immagine più conosciuta, è un esperimento<br />

sul contrasto fra ruvido e liscio,<br />

fragile e dirompente: com’è la vita. Nastassija<br />

Kinski sdraiata sul cemento e vestita<br />

solo di un pitone vivo, in un poster<br />

che vendette due milioni di copie, è una<br />

variante sullo stesso tema.<br />

Ma Avedon non si accontentò mai dei<br />

simboli con cui irrorava d’inquietudine<br />

le pagine patinate dei rotocalchi femminili.<br />

Lui, che adorava la candida solitudine<br />

e le soffici luci artificiali del suo studio<br />

bianco sull’East Side, portò più volte<br />

nelle strade la sua ingombrante fotocamera<br />

a treppiede per cercare volti cari-<br />

Sapeva svelare<br />

l’imperfezione<br />

dolorosa e fatale<br />

delle maschere umane<br />

chi di significato. Quelli dei potenti, ma<br />

anche quelli senza potere. In the American<br />

West, galleria di ritratti di cowboy<br />

emaciati e bellezze da fast-food sbattuti<br />

sullo sfondo del suo ormai celebre lenzuolo<br />

bianco, passa per essere un capolavoro<br />

di cinismo: è invece un compianto<br />

pieno di umanità sulla fine ingloriosa<br />

di un mito americano.<br />

E anche un ribaltamento integrale<br />

delle sicurezze e delle presunzioni della<br />

fotografia umanista. Basta con la fiducia<br />

nell’imparzialità dell’occhio di vetro:<br />

«Tutte le fotografie sono precise, nessuna<br />

è la verità». Addio al mito steinbeckiano<br />

dell’empatia con gli spossessati:<br />

Avedon scambiava pochissime parole<br />

con i suoi soggetti, perché «non abbiamo<br />

le stesse aspettative dalla fotografia<br />

che verrà fuori». In fondo si comportava<br />

come Henri Cartier-Bresson,<br />

che pure sembrerebbe stare all’estremo<br />

opposto dell’universo fotografico, ma<br />

che un destino allusivo ha voluto far morire,<br />

nel 2004, poche settimane prima di<br />

lui. Per entrambi, la fotografia sapeva<br />

svelare una realtà ulteriore: per il francese,<br />

la perfezione matematica delle forme<br />

involontarie; per l’americano, l’imperfezione<br />

dolorosa e fatale delle maschere<br />

umane, anche quelle meravigliosamente<br />

vestite.<br />

<strong>Repubblica</strong> Nazionale

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